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Monday, March 28, 2022

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Grice e Gaetani – L’implicatura di Catullo -- APVD NEAPOLIM – filosofia italiana – Luigi Speranza (Martano). Filosofo. Grice: “I like Gaetani, for one, he is a duke – and kept beautiful gardens at Martano – he philosophised on the ‘ottocento’, as any philosopher from the Novecento would!” Figlio di Carlo, conte di Castelmola, e Giuseppina Chiriatti. La famiglia Gaetani annovera oltre al ramo dei Castelmola, anche quello dei Laurenzana, di cui si ricorda il Barone Di Laurenzana, esponente del movimento radicale. L'insegna araldica dei Castelmola è costituita da uno scudo forgiato di due strisce blu ondeggianti che lo attraversano in senso trasversale. I Gaetani, prima Caetani, vantarono alcuni papi, tra cui Bonifacio VIII.  Il padre, Carlo, avvocato, fu ripetutamente eletto tra le file dei radicali nel Consiglio comunale di Napoli. Da Napoli attiene, fino a tutta la Grande Guerra, alla cura del patrimonio fondiario in Martano, acquisito dal matrimonio con Chiriatti. Questa infatti si era trasferita a Napoli dopo l'uccisione del facoltosissimo padre Paolo, nell'ambito di una torbida vicenda che vide infine coinvolta la madre di lei, Maria Fortunato, quale mandante, assieme al prete Mariano, dato che i due erano in tresca. Diviso il patrimonio tra le due figlie Giuseppina e Paolina Chiriatti, e la madre stessa, vennero iniziati i lavori di costruzione del palazzo Chiriatti-Gaetani. A Palazzo Chiriatti-Gaetani la famiglia venne a dimorare mentre man mano la gestione delle fortune familiari passava in capo a Gaetani, che si impegna in un'ardua opera di bonifica e di razionalizzazione colturale, culminata con l'acquisto di diversi macchinari ad alta tecnologia. E però proprio il malfunzionamento dell'attrezzatura finalizzata all'estrazione dell'acqua dai pozzi, bene capitale nelle aride campagne della zona, a determinare l'infiacchimento del capitale di famiglia e il progressivo indebitamento verso il Banco di Napoli, che culmina con la fine del fascismo.  Frattanto  Gaetani, che si fregiava del titolo di duca, a seguito del matrimonio con la duchessa d'Ascoli, Leopoldina, si dedica alla filosofia, mentre, del resto, ebbe a ricoprire la carica di Provveditore a Potenza. La sua filosofia e ispirata dalla Francia, della che fu un grande amatore, nonostante il fascismo e nonostante la sua adesione al regime, che ad un certo punto ne impedì la circolazione in Italia. Crociano, segue lo schema tracciato dal maestro, mentre l'ultimo ricordo della natia Martano fu un canto dedicato alle tradizioni grike, di cui raccomandava appassionatamente la conservazione e il culto.  Nei giorni furenti che precedettero il Referendum istituzionale appoggiò in pubblici comizi la Monarchia, e per questo pagò dazio dovendosi allontanare all'indomani del voto e rifugiarsi in Napoli, tutto teso negli studi letterari.  Altre saggi: Villon (Napoli); “Un carteggio inedito di F. Bozzelli (S. Gaetani, F.B ozzelli), L'Aquila, Masseria, Martano (Lecce); “Un bilancio letterario” (Roma); “Per onorare un maestro: il Torraca, Napoli); “Catullo” (Roma); L'Ottocento” (Napoli); “La bancarotta del rosso: commedia in tre atti, Lecce); “Per la venuta del Duce” (Lecce); “Bernardo Bellincioni, Galatina (Lecce); “Il benedettino-cistercense d. Mauro cassoni nel Tempio, nella scuola, negli studi: ), Lecce, “Ricordi di Benedetto Croce, Napoli); Vicende tipi e figure del Casino dell'Unione, Napoli); Napoli ieri e oggi: passeggiate e ricordi, Milano-Napoli); Apud Neapolim..., Napoli); Fonti storiche e letterarie intorno ai martiri di Otranto, Napoli.  "Catullo" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Catullo (disambigua).  Sirmione, busto di Catullo Gaio Valerio Catullo (in latino: Gaius Valerius Catullus, pronuncia classica o restituta: [ˈɡaːɪʊs waˈlɛrɪʊs kaˈtʊllʊs]; Verona, 84 a.C. – Roma, 54 a.C.) è stato un poeta romano. Il poeta è noto per l'intensità delle passioni amorose espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo Catulli Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e degli Alessandrini in generale.   Indice 1                                            Biografia 1.1Origini familiari 1.2Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria 2Opera 3Il mondo poetico e concettuale di Catullo 4Note 5Bibliografia 5.1            Rassegne bibliografiche 5.2Traduzioni italiane 5.3Commenti 5.4             Studi 6Altri progetti 7Collegamenti esterni Biografia  Il busto di Catullo presso la Protomoteca della Biblioteca civica di Verona. Origini familiari  Catullo da Lesbia, dipinto di Lawrence Alma-Tadema (1865). Gaio Valerio Catullo proveniva da un'agiata famiglia latina che aveva contribuito a fondare la città di Verona, nella Gallia Cisalpina; il padre avrebbe ospitato Q. Metello Celere e Giulio Cesare in casa propria al tempo del loro proconsolato in Gallia[1]. Per quanto concerne gli estremi cronologici della sua biografia, San Girolamo[2] pone l'87 a.C. e il 57 a.C. rispettivamente come data di nascita e di morte e specifica che appunto egli morì alla giovane età di trent'anni. Tuttavia, poiché nei suoi carmi accenna ad avvenimenti che riportano all'anno 55 a.C. (come l'elezione a console di Pompeo[3] e l'invasione della Britannia da parte di Cesare[4]), si è maggiormente propensi a ritenere che egli sia nato nell'84 e morto nel 54 a.C., dato per certo il fatto che sia morto a trent'anni.  Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria Trasferitosi nella capitale, si suppone intorno al 61-60 a.C., cominciò a frequentare ambienti politici, intellettuali e mondani, conoscendo personaggi influenti dell'epoca, come Quinto Ortensio Ortalo, Gaio Memmio, Cornelio Nepote e Asinio Pollione, oltre ad avere rapporti, non molto lusinghieri, con Cesare e Cicerone; con una ristretta cerchia d'amici letterati, quali Licinio Calvo ed Elvio Cinna fondò un circolo privato e solidale per stile di vita e tendenze letterarie. Durante il suo soggiorno prolungato a Roma ebbe una relazione travagliata con la sorella del tribuno Clodio, tale Clodia.[5]. Clodia viene cantata nei carmi con lo pseudonimo letterario "Lesbia", in onore della poetessa greca Saffo, molto cara a Catullo e proveniente dall'isola di Lesbo. Lesbia, che aveva una decina d'anni più di Catullo, viene descritta dal suo amante non solo graziosa, ma anche colta, intelligente e spregiudicata. La loro relazione, comunque, alternava periodi di litigi e di riappacificazioni ed è noto che l'ultimo carme che Catullo scrisse all'amata fu del 55 o 54 a.C., proprio perché in essa viene citata la spedizione di Cesare in Britannia. Da alcuni suoi carmi emerge, inoltre, che il poeta ebbe anche un'altra relazione, omosessuale, con un giovinetto romano di nome Giovenzio. Catullo si allontanò, comunque, varie volte da Roma per trascorrere del tempo nella villa paterna a Sirmione, sul lago di Garda, luogo da lui particolarmente apprezzato e celebrato per il suo fascino ameno, situato nella sua terra di origine e che per questo induceva al poeta distesi periodi di riposo. Nel 57-56 a.C.seguì Gaio Memmio in Bitinia: in quella circostanza andò a rendere omaggio alla tomba del fratello situata nella Troade. Quel viaggio non recò alcun beneficio al poeta, che ritornò senza guadagni economici, come sperava al momento della partenza, né la lontananza riuscì a fargli riacquistare la serenità perduta a causa dell'incostanza e dell'indifferenza di Lesbia nei suoi confronti. Fu tuttavia una nota positiva la visita alla lapide del fratello, in occasione della quale scrisse il Carme 101 (a cui si ispirò in seguito anche Ugo Foscolo per la poesia In morte del fratello Giovanni). Catullo non partecipò mai attivamente alla vita politica, anzi voleva fare della sua poesia un lusus fra amici, una poesia leggera e lontana dagli ideali politici tanto osannati dai letterati del tempo[6]. Disprezzava infatti la politica di allora, dominata da politici corrotti che servivano soltanto il proprio interesse: riteneva dunque che favorire l'uno o l'altro non significasse niente di meno che aiutare l'uno o l'altro a perseguire il suo vantaggio personale. Tuttavia, seguì la formazione del primo triumvirato, i casi violenti della guerra condotta da Cesare in Gallia e Britannia, i tumulti fomentati da Clodio, comandante dei populares, fratello della sua celebre amante Lesbia e acerrimo nemico di Marco Tullio Cicerone, che verrà da lui spedito in esilio nel 58 a.C. ma poi richiamato, i patti di Lucca e il secondo consolato di Pompeo. Una nota da sottolineare è il Carme 52 dove, per usare le parole di Alfonso Traina, "il disprezzo della vita politica si fa disprezzo per la vita stessa":  (LA) «Quid est, Catulle? quid moraris emori? sella in curuli struma Nonius sedet, per consulatum peierat Vatinius: quid est, Catulle? quid moraris emori?»  (IT) «Che c'è, Catullo? Che aspetti a morire? Sulla sedia curule siede Nonio lo scrofoloso, per il consolato spergiura Vatinio: che c'è, Catullo? Che aspetti a morire?»  (Carme 52) Opera Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia della letteratura latina (78-31 a.C.).  Marco Antonio Mureto, Catullus et in eum commentarius, Venetiis, apud Paulum Manutium, 1554. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Liber (Catullo). Il liber di Catullo non fu ordinato dal poeta stesso, che non aveva concepito l'opera come un corpo unico, anche se un editore successivo (forse lo stesso Cornelio Nepote a cui è stata dedicata la prima parte dell'opera) ha diviso il liber catulliano in tre parti secondo un criterio di tipo metrico: i carmi da 1 a 60, sotto il nome di "nugae" (letteralmente "sciocchezze"), brevi carmi polimetri, per lo più faleci e trimetri giambici; i carmi da 61 a 68, i cosiddetti "carmina docta" d'impronta alessandrina e per lo più in esametri e distici elegiaci; i carmi dal 69 al 116 sono gli epigrammi ("epigrammata"), in distici elegiaci.  Il mondo poetico e concettuale di Catullo  Il poeta Catullo legge uno dei suoi scritti agli amici, da un dipinto di Stefan Bakałowicz. Catullo è per noi uno dei più noti rappresentanti della scuola dei neòteroi, poetae novi, (cioè "poeti nuovi"), che facevano riferimento ai canoni dell'estetica alessandrina e in particolare al poeta greco Callimaco, creatore di un nuovo stile poetico che si distacca dalla poesia epica di tradizione omerica divenuta a suo parere stancante, ripetitiva e dipendente quasi unicamente dalla quantità (in riferimento all'abbondanza dei versi di quest'ultima) piuttosto che dalla qualità. Sia Callimaco che Catullo, infatti, non descrivono le gesta degli antichi eroi o degli dei[7], ma si concentrano su episodi semplici e quotidiani. Per giunta, i neòteroi si dedicano all'otium letterario piuttosto che alla politica per rendere liete le loro giornate, coltivando il loro amore solo ed esclusivamente alla composizione di versi, tanto che Catullo dichiara nel carme 51: «Otium, Catulle, tibi molestum est:/otio exsultas nimiumque gestis» «L'ozio per te, Catullo, non è buono;/ nell'ozio smani e ti scalmani» (traduzione a cura di Nicola Gardini). Talvolta il poeta ostenta il suo disinteresse per i grandi uomini che lo circondavano e che stavano scrivendo la storia: «nihil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere» «non m'interessa, Cesare, di andarti a genio» (carme 93), scrive al futuro conquistatore della Gallia. Da questa matrice callimachea proviene anche il gusto per la poesia breve, erudita e mirante stilisticamente alla perfezione. Si sviluppano, originari dell'alessandrinismo e nati da poeti greci come Callimaco[8], Teocrito, Asclepiade, Fileta di Cos e Arato, generi quali l'epillio, l'elegia erotico-mitologica e l'epigramma, che più sono apprezzati e ricalcati dai poeti latini.  Catullo stesso definì il suo libro expolitum (cioè "levigato") a riprova del fatto che i suoi versi sono particolarmente elaborati e curati, le poesie raffinate e curate. Una delle caratteristiche peculiari della sua poetica è, infatti, la ricercatezza formale, il labor limæ, con cui il poeta cura e rifinisce i suoi componimenti. Inoltre, al contrario della poesia epica, l'opera catulliana intende evocare sentimenti ed emozioni profonde nel lettore, anche attraverso la pratica del vertere, rielaborando pezzi poetici di particolare rilevanza formale o intensità emozionale e tematica, in particolare come nel carmen 51, una emulazione del fr. 31 di Saffo, come anche i carmina 61 e 62, ispirati agli epitalami saffici. Il carme 66, preceduto da una dedica ad Ortensio Ortalo, è una traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco, che viene ripreso per mostrare l'adesione ad una raffinata elaborazione stilistica, una dottrina mitologica, geografica, linguistica ed infine la brevitas dei componimenti, con la convinzione che solo un carme di breve durata può essere un'opera raffinata e preziosa.  Note ^ Svetonio, Vita di Cesare, 73. ^ Chonicon, ad annum. ^ Carme 113, 2. ^ Carmi 11, 12; 29, 4; 45, 22. ^ Secondo un'indicazione di Apuleio nell'Apologia, 10, la donna a cui si riferisce Catullo rimase vedova nel 59 a.C. di Quinto Metello Celere, sicché si può pensare a Clodia. ^ Al riguardo si veda il carme 93: «Nil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere / nec scire utrum sis albus an ater homo» - «Non mi interessa affatto piacerti, Cesare, né sapere se tu sia bianco o nero». ^ Eccezion fatta, forse, per i carmina 63 e 64. ^ Morelli Alfredo Mario, Il callimachismo del carme 4 di Catullo, Cesena: Stilgraf, Paideia: rivista di filologia, ermeneutica e critica letteraria: LXX, 2015. Bibliografia Rassegne bibliografiche J. Granarolo, Catulle 1948-1973, in Lustrum, vol. 17, 1973-1974, pp. 27-70. J. Granarolo, Catulle 1960-1985, in Lustrum, vol. 28-29, 1986-1987, pp. 65-106. H. Harrauer, A Bibliography to Catullus, Hildesheim, 1979. J.P. Holoka, Gaiu Valerius Catullus. A Systematic Bibliography, New York-Londra, 1985. Traduzioni italiane Mario Rapisardi, Napoli, 1889. E. Stampini, Torino, 1921. U. Fleres, Milano, 1927. C. Saggio, Milano, 1928. Guido Mazzoni, Bologna, 1939. Salvatore Quasimodo, Milano, 1942. V. Errante, Milano, 1943. E. D'Arbela, Milano, 1946. Enzio Cetrangolo, Milano, 1950. Vincenzo Ciaffi, Torino, 1951. Giovanni Battista Pighi, Verona, 1961. E. Mazza, Parma, 1962. Guido Ceronetti, Torino, 1969. Mario Ramous, Milano, 1975. T. Rizzo, Roma, 1977. Francesco Della Corte, Milano, 1977. Enzo Mandruzzato, Milano, 1982. F. Caviglia, Roma-Bari, 1983. Giovanni Wesley D'Amico, Palermo, 1993. Gioachino Chiarini, Milano, 1996 Guido Paduano, Torino, 1997. Luca Canali, Firenze, 2007. Alessandro Natucci, Roma, 2008, 2020 anche in formato Kindle Alessandro Fo, Torino, 2018. Commenti R. Ellis, Oxford 1876. A. Riese, Lipsia 1884. E. Baehrens, Lipsia 1885. G. Friedrich, Lipsia-Berlino 1908. W. Kroll, Lipsia 1923. Massimo Lenchantin de Gubernatis, Torino 1928. G. Fordyce, Oxford 1961. G.B. Pighi, Verona 1961. K. Quinn, Londra 1970. F. Della Corte, Milano 1977. F. Caviglia, Bari 1983. E. Merrill, Boston 1983. H.-P. Syndikus, Darmstadt 1984-1990. Studi Paolo Fedeli, Introduzione a Catullo, Roma-Bari, Laterza, 1990. J. Ferguson, Catullus, Oxford, 1988. E.A. Schimdt, Catull, Hidelberg, 1985. F. Della Corte, Due studi catulliani, Genova, 1951. C.L. Neduling, A Prosopography to Catullus, Oxford, 1955. D. Braga, Catullo e i poeti greci, Messina-Firenze, 1950. O. Hezel, Catull und das griechische Epigramm, Stuttgart, 1932. J.K. Newman, Roman Catullus and the Modification of the Alexandrian Sensibility, Hildesheim, 1990. A.L. Wheeler, Catullus and the Tradition of Ancient Poetry, Londra-Berkeley, 1934. Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff, Catullus hellenistische Gedichte. in Hellenistische Dichtung in der Zeit des Kallimachos, II, Berlino 1924. Mario Rapisardi, Catullo e Lesbia. Studi, Firenze, Succ. Lemonnier, 1875. Enzo Marmorale, L'ultimo Catullo. Napoli, 1952 Giancarlo Pontiggia, Maria Cristina Grandi, Letteratura latina. Storia e testi. Vol. 2, Milano, Principato, marzo 1996, ISBN 978-88-416-2188-2. (EL) N. Kaggelaris, Wedding Cry: Sappho (Fr. 109 LP, Fr. 104a LP)- Catullus (c. 62, 20-5)- modern Greek folk songs, in E. Avdikos e B. Koziou-Kolofotia (a cura di), Modern Greek folk songs and history, pp. 260-270. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Gaio Valerio Catullo Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina in lingua latina dedicata a Gaio Valerio Catullo Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Gaio Valerio Catullo Collabora a Wikiversità Wikiversità contiene risorse su Gaio Valerio Catullo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Gaio Valerio Catullo Collegamenti esterni Catullo, Gaio Valerio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Massimo Lenchantin De Gubernatis, CATULLO, Gaio Valerio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931. Modifica su Wikidata (EN) Gaio Valerio Catullo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Gaio Valerio Catullo, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Gaio Valerio Catullo, su Musisque Deoque. 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Scansione metrica del Liber di Catullo, su rudy.negenborn.net. La Chioma di Berenice: traduzione di Alessandro Natucci, su digilander.libero.it. Il carme 64: traduzione di Alessandro Natucci (PDF), su classiciscriptores.weebly.com. Controllo di autorità                    VIAF (EN) 100218993 · ISNI (EN) 0000 0001 2145 2004 · SBN CFIV000778 · BAV 495/44471 · CERL cnp01259860 · LCCN (EN) n79006943 · GND (DE) 118519719 · BNE (ES) XX1047188 (data) · BNF (FR) cb118955751 (data) · J9U (EN, HE) 987007259536205171 (topic) · NSK (HR) 000168539 · CONOR.SI (SL) 18455907 · WorldCat Identities (EN) lccn-n79006943   Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Poeti romaniRomani del I secolo a.C.Nati nell'84 a.C.Morti nel 54 a.C.Nati a VeronaMorti a RomaGaio Valerio CatulloEpigrammistiValeriiPoeti italiani trattanti tematiche LGBTSalvatore Gaetani. Gaetani. Keywords: APVD NEAPOLIM, l’implicatura di croce. Croce, Catullo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gaetani” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759940980/in/dateposted-public/

 

Grice e Gagliardi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Marino). Filosofo. Grice: “I like Gagliardi; I spent some time with medics at Richmond, talking Greek! Anyhow, Gagliardi shows why the Angles prefer physician – since ‘medicare’ is such a trick!” – Grice: “Philosophically interesting bit is that Gagliardi applies ‘medico’ and qualifies it with ‘morale’!” –Nacque a Marino, feudo dei Colonna, nell'area dei Colli Albani, come riferisce lMoroni nel suo Dizionario di erudizione, e come riferito dallo stesso Gagliardi nel in "L'idea del vero medico fisico e morale formato secondo li documenti ed operazioni di Ippocrate" (Roma). In effetti, il cognome Gagliardi esiste all'epoca a Marino ed è tuttora tramandato. Fu impegnato in ricerche morfologiche, microscopiche ed anatomo-patologiche a proposito delle ossa, compiendo importanti scoperte in questo campo: in “Anatomia delle ossa illustrata con le nuove scoperte", Roma) descrisse per primo la struttura lamellare delle ossa. Inoltre effettua alcuni esami e ricerche comparative tra le ossa umane e quelle del vitello. Descrisse probabilmente per primo un caso di tubercolosi ossea. La sua opera fu piuttosto lodata, e l' “Anatomia” fu ristampato. Fece importanti studi sul "mal di petto". Filosofa sull'educazione morale. Diede anche ammonimenti contro i guaritori ciarlatani e fornì alcuni suggerimenti deontologici.  Abitava nel rione Sant'Angelo, presso via delle Botteghe Oscure. In questa strada un suo servo fu ucciso misteriosamente nottetempo. Durante le villeggiature dei papi presso la Villa Pontificia di Castel Gandolfo Gagliardi ha il privilegio di offrire la frutta al papa. Alessandro VIII gli conferì un titolo nobiliare, ma non sappiamo quale.  I suoi lavori, conservati nelle maggiori biblioteche di Roma, rivestono un particolare interesse se anche duecento anni dopo la loro scrittura, il vice-direttore dell'Ospedale San Martino di Genova, Arata, diede alle stampe una lettera inedita del Gagliardi sull'itterizia. Si ha svolto un proficuo lavoro di ricerca su Gagliardi, scoprendo anche una firma del medico in margine ad un saggio discusso all'Università La Sapienza.  Altre opere: “L'infermo istruito nelle scuole” (Roma); “Consigli preventivi e curativi in tempo di contagio dati in forma di dialogo” (Roma); “Relazione de' Mali di Petto che corrono presentemente nell'Archiospedale di Santo Spirito in Sassia” (Roma); “L'educazione morale” (Roma). “Come sopra l'influenza catarrale che presentemente regna in Roma e Stato ecclesiastico” (Roma). Note: Si veda l'annotazione di “Due baiocchi” in "Castelli Romani", Bossi, Dell'Istoria d'Italia antica, Enciclopedia TreccaniGagliardi, Domenico, Luciano Sterpellone, I protagonisti della medicina, Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,  Lucarelli, Domenico Gagliardi,  Giornale de' letterati d'Italia, Guillermo Olagüe de Ros, La "Relazione de' Male di Petto" en el ambiente anatomo-clínico romano, in Dynamis: Acta hispanica ad medicinae scientiarumque historiam illustrandam, Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Venezia, Tipografia Emiliani, Antonia Lucarelli, Memorie marinesi, 1ª ed., Marino, Biblioteca di interesse locale "Girolamo Torquati", Ordinamento universitario dello Stato Pontificio Tubercolosi ossea  Domenico Gagliardi, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  1  te cose senza profondarvi in alcuna di efse, ed allora appunto diverrete più capaci di fare maggiori progressi, e tanto più se vi servirete per regolatore delle vostrej operazioni di quel saggio avvertimento feftina lente:  Esplorerò dunque con private conferenze l'animo di ciascun di voi separatamente, per meglio accercarmi di ciò,che vi farà bisogno , non potendo il Medico dare ajuto al suo Infermo s se prima non avrà ben conosciute le cagioni del suo male, e spero in oggi; e domani di potere ricavare da voi ciò, che sarà più necessario, ch'Io sappia, per meglio indirizzarvi. Ritiriamoci ora à fare il privato esame, per potere Lunedì prossimo dar principio alle nostre Giornate.  [ocr errors][merged small] [merged small][merged small][ocr errors][merged small] M  Nella quale si moftra cofa fi ricerchi d'eljena       ziale per efere Medico je ciò, che     gli rechi ornamento .  Avveddi jeri dal vostro parlare;   che non siete tutti voi di genio   uniformi,perche conobbi bene,   che tal'uno di voi non restava persuaso, & altri più ; ò meno, s’appagavano delle mie ragioni, e riflettendo, che ciò possa nascere dalla diversità delle vostre menti più o meno sublimi, & animofe. Quindi è, che prima d'inoltrarmi nel presente ragionamento, stimo necessario di premettere una breve partizione delli vostri ingegni, à fine di regolare ciascuno di voi secondo la propria capacità : Ecer  tamente , conforme nell'esterno non vi assomigliate trà voi, così ancora nell'interno sarete differenti, cioè, che non avrà ciascuno di voi la medesima capacità, & apertura di mérite ; il medesimo talento, ē spirito, la medesima memoria , e ritentiva , & il medesimo giudizio, o perspicacia d'ingegno; onde, ciò suppofto, io non potrò con la medesima misurd, e regola mostrare à tutti voi ciò, che vi converrà d'essenziale, è d'ornamento per potere diventare veri Medici. Dunque mi converrà necessariamente dividere left fenziale dall'ornamento, perche l'effenziale dovrà competere egualmente à voi, che fiete di mente più sublimi, che agli altri d'inferiore capacità : L'ornameiro poi, perche non potrà competere egualinente , nè potrà essere in tutti voi uniforme, bisognerà regolarlo fecondo la  propria capacità, e genio di ciascuir di vois con pensare al modo, che poffino l'ingegni inferiori uguagliare per altra via ancora nell'ornamento li più subliini ; E ciò servirà primieramente per dare un'ottima  direzzione alle menti di maggior capaci. tà, in farli conoscere ciò, che si debba di elli premettere d'essenziale , per poscia potersi avanzare in quello di più, di cui saranno capaci. In secondo luogoperche non si confondano, & avviliscano le menti meno sublimi, anzi per istruirle , & ani. marle insieme à fupplire con l'Arte al di, fetto di Natura,  Certo, che ognuno di voi deve avere il medesimo fine, cioè di divenire Medico; Onde dovrà unitamente con gl'altri incaminarsi per la medesima strada, e fino à tanto, ch'abbia conseguico il suo in, tento ; Mà perche chi si trova in forze maggiori trà voi è portato facilmente dal suo spirito ad uscire dalla careggiata, quindi è, che bisognerà idearsi un caso, che dia un buon regolamento à tutti unitamente, che sarà il seguente :  Vi fia trà voi chi posseda in contanti due, chi trè , e chi quattro talenti , e che voglia ciascuno per uso proprio fabricarsi una casa compita, che abbiad d'avere il medesimno uso, e la medefima  fruto  struttura, certo è, che li fondamenti converrà, che li facciate uniformi, il sopra terra dovrà alzarsi eguale, le stanze doyranno essere di numero, e capacità consimili, altrimenti non avrà la medesima struttura. In idearsi queste case non potrà l'Architetto eccedere la spesa di due talenti, altrimenti non potria senza indebitarsi compire la sua fabrica ,chi di voi hå che due foli talenti; Si dolerà facilmente con l'Architetto chi ne hà d'avantaggio, perche non gl'abbia delineato fabrica più sontuosa , à cui facilmente egli risponderà, è meglio, che litalenti vi avanzinoy che manchino, perche li potrete impiegare in ornato, e così la vostra farà più bella comparsa ; Sentendo questo voi, che avete soli due talenti vi dolerete ancora coll'Architetto, che non vi rimarrà cosa da spendere per ornarla , e perciò la voftra fabrica non potrà comparire bella al pari delle altre, vi risponderà il medesimo, abbiate pazienza , che vi darò il modo per far comparire vaga la vostra ancora al pari delle altre : Mă se per vostradisgrazia spenderete li vostri talenti senza le buone regole dell'Architettura, é voglia ognuno di voi farsi una casa à suo genio . Vois che avete quattro talenti vorrete fare il doppio degli altri, vi profonderete più del bisogno ne' fondamentis farece muri più larghi; l'alzerete più dell' altri; con tutti li vostri quattro talenti Atenterete à copritla ; con che denari poi la stabilirete? A che servirii la magnifiċenza della vostra casa , non potendola in tutto compire per renderla usuale?  Tanto peggio seguirà in voi, che possedete meno, se nella vostra fabrica spetdeste più di quello; che dovete je po tete; correreste pericolo di non poterla ricoprire, onde vi rimarria affatto infruto tuosa,  Altro inconveniente ancora potrid fascere si nell'uno, come nell'altro caso, che saria di risparmiare ne' fondamenti qualche porzione de’talenti per impiegarla nell'ornáto, iii questo modo le vostre cafe fariano sempre in pericolo di rovina. $e , con tutta la sua bella apparenzas fatta  [ocr errors] ad imitazione di quei Mercadanti, che ciò che hanno tengono in mostra , e questi sono quelli, che ben spesso si veggono fallire.  Questa fabrica , ch'ora vi hò ideato è appunto la Medicina Pratica, la quale fi deve da tutti voi apprendere , e nella medema conformità, affinche ne ricaviate un metodo di medicare uniforme, facile , e sicuro , e se in apprenderla voi, che siete dotati d'ingegno più subliine degl'altri, vorrete stendervi più in oltre delli vostri Compagni, vi confonderete con facilità con tutto il vostro bel talento, perche fzcilmente il vostro spirito grande vi farà divagare in quelle cose, che apprese in altritempi , che resivi più capaci, meglio lo capirete, & adatterete al vostro bisogno. Șia per esempio, se in questo tempo, che attendete alla pratica , vi venisse fantasia di leggere, & imparare molti, e diversi liftemi, e li varj metodi di medicare, che Lono nella Medicina , questo vi reccherà confufione, contenendo tanta diversità di pensieri,d'ideese di modi con tutto che la  7  verità delle cose sia una sola , onde con Fagione riferisce Lacuna, (a) ch'esclamava à suoi tempi Galeno : Judicij veri difficultatem liquidò oftendunt tot , tàmque variæ hærefes, quòt in Arte Medicâ reper riuntur; E tanto maggiorinente, che  quefti distogliendovi da quel bell'ordine, che voi avevate preso in offervare l'andamenti de? mali con li vostri propri occhi, vi faranno acquistare una pratica fimile alla vostra ideata fabrica, che non farà côpita, & in conseguenza non ne potrete cavare quel profitto,che ne riporteranno li voftri Compagni , li quali à cagione della  maggiore attenzione, che hanno in apprendere quella sola,non divertendosi in altro, se ne approfitteranno bene, e la loro  pratica sarà compita , e potrà avere il suo uso, giacchè al parere di Cicerone : (6) Affiduus ufus, uni rei deditus, die Ina genium ; & Artem fæpè vincit ; Sicchè in questa parte eforto tutti voi à non applia care ad altro , allora che prendete lame  pra(a) Comment 1. Aphorism. 1. ex Lecuno in Epit, (6) Cicero pro Cornel. Balb.  1  [ocr errors] pratica, che à quell'esercizio, che fate, eccettuatone alcuni tempi destinati per Ja Notomia, e per la Boštanica,  Perfezionati, che farete in detta, pratica , & appreso, che avrete un metodo facile, e più sicuro di medịcare, allora converrà di ornarla di altre cose , che abbiano correlazione con la Medicina , secondo il proprio genio , e capacità, con fermo proponimento però , che non vị abbiano da distogliere dallo studio di er fa , nè da confondere ciò, che auete con li propri occhi offeryato più volte, eţurto ciò, che avețe appreso per ornamento non l'avrete da profeflare come negozio principale, altrimenti vi distoglierà da quello , che avevate già acquistato dị buono nella - Medicina, ma sopra di cio più diffusamente ne tratteremo in ap: presto  Questą praticą, appunto acquistatą, mediante le reiterate esperienze, e diligenti osservazioni fatte intorno li Malati è quello , che fi ricerca d'essenziale nel Medico , & oltre di questa ogn'altra cosa, che s’acquisterà di più gli servirà d'ornamento maggiore : Che sia così,per consolazione di yoi, che siete d'ingegni meno sublimi, yeniamo alle prove.  La prima sarà con l'autorità d'Ippocrate chiara , e testuale ; Dice dunque , egli:(a) Ars fane medica jām mihi tota inventa ese videtur, quæ fic comparata eft, ut fingulas, da consuetudines , temporum occasiones doceat. Qui enim hoc pactó Artis Medicæ cognitionem habet , is minimum ex, fortuna pendet , fed & citrà fortunam, çum fortunâ rectè eam adminiftrabit ; Firma enim eft Ars tota Medica , cjusque prçceptiones , ex quibus conftat dr.  Consistendo dunque tutta la Medicina in sapersi ciò, che sia solito à farsi, e le congiunture de' tempi, nelle quali fi deve operare, queste chi meglio di voi le potrà sapere, avendole con li yostri propri occhi più volte osservate? e bastando ciò per bene medicare, secondo la dottrina d'Ippocrate, sarete dunque , mediante la vostra buona pratica, allora già divenuti  Me(a) Hippocr. in lib. de loc. in bom.nesa  Medici; E fe poi desiderate sentire sopra ciò più chiaro parere d'Ippocrate , legge. xe De decenti ornatu, dove così vi parla ; Sint cu in memoria tibi morborum curatio.  da harum modi, quo multipliciter, quomodò in fingulis fe habent; bọc enim principium eft in Medicina , medium, & finis = che sono appunto questi il costitutivo del. l'essenziale:  Sia all'oppofto tal'uno ornato di tut, te le scienze, nià che non abbia acquistato ancora in Medicina una buona pratica , questi non si potrà dire con tutte le sue scienze Medico pratico, perche non saprà ben mcdicare, e gl'accaderà per l'appunto, ciò, che succederia ad un'insigne Geo. grafo se volesse viaggiare senza la guida , queiti nelli bivj, ò trivj sbaglierebbe la strada , per non averne la buona pratica , e con tutto , che possedeffe la situazione di tutto il mondo, in un piccolo tratto di paese si smarrirebbe; Mà tutto questo con Pesempj più chiari ve lo farò costare,  Tralasciando di riferirvi un lungo Catalogo de' Medici , che hanno scritto in  fola  sola Medicina pratica, e che fiorirno con gran lode, mentre vissero, senza effere ornaci d'altre scienze, perche lo potre te, volendo, con li vostri proprj occhi rincontrare , leggendo i loro libri ; Vi riferirò solamente alcuni casi accaduti à Medici, ch'avevano appreffo di noi molta ftima', per essere versatiliminella buona pratica di medicare, e si poteuano annoverare trà quelli, di cui parla, Ippocrate nel libro De Arte : Viri hujus Aricis periti , re ipfi lubentiùs, quàm vero bis demonftrant ; li quali vennero al cimento con Medici di maggior grido di loro nelle altre scienze, e ciò , che ne seguì .  Gio: Giacomo Baldini ne fù uno di questi , il quale efsendo folamente un buon Pratico, e dotato d'isperimentată prudenza , era per li fuoi pingui guadagni molto invidiato da alcuni di quelli, che li riconoscevano in molte scienze superiori di gran lunga à lui, s'abbattè egli una volta in un consulto con due Medici delli più celebri nella facondia,  1  B  с рiй  e più versati in molte altre scienze,e per tal cagione poco conto facevano di lui; Ora questi avevano già premeditati li loro discorsi molto eruditi, à fine, che meglio comparisse à tutta una nobile Udienza , che vi dovea intervenire, la poca sufficienza, & infelice modo di di(correre del Baldini, furono sì lunghi li sudetti eruditiffimi ragionamenti, e s'ina oltrarono tanto in cose fuori del propofito, che in vece di dilettare annojarono tutta l'Udienza, & avvedutofi di ciò il buon Pratico, in vece di gareggiare con loro nell'eloquenza , fece un breve di. scorso, mà tutto indirizzato all'urgente bisogno, conobbe meglio degl'altri il male, lo confermò con l'autorità puntuale d'Ippocrate, fece il suo pronostico mortale, che si verificò in breve, venne alla cura , propose alcuni rimedj, e terminò il consulto con applauso uniuersale di tutta quella nobile Udienza , diccndo  : : mo, che ha discorso à proposito, e se ne partì tutto contento, e consolato.  Gio  [ocr errors][merged small] 1  1  Giovanni Tiracorda già in questo Archiospedale degnissimo Decano, che nella pratica Medica aveva quei bei lumi, che felicirano le cure ardue , si abbattè in un consulto con un Medico catedratico eruditissimo nelle lingue , c Greca in ispecie, nelle Matematiche, ed ancora nella Teologia ; L'Infermo era Oltramontano y poco prima giunto in Roma , che li ainmalaffe, ed in tempo di aria sospetta, il' di cui male fù creduto dal sudetto eruditiffimo Professore eflere una febbre etica , e con tali, erante ragioni s'ingegnava di provarlo in ispezie per il pollo basso che aveá, che fariano per certo bastate à formarne liga gran ležzione in cattedra. In tanto il buon Pratico Tiracorda penaya in fentire ciò, che conosceva non potersi in modo alcuno verificare, e dovendo egli concludere , con breve discorso fece capire essere il male del povero foratieri) una febbre maligna,e di pelimo costume, che se presto,e validamente non era foc corso farebbe morto, disse ciò, che con  veniva  B2  [ocr errors] veniva farsi con sollecitudine, e l'esito  funesto, in breve seguito , ne fù il Giu-  dice, chi di loro avesse meglio conosciu-  to il male,       Riferirò   per terzo ciò, che seguì ad Antonio Piacenti mio Maestro, la di cui perizia nel ben medicare è nota , per via vere ancora molti, che furono da effo ne’loro gravi mali bene assistiti, onde per essere io interessato , non m'inoltrcrò di vantaggio in lodarlo, e lascierò, che facciano altri quella giustizia , che le sue gloriose ceneri meritano. Questi ebbe occasione più volte di trovarsi alsieme co' Professori di molto grido, per le varie scienze, che possedevano, e vedevo, che il suo configlio, ò era feguitato, ò volendosi fare diversamente  per lo più si sbagliava; Accadde una volta nella cura di un'Infermo, che pativa di un male graue di testa, creduto da esso procedere da pienezza d'umori viziofi, che nel basso ventre dimoravano, c per ciò gl’aveva proposto il dejettorio, che à ciò si oppose chi era versato più di luiin altre scienze fuori della pratica medicinale, con il motivo, che l'evacuazione glavria inolto pregiudicato. Stette egli faldo nella proposta già fatta, quale fù esaminata da altri Profeffori, e conclusa: ed eseguita che fù, l'efito moftrò d'onde procedeva il male, e chi l'aveva meglio accertato, posciache mediante l'evacuazione ne rimnase libero.  Due gran motivi si poffono dedurre dalli riferiti casi, uno di confolazione per voi, che non avete genio ; ò abilità all'acquisto di altre scienze, vedendo, che nella vostra sfera pratica; abilitati che sarete , potrete ftare à fronte con quelli di più letteratura di voi, purche abbiate prudenza , e giudizio in sapervi ben regolare; e l'altro servirà d'avvertimento à voi d'ingegno più perspicaces che desiderate apprendere tutto lo scibile, à non fidarvi folamente sù quello, ch'è ornamento Medico, dovendo ancor voi poffedere Fondatamente, al pari degl'altri, quella buona pratica Medica, ch'è la direttrice del ben curare, senza  [merged small][ocr errors] la quale sono inutili tutti gl'altri ornamenti: Consolatevi però ancor voi, che bramate d'apprenderli : perche quando saranno uniti alla buona pratica, vi ferviranno ancor'elli di scorta, e vi faranno divenire eccellenti Medici, & in prova di ciò non vi mancano esempj di cafile, guiti, che fanno conoscere quanto accrescano di chiarezza alle nostre menti le Filosofie sperimentali, la Ģeometria, l'Aftronomia, & altre scienze, che porfono avere correlazione con la Medici. na, mà per ora potrà bastarvi l'oracolo d'Ippocrate allora, che scrivendo à Tel, Lalo gli notificò: Geometria mentem acuit, e longè Splendidiorem reddit ; e nel libro de Aere, Aquis, & locis ; Ad Artem Medicam Astronomiam ipfam non minimum, fed plurimum poteft conferre ; Ben'è vero, che rari fono quelli, a'quali datum eft adire Corintum , perche tutte queste cose averle , poffederle, e maneggiarle à quel segno, che conviene, cnon più oltre non a ricerca minor prudenza di quella, che aveva il Re Mitridate iu reggere un  Coco  [ocr errors] Cocchio tirato da bravi , e numerosi de strieri, altrimenti andandosene tutte in pampani , e fiori, che non legano, produrranno pochissimo frutto, quantuns que fosse vaghiflima la loro prima ap. parenza.  Sicché parmi d'avervi à bastanza mostrato , che l'essenziale del Medico non consiste in altro, che nella buona, e soda pratica acquistata mediante le re. iterate osservazioni di ciò, che fiegua nelli progrefli de’mali, e quanto fiac. quisterà di più fia tutto ornamento.  E da questo si possono comprende reli gran vantaggi, che necessariamente nel ben medicare, non solamente li Gio. uani Praticanti, & Aliftenti ne riportano dalle continue offeruazioni , che fi fanno negli Spedali ove sono numerosi gl'Infermi, mà ancora gli Profeffori primarj, che ivi esercitano, potendo questi, mediante le reicerace osservazioni, che si fanno in lunga serie di anni, acquistare molta perizia pratica , e franchezza ancora nel medicare, conforme, che ogn'uno di esli ben se ne avvedeje lo confeffa.  E finalmente, acciocchè non resti quanto vi hò detto infructuofo,converrà, che ora vi mostri come vi dovrete contenere nell'acquistare detta pratica tutti assieme, e conformé, fi dovrà regolare ciascun di voi ; secondo la propria capacità , in quello, ch'è ornamento, mà effendo questi più punti , che meritano matura riflessione, bisognerà riportarli alla Giornata di domani, venite però tutti, e voi precisamente, ch'avere più brio, e spici:o più vivace deglalri preparati di sofferenza, perche sarà Giornata di attenzione, e mortificazione infieme.  [ocr errors][merged small] [blocks in formation] Nella quale si fà vedere ciò, che dovre farsi da tutti unitamente per ben confeguire una buona prática, e quello, che dovrà operare ciaschedino secondo la propria capacità per uguagliarsi a' Comia pagni in quello , ch'è ornamento.  Mi :  I   dispiace   nella Giornata di jeri accennato, ch'oggi vi mortificherei , perche jacula prævisa minus feriunt ; Mi persuado , che di già farete venuti preparati per sentire da me rimproveri sopra li vostri poco lodevoli portamenti, da me più volte osservati, mà abbiateci pazienza ò perche ciò G fa per voftro bene.  Ditemi di grazia à che fine venite in questo luogo pieno di miserie ? Frana camente mi risponderete : A prendere la pratica di Medicina; e questa in che modo la prendete yoi più disinvolti, & allegri , che mostrate d'esfere più spiritofi degl'altri? Con paffeggiare per lo Spe.  daledale, confabulando trà di voi sopra le novelle di queito mondo? Questo non è il modo da prendere pratica di Medicina, nella quale si richiede una fomma applicazione, mà più tosto da divertirvi: Sappiate, che lo Spedale non è luogo da perderci inutilmente il tempo in divertimenti, e svari, perche è ripieno di aria infetta, chi non brama d'approfita tarsi non si curi dimorarvi , mà se ne vada in aria migliore, e più amena di fta, che farà per lui più utile, e sicura , e non mi faccia cestar bugiardo, poiche in cal guisa continuando, non folamente daria à divedere che la Medicina sia Arte lunga , mà ancora, che non si possa in conto alcuno acquistare, essendo questo tutto l'opposto di ciò, che da principio vimostrai. 15 TMarcello disse, rimproverando li  suoi foldati, che non aveano fatto come e doveano, e poteano il loro uffizio: Mula  ta vidi Romanorum corpora, fed Romanum vidi neminem; e così ancora io potrò direfin'ora di voi: Multa vidi discipulorum  [ocr errors] corpora , fed difcipulum vidi neminem ; Spero però, che conforme servirono di stimolo a' suoi soldaţi le parole risentite di Marcello per fare, che superassero nel giorno susseguente Annibale,cosi le mie moveranno ancora gl'animi vostri in ay. venire ad operare con più attenzione, e fervore di prima scusandovi del passa  perche non sapevate ancora in che modo vi dovevate contenere ; Qual mutazione, oltreche recherà à voi gran vantaggio , si perche più prestamente vi sbrigherete, e con miglior ordine v’im. poffefferete della buona pratica Medica, à cui devono indirizzarsi tutte le vostre operazioni , sarà ancora di mia somma consolazione.  Prima però di porvi à questo ftudio pratico farà di mestiere, che possediate , oltre il buon costume, l'Istituzioni Me diche, con le quali diverrete già iniziati à questo nuovo esercizio, essendo legge d'Ippocrate di non doversi praticare altrimenti, ordinando egli (a) doppo aver  detto: (a) I* Hippocratis lige :  detto: Institutionem à puero fit moribus generofis , venendo alla Medicina pratica, Hæc verò cum facra fint , facris hominibus demonftrantur, prophanis verò nefas priùsquàm foientiæ facris initiati fuerint ; e facendo voi diversamente non potrete capire ciò, che vi si presenterà d'offer= väbile, e s’aveste ancora appreso la cognizione de'mali , vi recheria quefta un sommo vantaggio, insegnando Ippocrates ( b ) che Qui autem fignorum cognitio: nem habuerit is: folus ritè ad curationem aggredietur, caso che nò procurerete , che sia questo il primo vostro studio, e lo farere ; con discrivere in un libretto di memorie tutti li segni , che fanno venire in cognizione di quel tal determinato male, con indicarvi quali sono li essenziali ; ex. gr. dell'Angina, dell' Epátiride &c. é quelli, che sono distintivi; che fanno conoscere, se sia Colico, Ò Nefritico il male, se fia vera , ò falfa gravidanza, e così proseguendo in tutti quei casi confimili, che hanno bisogno  di (b) la lib.de Media  [ocr errors] [ocr errors] di qualche segno proprio, che meglio li faccia comprendere , e tutto ciò è necessario à farsi, perche attorno l’Infermo dalli segni si rinviene il suo niale , e questi sono neceffarj d'averli à memoria, perche all'ora non si può ricorrere à leggerli ne’libri, quando sareçe interrogati, che male quello sia ; Dovrete ancora lasciare in detto libretto di memorie molto spazio di casta bianca in ciasche, dun caso, doppo avervi descritti gl’accennati segni per notarvi ciò, che biso, guerà in appresso,  Acquistata , ch'avrete la cognizione de' mali più frequenti, e che vagano in quella stagione, e questo in breve tempo lo potrete fare , incomincierete ad osservare il modo, con il quale si curano , & in quel medesimno libretto dove avrete descritti li segni , v.g. della Punfura , capitandovi d'osservare il detto male, verrete descrivendo la cura, e mutazioni, che di giorno in giorno eslo anderà facendo, tanto in meglio, che in peggio, con tutto ciò , che offerverece  di riguardevole, mà succintamente con qualche contrasegno indicativo,per non fare scrittura voluminosa.  Di dette cure da offervarsi contentatevi di prenderne poche da principio, e le più facili , per poterle esattamente confiderare, e capire bene, quali in progresso di tempo l'anderete moltiplicando, e scegliendo secondo vedrete meglio poterle possedere , e comprendere; Avvertite però non caricarvenc troppo, nè di tralasciarle, se non ne avete veduto l'evento felice, ò funesto , quale noterere per meglio impoffeffarvi nelli pronoftici da farsi in casi consimili, nelle congiunture, che vi si presenteranno . E tutto questo è coerente al consiglio d'Ippocrate dato nella sua legge, ove dice : Ad bec longi temporis induftriam accedere neceffe eft, quod disciplina veluti gravidata  felicitèr , & benè crescendo maturus fructus efferat.  Lo studio, che dovrete fare in casa sarà di leggere solamente dui, ò trèlibri pratici de’migliori , che potreteavere si antichi, che moderni scelti dal Direttore vostro Macítro, & in quelli procurerete rincontrare se ciò, ch'avete osservato si uniformi alli loro sentimenti, e noterete, in che cosa consista il di- . yario, per domandarne sopra ciò la cagione à chi sarà vostro Direttore nella pratica, ò almeno alli Medici Affiftenti di detto Archiospedale, che sono già pratici, de' quali ancora vi dovrete prevalere in molte occorrenze, potendoli avere più pronti, e nel luogo istesso dove vi esercitate,  Mà perche le conferenze accrefcono fervore, e facilitano insieme li progressi, per cagione dell’utile emulazione, e di sentire da? Compagni qualche cosa di più, che talvolta non fi sapeva ; Quindi è, che almeno una volta la settimana vi dovrete congregare tutti insieme per conferire ciò, che ogn'uno avrà acquistato di più nel suo esercizio pratico, & à questa conferenza potria avere qualche sopraintendenza il Medico Af fiftente di guardia, che deve necessaria.  mente  [ocr errors] mente essere nello Spedale permanente ; E quando sarete disposti à tal’utile esercizio non avrete da affaticarvi in cercare luogo à propofito, conforme era neceffario prima, perche voi, che di presente ftudiate avete avuta la sorte propizia, mediante l'animo generofo , e magnitico di Monsig. Illuftriffimo Gio: Maria Lang cifi, cho con tanti suoi incominodi, c con si considerabile spesa, à publico bene, hà stabilito sì grandiosa, e nobile Libraria , ed in questo medesimo luogo, dove vi esercitate, potrete ivi radunarvi, e fare con tutti li vostri commodi l'utilissime conferenze , con quel di più, che ne potrete ricavare da'vn'abbon, dantislima scelta di libri , che vi si custodiscono d'ogni scienza, & in particolare, assai più numerofi d'ogn'altra in Medicina. Qual commodo fe l'aveflimu avuto noi, che ora fiamo avanzati negl'anni, in nostra gioventù, quanto mai ci faria stato grato; poiche per fare conferenze allora, bisognava andare in luoghi privati à dare incommodo, e pure si face  vano  vano con fervore  conforme seguì int cafa del Dottor Girolamo Brafavola, dove ogni Lunedì si teneva congreffo publico, e si leggevano un difcorso con due problemi Medici, oltre le conferenze, che si facevano fopra altre materie, concernenti la Medicina, è detto.congreffo continuò con fervore per molti anni , e con profitto di chi lo frequentava. Talmente che tutta vostra la colpa fària se voi ora che avețe derta commodità la trascuraste', non potendosi ciò attribuire ad altro, e con vostra somma vergogna, che al poco desiderio, che aveste di approfittarvi.  Vi riuscirà più commodo di fare alcune diligenze intorno alli Malati, che vi fiere scelti da offervare , prima della visita del Medico Principale, che consor feranno d'interrogarli, con descrivere ciò, che vi troverete di novità per essere sbrigati , e pronti nel tempo della visita, nella quale sentirete voi ancora il polso à tutti gl’Infermi del Quartiere per impoffeffarvi delle differenze di esia  C  e ciò  e ciò farete con qualche attenzione particolare, per meglio comprendere ciò che nel giorno vi scorgerete differente dalla mattina , e nelle visite susseguenti, ciò, che di divario dalle antecedenti, ed in ispecie se più , ò meno celeri, se più, ò meno eguali , se più , ò meno duri, se più alti , ò più basli , e molte altre differenze, che avete gia letre nel trattato de' Polfi, ed occorrendovi sopra di ciò alcuna difficoltà , non abbiare timore di spiegarvi, e di dirlo à chi vi sopraintende , perche da tutti con somma cortesia vi sarà spianata; Starete attenti quando s'interrogano li Malati nuovi per rinve- ; nirne l'idea del male, & offerverete il modo , che si tiene con quelle persone idiote, che non sanno rispondere à ciò, che si domanda loro , & apprenderete la gran pazienza, che bisogna averci, per potervene servire ancora voi abbattendovi in Gimili Infermi idioti. Vi porrete à mcmoria quell'idea, che dal Medico Principale farà stabilita à quel male, e pet non dimenticarvene la noterere in  un libretto conforme vien praticato da. gl’Afiftenti, con notarvi insieme il no me dell'Infermo, e numero del letto, invigilerete in sentire , e capir bene cutte le ordinazioni, che si faranno, con rincontrarne ancora li suoi effetti, non trascurerete di sentire ciò, che si dice del pronostico del male, e d'ogn'altra cosa concernente tal'infermità, ed in ispecie in quelli, che vi siete scelti per osservare, e facendo yoi ciò, che vi hò decco , vi assicuro , che quell'Arte, che Ippocrate chiamò lunga, la farete divenire più breve di quello, che vi credevate, potendo yoi in tal guisa con facilità non solamente apprendere il modo più sicuro di medicare , mà ancora la franchezza del ben pronosticare, conforme insegna Ippocrate : (0) Eventa igitur per experientiam cognita prædicenda, id enim gloriam adfert , c cognitu ejt. facile.  *Terminata , che farà la detta visita seguirete il Medico , che vi conduce inpratica per osservare le visite, che sono per la Città, nelle quali procurerete di fare le vostre osservazioni nel miglior modo , che vi sarà permesso.  Con il sudetto vostro Direttore, e Maestro conferirete tutte le difficoltà, che vi occorrono, con animo però decerminato d'apprenderne li loro documenti, essendo questi li semi di  quanto di buono in voi germoglierà à suo tempoo conforme disse Ippocrate nella sua legge : Doctorum præcepta feminum rationem habent, non già di contradire con pertinacia à quello, che verrà da esso detto, e risoluto, ed imiterete in ciò le Api, che succhiano il mele da' fiori, è non già le Vespi, che pungono con li loro aculei colui, à cui si approssimano. Credetemi, che la modestia, e li buoni costumi, l'attenzione, e la docilità ne? giovani formano la base stabile di tutti li loro avanzamenti, dove, che il mal costume, la pertinacia , la garrulità , e la petulanza affatto l'atterrano, elanniçhilano.  Nelli  [ocr errors] [ocr errors] Nelli tempi poi, che saranno prof fimi alle offervazioni anatomiche comincierete ad alleggerirvi dalle occupa. zioni Mediche, per attendere con più fervore alla Notomia, e procurerete in quelle vicinanze di trovare un'Indice delle oftenfioni, che fi faranno , per istudiare preventivamente ciò, che pu- . blicamente si dimostrerà, ed in oltre vi troverete presenti à tutte le preparazioni delle parti, che si faranno in privato, non solo per meglio capire , & impofseffarvi di quello , ch'avete letto, mà ancora per mostrarvene già pienamente istrutti quando le vedrete publicamente dimostrare i  Non trascurerete , essendovi occafioni d'aperture de cadaveri, di trovarvi presenti à quelle, e tanto maggior mente se avrete osservato li mali di quei poveri defonti, e se non l'avrete visitati, procurerete informarvi delle loro infermità , perche mediante tali ispezioni verrete meglio in cognizione del luogo affetto, e di qualche cagione ancora di  detto  C 3  detto male, e noterete in succinto nel vostro libretto ciò, che si farà rinvenuto in quelle di considerabile , acciocchè vi resti memoria per prey aleryene à suo tempo. Ed affinche meglio le possiate ritrovare , riporterete in un repertorio per ordine alfabetico ciò , che offeryato avrete, tanto nelle cure de inali, esiti de’madesimi, che aperture de' cadaveri, senza lasciare nè pure un giorno di non notarvi qualche cosa offervata, e questo l'andrete bene spesso rileggendo, à fine non vi scordiate di ciò, che una volta apprendeste.  Quando si faranno l'ostensioni bota taniche non occorrerà, che trascuriate l'altre vostre applicazioni mediche,perche non richiedono queste quell'attenzione, ch'è necessaria per la Notomia. E tanto più, che durano tutta una stagione, onde basterà, che per tal'effetto Jeggiare qualche libro bottanico, e con l'esercizio oculare ricontriate nell'Orto Medico le più usuali per meglio conocerle , le quali per voi possono esse  re  [ocr errors] re sufficienti con la notizia delle loro  virtù.        Impiegato , ch'avrete il primo ane  no, con fervore, in fare tutto ciò, che  fin'ora vi hò detto, ristrignerete poscia   in una nota tutti quei mali più essenziali  à saperfi, che ancora non avevate offer-  vati, à fine , che capitandovi possiate in  quelli continuare li vostri studj, imitan.   do quei Giardinieri, che vogliono for  mare un vago prato di fiori ; Questi colo  tivano tutto quel terreno, e con buona  ordinanza vi dispongono li semi, à fine  non vi resti del sodo incolto, ove non  nascono fiori , mà sol'erbe campestri,  e che li fiori, che nascono , non resting  trà loro confusi.   Quando avrete già offervato ocularmente le cure de' mali più riguardevoli, e frequenti, e quelle occorsevi di nuovo, l'avrete più volte ancora rincontrate nelle cose essenziali, uniformi, e che possederete già la Notomia, elsendo divenuti capaci di meglio discernere ciò, che fate, all'ora converrà , che  [ocr errors] vi applichiate à rinvenire le cagioni de? mali , e non prima, perche essendo tante , e così diverse tra loro le cagioni descritte dagli Autori in un medeliino male per  la diversità di sì numerosi sistemi, novamente inventati, che se Galeno à fuo tempo giudicò al parere di Lacuna che : Judicis veri difficultatem liquido ostendunt tot, tantæque variæ hæreses, quot in Arte Medicâ reperiuntur ; Che giudizio accertato ne potreste formare voi ora , che sono cotanto più cresciute, prima d'essere nella pratica bene istrutti? Oggidi li giovani sono così perspicaci, per non dire arditi, che li raziocinj, che già udirono da’loro Maestri, quali come buona femenza dovriano conservare, & aspettare, che con il tempo crefceffero , conforme ordina Ippocrate nella sua legge: Tempus omnia hæc ad plenam nutritionem confirmat, in vece di çoltivarli ora non li seguitano più, & in vece di quelli se ne scegliono delli più vaghi, onde quando ciò abbia da esfere è pur meglio, che l'apprendiate quandofiete divenuti più suficienti à farlo, ed all'ora appunto, che sarete à pieno informati dell’idee de'mali, delli loro sina tomi, del modo, che s’abbiano à curare, e dell'esito , che possono avere, perche potrete allora con più sperimentato giudizio sceglervi quel raziocinio intorno alle sudette cagioni morbose più adattabile degl'altri al vostro bisogno: Sentite di grazia come al proposito ve lo infinua Ippocrate : (d) Preclara enim res eft, quæ ex opere , quod quis didicit proficifcitur oratio ; Écon maggior chiarezza in altro lạogo , (e) dove così parla : Ncque priùs ad ratiocinationis perfuafionem quàm ad ufum cum ratione conjunctum animum adhibere ; Ratiocinatio enim in eorum, quæ fenfu comprehenduntur recordatione quadam confiftit ; ed in appreffo : Nullum ex his , quæ folâ ratione concludun- , tur fructum percipere licet , verùm ex his , qua operis demonstrationem habent, fallax enim, & ad errorem proclivis affeverario; Ed operandosi da voi in questo modo, effendo già divenuti più abili, e capaci, da un principio più accertato ricaverete un ražiocinio è certo , ò per lo meno probabile, dove che facendosi diversamente con impoffeffarvi prima d'ogn'altra cosa delli raziocinj in aria, e di bella comparsa, che possono con danno notabile preoccupare le vostre menti, e quefti effendo Icelti da voi per mero genio , fenza saperne il perche, vi faranno dedurre delle conseguenze, che vi pareranno certe , ed evidenti, le quali in atto pratico le troverete diverse das quelle ve l'eravate figurate; onde per acquistare pofcia la buona pratica vi converrå deporli, conforme è convenus to farli da altrui, che se ne sono ayveduri , per non continuare ne' loro pregiudizj, e sentite come à meraviglia fi ritrovano costoro delcritti da Ippocrate: (f) Venuste enim cognitionis intelligentia apud iftos sparsa ejš . Cum igitur hi ex neceffitate indocti exiftant eos ad utilem *xercitationem cohortor . Mà veniamo all' esempio per caminare con più chiarezza. S'idei il più bell'ingegno, che frà voi si trova, che il tal male proceda da un' acido esaltato, è da un calore eccellivo, ne dedurrà subitamente con la sua perspicacia , dunque và curato con gli alkalici, ò con gl’attemperanti. Volesse Iddio, che ciò si verificaffe , non avreste per certo bisogno d'affaticarvi tanto intorno l'Infermi per apprendere la vera pratica , perche in questo modo diverreste presto Medici; Mà non è questo il modo da caminare con licurezza, perche se quella cagione non è accertata farà neceffariamente incerta ancora la conseguenza da quella dedotta , la quale potrà talvolta produrre all'innocenti Infermi un nocabile danno, perche Gi tra{curerà di far quello, che s’è osservato altre volte effer loro di giovamento per andare in traccia à ciò,ch'è incerto, e so. lamente da noi ideato. Qual verità udite con che chiarezza si ricava da Ippocrate:(8) Quidquid artėm artificiosè di&tum  ef(d) Hippide deciørd. (e) Id, in lib.de tracept  1  efem(f) In lib.pracept:  eft, (8) Hippocr.de decobabitki  [ocr errors] eft , non autèm factum, viam, rationem artis expertem arguit.. Opinabile fiquidem fine actione infcitiæ , nullius artis indicium eft ; Opinatio enim cum præcipuè in Arte Medicâ, eâ quidèm utentibus crimini vertitur; His verò qui eâ indigent exitium afferty fi namque  fuis verbis perfuafi exiftim mant se opus ex scientia profectum novisse, quemadmodùm aurum adulterinum igni probatur,tales se ipfi etiàm produnt ; e ciò lo conferma ancora nella sua legge, dicendo, che la sola opiņione ignorationem parit . Il modo dunque praticabile più sicuro sarà di dedurre la cagione demali dalla già accertata cura ,  osservata più volte profittevole, con que’lumi, che vi darà di più la Notomia, e quando anche per questa strada non se ne rinvenisse la più certa, non potrà nascerne quel pregiudizio già accennato , perche la cura anderà a suo dovere, essendo fatta secondo le buone osservazioni pratiche; oltre di che caminando voi con quest'ordine non vi regolerete con l'incertezza dell'opinioni degl'uomini,ogni giorno variabili, mà bensi con la certezza delli giudizi di Natura, sempre più accertati , come divinamente considerò Cicerone allorche diffe : Hominum com. menta delet dies, naturæ judicia confirwsat.  Quindi è, che Pittagora non fenza cagione faceva tacere li suoi scolari sinche aveffero compiti cinque anni di studio , perche voleva , che cominciassero à parlare quando appunto capivano ciò, ch'elli dicevano , e veramente chi presto parla non ha premeditato ciò, che dice, e chi non hà premeditato ciò, che dice, parla à caso.  Per conferma di quanto vi hò detto, ed à fine non prevarichiate ora, che avere da me sentito dire qual potesse esfere il inodo facile sì, mà non già sicuro, da prestamente liberarvi dall'intraprese fatiche, v'addurrò altri sentimenti d'Ippocrate,da’quali non potrete discostarvi se vorrete essere tenuti suoi veri seguaci, dice egli ( b :) parlando in termini difare progresso nella Medicina : At vero in Medicina iampridem omnia fubfiftunt in eaque principium , via inventa eft, per quam præclara multa longo temporis fpatio sunt inventa, bu reliqua deinceps invenientur; Si quis probè comparatus fuerit, ut ex inventorum cognitione ad ipforum investigationem feratur, Qui verò his omnibus rejectis , ac repudiatis aliam inventionis viam ; aut modum aggrediatur, to aliquid Je invenise jactitat, is cùm fallitur , tùm alios fallit, neque enim iftud ullo pacto fieri poteft. Ippocrate dunque vuole, che dalle cose accertate si passi all'investigazionc di esse,per meglio discernere ciò, che in quelle non fosse ancora palese,mà non già, che dalle incerte si pasli à fare al. cuna investigazione , dicendo chiaramente, che chi farà diversamente ingannerà se stesso , e gl'altri, e tutto ciò vie. ne più precisamente individuato redarguendo quelli, che dalle cagioni incerte ne vogliono dedurre una certa cura, come si legge in appresso: At verò nunc ad cos , qui novâ quadam ratione artem ex  přo."  propofita materiâ investigant nostra revera tatur oratio fiquidem eft calidum, aut fria gidum, aut ficcum, aut humidum , quod hominem lædit , & eum, qui rectè mederi volet opporret calido per frigidum, frigido per calidum , ficco per bumidum, & humido per ficcum opitulari . Exhibeatur mihi aliquis naturâ non admodùm robuftâ , fed imbecilliore; qui triticum crudum, & inelaboratum edat , quale ex areà fuftulit, carnes crudas , & aquam bibat , ex qua victus ratione non dubium eft quin multa ,  gravia fit perpeffurus. Nàm & doloria bus conflict abitur, & imbecillo erit corpore, O ventriculus corrumpetur, nequè vitam diù tollerare poterit . Quodnàm igitur ità affecto præfidium comparandum Calidum nè , aut  frigidum, an ficcum, an humidum? Siquidem horum quodque fimplex eft. Namque fi quod lædit ab his ipfis eft diversum contrario disolvere convenit , velut ipfifatentur - Eft enim certifima, & evidentiffima medela , sublatis quibus utebatur cibis , pro tritico panem exhibere , da  pro  crudis carnibus coctas, dj insupèr vinum propi  narly  nare, neque fieri poteft , quin his commu: tatis convalefcat ; e questa accertata cura come si è ritrovata , se non dal vedere, che le sudette cose hanno altre volte conferito in simili casi?  Seguitate pure la strada calcata da' noftri maggiori, se non volere errare, per la quale ebbe origine, e si è avanzata la vera Medicina, e questa è quella dell'offervazioni, conforine chiaramente confessa Ippocrate.(i) dicendo : Neque verò pigeat ex plebeis sciscitari  fi quid ad curandi opportunitatem conferre videatur , fic enim censeo artem univerfam coma moftratam fuiffe , quod fingula ex fine abi fervata, ad eadem aggregata fuerint. Animum igitur adhibere oportet fortuit,e occafioni , qu& plerumque fe offert , quæque cum utilitate, & lenitudine conjuncta eft, quàm cum sollicitatione, & forti defenfione; e ricavate pure li vostri raziocinj dalle cagioni de' mali, dalle cure à voi note, ed in quella conformità, che più vi appagano, che ottenuti in questa guisa, se  non fi) Hipp.praceptiones .  [ocr errors][ocr errors] non dimostrativi , faranno almeno inno-  centi, non potendo recare pregiudizio  alcuno, e state fermi in tale proposito,  per l'esempio di più d'uno , conforme,  che diceffimo, à cui è convenuto mutare  li raziocinj delle cure dapoi, che hanno  osservato in pratica meglio gl'andamen-   ti de' mali, e non prima d'allora si sono  accertati , che l'opinione era assai diver-  sa dalla verità, conforme nel suo sogno  ci fà conoscere Ippocrate, ( a ) non solo  perche li comparvero assai differenti trà  di loro, mà perche la verità dimorava  appresso Democrito, che non s'inganna-  va, e l'opinione trà l’Abderiti già pre-  giudicati, per la falla loro credenza, che  Democrito delirasse.        Appreso, che voi avrete le cagioni  ancora de'mali, all'ora sarete arrivati  à qualche perfezione maggiore , poten-  do, rotto già il silenzio Pittagorico, con  fondamento parlare, e con franchezza  ancora medicare, resterà solo d'istruirvi  in che modo si dovrà contenere ciasche-   duno (a) Hippo in epiß. Pbilope.2.  [ocr errors][merged small] D  [ocr errors] duno di voi in ornare, secondo la propria capacità ciò, ch'avrete acquistato tutti in commune.  > Parlerò prima con voi di mente fu. blime, e generofa, che vi pare un troppo angusto campo la sola Medicina , onde per far conoscere a tutti la vostra maggiore abilità, volete stendervi più oltre, ed all'acquisto d'altre scienze,conforme nelle private conferenze apertamente diceste, ove tal’un di voi mostrò genio grande d'apprendere le Mattematiche, altri l'Astrologia', e chi per ornamento le Lingue straniere, & in ispecie la Grecaj e chi per divertimento ancora l'erudizioni Istoriche i  Mi dispiace d'aver sentito dire, che trà voi yi fia chi lo faccia per genio grande, perche questo vorrei, che tutto lo ponefte alla fola Medicina's qual dovrete profeffare, onde viva pur sempre caurelato , e circospetto chi di voi hà  fimit geniono che non gli faccia perdere -Hamore à cid, ch'avrà dianzi acquistaso; perch'è solito, che chi apprende congenio grande una cosa nuova, trascura   necessariamente ciò, che prima se non  per genio , almeno per impegno lo ap-  pagaya .         Io per me non posso, nè devo op-   pormi à quanto deliderate, si perche è   onefto , sì ancora perch'essendo all'ora   voi già divenuti Maestri vorrete fare à  vostro modo ; Vi dò solo questo conse-  glio, che facciate regolare la vostra in  clinazione fempre dalla prudenza , e dal  giudizio, e che non la lasciare in tutta  sua libertà, e facendo voi in questo mo-  do non potrete errare, perché le sudette  virtù mai non permetteranno, che fi din  ftacchi dalla Medicina già appresa , nè  che nel fare li nuovi acquisti gli rubi  quel tempo, già destinato per lei, e final  mente faranno in modo , che non l'ap-  prendiate à quel segno di poterle pro-  feffare , mà per solo ornamento, e per   poterne ancora voi discorrere in quella   parte , che possa servire alla Medicina.   Mà vediamo d'ajurare , e consolare insieme voi altri, che restereste altrimena  1  [merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors][ocr errors] timesti, non solamente per la separazione, che faranno da voi li vostri compagni, inà eziandio per la cagione di essa . In primo luogo parliamo chiaro intorno a'vostri difetti , per dare à ciascheduno di essi il suo rimedio , s'è possibile. Dilli s'è poffibile,perche se sarete affatto inetti, & incapaci mutate mestiere, conforme hò fatto fare à qualcheduno di simile inabilità, perche altrimenti vi affaticherete in darno fino , che viverete , mà re, ò la vostra memoria apprende con qualche difficoltà , tenétela continuamente esercitata , che migliorerà, volendo Cicerone, (b) che : Affiduus usus uni rei deditus, & ingenium, a artem fepè vincit ; ò il vostro giudizio non è pronto , ajutatelo con l'attenzione, e vigilanza, date tempo, che si farà, perche molte piante fioriscono prima, & altre sono più tardive; ò il vostro discorso è alquanto infelice, e non siete pronti, esercitatevi nclli discorsi publici , bene imparati à memoria, discorretela continuamente con li  vostri (b) Cicero pro Cornelio Balbo.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] vostri compagni più franchi di voi, fae  tevi animo, & abbiate forma fiducia ,  che il vostro timore cesserà. Aspettate  ora da me di sapere il modo, che dovre-  te tenere per adornare ancor voi l'ope-  ra già fatta , à fine di non iscomparire  trà gl'altri vostri compagni, e con ra-  gione.        Già voi non vi curate d'uscire dal-  la Medicina , in questa dunque converrà  trovare l'ornamento, che sia adattato  al vostro bisogno, e doppo fatta matura  rifeflione, non trovo miglior conseglio  di quello, che fi ricava da Prospero  Marziano Medico di grand’ingenuità ,  all'ora , che ricercando la cagione, per-  che li Medici antichi erano tanto stima-   ti, & onorati assai più di quelli, che  vivevano à suo tempo, egli fù di fenti-  mento, che procedeffe ciò   per  effer stati. glantichi versatillimi ne' pronostici, e non vi sia discaro à sentire ciò, ch'egli diffe : () Cur prisci Medici tanti habiti fint apud homines, ut non folùm primas in  Ci. (c) Prosper Martian. 2.prediff. perf.23.  e  [ocr errors] D 3  Ciuitatibus, ac Regnis tenerent , Regibus Principibusque imperarent , fed etiàm summus honos , Diisque folis præstari folitus, Medicis tribueretur, admiranda enim circà agrotos , & præftitife, & prædixise eft. necessarium ; Sicut vice versâ mirum non eft ifi nunc adeù vvilitèr tractentur, quando nèc in curando, nèc in prædicendo quidquam spectabile pr&tent noftri, cum ea faciant tantummodò, a dicant , quæ ipfis idiotis sunt manifefia, & tamèn'artis pradantiam noftrorum temporum continuò jaEtant imperiti , Medicinamque posteriores ditasse profitentur , fed veniunt excufandi, eo quod antiqua thefauros adhùc non percepere, quibus tota quidem Hippocratis do. Etrina plena eft; Verùm præfens liber, [h.c. prædiétionum secundus ) adeò abundat, ur folus paupertatem, cu miferiam artis noftrorum temporum indicare fufficiat, nam quis nostrum eft qui centefimam partem eorum cognofcere poffit, qu& antiquiores Medicos comunitèr prævidere confueviffe in hoc libro teftatur Hippocrates ; Sicchè voi per fare spicco , & essere molto stimati  nella  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] nella professione impoffeffatevi bene de! pronostici d'Ippocrate , che uniti alla buona pratica acquistata , vedrete, che vantaggi questi vi recheranno , & effendo stati ricavaci da molte offervazioni uniformi, accadute in più secoli, non vi serviranno d'ornamento inutile,mà bensi molto profittevolese necessario, e tanto maggiormente se spoglierere ancora ciò, che v'è di migliore nell'Epidemj, ed in tutti gl'altri divini libri d'Ippocrate , per mettervene à memoria più , che  potrete , å fine di serviryene secondo li i bisogni, che vi si presenteranno, e que  sto studio lo farete in quell'ore, nelle quali vi persuaderete, che li vostri compagni le terranno impiegate all'acquisto d'altre scienzcacciocchè vi cresca il fervore ad apprenderle con emulazione.  Ornati, che sarete tutti nella conformità, che s'è detto, ogn'uno di voi ne farà la bella  comparsa ne consulti, ed all'ora si conoscerà chi di voi avrà fatta i  miglior elezione del compagno, e si rina contrerà, che voi, ingegni, ch'eravatemeno apprezzati degl'altri, per la voftra applicazione, e prudenza , certamente, che non iscomparirete tra gl' altri di maggior talento di voi.  Se il modo, che vi hò proposto non farà buono, e profittevole trovatene altro migliore,& acciocche lo possiate rinvenire più commodamente sia posto ogn' un di voi in sua libertà di sceglierlo à fuo piacere. S'avete genio di studiare prima della Medicina altre scienze, cosa ne feguirà facendosi, che non potendo sapere ancora cosa vi possa bisognare vi converrà ftudiarle ex profeso, e se l'avrete apprese con genio à quel fegno, che le pofliate profeffare, ciò, che studierete in appreffo; con minor piacere , lo subordinerete alla prima, che di già possedere. te, mà ne seguirà peggio ancora, che tutto farete meglio, eccettuatone il Medico, conforme vi farò costare in appresso.  Se il genio vi porterà ad apprenderle insieme con la Medicina, che ne feguirà? Ciò appunto , che accade à chi  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] in un medesimo tempo getta in un camро  semi diversi, e mescolati , e che ne raccoglierà? Un frutto confuso, e quem sto ancora à voi potrà succedere, poiche la bella ordinanza è quella, che facilita, e felicita le grand'imprese , dove che la confusione le preverte , e le annichila.  Inoltre s'avrete studiate le Mattematiche, con gran genio , e studio profondo, e vorrete poi fare il Medico niuna cosa di Medicina vi appagherà, cercherere in essa le dimostrazioni evidenti, e non trovandole, che ne seguirà, se non sarete nella pratica ancora versatiffimi? Che per temenza d'errare vi formerete un metodo di medicare à vostro modo , con pochi rimedj, creduti da voi sicuri à non poter nuocere , e semplici, come fono Occhi di granci, Stibio diaforetico, Sperma ceti, un poco di Caffia , qualche ottava di Tartaro di Bologna, qualche Clistiero, qualche bevuta d'ac. qua di Nocera , Oglio d'Amandole dolci, Sangue ircino preparato , Corno di Cervo filosofico, Giacinto bianco , e  cofe  [ocr errors][merged small] cole simili, tutte sicure à non poter nuocere, & in questa conformità vi regolerete tanto ne' piccioli, ne' gravi, che ne' gravissimi mali. Questo è un modo sicuro, mà nell'infermità benigne, e leggiere, non già in tutti i casi gravissimi, ne' quali è chiamato il Medico per dare un pronto riparo, non già per complimento, per espugnarlo, ò almeno per retundere la sua veemenza , e questo pretenderete di farlo con cose innocenti? ch'è il medesimo, che dire con cose  attività ? Queste dunque adoprerete ne' bisogni inaggiori , ne' quali : Melius eft anceps experiri remedium quàm nullum. Rimedi sicuri vi persuaderetç, che siano quelli, che non possono fugare il male ? Questa sarà una licurezza inutile, mentre non rileva il pericolo, sarà sicurezza, per chi assicura, non già per chi deve essere assicurato , perche se in quefta borasca si sommerge la Nave,non è tenuto chi assicurò al rifacimento del perduto, mentre che và tutto à danno dell'aficurato. Un tal modo di operare  lo  di poca  [ocr errors] lo potrebbe ancora esercitare , chi non sapesse altro di Medicina , perche già ch'è sicuro non ci vorrà grand'arte per praticarlo, mentre l'arte consiste in la. per conoscere ciò, che in un caso potrebbe nuocere, e nell'altro giovare, e per questo effetto si chiama il Medico, onde essendo gl'accennati rimedi sicuri, e non potendo nuocere à ch'effetto vi sarà bisogno del Medico per darli? Oltre di che, per parlarvi ingenuamente, questo modo di medicare è assai confimile à ciò, che fanno coloro , ch’imparano la scherma, che per non offendere, nè effere offesi adoprano certe smarre senza taglio, ed in vece di punta acuta hanno ivi un bottone di ferro foderato di pelle, ò cottone , qual sorte d'arme sicura in tempo di pace, di ch'efficacia sarà all?ora, che l'inimico ci affalisce con armi pungentiffime, lo potremo offendere , à almeno difenderci da effo? Credo di nò con questa sorta d'armi sicure, ci converrà per certo adoprare almeno armi eguali, e se saranno superiori riusci.  ranno  [ocr errors] ranno migliori ; il fimile appunto succederia quando il male grave alfalisse, se questo lo voleste espugnare con l'accennati rimedi sicuri, combattereste seco con quell'armi appunto senza taglio, e fenza punta, poco atte à fare validas difesa.  E non basterà in questi casi Parme sola , mà converrà saperla ben maneg. giare, per fare que' colpi sicuri riservati a' soli Maestri dell'arte, quali come li fapreste fare se mai non aveste maneggiate simili armi, volendovene talvolta prevalere?  Sò, che questa voce di medicamento sicuro, che non può nuocere'è molto plausibile appresso alcuni, che la considerano superficialmente, mà capita bene, è molto nociva , poiche nel bisogno più urgente non è tempo di passarlela con cose di poca attività, richiedendo quello ajuti maggiori , ò equivalenti alIneno ad esso, e tutto ciò, ch'è sicuro. à  non nuocere non basta per rimuovere ciò,che nuoce, onde se non ammazzano  direttamente possono almeno indirettamente nuocere, per la cagione, che non sono sufficienti à rimuovere ciò, che puol’ammazzare. Ippocrate,che conobbe tal verità assomigliò il Medico al Governatore della Nave: questi appunto trovandosi in una borasca di mare cofa dovrà fare ? Deve in primo luogo alleggerire la Nave, con gettar via ciò , che più l'aggrava, acciocchè tando più galleggiante non venga ricoperta dall'onde; Voi già mi capircte, onde non occorrerà mi spieghi di vantaggio, potendo considerare da voi medefimi , che alleggerimento rechino a'corpi, che si ritrovano nella tempesta del inale, eripieni di viziosi umori, si piccoli , e poco efficaci medicamenti.  Io non pretendo già porvi in difcredito li dettirimedj, perche in qualche caso possono essere profittevoli : Per esempio ne' veleni corrosivil'oleofi, ed in qualche altro caso ancora grave sono utilissime le copiose beure d'acqua, e cose simili, mà che siano sufficienti questi  per  per curare tutti li mali, dicovi apertamente di nò , perche in molti mali gravi convengono altri rimedi più efficaci, conforme ordinò Ippocrate : (d) V alentibus verò morbis, valentin natura medicamenta exbibeantur ; & altrove : Extre. mis morbis extrema remedia optima funt.  Anzi, che se si tralasceranno da voi li più efficaci in quei casi, che competono per sostituirvi questi più leggieridico, che peccherete d'omissione gravemente, potendone nascere pregiudizj gravi alli vostri Inferini in trascurar ciò, che li compete,per dar loro ciò, che non può recare profitto equivalente al bifogno. E quando il solo differire un rimedio possa recare del danno, come bene avvertì il divino Ippocrate : (e). Cum enim ab omni ante aliena fit procrastinatio, tùm verò maximè in Medicina , in qua di. latio vitæ periculum affert ; quanto maggiore lo recherà l'omiffione , essendo difetto più conliderabile della dilazione  Ne (d) Hipp de loc. in hom. (e)ld.in epift.ad Crat.  Nè per cimore d'essere tacciati di omiffione dovrete fare d'avantaggio di quello , che fiete tenuti di fare, perche all'ora incorrereste in un'altro errore , non inferiore al primo, mà come vidovrete in ciò regolare ve l'insegna Ippocrate nel primo Aforismo in tal guisa: Seipfum præftare oportet opportuna, & quit decent facientem.  Se divenuti Profeffori d'Astrologia farete ancora il Medico , non vi capiterà Infermo, che non vorrete alzargli las figura del decubito, non gli darete ri. medj se non che a' buoni aspetti de' Pianeti, e fuggendo li cattivi,cosa ne seguirà? Che perdendosi l'occasione pronta d'operare, l'Infermo se n'andrà all'altro mondo à riconoscere più da vicino li suoi malefici Pianeri, stanteche Occasio præceps, à quella bisogna , che indirizziate tutta la vostra attenzione, oltre di che vi servirete d'una scienza più incerta della Medicina per accertare ciò, che in essa crederete fallace. E se ornati di tutte l'erudizioni Istoriche vorrete esercitare ancora las Medicina per far pompa in quello, che meglio saprete , & è di vostro genio, comincierete à discorrere con li vostri Infermi,ò con altri, che ivi si troveranno presenti ab Urbe conditâ fino al tempo dell'Impero Romano, e con vostro sommo piacere , il meno poi , che farete sarà di pensare all'Infermo , che avete avanti gl’occhi, à cui dovete dare ajuto.  Iddio guardi, che tal’uno di voi , ch'avefse più spirito, che prudenza, s'annojasse di far ciò, che ho detto intorno l'osservazioni Mediche, e si volesse  porre à fare il Medico senz'avere acquistato un buon metodo di medicare, affidato solo in una gran scelta di belle, ed efficaci ricette, questi sarebbe simile à colui, che custodisce delle bellissime armi, mà non le så maneggiare, ed in conseguenza caderia in uno delli maggiori errori, che si possino mai commettere nella Medicina , cioè di divenire un gran Ricettante, e de' più validi, e pronti  ri  مرور  rimedi si Chimici, che Galenici, che avemo, e non sapendo il modo d'adopee rarli l'applicheria à casa, con tutto, che fi fosse ideato d'imitare un Capitano, che per conseguire la vittoria fi serve di valorosi soldati, e questo modo d'ope, rare quanto possa riuscire dannoso, lo lascerò considerare à voi, per quando farete divenuti già provetti ; solo riflettete ora, che quel Capitano, che non sa comandare li suoi valorosi soldati, in ve. ce di vittorie riceverà bene spesso delle sconfitte, e quel troppo ardire indica ignoranza, come afferi Ippocrate: (a) Audacia verò, artis ignorationem arguit : E in altro luogo :(b) At quod temerè fit nullo modo fubfiftere videtur, sed nomen tantùm inane efle .  Non riuscendo dunque tanti altri modi ricercati da voi sarà neceilario,che seguitiate quello, che v'è stato da me proposto, con il quale farete sicuri di abilitárvi à poter divenire veri Medici  E  )quan(a) Hippocr. de lege. (b) Idem in lib. de Arte,pro ftri fore inp Ver  ner  te,  fo fe  quantunque fiatc trà voi d'abilità difu. guali, & in particolare per quel profittevole uso, che potrete ricavare dalle diligenti, creiterate offervazioni fatte intorno l'Infermi, non potendosi questo apprendere in altro modo , conforme giudicò Ippocrate : (a) Usus namque, qui in fapientia , tùm in arte ei adjuncta , doceri nequit ; e questo di quanta efficacia fia, sentitelada Cicerone: (b) Aljungant ufum frequentem, qui umnium Magiftrorum precepta fuperaf.  Mà non vorrei, che tornaste ora à contriftaryi, voi, che fiete di natura malinconici, parendovi forse troppo, quanto v’hò proposto per neceffario in acquistare la buona pratica , perche se vorrete diyentare veri Medici, ed eflere compresi nel minor numero di quelli, di cui parlò Ippocrate nella sua legge così: Medici nomine quidèm multi, re ipfa perpauci , sarà necessario, che facciate dal canto voftro ogni posibile, & à fine  pro(c) Hipp.de decenti ornatu . (d) Cicero 1.de Oratore .  [ocr errors] proseguiare con maggior fervore li vostri studj, vi mostrerò in domani quella fortuna propizia, che vi potrà toccare in premio delle vostre virtuose fatiche. Venga pure chi di voi la desidera ottenere, che gli farò conoscere quella forte, ch'è sempre favorevole, non essendo soggetta à vicende, à fine, che di efla se ne innamori.  1  [ocr errors][merged small][merged small] GIORNATA III.  Nella quale si mostra la fortuna , che deve defiderare, e procurare il vero  Medico , e la via più figura  per ottenerla,  A  D un gran cimento oggi m'espon  in volervi mostrare la vostra buona fortuna, posciache desiderandovela propizia, durevole, e senz'effere soggetta á vicende, qual potrà essere mai questa fortuna sì prospera Quando nè le grandezze, nè gli onori, nè le ricchezze, né le delizie, e piaceri,cose cotanto bramatç nel mondo, la possono in cale stato costituire ? Appena è arrivato l'uomo alle grandezze, od onori sommi, che questi cominciaio da bel principio à contriftarlo, alle ricchezze, che l'infaftidiscono, alle delizie, e piaceri, che questi ancora non gli rechino goja, e confiderabile danno: in somma si scorge chiaraméte,che Nemo fua forte contentus.  [ocr errors][ocr errors] In conferma di ciò riferisce Ippon crare nella lettera scritta à Damageto , che Multi fene&tutem exoptant, cumque cò pervenerint gemunt, nulloqae in fatu firmâ mente perfiftunt . Principes, ac Reges privatum beatum prædicant , privatus Re. gium Imperium affe&tat , qui rem publicam regit, artificem tamquàm periculi expertem laudat , artifex verò illum velut in omnia potentiam exercentem. E pur questi quan to mai avranno desiderato fimili fortu. ne, quanto vi ayranno faticato peč conseguirle, & ottenute , che l'ebbero, punto ne rimasero contenti; Ela cagione di ciò fù, che questi andavano in traccia della bell'apparenza della fortu. na fallace, non glà della di lei sostanza ftabile , e quello, ch'è peggiore , la cer. cavano ancora fuor di strada, conforme nella sudetta lettera fi legge: Rettam enim virtutis viam puram , minimèque af peram, ac inoffenfam non cernunt ; Questa via dunque bisognerà , che ancora vi mostri, acciocchè pofliate tutti ottenere il yoitro intento, ed io uscire dal mio.  E 3  cie  [merged small][ocr errors] [ocr errors] cimento con reputazione ; state attenti per non isbagliarla, perche si tratta di fare acquisto di una fortuna stabile,eterna, e non soggetta á vicende.  Che il Medico debba essere foriu. nato non vi cade ombra di difficoltà ; mentre , che se fosse diversamente, chi mai fi vorria prevalere dell'opera di coPii, al quale la forte foffe contraria , Paveffe affatto abbandonato, e che non gli piovessero addosso da per tutto, che infortunj, e miserie, da ogn’uno sarebbe certamente sehernito, e per necessità gli converria mutar mestiere, sicchè è incontrovertibile, che Oportet Medicum fe forfanatum  Mà qual fia questa fortuna, che strada dobbiate tenere in cercarla, e ciò, che dovrete fare per confeguirla , procurerò ora mostrarvi con la buona fcorta d'Ippocrate, à fine non possiate sbagliare.  Due sorti di fortune fi ritrovano descritte da Ippocrate, (e) una delle  quali (c) 110 lib.de loc:in hom.  1quali è quella, ch'è fuori di noi, & ope* ra independentemente da noi, e l'altra, ch'è sempre con noi , & opera conforme noi vogliaino .  Quella, ch'è fuor di noi così apa punto egli la descrive : Sui enim juris eft, Fortuna , nulli imperio paret , neque ad cujusquam votum fequitur; qudla poi, ch'è sempre con noi l'accenna con dire : Mihi enim foli bi fortunatè afequi , idemque infortunatè non assequi videntur , qui recte quid ei malè facere fciunt , e dependendo il bene, ò male operare da noi, la for tuna dunque, che da ciò resulta, da noi dependerà, e sarà questa per sempre inseparabile da noi medesimi.  La fortuna dunque, ch'è fuori di noi è quella, ch'è affatto cieca , e non considera il merito di chi benefica, ma dà à chi più le aggrada di vantaggio ancora di quello, che il beneficato da ella sappia mai desiderare : Talvolta ad un Contadino avvezzo å zappare la terra, fà discoprire un tesoro; capace à farlo divenire molto ricco, con tutto, che le  sue  1  E 4  fue brame fossero di pochi soldi; Ad un? altro ancora più miserabile farà conseguire una grazia nel giuoco, che lo toglierà per sempre dalle sue miserie, e tutto ciò proviene-, perche vuol fare à suo modo, giacchè Sui juris eft, nulli imperio paret  L'altra poi; che risiede in noi, è quella, che secondo, che la trattiamo ella ci corrisponderà, se la vorremo propizia , se variabile, fe peffima, propizia, variabile ; e pelima ancora l'otterremo, conforme da ciò, che Ippocrate c'insegnò li puol dedurres & ancora dall'esperienza di coloro , qui rectè quid, vel malè facere fciunt, giornalmente vediamo.  Certamente, che la prima fortuna non è quella, che deve essere desideratiz, e procurata da voi, che non dovete zappare la terra , nè tampoco dilettarvi del giuoco, ed anco maggiormente , ch'effendo cieca, forda, e per non dispensare à dovere le sue grazie ingrata ancora , questa non deve effere defiderata da voi, che dovete conseguire il premio per giu  Aizia,  stizia , ed à quel segno, che vi si deve ;  Oltre di che la sua sola istabilità bafte,  rebbe per farvela odiare, dovendo voi   defideíare una forte stabile, e permanen-  te; per non provarne le di lei vicende,   Esclusa dunque la prima forte, neceffa-  riamente dovrete contentarvi della se   conda; e tanto maggiormente, che la   potrete regolare à vostro piacere.         In trè modi dunque potrete fabri-   carvi la vostra fortuna, ò buona , ò va-  riabile , ò peffima , se la vorrete buona ,   dovrete operar bene, conforme v'inse  gnò Ippocrate nel detto libro in tal gui-   la : Fortunatè enim affequi eft rectè facere,   hoc enim, qui fciunt faciunt , ed allora cià   otterrete , quando scaccierete affatto da   voi li vizj, e farete in modo, ch'ella sem   pre ammiri le vostre virtù, e si ponga in   soggezione, quando anche non voleffe,   di operare a'vostri vantaggi. Se poi la   bramerete variabile, fatela conversare   con le vostre virtù, e con li vostri vizj,   che imparerà dal diverso modo d'opera   re, che li pratica trà esli ad effere variag   bile  [ocr errors] 2  1  ;  bile ancor essa. Qual modo l'indicd ancora con dire : (f) Ego verò fi omnibus modis ditefcere voluiffem ; cioè se per  via di virtù, e de vizj avesse voluto fare fortuna , non ad vos decem talentorum gratid, fed ad magnum Perfarum Regem proficiscerer ; con che fece conofcere ancora l'incostanza di detta fortuna, rimirandosi ella ben {peffo istabile, sì in quei fervigj, che dependendo dalla volontà di molti con la sola virtù non s'acquistano, come bene speiso l'esperimentano i Medici condotti; che nelle Corti, ove trà molti altri la provorno tale Seiano e Bellisario.Se poi vorrete farla divenite pellima, consegnatela in potere de' vostri vizj, che apprenderà da questi i loro pessimi costumi , e perima certamente diverrà, ed udite con quantas chiarezza ve lo dice egli nel libro sopracitato : Qui enim non reftè quid facis, non  fortunate afēqui poterit? quum reliqua , que æquum eft facere non faciat. Talmente, che la vostra buona fortuna, the voi  do!  (f) In epif.Abderir. Hippo  dovete procurare è quella che proviene dalle vostre buone, e virtuose opere, c questa l'avrete propizia, e ftabile fino, che vorrete , effcndo subordinata al vostro sapere, e volere, giacchè al parere d'Ippocrate nel luogo sopracitato, effa fi può felicemente conseguire, da chi sda e vuole: Et facile eft ipfam felicitèr alle. qui, fi quis fciens uti velint, d'onde faa cilmente n'è nato quel detto: Virtute dua cey comite fortuna.  Non basterà però d'avervi ciò brem vemente accennato, per potervi cons sicurezza determinare il modo , che dov vrete tenere in procurare questa buona, e tanto desiderabile fortuna, perche ciò, che vi hò detto fin'ora , non è sufficiente à farvi capire in che maniera vi dovrete contenere , allora, che sarete  Eper porvi in viaggio per cercarla, e ciò, che dovrete fare nel progresso di quello , 6 quanto di felice ne potrete riportare dalla vostra lunga, ò breve navigazione, onde sarà necessario, che per meglio esaminare li sopr’accennati punti, che cifiguriamo d'essere già presenti al porta dell'imbarco , e che nel fare detto viaggio mi serva della seguente ideata maniera per iinitare ancora in ciò Ippocrate, che dovendo andare a trovare la sua fortuna in Abdera, conforme udirete in appreffo, ancor egli vi si porcò per mare, ed in una nave non presa à caso, mà scelta da lui con molta cautela,come si legge nella lettera prima scritta à Damageto, che comincia : Cum apud te Rbodi ejem Damagete, navem illam vidi , cui Solis infcriptio inerat , quæ mihi perpulbhra , puppi probè, idoneâ carinâ inAructa , muliaque transtra habere vifa eft, tu verò eam comendabas c. cam ad nos mitrito @c. E tutto ciò, non senza gran mistero, mentre circospetto, e con il buffolo da navigare avanti gl’occhi deve viaggiare chi cerca la fortuna, e deve  per tale effetto scegliersi un bastimento sicuro.  Questo Porto è appunto il luogo , da dove s'intraprende, il camino verso il Tempio della felicità, ove dovrete por.  ancora  tarvi  1  tarvi, per conseguire la buona forte a. e queste trè navi sono già qui allestite per ogn’uno di voi, che voglia fare il sudetto viaggio , converrà , che à vostro piacere ve ne scegliate una di esse, mà prima , che facciate tal'elezione , nella quale facilmente potreste ingannarvi, fentite da me un breve ragguaglio di tali bastimenti, del loro modo di viaggiare, de pericoli, che s'incontrano, e dell' esito, che si hà della navigazione in ciascheduno di efli.  Mirate colà à finiftra, quella si chiama la nave del Sole, ivi la Prudenza regge il timane, la Giustizia invigila al buffolo , la Fortezza regola l'antenne ela Temperanza sopr'intende al tutto: ivi non risiedono altro, che virtù,e tutte attente alli loro assegnati ministerj. Per entrare in questa si ricercano due requiz fiti, e sono i Attestato di abilità, e provę di buoni costumi , altrimenti chi n'è privo, non vi fi può imbarcare.  L'altro bastimento, che stà alla deftra , li chiama la nave di Giano, questa  hà  [ocr errors][ocr errors] hà parimente buoni Piloti, che sono le accennate virtù, che regolano la nave del Sole, mà vi è solamente di male, che vi si trovano alcuni vizj, e tra questi vi è il proprio interesse, la Politica,la Menzogna, l'Adulazione, il Secondo fine, vestiti tutti di Zelo, ela Malizia, che s'infinge tutta umile, in somma vi sono con le virtù mescolati li vizj, che per dimorare insieme con esse conviene loro di stare molto circospetti, e tramutati in altri sembianti, e per entrare in detto bastimento, non si ricerca altro attestato, che dell'abilità.  Il terzo poi, situato nel mezzo, che fà sì bella comparsa, si chiama la nave felice : ivi al timone presiede la Malizia, al bussolo sopr’intende l’Inganno , lw vele si maneggiano dall'Astuzia, la Maledicenza,e l'Impostura consultano continuamente trà esse cose gravi, la Lussuria , la Gola, con tutti li vizj consimili festeggiano , ciripudiano tra loro, ed allettano chiunque vedono- ivi approfsimarsi ad entrare nella loro nave, dicen  do  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] do à tutti: Per entrare quì trà noi non si ricercano tanti requisiti; qui non serye abilità, li buoni costumi non s'apprezzano, basta, che abbiate genio à gustare de’noftri piaceri, che subitamente vi ammetreremo, e condurremo in un trata to al porto della felicità.  Vado vedendo, che tal'uno di voi è portato dal proprio genio di eleggerli questa nave, che ha il nome felice, con tutta l'apparenza di prosperità, senza pensare più oltre, conforme:(8) Magna pars hominum eft, que navigatura de teme peftate non cogitat. Mà riflettete bene à ciò, che fate, poiche non bisogna tosto fidarsi di quel bel nome, e di quella prima vaga comparsa, conviene ancora ri. flettere al fine, che può avere una simile navigazione, che ora vi spiegherò.  Si ftaccherà questa nave dal porto con allegria, mà nel viaggio incontrerà molti pericoli , perche non è regolata dalla Prudenza, e quantunque la Malizia , e l'Inganno facciano quanto pollo  [merged small][merged small][ocr errors] no,  (g) Sexeca de Traxq.Anims.sapoll.  1  no, acciocchè non si sommerga, nulladimeno questa non potrà sfuggire il passo dell'Ignominia , che stà situato un buon tratto di camino prima di giugne. re al porto della felicità, (dove bisogna neceffariamente arrivare per ottenere la buona forte) si rimira ivi uno scoglia grande, ove è la residenza maggiore di tutti li vizj, hà nella sua estremità, ver, so il sudetto porto alzate due gran colonne, ove è scritto : Non plus vltrà, affinche sappiano tutri li vizj, che fino colà possono giugnere , mà che più oltre è vietato loro il passare. Approdata, che sarà detta naye al sudetto scoglio, è su, bitamente visitata , e ciò, che di viziosa ivi si trova, con tutti'li viziosi , e vizj loro viene arrestato, non potendo anda, re più oltre simil pefte , cosa di buono vi potrà mai essere dove fono tanti vizj, consideratelo voi? Onde farà necessario, che tutto ivi rimanghi in potere de' vizj. Che faranno all'ora quei miserabili, che  s'imbarcarono in fimile navę, renduti schiavi de'proprj vizj ; qual fortunaspropizia avranno ritrovato, quando, che la loro pessima ancora l'abbandonorà, per non restare ancor essa schiava ed il tormento maggiore, che avranno, farà di rimirare con li propri occhi tra, passare quelli, che navigano ne i bastimenti del Sole,e di Giano ancora,fe chi viaggia in questa fi farà regolare dalle virtù ; oh che cattiva elezione avreste fatto mai se aveste condesceso al vostro genio ! come vi trovereste, che farele in fimili miserie , privi della libertà, e della forte? Plinio ciò predisse faggiamente, dicendo, ( a ) che Habet has vices conditio mortalium , ut advere  fa ex fecundis , ex adverfis secunda ne 2 cantur.  Sicchè fuggire, per quanto potete, i simili imbarchi , che vi conducono, non  al porto della felicità, mà bensì à quello ? dell'ignominia , e delle miserie ; onde  bisognerà, che vi scegliare è la nave del ? Sole, ò quella di Giano per giugnere ti al desiato porto della felicità, per ri,  F  tro(a) In Panegir. at Trajan.  [ocr errors] 2  [ocr errors] trovare la vostra buona fortuna  Il proprio genio vi farà inclinare talvolta d'entrare più costo in quella di Giano, con la quale crederete di poter ritrovare una miglior fortuna, à questo non mi opporrò, perche dove vi è la Prudenza , c la Giustizia, sc farete à lor modo , con tutto, che vi siano vizi ancora, questi non potranno molto nuocervi; Mà prima di entrarvi, sarà bene, che sappiate il viaggio, che fanno, si questa , à cui vi porta il vostro genio, che quella del Sole, che voi poco gradite, e che tributo portano sì l’una, che l'altra al Tempio dell'Eternità, affinche meglio fiate informati di tutto, prima , che vi determiniate all'imbarco.  S'incaminerà con prospero vento la nave di Giano verso il porto della felicità , incontrerà nel camino varie tempeste , mà la Prudenza, e la Giustizia, che la regolano, le opereranno senza il disturbo de’vizj, le supereranno tutte con la loro buona condotta; capiterannó molte, e varie occasioni assai vantag  giose,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] giose, se n'approfitterà più , ò meno chi farà ivi imbarcato , secondo, che si consiglierà con li vizj, ò con le virtù, fe darà orecchie a’yizj , & in ispecie al proprio interesse, gli dirà, che tutto può fare, fe alla Giustizia , se non quello , che deve, ch'è convenevole, e giusto, arriverà all'accennato passo dell'ignominia si fermerà per iscaricare ivi tutti i vizj, con tutto quello, che di vizioso fi ritrovi nella ricerca generale, che ti farà della nave, e se per disgrazia di chi ivi s'imbarcò, Coffe ftato guadagnato da? vizj, e fossero questi in detto viaggio divenuti arbitri della sua volontà, resterà ivi tutto l'acquisto fatto,come cosa proveniente dalla loro viziosa industria, e quel, ch'è peggio, ne seguirà del mifero passeggierofatto schiavo, ciò, che successe à chi navigò nel bastimento felice, le povere virtù con l'infelice forte abbandoneranno chi le tradì, chi le vilipese, e se n'andranno altrove à ritrovare chi meglio le tratti. Succedendo poi diversamente, è cie  l'in  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] F 2  [ocr errors][ocr errors] l'imbarcato abbia fatto tutto quello che gli fu suggerito dalla virtù fattosi il sudetto espurgo, e lasciati ivi tutti i vizj, proseguirà la nave il suo viaggio verso il porto della felicità, dove appena giunta, che si scaricherà tutto ciò, che fi porta al Tempio dell'Eternità, e lo presenterà la Gloria avanti il Tribunale della Giustizia eterna, che ivi à tal'etfetto presiede, domanderà questa, se quel tributo, che si offerisce sia stato in alcun tempo inescolato con robbe viziose , & inferce , risponderà la Gloria , che quantunque fia venuto accompagnato da' vizj, nulladimeno, che sia Rato già espurgato à bastanza nel pallo dell'Ignominia, dove tutto ciò, chew d'inquinato vi era , fù lasciato assieme con i vizj; non basta, risponderà la Giuftizia, è tributo, che ha avuto comercio una volta con cose infette, non deve andare à dirittura al Tempio dell'Eternità, fi consegni al Tempo , che gli faccia fare una lunga , e rigorosa quarantena onde bisognerà aspettare la discrezio  [merged small][ocr errors] ne del Tempo, quando le vorrà eternare!  Il viaggio poi, che fà la nave del Sole , è bensì più adagiato , perche que fta non naviga à tutti i venti, hà delle tempefte , mà le supera, perche la regge la Prudenza; non fà grandi acquisti, mà fono sicuri, perche li regola la Giustizia, nel passo dell'ignominia non si ferma punto, perche non hà seco li vizj, che la facciano trattenere per il loro sbarco, giugne finalmente al porto della fesicicà, non avendo quanto si porta per offerta avuto in alcun tempo comércio con cose infette, e viziose , appena presentato dall'Umiltà senza pompa avanti il Tribunale della Giustizia, che questa fubitamente ordinerà , che si trasporti tutto al Tempio dell'Eternità , eflendo cose pure, e non sospecte d'inquinamento alcuno, e che fi registri ancora trà gli Eroi il nome di colui, che l'offerisce, ed ecco la sua fortuna divenuta già stabile, ed eterna, per goder’ancor'effa i favori dell'Eternità.  AveteAvere già sentito il tutto, ora siete in istato di deliberarvi, e di prendere quel partito , che vorrete per consiglio mio, imbarcatevi pure nella nave del Sole, se avete tutti li requisici necessarj, che sono abilicà, e buoni costumi, e se ne siete privi, procurareli pure à tutto costo, perche farerc più sicuri di portare  offerte , fe non molto considerabili, alimeno sincere, ed affai gradite dall'Eter  nità, se lo farete di controgenio : Durum eft confcendere navim ; sappiare però, che è un quieto vivere, dove l'ainbizione non perturba la fantasia, l'ira non rode il cuore, l'invidia non consuma le mi. dolle, la superbia non accieca , e dove finalmente tutti gl'altri vizj non possono punto nuocere, ftantechè non vi dimorano, l'ingresso vi parer à duro, mà il rimanente vi riuscirà felice, e quando non aveste altro motivo di sceglierla, vi doyria animare å farlo , che Ippocrate per andare in Abdera à cercare la sua forte non fi fervi della nave felice, nè di Giano, mà benisi di questa del Sole, e la  :  CO- .  [ocr errors][ocr errors] comendò non solo prima d'averla provata, mà molto più dapoi, dicendo; (b) Cui cum Solis figno, etiam fanitatem apponito cùm re verâ , prospero numine vee la fecerit . E certamente, che prospero numine ancor in questa si navigherà per, essere regolata dalle sole virtù.  Se poi sarete risoluti di cercare la vostra forte sù la nave di Giano, procurerete almeno di non navigare à curti li venti, e terrete frenato il vostro inte. resse,acciocchè quando la Giustizia non potrà navigare , esso non ordini il disancoramento, e che quando la Sincerità vorrà operare, allora l'Adulazione non la turbi, e finalmente difautorerete tutti li vizj, che ivi ritroverete, e li porrete in catena , come tanti schiavi, altrimenti sotto specie, ed ombra di virtù v'inganneranno sempre: Fallit enim vitium fpecie virtutis,  umbra. Operando voi in questa maniera, acquisterete più gloria, che se navigate  nella (b) In 1.6 2.epift. ad Damagetum.  F4  [ocr errors] nella nave del Sole, perche vi farete saputi ancora difendere dagl'inimici domestici , e la vostra fortuna restando ammirata del vostro inodo d’oprare , vi sarà molto propizia , e gli darete voi medesimi stimolo d'invigilare à vostro favore, vedendo , che operate per eternarla; sappiate però, che in tutto il tempo di detta navigazione, vi converrà stare vigilantissimi , e non meno di quelli, che passeggiano sopra precipizj, mà à far questo hoc opus : bic labor eft.  Da queste trè figurate navigazioni, comprenderete non solo ciò, che nel corso di vostra vita vi potrebbe accadere, mà il modo ancora di schivarne ogni finiftro, che fosse valevole à ritardarvi l'acquisto della buona fortuna , perche se voi da bel principio vorrete darvi in preda a' viziosi piaceri , che progreffi mai potrete fare ? E che fortuna prospera potrete conseguire? Ed incominciando una volta à gustare le viziose delizie , non avrete più palato capace di assaporare il nettare delle vir  tù;  [merged small][ocr errors] [ocr errors][ocr errors] tù ; la malizia, l'inganno , e la frode vi sosterranno sino che gl'è à grado , mà alla tine avendo conseguito ciò, che bramavano da voi , vi lasceranno cadere, anzi forse ajuter anno, come fanno l'infidi compagni, nel precipizio maggiore delle miserie, nel quale ritrovandovi, di chi vi dovrece lagnare? forse che della vostra mala sorte innocente , quando, che voi medesimi ne licte stati glautori. La vostra fortuna non ha mancato , ella troppo hà fatto per esservi propizia, ambiva di favorirvi, mà voi all'ora la tenevate lontana, perche credevate, che il trovarvi in delizie, in ispafli, e viziosi divertimenti, fosse il miglior negozio, che potreste mai fare : E se talvolta v'infinuava la strada delle virtù con qualche stimolo interno , voi la rigettavate con dispreggio , onde meritamente esclama contro costoro Ippocrate : (c) Indoetus autèm qui eft , quomodò fortanatè affequi poffit? Si quid enim etiàm affequatur, non Memorabilem fanè fucceffum babebit ; Qui  enim (c) Hippode locis in bom.  3. A  3  [ocr errors] cnim non rectè quid facit , non fortunate affequi poterit , quum reliqua , quæ æquum et facere, non faciat;cd altrove :(d) Ego verò ut fortuna quidem quavis in re non nibil tribuo , ità certè cenfeo malè à morbis curatis , ut plurimùm adverfam fortunam contingere ; e nell'epistola à Damagero così dice, parlando di simili sfortunati viziosi: Eorum res adversas derideo,eorum infortunia intento rifu excipio. Veritatis enim instituta violant.  Se poi vorrete seguitare la strada di mezzo, e mantenervi amico delle virtù senza discostaryi affatto dalli vizj, e questa con tutto sia meno pericolosa, non è molto sicura , perche quantunque in essa farete più ricchezze, stante il fecolo corroto, il buon nome non l'acquisterete stabile, e di lunga durara, edin conseguenza incostante farà la vostras fortuna , inercèche tutti quegl’artifici usati, quelli difettucci d'adulazione di qualche bugiòla à tempo, e di quelle mormorazioncelle coperte, di quel zeloaf(d) De Arteaffettato, e giustizia con il secondo fine, modi più tosto appresi da Correggiani ozioli, che da buoni Maestri, scoperti , che saranno dagl’uomini di stima , e di senno, questi vi perderanno quel concetto, che prima avevano di voi. Oltre di ciò, che vita mai infelice sarebbe la vostra, dovendo servire à due Padroni Deo, Mammona : Deo, ch'è il Protettore delle virtù, & Mammona de' vizj: Nemo poteft duobus Dominis fervire , Deo,  Mammond . Mà dato ancora il caso, che vi riusciffe di farlo, che vantaggio ne ricavereste mai, mentre le dolcezze dell' ingenuità ve le amareggierà l'adulazione, quelle della giustizia ve le dissapo, rerà il proprio interesse, quelle del zelo l'attolicherà il secondo fine, vivereftę continuamente inquieti , stando sempre vigilanti, che non si scoprissero li vostri difetti, perche vorreste passare per ingenui , e non sareste , per giusti, e prende reste ogni arbitrio contro il dovere, con qualche cosa di vantaggio -; ficchè il partito più sicuro farà di vivere lontani  da,  1  da'vizj, e starsene con le fole virtù ; perche quantunque le ricchezze non vi pioveranno addosso da per tutto, nè l'aura popolare vi porterà molto in alto, con tutto ciò quel buon nome, quel buon concetto, che formeranno di voi gl’uomini sensati, non vi sarà mai tolto, durando sempre stabile ; perche è fondato sù le vostre virtù, permanenti sù il vostro onore immutabile, che est Splendor virtutis , come S. Ainbrogio negli Officj asserisce. Onde voi operan+ do bene otterrete la sorte stabile, conforme ve lo predice ancora Ippocrate, (e) dove così parla : Fortunatè enim affequi eft re&tè facereshoc autem qui sciant faciunt , e d'avantaggio, viverete con una somma tranquillità d'animo,perche goderete tutto quel gran dilettoyche apportano le virtù a' loro seguaci, non potendosi ciò per altra via conseguire, mentre: (f) Semita certè=Tranquilla per virtutem patet unica vitæ ; nè per questo non istabilirete la vostra casa, anziche 1  le). Deloc.in hom. [f] Juvenalis forira 10:  me  ز  meglio degl'altri, e per due ragioni, la prima, per avere fatto li voftri acquisti onoratamente con le fole virtù; l'altra poi, perche il mondo non è così spopolato d'uomini, che amano, e seguitano le virtù, quanto da alcuni si crede, effendovene di molti, onde voi, che se guitare questa buona via ò sarete pochi, ò numerosi ; se pochi, viverete bene,  perche da molti Tarete stimati, fe poi į farete numerosi, converrà, che li viziosi  ancora , ch'avranno bisogno dell'opera vostra s'accommodina alli vostri retti costumi.  Caminando dunque voi per la via delle fole virtù , potrete senza fallo conseguire la vostra buona sorte, e por trete allora dire çon ragione : Nos te,  Nos facimus  fortuna Deam, coloque locamus •  Dove che caminando voi diversamente,  appena vi sarà permesso il poter dire :   Nos facimus fortuna Deam , mundos que locamus,  Stan  [ocr errors] Nos te ,  Stanteche appena  sù l'aura popolare iftabile, in tal caso, la potrete appog. giare, nella quale non si curò punto Ippocrate di fondare la sua fortuna, come da più motivi si ricava, c primieramente, da ciò, che scrisse egli à Democrito, manifestandogli, che dal volgo, disprezzatore delle buone opere, aveva ricayato più tosto riprensione, che onore, con che fà credere, ch'egli non procurava có compiacergli da cattivarselo, affinche aveffe detto bene di lui, e l'avesse onorato, perche la sua politica solo consisteva, in operare, conforme si doveva, ed in far ciò, che solamente era decente al vero Medico, conforme fi spiegò nel primo de' suoi Aforismi in tal guisa : Se ipfum præftare oportet, quæ decent facientem; e ciò in termini prù preciâ l'individua affai meglio in altro luogo , (8) dove così dice : Neque verò gratiam, qua tibi homines demerearis subtrabo , cum fit Medici præftantia digna , eorum autem, que per Instrumenta adhibentur, & de  mon  (8) Hipp in lib de præcepto  monftrationis eorum, quæ fignificant , reliquarumque ejusmodi memoriam adeffe oportet, quod fi vulgi tibi audientiam comparare voles, id non valdè gloriosè insti. tuas , neque tamen cum ostentatione portia. câ fiat, industrie enim impotentiam arguit, neque certè probo induftriam multo labore partam in alium ufum transferri , quod per Se fola ut eligatur grata fit ; Inanem enim fucı laborem cum ambitiofà oftentationes tibi impones.  In oltre tal verità si ricava ancora , dall'aver egli ricusato il servigio del potentiffimo Rè Artaserse, mentre certa cosa'era, che se avesse desiderato d'acquistare l'aura popolare , non doveva egli ricusarlo, poiche ritrovandosi in un tal posto, senza dubbio alcuno tutta la Persia saria corsa ad onorarlo, niuno averia potuto più dir male di lui per tema di non incorrere nell'indignazione del Rè potentissimo Artaferse, onde con averlo ricusato dà à divedere, che egli non fi curava punto di dett'aura popolare, nè delle ricchezze, e fortuna, che dacssa provengono, conforme apertamente fi spiegò nella lettera scritta alli Abe deritani, dicendo ivi: Ego verò fi omnibus modis ditefcere voluifem viri Abderia tæ , nè decem quidè m talentorum gratiâ ad vos venirem, fed ad magnum Perfarum Regem proficiscerer , ybi &c.  E per far conoscere meglio à tutti, ch'egli non caminava per la via dell'aura popolare, nè delle ricchezze, mà bensì per quella della sola virtù volle portarsi in Abdera , folainente per visitare, e trattare con Democrito, e questo perche lo faccffe lui medesimo lo confesso, dicendo : (b) Eum autem gravibus , firmis moribus ele præditum intelligo ; talmente, che stimò egli fortuna maggiore quella, che sperava ottenere con trattare con un'uomo di questa sorta , per apprenderne da esso qualche buon dor cumento, non solamente de i dieci talenti offertigli dagl’Abderiti,inà ancora di tutte le ricchezze, e grandezze insie: me della Persią, & udite con quantan  chiz (h) in etir. Abderit.  [ocr errors] chiarezza lo dice : (a) Rex Perfarum nos ad fe vocavit nefcius mibi potiorem of fapientiæ , quàm auri rationem .  E finalmente , acciocchè meglio comprendiate , che quanto v'hò detto intorno alle trè strade, che vi sono per cercare la fortuna, o qual di queste dobbiate scegliere, s'uniformi sempre più con i sentimenti del gran Maestro, confermiamolo ancora con l'accennate trè vie di cercare la fortuna , contenute in detta lettera. Primieramente con il quomodocumque ditefcero ci addita un bivio, cioè tanto la strada, che conduceva in Persia , à fare acquisto di cesori, e grandezze considerabili, che quella di Abdera , che allettava all'acquisto di dieci foli talenti ; La prima di queste egli non la ftimò à proposito, perche conduceva in paesi barbari, inimici, e dove vi era la peste ; La seconda nè tampoco , perche dubitava, che quel vizio dell'inte, resse, que' dicci talenti, avessero possuto rendere servile, e schiava la sua virtù,  G  cosa (a) Hippo in epiß. Denetr.  cosa fece egli per battere su'l sicuro, fi fabricò la terza via, espurgata da ogni vizio, e prima d'incaminarti per essa la descriffe in tal guisa all’Abderiti: Mihi verò ad vos venienti , non Natura , neque Deus argentum promiserit . At nequè vos [viri Abderite] per vim obtrudite, fedlia berè artis liber â elle finite operâ . Qui autem mercede operam fuam locant, hi fcien. sias, tamquàm ex priore libertate manci. pio dantes , fervire cogunt .  Oh Ippocrate, se questi tuoi documenti fossero stati mai dati à rivedere à quel Quinto Petilio Pretore Urbano, à cui pervennero in mano i libri del dia finganno composti da Numa Pompilio , certamente che,ò l'averia fatti brugiare, conforme che fece quelli, o pure ti averia fatto quel favore , che fecero gli Abderiti al suo Democrito, che lo dichiarorno pazzo, e fi faria servito come Precote delle seguenti cognecture per dichiararti cale, primieramente avrias dedotto contro di te, che tu per portarti da Democrito, da cui non potevi sperare bene alcuno, perche appena aveva un Platano, che lo difendeffe dal Sole, ed un sedile di pietra, dove potesse sedere, mostrasti smoderato desiderio d'andarvi, conforme costa nella prima lettera scritta à Damageto , dove così dicit Navem ad nos mittito , fed fi fieri poteft, Hon remis , fed alarum remigio instruct amo res enim, eu amicitia urget. In oltre, che per  benc  andare in Persia , dove, oltre offerte sì grandiose , eri tanto desiderato da un Rè potentissimo, cu fosti prontissimo à rie cusar la chiamata , conforme costa nella lettera da te scritta ad Hiftano, senza riflettere , che quel potentissimo Rè poo teva distruggere la tua Patria per tua cagione. Chi dunque procura , ed effettua con tanta sollecitudine, ed anfietà una cosa, che non gli può recare profitto alcuno , e ricusa con altrettanta prontezza ciò, che gli può moltissimo giovare, senza considerare ciò, che può sopravenire di male dal ricusarla ; certamente, ch'egli si può condannare per pazzo. Saria stata però troppo ingiusta  que  [ocr errors] quefta sentenza di Petilio , quando l'avesse cosi pronunziata , poiche per condannare un'uomo savio per pazzo, prio mierainente si ricercano più rilevanti prove di queste : in oltre bisognava dargli le sue difefe', in cui deducesfe lc sue: ragioni prima di condannarlo, nelles quali faria stato dedotto, primieramente, che non sussisteva in fatto, che da Democrito non se ne poteva sperare bene alcuno, costando dall'Ippocratica confeffione , quanto mai di bene egli ne ficavasse , ch'è questo: (b) Tum ego  Democrite præftantisime magna hofpitalitatis tud munera mecum in Co reportabo, cùm multa me fapientia tua admonitione compleveris. Prçco enim tuarum laudum rem vertor, quod natura humana veritatem inveftigasti, a mente complexus es; Acceprâ autem à te mentis curatione discedo ; La grand'ansietà dunque di andare à fare simili acquisti, non era indizio di pazzia, ma bensì di somma prudenza , di sommo giudizio. Che poi per noneffere andato in Persia foffe censurato a torto è chiaro, mentre non avendo alcun bisogno di quanto gli poteva da ciò risultare, conforme egli confesso: (c) Nos vietu, veftitu, domo, omnique read vitam neceffariâ cumulatè frui ; Perfarum autem opibus uti , nequè mihi æquum eft; non doveva esporsi di andare à fervire popoli barbari , ed inimici, e quanto erano maggiori l'offerte, che gli faceva. no , tanto più lo costituivano loro schia, vo. E quando vi fosse andąco, cosa mai averia riportato? Oro, argento, onori sommi, e grandezze, e quetti potevano paragonarli all'acquisto, che fece, con Democrito, di dottrina, e faviezza di mente maggiore? Ed essendo egli andato per curare uno creduto pazzo, per cagione di quel medesimo ei ritornò più savio, e più dotto di quello, che era prima ; e da ciò fi può dedurre quanto mai bisogna stare cautelato à dichiarare pazzi coloro che non sono potendo queIti tali talvolta illuminare ancora i Savja  L'or(c) In epif. Hylani.  [ocr errors] L'ottima dunque di queste trè ftrade fi scelse Ippocrate , per acquistare la sua fortuna, e Pottenne profpera, stabi. le, ed eterna i poiche fino, che il mondo durerà, la fua fortuna ancora sarà ri. fplendente; per questa voi dunque vi dovete indirizzare le volere effere suoi veri seguaci, e questa ancor meglio la scorgerete, dapoi, ch'avrere nella Giornata di domani udita la gran deformi. tà de' vizj, ed il danno grande , che possono apportare questi al Medico, che caminasse per quella via , giacchè conto traria juxtà fe pofira magis elucefcunt ,  GIOR  [blocks in formation] Nella quale si tratta delli vizj , mostrando  quanti pregiudizi poffona apportare al Medico , e le in lui alcuni di esli pana fcufabili , almeno quelli, che sembrano Ermafroditi.  [ocr errors][merged small] Na dura , ed ardua Provincia og  gi intraprendo per voi, dovendo parlare contro la corrutela del tempi,  ' lati, e contro uno stile già invecerato , con tutto ciò bramando voi sapere da me il vero per non ingannarvi, dirò con Seneca ; (f) Quaramus quid aprime fa&tum fit, non quid ufitatissimum, & quod nos in poffeffione felicitatis eterna conftituat, non quod vulgo veritatis peffimo interpreti probatum fit.  Vorrei potcre scusare ancor io li vizj, conforme fanno quelli, che li rimirano solamente mascherati con gli abiti delle virtù à fine di consolarvi, sc  cofa  G4  [merged small][ocr errors] [ocr errors] 104 Dell'Idea del vero Medico. cosa difficile vi sembrasse mai il poteryene affatto spogliare. Per esempio ricoprono la bugia con il manto della prudenza , e dicono, ch'è prudenza di celare all'Infermi la verità, perche ciò fi fà per loro bene , acciocchè non si contristino maggiormente del male, che foffrono. Gli adulano ancora talvolta se defiderano qualche cosa , che non competa loro, con tutto, che possa molto nuocere, sotto pretesto d'aver carità, ed à fine, che vietandola non s'inquietino maggiormente, e così vanno ricoprendo molti altri vizi per renderli familiari, e meno deformi . Mà perche hò promesso di parlarvi con chiarezza, e fincerità, non potlo, nè devo adularvi. Li vizj li dovrete cenere per vizj; e le virtù per virtù : Li vizj, e le virtù le dovete considerare , come due linee p2rallele, che non possono in alcuna delle loro particombagiarli, come due contrarj diametralmente opposti, che non possono tra loro convenire; Dovete con. fiderare li vizj come mostri spaventofi ,  che  che avvelenano con l'alito chiunque ad effi fi avvicina , come dunque ardin, Tete d'accostarvi ad essi per ricoprirli?  Mà conceduto ancora , che si poteffero mai travestire, ditemi di grazia, viaggiorefte voi con una comitiva di ladroni, benche fossero travestiti in abito di gatantuomini, caminereste sicuri di non effere offesi da essi, con tutto, che fossero sì civilmente adornati a Certamente mi risponderece di nò: Tali apa punto fono li vizj, poniamoli addosso quelmanto, che volemo, e questo non facendoli mutare il loro perverfo costume, sempre vizj saranno, sempre nuoceranno di molto ; E siccome li Leoni, e le Tigri per quante carezze loro fi fac ciano mai deporranno la fierezza, cosi ancora al parere di Seneca: Vitia nun, quàm bona fide manfuefcuniş trasmutateli pure in che sembiante volete, anzi, che essendo questi travestiti , faranno de danni peggiori, perche non potendosi conoscere per vizj à prima vista, non li potranno subitamente scacciare da chiKabborrisce, onde ancora trà questi ayeriano all'ora maggior campo libero da machinare le loro infidie, ed acciocchè meglio putiare scoprire li loro tradimenti, contentatevi, che ve ne descriva qualch’uno di quelli , che nel Medico fono più decestabili, e nocivi, con pers mettermi che non servi quell'ording solito à praticara da chi tratta di esli , perche essendo fregolati non meritano di effere trattati con buon'ordine, ba. standomi solo di farvi capire la loro deformità, c quanto erano mai da Ippo, crate odiari, e creduti nocivi al vero Medico, mentre giudicò essere parte di buona Medicina il saperfi:(8) Qua faciunt ad demonftrandam incontinentiam quæftuofam, & fordidam Professionem ixexplebilem habendi fitim , cupiditatem, de traditionem, impudentiam , fiquidem iftas Spectant ad eorum cognitionem dc.e non già à fine di seguitare , må bensì di fug. gire fimili diferci. La bugia, inimica scoperta del ge  nerc (g) De decenti babita.  nere umano, come tratta li suoi fidi re. guaci & Li separa, scoperti che sono, dal publico, e privato commercio de viventi, fà, che niuno presti loro più fede, gli costituisce infami, e li pone il più delle volte in evidente pericolo di vita, facendoti publicare ciò, che non fù mai verità, e questa come si potrà scusare nel Medico in ispecie, in cui ella è reato più grave, che non è in altri Profeffori, sì di Legge, come ancora di Teologgia, e che ciò sia, veniamone alle prove, Dica una bugia il Procuratore al suo Cliento gli potrà pregiudicare nella robba, venendo talvolta à perdere mediante quella la sua lite ; La dica un Teologo, che abbia di già prevaricato, à chi è da lui diretto nello spirituale, gli farà perdere l'anima ; La dica il Medico al suo Ammalato, gli farà perdere la robba, la vita, e l'anima insieme , ed ecco l'esempio chiaro: Dica il Medico al suo Infermo, il di cui male si avanza : Lei stia di buon'animo, che la sua infer. mità non è di gran momento , li segni  non  [ocr errors] nonsono mortali , Ella guarirà , fi fidi di me, viva pure sicuro, e riposato ; mediante questa bugia l'Infermo non pensa a' casi suoi, non aggiusta le partite dell' anima, che premono tanto, non fà téItamento, non dinunzia li suoi crediti, è ripostini segreti, non accresce diligenze, acciò la sua cura sia allistita da Me. dici più esperti, si avanza tanto in un tratto nel male, che si sopisce, o sų aliena di mente, resta incapace à fare cosa alcuna di proposito, e se ne muore, ed ec  che ha perduto la vita , la robba, e l'anima ancora, se per ispeciale grazia di Dio non fù illuminato à pentirsi de' suoi peccati prima , che diveniffe incapace à poterlo fare, e questi sono trè reati nati da una sola bugia, la quale benche dete ta à fine di sollevargli lo spirito, in vece di ciò gli hà cagionato un'improvisas morte, per lui così svantaggiosa. Dis spongono le leggi, che li delitti sono maggiori, e più qualificati, quando li delinquenti ne hanno commessi numero maggiore, è della medesima fpeçie, ò  CO,  equivalenti, ficchè calcolandosi mag. gior numero di tali reati nella bugia del Medico, che in quella del Legista, e del Teologo, in conseguenza viene , che è più grave delitto la bugia nel Medi. co , che negl'altri due sopr'accennati Profeffori. In oltre se il Medico, per persuadere al suo Infermo, acciò prendesse con maggior fiducia il rimedio da lui propostogli, affermasse, che quel medesimo avesse giovato ad altrui, e ciò non fosfe vero , rincontrandosi poscia la verità, in che discredito rimarria ape preffo à cui disse tal menzogna, certo è, che non lo terria in avvenire più nel numero de' veri Medici, mà bensì di parabbolani,de' quali Ippocrate cosi disse: (h) Virtutis apud ipfos modus eft , id quod deteriùs eft, mendacii enim ftudium exercent ; e parlando de' Medici menzogneri così disse: (i) Quapropter veritate nudati, omnem improbitatem, ac ignominiam ing duunt. L'adulazione è vizio, che s'infinua  dol(h) In epiß. Domag. (i) Dedec.bablik,  dolcemente, e con galanteria , è un veleno , che fi beve fraposto con un'apparente netrare, e questa parimente nel Medico cresce in qualità di reato, posciacchè dica qualsifia altro Adulatores à taluna, ch'è deforme, non meno di aspetto, che povera di abilità.: Voi Giete una bellissima, una compitissima , egalantiffima Giovane, fiete eccellente in molte cose; nelle quali non avete chi vi fuperi ; le darà compiacimento bensi con formo suo diletto, ma non l'ucci derà ; Dica il Medico ad una sua Infer. ma, che desidera gustare un grappolo di uva: V. S. ne puol mangiare un poco , perche bisogna condescendere qualche volta al desiderio dell'Inferma , quod face pit nutrit , lo faccia pure liberamentes Se la povera adulata Inferma lo farà, non folamente vi averà compiacimento, e diletto per allora , mà poscia potrà ancora morire per tal cagione, non è quem sto caso già da me inventato, mentre si legge in Ippocrate seguito nella figlia di Eurianatte, che per aver gustata l'uvale crebbe non solo notabilmente il male, mà se ne morì, dice egligdoppo di avere narrato, che l'era sopragiunta la refrigerazione delle parti estreme il delirio: (1) Ifta autèm ut ferebant ex deguftata uva huic contigerat ; potrete dunque voi nel Medico scufare l'adulazione omicida per conciliarvi la grazia dell'Infermo ? Risponderà Ippocrate certamente di no, perche dice egli in termini precisi dell'adulazione nella regola dal vivere: (m) Is velut res horrenda vitari debety a gratia vitanda per quam unitas deperit.  E non solamente è reato gravissimo nel Medico l'adulazione in ciò, che riguarda la regola del vivere, mà ancora nel prescrivere medicamenti . V'incontrerete in molte contingenze, nelle quali gl'Infermi , ò glastanti proporranno riinedi, ed il più delle volte quegli, che non saranno à proposito, in questi casi avvertirete bcnc à non adulare il genia di chi li propose', mà doverete fare ciò, che il bisogno richiederà, e non altri  menti: (1) Epid.lib.3./46.2.egroting (in) Do pracipe.  [ocr errors][ocr errors] per adula  menti: Conforme ancora, se venendo  proposto da altri Medici ciò, che non vi  parerà essere profitcevole all'Ammala-  to, in tal caso non dovereste  zione tacere, e lasciar correre ciò, che  fù proposto da altrui , mà bcnsi con tut-  ta civiltà addurre li vostri motivi, cra-   gioni, che avete in contrario, à fine  venghino esaminati,essendo questo l'ob-  bligo de veri Medici, conforme Ippo-  crate insegnò, dicendo: (n) Qui quid-  quid do&trinâ acceperunt in medium profen   & facultate dicendi utuntur , ad gratiam comparati, & pro gloria,qua indè provenit decertare parati,doctrinam fuam ad veritatis lucem repurgantes.  Dell'Ateismo vizio esecrando non ve ne saria d'uopo parlarne , perche egli è cosi repugnante, che chi hà uso di raa gione mi pare assai difficile vi poffa in effo cadere, con tutto ciò, perche certe proposizioni, che sparse, e feminate alle volte fi ritrovano in alcuni libri, che vengono da lontani paesi, potriano alle  menti (n) De decohabitu.  runt ,  1  0  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] inenti di voi, che volete volare troppo i alto,recare qualche disturbo, non istimo  superAuo di dar loro sopra ciò qualche  luine, à fine stieno più circospette, e  cautelare, e particolarmente nel sentire  certe proposizioni dirette à ridurre le   operazioni animaftiche alla sola machi26 na, e struttura del corpo fatta dalla na  tura, con sì mirabile artificio, guarda  tevene pure da queste , perche hanno de l'ateismo nascosto, e tenete fermo, che en vi voglia sempre un primo Movente di  . ftinto, e separato dalla struttura, perche de quantunque la detta struttura fia necef.  faria alli moti interni, ed esterni , nulla-  dimeno senza il primo Moyente, che è   l'anima rationale nell'uomo , cessa ogni li moto regolato, come si scorge chiara.  mente ne' cadaveri, ne' quali con tutto,  che rimanga la mirabile struttura , sepa-       rata ch'è l'anima dal corpo iyi ogni mo-  le     to regolato finisce.   Nè solamente nel leggere ciò , che viene scritto converrà stare cautelati, e circospetti, mà ancora in quello fi sente  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] riferire intorno alle pazzie di coloro , che, per essere reputati di singolar dottrina , tralasciorono di credere ciò, che dovevano, perche non capacitava le loro meni materiali, se non ciò, che con li propri occhịrimiravano, ò palpavano con le loro mani, contro de' quali Sant' Agostino fortemente inveisce, chiamanı doli uomini di carne.  Spero dunque, che per quanto leggerete di male in questo genere , ò sentiFete dire, non diventerețe così pazzi , che vi vogliate assomigliare alle bestie , Je quali, in ciò, che riguarda il dare un minimo contrasegno interno d'eternità, punto non s'assomigliano all'uomo,mentrechi mai di effe ha saputo ritrovare il modo di scolpire, ed intagliare l'effigie brutale di alcuna della sua , ò d'altra fpecie, come seppe inventare l'industria umana? ed ancora in durissime pietre , per conservarla visibile, tale quale appunto ella fù vivente, per secoli innumcrabili? e ciò donde è proceduto ? se non da quell'interno desiderio , che  l'uo  )  [ocr errors] Puomo hà in fe fteffo d'eternità.  L'Ira è un vizio, che deforma li suoi seguaci, li quali conforme diffe un sayio Letterato, molto da me stimato, eriverito, fe questi li potessero rimirare nello specchio , allora, che sono nel suo furore, yedendosi divenuti così deformi, e trasfigurati in mostri,odierebbono,non solamente cal vizio , anziche se medesimi; Modo tenuto dalli Spartani,che per fare concepire orrore all'ubriachezzas conduccyano li loro figliuolini in certo tempo dell'anno, nel quale fi concedeva libertà d'ubriacarsi, in luogo publico , affinche questi vedessero , che deformę spettacolo cagionava tal vizio, per concepirne in avvenire di esso maggior spavento . Voi dunque per meglio apprendere à che segno dobbiate tenere lontana da voi l'ira, non accaderà velo moftri con parole , essendo di maggior efficacia , che rimiriate con li vostri propri occhi , in chi si trova adirato, più al vivo una tale, c tanta deformità, giacchè:  H 2Segnius irritant animos demiffa per  aures  [ocr errors] Quàm quæ funt oculis subiecta fide  "libus, E così comprenderete meglio ancora , se tal vizio sia tollerabile nel Medico, che deve avere sempre l'animo compofto , conforme comanda Ippocrate de Medico : Eum quoque spect are oportet, ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm , verùm etiam reliquâ totius vita moderatione , quod ad illi comparandam gloriam plurimum affert adjumenti ; e più chiaramente, ancora lo comanda in altro luogo, (a) dove dice: Ne quid perturbato animo facias ; Ed è la cagione appunto di ciò, perchè il Medico, che deve invigilare con somma attenzione alle cure de' suoi Infermi, non deve avere la mente turbata, per poter meglio discernere li partiti megliori, e più profittevoli, che dovrà prendere à prò de fuoi Malati, ed à tale effetto Ippocrate comanda, che sia incombenza del Medi  co (a] Inlib de decora.  co il sedare litumulti, ordinandoli ef pressamente:(6) Tumultus verbis caftiges, G ad omnia fubminiftrandi te prome  ptum adhibeas.  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Converrà però prima in voi medesimi se mai foste dall'ira predominati, che sediate li vostri interni cumuli, per poter muovere più facilmente glaltri con il vostro buon'esempio ad imitarvi.  Mà vi sono alcuni Iracondi, che credono essere cosa nociva alla salute il ceprimere in un subito li loro primi moti, onde per tal cagione lasciano termin nare il loro corso : Mà quanto questi s'ingannino lo fà vedere Ippocrate con dire :(c) Ira contrabit , cor, pulmonem in fe ipsa, din caput, & calida , bumidum; il qual testo Vallesio così la spiega : Ira eft furor fanguinis circa cor c. hinc  fit ut fervente Sanguine,cor , pulmo , & caput calefcant , & repleantur. Nimirùm fanguis fervore tumet, & venas, arteriasque tumefacit, fed ob vebementem calorem, qui illis in locis eft, co contrabitur  ubi[b] Dodec.hab. [c] 6.Epid.fe5.4.,  [merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] H 3  ubique fanguis. Undè fit, ut multis ob iram oculi, du vene frontis intumefcant, & tota facies rubore suffundarur , eo tempora pulfent , & caput doleat , quin do febris fuu perveniat . Si persuadono dunque questi, che gl'accennari danni che cagiona l'Ira à parti sì principali, sia più vantaggio di pazientarli, che di rimuoverli?  Onde non dovrete in conto alcuno farvi dominare dalla collera, e non solamente per quello che riguarda la buona direzione della cura, mà ancora li vostri proprj avanzamenti, stanteche quel povero Infermo pur troppo annojato dal suo male , avvedutofi, che ancor voi gli accrefcere moleftia, adirandovi per ogni piccola cagionc,se ne disfarà facilmente per non potervi più soffrire.  La Superbia nella Medicina à che segno sia deforme riflettetelo in Menecrate Medico, che insuperbito forfe per effergli alcune piccole cure riuscite felici, ed ayer sentito dire, che Esculapio, in quei tempi rozzi per tal cagione fù annoverato trà Dei, egli volendolo su  pe  [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][merged small] perare, scrivendo ad Agesilao Ř è de Spartani ; pose nella soprascritta : Ager filao Regi Menecrates Juppitèr ; gli calzò bene però la risposta, che gli fù data da quel saggio Rè in tal guisa : Menecrati Medico Agefilaus Rex mentis fanitatem; nè fù ciò sufficiente per reprimnere la sua superbia , mentre riferisce Leone Sansio, (d) che : Eo furoris in hoc genere delatus eft , ut quofcumque liberaffet à morbo jurejurando anté sanitatem rcceptam adıētos , Jecum deindè benevalentes adduceretistatis temporibus tamquam  fervos; atquè jatellites, eâ tamen lege, ut alius quidèm Herculis insignibus indutus ; alius Apollinis babitum gerens ; alius Mercurii perfonam fuftinens , alius aliumi mutatus in Deum, Menecratem, utpote Jovem Optimum Maäimum Dii minorum gentium sequerentur. Onde converrà, che la teniate lontana da voi , per non essere stimati pazzi, e maggiormente quando vi troverete nell' auge delle vostre prosperità , perche allora la superbia molto vi potria nuocere,  fc [d] In Florid.9.prafat.  [merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small] H 4  se foste da efla dominati, allora vi sforzeria à distaccarvi dalli vostri più antichi, e cari amici, solamente perche vi conobbero prima, che le vostre fortune incomincialfero : E pafferia ancora più oltre allora il suo ardire, fe ella potesse dominaryi à suo modo, meiltre vi faria prendere tal compiacimento di tutte le vostre, sì grandi, che picciole opere, come se fossero singolari, e da niun'altro fattibili à quella perfezzione, che voi fatte l'avrete, senza permettervi punto d'indugiare å formarne concetto, con forine far fi deve delle cose proprie , almeno fino a tanto, che dal tempo fiano tolte dalle mani dell'Adulazione, e pofte in quelle della libera sincerità, à fines che doppo averle ben confiderate dia loro il suo giusto valore, secondo il quale , e forse meno deve stimare le cores proprie, chi si trova in prosperità di fortuna , per goder egli il favore dell'adulazione. Onde in tutti gli stati , e maggiormente in quello di prosperità, nel quale sarete più oiservati da tutti doveteseguitare l'ottimo conseglio d'Ippocrate , (e) che dice : Medicum urbanitater quamdam fibi adjunétam babere convenit, affinche possiate effere da tutti tenuti cortesi, umani , e senza superbia.  La defiftimazione, ed il disprezzo del compagno è un vizio dependente dalla superbia, onde develi dal vero Me dico abborrire, al parere d'Ippocrare: Ne superbus , do inhumanus videatur ; E tanto più , che deve essere d'animo modesto, e cemperato , di ottimi coitumi, umano, e giusto, conforme egli giudicò nel libro de Medico : E se il Si. gnore diede à voi maggior talento degl' altri vostri compagni, perche nel coufronto, che ne fate, in vece di ringraziarlo, mostrate più tolto di biasimarlo, con dire, che difetraffe in non fare uguale à voi chi è d'inferiore capacità di voi, potendo il disprezzato rispondervi : Ipfe fecit nos, & non ipfi nos; Dunque, che colpa è la mia 2 E non avendo voi ragione da dotervene meco, prendeteveland  con Tel Dedec.org.  [ocr errors] con chi mi hà fatto ; sicchè fuggire pure   fimil vizio, che può ancora paffare più   oltre,inentre da quel disprezzo,da quel-  la disistimazione nascendone il discredi-   to del vostro compagno, chi sà, che non  vi facessero divenire pessimi Medici, fer-  vendovi di caloccasione per procurare  qualche servigio di colui, che fù da voi  posto in discredito? Olère di che;chi fos-  te mai di simile viziosa natura disprez-  zeria ancora bene spesso quelli piccoli  mali, che in breviffimo tempo possono  divenire giganti con non piccolo disca-  pito della sua esistimazione.        Qando mai potessero fcufarsi, che  non credo , in alcrui li vizj spettanti alla  gola, che sono la crapula, e l'ubriachez-  za , nel Medico sempre faranno molto  condannati, perche dovendo egli gior-  nalmente opporsi a' defideri depravati  de' suoi Infermi, con ordinar foro las  dieta, come mai potrà persuadergliela,  se non gli darà egli buon'esempio? Fa-  cendo più profitto questo di qualunque  ragione, al parere di Seneca, che vuole,   che  [ocr errors] 1  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] 20  che (f) Longum iter eft per præcepta, bre  ve, & efficax per exempla. E se poi de' la vostri disordini ne fossero stati spettatori in li vostri Infermi, come mai potreste per  fuader loro il contrario, di ciò, che voi seco faceste? Se volete dunque essere ub  bediti fiate fobri, e tali certamente dooi vrete essere, se non vorrete essere peg{ giori de' bruti stessi, perche conforme  riferisce Ippocrate:(g) Sitit quidem Aper, oli sed quantum aquæ appetit, Lupus vero di.  laniato quod Je se obtulit necesario alimento, quiescit; Mà quando tutto ciò non vi bastasse vi doveria far abborrire que fti vizj la sola rifellione, che questi poffono ó abbreviarvi la vita, ò per la meno  rendervela penosa, fino, che viverete. co  Non essendovi cosa nel mondo più nociva della Lussuria, chi potrà mai scue farla negl’uomini, quando, che la vedianio sì moderata , e sì ben' regolata dal solo istinto di natura in quasi tutte le bestie prive dell'uso di ragione , alla riserva folainente di alcune poche , trà  quali (f) Epift.6. [5] In cpif.Demag:  [ocr errors][ocr errors] ti  [ocr errors] quali vi sono quelle , che più s'assomis gliano all'uomo, che sono li Scimiotti, e Gatti mamoni, rare volte li bruti à confusione de' sensuali fi  veggono  do. minati da detto vizio, se non sono proffimi à quei tempi destinati dalla natura, per la moltiplicazione della loro fpecie, solamente il Lussurioso è più brutale di effi , che non ha in ciò  hà in ciò tempo determinato, essendo in ogni tempo dominato dal suo vizio, che lo consuma , & annichila, conforme riferisce Ippocrate : (b) Ep annorum quidem temporum ordo terminus eft brutis ad choitum, at homo perpetuò insano libidinis aftrostimulatur.  Qual'estro infano di libidine faria più , che in altri detestabile nel Medico, fe non lo sapeffe reprimere con la sua continenza , posciacchè dovendo egli giornalmente conversare con donne conforme avverti l'istesso Ippocrate:() Et omni horâ mulieribus , virginibus illi occurrunt; Sicchè Iddio guardi, ch'egli non corrispondesse con tutta fedeltà à  quella (h) In epift.Damage (i)  De doc.ork  [ocr errors] per ca.  quella somma confidenza , à cui  gione della sua profeflione; viene am-  meslo, diverria ogni suo trascorso reato  gravillimo, sì proprio, che della pro-  fellione isteffa , talınente, che l'innocen-  te Medicina ancora ne faria calunniaca.  Onde voi, che desiderate far molti pro-  grelli in essa , dovrete vivere lontani, e  detestare simil vizio ; Altrimenti perde-  reste ogni speranza di fare un minimo  progresso in effa ; Converrà dunque,che  fedelmente offerviate il seguente giura-  mento d'Ippocrate : Juro &c.fed castam,  bu ab omni fcelere puram, tùm vitam , tùm  ætatem meam perpetuò præftabo.   Ecercamente, che non dovrete fare diversamente, sì per li vostri avanzamenti, che per profitto delli vostri Infermi, mentreche, come mai potreste applicare con attenzione alli vostri vantaggi, alle cure de' vostri Infermi, se le vostre menti in quel tempo divagassero altrove, e fossero distratte in linili oba brobriosi pensieri ? Confido dunque,che con la vostra prudenza, e temperanza  [ocr errors][merged small] nonnon sarete per cadere in simili reati , che sono detestati da putti, per essere mancamenti commessi in mestiere di buona fede, conforme è la Medicina,  L'Ingratitudine è vizio ancor esso detestabile, per essere aborrito ancora dalle fiere, essendosi osservata tal’una di esse aver usata gratitudine al suo benefattore ; mà questa sarebbe ancora più detestabile, se nella Medicina seguisse , che lo Scolare si mostrasse ingrato al suo Maestro, mostreria certamente, è una natura molto perversa, ò di aver perduto l'uso di ragione, mentre qual gratitudine mai potria egli sperare, che non l'usò à cui tanto era tenuto, quali progrefli mai potria fare, allontanandosi da chi gli porge la mano per sollevarlo, e promoverlo? Credo,che un simile yizio, Ò Giovani generosi farà sempre lontano dalle vostre menti, conforme deve stare dalla mente di chi spera divenire Maestro, per il motivo di non aver à ricevere il fimile contracambio da' suoi Scolari, che stimolati dal suo mal'esempio faria  facile  facile loro riuscissero essi ancora ingrati.  Quindi è, chę Ippocrate per esimere li  suoi Şcolarida un fimile obbrobriofo ar-  tentato gli faceva obligare con poliza  e promettere con giuramento le seguenti  cose: Juro , & ex fcripto Spondeo planè  obfervaturum, Præceptorem quidem , qui  me hanc artem edocuit , Parentum loco ha-   biturum , eique cùm ad viftum, tùm etiàm  ad usum neceffaria , grato animo communi-  çaturum, & fuppeditaturum, ejusque poftea   ros apud me eodem loco   9.quo germanos fratres, eofque, libanc artem addifcere volent,absque mercede, fyngraphâ edoctu  [ocr errors][ocr errors][merged small] rum &c.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Da un'altra poco inferiore ingratie tudine spero vi guarderete voi, che ambite avanzarvi per la via delle virtù , & è, che se sarete da qualche vostro come pagno fatti chiamare à dar consiglio, ò in loro assenza sostituiti à curare tal* uno de' suoi Malati , non tramerete contro loro insidie , per subentrare in sua vece , stanteche tal’enorme ingratitudia ne, non è usata, fe non da quelli, che sono ignoranti, e che diffidano per la buona via delle virtù potersi avanzare ; e per tal cagione si servono di quella del vizio ; Onde con ragione consigliava Ippocrate al Medico à non prevalersi delli Softituti ignoranti , ftanteche de’loro errori ne resta debitore colui, che li propone, in questo caso però non ne re, steria punto debitore, poiche pagheria il mancamento commesso con la sua elpulfionc , & affinche non abbiate da ri, cevere fimile ingratitudine v'iinpegnerete quanto meno potrete di promovere ignoranti, e maliziosi ,  34 0  fono  e  €  L'Invidia, che per lo più proviene dalla mancanza di ciò, che fi desidera, è da altri si vede possedere , come la po. trere seguitare senza condannare voi stesi inabili à potere conseguire ciò, che bramate , avendolo potuto ottenere un' altro vostro compagno, questa non vi avyedete, che vi fà dichiarare da voi medesimi da poco, e codardi ? Onde impiegherete aflai meglio tutto quel tenipo,e pensieri,che malamente li spregano  [ocr errors][ocr errors] in invidiare il bene altrui, con cercare di conseguire ciò, che desiderate , per le sue yie proprie, & oneste, e credetemi, che questo vizio non regna se non negli animi vili, e codardi , trà quali voi, che avete abilità, e spirito vi dovete vergognare di esservi annoverati,e tanto maggiormente, che questi viziofi furono da Democrito giudicati ancora stupidi, ed ignoranti,allorche ad Ippocrate disse:(a) Et certè fufpicor pleraque in Arte tuâ aut per invidiam, aut per ingratitudinem palàm contumeliâ affici ; & in appresso dice , Cum fint ignorantes , quod melius eft dama nant , calculoruin enim fuffragia stupidis attribuuntur, nequè ægrotantes fimùl ap  probare volent, neque ejusdem Artis focii bi teftimonio confirmare , cùm invidia obfter  Gr. Veritatis enim nulla eft cognitio, nei què teftimonii confirmatio,  Ed è certamente cosa assai difficile, i che li seguaci di simil vizio poffino con  tenersi nel semplice desiderio di ciò, che da essi è invidiato, senza passar più oltre  [ocr errors] ne  (a) In epift.Damaget.  in procurarlo ancora , e con modi ignominiofi, anziche si serviranno talvolta della calunnia, e dell'inganno, per confeguirlo, e vi pare, che simili maniere fiano degne del vero Medico rationale ? Quando Ippocrate (b) giurò, che : Medicum ratione utentem, alterum numquàm invidiosa calumniaturum? Mà che siano modi praticati solamente da quelli, che Forensem quæftum fectantur , trà quali non faria convenevole, che voi fofte annoverati.  Mà acciocchè possiate mantenervi lontani da simile obbrobrioso yizio, sarà necessario, che vi dia alcuni utili avver. timenti, che sono: Vedendo yoi avanzare qualche vostro compagno nellinegozj,è cosa nacurale,che fentiate dentro di voi un certo stimolo, che incomincicrà da principio a farvi contriftare,e questo sarà appunto il primo seme, che insinuerà dentro di yoi l'invidia per farvi divenire suoi seguaci, di questo, affinche efla non trionfi di voi, è servitevene disprone per avanzarvi ancor voi, con   imitarlo, se il detto vostro compagno  opererà conforme si deve, ò di remora,  fe vedrete , ch'egli si avanza per la via  del vizio, ed in tal caso, con riflettere  solamente, che à voi non conviene d'in-  vidiare ciò, ch'è disdicevole al vostro  onore, detto seme verrà in un tratto di-  Itrutto. In oltre sappiate, che non do-  vete rimirare solamente l'efteriore com-  parla, che fà il vostro compagno, mà  ancora dovrete rillettere à quanti disag-  gi, che talvolta soffrirà egli per effajalle  fatiche eccellive,all'inquietitudini grane  di, alla scarsezza del tempo, ch'egli hàg  che gli toglierà ancora il riposo necessa-  rio, le quali cose se tutte le rifletterete ,  certamente in vece d'invidiarlo , più  tosto lo compatirete, e direte con Vir-  gilio :    Non equidem invideo miror magis.   A tempo di Seneca vi era un certo vizio vagabondo, chiamato da lui Core curfatio, che necessitava li suoi scguaci andar girando continuamente per las  I 2  Città  [ocr errors][ocr errors] Città allo sproposito cercando li negozi senza aver prima determinato nella loro mente quali, mà solamente quei, che à ventura si presentavano loro d'avanti, e questo tal vizio lo descrive  per  un'inquieta dapocaggine, un perdimento di tempo, con non altro profitto,che d'una certa stanchezza di corpo,acquittata per tanto girare ora in quà , ora in là.  Galeno, conforine egli riferisce nel principio del suo merodo , fù da alcuni di quelli, che pareva, che l'anassero più degl'altri , stimolato fortemente à seguitare questo vizio, dicendogli, che se non tralasciava d'essere tanto indagatore del vero, e non si accomodava allo stile di quel tempo, d'andar girando tutta la mattina, à visitare per complimento li Signori, e la sera d'andare à cenare seco, non saria stato amato, nè averia contratto le loro amicizie, riferendolo appunto in tal guisa : Me verò ex iis , qui me unicè diligere funt visi, nonnulli fæpè increpant , quòd plus justo veritatis studia Jim addiétus , quafi nec mibi ipfi ufui , niec  ipfis  [ocr errors] [merged small][merged small][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]  ipfis in totâ vità fim futurus , nifi, & ab   hoc tanto veritatis indagande studio defi-  ftam, da manè salutando circumeam ,   vefperi apud potentes cænem. His enim   artibus tum amari , tùm amicitias conci-   liari, tùm verò pro artificibus haberi &c.   Ed in tanto non volle egli condescende-   re à farlo, perche la giudicò per cofa   impropria di chi era seguace di ottimo   Maestro, soggiugnendo in appresso da-   poi averne commendato alcuni di que-   fti : At horum nemo , nèc mane potentium  fores ipfos falutaturus , nè vefperi cænatu-  rus frequentabat , fed ficut Hefiodus cer,  cinit :     Namque alium ditem cernens cui deeft,     quod agatur :  Ipfe folum vertit tauris, & semina        ponit.  Onde fuggirete ancora voi simile vizio,  se desiderate d'essere veri seguaci d'Ip-  pocrate.       La Pertinacia, e lo spirito di con-  tradizzione sono due difetti nel Medico  di sommo rimarço, e non si possono per   con  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] I 3  conto alcuno in lui scusare ; se vi contaminasse mai il primo, vi costituirebbe ignoranti, cogliendovi quella bella proprierà, che hanno li Dotti, ch'è : Sapientis eft mutare confilium ; vi faria anche di peggio,che vi costituirebbe simili alle bestie, perche farebbe divenire ancor voi incapaci di ragione , e perciò venendo esclusi dal commercio degl'uomini savj cosa fareste infectaci di simile vizio? Se poi, che Iddio je me liberi fofte invali da quel 'cattivo spirito di contradizzione y guai alli vostri Infermi, perche venendo loro proposto da altri ciò, che si deve, e voi non volendo, che fi eseguisse , mà più tosto in vece di quello , altra cosa contraria, come anderebbe l'a cura facendosi à vostro modo, se foste ancora pertinaci? Ippocrate insegnò à questo propofito ciò che si debba Fare, e che ne risulti di male facendosi diversamentc , & è:(0) Neque fanè indecorum fuerit fi Medicus in rei præfentis anguftiâ , circà agrum verfaturz imperitiæ etiam tenebris circumfufus , alios quoque accerfiri jubeat, quo communi confilio , que in rem agri sunt disquirantur, & illi ad præfidiorum facultatem operas fuas confoTint; e cosa ne seguirà seregneranno trà di essi questi vizj? De eo munimini ambitiosè contendere, se ipfos ludibrio exponere, Sicchè voi , che sperate divenire veri Medici Ippocratici, vi converrà tenere lontani da voi tali vizj, che tanto vi potriano pregiudicare.  etiam [C] Hipp.præcept.  L'Avarizia fù talmente odiata da Ippocrate, che se avesse potuto l'averia del tutto sbandita dal mondo, poiche scrivendo à Crateva erbario famofiffimo de' suoi tempi, così appunto gli manifeftò il suo desiderio : Quod si Crateurs amaram pecuniæ cupiditatis radicem excindere poffis , ut nulla ejus reliquia extent, hoc probè teneto, quod unâ cum hominum corporibus , etiàm malè affeétos purgaremus, fed hæc quidem in votis habenda : Tanto scrisse Ippocrate, con tuttoche non gli fossero ancora giunti à notizia li documenti di Demnocrito , cheportandosi poscia alla sua cura in Abdera da lui medesimo sentì , trà quali vi fù questo contro l'avarizia: (d) Quinàm enim Leo aurum defolium in terrum abdidit? Quinàm Taurus , alienum ufurpandi cupiditate , ad prælium impetu quodam delarus eft &c. e con ragione così esclamava Democrito scorgendo l'uomo caduto in tal vizio peggiore de'bruti.  Quanto mai cresca la deformità dell'ayarizia in chi è avanzato negl'anni sentitelo da Cicerone:(6) Avaritia senilis vituperanda eft maximè : Poteft enim quidquañ effe abfurdius , quàm quo minus via restat , eò plus viatici quærere?  Mà più d'ogn'altro la saria obbrobriosa nel Medico , perche essendo stato da Ippocrate dichiarato fimil vizio per male più grave della pazzia, cgli farà tenuto non solo di crederlo tale, mà ancora di medicarlo, onde se in vece di far ciò lo procurasse, ecustodisse in femedesimo con diletto , in qual trascorso egli incorreria? E certamente più grave,  e me  [d] inefiß.Damag. [e] In Cat,Maior.  [blocks in formation] e meno scusabile faria, che in ogn'altro, per non aver egli apprezzato li documenti d'un tanto Maestro, che sono li seguenti: (f) Miserabilis sanè eft humana vita , quòd ad eam totam intolerabilis are genti cupiditas, velut hybernus flatus pervaferit, ad quem morbum infania graviarem curandum , utinàm Medici umnes potiùs concurrerent. E lo dimostra in termini precisi altrove , () dove così saggiamente consiglia : Neque verò exigenda mercedis cupiditate duci oportet, nifi ut ad artem edifcendam tuos inftruas , fuadeoque nè in eo inhumanitèr nimis te geras, fed & opum affluentiam, & facultates refo picias, interdùm gratis cures , itaùt memoris gratitudinis potiorem,quàm præfentis existimationis rationem habeas. Quòd fi thofpiti, vel egeno largiendi occafio se te offerat his , vel maximè fuccurrendum eft. Qui enim erga homines humanum fe exhibuerit, is artis amore teneri censetur. Cofa dirà l'Avaro , & altri viziosi leggendo, tanti ottimi consigli, dati loro da Ippo  crate? [f] In epif. Senar. Abderit. [5] Inlibede prai:  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] crate 2 Mi persuado; che quello appunto , che diffe Quinto Pecilio Pretore Urbano, riferito da Livio, allorche ebbe terto li libri di Numa Pompilio, che erano stati tanti secoli sepolti : Se fe eos in ignem coniecturum , perche , dos legi, fervarique non oportere; e questo perched non per altro, perche egli era Pretore, e non gli compliva, che altri sapessero , che molte cofe, ch'egli faceva erano mal fatte , poiche que' libri altro non contenevano, che di rimuovere ciò, che non era ben fatto, e ciò, ch'era sommamente pregiudiziale al popolo, trattandosi in quelli De diffoluendis falfis religionibus.  Questo vizio certamente non farà scusato da chi è di mente sana , nè da chi ben riflette à quanti disaggi mai soggiacino li miseri Avari senza potersi sapere ad utile di chi lo faccino. In beneficio proprio certamente che nò, poiche non altro, che travagli ne ricavano dal cumulare, che fanno ; A prò degli Eredi 2 nè tampoco, perche se potessero immaginarsi , che gli Eredi volessero  go  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] godere con ispendere liberamente, priveriano fubitamente dell'eredità, fic. che di questi solamence Padrone ne rimarrà l'avarizia , inentre per sodisfarla esi cumulano , c questa , che ne farà di tanti avanzi ? facilmente non sapenda servirsene li consegnerà al lusso, affinche disipandoli in un tratto ne impingui altri Avari.  Ippocrate odiava il lusso grandemente, à segno , che compose un libro contro di effo, ch'è appunto quello De Decenti ornatu , nel quale non solamente incarica à Medici di fuggirlo , mà dà ancora per cagione del lusso il modo di distinguere li veri Medici da Parabolani, de quali ultimi parlando, così dice: Si enim conventu facto ambitiofa, e quem fuofâ fuâ profeffione decipientes in urbium circulis verfantur, Quos ex veftitu , cum cæteris ornamentis, quis cognofcere poterit, quin etiam quò fumptuofiùs ornati fuerint , cà majori odio adversandi , ab eis, qui eos confpexerint , fugiendi ; dove de veri, e buoni Medici cosi ne parla : Quia  bus  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] bus non ineft exquisitus, nequè cariofus ornatus, qui fe fe excultus venuftate, cu frugalitate, non tam ad fuperfluam curiofitatem,quàm ad optimam existimationem, prudentiam, e animi moderationem compararunt , ad inceflum verò eo femper sunt habitu ; Sicchè dal Medico seguace d'Ippocrate devesi fuggire il lusso per quanto gli preme la propria riputazione ; certe mode straniere, e galanti non gli competono , come si legge (b): Peregrie nus cultus immodicus calumniam tibi com. parabit .  Tiberio s'ingannò, allorche propoftofi in Senato di proibire il gran luffo di quei tempi, essendo egli di sentimento contrario, persuadendoli, che in lasciarlo correre à briglia sciolta, da se medefimo si faria stancato, e perciò disse : Nos pudor , divites satietas, pauperes egestas in meliùs mutet; qual vergogna ne' suoi {moderati succeffori punto non si mirò mentre in Nerone si vidde à che segno s'inoltrasse il lufto. Mi persuado però,ch'egli si volesse ingannare per altro fine   politico, mentreche girandosi dal lusso  continuamente la ruota della fortuna ,  gli compliva più di vedere tante muta.  zioni di stato ne' suoi sudditi, che disau.  torato chi li cagionava, e tanto mag-   giormente che avendo questo vizio un  dominio tirannico s'uniformava al suo  governo . Tiraneggia per verità il luffo  li suoi seguaci , mentre l'impoverisce  e vuole eliggere da tutti gradimento di  quanto male fà loro. Ordina , che dalla  Persia , e dall'Indie sia trasportato un  drappo non più veduto , forza li suoi sem  guaci à prenderlo ad ogni maggior co-  ito, e fà, che oltre il gran dispendio  ringrazjno quel Perfiano, quell'Indiano  ancora, che lo portò, perche appagò il  loro desiderio , li quali ne resteranno fa-  cilmente ammirati, non meno di quello  ne rimanesse Tacito , allorche li Romani  per abbassare gl’animi dell’Inglesi, li fe-  cero assuefare à molti costumi loro, e da   essi non più praticati, e l'appresero per  foimo favore , mà ben se ne ayvide Ta-   [ocr errors][ocr errors][ocr errors] cito del fine, che in ciò si aveva dicendo: (i) Que humanitas cenfebatur, cùm efet Species fervitutis.  L'Infedeltà, e Fellonia sono vizi confederati, e detestabili in ogni qualità di Persone, mà più d'ogn'altro nel Medico, posciache ogn'uno ciò, che ha di più prezioso, che sono la vita, e l'onore glielo fida; Onde se csso mancaffe, à cui gli prestò tanta fede, che gastigo mai li potrebbe trovare de' maggiori, che lo potesse punire à bastanza , avendo commesso un reato di fimil forta, un mancamento di buona fede ? Sicchè odiateli pure simili vizj esecrandi, conforme l'abborriya Ippocrate, non volendo insegnare la Medicina à chi non aveva giurato prima sù tutte le Deità ciò,che segue, cioè: (1) Nequè cujusquam precibus adducturus , alicui medicamentum letale propinabo , neque hujus rei author cro , nequè simili ratione mulieri pellum subdititium ad fætum corrumpendum exhi  bebo,  (i) In Vita Agricola.  11) In lurejuri Hippocr.   [ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] bebo, fed caftam, ab omni fcelere puram, tùm vitam , tùm diatem meam perpetuò præftabo . Sicchè con ragione, e con giusti motivi verrà escluso chi mai in fimili vizj cadesse dall'effer vero Media co, e degno seguace d'Ippocrate,  Non è piccolo difetto nel Medico l'essere troppo curioso di quelle cose , che non fanno al suo mestiere, conforme tra l'altre sono li fatti domestici de' suoi Infermi; onde da tal vizio ye ne dovre. te aftenere,perche tal curiosità vi potria tenere distratti da quel negozio, à cui dovete principalmente applicare, ch'è il ben dirigere le cure de vostri Infermi, come y'astringe il giurainéro d'Ippocrate,ch'è questo:In quafcumque domos ingrediar , ob utilitatem Ægrotuntium intrabo.  Mà di più di questa ancora può efa fere viziosa la troppa curiosità delle cose moderne, e peregrine, e particolarmente ne' Medici giovani, che non pofsedono ancora la Mcdicina à quellas perfezzione , che fi richiede ; onde da questo vizio v'asterrete , sì perche vi fa  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] ria divagare inutilmente in cose, che ancora dal tempo non sono state ben digerite , come ancora vi terria lontani da ciò, che farà necessario di fare, cioè d'impossessarvi bene di quanto è stato da molti secoli confermato, à segno, che diverreste periti nelle novità incerte, rimanendo inesperti nell'accertate da lungo tempo , quali poscia sentendole vi giugneranno nuove ,. sopra di che mi riporto à ciò, che disli nella secondas Giornata , nella quale mostrai, come vi dovrete regolare per divenire Medici. Solo ora vi foggiugno quello, che à questo proposito ne dice Ippocrate, ed affinche meglio discerniate tutto il vizioso, per tenerlo lontano da voi: (m) Multæ namque ad ambitiofam quamdam operam comparat& videntur , ea videlicet , qua de nulla re utili quaftiones agitant ; E quali siano le cose utili nella Medicina, lo spiega in appresso soggiugnendo : Priusquàm verò ad Ægrum ingrediaris , fac cognitum habeas quid agendum fet ;.  ple(m) De dec.org.  che  pleraque enim non ratiocinatione , fed au» dia  xilio indigent : E se ciò non fosse chiaro ida  à sufficienza passiamo al libro De Fractua cioè  ris, dove parlando de' Medici , qui sao da  pientiam fibi falsò arrogant , così chiaracha mente dice : Verùm enimverò multa hoc stil modo hac in arte æftimari folent. Quod la enim peregrinum eft , nèc dùm conftat an en utile fit, confueto, quod jam norunt utile  elle anteponunt , quodque ab ufu communi day abhorret ei, quod eft probè cognitum ; e non evi vi sia discaro di sentire quanto mai à ci proposito redarguisce Ippocrate coloro, ei che vanno cercando le belle idee : (a)  ei Hujufmodi igitur , ubi præellem non tàm de vi curandi ratione cum illis conferrem, verùm, m ut auxilium ferrent audactèr peterem : Veo d. nuste enim cognitionis intelligentia apud eito istos Sparfa eft , cum igitur , bi ex necesitait; te indocti existant, eos ad utilem exercitaci- tionem cohortor, ubi prçceptorum cognitione .: deftituuntur.  L'Ozio padre di tutti li vizj, se non t; lo terrete lontano da voi, vi potria farperdere tutto ciò, che di buono aveste mai acquistato; Egli è capace di farvi nauseare le virtù , d'arrestarvi nel mezo della vostra carriera, d'abbatęrvilo spișito , e finalmente di trasfigurarvi in quella mostruosa figura, che più sarà di suo genio, e sențite appunto, come ne parla Ippocrate di questo pessimo vizio: (b) Quod enim otiofum eft , nilque agit ad improbitatem viam affectat, ad eamque rendit ; Talmente che per divenire voi yeri Mcdici, dovrete fuggir l'ozio , deftruttore d'ogni yostro bene; c per ciò farç, vi dovrete ancora astenere dalle frequenti musiche, dalli ridotti de' Novellifti, e da altri consimili divertimenti, ne? quali non si puol'acquistare altro, che dį pascere inutilmente la curiosità, ed il proprio genio , e ciò con ragione fi puol giudicare tempo perduto, perche profitto alcuno da essi non se ne ricava.  Gran infortunio sarebbe della Me. dicina, quando v'entraffe la Malizia à corteggiarla, avendo questa già impa  rato  (h) Dedecenti babits,  [ocr errors] rato adimitare tutte le bạone virtù con finzioni soprafine , ed in che guisa, ne parleremo più diffusamente in appresso; Solamente ora vi avvertirò, che se tal?  uno di yoi reftasse mai inferrato da fimi31 le vizio diyerrebbe subito uniforme à 1 quei Medici descritti da Ippocrace :(9)  Qui quidem Perfonarum, quæ in Tragediis producyntur maximè fimiles esse videntur ;  mentrechę farebbe tante comparse difi ferenti, quante gliene dettasse la sua madi lizia nelle congiunture à lei opportune , ci mà come termineria la tragedia lo moAd stra Ippocrate chiaramente doppo aver N avvertito, che Orium , ignavia mali  tiam quærunt, soggiugnendo: (d) Hi enim - Sunt, qui fora frequentant , ruditate, ac Ti infcitia sua imponentes, & circulis Civita  tum verfantes ; Talmente che per non cheffer yoi posti nel numero di Parabolani  necessariamente vi converrà fuggire , afe e detestare fimil vizio . Il timore, e l'ardire , con tuttoche K 2  sem-  (c) In Hippocratis lege.  (d) Hippoer.de dec. habitu.   [ocr errors][ocr errors] 2.  [ocr errors] sembrino trà di loro contrarj, nulladimeno vengono molto biasimati da Ippocrate nel Medico, dichiarandoli in lui per segni viziosi d'ignoranza, dicendo egli : (e) At verò imperitia malus eft thefaurus , malaque opes reconditæ iis, qui ram tùm opinione ipfi, tùm revera possident fecuritaris animi, du lætitiæ expers, timiditatis, & audaciæ nutrix; Ac timiditas quidem impotentiam , Audacia verò artis ignorationem arguit. Perloche non di potrete nè segúitare, nè scusare, nè anco sotto lpecie nel primo di circospezzione, e nel secondo di spirito, perche diversi sono trà loro il timore, e la circofpezzione, l'ardire, e lo spirito . Il timore vi farà perdere l'occasione pronta , che vi si presenterà di operare per non faperla voi conoscere, ma non già la circospezzione, che nasce dal poffe dere molto bene ogni danno , ed ogni profitto, che ne poffino risultare da ciò, che voi farete, onde questa vi renderà folamente per breve tempo irresoluti,  e fino (e) Hipp Text.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] e fino a tanto, che averete bilanciato il bene, & il male, e conosciuto, ch'avrete quale delli due prevalga , sarete prontissimi esecutori di quanto avrete deliberato. L'ardire poi per essere temerario vi porterà con violenza ad operare , onde non vi farà diftinguere quando ve ne dobbiate servire , dove, che lo spirito , che vi rende perspicaci, & accorti, Ve. lo farà ben capire , quando fia tempo. opportuno di farlo, conforme egregiamente avverti Ippocrate : (f) Temeraria namquè proclivitas, do promptitudo,quam. vis valdè fit utilis, despectui eft , at confiderandum quando bis uti liceat.  L'Odio è un vizio, che trà li maggiori può divenire il primo, quando fi stenda fino alli ultimi confini della sua iniquità, cioè alli benefizj ricevuti, pafsando allora à quell'esecrando reato , che solamente trà gl'uomini regna, esfendone le bestie più fiere esenti, conforme da tanti esempj registrari nello Istorie si può comprendere, & in ispecie  di (f) In lib.de Medica  [merged small][ocr errors][merged small] K 3  [ocr errors] [ocr errors] di quel fiero Leone , che nell'Anfiteatro Romano il' véce di divorare il suo Beriefattore condannato ivi ad bestias, lo difese dalla violenza delle altfc, mà quellos che si rende più considerabile, si è, che alle volte' , quanto č maggiore il benefizio, tanto più viene perseguitato dall'odio, giacchè al parere di Tacito: (g) Beneficia coʻusquè leta sunt , dùm videntur exfolvi poffe, ubi multum antevenere pro gratia odium redditur; Darebbe l'animo à voi non dico di seguitare' vizio sì obbrobrioso, e ripugnante' ad ogni  in il pretesto del naturale di chi lo segue , inclinato a farlo, per non potersi moderare. Senticenc però prima d'impegnarvi à ciò, cosa ne diffe ad Ippocrate, quel grand’amatore della giustizia Democrito:(b) Plerique' verò quæ natur& hoc adSéribentes Benefactorem odio' habent, co parům abeft ut indignè ferant fi debitores effe puténtur , fed eu pleriquè artis ignorantiam in se ipfis habeotes, a imperiti  (g) Annal. lib.4. [h]. Epiß. ad Damageexiftentes, id quod meliùs eft purgant intero   stupidus enim fiant suffragia. Talche il   solo sospetto d'essere infetti da un fimile   vizio, vi renderia incapaci per sempre   di quanto voi bramate conseguire.       Quanto mai sia difficile d'esprimere  tutte le trame dell'ingarinoz ed impostu-  ra, sentitelo riferire da Ippocrate in tal  guisa : (i) Difficile eft multorum malorum  machinatricem folertiam verbis exprime-  re, cum eorum fit infinitas quædami din  bis cum dolofis conimentis prava mente in-  ter le conversentur; apud eos autèm virtu-  tis modus habetur , quod eft deteriùs; men-  dacia enim amant, do in bis fe exercent,   voluptatis ftudium extollunt; legibus mini-  me parentes a   Certamente che meglio non fi poteva da Ippocrate esprimere l'inganno vizio tanto diletto da' maližiofi Impostori, mentre da questi li modi più improprj, che si praticano sono credati per loro virtù , nè fi seguita da efi altro studio, che della menzogna, nè fi atten  de (i) In epist.Domaget.  [merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] K 4  1.  avendo  de ad altro, che à piaceri, e diversi-  menti, fenz'alcun timore di gastigo. Le  tristizie di costoro non si pofsono mai   à bastanza esprimere, stanteche, fingen-  dosi questi Mcdicis con modi improprj.  accreditano li loro medicamenti , non   punto di rossore ne di servirsi di testimoni corrotti, che con menzogna: attestino il gran giovamento, che das quelli ne ricevettero con tuttoche non se ne fossero mai prevaluti, nè di ripromettere ne' mali incurabili quella certa salute, che non è in potere de' Medici,  , quantunque espertislimi , il farla conseguire ; In oltre giudicano graviffimi, e inortali tutti quei mali, benche di sua natura leggieri , purche rechino aglo Infermi qualche apprensione, affinche credano questi esfere stati mediante la. loro virtù risanati , e d'avantaggio , per non essere riconvenuti d'aver errato ne? pronostici, parlano con doppio linguag. gio , à tal’uno diranno, che quel tale Ammalato deve necessariamente morife,& ad altri, che deve infallantemente  mie  [ocr errors] rllanare, per avere pronto si nell'ano, che nell'altro evento chi contesti la loro, fimulata perizia in sapere ben prevedere gl’esiti de' mali; Milantano in oltre costoro i loro grand’arcani, con i quali fi vantano d'avere refuscitato molti, già fatti spediti da Medici. Solamente dico. no con verità, che in mano loro niuno. muoja, perche ridotti che li hanno in: pessimo stato di salute, abandonano li loro Infermi, non potendoli più lusingare con le solite false speranze di salute, de' quali prima fi servivano per ifmugnere le loro borse. Per inantenersi poi in creditozli pongono forto alte protezioni, e sfuggono d'incontrarsi con Medici dotti, ed esperti, non porendo ftare à fronte con chi ben sa discoprire la loro ignoranza . Al divino Ippocrate furono note alcune di queste verità, mentre egli (1) così ne parla : Qui igitus in ignorantia profundo fubmerfi funt , ij prædicta ( cioè l'operare con ingenuità) minimè percipiunt , cum Medici nomine iz  digni [] Intib.præcepat  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] 'digni re ipfà comprobent ; quàm repente  evetti fint , fortune tamén egentes per die  vites quofdam ex anguftiis emergunt viri-  que es éventu nominis celebritatem adepti  &c. ed in appreffo : Qui certè ad curatio-  nem non accedunt ; ubi vident miserabilcm  effe affectionem, c ejulatibus plenam, alio-  rum-Medicorum congreffum fugiunt; e in  altro luogo: (m) Qui igitur eos reprébena  dunt qui viltis à morbo manus non admo-  vent , non minùs adhortantur ad ea fufci-  pienda , quæ attingere fas non eft ; quàm  que fas eft , in eoque apud eos qui nomine  tenus Medici sunt admirationem fibi conci-  liant , ab artis verò peritis ridentur.   Mà crescerebbe più oltre ancora l'iniquità di costoro, quando ; che unisfcro alle loro male arci l'ippocrisiaj conforme che più volte si è osservato' ins ral'uno di essi,che postosi adosso un'abito di fimulata penitenza, e' čutto umile con li seguenti artificj procurava di maggiormente accreditarli. Introdotto, ch'egli era clandestinamente in qualche  cura  (m) in lib.de Arte,  čura, doppo di aver fatte molie insolite, ed affetrate offervazioni intorno all'Ammalato, cosi incominciava à parlare : Io coinpatisco infinitamente li Signori Medici, che lo curano s perche questo è un male'assai oscuro , e difficile à ben curarsi, non essendo ciò da cutti, fin qui scorgo , che hanno fatto tutto quello , che sapevano", nè io drdisco di biasimare ciò, che fino ad ora harino fatto, perche quest'abito ; che porto in doffo non mi permette di dir male del mio prosimo, nè di togliere la riputazione à Profeffori cotanto accreditatie tanto maggiormente, che quando anche non foffe ftato fatto a fuo' dovere ciò, che si è fatto sin’ora', non siamo più in tempo d'impedirlo, dico bene , che io peccherei mortalmente, se non' dicelli libera.. mente ciò, che debbasi fatie in avvenire, questo male à conto mio và curato in tal guisa : Primieramente gli si devono dare i tali, e tali' rimedi , e dipoi develi fare in questo modo, e ac fi opererà diversamente, io mi protesto che questo poveroInfermo se ne morirà quanto prima ; e lo.   vedrete con vostro cordoglio. É fe tal  uno degli astanti più prudente lo prega-  va d'abboccarsi con li Medici della cura,  à fine di comunicar loro questi suoi sen-  timenti, ei ricusava tal congresso, con  pretesto , ch'essendo odiato da tutti li  Medici per la sua ingenuità, e dottrina  non fariano mai condescesi à quanto di  buono egli avesse proposto, onde , che  reputava non solamente superduo tale  abboccamento , må ancora non pratica-  bile da un suo pari, che deve,per l'umil-  tà, che profetava, effere injinico delle  difcordie; onde avessero pure fatto ciò,  che ad esli pareva , e piaceva , bastando-   gli d'aver accennato il gran pericolo, ed  il modo insieme più sicuro da sfuggirlo  per mera carità di giovare à quel povero  Infermo così aggravato , non già per in-  teresse alcuno, da cui egli n'era lonta-  nisiino. Infinite confusioni cagionarono  simili parole pietose in più cure , stante-  che tal’uno de' più creduli, che vi si tro-  vorno presenti, diffe : Sentiste , con che   [merged small][ocr errors] modestia parlava quel sant'Uomo, se non fosse così scrupolofo, oh quanti errorici averia discoperti, commesli da' noftri Medici ignoranti in questa cura ! Si vede però, ch'egli intende, perche hà fatto certe osservazioni particolari intorno all'Ammalato, che non le abbiamo vedute fare da' noftri Medici. Ed altri di più consigliavano à licenziare tutti li Medici per farlo curare da esso folo, per-. fuadendofi, ch'egli l'averia certamente guarito . Quali danni ne riportino li poveri Infermi da costoro, che Medicorum congreffum fugiunt,gli espresse assai bene, e con pochissime parole Ippocrate nel sopracitato libro , dicendo ivi; Ægroti verò dolore conflictati in utrâque improbia tate natant ; cioè in quella dell'ignoranza, e dell'inganno di simili viziosi Impostori.  Quello però, che reca non ordinaria meraviglia si è, che il popolo più volte caduto à dar fede à fimili viziosi Impostori con danno notabile, & evidente della propria falute ritorna di bel  nuo  nuovo a creder loro , & à restarne insieme nuovamente deluso, conforme ancora che con tutto abbiano questi nociuto à molti, niuno contro di essi dell'offesi ne fà risentimento , e la cagione di ciò / non puol'essere altra, che godono questi quel vantaggio, che hanno le donne di mala vita, da cui ne s'allontanano molti, che da esse furono danneggiati, nè alcuno contro di esse ne fà rilentimento proporzionato al male ricevuto', e ciò cre. do, che segua sì nell'uņo, che nell'altro caso,per la vergogna,che ogn’uno di essi hà di manifestarsi con atto publico per imprudéte, onde perciò pazienta,e ţaçe.  E finalmente se per disaventura un fimile yizio contaminafle mai il Media co dotto, ma politico, oh quanti danni ancor peggiori di questi apporteria à molti, posciacchè inestandosi al ben radicato sapere l'inganno , e l'impostura , che frutti velenosi mai produrrią unas fimile pianta ? e nocenda questi senza effere creduti nocivi, non solamente trà l'idioti , mà ancora trå li più cautelati,  e cir.  )  )  e circospetti troveriano lo smaltimento, c per non diffondermi più oltrc, dirò solamente che il Medico dorco, e politico, quando che fosse divenuto Impostore, avendo egli perduto la sua ingenuità diverrebbe allora non solamente tiranno de' suoi Infermi, facendo loro arţificiosamente credere , che da esso depende lą loro falute, anziche la vita isteffa , e che non poțriano nè pure un momento di più yiyere, quando si allontanassero dal suo consiglio,& ajuto,mà ancora di tutti gli altri Professori ingenui , potendoli conculcare à suo piacere per prevalersi egli delle frodi somminiftrategli dall'inganno, alle quali non potendo contraporre le proprieşper esserneprivi,conviene loro cedere , per non sapersene schermire, giacchè Års luditur Arte. Fuggite dunque yoi, che ambite di mantenervi ingenui, e divenire veți Medici fimil vizio, e voi, à cui specta d'invigilare alla publica salute.  Non tantum tollerate nefas hanc tole lite peftem.  Ded [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Del miserabile vizio dell’Ignoranza poco sarà d'uopo parlarne, sì perche vi è già nota la sua deformità, sì ancora perche vi vedo incaminati à gran passi per la strada della sapienza,solamente vi riferirò per vostra consälazione, affinche prestamente ne diveniate veri possessori di questa, ciò, che Ippocrace à questo proposito insegnò, con una bella somi  glianza , & è: (n) Non alitèr enim ac Miniftri , & Miniftræ in domibus tumultuantes, ac ceriantes , fi quando de repente eis hera adfuerit, attoniti conquiefcunt , fimilitèr etiàm reliqua animi cupiditates malorum, hominibus funt administre, at ubi fapientia in conspectum fe dederit, tanquàm mancipia reliqui affe&tus difcedunt. Insegna parimente Ippocrate nell'iscoprire li seguaci di tal vizio il modo da conoscere li Medici ignoranti, mà di ciò non devo parlarne, perche il mio fine è diretto à detestare li vizj , fenza andar cercando li viziosi. Non però tacere devo il gran danno, che questi apportanoalla povera Medicina riferito da Ippocrate irel principio della sua legge in tal guisa : Omnium profectò artium Medicina nobilisfima, verùm propter eorum , qui eam exercent ignorantiam c. omnibus artibus iàm longè inferior habetur .  Finalmente con la Maledicenza terminerò io ancora di dir male de vizji questa è un vizio assai incivile, perche opera sempre contro li buoni costumi, e contro la civiltà , questa certamente non si dovrà seguitare da voi, venendovi da Ippocrate tanto proibita nel libro : De Medico, che in tal guisa incomincia: Hoc fcripto Medico imperamus, eo dicimus, dove tra l'altre cose, che coinanda vi sono le seguenti: Ut animi temperantiam excolat , non taciturnitate folùm, verùm etiàm reliquâ totius vitæ moderatione , bom nis, ac honeftis fit moribus, & æquus in omni vitæ confuetudine fe præftare debeat ; Le quali cose come le potrete osservare, essendo maledici ? Ed affinchè meglio comprendiate quanto il ben moriggerato Ippocrate odiasse questo vizio, passia  L  mo  [ocr errors] mo à rillettere ciò, ch'egli dice nel libro  De Arte , il quale comincia così : Non  nulli turpitèr in sectandis artibus artifi.  cium suum collocant , neque id, quod facere  Se credunt meo quidem judicio obrinent , sed    Jue scientia oftentationem faciunt aci E  poi soggiugne : Qui verò ea, quæ ab aliis  sunt inventä inhoneftorum verborum arti-  ficia contaminare contendit , nequè quida  quàm corrigit,   fed à peritis inventa, apud imperitos traduçit . Is fanè prudentice exiftimationem tueri velle non videtur , fed potiùs naturam fuam, aùt ignoratiam nem malitiosè prodere : Solis enim artium ignaris, hoc opus competit, qui ambitiofiùs quidem contendunt , neque tamen improbie tate suâ ullo modo præftare poffunt, ut aliorum opera, vel recta calumnientur , vel non recta repræhendant : Eos igitur , qui in alias artes hoc modo invadunt,coerceant, fi poffint , quibus hæc cura eft, quorumque id intereft. Vedete voi à che segno odiava il divino Ippocrate li maledici, che voleya , che fossero ristretti , essendo indegni di convivere tra uomini di ono.  re  [ocr errors] [ocr errors] re. Crederei, che quanto hà detto cosi chiaramente , & al propoliço Ippocrate vi pofsa bastare per odiare un limil vizio, e tanto maggiormente se rifletterete, che quanto voi direte di male degli altri, altri ancora ne potranno dire di voi , ficchè parlate bene degl'altri, Ò tacete  Țacerò ancor Ia per non nausearvi di vantaggio nel descrivervi la laidezza di tutti gl'altri vizj, sperando , che ciò, che vì hò detto di questi pochi,pofsa baftare, per farvi prendere odio a tutti gli altri, ed à quel segno , che li viziofi lo porteranno facilmente alle virtù, qual? odio pero spererei, che in un subbito deponessero į viziosi , se spogliati per pochi momenti d'ogni loro difetto, si aboccaflero insieme con effe, allora cofa disebbono sentiamolo da Seneca; (a) Quidquid opravi inimicorum execrationem puto ; Quidquid timui Dii boni quantò melius fuit , quàm quod concupivi cum multis inimicitias gefi, & in gratiam ex odio res  L 2  dii (a) De Vita beata cap.2.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] dii buc. quid aliud quàm telis me opposui dc.  Avere inteso come parlerebbero bene li viziosi se avessero la forte dili berarsi da? loro difetti solamente per breve tempo, approfittatevene dunque voi, giacchè per sempre, se vorrete, potrete effere di mente capaci di conoTcere la loro deformità, e fuggirla. Mà quando mai credeste per cosa molto difficile di potervene affatto spogliare, fate almeno, che con le vostre virtù vi si fra. meschi solamente tanto di vizioso, quanto communemente si tollera nell'oro di lega bassa , c non più , che non arriva ad avvilirlo, nè à fargli perdere il suo vago Splendore.  Passerò ora alla seconda parte per esaminare se li vizj ermafroditi si possino alıneno tollerare nel Medico.  Per vìzio ermafrodito intendo quello, che dalla malizia , e dall'inganno viene talmente trasmutato in virtù, che difficilmente si potrà discernere, se prima non si scoprono le sue parti vergognose,  che  و  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] che fino ad ora non hanno sapuco, ne  potuto ricoprire. Sia per esempio, se la malizia,e l'in-   ganno vogliono , sono capaci di trasfi-   gurare così bene la superbia in umiltà,   l'iniquità in zelo di giustizia , che diffi,   cilmente senza l'ajuto del disinganno ,   che scopre le loro vergogne , li potranno   distinguere. Nel prino caso si serviran-   no facilmente de' seguenti artificj. Da-   rete à suo tempo voi un'opera alla luce,   ò vi riuscirà felice la cura di un male  grave, è cosa facile, che ne abbiate del  compiacimento interno, e questo avvan-  zandosi più del dovere, è facile ancora,  che palli à farvene qualche poco insu-  perbire, di quell'opera, di quella bella  cura, cosa faranno la malizia, e l'ingan-  no per farvene affatto insuperbire ? Ri.  copriranno la piccola vostra superbian  con il manto dell'umiltà , & in congiun-  tura, che sentirà lodarvi gl'insinueranno  in tal guisa à rispondere : Questo non so-  no cose degne di lode, sono bagattelle,  non meritano d'essere lodare da un Vir: L3 tuofo suo pari, sono parsi di un debbole ingegno ; Chi sentirà si limili risposte resterà sorpreso da üná tanta umiltà, ed állora maggiormente s’infervorirà dilo darvi, entrerà nelli meriti della causazed allora appunto avranno compito il loro negozio,in farvi maggiormente insuperbire, che cosa converrà fare per iscoprire le vergogne alla in ascherata superbia , per conoscere se quella umiltà sia stata vera ; ò fimulata; bisognerà ricorrere al disinganno, che la scopra. Aspetterà questi facilmente la congiuntura proposito, & in vece di lodaryi dirà tutto quello, che la finta yostra umiltà aveva già detto di voi, con qualche par, ticolarità di più, che sarà vera , sì perche il disinganno non mentisce; sì ancora perche i chi è capace d'insuperbirli, non essendo di gran prudenzaś può in qualche cosa trascorrere ; Allora sentendosi la superbia toccata sul vivo lacererà in un tratto il bel manto dell? umiltà, e da se medesima mostrerà le fue vergogne rispondendo : Come ! non  fono  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] ز  sono cose degne di lode? sono parti di  un debbole ingegno sono bagáttelle?  sono tutte cose d'eterna memoria ; voi  non le capice, perche liete un'ignorantë.  Che ne dite ? questa è quell'umiltà, che  una volta parlava così bene; è forse scu-  sabbile nel Medico avendo questa un  naturale si fraudolento? Mi persuado ,  che ora, che la conoscere ; non la scuse-  rete, anzi la biasimerete più costo. Nel secondo caso se venisse in pen-   siero à tal’uno, che Iddio non voglia, di   promovere al servigio d'un'Ipocondria-   co da lui curato qualche suo amorevole,   mà dovendosi rimovere chi attualmente  lo serve, e competencemente bene, sen-   za l'ajuto della malizia, e dell'inganno.».  non si poiria ciò effettuare. Questi cacci-   vi vizi per servirlo, che cosa faranno ?   procureranno di vestire l'iniquità con   abito di zelo di giustizia, e che diča à   quell'Ippocondriaco, ch'è vero, che   viene servito bene da quel suo Ministro,  mà che premendogli tanto la sua salute,   il suo zelo, & il suo obligo richiedono   [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] gli procuri sempre li suoi vantaggi, ed in ispecie trattandosi di propria salute, e di salute, che gli premetanto, per 12 conservazione della quale il Signor Tale foggetto nel suo mestiere unico, che non hà pari, saria veramente à propofito , mà non per questo è dovere di far perdere il pane à chi lo ferve, si dice solamente, che lo sappia , che vi è chi lo servirebbe assai meglio, caso che capitasse mai congiuntura ; Fatti, che hà l'iniquità questi projetti ad un'Ippocondriaco, che non brama altro, che vivere, con tutto quel di più di male, che sentirà dire  per altre  vie di quel povero galantuomo, che lo   serve,procurate da chi vuole lubentrare;  Credete voi, che non si effettuerà fimile  tentativo dall'iniquità? Forse prima di  otto giorni farà espugnata la Piazza,  perche tanto si batterà, che si farà brec-  cia, e vi si porrà dentro, e di sì bella  impresa ne trionferà la sola iniquicà. Voglio, che sia vero , che il  Ato ne sia capace, má vediamo un poco  se il fine è stato retto, e se il zelo digiu-   stizia  1  che il propo  [ocr errors] [ocr errors][merged small] stizia ne fù egli il primo motore? Chi avrà procurato simile ingiustizia , certainente, che non sarà molto eccellente nel suo mestiere, perche chi è tale, è ancora giusto , e prudente, dunque ve ne saranno de' più esperti di lui. Ciò supposto procuriamo, che il disinganno ne faccia le sue diligenze, e questo facil. mente farà infinuare al sudetto Ippocondriaco, che giacchè hà megliorato nella mutazione di quel suo Ministro, procuri ancora di mutare il Medico , e ne trovi un'altro megliore di quello, che ha presentemente, e piacendogli tal'insinuazione, cd effettuandola, cosa dirà colui, quando si vedrà fuori del servigio? fi lamenterà forsi del torto, che gli ha fatto, avendolo tanto tempo ben servito ? mà di chi si lamenterà? dovrà dolersi di se medesimo, perche gli è stata fatta quell' ifteffa giustizia , ch'esso hà procurato foffe fatta altrui; Dà dunque a conoscere chi operò in questo modo, che non ebbe per fine il zelo di giustizia , perche questo non gli è piacciuto, mà forse ne  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] ebbe  [ocr errors][ocr errors] ebbe qualchedun'altro di quelli, che low no chiamati secondi fini, cosa ne dite voi di questo vizio ermafrodito & vi pare di poterlo scusare nel Medico; e se ve ne fofreche non credo ; tal’uno trá efi to scusereste forse ? Io per me lo scuserei nella forma appunto , che diffe di fimili viziofi Democrito ad Ippocrate: (b) Cum igitur tot indigenas; e miferas ánimas videamus quomodò eorum vitam ejusmodi intemperantja deditam ludibrio. non bao beamus 2  Molte altre frodi,tramåte dalla malizia, e dall'inganno potrei orá riferirvij fe non dubitäsli, palesate; che fosseros che tal’uno ( di voi non dico , che siete di ottima inclinazione ) sentendole riferire se ne potesse abusare; onde in ciò procurerò con Tacito più tosto Artem oblivionis , quàm memoria.  Avete già udito la gran deformità de' vizj, il danno, che apportano a'suoi seguaci, ed il non doverfi seguitare ; nè fcufare in conto alcuno , che possonofervirvi di motivi efficacissimi per tenerli lontani da vois purche non si siano di già radicati ne' vostri cuori, nel qual caso faria necessaria la gran Medicina proposta da Ippocrate per isvellere affatto li vizj, ch'è la seguente: (C) Equidem omnes animi morbos vehemences(che sono appunto i vizj) insanias reputo ; cùm opiniones quasdam, da vifa rationi fufcitant, ex quibus fanéscit s qui per virtutem repurgatur.Preparerò dunque per la Giornata di domani la sudetta Mediciija,dalla quale se ne avrete bisogno rimàrrete certamente sanatis casos che nò, preservati almeno da fimili infezioni, in avvenire . Venite tucci, che vi aspetto con desiderio ; perche sarà Giornata di molto profitto quella , in cui si parla delle virtù.  [ocr errors][merged small] [blocks in formation] Nella quale.  fi discorre dell'acquisto delle virtà, e del bene , che apportano al vero Medico , e se alcuna di effe  fi poffa in lui cenfurare  non  Vanto mai sia infelice, e miferabile  la condizione umana,lo dimostra.  110 non solamente li vizj,mà anca. ra le virtù, posciacchè li primi,che tanto nuocono, spontaneamente in noi germogliano, e le seconde, che sono così utili,  senza reiterare fatiche, & una lun. ga , & industriosa coltura si acquistano. Appena nasce l'uomo, che in lui subitamente l'ignoranza si manifesta, e quel primo vagito , che dà n'è il primo contrafegno , mentre non ne sà ancora il perche egli lo faccia : Cresce, ela malizia fi scopre, l'ira, e la gola si manifestano ; S'inoltra nella gioventù , e la lussuria si risente, e di mano in mano , che gl’anni fi avanzano, li vizj tutti un  dop  [ocr errors][ocr errors] doppo l'altro fi veggono germogliare;  Con ragione dunque disse Democrito :  (d) Totus homo ab ipfo ortu morbus eft ;  e ne assegna la cagione : Talis enim ex  materno cruore Sanie permixto promicuit  Infelice , e miserabile dunque condizio  ne umana, che per fare acquisto di ciò,  che l'è nocivo, punto non hà d'affaticar-  si, perche spontaneamente li vizj li fan-  no possessori di noi, essendo concepiti,  e nascendo con noi medesimi, e questa  è la cagione, perche erunt vitia donec  homines, dove, che per ottenere ciò ,  ch'è di nostro sommo bene dupplicate  fatiche si ricercano; La prima delle quali  consiste nello svellere da noi le tanto im-  poffeffate radici de vizj, e l'altra d'an-  dare à poco à poco introducendo in sua  vece li semi delle virtù, e ciò non basta,  perche conviene ancora di cuftodirli  fino à tanto, che siano assicurate bene le  loro radici, per non essere dove sono se,  mentari suolo nativo. E perche ò lante  virtù spontaneamente ancor voi, ccon   quel(d) In epi.2.Damaget.  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small][merged small]  quella medesima facilità non germoglia.. te in noi per renderci felici? Conosco, che voi fiere un'attributo divino, ma non per questo, vi dovęte tanto sdegnare di unirvi con noi, che siamo creati ad im. magine, e fimilitudine di Dio, conosco ancora, che per ricevervi li richiede abitazione espurgara da ogni iminondezza, pura, e proporzionata à voi, e se per questa cagione voi state lontane da noi, la colpa non sarà la vostra, mà bensì di noi medesimi, che siamo quelli, che vi impediamo l'ingresso, e che ritardiamo si gloriofe conquiste, che ci possono rendere beati, con trascurare ciò, che voi richiedete  Oggi sì, che voglio far prova di voi per conoscere à che segno liano gli animi vostri generosi, e se avere ancora acquistato l'uso di ragione , potendo, se vorrete, ciò che si trova d'infelice in voi commutarlo in prosperità, e ciò, ch'è disgrazia in fortuna: Accingetevi pure, se ne sarete sprovisti, all'acquisto delle belle virtù, se ambite divenire Semidei,  dicendo apertamente Ippocrate, (e) ches Medicus Philofophus Deo &qualis habetur ; e cosa voglia intendere per Medici Filosofi lo spiega divinamente in appresso, cioè quelli, che habent , quç faciunt ad demonstrandam incontinentiam, quatuoSam, ac sordidam profefionem, inexplebilem habendi fitim , cupiditatem , detraa &tionem, impudentiam ; che sono per l'appunto quelli, che seguirano le virtù , ed hanno in abbominazione li vizj.  Sbandito dunque , che avrete da voi ogni vizioso inquinamento, e perciò renduti più capaci dell'acquisto delle eroiche virtù, proporrò in primo luogo ciò, che concerne alla Religione, come quella, ch'è la suprema di tutte le virtù, & ancora la loro base fondamentale, in cui sono appoggiate tutte le altre.  La Religione quanto debba essere àc  cuore al Medico, sentitelo da Ippocrate: (f) Hactenus igitur cum sapientia, communionem , eorumque etiàm plurima habet Medicus, nam & Deorum cognition  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] дет  (C, &f) Hippode $65.0TMnem ipfe potiffimùm animo complectitur , cumque aliis in affe&tibus , & casibus Medicina multum Deos colere comperitur duc. e tutto ciò lo afferisce dapoi di avere insegnato, che nella Medicina vi era ancora: Superftitiofi metus aversatio preAantia Divina . E non solamente à benefizio vostro ciò converrà , che facciate , mà ancora à prò de' vostri Infermi, perche venendo ogni bene dal Cielo , nelle vostre più gravi, e pericolose cure converrà , che non vi fidiate della vostra fola perizia, mà ancora, che supplichiate Dio, che vi assista con la sua santa grazia à bene indirizzarle; qual pio sentimento si ritrova ancora descritto in Ippocrate, e dato à coloro, che disprezzando gli ajuti Divini , fi raffidavano solamente ne' loro incantesimi, à cui cosi parlò risentitamente; (8) Quos contrafacerc decuerat, facra facere nimirùm , & precari , ad Templa deducere, Diis fupplicare ; e sotto dice: Maxima ergò, fceleratisima peccata Deus expiat , dapu  rificat (g) De morbo facro..  rificat tuteláque noftrâ existit ; e non imitando voi la gran pietà di tanto Maestro come potrete essere annoverati trà suoi seguaci ?  A questa viene in seguela la Prudenza , la quale è una virtù al parere di Democrito riferito da Ippocrate, che non solamente fà conoscere, e bene distinguere il prasente, mà ancora fà prevedere il futuro: (a) At folus hominis sensus recta intelligentia eminùs splendescens. Quod præfens , & futurum eft prævidet; E questa è quella, che toglie ogni confufione, e libera da qualunque pericolo chi la poisede : Qui enim hæc ipsa prudenti cogitatione difponunt , ii & facilè liberantur , meum risum fubleuant ; E questa non si può ottenere senza prima rimovere da noi tutti quei vizj, che prevertono la nostra mente, trà quali li principali sono l'ira , la superbia , l'avarizia , l'invidia, e l'inganno, li quali sono tutti capaci di farla prevaricare, e renduta che sarà per la mancanza di  M  que(a) Epist. ad Damag.  [ocr errors] questi quieta, e tranquilla , la Prudenza con maggior facilità si potrà acquistare.  Senza questa bella virtù, regolatrice di tutte le buone operazioni, non pensate di potere esercitare la Medicina, perche come vi potrete regolare senza effa , allorche v'incontrerete in Maláci indiscreti, e disobbedienti, in mali simulati, in controversie con altri Profeffori, ed in tanti altri emergenti, che vi possono giornalmente accadere, in quali laberinti vi trovereste? in quante confufioni, se non aveste la scorta della Prudenza, quali inquietudini provereste se foste privi di sì bella virtù ? (6) Non poteft effe vita jucunda, à qui abfit Prudentia , come disle Cicerone; Cni possiede detta virtù hà quanto di buono poffa mai desiderare, ftanteche (c) Nullum Numen abest fi fit Prudentia.  Quindi è, che Ippocrate fino, che visse non solamente fi fece regolare in tutte le fue operazioni da questa virtù, come nelle sue memorie si scorge, mà consiglia li suoi seguaci , e comanda loro insieme à non discostarsi punto dal suo patrocinio, insegnando ancora il modo per acquistarla, conforme da moltislimi suoi documenti potrete comprendere , de' quali ve ne riferirò quei soli, che sono registrati nel libro De decenii habitu , dove doppo aver descritto il vestire positivo del Medico accreditato, soggiugne : Qui se fe, ex cultus venuftate , frugalitate, non tàm ad fuperfluam curiofitatem , quàm ad optimam existimationem, prudentiam, e animi moderationem compararunt; e passando à ciò, che deve provedersi di necessario  con(b) 5.Tufculon. (c) Juven.fat.10  per  il suo mestiere , lo avvertisce, che sia prudente in farlo, altrimenti : Horum penuria mentis inopiam, at detrimentum affert ; Vuole anco in appreffo, che usi prudenza in prevedere ciò, che può avere di bisogno j'Infermo, che non operi con animo turbato, che sedi le confusioni, e li tumulti, che sgridi l'Infermi disobbedienti,l'intimorisca , mà insieme con prudenza, che Blandè eos excipiendo, consoletur , confor  [ocr errors][ocr errors] [ocr errors][ocr errors] me ancora, che avverta di non li prevalere di Sostituti imperiti, affinche de' loro mancamenti non resti esso debbitore, e quelli , che opereranno in tal guisa cosa acquisteranno? Gloriam tùm apud majores, tùm apud pofteros fibi comparabunt; e finalmente insegna il modo di conseguire con facilità la sudetta virtù, soggiugnendo : Qui etfi non multarum rerum cognitionem habent , earum tamen ufis afliduo prudentiam affequuntur .  Apprendercla dunque ora, che fapete il modo facile per conseguirla , caso,che non ne foste proveduti à sufficiene za , per imitarlo anco in questa.  La Giustizia, una delle altre virtù principali confifte, al parere di Galeno , di dare à ciascheduno ciò, che gli compete: (d) Naturæ iustitiam in eo confiftere, ut quod unicuique competit distribuat ; E. questa non la potrete acquistare, se da voi non terrete lontana l'iniquità, con turti li suoi vizj feguaci, che sono le passioni, l'adulazione, ed altri, che operano tutto il contrario di ciò, che alla   Giustizia piace. Il bene, che apporta  detta virtù è dupplicato, perche non fo-  lamente benefica chi la riceve , mà an-  cora, chi l'esercita; chi la riceve ottiene  tutto quello , che deve desiderare, e  conseguire, e chi l'esercita non puoles-  sere censurato à ragione, perche le sue  operazioni saranno sempre regolare con  giustizia, e tutta quella giustizia, che  si fà , si riceve ancora da altrui, in ciò ,  che riguarda gli proprj avanzamenti  ftanteche (e ) Fundamentum perpetud coe  mendationis, famæ eft juftitia, fine qua  nihil effe poteft laudabile. Meritamente  dunque compete al giusto di fiorire co-  me la Palma : Juftus ut palma florebit,  perche conforme la Palma quanto è più  caricata di grave peso, tanto maggiore  mente sormonta , così ancora il giusto,  quanto più fi procura deprimerlo, tanto  maggiormente viene inalzato.        Questa eroica virtù non solamente  viene incaricata da Ippocrate al Medico   [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] M 3  con  (e) Cicero i.de Offic.  con precetti, dicendoli : (f) Æquum autem in omni vitæ confuetudine se preo ftare debet ; e ne assegna la ragione, fog. giugnendo: Cum omnibus in rebus multum fit in justitia præfidii; mà ancora fù da lui medesimo seguitata, conforme in tutte le sue memorie si può rincontrare, trà quali per non dilungarmi, riferirò solaméte ciò,che si legge in una lettera da lui scritta al Senato di Abdera, nella quale dicc à tal proposito : Ego verò fi omnibus modis ditefcere voluiflem viri Abderita , nè decem quidem talentorum gratiâ ad vos venirem , fed ad Perfarum Regem proficifcerer , ubi Urbes tote opibus humanis refertiffime occurrissent; e ne assegna la cagione, perche ei non lo fece foggiugnendo: Regias autèm opes ignominia mihi futuras, opulentiam Patria inimicam reportaffem, quibus circumaffuens Urbium Grecia deftructor exifterem ; Antepofe dunque Ippocrate à sì confiderabiliffimi proprj vantaggi il publico bene, fù dunqu'egli perciò disinteressarissimo,e come  tale (t) De Medico.  [ocr errors] tale fece conolcere à che segno amava la giustizia, non potendolo chi veramente l'ama con prove più demostrative far costare, che con quelle dell'essere di. finteressato.  Custodire dunque la Giustizia co. me pupilla delli vostri occhi , perche questa è quella , che vi può rendere feli. ci, non potendoyi mancare cosa alcuna, quando la vostra mente sia giusta, come viene espresso in due versi esametri scol. piti sopra la Porta Romana di Marino mia Patria, Feudo Nobile dell'Eccellentiffima Casa Colonna, che sono: Hic tibi tuta quies, do que cupit odia  virtus. Defisietquè nihil, fo mens non deficit  equa ,  Infeparabile dalla Giustizia deve effere la Fortezza, pofciacchè non sempre li potrebbe eseguire ciò, che la prima dispone senza l'autorità della seconda. Ippocrate diede la legge conforme fi avevano da regolare gl'Infermi,mà ordinò ancora al Medico fuo Esecutore,  che  M 4  che in caso di trasgressione de' suoi Malati fi armasse di fortezza per farla eseguire : (8) Eumque à fuis cupiditatibus deterreat, bu fimul quidèm cum amaru- , lentiâ vehementèr increpet . E questas virtù come s’acquista ? con togliere da noi ogni timore, ogni pufillanimità, con invigorire lo spirito, e rendere l'animo pronto, & obbediente ad eseguire ciò, che li viene dalla discrera Giustizia ordinato'.  Doppio bene parimente ne nasce mediante la sudetta virtù ; Il primo è , che sono sicuri gl'Infermi curati da chi è giusto di non essere adulati, ponendosi da essi in esecuzione tutto ciò, che loro compéte, e non di vantaggio, e l'altro è, che chi la possiede ne riceve stima , erispetto,ponendo in sogezzione coloro, con quali si tratta .  Örnatevi dunque voi ancora di quefra neceffaria virtù, dovendo nelle occorrcoze resistere alli'defiderj dopravaci de voftriInfermi, male avvezziin sanità  ز  [ocr errors] à cra  (5) Hippode decenti ornatu ,  [merged small][merged small][ocr errors] * crapulare giornaliente , e dovendo  opporvi à ciò, che fuor di proposito ver-  rà motivato dagli aftanti, come potreste  resistere, se non foste armati di fortezza,  e costanza , neceffariamente caderefte  nell'adulazione con danno sì della loro  Calute', che della vostra riputazione ;  oltre di che con pochi contradittori vi  abbatterete , perche conoscendovi di  quell'animo descritco da Orazio ;   Juftum ; tenacem propofito virum.  Non Civium ardor prava jubentium,       Nec vultus instantis T yramni        : Mente quatit.  Per loro quiete più di uno vi lascierà  stare senza recarvi moleftia .   La Temperanza è quella virtù, che frena li noftri (moderati desiderj, e li restrigne dentro i limiti dell'onesto , e ci rende finalmente padroni di comandare à noi stessi ; Quindi è, che Democrito, fiinproverando coloro, che hanno defiderj smoderati , (h) disse : Et cùm multis dominare velint , fibi ipfos imperare ne  queunt : (3) Hipp. epif.Damag,queunt ; Senza questa bella virtù nelle maggiori prosperità non si puol godere di quelle e Alessandro il Grandes appena ebbe notizia, che vi erano più mondi, che subitamente si concristòs e perdette tutto quel contento, che forli aveva ris cavato dalle coniquifte di più Regni , perche gli crebbe subitamente il delide, rio ambizioso di fare maggiori progrefli.  Come s’acquisti questa virtù linsegno Seneca s ( b ) con dire : Sani erimus , cu modica concupifcemur, fi unusquisque se  numeret , metiatur fimul corpus , fciatquè hec multùm capere, nec diù pode ; Nihil tamen æquè tibi profuerit ad temperantiam omnium rerum, quàm frequens cogitatio brevis avi, a bujus incerti, quidquid facies refpice ad mortem ; Octima Media cina, e degna veramente di quel gran Morale per moderare i nostri sfrenati desiderj. E con ottimi sentimenti ancora si ritrova registraro in Ippocrate in tal guisa: (i) Quod fi quis omnia , quæ facit pro viribus mente verfaret, vitam ab omni  cafu (h) Epif.94. (i) Inepif. Damago  cafu immunem fervaret, se ipfe probè non fcens, fuam ipfius concrétionem apertè intelligens, cupiditatis ftudium in infini, tum non extenderet, fed naturam divitem, & omnium alumnam per ea, quæ abundè suppetunt, sequeretur. Quemadmodùm autèm optimus corporis habitus affectionum periculum denunciat s lic magnus rerum fucceffüs lubricus eft.  Elsendo dunque tanto utile questa virtù, quanto è desiderabile la propria felicità, la dovreté bramare, e procurare insieme, e non solamente per vostro proprio bene, ma ancora delli vostri Infermi; perche se sarece immersi profondamente nelli vostri fmoderati desiderj, avrete la mente sempre così distratta da quelli, che à tutt'altro penserete, che à ciò, che possa essere di profitto agli Ammalati, e se pure lo farete, farà cog mence stanca, per breve tempo, e di paffaggio, doveche avendo roli delide, rj onesti, questi poco vi affaricheranno la mente , onde avrete campo di applicare con più attenzione alle cure, e da  [merged small][ocr errors] [ocr errors] inferioris che eravate al negozio, divers sete superiori, alleggeriti che ne farete, con notabile vantaggio di chi si prevalerà dell'opera vostra.  E tanto maggiormente, che l'offervanža di si bella virtù non fù solamente incaricata da Ippocrate a' suoi seguaci, comandando loro:(2) Eum quoque Ipe&t are oportet, ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm, verùm etiàm reliquả totius vite moderatione Quòd ad illi comparandam gloriam plurimum affert.adjumenti ; Ed altrove: (m) Bonum Medicum minimè impellit ut fuam atilitatem quærat , verùm ut potiorem fuæ existimationis rationem habeat ; Itaques longè  satiùs eft à morbo fervatis exprobrare, quàm perniciosè habentes emungere ; Mà di più per darci esempio la volle egli medesimo religiosamente osservare, po. sciacchè chiamato dal Rè Artaserse, e con che promesse !.(n) Auri igitur quana fum volet, reliquaquè quibus indiget effuse  ei  (1") De Medico.  (m) De precept. (n) Ix epift... Hellefp.Præfee.  6110  ei exhibeto, di ad nos mittita, cum Perform rum enim optimatibus eodem erit honore; Şicchè la promessa confilteva in ricchezze, commodi , & onori à quel fegnio, che ne ayeise potuto defiderare, cosa rifpo e il modeftiffimo ? (0) Quàm celerrime refcribe, nos vietu, veftitu , domo, omniquè re ad vitam neceffaria cumulatè frui; Pere sarum autèm opibus uri neque  mibi  fquum eft; E scrivendo à Demetrio manifesto anche meglio la sua moderazione, di, cendoli: (P) Rex Persarum nos ad fe vocavit nefcius mihi potiorem effe fapientiæ , quàm auri rationem; Chi altro farebbe itato di animno sì moderato in fimili congiunture, che ad una chiamata di un Rè potentissimo, alle offerte sì grandiofe si fosse potuto contenere con quella moderazione Ippocratica di ricusarle? Ne crediate, che Ippocrate non considerasse li vantaggi , che ne poteva riportare, perche in congiuntura, che ricusando, per non rendere schiava - la scienza Medica delle venalità, li dieci talenti offer  [ocr errors] tigli (0) In epift.2. Hystania (p) In epift.Demetr.  .  tigli dalli Abderitani per la cura di Democrito , così loro rispose :(9) Ego verò ja omnibus modis ditefcere voluiffem viri  Abderit , ne decem quidèm talentorum gratiâ ad vos venirem, sed ad magnum Perfarum Regem proficifcerer, ubi Ürbes tot& opibus humanis refertiffimæ occurriffent dc. divitiæ non funt pecuniæ undequaquè comparat&; Magna enim sunt virtutis facra , quæ à juftitiâ non teguntur , Jedin apertum fe proferuntur. Ex morbis quajtum non facio.  Sono tutti questi esempi, che provano un'eroica moderazione di animo, una somma temperanza, e se è vero ciò, che riferisce Seneca, (r) che Platonc, ed Aristotele ricavassero più profitto dalli costumi di Socrate, che dalle sue parole. Questi del nostro Ippocrate sono tali, che possono bastare à togliervi dalIa mente ogni (moderato desiderio per farvi divenire seguaci di sì eroica virtù , come è la Temperanza, ed allora potrete con essa ridervi di quelle vagheapparenze di felicità da alcuni tanto apa prezzate, consistendo tutte in fottilidima superficie, mentre dentro di se, non altro contengono, che incommodi. Un legno dorato fà una vaga apparenza,mà dentro di se, non altro nudrisce, che molte tarle , che lo divorano, nè vi G2 discaro à sentire ciò, che ne dice Seneça: (S). Et cum auro teita profundimus quid aliud , quàm mendacio gaudemus ? Scimus enim fub illo auro feda ligna lati. tare buco omnium istorum, quos incedere altos vides bracteata felicitas eft , infpice , e disces fub iftâ tenui membrana dignitasis quantùm mali lateat . Sicchè la vera felicità non consiste nell'esterna apparenza , non nella superficie vaga, må bensì nel godere internamente una tranquilla calma, che dalla bella apparenza esterna più costo viene turbata, che dotta.  Hò cercato, come si fuol dire , per mare, e per terra un ritratto al naturale della verità  pro  per      farvelo vedere, mà non  l'hd  17 Epiß.115.   1  1  l'hò potuto ritrovare à proposito, perche, chi l'hà dipinta con il viso coperto, chi dentro un pozzo al bujo, chi l'hà profondata anco più bassa, onde non sapevo come fare per farvela vedere , non troyandola delineata in formas ostensibile . Mi venne in pensiero diricercare in Ippocrate , fe in occasione, che fù per curare Democrito l'avessi à forte potuto vedere nel suo  emi abbattei per l'appunto nel sogno, che egli fece prima di andare in Abdera , nel quale al vivo descrive la Verità , ed in quella guisa appunto, che gli comparve in sogno, (t) ve la descriverò ancora io. Gli parve di vedere, nel primo spuntare dell'Aurora una bella Dea alta, e risplendente, ornata positivamente, e senza pompa , li suoi occhi risplendevano come dui scintillanti stelle, ed avendolo preso per la mano lo conduceva per la Città di Abdera à passo lento, e finalmente nel disparire, che fece ella gli disse , ch'era la Verità , e che nel giorno  pozzo,  se(1) Is Epift.P hilop.  3  [ocr errors][ocr errors] seguente lo aspettava da Democrito do. ve dimorava.  Meritano veramente molte circo. stanze di questo misterioso logno d'efservi interpretare; La prima delle quali è la sua maestosa bellezza, e questa denota, che la verità è degna di essere da tutti amata; La seconda il suo ornamento positiuo, e senza pompa significa, che non hà bisogno di francie, nè di altri abbellimenti superfui ; La terza, li suoi occhi risplendenti mostrano , che ella abbia necessità di buona vista, dovendo vedere , e ben discernere li vizj, che la perseguitano; La quarta, con il prendere per la mano Ippocrate fà comprendere, che non vuole contraere amicizia con  gente di cattivo costume, perche bene li avvedeva, che appreffo ad Ippocrate non si accostavano nè la bugia, nè l'adulazione ; La quinta il condurlo à palli lenti inferisce, che chi vuole andare accompagnato con la verità non deve caminare in fretta, mà adagio , come faceva Ippocrate. La festa il dire, che lo  N  aYC  [ocr errors] averebbe aspettato da Democrito, dove ella dimorava, significa, che non ama le grandezze del mondo, ne vuole fare la fua comparsa, se non in quei luoghi , dove alla è conosciuta , e rispettata con fchiettezza, e sincerità.  Obella Dea, se questi sono li voftri fentimenti, date à divedere , che voi fiete troppo folitaria , modesta, e circospetta; E perche non frequentate luoghi più magnifici, e non vi fate vagheggiare publicamente ? Forse, che temete di faziare chi vi rimira con il vostro afpetto, conforme fù detto di Poppea Sabbina bellissima Dama de' suoi tempi, per non farsi vedere in publico , che col viso coperto ? E finalmente , perche non conversate con persone di sfera inaggiore de poveri Filosofi, con quali domesticamente voi trattate? Sapete come risponderà facilmente la Verità: lo son contenta di ftarmene così solitaria, perche fono troppo odiata , sentendomi dire da per tutto : Veritas odium parit ; ed io, che abborrisco di soggiacere à quest'  [ocr errors] odio, per vivere quiera , e tranquilla , son forzata nel mondo à ftarmene folie faria ; Solamente nel Cielo godo ogni libertà , ivi sono amata da tutii, ivi sono il Caduceo di eterna pace, e fapete per. che ? Perche ivi l'Invidia non mi perseguita , l'Adulazione non mi tradisce, l’Iniquità , è la Malizia non mi possono punto nuocere, come dunque posso io in Terra liberamente conversare , senza pormi à rischio di perdere quanto ho di buono, quanto ho di pregiabile, ch'è ciò, che dico. Se io comparisle da per tutto, non potrei fare di meno di non incontrarmi bene spesso con miei iniqui, e fraudolenti persecutori, e se questi, che fanno tante prede mi guadagnassero con lodare la inia bellezza, e mi facesseroprevaricare , non farei più virtù, onde per mantenermi tale, quale devo essere sono forzata vivere in folitudine con il mio bene accostumato Democrito.  Avrete da quanto vi hò descritto sin'ora compreso non solamente la bele  N 2  lezzalezza della Verità , mà ancora li suoi divini costumi, onde fi accinga pure ogni uno di voi à sposarla , perche cosa più bella , ed utile di questa non potrete ritrovare, e tanto maggiormente, ch'è affai facile à potervi fortire una simile ventura, bastandole , che finceramente l'amiate, che farà tutta vostrą. Vi avverto però, ch'ella è gelofillima, ondę vi converrà per conviverci in pace odiare la menzogna, l'adulazionc, l'iniquità, e l'inganno, altrimenti vi perderefte in un'istante la sua grazia.  Mi perfuado , che lo farete di cuore, perche Ippocrate , ch'ebbe la sorte, come dilli , di rimirarla una sola volta , ccome in sogno, ne restò così invaghito di ella, che fino, che visse l'amò fedelmente, à segno di esporsi ad evidente pericolo di perdere tutto il suo acquistato concetto; Posciacchè nella cura di colui, ch'era avvezzo di vivere à suo capriccio, e perciò facilmente fù ferito in testa, confesso candidamente di averlo curato male, dicendo , ivi : Hoc me  latuit  [ocr errors] latuit sectione opus habere , deceperunt aux sèm me future.(a)  Biasimerà taluno di quelli che amano più la loro estimazione, che la Verità questa tua confeffione publica ò Ippocrate, trattandosi di un'errore di questa forta , c tanto maggiormente, che niuno ti forzava à palesarlo, e ti diranno : Dovevi pure prevedere, che la maledicenza avrebbe fatto contro di tè quanto poteva per iscreditarti, à cui egli rifponderia facilmente, se vivesse, non mi dà faftidio, che si mormori di me, purche io non tradisca la Verità, hò voluto lasciare quest'esempio,acciocchè li miei seguaci non cadano in simile errore, e segua pure contro di me quel male ne så seguire ; Sapete, che danno ne hà riportato Ippocrate da simile confessione ? Due elogij frà gl'altri, capaci à renderlo glorioso per tutta l'eternità, che sono li Teguenti:  Cornelio Celso così ne parla di questo fatto : (b) A futuris fe deceptum  effc (a) L16.5.Epid <grot.-7. (b) Lib.8.cap.4.  N 3  effe Hyppocrates memoriæ prodidit , more fcilicèt magnorum virorum ; & fiducian magnarum rerum habentium; Năm tevia ingenia ; quia nihil habent, nil fibi detrahunt; magno ingenio, multaque nihilominùs babituro convenit etiàm fimplex veri errò: ris confeffio; præcipuèque in eo ministerio , quod utilitatis causâ pofteris traditur, ne qui decipiantur eâdem ratione ; qua quis antè deceptus eft.  Quintiliano ancora lo commenda in tal guisa: (c) Hyppocrates clarus in Arte Medicâ videtur honeftifimè fecife , dùm proprios quofdam errores confeffus eft , boc fine , nè posteri peccarent.  Certamente, che non avrebbe riportáte tante lodi Ippocrate, se avesse tenuta celata tal verità, e se non avesse confessati li propri errori, non li darebbe tanta credenza à ciò, che dice.  Dunque animateyi voi ancora à ree guitare un sì glorioso Maestro, e non remete dalla Verità , che sposerete , doverne riportare alcun svantaggio, anzi  te  (c) Lib.z. cap.8.  [ocr errors][ocr errors] tenete per infallibile di poterne voi ana cora ricavare glorie immortali.  Il difensore maggiore, ch'abbia la Verità è il Disinganno, egli è quello, che discopre ciò, che si fà contro di essa, che impiega ogni sua attenzione , & efficacia à suo prò, non prendendosi alcuna soggezione de' vizj, anco maggiori, in manifestare le loro iniquità; Hà finalmente tal possanza, che qualunque Verità più occulta la rende palese à tutti Niuno senza il di lui ajuto sarebbe capace d'avvertire alli proprj errori ; onde converrà se vorrete seguitare la Verità paffare con esso lui ancora buona corriso pondenza , rispettarlo, e farvelo vostro amico di confidenza ; Vi avverto però, che se vorrete veramente confederaryi con il Dilinganno, non dovrere effere ostinati, nè pertinaci nella vostra opinione, perche altrimenti nel meglio vi abbandonerà , onde converrà di farvi regolare in tutto da lui , e vedrete come vi favorirà nelli maggiori vostri bifogni.  Se non si fosse fatto regolare Ippo: crate da questa eroica virtù, come mai fi sarebbe potuto avvedere del sopr’accennato errore, e d'altri, e proprj, e del Medici suoi coetanei , che egli riferisce ; Certo è, che se fosse stato pertinace nella sua opinione il Disinganno non gli avrebbe fatto conoscere la Vericà qual' era , & in ispecie nel caso di quell'Ancella di anni dodici, nella quale ei confessò,:(d) Hoc cognitum eft rectè fe&tione opus habere , fecta eft autèm non velut opportebat , fed quantùm reli&tum eft , pus in ipso factum est ; Et in questo confeffa, che non fù fatto il taglio à suo dovere . Nel male di Eupolemo, chi gli averia manifeftato:(e) Hic videbatur biberari pofle, fa unicâ amplå feftione fectus fuiffet ; E perche non si fece ? Mortuus eft.  Conforme ancora nel caso di quell' Uomo quafi leproso, (f) che andando al bagno di acqua solfurea guarì dal male,che aveva, mà morì poscia Idoprico per la retrocesfione del primo; E di Scamandro, (8) à cui gli accelerò la morte un potente folutivo, come avrebbe possuto dire : Videbatur plus temporis fubstinere potuille. nisi ob vim pharmaci; E nel figlio di Teoforbo :( 6 ) Huic exulcerats est alvus fortitèr à magnâ pharmaci vehementia , moru tuus eft autèm tertiâ die poft potionem ; Nella moglie di Antimaco , à cui : (i) Datum eft potu Elatherium vehementius , quàm opportebat, pou mortua eft circà mediam noctem; In quell'uomo Eubeo, (i) il quale:Cùm bibiffèt pharmacum expurgans fres dies purgabatur, e mortuus eft ; E nel caso di Artandro, (m) il quale : Sanus erat à catapotio extinctus eft ; E finalmente in quello di Trinone , (n) lasciando di riferirne altri : Cùm ad nervum fanè parum medicamentum erodens fuiset adhibitum, opistotono mortuus eft.  Dunque queste utili memorie, che noi leggiamo in Ippocrate tutte le dovemo al Disinganno, che gliele fece cos nofcere. Ovirtù così sublime, perche ancora non consigliaste tanti altri Profeffori eccellenti, che scriveffero ancor esli con questa Ippocraticà ingenuità nello scoprire li propri errori à pofteri; Quanto bene averia apportato à noi simile verità; Hanno scritto; è vero, molo te mirabili osservazioni, mà hanno ancora con quelle più tosto cantato li loro trionfi, che compianto le altrui sventure. Fate almeno, che li secoli venturi godano di questo bene , & à voi toccherà di ereditäre ò Giovani ingenui questa purità di scrivere Ippocratica ; se vi uniformcrete conforme egli fece alli consigli del vostro disinganno:  yemo  (g) Epid.lib.5.&gr.15. (h) Ep.lib.5.&gr.17. (1) Ep. lib.s. agr.18. (1) Ep.lib.5.agro3s. (m) Lib.s. agr.42: (a) Lib.gi .gr.74  7  La Vigilanza à che segno sia neceffaria nel Medico , ne dà non piccolo contrasegno il sagrificio, che bramava Esculapio del Gallo, fiinbolo della vigilanza, volendo facilmente quell'antico Nume della Medicina far capire a suoi seguaci ciò medianto, che desiderava da essi, più d'ogn'altra cosa , la  vi  [ocr errors] )  [ocr errors] vigilanza, e con ragione, stanteche nella Medicina : 60 ) Occafio præceps; occafio in que tempus non multum ; E se à prenderla quando si presenta , non li fà con atten zione è cosa facile di perderla , con dia scapito di ciò, che si poteva ottenere in vantaggio dell'Infermo ; Quindi è, che Ippocrate dà titolo di ottimo Medico à colui solo; che prevede le cose future, dicendo :(p) Medicum prænotionem adhibere optimum effe mihi videtur ; Prenoa scens enim , & prædicens apud ågrotos, da prafentia, & præterita, & futura ; E questo non già per altra via , che  per quella della vigilanza , si può ottenere. Per conferma di ciò fà à proposito la somiglianza, che apporta Ippocrate (9) del Medico con il Governatore della nave, che si ritrova in tempeita, à cui non conviene già dormire per non sommergersi insieme con il suo baltimento trà l’onde; Ed in verità yi converrà essere nelle vostre cure molto circospetti, e vigilanti,  non  (0) Hipp.Præceptiox.  (9) De veteri Medio.   (p) Di Prenot.  non essendo sufficiente la fola vostra pea tizia , mentre che al parere d'Ippocrate: (r ) Bonis autèm Medicis fimilitudines pariunt errores , ac difficultates; E cresce maggiormente à tempi noftri tal neceffità  per cagione della separazione, che ha fatto la Medicina dalla Cirugia , e Farmacia, perche fe allora baftava una parte di vigilanza , dicendo il detto Ippocrate : Nec folùm feipfum præftare oportet opportuna facientem, verùm, e agrum, affidentes de exteriora, a' quali dovendo invigilare il Medico, acciò non trascurino di fare ciò, che da esli si deve, ora maggior obligo gli corre di dupplicarla per questa nuova aggiunta.  Nè vi riferirò, per perfuadervi ad essere vigilanti, l'esempio, che ne diede in se stesso Ippocrate, per non avervi à ripetere tutto ciò che abbiamo di esso, mentreche non fi legge nelle sue opere cosa che non denoti una somma avvedutezza, una grandissima vigilanza , & in ifpecie ne' suoi pronostici, ne'quali fi  puol (r) Epid. lib.6.dift, &:  puol dire con ragione, che ancora de Bercore collegit aurum , onde spero , che con rincontrarle ocularınente à fuo tema po, sempre più vi crescerà lo stimolo di efsere vigilanti, e tanto maggiormente ne sarete, quando in quelle leggerete, (che : Vigilantia verò &c. ad vitæ boneftatem refert . Majorem enim apud alium fibi gratiam conciliat, fi ad artem traducatur , eique decus, ob gloriam comparat ; & in appresso: Bonus Medicus vigens ipfus artis opifex nuncupatur.  Della Vigilanza è compagna inseparabile, e fedele la fatica , la quale per essere opposta all'Ozio padre di tutti li vizj, li può chiamare madre di tutte le virtù, e questa nella Medicina è cosi essenziale, che senza essa è impoflibile di poterli acquistare, esercitare, ed ampliare ,  A voi dunque, che desiderate essere veri Medici converrà accingervi à triplicara facica. La prima vi servirà per fare acquisto della Medicina; La secon  dada per impiegarla nell’efercizio di effa , ela terza finalmente per lasciare degną memoria di voi in ampliarla à quel fegno', che vi farà permesso dal vostro ingegno.  Già della prima ne fù discorso nella seconda Giornata, nella quale fù moftrato ciò, che si debba fare per conseguire la buona pratica ; mi resta fola. mente ora da soggiugnervi, che quella sola non può bastare per farvi vivere ripofati , e senz'altra briga , ftanteche quantunque, fia sufficiente per potere esercitare la Medicina, nulladimeno per essere ancor voi annoverati trà Proferfori più esperti, e capaci di dare più accertati consigli vi converrà infino al fine di voftra vita faticare in fare sempre nuovi acquisti, restandoyi tuttavia molto da apprendere, sì per incontrarvi alle volte in mali non più osservari, conforine Celso avvertì , dicendo : Sæpè vero etiàm nova incidere genera morborum , che per essere la Medicina scienza sì va#a, che niuno fin'ora ha potuto scoprire li suoi ultimi confini, nè Ippocrate, nd tampoco Esculapio, che ne furono l'Inventori , conforme egli confessa ingenuamente :(t) Ego enim ad finem Medicinæ non perveni, etiamfi iàm fenex fim, nequè enim ipfius Inventor Esculapius.  Quale appunto debba essere la seconda fatica nel professarla, così ve la descrive: (1) Crebro ægrum invife diligentem considerationem adhibeas, ut iis, qui decepti sunt per mutationes accurras; Facilior enim tibi cognitio fuppetet , fimula què te promptiùs expedies • Instabilitèr enim moventur quæ in humidis confiftunt. Questo testo è così chiaro , che non hà bisogno di dichiarazione maggiore, ris' chiedendo da voi Ippocrate nell'esercizio pratico la fatica unita alla vigilanza, e facendo voi in questo modo vi assicura, che minori brighe avrete, perche presto tirarete à fine ciò, che facendo con trascuraggine vi apporterebbe maggiori incominodi, La terza fatica è arbitraria, e viene  fo(t) In Epif.Democt (0) De decenti babiru.  [ocr errors] folamente abbracciata da quelli fpiriti investigatori, che hanno unita la vivacità dell'ingegno alla prudenza, e questi per  il desiderio , che hanno di eternare li loro nomi, riescono in tale opera profittevoli, de' quali credo , che frà voi ve ne farà caluno abile, dal quale spero non si ricuserà fatica sì gloriosa,abbracciata, e consigliata insieme da Ippocrate, dicendo: (*) Nunc verò ea , quibus summo studio prudentes incumbere debent, partim quidèm à majoribus excerpta, partim verò etiàm nunc per nos inventa ad te fcripfimus.  Nè delista taluno di voi, che sia abile à sì gloriosa impresa d'effettuarla per vedere impallidito di volto, emaciato di corpo, & invecchiato prima del tempo chi abbracciò fimile fatica; posciacchè da quell'emaciazione di corpo, da quel pallore di volto, e dal comparire più vecchio, ch'egli sia, gran benefici ne hà ritratti che sono,maggior vivacità di mente , senno, e prudenza.  Mà (x) In Epif ad Reg.Demetr.  [ocr errors] Mà quando ancora da tal gloriosa cagione ne risultasse qualche fisico svantaggio, fi bilanci qualsia peggiore, se quefto, ò pure quello, che ne proviene dall'ozio; e si vedrà senza fallo, che l'oziofi non solamente sono soggetti ad infermità peggiori di quello fieno gli ftudiofi, mà ancora , che terminano più presto la loro miserabile vita , onde non è prudenza il temere ciò, che può recare minor danno per andare in traccia à ciò, che ne può recare maggiore, e con lo svantaggio di più, che à prò degl'affaticati Letterati stà sempre preparata un' eternità di gloria, dove, che à danni de gl’oziofi una perpetua ignominia.  Non mi stenderò di vantaggio in esaminare le altre virtù , che restano perche vi si richiederia più tempo di una sola giornata, e tanto più , che poffedendo voi le già descritte vi si renderanno famigliari tutte le altre; Solamente del più bel frutto , che producono le virtù , ch'è il buon costume, non sarà fuori di proposito oggi parlarne , stante  che  che questo da Ippocrate viene stretta. mente incaricato al Medico , per farvi conoscere insieme à che segno egli lo profeffava .  Il buon costume è un'abito essence ziale per la vita civile, acquistato solamente da chi poliede un'aggregato di moltiffime virtù', trà quali risplendong la Prudenza, la: Sincerità, la Gratitu, dine , l'Umiltà, la Discretezza , la Bez nedicenza , l'Urbanità, e la Conyenienza, e questo abito deve essere continuato, perche fe la Superbia , l'Ira , l'Ambizione, & altri vizi di fimile perversa natura l'interrompono, il buon costume passa fubitamente in cattivo, Chi hà la forte di poffederlo è ricchisiino, mentre hà un tesoro, del quale quanto più ne fpende , tanto più resta in capitale ; Per csempio, chi hà il buon costume di lo-, dare, non solamente non riceve alcun discapito dalle lodi, che dispensa, mà n'è perciò egli ancora lodato. Devesi nondiineno usare prudenza in non eccedere molto con affettazione ne' buonicostumi, ftantęche alle volte, quando sono soverchiamente adoperati, e con affettazione nauseano, & in vece di apportare del bene,fanno del male, e tanto maggiormente, quando ciò viene regolato da qualche secondo fine, nel qual caso la lode istessa può essere nociva, e perciò ebbe à dire Tacito ; Peffimum inimicorum genus laudantium.  A che segno sia necessario al Medi, co il buon costume, mediante il quale viene colta ogni ambiziosa contesa, lo dimostrò Ippocrațe doppo di aver fatto , conoscere la necessità , che vi sia di consultare con altri Profeffori li mali oscuri, soggiugnendo : (a) De eo minimè am. bitiosè contendere , fe ipfos ludibrio exponere; Pofciacchè fimil maniera non è propria de' Medici racionali, mà solamente di quelli triviali, che : Forenfem queftum fectantur , conforme egli dice in appreffo.  Nè solamente il mal costume pone in discredito chi lo esercita , mà passt  O 2  per [a] De Præcept,  و  'per causa sua ancora nell'innocente Medicina la calunnia ; L'esempio è chiaro : Contrasteranno due Medici tra di loro acerrimamente, se fi debba, ò no dare un'orzata in un male acuto, se debbali, ò nò colare,fe prima debba darsi, ò doppoi il seccimo giorno, e se sia praticabile ayanti, che il male sia terminato, le quali essendo questioni inutili, e come fi fuol dire , di lana caprina , perche con l'esperienza fi può rincontrare se ne posfa feguire quel gran danno, che si figura chi contradice, onde finili contese non poffono à mio credere autenticare al  che l'imprudenza, e mal costume di chi le promove, e picciol male recheriano, se la colpa di ciò restafse trà li foli Artefici altercanti, il peggio è, che ne passa alla Medicina la calunnia; Quest'esempio non è stato inventato da me, ritrovandofi descritto da Ippocrate così bene, che non vi recherà punto di noja il sentirlo riferire : (b) Que igitur ignorantur bee funtó quanam de causâ in morbis acutis, quidam Medici toto vita tempore in Ptifanî non colatâ exhibenda perfeverents rectè fe curare existiment; Quinàm etiàm omni ratione contendunt', ne ullo modo hordeum æger devoret , quoad indè magnum fecuturum detrimentum exiftiments  morbis (b) De ration. Tic.in morbiacut.  tro,  verùm per linteum excolantes ejus fuccum porrigunt . Horum etiam nonnulli , nequè Ptisanam craffam , neque succum exhibent, ubi quidem dùm feptimum diem eger attigerit , alii verò dùm in totum morbus judicatus fuerit ; E ciò, che da simili altercazioni ne fiegua l'esprime in tal modo : At verò Ars tota magnam quidèm apud vulgum calumniam fubftinet , ut nullam omninò Medicinam efe exiftiment a kquidem in acutis morbis, in tantùm inter Te diffentiunt Artifices , ut quæ alter exhi. bet, veluti optima reputans , etiàm mala alter exiftimet.  Due ingiurie vi farei nel medesimo tempo , se pretendesli d'insegnarvi il buon costume: una saria di riputarvi male accostumati, che per  ļa Dio grazia non siete, e l'altra di credervi stolidi, ed  incapaci di ragione , per non esservi approfittati di ciò, che vi disli, detestando quei vizj, che costituiscono il mal cos ftume. Continuare di buon'animo á fuggire li vizj, e seguitare queste virtù, che vi hò mostrato, e non dubitate , perche Hi vostri buoni costumi in breve diverranno ottimi, & acciò possiate conseguire con più facilità fimil sorte vi rappresenterò alcuni costumi eroici d'Ippocrate, li quali vi potranno fervire di norma in moltissime vostre occorrenze , che vi si presenteranno facilmente à suo tempo.  Egli fù così esemplare nell'offervanza degli ottimi costumi, che non sò fe trà Medici ( alla riserva di quelli dia chiarati già Santi) ve ne sia stato, ò ve ne sia di presente , chi lo possa uguagliare  La Pietra del paragone per cono. fcere se il costume sia ottimo sono li onori, ftanteche honores mutant mores , onde quando l'onorato non cambia li fuoi costumi in peggio per cagione dell? onore ricevuto's tenete pure per certo,  che  )  che il suo costume sia ottimo. E la ca. gione di ciò è, perche con gli ottimi regna l'umiltà in grado eroico, e dove è questa , la fuperbia non s'accosta, fa. pendo per esperienza, che inutilmente impiegheria ogni sua fatica, e la superbia è quella, che perverte il buon co. stume , mà contro l'ottimo non fi ci  meriti,  )  Che Ippocrate abbia ricevuti onori fommi non trovo fi controverta da ale cuno, mentre fù chiamato dal Rè potentiffimo Serse, con promesse di ciò, che egli avesse saputo desiderare, oltre di costituirlo Magnato della Persia, fù cre duto ancora, che discendeffe dal Dio Esculapio, che fosse in grazia del Rc Demetrio', e di molti altri Potentati, e finalmente, che ricevesse dagli Ateniefi onori maffimi, non solo umani, mà ancora divini effo vivente, come costa per Senatus Consulto, ch'è questo : Ut igitur conftet Populum Athenienfem Græcis femper utilitèr confuluife , utquè dignam pro meritis Hyppocrati gratiam referat, decrevit  Poo  0 4Populus ut is magnis mysteriis ; Hor fecùs at Hercules Jovis filius publicè initiaretur, O coronâ aureâ mille aureorum coronaret tur. Coronam ipfam Quinquatribus magnis in gymnico certamine pręcone proclamante, omnibus Coorum liberis liceat non  fecùs às Atheniensium Athenis pubertatem ageres quod coram Patria ejufmodi virum proCreavit, Hyppocrates verò, ut Civitatis jis re, victu in Pritaneo toto vita tempore donetur.  E questi commi onori qual mücazione produsero ne' suoi costumi? niuna appunto, mentre non furono capaci di farlo insuperbire, come fi legge nella sua lettera , che scrisse già divenuto vece chio à Democritó : Et ego fanè plus repræhenfionis , quàm honoris ex arte mihi confecutus videor ; Vedete quanto stimava l'onori maslimi, e se s’infuperbivad punto di quelli, credendoli inferiori ad una picciola riprensione , dico picciola, perche delle grandi non n’era capace un’Ippocrate . Più gli premeva , per quanto li può congetturare dalla mede  fima lettera, la cagione delli ònori,mentre mostrava di dolersi, che eisendo diyenuto già vecchio non era potuto ancora giugnere à tutta la perfezione dell' Arre; volendoci forsi con questo far conofcere, che non sono tanto pregiabili gli onori, quanto è la cagione, che li produce, ch'è la virtù , la quale dipende tutta da noi, doveche gl'effetti di quella dipendono dall'altrui volontà; Avendo dunque Ippocrate resistito à non fare alcuna mutazione nelli suoi buoni coftumi in tanti, e tali onori ricevuti, è contrasegno evidente, che foffero arri. vati al grado dell'ottimo , nel quale solamente, come fi è mostraro, sono im.mutabili li costumi.  Che vi sia stato à luo tempo, ò dapoi fino al presente chi abbia.conseguito limili onori, non se ne ritrova memoria, per quanto fia stata cercata, onde non hà alcun'altro Medico avuto occasione, doppo di lui di mostrare ugual costanza del suo buon costume in fimili prosperità; Ricevendo dunque voi onori, faprece  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] con l'esempio di un tanto Éroe, confora me vi doyrete contenere affinche le prosperità, che ne risultano da esli , non vi facciano, conforine appunto fecero prevaricare li antichi Romani, che fusono ne' primi secoli della Repúblicas esemplari in bontà, mà avanzandoli pom fcia nelle ricchezze andavano declinando , e finalmente nell'auge delle loro felicità, e grandezze da buoni divennes ro cattivi , onde con ragione esclamò Tacito : Felicitate corrumpimur. Mi di{piacerebbe però sommamente,che simili sventure si verificassero in voi, perche goderei vedervi tutti esemplari, e degni imitatori d'Ippocrate, non solamente nella dottrina, mà ancora negli ottimi costumi  Mi rimane per totale conferma del mio intrapreso assunto di corroborare con altri esempi ciò, che hò proväto con le ragioni ancora.  Il primo de'quali sarà di farvi vedere, con quanta civiltà egli scrise de gli antichi intorno à quelle cose che effi  11011  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] non sapevano, e che furono dalla sua induftria inventate . Dice egli intorno la regola del vivere : (c) Alii quidem aliud ättigerunt, totum verò nes unus quidem adhùc ex his , qui antè extiterunt ; Neque tamen eorum quisquam reprehendendus , quòd invenire non potuerint ; quin potiùs Jaudandi omnes'; quod quædam inveftigao tione aggreffi fint ; Neque ergò que recta dieta non funt argüere decrevi , fed his , qué abundè funt cognità affentiri in animo habeo ; quæ igitur ab iis , qui antè nos fuerunt reétè di&ta funtzde bis fieri non poteft fi alitèr ferihatur, ut reétè fcribam, quæ verò non rectè dixerunt fi ea quidem , quod ità non habeant redarguero nihil profecero ; E cosa abbia fatto in questo caso lo dice in appresso, cioè: Que non rette fuerint cognita aperiam; Quin etiàm qua corum nultus , qui antè me fucrunt explicare aggreffus eft qualia fuerint demonftrabo ; Ed altrove con chę prudenza ne parla:(a) Sed nequè de victus ratione quid  quàm  [c] Dx viftus ratione lib.i.  [d] De ratione vitus in grutis.   [ocr errors] quàm effatu dignum veteres fcriptis tradiderunt , eamque , quamvis magna res fit, omiserunt s Varia tamen morborum fingua lorum genera , multiplicemque eorum divid fionem non ignorarunt quidàm. Avete of servato con che creanza , con che giua stizia; e con che prudenza ne parla un' Ippocrate de' suoi Antichi, scusandoli in ciò, che non seppero, e non pregiudicandoli punto in seguitare, e confeffare ciò, che di buono efi dissero; Si è praticato questo buon costume da alcuni de' noftri Moderni verso li Antichi? Mi pare di leggere, per dire il vero, più tosto il contrario, anzichè mi sono avveduto, che taluno di efli há palleggiato con tal fasto invidioso dace sopra quelle gloriose ceneri, che ne sono rimasto molto scandalizato, rifettendo, che Ippocrate con li suoi Antichi diversamente faceva, nė vi riferirò da vantaggio per non farvi nauseare di ciò, che essi ancora hanno fatto di bene .;  Per fecondo vedremo, come egli fi portò in quelle cose, che lo toccavanoal vivo. Gli pervennero à notizia alcune   predizioni (e) credute da Prospero Mar.  ziano suo Espositore accurato, Astro-  loggiche, che appresso gli Egizj si prati-  cavano in quei tempi, che erano alli   Greci ancora ignote, le quali non li pia-  cevano, mentre disse : Egnautèm hujuf-   modi vates effe nolo ; e con ragione, per-   che gli pervertevano ciò, ch'egli con   tanta diligenza aveva ricavato dalle  proprie offervazioni intorno alli prono-   stici de' mali, e che aveva appreso dagl'   altri, e pure con questa modestia si con-   tonne : Prædictiones Medicorum referun-   tur permultæ tùm præclar& , tùm admira-   tione dignæ, quales neque equidèm prædixi,   neque quemquàm, qui prædiceret, audivi;   e cosi destramente se ne liberò senza   contradirle . Questa maniera sì dolce   non è stata già praticata nel giugnere à   notizia tante belle invenzioni Anatomi-  che ; contro la circolazione del sangue   cosa non fù detto mai? Senza possedere   un'ottimo costume non fi può lodar ciò,   che (e) Lab.2.Prædi&ionum  [ocr errors] che perverte un'abito fatto da lungo tempo, e che si è praticato per lunga serie di anni.  Per terzo riferirò comę egli firegelaya quando era necessitato à palesare qualche errore commesso. Questo lo faceya senza individuarne l'Autore, ece cettuatone li proprj, li quali publicamente confessava , come già fentiste, parlando del disinganno, e questo, da chi vien praticato Solainente d'Ippocrate fi racconta fimile ingenuità, & in caso ancora, che abbią apportato laws morte,  Per quarto finalmente per far trionfare la sua gran bontà riferirò il giuramento, ch'egli fece, che nella Medicina à suo tempo non vi era alcun Medico razionale, (f) che non fosse di buoni costumi, e questo giuramento, chi lo farebbe à tempi nostri ? Onde bisogna neç ffariamente confeffare, che unico fia stato Ippocrate non solamente nella dottrina, mà ancora nell'ingenuità de' co  stumi; [f] In lib.de præcept,  [ocr errors][ocr errors] ftumi ; Sicchè con ogni giustizia li com. pere il principato nella Medicina, che egli da tanti secoli pofliede.  Dovrete yoi dunque per essere tee nuti degni, e veri suoi seguaci non folaa mente abbracciare,& uniformarvià ciò, ch'egli scrisfe in Medicina , mà ancora ftrettamente osservare quanto nella morale si debba fare, ftimando forG il buon' Ippocrate più necessarj li buoni costumi al vero Medico, delli suoi Fisici docu. menti, mentre questi li lasciò in libertà di ciascheduno di seguitarli, mà li primi con giuramento forzava tutti ad offer. varli esattamente, obligandoli a giurare di essere grati, di vita incolpabili, onorati, casti, giusti, modefti, pudichi, fedeli , e di somma segrerezza , e sentite sotto che pena l'obligava: Hoc igitur jusjurandum , fi religiosè obfervavero, ac minimè irritum fecero , mihi liceat cum fummâ apud omnes existimatione perpetuò vitam felicem degere's & artis uberrimum fruEtum percipere , quod fi illud violavero,  pejeravero , contraria mihi contingant ;  E quan  [ocr errors] E quanto mai il buon costume nel Medl  att  [ocr errors]  mente si può comprendere da ciò,   dice nel libro Di lege : Quifquis enim   Medicine scientiam fibi vere comparare   volet eum his ducibus voti fui compotem  fieri oportet natura, dottrina , moribus   generofiss è chiunque di questi ne farà   privo, come uomo profano, diverrà im-   meritevole gli sia dimostrata una scien-   za sì facra , conforme e la Medicina,   soggiungendo ivi : Hæc verò cum sacra  fint , facris hominibus demonftrantur , pro-  phanis verò nefas,   Sono dunque, secondo la mente d'Ippocrate , effcnziali nel Medico le virtù morali , e nientemeno di quello fieno li documenti Fisici, ed in conseguenza ancora come tali apporteranno necessaria- . mente un commo bene al vero Medico , non potendo esser tale, se non ne farà ornato à sufficienza, conforme in termi. ni precisi più diffusamente lo dimostra lo stesso Ippocrate nelli libri De Medico, © De Decenti ornatu, e nel libro De Pre  و (  9  ceptionibus , ove affinche non se ne possa dubitare l'attesta con prova legale, cioè mediante il suo giuramento, ch'è questo : Hoc namque jurejurando affirmare audeam , Medicum ratione utentem , alterum nunquàm invidiosè calumniaturum, fic enim animi impotentiam prodit. Verùm id potiùs faciunt , qui forensem quastum  seEtantur . Sicchè per essere veri Medici razionali dovrete essere ornati di virtù , e non contaminati da’ vizj , conforme sono quelli, che per essere meri mercenarj non meritano il titolo di vero Media co , quantunque fossero nelli documenti Medici versati ; e perciò saggiamente egli nel libro De Lege asserisce: Non folùm verbo , fed etiam opere Medici existimationem tueri oportet; ch'è quanto dovevo mostrarvi nella prima parte.  Se poi alcune virtù fi poffino giuftamente censurare nel Medico, che è la seconda parte del mio discorso, in qualche caso crederei di sì, conforme con un'esempio riferito da Ippocrate brevemente vi farò vedere.  P  TutteTutte le virtù hanno un fine retro, e se fi lasciano operare à tutto loro potere s'inoltrano con tanto fervore, che da alcune di esse in vece di ricavarné profitto , se ne riporterà del danno, La Giustizia, & il Zelo, tra le altre , fe si cferciçano con sommo rigore, & à quel segno, che arriva la loro autorità. Quefte sono capaci di porre cutto il mondo in sconcerto, e perciò diffe Salomone:(+) Noli effe juftus multùm; onde è necessario unirlo alla civiltà per renderle fruttuose.Simili fconcepci appunto potrebboro giornalmente accadere nella Medicina, fe il Medico si voleffe fervire della sola Giu. ftizia, del solo zelo con quell'Inferma male avvezzo in fanità à fare à fuo modo , allorche trasgredendo alla regola di vivere,fosse da esso con tutta giustizia riprefo, & afpramente sgridato di tal’erróre, cosa se ne ricaverebbe di profitto da çal giuftiffima,mà indiscreta riprensione? Se non che, ò l'Infermo facesse peggio  in; (1) Ecclef.cap.79  1  [ocr errors] in avvenire, e che senza alcun profitto perdesse ogni çispetto à chị lo riprese, ed in questo ca fo giustamente il Medico verria censurato, perche non si servi in fare una simile riprensione del prudens ziale consiglio d'Ippocrate, (a) che dice ciò, che deve fare, doppo di averlo afpramente {gridaco,& è : Simulque cum commonefaciendo , & blandè excipiendo consoletur ; & altro ve dice : Condonandum aliquid consuetudini ; Quel poco di dolce, che gli porgerà doppo l'amaro della riprélonę opera tato di bene che faràche la Giustizia usata divenga profittevole ,  Il ţimile pariinentě ne seguirà se voi, con zelo poco discreto , vorrete riprendere taluno , che sia ricaduto in mali venerci ; questo tale, quanto più lo [griderețe , tanto peggio farà , bisogna dolcemente che gl'infinuate , e gli facciate capire il danno , & il pericolo, che gli può sopravenire da fimili ricidive, le miserie, la morte penosa inevitabile saranno quelle , che, inlinuate con gius  [ocr errors] (a) In lib.præcept.  [ocr errors] dizio, lo potranno più facilmente perfuadere di fuggire simili errori, perche questi motivi restano impressi per lungo tempo nella mente , mà le gridate, che passano presto in oblivione , riescono infruttuose, perche sentendosi con animo irritato , non s'apprendono quanto: fi dovriano . Molti altri esempi potrei apportarvi, mà credo , che li riferiti pollino essere sufficienti per farvi capire tal verità ; Volete dunque, che le vostre virtù non fiano censurate , accompagnatele, e non le fare operare fole, e fate appunto conforme si suol praticare con le donzelle vistose à fine non si mormori di loro che accompagnate con altre donne più provetre , e prudenti possono trattare in privato, e comparire in pliblico senza taccia.  Mi persuado che li documenti, le ragioni , e gl'esempj d'Ippocrate, che vi (hò addotti fin'ora, saranno senza fällo sufficienti a farvi incaminare per il retto fentiero delle virtù , il quale spianato in tal guisa , fe à caluno di voi paresse tut  tavia  [ocr errors]  tavia disastroso, non occorrerà s'affati  chi di vantaggio, perche per lui non fa.  ranno à proposito le virtù, e per tanto  se ne viva pure à suo bell'agio con li  suoi vizj diletti, nè occorrerà, che in do-  mani quivi si presenti, perche voglio in  avvenire parlare solamente a quelli, che  hanno generosamente determinato d'ab-  bandonare affatto li vizj, e seguitare le   sole virtù.   [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors] G. I Ô R N Å TA V I.  Nella quale s'accenda il modo di prévalerfi   del consiglio delle virtù contra l'infidie.  de vizj, affinchè il vero Medico poffan  godere una vita iranquilla , e lasciare   di se doppio morte una gloriufi memoria :   [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] On mio contento non ordinario vi  vedo oggi, prima del solito , quì tutti preferiti; posciacchè averidoviderto nel fine della Giortiada di jeri, che chi nơn s'era già determinato di seguitare le fole viétừ, non occorreva ch'oggi forfè venuto; temevo che almeno quelli , che gliscorgevo più pensoli degli altri, foffero mancati; Mà vedendo quì ancor voi, e più ilari , e disinvolti del consue. to, è chiaro contrafegno, che le vostre menti, che si ritrovavano nelle Giornate passate ambigue, non sapendo ancora à che partito appigliarsi, abbiano già déterminato di seguitar le virtù, avendo jeri gustato, e meditato in appressoquanto di benc da elle ne possa risultaa re; Onde tutto il giubilo interno; che voi ora provares non nasce da altro, che dall'essere divenuti padroni del vostró volere. Spero dunque, che tutti inGeme äverere avuto la medesima forte d'allontanarvi affatto da' vizj, e di confederarvi con le sole virtù, e queste fatele ora padrone dispotiche della vostra voz lontà, e non temere de viżj , che fuor di voi fi ritrovano , che possano essi punto nuocervi, con tutto che vi tramaffero continue insidie per lo sdegno concepi . to contro di yoi's che ve ne siete da efti affatto allontanati , perche farà curau delle virtù il difendervi: Vi säria gran timore quando questi inimici teneilero tuttavia assediato il vostro cuore, e fiorreffero liberamente d'intorno alla voftra volontà ; Allora sì che tion potreste fidarvi delle loro insidie , ftanteche in tal caso le virtù non potriano affiftervi. Vivete dunque cautelati á non tradire. voi stesli orche ne fiece liberi; e questo seguiria facilmente quando apriste qual  [ocr errors] che segreta porta , per dove poteffero i'vizj dentro di voi tornare. Per altro faccino  pure  fuori di voi quel più , che possono s che punto non vi potranno danneggiare.L'esempio l'abbiamo chiaro ne i Romani, che fino ch'ebbero Annibale nell'Italia stiedero con ragione molto mesti, ed affitti per il timore delli gran danni , che poteva loro  apportare, mà appena partito, sollevorno lo spirito, con tutto che proseguisse à molestarli, e di niuna cola elli ebbero più spavento, che della guerra intestina, la quale alla fine fù cagione , che perdelfero la loro libertà.  Parerà oggi discorso superfluo il mio,mentre voi avêdo in abbominazione li vizj;ed essendovi dichiarati seguaci delle virtù, potrete con la guida di esse consigliare più tosto gl'altri, che aver bisogno di Direttore, con tutto ciò perche non avete à bastanza ancora acquiftato Puso di prevalervi di effe , non vi farà infructuoso il sentire da me in compendio quel bene , che à suo tempo, ed  [ocr errors] [ocr errors] in tutti i vostri maggiori bisogni , questo vi apporteranno , potendo ciò ancoras fervire per confermarvi di vantaggio della vostra lodevole risoluzione.  E cominciando prima dalla Religione, che con puro cuore profeffate , poiche  Non fi comincia ben se non dal Cielo ; Qucfta non solamente vi darà lume, e vi fervirà di scorta per quello che riguarda l'eternità, mà vi configlierà di fare fempre uniti con le virtù, facendovicon chiarezza vedere la deformità de' vizj, e li gran danni che apportano; Quindi è, che neceffariamente la fapienza deve ftare unita con la Religione, conforme diffe Lattanzio : Homines ideò falluntur , quòd aut Religionem fufcipiunt omissá Sapientiâ , aut Sapientia foli student omissa Religione , cum alterum fine altero non poffit effe verum ; Oltre di che vi farà conofcere meglio di che forta d'amici avrete da fare elezione, perche fe vi abbattete con taluno di coloro, che sono affatto increduli di ciò, che non veggono, v'in  [ocr errors] [ocr errors] finuerà, che questi non sono à proposito per voi , che ci trattiace quanto porta il mero bisogno ; ma non più oltre, perche questi sono tenuti da Sant'Agostino per tomini carnali , dicendo ; In homine carnali tota regula intelligendi est consuetudo cernendi quod solent videre credunt ; quod non folentznon credunt; conforme ancora, che fuggiare ogni altro vizioso , è che v'intrinfechiare solamente con chi è seguace delle virtù, e finalmente vi terrå fempre circospetti in non prestare fede à ciò,che leggerete, ò sentirete dire; che poffa in qualche parte alienarvi dal suo vero sertimento  Non ritrovandovi ora in istato di potere profeffare la Medicina , per non essere totalmente esperti in essa , vi converrà cercare ottimi Direttori, nella di cui elezione consigliandovi con la Pradenza , v'insinuerà, che vi appoggiate -à quell'appunto, che descrive Cicerone in tal guisa : Eft igitur adolescentis majores natú vereri, ex iisque deligere optimos, e probatisimos , quorum confilio , atque  au  auctoritate vitantur : Ineuntis enim ætatis, inscitia ferum conftituenda da regenda prudentiâ eft.  V’insinuerà d'avantaggio la giustižia come vi dovrete contenere per acquistarvi il loro affetto , che sarà, oltre l'accennato ossequio, di esser loro fede  li, e schiecti z di moftrarvi sempre pune è tutali, obbedienti, e diligenti in tutti li  affari, che v'insporranno, perche operando või in questa guisa, non solamento v'istruifanio con tutto l'amore, må vi loderanno da per tutto, dalla quale preventiva commendazione germoglieranno à suo tempo li principi delle vostre fortune', e troveretegià spianata la ftria da de voftri progreni s állorché principierete à medicáre.  Intraprendendo con questi felici principj l'attual'esercizio della Medicinás allorche' già farete divenuti esperti , non pafferă lungo tempo, che molti di prevaleranno dell'opera vostras & allora appunto li vizj vi comincieranno à muoa vere guerras e Vinvidia farà la prima  ämoà molestarvi. Questa già da bel principio vi aveva fissato adosso li suoi maligni sguardi , mà non prima di vedervi avanzati si muoverà per suscitarvi contro li suoi seguaci, e le comanderà, che spargano da per tutto, che fiere troppo giovani , che non avete ancora pratica sufficiente, e che dicano con finto zelo : Oh poveri Malati, che si pongono nelle voItre mani, se questi guariscono seguirà per miracolo, non per la vostra perizia, e se vedrà, che ciò non basti per arrestaryi ne' vostri progrelli, invigorirà allora li suoi comandi, e farà disseminare dalli medesimi, che siete veramente infelici, mentre quanti Malati vi capitano, tanti ne muojono, e che non sanno capire , come siano così pazzi coloro, che vi chiamano. Sentendovi calunniare à torto in tal guisa, cosa dovrete fare? Non altro, che consigliarvi con la Prudenza, e con la Giustizia, che vi favoriranno assai bene : primieramente vi esorteranno a non prendervene alcun fastidio, perche è affai migliore la vostra  forte  و  sorte , per essere invidiati , che non è quella delli vostri calunniatori , che non hanno chi l'invidj, mà appena tal’uno, che li compatisca. Vi consiglieranno poscia à non prendervela con quei miseram bili , e vili esecutori dell’Invidia , perche operano come suoi schiavi, non già come uomini liberi, e se foffero in loro libertà opererebbero come voi, che aba borrite simili iniquicà. Vi consiglieranno bensì à mortificare l'Invidia in questa forma, cioè, di contraporle la vostra umiltà, quando d'Invidia vedrà, che voi non siete ricorsi alla vendetta rarne il suo ajuto, mà in sua vece vi servite dell'Umiltà, resterà talmente forpresa, e confusa, che si vergognerà in avvenire di ciinentarsi più sola con voi, avyedendosi di non potervi abbattere ; mà cosa farà per non cedere? Si unirà con il Dispreggio, e con lo Sdegno per necessitarvi à ricorrere alla Vendetta. Questi vizj baldanzosi comanderanno à qualchuno de' suoi petulanti seguaci, cine vi faccia una mala creanza, e vi mo  per implom desti senz'averne data occafione, in queIto caso ricorrete subbitamente per consiglio alla Prudenza, che vi farà capire, che di tal'ingiuria , non ne doyete chiedere fodisfazione dalli seguaci del Dispregio, e dello Sdegno, perche quei, che seguitano questi yizj , come imprudeņti, sono ancora pazzi, & į pazzinon essendo capaci di discernere ciò che fạnno, non sono tenuti di renderne conto; Contro li principali dunque, & autori caderà il vostro sdegno , e questi, come vi consiglierà che li mortifichiace ? Non già con la vendetta, perche questo appunto desidereriaạo che faceste, cioè, che ricorreste ad un'altro vizio, che vi tradise, e cogliessę nel mezo per forzarvi å rendervi à loro discrezione, inà bensì con la sola sofferenza tanto da essi temuta per il grandanno, che loro apporta, & affinche lo facciate con aniino generoso vi riferirà li seguenti casi.  A Diogene Filosofo Stoico, mentre stava disputando particolarmente della collera , gli fù da un protervo giovane  fpu  Sputato in faccia , sopportò egli il tutto piacevolmente , e da savio, e solo disse: Io non vado veramente in collera , mà non lasciò però di dubitare , fe in questa occasione doveffi farlo.  Catone mentre staya difendendo una causa ricevette da Lentulo giovane seditioso ua folenne sputacchio nella fronte, egli si nettó, e rasciugò la fronte , & armato di una gran sofferenza, solo diffe: lo affermarò à tutti, ò Lentulo, che fi gabbano quelli, che negano, che tù abbi bocca. Rifettendo voi dunque all'ingiuria maggiore della vostra fatta ad uomini di tanta stima, & al modo, che si conțennero vi si renderà più facile l'esecuzione del confimile ripiego propostovi dalla prudenza , mediante il quale avvedutosi il Dispregio, e lo Sdegno, che in vece di quocervi vi hanno accresciuto ftima appresso tutti, desisteranno ancora eff di più moleftärvi, vedendosi dalla vostra sofferenza delusi, e vinti, Arriverete al fior degl'anni avan.  [ocr errors] zati già ne' commodi, & in conseguenza con più lautezza nudriti. Allora vorrà facilmente la lussuria cimentarsi con voi, e per farvi qualche danno considerabile, vitenderà molte insidie , vi farà trovare occasioni pronte; procurera, che siate con vezzi, e lusinghe adescati; Allora cosa farere?ftate faldi,perche sarà contro voi questa una gran guerra, mentre non avrete campo in quel punto preso di consigliarvi con le virid, ftanteche : Vinum, & Mulieres faciunt prevaricare Sam pientes., come ben diffe Salomone. State faldi, che è pur troppo vero, che molti si sono arrenati per questa cagione nel meglio de’loro avanzamenti : Vi converrà dunque procurare di prevenire l'infidie della lussuria, e non aspettare di cssere prevenuti da effe , e questo lo farere , quando sarete prossimi à quel tempo con chiamare à consiglio generale turte le virtù per risolvere cosa sia efpediéte,che facciate,ò di accasarvi,e con chi, ed in che tempo, ò di continuare lo Aato libero,e con che cautele maggiori,La Prudenza, e la Giustizia vi con figlieranno facilmente à prender mor glie, con il motivo gịultiflimo,che quel la vita, che da voltri genitori riceveste con voi non si estingua, mà che per la conservazione della propria specie law propaghiate ne posteri, ed à buon fine ancofa, che non abbiate tanto da impazzirvi nella vostra vecchiają à cercare l'eredi, conforme ad alcuni, che non mai fi cușorono del titolo di padre è accaduto; La sola difficoltà si rifringerà allo sciegliere chi faccia per poi , perche la Prudenza, e la Giustizia vi vorranng consigliare diversamente da quello si pratica in alcuni luoghi, dove il folico  di cercare chị abbią dotę groffa , chi sia bella, e fpiritosa; la Prudenza non vorrà, che cerchiate questo, in primo luogo, mà bensì, chi sia di buoni natali, di perfetta faļute, e di ottimi costumi, ¢ ben’educata ; e con ragione, perche non deve essere affare di minore impostanza l'accasarsi, di quello, che sia di fær compra di un cavallo; e se per comprare  un  [merged small][merged small][merged small][ocr errors] [merged small][ocr errors] un cavallo ( che non riuscendo buono fi può subitamente dar yia) fi ricerca in primo luogo la buona razza, fe fia fano, e se abbia vizio'alcuno, perche nel pro- : vedersi della compagnia inseparabile non si hanno da fare fimili diligenze Sicchè trovato che ayrete chi abbia le condizioni sudette stringete, senza più indugiare , il vostro matrimonio, con quella dote, che avrà, senza ricercarne d'avantaggio, che farete un'ottimo negozio, perche quattro faranno le doti, che prenderete, una sola apprezzata , e trè inestimabili , per non effervi prezzo, che le uguagli', e saranno, la buona nascita,la salute, e gli ottiini costumi, con la buona educazione, & avvertite à non fare diversamente , per non cadere nella sventura di Socrate, che fi abbatte in una inquietisima Santippa. Circa il tempo in cui lo dovrete fare viconsiglieranno, che non lo facciate nè troppo giovani , nè croppo vecchi, mà bensì nell'età virile, ed allora appunto, che ayrete stabilito un'assegnamento suffi  ciente  1  [ocr errors]  ciente per il inantenimento della vostra  fameglia, e non prima , pèrche si ricerca  fenno, e cominodica per effere, buon Pa-  dre di fameglia. Non troppo giovani,   per non distogliervi da vostri studj, ed  avanzamenti, ne' quali non sarete anco-  ra bene stabiliti , nè troppo vecchi, per  non lasciarli, se avrete figliuoli, troppo  immacuri, e senza avyiamento, e per  non foccombere ancor yoi fotto il peso  del matrimonio prima di quello , che  fareste vivendone disciolti , conforme  à tanti è accaduto ,        Şe poi voi adurrete alla Prudenza ,  e Giustizia li seguenti motivi, che avete   esimervida simile legame, che sono; ò che già vi è nella vostra fameglia, chi sia atto à sostenere un simil peso, ò che dubitate , che la moglie, e l'educazione de'figliuoli vi possano distogliere dalla voftra professione, qualche altro inotivo à voi folamente noto non crediare, che yi forzeranno già à farlo, vilascięrano in tutta yostra libertà, vi consogneranno bensì alla Fortezza, e Tempe  Q:  per  [ocr errors] ranza,  }  ranza , acciocchè vi consiglino, e prestino ajuto in caso, che la Luffuria vi fa. ceffe qualche violenza . Il consiglio, che quefte virtù vi daranno sarà facilmente, che siate circospetti, ed appena , che vi sarete avveduti di qualche laccio, che yi tenderà la Lussuria di troncarlo,e prima che vi poniate il piede, che siate fempre cautelati nel parlare , ę fentendo qualche parola equivoca, l'interpreciate sempre à favore dell'onestà, né la crediate detta per voi, che ricevendo qualche cortesia insolita, la crediate fatta solamente per isperimentare la vostra modestia, e non ad altro fine , onde la cancellerete subitamente, acciò la rimembranza di quella non turbi la vostra fantasia ; Che vi moftriate sempre sostenuti più tosto, che galanti in certe occasioni di confidenze, dalle quali con bel modo procuriate di liberarvene , che da certi luoghi sospetti,se ne potrete fare a meno, ne stiate lontani, & andandovi, procuriate efservi in ore, che vi fieno altri, perche al parere di Seneca : Magna pars  peccatorum tollitur fe peccaturis teftis alibi  Aat(a); ed ivi non vitrattenjate più del  bisogno necessarios e sempre con discorsi   serj, ed uniformandovi alli consigli della  Fortezza, e Temperanza non diffidate  punto della loro allistenza nelli maggio  si vostri bisogni, che dureranno lino à  tanto. che sarà in auge il fervore della  vostra gioventù .         Il vizio della gola vorrà aticor'egli  fare tutti li suoi sforzi contro di voi in  decto tempo più profpero di vostra vita,   per vedere se vi potesse adescare; e cofa   farà a comanderà facilmente à qualche-  dano de' suoi ricchi feguaci , che facen-   do uno de' fuoi sontuolillimi pranzi, o   cena; conviti ancor voi; considero , che   vi troverete in quel punto preso incri-   garislimi, perche rifletterete allora , che   le ricuserete tale invito , sarete' tenuti   per uomini incivili, che non gradite li   favori, e cortefie, che vi fi fanno; fed    l'accetterete,metterere ad un gran risico   Ja vostra temperanza , onde vi converrà   (*) Episi 11.di questo ancora chiederne preventivo Consiglio s. per aver pronto il suo fano imedio per quando vi capitaffe il bio fognb.  si Consigliandovi preventivamente con la Prudenzás.per sapere in che modo allora vi dovrete contentere, sarà facilesi chievi dica;;che se viritroverete in luoo ghi dove sia solito, e che frequentemente li Medici fiano convitati, & intervenghino in fimili bancheteis. non ricusate tali inviti s perche quelle cose, che sono folite', nou recanto alcuna aimniirazione, non facendosene caso,basterà solamente; che yi sappiate regolare con giadizio in non pregiudicare di molto alla vostra  consueta fobrietás perche nuocerestu e è  più li denti nel masticare , che la gola nell'inghiottire si e diportandovi in tal guisa,la gola avrà poco guadagnato con voi; Sepois dove voi dimorerete , non fosse in uso, mà solamente, che di rado li Medici v'intervenissero con modo al  fai civile, che lo ricusiate pure,non man.. candovi legittima scusa, mentre ò la vo(tra complessione non assuefatta à fimili disordini, ò qualche cura riguardevole, che avrete in quel tempo, queste vi potranno efiinere onestamente da qualunque taccia d'inciýiltà . 03.15  Sò che vi appagherete di tal distinzione saviazfatta dalla Prudenza, effendo. voi capaci di riflettere , che dove i Mea dici ricevono spesso simili correfie fono molto stimati, ed in conseguenza i loro difetti non sono con tanta attenzione norati da tutti, come l'opposto segue dove di detta stima si penuria.  E certamente l'esperienza hà fatto vedere, che nel secondo caso, quando li Medici si sono voluti azardare à fimili cimenti, se ne sono poscia pentiti, ftante che, ò per non essere cosa solita , ò mediante la curiosità di vedere in che modo si regolavano coloro, che tanto biafie mano la crapula, hanno ritrovato iyi molti spettatori de' loro portamenti, che li hanno posti in qualche suggezio.  R 4  [ocr errors] ne,  he', mediante la quale ; se hanno procutato di contenerli nella sobrietà, hanno. fentito de'motteggiametitizñiehte da effi graditi, e se hanno disordinato, gli sono giunti all'orecchie certi sussurri della's fervitů z che diceva : Il buon Medico che biasima tanto li disordini , egli troppo fà peggio di noi, andiamo à credere cið, ch'egli dice; Se poi taluno di elle fia restato gabbato dal vinos non hà troVato già chi l'abbia seusato ; conforme fece Seneca a favore di Catone; impuitato di fimile vizio, dicendo, che non poteva essere, che un Catone fi ubriacasses mà quando che ciò fosse stato vero, in un Catone fimile vizio faria passato in virtù .  Mà non si sono già pentiti quelli ; the civilmente ricufarono fimili inviti, mentre fattisi capaci coloro, che desideravano di vederli crapolare; dalli giusti motivi apportaci per iscusa, rimasero più tosto edificati, che disgustati da fiinili repulse, ed in segno di ciò ne diedero in avvenire attestati di maggior ftima: Ne  ро  [ocr errors] [ocr errors] potrei di questi efempj riferire alcuni a mà, per non dilongarmi troppo , ftimo bene di tralasciarli . Sicche, per vincere la gola , il partito più sicuro sarà di fuga gire l'occasioni pronte di crapolare con un'onesta ritirata , conforme la Prudene za configlia :  Stabilito che avrete il vostro itato à quel fegno che potrete ; non solo per decentemente vivere , e mantenere con decoro la voftra casa j mà ancora con la vostra economia accrescerla commodamente; allora l'ingordigia , e l'infariabia lità di cumulare vi comincieranno & muover guerra, e quello, che farà più formidabile con apparenze vantag: giofe v'infidieranno alla vita , mentre vi Itimoleranno, e vi violenreranno infieme ad accettare tutto ciò che vi si pre fenterà davanti , e fe quefto non bastera à renervi nottése giorno occupati, vi ftimoleranno à procurarne de' nuovi fervigj, e certainente non per altro fing, che per distruggere in breve il vostro inzia dividuo con una eccelliva fatica, con  una  1  250 Dell'Idea del vero Medico. una continua inquietudine di animo,con una perpetua schiavitudine, credute tutse dal Mondo pazzo per felicitàe per prosperità di fortuna  Cosa dovrete dunque fare per rimuovere da voi un sì evidente pericolo di vita, che vi sovrasta 2 Vi converrà certameute prenderci rimedio prima, che questi nemici facciano breccia nel vostro cuore., e parlamentino con il vo. ftro desiderio, perche altrimenti con lo fplendore dell'oro li guadagneranno, ed il suo rimedio ficuro farà, che quando  ' non ifta concento di ciò che hà, e vorrà procurare cofe maggiori, di consigliarvi tosto con la Prudenza, che questa facilmente lo quieterà con dirvi : Cofa bramate d'avantaggio a non avete, più di quello vi bisogna rimirate quanti altri, che hanno accor essi egual merito alvoftro, sono più attempati di voi, e pure non sono così ben proveduti, come voi fiere: Ditemi, che tempo avete , che vi avanza , quando appena ne resta tanto ,che basti per lo studio necessario's e pery il bisognevole riposo ?  E quale di questi due tempi vorrete impiegare nelle cure di più, che deside rate confeguire ? forse il primo ? La Giustizia se'ue sdegnerà per non esser vostro: Forse il secondo, che è cutro vostro & come potrete vivere s fapendo voi, che: Quod caret alterna requie durabile non eft. Riflettete attentamente, che lo le pioggie curte cadessero sopra pochi campi, in vece di ravvivarli, e rendera li più fécondi , opprimeciano più costo quanto di verde li ricopres e che la gran Providenza ,che saggiamente opera, dispensa il publico bene à prở di cucţi; facendo, che il Sole non per pochi, mà bensi per tutti risplenda', c finalmente che le taluno vorrå soverchiainente cam ricare il suo stomaco, anco di dolcissimo cibo , gli converrà ben spesso soffrire aspri dolori di ventre. Risplende molto l'oro, må riflettere ancora , ch'è più' grave di qualunque altro metallo , onde neceffariamene ammaffarne di molto non  si può  G può senza restarvi affatto oppresli id Breve sotto il suo grave peso, o per la meno perderci la propria libertà; Quindi è, che faggiamente Curio ricusò da'. Sanniti tutta quella gran quantità di oro, che gl'avevano portato 5 dicendo foro, che esso credeva cosa più gloriosa il poter comandare à chi molt'oro possedeva , di quello che fosse il possederne di molto ; volendo in tal guisa farci ca. pire, che non si poteva cumulare oro in: gran copia, e mantenere la sua libertà. Il mio configlio dunque è, che freniate il vostro defiderio, acciò non bramjata nè pure una cura d'avantaggio di quel le, che potrete commodamente reggere, e tanto maggiormente, che quefta voce Cura appresso li Latini non significa altro, che Briga, è travaglio, ex eo quod cor edat, dw excruciet, delle quali conviene ayerne folamente tante,quante baftino à poterle fofferire, e non più , verificandosi in esse più, che in ogn'altra cosa quel detto: Ne quid nimis . Sentitene però il parere della Giustizia per res  go:  [ocr errors] golarvi fino dove vi potrete stendere;  per non incorrere nella caccia d'insa-  ziabili.  Voi sarete facilmente rimasti per   ora appagati di quanto vi avrà detto la   Prudenza, à segno, che non vi curerete   sentire altro conseglio, con tutto ciò per   convenienza almeno sarete tenuti,aven-   dovi ciò la sudetta incaricato, di sentir-   ne il parere della Giustizia , intorno al  vostro regolamento, e con tale occasio-  ne vi potrete consigliare ancora sopra   un certo ripiego, che facilmente il vo-   ftro desiderio visuggerirà, cioè di all.com   gerirvi de’ servigi antichi per proveder-   vi de' nuovi di maggior vostro profitto,   e minor briga, il quale non lo dovrete   porre in esecuzione senza l'approvazio-   ne della Giustizia.   Esposto , che avrete a questa fanta virtù ciò, che bramate sapere, ella cortesemente y'insegnerà ciò, che dovrete fare intorno al vostro regolamento, che sarà di misurare in primo luogo le vostre forze , & il tempo, che vi resta libero,  [ocr errors] e poi l'impiego , che vi si presenta, e se rincongrerete le misure proporzionate trà di loro , accettatelo pure, senz'alcun timore della taccia d'insaziabili; Vi suggerirà però, che stiate bene oculati in prenderne le dette misure à suo dovere, affinchè non reftiate ingaonati, perche . altrimentiaffatto infructuofo riusciria il fuo configlio,ed acciocchè non segua un tale errore, vi darà lei medefima dug meze canne, una delle quali la troverete molto scarfa, e l'altra affai vantaggiosa; con la prima yi ordinerà, che miluriate le voitre forze, & il tempo, che vi ayanza ; con la feconda l'impiego, che vi li presenta, e prendendo voi le misure in questa guisa yi assicura la Giustizia , che non potrete errare. Doye che facendoli da voi diversamente, tutte le altre meze canne , che adoprerete ve le porgerà il yostro desiderio fatte à suo modo, e saranno tutte yantaggiose di molto quelle, con le quali misurerete le vostre forze, & il tempo, e scarsiffime quelle, delle quali yi servirete per misurare l'occasio  ni,  [ocr errors][ocr errors] ni , e questa è la cagione de? sbagli, che fi prendono contro il volere della Giuftizia , c per due capi, (primieramente, perche chi misura in cal guisa erra per abbreviare la lunghezza di fuá vita , divenendo omicida di fe medesimo, sì ancora per il danno,chie nc poffono riceveré alcunische ad ore affai incongrue, ed à mente stracca gli cocca per fimilisbagli essere curati.  In glçre vi dirà apertamente, che non dovrere in conto alcuno disfarvi delli servigi antichi per prenderne de' nuovi in fua veće, perche non avete alcuna giusta cagione di farlo , anziche facendolo, mostrereite una somma ingratitudine in abbandonare chi in temро  de' vostri bisogni vi fù grato , e chi vi favori ne' vostri avanzamenti, non con altro motivo, che de' yostri maggiori vantaggi ; se poielli, senza alcuna vostra colpa, fi alienaffero da voi , in questo solo caso, perche volenti nan fit injuria, lo potreste fare senz'alcuna taccia d'ingratitudine; e së esercitaste la  Me256 Dell?idea del vero Medica, Medicina in certi luoghi lontani, dove alcuni li prevalgono di un Medico fino à tanto, che lo vedono incominciare à far negozj, ed allora se ne disfanno per prenderne à proteggere un altro : İyi basterebbe pazientare un poco, che vi li presenterebbe l'occasione di poter: lo fare, mà dove ciò non li costuma vị convien’essere grati, e costanti, fische sarete capaci di medicare,  Con tutto che resterere per qualche tempo appagati di quanto vi hanno consigliato la Prudenza, e la Giustizia perche il vostro desiderio yerrà conținuamente bersagliato daļli sudettį ab. bominevoli vizj, sarà necessario, chcimploriate l'affiftenza della Fortezza , e Temperanza , acciò perseveriare sempre Itabili nell'offervanza di detto consiglio, & il maggior bene, che dette virtù vi potranno apportare, sarà d'infinuaryi diverse istorie di coloro, che per essere Itati insaziabili, nel colmo delle loro credute prosperità sono mancati, eche infelice memoria di esia ne fią rimasta trà  noi  [ocr errors] و  [ocr errors] noi, mentre chi ha lasciato la sua fameglia appena slattata , senza indirizzo, a senza guida, chi intricata la sua eredità , per non aver avuto tempo in vita di ben'impiegare li suoi avanzi; chi, doppa fofferta una lunghissina, e dispendiosa infermità, acquistata per li suoi grans Strapazzi , appena hà lasciato tanco, che bastasse al suo funerale; e finalmente cosa sia stato detto di tutti doppo morti, cioè, che non'ınericavano d'essere compatiti, perche erano morti per colpa loro, avendo voluto abbracciare troppo, e più di quello, che potevano reggere, çon tutto quello, che la maledicenzą gradita, e senza timore alcuno så inventare di peggio contro i poveri des fonti,  Impresli, che avrete sì spaventosi esempj nelle vostre menti, con la riferfione, che il simile seguirebbe in voi,  fc cadefte in tali errori, non temeţe più , che il vostro disiderio possa essere superato da simili vizj , perche questi gļi serviranno di un gran freno ,  R  Nelle  Nelle vostre maggiori prosperită l'Adulazione ancora vi farà doppia guerra la prima confifterà in ispargere di voi più lodi di quelle , che meriterete, per risvegliarvi contro l'Invidia , quando fi foile mai adormentata, mà trovandovi già premuniti de' buoni avvertimenti dativi dalla Prudenza, non vi potrà punto nuocere in questo primo asfalto, e se uniręcę alla fofferenza una profonda , e fincera umiltà, supererete l'Adulazione, el'Invidia nel medesimo tempo, Màvedendofi da voi la maliziosa Adulazione fchernita , adoprerà tutte le sue frodi per violentarvi ad essere suoi seguaci , e per farvi divenire per forza Adulatori, come farà mai ? Sentite bene; Pren. derà l'occasione di qualche cura grave, nella quale intervengano molti parenti, & amici dell'Infermo, e vi farà da  queiti  porre in angustie di diventare Adulatore per forza, per li seguenti impulsi : Vi dirà taluna di esli , questo male si aggrava, perche non gli fate applicare quattro vefficatorja se ne morirà senza  questo  [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small] questo rimedio, e la colpa farà tutta yostra, che trascurate un rimedio sì efficace. Un'altro vi dirà: perche non gli date una buona Medicina da tirare giù ? lo volete lasciar morire senz'ajuto? ayver, cite, se muore , fentirere, che si dirà di voi, à me basta di avervelo avvisato. Vi sarà ancora trà essi chị vi ayyertirà, che se gli cavate sangue morirà certamente, perche non gli conviene; e d'avantaggio vi dirà , che se lo cayerere lo amazerete, e derro male farà per appunto un'infiammagione interna , nella quale non conviene ciò, che viene proposto , e gli sarà necessario quanto viene ritardato. Vedete in chę angustie , in che laberinţi vi troverefte, se non aveste la Prudenza configliera ? Imitercste senza dubbio, ò quel Medico, à cui un tempo fà , fù suggerito da un'amico dell'Infermo , in un caso simile , un certo riinędio, dicendo, che lo proponeva , perche cra esso ancora mezo Medico ; A cui alquanto alterato gli rispose: & io son tutto Medico , conviene dunque, che la mecà ce  [ocr errors][ocr errors][merged small] fi: 28    1  da al tutto; Io, che sono tutto, non voglio che si dia , non si deve dunque dare; O pure quell'altro, che ritrovan. dosi in un fimile intrigo», doppo aver dette le sue ragioni , senza profitto, rifpose : Giacchè loro Signori ne fanno più di me, facciano loro la cura , e se ne andiede via, mà ciò non lodandolo la Prudenza, sentirete dunque da lei , in che forma vi dovrere regolare.  Sentendo riferire da voi questo fatto la Prudenza disapproverà molta, che chi non è Professore, ardisca così francamente di proporre, ed escludere quelli rimedj, che in mali sì gravi danno molto da pensare alli medesimi Professori provetti, e che pongano à cimento li onorati, con modi si violenti, di diventare Adulatori, e facilmente in tal guisa vi consiglierà: Dite le vostre ragioni à chi bisogna, con animo composto, e questi, ò fi appagheranno di quelle , ò nò, se ne resteranno fodisfatti, rimarrà già terminata la controversia , e potrete fare liberamente à voftro modo, se poi persisterahtio ancora ostinati nella loro opis nione , allora suggerite, che tratrandosi di un male sì grave con tante controverfie, desiderate nella cura di avere altri Professori compagni per meglio risolve. re ciò, che si debba fare ó e procurate, che con sollecitudine ciò segua y acciòcchè la lunga dilazione non pregiudichi all'Ammalato, e che ne consulti siano presenti coloro, che fuscitorno le controversie , affinche sentano con quante circospezioni sono serviti gl'Infermi, ed ancora se avranno qualche cosa di più la poffano dedurre à tutti.  Facendo voi à modo della Prudens za, non dovete avere più timore di prevaricare, perche la Fortezza vi assisterà, c consolerà insieme , l'assistenza sarà di non farvi prendere in questi casi certi : dannosi ripieghi, che sariano , in vece de' vefficanti d'applicare li senapismis di un purgante , dare un leniente, ed in tanto d'andare differendo la sanguigna , facendovi conoscere, che l'operare in questo modo non è da Medico, mà bensi  [ocr errors] 9  [ocr errors] da Adulatore, e che quancunque questi tali nelli funesti eventi fieno dall’Adulazione tenuti indocenti, e difefissorio però dalla Giustizia creduti rei di gran colpa s con tutti quelli, che ne diedero l'occasione, e vi confolerå parimente la Fortezza con dirvi: Si poffono chiamare tempi felici nella Medicina li presenti, non vedendoli ora l'Adulazione premiata à quel segno, che era ne' tempi di Galeno, nè la lincerità così vilipesa; Allora trionfavano li Medici Adulatori, erano ricchi, e potenti gerano stimati , e riveriti, ogn’uno facęya à gara di fayòrirli, eli onorati, sinceri, e docti se ne stavano abbandonati, derisi, evilipeli, e se non fosse stata la mia grand'alistenza,che prestavo loro , nè pure úgo ne sarebbe rimasto di efli, anzi Galeno isterlo, che non avesse prevaricato per quanto venivano violentati dall'Adulazione :' So, che presterete fede à quanto vi dico, mà volendovene accertar meglio di quanto fuccedeva in quei cempi leggere ciò , che Galeno riferisce nel primo del suo  [ocr errors] me.  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] metodo, che appunto è questo: Eoque jure fit cum ægrotare cçperint Medicos advocent , non quidem optimos į utpotè quos per Sanitatem noscere nunquam ftuduerunt , fed eosy quos maxime familiares habent ; quique ipfis maximè adulentur , qui du frigidam dabünt; si banc popofcerint, lavabunt cùm juferint; a nivem; vinum= que porrigent poftremò quidquid jubebitur mancipiorum ritu facient &c. itaque non qui meliùs arten callet ; fed qui adulari aptiùs novit apud iftos magis in pretio eft , buic omnia plana's perviaque funt , huic ædium fores patent ; hic brevi efficitur dives, plurimùmque poteft &c. Quali violenze oggidì sono cessate , mercèche hanno imparato molti à proprie spese à non commertere più la loro vita in mano degl'infidi Adulatori, e perciò essendo mancati per loro l'impieghi, e li gran guadagni, che in breve facevano,è mancato ancora quel grand'impulso, che vi era à dover effere Adulatori per essere adoperati, e tutto questo mi costa  per essere io la Fortezza, che affifto à quei  ز  e. lig a fe ne be he ni dy 112 to 5, 10  generofi spiriti,che abborriscono l'Adulazione , & abbandono quei vili, che se le danno in preda  Se poi non bastasse all'Adulazione d'avervi fatto violentare da parenti, ed amici, mà volesse ancora farvi forzare dall'Infermo isteffo à divenire suoi fem; guaci , in questo caso, fatte che avete le diligenze propostevi dalla Prudenza; e. che mediante quelle egli non resti appagato, la Giustizia non vi violenterà già à continuare il servigio, vi forzerà bensì à non divenire Adulatore , onde in questo caso, con tutta civiltàs procurerete ( quando l'Infermo' non deliri) di consegnare ad altri ciò, che non fà per la vostra riputazione ; ben’è vero, che questi sono casi rarissimi avendo molte altre cose da penfare l'aggravato Infermo, che di voler'essere adulato, con tut  per farvivedere, che ve ne sia stato qualcheduvo, che abbia desiderato di cllcre adulato fino alla morte, viriferirò la presente istoria : Una persona di qualità cospicua, molti anni sono, dovendosi  pro  to ciò  [ocr errors] [ocr errors] provedere di Medico; ne scelse uno tutto di suo genio, ed avendolo participato al suo amico di confidenza ; questi in vece di rallegrarsene seco se ne condolse, dicendogli apertamente, che poteva fare meglior'elezione , essendovene tanti più esperti del già eletto 3 replicò à questo: Lolo-sò beniffimo, mà hò voluto pren derne uno, che faccia à mio modo ancora quando mi trovo ammalato, perche io non poffo Coffrire quel Medico, che allora mi voglia forzare à fare à suo modo, gli rispose saviamente l'amico : Signore, chi fà à suo modo quando ft benes: conviene , che faccia à modo del Medico quando ftà male, non poffo lodare la sua elezione, con tutto che sia di suo genio, perche si tratta di Medico, à cui si consegna la propria vita, non già di un servidore di mera comparsa ; che poco importa di che abilità egli sia, mà non paffarono molti anni, che detto Signore cadde inferino di lunga , e fiftidiosa malacia, che terminò finalmente, per essere vissuto à suo inodo in un'ascelfo interno, espurgava della marcia per feceffo , la vidde l'isteffo Infermo, che diffe, non farà marcii , må bensì il pangrattato, che hò preso questa mattina lo domandò al suo Medico, che gli rispose per dargli gufto, quello appunto & Signore, e con quel pangrattato se ne mori, adulato sempre fino al fine della fua vita.  L'Iniquità, e l'Inganno confederati , nôn porerido più Toffrire, che voi godiare quella bella tranquillità interna per cagione delle vostre virtù, vorranno ancora effi con le loro frodi adoperare ogni sforzo possibile per turbarla ; ed in fare ciò vi toccheranno facilmente nel più vivo, inolestandovi in qualche cosa di vostra somma premura , e doppo di aver consultato trå fe più danni,risolve, ranno alla fine di farvi perdere il servigio di quelli, che vi sono più á cuore, € tanto si adopereranno,e con tanti mezi s'ingegneranno, che finalmente gli riufcirà ciò, che bramavano i onde voi, senza faperne il perche , e senza averne  data  و  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] data alcuna occafione , essendosi con in? sidie segrete proceduto , all'improviso vi troverete esclusi da quel servigio da voi tanto prediletto. E che farete allora? vi dolerete forse con la Giustizia ; che siete stati licenziati à torto ? Avvertite , che facendo in tal guisa imitereste Santippa, che si doleva della morte di suo marito , perche si faceva morire å torto, à cui il sapience Socrate rispose : E che desideravi forse, che io foli fatto morire à ragione ? questa appunto è la mia gloria, che sono fatto inorire à torto. Sicchè alla Giustizia non vi cooviene ricorrere, må berisi dapoi che fi sarà alquanto calmato quel senso, che neceffariamente vi avrà apportato una nuova ingrata, ed improvisa, dovrete ricorrere alla Pradenza per riceverne il suo configlio à fine di poter più spedicamente restituire all'animo vostro quella bella calma, che dall’Iniquicà, e dall'Inganno gli era stata rubata :  La Prudenza senrendo da voi tal novità vi consolerà certamente, ftate  al  [ocr errors][merged small][ocr errors] allegri, dicendovi , che questa è una's grazia, che vi fà la Divina Providenza, facendovi capire , che vi dovete alquana: to staccare da ciò, che nel mondo vi è più caro , per confidare solamente in lei, che non mai hà abbandonato chi fedelmente la serve. E di che vi dolete? forse perche perduto avete un servigio à voi caro ve ne restano pure tanti altri? com- .. partite tra questi il vostro affetto, che così non avrete fatta perdita alcuna potendone del vostro amore ricevere da molti maggior ricompensa di prima, ò pure (che sarà meglio ) questo vostro amore non gradito dagl'uomini accrefcetelo à Dio, che vi recherà molto maggior profitto di quello , che vi rendeva prima. E se veramente amate di cuore quella casa, che avete perduta g non vi dovete contristare della perdita vostra , mà bensi della sua , avendo lasciato voi, ch'eravate già istrutti da tanto tempo nelle complessioni, e mali di chi ivi conviveva per prenderne uno affatto novizio , che prima , che ne qa divenuto  1  capace à quel segno, che voi siete, vi vuole del tempo affai, & in tanto come anderà? e poi se questo nuovo eletto fù complice ancor'egli nelli segreti trattati dell’Iniquità, e dell'Inganno , che bell. acquisto , che averà fatto, prendendo uno di simili costumi in vostra vece , che fiete uomini di onore, talche non voi, mà chi vi lasciò hà occasione d'afAliggersi, perche danno à se stesso feçe, non à voi, che per essere esenti da questa briga ne ricevere sollievo ; chi è pari. mente entrato in luogo vostro , se pur? egli è complice, come disfi , ayrà molta occasione da contristarsi per la finderesi, che gli resta di non avere operato come dovea, e per il timore, che un giorno il fimile possa succedere à lui ancora.Quietatevi dunque , giacchè rammarico alcuno non vi resta d'averli mal serviti, con questa ferma fiducia, che in quel sito ( come tante volte è accaduto ) da dove la malvagità, e l'inganno hanno tolto à viva forza un virgulto , la Giustizia vi pianterà un vago, e glorioso lauro  con  [ocr errors] con questo motţo ;Ųno avulo splendidior non deficit alter; molto di più vi potrei dire, se non lo riputaffe superfluo, poiche gl’animi vostri ben moriggeräti con pochi motivi si sodisfano, e li calma. no, allorche vengono da accidenti im. provisi turbati,  Udifte come vi consolo bene la Prudenza, e con che fortį motivi , li quali fe li cerrețę impressi nelļe vostre menti, quantunque vi giungano simili accidenti in avvenire, punto non vịcontristeranno, avendo questi forza di disporre gl'animi vostri à foffrirli coftantemente, ed in conseguenza di fare, che li sudetti vizj delle loro iniquità non trionfino.  L'Ambizione yorrà ancor'effa nell' auge delle vostre fortune tentare, fe  potesse fare con yoi quaļche acquisto; s'ingegnerà di porvi nella mente idee grandiofe , viftimolerà à molte imprese, con pretesto di rendervi a' pofteri gloriofi : Per esempio , fe y'insinuerà di comporre qualche vago sistema di Medicina, qualche nuoyo metodo di medicare , à qualche altra cosa non pensata , nè tencat fin'ora da altri, e voi ricorrere subbita. mente alla Prudenza per consiglio, e vedrete come v'indirizzerà bene ; intorno à nuovi sistemi, e metodi di medicare vi farà questo dilemma: O ve ne sono trà gl’inventari de' veri,ò nò; Se ye ne sono, perche non li seguitate? che cosa yolete cercare di megliore della. verità? Se poi non vi è cosa ancora accertata in quelli, avendoyi per tanti secoli frayagliato una infinità d'uomini dotti, cosa yi persuaderete di fare di vantaggio ? non vi avvedete , che indarno faticherefte ancor voi, senza speranza alcuna di gloria, e se pure la conseguiste saria per pochi momenti; Il sistema, ed il metodo corrispondono al tutco, e quando questo non regge , e non suflifte, è se. gno evidente, che le fuc parci costitutive fono difertose; Impiegate dunque ogni voftra fatica in accertare , e rendere palese qualche parte di esli, che vi avvedrere, che sia oscura, ò che manchi, la quale benchc minima , nulladimeno una gran gloria vi apporterà, allorche l'averete accertata, e rinvenuta , e lascierete tali imprese grandi a' pofteri , che fi renderanno più facili a'medesimi, ale lorchè acquistate, saranno maggiori notizie delle loro parti costitutive,di quel, le ve ne fieno al presente; E per non effere creduți imprudenti scegliere di queste le necessarie , come avvertì Cicerone, (a) dicendo : Alterum eft vitium, quòd quidàm nimis magnum  gran  )  ftudium , multamque operam in res abfcuras , atque diffaciles conferunt , eafdemquè non necesarias; e quelle ancora, che sieno proporzionate alle vostre forze, come insegnò Orazio :(b) Sumite materiam vestrisqui firibitis    aquam.  Viribus , & verfate diù quid ferrere     cufent  Quid valeant humeri.   E perciò vi consiglierà la Prudenza d'impiegarvi in yostra gioventù intorno į a' ritrovamenti Anatomici , Chimici,  of[a] Primo de Officiis. (b] De Arte Poetica.   osservazioni Mediche e d'altre cose   utili, che richiedono ayvedutezza di  mente, buona vista , afsiduità , pazien-  za, e sanità, e questi accertati, che sono  incontrovertibili, rimangono per fem-  pre, e vi dissuaderà in detta età di dare  alla luce trattati di nuovi modi di inedi.  carc,essendo allora appunto come i frut-   ti fuori di stagione, che non hanno tutta  la loro sostanza, dovendosi ciò maturare  nell'età avvanzata, e colma d'esperienze  pratiche , dal che si può dedurre la ca--  gione, perche talvolta ne’libri,che trat-  tano di pratica , alcune cose, che vi fi  ritrovano non si verificano punto, e ciò  proviene , perche furono descritte da  Medici , che non avevano ancora tutta  l'esperienza necessaria per meglio accer-  tarle.   Vedendo questo vizio di non avere { potuto nella vostra persona fare alcun  guadagno, vorrà far prova, se per l'amore, che portate à qualche vostro figliuolo vi potesse far prevaricare, e vi anderà suggerendo à poco a poco, che avendo  S  voi  [ocr errors][ocr errors] voi de' buoni Protettori, gli procuriate, mediante il loro ajuto, qualche titolo nobile , qualche carica onorifica superiore alla vostra condizione per inalzarlo, e dargli insieme attestato del vostro amore, e benche questo non cada nella persona vostra direttamente, con tutto ciò, venendo procụrato da voi, tanto sarete tenuti consigliarvege con la Prudenza, anzi con la Giustizią-ancora , e consigliandovi con queste virtù vi diranno concordemente, che il maggior benc, che voi potrete fare a' vostri figliuo, li sarà, il procurare con ogni maggiore judustria , che divengano capaci , e meriteyoli di dette cariche, di detti titoli, che così, con poco ajuto de' vostri Protettori, potranno à suo tempo conseguire ciò, che sapranno desiderarc, e gloriosamente, venendo loro ciò conferito à cagione del proprio mcrito, ed operando voi in tal guisa , l'Ambizione nonpotrà trionfare di voi; trionferebbe bensì, quando che voi usaste violenze in procurar cose, delle quali non ne fossero  [ocr errors] me  [ocr errors] meritevoli, nel qual caso ancora quanto farete loro ottenere sarà per l'appunto consimile à quel titolo nobile, e speciofo, che si legge nel frontispizio di qualche libro, à'cui la materia rozzamente,  senza dottrina in esso trattata non gli corrisponde, che in vece ne formi concetto di esso chi lo legge, e considera, lo muoye più tolto al risos e perciò resta in un cantone derelitto, senza che alcuno più lo consideri,  L'Avarizia con duplicato pretesto di zelo vi assalirà ancor'effa, ftantechę se non avrete figliuoli, ò nipoti y’infinuerà, che facciate degl'avanzi più che potrete, à fine di stabilire qualche degna, e grandiosa memoria di voi à prò de' posteri; fe poi gli averete, li facciate ancora per lasciarli più commodi, ed in questo frete bene circospecti, poichè  Fallit enim vitium fpecie virtutis ,  du umbra; Onde appena, che in voi fentirete certi impulli, certi stimoli infolici di cumulaà tali effetei, consigliatevi con 13 S2  PruePrudenza, e con la Giustizia, le quali vi faranno capire ciò, che dovrete fare , c vi diranno facilmente intorno alla memoria grandiosa, che meditate di lasciasciare, essere meglio, che la lasciare ale quanto meno magnifica, e senza alcuno ajuto dell'Avarizia, che grandiosa con viziosi avanzi, perche tutto quel di più, che mediante il vizio l'accrescerete, in vece di apportarvi gloria , vi recherà ignominia , e che rispetto al cumulare di vantaggio per li figliuoli, e nipoti non lo facciate, perche quello lascierete loro di più,acquistato con Avarizia consumerà ciò, che avrete onestamente acquiftato, in oltre che voi siete tenuri di lasciar loro tanto, che li bafti à potersi avyanzare ancor'essi nelle virtù, stante  che :  Haud facilè emergunt quorum vir  tutibus obftat  Res angufta domi . : E v'infinueranno d'avantaggio, che Ippocrate v'insegnò' chiaramente à tal proposito ciò, che dovete fare, dicen  dovi  [ocr errors] [ocr errors][merged small] dovi: (a) Neque verò exigende mercedis  cupiditate duci oportet , nisi ut ad artem  edifcendam tuos instruas; E che quando  gli averete duplicato, ò triplicato ciò,  che fù lasciato à voi, e vi bastò per di-  venire virtuosi, sarete giudicari da tutti  per buoni Padri di fameglia, e che av-  vertiate bene, che certe ricchezze, che  superano la propria condizione, e per  altro non bastano à mantenersi in altra  sfera superiore , sono pericolosissime,  perche à cui fi lasciano , volendosi trat-  tare quefti d'avantaggio di quello, che  compete loro, preftamente le dißiperan-  no, conforme l'esperienza quotidiana lo   dimostra ben? fpeffo , per non volere   questi tali ad altro impiego applicare ,   che à quello dello dispendioso diverti-   mento, non servendo ftrertiffimi Fide-   commiffi , nè altri legami inventati per   impedirlo; ftanteche nella medesimais   conformità, che da'viventi si passeggia   sopra li sepolcri de’defonti, cosi ancora   per l'appunto si passa sopra le loro vo-   [ocr errors][ocr errors] lon(a) De pracept.  S 3.  278 Dell'Idea del vero Medico. lontà, e che quello, à cui dovrete invia gilare più d'ogn'altra cosa farà, di lasciarli virtuosi, ben’educati, e con buoni avviamenti, che allora , quantunque li lascierete con mediocri commodi, da se medesimi potranno divenire ricchi, e con questo vantaggio maggiore , che quelle ricchezze, che da se medesimi fi accumuleranno , non già le disliperan10 , conforme bene speffo in quelle , che si ereditano succede. Ponderate bene questi consigli, e servitevene, se volete in tutto abbattere l'Avarizia.  Incominciando voi à porre il piede nella vecchiaja , à cui conviene di cedere, ve ne avvedrete facilmente, quando che non potrete con quella facilità di prima reggere le voftre solite occupazioni , ed allora cosa farete? Non altro certamente che di consigliarvi con tutte le virtù, che v'indirizzinó per qual via dovrete caminare acciocchè voi , li quali sarete utili alla Republica per la lunga esperienza, che avrere, possiate più lungamente giovarle.  La  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] La Prudenza, come Maestra di tutte le altre virtù vi dirà, che non è  convenevole d'abbandonare tutti quei fervigj di coloro, che da voi per lungo tempo ne hanno ricavato del profitto nella loro salute , ed anco lo sperano in avvenire, per la fiducia , che hanno in voi, efsendo in istato ancora di potere ben'oprare , nè tampoco parte di elli , perche faria molto odiofa una tale vom ftra parziale risoluzione ; onde voi non potendo disfarvene, per non sentire ilamenti dei vostri clienti, vi converrà perfare di andare sostituendo qualcheduno, che vi poffa alleggerire almeno la fati  ed acciò abbiate facilità in eleggerlo, vi apporterà le trè malime sostituzioni , che il mondo tutto rimirò nel primo secolo della commune falurcs cioè : La prima, che fù fatta da Augusto in persona di Tiberio ; La seconda da Galba in quella di Pilona ; e la terza da Cocceo Nerva in quella di Trajano; ed in tal guisa facilmente v'istruirà , dicendovi : Nella prima Augusto ebbe una  $4  pelli  [ocr errors] pessima intenzione,inentre scelse un soggetto di reprobi costumi; un Tiberio ben noto per la sua iniquità, ed al sostituente più di ogn'altro, stanteche: (6) Comparatione deterrimâ fibi gloriam quafavisse . Nella seconda vi fù ottimo fine, perche fù eletto un meritevole, solamente si mancò ne i mezi , e di questo ne fù cagione l'avarizia di Galba, giacchè:(c) Confit at potuiffe conciliare animos, quantulacunque parci jenis liberalitate, c perciò ebbe l'esito infelices Nella terza finalmente tutti li requisiti furono ottimi, non vi fù punto di vizioso sì nel principio, che ne i mezi, e fine , e perciò fù gloriofiflima. Queste , benche fie00 state sostituzioni maflime, nulladime‘no possono servire di norina ancora nelle picciole, mentre dalla prima ne ricaverete, che vi sarà  che vi sarà poco bene accostumato; chi farà vizioso non meriterà di essere da yoi eletto ; Dalla seconda ne dedurrete, che chi elegge deve stare lontano dall'avarizia, e non esser  punto  do[b) Tasit. Annal lib. 1. [] Tacit. Hia.Jib.1.  redominato da questo vizio, se brama, che tutto vada felicemente ; Sicché la terza, in cui concorrono tutte le buone condizioni farà quella , che si dovrà imitare da voi per fare una degna elezione,mentre non fù già eletto da Cocceo Nerva Trajano per cagione di parentela , nè di {moderato amore, che gli portasse , mà bensì per il suo merito, e per la bontà de' suoi costumi, e non ebbe già per fine principale di gratificare l'eletto, mà solamente coloro , che doveano effergli. fudditi, e perciò riuscì un'ottimo Imperatore, e felicissimi tempi furono chiamati quelli del suo Impero. Non intendo già per questo di consigliarvi d'abbandonare li parenti, gl'amici, e quelli, che più d'ogn'altro ainate, perche ciò non saria ragionevole, anzi vi dico, che fiere tenuti à preferirgli ad ogn'altro eguale, ed anco qualche poco superiore à loro, conforme vi ordinerà la Giustizia isteffa , vi avverto solamente, che non vi serviate della parentela, dell'amicizia, e dell'amore per inicroscopio, acciò  ز  [ocr errors] vingrandischino di molto il soggetto, che prendete di mira per sostituirlo, altrimenti v'ingannerete , e chi lo mirerà fenza questi microscopj se ne avvederà molto benes conforine capirete anco voi istelli rimirandoli fpassionatamente ins fimile forma : E' ud verso affai trito; mà però che cade molto al proposito quello, che dice:  Quifquis amat ranam, ranam putat  effe Dianam; E la cagione fiè, perche l'amore non solamente så ingrandire il merito , mà ancora så ricoprire li difetti degl'oggetti amati. Se farere dunque voi la vostra elezione con rimirare li soggetti calig quali realmente sono 1109 alterati, per quali vi pofsono parere, non solamente sarà questa gradita , e profitcevole, mi eziandio riuscirà per voi gloriosa , conforme seguì à Cocceo Nerva, à cui la maggior gloria , che gli fia rimasta trà tante altre è quella ; di aver'egli saputo eleggere un Trajano per fuo successore all'Impero , e solo da questi ogn'uno  [ocr errors] ora comprende à qual segno giugnesfero la sua prudenza , il suo giudizio, e la sua integrità, ed essendo questi documenti della Prudenza per appunco coerenti à ciò, che Ippocrate c'insegna, cioè :(d) At verò imperitis nunquam quidquàm procurandum committes. Sin minùs ejus, quod malefactum eft vituperium in te recidet &c. non potrete da esli punto discoItarvi.  Palliamo ora all'incunbenza, che dovrà avere questo vostro sostituto, il quale essendo da voi scelto di buoni cos stumi, e dotto, caminerà in curto fecon: do la vostra direzione, onde profitcevole in conseguenza sarà , à cui l'avrete proposto, perche ne riceverà da esso un servigio alliduo, animato dal vostro prático configlio, e di questo ve ne prevalerete da principio ne'casi più leggieri, per poi, fecondo che v’andrete inoltrando negl'anni, avanzarlo ne'.gravi, con questo però, che abbiate l'occhio arrento al servigio, con visitare ancor voi di quando in quando gl'Infermi, per diriga gerli meglio con li vostri più accertati consigli , e facendo voi in questo modo non solamente non avranno fcapitato punto li voftri Infermi, anzi che più toito acquistato , restando loro tutto il voAro consiglio come prima con l'afiftenza maggiore del giovine sustituito, che da voi , mediante le vostre occupazioni, non lo potevano esiggere, e precisamente nelle ore più fastidiose, e tutto questo benefizio sapete perche lo riceveranno, ftanreche il sostituto fù scelto da voi, e da voi non preso à caso, mà bensì capato trà li buoni per il migliore, dove che se fosse stato preso per via di raccomandazioni, e senza la vostra dependenza , non caminerebbero le cose così felicemente, poiche sdegneria tal da voi independente sostituto caminare con le yostre direzioni, volendo far'egli à suo modo, e non saria picciolo favore,quando ve lo facesse, in caso di qualche controversia , di non ispargere da , che voi siete vecchi rimbambiti, e che  quan; [d] De dec.orn.  non  [ocr errors] non fiete più capaci di medicáre, per iscreditarvi con fimili menzogne, e da ciò qual vantaggio se ne riporteria à prò degl'Infermi, se non che una confusione, una inquietudine continuata , ponendosi in dubbio talvolta à chi de* due fi dovesse prestar maggior fede, se al giovane petulante, e scostumato,ò al vecchio, benche ingiustamente vilipeso; Con ragione dunquc Ippocrate inveisce contro costoro, che per vie indiretre si avanzano, dicendo: (e) Quàm repentè evecti fint, fortunæ tamèn ægentes per divites quofdam ex anguftiis emergunt utrique exi eventu nominis , celebritatem adepti, & in pejus ruentes luxu diffluunt , quæ in arte nulli rationi reddende sunt obnoxia negligunt ac.  In questo proposito il Disinganno, che hà il cuore sincero vi scoprirà un'altro pregiudizio delli massimi , che corrono trà alcuni , che non sono nella professione versati, quali credono per cosa utile nelle cure le controversie, edissenzioni trà Medici, e dicono, che essendo trà essi discordi, si scopra allora meglio la verità, confondendoli da quefti tali ciò, ch'è disputa virtuofa , utile anzichè neceffaria , dalla diffenzionc, e discordia superflua, e viziosa, nata dal mal costume . Il Disinganno vi scoprirà il tutto, e vi dirà: la disputa neceffaria è quella, che risulta da qualche indicazione dubbiofa per meglio discernerla, e questa trà Professori esperti, e di buoni costumi termina prestamente ; perche seguitandofi da elli solamente il configlio megliore, in un subito si accertano, le quali ragioni , e quali motivi prevalgono, se gl’affermativi, ò pure li contrarj, ed à megliori concordemente si appigliano ; Dovechè la diffenzione, e difcordia , che proviene dal mal costume, che per lo più viene fomentata da puntigli, e germoglia da picciole occasioni, non solamente è molto dannofa , inà perche si yà al cattivo, non mai viene affatto terminata,stanreche in simili contenzioni = Qui velit ingenio cedere nullus  eriti  [ocr errors] erit ; ela cagione di ciò n'è, perche tutto proviene dalle volontà discordi,che non amano di unirsi assieme, nel qual caso lę ragioni più valide, li motivi più evidenti, ò non appagano, ò non si vogliono capire, à segno , che alla fine annojarifi del troppo altercare, in vece della decifione letteraria fi passa qualche volta all' obbrobriosi improperj, senza ricavarne altro profiețo, che : Şeipfos ludibrio exponere , come insegnò Ippocrate , (f) € questo è per appunto quell'ideato bene', che à prò degl'Infermi se ne riportą da fimili contese, sicchè non v'è altra strada, che quella della concordia, à cus uniteci il consiglio già propostovi dalla Prudenza, & approvato dalle altre virtù entrando voi nella vecchiaja, se bramate con vantaggio,e profitto de' vostri Infermi alleggerirvi dalle fatiche, nel qual caso trovădoyi aggravati dall'ostinata Discordia , la Giustizia non vi obligherà à paziétare di vataggio,mà farete, che ogn’uno si serva pure à suo piacere ,  (6) Lib. de Praçept.  [ocr errors] Inoltrati, che poi sarete nella vecchiaja , che ve ne avvedrere pur troppo, se non vi vorrete lusingare, dalla notabile mutazione, che proverete in voi da quello , ch'eravate una volta, poiche le forze del vostro corpo languiranno, il vostro perspicace ingegno, la vostra. gran memoria, la vivacità del vostro fpirito, il discorso così spedito non si scorgeranno più quelli, che già furono, rincontrandoli ogn'uno molto mutati. In tale stato inevitabbile, cosa vi converrà fare? Non altro certamente, che d'imitare quei celebri Pittori, che per non perdere quel glorioso nome, che per lo passato aveano acquistato, allorche si avvedono, che i loro pennelli non sono più à dovere regolati dalla tremolante mano  li sospendono per trofei delle loro opere già fatte, e terminano in questa guisa gloriosamente il loro mestiere.  Seneca assomigliò faggiamente la vecchiaja alla nave, che comincia per la sua antichità à scomporsi, dicendo:  Quem  12  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Quemadmodùm in Have, que sentinam  trabit uni rime , aut alteri obfiftitur : Ubi  plurimis locis laxari cæperit , q cedere,  fuccurri'non poteft navigio dehiscenti : Ità   in fenili corpore aliquatenùs imbecillitas  fuftineri , c fulciri poteft, ubi tamquàm   in putri ædificio omnis junctura dilabitur ,  Odùm alia excipitur , alia difcinditur cir-  cumspiciendum eft quomodò exeas . E po-  tendo egualmente la detta nave, che il  vecchio, pericolare nel suo consueto  viaggio, converrà dunque ad ambedue  prendere il sicuro porto per prolungare  più, che sia poflibile il suo essere.   Mà questo distaccamento vi parerà il più duro, il più difficile di qualunque altra cosa, che averete emendata in voi sino à quel tempo; sì perche quest'impotenza insensibilmente se ne verrà ayanzando, onde in un subbito non ve ne potrete avvedere, e forse non prima di allora , che voi sarete renduti affatto inabili per la repugnanza grande , che hà Pumana natura à dichiararsi inabile, come ancora, perche non godendo più  T  quel  е  quella bella perspicacia di mente, quella pronta risolutezza di prima, non saprete così bene, come una volta, scegliere, e prontamente eseguire li buoni consigli della Prudenza, e se il buon'abito fatto non vi ajuterà allora à fare tal risoluzione, infingardamente procrastinando di giorno in giorno ad effettuarla , farete più tosto voi prevenuti dalla neceflità, di prevenirla ; Sicchè prima, che voi abbandoniate li negozj; elli averanno lasciato voi's Quindi è, che per non cadere in fimile obbrobriofa miseria converravvi, per ben consultarla, nè d'afpettare allora , che la vostra mente farà notabilmente deteriorata, nè, per eseguirla, quando sarete molto proflimni al non potere più operare, e quanto queste risoluzioni più generosamente intraprese saranno , tanto più gloriosamente, e facilmente vi riusciranno, nè crediate , che un simile distaccamento, con tutto che la nostra natura vi repugni , lo sia impoflibile à farsi, mentre lì è veduto praticare da più d'uno , e trà gli altri dalMedico Romolo Spezioli , il quale nel colmo delle sue prosperità, doppo un lungo servigio della Regina Cristina di Svezia , di gloriofiflima memoria, che continuò finche ella visse; doppo essere ftato Medico Pontificio della santa memoria di Alessandro Ottava, incaminatosi già per la via Ecclesiastica, proseguì questa, e lasciò affatto nell’auge delle sue occupazioni, e della sua età con generosa risoluzione, contento di ciò che aveva acquistato , l'esercizio della Medicina , nè alcuno de' suoi clienti si è potuto dolere con ragione di lui, perche li abbandonò è vero,  mà     per   servire folo à Dio, che con quanta esemplarità egli lo faccia , offenderei non solamente la fua modestia con riferirlo, mà temerei ancora, con fargliene molti encomj, che non restaffe à bastanza appagato chi con occhio fincero giornalmente rimira le fue degne operazioni.  Nè devo in questo proposito paffare sotto silenzio il ritiro , che fece Antonio Piacenti di felice memoria, mio di  T 2  let  [ocr errors][ocr errors] lettissimo Maestro, avendo voluto egli tra le altre fue virtù, per compimento della sua gloria collocarvi questa ancora del bel distaccamento dal mondo,e nell' istabilirlo mi disse, che lo faceva per prevenire la sua inevitabbile impotenza, ftimando , che il prevenirla fosse cosa più vantaggiosa , che d'effere da effas prevenuto per gl’esempj, che aveva offervati in alcuni , che quantunque decrepiti, e finemorati, con tutto ciò non vollero lasciare di fare il Medico' più per rendersi ridicoli appreffo li giovani, che punto non li compativano, che di effere a' suoi Infermi profittevoli, e con ammirazione di tutti ponevano à pericolo quel buon concetto , che avevano fino allora acquistato, per un tenuiffimo, c miserabbile premio, del quale non nc avevano alcun bisogno, per essere già divenuri molto ricchi.  Sicchè per isfuggire simili sventure vi converrà d'andar pensando in tempo opportuno, e quando ancora sarete con fegtimenti vegeri, à questo buon ritiro,  c fino  [ocr errors] la  e fino da quel tempo appunto, che.co“ mincierete ad alleggerirvi le fatiche, perche ciò, che la Prudenza allora vi consigliò fù tutto preordinato à questo effetto, e la prima diligenza, che vi converrà fare sarà di agiustare li yoftri affari domestici in quella forina appunto, che fogliono praticare quei saggi viandanti, che devono sempre stare allestiti per passare in remotislimi paesi, e che non possono indugiare punto, allorche sono ayyifati  per partenza. Questi tengono sempre pronto ciò, che fà di bisogno per il loro viaggio, si aggiustano le loro puntuali rimelle , e poi danno la sopraintendenza generale di ciò, che possedono à chi fedelmente lo custodisca, ed à tal ministero eleggono un proprio figliuolo,se farà prudente economo,e fenza vizj,altrimenti un'estranco di provata fedelcà, economia, e prudenza .  Dato un buon fefto , che voi averen te alli vostri affari domestici in tanto, che anderete vedendo se caininerà tutto à vostro modo , per poterlo emendare,  [merged small][ocr errors] [ocr errors] fe in qualche cosa difettasse, à fine di non avervi più da inquietare intorno ad csso , fupplicherete le virtù, che vi configlino , e preftino il loro ajuto, in questo penultimo paffo, che dovrete fare, le quali avendovi sempre affiftito per lo paflato, certamente che non vi abbandoneranno nel meglio, ed allora appun  che vi trameranno infidie la fastidiofaggine, l'impazienza, il sospetto, l'incostanza, l'amore proprio, con il soverchio timore di ciò, ch'è inevitabbile , vizj tutti, che aspettano il quando voi farete languenti non meno di corpo,che di mente, per dominarvi à fuo modo ; nel qual compaflionevole stato cosa fareste mai di buono, se non ayelte le virtù consigliere?  Queste divideranno facilmente il loro conGglio in sette parti; La prima farà il quando lo dovrete farê; La feconda il come ; La terza dovë ;La quarta con chi ; Quinta;con che preparamenti; Sesta, cosa dovrete allora fare; Ela settima, che cosa fuggire.  Primo,  ز  Primo ; circa al quando, vi dirà la Prudenza, che allora appunto facciate il vostro distaccamento, quando che proverete sensibile il peso degl'anni, che la memoria vi anderà notabilmente mancando, e che fentirete la fatica, benche allegerita, molto molesta , ed averete allora giusto motivo di pensare solamente à voi stessi , senza più indugiare à farlo.  Secondo, intorno al come lo doyrete fare, vi consiglierà la Giustizia di usare ogni maggior civiltà possibile in licenziarvi da tutti quelli, che si prevagliono di voi, con far loro conoscere, che fino à tanto, che avere potuto, non avete risparmiato nè fatica, nè incommodi per servirli bene, ma ora, che vi sono mancate le forze, il solo buon'animo, che vi resta, non lo credere sufficiente per li loro bifogni, e che li confoliate insieme, che avendoli già voi proveduti di soggetti non inferiori à voi , potranno essere da questi in avvenire affai bene affiftiti; Ne seguirannofacilmente varj atti di reciproca tencrezza, mà fate, dirà la sudetta virtù, che questi nè vi distolgano dalla risoluzione già fatta, nè vi pongano in qualche forta d'impegno d'averla in qualche loro occorrenza, ò imprudentemente da ritrata tare , ò mancar loro di parola.  Terzo, nè vi consiglieranno già , che vi scegliate qualche solitudine remota per fare il vostro ritiro, mà bensì un'appartamento assolato della vostras casa, nel quale vi sia minore strepito, anzichè vi dissuaderà la Prudenza, se aveste mai qualche pensiero d'allontanarvi dal. la Città, d'effettuarlo, per li seguenti motivi, perche ne' piccioli luoghi non potrete ritrovare tutti quei commodi, nè godere di quei vantaggi, che nelle fole città vi sono, dove il governo risiede, la civiltà, e la convenienza rcgnano, doveche al contrario questi mancano, ò almeno scarseggiano, oltre il correre rischio di penuriare di molte cose, s'incontrano facilmente de' disguki, à cagione della poca cognizione,   e civiltà, che ivi li suol praticare , & in  ispecie con quelli, che la dottrina, & il  valore l’inalzò, essendo perciò molto  dall'inciviltà odiaci, e benche Scipione  il Grande nel suo, non tutto volontario  ritiro in Linterno; (perche lo fece per  accomodarsi alla necelli:à di quei calun-  niosi tempi) avesse la sorte di essere stato  venerato da molti uomini facinorofi,che  ivi accorsero per ainmirarlo, è stato egli  quasi singolare in questo, mentre altri  furono assai diverLamente trattati, trà  quali basterà riferirne uno solo,mirabbi-  le     per   l'accidente, che vi s'incontro. Venne volontà nel secolo passato ad un' Officiale maggiore di guerra,doppo molsi illustri fatti felicemente occorsili, di ritirarsi alla sua picciola patria, già dia venvto vecchio, per godere ivi la sua quiete. Mà appena giontovi , che incon minciò ad essere deriso, e beffeggiato da quei rpstici abitatori; Ditali impropri trattamenti se ne rammaricava il valo, roso vecchio, mà per non prenderla con tanti, andava disimulando. Si suscita.  [merged small][ocr errors][ocr errors] tono in questo mentre alcuni principj di guerra, ed ecco all'improviso Inviati con sacchetti d'oro, che andavano cercando quel merito così vilipeso da quella rustica progenie, allora quel meritevole prendette spirito, e per mortificare li suoi persecutori fece spandere quell' oro alla vista di tutti, che ammirati attoniti, e confusi ebbero occasione di ravvederli del loro errore ; mà se quell' oro non compariva , il merito ivi non già risplendeva.  Mà perche avanzandovi nella vecchiaja non potrete sapere à che segno la vostra salute si di corpo, che di mente vi potranno reggere ; Quindi è, che  per compire faggiamente il corso di vostra vita, le virtù vi consiglieranno à sceglicre chi potrà essere à proposito per voi, allorche vorrete vivere solamente à voi medefimi, tanto in caso di felice, che di penosa vecchiaja , e facilmente yi diranno la Prudenza, e la Giustizia : fceglietevi å tal'effetto un Direttore spiricuale de' più dottia e discreti, che vi  COR  [ocr errors] conservi vivi li yoftri abiti virtuofi. Una amico fido, e prudente, che vi suggerisca ciò, che dovrete operare, caso che, ve ne dimenticaste , che sopraintenda.a’ vostri interessi,acciocchè non fieno trafcurati,per negligenza di chi li maneggia. Un parente amoroso, e disinteressato, per supplire all'amico, e dare anco soggezione à chi vi serve, ed un servidore abile, che vi allista con carità , amore, e discretezza, e questi non basterà , che yeli siate scelti, mà dovrete ancora mane tenerveli ben’affetti, altrimenti disguftandoli con voi , vi troverete intrigati a, e sappiate la cagione del disgusto de' trè primi, quale potria effere ; l’incommodo, senza loro utile, delle frequenti visite, e brighe continue per voi, mediante le quali annojari , fi potriano facilmente alienare da voi;mà per rimediare à quefto, non dovrete fare altro, che di fervirvi della potentissima efficacia di qualche cortesia usata loro si che, se ve ne farà d'uopo, cambierà in un tratto ogni più dura fatica in ispasso", ogni noja in  ز  piacere, ed ogni più grave disaggio in dilettevole divertimento ; caso poi, che non ve ne fosse molto bisoglio, diportandovi voi con esli grati , essi ancora verso di voi saranno più diligenti, aslidui , ed affezionati : Munera , crede, mihi placant, bomines  que, Deosque ; E renete pure per certo , che favolosi sono quei casi, che di alcuni Gentili fi raccontano, che tutto elli facevano per puro amore, e che l'incommodo maggiore degl’altri era da questi lo più ricercato; Mà però con il servidore abile, che dovrà stare affiduo con voi, per tenerlo contento, vi converrà praticare due modi, uno privativo, che consisterà in non maltractarlo nè con fatti, nè con parole, dovendo voi, che avrete bisogno di lui, acquistarvi il suo amore, e facendo voi diversamente, in vece di guadagnaryelo , più tosto lo perderefte, quando che ve qe portasse : E vero, che difettando egli, lo dovrete correggere, mà pero con maniera umana, con farglicapire'il suo fallo, non già con ingiuriara To, e caricarlo di strapazzi, perche venendo trattato da voi in tal guisa , cosa ne seguirà ? O che vi abbandonerà nel meglio, e voi come rimarrefte? O continuerà a fare peggio di prima, e voi cam fa avreste acquistato ? E l'altro positivo, che consisterà in fargli capire, che voilo amate di cuore, e non per solo vostro vantaggio , mà come fosse un vostro figliuolo, e che ciò sia, lo crederà allora appunto quando si vedrà trattato bene da voi, comandato con discretezza, c meglio di ogn'altro glielo farà capire , quando si vedrà regalato da voi con giudizio , e questo regalo non consisteria in altro, che di usargli un'amorevolezza pecuniaria , à proporzione del vostro potere, ogni anno nel vostro giorno natalizio,con promettergli negl'anni venturi sempre di raddoppiarla, e questa, con tutto che sia una gran cosa in apparenza, voi, che sarete avanzati negl’ anni, la potrete ufare con più generosità de' padroni giovani,che sperano di cains pare lungo tempo, & al servidore gli sarà grato à segno, che non lascerà cosa, che possa giovare à farvi vivere più luagamente, che non la procuri. Avrà fempre timore , che non vi disgustiare , che non patiate , & allora appunto lo avrete già interessato nella vostra vita, e nericaverete un'ottimo servigio.  pare  Quinto, oltre li preparamenti neceffarj già da voi fatti  per  sostentamento, e sollievo del corpo, vi consiglieranno facilmente, & in ispecie la Fortezza , à farne ancora degl'altri per l'animo, non meno necessarj de primi, e questi saranno di proyedervi di molta sofferen  ed ilarità, che facilmente ve ne bifogncranno , acciò non venga turbata la vostra bella tranquillità di animo, che goderere, santeche trà mali familiari dell'inoltrata vecchiaja yi fi annovera quello ancora della fastidiosaggine, e questa non con altro rimedio si puo curare  che con l'abbituara sofferenza ; E perche danneggiano ancora di molto pell’età avanzata la malinconia, & il  di  za ,  [merged small][ocr errors] disgusto; Quindi è, che per tenerli lone tani, vi è d'uopo dell'ilarità , mediante la quale solamente diverrete ad essi superiori.  Sesto , parerà forse cosa impropria à chi udirà , che voi come Medici  provetti possiate avere di bisogno allora del parere altrui intorno à ciò, che dovfete, ò non dovrete operare, mà fe ben rifletterà , che non mai fù nocivo ad alcuno il caminare con il consiglio della Prudenza, e della Giustizia in ispecie, cambierà facilmente parere , e tanto maggiormente, che niuno in caufa propria puol'essere competente Giudice e più precisamente in quella età, in cui tutto ciò, che abbiamo di meglio, allora languisce; Le virtù luderte vi diranno à tal proposito, che non crediate già,che il vostro ritiro abbia à servire per totale riposo del vostro corpo, 8c acciocchè se ne stia affatto ozioso, & infingardo, perche passereste in tal caso, da un'estremo vizioso all'altro, senza profitco alcuno, essendo questo egualmente nocivo  dell'  dell'anrecedente, perche, come ben sapete, consistendo la vita nel continuo movimento de fluvidi , che dentro il nostro corpo si aggirano , & ancora, che questo venga agevolato dalle pressioni musculari , sicchè ogni qualvolta cefferete di muovervi, non avendo tanta forza li muscoli, in istato di quiete , di propellere , neceffariamente seguirà , che detti duvidi lentamente scorreranno, e più d'ogn'altro ne' vecchi, impoveriti de' spiriti, onde in conseguenza ne verrà, che la vira iftelsa ne riceverà del danno notabile, mancandole ciò, che se le deve , per il suo più necessario prolongamento, oltre di che ne' vecchi cade un'altra necessità particolare di doversi muovere, & è, perche tendendo eli alla ficcità, li loro tendini, e legamenti, atti più dell'altre parti à contraerla , cessando di moverli si possono irrigidire à segno, che impediscano loro affatto il poter più camminare , conforme più chiaramente fi scorge in quei vecchi, che à cagione di qualche loro  [ocr errors]  indisposizione per lungo tempo forzata-  mente giacciono in letro, li quali, ben-  che abbiano superato quel male, che li  teneva al riposo, nel volere camminare   si accorgono di non poterlo più libera-  mente fare come prima. Il sudetto ritiro  dovrà servire bensì per riposo, e calma  della vostra mente, già stanca per li so-  verchi pensieri, la quale non dovrete',  nè potrete quietare con renderla affaito  oziosa , mà bensì con contracambiare   quei di già nojosi con altri più ameni , ! quei cotanto laboriosi, con altri, che  non la stanchino di vantaggio, mà più  tosto la ricreino, conforme in appresso  diremo.      Mà ritornando al moco , che vi  competerà di fare , questo sarà appunto  quello, (vi dirà la Giustizia ) che altrui  di età avanzata voi avrete consigliato,  cioè di farlo in tempi sereni, & aria ri.  scaldata dal Sole, non già irrigidita del-  la notte, & allora appunto, che il vostro  stomaco ayerà digerito il cibo, con que-  fta avvertenza di più, che avvedendovi di non potere continuare l'esercizio, a quel segno di prima, lo modererete, non tutto in un tratto, ma bensì à poco à poco, finche vi poniare in una regola di poterlo continuare, senza voftro disaggio, & à quel segno , che lo stimerete necessario , e ve lo permetteranno levostre indisposizioni, che soffrirete, & acciocchè sia continuato per quando non potrete uscire à cagione de' tempi fred. di ventofi, ò umidi,lo farete in casa. Solevano à tal'effetto una volta li vecchi praticare l'esercizio chiamato dell'attacco, che conGsteya in istringere con le mani un certo ferro foderato di corame, che era conficcato in due lati prossimi ad un'angolo della stanza, all'altezza di un'uomo, al quale attaccati , non solamente si distendevano , mà con maggior agilità ancora movevano faltellando li piedi, modo appreso forse da Eumene, che ritrovandosi assediato, per avere più agili li suoi cavalli, caso che gli fosse convenuto fuggire, in un modo assaiconfimile a questo li esercitaya, mà fù nel  fea  secolo passato già dismesso tal'esercizio,  con molti altri neceffarj alla salute,e non  se ne sà comprendere altra cagione, se  non perche, non erano commodi, stan-  teche strapazzavano il corpo', il che fi  congettura dal vedere , che da allora in  qua non si è aèreso ad altro, che à cerça-  re questo commodo, fe pure commodo   si potrà chiamare ; (soggiugnerà la Pru-  denza) ciò, che incommoda la salute ;  Commodo si potrà dire una carozza,che  posi shule Molle con cignioni lunghi, che  non isbarta punto, allorche le sue ruote  urtano ne' faili, per chi foffre il inale di  pietra nella vellica, per chi parisce bru-  ciori di orina , per una giovane gravida,  folita di abbortire, perche ò non posso-  no soffrire lo sbattimento, ò è loro no-   civo; onde :  conviene , che facciano conformc è loro   permesso; Mà per un giovane sano, à cui   lo sbattere gli conferisce alla salute, af-  sodandogli la sua buona complessione  commodo non si deve chiamare,mà ben-  si incommodo, perche presto glicla in-   [ocr errors][ocr errors][ocr errors] ز  [ocr errors] 0  el  [ocr errors] .com  commoderà. A questo proposito vi riferirò un caso terribile di un Cavaliere, il quale à cagione di propria commodità non moveva nè pure un dito, se non gli era accompagnato da chi lo serviva, fi faceva fino imboccare, quanto mai egli era commodo ; onde lo conduffe la sua pazzia à diventare un tronco, mercechè volendo una volta muovere un braccio, non lo poteva più fare,un piede nè tampoco , e come un ciocco gli convenne vivere, se pure quello vivere li  [ocr errors][ocr errors] poteva dire,  Dall'esercizio corporale ritorniamo à quello della mente, la quale, conforme dicemmo, non la dovrete stancare di vantaggio con cose laboriose ayendo voi à tal'effetto bramato, e procurato il vostro ritiro, mà nè tampoco converrà di tenerla affatto oziosa, acciocchè non ritorni à coltivare le specie antiche, non sapendo, che altro fi fare. Nel principio del vostro distaccamento, come vi suggerirà la Prudenzala terrete occupata in diverse cose, con il suo rin  par  [ocr errors][ocr errors] partimento dell'ore più proprie ad esse. Ne darete alcune agl'esercizj fpirituali à prò dell'anima vostra , secondo il configlio del vostro Direttore,qualche altra servirà per l'esercizio corpcrale, e le rimanenti alla quiete della mente faranno da voi destinate in due maniere , cioè, con leggere , ò sentirlo , e con il riposo; Li libri da leggere, proprj per tal'effetto, già ve li sarete scelti , allorche vi preparaste per il ritiro , e si può supporre, che saranno inorali, prediche, vite più esemplari de' Santi, e cose confimili, e se vi sarete serbato qualche libro Medico, questo facilmente non tratterà di altro, che del regolamento della vecchiaja, e del modo conforme si possa più agevolmente ella sopportare , & inoltrandovi finalmente nella penosa vecchiaja, non troverete maggior refrigerio, e sollievo, che di uniformarvi in tutto nella volontà di Dio, e se giornalmente farete qualche meditazione sopra la morte, vi recherà questa del vantaggio , perche divenendo perciò superiori  [ocr errors] ad effa, non vi potrà punto contristare, allorche da vicino la scorgerete venire, e tanto maggioripente se meditandola rifletterere, che se ne viene per togliervi dalle miserie, e collocarvi in un'eternità di bene, essendo voi vissuti con le buone direzioni delle virtù, non già con le lufinghe fallaci de vizj.  Settimo, finalinente, diranno le vir. tù , se volessimo rammentarvi tutto ciò, che non è convenevole, che ora facciate inolto averelimo da dirvi, solamente alcune cose vi avvertiremo, nelle quali potreste facilmente cadere . La prima delle quali sarà , ( se vorrete caminare con le buone direzioni della Prudenza ) che avendo voi una volta per giusti motivi risoluto di lasciare la Professione, non mai più dovrete pentirvenç, e ritornar di bel ouovo à profeffarla», se non in quel caso impossibile, che voi cựngiovenifte, altrimenti facendolo acquisterefte ritolo,ò d'instabili , imprudenti, ò per la meno di superbi, potendosi da ciò .cognetturare, che allora non lo facesteper impotenza, mà bensì per isdegno   concepito per non vedervi stimati à quel  segno, che bramavate di essere.       La seconda, se vi venisse mai volon-  tà di mutare, senza giusta, & urgentili-   ma occafione , il vostro già fatto tefta-   mento, mà solamente per motivo di me-   gliorarlo, che non lo facciate, vi coman-   deranno la Prudenza, e la Giustizia in   conto alcuno, mentre questo saria uno   delli maggiori infortunj , che vi poteffe   allora accadere, perche se quello , che   avrete fatto in tempo , ch'eravate con   sentimenti più vegeti, ora non è di vo-   stra sodisfazione , come potrà fodisfarvi   l'altro fatto da voi , dapoiche vi siete ri-    tirati, à cagione di debolezza , non nie-    110 di corpo,che di mente la quale entre-   rà prestamente, per essere in quella età   sospettosa nella casa della dubietà, mà    ritrovandofi ancora languida , e piena di   timore tosto le sembrerà un laberinto,   non sapendone rinvenire la strada das    uscirne, e perciò la sera penserà ad una    cosa, e depofta quella, la mattina ad un'   altra,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] V 4  altra, oggi farà di un genio, e domani facilmente di un'altro, e durando per qualche tempo così incostante, non folamente si confonderà, mà s'inquieterà ancora ; onde quel tempo, che avevate dato alla calma del vostro animo , in questo modo glielo rubbereste per darlo alla vostra inquietudine , fenza ricavarne un minimo profitto, perche se pure giugnefte à fine di stabilire la vostra ultima disposizione, sarà questa assai peggiore della prima, e se non arriverete à compirla , l'inquietudini riccute, che giovamento viaveranno apportato ? E quanto dette virtù vi hanno ordinato, l'esperienza pur troppo l'hà fatto vedere, mentre chi nel suo ritiro hà avuto simile tentazione, non solamente è vissuto inquietissimo tutto quel tempo, che aveva destinato alla sua quietc, mà hà fatto una nuova disposizione del suo avere così intrigata, così confusa, che hà dato di fe molto da dire . In niun tempo si deve andare in traccia dell'ottimo, essendo questa distruttivo del bene,  mà  [ocr errors] 1  mà in questo stato meno d'ogni altro  nel quale è molto espediente di dare  orecchie à ciò, che si legge in Tacito,  ed è : Confilium , cui impar erat fatu per-  mifit ; E certamente, che quando siete  meno capaci di risolvere, è pur meglio,  che lasciate correre ciò, che faceste di  vostro genio quando eravate più atti,  che di mutarlo divenuti meno sufficienti  ancora ad emendarlo.        Vi pregiudicherà per terzo ancora   di molto la troppa curiosità, & in ispecie   de fatti domestici , come ben vi avverri   tirà la Prudenza, perche più d'una vol-  ta sentirete cose tali, che vi turberanno   notabilmente la vostra quiete,& affinche  dal non ricercarli fi scanzi ogni pregiu-  dizio, fate., che quel vostro amico, quel  vostro parente, de' quali da principio   parlammo, gli diano il suo rimedio, ci   pensino essi, che meglio di voi lo faran-  (no , e senza inquietudine vostra. E caso  poi, che la necessità portaffe di farvenc   consapevoli sfuggano per quanto si può  di dirvelo di sera , per non togliervi   0  [ocr errors] il riposo della notte.  La quarta intorno à ciò, che dovrete fuggire in caso di qualche incommodo abituato, che da soverchi anni procedere , la Giustizia, e la Temperanza vi diranno : Ricordatevi, che una volta in altri non l'avreste curato, mà folamente mitigato; onde non facciate, che la molestia , che vi recaffe vi stimoIalle ancora à divenire carnefici di voi medesimi , con pretendere di farvelo curare, conforme à più di un Medico avanzato negl’anni è accaduto , per esserfi voluto esporre al taglio della pietra , quantunque ad altri così avanzati in età non l'averiano consigliato.Questa penfione , che Iddio hà posto sù il gran benefizio della lunga età che vi ha conceduta , vuole, che da voi fi paghi, altrimenti il fudetto benefizio mancherà prestamente 5 Limnolesti pruriti esterni , li bruciori d'orina , le vigilie frequenti, che bene spesso ne' vecchi accadono , fapete pure, che non vanno curati con rimedi eradicativi, mà mitigar ben fi  de  [ocr errors] 1  [ocr errors][ocr errors] devono con cose anodine, trå quali il  latte , amico de vecchi asciutti hà il  primato , e per essere ancora egli il pris  mo querimento, che si prende, non è  disdicevole , che non venendo à cagionc  del soverchio sonno ritardato, sia ancora  Pultimo, conforme praticò con profitto  Fabio Mafsimo nella sua età decrepiti.       Per quinto avvertimento vi con-   verrà stare molto circospetti per non   cadere in certi errori, che li vecchi li   stimano sussidi dell'età cadente, ftante-  che provando languidezza di forze fi,   portano con desiderio (moderato à pre-   valerli de’yini più generosi, e di altri   più fpiritosi liquori , intorno a' quali vi  ricorderà la Temperanza, che sapete  pure quanto di male apportino alla in-  languidita tefta , all’inaridite viscere,  e quanto di solfo communicano alli ni-  trofi fluvidi, ed in conseguenza di che   danno essi siano , che voi ben lo sapete,   onde in vece di questi vi servircte più   ļosto del perfetto cioccolato , de' buoni   brodi, de' vini gentili, e delicati, c di altri liquori consimili, presi con moderazione, e con questa distinzione , che effendo taluno di voi grasso, & avendo disposizione al soverchio sonno prenderà spesso il cioccolato la mattina, nel doppo pranzo , ò di sera il caffè , ò il the, è la bollitura di salvia , sc poi sarà dimagrito , e sottoposto à vigilie, las mattina frequenterà più tosto un brodo con la fetta del pane ivi bollita, e del cioccolato se ne servirà qualche volta doppo pranzo immediatamente, conforme ancora in vece del thè, e del caffè ricorrerà all'uso della bollitura dell'orzo abrustolato, resa grata con qualche odoroso liquore, all'emulsioni fatte in brodo , con semi di meloni , in particolare fe farà molestato da pertinaci vigilie.  Per fefto , fuggite ogni sorta di be vanda gelata, vi diranno la Fortezza, e la Temperanza , quantunque la moleIta fete, che alle volte suole travagliare li vecchi vi rendesse ansiosi di effe, perche sapete pure quanto danno vi po  triano  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] triano recare, & in vece di queste servis  teyi delle bevande attualmente calde ,  che vi smorzeranno con più facilità la  sete per quella cagione à voi nota, che  sciogliono li liquori caldi più facilmente  quei fali, che titillando le papille del  gusto non solamente le costringono, mà  recano ancora aridità à tutta la mem-  brana interna del palato , & esofago in-  crespandola à guisa di carta pecora, e  questi con il liquore caldo vengono più  facilmente sciolti, & ancora le parti ina-  ridite con più prontezza fi distendono,  doveche dalle gelate ne segue l'opposto,  e per questa cagione tali acque sono  consimili à quelle , che   Quò plus sunt potæ , plus fitiuntur        aqud;  E perciò non si sà capire per qual cagio-  ne in particolare ne' vecchi sia stato dif-  messo il bevere caldo tanto praticato  dagli antichi Romani , e tanto maggior-  mente, che dall'abuso di dette acque  gelate ogn'anno ne seguono delli casi  funesti, coine ben sapete ; Dal soverchio   bere,  7  bere, con tutto che non sia gelato, ve no asterrete ancora,  effendoyi noto quanto di male possa apportare alli stomachi debilitati dagl’anni, potendo non sólamente inlanguidire li fermenti digestivi, mà opprimere insieme preventivamente quel calore, che stà per finire. L'esperienza dimostra chiaramente , che le piante annose inaffiate à suo dovere si conservano, mà soverchiamente più preftamente mancano,  Per settimo, v'avvertiranno la Prudenza, e la Giustizia di non porvi in una regola rigorosa di vivere, con il motivo della moderazione del vostro esercizio consueto , perche la natura già affuefatta da tanto tempo à quella quantità di nutrimento, vedendolo tutto in un tratto notabilmente scemare ne riceveria incommodo considerabile, costando pur troppo per esperienza , che alcuni vecchi,li quali l'hãno voluta tanto ristrignere preltamente sono mancati. Quello, che dovrete praticare sarà di guardarvi da certi cibi di dura cozzione, di cattiva  qua  qualità atti à poter nuocere , per altro nella quátirà l'anderete moderando con occasione, & avyedendovi di non poterla ben diggerire, allora l'anderete scemando, mà però lentamente, accioca chè non riesca molto fenfibile derta mutazione, perche è cosa evidente, che allora appunto, che i vecchi allentano di mangiare , poco resta loro di vita.  Peggiore di questo ancor saria, se cadefte in quella opinione tanto dangosa , che per vivere fano sia neceffario di prender cose, che non facciano escrementi, mà che con l'odore delle vivande, con qualche brodo di sostanza, si possa meglio , e con più salute campares di quello si faccia con tante altre cose piene di parti escrementose, perche la Datara vuole fi camini per le sue strade ordinarie, vuole da tutti egualmente efiggere ciò, che brama . Quell'incommodo, che vi reca nel restituire le feccie ella sà per quali fini lo faccia , non è à caso. Non n'elimè già Alessandro Magno dal suo fetore, conforme che li suoi Cor  teg  teggiani adulandolo dicevano , perche ella non sà cosa sia signoria, e grandezza fà che la morte (a) Æquo pulsat pede pauperum tabernas,  Regumque Turres.  Per tre gran benefici la natura volle , che vi fossero li tanto odiati escrementi: Primo, perche dentro di noi si facilitassero mediante queste tante digeftioni, che vi si fanno , conforme l'esperienze chimiche ad evidenza lo dimostrano, in tante digestioni fatte con il Fimo, e da quì rifletcete quanto s'ingannino coloro, che procurano anziosamente à forza di tanti reiterati purganci star-, ne senza; Per secondo, che nell'uscire che fanno impari à conoscere ogn’uno se stesso, à che segno debbasi insuperbire chi dentro di se conserva fimili fetidillime materie; E il terzo per convincere chi non credesse il primo, con farlivedere quanta fecondità questi rechino alli terreni sterili, che colsuo beneficio divengonono fertiliffimi , talche erroneaè à priori quell'opinione di potersi nudrire con cose, che non abbiano escrementi, conforme ancora tale à pofteriori si dimostra per essersi veduto chi l'hà voluto praticare divenire un marafino, che in breve fini i suoi giorni.  Per ottavo , & ultimo finalmente, ch'è forse il più forte di tutti, vi diranno le virtù : Guardatevi da quelli trè gran persecutori de' vecchi, che sono, la caduta, il catarro, & il corpo soverchiamente lubrico ; La caduta , voi sapere molto bene, che per due gran motivi è nella vecchiaja più dannosa, che in altre etadi, sì per essere li vecchi di mi. nor vigore, e li più facili à terminare la lor vita , ritrovandosi arrivati allo scorto di effa , sì ancora, perche cadendo come un tronco ciò, che viene loro percoffo riceve colpo pieno, non venendo riparato dall'agilità delle mani, nè dallo scanzo della vita , come segue ne' giovani di maggior agilità di loro, onde per evitare una simile fventura dovrete andare sempre con il vostro bastone, ne  fa  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] farere come alcuni, che l'abboriscono per mofrar braura , quando braura più tosto sembreria l'ayere in mano il bastone di comando"; onde non senza mia stero fù chiamato da’ Latini il bastonc della vecchiaja Scipio, & il prendere Sufcipio.  L’occasioni di prendere li catarri à che segno le dobbiate fuggire, l'efperienza altrui ve ne fece maestri, (vi suggerirà la Temperanza) mentre osservaIte, che chi li espose all'aria rigida, chi ftiede in luogo soverchiamente caldo, chi disordinò in cibi grossi, come sono il formaggio, legumi , & alrre cose consimili furono da essi moleftati, converrà dunque à voi ancora fuggirli, se non avrete quell'erronea massima, che ebbe quel Medico, che disordinava molto, sù la fiducia, che niuna cosa gli potesse nuocere, dicendo, che li Legislatori non sono soggetti alle leggi, mà gli convenne soffrire la morte immatura per questa sua falsa credenza; e finalmenre quanto dobbiate stare cautelati, per non incor  rere  1  rere nella foverchia lubricità di ventre,  non occorrerà vi sia suggerito, sapendo i da voi medesimi, che l'abuso de' dolciu  mi, cde'frutti producono fimile indifposizione. L'irascibile ancora spesso in, citata con l'abuso de' cibi caldi per accrescere pungoli alla bile , quanto la poffino rendere frequente nell'età avanzata lo sapete assai bene, con tante altre cagioni, che farà superfluo viliano ram,  mentate. i  Essendo voi dunque nel corso della vostra vita camminati sempre con le dii rezioni delle virtù, avete da sperare fer  mamente di potere incontrare una gloriosa morte, perche esse in quel vostro  estremo bisogno, più che non fecero in é altri,vi assisteranno; La Prudenza vi farà  soffrire ciò, ch'è inevitabile, con animo  generoso ; La Giustizia sperare quel pre7 , mio, che sarà dovuto alle vostre gloriose  opere ; La Fortezza vi darà cuore da refiftere intrepidi ad ogni patimento più duro ; e finalmente la Temperanza vi consolerà, con farvi vedere, che trà  X 2  quel  [ocr errors][ocr errors] ز  quelli molti , che vissero, pochi ne giunsero all'età voftra ; onde voi, che avrete sempre dato saggio di tanca moderazione, come potrete non contentarvi di essere già vissuti à bastanza, potendo con intrepidezza dire :  Vixi, quem dederat curfum for  tuna peregi; Sicchè felice sarà la vostra morte , & invidiabile da tutti , nè crediate che fiano per abbandonaryi queste doppo morte , perche allora più che mai saranno inseparabili da voi,posciacchè quando ancora eravate viventi si poteva dubitare, che potefte essere, ò nò, prudenti, giusti, forti, e temperari, perche in realtà potevate dare occasione à dette virtù d'alienarsi da voi, mà doppo morte, che tal cagione finì, non si potrà più dire di voi, che prudenti, giusti , forti, e temperati non foste, ficchè resteranno allora da voi eternamente inseparabili le vostre virtù. E chi mai rimarrà doppo morte più glorioso di voi? forse il ricco? questo no, perche le sue ricchezze già  al  [ocr errors] Ja morte,  allora passarono in altri, non sono più  fue; Forse il potente ? nè anco, perche  la sua grandezza è rinchiusa allora den-  tro la sua urna , & il suo potere è diven-  tato un niente; Forse chi ottenne fingo-  lari prerogative di natura , come sono  la somma bellezza, salute , e robustezza  di corpo? questi nè tampoco, perche  quelle già furono, e non sono più doppo              restando un nulla , giacchè :   Quod fuit, non eft pro nihilo reputatur .  Solamente dunque chi vive seguace del-  le virtù può sperare di ritenere ancora  per se doppo morte quanto gadè in vi-  ta, e fù suo proprio , con tutta quella  gloria imınortale, che acquistò chi visse  virtuosamente, de' quali parlando Ip-  pocrate (*) così diffe : Quique hac viâ  incedunt gloriam tùm apud                      majores , tùm  apud pofteros fibi comparabunt, ch'è quan-  to dovevo mostrarvi.       Ed eccoci giunti al fine della festa  Giornata, e convenevole sarà di ripo-   sarci,farci, in venerazione di chi creò l'Universo, giacchè egli ancora requievit die Septimo ab universo opere , quod patrarat , do benedixit diei feptimo , & fanétificavit illum  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] X 3  (-) De decenti babita ,  è à priori (2) Horat.Carnr. odc 4   fa.  dicom (e) Hipp.de Pracepticx.   fo     quan   (1) De pracept:  fione  [d] Epidem.lib.5. @grot.28. ex Valefio. [e] Epid.lib 5. ægrot.7. (f) Epidilib.5.&gt.g.  ap(4) In epift. Abderit. (r) Epift.6.  rano  (d) In Comment Hipfoer. de Fraft.  fers (b) 18 epiß. Damogit,  alla (a) In epif Philop.  K  per(a) In lib.præcepto  ch' Th. In lib.de pracept:  fprone [b) De preception.   Set   era (b) In 2.epiji. ad Domeg.  1  F 3  i   [ocr errors] fare  1  (h) Hippocr. de veteri Medico  C2  pra(c) De decerti babits.   In.  Morale,  DE'FIGLIUOLI  e Medica DEL DOTTOR DOMENICO GAGLIAR DI  Divisa in due Parti. PARTE PRIM A  Sopra l'Educazione Morale. DEDICATA ALLA SANTITA'DI N.S. INNOCENZO XIII,  Neglectis urenda filix innascitur agris  Hor. Sat. 3. lib. I.                  In ROMA, MDCC XXII.  Nella Stamparia di Pietro Ferri alla Minerva.   Con licenza de'Superiori .  [blocks in formation] [ocr errors] sien L Titolo gloriofifsimo di Padre Universale , it quale viene fo  lamente attribuito all'Altissimo Merito di Voltra Santità , mi rende più  a 3animoso à consagrarle la prcfentc Opera sopra l'educazione de'figliuoli Morale, e Medica, con ferma speranza , che Ella comc zelantissimo amatore del buon costume non solamente la riceverà sotto il potentissimo fuo patrocinio; ma le farà di vantaggio godere gl'effetti della sua somma clemenza ; mercecche non permetterà già qucsta, che rimanga infruttuoso ogni qualunque suo documento profittevole allo stradamento de'figliuoli per farli divcnire amanti dellc virtù, cd aperti nemici de' vizj, essendo tal desiderio appunto il maggiore che possa avere un'ottimo Pan  dre;  mente dal principio del suo Gloriofiflimo Pontificato ha fatto la S. V. colle operazioni più gloriofe conoscere al mondo tutto; vedendosi tanto il suo Paterno Zelo, quanto la sua somma beneficenza indiri, zati folamente al giusto, ed all' onesto, gastigando i 'rei , c premiando i meritevoli: conforme appunto costumarono tanti Santillimi Pontefici suoi Antca natì di gloriofiffima memoria. Talmente che l'Eroiche Virtù in V. Beatitudine essendo ereditarie, si trovano profondamente radicate,e queste di fimin le natura debbono neceffaria,  men,  a 4  zarsi, seppure l'ottimo potranno sormontare. i Nè lì veggono nell' Antichissima , c Nobilissima Famiglia de Conti ereditarie l'eroiche virtù dc'suoi Maggiori nei foli Sommi Pontefici ;. mentre risplendono questo ancora , in tutti gli altri, c. con applausi universali; cssendosi veduti do. po la dcgnissima esaltazione di V.B. al Trono Pontificio, nc' più a Lei congiunti di Sangue la medesima nioderazione di animo, ed affabilità princicra ; assegno chc,non senza ammirazione,fan ben conoscere a tutti, che le presenti felicità non han  na  a gli animi generosi, e forti, in cui regnano abituate l'Eroiche Virtù.  In tempi dunque felici, o fortunati,ne'quali la verità svelata pud comparire avanti al Principe , godo la forte di presentarle prostrato à Santissimi Piedi di V.B. e consagrarle inficmc qucfte mie fatiche, diret. te non ad altro, che al publico bene; mostrando queste a Padri di faniglia,non folamente l'obbligo loro, ma cziandio il modo più facile d'indirizare benc i proprj figliuoli, affinche non divengano elli viziosi per. turbatori della publica quie  te.  ritevole dell'efficace Patrocinio del Principe, essendon'egli di essa vigilantissimo Custode: Contribuendo dunquc alla felicità del Principato la buona cducazione de'figliuoli , como cagione della publica quicte; affinchè là S. V. possa godere tutta quella lunga serie di anni felici , che ardentemente le bramo con ogni maggiore offequio la supplico à volerlo rendere degno del suo Supremo Patrocinio, potendo questo accrescere alle sue prove, e ragioni momento di forza bastevole a renderle più convincenti nel ripulire gli animi rozi,dano, e baciandole i Santillimi Piedi con profonda venerazione mi umilio.  Di Voftra Beatitudine  Omilifs,e fedeliss. Suddito  Domenico Gagliardi.  AL  C  On rilevanti motivi ho intrapre  so lo scrivere sopra l'Educazione de' figliuoli : primieramente, perchè leggendola Sacra Scrittura ho con chiarezza conosciuto l'obbligo grande col quale da essa viene aftretto ciascun Padre ad educar bene i propri figliuoli; ordinando l'Ecclesiastico al 30. Curva cervicem ejus in juventute, fu tunde latera ejus, dum infans eft, ne forte induret, Ego non credat tibi, Er erit tibi dolor anime . Doce filium tuum , E'operare in illo , ne in turpitudinem illius offendas; e trovandomi molti figliuoli era anch'io compreso nel numero di questi . Incominciando dunque a cercare qual modo foffe il migliore , per sodisfare a’mici doveri, benc mi avvidi alla prima, ch'era d'uopo conosce  per congetturare meglio ove le proprie inclinazioni li aveffero portati . In feguela di questo considerai, che indarno si sarebbe affaticato ogni qualunque ben’esperto educatore, se l'educando difetrasse nella esatta regola del vivere, quantunque fosse dotato dalla natura di un'ottima indole ; mercecche il nudrimento , eccedente in quantità, e qualità, potrebbe cagionargli internamente tal moto inordinato negli spiriti, che fosse capace di togliere alla sua mente quella limpidezza neceffaria a chi ha d'apprendere la buona educazione .  Si avanzò più oltre la mia mente coi suoi pensieri, cominciando a meditare se co gli ajuti medici, allorchè già introdotto negli educandi l'accennato interno sregolamento, si fosse potuto questo calmare; c con molti lumi ricevuti da Ippocrate, ove tratta de  Aere  Aere , Aquis , EX Locis , arrivò a comprendere, che potevano queste giovaredi molto in tale occasione.  Accertatomi per le fudette rifleffioni, che l'educazione de' figliuoli poteva trattarsi da un Medico provetto, appartenendo appunto ad ello più che ad ogni altro il conoscere i temperamenti, donde nascono i naturali, la regola del vivere, ed il modo di calmare gi’interni moti inordinati de’fluidi, mi accinsi a tale impresa, non potendomisi addoffare da critici, che io abbia contravenuto al documento, che insegna Orazio nella sua Arte poetica a chi brama di scrivere con profitto, cioè:  Sumite materiam veftris qui fcri  bitis æquam  Viribus , & versate diu quid fer  re recufent,  Quid valeant humeri. E per corrispondere con attenzione,  grandezza dell'argomento intrapreso, formai alla prima la seguente partizione di effo.  Divisi primieramente la presente Opera in due parti, cioè in Morale, c Medica, affinche con facilità maggiore ti riuscisse di apprendere quanto scris vo trovandolo non confuso.  Nella prima Decade troverai descritti molti avyertimenti, che dò, acciocche chi voglia accasarsi; possa provederli di ottima moglie; nè ti paja ciò fuori del nostro proposito ; perchè se non si abbatcerà in una moglie prudente, ed onesta , duc gran mali riceverà l'educazione de' suoi figliuoli; il primo de'quali sarà ereditario dicendol’ ArioIto:  Di vacca nascer cerva non vede  sti, Ne mai colomba d'aquila, nè figliaonefti E l'altro poi come potrà queste ajutarti ad educarli bene , fe non sapràche cosa sia la buona educazione, per non averla mai in se medesima sperimentata? Laonde conviene conchiudere, che la base fondamentale della buona educazione consista in iscegliersi una ottima consorte; ed avendola trovata, fi danno parimente molti documenti utili per mantenerla costante nel suo buon costume ; ed inoltre si mostra di quai modi si doverd fervire avendo sbagliato alla prima nel provedersi di effa , affinche molto minori divengano i suoi infortunj.  Nella seconda Decade principia. 1'Educazione Morale de figliuoli; ed in questa scorgeranno i Padri di famiglia quanto siano tenuti d'invigilarci, e quali inconvenienti nascono dalle loro  era,  [ocr errors] zio la similitudine de campi, nc'quali fa vedere di che pregiudizio sia questa, dis cendo:  Neglectis urenda filix innascitur  agris E che le Madri non debbansi abu, fare dell'amore verso i figliuoli, essendo questo trascorso molto nocivo allawi buona educazione, a segno che, se molti non avessero avuto l'asilo materno per esimersi da gastighi, averebbero depofti quei vizj,percui poscia divennero infelici . Troverai parimente documenti facili, e profittevoli, de quali potrà ogniuno feryirsi sccodo le diverse loro inclinazioni per educarli. E perch'è il compimento della buona educazione l'istradarli a ciò, che doveranno applicarsi, quindi è, che si tratta ancora del modo, col quale si doveranno provedere i figliuoli secondo gl'impieghi, de  que  quali si conosceranno meritevoli ; e dandosi il caso per lorosventura, che i genitori morissero, trovandosi elli di tenera età, si propone ciò, che pare conveneyole a farsi in simili calamitose cótingenze:e' per non lasciare poi in abbandono i poveri, che non ponnoricevere tutti quegli ajuti da Macstri conforme possono avere i figliuoli de'bene Itanti, fiè pensato anche ad essi per dare un ripulimento più universale contro vizj,essendo tal semenza in tutte le condizioni degli uomini perniciofiffima per la Republica.  Quattro sono gli interlocutori ideali della presente opera : Sempronio giovane molto accorto, il quale brama d'istruirsi; Mecenate , e Publio prudenti direttori, ed il Medico provetto , per dilucidare alcune cose appartenenti alla Medicina. Mi fono servito di Publio ammogliato per la sperienza grande,  chc  che si trova colui, il quale per molti an ni è vivuto in tale stato: di Mecenate sciolto da tal legame, periscoprire quel di più,chenon può eslere noto, a chi hà moglie,rimirando le cose più sincere chi si trova in disparte, enon ha abbagliato la vista dalle proprie passioni.  Inoltre raccontando Publio cioca chè costumavası fare in tempi meno rilassati, farà maggiormente conoscere la differenza de'correnti, & additerà ancora il modo, che si potrebbe tenere per emendarli,quando questi discordafsero molto da quelli . Nè potrà dolersi alcuno di quanto io con tutta sincerità procuro di darti a notizia; essendoche conforme il Medico non può trovare il rimedio opportuno al male se non forma l'idea giusta, con esaminare esattamente la natura, cagione, e gli effetti di esso, così ancora nel ritrovare isimedj ai vizj, che sono mali dell'animo  b 2 caca  [ocr errors] è necessario sapere precisamente la natura, le cagioni, e li cattivi effetti di esli ; oltre di che, non parlando io in particolare di alcuno, ma solamente in  generale diciò, che è detestabile, non si potrà dolere di me se non chi da se medefimo conoscerà d'essere macchiato di tali difetti,come a tale proposito disse S. Ambrogio ne'suoi serm.pag.102. Ego non de omnibus loquor Etc. ego neminem nomino : conscientia fua unumquemque conveniat.  Averei potuto ancor darui la feconda parte; ma per maturare meglio alcune cose contenute in essa ci è d'uopo di maggior tempo, c per iftabilirle ancor con provo più convincenti; ti baa Iti per ora un picciolo abbozzo di ella affinchè poffi da questo comprendere il progresso da me tenuto per compire una educazione più generale . Quattro sono i punti Medici prinche convenga nel tempo, che sono già  cipali, che si tratteranno nella Decali  de terza, in ordine alla buona educazione; il primo fiè quello , che deesi fare per vantaggio di essa, prima di concepire figliuoli: Il secondo, cioc  [ocr errors] in  ito lif  [merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small] per cola  [ocr errors] concetti, e dimorano nell'utero materno; il terzo che far si debba, dati che sono alla luce, e finattanto, che dura la loro pucrizia: Il quarto finalmente, ciocche convenga allorchè sono in età, nella quale dee in effi manifestarsi l'uso di ragione , indugiando questo.  Nel primo si farà vedere assai difficile il potersi avere figliuoli di buona indole, e docili , se tra marito, e moglie regneranno continue discordie; se faranno l'uno, o l'altra di essi dediti all'ubriachezza, ed alla crapula; con dimostrare loro donde ne provengala cagione; oltre le sperienze dimostrative di ciò.  b 3  Nc  [blocks in formation] [ocr errors] Nel secondo, che non debba una deviata madre tenere la medesima vita, che faceva , prima di concepire; con mostrarle ancora gl' incomodi che può ricevere ella medesima, ed il feto, che porta riell'utero, per tal cagione, e quanto possa venire danneggiata la buona educazione da questo.  Nel terzo si farà conoscere , dati alla luce, di qual latte debbano nutrirsi, e qual regola in cffi debba tenersi, allorche saranno slattati, per deprime. re quel principio , che si scorgesse avvanzato in loro a danni della buona educazione; e qual cuftodia abbia d'aversi di esli , affinche non divengano di cattiva complessione, la quale sarebbe molto pregiudiziale alla buona educazione,  E finalmente nel quarto , vedendosi questi ne' buoni documenti morali non fare progressi, fi esamina sela  sero avere pofsanza tale da deprimere, o innalzare alcuni principj in esli, o foverchiamente assottigliati, o più del dovere sopiti; mediante i quali ne nascesse ostacolo alla mente nell'apprendere, e ritenere i documenti necessari, e questo sedebba farli con ajuti più efficaci mostrandoci anche Orazio, che Incultæ pacantur vomere sylve.  Nella quarta Decade poi troverai dieci ragionamenti sopra i vizj, e le virtù, con esaminarsi ancora ifrutti di ambidue ; e servendo questa come di una appendice all'opera, goderà il vantaggio di efsere trattata con ragioni, e documenti filosofici, medici , morali, e naturali, secondocheayerà d'voро  di essi ; & intanto si sono queste materie poste nel fine , per non dilungare troppo i ragionamenti, potendo ciò renderli tediosi; ed essendo per altro  neceffario il farc: ben comprendere a tutti quanto di buond, o cattivo nasca dalla buona, o cattiva educazione; doveva questo non trattarsi solamente di passaggio, conforme si era già fatto nelle antecedenti conferenze; ma farfene bensì particolari ragionamenti a parte per dimostrarlo con più di chiarezza, potendone da ciò risultare un infinito bene; conciosiacosache fàconoscere chiaramente il nostro Ippocrate nella risposta, che diede agli Adderiti, essere feliciquei Popolizi quali ben sapeano, che la loro sicurezza non consisteva nelle alte torri,cd in altre materiali fortificazioni;mà bensì nella bontà de Citradini,e ne'loro prudenti consigli:spiegandosi ivi : Beati profectò funt populi , qui sciunt bonos viros suaesse munimenta, nonturres,neque muros, fed fapientum. vi. rorum sapientia confilia ; É venendo interrogato Socrate nel convivio de'sette  fa  fapienti di Platone, qual fosse la più ben munita Città, egli rispose : Que bonos viros habet . Quale la più felice : In qua præfe&ti focietate conjunguntur: E finalmente qual fosse la migliore di tutte, egli disse: In qua plurima virtuti premia proposita sunt . Nè può di ciò dubitarsene, insegnandoci l'oracolo della Divina Sapienza al 6. Multitudo fapientum fanitas orbis.  Spero finalmente, che saranno ricevute queste mie fatiche con animo benigno da quei, che sono amanti delle virtù, e se faranno vilipesc da chi ha già fatto l'abito di āteporre i vizja queste,verranno da essi più costo a loro mal grado onorate; riputandole di pregionó dissimile a quelle cose solite da essi a pofporsi; mi basterà, che fiano grate a chi possiede il buon costume, ed utili a chi brama di acquistarlo, perchè gid sono divenuto capace , che nel mondo erunt vitia conec homines; con questa diferenza solamente del più, o del meno,nè io pretendo di vantaggio. Vivi costante nel bene operare per continuare ad essere felice, e far conoscere agl’infelici viziofi colla tua tranquillità di animo meglio le loro mi  serie.  Si videbitur Reverendissimo Patri Sacri Palacii Apoftolici Magiftro.  N. Barcbarius Episc. Bojanen. Vicefg:  APPROVAZIONI.  Etta, è considerata del si  gnor Dottore Domenico Gagliardi , intitolata l’Educazione de figliuoli morale ; o medica ; per commissione dei Padre Reverendiffimo Gregorio Sel. Seri Maestro del Sagro Palazzo Apoftolico; non ci hò trovarà cosa vervna , chic fia contraria alla Fede, o clic offenda i buoni costumi . Con verità bensi poffo; c debbo attestare; che una tale opera per mio sentimento è degna di uscire in luce, perchè oltre l'effere or: nata di scelta crudizione, e di soda dottrina ; può essere molto fruttuosa ; ed al publico, ed al privato, spiegandosi ia essa con dotta; e giudiziola chiarcze  [ocr errors] za la maniera di ben educare la prole, affare di somma importanza , come è ben noto a chi non hà cicco l'intendimento, ed offuscata la ragione. Cosi ne giudico ; c francamente mi persuado, che altrimente non ne giudicherà chiunque col leggerla dalla forza del vero G conoscerà obbligato ad approvare con giusta lode il zelo ben commendabile, e con eso l'erudito , e saggio faperc del chiarissimo autore, che per la publica utilità non hà ricusato di addosCarG acl colmo delle sue Mediche applicazioni una cale fatica, che ben lo palesa non meno versato negli studi più propri della sua professione, che negli altri, per cui sono degnamente accreditati i più celebri per fama di erudizione.  Io Fra Tomaffo Maria Minorelli de'Pre  dicatori Maestro di Sagra Teologia, « Bibliotecario Cafanastense  Per  P  Er commissione del P.RñoGregorio  Selleri Macstro del Sagro Palaze zo Apostolico avendo letra , e confiderata l'opera dell'Eccellentiffimo Signor Doctor Domenico Gagliardi , intitolata L'Educazione de figliuoli morale,e Medica, non avendo trovato nella medesima mala fimc repugnanti alla nostra Santa Fede, ed alla bontà de costumi, nè discordanti da i buoni fondamenti della nostra Professione di Medicina la considero degna di publicarli con la Stampa questo dì 20. Gennaro 1722.  Michelangelo Paoli  IMPRIMATUR.  Fr. Gregorius Selleri Ordinis Prædica  corum Sac.Palat. Apoft. Magift.  Delle Conferenze,  INTRODUZIONE ALL'OPERA,  Pag, į DECADE PRIMĄ  CONFERENZA I. Sopra l'elezione della Moglie , e sue condizioni più essenziali.  IS CONFERENZA II. Sopra l’età più propria, epro.  porzionata di accasarsi ; e quale sia svantaggio maggiore, farlo prima del tempo convenevole, 9 nella vecchiezza :  33 CONFERENZA III. Dove la mostra,in che cose faa  esenziale l'uguaglianza nei Matrimonj; e quali jvantaggi nascano dalle disuguaglianze in queAte.  53 CONFERENZA IV. Sopra gli antichi costumi, pras  ticati appreffo alcuni Popoli per la generazione ; ę se sia più vantaggioso lo scoprire scambievolmente i propri  , corporali difetti , prima di sposarsi, o l'occultarli.  77 CONFERENZA V. Nella quale si mostra , in che modo si maritino le belle , le ricche , ę le deformi  quantingue povere. CONFERENZA VI. Nella quale si esaminano piut  distintamente i pregiudizi, che risultano dai matrimonj fatti senza l'intervento della Pruden74.CONFEREOZA VII. Sopra i difetti , e le virtu delle donne.  253 CONFERENZA VIII. Come si debba regolare l'uomo colla moglie scelta di ottime qualità.  188 CONFERENZA IX.Come si debbano regolare i saggi  mariti con le mogli imprudenti , e viziose . 213 CONFERENZA X. Sopra i ripiegbi prudenziali ,  che debbonsi prendere in diverse occorrenze dalle  mogli saggie , incontrandosi in viziosi, ed indiscrefi mariti,  254  DECADE SECONDA  Sopra l'educazione Morale de'figliuoli, CONFERENZA I. Nella quale si mokra, che co  Ta sia edncazione , cui appartengo piid di ogni altro; e sefia necessario luogo particolare, ove debba farsi .  301 CONFERENZA II. Intorno a quello , che debbas  farsi da Genitori per educar bene i figliuoli . 323 CONFERENZA III. Intorno all'uffizio, e qualita dell’Ajo, e dei Maestri .  350 CONFERENZA IV. Sopra l'educazione delle Pin gliuole,  377 CONFERENZA V. Sopra l'etd opportuna d' apa  prendersi le scienze, ed il modo più facile per accer  tarsi delle particolari inclinazioni de'figliuoli . 403 CONFERENZA VI. Sopra gl' impieghi , che do  vranno darsi da saggi Padri a figliuoli ben’educati, e dotti.  421 CON  CONFERENZA VII. Come debbano i Padri rego  larsi nel provedere i figliuoli ingnoranti , e viziosi.  447 CONFERENZA VIII. Sopra il modo di ben collacare le figliuole.  473 CONFERENZA IX. Sopra l'educazione de Pupil  li : e come debba ciascuna portarsi verso i suoi Genitorį defonti,  499 CONFERENZA X. Sopra l'educazione de'figliuoli  poveri, e donde venga questo danneggiata . 539  [ocr errors] IN TRODUZZIONE  ALL OPERA.  Sempronio , ( Mecenate .  V  [ocr errors] Sem.  Engo talmente af frettato da mici cogiunti a prender moglie, che non mi lasciano vivere, sti  molandomi giornalmente di farlo; a segno che, per non poterli più sentire, sono in necessità di compiacer loro : solamente due core mi ritardano; e fono l'educazione de figliuoli, che possono nascere,e la cura, la quale fi dec avere di esli, efsendo in ciò inesperto ; per altro mi trovo già pronto a consolarli : istruitemi, Mecenate, in queste, potendo voi fare due beneficj in un tempo;cioè, d'istruire me, econsolar' efli, che tanto bramaDo le mie nozze. :  А  Mer.  Mec. Mà questa moglie,ci è già scelta approposito per voi ?  Sem. Ci sono tante giovani oggidi belle , galanti , e ricche, che essendo anche io giovane,e commodo di beni di fortuna la posso scegliere a mio genio, e fodisfazione in brevissiino tempo.  Mec. Però non sò se tutte queste belle , galanti, e ricche, faranno per cala voftra,leggendo in Ateneo che: demens eft , qui oculis uxorem accipit : come fece appunto Monimo  il quale , avendo sposata una Giovane , senza ricercare prima i suoi costumi, divenne infelicillimo marito; c dolendosi della sua {ventura con Olimpia madre di Alessandro, lo riprese della sua trascuragginc, usata nello sceglierla.  Sem. E che ! la dovrò prendere forse deforme , scoriese, e povera ?  Mec. Neanco questa farebbe al caso voftro.  Sem. E chi dunquc doverò prendere?  Mec. Una's clic lia donna di propo,   fito,  Sem,  [ocr errors][ocr errors] Sem. E quelle, che sono belle , egalanti, sono donne ancora di propofito.  Mec. Mà non tutte buone per voi.  Sem. Quali saranno quelle, che voi Itimate buone per me?  Mec. Quelle appunto, che sapranno softenere con senno, e con prudenza la metà del peso della casa, e dell'educazione de figliuoli; onde quando voi la tropaste di queste qualità avercre risparmiato la metà del penfiere dell'educazione, e cura de figliuoli; e queste sono appunto quelle Itimate appropolito da Plauto, in Stiche, ove dice: UI per  orbem cum ambulent Omnibus , os obturens , ne quis meritò  maledicat fibi. Essendo queste ornate di tutte quello desiderabili prerogative, descritte daw Seneca in O&avia. Probitus , fidesque conjugis , mores, pue  dor placeant inarito. Sem. Io credea , foffe fufficiente, che ja moglie sapeffe far figliuoli, c chou ogr’una di queste fosse a propofito.Mec. Per farli, lo credo ancheio, ma non già per educarli bene, e per adempire quanto dee' una vera madre di famiglia; essendo che per far questo liricerca, che sia dotata di senno e di prudenza' : vi avvedete voi ora del vostro errore, e che come si suol dire, ponevate il carro avanti i buovi, con istruirvi nell'educazione de' figliuoli , senza sapere ciò, che ci vuole per iscegliersi una buona moglie: e se v'incontrasto in una imprudente, garrula, e contenziosa, à che vi gioverebe il sapere educar bene i figliuoli, se quanto di buono voi operaste, ella sarebbe capace distruggere colla sua imprudenza, e garrulità ?, allor sì che fareste caduto in quella fyentura descritta dal Poeta Saririco :  Semper habet lites, alternaque jure  gia lectus In quo nupta jacet, minime dormia  tur in illo . O.pure vi abbatteste in una, che fosse di quella natura superba, descritta dal me. desimo, la quale dicesfc; Нос  [ocr errors] voluntas ;  Imperat ergo viro. In questi casi educate bene i figliuoli se potere .  Sem. La bramerei savia, e prudente, ma vorrei, che foffe anche gentile, e galante ; perche le donne di fattezze grossolane non mi sono mai andate a genio.  Mec. Se questa sarà sana , e prudente non ci hò cosa incontrario, ma se poi colla sua gentile, e delicata complesfione ci fosse unira qualche indisposizione di animo, e di corpo, il che suole alle volte accadere, non vi consiglierei a farlo. Sem. E perche ?  Mec. Vi porreste in tal caso a pericolo di fare una cattiva razza; eredicandog da figliuoli non meno il bene , che il inale di effe ; ed hò sentito da Medici, che più dalle Madri, che da i Padri questo si ritragga, per il nutrimento dato loro quei nove mesi, che li portano nel ventre nè fi può fperare,  che  [ocr errors] A 3  che dal seme velenoso del nappello nasca un giglio, o una rosa: non sarebbe poco, quando meno velenosa germogliasse quella pianta , che dee ello produrre : e poi voi, il quale vi dilettate de cavalli, dovreste sapere per isperienza, che quelli nati da cattiva razza, riescono i meno generosi; e perciò dovete anche riflettere, che il limile poffa seguire negli uomini, come lo descrisse Orazio.  Fortes creant ur fortibus , du bonis :  Et in juvencis, eft in equis patrum  Virtus : nec imbellem feroces   Progenerant aquile columbam . Sem. In maggior confusione di prima ora mi trovo, sentendo da voi , lian neceffario ancora di scegliere una donna savia, e prudente per moglie; onde, per liberarmi da tanti guai, seguiterò le vostre orme, e viverò libero da questo legame anche io, e dicano ciocche vogliono i miei parenti.  Mec. Non fatedi grazia, Sempronio, questo sproposito,  Sem.  [ocr errors][ocr errors] Sem. E voi perche l'avere fatto ?  Mec. Non aveva allora la sperienzas d'adesso ; nè mi abbatiei in consigliere sincero; e sappiate , che mi sono pentito più volte, e particolarmente avanzaadomi negl’anni, di averlo fatto.  Sem. E per quali motivi?  Mec. Perche non anderei tanto lambiccandomi il cervello in cerca del mio erede (briga dolorosa dell'età avanzata) se avesli figliuoli.  Sem. Essendo voi tuttavia robusto, farefte anche in tempo di farli.  Mec. E che vi dispiace forse la mina robustezza, che me la vorreste far  perdere? non sono più in tempo di farli; hò procurato finora di non esser ridicolo, & ora più del passato son tenuto di farlo, e voi mici varrefte far diventare per cantare di me forse ciocchè disse il Taffo di Vincilao :  Vincilao, che sì grave , e faggio innante  Canuto pargoleggia, e vecchio amants : Queste risoluzioni, Sempronio , deona fare in gioventù , per poter vedere i suoi  figliuoli bencincaminaci prima di mori. re, essendo che a me potrebbe succedere ciò che dice Plauto:  Poft mediam ætatem, qui ducit uxorem,  Si eam fenex prægnantē   fortuitò feceris , Quid dubita's quin fiet parasū nomen  puero . Poftumus?  Sem. Dunque saranno ridicoli tani vecchi, che si accasano,e con giovanette anche belle?  Mec. Io non debbo entrare nei freci altrui, debbo bensi pentire 2 cali miei, ora che ho il pieno uso di raggione, acquistato cò gli anni; ma questi sono discorsi fuori del nostro proposito, dovendo voi risolvervi a prender moglie , per non avervi a pentire poi ancor voi di non averla pigliata ; e per ciò dovere farvi ora istruire in quello, ch'è necessario per fare un ottima elezione.  Sem. E da chi?  Mec. Da colui, che la seppe far ottima , e perciò gode vita felice , e tranquilla.Sem. Ma io non vorrei, Mecenate mio, palesare alero , che à voi il mio interno; perche sapete pure qual vento spiri oggidì, che si van cercando id fecti alcrui per mantenere allegre le nostre notturne assemblee, laonde di scoprendo le mic debolezze ad un'altro, sarebbe cosa facilissima si divulgoffero fra molci.  Mec. Viverenino in tempi infelicissim mi, re in Citcà si vasta la secretezza re. gnasse in me solamente,  Sem. Mà non potreste voi solo istruire mi in cucto , essendo vomo di molta fperienza nelle cose del mondo.  Mec. In teorica potrei darvi molti avvertimenti, ma in cose pratiche nors posso consigliarvi ; perche essendo io sciolto da limil legune, no ho avuta occasione di approfittarmi in tal faccenda.  Sem. Oh quanto mira meglio colui, il quale stà in disparte, i difetti dongeschi di quello facciano i mariti! e come giudice spassionato , quanto li distingue anche meglio! Mec. Voi sapete quanto vi amo, u  per:  perciò non lascierei cosa alcuna, che non facessi per consolarvi; mà conos . cendo io, che meglio potreste essere iftruito in tutto coll'intervento di chi averà navigato felicemente molti anni per questo gran mare , perche vi amo, dico questo ; potendo egli molte cose aver conosciute in atto pratico,alle qualinon possono giungere le mie teoriche.  Sem. Se lo giudicare necessario bisognerà farlo : ma chi sarà ral'consigliere?  Mec.Ci sarebbero Publio Roscio,che per lo spazio di quaranta tre anni, e vivuto in pace con sua moglie. Massimo trentanove anni parimente, senza contendere,e Silvio Paterno trentadue;ora sceglietovi, chi volere di questi.  Sem. Oh bene avete trovati i parenti più prossimi à Noè, che sono in questa Città ! quai consigli mi potranno dare questi vecchi decrepiti, che non firicordano del seguito nel dì avanti; e poi a tempi loro non usandofi le galanti maniere constumate oggidì, a che mi fervirebbono i loro ancichi consigli , non  pra.  praticabili a tempi nostri?  Mec. Tutte queste eccezioni, che da. te loro sono in vantaggio vostro; per, che, se non si ricorderanno quello , che udiranno da voi, niuno risaprà i fatti voftri , e se, senza tante galanti maniere di oggidì, fi feppero far amare dalle loro consorti, insegnando a voi i modi, da loro tenuti, ci guadagnerere molto in saperli, e se non siete ancora informato della capacità de’vecchi, apprenderes la da Ovidio,  Jura fenes norint , dow quid liceata  que , nefasque, Falque fit inquirant, legumque exa.  mina servent. E da Cicerone , il quale, de Senectute, così parla del Vecchio: Non facit en que juvenes, at verò multa majora, meliora facit ; non enim viribus , aut ves locitate corporis res magne gerantur , fed confilio , authoritate , fententia , quia bus non modo non arbari , fed etiam auga. ri senectus folet. Laonde faggiamento l'Ecclef. al 25. dico ;- Corona fenun muba ta peritia :  Sem  Sem. Sceglietene dunque uno di quefti a vostro genio, e quello, che conoscerete più approposito per il bisogno mio.  Mec. Publio sarebbe più al caso, per. che quantunque egli meno si ricordi delle cose presenti, conforme sono tutti i più vecchi, ha felicissima memoria nel ricordarsi delle passate:e poi avendo numerola famiglia, e così bene accostuinata , saprà anche istruiryı nella educazione di essa.  Sem. Attenderò dunque con anfierà i consigli di Publio; ma faprà istruirini incio, che riguarda la cura, che si dec avere per conservare la prole con buona falute  Mec. L'esperienza, avuta in molte cõgiunture ad esso accaduce lo averà facilmente renduto capace, a darvi qualche buon consiglio in questo ancora; ma non già con tanta esattezza cõforme farebbe chi foffe profeffore di Medicina.  Sem. Sarebbe dunque bene u’interveniffe uno di questi; c difcegliere tra periti il migliore  Merg.  Mec. Il vostro Dottore è pratichiffimo, avendo avuti molti figliuoli, è anche ingenuo , e sò che vi ama di cuore, onde migliore di ello non saprei sccglierlo.  Sem. Così è: or ditemi, come doverò contenermi nelle nostre conferenze?  Mec. Domanderete quando si presenterà l'occasione tutto quello, bramate di sapere; e non vi vergognate di fare anche quesiti di poco rilievo ; perche non facendoli, rimarrete con perplessità in molte cose.  Sem. Come si farà per informare Publio,che al Dott. parlerò io modelimo'  Mec. Sara inia cura d'informarlo di tutto, e già che siamo di primavera potremo portarci al mio giardinetto, contiguo alle mura della Citrà, ove come disse il Petrarca:  Non palazzi , non teatro , e loggia ,  Ma in lor vece un abete , un faggio, un     pino,  Fra l'erba verde , el bel monte vicino ,  Levan di terra al ci el nostro intelletto , E faremo ivi due volte la settimana le nostre conferenze.  Sem. Mà non sarebbe meglio, per approfittarmi prestamente , il farle tre volte ?  Mec. Vicompiacerò anche in questo, purche le occupazioni degl’aleri lo permettano ; ma voi, Seinpronio, averete già dato luogo nel vostro cuore a qualche oggetto, perche bramate sapere con sollecitudine se quefto ci abbia da rimanere,viconsiglierei però quádo ciò fosse, a spogliarvene prima, per applicare tutto il pensiero a quella, che converra à yoi, & alla vostra casa , che vientri  per meglio stabilircela ,  Sem. Non sono determinato ancora, quantunque abbia posto l'occhio in più parti, onde posso facilmente spogliarmene affatto, e starò con anfietà attendendo l'avviso del giorno, in cui si darà principio alle nostre conferenze.  DECADE PRIMA  CONFERENZA PRIMA  Sopra l'elezione della Moglie, e fue  condizioni più ellenziali. Mecenate , Publio, Sempronio ,  e Medico.  Mec.  O notificato à Publio ciocchè voi bramate da esso, il quale vi copatisce a maggior segno;  posciache egli ancora si trovò in un fimile laberinto,allor che dovea prender Moglie, comc jeri appunto mi disse, e da lui medesimo sentirere ora con vostra confolazione.  Pub. Quantunque anch'io venifli Atimolato da mici Genitori ad accasarmi andavo nulladimeno téporeggiado d'effettuarlo;perche apprendeva fosse schia  vitudine grande la vita cognugale, ma la ritrovai, per verità, assai diversa das quello, che io mi avea figurato ; & efsendo stato sempre mio costume, anche da giovane di regolarmi col consiglio d'uomini favii , c provetti, mi portai da un di questi mio amico, che non aveva alcun interesse in cal affare, per consigliarmi seco , fe dovessi risola vermi a prender moglie, il quale uditas ch'ebbe tale proposta, cortesemente mi disse: figliuol mio è tempo ormai , che vi risolviate di farlo ; perche avendo voi già l’età di venticinque anni poiere esser capace d'indrizare una donna per la buona strada , quantunque aveste sbagliato in isceglierla nelle cose meno essenziali, e sappiate, che l'uomo savio bene spesso fa divenire la moglie non dissimigliante da lui , siccome l'imprudente donna precipita l'uomo poco avveduto : figuratevi alla prima di dover navigare per un vasto oceano dover essere voi il nocchiere, che guida la nave : sappiatevi ben regolare  nelle  [ocr errors] e di  [merged small][merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] nelle tempeste, per non sommergervi ; prendetela sana, ben accostumata, e di buon parentado, non vi lasciate abbagliare dalla bellezza, dote, e nobiltà; e risolvetevi ; perche quanto più differirete, altrettanto inaggiore sarà il morivo di pentirvi della tardanza: raccommandatevi al Signor Iddio, essendo che: A Domino autem propriè uxor bona , come disie Salomone; procuratela giovane, nè tardate di vantaggio.  Sem. Quanto mi consolo , che vi siete ancor voi trovato in fimile laberinto; e son sicuro, che perciò compatirete le mie debolezze.  Pub. Vi comparisco a maggior segno figliuol mio , fatevi però animo ; perche quantunque paja la vita conjugale alla prima di un gravissimo peso, quando però questo viene portato concordemento d'ambedue, riesce molto leggiero, an. zi foare'; e tal fortuna l'hò sperimenta. --ta io medelimo.  Sem. Vi abbatteste à caso in sì buona compagnia, o pur faceste preventivos  [merged small][ocr errors][ocr errors] diligenze per isceglierla 2  Pub. Le feci certamente esatciflimus per non operare da balordo ; perche se per provederci de' cavalli, cani, anzi di vili giumenti si fanno efatte diligenze', acciocchè siano sani , edi buona rizzi; quattro maggiormente sono neceffario queste nello provedersi di moglie, come puntualmente si trova registrato in Tcognide, Canes quidem, a afinos querimus ,  • Cyrne, dequos Generofos, cu hec quisque vult ex  bona progenie Sibi parare ; uxorem aurcm ducere  malam Ex mala progenie non curat 1. Vir bonus ; modo fibi pecunias multas  1offerat. * Sem. E qual modo teneste in farle? - Pub. Avendo posto l'occhio ad una Gentildonga modesta,non diriguale alla mia condizione, & in età nubile, miraccomunaadai di cuorc al Medico , che fa. Noriva la mia casa , acciocchè avessesavesle ben Dell'Elezione della Mog. 19 procurato di accertarsi della sua salute , avvertito à non ingannarsi, per non ave. re a fare ancor esso la penitenza del suo fallo; posciache se fosse stata mal sana, dovendola curare, briga maggiore gli averebbe apportata; senza speranza di premio straordinario ; per esserne egli Itaro la cagione, che fosse entrata in inia casa; ciò però dilli per ischerzo. m  Sem. E detto Medico, come lo potcs va scoprire, se non l'avesse avuta ini cura ?  Pub. Penetrò tanto, che mi bastò ,  Sum. Com'egli fece ;   Pub. Avendo confidenza col suo Speziale, segretamente cercò nel di lui libro maltro, se vi era descritto alcune medicamento, servito per effe lei, e non trovandovi cosa di rilievo, mi disse : ftiamo bene di salute, perche none, si è mai purgata .  Sem. E leu fosse fervita di qualches altro Speziale? Pub. Questo non si costumava di fare  in quei tempi tanto allo Speziale, quanto al Medico. Una volta, ch'essi erano ftati ammessi, fino alla morte continuavano, ed'eravamo per ciò ben serviti; imperciocchè con molto amore effi s'in. tereflavano ne i nostri vantaggi,conforme comprenderete da quanto soggiungerò. Non si appagò già l'affezzionato Medico di questa fola diligenza usata', mà volle far di vantaggio, e fu d'abboccarsi col Dottore, che medicava in quella casa,introducendo seco discorso sopra la poca salute, che godevano alcune giovani, ch'egli curava, attribuendone la cagione di ciò al poco esercizio, ch'esse facevano ; e di poi passò à domandargli, di quali rimedij egli si prevaleva per conservare in salute quella , che doveva appunto essere la mia futura fpofa, la quale in appareaza mokravas essere più sana dell'altre; cui replicò, ch'avendo ella sortito un ottimo temperaméto, no aveva d'uopo dell'opera lua, & in segno di ciò nel mal de vajuoli da ella sofferto appena cgli vi fu chiamato  nel  oel fine', tanto la natura le fu propizia , che senza alcuno ajuto medico fece il fuo corso felicemente; e con questa seconda diligenza mi accertò della buona salure, ch'ella godeva.  Sem. Questo favore toccherà à voi, Dottore, di farmelo...  Med. Non mi ponete di grazia in Gmile intrigo ; perche non essendo io si avveduto, non vorrei errare nello scoprire gli altrui difetti : e poi se îi desse il caso, che io avelli curato quella giovane, l'onor mio n'anderebbe di mezo , discoprendovi la verità delle cose con, fidateini.  Sem. Della vostra avvedutezza punto non dubito: e poi porrò la mira a qualcuna, che non fia medicata da voi; onde non mi contriftate col recufare di f.2vorirmi ; perche altrimenti sarete voi cagione, che io non prenda moglie, noa potendomi fidare meglio di alcun altro in questo, se non di voi.  Med. Per servirvi la vedrò, considererò il suo temperamento, e fisonomia;  B 3  mà  mà tante altre diligenze, praticate per Publio, non vi prometto di firle; perche ora non si costuinano più molte cose, che si facevano allora.  Sem. L'usanze buone non si debbono dismerrere mai, io mi dichiaro con voi, non per ischerzo, come diffe Publio , mà con tutto il fenno: che se non sarà fana , toccherà à voi di curarla senza fperanza di ricompensa , succedendomi per colpa vostra tale sventura'.  Mega Vorrci, Sempronio, che mi mostraste qual privilegio voi avere più del Dottore di dismettere l'usanze buone; essendo ch'è pur usanza buona riconoscere col dovuto guiderdone il Medico, il che voi volete disinertere', obbligandolo di più ad osservare quello, che fa  per voi.  Sem. Lo dicevo per animarlo, 20ciocchè lo facesse con più fervore: non già tutte le cose, che si dicono si fanno.  Mec. Questo però non è già premio , che animi, mà bensì minaccia , che avvilisce più costo ; olore di che non è già  ben  ܪ  ben fatto di proporre con tanta franchezza ciò, che non si vuole praticare,  Sem. Non parliaino più di ciò; palliamo al costume ; questo in che dee cons Giftere, avendomi voi significato, non essere necessario, che la moglie lia garbata, e galante?  Mec. Cerra cofa è, che il buon costume della donna, non dee coolisterer in questo, mà bensì in aver cura delle casa, in saperla ben reggere, e gover: nare di cui parlando ne? ;suoi Proverbij Salomone diffe : Confickeravit. Jemitas domus fue , panem otiofa non comedia Ed il Nazianzeno nei suoi documenti che da alle vergini, così dice Neque domibus cxternis olideas , neque  menfis. Ed altrove contro le donne più del doc yere ornate, così parla .  Mos eft mulieribus [res pretiofa] domi  manere  [ocr errors] Plurimum, & divinis alloqui sermonibus Telaque , fufoque ( hoc enim munus eft mulierum)Ancillis opera distribuereservos vitare ,   Labiis vincula ferre, oculis,atq;genis:   Neq; pedē exirà vestibula Sepè babere; E Menandro comico greco così dice , Intus manere mulierem oportet  oportet :: Bonam, egredientes autem foras nullius  pretii sunt . Sem. Come scopriste, Publio , che fosse di questo costume la vostra Conforte?  Pub. Avevo in quel tempo un servitore molto affezionato, & insieme accorto, diedi ad effo segretamente l'incombenza, che lo aveffe scoperio ; e fi pora tò egli così bene, che in brieve fui informHo ditutio.  Sem.' E come fece?  Pub. Conduffe, ove questi sogliono ricrearsi, un certo fuo conoscente, il quale da molto tempo serviva in quella casa, e dopo d'essersi insinuato avvedutamente appresso di lui,introdusse discor. so, come è lor costume, sopra le stravaganze de padroni, & interrogato, che l'ebbc de cractamenti, che riceveva dal  fuo  suo, passò alla giovane, di cui ne diffe un infinito bene, con individuargli alcune particolarità, le quali denotavano forfe savia, c prudente .  Sem. Questi come poteva essere apa pieno informato delle qualità della gior vane, non trattando in quei tempi lei padrone con servitori?  Pub. I servitori in ogni cempo sono ftati curiofillimi di scoprire i fatti de'padroni, & anco i più segreti', come ava vertì Giovenalc.  Scire volunt fecreta domis, atque inda timeri. E siccome sempre vi è stata qualche affezionata corrispondenza tra essi, e le donne di servigio, onde per questa via, ciocche effi nonodono, ne offervano, lo penetrano : nè è stato mai possibile, che le donne di servigio ili fiano astenute dal'non palesare i difetti del: le padrone , almeno a questi loro favo riti, per mostrare con elli confidenza.  Sem. Vi bastò quefta sola notizia ?  Pub. Procurai in oltre rincontrarl24 da più parti prima di crederla ; pofçiag  che  che udito efferii da quella casa partita disguitata una donna , fecidiella  prenderne inf rmazione, la quale contesto le medelime cose,che dette aveva il servitore; ed essendo uniforine à questo notizie il publico conceito, che di essa fi aveva nel vicinato, mi appagai del suo buon costuine ie non feci altre dili. genze intorno à questo. ni  Sem Manon sarebbe stato ineglio vi foste informato da qualche Uomo das bene?  Pub. Non lo stimai neceffario , avendo rincontrato da più parti il medesimo: e poi per dirvela giusta , chi è buonio non è curioso d'investigare gli altrui difecii; ed anco sapendoli si guarda molto bene dal publicarli..."  Sem. Il vostro Ulisse, Mecenate, sa, rebbe approposito per iscoprire gli altrui difetti in  Mec.. Ma non in questo affare, perche egli cicala troppo: si ricerca in tale affare chi sia destro, e serio , che compri, c non venda.  Sem.  Sem. Palesatemi ora , Publio, qual modo usaste nell'informarvi della prosapia della vostra Conforte ?  Pub. Vi era in quel tempo un certo sfaccendato investigatore de' fatti altrui, il quale andava curiosamente cercando le memorie delle antiche famiglie negli Archivi ; cui feci parlare dau un'amico, è che mostraffe desiderio, tanto delle notizie della mia famiglia, quanto dell'alcra, con fargli promertere un convencvole riconoscimento per le sue fatiche'; e per verità in brieve tempo d'ambidue pose in chiaro quanto circa ad un secolo a poteva tro. vare, e seorgendo verificarsi ciocchés aveva detto della mia, prestai fedes à quanto aveva ritrovato dellal, tra; e vedendo, che fiftava quasi del pari tanto nel bene, quanto nel male's non ini curai fare diligenze di vantag. gio'intorno a questo ancora potendomi bastare.  Sem. Dunque quantunque sapeste, che in quella viera qualche eccezione,  non  [ocr errors] [merged small][ocr errors] non ne faceste caso?  Pub. Mà se vi era questa nella mias ancora, come potevo farne caso, do. vendoci ne' Matrimonj servare uguaglianza.  Mec. Credete forse, Sempronio, che tutti noi descendiamo da Cerari, e che per non interrotta serie di molti secoli le nostre famiglie siano state sempre illuftri? Se li potesse ora ritrovare la de. scendenza vera degli Arsaci; e Tolomei, oh quanti di questi si troverebbero esercitare arti vili, e forse core peggiori ancora . lo per tal motivo no mi fon punto curato di far ricercare dell'albero della mia casa , se non l' ulcimo secolo ; e tanto maggiormente, che un mio amico, il quale si mostrò più curioso di me, bramandolo di due , dopo di avere speso di molto in ricercare i fatti de'suoi antenati; vi trovò alcune cose, che forse nulla li piacquero, o fece tralasciare l'opera:solamente queIto guadagno vi fece, che non milançava più la sua nobiltà , come prima.Som. Di avere però l'albero della sua casa lo stimo neceffario, affinche i  posteri seguirino i loro illustri maggiori.  Mec. Lo credo anch'io , mà però non conviene farne publica mostra , se uon cui averà trà suoi ascendenti chi abbia goduta la Sovranità, mediances la quale degnamenre merita la preminenza sopra tutte le altre una sì illustre famiglia. Potrei riferirvi à questo proposito ciò, che fece un saggio Prencipe, cui fu presentato l'albero de'suoi antenati; lo rinirò egli ben bene , & essendoli avveduto , che l'adulazione vi avca innestare alcune cose ideali, lo fè piantare profundamente in una fund Villa, atfinche da quello germogliaffed l'albero de'suoi descendenci più glorioso, essendoche lo fc piantare ivi ad onta dell'adulazione.  Med. Licredo anche utili detti albe. ri per prova della salute goduta dagli asccadenti ; posciache se il Padre mori ottuagenario , il nonno parimente in età decrepita , conforme anco l'atavo , ed  il tritayo, sarebbe questa una provas grande della perfetta falure in quella famiglia; e tanto più se questa si proyaffe ancora per parto delle donne; dove che se fossero morti giovani , e vi foffero regnati tra eli mali creditarj, farebbe far un cattivo negozio, d'incftare a piante si cattive la propria.  Sem. Riuscirà ora cosa difficile à potersi sapere i difetti del casato, col quale dov.erò apparentare, per non esserci più quegli avveduti indagatori dei difetti altrui.  Mec. Non dubitate, perche non ci è questa penuria ; sono stati, e saranno sempre nel Mondo niolti, a quali premono più i farti altrui , che i proprj, ricavandune da ciò notabile guadagno ; basterà essere loro grati, perche di quc sto vivono , per altro ne troverete molti: e poi ci sono ora tanti manoscritti, e libri anche stampati, i quali trattano delle nostre famiglie, che vi si renderà più facile di quello, che credete, à Caperlo giusto ; Sc però non averanno,  tore  scritto con passione, clivare; il che si difeerne facilmente, non potendosi mai celare questi canto , che non si scuoprano.  Sem. In questo supplicherò voia favoriemi, avendone già pratica di molte ; Ini mette solamente pensiere il mor do di scoprire ciò, che accennò il Dor  concernente all'età , che fieno viyuti, & alla loro falute, ed in questo ancora vi prego , Dottore , che mi ajutiate.  Med. Questa non è incombenza di Medico, dovendo egli cercare i vivi per 'risanarli , se sono infermi ; ma ai morti qual bene potrà apportare, ricercandoli ?  Sem. Apporterete à me il bene, le non lo farcte a defonti, con trovarmi moglic , che descenda da famiglia sana, ed in conseguenza ancora a miei descendenti.  Mec. Il Dottore ha da fare, non gli date questa briga ; vi voglio inícgnare io il modo per uscoprirlo; posciache,  fc  [ocr errors][ocr errors] se la famiglia, colla quale voi volete app arentare, sarà illustre, e di antica pro fapia, ci saranno tante lapidi sepotcrali,ove son descritti i fatti degli ascendenti , ed ivi troverete anche gli anni, che questi vissero ; se poi saranno famiglie moderne, l'invidia farà palese più di quello, che bramerete sapere di cfle , ritrovandosi ricche.  Sem. Passiamo ora all'età più propria d'accasarsi.  Mec. Voi,Sempronio, vorreste essere in un sol congresso istruito di tutto; riferrete di grazia,che Publio è vecchio, ed il Dottore ha le sue occupazioni ; non ci abuliamo della loro sofferenza.; e poi non è già vostro vantaggio di far lunghe conferenze, perche meno a apprendono li troppi documenti, di quello si faccia udendone pochi per volta ; differiamolo dunque alla seguente Conferenza.  CON,  CONFERENZ A 11.  Sopra l’età più propria, e proporzionata    di accasarsı ; e quale fia svantaggio     maggiore , farlo prima del tem-       po conyenevole, ò nella vec-   chiezza.  [ocr errors][ocr errors] Sempronio , Publio , Mecenate,  e Medico.  [ocr errors][ocr errors] Sem.  01, Publio , che avete avuto fortuna nel vostro accasamento, ditemi di grazia: in qual'età  cravate,quádo prédeste moglie?  Pub. Appena io avca terminato l'anno. vigelimo quinto.  Sem. E la vostra sposa qual’età avea?  Pub. Era allora appunto entrata nel vigefimo. Sem. Perche non la prendeste prima?Pub. Perche non mi pareva di avere acquistato ancora turto quel conosciméto necessario per far passaggio a detto stato. Oltre di che trovando scritto questo Sacramento per ultimo , ftimai bene d'effectuarlo dopo l'età stabilita da conferirsi il Sacerdozio, per non errare.  Sem. Ma prendono pur tanti moglie prima di questa età ?  Pub. Da ciò forse deriva , che molti fi lagnano ancora di essersi accafati ; ed è cola facile, che per non sapersi in quell'età iinmarura regolare con giudizio, e prudenza , incontrino più disastri, che consolazioni,  Sem. Dunque avendo i vecchi più fperienza, senno, e prudenza de giovani converrebbe aspettarsi a farlo fino all' età fenile.  Pub. Per altri motivi però, apportati da Euripide , non si dee aspettar tanto, dicendo egli:  Et nunc juvenes adhortor omnes,  Ne in senecture nuptias celebrantes   [ocr errors] Vix liberos procreént;nec enim voluptas     eft,  Sedres inimica mulieri fenex vir,           Ed altrove,  Amarus juveni uxori fenex maritus .   Sem. Sono però accaduti à rempi noftri cafi felici ne’vecchi sposati con le  giovani, ed hanno avuto prole. 3 Pub. Questi matrimonj bisogna , che  riuscissero assai infelici anticamente;podi sciacche di Omero racconta Erodoto į nella di lui vita, che sdegnatoli egli con  tro alcune donne,che sacrificavano à Co.  rcre in un trivio, imprecase loro questo o gran male.  Audi flavi Ceres precor, hoc mihi perfi  ce votum:  Hanc numquam juveni matronam junge I  marito, Sed tremulo fit nupta feni , cui vertice  cani Fundantur crines, E non avendo saputo augurare loro infortunio peggiore di questo;qual felicisà dunque potranno essi godere? Potrà  [ocr errors][ocr errors] effere tal volta, che le donne di oggidi fieno divenute più savie di quello fossero allora; o pur,non trovando alcune di esse mariti giovani fi contentino di quelli, che possono avere , senza contristarsene punto; se pure non è qualche caso singolare questo da voi riferito , il quale non è sufficiente à formare Aato.  Sem. Bramerei in primo luogo sapere da voi , se debba essere uguale l'età dell' uomo à quella della donna, per servare in tutte le cose perfecta uguaglianza?  Pub. Appunto per cagione di proporzionata uguaglianza , non debbono essere ambidue di consimile erà , perche deesi, come ben'avvertì Euripide regolar questa dalla durazione della fccondità , non dagli anni , dicendo egli. Malum eft juvenem uxorem adolescenti  conjungere. Diuturnior autem eft marium vigor , Fæmineum verò corpus citiùs puberta. sc deftituitur .  Sem.  [ocr errors][ocr errors] Sem. Quefta differenza di età in che doverà consistere , e quanti anni doverà avere più l'uomo della donna?  Pub. Sopra questo particolare ini persuado , che non si possa dare certa, c determinata regola;contutto ciò potrà dire il Dottore, quello ch'egli ne senta.  Med. Aristotele pone la fecondità dell'uomo fino all'età di 70. anni, e quella della donna sino à 50.jma perche ora forse sono le complessioni deceriorate , e perciò non si osserva, se non di rado giugnere à questo termine, voglio  in ciò regolarmi con quello , che piu } frequentemente suole accadere,il quale  appunto è; rispetto all'uomo incirca al 60.anno ; & alla donna intorno al 40. talmente che nello spazio di 20. anni,  confifterebbe detta fecondità di più o nell'uomo che nella donna.Ciò ftabilito,  ogni qual volta nou trapali in detrá - proporzione il triplo l'età dell'uomo  sempre farà in uguaglianza g rispetto al sempo di poter generare; purche non  C 3  VCI  yenga variata da qualche indisposizione morbofa.  Sem. Sicche dunque un uomo di 40. anni farebbe- nell'uguaglianza , prendendo una giovane, che ne avesse venti?  Med. Così è: uscirebbe bensì da calc proporzione , se la prendesse di 14.anni; poiche trovandoli la donna nell'età di anni 34.avendone il marito 60. sarebbe già divenuto sterile sei anni prime di effa.  Sem. E se la donna fi accalaffe in età maggiore di quella del marito , che ne potrebbe seguire da ciò ?  Pub. Le riuscirebbe certamente pii facile di fare à suo modo; imperciocche non prendendosi quella soggezione del marito , che suole apportare di più l'anzianità, disporrebbe, tụtto à fuo piacere;ed Iddio guardi,che la diffcrenza degli anni foffe tale, che il marito le potess’essere figliuolo,allorsi,che lo vor. rebbe tenere, e regolare da subordinato in tutto à se medesima : e poi è da riflet. tersi, che difficilmente inducendoli ladonna, se nő è molto stimolata  dal senso, à congiungersi in macrimonio con ginvani di tanta disparità; onde in questo caso soffrirebbe il povero marito per molti capi penc considerabili: solamente  la gelosia, che ne potrebbe ella avere gli i recherebbe tormento grando; olere di  chc, comc vuole Leonide , sarebbe sen-  za prole, e senza moglie, posciacche egli  dice:     Conjuge nec frueris,nec   frueris fobole . Sem. Io , che non voglio tanti guai, la bramo più giovane di mie; mà diremi, Dottore, qual'è l'età competente della donna,per cffer moglic?  Med.La giovane può prendere marito allor'appunto, ch'è atca à concepire , effédo divenuta già dóna;c può succedere questo alle volte nell'età di 12. anni, altresì di 13., 0.14.3 e più tardi ancora ; onde in detço tempo porrebbe divenire sposa.  Mes. Sarebbero però quelle di 12., 0 13.anni spose immature; e non só  quanto potessero riuscire buone mogli; poi  che  [ocr errors][ocr errors] C 4  che lasciando la conliderazione di do. versi queste scegliere uno stato nel quale conviene perseverare fino alla morreu, cd in conseguenza averebbero bisogno di più maturo senno per fare detto passo: e senza riflettere a tanti disaggi, che ponno incontrare nei primi parri; doinando, come si sapranno bene regolare col marito, e nell'educare i figliuoli?  Med. Hò considerato anch'io queste difficoltà; mà dall'altro canto è da riAettersi ancora, che prendendoli così giovanette ; si possono ind rizare, come li vuole ; ed abbiano l'esempio nelle piante, le quali allorche sono tenere , con facilità grande le poisiamo piegare a nostro compiacimento ; mà non già questo accade allorche sono indurate Virgilio parlando di domar la gioventù, dice, che nell'età più tenera con più facilità succeda.  viamque infifte domandi, Dum faciles animi juvenum, dum mo  bilis ætas. Mec. Io mi maraviglio, che. voi co  [ocr errors] me  [ocr errors] meMedico non vi opponiate 'a maritag: gi di età si tenera, potendo meglio di chi non è vecfato in medicina conoscere il danno, che possa apportare alle cenere giovani similc mutazione di stato . :  Med. Non vi maravigliare di questo, perche noi circgoliamo nel modo di vivcre colle consuetudini de? paefi', insegnandoci il nostro Ippocrate, che: dandum fit aliquid regioni, & confuetudini; e non per questo , che qualche.caso liano seguito funesto, debbong esse variure, essendoche cziandio consimili cali fe, guono nelle più adulce, pericolando queste ancora ne parti.  Mec: Lasciamo le consuetudini dan parte, e dicemi di grazia, se inariterelte una vostra figliuola in età si tenera ?  Med. Ci penserei alquanto , & anderei procrastinando il trattato , fin tanto che li assodasse un poco più negli anni; c tanto maggiormente, se non fosse ben complessa ; poiche non vorrei, che nel cominciare si prestamente à far figliuo. li , quello, che dovesse andare in suo  [ocr errors] crc  [ocr errors] crescimento , G.deviasle altrove..'  Sem. Si differiranno facilmente quefti maritaggi, per non ispropriarsi della dote, e voi alori Medici, che fiete renuti alquanto interessati, forse per ciò differirete di effettuarli. -:" Med. Non fiamo però sì ftolidi, che non riflettiamo, che la dilazione non paga debito, e che questo fodisfacendosi fpedicamente ci libera da cravagli di doverlo pagare..  Sem. Qual'età voi realmente credere più propria da prendersi marito?  Med. Se la giovane goderà prospera falute , mi persuado , che intorno al vigelimo anno lia la più convenevole ; le poi foffe gracile, si potrebbe anche in. dugiare qualche anno di più, per meglio ftabilirsi; purche non paffalse il vigefimo quinto; ftantccche facendoli talri. soluzione di accasarsi, per godere prole sufficiente alla conservazione della fami. glia , ciè d'uopo di figliuolanza, che fopraviva, e ci fiano ancora de'maschi , e ciò nello spazio di 20. anni di fecons  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] dità si può commodamente ottenere.  Semi Talmente che, chi bramasse di avere più numerola figliuolanza,gli coverrebbe prendere una giovane di 15. anni?  Med. Per istabilire bene la sua casa, non fi dee solamente procurare il nuinero defigliuoli, mà ancora la robustezza, e vitalità de'medefini; e questi,co. me vuole Aristocile nel 7. della sua politica, nascendo da Padri giovanetri, sono di poco vigors, almeno i primogeniti, i quali fogliono per lo più accafarsi. Quindi è, che Tacito, ove parle de'costumi de'Germani, dice; che tras cffi le vergini fi maricavano già adulte, cche perciò passasse ne'figliuoli la ro, bustezza dei genitori.  Sem. E l'età dell'Uomo più congrua di accasarsi, quale sarà ?  Med. Quella appunto, che si contiene erà lo spazio di 25., 30.anni;quando ciò da altro impedimento non venga ri. tardato.  Mes, Lo credo anch'io, che da molte cagioni potrà essere ritardato : im. percioche, se averà egli impieghi,i quali richiedono applicazione grande, e non si troverà sufficientemente proveduto di beni di fortuna, per sostentare la famiglia ; fe non goderà salute competente; se in casa averà molte sorelle, e madre in particolare, che fosse donna risentita, in questi casi doverà indugiare a farlo, fin tanto almeno, che si troverà in istato più opportuno, non essendo convenevole porli sotto ad un giogo di questa forta con simili impedimenti svantaggiosi alla quiere conjugale.  Semi Vorrei sapere, quali danni risulterebbono,s’io tardasli a prender moglie fino alli anni 35.  Mec. Se voi tarderete tanto, temo, * che non la prenderete più, e per ducor motivi: primièramente perche trà tana to facilmente' vi potreste deyiare, cd abbattendovi in qualche donna scaltrita , saprà ben'ella distorvi da tal penfie ro con le sue arti; e guai a voi, le fi af fomigliaffe questa a quella donna impu  dica,descritta da Salomone al 7. dc' suoi Proverbj, la quale ; ornatu meretricio prçparata ad capiendas animas; e con quali artificj ! victimas pro faluse vovi, hodiè reddidi vota mea ; idcirco egreffas fum in occursum tuum, defiderans te vin dere , e reperi ; intexui funibus lectulum meum , ftravi tapetibus pietis ex Ægypto, aspersi cubile meum mirra , a aloe br. E poi trovandovi in quell'età, farà facile, che comincierete a rifertere sù l'incertezza di poter'invecchiare, e facilmente direte ; come anderebbe allora la niiafamiglia séza’l mio stradaméto;qual pensiero , se non vi distogliesse affitto, vi renderebbe almeno irrisoluto nell'effettuarlo; onde farc à mio modo, risolvetevi, e non procrastinate di vantaggio: perche altrimenti vi seguirà cioco ch'è accaduto à me medeliino, che mi fono invecchiato senza successione. E sapere , che diranno di voi le donne, elsendovi avanzato negli anni? Questi è vecchio, che ne vagliamo fare? E perciò converrà allora, volendola prendere,  ассо  accommodarvi a chi troverete , con le condizioni che da ella vi saranno date; dove che adesso farà a vostro modo quella , che vorrete prendere.  Sem. Questo certamente sarebbe svantaggio grande per me; laonde non bisognerà perderci teinpo.  Pub. E tanto più sollecitamente vi risolverete,sentendo li pregiudizj grandi , ricevuti da cui tarda moltó a pren. dere moglie,i quali sono anche maggioridi quelli, che possono accadere à chi lo fà prima del tempo.  Sem. Quali sono, Dottore, questi Matrimonj fatti prima, ò più tardi del dovuto tempo?  Med. Li preventivi sono; se un giovanetto fi accasaffe in età di 15.9 16. anni; e li tardivison quelli, che si fanno, allorche tal’uno è divenuto già veça chio,  Sem. Quali danni apporterebbe ad un giovane lo accafarli di 15. anni?  Med. Questi accompagnandosi con, una giovanetta coetanea , non saprebbe  [ocr errors] regolare le sue operazioni; c s'egli in quello primo fervore fregolato pregiudicaffe allo proprio individuo, quanti svansaggi ne riporterebbe? E qual'indi. rizzi sarebbe capace di dare a suoi figliuoli, avendo egli bisogno di chi lo dirigeffe? E stando tuttavia in crescimeto, defraudandofi questo per il diyiamento della miglior parte del suo sanguc iinpiegata nella troppo sollecitas generazione, come potrebbe convertirli in suo beneficio ? Oltre di che noll possono fperarsi frutti perferti da simili piante, le quali non sono arrivate an. cora alla loro perfezione,  Pub. Aristotile nel 7. della sua Politica fà sopra di questo un'ottima riflerfione ; cioè, che fimili figliuoli, che pajono quasi coetanei a Padri, poco rispetto portano loro, querclandofi sovente sopra il governo della casa contro di efli.  Med. Ci sono però alcuni cafi, che debbonsi eccettuare dall'accénata regola , e tra questi sono quelli unichi ,  cd  [ocr errors] ed antichi rampolli di qualche illustre, e ricca famiglia, che per non vederlas estinta , fi procura in età tenera di accafarli. Siccome ancora, se si vedesse un giovanetto ben complesso, che comincialle a deviarhi, non avendo chi lo tenesse a freno;onde per non vederlo precipitare , converrebbe accasarlo , senza indugiare di vantaggio ; ed in questi casi li doverà prendere un'altra inisura , competendo loro piu tosto una saggias giovane, che avesse qualche anno di più di loro, affinch'essa regolaffe alcune operazioni concernenti alla salute , potendo la moglie saggia molto adoperarfi in fimili affari.  Sem. I poveri vecchi allorche foffero robufti, perche non potrebbero divenire fposi anch'elli?  Med. Perche, conforme dice Euripide.  Sed, aut feneétus Veneri valere jubet;  Aut Venus senibus molefta eft . Onde per tal cagione si accelerarebbero la inorte, çssendo anche potenti, e ritrovandosi inabili a questo , si contri-   sterebbero per molte cagioni:primiera-  mente per essersi accinti ad un'impresa,  nella quale non riescono abili perlochę  verrebbero anche derisi,e beffeggiati da  giovani, e per non vedersi corrisposti  dalle loro conforti con quelle maniere  cortofi, ch'elli vorrebbero, e final  mente per essere privi della bramatas.  prole, come descrisse Virgilio ;:     Nec dulces natos , Veneris nec prçmian         noris.  E vi parc,che questi poffano vivere con-  tenti? Con ragione dunque Blepirone  appresso Aristota ne diceva:   -Heu, mihi infeliciis qui senex. cxiftens       duxi uxorem.  E Menandro esprimendo le fvcnturc de?.  vecchi amanti, così fayella:    Nurde miferius poteft daramante   Seine, Hifi alius fenex amans;  Nam , qui frui cupis rebus , à quibus   Propten tempus, quomedò ille non mi     Jerefte), 06.01.10   D  Mere  [ocr errors][ocr errors] arasiit  Mec. Ia questo li credo infelici anch? io, leggendo in Catullo :  Er fenis amplexus culta puella fugit. Ed in Arenco ciocche disse Teognide, ch'è appunto.  Sero Viro juvenis uxor magna calamiras. Cymba fine anchora , effractisq; Tudensibus.  Pub. Udite ciocche dice Plauto di questi: Tum capire cano amas fenex nequif  fime? Si unquàm vidiftis pictum amantem,  bem illic eft. Ed Ovidio, ch'era informatiffimo de' genj delle donne di quei tempi, così ebbe a dire : Que bello eft habilis , Veneri quoque  convenir , stas ; Turpe fenex miles', turpe fenilis amor.  Quos petiere Duces annos in milise aforit  Hos petir in focio bella puella viro. Laonde, qnando a vecchi venitfe in fantasia di preader moglie, a configlino  con  2 con Orazio , il qualc dice :  Intermiff - Venus diu Rursùs bella moves:parce precor precor, : Non fum qualis eram.  Sem. Riceveranno questi certamente, prendendo moglie , svantaggi affaimag. giori di quelli, che incontrano i giovanerti?  Med. Senza fallo; posciacche questi, crescendo loro con gli anni il senno, u la robustezza, vanno incontro al tempo  migliore ; dove quelli sempre più u precipitano nel più miserabile : or re  dere voi, Sempronio , che danni apporta il diffrire tanto lo accasamento  Mec. Ho conosciuto però un vecchio, il qual, essendo caduto nelle reti di Venere, piangeva dirottamente la sua sventura; e volendolo io confolare, persuadendomi, che li lagnasse dell'errore commesso; cgli mi rispose : oh che fallo hò commiffo io a non prendere moglic,  quando era giovane! poiche fe valoroü so mi son portato nell'età inaridica della un vecchiezza , quanto più farei stato nel ,  [ocr errors] 2  la verde giovenile? Gli replicai però: guai à voi, se in quel tempo foste stato così dedico à fimilc piacere; posciacche vi averebbe farro inyecchiare prima del ecinpo; dicendoli dell’ainor lafcivo.  Ef juvenis juvenes, qui facit ille fenes. E per meglio illuminarlo gli apportai l'iscrizione sepolcrale di Menelao, ch'è questas Inter opus medium lafcivå mørte for  lutus; Hic fitus eft , dom init jam Menelaus  bumum ; Qui blande. Veneri visa facraverat Haud aliter vitam ponere juffus eraf.  Sem. Or ditemi : questa uguaglianza come dec essere nelle altre cose?  Pub. L'esamineremo in appresso.  [ocr errors] [ocr errors][merged small] CONFERENZA III. :2  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Dove si mostra,in che cose sia esenziale       l'uguaglianza nei Matrimonj;   quali svantaggi nascano   dalledisuguaglianze             in queste.  Sempronio ; Publio , Mecenate's   Medico.  M  [ocr errors] Sem.  I persuado, Publio, che non essendo seguite trà voi, clas voftra conforte, al. tercazioni,e discors  die, averece goduta la sorte di una perfectisfima uguaglianza in tutte le cose.  Pub. In tutte è impossibile poterlos ottenere ; bafta solamente , che difuguaglianza non sia nelle più esenziali, nelle quali certamente fui fortunato,ef. fendo di verificato in me il Proverbio diSalomone: Qui inuenit mulierem bonam, invenis bonum : du auriet jucunditatem à Domino  Sem. E queste quali sono?  Pub. La prima è il genio buono uniforme in ambidue: e questo non potrete credere, quanto mai trà noi foffe reciproco ; poicche, quanto io volea,senza repugnanza alcuna cra grato anche ad effa ; ed in quello poteva immaginarini, che fosse stato di sua sodisfazione, ci concorreva anche la mia, à segno, che delle nostre volontà, sen'era formata una sola ; onde di noi con ragione si poteva dire, ciò ch'è registrato nell'Ecclesiastico al 25.,ch'è grato à Dio, ed à gli uomini :  Vir, & mulier benè fibi confentientes .  Sem. Sicche dunque se vi potevate immaginare, che avesse deliderato un, bell'abito, ò una nobile Stufiglia allas inoda,voi l'avereste compiaciuta prontamente  Pub. Non desideravano le mogli queAte cose in quei tempi, ne'quali non  costu.  [ocr errors] costumavano ; bramavano bensì di avej re provisioni abbondanti di lini, cana  pc, e cottoni per farne lavorare copio  se biancherie ; di vedere fatte le provi. i sioni à tempo debito , di quanto biso  gnava per servizio di casa cutto l'anno ; di avere otrimi maestri per istruire bene i figliuoli; e servitù fedele, e benc accoltumata.  Sem. O tempi felici: non poteva io essere nato allora !  Pub. Ed io vorrei trovarmi giovane in questi coll'uso di ragionc, cd esperienza , che godo :  Sem. E la seconda quale sarà ?  Pub. Che questo genio uniforme fi ftabilisca sopra le virtù cristiane, e morali in primo luogo; c di poi in tutto le altre cose utili per lo stabilimento della casa,cd in queste è stata veramente seinpre singolare; imperciocche vedendo, che bramavo di sodisfare all'. obbligo, che corre ad ogni benestante, di sovvenire i poveri, essa ancora facea le sue parti con mia somma consolazio  D4  ne ;  ne; e nel rimanente vedendomi artento agli affari domestici, s'ingegnava per quanto poteva, di sollevarmi in molte cose ; talmentecche hò sperimentato in me ciò, che diffe. Appollonide :  Certè inter homines Non aurum , non regnum , non divitia. .. rum luxus Voluptates tam eximias prebent , Quam buni marici , & uxoris pia Volunt as jufta , & legitimè affecta.  Sem. Lo credo anch'io[facendo voi cosi]che potevare godere una perpetua felicità.  Pub. E voi ancora la potrete godere, se farete il medesimo.  Sem. I tempi calamitofi , ne'quali siamo , non lo  permettono. Pub. Se dipenderà da tempi, converrà avere pazienza ; perche farà irremcdiabile; mà se dipédeffe poi da voi,senza fallo potrete porvi rimedio: or'vediamo,da chi dipenda. I tépi calamitofi dāneggiano co carestie, pestilézcguerre, terremuoti,c tempeste ; c queste non  effens  20  [ocr errors] effendoci ora crà noi,come possono corbare il regolamento della propria casa? Onde vedere, che dipende da noi', non da tempi ; dunque à torto vi lagnate de'tempi ; essendo voi , non cfli l'origine della vostra infelicità; e se poressero questi parlare , direbbero in loro dif colpa: voi ci calunniare à torto, per ricoprire i vostri mancamenti; perche vi piace tale modo di vivere, e vi dilet.  ta, quanrunque ne moftriate un'appa. rente rammarico.  Sem. Si pratica oggidi fare diversa. mcate d' allora i conviene accomodarli ai più : bisogna averci pazienza .  Puh. Questo è un pretesto peggiore i dell'antecedente; perche voi conoscere,  che fate male; ed avere la cognizione, che non facendolo fareste felice ; porche dunquc lo fate , dipendendo da voi il farlo, ò non farlo? Ohcecità ! volere piuttosto effere imitatore di chi voi conofcete; che faccia male, che di quellig che operano bene; e poi, se voi dite che ci vuole pazićza,perche vi lagnate?  Som.  [ocr errors][ocr errors] Sem. Operavano allora cutti in questa forma?  Pub. Io non andava cercando, se vi era caluno , il quale diversamçare operaffe ; perche volendo prendere l'esempio da chi lo faceva ; questi solamente rimiravo, per imitarlo.  Mec. Sempronio mio, non vi avanzate più oltre in questo, perche Publio. vi convincerà di vantaggio ; e vi farà anche conoscere, che i vecchi non sono storditi, conforme alcuni credono; efsendo che al parere di Plutarco;la mente in vecchiaja ringiovenisce.  Sem. Vi è altro trà le cose neceffarie. da fervarli uguaglianza ?  Pub. Nella ftatura ancora ci vuoly, se non totale uguaglianza, almeno proporzione ; posciacche, se sarà la spora pigmea, ed il marito gigante , se ne avyodrà ella ne'parti, ed in alere segrete occasioni ancora ; laonde à questo proposito parlò Ovidio : Quàm malè inæquales veniunt ad aran tra juvenci,Tam premitur magno conjuge nuptas  minor. : Sem. Sarebbe dunque bene prendernc prima le misure di ambidue per formarne una giusta pariglia.  Pub. Non è ciò necessario, nè conve. niente ; perche coll'occhio ancora fi può discernere la notabile disuguaglia, za. Debbo ancora avertirvi , che li rim  cerca la proporzione de'beni di fortuna; ? perche se vi apparentaste con gence mi  lerabile, alla vostra casa coccherebbe il mantenerla: altrimenti non vi sarà pace con vostra moglic; perche la vora rà soccorrere di nalcolto, sc non potrà farlo palesemente.  Sem. E la Nobiltà dee entrare ancora essa trà le cose necessarie da ugu2 gliarli ?  Pub. Questa uguaglianza non è ftia mata essenziale , secondo il sentimcnto i di Platone, registrato nel tive del suo  Regno; ovcper teffere la tela della buo. na discendenza , cgli procura di moa strare, non ricercarli cosa più effenzia,  le  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] ke ne'maritaggi, che d’innestare le virtù  ; per esempio, al temperamento forte unire il moderato : onde potendo questa unione formarsi con inferiori di condizione ancora ; non si ricercheranno nè ricchezze, nè poffanza, nè altre credute dal mondo vantaggiofe condizioni, per tesserla a suo dovere ; come appunto lo fà contesfare à Socrates ; perche egli considerava talc affare in ordine al bene univerfale , non particolare di ciascuno ; persuadendosi, che congiungendoli in tale forma , fi potesfc porre il mondo in migliore consonanza. Ed in conferma di questo, cade in acconcio la bella concione , fatta dawa Camulejo Tribuno della plebe l'anno 310. ab Urbe condita, la quale viene riferita da Livio; e dimostra questa con vive ragioni tutti quei vantaggi, che possono apportare i maritaggi scambie. voli trà nobili, c plebei alla Republica. Io però mi persuado , che più decoroso fia, secondo l'apparenza del Mondo, fceglierla non plebca.  Mec.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. Voi dice benc , Publio ; malo colla nobiltà fosse unito il mal costume scegliere te forte piuttosto una Meffalina, che una ben'educara, c prudente plebea per vostra consorte?  Pub. Questo poi nò ; perche in tale caso mi perfuado minor caccia, porerne ricevere, sposando una plebea , la quale col suo buon costume,.c fenno, in brieve tempo fi farebbe conoscere non dissomigliante à quelle nate nobili; doveche la nobile mal’educata , e viziola, degenerarebbe in plebea fenza fallo.  Mer. Vedete dunque, che la sola nobiltà non dee attendersi, mentre voi medesimo la posponere al buon coftu.  Sem. Vi sono esempj di nobili savj, che abbiano sposate giovani ignobili?  Pub, Molcillimi. Vifu Teodofio lin. peratore , il quale antepose la figliuola di un povero Filofofo à cutte le più nobili, riconoscendola meritevole di tale grandezza , per la fua buona educazioac. Ed Abramo che desiderò, volen  do  [ocr errors] 1  70  me.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] do prendere moglie? Uditelo das. Ambrogio : Difce quid in uxore queratur : "Non aurum , non argentam quafivis Abraham, non poffiones , fedt gratiam bons indolis : lib.i. de Abr. cap.9.  Sem. Nella bellezza, ò deformità fi dovrà cercare proporzione?  Pub. Qualche forta sarà bene di procurarla ; perche , fe diforme sarà il inarito , c bella la moglie, dirà ogni rivale, ammirato di questo; con Virgilio : Mopfo Nisa datur , quid non fperemus  amantes! ! Oltre di che in un continuo tormento di gelosia fi ponc, chi la prende éon fimile disuguaglianza; e tanto maggiormente , dicendo Giovenale :  Rara eft concordia forma, • Atque pudicitia. 21 che viene anche confermato dal Petrarca in tal guifa :  Due gran nemiche erano insieme ago gionte:  Bellezza, ed'oneftade Oltre di che poi  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Fastus ineft pulcbris, fequitur superbiaus  formam .  Sem. Nelle ricchezze fi dee cercare od uguaglianza?  Pub: Quella appunto , che fu detta i dell'ecà , cioè, che sem pre fiano ad una  certa proporzione inferiori quelle della cala, con cui volete apparentarvi,perche, come disse ben Marziale :  Inferior Matrona fuo fit, Prifce marito, 4  Non aliter fiunt femina,virque pares..  Sem. Sc uno volcffe prendere moglic in lontani paesi, e di diversi linguaggi, indurrebbe questo disuguaglianza alcuna ?  Pub. Forse che si, quando non s'incontrasse donna di gran fenno ; perche il costume , e modo di vivere differenti, prima, che si accomodino a quelli, che troveranno , possono fare nafcere molti diffapori ; se pure potranno mai uniformarli; come ne dubitano Emilio Probo : Non cadem omnibus funt honefta atque turpia , fed omnia majorum inftitusis, judicant ; nemaque nibil rectum puosat, nifi quod patriæ moribus convenit. Ed Ovidio così canto: Nefcio que nasale folum dulcedine cun  stos Ducit , immemores non finit effe fui. Beo'è vero però, che in quei luoghi, fe Veducazione delle giovani fosse mi  gliore di quella del vostro paese, forse che potrebbe questa accrescere vantaggio a voi.  Sem. Se il marito farà dotto, indur. rà disuguagliáza l'effere la moglie ignorante  Pub. Anzi più tolo disuguaglianzas apporterebbc , fe fosse dotta, ed erudi-$perche come vuole Giovenale ; Non habeat matrona , tibi qua junctae  recumbit Dicendi genus , aut curtum fermones  rotatum. Torqueat enthimema, nec biftorias soins ? omnes, Sed quædam ex libris, non intelli.  Ed udite, come dice l'Ecclesiastico di  ques  [merged small][ocr errors] queste al 28. Lingua tertia mulieres vin ratas ejecit, o privavit illas laboribus fuis ; Qui respicit illam non babebis rea quiem , nec habebit amicum in quo requieJoar.  Mec: Posso a questo proposito riferire ciò, che è accaduto a tempi noftri. Vi tù un dotto Jurisconsulto, che aveva una sua figliuola, e volle addottrinarla nelle materie legali,cd avendo acquistato detta giovane molta perizia in esso le convennc,morto il padre, prédere,inarito, e si trovò la povera giovane talniente confusa nelle faccende domestiche, che si pentiva grādemente di avere applicato allo studio, dicendo: che mi serve ora di sapere le leggi, non avendo įmparato quello, che mi conviene fapele per governare la casa?  Sem. Già fu parlato della uguaglian. za, o proporzione , ch'essere dee tra l'uomo , e la donna intorno all'età ; ina se portasse la necessità , che un attempato unico della sua famiglia dovesse prédere moglic, pornon lasciarla cftinguc:  E  [ocr errors] re  re, ditemi, Dottore , quale sarà l'età, se non proporzionata , almeno più fe. conda della donna, con cui dovesse con. giungersi  Med. Quella, nella quale più facilmente li concepisce, ch'è tra i venti, e li venticinque anni.  Sem. Orsù Mecenate risolviamoci ambidue a prendere moglie, potendo ogn' uno di noi provedersela della medesima ctà, e non permettere , che la vostra famiglia si illustre fi cftingua in voi.  Mec. Credeva essermi già bastantemente spiegato nella prima conferenza, ma voi non avete capito le mic raggioni, tornando la seconda volta a configliarmi 'l medesimo, con mostrare premura maggiore per la mia descendenza, che per me; onde vi torno a dire, che nella mia età non è più convencvole lo aceafarli; dicendo Euripide :  Verùm fonecta jubet valere Cypridem,  Et ipfa rursus senibus infensa est venus. Quindi è, che Sofocle interrogato allorch'era già vecchio s'egli esercitava  [ocr errors] a più gli atti venerei : Iddio me ne guardi  diffe, che io mi sono guardato un pezzo fa da coresti, come da una impetuofa, e violenta tirannide, Valerio Mallimo lo riferisce.  Sem. Io ne domando scusa, dichiza randomi non averlo detto a questo fi  ne , Delidero ora faperc i pregiudizj; EI che apportano ne' matrimonj le disus guaglianze; ed in primo luogo ; fe faranno di genio differenti tra loro.  Pub. Dice Salomone: Melius eft habitars in terra deferia , quam cum mulieu rerixoja, litigiofa; onde vi potrete i figurare di vedere la casa piena di con  fufione, ove regnano genj differenti; * pofciache ciocche vorrà il marito, ve  nendo ad essere disapprovato dalla mo  glie, onon fi effettuerà, o per la meno I in qualche parte verrà variato, e que  Ito medelimo darà occafionc à discordie perpetue tra effi , fe il marito non averà la prudenza di Giove , cui  Giunone si opponeva sempre come vuoo le Omero,Dum moliuntur,dum comitur annus est.  Sem. Ed il rimedio per questo, quaEin le farebbe?  Pub. Lo diremo a suo tempo. . Sem. Ho conosciuto marici alti due  palmi più delle mogli, e il doppio più i grossi, ne da questa disuguaglianza ho veduto seguirne inale alcuno.  Med. Ed io ; che fon più vecchio di voi, ho medicato più d'una di questo nel tempo, che stavano per partorire, ridotte a termine di morte, per non poter dare alla luce i loro figliuoli, se non dopo alcuni giorni , e coll'ajuto del  Chirurgo, e di queste, alcune sono pei rite. Succederà a quelle di avere parto  felice che nella gravidanza avendo fi avuta inappetenza grande, il feto si sarà  poco nudrito; e perciò rimanendo picciolo, questi non averà ftentato ran  to nel uscir fuori; o pure la cassa del o corpo della madre, con quanto è neces  sario, per rendere meno difficile il parto , sarà stato in queste proporzionato al bisogno. Ma preventivamente alcu  [ocr errors] ne di queste cose non costumandoli ri. conoscere tra noi , conforme appresso alcuni popoli li faceva, e perciò, per esimerki da tal pericolo, conviene riAeterle prima del maritaggio, toccan. do questo a'padri di famiglia.  sem. Sc un bel giovane prendeffe per moglie una donna deformc , che male potrebbe ciò apportare?  Pub. Niuno, quando però foffe egli fodisfatto, e la donna fosse prudente, e non l'avesse presa per cagione di grofsa dote; perche si farà quest'invaghito delle sue rare qualità, ed averà egli facilmente appreso da Salomone ne' suoi Proverbj, che: Fallax gratia , e vana eft pulcritudo : mulier timens dominum ipfa laudabitur.  Sem. E se il motivo di prenderla foffe Itata la dote  Mec. Seguendo per lo più simili deliderij in giovani , i quali penuriano di beni di fortuna, la pace tra essi dyrerebbe lintanto, che la dote foffe in picdi: mà appena consumata questa , allo.  ra  1  [ocr errors] racomincierebbero reciproche doglian. ef ze; quelle del marito sarebbero, diri.  trovarsi vicina la moglie deforme, e della donna di non vedere più la sua dote, Caduceo di pace tra di loro.  Sem. Dandosi però vincolata , ciò non potrebbe seguire .  Mec-Non si può ottenere questo in limili disuguaglianze ; perche vogliono tali sposi libero il danaro, per vincolarsi cili colla deformità della moglie, finche dura la doce.  Sem. Non so capire perche s'abbiad d'apparcntare con casc men facoliose ; perche questo apporterà. svantaggio nella dote.  Pub. Ma però quiere maggiore, ove entrerà limile sposa; perche quella giovane , la qual’esce da una casa, ove con gran laurezza viveva, difficilmente po  trà acomodarli alla vostra, ove 1101 i potrete con quel fasto trattarla ; onde  da ciò ne nasceranno amarezze continuc ; o pure (arece forzato , volendola consolare, ad impoverirvi prestamente.  E4  Sen.  of  [ocr errors] Sem. Il prendere una moglie nata in paesi lontani potrebbe forse recare gran vantaggio ; perche non avendo parenti vicini, sarebbe più ossequiosa al marito, nè lo disgusterebbe, e ciò farebbe felicità grande.  Pub. E voi credete, che 'l Padre fia sì sciocco, che non penserà ancora di raccomandarla à chi lia d'autorità , acciocchè le assista in caso di bisogno? c quando avesse cgli difetrato in questo, credere voi, che chi parte dal suo pae. sc, sia così insensata di non sapere col suo ingegno trovare chi la protegga in un suo urgente bisogno? Qual patrocinio cal volta sarà molto più autorevole; ed efficace di quello, potesse ricevere da suoi congiunti: non v'invaghite di straniere, se non in caso, che mancare sero donne del paese, ove voi dimorate.  Mec. Sono andato più volte rifectendo, che non sarebbe forse svantaggio lo sceglierla , non dico da paesi remoti, ma da città convicine, e mi ha mosso  que  in questo pensiero Giovenale, con dire  Malo Venofinam , quam te Cornelia  [ocr errors][merged small] Grascorum , fi cum magnis virtutibus be  affers Grande supercilium, & numeras in dos be  te sriumphos ; id Perche queste riescono più docili, eve  nendo in città più nobile, gradisco no ?: quanto si fa loro, più delle proprie cita tadine, e fogliono ancora eslerc meno dedite al luflo ,  Pub. Vi sono le sue difficultà in queste i .  ancora . Imperciocche Carone, con e tutto che fosse uomo sì faggio, quanti di guai ebbe con la sua moglie Acrorias I Paola, quantunquc povera, e nata in ¿ un villaggio ? fu questa superba, vio2 lenta , e debole di mente. Laonde a tal  propofito S. Girolamo lib. 1. in Joviniznum diffe; Nequis putet si pauperem dy  xerit fatis fe concordie providili &c. E bij maggiormēte ora che il lusso ha polto il  piede da per tutto; ne crediare che vorranno vestirc con minore pompa delle  E 2  Fu    [ocr errors] Junonem autem non adeo accuso, neque  irafcor, Semper enim mihi consueta eft impedire  quidquid intelligo, Sem. Ma quale rimedio ci sarebbe in questo caso per fuggire le discordie?  Pub. Conoscendo' voi il costume di vostra moglie, che sia di contradirvi, come espresse Terenzio,  Novi ingenium mulierum  Nolunt ubi velis, ubi nolis   Cupiunt ultro. In questo caso ordinate tutto l'opposto di ciò, che bramare, per esser ubbidi  to.  : Sem. E se avesse poco fervore nellas pictà, e trascurassc alquanto gli affari domestici, scorgendo quancunque suo marito attcntiffimo a tutto?  Pub. Sarebbe segno, che avesse altre cole, credute da essa di premuras maggiore di queste , che le andasse. ro per la mente; perche non si trascurano affari si rilevanti, se non da quel. le, di cui disse Terenzio ;ciccadine, se non s'incontrerà in savie, c prudenti.  Sem. Mi piacerebbe di avere una moglie, la quale mi sollevasse con qualche storietta ; perche dunque il fatirico dice: Nec historias feiat omnes?  Pub. Perche, con sapere le donne molte storie, essendo cosa facile il poterG abusare di qualcuna di esse, niun vantaggio vi apporterebbe ; e sappiate che ci sono libri molto lascivi, i quali non comple in conto alcuno, che da esse si leggano, confessando tal verità Ovidio medesimo quantunque fosse impudico, con dire : Eloquar invitus, teneros no tange  poetas , Summoveo dores impius ipfe meas . Callimacum fugito non eft inimicus e  mori, Er cum Callimaco tu quoque Coe noces . Carmina quis potuit tutò legifeTibulli ? Veltua, cujus Opus , Cintia fola fuit ? Quis potuit lecto durus difcedere Gallo? Er mea, nefcio quid, carmina tale fo  E  [ocr errors] [ocr errors] E poi due cose non si possono fare: die vertirsi nel leggere, e reggere la casas;  e dovendo a voi premere la secondands ( conviene ch'essa abbandoni la prima ; ¢  sappiate, che Giovenale dice a questo proposito  Quis ferat uxorem,cui conftent omania?  Mer. Plutarco però dice, che sarebbe di profitto al marito d'istruire la mo* glie nella geometria, ed in alire cores o dottrinali, ed onoratissime ; perches ď allora si spoglierebbe affatto delle leg.  gierezze, e vanirà de pensieri , e si aAterrebbe dal danzarc,  Pub. Che la moglie s'istruisca nei buoni documenti morali, e di pietà da mariti è cosa ucile, e lodevole; maw,  che s'impieghi ad apprendere la geomei tria , quando fi trovare inadre di più fi:  gliuoli, non so come le potesse riuscire  avendoli d'intorno , per lo strepito ch' delli fanno ; se poi fi allontanaffe da elli ,  ecco che l'educazione loro anderebbe a male. Sarebbe ciò solamente tollera. bile in una donna itcrile, avendo servis  tà  tù sì buona, della quale si potesse ad chiusi occhi fidare, per divertirsi con tale scienza, c passare la noja che le recherebbe il trovarsi senza figliuoli; per altro se abbiamo d'aspettare , che las geometria tolga la yanità donnesca, regnerà questo difetto per sempre nelle donne : e poi la mia moglie, che nulla sa di geometria, odia la vanità, ed i balli; dunque possono fuggire detti vizi quelle ancora, che non sono geome  tre.  Sem. Vorrei sapere distintamente, che cosa fia questo matrimonio ; perche dovendomi accasare bramo di esserne informato, per non operare alla cieca in così rilevante materia ?  Mec. L'udirete da me nella venturas conferenza.  CON  [merged small][ocr errors][ocr errors] Sopra gli antichi costumi , praticati   apprello alcuni Popoli per la gene-    razione; e se sia più vantaggioso      lo scoprire scambievolmente            i proprj corporali difetti ,           prima di sposarsi,   o l'occultarli..  Mecenate, Sempronio ; Publio  e Medico.  i Mec.  On mi ftéderò molto nel riferirvilan. tichissima libertà de? Greci, nè tampoco l'incestuoli  modi de' Persiani, praticati ne gli atti conjugali, per non contaminare le vostre orecchie; mentre i primi a guisa di bestie moltiplicavano, conoscendo i figliuoli solamen  te  te le loro madri, comme scrisse Tzetzes Iftorico  Gracorum priùs mulieres per Greciam,  Non quemadmodum nunc , conjunge-        bantur legitimis viris,  Sed inftar jumentorum mifcebantur om-        nibus volentibus ;  Erant igitur unius naturæ tunc filii ,   Sobas agnofcentes matres , non patres, Ed i secondi non avevano orrore di esse. re figliuoli, c mariti, come riferisce Catullo, Nafcatur magus ex Gelli, matrique  nefando Conjugio , con discat Persicum aruspi  cium ,  Nam Magus ex matre, donato gigne       tur oportet i  Si vera eft Perfarum impia religio.   Sem. Ma il Cielo lasciava impunici fi effecrandi delitti  Mec. Non già; perche, come si ricaya dal fudecco Tzetze furono mediante il diluvio puniti, dicendo egli in appreffo.a         Poft illud , quod in Ogygis tempore inci.         dit diluvium ,  Cecrops acceffit ad Aibenas Gracia,  Has Ashenas cū vocaffet ex Soi Ægypti,  Cum multis aliis rebus commoda vis   Gracia; Tùm lege conftituit mulieribus nuptias 5  legitimas, 1M Ex quibus filii cognoverunt duos pa  rentes. Anzi  per farvi conolcere , che la natura stessa abborrisce l'incestuosi connubj, vi posso apportare molci csempj de bruti, tra quali, non solamente il camelo lo ha in orrore, uno de' quali ammazzò il suo cuftode , che lo ingannò a coprire la madre, appena avvedutofene , coine riferiscono Aristocile , ed Eliano ; ma Plinio ancora racconta, che nellad campagna di Rieti vna cavalla avvedu  tasi di questo, immediatamente si prei cipitasse, e Varrone fcriffe, che un ca  vallo per la medesima cagione faceffe tale impeto contro il suo armétiero, che l'uccidcffe:e dell'elefante raccora il me  deliof  desimo avvenimento Nicolò Lirense.  Sem. Ma come faceano a riconoscersi i figliuoli da' Padri,avendoli cosi confufamente generaci . ; Pub. Appreffo alcuni Popoli, allorche i figliuoli aveano compito il quinto anno, quei, che più li assomigliavano a gl’incerti padri, erano tenuti da essi  per loro figliuoli; come racconta Stob. Ser. 42.  Sem. Quanto è stato peggiore il mondo in quei tempi di quello fia oggidi !  Mec. Se voi sapeste il rimanente, ftu. pirere anche di vantaggio.  Sem. Eche, vi sono state altre scelleratezze ancora?  Mac. Contentatevi di non udire altro per ora ; e lasciate simili notizie , per quando farete più proveito : passiamo aderlo a' tempi incno infelici. Ristabilito, che fu il matrimonio, s'introduffe da alcuni popoli il contratto della vendita delle loro figliuole, cioè da' Greci, Traci; Aliri, Arabi, Indiani, ed al, tri, come da Tiraquello nelle sue leggi  COS  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] · conjugali si racconta, e Sofocle intro-  o duce le donne, che cosi favellano fo-     pra dició:       Ubi verò ad pubertatem hilares perve-        nimus  Pellimur foras, atque divendimur  Procul à Diis patriis, a parentibus,   Alia quidem peregrinis, alia barbaris. De' quali parlando Pomponio Mela riferisce, che: proba , formof&que in pretio erant .  Sem. In quei tempi saranno stati con: ienti i padri, nascendo loro figliuole , e non già mesti, conforme ora sono, che debbono dotarle, mercecch'essi al-,  Jora ne ricevevano utile grande; oltre I di che saranno state anche molto più cu  stodire queste mogli a caro prezzo com* prate di quello si faccia ora, ch'effe b con grosse doti comprano noi; poiche  offervo, che se un cavallo ci costa molK to, abbiamo somma premura di esso.  Mec. L'interessati padri può effere, di che lo faceffero, ma non già i buoni, che le amavano, e perciò riflettevano,  F  [ocr errors] ancora, che se non portavano dote le loro figliuole, non acquistavano, ovc foffero entrate, dominio alcuno. Ele mogli fi ftimano c rispettano ancor adeffo da giusti, e saggi mariti , per questa modelima cagione ; e poi quelle, che portano grosse doci fanno ben farli portare rispetto anche da’mariri non favj , dicendo Giovenale : Intolerabiliùs nibil eft, quam fæmina  dives. Dicendo ancora Cleobulo appreffo Stobeo: Si babebis uxorem ditiorem , aut nobiliorem, dominos habebis , non affines. In oltre si costumava da altre nazioni ancora comprarsi dalle mogli i mariti; conforme fi ricava da Virgilio; Teque fibi generū Thethis emas omnibus  undis. E Boetio, nel lib.z. de Commenti alla topica di Cicerone, così parla.  Tribus modis uxor habebatur,usu,farre, & coemptione ; fed confarreatio folis Ponsificibas conveniebat; quæ autem in mamum per coemprionem conveperat , hæc  [merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] mater familias vocabatur &c.;  Sem. Si è costumato in alcun tempo, che non fa corsa tra contracnci dote ale cuna ne’inaricaggi?  Mec. Nelle leggi di Solone, Licur. go, e di Platone fu stabilito questo ; ben è vero però, che la sperienza has fatto conoscere, che fuccedevano più di rado i matrimonj , per non effervi il suo fuflidio dotale ; essendocche  pochi vi erano', che volessero soccomettersi al grave pero di essi, senza il follievo della dote; onde vedendoli dan ciò risultare notabile danno alla Republica , la prudenza Romana ftabilì con leggi le doti,da consegnarsi alle figliuole , per sostentare non solamente li peli del matrimonio, ma per allettare maggiormente ancora, mediante effe, gl uomini a prender moglie, come disse il Satirico, Veniunt à dote sagitsa .  Pub. Erano certamente troppo pregiudiziali fimili leggi, dalle quali lcfcludevano le dori; c perciò Aristotilo discordò dall'opinione del suo Macftro Platonc provando ne' suoi Problemi , che fia cosa obbrobriosa prendere moglie indotata ; e che sia anche gran pazzia di colui , che lo facefle , dovendo egli riflettere al peso, che se gli accresce: onde sopra di ciò interrogato Anafsandro, cgli 'rispose ; che sarebbe divenuto servo certamente colui il quale bisognoso prendeva moglie indotata; perche in vece di se solo, dovea alimentare più persone. Quindi è, che con somma prudenza fu risoluto nel Concilio Arelatcose; che non si dovesse fare matrimonio alcuno senza dotc , como riferisce il Fontanella.  Sem. E' stato costumato da nazione alcuna il prendere più d'una moglie nel medesimo tempo  ? Mec. Anzi tuttavia dagl'infedeli fi pratica ; ben è vero però, che tra eli le mogli sono trattate , come schiave , tenendosi racchiuse , e guai a voi, Sempronio, se vi fosse permesso più di unas moglie , allora vedreste in che travagli maggiori vi porrebbero le donne , che  go  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] godono la libertà, ond'è stato fantisfimo il provedimento , che unica fia la conforte.  Sem. E da chi ebbe origine, questo matrimonio in fimile forma?  Pub. Dal grande Iddio ; posciacche, crcato Adamo, formò Eva, e glicla died'egli medesimo per conforte; onde ad iinitazione di questo gran matrimonio dce ogni fedele contentarsi di una's fola compagna, e di rispettarla ancora, conforme fece il primo marito, il quza le allorche la ricevette per sua sposas, così disse : Hoc nunc os ex ossibus meis, caro de carne mea , hæc vocabitur virago, quoniam de viro fumpta eft : quamobrem relinquer homo patrem fuum, a matrem,  adbarebit uxori suæ, derunt duo in carne una; e da ciò comprendere, quale ftima li debba fare della propria moglie.  Sem. Ma tornando alle doti, queste da principio in che quantità furono ftabilire ? Mer, Non fu allora ciò determinaco,  ben  [merged small][merged small][ocr errors] F 3  ben è vero però, che in appresso, essendo divenute ecceffive, furono stabilite in una certa quantità, secondo le condizioni delle persone ;. e particolarmçate nei domini, ben regolati.  Sem. E questo viene offervato?  Mec. Qualche volta, ma non sempre; fentendosi assegnate a caluni in fommas più considerabile degl'altri,quantunque fiano della medesima condizione  Pub. Mi piacerebbe lo stabilimento fiffo , secondo lo fato delle persone, ma da che proviene questa inosservanza?  Mec. Dal lusso accresciuto, il quale effendosi anch'esso posto tra le spese necessarie per il sostentamento matrimoniale, viene anche considerato per tale da chi dee accasarsi ; e perciò dice, tanta dote io voglio , per pocer fare quello, che si costuma dagl'altri.  Pub. Qnando io preli moglie, e per qualche cempo in appreffo , & contentava ogn’uno di ricevere competente dore; perche questo lusso di oggidi non non vi era.  More  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. A tempo ancora, che vivevas Gnco Scipione, le doti parimente erano molto proporzionate al vivere di allora , ascendendo la più pingue, quale ebbe Magulia, che fu chiamata las dotata, a cinquecento mila affi, come riferisce Valerio Maffimo.  Sem. Non erano dunque si tenui les doti ascendendo a tanta somma.  Mec. Avvertite Sempronio, che gli affi non erano già scudi; ma solamente ogo’uno di essi arrivava appena al valore di quattro de' noftri quattrini di rame; onde turci icinquecento mila afli formavano la somma di circa quattro milas fcudi de' noftri; e poi le più frequenti erano di dieci mila asli, come ebbe Tacia figliuola di Cesone , il quale non era ignobile, e cal somma appena ascendeva a scudi ottanta,  Sem. Ma da che proveniva, che corressero doti si tenui in quei tempi ?  Mec. Non da altro, che dal non efservi lusso, Sem. Ma perche non si pone dal Prin  cipe  [ocr errors][merged small] F4  cipe sopra di ciò la prammatica ?  Pub. Perche aon ci è bisogno in queIto della sua autorità.  Sem. Come non ci è bisogno?  Pub. Ditemi, Sempronio, se voi poteste senza l'autorica del Principe far cosa, che fosse anche di sua fodisfazione, vi sarebbe bisogno della sua autorità per farla?  Sem. Non ci sarebbe certamente di uopo di essa.  Pub. Or ditemi, s'è in voftra libertà, nel farvi un'abito , spenderci 50. ò pur 100. scudi , ed in una carrozzas 500.Ò 1000. in questo vi astringerà forfc il Principe alla spesa maggiore?  Sem. Certamente, che no;  Pub. Perche dunque non lo fate confiftendo in qưesto la prammatica ?  Sem. Perche gl'altri non costumano di farlo.  Pub. Or dunque domandate a questi, che pongano efl'la prammatica, non al Principe, il quale non comanda, che fi ecceda gel lufto,Mec. A questo proposito essendo ftato supplicato Tiberio , a porre moderazione all'eccellivo lusso, che correvad in quel tempo, egli negò apertamente di farlo, dicendo come riferisce Tacito: Pauperes neceffitas, divites fatietas, Nos pudor in melius muter; onde da ciò comprendete , che noi siamo i padroni di prendere quelle misure, che più ci aggradano nei nostri trattamenti ; & udite da Tacito medesimo, come mai lo espresse al vivo nel secondo de' suoi Annali: Cur ergò olim parfimonia pollebat? Quia sibi quisque moderabatur : non ritrovandoli Gneo Fabrizio, e Quinto Emilio, che un tondino, ed una saliera di argento, per servirsene nei sagriticj; per altro tenevano da se lontano ogni luflo , conforme fecero ancora i Publicoli, i Curj, i Scauri, & altri valoroG uomini, i di cui pensieri non si aggi. rayano già intorno alle ricchezze, ma bensi agli onorevoli Consolati alle me. ravigliose Dittature, ed ai Trionfi , per çimagcre immortali nella pofterità: cos  me  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] me riferisce Valerio Malimo :  Sem. Hò capito a bastanza, e conofco, che il mancamento viene da noi. Notificatemi ora, Dottore , quali sono questi difetti corporali delle donne, i quali voi meglio degli altri conoscerere:  Med. Non posso servirvi in ciò, ele sendo che quanto sò di occulco, non, debbo palesarlo.  Mec. Il Dottore è compatibile in questo, perche s'entrasse egli in disgrazia delle donne, potrebbe dire di aver finito di fare il Medico; imperciocche, comincierebbero queste a dire, che tutti di suoi infermi muojono, e perciò sias sfortunatissimo nel medicare, e di vantaggio sia un vecchio stordito, che non sappia ove si abbia la testa; e sapere purc, che queste muovono gl'animi colla loro eloquenza più di Demostene; onde lo porrebbero in una totale defiftimazione, non facendoli scrupulo alcuno di far ciò quanrunque fosse di pregiudizin grande a professori, il dicui merito effe non sanno conoscere, per vedersi  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] da effe anteporfi gl'adulatori a questi.  Med. Non è questo il motivo, che mi ritarda il palesarli, ma bensì, l'avere io qualche segreto di cal’una, che si trova con qualche imperfezione, onde non vorrei , che mi credesse manca. core di fede , figurandofi, parlaffi di lei: per altro, non mi ritarderebbe già di farlo quello, che voi avete accennato; perche, se dicessero mal di me, diverrei Medico fortunato, essendo che non me . dicando , non mi potrebbe morire alcuno, e per questo riposo ancora goderebbe la mia mente tranquillità maggio  [ocr errors][ocr errors] re.  Mec. Queste sono belle rifleffioni, ma - però ad ogn'uno piace l'effere adopera  to, e questo senza protezione difficile mente si conseguisce.  Med. Piacerebbe a me ancora quan. do ciò non distruggeffe il mio indivi.  duo ; e cercherei ancor io queste pro- tezioni, quando accrescessero dotčrina ;  ma non potendo le stelle cramandare i quci benigai inguda, ch'effe non hanno  onde  onde per tal cagione mi persuado, che queste ancora non potranno addottrinare. Voi conoscere il mio naturale ; di grazia non diciamo altro.  Sem. Se non diremo altro, non termineremo la nostra conferenza, ed io rimarrò senza essere istruito.  Mer. Vi consolerò io , ch'essendo già vecchio, niū fastidio mi prédo delle doglianze feminili, non curandofi esse più trattare meco. Vi persuaderete forse, Sepronio, che tali difetti personali occulti sieno cose grandi , essendo, che il Dottore ricusò palesarveli? questi non sono altro, per quanto mi vado immaginando, che un poco digobba, la quale viene ben uguagliata da buftini ripieni nella parte mancante . Sono qualche palmo di giunta ne'calcagni, per potere coparire al par delle altre ; qualche piaghetta,ò fistola occulta,o ferore di naso, ò di bocca ; ò pure altro impedimento, mediante il quale si rendono infeconde: Ma non crediate già, che tutte le donge abbiano fimili imperfezioni , effen,  do  [ocr errors] do solamente alcune poche queste così  imperfette.     Pub. E' certamente curioso quel caso  riferito a tal proposito da San Vincenzo  Ferrerio nei suoi fermoni. Aveva un  giovane sposato una donna , la quale  gli parea di giusta ftatura , rimase poi  cgli quando la vide porsi a letto manca-  ta in un momento per metà. Dubito da  principio, che gli fosse stata cambiata,  mà miratala bene in viso, si avvide effe.  re la medesima , onde stimò bene dirle,  cosa avesse fatto dell'altra metà della  sua persona ; l'accorta non fece altro ,  che mostrargli le sue pianelle, ò tram-  pani per la loro grandezza, che appun-  to allora si era cavati, i quali non erano  inferiori all'altezza della base di una co-  longa.   Sem. Fra tutte l'accennate imperfec zioni, niuna mi darebbe maggior faItidio del fecore del nalo, ò della bocca ; perche io, che sono dilicato, non potrete credere , che avversione ciò mi recherebbe; onde di questo , prima difpofarla, voglio ben'accertarmi in vicinanza tale, che possa scoprirlo io medefimo.  Pub. E che ? forse temete, udendolo per relazione altrui, d'incontrare las bontà di quelle donne, che redarguite, perche non avessero palesato il fetore della bocca de loro mariti, effe rispofero ; che credevano , che tutti gl'uomini odorassero in quella forma? D.Hier. in Jovin. Sem. Come si potrebbe fare per  isco. prire quefti difetti corporali occulti?  Mec. Doverebbero palesarsi reciprocamente alla prima, altrimenti, essen. do il matrimonio un contratto, vi farebbe inganno, ciò non facendosi : E fe nei contratti delle compre de' schiavi, ò cavalli, quando la frode fi scuopre, esli si possono riscindere, così mi persuado, che sia in questo, cadendo-yil'inganno in cose essenziali alla fecon- N dità; oltre poi, quando non si poteffc riscindere , quante occasioni daranno di perpetui disturbi tra di effi fimili diferti.  Sem,  [ocr errors][ocr errors] 3  Sem. Şi è dato mai il caso, che siang palesati questi prima delle nozze?  Mec. Molti esempj ci sono, e tra gli alori, quello di Crate Filosofo Teba. no, cui portando grand'amore Hipparchia, la quale aveva non inferior genio col Filosofo , che colla sua doctrina , onde richiedendolo per marito, che, fece egli ? si scoprì il dorso, cmostrolle la sua gibbosità; e di poi posto in terra il maorello, bastone, e tasca , che 2veva, le disse: Signora, queste sono tutte le mie supellectili, la mia defor mirà già l'avete veduta, onde considerate seriamente ciò, che fare per non.  avervene a pentire . La saggia donnarei plicogli, che aveva già sufficientemen  te proveduto ogni bisognevole, e confiderata ogn'altra cosa, e perciò credeva, che più bello di lui, e più ricco non fosse nato al mondo; onde che l'avesse pure condotta dove voleva , come sua moglie . Ed il simile fece ancora nel discoprire la sua gibbofità il Padre di Sergio Galba a Livia Occellina Daman  mol  per mo  molto ricca, è bella, per non ingannarla.  Sem. Bisogna, che queste non credersero deformità svantaggiosa la gobbas de’loro mariti , perche hò osservato i figliuoli di cocefti molto diritti , e belli; mà vorrei sentir riferire qualche caso di donna, che avesse scoperto all'uomo i suoi difetti.  Pub. Vi fu una giovane bellissima amata teneramente da un Gentiluomo, il quale avédola farta chiedere glie , fi scusò ella di non poterlo compiacere, onde da simile ripulsa s'accese di desiderio maggiore , per averlas; mà che fece la savia giovane, vedendo , ch'egli non defifteva ? gli fe intendere, che lei medesima gli averebbe palefata la cagione, per la quale ritardava di condescendere alle sue brame, e c011"certato il luogo , ed abboccatisi insienie gli scoprì il suo petto , e felli vedere un canchero , ch'aveva in una zinna, dicendogli,Signore, questa carne, ch'è incominciata ad incadavcrirli voi amato  [ocr errors][ocr errors] ta  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] canto! Rinase egli confuso nel rimira, re tale spettacolo, il quale frenò in gran parte quell'ardente amore, che le portava's desistendo in avvenire di farla più importunare.  Sem. lo credea , che le donne non fossero facili a scoprire i loro difetti, sarauno però rari questi esempi :  Mec. Il simile credo anch'io, e da ciò facilmente oasceranno molte contese cra mariti, e mogli , d'onde provengono i divorzj, e fe li palesaffero alla prima scambievolmente i loro difetti, forfe che non seguirebbero; posciache essendune ainbidue consapevoli, non li pom trebbero allora dolere, se non di loro medefimi.  Sem. Perche non si potrebbero fare ri. conoscere ambidue prima del matrimos nio per meglio accertarsene?  M26. Questo ripiego fu disapprovato, quantunque lo aveffe proposto Platone; onde che fi dirà apportandolo you?' Evi pare, che l'oneltà lo debba permettere? Appena le leggi Romane antiche tolle.  G  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] 98 Conf. 4. Dec. prima il rarono una tale ricognizione nell'uomo, proibendola efprenainente nelle donne: e re Platone aveffe osservato cioccheri feriscono Plinio, e Solino, che i cadaveri delle donne galleggiano sù l'ondes con il ventre all'ingiù, e degli uomini all'opposto, cercamente, che averebbe appreso dalla natura il documento di doverte, trattare con maggior onestà, vedendoli naduralmente risplendere un non fo che di modestia in eile, anche dopo morte. 1. Pub. A questo propofito lessi in Plufarco, con mią grande ammirazione, ciocch'egli racconta di quelle Vergini Milelie, le quali , divenute pazze a cagione d'influenza peftifera,che ivi vagava, erano forzate dal loro delirio a morire appiccare, e questi spectacoli giornalmente fi trimiravano nella Città di Mileto ; fenza che le preghiere, e le dagrimé de' genitori potessero impedirli; solamente il contiglio di un Savio porè rimuoverlig. e fu di procurare con decreto del Senato, che tutte quelle,che si sospendessero in avvenire , forfero esposte nude in nezo alla piazza a vita di ogniiuno:Indusfe nella fancatia di cucina te le giovani tale spavento, ufc4to sopra di ciò l'editto, che manco affatto Porrido fpettacoto, aftenendoli age'unas in avvenire di farlo ; perche concerioz per cola assai peggiore perfere veduta ignuda , benche morta, che vestica ap. piccata .  Med. Due altri fatti poffo riferire anch'io di donne savie : Polisena fu unas di queste, di cui così ne parla Euripi  de,  At illa jam moriens tamen  Multum providit , ut honeftè caderet .  Celaretque', que celare oculos virorum   oportet i Ed Ovidio ancora, nelle sue Metamor, foli, così dice della medesima , Tunc quoque cura fuis partes velare,  pudendas Cum caderet , castique decus fervare;  pudoris ; E l'altra fu Olimpia madre di Alessan  dro il Grande , che trovandoli proffiina alla morte, con i propri capelli, e vefti ricopriva ciocche l'onestà non permetteva - Acimirasle scoperto .  Sem. E chc G farà delle belle, delle ricche, e delle brutte, e povere ancora , come troveranno queste marito?  Mes, L'udirete in appreso.  [ocr errors][ocr errors][merged small] [ocr errors][merged small] [ocr errors] Nella quale si mostra, in che modo        si maritino le belle, le ricche,         e le deformi quantunque   povere.  Mecenast , Sempronio , Publio ,  & Medico.  Mec.  A lunga sperienzando  che hò del mondo, grá cose mi ha fatto conoscere intorno a_matrimonjoli qua,  li per essere contracti, come fu detto, hò scoperto in effi ancora i suoi scnsali , conforme fono negli alori trafichi. In quei fatti a doves re de quali già parlammo hò offervato sempre mezana la Prudenza, la le non già di approveccia di alcuna fensaria per se medesima, come sogliono  qua,  praticare gli altri sensali dc' matrimo. nj.  Sem. Quali sono questi altri?  Meci Amore , l' Ambizione, e las Bugia.  Sem. Che fofle Amore sensale Ò, 'mezano de' natrimonj' lo sapevo anch? io; ma questi alori mi giungono nuovi; e come mai l'Ambizionc potià trattare i matrimoni?  Mec. Vi sarà una giovane brutta ral. volca , e povera , c perciò Amore l'averà abbandonata'; ma perche si trove rà umfratello, che si potrebbe avanzare nelle armi, ò nelle letrere, che farà l'Ambizione? li metterà a trattare il di lei matrimonio, e con motivi si efficaci darà ad intendere , che da quel mari. taggio, ne risulteranno vantaggi tali a prò di quel giovane, cui la propong, che lo porranno in grandezze, edonorificenze molto considerabili in breves tempo  - Sem. Ma non li avvede, ch'ella è de forme  Mero  Mec. In questo l'Ambizione s'inge. gnerà di non fargliela comparire tanto brocca con mostrarli, che ci sono tante più deformi di effe, le quali pure hanno trovato marito; e di poi gli caricherà tanto le specie dell'apparence bene futuro, che arriverà ancora , quantunque. fyfle brutiifiina a fargliela comparire vaga a segno, che lo farà divenire diella amante.  Sem. Ma questi sarà impazzito, se non diftinguerà ciocche a leoli esteriori si fa palese.  Mec. Credere forse voi,che solamen. ce Amore faccia impazzire gli Orlandi? l'Ambizione ancora è capace di farlo; e questa appunto è la sensaria, ch'ella brama: cioè di vedere fuori de'suoi sen. rimenti anche gli uomini savj, e talvol? ta quelli ancora , che si stimavano capaci di dare ottimi consigli ad altri.  Sem, Ed Ainore, che fensaria ritraer da? suoi maritaggi?  Mes. Non altra ; che di vederli in brieve tra di loro disgustati, essenda,che come si luol dire per proverbio; chi per amore si prende, per rabbia li lascia.  Sem. Ela Prudenza , che ne ritrae di sensaria?  Mec. Di vederli con perfecta pace tra elli, di sentirli dire con Aufonio trai di loro : Uxor vivamus , quod viximus', dove  teneamus, Nomina, qua primo fumpfimus in than)       lamo :  Nec ferat ulla dies, ut commutemur in      Ævo,  Quin juvenis tibi fim, tuque puellas   mibi. Sem. Questa per verità è un'ottima fenfaria, che volentieri si può pagare da curti,e con fomino diletro.Ma palliamo ora all’Avarizia ; com’enera questa nei matrimoni, vedendosi introdottas oggidi tanta pompa , e splendidezza in elli , che pajono più costo trattari', u regolati dalla prodigalirà sua nemica.  Mec. Cosi non ci cotraffe: : vedrete una giovane non solamenté bructa, ma  [ocr errors][merged small] anche mal sana , ricca però affai: e chi mai [poserebbe questa , con cucce le sue ricchezze, se l'Avarizia non trattasse il suo parenrado ?  Sem. E come mai ella opera ?  Mer. Si porrà d'intorno ad un bel giovane, ma povero , e gl'infinuerà, che quel partito potrebbe farlo divenia re molto riccbi e gli riempirà la testad fcema, che si ritrova, di molte, ei molte migliaja di scudi; dicendogli , che potrà allora godere, e stare allegramente; e susurrandogli qualche altra cosecca di più alle orecchie, lo farà fare in tutto, e per tutto a suo modo; fenza che gli amici lo possano più rimuovere con tutta la rectorica di Cicerone, e l'energia di Demostene.  Sem. Questi ancora mi sembra un paz-s zo. Ben è vero però, ch'è caso raro , effendoci fatto divenire dall'Avarizia i posciache i suoi seguaci non buttando il loro non sono tenuti pazzi; conformea potrà contestare il Dottore', che conos sce, che cosa fja pazzia,  Mede  [ocr errors] Med. Cilono però diverse specie di questo male; laonde se non sono di quefta fpecie di di:Sipare il loro gli Avari sa-, ranno di qualche altra; mentre alcuni di essi, per non ispropriarli del danaro , divengono tiranni di se medefimi i ed inoltre, quanti Avari vi sono stati, che per leggiere cagioni hanno dato la morce a se incdelimi , e quetti di riputere: voi forse savj? e tornando al caso proposto, à me pare, che per  avarizia coftui spreghi il meglio, che si ritrovas, ch'è appunto il fiore delli suoi anni, spofando una donna mal fana, e brutta . ..Sem, Che sensaria mai può guadagnare l'Avarizia in far questo? » Mer Ella spera di potere acquistare tanti seguaci di più, quanti poveri arricchisce per questa via, essendoche quando erano poveri, non potevano : cflere Avari, perche non avevano mo-> do da cumulare i dove che arricchiti poffono averlo ..  Sem. Mà come potrà avanzare? dicendogli, che faute, che avesse il pa.  ren  rentado, averebbe goduto, e sarebbe ftato allegramente , e questo non si può tare da quelli , che vogliono cumula  Meo. Voi non capice il parlar equivoco dell'Avarizia ; ella non già intende il godere , e stare allegramente dispendiofo , ma bensì quello di cumulare , creduto da efla , e suoi seguaci piacere , e contento maggiore di tutti gli alori"; è ben vero però, che in questi cali rimane ella fovente delusa ; posciache i giovani dislipano tanto in tali occalioni, che bene spesso si pente l’A. varizia di esservisi ingerita.  Semi Com'entra la Bugia ne'matri. monj?  Mec. In quanti se ne fanno, senza le direzioni della Prudenza essa vuole-ingerirsi, e per un verso; d per Palero ci vuole avere in questi la sua parte. 7  Sem. Si dice però communemente, che la Bugia abbia le gambe corte, onde fi fcoprirà, e non potrà perciò fare breccia. diri  Mele  1  Mec. Non è così perche non opera già sola. Se Amore per esempio trarre. rà un parentado, essa pronta vi accorre, e si affatica tanto per fare apparire quel. la giovane , per cui si tratta , savia, prudente, e di abilirà : ò quel giovane di costumi angelici, e di abilità sommas; quando per verità farà tutto l'opposto.  Sem. Mà quelto in brieve si può scoprire.  Mec. Prenderà ben ella il contratempo, e quando vedrà che i genj, mediante Amore, saranno cominciari as collegarsit, allora, ciocche ella dirà , sadà creduto per vero; nè fi pafferà più oltre per iscoprirlo, quantunque fosse falfifsimo: lo fomina in tali occasioni la Bagia si affatica tanto; che arrivò as dire un Filoloto, che s'ella non si ri-, mescolaffe à questo segno si troverebbe per certo il mondo.più spopolaco notabilinente  Sem. E come ? e perche ?  Mec. Popolandoli il mondo, median-> te i matrimonj, quando questa non aju.taffe à farli, oh quanti di meno ne le guirebbero! Onde per mancanza di effe molto fcemerebbe ; talmente ch'essad lo mantiene cosi popolato .  Sem. Non credo però; che abbia tanta parte in essi, quanta voi dite. )  Mec. Ed io credo di vantaggio ancora; imperciocche dicemi: nel mondo, quali sono più numerosi, i buoni, ò i carrivi?  Sem. Questo calcolo non so chi l'abbia fatto : ti dice bene da pertutto, che gran parte in esso vi sia di cattivi. · Men E credete voi, Sempronio, che questi trovassero moglie, se la Bugiai non ricoprisse i loro vizja:  Sem. Io credo di nò;  Mec. Dunque non facendosi tutti questi, che danno considerabile apporterebbero alla popolazione del mond?  Sem. Ditemi, che fensaria ella riceve ?  Mec. Non altra, che di trionfare allorche li scuoprono gl'inganni da efsa orditi; e li prende sommo piacere del  lc  de discordie, e dissensioni, nate da ciò tra in arirari.  Sem. Oh che razza di gusti deprava  Mic. Quéli appunto sono i piaceri, che li prendono i vizj, non confiitendo in altro, che nel vedere precipitato chiunque dura loro fede, e perciò non iè bene di prevalerli, Sempronio, della opera loro in conto alcuno. -- Semi Mirpersuado , che la Prudenza non tratterà fimili mariraggi, onde pochi faranno quelli, nel quali effa s'in. trometterà : per efeinpio, se sarà bella da giovane, lascierà trattare il suo  pa. rentado ad Ainore, ed effa fi discolto. rà.  Mec. Non è così ; perche la Prudenza non è già tanto indiscreta, che odj la bellezza, c fe vedrà, che colla beh - lezza ci fia unica anche l'onestà, ed il  buon costume, li tratterà , e concladerà infieme; ma quando poi fi ávvedesse, che colla bellezza, questi non ci fossero, allora ne lafcierà la libertà ad A  mo  more , che le marici a suo piacere :  Sem. Mà ci sono elempj di queste belle accasate dalla Prudenza?  Pub. Tanti appunto, quante donne helle hanno mantenuta la fede illibata) ai loro mariti; e di queste Plutarco ne riferisce molte, parlando delle donne illuftri į confessando ancora l'Ariosto nel canto 37. non esservene stata mai pea nuria di esse, con dire:  E di fedeli , e caste , e faggie , e forti  Stare ne fon, ne pur in Grecia, e ithead   [ocr errors] Roms,  Ma in ogni parte, ove fra gl'Indi,       gl’Orti  Dell'Esperidi il Sol spiega la chioma;  Delle quai sono i pregi, e glonor mortis  Sì ch'appena di mille una finoma,  E questo perche avuto hanno a'lor tempi   I Scrittori bugiardi, invidi , ed empji. lSem. E nci maritaggi con ricche doti s'ingerisce mai la Prudenza , effendo disuguali di condizione ?  Mes. In questi ancora , quando ritrova, che amili ricchezze fono venu  te  te per vic oneste;descritre così da Sene's ca de Vila beat a cap.2 3. Nulli detractas, nec alieno fanguine cruentas , fine cujufquam injuria parias , fine fordidis quæstibus, quarum tam honeftus fit exitus,quàm introitus, quibus nemo ingemifcat , nifi malignus. E non scorgendo di mal cofume chi le poflede, li conclude ancora; perche come mostró Platone į non induce disuguaglianza disdicevole las fola disparita di condizione.  Sem. Quale farebbe questa disugua. glianza disdicevole?  Mec. Sarebbe appunto, se un nobile, per cagione della gran dote, volefse sposare l'unica figliuola map educa. ta di un vile, e sordido arcista; l qual matrimonio non solamente darebbe da dire a molti, ma ancora per lungo tempo sarebbe privo di potere conversare con uguali, chi prendesse una fimile Spofa,  Sem. Vi fuschi di Te in fimile congiuntura, che de mormorazioni solamente per qualche tempo duravano, mà  chc  che le grosse dori rimanevano per sem., pre; io però non sono di genio si vile.  Méc. Credo, che voi manterrete il decoro di Gentiluomo,má replico bensis a colui, che punto non lo consideras :: che i figliuoli ancora riinangono per : seinpre di somiglianti inclinazioni, e co. ituini; essendoli osservato in molii, che hanno voluto canto digradare dalla lo-> ro condizionc, con prendere per moglie giovani mal nate , e di poco buon co-> itume', 'credirarsi da loro descendenti » gonj vili, c plebej; cosa alai più dannoia , e pregiudiziale , di quello sieno le mediocri picchezze nelle famiglie ile luftris onůc perciò il poeta Satirico conrra di questi disle,....... 9. Scilicet expectas, us tradat mater boSo do neftosigilom  Aut alios mores, quam quos babet? E quell'altro anche canto  Infequitur leviter filia matris iter... Olere diche certi matrimonj fatti con tanta disparità di condizione, se non, averà prudenza la moglie , riescono ang che infaufti a mariti; come provò Fulvio, il quale avendo sposato una Ichigvå, fu dalla medeliina tradico, denunziando ove egli era nascosto, csendo tra i proscritti in tempo del Triumvirato ...,  Sem. Vorrei anche sapere, fela Pru-, denza tratti marrimonj didonne brurce, e ditettofe...  * Mec. Questi ancora maneggia , quando ci trova il suo conto; cioè a dire che quella da voi creduta deformità non pregiudichi a fare figliuoli, nè alla pace doinestica.  Sem. Io mi perfuado, che la brut. tezza poffa ritardare 'ambidue ; perciocche, come si potrà amare una donna deforme e non amandoti questa, come li potranno avere figliuoli, ed esserci la pace domestica di  Mec. Dovete sapere , Sempronio ; che due bellezze sono nelle donnc ; una delle quali è di fola apparenza, e perciò viene detta eftcriore, e l'altra inter, Da, la quale risicde nell'animo: la pri.  [ocr errors] ma si rende inanifesta ad og i uno, che Ja rimira; la seconda poi, quanto più si nasconde tanto maggiormente risplende'; quale di queste due voi bramerefte, Sempronio, che avesse il primo luogol nella vostra sposa ?  Sem. Quella , che porelli vedere, we godere insieme.  Meci Questa sarebbe lefterna , che per breve tempo la potreste vedere, er godere ; essendocche prettamente fier nisce, venendo da' Poeti assomigliatas alla rosas Collige virgo rofas dum fos novus, o  nova pube's, Er memor efto , ruum fic properare  tuum. Ed altri: Rofa viget breve tempus, fi autem pra           terierit    Quærens invenies.non rofas, fed fpinas.  E Seneca dinle    Anceps.forma bonum mortalibus ,  Exigui donum breve temporis ,  U velox celeri peide laberis :   H 2  8. Ed  [ocr errors][ocr errors] Ed il Petrarca ancora così ne parla  Questo noftro caducong fragil bene,  Cb'è vento ed ombra , ed ha nome   beliade. L'altra bensì, effendo radicata nell'ani. ino, non languisce in alcun tempo; anzi che in certe contingenze fa vedere quanto opera in conservare la pace domeftica. Vi potrei a questo proposito addurre molti csempj; ma quello riferito da Enea Silvio della moglie di un celebre Medico Sanesc fa al nostro propofito. Questa era molto deforme , nulladimeno, per le fue rare viciù, l'amaya suo marito svisceratamente, chiamandola la sua buona Ladiç; ed appunto d'onde possa ciò nascere lo spiega Lucrezio, dicendo : Nee divinitùs interdum ,  Venerisque sagittis , Deteriore  , fit ut a forma muliercula ametur ; Nam facis ipfa fuis interdum  fæminar factis Morigerisque modis , cu mundo corpore  cultu  Ur fucile insuefcat fecum vir degere  vitam. Sem. Ma effendoci l'efteriore , per- · che non potrebbero ancor' acquistare 1.1 bellezza interna coll'industria de’lo"ro mariti?  Moc. Onanto siete buono, Sempronio, che vi volete affaricare in merte, re "il giudizio, ove non sia ; e non sapite, che fin'ora non è bastato l'animo ad alcuno di porcelo: bisogna pregare Iddio, che non vi abbarciate in caluna, che penurj di effo; perche altrimenti è tuito tempo perduto quello, che s'impiega per farlo entrare, ove non sia.  Pub. Sempronio procurare di grazia di stare cautelato; perche questa bellezza esteriore, che voi tanto bramare, fi uniforma alle volte a quella dei tempi degl'Egizj, ch'erano belli di fuori, e e brunti al di dentro : oltre di che apprendere questo utiliffimo documento da S. Girolamo : non facilè cuftodisor, quod omnes amant,  O in quo totius popu. li vosa fufpirant; e canto maggiormen  te ,  [ocr errors] H 3  .te, che il Nazianzeno la chiama : temporis, & morbi ludibrium : Santamente, dunque l’Ecclesiastico dice: Ne respicias in muliere speciem, nec concupiscas mulierem in fpecie.  Scm. Coinc fa la Prudenza a conosce. re, che questo giudizio vi lia, ove law bellezza non regna?  Mec. Lo comprende ben ella allorche rimira una giovane modesta , circospetra nel parlare, non curiosa, ftabile, attenta , ed applicata a fare ciocche dee; onde la reputa perciò giudiziosa; mà le poi la scorge incostante, disapplicata, curiosa', garrula , c vana , que. Ito le basta per crederla imprudente, c non fi prende penfiere alcuno di essa.  Sem. Ho udico raccontare più volte, che alcune giovani pri na di maritarsi fieno ftatc tenute per giudiziose, e prudenti, ma che poi fattefi (pose sieno diveoute l'opposto di quello, che dianzi erano reputate , per avere sciolta labri. glia a tutti quei vizj, che tenevano ce.Mec. Bisognerebbe con esattezzas esaminare, per colpa di cuilia ciò provénuto , se di effe, o de i loro mariti; u se fi rincontraffe , che avessero in ciò peccato i mariti, sarebbero esse degne di compaffione, dovendo come subordinate regolarli secondo quello, che a medelimi vedranno operare; potendo ancor esse scusarfi, come fecero le don. ne Ebrce allorche furono riprese, perche fagrificavano nell'Egitto, le quali dillero : Numquid fine noftris viris fecimus? fer: 44.  Sem. Come Opera la Prudenza per concludere fimili matrimoni?  Mec. Primieramcnte con fare riflettere al giovane, che brama di accasar  fi, quale sia il fine principale del matri,-monio , cioè per ottenere figliuoli, o che questo non fi orriene mediante los bellezza, ma bensì per la sanirà del corpo;: onde che non debba quell'anceporsi a questa ; ficcome ancora cons fare confiderare i danni, che potrebbe qucla bellezza ofteriore apportare  [ocr errors][ocr errors] mariti, li quali provò appunto Uria per la bellezza di Bersabea ; ed Abramo uomo saggio per isfugirli, che cosa facelle, avendo Sara per moglie, donna. belliffima , allorche dovea andare in E. gitto, e fu , Gen.12. Novi quod pulchra fis mulier, & quod cum viderint te Ægyptii di&turi funt : uxor illius eft, interfcient me, o te refervabunt : dic ergò obfecro te, quod foror mea fis &c.: Eche quando simili infortunj, non accadersero per cale cagione , potrebbero per altro succedere dicendo Leucippo:che la bellezza sia una saetta, la quale ferisce con maggiore velocità di quellow, che viene scoccata dall'arco : e Ciro che debbali più temere questa, del fuoco, il quale non offende in qualche distan. za conforme fa la bellezza; insegnando l’Ecclefiaftico al 9. Propter Speciem mulieris multi perierunt , & ex bac concipifcentia quafi ignis exardefcit : oltre di che gli farà ben capire, che non solamente,egli viventesquefta polsa danneggiarlo , ma cziandio clinto che sarà , c  CON  [ocr errors] con qaciti motivi lo ani nerà a scize glierti per inoglie più costo la laggine, che la bella.  Sem. Mà come dalla moglie belles potrà strapazzarli il maritu defanto?  Mec. Lo comprenderete dal seguente avvenimento riferito da Petronio Are bitro. Dimorava in Efeso una Matrona, non meno bella, che stimata da tutti di fomma pudicizia ; ed essendole morto il inarito, non solamente dirottitfunamente lo pianse, mà, accompagnatolo al sepolcro, delibero volere ivi termic nare la sua vita con esso ; nè fu porabile, che i parenci , anzi il Magistrato stesso la potessero rimuovere daral penfiero. Già sofferri. avea cinque giorni di rigorosa astinenza, quando un sol. dato, il quale cuftodiva alcuni cadaveri de ladri, ch'erano stari, giustiziati vicino a quel sepolcro, si avvide di notte, che usciva un cerro lume da unas contigva casetta , ed udiva insieme ivi piangerl ; vi accorse , cd animalo vi entro, e calato che fu dove si piangeva,  ap  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Conf. 5. Dec. prima appena vedute due donne'appreffo ad un cadavero, sen tornò in dietro a prendere la sua poca cena, e ritornato che fu, cominciò a consolarle con offerire loro quel poco di ristoro, che feco portato avea. La più addolorata , la qual'era la sudetra Matrona non mostrò punto di gradire le cortesi esibizioni del feldato, anziche più costo'raddoppiava ischiamazzi con svellersi i capelli, e percuoterfi maggiormente il perto : non si perdette egli di animo per questo , ma fi accosto all'altra, ch'era la fervente , offerendole cortesemente il vino, che avea ; ed ella non fi moftro canto ritro. fa; posciache'riftoroffi con quello,e guftò ancora il cibo'; ed indi si pose ad efpugnare la pertinacia della sua padrona, e tanto le leppe dire, che alla fine la vinse, eristoroffi anch'ella. Vedendo il soldato, efferli renduta in questo, passò più oltre', e coll'ajuto della fervente gli riusci di prenderla per moglie, non dispiacendo alla vedova l'aspetto del fudecco giovane ; ¢ ciò fu concluso  frete  [ocr errors][ocr errors] frettolosainente . Dimorarono tre gior-  ni in decto sepolcro i sposi, uscendo ap-  pena di noite tempo il soldato a prove-  dere ciocche faceva d'uopo per alimca-  tarsi tutti. In questo montre da' paren-  ti degli appiccati fu portato via uno di  quei cadaveri , ed avvedutofene il sole  dato lo palesò alla sua fpofa tutto con-  tristato ; dicend le, che non era coave-  niente di aspettare la sentenza del giu-  dice , essendo egli incorso nella   pena  di vita , per la sua trascurata custodia ; on. de che gli avesse pure preparato il luo. go per fepelirlo allieme coll'altro suo inarito, essendo egli già disposto a darli la morte . Ciò udico, la compaffionevole donna rispose: non sia mai, che io abbia da vedere due de' mici carifli.  mi mariti, defonti nel medesimo tempo; desidero più costo appiccare il inorto, che di perinettcre, che il vivo perisca:  deh prediamo questo cadavero,e collo? chiamolo, ove manca quello del ladro.  Ubbidi prontamente il soldaco ; e nel  di seguente cucco il popolo f maravi. Conf. s. Doc. prim. gliò, coine inai quel njorto, così teneramente pianio, fosse stato posto sopra un paribolo:  Sem. Talmente che saranno tutte finzioni quei gran pianti, e schiamazzi, che fanno le donne vedendo morti i mariti?  Mec. Per lo più cosi credo anch'io ; perche, non avendo queste la prudenzas virile, con faciliià grande fi pongono as piangere, ma noui tono già così gli uo. mini .  Pub. Voi mostrato di non avere letto Filostrato in Sofijt.: il quale raccontas ciò, che fece Erode il Sofista nella morte di sua moglie, ch'è questo appunto. Non si contentò egli di averla pianta dirottilmamente, stando anche sopra terra, ma volle continuare a farlo tutto il rimanente di sua vita : e come se le inura della sua casa pocessero essere as parte del suo dolore, le fè tutte vestire di bruno, e la sua casa fu dall'alto al barlo così bene dipinta a color nero, chu rendca gränd'orrorc: inoltre volle, che  tutti quei, ch'erano al suo servigio fof. sero mori, o per natura, o per arte: cgli stesso si fè cignere co’carboni il vol. to, per portare ancora in fronte la di. visi del suo dolore. Tutti i suoi mobili anche i piatii, e bacili', ne' quali li lavava crano neri . Passò del tempo in questa bizaria, senza volere udire alcu. no di quei, che volcano persuaderlo a cambiare risoluzione. Lucio, che gliera amico, gli aveva più volte parlato di questa materia, mà senza frutto; allas tine una sola parola di scherzo lo guada. gnò. Le sue serventi lavavano un giorno alla fontana certe rape; le vide Lucio , e domandò , fe quelle doveano servire per la tavola del loro padrone, il che affermarono; se ciò è cosi disse Lucio ; riferitegli da mia parte, ch'egli fa un gran torto alla sua moglie, e che non dee mangiare rape bianche in casas vestita tutta di nero ; onde che si era infinitamente maravigliato , com' egli non riparasse a cosi grave disordine, dovendo il suo bere, cd il suo mangia.  [merged small][ocr errors][ocr errors][merged small] TC  re essere vestiti come lui di gramagliw; ed a queste parole cominciò ad aprire gli occhi, per vedere, e riconoscere le sue stravaganze, e questi era pur Filosofo non già donni !  Sem. Iftruitemi di grazia meglio sopra i matrimoni, fatti senza l'intervento della Prudenza, per non cadervi.  Mec. Nella: ventura conferenza vi consoleremo.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] 100, avendola me  CONFERENZA VI. 6'1 Nella quale si esaminano più distintamente i pregiudizj', che risultano dai matrimonj farci fenza in l'intervento della           Prudenza.  Sempronio, Publio , Mecenate   © Medico 6,156 OL  Uanto mai mi ha contriftato la storia riferita della cru. dele donna di Efe. fo  glio considerata . Pub. Non bisogna sgomentarsi, Sempronio , per fi lieve cagione ; perche. primicramenre chi fa , le veridico lia tutto ciò , che in esta si racconta parendoini molto inverisimile , che li di lci parentis cd amici l'avessero del cute  [ocr errors] to  cata, avendo, oltre i natali,  Giulio s 1981  Conf. 6. Dec. prima  qualche concerto maggiore, per lo sviscerato amore mostrato verso suo marito; oltre di che, chi potrà mai credere, che una donna, i dopo efsere stata cinque giorni, con tanta attinenza, poreise pensare , non che effettuare ciò , che fi lppone facesse : e poi, quando' realmente fosse ciò foguito , vi posso riferire moltissini esempj dimogli fedeliflime, le quali o per vero dolore sono morte, quando videro i loro consorti estipfi, è dettero chiari atteftati del loro fincero , e costante amore. Laodamia fù una di queste, la quale mori di cordoglio sopra il çadavere di Protesilao fuo marito , ucciso da Etrore. Ed Artemisia a che segno amò le ceneri di Mausolo suo marito , che fin volle , stemprate tolle sue lagrimc, dar loro ricetto nel suo corpo ingojandole a poco a poco! 'E finalinente, per non diftendermi di vantaggio nel riferirne inolte altre : Peponilla moglie dime riferisce Xitilino, sotto l'Impero di Vespasiano, aon visse nove anni con suo marito dentro un sepolcro, ove diede la vita a due figliuoli? e questa lo tenne lontano dal supplicio, per quanto le fu permesso, non già ve lo mandò. ?  Sem. Tutto va bene; ma però, che una donna, dopo tante lagrime sparse per suo marito, l'abbia esta condannato al patibolo, mi pare grave, e detestabilc facro; posciache, se non amava quel cadavero, à che fine bagnarlo di tante lagrime? e se poi l'era ficaro, come mai ebbe tanto cuore di fare un' atto si crudele contro di esso, feuzan averle data occasione alcuna?  Mec. Quell'iniqua fantesca fu la cagione di tanta fceleratezza; impercioc" che la povera padrona, dopo cinque  giorni di dolorofa inedia sofferta, non trovando dalla morte pietà alcuna in voler porre fine ai suoi cordogli, e vedendosi imporcunara dalle preghiere di essa s’induffe à prendere quel poco diria ftoro', offertole non già da pareoti , che  I  l'ave  [ocr errors][ocr errors] l'avevano abbandonata, mà bensì da un cftranco, che fu la ruina della sua réputazione, perche chi d'altrui preode, se Iteffa vende.  Sem. Mà come! nc anco dentro il repolcro è sicura la pudicizia , ed allas prcfenza del marito defonto!  Mec. Diceva il Re Filippo, che non era inespugnabile quella fortezza, ove fusse potuto entrare un mulo carico di oro; e voi credere sicura una donna bella, guardata da una sola fancesca in luogo remoto ? quando trovandofi già languida è affalita da un soldato armato, giovane bello , ed avvenente , ristorandola col cibo , adulandola, e lusingandola insieme con dolci parole. A queIto proposito cade in acconcio il proverbio di Salomone. Mulierem fortem quis inveniet? E tanto inaggiormente, quando il marito giace estinto, e per. ciò nè può correggerla, nè punirla. : Sem. Queste ragioni non mi appaga. no punto, onde per non avere a cadere in fimili infortunj , bramerei che voi  con  [ocr errors][ocr errors] con la vostra solita ingenuità mi scopriIte molti altri pregiudizj, che potrebbero nafcere , non avendo la Prudenza parte uc'maritaggi ; e perche avete voi conversato molto in yostra gioventù , vi sarere incontrato facilmente in, più contrasti nati tra i mariti , e mogli.  Mer. Gli hò uditi certamente fpefso riferire , e letti ancora ; e quantunque non li abbia provati, per essere vivuto libero, con tutto ciò sono appicno informato di molciffimi avvenimenti in fimili materie.  1 Sem. Or dunque, in quelli fatti per opera d'Amore, senza intervento della Prudenza , che vi avere offervato di inale ?  Meo. Ne hò veduci tanti di questi principiare bene, ma poi cambiare in un tratto la bella apparenza, ed allas fine rerminare infelicemente ancora .  Sem. Come cominciali bene, e poi mutarfi? fe:  Chi ben comincia , bà la metà dell'opra?  Mec. E pur così è seguito ; impera   cioc  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] I 2  ciocche alla prima, in quel fervor di afferro, la sposa era tenuta in pianta di mano; ma appena intiepidito questo de qualche lieve cagione mutava faccia il tutto, e quel grand'amore in breve pafsava in noja, ed alla fine questa si avanzava al dispregio. Quindi è che l’Ap. piense disse: 174 Ef modus , dulci, nimis immodera  ta voluptas Tædia finitimo limite semper babet : Cerne nouas fabulos rident florente        colore  Piet a, velut primo vere coruso at bumus,  Cerne diu tamen bas, hebetataque lumi-        na fleetas,  Et tibi conspectus nausea mollis erit.   Pub. Voi, Sempronio, avete lascia. to il meglio, cioè,  Non si comincia ben se non dal Cielo. E credete, che facendosi il matrimonio per opera d'Amore senza l'intervento della Prudenza, sia esso cominciato dal Cielo ? Sem. E perche no, avendol per fine  la  la conservazione della propria specie ?  Pub. Il fine è fanto, ma il da voi proposto mezo, per conseguirlo , non è buono;non dovēdosi ricorrere ad Amore per farci conseguire una buona moglie, ma bensì a Dio, conforme c'insegna Salomone : Uxor prudens à Domino ·  Sem. Per quali motivi si avanzano di poi al dispregio?  Mec. Per molti ; lasciando in disparte l'interesse della dote (molto tenue per l'ordinario nelle donne belle) promessa, e per lo più non pagata; che suole frea quentemente turbare la pace domeftica: Il primo de' quali è il dominio, che vuole acquistare la donna bella sopra il marito; imperciocche come vuole Mcnandro :  Superba res eft pulchra mulier: E pretenderà per giustizia di poterlo efiggere mediante il favore , che gli hà fatto di prenderlo, essendofi veduta vagheggiare da tanti altri, che la bramavano per inoglie. Il secondo sarà la gelolia, che apporterà tra loro una continua guerra....  Sem. Come la gelosia, essendosi pre . fi per amore?  Mer. Amore medesimo , che li uni, per prendersi di elli diletto, s'ingegnerà di suscitarla ; e per promoverla, ba. sta, che faccia concepire ad un di effi un minimo sospetto di essere passato in altri quell'affetto , ch'egli godeva intiero; non essendo altro la gelosia al parer di Cicerone , che : Ægritudo, 6x quod alter quoque poriatur co , quod ipse concupicris, e come questa operi uditelo dal Taffo  N'arde il marito, e dell'amore al fuoco  Ben della gelosia s'agguaglia il gelo,  E va in guifo avanzando a poco , a poco  Nel tormentato petro il folle zelo ,  Che da ogni uomo l'afronde in chiuso loco;  Vorria celarlo a tutti occhi del Cielo.   Sem. Mà questa Publio potrebbe anche nalcere, quantunque la Prudenzas avesse avuto parte in detto matrimonio, Pub. Difficilmente, essendo che aves  reb  [ocr errors] rebbe ella saputo scegliere una donna saggia , che avesse colte fiınili ombre, quando fossero nate nella mente del marito, senz'occasione alcuna , e che non fosse ella stata capace di suscitarvele.  Sem. E come potrebbe far questo una donna?  Pub.Con fuggire ogni eccesso di vanità; insegnando S. Crisostomo nell’onilia 21. al popolo : Ornatus Zelotypia fuSpicionem ingerere folet; cd in appresso, che ; modeftia ornatus omnem improbar fufpicionem expellis, omni autem vinculo formius conjugium conciliat.  Sem. Vi sono casi seguiti di donne, ch'abbiano usata tanta prudenza?  Pub. Certamenre , che ve ne sono molti antichi, e moderni ancora: tra gli antichi , la moglie di Focione , di Trajano , & Alpolia moglie di Ciro, e di Arcasserse, e tra moderni. Madama di Chantal, come scrive il Padre Cordier uclla sua famiglia Santa , fu unan di quefte; posciache ella non G vede.rs giammai meglio vestita , che quando  [ocr errors] doveva trattenersi col marito; se doveva egli andar fuori, e fare qualche viaggio, non ornava mai il suo  corpo,  che quando cia di ritorno : le fu detto un giorno, troyandofi lontano da molto teippo il Barone suo marito: Madamas ogn'un crederà , ch'abbiate vendute le vostre velti, ed i vostri ornamenti, voi non li fate più comparire, come se dubitafte, che da alcuno dovessero esservi rubati: non mi parlare di questo rispose ella , pofciache gli occhi , a' quali devono piacerc,sono cento leghelungi di quà. Riferisce anche il medesimo, che la Ducheffa di Gandia Vice-Regina di Catalogna avesse una somma modederazione nel yeftiré, non curandosi di portare abiti di fera , nè con oro. Una delle sue confidenti prese parimente un giorno ardire di così favellarle: Madama di altro non discorre per tuttas questa città , che della riforina de' vostri abiti, pare', che sempre voi diveniate di minor condizione di quella, fiecc Aata ; più vi fi accrescono beni di  for  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small] fortuna, meno ve ne service ; cui rispose:2 ine non dà il cuore di portare nè seta, nè oro, quando il mio marito vas sempre ricoperto di un'aspro cilizio , ed in questo anche riflettere, quanto operi il buon'esempio del marito, per frenare la vanità donnesca.  Sem. E quelli, che tratta l'Ambizione senza l'intervento della Prudenzas, che fine fortiscono?  Mec. Pellimo, stante che, non verificandosi punto quanto s'era da essa promeso, li riinane con moglie deforme, ed indotata ; e di vantaggio ancora, è con molti figliuoli sulle spalle ; ed alle volte ancora privi di elli', senza speranza di poterli ottenere, per la poca falua te di fimile consorte .  Sem. Se vi avesse avuto mano la Prudenza, come si potevano fuggire queste disgrazie ?  Pub. Avcrebbe con maggiori cautele questa consigliato, cfaininando atcentamente, che fondamento potevano avere le milácate speranze; ç rinvenute  le  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] le acree, ed insuffiftenti, averebbe dilsuaso più costo, di effettuarlo ; ò per la meno nella dubietà di cffe averebbe assicurato meglio le buone qualità dellas donna, affinche'andando le speranze a male, fosse piinasto questo di certo : di aver una donna prudente in casa,la quale quantunquc povera , come vuole Salomone. Sapien's mulier edifcat domum fuam. Ne averebbe già permesso a Tiberio, che avesse sposato Giulia, las quale oltre il disprezzarlo, come non uguale a lei; ci faceva lecito di vivere a luo piacere; conforme riferisce Tacito nel primo de' suoi Anoali. Ne tampoco Silio averebbe sposaro Meffalina, vivente Claudio, se la Prudenza vi forse intervenuta:nè già di Claudio Mellalina sarebbe stata conforte.  Sem. E li matrimonj fatti dalla solas Avarizia, che danni possono apportarc?  Mec. Maggiori di quello, che vi potrete mai perfuadere; posciache in tali casi non li sposa già la giovane, mà bensi la dote i mercè che : veniunt à dote;di fagitta ; onde considerare voi, come ella ella sarà trattata dal marito, e che amoal  re le porterà; quando l'affetto non è inndi dirizzato alla moglie, ma bensì tutto  alinero interesse ; ed avvedutali effa di E essere posposta ad una cosa inanimatas,  che dirà, e farà mai, troyandosi ricBt ca ?  Sem. Bisognerà ben, che soffrá , I ftia focto l'ubbidienza del marito .. 1 Mec. Voi fempronio non avere letto  Anafsandro , e perciò parlare in cal # guisa , il qual dice,  Si quis pauper pecuniofam uxorem 1 Duxerit, non uxorem , fed dominam  habeti  [ocr errors]   Cujus eft famulus , de feruus ;  E credete forse , che quancunque paja-   no fortunati coloro, che prendono grof. u se dori, realinente siano sempre? Oh  quanto sono infelici ! come conobbs o anche Menandro con dire :  Quisquis uxorem unicam heredem cupit  adfcifcere Divitem ,is vel irasis pænamluit Diis,  Vel inf. lix effe vult s-sub nomine for  tunati. Sem. Gran cose si dicono da questi poeti, che fono favole; lo vedo, che le grosse doti arricchiscono le cafe.  Meca Li poesi son chiamati Vates da’ Latini, qual voce significa anche indo. vino, ed in questo ho osservato , che per lo più l'hanno indovinato; oltre di che tra efli vi sono stati Filosofi celebri. Io non nego, che qualch’uno prendendo groffe doti Gi sia potuto arricchire; essendosi però incontrato con moglie saggia; mà quanti li fono finiti di fpiantare per questa medesima cagiore, elsendosi abbattuti in mogli imprudenti?  Sem. E come ciò può accadere, prendendofi quantità grande di danaro in fimili matrimoni?  Mec. Per questo medelimo segue;po. fciache addolorato diceva Demenao. Argentum accepi ; dote imperium ven  didi. Laonde, comandando esse , sono capaci di darli fondo, con difsiparlo in bre  ale  fon ve tempo.; ed eccovi appunto il guadagno, che si ricava da effe.  Sem. Questo però seguirà , quando di incontreranno mariti, che non sapranno farG ubbidire.  Mec. Porrà accadere agl'altri ancora dicendo Giovenale;  Intolerabilius nihil eft , quam fæmina EI  dives, i Ed andare a cozzar con queste ? andate  le a riprendere; ed affinche Gate meglio  informato ; udite ciocche dice a questo & propofito Artemone,  fazio, ut fcias Quid periculi fir dotata mulieri convi  cium dicere. Si potranno con facilità maggiore reg. gere bensì quelle, che non averanno portata dote, come si ricava da un detto greco: Sponfa indotata non habet libertatem,  fiuè audaciam loquendi. Sem. Questo ardıre lo potranno avere forse le belle.  Mec. Lo hanno le brutte ancora re  [ocr errors][ocr errors] fa  [ocr errors] saranno ricche , e superbe , come vien riferito da Gellio , Me miferum, qui Corbulam duxi , &  talenta decem Nanam , mulierculam, cubitalem, cujus  Superbia adeò intolerabilis eft! Sem. Ed in che cosa potrà gettare il fuo la moglie, dovendo essere soggetta al marito?  Mec. Chi è ricca, come abbiam detto, non vuole stare soggetta ad esso; onde vorrà spendere a luo modo : se vedrà, che una sua uguale condurrà tre servitori, ella per la sua grossa dore, pretenderà condurne sei, bramerà anche gli abiti di inaggior valuta; Carrozze più nobili, e suntuose s e vorrà effe. refrattara in tutte le cose con magnificenza superiore alle altre; e se il marito non si troverà commodo di farlo, elibirà cfla medesima la sua dore , per fupplire a quanto bisogna ; e durando molto que, fta vita , anderà in malora la dore , con tutto il capitale del inarito . Or vedete , che fortuna s'incontra nel prendersi  grof.  [ocr errors][ocr errors] is grosse doti, e che svantaggi ne riceveranno da questa anche i loro figliuoli.  Sem. In questo io vorrei mostrare spirito, e farla fare a mio modo.  Pub. Vi voglio riferire un caso a quefto proposito assai curioso ; Una certas giovane, che si trovava ricca dote, la prima sera , che cenò col suo marito , non volle gustare cosa alcuna , e ftando in tavola molto contristata, le fù domandato ; da che ciò provenisse , e qual occasione la rendeffe così meftas,' ella rispose; come volete, che io man.  gi, se non vi è l'uomo nero, che ini ser1 va in tavola ; e non hò piatti d'argen  , proporzionati alla dote, che hò portata : il marito le rispose, che nel giorno seguente averebbe fatto trovare più d’un uomo nero, i quali l'avercbbero servita , come desiderava : fec'egli comparire nel tempo del delinare due mori ben neri , acciocche la servislero, s'icfierà per tal cagione la giovane a segno, che si levò di tavola , e nacquero da ciò infiniti disturbi tra di elli,onde vedete voi, Sempronio, che vantaggi risultano dall'essere risentito in fiinili contingenze: bisogna pregar Iddio, che la moglie ricca, sia ricca anche di senno, aliriinenti la casa andrà in malora , quantunque avesse portato il doppio di dote.  Sem. Hò udito sempre dire, che las metà della dore non si possa alienare, e che li fidecommiffi rimangono sempre in piedi; come dunque potranno seguire l'accennati dilapidamenti?  Mec. Il lusso però oggidì hà usurpato il privilegio di poter alienare ogni reliduo dotale, e di svincolare ancora ogni più stretto fidecoaimiffo .  Sem. Mà in che modo?..  Mec. Si fingono pericoli di case, che stanno per cuinare, e per tal cagione di toglie ogni più stretto vincolo, posto sopra i capitali: mà passiamo ad altro, perche questa è materia molto lagrimevole.  Sem. Talmente che a derro vostro re alla moglie ricadesse quaich'eredità;  con  [ocr errors][ocr errors] converrebbe rinunziarla, per non incorIf rere in fimili fventure ?  Mec. Muta faccia il cafo ; perche la moglie, ch'è vivuta qualche anno col marito, trovandosi molti figliuoli, ed a vendo già passato quei primi fervori del. le nozze , ne' quali si spende molto, non averà genio più a dissipare, ed effen• dosi assodata nel governo della casa, se  pur farà qualche sfarso di più , sarà con i moderazionc , e proporzionato al suo Itato,  Sem. Or io ho capito, come si abbia da scegliere la moglie, che sia di tutto proposito ; cioè nè povera , nè riccas, e che abbia più cervello, che bellezza,  acciocche non si abbia da dire di essaie : quello mi fu raccontato una volta, che  dicefle la scimmia , effendo entrata nella bottega di un arteficet, che lavorava modelli di cera, ove prendendo nelle inani una bella cesta, dopo di averla ac  carezzata, e baciata, mettendo den| tro di essa la mano, c trovatala vota  gridò: Oh che bella gefta, mà de manca il cervello !  K  Pube  [ocr errors] Pub. Or sì, che voi la capite per il suo verso; e scegliendola di questa forta allora sì, che farere forçunato, e potrete dire di avere presa una grandislima dote , conforme è succeduto a me: evi voglio raccontare ciocche ini seguì nel tempo , che io era sposo : mi fù domandato da un mio, amico, che dote io avca ricevuto, e trovandomi sodisfatto delle buone qualità della mia compagna , gli rispofi ; che credeva di aver ricevuto cento mila scudi ; rimase egli ammirato , sapendo , che io non eras folito di milantare le mie cole, nè fimile dote fi costumava allora, folamente mi replicò: in che corpi li avete ricevuti? cui soggiunfi, in contanti dieci mida, ed in giudizio il rimanente ; egli di pose a ridere; cd io non ho avuta sin ora occasione alcuna di contristarmi di ciò.  Sem. Desidererci ora sapere, che altri miali, poffa apportare la Bugia , concludendo etsa il matrimonio?  Mec. Se lo-traria di passaggio , non suolo apportare danni molto conlidera  1  i bili; mà se poi s'interna nelle cose cffen  ziali, guai a chi si fida di essa ; pofciache se ricoprirà i mancamenci d'una donna impudica a segno, che quel povero uomo, che la vuole sposare, la creda una casta Penelope ; effettuandolo diverrà infelice; e se vorrà fare com  parire le ricchezze dello sposo affai e maggiori, s'ingegnerà ben ella di pro:  curarlo, e con infolite maniere : che non ha fatto a giorni nostri in fimile afa fare! e arrivata fino a fingere le note dell'avere, nelle quali vi erano regiftra  ti molti crediti fruttiferi , senza il no* i me de? debitori; con pretesto, che si  celavano questi , perche , essendo fiignori di qualità, non volevano essere  nominati; e nebanchi ancora non è arrivata a fare apparire grosli depositi in  faccia di Tizio', i quali erano mere imei prestanze, che nel dì susseguente tor  navano a credito di Sempronio suo vefo posseditore?  Sem. Bisognerà dunque vivere molto caurclaro'nci trattati de matrimonj,per  K 2  non  [ocr errors] non essere dalla Bugia tradito sin  Mer. Udite di più : se una poverad giovane sarà ingannata da esla's facendole apparire il suo futuro sporo ricco; che tenga carrozza; si trovi las cafa ben fornita di preziose suppellettili, a segno che le faccia credere che quel partito sia una gran fortuna; cadendo. vi in effettuarlo, in un tratto si avvede. rà, che il cutto fù mera apparenza; pois che appena consumato il matrimonio, sparisce il palazzo incantato di Armida, e li cavalli, o carrozza tornano al fuo padrone ; : e per vivere conviene dar di mano alla sua dore, trovandosi il mari10 fpiantato. Vi voglio raccontare una storiella, nella quale scoprirete l'astuzia usata da uno di questi miserabili,che con inganni giunse a sposare una ricca giovane. Se ne stava egli nel giorno fta. bilito per le nozze penlierofo , e mesto, a segno che la Suocera si mofle a domandargli cosa egli aveva; cui replicò, che certamente non aveva cosa alcuna ; fco. perte, che furono di poi le fue miseric,G dolse leco la medesima, ch'era statas da esso ingannata ; replicò il ribaldo: fignora lei si ricorderà benissimo, che's  io le diffi nel tal giorno, domandando i mi cosa io aveva, che niente le replicai?  che occasione dunque ella ha da dolerlei dime , se le palesai la verità, con dirle', che nulla avea.  Sem. Accadono questi cali?  Mer. Cosi non accadeffero, anzi ve ne sono de'peggiori ancora.  Sem. E quali sono ?  Mec. Volendo la Bugia accasare un giovane deviato, che farà? comincie. rà a lodare il suo buon costume, la sua  modeftia, a fegno, che lo farà compa0  rire in iftato d'innocenza cadendo las  povera fpofa a credere questo, tuttaa  allegra acconsentirà, non solamente al  matrimonio, mà sicuramente ancoras  converserà seco; non dico altro, che  in breve diverrà un cadavero, median-  tc i quel malo ;-col-quale l'averà mal  concia.     Şom. Sono vesiquefi cali, Dottore?   Med  K 3  Med. Accadono, e non di rado;quando però liamo avvisati in tempo, diamo loro il suo rimedio ; ma allorche il malfattore vuol fare da Medico., la finisce di stroppiare con quei secreti, che talvolta averà egli in se medelimo provati , i quali applicati in una compleffione gentile, essendo rimedji mercuriali, potranno in vece di giovamento apportarle danno notabile.  Pub. Questi pregiudizj tempo fà non seguivano; imperciocche, se allora cal uno cadeva in fimili mali, îi faceva prima curare , e risanato, ch'era perfertamente prendeva moglie.  Sem. Talmente, che questa Bugia ne matrimoni cagiona danni molto confiderabili, ond'io procurerò di tenerlas lontaga allorche tratterò il mio accalamento.  Mec, Bisognerà, che stiáre però molto avvertito; posciachc comparirà travestiça; e sotto specie dį verità per ins gannarvi. Sem, Io fona un bell'umorcänon cres  derò  1121  N  derò allora all'istefa verità, per non di ingannarmi, giacche la Bugia fi vestu dei suo manto.  Mec. Alla verità conviene prestarlo d  fede in ogni tempo, mà però vi è il modo da discernerla, quando cssa sia pura , ò simulata.  Sem. E come?  Mec. Quando voi vedrete ingrandire le cose assai più di quello , che fieno ve. risimili, ivi ftà nascosta la menzogna, e datele la tara di due terzi meno di quello vengono rappresentate, che così di poco sbaglierete. E se vedrete poi in  alcune altre ufarsi artificj, c diligenzu u maggiori, di quello, che convenga,  per farvele credere, e voi togliete tre terze parti a ciò, che fi dice, e credete solamente quello , che rimane, che così l'indovinerere.  Sem. Dovendo io prendere moglie poco fastidio mi prendo dei difetti de  gli uomini , vorrei bensì sapere quei i  delle donne, da' quali doverò guardarini.  K 4  Mer.  [ocr errors] Mec. Nella ventura Conferenza farete istruito in questi.  Pub. Bisognerà fargli conoscere ancora le virtù di esse, affinche fappia difcernere quali siano le buono.  [ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] CONFERENZA VII.  Sopra i difetti, e le Virtù  delle donne.  Sempronio , Medico , Mecenate  e Publio ,  M  Sem.  I persuado Dottore, che niuno meglio di voi conoscerà les imperfezioni delle donne , effendo voi  meglio di ogni altro informato de' naturali, e tempera menci loro.  Med. Secondo il parere di Democri. to, le povere donne soffrono , per cam gione dell'utero, seicento mali di più degli uomini ; come si legge nella lettem ra da esso scritta ad Ippocrate', over Sexcentum arumnarum mulieri auctorSem. Io non voglio sapere da voi li mali dell'utero, ma bensì quelli dell'animo, non quelli, che sono ad effe di moleftia, ma quei che possono altrui ancora nuocere, conforme sono i loro vizj.  Med. Di questi ogni uno, che per qualche tempo le abbia trattate , ne può effere bastantemente informato . lotor110 poi al temperamento delle donne, vi poffo ben dire, che una volta fu promossa questa gran disputa ; qual foffe più caloroso, l'uomo , ò la donna, e dipoi essersi molto dibattute le ragioni dell'una, e dell'altra parte, fu detto, che quando la donna non fia di temperamento più caldo di quello dell'uomo , non si possa mettere in dubio che non sia più callida di esso ; cioè a dire più astuta  Pub. L'aluzia però, quando non è maliziosa, c fraudolenta, non entra tra i difetti deteftabili; dicendo Teren. zio in Andria i  Aftutum fallere difficile eft.  [ocr errors] [ocr errors] 201  [ocr errors][ocr errors] Onde questa può ftimarsi avvedutezžas,  Jodata dall'Ecclesiastico al 19. Aft ut us  agnoscit fapientiam.     Mec. Nelle donne però farà sempre  detestabile, non essendo quefte fcarse   di malizia, e d'inganni, al parerc di Se1  neca in Hippolyto : 1  Sed dux malorum foemina , d fcelerum          artifex,  E di Plauto in milite :   Quid pejus muliere ; atque audacius?    Quid? Nibil.  E l'Ariosto così ebbe a dire di effe         Non siate però tumide, efastofe  + Donne per dir,che l'uom fia vostro figlio,"   Che dalle spine nascono le roje,  E d'una ferid'erba nafce il giglio.  Importune', Superbe , e dispettose  Prive di amor; di fede , e di consiglio;  Temerarie , crudeli, inique, ingrate ,  Per peftilenza eterna al mondo nate.   Pub. Piano di grazia , Mecenaco; cliente perche parlando in tal guifa', correcc  pericolo di essere lacerato dalle donne  come fucceffe ad Orfeo, di cui parlaw   Pla  1  Platone ne' suoi simposj. Per tal unas, che sia stata cattiva tra effe , con questo vostro modo di parlare cosi generale, pregiudicate a tante illustri femmine degne di eterna memoria, anzi che as vostra madre medefma, e con essa a voi ancora. Leggere,le opere di Cristina Pisana, è di Lucrezia Marinelli, che troverete ivi, quanti più iniqui, escellerari uomini vi sono stati, che donne ; onde ci comple stare cheri; e tanto maggiormente, che le donne cattive, fono appunto come le vipere, le quali, sc non vengono compresse, o con altri modi irritate, non mordono già , nè avvelenano; ina gli uomini perverfi, non sono già così, assomigliandoli al lupo quel detto greco: homo homini lupus: da cui non giova punto l'allontanarsi ; perche ello va cercando di danneggiare. E parliamo con tutta sincerità; avete voi veduto mai alcuna donna andare di. predando i.paffaggieri per terra , ò per mare, conforme, fanno gli uomini E giacche avere apportato l'Ariosto con  [ocr errors] 1  [ocr errors][ocr errors] tro di esse, perche non riferite ancoras el ciò, che dice a loro favore? che apporDe tai nella conferenza quinta, ch'è appunto :  E di fedeli , e caste, Saggie, e forti  State ne fon ne pur in Grecia,e in Roma; ti Ma in ogni parte , ove fra gl'Indi , 6       "gl’orti  Dell'Esperide il fol spiega la chioma,  Delle quai sono i pregi, e gi’onor morti,  Si ch’appena di mille una fi noma ,  E questo, perche avulo hanno a lor sempi   Iscrittori bugiardi , invidi , empj. E finalmente doverebbe bastare ciocche dicono Socrate, e Platone di esse per  frenare la lingua di chi ne dice male, 1  cioè, che sono capaci molce di effe d? amministrare la republica ancora .  Mec. Bisognerà dunque credere, che le donne non abbiano difetti, per non  pregiudicare a qualcuna , che tra esse fia ed Itata buona?  Pub. Io non pretendo difendere les cattive , ma fulamente cancellare lo buone del numero di queste, nè voglio  fcu  1  scusare i vizj, chc insidiano le donne ; ma se le Virtù non isdegnano di accompagnarsi con effe, come posso tenerle çelate in pregiudizio di cante? e precisamente di quelle di cui l'Ecclesiastico al 26. ne fa gloriosi encomj,chiamandole : Lucerna splendens ; columna aurea super bafes argenteas ; fundamenta æterna: Laonde , Mecenate, non dobbiamo in conto alcuno dir male delle donne; poffiamo bensì censurare quei difetti, che le perseguirano; perche facendo in tal guisa non fi potranno dolere di noi le buone , le quali non danno a' vizj ricerto; no tampoco, se taluna cadeffe a darglielo, farà contro di noi risentimen. 10 alcuno, per non dichiararsi da se medelima viziosa : e regolandoci con que. Ita norma faremo conoscere, che non odiamo le donne, ma bensì quei vizj, che da loro medefimc debbonli odiaren come loro capitali nemici.  Sem. Iftruitemi dunque, Mecenate, sopra questi vizj, scorgendovi molto informato di effeMec Di alcuni ne fono informato; ma cutti tutti io non li so: perche mi fido' guro che siano tanti appunto, quanti so. i no i caratteri Cineli: vi posso riferire li  più principali , che doverebbe fapere ogni marito, per potersi ben regolares scorgendoli nelle mogli. Il primo di  questi è la Vanità, la quale ha un gran i seguito di altri vizj, a se fubordinati,  mà cominciamo ora da questa, che die ď poi parleremo degli altri.  Sem. Che cosa è precisamente, ed in che consiste questa vanità? :)  Mec. Credo, che fia un vižio, tanto in esse, quanto negli uomini effeminati, diretto a procurare ftima maggiore, che competa loro in genere di bellezza.in c. 10,4:19.fi  Sem. Spiegatevi di vantaggio affinche possa comprendere meglio quanto avete detto.  Mec. Ciocche dilli mi pare chiaro', con tutto ciò mi spiego più diffusamente , e dico: che se una donna, ò-un uomo effeminaco deformi procureranno  pre  all  prevalersi di superfui abbellimenti a fine di comparire belli, pretendendo das ciò ricevere stima maggiore nel concetto delle persone intorno alla loro bel. lezza. Questi saranno vani.  Sem. Dunque le belle non saranno vane, non avendo d'uopo di fienili abbellimenti.  Mec. Ponno cadere queste ancoras in detto vizio ; quando paresse loro di non essere tanto belle, che abbiano a rapire il cuore di tutti, e perciò effe credessero colla vanità di potere diveairvi a quel segno.  Sem. Come fono numerose le donne di questo genio?  Mer. Poche sono quelle, che non lo abbiano ; la moglie di Publio è tras quefte, che odiano la vanità.  Sem. E che! la vostra moglie, Publio, non si ornava, come le altre , quando era giovane ?:  Pub. Si ornava in quella forma, che io desiderava, a fine di compiacermi,non già per fare pompa di fa con altri.  Sem.  [ocr errors][ocr errors] 1  1  Sem. Come vi contenevate per firla di perseverare in cotal guisa? posciache a  alcune per breve tempo incominciano a farlo, mà dipoi vedendo le altre , che  fi adornano, b-lasciano trasportare dal i mal costume anch'efle  Pub. Avevå ella fomma venerazione alle fentenze de' Santi Padri, ed affinche meglio le comprendeffc, l'erano da me spiegate : onde adducendole sopra ciò quella bella sentenza di S. Cipriano, che dice : Non eft pudica, qua affeet at animum "altorius movere , etiam Jalva corporis caftitate ; fi afteneva ella perciò dal vestire con pompa, dovendo uscire di cafa,  Sem. Se faceffero tutte cosi, andrebbe la maggior parte assai positivamente  vestira ; imperciocche li mariti per non u ispendere, non direbbero già loro, che  fi ornassero, e studierebbero giorno ,' notte fentenze contro la vanità.  Mes. Che male ciò apporterebbe loro 2 Sem, Non altro, che si farebbe di ef  fe oggidì poca ftima; essendo che, chi non fa la lụa comparsa, come le altre, non è punto contiderata ,  Mec. E te taluna la faceffe con inde. bitarti, chi sarebbe di queste due più considerata , la yana, ò la modefta?  . Sem. Certamente quella, che più di ornaffe, perche niuna và cercando, come questa comparsa si faccia , effepdo molto noto quel detto : Unaè bibe'as, quaris nomo, Sedopor.  tet babere. Mec. Si cercano, come anche voi di. ceste, più i fatti altrui oggidi, che i proprj; onde per questo motivo yi ammetto, che sarebbe più considerata la ya-na , che la modefta; e poi quando quefti non si cercassero, non credo già, che i mercanti vogliano donare il loro; onde dipoi,che averanno aspettato un pezzo, forzati a domandare giudicialmente il loro nelle publiche udienze vi pare, che possa stare celato? ell'essere conf. derata in questo modo, vi pare, che posla apportare decoro , ò vituperio?  Pub,  [ocr errors][ocr errors] d  Pub. Senza queste vostre rifellioni, di forma cattivo concetto delle vane solamente a rimirarle, şi era ornata Thamar c deposti avea gli abiti yedoyili  più modefti, e Giuda quando la vide i in quella forma, che concerto ne fè di  effa? Suspicatus eft efe meretricem: Genef. 38. vedere dunque yoi, Sempronio, come sono considerare le vane da parenti anche più congiunri?  Sem. Dicemi, che altro pregiudizio apporti questa yanicà ?  Mec. Quando esce fuori de' suoi limi. ti, hà due altri vizj, che per l'ordinario noll'abbandonano, e sono la prodi. galità, e l'impudicizia  Sem. Sono queste certamente due peflime compagne, le quali possono apportare gran male, infidiando alla ro. ba, ed all'onore; mà è seguitata da alţri vizj?  Mer. E più correggiata la yanità das cu efli, di quello sia un Generale di esser  cito da 'suoi Officiali, posciacche 120 fuperbia, l'invidia, il dispreggio, l'ineganno, con molti altri di questa perversa natura, a vicende la servono, onde chi è vana, è anche superba , invidiosa , dispreggiatrice, e fraudolenta, tramando sempre inganni, e frodi.  Pub. In conferina di questo, diffe S. Crisostomo. In Gen.fim Homilia 41. A corporis cultu innumera frunt mala , arrogantia, que intus nafcitur, defpectus proximi , faftus spirisus, animą corruptio, voluptatum illicitarum fomes &c.  Sem. Questa vanità fino a che segno potrebbe tollerarsi nelle donne?  Mec. Sarebbe certamente indifcreto quel marito, che non tollerasse alla moglie giovane una mediocre vanità, quantunquc da questa fi poffa facilinente fare passaggio alla grande ; dee bensi per tema di ciò egli ftare vigilante, affinche non trascenda questa i suoi limiti, li quali le vengono prefissi dall'onesto: e lidee questa tollerare ancora, affinche s'inducano alcune più facilmente a pren. dere marito. Pub. Sant'Agostino riprese rigorofa  men  [ocr errors] [ocr errors] mente Eudicia per voler andare troppo ncgletta nel vestire, e le fè incendere, che averebbe dimostrata umiltà maggiore con ubbidire a suo inarito , che a vestirsi di panno vile, per lo spirito di contradizione , esclamando il Santo :  quid absurdius, quam mulierem de bumi. I li vifte  fuperbire ? Sem. Come li conoscerà, che questa trascenda i limiti prefilli dall'onesto a    Mer. Allorche una donna vorrà rico-  prirsi di gioje, e di oro, e quello è peg.  gio, senza riflettere se le sue entrate lia-  no sufficienti a poter fare tante spele,  venendone di ciò ripresa da Ovidio poe-  ta lascivo, dicendo:    Quis pudor eft cenfus corpore ferre          Juos?  Ed altrove.   Gemmisque auroque teguntur  Omnia , pars minima eft ipfa puellae          fui.  E Properzio dice anche di più.    Matrona incedit cenfus induta nepa-        tum   Pub.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] L 3  Pub. Seneca al 7. de Benef. dice ancora : Video uniones non fingulos fingulis auribus comparatos; jam verò exerci14 aures oneri ferendo funt ; junguntur interje, & infuper alii binis fupponuntur Non faris muliebris injania viros fubjegerat , nifi bina ar terna patrimonia auribus fingulis pependisent. Ma meglio di ogni alero S. Ambrogio : De Nabut. Ifrael. cap.s. lo fa capire . Dele&tantur compedibus mulieres dummodo auro ligentur non putant onera effes fi pretiofa funt: non pusant vincula efi, fi in iis shefauri corufcant : delectant de vulnera , ut aurum auribus inferatur, do margarita depen. deant c. E finalmente conchiude . Non parc unt dispendio , dum indulgent cupidisati. Laonde fantamenre dice l'Ecclefiafte ; Averre faciem tuam à muliere compta.  Sem. Må se sarà nobile , non potrà fare di meno, quantunque le sue rendi. te foffero tenui, di non ornarsi pomposamente, vedendolo praticare da chi è mcno дobile di ella.  Mece  [ocr errors] Mes. Ditemi per cortesia, forle che questa sua nobiltà, senza danaro, potrå fodisfare il costo di tante pompe?  Sem. Mi perfuado che nòsmå pare una certa cosa, il comparire meno delle alo tre, alla quale, chi è nobile non si può accomodare. Mec. Anzi queste , per  fár comparire maggiormente la loro nobiltà, non doverebbero soggettarsi a cose vandag per far conoscere inlieme, ch'essa rin fplenda assai più dell'oro, e delle gioje. Sencite, ciò che diffe a tale proposito la saggia moglie di Focione ; come riferisce Plutarco nella di lui vita. Şi trovava un giorno questa illuftre Dama ins conversazione di altre donne, ornate tutte pomposamentes vi fu chi le disse: perche non era venuta essa ancor adornata come le altre, cui rispose : che le bastava per ornamento la virtù di suo marico, al che non seppe che replicare la più curiosa, e vana delle altre.  Pub. A questo proposito dice Aristocile, che il buon ornamento nelle don  ne', non debba già consistere nella pompa, mà bensì nella modeftia, e nel modo onesto, e decente di vivere ; il quale fu da Aspasia praticato, come riferisce Eliano , quantunque ella avesse avuto per  mariti due gran Monarchi; cioè Ciro, & Artafferse, ciò non ostante fi feppe ella così bene guardarc dalla soverchia curiosità, e pompa, che recò am mirazione a tutto l'universo. Elodando Plinio la moglie di Trajano, non seppe apportare fatto più glorioso di queIto a suo favore: che di efferli, come donna mantenuta sempre lontana dallas vanità superflua.  Sem. E se l'entrare fossero sufficienti, potrebbe dirsi vana una, che trascendeffe i sudet i limiti?  Mec. Se la vanità non fosse unira col. la prodigalità, forse che in questa, se non trascendeffe molto, sarebbe rollera bile, ma il vizio della prodigalità non le permetterà moderazione alcuna; posciache: Prodiga non sentit pereuntem fæminas fenfum. E poi credete voi, che'l fine, per cui fi orna a quel segno, fia sempre onesto? non lo credetre già Seleuco , quel gran Legislatore de' Locri, il quale fè quefta legge; che non fosse permesso ad altre donne di ornarsi pomposamente, se non a quelle che volevano amoreggiare, e fare anche di peggio; e sappiare , che, fù questo un gran rimedio contro la vanità; posciache divenne quel Dominio per qualche tempo modeftiilimo, spor gliandosi le donne delle loro fupes Aves pompe. Quindi è, che da saggio padre operò Lisandro, come riferisce Plutara co, con rimandare a Dionilio tiranno le preziose vefti, che aveva mandate in dono alle sue figliuole, con tutti gli altri ornamenti; con fargli incendere; che averebbero più tosto tali ornamenti viruperato le sue figliuole, in vece di or. narle.  Sem. E le ricchissime, che non soggiacciono al pericolo d'impoverire,perche non poffono fare tutto quello sfara fo, che bramano?  1  [ocr errors] tutte  Mec. Non tutto quello, che si può, è convencvole a farli. Giovanna di Navarra consorte di Filippo il Bello, trovandosi in Burges, mortificò molte Dame, che andarono a visitarla con abiti sontuofiffimi , dicendo loro. Credeas effere in questa città io solamente la Reging, mà ne trovo mille.  Pub Chi brama servirsi bene delle proprie ricchezze, non dee impiegarle per  fodisfare le sue voglie, ed in cose superflue ; dee ancora pensare and quelle, che sono maggiormente necef• farie, che ornano l'anima, come insegna S. Cipriano dicendo : locupletem te effe dicis e utere divitiis , fed ad bonds are tes; divitem te fentiant pauperes &c.  Sem. Se taluna fosse deforme , potrebbe ornarli più dell'onesto per comparëre bella e  Mec. Faccia pure quanto può la deforme , che fempre scoprirà di vantage gio la sua deformità; e guai a quelles, povere damigelle, che vi harno a conbattere, perche rimirandofi allo fpero  [ocr errors]  chio, deteriorare più costo con quelli   abbellimenti, che li pongono, si per-  suadono, che per difetto di effe ciò deo   tivi', non sapendo bere addattarli, ed  a questo proposito cosi parla Giove-  nale,     Quid Pfecas admifit , quænam eft culpa        puella  Si tibi difplicuit nasus tuus?   Sem. Consideriamo i sarti quanti rimproveri riceveranno di vantaggio  Mer. Vi fù uno di questi gli anni scorfi, che avendo portari alcuni abiti ad una ricca, e deforme, ed allorche se li provava , diffe, che non erano ben fata ti; perche non le stavano bene al viso ; quel povero uoino vi ebbe un pezzo fof. ferenza, må alla fine le disse : Signora io gli ho fatti a misura della sua vita , alla quale vanno benissimo , non già del suo viso; onde questa non è colpa mia , mà deila natura, se non stanno bene  ad effo.  Sem. E le brutte, è belle, che siano adoperando i bellectiglo fanno per vanitá a  Moc.  Mec. Questo certamente è molto dubioso; posciache, se lo fanno per essere stimate più belle, s'ingannano, mentre ogni uno, che le rimira, le tienes per copie mal dipinto, non già per ori . ginali, e voi sapete ; quanto lieno più  timati gli originali delle copie, quantunque pajano ben colorite; e poi quel mal odore, che tramandano quegli unguenti posti sul viso, come le possono rendere amabili? ed udite Plauto, come ne parla, Vei fefe sudor cum unguentis fociavit  illico, Ibidem olent, quafi cum una multa jura  confundit coquus, Quid oleas , nefcias ; nifi id unum male  olere intelligas. E Giovenale così dice: Interea fæda aspectu , ridendaque's  multo Pane tumet facies, aut pinguia popeana Spirat, hinc miferi vifcantur Labra  marici. Ed in appresso;  Tal  Tot medicaminibus , coctaque filiginis       Offas  Accipit , & madido, facies dicetur anni   ulcus ? E guai a queste se intervenissero al giuo, .co, che inventò Frine, riferito da E rasmo lib. 6. Apophtegn.pofciache si troverebbero confufe, e mortificate. Ef sendo ella in conversazione di donne; tra quali ben si avvide effervene non poche bellettate , introdusse il giuoco del1e penitenze, uscendo a forie chile doveffe comandare; e toccando a lci, ordinò, che fosse portato un gran carino pieno di acqua', e che ciascuna dovesse ja varsi il viso, come ella faceà ; 'non poterono le altre scufarfi, effendoli'impegnate ad ubbidirç, e ne seguì da ciò tal metamorfofi,che li domandava il nome ad alcune non riconoscendosi più per quelle , ch'erano prima.  Pub. Bisognerebbe , che leggeffero S.Ambrogio : Examer. 6. cap. 8. per illuminarsi, ove dice : Deles picturam' mulier , f vultum tuum materiali candore,oblinius, fi acquifito rubore perfundas : ila la pi&tur a via, non decoris eft ; illa pi. Eura fraudis , non fimplicitatis eft ; illance pictura temporalis eft, aut pluvia, aut Judure fergiiur : illa pi&tura fallit, de ripit, ut neque illi place as , cui placere de  laderas , qui:nielligit non tuum, fed alicnum effe, quod placeas, & tuo displiceas auctori , qui vidiet opus fuum efl deletun; ed apporia inoltre, lib.i. de Virginibus, un dilema affai calzante a questo propofito, dicendo, fepulchra es, quid abscomderis? fi deformis, cur te formosam effe mentiris? neç tud conscientia , nec alieni gratiam erroris habitura?  Şem. Lo faranno çalvolta le bruite per ricoprire ļa ļoro deformità.  Mes. Quanto s' ingannano queste; posciache in vece di ricoprirla più costo in tal guisa la rendono palese a tutti; cfsendo che non potendo mai fare in modo, che non si conosca ciocche di più del naturale si sono poste sul viso, das Joro medesime si discuoprono per defore mi, çon pregiudizio anche delle bells,  Şe  [ocr errors] [ocr errors] se ciò facessero; perche saranno queste ancora credute di ayere difetti tali, che abbiano d'uopo di essere ricoperti; E se poi la deformità proveniffe dall'improporzione delle parti, che non è male da biącca, come la potranno rimcdiare? posciache converrebbe in tal calo inventare il modo da profilare mcglio il naso, ristringere la bocca, e di slargare la fronte, ed a questo non potendo ațrivar esse senza maggiormente deformarli, perche dunque li pongono a garreggiare col Divino Artefice, che così le formò per fini a lui ben ooti?  Sem. Hò udito però, che quelle, che cadono in fimile errore, sia impoffibile, che possano più aftenersi dal non farlo, e queste in che modo le coayincereste Publio?  Pub. Sono certamente infelici quelle donne, che non piacciono a se medefime , come disse S. Cipriano , de Bon. Pud. femper eft mifera, que non fibi places qualis eft. Onde queste difficilmense potranno convincerli; con tutto ciò,  quan:  Tollens ergo  quando' mai godessero un momento di mente tranquilla , domanderci loro, se amano più la bellezza dell'anima, è quella del corpo, e dicendomi, come è più verifimile , ch'amino più quella dell'anima , apporterei loro ciocche dicc S. An:brogio : in Examer 6. cap. 8.  ergo membra Ch ifti faciam membra meretricis? Abfit, quod fi quis adulteret opus Dei; grave crimen admittit , grave eft enim crimen , ut pures, ut melius te bomo , quam Deus pingat . Grave eft , ut dicat de te Deus, non cognofco 16lores meos , non agnofco imaginem meam, non agnofco vultum, quem ipse" formavi, Rejicio ergò quod meum non eft , illum quare, qui te pinxit , cum illo habeto confortium , ab illo fume gratiam, cui mercodem dedifti. Quid refpondebis ? ed udite ancora quanto lo detefta S. Cipriano de Habit wirg. Manus Deo inferunt quando illud, quod ille formavit, reformare,  transfigurare contendunt , nefcientes quod opus Dei eft omne quod nafcitur:Diaboli, quodeumque mutatur ac, tu te exi,  Jimas impunè Laturum tam improbare meritatis audaciam Dei artificis offenfama Ut enim impudica circa bomines, du inn cefta fucis lenocinantibus non fis ,' corruptis, violatisque, qua Dei funt péjor adultera derineris dc.  Sem. Quelle, che fi bellettano, mi persuado certamente, che non averanno uditi gliaccennati sentimenti di queisti Santi; perche in verità, sc riflettes sero attentamente a ciò , che questi di cono, fi alterrebbero dal farlo; mà vor: rei sapere in oltre da voi, Dottore, se pollano queste lordure, che si pongor Ho le donne sul viso, essere di nocumento alla loro salute?  Med. Sono senza dubio molto dannosi; perciocche se il tingerfi solamenrei capelli ha apportato a molte la mor- to, come riferisce Gal. de comp.medic. fec. locos , cap.3. de tinet.capil. oye dice: Non folum enim in periculo verfatas fape frio -fæminas ; fed mortúas ex perfrigeratione capitis per hujufmodi pharmaca induéta , Ed Aczio parimeate afferisce , libr. 6.  M  CAP  1  cap: 57. di averne vedute morire alcune per tale cagione apoplettiche, e tabide; quanto più facilmente potranno es. fere danneggiate da cosmetici , ne' quali entra il solimato? E posso io asserirvi di avere veduta più di una di queste divenute , ò asmatiche, ò apopletriche, à paralitiche, ò idropiche in érà proverra; senza poi quel danno, che suode recare in gioventù a tutte , ne' loro denti ; e gignive; nè preftino fede a coforo, che fabricano belletti, quantun. que dicano di averli fatti fenza folimato, poiche le gabbano.  Sem. Si che dunque aon gioveranno ne per l'anima, ne per il corpo? Mas come si doveranno regolare i poveri mariti , fe queste fi oftinaffero in voleres tutte le cose alla moda 2  Mer. Io non farei altro, che spiegare loro i seguenti vèrsi di Properzio ar. vocato di effe : * Quid juvat arnato procedere vitta ca  pillo  Et tenues Cos vete movere finns ?Aut quid orontea crines perfunderes      mirra?  Teque peregrinis vendere muneribus ?  Naturęque decus mercato perdere cultu?  Nec finere in propriis membra nitere   bonis estir's Ed altroye: Nunc etiam infectos demens imitance  Britannos Ludis, o caterno gincta colore caput, E soggiunge :  Ut natura dedit, fic omnis recta figura,  Turpis Romano Belgicus ore colar E Plauto ancora, che pone in derisione queste  tante variazioni di mode : dicendo in Epidico  Quid ifta ? Quo quotannis nomina in      In veniuntur noua  * Tunicam rallama tunicam spilam    Linteulum, Cæcisium,  Indosiatam, Palegiatam. Calšbulan,   aut Crocotulam. er. Pub. Allai meglio facente, Mecenate, a fare intendere loro ciò che dice San Cipriano dihi de babitu Kirginum ; ovewi  .  Ceterùm fi tu te fumptuofiùs cumas, per publicum notabiliter incedas , oculos in se juventutis illícias', fufpiria adolefcentum poft te trabas , concupifcendi libidinem nuFrias, peccandi fomitem yuccendas, ut fi ipfa non pereas, alios tamen perdas, velut gladium te, du venenum videntibus se prabeas * excufari non potes , quafi mente cafta fis, do pudica s redarguit te cultus improbus id impudicus ornatus , conforme lo fa conoscere Aufonio in Delia, od ei Delia, nos miramur ,'eft mirabile ,  quod tam Diffimiles eftis ruque , fororque túa ; ?> Hæc habitu casta , cum non fit caffats  videtur, Tu preter cubium nil meretricis habes. Cum caffi nores sibi fint , buic cultus  honeftus, Te tamen, cultus damnat, caftus  cam.  Sem. Parfando ora all'ira , queltas noir mi pare, che abbia tanto dominio i nelle donne, quanto negli uomini, aven  do  [ocr errors] do veduto adirati più questi, che quelle alcune volte, che mi sono abbattuto seco in Gimili contingenze. x  Mec. Non doverebbero certamente le donne adirarfi ; pofciache divengono allora talmente deformi , che più non si riconoscono , .quanto mai li erasfigurano; onde avendo effe in orrore la deformità, doverebbero anche odia. re la cagione di essa ; Ma yoi , Sempro, nio, le averete facilmente trovate in bonaccia, non già in tempo di furore ; e perciò dite, che vi pajono gli uomini più colerici di esse; fe però vi foste abbattuto nel vedere adirata Ja moglie di quel povero, Grammatico riferito lepidamente da Ausonios diversamente para lcreste ; mentre di essa cosi dice: Anma', virumque docens, atque arma  virumque peritus':' Non duxi uxorem , fed magis arma do  1  ܢ ܀  Namque dies fotos y Botafque ex ordine  ! noctes :: Liribus oppugnat a, meques meumque  Ata  [ocr errors] M 3  giam !  Atque , ut perpetuis dotata à Marre  duellis risin Arma in me follit , nec datur ulla  quies: Jamque repugnanti dedam me, wide  nique victum Jurget ob hoc folùm, jurgia quod fuOltre di che Salomone, che non 'mentisce, dice ancora: non eft ira fuprà iram mulieris .  Sem. Non saranno però ofinate les donne, che averanno i marici più rifenciti di effe , e non tanto buoni, come era il sudetto Grammatico? 0:0,  Mec. L'oftinazione alle volte liavanza tanto in effe , che le rende incorre. gibili, come comprendercte ancora dal feguente avvenimento riferito dal Poga gi. Vi fu una di queste» che dopo ave. rc ricevuto moltisms bastonate da fuo marito, non potendola far ritrattare dall'ingiuria, che gli facea, chiamaadolo pidocchiofo,la calò anche nel poz . 30, fin tanto che poteva parlare sem..  pre  [ocr errors] pre fu percinace nel medesimo disprego gio ; finalınente, avendo anche la te. ita fommersa nell'acqua, colle unghie de deti grosli soprappoftę gli faceva cenno di quello , che averebbe colla voce pronunziato , se avesse potuto Oltre di che il vizio della vendetta facilmente di collega con esse, dicendo : Giovenale:                    Vindicta  Nemo magis gaudet , quam femina.   Sem. Le finzioni, e le menzogne and che segno s'internano acll'animo dona, nesco ?  Mec. Nelle donne scaltrite più affai, che nelle milense:Ben è vero però,che se s'incontreranno in mariti accorti, apporteranno loro gran danno le proprio finzioni, e menzogne; come appunto seguì alla moglie di Teodofio à allas quale avendo egli donato un pomo di eccessiva grandezza , volle ella gratifi care con esso uno de principali Signori della corte, il quale due giorni dopo mandollo in dono all'Imperatore ;quantunque mostrasse apparentemente di gradirlo n'ebbe per ò egli intern rammarico;perloche essendo cornato dipoi dall’Imperatrice, domandandole, se riteneva più quel bel pomo; gli rispose, che lo aveva mangiato, ed avendola pregata, che avesse fatta matura riflessione a quanto diceva, ella ostina. tamente confermava il suo derto; allo. ra l'Imperatore per convincerla lo fè portare in sua presenza, ele disse: Voi Giete una finta donna ; ne mostrò in av. venire feco più confidenza .  Sem. Hò uditi con molto mio rammarico i difetri donnefchi; consolatemi ora voi, Publio, con riferirmi le Virtù delle donne, ed in ispecie qvelle, che ponno apportare profitto alli mariti. & Pub. La Prudenza, e l'Amore Gince. ro sono le principali virtù, che debbono risplendere nelle mogli.  Sem. Ma di queste Virtù sono capaci Je donne? Pub. Non può dubitarf di ciòyinenero  le  le ftorie non solamente profane, ma faa cre ancora lo confermano, e presentemente vediamo anche risplenderé mole cisime di effe con fimili virtù.  Sem. Perche duaque fi dice tanto ma le delle donne  Pub. La cagione di ciò la trovo in Euripide, il quale dice:  Miferrimum eft muliebre genus , femel  Nam , quæ peccant etiam immeritis   Dedecorifque funt mulieribus, com   municant vituperium, Mala non malis , Ma questo, e un abuso grande, ed in. giusto posciache contro di noi altri uomini non si costumà addollarsi a' buon il vituperio de' cattivi, e qual ragione dunque vuole, che ciò militi contro di effe ? Ovidio però le difende da tale in. giusta maledicenza con dire:  Parcite paucarum diffundere crimen ist  Spectesur meritis quaque paella fuis.   Sem. Voglio credere che donnes prudenti vi siano ffate ayendo udita  rasa  omnes :  raccontare molci saggi farci delle Porzie, Cornelie , Paoline, e  Paoline, e di altre ; Mà di queste , che con amore sincero abbianoamato i loro mariti vorrei udirne riferire qualche altro csempio per meglio accertarmene.  Pub. Vi posso fodistare in questo picnamente, e principiando dal grande, e fincero amore', che mostrarono a loro mariti carcerarile donne Spartane;men. tre queste andando a visitarli li ferono vestirc de iloro abici, ed effc rimasero carcerate: pafferò poi a riferirvi, ciocche fè Cabadis Reina di Persia, la quale parimente liberò suo marito carcerato con vestirâ ella de' suoi abiti, e rima. nere priva della sua libertà , c vita ancora · Riferisce parimente il Tarcagnota un fatto molto riguardevole a tales proposito. Avendo ottenuto per capi. tolazione di uscire solamente le donne dalla città di Vespergia cariche di quello, che più loro piaceva, abbandonando queste oro, e supellectili preziose, she avevano, trasportarono sulle spal.  le  [ocr errors][ocr errors] le i loro più congiunti. Ed udite finalmencé un esempio singolare dell'amorce sincero di una saggia Regina, riferito dal Padre Cordier · Roberto Re della gran Bertagna si trovava ferito con una laetta velenata , fu giudicato da’Medici per unico riinedio il farla succhiare da cui avesse voluto esporre la propria vita, per salvare quella del Re ; la Regina sua moglie fi mostrò prontislima di farlo, ma non voleva in conto alcuno il Re permetterle, che si esponesse a tal pericolo. Chę fè l'amorosa moglic ! aspetto, che fosse addormentato , ed allora appunto, sciolta la ferita , succhiolla intrepidamente, e con tanto felice successo, che rifano il Re, senza riportarne nocumento alcuno l'amorosa Consorte...  Sem. Persevereranno queste prudenti, ed amorose consorti semipre nella. medesima forma ?  Pub. Se faranno i mariti prudenti in faperle bene diriggere, lo fåranto, come udirete nella seguente ConfeTenzi.  CON  CONFERENZA VIII.  Come si debba regolare l'uomo    colla moglie scelta di ottime   qualità.  Sempronio , Publio, Mecenase ,  e Medico  M  Som.  perfuado, chief sendo la giovane di ottimi costumi,non civoglia grandparte nel regolarla, po  sciacche da se mca delima sapra ben governarsi.  Pub. Non è già così , Sempronio ; quantunque sia buona, ci vuole anche attenzione in reggerla , affinche non divenga cattiva , perche conforme fi dice, che prendendo marito, muci sta10, può anche cambiare costume; im,     [ocr errors] L2perciocche il corso è di molti anni, é fi dee navigare in un mare, nel quale s'in. contrano de' scogli, e continuando la metafora , descrittami da quel vecchio, che la donna sia la nave; questa quan. tunque non abbia difetto alcuno, da se fola, e senza chi la indirizzi, a fola di: screzione de' venti , che sono i suoi pen• ficri, non può giugnere al defiato porto della felicità , onde conviene, che l'uomo faccia da nocchiere, e non dor ma; quantunque fia bonaccia..  Sem. Infegnatemi, dunque come do. vrò regolarmi, per non errare?  Pub. Potrò riferirvila direzione del la quale io fteffo mi sono servito, eve: drete, fe questa vi aggrada. ' Sem. Avendola voi posta in esecuzio. nc felicemente, poffo fperarne anch'io profitto.  Pub. Ebbi alla prima quest'avverte11za di non addomesticarmi seco in ecceso fo, ma solamente, quanto bastava per -farle conoscere, ch'io l'amava , c perciò la rispettava , ferviva, ed oporava s  mà  mà çon tenere sempre un tale qual den, coroso fuftegno. Procurava in oltre, ché non iscopriffe il mio debole, c per fare prova del suo afferto, di quando in quando, mi facea da essa scorgere penberolo, ed alle volte ancora alquanto mesto: non li assicurava ella di ricerca. fc la cagione di ciòs solameore dopo qualche giorno, faccosi animo, mi diss fe: Signore, yorrei vedervi allegro, comc debbono essere i spost ; fe poffo io sollevarvi in cosa alcuna , eccomi pronta': comandatemi, ed indirizzatemi che non ricoferò di obbedirvi . Mi senti a tale corcese offerta immediatamente giubilare il cuore, e le rispoli con faccia ilare : Signora viringrazio delle obliganti esibizioni, che voi mi fate, u vi afficuro , che me nc prcvalerò, avendomi molto sollevato con questo voftro -corcese parlare : E guitai immediatamente di quella confolazione registrata nell'Ecclesiastico al 26. Gratia mulieris -Sedula delectabit virum fuum, copaiba ljus impinguabit .  Sem.  6  [ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse entrata in sospetto , che voi non l'aveste amata?  Pub. Questo non poteva crederlo perche, come diffi , la rispettava, cd onorava con particolare artenzione ; cd essendo ella prudente, ben fi avvedeva, che della sua persona era sodisfattiffimo;  sospettava bensì, come mi riferi dipoi, il che da altre cagioni ciò veniffc ; u  con bel modo tanto fè, che alla fine un i giorno, dapoi avere presa meco confia  denza maggiore , interrogandomi sopra ciò, seppe da me la cagione de' mici turbati penfiori ; cioè : che questi dcrivavano dal timore, che io aveva di non cffere ancor baltantemente capace di cducare bene i figliuoli, e di non sapere mantenere fino alla morte il reciproco affetto coniugale a quel segno, che fi dovea .  ! Sem. Che rispofe ella?  Pub. Con volto ilare mi replicò, che a questo dovea anch'effa contribuire la sua parte , ic perciò ca ayefli pur deposto la metà di detti pensieri , ch'erano tuoi.  Sem.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se vi aveffe risposto ; penfiamo ora a darci bel tempo : figliuoli non po abbiamo quando quefti nasceranno Gi farà, come li potrà, non ci contriftiamo ora di quello, che non è presente.  Pub. Non fi parlava così in quei rempi, ne' quali il divertimento non erao anche divenuto affare creduto rilevan. te, ed essenziale, che richiede sfe giornata intera ; era bensì creduco effenziale il provedere quanto faceva d'uopo, ed il prevedere ciocche poteva fuccca dere. ... Sem. Vi manrenne la parola data di sollevarvi , quando sopravenne il bisagno  Pub. Fè anche di vantaggio, pofcix che fcoperto ch'ebbi il suo buon animo, un giorno così le parlai: Signora mia, voglio, che camminiamo di buon conia certo in reggere la casa ; abbiamo tansto assegnamiento, che può bastare as Amantenerci nel nostro stato decorosamente ; pofliamo tenere tre fervitori, due per lei, ed uno per mc , una ser  [ocr errors] vente, ed una matrona, ed avere la  noftra carrozza, che serve ad ambiduc; of dividiamo ora l'incumbenza: voi pen+ ferere alla tavola, alle biancherie, ed  io al rimanente ; dell'esazioni voglio  ne fiare anche voi consapevole per vom  ftro governo ; ficcome ancora dell'esi-  to, per caminare di buon concerto tra  noi nello spendere: debiti non voglio  ne facciamo, nè avanzi considerabili  fino a tanto, che abbiamo l'assegnamen.  to fiffo , c non amministriamo tutte le  rendite; e basterà , che solamente po-  niamo da parte ogni anno qualche cosa,  per fupplire alle stagioni fterili, alle ri-  tardate rescoffioni, ed alle spese straor-  dinarie, per non ritrovarci allora bilo-  gnosi di danaro : All'educazione de' fi-  gliuoli penseremo concordemente, al-  lorche Iddio li manderà.   Sem. Ed essa accettò queste brighe ?    Pub. Anziche mi ringraziò ; mo-  strandofi contentissima, per averla po-  fta a parte del governo.    Sem. E se aveffc risposto; io non vo- glio ingerirmi in questo affare ; pensateci voi, col maestro di casa; perche non voglio prendermi questo tedio?  Pub. Sarebbe stata troppo ardıca simile risposta in quei tempi, ne quali crano molto rispettati dalle mogli i mariti , contentandoli vivere subordinate ad effi , e non succedca già come dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulier si primatum babeat , contruria eft viro fuo; perche qucfta maggioranza non la godevano.  Sem. Mà come riusciva in quelle cose , che le toccavano di fare?  Pub. A maraviglia bene; posciache aveva la matrona , ch'era donna savia, e consigliandosi con essa lei, divenne in breve tempo espertisfima in tutte quelle cose, che le appartenevano.  Sem. Chi potrà trovare oggidi quefta matrona non costumandosi più tal servigio ? e poi quando anche si trovassc, diventerei ridicolo, se prendesi, per servire mia moglie, la matrona .  Pub. Perche ridicolo? forse che fa. rebbe cosa mal fatta?  Som.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. Non dico mal facta , mà effendo in disufo , farebbe segnato a dito, chi l'introduceffe.  Pub. Mà da chi? forse da' savj, u prudenti?  Sem. Non credo da questi ; mà bensi da tutti quelli, che non costumano te. nerla.  Pub. Or io di questi non mi prendcrei soggezione alcuna; mi dispiacereb. be bensì , che i savj biasimassero le mie operazioni ; imperciocche possono farvi altro dispetto costoro,che non son savj, che di non conversare con esso voi? E che perdita da ciò riceverefte? ogni qual volta questo provenga, non per cagione di cosa malfatta, mà più tosto decorosa, ed onesta, che sono vantag. giose per voi ; nel qual caso efli li renderebbero meritevoli della censura de' savj. Io vi poffo ingenuamente confessare, che se non fosse stata in cafa mia la matrona, che avesse indirizato da pria. cipio la mia consorte , non averci già goduta quella tranquillità di animo fpe  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] rimentata fino al presente; posciacche questa matrona essendo nata civilmente, e così ancora trattata da me, dando alla mia conforte buoni conligli, la istruiva ottimamente, e perciò non vi è stata occasione alcuna di discordie tra noi; il che non sarebbe già seguito, se fi fosse configliata con qualche donnas ordinaria, e giovane, da cui facilmente pellimi consigli averebbe ricavati.  Sem. Questa matrona itava al fervia gio attuale?  Pub. Quantunque fosse falariata, era però distinta dall'altra donna, che mi serviva, e faceva molce cofe spontaneamente di più di quelle, che le toccavano, per l'amore, che portava alla casa, ove sperava terminare i suoi giorni; non costumandofi licenziare queste , fe non per cagioni assai gravi, le quali raro volte accadevano ; e quando la Signora partoriva , essendo pratichisimas; non li può esprimere , che aflistenza le prestava in tutto quello, lc occorreva ; ed in tempo di malattie cra singola  re;  2  re; oltre di che nell'educare bene i figliuoli, e le femine in ispecie, cra mol. to eccellente, sapendosi far amare, a rispettare insieme: or vedere voi quali danni ha apportato privarsi di effe.  Sem. Mà perche è stato dismesso si buon fervigio ?  Pub. Io precisamente non lo sò, può essere, che sia noto a Mecenate.  Moc. Io ho udito riferire più voltes che queste volessero fare troppo lezelaati, e perciò fi fia verificato in esse la favola di Efopo, ove parla del trattata di accordo fatto tra il lupo, e la pecor ra,contro la soverchia custodia de' cani; e per verità, vi erano alcune, di esse, che facevano la guardia alle figliuolo più di quello , che facciano i cani alle pecore; -mà questo non era motivo fufficiente per dismettere un servigio cotanto utile al decoro, ed onestà dellas casa, conosciuto ciò, anche da Tibullo quantunque molto lascivo, mentre egli consigliò: At tu cafto precor maneas, fanétique pue  Aft  [ocr errors] dorisa  N3  Affideat cuftos fedula femper anus .  Sem. Come regalavate, Publio, fperso la vostra sposa?  :- Pub. Oltre le mancie solite del Natale, e del giorno mio natalizio, che consistevano in dodici piastre per.volta, e quando si riscotevano grosse somme, fempre qualche moneta di oro le davas, perche mi è piaciuto , ch'ella 'manegiafle danari.  Sem. E che ne faceva 279  Pub. Quando arrivava a cumulare la somma di cinquanta scudi , creava un cenfo, e la metà del frutcabo di effo dispensava a poveri, c fi verificava in lei ciò, che dice Salomone delle donne savie: Manum fuam aperuit sinopi , & palmias suas extendit ad pauperem , dell'altra si serviva per vestirdi:. ;1  Sem. E le fpilte non se l'era riservate ne' capicoli matrimoniali? LifPubi Questo non costumava allora... non facendofi tanto consumo di effe,come 'oggidì, che liveste alla moda .  Sem. Eche a non fi vertiva alla moda in quel temposPub. Si vestiva all'usanza propria det [ paese, quale era di non cangiare sì di  sovente, quella , che correva.  Sem. Non è questa la vera moda, mà bensì quella, che oggi si porta da paeli stranieri, ed indi a pochi meli, venen, done un'altra, la prima non si usa più , perche le ultiine sono quelle , che dilectano, ed appagano gli occhi .  Pub.E degli abiti di vecchia moda anche in buono essere che fe ne fa?  Sem. Si esitano a quel prezzo, che fi trova, e con discapito grandissimo,  Pub. Come costa questo vestire all? ultima moda , perche io, che vivo all antica, non ne sono in formato ?  Sem. Costa assai per verità, essendo che bisogna pagare sempre di più del suo valore quel drappo di nuova moda; mà ad alcuni ciò non da fastidio, perche i mercanti sono cosi cortesi', che lo danno in credenza. ti ''p  Pub. Questa , per parlarvi con tutta fincerità, mi pare la vera moda diandare in malora; perche estendo sì cari,  Conf. 8. Dec. prima ed il mercante volendo alla fine essere pagato, che si farà allora , non essendovi danaro per sodisfarlo?  Mec. Si mucerà paese, e per verità quando questa nuova moda non era tanto in uso non si vedevano già i galant' uomini , divenuti per essa miserabili, nè mutare paese, essendo per loro poco sicuro quello, ove vestirono a tutta moda.  Sem. Con chi coversava la vostra fposa ?  ? ? Pub. Con i suoi parenti più proflimi , li quali in giorni festivi, in occasione di male , ò di altri bisogni venivano as visitarci, ed altresì noi con effi loro facevamo.  Sem. Ma non recavano noja fimili conversazioni  Pub. Anzi erano di sollievo grandislimo; essendoche i capi di casa fi ritiravano in disparte a difcorrere fopra gť iatereffi domestici; consigliandosi tras loro, per meglio regolarti, nel far colcivare la campagna, ne irinvestimenti  da  da farsi, e nel governo economico della casa : le donne poi colli ragazzi, ftavano divertendosi tra loro.  Sem. Ed in che?  Pub. Nel domandare , che profitto facevano i figliuoli,che belli premj avevano avuti da loro maestri, e come fi portavano le figliuole ne' loro lavori, i quali bene spesso portavano seco queste, per farli vedere ; e ciò serviva per  eccitar emulazione tra elli a portarli meglio in avvenire, lodandosi, e premiandos ancora chi s'era portato benc.  Sem. In detto tempo a costumavad giocare?  Pub. Questo non fi faceva , eccettuato, che in tempo di carnevalc.  Sem. Si giocava alle ombre in detto tempo?  Pub. Questo si costumava ; posciache ove si giocava, non vi era Sole .  Sem. Voglio intendere colle carte di fpade , bastoni , coppe, e danari.  Pub. Queste ne pur si conoscevano in quel tempo da esse, e se l'avessero co  no  [ocr errors] nosciute', non averebbero giocato con carre tantó-misteriose, le quali fanno vedere , che le spade, i bastoni, e le coppe , malamente adoperate consumano tutto il danaro ,  .. Sim. Ele conedie li udivano allora?  Pub. Queste erano frequentare', ò'da curiofi forestieri, è da paesani ožiofi per  alcro le donne se n'altenevano ; e se non era più, che qualche rappresentazione facra, fatta di giorno, avevano rossore di comparirvi.  Sem. Eli passeggi si costumavano ins quel tempo?  Pub. Passeggiavano ancora, mà per essercitare iutto il corpo a beneficio della salute , non già come si fa oggidi, per 'indolirli folamente la schiena , a cagione di tanti inchini, che Gi fanno, fenza muovere un paffo.  Sem. Lecafe, come erano bene a dobbate  Pub. Asai meglio', che non sono adesso, rimirandovisi appcfi nelle pareti di effe akuni quadri di carte', ches  er  [ocr errors][ocr errors] ga in  erano le piante delle tenute, che si possedevano,dalle quali & ricavava groffi ffimo frutto, ed allora non vi era tanto luffo; poiche loro, ch'oggidì s'impie  in apparenze superflue d'indorature, e nelle vanità alla moda, fi ipendeva in quei tempi assai meglio in compre diterreni, e di alcre cose fructifere. Ne si commettevano già furti di piatti, fottocoppe , bacili, candelieri, ed altri vali di argento ; perche questi allora. erano. assai meglio custoditi ; effendo pochi elli, che gli aveano, e perciò di rado ancora venivano adoperati. -Sem. Sapete Mecenate, che mi crovo confuso a cagione di questo racconto fatró da Publio, riflettendo a ciò, che sarebbe più utile , mà non lo potrò seguitare, per il diverso costume introdotto oggidi ; e dichiarandomi volere vivcre così, non troverò moglie; dall' altro canto a seguitare il modo, che si tiene, sono arrivato a comprendere , che è molto dannoso per cutti i verfi. Dunque che dovrò fare?Mec. Di non isbigottirvi punto per qucsto. Scegliete voi il modo, che credece migliore, e dichiaratevi pure apertamence , che questo volete seguitare e troverete ciò non oftante moglie, u forse senza d'uopo di ricercare tanto al minuto il costume; posciache quelles giovane,che si contenterà di essere tratcata in questa guisa , sarà certamente fac via, e bene accostumata .  Sem. Mà se le altre non la vorranno trattare per non seguitare ciocche effe fanno, come si troverà ?  Mec. Che pregiudizio risulterà a voi & ad effa da questo, che farebbe la voftra fortuna? anzi voi medelimo lo do. vreste procurare, affinche non la deviaf. sero dai suoi doveri.  Sem. Or io così farò, e dica ogn'uno ciocche vuole ; perche hò uditi molti mariti sospirare frequentemente; da che provenisse questo, non lo só precisamente, sò bene, che senza cordoglio non ti sospira . Or ditemi , che altro doverò fare per mantenerla costante nel  fuo  [ocr errors] suo buon costume ?  Pub. Nun altro, che di non darle al. cun mal'esempio, e di tenerla continuamente occupata in devozioni ; affari do. mestici; e nell'educazione de' figliuoli; perche la vita oziosa è pessima, dicenda l'Ecclefiaftico: Mitte illum in operationem, ne vacet; multam enim malitiam docuit otiofitas .  Sem. Come mi dovrò contenere intorno alla devozione?  Pub. Le darete in questo voi huono esempio ,' conforme richiede l'obligo voltro ; imperciocche tanto io , quanto la mia conforte cravamo favoriti dal medesimo direttore spirituale , c trequentavamo sovvente le nostre devozioni ; la sera poi colli figliuoli, e servitù fi recitavano alcune preci, e li leggevano anco libri fruttuosi per l'anima, ed in oltre da noi si sovvenivano bene spelso i poveri, e da ciò ne hò ricavato quel bene, che si trova registrato nell'Ecclefiaftico : Mulieris bona beatus Vir, numerus enim annorum illius duplex .  Sen.  .  Sem. In che altri affari domestici la tenevate occupata ?  Pub. Effendomi avveduto , ch'aveya desiderio di copiosa biancheria , ordinavo, che fossero proveduti nelle fiere canape, lini , e cottone, é veden. dole si rallegrava molto, e li faceva filare, e reffere a suo modo; e ciò per verità la teneva impiegata qualche ora del giorno , ingegnandosi ancor essa di filare , ò d'inaspare; e facendosi le bucate in casa, rinnacciava a maraviglia , quanto ne aveva bisogno, affieme colla matrona ; ed io rimirandola cosi diligente ne godevo fommamente, vedendo verificarsi in essa quella condizione ancora di donna saggia, descritta da Salomone: Quafivir lanam, d linum, operara eft confilio manuum suarum.  Sem. La conducevate in Villa?  Pub. In certe belle giornate lo praticavo; anzi che le faceva vedere le nostre tenute, e tutti quegli stabili, che la casa godeva in campagna, con istuirla ancora, sopra quello che si poteva  fars  [ocr errors] fare di van aggio, per renderli più frutriferi; sopra di che ne ricercavo ancora il suo parere, da poi che la vidi ben, informata di tutto  Sem. E qual bisogno avevate di configlio donnescovoi, che fiece sì esperto in tali affari?  Pub. Il prendere consiglio giova agli inesperti, e non pregiudica mai a i pratici; e poi sapere voi il mio fine qual’ era:che, se Iddio mi avesse chiamato a se prima di essa fosse riinasta informata. di tutte le cose: e sappiate, che le povere vedove sono gabbate da loro miniftri, quando non si trovano informace degl'interessi domestici; il che non legue già allorche fanno ciò, che debbas farsi. Ne crediate già , che sia cosa im, propria alle donne d'essere informate della campagna, ponendo tra le condizioni di saggia donna Salomone anche questa : Consideravit agrum, a emis eum: De fructu manuum fuarum planiavit vineam. Sem. Nell'educazione de' figliuoli,  che  [ocr errors] che diligenze usavate  Pub. Eravamo tanto io, quanto essas attentiffimi a tutte le loro operazioni, per poterli di ogni minimo difetto correggere da principio; eflendo che le piante velenose fi svellano alla primas con facilità grande dalla terra,mà allorche sono ben radicate v'è d'uopo di maggiore facica. E riflettendo che tanto si fà, e quanta industria si pones per ridurre docile un cavallo da maneggio, mi pare che questa sia più necessaria d'impiegarla a pro de' figliuoli, da quali vantaggi maggiori si ritraggono senza fallo, che da cavalli .  Sem. Come viriusciva facile il correggerli?  Pub. Per verità facilisimo, perche erano docili ; e questo beneficio l'hò riconosciuto dal buon naturale della madre, il qual passò anche ne' figliuoli; scorgendoli bene spesso all'opposto i vizj de genitori paffare ne' figliuoli  ancora.  Sem. Quale induftria usavate nel di. riggerli ?un canto viera l'altarino con tutti li suoi  Pub. La prima fu d'istruirli nella pie-*** Tu tà cristiana, e d'insinuarla bene ne'lo. si ro cuori ; primieramente col buono  esempio, e poi colle parole; ed era vely ramente di consolazione grande il vede  re quei figliuolini attenti, e divoti nel fare orazioni ; e di poi, per meglio afficurarmi delle loro naturali inclinazioni, aveva fatto preparare per divertirli varie cose in una stanza spartata , ove in  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] arneli; sin altro l'armariuccio con certe armi di legno tinte, che sembravano di ferro ; vi erano ancora in altra parte din versi giocarelli puerili, ed altrove qual che libretto in una picciola scanzia ; c nelle ore di recreazione li conducevo ivi, affinche si divertisfero. Quei ch'erano portati dal genio all'Ecclefiaftico, correvano alla prima all'altarino, el ornavano in quella forma į che l'ayeano veduto in chiesa; e ciò serviva per renderli maggiormente attenti alla devozione: altri poi secondo le loro incli  O  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] na.  nazioni si divertiyano, coi libri, è   colle armi,e di rado alcuni di efli li spas,   favano co i giocarelli; e stava attentifli-   mo osservando quelli, che persevera-   vano nel medesimo genio ; perche con-   forme averete ancora voi osservato, non   è fempre uniforme l'inclinazione de’ra-   gazzi, e mi sono finalmente accertato ,  che quelli, ove il genio li portava ,  sono stabiliti in esso divenuti adulti,col-  tivava però sempre le loro inclinazioni,  vedendole disposte al buono.  1 Mec. Gli Archieli foleano condurre   i loro figliuoli ad una fiera, per com-   prendere i loro genj, e quei, che ve-  deano desiderosi di provederli de' libri,   li mandavano all'Accademia, quei poi ,   che aveano compiacimento a rimirare   le armi, li deftinavano   per       la   guerra Sem. E le figliuole, che facevano ?  Pub. In altra ftanza fi syariavano,afliftite ò dalla Madre,ò dalla Matrona,ove erano coscinetti, per commodo das cucire ; ferri da fare calzette, piccio.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Dell'Elezione della Mog. arr le conocchie, ecommode per filare ; e diverse pupazzine vestite, ò da spose , ò da monache ; ed ivi ancora chi affifteva loro', fcorgeva Vinclinazio ni, ch'avevano", rimirando a’ quali di queste cose le portava il genio ; ed in fatti quella, che si fè monaca, non si divertiva in altro, che in ispogliare, e rivestire la sua pupazzetta in abito da monaca, e l'altra, che prendette marito , sempre giocolava colla sua pupazzetta vestira da sposa .  Sem. Felice coppia! non saprei anch' io abbattermi in simile compagnia.  Pub. La troverete anche voi cercandola, perche non è già estinta nel mondo la razza di quelle di cui parlò l'Ecclesiastico al caj. 26. Mulier fortis obleEtat virum fuum, de annos vitæ illius in pace implebit.  Sem. Sì bene, mà se per mia sventura m'incontrafí in una , che non fosse così buona; che doverò fare in sal caso ? Meca, L'esaminereino nella venturas  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] conferenza, nella quale meglio anche apprenderete il modo, che dovrete tenere in, fare perseverare la buona, co(tante nel suo lodevole costume avendola scelta per vostra conforte,  CON,  the  te  CONFERENZ A IX.  [ocr errors] Come si debbano regolare i faggi    mariti con le mogli imprudenti,   e viziofe.  Publio , Mecenate , Sempronio ,  & Medico  Pub.  O, ch' hò navigato lungo tempo per questo vasto Oceano degli ammogliati, posso servire di  fida scorta a voi,che doyete entrarvi. Le maffime principali, che dovrete tenere sono queste : primieramente di operare più col buono esempio, che con semplici parole, confessando Platone, ed Aristocile che maggiore profitto fi ricavava da ciò, che si vedeva fare a Socrate, che da' suoi morali documenci. Quindi è, che'Plutarco ne' suoi ammaestramenti matrimoniali ebbe a dire: che non preten. da il marito di far divenire la moglie buona economa , s'egli coll'esempio non le mostrerà efferlo anch'effo : onde non recherà maraviglia, ciocche diffos Ovidio. Dum fuit Artrides una contentus ,  illa, Caffà fuit , vitio eft improba fuftaus  viri. Mec. L'esempio però di Socrate appresso la sua moglie Santippe nulla giovava,  Pub. Sapete perche ? Si abbatte il una donna talmente pazza, che dovea più tosto essere legata colle catene, che ammonita con esempi, e parole : mà di questo ne parleremo a suo tempo. Or proseguendo il mio discorso; in secondo luogo deesi togliere ogn'occasione, che possa farle cambiare di buona in cattiva, perciocche quantunque ottima da principio, per trascuraggine del marito può divenire peffima, ed in che  mo  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] modo uditelo da Euripide.    Sed nunquam nunquam [ neque enim,       femel dicam  Oportet prudentes, quibus eft uxor,  Ad uxorem in domibus accedere finere  Mulieres, ipfæ enim præceptores funt         malorum.  E che più ! Levina donna da principio  caftiffima per   la libertà, che le diede suo marito di andare vagando per il mondo , quanto , quanto si mutaffe  mutasse , sentitelo da questo Épigramma. Cafta , nec antiquis cedens Levina Sa        binis,  Et quamvis tetrico triftior ipsa viro,  Dum modo Lucrino , modò fe permitrit       Averno,  Et dum Bajanis fæpè fovetur aquis,  Incidit in flammam, juvenemque fe-          quuta , relicto     Conjuge, Penelopes venit, abiit Helena.  E d'onde ciò avvenne, se non dalla li.  bertà, che le diede il marito ? Nè Mef-  salina averebbe già commessa quella sì  enorme scelleragine di sposarli con Silio   [ocr errors][ocr errors][ocr errors] publicamente, e nel palazzo imperia, le , fe Claudio Imperatore l'avesse condotta seco ad Oftia; del qualc attentato parlandone Tacito arrivò a dire : laborabit annalium fides; c credete forse , che se Ottone non avesse lodata a quel segno la bellezza di Poppea Sabina sua moglie alla presenza di Ncrone, glie l' averebbe tolta ? non già ; ma il pazzo arrivando a dire, nel levarsi dalla menfa dell'Imperatore, che se ne andavas lieto a trovare sua moglic stupore di bellezza, a lui solo concedura, e desiderata da tanti, e volete chc Nerone, udendolo non s'invaghisse di essa ?  Sem. Averanno forse da tenerli chiu. se le mogli per far verificare, ciocche disse il Satirico ? Pone feram choibe , fed quis custodiet  ipfos Custodesē cauta eft, & ab ipfis inci  pit uxor. Pub. Io non intendo dire questo, mà folamente di trattarle, come diffe Tacito del popolo Romano , che: nec tam,  tam  [ocr errors][ocr errors] fam feruitutem pati poteft, nec totam libertatem , cioè colla misura di mezo, discreta, e giudiziola e finalmente conviene compatire molte leggiere debolezze di effe con non farne calo, di quelle particolarmente, ove non si scorge malizia, e cattivo fine ; ¢ quando mai vi fosse d'uopo di rimedio, non dee questo darsele in publico, nè con istrepito contenzioso, e riflettere a ciò, che dice Plutarco; che Venere fù collocata dagli antichi vicino a Mercurio, affinche con arte, ed avvedurezza , e non con violenza in tali faccende li procedesse ; e lasciando il profano da parte, vediamo che rispetto avesse a sua moglie il nostro primo padre Adaino : dipoi di avere detto, ch'era una porzione di se medesimo; cioè: cara de carne mea; soggiunse « quamobrem relinquer bomo patrem fuum , & matrem, &adbarebit ukuri sud, do crunt duo in carne una Gen. cap. 2.  Sem. Questo però mi reca gran tercore, perche se Adamo trattò così bere  sua  :  sua mnoglie, ed erano nel Paradiso terrestre ; ne- ella poteva essere stata crea . ta da mano più perfetta , contuttociò ingannò suo marito a segno , che tutti noi ce ne risentiamo, che farà dunque una figliuola di essa in questo mondo?  Pub. Fu fedotta però dal serpente, allorche Adamo dormiva, onde apprendetene dà ciò questo documento: di non dormire, quando vi sia il serpente, che tenti sedurre voftra moglie.  Sem. Mà qual serpente ci sarebbe, se io sposarsi una giovane, che da zitellas aveffe dato sempre saggio di somma mo. deftia ; ed appena entrata in casa mias, cominciasse a dire ; voglio un'altro abito alla nuova moda: queste gioje non; sono legate all'usanza; voglio lo scarabattolo, come hanno le altre mie  pari; qual ferpente la tenterebbe in questo caso, per farla parlare in tal guisa ?  Pub. Sarebbero due non che un fojo, li serpenti; cioè l'eccessiva vanità, e l'ambizione proprie ò insinuate,e quefti converrebbe scacciarli,er.  [ocr errors] Sem. Ed in che modo?  Pub. Voi averece già scelta la giova. CH  ne nata da? savj, e discreti parenti, and mutt  quali avrete facilmente manifeftato l'animo voftro , in che forma la vorretes trattare; accordandomi ciò, mi pare, cosa quasi impossibile, che una giovane  ben'educara possa alla prima avanzarsi Q  a domandare imperiosamente ciocche be brama ; se pure non sarà stata mal con  figliata; da qualch’una poco prudente, i  onde per ovviare questo, converrà , che alla prima stiate attento di non farlas trattare , se non con quelle, che voiconoscerere savie, e prudenti, delle quali potrete essere sicuro, che non sarà configliata a questo; ò pure se voi medelimo nolle darete mal'esempio ; conforme a questo proposito avvertiscePlutarco, ne? suoi precetti matrimoniali, oye dice'; vir corporis ftudiofus, uxorem reddit la  sciviori cultui deditam ; voluptuofus amas, toriam, & libidinofam ; boni , honestique  amator , modeftam , & honeftam: E sog. giugae di vantaggio; nè putes à super,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] mo,  fuis , profusifque fumptibus uxorem temperaturam ; fi te ad hæc omnia minimè contemnentem confpiciat', quin potiùs auratis poculis , pietifqae cubiculis, mulorum, & equorum phaleris gaudentem videat ; non enim fieri poteft, ut à mulieribus luxus removeatur, quo viri circumfluunt . Sem. Mà come farà praticabile il pri  se terrà visite publichce ove ogn' una farà a gara di comparire con mag . gior pompa dell'alere?  Pub. Se conoscerete, ch'ella abbias la prudenza della moglie di Focione, di cui già parlammo, permetteteglielo pure liberamente; perche farà della natura di quella , di cui parla l’Ecclefiaftico al cap. 26. Mulier fenfata, tacita non eft immutatio eruditæ animæ : mà per al. fro, se non farà di tal senno vi porrete ad evidente cimento di essere forzato a tractarla meglio delle altre , e con pompa maggiore, per esfere sposa novella.  Sem. Ma queste non si potranno fuggire; imperciocche lo potrebbero incon  fra:  [ocr errors] trare inimicizie, ricusa adofi ; ò per la a meno li darebbe moito da dire à tuttaa la città.  Pub. Se non si potranno fugire, e voi  permettetele.  [ocr errors] Sem. Mà facendolo poi bisognerà , che seguiti ciocche praticano le altre.  Pub. Non è da porsi in dubio.  Sem. Consigliacemi dụnque, che dovrò fare.  Pub. Non mi dà l'animo.  Sem. E perche ?   Pub. Perche scorgo più volonterolo voi di queste visite, di quello che sarà la voftra sposa, compiacendovi forse, che si vedano le vostre grandezze, e sono molti del vostro genio', che mostrano in apparenza dispiacimento di tal cosa, che internamente con ardenza la bra. mano; e fanno come diffe Tacito di Ti. berio : Specie recufantis vebementiffime cupiebat.  Sem. Mà è possibile, che non ci siad mezo termine per isfuggire queste prime vifte, senza che rimanga alcuno disgutaco?  Pub.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] Pub. Si potrebbe questo trovare,ogni qualvolta però non abbiate voi compia. çimento di averle. di Sem. E questo quale sarebbe?  Pub. Di condurre la vostra sposa fuofi della città in distanza tale, che non rioscisse facile alle altre di venirla a visitare.  Sem. E chi sà, se la sposa fi contentasse di questo?  Pub. Non vi contenterete voi ; perciocche una giovane bene accostumatas farà ciocche vorrete : toccate voi ora colle mani, che i mariti sono per lo più arrefici delle loro ruine, e non le povere mogli.  Sem. Mà andando fuori, e poi tornando , faremo nei medefimi termini di prima, rispetto à queste visite :  Pub. Così credo anch'io ; pofciache vorrete fodisfare allora al desiderio,che avere di riceverle; mà udite di grazias, ciò che ne potrebbe nascere di buono da questa vostra lontananza dalla città : Che intanto voi col vostro giudizio po  tre  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] trefte istradarla in modo , che non sarà  poi facile, che diça , qucsto voglio, po:  sciache le potrete far ben conoscere i  precipizi , che nascono dall'ecceffivo  lusso, ed i danni, che apporta l'ambi,  zione;ed averefte inoltre in quelto men.  tre, che dimorerete in villa , tempo op:  portuno d'istruirla ancora nella buona  economia, la quale è l'unico antidoto  contro la prodiga vanità.     Sem. Insegnatemi dunque, che dovrò  fare fin tanto che staremo in villa?   Pub. Contratto, che averete trà voi quel santo amore conjugale, le farete comprendere, che guadagno abbia recato alla vostra casa l'efferyi portaticolà, e che per farle conoscere , che voi non l'avete fatto già per avarizia , ma per esimervi bensì dalle confuloni, u disturbi, che nascono da tante visite, e rivisite, che si costumano, donare ad effa la metà di detta somma avanzatas; affinche ne faccia una soccita di animali, ò la rinvesta a suo piacere, c commodo, e procurerete , che facendosi detta foccita, non abbia questa disgrazia alcuna per più anni, con foggiacere voi as quei discapiti, che l'inclemenza delle Stagioni potrebbero apportarle, e vedrete in atto pratico y qual amore effa. porrà all'economia. Le prime impresfioni sono quelle , le quali radicateli negli animi foftri tanto del bene', quanto del male, difficilmente fi cancellano più, mentre che,  Quo fuerit imbut a recens feruabir odo  rem  Tefta diu.  Sem. Questo mi piace affaislimo; perche mi concilierà l'amore di essa, edonerò senza fare discapito alcuno ; mentre ciocche dono, rimane in cafa; mi farebbe discaro bensì, quando andaffe in börfá de mercanti: Mà se in progrefso di tempo desiderasse qualche abito , come mi dovrò regolare?  Pub. Dovrete invigilare di provederla preventivamente di ciocche è necefsario al decente ornato, secondo il voItro grado ; affinche non sia forzatas  [ocr errors] chiedervi cosa alcuna .  Sem. Mà se ciò non ostante lo facesse, hò da negarglielo?  Pub. Se voi la scorgerete attaccatas, al danaro non glielo negate , questo si, che in vece di spendere voi, date la moneta ad ella, acciocche la spenda a suo modo,  Mec. A questo proposito posso riferire un caso accaduto. Venne voglia ad una donna civile di farsi una certa scuffia alla moda; il di lei marito, ch' era accorto , non glie la negò; ben è vero,  che le diede il danaro nuovo di zecca per farsela ; ella cominciò à con, tare, e ricontare dette monete, li le parvero assai belle, e perciò non  s’induceva à spenderle ; le domandò į egli pallato qualche tempo, se fi cras  ancora fatça la scuffia; cui rispose, che non aveva potuto trovare cosa appropo.  fito; le replicò : fatela quando vi piaci ce, perche il danaro è vostro, e se lo Ha volere impiegare in altro, fate voi; mà ella non lo spese già per goderselo.  P  Sem :  [ocr errors] le qua  [ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse liberale ; che non fa. ceffe conto del danaro ?  Meo. In questo caso pariinente non mostrare renitenza in sodisfarla ; dite bensì, che commetterete fuori, e farété venire merletti più belli, e più alla moda di quei, che sono in città; perche intanto, ò le passerà la voglia di farsela, ò si murerà la moda , come si vede giornalmente accadere, e potrebbe anche darli il caso, che un giorno fi rendeffe capace di ciocche disse Crate, Filosofo : che ornamentum eft, quod orhaf:ornat autem quod mulierem boneftiorem reddit. Quindi è, che secondo quel detto greco :  Mulieri ornamentum mores, e non  [ocr errors] durum  Sem. E se le venisse tentazione di porfi qualche manteca nel viso, per comparire più vaga?  Pub.Ciò non dovrete tolerarlo in conto alcuno riso.it  Sem. Che averò da fare? sgridarlas .forse, e mortificarla inleme  Pub.  [ocr errors] fa  Pub. Questo poi nd; pofciache me. no verrece seco alle brutte, meglio semnot pre farà per voi, ed affinche possiate di in ciò regolarvi con prudenza, vi rifeac rirò per convincerle dolcemente, cioc  che dice Zenofonte nell'economico, ch' è questo: Die mihi uxor, nonne hisce legibus matrimonium inivimus, ut quod effet utrique faculsatum, invicem communica. remus ? annuit illa . Jam ait , fi poftquam tu tuam portionem bonæ fidei contulifes, ego pro veris gammis fiétitias , prò auro puro, adulterinum darem , prò torquibus aureis vitrum auri bracteis oblitum prò monilibus folidis , ligna 'auro, argen to, incruftamentis obducta, num boni confuleres, aut judicares , me plus tibi contuliffe ; fi talibus technis tibi imponerem, quam fi quod baberem', uti eft in medium conferrem? quod illa excipiens , cave , inquit, ne mibi talis fis , neque enim te ex animo amare pollem; quo audiio ille fic perrexit : atqui nos in hoc potisimum convenimus, ut alter alteri corporum Noftrorum copiam faceremas, quod  P. 2  [ocr errors][ocr errors] h  cum  Pub. Nira maltrattato ?  cum uxor annuiset. Sum ne, inquit , tj bi gratior, aut carior futurus, fi corpins boc, uti eft, nullo medicamento vitiatum Communicem, an fi os,oculofque minio infestos tibi ofculandum preberem? At ego in. quit uxor; minimum nunquam attigerim, neque fucatos oculos gratius, quam tuos afpexerim . Et mihi , ait ille , puta mentem eamdem effe: nec tam mentito (quem tu cerufit, fib:oque inducis) colore delectari, quam tuo nativa. Quo tam commado fermone caftigata mulier abjecit omnia tectoria, formaque medicamenta . Onde di questo convincentissimo ragionamento vi potrete anche voi prevalere per ridurla a suoi doveri, senza contendere seco,  Sem. E se diveniffe fastidiosa, iraconda, e garrula, che dovrò fare?  Pub. Tutto l'opposto di quello , che farà lei, imperciocche altrimenti sarà la. casa vostra un continuo inferno.  Sem. Come si potrà praticare questo  Pub. Non vi potrà fare mai peggio di uxor.  unda ,  quello, che faceva Santippe a Socrate,  e pure la sopportava , come viene dea  scritto da Bigo poeta :              Ferendum eft  Socratis exemplo quodcumque peregerit  Xantippen, fiquidem convitia multas       moventem ,  Cum blando argueret, fædatus defuper  Nil nifi deterso, poft tanta tonitrua,   dixit Vertice, se pluviam non ignorante se  quutang Sem. Bisognerebb’essere però Socrate per sopportare tanta ingiuria .  Pub. Cominciando ad operare da Socrate potreste anche voi divenire simile ad esso ; posciache interrogato per qual cagion'cgli sopportava tanti strapazzi ricevuti dalla sua insolente moglie, rifpofe : Cum illam domi talem perpetior , infuefco, dw exerceor ,'ut ceterorum quoque foras patulantiam, et injuriam facia liùs feram; laonde con sopportare l'in  giu  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] P 3  [ocr errors] giurie della vostra moglie, diverreste Socrate anche voi.  Sem. Mà se fosse altera , ambiziosa di commandare, e non volesse fare ciocche dal marito le veniffe ordinato  Pub. Socrate sopportava questo ancora ..  Sem. Mà voi, Mecenate, che non fieţe Socrare, che fareste?  Mec. Vi posso riferire ciocche fecero alcuni in fimili casi, e con profitto . Vi fu una certa vedova, cui erano morti trè mariti, a cagione dei gran disgusti dati loro da essa ; non trovava questas più alcuno, che la volesse prendere per moglie, un giovane alla fine, sapendo ch'era divenuta inolto ricca la volle sposare ; mà cosa fè questi ? ordinò, che fosse trovato il cavallo più indomito, che fosse nella città, con ordinare al fuo cocchiero, che nella mattina feguente alle sue nozze lo avesse fatto andare furiosamente per il cortile del suo palazzo, e che avesse di poi eseguito puntualmente ciocche da esso gli fareb,  be  1  be stato comandato; in quella macci  na il cavallo fè furie grandi ; venne cuole riosità alla sposa di vedere da che pro  cedesse quel gran rumore, che udivano in  si affacciò alla feneftra, e nel medesimo tempo ancora vi accorse lo sposo, il quale domandò al cocchiero , la cagione di ciò, cui rispose : Signore, è unas beftia, che non si può domare, e perciò ogni giorno farà il medesimo; allora egli comandò, che fosse trucidato, conforme crudelmente seguì; la povera sposa rimase attonita da sì risoluto comando, c voltatosi lo sposo verso di effa , le disse : Signora mia, quando le bestie non G poffono domare è necessario di venire à queste risoluzioni : das dovero, che mutò ella modo di vivere, e di leone divenne agnella. Vi fù parimente una moglie assai disobediente,alla quale avendo ordinato il marito, che non fosse uscita di casa ogni giorno, e tornata di  notte,  mà vedendo , che colle buone non ricavava profitto alcupo; udite un giorno quello le fece nel  [ocr errors] P 4  tor  tornare a casa : teneva'pronte le forfici, e le recise i capelli, dipoi le disse : oh adesso andare fuori di casa quando volete, che farete una bella comparsa : sapete  voi, che se ne aftenne, ed in avvenire fu più obediente a suo marito.  Sem. Vedete voi, Publio', che con mostrarsi risentito, si possono anco togliere i difetti donneschi?  Pub. Questi sono casi rariffimi, che felicemente riescano : I più frequenti però fanno vedere il contrario. Nacque una volta competenza tra il Sole e l'Aquilone, a chi di loro fosse riuscito più agevole, a togliere da dosso il mantello ad un viandante : si adoperò con tuttas la sua violenza il secondo, mà, ftringendoselo alla vita chi lo portava , non fu mai possibile farglielo lasciare : cominciò dipoi il Sole, senza usare violenza, a percuoterlo coi suoi continuati raggi ; refiftè egli per qualche spazio di tempo ; mà alla fine & spogliò non solamente del mantello, ma del giuppone ancora; e da questa ápologo.com,  pren:  [ocr errors] i prenderete se riesca più utile la violenob za , ò la piacevolezza continuata per ri  muovere i difetti donneschi : ed Ovidio  che le conosceva bene,così canto:   Define, crede mibi, visin irritare vetado  Obfequio vinces aprius ipfe tuo.   Sem. E se fosse ostinata in non volere cedere mai, mai , allorsì , crederei , che fosse d'uopo prevalera di quel rime  dio contenuto in questi due versi : .. Rendon più frutta donne , afini , e noci  A cbi ver loro ha le mani più atroci .  Pub. E da cui apprendeste, Sempronio, modo sì ingiusto, e villano das trattar le mogli? forse che dall'indiscreto Ercolano Sanese ? il quale, conforme racconta il Dolce nel secondo del. le istituzioni delle donne, avendo comprati certi tordi , mentre li stava mangiando con sua moglie, le diffe ; se aveva mai veduti tordi più grassi di quelli ; vi replicò la moglie ; ch'erano merli, mà , volendole far capire il marito, ch'erano tordi, non fu mai possibile, crsendofi oftinata nella sua falsa credenza;alla fine, dopo le contese, l'Ercolano fi avanzò a percuoterla col bastone, il quale non tolse già la sua pertinacias; posciache in capo all'anno disse al marito, che in quella medesima sera era Itata così malamente trattata per quei maledetti merli, ch'egli diceva essere tordi ; e convennegli fare l'anniversario ancora , con batterla nuovamente, come accadè in molti anni seguenti. Or vedere, che profitto apportano le battiture alle donne pertinaci? Poteva l' Ercolano crederli anche per storni; perche ciò non diminuiva loro già il sapore: mà, se fosse egli stato sotto la censura di Catone, non averebbe certamente commesso fimili attentati; imperciocch'egli voleva, che i mariti, che percuotevano le mogli, foffero puniti col medesimo gastigo, che si dava a coloro,che rubavano nei tempi dei loro Dei, come riferisce Plutarco. ES. Crisosto. mo nella umilia 26. epift. prima D. Pau. li ad Corinthios, così dice: Neque verberandam uxorem dico , abfit: ultima  nam  [ocr errors] 201  [ocr errors][ocr errors] namque ignominia eft non ejus qui verbe-  ratur , fed qui verberat &c. e dipoi ,  vos viros illud admoneo , nullum fit tam  magnum peccatum, quod ad verberan-  dum uxorem vos compellat , per lo che  meritamente cantò il Guazzo:   Offende il Cielose il santo amor discioglie  Quel che con empia man baste la moglie.   Sem. E se si credesse impudica, li ha da fare da Socrate in permetterglielo ?  Pub. Questo poi nò : fi dee bene fare da Socrate in non ingannarsi nel crederla cale, quando non fosse ; perche alle volte la gelosia fà travedere le ombre per corpi; e fa credere, anche le menzogne rapportate da uomini sceleraci per cose vere; ed udite a tale proposito questo prodigioso fatto. Si trovava al servigio di S.Elisabetta Regina di Portogallo un paggio di ottimi costumi, u perciò da effa amato, di cui si prevale  va per suo elemofiniero ; fu questi ca* lunniosamente imputato appreffo al Re  di soverchia confidenza verso la sua pa.  drona, ed anche reciproca di essa verso .  di  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] di lui ; fu data credenza alla calunnia ; onde il Re adirato fè ordinare ad un  fornaciaro, che avesse gettato dentro l'ardente fornace il primo paggio, che nel di seguente gli mandava; comandò dunque all’innocente , che si portafíe colà; mà perche udà sonare la campana di una chiesa, mentre era in viaggio, la sua devozione lo spinse ad andare verso quella parte ove si trattenne in ascoltare più messe qualche spazio di tempo; mà, perche il Reviveva impaziente di udire il successo, ftimò bene inviarvi l'altro paggio calunniatore, il quale, essendo arrivato il primo , conseguì il meritato gastigo, ch'era preparato per l'innocente : ed arrivato poi il secondo portò al Re l'avvifo, di essere ftato ubbidito; e risaputali poscia las cagionedal Re, perche fosse egli indugiato tanto, ben si avvide della sua innocenza, e della giustizia di Dio. Viene riferito dal P. Crodier.  Sem. Mà corne potrò conoscere d'a. vere occafione di dubitarne con fondamento?  Pub  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Se voi per esempio non ufafte a ad  Jei tutta quella fedeltà dovuta , ò pure  se per cafî faceste conversare gioventù in più vistosa di voi, e con tutta libertà;  allorsì forse forse, che, se non fosse più, che la carta Penelope, ne potreste alquanto dubbitare.  Sem. Ed in questo caso, che dovrei fare per correggerla , e gaftigarla ancora bisognando?,  Pub. Bisogna , ch'esaminiamo prima chi foffe il reo principale in questo caso, se voi, ò essa?  Sem. Sarà essa lei , perche io voglio, che sia pudica.  Pub. Voi volere, chefia, e fate ogni possibile, che non lia.  Sem. E come?  Pub. Con darle primieramente mali esmpio col vostro cattivo modo di operare; e poi con darle commodo di fare ciocche ella vuole. Credetemi, Semipronio , che le donne, se non hanno il  cattivo esempio dato loro di mariti, ad ditficilmente s'inducono a far male,  Scn  3  d  Sentite ciocche dice a tale proposito  Euripide,     Stulla quidem fumus mulieres, non       nego,  Cum autem infit hoc animis , peccat ma-   ritus Faftidiens connubia , imitari vult Mulier viruń, co aliui parare ama  fium. Ed operandosi in questa guisa , tutto questo procede per colpa de' mariti, e sentitene ora il parere de' Santi Padri, | S. Agostino così dice , lib. 2. de adult. conjug. Periniquum effe videsur , ut pudicitiam vir ab uxore exigat, cum ipse non exhibeat , ed inoltre dice , ui quales volumus uxores noftras invenire , ipfe nos inveniant , du fi intactam quærimus, intatti fimus ; c Lactanzio, de vero cul. cap. 2 3. Exemplo continentiæ docenda uxor, ut fe caftè gerat , iniquum eft enim, út id exigas, quod ipse præftare non poffis; e poco in appresso, uxorem ejus qui circa corrumpendas alienas uxores occupatur , exemplo ivcitatam, aut imitari se putare,aut vindicare; e l'uomo di Dio Giob  così parla , fi deceptum eft cor meum fue 2 per  per muliere, a fi ad oftium amici mei infi  diatus fum , fcortum alterius fit uxor mea, od fuper illam incurventur alii , e notare  quella parola alii, che denota, che non sarà un solo.  Sem. Ma se per colpa mia non venisse, ed ella fosse sì pazza , che volcsse trau dirini, che dovrò fare? 1 Pub. Questo sarebbe caso rarissimo, s poiche avendola scelta di famiglia ono  rata; non facendole mancare cosa alcu. na, e non dandole veruna occalione di tradirvi, sarebbe una grandiflima ini. quità , fe lo faceffe ; in questo caso dunt. que da principio dovere stare vigilantes alla di lei custodia con fare molte caure diligenze.  Sem. E da che me ne potrò avvedere?  Pub. In primo luogo dal suo affetto til vero, che s'intiepidirà verso di voi, ef  sendo che questo non può portarlo a dụe gel medesimo tempo  Sam.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse finta, come potrò di. stinguere il vero dal fimulato affetto ?  Mec. Con un poco di tempo ve ne av. vedreste beniffino, con dirle, che volete fare un lungo viaggio con essa lei, e cominciando a porre all'ordine ciocche fa di bisogno, per farvi conoscere risoluto ; può essere, che da principio diffimuli, onde se vedrete, che in progresso di tempo ella li contristi, almeno in assenza vostra , credere pure,  che qualche cattivo pensiere le va per las mente, essendo quaGi impollibile , che chi hà simili attacchi, non si rammari. chi allorche dee allontanarsi; e tanto maggiormente, quando non abbia avu. ta in altri tempi repugnanza alcuna di viaggiare .  Sem. Io che dovranno confiftere l'accennate diligenze ?  Pub. Principalmente in vedere, che fidata servicù voi avete in casa ; posciache, se farà al vostro servizio qualcuno bizarro, che faccia spese disorbitanti, di questi non vi fidate punto, che non  ten  [ocr errors] di tenga mano, perche d'onde gli vengoo? no l'entrate da spendere tanto, non ba  stando la sola paga per far queste ? licenziatelo dunque alla prima, e se il ma  le da ciò procedeffe , tal volta potrebbe in questo solamente bastare.In oltre sareb-'.  be anche ben fatto, sospettando voi dela la di lei fedeltà, d'intraprendere qualche viaggio ad onefto titolo di devozio  ne; con andare a visitare qualche Santi  tuario ; ed in tale occasione le userere, delle cortesic più del ordinario, per riscaldare quell'affetto, che si era inties pidito verso di voi; e fatela girare un gran pezzo, che così le ritornerà il rens no, che aveva incominciato a perdere; e voi sapete, Dottore , quanto bene può apportare il viaggiare in questi casi.  Med. Certo è, che allontanandoci da quell'oggetto, che turba l'animo postro, può quefto più facilmcórc cálmarfi , conforme lo conobbe anche Proper: zio dicendo : Unum erit auxilium mutatis Cinthia terris  Quan  1  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Quantùm oculis, animo tàm procul ibis.  Amor. Ma per addurvi autoricà più propria vi apporterò ciò , che ne dice Cornclio Celso : Mutare debere regiones , fi mens redis , annua peregrinatione effe jaDandos.  Sem. Hò da farne alla prima risenti. mento, cominciando a sospeccarne con fondamento  Pub. Questa è materia molto gelofa ; onde con prudenza grande doverà cratcarli, e con molta circospezione.  Mec. Così credo anch'io, rifetten. do a ciò, che dice Ausonio: Toxica zelotipo dedit uxor maca ma  wire. Sem. Mà se il caso si avanzasse tant' oltre, che mi accertalli di tale misfatto?  Pub. Due rimedi ci sarebbero, un  o legalc, cl'altro suggerito dalla somma prudenza , o fancità,  Sem. Lasciamo il legale ; l' altro qualid? Pub, Marc'Antonio Filosofo Impera  [ocr errors] bi tore prudentissimo diffimulò, come rac  conta Giulio Capitolino ; il gran torto 1 fattogli da Faustina sua moglie, dicenddo di esso : tantùmque abfuiffe , ut de cas  ejufque adulteris fupplicium ex lege fumeret, ut illos fibi non ignotos (gran virtù  in chi tutto poteva ) pra ceteris ad ve#rios honores, & magistratus promoveret s  du in iis Tertullum, quem cum ea prandena sem aliquandò deprebenderat. E S.Paolo Eremita, come vien riferito da Socr. in fripart. historia lib. 1. cap. 2. Avendo ritrovato la sua moglie adultera, che fec' egli. Nil aliud , quam tacitè subrifis, jureque jurando affirmavit , fe nunquam cum ca concubiturum , ad adulterum au  tem; tibi, inquit , tam babeto, & cuma 1 difto adberemum abiit .  Mec. Rimali sorpreso da maraviglia, Dottore, quando lesti nel lib. de cap. util. ex adverfis , come mai il vostro Carda  no autore di esso ;' uomo sì celebre, vi * abbia posto gli utili , che ne' possa ri  portare il marito dalla moglie adultera ; pour essendoche quanto da fimile misfattorisulta , è tutto danno, e' vituperio.  Med. Non parla ivi il detto autore dell'utile onesto, e decorofo , mà bensi di quello, che si ricava (per servirmi della frase di Tacito) Ex induftria facinorofa ; ed avendo egli intrapreso l'affunto di ricavare da tutte le avverGità quell'utile, che ponno dare, da questo non si poteva ritrarne altro che un vàntaggio viziolo e detestabile chiamandolo egli medesimo:surpe auxilium.  Sem. E se li moftcafie gelola di me?  Pub. Sarebbe segno, che molto vi amasse, nel qual caso, facendole cono. fcere, che sono vani quei sospetti, che concepisce di voi, che vivete, comes debbono i buoni mariti, farebbe colas facile, che deponeffe tal gelosia.  - Sem. Ma se non vivefli offervantiflimo, ed andafli in qualche luogo un poco fospetto, solamente per divertirmi , mà fenza fare inale alcuno 1  Pub. Evoi tralasciate di andarvi,che così cesserà ancora.la gelosia; altrimensi quel vostro divercimento xi.cofterà  са  [ocr errors][ocr errors] caro , togliendovi la pace domesticas; e rifertere di grazia allo spaventofo fuccesso seguito nell'isola di Lenno; ove, le donne per gefolia z ch’ebbero, che i loro marici fi foffero invaghiti di alcune belle schiave, congiurarono contro di essi talmente, che divennero ftudiofamente tutte vedove in una notte : oltre di che, udite ciò, che dice l’Ecclefiaftico al 26. Dolor: cordis , do luctus mulier zelotipa : :  Sem. Mà se pretendeffe poi,che io so. disfaccffi al debito matrimoniale di vantaggio , che fosse convenevole, cho dovcrò fare?  Pub. Avendola voi scelta di buoni coo stumi, non avere da temere questo ; se pures non ile darete occasione di farlo!  Sem. E quale sarebbe questa ? 15,368  Pub. Potrebb’essere il gran confumo di cioccolata , e pistachiara , di rosolà, e vini generosi, e di altre cose, che  accendeffero il sangue , che si faceffe in * casa vostra ; orde basterebbe , che lo  toglie te via ; imperciocche,  [ocr errors] Sine Cerere , Bacco friget Venus .  Sem. E se questo rimedio non baItasse?  Pub. Allor conviene ricorrere alla prudenza , con farle ben capire, che quello sarebbe il modo da farla divenire prettamente vedova ; e che per non farle provare una così infelice fyenturas, dovete opporvi alle sue eccedenci brame...  Mer. Ad un certo marito, che si tro. váva spesso in fimili angustie , gligiovò molto il fare l'astrologo, posciache non mostrava già di opporli a quanto deside, rava la moglie, ma bensì le diceva , ch' cra d'uopo trovare prima nell'Effemeri. di, se in quel punto G farebbe generato figliuolo sano ; ed alle volte le dava ad intendere, che sarebbe nato cieco, altresi zoppo, onde in questo modo operava tanco, che li bastava per indurre a fare a suo modo la credula moglie .  Sem. E se non volesse applicare a farai domestici, come mi doycrò conteacre ?  Pub.  7  [ocr errors][ocr errors] #1 Pub. Bisognerà , che voi claminiace boy  bene d'onde ciò provengà ; pofciache,  se nascesse per cagione di qualche indis1  posizione di testa sopravenutale il non ad potere applicare i converrebbe, che  voila comparifte, cd in tal caso potrcbI be fupplire la matróna a quanto ad ella  spettava, 18  Sem. Si che dunque non potrò fare di meno di non provedermi di questa matrona , potendonc avere bisogno grande di essa?  Pub. Questo non è da porta in dubbio, fe bramercte, che la direzione della vostra casa vada bene, e non vorrete voi medefimo fare da donna',  Sem. E se non provcnifle dall'accennata cagiones  Pub. Doverete anche informarvi, se ciò procedeffe, perche qualcuno voftro favorito le volefle fare da sopraftante, il che non sarebbe conveniente, ed in tal calo to doverefte ammonire a defi. ftate, quando nollo vogliate rimuovere, ed allora vedretc, cho e Ha sarà appli  ciui  1  [ocr errors] cata, ò pure , se si divertisse ia altre cose per dare sodisfazione a voi, ael qual caso non potrebbe applicare alli facci domestici : per esempio, se vi veniffe voglia, che imparasse, a sonare, a cantare, e ballare, ò pure qualche linguage gio straniero , certamente, che non potrebbe ella applicare con attenzione a tante cose ; onde mutando voi fimile pensiero la vedrete tornare attentissima alle cose domeftiche,  Sem. Mà se non vi fosse alcuna delle fudette cagioni , mà che per il suo catcivo nacurale volesse inquietarmi con operare da pazza, che doverò fare?  Pub. S. Crisostomo insegna in questi casi gell’amilia 26. epist. 1. D. Pauli ad Corinthios, che cosa si debba fare: cioè quello, appunto, che pratica un buono agricoltore nel coltivare il sao campo, il quale, fe lo conosce sterile, procura di ajutarlo con industria, per farlo divenire fecondo ; e non per questo, sem mentato che abbia ivi il grano, nafcendovi dell'erbs.catcive, si duglefe. co, perche le abbia prodotte ; mà beni sì con sofferenza grande le carpisce a po  co a poco , senza danneggiare punto  quel seme di frumento, che ivi vede - germogliato. Or perche non si ha dad  praticare il medesimo colla moglie? fors' ella è meno meritevole del campo di ricevere simili ajuti ? è forse il seme umano inferiore a quello del frumento? ed udice ciò, che dice il fudeko Santo: quotiescumque aliquid molefti domi contigerit, fi quid uxor peccaverit , confolare, cu noli marorem augere Licèt enim omnia proiicias, nibil, moleftius continger, quàm non, babere benevoham domi uxorem; licèt quodcumque dixeris peccafuni, nuha lum magis dolendum , quam cum uxorlu Jeditionem habere. Quod fi inuicemones ra ferenda funt , multo magis uxoris, fi pauper fi, noli exprobrare fistulta, noli ei infultare ; fed efto modeftior . Etes nim tuum membrum et Garo una fa&i cfis. Sed falta eft cbrid auracundai Igitus dolendum eft , nox irafcendum ut e poi soggiunge. Quod fi vorberaveris  [ocr errors][ocr errors] exafperabit morbum ; afperisas enim mare fuetudine , , non alia afperitate disolui  Sem. E sc le veniffe voglia di vedere tutte le comedie , andare a' festini , c di frequentare tutti gli altri divertimenti, che doverò fare  Pub. Arendola alla prima assuefatta diversamente, come potrà venirle tale volonca ? E quando in particolare averà più figliuoli, ò pure farà anche gravida: non li potrebbe dare altro caso, che le faceftc mutare costume voi mcdefimo, divenendo curioso , c vagabondo : mantenetevi costaoce nel ben operare i ch'ella ancora persevererà nelles medefima forma; ed usatele ancora in quei tempi qualche amorevolezza di vantaggio, per tenerla contenta .  Mer. Questo lo credo anch'io ben fatto, avendo conosciuto un certò marito , cui era discaro, che la sua moglie, c figliuole fossero andate alle comedies & ad altre publiche feste, mà che cosas egli faceva ? in cambio di questo , leroy  [ocr errors] o galava in quei tempi frequencemente,  dando loro l'equivalente a quello , che  averebbe potuto spendere in fimili died vertimcoti; e quantunque ad effe dispia  cesse per allora di non andarvi, nulladi. meno vedendo quelle insolite cortelier,  si consolavano, e terminato poi ch'eras # quel tempo, diceva la madre alle fi  gliuole : nulla averemmo guadagnato di buono , se fossimo state alle comedie, dove che da non averle vedute, ne ab. biamo ricavato molto; e poi per verità erano una volta proibice alle donne certe feste notturne, come da Tito Livio, lib.g.Dec.4. fi ricava,che in compendio, e questo: Viri per noctem fæminis, dousenere etati turpiter miscebantur . Qua nc comperts , fuere S.C. fublata, din mulros animadverfum fuit. E Svetonio lo conferma nella vita ancora di Octaviano Augusto  Sem. Ditemi finalmente, se uno avefin se pensiere di sposare una vedova , come du fi doverebbe regolare in diriggerla ?  Pim. Se questa averà avuto un mari  [ocr errors] Ate condizioni unite è cosa difficilissima  ,co saggio, sarà facile parimente, che un altro faggio marito la poffa regolare, mà elsendo stata assuefatta di fare a sno - inodo, non si potrà mai piegare a far diversamente : posciache una pianta assodata con cattiva piega, non si può più addirizare. Io non consiglierei a prendere queste per moglie,se non chi(quando fosse tuttavia in età di farlo) si trovarfe molti figliuoli, e non avesse tempo d'invigilare attorno ad effi; e che fosse pienamente accertato, che la detta vedova avesse dato faggio di somma prudenza in casa del defonco marito; e che in oltre non avesse figliuoli proprj, nè fosse più in iftato di farli, e li trovaffe prospera falute; mà chi abbia tutte que  di trovarla dall'altro canto non essendoci queste, si prepari-pure a soffrire molti travagli, chi vorrà applicare a fimili matrimonj , poiche queste fogliono effere troppo scaltrite .  Sem. Vado riflettendo, che molti di Q uesti buoni consigli non saranno prati  [ocr errors] [ocr errors] [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cabili nei nostri tempi, onde se I ddio non ci provede , non sò come potremo più softenerci in avvenire .  Pub. Perche non sono praticabili forse che non dipende ciò da voi?  Sem. Dipende da me , mà è dura cosa di essere il primo riformatore degli abusi.  Pub. Non si fanno già queste riforme colla corda al collo, come disponevano le leggi di Ligurgo; c poi non sareste già il primo voi , essendoci i Curj oggidi ancora, ma questi non si rimirano già per non averli da in mirare; onde questo sarebbe appunto quello , che vi doverebbe animare a farlo : posciachei non volendovi gli altri seguitare, non riferterebbero con attenzione a quello, che voi operafte.  Sem. E nella ventura Conferenza sopra clie fi tratterà?  Pub. Bisognerebbe confolave quelle povere mogli-faggie, che G abbattono in mariti viziofi, ed insegnare loro coinc debbanfi contenere in simile sveninca.CONFEREN ZA X.  Sopra i ripieghi prudenziali, che debbonsi prendere in diverse occorrenze dalle mogli saggic, incontrandosi in viziosi, ed indiscreti  mariti.  Sempronio , Publio, Mecenate ,  € Medico. Semi mag Iferitemi , Publio ,  quali sono i vizj,de'  mariti cattivi. Pub.  Questi sono molti, e forse non minori  di quelli delle mogli pellime : iinperciocche , fe farà egli trascurato, da tal difetto ne verrà il precipizio di tutta la casa: se prodigo peggio che peggio : se avaro , farà mancare ancora quello , che sarà necefsario : fe fcapestrato, guai a quella povera moglie, che dovrà combattere  fe  [ocr errors] [ocr errors] seco : se giocatore , fi porrà a peri. colo in una sola notte di perdere quan, to egli possiede : se lascivo, non li con. tenterà dell'onesto : fe affatto impotente, poco amore per lo più suole avere verso la moglie : sc goloso fuori dimo. do, oltre di soggiacere a continue in. fermità , sarà oppresso anche da dobbiti. Or vedere in che miserie Gi troveranno le saggie donnc in mano di costoro ? E se per disgrazia fi abbattessero ancosa in taluno debole di senno, che avesse appresso di se qualche servitore fcal. trito, il quale lo dominaffe, c lo facesse fare a suo modo, oh quanti disaggi se converebbe soffrire !  Sem. Come dunque li doverà regolare una donna saggia , ed attenta col 04rito trascurato ?  Pub. Con ama rlo teneramente, quancunque fi avveg ga della sua trascurag. gine.  Sem. E come lo potrà fare?  Pub. La prudenza le infinuerà di far. lo, per vedere , fe per questa via lo po  acres  [ocr errors][ocr errors] réffe indurre ad essere applicato,, perciocche, fe per sua sventura facefle il contrario, e cominciasse a sgridarlo , certamente ch'egli si mostrerebbe assai più trascurato ; e credete pure per  co. fa certa, che colle buone più profitto ne ricaverà, che irritandolo.  Sem. E se vedeffe , che ciò non ostanu Te', continuasse ad cssere trascurato , doyrå ella perfeverare in questo grand'amore? ... Pub. Senza fallo ; anzi che, invece di scemarlo; più costo, glie lo dee accrescere; poscia sche, se non sarà più , 'che'affatto iosensato , fi avvedrà alla fine, che lo ama di puro caore ; ed accertatoli di questo, come potrà fare di meno di non amarla anch'effo ? Platone, allorche gli fu riferito, che Zenocrate Two scolare enipiamente parlaffe di esso, * *ffpofe : non essere credibile : ut quem tantoperè amaret , ab eo invicem non di  ligeretur; ed intal proposito dice Sene• Ed Lpift.g. Ego tibi monftrabo amatorium Dane medicamente fine berba , fine ullius  0  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] er veneficæ carmine ; fi vis amari , amau. :l Ed udite anche ciò, che dice S. Ago  stino : Nulla est major ad amorem in vitai tio , quam prævenire amando.  Sem. E che le gioverà questo reciproco amore , quando le cose domestiche andranno di male in peggio?  Pub. Assai più di quello , che voi credete; imperciocche quando sarà ac. certata di questo reciproco amore, ed informata insieme dei disordini domestici, in certe congiunture, che le donne fanno prendere, lo saprà con dolci  maniere ben'effa illuminare. f Sem. Ed illuminato , che fosse, se  non sarà capace di operare di vantaggio, a che gli potrà servire ?  Pub. A molte cose ; imperciocche prenderà ben' ella un'alera simile congiuntura, e ne otterrà ciò, che saprà bramare; che farà appunto il maneggio dispotico della casa : e vi pare, che questo amore abbia operato poco a far. le spuntare tanto dominio? Sem. E se glie lo negasse ?  R  Pube  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Non è possibile, che ciò faccia, se pon farà più che inumano .  Sem. E se fosse ?  Pub. Allora converrebbe prendersi altre vie, senza però scemare punto del suo cordiale affetto.  Sem. Queste quali sarebbero ?  Pub. Essendo egli trascurato sarebbe cosa facile, che potesse la saggia donna trovare qualche buon canale fecreto,da far penetrare a chi comanda lo stato, nel qual li trova quella infelice casa.  Sem. Basterà poi questo , per farlo divenire applicato?  Pub. Oh quanto opera tale istanzas fatta da faggia, e pudica moglie ! si udirå all'improviso dichiarato unEconomo al trascurato marito, e si verificherà in Jui il proverbio di Salomone : Qui ftultus eft ferviat fapienti ; ò pure quell’al  feruus fapiens dominabitur stultis filiis : e recherà ammirazione, che non potrà penetrare, donde fia provenuta tale istanza, non potendosi egli mai persuadere, che l'abbia procurata la sofferentiffima moglie. Ed ecco rimediato    a tutto senza strepito, e concesa alcuna;  non dovendosi a queste esporre le fag-  gie donne; conformc lo dimostra il la-  crificio, che costumava presso i gentili  farsi 2 Giunone Dea delle nozze, cui  non ardevano già le vittime, alle quali  non era stato prima levato il fiele, eget-  taro via , per denotare, che non deb-  bano mai marito, e moglie adirarsi in-  fieme.     - Sem. Qualche volta però è riuscito  alla moglie, che ha mostrato perto , di  ottenere ciocche voleva da suo marito.   Pub. Sì bene dal marito prudente,mà non già dall'imprudente , e vizioso . Santipre non averebbe già fatto fare a fuo modo , fe invece di Socrate foffe stato marito suo l'Ercolano, di cui parlammo ; e ragionando noi ora de' mari. ti viziosi, e mogli saggie, nulla gioverebbe a queste,il  mostrare petto;anzi facendolo doverebbero cancellarsi dal numero delle prudenti. mi Se fosse prodigo, come ella si  [ocr errors] dovrà contenere ?  Pub. Oltre di amarlo, come si è detto di sopra, dovrà guardarsi dal riprenderlo soverchiamente, e con modi aspri per non irritarlo maggiormente; insegnando Plutarco, che l'austerità della donna dee, come quella del vino , renderá giovevole, e grata , non già amara, e dispettosa, conforme quella del. l'aloe.  Sem. S'indurrà facilmente la moglie, per goder ella ancora de' suoi fcialacqui, a non riprenderlo.  Pub. Non è così ; perciocche la donna faggia patisce fuori di modo, nel vedere dilapidarsi la casa; anzi che procurerà di non goderli per quanto può, u fi conterrà nel vestire pulita si, ma senza alcuna vanità; mostrando Plutarco, che l'unico mezo per acquistarli la grazia del marito, fia la vita esemplare, lontana da cutte le vanità superflue : cu quando il marito, la volefie forzare a far diversamente, sarà capace di scusarfi con un santo pretesto di divozione,  dal  [ocr errors][ocr errors] dal quale venga moffa a vestirsi di unj abito votivo, cd accompagnerà ancor'a questo astinenze, ed orazioni, per ottenere da Dio la grazia , che il marito fi ravvegga.  Sem. E le ciò non ostante, egli continuafle nella medelima forma , non sarebbe pur ineglio, che godesse ancor essa, potendo in tal guisa dar gusto as suo marito?  Pub. Non lo farà essendo prudente; perciocche considererà , ch' essendo due a dilapidare, più prestamente si darebbe fondo a tutto ; mentre due deAtrieri, che concordemente corrono al precipizio, poco indugiano a cadervi; dove che, quando uno di essi è refio, lo può ritardare di vantaggio.  Sem. Sin ora però non iscorgo riparo alcuno.  Pub. E credere voi, che il marito , vedendola così ben composta, e così esemplare nella modestia, a lungo andare non s'illumini? Quello esempio, çh'egli avrà continuamente avanti gli  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] occhi, sarà di tanta efficacia , che finalmente lo farà rayvedere : ed udite ciò, che dice Euripide a cale proposito:  Domiperdam etiam virum probibet  UXOR  Bona , ci conjuncta , fervat domum. Mà meglio ancora apprenderete tal verità da S. Crisostomo in Joan. Homil.60. Nil potentius muliere bona ad inftruendum, & informandum virum, quodcumque voluerit : neque tam lenitèr amicos, neque, magistros , neque Principes patietur, ut conjugem admonentem , atque consulentem . Habet enim voluptatem. quamdam admonitio uxoria, cum plurimùm amet, cui consulit. Multos poffums afferre viros asperos, immises per uxores mites redditos, & manfuetos; ipfa enim mensa, lector. E conclude:fi prudens erit, & diligens, omnes vincot.  Sem. Tutto questo bene si potrà ottenere, allorche avrà dilapidato ogni cosa; ed à che le potrà giovare l'effersi tanto affaticata, allorche averà ricevu., to il colpo facade?  Pub.  [ocr errors] Pub. Non è così, Sempronio ; perche se indugiass’egli molto à ravvedersi, non già trascureranno i propri parenti ò pure  colui, che aveffe con autorità suprema a porgervi riparo, mossi dalla gran sofferenza della saggia donna.  Sem. Ma non sarebbe rimedio più speditivo, che intentasse la donna il giudizio contro di esso, per farlo dichiarare dilapidatore?  Pub. Questo non farà mai chi è saggia; perche considererà molto bene, che dopo un simile paffo non vi sarebbe più pace tra loro : e poi diciamola giusta, per via di liti, se facesse il marito comparire, che in vece di effere dilapidatore, fosse più costo economo, che cosa se li potrebbe fare ? sapete pure, che i raggiri non mancano.  Sem. Quale sarebbe dunque il rimedio per ovviare fimil male , quando colle buone non si potesse ottenere ?  Pub. Di porre un'altra testa capace à governare bene la casa, in vece di quella, che governava male, qual sarebbeappunto un'altro Economo, per fare verificare ciò, che dispone l'Ecclesiaste: Servo fenfato liberi serviant .  Sem. Io bisogna, che parli, come la intendo: ho veduto alcuni Economi in breve tempo arricchirsi con queste ainministrazioni; onde non vorrei, che simili economati servissero di apparenza; mà che poi in sostanza le cose continuaffero nella medesima forina ad andar male; con questa differenza solamente; che quello , che si deteriora, non apparisca, passando nascostamente in borsa dell'Economo; il che mi perfuado , che possa esser'errore peggiore del primo ; mentre facendolo il padrone confumerebbe il suo ; mà l'Economo fi  apo proprierebbe quello degli altri.  Pub. E di quelli , che hanno amministrato con ucile considerabile dell' economato, ne avete veduto alcuno?  Sem. Di questi ancora.  Pub. E de' prodighi , chi avete osservato, che non abbia dissipato tutto il  fuo?  Serg  Sem. A lungo andare niuno. meh Pube Or dunque complirà alla Repu  blica, che vi sia detto economato; e 1 particolarmente , se la moglie sarà pruI dente, e non vorrà anch'essa approvece ciarsi di qualche cosa; nel qual caso i non potrà già l'Economo fare dispotica  mente a suo piacere, avendo ch’invigi  li attentamente alle sue operazioni : 0 i poi se questi si arricchiscano, ponno far  lo con altri impieghi onoratamente , essendo uomini di somma abilità.  Sem. Mà non sarebbe meglio, che separasse la sua dote, e riconoscesse il fuo?  Pub. Queste voci di mio, e tuo non sonavano bene alle orecchie di Platone; e le detesta Plutarco in bocca delle mogli, volendo che tanto il bene, quanto il inale sia comune tra efli: ed io credo, che questa reciproca comunanzas fia molco vantaggiosa per il marito; pera che se la moglie crederà per sue ancora tutte l'entrate della casa, non ispenderà con tanta facilità queste in cose sus  per:  [ocr errors] perAue , essendo le donne di natura tenacissiine nello spropiarsi del proprio.  Sem. E se foffe Avaro a quel segno, che per ingordigia di cumulare moltoro facesse mancare il bisognevole alla moglie, ed a' suoi figliuoli ?  Pub. Questo non dovrebbe farsi, e da persone civili maggiormente, essendo padri di famiglia ; tanto per non dire a’figliuoli mal'esempio , quanto perche dee l'uomo civile lasciare a posteri gloriosa memoria di se medesimo; questa non si acquista già mediante l'oro viziosamente radunato; perche non sarà più suo dopo morte, passando all' erede, per lo più prodigo, il dominio di effo, il quale scialacquandolo ravviverà bensì l'ignominiosa memoria dell'Avaro, che lo cumulò; dicendo ogn'uno allorche lo vedrà spendere malamente in bagordi , crapole, e luffi : vedere dove và l'oro dell'Avaro ? onde à che gli sarà servito l'effere stato tiranno di se medesimo nel cumularlo, e che bei vantaggi ne avrà riportato ? Quindi è, che  non  0.  non senza inistero fà da un'ombra del suo inferno domandare il Dante all'Avaro.  Dicci , che 'l sai, di che sapor è loro 3  Mec. Se l'avesse doinandato à Crasso, averebbe risposto francamente, ch'era molto amaro      amaro, come dice il Petrarca.  E vidi Ciro più di sangue avaro ,  Che Crafo d'oro,e l'un, e l'altro n'ebbe  Tunto alla fin, che a ciascun parves   amaro. Mec. Fu data una bella risposta à colui, che trovandosi presente al sontuoGislimo funerale fatto dal figliuolo generoso al Padre zvaro, domandò ad un suo amico : che averebbe detto il defonto se fosse risuscitato, ed avefle veduti tanti lumi di cera ardere nel medesimo tempo, quando egli vivente, in casa sua, non pocea Coffrire , che più di una lucer, na di olio ardeffe ; cui rispose : nullas certamente, posciache tuito s'impic-. gherebbe in estinguere prestamente col suo fiato quei lumi, affinche non li logoralsero di vantaggio; ayerebbe bensi  [ocr errors][ocr errors] mu  mutato con sollecitudine il testamento; perche tal generoso erede non gli sareb. be piaciuto.  Sem. Vorrei sapere, che dovrà fare la povera moglie, e come lo potrà amare, trovandosi priva del bisognevole?  Pub. Ciò non oftante conviene, che lo ami, lo serva, e gli faccia tutte le maggiori finezze poslībili, con mostrarne anche piacere de' suoi sordidi avanzi, fintanto che sarà divenuta padrona del suo cuore per regolarlo à suo modo.  Sem. E questo appunto egli defidererà; mà in tanto la meschina patirà doppiamente, facendolo di contragenio.  Pub. Abbia un poco più di sofferenza; perche guadagnato , che avrà l'animo di esso, farà allora ciocche vuole, essendoci moltissimi esempj di Avari fatti divenire anche prodighi dalle mogli; onde quanto sarà più facile a renderli persuali, di dover fare le loro convenienze:  Mec. Si racconta dal Sabellico un ingegnosa maniera, della quale si servi ladem faggia moglie di un Signore molto avatro. Questi per ammassare quantità im  mensa di oro, che si produceva dalle di miniere, scoperte nel suo dominio, tei nea impiegati à tal opera tutti i conta  dini, che coltivavano la tèrra ; e perciò n'era nata grandissima carestia, per la quale correva pericolo di essere tagliato in pezzi l'autore di essa, se las iaggia moglie colla sua prudenza non lo aveffe illuminato. Questa dipoi di csferfi ben internata nel suo affetto fè dan molti artefici formare coll'oro tante vivande, quante n'erano necessarie in un sontuosislimo banchetto, e perfezionare segretamente che furono , invitò fuo marito à definare nel suo appartamento,  e portatovig rimase egli ammirara allas  prima, nel vedere quel sontuoso imbardimento di vivande, tutte di oro, e fi persuadeva, che ciò fosse itato fatto per ; una.vaga prima comparsa ; mà rimirane. do in appresso, che non compariva a'.tro, che oro in varie forme di vivaride lavorato , le disse ; Signora ;, e quan  do  do verranno le vivande da potersi mangiare ? Replicogli la moglie, che trovandosi tutti li contadini applicati alle miniere , non si attendeva più à coltivare la terra ; onde bisognava accomodarsi à mangiare oro, perche de' soliti comestibili già si penuriavad affatto ; fi avvide egli del suo errore , e fe dismettere tal lavoro per attendere à quello, ch'era più neceffario, e dopo piamente utile per la conservazione del suo individuo.  Sem. Essendo il marito scapestrato , che cosa dovrà fare l'infelice moglie?  Pub. Arinarsi di' una santa sofferenza con amarlo più, che sia possibile .  Sem. Maltrattando però anch' ellas con fatti, econ parole; non sò, come potrà continuare ad amarlo, e fopportarlo.  Pub. Non potendosi cimentare seco la saggia moglie, non potrà farne di meno; perche altrimentine anderebbe sempre  di sotto ; come accennò Ovidio nel secondo de' Fasti:  Quid faciet? pugnet? Vincetur fæmina  pugnans • E parlando altrove d'Ipemnestra , le fe dire : Che deggio io far del ferro? in che con  viene Coll’armi una donzella 2 io più conformi Ho le braccia , le man, la forza , ib  cuore  All'ago, all'apo , alla conocchia, al  fufo, Che all'armi crude, e bellicosi ferri . Laonde sempre meglio farà à soffrire', 1 andandolo bensì illuminando a poco ad  poco con dolci modi, mediante i quali le fiere stesse depongono la loro crudel. tà; e s'egli non averà un cuore più cru  do di quello delleone , non incrudelirà - certamente contro di essa, raccontando  Plinio di questo animale : ubi sævis, in  viros, plus, quam in fæminas fremeres 1 veluti natura eum docuerit mulieres mi  tius, quam viros elle tractandas. E for tuttavia perseverasse à rampognarla, si  serva di quell'avvertimento, che diero  no  [ocr errors] no i capitani di Ciro ai suoi soldati : che venendo i loro inimici alla zuffa gridan. do , con silenzio gli avessero accolti ; mà se tacendo, andassero efli ad inveftirli gridando; dal che ne cavo Plutarco layvertimento, che debbano tacere le donne, allorche vedono i mariti adiraci; quando sono mesti bensì debbano animarli, e dar loro sollievo con affettuose, ed efficaci parole.  Sem. Voglio credere, che la moglie manierosa lo possa addolcire à fine, che seco non contrasti; mà fuori di casa come lo potrà trattenere, che non prenda impegni di duelli, ò di riffe ?  Pub. Quello , che seguirà fuori di casa, essa non potrà cercamente impedirlo, essendoche non dee andargli appreffo; lo domerà bensì in questo caso qualcun'altro, perche vexatio dat intellecium ; onde maltrattandolo qualcuno, ò effo altri, in ambidue i modi  potrebbe mettere giudizio; poiche, feri. ceverà, oh quanti mutano vita dopo di avere fofferta qualche disgrazia confi.  de.  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] derabile , e se offenderà altri, il gasti. go ancora, che gli sovrasterà lo potrebu be far ravvederc .  Mer. Hò conosciuto molti di questi , che hanno perseverato qualche tempo nelle loro stravaganze, e poi si sono domati, e particolarmente quei, che hanno sofferte considerabili sventure.  Pub. Alcuni di questi ancora si ravveggono allor , che divengono padri di numerosa famiglia, crescendo loro il pensiero di provederla , e particolarmente avendo molte figliuole ; onde non dee mai la saggia donna disguItarsi con fimili mariti; dee bensì raccomandarli al Signore , che li faccia ravvedere , ed abbandonando le vanità mondanc, attendere al governo dellas sua casa più diligentemente, che sia poflibile.  Sem. Essendo giocatore, come dovrà regolarsi con esso lui ? converrà che lo seguiti anch'essa per darli sodisfazione?  Pub. Per andare in rovina prestamente, cosi potrebbe fare.Sem. Forse che nò; perche tal volta perdendo uno, vincerebbe l'altra, e maggiormente, che sogliono le donne vincere sempre ; onde potrebbero andare le cose compensate, e senza veruno discapito.  Pub. E se perdessero ambidue, bella compensazione , che seguirebbe! Le donne possono vincere con licurezza solamente quando si contentino di fares perdite maggiori,terminato il giuoco, è prima di principiarlo; per altro sono anch'esse soggette alle perdite.  Mec. E curiofo,ciò che accadette una volta in mia presenza : giocava un mio amico con una donna alquanto atrempata, ed avendo egli carte superiori, io gli disli, che non le avesse scoperte, e fi foffe fatto vincere, giocando con una donna. Questi mi rispose, che non las teneva più per donna altrimenti, avendo passico li quaranta anni, mà bensì per uomo.  Sem. Or ditemi , che cosa debbas fare?  Pub.  [ocr errors][ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Amare, e sopportare il marito, ed i suoi difetti.  Sem. Questa è la solita canzona; mà intanto in una notte potrebbe giocarsi tutto il suo; ed allora che le averebbe  giovato l'amare, ed il sopportare? I.  Pub. Dite voi dunque ciò, che dovesse fare per darvi più opportuno riparo .  Sem. Diricorrere, farqi sentire con iftrepito, per impedire, che non potefse più giocare.  Pub. Oh bene ! É non sapete voi, che nitimur in vetitum ; onde questo sarebbe à appunto il motivo di fargliene venire  maggior desiderio di prima ; e se avesse dismesso per lo passato il giuoco à meza notte, di farglielo durare in avvenire sino à giorno, per fare dispetto all'imprudente moglie.  Sem. Mà che dovrà fare questa infei lice donna?  Pub. Non altro, che sofferire , ed amare, più che mai, ed udite ciò, che dise S. Ambrogio Sec. Offic. Quid tam  ino.  [ocr errors][ocr errors] S 2  S  [ocr errors][ocr errors] inolitum , atque impreffum affe Etibus humanis, quam, ut eum amare inducas in animum, à quo te amari velis?  Sem. Penurierà la casa del necessario, non si pagherà la servitù, i debiti cresceranno, le tenure deterioreranno, anderà tutto da male in peggio, e questo sarà appunto il frutto del soffrire , ed amare.  Pub. Forse , che lo schiamazzo della moglie, quantunque giugnesse à quel fegno descritto da Virgilio: Fæmineum clamorem ad. cæli fidera's  tollunt. potrebbe dare riparo à tanti mali? certo che no, mentre, come dicemmo, diverrebbero maggiori. A tal pro- en pofito cade in acconcio la risposta , che diede il Re Filippo à coloro, che lo fti- dic molavano à muovere guerra ai Greci, i quali beneficati da esso sparlavano della sua real persona, che fu quefta : Quanto peggio farebbero , se fossimo nemici la loro ?  Sem. Però se io fosfi ne. suoi piedi,  [ocr errors] non  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] non potrei essere così amoroso di un marito, che procura di mandare la casa in malora.  Pub. E che fareste dunque di vantaggio? 50  Sem. Sei iniei parenti non mi volesseed  ro dare ricetto in casa loro , me ne sta  rei in un appartamento separato , e pro. 1  curerei di non trattarlo più; perche, come si suol dire : occhio non vede, cuor non duole.  Pub. Sarebbe questa certamente una gran pazzia conosciuta anche da Eui ripide per tale; mentre egli fa dire ad  Giunone; non esserci altro rimedio più  opportuno , di questo, per riconciliare  gli animi, che il conversare insieme ,  dicendo:   Ho disegnato a lunghi lor contrasti  Ho giammai di por fine con un modo   Segreto, e nuovo a lor, unırli insieme. i Onde qual vantaggio riporterebbe dallo  ftare lontana dal marito, e di abbandonare affatto il letto nuzziale , fe non di eternare le discordie? e se non sapete,  che  [ocr errors] S 3  che cosa guadagna la donna , con fare la disgustata, udirelo da Salomone: Qui confundit domum fuam poffidebit ventos ; onde fi ritroverà alla fine colle mani piene di vento, e questo sarebbe appunto tutto il guadagno, che averebbe fatto.  Mec. Io, che in mia gioventù sono fato amico di qualche giocatore , il qual faceva grosse perdite , in occalione, che taluno di effi mi riferiva le sue sventure, non potevo contenermi di non domandare, se la sua moglie n'era consapevole, e mi dicea, non avere potuto farne diineno di non palesargliele, allora, che dovendo fodisfare la grossa perdita già fatta , gli era convenuto più volte chiedere le gioje, per impegnarle, non trovandosi pronto il danaro; cui replicavo : che schiamazzi averà fatto ella trovandosi doppiamente disgustata ; e rimaneva ammirato nell'udire, che qualcuna di effe con prontezza grande glie le dava ; e di vantaggio mi riferiva, che non vi era già pericolo, che la trovasse colcata, quando cornava quancunque avesse tardato molto; anzi, che con faccia molto allegra li dava la buona sera, allorche lo vedeva comparire; e mirallegravo seco dellas buona sorte, che godeva nelle sue sventure, essendosi abbattuto in una sì prudente moglie; ne mi poteva contenere, avendo seco confidenza, di non riprenderlo in tale occasione con dirgli:c voi siete sì crudo, che non avete comparfione di farla ogni sera tanto parire: troppo fo, mi dicea egli ; perche se non pensasli ad essa talvolta, che mi trovo sotto nel giuoco,chi sà quando lo avessi terminato, e che perdita maggiore avessi fatto ; allicurandomi inoltre che di tanti incomodi, che le aveva recati , ne averebbe avuta viva rimembranzada à suo tempo, per farla godere, se soprayiyeva ad esso, pensando di lasciarlas erede, non avendo figliuoli; conforme appunto è seguito ; onde la sua sofferen· za ,  fu alla fine rimunerata . Sem. Ed in quei giocatori, che avevano le mogli risentite, vi siete mai abbattuto?  Mec.  [ocr errors] S4  Mec. In questi ancora, e domandan. do loro, che dicevano le mogli allorche sapevano le loro grosse perdite, vi fu tra questi chi in tal guisa mi rispose : il maggiore tormento, che io abbia allorche fo qualche groffa perdita è di vedere inviperita mia moglie, cui chiedendo le gioje, per impegnarle, me le hà sempre negate ; mà io l'hò mortificata con vendere altre cose, ch'erano di sua somma fodisfazione ; affinche conoscesse, che io era il padrone.  Pub. Vedere dunque , Sempronio , quanto sia meglio soffrire in questi casi, che fare risentimento; e voi Mecenate, di grazia cessate di dir male più delle donne, avendo confeffato, che vene sono delle prudenti ancora .  Mec. Sono però queste di fimile natura rariffime, non contentandosi per lo più le mogli di farli impegnare le gioje, e particolarmente à sodisfare per le perdite fatte nel giuoco .  Sem. Come debbonsi le mogli regolare, quando scorgogo i mariti diviati a  Pub  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] mente,  Pub. In niuna altra occasione si conosi  sce meglio la donna saggia , quanto in fi questa ; imperciocche le tocca sul più 1 vivo; onde doverà adoperarvi cutta la  prudenza poffibile per divertirlo. Sine tanto, che il fatto sarà secreto, non dee darsene per intesa; e se taluna lv rapportasse , che viene tradita da fuo marito , dee ella replicarle con risentimento: ch'egli l'ama , e crede ferma  che per questa cagione non le possa fare un simile torto, dee però servirsi dell'avviso, per rincontrare dalle mutazioni , che scorgesse in lui , tanto nell'affetto, quanto nella stima verso di lei, se debba prestarle fede.  Sem. Doverà dunque lasciar correre trascuratamente, senza darci riparo , male fi considerabile, una donna in particolare, che non gli da occasione alcuna di farle simile torto?  Pub. Ho udito dire da' Medici, che ci siano alcuni rimedi , che sono peggiori del male, al quale si applicano ; onde non vorrei, che questo fosse uno  di quelli; palesatemi dunque voi qual credereste in questo caso essere il suo ri. medio più valido , quando non vi piacciano i più beoigni .  Sem. Di fuggirsene immediatamente in casa de' suoi genitori, con animo di non tornare più da suo marito.  Pub. Questo appunto sarebbe uno di quei peffimi rimedi, posciacche dandofegli campo libero in avvenire di fare, ciò, che vuole, accrescerebbe non folamente il male antico, mà ne produrrebbe, anche degli altri, che sono las totale discordia conjugale, ed il divul. garsi da pertutto ciò, che non è bene, venga publicato.  Sem. Che cosa dunque ella dovrà fa  , per non morire accorata , dimorando in casa del marito ?  Pub. Conyerrebbe , in questo caso principalmente , ch'ella ben apprendesse quel consiglio dato da Platone as Zenocrate, qual fù : che sacrificate alle grazie , per essere più avvenente, che per lo passato ; e così con dolci manie.  re  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] re  [ocr errors][ocr errors] re potrebbe facilmente conciliarsi il suo affetto ; dicendo Salomone che: Mulier gratiofa invenit gloriam. E quali debbano essere queste dolci maniere ; non occorre, che mi diffonda per istruirne le donne, cfsendone di effe maestre: diro solamente, che se la palma, ch'è un albero insensato arriva, come vuole Plinio, à piegarsi, allorche stà vicino alla sua palma femina , volete , che il marito ancora non si renda alle piacevoli maniere di una saggia moglie? Fu interogata Livia Drufilla da una Dama, perche faceva fare ad Augusto marito suo ciò, ch'ella volea ; così rispores : perche fo volentieri quello, che io conosco essere di Cesare in piacere, e non ricerco i fatti suoi , come racconta Dio.  ne.  Sem. E se faceffe praticare per casas una sua qualche donna Atraniera, come la potrà tollerare ?  Pub. Anzi la dee, per non irritare maggiormente l'animo di suo marito, e farle corresie ancora, mostrando di non essere consapevole di cosa alcuna ; conforme appunto fè Terzia Emilia moglie del maggiore Affricano, la quale, non solament’egli vivente, diffimulò di fapere,  che suo marito amaya una fuas schiava, mà dopo la morte di esso las fè libera, e la diede per moglie ad un suo liberto ; come racconta Valerio Massimo. Ed Omero riferisce di vantaggio, che la moglie di Antenore aveffe egual cura di un figliuolo fpurio di esso, di quello , che avea de proprj, per non disgustarfi suo marito. Plutarco ancora racconta nel libro delle donne illuftri, che Stratonica si prendesse il pensiero di educare bene i figliuoli di Dejotaro suo marito, quantunque  forsero nati da Elettra sua serya : oltre poi quello, che dice la facra Genefi di Sara, ė di Rebech ab 16. & 30.  Sem. Questo però non lo porrà mai fare una moglie di spirito ; non potendo questa soffrire un simile torto .  Pub. Quefte, che hò riferite , avevano spirito, cprudenza; ne mi persua  [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors] deco,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] derò, che possiate darvi à credere , che - Olimpia madre di Alessandro il Grande lie  non avesse spirito, e pure questa , venendole rapportato, che Filippo suo marito era talmente invaghito di una giovine di Teslaglia, che si credea communemente, foffe ammaliato ; volle conon scerla , ed appena veduta, che l'ebbe le disse : Tecum enim philtra babes, quanto mai le parve bella ! e non fu questa picciola finezza il dire ad una sua rivale, che rapiva il cuore di tuti.  Mec. Io so, che alcuna di queste per aver ricevute.cortesie obbliganti dalle saggie mogli, sono fervite di mezane , per riconciliare l'affetto era effe,e i loro mariti : altre poi, che hanno ricevuto strapazzi,sono state cagione di odj mag. giori tra essi ; onde seinpre hà giovato alle mogli saggic, di non inafprire maggiormente la piaga con irritarla.  Pub. Un'ottimo ammaestraméto vien dato à queste da Plutarco, ed è di non allontanarsi mai dal marito, perche facenda altrimenti, la rivale diverrà af  for  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] soluta padrona, non solamente del letto mà ancora della casa tutta,  Sem. Mà durerà sempre questo disordine ?  Pub. Non durerà, perche la prudente moglie saprà vincere col tempo las violenza dell'altra, come ben cspreffe Ofeo Poeta :  Capitur ergo ab infirmis celer,  Aquilamque brevi testudo vincit. E la testuggine appunto, essendo Gimbolo della donna onefta, non recherà maraviglia, se questa ancora frenerà il volo dell'aquila, con aspettare però l'occafione opportuna, la quale potrebbe essere, allorche li fa dimora in villas, ove l'amica non fosse presente; ed il maggiore argomento che potesse addurre per allontanarlo dall'amore impudico, sarebbe appunto di fargli conoscere colle buone, il cattivo esempio, che ne prendono i figliuoli; con insinuargli ancora,per giuoco,quel detto di una pudica donna, tratta å forza dal Re Filippo: deh lasciami andare, gli disse, per  [merged small][ocr errors][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors] na ,  Il che tutte le donne , portata via la lucer  sono simili ; mà se poi imitasse * quella prudenre Gentildonna Sicilianad  di cui fa menzione Lodovico Vives, nel *' lib. 2. de Christiana fæmina , quanto mai u lo renderebbe à se affezionato? Questas  andava osservando ciò , che facevano i servitori, che fosse al padrone marito suo più grato, e quello ella facea di sua mano studiosamente; se bene talora con estrema fatica fua, quello poi , ch'era di meno travaglio, fatica, e noja, comandaya à servitori.  Sem. Mà quando non fosse deviato altrove il marito, che cosa porrà fare la i donna savia , à fine, che non ecceda con i essa lei in pregiudizio della propria falute ?  Pub. La saggia donna non dovrà mostrarsi renitente à fodisfare le brame di E fuo marito ; ben è vero però, che dee'as 1  poco a poco, andargli dolceinente infio nuando il danno, che potrebbe appor  tare l'immoderata frequenza degli arti conjugali , potendogli questi abbrevia  Per que  .  re anco la vita con danni notabili della  sua famiglia ; e starà ben ella circospet-  ta nell'ordinare vivande, calorose per  la mensa, ed ancora nel tenerlo lonta-  no dallo frequente uso del cioccolato,  erosolì.     Crescere res poset nimiùm damnofa   libido. Come vuole Ovidio . Sem. Prometteste, Dottore, di mo. strarmi sino à che segno poffa giugnere l'uomo in pagare il debito matrimoniale senza discapito della propria salute.  Med. Epicuro, Democrito , Averroe, ed altri Filosofi ancora credettero, che sempre sia molto dannoso l'uso venerco : Altri poi lo credono solamente, allora, ch'eccede i limiti dell'onesto.  Sem. Or io non voglio andare cercando malanni ; per battere al sicuro mi contento starmene senza prendere moglie ; perche la propria salute mi dee premere molto più della moglie.  Med. Ditemi di grazia , Sempronio, senza andare in collera : Voi che avete fpiriti generosi, fe venisse un esercitoDell'Elezione della Mog. 289 per distruggere la vostra patria, per salvare la propria vita, abbandonereste la difesa di essa é o pure vi porreste ad evidente pericolo di morte per difenderla ?  Sem. Sarei un gran codardo, quando l'abbandonaffi; dovendo per sua difesa porre à pericolo la vita con tutte le mie sostanze  Meda E per conservare la vostra specie, la quale può difenderla ne' suoi bisogni, perche ricusate di farlo? non ponendo già ad evidente pericolo, nè vita , nè roba , contenendovi dentro i limiti della moderazione, esponendovi in tal caso solamente à pericolo di soffrire qualche moderato, e breve disaggio: e se voftro Padre fosse stato di questo sentimento  come farefte voi  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] naro ?  Sem. Converrà dunque farlo ; mind u questa moderazione nell'uso venereo, in che doverà confiftere?  Med. Primieramente in fuggirlo più, che sarà possibile la state: dicendo Cel. co 10, aftate in fptum, fi fieri poteft, abftinen.  ,  dum ; e nell'autunno dice : neque autumno utilis venus eft ; nel rimanente poi dell'anno non abufandovene sarà sempre meglio per voi,  Sem. Mà da che potrò comprendere tale abuso?  Med. Dalla stanchezza, che riceverete dopo di esso, perseverando questa, per qualche tempo, nella forina , che descriffe Ovidio di averla osservata in un amante Vidi ego cum foribus laljus prodiret  amator Invalidum referens ; emeritumques  latus, Sem. E cadendo io in questo, che rimedio averò da praticare?  Med. Aftenervene per qualche tempo, dicendo Virgilio nella Georgica;  Nulla magis vires industria firmat Quam Venerem, cæci fimulos aver  tere Amoris, E di questo niuno meglio, che voi ne potrà essere giudice s purche sia la voItra mente libera, e non preoccupatas  dall  [ocr errors] [ocr errors] dall' estro libidinoso .  Şem. E per fuggire questo, qual ri# medio sarebbe opportuno ?  Med, Il vitto moderato, e la moglie - favia sono i veri antidoti per indurre moderazione nelli cimenti di venere.  Pub. Vedere dunque , Sempronio, quanto possa giovare una saggia donnas nel fare prolungar la vita à suo marito ? prendetelo dunque à buon fine, quan  do la vostra moglie vi frenaffe in que1 fto, facendolo per noftro bene.  Met. Or io non vorrei starmene raffi, dato alle donne sopra di ciò; perche affai di rado fi riceverebbe da effe tale beneficenza;vorrei più tosto prendere l'efeinpio dai bruti, i quali , toltone quei tempi prefisli loro dalla natura, non si ac.  costano più alle femine, nè tampoco ef: se appetiscono i maschi; ed udite come  lo conobbe bene Democrito riferito ,  Dottore, dal vostro Ippocrate nellas u lectera scritta à Damageto; Anniversa  riorum temporum ordo, brutis quidem danimantibus coitus finem adfert , homo  T2  verò  [ocr errors] [ocr errors] verò infano libidinis stimulo continenter agitatur.  Sem. Dandosi il caso, che il marito fosse impotente, ne viverà contristatas la povera moglie di questo?  Pub. Prescindendo dal rammarico, che averà, trovandosi priva di figliuoli, credetemi , ch'essendo prudente, non fi prendera di ciò fastidio alcuno;perche considererà ben'ella, che quel momentaneo diletto è compensato da molti altri tormenti, che îi soffrono, non solamente nelle cattive gravidanze, e laboriofi parti , mà quello, ch'è di travaglio maggiore, nell'educar beoe i figliuoli , de' quali taluno alle volte riesce scapestrato laonde se rifletterà à ciò che dice l’Ecclefiaftico al 16, Utile eft mori fine filiis quam impios habere, aidarà pace essendo priva di elli.  Sem. Io conoseo alcune di queste sterili, che non fanno alcro, che sospirare; eso che volentieri introdurrebbero il giudizio del divorzio. Pub. Ed io conosco più di una  di  que  [ocr errors] 2  fte,  fte, che si trovano nella medefima nave, le quali stanno contentiflime, e pensano perseverare col suo marito fino allas morte, quantunque sia impotente. E forse credono quelle , che il tentare questo divorzio sia qualche delizioso divertimento ? Sappiano, che converrà loro esporsi à prove, e recognizioni , che danno molto da cicalare per tutta la citrà. Ed inoltre, facendo ciò, mostreranno ancora di essere libidinose,deliderando avere più validi mariti.  Sem. Mà coine ci potrà essere pace i tra simili conjugi?  Pub. Se la moglie sarà prudente, non i ci sarà discordia alcuna ; perche vedenÛ dofi il marito così impotente, procurerà per altre vie divertirla , se non  fürà del tutto disamorato.  Sem. Mi persuado , che poco averà · da dolerâi la moglie del marito goloso , * quando però faccia anche ad essa gufta10 re qualche delicata viyanda?  Pub. Non è così; perche la donnas prudente di questo fi rammarica al parodi tutti gli altri difetti, essendo che fis mile vizio persevera per lo più fino allas morte ; onde con facilità grande può far impoverire; conforme si legge nell' Ecclesiastico al 21. Qui diligit epulas in egeftate erit, qui amat vinum, Q pin. guia non ditabitur . Oltre poi imali, che suole apportare alla salute.  Sem. Mà comc ci potrà dare rimedio ?  Pub. Conosco anch'io, che farà cola difficile il poterlo affatto rimuovere, mà la prudenza, e l'ingegno donnesco potranno darvi bensì qualche riparo , con guadagnarsi l'affetto del suo marito, il quale acquistato, se le réderà à poco à poco facile à titolo di sanità, d'introdura, re qualche moderazione ia effo : avvertali però, che la servitù rimanga in qual. À che parte compensata di quegli avanzi della mensa , de' quali soleva partici- ; parne, altrimenti questa per tal cagione sarà capace suscitare discordie traefo sa, e suo marito, con inventare infinite menzogne,  Sem.  11  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Sem, Ed abbattendosi con mariti di la mente debole, come hanno da fare per di rimuovere dalla loro grazia certi servis I tori favoriti, che li dominano ?  Pub. La donna, che colla sua pru. denza può giugnere à rimuovere dal cuore di suo marito caluna, che lo porfedeya indebitamente, con quanta facilità maggiore potrà allontanare questi,quando voglia abusarli della dilui grazia ; ed in ciò non occorre istruirla di vantaggio, essendone espertissimas; basterà solamente accennarle , che faccia passaggio delle cose leggiere, e nelle gravi norf operi con violenza grande, per non porlo in impegno di sostenerlo ; mà venendo l'occasione opportuna in qualche fuo trascorso rilevante, gli faccia conoscere , ch'ella non opera per passione, ma bensì per suoi vantaggi.  Sem. E se aveffe anche la Suocera cartiva , la quale consigliaffe suo figliuolo à Itrapazzarla , che cosa doverà fare?  Pub. Di sopportarla , amarla , erispettarla , come costuma fare con fuo  [ocr errors] [ocr errors] marito ; perche non nascono già per altra cagione le discordie tra suocera, u nuora , che dalla gelosia , che hanno le madri , che i figliuoli amino più le mogli ch'esse, da cui ricevettero l'efsere  Sem. Mà se ciò non ostante continuarse à fare il medesimo, non sarebbe me. glio di metterla in discredito appresso il figliuolo, à fine che non le desse più credenza ?  Pub. Questo non dee fare la donna saggia'; dee bensì riflettere à ciò, che, fi costumava nella città di Lepidi in Affrica per meglio imparare à soffrire. Racconta Plutarco, che ivi era costu  che nel giorno seguente alle nozze la sposa mandasse à domandare alla suocera una pentola, la quale le venivad negara ; e questo si facev'à fine che, non G sdegnafre, le in avvenire le avesse negato alcuna cosa.  Sem. Converrebbe ora discorrere fopra le stravaganze grandi, che nascono tra i marişi çattivi, cle mogli peffime ,  [ocr errors][ocr errors] me ,  [ocr errors][merged small] Pub,  [ocr errors] Pub. Non è certamente neceffario parlarne ; posciacche, à chi darebbes l'aniino di consigliare costoro, che sono incapaci di ragione ? Bisogna, che tra loro si aggiustino, e fogliono per lo'. più essere concordi', perche niuno di loro può rinfacciare all'altro i difetti, elsendone ambidue colmi . Il danno è bensì de' poveri figliuoli , che non si educano bene, tanto per l'esempio cattivo, che danno loro, quanto per la direzione, della quale eli penuriano : ben è vero però, che quando questi li avanzano alle discordie', non effendoci mezo capace à poterli più riconciliare tra loro, solamente l'autorità del prencipe può impedire le rovine maggiori che possono nascere per i dilapidamenti delle loro sostanze, 'à fine și non vedea ce mendichi i loro discendenti.  Sem.Sarebbe però un vantaggio grande, che tutti i mariti catrivi prendesse. ro mogli (imili ad essi ; perche alloran per i buoni rimarrebbero le buone solamente.  Pub.  Pub. Succede frequentemente così , essendo questi portati dal loro genio ad amare simili ad essi, secondo il pro-. verbia : aqualis æqualem delectat, ý semper à fimili fimile amatur. Il che viene confermato dal Nazianzeno , di. cendo:  Pulli quidem pullis amici , coruique  corvis ,  [ocr errors] Et furnis sturni , puro autem pretiofus.  eft purus : Meglio però di tutti l'insegna l’Ecclesiaste: Diligit fimile fibi , dow omnis homo fimilem fibi, omnis caro ad fimilem fibi conjungitur, omnis homo fimili sui sociabitur. Onde se accaderà, che una catciva giovane prenda un buon marito non sarà già di sua volontà, mà verrà bensì sforzata da' parenti à farlo, e das quefto nc nascerà quello appunto, che, dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulieris ira , o irreverentia , & confufio magna: on- ; de guai à chi toccherà limile infortunio. ;  Sem. Mà che potrebbe fare chi li trovafle in simili miserie?Pub. Di prevalersi di quest' ottimo consiglio, riferito.da Gel. in Sat.Menip. Vitium uxoris's aut tollendum , aut ferens dum ; perche : Qui tollit vitium, uxorem commodiorem præftat , qui ferte se fe meliorem facit.  Sem. E cui riuscì il potere far questo in core rilevanti ?  Pub. Tra gli altri à Socrate; come ris ferisce Plutar.de Choib. ira: il quale avendo seco à defináre Euridemo, quando nel meglio si alzò in piedi Sancippe , e dopo di avere caricato di villanie socrate roversciò la tavola in terra; onde Euridemo si alzò in piedi addolorato per partirli; cui Socrate disse con gran Aemma: non accadè poco innanzi in casa tua, che una gallina yolando fece l' isteffo ? e pure niuno vi fu , che li contriftaffe disinile avvenimento; perche dunque voi ora lo fate 2  Sem. Non si è parlato Gin'ora, come fì abbiano da regolare le povere donne per iscegliersi un buon marito Pub. Nom dçe la donna sceglierli as  suo  suo compiacimento il marito; mà bensì riceverlo da' suoi più congiunti, e di questo ne parleremo nell'educazione de' figliuoli, mostrando le diligenze, che doveranno farg da' padri å fine di provederle bene.  Sem. Spererei di sapere scegliere las moglie, ora che ini trovo in ciò istruito; mà sposata che l'avefli mi troverei intricato nell'educare i figliuoli, quando Iddio me li concedeffe, non avendo ancor appreso à bastanza il modo das regolarmi per bene diriggerli.  Pub. Nella seguente Decade tratteremo di questo.  [ocr errors][merged small] Sopra l'educazione morale de' figliuoli  CONFERENZA PRIMA  Nella quale si mostra, che cosa sia educazione, cui appartenga più di ogni  altro; e se sia necessario luogo    particolare,ove debba farsi.   Sempronio , Publio , Mecenate  e Medico.  [ocr errors] Sem.  N che consiste l'edu-.  cazione? Pub.  Nello svellere da gli animi de' tcneri figliuoli tutti quei  vizi, che spontaneamente germogliano in elli, e nell inestarvi in loro vece i preziosi gerini delle virtù ; effepdoche, come ben'er  preffe Virgilio nella Georgica parlando degl'innesti ; Pomaque degenerant , fuccos oblita priores,  sem. Come! in noi spontaneamente nascono i vizj!  Pub. Non è da dubitarnę mentre nascono molti vizj con noi medesimi insę. gnandoci il Profeta : Ecce enim in iniqui, tatibus conceptus fum ; du in peccatis concepit me mater mea; verità conosciutas, anche da' gentili ; posciacche Orazio così scriffe:  Nam vitiis nemo finè nafcitur. Optimus  Qui minimis ur getur . E Democrito, che ; totus homo ab ipfo are fu'morbus eft ; ed inoltre, che secondo l'età in noi germogliano i vizi propri di effe, i quali se non saranno a tempo dçbito estirpaţi, quei della puerizia fivedranno adulti nelle altre età; ma vie peggio ancora, che vedo verificarsi ciò che diffe Orazio nell'Odę 6. lib.3. cioè i  Ætas parentum pejor avis tulit  Nos nequiores, mox daturos   Pro  ille eft,  Sopra l'educ. de figliuoli. 303 Progeniem vitiofiorem , E da ciò comprenderece à che segno debba essere ora l'educazione più esatta di prima.  Mec. Ed io che soglio conversare spesso co' miei amici ho veduto più di una volta, in occasione, che questi as. pertavano qualche visita di soggezione, verificarli ciò, che dice Giovenale nella satira 14,  Hofpite ventura ceffabit nemo tuorum ;  Verre pavimentum, nitidas oftende co-       lumnas,  Arida cum tota defcendat aranea tela,  Hic lavet argentum, vasa aspera fer-   geat alter,  Vox domini fremit inftantis, virgam.  que tenensis.  Ergo mifer trepidas ne stercore fæda cao  ning Atria difpliceans oculos veniensis amici, Ne perfufa luto fit porticus, tamen  uno  Semodio foobis , her emendat fervulusE quel ch'è peggio ancora , che vedo verificarli appresso alcuni ciò, che se  gue :  14  [ocr errors][ocr errors] Illud non agitas, ne sanctam filius      omni.  Afpiciat fine labe domum, vitioqae ca-        rentem,  Sem. Vi concorre altro alla cattivas   90 Educazione, che la trascuraggine ulata in non eftirpare à tempo debito gli ac GE cennati difetti  Pub. Potrebbero anche renderla peg el gior e i cattivi esempj dati a' figliuoli, luz dicendo Giovenale nell'accennata satira.  Sic natura jubet velociùs, du citiùs nos  Corumpunt vitiorum exempla domeftica       magnis  Cum   subeant animos auctoribus . Quali cattivi esempi potrebbero a’proprj accrescere gli altrui difetti .  Sem. Mà come possono essere capaci in di cattivi esempi i teneri fanciulli non distinguendo questi ancora il bene dal male?  Pub.  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Dice Plutarco nell'educazione de' figliuoli, che s'imprimono gli ammaestramenti in elli conforme appunta fanno nella cerà molle i sugelli, e che perciò il divino Platone saggiamente avertisce le balie à non raccontare loro  favole di ogni sorta , mà solamente u quelle, che ponno essere giovevoli al  buon costume;confermandoci ciò S.Ba,  filio, il quale, scrivendo à quei dellas  città di Neocesarea , confessò loro di  ellere debitore di una buona parte della  sua divozione alla nutrice, la quale,non  perdendo mai alcun sermone di S. Gre.  gorio, li serviva di molti belli derti uditi  da esso in tutte le congiuntùre, che se  le presentavano per imprimnerglieli benc  nel cuore ancora tenero ; laonde saggia-  mente diffe Focilide :     Mentre fanciullo lei, virtute impara ,  Ma oltre il malesempio', pregiudicano  anche ad elli molto le carrive insinua.  zioni,   Sem. Ma questi mali esempi non sa. ranno dati già loro dai genitori, quants  [ocr errors] 3  ci  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cunque fossero viziosi; perche vediamo i ciechi desiderare i figliuoli bene illuminati, ed i zoppi, che questi liano liberi, e spediti al moto: ne tampoco infinueranno loro cose cattive.  Pub. Così appunto dovrebb’essere, e pure ciò non liegue ; posciache alcuni hanno voluto insinuare à i loro figliuoJini l'invecchiati difetti da' quali esli erano contaminaci. Vi furono due di questi, di cui fa menzione Enea Silvio libr. 1. comment.; che dediti all'ubriachezza procuravano , appena slactati ch'erano i loro figliuoli, di affuefarli al vino facendone gustare loro de' più generofi, che si trovassero; ed uno fti, persuadendosi , che non averle il suo figliuolo bastantemente bevuto vino di giorno, volle di notte, in tempo chc dormiva,farglielo ingojare con un cannellino; mà perche sonnacchioso corceva la bocca ingiuriò aspramente las moglie ; dicendole, che non era suo fi. gliuolo legittimo, per non affomigliarsi ad esso, cui tanto piaceva il vino. E vi  [ocr errors] ed uno di que  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] re  [ocr errors] recherà orrore il sentire di vantaggio bu quello, che riferisce S. Gregorio di un li esecrando bestemmiatore il quale ingi  nuava ad un suo figliuolino di cinque anni di ritrovare bestemmie anche infoJite, e riferisce ancora il gastigo , che da Dio ricevette per sì detestabile dclitro,  Mec. Mà senz' and are cercando gli antichi esempi ; non ci è stato à giorni noftri un Padre, che premiava de' suoi figliuoli quello, che cimentandoli co  i suoi fratelli, rimaneya vittorioso nel d  fare à pugni ? cosa tanto crudele , che non fi racconta già praticata da Gladiatori Romani tra fratelli,  Sem. Le Madri però non saranno state così perverse nel mal'educarli,  Pub. Queste ancora sono state colpevoli di ciò; scrivendosi di Draomirad, : Principessa molto vana, che per colpa  fua diveniffe Boleslao parricida, e fratricida ; dove che il fratello Vinceslao  educato da Ludimilla sua ava molto fagi gia, e pia divenne un Sanco , come nela  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][merged small] la sua vita si riferisce; e da ciò comprendere quanco di profitto apporti la buona educazione.  Mec. Questo non è da porfi in dubio, scorgendoli anche ne bruti profittevole; mentre racconta Plutarco, che Licur. go per fare conoscere tal verità a? Spartani fè comparire due cani , uno de quali era avvezzato per la caccia, e l'altro, dedito in tutto alla sua naturale inclinazione, non attendeva ad altro, che à leccare pentole di cucina, e nel mede: simo tempo à vista loro fè portare anche una lepre, ed un carino di broda : nel vedere il primo fuggire la lepre li pose a seguirla ; e l'altro se ne andò verso il catino; soggiungendo egli a’Spartani: così faranno appunto i vostri figliuoli ancora , se saranno, ò nò istruiti. Quindi è che avendo Tolomeo Re di Egitto domandato ad un Savio quale foffe las negligenza maggiore, che regnava tra gli uomini, egli prontamente rispore : ch'era la trascuragginc nell'educare i figliuoli, mercecche da questa infinitimali ne potevano nascere:  Sem. Mà à chi dev'essere più à cuore questa educazione?  Pub. A coloro, cui dev'essa maggiormente premere, che sono i genitori, e questi debbono con industriose, e diligenti manière spogliarli d'ogni difetto, e d'andare ne i loro teneri cuori  giornalmente istillando il prezioso liy quore delle virtù, senza desistere mai;  essendoche, come avvertì Plutarco questa voce costume , pronunziata in lingua Greca, significa anche continuo esercizio, onde da ciò si può comprendere che non ci vuole trascuraggine nell'educare i figliuoli. Riferisce Orazio Flacco, le diligenze in ciò usate da suo padre; verso di lui lib. 1. Sat. 6. che furono. Sed puerum est ausus Romam portare  docendum; Ipfe mihi cuftos incorruptiffimus omnes Circum doctores aderat , quid mulia?  pudicum, Qui primus virtutis bonos , fervavit ab omni  Non  11  [ocr errors] V 3  [ocr errors][merged small] Non folùm facto verùm opprobrio quo  que furpi. Santamente dunque ordina Salomone ne' suoi proverbj : erudi filium tuum , do refrigerabit te, & dabit delicias anime tudo  Sem. Mà le saranno i Padri talmente occupati, che non abbiano tempo das poterlo fare?  Pub. Se averanno occupazioni più riLevanti di questa, saranno compatiti, caso che nò, sono tenuti di farlo, e non facendolo meritano la riprensione del vecchio Crate,qual disse;contro costoro: Dove andate meschini, d voi, che nel cercare di farvi ricchi movete ogni pietra; e nondimeno de' voftri figliuoli, a' quali lieto per lasciare le vostre facoltà, vi prendere poco pensiero ; al che sog. giugne Plutarco, che questi operano in quella maniera, come se alcuno governaffe bene le sue scarpe, e de i piedi non fi curaffe punto. Or ditemi di grazias qual potrà essere l'occupazione più riguardevole di questa ?  Sem.  [ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Sem. I publici affari, per esempio, oltre il decoro personale, i quali ricer. cano somma attenzione, e si può dalli buona amininistrazione di questi ricavarne molta gloria, e molto lustro, vantaggiosi ai figliuoli ancora,  onde  perciò non potranno distrarsi per educarli bene.  Pub. E questo lustro, e gloria se si  estingueffe nc'figliuoli mal educati qual i acquisto averebbero fatto i Padri? Gli  Ateniesi nelle feste di Cerere faceano un misterioso giuoco, ed era , che comparivano avanti l'alcare quei destinati ad effo à prendere ivi un luine acceso, qual dovea porgersi ad un'altro , che in una decerininaca distanza lo stava aspettando, per consegnarlo ancor esso ad altri, che in egual lontananza lo atrendevano: se il detto lume si foss' estinto prima di giugnere all'ultima mera , era in libertà di ogni uno beffeggiare colui in inani di cui si estinguěya. E Platone fu di se. timento nelle sue leggi, che : gignentes, alentes liberos vitam tanquam  1  [ocr errors] lampada alii aliis tradunt. Or figuratevi ancor voi, che questo splendore, che voi dite debba passare ne' posteri; come rimarrebbe colui , che per la sua malas educazione lo estingueffe ? in che ludibrj egli li troverebbe venendo da tutti, beffeggiato ? e sapendosi, che vi ebbe colp’anche la poca applicazione del padre in educarli, dirà facilmente qualcuno : quanto era meglio un poco meno di luftro, mà più durevole nella sua descendenza.  Mec. Da questo dunque procederà, che alcuni figliuoli di uomini illustri sono di costumi tanto diversi da efli , che pajono più tosto nati dal disonore, averanno quelli facilmente difefcato nell' educarli.  Pub. Plutarco ne adduce ancora un alıra cagione credendo egli che i fi. gliuoli degli uomini illustri divengano facilmente superbi, ed arroganci; e lo comprova coll'esempio di Diofanto figliuolo di Temistocle, il quale solevas, dire ne cerchi, che tutto ciò, che li fos  se  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] se piaciuto sarebbe anco al popolo d'A. tene piaciuto; perche quello , che voleva egli voleva la inadre; e quello che la madre Temistocie, e quello che Temistocle anco tutti gli Ateniefi.  Sem. Credo però , che più comparibili polfano essere le Madri se diferteranno in deira educazione, essendoche alcune di esse hanno impiegato turte le ore del giorno in adornarli, in ricevere, ò fare visite, in passeggi , ò conversazioni; talmente che pochissimo tempo potrebbe rimanere loro di badare a' figliuoli,quando non foffero diftrarte an. che nel giuoco .  Pub. Già sono capace, che premono oggidi ad alcune più i divertimenti, che i propri figliuoli. E vi pare, Sempronio, che debbanli queste scusare? Non averanno certameote occasione alcuna di lagnarli , se faranno questi cartivas riuscita ;. perch'esse vi hanno difettato non solamente colla trascuraggine, w cziandio col mal esempio dato loro ies S. Girolamo scrivendo a Leta non diffgià, che foss'esfa scufabile, dando a'figliuoli mal esempio, mentre così parla: Nihil in te, & in patre suo videat , quod fi fecerit peccer .  Sem. Non si potrebbe supplire coiu Maestri, & Aij alla propria trascurag  gine?  [ocr errors][ocr errors] Pub. Si potrebbe in caso di necessità; mà però è assai differente l'industria,che adoperano i propri genitori da quellas, che sia l'altrui, ed eflendo questa à proporzione dell'amore , quanto maggiore sarà quella de' propri genitori, che più di ogni altro li ainano? Si suol dire ingeniofus amor , e questo appunto è quello, che li ricerca nella buona edu. cazione .  Sem. Se dunque li può supplire, saranno scufabili quei genitori, che sostituiscono in loro vece chi lo faccia.  Pub. Non per questo però debbonli affatto allontanare da efsa, senza averci qualche sopraintendenza particolare, e non usando questa non si potranno mai scusare,  Mer.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Meg. Siete Publio troppo rigoroso, e questo credo , che proceda , perche voi foste l'educatore de' vostri figliuoli; mà non sono ora più quei tempi felici , ne' quali si pensava di lasciarli più rosto ben educati, che ricchi; non sarà poco, che abbiano ora i figliuoli un Ajo di ti. tolo , che non li lasci almeno precipi. tare in tutti i vizj ; onde da alcuni, che sono arrivati a conoscerlo a è trovato quel santo ripiego di porli nei seminarj, assai giovanetti, e prima che la malizia fi avanzasle in elli.  Pub. Or io non mi sono curato di porre i miei figliuoli in questi seminarj; perche ho voluto fare a modo del Profeta , il qual dice : Filii tui ficut novelle oliva. tum in circuitu menja tuk. Sono questi seminarj fantissimi,istituci ostimi per ap: prendere il rimore di Dio, mà oh quanto fà di più quel Padre amoroso , ed actento, quella Madre faggia, e divora, in educarli in tutto , avendoli appreffo di loro ! e questo ben lo conobbe Orazio ringraziando suo padre della buo  V  è  C.  na sua educazione in tal guisa .  Laus illi debetur,à me gratia major; perche : obiiciet nemo fordes mihi .  Mac. Voi aveste però la fortc,, che vi furono i vostri figliuoli, tanquam novelle olivarum ; perche, se riflettiamo alli rami di elli, sono simbolo di pace , e tali appunto sono li vostri ellendo dotati di ottimo naturale ; fe al frur. to, è vero  ch'essendo immaturo , inolto amaro, ma questo con industria diviene anche dolce, ed il fimile è seguito in elli, essendo giovani; se poi final. mente al sugo, che da' suoi frutti maturi si esprime, ch'è l'olio, questo non fà alcun movimento, solendosi dire per proverbio : è cheta come l'olio , e contimnili à questo sono anche i vostri figliuoli, contro de' quali aon si è senci. to alcun richiamo fin'ora, e spero, che trovandosi già avanzati negli anni , cresceranno sempre più in bontà: mà se in vece di novella olivarum Iddio ve li avelse dati, come piante di mirto, questi non iftavano bene in circuitu menja tud.  Sem.  [merged small][ocr errors][merged small][merged small][merged small][merged small][ocr errors] [ocr errors] Semi E per qual cagione, producendo il mirto un fiore gratissimo ?  Mer. Sì bene, mà però senza alcun frutto, ed è pianta dedicata à Venere, e tra esli facilmente si annidano i serpenti, e se fossero ftati di limile cattiva natura i vostri figliuoli, Publio, come vi fareste contenuto con efli loro?  Pub. Gli averei ben domati io; perche più fieri de'Leoni non potevano già essere, e pur questi coll'arre divengono mansueti, e vi assicuro, che non averei fatto da cerusico pietoso; avendo appreso da Salomone il rimedio qual'è; nos li subtrabere' à puero disciplinam ; fi enim percufferis eum virgâ, non morietur. ** Més. Sapete pur, che Dione, con forme racconta Plutarco nella sua vita, per il soverchio rigore usato , e fatto ufare, nell'educare il suo figliuolo, fu cagione, che per disperazione cgli si precipitasse da una finestra : il rigore paierno non è sempre moderato , per cagione, che il più delle volte questo parsa dal soverchio amore, al foverchio  (de  [ocr errors] 9  [deg no ; e poi i Padri vorrebbero in un tracto estinguere tutti i difetti de’loro figliuoli, e questi han d'uopo di tempo preparatorio non meno, che le valide medicine, come fa il Dottore.  Med, Questo è veriflimo, perche dandoli un violento rimedio, senza prepa, sare prima gli umori, danno maggiore potrebbe apportare ; quindi è che il noItro Ippocrate c'insegnò : Corpora cum quis purgare volucrit oportet Auida facere ,  Pub. Però se Neocle non avesse usato tanto rigore , con arrivar sino à privare della sua eredità il figliuolo , certamente, che la Grecia non avrebbe avu.  PC to il gran Temistocle, il quale ritrovan. doli in tali angustic ricavò dalla necefficà la virtù, essendo che bene spesso : veWatio dat intellectum .  GULE Mec. Questo esempio appunto fa conofcere, che sotto padri tanto rigorofi non possono educarli bene i figliuoli ; fpc posciache avendolo diseredato lo mandò ancora fuori di casa, e perciò averàalırove trovato chi lo cducasse con più discretezza; e poi questo fu un bene per accidente, il quale assai di rado rie. sce con tanta felicità, rimirandosi dall' altra parte infiniti, che discacciati da' propri genitori , datisi in preda maggiormente de vizj, terminarono infelicemente la loro vita negli spedali, ò disperati, di trovare modo da vivere, presero il soldo militare, per foftentarli in quel breve tempo, che vissero .  Pub. Or io sono di questo parere, che debbano i propri genitori educare i loro figliuoli; perche, se saranno buoni , e docili, riuscirà facile l'educarli; re poi perversi, ed ostinati niuno credo, che potrà usare diligenza , ed attenzione maggiore di cfli: saprete pure quel che seguì tra lo scolare, ed il maestro, fingendo il primo di studiare diceva sotto voce : tu credi, che io studj, e non istudio, al quale sotto voce anche risspoodeva il secondo : e cu credi, che jo mi curi di questo che nulla mi preme. Mec. Voi dite orcimamche, perche  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] fete capace di farlo, e fiete anche pru.  dente, mà come pretendete esiggere  tutto questo da un Padre imprudente, e  vizioso, il quale non rifletterà punto à  quel saggio documento di Giovenale  registrato nella Satira 14. il quale è:    Maxima debetur puero reverentia, so       quid  Turpe paras, nec tu pueri contempferis   annos,  Sed peccaturo obfiftat tibi filius infuns,  Nam fi quid dignum cenforis feceris ira,  Quandoque fimilem tibi ; te non corpore        Bantung  Nec vuleu dederit, murum quoque filius,            & cum  Omnia deterius tua per veftigia peccer.     Pub. Allorsì, che converrebbe tro-  vare chi foffe capace di farlo , per la ra-  gione, che Giovenale medefimo appor-  ta successivamente nella Satira da voi  citata :    Unde tibi frontem, libertatémque pa-        rensis  Cum facias pejora fenex? Wacuumque       cerebro   Jam  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Jampridem capul huc venioja cucurbito  quçrat . Mà però, che l'educatore insieme coll' educando dimorassero in propria casa.  Mec. E se in casa propria, oltre il mal esempio, la laurezza del vivere ritardassero i loro progressi?  Pub. Confesso,che in questo caso converrebbe mandarli fuori, ed in paesi anche remoti; acciocche il mal esempio, e la trascuraggine grande de' genitori, colà non giungeffero.Mà è possibile, che questi, a' quali non dev'esser cosa di maggior premura di questa, possano as proprio compiacinento dare mal efempio a' figliuoli? e poi se non sono prudenti, perche s'inducono à divenire Padri ? Certa cosa c,che i figliuoli mal ducati non apporteranno loro altro, che confulione, dicendo l’Ecclesiastico al 22. Confusio pat.is eft de filio in disciplinato.  Mer. Il mondo oggi corre cosi, mol. ti sono. Padri di nome, e solamente perche li hanno generati , onde perciò con  vie.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] X  viene ricorrere ad altri Padri savj, u prudenti , che gl' istruiscano, e fuori del proprio nido , essendo ora gran parte de' genitori divenuti imitatori de' corvi, è dello struzzolo, che gli abandonano, non già delle aquile, che con tanta attenzione istruiscono i loro polli.  Pub. Polliamo dunque conchiudere , che se i genitori saranno capaci, e diligenti nell'educare i loro figliuoli, niu. no meglio, di efli potrebbe farlo; e fe nella casa paterna si vivesse, come conviene non sarebbe d'uopo cercare altro luogo per educarli,potendosi con profit. to istruire in effa.  Sem. Che doverà fare il buono educatore, sia Padre, è estraneo, per isvellere da efsi i difetti?  Moc. Questo lo vedremo nella seguente Conferenza.  CON  [merged small][ocr errors] Intorno à quello, che debba farsi da'        Genitori   per  educar bene i figliuoli.  [ocr errors] Mecenate , Sempronio , Publio ,  e Medico  [ocr errors] мес. .  L peso maggiore, che abbiano i Pa. dri , mi persuado che sia l'educazione dei figliuoli s  perche si tratta di navigare sempre contro acqua, dovendo opporsi bene spesso alle loro cattive inclinazioni, e superarle à forza d'ingegno; e si trovano alle volte torrenti si rapidi, che si rende assai difficilc poterli alla prima superare.  Sem. Non mi fono risoluto fin ora di prender moglie; perche hò consideratoanch'io le molte difficoltà, che s'incontrano in questi tempi à ben’educare i fi. gliuoli , ne' quali vedo , che appenas slattati che sono, pretendono di fares à lor modo, senza avere alcun riguardo à quanto viene ordinato loro da'genitori .  Mec. Non vi sgomentate per questo ; Sempronio mio, essendoci il suo rimedio , quando chi sopraintende há prudenza, e la prendere, come li suol dire, la lepre col carro. Vi dirò io sci avvertimenti generali, che vi potranno molto giovare, allorche sarete Padre di famiglia ; nel particolare poi sarete meglio istruito da Publio.Ed il primo farà; che tanto voiquanto la vostra con. forte diare loro buono esempio.  Sem. Ed in quali cose ?  Mer. In tutte ; perche se voi sarete in continue discordie con vostra moglie, come potrete correggerli, quando mai foffero discordanti tra fratelli? se vorrete, che non disordinino nel nutrirsi, come lo potranno fare vedendovi cra  po  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][merged small] polare giornalmente se li bramerece divori, come potranno essere, se non mostrerete voi coll'esempio, ciò, che volete , ch'essi facciano 3 E scoprendovi tutti dediti agli spasli, e piaceri, come pretenderece,che siano applicari allo studio, divagandosi ancor elli collaa mente nel pensare di fare il simile quanto prima , per imitarvi? non fate 10 una parola, che quel difetto,che volete da effi (vellere lo rimirino in voi medeliini, dovendo voi imitare Agricola, quando fi portò al governo dell'Inghilterra , allorche si trovava molto rilassata, il quale prima da se medelimo cominciò à dare il buono esempio.  Sem. Ed il secondo qual sarà ?  Mec. Di trattarli ugualmente tutti, senza mostrare parzialità benche minima verso alcuno.  Sem. Che male potrebbe apportare questa parzialità paterna  Mes. Infinito ; percioche usandola voi, non solamente darette occasione di odio tra fratelli, ed ecco, che invece  [merged small][ocr errors] che il pre  ce di svellere da esli i vizj gli accrescere. ste di vantaggio, mà ancora, che il diletto sarebbe meno attento degli altri ad approfittarsi de' vostri buoni docu. menti, persuadendosi egli, che' compacirete i suoi difetti, per l'amore, che loro mostrate, e gli altri,dal mal esempio di questo, che profitco farebbero ? Igenitori debbono : imitare il Sole, e la Luna , che risplendono ugualmente as benefizio di cutri : e sappiate che la parzialità, che usò David per Ammone fu la sua ruina ; impercioche questa lo fè divenire incestuoso, e quell'amore troppo tenero, che fè trascurare tal mi. sfatto,incitò Abfalone à divenire fratri. cida; mancamenti tutti derivati dalla connivenza paterna.  Sem. Il terzo qual sarà ?  Mec. D'accomodare l'animo vostro alla dolcezza, ed al rigore secondo le occasioni, che vi si presenteranno.  Sem. E queste quali saranno ?  Mec. Se voi li vedrete attenti , e che & approfittino dei buoni documenti che  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] avete dati loro, in quel tempo sarà opportuna la dolcezza; mà se poi vedre. te, che trascurino, e diferčino, dovrete servirvi del rigore per correggerli.  Sem. In tutti i loro trascorsi mi dove. rò contenere ugualmente severo? ,  Mec. Ci sono alcuni difetti, de' quali non si dee far caso, essendo prudenza alle volte non darsene per inceso; altri sì, benche minimi in apparenza, non debbonsi lasciare impuniti : per esempio una tal inavvertenza, nata più tosto da disapplicazione, che da disubbidienza è compatibile; mà non già una benche picciola bugia , ò una finzione maliziosa anche minna, dovendosi quefte con risentimento svellere affatto dow principio ; perche se prendono piedes non li svellono più ; ed in correggerli di queste non dovete usare il rigore alla prima, mà bensì colle buone far loro confeffare la verità, e conoscere il mancamento, e dipoi con risentimento ainmonirli, facendo loro capire , per quan. to sarà poflibile, la deformità grande  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] di tali vizj, con non perderli sopra quefti più di mira ; concioliacosache come insegna l’Ecclesiastico al 20. Mores hominum mendacium fine bonore : du confufro illorum cum ipfis fine intermifione .  Sem. Il quarto quale sarà ?  Mec. Di essere tanto voi, quanto las Madre sempre concordi in ammonirli; perche se un di voi li coreggerà, e l'altra li vorrà scusaro, non solamente non fi approfitteranno della correzione , mà prenderanno animo di far peggio, trovando chi li difenda ; ed in questo errore fogliono cadere frequenteinente le Madri con danno evidente della buona educazione; come par che l'accenni Salomone ne' suoi proverbj al 29. Puer qui dimittitur voluntati sur confundit miirem suam : ond'effe , per non cadere in questo, debbono imitare quelle faggio miatrone del testamento vecchio tra le quali che non fece Sara per l'educa. zione d'Isac, Rebecca di Giacob, od Anna di Samuele ; siccome ancora Sansa Monaca, S. Celinia, che fecero ofetime educazioni de' figliuoli, dilendo-   ne da queste nati un S. Agostino, un  S. Remigio: tra le quali merita anche   di essere annoverata la pia , e zelance  Madre di S. Andrea Corfini, che non  desistè giammai d'industriarsi Gintanto,  che non lo vide di lupo cambiato in  agnello.   Sem. Riferitemi ora il quinto.  Mec. Dovete parimente tener celato l'amore, che portate loro, ne tampoco con quotidiani gaftighi far loro credere, che Giete disamorato affatto verso di essi ; perche il soverchio amore li farà prendere troppa confidenza con voi ; ficcome alli continui gastighi facendovi il callo,non li prezzeran più . Quella correzione risentita , fatta à suo tempo, cou parole, che li pungano, serve as molei di stimolo maggiore ad operare bene, più di quello che facessero le sferzate . La scimmia, allorche si moftras madre sviscerata de suoi parti,con troppo ftringerseli al lato li uccide, e questo segue per lo soverchio amore, che  por  [ocr errors] porta loro , non già per isdegno. Il destriero più generoso colle continue sferzate divien reftio. Ordinariamente de Madri sogliono peccare di troppo affetto , ficcome i Padri di soverchio rigore; e da ciò ne viene , che più amorosi li portano i figliuoli verso le Madri, che verso i Padri, de'quali hanno bensì maggior timore.  Sem. Ed il sesto finalmente ?  Mec. Di non farli trattare in assenza vostra con persone, che possano distrug. gere quanto di buono avere in esli inlinuato; posciache debbono anche credere, che cutti abbiano da operare in quella forma, che voi prescrivere , che elli vivano; e se per disavventura udiranno da qualche malvagio consigliero maslime contrarie alle vostre , quanto male apporterebbero queste infinuandosi in quelle tenere menti, e non atte ancora à ben discernere qual sia il veleno, e quale l'antidoto. Ne vi starò so-. pra di ciò à riferir esempj, perche di Umili miserie ne accadono giornalmen  tes  [ocr errors] E  te, come voi ben sapere ; vi addurrà solamente ciò che si osserva in un certo  animale (come riferisce il Salier Hs: - Juppon:) che dimora in una montagna  del regno di Gotto nel Giappone, il   quale è in grandezza, e figura fimile al  lupo ; viene però ricoperto da un pelo  morbidiffimo al par della seta, e la sua  carne è delicatissima al gusto;entra que-  sto animale bene spesso nel mare; mas   se     per   fua (ventura s'inoltra molio in effo, diviene pesce, ricoprendosi di squame, de' quali essendone stato presentato uno al Re di Gotto, che per metà era divenuto squamoso, e nel rimanente conservava il suo morbidissimo pelo, fè ciò conoscere tal verità. Or se il conversare co pesci può far divenire un'animal si morbido anch'effo squamoso,che farà l'innocente giovanetto conversando cou cattivi? Che apprenderà di buono da quel lacche vizioso? da quel cocchiere scapestrato, è da altri viziosi? quando non facesse altro discapito, imparerà a correre, ò pure à guidare land  carrozza, oh che belle prerogative di un giovane nato per governare, e reggere qualche parte del Mondo! Quindi è che rettamente ordina l’Ecclefiaftico al 7. Difcede ab iniquo , & deficient man la abfte. E S. Agostino scrisse che : fitcilius eft fortem stare in martyrio, quam in pravå societate .  Sem. I Genitori, Publio , debbono ugualmente essere à  parte  dell'educazionc  Pub. Certamente, che sì ; mà però in modo, che uniforine vada la dettaa educazione, e perciò debbono in tutto portarli concordeinenre: si possono bene tra loro dividere alcune incombenze; per esenipio la Madre, essendo assidua, e non vagabonda,averà maggior campo d'infinuare loro , ed anco di fare apprendere in primo luogo ciò che riguarda alli precetti Divini , dovendoli allan sofferenza donnesca questa lode, che, per non attediarsi punto in replicare le medesime cose infinite volte, riescono in ciò lingolari, cd in segucla d'iftruir.  [ocr errors] li nel Galateo oon affetrato, e vano, ma bensì nel serio , ed in quello, che insegna ciò, che appartiene ad un gentiluomo cristiano, il quale non solamente è diretto alle cose mondane, mi alle divine ancora; e sopra tutto al rispecto, e venerazione, che si dee à Dio in ogni tempo, come dispone l’Ecclesiastico al 2. Serva timorem illius, do in illo veterafce; perche soggiunge: Quis enim permanfit in mandatis ejus , & dereli&tus eft? aut quis invocavit eum, & difpexis ilum?  Sem. Ed il Padre quale incombenza doverà prenderli ?  Pub. Essendo un poco grandicelli, e come li fuol dire già smammari, dee il buon Padre cominciare ad iftruirli in modo, che possano riuscire graci, ed utili alla Republica, come faggiamence viene avvertito da Giovenale : Gratum eft , quod patria civem , popu  loque dedifi Si facis,ut patria fit idoneus, utiliser E per fare questo dev'essere vigilaore',non solamente à rimuovere da elli certi primi difetti, che sogliono in quell'età manifeítarli, come sono la pertinacia , e disubbidienza , con certa vivacità di spirito contenziosa , e questo farlo più tosto con uno sguardo severo , e con minaccie, che con percosse in sì tenera età ; e qualche volca ancora il togliere loro parte della colazione è un gastigo molto profittevole ; 'mà divenuti, che saranno alquanto più capaci dee istillar loro maslime nobili, cd onorate, e replicatamente, à fine, che se le imprimano bene nel cuore.  Pub. E queste quali sono ?  Pub. La prima, ch'è la più essenzia. le, sarà di amare sopra tutte le creature Dio, e di venerare tutci i Sanri, con fare loro comprendere , che tutto il bene, che abbiamo, viene da Dio, e che non amandolo, non lo potremo da esso conseguire, non potendo avere altro, che lui, che ci soccorra nei nostri maggiori travagli: dicendo appunto l’Ecclefiaftico al 33. Timenti deum non occur.  rent  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] rent mala, fed insentatione Deus illums confervabit, & liberabit à malis ,  Sem. E dopo questa ?  Pub. La seconda farà di amare il noftro prossimo come noi medesimi, e di non fare altrui ciò, che sarebbe discaro à noi stesi ; e far loro di vantaggio capire, che ognuno sarebbe miserabile in questo mondo , se non fosse soccorso dal compagno : e venendo l'occasione di comprare qualche cosa,andare infinuan. do loro in quel punto questa verità, che se quel povero uomo non avesse faticato per noi, se sarà farto per esempio , noi . anderemmo nudi , ò vestiti al più di pampini , con mostrar loro ancora, che conviene sodisfarlo delle dovute mercedi , affinche possa vivere per averci à servire con puntualità un'altra volta : Capitando lavoratori di campagna farà bene che conprendano,che se quei miserabili non iftassero di giorno al sole, e di notte allo scoperto,non si mangierebbes quel bel pane , nè li berebbe quel buon vino, che ci portano in tavola, onde  [ocr errors][subsumed][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] degli altri.  che debbonsi con prontezza sodisfare, acciocche possano con amore attendere à coltivare la terra, che li produce mediante la loro industria ; e non perdere alcuna delle occasioni , che capitano per meglio imprimere in quei teneri cuori l'amore verso il prossimo, clas puntualità in fodisfare quanto si dee a' poveri mercenarj.  Sem. Offervo però quei, che sono più puntuali in sodisfare,peggio serviti  Pub. Non è così, Sempronio, può effere che vi sia taluno, che operi con questa ingratitudine, mà nell'universalc offervo, che chi ben tratta è ben tractato, e poi non ci dee già muovere à ben operare il proprio vantaggio; mà bensì, perche in coscienza liamo tenuti di sodisfarli puntualmente, ed udite che grave eccesso commette colui , che traIcura di farlo : Panis egentium, dice l' Ecclesiastico al 34. vita pauperum eft : qui detrabit illum bomo fanguinis eft. Qui aufert in fudore panem, quafi qui occidis  pre  [ocr errors] proximum fuum . Qui effundit fanguinem, e qui fraudem facit mercenario , fratres '. funt.  Mec. Queste massime sono certamen. te necessarie , affinche divenuti adulti non si facciano guadagnare dal mal esempio di alcuni , che costumano di fa. re ciocche non conviene ; e sarebbe anche necessario nel medesimo tempo d’in. finuare ne'loro animi la benevolenza neceffaria verso la servitù ; affinche la possano riscuotere reciproca dalla medefima ; perchè, conforme chiaramente fa conoscere Seneca nell' Epistola 47, è falso quel detto : Quot servi tot hoftes , dicendo egli : non habemus illos boftes, fed facimus; per non tratçarli in quellas guila: Quemadmodum tecum fuperiorem velles vivere. Onde io sono camminato sempre colle massime di questo grande Uomo nel inorale ; che il servitore: 60lat magis dominum , quàm timeat, e për cagione di ciò assegna:quod Deo fatis eft, quod colitur, eu amatur ; onde che più di questo noi non dobbiamo esiggere,  Y  da  [merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] da noftri servitori, e tanto più che non paseft amor cum timorë mifceri.  Pub. Dice questo grand’uomo cercamente il vero ; perche se non farà reciproco l'amore tra il servidore, ed il Padrone, avendo continuamente questi. al.lato,continua sarà ancora l'occasione prossima di rammarico tra efl ; e fatto che averà l'abito in questo, non potrà più aftenersi di non contriftarlo, per ogni lieve cagione.  Sem. Dunque, Mecenate, al parere del vostro Seneca non si potranno licenziarei servitori, chcli porteranno male?  Mec. Non pretend' egli questo ; ma folamente, che non fieno i Padroni in fervos fuperbiffimi, crudeliffimi , dow contumeliofiffimi ; come pocrete vedere nella citata Epiftola. Sem. Essendo però noi li Padroni, toccherà ad efli soffrire qualche noftra ftravaganza .  Pub. Dobbiamo anche noi riflettere, fino a che segno possano quest' esferes forferte da cali perchè se le nostre stra-,vaganze fossero grandi, e continue, ci   renderemmo noi meritevoli di riprenfio.  ne : vietandoci l'Ecclefiaftico il farlo al  4. ove così dice: Noli effe ficut leo in doa  mo tua evertens domesticos tuos, & oppria  mens fubjeétos tuos . E c'insegna di van-'  taggio , come ci dobbiamo portare co")  fervitori senfati al settimo , dicendoci :  sonladas fervum in veritate operum, ne-  que mercenáriun danten animam fuam.  Servus fenfatus fit sibi dilectus , quas ani:  ma sua ; ne defraudes illum libertate, nebo   que inopem derelinquas illum,   - Sem. Ma se divenissero a noi importu.   ni, contradicendo a quello, che noi bra.  miamo di fare, doveremo anche collea  rarli?   Pub. Se saranno fedeli, e parleranno per zelo a bneficio voftro, dovrete non solamente tollerarli, ma eziandio amar-, li più di prima; perche farà segno, che non vi adulano,facendo cosa ucile a voi, quantunque la considerino svantaggiosa a loro medefimi, con moftrarne voi dispiacere ; ed udite l'oracolo dell'Eccle  siasti  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Aico al 33. Si eft tibi seruus fidelis, fortis bi quafi anima tua : quasi fratrem , fic cum tracta , quoniam in janguine anima comparasti illum. sibaforis eum iniuftè, in fugam convertetur. É cosa averete acquistato con perdere per vostro capriccio un servitore tanto fedele? quando ne trovarete un' altro fimile ad eiro ? & abbiate da me questa certa notizia, che l'adulazione ne' servitori, si è avanzata a questo segno , per il dispiacere,che alcuni Padroni mostrano nell'udire la verità fincera : laonde esli, per non perdere la loro grazia , vengono forzati ad adularli , c tradirli insieme. Ma vorrei, che questi, che hanno a male di udire da fervitori la verità, facessero attenta riflessio. be a quello che dice Giob al cap-31. che è questo: Si contempla fubire judicium cum Servo meo, e ancilla mea, cum discepia. rent adversus me : quid enim faciam cum Surrexerit  ' ad judicandum Deuse du cum quaferis quid respondebo illi ? Nunquid non in utero fecit me ; qui & illum operatus eft, & formavit me in vulva unus?  Semp.  Sem. Quando però saranno grandi li figluoli li scorderanno di questi utili avvertimenti .  Pub. Non sarà così quando il Padre, oltre il rammentarli frequentemente', li praticherà esso ancora, dal di cui buono csempio comprenderanno meglio, che debba farli così..  Sem. Vorrei sapere , Publio, fe il Pa. dre possa condurre i suoi figliuoli a vedere le maschere?  Pub. Anzi dee farlo, con que sta avvertenza però d'imprimere ne loro cuori , che quei,che con sembianti sì deformi, e spaventofi si trasmutano,sono paz. zi, e che quei sconci gefti, e parole oscene,chc dicono, sono tutticffetti della loro pazzia, con infinuare loro, che divenendo effi grádinon lo facciano per non essere anch'elli tenuti pazzi. Sole. vano i Spartani fare ubriacare i schiavi, c li facevano vedere a loro figliuoli, af. finchè prendessero orrore all’ubriacheza za da quelle pazzie, che da fimile get tc agitata dal vino fi commetreyades  rem  ied effendo riuscito a quelli profittevole; fperarei, che facesse il fimile anco a quefti, e tanto maggiormente non avendo il mal'esempio da i genitori, perchè se ne aftengono , cd essendo veriffimo quel detto : Quo fuerit imbuta recens fervabit ode  Tefta diu. Impreffe che faranno da principio ne' cuori de' fanciulli fimili verità, difficil. mente si cancelleranno più.  Sem. E crescendo negli anni, & avan. zandosi nella capacità, che averaano da fare i genitori?  Pub. Di prevenire tutti concorde mente i mali, ne'quali potessero cadere; insegnandoci l'Ecclesiastico al 18. Antò languorem adhibe medicinam , per lo che doveranno porre un antemurale a vizj in questa forma: Già efli averanno cominciato ad aver l'uso di ragione, e potranno comprendere qual fia il male, & il beno,cominciando a conoscere gli effetti dell’uno, e dell'altro; : onde venendo loro questi meglio spiegati comprende  ran.  ranno con più facilità qual mostro orrendo sia l'uomo vizioso, e quanto preggiabile sia colui, che abborrisce i vizi, quanto odiati da cucci siano i primi, ed amati li secondi, prenderanno in questa forma ancor efi orrore al vizio; efe non averanno compagni più che cattivi, i quali vadino seducendoli, come potrà cflere, che non s'incamminino ancor'eff per  la buona via ? ed una volta, che fi sono incamminati per essa colla grazia di Dio, e con l'occhio paterno vigilante sarà cosa difficile il discostarsi più das quefta .  Sem. E delle massime di onore, e de puocigli cavallereschinon ne discorrere?  Pub. E che credete voi , Sempronio, che le massime di Dio non siano anch'effe di onore, e cavalleresche? Impoffel fatevi bene di queste, che tutte le altre vengono di seguito ; non sapete voi, che la prima vircù : Eft vitium fugere, fapientia prima Stultitiâ caruifle. Datemi uno , che abbia in orrore il via zio, cche lo fugga, che io lo crederò perfetto in cutro.Sem. Io credeva, che queste matsime dovessero servire per i figliuoli, che s’indirizano alla vita religiofa,non per quel. li, che debbono vivere nel mondo, ove senza aver un poco d'inganno pare, che non a polla convivère;  Pub. Quanto ficte in errore ; perchè ugualmente sono necessarie le mailime di Dio per i Religiosi, che per i fecolari, dovendo tutti indirizarci per la via dell' ecernità ; nè crcdiate che godano quelli, che vivono,come voi dite al mondo, van. taggio alcuno di più di coloro, che ope. rano come si dee; anzi sono infelicillimi , & uditelo dall'oracolo dell'Eccle. {iastico al 2. V & duplici corde , d. labiis fceleftis, du manibus malefacientibus, peccatori terram ingredienti duabus viis. Va disolutis corde, qui non credunt Deo; & ideo non protegentur ab.co. Va his, qui perdideruns Justinentiam, & qui dereliquerunt vias rectas, diverterunt inue vias pravas. Et quid facieni cum infpicera esperit Dominus ? Se dunque lo mafime del mondo faranno differenti da queste  abban,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] - abbandonatele puré , che non fanno per voi , perchè come vi troverete senza il -Patrocinio di Dio?  Sem. Dicemi, se in casa ci saranno,oltre i genitori, altri parenti, li doveran. no ancor questi ingerire nell' educazione  Pub. Questi ancora , ma però più con dare loro buon' csempio, che con pas role; posciache è cola inolto difficile, che tutti questi siano uniformi nelle buone direzioni di effa'; oode fe taluno di questi-inlinuasse tal cosa, la quale sembrasse differente a quella , che udi da'genitori, o ficonfonderebbe, o per lo meno non prestérebbe la dovuta crea denza a quanto verrà foro insinuato da suo Padre, è questo lo mostrerò col segucnce. esempio . Nel domare i pola Icdri [ che "polledrucci anco possono chiamarsi i figliuoli, avendo bisogno'ral volta ancor esli di effere domati ] fcfaranno diversi li cozzoni, non folamen te ci vorrà più tempo in renderli docili , ma ancora potranno correre pericolo di  pren.  [ocr errors][merged small] -prendere qualche vizio ; perchè fentendo, oggi una mano più gravę, nel di seguente altra più legiera,e certe speronate differenti dalle altre , pon comprenderanno così bene quello , che doveranno fare; e cal, volca inasprendoli diverranno anche restj. Se questi paren. ti fossero tutti uniformi, e caminaffero colle medesime direzioni, potrebb'effere meno male, ma sempre meglio farà , che sia uno solo quel complesso , & armonia vaiforme de propri genitori savj, e prudenti, da'quali una sola volontà li forma.  i 37. Sem. Voi, Publio, che avete educa. toi vostri figliuoli da voi medesimo, in, segnatemi di quali documenti xifiere servito per iftruirli nelle þuo be creanze, cda cui gli apprendelte per potermene ancor'io prevalere a suo tempo 2  Pub. Per non crrare mi sono servito di quci, che non possono fallire, aven, doli ricavati dalla Sacra Scritsura.  Sem. E che parla quefta ancora delle buone creanze, che debbono insegnarli a'figliuoli?  Pub.  [ocr errors][ocr errors] Cena  Pub. Divinamente ne tratta l' Eccle. El di  fiaftico al 31. ove dice: Utere , quafi himo frugi iis , que tibi apponuntur , ne cum manduces multum, odio babearis; cela prior  causa disciplina , el noli nimius effe, ne * forsè offendas. Et fi in medio multorum fe.  disti prior illis , e exsendas manum fuam , nec prior pofcas bibere.  Sem. E del rispetto, che debbe avetfi a Maggiori, ne parla ?  Pub. Di questo ancora al 32. dicen. do: Adolefcons loquere in quâ causå vix', fibis interrogatus fueris ; babeat caput rée Sponfum fuum ; in multis efto quasi infciusi, audi taceus fimul' quçrens •  • In me dio Magnarum non presumas, & ubi sunt fenes non multùm loquaris : talmente che leggendo voi attentamente la Sacrae Scrittura , potrete divenire un'ottimo educatore de i vostri figliuoli.  Sem. Vorrei sapere ancora qual vizio giudicace peggiore di tutti gli altri, in un uomo civile, è facoltoso, sopra il quale fia d'uopo d'invigilarci più, che negli altri, per porerlo affatto svellere da figliuolis  [ocr errors] Pub. Io ho stimato sempre tutti i vizj per pesimi, non effendoci alcuno di effi tollerabile; quello però, che ho sem. pre proccurato di svellere con più attenzione da miei figliuoli, è stato l'avarizia; perchè ho sempre creduto, che, crescendo questa avesse superato tutti gli alcri, figurandomi l'avaro come una lacuna,che assorbisce in fe moltiffimi rivi, che debbono scorrerc ad inaffiare, e rendere fecondi molti campi; onde che, stagnando effi, possono apportare notabile danno a molti, c.quel ch'è peggio con danno notabile di chi li divia: ed udine, come a propofito l'efpreffe \'Eccicfiaftico al s.F4 & alia infirmitas peffima, quam vidi fub Jole : divitia conservala in malum Domini fui , pereunt enim in afflictione peffima, & in appresso miserabilis prorsùs infirmitas : quomodo venit,fic revertetur . Quid ergo prodeft ei , quod laborauit in ventum ? Cunétis dicbus vitæ fua comedit in tenebris , & in con ris multis, & in ærumna, aique friftitiâ ed il perche lo efpresc Orazio con dire Jemper Avarus eget.Sem. Ora io, che ho udito tanto, non sarà mai pericolo, che divenga avaro , sembrandomi la vita di questi infelicissima . E tornando all'educazione: se il Padre non fosse capace di educare, ela Madre fosse poco prudente, chi si dove. rà sostituire in loro vece?  Mec. Buoni Maestri, è se saranno ricchi , potranno provedersi anche dell' Ajo, di cui discorreremo nella ventura Conferenza.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] CON.  CONFERENZA III.  Intorno all'uffizio, e qualità dell'Ajo,  Ĉ dei Maestri:  [merged small][ocr errors] V  [ocr errors] Sem.  Ual'è l'uffizio dell'   Ajo ?   Pub. L'Ajo dee at-   tendere precisame-   te al costume, ed   a ciò ch'è ordina. to ad effo.  Sem. Ed al Maestro, che apparticoche di fire ?  Pub. Oltre quello, che riguarda il costume, dee ancora insegnare loro le scienze, & tutto quello, che ha da premettersi per il conseguimento di elle. Semp. Ma non potrebb’essere anche  Ajo  Ajo il Maestro, giacche attende questi al costume ancora ?  Pub. Alcuni lo praticano ; altri poi più facoltosi provedono di Ajo, è dit Maestro i loro figliuoli , credendo il far ciò diligenza maggiore.  Semp. Ma realmente, chi di quefti fa meglio?  Pub. Se s'incontrasse un uomo versacissimo nell’una, e nell'altra profesione , mi perfuado :, che questi foffe di profitto maggiore, ma per essere raris : fimi quefti,quindi è, che chi può li provede dell'uno, dell'altro.  Sem. Che condizioni dee avere l’Ajo?  Pub. Dovcado egl'istruire nel costume, lo doverà avere anche otti  mo in priino luogo , dovrà essere prus Idente, ed accorto, industrioso, e diri  piego prontojalliduo, crudito nelle ftoorie, non molto colerico, sostenuto, che di abbia ancora parti da faríi amare , fia  prarichissimo delle cose del Mondo , e se fosse versato in medicina, sarebbe anche ile requisito.  Sem.  [ocr errors] Sem, -Mà trovare tante parti in un uomo farà cosa molto difficile.  Pub. E perciòi rari fono quei , che facciano l'uffizio loro come si richiede; contenrandoli', alcuni Padri di averly nobile sì, mà nel riinanente , come si diffe; folamente di citolo, battando loro di avere l'ombra , e non tutto l'effenziale di efia, persuadendosi , che questa possa essere sufficiente.  Sem. E come, anderebbe Gmil'educa. zione?  Pub. Quafi nella medesima maniera , che se non ci foffe chi la dirigeffe , porendo fare l'educando a fuo modo .  Mac. lo so, che dovendosi provede re un Signore di qualità dell'Ajo, furongli proposti diverli ; trà quali vi era un nobile ,'mà poco erudito; un Poera infigne ; ed un eccellente Geografo, ed Aftrologo insieme ; niuno di questi volle al suo fervigio ; ricufando il primo, per il motivo, che di nobiltà il suo figliuolo nè aveva a sufficienza ; al secondo oppose , che Aimava fi fosse potuto  trop.  U troppo divagare dal suo ufficio chi at  tendeva a comporre poemi, nè volle il che terzo, perchè dubitava che l'aveffe fated  to troppo girare colla mente, non che avendo altro , che discorrere seco, che  di cielo, e di terra: alla fine gli fu pro* posto un buono Istorico, eccellente Fi.  losofo, e Matcematico , questi disse fà al mio bisogno: perchè gli mostrerà come fi dee yiyere cogli esempi altrui, l'insegnerà a tirare le linee recte , ed a prendere col compasso le misure giuste 3 ; e lo fermo al suo fervigio,  Sem. In qual'età li dee porre sotto la cuftodia dell'Ajo l'educando?  Pub. Più prestamente, che si può.  Sem. Mà 'non sarebbe fpefa superdua questa , ponendosi in età, nella quale non è ancora capace di comprendere i buoni documenti?  Pub. Non li chiama mai spesa super, fua quella, che & fà per educare i pro· pri figliuoli, essendo ucilisfimo rinvesti. ·mento,perciocchè, acquistato che averanno elli le virtù si troveranno un gran tesoro, e non soggetto alle vicende della fortuna; ed in quella età, quantunque non comprendano i buoni documenti, nulladimeno questi in qualche parte, cominciano ad imprimerli nella loro mente oltre;di che quanto gioverà, per conoscere le inclinazioni nacive l'averli ayuci in custodia da çenerį anni?  Meç. Si disse tempo fà di uno, che gettava il danaro avendo posto l’Ajo al figliuolo di età adulta, e divenuto già alquanto vizioso, perchè non averebbe allora potuto egli più emendarlo, aven. do prelo già possesso in esso i vizj.  Pub. Questo lo credo anch'io ; per. chè le piante tenere sono quelle , che si possono piegare a proprio compiacimento, dove che le già cominciare ad assodarfi vogliono crescere co’loro di. fepti , quantunque ci si adoperi ogni in. duftria per emendarli. Quindi è che l'Ecclefiaftico al7.così ordina. Filii ribi sunt, Erudi jllos, & curva illos à pueritia illorum.  Sem.  nes  [ocr errors] Sem. Qual onorario si dee dare all' ile Ajo ?  Pub. Non ci è danaro, portandosi be  che uguagli il beneficio, ch'egli apporta , onde deefi generosamente trattare,  Mec. V'era un’mio amico', che solea dire che se avesse trovato un educatore, a suo modo , per i suoi figliuoli, non solamente lo averebbe trattato assai bene, mà di vantaggio gli averebbe anche la. sciato nn grosso legato nel suo tcftamento , per maggiormente animarlo ad impiegare ogn'industria poffibile pro de fuoi figliuoli,  Pub. Costui mostrava conoscere cer. tamente l'utile maggiore de suoi figliuoli; perchè ben comprendeva, che rimanendo dopo la sua morte efli bene educati quancunque fossero alquanto meno ricchi di beni di forcuna , sarebbe questo stato compensato dall'utile assai più riguardevole, che risultaya loro dalle virtù acquistate, posciache al pa. rere di Cicerone.Ora:pro Sexto: virtus in  [ocr errors] tempeftate fava quieta eft,lucer in tenebris , expulsa loco manet tamen, atque hş. ret in patria , Splenderque per fe semper, neque alienis unquam fordibus obfolefcit , quale sorte cerçamente non godono le richezze.  Sem. In qual modo si hanno da prevalere della loro industria, e prudenza nell'educarli?  Pub. Secondo l'età si debbono anche regolare. Nè teneri fanciulli con maniere foavi debbono insinuare loro quello, a che dicemmo essere tenuti i propri genitori, ę fucceffivamente fecondo vedranno i narurali così debbono opcrare  Som. Di quante fpecie possono essere questi naturali?  Pub. E quì presente il Dottore, che meglio di me potrà fodisfarvi ; iftruite, lo di grazia in questo brevemente e con termini chiari da capirsi da ogn'uno :  Med. Secondo la diversità de temperamenti sono varj ancora i naturali ; posciache questi da quelli in gran parta  des  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] derivano, ed effendo quattro le specie bi principali de temperameati a quattro  sorte ancora si potranno ridurre li naturali de figliuoli, cioè all'igneo , o biliofo, che dir vogliamo , al femmatico, al melanconico, o al soverchiamente allegro, detto fanguigno. Ci sono poi altre specie subalterne, che nascono dalle diverse mescolanze dei liquidi, che nella massa umorale predominano, de quali ora non ne parlo.  Sem. Per meglio distinguerli dunque i  doverebbe l'Ajo essere Medico ancora.  Med. Cimancherebbe questo d'averci anche da impazzire co'ragazzi, forse che non ci danno da fare a bastanza allora che sono infermi?  Sem. Questi naturali sono sempre uniforme in tutte l'età?  Med. Sogliono variare fpeffe volte nelle mutazioni di esse, offervandoli ciò manifeftamente. Sem. E  per quali cagioni? Med. Perchè varia la massa de Avidi, secondo che ci avanziamo nell'età  acquis  [ocr errors][ocr errors] 2 3  acquistãdo energia maggiore alcuni fer, menti col crefcere gli anni, ficcome questa si può scemare ancora accostandoci alla vecchiaja.  Sem. Come si dovrà regolare con chi è di naturale biliosoa,  Med. In quefti, per quanto si può, è sempre meglio servirsi della dolcezza ; poscia che colle afprezze maggiormente si accendono, ed allora divengono pertinaci.  Sem. E se di questa si abusaffero?  Med. Allora la dolcezza dell' Ajo dee cambiarsi in rigore per far loro conofcere , che nel mele, e nel zuccaro ancora è nascosto l'amaro.'  Pub. Di questo già raggionammo baftantemente nella paffata conferenzas istruendone i Padri, onde non stiamo.a dilungarci di vantaggio  Med. Siami permesso di aggiungere, a quanto fù detto, una mia rifeflione, ed è quefta : che le severe correzioni riescono più utili fatte a sangue freddo, canto per profitto dell'educando quanto per vantaggio dell'Ajo , che può senza ira insinuargli le sue più mafurate ammonizioni , e restano anche maggiormente iinpresse ricevute di mattina a ventre vuoto, essendo la mente anche più limpida, dove che ricevute allorche si trovano già agitati dall'errore commesso, non sono cosìcapaci di comprenderle.  Sem. Come si doverà contenere co' sanguigni.  Med. Questi sono più facili de primi ad educarli  ; perchè sogliono essere difinvolti ;basterà tenerli frenati in certi eccelli , ne quali potrebbero cadere', di soverchia allegria, e curiosità, ed avvicinandosi all'età giovenile tenerli lontani da cose veneree .  Sem. Che potrà fare il povero Ajo allor che sono grandicelli, ed averanno quei stimoli, che fanno prevaricare anche i saggi?  Medi Il miglior antidoto , che fias contro li stimoli della lussuria c, di condurre qualche volta i giovani ne noftri  Spe.  [ocr errors][ocr errors][merged small] 24  spedali , ed in tempo, che si faccias qualche amputazione di parti genitali putrefatte, a cagione del morbo gallico: e cercamente induce loro tale spavento sì crudele spettacolo, che si sono alcuni di questi spogliati affatto di fimili pensieri, per l'orrore conceputo allorchè udirono, che da donne era ve. nuto quel tanto male, e che per esse conveniva soffirire sì atroce tormento di ferro, e di fuoco, e di vantaggio di non essere più uomo.  Sem. Ec i malinconici come vanno trattati?  Med. Questi appunto sono quelli , che fanno fofpirare non solamente i poveri Aji, mà ancora noi quando essi sono malati; perchè hanno un naturale stravagantissimo, é maggiormente fe regierà in elli qualche porzione di umore chiamato atrabilare : bene è vero però, che nell'età tenera non hà tal'umore. quella energia, che si manifesta colcrefcere essi negli anni, e questi ò danno al byono, e divengono eroi, ò al pessimo ,  elo.  [ocr errors] [ocr errors] e sono molto iniqui, e perversi; debmit bonsi dunque con grande industria  queili  fti trattare, e senza usar loro molta vios  lenza, e più coll'affiduirà , e colli efemin pj fatti da lor medesimi leggere, o rifei riti di persone viventi da loro cono, of sciute, che con aspre sferzate;debbonsi  anche tenere divertiti, & applicaci a più cose, alle quali abbiano genio.  Sem. Come divertiti, & applicati, parendo queste cose contrarie  Med. Divertiti, dico, con far loro prendere aria amena , conducendoliins  villa più frequentemente degli altri, & i applicati alle volte a cose diverse dallo studio, come farebbe il suono, il  quale se sarà di loro genio li può tenere lontani da que pensieri tetri, che occupa  no continuamente le loro menti; ma di o questo converrà discorrerne più diffusamente a suo tempo.  Pub. Egliflemmatici come van regolati ?  Med. Questi sono quelli, che se non faranno onore all'Ajo gli recano almeno  poo  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] pochi travagli; perchè fogliono essere pacifici, e tardi d'ingegno: Ben'è vero però, che nelle mutazioni dell'età sogliono alle volte sciogliersi, e divenire un poco più spiritosi, e fare ancora com  petente riuscita.  [ocr errors] Sem. Come suole essere, Publio, di profitto l’Ajo, facendo anche da Maeftro, nelle scienze ?  Pub. Se terrà lo stile praticato da Mae. Ari, riuscirà egregiamente come dicemmo ; ma se vorrà poi insegnare colla medesima maniera le scienze, che insinua il buon costume,anderà tutto peffimamente.  Sem. E perchè  Pub. Lo stile tenuto dagli Aji in istruire nel buon costume è d' infingare tutto in voce, il quale nulla giova per fare loro apprendere con fondamento le frienze ; perchè queste sarebbero superficialmente adattate , & à quella guifas appunto, che G soprapone loro ridotto in fogli al legno, il quale col tempo di. sperdendol rimane legno ciò, che mo.  Atraa  [ocr errors] tre ftrava di essere oro, dove che il Maes po stro, professore esperto, procura d'in=  finuarle nella mente colle sue regole, e collo scritto, affinche abbia pronto il comodo di ricordarli di quello , che si  fosse mai dimenticato. G Mec. Ora comprendo da che fia  pros ceduto, che viaggiando molti anni fono udj in una Città discorrere alcuni giovani co molto spirito in ogni scienza, i quali per essere di poca età mi recarono ammirazione ; ma avendo avuto curiosità alcuni anni dapoi di sapere se profitto maggiore avessero farto, mi fu risposto, che avevano più tosto deterio.  rato; bisogna dunque che il loro Ajo gli de aveffe istruiti a braccia , e non con fon10 damento.  Pub. Nerone, che fu istruito da Seneca in questa guisa, fece alla prima las < sua bella comparsa, ma terminò poi u peffimamente.    Sem. L'autorità dell' Ajo sin dove fi  Atende?    Pub. Tanto'oltre, quanto quella del Padre,dovendo essere amplifima, a fine che f. rendano ossequioli, & obedienti ad effo,  Mec. Le Madri però sono quelle, che procurano di ristrignerla,imponendo loro, che non li gastighino, nè li sgridino, ma che li compatiscano se non si approfittano de’loro documenti; e questo lo fanno per rimore, che non fiammalina, e bene spesso,per questo timore di male ideale , ne nasce il certo male della possima educazione loro ; perchè per non disgustarle gli Aji fanno a lor modo, comportando quanti difetti efG hanno: le saggie madri però lasciano che li gastighino ad arbitrio loro, eli correggano secondo il bisogno , conoscendo queste per isperienza, quello che per dottrina ancora conobbe Salomone al prover. 22.  ftultitia colligata eft in corde pueri, d virga disciplina fugabit Cam •  Sem. Debbono usare distinzione alcu, na in questo, secondo l'erà ? Pub. Essendo l'Ajo prudente saprà re.  go:  ne  [ocr errors] golarsi anche in questo , & accomoderă i il gastigo secondo l'erà, econ quei mo.  di, che conoscerà effere all'educando più sensibili ; per esempio se lo scorgessc goloso, il fargli sottrarre qualche pietanza in tavola gli sarà di gran gastigo ; se giocoliero, togliendoli quell'ora di divertimento, lo toccherà lül vivo; e fe averà un certo roffore in sentirsi sgridare, questo sarà appunto l'opportuno suo gastigo ; in somma il migliore sarà quel. lo, che si renderà più sensibile.  Sem. Può l’Ajo per qualche suo af. 1 fare allontanarsi da effo ?  Pub. Per quanto meno farà possibilu dee farlo; perche non mancano scelerati adulatori, i quali, per guadagnarsi la grazia de padroni giovani,infinuano loro ciò , che può dilettarli , quantun. que lia pregiudiziale, e per ciò se mai doveffe allontanarsi da effo per qualche tempo, dee avere di chi possa fidarsi in sua assenza .  Sem.E qual sorta di divertimento deb, bono permettere loro?  [ocr errors] [ocr errors] Pub,  :: Pub. Tutti quelli, che non sono viziofi, e fono ad esli geniali, per esempio il giuoco delle boccie, della palla, del volanıę, ed altri, anche più laboriosi di questi, competenti alla loro età.  Sem. Nel tempo che sono direrti li fi. gliuoli dall’Ajo possono i Padri educarli ancor effi?  Pub. Se saranno capaci di uniformarfi alle buone direzioni dell'Ajo, pofranno qualche cosa contribuire ancor essi, L'incombenza loro però è di offeryare qual profitco facciano, e di sentirne anche il parere di più persone capaci sopra i loro buoni progrefli , esaminati che li averanno; per altro scorgendo, che yą. da tutto a lyo dovere non debbono con fondere i figliuoli con documenti diffc. reori, ne contristare l? Ajo con varjare il loro metodo; bafterà la loro vigilante  Lopraintendenza ; mà muta quando non vogliano come doverebbero, effimedelimi in tutto instruirli.  Sem. Bramerei ora sapere le condi. zioni che doyerà avere un ottimo Mae. Aro  Pub.  [ocr errors][merged small] [ocr errors] 101  Pub. In primo luogo dev'essere di via ta esemplare, dotto , c prudeme , siccodel me è necessario ancora, che abbia buo  na comunicativa, per farsi ben capire,  fia sostenuto, diligente, e si sappia far 1 amare, e temere, e sia anche pratico  delle tristizie de figliuoli, per non farq gabbare da effi.  Sem. Trovandogi un uomo di tante buone qualità potrebbe anche servire I per maestro di casa, ed elascore nelme,  desimo tempo; perchè facendosi ben ca. pire, indurrebbe più facilmente i debi,  tori a pagare ciò, che debbono particos e larmente ora, che sono tanto renitenti di farlo,  Med. Questo e uno degli errori mal. fimis perch'essendo talunò ottimo per un impiego 2 con darglicne tanti fi fa in modo , che divenga trascurato in tutti; essendo grito quel detto; Pluribus intentus minor eft ad fingula fenfus. Or io coftumo questo s chi mi serve., faccia solamente l'ufficio suo ; perchè considero,' che non sia poco,che li riesca in una sola  cosa,  cosa, ed ho provato con isperienza, che se taluno procura ingerirsi in più, confondendole tutte , ne pur una ne farà bene.  Pub. Voi Sempronio vi figurate, che fia picciolo affare l'insegnare a figliuoli le dottrine , e ben picciolo il generarli, mà non già il farli divenire uomini eccellenti; perchè in un istante si generano, e con poca fatica , mà per bene addottrinarli non solamente vi è duopo di molti anni, mà ancora di attenta , ed induftriosa applicazione . Per abbozzare una statua ci vuole poco, mà per ridurla a somma perfezzione numero infinito di sealpellate di più ci vogliono; C riflettendo voi al valore della statuas abbozzata, ed a quello della ridotta a perfezione, ben comprenderete il van. tagio di più che ne ricaveranno i vostri figliuoli dal Maestro, che istruisce con profitto.  Sem. Io lo dicca a buon fine ; perchè risparmiandosi qualcheservitore,mi riufciva più comodo di fargli un buono af4 fegnamento , acciochè viveffe contea. to.  Pub. Glie lo dovete fare senza accrom (cergli maggiori brighe, se bramare, to che la statua da voi abbozzata abbia iti ma , e valore grande,  Mec. Veramente in quei casi conviene deporre l'avarizia', ed ogni parkmonia ; e non fare come quel Padre sciocco riferito da Plutarco, che domandando ad Aristippo ; quanto paga. mento ricercava per ammaestrare il suo figliuolo, udendo domandare inillo dramme rispose ; questo è troppo ; perchè con mille dramme potrei comperarç  un servo; çoi saggiamente replicò: duna que averai due servi, tuo figliuolo, e  e quello, che comprerąi: facendogli conoscere, che se non era bene ammacftrato, sarebbe diyenuto un servo il fuo figliuolo ancora.  Sem, Quale farà l'incombenza del Macftro?  Pub. Gjà per quanto appartiene al co. fune seguirerà quello, che si è detto  CON  [ocr errors] Аа  1  con cominciare prima da Dio ;' nel rima, nente poi lasciate pensare ad esso, per; che avendolo scelto pratico, e dotto faprà secondo l'età, e capacità andarlo itruendo come fi dee: bensi voi di. chiaratevi apertamente com voftri fi, gliuoli alla sua presenza , che volete,che lo ftimino, ed obbediscano da Padre, con dargli ogni più ampla facoltà di cor.  eggerli, e gaftigarli severamente in ralo di bisogno; perchè bramare di riconofcere per figliyoli solamente quei , che studieranno, e faranno passata nelle ccienze 1 Mec. Quanto fu mai eroico l'atto, che fece l'Imperatore Teodosio ; impercioche avendo scelto Arsenio per Maestro del fuo figlinolo, ed avendogli detto; Pofthac tu magis pater ejus quam ego, come riferisce il Baronio all’A.380-avvenne un giorno, che passando Teodo, 'fio per la camera, oye Arsenio faceva la repetizione a suo figliuolo, osservò , che il Maestro fe ne stava in piedi, e lo [colaro affifos ne bo potè coptcnere di  non  [ocr errors][ocr errors] non dimostrare ad Arsenio il suo dispia çimento ; veramente gli disse ini avvcdo, che voi non sapere far bene il vo. ftro uffizio ; tenete, tenere il grado di Maestro, e non di scolaro : Sagra Mac fta , replicò Arsenio, non sarebbe punto convenevole, che io mi ponelli a se. dere per dar la lezzione ad un Imperatore; ciò udito Teodofio tolfe la Coro, na di capo al suofigliuolo,c comando ad Arsenio , che fedesse ; & ad Arcadio suo  figliuolo, che stasse in piedi colla testad á scoperta, fin tanto che il Maçstro gli parlaffe ,  Sem. E se non faceffero tutto quello i profitto, che io defiderasli, che averò el da fare?  Pub, Vedere, Sempronio, parliamo chiaro, i Padri yorrebbero dopci in bre. yiflimo tempo  i loro figliuoli, onde in quefto non abbiate tanta fretta, lasciateci porre il sempo neceffario per impof  sessarsi bene; må se poi vi accorgette, nel che oon dare tempo al tempo non li apejet profitrassero, doveţe esaminare d'onds  A a 7  prox  ,  [ocr errors] erro  [ocr errors] [ocr errors] provenga la cagione, e se saranno più Hgliuoli, vedendo , che taluno di edi li  di approfittaffe, e gli altri rimanessero indietro, la colpa non sarebbe del MaeItro, ma bensi dei figliuoli, e che non applicassero, o che non fossero di mente ancor capace di apprendere. * Sem. E se la cagione venisse dal Mae. Itro, che fosse disapplicato , contenzio, so, o troppo bestiale ?  Pub. E'voi trovarene un'altro į mas non date fede loro alla prima ; perchè dopo , che averanno ricevuto il gastigo verranno a piangere da voi, el dole.  che il Maestro fia bestiale; ma non diranno già la cagione giusta; per çui li ha gastigati; ed in questo caso avvertite a non dar mai ragione a loro trovandosi presenti,anzicon volto afpro sgridageli , e dite loro che lo averanno meritato : informatevi però bene come è andato il fatto , per ritrovare la verità.  Sem. Ma venendo per colpa de figliuoli che averà da fare?  Pub,  ranno,  Pub. Se saranno disapplicati, vedete ancor voi di usarci diligenza , con promettere loro premi per animarli ad essere più attenti ; e fe poi venisse dall'incapacità in qualcuno, bisogna averci pazienza; e rimirate le dita delle vostre mani, che ancor’esse non sono uguali , e pur la mano turta insieme fa l'uffizio suo; così parimente sarà la figliolanza, quando venga secondo la sua capacità impiegata bene.  Sem. Dolendosi il Maestro di questo, e dichiarandosi di non poterci aver più pazienza?  Pub. Confolatelo, & animatelo ad averci ancor effo pazienza, conforme conviene, che P abbiate ancor voi  Mec. Si doleano con Antipatro i MaeAtri, che i suoi figliuoli non volevano per tante fatiche, e diligenze usate loro , approfittarsi punto dei loro documenti, e per consolarli egli dicevan che vi era un paese nel mondo, ove le parole si gelayano in tempo di verno appena uscite dalla bocca, a cagione digio  freddi ecceffivi, che le racchiudevano nell'aria, ma appena comparfa la primavera,fgelandoli queste allora si udivano.. Non dubitate , diceva loro » che verrà ancora in essi la primavera ; ed alloras queste parole, che odon'ora da voi , fi Igeleranno ancor effe; continuate pura parfare , per  , per uđitne all'ora di vantago Sem. Dovero comparire nel cempo , che si fa scuola?  Pub. Anche, frequentemente s per ve. dere che si fa, per aninarli insieme a portarfi bene, c tenerli in freno.  Sim. Stimate neceffario ohre di tea net loro il Maestro di mandarli alle fouo: le publiche?  Pub. Per godere di quei vantaggi, che apporta l'emuluzione può essere utile : debbonfi però avvertire due cofe; la prima , che vadano sempre accompa. gnati dal reperirore, perchè del fetvis rore in curto non vi dovete fidare, poa tendolo indurre fare a lor modo:Pal. tra poi che fixno vicini in feuola a come  pa  [ocr errors][ocr errors] mpagni bene accostumati, perchè ivi po.  trebbero divenire maliziosi trattando  con carrivi. eri  Mec. Bisogna ancora stare molto cau., telato nello scegliere questi reperitori, detçi comunemente Pedanti, perchè  vi è stato tra esfi cal’uno, che insegnaya of  a' figliuoli il fare la fabbatina , il giuoco delle carte, & altri vizj in vece delle virtù; e vi è stato chi di questi ancora così iniquo , che ha  procurato, che abbandonaffe il figliuolo la casa paterna , dopo d'ayer rubaro al Padre qualche fomma di danaro considerabile, e seco conducendolo fuori di stato , per ispre. garla. Onde se non si sappia che siano di ottimi costumi, non debbonli consesgnare ad effi i propri figliuoli, per non ricevere quella riprensione, che fece Diogenç Sinopio a quei di Megara, dicendo loro, come riferisce Eliano, che fi contentava di essere più rosto un ariete della lor mandria, che loro figliuolo, perchè a custodire quello impiegavano uomini fedelilimi, & ad iftruire questi  ripų  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] A a 4  riputavano abile chiunque fi folfe loro abbattuto dinanzi.  Sem. E le figliuole fi debbono regola. re nella medesima forma? :)  Pub. In alcune cose non vanno regolate così, conforme udirete nella seguente Conferenza.  w  CON  [ocr errors][merged small][merged small][merged small] Semn.  He differenza cie  tra l'educazione dei С  figliuoli, e quella delle figliuole ?  Pub. Primieramen:  te, che queste,non dovendosi incamminare per la via delles fcienze , non hanno d'uopo di tanti maeftri; e poi essendo diverli i loro vizj, e naturali inclinazioni,debbonsi quefticon differenti manicre correggere ,  Sem. ' quali sono questi vizj delle figliuole  22 Pub. La vanità par che nasca con lo ro, quçfta opera, che moltissime di  effe  [ocr errors] cffe sino dalla nascital  par  che mostrino compiacimento in fegtir lodare la loro bellezza : ha poi la maggior parte di cffe, un certo difpreggio, il quale viene da alcuni creduto per vivacità di fpirito; altre poi fin d'allora moftransi vezzofe, e molto affabili; e vi sono ancora di quelle, le quali danno a divede. re appena nate la loro dispettosa rozzez. za , contrafegni tutti non leggieri di ciò, che possa nell'età pid avanzata ope. rare la loro naturale inclinazione.  Sem. Di correggere tali difetti cui partiene principalmente  * Pub. Alle Madri, che con affiduità amorosa aflifton loro ; dovendo i Padri portarsi giornalmente fuori di casa per affari, che li tengono alle volte lungo tempo occupati; c quefte avendo bisogno di una affidua cuftodia da niuno meglio, che dalle Madrila poffono riccvc, re: debbono però i Padri per quaaco fa. rà perineslo lorosinvigilarci attenicamene te anch'effi. Sem. Che dovranno fare le Madri in quella tenera età, nella quale ne put capiscono ciò che loro si dice?  Pub. Poffono far tholco, con impea dire ancora, che non rimirino , ed odino ciò che non è convenevole; perchè quello, che mostrano inclinazione alla vanità; non bisogna cominciare ad ornarle vanamente, pe å far loro certi ýczzi disdicevoli, perchè s'imprimono quelle vanità, e quegli atti con facilità grande in si tenera età; quelle bensi che mostrano dispettosa rozzezza pof. fono follorarli con fimili vezzi  per  inco minciare a poco y a poco a renderle più  [ocr errors][ocr errors] umane.  [ocr errors] Sem. E di poi cominciando a capire , che dovrà farsi?  Pub. Allora farà tempo d'incomina ciare a far loro apprendere , che la bela lezza della donna non confiste ja altro che nella bontà de'coftumi.  Sem. Oh capiranno beneche cosa dano costumi le picciole figliaole?  Pub. Non importa, perchè quantunque allora pon lo capiscano, nulladime  nos  [ocr errors][ocr errors] no ,  effe continuando ad udirlo a fuo tempo ben lo comprenderanno; basta che allora non si secondino le innate inclinazioni loro viziose.  Sem. Mà fe la Madre avesse compiacimento di essere stimata bella, c fpiritofa, e forse anche vana , come potrà istruire la sua figliuola diversamente da sè medesima, e che non abbia da compiacerli anch'essa di ciò ?  Pub. Ora entriamo nei guai grandi, perchè se la Madre non diriggerà bene tal affire, l'educazione anderà pellina  menic.  Sem. In questo caso che dovrà farsi?  Pub. Quello appunto, che fù da me praticato, di provederli d'una buona matrona ; e se questa fù utile alla mia famiglia, essendovi la Madre capace, evigilance,  ; quanto più sarà geceffaria in questo caso, che voi mi rappresentare ?  Sem. Lo credo anch'io; dunque essendo duopo provedersi della matrona, ditemi quai requisiti dovrà avere per far bene l'uffizio fuo ; perchè essendog  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] dismesso questo buon servigio, non si potranno trovare con facilità quelle , che siano esperte.  Pub. Non dev' essere giovane , nè vecchia , mà di età conlistence,  Sem. Perchè non vecchia , pocendo quest' avere maggiore sperienza del mondo?  Pub. E vero , mà la vecchiaja ancora la può rendere più fastidiosa , e meno attenta : e poi se dovrà cuftodire le vostre figliuole, che hanno da nascere, chi sà se fosse allor viva ; e vivendo farebbo decrepita , quale età non lega.molto colla gioventù, e perciò non sarebbe ad effe accetta,dec ancora essere di buo. ni costumi, e pia,di parentato civile, ed onoraco , prudente , discreca, attenta, affezzionata', che sappia ben cucire di bianco , leggere , fcrivere mediocres mente, e che non sia curiosa di leggere: libri profani, e lascivi. p9  Sem. O che mal farebbe, se leggere ancora l'istorie profane, potcado fervire si di effe per meglio iftruirlo?  Pub,  -1  Pub. Le storie profane non tutge conferiscono alla buona educazione, el, fondovene alcune molto nocive ad essą come già dicemmo, onde chi sà, che prendendo diļetto in udirne riferire alGuna di queste, non prendessero amo, re anche l'educande a simile lectura  Sem. E se sapesse la lingua francese , o spagnuola, non sarebbe maggior van taggio , per insegnare loro quel parla. xe , che oggidi è tanto in uso ::Pub. Che pretendete ? forse di mari, farle in Francia, o in Ispagna ?  Sem. Non lo dico per questo fine, mà veáendo qualche lignora di quei paeli , o trovandoli con alcuna , che la parlasse, sarebbe da esse capita, e por trebbero risponderle.  Pub, Voi vorreft'educare le vostre fi, gliuole per far pompa del loro spirito , e non vi accorgete, che quefta non è la sua strada; e qual nccefficà avete,cheessa converfino , e tratejno con gence ftraniera s volere forse, che apprendano į cofumi loro diffepsadi dai noftri?  Sem,  [ocr errors] [ocr errors] GB  [ocr errors][ocr errors] Sem. Non bramo quefto, mà hò sentito dire , che sia vantaggio grandes e l'avvezzarle disinvolte, e spiricosc, perchè più facilmente fi maritano queste,  Pab. Voi prendereste moglie di spiritofa, e disinvolta  Şem. Io non già, ora chc sò come debi ba sceglierli.  Pub. E perchè dunque volete incam, minare le vostre figlie per una yia , che voi la ftimate non recta e non vi avve, dere , che in ţal guisa mostrarefte di amarle poco a  Sem. Il saper ricamare ancora mi per, suado, che la requisto necessario nella matrona :  i Pub. Per far che ? per educarle forse nella vanità e non sapete, che cosi fa comincia bel bello ; posciache dalla sem ta fi paffa al’oro, e dall'oro alle perle  per formarne ricami di gran valore.Cor. 4, nelia madre dei Gracchi fe conoscere  a quella gentildonna Capuana, la quale 0  era alloggiata in sua cafa, allorchè moArolle i ricami ida effa farsi,per mio fvario.  bano essere i layori delle Madri, con farde yeder i suoi figliuoli, ed in qual forma da effa fi aducavano, che non era già nelle vanità, mà bensì nelle virtù .  Sem. Bramerei almeno , che sapesse insegnar loro un poco fuono, e di canto,  Pub. Questo poi sarebbe peggio, per: che l'educherebbe cantarine, & im. parandolo per vostro syario, non lo di fimparerebbero già, per non dilectare an, che gl'altri.  sem. Contenendom’io in questo vo. fro antico rigore mi farefte mutare il mondo.  Pub. Io non pretendo tanto : voi mi vichiedere del regolamento della vostra cafa ;c chcaforse pretendece che da queta debba prendere la norma tutto il mondo a facciano gli altri ciò che vogliono , mi basterebbe di ottenere, che voi, che ricercate il mio parere appren. deste ciò, che dovrete fare,  Sem. Io resto perfuafiffimo di quanto dite per benefizio mio, ma sifetto añ,  cora  [ocr errors][ocr errors] cora nel medefimo tempo a quello , che li il mondo dirà, operando diversamente  da quanto ora li costuma dalla maggior parte .  Pub. Qual parte del mondo stimate voi, che sia più saggia, la maggiore, o la minore?  Sem. Ho udito sempre dire, che sia la minore,  Pub. Or dunque; perchè da voi medelimo volete porvi nel numero de i meno saggi? deh seguitate la più sana , e non vi prendere fastidio alcuno dell' altra , quantunque sia più numerosa :  prendete di grazia la mira verso quò eundi dum, non quò itur.  Sem. Rimango persuaso, e quanto m'insegnafte voglio risolutamente fare. Or ditemi per mia istruzione ; scelto che averò questa matrona , della quale voglio provedermi prima di prendere moglie, che averò da fare io, e qual' incumbenza apparrerrà ad essa ?  Pub. Voi, allor che le consegneretç la vostra figliolanza, le direte: che Bb  fia  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] lia cura sua d'istruirla principalmente nella pietà , e devozione, e che rimuova da essa tutti i difetti allorche li ye desse comparire , senza indugiarvi un momento ; anzi che meglio farebbe an. cora, se preveniffc al bisogno con semi, narę anticipatamente ne’loro animili preziosa semenza delle virtù, e che per questo procuri di non perder la mai di vifta : e vedendo ch'ella li porti diligen. te nel suo uffizio usatele più gratitudine, affinche non habbia da parerle penosas quella vita tanto soggetta, che farà ; e credetemi, che il premio è il maggiore incentivo a farci fare con amore quelle cose, che senza di esso ci parrebbono molto penose.  Mec. Questo è certiffimo, posciache chi mai li porterebbe il primo a scalare una muraglia, difesa da tanti nemici are mati, se non se {perasse da questo un premio grande ?  Sem. Fatto che avrò le mie parti, in che forma essa adempirà le sue ? Pub.. Nato che sarà alcuno de' vo  [merged small][ocr errors][ocr errors] ftri figliuoli, principierà il suo minister ro con invigilare, venendo lattato,dal...  la balia, a quanto sara necessario, con i fare anche da soprabbalia , nè permetteo ra già, come dicemmo, chc oda,quan  tunque non le comprenda ancora , cer, i te canzone amorose, nè pure, che fifli  i suoi occhi innocenti a'rimirare certi datti scomposti, & indecenti; perchè  quantunque non siano allora da esso conosciuti per quel che sono , nulla dime, no in progresso di tempo, conforme fi apprendono le parole, così ancora può  insinuarsi nell'animo qualche cintura noSeminaciva di tali difetti; e procurando, che D in vece di quelle oda, e rimiri cose  profittevoli,cd oneste, delle quali se ne i apprenderà alcuna particella, resterà  questa a benefizio dell'educazione, e i procurerà ancora nel tempo della lacta  zione colle buone sue maniere , di prin-  cipiare ad affezionarselo.    Sem. Che dovrà fare dipoi ?   Pub. Già toccherà ad effa slattarlo, e * si perderà il sonno più di una notte. B b 2  Sem,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] liri  Sem. Sarà bene, acciocche non lo perdiamo anche noi, di tenerlo in qualche mezanino lontano dalle nostre stanze,  Mec. Per questa cagione sono andato io più volte in collera co i miei amici , avendo osservato lontani dal loro appartamento i figliuoli anche lattanti,per timore, come dicean'o , che non turbarsero il loro riposo, e diceva loro: pere dete pur tanto tempo, e vegliate tanto per il giuoco, e continue conversazioni, oh bene non potete vegliare un poco pe’ vostri figliuoli? E se non lo volece perdere voi, cui tanto debbono premere , vi persuadete forse, che le donne mercenarie di servigio vorranno perdere il fonno? Dormiranno ben bene, e lasciefanno piangere chi vuole; ma da questo quanti mali ne saranno seguiti lo faprà meglio il Dottore.  Med. lo dalle offervazioni fatte sono arrivato a conoscere questa verità ; che più fortunati siano nel mascere, e nel imorire i poveri, che i ricchi; perchè quelli dalle proprie Madri sono lattaţi, eand custoditi diligentemente con amore;docal ve che questi sono consegnati alla indi  screta servitù, e trattati assai diversadai mente in tutto ; e posso riferire a que  fto proposito di averne curati alcuni,che caduti dal letto, per trascuraggine del. le balie , ebbero a perdervi la vita , ed altri, per il gran pianto fi allentarono , negando cal volta loro il latte le balie, allorche ne avevano bisogno; e per avere loro ripercosso secretamente il lat. time, quanti ne sono periti? Giccome ancora quanti ne sono morti af gati per averli tenuti negligentemente nel proprio letto ? avvenimenti tutti, che afa sai più di rado G odono accaduti tra po  veri , quantunque questi siano assai i più numerosi, che i bene stanti. Della  morte dei ricchi non parlo, perchè ave. rete uoi medesimo osservato questi, be  ne spesso, per li soverchi, e conculcati : rimedj, dati loro, più facilmente , che  i poveri perire, & alle volte in mano de  Ciarlatani.    Pub, Se voi dunque avercte amore   per  [ocr errors][ocr errors] Bb 3  per i vostri figliuoli non li terrete lontaa ni dalle vostre stanze in ogni tempo per. che tal vicinanza darà stimolo maggiore alla matrona di avere per loro più attenzione , & all'altre donne di fare me . glio il loro uffizio.  Sem. Riferitemi ora il modo, che doverà tenere in appresso per conoscere meglio s'ella, operi a suo dovere?  Pub. Già fu discorso, ma non sarà mai a bastanza, di quello, che dovrå farli intorno ad imbeverarli ben bene del fan. to cimor di Dio, e crediate pure per cofa certa, che questo è il fondamento principale della buona educazione; efsendo esso solamente capace di rimuovere tutti i vizj, non porendo questi far breccia ove si ricrova benradicato: è vero però, che questo feme santo noni basta piantarlo solamence, na decli col. rivare sempre con atrenzione, e fervore, acciocche non perisca, essendo che a poco a poco germoglia ne teneri par. goletti, ed in questo doverete aricor voi invigilarvi. In seguela poi dovrà,  appe  19  and appena che le figliuole faranno capa.  ci, tenerle impiegate ad apprendere qualche lavoro di quei necessarj a saperG dalle donne, che sono il cucire , far calzerte, cessere, e filare, e questi disporli secondo l'ctà, e capacità loro : nel medesimo tempo impareranno a leggere, e di poi a scrivere, e questa sarà l'incumbenza , che dovrà avere intorno al lavoro,  Sem. O ben le donne civili, e nobili averaono da teffere, e filare che han. no forse da procacciarsi il vitto con que. fti lavori  Mer. Intorno al filare non avete occasione di risentirvene, perchè è torna, ta l'usanza di farlo ; non sò però se per bizzarria, o per profitto ; averere pur veduto, Sempronio, nelle case civili conocchie sì ben fatre , che fanno venire la voglia di adoperarle anche a noi al. tri uomini.  Sem. Queste le ho veduce certamente, ma però stare oziose, onde mi perfyadeva, che fossero state fatte per col  locarle dentro i loro scarabattoli nonri: mirandole punto adoperate .  Mer. Nonaveranno filato in presenza vostra, perchè non avendo voi moglie non era tempo ancora, the imparaste a filare alla moda.  Pub. Le caste donzelle in questo s'im: piegavano anticamente, e tralasciando di riferire, che lo facessero Penelope, Lucrezia , & infinite Matrone Romane; Alffeandro Magno fi vestiva co gli abiti teffuti dalle fue Sorelle, come racconka Curzio ; & Augusto non portò già altri abiti , che quelli, che dalla sua Moglie, Figliuola , e Nepoti erangli ftati fatti, come riferifce Svetonio: Onde se no li vergognavano queste di farlo, per qual motivo potranno aftenersene le tanto inferiori ad effe ?  Sem. Ma fe non avessero genio di fardo , tanto più non vedendolo praticarea alle Madri?  Pub. Questo genio può farfi venire con riferir loro qualche bell'esempio, & appunto de racconta uno il Surio nel di  fe  fecondo di Maggio, che se coinincies ranno a gustare le cose di Dio sarebbe assal a propogto: dice dunqu'egli, che andando S. Antonino Arcivescovo di Firenze, per una contrada di qite!la città vide un buon numero di Angeli, che  formavano come un corpo di guardias e sopra il tetto di una povera časa ; li ven  , ne in pensiere di catrarvi, e di riconoscere l'occasionc y per cui meritava canto favore da Dio; non vi trovò, che und Madre con tre sue figliuole , le quali filavano per guadagnarsi un poco di pane, e stavano con gran modestia : vedendo il Santo il bisogno , che avevano, fc loa to una buona limosina :-Dopo qualche tempo ripassando per la medesima strada vide, che la stessa casa era ricoperta di piccioli folletti, armati di tutti quei stromenti, che fogliono portare li dediti alla libertà del mondo : entrò, evide le medesime, che passavano il tempo a ridere, scherzare', e motteggiare , e fare le belle: Riferito questo, si poa trebbe soggiungere loro, che se Iddiogradisce canto il non stare in ozio in quelle, che sono miferabili, quanto più lo gradirà in effe, che spontaneamente, e fenza bisogno alcuno lo fanno e credetemi, che non mancano modi per fare applicare le figliuole, effen. do queste più docili demaschi.  Sem. Oltre il lavoro, che averanno da fare di vantaggio ?  Pub. In tutte le cose deve esservi la buona ordinanza, la quale tutta dcpende dal sapersi ben compartire il tempo , onde queste essendo pratiche divideráno Je ore def giorno in questa guisa ; la pri. ma della mattina , dette che saranno le figliuole, e veftite di tutto punto, sarà impiegata al servigio di Dio con fare orazione, o sentire qualche cosa di quanto esso vuole da noi; ciò fatto dcefi ristorare colla colazione moderata il corpo, per poi passare quelle ore de. ftinate al lavoro; e terminate queste , conviene di fare alquanto esercitare il corpo in cose non violence, e permettendolo il tempo, in aria con affatto  [ocr errors] rac  [ocr errors] .. 395 K tacchiusa. Avvicinandosi poscia l'oras  del definare converrà prendersi il nutrimento a proporzione dell'età, e poi dopo di questo è neceffario godere alquan. to di riposo, per potere alle ore destitiate tornare al solito lavoro.  Sem. Sino a qual'età possono i maschi ftare sotto la custodia della matrona?  Pub. Fin tanto appunto, che, cono. scendo le lettere dell'alfabeto, possono consegnarli al Maestro, per tenerli in quelle ore , che dovrà far egli scuola fotto la sua custodia; ben è vero peròs che non essendovi l’Ajo,possono ritornare, per quelle ore, destinate al diverti  mento, sotto la cuftodia della medelima $ matroni.  Semi. Nascendo tra fratelli, e sorelle qualche contrasto come doverå regolarli la marrona?  Pub. Sogliono i fanciulli vivaci essere molesti alle forelle, e da ciò ne nascono bene spesso trà loro reciproche aleercam zioni, mà se la matronal manterrå fotenuta a segno, che non pregdano les  [ocr errors][ocr errors] confidenza , avendone rimore di essa, difficilmente si avanzeranno a contendere tra loro, ma caso che la sua efficacia non bastasse,dee di ciò farne consapevole il Padre, o il Maestro , affinchè pensano a prendervi il più opportuno rimedio con tenerli separati. .  Sem. Crescendo le figliuole in età, e scoprendosi in esse qualche differto donnesco, come li dovrà regolare la matrona per estirparlo?  Pub. Non aspetterà quefta , essendo prudente, che giungano fimili diffetti a manifestarsi ; perchè come dicemmo procurerà con preventivi ripari di ab. batterli prima che si manifestino.  Sem. Venendo le figliuole negli anni , ne' quali sogliono alcune cominciare a contristarsi, e fofpirare, che averà da fam rela matrona?  Pub. Le figliuole ben' educate difficilmente cadono in fimili debolezze; ma quando mai ciò seguisse in alcuna, alJora si conoscerà il senno, e la prudenza della matrona; posciachè si saprà inters  !  [ocr errors] e nare nella sua confidenza per consigliarl  a far cose non disdicevoli alla sua condi* zione,ed a lasciarsi regolare dal suo amo.  roso Padre. 3 Sem. Ma non sarebbe meglio, quan.  do si vedellero contristate, porle in monastero per compire l'educazione?  Pub. Se sarete sicuro , che colà possano vivere con più ritiratezza, che in casa vostra , ed abbiano migliori direttrici cui dia l'animo di calinare le loro passioni, potrebbe farsi ; mà se poi vivessero con libertà maggiore, qual vantaggio ne ricaverebbero ?  Sem. Vivono colà tanto ritirate, che la porta di rado si apre; ne viene permefso l'ingresso libero ad alcuno.  Pub. Qucfto non basta se gli occhi, c le orecchie staranno maggiormente aperte; perche per esse po lono entrare le cagioni de' sospiri: e poi voi, Sempronio,mostrate di non fidarvi della voftra matrona , la quale totalmente dipende da voi, enon diffidate punto di tanţe servenci de’monafterj, sopra le qua;  [ocr errors] di autorità niuna yoi avere.  Sem. Sarà ben vigilante in questo chi averà cura dell'Educayde,  Pub. Voi y’ingánate$épronio, se crede, te,che l'altrui vigilanza superi quella de genitori attenti , e capaci : onde mi perJuado , che nella casa paterna queste ftiano meglio , che altrove,  Mec. Voi dite bene,Publio , che fiee te capace di custodirle come li dee, mà datemi un Padre, ed una Madre, che ad ogn'altro pensino, che all'educazione delle figliuole , e tanto maggiormente se non averanno una tale donna capace , e fedele a ben diriggerle, o saranno prive di Madre, la sola casa pater. na sarà sufficiente a custodirle?  Pub. Credo certamente di no.  Mec. Or dunque, che fi hà da fare in questo caso per non lasciarle a discrezio. ne dell'infida servitù ? o bisognerà, chę qualche faggia parente la conduca in casa sua, o porle in monasterio , sotto Ja direzione di saggia Maestra, Pub. Non è questo il rimedio appro;od  [ocr errors][ocr errors] priato al loro male, che congste in una gran passione , la quale non si : può rimovere da esse senza cósolarle.Ne  certamente si cureranno già di ricevere i queste in casa loro le saggie parenti : e  ricevendole le imprudenti qual vantaggio ne potreste Iperare ? E ponendole in monaftcro sotto la cura di faggiaMaestra  qual bene potranno ricevere da essa ef$ sendo tra loro discordanti di genio ? fa  rebbe più capace tal una di queste di sedurre altre compagne,a far che si unifor  massero al suo genio , più tosto, che di u mutarlo; onde nè ad esse, nè al monastero oi tornerebbe conto , che vi entrassero, 1 Intorno poi al sudetto riincdio ne parleremo a suo luogo , e tempo,  Şem. E quelle figliuole, che non avea se ranno le accennate paflioni ponno eduei carsi ne monasteri?  Pub. Se i loro genitori sarın capaci, ed attenti, e viveranno all'antica, non fra farà d'uopo cercare altra casa , che las  paterna per educarle, come dicemmo parlando de figliuoli della Conferenzís  [ocr errors] 1, della presente decade ; mà se poi foffe il contrario,non sarebbe buona per esse, ¢ converrebbe anche fanciulle racchiu. derle in monafterio, affinchè si discostas sero dalrimirare i mali efsempj domesti ci, specialmente quei, che potrebbero dalle Madri ricevere ,  Sem. Vorrei che mi diceste, Mecena, te,in che possono difettare le Madri nella educazione dellc figliuole?  Mec, In due cose principali, che so. no l'eccessivo amore che portan loro,e la libertà che vogliono mantenere per  fare ancor esse tutto a lor modo. L'amore non le permetterà di contriftarle, ne riprenderle, e la libertà,che vogliono godere , le disanimerà a procurare di farle .vivere diversamente da quello ch'esse .coftumano, e vi voglio riferire un caso seguito in mia presenza, Si trovavano in una conversazione alcune gentildonne în tempo di carnevale , le quali domandavano l'una l'altra quante volte avevano condotte, le loro figliuole alle commediese per verità non udj già che alcu  na  if ve le avesse condotte poche volte; vi fù f, bensì la più attempata dell'altre, che hin disse in tempo ch'ella era zitella rare tudi volte G costumava condurvele, e se non # era modeftiffima l'opera, che si recitava cui non potevano già udirla le zitelle; vi fù  chireplicò ancora che non si poteva oggidi far di meno di non condurle;perchè altrimenti fi contrifterebbero tanto, che non ci si potrebbe più vivere ; non dico altro,che vedo il mondo andare da male in peggio come predisse Orazio.  Sem. Oh consideriamo come anderà l'educazione delle cittadine , e dello à plebce !  Mec. Sappiate, che a queste fi è dato da qualche tempo in qua un'ottimo regolamento, essendosi aperte scuole publiche in ogni Rione, e mantenute  dalla generosità del nostro Prencipe , - ove vengono dirette da Maestre molto  esemplari numerose figliuole,molte delle quali si tratrengono ivi tutto il giorno; onde non solamente hanno occasione tutte di apprendere il fanto timor di Сс  Dio,  Dio, ed il buon costume, ma eziandio d'approfittarli in molti lavori dooneschi utili, e necessari per la casa , tenendoli in oltre lontane da quelle occasioni, che potrebbero in esse introdurre difetti; onde fpererei, che quando questo fanto istituto giuagesse ad eliere sufficienre anche  per le più miserabili, un'infinito bene, e più universale se ne porelle ricevere  Sem. Bramerei ora di sapere quale sia il tempo più opportuno d'apprendersi de fcienze?  Pub. Si parlerà di questo quando ci rivedremo ,  [ocr errors][merged small] [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] 1  Sopra l' età opportuna d'apprendersi le scienze, cd il modo più façile per accertarsi delle par. ticolari inclinazioni  de' figliuoli,  Sempronio , Publio , Mecenate ,  & Medico,  [ocr errors] Pub.  A proporzione delle cose li può chiama.  re ànima del monL  do ; essendo che questa lo mäntic  ne, clo fà risplen. dete : sconcerto grande certamente formano quelle cose, che sono prive di efsa. Se per sua sventura veniffe genio ad uno, che avesse voçe rauca abituata di fare il Musico,non doverebbe certamen  Сс 2   quali deb  bago    Z       S  Semo    1  1   [merged small][ocr errors] [ocr errors][merged small]  3.      onde  to   H  fpo.   F 2   Dum  Sem,  A 2  Mec.  127. ÇON:  IOI  ani  te egli effettuarlo ; perchè non troverebbe, quando anche giugnesse a saper cantare, chi si prendesse diletto del luo ingrato canto. Converrà dunque in tutte le cose prendere la sua proporzione giu. sta, con proccurare attentamente, in fare ciò, di non ingannarli.  Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli per apprendere le scienze quale sarà?  Pub. Quantunque secondo il loro spi. rito, e capacità deel cio regolare ; nulladimeno prima di dodici, o tredici anni farà difficile, che questa sia proporzionata ; e tanto maggiormente, che debbonsi prima applicare ad imparare la lingua latina , per meglio intenderle.  Sem. Ho sentito dire da qualcuno, che la lingua latina li potrebbe imparare come Gi apprendono gli altri linguag. gi, o nella manicra, che s'impara la lingna nativa, o dipoi col sentir parlares altri che la possiedono.  Pub. Vedete , Sempronio, se voi bra. mate fare da buon Padre di famiglia, sia.  tc  * t'e a mico di fare poche novità nell'edu  care, & istruire i vostri figliuoli, e fere vitevi di questo avvertimento,che i Maa rescalchi, che non inchiodano i cavalli  da essi ferrati, sono quelli, che pongono il chiodo nella guida vecchia · Anzi che vi dico di vantaggio,che se vi abbaca  tefte per vostra disgrazia in Maestri, che $ volessero sperimentare modi nuovi per  addottrinarli, non vi prevalete di loro; i perchè avendo i vostri figliuoli perduto ; tempo in mano di questi, converrebbe farli tornare da capo.  Mer. Vi fu a questo proposito un cer. to Maestro di musica, chiamato Timor  teo, che pretendeva doppia mercede & da quei, che avcano imparato l'arrej 1 senza buoni fondamenti , adducendone op per cagione , che doppia facica glicon  veniva fare ; cioè, che disimparasfero  essi ciò che avevano appreso, e poi d’indi fegnare loro le vere regole dell'arte :  onde se dupplicata riuscirà la fatica a Maestri nel caso , che non avessero pre. sa la strada diritta, il fimile seguirebbe Cc 3  an.  [ocr errors][ocr errors] anche a voi per doverli far dilimparare ciocche malamente apprefero.  Pub. E poi,che cosa averebbero a fa. re i figliuoli allorchè non hanno ancora la capacità di apprendere le scienze e quando mai ne acquistassero alcuna parte di esse, seguirebbe ciò per la felicità di memoria ; ina non capirebbero già quello che elli avessero appreso, nè tampoco saprebbero prevalera di quel documento generale,non ben capito,in molte particolari contingenze; onde tal'età non sarebbe proporzionata per fare acquisto delle scienze.  Sem. Ma se caluno avesse ingegno, e capacità maggiore degli altri, perchè non potrebbe questi esserae capace anche nella tenera età ?  Pub. Dee benli avvertirsi di vantag. gio in questi se.convenga allora porli a fimili laborioli studi ; perchè il buono agricoltore , quancunque abbia un campo fertilissimo, a suo tempo vi getta il seme, e lo fa riposare ancora , per non vederlo divenire sterile, e poi chi  sà  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] si, che non sia un fiore senza frutto quello, che comparisce prima del suo  tempo 2 e che poi allorche gli altri,erci đuti di minor ingegno si vedranno cari,  chi di frutti, questi non si rimiri spogliaco di efi? ricordiamoci, che: nil violentum durabile.  Met. Aveva un giovanetto di questi fatto una bella composizione in lode di un gran Personaggio, e recieztala alla  sua presenza con tanto spirito, che ne. i rimase ogn’uno degl’ascoltanti ammira  to; il meno ingegnoso, é fpiritoso, che vi era tra efli , domandò al suo Maestro, che ivi si trovava presente, sçra ftaja  composta dal detto figliuolo, cui rispoe fe di fi ; e voltatosi egli a quel Personag  gio gli dise : fogliono alcuni avere spirito, c capacità grande da giovanetti,  la quale perdono poi avanzati che sono o negli anni. Udendo questo il figliuolo 1 rispose prontamente a costui: ma voi  Sigaore, da giovanetto bello spirito, c | capacità che averete ayura ! Rimafer  quel Signore in vdir si propra, ed argu  Сс 4  ta   ta risposta, la quale fe credere a tutti la composizione essere fata fua. ,  sem. Questi ingegni dunque , per quanto ho udito, averanno d'uopo più tosto di ritegno, che di stimolo.  Pub. Voi non dovere dubitare di ciò, vedendolo praticare giornalınente nella vostra scuola di cavalcare, ove tra i precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di non lasciare la libertà del freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli degli altri.  Sem. Come mi dovrò regolare per conoscere, che sieno i figliuoli proporzionati più ad una, che ad altre scienze?  Pub. Dovrece principalmente fare esplorare il loro genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe corrisponda questo alla loro capacità, e disposizione naturale.  Sem. Come si potrà conoscere, che fia stabile questo genio ?  Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i figliuoli dalla più tenera età cominciano a mostrare le loro inclinate egli effettuarlo ; perchè non troverebbe, quando anche giugnesse a saper cantare, chi si prendesse diletto del luo ingrato canto. Converrà dunque in tutte le cose prendere la sua proporzione giu. sta, con proccurare attentamente, in fare ciò, di non ingannarli.  Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli per apprendere le scienze quale sarà?  Pub. Quantunque secondo il loro spi. rito, e capacità deel cio regolare ; nulladimeno prima di dodici, o tredici anni farà difficile, che questa sia proporzionata ; e tanto maggiormente, che debbonsi prima applicare ad imparare la lingua latina , per meglio intenderle.  Sem. Ho sentito dire da qualcuno, che la lingua latina li potrebbe imparare come Gi apprendono gli altri linguag. gi, o nella manicra, che s'impara la lingna nativa, o dipoi col sentir parlares altri che la possiedono.  Pub. Vedete , Sempronio, se voi bra. mate fare da buon Padre di famiglia, sia.  tc  * t'e a mico di fare poche novità nell'edu  care, & istruire i vostri figliuoli, e fere vitevi di questo avvertimento,che i Maa rescalchi, che non inchiodano i cavalli  da essi ferrati, sono quelli, che pongono il chiodo nella guida vecchia · Anzi che vi dico di vantaggio,che se vi abbaca  tefte per vostra disgrazia in Maestri, che $ volessero sperimentare modi nuovi per  addottrinarli, non vi prevalete di loro; i perchè avendo i vostri figliuoli perduto ; tempo in mano di questi, converrebbe farli tornare da capo.  Mer. Vi fu a questo proposito un cer. to Maestro di musica, chiamato Timor  teo, che pretendeva doppia mercede & da quei, che avcano imparato l'arrej 1 senza buoni fondamenti , adducendone op per cagione , che doppia facica glicon  veniva fare ; cioè, che disimparasfero  essi ciò che avevano appreso, e poi d’indi fegnare loro le vere regole dell'arte :  onde se dupplicata riuscirà la fatica a Maestri nel caso , che non avessero pre. sa la strada diritta, il fimile seguirebbe Cc 3  an.  [ocr errors][ocr errors] anche a voi per doverli far dilimparare ciocche malamente apprefero.  Pub. E poi,che cosa averebbero a fa. re i figliuoli allorchè non hanno ancora la capacità di apprendere le scienze e quando mai ne acquistassero alcuna parte di esse, seguirebbe ciò per la felicità di memoria ; ina non capirebbero già quello che elli avessero appreso, nè tampoco saprebbero prevalera di quel documento generale,non ben capito,in molte particolari contingenze; onde tal'età non sarebbe proporzionata per fare acquisto delle scienze.  Sem. Ma se caluno avesse ingegno, e capacità maggiore degli altri, perchè non potrebbe questi esserae capace anche nella tenera età ?  Pub. Dee benli avvertirsi di vantag. gio in questi se.convenga allora porli a fimili laborioli studi ; perchè il buono agricoltore , quancunque abbia un campo fertilissimo, a suo tempo vi getta il seme, e lo fa riposare ancora , per non vederlo divenire sterile, e poi chi  sà  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] si, che non sia un fiore senza frutto quello, che comparisce prima del suo  tempo 2 e che poi allorche gli altri,erci đuti di minor ingegno si vedranno cari,  chi di frutti, questi non si rimiri spogliaco di efi? ricordiamoci, che: nil violentum durabile.  Met. Aveva un giovanetto di questi fatto una bella composizione in lode di un gran Personaggio, e recieztala alla  sua presenza con tanto spirito, che ne. i rimase ogn’uno degl’ascoltanti ammira  to; il meno ingegnoso, é fpiritoso, che vi era tra efli , domandò al suo Maestro, che ivi si trovava presente, sçra ftaja  composta dal detto figliuolo, cui rispoe fe di fi ; e voltatosi egli a quel Personag  gio gli dise : fogliono alcuni avere spirito, c capacità grande da giovanetti,  la quale perdono poi avanzati che sono o negli anni. Udendo questo il figliuolo 1 rispose prontamente a costui: ma voi  Sigaore, da giovanetto bello spirito, c | capacità che averete ayura ! Rimafer  quel Signore in vdir si propra, ed argu  Сс 4  ta  ta risposta, la quale fe credere a tutti la composizione essere fata fua. ,  sem. Questi ingegni dunque , per quanto ho udito, averanno d'uopo più tosto di ritegno, che di stimolo.  Pub. Voi non dovere dubitare di ciò, vedendolo praticare giornalınente nella vostra scuola di cavalcare, ove tra i precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di non lasciare la libertà del freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli degli altri.  Sem. Come mi dovrò regolare per conoscere, che sieno i figliuoli proporzionati più ad una, che ad altre scienze?  Pub. Dovrece principalmente fare esplorare il loro genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe corrisponda questo alla loro capacità, e disposizione naturale.  Sem. Come si potrà conoscere, che fia stabile questo genio ?  Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i figliuoli dalla più tenera età cominciano a mostrare le loro inclinapo  [ocr errors] ruti zioni, & in proseguimento di essa li van.  no spiegando meglio, & alla fine avvici. nandosi al tempo di risolversi , la palesano espressamente, ed in questo caso è  veramente stabile, e fissa. Oh quanto die   si conobbe bene fin da suoi teneri anni  il genjo di Marco Catone : posciache  quanrunque venisse violentato con fiere  minaccie a fare cosa da esso creduta di-  sdicevole da Quinto Popedio Latino, si  mantennc sempre costante nel suo senti-  mento; il di cui animo intrepido G. avan-  zò, crescendo negli anni; posciache  condotto alquanto più grandicello, da  Sarpedone fuo pedante a casa di Silla  per visitarlo, e vedendo nel cortile di   decto palazzo la lista de' proscritti, eb.  be a dire : è possibile, che non vi sia chi  ammazzi un tiranno sì crudele comes  Silla? domandò egli al suo pedante un  coltello, dicendogli , che ad esso fareb-  be riuscito facile il poterlo uccidere ;  perchè fi poneva a sedere accanto a lui  come riferisce Valerio Massimo,    Sem. E se nell'ecà genera avessero mo.   stra,  strato qualche inclinazione ad una scien. za, e poi dopo qualche anno li fossero invogliati di qualche altra , ed alla fine, venuto il tempo da determinarli, voJeffero apprenderne alera differente da queste, che doverà farsi?  Pub. Questi sono di genio istabile , e non li fiffano mai, onde a qualunque fcienza si applicheranno, non sarà mai di lor piena sodisfazione , ed in questo caso consigliatevi con chi ben conosce. rà il loro talento, come sono i Macítri, e da esli comprenderete in quale fcienza ciascun di loro potrà riuscire più atto, e fare in modo , che in quella fi applichi.  Sem. Ma fe moftraffero non avervi genio ?  Pub. Questo si fa venire con far suggerire loro, che quella scienza , la qua. Je si crede proporzionata alla loro abilità, sia la più bella, la più nobile, la più utile, c la più dilettevole, che li accomoderanno senza indugio a volerla apprendere.  Sem.  [merged small][ocr errors][merged small] Sem. Sarebbe necessario, che m'in formaste ancora sopra la facilirà , che uno possa avere in apprendere più una scienza, che un'altra  Pub. Se voi scorgerece un figliuolo serio, e prudente, per quel che potrà portare la sua età, divota', e che inclis ni all'ecclesiastico, questi pare nato per istudiare Teologia, Se serio parimente, e prudente , volonteroso di studiare, s che tal volta nelle picciole altercazioni nare tra fratelli effo fi frapponga , e mostri voler giudicare , chi di loro abbia corto, o ragione , a questi fate pur  studiare Legge, che diverrà un'altro Bartolo. Se poi obiecterà , sarà riflessivo, tirerà frequenti conseguenze , questi averà cutti'li buoni requisiti per divenire un'eccellence filosofo . Se lo vedrere ingegnoso in adattare, e difporre i suoi giocarelli puerili, prendere misure di alcune cose, il suo genio lo porterà ad apprendere le Marcematiche ; conforme seguì in Protagora, ed in Biagio Pa. fcali:c fs lo mirerete sonrinyamente  ap  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] applicato a disegnare, o rimirar picture, la sua inclinazione naturale lo porterà a fare il Pittore : finalmente se lo vedrete afliduo nel tempo, che qualcuno sia malato in casa, e desideroso d'allistergli, c stare con attenzione ad ascoltare ciò, che dirà il Medico, il genio, e l'abilicà lo portano a studiare Medicina.  Sem. Se sarà nobile però come potrà effere Medico, non costumandoli das pertutto che questi esercitino cale pro feffionc  Pub. Dunque sarebbe affai fortunato uno de’vostri figliuoli; se fosse Medico; perchè essendo singolare , che stimas grande averebbe egli, e che belli acquisti apporterebbe a casa vostra ?  Sem. E se tal uno morteggiaffe, che odoraffero questi alquanto di cattivo?  Pub. E voi fate, ciò che fè Vefpafiano a Tito, allorchè riseppe, che aveva ciò motreggiato, quando pofe la gabella fopra l'orina , cioè di fargli odorare i danari, che da detta imporzione furono esatti, e trovò il buon figliuolo,  che  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] il modo di medicar cavalli, alcuni nou  3 che non avevano alcun cattivo odore, Dita ed il (mile seguirebbe anche in questi.  Mec. Vorrei sapere da voi, Sempro>nio, se vi sia stato alcun nobile, che abbia imparato a medicare cavalli?  Sem. Che voi non lo fipete! essendo. !ci quel vostro amico, che non solamen  te lo sà fare, mà anco l'esercita , peel rò nobılmente.  Mec. Oh Dio buono,per medicare le bestie s’ha da impiegare senza alcun moc  teggiamento un nobile ! e per curare un -2.14 uoino tanto più nobile di esse hà d'ave. mai retinore di essere motteggiato! più no  bile dunque farà creduto da questi of l'esercizio del Manescalco, che quello  del Medico, giacchè quello è esercitato da nobili, e questo da essi viene abbor. rito?  Pub. Hanno dato alla luce libri,sopra bili, tra quali vi è Pasquale Caraccioli Cavaliero Napolitano, e Marino Gir, zoni Senatore Veneto ; laonde potrebbero meglio impiegarsi i nobili nello  elpi            scrivere di medicina, per imitarc Corne. lio Celso nobile Romano.  Med. Vi è stato anche a giorni nostri Roberto Boile nobile, e ricco Inglese , il quale non hà risparmiato, ne spefa , ne fatica per accrescere la filosofia fperimentale ; e quanto di bene egli abbia fatto, le sue opere lo mostrano , avendolo queste renduto glorioso a’posteri .  Mec. In questo particolare bisogna , che io parli contro di noi medesimi : per ispregare le nostre ricchezze in lussi, lo facciamo prontamente ; per impiegarle poi a beneficio della viriù, non ci sappiamo indurre, perchè pajono ad alcu. ni spregate, quantunque realmente non fiano. Mà torniamo al nostro assunto.  Sem. Vorrei sapere dal Dottore, da che proceda la varietà dei genj .  Med. Questo secondo il mio debole fentimento credo , che da temperamenti poffa in gran parte derivare, perchè colui , ch'è malinconico averà genio as cose serie, il bilioso ad altre più risoluto, il demmático gradirà la quiete, ed  1  [ocr errors][ocr errors] il sanguigno amerà la varietà delle cose,  e poi rifletto, che l'arie ancora, ove al-  cuni nascono, ponno contribuire molto  alla determinazione de genj, essendoche  vi sono alcuni luoghi,ove quasi tutti at-  tendono ad un solo metiero, ed in un   tal clima li osservano genj affai differen,  ti dall'altro; ben è vero però, che alle  volte ancora le altrui fortune fanno ve.  nire il genio più ad una cofa , che ad  un'altra per esempio l'essere un semplice  Soldato divenuto Generale, ha fatto  venire il genio a più d'uno di seguitare  la guerra : l'avere lasciato un Medico  ricchezze considerabili, ha dato moti-  vo a molti di applicare alla Medicina   ed il fimil è accaduto nell'altre profes-  sioni. Leggo però che nella Cina, cd  in alcuni altri dominj fuori dell'Europa  quefi genj sono già fissati , non essendo  permesso ad alcuno il fare differente me-  stiero da quello di suo Padre., e perciò   colà igenj sono stabili non potendoli   yariarere a suo modo.     Şem. E se quedo genio, che taluna   do  [ocr errors] de'figliuoli hà, non corrispondeffe alla sua capacità, che doverà farsi?  Pub. Questo suole per lo più corrifpondere, quando nasca spontaneamente, e aon da impegno; perchè ci potrebb' essere taluno, che avendo genio il suo compagno di applicare, per esempio alla legge , e questa quantunque non geniale nulladimeno per non discoftarli da esso, volesse anch'egli ftudiarla , ed in questo caso, vedendo voi, che non avesse quell'abilità, che tale profes. fione richiede, potreste farlo allontanare dal detto suo amico per qualche tempo, senza che penetrasse il perchè, e così il genio , che nasce dall'impegno,fi muterà facilmente, quando non vi concorra anche il proprio .  Sem. Come mi potrò allicurare, che fia proporzionato il genio, e l'abilità alla scienza , la quale bramano di acquiItare ?  Pub. Niuna cosa vel potrà far meglio conoscere , che lo profitio , che faran. no ja quclle, perché è impossibile che  con  [ocr errors][ocr errors] di concorrendovi l' abilità , ed il genio ,  questo non si faccia anche da principio,  ed accertato, che voi sarete di ciò vivea te pur quieto di mente, che ci è la sua of proporzione.  Sem. E se non ci sarà detto profitto, G doveranno levare da questa per porli ad apprendere alcra scienza?  Pub. Conviene maturare bene fimile si risoluzione, per conoscere meglio don  de proceda il non farsi profitto, poten. do ciò nascere da due cagioni, cioè,o da fimulata inclinazione, o da inabilirà : se provenissc dalla prima potrete fare  da qualche loro confidente scoprire i qual fia la loro propria inclinazione, ;  dove il genio li porti, e prima di perdere maggior tempo ponereli in quellas ad essi geniale ; se poi nascerà dalla inabilità, ovunque li porrete, questa farà sempre impedimento al conseguimento di essa.  Sem. E se procedesse dall'essersipenriti, ritrovandola più difficile di quello, che se l'erano figurata ? Dd  Pub.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Pub. Questi cenereli per istabili, poltroni, che poco di buono ne potrete tiçayare; perchè ovunque gli applicherere , sempre faranno il medesimo, non avendo fermezza , ge sofferenza per la fatica, Sogliono però alle volte alcuoi di questi rimetçerli nella buona strada , quando ciò venisse da una certa pufillanimità di cuore , onde farà bene di ajugarli da principio con buoni repetitori, mediante i quali animandosi , prosegui. ffono poi con profitto ,  Sem. E se non ayeffe taluno genio a fofa alcuna, come mi doyero regolare  Pub. Vi potrete con questi regolare a yostro modo , ogni qual volca či liau Pabilità, e l'ingegno ; perchè sogliono alcuni per modestia in tutço , e per tut: to forromergersi al volere paternoję queIti riescono per lo più virtuofi , ogni qual voltą abbia l'ayerţenza di farli applicare a quella scienza, che Gia proporzionata al loro talento, come già di. femmo Sem. Stimate bene che nel tempo,i che applicano alle scienze si possano , pare per loro divertimento, far applicare al plin suonogal canto, o ad altri civili diverčia 0,1 mçnti? open Pub, Şe li yoletę far divertire day * quells, fateli applicare anche a questi , A Colui, che applica, e li approfita in  cose ferie , non bisogna distrarlo con  çosę amene, perchè le prendeffe cal vol. i ha genio grande a queste come ande,  rebbero , Sempronio mio, le serie an  zi che, se ne moftrassero efli genio,dove. a fe da questo diftorli, con dire loro, che  approfittati, che saranno nelle scienze, * yoi medelimo volere, che si divețiano o in quelle, ed in turti gli alțri civili orna  mengi . In un caso solamente fi potrebbe ciò permettere, cioè quando il figliuolo fosse di temperamento molto malin. conico, e çetro per solleyargli l'animo contriftato,  Sem. E se la foyerchia applicazione allo {tudio danneggiasse la salute, che converrà farsi, Dottore? Med. Primieramente procurerere, DI?  che  [ocr errors][ocr errors] illbuono per evitare i nocu.  che si moderi ciocche sarà eccessivo;perchè quello che non fi può apprendere ia un giorno, fi apprenderà nell'altro, e fe voi vedrete , che ciò non basti, levateli affatto dallo studio ; perchè è me. glio il figliuolo fano, quantunque fias ignorance, che dotto divenuto inabile a godere il frutto delle sue faciche: e non vi fate dare ad intendere da parabolani, che a forza di rimedi possa superarsi tal incomodo, perchè in tal caso averà due nemici, che lo perseguiteranno;cioè l'applicazione soverchia, ed il rimedio da taluno credulo, o malizio. menti di effa, quando lo specifico rimedio consiste nella totale rimozione dall'applicazione:  Sem. Approfftrati che saranno i figliuoli, che dovrà fare il buon Padre di famiglia per provederli bene?  Pub. Ci penseremo trattanto, e la di. scorreremo in appreffo.  CON.  421  CONFERENZA VI.  [ocr errors] Sopra gl' impieghi, che dovranno darsi da faggi Padri a' figliuoli  ben’educati ,, e dotti.  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub.  o sviscerato ainore de Padri verso i figliuoli, li fa bene spesso cadere in mol. ti eccelli, e partis  colarmente allorche questi nascono ; pofciache fino da quel punto di figurano alcuni di efi , e senza alcun fondamento, di far loro ottenere grandezze, & onori confiderabili, e per ciò allora dispongono d'indirizare il primo per l' Ecclesiastico, a fin che giunga a sublimi posti; di acca fare il fe  con  el  Dd 3  [ocr errors] condo , e fargli ottenere una groni lima dote : d'incamminare il terzo per un generalato di esercito: ed al quarto ; c quinto di dat per moglie figliuole ereditieres e ricche, acciocche poffano passare la quelle famiglic ad ereditarne archie il cognome. Se tali chimere, senza verun fondamento ideates riuscisfero , oh chie bella cosa che sarebbe! l'averebbero con quefti modi certamen. té accomodati tutti affai bene : mà benedetta sia quella volta, che pur una di queste si verifichi in tutto ; posciachè al destinato per l'ecclefiaftico viene genio di prender moglie; a quello per la moglie di farsi ccclefiaftico, o religioso; all'altro per condurre eserciti d'imparate a guidar bene un biroccio ; o muta i fei; ed agli altri destinati, pet rostegno di famiglie altrui, di rovidare, per quanto poisono s la propria , con giuochi , é bagordi ; a quali si darino in preda : e sapete ciò da che nasce dal non avere i Padri appreso bene da Salomone al 16. quello che debbatio fare , qual'è? Cor.  bos  st bominis difponii viam fuam, fed Domini eft. n diriģere grefus fuos; onde per voler fare to tutto da se medesimi, perciò non poffo. ! nio avere buon fine i loro disegni . of Mec. Questo l'ho confiderato anche dio più volte, in occasione, che seativa I dire a Padti: questo l'ho già destinato i per la tal via ; e quello per quell'altra s # conforme ch'elli fossero stati arbitri del  la Providenza Divina , che regge turto, a difpofitoti assoluti delle inclinazioni  de figliuoli ; é volendo ammonire sopra di ciò talun di quefti , mitróncava il dia scorso con dire che già poneva da para te gli assegnamenti necessari, e che pensava ancora alle fpefe straordinarie ; per i quando avessero conseguito quelle caris  che; che bramavano di fare orretiere 2 figliuoli; ed era quelto trent'aniti primas che le potessero conseguirt , onde mi sembra vano le loro menti teatri di commedie, ove fiori personaggi paffeggiano ·  Sem. Non ci averanno dunque das penfare, i Padri allorche nascono i Ai gliuoli di far conseguire loro vantaggi? DI 4Pub. Non hanno allora da pensare a questo, mà bensì di proccurare, che divengano abili a conseguire quella buona sorte , che Iddio 'averà preparata a meri. tevoli : e perciò fantamente un saggio Padre aveva in una tela fatti dipingere i suoi figliuoli colla sola camicia, e con questa iscrizione.  Tocca a Dio lo stabilire  In che guifa han da vestire . Volendo significare , che a lui non toccava fare altro, se non ricoprirli colla ca. micia, affinchè non comparisfero affatto nudi ; nel riinanentę poi si uniformavi colla volontà di Dio, acciocche li avesse rivestiti a suo modo, e che questa prima copertura non consisteva in altro, che nella buona educazione , alla quale dovea cffo pensare; onde non prima , che fiano educati, ed istruiti questi nelle virtù,possono i Padri comprendere, che voglia Iddio disporre di eli.  Sem. Qual di questi il Signore Iddio averà disposto per acca farsi? E sem. Quello , che conoscerece più (e  frio, sano, e sensato, e che averà inclina. kizione a questo, perchè avere pur  udito bu qual capacità , e segno ci vuole per prenaf dere moglie?  Sem. Se il primo genito , al quale si suol dar moglie, non avesse tutte queste condizioni, e foffe volonteroso d'accasarsi, che si averà da fare?  Pub. Se gli mancaffe la sanità, o faviezza sarebbe segno, che Iddio non vo. lesse; e voi potreste sostituire ad esso chi fosse più capace..  Sem. É se ci fosse il maggiorasco, che ma potrò far io venendo egli chiamato as  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Farete dal canto vostro tutto quello , che potrete ; perchè non manca. no, ripieghi in simili contigenze, per farlo rinunziare a questo, con serbarli un buon assegnamento; mà se poi non vi riufciffe converrà averci pazienza; perchà vostra non è la colpa , mà di chi lo chiamò a questo, che non pensò a tanto.  Sem. E per l'ecclesiastico, chi dielli a doverà incaminare,  Pub,  [ocr errors] Pub. Il più docilc, dotto, e divoto.  Sem. E se non avess' egli tal genio ?   Pub. Sarebbe segno che Iddio non lo volesse per questa via, e voi sostituitene un altro ad effo, che l'abbia , quartunque foffe men dotto; o pute incominciatead istradarlo per questa via alla lon. tana, che può essere's che tal genio gli venga .  Sem. É quale sarebbe questa via  Pub. Quella della Avvocatura, se fará inclinato alle materie legali; mà non to fare Avvocato di dome, perchè cið (crvirebbe a nulla.  Sem. Come mi dovrà regolare in far questo?  Pub. D'incaminarlo per la medesima via , che calcarono quelli che sono riufciti eccellenti in tale professione ; i quali ne'primi anni cominciarono a rivolta. fé protocolli negli offizj de Notari.  Sem. Mà una persona nobile non potrà far questo.  Püb. E percið non potranno forfe giugnere ancora alla perfezione di quellig che lo fecero:  More  [ocr errors][ocr errors] Med. Vannio pure alla guerra ventu. fieri moltissimi nobili con pericolo giornalmente di morte, e cominciano meri fanci di volontà; perchè dunques non possono fare ancor questo, nel quale non li incontra un fimile pericolo, ed il fine ancora, è retrissimo,onoratiffimos crfendo diretto all'atimigistrazione della giustizia ?  sem. E dipoi che dovranno fare  Pubs Prendere pratica delle cause appreffo i migliori Curiali , ed esercitari in questa, passare a prenderla dagli Avvo. cati con iftare sotto la loro dettatvra , se forà bisogno : e finalmeiite im poffeffati, che saranno in detta pratica ascoltare attentamente per qualche tempo i Giudici de primi tribunali; ed allor si, che po. tranno porsi a fare gli Avvocati , tros Vandofi colmi di doctrina , e di sperien2à.  Sem. Esercitato che averanno l'Avvocatura che faranno ?  Pub. Avendo acquistata perizia maga giore in tal ministerio , c per averlo lom  de.  [ocr errors] deyolmente qualche tempo esercitato , potranno per giustizia , non già per grazia pretendere i migliori posti della Republica, e di grado in grado avanzandosi, potranno conseguire ciò, che bra. mano:  Sem. E’lsudetto genio come verrà ?  Pub. Chi averà amministrato con rettitudine la giustizia, sarà senza dubio rimunerato da Dio; se lo fè a Salomone per avere solamente mostrato desiderio di esser giusto,fupplicandolo di ciò,come fi legge al 3. dei Rè: Quia poftulafti ver. bum hoc , bu non petiffi tibi dies multos ; nec divitias &c. ecce feci tibi fecundum Sermones tuos &c. fed, hæc que non poftulasti, dedi tibi : divitias fcilicet, do gloriam; ed udite ciocche dice per bocca d'Isaia al 51. Facite justitiam &c. ed ins appreffo: Beatus vir , qui facit hoc; e nel libro della sapienza al primo : diligite ju, ftitiam , qui judicatis terram ; come volete dunque che, a questi non dia las vocazione ancora di servirlo; cffendogli sì grata la sua servitù.Sem. Se taluno di eisi volesse farsi re, ligioso, che dovrò fare?  Pub. Non altro ch'esplorare se fia vera vocazione, o soggestiones perchè se farà vera vocazioneld, dioè, che lo chiama; onde a questa non dovete opporvi s perchè si sono veduti gastighi assai evidenti fulminati contro chi si è opposto al Divino Volcre , : Sem. Come mi porrò accertare di questa vera vocazione ?  Pub. Dovete alla prima mostrare res nitenza in dargli permissione, che lo faca cia : conducerelo continuamente con esso voi, ed informarelo sinceramente di tutte le difficoltà, che potrebbe in. contrare nella vita religiosa ; come anco delle astinenze, ad altre penitenze, che tra effi fi costumano, con doverfi privare della propria volontà, allorchè sarà religioso; e se si manterrà sempre saldo, é costante nel suo proposito, crem dete per certo, che farà vera vocazione.  Sem. Mà non sarebbe bene, che lo condücelli alle conversazioni, alle comig  me  medic, ed ai passeggi per divertirlo me, glio, caso che lo vedcili malinconico?  Pub. Questo poi non dovretç fare ; perchè allor îi che perderebbe quanto di buono egli acquisto nell'educazione; e non facendoli poi Religioso vi farebbe fofpirare, per averlo voi con defii mo: di improprj sedotto , E non crediatę gia che facendosi Religioso, per vera vocazione,egli viverà infelice, anzi che sarà il più contento, e felice degli altri, per, che godono questi , quando non abbia. no ambizione, ed altri attacchi mog, dagi, sommą tranquillità d'animo,  Sem, Sicchè dunquc sarebbe bene, che facefî venirç a qualcun aloro ancosa la yolontà di farsi religioso, giacchè elli vivono così feļici, e particolarmense a quelli, che fossero incapaci di alcu, no impiego della Republica .  Pub. Ayversite, Sempronio, di non far questo, con modi suggestivi, per fini mondani; come sarebbero, per far di, venire gli altri fratelli,che sono al secolo più facologi mediapre l'augumento delo  la  la sua parte șinunziara , o perchè non saperç a che impiegarlo, mentre questo non piacerà a Dio, onde contentatevi di dare solamente a Dio quelli, ch'esso yuole, e non quelli che non fanno per voi, come sogliono pure troppo effettuar re alcuni, che sc hạnno raluno de figliuo, li difertosi, o di poco fennolo consacra no a Dio, essendo questo il sacrificio apo punto di Çaigo , che gli daya le vittiine più magre, e tanto maggiormențe chę essendo questi turti suoi operarj? come volere, che poslano fervirlo bene, se non avranno capacità sufficiențe di farlo?  Mec, Sarebbero dunque, come quelle vittime, che si offerivano agl'Idoli di Moloc, ed a quello di Sapurno dai Gentili, che morivano nelle loro braccia jufocate senza esser capaci di alçro, che di piançi.  Sem. Se paluno & volçís'elimçre da qualunque impiego per starsene senza pensare a cosa alcuna,che averò da fare?  Pub. Coltui bramerebbe darG all' ozio, e non è volontà di Dio, che stia  l'uo  l' uomo ozioso leggendosi nella Geneli al 2. Pofuit eum in paradiso voluptatis, ut operaretur, e se in luogo di delizie non volle , che stesse ozioso l'uomo , come lo permetterà nel mondo? quando allorchè ye lo pose gli disse : In Judore vultus fui vefceris pane tuo, donec rever. teris in terram ; quale poi fa il danno, che apporta l'ozio uditelo dall'Ecclefiastico al 33. Multam malitiam docuit otio. fisas; e maggiormente questo può nuocere a chi hà beni di fortuna', perchè essendo l'ozio il padre di tutti i vizj, che ne seguirebbe da questo? Allorsi che la buona educazione gli gioverebbe poco; onde per ovviare a ciò potreste farli suggerire, se bramasse entrare in corte ove fi sta per lo più a sedere , gon si fatica, ne fi applica a cose di rilievo, discor, rendosi bensì delle novelle della città, e del mondo,e li fà una vita neghittosa,la quale farà facilmente confacevole al suo genio, e perciò, che la provasse un poco: caso poi, che ricusasse questa ancora, allora vedete a chc aveffe genio, e la.  [ocr errors][ocr errors] sciateglielo fare, perchè  sempre sarà meglio, che faccia qualche cosa', che stia coralmente in ozio ; e tra gl'impieghi onorevoli ci sono la pittura, nella quale alcuni malinconici i sono con genio esercitati : il lavoro alcorno : il dar las vernice indiana , ed altre cose simili , confacevoli a chi non voglia intraprendere affari di suggezione, ed udite ciocchè consigliava ancora San Girolamo Epist. ad Ruftic. Vel fifcellam texe junco, vel canistrum piecte viminibus ; più costo che ftare ozioso.  Sem. E se tal uno di essi volesse applicare a far negozj di cambi, e ricambi, edsagl’affitci'de dazj, averò da permetterglielo?  Pub. Ci penserei prima d'accordarglielo; non solamente perchè nostro Signore Gesù Cristo levò S. Matteo da far simili esercizj, mà ancora, perchè questi impieghi, che mediante un fallimento, o altri accidenti del mondo ponno scomodare di molto, non sono negozj licuri, anzi azzardolidimi in chihà da perdere molto del suo ; che questo lo faccia chi poco può discapitare di proprio gl’è tollerabile.  Sem. Avendo taluno genio alla caval. lerizza, e li dilettasse di mantenere più cavalli di quelli, che Geno necessarj,averò da collerarglielo?  Pub. Essendo tal genio diretto alle bestie, quando fi eccedesse nel numero , o nell'amore verso di effe, non sarebbe tollerabile:nel numero, perchè al parere del Petrarca: in Dial. de equo; Quot equorum mores totidem equitum pericula; e nell' amore, perchè gl'uomini quantūque grádi, che vi cadettero, furono di ciò biasi. mati; tra’quali Alessandro, Augusto, ed altri. Quindi è, che faggiamente dispone il Deutero.al 17. Rex non multiplicabit fin bi equos ; or dunque come potrà ciò permcttersegli, essendo anche dispendioso?  Sem. Vado or riflettendo come G rę. goleranno quei figliuoli educati benc da Maestri,criusciti eccellenti nelle scienze, se non averanno i Padri attcari, e 'capaci di dar loro direzioni buone in  [ocr errors] j  tempo, che debbono prendere stato : © che faranno ancora quci nati da Padri poco nobili, e meno ricchi,effendo d'uopo riflettere a tante cose per accomodarli bene?  Pab, La gran providenza di Dio supa plisce a questo ; effendoche : bong menfi fuccurrit Deus,Allorchè questi faranno divenuti capaci,cd abili, da loro medesimi comprenderanno qual ha il volere Divino, ed avanzandosi colla loro prudenza giugneranno felicemcate fin dove Iddio averà disposto, che arrivino.  Sem. Io sono rimasto sorpreso allo volte nel vedere cerți mal educati, e poco dotti , ed anco per vie indirctte , giu. gnere a gran posti; ed altri, alle volte quanrunque di vita esemplarc, meritevoli, e capaci, rimanere indietro,  Pub. Questo ancora è un arcano della Providenza Divina ; posciachc essas I tollererà , che caļuno s'avanzi per queste ich vie; mà che ? vedendosi questi nell'au, ge  delle loro fortunc cadere a terra, çi i fa credere, che senza il Divino ajuto  for  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] formino la statua di Nabucdonosor, 12 quale mediante un picciolo falsolino s' atterra, come appunto provò Sejano. I E quelli poi, che rimirate non avanzarsi, avendo merito, Iddio conosce, che quel posto,che voi credere, che compete. rebbe loro, e non lo conseguiscono, non fàrà per loro,effendoche, oc'incontrerebbero delle disgrazie, o pur sarebbe dannoso alla loro eterna salute, e di  quefta verità non dubiterere punto ; perchè alle volte: honores mutani mores, ondes chi sà, che in questi non seguisse cosi? se volete udire altre ragioni sopra di ciò leggete Seneca che tratta diffusamcnte di questo nel libro:quare bonis viris mala accidant cum fit Providentia .  Sem. E che dice di più di questo?  Pub. Tra le altre cose urili dice la Pro. videnza Divina a coloro, che di ciò si prendono rammarico al cap. 6.Quid habetis quod de me queri pofitis vos, quibus recta placuerunt? Aliis bona falsa circum. dedi , animos inanes velut longo , falla. rique fomnio luff, Auro illos , argento ,  ebo  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] ebore ornavi: intus boni nibil eft . Ifti quos profęlicibus aspicitis fi non quâ occurrunt, sed quâ latent videritis, miferi sunt , fordidi , turpes ad fimilitudinem parietum fuorum extrinfecus culti . Non eft ifta folida, sincera folicitas: crufta eft, quidem tenuis . It aque dum illis licet  ftare, co ad arbitrium suum oftendi, nitent , da imponunt cum aliquid incidit , quod difurbet; ac detegat , tunc apparet quantum alta , ac veræ feditatis alienus Splendor absconderit. Vobis dedi bona certa, manfura quanto magis versaveritis , & undique inspexeritis,meliora,majoraque permisi vobis , metuenda contemnere , cupienda fastidire. Non fulgetis extrinfecus : bona veftra introrsum obverfa sunt . Non egere feu  licitate fęlicitas veftra eft. Ferte fortiter, bc.  · Sem. Sin ora abbiamo discorso intorno al modo da provederli senza soccorrerli di proprio , vorrei , che ora m’ istruiste come mi doverò regolare con efli loro nel sovvenirli, vivendo io, e dopo la mia morte ?  Pub,  [merged small][ocr errors] Ec 3  Pub. Questo è un prudente quesito, e dev'esaminarsi seriamente, dependendo da questo il mantenimento ancora della buona educazione acquistata ; posciache bene spesso conforme diffe Tacito: felicitate corrumpimur.  Sem. Come dunque mi dovrò regola. re coll'ammogliato ? perchè non vorrei pensare al suo mantenimento , fentendo giornalmente molci dolersi de loro Pa. dri, che non li provedono in tempo opporcuno di quanto fa loro bisogno; oltre di che sò ancora, che così pensa mio Padre trattarmi.  Pub. Voi dovrete affegnargli unas convenevole, c fufficient entrata, che pofsa baftare per il suo mantenimento ; con questa considerazione di vantaggio di accrescerla, secondo che anderà mul. riplicando la famiglia.  Sem. Mà non averà d'avere qualche cosa di vantaggio del bisognevole?  Pub. Qualche cosarella credo anch' io di fi, perchè accadono alle volte certe spefarelle impensace, alle quali nonfi farà dato il suo equivalente assegnamento; mà per altro non debbono i buoni Padri di famiglia essere molto generoli co'suoi figliuoli ammogliati.  Sem. E per qual cagione?  Pub. Perchè dagli affegnamenti soprabbondanti ne nascono il lusso, las crapola, e cento altri vizj.  Sem. Mà se farà ben’educato non caderà in questi trascorsi .  Pub. L'essere ben’educato opererà , che questi non si dolga del conveniente, e giusto assegnamento fattogli da suo Padre ; mà per altro fate, ch'egli si ritrovi denaroso, troverà ben più d'uno, che gli li porrà d'intorno per farglielo spendere in cose voluttuose, onde toglieregli affatto l'occasione di far questo, che vivererc voi più quieto , ed egli più fano  Sem. Si dovrà quest'ingerire nell'amministrazione dell'azienda ?  Pub. Anzi sarà necessario, che lo facciate istruire in tutte le cose, dovendo egli, non solamente dopo la vostra mor  [merged small][merged small][ocr errors] te reggere la casa , mà eziandio se mai per disgrazia voi v'inabilitaste; o pure per la soverchia età volerte attendere alla quiere.  Señ. Ed agl'altri figliuoli dovrà farsi assegnamento per farli vivere da se ?  Pub. Questo nò: li doverece bensì voi provedere di quanto farà loro'bisogno, al più, che vi potreste stendere; sarebbe d'assegnare loro un tanto per vestirsi, con qualche cosarella di più, mà non già con prodiga mano ; perchè l'abbondanza del danaro è la rovina dei giovani, anco ben educati, e credetemi, ch' io sò qualche cosa in questo particolare, e Mecenate ne sarà tal-volta informato più di me.  Mec. Voi dire la verità, poichè se un figliuolo di famiglia maneggierà danaro, sarà corteggiato da più d'uno, e tentato da questi a prendersi divertimenti d'ogni genere, dove che se non averà, questi Teduttori faranno come le formiche, che non li accofano ove gon è grano ; come dille Ovidio.  Hora  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Horrea formicæ tendunt ad inania  nunquam Nullus ad amisas currit amicus opes. Sem. Guadagnando taluno di questi, dovrò continuare a fare con effo lui quello, che fo con gl' altri?  Pub. In questo caso voi potreste fargli da economo , affinchè non ispregasse, con rinvestire in faccia sua i suoi guadagni , per animarlo ad accrescerli; ed infieme, per eccitare gli altri fratelli ad imitarlo; e continuerete voi a mantenerlo, essendo la casa non bisognofa ; mà se non bastassero l'entrate al comune mantenimento, il figliuolo bene educato spontaneamente vi soccorerà col proprio guadagno; non potendol prevalere del consiglio di Solone, come riferisce Plutarco: che solamente i figliuoli, abbandonati da loro Padri, non fossero tenuti, allorche questi avessero avuto bisogno di esser soccorsi da figliuo, li, efli didarglielo.  Sem. E se uno de miei figliuoli foffo; destinato a qualche giverno, o 'alera  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] ca.  [ocr errors] carica dispendiosa,per servigio del Prencipe?  Pub. In questo caso,Sempronio , con. verrà,che voi facciate tutti li sforzi por. fibili in soccorrerlo, anche oltre il bisognevole:e per queste cótingenze debbo. no i buoni Padri avere cumulato danaro per prevalersene, e non bastando, pofsono anche fare debito; perchè questo si chiama rinvestimento, che a suo tempo, oltre il decoro , recherà anco utile alla casa.  Sem. Vediamo ora come dovrò lasciarli dopo la mia morte, ed in primo luogo come averò da contenermi coll' ammogliato; se lasciarlo padrone libero, o usufruttuario con fare la primoge, nitura ?  Pub. Lasciandolo voi, che sia arrivaco in età affodata, e senza vizj, attento alla casa, e versato nel maneggio di effa, potreste anche fare di meno di legarlo con fidecommisso; con tutto ciò, perchè non potrete sapere i naturali de' figliuoli, che da esso nasceranno,  e se  [ocr errors] e se sarà in tempo, per qualche accidca: te di poterlo far esto, non sarebbe male d'istituirlo, con lasciare ad esso qualche porzione libera, per fargli conoscere, che non diffidate della sua bontà, ed at. tenzione in moltiplicare la roba.  Sem. Ed agl’altri, che dovrò lasciare  Pub. Un Ogorevole mantenimento per potere decentemente vivere fecon. do la loro condizione, ed a colui, che foffe capace di avanzarsi nelle cariche, qualche cosa libera per poterlenc prea valere ne'suoi urgenti bisogni , quando le averà ottenure ; må dite che farefta di vantaggio voi, Mecenate ?  Mes. Avendo veduto , che alcuni apa pena eftinti i genitori , quantunque fora to la loro dirczione foffero ftati mode  tariflimi in tutto, pull adimeno pelle o pompe funebri, clutto incominciarona di a slargarli in modo, che non mostravano o essere più quci di prima , cosi ben disci· plinati nella parhimonia ; questo dico mi o farebbe, avendoqualche rimedio, acciocche non foffe in tutta libertà loro di manifestare quel ge nio ch'era quando vivevano i padri fie mulaco,a fine di precluder loro affatto la via di darsi all'eccessivo lusso.  Pub, Sapete pure quanto sia difficile il volere regolare le cose canto al minuto dopo morte ? e quante disposizioni si fanno, che non fi osservano dagli eredi? or come potrete far mai, ch'elli allora fieno buoni economi di quello, che non è più vostro?  Mec. Tutto va bene, mà però certe cose possono farfi eseguire anche dopo morte , perchè li dispongono in vita, ed allor'appunto, che sono proprie; onde perchè non le potrei conseguire difpo. nendo, che si dovesse ogn'anno rinvestire una parte dell'entrate, la quale io credelli soprabbondante al loro decente. sostentamento?  Pab. E che pretenderefte farne di tal vincolato investimento?  Med. Vorrei che dovesse servire per dotare le figliuole ; e credetemi, che  que  [ocr errors] [ocr errors] queste doti d'oggidì, che sono divenute eccessive, sono la rovina delle care, onde quando queste non si dovessero linen. brare da' capitali mi persuado, che sarebbero esenti dal deteriorare per questa parte. Farei ancora assegnamento maggiore a Cadetti, di quello, che alcuni costumano di fare, e particolarmente a quei, che sono ben incaminati per la strada della letteratura, o militare, non servendo questo scarso, ed insufficiente assegnamento ad altro, che a fare maggiormente spregare a primogeniti, godendo più grosse rendite del loro bisogno con pregiudizio de progressi altrui, perchè in sostanza tutti debbonli, e gualmente considerare per figliuoli, e fenza demerito alcuno dell'amore paterno portandoli tutti seco rispettofi.  Sem. Voi Mecenat vorreste reftringere tanto i poveri Primogeniti, che poco rimarrebbe loro per vivere, perchè una parte dell'eredità paterna la vorreste porre a moltiplico, ed oltre di questo  pre  [ocr errors][ocr errors] pretendere ancora di accrefcere gli assegnamenti consueți de Cadetti;onde stencerebbero i poveri Primogeniti a vivere anchę mediocremente,  Mer, lo non hò preteso di appor. car ļoro danno alcuuo, ma bensi più fofto giovamento, liberandoli dallas penosa briga di dover pensare alle dori delle loro sorelle, e figliuoic, facendo trovare queste pronte in tempo , che ne potranno avere biso, gno,  Şem, Sę tante deligenze si dovranno praticarç per li figliuoli ben educati, e dosti , che doverà farsi per quei , che non si farango approficcati nell'educa, zione, e nelle scienze  Pub. L'esaminaremo ia appreso,  SON  [ocr errors][merged small] Come debbano i Padri regolarsi nel  provedere i figliuoli ignoranti,  ç yiziosi,  Publio , Sempronio , Mecenate ,  & Medico.  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] Pub.  Alomone non solamente notificò il giubilo grande,che godono i Padri allorche vedono i lo  ro figliuoli ben di. sciplinati , come al 23. dc suoi Proyerbj dice ; Exultat gaudio paser jufti : qui fapientem genuis lætabitur inco; Må eziandio espresse il rammarico, che ne hanno quei , che li vedono viziofi al decimo ferrimo ove dice ; Ira patris filius ftultus,  dolor matris, qua genuit eum. Quindi  è, che  è, che l'Ecclesiastico al 16. conchiude: Utile eft mori fine filis , quàm impios habe  re.  · Sem. Questi cattivi , e viziosi forse non averanno avuto dircttori nei loro teneri anni, che gli abbiano ben'educari.  Pub. Ci sono di quei, che l'ebbero an. cora, e pure da essi niun giovamento ne riportarono  Sem. Come è possibile questo?  Pub. Dovete voi sapere, che quando il vizio è radicato nel cuore de figliuoli, e che di la si propaga al capo, ardua impresa fi renderà il poterlo svellere, perchè fi rende allora effo quali padrone della volontà ?  Sem. Mà perchè questi non possono. coll'educazione estirparsi dal cuore, e dalla mente quando di effa fi foffero impoffesfati ancora è  Pub. Ardua impresa, come disi farà prenderla con vizj chiamati da Salomone nelle sue Parabole al 2 2. Stultitia colligata in corde pueri; e tanto maggior. io figliuoli, pensare allnde  mente quando chi n'è contaminato non coopererà ancor ello per rimuoverli?  Sem. E come potrà farac di meno, avendo avanti gli occhi canti buoni esempj, ed udendo saggi documenti , e ragioni convincentisfime !  Pub. Si trovano questi talmente accecati, e sordi, che non veggono, nè capiscono nè esempj, nè ragioni ; e queIto nasce ancora dal loro naturale , egenio perverso, che in vece di apprende. re, e vedere con loro profitto li fà porre in deriGone quanto odono, e veggono, come saggiainente insegna Salomone al 15. de suoi Proverbj: Stultus irridet disciplinam patris fui, qui autem cuftodit increpationes astutior fiet.  Sem. Questi genj perversi donde nascono ?  Pub. Dalla poca cognizione dell'onefto, e del vero bene , e da questa deriva, che credono ogni qualunque cosa, che appag! la loro volontà, per onesta, quautunque sia detestabile, ed avendo, fatto in tal falfa ccedenza l'abito, quc  FF  Ito  [merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Ito palsa in naturalezza, e genio, per es. ser divenuta la loro fantasia quasi consimile a quei cristalli con artificio lavorati, che fanno comparire le cose proporzionate,e belle per i isconcie,e le íconcie per belle , e proporzionate .  Sem. Indicatemi ora qualcuno di que. Iti vizj tanto perversi.  Pub. Se voi scorgerete in un fanciullo certa crudeltà ferina, qual fù di colui, che con un ago cavava gli occhi a cerci uccelli : d'altri che feriva col coltello, o bastone il compagno, e scorgendo sgorgare sangue maggiormente s'infieriva: o pure una certa inclinazione a trafugare, e nascondere cose non comestibili , prese anco da qualche scrigno: l'essere pertinace, e perseverante nel non dire mai verità, e fare qualche danno per imputarlo altrui; overo quantunque corretto,e gastigato più volte il continuare tuttavia a non volere apprendere cose di Dio, con avere dispiacere di sentirne anche parlare ; imparando ben l'altre dannose al buon costume : non rispettare  [ocr errors] i i genitori , anzi beffeggiarli di più quanworld do sono da elli correcci; e tutti questi di  fetti crescendo esli negli anni vedendosi avanzati più rosto, che diminuiti, credete pure, che limili vizj sono già divenuti padroni del cuore , e della volon. tà.  Mec. Vi fù uno di questi, che in età di cinque anni ammazzò con coltello un  fuo compagno, e non essendo capace, i per  essere di sì tenera età, di gastigo, o proporzionato a tal'eccesso, commesso anche con crudeltà  per  li rinovati colpi, a che gli diede, fu fatto caftrare in pe  na da quel Prencipe dominance, dicendo egli, che non voleva razza di simili fiere nel suo dominio .  Sem. Mà hò udito riferire più volte, che pur si rendono máfuete le fiere ache o più crudeli; com'è poflibile dunque, che  questi, in qualche modo, dall'industrias umana non si possano domare? esaminiamo di grazia, se vi poress’essere qual  che rimedio, per rendere mansueci anco o questi, o pur datemi sopra cio, per mio  Ff 2  re  regolamento, qualche buon consiglio ; perchè , fe Iddio per gastigarmi mi desse un di quefti figliuoli, io sarci il più infelice uomo tra tutti i vivenci.  Pub. Lo credo, e perciò bisogna, che cominciare da or'a supplicarlo, che non vel dia , ed essendo egli sì misericordio. fo, potrete dopo reiterate preghiere an. che sperarlo ; e voi, Dottore, avete alcun rimedio di quelli, che chiamare eradicativi per isvellere questi vizj?  Med. Se non foffero cotanto radicati spererei disì, mà farò qualche studio particolare , anche intorno a questi, per vedere se G trovasse alcuno specifico, almeno, che potesse minorar loro tant' orgoglio ,  Pub. Se si trovaffe questo sarebbe gran vantaggio ; perchè allora coll'educazione li potrebbe fare qualche cosa di più, se non in cutti, almeno in alcuni di esli , onde pensateci seriamente, e fare qualche sperienza tractanto , per riferire a suo tempo ciò, che averete ritrovato giovevole.  Sem.  [ocr errors] .  Elio Sem. Mà intanto insegnatemi almeno แบ่งชี้  quello, che li potcffe fare di vantaggio 11  nell'educare questi, perchè poi, che averà ritrovato qualche rimedio il Dotcore, mi informerà di quello.  Pub. Şe fi potesse discernere in tempo, che prende il latte quel figliuolo,in cui la crudeltà volesse fare progresi, la prima cosa che farei, sarebbe, di mutargli la nutrice, se fosse donna risentita , e tiera, ed in vece di questa gli farei dal Dottore scegliere un latte di balia pacifica , e femmatica; effendocche di ciò me ne porge morivo quello, che seguì all'Imperatore Commodo, il quale per essere stato nudrito da una donna rifen  tita, e barbata come un uomo , data* gliela affinchè diveniffe generoso; mà in  vece di questo divenne un gladiatore ,  per non dilergarfi di altro, che di sangue, j  e di caroificine, ed hà ben creduto talun che appunto detta balia fosse figliuola di gladiatore.  Med. Olrre lo sceglierla proposito,fi potrebbe anch'essa far nudrire di erbe,ed altri cibi di tenue sostanza, e toglierle ache affatto l'uso del vino, e slattato che fosse il fanciullo converrebbe non fargli gustare, ne vino, ne carne per alcuni anni; mà è cosa difficiliffima, per non, dire impossibile , a conoscer quisto ne? bambini.  Sem. A questi sarebbe bene, fin dalla tenera età cominciare ad usarglı gran rigore per vedere di domarlo?  Pub. Se si verificasse realmente che le vespe muojono nell'olio, e risuscitano nell'aceto,converrebbe,per estinguere vizj li perniciofi, valerli più costo del dolce lenitivo, che dell'afpro pungente; contuttociò per assicurarsi meglio con. viene regolarfi secondo gli effetti, che produrranno in loro i gastighi ; essendoche xlcuni fanciulli nella tenera era acora s'infieriscono allorchè fi veggono perciotere colla sferza, onde senza  pro ditco alcuno questi di batterebbero, come insegnò Salomone : ne suoi Proverbi al 27. fi contuderis ftultum in pila quafi pofanas feriente de super pile, non aufes retur ab eoftultitia ejus Semo  erli che  Sem. Ponendosi questi per la buona via , con deporre gran parte della loro fierezza, si potrà sperare, che divengano buoni?  Pub. Dee sempre temersi, che possano ricadere nel medesimo eccesso, non potendosi ne anco alle bestię togliere af. fatto la fierezza nativa, quantunque mostrino essere divenute mansuete.  Mec. Riferirò a questo proposito ciò che seguì di un Leone : questo era divenuto apparentemente fi mansueto,chę girava per tutta la città senza recare molestia ad alcuno; mà abbattendosi un giorno in un macellaro , che portava sulle spalle un gran pezzo di carne , se gli avventò alla vita, lo ferìgravemente colle unghie,e se non era pronto a dargli la detta carne,l'averebbe anche sbranato. Così mostrò la sua fierezza , che teneva di anzi celata.  Sem. E quelli , che mostrano inclinazione al furto ?  Pub. Questi ancora, se Iddio non gli ajuta', termineranno malamente la  lor  [merged small][ocr errors] Ff 4  loro vita; effendo cosa assai difficile, per non dire impoffibile, il poter svellere af. fatto tal vizio ; perchè quanrunque alcuni non siano forzati dal bisogno, las cattiva loro inclinazione li porta a rubare,  Sem. Si possono questi gastigare colle sferzate ?  Pub. Così fi dee fare, perch'essendo vili di natura, enon superbi come i primi , dalle percoffe possono ricevere profitto,almeno in aftenersene per qual  che tempo.  Mec. Abbiamo l'esempio di colui , che condannato a morte per ladro, conducendosi al paribolo fè premurofiffima istanza di rivedere sua Madre, ed oricnura che l'ebbe, avicinoffi tanto ad essa, che coi denti le svelre un orecchia, dicendole: per colpa voftra io vado al paribolo, perchè, fe foffi ftato da voi ga. ftigato da piccolo, non vedreste tale spettacolo, ne tampoco io soffrirei queIta ignominiofa morte. Pub. E neceffario ancora condurli a  31  2  vedere far giustizia, e con tal occasione insegnare loro qual gastigo meritano quei, che rubano', e che in oltre sono semprc miserabili questi infelici, come ben conobbe Salomone al is, de' suoi proverbj:Alii rapiuni non fua, & femper in egeftate  funt , Mec. Un simile obbrobrioso speccacolo indusse una volta gran terrore ad uno quantunque ftolido mendico ; poscia che per essere stato giustiziaco un monctario falso, aveva una collana appesa al collo di dette monete falsificato da esso, e credendo il mendico, che per quelle monete foffe fatto morire , al. lorchè taluno gli esibiva una moneta di argento, la ricusava con allontanarli da eslo , contentandofi solamente di quelle di rame, che non le aveva vedute appese in quella collana di vituperio.  Sem. Mostrando poco rimor di Dio , e meno rispecto a genitori?  Mec. Questo appunto, essendo il vi. zio peggiore di catti, diviene incorrig. gibile per opera de'genitori.  [ocr errors][ocr errors] Sem. E per opera di chi fi potrebbe emendare?  Mec. Polemone essendo giovane fu viziofiffimo a segno che si portò un giarno alla scuola di Zenocrate, non già per apprendere da esso alcun buon documento, mà bensì per disturbare più tosto quei, che aveano genio d'apprenderli; avvedutofi di ciò il saggio filosofo, cominciò a favellare sopra il vivere onesto, e li vantaggi, che da esso firiportavano, e con tali convincenti ragioni , che rimase sorpreso il vizioso giovane a segno, che abbandonò i suoi viziosi compagni per seguitare Zenocra. te, da i di cui buoni documenti, u modo di vivere esemplare, si cambiò da peffimo , ch'egli era , in ortimo, e da ciò ne deduco, che ancor voi non dovete indugiare un momento di più, essendo il figliuolo in età capace, di non mandarlo in qualche esemplare seminario , affinchè , co'i documenti, e colli buoni esempj apprenda , e miri ciocche fare gli convenga; e proccuracedi non farlo tornare più a casa vostra, se non averà mutato costume , e state ancor voi lontano da esso, mostrandovi dif. gustato del suo modo di vivere'; e sapranno ben quei buoni' directori, ayvezzi a domare fimiliceryelli, allertarlo al bene, e con modi più spedienti correggerlo, e punirlo, affinchè li emen. di.  Pub. Debbono parimente i Padri ftare cautelati nel gastigare i viziosi loro figliuoli, divenuti grandicelli, perchè fi potrebbe dare il caso, che questi sentendosi percuotere, fi rivoltassero contro di effi , e li znaltrattassero ancora :  Sem. Se per disavventurà de poveri genicori rimanessero questi incorriggibi. li , che fi averà da fare per provederli?  Pub, Udite come mai parla bene a in questo proposito l'ecclesiastico ál 22.  Confufio Patris eft de filio indisciplinato: onde come potrà mai in simile confun fione régolarsi egli con prudenza! Certa cosa è, che per prender moglie questi  non sono buoni ; per Rcligios- neanco; .  de  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] de maneggi della Republica non sono capaci; talmente che non sapranno, che impiego potessero far loro ottenere.  Sem. Perchè non sarebbero buoni a prendere moglie ; pofciachè chi sà, che divenendo capi di casa non mettessero giudizio ?  Pub. A voi darebbe l'animo di convivere insieme con costoro, se vi foffero compagni  Sem. A me difficilmente.  Pub. Or dunque, perchè volere porli a convivere con una giovane senza fpe. rienza? ed a che vica infelice fiespor. rebbe questa con marito si vizioso? E poi roi procurate fare il poffibile per togliere da effo i vizj, e non essendovi ciò riuscito , pretendere forse far razza de suoi difetti In quanto poi, che il prendere moglie li possa fare mutar coItume, non è credibile ; perchè, se Mulieres faciunt prevaricari fapientes, che faranno a vizioli di questa specie? Ne fi potrà persuadere alcuno, che questi tali non abbiano già provato le dissolu.,  sez:  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tezze di Vegere, perchè i vizj al parere di Seneca non vanno mai foli; e se quem ste non hanno moderato il loro orgoglio, che più potranno acquistar di buono conginngendosi in matrimonio Il dir poi, che si prenderanno il pensiero dei loro tigliuoli nell'educarli, questo è lontano dal vero ; perchè li vorranno bensì allevare limili adelli, e quando ciò non riuscisse loro palcsemence, mediante le diligenze usate in contrario dalle Madri, faranno il possibile nasco, ftamente di conservare in effi, alincno in propri difetci, acciocche non li dica, che non liano loro degni figliuoli; come ap parisce dagli esempj dell'ubriaco, e de beftemmiatore riferici di sopra .  Sem. E qualcuno di questi perchè non si potrebbe indirizzare per la vian Ecclefiaftica  Pub. Peasate voi che questi abbias vera vocazione di caminare per queIta santa via.  Sem. Mà se G dichiaraffe, che a volesse indirizare per essa , e mi pregafle,  che  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] che gl'impetrafli qualche pingue beneficio, averò da ricusare il farlo 2  Pub. Certamente che sì, perchè quefi farà mosso dall'intereffe, cioè dal conseguire l'utile del pingue beneficio, non già dal servire a Dio, come far dovrebbe ; onde farà non diffimile a colui, che brama prendere moglie, non per il fine del santo Matrimonio, mà per l'intereffe della pingue dore, che si ritrova colei , che vuole sposare.  Mec. A proposito di groffa dote fece una donna accorta una bella burla al suo futuro sposo: Ella era per verità alquanto deforme, e perciò più d'uno dicca al giovane, che la voleva prendere, il qual era molto bello, che l'aveffe rimirata meglio prima di sposarla,cui rispondea, che li bastava di effettuare il matrimonio , per dare di mano alla grossa dore , che aveva; per altro, che di tal moglie punto non si curava i Fù ciò riferito alla giovane, la quale fe portare da una sua damigella, allorchè fi dovea spofare, una grolla borsa di danaro in Chiesa, ed  aspete  [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] aspettò , che il Parroco avesse domandato allo sposo se la voleva,il quale udito ciò disse, senza indugiarvi punto: disi; allora l'accorta donna si fe sporgere la preparata borsa , e tenendola nelle mani, allorchè fu ricercata anch'essa del suo consenso, nulla rispondeva ; ne fi sapeva che fine doveffe fare quella borsa; perchè il futuro sposo si speranzava, che dovesse servire per un publico donativo per  effo , ed i Chierici, che fosse la mancia per loro : alla fine stimolata più volte a rispondere ella disse; se questo fignore si è dichiarato volersi sposare collas mia dore, questa, mostrando la borsa,essendo parte di essa, mentre non risponde, è segno , che non lo vuole qual consenso dunque hò da dare io s'egli brama la mia doce, e non già me? e così confuso, e mortificato partì il giovane ; onde non vorrei , che facesse il beneficio ancora il Gmile, di ricusarlo, facendo con esso l'amore a cagione della sua dote.  Pub. E poi dovreste anche rifletreredi quanto scandalo sarebbe un ecclefiastico vizioso , dovendo cgli essere lo fpechio de'buoni costumi; ne fperace , che questi,che si muovono per fimile fine possano divenir buoni ; ponno divenire benli peggiori impiegando il danaro sa. gro in cose viziose.  Sem. E se caluno di questi volesse applicarsi al governo della Republica, c chiedesse il mio ajuto,per poter e ottencre qualche posto per via di favori, e di regali; perchè non ho da compiacerlo?  Pub. Questo ne tampoco doverete fare, perchè se fosse d'uopo amministrar la ! giustizia,nó direbbe già egli quello, che diffe Giulio Cesare : che per un Regno di poteva far torto alla giudizia, perchè lo farebbe per assai meno, effendo ano che  capace di farlo per sodisfare an folo de suoi viz); onde tanto voi, quanto chi vi avesse contribuito entrerette a parte di tutte l'ingiustizie, ed iniquità chia capace di commettere un vizioso.  Sem. Che dunque doverei fare , per non vivere da disperato , quando avelli alcuno di questi?  Pub.  [ocr errors] Pub. Mandarlo alla guerra per fargli provare come Gi vive, cd alle volte  qucIta è l'unica medicina di questi cali; perchè se fono fanguinarj possono faziarsi del sangue de nemici; se attendono alla rapina nc'saccheggiamenti possono sodisfare la loro ingordigia;se poco cimorati di Dio, e niente rispettoG a genitori, vedranno quanto temere Gi debba , e rispetrare un Capitano quantunque non gli abbia creati, o generaci; onde poirebbe essere, che il Signore Iddio gli toccaffe il cuore, e facesse comprende, re, che se tanto li fa per un uomo , quant. to di più fi doverà fare per Iddio, e per chi lo gencrò !e sappiate , che dalle lega gi di Mosè venivano questi condannati ad esser lapidati dal Popolo, come nel Deuteronomio al 21. Si genuerit homo filium contumacem, da proteruum, qui non audiat Patris , aut Marris imperium, co coercitus obedire contempferit, appraben. dent cum, ducent ad seniores civitatis illius, & ad portam judicii , dicentque ad ços c. lapidibus eum obruet populus Civis  Gg  tatis  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] taris, ut auferatur malum de medio ucStric. onde in vece di vedere fimile spettacolo sarà pur meglio mandarli alla guerra, la quale faggiamente fu difi. nita: Infolefcentis generis humani tonfura.  Sem. E se ricufaffe di andare alla guerra ?  Pub. E voi figuratevi, che vi sia già andato, e fatto prigione ; onde rinchiudetelo in qualche fortezza : non avendo però commessi ancora reati gravi , affinchè non siano puniti dalla giustizia con morte ignominiofa; conforme qualche volta è seguito; e tenerelo ivi fin tanto che camperere, che così farcte sicuro, che non commetterà gravi eccelsi, trovandosi guardato, e custodito , Non bisogna però, che prendiate cal risoluzione a sangue caldo, mà fateci matura riflessione : c regolatevi ancora col consiglio di qualche faggio , e buono amico,  Sem. Per dopo la mia morte comes avero da disporre le cose ?  Pub.  Pub. Con lasciare a cattivi figliuoli ma solamente tutto quello, che non potrei te cogliere loro, non per odio persona  le; mà de loro vizjicon questa condizio. ne però , ch'effendosi ravveduti, dopo un triennio di vita esemplare, poffino godere un tanto dei frutti della vostra eredità; e perseverando nel ben operare abbiano ancora d'avere qualche accrescimento maggiore ; qual perdano intieramente, ed immantinente, ricornando a menare vita scandalosa.  Sem. E se fingeranno di essere divenuti buoni a fine di poter godere quel i frutto maggiore?  Pub. Non sarà meglio, che facciano così,che operino sfacciaramente male ? de l'interno Iddio solamente lo rimira ; le  l'esterno appena è palese a gli uomini, i  quali di questo solamente pouno appa-  garsi; e poi vi è stato qualcuno ancora ,  ch’hà incominciato a menar vita mi-  gliore , per conseguire qualche premio,  che poi si è ravveduto da dovero.    Mec. Vi è l'esempio di quel Soldato,   che  [ocr errors][ocr errors] bu  COM  [ocr errors] [ocr errors] che si racconra essere stato convertito da S.Francesco Saverio : Questi era un pessimo uomo, ed iracondo a segno, che non averebbc sofferta una parola anche indifferente, che non l'avesse appresa detta per lui, e volesse anco vendicarsene . Le ainmonizioni, ed esortazioni faccegli dal Santo nulla giovavano; alla fine li disse mostrandogli una moneta di oro, se voleva guadagnarsela rispose francamente di sì : or sù dunque replicò il Santo venire meco , e giriamo d'incor. no l'esercito ; Io la porterò in mano, affinchè la miriate, e voi non avete a fare altro, che di sopportare con pazienza quello, che udirete dire contro di voi. Fù dato principio alla grande ope. ra,ed egli rimirando con occhi tifi l'oro, si rideva di quanto male udiva contro di sè, e cerininato felicemente il giro, guadagnò il premio. Allora il Santo tiratolo da parte gli disse: figliuolo mio per una si vile mercede voi avere potuto sopportar tanto, e per un Dio non poteie sofferire una minima particella diquesto ? il Signore Iddio in quel punto $ gli toccò il cuore , e fi ravvide per sempre.  Sem. Mà se poi i difetti de' figliuoli non fossero gravi a questo segno, e fos. sero di quelli, che pure non disdicano ganto, per essere divenuti ormai familiari, potrebbero con questi proporsi a sudetti ministeri, ed impieghi ?  Pub. Spiegatevi apercamente, quali voi intendere per questi vizj familiari?  Sem. Per esempio se caluno di esli avesse principiato da 14: 0 15. anni a dimorare la maggior parte della notte fuori di casa, e quancunque suo Padre l'avesse più volte ammonito, che non lo facesse , ed effo ciò non oftante continuafle ; contraeffe debiti; e perchè è figliuolo di famiglia, non potendosi obbligare, facesse obbligazioni dette pagherà. con grandissimo difcapito, senza data , per  firmarla dopo la morte di suo Padre; ed altre cosarelle non tanto familiari; come dir male del profimo , di mancare alle volte alla parola data ; ne  ga:  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] GS 3  [ocr errors] gare ciò, ch'egli averà avuto; e se riyscirà , di gabbare il compagao nel giuoco; con altri piccioli vizj di questa forte?  Pub. Cofarelle, piccoli vizj voi chiamate questi! E non riflettere,che quando il giovane li sarà abituato in questi ugua. glierà egli taluno de vizioli di primo rango: ad uno che sarà avvezzo  la  maggior parte della notte dimorare fuori di sua casa, e sarà giovane, voi volere impetrare beneficj Ecclesiastici, ed im. picghi gelosi della Republica ? Và forse a studiare in quelle ore, o a farsi la disciplina negli oratorj, quando i studj, e questi sono ferrari ? e come vi persuadete, che possano adempire l'obbligo loro, effendo scarf di dottrina , e di buoni costumi, ed applicati a cose, in cui per la meno inutilmente si perde il tempo a e fatta che averete rifcllione agli altri loro vizj, che avete apportati ; consigliatevi colla vostra coscienza se lo potrete fare : mà esaminiamo di grazia donde ciò proceda, e se sia solamente colpa de figliuoli canto deviamento.  Sem.  [ocr errors][merged small] Sem. É' loro certamente; perchè hò sentito lagnarsene i Padri di questo, col. le lagrime su gli occhi.  Pub. Questo fu il pianto del coccodrillo, che piagneva il suo figliuolo allorchè lo aveva ucciso: come si sono portati questi Padri nell'educarli?  Sem. Certa cosa è, che tante diligenze, quante ne hò udite nelle nostre conferenze,non le han faute.  Pub. Or dunque, se non gli hanno educati bene, a dolgano della loro trafcuraggine, perchè viziosi li vollero efli.  Sem. Mà che averanno da fare ora?  Pub. Questa penitenza appunto, che Iddio manda loro;di sopportare figliuo. li viziogi .  Sem. Ci sarà pure qualche rimedio?  Pub. Ciè certamente, ed è questo; di fare alli piccioli nepoti ciò,che non fece. ro a loro figliuoli, cioè di educarli bene; perchè altrimenti, non essendo capacii loro Padri di fare questo, i vizj non li fyelleranno mai dalle loro famiglie:  Sem. Voi diceste,che questo cocchi al Padre,  Pub,  [ocr errors][merged small][ocr errors] Gg 4  Pub. Sibene quando sia capace di farlo, e vi pare , che questi viziofi fiano abili ad educare i figliuoli a suo dove-' re? Il loro mal esempio come permetterà, ch'essi apprendano le virtùd Onde quantunque schiamazzino alle volte redendo i loro figliuoli viziosi,č incerco se lo facciano per zelo di amore, o per invidia , perchè non possono essi più con. tinuare fimile vita rilassata essendo vecchi.  Sem. Io hò cap to a bastanza , ed ora compreоdo la cagione; perchè nell'universale non si possono affatto estirpare i vizj, mà voglio approfittarmene per casa mia, per non avere anche io a fare il pianto del coccodrillo. Ma le povere figliuole come si doveranno provedere? essendo gran disgrazia loro, quando capitassero in mano di simili viziofi.  Pub. Esamineremo anche questo , nà non è ora tempo ; perchè richiede affare si rilevante lungo ragionamento.  CON  [merged small][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] Pub.  Onfesso ingenuamente che non séza rigione alcuni Pa. driffi contristano ál. lorchè nascono tan,  co loro figliuole ; perchè il penfare a collocarle bene non è piccolo intrico, chiamandoli questo affare dall'Ecclefiaftico al 7.opera grande dicendovi: Trade filiam, & grandes opus feceris, o bomini fenfato da illam; posciache saranno state educate alcune di effc col timore di Dio, senza lusso ,c vagità, modeste comc fi dee, istruite inquanto è necessario per il buon regolamento di una casa; mà che servirà loro tutto questo , se capiteranno in mano di un marito imprudente , vizioso, ed indiscreto! e fimile appunto a quello , ch' ebbe quell'innocente Giustina , il di cui Epitatio sepolcrale è questo.  Immitis ferro secuit mea colla mari.  [ocr errors] Dum propero nivei folvere vincla pedis  Durus, ante thorum , quo nupér   nupta coiur,  Quo cecidis noftrę virginitatis honos.  Nec culpâ meruisse necem bona Numi-       na testor,  Sed jaceo fasi forte perimpia mei  Discise ab exemplo Juftine , difcite pa.   tres  Ne nubat fatuo filia veftra viro. Or vedete Sempronio, che gran facenda è questa !  Mec. La conobbe afrai bene Democr. appresso Stob. dicendo: Qui bonum generum nactus eft invenis plium, qui verò, malum, fimul & filiam perdidit: quindi è,  che  [ocr errors] che saggiamente fù conligliato da Temiffocle quel Padre, che desiderava das effo fapere , cui dovesse dar per moglie l'unica sua figliuola; se al dotto povero, o al ricco vizioso, replicò egli a mè aggrada più l'uomo, che ha bisogno di ricchezze, che le ricchezze , che hanno bisogno di uomo : come dice Val. Mas.  Sem. Mà quando si sono fatte le dili. gen ze necessarie, e fiè già rincontrato, che sia imprudére, e vizioso chi la vuole perché non si esclude fimile soggetto ?  Pub. Se voi sapeste quante fraudolenti manifatture Gi fanno, per avere unas giovane savia per moglie, stupireste; anzi quante più d'imperfezzioni hanno i giovani, che vogliono accasarli seco, tanto maggiormente queste si adoperano, tanto si fa,che alla fine riesce fimile facenda.  Sem. Mà chi sono questi, che faranno tante manifatture , non essendo capace un fimil giovane di farle ?  Pub. Se non sarà cgli, saranno ben’i suoi congiunti , i quali raffidati, che per  [ocr errors] [ocr errors] Il fingo della futura sposa cffo possa divenire saggio, tanti ponti di oro le faranno , che alla fine caderà a dire di sì.  Sem. Mà i genitori come lo permetteranno?  · Pub. Saranno ancora effi sforzati a chinare la cesta, quando colla linguas non poteffero arrivare a proferire quel doloroso sì.  Sem. Saranno dunque anche i suoi genitori poco prudentia  Pub. Oh bene : non fiete voi ancora a pieno informato dal mondo; mà ne ben Mecenate.  · Mec. Ne sono pur troppo, anzi fono arrivato a conoscere , perchè fi dica insa geniofus amor; avendo scoperto, che amore aguzza l'ingegno de fuoi fenfali, e rende anche artificiofa la lingua alla menzogna .  Sem. Mà che potrebbero fare questi, quando il Padre steffe faldo in non volergliela dare?  Mes. L'ingegno agguzzato fi ferve dell'autoricà, e la dispone in modo , che  [ocr errors][ocr errors] niuno più degno di merito si affacci a chiederla, per rispetto di colui, col quale si tratta : e sapere pure, che in questi cali, per non fare inimicizie, non li vicne mai alla negativa scoperta , potendovi costringere ad addurre un ignominiofa cagione,per cui far non si vuole: Siprude bensì un mezzo, termine, quale è che la giovane pensa di farsi monaca; laonde in questo mentre dal sudetto pretendente fi fanno affacciare tutti li peggiori, ed i più scapestrati giovani, che siano nella Città a chicderla,e cutci inferiori di condizione ad ello; talmente che il Pae dre , che la vorrebbe maritare, trovan  dofi annojato, alla fine li piega, per non che trovare soggetto migliore, che la fac. i cia domandare : e tanto più, che si tro  verà circondato da consiglieri già guadagnati da chi la pretende.  Sem. Sarà dunque peggiore , e più id svantaggiosa la condizione della donna nell'accasarsi , che dell'uomo.  Pub. Non ci è dubbio alcuno, perchè l'uomo non è ricercato, ne violentaco  per  [ocr errors] en  [ocr errors] per parte della donna, mà beasi effa da chi la brama.  Mec. Può essere,che quando voi prendeste moglie ciò non li coftumaffe ; mà ora posso dirvi di certo,  che questo li pratica, essendo seguito in persona mia, che ho avuto più d'una richiesta fe.voleva accasarmi colla tale, senza ricer  carla.  Sem. Or io quantunque non fia versato sufficientemente nelle cose del mon. do, procurerei segretamente di trovare un giovane favio,quantunque meno ricco, e la darei a questi; perchè sposata , che fosse,hò sempre udito dire, che: multa facta tenent, così finirebbe ogni conresa.  Pub. In somma in questi casi, chi più sà, più s'inviluppa nelle difficoltà; onde alle volte riescono migliori certe risoluzioni fatte senza tante rifellioni ; c voi Sempronio, non avete detto male; mà non saprete già scegliere questo giovane savio così all'infretta; converrà dunque che l'impariats,     ed  [ocr errors][ocr errors] Ff 3   Ес   Pub. .  [ocr errors] 1  [ocr errors] 1  Sem. Come si doverà dunque fare per conoscerlo?  Pub. Il Padre che ha figliuole da mai ritare dev'essere un Argo, per rimirare  nel medesimo tempo cento giovani, ed offervare i loro andanlegri.  Mec. Oggidì però non è necessario averne tanti ; perchè con soli due occhi moltissimi difetti li possono ritrovare ne giovani, ed in breve; quantunque non corrano quei calamitosi tempi, che accenna Giovenale alla satira 13. Humani generis mares sibi noffe volenti  Sufficit una domus , paucos confus  me dies, do Dicere te miferum poftquam illic vec  [ocr errors] neris,  [ocr errors] Pub. Fatemi piacere dunque voi, Mecenate,d'istruirlo in questo giacchè fiece più pratico di mè nel discernere i giova. nili mancamenei correnti; perchè a tempo mio la gioventù viveva diversamen. te, e perciò fi ftentava più in iscoprire i loro difetti. Mec. Lo faro, perchè non voglio, ri  CU:  [ocr errors] cusandolo, che vi confermiate nellas credenza di qnello , che di me sospettafte,che io fia nimico delle doone,poscia. chè io ammiro la virtù in alcune di esse, e perciò non vorrei, che questa mancafse affatto, abbattendosi in viziofi mariti: onde se voi, Sempronio,vedrere un gio.. vane accompagnarfi, e conversare continuamente con taluno, conosciuto da voi per vizioso y tencte pur ancor esso per tale, senza fare altra diligenza; verificandoli quel proverbio:all'accoppiar ti veggio.  Sem. E se fi desse il caso, che questi non converfaffe con altri?  Mec. Questo è difficile oggidì, che fi conversa tanto; mà se caluno fuggisse le conversazioni,mirate bene la sua firo. nomia, e se la scorgerete tetra , e inalinconica tenerelo pure per uomo infociabile, e non senza i suoi difetti proprj; se poi foffe allegro, disinvolto, e non converfasse oggidi con altri, formatene buon concetto di esso; perchè lo farà a cagionc , che non troverà coma  pa  de pagni bene accoftunati uguali ad effo.  Sem. Vorrei qualche altra regola,per meglio potermene avvedere ; perchè se non conoscefli per viziofi quei, co’quali egli conversalle, potrei ingannarmi.  Mes. Se voi vedrete un giovane stare in chicfa con poca divozione, e discorserc ivi co i compagni comc farebbe in piazza, questi farà poco timorato di Dio; se frequenrerà le feste, cd i passeggi, e rimirerà con grand'arrenzione le donne, in cui si abbaite, farà egli effemminato ; se dispreggerà i suoi compagni, cvorrà avere sopra di essi una certa superiorità , farà superbo ; se li piacerà vestire con pompa , sarà vanos se poi oggi dirà una cosa, c domane ne farà una alıra, farà incostante; e finalmente se frequenterà i ridotti, ove si giuoca , gran genio egli avrà a questo vizio; in somma da se medesimo colle sue operazioni manifeftcrà i suoi difetti.  Sem. Starei fresco, se aventi d'accomodare una mia figliuola in questi tempi, dovendo fare tante diligenze; mi cor.  H  vers pa  [ocr errors] verrebbe prendere la fantcrna di Diogene, ed andare per la città dicendo: homi. nem quæro, e caminare più di un giorno per trovare, chi fosse in cucco; e per turto, senza alcun de'detti diferci.  Moc. Mà chi non vuole affogarla , dee anche servirsi del cannocchiale del Galileo,che scuopre le macchie del sole.  Sem. Io mi persuado, che se i Padri, c le Madri riguardassero al minuto curti i differti , pochi troverebbero moglie.  Mer. Sarebbe questo la fortuna de i giovani; perchè non trovandola allorsi che incomiacierebbero a spogliarfi do loro vizj, ed in breve diverrebbero bene accostumari, ed a tale proposito posso riferirvi ciò , ch'è seguito in una riguardevole città. Affinchè iCadetti andassero con più fervore, di quello faccano , alla guerra, cominciarono le donnc a non ammettere alle loro conversazioni coloro, che non avevano fatte almeno dues campagne in gucrra viva ; conciofiacofache li reputavano vili, e codardi.Servi tale renitepza di Aimolo grande a tutta  la  Die la gioventù per andare alla guerra;  segnoche pochi furono quci, che non Si seguitassero i primi, che vi andarono: " or se una fimile ripulsa molte canti ad  andare incontro alla morte; dovrebbe certament’essere di stimolo maggiore, per andare incontro alla vita migliore, quando questi non trovasfero inoglie.  Pub. Vedete voi,Semprouio,che sconcerti sono questi, di non potere con facilità come prima trovare mariti a proposito per le figliuole, c.questo da che na. sce, se non dalla cattiva educazione  della gioventù ? rifecrcte dunquc quano co debba premcre questo affare anco alla Repubblica,  Sem. Io lo scorgo molto bene; mà che fi dovrà fare ritrovandoci in queste an.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. Quello che disse quel Filosofo, che presc per moglie una donna allai picciola, allorchè fu interrogato, perchè l'avesse scelta così, egli rispose : perchè del male conveniva prenderne il minore: il fimile anche dirò io de'mariti difetto  Hhafi; di prendere quei che hanno vizj me. no considerabili , che fono appunto quelli che riescono men disdicevoli alla condizione del galantuomo.  Sem. Maritandofi dunque con questi, che buona direzione doverà darfcle da genitori?  Mes. Debbono i genitori allorche le maricano non seguitare quel caccivo costume di alcuni , che le consigliano a farli rispectare, e ftare sostenute con tutti, di non farli sottomettere alla prima, perchè diverranno, così facendo, infelicissime, quantunque portassero groffa dote, mà le consiglino bensì nella forma, che fecero i genitori di Sara, allorchè la consegnarono per isposa al secondo Tobia con groffa dore; ed uditc ciocchè fecero Tob, 10. Apprebendentes parentes fo. liam suam ofculari funs eam, & dimiferunt ire monentes eam, bonorare foceros, diligere maricum, regere familiam, gubernare domum, da se ipsam inreprebensibilē exhibere.  Sem. E se un Padre avesse tre , o quattro figliuole, che si volessero mari  tare  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tare cuite, chc dovrà egli fare, non efrendo molio ricco?  Mec. Maricarle , con dar loro quella dote più congrua, che può.  Sem. Mà li scomoderebbe troppo privandosi di sì considerabile somma di danaro, o quantità di roba, che con. veniffe dar loro maritandole turce.  Mec. E come potrebbe farac di me00?  Sem. Potrebbe farlo beniffimo con efortarlca fará Monache.  Mec. E se non Gi volessero fare?  Scm. Non mancano modi al Padre accorto, che ci facciago, o colle buones ocolle cattive.  Mec. Padre voi chiamare colui, che vuole sforzare la volontà delle figliuole? chiamatelo Padrigao, non accorto, màcrudele; perchè qual delitto hanno queste commesso da chiuderle in vitas. contro il loro genio?  Sem. Come chiuderle in vita, trattantandosi'di darle, e consagrarlo a Dio?  Mes, Non si chiama darle a Dio ,  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] qualia  quando la loro volontà non ci concorra, nè consacrarle a lui, quando non ci sia il lor consenso : questo li chiamná porle a penare continuamente, non avendole iddio chiamare a questo stato : ( guai a quei Padri , che lo faranno, perchè del bene, facendone tanto poco, che non basterà loro , punto non ne parteciperanno: del male si che ne faranno partecipi di molto, essendo capaci di farlo, trovandoli in iftato di disperazione. E fappiate, che mi fù riferito un caso orribile di una di quelle, fatta Monaca per forža, la quale , quando ebbe eseguito quanto defideraya il Padre, lo chiamò alle grate del Monastero, cgli disse alle orccchie : fignor Padre or farcte conten. to, che mi avere levata di casa.in  que: fto mondo non ci rivederemo più ; må bensi nell' altro ed in pellimo luogo, perchè ci danneremo ambiduc . E che vitupero è questo ; per far godere i maschi, li hanno da porre in disperazione Je feminine? Se voi non potere dar loro dieci mila sçudi di dorc, dategliene me  no,  [ocr errors] cina  no , ed acca sacele; quando volontaria. mente non siano inclinate alla vita reli  giosa. Non vi chiederanno già quel tal e giovane per i sposo, mà vi faranno dire  bensì, che la loro vocazione sarebbe di  accasarli . Starà dunque al Padre marii tarle a chi più gli aggrada ; mà so ben io da che ciò procede.  Sem. E da chc?  Mec. Dall'eccellive doti, che corrono, le quali oltre il dispendio,che apportano per le spese grandi, che si richiedono allorchè â prendono, angustiaao ancora quando hango a darli altrui nel maricarsi le figliuole.  Sem. Or io non voglio nell'anima. mia questo peccato ; fe li vorranno maricare cutte, le lascierò mnaritare; mi diremi: che dote farebbe proporzionata, Publio ?  Pab. Quella , che fi foleva comune. mente costumare prima , che foffero inse dal Prencipe , come già dicemmo ; e  se  [ocr errors] Hh 4  feaveste da trattare co persone discrete, potreite anche di loro francamente, che non vi curate di tanti lussi, e perciò volece dare quella dote, che si costumava in quel tempo, che questi non vi erano: o fi contenteraano, e voi averete fatto doppio negozio, essendovi anche accertato di appareatare con gence discreta , e capace; se poi non lo vorranno fare , averete scoperto , che non sono a proposito per vostra figliuola, volendo clli vivere con pompa , e lusso eccellivo.  Sem. Questa dote li dovrà consegnare libera ?  Pub. Questo poi nò; perchè potreb. be alienarli , c restare la voftra figliuola indotata,  Sem. E se non vorranno concludere il matrimonio fenza la dote libera?  Pub, E voi sconcluderelo affatto ; perchè è un pessimo segno, quando si pretenda questo, denotando che ci sia bisogno in quella casa di danari. Questo sì, che sposata che farà, consegnare allo fpolo quanto gli avste prometo; perechè non porrere immaginarvi mai, quan. ti difturbi aascono tra conjugi per quem fta benedetta dote promessa, e non pio gaca ; provando bene spesso le povero mogli, per tal cagione, molti mali trace tamenti.  Sem. E se non mi trovali il danaro pronio?  Pub. Prendcrelo più costo ad interesse, e perciò i saggi Padri di famiglia sogliono essere buoni econoini, con met. tere da parte ogni anno qualche fommi di danaro, per essere anche puntuali allorchè locano le loro figliuolc; e fanno coato allora di fare vantaggioso rinvs. Itimento.  Som. Sarebbe dunqne bene, che s'iq. dutriassero i Padri di famiglia coi trafichi, e s'impiegaffero con fervore in fare confiderabili avanzi.  Pub. Di far qucfto non sono cenuri in costo alcuno; bilta ch'elli non fcia. lacquino le loro rendire, perchè li poslono anche fare avanzi congderabili in questo modo , ellendo che: Parfimonias eft magnum veftigab.  Sem.  [ocr errors][ocr errors] 1  [ocr errors] di ;  Sem. Almeno lo doverebbero fare, avendone molte da maritare.  Pub. Neanco; perchè il buon Padre re, ed avendole educate bene,molti concorreranno a prenderle, e con onesta doto,perchè porranno a cõro la buona educazione per qualche migliajo di scudi, essendo realmente essa l'equivalente;onde saggiamente diffe. Plauto in Aulu. Dummodo morata rectè veniat dotata      eft fatis, ed Orazio nell'ode 24.li: 3.  Dos eft magna parentum  Virtus, metuens alterius oiri  Certo federe caftitas.   Sem. Oggidi vogliono però dote, e non chiacchiare.  Pub. Sì quelli che s'innamorano della dote , o vogliono spendere più della loro pollibilità ; quelli però, chcbramerango avere una moglie saggia, conlide. reranno in primo luogo le sue buone qualicà, e di queste faranno maggior ca. pitale, che della dore, la quale è mero bene di fortuna, dove che quelle, non  fo  [merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] solamente non sono soggette alle sue in-  costanti vicende, mà sempre crescono  di valore , onde faggiamente Orazio eb-  be a dire nella r. Epistola.  Vilius argentum eft auro , virsusibus au-   [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se il Signore mi delle', in 32stigo de mici peccati, una figliuola risentita', vana, pronta, loquace, contenziosa, che con tutta la buona educazione non si fosse potuta mutare,  volendo questa marito, che averò da fare?  Pub. Trovarle uno simile a Socrate, che fu li sofferente colla sua dispetrosa Sancippe ; cioè a dire un giovane sodo , prudente, non iracondo, mà soItenuto.  Mec. Vi fu però quel filosofo,il quale diede una sua figliuola simile a questa ad ug fuo nemico, e ricercato perchè avesse ciò fatto , rispose : per gastigarlo :  Sem. Doverò in quello caso conte. nermi nella moderata dore ?  Pub. Per levarvi di casa una figliuo: la di questa forra, non dovete reftare per  dat  [ocr errors] . 492 Conf. 8. Deco feconda la doro, perche date allo sposo un grande osso da rodere, onde, è di dovere, che gli diate ancora un poco più di polpa, per consolarlo , cd a fine, che ci abbia ancora un poco più di soff:renza.  Sem. E se questa, la prima volta , che contrastasse con suo marito, tornaflc a casa mia ?  Pub. Voi immediatamente dovete rimandarla a casa sua, senza darle alcun ricetto, e sgridarla ancora; acciochè non fi avezzafle a farlo più in avvenire ; con dirle apertamente, che colà hà da mori. re, perche se il Padre comincierà a dar. le ricetto, è finira; ogni giorno seguirango'nuovi sconcerti, e perciò il Profeta saggiamente disse: Obliviscere domum Pa. tris tui.  Mec. Un saggio Padre in fimile avveniincnto fè questo: Si portò egli medelimo colla sposa dal genero , e gli disse. Per grazia vi chieggo, che per questa prima volta le perdoniate per amor mio, nà se mai succederà cosa fimilc in avvemire, datele pure quel gastigo, che vor.  гс  [ocr errors] rece; perchè io non intendo più inters porre nè pur una minima parola a suo favore ; anzi che non la reputerò più per mia tigliuola , trasgredendo i vostri, e miei comandi. Ella , che credeva, che suo Padre fosse scco andato per isgridare fuo marito, perdè l'orgoglio a segno, che in avvenire muco modo di vivere.  Sem. Se avelli una figliuola brutta, c mal fina, e volelle marito, che avcrò da fare?  Pub. Primeramente vi dovrete informare col vostro Dottore,se possano i suoi difetti pregiudicarle nel pártorire, con porre a risico la sua vita ; accertato che farete di questo , che non poffa seguire, maritätela pure nel miglior modo, che potretc, darele anche buona dote  per avere un uomo di propofito.  Mec. Vi fu molti anni sono una lice per cagione, ch'essendosi sposata senza il consenso de suoi Genitori una giovane, perchè il di lei Padre pretendevas darle la dote stacutaria, e lo sporo ne chiedeva di vantaggio ; essendo che oltre gli altri difetti , che aveva era statas sempre senza denti : giunse queftas istanza all'orecchie del Prencipe , il quale ordinò  che fossero alla rolitas dote accresciuti duc mila scudi di più , per uguagliarc i difetti, che aveva la sudetta sposa.  Sem. Mà se non si affacciaffe alcuno, che li voleffe, non si potrebbe stimolare a farsi Monaca?  Pub. Questo sarebbe peggiore facrificïo dell'altre, che volevare dare a Dio, essendo stata rifiutata da tutti gli uomini; e militando per questa ancora le medefine ragioni, non lo dovete fare ; se non farà chiamata da Dio a questo stato; onde la potrete tenere in casa vostra , e procurate, che ha servita più degli altri voltri figliuoli:non dovendo voi permetrcre che all'interne sue imperfezzioni, vi si aggiungano anco gli esterni (trapazzi.  Sem. E con quelle che averanno la vocazione di farsi Monache, come mi doverò contenere ?,  Pub.  [ocr errors] Pub. Primieramente di far esplorare beo bene la loro volontà , per accertarvi, le lia vera vocazione, c non disperazione ; perchè alcune in questa cadono alle yo!ce, e precisamente quando non possono avere quel marito, che bramano; e scoperto che ayerere, che siano chiamate da Dio,adocchiare tre, o quat. tro Monasterj de più osservanti, į di  diversi istituti, e fare ad effe leggere le i loro regoles acciocchè sappiano ciò,che - doveranno fare ; e dipoi dice loro, che  fi scelgano quell'istituto,che piace loro, e fatele pur monacare.  Sem. Sarà bene di tenere loro una conversa  per  forvirle? Pub. Sc alcuna fosse stroppia, venendole permesfo,fatelo, per altro non inno. vate cosa di vantaggio di quello, che ivi fi suole praticare dalle altre ; questo sì che dovrete far loro il livello costumandosi, e consegnarlo, acciocchè lo faccia. no riscuotere a loro modo,affinchè nó ab. *biano da stare dopo la vostra mortc all' indiscretezza de fratelli, i quali foglio  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] no essere molto trascurati in soddisfarle, e trattatele in modo, che nő abbiano bi. sogno di soccorso altrui; perchè così viveranno staccatiffime dal secolo.  Sem. E se qualcuna volesse imparare a cantare,efsendol già dichiarata di far. fi Monaca?  Pub. Non permetterei quefto ; perchè, se poi fi mutasse , ilche sarebbe cosa ficile cantando delle belle ariette, voi rimarrette colla cantarina in casa; ditele bensì che lo imparerà allorchè larà Monaca, perchè ivi averà delle altre compagne ancora, colle quali si potrà esercitare per meglio apprenderlor  Sem. E se volesse viaggiare un poco per il mondo , prima di chiudersi?  Pub. Questo neanco firebbe ben fit. to ; perchè col viaggiare si può vedere, e trattandosi,udire più d'una cosa, che po. trebbero rimuoverla dal suo fervore, e. quando questo desiderio procedesse per cagione di divozione, conducerela in qualche luogo de più vicini,ove sia qual. chc divoro Santuario, per consolarla .  Soma  1  '1  Sem. Se bramasse vestirsi da sposa prima di monacarsi, e ricoprirli di gioje, hò da permetterlo ?  Pub. Alifte por motivo di potersi fare l'antichissima consuetudines per altro doyendofi sposare col Signore , non mi pa.  jono simili abiti da esso graditi, mà ben. † sì i più modefti: Una sola riflessione in & favor di ciò ci potrebbe essere, che si  portassero per dispreggio, facendo vedere allorchè li spoglia di esli per rivestira dei sacri, che li rinunziano tutte le pompe, e vanità mondane.  Sem. Rimanendo redove le figliuole , averò da riceverle più in casa inia?  Pub. Effendo uscire da casa vostra, ed essendosi già dimenticate, come vuole fil Profeta,di essa, non siete più tenuto di  riceverle :- e perciò fi foleva ancora nei Kriti degli átichi Romani praticare colle  Spose di muoverle nell'uscire dalla casa  paterna più volte in giro affinché si die : menticassero affatto di ritornavi più . 4  Sem. Mà se rimaneffero vedovc affai giovani,e senza figliuoli,che averebbero da fare così solc li Pub.  [ocr errors] Pub. In questo caso, se volessero corparvi, mostrerebbe essere crudele quel Padre, che ricusaffe riceverle.  Sem. E volendoli queste rimaritare toccherà al Padre penfarci?  Pub. Lo ponno fare senza il di lui consenso; bene è vero però, che le fuggie figliuole fogliono col consiglio pacerno regolarsi in tutte le cose, ed in particolare in affare di tanta premura , conforme è questo.  Sem. E se avesse più figliuoli anche pargoletti potrebbe penfare il Padre prima di morire a qualche ripiego, affinchè fossero questi ben' educaci;perchè rimaritandoli la loro Madre poco penlicro Gi prenderebbe di effi il Patrigno nell'edu. carli.  Pub. A questo ci vuole un poco di tempo per rillerrerci bene, onde ne pare leremo nella seguente.i Sopra l'educazione de Pupilli: e come debba ciascuno portarsi verso i  suoi genitori defonti.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] Mec.  A pena maggiore, che possa avere il Padre moribondo, essendo egli in sen. timenti, mi persua  do che sia questa: di lasciare i figliuoli pargoletti, dubicando, che non solamente possano esserc danneggiati nella roba, mà ezian. dio nell'educazione; posciache rifletterà facilmente , che quando la Madro pallasso alle seconde nozze, poco penGaro li prenderebbe di elli il Patrigno, ela  pro  propria Madre molto certamente farebbe dividendo l'affecto per merà trà elli , cd i figliuoli gencrati col secondo mari. to. Laonde la loro educazione Iddio sà comc anderebbe.  Sem. Mà ti è pur bastantemente proveduto 'a tali sventure, con Tutori, e Curatori ; come dunque potrebbe andar male l'educazione di effi, venendo cosi bene affiftiti?  Mec. Può essere , che a tempi antichi li Tutori fossero di giovamento a Pupil. li : oogidì però tra questi fanno nulla i mediocri; fanno bensì del gran male i cattivi, e gli occimi, che operino all'antica sono così pochi, che non sò se arriveranno al numero di quelli buoni , di cui parla Giovenale :  Boni quippe homines numero vix funt  totidem quof  Thebarum poriæ , vel divitis oftia Nili.  Sem. Udii pur da voi , Publio, nella Conferenza decima della decade passa. ta;effere utili alla Republicà gli Economi; or come dunque i Tutori, essendo  an  [ocr errors][ocr errors] anch'elli Economi, possono apportarc e questo gran mile.  Pub. Tra l'Economo, ed il Tutore ci è differenza potabile; conciofacosache all'Economo non appartiene l'educazione de figliuoli; ed essendo egli splendidamente riconosciuro delle sue fatiche procura di servire con somma fedeltà, per accrescere, o mantenersi almeno il credito acquistato , a fine di essere ados, perato in altre fimili contingenze; essendo che per profeffione lo esercita ; dove che il Tutore, dovendo anche invigilare alla educazione , vedendosi poco, O nulla riconosciuto delle sue maggiori fatiche, non è cosìgeloso della sua estimazione in cal ininisterio , per non cu. rara  punto di fimile briga inutile , fpecialmente chi non opererà per virtù, la qual'è da pochi seguirata, e maggiora mente se non si vede rimunerata secondo il sentimento di Giovenale, il quale dice:  Quis enim virtutem ample&titur ipfam  Prema fi tollis?   Laon.  [ocr errors] 0  li 3  Laonde non recherà maraviglia se eras efli vi saranno de cattivi.  Sem. E questi, che mali potrebbero apportare, Mecenate?  Mer. Primieramente di lasciar fare a figliuoli ciocche eff vogliono , e poi ponno prendere tanto amore alla roba de’Pupilli, che se vogliono, possono arri. vare ad appropriarsene buona parte di cffa.  Sem. Edin che modo ?  Mec. Faranno comparire debiti antichi, i quali furono gia pagati, ed accordandoli con detti finti creditori, fi divideranno per metà il furto, dando loro indietro l'antiche ricevure ; lascic. ranno vendere all'incanto i corpi più frucciferi , ed effi vi faranno offerire sot. to mano ; & farà cal vendita, nella quale farà grossa senfaria a lor favore; faranno rinvestimenti con persone fallite , e non senza considerabilitimi approvesci loro; in somma, per non infpiegarmi di vantaggio, sarebbe assai meglio, che questi non ci fossero ; perchè almeno se spregasscro  i figliuoli anderebbe per sodisfare i ca.  pricci di chi n'è padrone.     Sem. Costumeranno di far questo i più  bisognofi.   Mec. I bisognosi lo faranno per biso . gno, ed i non bisognosi per arricchirsi di vantaggio.  Sem. Mà è possibile, che nel Mondo ci sia gente così iniqua che lo faccia?  Mec. Questa è questione di fatco; di. cendomi il mio Procuratore , che giornalmente accadono liti di rendiinenti de'conti in cause de Pupilli, e che si vedono prodotti certi libri di amministrazione così intricati, per ricoprire le magagne, che ben si scorge essere stati fatti così da gente molto maliziosa .  Sem. Talinente che voi non lodate, che si diano a Pupilli questi Tutori?  Mer. I cattivi certamente noa posso lodarli.  Sem. E quali saranno i buoni?    Mec. Quelli, che ricuseranno di ac-  cettar qucfte brighe    Sem. I cattivi non sono a proposito, i buoni non vogliono accettarle ; dunque bisognerà cadere a prédere per necelfità i mediocri, che non fanno nè bene nè male. Oh confideriain corne p')trà andar bene l'educazion de figliu li !  Mec. E perciò doverebbe ogni b:100 Padre di famiglia aver un amico confidente di lom na integrità, è che fosse anche informato de fuoi interelli, e que. fti impegnarlo da molto tempo prima ad accettare, se li delle mai il caso, ch' egli morisfe in tempo, che i suoi figliuo. li avessero bisogno di guida, che voleffe fargli carità di tenerli, ed allevarli, come se foffero fuoi ; senza però discapito di borsa; ed è cosa facile , che prene desse allora l'impegno di farlo, perchè fi lusingherebbe, che ciò non fosse per seguire in breve.  Sem. Signor Mecenate mio, scusate. mi, se passo taor'olore; vedo oggidi il mondo così corrotto che dubiterei molto, che l'amico si ponesse anche in luogo di Padre con isposare la moglie del l'amico rimasta vedova .  Mec.  [ocr errors] Mec. Questo non doverebbe farli da un buono amico,  Sem. Questo ancora è di fatto, conoscendone qualcuno , che lo hà bevislimo praticaco, e lo sò con tutto che io ab. bi. meno anni di voi.  M:c. Losò anch'io; mà questo diceva per vedere di fuggire il maggiôr male; or dunque bisogna conchiudere, che doppia disgrazia lia, quando i Padri muojono giovani,  Sem. In fimile intrico dunque o biso. gierà , che il Dotcore trovi rimedio, che in tal erà non si inuoja , o pure tro. Vire chi poffi fedelinente indirizire cali Pupilli: avete voi, Doctore , un simile rimedio ?  Med. Rimedio per non morire non si è trovato fin'ora; ben è vero però, che a prolungare la vita con tenersi lon, tani da cerci spropositi massicci , che possono abbreviarla, a questo si può are rivare.  Sem. Ed in che modo  Med. Contenendosi con moderazione   nel  [ocr errors][ocr errors] nell'esercizio conjugale; perchè ci so. no taluni, che si pongono alla disperata in tale facenda, come se nel dì seguente la moglie dovesse essere loro rubata, senza avvederfi, che ruberà la morte elli alla moglie , continuando tal vita; oltre poi tanti altri disordini accompagnati a queste. Bisogna dunque, che viva re. golato chi ha figliuoli di tenera età , e non li fidi della gioventù ; perchè que. sta tradisce bene spesso, e che consideri il danno, che apporterebbe alla sua famiglia , con morire prima d'invecchiarli.  Sem. Questo si può fare ; mà se non baftaffe ? perchè hò veduto morire anchci giovani non aminogliari , e ben regolati ancora ; che doverebbe dunque farli per terminare la vita non tanto dolorosamente?  Pub. Hò udito riferire, che in alcune città vi lia una specie di magistrato , composto di persone di sperimentata integrità, le quali invigilano a questo ; onde introducendoli trà di noi potrebbe  con  consolar molto i Padri, cui seguiffc fimil e disgrazia duplicata, per lasciare i figliuo  li non atti ancora a poterli da se regola  [ocr errors] re.  [ocr errors] Sem. Questo mi piacerebbe, e vi prometro, che procurerei ach'io di entrare in derto magistrato.  Pub. Se vi avelli da porre io, due di difficoltà ci avrei ; la prima , che fiere  troppo giovanezessendo cariche da con. ferirsi a persone di provetta e à, e l'al  tra perchè voi lo chiedete, essendo che A finili impieghi, doyendosi conferire a  solimericevoli, aleuoi di questi più toe $ fto li ricusano, che li domandino; ed è a cosa cerca , che colui, che brama un ins  cumbenza, non solamente senza lucro, mà di molto incomodo ancora', qualche fine vi hà per lo più vantaggioso per se.. medesimo, il quale potrebbe rendere infructuoso ogni vantaggio, che da ello, si speraffe .  Serth Che averebbero da fare quefti?  Pub. Primieramenre d'inventariare fedelmente tutto quello, che avesse la.  [ocr errors] sciato quel defonto, di eficare poi il superfluo , e non fruttifero, e rinvestire il ritratto in faccia de Pupilli , con fare le cose chiare, e senza procacciarli emolumento alcuno .  Sem. E che altro?  Pub. Di dare fefto immediatamente all'educazione; con porre nel migliore feminario i maschi, se saranno di erá ca. paci, e le femmine in un Monastero dei più csemplari.  Sem. Ele rendite chi le amministrerà? • Pub. Un ministro salariato, che fia capace, o più secondo l'azienda che foffe, i quali rendessero esatto conto ad uno dei detti sopraintendenti dell'ope. rato ogni settimana, per potersi poi, da più di elli congregati ogni mese, risol. vere gli emergenti più difficili, che ac. cadeffero.  Sem. E degli avanzi, che si farebbe?  Pub. Andarli rinvestendo , allorche foffero arrivati ad una certa somma, con tutte le dovute cautele acciocchè fosse. ro fatti a ragione veduta.Sem. Nello stabilirli poi divenuci adulti chi ci penserebbe?  Pub. Quci deputati medesimi, che sopra intendono all'amministrazione.  Sem. E se caluno di questi avesse figliuolo , o figliola, ed apparenrasse cilin eli: 0 pur faceffe quello che fu obiettaco a Tutori.  Pub. Vi sarebbero sopra di ciò, le suc regole, in quali casi li dovesse proibi. re, o ammettere tra esli l'apparentarli; perchè quando mai fossero eguali, che male farebbe l'appareatare con gente scelta, e capace a bene dirigere. Oltre di che con qual amore di vantaggio liarebbe amministrata quella roba ; ¢ qual educazione più vigilante riceverebbero questi in cal casoBafteşebbe, che non entraffero poveri in detra soprainten denza affinchè non seguissero casi disdif cevali, che daffero occalione di inormo, rare , ed essendo questi scelti nobili, c bencftanti, non li indurrebbero a far quelle cose, che furono obiercare a Tucori, c tanto più ch'essendo molti a for  pra  [ocr errors] sopraintendere difficilmente tra questi vi sarebbe chi potesse, anche volendo, defraudare iPupilli in cosa alcuna per la vigilanza degli altri.  Sem. E se in detta amministrazione seguisse qualche disgrazia, chi sarebbe teauto-a risarcirla?  Pub. O questa seguirebbe casual. mente, senza colpa altrui, ed in questo caso non sarebbe a ciò tenuto alcuno , mà se poi ci fi scorgesse inalizia ; il delinquence farebbe obbligato a risarcirla.  Sem. A fare ottenere loro buoni impieghi, e provedecli di cariche proporzionate alle loro condizioni, e capacità, chi vi doverebbe pensare, fatti aduki ?  Pub. Il medesimo inagiftrato, atinchè con ragione di potessero chiamare quei, che lo compongono veri Padri della Patria, cgran sollevatori de Pupilli ; mà divenuti questi capaci sapranno da se medesimi farli strada per il conseguia mento di effe.  Sem. Sino a quale ctà doverebbero Rarc fotto tal depucazione?  Pub.  11  [ocr errors] Pub. Le femmine fino a canto,che fora ossero collocate ; i maschi poi non sareb* be male in tempi si calamitosi, che vi  stessero fino a tanto, che fossero atti, è 1 capaci di sapersi regolare da se mcdefifoto mi nell'amninistrazione de loro beni.  Sem. E se caluno di questi rimaneffe d incapace di operare a dovere?  Pub. Affinchè non dilapidaffe il fuo, converrebbe tenerlo soggetto sin tanto, i che vi fosse chi porelle prendere partii colare direzzione di effi, come sarebbe di qualche fratello di giudizio , o altro pa• from rente ricco; pio , ed onorato.  Sem. Mà questi pareori, perchè non potrebbero anch'elli prendersi il pensie. iro di amministrare detta roba de Pupilli, alineno lin tanto, che foffe ftabilico fimile magiftrato?  Mec. I Parenti , Sempronio mio, talia dc quali però, sono peggiori degli altri,  perchè prendono maggior contidenzas colla roba de fuoi parenti è perciò facilmente se l'appropriano;onde di questi non vi prevalec, se non quando li scor  gere  gerete con lunga sperienza, che siano ve. ramente difinteresati,  Pub. dove sono andati quei parenti antichi , che avevano premura maggiore della roba de loro congiunti,che della propria : hò veduto io alcuni di que. Iti mettere fuori somme confiderabili di danaro per folicvarli nelle loro angustic, ed ancor fenza alcuna usura ; ve ne fu uno tra gli altri, che prese l'amministrazione di un luo cognato, il quale eras quali che fallito, e lo ripose in piedi, con liberarlo da tutti i debiti da esso fatti, che ascendevano a fomma molto considerabile.  Sem. Ritornando alla grand'opera di cariià del sudetto Magistrato , mi perfuado, che in quei luoghi, ove li costu.  i Padri morranno senza avere da pensare all'indirizzo , che dover ango • avere i loro figliuoli divenuti Pupilli.  Pub. Occalione non hanno di ricerca.. re altri inodi : posciache questo Magiftrato pensa non solamente a diriggere i Pupilli ricchi, ma anche quei che riman  goo  [ocr errors] gono con mediocre commodo.  Sem. Oh luoghi fclici, ove la morte non reca tanto cordoglio, divenendo ivi l'amore, e l'autorità paterna a guisa di  fenice, che rinascono, ed alle volce più i profittevoli a figliuoli di quello, che fos  fero prima a cagione dei Padri trascura#ci, e nel costume , e nell'economia , e se  per questi ancora ci fosse qualche cenfoi se, quanto anderebbero meglio le cose?  Mer. Voi, Sempronio, che non avein te ancora piena sperienza del mondo  vorrelte aggiustarlo in un tratto ; come fogliono fare alcuni zelanti giovani , allorch' entrano a governarne qualche particella di efto. Abbiare de me questo configlio, cavato da Licurgo, che nelle riforme bisogna camminare affai lenta. mente, e con molta circospezione , per non cadere in peggio.  Sem. Che doveranno fare i figliuoli per mostrarâ grati verso i loro genitori defonti?  Pub. Due cosc, la prima è di mante, gere nel mondo la meinoria onorovolsdielli, e l'altra, che maggiormente preme, di alleggerire le loro pene, che possono foffrire nell'altra vita.  Mec. La prima dagli Egizi li praticava con imball mare i corpi de' loro genitori, e questi conservavano anco gli atavi , i tritavi, con quel auiero maggiore degli ascendenti, de quali furono eredi, e con quanta stima, c vencrazione universale! che se ac loro sommi bifogni avessero avuto necessità di danari, impegnando una di queste mumie, ne trovavano quanti facevano loro bisogno ; perchè avevano il pensiere di riscuoterle in breve. Gli antichi Romani ancora fabricavano tempj alle memorie de’loro Padri, o per lo meno ftatue per mano di eccellenti scultori.  Sem. Come si doverà fare per mantenere viva la memoria de genitori?  Mec. Se sono stati illustri per le loro rare virtù, e maneggi, debbonsi anche imitare da figliuoli, per fare scorgere a chi non li conobbe, di essere le loro virtù passare in effi; insegnandoci l’Ecclelia.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] ftico al 11. che in filiis agnofcitur vir.  Sem. E se avesse dato alla luce opero letterarie , doverà imitarlo in queste ?  Mer. Certamente più in queste che pcll'edificare ville sontuose, posciache quelle di Cicerone, e di Seneca fono già da gran tempo distrutte, ma non già i loro libri, i quali continuano i loro anni sempre più gloriofi alla fama.  Pub. Fù interrogato un favio, se fosse più defiderabile l'acquistare un regno, o l'avere dato alla luce qualche operas dottrinale, utile a posteri; rispose egli che la seconda ; perchè della prima non pofsiamo eslerne altro, che meri usufrutruarj, privandoci della proprietà di esso la morte, dove che della feconda ne Gamo perpetui poffeffori ,accrescendo più tosto la morte il valore di essa, e perciò con ragione diffe Giovenale : fat. 8.  Libera fi dantur populo fuffragia quis să  Perditus ut dubitet Senecam preferre        Neroni.    Sem. E se non avessero fatto cofa al-  cuna memorabile ?           Kka   Mer.  [ocr errors] Mec. Debbono i figliuoli incominciare a farl’elli ; perchè diccndoli poi fatte dal figliuolo del rale, anco i genicori faranno partecipi della gloria di efsi.  Sem. E se fosse stato un gran Capitano, ed il figliuolo non avesse quel coraggio, che si richicde in tal carica ?  Mec. Procuri egli di uguagliare la fua gloria in cose concerncati alla pace; perchè si dira:il Padre fè prodezze grandi in guerra, e questi le ha fatte in affari di  pace.  Sem. Lasciando debiti più del suo capitale dovrà il figliuolo fodisfarli del fuo, quando avesse? · Mec. Certamente che sì, per non farlo dichiarare fallito ; e di vantaggio le fors' egli ne paeli Elvetici, per non riceverne infamia; cottumandog colà gaftigare anche i defonci , che per malizia feceto più debiti del loro capitale.  Sem. E se avesse ricevuto fuo Padre qualche ignominioso gastigo?. Mec. Doverà egli allontanarli dos  quel  qu I paesc, per non udirne dir male pui blicamente, non potendolo scusare;  per altro se fosse stato' cattivo a quel fcgno , che non avesse meritaco‘limiles  ignominia,doverà colle opere buone, e a gloriofe cancellare ogni memoria po.  co buona di esso; perch' essendo pro? prietà della luce scacciare le tenebre  così ancora delle buone operazioni pre  fenti è di cancellare la memoria delle 8  carrive passate.  Sem. E se lo avesse privato dell'eredi. tà parerna doverà farannullare il testa. mento , avendo ciò fatto senza cagione?  Mec. Sofferendo ciò farà credere, che  certamente lo faceffe fenza cagione , . i poichè facendo altrimenti, se non l'ebbe  allorchè lo fè, la previde, per dichia. rarsi dopo la sua morte il figliuolo concrario alla sua volontà, e di ciò ne dierono un memorabil'esempio i figliuoli di Metello, i quali, quantunque esclisfi contro le leggi, non vollero,per riverenza dovuta ai Padre , far istanza alcuna in contrario.  Sem.  Kk 3  Sem. Se un Padre ainoroso de fuoi figliuoli, ed anche pio, volesse, allorchè stà vicino à morte, far distribuire qualche fomma confiderabile di danaro a poveri , ma perchè l'amore verso i figliuoli lo portasse a farne effi consapevoli, per vedere se fossero contenti di ciò, come dovranno contenerfi in fimi. le affare? - Mec. Uniformarsi in tutto , e per tutto al volere paterno , c sappiate che Iddio non solameate gradirà tal atco , mà lo rimunererà ancora .  Pub. Un caso prodigioso si racconta a questo proposito nel Prato spirituale di un uomo dabene, e fomnmo elemosiniere', il quale, ritrovandosi vicino a morte, chiamò il fuo figliuolo, cui dopo avergli fatto vedere una gran somma di danaro disse:figliuolo,che gradirete più, che vilasci questo danaro, o pure, che vi deputi Gesù Cristo per vostro curatore rispose il figliuolo: averò più accaro il mio Gesù per curatore : ciò udito fece dispensare a poveri tutto queldanaro: cosa fè il giusto, e supremo Cu. ratore? Si ritrovava in Costantinopoli, ove egli dimorava , uno de'principali, ch'aveva una sola figliuola, la quale per essere ricchissima veniva da molti desiderata per moglie ; il gran Curatore dell'orfano ispirò alla Madre di essa, che infinuaffe a suo marito, qualmente la loro figliuola avesse più bisogno di un uomo faggio, che di ricchezze, e che maritandola a qualche Signore correva pericolo ch'ella fosse malamente trattata: Piaccque cal consiglio al marito , il qnale repplicolle : preghiamo dunque Sua Divina Maesta, che glielo dia a foo compiacimento, ed andare voi in  quefto punto alla Chiesa a supplicarla,e có. ducetemi quello, che immediatamente entrerà in Chiesa dopo di voi ; qual fù appunto il pio, e generoso pupillo, dal suo grã curatore arricchito in un istáte.  Mec. Or vedere voi, Sempronio, ch' effetri buoni produce l'uniformarii colla pia volontà del Padre, e quanto si è detto del Padre doyerà aacora inrcn.  der,  [ocr errors][merged small][ocr errors] Kk 4  dersi della Madre, in tutto quello, che apparterrà a figliuoli.  Sem. In che doverà con Gftere il bene che sono tenuti di fare i figliuoli, per l'anima dei loro genitori?  Mec. In sodisfare in primo luogo tutti i loro debiti, e legati pij, ed adempio re prontamente le loro disposizioni.  Sem. Må se non ci saranno danari pronti, si averanno d'alienare gli effetti? vi saranno pure i suoi tempi da sodisfar-, li con commodo ?  Mer. Sapete che detti effetti , ne' quali ci è debito; non vanno considerati come propri, e per ciò, non entrando nell'eredità a favore dell'erede, che gli dee importare, che si vendano ? fe poi li vuole appropriare a se, ci prenda danari sopra, se non gli hà, e fodisfaccia chi dee averc;; e se per cagione di detta dilazione quella povera anima penaffe in. tanto,  oh che bcll'amore moftrerebbe il figliuolo per suo padre, lasciandolo cor. mentare ! Il più chiaro contrafegno di affetto verso fuo Padre è questo, di ob  be  [ocr errors] Les bedirlo sollecitamente in fodisfare cioco che diipone li faccia seguita la sua morte  Pub. Or io sono di questo parere, che non si debba aspettare fino alla morte a  fodisfare i debiti contratti, c le opere o pie, che si vogliono fare, e maggior  meate mi sono confermato in questo leggendo, che vi fosse un certo uomo civile sì, mà assai povero, non avendo altro, che quattro Sparvieri avvezzati alla caccia, coi quali si alimentava; vc  nendo egli a morte chiamò tre suoi fi& gliuoli, ene lasciò uno per ciascuno, di  cendo loro, che il quarto lo vendeffero,  e ne facessero tanto bene per l'anima sua  morto che fosse. I detti figliuoli il di  venente, per vivere se ne andarono alla  caccia coi quattro uccelli, uno de quali  seguitando la preda non tornò più : co-  minciarono a contrastare tra loro di chi  fosse il perduto, ed ogn'uno giurava, che  quello, che era ritornato, ed aveves   sulle mani era il suo ; fi accordarono alla  fine, che il perduro era quello , che do-  veva impiegarli in beneficio dell'anima   del  [ocr errors] !  [ocr errors][ocr errors] del loro comune Padre ; il quale rimase privo di quel bene.  Sem. Oltre di questo doveranoo far altro?  Mec. Avere giornalmente una viva memoria di essi, col raccomandarli a Dio in tutte l'orazioni, che faranno, fervencemente; perchè non è picciolo il bene, che da cfli ricevettero, conGitendo in tutto il loro etlere, e ciò facendo oltre il sodisfare a propri doveri, daranno anche chiaro indizio deila loro buona cducazione.  Sem. Vorrei sapere da voi , Publio, so la vedova possa essere capace di ben’ educare i propri figliuoli,parendomi che da principio ne dubitaffe Mecenate, con dire, che non farebbe poco a dividere il suo amore materno tra i primi figliuoli, e gli altri avuti col secondo marito,  Pub. Perchè nò ; quando ella perseyerasse costante nello stato vedovile, fosse dotata di senno, e prudenza, ftesse attenta , ed avesse petio da farsi ftimare, c rispettare da efl, e Mecenatc parlò  del  na delle vedove , che prendono altro mari  to, non di quelle di cui diffe Ovidio,  [ocr errors] che.  bes  01  ol  Sustinent in viduâ triftia figna domo.  Sem. A trovare però oggidi chi sia il dotata di tante virtù sarà cosa molto difficile, dicendo di queste Giovenale. Rara avis in terris nigroque fimillima  cygno.  Pub. Si a voi, Sempronio, che forse of anderete solamente in cerca de diferti ili donncschi, mà non già a chi brama di  trovare le virtù, per approfittarsene, o gi ainmirarle; e non crediare già, che ogbe gidi le virtù sieno affatto efiliate dal d mondo, anzi sappiare, che quando paa re, che i vizj (i dilatino maggiormente, do allora è il tempo , ch'esse li affaticano in  trovare ricetto dai più lavj, per risplendere maggiormente : ed io vi poffo finceramente palesare, che ci sono presentemente alcune vedove, le quali vivono con tanta csemplarità , che ponno uguagliarsi alle antiche matrone, delle quali i Scrittori fecero tanti grandi elogj.Sem. Bisogna che queste vivano molto ritirare ; c da ciò trascerà che, da me non son conosciute, laonde notificatemi chi sono, affinche possa anche io fodar. le, ed onorarle, come meritano , ed apprendere insieme dalle loro operazioni qualche urile documento.  Pub. Mostrare certamente troppa cu. riosità , Sempronio, con volerle conoscore', e se avete deliderio di apprendere qualche documento dalle loro operazioni , questo lo potrete appagare con udire le relazioni dell'operato da esse, e tanto maggiormente, che queste non operano a fine di acquistare gloria, må bensì di bene istruire i loro tigliuoli, e perciò non fi curaro punto di essere lodate da alcuno, ed a voi è vietato anco il farlo dall'Ecclefiaftico al 2. dicendo : Ante mortem non laudes hominem quemquam.  Sem. Informatemi dunque del modo, che questo hanno tenatoy e tragono in educare i figliuoli? Pub. Quefte , Sempronio , sono quela  le  res  ope  mogli,che amarono di vero cuore i loro  mariti, e perciò appresero da Didone  ciò, che rifeșisce nel quarto dell'Enei-  di Virgilio :   Ille meos primus qui me fibi junxit ame-  Abftulit ille, babe ai                    fecum, fervetque se-      pulchro.  laonde quantunque rimase vedove nel  più bel fiore degli anni, non vollero  giammai acconsentire a rimaricarsi ; inà  bensì rimirando ne'figliuoli qualche par.  ic de’loro genitori collocarono in elli, per   tal cagione cutto il loro materno affetto;  e non li potranno mai baftantemente   esprimere le deligenze da esse usare a   pro dei loro vantaggi ; posciache , ia cu-   ftodire, ed accrcfcere le sostanze di  clli, che cosa non fanno mai?   Sem. E come possono , essendo mancato il capo di casa, crescerle?  Pub. E pure ciò non ostante , l'hò osfervato in più di una di effe, c quello, che mirende ammirazione, senza fordida economia , perchè mantengono illo  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] ro  to grado decoroso, senza scemarlo puoto: laonde sono meritevoli di quell'encomio, che fè Cicerone a Craffo , ed a Scevoli, chiamando il primo moderatiffimo nello fpendere fra i fplendidi , e l'altro splendidiffimo tra i moderati ; vi potrei anche dire di vantaggio, che avendole osservate e faccillime jipitatrici del bombice, il quale per formare la sua casa poge tutta la sua miglior softanza in essa, onde spero, che l'imiteranno anche dopo morte, con divenire farfalle per volarsene più speditanicnte al Cielo.  Sem. Hò udito esaggerare tanto cótro il luffo nelle passare conferenze ; como mai queste si fanno così bene regolare in tempi, ne quali ci troviamo.?  Pub. Vidifli parimente in quelle , se ben vi ricorderete , che non mancava presentemente ancora, chi viveffe net costume ancico, e che non si osservalle da tutti chi operava in tal forma ; perchè pochi erano l'imitatori di efli, c da ciò nasce, che queste di regolano con  tan.  tanta aggiustacezza, perchè vivono a  quella usanza, e se li vagliono di qualby che cosa dello presente, lo fanno con  gran moderazione, e più per salvare una certa apparenza, a fine di non singolarizzarsi, che per vanità.  Sem. Mà nell'educarli di che norma si servono ?  Pub. Di quell' appimnto, di cui già i parlammo , ina con grandiilima atten#zione ; folamente di vantaggio hò osserte vato, che avendo quefte già bene im  bevuti i figliuoli del rispetto dovuto ad  effe ne'ceneri anni, divenuci poscia più ci adulti, deposto il rigore priiniero si so  no servite più costo della piacevolezza ; coli ed in questo modo hanno continuato  ad elggere curta la venerazione ad else dovuta da figliuoli.  Sem. E nel provederli d'impieghi comc li porrano?  Pub. Volelle Iddio, che con tanto fervore operaffino noi alori Padri conforme esse fanno' in questo; effendoche  taluna li ha così ben accomodaci , che :  non  non si è renduta loro fenfibile la perdita fatta del Padre, trovandosi presen!emente in istato tale, che possono contentarsi.  Sem. Oh fortunati figliuoli; se io fossi nei loro piedi , non mi dimenticherei gianımai di tanto beneficio ricevuto da effe.  Pub. Ed io pasferei più oltre, cioè a riflettere i disaggi, che averano sofferto, per fare conscguire questo bene,e quanto averanno cenuto occupata la mente co’pensieri, e quante vigilie averanno sofferte. Or ditemi, vi pare che qucftc, che operano in tal forma, si possano paragonare alle antiche Porzie , alle Cor. nelie, alle Avie , ed alle Pauline che cosa fecero quelle più di queste, che meritarono la corona di pudicizia, pero effere vivate nella stato vcdovile esem. plarissime e  Sem. Certamente che meritano qucm Ite ancora di esser coronate, e credecemi, Publio , che questo vostro racconto mi hà sommamente confolatozed animato ingeme a prendere moglie; perchè se io arrivafli á scegliermi una di queste, morrei certamente men contristato , avendo chi supplirebbe le mie veci nel ben educare i figliuoli.  Mec. Abbiamo finora parlato della cducazione dei figliuoli de benestanti, e di quelli de' poveri non abbiamo fatta menzione alcuna.  Pub. Conyerrà certamente discorrere anche di questi, essendo cosa essenziale ondc lo porteremo alla ventura Conferenza.  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] CONFERENZA X.  Sopra l'educazione de' figliuoli poveri, e donde venga queita  danneggiata.  Publio , Mecenate , Sempronio ,  i Medico.  Pub.  He bella cosa fareb.  be , se nel monС do ognuno viveffe  conforme richiede l'obbligo cristiano:  di non fare altrui, ciò, che a se dispiace: oh bell’armonia, che nascerebbe da questo allorsì che ciascuno potrebbe vivere ad occhi chiuli, non trovandosi chi ingannasso il coinpagno ; c tanre sorte di supplicj , inventare per reprimere', c. gastigare la malizia degl'uomini rimarrebbero affas.  [ocr errors] to oziose; e li ministri di Giustizia a che | servirebbero, essendo ciascuno retrislimo  giudice di se medesimo? Oh felice, c mi fortunato vivere che sarebbe, essendo  ritornato il secol d'oro, nel quale come  lo descriffe Ovidio ne suoi fafti.    Proque metu populum fine vi pudor                                               ipfe       regebar,     Nullus erat justis reddere jura labor.  E Giovenale nella fac. 6.   Cum furem nemo timerer  Caulibus, aut pomis, tu aperto vive.          ret borte,  Mà quanrunque fiafi tanto affaticato  Platone per farlo ritornare , appena c  rimasto ogni suo pensiero riposto nel ga-   binetto delle sue Idee, senza recare vei runo profitto; onde si può conch iudere,  che questo probabilmente non tornerà  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] Sem. Mà non fi potrebbe almeno far ritornare quello di argento ? perchè a sopportare da gran tempo in qua il secolo di ferro, già divenuto rugginoso, fembra dura , ed insoffiribile cola.  L12  Sem.  [ocr errors] Pub. Questo è difficile; e non meno, che a far divenire un pezzo di ferro argento; intorno al cui lavoro tanti ci si affaticano indarno. Non sarebbe poco se a questo di ferro,che noi abbiano, il quale ben diceste, che sia divenuto rug. ginoso, se gli potesse dare una ripulitura, affinchè non comparisse tanto deforme, come presentemente par, che sia diveDuto •  Sem. Facciamolo dunque ; ma da che parte di esso si doverà principiare?  Pub. Da quella più tenera, come abbiamo fatto finora nei nobili, cioè dalla tenera gioventù, ove la lima può più facilmente attaccare : cominciate voi dunque a portarmi il lavoro, che io li. merò.  Sem. Qiello , che' mi premerebbe più d'ogni altra cosa, sarebbe che in. cominciassimo a ripulire un poco i servitori.  Pub. La ruggine in questi è troppo dura; come volete voi, che limi, efsendo di già quefti divenuti adulti; por  [ocr errors][ocr errors] tatemeli giovaneci, che io cominciero limarli.  Sem. E come potranno questi allora discernerli? Offervandoli, che ne pur i loro figliuoli hanno genio a fare tal meftiero; ideandosi tanco i Padri, quanto effi, allorchè cominciano a conoscere i vantaggi della vita civile, di voler parfare ad effa,con avanzarli di condizione.  Pub. Dunque se non si sà precisamente chi voglia incaminarli per questa via, cominciamo da tutti i figliuoli poveri , che cosi comprenderemo quelli da incaminarsi in cursi li mestieri nel inedeliino tenipo.  Sem. Che doverà farfi in questi prima di ogni altra cosa ?  Pub. Quello appunto, che già dicem. mc:infinuare bene nell'animo loro il fan.  to timor di Dio, base fondamentale di O tutte le virtù morali, e cristiane  Sem. E chi doverà far questo? th Pub. I loro genitori.  Sem. E se questi non ne avessero appreso tanto, che hastaffc loro ? Pub. Ci sono i Parochi de'quali è incombenza,non solamente di proccurare, che fieno istruiti i figlioli, mà anche, i genitori medelimi,  Mec. Se ci fosse un fol pastore in una gran greggia di pecorelle, molte ne divorerebbero di più i lupi ; onde come potranno baltare questi, che sono pochi a tanci?  Pub. Ci sono i Maestri, che supplisco. no ancor ela.  Mec. Mà quelli che non hanno modo da tenerli?  Pub.Sogovi tante scuole per i poveri, che possono ben ivi apprendere ciocche appartiene a questo  Mec. Mà fe trascureranno di andarvi, ed intanto innoltrandosi i vizj come firi. medierà?.  Pub. Colgastigo, che servirà dierempio agli altri, che non ci cadano, ed a tal effetto ci è per questi la casa di correzione, ove sono severamente morti. ficati. Mec. Vorrei, che vedeflimo, Publio ,  se  [ocr errors][ocr errors] fc ci fosse modo di non avere rovente bisogno di limili gastighi; perchè vado rifcttcndo, che molti pochi sono correcti da eso ; e quantunque ci licno le forche alzate, tanto i delicti fi comincitono gel inedefimo tempo.  Pub. E che prerendete forse, che nel monda non feguano delicti?  Mec. Non pretendo tanto, mà solamente che sceinino questi più notubilincnte, ed in conseguenza ci sia meno duopo digastigo.  Pub. E come fareste per procurare che minor numero deili presenti ne leguillero?  Mec. Vorrei in diverse parti della cietà scegliere i più caritativi ; e pii artetici, che ci foffero in ogni profeflione, ed a questi consegnare , e raccomandare più di uno dei giovanetti, arrivati in età di poter cominciare ad apprendere i principi di quell'arte, alla quale 'mostraffero inclinazione, ed abilità.  Pub. E prima di detto tempo chi ne averebbe il pensiero di andarli istruendo nel beo operare ?  Mr.  [merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] Mec. Ci sono pur tanti pii, cd esemplari operarj , zelantisfimi del buon costume, cui non recherebbe gran briga l'invigilare sopra di elî, con un ben regolato ripartimento, li quali per rimediare a'disordini maggiori, che incontrasfero doverebbero avere chi desse loro assistenza, e braccio autorevole; e credetemi, che dupplicato bene da ciò ne risulterebbe: cioè, che non anderebbono in quelle ore vagabondando per la città, e li approfitterebbero insieme di molti buon iavvertimenti, e cosi la gregge averebbe pastori a proporzione del fuo bisogno: e fapere pure, che quantunque tanto si operi da questi zelancisfimi nello svellere i vizi già adulti, nulladimeno per lo più poco, o niente di frutto da cfsi si ottiene , onde mi parrebbero fatiche con profitto maggiore queste impiegate, allorchè i vizi sono anco teneri, potendosi allora con più facilità sradicare; che quando sono già adulti,senza tralasciare però d'invigilare a fradicare anche questi assodati.  Pub.  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Pub. E chi manterrebbe detti figliuoli da quei artefici; acciocchè l'istruiffero fin tanto, che il loro lavoro meritalse premio ?  Mer. Sarebbe facile qui tra noi a trovarsi il modo, essendoci si numerose, e considerabili limosine di pane , da diftribuirli a poveri; nè si potrebbe dubicare in conto alcuno, che questi non folsero tali ; onde sarebbero con giustizia , e profitto impiegare in essi ; nè potrebbero gli altri dolerli, perchè verrebbero anche distribuite colla discreta propora zione rispetto agli altri bisognosi invalidi; ne apporterebbero gran briga cinque, o sei ragazzi di questi, provedusi già di pane, avendoli in bottega; ecenendo loro gli occhi sopra, non potrebbero andare vagabondando in cerca de vizj conforme facevano.  Pub, E'pensiero questo da macurarsi meglio per discernere, che vantaggio conliderabile potesse apportare.  Sem. E se avessero genio di studiare?  Mec.  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mer. Di questo ne discorreremo nel fine.  Sem, Or ditemi dunque quali sono i vizj familiari a ragazzi poveri ?  Mec. Possono essere innumerabili, se non sono sradicati alla prima da qual. cuno, e tanti appunto, quante sono l'erbe dannose , & inutili, che nascono in una siepe abbandonata da chi la coltivi. Posciache questi poffono essere primieramente affatto ignoranti dei misteri della Santa Fede; non hanno in bocca altre parole, che difonckte, appreses per istrada, e ral volia per essere figliuolini nè pur fapranno i loro ligniti. cati ; fi afsucfaranno da teneri anni al rubare, e cominciando dalle core commefibili faran passaggio all'altre ancora ; diverranno poi tanto impertin nenti, che daranno fastidio a tutti; bu. giardi , fraudolenci, bestemmiatori, e malizioli a segno, che quabrunque fico no di dieci, e undici anni saranno già capaci in pratica di tutti i vizj concernenti alla luffuria .  Puo.  [ocr errors]    [ocr errors][ocr errors] De   i buos  [merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors]  prove, e do  po  [merged small][ocr errors][ocr errors] Sem. Ma è poflibile, Dottore, che in sì tenera età facciano questo?  Med. Io più d’uno di questi ho vedy. to venire zoppi all'ospedale per ca. gione di buboni gallici, che avevano acquistati con tali viziose  ritrovata la verità gli ho anche mol. to bene sgridati.  Sem. Da che diviene questa gran facilità di cadere in fimili vizj?  Med. Lo spiegò Socrate a Teodata bellissima meretrice,allorche li gloriava di superarlo nel saper sedurre più facilmente essa i suoi scolari,di quello avess' cgli potuto fare colla sua dottrina in rimuovere dal suo amore i suoi drudi, con risponderle,che lo credeva , nè punto fi maravigliava di ciò; perch'ella li tirava all'ingiù , & a seconda del precipizio con poca sua fatica dove ch'egli dovendoli tirar fuori da questo aveva d'uopo impiegarvi fatica maggiore; come riferisce Eliano,  Sem. Oh so, che crescendo questi vizj con gli apoi, quanci mali effetti eli  pros  [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] 540 Conf. 10. Dec. feconda produrranno ! riempiranno per la meno le galee di genec facinorosa, se pur que. fti non anderanno sulle forche; onde conosco anch'io, ch'è troppo necessa. rio darci riparo, altrimenti di questi viziosi ne toccheranno ad ogn'uno per servitori, o per arrifti: ma come fi potrebbe fare almeno , che non cre. scessero di vantaggio?  Mes. Se non li trova il modo, che non vadano vagabondando per le piazze, e di cenerli lontani da quei, che fono un poco più adulti di essi, sempre correranno tali pericoli; e perciò lag. giamente ordinò Ligurgo, che i figliun. li fossero allevati per i villaggi, e gli Egizi non li faceano porre alla mensa per cibarsi, se prima noa avcano corso a piè nudi due, o cre leghe. Ed appresso i Parci, se i loro figliuoli non avevano colla frezza colpito, e fatto cadere il pane, che posto avevano in luogo eminente, non facevano gustar loro altro; conforme ancora facevano le donne dell'Isole Baleari, ma colla fionda, c  CO:  [ocr errors][ocr errors] così li tenevano occupati , affinchè non aveflcro campo di avanzarli ne'vizj. Ma trovandosi tra noi impicghi con direttori discreti, sarebbero questi affai più profitcevoli; potendoli eziandio formare scuole d'apprendere arti, dove fossero istruiti, e nella pierà, & in quel mestiero al quale applicassero di genio ; ma per opere sì magnifiche crè cose si ricercano , le quali sono ; l'autorità del Prencipe ; valido soccorso; & allistenza allidua di uomini pii, ezclanti del buon costume.  Sem. Ma vi è pur S. Michele a Ripas grande ove si fa tutto queito; perchè dunque andate cercando altro?  Mec. Abbiamo certamente tal Ospizio Apostolico utiliffimo, esantißimo, ove col timor di Dio G avvezzano, e si approfittano ancora in diverse arci, era sendo usciti di là molti , ch'erano prima senza indirizzo, e modo da softcocarli, divenuti capaci d'alimentare se medesimi, e le loro famiglie; ma questo folo non è sufficiente per educare tutri i  [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] nigliuoli poveri, che sono nella Città; nè è poffibile moltiplicarne canti altri confimili ad effo, che foffero fufficienti; onde bisognerebbe trovare un modo praticabile , acciocche fossero istruiti nella medesima forma, ma senza ag. gravio di spesa equivalente alla proporzione di quella .  Pub. Tutto si potrebbe fare, ma però se non si toglieffe prima quello , che dasse loro mal' esempio, gioverebbe a nulla.  Meo. Questo è veriffimo;.perchè entrando caluno al servizio, quantunque fosse semplice, e di buon costume ,' fe cominciarse a comandargli il suo padione certe cose, che non li possono dire in pubblico, effendo indecenti, como potrebbe far di ineno obbedendolo as non divenire ancor esso diviato ? effen. do che: a bove majori discit arre minor , Se quantunque foffe sobrio, e vedeff: continuamente banchettare , & a vesse tutto il commodo da disordinare anch' effo, come non diverrà gologfimo? E  par  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] last particolarmente se si abbatteffc in chi, come dice Giovenale,  Radere tubera terra  Boletum condire, codem in jure na,   tantes  Mergere facedulas didicit Sco ap  Et cana monstrante gula. Se si accorgerà poi, che manchi di pa. rola, imparerà anch'esso a farlo dicen. do: se lo fa il mio Padrone, ben lo posso far arch'io , perchè farà forse oggi  di civiltà prar carlo. Voi dunque, Semi pronio, vidolete attorto dei servirori;  doleceri bensì dei padroni, che gli ac-  coltumano viziosi.    Sem. Ma io   per  la Dio grazia non fò di questo, e pure mi sono capitati molci cattivi fervitori.  Pub. Saranno stati prima corrotti da altri padroni se non gli avete corrorti voi, e perciò imparare a non mutarli tanto spesso , potendovi abbattere ins peggiori, i quali non sarebbero più correggibili:  Barbatos licet admoveas, mille inde magiftros.Mec. Non solamente i servitori si approfittano del mal'esempio de' padroni, ma tutti gli artisti, e mercanti ancora, dandosi da caluno di esli a questi, invece del danaro, che avanzano, certe mercaozie, le quali non trovano ad clitare, e le pongono a prezzi altissimi, e da ciò essi imparano ad alterare i conti, ed in che forma !  Sem. Ma ci sono pure i periti, che li rivedono, e tarano?  Mec. Si bene, ma però elli l'informano, e fanno ben loro capire, che hanno ricevuto, a ragione di contanti, assai di meno di quello pretendevano di aver dato loro, a cagione dei prezzi alterati delle robe ricevute.  Sem. Sicche faranno un bel guada. gno questi , che daranno roba in vece di danaro; e ditemi, Dottore, se ciò si pratica collo Speziale ancora ?  Med. Taluno per quanto ho udito lo fa.  Sem. Consideriamo, che buone medicine daranno loro questi, che sono così malamente pagari.  Med.  Med. Li poveretti troppo fi sforzano die a servirli bene; ma certa cosa è, che vo  gliono starci in capitale almeno, c peri ciò non daraano già loro i migliori ri1 nedj.  Pub. I mercanti Moscoviti, prima che it fosse data loro la libertà di uscire dal El Regno, avevano una bella maniera di  contrattare, la quale era di chiedere soSelamente il giusto prezzo delle loro mer  canzic, e guai a colui, che l'avesse altea si raco; posciache sarebbe caduto in pene sd gravissime.  Mec. Sicoftumerebbe tra noi ancora, 1 se correffe puntualmente il danaro; må  dovendosi tener morto questo più anni, e poi pagarfi Iddio sà come, bisogna pur, ch'ella pensino al modo, che debbo.  no tenere per guadagnarci ; diano dunSe qne i primi ad edi buon csempio, che fa  raono imitati.  Sem. E per fare, che i servitori non divengano viziosi, olcre il non dar loro  mal'esempio, che si potrebbe fare di e vantaggio ?  Mer.  [ocr errors] Mm  Mec. Bisogn' anche procurare, che non abbiano occasione di addocrinarli in certe cose, che mal'interpretate da efli, da buone che sono potrebbero divenire pesime; e vi riferirò a tale proposito un esempio. Si abbatte un giorno un mio amico, che seco aveva due fervi. tori, ad udire un certo discorso morale, fatto da un buon religioso, mà molto semplice, sopra il furto, e venuto al par. ticolare, a che fomma questo doveste giugnere per essere peccaminofo , avvedutosi egli, ch'erano attentissimi i suoi fervitori in udirlo, chiese incontinente licenza,con iscusa di dover fare certo ur. gentislimo negozio in quel punto;mà come egli,ini riferì il negozio era, che non udifícro questi , che li potesse con ficura coscienza rubare una anche minima cosa, perchè, come diceva, costoro l'averebbero reiterato tante volte in un giorno, che in breve mi farei impoverito .  Pub. Mi persuado ancora, che non convenga dar loro il comodo di approvecciarsi malamente, con fidarsi alla sjeca di cili, dando loro gran maneggio;  per  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] perchè la comodità appunto fà l'uomo ladro.  Mec. Vi era uno di questi, il quale prendeva cutto all'ingrosso, e con vantaggio grande, e dipoi lorivendeva a minuto, ed a prezzo rigoroso al suo padrone, e vi faceva giornalmente guada. gno considerabile, scusandosi in far ciò, ch'era  per  sua industria , perchè non gli aveva ordinato di far questo il suo padrone ; onde ingannavafi costui in credere di non aver obligata, ad effo tutta la sua industria, come difatto avea .  Sem. Sarebbe dunque riuscito van taggioso per loro se avessero studiato , ed appreso le buone dottrine.  Mic. Se avessero fatto questo non si porrebbero a servire, come disse uno di questi al suo padrone, allorchè lo sgridava, ch'era un ignorante, cui replicó: signore se fossi dotto non servirei , mà bensì averei chi mi servisle.  Sem; Ne hò però ayuti di quei, che sono stati alla scuola, e sapevano anco ra un poco di latino.  Ner.  [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Mm 2  Mec. Mà che serviva loro questo?  Sem. A nulla ; mà però se non mori. vano i loro Padri si sarebbero tirati aranti nello studio, e forse sarebbono riusciti uomini dotti.  Mer. Vorrei , ch'esaminaflimo ora qual fosse meglio: chci figliuoli dei poveri s'incaminassero per la strada delle lettere , o pure fi ponessero da principio ad apprendere le arti,  Sem. E che pretendereste forse voi impedire, che ogn’uno non s'incamini a suo bellagio per la via , che giudica per fe più vantaggiosa ? Capece pure, che vi sono stati molti plebci , che sono riusciti in esso come accennò Orazio  fat.6.1.  Multos fape viros nullis majoribus oj  tos,  Ei vixise probos , magnis du honoribus  auctos. Mec. Questi non saranno stati però miserabili, perchè dice ancora GioveHaud facilè emergunt quorum virtutibus ebfas.Res angufta domi.    e poi se taluno di questi, inà molto  di rado, è riuscito, oh quanti sono andati  a inale! onde vorrei, che vedeffimo quali  di questi fieno quelli , che possono essere  capaci di compire questa carriera , ed a   quali non getti conto ; perchè il sen.  tiere delle scienze, é assai lungo , ed  crto, ed ha difficile ancora il suo ingres-  so; come bene lo descrive Silio Italico  dicendo.   Ardua faxofo perducit semita clive ,  Aspera principio, nec enim mihi fallera,     mos eft,  Profequitur labor ad nitendum intrare   volenti. Onde chi non potesse caminarvi fino al fine, che farcbbe trovandosi nel mezo di esso ? non vorrà tornare indiccro per vergogna, nè potrà ivi foftentarli., per essergli mancata la provisione neceffaria; onde non faprà a che partito appigliarfi; dove che la via delle arti, efiendo assai più piana, e più breve, ed ancomeno dispendiosa, li renderà più facile, e  [ocr errors] Mm 3  van.  vantaggiosa a questi di poterla cerminare.  Sem. Sicchè dunque farà meglio, e più vantaggioso per loro d'incaminarsi per il sentiero delle arti, giacchè questo si renderà più facile a poveri di compirlo.  Mec. Così credo anch'io, perchè almeno giugneranno a guadagnarli il pa. ne più spedicamente, e con minor pericolo di rimanere inesperti .  Sem. Come pensate voi di fare questa scelta, di chi sia capace d’incaminarsi per essa, e chi per l'altra più piano delle arti .  Mec. Se per esempio ci fossero figliuo. li di mediocre talento de poveri artisti, o di vedove, che appena colla loro fati. ca arrivano ad alimentarli parcamente, questi sarebbero perduti, volendoli incaminare per la trada delle scienze, e maggiormente, se saranno i loro genitori avanzati negli anni ; perchè morendo questi, chi li softenterà trovandoạ nella carriera a qualcuno di quei, che sono nel  principio del camino può essere, che;  torni indietro, econ ripugaanza gran3 de si ponga ad apprendere qualche arre,  quelli, che saranno però più inoltraci , vergognandosi di farlo, come si trove. ranno i meschini, non avendo chi più li sostenri ? talmente che per procac. ciarli il vitto saranno costretti di fare ogni viltà, purchè salvino l'apparenza del proseguimento di tale impiego , ch' esli si avevano figuraco di voler esercitare; laonde poftisi in doslo una toghetta,ed un perucchino, ne quali consiste il loro capitale, tutti lindi si porranno , essendo ignoranti, a far da guasta mestiere: e vi pare che questi possano apportare utile alla Republica, stroppiando cause, se prenderanno la via legale ? e quello ch'è peggio , che se per quella della medicina s'incamineranno quanti ne animazeranno impunemente ? Olere poi il discredito, che ne riceverebbono professioni (i nobili, per cagione di essi.  Sem. Mà perchè se ne prevalgono di questi?  Mec.  [ocr errors] Mm 4  Mec. Perchè la maggior parte, chc litigano sono ignoranti; e simili a questi ancora sono quelli, che si trovano malati; onde come potranno discerneru questi a che segno giunga la di loro abilità? ctanto più, che quantunque penuriando di dottrina i guasta mestieri, non si trovano già scarû di malizia, per dare ad intendere lucciole per lanterne quando vi sia duopo, essendo questi gran; mensognieri.  Sem. Quali voi crederefte, Mecenate, che potessero incaminarli per la via del le scienze con sicurezza maggiore?  Meo. Quelli solamenre a quali il Padre morendo in questo mentre , poresse lasciare 'ranto, che fosse sufficience a poter terminare i loro studj, cche fossero di buono ingegno; perchè se non saranno cali gertato averebbero quel danaro, e rimanendo mendichi, ed ignoranti, questi ancora fi porrebbero a fare molce viltà, e perciò l'Ecclesiast. al 27. csclama. Propter inopiam multi deliquerunt; de'quali così ebbe anco a dire Orazio .  Ma  Magnum pauperies opprobrium jubet.  Quiduis , @ facere, & pari,  Virtutisque viam deferit arduam.   Sem. A chi toccherebbe di farne la prova del loro ingeg:10 , e capacità ?  Mec. Niuno meglio de' loro maestri , che li avessero cominciati ad istruire sarebbe più a proposito; mà taluni di questi alle voltc consigliano i poveri Padri con poca carità a fare proseguire loro l'opera mal’incominciara .  Pub. Sapere, Mecenate, che non è disprezabile pensiero questo da voi apportato, e rifletto ora anch'io, che il voler porre con tanta facilità i poveri all'acquisto delle scienze possa essere una delle cagioni, che ritardano più tosto la buona educazione,e mi inaraviglio che non si dia già dato opportuno riparo a questo inconveniente,  Mec. Sicte pur pratico del mondo, e non riflettere , che non tutto arriva all' orecchie di chi vi può dare rimedio,perchè se vi giugnessero tutte le cose, quanti buoni regolamenti si prendereb  [ocr errors][merged small] Res  nale fac. 3:bero dalla vigilanza di effo.  Pub. Che imparassero i figliuoli de’ poveri, a leggere, scrivere , e l'abaco lo stimerei necessario ; mà che questi poi si applicassero alli studi delle scienze, non avendo nè capacità necessaria, nè modo da foftentarli, ora che voi ave. te mostrato tanti inconvenienti lo stimo dannoso anch'io.  Sem. Come fecero Publio, quei celebri filosofi antichi, i quali erano affatto privi de’beni di fortuna, a divenire così dotti; efsendomi stato raccontato di Diogene, che  appena  avesse una botte per  difendersi dall'inclemenze dell'aria : e di Socrate, chę altre di calcare sem, pre la terra co’piedi nudi, appena venisse ricoperto da un sordido mantello.  Pub. Affinchè meglio comprendiate la verità di quanto diffi, dovete sapere, che considera S. Tomaso la povertà in due maniere ; ove parla : Contra genti. Jes; cioè: aut ex coactâ neceffitate, aut ex propriâ voluntate. Questi filosofi da voi mentovati erano poveri; perchè non  [ocr errors][ocr errors][ocr errors] si curavano punto de'beni della fortuna,  e riputandoli dannosi non istudiavano  di cumulare richezze, quantunque das  queste 'venissero adescati . Mentre , che  non fece Alessandro il grande per ri-  muovere dalla sua bramata povertà  Diogene , quantunque in darno? Quan,   . to non fi adoperò Archelao per fare divenire ricco Socrate ? mà egli per liberarsi dalla di lui generosa importunità li fè intendere , che in Atene a vile prezzo  si vendevano le farine, e che colà le acto que nulla costavano; e perciò questa voin lontaria povertà, non folamente non li * contristava , mà serviva loro più tosto  di ajuto per la filosofia; come riferisce 1 Stobeo, fer.93, che confeffalse, l'isteiro  Diogene . Anzi Epicuro passò più oltre,  come si ricava da Seneca nell'epift. 2 1.   persuadendosi egli,che la volontaria poi vertà , la quale si uniforma alle leggi di  natura , non debba riputarsi povertà, į inà più tosto ricchezza superiore a tutte 3 le altre, di qual sentimento , oltre molti  altri filosofi, fù ancora Democrito; men  [ocr errors][ocr errors] tre  tre venendo egli interrogato, come ri. ferisce Scobeo, qual fosse il vero modo da divenire molto ricco, rispose : con divenire povero di desiderio.  Sem. Potrebbero dunque i nostri poveri figurandoli volontaria la loro forzata povertà, divenire Filosofi ancor efli.  Pub. Non è più quel tempo antico, nel quale i poveri si contentavano audrirli di solo pane, ed acqua , o di sole erbc , come riferisce Eliano, che faceffe Diogene; onde questa povertà volontaria, senza un special dono di Dio si renderà impollibile a conseguirsi .  Sem. Vorei sapere, perchè questa povertà forzata abbia da ritardare l'acquisto delle scienze, c la volontaria più tosto da promoverlo?  Pub. Perchè la forzata contrifta fortemente l'animo,apprendendo chi la sof. fre di essere infeliciffimo, dove che la volontaria, riputandoli per feliçità da cui si gode, lo rende sommamente cranquillo : Laonde chi mai coll'animo con,  [ocr errors] tristato potrà applicare a cose tanto serie, conforme sono le scienze ? le quali richiedono attenta meditazione da cui brama d'approfittarsene. Quindi è, che Aristotile nel primo della sua Etica ebbe con ragione a dire: Impoffibile eft indigentem operari bona ; e più chiaramente nel secondo della politica : Impoffibile eft inte digentem ftudio vacare ; c non potendosi i poveri di spontanea volontà chiamare in digentes,non milita contro di esli l'autorità di Aristotile; perchè questi hanno ciocche, fà d'vopo al loro necessario sostentamento, ed è ciò sufficiente per effi , avendolo fatto conoscere Socrate, riferito da Stobeo al serm. 95. allorchè diffe: Si res 'mea mibi non fufficiunt, du ego ipfis fufficio, as fic etiam ipfa mibi; al opposto i poveri, che non hanno povero il loro desiderio ancora , non li appagano punto di ciò, chè fi trovano , braman. do sempre di vantaggio, sembrando loro quanto hanno per esli insufficiente, c per tale cagione vivono perperuamente contristati. Or ditemi, Sempronio, se  [ocr errors][ocr errors] avere da dire altro intorno al morale?  Sem. Non altro certamente intorno a questo, e credo di avere udito tanto, che se me ne approfitterò saprò scegliere la noglie approposito , ed allevare nel buon costume anche i miei figliuoli, che nasceranno : mi rimane solamente di sentire dal Dottore, quali vantaggi potrebbe apportare all'educazione la Medicina, e specialmente in quei figliuoli  , che ricalcitrano nello approfittarfi de buoni documenti morali.  Med. Di questo ne tratteremo nella ma Parte . seconda parte  Il fine della Prima Parte.Grice: “I like Gagliardi. In honest Italian prose, he manages to write a treatise for the week: the first day (or giornata) and so forth. It is an empirical ethical treatise along Aristotelian lines of the type I classify as ‘is’ rather than ‘ought’. Recall that the fundamental question I pose for pragmatics is why maxims ought to be followed rather than being, as they are, mainly and ceteris paribus followed! My answer to that is in three stages, and the first ‘answer, dull and empirical’ is that the maxims ARE, as a matter of EMPIRICAL fact, followed. This far Gagliardi goes – and succeeds!” – Grice: “He wrote extensively, knowing British parents, how a father must take care of his son, or at least find him a good tutor!” Domenico Gagliardi. Gagliardi. Keywords: “a dull (if at a certain level adequate) answer to the fundamental question about the conversational categoric imperative”; moralia, etica, mos, ethos – Grice on morality – morals – educazione – “We learn not to tell lies from our parents” Hardie, Ethica Nichomachaea, la formazione del carattere.  “Empirical fact we’ve learned since childhood and it would be difficult to diverge from the practice” – “This is a dull empirical.” --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gagliardi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691219431/in/photolist-2mPYy6p-2mPqEYR-2mKRfHn-2mKCfz1-2mKM1De-mw5RV7-mw5QTh-mw5PVA-mw4r44-mw2gNX-mw2JS4-mw5LT3-mw3Tvr-mw2Mpi-mw2eZ6-mw264R-mw45RG-mw2QUp-mw2Ton-mw27EB

 

Galetti. Filosofo. Emporium.

 

Grice e Galilei – Eppur si muove -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pisa). Filosofo. Galileo Galilei. Grice: “His father was, like mine, a musician.” – “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”. Personaggio chiave della rivoluzione scientifica, per aver esplicitamente introdotto il metodo scientifico (detto anche "metodo galileiano" o "metodo sperimentale"), il suo nome è associato a importanti contributi in fisica e in astronomia. Di primaria importanza fu anche il ruolo svolto nella rivoluzione astronomica, con il sostegno al sistema eliocentrico e alla teoria copernicana. I suoi principali contributi al pensiero filosofico derivano dall'introduzione del metodo sperimentale nell'indagine scientifica grazie a cui la scienza abbandonava, per la prima volta, quella posizione metafisica che fino ad allora predominava, per acquisire una nuova, autonoma prospettiva, sia realistica che empiristica, volta a privilegiare, attraverso il metodo sperimentale, più la categoria della quantità (attraverso la determinazione matematica delle leggi della natura) che quella della qualità (frutto della passata tradizione indirizzata solo alla ricerca dell'essenza degli enti) per elaborare ora una descrizione razionale oggettiva[N 6] della realtà fenomenica. Sospettato di eresia e accusato di voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture, Galilei fu processato e condannato dal Sant'Uffizio, nonché costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura delle sue concezioni astronomiche e al confino nella propria villa di Arcetri. Nel corso dei secoli il valore delle opere di Galilei venne gradualmente accettato dalla Chiesa, e 359 anni dopo, il 31 ottobre 1992, papa Giovanni Paolo II, alla sessione plenaria della Pontificia accademia delle scienze, riconobbe "gli errori commessi" sulla base delle conclusioni dei lavori cui pervenne un'apposita commissione di studio da lui istituita nel 1981, riabilitando Galilei. La casa natale di Galilei  Abitazione all'800  Abitazione in via Giusti Dal libretto di battesimo di Galileo riportante come luogo "in Chapella di S.to Andrea", si credeva fino alla fine dell'800 che Galileo potesse essere nato vicino alla cappella di Sant'Andrea in Kinseca nella fortezza San Gallo, il che presumeva che il padre Vincenzo fosse un militare. In seguito fu identificata casa Ammannati, vicino alla Chiesa di Sant'Andrea Forisportam, come la vera casa natale. Nacque a Pisa, figlio di Vincenzo Galilei e di Giulia Ammannati. Gli Ammannati, originari del territorio di Pistoia e di Pescia, vantavano importanti origini; Vincenzo Galilei invece apparteneva ad una casata più umile, per quanto i suoi antenati facessero parte della buona borghesia fiorentina. Vincenzo era nato a Santa Maria a Monte, quando ormai la sua famiglia era decaduta ed egli, musicista di valore, dovette trasferirsi a Pisa unendo all'esercizio dell'arte della musica, per necessità di maggiori guadagni, la professione del commercio.  La famiglia di Vincenzo e di Giulia, contava oltre Galileo: Michelangelo Galilei, che fu musicista presso il granduca di Baviera, Benedetto Galilei, morto in fasce. Dopo un tentativo fallito di inserire Galileo tra i quaranta studenti toscani che venivano accolti gratuitamente in un convitto di Pisa, fu ospitato "senza spese" da Tebaldi, doganiere della città di Pisa, padrino di battesimo di Michelangelo Galilei, e tanto amico di Vincenzo da provvedere alle necessità della famiglia durante le sue lunghe assenze per lavoro. A Pisa, Galilei conobbe Bartolomea Ammannati che curava la casa del rimasto vedovo Tebaldi il quale, nonostante la forte differenza d'età, la sposò, probabilmente per metter fine alle malignità, imbarazzanti per la famiglia Galilei, che si facevano sul conto della giovane nipote. Successivamente fece i suoi primi studi a Firenze, prima col padre, poi con un maestro di dialettica e infine nella scuola del convento di Santa Maria di Vallombrosa, dove vestì l'abito di novizio. Vincenzo iscrisse il figlio a Pisa con l'intenzione di fargli studiare medicina, per fargli ripercorrere la tradizione del suo glorioso antenato Galileo Bonaiuti e soprattutto per fargli intraprendere una carriera che poteva procurare lucrosi guadagni.  Nonostante il suo interesse per i progressi sperimentali di quegli anni, la sua attenzione fu presto attratta dalla semiotica, la logica, e la matematica – lo studio del segno -- che comincia a studiare dall'estate del 1583, sfruttando l'occasione della conoscenza fatta a Firenze di Ostilio Ricci da Fermo, un seguace della scuola matematica di Tartaglia. Caratteristica del Ricci era l'impostazione che egli dava all'insegnamento della matematica: non di una scienza astratta o formale, ma di una disciplina materiale che servisse a risolvere i problemi pratici legati alla meccanica e alle tecniche ingegneristiche. Fu, infatti, la linea di studio "Tartaglia-Ricci" (prosecutrice, a sua volta, della tradizione facente capo ad Archimede) a insegnare a Galileo l'importanza della precisione nell'osservazione dei dati e il lato ‘prammatico’ della ricerca scientifica. È probabile che a Pisa abbia seguito anche i corsi di filosofia naturale (fisica) tenuti dall'aristotelico Bonamici. Durante la sua permanenza a Pisa arriva alla sua prima, personale scoperta, che chiama l' “iso-cronismo” nelle oscillazioni di un pendolo. Rinuncia a proseguire gli studi di medicina e anda a Firenze, dove approfondì i suoi nuovi interessi, occupandosi di meccanica e di idraulica. Trova una soluzione al "problema della corona" di Gerone inventando uno strumento per la determinazione idrostatica del peso specifico dei “corpi”.  L'influsso di Archimede e dell'insegnamento del Ricci si rileva anche nei suoi studi sul centro di gravità dei solidi. Cerca intanto una regolare sistemazione economica: oltre a impartire lezioni private a Firenze e a Siena, andò a Roma a richiedere una raccomandazione per entrare nello Studio di Bologna a Clavius, ma inutilmente, perché a Bologna gli preferirono alla cattedra Magini. Su invito dell'Accademia Fiorentina tenne due Lezioni circa la figura, sito e grandezza dell'Inferno, difendendo le ipotesi già formulate da  Manetti sulla topografia dell'Inferno. Galilei si rivolse allora a Monte, matematico conosciuto tramite uno scambio epistolare su questioni matematiche. Monte e fondamentale nell'aiutare Galilei a progredire nella carriera universitaria, quando, superando l'inimicizia di Giovanni de' Medici, un figlio naturale di Cosimo de' Medici, lo raccoma al fratello cardinale Francesco Maria Del Monte, che a sua volta parlò con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la sua protezione, ebbe un contratto triennale per una cattedra a Pisa, dove espose chiaramente il suo programma, procurandosi subito una certa ostilità nell'ambiente accademico di formazione aristotelica. Il metodo che sigue e quello di far dipendere quel che si dice da quel che si è detto, senza mai supporre come vero quello che si deve spiegare. Questo metodo me l'hanno insegnato i miei matematici, mentre non è abbastanza osservato da certi filosofi quando insegnano elementi fisici. Per conseguenza quelli che imparano, non sanno mai le cose dalle loro cause, ma le credono solamente per fede, cioè perché le ha dette Aristotele. Se poi sarà vero quello che ha detto Aristotele, sono pochi quelli che indagano; basta loro essere ritenuti più dotti perché hanno per le mani maggior numero di testi aristotelici [...] che una tesi sia contraria all'opinione di molti, non m'importa affatto, purché corrisponda alla esperienza e alla ragione”. Frutto dell'insegnamento pisano è “De motu antiquiora”, che raccoglie una serie di lezioni nelle quali egli cerca di dar conto del problema del movimento. Base delle sue ricerche è il trattato, pubblicato a Torino, “Diversarum speculationum mathematicarum liber d Benedetti, uno dei fisici sostenitori della teoria dell'impeto come causa del moto violento. Benché non si sapesse definire la natura dell’impeto impresso a un corpo, questa teoria, elaborata da  Filopono e poi sostenuta dai fisici parigini, pur non essendo in grado di risolvere il problema, si opponeva alla tradizionale spiegazione aristotelica del movimento come prodotto del mezzo nel quale il corpo animato stesso si muove. A Pisa Galilei non si limitò alle sole occupazioni scientifiche: risalgono infatti a questo periodo le sue “Considerazioni sul Tasso” che avrebbero avuto un seguito con le Postille all'Ariosto. Si tratta di note sparse su fogli e annotazioni a margine nelle pagine dei suoi volumi della Gerusalemme e dell'Orlando furioso dove, mentre rimprovera al Tasso la scarsezza della fantasia e la monotonia lenta dell'immagine e del verso, ciò che ama nell'Ariosto non è solo lo svariare dei bei sogni, il mutar rapido delle situazioni, la viva elasticità del ritmo, ma l'equilibrio armonico di questo, la coerenza dell'immagine l'unità organica – pur nella varietà – del fantasma poetico. La morte del padre lo lasciando l'onere di mantenere tutta la famiglia: per il matrimonio della sorella Virginia, dovette provvedere alla dote, contraendo dei debiti, così come avrebbe poi dovuto fare per le nozze della sorella Livia con Galletti, e altri denari avrebbe dovuto spendere per soccorrere le necessità della numerosa famiglia del fratello Michelangelo. Del Monte intervenne ad aiutare nuovamente, raccomandandolo al prestigioso Studio di Padova, dove era ancora vacante una catedra dopo la morte di Moleti. Le autorità della Repubblica di Venezia emanarono il decreto di nomina, con un contratto, prorogabile, di quattro anni e con uno stipendio di 180 fiorini l'anno. Tenne a Padova il discorso introduttivo e dopo pochi giorni cominciò un corso destinato ad avere un grande seguito presso gli studenti. Vi sarebbe restato per diciotto anni, che avrebbe definito «li diciotto anni migliori di tutta la mia età. Arriva a Venezia solo pochi mesi dopo l'arresto di Bruno a Venezia. Nel dinamico ambiente di Padova (risultato anche del clima di relativa tolleranza religiosa garantito dalla Repubblica veneziana),  intrattenne rapporti cordiali anche con personalità di orientamento filosofico lontano dal suo, come Cremonini, filosofo rigorosamente aristotelico. Frequenta anche i circoli colti e gli ambienti senatoriali di Venezia, dove strinse amicizia con Sagredo, che Galilei rese protagonista del suo Dialogo sopra i massimi sistemi, e Sarpi, esperto di semiotica. È contenuta proprio nella lettera  al frate servita la formulazione della legge sulla caduta dei gravi. Gli spazii passati dal moto naturale esser in proportione doppia dei tempi, e per conseguenza gli spazii passati in tempi eguali esser come ab unitate, et le altre cose. Et il principio è questo: che il mobile naturale vadia crescendo di velocità con quella proportione che si discosta dal principio del suo moto. Galileo tiene a Padova lezioni di meccanica: il suo “Trattato di meccaniche” dovrebbe essere il risultato dei suoi corsi, che avevano avuto origine dalle “Questioni meccaniche” di Aristotele.  A Padova Galileo attrezza con l'aiuto di un artigiano che abitava nella sua stessa casa, una officina nella quale eseguiva esperimenti e fabbricava strumenti che vendeva per arrotondare lo stipendio. Perla macchina per portare l'acqua a livelli più alti ottenne dal Senato veneto un brevetto ventennale per la sua utilizzazione pubblica. Da anche lezioni private e ottenne aumenti di stipendio: dai 320 fiorini percepiti annualmente passa ai 1.000.  Una nuova stella fu osservata d’Altobelli, il quale ne informò Galilei. Luminosissima, fu osservata successivamente anche da Keplero, che ne fece oggetto di uno studio, il De Stella nova in pede Serpentarii. Su quel fenomeno astronomico Galileo tenne tre lezioni, il cui testo non ci è noto, ma contro le sue argomentazioni scrisse un opuscolo Lorenzini, sedicente aristotelico originario di Montepulciano,su suggerimento di Cremonini, e intervenne a sua volta con un opuscolo anche Capra. Interpreta il fenomeno della ‘nuova stella’ come prova della mutabilità dei cieli, sulla base del fatto che, non presentando la "nuova stella" alcun cambiamento di parallasse, essa dovesse trovarsi oltre l'orbita della Luna. A favore della tesi si pubblica “Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nuova. Ronchitti difende la validità del metodo della parallasse per determinare la distanza minima di cose accessibili all'osservatore solo visivamente, quali sono gli astri. Rimane incerta l'attribuzione del dialogo, se cioè sia opera dello stesso Galilei o di Spinelli. Compose due trattati sulla fortificazione, la Breve introduzione all'architettura militare e il Trattato di fortificazione. Fabbricò un compasso, che descrisse in “Le operazioni del compasso geometrico et militare” (Padova). Il compasso era strumento già noto e, in forme e per usi diversi, già utilizzato, né Galileo pretese di attribuirsi particolari meriti per la sua invenzione; ma Capra lo accusa di aver plagiato una sua precedente invenzione. Ribalta le accuse di Capra, ottenendone la condanna da parte dei Riformatori dello Studio padovano e pubblicò una Difesa contro alle calunnie et imposture di Baldessar Capra milanese, dove ritorna anche sulla precedente questione della nuova stella. L'apparizione della nuova stella crea grande sconcerto nella società e Galileo non disdegna di approfittare del momento per elaborare, su commissione, oroscopi personali, al prezzo di 60 lire venete. Peraltro, e messo sotto accusa dall'Inquisizione di Padova a seguito di una denuncia di un suo ex-collaboratore, che lo aveva accusato precisamente di aver effettuato oroscopi e di aver sostenuto che gli astri determinano le scelte dell'uomo. Il procedimento, però, fu energicamente bloccato dal Senato della Repubblica veneta e il dossier dell'istruttoria venne insabbiato, così che di esso non giunse mai alcuna notizia all'Inquisizione romana, ossia al Sant'Uffizio. Il caso venne probabilmente abbandonato anche perché Galileo si era occupato di astrologia natale e non di astrologia pro-gnostica o previsionale.  La sua fama come autore di oroscopi gli portò richieste, e senza dubbio pagamenti più sostanziosi, da parte di cardinali, principi e patrizi, compresi Sagredo, Morosini e qualcuno che si interessava a Sarpi. Scambia lettere con Gualterotti, e, nei casi più difficili, con Brenzoni. Tra i temi natali calcolati e interpretati figurano quelli delle sue due figlie, Virginia e Livia, e il suo proprio, calcolato tre volte. Il fatto che si dedicasse a questa attività anche quando non era pagato per farlo suggerisce che egli vi attribuisse un qualche valore. Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono. (if you see that p, because you want that p). Non sembra che, nella polemica sulla "nuova stella", Galilei si fosse già pubblicamente pronunciato a favore della teoria elio-centrica di Copernico. Si ritiene che egli, pur intimamente convinto copernicano, pensasse di non disporre ancora di prove sufficientemente forti da ottenere invincibilmente l'assenso della universalità dei filosofi. Tuttavia, espressa privatamente la propria adesione al copernicanesimo a Keplero – che aveva pubblicato il suo Prodromus dissertationum cosmographicarum scriveva. Ho già scritto molte argomentazioni e molte confutazioni degli argomenti avversi, ma finora non ho osato pubblicarle, spaventato dal destino dello stesso Copernico, nostro maestro. Questi timori, però, svaniranno proprio grazie al cannocchiale, che Galileo punterà per la prima volta verso il cielo. Di ottica si erano occupati già Porta nella sua Magia naturalis e nel De refractione e Keplero negli Ad Vitellionem paralipomena, opere dalle quali era possibile pervenire alla costruzione del cannocchiale. Lo strumento fu costruito indipendentemente da Lippershey, un ottico tedesco naturalizzato olandese. Galileo decise allora di preparare un tubo di piombo, applicandovi all'estremità due lenti, ambedue con una faccia piena e con l’altra sfericamente concava nella prima lente e convessa nella seconda. Quindi, accostando l’occhio alla lente concava, percepii l’astro abbastanza grande e vicino, in quanto essi apparivano tre volte più prossimi e nove volte maggiori di quel che risultavano guardati con la sola vista naturale. Presenta l'apparecchio come sua costruzione al governo di Venezia che, apprezzando l'invenzione, gli raddoppiò lo stipendio e gli offrì un contratto vitalizio d'insegnamento. L'invenzione, la riscoperta e la ricostruzione del cannocchiale non è un episodio che possa destare grande ammirazione. La novità sta nel fatto che Galileo è il primo a portare questo strumento, usandolo in maniera prettamente logica e concependolo come un potenziamento del sentire – il vedere. La grandezza di Galileo nei riguardi del cannocchiale è stata proprio questa. Supera tutta una serie di ostacoli concettuali (cf. Galileo sees that the star is nice +> without a telescope – I could see the cow from the window) -- utilizzando suddetto strumento per rafforzare le proprie tesi.  Grazie al cannocchiale, Galileo propone una nuova visione del mondo celeste. Giunge alla conclusione che, alle stelle visibili ad occhio nudo, si aggiungono altre innumerevoli stelle mai scorte prima d’ora. L'Universo, dunque, diventa più grande; Non c’è differenza di natura fra la Terra e la Luna. Galileo arreca così un duro colpo alla visione aristotelico-tolemaica geo-centrica del mondo, sostenendo che la superficie della Luna non è affatto liscia e levigata bensì ruvida, rocciosa e costellata di ingenti prominenze. Quindi, tra gli astri, almeno la Luna non possiede i caratteri di assoluta perfezione che ad essa erano attribuiti dalla tradizione. Inoltre, la Luna si muove, e allora perché non dovrebbe muoversi anche la Terra che è simile dal punto di vista della costituzione? Vengono scoperti i un satellite di Giove, che Galileo denomina “la stelle medicea”. Questa consapevolezza l’offre l'insperata visione in cielo di un modello più piccolo dell'universo copernicano. Le scoperte furono pubblicate nel Sidereus Nuncius, una copia del quale Galileo invia a Cosimo II, insieme con un esemplare del suo cannocchiale e la dedica dei quattro satelliti, battezzati da Galileo in un primo tempo Cosmica Sidera e successivamente Medicea Sidera («pianeti medicei»). È evidente l'intenzione di Galileo di guadagnarsi la gratitudine della Casa medicea, molto probabilmente non soltanto ai fini del suo intento di ritornare a Firenze, ma anche per ottenere un'influente protezione in vista della presentazione, di fronte al pubblico degli studiosi, di quelle novità, che certo non avrebbero mancato di sollevare polemiche. Chiede a Vinta, Primo Segretario di Cosimo II, di essere assunto allo Studio di Pisa, precisando. Quanto al titolo et pretesto del mio servizio, io desidererei, oltre al nome di Matematico, che S. A. ci aggiugnesse quello di “filosofo”, professando io di havere studiato più anni in filosofia, che mesi in matematica pura. Il governo fiorentino comunica a Galileo l'avvenuta assunzione come «Matematico primario dello Studio di Pisa et di” “Filosofo” del Ser.mo Gran Duca, senz'obbligo di leggere e di risiedere né nello Studio né nella città di Pisa, et con lo stipendio di mille scudi l'anno, moneta fiorentin. Galileo firma il contratto e raggiunse Firenze.  Qui giunto si premura di regalare a Ferdinando, figlio del granduca Cosimo, la migliore lente ottica che aveva realizzato nel suo laboratorio organizzato quando era a Padova dove, con l'aiuto dei mastri vetrai di Murano confezionava occhialetti sempre più perfetti e in tale quantità da esportarli, come fece con il cannocchiale mandato all'elettore di Colonia il quale a sua volta lo prestò a Keplero che ne fece buon uso e che, grato, concluse la sua opera Narratio de observatis a se quattuor Jovis satellitibus erronibus, così scrivendo. “Vicisti Galilaee” -- riconoscendo la verità delle scoperte di Galilei. Ferdinando ruppe la lente. Galilei gli regala qualcosa di meno fragile: una calamita armata, cioè fasciata da una lamina di ferro, opportunamente posizionata, che ne aumenta la forza d'attrazione in modo tale che, pur pesando solo sei once, il magnete sollevava quindici libbre di ferro lavorato in forma di sepolcro. In occasione del trasferimento a Firenze lascia la sua convivente, la veneziana Marina Gamba, conosciuta a Padova, dalla quale aveva avuto tre figli: Virginia e Livia, mai legittimate, e Vincenzio, che riconobbe. Affida a Firenze la figlia Livia alla nonna, con la quale già convive l'altra figlia Virginia, e lascia Vincenzio a Padova alle cure della madre e poi, dopo la morte di questa, a Bartoluzzi.  In seguito, resasi difficile la convivenza delle due bambine con Ammannati, Galileo fece entrare le figlie nel convento di San Matteo, ad Arcetri (Firenze), costringendole a prendere i voti non appena compiuti i rituali sedici anni. Virginia assunse il nome di suor Maria Celeste, e Livia quello di suor Arcangela, e mentre Virginia Galilei si rassegna alla sua condizione e rimase in contatto epistolare con il padre, Livia non accetta mai l'imposizione. La pubblicazione del Sidereus Nuncius suscita apprezzamenti ma anche diverse polemiche. Oltre all'accusa di essersi impossessato, con il cannocchiale, di una scoperta che non gli apparteneva, fu messa in dubbio anche la realtà di quanto egli asseriva di aver scoperto. Sia Cremonini, sia Magini, che sarebbe l'ispiratore del libello “Brevissima peregrinatio contra Nuncium Sidereum” da Horký, pur accogliendo l'invito di Galilei a guardare attraverso il telescopio che egli aveva costruito, ritennero di *non* vedere alcun supposto satellite di Giove.  Solo più tardi Magini si ricredette e con lui anche Clavius, che aveva ritenuto che i satelliti di Giove individuati da Galilei fossero soltanto un'”illusione” prodotta non direttamente dal corpo di Galileo mai dalla lente del telescopio. Quest’obiezione e difficilmente confutabile. Conseguente sia alla bassa qualità del sistema ottico del primo telescopio, sia all'ipotesi che la lente potessero deformer la vision natural all’occhio nudo. Un appoggio molto importante fu dato a Galileo da Keplero, che, dopo un iniziale scetticismo e una volta costruito un telescopio sufficientemente efficiente, verifica l'esistenza effettiva dei satelliti di Giove, pubblicando a Francoforte la “Narratio de observatis a se quattuor Jovis satellitibus erronibus quos Galilaeus Galilaeus mathematicus florentinus jure inventionis Medicaea sidera nuncupavit”. Poiché i gesuiti del Collegio Romano sono considerati tra le maggiori autorità scientifiche del tempo, si recò a Roma per presentare le sue scoperte. Fu accolto con tutti gli onori da Paolo V e da Cesi, che lo iscrisse nei Lincei. Galileo scrive a Vinta che i gesuiti avendo finalmente conosciuta la verità dei nuovi Pianeti Medicei, ne hanno fatte da due mesi in qua continue osservazioni, le quali vanno proseguendo; e le aviamo “riscontrate con le mie” e si rispondano giustissime. Però, a quel tempo non sapeva ancora che l'entusiasmo con il quale anda diffondendo e difendendo le proprie scoperte e teorie suscita resistenze e sospetti precisamente in ambito ecclesiastico.  Bellarmino incarica i matematici vaticani di approntargli una relazione sulle nuove scoperte fatte da un valente matematico per mezo d'un istrumento chiamato cannone overo ochiale e la Congregazione del Santo Uffizio precauzionalmente chiese all'Inquisizione di Padova se fosse mai stato aperto, in sede locale, qualche procedimento a carico di Galilei. Evidentemente, la Curia Romana comincia già a intravedere quali conseguenze avrebbero potuto avere questi singolari sviluppi della filosofia sulla concezione generale del mondo e quindi, indirettamente, sui sacri principi del cristanensimo. Scrisse il Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua, o che in quella si muovono, nel quale appoggiandosi alla teoria di Archimede dimostra, contro Aristotele, che i corpi galleggiano o affondano nell'acqua a seconda del loro peso specifico non della loro forma, provocando la polemica risposta del Discorso apologetico d'intorno al Discorso di Galileo Galilei di Colombe. Al Pitti, presenti il granduca, la granduchessa Cristina e Barberini, allora suo grande ammiratore, diede una pubblica dimostrazione sperimentale dell'assunto, confutando definitivamente Colombe.  Galilei accenna anche alle macchie solari, che sosteniene di aver già osservate a Padova, senza però darne notizia: scrisse ancora, l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti, pubblicata a Roma dall'Accademia dei Lincei, in risposta a tre lettere di Scheiner che, indirizzate a Welser, duumviro di Augusta, mecenate delle scienze e amico dei Gesuiti dei quali era banchiere. A parte la questione della priorità della scoperta, Scheiner sosteneva erroneamente che le macchie consistevano in sciami di astri rotanti intorno al Sole, mentre Galileo le considerava materia fluida appartenente alla superficie del Sole e ruotante intorno ad esso proprio a causa della rotazione stessa della stella.  L'osservazione delle macchie consentì, quindi, a Galileo la determinazione del periodo di rotazione del Sole e la dimostrazione che il cielo e la terra non erano due mondi radicalmente diversi, il primo solo perfezione e immutabilità e il secondo tutto variabile e imperfetto. Infatti, ribadì a Federico Cesi la sua visione copernicana scrivendo come il Sole si rivolgesse «in sé stesso in un mese lunare con rivoluzione simile all'altre de i pianeti, cioè da ponente verso levante intorno a i poli dell'eclittica: la quale novità dubito che voglia essere il funerale o più tosto l'estremo e ultimo giudizio della pseudofilosofia, essendosi già veduti segni nelle stelle, nella luna e nel sole; e sto aspettando di veder scaturire gran cose dal Peripato per mantenimento della immutabilità de i cieli, la quale non so dove potrà esser salvata e celata». Anche l'osservazione del moto di rotazione del Sole e dei pianeti era molto importante: rendeva meno inverosimile la rotazione terrestre, a causa della quale la velocità di un punto all'equatore sarebbe di circa 1700 km/h anche se la Terra fosse immobile nello spazio. La scoperta delle fasi di Venere e di Mercurio, osservate da Galileo, non era compatibile col modello geocentrico di Tolomeo, ma solo con quello geo-eliocentrico di Tycho Brahe, che Galileo non prese mai in considerazione, e con quello eliocentrico di Copernico. Galileo, scrivendo a Giuliano de' Medici il 1º gennaio 1611, affermava che «Venere necessarissimamente si volge intorno al sole, come anche Mercurio e tutti li altri pianeti, cosa ben creduta da tutti i Pittagorici, Copernico, Keplero e me, ma non sensatamente[N 36] provata, come ora in Venere e in Mercurio». Difese il modello eliocentrico e chiarì la sua concezione della scienza in quattro lettere private, note come "lettere copernicane" e indirizzate a padre Benedetto Castelli, due a monsignor Pietro Dini, una alla granduchessa madre Cristina di Lorena.  L'horror vacui Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Vuoto (filosofia). Secondo la dottrina aristotelica in natura il vuoto non esiste poiché ogni corpo terreno o celeste occupa uno spazio che fa parte del corpo stesso. Senza corpo non c'è spazio e senza spazio non esiste corpo. Sostiene Aristotele che "la natura rifugge il vuoto" (natura abhorret a vacuo), e perciò lo riempie costantemente; ogni gas o liquido tenta sempre di riempire ogni spazio, evitando di lasciarne porzioni vuote. Un'eccezione però a questa teoria era l'esperienza per la quale si osservava che l'acqua aspirata in un tubo non lo riempiva del tutto ma ne rimaneva inspiegabilmente una parte che si riteneva fosse del tutto vuota e perciò dovesse essere colmata dalla Natura; ma questo non si verificava. Galilei rispondendo a una lettera inviatagli nel 1630 da un cittadino ligure Giovan Battista Baliani confermò questo fenomeno sostenendo che «la ripugnanza del vuoto da parte della Natura» può essere vinta, ma parzialmente, e che, anzi, «lui stesso ha provato che è impossibile far salire l’acqua per aspirazione per un dislivello superiore a 18 braccia, circa 10 metri e mezzo. Galilei quindi crede che l'horror vacui sia limitato e non si chiede se in effetti il fenomeno fosse collegato al peso dell'aria, come dimostrerà Evangelista Torricelli.  La disputa con la Chiesa Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Disputa tra Galileo Galilei e la Chiesa. La denuncia del domenicano Tommaso Caccini. Il cardinale Roberto Bellarmino Il 21 dicembre 1614, dal pulpito di Santa Maria Novella a Firenze il frate domenicano Tommaso Caccini lanciava contro certi matematici moderni, e in particolare contro Galileo, l'accusa di contraddire le Sacre Scritture con le loro concezioni astronomiche ispirate alle teorie copernicane. Giunto a Roma, il 20 marzo 1615, Caccini denunciò Galileo in quanto sostenitore del moto della Terra intorno al Sole. Intanto a Napoli era stato pubblicato il libro del teologo carmelitano Paolo Antonio Foscarini, la Lettera sopra l'opinione de' Pittagorici e del Copernico, dedicata a Galileo, a Keplero e a tutti gli accademici dei Lincei, che intendeva accordare i passi biblici con la teoria copernicana interpretandoli «in modo tale che non gli contradicano affatto». Bellarmino, già giudice nel processo di Giordano Bruno, tuttavia affermava che sarebbe stato possibile reinterpretare i passi della Scrittura che contraddicevano l'eliocentrismo solo in presenza di una vera dimostrazione di esso e, non accettando le argomentazioni di Galileo, aggiungeva che finora non gliene era stata mostrata nessuna, e sosteneva che comunque, in caso di dubbio, si dovessero preferire le sacre scritture.  L'anno dopo il Foscarini verrà, per breve tempo, incarcerato e la sua Lettera proibita. Intanto il Sant'Uffizio stabilì, il 25 novembre 1615, di procedere all'esame delle Lettere sulle macchie solari e Galileo decise di venire a Roma per difendersi personalmente, appoggiato dal granduca Cosimo: «Viene a Roma il Galileo matematico» – scriveva Cosimo II al cardinale Scipione Borghese – «et viene spontaneamente per dar conto di sé di alcune imputazioni, o più tosto calunnie, che gli sono state apposte da' suoi emuli».  Il papa ordinò a Bellarmino di convocare Galileo e di ammonirlo di abbandonare la suddetta opinione; e se si fosse rifiutato di obbedire, il Padre Commissario, davanti a un notaio e a testimoni, di fargli precetto di abbandonare del tutto quella dottrina e di non insegnarla, non difenderla e non trattarla». Il cardinale Bellarmino diede comunque a Galileo una dichiarazione in cui venivano negate abiure ma in cui si ribadiva la proibizione di sostenere le tesi copernicane: forse gli onori e le cortesie ricevute malgrado tutto, fecero cadere Galileo nell'illusione che a lui fosse permesso quello che ad altri era vietato. Comparvero nel cielo tre comete, fatto che attirò l'attenzione e stimolò gli studi degli astronomi di tutta Europa. Fra essi il gesuita Orazio Grassi, matematico del Collegio Romano, tenne con successo una lezione che ebbe vasta eco, la Disputatio astronomica de tribus cometis anni MDCXVIII: con essa, sulla base di alcune osservazioni dirette e di un procedimento logico-scolastico, egli sosteneva l'ipotesi che le comete fossero corpi situati oltre al «cielo della Luna» e la utilizzava per avvalorare il modello di Tycho Brahe, secondo il quale la Terra è posta al centro dell'universo, con gli altri pianeti in orbita invece intorno al Sole, contro l'ipotesi eliocentrica.  Galilei decise di replicare per difendere la validità del modello copernicano. Rispose in modo indiretto, attraverso lo scritto Discorso delle comete di un suo amico e discepolo, Mario Guiducci, ma in cui la mano del maestro era probabilmente presente. Nella sua replica Guiducci sosteneva erroneamente che le comete non erano oggetti celesti, ma puri effetti ottici prodotti dalla luce solare su vapori elevatisi dalla Terra, ma indicava anche le contraddizioni del ragionamento di Grassi e le sue erronee deduzioni dalle osservazioni delle comete con il cannocchiale. Il gesuita rispose con uno scritto intitolato Libra astronomica ac philosophica, firmato con lo pseudonimo anagrammatico di Lotario Sarsi, attaccava direttamente Galilei e il copernicanesimo.  Galilei a questo punto rispose direttamente: fu pronto il trattato Il Saggiatore. Scritto in forma di lettera, fu approvato dagli accademici dei Lincei e stampato a Roma. Dopo la morte di papa Gregorio XV, con il nome di Urbano VIII saliva al soglio pontificioBarberini, da anni amico ed estimatore di Galileo. Questo convinse erroneamente Galileo che risorge la speranza, quella speranza che era ormai quasi del tutto sepolta. Siamo sul punto di assistere al ritorno del prezioso sapere dal lungo esilio a cui era stato costrett, come scritto al nipote del papa Francesco Barberini. Galileo resenta una teoria rivelatasi successivamente erronea delle comete come apparenze dovute ai raggi solari. In effetti, la formazione della chioma e della coda delle comete, dipendono dall'esposizione e dalla direzione delle radiazioni solari, dunque Galilei non aveva tutti i torti e Grassi ragione, il quale essendo avverso alla teoria copernicana, non poteva che avere un'idea sui generis dei corpi celesti. La differenza tra le argomentazioni di Grassi e quella di Galileo era tuttavia soprattutto di metodo, in quanto il secondo basava i propri ragionamenti sulle esperienze. Galileo scrisse infatti la celebre metafora secondo la quale la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi “(io dico l'universo)” mettendosi in contrasto con Grassi che si richiamava all'autorità dei maestri del passato e di Aristotele per l'accertamento della verità sulle questioni naturali.  Giunse a Roma per rendere omaggio al papa e strappargli la concessione della tolleranza della Chiesa nei confronti del sistema copernicano, ma nelle sei udienze concessegli da Urbano VIII non ottenne da questi alcun impegno preciso in tal senso. Senza nessuna assicurazione ma con il vago incoraggiamento che gli veniva dall'esser stato onorato da papa Urbano – che concesse una pensione al figlio Vincenzio – Galileo ritenne di poter rispondere finalmente, nel settembre del 1624, alla Disputatio di Francesco Ingoli. Reso formale omaggio all'ortodossia cattolica, nella sua risposta Galileo dovrà confutare le argomentazioni anticopernicane dell'Ingoli senza proporre quel modello astronomico, né rispondere alle argomentazioni teologiche. Nella Lettera Galileo enuncia per la prima volta quello che sarà chiamato il principio della relatività galileiana: alla comune obiezione portata dai sostenitori della immobilità della Terra, consistente nell'osservazione che i gravi cadono perpendicolarmente sulla superficie terrestre, anziché obliquamente, come apparentemente dovrebbe avvenire se la Terra si muovesse, Galileo risponde portando l'esperienza della nave nella quale, sia essa in movimento uniforme o sia ferma, i fenomeni di caduta o, in generale, dei moti dei corpi in essa contenuti, si verificano esattamente nello stesso modo, perché «il moto universale della nave, essendo comunicato all'aria ed a tutte quelle cose che in essa vengono contenute, e non essendo contrario alla naturale inclinazione di quelle, in loro indelebilmente si conserva».[65]  Dialogo Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Galilei comincia il suo nuovo lavoro, un Dialogo che, confrontando le diverse opinioni degli interlocutori, gli avrebbe consentito di esporre le varie teorie correnti sulla cosmologia, e dunque anche quella copernicana, senza mostrare di impegnarsi personalmente a favore di nessuna di esse. Ragioni di salute e familiari prolungarono la stesura dell'opera. Dovette prendersi cura della numerosa famiglia del fratello Michelangelo, mentre il figlio Vincenzio, laureatosi in legge a Pisa si sposa con Sestilia Bocchineri, sorella di Geri Bocchineri, uno dei segretari del duca Ferdinando, e di Alessandra. Per esaudire il desiderio della figlia Maria Celeste, monaca ad Arcetri, di averlo più vicino, affitta vicino al convento il villino «Il Gioiello». Dopo non poche vicissitudini per ottenere l'imprimatur ecclesiastico, l'opera venne pubblicata.  Nel Dialogo i due massimi sistemi messi a confronto sono quello geo-centrico e quello elio-centrico. Tre sono i protagonisti: due sono personaggi reali, amici di Galileo, Salviati e Sagredo, nello cui palazzo si fingono tenute la conversazione. Il terzo protagonista è ‘Simplicio,’ un commentatore di Aristotele, oltre a sottintendere il suo semplicismo scientifico. Simplicio è il sostenitore del sistema geo-centrico, mentre l'opposizione elio-centrica è sostenuta da Salviati e Sagredo. Il Dialogo ricevette molti elogi, ma si diffusero le voci di una proibizione. Riccardi scrive ad Egidi che per ordine del Papa il “Dialogo” non doveva più essere diffuso. Gli chiedeva di rintracciare le copie già vendute e di sequestrarle. Il Papa adirato accusa Galileo di aver raggirato i ministri che avevano autorizzato la pubblicazione. L’Inquisizione romana sollecita quella fiorentina perché notificasse a Galileo l'ordine di comparire a Roma entro il mese di ottobre davanti al Commissario generale del Sant'Uffizio. Galileo, in parte perché malato, in parte perché spera che la questione potesse aggiustarsi in qualche modo senza l'apertura del processo, ritarda per tre mesi la partenza; di fronte alla minacciosa insistenza del Sant'Uffizio, parte per Roma in lettiga.  Il processo comincia con il primo interrogatorio di Galileo, al quale Maculano contesta di aver ricevuto un precetto con il quale Bellarmino gli avrebbe intimato di abbandonare la teoria elio-centrica, di non sostenerla in nessun modo e di non insegnarla. Nell'interrogatorio Galileo nega di aver avuto conoscenza del precetto e sostenne di non ricordare che nella dichiarazione di Bellarmino vi fossero le parole “quovis modo” (in qualsiasi modo) e “nec docere” (non insegnare). Incalzato dall'inquisitore, Galileo non solo ammise di non avere detto cosa alcuna del sodetto precetto, ma anzi arriva a sostenere che nel detto Dialogo mostra il contrario di detta opinione del Copernico, e che le ragioni di Copernico sono invalide e non concludenti. Concluso il primo interrogatorio, Galileo fu trattenuto, pur sotto strettissima sorveglianza, in tre stanze del palazzo dell'Inquisizione, con ampia e libera facoltà di passeggiare. Il giorno successivo all'ultimo interrogatorio, nella sala capitolare del convento domenicano di Santa Maria sopra Minerva, presente e inginocchiato Galileo, fu emessa la sentenza dai inquisitori generali contro l'eretica pravità, nella quale si riassume la lunga vicenda del contrasto fra Galileo e il cristanesimo, cominciata con lo scritto Delle macchie solari e l'opposizione dei cristiani al modello Copernicano. Nella sentenza si sostiene poi che il documento fosse un'effettiva ammonizione a non difendere o insegnare la teoria copernicana.  Imposta l'abiura con cuor sincero e fede non finta e proibito il Dialogo, e condannato al carcere formale ad arbitrio nostro e alla pena salutare della recita settimanale dei sette salmi penitenziali per tre anni, riservandosi l'Inquisizione di moderare, mutare o levar in tutto o parte le pene e le penitenze. Se la leggenda della frase di Galileo, «E pur si muove», pronunciata appena dopo l'abiura, serve a suggerire la sua intatta convinzione della validità del modello copernicano, la conclusione del processo segna la sconfitta del suo programma di diffusione della filosofia, fondata sull'osservazione rigorosa dei fatti e sulla loro verifica sperimentale – contro il cristenesimo che produce esperienze come fatte e rispondenti al suo bisogno senza averle mai né fatte né osservate – e contro i pregiudizi del senso comune, che spesso induce a ritenere reale qualunque apparenza: una filosofia che insegna a non aver più fiducia nell'autorità, nella tradizione e nel senso commune e che vuole insegnare a pensare. La sentenza di condanna prevedeva un periodo di carcere a discrezione del Sant'Uffizio e l'obbligo di recitare per tre anni, una volta alla settimana, i salmi penitenziali. Il rigore letterale fu mitigato nei fatti. La prigionia consistette nel soggiorno coatto per cinque mesi presso Palazzo Niccolini, a Trinità dei Monti e di qui, in Palazzo Piccolomini a Siena. Quanto ai salmi penitenziali, Galileo incarica di recitarli, con il consenso della Chiesa, la figlia Livia, suora di clausura. Piccolomini favore Galileo, permettendogli di incontrare personalità della città e di dibattere questioni scientifiche. A seguito di una lettera che denunci l'operato, il Sant'Uffizio provvide, accogliendo una stessa richiesta avanzata in precedenza da Galilei, a confinarlo nell'isolata villa del Gioiello, che possede nella campagna di Arcetri. Si l’intima di stare da solo, di non chiamare ne di ricevere alcuno, per il tempo ad arbitrio di Sua Santita. Solo i familiari poaaono fargli visita, dietro preventiva autorizzazione: anche per questo motivo gli fu particolarmente dolorosa la morte di Livia. Poté tuttavia mantenere corrispondenza con amici ed estimatori: a Diodati consolandosi delle sue sventure che l'invidia e la malignità “mi hanno machinato contro” con la considerazione che l'infamia ricade sopra i traditori e i costituiti nel più sublime grado dell'ignoranza. Da Diodati seppe della versione in latino che Bernegger anda facendo a Strasburgo del suo Dialogo e gli riferì di Rocco, purissimo peripatetico, e remotissimo dall'intender nulla di filosofia che scrive a Venezia mordacità e contumelie contro di lui. Questa, e altre lettere, dimostrano quanto poco Galileo avesse rinnegato le proprie convinzioni copernicane.  Dopo il processo scrive e pubblica “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti la mecanica e i moti locali”, organizzato come un dialogo che si svolge in quattro giornate fra i tre medesimi protagonisti del precedente Dialogo dei massimi sistemi: Sagredo, Salviati e Simplicio. Nella prima giornata si tratta della resistenza dei materiali. La diversa resistenza deve essere legata alla struttura della particolare materia e Galileo, pur senza pretendere di pervenire a una spiegazione del problema, affronta l'interpretazione atomistica di Democrito, considerandola un'ipotesi capace di rendere conto di fenomeni fisici. In particolare, la possibilità dell'esistenza del vuoto – prevista da Democrito – viene ritenuta una seria ipotesi scientifica e nel vuoto – ossia nell'inesistenza di un qualunque mezzo in grado di opporre resistenza – Galileo sostiene giustamente che tutte le cose discendeno con eguale velocità, in opposizione con Aristotele che ritiene l'impossibilità concettuale di un moto in un vuoto.  Dopo aver trattato della statica e della leva nella seconda giornata, nella terza e nella quarta si occupa della dinamica, stabilendo le leggi del moto uniforme, del moto naturalmente accelerato e del moto uniformemente accelerato e delle oscillazioni del pendolo. Intraprende corrispondenza con Bocchineri. La famiglia Bocchineri di Prato aveva dato una giovane, di nome Sestilia, sorella di Alessandra, per moglie al figlio di Galilei, Vincenzio.  Quando Galilei incontra Bocchineri, questa è una donna che si è affinata e ha coltivato la sua intelligenza, sposa di Buonamici, un importante diplomatico che diventerà buon amico di Galilei.  Bocchineri e Galilei si scambiano numerosi inviti per incontrarsi e Galilei non manca di elogiare l'intelligenza di Bocchineri dato che sì rare si trovano donne che tanto sensatamente discorrino come ella fa. Con la cecità e l'aggravarsi delle condizioni di salute è costretto talvolta a rifiutare gli invite NON *SOLO* per le molte indisposizioni che mi tengono oppresso in questa mia gravissima età, ma perché son ritenuto ancora in carcere, per quelle cause che benissimo son note. L'ultima lettera mandata  di "non volontaria brevità". «Vide / sotto l'etereo padiglion rotarsi / più mondi, e il Sole irradïarli immoto, onde all'Anglo che tanta ala vi stese / sgombrò primo le vie del firmamento. E tumulato nella Basilica di Santa Croce a Firenze. Il Cristenesimo mantenne la sorveglianza anche nei confronti degli allievi. Quando i seguaci diedero vita al Cimento, esso intervenne presso il Granduca, e il Cimento e sciolto. Convinto della correttezza della cosmologia copernicana, Galileo era ben consapevole che essa fosse ritenuta in contraddizione con il testo cristiano che sostenevano invece una concezione geocentrica dell'universo. Il cristanesimo considera le Sacre Scritture ispirate dallo Spirito Santo, la teoria eliocentrica poteva essere accettata, fino a prova contraria, soltanto come semplice ipotesi (“ex supposition”) o modello matematico, senza alcuna attinenza con la reale posizione dei corpi celesti. Proprio a questa condizione il “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico non e condannato dalle autorità ecclesiastiche e menzionato nell'Indice dei libri proibiti. Galileo si inserì nel dibattito sul rapporto fra scienza e fede con la lettera a Castelli. Difese il modello copernicano sostenendo che esistono *due* verità necessariamente non in contraddizione o in conflitto fra loro. La Bibbia è certamente un testo sacro di ispirazione divina e dello Spirito Santo, ma comunque scritto in un preciso momento storico con lo scopo di orientare il lettore verso la comprensione della vera religione. Per questa ragione, come già avevano sostenuto molti esegeti tra i quali *Lutero* e Keplero, i fatti della Bibbia sono stati necessariamente scritti in modo tale da poter essere compresi anche dagli antichi e dalla gente comune. Occorre quindi discernere, come già sostenuto da Agostino, il messaggio propriamente basato nella fede dalla descrizione, storicamente connotata ed inevitabilmente narrativa e didascalica, di fatti, episodi e personaggi. Dal che seguita, che qualunque volta alcuno, nell'esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono litterale, splicito, potrebbe, errando esso, far apparire nelle Scritture non solo contraddizioni e proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora. Poi che sarebbe necessario dare a Dio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti di un corpora quasi-umanio, come d'ira, di pentimento, d'odio ed anco tal volta la dimenticanza delle cose passate e l'ignoranza delle future.” Lettera alla granduchessa di Toscana. Il noto episodio biblico della richiesta di Giosuè a Dio di fermare il Sole per prolungare il giorno era usato in ambito ecclesiastico a sostegno del sistema geo-centrico. Galileo sostenne invece che in quel modo il giorno non si sarebbe allungato, in quanto nel sistema  geo-centrio la rotazione diurna (giorno/notte) non dipende dal Sole, ma dalla rotazione del Primum Mobile. La Bibbia deve essere re-interpretata e bisogna “alterar” il “senso” delle parole, e dire che quando la Scrittura dice che Dio ferma il Sole, voleva dire che ferma 'l primo mobile, ma che, per accomodarsi alla capacità di quei che sono a fatica idonei a intender il nascere e 'l tramontar del Sole, lo Spirito Santo dice al contrario di quel che avrebbe detto parlando a uomini sensati. Nel sistema elio-centrico la rotazione del Sole sul proprio asse provoca sia la rivoluzione della Terra attorno al Sole, sia la rotazione diurna (giorno/notte) della Terra attorno all'asse terrestre. Quindi l'episodio biblico ci mostra manifestamente la falsità e impossibilità del mondano sistema aristotelico e Tolemaico, e all'incontro benissimo s'accomoda co 'l Copernicano.. Infatti se Dio avesse fermato il Sole assecondando la richiesta di Giosuè, ne avrebbe necessariamente bloccato la rotazione assiale (unico suo movimento previsto nel sistema copernicano), provocando di conseguenza - secondo Galileo - l'arresto sia della (ininfluente) rivoluzione annuale, sia della rotazione terrestre diurna prolungando quindi la durata del giorno. A questo proposito, è interessante la critica proposta da Koestler, in cui sostiene che Galileo sape meglio di chiunque altro che se la terra si fermasse bruscamente, montagne, case, città, crollerebbero come un castello di carte. Il più ignorante dei frati, senza sapere nulla del momento di inerzia, sape benissimo quel che succedeva quando i cavalli e la carrozza frenavano di colpo o quando una nave finiva contro gli scogli. Se si interpreta la Bibbia secondo Tolomeo, il brusco arresto del Sole non aveva effetti fisici degni di nota e il miracolo rimaneva credibile al pari di qualsiasi altro miracolo. In base all'interpretazione di Galileo, Giosuè avrebbe distrutto non soltanto gli Amorrei, ma la terra intera! Sperando di far passare queste sciocchezze penose, Galileo rivela il suo disprezzo per gli avversari. Fece analoghe considerazioni in lettere a Dini, le quali destarono preoccupazione negli ambienti conservatori per le idee innovative, il carattere polemico e l'ardimento coi quali Galilei sostene che alcuni passi della Bibbia dovessero venir re-interpretati alla luce del sistema copernicano. Le Sacre Scritture si occupano di Dio. La filosofia naturale, che fa indagini sulla Natura si fondarsi su «sensate esperienze» e «necessarie dimostrazioni». La Bibbia e la Natura non possono contraddirsi perché derivano entrambe da Dio. Di conseguenza, in caso di discordia apparente, non sarà la scienza a dover fare un passo indietro, bensì gli interpreti del testo sacro che dovranno cercare al di là del “significato” splicito superficiale (explicatura). Le Sacre Scritture sono conforme soltanto "al comun modo del volgo", ossia si adatta non già alle competenze degli "intendenti", ma ai limiti conoscitivi dell'uomo comune, velando così con una sorta di “allegoria” il “senso più profondo” di un enunciato.. Se il “messaggio” “letterale” diverge da un enunciato del filosofo naturale, non lo può mai il suo “contenuto” "recondito" e più autentico, ricavabile dall'interpretazione delle Sacre Scriture oltre i suoi “significato” più epidermico. Circa il rapporto tra filosofia e la rivelazione, celebre è la sua frase: «intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, l'*intenzione* dello Spirito Santo essere d'*in-segn-arci* come si vadia al cielo, e non come vadia il cielo», usualmente attribuita Baronio. Si noti che, applicando tale criterio, Galileo non avrebbe potuto usare il passo biblico di Giosuè per cercare di dimostrare un presunto accordo tra testo sacro e sistema copernicano o la supposta contraddizione tra la Bibbia e il modello tolemaico. Deriva invece proprio da tale criterio la teoria di Galileo secondo la quale esistono *due* sorgenti di *conoscenza* che sono in grado di rivelare la stessa verità che proviene da Dio. Il primo è le  Sancte Scritture, scritte dal spirito santo in termini comprensibili al "volgo", che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione dell'anima, e richiede quindi un'attenta inter-pretazione delle affermazioni relative ai fenomeni naturali che in essa sono descritti. Il secondo è questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), scritto in simboli», che va letto (decifrato) secondo la ragione (non la fede) e non va pos-posto alle Sancte Scriture ma, per essere *ben* o corretamente interpretato, deve essere studiato con gli strumenti di cui Dio – nostro genitore -- ci ha dotati: sentire, il giudicare, il discorrire. Nella disputa filosofica di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalla autorità di luoghi delle Sancte Scritture, ma dall’esperienza sensata (a posteriori) e dalla di-mostrazioni necessaria (dall’assiomi, a priori): perché, procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la Natura – la fisi dei grecchi --, quella come ‘dettatura’ (dictature – dettato ed impiegato) dello Spirito Santo, e questa ‘dettatura’ come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio, nostro genitore.” La filosofia – regina scientiarum – La ‘materia’ della filosofia la rende d'importanza primaria (metafisica come filosofia prima, filosofia naturale come filosofia seconda. La flosofia non pretendere di pronunciare giudizi su una verità specifica (la porta e chiusa). Al contrario, se una certa esperienza non si accorda con un assioma, allora e quest’assioma che deve essere ri-letti alla luce della experienza. Non vi può essere, in definitiva, dis-accordo tra ragione ed experienza, essendo, per definizione, entrambe vere. Ma, in caso di *apparente* contraddizione su un fenomeno naturale, occorre modificare l'interpretazione dell’assioma per adeguarla all’esperienza.  Aristotele – con il suo geo-centrimo -- non differe sostanzialmente da Galileo. Aristotele ammetteva la necessità di rivedere l'interpretazione dell’esperienza. Ma nel caso del sistema elio-centrico, Bellarmino sostenne, ragionevolmente, che non vi fossero una prova conclusive a suo favore. Dico che quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo (o nostro sistema pianetario) e la terra nel terzo cielo, e che il sole (elio) non circonda la terra (gea), ma la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che “non l'intendiamo” – cf. Grice on metaphor and ‘My neighbour’s three-year old is an adult”), che dire che sia “falso” (‘You’re the cream in my coffee”, “My neighbour’s three-year old understands Russell’s Theory of Types”) quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata. L’ esperienzia di visione – osservazione -- con gli strumenti allora disponibili, della parallasse stellare (che si sarebbe dovuta riscontrare come l’effetto dello spostamento della Terra rispetto al cielo delle stelle fisse) costituiva invece evidenza contraria alla teoria elio-centrica. In tale contesto, Aristotele ammetteva quindi che si parlasse di una teoria o ipotesi o modello elio-centrico solo “ex suppositione” (come ipotesi matematica geometrica o aritmetica). La difesa di Galileo ex professo (con cognizione di causa e competenza, di proposito e intenzionalmente) della teoria geo-centrica quale “reale” descrizione fisica del sistema solare e delle orbite dei pianete si scontrò quindi, inevitabilmente, con la posizione ufficiale d’Aristotele. Tale contrapposizione sfociò nel processo a Galilei, che si concluse con la condanna per veemente sospetto di eresia" e l'abiura forzata delle sue concezioni astronomiche.  RiAl di là dal giudizio storico, giuridico e morale sulla condanna a Galilei, le questioni di carattere epistemologico filosofico e di “ermeneutica” che furono al centro del processo sono state oggetto di riflessione da parte di Grice. che spesso ha citato la vicenda di Galileo per esemplificare, talora in termini volutamente paradossali, il suo pensiero in merito a tali questioni. Contro Feyerabend, sostenitore di un'anarchia epistemologica, Grice sostenne che Aristotele si attenne alla ragione più che Galilei, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della teoria elio-centrica. La sentenza aristotelica contro Galilei e razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revision. Questa provocazione sarà poi ripresa da Ratzinger, dando luogo a contestazioni da parte dell'opinione pubblica. Ma il vero scopo per cui Grice espresso tale provocatoria affermazione e "solo mostrare la contraddizione di coloro che approvano l’eliocentrismo di Galileo e condannano il geo-centrismo aristotelico, ma poi verso il lavoro dei loro contemporanei sono rigorosi come lo erano gl’aristotelichi ai tempi di Galileo. Nel corso dei secoli che seguirono, l’aristotelismo modifica la propria posizione nei confronti di Galilei. Il Sant'Uffizio concesse l'erezione di un mausoleo in suo onore nella chiesa di Santa Croce in Firenze. Benedetto XIV olse dall'Indice i libri che insegnavano il moto della Terra (“e pur si muove”) con ciò ufficializzando quanto già di fatto aveva fatto Alessandro VII con il ritiro di un dicreto.  La definitiva autorizzazione all'”in-segna-mento” del moto della terra e dell'immobilità del sole arriva con un decreto della Sacra Congregazione dell'inquisizione approvato da Pio VII.  Particolarmente significativo risulta il contributo di Newman, a pochi anni dalla abilitazione dell'insegnamento dell'eliocentrismo e quando le teorie di Newton sulla gravitazione risultavano ormai affermate e provate sperimentalmente. Newman riassume il rapporto dell'elio-centrismo con Aristotele. «Quando il sistema copernicano comincia a diffondersi, quale aristotelico non sarebbe stato tentato dall'inquietudine, o almeno dal timore dello scandalo, per l'apparente contraddizione che esso implicava con una certa autorevole tradizione? Generalmente si accetta che la terra e immobile e che il sole, fissato in un solido firmamento, ruota intorno alla terra. Dopo un po' di tempo, tuttavia, e un'analisi completa, si scoprì che Aristotele non aveva deciso quasi niente su questioni come questa e che la scienza fisica poteva muoversi in questa sfera di pensiero quasi a piacere, senza timore di scontrarsi con l’adagio, “Master dixit””. Newman compie della vicenda Galileo come conferma, e non negazione, di Aristotele. E certamente un fatto molto significativo, considerando con quanta ampiezza e quanto a lungo fosse stata sostenuta dai aristotelichi una certa interpretazione di questa affermazione fisica geo-centrica, che Aristotele non l'abbia formalmente riconosciuta (la teoria del geocentrismo, ndr). Guardando alla questione da un punto di vista umano, e inevitabile che essa dovesse far propria quell'opinione. Ma ora, accertando la nostra posizione rispetto all’esperienza, troviamo che malgrado gli abbondanti commenti che fin dall'inizio essa ha sempre fatto su Aristotele, com'è suo compito e suo diritto fare, tuttavia, è sempre stata indotta a spiegare formalmente Aristotele o a dar loro un senso di autorità che l’esperienza può mettere in discussione. Paolo VI fece avviare la revisione del processo e con l'intento di porre una parola definitiva riguardo a queste polemicheGiovanni Paolo II auspicò che fosse intrapresa una ricerca interdisciplinare sui difficili rapporti di Galileo con la Chiesa e istituì una Commissione per lo studio della controversia tolemaico-copernicana nella quale il caso Galilei si inserisce. Il papa ammise, nel discorso in cui annuncia l'istituzione della commissione, che"Galileo ebbe molto a soffrire, non possiamo nasconderlo, da parte di uomini aristotelichi. Si cancella la condanna e chiarì la sua interpretazione sulla questione teologica scientifica galileiana riconoscendo che la condanna di Galilei fu dovuta all'ostinazione di entrambe le parti nel non voler considerare le rispettive teorie come semplici ipotesi non comprovate sperimentalmente e, d'altra parte, alla mancanza di perspicacia, ovvero di intelligenza e lungimiranza, dei filosofi aristotelichi che lo condannarono, incapaci di riflettere sui propri criteri di interpretazione di Aristotele e responsabili di aver inflitto molte sofferenze a Galilei. Come dichiara Giovanni Paolo II, come la maggior parte dei suoi avversari aristotelichi, Galileo non fa distinzione tra quello che è l'approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sulla natura, di ordine “filosofico”, che esso generalmente richiama. È per questo che Galilei rifiutò il suggerimento che gli era stato dato di presentare come un'ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso non fosse confermato da prove irrefutabili. Era quella, peraltro, un'esigenza del metodo sperimentale di cui egli fu l’iniziatore. Il problema che si posero dunque i aristotelichi era quello della compatibilità dell'eliocentrismo e Aristotele. Così l’esperienza, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbligava gl’aristotelichi ad interrogarsi sui loro criteri di interpretazione di Aristotele. La maggior parte non seppe farlo. Il giudizio pastorale che richiedeva la teoria copernicana e difficile da esprimere nella misura in cui il geocentrismo sembrava far parte dell’insegnamento stesso d’Aristotele. Sarebbe stato necessario contemporaneamente vincere delle abitudini di pensiero e inventare una pedagogia capace di illuminare il popolo. La storia del pensiero scientifico del Medioevo e del Rinascimento, che si comincia ora a comprendere un po' meglio, si può dividere in due periodi, o meglio, perché l'ordine cronologico corrisponde solo molto approssimativamente a questa divisione, si può dividere, grosso modo, in tre fasi o epoche, corrispondenti successivamente a tre differenti correnti di pensiero: prima la fisica aristotelica; poi la fisica dell'impetus, iniziata, come ogni altra cosa, dai Greci ed elaborata dalla corrente dei Nominalisti; e infine la fisica galileiana. Fra le maggiori scoperte che Galilei fece guidato dagli esperimenti, si annoverano un primo approccio fisico alla relatività, poi noto come “relatività galileiana”, la scoperta delle quattro lune principali di Giove, dette appunto “satelliti galileiani” (Io, Europa, “Ganimede” e Callisto), il principio di inerzia, seppur parzialmente.  Compì anche studi sul moto di caduta dei gravi e riflettendo sui moti lungo i piani inclinati scoprì il problema del "tempo minimo" nella caduta dei corpi materiali, e studia varie traiettorie, tra cui la spirale paraboloide e la cicloide.  Nell'ambito delle sue ricerche di matematica – geometria ed aritmetica -- si avvicinò alle proprietà dell'infinito introducendo un celebre paradosso di Galileo. Galilei incoraggiò Cavalieri a sviluppare le idee del maestro e di altri sulla geometria con il metodo degli indivisibili, per determinare aree e volumi: questo metodo rappresentò una tappa fondamentale per l'elaborazione del calcolo infinitesimale. Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un piano inclinato con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare all’aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna d’acqua conosciuta fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che essa deve costringere la natura a rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così, colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria. Galilei fu uno dei protagonisti della fondazione del metodo scientifico espresso con linguaggio matematico e pose l'esperimento come strumento a base dell'indagine sulle leggi della natura, in contrasto con Aristotele e la sua analisi qualitativa del cosmo. Hanno sin qui la maggior parte dei filosofi creduto che la superficie della luna fosse pulita tersa e assolutissimamente sferica, e se qualcuno disse di credere, che ella fusse aspra e muntuosa fu reputato parlare più presto favolusamente, che filosoficamente. Ora io questa istessa lunare asserisco il primo, non più per immaginazione, ma per sensata esperienza e necessaria dimostrazione, che egli è di superficie piena di innumerevoli cavità ed eminenze, tanto rilevate che di gran lunga superano le terrene montuosità. Già nella lettera a Welser a proposito della polemica sulle macchie solari, Galilei si domandava che cosa l'uomo nella sua ricerca vuole arrivare a conoscere.  «O noi vogliamo specolando tentar di penetrar l'essenza vera ed intrinseca delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia d'alcune loro affezioni»  Ed ancora: per conoscenza intendiamo l'arrivare a cogliere i principi primi dei fenomeni o come questi si sviluppano?  «Il tentar l'essenza, l'ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti: e a me pare essere egualmente ignaro della sustanza della Terra che della Luna, delle nubi elementari che delle macchie del Sole; né veggo che nell'intender queste sostanze vicine aviamo altro vantaggio che la copia de' particolari, ma tutti egualmente ignoti, per i quali andiamo vagando, trapassando con pochissimo o niuno acquisto dall'uno all'altro. La ricerca dei principi primi essenziali comporta dunque una serie infinita di domande poiché ogni risposta fa nascere una nuova domanda: se noi ci chiedessimo quale sia la sostanza delle nuvole, una prima risposta sarebbe che è il vapore acqueo ma poi dovremo chiederci che cos'è questo fenomeno e dovremo rispondere che è acqua, per chiederci subito dopo che cos'è l'acqua, rispondendo che è quel fluido che scorre nei fiumi ma questa «notizia dell'acqua» è soltanto «più vicina e dependente da più sensi», più ricca di informazioni particolari diverse, ma non ci porta certo la conoscenza della sostanza delle nuvole, della quale sappiamo esattamente quanto prima. Ma se invece vogliamo capire le «affezioni», le caratteristiche particolari dei corpi, potremo conoscerle sia in quei corpi che sono da noi distanti, come le nuvole, sia in quelli più vicini, come l'acqua. Occorre dunque intendere in modo diverso lo studio della natura. «Alcuni severi difensori di ogni minuzia peripatetica», educati nel culto di Aristotele, credono che «il filosofare non sia né possa esser altro che un far gran pratica sopra i testi di Aristotele» che portano come unica prova delle loro teorie. E non volendo «mai sollevar gli occhi da quelle carte» rifiutano di leggere «questo gran libro del mondo» (cioè dall'osservare direttamente i fenomeni), come se «fosse scritto dalla natura per non esser letto da altri che da Aristotele, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua posterità. Invece i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta.A fondamento del metodo scientifico quindi ci sono il rifiuto dell'essenzialismo e la decisione di cogliere solo l'aspetto quantitativo dei fenomeni nella convinzione di poterli tradurre tramite la misurazione in numeri così che si abbia una conoscenza di tipo matematico, l'unica perfetta per l'uomo che la raggiunge gradatamente tramite il ragionamento così da eguagliare lo stesso perfetto conoscere divino che la possiede interamente e intuitivamente. Però...quanto alla verità di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina. Il metodo galileiano si dovrà comporre quindi di due aspetti principali: sensata esperienza, ovvero l'esperimento distinto dalla comune osservazione della natura, che deve infatti seguire a un'attenta formulazione teorica, ovvero a ipotesi (metodo ipotetico-sperimentale) che siano in grado di guidare l'esperienza in modo che essa non fornisca risultati arbitrari. Galileo non ottenne la legge di caduta dei gravi dalla mera osservazione, altrimenti ne avrebbe dedotto che un corpo cade più rapidamente tanto più è pesante (un sasso nell'aria arriva prima a terra di una piuma per via dell'attrito). Studiò invece il moto dei corpi in caduta controllandolo con un piano inclinato, costruendo cioè un esperimento che gli permettesse di ottenere risultati più precisi. Anche l'esperimento mentale può essere un utile strumento di dimostrazione e permise a Galileo di confutare le dottrine aristoteliche sul moto. necessaria dimostrazione, ovvero un'analisi matematica e rigorosa dei risultati dell'esperienza, che sia in grado di trarre da questa risultati universali e ogni conseguenza in modo necessario e non opinabile espressi dalla legge scientifica. In questo modo Galileo concluse che tutti i corpi nel vuoto precipitano con una velocità proporzionale al tempo di caduta, anche se chiaramente non aveva effettuato esperimenti considerando tutti i possibili corpi con differenti forme e materiali. La dimostrazione va ulteriormente verificata, con ulteriori esperienze, ovvero il cosiddetto cimento che è l'esperimento concreto con cui va sempre verificato l'esito di ogni formulazione teorica. Sintetizzando la natura del metodo galileiano, Rodolfo Mondolfo infine aggiunge che:  «Il vincolo stabilito da Galileo tra osservazione e dimostrazione le esperienze fatte mediante i sensi e le dimostrazioni logico-matematiche della loro necessità – era un vincolo reciproco, non unilaterale: né le esperienze sensibili dell’ osservazione potevano valere scientificamente senza la relativa dimostrazione della loro necessità, né la dimostrazione logica e matematica poteva raggiungere la sua "assoluta certezza oggettiva" come quella della natura senza appoggiarsi all’ esperienza nel suo punto di partenza e senza trovare la sua conferma in essa nel suo punto d’ arrivo. È questa l'originalità del metodo galileiano: avere collegato esperienza e ragione, induzione e deduzione, osservazione esatta dei fenomeni e elaborazione di ipotesi e questo, non astrattamente ma, con lo studio di fenomeni reali e con l'uso di appositi strumenti tecnici.  La terminologia scientifica in Galilei Fondamentale è stato il contributo di Galileo al linguaggio scientifico, sia in campo matematico, sia, in particolare, nel campo della fisica. Ancora oggi in questa disciplina molto del linguaggio settoriale in uso deriva da specifiche scelte dello scienziato pisano. In particolare, negli scritti di Galileo molte parole sono tratte dal linguaggio comune e vengono sottoposte ad una "tecnificazione", cioè l'attribuzione ad esse di un significato specifico e nuovo (una forma, quindi, di neologismo semantico). È il caso di "forza" (seppur non in senso newtoniano), "velocità", "momento", "impeto", "fulcro", "molla" (intendendo lo strumento meccanico ma anche la "forza elastica"), "strofinamento", "terminatore", "nastro". Un esempio del modo in cui Galileo nomina gli oggetti geometrici è in un brano dei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze:  «Voglio che ci immaginiamo esser levato via l'emisferio, lasciando però il cono e quello che rimarrà del cilindro, il quale, dalla figura che riterrà simile a una scodella, chiameremo pure scodella. Come si vede, nel testo ad una terminologia specialistica ("emisferio", "cono", "cilindro") si accompagna l'uso di un termine che denota un oggetto della vita quotidiana, cioè "scodella". Galilei è ricordato nella storia anche per le sue riflessioni sui fondamenti e sugli strumenti dell'analisi scientifica della natura. Celebre la sua metafora riportata nel Saggiatore, dove la matematica viene definita come il linguaggio (o la semiotica, o i ‘signi’ – il segno -- in cui è scritto libro della natura:  La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. In questo brano Galilei mette in collegamento le parole "matematica", "filosofia" e "universo", dando così inizio a una lunga disputa fra i filosofi della scienza in merito a come egli concepisse e mettesse in relazione fra loro questi termini. Ad esempio, quello che qui Galileo chiama "universo" si dovrebbe intendere, modernamente, come "realtà fisica" o "mondo fisico" in quanto Galileo si riferisce al mondo materiale conoscibile matematicamente. Quindi non solo alla globalità dell'universo inteso come insieme delle galassie, ma anche di qualsiasi sua parte o sottoinsieme inanimato. Il termine "natura" includerebbe invece anche il mondo biologico, escluso dall'indagine galileiana della realtà fisica.  Per quanto riguarda l'universo propriamente detto, Galilei, seppur nell'indecisione, sembra propendere per la tesi che sia infinito:  «Grandissima mi par l’inezia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l’universo più proporzionato alla piccola capacità del loro discorso che all’immensa, anzi infinita, sua potenza»  Egli non prende una posizione netta sulla questione della finitezza o infinità dell'universo; tuttavia, come sostiene Rossi, «c'è una sola ragione che lo inclina verso la tesi dell'infinità: è più facile riferire l'incomprensibilità all'incomprensibile infinito che al finito che non è comprensibile». Ma Galilei non prende mai esplicitamente in considerazione, forse per prudenza, la dottrina di Giordano Bruno di un universo illimitato e infinito, senza un centro e costituito di infiniti mondi tra i quali Terra e Sole che non hanno alcuna preminenza cosmogonica. Lo scienziato pisano non partecipa al dibattito sulla finitezza o infinità dell'universo e afferma che a suo parere la questione è insolubile. Se appare propendere per l'ipotesi della infinitezza lo fa con motivazioni filosofiche in quanto, sostiene, l'infinito è oggetto di incomprensibilità mentre ciò che è finito rientra nei limiti del comprensibile. Il rapporto fra la matematica di Galileo e la sua filosofia della natura, il ruolo della deduzione rispetto all'induzione nelle sue ricerche, sono stati riportati da molti filosofi al confronto fra aristotelici e platonici, al recupero dell'antica tradizione greca con la concezione archimedea o anche all'inizio dello sviluppo nel XVII secolo del metodo sperimentale.  La questione è stata così ben espressa dal filosofo medievalista Moody. Quali sono i fondamenti filosofici della fisica di Galileo e quindi della scienza moderna in genere? Galileo è sostanzialmente un platonico, un aristotelico o nessuno dei due? Si limitò, come sostiene Duhem, a rilevare e perfezionare una scienza meccanica che aveva avuto origine nel Medioevo cristiano e i cui principi fondamentali erano stati scoperti e formulati da Buridano, da Nicola Oresme e dagli altri esponenti della cosiddetta "fisica dell’ impetus" del XIV secolo? Oppure, come sostengono Cassirer e Koyré, voltò le spalle a questa tradizione dopo averla brevemente processata nella sua dinamica pisana e ripartì ispirandosi ad Archimede e Platone? Le controversie più recenti su Galileo sono consistite in larga misura in un dibattito circa il valore fondamentale e l’ influsso storico che su di lui avevano esercitato le tradizioni filosofiche, platoniche e aristoteliche, scolastiche e antiscolastiche. Galileo viveva in un'epoca in cui le idee del platonismo si erano diffuse nuovamente in tutta Europa e in Italia e probabilmente anche per questa ragione i simboli della matematica vengono da lui identificati con entità geometriche e non con numeri. L'uso dell'algebra derivato dal mondo arabo nel dimostrare relazioni geometriche era invece ancora insufficientemente sviluppato ed è solo con Leibniz e Isaac Newton che il calcolo differenziale divenne la base dello studio della meccanica classica. Galileo infatti nel mostrare la legge di caduta dei gravi si servì di relazioni e similitudini geometriche.  Da una parte, per alcuni filosofi come Alexandre Koyré, Ernst Cassirer, Edwin Arthur Burtt (1892–1989), la sperimentazione fu certamente importante negli studi di Galileo e giocò anche un ruolo positivo nello sviluppo della scienza moderna. La sperimentazione stessa, come studio sistematico della natura, richiede un linguaggio con cui formulare domande e interpretare le risposte ottenute. La ricerca di questo linguaggio era un problema che aveva interessato i filosofi sin dai tempi di Platone e Aristotele, in particolare rispetto al ruolo non banale della matematica nello studio delle scienze della natura. Galilei si affida a esatte e perfette figure geometriche che però non possono mai essere riscontrate nel mondo reale, se non al massimo come rozza approssimazione.  Oggi la matematica nella fisica moderna è utilizzata per costruire modelli del mondo reale, ma ai tempi di Galileo questo tipo di approccio non era affatto scontato. Secondo Koyré, per Galileo il linguaggio della matematica gli permette di formulare domande a priori prima ancora di confrontarsi con l'esperienza, e così facendo orienta la stessa ricerca delle caratteristiche della natura attraverso gli esperimenti. Da questo punto di vista, Galileo seguirebbe quindi la tradizione platonica e pitagorica, dove la teoria matematica precede l'esperienza e non si applica al mondo sensibile ma ne esprime la sua intima natura. La visione aristotelica Altri studiosi di Galilei, come Stillman Drake, Pierre Duhem, John Herman Randall Jr., hanno invece sottolineato la novità del pensiero di Galileo rispetto alla filosofia platonica classica. Nella metafora del Saggiatore la matematica è un linguaggio e non è direttamente definita né come l'universo né come la filosofia, ma è piuttosto uno strumento per analizzare il mondo sensibile che era invece visto dai platonici come illusorio. Il linguaggio sarebbe il fulcro della metafora di Galileo, ma l'universo stesso è il vero obbiettivo delle sue ricerche. In questo modo secondo Drake, Galileo si allontanerebbe definitivamente dalla concezione e dalla filosofia platonica per accostarsi invece alla filosofia aristotelica per cui ogni realtà deve avere in sé stessa le leggi del proprio costituirsi. La sintesi tra platonismo e aristotelismo Secondo Eugenio Garin Galileo invece, con il suo metodo sperimentale, vuole identificare nel fatto osservato "aristotelicamente" una necessità intrinseca, espressa matematicamente, dovuta al suo legame con la causa divina "platonica" che lo produce facendolo "vivere". Alla radice di gran parte della nuova scienza, da Leonardo a Galileo, accanto al desiderio tutto rinascimentale di non lasciare intentata via alcuna, è viva la certezza che il sapere ha aperta innanzi a sé la possibilità di una salda cognizione. Se noi ripercorriamo la Teologia platonica, vi troviamo al centro questa tesi, largamente e minutamente discussa nel libro secondo: alla mente di Dio sono presenti tutte le essenze; la divina volontà, che poteva non creare, ha manifestato la sua generosità col dare concreta e mondana realizzazione alle eterne idee facendole vivere. La fecondità del concetto di creazione si rivela nel dono della vita che Dio ha dato, e poteva non dare. Ma la volontà non tocca quel mondo razionale che costituisce l'eterna ragione divina, il verbo divino, cui dunque si conforma e si adegua questo mondo il quale, platonicamente, rispecchia l'ideale razionalità per il tramite dell'intermediario matematico: "numero, pondere et mensura". La mente umana, raggio del Verbo divino, è nelle sue radici impiantata essa pure in Dio; è in Dio partecipe in qualche modo dell'assoluta certezza. La scienza nasce così per il corrispondersi di questa struttura razionale del mondo, impiantata nell'eterna sapienza divina, e della mente umana partecipe di questa luce divina di ragione. Studi sul moto La descrizione quantitativa del movimento  Rappresentazione dell'evoluzione moderna dei diagrammi utilizzati da Galileo nello studio del moto. Ad ogni punto di una linea corrisponde un tempo e una velocità (segmento giallo che termina con un punto blu). L'area gialla della figura così ottenuta corrisponde quindi allo spazio totale percorso nell'intervallo di tempo (t2-t1). Dilthey vede Keplero e Galilei come le massime espressioni nel loro tempo di "pensieri calcolatori" che si disponevano a risolvere, tramite lo studio delle leggi del movimento, le esigenze della moderna società borghese:  «Il lavoro degli opifici urbani, i problemi sorti dall’invenzione della polvere da sparo e dalla tecnica delle fortificazioni, i bisogni della navigazione relativamente ad apertura di canali, a costruzione e armamento di navi, avevano fatto della meccanica la scienza preferita del tempo. Specialmente in Italia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra, questi bisogni erano assai vivaci, e provocarono la ripresa e continuazione degli studi di statica degli antichi e le prime ricerche nel nuovo campo della dinamica, specialmente per opera di Leonardo, del Benedetti e dell'Ubaldi. Galilei fu infatti uno dei protagonisti del superamento della descrizione aristotelica della natura del moto. Già nel medioevo alcuni autori, come Giovanni Filopono nel VI secolo, avevano osservato contraddizioni nelle leggi aristoteliche, ma fu Galileo a proporre una valida alternativa basata su osservazioni sperimentali. Diversamente da Aristotele, per il quale esistono due moti "naturali", cioè spontanei, dipendenti dalla sostanza dei corpi, uno diretto verso il basso, tipico dei corpi di terra e d'acqua, e uno verso l'alto, tipico dei corpi d'aria e di fuoco, per Galileo qualunque corpo tende a cadere verso il basso nella direzione del centro della Terra. Se vi sono corpi che salgono verso l'alto è perché il mezzo nel quale si trovano, avendo una densità maggiore, li spinge in alto, secondo il noto principio già espresso da Archimede: la legge sulla caduta dei gravi di Galileo, prescindendo dal mezzo, è pertanto valida per tutti i corpi, qualunque sia la loro natura.  Per raggiungere questo risultato, uno dei primi problemi che Galileo e i suoi contemporanei dovettero risolvere fu quello di trovare gli strumenti adatti a descrivere quantitativamente il moto. Ricorrendo alla matematica, il problema era quello di capire come trattare eventi dinamici, come la caduta dei corpi, con figure geometriche o numeri che in quanto tali sono assolutamente statici e sono privi di alcun moto. Per superare la fisica aristotelica, che considerava il moto in termini qualitativi e non matematici, come allontanamento e successivo ritorno al luogo naturale, bisognava dunque prima sviluppare gli strumenti della geometria e in particolare del calcolo differenziale, come fecero successivamente fra gli altri Newton, Leibniz e Cartesio. Galileo riuscì a risolvere il problema nello studio del moto dei corpi accelerati disegnando una linea ed associando ad ogni punto un tempo e un segmento ortogonale proporzionale alla velocità. In questo modo costruì il prototipo del diagramma velocità-tempo e lo spazio percorso da un corpo è semplicemente uguale all'area della figura geometrica costruita. I suoi studi e le sue ricerche sul moto dei corpi aprirono inoltre la via alla moderna balistica. Sulla base degli studi sul moto, di esperimenti mentali e delle osservazioni astronomiche, Galileo intuì che è possibile descrivere sia gli eventi che accadono sulla Terra che quelli celesti con un unico insieme di leggi. Superò quindi in questo modo anche la divisione fra mondo sublunare e sovralunare della tradizione aristotelica (per la quale il secondo è governato da leggi diverse da quelle terrestri e da moti circolari perfettamente sferici, ritenuti impossibili nel mondo sublunare). Il principio d'inerzia e il moto circolare  Sfera sul piano inclinato Studiando il piano inclinato, Galilei si occupò dell'origine del moto dei corpi e del ruolo degli attriti; scoprì un fenomeno che è conseguenza diretta della conservazione dell'energia meccanica e porta a considerare l'esistenza del moto inerziale (che avviene senza l'applicazione di una forza esterna). Ebbe così l'intuizione del principio di inerzia, poi inserito da Isaac Newton nei principi della dinamica: un corpo, in assenza d'attrito, permane in moto rettilineo uniforme (in quiete se v=0) fino a quando forze esterne agiscono su di esso. Il concetto di energia non era invece presente nella fisica del Seicento e solo con lo sviluppo, oltre un secolo più tardi, della meccanica classica si arriverà ad una precisa formulazione di tale concetto.  Galileo pose due piani inclinati dello stesso angolo di base θ, uno di fronte all'altro, ad una distanza arbitraria x. Facendo scendere una sfera da un'altezza h1 per un tratto l1 di quello a SN notò che la sfera, arrivata sul piano orizzontale tra i due piani inclinati, continua il suo moto rettilineo fino alla base del piano inclinato di DX. A quel punto, in assenza d'attrito, la sfera risale il piano inclinato di DX per un tratto l2 = l1 e si ferma alla stessa altezza (h2 = h1) di partenza. In termini attuali, la conservazione dell'energia meccanica impone che l'iniziale energia potenziale Ep = mgh1 della sfera si trasformi - man mano che la sfera discende il primo piano inclinato (SN) - in energia cinetica Ec = (1/2) mv2 sino alla sua base, dove vale mgh1 = (1/2) mvmax2. La sfera si muove quindi sul piano orizzontale coprendo la distanza x tra i piani inclinati con velocità costante vmax, fino alla base del secondo piano inclinato (DX). Risale poi il piano inclinato di DX, perdendo progressivamente energia cinetica che si trasforma nuovamente in energia potenziale, fino a un valore massimo uguale a quello iniziale (Ep = mgh2 = mgh1), al quale corrisponde velocità finale nulla (v2 = 0).   Rappresentazione dell'esperimento di Galileo sul principio d'inerzia. Si immagini ora di diminuire l'angolo θ2 del piano inclinato di DX (θ2 < θ1),e di ripetere l'esperimento. Per riuscire a risalire - come impone il principio di conservazione dell'energia - alla medesima quota h2 di prima, la sfera dovrà ora percorrere un tratto l2 più lungo sul piano inclinato di DX. Se si riduce progressivamente l'angolo θ2, si vedrà che ogni volta aumenta la lunghezza l2 del tratto percorso dalla sfera, per risalire all'altezza h2. Se si porta infine l'angolo θ2 ad essere nullo (θ2 = 0°), si è di fatto eliminato il piano inclinato di DX. Facendo ora scendere la sfera dall'altezza h1 del piano inclinato di SN, essa continuerà a muoversi indefinitamente sul piano orizzontale con velocità vmax (principio d'inerzia) in quanto, per l'assenza del piano inclinato di DX, non potrà mai risalire all'altezza h2 (come prevederebbe il principio di conservazione dell'energia meccanica).  Si immagini infine di spianare montagne, riempire valli e costruire ponti, in modo da realizzare un percorso rettilineo assolutamente piano, uniforme e senza attriti. Una volta iniziato il moto inerziale della sfera che scende da un piano inclinato con velocità costante vmax, questa continuerà a muoversi lungo tale percorso rettilineo fino a fare il giro completo della Terra, e ricominciare quindi indisturbata il proprio cammino. Ecco realizzato un (ideale) moto inerziale perpetuo, che avviene lungo un'orbita circolare, coincidente con la circonferenza terrestre. Partendo da questo "esperimento ideale", Galileo sembrerebbe erroneamente ritenere che tutti i moti inerziali debbano essere moti circolari. Probabilmente per questo motivo considerò, per i moti planetari da lui (arbitrariamente) ritenuti inerziali, sempre e solo orbite circolari, rifiutando invece le orbite ellittiche dimostrate da Keplero. Dunque, ad essere rigorosi, non pare essere corretto quanto afferma Newton nei "Principia" - fuorviando così innumerevoli studiosi - e cioè che Galilei avrebbe anticipato i suoi primi due principi della dinamica. Misura dell'accelerazione di gravità File:Isocronismo.webm Spiegazione del funzionamento dell'isocronismo nella caduta dei gravi lungo una spirale su un paraboloide. Galileo riuscì a determinare il valore che egli credeva costante dell'accelerazione di gravità g alla superficie terrestre, cioè della grandezza che regola il moto dei corpi che cadono verso il centro della Terra, studiando la caduta di sfere ben levigate lungo un piano inclinato, anch'esso ben levigato. Poiché il moto della sfera dipende dall'angolo di inclinazione del piano, con semplici misure ad angoli differenti riuscì a ottenere un valore di g solamente di poco inferiore a quello esatto per Padova (g = 9,8065855 m/s²), nonostante gli errori sistematici, dovuti all'attrito che non poteva essere completamente eliminato.  Detta a l'accelerazione della sfera lungo il piano inclinato, la sua relazione con g risulta essere a = g sin θ per cui, dalla misura sperimentale di a, si risale al valore dell'accelerazione di gravità g. Il piano inclinato permette di ridurre a piacimento il valore dell'accelerazione (a < g), facilitandone la misura. Ad esempio, se θ = 6°, allora sin θ = 0,104528 e quindi a = 1,025 m/s². Tale valore è meglio determinabile, con una strumentazione rudimentale, rispetto a quello dell'accelerazione di gravità (g = 9,81 m/s²) misurato direttamente con la caduta verticale di un oggetto pesante. Misura della velocità della luce Guidato dalla similitudine con il suono, Galileo fu il primo a tentare di misurare la velocità della luce. La sua idea fu quella di portarsi su una collina con una lanterna coperta da un drappo e quindi toglierlo lanciando così un segnale luminoso ad un assistente posto su un'altra collina ad un chilometro e mezzo di distanza: questi non appena avesse visto il segnale, avrebbe quindi alzato a sua volta il drappo della sua lanterna e Galileo vedendo la luce avrebbe potuto registrare l'intervallo di tempo impiegato dal segnale luminoso per giungere all'altra collina e tornare indietro.Una misura precisa di questo tempo avrebbe consentito di misurare la velocità della luce ma il tentativo fu infruttuoso data l'impossibilità per Galilei di avere uno strumento così avanzato che potesse misurare i centomillesimi di secondo che la luce impiega per percorrere una distanza di pochi chilometri.  La prima stima della velocità della luce fu opera, nel 1676, dell'astronomo danese Rømer basata su misure astronomiche. Apparati sperimentali e di misura  Termometro di Galileo, in un'elaborazione successiva. Gli apparati sperimentali furono fondamentali nello sviluppo delle teorie scientifiche di Galileo, che costruì diversi strumenti di misura originalmente o rielaborandoli sulla base di idee preesistenti. In ambito astronomico costruì da sé alcuni esemplari di cannocchiale, provvisti di micrometro per misurare quanto distasse una luna dal suo pianeta. Per studiare le macchie solari, proiettò con l'elioscopio l'immagine del Sole su un foglio di carta per poterla osservare in sicurezza senza danni alla vista. Ideò anche il giovilabio, simile all'astrolabio, per determinare la longitudine usando le eclissi dei satelliti di Giove. Per studiare il moto dei corpi si servì invece del piano inclinato con il pendolo per misurare intervalli temporali. Riprese anche un rudimentale modello di termometro, basato sulla dilatazione dell'aria al variare della temperatura. Il pendolo  Schema di un pendolo Galileo scoprì nel 1583 l'isocronismo delle piccole oscillazioni di un pendolo; secondo la leggenda l'idea gli sarebbe venuta mentre osservava le oscillazioni di una lampada allora sospesa nella navata centrale del Duomo di Pisa, oggi custodita nel vicino Camposanto Monumentale, nella Cappella Aulla. Questo strumento è semplicemente composto da un grave, come una sfera metallica, legato ad un filo sottile e inestensibile. Galileo osservò che il tempo di oscillazione di un pendolo è indipendente dalla massa del grave e anche dall'ampiezza dell'oscillazione, se questa è piccola. Scoprì anche che il periodo di oscillazione {\displaystyle T}T dipende solo dalla lunghezza del filo {\displaystyle l}l:[135]  {\displaystyle T=2\pi {\sqrt {\frac {l}{g}}}}T=2\pi {\sqrt  {\frac  {l}{g}}} dove {\displaystyle g}g è l'accelerazione di gravità. Se ad esempio il pendolo ha {\displaystyle l=1m}{\displaystyle l=1m}, l'oscillazione che porta il grave da un estremo all'altro e poi di nuovo indietro ha un periodo {\displaystyle T=2,0064s}{\displaystyle T=2,0064s} (avendo assunto per {\displaystyle g}g il valore medio {\displaystyle 9,80665}{\displaystyle 9,80665}). Galileo sfruttò questa proprietà del pendolo per usarlo come strumento di misura di intervalli temporali. La bilancia idrostatica Galileo nel 1586, all'età di 22 anni quando era ancora in attesa dell'incarico universitario a Pisa, perfezionò la bilancia idrostatica di Archimede e descrisse il suo dispositivo nella sua prima opera in volgare, La Bilancetta, che circolò manoscritta, ma fu stampata postuma  «Per fabricar dunque la bilancia, piglisi un regolo lungo almeno due braccia, e quanto più sarà lungo più sarà esatto l'istrumento; e dividasi nel mezo, dove si ponga il perpendicolo [il fulcro]; poi si aggiustino le braccia che stiano nell'equilibrio, con l'assottigliare quello che pesasse di più; e sopra l'uno delle braccia si notino i termini dove ritornano i contrapesi de i metalli semplici quando saranno pesati nell'acqua, avvertendo di pesare i metalli più puri che si trovino. Viene anche descritto come si ottiene il peso specifico PS di un corpo rispetto all'acqua: {\displaystyle P_{S}={\frac {\operatorname {peso\;in\;aria} }{\operatorname {peso\;in\;aria} -\operatorname {peso\;in\;acqua} }}}{\displaystyle P_{S}={\frac {\operatorname {peso\;in\;aria} }{\operatorname {peso\;in\;aria} -\operatorname {peso\;in\;acqua} }}}. Ne La Bilancetta si trovano poi due tavole che riportano trentanove pesi specifici di metalli preziosi e genuini, determinati sperimentalmente da Galileo con precisione confrontabile con i valori moderni. Il compasso proporzionale  Una descrizione dell'uso del compasso proporzionale fornita da Galileo Galilei. Il compasso proporzionale era uno strumento utilizzato fin dal medioevo per eseguire operazioni anche algebriche per via geometrica, perfezionato da Galileo ed in grado di estrarre la radice quadrata, costruire poligoni e calcolare aree e volumi. Fu utilizzato con successo in campo militare dagli artiglieri per calcolare le traiettorie dei proiettili. Galilei e l'arte Letteratura Gli interessi letterari di Galilei Durante il periodo pisano Galileo non si limitò alle sole occupazioni scientifiche: risalgono infatti a questi anni le sue Considerazioni sul Tasso che avranno un seguito con le Postille all'Ariosto. Si tratta di note sparse su fogli e annotazioni a margine nelle pagine dei suoi volumi della Gerusalemme liberata e dell'Orlando furioso dove, mentre rimprovera al Tasso «la scarsezza della fantasia e la monotonia lenta dell'immagine e del verso, ciò che ama nell'Ariosto non è solo lo svariare dei bei sogni, il mutar rapido delle situazioni, la viva elasticità del ritmo, ma l'equilibrio armonico di questo, la coerenza dell'immagine l'unità organica – pur nella varietà – del fantasma poetico. Galilei scrittore. D'altro più non si cura fuorché d'essere inteso»  (Giuseppe Parini) «Uno stile tutto cose e tutto pensiero, scevro di ogni pretensione e di ogni maniera, in quella forma diretta e propria in che è l'ultima perfezione della prosa.»  (Francesco De Sanctis, Storia della Letteratura Italiana) Dal punto di vista letterario, Il Saggiatore è considerata l'opera in cui si fondono maggiormente il suo amore per la scienza, per la verità e la sua arguzia di polemista. Tuttavia, anche nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo si apprezzano pagine di notevole livello per qualità della scrittura, vivacità della lingua, ricchezza narrativa e descrittiva. Infine Italo Calvino affermò che, a suo parere, Galilei è stato il maggior scrittore di prosa in lingua italiana, fonte di ispirazione persino per Leopardi. L'uso della lingua volgare L'uso del volgare servì a Galileo per un duplice scopo. Da una parte era finalizzato all'intento divulgativo dell'opera: Galileo intendeva rivolgersi non solo ai dotti e agli intellettuali ma anche a classi meno colte, come i tecnici che non conoscevano il latino ma che potevano comunque comprendere le sue teorie. Dall'altro si contrappone al latino della Chiesa e delle diverse Accademie che si basavano sul principio di auctoritas, rispettivamente biblico ed aristotelico. Si viene a delineare una rottura con la tradizione precedente anche per quanto riguarda la terminologia: Galileo, a differenza dei suoi predecessori, non trae spunti dal latino o dal greco per coniare nuovi termini ma li riprende, modificandone l'accezione, dalla lingua volgare. Galileo, inoltre, dimostrò atteggiamenti diversi nei confronti delle terminologie esistenti:  terminologia meccanica: cauto accoglimento; terminologia astronomica: non respinge i vocaboli che l'uso abbia già accolto o tenda ad accogliere. Li utilizza, però, come strumenti, insistendo sul loro valore convenzionale ("le parole o imposizioni di nomi servono alla verità, ma non si devono sostituire a essa). Lo scienziato poi segnala gli errori che nascono quando il nome travisa la realtà fisica o che nascono dalla suggestione esercitata dagli usi comuni di un vocabolo sul significato figurato assunto come termine scientifico; per evitare questi errori, egli fissa esattamente il significato dei singoli vocaboli: sono preceduti o seguiti da una descrizione; terminologia peripapetica: rifiuto totale che si manifesta con la sua messa in ridicolo, servendosene come puri suoni in un gioco di alternanze e rime. Arti figurative «L'Accademia e Compagnia dell'Arte del Disegno fu fondata da Cosimo I de' Medici nel 1563, su suggerimento di Giorgio Vasari, con l'intento di rinnovare e favorire lo sviluppo della prima corporazione di artisti costituitasi dall'antica compagnia di San Luca. Annoverò tra i primi accademici personalità come Buonarroti, Bartolomeo Ammannati, Agnolo Bronzino, Francesco da Sangallo. Per secoli l'Accademia rappresentò il più naturale e prestigioso centro di aggregazione per gli artisti operanti a Firenze e, al tempo stesso, favorì il rapporto fra scienza e arte. Essa prevedeva l'insegnamento della geometria euclidea e della matematica e pubbliche dissezioni dovevano preparare al disegno. Anche uno scienziato come Galileo Galilei fu nominato membro dell'Accademia fiorentina delle Arti del Disegno. Galileo, infatti, prese pure parte alle complesse vicende riguardanti le arti figurative del suo periodo, soprattutto la ritrattistica, approfondendo la prospettiva manieristica ed entrando in contatto con illustri artisti dell'epoca (come il Cigoli), nonché influenzando in modo consistente, con le sue scoperte astronomiche, la corrente naturalistica. Superiorità della pittura sulla scultura Per Galileo nell'arte figurativa, come nella poesia e nella musica, vale l'emozione che si riesce a trasmettere, a prescindere da una descrizione analitica della realtà. Ritiene inoltre che tanto più dissimili sono i mezzi usati per rendere un soggetto dal soggetto stesso, tanto maggiore l'abilità dell'artista. Perciocché quanto più i mezzi, co' quali si imita, son lontani dalle cose da imitarsi, tanto più l'imitazione è maravigliosa.” Ludovico Cardi, detto il Cigoli, fiorentino, fu pittore al tempo di Galileo; ad un certo punto della sua vita, per difendere il suo operato, chiese aiuto al suo amico Galileo: doveva, infatti, difendersi dagli attacchi di quanti ritenevano la scultura superiore alla pittura, in quanto ha il dono della tridimensionalità, a discapito della pittura semplicemente bidimensionale. Galileo rispose con una lettera. Egli fornisce una distinzione tra valori ottici e tattili, che diventa anche giudizio di valore sulle tecniche scultoree e pittoriche: la statua, con le sue tre dimensioni, inganna il senso del tatto, mentre la pittura, in due dimensioni, inganna il senso della vista. Galilei attribuisce quindi al pittore una maggiore capacità espressiva che non allo scultore poiché il primo, tramite la vista, è in grado di produrre emozioni meglio di quanto faccia il secondo mediante il tatto. “A quello poi che dicono gli scultori, che la natura fa gli uomini di scultura e non di pittura, rispondo che ella gli fa non meno dipinti che scolpiti, perché ella gli scolpe e gli colora.” Il padre di Galileo era un musicista (liutista e compositore) e teorico musicale molto noto ai suoi tempi. Galileo fornì un contributo fondamentale alla comprensione dei fenomeni acustici, studiando in modo scientifico l'importanza dei fenomeni oscillatori nella produzione della musica. Scoprì anche la relazione che intercorre fra la lunghezza di una corda in vibrazione e la frequenza del suono emessa. Nella lettera a Lodovico Cardi, Galileo scrive:  «Non ammireremmo noi un musico, il quale cantando e rappresentandoci le querele e le passioni d'un amante ci muovesse a compassionarlo, molto più che se piangendo ciò facesse?... E molto più lo ammireremmo, se tacendo, col solo strumento, con crudezze et accenti patetici musicali, ciò facesse...»  (Opere XI) mettendo sullo stesso piano la musica vocale e quella strumentale, dato che nell'arte sono importanti solo le emozioni che si riescono a trasmettere. Dediche  Banconota da 2.000 lire con la raffigurazione di Galileo  2 euro commemorativi italiani per il 450º anniversario della nascita di Galileo Galilei A Galileo sono stati dedicati innumerevoli tipi di oggetti ed enti, naturali o creati dall'uomo:  la Galileo Regio, una regione della superficie del satellite Ganimede; l'asteroide 697 Galilea; una sonda spaziale, la Galileo; un sistema di posizionamento spaziale, il sistema Galileo; il gal (unità di accelerazione); il Telescopio Nazionale Galileo (TNG), situato sull'isola di La Palma (Spagna); l'aeroporto internazionale "Galileo Galilei" di Pisa; un gruppo musicale giapponese, Galileo Galilei; un album degli Haggard dal titolo "Eppur si muove"; una canzone scritta e interpretata dal cantautore pugliese Caparezza intitolata "Il dito medio di Galileo"; il sottomarino Galileo Galilei; una nave da guerra italiana, la Galileo Galilei; la banconota da 2.000 lire; una canzone Messer Galileo cantata da Edoardo Pachera durante la 52ª edizione dello Zecchino d'Oro; una società, produttrice di strumenti scientifici, ottici ed astronomici e denominata Officine Galileo; una moneta commemorativa da 2 euro nel 2014 per il 450º anniversario della sua nascita; un supercomputer di potenza di calcolo pari a circa 1 PetaFlop, installato presso il consorzio interuniversitario CINECA e classificato per diverso tempo fra le prime 500 strutture di calcolo al mondo; una cattedra di storia della scienza dell'Università di Padova, detta appunto cattedra galileiana, istituita per Enrico Bellone a cui poi successe William R. Shea che la resse fino al 2011, più la Scuola Galileiana di Studi Superiori della stessa università, nonché l'Accademia galileiana di scienze, lettere ed arti di Padova. Galileo Day Galileo Galilei viene ricordato con celebrazioni presso istituzioni locali il 15 febbraio, il Galileo Day, giorno della sua nascita. Altre opere: La bilancetta (postuma), Tractatio de praecognitionibus et precognitis and Tractatio de demonstration. Le mecaniche, Le operazioni del compasso geometrico et militare, Sidereus Nuncius,  Discorso intorno alle cose che stanno in su l'acqua, Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e loro accidenti (pubblicato dall'Accademia dei Lincei), 1613 (su archive.org, BEIC) Discorso sopra il flusso e il reflusso del mare, Roma, Il Discorso delle Comete, Il Saggiatore, Roma, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Firenze, Due nuove scienze, Leida, Trattato della sfera, Roma 1656 (su BEIC) Lettere Lettera al Padre Benedetto Castelli, Lettera a Madama Cristina di Lorena, Lettera a Pietro Dini, Edizione nazionale Opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale, a cura di Antonio Favaro, Firenze, G. Barbera, Le opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale sotto gli auspicii di Sua Maestà il Re d'Italia.  Firenze, Tipografia di G. Barbera, Le opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale, Appendice, Firenze, Giunti, 2013 ss. in quattro volumi: Vol. 1: Iconografia galileiana, a cura di F. Tognoni, Carteggio, a cura di M. Camerota e P. Ruffo, con la collaborazione di M. Bucciantini, Testi, a cura di A. Battistini, M. Camerota, G. Ernst, R. Gatto, M. Helbing e P. Ruffo, Documenti, a cura di M. Camerota e P. Ruffo (Edizione digitale delle Opere Letteratura e teatro Vita di Galileo è il titolo di un'opera teatrale di Brecht in più versioni, a partire dalla prima risalente agli anni 1938-39. Gli ultimi anni di Galileo Galilei è il titolo di un'opera teatrale giovanile di Ippolito Nievo. Galileo è uno spettacolo teatrale del 2010 di Francesco Niccolini e Marco Paolini. Film Galileo Galilei è un cortometraggio sullo scienziato pisano. Galileo è un film di Cavani. Galileo si chiama anche il film di Joseph Losey tratto dal dramma Vita di Galileo di Bertolt Brecht. Per testuali parole di Puccianti, Galileo fu veramente cultore e propugnatore della Natural Filosofia: in effetti egli fu matematico, astronomo, fondatore della Fisica nel senso attuale di questa parola; e queste varie discipline considerò sempre e trattò come intimamente connesse tra loro, e insieme ad altri studi vari, come diversi aspetti e atteggiamenti di una stessa attività dello spirito: filosofo dunque, anche perché portò su questa attività la riflessione e la critica; ma non incurante delle conseguenze o, come ora si direbbe, delle applicazioni pratiche. I problemi più importanti e centrali lo impegnarono per tutta la durata della sua vita scientifica, non con continua opera su ciascuno di essi, ma con ritorni successivi sempre più approfonditi e più generali, e in fine risolutivi» (da: Luigi Puccianti, Storia della fisica, Firenze, Felice Le Monnier, Fondamentali furono inoltre le sue idee e riflessioni critiche sui concetti fondamentali della meccanica, in particolare quelle sul movimento. Tralasciando l'ambito prettamente filosofico, dopo la morte di Archimede, il tema del movimento cessò di essere oggetto di analisi quantitativa e discussione formale allorché Gerardo di Bruxelles, vissuto nella seconda metà del XII secolo, nel suo Liber de motu riprese la definizione di velocità, già peraltro considerata dal matematico del III secolo a.C. Autolico di Pitane, avvicinandosi alla moderna definizione di velocità media come rapporto fra due quantità non omogenee quali la distanza e il tempo (cfr. Gerard of Brussels, "The Reduction of Curvilinear Velocities to Uniform Rectilinear Velocities", edito da Clagett, in Grant, A Source Book in Medieval Science, Cambridge (MA), Harvard University Press,  e Mazur, Zeno's Paradox. Unraveling the Ancient Mystery Behind the Science of Space and Time, New York/London, Plume/Penguin Books, Ltd., Achille e la tartaruga. Il paradosso del moto da Zenone a Einstein, a cura di Claudio Piga, Milano, Il Saggiatore, Grazie al perfezionamento del telescopio, che gli permise di effettuare notevoli studi e osservazioni astronomiche, fra cui quella delle macchie solari, la prima descrizione della superficie lunare, la scoperta dei satelliti di Giove, delle fasi di Venere e della composizione stellare della Via Lattea. Per maggiori notizie, si veda: Luigi Ferioli, Appunti di ottica astronomica, Milano, Editore Ulrico Hoepli, Cfr. pure Vasco Ronchi, Storia della luce, IBologna, Nicola Zanichelli Editore, Dal punto di vista storico, un'ipotesi autenticamente "eliocentrica" fu quella di Aristarco di Samo, poi sostenuta e dimostrata da Seleuco di Seleucia. Il modello copernicano invece, contrariamente a quanto generalmente ritenuto, è "eliostatico" ma non "eliocentrico" (vedi nota seguente). Il sistema di Keplero, poi, non è né "eliocentrico" (il Sole occupa infatti uno dei fuochi dell'orbita ellittica di ciascun pianeta che gli ruota attorno) né "eliostatico" (a causa del moto di rotazione del Sole attorno al proprio asse). La descrizione newtoniana del sistema solare, infine, eredita le caratteristiche cinematiche (i.e., orbite ellittiche e moto rotatorio del Sole) di quella kepleriana ma spiega causalmente, tramite la forza di gravitazione universale, la dinamica planetaria. ^ A proposito del modello copernicano: «È da notare che, sebbene il Sole sia immobile, tutto il sistema [solare] non ruota intorno ad esso, ma intorno al centro dell'orbita della Terra, la quale conserva ancora un ruolo particolare nell'Universo. Si tratta cioè, più che di un sistema eliocentrico, di un sistema eliostatico.» (da G. Bonera, Dal sistema tolemaico alla rivoluzione copernicana, E non più soggettiva, come era stata fino ad allora condotta. ^ Secondo Giorgio Del Guerra, nella casa sita al n. 24 dell'attuale via Giusti in Pisa (G. Del Guerra, La casa dove, in Pisa, nacque Galileo Galilei, Pisa, Tipografia Comunale. Verosimilmente, Galileo non dovette avere buoni rapporti con la madre se non ricorda mai gli anni della sua infanzia come un periodo felice. Il fratello Michelangelo ebbe occasione di scrivere a questo proposito a Galileo, quasi augurandosene l'ormai imminente dipartita: «[...] di nostra madre intendo, con non poca meraviglia, che sia ancora così terribile, ma poiché è così discaduta, ce ne sarà per poco, sì che finiranno le lite.» Un Tommaso Ammannati fu fatto cardinale da Clemente VII nel 1385, mentre il fratello Bonfazio Ammannati ottenne la porpora da uno dei successori di Clemente, l'antipapa Benedetto XIII; quanto a Giacomo Ammannati Piccolomini, cardinal, fu umanista, continuatore dei Commentarii di Pio II e autore di una Vita dei papi che è andata perduta. ^ Si ricorda un Tommaso Bonaiuti, che fece parte del governo di Firenze dopo la cacciata del Duca di Atene e un Galileo Bonaiuti, medico noto al suo tempo e gonfaloniere di giustizia, il cui sepolcro nella Basilica di Santa Croce divenne la tomba dei suoi discendenti; a partire da Galileo Bonaiuti, il cognome della famiglia cambiò in Galilei. ^ Così scriveva Muzio Tedaldi a Vincenzo Galilei: «per la vostra ho inteso quanto havete concluso con il vostro figliuolo [Galileo]; et come, volendo cercar di introdurlo qua in Sapienza, vi ritarda il non esser la Bartolomea maritata, anzi vi guasta ogni buon pensiero; et che desiderate che la si mariti, e quanto prima. Le considerationi vostre son buone, et io non ho mancato né manco di far quell'opera che si ricerca; ma sino a qui son venuti tutti partiti, per non dir obbrobriosi, poco aproposito per lei… Per concludere, ardisco di dire che credo che la Bartolomea sia così casta come qual si vogli pudica fanciulla; ma le lingue non si possono tenere; pure io crederrò, con l'aiuto che do loro, di levar via tutti questi romori et farli supire; per il che a quel tempo potrete facilmente mandare il vostro Galileo a studio; et se non harete la Sapienza, harete la casa mia al vostro piacere, senza spesa nessuna, et così vi offero et prometto, ricordandovi che le novelle son come le ciriegie; però è bene credere quel che si vede, e non quel che si sente, parlando di queste cose basse.» Obbligatoriamente l'iscrizione doveva avvenire per gli studenti toscani in quell'Università. Chi voleva andare in un'altra Università avrebbe dovuto pagare una multa di 500 scudi stabilita da un editto granducale per scoraggiare la frequenza in un ateneo diverso da quello pisano (In: A. Righini, Op. cit.). ^ Lo testimonierebbe la coincidenza di argomentazioni esistente tra gli Juvenilia, gli appunti di fisica abbozzati da Galileo in questo periodo, e i dieci libri del De motu del Bonamico. (In: Storia sociale e culturale d'Italia, La cultura filosofica e scientifica, La filosofia e le scienze dell'Uomo, La storia delle scienze, Milano, Bramante Editrice, Ne descrive i dettagli nel breve trattato La bilancetta, circolato prima fra i suoi conoscenti e pubblicato postumo nel 1644 (Annibale Bottana, Galileo e la bilancetta: un momento fondamentale nella storia dell'idrostatica e del peso specifico, Firenze, Leo S. Olschki Editore). Studi riportati nel Theoremata circa centrum gravitatis solidorum, pubblicato in appendice ai Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla meccanica e ai moti locali. ^ Galileo sottopose a Clavius una sua insoddisfacente dimostrazione della determinazione del baricentro dei solidi. (Lettera a Clavius). Giovanni de Medici aveva progettato una draga per il porto di Livorno. Su questo progetto il granduca Ferdinando aveva chiesto una consulenza a Galilei che dopo aver visto il modellino affermò che non avrebbe funzionato. Giovanni de Medici volle comunque costruire la draga che in effetti non funzionò. (Giovan Battista de Nelli, Vita e commercio letterario di Galileo Galilei, Losanna, con tale Benedetto Landucci che Galilei raccomandò a Cristina di Lorena riuscendo a fargli ottenere nel 1609 il posto di pesatore al saggio; il lavoro, consistente nel pesare gli argenti che venivano venduti, procurava un guadagno di circa 60 fiorini. Lettera a Cristina di Lorena (Ed. Naz., Vol. X, Lettera N., Alla dote per la sorella Livia avrebbe dovuto contribuire anche il fratello Michelangelo. (Lettera a Michelangelo Galilei, Michelangelo... fu versatissimo nella musica e la esercitò per professione; essendo stato buon liutista non v'è dubbio che fosse allievo egli pure di suo padre Vincenzo. visse in Polonia al servizio di un conte palatino; nel 1610 era a Monaco di Baviera ove insegnava musica, e in una lettera datata del 16 agosto di quell'anno, egli pregava il fratello Galileo, di acquistargli grosse corde di Firenze per suo bisogno et dei suoi scolari...» (Dizionario universale dei musicisti, Milano, Casa Editrice Sonzogno). Le spese per i viaggi in Polonia e Germania furono sostenute da Galileo. Michelangelo appena sistematosi in Germania volle sposarsi con Anna Chiara Bandinelli e, anziché saldare il debito per la dote che aveva con il cognato Galletti, spese tutto il denaro che aveva in un lussuoso ricevimento nuziale. ^ «Mi dispiace ancora di veder che V.S. non sia trattata second'i meriti suoi, e molto più mi dispiace che ella non habbi buona speranza. Et s'ella vorrà andar a Venetia questa state, io l'invito a passar di qua, che non mancarò dal canto mio di far ogni opera per aiutarla e servirla; chè certo io non la posso veder in questo modo. Le mie forze sono deboli, ma, come saranno, io le spenderò tutte in suo servitio.  (Lettera di Guidobaldo Del Monte a Galilei. In: Ed. Naz., Vol. X, Lettera N. 35, Ancora vivente, Galileo fu ritratto da alcuni dei più famosi pittori del suo tempo, come Santi di Tito, Caravaggio, Domenico Tintoretto, Giovan Battista Caccini, Francesco Villamena, Ottavio Leoni, Domenico Passignano, Joachim von Sandrart e Claude Mellan. I due ritratti più famosi, visibili alla Galleria Palatina di Firenze e agli Uffizi sono invece di Justus Suttermans che rappresenta Galileo ormai anziano come simbolo del filosofo conoscitore della natura. (In "Portale Galileo") ^ Per moto «naturale» s'intende quello di un grave, ossia di un corpo in caduta libera, diversamente dal moto «violento», che è quello di un corpo che sia soggetto ad un «impeto». ^ L'esatta formulazione della legge è stata data da Galileo nel successivo De motu accelerato: «Motum aequabiliter, seu uniformiter, acceleratum dico illum, qui, a quiete recedens, temporibus aequalibus aequalia celeritatis momenta sibi superaddit», ove l'accelerazione di gravità è indicata essere direttamente proporzionale al tempo e non allo spazio. (Ed. Naz.) ^ Con lettera da Verona, l'Altobelli riferiva a Galileo, senza dar credito, che la stella, «quasi un arancio mezzo maturo», sarebbe stata osservata. In verità, dietro Antonio Lorenzini (da non confondere col vescovo Antonio Lorenzini) si celava il Cremonini; cfr. Uberto Motta, Antonio Querenghi. Un letterato padovano nella Roma del tardo Rinascimento, Pubblicazioni dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Vita e Pensiero, «Nacque in Padova intorno al 1580. Poco più che ventenne professò i voti nell’Ordine Benedettino, e nei primi anni del secolo XVII si trovava nel monastero di S. Giustina di Padova, legato in molta intimità col Castelli, insieme col quale fu discepolo di Galileo, prendendo le parti del Maestro nelle questioni relative alla stella nuova dell’ottobre 1604.» (Da Museo Galileo). Usus et fabrica circini cuiusdam proportionis, per quem omnia fere tum Euclidis, tum mathematicorum omnium problemata facili negotio resolvuntur, opera & studio Balthesaris Capræ nobilis Mediolanensis explicata. (In: Patauij, apud Petrum Paulum Tozzium, 1607) ^ Alcuni calcoli astrologici, anche risalenti al periodo fiorentino, furono conservati da Galileo e compaiono nel volume 19 dell'Opera omnia (sezione "Astrologica nonnulla", pp. 205-220). Da notare che per lo più si tratta di calcoli del tema natale, solo in qualche caso accompagnati da interpretazioni o pronostici. ^ È stata ritrovata una lista della spesa dove Galilei, insieme a ceci, farro, zucchero, ecc., ordinava di acquistare anche pezzi di specchio, ferro da spianare e quanto di utile per il suo laboratorio ottico. (Da una nota di una lettera di Ottavio Brenzoni  conservata nella Biblioteca Centrale di Firenze) ^ Espressione tradizionalmente attribuita da scrittori cristiani all'imperatore pagano Flavio Claudio Giuliano che in punto di morte avrebbe riconosciuto la vittoria del Cristianesimo: «Hai vinto o Galileo» riferendosi a Gesù nativo della Galilea. ^ Il comportamento di Galileo è stato variamente giudicato: vi è chi sostiene che egli le chiuse in convento perché «doveva pensare a una loro sistemazione definitiva, cosa non facile perché, data la nascita illegittima, non era probabile un futuro matrimonio» (come se egli non potesse legittimarle, come fece con il figlio Vincenzio e come se una monacazione coatta fosse preferibile a un matrimonio non prestigioso; cfr. Sofia Vanni Rovighi, Storia della filosofia moderna e contemporanea. Dalla rivoluzione scientifica a Hegel, Brescia, Editrice La Scuola), mentre altri ritengono che «alla base di tutto stava il desiderio di Galileo di trovare per esse una sistemazione che non rischiasse di procurargli in futuro alcun nuovo carico [...] tutto ciò nascondeva un profondo, sostanziale egoismo» (cfr. Ludovico Geymonat,). ^ «quel mirare per quegli occhiali m'imbalordiscon la testa», avrebbe detto Cremonini secondo la testimonianza di Paolo Gualdo. (Da una lettera del Gualdo a Galilei. Scheiner pubblicò ancora sull'argomento il De maculis solaribus et stellis circa Iovem errantibus. La priorità della scoperta andrebbe all'olandese Johannes Fabricius, che pubblicò a Wittenberg, il De Maculis in Sole observatis, et apparente earum cum Sole conversione. Cioè con i sensi, con l'osservazione diretta. ^ «Egli pensava infatti che una colonna d’acqua troppo alta tendeva a spezzarsi sotto l’azione del suo stesso peso, così come si spezza una fune di materiale poco resistente quando, fissata in alto, viene tirata dal basso. Fu quindi proprio questa analogia fondata sull’esperienza osservativa a portare il Galilei fuori strada.» (in IL VUOTO – Elisa Garagnani – Isis Archimede). Salmi che la figlia di Galileo, suor Maria Celeste, s'incaricò di recitare, con il consenso della Chiesa. Baretti, in una sua ricostruzione, avrebbe fatto nascere la leggenda di un Galilei che una volta alzatosi in piedi, colpì la terra e mormorò: "E pur si muove!" (In Giuseppe Baretti, The Italian Library). Tale frase non è contenuta in alcun documento contemporaneo, ma nel tempo fu ritenuta veritiera, probabilmente per il suo valore suggestivo, a tal punto che Berthold Brecht la riporta in "Vita di Galileo", opera teatrale dedicata allo scienziato pisano alla quale egli si dedicò a lungo. ^ In Paschini è riportato che: «secondo le norme del Sant'Offizio» questa condizione «era equiparata ad una prigionia per quanto egli facesse per ottenere la liberazione. Si ebbe il timore probabilmente ch'egli riprendesse a fare propaganda delle sue idee e che un perdono potesse significare che il Sant'Offizio si fosse ricreduto a proposito di esse» (cfr. pure Alceste Santini, "Galileo Galilei", L'Unità). Conceditur habitatio in eius rure, modo tamen ibi in solitudine stet, nec evocet eo aut venientes illuc recipiat ad collocutiones, et hoc per tempus arbitrio Suae Sanctitatis.» (Ed. Naz.) ^ A Galileo era infatti proibito stampare qualunque opera in un paese cattolico. ^ Fonti di questa corrispondenza si trovano in: Paolo Scandaletti, Galilei privato, Udine, Gaspari editore, Antonio Favaro, Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, Alessandra Bocchineri, Venezia, Pubblicazioni del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Valerio Del Nero, Galileo Galilei e il suo tempo, Milano, Simonelli Editore, A. Righini, Galileo: tra scienza, fede e politica, Bologna, Editrice Compositori, 2008, p. 150 e sgg.; Geymonat, Giorgio Abetti, Amici e nemici di Galileo, Milano, Bompiani, Banfi,  «Galileo fu invitato alla villa di S.Gaudenzio, sulle colline di Sofignano, alla fine di luglio del 1630, ospite di Giovanni Francesco Buonamici, che con lo scienziato vantava una parentela da parte della moglie Alessandra Bocchineri: la sorella di lei, Sestilia, aveva sposato a Prato l'anno prima il figlio di Galileo, Vincenzo.» (In Comune di Vaiano) Fu permessa a Galilei l'assistenza del giovane allievo Vincenzo Viviani e, dall'ottobre 1641, anche di Evangelista Torricelli. ^ «La prego a condonare questa mia non volontaria brevità alla gravezza del male; e le bacio con affetto cordialissimo le mani, come fo anche al Signor Cavaliere suo Consorte.» (In Le Opere di Galileo Galilei, a cura di Eugenio Albèri, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 1848, p. 368) Anfossi pubblicava–anonimamente–in Roma un libro in cui le leggi di Keplero e di Newton erano presentate come «cose che non meritano la menoma attenzione» e si chiedeva come mai «tanti uomini santi» ispirati dallo Spirito Santo, «ci han detto ottanta e più volte che il Sole si muove senza dirci una volta sola che è immobile e fermo?» (Sebastiano Timpanaro, Scritti di storia e critica della scienza, Firenze, G.C. Sansoni, L'edizione curata da Favaro si basava sulle copie allora disponibili, perché l'originale non era stato ritrovato (Avvertimento. Il manoscritto originale è stato scoperto nell'agosto 2018 e pubblicato come appendice a Michele Camerota, Franco Giudice, Salvatore Ricciardi, "The reapparance of Galileo's original letter to Benedetto Castelli". L'effetto di parallasse stellare, che dimostra la rivoluzione della Terra attorno al Sole, sarà misurato da Friedrich Wilhelm Bessel solo nel 1838. Per il testo della condanna, vedi: Sentenza di condanna di Galileo Galilei, su it.wikisource.org. Per il testo dell'abiura, vedi: Abiura di Galileo Galileisu it.wikisource.org. ^ Questa frase è stata citata in un intervento molto criticato di Joseph Ratzinger (cfr. "La crisi della fede nella scienza" in Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei rivolgimenti, Roma, Edizioni Paoline. Ratzinger aggiunge da parte sua che: «Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in una ragionevolezza più grande. Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto oggi la scienza e la tecnica.» ^ Già chiaramente indicati nella Lettera a Madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana. L'Accademia del Cimento, fra le più antiche associazioni scientifiche al mondo, fu la prima a riconoscere ufficialmente, in Europa, il metodo sperimentale galileano. Fu fondata a Firenze da alcuni allievi di Galileo, Evangelista Torricelli e Vincenzo Viviani. Si lasci alla storiografia stabilire, caso fosse mai possibile, se Galileo concepisse il moto inerziale unicamente come circolare [...] o se ammettesse anche la possibilità in natura della prosecuzione indefinita del moto rettilineo, anche perché in Galileo non si può sensatamente parlare di formulazione del principio d'inerzia come se fossimo nell'ambito della moderna fisica newtoniana, ma solo di alcune considerazioni preliminari al principio della relatività del moto.» Portale Galileo, su portalegalileo.museogalileo.it.Testi non compresi nella prima edizione dell'Edizione Nazionale curata da Antonio Favaro, ma in quella curata da William F. Edwards e Mario G. Helbing, con Introduzione, Note e Commenti di William A. Wallace, per Le opere di Galileo Galilei. Edizione Nazionale, Appendice al Volume III: Testi, Firenze, G.C. Giunti. Bibliografiche  Abbagnano, Albert Einstein, Leopold Infeld, L'evoluzione della fisica. 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Galilei", su illaboratoriodigalileogalilei.it.  Lo scherzo d'un uomo di genio dice cose più serie che non le cose serie dell'uomo volgare; anzi primo indicio della superiorità è il sorriso. Il volgo andava ripetendo che la caduta di un pomo preannunziò la scoperta della gravitazione universale: e Byron scherzando di ceva essere stata la prima volta, da Adamo in qua, che un pomo e una caduta dessero qualche vantaggio al genere umano. Altro che pomo ! voleva dire il poeta: esatte premesse occorrono alle grandi scoperte e non il caso. Il pensiero è una catena e ciò che ai più par caso entra nella serie. Togliete Galilei e Keplero e avrete soppresso le premesse immediate a Newton. Togliete Copernico, e li avrete soppressi tutti. Togliete le tradizioni pitagorichealle univer sità italiane e sparisce Copernico. Dov'è il caso? Il pomo no: una serie di grandi pensieri che furono grandi scoperte sgombrò le vie del firmamento all' anglo. Un fatto può essere occasionale, ma per quegli uomini che portano nel cervello quella preparazione, che rias sumendo la serie, afferra il fatto e lo trasforma. Così nell'astronomia e così proprio in tutte le altre scienze. To gliete Bruno e Campanella, e non troverete Vico. Togliete Telesio, e li perdete tutti. Togliete le tradizioni naturalistiche dell'antica scuola italica— già greca di origine —e sparisce Telesio. È la me desima serie ed è una riprova della cognatela tra tutte le scienze. E questa serie non si smentisce neppur dove la reazione crede spennare le reni agl'ingegni alati. Non fu una reazione il libro della Ragion di Stato —che creò tanti discepoli-contro il Principe, che aveva già tutta una scuola, cioè Bottero non ebbe il disegno aperto di reagire trionfalmente contro Machiavelli? Ebbene, mentre il prete Bottero mandava ad uno de'più grandi e sventurati ingegni 215 italiani quante maledizioni gli erano ispirate dalla triplice reazione di Parigi, di Madrid e di Roma, era nel tempo istesso tirato dalla logica a prendere da Machiavelli la teorica de’ mezzi, come il secre tario di Firenze aveva preso la teorica de'fini pubblici da Dante e da Petrarca, ispirati — alla loro volta —dall'antica tradizione ro mana. Ed ecco la reazione entrare nella serie, come appunto la santa alleanza insinuava ne 'codici tanti principii della rivoluzione. E ciò non accade soltanto rispetto ai sistemide'quali l'uno suppone l'altro anche dove il secondo reagisce al primo, ma alle singole teo riche di ciascuno, le quali non segnano un progresso che non sia una conclusione di ciò che si era pensato prima. A che mira, infatti, la critica di Galilei? A reintegrare l'unità della natura. Ma se Bacone lo chiama filosofo telesiano, voi dovete ricordare che Telesio non solo aveva propugnato il metodo sperimen tale, ma tentato comporre il dissidio lasciato aperto da Aristotile tra materia e forma, come Pomponazzi e Campanella avevano troncato il dualismo tra intelletto e senso, e Bruno tra natura e Dio. Non è un gruppo, è una catena nella quale il nome di ciascuno s’inanella nel precedente, e tutti insieme presentano il disegno della rinnovata natura. Per questi il risorgimento fu naturalismo, fu ita liano, mentre la scolastica era stata europea. Se dalla serie e dal proprio posto nella serie voi spiccate il nome di Galilei, vi accorgerete che resterà il nome di un astronomo più o meno insigne, di un improvvisatore di qualche teorica, dello scopri tore fortunato di qualche astro e di qualche istrumento, ma che cosa egli abbia aggiunto al pensiero, per quale via e con quali effetti voi non saprete dire. Ammirerete un mito e sarà volgare ammirazione. Voi, in somma, assisterete ai miracoli di un prestigiatore non alle scoperte del genio. Or sospettate voi che io vi voglia esporre ad una ad una le pre messe di Galilei e di Klepero per arrivare sino a Newton? che io voglia indicarvi da quali parti specialmente della meccanica terre stre emerse la meccanica celeste e come la dimostrazione de'quadrati de' tempi delle rivoluzioni che stanno fra loro come i cubi degli assi maggiori delle orbite abbia aperto a Newton la conclusione che la forza era proporzionale alla massa? Sarebbe riuscire, pel cammino peggiore, a nessuna meta. I dotti · non imparerebbero una sillaba di nuovo e vedrebbero in espressioni difettive snaturate quelle forme che chiedono un'analisi esatta, e i meno dotti si allontanerebbero storditi e infastiditi. Io, dunque,. 216 senza guastare la serie, debbo dirvi quel che penso io intorno ad al cuni pensieri di quell'uomo sommo e scelgo — non a caso —i punti seguenti: 1.º Come intese Galilei il metodo sperimentale? 2. ° Quale valore oggettivo dette egli alla conoscenza? 3. ° Quale fu il risulta mento scientifico e morale delle sue dottrine? Non è poco, e più che nella cortesia --cosa mediocre— confido nella serietà con la quale voi ed io vogliamo che sia discusso il pa trimonio glorioso della mente. II. « Non vogliamo costruzioni scientifiche, non metodi aprioristici, vogliamo il metodo sperimentale: » Così gridano, e vogliamolo pure, io scrivevo, ma vogliamolo davvero. Non fu forse proclamato ed eser citato con diverso intento e diversa fortuna? Non fu fecondo o arido, secondo l'intelletto e la mano che presero a trattarlo? Non si distin gue dall'empirismo? Bisogna dunque sapere che è veramente me todo sperimentale. Galilei si trova a pari distanza tra Telesio e Bacone, due che pro pugnarono il metodo sperimentale senza scoprire nulla nel mondo naturale, e si trova ad un secolo di distanza da Leonardo da Vinci, che, professando il metodo sperimentale, strappò più di un segreto alle cose reali. Perchè dunque l'istesso metodo, arido nelle mani di Telesio e di Bacone, diventa fecondo nelle mani di Leonardo e di Ga lilei? Ecco il punto. E la risposta è chiara: — Perchè il metodo non è veramente lo stesso. Per Telesio e Bacone comincia e resta nel fenomeno e dove al fenomeno aggiunge qualche ipotesi, è soggettiva, cioè puro ri torno all'antico. Per Leonardo e Galilei comincia dal fatto e sale alle alte sfere della ragione, mediante il linguaggio stesso delle cose che è la matematica. La matematica è formale come la logica —dice Bacone. La matematica è reale come le cose afferma Galilei. Con la matematica sei arrivato a far girare la terra -è un frizzo di Bacone contro Galilei. E la terra gira -- grida il pisano. Pur tu ti sei disdetto —rincalza Bacone. Stolto ! dice Galilei -- potevo disdirmi cento volte, e la prova re sta e la terra continua il suo giro. 217 Ma chi ti malleva la realtà della matematica? Il fatto stesso che misuratamente si move, misuratamente per corre il tempo e lo spazio, nella misura costituisce l'ordine. -La misura è aggiunta. - La misura è: io la colgo: chi non la coglie non vede il fatto. Telesio non lo dice. Leonardo lo disse, e scoprì. Telesio e tu non avete scoperto. Il fatto a voi è stato muto; a noi ha parlato. Fermiamoci. Il divario è grande. Potete voi dire che sia l'istesso metodo? Fu Bacone l'anglo che intese Galilei o un altro? Quando si parla di metodo sperimentale, di senso, di fatto, biso gna cogliere tutto il fatto, il quale non è qualità soltanto, è quan tità; e questi due termini s'integrano a vicenda, in modo che la quantità si qualifica, e la qualità si quantifica. Questo pro cesso graduale ed intimo delle cose è l'evoluzione, e la legge che la traveste, affaticandola di moto in moto, è la causalità, che in Newton si determina come gravitazione universale. Il fatto dunque non è fenomeno soltanto, è fenomeno e legge. Così Galilei lo intuisce e così lo intuisce intero; Bacone coglie un termine solo e mutila il fatto. L'esperienza che in Galilei è piena, in Bacone è unilaterale; quel metodo che in Galilei è sperimentale, in Bacone diventa empirico; e quel processo che nell'uno è fecondo di scoperte, nell'altro è gonfio di precetti pom posi. Ha un bel rimuovere Bacone tutti quelli ch'ei chiama idoli, se innanzi agli occhi gli rimane fisso l'idolo peggiore, il fatto eslege. Così aveva fatto Leonardo da Vinci notando nel fenomeno la legge, e così fa Galilei, entrambi con pochi precetti e con effetti amplissimi, tirandone l'uno applicazioni mirabili alla meccanica, e specialmente all'idraulica, l'altro al sistema planetario. E si ripeta pure che in Galilei l'esperienza naturale è senso pieno, ma quì un fatto contemporaneo ci deve fermare e impensie rire. Bruno senza i computi di Copernico, senza il metodo speri mentale e il teloscopio di Galilei, e senza il calcolo superiore di Newton, non era pervenuto per sola forza di pensiero, alle medesi me anzi a più larghe conclusioni che non si trovino nell'astronomo tedesco, nell'italiano e nell'inglese, affermando cose che facevano sgomento a Klepero e furono trovate poi vere dal progresso poste riore? Il pensiero, da solo, non valse altrettanto che l'esperienza, e 218 ciò che lo scienziato induceva computando, il genio non poteva co struire? L'esempio di Bruno, non bene inteso, potrebbe inficiare la cri tica di Galilei, nè per il genio vale ricorrere ad eccezioni, che com plicano la quistione e non spiegano nulla. Il vero è che Bruno intese il fatto e l'esperienza come Galilei, e movendo dal medesimo punto, l'uno giunse con la logica dove l'altro con la matematica. La conseguenza è che la matematica è la logica delle cose, e che se rispetto alla mente, come dice Leibintz, pensare è calcolare, rispetto alle cose moversi misurata mente vuol dire evolversi razionalmente. Bruno è la riprova, non l'eccezione. Appena, infatti, il nolano intese il sistema copernicano, n'esultò, cercò alla matematica la riprova della logica, e come Campanella scrisse l'apologia di Ga lilei, così Bruno di Copernico. Era dal medesimo punto di partenza la medesimezza del pensiero logico e del pensiero matematico, con medesimezza di disegno e di effetti. E-ora si dirà-Cartesio non intese fare la medesima cosa, cioè costruire la fisica col pensiero, come il nolano, introducendovi la matematica, come Galilei, e perchè egli riuscì a costruire una fi sica falsa, disconoscendo Bruno in tutto e in gran parte il disegno di Galilei? Perchè egli non muove come que due dal fatto, bensì dall'idea astratta, dal puro cogito, che non è la cosa, ma l'ombra della cosa, e l'ombra ei tratta come cosa salda. Perciò non solo non giunse per forza di logica, agl’infiniti mondi del nolano, ma nep pure per forza di matematica a riconoscere l'importanza del siste ma eliocentrico dimostrato da Copernico e da Galilei. Bacone errò, mutilando il fatto e attenendosi al solo fenomeno, Cartesio errò, correndo dietro l'ombra del fatto e improvvisando la legge. L'uno cadde nell'empirismo l'altro nell'apriorismo. In Bacone riconosciamo il merito di avere insistito sulla indu zione, e in Cartesio, come dice Comte, il merito di aver convertito la qualità in quantità, e la quantità continua nella discreta. Ma l'uno e l'altro, non avendo colto il punto di partenza, non aggiun sero nulla alla scienza della natura. Justus Liebig, parlando dell'intima gioia degli scopritori - ne gata a Bacone - nomina Galilei, Klepero, Newton. E perchè non ricorda Bruno? Quanta non è la sua gioia dove saluta le comete come testimoni della sua filosofia, e parlando di Copernico, ag giunge qualche felicità essere toccata al secolo suo, quando dai 219 lidi dell'oceano germanico un grande astronomo sorse a con forto della sua filosofia. In quella gioia c'è — come ho detto— l’unità del pensiero logico col matematico, e nella medesimezza de' risultati c'è la cognatela tra la natura e il pensiero, la quale vuol essere riaffermata, supe rando da una parte il vecchio idealismo metafisico e dall'altra il positivismo empirico. Ed ora, dopo il metodo sperimentale, dobbiamo esaminare in Ga lilei il valore che egli dà alla conoscenza. III. Non è di piccolo momento questo esame; involge il massimo pro blema della filosofia ed è un punto importante della mente, e dirò, del carattere di Galilei. Si può formularlo così: Il metodo speri mentale condusse Galilei a quel relativismo filosofico che dà alla conoscenza un valore precario, cioè o relativo al soggetto pensante (sofistica) o relativo ad un certo tempo e luogo (empirismo)? In altre parole: per Galilei nulla di permanente, di assoluto, di uni versale entra nella conoscenza, o c'è invece delle conoscenze che per loro necessità intrinseca s' impongono a tutti gli uomini, e alla natura come agli uomini, e a Dio come alla natura? Ci sono— risponde il Pisano - e il fatto ci dice che sono, e ci dice che sono le conoscenze matematiche sian pure o applicate, perchè non mutano per variare di luogo e di tempo, e perchè tali si riscontrano nelle cose quali si trovano nella mente. La natura le impone, la mente le sugella, neppur Dio potrebbe negarle, ma o il sofista o il pazzo. L'affermazione è solenne, e bisogna lasciargli la parola. Quanto alla verità, egli dice di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina. Nessun divario, dunque, in questo tra la sapienza divina e umana? Di vario di modo, egli dice, lo ammettiamo, perchè in Dio è sapienza intuitiva quella che nell'uomo è discorsiva; di numero pure, perchè Dio le sa tutte quelle verità, e l'uomo una parte; ma di necessità no: sono del pari necessarie per lui e per noi, e mille Demosteni e Aristotili e-voleva dire—mille Dei non potrebbero scemare la certezza di una sola di quelle. Partecipa di questa certezza la scienza della natura, le cui leggi sono matematiche. E il processo fu questo: Telesio affermò che il 220 libro della filosofia è la natura; Bruno aggiunse che quel libro è scritto in carattere assoluti: Galilei conchiuse che i caratteri sono matematici. Anche Cartesio disse come Galilei: Apud me omnia sunt ma thematice in natura; ma lo disse dopo e timidamente, essendoci questa differenza tra’due pensatori, che per Galilei le verità mate matiche leggibili nella natura hanno l'istesso valore per la mente sia divina o umaņa, e per Cartesio niente è limite alla onnipotenza di Dio, neppure il principio di contraddizione. Se lo disse davvero o per vivere tranquillo, specialmente dopo le persecuzioni fatte a Galilei, non - so; ma, certo, l'italiano lo a vanza di tempo e di fermezza. Delle altre scienze che non sono le naturali Galilei dubitò, perchè si sottraggono alle matematiche e l'uomo vi mette del suo. Le abbandonò al relativismo. Ma se tutto è evoluzione e tutto procede da natura, noi ben pos siamo affermare che i suoi Dialoghi delle Scienze Nuove saranno quasi prefazione di una Scienza Nuova intorno alla comune natura delle nazioni. Le teoriche sulla psico-fisi e sulla fisica sociale hanno assai allargato il campo di applicazione alle matematiche. Noi, è vero, non possiamo mutare le leggi naturali, ma possiamo forse mutare le leggi sociali e costruire a nostro talento le società umane? La storia non rientra ogni giorno più nelle leggi della natura e però della misura? La morale par certo la cosa più im ponderabile, ed è pure altrettanto graduale e necessaria nel suo processo che il suo moto si potrebbe dire uniformemente accelerato. Dal pensiero si traduce nella volontà, dall'azione alle istituzioni, e se rea, dal fastigio all ' imo (1 ). Signori, ho esaminato quelli che nella scienza di Galilei mi parevano i punti principali ed ho tentato liberare dagli equivoci volgari il metodo sperimentale. Non a pompa letteraria mi sono giovato di rapidi raffronti ma per delineare quello che fu il cervello più equilibrato di quanti al mondo furono scienziati. Le conse guenze scientifiche e morali di quella profonda rivoluzione intel lettuale io ve le ho segnate senza orgoglio nazionale e con pura coscienza di uomo. Era cosí alto il tema, così pieno di pensiero, di (1 ) Qui manca qualche pagina intorno all'applicazione delle matematiche ai fenomeni sociali e morali, non potuta trovare. 221 poesia, di storia, di gloria e di dolori che a me non che il tempo, mancò il volere di divagare. Abbasserei l'occhio da Telesio, da Co pernico, da Galilei per posarlo sulla politica? Farei allusioni, rim proveri, programmi? Mail monumento che divisate è mondiale; una sillaba aggiunta al tema macchierebbe la prima pietra: e, per rien trare nella mediocrità de ' Parlamenti, invidieremmo a noi questa breve fortuna che ci solleva a colloquio coi legislatori degli astri. Che sono i nostri codici, i nostri statuti, i disegni nostri, che durata hanno e che sapienza di fronte alle leggi onde Galilei sta biliva il ritmo dei cieli, Machiavelli la vicenda degli Stati, e Vico il corso dell'umanità? C'è qualcosa al di sopra dei codici ed è la pa rola dei fondatori delle religioni, che lasciano libri sacri e parlano ai millenarii. Pur viene il secolo che mette nella pagina più au tentica di quei libri il tarlo del pensiero. Ma qualcuno c'è stato che senza chiamarsi messia nè profeta misurò una parola a lettere di stelle, la pose nel firmamento, e nessuno la cancellerà. Come chia mate un uomo che vi trasmette un libro più duraturo di una bib bia? Alzate il monumento e non mi chiedete altro.  The principle of relativity states that it is im- possible to determine whether a system is at rest or moving at constant speed with respect to an inertial system by experiments internal to the system, i.e., there is no internal observation by which one can distinguish a system moving uniformly from one at rest. This principle played a key role in the defence of the heliocentric syst- em, as it made the movement of the Earth com- patible with everyday experience. According to common knowledge, the prin- ciple of relativity was first enunciated by Galileo Galilei (1564–1642; Figure 1) in 1632 in his Dialogo Sopra i Due Massimi Sistemi del Mondo (Dialogue Concerning the Two Chief World Syst- ems) (Galilei, 1953), using the metaphor known as ‘Galileo’s ship’: in a boat moving at constant speed, the mechanical phenomena can be described by the same laws holding on Earth. Many historical aspects of the birth of the rel- ativity principle have received little or scattered attention. In this short paper we put together some evidence showing that Giordano Bruno (1548–1600; Figure 2) largely anticipated Gal- ilei’s arguments on the relativity principle (Bruno, 1975). In addition, we briefly discuss Galilei’s silence about Bruno, and the con- nection between the lives and careers of the two scientists. Figure 1: A portrait of Galileo Galilei by Ottavio Leoni (en.wikipedia.org). Figure 2: An eighteenth century egrav- ing of Giordano Bruno (http://www. the history blog . com / wp - content / up- loads/2012/02/bruno-giordano.jpg).   Page 241     Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity  2 GALILEI AND THE PRINCIPLE OF RELATIVITY The Dialogo Sopra i Due Massimi Sistemi del Mondo is the source usually quoted for the enun- ciation of the principle of relativity by Galileo Galilei. However, its publication in 1632 was certainly not a surprise, as Galilei had expres- sed his views much earlier, in particular when lecturing at the University of Padova from 1592 to 1610. Some aspects of the evolution of Galilei’s ideas, from the Trattato della Sfera ... (D’Aviso, 1656) in which the Earth is still placed at the centre of the Universe, towards the Dia- logo, and passing through his heliocentric cor- respondence with Kepler from 1597 onwards (Galilei, 1890 –1907), are examined, for ex- ample, by Barbour (2001), Crombie (1996), Cla- velin (1968), Giannetto (2006), Martins (1986) and Wallace (1981; 1984). In February 1616, the Roman Inquisition condemned the theory by Nicolaus Copernicus (1473–1543) as being foolish and absurd in philosophy. One month before, the inquisitor Monsignor Francesco Ingoli (1578 –1649) ad- dressed Galilei in the essay Disputation Con- cerning the Location and Rest of Earth Against the System of Copernicus (Ingoli, 1616). This letter listed both scientific and theological arg- uments against Copernicanism. Galilei only responded in 1624, and in his lengthy reply he introduced an early version of the ‘Galileo’s ship’ metaphor, and discussed the experiment of dropping a stone from the top of the mast. Both arguments, as we shall see, had previously been raised by Bruno, and later were used again by Galilei, although with small differences, in the Dialogo. In the Dialogo Sopra i Due Massimi Sistemi del Mondo, Galilei discusses the arguments then current against the idea that the Earth moves. The book is a fictional dialogue be- tween three characters. Two of these, Salviati and Sagredo, refer to figures in the ok that disappeared a few years after the publication of the book. Salviati plays the role of the defender of the Copernican theory, putting forward Gali- lei’s point of view. The second character, Sa- gredo, is a Venetian aristocrat who is educated and liberal, and he is willing to accept new ideas. Thus, he acts as a moderator between Salviati and the third character, Simplicio, who fiercelysupportsAristotle. Thenameofthislast character (reminiscent of ‘simple-minded’ in Ital- ian) is in itself a clear indication of Galilean dia- lectics, which are designed to destroy oppon- ents. Despite being a famous commentator of Aristotle, Simplicio manifests himself with an embarrassing simplicity of spirit. Galilei uses Salviati and Simplicio as spokespersons for the two clashing world views; Sagredo represents the discreet reader, the steward of science, the one to whom the book is addressed, and he intervenes during the discussions, asking for clarification, contributing conversational topics and acting like a science enthusiast. On the second day, Galilei’s dialogue con- siders Ingoli’s arguments against the idea that the Earth moves. One of these is that if the Earth is spinning on its axis, then we would all be moving eastward at hundreds of miles per hour, so a ball dropped from a tower would land west of the tower that in the meantime would have moved a certain distance to the east- wards. Similarly, the argument goes that a cannonball shot eastwards would fall closer to the cannon compared to a ball shot to the west since the cannon moving east would partly catch up with the ball. To counter such arguments Galilei propos- es through the words of Salviati a gedanken- experiment: to examine the laws of mechanics in a ship moving at a constant speed. Salviati claims that there is no internal observation which allows them to distinguish between a smoothly-moving system and one at rest. So two systems moving without acceleration are equivalent, and non-accelerated motion is rel- ative: Salviati – Shut yourself up with some friend in the main cabin below decks on some large ship, and have with you there some flies, but- terflies, and other small flying animals. Have a large bowl of water with some fish in it; hang up a bottle that empties drop by drop into a widevesselbeneathit. Withtheshipstanding still, observe carefully how the little animals fly with equal speed to all sides of the cabin. The fish swim indifferently in all directions; the drops fall into the vessel beneath; and, in throwing something to your friend, you need throw it no more strongly in one direction than another, the distances being equal; jumping with your feet together, you pass equal spaces in every direction. When you have observed all these things carefully (though doubtless when the ship is standing still everything must happen in this way), have the ship proceed with any speed you like, so long as the motion is uniform and not fluctuating this way and that. You will discover not the least change in all the effects named, nor could you tell from any of them whether the ship was moving or standing still. In jumping, you will pass on the floor the same spaces as before, nor will you make larger jumps toward the stern than toward the prow even though the ship is moving quite rapidly, despite the fact that during the time that you are in the air the floor under you will be going in a direction opposite to your jump. In throwing something to your companion, you will need no more force to get it to him whether he is in the direction of the bow or the stern, with yourself situated op- posite. The droplets will fall as before into the Page 242     Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity  vessel beneath without dropping toward the stern, although while the drops are in the air the ship runs many spans. The fish in their water will swim toward the front of their bowl with no more effort than toward the back, and will go with equal ease to bait placed any- where around the edges of the bowl. Finally the butterflies and flies will continue their flights indifferently toward every side, nor will it ever happen that they are concentrated toward the stern, as if tired out from keeping up with the course of the ship, from which they will have been separated during long intervals by keeping themselves in the air. And if smoke is made by burning some incense, it will be seen going up in the form of a little cloud, remaining still and moving no more toward one side than the other. The cause of all these correspondences of effects is the fact that the ship’s motion is common to all the things contained in it, and to the air also. That is why I said you should be below decks; for if this took place above in the open air, which would not follow the course of the ship, more or less noticeable differences would be seen in some of the effects noted. (Galilei, 1953: 217). Note that Galilei does not state that the Earth is moving, but that the motion of the Earth and the motion of the Sun cannot be distinguished (hence the name ‘relativity’): There is one motion which is most general and supreme over all, and it is that by which the Sun, Moon, and all other planets and fixed stars – in a word, the whole universe, the Earth alone excepted – appear to be moved as a unit from East to West in the space of twenty-four hours. This, in so far as first appearances are concerned, may just as logically belong to the Earth alone as to the rest of the Universe, since the same appear- ances would prevail as much in the one sit- uation as in the other. (Galilei, 1953: 132). 3 RELATIVITY AND CELESTIAL MOTIONS BEFORE COPERNICUS The possibility that the Earth moves had been discussed several times, in particular by the Greeks, mostly as a hypothesis to be rejected. Also an annual motion of the Earth around the Sun had been considered by Aristarchus of Samos (c. 310 – c. 230 BC). Later, some medi- eval authors discussed the possibility of the Earth's daily rotation. The first was probably Jean Buridan (c. 1300–1361; Figure 3), one of the ‘doctores parisienses’—a group of profes- sors at the University of Paris in the fourteenth century, including notably Nicole Oresme. Buridan’s example of the ship, which was lat- er used by Oresme, Bruno and Galilei, is con- tained in Book 2 of his commentary about Aris- totle’s On the Heavens (1971): It should be known that many people have held as probable that it is not contradictory to appearances for the Earth to be moved circu- larly in the aforesaid manner, and that on any given natural day it makes a complete rotation from west to east by returning again to the west – that is, if some part of the Earth were designated [as the part to observe]. Then it is necessary to posit that the stellar sphere would be at rest, and then night and day would result through such a motion of the Earth, so that motion of the Earth would be a diurnal motion. The following is an example of this: if anyone is moved in a ship and imagines that he is at rest, then, should he see another ship which is truly at rest, it will appear to him that the other ship is moved. This is so because his eye would be completely in the same relationship to the other ship regardless of whether his own ship is at rest and the other moved, or the contrary situation prevailed. And so we also posit that the sphere of the Sun is totally at rest and the Earth in carrying us would be rotated. Since, however, we imag- ine we are at rest, just as the man on the ship Figure 3: Jean Buridan (www.buscabio- grafias . com / biografia / verDetalle / 576 / Jean %Buridan). moving swiftly does not perceive his own mo- tion nor that of the ship, then it is certain that the Sun would appear to us to rise and set, just as it does when it is moved and we are at rest. (Buridan, 1942: Book 2, Question 22). Here we agree with Barbour (2001), that what Buridan is referring to is kinematic relativity. To Barbour, ... we have [here] a clear statement of the principle of relativity, certainly not the first in the history of the natural philosophy of motion but perhaps expressed with more cogency than ever before. The problem of motion is beginning to become acute. We must ask our- selves: is the relativity to which Buridan refers kinematic relativity or Galilean relativity? There is no doubt that it is in the first place kinematic; for Buridan is clearly concerned with the condi- tions under which motion of one particular body can be deduced by observation of other bod- ies. (Barbour, 2001: 203).  Page 243     Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity  Later, Buridan (1942) writes: But the last appearance which Aristotle notes is more demonstrative in the question at hand. This is that an arrow projected from a bow directly upward falls to the same spot on the Earth from which it was projected. This would not be so if the Earth were moved with such velocity. Rather, before the arrow falls, the part of the Earth from which the arrow was projected would be a league’s distance away. But still supporters would respond that it happens so because the air that is moved with the Earth carries the arrow, although the arrow appears to us to be moved simply in a straight line motion because it is being carried along Figure 4: A miniature portrait of Nicole Oresme included in his Traité de la sphère. Aristotle, Du ciel et du monde (n.d.) (en.wikipedia.org). with us. Therefore, we do not perceive that motion by which it is carried with the air. Buridan already expresses some concerns about the dynamics involved, but his conclusion is that ... the violent impetus of the arrow in ascend- ing would resist the lateral motion of the air so that it would not be moved as much as the air. This is similar to the occasion when the air is moved by a high wind. For then an arrow pro- jected upward is not moved as much laterally as the wind is moved, although it would be moved somewhat. (ibid.). Thus, the theory of impetus is not pushed to the limit in which one would identify it with the prin- ciple of inertia, nor with a dynamical concept of relativity. A further step was implicitly taken a few years later by Nicole Oresme (c. 1320 –1382; Figure 4). Oresme first states that no observation can disprove that the Earth is moving: ... one could not demonstrate the contrary by any experience ... I assume that local motion can be sensibly perceived only if one body appears to have a different position with re- spect to another. And thus, if a man is in a ship called a which moves very smoothly, irrespective if rapidly or slowly, and this man sees nothing except another ship called b, moving exactly in the same way as the boat a in which he is, I say that it will seem to this person that neither ship is moving. (Oresme, 1377; our English translation). Oresme also provides an argument against Buridan’s interpretation of the example of the arrow (or stone in the original by Aristotle) thrown upwards, introducing the principle of composi- tion of movements: ... one might say that the arrow thrown up- wards is moved eastward very swiftly with the air through which it passes, with all the mass of the lower part of the world mentioned above, which moves with a diurnal movement; and for this reason the arrow falls back to the place on the Earth from which it left. And this appears possible by analogy, since if a man were on a ship moving eastwards very swiftly without being aware of his movement, and he drew his hand downwards, describing a straight line along the mast of the ship, it would seem to him that his hand was moved straight down. Following this opinion, it seems to us that the same applies to the arrow moving straight down or straight up. Inside the ship moving in this way, one can have horizontal, oblique, straight up, straight down, and any kind of movement, and all look like if the ship were at rest. And if a man walks westwards in the boat slower than the boat is moving eastwards, it will seem to him that he is moving west while he is going east. (ibid.). Also, Nicolaus Cusanus (1401–1461) stated later, without going into detail, that the motion of a ship could not be distinguished from rest on the basis of experience, but some different argu- ments need to be invoked—and the same ap- plies to the Earth, the Sun, or another star (Cu- sanus, 1985). All this happened before Copernicus: a dis- cussion of how things could be, not so much abouthowthingsreallyare. Thisviewpointwould change after Copernicus. 4 GIORDANO BRUNO AND THE PRINCIPLE OF RELATIVITY In April 1583, forty years after the publication of the book by Copernicus and nine years before  Page 244     Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity  the 28-year old Galilei was called to the Uni- versity of Padova, Bruno went to England and lectured in Oxford, unsuccessfully looking for a teaching position there. Still, the English visit was a fruitful one, for during that time Bruno completed and published some of his most important works, the six ‘Italian Dialogues’, including the cosmological work La Cena de le Ceneri (The Ash Wednesday Supper, 1584) (see Bruno, 1975). This latter book consists of five dialogues between Theophilus, a disciple who exposes Bruno’s theories; Smitho, a character who was probably real but is difficult to identify, possibly one of Bruno’s English friends (perhaps John Smith or the poet William Smith)—the English- man has simple arguments, but he has good common sense and is free of prejudice; Pru- dencio, a pedantic character; and Frulla, also a fictional character who, as the name in Italian suggests, embodies a comic figure, provocative and somewhat tedious, with a propensity to- wards stupid arguments. In the third dialogue, the four mostly com- ment on discussions heard at a supper attend- ed by Theophilus in which Bruno—called in the text ‘il Nolano’ (the Nolan), because he was born in Nola near Naples—was arguing in part- icular with Dr Torquato and Dr Nundinio, re- presenting the Oxonian faculty. Bruno starts by discussing the argument relating to the air, winds and the movement of clouds, and he largely uses the fact that the air is dragged by the Earth: Theophilus ... If the Earth were carried in the direction called East, it would be necessary that the clouds in the air should always appear moving toward west, because of the extremely rapid and fast motion of that globe, which in the span of twenty-four hours must complete such a great revolution. To that the Nolan replied that this air through which the clouds and winds move are parts of the Earth, be- cause he wants (as the proposition demands) to mean under the name of Earth the whole machinery and the entire animated part, which consists of dissimilar parts; so that the rivers, the rocks, the seas, the whole vaporous and turbulent air, which is enclosed within the high- est mountains, should belong to the Earth as its members, just as the air does in the lungs and in other cavities of animals by which they breathe, widen their arteries, and other similar effects necessary for life are performed. The clouds, too, move through happenings in the body of the Earth and are based in its bowels as are the waters ... Perhaps this is what Plato meant when he said that we inhabit the con- cavities and obscure parts of the Earth, and that we have the same relation with respect to animals that live above the Earth, as do in re- spect to us the fish that live in thicker humid- ity. This means that in a way the vaporous air is water, and that the pure air which contains the happier animals is above the Earth, where, just as this Amphitrit [ocean]1 is water for us, this air of ours is water for them. This is how one may respond to the argument referred to by Nundinio; just as the sea is not on the surface, but in the bowels of the Earth, and just as the liver, this source of fluids, is within us, that turbulent air is not outside, but is as if it were in the lungs of animals. (Bruno, 1975: 117). The Dialogue then moves to discussing the motion of projectiles, and Bruno starts by ex- plaining the Aristotelian objection to the stone thrown upwards: Smitho – You have satisfied me most suffic- iently, and you have excellently opened many secrets of nature which lay hidden under that key. Thus, you have replied to the argument taken from winds and clouds; there remains yet the reply to the other argument which Aristotle submitted in the second book of On the Heavens2 where he states that it would be impossible that a stone thrown high up could come down along the same perpendicular straight line, but that it would be necessary that the exceedingly fast motion of the Earth should leave it far behind toward the West. Therefore, given this projection back onto the Earth, it is necessary that with its motion there should come a change in all relations of straightness and obliquity; just as there is a difference between the motion of the ship and the motion of those things that are on the ship which if not true it would follow that when the ship moves across the sea one could never draw something along a straight line from one of its corners to the other, and that it would not be possible for one to make a jump and return with his feet to the point from where he took off. (Bruno, 1975: 121). In Theophilus’ speech, Bruno then gives the following reply (in reference to the ship shown in Figure 5): Theophilus – With the Earth move ... all things that are on the Earth. If, therefore, from a point outside the Earth something were thrown upon the Earth, it would lose, because of the latter’s motion, its straightness as would be seen on the ship AB moving along a river, if someone on point C of the riverbank were to throw a stone along a straight line, and would see the stone miss its target by the amount of the velocity of the ship’s motion. But if some- one were placed high on the mast of that ship, move as it may however fast, he would not miss his target at all, so that the stone or some other heavy thing thrown downward would not come along a straight line from the point E which is at the top of the mast, or cage, to the point D which is at the bottom of the mast, or at some point in the bowels and body of the ship. Thus, if from the point D to the point E someone who is inside the ship would throw a stone straight up, it would return to the bottom along the same line however far the ship mov- Page 245     Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity  ed, provided it was not subject to any pitch and roll. (Bruno, 1975: 121). He then continues with the statement that the movement of the ship is irrelevant for the events occurring within the ship, and he explains the reasons for this: If there are two, of which one is inside the ship that moves and the other outside it, of which both one and the other have their hands at the same point of the air, and if at the same place and time one and the other let a stone fall without giving it any push, the stone of the former would, without a moment’s loss and without deviating from its path, go to the prefixed place, and that of the second would find itself carried backward. This is due to nothing else except to the fact that the stone which leaves the hand of the one supported by the ship, and consequently moves with its mo- tion, has such an impressed virtue, which is not had by the other who is outside the ship, Figure 5: The ship referred to in the dialogue; note that the letters are missing (math.dartmouth.edu). because the stones have the same gravity, the same intervening air, if they depart (if this is possible) from the same point, and arc given the same thrust. From that difference we cannot draw any other explanation except that the things which are affixed to the ship, and belong to it in some such way, move with it: and the stone carries with itself the virtue of the mover which moves with the ship. The other does not have the said participation. From this it can evidently be seen that the ability to go straight comes not from the point of motion where one starts, nor from the point where one ends, nor from the medium through which one moves, but from the efficiency of the originally impressed virtue, on which depends the whole differ- ence. And it seems to me that enough consid- eration was given to the propositions of Nun- dinio. (Bruno, 1975: 123). The experiments carried out in the ship are thus not influenced by its movement because all the bodies in the ship take part in that move- ment, regardless of whether they are in contact with the ship or not. This is due to the ‘virtue’ they have, which remains during the motion, after the carrier abandons them. Bruno thus clearly expresses the concept of inertia, using the word ‘virtu`’, in Italian meaning ‘quality’, which is carried by the bodies moving with the ship—and with the Earth. Bruno’s arguments certainly constitute a step towards the principle of inertia. 5 DISCUSSION AND CONCLUDING REMARKS We have seen that in La Cena de le Ceneri Giordano Bruno anticipates to a great extent the arguments of Galileo Galilei on the principle of relativity. In fact, his explanation contains all of the fundamental elements of the principle. The idea that the only movement observable by the subject is the one in which he does not take part, was presented earlier by Jean Buridan and Nicole Oresme, together with the notion of the composition of movements, which was alien to Aristotelian mechanics (see Barbour, 2001). Sim- ilar arguments were used by Nicholas Copern- icus (1543). The main missing ingredient was the idea of inertia, which explains the fact that projectiles move along with the Earth. In fact, while there is a continuous line between Buri- dan, Oresme, Copernicus, Bruno and Galilei, the arguments of Bruno on the impossibility of detecting absolute motion by phenomena in a ship constitute a significant step towards the principle of inertia and providing a dynamical context for relativity. What is new in Bruno, and what brings him almost exactly to where Galilei stood, is a clear understanding of the concept on inertia. The arguments and metaphors used in dis- cussions concerning the world systems were common to different authors, and were largely derived from Aristotle, Ptolemy and their com- mentators. Often they were used without ref- erencing, and sometimes they were attributed to the wrong source. For example, in his On the Heavens, Aristotle uses as experimental argu- ment the one about the stone that is sent upwards. In their comment on this work, Bur- idan and Oresme used a modified version of this experiment in which an arrow is sent upwards in a ship—although this was possibly introduced by an earlier unidentified commentator/translator. Nevertheless, the description by Galilei of exact- ly the same ship experiment that Bruno used in the Cena makes it very likely that Galilei knew this work. The use of the dialogue form with a similar choice of characters can also be seen as a possible sign that Bruno influenced Galilei.  Page 246     Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity  However, Galilei never mentions Bruno in his works, and in particular there is no reference to him in Galilei’s large corpus of letters, even though he references the ‘doctores parisienses’ in his MS 46 (Galilei, c. 1584),3 a 110-page long manuscript containing physical speculations bas- ed upon Aristotle’s On the Heavens. Some authors (e.g. Clavelin, 1968) have commented on Galilei’s silence about Bruno, putting forward reasons of prudence, but as pointed out by Mar- tins (1986) this can hardly explain the absence of any mention also in his personal correspond- ence. Furthermore, although Galilei himself never mentions Bruno’s name in his personal notes and letters, several of his correspondents do mention the Nolan. In a letter to Galilei dating to 1610, Martin Hasdale tells him that Kepler had expressed his admiration for Galilei, although he regretted that in his works the latter failed to mention Copernicus, Giordano Bruno and sever- al Germans who had anticipated such discov- eries—including Kepler himself: This morning I had the opportunity to make friends with Kepler ... I asked what he likes about that book of yourself and he replied that since many years he exchanges letters with you, and that he is really convinced that he does not know anybody better than you in this profession ... As for this book, he says that you really showed the divinity of your genius; but he was somehow uneasy, not only for the German nation, but also for your own, since you did not mention those authors who intro- duced the subject and gave you the opportun- ity to investigate what you found now, naming among these Giordano Bruno among the Ital- ians, and Copernicus, and himself. Thus, we can say that Galileo Galilei was probably aware of Giordano Bruno’s work on the Copernican system. When Galilei arrived in Padova in 1592 it is also possible that the two scientists met, because Bruno was a guest of the nobleman Giovanni Mocenigo in Venice at the time and Galilei shared his time between Padova and Venice. In 1591, Bruno had unsuc- cessfully applied for the Chair of Mathematics that was assigned to Galilei one year later. Although it might be impossible to prove that the two astronomers met, it is hard to believe, given the motivations and characters of the two men and the circumstances of their lives during those years, as well as the small size of the Italian scientific community in those days, that they failed to discuss their respective arguments con- cerning the defence of the Copernican system. 6 NOTES 1. Amphitrite was in Greek mythology the wife of Poseidon, and therefore the Goddess of the Sea. 2. See Aristotle (1971: Section 296b). 3. Although Antonio Favaro, the Curator of the National Edition of Galilei’s works, dates it to 1584, Crombie (1996) and Wallace (1981; 1984) prefer a date of around 1590. 7 ACKNOWLEDGEMENTS We wish to thank Luisa Bonolis, Alessandro Bettini, Alessandro Pascolini, Giulio Peruzzi and Antonio Saggion for useful suggestions, and the anonymous referees for directing us to some important aspects that we neglected to mention in the first draft of this paper. 8 REFERENCES Aristotle, 1971. On the Heavens. Cambridge (Mass.), Harvard University Press (Loeb Classic Greek Lib- rary English translation of the c. 350 BC Greek original). Barbour, J., 2001. The Discovery of Dynamics, Ox- ford, Oxford University Press. Bruno, G., 1975. The Ash Wednesday Supper. The Hague, Mouton (English translation by S.L. Jaki of the 1584 Italian original). Buridan, J., 1942. Questions on Aristotle‟s On the Heavens. Cambridge (Mass.), Medieval Academy of America (English translation by E.A. Moody of the c. 1340 Latin original). Clavelin, M., 1968. Galileo‟s Natural Philosophy. Paris, Colin (in French). Copernicus, N., 1543. On the Revolutions of the Heavenly Spheres. Nuremberg, Johannes Petreius (in Latin). Crombie, A.G., 1996. The History of Science from Augustine to Galileo. New York, Dover. Cusanus, N., 1985. On Learned Ignorance. Minne- apolis, The Arthur J. Banning Press (English trans- lation by J. Hopkins of the 1440 Latin original). D’Aviso, U., 1656. Treatise on the Sphere of Galileo Galilei. Rome, N.A. Tinassi (apparently written in Padova in 1606, in Latin). Galilei, G., c. 1584. MS 46. In Collezione Nazionale Galileo della Biblioteca Nazionale di Firenze (in Latin). Galilei, G., 1890–1907. Carteggio. National Edition of the Works of Galileo Galilei, Volumes 10–18. Flor- ence, G. Barbera (in Italian). Galilei, G., 1953. Dialogue Concerning the Two Chief World Systems. Berkeley, University of California Press (English translation by Stillman Drake of the 1632 Italian original). Giannetto, E., 2006. Bruno and Einstein. Nuova Civiltà delle Macchine, 24, 107–137 (in Italian). Hasdale, M., 1610. Letter to Galileo Galilei, dated 15 April. In Galilei, 1890–1907, Volume 10, 314–315. Ingoli, F., 1616. Disputation Concerning the Location and Rest of Earth Against the System of Coper- nicus. Rome (English translation by C.M. Graney of the Latin original at http://arxiv.org/abs/1211.4244). Martins, R. de A., 1986. Galileo and the principle of relativity. Cadernos de História e Filosofia da Ciência, 9, 69–86 (in Portuguese). Oresme, N., 1377. Le livre du Ciel et du Monde. Book II, Chapter 25 (manuscript). Paris, National Library. Oresme, N., n.d. Traité de la sphère. Aristote, Du ciel et du monde. In the National Library, Paris, fonds français 565, fol. 1r. Wallace, W.A., 1981. Prelude to Galileo: Essays on Page 247     Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity  Medieval and Sixteenth-Century Sources of Galileo‟s Thought. Dordrecht, Reidel. Wallace, W.A., 1984. Galileo and His Sources: Heri- tage of the Collegio Romano in Galileo‟s Science. Princeton, Princeton University Press.  4 Volgareelatino nel carteggio galileiano   Sommario 4.1 Galileo epistolografo: volgare e latino. – 4.2 Un confronto con Descartes e Mersenne. – 4.3 Le lingue dei corrispondenti. – 4.4 Le lettere latine di Galileo. 4.1 Galileo epistolografo: volgare e latino Per le consuetudini della respublica litterarum lo scambio epistolare europeo riveste un ruolo importantissimo, anche in considerazione della censura, in quanto «la lettre n’a pas besoin d’imprimatur ni de ‘privilège’» (Fattori in Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999, 52).1 Non esistendo ancora i periodici scientifici, le lettere svolgevano anche tale funzione. Allievi e simpatizzanti, protettori, principi e cardinali, eruditi ita- liani e stranieri, colleghi ed ecclesiastici, artisti e letterati, amici e familiari: il carteggio galileiano comprende tutto questo.2 I destinatari di Galileo sono per lo più in Italia, ma non mancano corrispondenti stranieri, specialmente in Francia (Parigi e Lione), in Baviera, a Praga e nei Paesi Bassi: «Per quanto la giurisdizione del 1 Sulla respublica litterarum e la corrispondenza tra i savants cf. Fumaroli 1988; Bots, Waquet 1994 (in particolare i saggi di Johns, Fumaroli, Waquet, Frijhoff); Waquet 1998; Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999 (in particolare l’intervento di Marta Fattori); Jau- mann 2001; Bots, Waquet 2005; Fumaroli 2015. 2 Breve, ma puntualissimo, Bucciantini in Irace 2011, 344-9; si veda anche Garcia 2004, 257-65. All’epistolario galileiano è dedicato Ardissino 2010; la studiosa ha cura- to un’antologia delle lettere italiane dello scienziato (Galilei 2008), con introduzione di Battistini (L’umanità di uno scienziato attraverso le sue lettere). Sul registro polemico nell’epistolario si veda Ricci 2015.   Filologie medievali e moderne 23 | 19 10.30687/978-88-6969-450-9/004 57  Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano suo epistolario sia di estensione europea, Galileo si rivolge soprat- tutto alla classe dirigente degli Stati italiani, laica ed ecclesiastica» (Battistini in Galilei 2008, 13).3 In che lingua scriveva Galileo le sue lettere? Ci si aspetterebbe che, nonostante la programmatica scelta del volgare per le sue opere, egli utilizzasse nella corrispondenza con gli stranieri il latino, lingua franca dell’aristocrazia del sapere. Una verifica integrale nei volumi dell’EN riserva invece la sorpresa di una situazione affatto diversa, che riportiamo in tabella:   Vol. EN 10 11 12 13 14 15 16 17 18 18suppl. 20 suppl. 1 20 suppl. 2 Suppl. 2015 TOT. Anni Lettere di cui scritte in latino da Galileo 1574-1610 89 3 1611-13 42 0 1614-19 47 0 1620-28 51 1 1629-32 49 1 1633 18 0 1634-36 50 2 1637-38 33 1 1639-42 49 1 2 0 2 0 3 0 10 0 445 9 2 a Kepler (4 agosto 1597, EN 10, 67; 19 agosto 1610, EN 10, 421) 1 a Brengger (8 novembre 1610, EN 10, 466) a Kepler (28 agosto 1627, EN 13, 374) a Fortescue [Aggiunti] (febbraio 1630, EN 14, 83) 1 a Bernegger [Aggiunti] (16 luglio 1634, EN 16, 111) 1 agli Stati generali dei Paesi Bassi (agosto 1636, EN 16, 468-9) a Boulliau(d) (1 gennaio 1638, EN 17, 245) a Boulliau(d) (30 dicembre 1639, EN 18, 134)                 3 Cf. anche Garcia 2004, 257: «l’espace de cette république semble se réduire, dans son esprit, à la seule Italie – c’est-à-dire aux trois villes de la Péninsule les plus actives culturellement, Rome, Venise et Florence». Filologie medievali e moderne 23 | 19 58 Galileo in Europa, 57-70   Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Su un totale di 445 lettere – manteniamo i criteri di Favaro, che in- clude anche le epistole-trattato, quali le tre sulle macchie solari, e le dedicatorie – sono latine soltanto 9 (il 2,02 %). Si tratta delle lettere superstiti, ma, anche supponendo che la sorte ne abbia distrutto un numero maggiore in latino che in italiano, i dati sono inequivocabili. Sappiamo poi che di quelle 9, 2 sono state composte da Niccolò Ag- giunti su commissione dello scienziato (v. infra). Ne restano dunque 7. 4.2 Un confronto con Descartes e Mersenne Il confronto con Descartes è eloquente. Charles Adam ricostruisce che nel carteggio superstite «sur un total de 498 lettres, 63 sont en latin» (Adam 1910, 22), cioè il 12,65%. Del resto la familiarità del fi- losofo con il latino era profonda: Il apprit le latin à fond, non seulement comme une langue morte, mais comme une langue vivante qu’il pourrait avoir à parler et à écrire. Il la parla, en effet, quelquefois en Hollande, et même en France à une soutenance de thèses; et il l’écrivit dans trois ou quatre de ses ouvrages et un certain nombre de lettres. Quelques- unes de ses notes mêmes, rédigées pour lui seul et à la hâte, sont en latin. Il maniait cette langue aussi bien et souvent mieux que le français, le plus souvent avec vigueur et sobriété, parfois aus- si pourtant avec quelques gentillesses de style qui rappellent les leçons des bons Pères; lui-même avoue qu’il a fait des vers, sans doute des vers latins, et une fois avec Balzac il se piqua de bel esprit et lui écrivit dans un latin élégant ‘à la Pétrone’. (Adam 1910, 22)4 Il latino fu ancor più abituale per Marin Mersenne (1588-1648), che anche in quanto ecclesiastico (ordine dei Minimi) era più legato alla lingua antica: su 308 epistole da lui redatte e conservateci sono la- tine il 38, 64% (119), in francese le restanti.5 Sarebbe interessante uno studio dell’uso linguistico in tale epistolario che analizzi il tipo di missiva, la provenienza e la formazione dei destinatari. Accenniamo qui soltanto al fatto che Mersenne, a cui furono rivolte alcune lette- 4 Al carteggio di Descartes è dedicato l’ampio volume di Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999; vi si veda in particolare il saggio di Torrini che compara l’epistolario di Descartes e di Galileo: per il primo il carteggio fu un luogo privilegiato di discussione filosofica, ben più che per Galileo. 5 Conteggio nostro dai 17 volumi della corrispondenza dell’erudito (Mersenne 1945- 1988). Divergono leggermente dalla nostra la somma indicata nel vol. 17 a p. 107 (330) e quella che si ricava dall’indice delle missive a pp. 145-9 (317). La lettera nr. 1691 a Baliani ci è tradita in italiano da una stampa secentesca delle opere di questi, ma si tratta probabilmente di una traduzione dall’originale latino o francese (cf. il commen- to di de Waard, Beaulieu). Filologie medievali e moderne 23 | 19 59 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano re in italiano, non rispose mai in quella lingua; i curatori del carteg- gio affermano, seccamente, che «Mersenne savait très mal l’italien» (commento alla lettera nr. 1691). Troppo seccamente, perché egli comprendeva in verità assai bene l’italiano, come dimostra la tradu- zione-rielaborazione di pagine galileiane (Les Méchaniques de Gali- lée, Les nouvelles pensées de Galilée).6 Interessante sarebbe valutare affermazioni di comprensione o incomprensione di una lingua stra- niera come quelle di Giovanni Battista Baliani, in cui la grafia sem- bra giocare un grande ruolo. Per esempio, ha ricevuto da Mersenne una lettera «in lingua francese, ma tanto chiara ché io l’ho intesa leg- gendola correntemente» (missiva nr. 1429), cioè è riuscito a legger- la nonostante fosse in francese e nonostante la grafia. Un mese pri- ma aveva spiegato al corrispondente: «Rispetto alla lingua, in che V. P. mi deve scrivere, confesso, che mi è più caro che mi scriva in lat- tino, che già hò preso un poco la pratica del suo carattere. Il france- se però intendo meno, ancorche intenda assai bene i libri stampati» (missiva nr. 1417; in nota i curatori ricordano che Torricelli aveva lo stesso problema). Galileo non leggeva il francese.7 Contrariamente a ciò che era consuetudine e norma nella respublica litterarum, Galileo fece uso parchissimo del latino per l’epistolografia. Anche se dobbiamo precisare che era ormai scontata a quell’altezza cronologica, almeno in Francia e Italia, l’utilizzo della lingua mater- na per comunicare con connazionali,8 e il carteggio stricto sensu ga- lileiano – lettere composte o ricevute dallo scienziato – non presenta quasi eccezioni.9 Anche tra le lettere che nell’EN fanno corona all’epi- stolario galileiano propriamente detto, ma che fornendo informazioni sullo scienziato furono raccolte da Favaro, sempre o quasi gli italia- ni scrivono a un connazionale (foss’anche il papa) in italiano. Analo- gamente si comportano i dotti francesi (pur con qualche eccezione): Mersenne, Fermat, Descartes si scrivono in francese. Ricorrono in- vece non infrequentemente al latino i dotti tedeschi per comunicare tra loro: nell’EN si veda Scheiner che scrive a Kircher, e Bernegger a tutti i propri connazionali.10 Analogamente, l’olandese Hugo de Gro- 6 Sul rapporto Mersenne-Galileo (e Descartes-Galileo) si veda almeno Bucciantini 2009. 7 Cf. anche Favaro 1983, 1392. 8 Pantin 1996, 58: «À la fin de la Renaissance, les langues vernaculaires (surtout s’il s’agissait du français et de l’italien) étaient devenues le premier moyen de s’exprimer et même de raisonner (dans la correspondances scientifiques du début du XVIIe siècle les allemands sont souvent presque les seuls à parler latin)». Di diverso parere Battis- tini in Galilei 2008, 13: «pur essendo ancora il latino la lingua abituale nel trattare ma- terie scientifiche ed erudite, anche tra connazionali». 9 Paolo Maria Cittadini, che si firma teologo dello Studio bolognese, si rivolge in la- tino a Galileo (EN 10, 389). 10 Per un’indagine sulla corrispondenza dei dotti tedeschi nel Cinquecento si veda Lefèbvre 1980. Cf. anche Leonhardt 2011, 213. Filologie medievali e moderne 23 | 19 60 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano ot (Grotius) scrive in latino a Maarten van den Hove (Martino Orten- sio nell’EN) e a Gerhard Voss (Vossius). 4.3 Le lingue dei corrispondenti Galileo non si allinea al costume della comunicazione latina con stra- nieri, mostrando una forte tendenza a evitare la lingua antica.11 D’al- tra parte, l’adozione dell’italiano da parte di stranieri testimonia la fortuna della nostra lingua e il suo prestigio.12 Galileo instaura una comunicazione italiana paritetica – nel senso che entrambi i corri- spondenti scrivono in italiano – non solo con Clavius e Faber, che vi- vevano stabilmente in Italia da molti anni (si noti però che in alme- no due lettere il principe Cesi aveva scritto al secondo in latino), ma anche con Markus Welser,13 l’ingegnere militare Antoine de Ville (al- lora in servizio della Serenissima),14 Carcavy, Peiresc, Reael, Lowijs Elzevier,15 Ladislao IV di Polonia, Massimiliano di Baviera, Jean de Beaugrand. L’effettiva conoscenza dell’italiano da parte dei corri- spondenti non si può misurare solo dalle missive, per alcune delle quali va postulato l’intervento di un madrelingua (certamente nel caso di principi e regnanti, ma anche le lettere di Reael sono troppo ben scritte per non supporre almeno un correttore).16 Significativo il caso di François de Noailles (1584-1645).17 Già sco- laro di Galileo a Padova, ufficiale militare e poi non troppo abile am- basciatore francese a Roma (1634-36), attivo nel chiedere alla Chie- sa clemenza per l’antico maestro, lo incontrò a Poggibonsi sulla via del ritorno in Francia e ricevette una copia manoscritta delle Nuove scienze, delle quali fu dedicatario. Restano 8 lettere da lui inviate a Galileo dall’ottobre 1634 al novembre 1638. Le prime cinque sono in italiano e risalgono al tempo in cui era diplomatico a Roma: di esse soltanto una è interamente autografa (EN 16, 144), ma probabilmente 11 Nell’inopportunità di riportare dettagliate rassegne biografiche sui molti personag- gi che nomineremo, rimandiamo una volta per tutte all’Indice biografico dell’EN (anche del supplemento 2015) e agli indici di Drake 1995 e di Heilbron 2010, nonché al rege- sto di nomi propri curato dal Museo Galileo di Firenze, disponibile online e continua- mente aggiornato. Daremo qui solamente qualche informazione utile al nostro discorso. 12 Cf. Stammerjohann 2013. 13 Cf. cap. 2, § 5. Quando questi è malato, anche il fratello Matthäus scrive in ita- liano a Galileo. 14 Cf. Pernot 1984 e Vérin 2001. 15 Scrive in italiano anche a Micanzio. Bonaventure e Abraham Elzevier si erano in- vece rivolti a Galileo in latino. 16 Diodati scrive a Reael in italiano (EN 16, 492). 17 Su di lui cf. Favaro 1983, 1317-45. Per i corrispondenti francesi di Galileo riman- diamo a Baumgartner 1988 e ai riferimenti bibliografici ivi contenuti. Filologie medievali e moderne 23 | 19 61 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano composta o almeno rivista da un madrelingua. Le altre quattro han- no soltanto la sottoscrizione di pugno del diplomatico. Il 15 gennaio 1636, in un punto morto delle discrete manovre per il mitigamento della condanna di Galileo, Noailles si scusa con questi del ritardo nel- lo scrivere: «Potrà similmente attribuire la cagione dell’haver tardato a scriverli all’assenza del mio secretario italiano» (EN 16, 377). È al- meno in parte un pretesto, ma ci informa delle abitudini linguistiche della corrispondenza. La stessa lettera riporta un breve poscritto au- tografo, che può dare l’idea della competenza linguistica dell’amba- sciatore, buona, ma nettamente inferiore alla lingua e allo stile esibi- to nelle altre lettere a Galileo: «Il latore de la presente li darà nove di me, et quanto gran stima fo de le sue virtù et come sto con desiderio di servirla in ogni occorrenza». Di fatto, l’uso dell’italiano sembra, non solo in Noailles, un piacere e un omaggio al maestro degli anni pado- vani e al grande scienziato. Dopo il rientro in Francia (1636) Noailles gli scriverà personalmente – cioè senza aiuto di segretari – in france- se (restano tre lettere autografe). Lettere che – l’ambasciatore dove- va certo esserne al corrente – Galileo non poteva intendere e di cui restano tra i manoscritti galileiani le traduzioni italiane.18 A Grienberger e de Groot che gli si rivolgono in latino, Galileo ri- sponde in italiano. In latino gli scrivono anche Gassendi (con l’ec- cezione di una missiva italiana composta insieme a Peiresc), Tycho Brahe, Mersenne, Morin, Abraham e Bonaventure Elzevier, l’avver- sario Scheiner e parecchi altri.19 Ma non sono conservate le risposte del nostro (a Tycho non rispose affatto) 20 e dunque non sappiamo in quale lingua fossero composte. Gli scrissero invece in italiano Martin Hasdale (tedesco, fu a lun- go in Italia per divenire poi potente consigliere alla corte di Rodolfo II); David Ricques (polacco o tedesco), Thomas Segget (scozzese, fu a lungo in Italia; poi a Praga), il greco Demisiani, il cardinale François de Joyeuse, Krzysztof Zbaraski (nell’EN Cristoforo di Zbaraz), Ri- chard White (allievo di Castelli, scrive da Londra e si scusa per gli errori di lingua), Giovanni di Guevara (spagnolo, ma nato a Napoli), Philippe de Lusarches (maestro di camera degli ambasciatori fran- cesi a Roma), Johannes Riijusk (cugino del Reael, scrive da Venezia), Francesco van Weert (olandese al servizio della Serenissima), Justus 18 Cf. l’introduzione di Favaro alle missive e il supplemento di EN 18, 436. Al ruo- lo dei segretari nella respublica litterarum accenna Fattori in Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999, 57-8. 19 Raymund Schorer (mercante tedesco attivo anche a Venezia), Theophilus Mül- ler (tedesco, linceo, da Roma), Beaulieu (non meglio identificato), John Welles (da Lon- dra), Jan Friedrich Breiner, Michel Coignet, Marek Lentowicz (che fu studente a Pado- va), Bartholomäus Schröter (tedesco), Jean Tarde, Filippo d’Assia, Jan Brozek (polac- co), Maarten van den Hove (Hortensius, olandese).   20 Bucciantini 2003, 87.  Filologie medievali e moderne 23 | 19 62 Galileo in Europa, 57-70  Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Weffeldich (agente degli Elzevier a Venezia), Jean-Jacques Bouchard (dotto francese che visse molti anni a Roma), Henry Robinson (ingle- se, fu a Livorno per commercio e abitò per alcuni anni a Firenze). Restano alcune epistole italiane che Galileo inviò a Leopoldo d’Au- stria (Innsbruck), a Pedro de Castro conte di Lemos (Madrid), agli Stati Generali delle Province Unite dei Paesi Bassi (ve n’è un’altra in latino, EN 468-69, di cui parleremo tra qualche pagina), a Francisco de Sandoval duca di Lerma (Madrid), a Maarten van den Hove (matematico olandese). Scrivono a Galileo sia in latino che in italiano Leopoldo d’Austria, Jacques Jauffred21 (una missiva privata è in volgare, una pubblica è stampata in latino), Benjamin Engelcke (di Danzica, fu per alcuni an- ni in Italia).22 Gli Stati Generali delle Province Unite dei Paesi Bassi si rivolgono a Galileo sia in latino che in francese (Reael traduce per Galileo; una deliberazione dell’assemblea sulla proposta galileiana del calcolo della longitudine è redatta in olandese e Reael la tradu- ce in latino per Galileo). Il francese è peraltro usato anche in altre occasioni dagli olandesi, come quando Huygens si rivolge a Diodati. Il quadro generale dell’epistolario è dominato dall’italiano, anche perché la maggioranza degli stranieri aveva vissuto per un periodo abbastanza lungo in Italia durante gli studi universitari o per altri motivi. Sono dunque stranieri con una vasta conoscenza personale della Penisola e della sua lingua.23 4.4 Le lettere latine di Galileo Si esaminerà ora il ristretto gruppo di epistole latine di Galileo rima- steci. Della corrispondenza tra Galileo e Kepler, di importanza capi- tale, restano poche lettere, 7 da parte del tedesco, 3 da parte del pi- sano. Non si incontrarono mai di persona. La comunicazione si svolse sempre in latino e coprì, per quanto è conservato, un arco tempora- le che va dal 1597 al 1627 (ma le lettere scritte da Kepler non vanno oltre il 1611). I rapporti scientifici e personali tra i due scienziati so- no illustrati nel dettaglio e nell’ampio quadro culturale del tempo in Bucciantini (2003), a cui ci rifacciamo per la nostra analisi. Al tempo del primo contatto epistolare (1597) nessuno dei due è famoso: Gali- leo è niente più che il solido matematico dello Studio di Padova; Ke- pler, dopo aver rinunciato alla carriera teologica e pastorale, è mate- matico a Graz. I due non si conoscono neppure di nome. Per tramite 21 Su di lui vedi DBI (s.v. «Gaufrido, Jacopo»). 22 Cf. infra in questo capitolo. 23 Cf. Favaro 1983, 1320-2. Una testimonianza in senso contrario (ovvero scarsa com- petenza dell’italiano da parte di studenti stranieri a Padova) è riferita da Mikkeli 1999, 81; ci sembra tuttavia un’eccezione di fronte alle tante altre. Filologie medievali e moderne 23 | 19 63 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano dell’amico Paul Homberger, Kepler fece arrivare in Italia il suo My- sterium cosmographicum (1596). «Probabilmente fu lo stesso Keple- ro a suggerirgli [a Homberger] di destinare una copia allo Studio di Padova, ovvero di consegnarla a chi in quel tempo occupava la catte- dra di matematica in una delle università più prestigiose d’Europa» (Bucciantini 2003, 22). E Galileo, letta solo la prefazione dell’opera, nella quale Kepler dichiara la sua adesione al Copernicanesimo, de- cise di inviare una lettera di ringraziamento all’autore per tramite dello stesso Homberger che stava per fare ritorno in Austria.24 È la missiva del 4 agosto 1597 (EN 10, 67), che contiene l’importantissima di dichiarazione di Copernicanesimo da parte di Galileo (in Copernici sententiam multis abhinc annis venerim).25 Importantissima anche in base alla doppia considerazione che a fine Cinquecento i copernicani si contavano sulle dita (oltre a Kepler e Galileo, erano Bruno, Roth- mann, Mästlin, Digges, Harriot, Stevin, de Zúñiga)26 e che prima del- le scoperte del 1610 «le copernicianisme était une opinion extrava- gante et ridicule, et donc non dangereuse ni ne méritant même d’être condamnée» (Bucciantini 2009, 20). Si capisce dunque l’entusiasmo di Galileo nell’apprendere che un tale Kepler aveva le sue stesse idee e pubblicava opere per difenderle e diffonderle, mentre lui, Galileo, non aveva avuto il coraggio – afferma – di pubblicare le sue osserva- zioni in difesa del sistema eliocentrico per non fare la fine di Coper- nico, lodato da pochissimi e deriso dai più. Il latino di questa lette- ra ci sembra un poco più elevato di quello del Sidereus nuncius, con più frequente subordinazione (soprattutto frasi relative e infinitive). La gioiosa risposta di Kepler, contento anch’egli di aver trovato un compagno, è più lunga e stilisticamente superiore, per quanto non brillante: esclamazioni e interrogative retoriche vivacizzano il det- tato, che è molto fluido e senza imbarazzi; vi sono finezze umanisti- che, come l’inserzione di una parola in caratteri greci (αὐτόπιστα). La strategia culturale di Kepler per l’affermazione del Copernicane- simo prevede innanzitutto il convincimento dei matematici ed egli si dichiara disponibile a far pubblicare in terra tedesca gli scritti di Galileo, se questi teme di farlo in Italia. Ma Galileo, non condividen- do la strategia proposta, non rispose a questa lettera.27 Stupito del silenzio, Kepler ritentò attraverso Edmund Bruce di avere nuove di Galileo nel 1599.28 24 Cf. anche Biancarelli Martinelli 2004. 25 Una dichiarazione di poco precedente (maggio 1597), ma appena accennata e di- messa, diversamente dalle righe indirizzate a Kepler, è in una lettera a Jacopo Mazzo- ni (EN 2, 197-202; cf. Bucciantini 2003, 29).   26 Bucciantini 2003, 53. 27 Bucciantini 2003, 73. 28 Bucciantini 2003, 103.  Filologie medievali e moderne 23 | 19 64 Galileo in Europa, 57-70  Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Giunse poi la stagione del Sidereus nuncius, durante la quale Ke- pler fu il solo grande interlocutore straniero cui Galileo si rivolse e la cui conferma delle scoperte ebbe importanza paragonabile soltanto a quella degli studiosi del Collegio Romano. Oltre alla presa di posizio- ne ufficiale con la Dissertatio cum Nuncio sidereo, Kepler invia a Ga- lileo una lettera privata il 9 agosto 1610, chiedendo, in sostanza, altri elementi a sostegno delle scoperte e del cannocchiale. La risposta di Galileo, datata 19 agosto (EN 10, 421), è significativa. Il nostro è an- cora a Padova, ma ha già ottenuto il posto alla corte di Toscana e la lettera è pervasa da un’esuberante soddisfazione del proprio succes- so, «con toni che sfiorano l’autocelebrazione» (Bucciantini 2003, 190): il racconto delle ricompense e dello stipendio ricevuto dopo la scoper- ta, la protezione e la garanzia del Granduca quanto alle scoperte, il ti- tolo di filosofo aggiunto ora a quello di matematico, che Kepler non gli riconoscerà. Galileo non ha molto tempo per scrivergli (paucissimae enim supersunt ad scribendum horae). Lo stile è solido e non più impac- ciato come nella lettera del 1597; la scrittura è più fluida, c’è più mo- vimento, con interrogative e riferimenti eruditi (seppur scolastici, co- me oblatrent sicophantae) e quasi con affetto per il suo alleato lontano che, pur chiedendo chiarimenti e testimoni, lo ha appoggiato. In par- ticolare è insolita, in Galileo, una conclusione come me, ut soles, ama. Con la pubblicazione della Dioptrice nel 1611 (Kepler fu il padre dell’ottica moderna), termina uno scambio frequente tra i due: essi non hanno più avvertito il bisogno di confrontarsi e collaborare rego- larmente, a causa sia di progetti e attitudini scientifiche differenti, sia di piccole incomprensioni (per es. la stima riposta da Kepler in Simon Mayr, che dispiacque al nostro).29 Certo, Galileo si informerà su co- me stia e che cosa faccia l’altro e Kepler prenderà posizione nelle po- lemiche legate al Saggiatore con l’Hyperaspistes (1625), ma non è più in gioco una collaborazione stabile e duratura. Le lettere superstiti, in ogni caso, saltano dal 1611 al 4 settembre 1627 (EN 13, 374-5), al- lorché Galileo raccomanda Giovanni Stefano Bossi al dotto corrispon- dente perché questi lo accetti come scolaro. La missiva, non molto in- teressante quanto al contenuto (una raccomandazione), testimonia il tentativo di riallacciare la relazione. Nel poscritto Galileo aggiunge: Mitto, cum his complicatam litteris, Orationem Nicolai Adiunctii, adolescentis in omni humaniore et severiore literatura excultissi- mi: eam sat scio te magna cum voluptate lecturum, et mirifice fu- turam ad tuum palatum et gustum. Si tratta dell’Oratio de mathematicae laudibus, uscita a Roma nello stesso anno dalla penna del giovane Aggiunti, notevole non solo per 29 I motivi del distacco sono scandagliati in Bucciantini 2003, 198-205. Filologie medievali e moderne 23 | 19 65 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano lo stile latino brillante di cui l’autore dava prova, ma anche per la celebrazione della matematica come modo di vedere la realtà (una Geometria nos in rerum notitiam perducit, et sola complectitur studia universa).30 Dopo di che, morto Kepler nel 1630, il Dialogo lo accuse- rà, pur «con rispetto» (così la didascalia a margine), di aver creduto a «predominii della Luna sopra l’acqua, ed a proprietà occulte, e simi- li fanciullezze» (4, 54): come è noto, un attacco che si ritorce contro Galileo. A rendere incompatibili le posizioni dei due grandi vi erano idee radicalmente diverse sul cosmo e la posizione dell’uomo in esso.31 Veniamo agli altri corrispondenti. Johann Georg Brengger (1559- 1630 ca.), medico di Augsburg, si interessava di problemi scientifici.32 Per tramite di Welser pone a Galileo alcune questioni sui monti lu- nari, cui Galileo risponde con una lunga epistola in un latino asciut- to l’8 novembre 1610. A sua volta Brengger risponderà estesamente in latino il 13 giugno 1611 (EN 11, 121). Una delle due lettere composte in latino da Niccolò Aggiunti su incarico di Galileo si legge in EN 14, 83 (datata febbraio 1630) ed è la risposta a George Fortescue.33 Il 15 ottobre 1629 (EN 14, 47) que- sti gli aveva indirizzato una pomposa lettera latina annunciandogli la pubblicazione delle sue Feriae academicae (1630), nelle quali, di- scorrendo di ottica, catottrica, matematica e astronomia, adduceva nonnulla [...] experientia comprobata mea. Lettera pomposa in cui gli elogi a Galileo, iperbolici, sono intessuti di riferimenti eruditi (il mi- to di Cefeo e la costruzione del faro di Alessandria su progetto di So- strato). La notizia più saliente che il mittente vuole comunicare è l’a- ver fatto di Galileo un personaggio del libro annunciato: In his usus sum artificio Marci Tullii aliorumque, qui, ut sibi in dicendo auctoritatem concilient, inducunt colloquentes Catones, Crassos, Antonios, similesque palmares homines. [...] Igitur ignosce, Vir sapientissime, si disputantem in scriptis meis temet repereris, 30 Il passo è riportato in Camerota 2004, 570. Secondo Peterson 2015, 130, inviando a Kepler il testo di Aggiunti, Galileo inviterebbe il corrispondente a rivolgere un’‘atten- zione matematica’ non solo ai cieli, ma anche alla realtà terrestre. 31 «L’abbandono [da parte di Galileo] di ogni visione antropocentrica è certamente una delle caratteristiche della sua filosofia che più lo allontana non solo da Keplero ma an- che da Copernico» (Bucciantini 2003, 322). «Il progetto galileiano di fondazione di una scienza copernicana del moto fu fin dall’inizio antitetico e concorrente alla nuova dina- mica celeste kepleriana. La forza e la tenacia con cui Galileo proseguì in ogni momento della sua vita le sue ricerche sul moto inerziale all’interno di una prospettiva cosmolo- gica gli impedirono di accettare le ‘assurde’ leggi kepleriane» (Bucciantini 2003, 336). 32 Laureato in medicina a Basilea, ebbe scambio epistolare con Clavio e Kepler su problemi scientifici (cf. Reeves, van Helden 2010, 43, 220-1; Keil 2002, 610-11; Buc- ciantini 2003, 230-3). 33 Pochissimo si sa di lui: cf. la voce di Ross Kennedy nell’Oxford Dictionary of National Biography (2004), con bibliografia; Favaro 1883b, 203-10; Besomi, Helbing 1998b, 3-4. Filologie medievali e moderne 23 | 19 66 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano illos inter qui exquisitis suis artibus occiduum hunc sustentant orbem. Alle pp. 122-59 delle Feriae è allestito un dialogo (con narratore) tra Ga- lileo, Clavio, Grienberger – astrologorum huius aevi facile principes – e Ferdinando Gonzaga. Con la missiva Fortescue ne informa lo scienziato e si scusa per non avergli chiesto il permesso (Ergo da veniam, serius petenti licet, Vir spectatissime, quod, inconsulto te, cum tuo egerim nomine). Nella risposta – che commenteremo – lo scienziato dichiara, con accenti che corrispondono del tutto ai moduli dello stile encomia- stico, che nostram [...] enim mirifice incendisti cupiditatem, pregando- lo di inviargli copia del libro non appena stampato (Cum typographi suam operam absolverint, tuique libri editionem perfecerint, unum vel alterum exemplar ad nos primo quoque tempore perferendum cures). Non escludiamo che la parte ‘galileiana’ delle Feriae34 abbia potuto ispirare Galileo e suggerirgli quell’unicum narrativo che è la sua appa- rizione come personaggio nel Dialogo sopra i due massimi sistemi (3, 176). In tale passo, per ribadire la priorità galileiana su Scheiner ri- guardo alla scoperta della correlazione tra macchie solari e l’inclina- zione dell’asse solare, Galileo si è servito di un fine stratagemma reto- rico-narrativo, unico nell’opera: Salviati ricorda dettagliatamente una discussione con Galileo e ne riporta in modo diretto (con due punti e virgolette) le parole. Un intervento ‘diretto’ dell’autore all’interno del Dialogo dei personaggi. Lo stratagemma è interessante anche perché è un falso creato ad hoc da Galileo, come hanno acutamente ricostruito Besomi, Helbing (1998b, 720-37) e come era noto a collaboratori di Ga- lileo: Benedetto Castelli parlò del passo in questione come «testimonio falso delle macchie del sole» (lettera del 29 maggio 1632 a Galileo, EN 14, 358). L’influenza di Fortescue su tale episodio è indimostrata, ma possibile anche in base alla cronologia della composizione del Dialogo.35 Contrariamente alle sue abitudini, Galileo volle rispondere a For- tescue in latino (questi era stato al Collegio inglese di Roma dal 1609 al 1614; non sappiamo tuttavia se Galileo ne fosse al corrente), e si affidò per questo al provetto latinista Niccolò Aggiunti (1600-1635). Allievo di Castelli a Pisa, al quale succedette nel 1626 sulla cattedra di matematica, Aggiunti fu anche precettore di corte, dove conobbe e divenne discepolo fidato di Galileo, tanto che fu tra coloro che du- rante il processo del 1633 asportarono da casa del maestro le carte giudicate pericolose. Studiò in particolare i fenomeni capillari. Uni- ca sua opera a stampa è la già menzionata Oratio de mathematicae 34 Accenni in Favaro 1883b, 203-10; Besomi, Helbing 1998b, 3 e Camerota 2004, 206. 35 La parte dell’opera sui movimenti delle macchie solari (3, 172, 10-187) è stata com- posta «probabilmente dopo il settembre del 1631, dopo che Galileo aveva letto la Rosa Ursina [opera di Scheiner]» (Besomi, Helbing 1998b, 47). Filologie medievali e moderne 23 | 19 67 Galileo in Europa, 57-70     Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano laudibus (1627), che fu la prolusione al suo insegnamento universi- tario; restano manoscritti alcuni altri suoi testi.36 Ebbe fama di otti- mo latinista e per questo Galileo chiese la sua collaborazione. Ciono- nostante difese anche l’uso del volgare nella trattazione filosofica.37 Il 30 gennaio 1630 Aggiunti scrisse a Galileo: «Credo che V. S. Ecc.ma volentieri mi perdonerà così lunga dilazione, vedendo che io gli pago il debito e in oltre qualche usura: io parlo della rispo- sta al Sig.r Giorgio [Fortescue], la quale mando a V. S., fatta con quella maggior accuratezza che ho potuto. Harò caro intender quan- to gli sodisfaccia. Nella soprascritta basterà fare: Eruditiss.o Viro Georgio de Fortiscuto. Londinum» (EN 14, 71). Della missiva ci resta la copia autografa di Galileo. In essa, datata da Favaro febbraio 1630, si ringrazia ampollosamente, anche con richiami eruditi, per l’onore di comparire come personaggio inter eximios viros e di essere così celebrato. La lettera è ben nota agli studiosi galileiani, perché Gali- leo dichiara di lavorare a un arduum opus: magnum mundi systema, quod trigesimum iam annum parturiebam, nunc tandem pario. E di- chiarandone il tema (in hoc opere abditissimas maris aestuum causas [...] inquiro, et, nisi mei me fallit amor, mirabiliter pando), prega il cor- rispondente di inviargli dati sull’osservazione delle maree: Proinde siquid habes circa hasce alternas aequoris agitationes diligenti nec divulgata observatione notatum, ad me perscribere ne graveris. L’altra lettera latina composta da Aggiunti su commissione di Galileo (16 luglio 1634; EN 16,111) è indirizzata a Matthias Bernegger (1582- 1640), dotto residente a Strasburgo e traduttore in latino del Dialogo. Alcuni mesi prima egli aveva scritto a Galileo annunciandogli la tradu- zione (10 ottobre 1633; EN 15, 299).38 Favaro ricostruisce che probabil- mente tale epistola non fu consegnata allo scienziato, perché Benjamin Engelcke (1610-1680), che avrebbe dovuto portarla di persona, la spedì a Galileo ed essa andò perduta (noi leggiamo oggi la minuta dello scri- vente); l’Engelke scrisse poi a Galileo informandolo della traduzione. La lettera di Bernegger è stesa in un latino sicuro e curato, ma non af- fettato, con la sola iperbole finale di Galileo non Italiae modo tuae, sed orbis, quem immortalibus tuis scriptis illustrasti, lucidissimum sidus, che rispecchia lo stile encomiastico. Per la risposta Galileo volle affidarsi anche in questa occasione ad Aggiunti, che così scriveva allo scienziato il 12 aprile 1634: «Questa qui alligata è la lettera che, in esecuzione del suo cenno, ho fatta al Bernechero, del quale non sapendo il nome non ho potuto porvelo. Se le paresse lunga, potrà scorciarla et acconciarla a modo suo. Io l’ho scritta con mia gran fatiga, perché il considerare in 36 Su Aggiunti, oltre alla voce del DBI, si vedano Favaro 1983; Camerota 1998; Ca- merota 2004, 21-2 e passim; Peterson 2015, 128-36.   37 Cf. Camerota 1998. 38 Commenteremo questa lettera nei cap. 8.  Filologie medievali e moderne 23 | 19 68 Galileo in Europa, 57-70  Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano nome di chi io scrivevo mi sbigottiva. V. S. nel mio mancamento accusi il suo comandamento» (EN 16, 82). Ciò testimonia inequivocabilmente che Aggiunti non ha semplicemente tradotto in latino una risposta re- datta da Galileo in volgare, ma composto in toto la lettera. Essa sfoggia uno stile brillante, retorico, erudito. Aggiunti parago- na Bernegger traduttore a un egregius pictor che abbellisce la figura della persona ritratta: con i latinae elegantiae colores egli riprodurrà le philosophicae lucubrationes dello scienziato. L’acme retorico-erudita è raggiunta paragonando la traduzione del Dialogo al ritratto di Antigo- no sapientemente realizzato da Apelle: essendo il sovrano privo di un occhio – era appunto soprannominato μονόφθαλμος –, il pittore sfruttò i vantaggi del tre quarti per nascondere il difetto fisico, come ricorda un passo dell’Institutio oratoria (2, 13, 12): Habet in pictura speciem tota facies: Apelles tamen imaginem Antigoni latere tantum altero ostendit, ut amissi oculi deformitas lateret. Aggiunti si rifà direttamente a Quintilia- no e inscena una ‘cecità’ di Galileo, non fisica, come avverrà più tardi, ma metaforica (difetti di stile e improprietà di espressione del Dialogo): tuum artificium hoc pollicetur, ut, citra similitudinis detrimentum, me pulchriorem quam sum ostendas, et, imitatus Apellem, qui Antigoni faciem altero tantum latere ostendit, ut amissi oculi deformitas occultaretur, tu quoque, si quid in me mutilum vel deforme offendes, ab ea parte convertas qua speciosius apparebit. È evidente la soddisfazione e l’orgoglio per la traduzione latina dell’o- pera che tante umiliazioni aveva portato a Galileo, soddisfazione e orgoglio accresciuti dai dolori fisici e dalla perdita della figlia, man- cata pochi mesi addietro (ma di ciò non si accenna nella lettera): Ceterum deierare liquido possum, post tot turbas et corporis animique vexationes, quas mihi pepererunt primum studia ipsa, quae radices artium amarae sunt, deinde studiorum fructus, qui multo ipsis radicibus amariores fuerunt, hoc tuo erga me studio nullum mihi maius solatium contigisse. Passi come questo attestano l’alto livello della prosa latina di Aggiunti: sottolineamo la naturalezza stilistica con cui l’immagine degli studi co- me radici delle scienze – radici amare perché intrise di fatica – si tramu- ti nel paradosso dei frutti più amari delle radici, paradosso in cui sono adombrate le sofferenze e umiliazioni del processo e dell’abiura. Alle quali Galileo reagisce con nuovi studi e la stesura delle Nuove scienze: Non tamen his angustiis eliditur aut contrahitur animus, quo liberas viroque dignas cogitationes semper agito, et ruris angustam hanc solitudinem, qua circumcludor, tanquam mihi profuturam aequo animo fero. Filologie medievali e moderne 23 | 19 69 Galileo in Europa, 57-70    Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Bernegger fu sbalordito dall’eleganza di tale lettera e non subodo- rò che non venisse dalla penna di Galileo; scrisse infatti a Diodati: Valde me terruit ipsius [Galileo] epistola, longe tersissima et elegantissima; quam elegantiam cum vel mediocriter assequi posse desperem, verendum habeo ne magnus ille vir ingenii sui divini foetum in commodiorem interpretem incidisse velit. Sed iacta est alea (EN 16, 176-7). Aggiunti morì nel dicembre 1635. Meno interessanti le ultime tre lettere di cui dobbiamo occuparci. Il 30 ottobre 1637 il dotto Ismaël Boulliau(d) (1605-1694)39 inviò a Ga- lileo una copia del suo De natura lucis40 accompagnandola con una lettera latina in cui si dichiarava amico di Gassendi e di Diodati (EN 17, 207-8) e in cui annunciava l’imminente pubblicazione del Philolaus sive Dissertatio de vero Systemate Mundi (1639). È una missiva di ac- compagnamento, piuttosto breve e spedita quanto a stile. La risposta di Galileo (1 gennaio 1638; EN 17, 245), pure in latino, ha lo stesso te- nore: con un dettato puramente comunicativo informava di aver già perso la vista e di non poter quindi formarsi un giudizio sulle dimo- strazioni del De natura lucis che contengano figure; ha però apprez- zato ciò che gli è stato letto e si interessa del Philolaus. Infine si scu- sa per la brevità e sommarietà della risposta: Breviter admodum ac ieiune scribo, praestantissime vir: plura enim scribere me non patitur molesta oculorum valetudo. Quare me velim excusatum habeas. Una seconda lettera di Boulliau(d) risale al 16 settembre 1639 (EN 18, 103): un puro accompagnamento all’invio del Philolaus, con l’augurio retorico che utinam Deus, qui alligat contritiones suorum, restituat oculorum lumen tibi ademptum, nobisque tale damnum resarciat, ut ipse legas libellum, et rationum seriem sine alienorum oculorum opera dispicias. La risposta latina del nostro, in data 30 di- cembre 1639 (EN 18, 134), è del tutto analoga alla precedente: rin- grazia il corrispondente e apprezza quanto gli è stato letto, ma non potendo vedere le figure non può giudicare bene. È latina, infine, una missiva di Galileo agli Stati generali dei Pae- si Bassi, in cui chiede che sia esaminata la sua proposta per il calco- lo della longitudine in mare. È una lettera non retorica, per quanto contenga alcuni elementi topici come l’elogio del destinatario:   39 40 Celsitudinum Vestrarum, qui per omnia maria et terras celeberrimas suas peregrinationes et navigationes cum gloria maxima iam instituerunt et quotidie porro instituunt, et commercia amplissima ubique quotidie dilatant [...] (EN 16, 469). Su di lui vedi Beaulieu 1984, 377) e Hockey et al. (2007). L’opera a stampa reca la data 1638; non sappiamo dire se Boulliau(d) ne abbia invia- to un esemplare (cui poi fu apposta una datazione posteriore) o una copia manoscritta. Filologie medievali e moderne 23 | 19 70 Galileo in Europa, 57-70Galileo  291. MARTINO HASDALE a GALILEO in Padova. Praga, 15 aprile 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 120. – Autografa. mor mo Essendo un pezzo che disegnavo di ritornare in Italia, et particolarmente a Padova et Venetia, più per godere quella gentilissima conversatione di V. S. che per altro; et tanto più me ne cresce il desiderio, quanto che veggo nuovi parti del suo felicissimo et divino ingegno: delli quali l'ultimo, intitolato Nuntius Sydereus, ha rapito ultimamente tutta questa Corte in ammiratione et stupore, affaticandosi ogniuno di questi ambasciatori et baroni di chiamare questi matemathici di qua per sentire se vi sanno fare alcuna oppositione alle demostrationi di V. S. Però vanno procurando di havere di quelli occhiali doppiii, per vederne l'esperienza. re re Io mi truovai, XII giorni fa, a desinare dal Sig. Ambasciatore di Spagna, dove il Sig. Velsero portò al detto Ambasciatore uno di questi libbri, mostrandogli molti luoghi notabili di r quello libro. Il Sig. Ambasciatore mi domandò delle qualità di V. S. Io gli risposi quello che potei, non già quanto V. S. merita. Mi disse che voleva sentire l'openione del Kepplero(658) sopra questo libro, sì come credo che habbia fatto chiamarlo. Ma io questa mattina ho havuta occasione di fare amicitia stretta con il Kepplero, havendo egli et io mangiato con l'Ambasciatore di Sassonia; et domattina siamo invitati da quel di Toscana, dove io vado familiarmente di continuo, essendo quel Signor mio padrone vecchio. Hora gli ho domandato quello che gli pare di quel libro et di V. S. Mi ha risposto che sono molti anni che ha prattica con V. S. per via di lettere, et che realmente non conosce maggiore huomo di V. S. in questa professione, nè manco ha conosciuto; et che con tutto che il Tichone fosse tenuto per grandissimo, nondimeno che V. S. l'avanzava di gran lunga. Quanto poi a questo libro, dice che veramente ella ha mostrata la divinità del suo ingegno; però, che ella viene havere data qualche occasione non solo alla natione Todesca, ma anco alla propria, non havendo fattone mentione(659) alcuna di quegli autori che le hanno accennato et(660) porta occasione di investigare quello che hora ha truovato, nominando fra questi Giordano Bruno per Italiano, et il Copernico et sè medesimo, professando di havere accennato simili cose (però senza pruova, come V. S., et senza demostrationi): et haveva portato seco il suo libro, per mostrar allo Ambasciatore Sassone il luogo. Ma in quello ch'eramo in questi ragionamenti, è sopragionto un estraordinario di Sassonia al detto Ambasciatore, che ha disturbata la conversatione. Ma domattina, piacendo a Dio, ci rivederemo, che senz'altro porterà il medesimo suo libro con quello di V. S., come ha fatto hoggi, per mostrarlo all'Ambasciatore di Toscana. Seppi poi la morte del Cl.mo nostro Sig.r Cornaro(661), con mio grandissimo dispiacere, che me mo Vostro Aff. Fratello lo Michelag. Galilei.  (658) (659) (660) (661) de Kepplero – [CORREZIONE] non havendo fattione mentione – [CORREZIONE] Tra accennato e et si legge, cancellato, quelle cose. – [CORREZIONE] Un LORENZO di MARCANTONTO CORNARO era morto il 25 settembre del 1609 (Necrologio Nobili, nell'Archivio di 252  r lo scrisse il S. Ottavio Pamfilio, quale desidero sapere se si truova ancora costì, perchè gli vorrei scrivere. Et la prego, havendo occasione, di fare un cordialissimo baciamano al Padre Maestro Paolo et Padre Maestro Fulgentio(662), suo compagno, et che spero fra alcuni mesi lasciarmi rivedere con qualche carico. Con che fine le bacio le mani. Di Praga, alli XV d'Aprile 1610. Di V. S. Ecc. ma re mo Serv. Devot. Martino Hasdale. Io mando questa per via dell'Ambasciatore di Venetia. Mi ricordo degli suoi melloni Turcheschi. mor mo Fuori: All'Ecc. Sig. P.rone Oss. r Il Sig. Gallileo Gallilei, Mattematico di Padova.Galilei. Galilei. Keywords: “the sun rises in the east” “the sun sets in the west” “you’re the cream in my coffee” ‘disimplicature’ -- esperienza, observazione, visione, nature, aristotele, filosofia naturale, fisis, natura, interpretazione, semiotica, segno naturale, il padre di Galileo – Some like Galileo Galilei, but Vincenzo Galilei is MY man” – Galileo e Bruno. Refs: Luigi Speranza, “Galileo, Grice e il saggiatore,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51713841789/in/photolist-2mMLXtT-2mMN3uy-2mLLZRD-2mLQ1Vx-2mKHfUW-2mLMaMX-2mKR9ZM-2mPsUUV-2mKGUth-2mKN13V-2mKBDtr-2mKQW9n-2mKGTYe-2mPBcdN-2mPEECV-2mKCfz1-2mKyJgk-2mKiNkD-2mJwx6n-2mJwx4P-2mJzYWx-2mJxNBT-2mJxNLf-2mJzYYg-2mJB4gi-2mJB4hW-2mJB48H-2mJwx4U-2mJsq3i-2mJzYWs-2mJxNJ1-2mJB48s-2mJzYWY-2mJsq3Z-2mJxNAf-2mJzYmE-2mJzZ4g-2mJB4ag-2mJspX3-2mJB5vc-2mJsw72-2mJwyqm-2mJsq69-2mJzZ7H-2mJxV5n-2mJA6g1-2mJB5uR-2mJxQ19-2mJA6fe-2mJBawe

 

Grice e Galimberti – l’imaginario sessuale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Monza). Filosofo. Grice: “I like Galimberti: he has philosophised on amore, amicus, amicizia – all topics of my interest – while I am into vyse, he is into the seven capital vyses! He also has spoken about speech: the ‘parole nomade,’ and the ‘equivoci’ of the ‘anima.’ – In general his philosophy is about nihilism and the idea of man in the age of ‘techne’ (ars).” Il suo maggior contributo riguarda lo studio del inconscio e il simbolo (contractio), inteso come la base primeva e più autentica dell’uomo – ‘logica simbolica’. Nasce a Monza, la mamma maestra di elementari e il padre deceduto. Le necessità della famiglia l’obbligano a lavorare. Frequenta le scuole superiori in seminario. Terminati gli studi liceali classici, si iscrive  al corso di laurea in Filosofia a Milano. Si laurea quindi con Emanuele Severino con lode, con “La logica di Jaspers”. Fra i suoi maestri, anche Bontadini. Studia fenomenologia del corpo con Borgna a Novara. Insegna a Monza e Venezia. Studia con Trevi.“E se "filo-sofo" non volesse dire "amante del sagio" ma "saagio dell'amore", così come "teo-logo" vuol dire dotto *su* Dio e non ‘parola di Dio’, o come "metro-logo" vuol dire scienzato delle misure e non misura della scienza?” “Perché per la forma greca ‘filo-sofo’ questa *inversione* della morfologia nella implicatura? Perché il filosofo greco si struttura come un logico che formalizza il reale, sottraendosi al mondo della vita, per rinchiudersi nell’academia, dove, tra iniziati, si trasmette da maestro a discepolo quesso che lo face un ‘sagio,” e che non ha nessun impatto sull'esistenza e sul modo di condurla. E per questo cheda Socrate, che indica come la sua condotta "l'esercizio di morte", ad Heidegger, che tanto insiste sull' “essere-per-la-morte”, il filosofo si e innamorato più del saper morire che del saper vivere. Al centro della sua riflessione sta il corpori degli uomini, che, in un mondo sempre più dominato dalla tecnica, si sentono un "mezzo" nell'"universo dei mezzi", riuscendogli sempre più difficile trovare e dare un senso alla sua vita, alla sua esistenza. Si deve trovare un senso al radicale disagio, alla tragicità del suo esistere, anche attraverso il recupero dell'ideale antico greco-romano, evitando mitologie.  Il suo maggior contributo consiste nel porre la dimensione del simbolo (coniactum – the idea is that you throw two things together so that the recipient may compare them, one becomes the ‘symbol’ – coniactum – of the other – cf. Grice on Peirce on symbol) alla base primordiale della ragione conversazionale, che ha inteso ordinare il simbolo (mito, no logos) – dunque l’ambilavenza delle cose ma non l’equivalenza generale di significati. Il simbolo (coniactum) è il sustratto pre-razionale. Rappresenta un caos originario che ragione tenta di arginare. Siamo razionali (apolineo) per difenderci dal simbolo dionisiaco. Il concetto fondamentale del simbolo non è l’equi-valenza generale, ma l’ambi-valenza. Riprende Freud e Jung, fondendone con Nietzsche, Severino e Heidegger. Importante è stato il costante riferimento a Husserl e Jaspers. Il filosofo cerca la “comprensione” (verstaendnis – cf.. Grice on ‘understand’ – ‘understanding,’ literally, slang for a leg) e non la spiegazione (verklaerung) del comportamento umano. La psicologia filosofica o rationale (l’anima di Aristotele) non può operare una trasposizione tout-court dei metodi e dei modelli concettuali delle scienze naturali perché, così facendo, l'uomo verrebbe ridotto a mero evento naturale, fisico, come ha luogo, per esempio, in psichiatria.  Contrario, poi, al dualismo di Cartesio, Galimberti ha anche fatto riferimento al metodo fenomenologico e al funzionalismo per consentire altresì, alla psicologia filosofica o rationale, la comprensione e la descrizione fenomenologica di quelle strette relazioni che intercedono fra nostri corpori assieme al significato che queste relazioni comportano. E e tutto ciò lo porterà ad abolire, di conseguenza, ogni distinzione concettuale fra ”salute“ e ”malattia.” Insiste sull'inconsistenza della contrapposizione tutta occidentale fra scienza e fede – fiducia -- individuando come questa seconda – la fiducia, cf. English ‘trust,’ truth’ -- sia in realtà l'elemento fondativo dell'intera coscienza occidentale, all'interno anche della scienza e della tecnica. Scienza e fede non dovrebbero mai confliggere, è importante che nessuna delle due invada il campo dell'altra. Tematizza innanzitutto il passo della Genesi in cui Adamo è definito "dominatore della Terra, sui pesci dei mari e sugli uccelli del cielo", collocando l'uomo in una posizione privilegiata rispetto agli animali e la Natura in sé e legittimandolo a operare su di essi per alimentare la propria esistenza. In quanto il progresso è l'affermazione di questo primato umano, la tecnica (Greco techne, Latino, ars) è indubbiamente l'ipostasi che sigilla costantemente quest'affermazione sull'indifferenza naturale. La coscienza della techne (Latin ‘ars’) tecnica è formulata come una risposta alle fatiche naturali, si appellerebbe, dunque, a una condizione strutturale di eminenza consegnata da Dio e propugnata dalla persistenza di un animale sui generis.  Riconosce la cristianità come il carattere di una scansione temporale che identifica il passato come spazio del peccato, il presente dell'espiazione, il futuro della redenzione e salvezza. Questo semplice modello triadico ha una ricorrenza quasi ossessiva nelle forme occidentali, fra le quali la medicina (malattia, diagnosi, cura), psicoanalisi (disturbo, terapia, guarigione), scienza (ignoranza, sperimentazione, scoperta). La triade è il "coefficiente a-storico" necessario a profilare la possibilità di un progresso, che si esercita eminentemente nello scenario tecnico. Qui, l'uomo che soccombe alle fatiche naturali della sopravvivenza, del parto e del lavoro (così come minacciato nella Bibbia) ha modo di riscattare la propria difficoltà attraverso mezzi che ne purificano endemicamente l'opera, al costo di un esaurimento delle risorse naturali. Ma, in fondo, la loro esistenza è preposta a questo.  Non si definisce né "credente" (in senso cattolico) né "non-credente", ma "greco-romano", nel senso di colui che vuole recuperare la visione del mondo della civiltà greco-romana, in modo nietzschiano e heideggeriano (si veda anche Il detto di Anassimandro, un noto saggio di Heidegger sul pensiero greco arcaico), fondendola però con la pur antitetica visione cristiana: la morte e la vita vanno pertanto prese sul serio, e non minimizzate pensando a un'altra vita ultraterrena. La ragione è importante perché, come nel detto "Conosci te stesso", fornisce all'uomo il senso del proprio limite.  Approfondisce molto la tematica del concetto di tempo e del suo rapporto con l'uomo. La sua indagine evidenzia come nell'età degli antichi – eta greco-romana, eta classica -- non si pensasse al tempo come lineare ed escatologico, tanto meno vi era associata l'idea di progresso. Essi concepivano l'essere come kyklos (tempo ciclico, l’eterno ritorno di Nietzsche), come un ciclo in cui ogni evento è destinato a ripetersi. Nella filosofia greco-romana antica era impensabile che l'uomo potesse esercitare un controllo sul cosmo, o di imporre su di esso i propri fini. La dimensione dell'uomo era inserita armonicamente all'interno dei cicli naturali che si susseguivano necessariamente e senza alcuno scopo. Nel ciclo infatti il fine (in greco telos) viene a coincidere con la fine e la forza propulsiva (in greco energheia, actus) porta all'attuazione dell’ergon, l'opera, ciò che è compiuto.   Il ciclo si manifesta dunque con l'esplicitarsi dell'implicito.Il seme diventerà frutto solo alla fine del ciclo di crescita e maturazione stagionale, e il frutto coinciderà con il fine del seme, con il dispiegarsi completo dell'energia e delle potenzialità implicitamente contenute in esso. Nel ciclo, in cui tutto si ripete, non si dà progresso: di conseguenza divengono fondamentali la memoria dei cicli passati e quindi la parola dei vecchi, deposito di esperienza, e l'educazione, come trasmissione della memoria e dell'esperienza passata. Tuttavia, l'uomo è da sempre tentato di conciliare il tempo ciclico della natura con il tempo umano, che è un tempo “scopico” (dal greco skopein, che indica un guardare mirato). Con questa operazione l'uomo vuole reintrodurre scopi umani nel tempo naturale, naturalmente privo di scopi. Emerge qui dunque la necessità propriamente umana di progettarsi, cioè di gettarsi-fuori di sé verso un obiettivo, cercando di dotare di senso la propria esistenza. Questa tendenza tuttavia, può armonizzarsi con il “kyklos” solo se l'uomo vive con la consapevolezza tragica di non poter oltrepassare i limiti posti dalla natura, primo tra tutti la sua mortalità. In caso contrario, egli si macchierà di hybris (superbia), la tracotanza, l'unico vero peccato riconosciuto dalla saggezza greco-romana.In termini esemplificativi, il cacciatore esercita il suo guardare mirato nel bosco (skopos) e solo in questo tempo progettuale e nella compresenza di mezzi e fini, il suo arco diventa strumento e la lepre l'obiettivo. Si tratta di un tempo lineare che si muove tra due estremi: i mezzi e i fini (la ragione come phronesis or prudentia).V'è tuttavia un elemento che si inserisce tra questi termini, impossibile da controllare, ovvero il kairos, il tempo opportuno, che è anche imprevedibilità, e che può determinare o meno l'incontro tra mezzi e fini. Non è dunque nelle possibilità dell'uomo il tessere il proprio destino. Egli deve saper cogliere il kairos, la circostanza favorevole, e in essa espandere sé stesso.  Questo equilibrio tra tempo naturale, umano e del kairos è stato sconvolto dall'uomo nell'età della tecnica: obiettivo di quest'ultima è infatti quello di ridurre fino ad annullare la distanza tra mezzi e scopi (in cui si inseriva il kairos, l'imprevedibile) per realizzare così un controllo e un dominio assoluti sul mondo, che da cosmo a cui accordarsi è divenuto natura da dominare, e per portare a compimento una tirannia completa del tempo umano. Con l'età della tecnica abbiamo scatenato il Prometeo che gli dèi avevano incatenato, determinando il trionfo del potere della techne sulla necessità (in greco ananke) della natura, fino alla paradossale situazione in cui la tecnica non è più strumento nelle mani dell'uomo ma è l'uomo a trovarsi nella condizione di mero ingranaggio, funzionario inconsapevole dell'apparato tecnico.  Riflettendo sulle modalità in cui l'uomo abita il mondo, approfondisce il concetto di ‘corpori.’ Studiando genealogicamente il concetto di corpo dal periodo romano antico – quale e la etimologia di corpo? Quella di Platone e terribile: soma sema --  mette in contrasto le diverse modalità in cui esso è stato osservato. I corpori – corpus romano, pl. corpora – corpore -- sono visto come organismi da sanare per la scienza, come forza lavoro da impiegare per l'economia (body-abled man), come carne da redimere per la religione, come inconscio (id) da liberare per la psicoanalisi, come supporto di segni (semiotica corporale – la semiotica dei corpi) -- da trasmettere per la sociologia – un segno e un medio fisico – l’immagine e percipita per un corpo – un corpo mittente – un corpo che recive il messagio – semiotica fisica. L'uomo e capace di cappire significatum ambi-valente (uno senso Fregeiano e una implicatura – “He is a fine friend +> He is a scoundrel). Questo significatum ambivalente e fluttuante e quello che il corpo ha da sempre assunto. Questa ambivalenza del segno fra corpo 1 e corpo 2 nasce dal suo sottrarsi all'uni-vocità (or aequi-vocita – or aequi-segno) di una teoria psicologica categorizzante, concedendosi invece una “con-fusione” de un codex di senso fregiano e un codex di implicatura, con i quali i corpori sono costituito. Per salvarsi di un panico creato da questa ambivalenza (significatum fregeano, significatum griceianum), si sigue il principio d'identità, collocando i corpori di volta in volta sotto un equi-valente generico che gli garantisse uni-vocità o aequi-vocita (quando l’implicatura e cancellata). Cogliendo lo sfondo in cui i corpori si mostrano, si evidenzia la legge fondamentale che lo governa, ovvero lo “scambio” (o ‘con-versazione’) simbolica – il simbolo e il significatum griceiano -- in cui tutto è re-versibile e non vi è demarcazione tra significati – questo che Grice chiama la ‘indeterminazione disgiontiva infinita: il corpo significa che p1 o p2 o p3 o … L'ambivalenza del segno è una legge inclusiva per cui ciò che è, è sì sé stesso (principio d’identita), ma anche altro da sé (principio della negazione – diaphoron).  In questo modo i corpori conservano la sua oscillazione simbolica tra vita e morte: oscillazione che non posse eliminarsi tracciando una violenta disgiunzione tra vita e morte, tra ciò che è (l’ente, il ‘being’ di Grice) e ciò che non è (vide Grice, “Negazione e privazione).Proposito conclusive è quello non tanto di emancipare o liberare i corpori dalla restrizione impostagli dal senso apolineo fregeiano (che non avrebbe altro effetto che confermare i limiti in cui i due corpori sono reclusi), bensì quello di restituire i corpori alla sua originaria innocenza.  Si è sempre schierato su posizioni fortemente anticapitaliste, esprimendosi e professandosi inequivocabilmente comunista. è stato ufficialmente richiamato da Venezia a volersi attenere alle corrette regole di citazione degli scritti di altri autori. Questo per aver riportato alcuni brani di altri autori senza citarli in. Tutto ha avuto inizio quando in seguito a un articolo de Il Giornale è emerso che aveva copiato "una decina di brani" di Sissa per un saggio. Ha ammesso di aver violato il diritto d'autore riservandosi di riparare al danno. Ciò non ha comunque soddisfatto Sissa perché “quello non chiedere scusa, piuttosto un cercare delle scuse, un patetico arrampicarsi sugli specchi. Con il passare del tempo sono emersi altri precedenti analoghi. Infatti anche per il saggio su Heidegger, copia Zingari. I due arrivarono a un accordo che prevedeva l'ammissione da parte di Galimberti dell'indebita appropriazione intellettuale nelle successive edizioni del libro e da parte di Zingari l'impegno "a non tornare più sulla questione". Oltre a Sissa e Zingari sono stati copiati testi di Cresti, Natoli e Bradatan. Per difendersi, dice che "in ogni ri-elaborazione però, c'è uno scatto di novità".  L'inchiesta giornalistica de Il Giornale ha accertato che due dei saggi, presentati al concorso a Venezia erano stati copiati da altri autori. La commissione giudicante composta all'epoca non si accorse del fatto. Il rettore ha detto che "non ho, ora come ora, estremi per sollecitare il ministero, deve essere un professore del raggruppamento a farlo. Di mio posso dire che in ambito umanistico si producono troppi testi e che questo è uno dei fattori che causano l'impossibilità di fare controlli accurati. Nello specifico, secondo me dovrebbe essere Galimberti, nel suo interesse, a chiedere la convocazione di un giurì o comunque a rispondere e a specificare le sue posizioni.”Nel giugno  la rivista L'indice dei libri del mese ha pubblicato nel proprio sito un lungo articolo su altri copia-incolla. In particolare il saggio sul mito è stato indicato come costituito al 75% da un "riciclaggio" di suoi scritti precedenti, per il restante 25%, una ristesura di intere frasi e paragrafi, presi da altri autori, quasi identici agli originali. Le accuse mosse a Galimberti sono poi diventate un saggio, “La mistificazione intellettuale (Coniglio Editore, ), in Bucci, elenca i nomi dei pensatori da cui avrebbe tratto parti di testi senza citare la fonte. Vattimo ha dichiarato al Corriere della Sera: «si scrive anche a distanza d'anni dalla lettura; la spiegazione è plausibile. Lui cita l'autore la prima volta; poi ci mette quelle frasi che ricorda anche senza virgolettarle. Il sapere umanistico è retorico. Noi si lavora su altri testi, si commenta. Platone e Aristotele sono stati saccheggiati da tutti. Nella filosofia è tutto un glossare. C'è chi copia dagli altri e chi da sé stesso».Altre opere: ROMA SERMO ROMANVM -- Milano, Mursia). Agire (Milano, Apogeo);  Amore. Assisi, Cittadella Editrice,.Tra il dire e il fare. – dire e una forma di fare --  Il viandante della filosofia, con Marco Alloni, Roma, Aliberti,.Parole d'ordine, Milano, Apogeo,.  Amore. Milano, AlboVersorio. Amante, amato, amico --” Napoli-Nocera Inferiore (SA), Orthotes,.  “Il bello” Napoli-Nocera Inferiore (SA), Orthotes,. Eros e follia, Mariapia Greco, Lecce, Milella Editore. Fenomenologia del corpo, Milano, Feltrinelli – cf. Grice on ‘body’ – in “Personal Identity” “I fell from the stairs” -- Dall'inconscio al simbolo, Milano, Feltrinelli, 2“Equivoci” (Milano, Feltrinelli); Parole nomadi, Milano, Feltrinelli; I vizi capitali e i nuovi vizi, Milano, Feltrinelli. Amore, Milano, Feltrinelli. Treccani. Umberto Galimberti, nato a Monza nel 1942, è stato dal 1976 professore incaricato di  Antropologia Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Dal 1999 è professore ordinario all'università Ca' Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Titolo opera: Le cose dell'amore. Il libro è di: saggistica, cioè appartiene al genere letterario dei saggi. Sommario: A) Riassunto per capitoli: I  CAPITOLO “Amore e trascendenza”: La metafora di Dio è sempre stata collegata alla  metafora dell'amore, nel senso che senza la presenza della trascendenza, cioè che è al di là dei limiti di ogni conoscenza possibile e quindi superiore alla ragione umana, l'amore perde la sua forza e la sua capacità di leggere il mondo. Rimane un enigma dove l'amore vede in Dio la sua trascendenza, e Dio vede nell'amore la sua natura,e questo intreccio non presenta sentimentalismi ma solo il nesso tra amore e trascendenza. II  CAPITOLO “Amore e sacralità”: La sacralità è dovuta dal desiderio dell'uomo di  immortalità e quindi dal desiderio di conservare la sopravvivenza dell'individuo e della totalità dell'essere. Oltre al sacrificio, un altro modo di sperimentare la morte della propria individualità è l'orgasmo, l'apice della vita sessuale, durante il quale l'Io e il Tu  si dissolvono, e ciò è reso possibile dalla fiducia reciproca. III CAPITOLO “Amore e sessualità”: Il sesso non è qualcosa di cui l'Io dispone, ma è qualcosa che dispone l'Io,  aprendolo così alla crisi. Nella sessualità, la meta non è il godimento dell'Io, ma il suo perdersi negli abissi dell'anima, i quali si pensa siano rimasti disabitati, e che invece possono riapparire durante quel rinnovamento della vita a cui l'Io cede ogni volta che ha un rapporto sessuale e quindi nesso con l'altra parte di sé. IV  CAPITOLO “Amore e perversione”: La perversione è sempre stata giudicata negativamente, perché concepita  come sinonimo di devianza, degrado, ribrezzo e ripugnanza. Il perverso non cerca la trasgressione, ma la sua aspirazione è di raggiungere uno stato dove è soppressa ogni nozione di organizzazione, struttura, separazione e dl'universo di differenze da cui prende avvio ogni principio d'ordine. Il godimento del perverso non deriva dalla sessualità, ma dalla sessualità portata a quel limite oltre il quale c'è l'incontro con la  morte. V CAPITOLO “Amore e solitudine”: La mitologia greca aveva divinizzato la  masturbazione, perché era espressione di autosufficienza e indipendenza dagli altri. Ma questo atto venne condannato, nell'età dei Lumi, dalla scienza medica e dall'economia: la prima sosteneva che essa provocava malattie, mentre la seconda affermava che era uno spreco. Osservando invece il fenomeno della masturbazione da un'ottica diversa da queste due discipline, questo "vizio dell'adolescente" non appare come un qualcosa da combattere, ma un qualcosa su cui fare leva per integrare gradualmente la sessualità.  VI CAPITOLO "Amore e denaro": La prostituzione è uno scambio di sesso e denaro che caratterizza il regime sessuale della nostra società, e che viene alimentato da un desiderio di rapido miglioramento delle proprie condizioni economiche. Infatti, di fronte al denaro tutto diventa merce: quando un uomo paga una donna, non le riconosce alcuna interiorità sua propria, arrivando a considerarla più come un "genere" che come "individuo". VII CAPITOLO "Amore e desiderio": L'amore è un'illusione di stabilità emotiva. Questo sentimento necessita novità, mistero e pericolo, ma deve saper combattere il tempo, la quotidianità e la familiarità. infatti, la ricerca della  sicurezza e della stabilità porta l'amore al suo degrado, perché così facendo essa non prevede l'avventura, la tensione e il senso del rischio che alimentano la passione. VIII CAPITOLO "Amore e idealizzazione": La percezione della realtà è una costruzione attiva, dove l'immaginazione, la fantasia, il desiderio, di cui l'idealizzazione amorosa è una figura, intervengono a trasfigurare i dati della realtà. Da ciò si deduce che l'oggettività è un'ideale impossibile, e infatti la convinzione di conoscere l'altro in modo oggettivo è una delle tante illusioni create dalla passione per evitare la delusione. IX CAPITOLO "Amore e seduzione": Nella vita quotidiana, la trasparenza riesce ad allargare l'orizzonte e lo scenario dischiuso dall'immaginazione. Infatti il desiderio si trova in ogni fessura della realtà che lascia trasparire un'ulteriore senso: quello dell'irreale e de-reale. Il corpo dell'altro diviene così uno specchio che riflette il nostro desiderio, e questo corpo non deve essere mai nudo, perché la seduzione si esprime attraverso le vesti, gli accessori, i gesti, la musica. X CAPITOLO "Amore e pudore": L'amore prevede che ad amare e ad essere amato sia il nostro Io, una delle due soggettività presenti in ogni individuo e che, contro la sessualità generica, impone la  barriera del pudore. Essa però non limita la sessualità ma la individua, sottraendola a quella genericità in cui si celebra il piacere senza riconoscere l'individualità. E' importante sottolineare che il pudore non è un sentimento esclusivamente sessuale, ma ha anche una valenza sociale che si pone alla difesa dell'individuo contro la pubblicizzazione del privato. XI CAPITOLO "Amore e gelosia": Nella nostra società, dove la sussistenza dipende sempre meno dalla solidità dei vincoli familiari, la gelosia è  vista come un sentimento arretrato che ostacola la libertà e la sincerità dei singoli. Essa, cha affonda le sue radici nell'infanzia non per la progressiva rinuncia da parte del  bambino al possesso esclusivo del padre o della madre, ma perché durante questo periodo chiunque ha provato sentimenti come la solitudine e la paura di essere abbandonati, altera la percezione, l'attenzione, la memoria, il pensiero e il comportamento. Per avere controllo su questo potente stato d'animo, bisogna separare progressivamente l'amore dalla ossessività, cioè civilizzarla. XII CAPITOLO "Amore e tradimento": Il tradimento risiede nella fiducia originaria, dove non c'è traccia neppure del sospetto, perché non sorgono ne l'interrogazione ne il dubbio. Ma la scoperta di quest'ultimo segna la nascita della coscienza, e questo atto è indicato dal tradimento. Sono presenti diverse reazioni al tradimento: 1)la vendetta, che non emancipa l'anima ma la irrigidisce; 2) la negazione, in cui l'individuo che ha subito una delusione tenta di negare il valore dell'altro; 3) il cinismo, che fa credere che l'amore sia sempre una delusione; 4) il tradimento di sé, che porta a tradire sé stessi e le proprie esperienze emotive; 5) la scelta paranoide, un atteggiamento legato più alla sfera del potere che a quella dell'amore. XIII CAPITOLO "Amore e odio": L'odio è il compagno inevitabile dell'amore, e la sopravvivenza di questo sentimento amoroso non dipende tanto dalla capacità di evitare l'aggressività, che è il riflesso dello stato di pericolo in cui si trova la persona che ama, quanto dalla capacità di viverla e oltrepassarla. In amore, l'individuo può accettare la dipendenza verso la persona amata, oppure per riscattarla trasforma la passione amorosa in passione aggressiva, carica di odio, dove il messaggio finale è che non si può fare a meno di questa persona. XIV CAPITOLO "Amore e passione": A differenza dell'amore, la passione non segue le regole, ignora il governo di sé, non conosce il limite e non dipende da progetti. Per questo è possibile dire che l'amore è cristiano, mentre la passione è pagana. La passione cerca rassicurazione, ma nello stesso tempo vuole essere smentita, rifiutata e delusa, perché attribuisce all'affetto, alla domesticità, all'amare e all'essere amato poca importanza. Questo perché la passione conosce il destino e non lo scambio, in quanto l'altro è considerato solo come materia per la sua creazione, ovvero la fantasia, la quale si alimenta del dubbio e dell'incertezza. XV CAPITOLO "Amore e immedesimazione": L'alienazione nell'altro per amore di sé approda o nell'assimilazione con la persona amata, che porta alla perdita della propria identità, o nel possesso della persona amata, con la tendenza ad escluderla dal mondo. Gli amanti chiamano amore questa reciproca immedesimazione, e questa rinuncia di sé e della propria libertà non esprime solo un rapporto di dipendenza, ma una vera e propria condizione di alienazione. Il mantenimento in amore della propria autonomia non solo evita l'identificazione con la persona amata, ma consente il recupero di se stesso. XVI CAPITOLO "Amore e possesso": La passione, quando non approda nell'immedesimazione con la persona amata, si indirizza verso il possesso, che riduce le relazioni della persona amata, e in cui l'amante non ama propriamente l'altro, ma solo il potere che esercita sull'altro. Dunque, chi ama per possesso non si accontenta del possesso del corpo e del godimento sessuale che ne deriva, ma pretende che la persona amata lasci per lui tutto il suo mondo, e che lo ami non solo per la sua evidente identità, ma per le sue qualità nascoste. Solo a questo punto il suo desiderio di possesso è soddisfatto ma, con la sua soddisfazione, anche la sua passione si estingue, perché non era amore per l'altro, ma era perverso amore di sé. XVII CAPITOLO "Amore e matrimonio": La nostra società è caratterizzata dall'individualismo, in cui l'individuo  vive in base alla sua personale idea di felicità, senza più subire l'influenza delle norme tradizionali. Attualmente, l'amore è slegato da ogni riferimento sociale, giuridico e religioso, e si sta diffondendo la figura de "l'uomo della passione", che attende dall'amore qualche rivelazione su se stesso o sulla vita in generale. Da una parte quindi l'amore-passione, che rappresenta l'evasione dal mondo per raggiungere in sogno la felicità assoluta, dall'altra l'amoreazione che fonda il matrimonio, che non evade dal mondo ma assume in esso il proprio impegno. XVIII CAPITOLO "Amore e linguaggio": L'amore utilizza le parole per dare espressione a ciò che la logica non sa cogliere. Infatti, i paradossi del linguaggio dell'amore cercano di infrangerla, perché la logica include la normalità e la quotidianità, mentre l'amore vuole esprimere l'eccesso, l'insolito, e non può farlo se rispetta le regole della ragionevolezza. Questo eccesso concede all'amore nuove libertà di cui ha bisogno, perché essa nasce quando è totalizzante, e infatti il linguaggio dell'eccesso pretende la totalità, dove odio e amore possono confluire e passare l'uno nell'altro. XIX CAPITOLO "Amore e follia": L'amore è quasi sempre stato considerato come un qualcosa posseduto dall'Io. Freud smentisce ciò sostenendo che non esiste una ragione onnipotente che guida la volontà che governa le ragioni, in quanto la psiche umana non è razionale. Fu Platone il primo ad interessarsi alle regole della ragione e agli abissi della follia. Egli con il termine follia indica un'esperienza dell'anima che sfugge a qualsiasi tentativo che cerchi di fissarla e disporla in successione. B) Tesi dell'autore: I CAPITOLO: L'amore non può esistere senza un raggio di trascendenza. II CAPITOLO: C'è una profonda affinità tra il sacrificio e l'atto d'amore. III CAPITOLO: L'amore non rinnega il sesso e l'erotica. IV CAPITOLO: L'amore deve sapere accettare anche la perversione. V CAPITOLO: La masturbazione è segno di solitudine. VI CAPITOLO: Con la prostituzione ciò che si  vuole comprare non è il sesso ma il potere su un altro essere umano. VII CAPITOLO: E' importante saper conciliare il bisogno di sicurezza (l'amore) e il desiderio di avventura (la passione). VIII CAPITOLO: L'idealizzazione amorosa influenza la nostra percezione della realtà. IX CAPITOLO: La vera seduzione è possibile solo quando il corpo non si riduce a quel significato univoco che è il sesso. X CAPITOLO: Il pudore è quel sentimento che difende l'individuo dall'angoscia di perdersi nella genericità animale. XI CAPITOLO: La gelosia è il rovescio della passione, dell'intimità e della dedizione che caratterizzano l'amore. XII CAPITOLO: Il tradimento è il lato oscuro dell'amore, che però è ciò che gli conferisce il suo significato e che lo rende possibile. XIII CAPITOLO: L'odio è il compagno inevitabile dell'amore, perché esso è la risposta a quella minaccia che è l'amore. XIV CAPITOLO: A differenza dell'amore, la passione non conosce limite e regole. XV CAPITOLO: L'amore non prevede la rinuncia di sé. XVI CAPITOLO: L'amore come passione è il desiderio di potenza assoluta su di una persona. XVII CAPITOLO: Il matrimonio non è supportato da alcuna buona ragione, perché nelle cose dell'amore la ragione non ha gran voce in capitolo. XVIII CAPITOLO: L'amore si affida al linguaggio per esprimere l'intreccio della nostra anima. XIX CAPITOLO: L'amore è un cedimento dell'Io per liberare in parte la follia che lo abita. C) Impressioni riportate nella lettura: A mio parere, il libro "Le cose dell'amore" è stato molto coinvolgente per i temi trattati: l'autore, grazie alla sua esperienza di vita e alla sua abilità di scrivere che non è da sottovalutare in uno scrittore, riesce a descrivere tutte le sfumature dell'amore senza cadere nella banalità e nella monotonia, tendendo sempre accesa nel lettore la voglia di proseguire la lettura. Ciò è favorito anche dal fatto che molti dei temi affrontati si riscontrano nella vita quotidiana di ognuno di noi, cioè ci riguardano da vicino perché fanno parte della società in cui viviamo: l'amore legato al denaro, e quindi al fenomeno della prostituzione, che è un problema diffuso in Italia; l'amore legato al pudore, un aspetto necessario per vivere in comunità, che quindi ha una valenza sociale; l'amore legato alla gelosia, la quale è vista come un sentimento che, in una società in cui sta avvenendo l'emancipazione dell'individuo, ostacola la libertà e la sincerità dei singoli; l'amore slegato dal matrimonio, in quanto nella nostra società si sta diffondendo l'individualismo. Difficoltà incontrate nella lettura: Durante la lettura del libro "Le cose dell'amore", ho riscontrato delle difficoltà nella comprensione di alcune frasi o parole. In qualsiasi lettura è fondamentale capire e interiorizzare tutto ciò che sta scorrendo sotto i nostri occhi, e porsi delle domande per essere certi di aver appreso tutto in maniera corretta. Se si tralascia anche un solo particolare perché non lo si riesce a comprendere fino in fondo, andando avanti nella lettura si svilupperanno sempre più problemi di condiscendenza. In questo libro ho riscontrato più di una frase, o semplicemente delle parole, che hanno sollevato delle difficoltà nella comprensione dei concetti-chiave. Ad esempio, prima di continuare lalettura mi sono dovuta soffermare su parole di cui non conoscevo il significato e che ostacolavano la mia interpretazione di questo testo, alcune delle quali sono: ambivalenza, assedio, avvedutezza, dissoluzione, ineffabilità, millanteria, parossismo, prevaricazione. In particolare, ho dovuto cercare informazioni relative al significato di due parole, trascendenza e alienazione, perché entrambe sono temi importanti affrontati rispettivamente nel capitolo I e nel capitolo XV. Era dunque necessario approfondire il concetto contenuto in queste due espressioni per raggiungere l'obiettivo di questa lettura: accrescere le nostre conoscenze. Inoltre ho avuto modo di riflettere in modo più attento e accurato sul termine "immedesimazione", che era già stato per me oggetto di studio in alcune discipline, ma non era mai stato così legato alla quotidianità, così vicino al nostro ambiente di vita. In conclusione, questo libro mi ha dato l'opportunità di ampliare il mio sapere, e soprattutto mi ha dato l'occasione di approfondire il concetto di alcune parole, elencate precedentemente, prima a me estranee. Scheda del libro  Introduzione: L’uomo, troppo spesso, tende a definire l’amore legandolo a significati  che, in realtà,  non gli appartengono completamente. Galimberti, attraverso un’attenta analisi, s’introduce all’interno del sentimento più incomprensibile ed equivocato di tutti i tempi. Egli non definisce l’amore, ma associa a questo i tanti falsi sinonimi che  gli vengono attribuiti, cercando di dimostrare che i termini non sono equivalenti ma  solo in relazione. Graficamente, dunque, l’amore e i falsi sinonimi potrebbero essere rappresentati da due insiemi, con un’ampia parte compenetrata, ma non sovrapposti. Il  risultato  evidente risulta essere un passaggio dalla amore è… ad una più ricca ed attenta osservazione di amore e… definizione abituale di Amore e... L’amore viene  analizzato in tutte i suoi aspetti, dalla trascendenza, sacralità alla perversione, seduzione, denaro,  dal pudore al tradimento, dall’immedesimazione, possesso al  matrimonio, dal linguaggio alla follia. Il sentimento più oscuro sembra nascere da un incantesimo della fantasia che fa idealizzare in un essere la persona amata e cessare con il tempo che, favorendo la realtà, finisce col produrre una disillusione delle aspettative, trasformando la passione, l'idealizzazione, iniziale in un affetto privo di partecipazione e trasporto. Le conseguenze, talvolta, possono essere anche molto gravi tanto da tramutare la passione in una patologia e sostituire ai poeti d'amore degli psicologi. La vicenda divina è legata anche all'atto sessuale in cui l'uomo trasgredisce, eccede, cadendo sotto il peso della passione che non rappresenta solo uno smarrimento del desiderio e di se stesso ma anche un vero e proprio patire. "il desiderio, per quel che ancora le parole significano, rimanda alle stelle: de-sidera" (Le cose dell'amore, 1) Come scrive l'autore, l'amore e la trascendenza vanno di pari passo e dal momento che il significato della parola desiderio rimanda alle stelle, quando esso con il tempo si estingue, non c'è più elevazione dell'anima che è in grado, trascendendosi, di lasciarsi superare. L'amore e la trascendenza, dunque, sono legati non da un rapporto reciproco, ma dal sentimento che viene sviluppato per le cose che non è possibile possedere. D ANALISI E COMMENTO: Il libro risulta essere molto interessante nelle tematiche e negli accostamenti tra gli argomenti e permette, attraverso l'uso di un linguaggio comune di poter essere compreso da diversi tipi di lettore, trattando ,infatti, un tema senza età e senza la necessità di particolari conoscenze umane o scientifiche permette a tutti di immedesimarsi, interrogarsi ed interagire conil testo ed è proprio questa compenetrazione del lettore che crea una polisemia di significati e sempre diverse chiavi di lettura sia da altre persone sia dal tempo che muta le circostanze della vita. L'autore riesce a non abbandonarsi mai in trattati banali o superficiali finendo in discorsi pesanti ed inconsistenti ma inserisce diverse tonalità che mantengono viva la curiosità e la voglia di proseguire la lettura. La contemporaneità in cui vive gli permette di rapportare al testo l'esperienza personale, permettendo che venga identificata o differenziata da quella altrui. Le tematiche attuali, lo stile concreto e il narratore in cui è possibile identificarsi mostrano, dunque, l'ottima riuscita del libro. "Amore non è solo  vicenda di corpi, ma traccia di una lacerazione, e quindi incessante ricerca di quella pienezza, di cui ogni amplesso è memoria, tentativo, sconfitta." (Le cose dell'amore, 19). conseguenza si tende ad innamorarsi solo delle persone che la fantasia porta a sognare ed idealizzare e a cadere in depressione o nel deprezzamento di se stessi se il sentimento non è ricambiato, poiché, senza l'immaginazione, che influenza la percezione ed esalta la realtà il desiderio di sicurezza potrebbe far cessare sul nascere l'amore per la paura di non essere corrisposti. L'amore, tuttavia, nelle sue molteplici identificazioni ha anche un lato oscuro, riconosciuto nel tradimento. Esso rappresenta sia il dolore per fine della fiducia, che l'inizio dello sviluppo della coscienza, infatti, solo chi si concede senza avere la sicurezza di non essere tradito può provare il vero amore. La coscienza può, emancipandosi, portare al perdono e decidere di passare oltre oppure può svilupparsi in vendetta, cinismo, svalutazione o malattia, e dal momento che questa è la strada più percorsa generalmente è bene che non si realizzi come pratica insincera ma come reciproco riconoscimento, dove chi ha tradito non cerca scuse e chi ha subito prende atto ed eventualmente accetta il cambiamento poiché tradire qualcuno, qualsiasi sia il rapporto che lega, è già una possessione che inizia il processo di arresto della propria crescita. L'amore e l'odio, invece, coesistono perfettamente, poiché solo chi ama davvero sa odiare e solo chi odia veramente è, in realtà, in grado di amare. Essi rivelando che, per vivere bene, non si può fare a meno d'altre persone, sono i soli, unici e veri sentimenti. "Amore, come Socrate ce lo ha descritto, non è tanto un rapporto con l'altro, quanto una relazione con l'altra parte di noi stessi" l'amore e le caratteristiche che gli vengono associate mettono in relazione l'uomo con la parte folle del proprio essere da cui si era discostato nel tempo. " Ora che vi ho detto tutto sull'amore, non crediate che io ne sappia più di voi: il ragazzino, il bimbo appena nato ne sanno quanto me. L'unica differenza è che lui, che non ha anni e ancor meno esperienza, crede ancora a ciò che lo tormenta; mentre noi, che siamo carichi di anni e di esperienza, cerchiamo di affidarci a essi per rendere meno dolorose le nostre illusioni. Eppure con tutto ciò, sappiamo forse amare meglio di lui?" (M. Chebel "Il libro delle seduzioni") Galimberti conclude la sua opera con questa breve citazione, in essa è racchiuso, infatti, tutto il significato dell'amore. Un sentimento inspiegabile che non è possibile conoscere né completamente né in modo uguale o simile ad altre persone, una sensazione che gratifica i bambini, poiché nella loro innocenza la vivono senza tormenti e ansietà pur conoscendola come gli adulti. AMORE È... "l'amore è un fiore delizioso, ma bisogna avere il coraggio di andarlo a cogliere sull'orlo di un abisso spaventoso" (le cose dell'amore, 116 Ivi, 120) L'amore è il più importante tra tutti i sentimenti, dal momento che è possibile associarlo a tutti gli altri. Esso è difficile da trovare e spesso viene confuso con altri molto simili ma mai uguali. Solo chi ha il coraggio di lottare, di sfidare, di mettersi in gioco, di rischiare può ottenere il vero sentimento ricercato o in ogni caso non vivere nell'illusione, riconoscendo i falsi sentimenti che cercano continuamente di insidiare un posto che non appartiene a loro. La fatica di condurre il "gioco" attraverso la strada se pur più reale, più complicata porta ad una felicità certa e vera che permette di non patire grandi sofferenze ma solo piccole illusioni riconoscendo che il male apparente non è in realtà vero male così come ciò che si definisce generalmente come bene non sempre è il vero bene.  Nella Introduzione al suo celebre libro del 1983 Il corpo(Feltrinelli, Milano, pp. 11-16), Umberto Galimberti così si esprimeva:  È forse tempo che la psicologia incominci a pensarsi contro se stesse a comprendersi al di là della sua nominazione idealistica che la propone come «discorso sulla psiche, quindi su quell'unità ideale del soggetto che la grecità ha promosso col termine ????, e a cui la psicologia non s'è ancora sottratta neppure nella sua più moderna espressione scientifica.  Ma pensare contro non significa pensare l'opposto, mantenendosi su quel medesimo terreno d opposizione in cui il conflitto, così come si genera, si riassorbe. Pensare contro significa pensare fino in fondo, quindi andare alle radici, scavando il fondo su cui si impianta il radicamento.  Questa operazione che rimuove la solidità delle radici, disloca la psicologia dal luogo che s'è data, quindi la dis-orienta, la sottrae al suo oriente, alla sua origine storica.  Quest'origine è rintracciabile nella cultura greca e precisamente in quel momento in cui la specificità dell'uomo è sottratta all'ambivalenza delle sue espressioni corporee per essere riassunta in quell'unità ideale, la psyche, che da Platone in poi, per tutto l'Occidente, sarà il luogo del riconoscimento dell'unità del soggetto, della sua identità. Ma questo luogo di identificazione contiene già il principio della separazioneperché, come coscienza di sé, la psyche incomincia a pensare per sé, e quindi a separarsi dalla propria corporeità. La prima operazione metafisica è stata un'operazione psicologica.  Nata con un significato semplicemente classificatorio per designare quei libri aristotelici che erano collocati dopo (µ?ta) i libri di fisica (t? f?s???), la «metafisica» ha guadagnato ben presto e coerentemente un significato topico che designa un al di là della natura, quindi una scienza dell'ultrasensibile che si differenzia dal mondo dei corpi perché, contro il loro divenire e mutare,  rappresenta l'immutabile e l'eterno. L'idea platonica è il modello di questa separazione e contrapposizione, e la psyche, essendo «amica delle idee, incomincerà a considerare il corpo come suo carcere e sua tomba.  Una volta che la verità è posta come idea, l'opposizione tra ideale e sensibile , tra anima e corpo, diventa l'opposizione tra vero e falso, tra bene e male. Valori logici e valori morali nascono da questa contrapposizione che la metafisica ha creato e la scienza moderna ha mantenuto, rivelando così la sua profonda radice metafisica se è vero, come dice Nietzsche, che «la credenza fondamentale dei metafisici è la credenza nelle antitesi dei valori».  A questo punto per la psicologia, pensarsi contro se stessa, pensarsi fino in fondo, fino al fondo della sua origine storica, significa pensarsi contro questa antitesi di valori che non la realtà, ma lo sguardo metafisico, con cui la psicologia ha generato se stessa, ha instaurato. È uno sguardo che ancora ospita la psicologia come residuato di quell'idealismo che, a partire da Socrate e Platone, ha percorso l'Occidente come suo lungo errore.  Da questo errore la filosofia si è emancipata con Nietzsche che ha denunciato quel retro-mondo, quell'«al di là inventato per meglio calunniare l'al di qua», ma non la psicologia, che così rimane la più occidentale delle scienze e quindi la più metafisica, se per metafisica intendiamo il pensiero  della separazione, il puro d?a ß???e??, da cui nascono quelle antitesi denunciate da Nietzsche e fedelmente riportate dal discorso psicologico sulla norma, dove si disgiungono ragione e follia.  Fattasi carico della logica della separazione inaugurata dalla disgiunzione platonica tra corporeo e ideale, la psicologia, se vuol essere coerente a se stessa, non può parlare del corpo se non impropriamente, se non per un'infedeltà al suo statuto scientifico, a meno che per corpo non intenda l'idea di corpo che come scienza s'è data. Ma se il corpo anatomico, a cui questa idea si riduce dopo che lo psichico è stato separato e autonomizzato, non è luogo in cui la psicologia si riconosce, allora del corpo la psicologia potrà parlare propriamente solo se si pronuncia contro se stessa, contro lo statuto della separazione, che è poi quell'origine metafisica da cui la psicologia è nata,  ha fondato se stessa come scienza, e ancora si conserva.(…)  Come luogo della revisione psicologica, il corpo parla simbolicamente, non nel senso in cui la psicoanalisi parla dei simboli per ribadire un'altra separazione, quella tra conscio e inconscio, dove nell'inconscio si ritrova il rovescio dell'iperuranio platonico, il 'vero' significato di ciò che si manifesta, ma nel senso di abolire la barra che ha separato l'anima dal corpo inaugurando la 'psico-logia'. Abolire la barra significa mettere assieme, s?µ-ß???e??. Proponendosi come simbolo, il corpo abolisce la psicologia come storicamente s'è  pensata in Occidente, la sradica dalle sue radici storiche, che sono poi quelle metafisiche e idealistiche, e così la costringe a pensarsi contro se stessa.  Questo pensiero che è contro, perché pensa fino in fondo, fino alle radici, incontra la corporeità che, nel suo sorgere immotivato e nel suo ambivalente apparire, dice di essere questo, ma anche quello. L'ambivalenza così dischiusa non è ambiguità, ma è quell'apertura di senso a partire dalla quale anche la ragione può fissare l'opposizione dei suoi significati ,e quindi quell'antitesi dei valori in cui si articola la sua logica disgiuntiva quando divide il vero dal falso, il bene dal male, il bello dal brutto, Dio dal mondo, lo spirito dalla materia, l'anima dal corpo.  Queste opposizioni sopprimono l'ambivalenza (?µf?) con cui la realtà corporea originariamente appare nel suo duplice aspetto, come un Giano bifronte, per instaurare quella bivalenza (bis) dove il positivo e il negativo si rispecchiano producendo quella realtà immaginaria da cui traggono origine tutte le «speculazioni». Diciamo immaginaria perché la realtà non può mai di per sé essere negativa se non per effetto di una valutazione. Ma se il negativo è da interpretare semplicemente come il «valutato negativamente», allora la negatività attiene essenzialmente al giudizio di valore. Proponendosi come questo, ma anche quello, il corpo, come significato fluttuante, che si concede a tutti i giudizi di valore, ma anche si sottrae, con la sua ambivalenza li fa tutti oscillare. Luogo e non-luogo del discorso, esso opera quel taglio geologico nella storia che ne rivela tutte le stratificazioni. Da centro di irradiazione simbolica nella comunità primitiva, il corpo, infatti, è diventato in Occidente «il negativo di ogni valore» che il gioco dialettico delle opposizioni è andato accumulando. Dalla «follia» del corpo di Platone alla «maledizione della carne» nella religione biblica, dalla «lacerazione» cartesiana della sua unità alla sua «anatomia» ad opera della scienza, il corpo vede proseguire la sua storia con la sua riduzione a «forza-lavoro» nell'economia dove più evidente è l'accumulo del valore nel segno dell'equivalenza generale, ma dove anche più aperta diventa la sfida del corpo sul registro dell'ambivalenza.  Qui «sfida» non significa che il corpo si oppone a qualcosa o a qualcuno, ma semplicemente che non si affida a una pienezza di senso e di valore, non perché abbia obiezioni o riserve che qualsiasi discorso sarebbe in grado di recuperare o di assorbire, ma perché quella pienezza di senso e di valore è cresciuta sulla sua negazione che, se da un lato ha lasciato il corpo senza senso, senza nome, senza identità, dall'altro gli ha dato la possibilità di diventare il contro-senso, colui che dissolve il Nome e risolve l'identità nelle sue adiacenze: A enon A, perché questo è il gioco dell'ambivalenza simbolica, e insieme la strada con cui il corpo può recuperarsi dalle divisioni disgiuntive in cui la struttura metafisica del sapere psicologico l'ha confinato.  Questo recupero è possibile perché il gioco dell'ambivalenza è aperto prima che il sapere metafisico fissi le regole del gioco, ma proprio perché le regole vengono dopo, questo gioco è imprevedibile, perché nessuna determinazione posta in gioco conosce la sua destinazione. L'unica certezza è quella che non ci si può sottrarre alla necessità del gioco, non si può dire l'ultima parola sul gioco e fermarlo per sempre.  Per la sua natura ambivalente, infatti, il corpo è una riserva infinita di segni, entro cui lo stesso sapere psicologico, che ha individuato nella psyche lo specifico dell'uomo, diventa a sua volta un segno, una modalità di ricognizione che non può pretendere di dire qual è il senso ultimo del corpo. Qui il corpo si cela non perché nasconde se stesso, ma perché in esso i segni sovrabbondano sulle capacità che il sapere psicologico ha di ordinarli. Il volume di senso indotto dai segni del copro prevale infatti sulla costituzione dei significati istituiti dalla rappresentazione che il sapere psicologico s'è fatto. Si tratta allora di demolire la semplicità della rappresentazione psicologica dissolvendola nella pluralità di senso che la sovrabbondanza dei segni produce.  Se ciò non accade, se la psicologia non si pensa contro la rappresentazione che si è data a partire da quell'alba greca in cui ha preso avvio l'autonomizzazione della psyche, la psicologia non giungerà mai alla comprensione dell'espressività originaria del corpo, ma sarà costretta ad errare, perché ignora l'errore che è alla base della sua fondazione epistemica, della sua nascita come scienza.  Si tratta di un errore che non investe solo il sapere psicologico ma ogni sapere razionale quando, sottraendosi alla polisemia della realtà corporea, si afferma come asserzione incontrovertibile su di essa. In questo passaggio dalla verità come ambivalenza alla verità come decisione del vero sul falso, il sapere razionale dimentica di essere una procedura interpretativa tra le molte possibili per porsi come assoluto principio, dimentica di essere un inganno necessario per dirimere l'enigma dell'ambivalenza, e in questa dimenticanza diviene un inganno perverso.  Contro questo inganno il corpo rimette in giuoco la sua natura polisemica rifiutandosi di offrirsi all'economia politica esclusivamente come forza-lavoro, all'economia libidica esclusivamente come fonte di piacere, all'economia medica come organismo da sanare, all'economia religiosa come carne da redimere, all'economia dei segni come supporto di significazioni. In questo rifiuto il corpo sottrae a tutti i saperi il loro referente, e alle economie, che su queste codificazioni hanno accumulato il loro valore, sottrae il loro senso. Ciò è possibile perché, nonostante le iscrizioni, nel loro immaginario, abbiano cercato di dividere il corpo in quei settori in cui era possibile ricondurlo all'equivalente generale in cui si esprime di volta in volta l'economia di un sapere, il corpo è ambivalente, è cioè una cosa, ma anche l'altra, per cui: o la decisione del sapere sulla divisione del corpo, o l'ambivalenza del corpo sulla frammentazione dei saperi, con conseguente dissolvimento del loro valore accumulato.  Per sfuggire a questa alternativa, che è inevitabile dal momento che ogni sapere è un'assunzione di prospettiva, quindi una selezionedella visione che diviene condizione preventiva per la delimitazione del vero e del falso, occorre riguadagnare il terreno su cui il sapere occidentale è cresciuto. Questa consapevole riappropriazione non è una regressione, non è l'abbandono del solido terreno del sapere, al contrario, è la ricostruzione genealogica del suo significato.  Riproporre l'ambivalenza del corpo non significa quindi rifiutare il sapere razionale, né tanto meno accettarne la resa, ma significa andare alle radici di questo sapere e scoprirlo per ciò che esso è: nulla di più che un tentativo per far fronte all'ambivalenza della realtà corporea che, così riscoperta, è ciò che dà ragionedelle molteplici ragioni.  Queste ragioni che i saperi tendono a soddisfare non possono più proporsi con assoluta verità, perché ormai si è scoperto che la verità non è nella lotta tra l'asserzione vera e quella falsa, ma l'apertura nell'universo del senso che l'ambivalenza della realtà corporea custodisce come luogo da cui partono tutte le decisioni scientifiche. Si tratta di un senso che sta prima di ogni significato, e che nessun significato promosso dalla decisione scientifica può abolire, perché è prima di ogni inizio e continua oltre ogni conclusione.  Ne consegue che alla metafisica dell'equivalenza produttrice di quei significati con cui in Occidente si sono fatti circolare i corpi secondo quel preciso registro di iscrizioni che di volta in volta li de-terminavano, e sulle cui determinazioni sino nati i vari campi del sapere, il corpo sostituisce il gioco dell'ambivalenza, ossia di quell'apertura di senso che, venendo prima della decisione dei significati, li può mettere tutti in gioco col corredo delle loro iscrizioni in quell'operazione simbolica in cui il sapere perde la sua presa, perché la delimitazione dei campi in cui da sempre si è esercitato si è simbolicamente con-fusa.  Questa è la sfida del corpo, una sfida che è già iniziata se c'è da dar credito a quella «crisi delle scienze europee» denunciata da Husserl. Niente di più benefico. Sono i primi effetti di quella violenza simbolica rispetto a cui quella razionalistica è in ritardo di una generazione, perché ancora crede in una controparte, e quindi non sa che ogni parte e ogni controparte altro non sono che l'effetto di quell'operazione disgiuntiva che ogni ragione mette in atto per affermare il proprio sapere.  Ma quando la realtà immaginaria, prodotta dalle opposizioni polari in cui si articola ogni sapere razionale, non riesce più a farsi passare per realtà vera, in quel gioco di specchi che si frantumano a contatto con la polisemia della realtà corporea, allora si è più vicini all'ambivalenza, non per una contrapposizione dialettica o per un'opposizione organizzata, ma perché là dove tutte le maschere sono cadute, compresa quella della bivalenza codificata, ogni termine che ruota su se stesso si s-termina. Questo è l'esito simbolico che attende l'ordine strutturale di ogni sapere. E già se ne vedono le tracce. Seguendole, il corpo consegna ogni ontologia e ogni deontologia alla geo-grafia, alla grafia della terra, la più dicente, la più descrittiva, quella che non accorda privilegi metafisici, perché non conosce la mono-tonia del discorso, ma l'ambi-valena della cosa.     Fra tutte le numerose pubblicazioni di Galimberti, questa è, forse, quella che maggiormente gli ha dato visibilità e lo ha designato quale uno dei più popolari maitres-à-penser della filosofia italiana contemporanea.  È anche un'opera caratteristica, perché in essa Galimberti, curatore di rubriche di psicologia su svariate riviste illustrate, si fa campione di una rivolta della psicologia contro se stessa e cerca di scalzarne le basi storiche e ideologiche, in nome di un «pensarsi fino in fondo» che equivarrebbe, nelle intenzioni dell'autore, a un completo rovesciamento della sua prospettiva e delle sue stesse finalità.  Il punto da cui muove Galimberti per sferrare il suo attacco alla psicologia è che quest'ultima, «la più occidentale delle scienze, e quindi la più metafisica», è nata sull'idea della separazione di corpo e psyche che, partendo da Platone, percorre come un filo rosso tutta la storia del pensiero occidentale. Secondo l'Autore, la specificità dell'uomo è stata sottratta all'ambivalenza delle sue espressioni corporee in nome dell'unità ideale, quella - appunto - della psyche, divenuta l'elemento fondamentale della sua identità.  Ma il corpo, per Galimberti, è portatore di un messaggio ambivalente (non equivoco, ci tiene a precisare), secondo il quale mostra di essere questo, ma anche quello. Egli non si prende il disturbo di precisare meglio questi concetti, considerandoli - evidentemente - di per sé chiari. Afferma invece che l'ambivalenza suggerita dal corpo realizza una «apertura di senso» (bella espressione, ma altrettanto vaga del «questo» e «quello»), grazie alla quale la ragione ha la possibilità di fissare l'opposizione dei suoi significati, ossia l'aborrita «antitesi dei valori», che ha l'imperdonabile impudenza di voler distinguere il vero dal falso, il bello dal brutto, il buono dal cattivo.  Tale antitesi dei valori è, per Galimberti, la somma di tutti i vizi della filosofia; riprendendo il concetto da Nietzsche, egli la ritiene responsabile della lacerazione e della schizofrenia del pensiero occidentale, del quale traccia una veloce panoramica per mostrare - con accenti severiniani - che esso è stato un lungo, deplorevole errore, in quanto basato sulla metafisica e, quindi, sul dualismo. E il dualismo, si capisce, è un male, perché crea arbitrariamente un al di là, dal quale poter meglio calunniare l'al di qua; ovvero, per dirla in termini più razionali, perché si basa su una logica disgiuntiva che sa, vagamente, di sulfureo (d?a-ß???e??, la separazione, etimologicamente fonda il nome del Diavolo, «colui» che separa).  Questo, dunque, è un punto centrale della argomentazione di Galimberti: il pensiero che separa è malvagio ed erroneo; dunque, tutto il pensiero dell'Occidente, essendo dominato dall'idealismo e dalla metafisica, è un pensiero erroneo e foriero di tristi conseguenze.  La ricetta per uscire da questo vicolo cieco non è, come si potrebbe pensare, la logica unitiva, bensì il pensiero dell'ambiguità, dove le cose sono queste e anche quelle, allo stesso tempo; ossia, dove rinviano a una polisemia che può essere interpretata, volta a volta, in un senso come nell'altro. Anche la psicoanalisi è una scienza metafisica, anzi, la più metafisica di tutte, perché reintroduce, attraverso la contrapposizione di conscio e inconscio, la lacerazione platonica e cristiana tra anima e corpo, tra spirito e materia; e fornisce una immagine distorta dell'uomo.  È a partire da questo punto che il ragionamento di Galimberti si fa propriamente filosofico, oltrepassando il campo ristretto della psicologia.  Invece di accettare l'ambivalenza del corpo, la logica disgiuntiva (dell'economia, della medicina, della religione e della psicanalisi) instaura la sua «bivalenza», dove il positivo e il negativo si rispecchiano in un gioco di riflessi che rimanda sempre a una rigida contrapposizione, a una polarità di «interpretazioni della realtà». Ma perché interpretazioni? Perché, per Galimberti, non esistono il positivo e il negativo, bensì la valutazione positiva e la valutazione negativa di fatti e situazioni che potrebbero essere anche i medesimi, guardati però da differenti punti di vista.  Eccoci arrivati, dunque, nel castello del mago Atlante, dove le cose non sono quelle che sono, ma quelle che vorremmo (o che temiamo) che esse siano. Come in  un labirinto di specchi, a metà fra Borgés e Pirandello, noi nulla sappiamo delle cose che vediamo e con le quali ci confrontiamo, bensì emettiamo giudizi di valore che ce le fanno percepire in un modo piuttosto che in un altro. Rashomon di Kurosawa o Sei personaggi in cerca d'autore: sia come sia, la negatività è un giudizio di valore; e il corpo, da Platone in poi, è il negativo: dunque, la negatività del corpo è frutto di un giudizio di valore.  Anche se sostiene di non indulgere a una modalità di pensiero irrazionalistica, Galimberti sostiene che ogni ragione si serve di una logica disgiuntiva allo scopo di affermare se stessa, ossia il proprio sapere. Così, la psicologia afferma la separazione della psyche dal corpo, per poter affermare il proprio sapere su di essa; esattamente come l'economia politica afferma la separazione della forza-lavoro dalla totalità della persona, per poter affermare il suo controllo sulla prima (e a danno della seconda).  Senonché, le opposizioni su cui si articola ogni sapere razionale sono, in realtà, «immaginarie»: non attengono alla dimensione della realtà, ma a quella dell'alienazione dalla realtà. Ci si potrebbe chiedere in che cosa questa realtà ulteriore, questa realtà vera che sta dietro la facciata della realtà (immaginaria), sia più reale di quella; su che cosa fondi la sua pretesa di non essere vittima dell'alienazione metafisica; in base a quali criteri la si possa considerare più concreta, più effettuale della deprecata «antitesi dei valori».  Galimberti non affronta esplicitamente la questione, ma sembra intuire la possibile critica e anticipa eventuali obiezioni affermando che, quando il pensiero è capace di accettare l'ambivalenza (e non la bi-valenza, che è tutt'altro) delle cose, allora cadono tutte le maschere e si è più vicini alla loro realtà. O meglio, egli non adopera l'imbarazzante espressione «realtà»; glorifica l'ambivalenza in se stessa, come concetto del tutto auto-evidente; gli basta impedire che il pensiero duale, oppositivo, bivalente, non riesca a farsi passare per la «realtà vera».  Ma questa «realtà vera», in ultima analisi, esiste o non esiste? Galimberti non risponde, l'abbiamo già detto; si limita ad osservare, con ironia un po' pesante, che coloro i quali si attardano nel pensiero oppositivo - che, dice, è di per sé violento - non sanno di essere in ritardo rispetto alle lancette della storia: perché credono ancora in una controparte, e non sanno che «ogni parte e ogni controparte altro non sono che l'effetto di quell'operazione disgiuntiva che ogni ragione mette in atto per affermare il proprio sapere».  Vi sono echi minacciosi in questa affermazione (il trotzkiano «cestino della spazzatura della storia» ove precipitano i non rivoluzionari, in tempi di rivoluzione), ma anche un po' patetici (l'ultimo soldato giapponese che continua a combattere nella giungla per una guerra che è vane questioni, senza rendersi conto di appartenere a una razza che si è estinta.  Si tratta di una posizione quanto mai radicale, poiché equivale alla condanna senza appello di tutta la filosofia occidentale, da Platone in poi; anzi di ogni sapere, «dal momento che ogni sapere è un'assunzione di prospettiva, quindi una selezionedella visione che diviene condizione preventiva per la delimitazione del vero e del falso».   Ma il vero e il falso, in se stessi, non esistono; così come non esistono le verità di principio, ma solo le verità di fatto. Non esistono verità, dunque non esistono saperi che possano presentarsi come portatori di verità: i saperi sono sempre strumentali, parziali, relativi.  È incredibile: siamo in piena sofistica, che Socrate aveva già brillantemente confutato circa ventitré  secoli fa; ma Galimberti ci presenta le sue conclusioni come se fossero qualcosa di staordinariamente nuovo, riconoscendosi - casomai - un continuatore radicale dell'opera di Nietzsche.  «Queste ragioni che i saperi tendono a soddisfare - afferma Galimberti con la massima disinvoltura -non possono più proporsi con assoluta verità, perché ormai si è scoperto che la verità non è nella lotta tra l'asserzione vera e quella falsa, ma l'apertura nell'universo del senso che l'ambivalenza della realtà corporea custodisce come luogo da cui partono tutte le decisioni scientifiche». E aggiunge che «si tratta di un senso che sta prima di ogni significato»; ma, di novo, non ci spiega in che modo egli arguisca l'esistenza di questo «senso originario», dato che tutti i sensi che noi diamo alle cose forzano la loro vera essenza.     Arrivati a questo punto, possiamo fare alcune osservazioni conclusive.  Punto primo: che il pensiero idealistico sia stato tutto un lungo errore, forse bisognava sforzarsi di dimostrarlo e non darlo per scontato al principio di un libro interamente dedicato alla discussione degli effetti negativi di un tale errore.  Punto secondo: che non esista alcun criterio di verità, è posizione filosoficamente rozza e semplicistica. Altro è affermare che la verità è difficilmente accessibile, altro è affermare che ogni verità è una forma di violenza che i «saperi» cercano di imporre per fondare se stessi. La filosofia è frutto di sottili distinzioni, di una particolare sensibilità per le sfumature; ma qui, sulla scorta di Nietzsche, si fa filosofia veramente a colpi di martello (e non è un complimento).  Punto terzo: che il corpo sia il luogo privilegiato in cui la realtà ci svela il suo volto ambivalente, aiutandoci a liberarci dalle pastoie alienanti del pensiero disgiuntivo, è - ancora una volta - posto ma non discusso, e tanto meno dimostrato.  Eppure è fin troppo facile osservare che, se l'introduzione della psyche ha relegato il corpo al ruolo di «negativo», l'esaltazione del corpo che fa Galimberti sembra ribaltare la prospettiva, senza modificarla «alle radici» (come egli sostiene di voler fare). Ossia, a questo punto è la psyche che rischia di diventare il negativo o, quanto meno, il luogo dell'errore, dell'illusione, della disgiunzione. Ma sarebbe perfettamente  inutile muovere una simile obiezione a Galimberti: egli vi risponderebbe, come ha fatto in più occasioni, che la psyche non è altro dal corpo, che è corpo anch'essa, perché tutto è corpo.  La sua intera filosofia non è che una assolutizzazione della corporeità; e, pur di sostenere questa tesi, egli arriva a sostenere, senza batter ciglio, che l'anima è una «invenzione» dei cristiani, avvenuta nel IV secolo dopo Cristo (cfr. il nostro precedente articolo Umberto gGlimberti e la morale del cristianesimo, sempre sul sito di Arianna Editrice).  Ma davvero basta dire che tutto è corpo, per eliminare l'antitesi dei valori e restaurare l'età dell'oro del pensiero (del pensiero?) ambivalente, dove le cose sono finalmente se stesse e non quello che noi giudichiamo che esse siano?  Ora, è verissimo che la vita, nel suo livello immediato e quotidiano, procede per giudizi di valore che sono spesso affrettati, imprecisi, immotivati e, soprattutto, soggettivi. Da ciò, tuttavia, non discende che il rimedio consista nel proclamare la relatività di tutti i valori e l'inesistenza di ogni criterio di verità. Questo sarebbe quel che si dice curare il mal di testa con le decapitazioni.  Esistono altri livelli di esistenza - non solo di tipo razionale, su questo siamo d'accordo con Galimberti -, ai quali è possibile accedere, e nei quali si può intravedere, pur senza possederlo interamente, un criterio di verità capace di sottrarre le cose al gioco degli specchi della loro incessante mutevolezza.  Se non credessimo a questo, dovremmo non solo sospendere ogni giudizio di valore, ma rinunciare a ogni possibilità di avvicinarci al vero, al bello e al buono; in altre parole, dovremmo ritirare un rigo su ogni possibilità di fare non solo psicologia, ma anche filosofia.     Queste, e non altre, sono le conclusioni coerenti del ragionamento di Galimberti: per cui, ad essere rigoroso, egli dovrebbe dichiarare non la riforma della psicologia, ma la sua soppressione radicale; e, quanto alla filosofia, la sua estinzione irreversibile. Come è possibile continuare a ragionare in termini filosofici, se dobbiamo prendere atto che non esistono controparti, ma solo ambivalenze che è possibile tirare ora in qua e ora in là, secondo il nostro umore del momento?  Si badi: quello che propone Galimberti non è un pensiero complementare, come lo è - ad esempio - il taoismo, il quale, giustamente, ci ricorda che non esiste luce senza buio, caldo senza freddo, gioia senza dolore. No, si tratta qui di un relativismo puro e semplice: io dico che questa cosa è calda, tu dice che è fredda; forse lo dirò anch'io, domani, se me ne verrà la voglia; per intanto, abbiamo ragione tutti e due. Io ho la mia verità, tu la tua; e sappiamo che entrambe sono vere, o che entrambe possono esserlo, o che entrambe lo sono state o lo saranno.  Il relativismo  è una cattiva filosofia, anzi è l'impossibilità di fare filosofia.  Eppure, questi sono gli applauditissimi maitres-à-penser della cultura odierna.Umberto Galimberti. Galimberti. Keywords: il sessuale, l’immaginario sessuale, sesso, Why did the Romans need to distinguish between ‘amatus’ and ‘amicus’? -- amore, follia, jung, simbolo, sole-fallo, simbolo, simboli di jung, I corpi d’amore, I corpi d’amore sessuale – immaginario sessuale, immaginario collettivo sessuale, cose dell’amore, platone, il convito, I corpi, I gesti – I gesti dei corpi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Galimberti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690260374/in/photolist-2mRdKdB-2mQ81kz-2mPZ2Vc-2mPkobg-2mPnrMV-2mN8ym7-2mKyyDD-2mKG8fP-2mKG6xL-2mKDZmL-2mF2HcQ

 

Grice e Galli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Carru). Filosofo. Celestino Galli. Interesting philosopher. Not to be confused with Galli.

 

Grice e Galli – sull’amore -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Montecarotto). Filosofo. Compiute gli studi classici con assoluta regolarità, si iscrive alla Facoltà di Filosofia a Roma, dove ha come maestri, tra gli altri,  Varisco e Barzellotti. Da Varisco apprende il rigore del metodo negli studi filosofici. Da Barzelotti aprende la passione per le ricerche storiche e le vaste esplorazioni letterarie. Si laurea sotto Barzellotti con il massimo dei voti dopo aver discusso “Kant e Rosmini” (Lapi, Citta di Castello); Insegna a Senigallia, Bologna, e Firenze. In “I principii della scuola, con particolare riguardo alla scuola elementare” (Il Risveglio Scolastico, Milano). Insegna a Cagliari e Torino. Figura centrale della filosofia italiana, Galli esordisce con una ricerca sullo sviluppo della filosofia kantiana e quella di Rosmini; temi che non solo non si stanca mai di ampliare ma affina in ulteriori indagini. Esegue vaste indagini sulla storia della filosofia. Socrate, Platone, Aristotele, Cartesio, Bruno, Leibniz, e Renouvier.  «L'uno e i molti” (Chiantore, Torino) certifica la teoria. Gli procura l'interesse di larga parte del mondo filosofico italiano per le conclusioni sui rapporti tra il sentimento e la reflessivita. Ampie le discussioni, e talora vivacissime, su autori contemporanei, dai quali esige rigore, chiarezza e intransigenza speculativa. Organo di polemiche e di interventi nella vita della cultura italiana contemporanea è «Il Saggiatore», da lui fondata, Privo di ambizioni mondane, sempre affabile, ama la compagnia delle persone colte e la conversazione delle anime semplici, destinate al bene e alla verità. Confida soprattutto nella scuola, veicolo ideale per dare alle generazioni nuove volontà, serietà, cultura adeguata ai tempi. Una scuola che studia, senza divagare e che sappia attingere costantemente alle fonti del sapere, ama ripetere. Grazie al suo ininterrotto lavoro di studioso, il mondo accademico italiano ha beneficiato di un numero impressionante di sue pubblicazioni, fatto di saggi, manuali per le scuole, opuscoli e articoli per riviste specializzate. Si dedica all'arte e alla religione, completando, in questa maniera, il panorama delle sue indagini. La Scuola media statale di Montecarotto ha aggiunto all'intestazione il nome di "Gallo Galli".  Altre opere: La filosofia teoretica dei manuali, Oderisi, Gubbio, Dialettica dello spirito” (I., Oderisi, Gubbio); “Lineamenti di filosofia, Azzoguidi, Bologna; La dimostrazione dell'esistenza del mondo esterno e il valore pratico delle qualità sensibili secondo Cartesio, Oderisi, Gubbio); Renouvier. II. La legge del numero, D. Alighieri, Milano, Le prove dell'esistenza di Dio in Cartesio (Valdes, Cagliari);:La dottrina cartesiana del metodo, D. Alighieri, Milano); “La filosofia di Leibniz: Facoltà di Magistero, Torino, Statuto, Torino); “Studi cartesiani, Chiantore, Torino); “Cartesio, Chiantore, Torino, “Dall'essere alla coscienza, Chiantore, Torino); “L’idealismo” (Gheroni, Torino); “PComenio, Gheroni, Torino); “La Filosofia greca: I sofisti, Socrate, Platone. Torino. Facoltà di Magistero. heroni, Torino, Leibniz, Milani, Padova); “Carlini ed altri studi; da Talete al "Menone" di Platone; il problema di Cartesio, per la fondazione di un vero e concreto immanentismo, Gheroni, Torino, Corso di storia della Filosofia: Aristotele, Gheroni, Torino, Da Talete al menone di Platone, Gheroni, Torino, Tre studi di filosofia: pensiero ed esperienza, sulla persona, su Dio e sull'immortalità, Gheroni, Torino Socrate ed alcuni dialoghi platonici: Apologia, Convito, Lachete, Eutifrone, Liside, Jone, Giappichelli, Torino, Linee fondamentali d'una filosofia dello spirito, Bottega d'Erasmo, Torino, L'idea di materia e di scienza fisica da Talete a Galileo, Giappichelli, Torino, L'uomo nell'assoluto, Giappichelli, Torino, La vita e il pensiero di Giordano Bruno, Marzorati, Milano Sguardo sulla filosofia di Aristotele, Pergamena, Milano, Platone, Pergamena, Milano 1974. Di carattere pedagogico Filosofia (Oderisi, Gubbio). Idealismo, spiritualismo ed esistenzialità nella metafisica in Galli; Cartesio, in Italia. Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 51, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Persée. Portail de revues en sciences humaines et sociales, su persee.fr. There is another Galli, who also did philosophical studies – but his brother was more famous, the author of Tabula philologica.  Platone FEDRO FEDRO: Dalla casa di Lisia, Socrate, il figlio di Cefalo, (1) e vado a fare una passeggiata fuori dalle mura. Ho passato parecchio tempo là seduto, fin dal mattino; e ora, seguendo il consiglio di Acumeno,(2) compagno mio e tuo, faccio delle passeggiate per le strade, poiché, a quanto dice, tolgono la stanchezza più di quelle sotto i portici. SOCRATE: E dice bene, amico mio. Dunque Lisia era in città, a quanto pare. FEDRO: Sì , alloggia da Epicrate, nella casa di Monco, quella vicino al tempio di Zeus Olimpio.(3) SOCRATE: E come avete trascorso il tempo? Lisia non vi ha forse imbandito, è chiaro, i suoi discorsi? FEDRO: Lo saprai, se hai tempo di ascoltarmi mentre cammino. SOCRATE: Ma come? Credi che io, per dirla con Pindaro, non faccia del sentire come avete trascorso il tempo tu e Lisia una faccenda «superiore a ogni negozio»? (4) FEDRO: Muoviti, allora! SOCRATE: Se vuoi parlare. FEDRO: Senza dubbio, Socrate, l'ascolto ti si addice, poiché il discorso su cui ci siamo intrattenuti era, non so in che modo, sull'amore. Lisia ha scritto di un bel giovane che viene tentato, ma non da un amante, e ha comunque trattato anche questo argomento in modo davvero elegante: sostiene infatti che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama. SOCRATE: E bravo! Avesse scritto che bisogna compiacere un povero piuttosto che un ricco, un vecchio piuttosto che un giovane, e tutte quelle cose che vanno bene a me e alla maggior parte di voi! Allora sì che i suoi discorsi sarebbero urbani e utili al popolo! Io ora ho tanto desiderio di ascoltare, che se facessi a piedi la tua passeggiata fino a Megara e, seguendo Erodico,(5) arrivato alle mura tornassi di nuovo, non rimarrei dietro a te. FEDRO: Cosa dici, ottimo Socrate? Credi che io, da profano quale sono, ricorderò in modo degno di lui quello che Lisia, il più bravo a scrivere dei nostri contemporanei, ha composto in molto tempo e a suo agio? Ne sono ben lungi! Eppure vorrei avere questo più che molto oro. SOCRATE: Fedro, se io non conosco Fedro, mi sono scordato anche di me stesso! Ma non è vera né l'una né l'altra cosa: so bene che lui, ascoltando un discorso di Lisia, non l'ha ascoltato una volta sola, ma ritornandovi più volte sopra lo ha pregato di ripeterlo, e quello si è lasciato convincere volentieri. Poi però neppure questo gli è bastato, ma alla fine, ricevuto il libro, ha esaminato i passi che più di tutti bramava; e poiché ha fatto questo standosene seduto fin dal mattino, si è stancato ed è andato a fare una passeggiata, conoscendo, corpo d'un cane!, il discorso ormai a memoria, credo, a meno che non fosse troppo lungo. E così si è avviato fuori dalle mura per recitarlo. Imbattutosi poi in uno che ha la malattia di ascoltare discorsi, lo ha visto, e nel vederlo si è rallegrato di avere chi potesse coribanteggiare con lui (6) e lo ha invitato ad accompagnarlo. Ma quando l'amante dei discorsi lo ha pregato di declamarlo, si è schermito come se non desiderasse parlare: ma alla fine avrebbe parlato anche a viva forza, se non lo si fosse ascoltato volentieri. Tu dunque, Fedro, pregalo di fare adesso quello che comunque farà molto presto. FEDRO: Per me, veramente, la cosa di gran lunga migliore è parlare così come sono capace, poiché mi sembra che non mi lascerai assolutamente andare prima che abbia parlato, in qualunque modo. SOCRATE: Ti sembra davvero bene. FEDRO: Allora farò così . In realtà, Socrate, non l'ho proprio imparato tutto parola per parola: ti esporrò tuttavia il concetto più o meno di tutti gli argomenti con i quali lui ha sostenuto che la condizione di chi ama differisce da quella di chi non ama, uno per uno e per sommi capi, cominciando dal primo. SOCRATE: Prima però, carissì mo, mostrami che cos'hai nella sinistra sotto il mantello; ho l'impressione che tu abbia proprio il discorso. Se è così , tieni presente che io ti voglio molto bene, ma se c'è anche Lisia non ho assolutamente intenzione di offrirmi alle tue esercitazioni retoriche. Via, mostramelo! FEDRO: Smettila! Mi hai tolto, Socrate, la speranza che riponevo in te di esercitarmi. Ma dove vuoi che ci sediamo a leggere? SOCRATE: Giriamo di qui e andiamo lungo l'Ilisso,(7) poi ci sederemo dove ci sembrerà un posto tranquillo. FEDRO: A quanto pare, mi trovo a essere scalzo al momento giusto; tu infatti lo sei sempre. Perciò sarà per noi facilissimo camminare bagnandoci i piedi nell'acqua, e non spiacevole, tanto più in questa stagione e a quest'ora.(8) SOCRATE: Fa' da guida dunque, e intanto guarda dove ci potremo sedere. FEDRO: Vedi quell'altissimo platano? SOCRATE: E allora? FEDRO: Là c'è ombra, una brezza moderata ed erba su cui sederci o anche sdraiarci, se vogliamo. SOCRATE: Puoi pure guidarmici. FEDRO: Dimmi, Socrate: non è proprio da qui, da qualche parte dell'Ilisso, che a quanto si dice Borea ha rapito Orizia?(9) SOCRATE: Così si dice. FEDRO: Proprio da qui dunque? Le acque appaiono davvero dolci, pure e limpide, adatte alle fanciulle per giocarvi vicino. SOCRATE: No, circa due o tre stadi più in giù, dove si attraversa il fiume per andare al tempio di Agra: (10) appunto là c'è un altare di Borea. 2  Platone Fedro  FEDRO: Non ci ho mai fatto caso. Ma dimmi, per Zeus: tu, Socrate, sei convinto che questo racconto sia vero? SOCRATE: Ma se non ci credessi, come fanno i sapienti, non sarei una persona strana; e allora, facendo il sapiente, potrei dire che un soffio di Borea la spinse giù dalle rupi vicine mentre giocava con Farmacea, ed essendo morta così si è sparsa la voce che è stata rapita da Borea (oppure dall'Areopago,(11) poiché c'è anche questa leggenda, che fu rapita da là e non da qui). Io però, Fedro, considero queste spiegazioni sì ingegnose, ma proprie di un uomo fin troppo valente e impegnato, e non del tutto fortunato, se non altro perché dopo questo gli è giocoforza raddrizzare la forma degli Ippocentauri, e poi della Chimera; quindi gli si riversa addosso una folla di tali Gorgoni e Pegasi (12) e un gran numero di altri esseri straordinari dalla natura strana e portentosa. E se uno, non credendoci, vorrà ridurre ciascuno di questi esseri al verosimile, dato che fa uso di una sapienza rozza, avrà bisogno di molto tempo libero. Ma io non ho proprio tempo per queste cose; e il motivo, caro amico, è il seguente. Non sono ancora in grado, secondo l'iscrizione delfica, di conoscere me stesso;(13) quindi mi sembra ridicolo esaminare le cose che mi sono estranee quando ignoro ancora questo. Perciò mando tanti saluti a queste storie, standomene di quanto comunemente si crede riguardo a esse, come ho detto poco fa, ed esamino non queste cose ma me stesso, per vedere se per caso non sia una bestia più intricata e che getta fiamme più di Tifone, oppure un essere più mite e più semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di vanità fumosa.(14) Ma cambiando discorso, amico, non era forse questo l'albero a cui volevi guidarci? FEDRO: Proprio questo. SOCRATE: Per Era, è un bel luogo per sostare! Questo platano è molto frondoso e imponente, l'alto agnocasto è bellissimo con la sua ombra, ed essendo nel pieno della fioritura rende il luogo assai profumato. Sotto il platano poi scorre la graziosissima fonte di acqua molto fresca, come si può sentire col piede. Dalle immagini di fanciulle e dalle statue sembra essere un luogo sacro ad alcune Ninfe e ad Acheloo.(15) E se vuoi ancora, com'è amabile e molto dolce il venticello del luogo! Una melodiosa eco estiva risponde al coro delle cicale. Ma la cosa più leggiadra di tutte è l'erba, poiché, disposta in dolce declivio, sembra fatta apposta per distendersi e appoggiarvi perfettamente la testa. Insomma, hai fatto da guida a un forestiero in modo eccellente, caro Fedro! FEDRO: Mirabile amico, sembri una persona davvero strana: assomigli proprio, come dici, a un forestiero condotto da una guida e non a un abitante del luogo. Non lasci la città per recarti oltre confine, e mi sembra che tu non esca affatto dalle mura. SOCRATE: Perdonami, carissimo. Io sono uno che ama imparare; la terra e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla, gli uomini in città invece sì . Mi sembra però che tu abbia trovato la medicina per farmi uscire. Come infatti quelli che conducono gli animali affamati agitano davanti a loro un ramoscello verde o qualche frutto, così tu, tendendomi davanti al viso discorsi scritti sui libri, sembra che mi porterai in giro per tutta l'Attica e in qualsiasi altro luogo vorrai. Ma per ì l momento, ora che sono giunto qui io intendo sdraiarmi, tu scegli la posizione in cui pensi di poter leggere più comodamente e leggi. FEDRO: Ascolta, dunque. «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione, mentre per gli altri non viene mai un tempo in cui conviene cambiare parere. Infatti fanno benefici secondo le loro possibilità non per costrizione, ma spontaneamente, per provvedere nel migliore dei modi alle proprie cose. Inoltre coloro che amano considerano sia ciò che è andato loro male a causa dell'amore, sia i benefici che hanno fatto, e aggiungendo a questo l'affanno che provavano pensano di aver reso già da tempo la degna ricompensa ai loro amati. Invece coloro che non amano non possono addurre come scusa la scarsa cura delle proprie cose per questo motivo, né mettere in conto gli affanni trascorsi, né incolpare gli amati delle discordie con i familiari; sicché, tolti di mezzo tanti mali, non resta loro altro se non fare con premura ciò che pensano sarà loro gradito quando l'avranno fatto. Inoltre, se vale la pena di tenere in grande considerazione gli amanti perché dicono di essere amici al sommo grado di coloro che amano e sono pronti sia a parole sia coi fatti a rendersi odiosi agli altri pur di compiacere gli amati, è facile comprendere che, se dicono il vero, terranno in maggior conto quelli di cui si innamoreranno in seguito, ed è chiaro che, se parrà loro il caso, ai primi faranno persino del male. D'altronde come può essere conveniente concedere una cosa del genere a chi ha una disgrazia tale che nessuno, per quanto esperto, potrebbe tentare di allontanare? Essi stessi, infatti, ammettono di essere malati più che assennati, e di sapere che sragionano, ma non sanno dominarsi; di conseguenza, una volta tornati in senno, come potranno credere che vada bene ciò di cui decidono in questa disposizione d'animo? E ancora, se scegliessi il migliore degli amanti, la tua scelta sarebbe tra pochi, se invece scegliessi quello più adatto a te tra gli altri, sarebbe tra molti; perciò c'è molta più speranza che quello degno della tua amicizia si trovi tra i molti. Se poi, secondo l'usanza corrente, temi di guadagnarti del biasimo nel caso la gente lo venga a sapere, è naturale che gli amanti, credendo di essere invidiati dagli altri così come si invidiano tra loro, si inorgogliscano parlandone e per ambizione mostrino a tutti che non hanno faticato invano; mentre coloro che non amano, essendo più padroni di sé, scelgono ciò che è meglio in luogo della fama presso gli uomini. Inoltre è inevitabile che molti vengano a sapere o vedano gli amanti accompagnare i loro amati e darsi un gran da fare, cosicché, quando li vedono discorrere tra loro credono che essi stiano insieme o perché il loro desiderio si è realizzato o perché sta per realizzarsi; ma non provano affatto ad accusare coloro che non amano perché stanno assieme, sapendo che è necessario parlare con qualcuno per amicizia o per qualche altro piacere. E se poi hai paura perché credi sia difficile che un'amicizia perduri, e temi che se sorgesse un dissidio per un altro motivo la sventura sarebbe comune ad entrambi, mentre in questo caso verrebbe un gran danno a te, perché hai gettato via ciò che più di tutto tieni in conto, a maggior ragione dovresti temere coloro che 3  Platone Fedro  amano: molte sono le cose che li affliggono, e credono che tutto accada a loro danno. Per questo allontanano gli amati anche dalla compagnia con gli altri, per timore che quelli provvisti di sostanze li superino in ricchezza, e quelli forniti dì cultura li vincano in intelligenza; in somma, stanno in guardia contro il potere di tutti quelli che possiedono un qualsiasi altro bene. Così , dopo averti indotto a inimicarti queste persone, ti riducono privo di amici, e se badando al tuo interesse sarai più assennato di loro, verrai in discordia con essi. Chi invece non si è trovato a essere nella condizione di amante, ma ha ottenuto grazie alle sue doti ciò che chiedeva, non sarebbe geloso di chi si accompagna a te, anzi odierebbe coloro che rifiutano la tua compagnia, pensando che da costoro sei disprezzato, ma trai beneficio da chi sta assieme a te. Perciò c'è molta più speranza che dalla cosa nasca tra loro amicizia piuttosto che inimicizia. Per di più molti degli amanti hanno desiderio del corpo prima di aver conosciuto il carattere e aver avuto esperienza delle altre qualità individue dell'amato, così che non è loro chiaro se vorranno ancora essere amici quando la loro passione sarà finita; per quanto riguarda invece coloro che non amano, dal momento che erano tra loro amici anche prima di fare questo, non è verosimile che la loro amicizia risulti sminuita dal bene che hanno ricevuto, anzi esso rimane come ricordo di ciò che sarà in futuro. Inoltre ti si addice diventare migliore dando retta a me piuttosto che a un amante. Essi lodano le parole e le azioni dell'amato anche al di là di quanto è bene, da un lato per timore di diventare odiosi, dall'altro perché essi stessi danno giudizi meno retti per via del loro desiderio. Infatti l'amore produce tali effetti: a coloro che non hanno fortuna fa ritenere molesto ciò che agli altri non arreca dolore, mentre spinge coloro che hanno fortuna a elogiare anche ciò che non è degno di piacere, tanto che agli amati si addice più la compassione che l'invidia. Se dai retta a me, innanzitutto starò assieme a te prendendomi cura non solo del piacere presente, ma anche dell'utilità futura, non vinto dall'amore ma padrone di me stesso, senza suscitare una violenta inimicizia per futili motivi, ma irritandomi poco e non all'improvviso per motivi gravi, perdonando le colpe involontarie e cercando di distogliere da quelle volontarie: queste sono prove di un'amicizia che durerà a lungo. Se invece ti sei messo in mente che non possa esistere amicizia salda se non si ama, conviene pensare che non potremmo tenere in gran conto né i figli né i genitori, e non potremmo neanche acquistarci amici fidati, poiché i vincoli con essi ci sono venuti non da una tale passione, ma da altri rapporti. Inoltre, se si deve compiacere più di tutti chi ne ha bisogno, anche nelle altre cì rcostanze conviene fare benefici non ai migliori, ma ai più indigenti, poiché, liberati da grandissimi mali, serberanno la massima gratitudine ai loro benefattori. E allora anche nelle feste private è il caso di invitare non gli amici ma chi chiede l'elemosina e ha bisogno di essere sfamato, poiché costoro ameranno i loro benefattori, li seguiranno, verranno alla loro porta, proveranno grandissima gioia, serberanno non poca gratitudine e augureranno loro ogni bene. Ma forse conviene compiacere non chi è molto bisognoso, ma chi soprattutto è in grado di rendere il favore; non solo chi chiede, ma chi è degno della cosa; non quanti godranno del fiore della tua giovinezza, ma coloro che anche quando sarai diventato vecchio ti faranno partecipe dei loro beni; non coloro che, ottenuto ciò che desideravano, se ne vanteranno con gli altri, ma coloro che per pudore ne taceranno con tutti; non coloro che hanno cura di te per poco tempo, ma coloro che ti saranno amici allo stesso modo per tutta la vita; non coloro che, cessato il desiderio, cercheranno il pretesto per un'inimicizia, ma coloro che daranno prova della loro virtù quando la tua bellezza sarà sfiorita. Dunque tu ricordati di quanto ti ho detto e considera questo, che gli amici riprendono gli amanti perché sono convinti che questa pratica sia cattiva, mentre nessuno dei familiari ha mai rimproverato a coloro che non amano di provvedere male ai propri affari per questo motivo. Forse ora mi domanderai se ti esorto a compiacere tutti quelli che non amano. Ebbene, io credo che neanche chi ama ti inviti ad avere questo atteggiamento con tutti quelli che amano. Infatti né per chi riceve benefici la cosa è degna di un'uguale ricompensa, né, se anche lo volessi, ti sarebbe possibile tenerlo nascosto allo stesso modo agli altri; bisogna invece che da ciò non venga alcun danno, ma un vantaggio a entrambi. Io penso che quanto è stato detto sia sufficiente: se tu desideri ancora qualcosa e pensi che sia stata tralasciata, interroga». FEDRO: Che te ne pare del discorso, Socrate? Non è stato pronunciato in maniera straordinaria, in particolare per la scelta dei vocaboli? SOCRATE: In maniera davvero divina, amico, al punto che ne sono rimasto colpito! E questa impressione l'ho avuta per causa tua, Fedro, guardando te, perché mi sembrava che esultassi per il discorso intanto che lo leggevi. E dato che credo che in queste cose tu ne sappia più di me ti seguivo, e nel seguirti ho partecipato al tuo furore bacchico, o testa divina! (16) FEDRO: Ma dai! Ti pare il caso di scherzare così ? SOCRATE: Ti sembra che io scherzi e che non abbia fatto sul serio? FEDRO: Nient'affatto, Socrate, ma dimmi veramente, per Zeus protettore degli amici: credi che ci sia un altro tra i Greci in grado di parlare sullo stesso argomento in modo più grande e copioso di lui? SOCRATE: Ma come? Bisogna che il discorso sia lodato da me e da te anche sotto questo aspetto, ossia perché il suo autore ha detto ciò che bisognava dire, e non solo perché ha tornito ciascun termine in modo chiaro, forbito e puntuale? Se proprio bisogna, devo convenirne per amor tuo, dal momento che mi è sfuggito a causa della mia nullità. Infatti ho posto mente soltanto all'aspetto retorico del discorso; quanto all'altro, credevo che neppure Lisia lo ritenesse sufficiente. A meno che tu, Fedro, non abbia un'opinione diversa, mi è parso che abbia ripetuto due o tre volte gli stessi concetti, come se non avesse a disposizione grandi risorse per dire molte cose sullo stesso argomento, o forse come se non gliene importasse nulla; e mi sembrava pieno di baldanza giovanile quando mostrava com'era bravo, dicendo le stesse cose prima in un modo e poi in un altro, a parlarne in tutti e due i casi nella maniera migliore. 4  Platone Fedro  FEDRO: Ti sbagli, Socrate: precisamente in questo consiste il discorso. Infatti non ha tralasciato nulla di ciò che meritava d'esser detto in argomento, tanto che nessuno mai saprebbe dire cose diverse e di maggior pregio rispetto a quelle dette. SOCRATE: In questo non potrò più darti retta: uomini e donne antichi e sapienti, che hanno parlato e scritto di queste cose, mi confuteranno, se per farti piacere convengo con te. FEDRO: Chi sono costoro? E dove hai ascoltato cose migliori di queste? SOCRATE: Ora, lì per lì , non so dirlo; ma è chiaro che le ho udite da qualcuno, dalla bella Saffo o dal saggio Anacreonte o da qualche scrittore in prosa.(17) Da cosa lo arguisco per affermare ciò? In qualche modo, divino fanciullo, sento di avere il petto pieno e di poter dire cose diverse dalle sue, e non peggiori. So bene che non ho concepito da me niente di tutto ciò, dato che riconosco la mia ignoranza; allora resta, credo, che da qualche altra fonte io sia stato riempito attraverso l'ascolto come un vaso. Ma per indolenza ho scordato proprio questo, come e da chi le ho udite. FEDRO: Ma hai detto cose bellissime, nobile amico! Neanche se te lo ordino devi riferirmi da chi e come le hai udite, ma metti in atto esattamente il tuo proposito. Hai promesso di dire cose diverse, in maniera migliore e non meno diffusa rispetto a quelle contenute nel libro, astenendoti da queste ultime; quanto a me, io ti prometto che come i nove arconti innalzerò a Delfi una statua d'oro a grandezza naturale, non solo mia ma anche tua.(18) SOCRATE: Sei carissimo e veramente d'oro, Fedro, se pensi che io affermi che Lisia ha sbagliato tutto e che è possibile dire cose diverse da tutte queste; ciò, credo, non potrebbe capitare neanche allo scrittore più scarso. Tanto per incominciare, riguardo all'argomento del discorso, chi credi che, sostenendo che bisogna compiacere coloro che non amano piuttosto che coloro che amano, abbia ancora altro da dire quando abbia tralasciato di lodare l'assennatezza degli uni e biasimare la dissennatezza degli altri, il che appunto è necessario? Ma credo che si debbano concedere e perdonare simili argomenti a chi ne parla; e di tali argomenti è da lodare non l'invenzione, ma la disposizione, mentre degli argomenti non necessari e difficili da trovare è da lodare, oltre alla disposizione, anche l'invenzione. FEDRO: Concordo con ciò che dici: mi sembri aver parlato in modo opportuno. Pertanto farò anch'io così: ti concederò di stabilire come principio che chi ama è più ammalato di chi non ama, e quanto al resto, se avrai detto altre cose in maggior quantità e di maggior pregio di queste, ergiti pure come statua lavorata a martello a Olimpia, presso l'offerta votiva dei Cipselidi! (19) SOCRATE: L'hai presa sul serio, Fedro, perché io, scherzando con te, ho attaccato il tuo amato, e credi che io proverò veramente a dire qualcosa di diverso e di più vario a confronto dell'abilità di lui? FEDRO: A questo proposito, caro, mi hai dato l'occasione per un'uguale presa.(20) Ora tu devi parlare assolutamente, così come sei capace, in modo da non essere obbligati a fare quella cosa volgare da commedianti che si rimbeccano a vicenda, e non volermi costringere a tirar fuori quella frase: «Socrate, se io non conosco Socrate, mi sono dimenticato anche di me stesso», o quell'altra: «Desiderava dire, ma si schermiva»; ma tieni bene in mente che non ce ne andremo di qui prima che tu abbia esposto ciò che sostenevi di avere nel petto. Siamo noi due soli, in un luogo appartato, io sono più forte e più giovane. Da tutto ciò, dunque, «intendi quel che ti dico»,(21) e vedi di non parlare a forza piuttosto che spontaneamente. SOCRATE: Ma beato Fedro, mi coprirò di ridicolo improvvisando un discorso sui medesimi argomenti, da profano che sono a confronto di un autore bravo come lui! FEDRO: Sai com'è la questione? Smettila di fare il ritroso con me; poiché penso di avere una cosa che, se te la dico, ti costringerà a parlare. SOCRATE: Allora non dirmela! FEDRO: No, invece te la dico proprio! E le mie parole saranno un giuramento. Ti giuro... ma su chi, su quale dio? Vuoi forse su questo platano qui? Ebbene, ti giuro che se non pronuncerai il tuo discorso proprio davanti a questo platano, non ti mostrerò e non ti riferirò più nessun altro discorso di nessuno. SOCRATE: Ahi, birbante! Come hai trovato bene il modo di costringere un uomo amante dei discorsi a fare ciò che tu ordini! FEDRO: Perché allora fai tanti giri? SOCRATE: Niente più indugi, dal momento che hai proferito questo giuramento. Come potrei astenermi da un tale banchetto? FEDRO: Allora parla! SOCRATE: Sai dunque come farò? FEDRO: Riguardo a cosa? SOCRATE: Parlerò dopo essermi coperto il capo, per svolgere il discorso il più velocemente possibile e non trovarmi in imbarazzo per la vergogna, guardando verso di te. FEDRO: Purché tu parli; quanto al resto, fa' come vuoi. SOCRATE: Orsù, o Muse dalla voce melodiosa, vuoi per l'aspetto del canto vuoi perché siete state così chiamate dalla stirpe dei Liguri amante della musica,(22) narrate assieme a me il racconto che questo bellissimo giovane mi costringe a dire, così che il suo compagno, che già prima gli sembrava sapiente, ora gli sembri tale ancora di più. C'era una volta un fanciullo, o meglio un giovanetto assai bello, di cui molti erano innamorati. Uno di loro, che era astuto, pur non essendo innamorato meno degli altri aveva convinto il fanciullo che non lo amava. E un giorno, saggiandolo, cercava di persuaderlo proprio di questo, che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama, e gli parlava così : «Innanzi tutto, fanciulfo, uno solo è l'inizio per chi deve prendere decisioni nel modo giusto: bisogna sapere su cosa verte la decisione, o è destino che si sbagli tutto. Ai più sfugge che non conoscono l'essenza di ciascuna 5  Platone Fedro  cosa. Perciò, nella convinzione di saperlo, non si mettono d'accordo all'inizio della ricerca e proseguendo ne pagano le naturali conseguenze, poiché non si accordano né con se stessi né tra loro. Che non capiti dunque a me e a te ciò che rimproveriamo agli altri, ma dal momento che ci sta dinanzi la questione se si debba entrare in amicizia con chi ama piuttosto che con chi non ama, stabiliamo di comune accordo una definizione su cosa sia l'amore e quale forza abbia; poi, tenendo presente questa definizione e facendovi riferimento, esaminiamo se esso apporta un vantaggio o un danno. Che l'amore sia appunto un desiderio, è chiaro a tutti; che inoltre anche chi non ama desideri le cose belle, lo sappiamo. Da che cosa allora distingueremo chi ama e chi non ama? Occorre poi tenere presente che in ciascuno di noi ci sono due princì pi che ci governano e ci guidano, e che noi seguiamo dove essi ci guidano: l'uno, innato, è il desiderio dei piaceri, l'altro è un'opinione acquisita che aspira al sommo bene. Talvolta questi due princì pi dentro di noi si trovano d'accordo, talvolta invece sono in disaccordo; talvolta prevale l'uno, talvolta l'altro. Pertanto, quando l'opinione guida con il ragionamento al sommo bene e prevale, la sua vittoria ha il nome di temperanza; mentre se il desiderio trascina fuori di ragione verso i piaceri e domina in noi, il suo dominio viene chiamato dissolutezza. La dissolutezza ha molti nomi, dato che è composta di molte membra e molte parti; e quella che tra queste forme si distingue conferisce a chi la possiede il soprannome derivato da essa, che non è né bello né meritevole da acquistarsi. Il desiderio relativo al cibo, che prevale sulla ragione del bene migliore e sugli altri desideri, è chiamato ingordigia e farà sì che chi lo possiede venga chiamato con lo stesso nome; quello che tiranneggia nell'ubriachezza e conduce in tale stato chi lo possiede, è chiaro quale epiteto gli toccherà; così , anche per gli altri nomi fratelli di questi che designano desideri fratelli, a seconda di quello che via via signoreggia, è ben evidente come conviene chiamarli. Il desiderio a motivo del quale è stato fatto tutto il discorso precedente ormai è pressoché manifesto, ma è assolutamente più chiaro una volta detto che se non viene detto; ebbene, il desiderio irrazionale che ha il sopravvento sull'opinione incline a ciò che è retto, una volta che, tratto verso il piacere della bellezza e corroborato vigorosamente dai desideri a esso congiunti della bellezza fisica, ha prevalso nel suo trasporto prendendo nome dal suo stesso vigore, è chiamato eros».(23) Ma caro Fedro, non sembra anche a te, come a me, che mi trovi in uno stato divino? FEDRO: Certamente, Socrate! Ti ha preso una certa facilità di parola, contrariamente al solito! SOCRATE: Ascoltami dunque in silenzio. Il luogo sembra veramente divino, percio non meravigliarti se nel prosieguo del discorso sarò spesso invasato dalle Ninfe: le parole che proferisco adesso non sono lontane dai ditirambi.(24) FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: E tu ne sei la causa. Ma ascolta il resto, poiché forse quello che mi viene alla mente potrebbe andarsene via. A questo provvederà un dio, noi invece dobbiamo tornare col nostro discorso al fanciullo. «Dunque, carissimo: cosa sia ciò su cui bisogna prendere decisioni, è stato detto e definito; ora, tenendo presente questo, dobbiamo dire il resto, ossia quale vantaggio o quale danno presumibilmente verrà da uno che ama e da uno che non ama a chi concede i suoi favori. Per chi è soggetto al desiderio ed è schiavo del piacere è inevitabile rendere l'amato il più possibile gradito a sé; ma per chi è malato tutto ciò che non oppone resistenza è piacevole, mentre tutto ciò che è più forte o pari a lui è odioso. Così un amante non sopporterà di buon grado un amato superiore o pari a lui, ma vuole sempre renderlo inferiore e più debole: e inferiore è l'ignorante rispetto al saggio, il vile rispetto al coraggioso, chi non sa parlare rispetto a chi ha abilità oratorie, chi è tardo di mente rispetto a chi è d'ingegno acuto. è inevitabile che, se nell'animo dell'amato nascono o ci sono per natura tanti difetti, o anche di più, l'amante ne goda e ne procuri altri, piuttosto che essere privato del piacere del momento. Ed è altresì inevitabile che sia geloso e causa di grande danno, poiché distoglie l'amato da molte altre compagnie vantaggiose grazie alle quali diverrebbe veramente uomo, danno che diventa grandissimo quando lo allontana da quella compagnia grazie alla quale diventerebbe una persona molto assennata. Essa è la divina filosofia, da cui inevitabilmente l'amante tiene lontano l'amato per paura di essere disprezzato, così come ricorrerà alle altre macchinazioni per fare in modo che sia ignorante di tutto e guardi solo al suo amante; e in questa condizione l'amato sarebbe fonte di grandissimo piacere per lui, ma del massimo danno per se stesso. Quindi, per quanto riguarda l'intelletto, l'uomo che prova amore non è in nessun modo utile come guida e come compagno. Poi si deve considerare la costituzione del corpo, e quale cura ne avrà colui che ne diventerà padrone, dato che si trova costretto a inseguire il piacere anziché il bene. Lo si vedrà seguire una persona molle e non vigorosa, non cresciuta alla pura luce del sole ma nella fitta ombra, inesperta di fatiche virili e di secchi sudori, esperta invece di una vita delicata ed effeminata, ornata di colori e abbellimenti altrui per mancanza dei propri, intenta a tutte quelle attività conseguenti a ciò, che sono evidenti e non meritano ulteriori discussioni. Ma stabiliamo un punto essenziale, e poi passiamo ad altro: per un corpo del genere, in guerra come in tutte le altre occupazioni importanti, i nemici prendono coraggio, gli amici e gli stessi amanti provano timore. Perciò questo punto è da lasciar perdere, dato che è evidente, e bisogna passare invece a quello successivo, cioè quale vantaggio o quale danno arrecherà ai nostri beni la compagnia e la protezione di chi ama. è chiaro a chiunque, ma soprattutto all'amante, che egli si augurerebbe più d'ogni altra cosa che l'amato fosse orbo dei beni più cari, più preziosi e più divini; accetterebbe che rimanesse privo di padre, madre, parenti e amici, ritenendoli causa d'impedimento e biasimo della dolcissima compagnia che ha con lui. E se possiede sostanze in oro o altri beni, egli penserà che non sia facile da conquistare né, una volta conquistato, trattabile; ne consegue inevitabilmente che l'amante provi gelosia se l'oggetto del suo amore possiede delle sostanze, e gioisca se le perde. Inoltre l'amante si augurerà che l'amato sia senza moglie, senza figli e senza casa il più a lungo possibile, poiché brama di cogliere il più a lungo possibile il frutto della 6  Platone Fedro  sua dolcezza. Ci sono altri mali ancora, ma un dio ha mescolato alla maggior parte di essi un piacere momentaneo; per esempio all'adulatore, bestia terribile e fonte di grande danno, la natura ha comunque mescolato un piacere non privo di gusto. E così qualcuno può biasimare come rovinosa un'etera o molte altre creature e attività del genere, che almeno per un giorno possono essere occasione di grandissimo piacere; ma per l'amato la compagnia quotidiana dell'amante, oltre al danno che arreca, è la cosa di tutte più spiacevole. Infatti, come recita l'antico proverbio, il coetaneo si diletta del coetaneo (credo infatti che l'avere gli stessi anni conduca agli stessi piaceri e procuri amicizia in virtù della somiglianza); tuttavia anche il loro stare insieme genera sazietà. Inoltre si dice che la costrizione è pesante per chiunque in qualsiasi circostanza: ed è proprio questo il rapporto che, oltre alla differenza d'età, l'amante ha con il suo amato. Infatti, quando uno più vecchio sta assieme a uno più giovane, non lo lascia volentieri né di giorno né di notte, ma è tormentato da una necessità e da un pungolo che lo conduce a destra e a manca procurandogli di continuo piaceri a vedere, ascoltare, toccare l'amato e a provare tutto ciò che lui prova, sì da mettersi strettamente e con piacere al suo servizio. Ma quale conforto o quali piaceri darà all'amato per evitare che questi, stando con lui per lo stesso periodo di tempo, arrivi al colmo del disgusto? Quando quello vedrà un volto invecchiato e non più in fiore, con tutte le conseguenze già spiacevoli da udire a parole, per non parlare poi se ci si trova nella necessità di avere a che fare con esse; quando dovrà guardarsi in ogni momento e con tutti da custodi sospettosi e sentirà elogi inopportuni ed esagerati, come anche insulti già insopportabili se l'amante è sobrio, vergognosi oltre ogni sopportazione se è ubriaco e indulge a una libertà di linguaggio stucchevole e assoluta? E se quando è innamorato e dannoso e spiacevole, una volta che l'amore è finito sarà inaffidabile per il tempo a venire, in prospettiva del quale era riuscito a malapena, con molte promesse condite di infiniti giuramenti e preghiere e in virtù della speranza di beni futuri, a mantenere il legame già allora faticoso da sopportare. E allora, quando bisogna pagare il debito, dato che dentro di sé ha cambiato padrone e signore, e assennatezza e temperanza hanno preso il posto di amore e follia, è divenuto un altro senza che il suo amato se ne sia accorto. Questi, ricordandosi di quanto era stato fatto e detto e pensando di parlare ancora con la stessa persona, chiede che gli siano ricambiati i favori resi allora; quello per la vergogna non ha il coraggio di dire che è diventato un altro, né sa come mantenere i giuramenti e le promesse fatte sotto la dissennata signoria precedente, dato che ormai ha riacquistato il senno e la temperanza, per non ridiventare simile a quello che era prima, se non addirittura lo stesso di prima, facendo le stesse cose. Perciò diventa un fuggiasco, e poiché l'amante di prima ora è di necessita reo di frode, invertite le parti, muta il suo stato e si dà alla fuga.(25) L'altro è costretto a inseguire tra lo sdegno e le imprecazioni, poiché non ha capito tutto fin dal principio, cioè che non avrebbe mai dovuto compiacere chi ama e di necessità è privo di senno, ma ben più chi non ama ed è assennato; altrimenti sarebbe inevitabile concedersi a una persona infida, difficile di carattere, gelosa, spiacevole, danno sa per le proprie ricchezze, dannosa per la costituzione fisica, ma dannosa nel modo più assoluto per l'educazione dell'anima, della quale in tutta verità non c'è e mai ci sarà cosa di maggior valore né per gli uomini né per gli dèi. Pertanto, ragazzo, bisogna intendere bene questo, e sapere che l'amicizia di un amante non nasce assieme alla benevolenza, ma alla maniera del cibo, per saziarsi; come i lupi amano gli agnelli, così gli amanti hanno caro un fanciullo». Questo è quanto, Fedro. Non mi sentirai dire di più, ma considera ormai finito il discorso. FEDRO: Eppure io credevo che fosse a metà, e che tu avresti speso uguali parole per chi non ama, dicendo che bisogna piuttosto compiacere lui e indicando quanti beni ne derivano; ma ora perché smetti, Socrate? SOCRATE: Non ti sei accorto, beato, che ormai pronuncio versi epici e non più ditirambi, proprio mentre muovo questi rimproveri? Se comincerò a elogiare l'altro, cosa credi che farò? Non lo sai che sarei certamente invasato dalle Ninfe, alle quali tu mi hai gettato deliberatamente in balia? Perciò in una parola ti dico che quanti sono i mali che abbiamo biasimato nell'uno tanti sono i beni, ad essi opposti, che si trovano nell'altro. E che bisogno c'è di un lungo discorso? Di entrambi si è detto abbastanza. Così il racconto avrà la sorte che gli spetta; e io, attraversato questo fiume, me ne torno indietro prima di essere costretto da te a qualcosa di più grande. FEDRO: Non ancora, Socrate, non prima che sia passata la calura. Non vedi che è all'incirca mezzogiorno, l'ora che viene chiamata immota? Ma restiamo a discutere sulle cose che abbiamo detto; non appena farà più fresco, ce ne andremo. SOCRATE: Quanto ai discorsi sei divino, Fedro, e semplicemente straordinario. Io penso che di tutti i discorsi prodotti durante la tua vita nessuno ne abbia fatto nascere più di te, o perché li pronunci di persona o perché costringi in qualche modo altri a pronunciarli (faccio eccezione per Simmia il Tebano, (26) ma gli altri li vinci di gran lunga). E ora mi sembra che tu sia stato la causa di un mio nuovo discorso. FEDRO: Allora non mi dichiari guerra! Ma come, e qual è questo discorso? SOCRATE: Quando stavo per attraversare il fiume, caro amico, si è manifestato quel segno divino che è solito manifestarsi a me e che mi trattiene sempre da ciò che sto per fare. E mi è parso di udire proprio da lì una certa voce che non mi permette di andare via prima d'essermi purificato, come se avessi commesso qualche colpa verso la divinità. In effetti sono un indovino, per la verità non molto bravo, ma, come chi sa a malapena scrivere, valido solo per me stesso; perciò comprendo chiaramente qual è la colpa. Perché anche l'anima, caro amico, ha un che di divinatorio; infatti mi ha turbato anche prima, mentre pronunciavo il discorso, e in qualche modo temevo, come dice Ibico, che «commesso un fallo» nei confronti degli dèi «consegua fama invece tra gli umani».(27) Ma ora mi sono reso conto della colpa. FEDRO: Che cosa dici? 7  Platone Fedro  SOCRATE: Terribile, Fedro, terribile è il discorso che tu hai portato, come quello che poi mi hai costretto a dire! FEDRO: E perché? SOCRATE: è sciocco e sotto un certo aspetto empio. Quale discorso potrebbe essere più terribile di questo? FEDRO: Nessuno, se tu dici il vero. SOCRATE: E allora? Non credi che Eros sia figlio di Afrodite e sia una creatura divina? FEDRO: Così almeno si dice. SOCRATE: Ma non è detto da Lisia, né dal tuo discorso, che è stato pronunciato tramite la mia bocca ammaliata da te. E se Eros è, come appunto è, un dio o un che di divino, non sarebbe affatto un male, e invece i due discorsi pronunciati ora su di lui ne parlavano come se fosse un male; in questo dunque hanno commesso una colpa nei confronti dì Eros. Inoltre la loro semplicità è proprio graziosa, poiché senza dire niente di sano né di vero si danno delle arie come se fossero chissà cosa, se ingannando alcuni omiciattoli troveranno fama presso di loro. Pertanto io, caro amico, ho la necessità di purificarmi; per coloro che commettono delle colpe nei confronti del mito c'è un antico rito purificatorio, che Omero non conobbe, ma Stesicoro sì . Costui infatti, privato della vista per aver diffamato Elena, non ne ignorò la causa come Omero, ma da amante alle Muse quale era la capì e subito compose questi versi: Questo discorso non è veritiero, non navigasti sulle navi ben costrutte, non arrivasti alla troiana Pergamo.(28) E dopo aver composto l'intero carme chiamato Palinodia gli tornò immediatamente la vista. Io pertanto sarò più saggio di loro almeno sotto questo aspetto: prima di incorrere in un male per aver diffamato Eros tenterò di offrirgli in cambio la mia palinodia, col capo scoperto e non velato come allora per la vergogna. FEDRO: Non avresti potuto dirmi cose più dolci di queste, Socrate. SOCRATE: Veramente, caro Fedro, tu intendi con quale impudenza siano stati pronunciati i due discorsi, il mio e quello ricavato dal libro. Se un uomo dall'indole nobile e affabile, che fosse innamorato di uno come lui o lo fosse stato in precedenza, ci ascoltasse mentre diciamo che gli amanti sollevano grandi inimicizie per futili motivi e sono gelosi e dannosi nei confronti dei loro amati, non credi che avrebbe l'impressione di ascoltare persone allevate in mezzo ai marinai e che non hanno mai visto un amore libero, e sarebbe ben lungi dal convenire con noi sui rimproveri che muoviamo ad Eros? FEDRO: Per Zeus, forse sì , Socrate. SOCRATE: Io dunque, per vergogna nei suoi confronti e per timore dello stesso Eros, desidero sciacquarmi dalla salsedine che impregna il mio udito con un discorso d'acqua dolce; e consiglio anche a Lisia di scrivere il più in fretta possibile che, a parità di condizioni, conviene compiacere più un amante che chi non ama. FEDRO: Ma sappi bene che sarà così : quando avrai pronunciato l'elogio dell'amante, sarà inevitabile che Lisia venga costretto da me a scrivere un altro discorso sullo stesso argomento. SOCRATE: Confido in ciò, finché sarai quello che sei. FEDRO: Fatti coraggio, dunque, e parla. SOCRATE: Dov'è il ragazzo a cui parlavo? Faccia in modo di ascoltare anche questo discorso e non conceda con troppa fretta i suoi favori a chi non ama per non aver udito le mie parole. FEDRO: Questo ragazzo è accanto a te, molto vicino, ogni qualvolta tu voglia. SOCRATE: Allora, mio bel ragazzo, tieni presente che il discorso di prima era di Fedro figlio di Pitocle, del demo di Mirrinunte, mentre quello che mi accingo a dire è di Stesicoro di Imera, figlio di Eufemo. Bisogna dunque parlare così : «Non è veritiero il discorso secondo il quale anche in presenza di un amante si deve piuttosto compiacere chi non ama, per il fatto che l'uno è in preda a "mania", l'altro è assennato. Se infatti l'essere in preda a mania fosse un male puro e semplice, sarebbe ben detto; ora però i beni più grandi ci vengono dalla mania, appunto in virtù di un dono divino. Infatti la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona,(29) quando erano prese da mania, procurarono alla Grecia molti e grandi vantaggi pubblici e privati, mentre quando erano assennate giovarono poco o nulla. E se parlassimo della Sibilla (30) e di tutti gli altri che, avvalendosi dell'arte mantica ispirata da un dio, con le loro predizioni in molti casi indirizzarono bene molte persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose note a tutti. Merita certamente di essere addotto come testimonianza il fatto che tra gli antichi coloro che coniavano i nomi non ritenevano la mania una cosa vergognosa o riprovevole; altrimenti non avrebbero chiamato "manica" l'arte più bella, con la quale si discerne il futuro, applicandovi proprio questo nome. Ma considerandola una cosa bella quando nasca per sorte divina, le imposero questo nome, mentre gli uomini d'oggi, inesperti del bello, aggiungendo la "t" l'hanno chiamata "mantica". Così anche la ricerca del futuro che fanno gli uomini assennati mediante il volo degli uccelli e gli altri segni del cielo, dal momento che tramite l'intelletto procurano assennatezza e cognizione alla "oiesi", cioè alla credenza umana, la denominarono "oionoistica", mentre i contemporanei, volendola nobilitare con la "o" lunga, la chiamano oionistica.(31) Perciò, quanto più l'arte mantica è perfetta e onorata della oionistica, e il nome e l'opera dell'una rispetto al nome e all'opera dell'altra, tanto più bella, secondo la testimonianza degli antichi, è la mania che viene da un dio rispetto all'assennatezza che viene dagli uomini. Ma la mania, sorgendo e profetando in coloro in cui doveva manifestarsi, trovò una via di scampo anche dalle malattie e dalle pene più gravi, che da qualche parte si abbattono su alcune stirpi a causa di antiche colpe, ricorrendo alle preghiere e al culto degli dèi; quindi, attraverso purificazioni e iniziazioni, rese immune chi la possedeva per il tempo presente e futuro, avendo trovato una liberazione dai mali presenti per chi era in preda a mania e invasamento divino nel modo giusto. Al terzo posto vengono l'invasamento e la mania provenienti dalle Muse, che impossessandosi di un'anima tenera e pura la destano e la colmano di furore bacchico in canti e altri componimenti poetici, e celebrando innumerevoli opere degli antichi educano i posteri. Chi invece giunge alle porte della poesia senza 8  Platone Fedro  la mania delle Muse, convinto che sarà un poeta valente grazie all'arte, resta incompiuto e la poesia di chi è in senno è oscurata da quella di chi si trova in preda a mania. Queste, e altre ancora, sono le belle opere di una mania proveniente dagli dèi che ti posso elencare. Pertanto non dobbiamo aver paura di ciò, né deve sconvolgerci un discorso che cerchi di intimorirci asserendo che si deve preferire come amico l'uomo assennato a quello in stato di eccitazione; ma il mio discorso dovrà riportare la vittoria dimostrando, oltre a quanto detto prima, che l'amore non è inviato dagli dèi all'amante e all'amato perché ne traggano giovamento. Noi dobbiamo invece dimostrare il contrario, cioè che tale mania è concessa dagli dèi per la nostra più grande felicità; e la dimostrazione non sarà persuasiva per i valent'uomini, ma lo sarà per i sapienti. Prima di tutto dunque bisogna intendere la verità riguardo alla natura dell'anima divina e umana, considerando le sue condizioni e le sue opere. L'inizio della dimostrazione è il seguente. Ogni anima è immortale. Infatti ciò che sempre si muove è immortale, mentre ciò che muove altro e da altro è mosso termina la sua vita quando termina il suo movimento. Soltanto ciò che muove se stesso, dal momento che non lascia se stesso, non cessa mai di muoversi, ma è fonte e principio di movimento anche per tutte le altre cose dotate di movimento. Il principio però non è generato. Infatti è necessario che tutto ciò che nasce si generi da un principio, ma quest'ultimo non abbia origine da qualcosa, poiché se un principio nascesse da qualcosa non sarebbe più un principio. E poiché non è generato, è necessario che sia anche incorrotto; infatti, se un principio perisce, né esso nascerà da qualcosa né altra cosa da esso, dato che ogni cosa deve nascere da un principio. Così principio di movimento è ciò che muove se stesso. Esso non può né perire né nascere, altrimenti tutto il cielo e tutta la terra, riuniti in corpo unico, resterebbero immobili e non avrebbero più ciò da cui ricevere di nuovo nascita e movimento. Una volta stabilito che ciò che si muove da sé è immortale, non si proverà vergogna a dire che proprio questa è l'essenza e la definizione dell'anima. Infatti ogni corpo a cui l'essere in movimento proviene dall'esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà proviene dall'interno, cioè da se stesso, è animato, poiché la natura dell'anima è questa; ma se è così , ovvero se ciò che muove se stesso non può essere altro che l'anima, di necessità l'anima sarà ingenerata e immortale. Sulla sua immortalità si è detto a sufficienza; sulla sua idea bisogna dire quanto segue. Spiegare quale sia, sarebbe proprio di un'esposizione divina sotto ogni aspetto e lunga, dire invece a che cosa assomigli, è proprio di un'esposizione umana e più breve; parliamone dunque in questa maniera. Si immagini l'anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga.(32) I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l'auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d'ugual specie, l'altro è contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale. Ogni anima si prende cura di tutto ciò che è inanimato e gira tutto il cielo ora in una forma, ora nell'altra. Se è perfetta e alata, essa vola in alto e governa tutto il mondo, se invece ha perduto le ali viene trascinata giù finché non s'aggrappa a qualcosa di solido; qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo terreno, che per la forza derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo insieme, composto di anima e corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome di mortale. Viceversa ciò che è immortale non può essere spiegato con un solo discorso razionale, ma senza averlo visto e inteso in maniera adeguata ci figuriamo un dio, un essere vivente e immortale, fornito di un'anima e di un corpo eternamente connaturati. Ma di queste cose si pensi e si dica così come piace al dio; noi cerchiamo di cogliere la causa della perdita delle ali, per la quale esse si staccano dall'anima. E la causa è all'incirca questa. La potenza dell'ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è pesante, sollevandolo dove abita la stirpe degli dèi, e in certo modo partecipa del divino più di tutte le cose inerenti il corpo. Il divino è bello, sapiente, buono, e tutto ciò che è tale; da queste qualità l'ala dell'anima e nutrita e accresciuta in sommo grado, mentre viene consunta e rovinata da ciò che è brutto, cattivo e contrario ad esse. Zeus, il grande sovrano che è in cielo, procede per primo alla guida del carro alato, dà ordine a tutto e di tutto si prende cura; lo segue un esercito di dèi e di demoni, ordinato in undici schiere. La sola Estia resta nella dimora degli dèi; quanto agli altri dèi, quelli che in numero di dodici sono stati posti come capi guidano ciascuno la propria schiera secondo l'ordine assegnato.(33) Molte e beate sono le visioni e i percorsi entro il cielo, per i quali si volge la stirpe degli dèi eternamente felici, adempiendo ciascuno il proprio compito. E tiene dietro a loro chi sempre lo vuole e lo può; infatti l'invidia sta fuori del coro divino. Quando poi vanno a banchetto per nutrirsi, procedono in ardua salita verso la sommità della volta celeste, dove i carri degli dèi, ben equilibrati e agili da guidare, procedono facilmente, gli altri invece a fatica; infatti il cavallo che partecipa del male si inclina, e piegando verso terra grava col suo peso l'auriga che non l'ha allevato bene. Qui all'anima si presenta la fatica e la prova suprema. Infatti quelle che sono chiamate immortali, una volta giunte alla sommità, procedono al di fuori posandosi sul dorso del cielo, la cui rotazione le trasporta in questa posa, mentre esse contemplano ciò che sta fuori del cielo. Nessuno dei poeti di quaggiù ha mai cantato né mai canterà in modo degno il luogo iperuranio.(34) La cosa sta in questo modo (bisogna infatti avere il coraggio di dire il vero, tanto più se si parla della verità): l'essere che realmente è, senza colore, senza forma e invisibile, che può essere contemplato solo dall'intelletto timoniere dell'anima e intorno al quale verte il genere della vera conoscenza, occupa questo luogo. Poiché dunque la mente di un dio è nutrita da un intelletto e da una scienza pura, anche quella di ogni anima cui preme di ricevere ciò che conviene si appaga di vedere dopo un certo tempo l'essere, e contemplando il vero se ne nutre e ne gode, finché la rotazione ciclica del cielo non l'abbia riportata allo stesso punto. Nel giro che essa compie vede la giustizia stessa, vede la temperanza, vede la scienza, 9  Platone Fedro  non quella cui è connesso il divenire, e neppure quella che in certo modo è altra perché si fonda su altre cose da quelle che ora noi chiamiamo esseri, ma quella scienza che si fonda su ciò che è realmente essere; e dopo che ha contemplato allo stesso modo gli altri esseri che realmente sono e se ne è saziata, si immerge nuovamente all'interno del cielo e fa ritorno alla sua dimora. Una volta arrivata l'auriga, condotti i cavalli alla mangiatoia, mette innanzi a loro ambrosia e in più dà loro da bere del nettare. Questa è la vita degli dèi. Quanto alle altre anime, l'una, seguendo nel migliore dei modi il dio e rendendosi simile a lui, solleva il capo dell'auriga verso il luogo fuori del cielo e viene trasportata nella sua rotazione, ma essendo turbata dai cavalli vede a fatica gli esseri; l'altra ora solleva il capo, ora piega verso il basso, e poiché i cavalli la costringono a forza riesce a vedere alcuni esseri, altri no. Seguono le altre anime, che aspirano tutte quante a salire in alto, ma non essendone capaci vengono sommerse e trasportate tutt'intorno, calpestandosi tra loro, accalcandosi e cercando di arrivare una prima dell'altra. Nasce così una confusione e una lotta condita del massimo sudore, nella quale per lo scarso valore degli aurighi molte anime restano azzoppate, e a molte altre si spezzano molte penne; tutte, data la grande fatica, se ne partono senza aver raggiunto la contemplazione dell'essere e una volta tornate indietro si nutrono del cibo dell'opinione. La ragione per cui esse mettono tanto impegno per vedere dov'è sita la pianura della verità è questa: il cibo adatto alla parte migliore dell'anima viene dal prato che si trova là, e di esso si nutre la natura dell'ala con cui l'anima si solleva in volo. Questa è la legge di Adrastea.(35) L'anima che, divenuta seguace del dio, abbia visto qualcuna delle verità, non subisce danno fino al giro successivo, e se riesce a fare ciò ogni volta, resta intatta per sempre; qualora invece, non riuscendo a tenere dietro al dio, non abbia visto, e per qualche accidente, riempitasi di oblio e di ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda le ali e cada sulla terra, allora è legge che essa non si trapianti in alcuna natura animale nella prima generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare filosofo o amante del bello o seguace delle Muse o incline all'amore. L'anima che viene per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un uomo atto alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto ad amministrare lo Stato o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che sarà amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto nella cura del corpo, la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore ai misteri. Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro di coloro che si occupano dell'imitazione, alla settima la vita di un artigiano o di un contadino, all'ottava la vita di un sofista o di un seduttore del popolo, alla nona quella di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la vita secondo giustizia partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto contro giustizia, di una peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo donde è venuta per diecimila anni, poiché non rimette le ali prima di questo periodo di tempo, tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia senza inganno o ha amato i fanciulli secondo filosofia. Queste anime, al terzo giro di mille anni, se hanno scelto per tre volte di seguito una tale vita, rimettono in questo modo le ali e al compiere dei tremila anni tornano indietro. Quanto alle altre, quando giungono al termine della prima vita tocca loro un giudizio, e dopo essere state giudicate le une vanno nei luoghi di espiazione sotto terra a scontare la loro pena, le altre, innalzate dalla Giustizia in un luogo del cielo, trascorrono il tempo in modo corrispondente alla vita che vissero in forma d'uomo. Al millesimo anno le une e le altre, giunte al sorteggio e alla scelta della seconda vita, scelgono quella che ciascuna vuole: qui un'anima umana può anche finire in una vita animale, e chi una volta era stato uomo può ritornare da bestia uomo, poiché l'anima che non ha mai visto la verità non giungerà mai a tale forma. L'uomo infatti deve comprendere in funzione di ciò che viene detto idea, e che muovendo da una molteplicità di sensazioni viene raccolto dal pensiero in unità; questa è la reminiscenza delle cose che un tempo la nostra anima vide nel suo procedere assieme al dio, quando guardò dall'alto ciò che ora definiamo essere e levò il capo verso ciò che realmente è. Perciò giustamente solo l'anima del filosofo mette le ali, poiché grazie al ricordo, secondo le sue facoltà, la sua mente è sempre rivolta alle entità in virtù delle quali un dio è divino. Quindi l'uomo che si avvale rettamente di tali reminiscenze, essendo sempre iniziato a misteri perfetti, diventa lui solo realmente perfetto; dato però che si distacca dalle occupazioni degli uomini e si fa accosto al divino, è ripreso dai più come se delirasse, ma sfugge ai più che è invasato da un dio. Questo dunque è il punto d'arrivo di tutto il discorso sulla quarta forma di mania, quella per cui uno, al vedere la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera bellezza mette nuove ali e desidera levarsi in volo, ma non essendone capace guarda in alto come un uccello, senza curarsi di ciò che sta in basso, e così subisce l'accusa di trovarsi in istato di mania: di tutte le ispirazioni divine questa, per chi la possiede e ha comunanza con essa, è la migliore e deriva dalle cose migliori, e chi ama le persone belle e partecipa di tale mania è chiamato amante. Infatti, come si è detto, ogni anima d'uomo per natura ha contemplato gli esseri, altrimenti non si sarebbe incarnata in un tale vivente. Ma ricordarsi di quegli esseri procedendo dalle cose di quaggiù non è alla portata di ogni anima, né di quelle che allora videro gli esseri di lassù per breve tempo, né di quelle che, cadute qui, hanno avuto una cattiva sorte, al punto che, volte da cattive compagnie all'ingiustizia, obliano le sacre realtà che videro allora. Ne restano poche nelle quali il ricordo si conserva in misura sufficiente: queste, qualora vedano una copia degli esseri di lassù, restano sbigottite e non sono più in sé, ma non sanno cosa sia ciò che provano, perché non ne hanno percezione sufficiente. Così della giustizia, della temperanza e di tutte le altre cose che hanno valore per le anime non c'è splendore alcuno nelle copie di quaggiù, ma soltanto pochi, accostandosi alle immagini, contemplano a fatica, attraverso i loro organi ottusi, la matrice del modello riprodotto. Allora invece si poteva vedere la bellezza nel suo splendore, quando in un coro felice, noi al seguito di Zeus, altri di un altro dio, godemmo di una visione e di una contemplazione beata ed eravamo iniziati a quello che è lecito chiamare il più beato dei misteri, che celebravamo in perfetta integrità e immuni dalla prova di tutti quei mali che dovevano attenderci nel tempo a venire, contemplando nella nostra iniziazione mistica visioni perfette, semplici, immutabili e 10  Platone Fedro  beate in una luce pura, poiché eravamo purì e non rinchiusi in questo che ora chiamiamo corpo e portiamo in giro con noi, incatenati dentro ad esso come un'ostrica. Queste parole siano un omaggio al ricordo, in virtù del quale, per il desiderio delle cose d'allora, ora si è parlato piuttosto a lungo. Quanto alla bellezza, come si è detto, essa brillava tra le cose di lassù come essere, e noi, tornati qui sulla terra, l'abbiamo colta con la più vivida delle nostre sensazioni, in quanto risplende nel modo più vivido. Per noi infatti la vista è la più acuta delle sensazioni che riceviamo attraverso il corpo, ma essa non ci permette di vedere la saggezza (poiché susciterebbe terribili amori, se giungendo alla nostra vista le offrisse un'immagine di sé così splendente) e le altre realtà degne d'amore. Ora invece soltanto la bellezza ebbe questa sorte, di essere ciò che più di tutto è manifesto e amabile. Chi dunque non è iniziato di recente, o è corrotto, non si innalza con pronto acume da qui a lassù, verso la bellezza in sé, quando contempla ciò che quaggiù porta il suo nome; di conseguenza quando guarda ad essa non la venera, ma consegnandosi al piacere imprende a montare e a generare figli a mo' di quadrupede, e comportandosi con tracotanza non ha timore né vergogna di inseguire un piacere contro natura. Invece chi è iniziato di recente e ha contemplato molto le realtà di allora, quando vede un volto d'aspetto divino che ha ben imitato la bellezza o una qualche forma ideale di corpo, dapprima sente dei brividi e gli sottentra qualcuna delle paure di allora, poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non temesse di acquistarsi fama di eccessiva mania farebbe sacrifici al suo amato come a una statua o a un dio. Al vederlo, lo afferra come una mutazione provocata dai brividi, un sudore e un calore insolito; e ricevuto attraverso gli occhi il flusso della bellezza, prende calore là dove la natura dell'ala si abbevera. Una volta che si è riscaldato si liquefano le parti attorno al punto donde l'ala germoglia, che essendo da tempo tappate a causa della secchezza le impedivano di fiorire. Così , grazie all'afflusso del nutrimento, lo stelo dell'ala si gonfia e prende a crescere dalla radice per tutta la forma dell'anima; un tempo infatti era tutta alata. A questo punto essa ribolle tutta quanta e trabocca, e la stessa sensazione che prova chi mette i denti nel momento in cui essi spuntano, ossia prurito e irritazione alle gengive, la prova anche l'anima di chi comincia a mettere le ali: quando le ali spuntano ribolle e prova un senso di irritazione e solletico. Dunque, quando l'anima, mirando la bellezza del fanciullo, riceve delle parti che da essa provengono e fluiscono (e che appunto per questo sono chiamate flusso d'amore) (36) e ne viene irrigata e scaldata, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece ne è separata e inaridisce, le bocche dei condotti donde spunta fuori l'ala si disseccano e si serrano, impedendone il germoglio; ma esso, rimasto chiuso dentro assieme al flusso d'amore, pulsando come le arterie pizzica nei condotti, ciascun germoglio nel proprio, tanto che l'anima, pungolata tutt'intorno, è presa da assillo e dolore, e tornandole il ricordo della bellezza si allieta. In seguito alla mescolanza di entrambe le cose, l'anima è turbata per la stranezza di ciò che prova e trovandosi senza via d'uscita comincia a smaniare; ed essendo in stato di mania non può né dormire di notte né di giorno restare ferma dov'è, ma corre in preda al desiderio dove crede di poter vedere colui che possiede la bellezza: e una volta che l'ha visto e si è imbevuta del flusso d'amore, libera i condotti che allora si erano ostruiti, riprende fiato e cessa di avere pungoli e dolore, e allora coglie, nel momento presente, il frutto di questo dolcissimo piacere. Perciò non se ne distacca di sua volontà e non tiene in conto nessuno più del suo bello, ma si dimentica di madri, fratelli e di tutti i compagni, e non gli importa nulla se le sue sostanze vanno in rovina perché non se ne cura, anzi disprezza tutte le consuetudini e le convenienze di cui si ornava prima d'allora ed è disposta a servire l'amato e a giacere con lui ovunque gli sia concesso di stare il più vicino possibile al suo desiderio; infatti, oltre a venerarlo, ha trovato in colui che possiede la bellezza l'unico medico dei suoi più grandi travagli. A questa passione cui si rivolge il mio discorso, o bel fanciullo, gli uomini danno il nome di eros, gli dèi invece la chiamano in un modo che a sentirlo, data la tua giovane età, ti metterai ragionevolmente a ridere. Alcuni Omeridi citano due versi, credo presi da poemi segreti, riguardanti Eros, uno dei quali è piuttosto insolente e non del tutto corretto come metro; essi suonano così : I mortali lo chiamano Eros alato, gli immortali Pteros, ché fa crescere l'ali.(37) A questi versi si può credere oppure non credere; non di meno la causa e la sensazione di chi ama è proprio questa. Ora, se chi è stato colto da Eros era uno dei seguaci di Zeus, riesce a sopportare con più fermezza il peso del dio che trae il nome dalle ali; quelli che erano al servizio di Ares e giravano il cielo assieme a lui, quando sono presi da Eros e pensano di subire qualche torto dall'amato, sono sanguinari e pronti a sacrificare se stessi e il proprio amore. Così ciascuno conduce la sua vita in base al dio del cui coro era seguace, onorandolo e imitandolo per quanto gli è possibile, finché resta incorrotto e vive la prima esistenza quaggiù, e in questo modo si accompagna e ha relazione con gli amati e con le altre persone. Quindi ciascuno sceglie tra i belli il suo Eros secondo il proprio carattere, e come fosse un dio gli edifica una specie di statua e l'abbellisce per onorarla e tributarle riti. I seguaci di Zeus cercano il loro amato in chi ha l'anima conforme al loro dio:(38) pertanto guardano se per natura sia filosofo e atto al comando, e quando l'hanno trovato e ne se sono innamorati, fanno di tutto affinché sia effettivamente tale. E se prima non si erano impegnati in un'occupazione del genere, da quel momento vi mettono mano e imparano da dove è loro possibile, continuando poi anche da soli, e seguendo le tracce riescono a trovare per loro conto la natura del proprio dio, perché sono stati intensamente costretti a volgere lo sguardo verso di lui; e quando entrano in contatto con lui sono presi da invasamento e tramite il ricordo ne assumono le abitudini e le occupazioni, per quanto è possibile a un uomo partecipare della natura di un dio. E poiché ne attribuiscono la causa all'amato, lo tengono ancora più caro, e sebbene attingano da Zeus come le Baccanti,(39) riversando ciò che attingono nell'anima dell'amato lo rendono il più possibile simile al loro dio. Coloro che invece erano al seguito di Era cercano un'anima regale, e trovatala fanno per lei esattamente le stesse cose. Quelli del seguito di Apollo e di ciascuno degli altri dèi, procedendo secondo il loro dio, bramano che il proprio fanciullo abbia un'uguale natura, e una volta che se lo sono procurato imitano essi stessi il dio e con la persuasione e 11  Platone Fedro  l'ammaestramento portano l'amato ad assumere l'attività e la forma di quello, ciascuno per quanto può; e lo fanno senza comportarsi nei confronti dell'amato con gelosia o con rozza malevolenza, ma cercando di indurlo alla somiglianza più completa possibile con se stessi e con il dio che onorano. Dunque l'ardore e l'iniziazione di coloro che veramente amano, se ottengono ciò che desiderano nel modo che dico, diventano così belle e felici per chi è amato, qualora venga conquistato dall'amico che si trova in stato di mania per amore; e chi è conquistato cede all'amore in questo modo. Come all'inizio dì questa narrazione in forma di mito abbiamo diviso ciascuna anima in tre parti, due con forma di cavallo, la terza con forma di auriga, questa distinzione resti per noi un punto fermo anche adesso. Uno dei cavalli diciamo che è buono, l'altro no: quale sia però la virtù di quello buono e il vizio di quello cattivo, non l'abbiamo precisato, e ora bisogna dirlo. Dunque, quello tra i due che si trova nella disposizione migliore è di forma eretta e ben strutturata, di collo alto e narici adunche, bianco a vedersi, con gli occhi neri, amante dell'onore unito a temperanza e pudore e compagno della fama veritiera, non ha bisogno di frusta e si lascia guidare solo con lo stimolo e la parola; l'altro invece è storto, grosso, mal conformato, di collo massiccio e corto, col naso schiacciato, il pelo nero, gli occhi chiari e iniettati di sangue, compagno di tracotanza e vanteria, dalle orecchie pelose, sordo, e cede a fatica alla frusta e agli speroni. Quando dunque l'auriga, scorgendo la visione amorosa, prende calore in tutta l'anima per la sensazione che prova ed è ricolmo di solletico e dei pungoli del desiderio, il cavallo che obbedisce docilmente all'auriga, tenuto a freno, allora come sempre, dal pudore, si trattiene dal balzare addosso all'amato; l'altro invece non cura più né i pungoli dell'auriga né la frusta, ma imbizzarrisce e si lancia al galoppo con violenza, e procurando ogni sorta di molestie al compagno di giogo e all'auriga li costringe a dirigersi verso l'amato e a rammentare la dolcezza dei piaceri d'amore. All'inizio essi si oppongono sdegnati, al pensiero dì essere costretti ad azioni terribili e inique; ma alla fine, quando non c'è più alcun limite al male, si lasciano trascinare nel loro percorso, cedendo e acconsentendo a fare quanto viene loro ordinato. Allora si fanno presso a lui e hanno la visione folgorante dell'amato. Scorgendolo, la memoria dell'auriga è ricondotta alla natura della bellezza, che vede di nuovo collocata su un casto piedistallo assieme alla temperanza; a tale vista è colta da paura e per la reverenza che le porta cade supina, e nello stesso tempo è costretta a tirare indietro le redini così forte che entrambi i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno, spontaneamente perché non recalcitra, quello protervo decisamente contro voglia. Ritiratisi più lontano, l'uno per vergogna e sbigottimento bagna tutta l'anima di sudore, l'altro, cessato il dolore che gli veniva dal morso e dalla caduta, a fatica riprende fiato e incomincia, pieno d'ira com'è, a ingiuriare, coprendo di male parole l'auriga e il compagno di giogo perché per viltà e debolezza hanno abbandonato il posto e l'accordo convenuto. E costringendoli di nuovo ad avanzare contro la loro volontà a stento cede alle loro preghiere di rimandare a un'altra volta. Quando poi è giunto il tempo stabilito ed essi fingono di non ricordarsene, lo rammenta a loro con la forza, nitrendo e trascinandoli con sé, e li obbliga ad accostarsi di nuovo all'amato per fare i medesimi discorsi; e quando sono vicini tende la testa in avanti e rizza la coda, mordendo il freno, e li trascina con impudenza. L'auriga, sentendo ancora più intensamente la stessa impressione di prima, come respinto dalla fune al cancello di partenza, tira indietro ancora più forte il morso dai denti del cavallo protervo, insanguina la lingua maldicente e le mascelle e piegandogli a terra le gambe e le cosce lo dà in preda ai dolori. Quando poi il cavallo malvagio, subendo la medesima cosa più volte, desiste dalla sua tracotanza, umiliato segue ormai il proposito dell'auriga, e quando vede il bel fanciullo, muore dalla paura; di conseguenza accade che a questo punto l'anima dell'amante segua l'amato con pudicizia e timore. Poiché dunque l'amato, come un essere pari agli dèi, è oggetto di ogni venerazione da parte dell'amante che non simula, ma prova veramente questo sentimento, ed è egli stesso per natura amico di chi lo venera, se anche in precedenza fosse stato ingannato dalle persone che frequentava o da altre, le quali sostenevano che è cosa turpe accostarsi a chi ama, e per questo motivo avesse respinto l'amante, ora, col passare del tempo, l'età e la necessità lo inducono ad ammetterlo alla sua compagnia; infatti non accade mai che un malvagio sia amico di un malvagio, né che un buono non sia amico di un buono. E dopo averlo ammesso presso di sé e avere accettato di parlare con lui e stare in sua compagnia, la benevolenza dell'amante, manifestandosi da vicino, colpisce l'amato, il quale si avvede che tutti gli altri amici e parenti non offrono neppure una parte di amicizia a confronto dell'amico ispirato da un dio. Quando poi questi continua a fare ciò nel tempo e si accompagna all'amato incontrandolo nei ginnasi e negli altri luoghi di ritrovo, allora la fonte di quei flusso che Zeus, innamorato di Ganimede, (40) chiamò flusso d'amore, scorrendo in abbondanza verso l'amante dapprima penetra in lui, poi, quando ne è ricolmo, scorre fuori; e come un soffio di vento o un'eco, rimbalzando da corpi lisci e solidi, ritornano là dov'erano partiti, così il flusso della bellezza ritorna al bel fanciullo attraverso gli occhi, e di qui per sua natura arriva all'anima. Quando vi è giunto la incoraggia a volare, quindi irriga i condotti delle ali e comincia a farle crescere, e così riempie d'amore anche l'anima dell'amato. Pertanto egli ama, ma non sa che cosa; e neppure è a conoscenza di cosa prova né è in grado di dirlo, ma come chi ha contratto una malattia agli occhi da un altro non è in grado di spiegarne la causa, così egli non si accorge di vedere se stesso nell'amante come in uno specchio. E in presenza di questi, il suo dolore cessa esattamente come a lui, se invece è assente allo stesso modo di lui desidera ed è desiderato, perché reca in sé una sembianza d'amore che dell'amore è sostituto: però non lo chiama e non lo crede amore, bensì amicizia. Più o meno come l'amante, ma in misura più debole, desidera vederlo, toccarlo, baciarlo, giacere con lui; e com'è naturale, in seguito non tarda a fare cio. Quando dunque giacciono insieme, il cavallo sfrenato dell'amante ha di che dire all'auriga, e pretende di trarre un piccolo guadagno in cambio di tante fatiche; invece quello dell'amato non ha nulla da dire, ma, gonfio di desiderio e ancora incerto abbraccia e bacia l'amante, manifestandogli affetto per la sua grande benevolenza. Così , nel momento in cui si congiungono, non è più tale da rifiutare di compiacere da parte sua l'amante, se viene pregato di soddisfare; ma il compagno di giogo assieme all'auriga 12  Platone Fedro  si oppone a ciò, obbedendo al pudore e alla ragione. Se dunque prevalgono le parti migliori dell'animo, quelle che guidano a un'esistenza ordinata e alla filosofia, essi trascorrono la vita di quaggiù in modo beato e concorde, poiché sono padroni di sé e ben regolati, avendo sottomesso ciò in cui nasce il male dell'anima e liberato ciò in cui nasce la virtù; e alla fine, divenuti alati e leggeri, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche, di cui né la temperanza umana né la mania divina possono fornire all'uomo un bene più grande.(41) Se invece seguono un genere di vita piuttosto grossolano e privo di filosofia, ma ambizioso, forse, in stato di ubriachezza o in qualche altro momento di negligenza, i loro due compagni di giogo sfrenati, cogliendo le anime alla sprovvista e portandole nella stessa direzione, possono compiere la scelta che tanti considerano la più beata e mandarla ad effetto; e una volta che l'hanno mandata ad effetto, se ne avvalgono anche in futuro, ma raramente, poiché fanno cose che non sono approvate da tutta l'anima. Anche costoro vivono in amicizia reciproca, ma meno di quelli, sia durante l'amore sia quando ne sono usciti, credendo di essersi dati l'un l'altro e di aver ricevuto i più grandi pegni, che non è lecito sciogliere perché ciò condurrebbe all'inimicizia. Al termine della vita escono dal corpo senz'ali, ma col desiderio di metterle, cosicché riportano un premio non piccolo della loro mania amorosa; infatti non è legge che coloro i quali hanno già iniziato il cammino sotto la volta del cielo scendano di nuovo nella tenebra e camminino sotto terra, bensì che trascorrano una vita luminosa e felice compiendo il viaggio in compagnia reciproca, e che una volta rinati rimettano le ali assieme per grazia dell'amore. Questi doni così grandi e così divini, o fanciullo, ti darà l'amicizia da parte di un amante. Invece la compagnia di chi non ama, mescolata con temperanza mortale, capace di amministrare cose mortali e misere, dopo aver generato nell'anima amata una bassezza lodata dal volgo come virtù, la farà girare priva di senno attorno alla terra e sotto terra per novemila anni. Questa, caro Eros, per le nostre facoltà, è la più bella e virtuosa palinodia che abbiamo potuto offrirti in dono e in espiazione, costretta a causa di Fedro a essere pronunciata, oltre al resto, anche con alcune parole poetiche. Ma tu concedi il perdono per le cose di prima e serba gratitudine per queste, e, benevolo e propizio, non togliermi e non storpiarmì per la collera l'arte amorosa che mi hai dato, anzi concedimi di essere in onore tra i bei fanciulli ancor più di adesso. E se nel discorso precedente io e Fedro abbiamo detto qualcosa che a te suona stonata, attribuiscine la colpa a Lisia, che del discorso è padre, e fallo desistere da simili prolusioni, volgendolo alla filosofia come si è volto suo fratello Polemarco,(42) affinché anche questo suo amante non sia nel dubbio come ora, ma dedichi senz'altro la sua vita ad Eros in compagnia di discorsi filosofici. FEDRO: Mi unisco alla tua preghiera, Socrate: se questo è meglio per noi, che avvenga. Da un pezzo ho ammirato il tuo discorso per quanto l'hai reso più bello del precedente; quindi temo che Lisia mi appaia misero, quand'anche voglia opporre ad esso un altro discorso. Recentemente infatti, mirabile amico, un politico lo biasimava criticandolo proprio per questo, e in tutta la sua critica lo chiamava logografo;(43) perciò forse si tratterrà per ambizione dallo scrivercene un altro. SOCRATE: Ragazzo, la tua opinione è ridicola, e quanto al tuo compagno sbagli di grosso, se credi che si spaventi così al minimo rumore. Ma forse pensi che chi lo biasimava dicesse quello che ha detto proprio per criticarlo. FEDRO: Così pareva, Socrate; del resto sei anche tu conscio che coloro che nelle città hanno il massimo potere e la massima reverenza si vergognano a scrivere discorsi e a lasciare propri scritti, temendo l'opinione dei posteri, cioè di essere chiamati sofisti. SOCRATE: Ti sei scordato, Fedro, che la dolce ansa ha preso il nome dalla lunga ansa del Nilo (44) e oltre all'ansa dimentichi che gli uomini di governo piu assennati amano tantissimo comporre discorsi e lasciare propri scritti, almeno quelli che, quando scrivono un discorso, apprezzano a tal punto chi li loda da aggiungere in testa per primi i nomi di quelli che li devono lodare in ogni singola occasione. FEDRO: In che senso dici ciò? Non capisco. SOCRATE: Non capisci che all'inizio del discorso di un uomo politico per primo viene scritto il nome di chi lo loda! FEDRO: E come? SOCRATE: «Il consiglio ha deciso», dice più o meno, ovvero «il popolo ha deciso», o entrambi, e ancora «il tale e il tal altro ha detto» (e qui lo scrittore cita se stesso con grande reverenza e si fa l'elogio). Poi si mette a parlare, mostrando a chi lo loda la sua abilità, talvolta dopo aver composto uno scritto assai lungo. O ti pare che una cosa del genere sia altro che un discorso scritto? FEDRO: Non mi pare proprio. SOCRATE: Quindi, se il discorso regge, l'autore esce di scena tutto lieto; se invece viene escluso e radiato dallo scrivere discorsi e dall'essere degno di scriverli, piangono lui e i suoi compagni. FEDRO: E anche molto! SOCRATE: è chiaro dunque che non disprezzano questa attività, ma l'ammirano. FEDRO: Sicuro! SOCRATE: E allora? Quando un retore o un re è in grado di raggiungere la potenza di Licurgo, di Solone o di Dario (45) e di diventare un logografo immortale nella sua città, non si crede forse egli stesso pari agli dèi mentre ancora vive, e i posteri non pensano di lui la stessa cosa, contemplando i suoi scritti? FEDRO: Certamente! SOCRATE: Credi allora che uno di costoro, chiunque sia e in qualunque modo sia ostile a Lisia, lo biasimi proprio perché scrive discorsi? 13  Platone Fedro  FEDRO: Non è verosimile, da ciò che dici, poiché a quanto pare criticherebbe anche il proprio desiderio. SOCRATE: Allora è chiaro a tutti che non è cosa turpe in sé lo scrivere discorsi. FEDRO: Ma certo. SOCRATE: Ora però io ritengo turpe questo, il pronunciarli e scriverli in modo non bello, ma riprovevole e disonesto. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: E allora qual è il modo di scriverli bene e quale il modo contrario? Abbiamo bisogno, Fedro, di esaminare a questo proposito Lisia e chiunque altro abbia mai composto o comporrà uno scritto sia pubblico sia privato, in versi come un poeta o non in versi come un prosatore? FEDRO: Chiedi se ne abbiamo bisogno? E per quale ragione uno, oserei dire, vivrebbe, se non per i piaceri di questo tipo? Non certo per quelli per cui bisogna prima soffrire, altrimenti non si prova godimento, come sono quasi tutti i piaceri del corpo, che per questo motivo sono stati giustamente chiamati servili. SOCRATE: Tempo ne abbiamo, a quanto pare. E poi mi sembra che in questa calura soffocante le cicale, cantando sopra la nostra testa e discorrendo tra loro, guardino anche noi. Se dunque vedessero che anche noi due, come fanno i più a mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo e ci lasciamo incantare da loro per pigrizia della mente, giustamente ci deriderebbero, considerandoci degli schiavi venuti da loro per dormire in questo luogo di sosta come delle pecore che passano il pomeriggio presso la fonte; se invece ci vedranno discorrere e navigare accanto a loro come alle Sirene senza essere ammaliati, forse, prese da ammirazione, ci daranno quel dono che per concessione degli dèi possono dare agli uomini. FEDRO: E qual è questo dono che hanno? A quanto pare, non l'ho mai sentito. SOCRATE: Non si addice davvero a un uomo amante delle Muse non averne mai sentito parlare.(46) Si dice che un tempo le cicale erano uomini, di quelli vissuti prima che nascessero le Muse; quando poi nacquero le Muse e comparve il canto, alcuni di loro restarono così colpiti dal piacere che cantando non si curarono più di cibo e bevanda e senza accorgersene morirono. Da loro in seguito ebbe origine la stirpe delle cicale, che ricevette dalle Muse questo dono, di non aver bisogno di nutrimento fin dalla nascita, ma di cominciare subito a cantare senza cibo né bevanda fino alla morte, e di andare quindi dalle Muse a riferire chi tra gli uomini di quaggiù le onora, e quale di esse onora. A Tersicore riferiscono di quelli che l'hanno onorata nei cori, rendendoli a lei più graditi, a Erato di chi l'ha onorata nei carmi d'amore, e così per le altre, secondo l'onore che ha ciascuna. A Calliope, la più anziana, e a Urania, che viene dopo di lei, riferiscono di quelli che trascorrono la vita nella filosofia e onorano la loro musica, poiché esse, avendo cura del cielo e dei discorsi divini e umani, emettono tra tutte le Muse la voce più bella.(47) Per molte ragioni, quindi, a mezzogiorno bisogna parlare e non dormire. FEDRO: E allora bisogna parlare. SOCRATE: Dobbiamo dunque esaminare quello che ora ci siamo proposti, ossia come è bene pronunciare e scrivere un discorso e come non lo è. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: I discorsi che saranno pronunciati in modo bello e decoroso non devono forse implicare che l'animo di chi parla conosca il vero riguardo a ciò di cui intende parlare? FEDRO: A tal proposito, caro Socrate, ho sentito dire questo: per chi vuole essere un retore non c'è la necessità di apprendere ciò che è realmente giusto, ma ciò che sembra giusto alla moltitudine che giudicherà, non ciò che è veramente buono o bello, ma che sembrerà tale, poiché il convincere il prossimo viene da questo, non dalla verità. SOCRATE: «Non parola da buttare»(48) dev'essere, Fedro, ciò che dicono i sapienti, ma si deve esaminare se le loro affermazioni sono valide. Anche per questo non bisogna lasciar cadere quanto ora è stato detto. FEDRO: Hai ragione. SOCRATE: Esaminiamolo dunque in questo modo. FEDRO: Come? SOCRATE: Se volessi persuaderti a difenderti dai nemici acquistando un cavallo, ed entrambi non conoscessimo un cavallo, ma io per caso sapessi di te solo questo, che Fedro reputa sia un cavallo quell'animale domestico che a orecchie assai grandi... FEDRO: Sarebbe ridicolo, Socrate. SOCRATE: Non ancora. Ma lo sarebbe nel caso che, per convincerti sul serio, componessi un discorso di elogio dell'asino chiamandolo cavallo e sostenendo che tale bestia è assolutamente degna di essere acquistata sia per uso domestico sia per le spedizioni militari, utile per il combattimento in groppa, valente a portare bagagli e vantaggiosa in molte altre cose. FEDRO: Allora sarebbe davvero ridicolo. SOCRATE: E non è forse meglio essere ridicolo e amico piuttosto che esperto e nemico? FEDRO: Così pare. SOCRATE: Pertanto, quando il retore che non conosce il bene e il male inizia a persuadere una città che si trova nelle sue stesse condizioni, facendo non l'elogio dell'ombra dell'asino come se fosse del cavallo, ma l'elogio del male come se fosse il bene, e presa dimestichezza con le opinioni della gente la persuade a operare il male anziché il bene, quale frutto credi che mieterà in seguito la retorica da quello che ha seminato? FEDRO: Sicuramente non buono. 14  Platone Fedro  SOCRATE: Ma buon amico, abbiamo forse svillaneggiato l'arte dei discorsi in modo più rozzo del dovuto? Essa forse dirà: «Cosa mai andate cianciando, o mirabili uomini? Io non costringo nessuno che non conosca il vero a imparare a parlare, ma, se il mio consiglio vale qualcosa, a prendere me solo dopo aver acquisito quello. Questa dunque è la cosa importante che vi voglio dire: senza di me, anche chi conosce le cose come sono in realtà non saprà essere più persuasivo secondo arte». FEDRO: E non dirà cose giuste, se parlasse così ? SOCRATE: Sì , se i discorsi che si presentano le rendono testimonianza che è un'arte. In effetti mi sembra di udire alcuni discorsi che vengono a testimoniare che essa mente e non è un'arte, ma una pratica priva di arte. Un'autentica arte del dire senza il tocco della verità, afferma lo Spartano,(49) non esiste né esisterà mai. FEDRO: C'è bisogno di questi discorsi, Socrate: su, portali qui ed esamina cosa dicono e in che modo. SOCRATE: Venite avanti, nobili rampolli, e persuadete Fedro dai bei figli (50) che se non praticherà la filosofia in modo adeguato, non sarà mai in grado di parlare di nulla. Fedro dunque risponda. FEDRO: Chiedete. SOCRATE: La retorica, in generale, non è l'arte di guidare le anime per mezzo di discorsi, non solo nei tribunali e in tutte le altre riunioni pubbliche, ma anche in quelle private, la stessa sia nelle questioni piccole sia in quelle grandi, e non è affatto di maggior pregio, almeno quando è retta, nelle cose serie che in quelle di poco conto? O come hai sentito parlare in proposito? FEDRO: No, per Zeus, assolutamente non così , ma soprattutto nei processi si parla e si scrive con arte, come pure nelle assemblee pubbliche. Non possiedo informazioni più ampie. SOCRATE: Ma allora, a proposito dei discorsi, hai sentito parlare solo delle arti di Nestore e Odisseo, che hanno messo per iscritto a Ilio nei periodi di tregua, e non di quelle di Palamede? (51) FEDRO: Per Zeus, neanche di quelle di Nestore, a meno che tu non faccia di Gorgia un Nestore, o di Trasimaco e Teodoro un Odisseo.(52) SOCRATE: Forse. Ma lasciamo perdere costoro. Tu dimmi piuttosto: nei tribunali gli avversari cosa fanno? Non fanno affermazioni tra loro contrastanti? O cosa diremo? FEDRO: Proprio questo. SOCRATE: Riguardo al giusto e all'ingiusto? FEDRO: Sì . SOCRATE: Allora, chi opera in questo modo con arte, farà apparire la stessa cosa alle stesse persone ora giusta, ora, quando lo voglia, ingiusta? FEDRO: Come no? SOCRATE: E in un'assemblea popolare farà sembrare alla città le stesse cose ora buone, ora, al contrario, cattive? FEDRO: è così . SOCRATE: E non sappiamo che il Palamede di Elea (53) parlava con un'arte tale da far apparire agli ascoltatori le stesse cose simili e dissimili, una e molte, ferme e in movimento? FEDRO: Ma certo! SOCRATE: Dunque l'arte del contraddire non si trova solo nei tribunali e nell'assemblea popolare, ma a quanto pare in tutto ciò che si dice ci sarebbe questa sola arte, se mai la è veramente, con la quale uno sarà capace di rendere ogni cosa simile a ogni altra in tutti i casi possibili e per quanto è possibile, e di mettere in luce quando un altro fa la stessa cosa e lo nasconde. FEDRO: In che senso dici una cosa del genere? 5OCRATE Se cerchiamo in questo modo credo che ci apparirà evidente. L'inganno si verifica di più nelle cose che differiscono di molto o in quelle che differiscono di pOco? FEDRO: In quelle che differiscono di poco. SOCRATE: Ma è più facile che non ti accorga di essere arrivato all'opposto se ti sposti poco per volta che se ti sposti a grandi passi. FEDRO: Come no? SOCRATE: Dunque chi ha intenzione di ingannare un altro senza essere ingannato a sua volta deve distinguere con precisione la somiglianza e la dissomiglianza degli esseri. FEDRO: è necessario. SOCRATE: Ma se ignora la verità di ciascuna cosa, sarà mai in grado di discernere la somiglianza dì ciò che ignora, piccola o grande che sia, con le altre cose? FEDRO: Impossibile. SOCRATE: Dunque, in coloro che hanno opinioni contrarie alla realtà degli esseri e si ingannano, è chiaro che questa impressione si insinua attraverso certe somiglianze. FEDRO: Accade proprio così . SOCRATE: è possibile allora che uno possieda l'arte di spostare poco a poco la realtà di un essere attraverso le somiglianze, conducendolo ogni volta da ciò che è al suo contrario, o viceversa di evitare questo, se non ha cognizione di cosa sia ciascun essere? FEDRO: Non sarà mai possibile. SOCRATE: Dunque, amico, colui che non conosce la verità, ma è andato a caccia di opinioni, ci offrirà un'arte dei discorsi ridicola, a quanto pare, e priva di arte. FEDRO: Pare di sì . 15  Platone Fedro  SOCRATE: Vuoi dunque vedere, nel discorso di Lisia che porti e in quelli che noi abbiamo fatto, qualcuna delle cose che definiamo prive di arte e conformi all'arte? FEDRO: Più d'ogni altra cosa, poiché ora noi parliamo in certo qual modo a vuoto, non avendo esempi adeguati. SOCRATE: E per un caso fortunato, a quanto pare, sono stati pronunciati due discorsi che recano un esempio di come chi conosce il vero, giocando con le parole, possa condurre fuori strada gli ascoltatori. Ed io, Fedro, ne attribuisco la causa agli dèi del luogo; ma forse anche le profetesse delle Muse, che cantano sopra la nostra testa, possono averci ispirato questo dono, poiché io non sono certo partecipe di una qualche arte del dire. FEDRO: Sia come dici tu. Solo spiega ciò che affermi. SOCRATE: Su, leggimi l'inizio del discorso di Lisia. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono...» SOCRATE: Fermati. Bisogna dire in che cosa costui sbaglia e opera senz'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Non è forse evidente per chiunque almeno questo, che siamo d'accordo su alcune di queste cose, in disaccordo su altre? FEDRO: Mi sembra di capire il tuo pensiero, ma esprimilo ancora più chiaramente. SOCRATE: Quando uno dice la parola "ferro" o "argento", non intendiamo forse tutti la stessa cosa? FEDRO: Certo! SOCRATE: E quando si tratta dei termini "giusto" e "bene"? Non siamo portati chi in una direzione, chi in un'altra, e siamo in conflitto gli uni con gli altri e persino con noi stessi? FEDRO: Proprio così ! SOCRATE: Dunque concordiamo su alcune cose, su altre no. FEDRO: è così . SOCRATE: In quale dei due campi siamo più facilmente ingannabili e la retorica ha maggior potere? FEDRO: Quello in cui vaghiamo nell'incertezza, è evidente. SOCRATE: Pertanto chi si accinge a praticare la retorica deve innanzitutto aver distinto con metodo queste cose e aver colto un carattere peculiare di entrambe le forme, quella in cui è inevitabile che la gente vaghi nell'incertezza e quella in cui non lo è. FEDRO: Chi avesse colto questo, Socrate, avrebbe compreso un'idea davvero bella. SOCRATE: Inoltre credo che, nell'occuparsi di ciascuna cosa, non debba lasciarsi sfuggire, ma debba percepire con acutezza a quale delle due specie appartiene ciò di cui intende parlare. FEDRO: Come no? SOCRATE: E allora? Dobbiamo dire che l'amore appartiene alle questioni controverse oppure no? FEDRO: Alle questioni controverse, non c'è dubbio. O credi che ti sarebbe stato possibile dire quello che poco fa hai detto su di lui, ossia che è un danno sia per l'amato sia l'amante, e al contrario che è il più grande dei beni? SOCRATE: Parli in modo eccellente; ma dimmi anche questo, giacché io a causa dell'invasamento non lo ricordo troppo bene: se all'inizio del discorso ho dato una definizione dell'amore. FEDRO: Sì , per Zeus, in modo davvero insuperabile. SOCRATE: Ahimè, quanto sono più esperte nei discorsi, a quel che dici, dici, le Ninfe dell'Acheloo e Pan figlio di Ermes rispetto a Lisia figlio di Cefalo! Può darsi che dica una sciocchezza, ma Lisia, cominciando il suo discorso sull'amore, non ci ha costretto a concepire Eros come una certa realtà unica che voleva lui, e in relazione a questo ha composto e condotto a termine tutto il discorso seguente? Vuoi che rileggiamo il suo inizio? FEDRO: Se ti sembra il caso. Tuttavia ciò che cerchi non è lì . SOCRATE: Parla, in modo che ascolti proprio lui. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia utile per noi che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo, perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione...». SOCRATE: Sembra che costui sia ben lungi dal fare ciò che cerchiamo, se mette mano al discorso non dall'inizio ma dalle fine, nuotando supino all'indietro, e prende le mosse da ciò che l'amante direbbe al suo amato quando ormai ha smesso di amarlo. Oppure ho detto una sciocchezza, Fedro, mia testa cara? FEDRO: è certamente la fine, Socrate, quella intorno a cui compone il discorso. SOCRATE: E il resto? Non ti pare che le parti del discorso siano state buttate lì alla rinfusa? O ciò che è stato detto per secondo risulta che per una qualche necessità doveva essere messo per secondo piuttosto che un altro degli argomenti trattati? A me, che non so nulla, è sembrato che lo scrittore abbia detto in maniera non rozza ciò che gli veniva in mente; e tu sei a conoscenza di una qualche arte di scrivere discorsi, in base alla quale lui ha disposto questi argomenti così di seguito, uno dopo l'altro? FEDRO: Sei troppo buono, se credi che io sia in grado di vedere nelle sue parole in modo così preciso! SOCRATE: Ma penso che tu possa dire almeno questo, che ogni discorso dev'essere costituito come un essere vivente e avere un corpo suo proprio, così da non essere senza testa e senza piedi, ma da avere le parti di mezzo e quelle estreme scritte in modo che si adattino le une alle altre e al tutto. FEDRO: Come no? 16  Platone Fedro  SOCRATE: Esamina dunque il discorso del tuo compagno, se è composto così o in altro modo, e troverai che non differisce in nulla dall'epigramma che secondo alcuni è stato scritto sulla tomba di Mida il Frigio.(54) FEDRO: Qual è questo epigramma, e cos'ha di particolare? SOCRATE: è questo qui: Vergine bronzea sono, e sto sull'avello di Mida. Fin che l'acqua scorra e alberi grandi verdeggino, stando qui sulla tomba di molte lacrime aspersa, annuncerò a chi passa che Mida qui è sepolto. Capisci senz'altro, come credo, che non c'è alcuna differenza se un verso viene recitato per primo o per ultimo. FEDRO: Tu ti fai beffe del nostro discorso, Socrate! SOCRATE: Allora lasciamolo perdere, così non ti crucci (eppure mi sembra che contenga parecchi esempi ai quali gioverebbe porre attenzione, cercando di non imitarli in alcun modo); e passiamo agli altri due discorsi. In essi, mi sembra, c'era qualcosa che per chi vuole fare indagini sui discorsi è conveniente esaminare. FEDRO: A che cosa alludi? SOCRATE: In qualche modo erano opposti: uno diceva che si deve compiacere chi ama, l'altro chi non ama. FEDRO: E con molto vigore! SOCRATE: Pensavo che tu avresti detto il vero, cioè con mania: ciò che cercavo è appunto questo. Abbiamo detto infatti che l'amore è una forma di mania. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: E che ci sono due forme di mania, una che nasce da malattie umane, l'altra che nasce da un mutamento divino delle consuete abitudini. FEDRO: Giusto. SOCRATE: Distinguendo quattro parti di quella divina in relazione a quattro dèi, abbiamo attribuito l'ispirazione mantica ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros, e abbiamo detto che la mania amorosa è la migliore. E non so come, rappresentando con immagini la passione amorosa, forse toccando da un lato un che di vero, dall'altro uscendo un po' di strada, abbiamo composto un discorso non del tutto incapace di persuadere e abbiamo levato quasi per gioco, con parole misurate e pie, un inno in forma di mito in onore di Eros, mio e tuo signore, Fedro, e protettore dei bei giovani. FEDRO: E almeno per me, un discorso davvero non spiacevole da ascoltare! SOCRATE: Prendiamo dunque in esame solo questo, come il discorso sia potuto passare dal biasimo alla lode. FEDRO: Cosa intendi dire con ciò? SOCRATE: A me pare che il resto sia stato fatto realmente per gioco; ma in alcune di queste cose dette a caso ci sono due procedimenti di cui non sarebbe spiacevole se si riuscisse a coglierne con arte la potenza. FEDRO: Quali? SOCRATE: Il primo consiste nel ricondurre le cose disperse in molteplici modi a un'unica idea cogliendole in uno sguardo d'insieme, così da definirle una per una e da chiarire ciò su cui si vuole di volta in volta insegnare. Per esempio, nel discorso fatto poco fa su Eros, una volta definito ciò che è, a prescindere se sia stato detto bene o male, è appunto grazie a questa definizione che il discorso ha acquistato chiarezza e coerenza interna. FEDRO: E dell'altro procedimento cosa dici, SOcrate? SOCRATE: Esso consiste, al contrario, nel saper dividere secondo le idee in base alle loro articolazioni naturali, senza cercar di spezzare alcuna parte, alla maniera di un cattivo macellaio; ma come i due discorsi di poco fa concepivano la dissennatezza dell'animo come un'idea unica in comune, e come da un corpo unico hanno origine membra doppie dallo stesso nome, chiamate destra e sinistra, così i due discorsi hanno considerato anche la componente della follia come un'idea per sua natura unica in noi: il primo discorso, tagliando la parte di sinistra, e poi tagliandola ancora, non ha smesso prima di aver trovato in queste divisioni un certo qual amore chiamato sinistro e di averlo a buon diritto biasimato; l'altro discorso invece ci ha condotto nella parte destra della mania e vi ha trovato un amore che ha lo stesso nome dell'altro, ma è divino, e dopo aavercelo posto innanzi lo ha elogiato come la causa dei nostri più grandi beni. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: Io, Fedro, sono amante di questi procedimenti, delle divisioni e delle unificazioni, al fine di essere in grado di parlare e di pensare; e se ritengo che qualcun altro sia per sua natura capace di guardare all'uno e ai molti, lo seguo «tenendo dietro alle sue orme come a quelle di un dio». E quelli che appunto sono in grado di fare ciò, lo sa un dio se la mia definizione è giusta o meno, fino a questo momento li chiamo dialettici. Quelli che invece hanno appreso da te e da Lisia ciò di cui si è discusso ora, dimmi tu come conviene chiamarli: o è proprio questa l'arte dei discorsi, grazie alla quale Trasimaco e gli altri sono diventati abili a parlare essi stessi e rendono tali gli altri, che vogliono coprirli di doni come dei re? FEDRO: Sono uomini regali, sì , ma non esperti delle cose che chiedi. Ma mi pare che tu dia il nome giusto a questo metodo, chiamandolo dialettico; quello della retorica invece pare ci sfugga ancora. SOCRATE: Come dici? Potrebbe forse esserci qualcosa di bello, che anche senza questi procedimenti si apprende lo stesso con arte? Né io né tu dobbiamo assolutamente disprezzarlo, ma dobbiamo appunto precisare che cos'è ciò che rimane della retorica. FEDRO: Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si trovano nei libri scritti sull'arte del dire. 17  Platone Fedro  SOCRATE: Hai fatto bene a ricordarmelo. Per primo, credo, all'inizio del discorso dev'essere pronunciato il proemio; sono queste che chiami le finezze dell'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Al secondo posto viene una narrazione seguita da testimonianze, al terzo le argomentazioni, al quarto le verosimiglianze. Poi vengono la conferma e la riconferma, così almeno credo che dica l'eccellente uomo di Bisanzio, il Dedalo dei discorsi. FEDRO: Vuoi dire il valente Teodoro? SOCRATE: Come no? E poi sia nell'accusa sia nella difesa vanno fatte una confutazione e una controconfutazione. E non tiriamo in ballo il bellissimo Eveno di Paro, che per primo trovò l'insinuazione e gli elogi indiretti; (55) alcuni sostengono che pronunciasse persino dei biasimi indiretti in poesia per esercitare la memoria (in effetti era un uomo abile). E lasceremo riposare Tisia e Gorgì a,(56) i quali videro come il verosimile sia da tenere in conto più del vero e con la forza del discorso fanno apparire grande ciò che è piccolo e piccolo ciò che è grande, vecchio ciò che è nuovo e al contrario nuovo ciò che è vecchio, e scoprirono la brevità dei discorsi e le prolissità infinite su ogni sorta di argomento? Una volta Prodico,(57) sentendo da me queste cose, scoppiò a ridere, e sostenne di aver scoperto lui solo i discorsi di cui l'arte abbisogna: né lunghi né brevi, ma misurati. FEDRO: Parole molto sagge, o Prodico. SOCRATE: E non menzioniamo Ippia? Credo che anche l'ospite eleo voterebbe con lui.(58) FEDRO: Perché no? SOCRATE: E come parleremo dei Templi alle Muse dei discorsi innalzati da Polo, ad esempio la ripetizione o il parlare per sentenze e per immagini, e dei Templi alle Muse dei nomi di cui Licimnio gli fece dono per la composizione del bello stile?(59) FEDRO: E le opere di Protagora,(60) Socrate, non erano più o meno di questo tipo? SOCRATE: Una certa Correttezza dello stile, ragazzo, e molte altre belle cose. Ma quanto ai discorsi strappalacrime sfoderati per la vecchiaia e la povertà, mi pare che l'abbia vinta per arte la potenza del Calcedonio, uomo d'altronde straordinario nel suscitare la collera nella gente e poi nell'ammansire chi aveva fatto adirare incantandolo, come soleva dire, e potentissimo nel lanciare e sciogliere calunnie in ogni modo. Sembra poi che ci sia comune accordo tra tutti sulla conclusione dei discorsi, alla quale alcuni danno il nome di riepilogo, altri un altro nome. FEDRO: Intendi il ricordare per sommi capi agli ascoltatori, alla fine del discorso, ciascuno degli argomenti trattati? SOCRATE: Intendo questo, e se tu hai qualcos'altro da aggiungere sull'arte dei discorsi... FEDRO: Cose da poco, che non vale la pena di dire. SOCRATE: Lasciamo perdere le cose di poco conto, e vediamo piuttosto in piena luce quale potenza dell'arte hanno le cose di cui abbiamo parlato, e quando. FEDRO: Una potenza davvero forte, SOcrate, almeno nelle adunanze del popolo. SOCRATE: Infatti l'hanno. Ma guarda anche tu, o esimio, se la loro trama non sembra anche te, come a me, slegata. FEDRO: Purché tu lo dimostri. SOCRATE: Allora dimmi: se uno si presentasse al tuo compagno Erissimaco o a suo padre Acumeno e dicesse loro: «Io so somministrare ai corpi farmaci tali da riscaldarli e raffreddarli, se lo voglio, e se mi pare il caso tali da farli vomitare e persino evacuare, e moltissime altre cose del genere. E dal momento che ho queste conoscenze sono convinto di essere un medico e di far diventare medico un altro a cui comunico la scienza di queste cose», cosa credi che direbbero dopo averlo ascoltato? FEDRO: Cos'altro se non chiedergli se sa anche a chi e quando bisogna fare ciascuna di queste cose, e in quale misura? SOCRATE: E se allora rispondesse: «Non lo so affatto: ma sono convinto che chi ha appreso queste conoscenze da me sia a sua volta in grado di fare ciò che chiedi»? FEDRO: Direbbero, credo, che quell'uomo è pazzo, e che crede di essere diventato un medico per aver sentito qualcosa da qualche libro o per aver usato casualmente dei farmaci, senza avere alcuna conoscenza dell'arte. SOCRATE: E se uno si presentasse a Sofocle e ad Euripide dicendo che sa comporre discorsi lunghissimi su un argomento piccolo e piccolissimi su un argomento grande, commoventi, quando lo vuole, e al contrario spaventevoli e minacciosi, e tante altre cose del genere, e che insegnando ciò crede di trasmettere il modo di comporre una tragedia? FEDRO: Credo che anche costoro, Socrate, riderebbero se uno pensa che la tragedia sia altra cosa che l'unione di questi elementi ben connessi tra loro e accordati con il tutto. SOCRATE: Però non lo rimprovererebbero con villania, credo, ma come un musico, se incontrasse un uomo che crede di essere esperto nell'armonia, perché il caso vuole che sappia come si fa a produrre il suono più acuto e quello più grave, non gli direbbe villanamente: «Disgraziato, tu sei pazzo!», ma in quanto musico gli direbbe, in modo più affabile: «Carissimo, chi vuole essere un esperto di armonia è necessario che conosca anche questo, tuttavia nulla vieta che chi ha le tue capacità non sappia neppure un poco di armonia; tu infatti conosci le nozioni necessarie e preliminari dell'armonia, non come si produce l'armonia». FEDRO: Giustissimo. SOCRATE: Allora anche Sofocle direbbe a chi si esibisse di fronte a loro che conosce i preliminari dell'arte tragica ma non il modo di comporre una tragedia, e Acumeno direbbe all'altro che conosce i preliminari della medicina, non la scienza medica. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: E cosa pensiamo che direbbero Adrasto voce di miele o Pericle, (61) se sentissero parlare degli accorgimenti che abbiamo elencato poco fa, cioè parlare conciso, parlare per immagini e tutte le altre cose che abbiamo 18  Platone Fedro  scorso affermando che erano da esaminare in piena luce? Forse per villania, come abbiamo fatto io e te, si rivolgerebbero con parole aspre e rudi a chi ha scritto queste cose e le insegna spacciandole per retorica, oppure, essendo più saggi di noi, ci lascerebbero di stucco dicendo: «Fedro e Socrate, non bisogna essere aspri, ma indulgenti, se alcuni, non essendo a conoscenza della dialettica, non hanno saputo definire cosa mai sia la retorica e in conseguenza di questa condizione, possedendo le nozioni necessarie e preliminari dell'arte, hanno creduto di averla scoperta; e impartendo queste nozioni ad altri ritengono di averli istruiti compiutamente nella retorica e presumono che i loro discepoli debbano procurarsi da sé nei discorsi la capacità di esporre ciascuna di queste cose in maniera convincente e di collegare tutto l'insieme, come se fosse opera da nulla!». FEDRO: Ma può anche darsi, Socrate, che sia proprio un qualcosa del genere cio che concerne l'arte che questi uomini insegnano e presentano per iscritto come retorica, e mi sembra che tu abbia detto il vero; ma allora come e dove ci si può procurare l'arte di colui che è veramente esperto di retorica e persuasivo? SOCRATE: Riuscire a diventare un perfetto campione della retorica, è naturale, Fedro, e forse anche necessario, che sia come negli altri campi: se per natura sei portato alla retorica, sarai un retore famoso, a patto d'aggiungervi scienza ed esercizio; ma se manchi di una di queste qualità, resterai imperfetto. Quanto poi all'arte connessa a ciò, non mi sembra che il metodo proceda nella direzione in cui vanno Lisia e Trasimaco. FEDRO: Qual è il metodo, allora? SOCRATE: Si dà il caso, carissimo, che Pericle sia stato probabilmente il più perfetto di tutti nella retorica. FEDRO: Perché? SOCRATE: Tutte le grandi arti hanno bisogno di sottigliezza e di discorsi celesti sulla natura, poiché questa elevatezza di pensiero e questa capacità di condurre tutto ad effetto sembrano provenire in qualche modo da qui. E Pericle, oltre alla buona disposizione naturale, si acquistò anche questo: imbattutosi, credo, in Anassagora,(62) uomo di tal fatta, si riempì di discorsi celesti e giunse alla natura dell'intelletto e della ragione, argomenti intorno ai quali Anassagora si diffondeva ampiamente, e da qui ricavò quello che era utile per l'arte dei discorsi. FEDRO: In che senso dici ciò? SOCRATE: Il modo di procedere dell'arte medica è lo stesso della retorica. FEDRO: E come? SOCRATE: In entrambe bisogna dividere una natura, in una quella del corpo, nell'altra quella dell'anima, se tu, non solo per esercizio e in modo empirico, ma con arte, vuoi procurare all'uno salute e vigore somministrandogli medicine e nutrimento, e trasmettere all'altra la convinzione che desidera e la virtù offrendole discorsi e occupazioni rispettose delle leggi. FEDRO: è verosimile che sia così , Socrate. SOCRATE: Ritieni dunque che sia possibile comprendere la natura dell'anima in modo degno di menzione senza conoscere la natura dell'insieme? FEDRO: Se si deve dare qualche credito a Ippocrate, che è degli Asclepiadi,(63) senza questo metodo non è possibile neanche comprendere la natura del corpo. SOCRATE: E dice bene, amico; tuttavia bisogna confrontare il discorso con quanto afferma Ippocrate ed esaminare se si accorda. FEDRO: Certamente. SOCRATE: Allora esamina cosa dicono sulla natura Ippocrate e il discorso vero. Non bisogna forse ragionare così riguardo alla natura di qualsiasi cosa? Innanzitutto si deve considerare se ciò in cui vorremo essere esperti noi stessi e in grado di rendere tale un altro sia semplice o multiforme; poi, se è semplice, si deve esaminare quale potenza ha per sua natura nell'agire e su che cosa la esercita, o quale potenza ha nel subire e da che cosa la subisce, se invece ha più forme bisogna enumerarle e vedere per ciascuna di esse ciò che si vede per un'unità, cioè in virtù di che cosa è portata per sua natura ad agire e su che cosa, o in virtù di che cosa a subire, che cosa e da che cosa. FEDRO: Può essere, Socrate. SOCRATE: Dunque il metodo privo di questi procedimenti somiglierebbe all'andare di un cieco. Chi invece persegue con arte una qualsiasi cosa non è da rassomigliare a un cieco o a un sordo, ma è chiaro che, se uno vuol trasmettere ad altri discorsi fatti con arte, dimostrerà puntualmente l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i suoi discorsi; e questo sarà in qualche modo l'anima. FEDRO: Come no? SOCRATE: Perciò tutto il suo sforzo è teso a questo, poiché in questo cerca di produrre persuasione. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: è chiaro dunque che Trasimaco e chiunque altro offra seriamente l'arte della retorica, innanzitutto descriverà e farà vedere con la massima precisione l'anima, se per sua natura è una e tutta uguale o multiforme come l'aspetto del corpo; diciamo infatti che questo è dimostrare la natura di una cosa. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: In secondo luogo, in virtù di che cosa è per sua natura portata ad agire, e su cosa, o in virtù di che cosa è portata a subire, e da che cosa. FEDRO: Come no? SOCRATE: In terzo luogo, classificati i generi dei discorsi e dell'anima e le loro proprietà, passerà in rassegna tutte le cause, adattando ciascun genere di discorso a ciascun genere di anima e insegnando quale anima, da quali discorsi e per quale causa viene di necessità persuasa, quale invece non viene persuasa. 19  Platone Fedro  FEDRO: Sarebbe bellissimo se fosse così , a quanto pare! SOCRATE: Pertanto, caro, ciò che verrà dimostrato o detto in altro modo non sarà mai detto o scritto con arte, né su questo né su un altro argomento. Ma quelli che oggi scrivono le arti dei discorsi che tu hai ascoltato sono scaltri, e pur conoscendo molto bene l'anima sono portati a dissimulare; perciò, prima che parlino e scrivano in questo modo, non lasciamoci convincere da loro, credendo che scrivano con arte. FEDRO: Qual è questo modo? SOCRATE: Già usare le espressioni appropriate non è cosa facile; ma per quanto mi è possibile voglio dirti come bisogna scrivere, se si intende farlo con arte. FEDRO: Dillo dunque. SOCRATE: Poiché la forza del discorso sta nella guida delle anime, chi vuole essere esperto di retorica è necessario che sappia quante forme ha l'anima. Esse sono tantissime e di svariate qualità, e di conseguenza alcuni uomini sono di un certo tipo, altri di un altro; e dato che le forme dell'anima risultano così divise, a loro volta sono tantissime anche le forme dei discorsi, ciascuna di tipo diverso. Per questo motivo gli uomini di un certo tipo si lasciano facilmente persuadere da discorsi di un certo tipo su determinati argomenti, mentre gli uomini di un altro tipo, sempre per questo motivo, sono difficili da persuadere. Perciò chi vuole diventare retore deve innanzitutto tenere in adeguata considerazione queste cose, poi, osservando il loro modo di essere e di operare all'atto pratico, dev'essere in grado di seguirle acutamente con le sue facoltà intellettive, altrimenti non avrà mai niente più dei discorsi che ascoltava quando frequentava un maestro. E quando sappia dire in modo adeguato quale genere di uomo viene persuaso e da quali discorsi, e sia in grado di accorgersi della sua presenza e di provare a se stesso che si tratta di quell'uomo e di quella natura sulla quale vertevano a suo tempo i discorsi, e poiché ora è di fatto presente deve riferirle questi discorsi nella maniera prevista, per persuaderla di determinate cose, una volta che dunque sia in possesso di tutti questi requisiti, sappia cogliere i momenti giusti in cui bisogna parlare e quelli in cui bisogna trattenersi e sappia discernere l'opportunità e l'inopportunità del parlare conciso, commovente o indignato e di tutte le altre forme di discorso che ha appreso, allora l'arte è realizzata in modo bello e compiuto, prima no. Ma se uno manca di una qualsiasi di queste cose quando parla, insegna o scrive, e afferma di parlare con arte, vince chi non si lascia persuadere. «E allora?», dirà forse il nostro scrittore. «Fedro e Socrate, la pensate così? Dobbiamo forse definire in altro modo l'arte che è detta dei discorsi?». FEDRO: è impossibile in altro modo, Socrate; eppure sembra un lavoro non da poco. SOCRATE: Hai ragione. Proprio per questo bisogna rivoltare tutti i discorsi sottosopra ed esaminare se da qualche parte appare una via più facile e più breve per giungere ad essa, così da non procedere inutilmente per una via lunga e aspra, quando è possibile percorrerne una corta e liscia. Ma se hai da qualche parte un aiuto, per averlo ascoltato da Lisia o da qualcun altro, cerca di richiamarlo alla memoria e di dirlo. FEDRO: Così , per fare una prova, potrei, ma non me la sento, almeno adesso. SOCRATE: Vuoi dunque che io riferisca un discorso che ho ascoltato da alcuni che si occupano di queste cose? FEDRO: Perché no? SOCRATE: D'altronde, Fedro, si dice che è giusto riferire anche le ragioni del lupo. FEDRO: Allora fa' così anche tu. SOCRATE: Dunque, essi sostengono che non si devono magnificare e levare così in alto queste cose, con tanti giri di parole; infatti, come abbiamo detto anche all'inizio del discorso, chi intende essere sufficientemente esperto nella retorica non deve certo partecipare della verità circa questioni giuste e buone, o uomini tali per natura o per educazione, poiché nei tribunali non importa proprio niente a nessuno della verità su queste cose, ma importa solo ciò ch'è atto a persuadere: è il verosimile, a cui si deve applicare chi intende parlare con arte. Talvolta infatti non bisogna neanche esporre i fatti, a meno che non si siano svolti in maniera verosimile, ma solo quelli verosimili, sia nell'accusa sia nella difesa, e in genere chi parla deve seguire il verosimile, dopo aver detto tanti saluti alla verità; poiché è appunto questo che, se percorre l'intero discorso, procura tutta quanta l'arte. FEDRO: Hai esposto, Socrate, proprio le ragioni che adducono quelli che danno a vedere di essere esperti nell'arte dei discorsi; mi sono ricordato che già in precedenza abbiamo toccato brevemente tale argomento, e sembra che ciò sia di enorme importanza per chi si occupa di queste cose. SOCRATE: Sicuramente hai studiato con precisione proprio Tisia: quindi Tisia ci dica anche questo, se per verosimile intende qualcosa di diverso da ciò che sembra ai più. FEDRO: E che altro? SOCRATE: E avendo fatto questa scoperta, a quanto pare, di saggezza e d'arte insieme, ha scritto che se un uomo debole e coraggioso, che ha percosso un uomo forte e vile e gli ha portato via il mantello o qualcos'altro, viene condotto in tribunale, nessuno dei due deve dire la verità, ma il vile deve asserire di non essere stato percosso dal solo uomo coraggioso, questi deve confutare ciò ribattendo che erano loro due soli, e servirsi del seguente argomento: «Come avrei potuto io, data la mia condizione, mettere le mani addosso a una persona come lui?». L'altro non ammetterà la propria viltà, ma cercando di dire qualche altra menzogna offrirà subito materia di confutazione all'avversario. E anche negli altri campi le cose dette con arte sono più o meno di questo genere. Non è così , Fedro? FEDRO: Come no? SOCRATE: Ahimè, sembra che abbia fatto la scoperta davvero sensazionale di un'arte nascosta, Tisia o chiunque altro sia e da qualunque luogo si compiaccia di trarre il nome! Ma a costui, amico, dobbiamo dire o no... FEDRO: Cosa? 20  Platone Fedro  SOCRATE: Questo: «O Tisia, da tempo noi, prima ancora che tu venissi qui, ci trovavamo a dire che questo verosimile viene a nascere nei più per somiglianza col vero; e poco fa abbiamo spiegato che chi conosce la verità sa scoprire benissimo le somiglianze. Perciò, se hai qualcos'altro da dire sull'arte dei discorsi, lo ascolteremo; altrimenti daremo credito a ciò che abbiamo esposto or ora, cioè che se uno non enumererà le nature di coloro che lo ascolteranno, e non sarà in grado di dividere gli esseri secondo le forme e di raccoglierli uno per uno in un'idea, non sarà mai esperto nell'arte dei discorsi, per quanto è possibile a un uomo. E non potrà mai acquisire queste capacità senza molta applicazione; ad essa il sapiente dovrà indirizzare i suoi sforzi non per parlare e agire con gli uomini, ma per poter dire cose che siano gradite agli dèi e fare ogni cosa in modo a loro gradito, per quanto è nelle sue facoltà. Infatti i più saggi tra noi, Tisia, dicono che chi ha intelletto deve prendersi cura di compiacere non i compagni di schiavitù, se non in modo accessorio, ma i padroni buoni e che discendono da uomini buoni. Perciò, se la strada è lunga, non meravigliartene, in quanto per raggiungere grandi traguardi bisogna percorrerla, non come credi tu. D'altronde, come dice il nostro discorso, anche queste fatiche diventeranno bellissime grazie a quei traguardi, se uno lo vuole». FEDRO: Mi pare che si stia parlando in modo bellissimo, Socrate, se davvero qualcuno ne è capace. SOCRATE: Ma per chi intraprende azioni belle è bello anche soffrire, qualunque cosa gli tocchi di soffrire. FEDRO: Sicuro. SOCRATE: Quanto si è detto a proposito dell'arte e della mancanza di arte nel fare discorsi sia dunque sufficiente. FEDRO: Come no? SOCRATE: Rimane la questione della convenienza e della non convenienza della scrittura, quando essa vada bene e quando invece sia sconveniente. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: Sai allora come, nell'ambito dei discorsi, potrai acquistarti il massimo favore di un dio con le tue azioni e le tue parole? FEDRO: Per niente. E tu? SOCRATE: Io posso raccontarti una storia tramandata dagli antichi; il vero essi lo sanno. E se noi lo trovassimo da soli, ci importerebbe ancora qualcosa delle opinioni degli uomini? FEDRO: Hai fatto una domanda ridicola! Ma racconta ciò che dici di aver udito. SOCRATE: Ho sentito dunque raccontare che presso Naucrati, in Egitto, (64) c'era uno degli antichi dèi del luogo, al quale era sacro l'uccello che chiamano ibis; il nome della divinità era Theuth.(65) Questi inventò dapprima i numeri, il calcolo, la geometria e l'astronomia, poi il gioco della scacchiera e dei dadi, infine anche la scrittura. Re di tutto l'Egitto era allora Thamus e abitava nella grande città della regione superiore che i Greci chiamano Tebe Egizia, mentre chiamano il suo dio Ammone.(66) Theuth, recatosi dal re, gli mostrò le sue arti e disse che dovevano essere trasmesse agli altri Egizi; Thamus gli chiese quale fosse l'utilità di ciascuna di esse, e mentre Theuth le passava in rassegna, a seconda che gli sembrasse parlare bene oppure no, ora disapprovava, ora lodava. Molti, a quanto si racconta, furono i pareri che Thamus espresse nell'uno e nell'altro senso a Theuth su ciascuna arte, e sarebbe troppo lungo ripercorrerli; quando poi fu alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa è stato trovato il farmaco della memoria e della sapienza». Allora il re rispose: «Ingegnosissimo Theuth, c'è chi sa partorire le arti e chi sa giudicare quale danno o quale vantaggio sono destinate ad arrecare a chi intende servirsene. Ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di quello che essa vale. Questa scoperta infatti, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà nell'anima di coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della scrittura ricorderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di dentro e da se stessi; perciò tu hai scoperto il farmaco non della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza, non la verità: ascoltando per tuo tramite molte cose senza insegnamento, crederanno di conoscere molte cose, mentre per lo più le ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, poiché sono divenuti portatori di opinione anziché sapienti». FEDRO: Socrate, tu pronunci con facilità discorsi egizi e di qualsiasi paese tu voglia! SOCRATE: E pensa che alcuni, mio caro, hanno asserito che i primi discorsi profetici nel tempio di Zeus a Dodona venivano da una quercia! Agli uomini di allora, dato che non erano sapienti come voi giovani, bastava, nella loro semplicità, ascoltare una quercia o una roccia, purché dicessero il vero; ma forse per te fa differenza chi è colui che parla e da dove viene. Non miri infatti solamente a questo, se le cose stanno così o diversamente? FEDRO: Hai colto nel segno, e mi sembra che riguardo alla scrittura le cose stiano come dice il re di Tebe. SOCRATE: Allora chi crede di tramandare un'arte con la scrittura, e chi a sua volta la riceve nella convinzione che dalla scrittura deriverà qualcosa di chiaro e di saldo, dev'essere ricolmo di molta ingenuità e ignorare realmente il vaticinio di Ammone, se pensa che i discorsi scritti siano qualcosa in più del riportare alla memoria di chi già sa ciò su cui verte lo scritto. FEDRO: Giustissimo. SOCRATE: Poiché la scrittura, Fedro, ha questo di potente, e, per la verità, di simile alla pittura. Le creazioni della pittura ti stanno di fronte come cose vive, ma se tu rivolgi loro qualche domanda, restano in venerando silenzio. La medesima cosa vale anche per i discorsi: tu potresti anche credere che parlino come se avessero qualche pensiero loro proprio, ma se domandi loro qualcosa di ciò che dicono coll'intenzione di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e 21  Platone Fedro  solo identico. E, una volta che è scritto, tutto quanto il discorso rotola per ogni dove, finendo tra le mani di chi è competente così come tra quelle di chi non ha niente da spartire con esso, e non sa a chi deve parlare e a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato ingiustamente ha sempre bisogno dell'aiuto del padre, poiché non è capace né di difendersi da sé né di venire in aiuto a se stesso. FEDRO: Anche queste tue parole sono giustissime. SOCRATE: E allora? Vogliamo considerare un altro discorso, fratello legittimo di questo, in che modo nasce e quanto è per sua natura migliore e più potente di questo? FEDRO: Qual è questo discorso e come, secondo te, nasce? SOCRATE: è quello che viene scritto mediante la conoscenza nell'anima di chi apprende; esso è in grado di difendersi da sé, e sa con chi bisogna parlare e con chi tacere. FEDRO: Intendi il discorso vivente e animato di chi sa, del quale quello scritto si può a buon diritto definire un'immagine. SOCRATE: Per l'appunto. Ora dimmi questo: l'agricoltore che ha senno pianterebbe seriamente d'estate nei giardini di Adone (67) i semi che gli stessero a cuore e da cui volesse ricavare frutti; e gioirebbe a vederli crescere belli in otto giorni, o farebbe ciò per gioco e per la festa, quand'anche lo facesse? E riguardo invece a quelli di cui si è preso cura sul serio servendosi dell'arte dell'agricoltura e seminandoli nel luogo adatto, sarebbe contento che quanto ha seminato giungesse a compimento in otto mesi? FEDRO: Farebbe così , Socrate: sul serio per gli uni, diversamente per gli altri, come tu dici. SOCRATE: Dovremo dire che chi possiede la scienza delle cose giuste, belle e buone abbia meno senno dell'agricoltore con le sue sementi? FEDRO: Nient'affatto. SOCRATE: Allora non le scriverà seriamente nell'acqua nera, seminandole attraverso la canna assieme a discorsi incapaci di difendersi da sé con la parola, e incapaci di insegnare in modo adeguato la verità. FEDRO: No, almeno non è verosimile. SOCRATE: Infatti non lo è. Ma a quanto pare seminerà e scriverà i giardini di scrittura per gioco, quando li scriverà, serbando un tesoro da richiamare alla memoria per se stesso, nel caso giunga «alla vecchiaia dell'oblio»,(68) e per chiunque segua la sua stessa orma, e gioirà a vederli crescere teneri. E quando gli altri faranno altri giochi, ristorandosi nei simposi e in tutti i divertimenti fratelli di questi, egli allora, a quanto pare, invece che in essi passerà la vita a dilettarsi in ciò di cui parlo. FEDRO: è un gioco molto bello quello che dici, Socrate, rispetto all'altro che è insulso: il gioco di chi sa divertirsi coi discorsi, narrando storie sulla giustizia e sulle altre cose di cui parli. SOCRATE: Così è in effetti, caro Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa, credo, molto più bello quando uno, facendo uso dell'arte dialettica, prende un'anima adatta, vi pianta e vi semina discorsi accompagnati da conoscenza, che siano in grado di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e non siano infruttiferi, ma abbiano una semenza dalla quale nascano nell'indole di altri uomini altri discorsi capaci di rendere questa semenza immortale, facendo sì che chi la possiede sia felice quanto più è possibile per un uomo. FEDRO: Ciò che dici è molto più bello. SOCRATE: Ora che siamo d'accordo su questo, Fedro, possiamo giudicare quelle altre questioni. FEDRO: Quali? SOCRATE: Quelle che volevamo indagare e per le quali siamo arrivati a questo punto, ossia esaminare il rimprovero rivolto a Lisia circa lo scrivere i discorsi e i discorsi stessi, quali fossero scritti con arte e quali senz'arte. Ciò che è conforme all'arte e ciò che non lo è mi sembra che sia stato chiarito opportunamente. FEDRO: Così almeno mi è parso: ma ricordami ancora una volta come abbiamo detto. SOCRATE: Se prima uno non conosce il vero riguardo a ciascun argomento su cui parla o scrive e non è in grado di definire ogni cosa in se stessa, e una volta che l'ha definita non sa dividerla secondo le sue specie fino ad arrivare a ciò che non è più divisibile, quindi, dopo aver scrutato a fondo allo stesso modo la natura dell'anima, trovando la specie adatta a ciascuna natura non dispone e regola il discorso secondo questo procedimento, offrendo discorsi variegati a un'anima variegata e dalla piena armonia, discorsi semplici a un'anima semplice, non sarà possibile, per quanto è conforme a natura, maneggiare con arte la stirpe dei discorsi né per insegnare né per persuadere, come il discorso fatto in precedenza ci ha chiaramente indicato. FEDRO: Risulta in tutto e per tutto così . SOCRATE: Riguardo poi alla questione se sia bello o turpe pronunciare e scrivere discorsi, e quando un rimprovero sia rivolto giustamente oppure no, non ha forse chiarito ciò che abbiamo detto poco fa... FEDRO: Cosa abbiamo detto? SOCRATE: Che se Lisia o altri ha mai scritto o scriverà su argomenti d'interesse privato o pubblico, proponendo leggi o scrivendo un'opera politica, nella convinzione che in ciò vi sia una grande solidità e chiarezza, allora il biasimo ricade su chi scrive, che lo si dica o meno: poiché il non distinguere realtà e sogno in ciò che è giusto e ingiusto, male e bene, non può davvero evitare di essere riprovevole, quand'anche tutta la gente lo apprezzasse. FEDRO: No di certo. SOCRATE: Chi invece ritiene che nel discorso scritto su qualsiasi argomento vi sia necessariamente molto gioco e che nessun discorso con pregio di grande serietà sia mai stato scritto né in versi né in prosa (e neanche pronunciato, come i discorsi dei rapsodi che sono recitati senza essere sottoposti a vaglio e non mirano a insegnare, ma a persuadere), 22  Platone Fedro  ma che i migliori di essi siano realmente un mezzo per aiutare la memoria di chi già conosce l'argomento, e ritiene che solo nei discorsi sul giusto, sul bello e sul bene, pronunciati come insegnamento allo scopo di far apprendere e scritti realmente nell'anima, vi sia chiarezza, compiutezza e pregio di serietà; e inoltre è convinto che discorsi tali debbano essere detti suoi come se fossero figli legittimi, innanzitutto quello che reca in sé, nel caso si trovi che lo possiede, poi quelli che discendenti e fratelli di questo, sono nati allo stesso modo nell'anima di altri uomini secondo il loro valore, e ai rimanenti manda tanti saluti; bene, un uomo siffatto, Fedro, è probabile che sia tale quale tu e io ci augureremmo di diventare. FEDRO: Io voglio e mi auguro in tutto e per tutto ciò che dici. SOCRATE: Dunque, per quanto riguarda i discorsi, ormai abbiamo scherzato abbastanza: tu ora va' da Lisia e digli che noi due siamo discesi alla fonte e al santuario delle Ninfe e abbiamo ascoltato dei discorsi che ci ordinavano di riferire a Lisia e a chi altri componga discorsi, a Omero e a chi altri abbia composto poesia epica o lirica, e in terzo luogo a Solone e a chiunque nei discorsi politici abbia scritto dei testi con il nome di leggi, quanto segue: se ha composto queste opere sapendo com'è il vero e può soccorrerle quando ciò che ha scritto viene messo alla prova, e quando parla è in grado egli stesso di dimostrare la debolezza di quanto è stato scritto, una persona del genere non deve essere chiamato col nome di costoro, ma con un nome derivato da ciò a cui si è dedicato con serietà. FEDRO: Quale nome gli assegni dunque? SOCRATE: Chiamarlo sapiente, Fedro, mi sembra che sia cosa troppo grande e che si addica solo a un dio; chiamarlo invece filosofo o con un nome del genere sarebbe a lui più adatto e conveniente. FEDRO: E niente affatto fuori luogo. SOCRATE: Chi invece non possiede cose di maggior pregio di quelle che ha composto e ha scritto, rivoltandole su e giù per lungo tempo, incollandole l'una con l'altra o separandole, non lo dirai a buon diritto poeta o autore di discorsi o scrittore di leggi? FEDRO: Come no? SOCRATE: Riferisci dunque questo al tuo compagno! FEDRO: E tu? Cosa farai? Non bisogna lasciare da parte neanche il tuo compagno. SOCRATE: Chi è costui? FEDRO: Isocrate (69) il bello. Cosa riferirai a lui, Socrate? Come lo definiremo? SOCRATE: Isocrate è ancora giovane, Fedro: tuttavia voglio dire ciò che prevedo di lui. FEDRO: Che cosa? SOCRATE: Mi sembra che per doti naturali sia migliore a confronto dei discorsi di Lisia, e che inoltre sia temperato di un'indole più nobile. Perciò non ci sarebbe affatto da meravigliarsi se, col procedere dell'età, proprio grazie ai discorsi cui ora pone mano superasse più che se fossero fanciulli quanti mai si sono dedicati ai discorsi, e se inoltre questo non gli bastasse, ma uno slancio divino lo spingesse a cose ancora più grandi; giacché nell'animo di quell'uomo, caro amico, c'è una forma naturale di filosofia. Pertanto io riferisco queste cose da parte di questi dèi al mio amato Isocrate, tu fa' sapere quelle altre al tuo Lisia. FEDRO: Sarà così . Ma andiamo, poiché anche la calura si è fatta più mite. SOCRATE: Non conviene rivolgere una preghiera a questi dèi prima di metterci in cammino? FEDRO: Come no? SOCRATE: O caro Pan e voi altri dèi di questo luogo, concedetemi di diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di fuori sia in accordo con ciò che ho nell'intimo. Che io consideri ricco il sapiente e possegga tanto oro quanto nessun altro, se non chi è temperante, possa prendersi e portar via.(70) Abbiamo bisogno di qualcos'altro, Fedro? Da parte mia si è pregato in giusta misura. FEDRO: Fa' questo augurio anche per me; le cose degli amici sono comuni. SOCRATE: Andiamo! 23  Platone Fedro  NOTE: 1) Celebre oratore ateniese vissuto tra il quinto e il quarto secolo a.C., di cui restano 34 orazioni giudiziarie. Il discorso sull'amore che gli viene attribuito nel dialogo è probabilmente fittizio. Il padre Cefalo, originario della Sicilia, aveva una fabbrica d'armi al Pireo; nella sua casa è ambientata la Repubblica. 2) Noto medico dell'epoca. 3) Epicrate era un oratore democratico; Morico, forse il proprietario precedente della casa, era un cittadino ateniese che per le sue ricchezze e il suo lusso divenne frequente bersaglio dei poeti comici. 4) Pindaro, Isthmia 2. 5) Erodico di Megara, divenuto poi cittadino di Selimbria, era un medico famoso per il suo regime di vita "salutistico"; Platone lo menziona anche nella Repubblica e nel Protagora. 6) I Coribanti erano i sacerdoti della dea Cibele, i cui culti erano caratterizzati da una forte valenza orgiastica. 7) Piccolo fiume che scorre vicino ad Atene. 8) Il dialogo è immaginato in piena estate, a mezzogiorno. 9) Borea, vento del nord, rapì Orizia, figlia di Eretteo, re di Atene; in cambio concesse agli Ateniesi il suo favore nelle battaglie navali. Farmacea, citata poco sotto, era una ninfa cui era sacra la fonte dell'Ilisso. 10) Demo dell'Attica. 11) Letteralmente 'colle di Ares', era un'altura in Atene dove aveva sede il più antico tribunale della città, formato dagli arconti usciti di carica. 12) Sono tutti esseri mitologici. Gli Ippocentauri o Centauri, nati dall'unione di Issione con una nube, erano metà uomo e metà cavallo. La Chimera era un mostro con tre teste, una di leone, una di capra spirante fuoco, una di serpente. Le Gorgoni, mostri marini, erano Steno, Euriale e Medusa; le prime due erano immortali, mentre Medusa, che aveva il potere di pietrificare con lo sguardo, era mortale e fu uccisa da Perseo. Pegaso era il cavallo alato nato dal sangue della testa di Medusa tagliata da Perseo; con il suo aiuto Bellerofonte uccise la Chimera. 13) «Conosci te stesso» era appunto il precetto scritto nel tempio di Apollo a Delfi. 14) Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del Tartaro, era un drago dalle molte teste che emettevano fumo e fiamme; al termine di una dura lotta Zeus lo fulminò e lo scagliò sotto l'Etna. Il suo mito è ricordato in Esiodo, Theogonia 820 seguenti. Da Tifone ha avuto origine il nome comune indicante un vento caldo portatore di tempeste. Nel testo greco c'è un gioco di parole, intraducibile in italiano, con il quale Tifone viene paretimologicamente accostato al participio di "túpho" ('fumare', 'bruciare') e, tramite l'aggettivo privativo "atuphos" a "tuphos" ('vanità', 'orgoglio', superbia'). Nel dialogo Platone fa uso più volte di simili giochi verbali, impossibili da mantenere nella traduzione, per creare paretimologie. 15) Alle Ninfe, divinità dei boschi e dei fiumi, Socrate in seguito attribuirà il dono dell'ispirazione. Acheloo, oltre ad essere un fiume della Grecia centrale, era anche dio dei fiumi. 16) Una locuzione simile ricorre in Omero, Iliade libro 8, verso 281. 17) Saffo è la famosa poetessa lirica di Lesbo vissuta tra il settimo e il sesto secolo a.C., autrice di carmi soprattutto d'amore omoerotico, divisi dagli Alessandrini in nove libri; di essi ci sono pervenuti un'ode intera, una quasi completa e parecchi frammenti di varia lunghezza. Anacreonte di Teo, lirico monodico del sesto secolo, fu autore tra l'altro di poesie amorose dal tono leggero, di cui restano pochi frammenti. Non è invece possibile sapere a quali autori in prosa si allude nel passo. 18) Gli arconti ateniesi, al momento di entrare in carica, giuravano che se avessero trasgredito le leggi di Solone avrebbero innalzato a Delfi una statua d'oro della loro grandezza e peso. 19) Cipselo fu tiranno di Corinto nel sesto secolo e fondò una dinastia di tiranni. L'offerta votiva cui si allude era forse una statua. 20) Immagine derivata dalla lotta: Fedro intende che Socrate a sua volta ha offerto il fianco a una critica. 21) Pindaro, frammento 105 Snell-Maehler (citato anche in Meno). 22) Il testo greco gioca sull'assonanza tra "ligús", 'dalla voce melodiosa', e "ligús" 'Ligure' (con lambda maiuscolo). Questo gioco paretimologico è probabilmente alla base della leggenda secondo cui i Liguri erano amanti del canto. 23) Socrate istituisce un nesso paretimologico tra "èros" e "róme" ('forza'). 24) Il ditirambo, componimento lirico corale associato al culto di Dioniso, ai tempi di Platone era in piena decadenza. Qui il termine ha una connotazione negativa, indicando una forma di invasamento non ispirata da "mania" divina, e quindi non mediata dal logos. 25) L'immagine è ricavata da un gioco fatto con un coccio (óstrakon), nero da una parte e bianco dall'altra; i giocatori, divisi in due squadre, sceglievano un colore e a seconda di quello che risultava lanciando il coccio dovevano fuggire o inseguire. La metafora significa che l'amante, prima inseguitore, ora fugge l'amato. 26) Simmia, prima pitagorico, poi discepolo di Socrate, è uno degli interlocutori del Fedone. 27) Ibico, frammnto 310, Page. Poeta lirico corale del sesto secolo a.C., di lui restano un'ode e pochi frammenti. 28. Stesicoro, poeta lirico corale, visse nel sesto secolo a.C. Secondo una leggenda perse la vista per aver accusato Elena di infedeltà in un carme omonimo e la riacquistò per aver scritto la Palinodia (la 'Ritrattazione'), in cui sosteneva che Paride non aveva portato a Troia la vera Elena, ma un fantasma con le sue sembianze; questa versione del mito fu ripresa da Euripide nell'Elena. Omero invece, non avendo fatto la stessa cosa, rimase cieco. Allo stesso modo Socrate pronuncerà una ritrattazione del discorso precedente su Eros, nella quale solleverà il dio dalle accuse che gli aveva mosso. 24  Platone Fedro  29) A Delfi, in Beozia, c'era il più famoso santuario di Apollo, che dava i responsi per bocca della sua sacerdotessa, la Pizia; a Dodona, nell'Epiro, c'era un santuario di Zeus. 30) Questo nome designava in origine una, in seguito più sacerdotesse di Apollo, di cui era nota l'ambiguità dei responsi; la più celebre era la Sibilla di Cuma, in Campania. 31) L'arte divinatoria, in greco "mantike", viene fatta derivare da "manikos" cioè 'affetto da mania'; il composto "oionoistike", di invenzione platonica, viene ricondotto a "oieris" ('opinione', 'credenza'), e accostato a "oionistike", ovvero l'"arte di trarre gli auspici" dal volo degli uccelli. Il gioco paretimologico, di cui si è provato a rendere ragione nella traduzione, è importante in quanto è funzionale al rovesciamento della tesi sostenuta da Lisia. 32) è il celebre mito dell'anima come una biga alata, metafora complessa e non facile da interpretare. Se infatti l'auriga rappresenta palesemente la ragione, non è del tutto chiaro il significato dei due cavalli; è poco soddisfacente l'interpretazione tradizionale, secondo cui il cavallo nero rappresenterebbe l'anima concupiscibile, quello bianco l'anima impulsiva, e l'intera immagine sarebbe da intendere come la tripartizione dell'anima che Platone teorizza nella Repubblica (libri 4 e 9). Infatti nel Timeo si dice che anima concupiscibile e anima impulsiva sono mortali, mentre qui i due cavalli fanno parte proprio della struttura dell'anima immortale, come prova anche il fatto che essi si nutrono di nettare e ambrosia, cibo e bevanda degli dèi, e che tale struttura è comune sia all'anima umana sia a quella divina. è preferibile pensare che i cavalli indichino due componenti opposte connaturate comunque all'anima immortale, che l'auriga ha la funzione di conciliare per trovare un equilibrio. 33) Estia, dea del focolare, nella cosmologia antica veniva identificata col centro dell'universo, che era immobile; per questo essa, unica tra gli dèi, non viaggia per il cielo. Le divinità che guidano le dodici schiere sono probabilmente quelle olimpiche. 34) L'Iperuranio, il luogo 'oltre il cielo', è il mondo delle Idee. Luogo metafisico, immagine della sfera dell'intelligibile che nella sua immutabilità trascende la realtà sensibile, esso è raggiungibile solo dell'anima. 35) Adrastea, letteralmente 'l'inevitabile', in questo caso è una personificazione del destino; in Repubblica (libro 5) impersonifica invece la vendetta. Viene qui esposto il destino escatologico delle anime e la teoria della metempsicosi, argomento che ha una più ampia trattazione con il mito di Er nel libro decimo della Repubblica. Nel Fedro l'assegnazione della vita futura è strettamente determinata dalla misura in cui le anime hanno contemplato la pianura della verità prima di tornare sulla terra, poiché ad esso corrisponde il grado di verità connesso alla vita in cui si reincarnano. 36) Altro gioco verbale basato su una paretimologia il termine "imeros" ('desiderio'), collegato per assonanza ad Eros, viene fatto derivare da i-, radice di "eiri" ('andare'), "mer-" radice di "méros" ('parte'), "ro-", radice di "roé" ('flusso'). 37. Gli Omeridi erano una scuola di aedi nell'isola di Chio che la tradizione voleva fondata dallo stesso Omero. Invenzione platonica sono sia i poemi segreti cui si allude ironicamente sia i due versi citati, nei quali c'è un gioco di parole tra "Eros" e Ptéros" (epiteto scherzosamente coniato da "pterós" ('alato'), probabilmente suggerito da quei passi omerici (Iliade libro 1, versi 403-404; libro 14, verso 291; libro 20, verso 74) in cui si dice che gli dèi chiamano le cose in modo diverso dagli uomini. 38) è impossibile conservare nella traduzione il gioco tra il genitivo "Diós" ('di Zeus') e l'aggettivo "dios", solitamente reso con 'splendente' o 'divino'. 39) Le Baccanti o Menadi erano le sacerdotesse di Dioniso. 40) Zeus, innamorato di Ganimede, bellissimo fanciullo frigio, in forma di aquila lo rapì sull'Olimpo, e ne fece il coppiere degli dèi. Per il gioco linguistico su "imeros", la nota 36. 41) L'espressione significa che né la temperanza umana esaltata da Lisia, né la follia divina di per sé bastano a costruire una scienza nel senso pieno del termine, ma occorre una giusta mescolanza delle due cose; questo, in ultima analisi, può essere il senso del mito della biga alata. L'immagine agonistica, più che a tre differenti gare, allude probabilmente al fatto che per vincere nella lotta bisognava atterrare l'avversario tre volte. 42) Figlio di Cefalo e fratello di Lisia, fu vittima delle persecuzioni politiche sotto i Trenta tiranni. 43) Ad Atene la frequenza dei processi e l'assenza del patrocinio legale, che obbligava l'accusatore o l'accusato a parlare personalmente in giudizio, avevano fatto nascere la professione del logografo ('scrittore di discorsi'), che preparava su commissione i testi da pronunciare in tribunale; le orazioni di Lisia sono appunto la testimonianza della sua attività di logografo. Il termine ha nel contesto una connotazione negativa, tanto da essere poco sotto equiparato a sofista. Il parallelo ritorna più avanti, dove si allude ai compensi che i sofisti chiedevano per i loro insegnamenti. 44) L'espressine, un po' enigmatica, significa probabilmente che da una cosa semplice ne è derivata una difficile. 45) Figura storicamente indeterminata, Licurgo fu, secondo la tradizione, il legislatore di Sparta. Uomo politico e poeta, annoverato tra i sette saggi, Solone attuò, durante il suo arcontato (594-593 a.C.), una riforma dello stato ateniese che prevedeva la divisione dei cittadini in classi in base al censo. Dario primo, re di Persia dal 521 al 485 a.C., fu il promotore della prima guerra greco-persiana. 46) Il mito che segue è probabilmente creazione platonica. Il canto delle cicale è metafora dell'ispirazione a comporre discorsi ma anche del rischio, da parte dell'ascoltatore, di lasciarsene ammaliare senza sottoporli a vaglio critico, un atteggiamento passivo che le cicale stesse, intermediarie tra gli uomini e le Muse, non approvano. 47) Sulla scia del catalogo esiodeo (Theogonia 75 seguenti), le Muse qui citate hanno nomi parlanti Tersicore è 'colei che gioisce dei cori', Erato è connessa con Eros, Calliope è 'dalla bella voce', Urania 'la celeste'. 25  Platone Fedro  48) Omero, Iliade libro 2, verso 361. 49) Per Spartano qui si intende semplicemente una persona che dice la verità in modo franco e lapidario. 50) I "figli" di Fedro sono i discorsi che ha indotto gli altri a fare. 51) Nestore, il più vecchio dei guerrieri greci a Ilio, era famoso per la sua eloquenza persuasiva. Abile, e soprattutto astuto parlatore era notoriamente Odisseo. Anche Palamede, l'eroe che smascherò un tentativo di Odisseo di non partecipare alla guerra di Troia, era fornito di capacità oratorie. 52) Gorgia di Lentini, nato tra il 485 e il 480 a.C. e morto vecchissimo dopo il 380 a.C., fu uno dei principali esponenti della sofistica; a lui è dedicato l'omonimo dialogo di Platone. Delle sue numerose opere restano pochi ma significativi frammenti. Il sofista Trasimaco di Calcedonia, vissuto nel quinto secolo a.C., è uno dei personaggi della Repubblica, dove difende in modo combattivo la sua idea della giustizia come diritto del più forte. Teodoro di Bisanzio, attivo nella seconda metà del quinto secolo a.C., scrisse un trattato di retorica. 53) Allusione ironica a Zenone di Elea (quinto secolo a.C.) e ai paradossi con i quali cercava di confutare dialetticamente i concetti di molteplicità e movimento; famosi sono i paradossi della freccia e di Achille e la tartaruga. 54) Mida era il leggendario re della Frigia che per avidità di ricchezze chiese e ottenne da Dioniso di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava; ma poiché anche tutto ciò che voleva mangiare o bere diventava oro, pregò il dio di liberarlo da questo dono funesto. L'epigramma citato è attribuito a Cleobulo di Lindo, uno dei sette saggi. 55) Poeta e sofista contemporaneo di Socrate. 56) Tisia fu maestro di Gorgia e iniziatore, assieme a Corace, della scuola retorica siciliana. 57) Prodico di Ceo, uno dei più importanti esponenti della sofistica, discepolo di Protagora e maestro di Socrate. 58) Ippia di Elide, il celebre sofista da cui prendono il titolo due dialoghi di Platone. 59) Polo di Agrigento e Licimnio di Chio furono discepoli di Gorgia; il primo è uno dei protagonisti del Gorgia di Platone. Nel passo si allude probabilmente a opere di retorica dei due sofisti, come poco sotto a proposito di Protagora. 60) Protagora di Abdera, protagonista dell'omonimo dialogo Platonico, visse ad Atene nell'età periclea. Considerato il principale esponente della sofistica, è ricordato soprattutto per il suo agnosticismo religioso, che gli valse una condanna per empietà, e il suo relativismo, sintetizzato nella massima «l'uomo è misura di tutte le cose». Nulla ci rimane delle sue numerose opere. 61) Adrasto, il re di Argo che guidò la spedizione dei sette contro Tebe, è rappresentato da Eschilo nelle Supplici come abile oratore; l'epiteto «voce di miele» gli è già riferito da Tirteo (frammento 9,8 Gentili-Prato). Adrasto è qui usato come eteronimo di un personaggio contemporaneo, forse un sofista. Anche Pericle, lo statista ateniese del quinto secolo che radicalizzò il processo democratico della polis portandola al massimo splendore, è qui ricordato, con un tocco d'ironia, per le sue capacità oratorie. 62) Anassagora di Clazomene (quinto secolo a.C.) visse per molti anni ad Atene, dove ebbe come discepoli Pericle e lo stesso Socrate. Punto cardinale del suo pensiero è l'esistenza di un principio razionale che dà ordine al mondo, da lui chiamato "nous" ('intelletto'). 63) Ippocrate di Cos, vissuto tra il quinto e il quarto secolo a.C., fu il fondatore della medicina antica; l'epiteto di Asclepiade deriva da Asclepio, dio della medicina. Di lui e dei suoi discepoli resta un considerevole numero di scritti riuniti nel cosiddetto corpus Hippocraticum. 64) Città sul delta del Nilo, sede di un emporio commerciale greco. 65) Theuth o Thoth era il dio egizio dell'invenzione, che i Greci identificavano con Ermes; rappresentato con la testa di ibis, era scriba nel tribunale dei morti. Con questo mito Platone assegna alla scrittura un valore puramente "ipomnematico", ovvero la considera un mero supporto alla memoria, e non veicolo di sapienza; la trasmissione del vero sapere resta per lui affidata all'oralità dialettica. 66) «La regione superiore» è l'alto corso del Nilo. Thamus, leggendario re dell'Egitto, viene considerato un eteronimo dello stesso Ammone, una delle principali divinità egizie, venerata da una potente casta sacerdotale e identificata dai Greci con Zeus; poco sotto infatti, la risposta da lui data a Theuth è chiamata «vaticinio di Ammone». 67) I «giardini di Adone» erano recipienti in cui d'estate si piantavano semi che nascevano entro otto giorni e subito morivano; il rito simboleggiava la morte prematura di Adone, il bellissimo giovane amato da Afrodite. Allo stesso modo i «giardini di scrittura», ovvero i discorsi scritti, devono essere intesi come una forma di gioco, poiché i veri discorsi latori di verità sono affidati alla dimensione orale. 68) Citazione poetica di autore ignoto. 69) Il retore Isocrate (436-338 a.C.) fondò ad Atene una scuola in competizione con l'Accademia platonica; di lui restano 21 orazioni. Isocrate era fautore di un'alleanza di tutte le città greche sotto la guida di Filippo di Macedonia, in vista di una spedizione contro i Persiani. 70) Pan, figlio di Ermes, era la principale divinità agreste del pantheon greco, venerata soprattutto in Arcadia; presiedeva alla pastorizia e per questo era rappresentato con sembianze caprine. Pan compare già come protettore del luogo assieme alle Ninfe, e per questo Socrate gli rivolge la preghiera conclusiva. «Oro» è da intendersi in senso metaforico come ricchezza della sapienza.Convito  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Platone Il Convito   1  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org I APOLLODORO Credo proprio di essere bene informato di quello che mi chiedete. Infatti, l'altro giorno, me ne stavo venendo in città, da casa mia, dal Falero, quando uno che conoscevo, vedendomi di spalle, mi chiamò da lontano e, con tono scherzoso, mi fa: «Apollodoro il falerese, m'aspetti un momento?» lo mi fermo e l'aspetto e quello: «Ti stavo cercando ansiosamente, Apollodoro, perché volevo sapere qualcosa di preciso sui discorsi che fecero Agatone, Socrate, Alcibiade e tutti gli altri, al banchetto, discorsi d'amore, a quanto pare; me ne ha accennato un tizio che ne aveva sentito parlare da Fenice, il figlio di Filippo, ma mi disse che ne eri al corrente anche tu. Lui, in realtà, non ne sapeva molto. Raccontami tutto tu, quindi, perché nessuno meglio di te, può ripetermeli, i discorsi del tuo amico. Ma, prima di tutto, c'eri o non c'eri a quella riunione?» «Si vede proprio che questo tizio ti ha male informato se credi che quella riunione di cui stai parlando è avvenuta poco tempo fa e che io, quindi, vi abbia potuto partecipare.» «Credevo di sì.» «E come hai fatto a pensarlo, Glaucone? Non sai che da parecchi anni, ormai, Agatone non s'è più visto qui e che, d'altra parte, non ne son passati ancora tre da quando io me la faccio con Socrate, che gli sto sempre dietro, per conoscere quello che dice e quello che fa? Prima d'allora gironzolavo qua e là e mi pensavo di far chissà che cosa, mentre ero l'essere più miserabile che c'era sulla faccia della terra, come te, adesso, che credi ci siano altre cose da fare meglio della filosofia.» «C'è poco da prendere in giro. Dimmi, piuttosto, quand'è che c'è stata questa riunione.» «Eravamo ancora ragazzi e fu quando Agatone s'ebbe il premio per la sua prima tragedia, precisamente il giorno dopo i sacrifici che lui e quelli del coro vollero fare per festeggiare la vittoria.» «Allora ne è passato del tempo! Ma a te chi te n'ha parlato. Proprio Socrate?» «Magari. Fu, invece, la stessa persona che ne parlò a Fenice, un certo Aristodemo, del distretto di Cidateneo, uno mingherlino, sempre scalzo. Era presente alla riunione perché era un patito di Socrate, più di tutti, a quel tempo. Ad ogni modo, di quanto mi riferì costui volli chiederne anche a Socrate che mi confermò quanto l'altro m'aveva raccontato.» «E, allora, perché non me lo racconti anche a me? Questa strada che porta in città è proprio fatta apposta per conversare.» Strada facendo, così, ci mettemmo a parlare di questo ed ecco perché, come vi ho detto in principio, sono al corrente della cosa. Se devo, quindi, raccontarla anche a voi, eccomi pronto, anche perché, quando si tratta di filosofia, sia che ne parli io o che ne senta parlare, provo sempre un immenso piacere, a prescindere dal vantaggio che penso di ricavarne. Quando, invece, sento certi discorsi, i vostri specialmente, discorsi di gente ricca, di persone d'affari, che barba, ma anche che pena, amici miei, che vi credete di far chissà cosa e poi non fate il resto di nulla. Può essere che voi, da parte vostra, mi crediate un povero diavolo e supponiate che, in effetti, io lo sia, ma di voi, io non lo suppongo soltanto, ne sono convinto. AMICO Sei sempre lo stesso tu, Apollodoro, sempre che dici male di tutti e di te stesso; io credo che per te, tranne Socrate, tutti gli altri siano soltanto dei disgraziati, tutti quanti, a   2  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org cominciare da te. Perché poi ti chiamino «il Tranquillo», questo proprio non riesco a capirlo, con tutti i tuoi discorsi sempre così aspri verso gli altri e te stesso, tranne, appunto, che per Socrate. APOLLODORO Ah, sì? Io, dunque, bellezza, dato che penso così di voi e di me, sarei un pazzo e un esagitato? AMICO Ma ora lasciamo perdere questo, Apollodoro, piantiamola di litigare, e, come t'abbiamo pregato, raccontaci quali furono questi discorsi. APOLLODORO E va bene, presso a poco furono questi... ma, aspettate, sarà meglio che incominci dal principio, come me li ha riferiti Aristodemo.   3  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Egli mi riferì di aver incontrato Socrate tutto bello lisciato, con un paio di sandali ai piedi (cosa stranissima) e di avergli chiesto dove stesse andando tutto così bello. E Socrate: «A pranzo da Agatone; ieri, infatti, alla premiazione per la sua vittoria, riuscii a svignarmela perché tutta quella folla mi dava fastidio, ma gli promisi che, oggi, sarei andato da lui. Ecco perché mi son fatto bello: lui è un bello e, sai com'è. Ma perché non vieni anche tu, che fa, anche se non sei stato invitato?» Ed io, così mi riferì Aristodemo: «Va bene, come vuoi.» «E allora andiamo,» fece, «e cambieremo il proverbio dicendo che ‹a, pranzo, dal buon Agatone, van senza invito le brave persone›. Del resto, Omero, non solo l'ha modificato, questo proverbio, ma l'ha addirittura capovolto: infatti, mentre ci ha sempre descritto Agamennone come un guerriero in gamba e Menelao, invece, come uno smidollato, ecco che ti fa presentare quest'ultimo, senza essere invitato, a pranzo da Agamennone, che aveva allora allora fatto un sacrificio e si stava mettendo a tavola, lui, un mediocre, alla mensa di un valoroso.» E Aristodemo: «Ma Socrate, corro anch'io, allora, questo rischio, non come dici tu ma nel senso che scrive Omero, di andare, cioè, io, uomo da nulla, senza essere invitato, a pranzo da un sapiente. Vedi tu, che mi ci porti, come devi metterla per giustificarti, perché io non dirò che son venuto da me, ma che sei stato tu ad invitarmi.» «Ma sì, andiamo, ci penseremo per la strada a quello che dobbiamo dire.» Si dicevano questo, mi raccontava Aristodemo, quando si posero in cammino. Ma, lungo la strada, Socrate si fece pensieroso, meditando chissà su che cosa, e restandosene indietro e quando lui si fermava per aspettarlo, gli diceva di andare pure avanti. Quando Aristodemo giunse alla casa di Agatone, trovò la porta aperta e qui, mi disse, gli capitò un fatto curioso: un servo gli corse subito incontro e lo condusse dove i convitati erano già tutti seduti, in procinto di mettersi a pranzo. Appena Agatone lo vide: «Oh, Aristodemo,» fece, «arrivi proprio al momento giusto, per mangiare un boccone con noi; se è per qualche altro motivo che sei venuto, lascialo per dopo. Ieri ti ho cercato, proprio per invitarti, ma non sono riuscito a trovarti. E Socrate? Come mai non è con te?» «Io mi volto indietro,» continuò a raccontarmi, «e, infatti, non lo vedo più. Dissi, allora, che ero con lui e che, appunto da lui ero stato invitato a quel pranzo.» «Hai fatto benissimo, ma dov'è che s'è cacciato?» «Un attimo fa era dietro di me; sarei proprio curioso di sapere anch'io dove può essere andato.» «Suvvia, ragazzo, non ti sbrighi?» fece Agatone, «va a vedere dov'è Socrate e tu, Aristodemo, siediti là, vicino a Eressimaco.»   II 4  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Continuò a raccontare così, che mentre un servo gli dava da lavarsi per mettersi a tavola, un altro venne a dire che quel bel tipo di Socrate se ne era andato nell'atrio della casa vicina e se ne stava lì tutto immobile: «L'ho chiamato,» riferì, «ma lui non vuol venire.» «Ma che sciocchezze stai dicendo?» gridò Agatone. «Torna a chiamarlo, insisti.» «Allora, intervenni io,» mi raccontò sempre Aristodemo, «pregandolo di lasciarlo tranquillo perché era una sua abitudine quella di isolarsi tutt'a un tratto, e di restarsene immobile dovunque si fosse trovato: ‹Vedrete che verrà, ne sono certo, ma ora non lo disturbate, lasciatelo tranquillo›.» «Ah, va bene, va bene, se lo dici tu,» commentò Agatone. «Però voi, ragazzi, ora portateci da mangiare. Voi mi mettete in tavola sempre quello che vi passa pel capo, se non vi si sta addosso, ed io non me ne son mai presa troppo la briga; ma oggi, fate conto come se foste stati voi ad invitare queste persone e me e quindi, trattateci bene e fatevi onore.» Così mi raccontò che si misero tutti a mangiare e che Socrate, intanto, non si faceva vivo. Spesso Agatone insisteva. perché lo mandassero a chiamare, ma lui lo sconsigliava. Finalmente Socrate fece la sua comparsa e non s'era mica fatto aspettare poi tanto tempo, come di solito faceva: cioè quando il pranzo era circa a metà. E Agatone che stava seduto in fondo: «Qua, qua,» esclamò, «Socrate vieniti a sedere vicino a me, così, gomito a gomito, con un sapiente, io potrò godere della grande scoperta che hai fatto davanti ai portoni; è chiaro che qualcosa l'hai dovuta pur sempre scoprire, altrimenti mica ti saresti mosso, tu.» E Socrate, sedendosi: «Sarebbe una bella cosa, Agatone, se la sapienza potesse scorrere da chi ne ha di più a chi ne ha di meno, soltanto che ci si mettesse uno vicino all'altro, come l'acqua che attraverso un filtro passa dal bicchiere pieno a quello vuoto. Se anche per la sapienza è così io sarò onoratissimo di starmene al tuo fianco; sono convinto che sarò colmato da parte tua di tanta e bella sapienza, perché, vedi, la mia, seppure ne ho, è ben misera, assai discutibile, vaga come un sogno, mentre la tua, invece, così luminosa, così ricca di possibilità, tanto che, proprio ieri, nonostante la tua giovane età, s'è rivelata e ha brillato in tutto il suo fulgore davanti a più di trentamila greci.» «Sei un mascalzone tu, Socrate,» fece Agatone, «ma fra poco ce la vedremo, io e te, in fatto di sapienza e giudice sarà Dioniso. Intanto, per ora, pensa a mangiare.»   III 5  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E così, continuò a raccontarmi Aristodemo, Socrate si sedette e quando ebbe finito di mangiare, insieme agli altri, fece le libagioni, poi cantarono tutti in onore del dio, compirono gli altri riti dovuti e poi si misero a bere. A un tratto, mi riferì Aristodemo, Pausania se ne uscì in queste parole: «Ehi, amici, non possiamo andarci più piano? Francamente devo dirvi che mi sento male dopo la gran bevuta di ieri e che devo pigliare un po' di respiro; e così, penso anche per molti di voi: ieri c'eravate un po' tutti. Guardate, dunque, com'è che ci possiam moderare un po'.» E Aristofane: «Pausania ha ragione. Non scherziamoci troppo col vino; io mi sento ancora come una spugna zuppa, per ieri.» E allora intervenne Eressimaco, il figlio di Acumeno: «Ottima idea. Su, coraggio, voglio sentirne qualche altro; e a te, Agatone, come va col vino?» «Macché, anch'io niente bene.» «Benissimo,» s'infervorò Eressimaco; «è proprio una fortuna per me, per Aristodemo, per Fedro e per tutti quanti gli altri se voi, che in fatto di bere ce la mettete tutta, oggi non vi sentiate in forma: di fronte a voi, infatti, siamo dei pivellini. Per Socrate è un altro discorso: lui se la cava benissimo sempre; sia che oggi si beva o meno, lui è sempre a posto. Ma, dato che, mi pare, qui, oggi, nessuno ha troppa voglia di bere, io credo che se vi parlassi dell'ubriachezza e del male che fa, la cosa non vi sarebbe sgradita; come medico, è chiaro, devo dirvi che ubriacarsi fa male e che io non vorrei mai bere più di un tanto e darei lo stesso consiglio agli altri, specie quando il giorno prima s'è alzato un po' troppo il gomito.» «Sicuro,» intervenne Fedro, quello di Mirrinunte; «sai che ti ascolto sempre, specie quando parli da medico; e farebbero bene ad ascoltarti anche questi altri, se hanno un po' di giudizio.» E così si trovarono tutti d'accordo di evitare una sbornia, per quella volta e bere ciascuno per quel che gli andava.   IV 6  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E poiché, ora,» riprese Eressimaco, «siamo d'accordo che ognuno potrà bere solo quello che vuole senza che nessuno stia lì ad obbligarlo, io propongo di mandare a spasso la suonatrice di flauto, che è entrata ora (che se ne vada a suonare per conto suo o, dentro, dalle donne) e noi, invece, di restare un po' qui, oggi, a chiacchierare insieme; potrei anche dirvi di cosa, se volete.» Tutti, allora, almeno così riferì Aristodemo, approvarono e lo esortarono a proporre l'argomento. E così, Eressimaco, incominciò: «Inizio come la Melanippe di Euripide, non sono mie le parole che sto per dirvi, infatti sono di Fedro. È Fedro che ogni volta, tutto sdegnato, mi dice: ‹Non è una indecenza, Eressimaco, che i poeti si mettano a comporre inni e canti a tutti gli dei e che per Amore, invece, per un dio di quella specie, per un dio così grande, non ce ne sia uno, tra tanti, che abbia scritto un solo verso di lode? Se pigliamo i sofisti di fama, quello stesso grand'uomo di Prodico, per esempio, ti scrivono in prosa di Ercole o di altri; e questo sarebbe niente se non mi fosse capitato tra le mani il libro di un gran cervellone nel quale, costui, non faceva niente po' po' di meno che l'elogio sperticato del sale e della sua utilità: di questi elogi ne puoi trovare dovunque, in abbondanza. E pensare che si spreca tanta fatica per simili argomenti e, poi, per Amore non s'è ancora trovato nessuno, almeno fino ad oggi, che s'è sentito di celebrarlo degnamente: ecco come si tratta un dio simile.› Secondo me Fedro ha proprio ragione. Quindi, è mio desiderio fargli questo regalo e mostrarmi compiacente e, nello stesso tempo, profittando dell'occasione, niente di meglio, a mio avviso, per tutti noi, di rendere onore a questo dio. Se siete d'accordo anche voi potremmo passare il tempo così: ognuno di noi, cioè, io penso, per esempio partendo da destra, dovrebbe fare un discorso in lode di Amore, si capisce meglio che può; e che cominci proprio Fedro che è il primo della fila e che, d'altro canto, è stato lui proprio a darci l'idea per un simile argomento.» «Nessuno sarà contrario, Eressimaco,» intervenne Socrate, «a cominciare da me che affermo di essere un esperto soltanto in cose d'amore, né Agatone, né Pausania, figuriamoci poi Aristofane che tra Bacco e Venere, ci passa la vita, e nemmeno questi altri a quanto vedo. C'è un fatto però, che noi che siamo seduti quaggiù, per ultimi, veniamo a trovarci in svantaggio; comunque, se i primi diranno quel che devono dire e lo diranno bene, a noi basterà. E, allora, buona fortuna, Fedro, comincia a fare le lodi di Amore.» Al che tutti quanti approvarono e fecero eco alle parole di Socrate. Ora, quello che ciascuno disse, Aristodemo non lo ricordava bene e, dal canto mio, io stesso, ora, non ricordo più, tutto quello che lui mi riferì, tranne le cose più importanti e, perciò, vi potrò ripetere solo quei discorsi che mi parvero più degni di ricordo.   V 7  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E, così, il primo a parlare, mi raccontò, fu Fedro che incominciò presso a poco col dire che Amore è un dio possente, meraviglioso, tanto fra gli uomini che fra gli dei per molte e tante ragioni ma, soprattutto, per quel che riguarda la sua nascita: «Egli ha il vanto,» continuò Fedro, «di essere, fra tutti, il dio più antico e, prova di questo è il fatto che non ha genitori e mai nessuno ne ha parlato, prosatore o poeta che fosse. Esiodo ci dice che ci fu dapprima il Caos: la Terra dall'ampio petto, sicura sede e poi per tutti sempre e, poi, Amore Insomma, secondo questo poeta, dopo il Caos ci furono queste due divinità: Terra e Amore. E Parmenide così narra la genesi: Primo di tutti gli dei creò Amore Con Esiodo concorda Acusilao. Quindi, da più fonti, si conviene che Amore è antichissimo. E, così com'è il più antico, è fonte, per noi, di grandissimi beni. Io, infatti, non so se vi sia un bene maggiore che avere, fin da giovani una persona virtuosa da amare o anche viceversa, che ci ami. E, in effetti, niente come Amore può dare all'uomo quei principi che valgono per vivere rettamente tutta la vita, non la nascita, non gli onori, non la ricchezza, niente di questo. Ma a quali principi voglio alludere?, mi chiedo: alla vergogna per le brutte azioni e al desiderio di buone, senza dei quali né stati né individui possono mai realizzare qualcosa di grande e di bello. E, inoltre, io dico che un uomo innamorato, sorpreso a commettere una brutta azione o a subirla, se la sua viltà non gli consente di difendersi, non proverà mai tanto dolore se lo vede il padre o l'amico o chiunque altro, quanto se lo vedesse la persona amata, E lo stesso è per quest'ultima, che se fa qualcosa di male si vergogna soprattutto se è vista da chi la ama. Oh, se ci potesse essere una città o un esercito composto tutto di innamorati, non vi sarebbe modo migliore di reggerlo e di vedere uomini rifuggire dal male e rivaleggiare tra loro nelle belle azioni; in guerra, poi, messi uno al fianco dell'altro, anche se in pochi, si può dire che vincerebbero il mondo intero. Perché l'uomo innamorato sarebbe disposto ad abbandonare il suo reparto, a gettare le armi sotto gli occhi di tutti, ma non dinanzi alla persona amata, piuttosto preferirebbe centomila volte morire; e, d'altronde, abbandonare la persona cara, non prestarle il suo aiuto se è in pericolo, non c'è nessun uomo tanto vile cui Amore non riesca ad infondere il necessario coraggio, come se fosse posseduto da un dio e renderlo uguale a chi è coraggioso di natura. Insomma, lo stesso soffio divino che, a quanto dice Omero, un dio infonde in taluni eroi, Amore, come un suo dono, suscita in quelli che amano.   VI 8  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E poi, solo quelli che amano sono pronti a morire per gli altri e non solo gli uomini ma anche le donne. Vedi Alcesti, per esempio, la figlia di Pelia che per noi greci è la più bella prova di ciò che dico, la quale fu la sola a voler morire al posto del suo sposo che aveva pure un padre e una madre; costei fu tanto più sublime, nel suo cuore di donna, acceso, appunto dall'amore, da far apparire i parenti di lui quasi degli estranei al loro stesso figliolo, legati a lui soltanto dal nome. E questo gesto fu giudicato così bello non solo dagli uomini ma anche dagli dei, che questi, pur concedendo solo a pochi, tra i tanti che compiono belle imprese, il privilegio di vedersi restituita alla luce la loro anima, consentirono a questa fanciulla il ritorno alla terra, commossi del suo gesto; questo dimostra che gli dei apprezzano moltissimo lo zelo e la virtù che nascono dall'amore. Orfeo, invece, il figlio di Eagro, te lo rimandarono fuori dall'inferno senza che avesse ottenuto nulla, mostrandogli solo la falsa immagine della sua donna, per la quale egli era sceso nell'Ade e non gliela restituirono, considerandolo un debole (suonatore di cetra com'era) perché non aveva avuto il coraggio di morire per amore, come Alcesti, ma, vivo, era riuscito a penetrare nell'Ade e con l'astuzia. Ecco perché gli inflissero questa punizione e lo fecero morire per mano di donne. Non così Achille che onorarono invece e mandarono alle isole dei beati perché per quanto egli fosse già stato avvertito dalla madre che se avesse ucciso Ettore sarebbe morto mentre se l'avesse risparmiato sarebbe ritornato in patria e lì avrebbe finito vecchio i suoi giorni, preferì scendere in campo per Patroclo, per l'amico che amava e vendicarlo e morire per lui, non solo, ma per lui morto; per questo gli dei profondamente ammirati gli resero onori grandissimi, come quello che aveva tenuto così alto nel suo cuore l'amico amato. Eschilo dice un'inesattezza quando afferma che era Achille l'amante di Patroclo, lui che non solo era più bello di Patroclo ma di tutti gli altri eroi, imberbe ancora e quindi molto più giovane di lui come dice Omero. La verità, però, è che gli dei pur onorando assai questo sentimento d'amore, volgono più la loro ammirazione, le loro lodi a colui che ricambia l'amore di chi lo ama, piuttosto che a quest'ultimo. Colui che ama è cosa più divina di chi si lascia amare, perché un dio lo possiede; per questo gli dei onorarono maggiormente Achille che non Alcesti e gli dischiusero le isole dei beati. Per concludere io affermo che Amore è il più antico degli dei, il più degno di onori, quello che più può infondere agli uomini virtù e felicità, sia mentre vivono che dopo la loro morte.»   VII 9  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Questo, presso a poco, a quanto mi riferì Aristodemo, fu il discorso di Fedro. Dopo di lui parlarono altri, però non ricordava molto. E così passò a riferirmi il discorso di Pausania che prese a dire: «Non mi pare che tu abbia ben impostato il tuo discorso, Fedro, così come hai troppo semplicisticamente fatto le lodi di Amore. Se, infatti, Amore fosse uno solo, la cosa sarebbe potuta anche passare; ma il fatto è che non è uno soltanto e quindi è più giusto precisare prima qual è che bisogna lodare. Ed è a questo errore che io cercherò di rimediare, in primo luogo dicendo quale Amore convenga lodare e poi facendone in modo degno l'elogio. Tutti riconoscono che non si può concepire Venere senza Amore. Se di Venere ce ne fosse una sola, lo stesso dovrebbe dirsi di Amore, ma poiché due sono le Veneri, due saranno anche gli Amori. Non sono forse due le dee? Una, la più antica, che non ebbe madre, la figlia del Cielo, che appunto chiamiamo Celeste, l'altra, più giovane, figlia di Giove e di Dione, che chiamiamo Pandemia. Ne consegue che l'Amore che convive con quest'ultima, giustamente vien chiamato Pandemio, l'altro, Celeste. Gli dei, in verità, bisogna onorarli tutti, ma ora, di questi due, occorre pur dire quali sono gli attributi. Intanto, ogni azione ha questo di caratteristico: che per se stessa non è mai bella o brutta. Per esempio: quello che noi ora stiamo facendo, cioè bere, cantare, discutere, in se stesso, non è che sia bello, ma lo diventa dal modo con cui questa azione viene compiuta: onestamente e rettamente, è bella, altrimenti, la stessa azione è cattiva. Lo stesso è quando si ama: non ogni Amore è bello o degno di lode, ma solo quello che spinge a nobilmente amare.   VIII 10  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Orbene, l'Amore che convive con la Venere Pandemia, è ovvio che sarà anch'egli Pandemio, cioè volgare e si comporta un po' alla carlona; questo tipo d'Amore vien prediletto dai mediocri che non fan differenza a giacersi con donne o giovincelli di cui amano, oltretutto, più il corpo che l'animo, anzi preferiscono gli esseri sciocchi, tutti presi come sono dall'atto carnale, senza un briciolo di buon gusto, e accade così che finiscono per comportarsi come capita, bene o male che sia. Questo perché un simile Amore deriva dalla Venere più giovane che, nascendo, s'ebbe i caratteri della femmina e, insieme, quelli del maschio. L'altro Amore, invece, deriva dalla Venere Celeste che anzitutto non partecipa della natura femminile ma solo di quella maschile (e questo è l'amore per i giovinetti) e, in secondo luogo è più antica e immune da ogni forma di libidine. Così, quelli che sono infiammati da questo Amore, volgono le loro predilezioni al sesso maschile presi come sono da ciò che, per natura, è più vigoroso e dotato di più aperto intelletto. E in questa passione per i giovani è facile riconoscere quelli che sono nobilmente infiammati da questo Amore; costoro, infatti, non si legano ai giovani se non quando questi hanno già una loro maturità intellettuale e vedono spuntare la prima barba. Io penso, infatti, che chi per amarli attende che essi giungano a questa età, lo fa per poter convivere poi tutta la vita con loro in una dolce intimità e non per ingannarli, per approfittare della loro ingenuità e sbeffarli, piantandoli poi in asso per correre dietro a un altro. Anzi ci vorrebbe proprio una legge che vietasse di aver relazioni amorose con i minorenni, per evitare che si sciupi tempo e fatica per un esito incerto; con i ragazzi, infatti, non si sa mai come vada a finire, se faranno una buona riuscita o meno, sia per quel che riguarda le doti fisiche che per quelle morali. I galantuomini se la pongono da sé questa legge, ma per i dongiovanni da quattro soldi, sarebbe proprio necessario far qualcosa in proposito, così come abbiamo impedito, meglio che s'è potuto, che avessero rapporti intimi con donne di condizione libera. Sono questi che han fatto degenerare la cosa a tal punto che ora c'è gente che afferma che è brutto corrispondere chi ci ama; e lo dice proprio perché ha davanti agli occhi l'esempio di questi tipi, privi affatto di buon gusto e di un minimo di pudore, giacché nessuna cosa, se è fatta nei dovuti limiti e secondo onestà, può giustamente tirarsi dietro un qualche biasimo. Negli altri Stati, intanto, le leggi sull'amore non sonio di difficile interpretazione, regolate da principi assai semplici, così come concettosi e ingarbugliati sono da noi. Nell'Elide, per esempio o a Sparta o anche in Beozia, dove la gente non è abituata a far bei discorsi, viene, molto semplicemente, riconosciuto che è bello corrispondere chi ama e nessuno, giovane o vecchio che sia, si sognerebbe di dire che è cosa brutta; questo, a mio avviso, perché non vogliono pigliarsi troppo la briga di persuadere i giovani, inesperti come sono nell'arte del dire. Nella Ionia, invece, e in molte altre parti dove predominano popolazioni non greche, la cosa è ritenuta vergognosa; presso i popoli stranieri, del resto, proprio per i loro regimi tirannici, anche l'amore che uno può portare alla sapienza o alla ginnastica, è cosa disonesta. Infatti, io penso che ai governanti non convenga che sorgano tra i sudditi nobili e forti proponimenti o salde amicizie o identità di vedute, tutte cose, queste, che è proprio l'amore, di solito, a far   IX 11  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org nascere. E questo l'hanno imparato anche qui da noi i nostri tiranni, come l'amore di Aristogitone e l'intrepida amicizia di Armodio, abbiano distrutto il loro potere. Pertanto, là dove si ritiene che è cosa disonesta corrispondere chi ama, ciò è dipeso dalla mediocrità dei legislatori, dall'arroganza dei governanti e dalla viltà dei sudditi; laddove, invece, la cosa è ritenuta senz'altro bella, in linea assoluta, è stato per la pigrizia di chi ha fatto la legge. Quindi, da noi, vige una consuetudine più bella che altrove ma, come dicevo prima, non è facile, però, interpretarla.   12  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Si pensi, infatti, che da noi si reputa più bello amare alla luce del sole che di nascosto, amare, poi, soprattutto, chi è virtuoso e nobile anche se è più brutto degli altri e che si dà un incoraggiamento straordinario a chi ama, non ritenendo affatto che la sua sia un'azione vergognosa, anzi è motivo di orgoglio riuscire nel proprio intento ed è quasi un disonore, invece, fallire nella conquista e che la legge accorda all'amante, per le sue imprese amorose, la libertà di fare cose addirittura straordinarie e di riceverne lode, cosa che se uno facesse con altre intenzioni e per altri fini, si tirerebbe addosso il biasimo di tutti. Se uno, infatti, volendo farsi dare del denaro da qualcuno o desiderando ottenere un pubblico impiego o qualche carica, si mettesse a fare quel che gli amanti fanno per i loro fanciulli, suppliche, scongiuri, per ottenere quello che bramano, i giuramenti che fanno, tutte le notti che passano fuori davanti all'uscio del loro amore, tutti i servizi a cui si piegano, quelli più infimi, cui nessuno schiavo s'adatterebbe, costui si vedrebbe ostacolato in questo suo modo di fare, non solo dagli amici ma anche dai suoi avversari che gli rimprovererebbero queste smancerie e questo servilismo, richiamandolo al dovere e vergognandosi per lui; se tutto questo uno, invece, lo fa per amore, acquista addirittura pregio e la nostra legge glielo consente, senza che su di lui ricada biasimo alcuno, come se, in effetti, compisse una cosa bellissima. Ma quello che è ancora più straordinario è che, a quanto dicono i più, solo a chi ama è concesso, quando giura e poi non mantiene il giuramento, di ottenere il perdono degli dei perché, a quanto si dice, in amore non c'è giuramento che valga. È per questo che sia gli dei che gli uomini hanno concesso, a chi ama, un'assoluta libertà, come ci provano le nostre leggi. Tutto questo autorizzerebbe a credere che in questa nostra patria, amare e corrispondere chi ama è ritenuta cosa bellissima. Eppure quando i genitori ti mettono alle calcagna dei loro figlioli un pedagogo, col preciso incarico di tenerli lontani dai loro corteggiatori, quando i compagni e i coetanei fanno quasi succedere uno scandalo se si accorgono di qualcosa del genere, mentre i più anziani lasciano che dicano e non intervengono a queste esagerate reazioni, a guardar bene tutto questo sembrerebbe proprio che qui da noi l'amore sia considerato cosa del tutto disonesta. Il fatto è, a mio avviso, che la cosa sta invece così: non c'è nulla di assoluto, come accennai prima, e niente è bello o brutto per se stesso, ma diventa l'uno o l'altro a seconda che sia fatto bene o male. Così, l'amore diventa cosa spregevole se, senza alcun buon gusto, uno si concede a un essere spregevole, è cosa bella, invece, quando lo si fa onestamente con persona onesta. Ed amante del tutto indegno, volgare, è colui che ama più il corpo che l'animo, perché costui, infatti, non è costante, preso com'è da cosa che non dura. Quando, infatti, sfiorisce la bellezza del corpo, di quel fiore che amava, egli ‹fugge lontano, scompare› e addio promesse e belle parole. Chi, invece, ama qualcuno per la bellezza del suo animo, gli resta fedele per tutta la vita, perché s'è congiunto a cosa che dura. Perciò le nostre leggi si prefiggono di ben individuare tutti costoro per accordare, agli uni, ogni favore e mettere al bando gli altri e per questo si esortano gli amanti a insistere nelle loro profferte e gli amati a schermirsi, cercando così, per questa specie di gara, di stabilire a quale delle due categorie appartengano gli uni e gli altri. Per questo   X 13  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org motivo è ritenuta gran brutta cosa, prima di tutto, lasciarsi sedurre, così, in quattro e quattr'otto, senza dar tempo al tempo, che, in fondo, si sa, per tante cose è un gran maestro; in secondo luogo, lasciarsi incantare dal denaro o dalle prospettive di cariche politiche, sia che il giovane per qualche violenza subita si intimorisca e si metta in condizione di non reagire, sia che, prospettandogli la possibilità di far denaro o di avere successo in politica, egli non vi rinunci sdegnosamente: infatti, nessuna di queste cose è sicura e durevole, oltre al fatto, poi, che da esse non potrà mai nascere una lunga amicizia. Quindi, secondo la nostra legge, non c'è che una strada perché l'amato possa onestamente corrispondere e compiacere l'amante, ed è questa: come non è affatto vergognoso e umiliante, per chi ama, sottoporsi per il suo amore, a ogni sorta di schiavitù, così c'è una sola servitù volontaria, non indecorosa o infamante: quella che ha per oggetto la virtù.   14  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ed è norma ancora, da noi, che se uno si mette al servizio di un altro ritenendo che ciò possa contribuire a renderlo migliore nel campo del sapere o in qualche altra virtù, questa sottomissione volontaria non è vergognosa, né servile. Occorre, pertanto, che queste due norme, quella sull'amore dei giovinetti e quella sul desiderio di acquistar sapienza o qualsiasi altra virtù, si fondano insieme se si vuole che sia veramente una cosa bella che il giovane conceda le sue grazie a un amante. Infatti quando l'amante e la persona amata s'incontrano, ciascuno, ligio a una sua precisa condotta, cioè l'uno disposto a servire il giovane che gli ha concesso i suoi favori e a servirlo onestamente, l'altro, con la stessa onestà, a seguire la volontà di chi lo rende sapiente e migliore e quando il primo sia veramente capace di dare senno e virtù e l'altro veramente desideroso di educarsi e d'acquistar, in ogni modo, sapienza, quando questo avviene, quando queste due direttrici convergono a un unico fine, oh, allora, si è cosa bella che la persona amata conceda i suoi favori a chi l'ama, altrimenti niente da fare. In questo caso essere ingannati non è nemmeno mortificante; in tutti gli altri casi, ingannati che si sia o meno, c'è da arrossir di vergogna. Se un giovane, infatti, in un miraggio di ricchezza, si è lasciato sedurre per denaro e poi resta ingannato perché s'accorge che il suo seduttore è povero, questo giovane, compie un'azione molto spregevole, perché s'è rivelato quel che egli era: un uomo capace di darsi a chiunque per sete di denaro e questo non è bello. E per un ragionamento analogo, se lo stesso giovane, invece, si fosse concesso a persona virtuosa, riconoscendo che sarebbe divenuto migliore proprio in virtù di quella corrispondenza e poi fosse stato ingannato perché il suo amante s'è rivelato persona del tutto mediocre, priva di qualsiasi virtù, ebbene questa delusione è motivo di compatimento; infatti, egli ha dimostrato di esser pronto a dar tutto se stesso a chiunque, ma per la virtù e pur di diventar migliore, e questo, certo, è tra tutte, cosa bellissima. In conclusione, il concedersi per ottenere, in cambio, virtù, è bello. Questo è l'Amore della dea celeste, celeste egli stesso, degno in tutto di venerazione da parte dello stato come dei singoli individui, che spinge gli amanti e le persone amate, ciascuno per quel che gli compete, a preoccuparsi soltanto d'essere virtuosi. Quanto agli altri amori, provengono tutti dalla Venere Pandemia, volgare. Questo è quanto ho improvvisato, Fedro, così su due piedi, a proposito di Amore.» Dopo la pausa di Pausania (guarda un po' che giochetti di parole ti sto a fare, che m'insegnano i dotti), a quanto ebbe a riferirmi Aristodemo, toccava ad Aristofane, senonché, vuoi per la pienezza di stomaco, vuoi per qualche altra causa, costui aveva il singhiozzo e, quindi, era nell'impossibilità di parlare. Si rivolse, allora a Eressimaco, il medico, che gli era seduto accanto: «Cerca di liberarmi da questo singhiozzo, Eressimaco,» gli disse, «o, almeno, prendi tu la parola, finoa quando non si sarà calmato.» «Cercherò di venirti incontro in un modo e nell'altro; parlerò io al tuo posto e poi interverrai tu quando ti sarà passato; intanto cerca di trattenere il respiro per qualche minuto e vedrai che il singhiozzo se ne andrà, oppure bevi un sorso d'acqua, fai dei gargarismi e, se persiste, prendi qualcosa che ti solletichi il naso e cerca di starnutire e vedrai che, con un paio di starnuti, per quanto   XI 15  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org ostinato, ti passerà.» «Sì, ma tu sbrigati a parlare,» insistette Aristofane, «intanto io cercherò di fare come tu dici.»   16  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E così Eressimaco incominciò: «A mio avviso, mi par necessario che cerchi di concludere il discorso che Pausania ha iniziato così bene ma che poi non ha portato a termine. Che Amore sia duplice, ci sembra distinzione esatta; ma che esso non alberga solo negli uomini attratti dalle belle creature, ma in tutti gli altri esseri, a loro volta presi per altre forme, negli animali, per esempio, nelle piante e comunque in tutte le creature viventi, io credo di averlo dedotto dalla medicina, la nostra arte e, altresì, come Amore sia grande e meraviglioso iddio, presente ovunque in ogni cosa umana e divina. Comincerò, quindi, a trattar l'argomento da un punto di vista medico, anche in omaggio a questa arte. La natura dei corpi è tale che essi hanno in sé questo duplice Amore; infatti, per il corpo, malattia e salute sono, come tutti sanno, due condizioni diverse e contrarie e, come tali, perciò, non appetiscono e non desiderano mai le stesse cose. In poche parole, altro è il desiderio che prova la parte sana, altro quello che sente la parte malata. E come Pausania diceva poco fa che è bello concedersi a un amante virtuoso e vergognoso è, invece, darsi a un dissoluto, lo stesso è anche per i corpi per cui è cosa bella, anzi doverosa, favorire lo sviluppo delle parti sane di ciascun organismo (e, in fondo, proprio questo è il compito del medico) ed è male, invece, farlo per le parti malate per le quali occorre agire con intransigenza, se si è veramente capaci nell'arte medica. Infatti, la medicina, per dirla in breve, è la scienza che studia le tendenze affettive dell'organismo nel suo riempirsi e svuotarsi e chi sa distinguere in queste tendenze, le buone dalle cattive, costui è un gran medico; chi, poi, queste tendenze le sappia anche modificare o suscitarne una al posto dell'altra o stimolarne qualcuna laddove non ve ne siano e invece dovrebbero esservi o, addirittura, cancellare quelle che vi sono, costui, allora, sarà proprio un maestro eccellente. Bisogna, infatti, che le parti di un organismo che sono tra loro incompatibili si riconcilino e trovino una loro reciproca armonia. E gli elementi più incompatibili sono quelli contrari, freddo e caldo, amaro e dolce, secco e umido e così via; e poiché ad aver saputo conciliare ed armonizzare tutti questi contrari è stato nostro padre Asclepio, egli, come dicono questi poeti e come anch'io sono convinto, è il fondatore di questa nostra scienza. Tutta la medicina, dunque, come vi sto dicendo, è governata da questo dio, come del resto la ginnastica e l'agricoltura. Quanto alla musica, poi, basta un minimo di riflessione perché tutti comprendano che essa si comporta alla stessa stregua delle altre arti, come anche Eraclito, del resto, forse vuol dire, sebbene non si esprima in termini molto chiari: ‹L'unità in sé discorde,› dice, ‹con se stessa s'accorda, come l'armonia dell'arco e della lira.› Ora, è assurdo pensare che l'armonia sia mancanza di accordi o che nasca da elementi ancora discordanti tra loro. Egli, forse, voleva dire che essa nasce da elementi prima discordanti, l'acuto e il grave, per esempio, che si son poi accordati per virtù della musica; infatti, non è certo possibile che l'armonia risulti da suoni tuttora discordi tra loro quali l'acuto e il grave. In verità, l'armonia è consonanza e la consonanza è accordo; non è possibile, ora, che vi sia accordo da cose discordi finché restino tali, come impossibile è che vi sia armonia quando gli elementi discordanti non abbiano trovato il loro accordo; così come anche il ritmo, del resto, che risulta dal veloce e dal lento prima discordi tra loro ma poi   XII 17  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org armonizzati insieme. E l'accordo fra tutti gli elementi, come per quelli di prima era dato dalla medicina, così per questi è dato dalla musica che produce, quindi, tra loro, reciproca armonia e corrispondenza. La musica, quindi, per quanto riguarda il ritmo e l'armonia, è scienza d'amore. Non è difficile, poi, individuare nella stessa costituzione del ritmo e dell'armonia questa sua peculiarità, in quanto in essa non vi sono le due specie d'amore. Quando però si compongono ritmi e armonie per la gente (ed è questa, propriamente, ciò che si chiama composizione musicale) o si eseguono fedelmente melodie e partiture altrui (e questo è virtuosismo), allora sì che viene il difficile e occorre un bravo artista. E qui si torna al discorso di prima, cioè che bisogna compiacere alle persone per bene o a quelle che ancora non lo sono ma vogliono diventarlo e conservarsi il loro amore che è poi quello bello, quello celeste, l'amore di Afrodite Urania; quello di Polimnia, invece, è l'amore pandemio, volgare, cui bisogna concedersi con prudenza e che dobbiamo, a nostra volta, con prudenza concedere per goderne senza tuttavia farne abuso. Del resto, anche nella nostra scienza è molto importante sapersi ben destreggiare con i desideri per la buona cucina in modo da saperla gustare senza poi ammalarsi. E così nella musica, nella medicina e in tutto il resto, sia nelle cose umane come in quelle divine, occorre tener presenti, per quanto possibile, l'uno e l'altro amore, dovunque contenuti entrambi.   18  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E anche le stagioni dell'anno, nella loro successione, son colme di questi due amori e quando gli elementi contrari di cui parlavo prima, il caldo e il freddo, il secco e l'umido, cadono sotto l'influenza dell'amore benigno che li armonizza e li compone sapientemente, allora le stagioni recano abbondanza e salute agli uomini, agli animali e alle piante e non portano alcun danno. Quando, invece, ha il sopravvento l'altro amore, con tutta la sua violenza, ecco, allora, rovine e distruzione ovunque, ecco la causa di pestilenze e di molti altri simili morbi per gli animali e le piante; e, infatti, il gelo, la grandine, la rubigine derivano dalla violenza e dal disordine con cui si manifestano queste tendenze d'amore. La scienza che, attraverso il moto degli astri e il succedersi delle stagioni indaga questi fenomeni, si chiama astronomia. Inoltre, tutti i sacrifici e i riti a cui presiede l'arte profetica, nel loro insieme (sono essi a mantenere un rapporto tra gli uomini e le divinità) non hanno altro scopo che di custodire e salvaguardare l'Amore; ogni scelleratezza, infatti, nasce perché non si dimostra buona disposizione nei riguardi dell'amor benigno, né, in quel che si fa, lo si tiene nella dovuta stima e lo si onora. Cose, invece, che si concedono tutte all'altro amore, sia per quel che riguarda i rapporti con i propri genitori, vivi o morti che siano, sia quelli con gli dei. A queste cose, appunto, l'arte profetica è destinata, per cui deve sorvegliare gli amori e apprestarne i rimedi; e la divinazione è all'origine dell'amicizia tra gli dei e gli uomini in quanto, delle tendenze umane, conosce quelle che si volgono alla giustizia e alla pietà. Dunque, tanto grande e vasta, anzi, universale è la forza d'Amore, ma quello che si volge al bene con saggezza e giustizia sia nei nostri rapporti umani che in quelli degli dei tra loro, ha forza ancora maggiore e ci dà la felicità e ci fa vivere nella concordia e nell'amicizia con tutti e con chi è migliore di noi, cioè con gli dei. Forse anch'io ho tralasciato molte cose, mio malgrado, in questo elogio d'Amore; se l'ho fatto, è compito tuo Aristofane rimediarvi; se, invece, vuoi onorare il dio in altro modo, fallo pure, dato che il singhiozzo t'è passato.» E così, mi riferì Aristodemo, cominciò a parlare Aristofane che disse: «Veramente è passato ma solo con lo starnuto, tanto che io mi meraviglio come il corpo umano, così ben fatto, abbia proprio bisogno di tanto rumore e solleticamenti, come lo starnuto. Sta di fatto, però, che il singhiozzo è cessato appena ho starnutito.» «Ma, mio caro Aristofane,» ribatté Eressimaco, «sta un po' attento a quel che fai; ti metti a far dello spirito proprio ora che devi parlare e così mi costringi a stare sul chi va là per ogni tua parola, nel caso ti saltasse in mente di dirle grosse, e sì che potresti parlar tranquillamente.» «Hai ragione, Eressimaco,» ammise Aristofane, ridendo, «fingi come se non avessi detto nulla. Ma non stare sul chi va là mentre parlo perché io ho proprio paura, non tanto perché, forse, con quello che sto per dire, farò ridere, il che potrebbe essere anche piacevole e coerente con la mia musa, ma perché mi farò invece deridere.» «Sì, sì, va bene, Aristofane, tu prima lanci il sasso e poi nascondi la mano; mettici attenzione, invece, e parla come se dovessi dar conto di quello che dici; da parte mia, intanto, vedrò di lasciarti tranquillo.»   XIII 19  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Per dir la verità, Eressimaco,» cominciò Aristofane, «io avrei in mente di fare un discorso diverso da quello tuo e di Pausania. Io credo, infatti, che di tutta questa potenza dell'Amore, gli uomini non se ne siano accorti per niente, altrimenti gli avrebbero innalzato templi grandiosi, altari, gli farebbero sacrifici magnifici e, invece, nulla di tutto questo mentre sarebbe la prima cosa da fare. Nessuno come lui, tra tutti quanti gli dei, è amico degli uomini, viene in loro aiuto, cerca di curarne i mali, la cui guarigione, forse, sarebbe la più grande felicità del genere umano. Quindi, io cercherò di svelarvi la sua potenza e voi, a vostra volta, la rivelerete agli altri. Per prima cosa, dovete rendervi conto cosa sia la natura umana e quali siano state le sue vicende; per il passato, infatti, essa non era quella che è oggi. Nel principio, tre erano i sessi dell'uomo, non due, il maschio e la femmina, come ora: ce n'era un terzo che aveva in sé i caratteri degli altri due, ma che oggi è scomparso e del quale resta soltanto il nome: l'ermafrodito. Esso, infatti, era un essere a sé stante che, nell'aspetto esteriore e nel nome, aveva dell'uno e dell'altro, cioè, del maschio e della femmina; oggi, ripeto, non resta che il nome che, per di più, ha un significato infamante. Inoltre, la figura di questo essere umano era arrotondata, dorso e fianchi formavano come un cerchio; aveva quattro mani e quattro erano pure le gambe; aveva anche due facce, piantate su un collo anch'esso rotondo, completamente uguali e attaccate, in senso opposto, a un unico cranio; aveva quattro orecchie, doppi gli organi genitali e, da tutto questo, possiamo immaginarci il resto. Camminavano in posizione eretta, come noi, volendo potevano spostarsi in qualunque direzione e, quando correvano, facevano un po' come i nostri saltimbanchi che gettano in aria le gambe e capriolettano su se stessi: e poiché gli arti erano otto, appoggiandosi su di essi, procedevano, a ruota, velocemente. I sessi erano tre, perché quello maschile aveva avuto origine dal sole, quello femminile dalla terra e l'altro, con i caratteri d'ambedue, dalla luna, dato che quest'ultima partecipa del sole e della terra insieme: perciò avevano quell'aspetto e si spostavano rotolando, perché somigliavano a quei loro progenitori. Avevano una resistenza e una forza prodigiosa, nonché un'arroganza senza limiti, tanto che si misero in urto con gli dei e quel che dice Omero di Efialte e di Oto, che tentarono di scalare il cielo, va riferito a costoro.   XIV 20  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E così Giove e gli altri dei si consigliarono sul da farsi ma non seppero risolversi: non era il caso di ucciderli, infatti, come i Giganti, e di estinguerne la specie a colpi di fulmine (il che sarebbe stato come far sparire onori e sacrifici agli dei da parte degli uomini) e del resto non era possibile continuare a sopportare oltre la loro tracotanza. A furia di pensare, Giove, finalmente, ha un'idea: ‹Ho trovato il sistema,› esclamò, ‹perché gli uomini sopravvivano ma, nello stesso tempo, divengano più deboli e la smettano con la loro prepotenza. Ecco che li taglierò, ciascuno, in due,› continuò, ‹così diventeranno più deboli, e, dato che aumenteranno di numero potranno esserci anche più utili. Cammineranno su due gambe e, se non si metteranno tranquilli e faranno ancora i prepotenti, li taglierò ancora e cosi impareranno a camminare su una gamba sola, come nel gioco degli otri.› Detto fatto, si mise a tagliare gli uomini in due come si tagliano le sorbe quando si mettono a seccare, o come si divide un uovo col crine. E via via che tagliava, poi, raccomandava ad Apollo che a ciascuno gli rivoltasse il viso e la metà del collo dalla parte del taglio in modo che l'uomo, vedendosi sempre la sua spaccatura, diventasse più mansueto; Apollo, infine, provvedeva a chiudere le altre parti. Girava la faccia e, tirando la pelle, tutta verso quel punto che noi ora chiamiamo ventre, come chi fa per chiudere coi lacci una borsa, faceva una specie di groppo, che legava proprio in mezzo alla pancia, quello che noi chiamiamo ombelico. Spianava, poi, le molte rughe e modellava il petto usando un arnese un po' simile a quello che adoperano i sellai per spianare, sulla forma, le grinze del cuoio: ne lasciava, però, qualcuna, nei paraggi del ventre e intorno all'ombelico, in ricordo dell'antico castigo. Fu così che gli uomini furono divisi in due, ma ecco che ciascuna metà desiderava ricongiungersi all'altra; si abbracciavano, restavano fortemente avvinti e, nel desiderio di ricongiungersi nuovamente, si lasciavano morire di fame e di accidia, non volendo far più nulla, divise com'erano, l'una dall'altra. Quando, poi, una delle due metà, moriva, quella rimasta in vita, se ne cercava un'altra e le si avvinghiava, sia che le capitasse una metà di sesso femminile (che oggi noi chiamiamo propriamente donna) che una di sesso maschile; e così, morivano. Allora Giove, impietosito, ricorse a un nuovo espediente: spostò il loro sesso sul davanti; prima, infatti, l'avevano dalla parte esterna e generavano e si riproducevano non unendosi tra loro, ma alla terra, come le cicale. Dunque, trasferì questi organi sul davanti e, così facendo, rese possibile la procreazione attraverso l'unione del maschio nella femmina; lo scopo era quello di far generare e di perpetuare la specie grazie a un simile accoppiamento tra maschio e femmina; se, invece, l'unione fosse stata fra maschi, dopo un po' sarebbe venuta sazietà da questo connubio e così, una volta separatisi, sarebbero potuti ritornare al lavoro e alle altre cure della vita. Da tempi remoti, quindi, è innato negli uomini il reciproco amore che li riconduce alle origini e che di due esseri cerca di farne uno solo risanando, così, l'umana natura.   XV 21  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Quindi, ciascuno di noi è come la metà di un unico contrassegno, dal momento che fu tagliato in due, come le sogliole, e va continuamente in cerca dell'altra metà. Ora, tutti quegli uomini che son derivati dalla divisione di quel doppio essere, cioè, dall'ermafrodito, come l'abbiamo appunto chiamato, sentono tutti l'attrazione per le donne e da lì provengono anche la maggior parte degli adulteri; così pure hanno la stessa origine le donne che vogliono il maschio e le adultere. Invece, le donne che son derivate dalla divisione di un essere di sesso femminile, sono frigide nei riguardi dell'uomo e sentono, piuttosto, attrazione per le altre donne e da qui sono nate le lesbiche. Quegli uomini, infine, che son nati dalla divisione di un essere maschile, van dietro ai maschi e, finché son ragazzi, per il fatto che son parti di maschio, amano gli uomini e godono di giacersi stretti abbracciati con loro. Questi sono i ragazzi, i giovinetti più in gamba, dotati di un'indole virile; c'è della gente che dice che costoro sono degli svergognati, ma sbaglia: non per impudenza, infatti, fanno questo ma perché sono arditi, valorosi e virili e, come tali, cercano il loro simile. E questa è la prova migliore: in età matura, soltanto costoro diventano dei veri uomini e partecipano alla vita politica. Da adulti, poi, sono loro ad amare i fanciulli e se non fosse perché la consuetudine un po' ve li costringe, se dipendesse dalla loro natura, certo non penserebbero affatto a sposarsi e ad avere dei figli, anzi sarebbero contentissimi di vivere così da scapoli. Insomma, da qui nascono quelli che amano gli uomini o si lasciano da essi amare, preferendo sempre chi ha la loro stessa natura. E quando uno incontra quella che fu la sua metà, non solo chi si sente attratto verso i fanciulli, ma anche ogni altro, sente allora nascere in sé quel sentimento di amicizia, di intimità, di amore per cui non sa più vivere separato dall'altro, nemmeno un istante, tanto per dire. E questi che passano insieme la loro vita non ti saprebbero nemmeno più dire quello che vogliono per loro; e io penso che nessuno crederà che sia soltanto l'attrazione fisica a tenerli così appassionatamente uniti; è certo che l'anima loro cerca qualcos'altro, che non sa definire ma che vagamente intuisce. Se, per esempio, mentre stanno dolcemente insieme, comparisse Efesto, con gli strumenti del suo potere e chiedesse loro: ‹Cosa vorreste, uomini, l'uno dall'altro?› e vedendoli incerti chiedesse ancora: ‹Non desiderate, forse, diventare una cosa sola in modo che non possiate mai separarvi, né di giorno né di notte? Se è questo che volete, io vi unirò, vi fonderò in una stessa natura così che da due voi diventiate uno e la vostra vita la viviate come un essere solo e quando morrete, anche laggiù, nell'Ade, possiate essere uno solo invece di due, uniti da un'unica morte. Vedete un po', allora, se è questo che desiderate, se è questo che vi basta ottenere.› Dunque. se udissero queste parole, siamo convinti che nessuno dei due rifiuterebbe, nessuno mostrerebbe di voler altro, anzi, ognuno penserebbe di aver finalmente udito le parole che da tanto tempo sognava di ascoltare, diventare cioè di due una sola cosa, unirsi, confondersi nella creatura amata. E la ragione di tutto questo è che tale era la nostra antica natura e che noi eravamo uniti; e lo struggimento per quella perduta unità, il desiderio di riottenerla, si chiama amore. Ripeto, noi, prima eravamo un essere solo ma poi, per i nostri falli, da dio siamo stati divisi, un po' come gli Arcadi lo   XVI 22  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org sono stati dagli Spartani. E c'è da temere che se non saremo obbedienti verso gli dei, verremo ancora tagliati e vagheremo un po' simili a quelle figure in bassorilievo, segate in due lungo la linea del naso, che si vedono sulle steli, ridotti come dadi a metà. Occorre, perciò, che ogni uomo consigli gli altri ad essere pii verso gli dei, sia per evitare questo male, sia per ottenere quel bene al quale Amore ci volge e ci guida. Nessuno sia ostile ad Amore (chi lo è, è inviso agli dei); perché se gli saremo amici, se ci riconcilieremo con questo dio, noi riusciremo a trovare e a congiungerci con la nostra anima gemella, cosa che oggi capita a pochi. E non insinui Eressimaco, canzonandomi per questo che sto dicendo, che io voglio alludere a Pausania e ad Agatone (molto probabilmente essi sono tra questi pochi e hanno entrambi natura virile). Ad ogni modo io dico, in generale, di tutti, uomini e donne, che la razza umana sarà felice nella misura in cui ciascuno realizzerà il suo amore e troverà la sua creatura amata, ritornando così all'antica condizione. Se questo è il bene più grande, ne consegue che, nelle presenti condizioni, la cosa migliore è quella che più gli si avvicina: incontrare l'amante che meglio ci sappia corrispondere. Se, dunque, vogliamo levar lodi al dio che ci può dar tutto questo, è ad Amore che dobbiamo inneggiare il quale, per ora, favorisce il nostro incontro con chi ci è affine e, un domani, ci darà le più grandi speranze che, se noi ci mostreremo riverenti verso gli dei, ci restituirà l'antica natura e, risanandoci, ci renderà felici e beati. Questo, o Eressimaco,» concluse, «il mio discorso su Amore, diverso dal tuo, a quanto vedi. Come ti ho pregato, non starmelo a canzonare, dato che dobbiamo ancora sentire quel che diranno gli altri, anzi gli ultimi due, perché non sono rimasti che Agatone e Socrate.»   23  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E va bene, t'accontento,» rispose Eressimaco, «anche perché il tuo discorso m'è proprio piaciuto; anzi, se non sapessi che Socrate e Agatone son ferratissimi in fatto d'amore, avrei proprio paura, con tutto quel che s'è detto, che rimanessero a corto d'argomenti. Ma, nonostante questo, invece, mi sento sicuro.» E Socrate, intervenendo: «Eh, già, Eressimaco, perché tu hai già detto la tua e bene anche; ma se ti trovassi qui, al mio posto o meglio nella posizione in cui mi troverò quando Agatone avrà finito anche lui di fare il suo bel discorso, saprei immaginare la tua paura, e quanta anche, come ce l'ho io adesso.» «Non m'incanti, Socrate,» fece, di rimando, Agatone, «tu vuoi proprio confondermi facendomi credere che queste persone son tutte qui ad aspettare chissà cosa dal mio discorso.» «E io, allora, sono uno smemorato, Agatone,» replicò Socrate, «se credessi che ora tu hai paura di noi che siam qui in pochi. Ho visto il tuo coraggio, la tua sicurezza quando sei salito sul podio con gli altri attori e hai abbracciato con uno sguardo tutto il teatro pieno zeppo, poco prima di rappresentare la tua opera.» «Ma che c'entra, questo, Socrate?» ribatté Agatone. «Non mi crederai mica tanto infatuato per una rappresentazione teatrale, da non capire che per uno che abbia un po' di buon senso, poche persone intelligenti fan più paura di una folla di sciocchi?» «Non sarebbe bello da parte mia, Agatone,» insisté Socrate, «se ti pensassi capace di un pensiero volgare. So benissimo che se ti venissi a trovare fra persone che tu ritenessi sapienti, ne saresti preoccupato più che se fossi in mezzo a un mucchio di gente; il fatto è che noi non siamo tali e, del resto, c'eravamo anche noi, lì, non più che folla tra la folla. Se tu, invece, ti incontrassi veramente con dei sapienti, ti vergogneresti davanti a loro, se ti accorgessi di far qualche brutta figura, non credi?» «Certo, dici bene,» ammise. «E se tu la brutta figura la facessi davanti alla folla, non ti vergogneresti?» A questo punto intervenne Fedro e: «Mio caro Agatone,» disse, «se stai lì a rispondere a Socrate, te le saluto le cose che stavamo dicendo, ma tanto a lui non gliene importa niente, basta che abbia qualcuno con cui discutere, specie poi se è un bel ragazzo. Con questo non è che io non ascolti volentieri una discussione di Socrate, ma certo che ora mi sta più a cuore l'elogio di Amore e avere, da ciascuno di voi, il rispettivo discorso. Pagate al dio il vostro debito e poi discuterete come vi pare.» «Dici proprio bene, Fedro,» esclamò Agatone; «niente mi impedisce di parlare; con Socrate non mancheranno certo le occasioni per discutere.»   XVII 24  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Io desidero prima dirvi com'è che intendo impostare il mio discorso, dopo entrerò nel vivo della questione. A me pare che tutti quelli che hanno parlato finora non abbiano celebrato il dio ma soltanto posto l'accento su quanto gli uomini siano felici per quei beni di cui, appunto, quel dio è la causa; nessuno ha detto chi sia propriamente costui che ci offre tutti questi beni. Orbene, l'unico metodo giusto per far qualsiasi elogio, di qualunque cosa, è quello di illustrare prima chi sia, in effetti, quello di cui si parla e poi di quali beni sia la causa. Ecco perché noi dobbiamo prima lodare Amore per quel che egli è, poi per i doni che ci reca. Intanto io affermo che tra tutti i beatissimi dei (se m'è lecito dirlo e non è peccato) Amore è il più beato perché è il più bello e il più buono. Il più bello soprattutto perché è il più giovane degli dei, Fedro. Egli stesso ce ne dà la prova migliore fuggendo dinanzi alla vecchiaia che, tutti sanno, è veloce e ci casca addosso più presto di quel che dovrebbe. Naturalmente Amore la odia e non le si avvicina nemmeno da lontano. Giovane com'è, invece, sta sempre con i giovani e ha ragione l'antico detto che il simile s'accompagna sempre al suo simile. Ed io, pur consentendo con Fedro in molte cose, non condivido il fatto che Amore sia più antico di Crono e di Giapeto. Ripeto, invece, che è il più giovane di tutti gli dei, eternamente giovane e tutti quei vecchi fatti tra gli dei che raccontano Esiodo e Parmenide, accaddero per opera di Necessità, non di Amore, ammesso pure che quei due abbiano detto il vero. Non ci sarebbero state, infatti, mutilazioni, catene e tutte quelle altre violenze se Amore fosse stato in mezzo a loro, ma solo amicizia e concordia come è ora, da quando egli regna sugli dei. Dunque egli è giovane e non solo, è gentile. Il fatto è che gli manca un poeta, un poeta come Omero che ne esalti la delicata bellezza. Di Ate, per esempio, Omero dice non solo che è una dea ma che, appunto, è delicata (almeno i suoi piedi sono tali), quando scrive: morbidi sono i suoi piedi che non accosta alla terra ma ella procede sfiorando le teste degli uomini. E mi pare che egli ci abbia dato una bella prova della sua delicatezza col dirci che non cammina sul duro ma sul morbido. Serviamoci, anche noi, per Amore, dello stesso indizio a conferma che è delicato; egli, infatti, non cammina per terra e nemmeno sulle teste degli uomini che, poi, tanto morbide non sono, ma tra le più tenere delle cose che esistono egli procede e dimora: egli, infatti, ha posto la sua sede nel cuore e nell'animo degli uomini e degli dei;  non però in tutte le anime indistintamente. Se, infatti, ne trova una rozza, fila via, se gentile invece, vi resta. Dato, quindi, che egli è sempre a contatto, e non solo con i piedi ma anche con tutto se stesso, con le più tenere tra le tenerissime cose, necessariamente deve essere delicatissimo. Il più giovane, dunque, e il più delicato; ma oltre a questo è duttile. Non potrebbe piegarsi in tutte le direzioni e entrare di soppiatto nelle anime e così uscirne se fosse rigido; la leggiadria, per consenso comune, è la prova evidente delle fattezze armoniche e flessuose che Amore possiede. Infatti, fra l'amore e la bruttezza c'è sempre reciproca guerra. La bellezza del suo incarnato ci dice che egli   XVIII 25  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org indugia tra i fiori, poiché Amore non resta dove non v'è cosa in fiore o che sia avvizzita, sia essa corpo o anima o altro, ma dove tutto è fiorito e olezzante, là si posa e dimora.   26  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Sulla bellezza del dio può anche bastare, per quanto ce ne sarebbe ancora da dire. Ma ora parliamo delle sue virtù. La cosa che prima di tutto bisogna notare è che Amore non fa torti a nessuno, né a uomini né a dei e nemmeno ne riceve. Egli non subisce violenza (ammesso che subisca qualcosa), perché essa non lo tocca, né con prepotenza fa quel che fa, ma ognuno serve Amore spontaneamente in ogni cosa; e quando c'è accordo reciproco tra due volontà, ‹le Leggi che sono le regine degli Stati›, dicono che è giusto. Oltre che la giustizia, Amore possiede in sommo grado anche la temperanza. Tutti son d'accordo nell'affermare che la temperanza consiste nel dominio delle passioni e dei piaceri. Ma non c'è nessun piacere più intenso dell'Amore e quindi se tutti gli altri sono meno intensi, sono inferiori a lui che, perciò, trionfa e ha il dominio sulle passioni e sui piaceri e, come tale, è in sommo grado, temperante. Per quanto riguarda la forza, ad Amore ‹neanche Marte può stargli a fronte›. Non è, infatti, Marte che conquista Amore, ma Amore che seduce Marte, amore di Venere a quanto si dice; e chi possiede è più forte di chi si lascia possedere: quindi, vincendo chi è più forte degli altri, egli è il più forte di tutti. Della giustizia, quindi, della temperanza e della fortezza del dio, s'è già detto; resta ora da dire della sua sapienza: per quanto è possibile, bisogna cercare di non tralasciare nulla. Intanto, per prima cosa per rendere onore alla nostra arte, come Eressimaco ha fatto per la sua, dirò che questo dio è poeta cosi sapiente da far diventare tali anche gli altri; in effetti, ognuno diventa poeta se è toccato da Amore, anche se non ha mai avuto prima a che fare con le Muse. Da qui possiamo trarre la conferma che Amore, in generale, è buon poeta in ogni genere di produzione artistica. Infatti, ciò che uno non ha e non conosce, non può certo darlo, né insegnarlo a nessuno. E, infatti, chi è che vorrà contestare che la creazione di tutti gli esseri viventi non avvenga per la sapienza d'Amore che genera e fa crescere tutte le creature? E, inoltre, nell'attività artistica non sappiamo forse che chi ha per maestro questo dio diviene famoso e illustre, chi invece non è toccato da Amore resta oscuro? L'abilità nel tiro dell'arco, la sapienza nella medicina, l'arte profetica, Apollo le ha scoperte sotto l'impulso del desiderio e dell'amore, così che anch'egli può dirsi discepolo di questo dio, come le Muse per le loro arti, Efesto per l'arte di forgiare metalli, Minerva per quella del tessere e Giove, infine, per quella di governare sugli dei e sugli uomini. Fu cosi che tutte le questioni tra gli dei si appianarono, da quando Amore comparve in mezzo a loro, si capisce, Amore della bellezza, perché delle cose brutte non c'è amore; mentre, come ho detto, prima d'allora, molte e orribili cose, a quanto si dice, accadevano tra gli dei, perché regnava Necessità. Ma dopo che nacque questo dio, si amarono le cose belle e ne venne per gli dei e per gli uomini abbondanza di beni. Così, Fedro, mi sembra proprio che Amore, bellissimo e buonissimo com'è, rechi anche agli altri bellezza e bontà. Quasi quasi mi vien da dire in versi quello che fa, per esempio così: pace agli uomini reca, calma sul mare tregua ai venti e, nel dolore, il sonno.   XIX 27  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Egli ci libera dal timore di essere estranei a noi stessi, ci dà un senso di calda intimità, ci invita a partecipare a riunioni come questa, a feste, a danze, a sacrifici di cui diventa un po' l'auspice, assicura la benevolenza, allontana ogni rancore, largo in favori, incapace di malvagità, benigno, buono, esempio ai saggi, ammirato dagli dei, invidiato dagli infelici, posseduto dai fortunati, padre della Delizia, dell'Eleganza, del Fasto, della Grazia, del Desiderio, della Bramosia, sollecito verso i buoni, incurante dei malvagi, nelle fatiche, nelle paure, nelle passioni, nelle conversazioni, è guida, guerriero, compagno di lotta, salvezza provvidenziale, ornamento di tutti gli dei e di tutti gli uomini, duce meraviglioso e perfetto che ognuno deve seguire e celebrare con inni degni di lui, partecipando al suo canto col quale egli ammalia il cuore degli uomini e degli dei. Questo, Fedro, il mio discorso in omaggio al dio, svolto un po' celiando, un po' con ben dosata gravità, secondo le mie capacità.»   28  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Quando Agatone ebbe finito di parlare, raccontò Aristodemo, ci fu uno scroscio di applausi da parte di tutti i presenti che riconobbero come il discorso del giovane fosse stato degno di lui e del dio. E, allora, Socrate volgendosi ad Eressimaco: «E così, figlio di Acumeno, ti sembra ancora fuori posto il mio timore di prima o non ho forse previsto giusto, poco fa, quando ho detto che Agatone avrebbe parlato benissimo e che io mi sarei trovato in un bell'imbarazzo?» «Per il primo punto,» rispose Eressimaco, «ti do anche ragione, cioè quando dici di aver previsto che Agatone avrebbe parlato bene, ma che tu, poi, ti trovi nell'imbarazzo questo proprio non lo credo.» «Ma come faccio a non esserlo, mio caro, e come me chiunque altro dovesse parlare dopo un discorso così bello e così interessante? Certo in qualche parte non è stato stupendo come nel resto, ma verso la fine chi non sarebbe rimasto sbalordito di fronte a tanta bellezza di vocaboli e di espressioni? Quasi quasi, pensando che non sarei mai stato capace di dire qualcosa che solo si avvicinasse a tanta bellezza, stavo per fuggirmene dalla vergogna. Perché il suo discorso m'ha fatto venire in mente Gorgia, tanto da farmi sentire nella stessa situazione di cui parla Omero, temevo proprio, cioè, che alla fine Agatone con il suo discorso, gettasse sul mio la testa di Gorgia, di quel formidabile oratore, togliendomi l'uso della favella e facendomi diventare di pietra. E ho capito, allora, di essere stato proprio un ingenuo quando ho accettato di celebrare, insieme a voi, Amore, dicendo che ero un, esperto su questo argomento, mentre invece, e me ne accorgo adesso, non sapevo un bel niente, persino come si fa un elogio qualunque. Da quell'ingenuo che sono credevo che nel fare l'elogio di chicchessia o di qualcosa si dovesse dire la verità e che questa era la cosa fondamentale; poi pensavo che bisognasse scegliere, tra le cose vere, le più belle e disporle nel modo migliore; ed ero tutto contento del fatto mio, sicurissimo che avrei fatto un figurone dato che conoscevo esattamente il modo di imbastire un elogio. E, invece, a quanto pare, non è così che si fa un bell'elogio: bisogna al contrario fare le lodi più sperticate e più belle, corrispondano o meno al vero: si vede che eravamo d'accordo di lodare Amore, così, per burla, non di farne l'elogio seriamente. Ed è per questo, credo, che voi tirate in ballo ogni sorta di argomenti e li affibbiate ad Amore e affermate che egli è questo e quello ed è la causa di un sacco di cose in modo che appaia bellissimo e perfettissimo ma, è chiaro, a chi non lo conosce, non a quelli che ne sanno qualcosa. Sfido io che, così, il bel panegirico è presto fatto. Ma io non conoscevo un simile sistema di far gli elogi e proprio per questo fui d'accordo con voi di pronunciarne uno anche io, seguendo il mio turno: la lingua lo promise, non il cervello. E, allora, statevi bene, perché io un elogio con questo sistema non ve lo faccio, è più forte di me. La verità, invece, se volete, eccomi qua, pronto a dirvela, a modo mio, senza far gare con nessuno perché non ho proprio voglia di farmi ridere dietro. Vedi tu, quindi, Fedro se è proprio necessario un discorso di questo genere e sentire come veramente stanno le cose, a proposito dell'Amore, con quei termini e con quello stile poi che lì per lì mi passeranno per la mente.» Ma Fedro e gli altri, mi riferì Aristodemo, lo invitarono a parlare come volesse. «E va bene, Fedro, però lasciami prima fare una piccola domanda ad Agatone, perché voglio mettermi un po'   XX 29  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org d'accordo con lui e poi parlerò.» «Ma figurati,» commentò Fedro, «fa pure.» E allora Socrate cominciò presso a poco così:   30  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Dunque, mio caro Agatone, m'è parso proprio buono l'inizio del tuo discorso quando hai detto che prima di tutto bisogna esporre quale sia la natura d'Amore e poi passare alle sue opere; un esordio che mi è proprio piaciuto. Ma ora, dato che hai così magnificamente parlato su tutto quel che riguarda la natura d'Amore, dimmi una cosa: Amore, è amore di qualche cosa o amore di nulla? Bada che non ti chiedo se amore per una madre o per un padre (sarebbe ridicolo chiedere se Amore sia amore verso la madre o il padre), ma come se ti chiedessi a proposito del padre: il padre è padre di qualcuno o no? tu, certo, mi risponderesti, se volessi darmi una risposta appropriata, che il padre deve essere necessariamente padre di un figlio o di una figlia, non ti pare?» «Ah, certamente,» ammise Agatone. «E la stessa cosa è per una madre?» Era d'accordo anche in questo. «E rispondimi ancora,» proseguì Socrate, «a una piccola cosa per capire meglio dove voglio arrivare: se ti chiedessi: e allora, un fratello, come tale, è fratello di qualcuno?» «Sicuro che lo è.» «Fratello di un fratello o di una sorella?» «D'accordo.» «Prova a dire la stessa cosa a proposito di Amore: Amore è amore di qualcosa o amore di nulla?» «Certo amore di qualcosa.» «Ebbene,» riprese Socrate, «questo tientelo per te bene a mente e dimmi, invece: Amore desidera o meno ciò di cui è amore?» «Certo,» rispose. «E quel che egli desidera e ama, l'ama e lo desidera perché lo possiede o proprio perché, invece, gli manca?» «Probabilmente perché non lo possiede,» rispose. «Sta attento,» insisté Socrate, «che non si tratta di probabilità, ma è necessariamente logico che si desidera quello che non si possiede; quando si ha una cosa, invece, non la si desidera affatto. Di qui non si scappa ed io ne sono assolutamente convinto, tu no, invece?» «Ah, anch'io lo sono,» fece. «Ben detto. Ed effettivamente uno che lo è già potrebbe desiderare di essere grande? E essere forte uno che è già tale?» «Dopo quel che s'è convenuto, è impossibile.» «Effettivamente, non può essere privo di queste qualità chi le ha già.» «È chiaro.» «Eppure,» osservò Socrate, «se uno che è forte, volesse esser forte o se è veloce, volesse essere veloce o, ancora, se è sano, volesse esser sano, dato che qualcuno potrebbe pensare, di fronte a un esempio simile o a casi del genere, che vi siano persone che pur possedendo tutte queste qualità, tuttavia le desiderano sempre (ti sto dicendo questo per non lasciarci trarre in inganno); ebbene, Agatone, se ci pensi, costoro che al momento posseggono queste qualità, è inevitabile che le abbiano, lo vogliano o meno, e se le posseggono già, come possono desiderarle? Ma se uno dicesse: ‹lo che son sano voglio essere sano o, pur essendo già ricco, voglio essere ricco e desidero questo che già posseggo,› gli potremmo rispondere: ‹Tu, caro mio, che hai già ricchezze, salute, forza, vuoi continuarle ad avere anche per l'avvenire, giacché, per il momento, tu voglia o non voglia, già le possiedi; pensa un po' se, quando dici che desideri le cose che hai, tu non voglia dire, invece, semplicemente, che desideri di possedere anche per l'avvenire quello che oggi già possiedi.› Credi che non sarebbe d'accordo?» E Aristodemo mi riferì che Agatone lo ammise. Socrate allora proseguì: «E desiderare che per l'avvenire ci siano preservate le cose che noi già possediamo oggi, non vuol forse dire amare quel che ancora non si possiede o di cui tuttora non si dispone?» «Certo,» ammise. «E quindi, se Tizio o Caio desiderano qualcosa, sarà sempre ciò di cui ancora non   XXI 31  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org dispongono, che ancora non hanno o quelli che essi stessi non sono o di cui si sentono privi; non è tutto qui il loro desiderio e il loro amore?» «Senza dubbio,» fece. «Bene, ricapitoliamo, allora, quanto s'è convenuto. Amore, prima di tutto è amore di qualcosa e, in secondo luogo, di ciò di cui si è privi?» «Sì, sempre.» «E adesso ricordati quello che hai detto poco fa, che cioè l'Amore tende a qualcosa. Se credi cercherò io di ricordartelo: se non sbaglio, tu hai detto, su per giù, che le questioni tra gli dei s'aggiustarono grazie all'Amore del bello e che per le cose brutte non c'è amore; non è questo che hai detto?» «Sì, questo,» ammise Agatone. «E l'hai detto molto opportunamente, mio caro,» riprese Socrate; «e se le cose stanno così, Amore, che altro è se non amore del bello e non del brutto?» «D'accordo.» «Ma non abbiam detto che si ama ciò di cui si è privi, ciò che non si ha?» «Sì,» fece. «Dunque, l'Amore, non ha la bellezza, ne è privo.» «Per forza.» «E allora? Chi è privo di bellezza, chi non ne ha, tu lo chiami bello?» «Affatto.» «Se le cose stanno così, tu sei sempre del parere che Amore sia bello?» «Temo proprio, Socrate, di non capir più niente di quel che ho detto,» esclamò Agatone. «Eppure hai parlato bene, Agatone,» incalzò Socrate. «Ma dimmi un'altra cosetta: quello che è buono, secondo te, non è anche bello?» «Per me sì.» «Se, dunque, Amore non ha la bellezza e se quello che è bello è anche buono, egli sarà anche privo di bontà.» «Io non sono in grado di contraddirti, Socrate e quindi sia pure come tu dici.» «È la verità, Agatone carissimo, e tu non puoi contestarla; Socrate, invece, sì, lo puoi contraddire e la cosa non è per niente difficile.»   32  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ma sì, via, ora ti lascerò in pace. Vi racconterò, piuttosto, quello che sull'Amore, mi disse un giorno una donna di Mantinea, Diotima, molto dotta sull'argomento e su un'infinità di altre questioni. Figuratevi che una volta, con i sacrifici che fece fare agli ateniesi, prima della peste, riuscì a ritardare l'epidemia di dieci anni. Fu lei a erudirmi nelle questioni d'amore e quindi, partendo dalle conclusioni che Agatone ed io abbiamo tratto, cercherò di ripetervi, come posso, a parole mie, il discorso che ella mi fece. Ebbene, proprio come tu dicevi, Agatone, bisogna definire prima chi sia Amore, quale la sua natura e poi le sue opere. Ora io penso che la cosa più facile per me, sia quella di seguire lo stesso metodo che usò quella straniera quando discusse con me. Anch'io, infatti, le dicevo un po' le stesse cose che ora mi ha ripetuto Agatone, cioè che Amore è un grande dio, che è amore di cose belle ed ella cominciò a confutarmi con gli stessi argomenti, precisamente, che io ho usati ora con costui, cioè che Amore non è né bello (per usare le mie parole) né buono. Ed io: «Ma com'è che dici questo, Diotima? Allora Amore è brutto e malvagio?» «Ma che? Ora ti metti pure a bestemmiare?» fece lei. «Credi forse che ciò che non è bello debba necessariamente essere brutto?» «Sicuro, io sì.» «E credi anche che chi non è sapiente, sia ignorante? Ma non ti accorgi che c'è sempre una via di mezzo tra sapienza e ignoranza?» «E quale?» «Avere un'opinione giusta, ecco, ma senza poterne dare una spiegazione; non sai,» fece «che questo non è sapere (e come può esserlo se non se ne sa dare una spiegazione?), ma non è nemmeno ignoranza (e come, infatti, potrebbe se coglie nel vero?). Insomma, la retta opinione è qualcosa di simile, una via di mezzo tra la sapienza e l'ignoranza.» «È vero quello che dici,» ammisi io. «E quindi non insistere a credere che ciò che non è bello debba essere, a tutti i costi, brutto e ciò che non è buono, debba esser malvagio. E così anche a proposito di Amore, visto che anche tu sei d'accordo che non è buono né bello, non pensare che debba essere malvagio e brutto,» concluse, «ma qualcosa tra questi due estremi.» «Eppure,» obbiettai io, son tutti d'accordo che è un dio potente.» «Tutti chi?» ribatté lei, «quelli che non sanno o anche quelli che sanno?» «Tutti quanti.» «Ma come fanno, Socrate, a dirlo un gran dio,» fece lei, ridendo, «se affermano che non è nemmeno un dio?» «E chi sono questi?» «Uno, intanto, sei tu, l'altra sono io.» «Ma come fai a dir questo?» «Semplice. E tu, infatti, rispondimi: non affermi che gli dei son tutti beati e belli? avresti il coraggio di dire che qualcuno non è bello o non è beato?» «Santo cielo, io no,» risposi. «E beati, secondo te, non sono quelli che hanno bontà e bellezza?» «Sicuro.» «Ma non hai convenuto che Amore desidera le cose buone e belle, proprio perché ne è privo?» «Già, certo.» «E, allora, come può essere un dio chi non ha né bellezza né bontà?» «Ah, no, assolutamente.» «Vedi, dunque,» concluse, «che anche tu affermi che Amore non è un dio.»   XXII 33  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ma, allora,» chiesi, «chi sarebbe Amore? Un essere mortale?» «Ma niente affatto.» «Ma allora?» «Come nel caso precedente, qualcosa di mezzo, tra, il mortale e l'immortale.» «E cioè, Diotima?» «Un demone possente, Socrate, che come tutti i demoni, sta tra il divino e l'umano.» «E qual è il suo potere?» chiesi. «Quello di interpretare e di recare agli dei le preghiere e i sacrifici degli uomini e, agli uomini, i comandamenti e i premi degli dei per i sacrifici compiuti; nel suo ruolo di intermediario, egli colma l'enorme distanza tra gli uni e gli altri, così l'universo risulta in se stesso collegato. Da lui procede tutta l'arte della divinazione, tutta la scienza sacerdotale, per quel che riguarda i sacrifici e le iniziazioni e poi gli incantesimi, ogni sorta di profezie e la magia. Dio non scende a contatto con l'uomo ma è attraverso i demoni che egli parla e ha rapporto con gli uomini, sia quando sono svegli, sia durante il sonno; e chi è sapiente in queste cose è un ispirato chi invece s'intende d'altro, esercita, per esempio, una diversa arte o un mestiere qualsiasi, non è che un manovale. Molti sono i demoni e di ogni specie. Amore ne è uno.» «E suo padre e sua madre,» chiesi, «chi sono?» «È, una cosa lunga,» fece, «ma te la racconterò ugualmente. Quando nacque Afrodite, gli dei si trovavano a banchetto e, tra gli altri, c'era anche Poro, il figlio di Metide. Avevano già finito di pranzare, quando giunse Penia, per elemosinare, dato che sontuoso era stato, il banchetto e se ne rimase sull'uscio. In quel mentre Poro, gonfio di nettare (il vino infatti non era ancora conosciuto), se ne uscì nel giardino di Giove e, mezzo ubriaco com'era, s'addormentò. Allora, Penia, sempre afflitta dalle sue angustie, pensò se non le fosse possibile avere un figlio da Poro e così gli si stese al fianco e restò incinta di Amore. Per questo Amore è compagno e ministro di Afrodite, perché fu concepito nel giorno della sua nascita ed è, nello stesso tempo, amante del bello perché bella è Afrodite. D'altro canto, per il fatto che Amore è figlio di Poro e di Penia, si trova in questa condizione. Anzitutto è sempre povero e tutt'altro che delicato e bello, come i più se lo figurano; anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo, vagabondo, dorme sempre per terra, allo scoperto, davanti agli usci e nelle strade, sotto il sereno, perché ha la natura della madre ed è tutt'uno con la miseria. Per parte del padre, invece, è fatto per insidiare ciò che è bello e buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore, sempre pronto a tramare inganni, amico del sapere, ricco di espedienti, tutta la vita dedito a filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni, sofista. Inoltre né immortale, né mortale, ma, in uno stesso giorno, sboccia rigoglioso alla vita e muore, poi torna a vivere grazie a mille espedienti e in virtù della natura paterna; sfumano tra le sue dita le ricchezze che si procura, così che Amore non è mai al verde e mai ricco. Inoltre è a mezzo tra sapienza e ignoranza. Ecco come: nessun dio s'occupa di filosofia, né ambisce a diventar sapiente (ché già lo è), né, del resto, chi è sapiente, si dedica alla filosofia; d'altra parte, nemmeno gli ignoranti si dedicano alla filosofia, né ambiscono a diventar sapienti; e questo è il brutto dell'ignoranza, che chi non è né bello, né buono, né saggio, crede, invece, di esserlo abbondantemente; naturalmente chi non si accorge di esser privo di qualcosa, non desidera quello di cui non sente il bisogno.» «Ma, allora,» feci io, «chi sono, Diotima, quelli che si dedicano alla filosofia, se non sono né i sapienti, né gli ignoranti?» «Ma è   XXIII 34  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org chiaro,» mi rispose, «anche un bambino lo capirebbe che son quelli che stanno in una posizione intermedia, tra, i primi e i secondi e, tra questi, c'è anche Amore. La sapienza, infatti, è tra le cose più belle e Amore ama le belle cose e, quindi, necessariamente, è anche filosofo e, come tale, sta fra il sapiente e l'ignorante. E la sua origine è un po' la causa di tutto questo: suo padre è sapiente e pieno di estro, ma sua madre, invece, non lo è affatto, è ignorante. Tale, Socrate, è la natura di questo demone. Come poi tu immaginavi che fosse, non c'è da meravigliarsi; per quel che ho potuto capire dalle tue parole, credevi che Amore fosse colui che si ama, non colui che ama. Ecco perché, io penso, ti sembrava così bello. Infatti, chi è amato è veramente bello, seducente, perfetto, degno di ogni felicità; colui che ama, invece, ha un altro aspetto, quale io ti ho descritto.»   35  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Ed io: «E sia, straniera, tu parli bene, ma se tale è Amore, che utilità arreca agli uomini?» «È questo che ora cercherò di chiarirti, Socrate. Tale, dunque, è Amore e così è nato: Amore del bello, come tu dici. Se qualcuno, ora, domandasse: ‹In che senso, Socrate e Diotima, l'Amore è amore del bello› o più precisamente, ‹chi ama le cose belle, ama, ma ama che cosa?›» «Che diventino sue,» risposi. «Ma questa tua risposta,» mi precisò, «esige che si ponga un'altra domanda, di questo genere, per esempio: ‹Che cosa gliene viene a chi possiede le cose belle?›» Io risposi che, a una domanda simile, non sapevo sul momento che dire. «E immaginiamo, allora, incalzò, che uno al posto del bello mettesse il bene e che chiedesse: ‹Via, Socrate, chi ama il bene, ama, ma ama che cosa?›» «Che diventi suo,» risposi. «E che cosa gliene viene a chi possiede il bene?» «A questo,» dissi, «mi è più facile rispondere: sarà felice.» «E, infatti, concluse, è proprio per il possesso del bene che le persone felici sono tali e non è proprio il caso di star lì a chiedersi perché uno vuole essere felice. Mi pare che la domanda abbia già avuto la sua risposta definitiva.» «È vero quello che dici,» ammisi. «E allora, questo desiderio e questo amore, credi siano un po' comuni a tutti gli uomini e che tutti desiderano sempre possedere il bene o pensi diversamente?» «Sì, io credo proprio che siano comuni a tutti,» feci. «E, allora, Socrate,» continuò, «come mai non diciamo che tutti quanti gli uomini amano dato che tutti desiderano sempre le stesse cose, ma diciamo, invece, che solo alcuni amano ed altri no?» «Anch'io me ne meraviglio,» ammisi. «E non devi stupirtene,» riprese, «siamo noi, infatti, che prendiamo, dell'amore, soltanto un aspetto e a questo solo diamo il nome generico di ‹amore›, mentre per il resto usiamo altri appellativi.» «Cioè,» chiesi. «Ecco, tu sai che la poesia è creazione ed ha un significato quanto mai vasto; tutto ciò, infatti per cui qualcosa passa dal non essere all'essere, è poesia e, quindi, ogni attività creativa è poesia e tutti i creatori sono poeti.» «È vero.» «Ma intanto,» continuò lei, «sai che non tutti sono chiamati poeti, ma con altri nomi; di tutte le attività creative, solo alcune e precisamente quelle che si occupano della musica e della metrica, noi chiamiamo poesia; solo questa è poesia e poeti, solo quelli che si dedicano a questo particolare aspetto della poesia.» «È vero,» ammisi. «E così è anche per l'amore. In genere ogni desiderio di bene e di felicità è, per ognuno, ‹possente e ingannevole amore›, ma mentre quelli che cercano di realizzarlo per altre vie, come per esempio attraverso i guadagni o l'educazione fisica o la filosofia, noi non diciamo che amano né che sono amanti, gli altri, invece, quelli che seguono e preferiscono un particolare tipo d'amore, ne prendono anche il nome generico: amore, amare, amanti.» «Sembra proprio che tu abbia ragione,» confermai. «Eppure va in giro un certo discorso secondo il quale gli amanti sono quelli che cercano la loro metà. La mia opinione, invece, è che non esiste amore né per la metà, né per l'intero, a meno che, mio caro, non si tratti di un bene; perché gli uomini si lascerebbero tagliare volentieri e mani e piedi se li credessero dannosi per loro, perché io credo che nessuno ami le cose proprie a meno che ciò che ci appartiene non sia il bene e ciò che ci è estraneo, invece, il male; infatti, gli uomini non amano altro che il bene. Non pare anche a te?» «Per Giove, a me sì,» ammisi. «E, dunque, possiamo senz'altro affermare che gli uomini amano il bene?» «Sì,» confermai. «Ebbene,   XXIV 36  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org non bisogna aggiungere che essi, questo bene, desiderano anche possederlo?» «Sicuro.» «E non solo possederlo per un momento, ma per sempre?» «Sicuro, anche questo bisogna aggiungere,» feci. «Per concludere, l'amore è possesso perenne del bene.» «È verissimo quello che dici,» feci.   37  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ora, se questo è l'amore,» proseguì, «quando è che la sollecitudine e lo sforzo di quelli che, in ogni modo e in ogni azione, lo perseguono, può chiamarsi, appunto, amore? Quand'è, insomma, che questo succede? Sai rispondere?» «Se lo sapessi, Diotima, non sarei così pieno di meraviglia per la tua sapienza, né sarei venuto da te per imparar tutto questo.» «E, allora, te lo dirò io: quando si concepisce nel bello, sia da parte del corpo che da parte dello spirito.» «Bisognerebbe essere indovini,» azzardai io, «per capire quello che dici ed io, proprio non lo sono.» «Mi spiegherò più chiaramente,» fece. «Tutti gli uomini, Socrate, hanno in loro, nel corpo come nell'anima, un seme fecondo e quando giungono a una certa età, come per un bisogno naturale, desiderano produrre qualcosa; concepire nel brutto, però, non è possibile, nel bello, invece, sì. Così l'unione dell'uomo con la donna è procreazione ed è veramente quest'atto una cosa divina, questo concepire e generare è veramente ciò che di immortale ha la creatura che pure ha vita mortale. Ma tutto ciò non può avvenire nella disarmonia; e disarmonia, rispetto a tutto ciò che è divino, è il brutto, come il bello è armonia. Quindi la bellezza fa da Parca e da Ilitia al miracolo della vita. Per questo, quando chi ha dentro di sé un seme fecondo, si avvicina al bello, diventa sereno, atteggia a letizia l'animo suo e allora crea, produce; quando, invece, s'accosta al brutto, allora, s'incupisce, si chiude in se stesso tutto afflitto, si ritrae, si ravvolge e non genera ma resta col suo seme fecondo e ne soffre. Di qui, nella creatura feconda e già ricca, sorge un intenso desiderio per tutto ciò che è bello perché il bello soltanto libera chi lo possiede da atroci doglie. Infatti, Socrate,» concluse, «Amore non è amore del bello, come tu credi.» «Ma, allora, cos'è?» «produrre e creare nel bello.» «E sia,» ammisi. «Sicuro,» confermò lei. «E perché questo generare? Perché generare è quanto di sempre rinascente e immortale vi possa essere in una creatura mortale. E l'immortalità è naturale che si desideri come il bene, almeno da quel che abbiamo convenuto se è vero che amore è possesso perenne del bene; ne consegue, inoltre, da tutto questo discorso che l'amore è amore di immortalità.»   XXV 38  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Queste cose ella mi insegnava, quando indugiava a parlarmi di questioni d'amore e, un giorno, mi chiese: «Quale pensi, Socrate, sia la causa di tutto questo amore, questo desiderio? Non vedi in che terribile stato son tutti gli animali, sia quelli che camminano sulla terra che quelli che volano nel cielo, quando son presi dal desiderio di generare, malati tutti d'amore, prima per il desiderio d'accoppiarsi tra loro, poi per la cura e per l'allevamento dei loro nati, e son pronti a combattere per essi, perfino i più deboli contro i più forti e a dare la vita oppure a lasciarsi morire di fame per nutrirli e a far qualunque altra cosa. Gli uomini, si può dire, che facciano tutto questo perché dotati di ragione ma, negli animali, donde proviene questa disposizione all'amore? Sai dirmelo?» E io ancora ad ammettere di non saperlo. «E credi,» continuò ella, «allora di diventare un esperto nelle questioni d'amore se non sai nemmeno questo?» «Ma proprio per questo, Diotima, come t'ho già detto, io son qui, perché so che ho bisogno di maestri. Dimmela tu, dunque, la causa di queste cose e di tutto ciò che riguarda l'amore.» «Orbene, se tu sei convinto che l'amore, per natura, tende a ciò su cui più volte s'è discusso, non devi meravigliarti; anche ora vale il discorso di prima che cioè la natura mortale tende, sempre, per quanto le sia concesso, di essere immortale. E le è possibile in un modo soltanto, attraverso la procreazione, per cui essa lascia sempre un essere nuovo al posto del vecchio, il che succede anche nella vita di ogni creatura, quando si dice che resta sempre la stessa; si dice, per esempio, che uno è sempre la stessa persona, da quando è bambino fino a che è vecchio; in effetti, si dirà che è sempre lo stesso individuo, benché in lui molte cose si mutino; ma si rinnova continuamente, perdendo sempre qualcosa, nei capelli, nelle sue ossa, nel suo sangue, insomma in tutto il suo corpo. E non solo nel corpo, ma anche nell'animo: sentimenti, abitudini, modo di pensare, desideri, piaceri, dolori, timori, ognuna di queste cose non resta sempre la stessa in un individuo, ma si rinnova e poi muore. Ma quel che è ancora più straordinario è che anche le nostre cognizioni non solo nascono e periscono e quindi noi non siamo sempre gli stessi nemmeno per quel che riguarda il nostro sapere, ma ciascuna, presa in se stessa, segue, anch'essa sempre la stessa sorte. Infatti quel che si dice esercitarsi nello studio presuppone che qualche cognizione possa sfuggire; dimenticare, infatti, vuol dir perdita di cognizioni, l'esercizio nello studio, invece, suscita un nuovo ricordo al posto di quel che s'è perduto e salva il sapere in modo che esso appaia sempre eguale. Del resto è in questo modo che si perpetua tutto ciò che è mortale, non col rimanere sempre e immutabilmente se stesso, come ciò che è divino, ma lasciando - ciò che invecchia e vien meno - qualcosa di nuovo al suo posto in tutto simile ad esso. Ecco, Socrate,» concluse, «in che modo tutto ciò che è mortale, sia esso corpo od altro, ha la possibilità di partecipare dell'immortalità; diversamente non c'è altro mezzo. Non stupirti, quindi, se ogni creatura, per legge naturale, cura e protegge il suo seme, perché in tutti, questo zelo e questo amore nascono dal desiderio dell'immortalità.»   XXVI 39  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Ed io sentendola parlare così, tutto stupito, le chiesi: «Ma sapientissima Diotima, sono proprio vere queste cose?» Ed ella con un fare tipicamente cattedratico: «Persuaditi pure, Socrate, che è proprio così; basta che tu faccia caso al desiderio di onori che hanno gli uomini; se tu non riflettessi a quel che ho detto, ti meraviglieresti della loro follia, considerando quanto grande è il loro desiderio di diventar famosi e acquistar gloria immortale per l'eternità e come per questo siano disposti a correre tutti i rischi, più che per i loro figli e sperperare ricchezze, sopportare fatiche, sacrificare perfino la loro vita. Credi proprio che Alcesti sarebbe morta per Admeto o Achille per Patroclo o il vostro Codro per conservare il regno ai figli, se essi non avessero creduto che sarebbe rimasta immortale la loro memoria, quale oggi noi la serbiamo? Assolutamente,» disse. «Invece, credo che ognuno faccia di tutto per ottenere merito imperituro le fama gloriosa (e questo quanto più si è migliori) affascinato com'è dall'immortalità. E così quelli che han fecondo il corpo si volgono essenzialmente alle donne e il loro modo d'amore si risolve nel generare figli e così procurarsi secondo loro, immortalità, memoria e felicità per tutto il tempo a venire. Quelli, invece, che han feconda l'anima (e ve ne sono fecondi spiritualmente più di quanto non lo siano nel corpo), di una fecondità, beninteso che si addice all'anima, ma quale? la saggezza e ogni altra specie di virtù,» diceva, «di cui tutti i poeti sono gli artefici, insieme a quegli artigiani che hanno il nome di inventori; la più alta e più bella forma di saggezza è quella relativa all'ordinamento dello Stato e di ogni organismo sociale, quella che prende il nome di prudenza e di giustizia. Dunque, quando uno di quelli, quasi esseri divini, fin da giovane, ha l'animo fecondo di tali cose e quando, giunto all'età giusta, desidera creare e produrre, io credo che anche lui vada alla ricerca del bello in cui generare; perché nel brutto non lo farà mai. Quindi, fecondo com'è, sentirà maggiore attrazione per le belle sembianze che per le brutte, figuriamoci poi se, in più, incontra un'anima bella e gentile; quando si rallegra di questo felice connubio, accanto a una simile creatura egli sentirà tutto un fervore di ammaestramenti sulla virtù e sul come un uomo per bene debba comportarsi, iniziando, così, la sua opera di educatore. Infatti, penso che a contatto con una bella creatura, convivendole accanto, egli esprima e dia alla luce ciò che da tempo custodiva dentro e, o che le stia vicino o che le stia lontano, sempre la porta alla memoria e nutre, insieme con lei, ciò che è nato dalla loro unione; e tra loro nasce un'intimità, un legame molto più profondo di quello che lega i genitori ai figli, un affetto più intenso dato che hanno in comune figlioli più belli e immortali. Ognuno preferirebbe figli simili piuttosto che creature umane e guardando a Omero o a Esiodo o agli altri grandi poeti non può non provare invidia pensando quale progenie, immortale essa stessa, essi hanno lasciato, che ha loro assicurato memoria e gloria eterna o, se tu vuoi, diceva, figli come quelli che Licurgo lasciò a Sparta, a salvezza di Sparta o meglio ancora di tutta la Grecia; così presso di voi è onorato Solone per avervi dato le leggi e così altrove, altri grandi uomini, sia in   XXVII 40  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Grecia che nei paesi stranieri, che hanno compiuto molte e belle opere, realizzando ogni sorta di virtù. Per questi loro fieli sono già stati tributati ad essi molti onori, il che mai nessuno s'ebbe per quelli di carne e di ossa.»   41  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ebbene, Socrate, io penso,» continuò, «che anche tu potresti essere iniziato alle cose d'Amore, ma fin qui; a un grado più alto, a quello contemplativo, cui si giunge appunto passando attraverso questi stadi, sempre che si proceda sulla via giusta, non credo tu sia adatto. Tuttavia te ne parlerò egualmente e farò del mio meglio,» disse; «tu cerca, intanto, di seguirmi come puoi. Dunque,» incominciò a dire, «è necessario, prima di tutto che chi vuol tendere a questo fine, debba, fin da giovane, avvicinarsi alla bellezza fisica e, sin dall'inizio, se chi lo guida lo dirige bene, amare una sola persona e ad essa rivolgere i migliori discorsi; successivamente dovrà pur rendersi conto che la bellezza che alberga nel corpo di una persona, è sorella di quella che può esservi in ogni altra e che quindi se bisogna ricercare quella bellezza che è insita nelle forme visibili, sarebbe sciocco pensare che essa non sia identica e uguale per tutti i corpi; convinto di questo deve, allora, sentire trasporto per tutti quelli che hanno belle sembianze e frenare un po' la sua passione nei riguardi di una sola persona, riconoscendo come ciò sia meschino e mediocre. Ma, infine, deve ben comprendere che la bellezza spirituale ha pregi assai maggiori di quella fisica, di modo che se dovesse incontrare una creatura dall'anima bella ma dal corpo non florido, se ne contenti egualmente ed ugualmente se ne innamori e le mostri sollecitudine e sia l'autore di discorsi tali che rendano migliori i giovani, per cogliere poi, da qui, la bellezza che è nelle azioni e nelle istituzioni umane e comprendere come essa sia, ovunque, sempre se stessa e persuadersi come la bellezza fisica sia ben piccola cosa. Dopo le attività umane, si rivolga alla scienza per conoscerne la bellezza e ammirarne l'ampio dominio sul quale ormai ella si spande: così non sarà più come uno schiavo, preso d'amore per un sol giovinetto o per un solo uomo o per una sola attività, non sarà più succube inetto e meschino ma, rivolto allo sterminato oceano della bellezza e contemplandolo, potrà dar vita a molti e bei discorsi, a splendidi pensieri concepiti nell'amore infinito per la sapienza finché egli stesso, rinvigorito e arricchito, non riuscirà a scorgere che una scienza unica che ha per oggetto la stessa bellezza. Ma cerca, ora,» continuò, «più che puoi, di farmi attenzione.   XXVIII 42  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Chi è stato, via via, guidato fin qui nelle questioni d'amore attraverso la contemplazione delle cose belle, quando sarà giunto al termine di questa iniziazione, scorgerà, Socrate, a un tratto, una meravigliosa bellezza, quella stessa che era un po' la ragione di ogni sua precedente fatica, una bellezza, anzitutto, eterna, che non ha origine né fine, che non cresce né si consuma e, inoltre, che non è per un verso bella e per un altro brutta o che a volte sì e a volte no, né bella da un punto di vista e brutta da un altro, né bella qui e brutta là, come se lo fosse per alcuni e per altri no, né, questa bellezza, gli apparirà con un volto o con due mani, né come qualcosa che possa riferirsi ad alcunché di corporeo e nemmeno come discorso o come dottrina, né come quella che possa esistere in qualche altra cosa, in altri esseri viventi, per esempio, o nella terra o nell'aria o altrove, ma quale essa è, in sé e per sé, sempre uniforme e mentre tutte le altre cose belle che di quella partecipano, nascono e periscono, essa non ha alterazione di sorta, in più o in meno, non subisce mutamento. E così, quando sollevandosi dalle cose terrene, in virtù anche dell'amore che si porta ai giovinetti, uno comincia a scorgere questa bellezza, allora potrà dire di essere vicino alla meta. Infatti questo è il retto cammino per procedere da soli o insieme a una guida verso le questioni d'amore, cominciare, cioè, dalle cose belle di quaggiù e, avendo come fine ultimo questa bellezza, innalzarsi continuamente, come su una scala, da uno a due, da due fino a tutti i bei corpi e da questi alle belle occupazioni e poi alle belle scienze, finché non si giunga a quella scienza che di null'altro è scienza che della stessa bellezza e finché non si conosca, giungendo, così, alla meta, il Bello in sé. Questo, caro Socrate,» diceva la straniera di Mantinea, «è il momento della vita che più di ogni altro, per un uomo, val la pena di vivere: quando giunge alla contemplazione della Bellezza in sé. Se una volta sola tu riuscirai a vederla, oh, ti sembrerà assai più preziosa dell'oro o di una veste o degli stessi bei fanciulli e giovinetti che ora guardi non senza un palpito e per i quali, tu e molti altri, se fosse possibile, rimarreste anche senza mangiare e senza bere, pur di poterveli sempre contemplare e stare in loro compagnia. Cosa succederebbe allora,» continuava a dire, «se uno riuscisse a vedere la Bellezza in sé, in tutta la sua adamantina purezza e non già quella offuscata dalla carne, dai colori, da tutte le altre vanità terrene, se gli riuscisse, insomma, di scoprire la Bellezza in sé, divina e uniforme? Credi forse che sarebbe miserabile la vita di quest'uomo che fissasse quel punto, lassù e lo contemplasse come va contemplato, congiunto con esso? Ed è soltanto in quel punto,» continuava, «contemplando la bellezza con quella facoltà che la rende visibile, che egli potrà dar vita non a parvenze di virtù, dato che non è a una falsa immagine di bellezza che egli si è accostato, ma a una virtù vera, per il fatto che egli è nella verità; non pensi, del resto, che avendo dato vita alla virtù vera e avendola continuamente alimentata, costui potrà diventare caro agli dei ed essere anch'egli immortale, se mai altro uomo lo è stato?» Queste cose, Fedro e anche tutti voi, Diotima mi ha detto ed io ne sono rimasto persuaso e come tale, quindi, cerco ora di persuadere gli altri che per il conseguimento di tanto bene, non è facile che l'uomo trovi chi possa meglio soccorrerlo dell'Amore. Per questo io affermo che ogni uomo deve onorare Amore, come io stesso faccio,   XXIX 43  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org esercitandomi nelle sue discipline ed esorto gli altri a fare altrettanto ed ora e sempre esalto la potenza e la forza d'Amore, nel modo che ne sono capace. Ed ora, Fedro, questo discorso giudicalo, se credi, come un elogio d'Amore, altrimenti definiscilo pure come meglio ti piace.»   44  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Quando Socrate ebbe concluso, continuò a riferirmi Aristodemo, e mentre tutti ne elogiavano il discorso, Aristofane stava per intervenire, perché Socrate aveva a un certo punto, fatto un'allusione sul suo conto a proposito di una certa teoria. Ma ecco che, a un tratto, si sentì picchiare alla porta dell'atrio e, poi, un gran vociare, come di gente allegra e la voce di una suonatrice di flauto. «E, allora, ragazzi, non correte a vedere?» esclamò Agatone ai servi; «se è gente di casa, fatela pure entrare, altrimenti dite che abbiam già finito di bere e stiamo riposando.» Dopo un po' si udi nell'atrio la voce di Alcibiade, ubriaco fradicio, che urlava a squarciagola chiedendo dove fosse Agatone e che lo conducessero da lui. Egli, infatti, comparve sulla soglia, sostenuto dalla suonatrice di flauto e da alcuni della compagnia e s'avanzò verso i convitati, incoronato da una folta ghirlanda di edera e di viole e con la testa piena di nastri. «Salve, amici,» esclamò, «lo volete con voi, a bere, un uomo già completamente ubriaco? Oppure possiamo soltanto mettere questa corona in testa ad Agatone, dato che siamo venuti per questo e poi filarcela subito? Ieri non mi è stato possibile venire e così eccomi qua ora, con questi nastri in testa, per passarli su quella di uno che, senza offesa per nessuno, è il più sapiente e il più bello di tutti. Ma voi ridete perché sono ubriaco? E ridete pure, tanto lo so; ma, piuttosto, ditemi, posso o non posso entrare? Berrete con me, o no?» Tutti allora si misero ad applaudirlo e gli dissero di entrare e di prender posto in mezzo a loro. Anche Agatone lo invita ed egli si fa avanti sorretto dai suoi amici e, togliendosi dal capo i nastri, fa le mosse di incoronarlo senza accorgersi che Socrate era proprio lì, sotto i suoi occhi, al punto che, quando egli si pose a sedere in mezzo a loro, questi dovette scostarsi per fargli posto. Non appena si fu accomodato, cominciò ad abbracciare Agatone e a cingerlo di ghirlande. «Ragazzi,» veniva, intanto, dicendo Agatone, «slacciate i sandali ad Alcibiade, ché si metta comodo e sia terzo tra noi due.» «Benissimo,» approvò Alcibiade, «ma chi è questo terzo?» e così dicendo si volse e vide Socrate; a quella vista fece un balzo: «Santi numi,» esclamò, «ma chi è questo? Proprio Socrate? Ti sei messo qui per giocarmi ancora qualche tiro e mi compari davanti, al tuo solito, quando meno me l'aspetto. Che sei venuto a fare? E perché ti sei messo qui e non vicino ad Aristofane o a qualche altro che voglia fare lo spiritoso? Ma tanto hai fatto che ti sei piazzato vicino al più bello.» E Socrate: «Vedi un po' di difendermi tu, Agatone, perché l'affetto di quest'uomo mi sta dando non pochi fastidi. Da quando, infatti, mi sono legato a lui, non posso più guardare una persona di bello aspetto, né stare un po' a conversare con nessuno perché, geloso e invidioso com'è, mi salta su e me ne dice un sacco e poco ci manca che non mi metta le mani addosso. Sta attento, quindi, che anche ora non me ne faccia una delle sue e cerca di mettere un po' di pace tra noi e difendimi, se egli vuol farmi ancora qualche sfuriata, perché comincio proprio ad aver paura delle sue manie e del suo temperamento eccessivo.» «Niente affatto,» gridò Alcibiade, «fra te e me, nessuna pace e di quello che hai detto faremo i conti dopo. Ora tu, Agatone,» riprese, «dammi un po' di questi nastri, ché incoroni anche lui, questa testa meravigliosa, in modo che non s'abbia poi a lagnare che ho cinto te di ghirlande e lui niente, lui che nel parlare vince tutti e sempre, non una volta sola, come te, ieri.»   XXX 45  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E così dicendo prese dei nastri e incoronò Socrate, mettendosi, poi, comodo.   46  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E allora signori,» esclamò quando si fu messo a suo agio, «mi sa che qui volete fare gli astemi; non ve lo posso permettere; bisogna, invece, bere, così eravamo d'accordo. Fino a quando non avremo preso l'avvio, i brindisi li dirigo io. Avanti, Agatone, fa portare una bella coppa, di quelle grandi, anzi, anzi, non ce n'è bisogno; invece, ragazzo, dà qui quel vaso per tener il vino in fresco.» Ne aveva, infatti, intravisto uno che conteneva più di otto quartini abbondanti. Dopo esserselo riempito, se lo scolò per primo; poi disse di riempirlo per Socrate, soggiungendo: «Amici belli, con Socrate, però, non c'è niente da fare: più gli se ne versa e più ne beve e non c'è caso che si ubriachi.» Infatti, appena il servo versò, Socrate prese a bere. Ma Eressimaco, intervenendo. «Ma così che facciamo, Alcibiade? Vogliamo proprio starcene coi bicchieri in mano, senza dire una parola, senza cantare un po', vogliamo proprio darci sotto come tanti assetati?» «Salve, mio caro Eressimaco,» esclamò allora Alcibiade, «ottimo figlio di ottimo e assennatissimo padre.» «Salute anche a te,» rispose Eressimaco, «e, allora, che facciamo?» «Ai tuoi ordini, siamo qui per obbedirti: poiché un medico regge da solo il confronto con molti. Perciò, comanda quello che vuoi.» «Stammi a sentire, allora,» fece Eressimaco; «prima che tu venissi si era stabilito che ognuno di noi, partendo da destra, facesse un discorso in lode di Amore, come meglio ne fosse capace. Noi abbiamo già tutti quanti parlato, tu, invece, no e dato che hai bevuto, è giusto che ora tocchi a te; dopo, potrai proporre a Socrate quello che vorrai e lui, a sua volta, passerà l'invito al compagno che è alla sua destra e così gli altri.» «Oh, un'ottima idea la tua, Eressimaco,» fece Alcibiade, «solo che non puoi mettere a confronto il discorso di un ubriaco con quello di gente che s'è mantenuta sobria; e poi, mio caro, tu ci credi a quello che Socrate ha detto un momento fa? Non lo sai che è invece, tutto il contrario? Questo qui, se io mi metto in sua presenza a fare le lodi di qualcuno, uomo o dio che sia, solo per il fatto che non si tratta di lui, mica me le risparmia le legnate.» «Ma la vuoi piantare?» fece Socrate. «Per mille tempeste,» rimbeccò Alcibiade, «è inutile che protesti; in tua presenza io non posso lodare nessun altro.» «E allora, fa così,» intervenne Eressimaco; «se vuoi, loda Socrate.» «Come dici?» fece Alcibiade. «Vuoi proprio, Eressimaco, che io me la pigli con questo tipo e mi vendichi davanti a voi?» «Ma che ti salta in testa,» intervenne Socrate, «di prendermi in giro con la scusa dell'elogio? Ma che intenzioni hai?» «Dirò la verità e tu vedi se ti garba.» «Allora, sicuro, la verità te la concedo, anzi voglio che tu la dica.» «Eccomi subito a te,» fece Alcibiade, «e tu, intanto fa una cosa: se io non dico il vero, interrompimi se vuoi e dì pure che sto mentendo, per quanto io, di bugie, non ho intenzioni di dirne. Se, poi, nel riferire i fatti, io non andrò per ordine, non meravigliarti, perché non è certo facile, nello stato in cui sono, fare l'elenco ordinato e completo di tutte le tue stranezze.»   XXXI 47  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Ebbene, signori, io, Socrate comincerò a lodarlo così, per immagini. Lui, crederà che io voglia continuar nello scherzo e invece, le immagini mi serviranno per precisare la verità, non per scherzare. Comincio col dire, infatti, che egli somiglia a quei sileni che si vedono nelle botteghe degli scultori, che hanno in mano zampogne e flauti, fatti in modo che, aprendosi a metà, mostrano, all'interno, immagini di divinità; e soggiungo anche che somiglia al satiro Marsia. Eh, sì, Socrate, ci somigli proprio, almeno nell'aspetto, tu stesso non puoi negarlo; e sta a sentire come poi ci somigli anche nel resto. Non sei forse petulante, e ti posso portare i testimoni se non vuoi ammetterlo. E non sei un suonatore di flauto? E come assai più portentoso di Marsia. Lui aveva bisogno dello strumento per incantare gli uomini a forza di fiato e così, anche oggi, deve fare lo stesso chi vuol suonare le sue melodie; (quelle che suonava Olimpo, infatti, erano di Marsia, che gliele aveva insegnate). Insomma le sue melodie, sia che le suoni un flautista di vaglia o una suonatrice di mezza tacca, sono le sole a commuoverci, a farci quasi sentire il desiderio di dio, divine come sono e di iniziarci ai suoi misteri. Tu soltanto in questo gli sei diverso, che senza strumento, con le sole parole, ottieni lo stesso risultato. Infatti noi, quando ascoltiamo qualcuno che parla, fosse pure il più bravo oratore di questo mondo, di quello che dice, non ce ne importa niente, per così dire, proprio niente di niente; quando invece ascoltiamo te, o anche soltanto un altro che riferisce i tuoi discorsi, fosse pure un buono a nulla, quanti ne siano, uomini, donne o giovani, restiamo tutti sbalorditi e affascinati. Quanto a me, signori, se non temessi di passare completamente per ubriaco, vi direi, dietro giuramento, quello che ho provato e provo ancora quando questo qui comincia a parlare. Quando lo sto a sentire, il cuore mi si mette a battere forte, peggio di quello dei Coribanti, alle sue parole mi vengono giù le lacrime e vedo tutti gli altri, ma tutti, quanti ne sono, che provano la stessa impressione. Quando invece sentivo parlare Pericle o altri bravi oratori, mi rendevo conto che anch'essi parlavano bene, eppure non provavo niente di simile, non mi sentivo l'anima in tumulto, né turbata al pensiero di essere una ben povera cosa. Ma per costui, invece, per questo Marsia qui, quante volte mi son sentito come se non mi fosse più possibile vivere come vivevo. E non dirai mica, Socrate, che tutto questo non sia vero? Ed io sono convinto che anche adesso, se decidessi di ascoltarlo, non riuscirei a resistere e proverei le stesse emozioni. Egli, inevitabilmente, mi farebbe persuaso delle mie molte deficienze e che, perciò, invece, di badare un po' a me stesso, m'intrigo dei fatti degli Ateniesi. E così, mio malgrado, io mi tappo le orecchie, come se fossi in mezzo alle sirene e scappo via perché non voglio mica invecchiare vicino a lui. Soltanto davanti a quest'uomo io ho provato una cosa che nessuno mi sospetterebbe: quella di vergognarmi. Davanti a lui solo, io mi vergogno, perché riconosco che non ho la forza di contraddirlo, di oppormi a quello che mi dice di fare, ma poi, appena mi allontano da lui, ecco che mi lascio nuovamente prendere dal favore popolare; così lo evito e lo fuggo e quando lo vedo, solo a pensare a tutte le cose di cui mi ha convinto, arrossisco dalla vergogna. Tante volte mi farebbe addirittura piacere che non fosse più a questo mondo, anche se poi, so benissimo   XXXII 48  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org che questo mi addolorerebbe assai di più e così, con un uomo simile, non so proprio come fare.   49  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E così, questi sono gli effetti che io e tanti altri proviamo per le melodie che questo satiro sa tirar fuori dal suo flauto. Ma state ancora a sentire come egli somiglia anche nel resto a quelli cui l'ho paragonato, e quale straordinario potere egli ha. Mettetevelo bene in testa, costui nessuno lo conosce: ma ve lo farò conoscere io, dato che mi ci trovo. Guardatelo qui, Socrate, pronto sempre a innamorarsi dei bei giovanotti, a corteggiarli, a perdere addirittura la testa; mica poi che capisca qualcosa, non sa proprio niente, almeno dall'apparenza. E questo non significa essere un sileno? Altro che: lo stesso aspetto esterno di una di quelle statuette di sileni; ma dentro, se lo aprite, ve la immaginate, commensali miei, la saggezza che ha? E poi, dovete sapere che a lui, non gliene importa niente se uno è bello, anzi lo tiene in così poco conto, che non ne avete l'idea; e se uno è ricco e ha tutto quello che, secondo la gente fa beato un uomo, egli dice che tutto questo non vale un bel niente, anzi che noi stessi siamo addirittura delle nullità, questo ve l'assicuro io. E per giunta passa la vita, poi, a fare il finto tonto e a pigliarsi un po' gioco di tutti. Se poi fa sul serio, però e si lascia veder dentro, non so se l'avete mai viste le bellezze che ha. Io però le ho viste, una volta, e mi son sembrate così divine, così preziose, stupende e straordinarie, che mi sentii soggiogato e pronto a fare tutto ciò che Socrate avesse voluto. Credendo che egli s'interessasse alla mia bellezza, pensai che era proprio un'occasione e una bella fortuna la mia se, cedendogli i miei favori, avessi potuto apprendere da lui tutte le cose che sapeva: io infatti andavo tutto superbo della mia bellezza. Con queste intenzioni, allora, io che prima non ero solito restarmene da solo con lui, senza la compagnia di un servo, un bel giorno congedai il mio schiavo e rimasi solo con lui. Bisogna che ve la dica tutta la verità e voi fate attenzione e se dico bugie, Socrate, smentiscimi pure. E così me ne rimasi solo soletto con lui ed io credevo che egli avrebbe subito attaccato con quei discorsi che di solito un innamorato fa al suo ragazzino, quando si trovano a tu per tu ed ero tutto contento. Invece, niente da fare ma, come al solito, parlò con me e giunta la sera, se ne andò. Vedendo questo, lo invitai, allora, a far ginnastica insieme a me, cominciai a esercitarmi con lui e speravo di concludere qualcosa. Anche lui, in verità, faceva i suoi bravi esercizi con me e lottavamo insieme, spesso senza che nessuno fosse presente. Ebbene, ve lo devo dire? Non ne cavai un bel niente. E quindi, visto che in questo modo non combinavo nulla, pensai che con un uomo simile bisognasse adoperare le maniere forti, altro che lasciar perdere, dato poi che mi ci ero messo, e vedere un po' come andava a finire la faccenda. E così lo invita a cena, addirittura come fa uno spasimante quando vuol far cascare la persona amata. Macché, mica accettò subito; tuttavia, dopo qualche tempo, si convinse. La prima volta che venne, però, volle andarsene subito, appena mangiato; quella volta io mi vergognai un po' e lo lasciai andare. La volta appresso, però, gli tesi il laccio e dopo che finimmo di mangiare, gli impiantai una discussione che si protrasse fino a tarda notte e così, quando fece le mosse di congedarsi, io gli dissi che ormai s'era fatto tardi e quindi lo convinsi a fermarsi. Così egli si mise a riposare in un letto accanto al mio, lì dove aveva cenato: nella sala, nessun altro avrebbe dormito tranne noi due. Fin qui niente di male nel mio racconto e anzi potrei continuare a parlare di fronte a tutti ma, a questo   XXXIII 50  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org punto, io non vi darei più nulla se, anzitutto, nel vino, come dice il detto (aggiungeteci pure i bambini o meno) non vi fosse la verità e poi perché mi sembrerebbe proprio una cosa ingiusta, dal momento che sto facendo l'elogio di Socrate, passare sotto silenzio il suo nobilissimo comportamento. Oltre a questo, ancora, io mi sento come uno che è stato morso da una vipera che, a quel che si dice, non vuol raccontarlo a nessuno, tranne a quelli che sono stati anch'essi morsi, ai soli, cioè, che potrebbero comprendere e compatire i suoi gesti e tutte le frasi che si dicono sotto l'influsso del dolore. Ed io che sono stato punto dal morso più doloroso e nella parte che più duole... al cuore o all'anima o come vuoi chiamarla, trafitto e punto dai ragionamenti filosofici che penetrano più profondamente del dente di una vipera specie quando afferrano l'anima di un giovane non mediocre e lo spingono a fare e a dire qualunque cosa... io che mi vedo dinanzi un Fedro, un Agatone, un Eressimaco, un Pausania, un Aristodemo, un Aristofane (e bisogna anche nominarlo Socrate?) e tanti altri, tutta gente un po' patita e fuori di sé per la filosofia... Eh, sì, per questo, ora, voi tutti, mi starete a sentire. E mi compatirete per quello che è accaduto allora e per quanto sto per dirvi ora. E voi, famigli e quanti ne siete, rozzi o villani, tappatevi con grossissime porte le orecchie.   51  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Dunque, signori, quando la lampada fu spenta e i servi se ne furono andati, pensai che non era più il caso di star lì a gingillarsi ma di esprimergli chiaramente le mie intenzioni. «Dormi, Socrate?» perciò gli chiesi scuotendolo. «Nient'affatto,» mi rispose. «Sai cos'ho pensato?» «Cosa?» «Che tu mi sembri l'unico amante degno di me, però mi pare che tu esiti a dichiararti. Però, sai, io ho deciso; credo proprio che sia da sciocchi non esserti compiacente in questo, come in tutto il resto, se tu ne avessi bisogno, dei miei amici per esempio, delle mie sostanze. Perché, vedi, niente mi sta più a cuore che diventare il più possibile migliore e nessuno, io penso, può far meglio di te al caso mio. Anzi mi vergognerei molto di più, di fronte alle persone intelligenti se non compiacessi un uomo simile, che non dinanzi alla gente ignorante se gli cedessi.» E lui, dopo essere stato lì a sentirmi, col suo solito fare un po' ironico: «Mio caro Alcibiade,» rispose, «può darsi proprio il caso che tu non sia uno sciocco se è vero che io ho tutto quello che tu dici e se c'è in me una specie di potere che ti possa far diventare migliore. Se è così, devi aver visto in me un'irresistibile bellezza, di gran lunga superiore alla tua e, rendendotene conto, ora cerchi di far comunella con me, di metterci le mani addosso e barattar bellezza con bellezza e così concludere, alle mie spalle, un affare non poco vantaggioso; cerchi, insomma, di pigliarti una bellezza vera in cambio della tua che è apparente e pensi proprio di scambiare oro con rame. Ma benedetto figliolo, fa più attenzione, ché tu non t'inganni nei miei riguardi, dato che io non sono proprio nulla. Il fatto è che l'occhio della mente comincia a veder chiaro quando s'affievolisce quello del corpo e per te, ce ne vuole del tempo.» Ed io dopo averlo ascoltato: «Per quel che mi riguarda, le cose stanno cosi ed io non ho detto nulla di diverso da quello che penso. Tu, piuttosto, devi decidere quello che è meglio per te e per me.» «Così va bene,» mi rispose. «In seguito vedremo e faremo quello che ci sembrerà meglio per tutti e due a proposito di questa faccenda e anche per il resto.» Quanto a me, dopo quello che aveva detto, e ora che avevo udito la sua risposta, come se gli avessi lanciato un dardo, pensavo d'averlo già bell'e trafitto. E così, senza dargli la possibilità di dire una parola di più, balzai su e gli gettai addosso il mio mantello (infatti eravamo d'inverno) ficcandomi, poi, sotto quello suo, logoro, e stringendolo nelle mie braccia (sì, proprio costui, questo essere veramente divino e meraviglioso) e tutta la notte gli stetti disteso vicino. Nemmeno questo, Socrate, puoi dire che non è vero. Ebbene, nonostante che io avessi osato tanto, si dimostrò superiore e mi disprezzò beffandosi della mia bellezza, schernendola; e si che io credevo di non essere mica poi tanto male, o giudici (sì, giudici dell'insolenza di Socrate); ebbene, sappiate, ve lo giuro su tutti gli dei e le dee, che io dopo aver passato la notte accanto a Socrate, mi alzai come se avessi dormito con mio padre o con mio fratello maggiore.   XXXIV 52  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Dopo tutto questo, ve lo immaginate come ci rimasi. Da una parte l'idea di essere stato disprezzato, dall'altra la mia ammirazione per le sue qualità, per la sua saggezza, per la sua forza d'animo. Mi resi conto di aver proprio incontrato un uomo quale non avrei immaginato, per rettitudine e per fortezza. E così non riuscii né a pigliarmela con lui e, quindi, troncare ogni rapporto, né, d'altro canto, a trovare il modo di conquistarlo. Sapevo benissimo che col denaro non c'era niente da fare: era più invulnerabile d'Aiace di fronte alle frecce, ed ora anche l'unico modo con cui pensavo di poterlo conquistare, m'era fallito. Privo così d'argomenti, schiavo quasi di quest'uomo, come nessuno lo fu mai d'alcun altro, gli stavo sempre dietro. Tutto questo accadde prima della campagna di Potidea, durante la quale combattemmo insieme e fummo anche compagni di mensa. Ricordo che alle fatiche era più resistente non solo di me ma di tutti quanti gli altri; quando poi si restava bloccati, tagliati fuori, come capita spesso in guerra e così ci toccava patir la fame, la capacità di resistenza degli altri non era niente al confronto della sua; quando invece c'era abbondanza, lui era il solo a godersela veramente; e a bere, poi, vinceva tutti, non perché ci fosse portato, ma solo quando ve lo spingevano e quello che è straordinario è che mai nessuno ha visto Socrate ubriaco e di questo, io credo che ne avrete anche ora una prova. Quanto poi a sopportare i rigori dell'inverno (e lì il gelo non scherza), era addirittura straordinario. Ricordo che, una volta, durante una gelata terribile, mentre tutti se ne stavano chiusi dentro e se qualcuno usciva, s'infagottava fino all'inverosimile e si fasciava i piedi con panni di feltro e pelli di pecora, lui se ne andò in giro con quel suo solito mantelluccio che porta sempre, camminando sul ghiaccio, a piedi nudi, assai meglio di quelli che avevano le scarpe; e i soldati lo guardavano un po' in cagnesco credendo che, così, egli li volesse umiliare.   XXXV 53  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E a questo proposito, bisogna proprio sentire ‹quello che ancora fece e sostenne quest'uomo animoso,› laggiù, durante la spedizione. Tutto preso non so in quali pensieri, una volta se ne rimase in piedi, immobile a meditare, fin dal mattino presto e, poiché non riusciva a venirne a capo, non la smise, ma continuò a restarsene tutto assorto nelle sue riflessioni. Era già mezzogiorno e i soldati cominciarono a farci caso e a passarsi la voce, tutti stupiti che Socrate, pensando a chissà cosa, se ne stava lì dal mattino presto. In conclusione, col calar della sera, alcuni soldati della Ionia, dopo il rancio, portarono fuori, all'aperto, i loro pagliericci (s'era, infatti, in estate) per dormire al fresco ma anche per star lì un po' a vedere se quel tipo se ne fosse rimasto immobile tutta la notte. Ed egli lì se ne restò fino a che non si fece mattino e non spuntò il sole; dopo di che, fece al sole una preghiera e se ne andò. E in battaglia, poi, se volete sentire, perché anche questo bisogna riconoscergli. Quando ci fu quello scontro in cui i generali mi dettero una ricompensa al valore, nessun altro mi salvò tranne costui che non volle lasciarmi lì ferito ma riuscì a portarmi in salvo con le mie armi. Ed io, Socrate, in quell'occasione, insistetti perché la ricompensa la dessero a te (neanche in questo caso tu potrai riprendermi e dirmi che sto mentendo). E poiché i generali, considerando il mio rango, volevano dare a me la ricompensa, tu fosti più zelante di loro perché venisse a me attribuita invece che a te. E non è finita, signori miei, perché bisognava vederlo Socrate, quando il nostro esercito fu rotto a Delio. In quell'occasione io ero col mio cavallo, lui a piedi, con tutte le sue armi. Tra lo scompiglio delle truppe in fuga, dunque, egli ripiegava insieme a Lachete. Io per caso sopraggiungo e, vedendoli, grido di farsi coraggio, assicurandoli che non li avrei abbandonati. In quella occasione meglio che a Potidea, potetti ammirare Socrate, anche perché, a cavallo come ero, avevo meno da temere. Prima di tutto dimostrava un controllo superiore a quello dello stesso Lachete; secondariamente parve anche a me quello che tu stesso, Aristofane, hai detto di lui che cioè anche là egli camminava come qui, ‹tutto altero gettando occhiate di traverso›, tenendo sempre sott'occhio amici e nemici, facendo capire a tutti, anche a distanza, che se qualcuno lo avesse attaccato, egli era il tipo che si sarebbe difeso strenuamente. E così procedeva sicuro insieme al compagno, perché è proprio vero che quelli che si comportano così in guerra, i nemici nemmeno li toccano, mentre incalzano chi si dà a gambe levate. E ancora per molte altre cose, tutte straordinarie, Socrate andrebbe lodato. Probabilmente, però, queste altre qualità si possono anche trovare in qualche altro; quello che invece è meraviglioso è il fatto che lui non è simile a nessun uomo del passato né del nostro tempo. Ad Achille, per esempio si potrebbe avvicinare, in un certo qual modo, Brasida e altri e per Pericle potrebbe trovarsi una certa somiglianza con Nestore o Antenore e non con questi soltanto e altri paragoni se ne potrebbero far sempre. Ma quanto a quest'uomo, per il suo modo di fare, per i suoi discorsi, è impossibile trovare uno che gli somigli, nemmeno lontanamente, né tra i viventi, né tra gli antichi, a patto che uno non lo volesse paragonare, appunto come dicevo, lui e i suoi discorsi, ai sileni e ai satiri, ma non certo a un uomo. Anzi, a proposito, i suoi discorsi (me ne ero dimenticato di precisarvelo prima) sono proprio come i sileni che si aprono.   XXXVI 54  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org   55  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «Infatti, se uno si mette a sentire i discorsi di Socrate, all'inizio, gli sembreranno addirittura ridicoli, come sono tutti inviluppati per il di fuori, da termini e da sentenze, una specie di pelle di satiro petulante; infatti, non fa altro che parlare di asini da soma, di fabbri, di sellai, di conciatori e sembra che dica sempre le stesse cose, tanto che se uno non se ne intende o è uno sciocco, gli riderebbe dietro. Ma se cerchi di aprirli, i suoi discorsi, e di guardarvi dentro, prima di tutto ti accorgerai che sono i soli, tra tutti, ad avere un loro senso profondo, poi che sono addirittura divini, ricchi di ogni virtù possibile e immaginabile, volti al sublime o meglio a ciò che deve tener presente chi voglia diventare un vero galantuomo. Questo è quanto ho da dirvi in lode di Socrate, amici miei. Quanto al biasimo io ve l'ho già mescolato, riferendovi le offese che mi ha fatto; del resto egli non s'è comportato così solo con me, ma ha fatto lo stesso con Carmide, il figlio di Glaucone e con Eutidemo, il figlio di Diocle e con molti altri, tutta gente che egli ha ingannato fingendo, appunto, la parte dell'innamorato, con la conseguenza che furono, invece, costoro ad innamorarsi di lui. E questo lo dico anche per te, Agatone, ché non debba cascarci anche tu in modo che, fatto esperto dalle nostre disavventure, tu possa stare in guardia da costui e non debba imparare, da citrullo, a proprie spese, come dice il proverbio.»   XXXVII 56  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Appena Alcibiade ebbe concluso, l'ilarità fu generale, proprio per quel suo modo franco di parlare, anche perché, così, aveva fatto capire di essere ancora innamorato di Socrate. «Mi sembra, invece, che tu, Alcibiade, non abbia proprio bevuto per niente,» esclamò a un certo punto Socrate, «altrimenti non l'avresti rigirata tanto abilmente, nascondendo il vero scopo del tuo discorso e alludendovi solo alla fine, come un di più, come se tutto il tuo parlare non fosse stato per seminar zizzania tra me e Agatone, fissato come sei che io debba amare solo te e nessun altro e che Agatone devi amarlo soltanto tu e gli altri niente. Ma non t'è andata bene e questa tua farsa a base di satiri e di sileni è apparsa evidente. Mio caro Agatone, costui non deve spuntarla e bada tu che, tra me e te, nessuno venga a mettere disaccordo.» E Agatone, di rimando: «Ah, sì, Socrate, forse hai proprio ragione. Ora capisco perché s'è venuto a piazzare tra me e te, proprio per dividerci. Ma sta fresco, anzi, eccomi qua che ti torno vicino.» «Oh, benissimo,» fece Socrate, mettiti qua, al mio fianco.» «Santo cielo,» esclamò Alcibiade, «quante me ne fa passare quest'uomo. Vuole sempre stravincere; ma, almeno, mio straordinario amico, lascia che Agatone resti tra noi due.» «Impossibile,» fece Socrate. «Infatti tu hai fatto, in questo momento, le mie lodi ed ora tocca a me farle a quello che mi sta a destra. Quindi, se Agatone se ne viene vicino a te, non può mica mettersi a fare il mio elogio prima che io non abbia fatto il suo, ti pare? Piantala, quindi, tesoro, e non essere geloso se elogerò questo giovane: io desidero molto tesserne le lodi.» «Iuh, iuh, Alcibiade,» si mise a fare Agatone, «non è proprio il caso che io me ne resti qui, anzi, mi alzo subito perché le lodi di Socrate io le voglio avere.» «Eh, già,» commentò Alcibiade, «la solita musica; quando c'è Socrate, niente da fare con i belli. Guarda un po' anche adesso, come ha saputo trovarsela facilmente la sua ragione, in modo che costui gli si strofini al fianco.»   XXXVIII 57  Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E così Agatone si alzò per mettersi vicino a Socrate, quando a un tratto, una numerosa brigata di buontemponi si fece sulla soglia e trovando la porta aperta perché qualcuno era uscito, irruppe dentro di filato verso di noi e ognuno si trovò comodamente il suo posto. Ne nacque un baccano dell'altro mondo e si perse ogni misura, tanto che ci demmo a bere a più non posso. Allora Eressimaco, Fedro e qualche altro se ne andarono, continuò a raccontarmi Aristodemo; quanto a lui fu vinto dal sonno e dormì profondamente anche perché le notti erano lunghe; si svegliò ch'era giorno e che i galli cantavano. Quando aprì gli occhi, vide che gli altri o dormivano ancora o se n'erano andati e che solo Agatone, Aristofane e Socrate erano svegli e bevevano da una grande coppa che si passavano da sinistra a destra. Socrate stava discorrendo con loro, ma Aristodemo disse che non ricordava quello che si dicevano dato che non li aveva seguiti fin dal principio e, poi, perché (almeno così disse) era tutto insonnolito, ma che, in conclusione, Socrate stava persuadendo i due amici ad ammettere che uno può comporre ugualmente sia commedie che tragedie e che chi, per vocazione, è poeta tragico, sarà anche poeta comico. Quelli, costretti ad ammetterlo, ma senza capir molto, sonnecchiavano. E ci disse che fu Aristofane ad addormentarsi per primo, poi, a giorno fatto, anche Agatone. Socrate, quando li vide addormentati, si alzò e se ne andò e lui, Aristodemo, com'era sua abitudine, lo seguì. Giunto al Liceo si lavò e, come al solito, trascorse il resto della giornata, poi verso sera se ne andò a casa a riposare.   XXXIX 58. Educazione guerriera Il filosofo Gallo Galli, voce narrate dell'educazione fascista scriveva: "La possibilità, la necessità della lotta armata è immanente alla coscienza nazionale, è presente in ogni momento di questa. …E non c'è dunque educazione veramente, vigorosamente nazionale, che non sia ache educazione guerriera."Una delle caratteristiche fondamentale – e forse la piu nuova e significative – che la scuola italiana e andata gradatamente acquistando e che sta per trradursi in aao nella piena chiarezza e precision delle idee direttive e della organizzazione tecnica, e l’impronta guerriera. Nel dominio dell’educazione, in cui tutta la vita di un popolo si riflette e da cui insieme trae alimento e vigorose affermazione, si fa valere, cosi, quell’attuarsi categorico della coscienza nazionale, che e la missione del Fascismo nella storia d’Italia … La coscienza militare, lo spirito guerreiero, non e qualcosa di diverse della coscienza nazionale; bensi costituisce con questa un duplice aspetto della elevazione dell’individuo al disopra del bene proprio particolare, per attuare le ragioni ideali della vita: un duplice aspetto in quell concetto della vita come missione, onde l’individuo perisce nelle sue forme superficiale e caduche e si sostanzia de realta universal ed eterna … Al dispora della nazione non esiste, invero, non puo esistere una organizzazione che equamente diriga e governi l’atttivita dei singoli gruppi sociali-nazionale e instauri, attraverso la composizione dei contrasti, un armónico equilibrio. … La possibilita, la necessita della lotta armata e immanente alla coscienza nazionale, e presente in ogni momento di questa; e la coscienza di essa e la preparazione dell’animo atto a combatterla sono; diremmo quasi, una seconda facia della coscienza nazionale. E non c’e dunque educazione veramente, vigorosamente nazionale, che non sia anche educazione guerriera. Ma non basta. Il compito specific dell’educazione guerriera, la preparazione alla lotta armata, ha un suo proprio carattere – in connessione con la natura e le esigenze di tale lotta – per cui non e soltanto il riflesso o, direbbesi, l’ombra dell’educazione nazionale, ma da questa in certo modo si distacca e su essa reagisce, aumentandone e integrandone il valore; e aumentando e integrando, inoltre, il valore anche dell’educazione generale. La preparazione alla lotta armata e in vero preparazione: 1) alla rinunzia piu complete al proprio io particolare; poiche si tratta di ninunzia alla vita, il primo ed il massimo dei beni e da tutti presupposto; 2) alla rinunzia – sia pure momentanea e quale mezzo a una superior affermazione – anche alla propria personalita spirituale, mediante l’obbedienza pronta ed intera: poiche la lotta e azione e nulla v’ha di piu dannoso e folle che discutere quando e il momento d’agire. Fornisce quell’agilita e pronezza di movimenti e quella resistenza alle fatiche e forza muscolare, in cui la lotta armata ha uno dei suoi mezzi piu essenziali. Non solo; per il riscio che e inerente a molti esercizi ginnastici, anche si rifugga dale acrobazie – con le quali si sarebbe fuori dal dominio educativo – essa e buon addestramento dell’animo alla lotta. L’educazione guerriera ha un contenuto per ricchezza ed importanza infinitamente superior a quello dell’educazione fistica; ma include questa necessariamente dentro di se. Giovera in ultima accentare agli sports, in quanto non significhino virtuosismo, ossia abilita tecniche e capacita fisiche prese come fine a se stesse, ma si dispongano nel Quadro generale dell’educazione quale stimolo allo sviluppo dell’uomo. Essi in questo caso sono il naturale sbocco dell’educazione fisica, o meglio l’educazione fisica nella pienezza della sua attuazione; poiche accentuano il momento del rischio e del consequente necessario dominio di se. Ma non bisogna esagerare riguardo al valore degli sports in ordine all’educazione guerriera. Questa ha il suo fondamento in un mondo ideale che a quelli e compiutamente estraneo; e si riferisce ad una condizione di cose in cui ben altro sir ischia che non qualche slogatura ed ammaccatura, e in cui l’Eroe non attende il plauso, ma si vota sereno e deciso al sacrifizio che, anche, rimanga oscuro.” Gallo Galli. Galli. Keywords: il fedro, sull’amore, metafisica dell’amore, fisiologia dell’amore, dialoghi dell’amore, dialoghi sull’amore, sul bello, l’uno e i molti, unum et multa – the one and the many – Plato – Aristotle – Parmenides’s aporia – D. F. Pears, “Universals” in Flew, Rosmini, Bruno, ermetico, Galileo, Serbati, Carlini, idealismo, idealismo critico, dialettica dello spirito, Renouvier, educazione guerriera, Sparta, Platone, Siracusa, dorio, guerriero, sacrifizio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Galli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759002761/in/dateposted-public/

 

 

Grice e Galluppi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Tropea). Filosofo. “Gallupi is a great one; and much can be philosophised about his philosophy of the ‘parola come segno del pensiero’” – Grice: “On top, he was a Baron!” -- Eessential Italian philosopher. Figlio del barone Vincenzo e della nobildonna Lucrezia Galluppi, entrambi della stessa famiglia Galluppi, una delle antiche famiglie patrizie di Tropea.  Dopo lo studio della lingua latina, apprese filosofia sotto Ruffa. Trasferitosi a Santa Lucia del Mela, compì il corso elementare di filosofia e presso il Seminario vescovile della cittadina peloritana. Intraprese dunque lo studio a Napoli sotto Conforti.  Sposa Barbara d'Aquino, da cui ebbe quattordici figli, otto maschi e sei femmine.  Trascorreva le giornate di libertà nella residenza privata di famiglia, cioè Palazzo Galluppi, sulla Strada Provinziale a Caria, frazione di Drapia, alla biblioteca o al giardino. Pubblicò a Napoli “Sull'analisi e la sintesi”. Durante i moti aderì alla causa liberale sostenendo la riforma costituzionale dello Stato e protestando quindi contro l'intervento repressivo degli Austriaci. Si riavvicina alla monarchia. Insegna Filosofia a Napoli. Membro dell'Accademia Sebezia e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, dell'Accademia degli Affatigati di Tropea, di quella del Crotalo di Catanzaro e della Florimentana di Monteleone.  Il suo merito maggiore consiste nell'avere introdotto in Italia Kant. Le Lettere filosofiche furono definite il primo saggio in Italia di una storia della filosofia.  A Pasquale Galluppi sono dedicati il Convitto nazionale, il Liceo Classico di Catanzaro e il Liceo Classico di Tropea. A Tropea, la sua città natale, è attivo il Centro studi Galluppiani, associazione culturale dedita alla ripubblicazione dell'opera omnia del filosofo e che di recente ha decretato l'ampliamento dei fini statutari, fino ad accogliere e curare altre interessanti iniziative di un certo spessore culturale.  Periodicamente, il Centro organizza il Congresso degli Studi Galluppiani, importante appuntamento di respiro nazionale, animato da studiosi e saggisti provenienti da tutta Italia.  L'attuale presidente è Luciano Meligrana. Altre personalità di notevole importanza nella storia del Centro studi Galluppiani sono stati Pugliese e Cane, filosofo, appassionatissimo studioso dell'opera di Galluppi.  Una vera dedizione, la sua che non è mai venuta meno fino alla fine della sua vita. Organizzatore infaticabile di seminari, simposi e conferenze, ha cercato di far conoscere il pensiero del Galluppi, favorendo la pubblicazione dell'opera inedita "La Filosofia della Matematica" la cui edizione lo ha visto anche quale curatore. Su Galluppi ha pubblicato numerosi saggi ed articoli in quotidiani e riviste specializzate.  Altre opere: “Memoria apologetica” (Napoli, Vincenzo Mozzola-Vocola); “Grice, ovvero, Sull'analisi e la sintesi” (Napoli, Verriento); “La conoscenza, o sia analisi distinta del pensiere umano, con un esame delle più importanti questioni dell'Ideologia, del Kantismo e della Filosofia trascendentale” (Napoli, Sangiacomo); “Filosofia” (Messina, Pappalardo); “Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia, relativamente a' principii della conoscenza umana da Cartesio insino a Kant inclusivamente” (Messina, Pappalardo); “Logica”; “Metafisica” (Firenze, Tipografia della Speranza); “La volontà” (Napoli, Giachetti); “Storia della filosofia” (Napoli); “Opera compresa in nove capitoli a cui si aggiunge l ‘Elogio funebre scritto da Errico Pessina, autore del Quadro storico dei sistemi filosofici” (Milano, Gio. Silvestri); “Autobiografia”, “Scritti”  (Milano, Dumolard); La filosofia del Galluppi e le sue relazioni col Kantismo, (Napoli, Morano); “Lettere filosofiche” (Bonafede, Palermo); “Epistolario Lettere private. Inedite e rare, Franco Ottonello, Milano, Franco Angeli ("Filosofia e scienza nell'età moderna" Collana a cura della Sezione di Milano dell'Istituto per la storia della filosofia. Dizionario biografico degli italiani.  Quella  specie  di  deduzione  con  cui  da  una  causa ,  che  cade  sotto  i sensi , deduciamo  un  efletto  , che  sotto  i  sensi  non  cade  , o da  un  elTetto  , che  cade  sotto  i sensi , de-  duciamo una  causa  , che  sotto  i sensi  non  cade  , quando  la  connessione  fra  la  causa  e l' elTelto  non  si  presenta  a noi  come  necessaria  , è fondata  su  questa  verità  sperimentale,  le  carne  simUi  producono  o son  accompagnate  da  effetti  simili;  ed  ef-  fetti simili  suppongono  cause  simili.  Tutti  e due  questi  mo-  di di  dedurre  i fatti , che  immediatamente  non  si  sperimentano ,  costituiscono  r argomento  detto  di  analogia.  Si  argomenta  dunque  per  analogia  , quando  dairosservazionc  disoggetti  si-  mili si  deducono  qualità  simili,  e quando  da  cause  simili  si  de-  ducono efletti  simili , o da  elTetti  simili  si  deducono  cause  simili.   Ma  r esistenze  , che  si  deducono  , sono  di  due  maniere,  alcune  possono  essere  oggetto  di  esperie  tua  , altre  non  pos-  sono esserlo.  Sebbene  quando  vedo  l’acqua,  che  non  ho  an-  cora bevuto , e che  giudico  di  aver  essa  la  qualità  di  estin.  guermì  la  sete,  non  abbia  ancora  sperimentato  in  questo  ca-  so particolare  la  qualità  di  cui  parlo;  pure  è essa  un  ogget-  to di  esperienza  , poiché  posso  di  fatto  sperimentarla , be-  vendo l’acqua  che  ho  presente.  Sebbene  prima  di  vedere  la  liquefazione  della  neve , io  la  deduco  dalla  vicinanza  del  fuo-  co ; pure  questa  liquefazione  può  colpire  i mici  sensi,  ed  es-  sere un  oggetto  di  esperienza.   Ma  vi  sono  infiniti  casi  , in  cui  1’  esistenze  che  si  deduco-  no , non  possono  divenire  oggetto  di  esperienza.  Domandato  ad  un  uomo  perchè  egli  crede  un  fatto,  che  succede  in  luo-  ghi ove  non  è , per  esempio  , che  il  suo  amico  soggiorna  alla  campagna  , o viaggia  per  la  Francia , egli  vi  darà  per  ragione  un  altro  fatto  : allegherà  una  lettera  che  ha  da  lui  ricevuto  , alcune  risoluzioni  che  gli  vide  prendere  , alcune  promesse  che  gli  ha  sentito  fare.  Ora  in  tutte  queste  dedu-  zioni , si  suppone,  che  alcuni  dati  moti  dipendono  dalla  vo-  lontà dell’  amico  ; si  suppone  in  conseguenza  , che  il  suo  .  corpo  sia  animato  da  uno  spirito  simile  al  nostro.  Ora  lo  s[iiito  dell’ amico  , c le  modificazioni  inieinc  di  esso,  non    Digitized  by  Googlc    58   possono  giammai  divenire  un  oggetto  di  esperienza  : noi  non  possiamo  giammai  sortire  da  noi  stessi  , e sentire  1’  anima  sua  , e ciò  che  in  essa  acca(k  ; noi  dunque  qui  argomentia-  mo da  una  esistenza , che  è un  oggetto  sperimentale,  ad  un  altra  esistenza  , che  per  noi  non  può  giammai  divenire  un  oggetto  di  esperienza.  Quando  vedo  la  lettera,  di  cui  si  parla  io  giudico  , che  fu  l’ effetto  de’  moti  del  corpo  dell’  amico  ,  giudico  inoltre  , che  questi  moti  furono  1’  effetto  della  sua  volontà.  Ora  questa  volontà  io  non  la  posso  sentire  giammai,  risalgo  dunque  qui  da  un  effetto  che  colpisce  i sensi  miei  ad  una  causa  , che  non  può  giammai  divenire  un  oggetto  di  es-  perienza. Similmente  se  vedo  piangere  un  uomo  giudico  che  egli  è afflitto  , ora  T afflizione  di  lui  non  può  giammai  dive-  nire un  oggetto  di  esperienza  per  n>e;  io  dunque  deduco  qui  da  ciò  che  sperimento  una  causa,  che  non  posso  sperimenta-  re. Ora  si  domanda  : una  tal  deduzione  è esM  legittima?   Allora  che  vedo  un  uomo,  io  vedo  un  corpo  simile  al  mio:  se  lo  vedo  camminare  vedo  questo  corpo  eseguire  certi  moti  simili  a quelli , che  io  fo  quando  voglio  camminare , da  ciò  concludo  , che  i moti  del  corpo  che  vedo  suppongono  una  causa  simile  a quella,  che  ho  sperimentato,  vale  a dire  uno  spirito, che  vuole  tali  moti.  Pare  dunque, che  questo  caso  possa  ridursi  alla  stessa  spezie  di  quello  di  sopra  , cioè  alla  deduzione  di  una  causa  simile  da  un  effetto  simile.   Ma  vi  ha  qui  una  differenza,  di  cui  bisogna  tener  conto.  Quando  dal  vedere  un  orologio  deduco  1’  esistenza  di  un  ar-  '  tc6ce,  io  ho  osservato  non  solo  gli  effetti  simili,  ma  anche  le  cause  simili , vale  a diro  , ho  veduta  molti  orologi  fra  i  quali  ho  trovato  della  similitudine,  ed  Ito  veduto  ancora  molti  artefici  di  orologi,  fra  i quali  ho  trovato  ancora  della  simi-  litudine. Ciò  non  accade, quando  da’  moti  del  corpo  di  un  uomo  deduco  l’ esistenza  di  uno  spirito  simile  al  mio,  da  cui  questo  corpo  è animato.  Io  non  ho  giammai  sperimentato  un  altro  spirito  , all’  infuori  del  mio  , quindi  non  lio  giammai  sperimentato  la  similitudine  delle  cause  , da  cui  derivano  gli  effelti  de'  quali  si  parla,  io  dunque  esco  qui  fuori  deirespc-    \    Digitized  by  Google    59   nenia  : se  avessi  ^erimontato  piìi  volte  che  alcuni  moti  di  altri  corpi  simili  al  mio  derivano  da  spiriti  simili  al  mib  ,  allora  la  mia  deduzione  avrebbe  lo  stesso  fondamento  dell’  ana-  logia , la  quale  mi  autorizza  a dedurre  da  effetti  che  speri-  mento , simili  a quelli  che  ho  sperimentato  , cause  simili  a quelle  che  ho  sperimentato.  Ma  qui  siamo  in  un  caso  di-  verso; io  sono  racchiuso  nella  sola  osservazione  di  una  cau-  sa sola:  ho  sperimentato  in  me  solo  che  alcuni  dati  moti  pro-  cedono da  un  atto  di  volontà.  Ma  non  1’  ho  sp^imentato  in  altri , nè  posso  giammai  sperimentarlo;  or  chi  mi  autorizza  a concludere  da  un  caso  solo  una  legge  costante,  ed  univer-  sale della  natura?  Nell'  argomento  di  analogia  si  conclude  per  un  caso  ciò  che  abbiamo  sperimentato  costantemente  in  tutti  gli  altri  , che  ci  son  occorsi  : ho  sperimentato  mólte  volte,  che  il  fuoco  posto  in  vicinanza  della  neve  la  liquefa , nè  mi  è occorso  alcun  caso,  in  cui  non  abbia  ciò  sperimentato:  ve-  dendo del  fuoco  posto  in  vicinanza  della  neve  concludo,  per  questo  caso  particolare,  ciò  che  ho  sperimentato  costante-  m«ite  nella  moltitudine  degli  altri  casi.  Ma  quando  al  veder  muovere  gli  altri  uomini  giudico , che  sono  animati  da  uno  spirito  simile  al  mio , procedo  tutto  al  rovescio  dell’  analo-  gia , poiché  da  un  solo  caso , vale  a dire  da  ciò  che  speri-  mento in  me , giudico  tutti  gli  altri.   Questa  obbiezione  merita  di  esser  esaminata,  poiché  l’ ana-  lisi dei  motivi  de’  nostri  giudizi  è 1’  oggetto  della  logica.  Io  ho  camminato  un  numero  incalcolabile  di  volte  , per  varie  direzioni,  ed  in  vari  luoghi:  ho  sperimentato  questo  fatto  co-  stantemente unito  al  mio  volere:  ho  sperimentato  fra  il  cammi-  no di  una  volta  e quello  di  un  altra  una  similitudine,  ed  una  similitudine  fra  l’  atto  di  volere  di  una  volta  e quello  di  un  altra  : ho  dunqiK  qui  sperimentato,  che  effetti  simili  procedono  da  cause  simili,  vale  a dire,  che  il  camminare  consiste  in  moti  volontari  ; quando  dunque  veggo  camminare  un  altro  uomo  io  concludo  per  questo  caso  particolare  quello  che  ho  sperimentato  nella  moltitudine  de’casi  particolari  occorsi  in  me  stesso;  non  esco  dunqtic  dell’aualogia,  con  cui  si  concludeda  molli  ad  uno.    Digitized  by  Google    60   È nondimeno  incontrastabile  , che  l' illazione  non  può  giam-  mai divenire  sperimentale,  poiché  1’esistenza  della  volontà  in  un  altro  uomo',  che  io  deduco  dal' vederlo  camminare,  non  può  giammai  divenire  per  me  un  oggetto  di  esperiaiza  come  può  divenirlo  questa  illazione  : il  fuoco  che  vedo  liquefarà  la  neve  a cui  è vicino:  Ma  ciò  mi  sembra  , che  non  tolga  al-  cuna forza  alla  deduzione,  che  esaminiamo.   Quando  dal  vedere  il  fuoco  posto  in  vicinanza  della  neve  deduco  la  liquefazione  di  questa  , io  giudico  prima  dell'es-  perienza ; r essere  perciò  l’ illazione  di  natura  a poter  dive-  nire un  giudizio  sperimentale  , non  influisce  nella  deduzione  :  r illazione  è vera  per  me  per  la  sua  connessione  colle  pre-  messe ; non  già  perchè  è un  giudizio  , il  quale  può  confer-  marsi coll’esperienza.  Sinnlmcntc  l’illazione  di  analogia,  con  cui  giudico  che  gli  altri  corpi  umani  , fuori  del  mio  , sono  animati  da  uno  spirito  simile  al  mio  , è vera  in  forza  della  sua  connessione  colle  premes.se , e l’ impossibilità  che  ha  questo  giudizio  di  divenire  immediatamente  sperimentale;,  non  toglie  mica  il  valore  della  deduzione.   §,  28.  Ma  qui  conviene  aggiugnere  qualche  cosa  molto  im-  portante. Che  i moti  chiamati  volontari , e che  scorgo  ne’  cor-  pi umani , non  dipendano  da  una  causa  meccanica  , ma  da  una  causa  intelligente  , mi  sembra  una  verità  necessaria  della  stessa  natura  delle  verità  necessarie , che  esprimono  le  leggi  del  moto,  di  cui  abbiamo  di  sopra  parlato.  Se  io  sono  ric-  co o potate,  e deadcro  d'innalzare  un  edifìzio , mille  braccia  agiscono , e la  mia  volontà  ha  il  suo  effetto.  La  mia  voce  non  .ha  fatto  impressione  sul  corpo  de’  travagliatori , se  non  die  per  mezzo  dell’  aria , e no  n ha  prodotto  nell’  atmosfera  on’  agitazione  suflìciente  a muovere  de’  corpi  molto  piìi  pic-  coli di  quelli  , che  eseguono  gli  ordini  miei  ; la  mia  voce  dun-  que non  produce  1’  elfetto  come  causa  meccanica  ; bisogna  perciò  che  un  principio  diverso  dall’  agitazione  dell'  aria  , o  dalla  mia  parola  abbia  prodotto  questo  moto  ne’ corpi , e che  la  mia  parola  abbia  detcrniiiiato  questo  princijiio  a produrre  i  moti , che  chiamiamo  voloiitai  l.  Non  si  può  riguardar  la  mia    Digitized  by  Google    61   parola  , se  non  che  o come  un  molo  eccitato  nell’  aria  , o  come  r espressione  della  mia  volontà  ; la  mia  parola  non  ha  potuto  come  causa  meccanica  produrre  i moti , de’  quali  par-  liamo , perchè  ciò  come  abbiamo  veduto  , è contrario  alla  le^e  del  moto , che  un  piccolo  moto  ne  produca  uno  mag-  giore ; al  che  si  aggiunga  , che  la  mia  parola  non  avrebbe  prodotto  moto  alcuno  nell’Ottentotto , o in  un  altro  individuo  che  parla  un  linguaggio  diverso  dal  mio:  per  la  sola  espres-  sione della  mia  volontà  ha  dunque  potuto  la  mia  parola  de-  terminare ad  agire  il  principio  del  moto  de’  corpi  die  mi  hanno  ubbidito.  Questo  principio  è perciò  un’  intelligenza  ,  poiché  ha  conosciuta  la  mia  volontà  nelle  mie  parole.  i   La  proposizione  dunque  : vi  tono  alcuni  moti  ne’  corpi  u-  mani  dieerti  dcU  mio  corpo,  i quali  ^ hanno  per  cauta  una  cauta  intelligente  , mi  sembra  di  verità  necessaria.  La  pro-  posizione poi:  vi  sono  alcuni  moti  ne"  corpi  umani  dècer  si  dal  mio  corpo  i quali  hanno  per  causa  la  volontà  di  uno  spirito  simile  al  mio , e per  conseguenza  tali  corpi  tono  animati  co-  me il  mio  , è di  verità  contingente  , e poggiata  sull’analogia.  Concludiamo  nell’  argomento  di  analogia  si  deducono  spes-  so cause , (M  non  possono  divenir  giammai  un  oggetto  di  es-  perienza , sebbene  sieno  simili  ad  altre  cause  , che  si  speri-  mentano. 2.°  Vi  tono  nondimeno  alcune  deduzioni  di  esistenze ,  che  non  possono  divenire  sperimentali,  le  quali  deduzioni  danno  verità  necessarie  in  risultamento.   Questa  seconda  parte , della  conclusione  enunciata , si  con-  ferma da  quello  che  abbiamo  detto  nell’  Ideologia  circa  resisten-  za dell’  assoluto.  Questo  non  può  certamente  divenire  un  og-  getto di  esperienza  , intanto  la  sua  esistenza  è il  risultamento  di  un  raziocinio  legittimo,  in  cui  una  delle  premesse  è una  verità  sperimentale.  Noi  diciamo  ; se  vi  è il  condizionale , et  dee  essere  l’  assoluto.  Questa  proposizione  esprime  un  giudizio  analitico  , e necessario  : vi  e il  condizionale  : questa  secon-  da proposizione  esprime  un  giudizio  sperimentale  ; vi  è dunque  r assoluto.  L’ illazione  è una  verità  necessaria.   L’  empirisnto  ci  riserra  nel  solo  circolo  dell’ esistenze,  im-    Digilized  by  Google    62   mediatamente  sporimetitali  ; nè  ci  permette  di  passare  da  ciò  , che  cade  immediatamente  sotto  1’  esperienza , a ciò  che  sotto  la  stessa  immediatamente  non  cade.  Io  vi  ho  fatto  ve-  dere il  contrario  ; vi  ho  dunque  dimostrato  la  falsità  dell’em-  pirismo.   L’  argomento  di  analogia  è fondato  sul  rapporto  d’ iden-  tità ; ma  T identità  può  fra  due  cose  essere  ma^^iore  o mi-  nore. L’  identità  fra  il  mio  corpo  ed  il  corpo  di  un  altro  individuo  , che  io  chiamo  uomo  , è maggiore  di  quella  che  passa  tra  il  mio  corpo  ed  il  corpo  di  un  cavallo.  Ora  si  do-  manda : tino  a qual  grado  d idetUilà  V analogìa  è un  argo~  mento  valevole  , cioè  «n  argomento  certo  ì È questo  un  pro-  blema di  difllcile  soluzione  : l’ esamineremo  in  altro  capitolo.   §.  29.  U analogia  ci  rivela  dunque  1'  esistenza  degli  altri  q)ìriti  simili  al  nostro.  L’  esperienza  c’  ins^a  , che  alcuni  moti  volontari  in  noi  nascono  , o sono  accompagnati  da  al-  cune affezioni  interne  del  nostro  spirito  ; vedendo  in  conse-  guenza moti  siniili  in  altri  corpi  umani , attribuiamo  agli  spi-  riti animatori  di  tali  corpi  affezioni  simili  a quelle  che  ab-  biamo sperimentato  in  noi.  Allora  che  sono  affetto  dal  sen-  timento della  sete , corro  a bevere  ad  una  fontana  , che  a  me  si  presenta.  Se  dunque  vedo  un  altro  nomo  camminare  verso  una  fontana  , e bevere  , giudico  , appoggiato  su  l’ana-  logia , che  egli  sia  modificato  dal  sentimento  della  sete  , e  che  voglia  bevere.   In  queste  deduzioni  analogiche  dovete  osservare  ciò  che  vi  ho  detto  nel  §.  16  circa  1'  aspettazione  del  futuro  simile  al  passato,  i^li  bisogna  distinguere  il  sentimento  della  deduzio-  ne meditativa.  La  dottrina  generale  che  ivi  vi  ho  spigato ,  può  applicarsi  all’  oggetto  che  ci  occupava.  Noi  supponiamo  ne’  nostri  simili  delle  anime  alla  nostra  simile  : noi  facciamo  tali  sup^izioni  in  forza  della  I^gc  della  nostra  immagina-  zione , non  già  in  forza  de’  raziocini , che  abbiamo  sviluppato.  Io  suppongo  r incontro  di  due  uomini  , privi  sino  a questo  momento  di  ogni  commercio  , ancora  cògli  animali  ; ridotti  per  conseguenza  al  circolo  stretto  de’  propri  sentimenti,  e delle    Digilized  by  Google    63   proprie  operazioni  : ciascuno  di  essi  vede  nell’  altro  un  essere  che  gli  rassomiglia  in  tutte  le  cose  , che  presenta  le  stesse  forme  , possiede  gli  stessi  organi  , ne  fa  un  simile  uso  ; egli  crede  dunque  il  corpo  che  lo  colpisce,  animato  da  uno  spirito.  Or  ecco,  secondo  la  mia  dottrina,  come  si  opera  questo  fatto  intellettuale.  Io  suppongo,  che  un  di  questi  uomini  vegga  I'  altro  camminare , questa  percezione  risveglia  i fantasmi  simili  del  proprio  corpo  camminante  in  varie  volte , e perciò  anche  i  fantasmi  del  ])roprio  me  affetto  in  tali  circostanze  da  tali  e  tali  modificazioni:  queste  riproduzioni  si  fanno  con  somma  ra-  pidità in  modo  che  non  posson  essere  fissate  dall'  attenzione,  esse  sono  perciò  obbliate  l' istante  appresso,  in  cui  si  s«n  avu-  te, intanto  la  percezione  del  corpo  simile  al  proprio  detemù-  na  r attenzione  non  solamente  ad  essa  sola , m’  ancora  alla  percezione  simultanea  del  proprio  me , e lascia  fu^ire  le  per-  cezioni successive  simili  del  proprio  corpo  camminante  in  varie  volte  ; la  piercezione  del  me  riprodotta  si  lega  perciò  a quella  del  corpo  presente  del  mio  simile , invece  di  legarsi  a quella  riprodotta  del  proprio  corpo  camminante  , che  si  è obbliata,  e questo  legame  costituisce  il  sentimento  interno  di  questa  specie  di  credenza.  L'  obblio  delle  percezioni  riprodotte  del  proprio  corpo  camminante  in  varie  volte,  neH’atto  che  rimane  quella  riprodotta  del  proprio  me , fa  si,  che  questa  ultima  si  associi  a quella  presente  del  corpo  simile.  La  .percezione  ri-  prodotta del  proprio  me  rimane,  perchè  la  percezione  del  cor-  po camminante  e quella  del  proprio  me  son  legati  naturalmente  in  una  comune  attenzione;  essendo  associate  dalla  natura  stessa;  qnella  riprodotta  del  corpo  camminante  si  ccclissa,  perchè  quel-  la del  corpo  simile  camminante  richiama  l’ attenzione.  Lo  spi-  rito trasporta  dunque  fuor  di  lui  col  pcnsiere  l’ idea  del  proprio  me  , che  egli  immagina , e che  stabilisce  nel  seno  di  quelle  forme,  che  colpiscono  i suoi  sguardi,  ed  a traverso  delle  quali  il  suo  sentimento  immediato  non  può  penetrare.  Egli  presta  dunque  il  suo  me  al  suo  simile  , 1’  anima  della  vita  che  re-  spira in  se  stesso,  e concepisce  1’  esistenza  di  un  altro  uomo.  Tale  mi  sembra  la  spiegazione  del  sentimento  della  credenza.    Digitized  by  Google    C4   che  esaminiamo. Risulta  dalla  stessa,  che  noi  concependo  ciò  che  |>ensano  gli  altri  uomini,  non  usciamo  mica  da  noi  stessi.  Nel'  le  nostre  proprie  idee  noi  vediamo  le  loro  maniere  di  essere,  la  loro  stessa  esistenza.  Da  ciò  avviene,  che  1’  uomo  misura  dal  proprio  spirito  quello  degli  altri,  dal  che  nascono  molti  orrori , come  a suo  luogo  diremo.   Noi  non  possiamo  accuratamente  determinare  lo  stato  dei  fanciulli  ; e conoscere  perciò  1’  epoca  in  cui  hanno  luògo  le  loro  abitudini  intellettuali.  Ma  egli  mi  sembra  incontrastabile,  che  queste  abitudini  si  formano  in  loro  mediante  la  rapiditll  di  talune  associazioni.  I fanciulli  percepiscono  negli  altri  nomi-  ni de’  corpi  simili  al  proprio:  &si  sperimentano  alcuni  moti  spontanei  del  loro  corpo  ed  altri  simili  ne  percepiscono  nei  corpi  degli  altri  nomini  ; queste  similitudini , ed  altre  , che  si  manifestano  piìi  tardi , determinano  le  associazioni  di  cui  ho  parlato.  Legete  il  capitolo  degli  abiti  nella  Psicolgia.   Ma  non  solamente  i moti  volontari  che  osserviamo  negli  altri , ci  menano  a supporre  nel  loro  spirito  alcune  medin-  cazioni  ; ma  ancora  certi  moti  e cambiamenti  necessari,  che  son  gli  stessi  elTetti  meccanici  i quali  accompagnano  i senti-  menti interni  dell'  anima , come  il  tremore  e la  pallidezza  nello  spavento  , le  grida , e le  lagrime  nel  dolore  , il  riso ,  e il  tripudio  nella  allegrezza.  Questi  si  manifestano  incontanen-  te da  se  medesimi , anche  ne’  fanciulli  appena  nati , princi-  palmente i gridi  ed  il  lamento,  che  accompagnano  il  dolóre.   Concludiamo  : noi  poniamo  per  mezzo  di  alcuni  cambiamen-  ti , che  osserviamo  ne'  corpi  altrui  pervenire  a conoscere  ciò  che  accade  nel  loro  spirilo.  Questa  eonoscenza  può  essere  mec-  canica o sia  il  risultamenlo  del  sentimento  prodotto  da  alcune  rapide  associazioni,  e può  essere  ancora  V illazione  di  un  ra-  ziocinio legittimo  di  analogìa.  Possiamo  dir  la  stessa  cosa  in  modo  breve;  questa  conoscenza  può  essere  o istintiva  o ragionata.   Da  ciò  si  vede,  che  non  è necessaria  una  prima  convenzione  fra  gli  uomini  acciò  s’  incomincino  a intendere  fra  loro.  La  natura  ha  reso  gli  uomini  tali , che  conversando  insieme  essi  s’iiit  elidono  naturalmente  anche  senza  l’istituzione  del  linguaggio.    Digilized  by  Coogle    «5   §.  30.  Seguiamo  la  supposizione  de’  due'solitari.  Sebbene  1'  uno  abbia  compreso  ciò  che  accade  nello  spirito  dell’  altro,  non  tì  è ancora  un  lii^uaggio  propriamente  detto  ; perchè  non  si  parla  , se  non  quando  si  cerca  di  farsi  intendere  ,ese  1’  uno  de’  due  individui  ha  penetrato  il  pensiero  dell’  altro  ciò  è accaduto  senza  che  questi  cercasse  a farglielo  conoscere.!  due  individui  di  cui  parliamo,  osservano,  eh’  eglino  sono  stati  compresi , ed  allora  cercano  di  farsi  comprendere  , e nascerà  cosi  il  primo  linguaggio.  Sviluppiamo  questa  dottrina.   Abbiamo  veduto,  che  il  corpo  degli  altri  uomini  ci  presenta  alcuni  avvenimenti,  la  percezione  de’  quali  ci  fa  conoscere  ciò  che  accade  nel  loro  spirito.  Ciò  la  cui  idea  eccita  l’ idea  di  un’  altra  cosa  chiamasi  segno.  Nel  corpo  di  un  altro  nomo  vi  sono  dunque  de’  segni  delle  interne  modificazioni  dello  spirito  animatore  di  questo  corpo.  Siccome  tali  segni  son  tali  per  la  costituzione  della  nostra  natura  , cosi  si  chiamano  segni  nor  turali.  Vi  sono  , in  conseguenza  , de’  segni  naturali  de’  pen-  sieri o modi  di  essere  delio  spirito  degli  altri  uomini.   Ma  non  solamente  vi  sono  di  questi  segni  naturali  de’  pen-  sieri altrui  ; ma  1’  uomo  può  conoscere  , che  vi  sono , cioè  può  conoscere  , che  con  alcuni  dati  mezzi  si  può  manifestare  altrui  ciò  che  si  sperimenta  internamente  nello  spirito  proprio.  Supponiamo,  che  uno  de’  due  nomini  supposti  pianga,  gridi,  si  lamenti,  senza  avere  l’ intenzione  dì  manifestare  all’  altro  il  dolore,  che  egli  sente;  intanto  1’  altro  sapendo,  che  questi  gridi,  e questi  lamenti  sono  soliti  ad  accompagnare  il  dolore,  conoscerà  da  questi  segni  il  dolor  dell’  altro , ed  accorrerà  al  soccorso  di  lui,  questi  perciò  comprenderà  da  tutto  questo,  che  egli  è stato  compreso  ; e se  avviene  altra  volta  , che  si  trovi  affetto  dal  dolore , ed  in  bisogno  del  soccorso  dell’  al-  tro, piangerà  e griderà  coll’  intenzione  di  manifestare  all’al-  tro il  proprio  dolore.  Così  gli  uomini  incominciano  dal  com-  prendersi scambievolmente  ; in  seguito  conoscono , che  sono  stati  compresi,  e finalmente  si  determinano  a farsi  compren-  dere. Cosi  si  osserva  in  tutt’i  fanciulli  comunemente.  A prin-  cipio essi  gridano  , e si  lamentano  costretti  unicamente  dalla  Gall.  Vol.  II.  8    Digitized  by  Coogle    C6   forza  del  dolore , senz’  aver  l’ intenzione  di  manifestarlo  con  questi  segni  agli  altri , anzi  senza  sapere  neppure , che  cosa  alcuna  si  possa  esprimere  col  pianto,  e colle  grida;  ma  ap>  presso  avendo  imparato , che  con  tali  s(^i  si  ottiene  1’  altrui  soccorso,  cominciano  a valersene  avvertitamente  per  manife-  stare il  loro  dolore,  e ricevere  il  soccorso  che  bramano.  Ciò  di  cui  gli  uomini  si  servono,  per  manifestare  agli  altri  i pro-  pri pensieri , chiamasi  ugno  artificiale.  1 segni  naturali  di-  vengono dunque  naturalmente  s^ni  artiGciali.   Qui  ha  termine  T educazione  della  natura  per  le  nostre  scam-  bievoli comunicazicmi.,  La  natura  ha  insegnato  all’ uomo,  che  egli  può  farsi  intendere  ; e l’ uomo  può  non  solamente  ser-  virsi de’  mezzi,  che  la  natura  gli  ha  mostrato  per  la  comu-  nicazione de’  propri  pensieri  ; ma  può  ancora  ritrovarne  de-  gli altri  simili.  Il  primo  e più  semplice  mezzo  di  comunica-  zione che  si  offre  allo  spirito,  si  è quello  di  ripetere  con  ri-  flessione ciò  eh’  egli  fece  dapprincipio,  senza  prevederne  le  con-  seguenze, cioè  di  riprodurre  quelle  azioni,  per  mezzo  delle  qua-  li ^li  si  è fatto  comprendere.  Così  si  formerà  un  primo  lin-  guaggio, che  può  chiamarsi  linguaggio  della  natura,  poiché  esso  non  si  compone  se  non  che  de’  s^i  naturali,  vale  a  dire  di  quei  s^ni  di  cui  la  natura  aveva  già  senza  di  noi  ri-  vestito i nostri  pensieri  spreti,  per  renderli  sensibili  agli  altri*   §.  31.  Il  lingua^io  della  natura  è insnlHc^te  per  mani-  festare agli  altri  tutt’i  nostri  pensieri.  Noi  abbiamo  al  pre-  sente il  linguaggio  de’suoni  articolari  : i filosofi  disputano  su  l’ origiiK  di  esso  : la  quistione  si  versa  su  l’ esistenza,  e su  la  possibilità,  cioè  si  cerca  ; gli  uomini  hanno  esH  da  se  stes-  si istituito  il  linguaggio  1 Questa  ricerca  suppone  quest’  altra-*  gli  uomini  abbandonati  a u stusi  potevano  istituire  il  linguag-  gio’l  \ nostri  sacri  libri  c’  insegnano,  che  Adamo,  ed  Èva  fu-  rono creati  da  Dio  in  uno  stato  adulto  con  delle  conoscenze  in  istato  di  riflettere,  e di  comunicarsi  i loro  pensieri.  Iddio  ù maqiiestò  all’  uomo  innocente  ne’  primi  istanti  della  crea-  zione. Iddio  è dunque  l’ autore  primitivo  del  lingm^io.  Ma  io  suppongo',  dice  Condillac,  che  qualche  tempo  dopo  il  di-    Digitized  by  Google    67   luvio  due  bambini  dell’  uno,  e dell’  altro  sesso  siensi  trariati  ne’  deserti,  avanti  che  conoscessero  1’  aso  de’  vocaboli.  A fare  questa  supposizione,  egli  dice,  io  sono  spinto  dal  fatto  del  giovane  di  Chartres  rapportato  nelle  memorie  dell’  accademia  delle  scienze,  anno  1703.  Era  questi  dell’età  di  23  a 24  anni  sordo  c muto  di  nascita  : cominciò  con  gran  sorpresa  di  tutta  la  città  tutto  ad  un  colpo  a parlare.  Si  seppe  da  lui;  che  tre  o quattro  mesi  prima  egli  aveva  udito  il  suono  delle  campane,  ed  era  stato  estremamente  sorpreso  da  questa  sen-  sazione novella  ed  incognita.  In  seguito  gli  era  sortita  una  spe-  cie di  acqua  dell’  orecchia  sinistra,  cd  aveva  acquistato  l’udi-  to in  tutte  e due  le  orecchie.  Egli  impiegò  tre  o quattro  mesi  ad  ascoltare  senza  nulla  dire,  assuefacendosi  a ripetere  sotto  voce  le  parole,  ch’ali  udiva,  ed  esercitandosi  nella  pronun-  ciazione,  e nelle  idee  legate  a’  vocaboli.   Io  non  so  come  questo  fatto  possa  autorizzare  il  filosofa  francese,  a fare  la  supposizione  di  cui  parla,  se  non  perché  ciò  mena  a poter  supporre  , che  due  giovani  di  sesso  diverso  sordi  c muti  di  nascita,  possono  traviarsi  ne’  deserti  o ne’  bo-  schi, indi  incontrarsi,  e dopo  l’ incontro  ricever  tutti  e due  r udito.  Questa  supposizione  non  ha  niente  di  assurdo  ; ed  è  perciò  lecito  al  filosofo  di  cercare , se  in  una  tale  supposi-  zione questi  due  giovani  possano  istituire  una  società,  ed  un  linguaggio.  A ciò  si  può  aggiungere,  che  si  rapporta,  esser-  si in  vari  tempi  vari  fanciulli  trovati  ne’  boschi  ; uno  ne  fu  sorpreso  nell’  Asia  l’ anno  1334  in  compagnia  de’  lupi,  un  al-  tro dell’età  di  circa  12  anni  in  Weteravia,  un  altro  di  16  fu  scontrato  fra  una  torma  di  pecore  selvatiche  nell’  Irlanda ,  verso  alla  metà  del  passato  secolo,  un  altro  di  nove  fra  gli  orsi  nelle  selve  della  Lituania  nel  1662  : in  questo  secolo  me-  desimo uno  ne  fu  scoperto  presso  ad  Hamelen  nella  Sasso-  nia, una  fanciulla  presso  a Lwlla  nella  provincia  di  Utrecht,  ed  un’altra  fu  arrotata  presso  Chalons  nel  1731.  Io  per  al-  tro non  comprendo,  come  questi  fanciulli  abbiano  potuto  vi-  vere, se  sono  stati  abbandonati,  o perduti  prima  di  potersi  alimentar  da  se  stessi,  ed  m conseguenza  prima  di  avere  una    Digitized  by  Google    68   lingua.  Si  potrebbe  supporre,  che  avevano  principiato  a par*  lare,  quando  si  smarrirono  ; ma  che  poi  nella  solitudine  ave*  vano  interamente  obliato  quanto  avevano  imparato.   Or  si  domanda  : se  due  di  questi  di  sesso  diverso,  si  fos-  sero per  avventura  incontrati  nella  stessa  foresta , che  sareb-  be egli  avvenuto  ? E per  limitarci  all’  ometto  delle  nostre  ricerche  , domandasi  : avrebbero  essi  istituito  una  lingua  7  Tralitsciando  dunque  , su  l’origine  del  linguaggio,  la  quistio*  ne  di  fatto  , è egli  lecito  di  esaminare  quella  della  possibili-  tà , o di  cercare  se  gli  nomini  abbandonati  a loro  stessi  avreb-  bero potuto  istituire  una  lingua  ? L’  esame  di  una  tal  qui-  stione  è molto  utile,  per  ben  conoscere,  e misurare  le  for-  ze dello  spirito  umano,  e queste  ricerche  ipotetiche  ci  menano  ancora  a risultamenti , che  hanno  luogo  nel  fatto  reale.   Io  aggiungo  dippiìi , che  alcuni  autori  anche  su  l’autorità  de’  nostri  libri  divini , hanno  creduto  , che  le  lingue  attuali  sieno  state  istituite  dagli  uomini  coll’uso  delle  loro  forze  na-  turali : ecco  come  può  essere  accaduta  la  cosa.  Nel  famoso  avvenimento  della  costruzione  della  torre  di  Babele,  per  for-  za miracolosa,  fu  cancellata  dalla  mente  degli  uomini  la  me-  moria intera  del  primitivo  linguaggio:  in  seguito  di  un  tale  miracolo  , gli  uomini  si  divisero  a torme  secondo  i rapporti  di  parentela  e di  amicizia , e si  stabilirono  hi  diverse  parti  della -terra  : furono  dunque  abbandonati  a se  stessi,  per  isti-  tuirsi un  linguaggio  ; e così  perduto  interamente  il  linguag.  gio  primitivo  , dì  cui  era*  stato  autore  Iddio  stesso  , le  nuo-  ve lingue , che  nacquero  su  la  terra  , furono  un  prodotto  dello  spirito  umano.  In  questo  modo  si  spiega  come  gli  uo-  mini perduto,  per  forza  del  miracolo,  il  primitivo  linguag-  gio , non  si  sieno  più  scambievolmente  intesi  ne’  linguaggi  •rispettivi.  Questa  opinione  ammette  un  solo  miracolo,  quale  è quello  della  memoria  perduta  del  linguaggio  primitivo , lad-  dove nell’opinione  contraria  bisogna  supporre  una  gran  mol-  titudine di  miracoli,  l’uno  in  forza  del  quale  gli  uomini  ab-  biano perduto  la  memoria  del  lingua^io  primitivo,  e gli  al-  tri con  cui  Iddio  abbia  istituito  i diversi  linguaggi  , che  eb-    DigiliZL  by  Google    69   bero  luogo  dopo  dell’  avvenimento  ; ora  si  potrebbe  dire  ,  non  e^r  verisimile , che  Iddio  moltiplicasse  inutilmente  i  miracoli.   Checché  ne  sia  di  tale  opinione  , noi  esamineremo  qui  la  quistione  della  possibilifb.  11  rispetto  che  il  filosofo . debbe  alla  religione  divina , che  c’  illumina , mi  ha  condotto  a que-  sta digressione.   §.  32.  Per  esaminar  la  quistione  proposta  continuiamo  la  supposizione  di  sopra , e partiamo  dal  punto  ove  siam  ri-  masti. Abbiamo  veduto  l.°che  gli  uomini  per  natura  si  com-  prendono scambievolmente , 2.°  che  conoscono  di  essere  stati  compresi  ; 3.°  che  con  ciò  si  fanno  naturalmente  un  linguag-  gio artificiale  , che  è il  linguaggio  della  natura.  Vale  a dire  che  fanno  uso  de’  segni  naturali  , per  manifestare  agli  altri  i propri  pensieri.  .Ma  il  bisogno  non  potrebbe  spingere  gli  uomini , a migliorare  , cioè  ad  acrescere  questo  linguaggio  della  natura  , ritrovando  de’  segni  analoghi  ?   n pianto  ed  i gemiti  manifestano  agli  altri  il  dolore  da  cui  un  individuo  è affetto  ; ma  non  manifestano  lyica  la  causa  del  dolore.  Ora  gli  uomini  hanno  spesso  bisogno , per  essere  soccorsi , dì  manifestare  agli  altri  la  causa  del  loro  dolore  :  per  tale  oggetto  alcune  volte  bastano  le  circostanze  : uno  de’  due  suppposti  solitari  cade  in  una  fos.«a  : egli  non  può  senza  l’al-  trui soccorso  cavarsene  fuora  : egli  grida  --  1’  altro  accorre  ,  e si  avvede  della  causa  del  dolore  del  suo  simile.  Parimente  se  uno  de’  due  è inseguito  da  una  bestia  feroce  , e grida  :  l’  altro  conosce  dalla  circostanza  la  causa  del  dolore  del  com-  pagno. Spesso  nondimeno  la  causa  del  dolore  non  apparisce  dalle  circostanze.  Tutti  generalmente  acquistiamo  l’abito , al-  lorché ci  sentiamo  in  alcuna  parte  addolorati,  di  recare  colà  la  mano.  Se  dunque  uno  de’  due  supposti  solitari  sentirà  do-  lore in  qualche  parte  ; egli  griderà , c la  mano  correrà  na-  turalmente alla  parte  addolorata  : l'altro  accorrendo  alle  grida ,  e spingendo  per  avventura  lo  sguardo  là  , dove  è corsa  la  mano  dell’  altro  conoscerà  il  luogo  del  dolore  c se  la  causa  del  dolore  fosse  una  ferita  , o una  contusione , o qualche  al-    Digitized  by  Google    70   tra  cosa  visibile  ; allora  conoscerà  chiaramente  questa  causa.  Qualora  l’ uno  vorrà  porgere  all’  altro  alcuna  cosa,  amendue  stenderanno  la  mano  T uno  per  darla , e l’ altro  per  prenderla .  Questi  moti  della  mano  potranno  da  s^i  naturali  divenire  segni  artificiali  , così  si  potrà  indicare  la  causa  del  dolore  re-  cando la  mano  su  la  parte  addolorata  ; e si  potrà  da  uno  de’  due  individui  volendo  dire  all’ altro  che  non  è vicino  qual-  che cosa  ; e non  volendo  o non  potendo  muoversi , stendere  la  mano  con  entro  la  cosa  che  gli  vuol  porgere.  L’altro  si^  milmente  se  cosa  alcuna  bramerà  aver  dal  compagno , por-  gerà la  mano  vòta  per  prendere  ciò  che  desidera.   Fin  qui  non  si  esce  ancora  dal  linguaggio  della  natura;  ma  già  siamo  al  termine  di  un  altro  linguaggio,  a cui  il  primo  ci  mena..  Vi  sono  due  specie  di  cose,  di  cui  gli  nomini  han-  no bisogno  di  eccitare  le  idee  negli  altri:  alcune  possono  nel  momento  stesso  colpire  i sensi  tanto  di  colui  che  vuol  par*  lare , quanto  di  colui  a cui  si  vuol  parlare;  altre  sono  lon-  tane o almeno  invisibili , e non  esistono  nel  momento,  se  non  che  nello  spirito  di  colui  che  vuol  farsi  comprendere:  riguar-  do alle  prime  basta  , che  colui  che  vuol  parlare,  cioè  che  vuol  farsi  comprendere  ecciti  T attenzione  del  suo  compa-  gno , e la  diriga  su  1’  oggetto  che  gli  vuol  mostrare.  Ab-  biamo veduto  , che  il  gesto  può  esser  naturale  e divenire  un  segno  artificiale  ; ma  alcune  volte  non  è cosi  : supponiamo ,  che  uno  de’  due  solitari  voglia  mostrare  all’  altro  un  ogget-  to lontano  ma  che  può  esser  veduto  ; egli  avvertirà  il  suo  compagno  per  un  grido , ed  allora  che  questi  volgerà  a lui  gli  sguardi , il  primo  dirigerà  Io  sguardo  su  l' oggetto , che  vuole  mostrare  all’altro , e farà  uso  del 'dito  , per  meglio  mostrargli  la  direzione , che  prende  Io  sguardo  suo  : l’ altro  r imiterà,  e la  sua  curiosità  lo  porterà  ad  osservare  ciò  che  occupa  il  suo  compagno.  Questi  gridi,  questi  gesti , formano  una  prima  spezie  di  segni  istituiti,  che  si  possono  chiamare  ugni  indicatori.  Osservate  , che  i segni , di  cui  parlo , non  sono  segni  naturali,  perchè  il  grido  è naturale  nel  dolore  e  nel  piacere:  esso  diviene  da  naturale  artificiale  per  denota-    Digitized  by  Coogle    71   re  il  dolore  , o il  piacere.  Ma  l’ uno  de’  due  solitari  aven-  do osservato  , che  1’  altro  , quando  egli  manda  fuori  il  grido  , diriga  a lui  il  proprio  sguardo , fa  uso  del  grido  per  obbligare  il  compagno  a fissare  su  di  lui  lo  sgiiardo:  cos)  il  grido  si  estende  a denotare  ciò  che  denota  ({uesta  proposizione  : volgiti  a me:  inoltre  lo  stendere  il  dita  verso  1’  oggetto  che  si  vuol  mostrare  non  è un  segno  naturale,  ma  un  segno  analogico,  poiché  vi  ha  Una  similitudine  fra  il  mo-  to che  fa  il  dito , ed  il  moto  che  far  dovrebbe  il  proprio  corpo  per  ginngerc  all’  oggetto , che  si  vuol  mostrare;  que-  sti due  moti  avendo  la  stessa  direzione,  o pure , la  direzio-  ne del  dito  è - identica  colla  direzione,  che  prende  lo  sguardo.  Per  tal  ragione  io  credo  , che  il  gesto , di  cui  parlo  , do-  vrebbe riguardarsi  piuttosto  come  un  segno  mitalko,  poiché  il  moto  del  dito  imita  nella  direzione  il  moto  che  far  dovreb-  be il  proprio  corpo  per  giungere  pel  cammino  più  corto  al-  1’  oggetto , che  si  vuol  mostrare , o pure  imita  la  direzione  dello  sguardo  ; ma  servendo  tal  gesto  ad  indicare  un  (^et-  to, che  può  nello  stesso  momento  colpire  i sensi  de'  due  so-  litari, gli  si  pùò  dare  il  nome  di  segno  indicatore.  Questi  due  segni  indicatori  , di  cui  parliamo,  equivalgono;  a queste  diK  proposizioni  : volgiti  a me  e guarda  là.   Vi  ha  inoltre  de'  segni  imitativi , i quali  servono  a deno-  tare alcune  cose  future,  od  altre  cose  che  nel  momento  non  possono  colpire  i sensi  di  tutti  e due  i solitari.  Supponiamo,  che  uno  di  questi  sia  in  A , 1'  altro  sia  icmtano  ma  a vista  del  primo  in  B,  che  1’  oggetto  lontano  ma  a vista  di  tutti  e  due  sia  in  C ; inoltre  cl»  il  primo  non  potendo  muoversi  per  andare  io  C voglia  manifestare  all’  altro  che  vada  in  C,  e che  prendendo  I’  oggetto  bramato  ivi  posto,  lo  rechi  a lui  in  A ; ecco  come  io  immagino , che  la  cosa  potrà  farsi  : il  primo  con  un  grido  ecciterà  1'  attenzione  del  compagno:  indi  stenderà  il  dito  nella  direzione  della  linea  fra  A e B:  poi  la  muoverà  nella  direzione  di  una  linea  parallela  a quella 'fra  B e C:  con  questo  moto  egH  dirà  al  compagno  che  vada  da  B in  C,  c questo  moto  sarà  un  sogno  imitativo  del  moto  che    Digitized  by  Google    72   il  compagno  dee  fare  , per  secondare  il  desiderio  dell’  altro  ' io  A : questo  moto,  che  H compagno  dee  fare , è una  cosa  futura,  che  non  pnò  nel  momento  colpire  i sensi  de’ due  so-  litari : ecco  dunque  come  con  de’  segni  imitativi  si  possono  denotare  gli  oggetti  assenti.  Supponiamo  inoltre,  che  l' indi-  viduo posto  in  B si  conduca  in  C:  l’ altro  che  si  trova  in  A  stenderà  il  suo  braccio  da  A verso  C in  posizione  orizzonta-  le, indi  farà  un  moto  col  braccio,  imitativo  di  quello  che  dee  fare  il  compagno  per  prendere  T oggetto  posto  in  C : dopo  di  ciò  ritornando  a mettere  il  braccio  nella  stessa  posizione  orizzontale,  lo  ritrarrà  a se  con  un  moto  contrario  a qfuello,  con  cui  r ha  steso  , e che  sarà  imitativo  di  quello , che  dee.  fare  il  compagno  per  venire  da  C in  A.  Con  i s^ni  imitati-  vi dunque  si  pò^no  denotare  le  cose  invisibili  nel  momen-  to. Questi  s^i  imitativi  si  possono  eseguire  in  vari  modi  :  così  per  denotare  una  serpe  si  può  su  l’arena  designare  la  sua  forma,  o il  suo  moto  tortuoso.   §.  33.  Abbiamo  veduto,  che  vi  sono  de’  s^i  naturali  delle  nostre  interne  modificazioni , e che  questi  segni  possono  di-  venire artificiali , e così  costituire  un  primo  linguaggio,  che  abbiamo  chimato  linguaggio  della  natura.  Abbiamo  detto  inol-  tre nel  §.  antecedente , che  1’  uomo  può  con  altri  s^ni  ac-  crescere questo  linguaggio  della  natura;  ed  abbiamo  chiamato  i s^i,  che  accrescono  il  linguaggio  della  natura,  segni  in-  dicatori , e segni  imitativi.  Ora  qual  principio  può  guidare  r uomo  a ritrovare  le  ultiqie  specie  di  segni  ?   Nella  logica  pura  vi  ho  detto  , che  lo  spirito  è naenato  nel  passare  analiticamente  da  una  proposizione  ad  un’  altra,  ad  una  certa  similitudine  che  passa  fra  1’  una  e 1’  altra;  il  prin-  cìpio della  similitudine  è dunque  un  principio  d’ invenzione,  e questo  principio  ha  condotto  gli  uomini  , partendo  dal  lin-  guaggio della  natura,  a ritrovare  i segni  indicatori,  ed  i se-  gni imitativi,  queste  due  specie  di  segni  possono  perciò  chia-  marsi segni  analogici.  Difatto  fra  il  moto  del  miodito  , con  cui  mostro  l’ oggetto  lontano,  ed  il  moto  che  dovrei  fare  col  mio  corpo  , per  arrivare , pel  cammino  più  breve  , all’  og-    Digitized  by  Google    73    getto,  vi  si  osserva  una  similitudine:  una  certa  similitudine  si  os-  serva eziandio  trai  segni  imitativi  e ciò  di  cui  sono  l'imitazione.   X>e  interne  modìGcazioni  dello  spirito  possono  manifestarsi  per  mezzo  de’  moti  del  corpo.  Il  desiderio  , il  rifiuto,  l’ av-  versione, il  disostosi  esprimono  per  mezzo  de’moti  del  braccio,-  della  testa,  e per  mezzo  di  quelli  del  corpo  intero,  moti  piò  o meno  vivi,  secondo  la  vivacità,  con  cui  ci  portiamo  verso  di  un  (^getto,  o ce  ne  allontaniamo.  Tutti  i sentimenti  del-  1’  anima  possono  esser  espressi  dalle  posizioni  del  corpo.  Esse  dipingono  di  una  maniera  sensibile  l’ indifferenza,  l’ incertezza,  r attenzione  , e le  altre  affezioni  interne.  Ora  se  ripetendo  queste  azioni,  e posizioni  del  corpo,  si  denota  insieme,  che  esse  non  si  riferiscono  ad  affezioni  presenti  , allora  denoteranno  le  modificazioni , da  cui  siamo  stati  affetti.   L’  analògia  acquista  spesso  una  grande  estensione.  Cosi ,  per  esempio , quando  voglio  attendere  ad  un  oggetto  , die  colpisce  i miei  occhi,  dirigo  lo  sguardo  verso  di  esso:  questa  direzione  è segno  dell’  attenzione  dello  spirito  ; ma  io  posso  ancora  rivolgere  la  mia  attenzione  ad  oggetti  invisibili  : se  dunque  per  denotare  questa  ultima  attenzione,  mi  servo  della  -  direzione  dello  sguardo  ; questo  segno  si  estende  al  di  là  di  ciò,  che  naturalmente  denota.  Allora  che  io  peso  un  corpo,  lo  paragono  ad  un  altro  ; pesare  è dunque  paragonare  ; ma  paragonare  non  è sempre  pesare;  perciò  quando  per  esprimere  l’azione  intellettuale  che  paragona,  io  prendo  nelle  due  mani  de’  corpi , come  fo  quando  viglio  pesarli , questa  azione  è  trasportata  a denotare  più  di  quello  che  denotava  in  origine.  Questa  terza  specie  di  segni,  che  l’analogìa  somministra  agli  nomini , si  possono  chiamare  segni  figurali.   L’  unione  de<  segni  indicatori  , imitativi , o figurati  costi-  tuisce il  linguaggio  analogico.  Cosi  i segni  naturali , divenendo  artificiali , costitoiscono  il  linguaggio  della  natura  : gli  uomini  guidati  dal  principio  della  similitudine,  partendo  dal  principio  della  natura , inventano  il  linguaggio  analogico.   §.  34.  Ma  fa  d’uopo  considerare  l’ultimo  linguaggio,  di  cui  abbìam  parlato  , in  colui  che  per  parlarlo  lo  trova:  ed    Digilized  by  Google    74   in  colui  che  l’intende.  Nel  primo,  il  principio  della  simili-  tudine guida  la  meditazione  a produrre  nuove  idee  ; nel  se-  condo il  principio  della  similitudine  riproduce  alcune  idee  si-  mili a quelle  , che  modiBcano  attualmente  lo  spirito.  Quando  .  colui  che  vuol  parlare  fa  uso  il  primo  di  alcuni  gesti , per  denotare  alcuni  dati  pensieri,  ^li, guidato  dall’analogia,  in-  venta questi  segni , e qu^ti  s^ni , e questa  invenzione  è un  prodotto  della  meditazione  ; ma  colui  che  ascolta  intende  questi .  s^ni  in  forza  del  principio  meccanico  deH’associazione  dellé  idee.   Fra  i principi  particolari  compresi  sotto  questo  principio  generale,  si  contiene  come  abbiamo  detto  nella  Psicologia,  il  principio  della  similitudine  : in  forza  di  questo  principio  il  moto  del  dito  riproduce  l' idea  del  moto  simile  del  corpo  in-  tero , e questa  riproduce  quella  delle  modificazioni  interne  dello  spirito  legate  col  moto  del  corpo  intero.  Colui  che  istituisce  il  linguaggio  per  farsi  intendere  è attivo  : quegli  che  intende  il  linguaggio  btituito  è passivo.  I gesti  , i moti  del  vbo,  ed  i suoni  inarticolati  costitubeono  il  linguaggio  chia-  mato da  CondxUac  linguaggio  di  aziona.  Su  di  esso  debba  fare  ancora  due  osservazioni.  1..°  un  tal  linguaggio  esiste  ancora*.  esso  accompagna  quello  de’  suoni  articolati  ; un  oratore  parla  eziandio  coi  gesti  , colla  posizione  del  corpo  , co’  moti  del  vbo  , e principalmente  co’ moti  degli  occhi.  Ciò  che  si  chbma  mimica  consiste  appunto  nell’  arte  di  far  concordare  il  lin-  guaggio di  azione  con  quello  de’ suoni  articolati  : 2.°  col  solo  linguaggio  di  azione , anche  dopo  T istituzione  di  quello  de’  suoni  articolati, alcune  nazioni  incivilite  esprimevano  de’  lunghi  discorsi.  Presso i Romani  i pantomimi  rappresentavano  de’ pezzi  interi,  senza  proferire  una  parola,  ^li  bisognava  dunque , che  i pan-  tomimi , partendo  dal  linguaggio  della  natura  prendessero  l’  analogb  per  guida , e così  poterono  pervenire  a farsi  in-  tendere. La  scrittura  santa  ci  somministra  ne’  profeti  molti  esempi  di  questo  linguaggio  analogico  di  azione.  Così  , per  darne  un  esempio , ad  (^getto  di  denotare  che  la  Giudea  ch’era  imita  con  Dio , sarebbe  poi  stata  da  Dio  rigettata  c dispersa  per  la  sua  superbia  ed  idolatria  , il  profeta  Geremia  *,  per    ■0:-    Digitized  by  Google    73   ordine  di  Dio  , si  cinge  con  una  cintura  di  lino  i lombi , indi  si  toglie  questa  cintura  , e presso  T Eufrate  in  un  forame  di  una  pietra  la  nasconde  : dopo  molti  giorni  ritorna  a prendere  la  nascosta  cintura  , e la  trova  infracidita  in  modo  , cf)’  era  inutile  per  qualunque  uso.  Nella  profezia  di  Geremia  si  possotm  trovare  molti  esempi  di  questo  linguaggio  analogico  di  azione.   §.  35.  Se  i moti  del  nostro  corpo  da  segni  naturali  diven*  gono  segni  artificiali  , e se  questo  linguaggio  può  essere  ac-  cresciuto dall’analogia,  quello  de’ suoni  che  da  naturali  sono  ancora  divenuti  s^ni  artificiali,  non  potrà  similmente  essere  accrescinto  dall’  analogia  stessa  7 Se  il  selvaggio , per  deno-  tare il  moto  che  dee  fare  , secondo  il  suo  desiderio , il  suo  compagno  , può  servirsi  del  moto  simile  del  suo  dito , per-  chè per  denotare  il  muggito  del  bove  , il  belare  delle  peco-  re , il  rumore  del  tuono , non  potrà  egli  adoperare  un  suo-  no simile  7 L'  analogia  che  1’  ha  menato  all’  invenzione  dei  primi  segni , dee  menarlo  ancora  all’  invenzione  de’  secondi.  Il  bisogno  di  denotare  questi  suoni  degli  oggetti  sonori,  me-  na il  sdvaggio  a produrre  fuori  de’  suoni  imitativi  , e così  nascono  le  -prime  voci  radicali  del  linguaggio  de’  suoni  arti-  colati. Questi  suoni  non  poterono  essere  dapprincipio  se  non  che  monosillabi , come  lo  prova  l’ esempio  de’  fanciulli.  Ma  l’analogia  non  fu  il  solo  principio  del  linguaggio  de’ suoni  alticolati,  poiché  non  sempre  si  debbono  denotare  suoni,  o  cose  sonore.  Per  denotare  dunque  le  cose  che  non  mandano  suono , l' analogia  fece  però  conoscere  agli  uomini , che  po-  tevano servirà  de’  suoni  articolati , per  farà  comprendere.  Ciò  posto  se  il  selvaggio  si  trovò  nel  bisogno  di  farsi  com-  prendere , se  non  trovò  altro  mezzo  per  ottenere  il  suo  fi-  ne , se  non  quello  dei  suoni , perchè  non  potè  egli  produr-  re un  suono  arbitrario , il  quale  poi  compreso  dall’altro  di-  venne un  segno  comune  7   Per  rendere  sensibile  ciò  che  dico , supponiamo  , che  ì  due  solitari  immaginati  siensi  perduti  di  f bta  , e che  l’ uno  voglia  ritrovar  1’  altro  , egli  conoscerà  certamente , che  non  potrà  far  comprendere  all’  altro  questa  sua  volontà  , se  non    Digitized  by  Coogle    76   che  per  mezzo  di  un  suono.  Egli  manderà  dunque  fuori  un  grido  ; questo  grido  da  principio  non  sarà , come  ognun  ve-  de, se  non  che  un  puro  effetto  naturale.  Se  il  dolore  è na-  tiiralinente  sonito  da  un  suono  inarticolato  , dal  pianto  e  dal  gemito  ; perchè  il  bisogno  di  spiegarsi , e di  mandar  fuori  un  suono  , non  potrà  esser  seguito  da  un  suono  quale  che  siasi  ? Noi  non  poliamo  determinar  la  ragione  , per  cui  il, selvaggio  manda  fuori  un  tal  suono  piuttosto  che  un  altro  , come  volendo  camminare  non  possiamo  conoscere  la  ragione  , perchè  abbiamo  mosso  il  piede  diritto  anzi  che  il  sinistro , o questo  anzi  che  quello.  Questa  ragione  può  consistere  , almeno  in  parte , nella  varia  posizióne  meccr-  nica  del  nostro  cervello  , e generalmente  di  tutto  il  no-  stro corpo.  Ma  saniamo  lo  sviluppa  della  nostih  ipotesi.  L’  altro  selvaggio  sentendo  il  grido  , di  cui  si  parla , ac-  corre a ritrovare  il  suo  compagno,  e come  amendue  avran-  no osservato,  che  un  tal  grido  ha  la  forza  di  fs^r  che  l’uno  ritorni  all’  altro  , i due  solitari  se  ne  serviranno  appostata-  mente.  lu  tal  caso  la  voce  di  cui  parliamo  ha  lo  stesso  si-  gnificato del  verbo  vieni.  Può  dunque  1'  uomo  ritrovare  dei  suoni  articolati  non  imitativi , per  denotare  agli  altri  le  sue  interne  modificazioni.  Egli  può  trovarsi  nel  bisr^no  di  farsi  comprendere  dal  suo  simile  con  un  suono  : da  un  tal  biso-  gno nasce  la  volontà  di  mandar  fuori  un  suono:  questa  vo-  lontà avrà  il  suo  effetto  , ed  un  suono  sarà  da  lui  mandato  fuori;  questo  suono  sarà  tale  e non  altro,  perchè  tale  e non  ^Itro  è lo  stato  fisico  del  corpo  , che  produce  il  suono  , e  lo  stato  morale  ancora  dello  spirito  animatore  di  questo  cor-  * po.  Ecco  spigata  la  nascita  de’  suoni  arbitrari.  Ciò  che  ho  detto  è provato  coll’  esempio  de’  fanciulli:  eglino  innanzi  che  abbiano  appreso  a parlare,  quando  bramano  alcuna  cosa  ar-  dentemente, nell’atto  che  si  sforzano  di  acceimarla  co’gesti ,  e co’  movimenti  del  corpo , per  lo  più  proferiscono  insieme  una  qualche  voce  ; poiché  lo  spirito  quando,  si  trova  in  qual-  che grave  bisogno  mette  ad  un  tempo  tutte  le  sue  facoltà  in  azione.  Questo  è comune  alle  bestie  ancora.  Anzi  i sordi  muti    Digilized  by  Google    77   medesimi,  benché  nemmeno  sappiano  di  aver  voce,  ciò  non  ostante  per  non  so  qnal  movimento  meccanico,  mentre  s'im-  pegnano di  spiegarsi  co’lorogesti,  principalmràtc  quando  si  trat-  ta di  cose  , che  molto  l’ interessano  , e che  non  possono  fa-  cilmente farsi  comprendere  , mandano  anch’essi  quando  una,  e quando  un’  altra  voce.   §.  36.  Gli  uomini  possono  dunque  istituire  de’  suoni  arti-  colati analogici,  e possono  istituire  ancora  de’  suoni  articola-  ti arbitrari.  Io  li  chiamo  arbitrari,  non  già  perchè  son  pro-  dotti senza  una  ragion  sufficiente;  ma  perchè  non  sono  imi-  tativi, o analogici.  Qiìal  similitudine,  per  esempio,  può  mai  trovarsi  fra  questo  suono  Cielo,  ed  il  complesso  delle  sensa-  zioni visuali  , che  ci  desta  in  una  notte  tranquilla  il  firma-  mento 7 £ perchè  la  costituzione  fisica  e morale , in  cui  si  son  trovati  gl’  inventori  delle  lingue  , allora  che  furono  ndl  bisogno,  di  denotare  con  un  suono  uno  stesso  oggetto,  è sta-  ta varia  non  solamente  per  la  natura  , e per  gli  abiti  con-  tratti , ma  eziandio  per  i climi,  ed  i siti  ; perciò  in  diversi  luoghi  di  questo  globo  terraqueo  nacquero  diversi  suoni  pri-  mitivi, come  è provato  per  le  radici  di  tutte  le  lingue  co-  gnite. V .   §.  37.  n fatto  de’  fanciulli  prova  senza  replica  , che  gli  uomini  possono  arrivare  a comprendere  il  linguaggio  arbitra-  rio. E meditando  attentamente  su  di  questo  fatto  st  può  in-  tendere come  ciò  possa  avvenire.  Supponiamo  che  un  fanciul-  lo' abbia  appreso  il  significato  del  vocabolo  gallina  , il  che  può  accadere  unendosi  da  alcuno  alla  prouunciazionc  del  vo-  cabolo gallina  l’ indicazione  del  volatile  dal  vocabolo  deno-  tato : supponiamo  inoltre,  che  il  fanciullo  abbia  veduto  una  gallina  morta  e che  il  giorno  seguente  ascolti  da  uno  della  famiglia  questa  proposizione:  la  gallina  jeri  morì,  si  accor-  gerà che  si  vuole  denotare  1’ avvenimento,  del  la  morte  della  gallina , accaduto,  il  giorno  innanzi.  Supponiamo  ancora  che  la  proposizione:  la  gallina  jeri  mori  siasi  udita  più  volte  dal  fanciullo  in  modo  che  egli  1'  abbia  impressa  nella  sua  me-  moria ; « che  avendo  veduto  ima  cagna  partorita  il  giorno    Digitized  by  Coogle    78   avanti , c sapendo  il  signifìcato  del  vocabolo  tagm  , ascolti  la  seguente  proposizione  : la  cagna  jeri  partorì',  ecco  la  se-  rie de’  fatti  intellettuali  che  in  tal  caso  avranno  luogo  nello  spirito  del  fanciullo:  l.°  egli  intenderà  che  colla  proposizone,  la  cagna  jeri  partorì,  si  denota  il  parto  della  cagna  da  lui  il  giorno  antecedente  osservato:  2.*  la  pronunciazione  del  vo-  cabolo jeri,  per  la  le^  dell’associazione  delle  idee,  riprodur-  rà nel  suo  spirito  l’altra  proposizione  , la  gallina  jeri  mor\\  3.°  volendo  intendere  il  significato  di  ciascun  vocabolo  delle  due  proposizioni,  il  fanciullo  dirigerà  la  meditazione  su  le  stes-  'se;  4.”  paragonando  le  due  proposizioni  fra  di  esse  , e coi  fatti  dalle  stesse  denotate,  non  meno  che  i fatti  stessi  fra  di  loro  , il  fanciullo  vede  che  le  due  proposizioni  sono  identi-  che nel  vocabolo  jeri]  e che  i due  fatti  significati  sono  iden-  tici nella  circostanza  del  tempo  in  cui  sono  accaduti;  essen-  do tutti  e due  accaduti  nel  giorno  precedente  a quello  in  cui  si  parla:  5.°  con  questi  paragoni  il  lànciullo  intenderà  il  significa-  to del  vocabolo  jeri  isolatamente  considerato,  6.°  dopo  di  ciò  comprenderà  eziandio  il  significato  isolato  de’  vocaboli  mori  « partorì  ; poiché  avendo  compreso  il  significato  in  confuso  delle  due  proposizioni,  ed  indi  il  significato  distinto  del  vo-  cabolo jeri,  e sapendo  dall’  altra  parte  il  significato  distinto  de’  vocaboli^  gallina,  e cagna,  conoscerà , che  i vocaboli  mo-  ri e partorì  sono  destinati  a denotare  i due  avvenimenti,  e ne  apprenderà  perciò  il  loro  distinto  significato.   Questo  esempio  fa  vedere  che  i fanciulli  meditano  prima  di  apprendere  il  linguaggio  più  di  quello  che  comunemente  si  crede  ; e che  le  nozioni  soggettive  d’ identità  , e dì  diversità  sono  antecedenti  alla  conoscenza  della  propria  lìngua,  e ser-  vono ai  fanciulli  per  farla  loro  apprendere.   §.  38.  Nell’  Ideologia  vi  ho  detto , che  i vocaboli  o de-  notano gli  oggetti.de’  nostri  pensieri , o l’ azione  dello  spirito  su  di  questi  oggetti  : Pietro  è con  Paolo  , i vocaboli  Pietro  e Paolo  denotano  gli  oggetti  de' nostri  pensieri  ; i vocaboli  ^,  con  denotano  I’  azione  dello  spirito  su  dì  questi  (ggetti.  Ma  ciò  richiede  ancora  una  ma^iore  spiegazione.  Il  vocabolo  4    Digitized  by  Google    79   significa  r azione  dello  spirito  , che  attribuisce  a Paolo  il  rap-  porto di  compagnia  con  Pietro.  Ma  acciocché  lo  spirito  avesse  la  nozione  soggettiva  di  tal  rapporto , è necessaria  la  com-  parazione di  Pietro  con  Paolo'  riguardo  alla  loro  esistenza  in  un  certo  tempo , ed  in  un  certo  spazio  ; questa  comparazione  aggiunge  all'  idea  assoluta  di  Paolo  il  rapporto  di  compagnia  con  Pietro  : la  voce  con  esprime  un  tal  rapporto , e per  questa  ragione  un  tal  vocabolo  può  riguardarsi  eziandio  come  segno  dell’  azione  dello  spirito  che  compara.  Pur  tuttavia  essendo  il  rapporto  uq  prodotto  della*  comparazione  preliminare  all’  atto  del  giudizio , pare  che  sia  ma^ior  esattezza  il  di^nguere  i  vocaboli  , che  denotano  1’  azione  dello  ^irito , in  vocaboli  di  giudizio  ed  in  vocaboli  di  rapporto.  £ questa  distinzione  si  trova  in  un  opuscolo  di  Mariano  Gigli,  ìatÀUAato-Metafùica  del  linguaggio. Secondo  questa  osservazione  i vocaboli  si  distinguono  in  vocabbli  di  cosa,  in  vocaboli  di  giudizio  ed  in  vocaboli  di  rapporto.  Così  nella  proposizione:  Pietro  è con  Paolo , i vo-  caboli Pietro,  c Paolo  son  vocaboli  di  cosa,  il  vocabolo  i,  espri-  mendo l’atto  del  giudizio,  è vocabolo  di  giudizio,  ed  il  vo-  cabolo con  è vocabolo  di  rapporto  : esso  denota  insime  l’azione  comparativa,  ed  il  rapporto  di  questa  azione.   Secondo  la  grammatica  generale  e ragionata  di  Portoreale,  ■  ■ vocaboli  si  distii^cno  in  due  classi,  alcuni  significano  gli  oggetti  de’  nostri  pensieri , altri  significano  la  forma  , e la  maniera  de’ nostri  pensieri  di  cui  la  principale  è il  giudizio.  Questa  distinzione  mi  sembra  giusta , cd  in  seguito  di  ciò  che  abbiamo  detto  è chiara.   I vocaboli  materialmoite  considerati  sono  o radicali , o de~  rioati , 0 toHituiti.  Radicali  , o primitivi  son  quelli , che  non  nasc<mo  da  altra  voce  conosciuta  ed  usata  nella  medesima  lin-  gua , come  tote  , dolce  , fuggire  ec.  Derivati  son  quelli,  che  provengono  da  voci  conosciute , ed  usate , nella  medesima  lin-  gua , come  talare,  dolcezza,  fuggitivo ee.  Sostituiti  son  quelli,  che  per  maggiore  chiarezza  , e per  brevità  si  pongono  in  luo-  go di  altre  voci  conosciute  , ed  usate  nella  medesima  lingua,  come  mio  pensante  ec.  per  di  me,  che  pensa  ec.    Digitized  by  Google    80   È facile  a eomprendei  si  , che  ritrovati  i vocaboli  radicali  r analogia  ha  menato  gli  uomini  a ritrovare  i vocal>oti  deri-  vati, e sostituiti,  e cosi  ad  accrescere  notabilmente  il  linguaggio.  Difatti  quanti  nomi  sostantivi  non  si  possono  trarre  dagli  aggettivi,  quanti  aggettivi  da'  sostantivi,  quanti  nomi  da'verbi,  quanti  verbi  da'  nomi  ? I sostantivi  nerezza , bianchezza  ,  lunghezza  ec.  tutti  vengono  da  nero,  bianco,  lungo;  gli  ag-  gettivi celeste,  terrestre,  marmo  ec.  derivano  da  cielo,  terra,  mare;  i nomi  speranza  , amore , dolore,  volontà  ec.  derivano  dai  verbi  sperare,  amare,  dolere*  volere.  1 wirbi  velare,  ve-  stire ec.  nascono  da  velo,  veste.  Inoltre  quante  parole  formar  non  si  possono  dall’  unione  di  due  o più  altre?  I latini  unen-  » do  il  verbo  esse  a varie  proposizioni,  ne  facevano  adesse,  ab-   esse , obesse  ,*  inesse  , processe  , prodesse  , subesse;  superesse,  interesse.  Dall’  unione  poi  di  un  nome  e di  un  verbo,  quanti  altri  composti  facessero  i greci  e gli  ebrei,  e quanti  ne  faccia-  no i cinesi,  e tutti  gli  orientali,  è abbastanza  noto  agli  eru-  diti. Tutte  le  lingue  originali,  che  diconsi  lingue  madri,  han-  no pochissime  radici  primitive , per  mezzo  delle  varie  com-  binazioni di  queste  compongono  un  gran  numero  di  vocaboli.   §.  39.  Gli  uomini  dunque  , per  manifestare  agli  altri  i  propri  pensieri,  hanno  potuto  istituire  il  linguaggio  dei  suo-  ni articolati.  Questa  invenzione  è la  causa  principale,  che  ha  condotto  il  geqere  umano  a quel  grado  di  coltura  e di  per-  fezione , in  cui  oggi  lo  vediamo.  Nell'  Ideologia  vi  ho  fatto  conoscere  come  il  lir^uaggio  faccia  1'  analisi  del  pensiere , e  come  sia  un  valevole  soccorso  per  la  meditazione.  Ma  indi-  pendentemente dalla  influenza  che  ha  pel  progresso  delle  nò-  stre conoscenze,  considerato  riguardo  all’  individuo  che  se  ne  serve,  ne  ha  una  notabilissima  considerato  riguardo  alla  so-  cietà , e relativamente  all’  individuo,  che  ascolta  e riceve  le  altrui  conoscenze.  Il  linguaggio  può  essere  considerato  come  un  mezzo  , che  fa  progredire  lo  spirito  nella  propria  medi-  tazione ; ed  ancora  come  un  mezzo  di  comunicazione  scam-  bievole de’  pensieri  degli  uomini:  nel  primo  caso  serve  d’ is-  trumento  all’  azione  meditativa , per  ritrovare  la  verità;  nel    Digilized  by  Google    81   secondo  presenta  allo  spirito  de’  nuovi  materiali  per  le  sue  conoscenze.  Nell’  Ideologia  1’  abbiamo  considerato  sotto  il  pri-  mo aspetto;  qui  fa  d’ uopo  considerarlo  sotto  il  secondo.   Gli  uomini  non  potendo  esistere  in  tutti  i luoghi  > nè  in  tutti  i tempi  ; segue  che  non  tutti  possono  osservare  tutti  i  fatti  ; un  Uomo  può  perciò  aver  osservato  de’  fatti , che  un  altro  non  ha  osservato.  Se  dunque  il  primo  comunica  al  se-  condo le  sue  osservazioni,  questi  conoscerà  de’  fatti  che  non  ha  osservato  ; e questa  conoscenza  avrà  per  motivo  1’  altrui  testimonianza,  e costituisce  ciò  che  si  chiama  certezza  morale^  Domandate,  per  esempio,  ad  un  napolitano,  il  quale  non  sia  mai  uscito  di  questa  città  , perche  egli  creda  l’  esistenza  di  tante  altre  città  , di  Roma  , di  Milano,  di  Parigi,  di  Madrid  di  Londra  ec.;  vi  addurrà  per  motivo  la  testimonianza  di  al-  tri uomini,  che  hanno  veduto  le  città  nominate,  ed  egli  sa-  rà tanto  certo  dell’  esistenza  di  queste,  quanto  lo  sarebbe,  se  le  vedes»  co’ propri  occhi.   Non  basta,  che  un  uomo  conosca  un  fatto,  che  un  altro  ignora,  è necessario  che  abbia  la  volontà  di  narrare  il  vero,  afllnchè  l’altro  non  fosse  dalla  testimonianza  del  primo  in-  gannato. Per  disgrazia  dell’  umanità  la  volontà  d’ ingannare  i  propri  simili  si  trova  non  poche  volte  negli  uomini  ; e non  poche  volte  ancora  accade,  che  gli  uomini  ingannino  non  già  perchè  vogliono  ingannare;  ma  perchè  o non  hanno  conosciuta  esattamente  il  vero,  o sono  stati  da  altri  ingannati.  Da. ciò  lo  scetticismo  ha  preso  il  motivo  di  combattere  la  certezza  mo-  rale. Ma  dicano  quello  che  vogliono  gli  scettici,  l’esperien-  za ci  manifesta  queste  due  verità,  l,°un  uomo  può  aver  co-  nosciuto de’  fatti,  che  un  altro,  o non  ha  potuto  conoscere,  o non  ha  conosciuto;  2.°  vi  sono  alcuni  fatti  di  tal  natura,  su  de’  quali  non  si  trova  giammai  concordemente  fallace  la  te-  stimonianza di  coloro,  che  gli  hanno  osservati.  Non  si  è tro-  vata giammai  fallace  la  testimonianza  di  coloro  che  sono  stati  in  Napoli , nello  assicurarmi  dell’  esistenza  di  questa  città  ;  r esperienza  stessa  me  ne  ha  assicurato  , poiché  essendo  io  stato  in  Napoli,  ho  ammirato  io  stesso  co’ miei  occhi  questa  Call.  Vob,  IL  6    Digilized  by  Google    82   magnifica  città  , ed  ho  così  trovata  verace  l’ altrui  testimo-  nianza: la  stessa  esperienza  ho  ripetuto  circa  molti  altrifat-  ti. È dunque  una  verità  di  esperienza  quella  che  stabilisce  ,  essere  la  concorde  testimonianza  di  altri  nomini,  circa  alcu-  ni fatti , un  motivo  leggittimo  dei  nostri  giudizi  Vi  sono , è vero , degli  uomini  che  narrano  de'  fatti , de’  quali  non  sono  stati  testimoni  oculari,  e su  de’ quali  sono  stati  da  altri  ingannati  ; e vi  sono  ancora  di  quelli , che  volontaria-  mente mentiscono.  Ma  vi  sono  eziandìo  de’  testimoni  non  so-  lamente oculari  di  alcuni  fatti  ; ma  testimoni  tali  che  non  somministrano  alcun  motivo  di  dubitare  della  loro  veracità.  È questa  una  verità  che  la  propria  giornaliera  esperienza  ci  manifesta.  Chiunque  non  ha  veduto  Napoleone  Bonaparte,è  sicuro  nulla  dì  meno , per  la  testimonianza  di  altri , che  vi  sia  stato  un  uomo  così  chiamato , il  quale  ha  esercitato  il  som-  mo potere  nella  Francia , ha  perduto  poi  il  trono , ed  è morto  prigioniero  nell’  Isola  di  S.  Siena.  A suo  luogo  parleremo  de’  limiti  della  certezza  morale  : qui  mi  son  ristretto  a stabi-  lire la  sua  esistenza  : per  istabilirla  ho  stimato  di  salire  a’suoi  pri-  mi princìpi.  Ho  fatto  vedere , che  un  uomo , può  intendere  un  altro  , che  l’ nomo  può  voler  essere  inteso  ; e che  da  ciò  nasce  il  primo  linguaggio  chiamato  linguaggio  della  natura  ;  che  r analogia  può  accrescere  un  tale  linguaggio  , e far  na-  scere ancora  alcuni  vocaboli  radicali  analogici  ; che  il  biso-  gno può  menare  poi  gli  uomini  a stabilire  altri  vocaboli  ra-  dicali arbitrari  ; e che  così  ha  potuto  nascere  il  linguaggio ,  de’  suoni  articolati.  L’esperioiza  m’insegna , che  vi  sono  delle  cose  circa  le  quali  altri  non  s’ ingannano  , nè  si  propongono  d’ ingannarmi.  Da  ciò  concludo,  che  l’altrui  testimonianza  ,  cioè  il  linguaggio  volontario  degli  altri  nomini, può  in  molti  casi,  circa  ì fatti , essere  un  motivo  legittimo  de’ nostri  giu-  dizi. Io  non  posso  coesistere  a tutte  le  generazioni , ed  a  tutti  i luoghi.  La  mia  durata  è breve  : il  mio  luogo  è quasi  un  punto  nello  spazio.  Intanto  vi  sono  moltissime  cose , die  m’ importa  di  conoscere , e che  sono  accadute  prima  della  mìa  nascita, o che  accadono  in  luoghi  più  o meno  lontani  da  quello    Digitized  by  Coogle    83   ove  io  mi  trovo.  La  testimonianza  altrui  mi  è dunque  neces*  saria  per  1’  acquisto  di  tali  conoscenze.   §.  M.  Il  linguaggio  de’  suoni  è un  linguaggio  passeggierò  e limitato  ad  alcuni  luoghi.  Un  uomo  , che  per  mezzo  delle  parole  comunica  agli  altri  i suoi  pensieri , non  può  farlo , se  non  che  nel  tempo  in  cui  egli  parla , e ne’  luoghi  ne’  quali  può  estendersi  il  suono  delle  sue  parole.  Un  gran  problema  presentai  al  genere  umano  : il  problema  consiste  a trovare  il  mezzo  di  estendere  a tutti  i tempi , ed  a tutti  i luoghi , il  lingua^io  limitato  della  parola.  Voi  già  comprendete  l' im-  portanza del  problema  enunciato , e che  la  soluzione  di  esso  dee  formare  la  seconda  epoca,  del  progresso  delle  umane  co-  noscenze ponendo  la  prima  nella  nascita  del  linguaggio  parlato.  I fatti  ovvi  e ripetuti  incessantemente  sogliono  destar  poco  r attenzione  del  volgo  degli  uomini  , e perciò  non  gli  recano  sorpresa  . Vi  ho  fatto  sopra  osservare  quale  studio  fanno  i  fanciulli  per  apprendere  , sin  da’  loro  primi  anni , il  linguag-  gio della  parola  ; intanto  si  crede  forse , che  essi  non  me-  ditino affatto  ; appunto  perchè  comunemente  iiiuno  cerca  di  conoscere  come  i fanciulli  apprendano  tal-  linguaggio.  Vi  ho  detto  nel  secondo  capitolo  della  logica  pura , essere  un  errore  il  credere  , che  le  cose  sieno  state  in  tutti  i tempi , come  sono  in  un  certo  tempo;  e qui  è il  luogo  di  fare  uso  di  questa  importante  osservazione.   La  nostra  educazione  letteraria  incomincia  , dal  fare  ap-  prendere a’  fanciulli  le  lettere  dell’  alfabeto;  ma  v’ingannereste  credendo , che  la  scrittura , vale  a dire  , l’arte  di  dipingere  la  parola  e di  parlare  agli  occhi  , sia  stata  conosciuta  nella  prima  fanciullezza  del  genere  umano  : ^no  scorsi  de’  secoli  prima  che  siensi  trovate  le  lettere  dell'  alfabeto  : la  scrittura  non  è stata  conosciuta  che  molto  tardi.  Siccome  questa  ci  somministra  un  motivo  molto  fecondo  di  conoscenze  , cosi  è  necessario , dopo  di  aver  cercato  l’origine  del  linguaggio  parlato ,  di  cercar  quella  del  linguaggio  scritto.   §.  41.  Qual  mezzo  si  può<  presentare  agli  uomini  , per  perpotuafc  la  memoria  de’  fatti  accaduti  ? In  primo  luogo  si    Digitized  by  Google    81   può  osservare  un  tal  mezzo  nello  stesso  linguaggio  parlato.  La  propagazione  del  genere  umano  si  fa  in  modo,  che  gl’indi'  vidui  di  una  età  vivono  insieme  per  qualche  tempo  coi  loro  antenati , e coi  loro  discendenti.  Un  uomo  può  dunque  nar-  rare alla  sua  fìgliuolanza  tanto  quello  che  egli  stesso  ha  ve-  duto , quanto  quello  che  c^Ii  ha  udito  da  suo  padre,  da  suo  avo,  e da  tutti  coloro,  che  sono  stati  testimoni  oculari  de’fatti  accaduti  prima  della  sua  nascita,  e del  tempo  in  cui  egli  aves.se  potuto  osservarli*,  questo  uomo  essendo  il  primo  testimone  di  udito,  costituisce  il  secondo  anello  della  testimonianza;  gli  altri  che  ascoltano  il  fatto  da  lui  narrato  ne  costituiscono  il  terzo,  il  quarto  ec.  Così  si  forma  una  serie  non  interrotta  di  testimoni  oculari,  e costituisce  ciò  che  chiamasi  tradizione  orale.   La  maniera  più  generalmente  adoprata  ne’  primi  tempi ,  per  osservare  la  tradizione  orale , era  quella  di  comporre  una  specie  di  ode  o di  cantico.  Cotesta  sorte  di  poesia  racchiudeva  le  principali  circostanze  degli  avvenimenti , che  volevano  alla  posterità  tramandarsi.  Vedasi  questo  uso  stabilito  ne’  secoli  più  remoti  appo  tutte  le  nazioni,  tanto  dell’  antico,  che  del  nuovo  continente.  Dopo  la  sommersione  dell’  esercito  di  Faraone  nel  mare  rosso,  Moisè,  e gli  Istraditi  composero  un  cantico  di  lode,  e di  ringraziamento  al  Signore,  nel  quale  cantico  era  espres-  so questo  memorabile  avvenimento,  come  si  legge -nel  capo  XV.  dell’  esodo.   Al  mezzo  della  tradizione  orale  , per  conservare  la  memo-  ria degli  avvenimenti  passati , si  è aggiunto  quello  di  alcuni  grossolani  monumenti.  L’ uso  dei  primi  secoli  era  di  piantare  un  bosco  , d’ innalzare  im  altare  , o un  monte  di  pietre  , di  stabilue  delle  feste  , e di  comporre  de’  cantici  in  occasione  di  avvenimenti  riguardevoli.  Quasi  sempre  davasi  a’  luoghi  ove  erano  accaduti  de’  fatti  memorabili , un  nome  relativo  ai  fatti  ed  alle  circostanze.  L’ istoria  di  tutte  le  nazioni  somministra  molte  prove  , ed  esempi  di  queste  antiche  costumanze.  Si  vedono  i patriarchi  innalzare  un  altare  nei  luoghi , ove  era  loro  apparso  il  Signore , piantare  de’  boschi  , fare  dei  monti    Digitized  by  Google    85   di  pietra  in  memoria  de’  principali  ancnimenti  della  loro  vita  c dare  a’  luoghi , ove  erano  accaduti  de’  nomi  che  ne  ri-  chiamassero la  memoria.  Se  si  consultano  gli  scrittori  pro-  fani , questi  attestano  lo  stesso.  Ne’  contorni  di  Cadice  vede-  vansi  in  altri  tempi  delle  pietre  ammassate,  le  quali  si  dicevano  essere  i monumenti  delia  spedizione  di  Ercole  nella  Spagna.   Tutte  queste  diiTerenti  pratiche  hanno  servito  a rinfrescare  la  memoria  de’  fatti  memorabili , e a perpetuare  le  scoperte  importanti.  La  tradizione  suppliva  allora  alla  mancanza  della  scrittura  ; i padri  spiegavano  a’  loro  figliuoli  l’ origine  di  que-  sti monumenti , e gl’  istruivano  de’  fatti , i quali  ne  erano  stati  la  cagione.  Io  chiamo  tradizione  tanto  la  tradizione  orale  ,  quanto  1’  unione  della  tradizione  orale  coi  monumenti.   §.  42.  Fra  lo  spezie  de!  monumenti  composti  dagli  uomini,  ad  oggetto  di  perpetuare  la  memoria  de’-  fatti  passati , untt.  delle  principali,  che  siasi  presentata  al  loro  spirito,  è stata  la  rappresentazione  degli  oggetti  corporali.  I primi  uomini  pen-  sarono naturalmente,  d’ impiegar  questo  mezzo,  per  rendere  i loro  pensieri  sensibili  alla  vista,  e cominciarono  dal  presen-  tare agli  occhi  il  ritratto  degli  oggetti , dei  quali  volevano  parlare.  Per  fare  conoscere , per  cagione  di-esempio,  che  un  uomo  aveva  ucciso  un  altro , eglino  disegnavano  una  figura  umana  stesa  per  terra,  ed.  una  altra  in  faccia  di  quella  dritta  con  un’  arma  alla  mano.  Per  fare  intendere,  che  alcuno  era  abbordato  per  mare  in  un  paese,  rappresentavano  un  uomo  assiso  sopra  una  barca  , e così  del  resto.   Da  quello , che  degli  antichi  monumenti  è rimasto  , puà  assicurarsi,  che  in  prima  origine  I’  arte  dello  scrivere  consi-r  steva  ili  una  rappresentazione  informe  e grossolana  degli  og-  getti. corporali.   L’ uomo  di  sua  natura  imita  facilmente,  ed  in  ogni  nazione  vedesi  la  gente  portata  a ricopiare  gli  oggetti  che  le  si  presen-  tano. Le  nazioni  più  selvagge,  o quello  le  quali  hanno  minor  relazione  e commercio  con  i popoli  colti,  possiedono  con  tutto  ciò  una  certa  idea  dell’  arto  del  disegnare,  vale  a dire  di  rap-  presentare, beiichò  rozzamente,  gli  oggetti  della  natura.  L’ onir    Digitized  by  Google    8«   bra  che  produce  ogni  corpo  sopra  una  superficie  che  gli  sia  opposta,  quando  il  corpo  si  oppone  al  passaggio  della  Ince,  ha  somministrate  le  prime  idee  del  disegno.  Tirando  su  i li-  miti dell’  ombra  alcune  linee  , allora  che  1’  ombra  sparisce,  la  figura  descritta  con  queste  linee  sarà  simile  alla  figura  del  corpo  che  getta  I’  mnbra.  Dopo  le  prime  esperienze  i primi  popoli  avranno  tentato  di  rappresentare,  e di  copiare  gli  oggetti  senza  I’  ajuto  della  loro  ombra.  Avranno  a poco  a poco  av-  vezzata la  mano  a lasciarsi  guidare  dall’  occhi  o,  ed  a seguire  le  proporzioni  suggeritele  dalla  vista.  Il  disegno  nella  sua  ori-  gine consisteva  solamente  nella  circoscrizione  del  contorno  es-  teriore degli  oggetti.  Si  tentò  dopo  di  esprimere  le  parti  in-  teriori , che  T ombra  non  disegnava  , come  per  cagione  di  esempio  una  testa , gli  occhi , il  naso  ec.   Il  carbone,  la  creta  ec.  avranno  potuto  somministrare  a’  pri-  mi uomini  la  maniera  di  disegnare  sopra  il  legno,  sopra  la  pie-  tra ec.  come  ancora  si  saranno  eglino  esercitati  in  ciò  su  la  sabbia,  su  la  terra  molle  ec.  Avranno  in  seguito  con  l’ ajuto  dei  sassi,  e di  altri  strumenti  taglienti  procurato  d’ imprimere  de’s^i  sopra  le  materie  solide.   La  forma  che  prendono  i corpi  molli  insinuati  ne’  corpi  duri,  e l’ impronta  che  lasciano  i corpi  duri  applicati  a’  corpi  molli , avranno  su^rito  a’  primi  uomini  I’  arte  del  model-  lare. Questa  avrà  a poco  a poco  prodotta  quella  dell’  intagliare  nel  1(^0.  nella  pietra , e nel  marmo.  In  questa  maniera  il  dis^o,  la  scoltura,  l’intaglio  avranno  avuto  la  loro  origine;  questo  arti,  a mio  credere,  hanno  preceduto  la  pittura.  Hanno  queste  rappresentazioni  degli  oggetti  corporali  servito  per  molto  tempo  invece  della  scrittura  propriamente  detta.  Io  chiamo  la  rappresentazione  degli  oggetti  corporali  , della  quale  ho  parlato , scrittura  figurativa.   Questa  maniera  di  scrivere  richiedeva  molto  tempo;  si  pensò  perciò  di  renderla  più  semplice , ed  invece  di  dis^nare  per  intero  a cagion  d’  esempio,  un  uomo,  un  albero,  un  cavallo,  si  disegnavano  le  parti  principali  che  li  facevano  conoscere;  come  per  esempio  la  testa,  la  mano  ec.    D^itized  by  Google    87   §.  43.  Ma  questa  scrittura  fìgurativa  non  poteva  essere  suf>  fìcieute  per  esprimere  tutti  i pensieri  degli  uomini.  Vi  sono  molte  cose,  che  non  si  possono  dipingere,  come  sono  lo  spirito,  le  sue  facoltà,  le  sue  modificazioni.  È impossibile  di  |>arlare  delle  cose  materiali,  senza  unirvi  delle  idee  die  non  sono  capa-  ci d’ immagini  ; come  per  esempio , descrivere  l’ immagine  dell’  affermazione,  e della  negazione?  Fa  d’  uopo  dunque  in-  ventare i segni  di  queste  idee  intellettuali  e 1’  analogia  guidò  gli  uomini  a trovarli.   Si  concepì  una  certa  similitudine  fra  alcune  qualità,  che  si  osservano  negli  uomini,  e quelle  che  si  osservano  negli  animali,  e per  esprimere,  che  un  uomo  è in  queste  qualità  simile  ad  un  certo  animale,  si  disse  più  brevemente,  che  il  tale  uomo  è un  tale  animale  ; cosi  per  dire  di  un  uomo  , che  ^li  è  prudente,  che  ^li  è astuto,  che  è fiero  e crudele , si  dice ,  che  è un  serpente,  una  volpe,  una  tigre;  disegnando  dunque  l’immagine  di  questi  tali  animali  si  disegnano  mediatamente  le  im-  magini delle  qualità  spirituali,  di  cui  si  tratta.  Una  tale  rap-  presentazione costituisce  ciò  che  chiamasi  geroglifico.   I Cinesi  per  cagion  di  esempio  , per  denotare  che  FoAt,  primo  fondatore  del  loro  impero,  era  dotato  di  prudenza,  e  di  sagace  ingegno,  lo  disegnano  col  capo  umano  unito  ad  un  corpo  di  serpente.  Il  successore  di  FoA»  di  nome  Xino  , ad  oggetto  di  denotare,  che  egli  si  applicò  all’  agricoltura  , ed  in-  cominciò a porre  i bovi  sotto  il  giogo  , lo  disegnano  col  capo  di  bove  unito  al  corpo  umano.   Gli  antichi  denotarono  la  giustizia,  dipingendo  una  vergine  cogli  occhi  bendati  , tenendo  in  una  delle  mani  una  bilancia,  ed  in  un'  altra  una  spada.  La  vergine  figura  la  giustizia  ; la  bilancia  denota  che  la  giustizia  consiste  a dare  a ciascuno  il  suo  dritto,  la  spada  significa,  che  la  giustizia  dee  infligger  la  paia  do-  vuta a’delinguenti,  gli  occhi  bendati  finalmente  denotano,  che  la  giustizia  non  dee  avere  alcun  riguardo  alle  persone,  ma  deve  agire  conformemente  alla  legge,  senza  esser  mossa  da  motivi  estrinseci.  Si  vede  qui  che  la  similitudine  concepita  fra  alcuni  modi  de’  corpi ,  e le  qualità  dello  spirito,  dettò  questo  geroglifico.  La  giusti-    Digitized  by  Google    88   lia  è una  nozione  astratta  , e le  nozioni  astratte  sussistono  sole  nello  spirito  ; passa  perciò  nna  certa  similitudine  fra  T as-'  trazione  eia  personiGcazione,  una  vergine  non  è macchiata  da  alcuna  impurità  corporale  , e ia  giustizia  dee  esser  monda  da  qualunque  difetto.  Quando  per  dare  ad  un  altro  una  quan-  tità di  merce  , questa  si  pesa  , ciò  si  fa  per  dargli  ciò  che  gli  appartiene.  Le  similitudini  fra  alcune  modificazioni  del  cor-  po , e quelle  dell’  animo  si  deducono  da  ciò , che  le  prime  sono  i segni  naturali  delle  seconde.  Denotando  le  prime  si  denotano  mediatamente  le  seconde  ; e siccome  le  prime  son  capaci  d’ immagini  corporali;  così  lo  sono  mediatamente  anche  le  seconde  ; e questa  rappresentazione  mediata  costituisce  il  geroglifico.  Da  ciò  si  vede,  che  la  scrittura  geroglifica  si  è  unita  alle  volte  alla  scrittura  figurativa,  come  si  vede  ne’  due  esempi  di  Fohi , e di  Xino.  Alle  volte  è stata  impiegata  solq  come  nell’  esempio  recato  della  giustizia.   Si  vede  inoltre,  come  questo  modo  di  scrivere  fa  le  veci  delle  proposizioni  verbali.  Cosi,  per  cagion  di  esempio,  i ge-  roglifici rapportati  valgono  pel  significato  quanto  queste  pro-  posizioni verbali  : F(M  fu  dotalo  di  sagacità.  Xino  pronwtse  ¥ agricoltura , e pose  « bovi  sotto  il  giogo  , fa  giustizia  dà  a ciascuno  U tuo  dritto,  infligge  la  pena  dovuta  a'delinguenti,  né  si  lascia  muovere  da  molivi  estrinseci.   Osservate  , che  ne’  geroglifici  enunciati  si  trovano  i segni  relativi  al  soletto , al  predicato , ed  al  verbo  delle  propo-  sizioni rapportate.  Così  il  capo  di  forma  umajia  nel  primo  geroglifico  donata  il  soggetto  delia  proposizione  cioè  Fohi , i{  corpo  serpentino  denota  il  predicato,  cioè  la  segacità,  e l’ unio-  ne del  capo  umano  al  corpo  serpentino  denota  l’ unione  del  predicato  al  soggetto  significato  dal  verbo  fà.  Nel  secondo  ge-  roglifico , il  corpo  di  figura  umana  denota  il  soggetto  della  proposizione  cioè  Xino  , il  capo  bovino  denota  il  predicato  cioè  l’aver  promosso  l’agricoltura,  e l’aver  posto  i bovi  sotto  il  gio-  go; l’unione  poi  del  capo  bovino  alla  forma  umana  denota  l’u-  nione del  predicato  al  soggetto,  espressa  dal  verbo  promosse.   Nel  terzo  geroglifico  , il  soggetto  della  proposizione  è sw    Digitized  by  Google    89   gnificato  dalla  vergine  ; la  bilancia  , la  spada,  la  benda  de>  notano  i predicati  della  proposizione  , e T anione  di  queste  cose  al  corpo  della  vergine  denota  T unione  de^  predicati  al  soggetto.   Da  ciò  segue,  che  un  geroglifico  può  esprimere  diverse  pro>  posizioni,  0 sia  una  proposizione  composta.  Ciò  si  vede  chia-  ramente nel  geroglifico  recato  della  giustizia.  Wolfio  riferisce  che  un  certo  Comenio  , volendo  formare  il  geroglifico  del-  r anima , dispose  de'  punti  in  modo  da  formare  una  figura  simile  a quella , che  presenta  1’  ombra , prodotta  dal  corpo  umano  su  di  un  piano  perpendicolare  all'  orizzonte, ed  opposto  direttamente  al  corpo  umano,  ed  al  lume.  I punti,  secondo  i  geometri,  essendo  privi  di  estensione,  denotano  la  semplicità  dell’  anima.  La  figura  del  corpo  umano  costruendosi,  per  mez-  zo de'  soli  punti,  senza  l' intervento  di  alcuna  linea,  denota  la  sostanzialità  dell’  anima  umana,  la  quale  sussiste  indipen-  dentemente dal  corpo.  I punti,  essendo  disposti  in  modo,  che  necessariamente  formano  la  figura  del  corpo  umano,  denotano  l’  unione  dell'  anima  col  corpo,  la  quale  unione  si  forma  dal-  r autore  della  natura , indipendentemente  dalla  volontà  del-  r anima.  Finalmente  questi  punti , essendo  dispersi  in  tutta  la  figura  del  corpo  umano , denotano  la  dottrina  degli  sco-  lastici, cioè  che  r anima  è tutta  in  tutto  il  corpo  e tutta  in  ciascuna  parte.   ir  geroglifico  comcniano  equivale  perciò  alle  scienti  pro-  posizioni : l.°  l’anima  è semplice:  2.°  l’anima  è una  so-  stanza: S.**  1’  anima,  indipendentemente  dalla  sua  volontà,  è  unita  al  corpo  : 4.”  1'  anima  esiste  tutta  in  tutto  il  corpo,  e  tutta  in  ciascuna  parte.   §.  44.  Dopo  r invenzione  della  scrittura  geroglifica  por-  tata al  più  alto  grado  di  perfezione,  di  cui  era  capace,  restava  .  ancora  àgli  uomini  di  farp  1’  ultimo  sforzo  per  ritrovare  i  caratteri  alfabetici,  che  sono  i segni  del  suono  non  già  d(^li  oggetti.  Vi  sono  stati  in  ogni  tempo  degli  spiriti  sublimi , i  quali  colle  loro  invenzioni  hanno  ampliato  notabilmente  la  sfe-  ra delle  umane  cognizioni,  ed  hanno  spinto  velocemente  il    Digitized  by  Google    90    genere  umano  verso  quel  grado  di  coltura , in  cui  (^gi  te  vediamo.   Un  vocabolo  è un  suono  o composto,  o semplice:  per  ren-  dere durevole  questo  segno  basta  dunque  stabilire  de’  segni  permanenti  de’  suoni  semplici , che  compongono  i vocaboli  ;  e per  tale  oggetto  basta  stabilire  per  segni  de’  suoni  semplici  alcune  Ggnre , e la  scrittura  alfabetica  è trovata.   Ma  (pianto  tempo  è egli  trascorso,  priachè  una  verità  cotanto  semplice  si  presentasse  allo  spirito  de’  padri  nostrii  Si  voleva  render  permanente  il  lingua^io  passaggiero  della  parola  ; e  non  si  pensò  di  decomporre  i suoni  articolari,  e di  stabilire  de’  segni  permanenti  de’  suoni  semplici  che  compongono  i vo-  caboli. Lo  spirito  intraprese  de’  cammini  lunghi  e tortuosi ,  per  tramandare  alla  posterità  la  somma  delle  sue  conoscenze.  La  scrittura  fu  prima  figurativa  perfetta  indi  figurativa  im-  perfetta. poiché  si  designarono  prima  gli  oggetti  interi , indi  le  loro  parti  principali  : in  seguito  divenne  geroglifica , indi  tiUabica, e finalmente  alfabetica,  lo  dico  prima  sillabica  , e  ' poi  alfabetica  , poiché  penso  coll’  illustre  Goguel  autore  del-  r opera  su  1’  origine  delle  leggi,  delle  arti,  e delle  scienze,  che  dopo  la  scrittura  geroglifica  furono  trovati  i segni  de’  suo-  ni delle  sillabe  de’  vocaboli  , prima  che  si  trovassero  i segni  de’  suoni  semplici  che  compongono  i suoni  delle  sillabe.  In  questa  maniera  di  scrivere  , la  quale  chiamasi  scrittura  sU-  labica  non  s’ impiega  se  non  che  un  solo  carattere  per  iscri-  vere ciascuna  sillaba,  di  cui  vien  composta  una  parola.  Non  si  esprimono  allora  né  vacaboli,  né  consonanti.  Noi,  per  esem.  pio,  per  iscrivere  la  voce  pane  impieghiamo  quattro  lettere;  nella  scrittura  sillabica  non  vi  bisognano  se  non  che  due  caratteri.   Ora  supponiamo  che  la  pronuuciazione  del  vocabolo  pane  risvegli  r idea  del  suono  cane,  e questo  quella  del  suono  sa-  ne , e che  lo  spirito  mediti , e paragoni  fra  di  essi  questi  suoni  : egli  li  decompone  in  sillabe  , e trova  , che  la  silla-  ba ne  è la  stessa  in  tutti  e tre  questi  suoni , il  che  gli  vie-  ne ancora  insegnato  dalla  stessa  scrittura  sillabica  , poiché    Digilized  by  Google    91   Io  stesso  carattere  indica  il  suono  della  sillaba  ne  in  tutti  e  tre  i vocaboli  enunciati.  Questa  identità  conosciuta  mena  lo  spirito  a notare  la  diversità  de’  suoni  pa,  ea,  sa,  che  sono  le  prime  sillabe  di  questi  vocaboli  ; ma  in  questa  diversità  lo  spirito  trova  ancora  una  identità  nella  desinenza  : tutte  e  tre  queste  sillabe  cadono  nel  suono  a : ciò  conduce  lo  spi-  rito a separare  nelle  sillabe  pa,  ca,  sa,  il  suono  a dagli  al-  tri suoni  che  vi  si  uniscono;  e siccome  egli  ha  trovato  i ca-  ratteri de’  suoni  pa,  ea,  sa,  così  troverà  il  carattere  del  suo-  no a,  e quelli  de’  suoni  p,  c,  s,  e la  scrittura  alfabetica  è  già  trovata.   Ecco  dunque  i passi , che  ha  dovuto  fare  lo  spirito  per  ritrovare  la  scrittura  alfabetica  , l.°  egli  ha  conosciuto  che  la  maggior  parte  de'  vocaboli  erano  de’  suoni  composti,  e che  potevano  perciò  decomporsi  in  altri  snoni  ; 2.°  egli  ha  co-  nosciuto, che  poteva  stabilire  segni  di  segni,  e segni  perma-  nenti di  segni  passaggieri;  3.°  egli  ha  stabilito  de'  caratteri,  che  fossero  segni  permanenti  del  suono  delle  diverse  sillabe,  e così  nacque  la  scrittura  sillabica  : 4.°  ^li  ha  conosciuto  che  la  maggior  parte  delle  sillabe  erano  de’  suoni  composti  ancora,  e siccome  ha  trovato  de’  caratteri,  che  fossero  segni  delle  sillabe,  ha  trovato  ugualmente  de'  caratteri,  che  fossero  segni  de’  suoni  semplici;  c così  è nata  la  scrittura  alfabetica.   Alcuni  eruditi,  frai  quali  il  citato  Goguet,  pretendono  che  i caratteri  alfabetici  sieno  derivati  da'  segni  geroglìGci,  e che  questi  ultimi  abbiano  a poco  a poco  introdotto  il  metodo  brè-  ve delle  lettere  alfabetiche.  Questa  opinione  è falsa  sotto  un  certo  riguardo,  sebbene  possa  esser  vera  sotto  di  un  altro.  Per  presentacela  quistione  sotto  un  aspetto  filosofico,  può  cercarsi:  l.°:  Lo  spirito  umano  poteva,  senza  passare  per  la  scrittu-  ra figurativa,  e geroglifica,  passare  immediatamente  dal  lin-  guaggio della  parola  al  linguaggio  permanente  della  scrittu-  ■  ra  alfabetica  ? È certo,  che  poteva  , poiché  fra  i passi , che  egli  doveva  fare,  partendo  dalla  considerazione  della  parola,  per  giungere  alla  scrittura  alfabetica,  e che  abbiamo  di  so-  pra sviluppato  , non  vi  sono  certamente  quelli  della  scrittu-    Digitized  by  Google    92   ra  figurativa  e geroglifica.  Si  può  cercare  S.'':  La  scrittura  figurativa  e geroglifica  doveva  condurre  naturalmente  lo  spi-  rito alla  serittura  alfabeticaì  La  scrittura  figurativa  e ge.ro-  glifica  non  hanno  relazione  alcuna  con  le  lettere  dell’  alfabeto,  e per  tal  ragione  non  hanno  potuto  condurre  lo  spirito  a ri-  trovare la  scrittura  alfabetica.  Ma  hanno  sotto  un  altro  ri-  guardo potuto  influire  a questa  invenzione;  queste  due  scrit-  ture , come  or  ora  vedremo , sono  imperfette  assai,  e com-  plicate; lo  spirito  accorgendosi  della  loro  imperfezione  e dif-  ficoltà, ha  potato  da  ciò  rivolgere  la  meditazione  a rendere  più  semplice,  c facile  il  sistema  de’  segni  permanenti.  Si  può  cercare  3.°  La  figura  de’  segni  geroglifici  Jta  potuto  servir  allo  spirilo,  per  concepir  la  figura  de'  primi  caratteri  alfa-  beticil  Le  ragioni  addotte  da  Goguet  provano,  che  lo  ha  po-  tuto. Paragonando  , egli  dice  , con  attenzione  quello,  che  a  noi  rimane  dei  caratteri  ^iziani  , con  le  figure  geroglifiche  intagliate  sopra  gli  obelischi,  e gli  altri  monumenti,  si  rica-  va che  le  lettere  egiziane  tirano  da’  geroglifici  la  loro  origi-  ne. Nell’  alfabeto  degli  etiopi  , e nelle  lettere  majus  cole  de-  gli armeni  si  trovano  i vestigi  assai  chiari  della  scrittura  an-  tica geroglifica.   A queste  ragioni  se  ne  può  aggiungere  un’altra.  Col  pro-  gresso del  tempo  il  rapporto  di  similitudine  tra  il  geroglifico  e la  idea  da  esso  significata , non  si  è piu  ravvisato.  Ciò  è  accaduto  per^due  ragioni  l.°  alcuni  rapporti  di  similitudine  erano  troppo  lontani  ; si  esprimeva  , per  esempio  , l’ impu-  denza per  una  mosca  , la  scienza  per  una  formica  : 2.°  al-  lorché furono  moltiplicati  i volumi,  si  cercò  il  modo  di  ab-  breviare , e perciò  invece  del  geroglifico  primitivo  si  fece  uso  di  un  altro  carattere,  che  noi  possiamo  chiamare  la  scrittu-  ra corrente  de’  geroglifici  : esso  rassomigliava  a’  caratteri  ci-  nesi ; dopo  d’essere  stato  da  principio  formato  dal  solo  con-  torno della  figura  , divenne  in  stanilo  una  sorta  di  nota,  hi  questo  stato  il  geroglifico  poteva  riguardarsi  come  il  segno  del  vocabolo.  Tosto  che  si  ebbero  da’segni  permanenti  de’vo-  caboli , poteva  pensarsi  di  dare  de’ segni  permanenti  alle  sil-    Digitized  by  Coogli    93   )àb«  , ed  indi  a’  suoni  semplici  di  cui  è composto  il  snono  delle  sillabe.   §.  45.  L’  essenza  de’caratteri  alfabetici  si  è l’ essere  iso-  latamente considerati , segni  solamente  di  suoni , non  già  di  idee  : i caratteri  , per  esempio  ,a,e,i,o,  u,b,c,  ec.  , isolatamente  considerati  nuli’  altro  significano  , se  non  che  alcuni  suoni.  I caratteri  poi  della  scrittura  fìgurativa,  e  geroglifica  , non  denotano  suoni  ma  idee,  l’ immagine  di  un  serpente  denota  l’idea  del  serpente,  quella  della  prudenza  ec.   Le  nostre  cifre  arabe  ,1,2,  3,  4,  5,  6,  7,  8,  9,   0 , sono  ugualmente  segni  d’ idee,  non  di  suoni:  essi  si  leg-  gono diversamente  presso  le  diverse  nazioni,  sebbene  sieno  ì  segni  delle  stesse  idee.   Questa  differenza  è della  massima  importanza.  Colla  divci^  sa  combinazione  di  un  piccol  numero  di  caratteri,  si  possono  scrivere  tutti  i vocaboli  di  una  lingua  parlata.  Ma  quando  i  segni  della  scrittura  sono  segni  d’ idee  non  già  di  suoni , il  ^  numero  di  questi  segni  dee  corrispondere  al  numero  de’  vo-  caboli ; il  che  rende  il  numero  de’  caratteri  molto  grande  ,  e perciò  esige  uno  studio  lungo  , e difficile,  per  apprendere  a l^gere  , e scrivere , come  è provato  per  l’esempio  de’Ci-  nesi.  È questo  un  grande  ostacolo  al  progresso  della  cono-  scenza : ,Ia  gente  di  studio  è obbligata  a sottrarre  il  tempo  necessario , per  apprendere  le  scienze  , ed  impiegarlo  a sa.  per  leggere  e scrivere.  L’ arte  di  leggere  e scrivere  essendo  di  molto  poche  persone  , il  resto  della  nazione  dee  restare  nella  ignoranza.  Dello  stesso  inconveniente  partecipa  anche  in  parte  la  scrittura  sillabica  , poiché  il  numero  de’  caratte-  ri , per  signiGcare  ciascuna  sillaba  è di  gran  lunga  maggio-  re di  quello  , che  è necessario  per  denotare  i suoni  sempli-  ci, di  cui  il  suono  di  ciascuna  sillaba  è composto.  Così  ,  per  cagion  di  esempio  con  questi  tre  caratteri  alfabetici,  a,  b , c , si  possono  scrivere  le  seguenti  sìllabe , ab  , ba  , ac,  ca,  bac,  cab.  In  questo  esempio  il  numero  dei  caratteri  sil-  labaci è doppio  del  numero  de’  caratteri  alfabetici.  Se  sup-  '  ponete  quattro  caratteri  ahabetici  , a , b , c , e , il  nume-    Digilized  by  Google    94   ro  ddle  combinazioni  di  questi  caratteri,  presi  due  a due,  è  maggiore  del  doppio,  cosi  avremo,  ab,  ba,  ac,ca,  ae,eb,be,  ec.   Uno  de’  vantaggi  dunque  della  scrittura  alfabetica  su  le  al-  tre scritture  si  è il  piccol  numero  de’  segni , di  cui  ha  bi-  sogno la  prima  scrittura.   È vero , che  le  nostre  cifre  arabe  sono  per  tale  oggetto  perfettissime , mentre  con  dieci  caratteri  possono  scriversi  tutti  i numeri  possibili , ma  un  tal  vantaggio  lo  debbono  alla  formazione  delle  idee  da  queste  cifre  designate  ; poiché  que-  ste idee  si  formano  tutte  colla  ripetizione  della  stessa  idea  che  è quella  dell’  unità.   Un  altro  inconveniente  della  scrittura  geroglifica  si  è l’ inr  certezza  del  significato.  Uno  stesso  geroglifico  può  denotare  co-  se molto  diverse  fra  di  esse.  Cosi  la  immagine  del  serpente  dinota  questo  animale,  la  prudenza  , e ^’universo:  l’imma-  gine del  lepre  dinota  questo  animale,  il  candore,  e la  timidità.   §.  46.  L’ invenzione  del  linguaggio  della  parola , e l’ in-  venzione della  scrittura  alfabetica , che  rende  permanente  il  primo  linguaggio  di  sua  natura  passeggierò  , fanno  che  l’ uo-  mo possa  gettare  il  suo  sguardo  in  tutf  i luoghi , ed  in  tut-  ti i tempi.  L’ esperienza  c’  ins^a , che  gli  uomini  possono ,  per  mezzo  della  scrittura  trasmetterci  dei  fatti  che  son  veri  e che  la  concorde  testimonianza  degli  scrittori  circa  alcuni  fatti  non  si  è giammai  trovata  fallace.  Tutte  le  gazzette  del-  r Europa  all’  epoca  , in  cui  Napoleone  Bonaparte  scese  al  trono  della  Francia  annunciarono  questo  avvenimento.  Tutte  le  gazzette  ugualmente  hanno  annunciato  la  morte  del  som-  mo Pontefice  Pio  VII.  L’ esperienza  dei  propri  occhi  avreb-  bo  potuto  assicurare  colui  , che  avesse  dubitato  , della  veri-  tà di  tali  fatti.   I fatti  consegnati  negli  scritti  possono  colla  conservazione  degli  scritti,  che  li  contengono,  trasmettersi  alle  future  ge-  nerazioni. È questa  eziandio  una  verità  di  esperienza.  Vi  so-  no dunque  de’ fatti  accaduti  in  tempi  lontani,  de’ quali  fatti  noi  possiamo  conoscere  la  verità.  Il  linguaggio  passaggiero  della  parola  ; quello  permanente  della  scrittura  alfabetica  , e.    Digilized  by  Google    95   quello  dei  monumenti  , possono  dunque  circa  alcuni  fatti  ,  essere  motivi  legittimi  dei  nostri  giudizi.  Tutti  questi  motivi  concorrono  a stabilire  la  certezza  morale.   Credo  utile  di  addurvi  un  altro  esempio  , in  conferma  di  ciò  che  vi  ho  detto.  Nel  giorno  cinque  di  Febbraro  1783  un  terribile  tremuoto  , poi  seguito  da  altri  , cagionò  dei  danni  notabili  alle  Calabrie,  ed  ancora  alla  città  di Messina.  Gliabitan-  ti  dei  paesi  danneggiati  furon  obbligati  di  uscire  fuori  dalle  loro  abitazioni  , e dì  costruirsi  delle  baracche  per  abitarvi  ;  alcuni  le  hanno  costruite  in  lontananza  dei  paesi  diruti  ^ ■  quali  rimasero  perciò  deserti.  Cosi  accadde  , per  esempio  ,  a Briatico , che  fu  costruito  di  nuovo  vicino  al  mare , e  Briatico  antico  presenta  allo  spettatore  i segni  delle  sue  mi-  ne: altri  hanno  costruite  le  nuove  abitazioni  in  un  suolo  con-  tiguo all'  antico  abitato.  Cosi  accadde  a Tropea,  le  cui  nuore  abitazioni  furono  costruite  lungo  ed  all'  intorno  della  strada  detta  dell’  Annunciata.  Molti , che  sono  stati  testimoni  oculari  dell’ avvenimento  , vivono  ancora  •*  molti  altri  appartengono  alle  seguenti  generazioni  : i primi  narrano  ai  secondi  l’orì-  gine delle  mine  che  colpiscono  i loro  occhi , non  meno  che  l’orìgine  delle  nuove  abitazioni,  ciascuno  testimone  oculare  è  istruito  dalla  esperienza, che  tantoegli,che  gli  altri  testimoni  ocu-  lari narrano  il  vero,eche  coloro  i qualinarrano  il  fatto  ad  altri,  per  averlo  eglino  inteso  narrare  da’  testimoni  oculari , nar-  rano il  vero.  L' esperienza  dunque  c’  insegna  , die  vi  sono  dei  testimoni  di  udito,  la  di  cui  testimonianza  è verace,  e che  la  tradizione  orale  unita  ai  monumenti  può  trasmettere  alle  generazioni  future  i &tti  accaduti  ne’  tempi  da  queste  gene-  razioni lontani.   La  memoria  di  questa  tremuoto  si  trova  depositata  in  una  moltitudine  di  scritti , i quali  ancora  rimangono  , ed  i cui  autori  più  non  sono.   La  propria  esperienza  istruisce  dunque  cisscun  testimone  oculare  di  questa  importante  verità:  che  per  mezzo  de’ mo-  numenti , della  tradizione  orale  e della  scrittura  alfabetica ,  si  può  conservare  la  conoscenza  di  alcuni  fatti  passati.  PASQUALE GALLUPPI  GIACOBINO ?     Intorno alle idee politiche del Galluppi ’, e più sulla  condotta da lui tenuta nell’alterna vicenda degli avve¬  nimenti politici di cui è piena la storia di Napoli nel  periodo della sua virilità, non si può dire davvero che  abbondino i documenti, né che abbiano fatto tutta la  luce desiderabile gli studi consacrati a questo lato della  biografia galluppiana dal Tulelli, dal Guardione e ulti¬  mamente dal prof. Nicola Arnone. Il quale ha scritto  in proposito una memoria molto accurata, ma per giun¬  gere a una definizione del Galluppi considerato sottol’aspetto politico, la quale è in aperto contrasto coi docu¬  menti più sicuri da noi posseduti. Anche il Galluppi,  secondo l’Arnone, sarebbe stato un giacobino!   Della sua dottrina liberale e del suo atteggiamento  risoluto in favore delle pubbliche libertà e contro 1 in¬  tervento austriaco nel 1820-1821 non è possibile che  dubiti chi conosca i frammenti che diè il Tulelli de’ suoi  Pensieri filosofici sulla libertà compatibile con qualunque    1 P. E. Tulelli, Intorno alla dotte. ed alla vita politica del bar. P. G.,  notizie ricavale da alcuni suoi scritti inediti e rari, negli Atti della li.  Accad. delle scienze mar. e poi. di Napoli, voi. I (1865), pp- 101-21,  F. Guardione, Due opuscoli di P. Galluppi, prec. dallo studio critico  Dei concetti civili e politici apportati da P. G. nella rivoluzione del 1820,  Messina, D'Amico, 1906; a proposito di questo opuscolo, G. Gentile  nella Critica, V (1907), pp. 229 sgg.; N. Arnone, P. G. Giacobino, negli  Studi dedicati a Francesco Torraca nel XXXVI anniv. della sua laurea,  Napoli, Perrella, 1912, pp. 129-52.     112    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    forma di governo, e i due opuscoli Della libertà di coscienza  e Lo sguardo d' Europa sul Regno di Napoli, ristampati  dal Guardione. Ma da quel liberalismo al giacobinismo  c’è un bel tratto.   Né i documenti dell’Amone riscoperti 1 nell'Archivio  provinciale di Catanzaro bastano a superarlo. Da questi  documenti apprendiamo che nell’ottobre 1799 il Galluppi  chiedeva un passaporto per recarsi a Palermo « per atten¬  dere ad alcuni di lui affari litigiosi ». Il Re faceva rispon¬  dere dal Segretario di grazia e giustizia al Preside di  Catanzaro, che al Galluppi si sarebbe accordato il passa¬  porto, « quando non vi sia niente contro il medesimo ».  Il Preside si rivolse per informazioni al Vescovo e al  Governatore di Tropea. Il Vescovo, il 16 ottobre, rispose:  « Quantunque apparentemente il suddetto sembri un  giovane morigeratissimo, e studioso anche di materie  teologiche, pure non gode buona fama, perché si pre¬  tende aversi ingoiato con lo studio vari errori della vana  filosofia, per cui fu, anni sono, denunziato sino a Roma,  e ne’ pochi giorni della falsa assunta Repubblica fu im¬  piegato a far traduzioni, per cui stiede lungo tempo trat¬  tenuto nel Pizzo: timoroso poi all’eccesso, si andiede in  Cosenza dopo liberato dal Pizzo; ed ora vorrebbe andarsi  in Palermo, dove ha degli interessi; ma per questi me¬  glio sarebbe andarvi il padre don Vincenzo [il padre del  Galluppi], mentre non debbo io, né V. S. 111 . mettersi  deve in compromesso nelle circostanze nelle quali siamo ».   Tropea tra il gennaio e il febbraio aveva avuto an-  ch’essa il suo albero della libertà e un governo repub¬  blicano. Ma per pochi giorni. AH’avvicinarsi delle schiere    1 Gli è sfuggita la comunicazione che ne aveva fatta Gaetano  Capasso, nel 1896, alla Riv. Stor. del Risorg. ital., I, pp. 794-95. [Vedi  ora, per un'altra denunzia di pretesi discorsi giacobini del Galluppi,  F. Scandone, Il Giacobinismo in Sicilia (1792-1802), nell'A refi. Stor,  sic., 1922, pp. 327-28].     PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? 113   del Ruffo la plebaglia aveva abbattuto albero e governo,  e uh comitato di cittadini era andato incontro, il 24 feb¬  braio 1799, al Ruffo a Mileto, a prestargli ubbidienza.  Per la quale il Ruffo volle alcuni ostaggi, che fece tra¬  sportare a Pizzo. Tra essi venne incluso il Galluppi, che  per altro dopo alcuni giorni fu rilasciato senza nessuna  condanna. Aveva, secondo il vescovo sanfedista ', tradotto  qualche documento francese, forse qualche proclama o  decreto dello Championnet; ma la stessa voce raccolta  dal vescovo della gran timidezza del filosofo, ci spiega  molto facilmente perché il Galluppi, invitato dai giacobini  della piccola città, dove forse era solo a conoscere il fran¬  cese (e non lo conosceva né pur lui molto) * e quando  costoro tenevano il campo, non potesse esimersene, pur  non avendo un grande entusiasmo per la causa repub¬  blicana. Certo, non si compromise, se nella ristaurazione  non patì nessuna noia; e se il tenente colonnello don  Giovanni de Mendoza, governatore di Tropea, pur dopo  diligenti investigazioni, non riusciva a trovare nulla a  carico di lui. « Mi sono informato », scriveva costui il  19 novembre al Preside di Catanzaro, « dalle persone  più probe e timorate di Dio di questa ... città; però ho  chiamato il decano don Saverio Polito, il teologo don  Michele Grillo, il penitenziere don Vinc. M. Mazzitelli,  il P. M. Carmelitano fra Carmelo Maria Collia ed il par¬  roco di San Demetrio di questa .... città, e dalle di costoro  estragiudiziali deposizioni, che presso di me si conser¬  vano, rilevai che il don Pasquale Galluppi è un giovane  onesto, probo, e di morigerati costumi; che frequenta  spesso li Santi Sacramenti e la chiesa, ove si fa vedere  attento, e pieno di divozione; e che ad altro non bada,  se non allo studio, essendo anche un giovane virtuoso,   1 Su lui vedi la stessa memoria dell'ARNONE, p. 134.   5 Vedi la mia pref. al voi. del Toraldo, Saggio sulla filos. del Gal¬  luppi, Napoli, 1902, p. ix, n. 1.     ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    ”4   e da bene, e che mai diede veruno scandalo; ma, per quanto  cercai sì dalli stessi testimoni, che da altri sapere l’og¬  getto per cui si volesse portare in detta città di Palermo,  non fu possibile sapersi la cagione, perché da ognuno  s’ignorava. Soltanto ho risaputo, che il di lui padre don  Vincenzo è siciliano, ed ivi tiene degli effetti, per cui  suole spesso andarvi anche col suddetto don Pasquale  suo figlio : ma non posso fame a meno farle presente esser  stato, per quanto pubblicamente si dice, il detto don Gal-  luppi uno degli ostaggi di questa città chiamati dal sig.  Vicario generale nel Pizzo, ove [si] trattenne molti giorni  e poi fu liberato senza veruna pena ».   Il Preside di Catanzaro si attenne al Consiglio del  prudente vescovo, e propose al Segretario di Stato che  il passaporto non fosse accordato. E non fu accordato.  Ma lo chiese poi, invece del figlio, il padre, Vincenzo,  che l’ebbe. Segno che a Palermo avevano realmente  bisogno di recarsi, l’uno o l’altro, per loro interessi di  famiglia. Pei quali forse egualmente il Galluppi, reduce  da Pizzo, invece di fermarsi in Tropea, recossi a Cosenza,  di dov’era la moglie, Barbara d’Aquino.   Non credo pertanto che questi documenti catanzaresi  bastino a farci annoverare il filosofo calabrese nella nu¬  merosa schiera dei giacobini contemporanei. Certo nei  Pensieri filosofici sulla libertà, propugnando il principio  della libertà di coscienza e di tolleranza religiosa, egli  ha parole forti contro coloro che dimenticano lo spirito  del Vangelo e «non hanno ritegno di tramutare la reli¬  gione nell’ istrumento del disordine, della persecuzione  e della strage»; e non dubita, ricordando i recenti fatti  del Regno, di scrivere che « se l’universalità del clero e  del popolo di questo bel regno avesse conosciuto il vero  spirito del cristianesimo e la purità delle massime del  Vangelo, non si sarebbe visto un cardinale comandare  delle masse di ribaldi e di fanatici, ed innalzare il vene-    PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?    1I 5    rando vessillo della Croce per segno dell’assassinio e  d’ogni sorta di iniquità; né si vedrebbero oggi con orrore  tanti preti e frati alla testa delle masnade degli uomini  i più infami e più scellerati » Ma quando il Galluppi  scriveva di queste parole — che pur dimostrano bensì  il liberale, ma non il giacobino — a Napoli erano tornati  i francesi con Giuseppe Bonaparte, il cui governo, nel  1806 J , gli aveva conferito 1’ ufficio di controllore delle  contribuzioni; e a Giuseppe era anche successo il Murat.   Tutt’altro che giacobino era apparso a me qualche  anno fa da un suo brutto sonetto pubblicato in un gior¬  nale di Tropea 3 dal prof. Carlo Toraldo 4. Il sonetto in¬  fatti diceva:   Della Patria il dolore, il lutto, il pianto.   La rea sorte fatai veder non voglio.   Di Marte, di Bellona il fier orgoglio.   L’augusto trono di Minerva infranto, —   Spesso sedendo al bel Sebeto accanto  Col cor trafitto dal più fier cordoglio,   Pria che de' Franchi vacillasse il soglio.   Dico nel mio pensiere, e piango intanto.   Un ferro io prendo. — Occhi miei, non piangete, —  Grido nel mio furore; — io corro or ora  Sollecito a varcar l'onda di Lete. —   Ma già l’Angiol divin, che accanto giace.   Di man mi toglie il ferro, e grid’allora:   — Verrà Fernando : tornerà la pace !   Il primo editore faceva precedere al sonetto le seguenti  notizie : « Dal manoscritto rilevasi che il sonetto mede-   1 Tulelli, op. cit., pp. 109, in.   * Arnone, p. 141.   3 L’ Eco di Tropea, a. II, n. 35, 30 agosto 1902.   4 E da me ristampato con qualche correzione di punteggiatura,  per renderlo un po' meno oscuro, nell’opera Dal Genovesi al Galluppi,  Napoli, 1903, pp. 218-19, n. 1 (2 a ed. in 2 voli., col titolo di Storia  d. filos. ital. dal Genovesi al Galluppi, Milano, 1930; ora in Opere  complete di G. Gentile, a cura della Fond. G. Gentile, XVIII-XIX,  Firenze, Sansoni, voi. II, p. 31).     H6 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA   simo fu letto alla nostra Accademia degli Affatigati  (assorta allora ad altissima fama), alla quale il Galluppi  apparteneva col distintivo il Furioso, e apparisce dedi¬  cato a Ferdinando, come chiusura di un discorso, letto  all’Accademia anzidetta, sul medesimo argomento. Dalla  parte opposta ove è scritto il sonetto, si legge:   ‘ Ferdinando Augusto, principe magnanimo, nell’ impetuoso  turbine che minaccia l'indipendenza nazionale, corri a salvarci.  I destini della nostra nazione son legati alla tua esistenza. — Ferdi¬  nando viene. Napoli è salvo. Il mio discorso accademico è ter¬  minato’. Firmato: Pasquale Galluppi fra gli Affatigati il Furioso.  Siegue dietro il sonetto dello stesso Accademico.    Riproducendo il curioso documento, mi parve che di¬  scorso e sonetto si potessero riferire alla reazione del 1799;  e, dietro a me, anche il De Cesare ritenne che il sonetto  alludesse alla restaurazione di quell’anno *. Ma non  tutto a quella prima impressione mi restava chiaro degli  accenni contenuti nel sonetto; e le difficoltà ora oppo¬  stemi dall’Arnone mi persuadono che sonetto e discorso  vanno spostati di sedici anni. « Prescindendo », dice  l’Arnone che non ha potuto vedere il giornale di Tropea,  al quale io mi riferivo, e le cui notizie ora qui integral¬  mente riportate mi pare che tolgano ogni dubbio intorno  alla paternità del discorso e del sonetto, « prescindendo  dalla loro autenticità maggiore o minore (?), il sonetto  e il brano del discorso accademico non possono mai rife¬  rirsi alla reazione del 1799. Infatti, nel sonetto stesso si    J R. De Cesare, Taranto nel 1799 e mons. Capecelatro, Martina  Franca, 1910 testr. dalla Riv. Apatia ), p. n: «Il Capecelatro non fu  solo a non aver fede nella durata della Repubblica. Se egli non andò  a Napoli, non vi andò neppure Melchiorre Delfico, chiamato a far parte  della Giunta del Governo, mentre Pasquale Galluppi, che pure aveva  da giovane principii liberali, recitava, all'Accademia degli Affaticati  di Tropea, un brutto sonetto, che si chiudeva: Verrà Fernando : tor¬  nerà la pace ».     PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? II7   trova la designazione del tempo a cui si riferisce ; giacché,  col verso Pria che de’ Franchi vacillasse il soglio, l’autore,  stanco del fier orgoglio di Marte e di Bellona, deve asso¬  lutamente alludere alla prossima caduta del trono di  Gioacchino Murat » 1 . Io guardavo bensì al settimo verso  del sonetto, su cui giustamente ha fermato la sua atten¬  zione l’Amone; ma guardavo anche al quinto: Spesso  sedendo al bel Sebeto accanto, che contiene anch’esso una  determinazione cronologica non trascurabile. E poiché  era noto che il Galluppi fu a studiare a Napoli dal 1788  al 1794, pensai che per soglio dei Franchi si dovesse in¬  tendere per l«appunto il trono di Francia di Luigi XVI,  che cadde quando il Galluppi dimorava al bel Sebeto  accanto. E vedevo nel sonetto un’enfatica e grottesca  rievocazione delle ansie, da cui l’animo dell'autore sarebbe  stato assalito fin dall’ 89 quasi presago dei lutti che la  Rivoluzione francese preparava alla sua patria. Non  tutto, di certo, restava chiaro, come non tutto precisa-  mente diventa chiaro se s’intende, come propone ora  l’Arnone, che col soglio dei Franchi l’autore designi il  trono del Murat. Ma vien colmato il grande intervallo  che rimaneva, secondo la mia ipotesi, tra il 1789 e il  luglio del ’99, quando avvenne il ritorno di Ferdinando IV  a Napoli, che il Furioso avrebbe celebrato.   Ma, se accetto che il v. Pria che de’ Franchi vacillasse  il soglio alluda alla prossima caduta del trono di re Gioac¬  chino, — e ne argomento in conseguenza che tra la fine  di marzo 1815, quando il Murat dichiarò la guerra al¬  l’Austria, e il 3 maggio (battaglia di Tolentino) il Galluppi  dovette essere a Napoli — non capisco perché l'Arnone  soggiunga : « A me parrebbe che il discorso accademico  potesse riferirsi al tempo del viaggio di Ferdinando I  Borbone pel congresso di Lubiana, quando appunto    1 Op. cit., p. 139.     il8    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    l’indipendenza del Regno di Napoli era minacciata dal-  l’intervento austriaco ». Quando il Galluppi recitava il  suo discorso accademico è chiaro che Ferdinando non  era più lontano, ma già tornato a Napoli (« Ferdinando  viene, Napoli è salvo ») ; e l’accademia celebra la ristau-  razione. È vero che il Galluppi nel '21 trepidò per l’in¬  dipendenza nazionale, a causa dell’ intervento austriaco  a Napoli; ma nel ’2i gli austriaci eran chiamati da Ferdi¬  nando, che non avrebbe potuto perciò essere cantato come  il salvatore dell’indipendenza; laddove nel '15 il Murat  alla legittimità, a cui s’appellavano gli ambasciatori del  Congresso di Vienna e tutti i principi delle vecchie dina¬  stie, opponeva in Napoli il principio dell’ indipendenza >;  e al Galluppi, già murattiano, i disastri dell’esercito  napoletano e l’entrata degli austriaci nel Regno dovettero  realmente parere la più pericolosa minaccia alla indi-  pendenza di questo, finché non si ripresentò Ferdinando,  a riavere, dopo il trattato di Casalanza (20 maggio),  dalle mani dell’ imperatore d’Austria le redini del suo  Stato due volte abbandonate. E le preoccupazioni che  il Galluppi, come quanti altri avevano servito il governo  francese, dovette, prima di quel trattato, nutrire gra¬  vissime e angosciose per la propria sorte, o almeno per  l’uificio che da nove anni teneva, possono anche spie¬  garci la disperazione da cui nel sonetto dice d’essere  stato preso per l’imminente crollo di quel governo.   E l’osanna al Borbone, dopo il trattato di Casalanza,  in cui l’imperatore d’Austria garantiva la sorte di tutti   1 «Volse i suoi maggiori pensieri alle cose interne; reputando che  più dei maneggi e dei discorsi valere gli dovesse il voto dei soggetti  e la forza dell'esercito, in tempi nei quali menavasi vanto dell’amore  dei popoli e della pace. Raccolse in quattro adunanze i migliori in¬  gegni napoletani, e lor disse che per gli ultimi avvenimenti, acqui¬  stata da noi piena indipendenza politica, era suo debito riordinare il  regno senza o soggezione, o somiglianza,, o gratitudine ad altro stato,  così adombrando le tollerate catene per nove anni»: P. Colletta,  Storia del Reame di Napoli, lib. VII, c. IV, § 68.     PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?    119    i funzionari del passato regime, era pel controllore delle  contribuzioni dirette nella Provincia di Calabria ulteriore  l’espressione d'un sentimento sincero l 2 .   Né giacobino, dunque, né antigiacobino. Ma liberale  e patriota, se non nel senso del 1799, in quello più antico  della tradizione paesana di Napoli e della posteriore  storia italiana.   Del suo patriottismo e liberalismo son documento  bastevole gli opuscoli politici che il Galluppi scrisse nel  1820-1821 in cui ripigliava le idee dei Pensieri filosofici,  rimasti inediti, e scendeva in campo a difesa della libertà  e dell’ indipendenza minacciata dall’Austria. Ma la lettura  di questi opuscoli, o almeno dei due a noi pervenuti  e qualche anno fa ristampati dal Guardione, induce  piuttosto a ricollegare il Galluppi alla tradizione del  Giannone, del Tanucci, del Vico e del Filangieri, anzi  che a ricondurlo sotto l’influsso esotico del giacobinismo  rivoluzionario.   Nei Pensieri filosofici (di cui si conoscono soltanto  alcuni frammenti pubblicati dal Tulelli) egli aveva già    1 II sonetto pare tuttavia debba riferirsi non al 1815, ma all’anno  seguente. Perché l'Accademia degli Affaticati in cui esso fu letto, dopo  il 1783, come ci è fatto sapere da un suo storico, « riunivasi raramente;  anzi dal 1801 il silenzio sostenne sino a quando nel 1816, nella Chiesa  dei Liguorini, cantò del Santo fondatore dell’Ordine » (forse il 2 agosto  quando ricorre la festa del Liguori) : N. Scrugli, Discorso storico  intorno all’Accad. degli Affaticati, annesso alle Notizie archeologiche  e storiche di Portercole e Tropea, Napoli, Morano, 1891, p. 132. Ma le  notizie raccolte dallo Scrugli non sono esattissime. Infatti, secondo  lui, l’Accademia degli Affaticati sarebbe stata vietata nella reazione  del '31, e non sarebbe più risorta fino al '48; laddove nel gennaio 1831  vi fu certamente recitato il discorso del Galluppi che qui appresso si  pubblica.   2 Opuscoli filosofici della libertà individuale: Della libertà di coscienza  e delle conseguenze che ne derivano riguardo al matrimonio, dell’Autore  del Saggio filosofico sulla critica della conoscenza, Messina, 1820,  presso Antonino D’Amico Arena; Lo sguardo d'Europa sul Regno di  Napoli, di Pasquale Galluppi di Tropea, in Messina, presso  G. Papparlardo, 1820. Entrambi gli opuscoli sono stati ristampati  dal Guardione, op. cit., e della sua ristampa io mi son qui servito.     120    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    aderito a quelle dottrine liberali, che il Filangieri aveva  propugnate nella Scienza della legislazione. « Per fissare »,  aveva detto, « i dritti del pubblico potere, bisogna partire  dal considerare lo stato di natura come anteriore  allo stato politico, se non in ordine di tempo,  almeno in ordine di ragione.... Tutti gli uomini sono per  natura in uno stato di libertà, in cui ciascuno può fare ciò  che gli piace, senza dipendere da un altro, posto ch’egli  non offenda gli altrui diritti. Ogni uomo non ha dunque  altro dritto per rapporto ad un altro che di non farsi  molestare nell’esercizio dei propri dritti. Or questo dritto  che ciascuno ha per rapporto agli altri, nella civil società  è confidato al pubblico potere, il quale è custode e vin¬  dice dei dritti di ciascun cittadino contro gli attentati  degli altri ». Movendo da questo principio, a differenza  del Rousseau, il Galluppi separa nettamente il dominio  giuridico-politico da quello della religione. Riconosce che  « la potestà politica dee curare che i cittadini sieno vir¬  tuosi. Ella dee riguardare come un male la depravazione  del loro spirito; dee mettere in opera quei mezzi che  promuovono la virtù ed arrestare i progressi del vizio »;  e però può parere che abbia bisogno del soccorso della  religione. Ma è d’uopo distinguere tra virtù e virtù. « Le  leggi, dice Portalis, non dirigono che alcune azioni deter¬  minate; la religione regola il cuore. Le leggi sono relative  al cittadino; la religione s’impadronisce di tutto l’uomo.  Ma se le leggi arrestano il braccio e la religione regola  il cuore, dico io, dunque, che la depravazione del cuore  non dee punirsi che dalla sola religione, vai quanto dire,  dal solo Dio che n’è l’autore; ella è dunque estranea  alla sanzione della legge. Se le leggi non son relative  che al cittadino, e la religione s’impadronisce dell’uomo,  le leggi devono dunque contentarsi della sola virtù civile  e lasciare alla religione le virtù dell’uomo.... Egli bisogna  distinguere l’uomo giusto agli occhi dell’eterno, che tutto    PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?    12 I    vede, dall’uomo giusto civilmente. Chi è giusto innanzi  a Dio, lo è anche civilmente, perché la sua legge vuole  che si obbedisca alle potestà costituite; ma si può esser  giusto civilmente, senza esserlo, naturalmente, secondo  la religione ».   Le opinioni religiose pertanto non cadono sotto la san¬  zione delle leggi, e l’irreligiosità non può esser punita  Ogni maniera di persecuzione del resto è contraria allo  spirito del Cristianesimo. Intorno al quale il Galluppi  scrive una delle poche pagine eloquenti, che siano uscite  dalla sua penna. « Questa religione divina », egli dice,  « annuncia agli uomini una morale che perfeziona la  natura. Lo spirito del Vangelo non è che imo spirito di  fratellanza e di amore. Esso è contrario allo spirito di  persecuzione e di ferocia. Se non siete ricevuti ed ascol¬  tati, dice G. C. ai suoi discepoli, scuotete la polvere delle  vostre scarpe e partite. I primi banditori del Vangelo  non impiegarono altre armi per la sua propagazione, che  la forza della parola. La religione deve avere la sua sede  nello spirito, e lo spirito non rigetta l’errore e non ab¬  braccia la verità, se non a proporzione dei lumi che egli  riceve, e trattandosi di religione, a proporzione della  grazia celeste che il Padre de’ lumi gli dispensa. Le pri¬  gioni, le forche, le mannaie, i roghi non cambiano certa¬  mente lo spirito dell’uomo, e l’incredulo non lascia d'esser  tale, ancorché vada ad esalare il suo spirito fra i tor¬  menti più crudeli.... L’uomo abusa di tutto. La ministra  della pace e della pubblica tranquillità divenne col pro¬  gresso del tempo in mano del superstizioso e del fanatico,  l’istrumento del disordine, della persecuzione e della  strage. Questo mutamento di condotta, non della reli¬  gione, che in se stessa è santa ed immutabile, ma ne’  suoi ministri, fu sorgente d’incredulità ».   Nell’opuscolo del 1820 sulla Libertà di coscienza la  stessa questione è ripresa e approfondita sì dal rispetto    9 - Gentile, Albori. I.    122    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    speculativo e sì da quello politico. Vi ritroviamo quella  morale kantiana, che è professata negli Elementi, nelle  Lezioni di filosofia e nella Filosofia della volontà : «La  regola della moralità delle azioni è la coscienza uniforme  alla legge»: legge puramente formale anche pel Galluppi.  Il quale infatti soggiunge : « Si può agir male seguendo  una coscienza erronea, ma si agirà male ancora facendo  il bene in contraddizione dei dettami di una coscienza  erronea ». E su questi principii, rannodandosi alle dot¬  trine liberali del Filangieri, fonda la sua dimostrazione  del diritto del matrimonio civile abolito nel Regno dal  codice del 1819: il quale aveva stabilito non potersi  celebrare matrimonio legittimo « che in faccia alla Chiesa,  secondo le forme prescritte dal Concilio di Trento ». Già  nell'opuscolo precedente aveva provato che « la libertà  del pensiero è il primo diritto inalienabile dell’uomo»;  e che tale libertà è illimitata. Ora, se questa libertà è  illimitata, se la moralità consiste nella conformità della  coscienza alla legge, o meglio, della volontà alla legge  della coscienza, ne viene per conseguenza che quelle  azioni, le quali debbono essere necessariamente in armonia  col pensiero, non possono giammai essere forzate; ma  debbono rimanere nel campo libero del privato cittadino.  Potrà intervenire il diritto positivo nel culto religioso  esterno; ma non nel culto interno. E in quello esterno  non potrà di certo intervenire per obbligare il cittadino  ad un culto contrario alla propria credenza, bensì per  permettere un dato culto e impedire quindi che venga  offeso e turbato da chi non vi si conformi ». Ma deve   10 Stato permettere tutti i culti ? Tra il Montesquieu  contrario e il Marmontel favorevole alla libertà dei culti,   11 Galluppi dichiara di non voler esaminare di proposito  1’ « importante questione », poiché egli si occupa piuttosto  della libertà individuale, e però della sola libertà di co¬  scienza, laddove la libertà del culto supporrebbe un gruppo    PASQUALE GALLUPP] GIACOBINO ?    123    sociale che abbia abbracciato un culto diverso da quello  di altri gruppi, ed esce quindi dalla sfera del diritto indi¬  viduale. Tuttavia ritiene conveniente che si possa « per  ragioni politiche non permettere l’esercizio pubblico di  un culto diverso da quello stabilito ».   Quanto al matrimonio, dato il suo interesse pubblico,  esso rientra nella sfera di attività del potere politico:  che « ha il diritto di far leggi positive sul matrimonio,  le quali, lasciando illeso il diritto naturale, determinino  ciò che la natura non determina, e che ha influenza su  la felicità nazionale»; ma deve limitarsi a «prescrivere  le condizioni per la validità del matrimonio come con¬  tratto civile, e lasciare alla libertà del cittadino, se vuole  al contratto unire la forma religiosa, che T innalza a  sacramento ». Altrimenti verrebbe ad esser lesa la libertà  di coscienza, ossia quell’ essenza della morale, che il  Galluppi chiama legge di natura o diritto naturale.   Tale principio a Napoli fu riconosciuto dal codice  francese durante il decennio; e certo quella legislazione,  « tranne il mormorio di qualche fanatico, che osava chia¬  marsi teologo, non produsse fra noi il menomo disordine ».  Ma, tornato Ferdinando, « i superstiziosi spaventarono la  sua coscienza ». Quindi il matrimonio rientrò nel puro  dominio ecclesiastico. E « si fece dippiù », dice il Galluppi:  «il Concordato diede alla Chiesa il potere giudiziario  sul matrimonio; potere, che dee esercitarsi in conformità  del codice del Vaticano, e così la sovranità temporale  rimase spogliata de’ suoi sacri ed inalienabili diritti sul  matrimonio ». Il Galluppi, nelle cui parole è agevole  sentire l'eco della tradizione giannoniana, ora che Napoli  sembra risorta a più libera tuta per l’ottenuta costitu¬  zione, parla in nome della filosofia («la filosofia non dee  oggi temere di alzar la voce contro di questi abusi ») ;  e chiede che il matrimonio torni ad essere per lo Stato  contratto civile; e protesta contro la censura preventiva.    124    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    stabilita nella Costituzione spagnuola, per i libri che  trattino di religione.   Il secondo opuscolo, assai più importante per la cono¬  scenza delle sue idee politiche, quantunque rechi anch’esso  sul frontespizio la data del 1820, non par che possa essere  anteriore ai primi del febbraio 1821. Infatti v’ è detto  che « un’armata austriaca si fa vedere in volto minac¬  cioso nella bella Italia » 1 2 ; con accenno evidente, se non  erro, all’ordine del giorno del barone di Frimont (4 feb¬  braio 1821), di cui si ebbe notizia a Napoli tra il 15 0  il 20 di quel mese   In quei giorni un altro filosofo napoletano, Pasquale  Borrelli, componeva un inno di guerra, che, messo in  musica dal Rossini, fu cantato al San Carlo la sera del  21 febbraio. La seconda strofa diceva:   O straniero, che guerra ci porti,   Chi ti offese ? quell’ ira perché ?   Va, rispetta la terra de' forti....   Ma sprezzante 1 ’ iniquo c’ invade,   Ha di sangue nell’occhio il desir.   Cittadini, tocchiamo le spade:   Qui si giuri svenarlo o morir !   Il Galluppi dal fondo delle Calabrie rivolge all’ Europa  (ma fin dove sarà giunto ?) il suo opuscoletto, enfatico  nella forma, ma savio ed acuto nella sostanza, per scon¬  giurare anche lui l’invasione straniera e la soppressione  delle libere istituzioni. Rifa brevemente, con giudizi  che ricordano l’alta intelligenza storica di Vincenzo  Cuoco, la storia di Napoli dal 1789 in poi, a conferma  del principio, che oppone alle prepotenti pretese del-    1 Rist. cit., p. 47.   2 Vedi De Nicola, Diario napoletano dal 1798 al 1823, III, pp. 252  253 (in calce all'Arch. slor. napol., 1905, fase. 3).     PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?    125    l’Austria: che la storia se la fanno i popoli da sé, e inter¬  romperla ad arbitrio è violenza, e lo stato violento non  è durevole.   Tutto, egli dice, « cangia incessantemente nel mondo ;  ma tutto cangia gradatamente... Questo principio igno¬  rato o negletto ha spesso fatto abortire i migliori pro¬  getti di riforme ». I grandi avvenimenti, che pare mutino  d’un tratto miracolosamente lo stato di un popolo, in  realtà sono l’effetto d’un « concorso di cause, al quale  l’unione di una picciola causa dà quella forza stupenda,  onde hanno origine gli avvenimenti che formano l’epoche  delle nazioni ». Come dai patiboli del '99 si potè giungere  alla libertà del '20 ? Il Galluppi studia brevemente questo  problema. La rivoluzione del '99, per lui, fu la conse¬  guenza degli errori commessi dal governo borbonico  (il Galluppi parla sempre di Ministero) dopo il 1794;  quando, dopo aver favorito in tutti i modi le tendenze  liberali promosse e alimentate dalla filosofìa, a un tratto,  spaventato dalla Rivoluzione francese, che intanto aveva  accelerato il movimento degli animi verso la rigene¬  razione politica, esso volle violentemente arre¬  starsi, e tornare indietro, e dichiarò guerra al liberalismo,  e si propose di ripiombare la nazione nella barbarie.  La venuta dei francesi fu la piccola causa che fece rovi¬  nare il trono, le cui fondamenta erano state da lunga  pezza lentamente scavate da’ suoi ministri. Così i Giaco¬  bini del 1799, che s’appigliarono alla massima della  perfetta imitazione dei francesi, senza chiedersi se Napoli  fosse preparata alla democrazia, e alla democrazia fran¬  cese, come 1 ’ Issione della favola, invece di Giunone,  abbracciarono la nuvola. — Giudizio che non è certo  quello di un giacobino.   Successe la reazione; e il governo, anzi che mostrarsi  ammaestrato dagli avvenimenti passati, tornò cieco, feroce,  dispotico; e accrebbe quindi sempre più il desiderio d’un    126    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    cangiamento. Aggiungi l’azione continua della Francia  sulle cose d' Italia, e gli errori della diplomazia: ed ecco  Giuseppe Bonaparte e Gioacchino, che non sono più i  francesi del '99, ma i correttori e moderatori dispotici  della libertà, i quali compiono l’abolizione del feudalismo  nel Regno, e vengono via via elevando la coscienza civile  della nazione. Questa al ritorno di Ferdinando è già  matura per la Costituzione: la cui richiesta per altro è  affrettata dagli errori che toma sempre a commettere il  Ministero pur dopo il '15. Fra i quali il Galluppi non  manca di ricordare il « concordato ignominioso, che  annienta tutte le riforme dall’epoca dell’augusto genitore  di Ferdinando fino al suo ritorno fra noi ».   Mostrata la necessità storica della rivoluzione del 1820  e della costituzione che Napoli s’era con essa conqui¬  stata, il filosofo protesta contro l’intervento straniero,  e minacciosamente esclama : « Un’ invasione è ella facile  nelle attuali circostanze della nostra nazione? Il '99, il  1815 sono gli stessi tempi per noi del 1820 ? Si è mai  veduto in altri tempi, allorché il nemico ci minacciava,  l’agricoltore, l’artista, il prete, il monaco stesso doman¬  dare l’iniziazione nelle società patriottiche per emettere  il giuramento di vincere, o di morire per la difesa della  costituzione e del trono ? ».   Siamo così abituati a rappresentarci il Galluppi, attra¬  verso i suoi libri meramente speculativi, dove non spunta  mai favilla di passione umana, o un accenno storico, o  un’allusione personale, e attraverso le memorie di quel  suo insegnamento universitario, tutto chiuso, tra il '31  e il '46 (periodo di puro raccoglimento spirituale per  Napoli), nella speculazione sopramondana.: che questa  specie di Galluppi inedito, agitato dalle preoccupazioni  politiche e storiche del mondo in cui visse, ci riesce di  uno strano sapore nuovo e d'un vivo interesse. E ne  viene aggiunta una linea caratteristica e simpatica alla    PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?    127    figura del nostro vecchio e caro scrittore; che viene ad  occupare anche lui il suo posto non pur nella storia del  liberalismo italiano, ma in quella schiera di acuti pen¬  satori improntati della più schietta italianità, i quali,  rifacendosi direttamente o indirettamente dal Vico, si  opposero all’ astrattismo antistorico e rivoluzionario di  Francia.   Lungi, dunque, dall'apparirci un giacobino, il Galluppi,  pel suo modo d’intendere e giudicare gli avvenimenti  contemporanei, ci si presenta come un liberale del se¬  colo XIX, penetrato del senso della realtà e razionalità  della storia.   Né questa figura viene menomamente turbata dal  nuovo documento che qui appresso si aggiunge a queste  note: un altro suo discorso accademico, letto a Tropea  (nella solita Accademia degli Affaticati) in lode questa  volta di Ferdinando II, pel suo avvenimento al trono  Discorso che io ho avuto sott’occhio nell’autografo, e  trascritto fedelmente. Esso, ad ogni modo, non può  suscitare né meraviglia, né rammarico in nessuno che  ricordi con quali lieti auspicii salisse al trono il nipote  di quel Ferdinando, a cui il Galluppi aveva inneggiato  nel 18x5. « La giovanezza del re », scrisse lo stesso Set¬  tembrini nella sua Protesta, « la recente rivoluzione di  luglio in Francia, e i movimenti di Romagna, alzarono la  nazione a novelle speranze ». E molto meglio nelle Ri¬  cordanze: «Quando re Ferdinando II, nel novembre del  1830, saliva sul trono delle Sicilie, cominciò bene, e a  molti parve un buon principe. Ogni giovane a venti  armi è buono, come ogni fanciulla a quindici anni è bella.  In un suo Manifesto dichiarò di voler rammarginare le  piaghe che da più anni affliggevano il Regno, ristorare  la giustizia, riordinare le finanze, promuovere le industrie  ed il commercio, assicurare in ogni modo i beni dei suoi  amatissimi popoli. Quando poi diede un’amnistia, per la    128    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    quale tornarono a le loro famiglie molti esuli, molti pri¬  gionieri, le speranze crebbero e l’allegrezza fu grande.  Gli uomini savi dicevano che egli aveva fatto una brutta  orazione funebre a suo padre; ma gli davano lode perché  scacciò parecchi ministri e servitori, che durante il regno  di Francesco avevano fatto mercato d’ogni cosa, perché  restrinse le spese della casa sua, tolse via le cacce, e volle  vivere con certa semplicità e parsimonia, che il popolo  chiamò avarizia. Pareva a tutti cortese perché dava  udienza a tutti, domandava, rispondeva, provvedeva  subito, e ricordava i nomi di quanti aveva una volta  veduti ». Anche Nerone, uscì a dire, uno di quei giorni,  esso Settembrini tra giovani suoi amici e maggiori d’età:  anche « Nerone cominciò col quam mallem nescire scribere.  L’ è scopa nuova, ma di quella mala erba: fate che s’usi,  e vi riuscirà Borbone come il padre, e come l’avolo ».  E gli diedero del matto '. « Io che sono stato vittima del  suo insaziabile dispotismo » — scriveva Nicola Nisco  nell’accingersi alla storia del suo regno, — « e che ne  porto ancora i ricordi ai piedi ed ai polsi, rifarò con civile  orgoglio la storia dei suoi primi anni di regno, i quali  sono andati confusi con quelli che seguirono, massime  dopo il quarantotto, quando la natura borbonica, ride¬  standosi ampiamente in lui, lo menò a divenire l’avver¬  sione non pure d’Italia, ma d’ Europa ». E ricordando  la soddisfazione generale di quei primi mesi del nuovo re,  raccontava : « Alle acclamazioni dei popoli facevan eco i  prosatori ed i poeti di quel tempo, e nell’entusiasmo  della sperata redenzione, sventuratamente poi tradita,  vennero fuori giovani ed uomini egregi, fra i quali Gia¬  como Filioli, i fratelli Baldacchini, i fratelli Dalbono,  il Ruffo e quella sublime donna, che mai non si conta¬  minò di servo encomio, Giuseppina Guacci. E quando    1 Ricord., c. V.     PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? I2Q   il 18 dicembre 1830, rimosso ogni ostacolo derivante da  colpe politiche al conseguimento dei pubblici uffizi, abi¬  litò all’esercizio delle pubbliche cariche gl’ impiegati ed  i militari destituiti per le politiche vicende, concedè ai  detenuti in carcere, espatriati, esiliati e condannati napo¬  letani e siciliani alle galere e all’ergastolo di ritornare  nelle loro famiglie, Saverio Baldacchini il chiamò in un  suo inno,    Padre a tutti, che il gaudio  Del perdonar provò;   e dall’animo purissimo della giovane Guacci si elevò  quella nobilissima esclamazione   Oh ! lieto il sire,   Che nell’amor dei popoli riposa »   Al coro delle lodi si unì adunque nel gennaio 1831  anche il filosofo di Tropea, tuttavia controllore delle con¬  tribuzioni, col seguente discorso; in cui l’adulazione del  suddito par s’indirizzi all’ idea dell’ottimo sovrano piut¬  tosto che alla persona del giovine monarca ; onde si direbbe  che a tratti assuma il tono dell’ammonimento anzi che  del panegirico. — Alcuni accenni di dottrine filosofiche,  che vi si mescolano, come i riferimenti ai concetti del  bello e del sublime, dimostrano il già sessantenne filosofo  incapace di distrarre la mente dalle sue astratte medi¬  tazioni. E questo è forse l’ultimo scritto, in cui gh ac¬  cadde di volgere attorno uno sguardo, per esprimere  il suo pensiero su fatti e personaggi contemporanei.   1914.    1 N. Nisco, Gli ultimi trentasei anni del Reame di Napoli, Napoli,  Morano, 1889, II, pp. i, 8.     Pel felice avvenimento  al Trono delle Due Sicilie  di FERDINANDO II   Discorso Accademico  di P. Galluppi    Di letizia ripiena, Accademia illustre, io ti rimiro. Con  la rapidità del fulmine l’arrugginita cetra riprender ti  vedo. Il tuo vivo ardore, di scioglier la lingua al canto,  espresso nel tuo volto io leggo. Sì, dell’estro che ti ac¬  cende, l’oggetto io ben ravviso. Un giovine eroe ascende  sul trono di Ruggiero: il dolore, che ingombrava i nostri  cuori, sparisce: in tutti i volti degli abitatori delle Due  Sicilie, con vivi ed espressivi colori, la gioia dipinta si  vede. Un grido di letizia dappertutto rimbomba.   Ma non è la gioia il solo effetto, che la comparsa del  giovine Re sul trono ha universalmente prodotto ne’  nostri cuori. Un vivo sentimento di ammirazione e di  devozione verso la sacra persona di lui, si è immanti¬  nente acceso ne’ popoli di qua e di là del Faro. Ferdi¬  nando II, l’augusto discendente di tanti Re, non sola¬  mente quel sentimento fa nascere, che, in una ridente  primavera, l’aspetto d’una deliziosa campagna, negli  animi sensibili alle bellezze della natura e dell’arte, suole  produrre; ma quel sentimento eziandio produsse, che  in una vasta pianura, la veduta dell’azzurra volta del  cielo, in una notte serena, l'anima colpisce dell’osser¬  vatore attento a contemplar l’universo.   Ferdinando II è dunque un oggetto non solamente  bello, ma sublime. Come bello, la sua    PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? I3I   comparsa sul Trono ha inondato di letizia il cuore de’  suoi popoli ; come sublime, di ammirazione e di  devozione gli ha colpiti. Il bello ed il sublime producono  diverse affezioni morali: l’uno rallegra, ed in certe cir¬  costanze fa pianger di tenerezza. L’altro l’ammirazione e  la devozione produce. Nondimeno, quando il sublime si  riguarda come una causa, che su la nostra felicità influisce,  all’ammirazione ed alla devozione fa esso succedere la  confidenza e la letizia. Tale è il sentimento, che provano i  soldati di un’armata, quando sanno che il loro generale  è uno Scipione, un Alessandro, un Camillo ; e tale appunto  è quello che in noi produce la vista di Ferdinando II  sul trono delle Due Sicilie.   Se il bello ed il sublime l’oggetto sono dell’eloquenza  e della poesia, se senza un oggetto, che sia defl’una e  dell’altra qualità fornito, il genio dell’oratore e l’estro  del poeta languiscono; se l'alto personaggio, che è l’og¬  getto di questa letteraria adunanza, è dell’una e del¬  l’altra qualità eminentemente adorno, con ragione, Con¬  sesso illustre della città di Alcide *, di estro animato ti  veggo, per fare oggetto de’ tuoi canti l’augusto prin¬  cipe, che al Trono ascende di Carlo III. Con ragione,  cogli occhi a me affissi, che dell’onore di esser tuo oratore  son fregiato, attento ti miro. Tu vuoi udir dal mio labbro  la dipintura dell’alto personaggio, che verso di lui attira  i nostri sguardi. Tu brami, che i motivi io ti esponga,  che dalla velocità incalcolabile del pensiero aggruppati  insieme, i sentimenti di gioia, di ammirazione e di devo¬  zione ne’ nostri cuori producono.   Ferdinando II è bello: nel suo volto dipinto si vede  la candidezza deH’anima sua, ed una certa misteriosa  espressione del buon senso, del buon umore, del brio,    1 Tropea, città, secondo la leggenda, di Ercole. Vedi Nicola Scrugli,  Notizie archeologiche di Portercole e Tropea, pp. 15-17.     132    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    della benevolenza, della sensibilità e delle altre amabili  disposizioni. Con questa sua bella fisonomia e colle sue  belle maniere, la letizia egli sparge ne’ nostri cuori. Ma  non è questo il punto di veduta, sotto di cui io mi pro¬  pongo di dipingerlo. Ferdinando II ci ha colpiti di ammi¬  razione e di devozione, ed a questi sentimenti è successa  la speranza e la letizia. Egli è dunque un oggetto sublime.  Un oggetto sublime è grande. Egli è, per conseguenza,  grande. Ma qual grandezza siam noi costretti ad am¬  mirare in lui ? Sarà forse quella degli Alessandri, e de’  Cesari ? Quella vera grandezza, che in questi gravi capi¬  tani dell’antichità noi ammiriamo, si trova bensì nel  nostro Eroe. Ma questa non è quella, che più immediata¬  mente ci colpisce, e che più in lui risplende. Una gran¬  dezza guerriera può trovarsi negli uomini i più nefandi.  Siila non era insieme un gran capitano, ed mi mostro  di crudeltà ? Ferdinando II è grande, perché conosce i  doveri di un Re. Egli è grande, perché adempie i doveri  di un Re. È questo l’oggetto del mio discorso.    Parte Prima   Un pensiere è grande, allora che esso è esteso. Un  pensiere che, nella sua espressione la più semplice, com¬  prende tutti i pensieri particolari, che vi si rapportano,  è un pensiere grande; e l’anima, che lo sente in sé, spe¬  rimenta un sentimento di grandezza. Il sentimento della  grandezza è il sentimento della forza o del potere. Colui  che possiede una verità generale, sente che ha in suo  potere tutte le verità particolari che vi son comprese.  Egli è simile a colui che, posto su la cima di un alto monte,  comprende, con un semplice sguardo, un vasto e variato  orizzonte. Floro ci desta un pensiere grande quando ci  rappresenta, in poche parole, tutti gli errori di Annibaie    PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?    133    dicendo : « Allora che poteva servirsi della vittoria, amò  meglio goderne ». Una consimil grandezza si ravvisa  nell’ idea, che egli ci dà di tutta la guerra di Macedonia,  quando dice: «Il vincere fu l’entrarvi». Uno spirito  sublime racchiude le verità particolari in una che sia la  più generale, e per conseguenza la più semplice.   Ferdinando II, asceso sul trono de’ suoi antenati, vede,  con un colpo d’occhio, tutti i doveri di un Re: egli li  racchiude in un principio generale. Il suo pensiere è  grande: egli che lo concepisce, è grande in conseguenza.  La prima parte del mio discorso accademico è terminata.   È terminata ?   Accademia illustre, ti credi tu forse, con questo mio  breve parlare, delusa nella tua aspettazione ? Hai tu forse  sperimentato un sentimento dispiacevole, simile a quello  che sperimentar suole uno spettatore di un’azione tea¬  trale, allora che una causa improvvisa lo chiama in altro  luogo, ed interrompe il suo piacere ? Ma cesserà in te  questo momentaneo doloroso sentimento. La rapidità  incalcolabile del sentimento mi ha fatto attraversare, in  un baleno, un vasto spazio. Io non ho potuto arrestare  la sua impressione. Lo scotimento prodotto nell'anima  da qualche grande oggetto, l’alza notabilmente sopra il  suo stato ordinario. Si desta in lei una specie di entu¬  siasmo piacevolissimo finché dura, che le fa compren¬  dere, con uno sguardo, una moltitudine di oggetti, ma  da cui l’anima tosto ricade nella sua ordinaria situazione.  Percorrerò dunque di nuovo, ed a passi osservabili, lo  spazio trascorso.   Iddio, eh’ è il legislatore dell’intero universo, diede  all’uomo una legge, e la impresse nel cuore di lui. L’uomo  è dalla sua natura determinato allo stato della civil so¬  cietà. In questo stato solamente può egli perfezionar se  stesso, ed adempiere la sua destinazione. L’uomo ha in se  stesso le tendenze, i mezzi e la legge di vivere nella civil    J 34    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    società. La società civile non può sussistere senza un  essere morale, dotato del potere legislativo ed esecutivo.  Un tal essere è il Sovrano. Nelle monarchie semplici,  il sovrano è il Re.   Ma Iddio ha voluto l’esistenza della civil società su  la terra, per la felicità degli uomini; 1’esistenza dunque  della sovranità, come ordinata a quella della civil società,  è voluta da Dio per la felicità degli uomini. Queste sem¬  plici riflessioni ci menano infallibilmente alla conoscenza  del principio generale della morale de’ Re. La desti¬  nazione dei Re su la terra è di rendere,  per quanto è loro possibile, felici i  loro sudditi. Ecco il principio luminoso e sublime,  che tutti racchiude i regi doveri.   Ma non udiamo noi forse questa sublime e consolante  filosofìa annunciarsi a’ popoli delle Due Sicilie, nel primo  momento del suo avvenimento al trono, dall’augusto  Ferdinando II ? Ascoltiamo la sua voce sovrana in quel-  l’ammirabile proclama, che destò ne’ nostri cuori l’am¬  mirazione e la devozione per la sua sacra persona, e che  di vera gioia gl' inondò. Il giorno otto di novembre dello  scorso anno 1830 Ferdinando II ascese sul trono, ed in  quell’ istesso giorno egli così parlò a’ suoi sudditi :   « Avendoci chiamato Iddio ad occupare il Trono de’ nostri  augusti Antenati, sentiamo l’enorme peso, che il supremo Di¬  spensatore de’ regni ha voluto imporre sulle nostre spalle, nel-  l'affidarci il governo di questo Regno. Siamo persuasi che Iddio,  nell’ investirci della sua autorità, non intende che resti inutile  nelle nostre mani, siccome neppur vuole che ne abusiamo. Vuole  che il nostro Regno sia un Regno di giustizia, di vigilanza, e di  saviezza, e che adempiamo verso i nostri sudditi alle cure paterne  della sua Provvidenza « *.    1 II proclama si può leggere nella Collezione delle leggi e de' decreti  reali del Regno delle Due Sicilie, a. 1830, sem. II, Napoli, Stamp.  Reale, 1830, pp. 143-.45.     PASQUALE GALLUFPI GIACOBINO ?    135    A voi, gran Dio, che avete nella vostra mano il cuore  de’ Re, per inclinarlo secondo la vostra volontà sempre  santa, grazie siano rese del prezioso dono, che nella vostra  misericordia ci avete concesso. Non mica nel furore del  vostro giusto sdegno, ma nelle vedute imperscrutabili  della vostra misericordia, voi ci avete inviato a reggere  i nostri destini il giovane eroe, che ci sorprende colla  sua sublime sapienza. Egli riconosce che non dee punto  abusare dell’autorità di cui voi l’avete rivestito; che  è suo sacro dovere, di far che regni fra di noi la giustizia,  e che egli sia il felice istrumento delle cure paterne  della vostra provvidenza su di noi. Ciò è lo stesso che  riconoscere esser egli destinato da voi  a render felici i suoi sudditi. Ciò è lo  stesso che proclamare il principio generale della mo¬  rale de’ monarchi. Il principe, che così parla a’ suoi  popoli, non ha mica il crine canuto: egli è un giovanetto,  che ha appena compiuto il quarto lustro della sua età.  Egli è dunque dotato di un’anima grande ; ed è con ragione,  che qual Grande è salutato da’ popoli delle Due Sicilie.  Un’anima grande ha solamente potuto concepire il pen¬  siero sublime, che tutta racchiude la morale de’ Re;  ed un’anima grande ha potuto, invece di essere distratta  dallo splendore del Trono, specialmente in un’età gio¬  vanile, concentrar tutta se stessa nell’espressione de’  propri doveri, ed esserne profondamente penetrata.   Nell’ammirabile proclama il nostro gran Re non sola¬  mente conosce la sua augusta destinazione nel governo  de’ suoi popoli, ma vede ancora i mezzi principali, che  debbono fargli conseguire il gran fine. Egli scovre nel  principio le illazioni. Egli vede, in primo luogo, che gli  uomini non possono esser febei, senza esser virtuosi:  egli conosce T intima relazione, che passa fra la virtù  e la Religione; che i sentimenti rebgiosi conducono alla  virtù, come la virtù conduce alla Rebgione. Egli com-     I36 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA   prende che la vera religione viene in soccorso della pub¬  blica autorità, e per estendere la sanzione delle leggi,  e per ottenere ciò che esse non possono prescrivere, e  per evitare ciò che esse non potrebbero sempre giugnere  ad impedire; ed egli conclude, che dee proteggere la  divina Religione, che c’ illumina. « I grandi », dice il  celebre Massillon, « non son grandi se non perché eglino  sono le immagini della gloria del Signore, ed i deposi¬  tari della sua potenza. Eglino dunque debbono sostenere  gl’ interessi di Dio, di cui rappresentano la maestà, e  rispettare la Religione, che sola rende rispettabili loro  stessi ».   Dalla Religione volge il nostro gran Re lo sguardo alla  giustizia. Egli vede che la felicità de’ cittadini richiede  una gelosa custodia de’ loro diritti. Egli conosce che  questa custodia è il sacro dovere del potere giudiziario.  Egli è convinto che il Re nell' istituzione di questo potere,  e nell’elezione de’ membri, che debbono comporlo, deve  porre la maggiore attenzione che gli sia possibile. Il cit¬  tadino dee, sotto la protezione della legge, e del pubblico  potere, vivere tranquillo: egli non dee temere che i suoi  diritti sieno violati. Magistrati, a cui la regia maestà  consegnò la spada di Temi, ascoltate la voce del sapiente  legislatore. Tutti i miei sudditi, egli dice, debbono essere  uguali agli occhi della legge '. I tribunali debbono essere  un santuario, che la corruzione, la prepotenza, T intrigo,  non debbono giammai profanare. Se i giudici debbono  essere indipendenti nelle loro sentenze, eglino non deb¬  bono essere legislatori. L'accordar grazie ed eccezioni è  una funzione estranea al loro potere. L’impero della  legge dee essere universale.   1 « Noi vogliamo — dice il Proclama — che i nostri tribunali  siano tanti santuari, i quali non debbono mai essere profanati dagl' in¬  trighi, dalle protezioni ingiuste, né da qualunque umano riguardo o  interesse. Agli occhi della legge tutti i nostri sudditi sono uguali, e  procureremo che a tutti sia resa imparzialmente la giustizia ».     PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?    137    I cittadini non possono essere felici, se lo Stato non  è ricco. Uno Stato, dice un celebre politico, non si può  dire ricco e felic.e, che in un solo caso, allorché ogni cit¬  tadino con un lavoro discreto di alcune ore può como¬  damente supplire a’ suoi bisogni ed a quelli della sua  famiglia. Un lavoro assiduo, una vita conservata a stento  non è mai una vita felice. I dazj eccessivi sono contrarj  alla felicità di cui parliamo; ed i dazj debbono essere  eccessivi, allora che il Tesoro generale dello Stato pre¬  senta un voto. E qui l’anima grande di Ferdinando II  ci si mostra allo scoverto. Egli non dirige il suo sguardo  su le pompe de’ Re, su i palagi de’ Grandi, ma lo dirige  su i cenci, e su i tugurj de’ poveri e degl’ infelici. Al suo  penetrante sguardo tosto si svela lo spettacolo doloroso  della soma pesante de’ dazj, che gravita sul suo popolo.  La sua grande anima ne è profondamente penetrata,  ma non abbattuta. Le grandi passioni innalzano l’anima,  e scovrire le fanno degli oggetti incogniti agli uomini  ordinari. Ferdinando II vede quasi nel momento stesso  il voto spaventevole del Tesoro generale, ed i mezzi di  ripararlo. La grande opera della instaurazione delle reali  finanze, è tosto nella gran mente del Principe magnammo  già delineata. La felicità de’ cittadini richiede ancora,  che lo Stato sia temuto e rispettato al di fuori. Ad un  si grande oggetto conferisce un’armata disciplinata,  valorosa ed animata dal nobile ardore di gloria. E Fer¬  dinando II si fece già ammirar da capitano, prima di  farsi ammirare da Re.   Augusta filosofia! Se io a te consagrai sin da  primi anni la mia vita, se non ho avuto altro scopo ne  miei scritti, che di annunciare la verità al genere umano,  se tu vedi che io ardisco di parlare ad un Re, da te non  si concepisca contro di me alcun sospetto, che mi avvi¬  lisca a’ tuoi sguardi. No, l’adulazione non ha profanato  il mio linguaggio. Io non ho prestato al mio Eroe i miei    10 - Gentile, Albori. I.    138    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    pensieri, per formarmi un prototipo di mia immagi¬  nazione. Io gli ho osservati in lui, che nel suo proclama gli  esprime. Io ho dunque, senza rimorso di arrossire al suo  cospetto, il diritto di concludere : Ferdinando II  è grande perché egli conosce i doveri  di un Re.    Parte Seconda   Ferdinando II adempie egli i doveri di un Re ? Il tempo,  in cui 1 ’ Eroe di questo discorso regna su di noi, non è  ancora di tre mesi; ed egli ha tali e tante cose operato,  che con ragione i sudditi suoi, nella sincerità del loro  cuore, 1' hanno unanimemente acclamato per Grande.  Ferdinando II è un personaggio straordinario. Pe’ per¬  sonaggi di tal fatta i giorni sono anni, e gli anni sono  de’ secoli. I loro passi sono di una rapidità incalcolabile,  ed agli occhi degli uomini ordinar] sembrano de’ pro¬  digi- Eglino, quando anche la loro vita fosse molto corta,  formano l’epoche della storia; perché producono quei  memorabili avvenimenti, che cambiano lo stato de’  popoli, e fanno a questi percorrere un cammino diverso.  I loro nomi resistono al furore del tempo, che tutto di¬  strugge. Ferdinando II ascende al trono de’ suoi antenati,  nell’aurora della sua vita. Un uomo ordinario sarebbe  stato sedotto dallo splendore del Trono: egli avrebbe  sdegnato le penose cure del governo di un Regno; egli  sarebbe stato colpito dal fasto de’ grandi. Il giovin Eroe  chiude gli occhi alle pompe incantatrici del Trono, ed  attento gli rivolge su i mah del suo popolo. Egli non  vuol assidersi in mezzo de’ grandi pria di piangere cogl’ in¬  felici. Una serie d’infausti avvenimenti produce torrenti  di mali, ed immerge nel dolore e nel pianto gli abitatori  di queste belle contrade. Un muro di separazione s’in¬  nalza fra di noi. Esso divide i sudditi da’ sudditi. Quelli    PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ?    139    della parte sinistra son privi della vita civile, nell’atto  che la necessità ne chiama degli altri, che sono insuffi¬  cienti, alle pubbliche cariche >.   Il potere giudiziario perde tanti ragguardevoli magi¬  strati. L’amministrazione tanti prudenti e savj ammini¬  stratori. La indizia tanti valorosi campioni. Gran Dio,  chi riparerà i nostri mali ? Voi avete udito i gemiti de  buoni e virtuosi cittadini di questo bel Regno: la vostra  voce finalmente dal Cielo si è udita. Popoli delle Due  Sicilie, rasciugate le vostre lagrime : i vostri cuori si aprano  alla gioja. Un Re di un’anima eroica ascende sul Trono:  egli sanerà le vostre piaghe : egli vi farà risorgere a nuova  vita. Sì, il core magnanimo di Ferdinando il Grande è  commosso all’aspetto de’ mah di una gran parte de  sudditi suoi. Egli sente, nella sua clemenza, che, essendo  l’immagine di Dio e del Redentore divino su la Terra,  dee qual padre correre ad abbracciare il figliuol prodigo.  Egli vede, che la discordia in un Regno è la sorgente di  mali deplorabili, e che un principio saggio dee farla ces¬  sare. Egli conosce, che i Re debbano regnare su i cuori  de’ loro sudditi. Il memorando decreto del 18 dicembre  del 1830 è pubblicato. Il muro di separazione è rove¬  sciato. La gloria di Ferdinando II sarà immortale ».   Tacete, animucce infelici, in cui la calunnia ha posto  la sua sede, tacete. Che cosa mai dir vorrete ? Che il  Reai Decreto or ora citato è una finzione ? Che esso non  avrà alcuna esecuzione ? No, l’anima eroica di Ferdi¬  nando II non cape siffatta bassezza. I reali Decreti del  dì 11 del corrente gennaio 3 vi ammutoliscano. Ferdi-    1 A questo punto d'altra mano, in margine: «La tempesta politica  fa traviare dal retto cammino anche i migliori talenti ».   1 L’atto sovrano del 18 dicembre 1830 portava un indulto in favore  dei condannati come rei di Stato, e di coloro che per ragioni politiche  si trovavano esclusi dagli impieghi civili e militari.   3 Allude ai due decreti nn. 104 e 106, emanati con quella data da  Ferdinando II, col primo dei quali si cercava di curare le piaghe      140    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    nando II regna senza distinzione, su i cuori di tutti i  sudditi suoi. Tutti si riguardano quasi fratelli, perché  vivono sotto T impero di un Re, che è loro Padre.  DalTuna all’altra estremità delle Due Sicilie una sola  voce si ascolta : Viva l’Eroe! Viva Ferdi¬  nando II il Grande! Tutti sì, tutti son pronti  a versare per un tanto clemente Monarca il loro sangue.   La virtù non dee amarsi che per se stessa, e sarebbe,  in buona filosofìa, un distruggerla il riguardarla qual  mezzo per la felicità. Ma è essa una verità incontrasta¬  bile, che l’uomo virtuoso sarà felice, ed il vizioso infelice.  Quale spettacolo più commovente per l’anima di Fer¬  dinando II di quello che gli presentò la capitale ne'  giorni ix, 12 e 13 di gennajo, e la relazione, che certa¬  mente gli pervenne, della letizia universale innalzata  sino al più vivo entusiasmo di tutto il Regno ? Il piacere  di rendere milioni di uomini felici, e di vedersi da essi  adorato ne ha esso forse un eguale su la terra ? Il Principe  magnanimo intese nel suo cuore, che egli ha tanti sol¬  dati, quanti sudditi conta il suo regno. Egli vide il suo  Trono immobile, la sua gloria immortale.   La grand’opera della rassicurazione delle reali finanze  la dicemmo già delineata nella gran mente del nostro  Eroe. La mano incomincia tosto ad eseguire il disegno    profonde che erano nelle finanze del Regno, sopra tutto dei do¬  mimi continentali, per « le conseguenze fatali della straniera usurpa¬  zione: gli avvenimenti disgraziati del 1820#; si esponeva con leale  franchezza il deficit della tesoreria generale di Napoli, che am¬  montava a 4 345 251 ducati; per colmare gradualmente il quale si  annunziava una serie di lodevoli economie nella milizia e nei ministeri,  oltre straordinari rilasci della cassa privata del Re e dell'assegnamento  della R. Casa; l’abolizione del cumulo degli stipendi; l’imposizione  di una ritenuta ai soldi e pensioni superiori a 25 ducati mensili; e in  compenso pel « sollievo della parte più bisognosa del popolo » si dimi¬  nuiva della metà il dazio sul macino. Con l’altro decreto veniva pre¬  scritta « una generale economia nelle spese a carico dei comuni di qua  del Faro per invertirla nella diminuzione de’ più gravosi dazi  comunali». Vedi Collezione cit., a. 1831, sem. I, pp. n-17, e 18-20.       PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? I4I   del pensiere. I Re imprimono alle loro azioni un carat¬  tere di gloria, che spinge i sudditi ad imitarle. L’idea  di grandezza si associa a quella delle azioni de’ grandi,  e l’impero delle idee associate sul cuore umano è molto  esteso. Quindi la virtù, quando si scorge nelle azioni  de' grandi, di qualunque grandezza essi sieno adorni,  rende la virtù rispettabile su la terra.   Guidato da questo sublime pensiere, Ferdinando II  incomincia da sé la nobile impresa. Que’ insti spazj di  terra riserbati alla caccia de’ Re son tosto restituiti al¬  l’agricoltura ». Questa misura diminuisce le spese relative  alla persona del Re, ed aumenta la pubblica ricchezza.  Un rilascio è conceduto dalla borsa privata del Principe:  altro ne è fatto dall’assegnamento della Casa reale. La  classe degl’ impiegati è chiamata ad imitar l’esempio del  Reggitor supremo dello Stato: ed il reai Decreto del di  11 gennaio contenente una diminuzione di dazj, vien  tosto a colpirci di ammirazione e di gioja.   Se tali sono le imprese di Ferdinando II in men di  tre mesi, che cosa non dobbiamo noi sperare in un lungo  regno, che gli auguriamo felice ? Egli ha promesso la  restaurazione della giustizia. La sua promessa è sacra  ed immutabile. Il passato ci autorizza a sperare il futuro.  Sì, il cittadino vivrà tranquillo sotto 1 * impero della legge.  Il regno di Astrea rinascerà su le nostre contrade. Ed io  non posso trattenermi di finire col poeta latino:   lam redit et virgo, redeunt Saturnia regna,  lavi nova progenies caelo demìititur alto.    1 « Con la pubblicazione del suo proclama il Giornale ufficiale  annunziava le sue disposizioni per l’abolizione delle cacce »: N. Nisco,  Gli ultimi trentasei anni del Reame di Napoli, voi. II, p. 67.  PASQUALE GALLUPPI. ( 1770-1816 ). 1. Il Galluppi è stato detto a ragione gran riformatore della filosofia italiana ; e aspetta ancora un degno illustratore della sua vita e del suo pensiero . Noi ne diremo soltanto quanto è neces sario al disegno di questo lavoro . Nacque a Tropca, in Calabria , il 2 aprile 1770 ( lo stesso anno di Hegel) dal barone Vincenzo e da Lucrezia Galluppi, una delle più antiche famiglie patrizie di quella cittaduzza. Fattii primi studi di latino, tredicenne fu mandato a scuola di filosofia e ma tematica da « un abile maestro » ( 1 ) , tal Giuseppe Antonio Ruffa, che gli pose in mano la Logica del Genovesi e la Geometria di Euclide; e l'innamorò talmente di questi autori e di queste disci pline, che il Galluppi , anche innanzi negli anni , non rivedeva quei libri senza una certa commozione. Ma non si fermò al Ge novesi ; perchè alcuni suoi compagni l'indussero a leggere la Teodicea del grande avversario di Bayle. E il Galluppi ne fu in vogliato a studiare tutto il sistema nelle opere del Wolff, come anche ad applicarsi alla teologia , poichè nella scuola « si era in trodotto, scrive egli stesso , un certo misticismo » . 2. Studi teologici e metafisici continuò a coltivare a Na poli , dove si recò nel 1788 , da Palermo, ove il padre qualche anno prima aveva condotto la famiglia . Frequentò le lezioni di teologia di Francesco Conforti, il Sarpi napoletano, e quelle di greco di Pasquale Baffi ; entrambi vittime gloríose del 1799. Studiò la Bibbia, la storia antica , l'ecclesiastica, la patristica, ( 1 ) Vedi il brano autobiografico pubblicato dal prof. F. PIETROPAOLO nella Rivista di filosofia scientifica di E. Morselli, &. 1887, e ripubblicato da CARLO TORALDO nel suo Saggio sulla filos. del Galluppi e le sue relazioni col kantismo, Napoli , Morano , 1902, p. 29 ( dove per una gvista è stampato amabile per abile ) . PASQUALE GALLUPPI 217 specialmente s . Agostino. Ma, per la morte del suo minor fratello Ansaldo, dovette nel 1794 rimpatriare per attendere all'azienda do mestica ; e sposò Barbara d'Aquino di Cosenza , dalla quale ebbe quattordici figli ! Negli Elementi di psicologia ( 1 ) egli stesso ricorda la sua numerosa figliuolanza, che nella sua casa non grande gli avrebbe impedito co'suoi strepiti infantili di studiare la filosofia e le matematiche, senza la sua grande passione per questi studi. Persistetti, egli dice, e « l'esercizio mi pose in istato , che io me ditavo tranquillamente, non ostante i giuochi strepitosi, i pianti e le grida de ' ragazzi > ( 2 ) . Nel 1795 , per rispondere alle censure che certi ecclesiastici avevano fatto di alcune sue proposizioni , pubblicò una Memoria apologetica (3) Nè tralasciava frattanto di coltivare la filosofia : « ma i libri filosofici che leggeva, com'egli c’informa, erano tutti della scuola cartesiana » . Intorno al 1800 lesse Condillac, e « qui cominciò la seconda epoca della sua vita filosofica . Le opere di questo filosofo fecero cambiare la direzione dei suoi studi nella filosofia » , « lo compresi , - ci dichiara il Galluppi, – che prima di affermare qualche cosa su l'uomo, su Dio e su l'universo , bisognava esaminare i motivi legittimi dei nostri giudizi e porre una base solida alla filosofia ; che bisognava perciò risalire all'origine delle nostre co noscenze, e rifare in una parola il proprio intendimento » ( 4) . 3. Così egli scriveva nel 1822 , quando era molto progredito nella critica della conoscenza , e aveva, si può dire, approfondito il problema. Forse la prima lettura di Condillac non gli diede quella netta coscienza, che parrebbe da queste parole , dell'im portanza della questione gnoseologica . Certo, l'avviò per questa strada, che è la strada maestra delle filosofia moderna, facendolo ritornare sul Saggio del Locke. E primo frutto di questi nuovi studi fu nel 1807 un opuscolo Sull'analisi e la sintesi ( 5 ) ; le due ( 1) § LVI ; 2.a ed. , Firenze, Pagani, 1832, p. 103 . ( 2) Anche il Vico nella sua vita ricorda con quella sua disinvolta vanità di esser * uso sempre a leggere o scrivere, o meditare » tra lo strepito de' suoi non pochi figliuoli. ( 3 ) In Napoli , pei torchi di Vincenzo Mozzola - Vocola . ( 4 ) Autobiografia citata. (5) Napoli, Giuseppe Verriento , 1807. Tirato in pochi esemplari non messi in vendita, quest'opuscolo è divonuto oggi rarissimo. Una copia è conservata dalla Biblioteca Univer sitaria di Napoli, nella Miscellanea Imbriani. 218 CAPITOLO I facoltà che occuperanno un posto primario nella filosofia dello spirito galluppiana. Tutto intento a' suoi studi , e senza allontanarsi mai da Tro pea, se di là « con l'occhio e col pensiero » , come immaginava in un suo affettuoso elogio Luigi La Vista, non si sarà rivolto « alla prossima Cotrone, ed ai suoi costumi ed alle sue idee trovato un modello nella vita e nella sapienza del divino Pita gora » ( 1 ) ; certo avrà seguito gli avvenimenti politici dei for tunosi tempi del decennio francese in Napoli , com'è certo che partecipò vivamente con l'animo alle riforme liberali allora at tuate o vagheggiate. Scrisse anche un opuscolo Su la libertà com patibile con ogni forma di governo, rimasto inedito . E nel 1809 da re Gioacchino fu nominato controllore delle contribuzioni della provincia di Catanzaro ( 2) . Della parte da lui presa alla vita pub blica contemporanea si ricorda pure un opuscolo stampato nel 1820, Lo sguardo dell'Europa sul Regno di Napoli, in difesa degli ordini costituzionali napoletani minacciati dal Congresso di Lai bach, e contro l'intervento straniero . E altri due opuscoli avrebbe indirizzati al Parlamento napoletano , l'uno Sulla libertà dell co scienza e l'altro Sulla libertà della stampa ( 3) ; opuscoli ora irrepe ribili, ma che non dovevano contenere niente di diverso dallo scritto Su la libertà compatibile con ogni forma di governo, di cui larghi squarci e transunti furono pubblicati nel 1865 ; nei quali il Nostro mostrasi largo fautore di ogni libertà (4) , 4. Quando scrisse l'opuscolo Sull'analisi e la sintesi il Gal luppi ancora non conosceva nulla di Kant, secondo che egli stesso ci attesta. « La conoscenza di questa filosofia, egli dice, non cam biò punto la direzione dei miei studi ; io continuai le mie appli ( 1 ) Memorie e scritti di L. LA VISTA, Firenze, Le Monnier, 1863, pag. 257. ( 2) Vedi quel che no dice P. E. TULELLI in un'interessante memoria Intorno alla dottrina ed alla vita politica del bar . P. G. - Notizie ricavate da alcuni suoi scritti ine diti e rari, negli Alti della r. Acc. delle scienze mor . e pol. di Napoli, I ( 1865 ), 201 e sgg. Il TULELLI pubblicò un'altra memoria : Sopra gli scrilli inediti del bar, P. G. negli stessi Atti del 1867, III, 81 e sgg. ( 3) Vedi l'opuscolo più sotto citato di F. S. BISOGNI, Omaggio , p. 9. (4) Vedi la prima delle due memorie del Tulelli. Pare tuttavia che nella reazione del '99 il Galluppi , che allora trovavasi a Tropea , non abbia mantenuta quella condotta che si conveniva a un amico della libertà . Nell'Eco di Tropea del agosto 1902 II , n. 35 ) il prof. C. TORALDO , al quale pure si deve il citato Saggio sulla filosofia del Gal luppi con appendice di scritti inediti, ha pubblicato questo bruttissimo sonetto recitato dal Nostro noll'Accademia degli Affaticati di quella città : PASQUALE GALLUPPI 219 cazioni su l'intendimento umano, ma profittai molto delle fati che del filosofo di Koenisberg ; io riconobbi il merito dei problemi elevati dalla filosofia critica , sebbene trovai insufficiente la so luzione che questa ne avea dato . Le meditazioni da me por tate su la filosofia critica , elevarono molto più alto i miei pensieri e mi presentarono delle nuove vedute nella scienza dell'intendi mento umano » ( 1 ) . E vedremo infatti quanta parte del criticismo kantiano si rispecchi nel Saggio filosofico sulla critica della co noscenza , di cui il Nostro pubblico i primi due volumi a Napoli nel 1819 ( 2 ) , Questa prima conoscenza di Kant provenne al Galluppi dalle esposizioni nè complete nè esatte del Villers ( 3 ) e del Kinker ( 4 ) e Della Patria il dolore , il lutto , il pianto , La rea sorte fatal veder non voglio , Di Marto, di Bellona il fler orgoglio , L'augusto trono di Minerva infranto , Spesso sedendo al bel Sebeto accanto Col cor trafitto dal più fler cordoglio , Pria che de' Franchi vacillasse il soglio , Dico nel mio pensiere, e piango intanto. Un ferro io prendo. Occhi mici, non piangete, Grido nel mio furore ; io corro or ora Sollecito a varcar l'onda di Loto . Ma già l'Angiol divin , che accanto giace, Di man mi toglie il ferro , e grid'allora Verrà Fernando : tornerà la paco ! Il sonetto è conservato su un foglio volante, che reca dalla parte opposta queste parole che sono la conclusione di un discorso accademico : « Ferdinando augusto , principe ma gnanimo, nell'impetuoso turbino che minaccia l'indipendenza nazionale, corri a salvarci. I destini della nostra nazione son legati alla tua esistenza . Ferdinando viene, Napoli è salvo. Il mio discorso accademico è terminato » . E poi : « Pasquale Galluppi fra gli Af fatigati il Furioso . Siegue dietro il Sonetto dello stesso accademico » A me pare che discorso e sonetto possano riferirsi alla reazione del 1799 . ( 1 ) Le frasi in corsivo di questo passo meritano particolar considerazione per quel cho si dirà più innanzi del pensiero galluppiano. ( 2) Pei torchi di Domenico Sangiacomo. Seguirono altri 2 vol. Messina , Pappalardo , 1822 ; poi un 5.° e un 6. ° , per cui l'opera fu compiuta, nel 1832 , presso lo stesso Pappalardo. Nel 1833 in Napoli fu incominciata la 2.a edizione migliorata ed accresciuta . ( 3) Philos. de Kant, ou principes fondamentaux de la philos. trascendentale, Metz, 1807. ( 4) Essai d'une exposition succincte de la Critique de la Raison pure ; trad. du l'ol landais par. J. le F. , 1801; vedi su questi e gli altri primi scritti francesi sul Kant l'im portante memoria del PICAVET, La philos. de Kant en France de 1773 à 1814 , proposta alla sua trad. della Critica della Ragion pratica (Paris, Alcan, 1888 ). 220 CAPITOLO VII dalla Storia comparata dei sistemi filosofici ( 1803) del Degerando. Egli non seppe mai il tedesco ( 1 ) , nè mai conobbe la traduzione latina di alcune opere kantiane, già ricordata, fatta dal Born ( 1796-98 ) ; nè era uscita peranco la traduzione che il cav. Man tovani fece della Critica della ragion pura ( 1820-26) , e che sarà poi la sua fonte principale. 5. Nel 1820 pubblico i primi due volumetti di Elementi di filo sofia contenenti la Logica pura e la Psicologia , e prometteva l'Ideologia , La logica mista , la Filosofia morale, che infatti uscirono in altri tre volumetti nel 1826 ( 2) , e una Storia filosofica ragionata, che un avvertimento dell'editore al quinto volumetto annunziava non si sarebbe piu pubblicata avendo l’autore « su l'oggetto intra presa un'opera estesa » ( 3) . E questi libri , i migliori testi di filo sofia per le scuole che si siano avuti finora in Italia , per i loro squisiti pregi didattici d'ordine e di chiarezza , si divulgarono presto per tutta Italia , procacciando molta fama al benemerito autore . Intorno al 1821 scrisse alcune lettere sulla storia della fi losofia moderna, indirizzate al canonico don Goffredo Fazzari, che nel seminario vescovile di Tropea insegnava gli Elementi di lui e desiderava da lui stesso di essere orientato in mezzo al « caos delle opinioni , che al presente scrive il Galluppi nella prima lettera — agitano il mondo filosofico » , e di essere sovrattutto informato della filosofia critica. E queste lettere l'autore nel 1827 raccoglieva in un bel libro, piccolo di mole ma che è il primo degno saggio di storia della filosofia in Italia ( + ) , il quale diede ( 1 ) Nè soppe tanto di francose da tradurre da questa lingua sonza errori di senso . Vodi per un esempio curiosissimo la mia prefazione al Saggio citato del prof. C. TO RALDO , p. IX, n . 1 . ( 2) Aggiunse più tardi gli Elementi di teologia naturale. Nel 1835 si fece a Firenzo una edizione di tutti questi Elementi di filosofia con aggiunte dell'autore e note di P.(OMPILIO ) T.(ANZINI) S. ( COLOPIO ), pubblico lettore ; ristampata a Bologna nel 1837. ( 3) Di questa Storia della filosofia non fu pubblicato poi che il primo volume conte nento il primo dei duo libri di Archeologia filosofica , che l'autore intendeva premettere al l'opera. Ne conosco solo l'odizione di Milano, Silvestri, 1847, nella quale precode l'Elogio funebre scritto da ENRICO PESSINA . ( 4) Lellere filosofiche sulle vicende della filosofia relatiramente ai principii delle cono scenze umane da Cartesio sino a Kant inclusicamente , Messina, Pappalardo, 1827. Le let tere in questa edizione erano tredici. Una 14. ne aggiunse l’A. alla 2.a edizione (Napoli, 1838) , con un Discorso di LUIGI BLANCH per venire fino al Cousin e al Rosmini. E questa 2. edizione fu riprodotta in quella di Firenze, Fraticelli, 1842 , che noi citeremo. PASQUALE GALLUPPI 221 occasione al Romagnosi ( 1 ) di scrivere una Esposizione storico -cri tica del kantismo e delle consecutive dottrine ( 2) . E altre cinque Lettere sull’ontologia indirizzd a un amico tra il 1820 e il 1822 , dove si adoperò a mettere in chiaro, da un punto di vista kan tiano, la futilità dell'ontologia wolfiana ( 3) . Ma queste lettere non sono venute in luce che recentemente . 6. Per tutti gli scritti già divulgati il Galluppi s'era reso noto per tutta Italia ; e il giovane Rosmini l'11 novembre 1827 , ap pena stampato il primo volume de' suoi Opuscoli filosofici, glielo inviava da Milano, dichiarandoglisi obbligato se egli , che aveva « arricchita la filosofia , quella scienza avvilita e profanata nei no stri tempi, anzi distrutta » , avesse voluto aggradire l'opera e comunicargli « qualche lume relativo alle materie che sono in esse contenute » . E si stabilì fra i due filosofi un carteggio assai istruttivo per chi voglia conoscere le relazioni storiche delle ri spettive loro dottrine ( 4 ) . Varie accademie fin da prima del 1822 l'avevano aggregato a’loro soci ; fra esse la Sebezia e la Pontaniana di Napoli. Quivi il Galluppi tornò il maggio del 1831 ; e subito vi pubblicò una traduzione dei Frammenti del Cousin , con una prefazione e una « Dissertazione del traduttore , in cui si confuta il domma del l'unità della sostanza » , ove però son comprese le osservazioni del Galluppi intorno alle altre dottrine del Cousin non accettate ( 5 ) . « Avendo meditato su di questo sistema filosofico, ho creduto di trovare in esso delle vedute sublimi, ed insieme un errore pe ( 1 ) Che ne aveva scritto prima una recensiono nella Biblioteca Italiana , di Milano, vol. L, p. 163 e ss . ( 2 ) Nella stessa Biblioteca , LIII, 180 e ss . Vedi Opp. filos . ed . e ined . , di G. D. R. con annotazioni di A. DE GIORGI, Milano, 1842, pp. 575-605. Su questo scritto e in generale sul Kantismo in G. D. Romagnosi vedi l'art. del CREDARO nella Riv. di filos. italiana , an . 1887, vol . II . ( 3) Vedi ciò che ne ho detto nella prefazione al citato Saggio del Toraldo. Dovo que ste lettere sono stato tutte cinquo pubblicato per la prima volta . Solo le prime due erano state edito da F. PIETROPAOLO , Scritti inediti di P. Gall. nella Riv, filos. scient., VII ( 1888 ), 128-44. ( 4) Vedi il nostro Rosmini e Gioberti, pp. 75-82 ( Pisa , Nistri , 1898 ). ( 5) La filosofia di V. Cousin , trad . dal francese, ed esaminata dal bar. P. Galluppi , a spese del N. Gabinetto lotterario, 1831 , vol. I. Il vol. II è del 1832. A pag. 197 del vol. I si incontra anche una postilla del tradut tore relativa ad alcune massime morali del Cousin , 222 CAPITOLO VII ricoloso » . Quindi, accompagnando la traduzione con la detta dis sertazione, ei credeva di porre « il lettore filosofo in istato di conoscere non solo la filosofia del sig . Cousin , ma di giudicarla » . Il libro frutto presto molto favore all'eclettismo francese a Na poli , e specialmente al suo capo , che dal canto suo fece conoscere il Galluppi in Francia ( 1 ) , e anche fuori per mezzo dell'amico Ha milton, che in un giornale filosofico di Edimburgo scrisse un ar ticolo sul Nostro . 7. A Napoli nello stesso anno 1831 fu persuaso da amici a chiedere la cattedra di logica e metafisica vacante nell'Univer sità . Presentato al ministro degli interni marchese di Pietraca tella, questi , udito il suo desiderio , l'invito a cimentarsi a un esame. Ma egli con sdegnosa semplicità calabrese rispose : E chi c'è a Napoli che possa esaminare Pasquale Galluppi? – L'amico che l'aveva presentato , rimase sconcertato . Ma il 4 ottobre 1831 il nostro filosofo aveva il suo decreto di nomina ( 2 ) . « Con che festa noi giovani , narrava il Settembrini con quanta calca tutte le colte persone si andò a udire la sua prolusione, e poi le lezioni che egli appollaiato su la cattedra dettava con l'accento tagliente del suo dialetto ! Ci sono sempre i maldicenti, i quali dicevano che egli era mezzo barbaro nel par lare, ma in quel parlare era una forza di verità nuova , ma l'in gegno cra grande, e il cuore quanto l'ingegno » ( 3 ) . Quell'anno stesso aveva dato una novella prova delle sue atti tudini didattiche dando alle stampe un'opericciuola : Introduzione allo studio della filosofia per uso dei fanciulli. Ma nel seguente anno, primo del suo insegnamento , coi primi due volumi della Filosofia della volontà dedicati al marchese di Pietracatella, poi e --- ( 1 ) Si conservano nella biblioteca del Cousin , appartenente alla Ropubblica, le lettere a lui del Galluppi. Vedi l'art. da me pubblicato su V. Cousin e l'Italia nella Rassegna bibliograf. della letter. ital. del 1898, VI , 213. Il Cousin fece tradurre in francese dal Peisse suo discepolo le lettere del Galluppi ; o questi da F. Trinchera le Lezioni del Cousin Sulla filosofia di Kant, aggiungendovi cgli delle note, come sarà notato a suo luogo . Un'affettuosa commemorazione del Galluppi fece il Cousin nel 1847 all'Accademia di Francia , o pubblicò nel Journal des Économistes del febbraio 1847, riportato nell'Omnibus di Napoli del 29 maggio 1847, dove il Galluppi aveva scritto sul Cousin, anno III ( 1835) , pag. 225 . ( 2 ) Vedi FIORENTINO, Man . di storia della filos., Napoli, 1887, pag. 609 ; L. SETTEM BRINI, Ricordanze , Napoli , 1898 , I , 75, e il Discorso cit . del BORRELLI, p . 6 . ( 3) Op. cit . , vol. I , pag. 76. PASQUALE GALLUPPI 223 ammontati a quattro , già composti a Tropea, cominciò a puh blicare le Lezioni di logica e metafisica, dettate all'Università , vero modello di quel lucidus ordo tanto raccomandato dal Veno sino . Nel 1834 ne compì la stampa in tre volumi ; di cui fece nel '40 una seconda edizione e una terza nel 1846 ; ristampata nel 1853 dal Tramater ; e questa stampa noi citeremo. 8. A proposta del Cousin il 30 dicembre 1838 , in concorrenza coll'Hamilton che ebbe un solo voto , veniva nominato socio cor rispondente dell'Accademia delle scienze di Francia. E il 28 aprile 1841 , a proposta del Guizot , Luigi Filippo lo insigniva della croce della Legion d'onore (1) Ei se ne sdebitava con le sue Considerazioni filosofiche sul l'idealismo trascendentale, ossia sul sistema di Fichte , memoria presentata il 1839 all'Istituto di Francia , accademia delle scienze morali e politiche ( 2) ; e mandando più tardi , poco prima di mo rire , uno scritto su la teodicea dei filosofi antichi, che fu inserito come il precedente negli Atti dell'Accademia. Nel 1842 pubblico il primo volume della Storia della filosofia , annunziata fin dal '26 . Vi si tratta della filosofia greca , non però secondo la successione delle scuole , sibbene « considerando e cri ticando le diverse opinioni dell'Antichità » su l'origine dell'uni verso e del genere umano fino ai neo-platonici . « Una siffatta opera, dice in un elogio funebre dell'autore un affettuoso discepolo saria stata monumento novello di gloria italiana , se a nostra disavventura la vecchiezza , le malattie , le sciagure non avessero di tale infievolito l'animo di lui , ch'ei non potè vederla compiuta, ed a perfezione condotta » (3) 9. Infatti gli ultimi anni della vita del nostro filosofo furono amareggiati da sciagure che ne affrettarono la morte . Già uno dei figli maschi era caduto , com'ei narra , « vittima del furore d'un giovane sconsigliato » . Ed egli ne aveva scritto e stampato (Mes sina, 1818) l'elogio . Nel 1834 poi gli era morta la moglie . Ora, nel 1844 in una insurrezione scoppiata a Cosenza perdeva la vita un altro suo figlio, Vincenzo, che era capitano . Il vegliardo ( 1) Vedi la lettera del Guizot in LASTRUCCI, P. G. studio critico , Firenze, Barbèra , 1890 , p. 112. ( 2) Stampate in italiano nel 1841 , da' torchi del Tramater ; un vol. di p. 159 in 4.° Negli Atti dell'Accademia francese furono pubblicato come la successiva memoria in francese. (3) Elogio funebre di P. G. , per E. PESSINA, in Op. cit . , p. XIII. 224 CAPITOLO VII ne fu profondamente addolorato e agli amici che tentavano con fortarlo disse : « Avrei desiderato che morisse per una causa più nobile e giusta » Morì il 13 dicembre 1846. P. Borrelli , come sopra s'è visto , ne disse degnamente le lodi presso al letto funebre, il 14, fra una folla di giovani discepoli , che recarono a spalla la salma compianta alla chiesa di S. Nicola ; e il giorno 21 gli celebrarono funerali solenni nella chiesa di Sant'Orsola a Chiaia , in cui recitò un'ora zione il gesuita Carlo Maria Curci . Giuseppe Campagna piangeva la morte del filosofo in un sonetto filosofico, lamentando che con lui si partisse dalla terra Una favilla dell'eterno lume ( 1 ) . Il 14 marzo 1867 dall'Accademia delle scienze morali e politiche al Galluppi veniva eretto un busto nella Università degli studi, da lui onorata con molti altri spiriti magni . 10. Molti scritti aveva ancora in animo di pubblicare , oltre i ricordati, e molti manoscritti di lui ci son rimasti , ora in depo sito presso la Biblioteca nazionale di Napoli, i quali fan testimo nianza della larga estensione degli studi fatti da lui in teologia , storia dell'antica e moderna filosofia , filologia greca e latina, sto ria , matematica, astronomia ( 2 ) . Meno vita modesta e di grande raccoglimento : assorto negli studi, visse veramente per la scienza , in cui riuscì ad imprimere orme profonde, rinnovando la filosofia italiana . Egli infatti fu il solo dei filosofi napoletani da noi studiati, dopo il Genovesi, che esercitasse una influenza molto notevole al di fuori del regno , su tutti gli studi filosofici nazionali ( 3 ) , ( 1 ) Pubblicato nel Museo di scienza e lett., X, 348 ; v. DE SANCTIS, La letter . ital. nel sec. XIX , Napoli, Morano , 1897, p. 96 , e nota del CROCE, p. 208 . ( 2) Oltre la memoria ricordata del Tulelli , vedi l'olenco dei mss. galluppiani nel l'opuscolo citato dell'avv. Pietropaolo . ( 3 ) Per la biografia v. anche L. PALMIERI, Elogio stor . del bar. P. G. con alcuni poe tici componimenti recitati in un'adunan za tenuta per cura di L. Palmieri in Napoli il di 10 del 1847 , di pp. 32. V'è oltre l'elogio un sonetto del Campagna, un carme latino di A, Mirabelli, alcune sestine di D. Anzelmi, un'ode latina di Quintino Guanciali e un so netto « improvvisato dall’egregio poeta sig . Giuseppe Regaldi che per una congiuntura si trovò presente alla nostra adunanza » , - Vedi anche la necrologia Morti e morenti di C. CORRENTI, pubbl. nella Rivista europea del decembro 1846 , ristamp. in Scritti scelti , ed. Massarani, Roma, tip . Sonato, 1891 , I , 481-83. L'articolo dell'ab. ANTONIO RACIOPPI, Il Bar, P. G. , nel Poliorama pittoresco, an. XI ( 1847 , 13 marzo e 20 marzo) , n. 32 e 33 ; l'opu scolo di F. S. BISOGNI , Omaggio alla memoria del b. P. G. nell'occasione che in Tropea il Munic. e la Prov. innalzano una statua all'illustre filosofo , Napoli, Morano, 1877 ( in PASQUALE GALLUPPI 225 11. Nella quattordicesima delle Lettere filosofiche il Galluppi, vo lendo determinare le relazioni della sua filosofia, ch'egli chiama sperimentale, col criticismo kantiano, si fa a descrivere le varie fasi attraverso le quali era passato il suo pensiero . Ma la de scrizione non è molto accurata ed esatta. Abbiamo visto come fino circa ai trent'anni ( al 1800) suoi autori fossero Leibniz, S. Agostino e i filosofi della scuola di Cartesio ; e si può dire che egli fosse in un periodo di dommatismo metafi sico , che rimase poi sempre nel fondo del suo pensiero ; non solo perchè molto più tardi, quando aveva studiato anche Kant , con tro di questo egli affermava che « la filosofia è essenzialmente dommatica, e non può essere che dommatica. Essa dee contenere delle verità assolute » ( 1 ) ; ma anche per altre ragioni: La lettura di Condillac gli fece intendere , che c'era una que stione preliminare dą risolvere prima di ogni metafisica : ricer care, cioè , i motivi legittimi dei nostri giudizi , quindi risalire all'origine delle nostre conoscenze , rifare, egli dice , l'intendimento. Condillac e Locke cangiarono insomma la direzione de' suoi studi . Segue perciò dal 1800 fino circa al 1810, quando venne a cono scenza del Villers e del Degerando, un periodo prekantiano di revisione della conoscenza ; al quale periodo appartiene l'opuscolo Sull'analisi e la sintesi, 12. In questo egli concedeva al Locke e ai suoi seguaci, che « tutte le nostre idee hanno origine da' sensi » , che pertanto « tutte le nozioni universali vengono a formarsi dal paragone degli oggetti particolari , e ... che le cognizioni particolari ci menano alle no zioni universali , e non già viceversa » ( 2) . Ma si proponeva la questione « se lo spirito , tosto che ha for mate le nozioni universali, possa paragonarle, scovrirne i rapporti, e quindi applicare questa cognizione universale alle idee parti colari , racchiuse nell'idea universale , che si è paragonata colle questo opuscolo è pubblicato uno scrittorello inedito del GALLUPPI Sulla semplice appren sione, pag . 17 e segg. ) . Uno studio biografico ha pure dato in luce il sig. F. PIETROPAOLO, nel Pensiero contemporaneo di Catanzaro , an. I , 1899, fasc . 6, 7 e 8. Non c'è riuscito di vedere la biografla pubblicata nel Giornale dell'equilibrio, 1841, n. 1 (citata dal Palmieri) scritta da P. E. TULELLI « sopra note comunicatemi questi diceva, accennando molto probabilmente a questa biografia dall'autore medesimo > ; Atti della R. Accad . d. scienze morali e polit ., 1865, I , 203. ( 1 ) Letl . filos. , p. 342 . ( 2) Sull'analisi, p. 20 . 15 226 CAPITOLO VII altre » ( 1 ) . Per es . , delle due proposizioni generali ogni cerchio ha tutti i suoi raggi uguali e ogni corpo è grave, nella seconda tra corpo e gravità non havvi una connessione necessaria e il loro rapporto non può affermarsi se non mediante il soccorso dell'espe rienza ; nella prima invece è nell'idea del cerchio la ragione di affermare l'uguaglianza de' suoi raggi; e fra le due idee v'è un legame necessario, che non dev'essere attestato dall'esperienza. V'ha dunque , conchiudeva il Galluppi, verità generali cui lo spi rito non perviene dalle verità particolari (sensazioni), « ma per mezzo del semplice paragone delle idee universali, ch'egli si ha formato » ; e v'ha poi verità generali che derivano dalla cognizione delle singole verità particolari , che ci fornisce l'esperienza. Le une costituiscono le conoscenze a priori e necessarie ; le altre le conoscenze a posteriori e contingenti. Le prime sono principii ana litici, in quanto si devono all'analisi delle idee“ generali già ac quisite per l'esperienza ; laddove le seconde sono un prodotto della sintesi delle verità particolari, non altrimenti che le idee universali . 13. Sicchè già nell'opuscolo del 1807 il Galluppi era arrivato a quella forza analitica e forza sintetica di cui farà nel Saggio ( lib . I , § 18 , 34) il fondamento di ogni giudizio, distinguendolo net tamente dalla sensibilità . In quell'opuscolo si poteva egli dire an cora puro empirista ? Certo, egli faceva ancora, come il Locke , derivare dalla sensazione ogni idea universale, e puramente speri mentale faceva ancora la materia delle conoscenze a priori . Giac chè le idee generali , fra cui può ammettersi un rapporto neces sario a priori, sono esse stesse sperimentali a posteriori . Tutta quanta la materia della nostra cognizione deriva dall'esperienza. Ma un a- priori si ammette nella sintesi , che, elaborando il dato immediato dei sensi , ci conduce alle idee universali e alle cono scenze contingenti, e più nell'analisi che ci fornisce conoscenze indipendenti dall'esperienza . In quell'opuscolo adunque l'empiri smo crudo cui il lockismo per mezzo dei sensisti francesi era stato ridotto , non era accettato. E notevole sovrattutto era in esso questa netta distinzione tra conoscenze a priori necessarie e co noscenze a posteriori contingenti , fatta dal Galluppi quando igno rava affatto la distinzione kantiana di giudizi analitici e sintetici alla quale corrisponde precisamente. Ne pare ch'egli allora cono scesse i Saggi filosofici sull’intelletto umano dell'Hume , nel quarto ( 1 ) Ivi , ibid . PASQUALE GALLUPPI 227 dei quali ritrovasi quella distinzione tra i legami di causalità, fon damento delle cose di fatto e relazione d'idee, scoperte per mezzo di semplici operazioni della mente, che giustamente si è voluto preluda alla teorica di Kant ( 1 ) . 14. Nel 1819 , nel libro I del suo Saggio, la posizione del Gal luppi si determina assai più chiaramente. Egli , bene o male, ha già studiato Kant, e combatte l'empirismo di Condillac, di Elvezio , di Destutt - Tracy ; di quel Tracy , che ancora nel 1827 a Firenze , al dire d'un arguto scolaro del Cousin, rappresentava le chef et maitre, celui qui l'a dit ( 2 ) ; e dichiarava che la geometria, « questa scienza pura , razionale, è la pietra immobile su cui va a rompersi la macchina debole dell'empirismo » (S 36 ) ; e che, infine, « non è vero esattamente » ciò che egli aveva ammesso o , almeno, non aveva combattuto, nell'opuscolo del 1807 : derivare cioè tutte le idee universali dal paragone delle particolari (S 40) . 15. Parve a lui che la critica di Kant fosse una vera rivolu zione . « La rivoluzione kantiana , scrisse nella prefazione del Sag gio (3 ), merita , più di quel che si crede , l'attenzione dei pensa tori » . Asseriva bensì , che il criticismo non fosse altro che un neo logismo, sotto il quale non si faceva passare che una questione vecchia, quella dell'origine delle nostre idee. Ma le prime parole della sua prefazione erano tuttavia le seguenti : « L'oggetto di quest'opera è la Critica della conoscenza , o l'esame della realtà della scienza dell'uomo . Che cosa posso io sapere ?... Son io ca pace di conoscenze reali ? Quali sono i motivi legittimi di queste conoscenze ? Quali sono i limiti prescritti al mio spirito , limiti che non gli è permesso di oltrepassare senza precipitare nell'abisso dell'errore ? Tali sono le ricerche sublimi ed importanti che mi occuperanno » ( 4) . Ora queste sublimi ricerche, come tutti sanno, sono appunto quelle del criticismo kantiano ; che se è una rivoluzione, sarà cer tamente una novità. ( 1) Vedi D. JAJA , Saggi filosofici , Napoli, Morano, 1886 , pag . 189 e sgg. E a quel saggio di Hame fu il Galluppi ricondotto dal Kant, nella IX delle sue Lettere filosofiche, per spiegare, esponendo la critica del concetto di causa fatta da D. Hume, perchè la lettura di essa svegliasse Kant dal suo sonno dommatico . Ma ivi ( p. 171 ) , ricordando la distin zione di Hume tra cose di fatto e relazione d'idee, non ne avverte punto la parentela con la divisione kantiana dei giudizi. ( 2 ) Vedi il mio Rosmini e Gioberti, pag . 14. ( 3) Tom . I , p. 9. Cfr. lib . III , § 76 ; tom . III , p. 268. ( 4) Cfr. lib. IV , $ 1 . 228 CAPITOLO VII Se non che, a giudizio del Galluppi , la critica di Kant , « lungi dallo stabilire la realtà della conoscenza , tende radicalmente a distruggerla » ; che i suoi risultati sono essenzialmente scettici ; e quindi una buona dottrina della conoscenza non può costruirsi se non in opposizione a quella critica . Una critica, insomma, ci vuole ; ma non quella di Kant. E quale dunque ? 16. Noi non esporremo ne' loro particolari le teorie del Gal luppi e le critiche delle altrui dottrine ond'egli stabilisce le pri me. E poichè col Saggio filosofico la sua dottrina è già fissata , senza seguire l'ordine cronologico delle opere , possiamo dall'una e dall'altra di esse raccogliere i tratti caratteristici della sua fi losofia e farne un corpo compiuto. 17. Il Galluppi, come gli antichi psicologi metafisici ammette un sistema di facoltà dello spirito ; e a capo di tutte pone la co scienza o sensibilità interna . Questa è la facoltà per la quale lo spirito percepisce , sente se stesso , il me, la cui esistenza è una di quelle verità primitive, che ci sono attestate dall'esperienza, ma non si possono dimostrare ; come già pensarono Cartesio e Leibniz . Nè vale l'obbiezione che noi non percepiamo se non le nostre modificazioni, e che l'idea del me si dedurrebbe percið da quella delle modificazioni, pel principio che non v'ha atto senza soggetto . Non v'ha sentimento delle proprie modificazioni donde si possa separare quello del proprio essere ; perchè non si può percepire l'astratto, ma il concreto, non il dolore, ma il me dolente . Il me adunque è un dato dell'esperienza, che bisogna ac cettare come una verità primitiva di fatto ; e l'atto con cui lo si apprende , è la percezione immediata. 18. Qui il Galluppi, ritornando alla posizione cartesiana, ne sente tutta l'importanza. Egli osserva nel Saggio filosofico, che il defi nire , come si fa comunemente, l'idea per la rappresentazione dell'oggetto nella mente, separando cosi l'oggetto dalla mente , e il far consistere quindi la norma della verità nella conformità della nostra rappresentazione con l'oggetto esteriore, apre irrepa rabilmente la porta allo scetticismo. « Se gli oggetti , se la re gione dell'esistenza son separati dallo spirito , chi getta un ponte per passare dal pensiero all'esistenza , all'oggetto ? Questo ponte si fa consistere nelle immagini degli oggetti. Lo spirito, dicesi , possiede le immagini degli oggetti ; ma in questo caso lo spirito non potrà giammai conoscere la conformità di queste immagini cogli originali, e la verità andrà sempre lungi da lui » ( 1 ) . Me ( 1) Saggio , lib . I , 8 15 ( I , 37) . PASQUALE GALLUPPI 229 morabili parole , per cui il Galluppi non solo non è un prekan tiano , come credono i più , ma va innanzi al Kant dei neokan tiani ; del quale egli in questo luogo discopre espressamente il vizio principale , notando che il fenomenismo critico è una con seguenza della falsa posizione volgare dell'oggetto rispetto al sog getto , presunta dalla definizione dell'idea testé riferita . 19. L'idea del me, a proposito della quale l'autore fa queste osservazioni, non ci deve esser data da una percezione che sup ponga il termine percepito opposto al soggetto percipiente : « L'Io ed i suoi modi non sono separati dall'atto della coscienza , ma gli sono presenti . La coscienza li prende dunque immediatamente, e fra questa percezione e gli oggetti percepiti non v'ha alcun intervallo . Questa coscienza , questa percezione è dunque l'appren sione e l'intuizione della cosa percepita » (§ 16) . E le intuizioni, secondo il Galluppi , « son vere , non perchè son di accordo cogli oggetti , ma perchè elleno agiscono immediatamente sugli oggetti , e li prendono » ( 1 ) . Nè bisogna cercare di definire la percezione, perchè non se n'ha se non una nozione semplice, e ognuno pud solo rimettersene alla propria coscienza per istruirsene . Il semplice, adunque , il principio da cui parte il Galluppi, è questa immediata coscienza di sè , che egli dice percezione o in tuizione ; la cui verità è fondata nella identità dell'essere e del pensiero, come in Cartesio . « Tutta la scienza dell'uomo riposa su la base unica della coscienza di se stesso » ( Saggio, lib . IV, § 3) . 20. Sicchè la filosofia del Galluppi è un vero soggettivismo , come si può vedere anche dal suo concetto della filosofia . « Che cosa è mai la filosofia ? Ella è , rispondono alcuni filosofi, la scienza di ciò che è . In conseguenza ella è la scienza dell'uomo , del mondo, di Dio. Una tal definizione suppone, che l'uomo possa giugnere a conoscere se stesso, il mondo e Dio. Ma, dicono altri filosofi, bisogna prima esaminare se l'uomo può saper qualche cosa ; e su qual fondamento può egli saperla . La conoscenza dei nostri mezzi di conoscere è certamente una conoscenza prelimi nare alla scienza delle cose . Da ciò segue che la filosofia pud riguardarsi sotto due aspetti , o come la scienza delle cose , o come la scienza della scienza umana . Considerata sotto il primo aspetto , ella può chiamarsi scienza oggettiva ; considerata poi sotto il se condo, può chiamarsi scienza soggettiva. Ma se la filosofia è la scienza prima, la quale dee contenere la legislazione di tutte le ( 1 ) Li investono, dice più innanzi. 230 CAPITOLO VII - altre scienze , voi vedete bene esser necessario di considerarla nel secondo aspetto . A cið tende la celebre massima dell'antichità conosci te stesso . Io dunque la riguarderò come scienza sogget tiva » ( 1 ) . E « scienza della scienza » la definisce già negli Ele menti di ideologia (S III). Negli Elementi di filosofia morale (SI) la dice : la scienza del pensiere umano, distinguendola in teoretica e in pratica , secondo che studia l'intelletto o la volontà . Egli ha insomma un concetto moderno della filosofia, giustificato dal suo principio : che è la coscienza di sè . 21. Ma come, partendo da tale principio, egli costruisce la realtà conoscitiva ? E qual carattere dà al suo soggettivismo la sua costruzione ? Prima di tutto , avverte giustamente il Galluppi , bisogna di stinguere l'ordine cronologico delle nostre conoscenze dall'ordine scientifico ( 2) , Noi abbiamo con la prima sensazione e come fonda mento di essa la coscienza del nostro Io ; ma essa non è certo una coscienza di riflessione ( 3 ) . Vale a dire , c'è di fatto questa co scienza che è il Primo scientifico ; ma non si rivela se non alla riflessione filosofica posteriore , molto posteriore, cronologicamente. Perchè questa coscienza primitiva si rivelasse effettivamente, lo spirito dovrebbe cominciare da un giudizio ( lo esisto ), ed essere già in possesso dell'idea astratta di esistenza , laddove ei comincia invece da una percezione o sensazione che voglia dirsi . Comincia da una percezione complessa : dalla percezione del me che riceve delle modificazioni, dalla percezione del me che percepisce il fuor di me. Ora lo spirito presta successivamente la sua attenzione ai diversi elementi che compongono l'oggetto di questa prima percezione, decompone , divide questo oggetto ; poi lo ricompone di nuovo e forma il giudizio, che è perciò il pro ( 1 ) Lett. filos., lett . I ; ediz . cit. , p. 37-8 . Questo stesso concetto è svolto nella Prolusione del 1831: Introduzione alle lezioni di logica e di metafisica del bar . P. G. , Napoli, Ga binetto bibliografico e tipografico , 1831, di pp. 30 in-8. ° (ristampata in fronte alle Le zioni di logica e di melafisica , vol. I) e nelle primo tre di questo lezioni. Vedi puro il suo articolo Filosofia nella 1." dispensa dello Ore solitarie del 1838 (rivista diretta al lora da Lorenzo Riola , P. S. Mancini e Luigi Curion , più tardi dal solo Mancini), pp. 9-11. Nella Continuazione delle Ore solitarie ovvero Giorn . di scienze morali, legislat. ed econom. , 1842, fasc . I e II , pp. 7-14, è un altro scritterello del GALLUPPI: Sul panteismo del signor Lamennais. ( 2) Saggio filos., lib. I , § 22 ; tom . I , p. 49. (3) Ivi, $ 20 ; I , 45 . PASQUALE GALLUPPI 231 dotto dell'analisi e della sintesi della percezione complessa ( 1 ) . Sic chè bisogna ammettere nello spirito , oltre la facoltà della sensibi lità ( interna o coscienza, ed esterna) , quelle dell'analisi e della sintesi. 22. Il fuor di me ci viene offerto adunque dal me, da quella coscienza che cogliendo il me lo coglie modificato dal fuor di me. Questa coscienza, che il Galluppi dice pure sensazione, corri sponde , come bene osservò lo Spaventa, alla coscienza sensibile dell'Hegel ; è l'unità ancora confusa ed indistinta di soggetto ed oggetto. Allorchè, dice il Galluppi, la modificazione esterna « è percepita col me, che modifica , io non ho ancora che una per cezione ; ma quando ella è riguardata come distinta dal me, e poi riunita a lui dall'atto dello spirito , io allora giudico » ( 2 ) ( Saggio, lib . I , § 18) . Ora, se conoscere è questo distinguere e unire , è chiaro che conoscere pel Galluppi non è sentire ( percepire) , ma giudicare . Quindi egli combatte i sensisti, insistendo sulla dif ferenza sostanziale che corre tra sentire e giudicare, notando come giudicare importi necessariamente un rapporto , e come non sia possibile indicare l'impressione esterna, l'organo sensorio che ci manifesta la conoscenza del rapporto ( 3) . La forza analitica e la forza sintetica dello spirito sono distinte dalla sensibilità (4) ; come già aveva sostenuto nell'opuscolo del 1807 . 23. La coscienza sensibile è adunque l'unità fondamentale del conoscere ; l'unità che è condizione dell'analisi e della sintesi , ne cessaria a tutti i nostri giudizi . Ma come si giustifica questa unita ? Il fuor di me è sentito , dice il Galluppi , come un molteplice del quale ciascuna parte è distinta dall'altra e le modificazioni di una parte non sono, nel mio sentimento, le modificazioni delle altre . Il tronco di un albero è distinto dai rami : ciascun ramo è distinto da un altro : il moto di un ramo può stare senza il moto di un altro e di tutto l'albero ( 5 ) . Questa molteplicità si raduna nel me, il quale alla coscienza si rivela sempre lo stesso , sia che ( 1 ) Saggio filos. , lib . I , § 18, ed Elem . di Psicologia , & VIII . ( 2) Lo stesso è detto negli Elem , di Psicol., 8 VIII in fine. ( 3) Saggio, lib. I , § 32 ; I , 69. II Galluppi riferisce un notevolissimo passo dell'Emilio di Rousseau ( lib . IV) sul valore del giudizio ; passo che conferma la parentela che col fllosofo ginevrino ha quello di Koenigsberg . ( 4) Ivi, 8 34 ; I , 73. (5) Elem . d'Ideologia , 8 XXIV , ediz . cit ., p. 56 . 232 CAPITOLO VII ragioni, che giudichi, o che percepisca ; talchè « il soggetto di un giudizio può avere una composizione fisica ed una unità logica ( 1 ) che gli vien conferita dal pensiero , che appunto sintetizza nella sua unità il molteplice fisico . Questa unità del pensiero s'addi manda unità sintetica , la quale se si ravvicina a quella forza analitica e forza sintetica che s'è accennata , s'intenderà come un'attività distintiva e unitiva insieme . E un'attività sintetica originaria dell'essere conoscitore appunto è ammessa dal Gal luppi ( 2 ) . 24. Ora la coscienza di sè coglie adunque l'Io che sintesizza , uno e semplice, indivisibile. E l'unità sintetica del me, suppone percið l'unità metafisica del me stesso che « è la semplicità o spi ritualità del principio pensante. Senza di essa non sarebbe possi bile la scienza, poichè la scienza suppone la riunione di tutti i pensieri da' quali si compone ; ed essendo un pensiere distinto dall'altro , come si farebbe l'unione di questi pensieri senza un centro di unione ? Ove si incontrerebbero i diversi raggi del sapere ?... L'agente che costruisce, è necessario che abbia tutti i materiali della costruzione » . « L’io di Newton , ripete qui il Galluppi, che ritrova il calcolo sublime è lo stesso io che ha ap appreso la numerazione aritmetica. Senza l'unità metafisica del me non sarebbe possibile l'unità sintetica del pensiere, e senza l'unità sin tetica del pensiere non sarebbe possibile alcuna scienza per l'uomo ( 3) . Questa unità sintetica della coscienza originaria ha una intrin seca parentela , come ognun vede, coll'appercezione originaria di Kant. Col quale il Galluppi s'accorda nel ritenere che « l'essenza particolare specifica dello spirito umano > ci è ignota affatto ( 4 ) . 25. Ma data questa coscienza originaria, che forza analitica e sintetica insieme , tutte le nostre conoscenze derivano , secondo il Galluppi , dai sensi ? Nel libro I del suo Saggio filosofico egli , rife rendosi allo scritto del 1807, scrive : « Io suppongo in tale opu scolo che tutte le idee universali derivano dal paragone delle particolari ; ma cið non è vero esattamente, poichè vi sono alcune idee soggettive > (8 40) . La tesi degli empiristi che non ammettono nella nostra conoscenza se non elementi oggettivi, è insostenibile . ( 1 ) Elem . d'Ideol., ivi. ( 2 ) Lettora ad A. Rosmini, Tropea , 23 aprile 1830, nella Sapienza, rivista di filos. e lettere , fasc . del 15 marzo 1885, p. 165. Cfr. il mio Rosmini e Gioberti, p. 79. ( 3 ) Elem . d'Ideol., & XXV, pp. 61-2 ; cfr . Saggio, lib . III , SS 50-1 . ( 4) Saggio, llb. IV , 8 98 , V, 418. PASQUALE GALLUPPI 233 ma In quell'autobiografia intellettuale che è nella quattordicesima delle sue Lettere filosofiche il Galluppi dice, che il problema della sua filosofia dell'esperienza fu questo : « Ma lo spirito umano è un agente ; e colla sua azione non potrebbe forse sviluppare dal suo interno qualche elemento che egli non riceve , ma che produce ? E questo elemento soggettivo non potrebbe forse esser tale , che lasciasse intero l'elemento oggettivo , che cooperando collo stesso non recasse alcun nocumento alla realtà della conoscenza , l'estendesse e la fecondasse ( 1 ) ? 26. Infatti, questa rimaneva la più grave difficoltà del Gal luppi contro l'a priori: che l'a priori con la sua soggettività scalzasse la realtà della conoscenza, come rimproverava a Kant per le forme dell'intuizione e dell'intelletto e come rimproverava al Rosmini per la idea dell'Ente indeterminato ( 2) . Perchè egli non ebbe il giusto concetto delle categorie kantiane , ritenendole quasi preformazioni dell'intelletto . Del resto , nella critica che fa delle idee innate , pure avendo combattuto nel primo libro del Saggio l’in natismo di Leibniz , si può ben dire che ne accetti il principio ne gli Elementi di ideologia (8 XXIII) . Egli distingue idee accidentali all'intelletto e idee essenziali. Le une non tutti gli uomini possono formarsele, perchè non a tutti è dato di avere le sensazioni che sono il materiale donde l'analisi può ricavare coteste idee . Le altre non mancano a nessun uomo, perchè derivanti da sensazioni co muni a tutti . Sicchè anche le idee essenziali dell'intelletto pre suppongono l'esperienza ; e « se per idee innate si vuole intendere idee , che non sono il prodotto della meditazione (analisi) su i sentimenti (sensazioni) , tali idee non hanno esistenza » . Ma, « se per idee innate s'intendono quelle idee , di cui ogni uomo porta costantemente in se stesso i germi per isvilupparle , e che ogni uomo capace di meditare pud in qualunque luogo ed in qua lunque tempo acquistare , idee che ho chiamato idee universali all ' intelletto, l'esistenza di siffatte idee mi sembra incontrastabile ... Noi conveniamo con Locke, che tutte le nostre idee hanno la loro origine ne' sentimenti : conveniamo ancora, che tutte le idee sono acquistate ; ma crediamo di dover fare distinzione fra idee generali , e di ammettere alcune idee per l'acquisto delle quali ogni uomo porta costantemente in se stesso i materiali necessari; da questi germi, che sono nello spirito si sviluppano le idee essen ( 1 ) Op. cit . , p. 343. ( 2) Vedi il mio Rosmini e Gioberti, p. 79 e sgg. 234 CAPITOLO VII ziali al pensiero umano, e che si ritrovano in tutte le lingue » . Donde è chiaro che il Galluppi tiene per innate nel senso leibni ziano , di attitudini, disposizioni, germi, coteste idee essenziali all'intelletto , quali sarebbero le idee di corpo , spazio, causa, unità , numero, ecc .; comecchè tutta la sua Ideologia sia una deduzione di queste e altre simili idee dalle sensazioni. 27. Ma, quali sono queste sensazioni o sentimenti portati costan temente da ogni uomo in se stesso ? Se ogni uomo li possiede co stantemente, essi sono necessari , essenziali costitutivi dello spi rito . Lo spirito è questi stessi sentimenti. E come potrebbe es sere altrimenti, se tali sentimenti devono servire alla formazione di idee essenziali all'intelletto ( facoltà conoscitiva in generale) ? Il Galluppi dice, che essi sono i sentimenti « che in qualunque luogo, ed in qualunque tempo modificano lo spirito di ogni indi viduo del genere umano » ( 1 ) . Dunque, essi sono immanenti real mente allo spirito , nè questo si può concepire senza di essi . Ora tal carattere nella filosofia del Galluppi compete solo ai senti menti del me e del non me inscindibilmente legati fra loro , costi tuenti il gran fatto , il Primo, dal quale deve cominciare la filosofia . « Questo fatto è universale per tutti gli uomini, per tutti i luoghi, e per tutti i tempi. Il complesso de ' sentimenti racchiusi in questo fatto dee dunque riguardarsi come essenziale all'umano intendi mento » ( 2 ) . Il quale, fornito della forza di analisi e di sintesi , può con la sua azione feconda sviluppare da questi sentimenti e così produrre tutte le idee che gli sono essenziali ( 3) . Ma la stessa produzione è essenziale , se i prodotti sono essenziali ; tal chè lo spirito , partendo dall'indistinta e oscura coscienza del me e del fuor di me, non raggiunge il grado dell'intelletto , se non per questa spontanea produzione che fa , mediante l'attività ond'è for nito , delle idee di sostanza, causa , corpo, spazio , tempo , unità , numero , ecc. , di cui ha in sé i germi indefettibili. 28. Intorno al valore di questo virtuale a priori del Galluppi si può esser tratti in inganno da certe sue espressioni, dalla sua polemica contro l'innatismo, dal bisogno da lui così spesso e for temente affermato dell'esperienza, che è esperienza sensibile, come unica sorgente delle conoscenze reali . Ma bisogna attender bene al valore della sensibilità nella teoria del Galluppi . La sua sen sibilità è coscienza , è sentir di sentire , è l'unità ancora indistinta di soggetto ed oggetto, che egli concepisce come Primo attivo e ( 1 ) Saggio , lib. III , § 49. Ivi. ( 3) Ivi. PASQUALE GALLUPPI 235 produttivo ; di cui vedremo quanto si gioverà a fondare l'ogget tività del conoscere . Ora , dato questo Primo come coscienza sen sibile , egli non può ammettere più un intelletto opposto al senso e ricco a priori di determinazioni dal senso indipendenti. Perchè l'intelletto è uno sviluppo del senso e le sue determinazioni es senziali non possono non essere contenute virtualmente nel senso insieme con l'attività che possa dallo stato virtuale portarle al l'attuale , fecondandone i germi. E questo è , come tutti sanno ora o dovrebbero sapere, il vero concetto dell'a -priori kantiano , preparato dalle virtualità innate di Leibniz ; e in que sto concetto il Galluppi evidentemente sorpassa e si lascia addietro il kantismo volgare, com'egli l'intese e come tuttavia si vuol sostenere dai neocrịtici , che concepiscono senso e intelletto in assoluta opposizione , in un dualismo inconciliabile . Questo punto della filosofia del Galluppi non è stato studiato e apprezzato ancora abbastanza ( 1 ) . La idea essenziale del Galluppi corrisponde preci samente all ' acquisitio originaria , con cui Kant definiva il suo a priori nella famosa lettera all'Eberhard, come l'idea accidentale all'acquisitio derivativa . Sono idee acquisite le idee essenziali come tutte le altre idee ; ma esse sono le acquisizioni originarie che la coscienza fa per la sua propria attività salendo al grado del l'intelletto . 29. Fermata questa teoria , il Galluppi ha ragione di scrivere : « Io non ho ammesso idee anteriori a ' sentimenti, in modo che non gli suppongano neppure come condizione ; ma ho ammesso alcune idee essenziali all'intendimento , ed ho stabilito questa dottrina sopra solidi fondamenti... lo nego le idee innate nel senso di idee anteriori ed indipendenti assolutamente da' senti menti ; io le ammetto nel senso di idee naturali, o d'idee per l'acquisto delle quali si possiede una disposizione o virtualità naturale » ( 2) . E poichè così viene a dire il medesimo del Kant bene inteso , a me pare che abbia pur ragione di soggiungere : « Io dunque credo di aver trovato il mezzo di conciliazione fra i due sistemi contrari su la formazione delle nostre idee » ; come è merito reale di Kant, che naturalmente il Galluppi non poteva riconoscere , di avere operato siffatta conciliazione del puro em pirismo e del puro intellettualismo . ( 1 ) Il meglio che se ne sia detto sono le tre pagine dello SPAVENTA, nella sua mo moria Kant e l'empirismo ( 1880) , rist . in Scrilti filosofici, Napoli, Morano, 1900, pp . 81-114. (2) Saggio , lib. III , 8 86 ; tom . III , pag. 303. 236 CAPITOLO VII 30. Per fare intendere meglio la propria dottrina il Galluppi la raffronta a quella del Leibniz. Conviene con l'autore dei Nuovi saggi sull’intelletto che lo spirito non è tabula rasa ; « che vi sono molte idee, che lo spirito ricava dal fondo del proprio essere , meditando (1) sul sentimento di se stesso » ; non solo gli accorda che sono in noi queste disposizioni e virtualità naturali, ma am mette certe modificazioni passive o sia i sentimenti, che contengono i materiali o le condizioni di tutte le idee naturali ( 2) . E, dichia rando meglio la dottrina del Leibniz , ripete che riconosce con lui esservi « molte idee essenziali all'intendimento , che l'anima non ha bisogno di ricavare dalle impressioni de ' sensi esterni, ma che può ricavare dal proprio fondo » ( 3) . Le idee sono innate come attitudini o virtualità naturali. E questo ritiene anche il Gal luppi. « Ma io non mi contento di rimanermi in idee vaghe : io determino le mie espressioni. L'anima nostra ha un'attitudine , una preformazione naturale per alcune idee ; poichè : 1. ° ella ha originariamente ed incessantemente i sentimenti necessari a for marsi tali idee ; 2. ° questi sentimenti sono i materiali delle idee , o le condizioni indispensabili per le idee ; 3.0 l'anima ha origi nariamente nella sua natura le facoltà necessarie per formarsi tali idee ; 4. ° l’anima ha in sé originariamente la disposizione, che pone in esercizio le facoltà elementari della meditazione » ( 4 ) . 31. Data questa dottrina, ch'egli ben dice non potrebbe esser contrastata dalla stessa scuola di Locke , s'intende agevolmente perchè il Galluppi continui sempre , in tutte le opere sue , a com battere l'a - priori kantiano , inteso come parte di conoscenza già formata avanti all'esperienza ; esperienza , che era per lui , come vedremo, la sorgente dell'oggettività, della realtà del sapere umano . La filosofia è essenzialmente dommatica, egli ha detto ; e kan tismo per lui significava scetticismo, in grazia appunto di quel l'a -priori soggettivo, anteriore ad ogni esperienza, onde reste rebbe inquinata, secondo la teoria di Kant, tutta la conoscenza. Pure riuscì anch'egli a certe idee soggettive , che ammise come costitutive della conoscenza , e innocue , benchè soggettive, allá realtà di essa . Quali sono cotali idee ? 32. Per rispondere a questa domanda bisogna dare un cenno delle sue teorie dell'analisi e della sintesi . Queste due facoltà non sono soltanto , come s'è visto , il fondamento di ogni giudizio , ma ( 1 ) Meditazione dice il Galluppi l'analisi e la sintesi insieme. ( 2) Ivi, pp. 305-6 . ( 3) Ivi, p. 309. (4) Ivi, pag . 812. PASQUALE GALLUPPI 237 il fondamento anche di ogni idea universale. Giacchè ogni idea universale nasce dalla sintesi degli elementi comuni che l'analisi discopre in più percezioni simili. L'analisi e la sintesi sono quindi le forze produttive di tutto il conoscere. L'analisi precede ; segue la sintesi . L'una si presenta sotto quattro forme : come atten zione propriamente detta , quando lo spirito si ferma a considerare un solo degli oggetti fornitigli dal senso , escludendo tutti gli al tri ; come attenzione parziale, quando lo spirito contempla soltanto una parte dell'intero oggetto , che gli si rappresenta ; come astra zione modale , quando lo spirito separa il modo dal soggetto cui inerisce ; e come astrazione del soggetto, nel caso inverso (1), 33. La sintesi è di tre specie : sintesi reale, quando lo spirito unisce ciò che gli vien dato congiunto dalla esperienza, cioè la relazione tra il soggetto e le sue modificazioni, o quella tra causa ed effetto ( epperò v'ha propriamente due specie di sintesi reale) ; sintesi ideale oggettiva, quando scopre relazioni logiche tra oggetti reali ; sintesi ideale soggettiva , quando scopre , come avviene nelle matematiche pure, relazioni logiche tra idee nostre , non imme diatamente forniteci dall'esperienza ( 2) ; cioè le relazioni tra le idee generali . 34. La siņtesi non può riunire se non per rapporti , le cui no zioni devono essere possedute dallo spirito , a mo' di categorie . E alle quattro maniere di sintesi corrispondono quattro nozioni di rapporti , le quali, per ciò che s'è osservato, dovrebbero essere di lor natura tutte soggettive : e sono le nozioni di sostanza , causa , identità e differenza ; idee essenziali all'intelletto umano, « sem plici vedute dello spirito , le quali derivano dalla sua facoltà di sintesi » (3) . 35. Rapporto, come aveva notato il Laromiguière nelle sue Le zioni di filosofia, è l'atto della comparazione o l'idea che risulta da questo atto . « Ora se la comparazione , dice il Galluppi, è una sintesi , e se il risultamento di questa sintesi è un'idea che non ( 1 ) Elementi di psicologia , $ 25 ; Saggio , lib. II , capo , $ 139 . ( 2) Saggio , lib. II , cap . XI, $ 147. Il Galluppi distingue ancora la sintesi immagi nativa come « la facoltà di riuscire in una percezione complessa , alla quale non corrisponda alcun oggetto naturalo, diverse percezioni di cui ciascuna ha un oggette naturale fuori dell'attuale combinazione ( Saggio , ivi, $ 148, e Psicologia , $ 35) . Ma s'intende cho questa sintesi non ha valore teorico o conoscitivo, ma solo pratico od estetico . ( 3 ) Saggio, lib. III , § 46. Alcune dello idee semplici, dice ivi più sotto , « sorgono dall'attività sintetica e queste sono i rapporti > . 238 CAPITOLO VII risulta da un'impressione, e che non ha percið un oggetto reale al di fuori, segue che vi sono idee semplici, le quali sono sola mente soggettive ed un prodotto della sintesi » ( 1 ) . Suppongono le sensazioni, ma sono prodotti semplici dell'attività sintetica dell'in telligenza. Infatti seguono, come ogni idea di rapporto , al para gone , che è un'azione dello spirito . « Pel paragone non basta che si abbiano nello spirito insieme due percezioni : è necessaria l'a zione che riferisce l'una all'altra » ( 2 ) . Parrebbe adunque, che le idee dei rapporti, queste vedute dello spirito , o modi della sua attività sintetica, non differissero punto dalle categorie kantiane . Ma l'autore afferma recisamente il contrario . Non vuole aver nulla di comune con Kant; vuol fondare una vera filosofia dell'esperienza , e afferma come una delle esigenze ineluttabili della filosofia , che la connessione fra le esistenze , per cui è possibile la scienza , non deve essere una creazione dello spirito , bensì un dato dell'esperien za ( 3 ) ; cioè del senso , che per lui , come vedremo, è norma dell'og gettività del conoscere . Insomma, nota un suo critico , gli elementi soggettivi ammessi dal Galluppi son sempre determinati da qualche cosa di reale che si trova negli oggetti ; e Kant percið è scettico , Galluppi no ( 4 ) . 36. Ed in verità esso, il Galluppi, scrive che la stessa connes sione deve essere un dato dell'esperienza , quando si tratta di og getti esistenti che dan luogo alla sintesi reale : e che questa sin tesi « riunisce gli elementi reali di un oggetto reale ; e li riunisce perchè li trova realmente riuniti. Così, dicendo : Io son sensitivo, riunisco al me le sensazioni : ora tanto l'io che le sensazioni son cose reali , e realmente le sensazioni son cose reali, c realmente le sensazioni sono unite al me. Quest'unione non è dunque l'opera del mio spirito : io non posso fare altro che conoscerla distinta mente . Questa sintesi copia dunque, dirò così , la realtà delle cose, ed è per cid che io la chiamo sintesi reale » ( 5) . 37. Or dunque, queste idee di rapporti sono o non sono un pro dotto dell'attività sintetica del soggetto ? Qui , s'è detto , havvi una flagrante contraddizione. Sentire un rapporto, secondo il Galluppi è un espressione assurda ; e la connessione delle esistenze , che è un rapporto necessario , non si potrebbe sentire ; eppure si deve . « Se fosse creata da noi cotestà connessione , scrive il Fioren ( 1 ) Saggio, lib. III , § 47. ( 2) Saggio , lib. II , 8 147. ( 3) Saggio, lib. II , & 74. ( 4) LASTRUCCI, Op. cit . , p. 213. ( 5) Saggio , lib . II , § 146 ; cfr . Psicologia , & XXXI. PASQUALE GALLUPPI 239 tino (1), la realtà della scienza sfumerebbe ; e Galluppi , impaurito delle conseguenze, contraddice ai suoi principii . Il nesso tra il me, sostanza , e le sue sensazioni , tra la sensazione e la causa esterna, cotesto doppio rapporto è sentito . Ei non osa dire sen tito , e dice : è dato » . La questione è importante e merita ogni più seria considerazione . 38. Prima di tutto bisogna distinguere , come fa il Galluppi , le due nozioni di causa e di sostanza , da quelle di identità e diver sità. Le une sono un prodotto della sintesi reale , le altre della ideale ; le une sono dei veri rapporti reali , le altre semplici rap porti logici . Ora questi rapporti logici sono veramente creati dallo spirito , nascono per l'attività di questo , sono idee dello spirito e nulla fuori di queste idee ( 2) . Di esse l’autore dice che « lo spi rito non riceve dal di fuori questi elementi semplici ed essenziali delle sue conoscenze , ma li ricava dal proprio essere » ( 3) , cioè li produce . Esse corrispondono appuntino alle categorie kantiane . Nè vale opporre , come altri ha fatto ( 4) , che anche questi rapporti presuppongono l'esperienza, e ricevono da questa i termini , fra cui intercedono . I termini fuori del rapporto , ho detto altrove, cioè prima del rapporto , sono termini del rapporto ? E si badi che dell'esperienza il Galluppi ha un concetto tutto kantiano, perchè essa consiste , secondo lui , « nel giudizio , il quale vede un rap porto fra i nostri sentimenti » ( 5) . 39. Il solo errore del criticismo , che ha de ' semi preziosi di verità, consiste nell’aver troppo generalizzato riguardando « tutti i modi di connessione fra le nostre percezioni come soggettivi » , negando la sintesi reale, confondendo l'esperienza primitiva, cui la sintesi reale dà luogo, con l'esperienza secondaria , scientifica e comparata , che è produzione soggettiva della sintesi ideale . Dunque, a confessione del Galluppi stesso ( 6) , egli è schietta mente kantiano nella teoria della sintesi ideale , come attività sin tetica generatrice delle due idee di rapporto , identità e diversità , all'occasione delle sensazioni , che ne sono condizione indispen sabile . ( 1 ) La filos. contemp. in Italia, Napoli , Morano , 1876, p . 195. ( 2) Psicologia, 8 32. ( 3) Saggio, libro III , § 77. ( 4) LASTRUCCI, p. 213. Il GALLUPPI ( lib. III , $ 77 del Saggio) non parla di esperienza , ma di sensazioni, supposte cronologicamente como a condizione indispensabile » delle idee d'identità e diversità . (5) Saggio , III, 76. ( 6) Vedi anche Lettere filosof ., XIV , p. 347. 240 CAPITOLO VII - 40. Soggettive pur sono le idee di causa e di sostanza . Ma il Galluppi distingue fra soggettivo e soggettivo . V'ha, egli dice , il soggettivo rispetto all'origine, e v’ha il soggettivo rispetto al valore ; e altrettanto dicasi dell'oggettivo. Altra è la questione dell'origine delle conoscenze , altra è la questione della realtà loro . « Io dichiaro , scrive l'autore , che per oggettivo in tendo ciò che nelle nostre cognizioni deriva dagli oggetti che si conoscono, e per soggettivo ciò che nelle stesse deriva dal soggetto conoscitore . Questi due vocaboli si prendono ancora in un altro senso, quando si parla della realtà delle nostre conoscenze : l'og gettivo dinota allora quell'elemento della nostra conoscenza , a cui corisponde una realtà in sè , ed il soggettivo dinota ciò a cui non corrisponde nessuna realtà » ( 1 ) . Dunque le idee di causa di sostanza sono soggettive per l'origine, ed oggettive rispetto alla realtà, epperò si dicono relazioni reali , laddove, quelle di identità e di diversità sono soggettive , e per l'origine e pel valore , e son dette perciò semplici relazioni logiche . E però resta fermo, che anche le idee di sostanza e di causa siano un prodotto dell'attività sin . tetica dell'intelligenza, perchè da essa derivano ; il senso è inca pace di darcele . Se non che esse, invece di avere un semplice valore logico , hanno una corrispondenza nella realtà , pel nesso, che è tra la sostanza e i modi, tra la causa e l'effetto . 41. Ma il Galluppi dice che il rapporto della sintesi reale ( sia di causa , sia di sostanza ) è dato dall'esperienza . Si , ma devesi inten dere, dato rispetto alla realtà oggettiva di cotesto rapporto. Dato in quel luogo del Galluppi , che pur bisogna metter di accordo con tutta la sua dottrina, vale solo oggettivo (rispetto al valore). 42. La difficoltà vera è la seguente : come ciò che è soggettivo rispetto all'origine , può essere oggettivo rispetto al valore ? Que sto è lo scoglio della filosofia della esperienza propugnata dal Gal luppi ; ma è pur uopo notare i grandi sforzi fatti da lui per evi tarlo. S'egli si fosse sempre ricordato dell'osservazione, dianzi ac cennata , relativa alla comune definizione delle idee : che cioè non bisogna separare ed opporre oggetto a soggetto, ove non si vo glia incorrere nello scetticismo , non avrebbe avvertita nessuna dif ficoltà in questa questione della sintesi , circa la soggettività della sua origine e l'oggettività del valore. Egli non avrebbe concepito un'oggettività distinta dalla soggettività. ( 1 ) Saggio, lib . III , $ 46 ; tom . III , p. 159-60 . PASQUALE GALLUPPI - 241 43. Di quell'osservazione fondamentale si ricorda certamente nella sua teoria dell'oggettività di tutte le sensazioni, quando af ferma che la sensazione è la intuizione dell'oggetto , e sog giunge : « Per non far nascere equivoco in una materia molto importante, io chiamo intuizione la percezione immediata dell'og getto , in modo che l'esistenza della percezione supponga neces sariamente quella dell'oggetto . Se ogni sensazione è di sua na tura la percezione di un oggetto esterno al principio sensitivo ( 1 ) , se quest'oggetto non è rappresentato dalla sensazione, esso è dunque reale, come è reale la sensazione. La realtà dunque del l'oggetto sentito mi è data dall'atto della coscienza ; il quale mi . dà la realtà della sensazione : ecco dunque la realtà esterna fra le verità primitive di fatto ; ecco risoluto uno dei problemi fon damentali nella critica della conoscenza » ( Saggio, lib . II , § 71 ) . In tutta la teoria dell'oggettività del conoscere si può dire adun que, che il Galluppi confermi ciò che aveva detto fin dal primo capitolo del suo Saggio circa la coscienza, o conoscenza prima , conoscenza del me e dei suoi modi ; coscienza fatta consistere appunto in un'intuizione immediata, tale che « fra questa perce zione e gli oggetti percepiti non v'ha alcun intervallo » . Pare che per tutta la sfera della conoscenza immediata ei sia disposto a chiedere, come aveva chiesto infatti a proposito della comune definizione delle idee in generale: « Se gli oggetti, se la regione dell'esistenza son separati dallo spirito , chi getta un ponte per passare dal pensiero all'esistenza , all'oggetto ? » - Argomento insolubile, com'egli dice , ai filosofi dommatici. 44. Senso ed oggetto , sia che si tratti di senso intimo o di senso esterno , non si possono scompagnare. Il senso è la misura adeguata e sicura della realtà, comecchè il dato del senso debba poi venire elaborato dalla forza analitica e sintetica dello spirito onde si perviene alle idee e a'giudizi. Il senso costituisce , per le idee e i giudizi cui dà luogo, l'esperienza primitiva o imme ( 1 ) Il Galluppi non ammette l'incosciente : « La scuola di Leibniz ammotte delle percezioni di cui non si ha coscienza : alcuni Allosofi adottano questa opinione ; ma molti altri, co' quali io son d'accordo, non ammettono alcuna percezione, di cui non si abbia coscienza ... Non si può percepiro alcun oggetto come un fuor di me, senza perco pire il me, poichè la percezione di un di fuori è ossenzialmente la porcezione di più oggetti ; se non vi ha due oggetti , non vi è un di fuori. Se la percezione di un ſuor di me non è possibile senza quella del me, segue che non possono esservi nello spirito delle percezioni senza osser sentite ) . Elem . di psicologia , 8 XVII. 16 242 CAPITOLO VII diata ( 1 ) ; immediata rispetto all'oggetto , in cui s'appunta imme diatamente nella intuizione. Dall'esperienza primitiva va distinta poi la comparata, o derivata o secondaria , la quale consta dei giu dizi d'identità o diversità che noi portiamo sulle idee offerteci dalla primitiva esperienza : giudizi d'un valore puramente logico e soggettivo . I giudizi della esperienza immediata hanno per og getto gl'individui . Questa acqua ha la qualità di estinguer la sete . Questo calorico liquefà la neve vicina . Sono giudizi particolari, che non si possono generalizzare, nè possono costituire l'esperienza secondaria , fondamento delle scienze , se con le impressioni sensibili , coi dati oggettivi non si combinano quegli elementi soggettivi , che sono le due vedute dell'identità e diversità . Per dire la propo sizione generale : l'acqua estingue le sete , - io devo, in seguito alle successive esperienze delle varie acque che m'hanno estinto la sete , comprendere sotto una nozione generale tutte queste acque , e le azioni loro di estinguer la sete ; il che significa che lo spirito dee vedere un rapporto d'identità fra questi soggetti particolari e fra le loro particolari qualità ( 2) ; rapporto d'identità che il senso non mi può fornire ; perchè esso non mi dà che successivamente le singole acque. 45. Della scienza si potrà dire giustamente che è una costru zione soggettiva per mezzo dei materiali offerti dalla esperienza primitiva. Il Galluppi, in verità , non può attribuire altro valore che questo , che è il kantiano , alla scienza. Se la conoscenza vera della natura ci vien fornita dalla scienza , anch'egli deve dire.col Kant, che lo spirito , legando gli sparsi caratteri datigli dal senso , costruisce il gran libro dalla natura . Eppure.egli ritiuta ( Saggio , III , S 83) una tal soluzione. « La distinzione delle due esperienze, egli dice , è della più alta importanza, per determi nare il valore delle nostre conoscenze » ( $ 78) . È della più alta importanza, perchè se i rapporti di sintesi ideale nell'esperienza derivata sono soggettivi , quelli di sintesi reale nell'altra espe rienza sono essenzialmente oggettivi; in questa esperienza (pri mitiva ) l'esistenze son date allo spirito : egli ne è spettatore , e non il conoscitore : una connessione fra l'esistenze gli è anche data : egli dee conoscerla , non ispiegarla o comprenderla » (S 83) . Ma questa distinzione non tocca punto la soggettività della scienza , in quanto prodotto della sintesi ideale ; anzi la conferma. Il Gal ( 1 ) Saggio , lib. III , $ 78, tom . III , p. 275 . ( 2) Soggio, loc . cit. PASQUALE GALLUPPI 243 luppi nella epistemologia è un kantiano puro. Checchè egli ne dica , tale è la sua dottrina. 46. Ed ecco la stridente contraddizione cui lo condusse il suo voluto sperimentalismo. La scienza , la parte più certa della cono scenza, è soggettiva ; e la conoscenza sensibile è di sua natura oggettiva ; che , per lui , è come dire che la scienza è rosa dal tarlo dello scetticismo , laddove l'esperienza sensibile è certa e reale . Le conoscenze necessarie ed universali , che sono il pernio di ogni specie di conoscenze, hanno un valore puramente logico, e le conoscenze contingenti e particolari sono reali . Il che avrebbe dovuto condurre il Galluppi al più schietto nominalismo ; perchè se le nostre conoscenze veramente oggettive , sono quelle dateci dai giudizi particolari dell'esperienza immediata, sfuma la realtà dell'universale . E un realista il Galluppi certamente non Egli combatte tuttavia l'empirismo nominalistico di taluni seguaci del Locke, come l'Helvetius , i quali negano le idee universali , asse rendo che quelle, che tali appariscono , non sono se non termini generali , vocaboli vôti di senso . « Perchè , dice il Galluppi , al ve dere un uomo che non abbiamo giammai veduto , noi diciamo è un uomo ? Se non avessimo un'idea universale di questa specie, come vi rapporteremmo quest'individuo ? L'esistenza delle idee universali nello spirito è talmente attestato dalla intima coscienza , che si dura fatica a supporre che vi sia stato chi l'abbia contra stata » ( Saggio, $ 27 , lib . I ) . Nè anche il Locke , secondo il Gal luppi ( 1 ) , nega le idee universali ; e come Locke egli è concettua lista . Siamo sempre lì : la cognizione universale , scientifica ha sì un valore , ma un valore logico . 47. E al Rosmini , che gli dichiarava in una sua lettera di non vedere « come dal soggetto possa venire l'universalità e la neces sità delle cognizioni . Il soggetto è essere particolare e contingente, e non può produrre un effetto maggiore di sè » ; egli rispondeva, che la necessità che ha luogo nelle cognizioni, è una semplice « legge logica del pensiero umano » , da non confondersi con la ne cessità metafisica; legge logica espressa dal principio di contrad dizione , e , come ogni altra modificazione dell'anima nostra , me ramente soggettiva . E aveva un bel ribattere il Rosmini , che la necessità logica e la necessità metafisica non sono in fondo che una sola necessità ( in questo punto è tutta la novità, non pic ( 1 ) Cita il lib. III , cap. 3. ° del Saggio , dove il Locke spiega la gonesi delle idee universali . 244 CAPITOLO VII cola , – del Rosmini verso il Galluppi) : « Io non suppongo mica, replicava il Galluppi, che vi sia una necessità metafisica distinta dalla necessità logica ; ma solamente combatto quei filosofi che riguardano quella necessità, che è meramente logica , come una necessità metafisica , che trasformano la prima nella seconda..... L'origine di tal necessità ( logica ) mi sembra già determinata ; essa è nella natura del soggetto ..... noi non dobbiamo cercarne la causa efficiente, ma arrestarci alla causa formale di tal neces sità » ( 1 ) . La sua scienza , perciò abbiamo detto altra volta , come quella di Kant, s'è chiusa nella cerchia invalicabile del fe nomeno ; sicchè egli riesce , per la scienza, a quel criticismo che voleva correggere . 48. Gli sarebbe bastato estendere la - sua teoria della sensibi lità o meglio dell'esperienza primitiva alla esperienza secondaria . Non l'ha fatto , perchè gli premeva salvare la realtà del mondo esterno ; e così s'è messo in disaccordo con se stesso , accoppiando al criticismo puro dell'epistemologia il più crudo dommatismo nella gnoseologia. I due elementi in lui non si fondono, e un'in tima contraddizione travaglia tutta la sua filosofia. 49. Infatti ammessa giustamente come soggettiva l'origine della nozione che abbiamo della connessione reale delle cose ( come sostanza o come causa , sussistenza, egli dice per lo più, ed effi cienza ), il valore oggettivo delle medesime non può essere e non è infatti nel Galluppi, che una semplice affermazione dommatica. La percezione del me è la percezione di un soggetto con le sue modificazioni. Sicchè, egli dice , nella coscienza del me , – che è il principio della nostra filosofia , è data « 1. ° la connessione fra la percezione e l'oggetto ; 2.º fra il soggetto e la modificazione ; 3." fra la causa e l'effetto , il che vale quanto dire , che in questo fatto primitivo ci è data la base della filosofia , e la realtà delle nostre conoscenze » ( 2 ) . Su per giù , è sempre questa la dimostra zione data dal Galluppi della realtà delle connessioni tra sostanza e modi, tra causa ed effetto. Le connessioni sono reali, perchè il me, termine reale della coscienza è soggetto (sostanza ) di modifi cazioni, e queste modificazioni a lor volta sono effetto dell'azione del mondo esterno . Ma i termini noi possiamo percepire, non i rapporti: e i termini in quanto connessi nel loro rapporto non pos siamo percepirli , se non applicando ad essi quelle nozioni di rap ( 1 ) Rosmini e Gioberti, pp. 77-80 . ( 2 ) Saggio , lib . II , 8 74 ; tom . II , p . 161-2. PASQUALE GALLUPPI 245 porto , onde già dobbiamo essere forniti. Chi ci garantisce che i rapporti, che con queste nostre vedute, di origine soggettiva , noi scorgiamo tra i termini percepiti , abbiano un fondamento ogget tivo ? Chi ci costruisce questa volta il famoso ponte di passaggio dal soggetto all'oggetto ? Chi ci sottrae a quell'argomento inso lubile ? Il dommatismo è evidente . 50. C'è un passo, nel terzo libro ( 1 ) del Saggio, contro la sin tesi a priori di Kant , che merita qui speciale considerazione. « Il filosofo di cui parliamo, – scrive il Galluppi, ha confuso l'operazione sintetica co'suoi prodotti, che sono le percezioni del rapporto fra le idee paragonate. Allora che lo spirito rapporta un termine della relazione all'altro, egli esegue una sintesi, la quale è il principio efficiente che pone un termine rapportato. Lo spi rito nel termine rapportato vede un rapporto, ed esegue con ciò un'analisi , indi unisce questo rapporto , che aveva separato dal termine rapportato allo stesso termine, e compie il giudizio. Lo spirito , prima della comparazione, non aveva che il termine della relazione : dopo la comparazione ha un termine rapportato : l’atti vità sintetica ha dunque posto dal suo fondo, nel termine della relazione , il rapporto , e questo rapporto è un elemento sogget tivo aggiunto all'oggettivo » . - Quale che sia il valore di questa osservazione contro il giudizio sintetico a priori ( io non credo che ne abbia alcuno ; chè il giudizio è già avvenuto con quella prima operazione dell'attività sintetica , che consiste nel rapportare i termini), certo è notevole e giusto il concetto del soggettivismo dei rapporti accennato qui dall'autore ; ma vi apparisce pure evidente falso concetto che ei s'è formato dell'oggetto . Ter mine e termine rapportato son cose differentissime; il primo è un dato , il secondo è il prodotto di quel principio efficiente, che è la sintesi . Ma il termine è termine in quanto è termine rapportato ; sicchè il termine si può dire che venga posto , rità , dall'attività sintetica dello spirito . E questa è la dottrina di Kant. Ma se il Galluppi ne avesse piena consapevolezza , non do vrebbe dire , che lo spirito PRIMA della comparazione non aveva che il termine della relazione. No , non aveva niente : non c'è prima il termine , l'elemento oggettivo, a cui dopo venga ad ag giungersi l'elemento soggettivo, il rapporto : termine e rapporto nascono ad un parto, nè lo spirito può percepire il termine della relazione , senza il rapporto , nè questo rapporto è nulla di con ( 1 ) $ 81 ; tom. III , pag. 283. 246 CAPITOLO VII creto fuori dei termini ai quali viene applicato . Questo prima e questo dopo, di cui parla il Galluppi, accusano quella separazione di oggetto e soggetto, quella opposizione da lui già criticata come punto di partenza donde non sia dato arrivare a una conoscenza certa . 51. Sicché , anche per le nozioni di identità e diversità ( alle quali , s'intende , egli si riferisce nel passo ora citato) il Galluppi si di batte nelle strette della soggettività , come qualcosa di differente e assolutamente opposta a quella oggettività , che s'era proposto di fondare contro il criticismo kantiano. Ma le sue velleità empi ristiche rompono sempre in quel principio fondamentale della co scienza di sè , preso dalla filosofia di Cartesio, onde si nutrì , come abbiamo notato , la mente di lui nel suo primo periodo speculativo . E la conclusione del Saggio filosofico è che tutti i motivi dei no stri giudizii (senso intimo, sensi esterni, evidenza, memoria, razio cinio e testimonianza degli altri uomini) « hanno per motivo me diato ed ultimo il senso intimo » : e quindi « tutta la scienza dell'uomo riposa su la base unica della coscienza di se stesso, e chiunque tenta di toglier questa base è indegno, che si ragioni con lui ; poichè non si ragiona col nulla » ( 1 ) . E così nella chiusa delle Lettere filosofiche: « Io ho poggiato – dichiara l'autore su la veracità della coscienza la veracità di tutti gli altri nostri mezzi di conoscere ... ; non si può supporre la veracità di alcun mezzo di conoscere senza supporre la veracità della coscienza, e supponendo la veracità della coscienza , la veracità di tutti gli altri nostri mezzi di conoscere segue necessariamente . Così , secondo me, l'aliquid inconcussum è nella coscienza, ed essa è la base di tutto il sapere umano » ( 2) . 52. Ma se si ricordasse sempre, che principio e aliquid incon cussum è la coscienza, il Galluppi non dovrebbe parlare mai di quella oggettività indipendente dal soggetto , alla quale vuol ripor tare le relazioni di sostanza e di causalità ; e in verità non riesce a scoprirne che una origine soggettiva e a darne una giustifi cazione, come s'è visto , fondata unicamente sul sentimento del me. Si potrebbe dire , che egli parla di un oggetto soggettivo for nitoci dalla sensazione, che da lui è detta di sua natura oggettiva . Egli , infatti, rigetta la distinzione di qualità primarie e secondarie, come arbitraria e falsa , e sostiene che tutte le nostre sensazioni ( 1 ) Saygio, lib . IV, § 3 ; tom . V , p. 58 . ( 2) Ediz . cit. , p. 348 . PASQUALE GALLUPPI 247 soggettive , nè più nè meno di quel senso del tatto , in cui Con dillac indicava il filo d'Arianna col quale si potesse uscire dal labirinto della soggettività, « convengono in ciò , che tutte sono le percezioni di un soggetto esterno ; son differenti, poichè sono i modi diversi di percepir questo soggetto : questi modi diversi di percepirlo costituiscono per noi le diverse qualità degli oggetti esterni , le quali sono perciò i diversi rapporti di questi oggetti con noi » ( 1 ) ; e che, « qualunque ipotesi si adotti su la natura de ' corpi , è incontrastabile che il mondo dei corpi non esiste nel modo in cui ci apparisce ; e che noi non conosciamo dei corpi se non le qualità relative » , talchè il pensiero bensì è una realtà in sè ( 2) , « ma l'estensione non è almeno certo se sia una realtà o un fenomeno » ( 3 ) e addirittura « la conoscenza che noi abbiamo de ' corpi è meramente fenomenica > ( 4 ) . E però il Galluppi non può parlare se non di un oggetto soggettivo , di un oggetto termine essenziale del soggetto . 53. Ma allora perchè contrapporre oggetto a soggetto , e sin tesi reale a sintesi ideale ? Siamo sempre nella sfera del soggetto, e l'attività sintetica dello spirito darà luogo sempre a una sin tesi ideale . Dov'è il punto di separazione tra la res e l'idea ? Non rampollano entrambe dalla coscienza di se ? 54. Per metter d'accordo Galluppi con se stesso dovremmo dire , che quello che ei dice sintesi reale e sintesi ideale non siano se non due gradi della sintesi soggettiva, qualche cosa di simile della sintesi di primo e di secondo grado, che lo Spa venta e il Tocco han rilevate in Kant. Vale a dire , bisognerebbe anche la sintesi reale ritenere pura operazione soggettiva; ma non tanto soggettiva quanto la ideale, perchè l'una si esercita su una relazione che la coscienza , questo ultimo motivo , questa. norma suprema della verità , attribuisce al mondo esterno, lad dove l'altra non ragguaglia che termini aventi un valore logico . La sintesi reale coglie, diciamo così , i rapporti degli individui , in cui , secondo il Galluppi, consiste la realtà ; la sintesi ideale co glie , invece , i rapporti che intercedono tra le idee generali, già formate per la forza analitica e sintetica dello spirito . Di modo che la materia della sintesi reale è oggettiva, nel senso che di ( 1 ) Elem , di Psicologia , S XVII , pp. 27-28 . ( 2) Non vi ha fenomeni nel santuario del mio essero , dice il GALLUPPI, Saggio, lib . IV , § 4 ; tom . V, p. 63. ( 3) Iri. ( 4) Saggio , lib. IV , S 100 ; tom . V, p. 420. 248 CAPITOLO VII cemmo poter avere pel Galluppi l'oggetto ; e la materia della ideale è una pura formazione soggettiva. E se la coscienza ha da es sere sempre la fonte della verità , se noi non possiamo parlare di altra verità , se non di quella che tale apparisce alla coscienza , i rapporti che si scoprono dall'attività sintetica nella materia og gettiva saranno rapporti reali, e si potrà pur dire che siano og gettivi pel valore ( poichè il valore è attestato dalla coscienza) ; e i rapporti che dalla stessa attività sintetica si scoprono nella materia soggettiva, non possono avere più che un valore logico , perchè sono rapporti di concetti, ci concetti nel concettualismo del Galluppi non sono reali . Alla coscienza i rapporti appariscono tali quali appariscono i termini che essi connettono ; fra termini oggettivi , rapporti reali; fra termini astratti e soggettivi , rap porti ideali . I termini infatti non possono essere percepiti per quel che sono, se non coi loro rapporti, coi quali e pei quali vengono ad essere quei dati termini. 55. Ma allora non bisogna separare la facoltà dell'analisi e della sintesi da quella della sensibilità ( o coscienza ), come fa il Galluppi ; perchè la sensibilità come tale non potrà mai percepire un rapporto , come bene ha avvertito il Galluppi stesso . Allora bisogna andare molto più addentro , che questi non sia andato , nel concetto dell'unità del me. 56. Certo è che il Galluppi, mosso a scrivere il suo Saggio, che è la sua opera capitale , dal bisogno di assodare la realtà del cono scere contro la Critica di Kant , non riesce a distrigarsi dal sog gettivismo nella epistemologia ; e nella gnoseologia vi riesce solo contrapponendo al criticismo kantiano un oggetto , che non è tale se non per un dommatismo preso dalla coscienza volgare , e che non può non metter capo nella tesi scettica del criticismo, appena venga innanzi alla riflessione scientifica ( 1 ) . La sua stessa critica perpetua al Kant, e quell'oscillare continuo tra le lodi più sincere e il biasimo più acerbo del criticismo, dimostrano l'acutezza del suo spirito, che intende la gravità del problema sol ( 1 ) Il Rosmini il 3 giugno 1840 scriveva al p. Giacomo Maso & Roma : « Pare a lei che la filosofia del prof. Galluppi sia veramente sana ? Noti bene, non metto in dubbio le intenzioni dell'ottimo calabrese, a cui professo sincera stima ; parlo solo della sua filo sofia ; di questa dubito , o piuttosto non dubito ; perocchè agli occhi miei ella si volge in circolo perpetuo dentro al soggetto -uomo, e nel soggetto -uomo non vi ha nulla d’immu tabilo : manca il punto fermo a cui appoggiare la leva » . Vedi La Sapienza del 1883, vol. VIII , p. 402. PASQUALE GALLUPPI 249 levato dal Kant , e insieme la sua impotenza ad uscire da quel cer chio sconfortante segnato dal filosofo di Koenigsberg attorno allo spirito umano ; l'impotenza in cui rimase per non essere salito al concetto adeguato di quella coscienza, che è il Primo della sua costruzione filosofica . E dopo quattro libri di discussioni, di polemiche contro quei filosofi, trascendentali, che non si sa « se siano filosofi che ragionano , oppure frenetici che delirano » ( 1 ) , il Saggio filosofico finisce anch'esso nella tristezza del mistero : « La scienza umana è limitata . Essa può successivamente perfezionarsi. Ma essa non può oltrepassare certi limiti » . Non fu più reciso l'ignorabimus del Du Bois Reymond ( 2) . 57. E il primo limite dello spirito umano , secondo il Galluppi, è questo : « noi abbiamo una nozione generale della sostanza , ma noi non conosciamo affatto la natura , o come suol dirsi , l'es senza di ciascuna sostanza in particolare ( 3 ) . E fin qui ha ragione Kant. Secondo limite : « ignorando le prime sostanze, ignorar dobbiamo il come le cause efficienti producono i loro effetti ; e l'efficienza è per noi un mistero » . Dunque nè anche nel ritener soggettivo il rapporto di causalità aveva poi un gran torto Kant! ( - ) . Ma « tutto quello , che è incomprensibile, non è mica assurdo » , avverte il Galluppi ; e questo basta a salvare la crea zione. Terzo limite : « noi ignoriamo affatto le qualità assolute de ' primi componenti de'corpi ; noi conosciamo alcune qualità rela tive di alcuni aggregati delle prime sostanze della materia ... I corpi non sono tali quali a noi si manifestano » ( $ 100 ). E que sto , in verità, è un po ' più di quel che sostiene Kant : pel quale, se il noumeno va distinto dal fenomeno, appunto perchè ignoto , non si può dire che differisca dal fenomeno stesso . Differirà ? Non differirà ? Se a queste domande si desse una risposta, non si avrebbe più un noumeno . Qui , dunque, Galluppi è più kantiano di Kant. Quarto limite : la conoscenza importa successione, processo , passare da un principio a ciò che ne procede : ma Dio è ne ( 1 ) Passo del Saggio che il prof. CREDARO raccomanda « a coloro che fanno del Gal luppi un kantiano » ; ni kantismo in G. D. Romagnosi, in Riv. ital. di filos . del 1887, vol . II , p. 59, n. 2. ( 2) Vedi il celebre opuscolo Ueber d. Grenzen d . Naturerkenntniss, Lipsia , 1872 ; e LANGE, Gesch . d . Materialismus, 3." ediz ., Iserlohn , 1876 , pp . 148 sogg. ( 3 ) Saggio , lib . IV , cap. X ed ultimo, & 98 ; tom . V, p . 418. ( 4) Saggio , ivi, $ 99. 250 CAPITOLO VII lui > gazione assoluta di ogni successione : « in questo essere infinito non vi è alcuna cosa che precede l'altra ; perciò la sua natura ci è perfettamente inesplicabile ed incomprensibile. I metafisici intanto non si credono tutti incapaci di comprendere la natura Divina > ; ma uno di essi , e de' più moderati, il Genovesi , avendo tentato, per esempio , di concepire in che modo questo mondo fosse architettato da Dio , non è riuscito che a una spiegazione contraddit toria . « Il volere spiegare l'atto creatore intelligente è una con traddizione ; poichè è un supporre qualche cosa antecedente a (come il Genovesi era costretto a porre in Dio prima l'essere e poi il conoscere , prima il conoscere e poi il volere o l'ope rare) . Questo è incomprensibile, e lo scrutatore della divina maestà resta oppresso dalla sua gloria Proposizioni che non hanno forse il rigore scientifico della Dialettica trascendentale, ma che riescono , mi pare , al medesimo risultato . Che più ? Kant riconosce come tutti i filosofi moderni il grande valore delle matematiche; ma anche in esse il Galluppi trova dei limiti. Noi conosciamo esattamente, egli dice , le relazioni logiche tra le nostre idee astratte ; e ne son prova l'aritmetica e la geo metria . « Ma noi non conosciamo tutte queste relazioni, perchè il loro numero è inesauribile; e la conoscenza di queste relazioni non si estende quanto le nostre idee » « La nostra scienza è percið molto limitata sotto tutti i riguardi » ( 1 ) egli conclude : ed è la conclusione del Saggio intero , vale a dire della sua filosofia sperimentale . 58. Questo mi pare criticismo schietto , sufficiente di certo a fare ascrivere il Galluppi alla direzione kantiana , pur con tutte le sue più o meno ragionevoli invettive contro il soggettivismo del Kant ; se anche Alfonso Testa , che altri disse « l'unico kantiano, che abbia avuto l'Italia » ( 2) , era pur persuaso che il Kant , distrug gendo il sensismo, non fosse riuscito a sostituirvi altro che « un sistema soggettivo che distrugge la scienza verace » ( 3) . 59. Molto ha contribuito a mascherare il kantismo galluppiano , e ben più che le sue dichiarazioni e le sue proteste , che non ( 1 ) Vedi il capo X ed ultimo del lib. IV del Saygio . ( 2) L. CREDARO, A. Testa e i primordii del kantismo in Italia , in Rendic. Acc. Lin cei, 1886, S IV, III , p. 241. Vedi dello stesso CREDARO Il kantismo in G. D. Romagnosi ( in Riv . it. d. filos., 1887, vol. II, p. 59 n. ) , dove si oppone a chi fa del Galluppi un kan tiano, uno dei soliti passi del Saggio contro il trascendentalismo. ( 3) Come scrisse nel suo ultimo libro La mente dell'ab. G. Taverna , Genova , 1851 , p. 82. PASQUALE GALLUPPI 251 hanno o non dovrebbero avere molto valore per la valutazione del critico -, alcune speciali dottrine , che basta accennare bre vemente. 60. E in primo luogo : rifiuta nientemeno che la stessa sintesi a priori , che è come dire il nocciolo sostanziale del kantismo . « La distinzione , che la scuola trascendentale pone fra i giudizii analitici ed i giudizii sintetici (a priori) è assurda » . Queste son parole del Galluppi . E qui non si tratta di una semplice afferma zione. C'è anche la prova. « Se le due idee A e B non hanno alcuna identità fra di esse , lo spirito non può riguardarle che come distinte, e senz'alcun legame fra di loro : è impossibile , dun que, ch'egli vi percepisca un rapporto necessario di convenienza fra di esse : dire in conseguenza che lo spirito dee percepire neces sariamente un rapporto di convenienza fra due idee diverse , è affermare, che lo spirito pud pronunciare una contraddizione evi dente... Tutt'i giudizi necessarii debbono, in ultima analisi , risol versi nel principio di contraddizione : essi son dunque tutti ana litici , ed i giudizii a priori non possono essere che necessarii. Ammettere dei giudizi necessarii non poggiati sul principio di contraddizione , è un assurdo manifesto . Se lo spirito non vede alcuna contraddizione nell'opposto di un suo giudizio, egli non può certamente riguardarlo come necessario . I giudizi sintetici a priori non possono dunque esistere » ( 1 ) . Somiglia non po ' , a dir vero, al ragionamento di quel tale aristotelico restio agl'inviti di Galileo di guardare attraverso il cannocchiale ; ma è il ragio namento del Galluppi ; e questo basta allo storico, il quale dirà che il filosofo di Tropea, chiuso nel cerchio della logica formale e nel ferreo apriorismo delle sue regole , non poteva ammettere e non ammise il risultato principale della Critica kantiana, che è la sintesi a priori. « In effetto , – egli dice negli Elementi di logica pura (S XV) , – un principio sintetico, puro , a priori come Kant lo suppone , è una cosa contraria alle nozioni fondamen tali di una sana logica » . Infatti, egli soggiunge , prescindendo dall'esperienza , nella sfera delle mie idee , io non posso unire B con A, se non riconoscendo che B è uguale ad A, o ne fa almeno parte . Che se B eccedesse realmente A in estensione , in valore , come potrei attribuire ad A, come sua proprietà, tale eccedente di B, non ritrovato in A ? ( 1 ) Saggio , lib. I , cap . IV , s 116 ; tom . I , p. 241-2. 252 CAPITOLO VII 61. Così la critica del Saggio è confermata negli Elementi con esplicito appello alle leggi della logica formale, per la quale cer tamente non è possibile la sintesi a priori kantiana, perchè l'iden tità non è conciliabile con la differenza, e se la necessità richiede l'identità , rifugge dalla differenza ( 1 ) . 62. È inutile mostrare il valore della critica galluppiana , fon data come quella del Degerando con cui va raffrontata , e quella stessa del Rosmini, sopra l'intelligenza della sintesi a priori de sunta dalla sola Introduzione alla Critica della ragion pura (nella 2.a edizione) coi famosi esempii: 7 + 5 12 ecc. Giova piuttosto ricordare che la vera sintesi a priori non con siste propriamente nell'unione di predicati a soggetti, onde siano già belli e formati i concetti ; bensi nella formazione medesima dei concetti: problema, di cui non s'accorse affatto il Galluppi, a proposito di Kant , ma riprodusse, del resto , e risolvette egual mente nella sua teoria dell'analisi e della sintesi , che , munite dei rapporti soggettivi dell'identità e diversità , servono anzi tutto alla formazione delle idee , e nella sua teoria del giudizio, essen zialmente distinto dal sentire, e necessario alla percezione di qualsiasi rapporto . 63. Questa della sintesi a priori è uno dei motivi prediletti della critica italiana intorno alle dottrine del Kant, e ricorre spesso nei libri del Galluppi ( 2 ) . Ma non è la sola teoria kantiana che egli ( 1 ) Ma, so sintesi a priori e logica formale sono assolutamente inconciliabili , non biso gna conchiudore : dunque, aut aut : o si rifiuta la sintesi a priori, o si rifiuta la logica formale . Su questo punto si fa , secondo me, molta confusione. Vi tornerò su in un mio prossimo lavoro ; qui voglio solamente aggiungere, che la dottrina della sintesi a priori fa parte della teoria della formazione delle conoscenze ; laddove la logica formale studia i rapporti delle conoscenze già formate o delle conoscenze in sè ; e notare, che se il pon siero non ha da essere un quissimile del vano lavoro delle Danaidi, non s'ha da far consistere solo in un accroscimento delle conoscenze , ma anche in un'intuiziono delle già acquisite. ( 2) Un anonimo già nel 1832 notava in un opuscolo molto arguto e tagliente contro il nuovo professore dell'Università, che le belle ed acute riflessioni, con cui il Galluppi combatte nel § XVII degli Elementi della logica pura il giudizio sintetico a priori, sono tolte da LAROMIGUIÈRE, Leçons de philos. , p. I , 1. 3 e 5. Vedi : Degli Elementi e della Introd . allo studio della filos. del celebre Bar. Galluppi, giudizio dato all'editore da un suo amico, Napoli , De Bonis, 1832, 8 37 , p. 42. · L'opuscolo reca la data di Napoli, 14 di cembre 1831. Scritto con molta vivacità e castigatezza di lingua, rimprovera al Galluppi l'inesattezze di certi suoi esempii presi dalla geometria e dall'algebra , l'ignoranza in ge nerale delle scienze fisiche e naturali, la scarna o niuna cognizione dei classici antichi PASQUALE GALLUPPI 253 combatta. Anzi, non v'è quasi teoria esposta nella Critica della ragion pura che venga risparmiata nel lib . III del Saggio gal luppiano e nelle parti delle altre opere che ne dipendono . Lo spa zio, il tempo, le categorie, lo schematismo, la dialettica trascen dentale gli offrono materia di lunghe e energiche discussioni, il cui scopo è sempre la confutazione del Kant. Aggiungi le fre quenti proteste contro il trascendentalismo e l'idealismo, che pel Galluppi equivalgono allo scetticismo, proteste nelle quali il Gal luppi unisce al Kant il Fichte e lo Schelling ( 1 ) , per quel poco che ne poteva conoscere da traduzioni o esposizioni francesi ; cd è evidente , che il lettore sbadato e il critico ottuso non potes sero e non possano vedere il filosofo di Tropea che agli antipodi di quello di Koenigsberg. 64. Il vero è che per un'esatta intelligenza delle dottrine di questo , il primo incontrava insormontabili difficoltà nei limiti della sua cultura ; la quale non si estendeva oltre la letteratura filosofica italiana e francese e alle traduzioni (allora pochissime e affatto insufficienti) che c'erano in queste lingue delle opere tedesche. Quello che poteva intravvederne indirettamente, era na turale che gli dovesse riuscire oscurissimo, e restargli innanzi con tali lacune, che s'egli ne avesse avuto coscienza, non sareb besi certo provato alla critica della filosofia tedesca. Egli, scrit tore chiarissimo e pensatore analitico per eccellenza , manifesta mente soffriva nello studio che poteva fare di quegli scrittori. Nella critica del Fichte, sforzandosi d'intendere il vero signifi della filosofia , la leggerezza nell'appigliarsi alla moda francese, e quindi la pedanteria e confusione del metodo analitico imitato dagli ideologi, e perfino i barbarismi e le im proprietà di espressione. L'opuscolo pare facesse una certa impressione. Il Galluppi ri spose col silenzio ; ma i suoi scolari con due opuscoli : Di un giudizio dato da ignoto giudice sur alcune parole del chiarissimo B. P. G. appella VINCENZIO MORENO , Napoli, Trani, 1832 ; Al giudizio dato da un anonimo su talune opere del chiarissimo P. G. risposta di GIUSEPPE PISANELLI, Napoli, Ruberto o Lotti, 1833. Curioso l'opuscolo del Pisanelli nella parte in cui difende il Galluppi scrittore, per l'enfatica digressione che vi è contro il purismo ( pp. 28-36 ). Per questa parte invece il Moreno riconosceva che il G. non fosse puro elegante e gentil dicitore ( p. 17) ; il che non toglieva ch'ei fosse, alla sua volta , pessimo scrittore . ( 1 ) Vodi le Considerazioni filosofiche su l'idealismo trascendentale e sul razionalismo assoluto ( Napoli , 1841 ). Di Schelling non pare che conoscosse nulla di originale , all'infuori della trad . francese del Bruno. Del Fichte cita la trad . francese della Bestimmung des Menschen . 254 CAPITOLO VII cato della costui dottrina dell'Io puro, dichiarava ai colleghi del l'Accademia francese : Qui l'oscurità alemanna comincia ad affliggermi; io che non amo ne' discorsi filosofici, se non che la chiarezza e la precisione , son qui circondato dalle più dense te nebre » ( 1) . E terminava la sua memoria invocando le regole wol fiane De stylo philosophico, e domandando agli amici della verità e del progresso della filosofia , se « lo scrivere i trattati filosofici in un modo più oscuro di quello , in cui è scritta la Teogonia di Esiodo, è esso un segno di progresso verso la verità o pure verso l'errore » (2) 65. Altri più recentemente si son lagnati dell'oscurità di alcuni scrittori filosofici, e si son levati in difesa del bello stile . Ma, come nel caso del Galluppi , molto spesso l'oscurità che si vede negli autori , non dipende da un loro difetto, sibbene dalla insufficienza nostra a intenderli ; chè nessuno è chiaro a chi non sia preparato e non procuri in ogni modo e con ogni mezzo d'intendere . Comunque, la dottrina del Galluppi è cosa ben distinta e diversa dalla sua intelligenza e dalla sua critica del Kant ; e della prima è indubitabile che s'ispira al Kant e non riesce a risul tati essenzialmente differenti ( 3 ) . 66. In sostanza egli è più kantiano di Kant. Questi , criticata la ragion pura , nega il valore scientifico , oggettivo, della meta fisica , ma le riconosce un ufficio regolativo , e scrive una meta fisica della natura come una metafisica dei costumi. Ma il Gal luppi si rinchiude in un assoluto psicologismo, per usare parola giobertiana ; e , pienamente conseguente alla sua filosofia dell'esperienza, tiene fermo alla dottrina dei limiti della scienza umana ; e alla metafisica sostituisce l'ideologia. La sua cattedra ufficiale era di logica e metafisica ; ma egli nella Prolusione an nunzia che tratterà della filosofia teoretica, ossia della scienza dell'umana scienza , e darà pertanto la legislazione suprema di tutte le scienze ( 4 ) . « La metafisica tratta , egli dice , delle idee essenziali all'umana ragione » ). Nella prima lezione rifiuta la definizione della filosofia data dal Wolf, sostenendo che egli volle una ( 1 ) Op. cit . , pag. 23. ( 2) lvi , pag. 133. ( 3 ) Ricordo per semplice curiosità che sostenne il kantismo del Galluppi CARLO Ro DRIQUEZ , Lett. su la filos . sogg . ed oggettiva del bar . Galluppi, Messina , 1833, p. 22 ; cui rispose ONOFRIO SIMONETTI, Analisi critica della Lettera ecc . ( Napoli ), Fernandes (1834 ), p. 31 e sgg. ( 4) Lezioni di log . e metafsira , p. XI. ( 5) Iri, p . XIV . PASQUALE GALLUPPI 255 definire piuttosto l'infinita sapienza conforme a quel suo enun ciato che Deus est philosophus absolute summus, e attribuendo alla filosofia wolfiana il difetto ascrittole appunto dal Kant, di confondere la cosa con l'idea della cosa. Nella seconda lezione commenta il suo concetto della filosofia come scienza del « pen siere umano ne' suoi elementi , nelle sue funzioni e nelle sue leggi » ; nozione , fa notare , della più alta importanza . 67. Prevede la possibile osservazione : ma è il pensiero il solo oggetto della filosofia ? E la ontologia, la cosmologia, la teologia naturale , la fisica ? — Queste scienze, risponde il Galluppi , in parte si riducono alla ideologia, scienza del pensiero , e in parte escono fuori dal campo della filosofia . L'ontologia studia « alcune nozioni universali , essenziali all'umano intendimento » ; e la dottrina delle nozioni , delle idee non appartiene forse alla scienza del pensiero ? Lo stesso dicasi della cosmologia e della teologia naturale. Sic chè il Galluppi conchiude : « Tutte le parti dunque della meta fisica appartengono alla scienza del pensiere umano » . Quanto alla fisica , in parte è filosofia ( psicologia, per le relazioni che que sta scienza studia tra i fatti fisici quali sono in sè e i fatti fisici quali appariscono a noi , e teologia) ; e in parte , quale si tratta comunemente nelle scuole, se non può ridursi a rigore alla scienza del pensiero , « è nondimeno una scienza che le è contigua , e che serve a rischiarare, ed a perfezionare la filosofia intellet tuale » . Sicché la metafisica, nel sistema del Galluppi, è bella e ita assolutamente. E se la filosofia per lui si divide com'è detto nella 3.4 lezione – in filosofia speculativa o teoretica , che studia l'anima ( soggetto del pensiero) in quanto conosce , e in filosofia pratica , che studia l'anima in quanto vuole , è chiaro che nè an che questa potrà essere fondata su alcun principio metafisico. Il Kant non era arrivato a questo punto. Ma prima di accennare i principii del Galluppi nella filosofia pratica , bisogna fare un'altra osservazione generale, che ci pare di non poca importanza . 68. Nella Prolusione il Galluppi , vantando le ragioni del me todo sperimentale , avvertiva che non bisogna però mutilarlo ; anzi prenderlo tutto intero nelle sue specie e ne ' suoi risultamenti ; ne confonderlo con l'empirismo ; giacchè la filosofia intellettuale, co me egli chiama quella che dovrà insegnare , < non ammette so lamente quelle esistenze , che cadono immediatamente sotto l'espe rienza ; ma quelle ancora , che le esperienze sperimentali suppon gono necessarie . Quindi ella deduce tanto dall'esistenza del mondo materiale , che da quella del mondo intellettuale, che a noi si ma 256 CAPITOLO VII nifesta, l'esistenza eterna di un ' Intelligenza creatrice . E ciò in modo simile a quello in cui l'astronomia , partendo dal cielo em pirico , pone un cielo razionale » ( 1 ) . Il cielo razionale sarebbe il cielo costruito dall'astronomo mercè la forza portentosa del cal colo, della geometria e del raziocinio , onde si « sbalza dal cen tro del planetario sistema la terra , e vi si pone il sole ; si tra sforma in masse di meravigliosa grandezza quei piccolissimi corpi , che sembrano tanti chiodi affissi nel firmamento, si determina le distanze , le orbite ed i tempi delle rivoluzioni de' pianeti » ( 2 ) . 69. Sicché, pel Galluppi, anche la filosofia intellettuale, la ideologia , la filosofia dell'esperienza, con tutti i suoi limiti , ha il suo cielo razionale ; come l'ha del resto il criticismo con la sua cosa in sé . Ma la cosa in sè per Kant è un puro concetto limite, di cui s'afferma l'essere non il come ; che si afferma, non si conosce; laddove il Galluppi dedica tutta la seconda parte della sua Ideologia, che intitola Teologia naturale , allo studio dell'Asso luto e de ' suoi attributi , come se Kant non fosse mai esistito . Il nome di questo qui non ricorre se non nelle ultime pagine, dove è detto insensato il suo « impegno di contrastarci la possibilità di una Teologia naturale e filosofica » ( 3 ) , 70. Ma tutta questa parte evidentemente è non solo in con traddizione con la Critica kantiana, ma anche con lo stesso Sag gio dell'autore, la cui conclusione riesce a quella dottrina dei limiti della scienza che sopra vedemmo. Che dire adunque del vero pensiero del Galluppi ? È vero , come è detto nel Saggio, che lo scrutatore della divina maestà resta oppresso dalla sua gloria ? O è vera la teologia delle Lezioni ? Le due dottrine sono certa mente inconciliabili. E io non dubito d’asserire , che se il Galluppi non avesse scritto le Lezioni per i giovani dell'Università in uno de ' periodi di più cupa servitù intellettuale che abbia attraversato il pensiero italiano, la seconda parte della Ideologia non sarebbe stata scritta . 7i . « Questa opera , diceva l'autore nella prefazione delle Le zioni, non è mica la ripetizione dei miei Elementi di filosofia pub blicati in cinque volumi, nè di altra mia opera antecedente » . E notava altresì che « serbando le leggi essenziali di un metodo, può questo ricevere delle variazioni accidentali » . Intendeva egli alludere alla teologia naturale, di cui trattava per la prima volta ( 1 ) Op. cit . , p. XIX . ( 2) Ivi , p, XVII . ( 3) Op . cit . , III , 306 . PASQUALE GALLUPPI 257 . in queste Lezioni ? ( 1 ) . Si noti che non parlava di nuovi svolgi menti del suo pensiero , ma di variazioni di metodo; onde non poteva accennare a parti ora per la prima volta trattate della sua filosofia che non importassero alcuna modificazione di principii . Si noti anche, che la seconda parte dell'Ideologia è come appiccicata alla prima. Solo alla fine della 108. lezione (1. della Ideologia ) l'autore dice : « L'essere è o finito o infinito ; io divido perciò l'ideologia in due parti , nell'ideologia del finito ed in quella del l'infinito » E in questa distinzione così accennata è tutta la ra gione della teologia naturale o ideologia dell'infinito , cui son de dicate le ultime dieci lezioni del corso universitario . Le dottrine non essoteriche hanno ben più stretti legami coi principii sostan ziali dello spirito d’un pensatore ; e questi le fa sempre sgorgare specialmente quando siano dottrine così importanti , rispetto a quella filosofia dell'esperienza, onde il Galluppi si proclamo sempre assertore le fa sempre sgorgare, bene o male , dalle dottrine per l'innanzi professate, le pone, bene o male , in ac cordo con esse , per rimanere esso stesso d'accordo con sè mede simo. Nell'opera del Galluppi nulla di tutto questo . 72. Io propendo pertanto a non attribuire alcun valore a quella parte delle Lezioni nel sistema delle idee galluppiane. Non penso già che egli le dettasse e le pubblicasse contro la sua coscienza, ma certo contro la sua coscienza filosofica . Egli pensava certamente quanto scrisse e insegno degli attributi divini ; ma quella parte del suo pensiero non era stata da lui elaborata filosoficamente ne coordinata quindi alla sua speculazione . Chi ha insegnato e non s'è trovato nel caso del nostro filosofo , di esser costretto da un programma a insegnare anche ciò che il suo spirito non ha ma turato e fatto suo , e insegnarlo quindi nella forma in cui ordi nariamente si dà , e in cui è pur bene che sia offerto all'intel letto dei discepoli ? Chi non si trova a dover insegnare qualcosa di più di quello che in buona fede e a rigore potrebbe dir di sapere , o di quello ond'egli può dirsi veramente persuaso ? Chi oltre a ciò che, per sè e per altrui , deduce chiaramente da ' propri principii non ha insegnato qualcos'altro, che da quei principii sinceramente non sa derivare nè per altrui nè per sè ? Il Galluppi non aveva per sè una teologia più filosofica di quella che è esposta nelle ( 1 ) Della religione tratta anche negli Elementi di filos. morale. Ma se la sbriga in un breve capitolo , che non ha nessuna pretensione filosofica , e si limita a una semplice notizia molto compendiosa del concetto della religione cristiana. 17 258 CAPITOLO VII sue Lezioni; in questa fermavasi il suo pensiero ; ma stimo che non vi s'acquetasse ; perchè una consapevole o inconscia insoddi sfazione doveva fargli sentire che nella sua filosofia dell'esperienza non c'era posto per quella teologia . 73. S'è accennato che sulla fine della teologia naturale l’au tore si ricorda dell'impegno insensato del Kant di contrastare la possibilità di una teologia. E che fa egli per combattere l'assunto kantiano ? Scrive così : « Kant insegna che i giudizii su cui ella ( teologia naturale e filosofica ) poggia, sono sintetici a priori e fenomenici, privi di una assoluta realtà. Egli dice che le verità necessarie della teologia naturale non sono mica identiche, ma sintetiche ; e che le verità di fatto non sono che mere apparenze, che fenomeni privi della realtà noumenica ed assoluta, indipen dente dal nostro modo di vedere. Io , nella mia Critica della co noscenza ( 1 ) ho seguito passo passo la dialettica kantiana ; e vo lendo parlar con giustizia , non può negarmisi, che l'ho invinci bilmente distrutta. Io ho mostrato, che i giudizii sintetici a priori sono assurdi ; ho mostrato eziandio , che le verità sperimentali ci danno pure delle conoscenze delle cose in se stesse considerate » ( 2) . Questo è tutto. Ora, poniamo che sia esatta l'esposizione del pen siero del Kant . Ma la critica della sintesi a priori non giustifica , tutto al più , che la posizione dell'assoluto, come avviene per l'ap punto nel Saggio dello stesso Galluppi ( lib . III , cap. XII) ; dove partendo dalla pretesa impossibilità dei giudizii sintetici a priori , si dice , contro Kant, che non è tale neppure il principio : dato il condizionale, si deve dare l'assoluto ; e si conchiude quindi che il condizionale dell'esperienza è reale in sé , non fenomenico, e che nella sua realtà è pur data quella dell'assoluto ( 3 ) . E nel Sag gio tutto finisce li . E la conclusione dell'opera è quella che ab ( 1 ) Acoopna al Saggio filosofico . ( 2) Lez ., III , 306. Quindi accenna alle critiche che alla sua confutazione della sin tesi a priori aveva mosse il MAMJANI nol Rinnovamento e lo ribatte. ( 3 ) Un'ottima osservazione contro questa deduzione fa col suo solito acume il Tesia , il quale crede come il Rosmini che il Galluppi non mova un passo fuori del soggetti vismo. È falsa , egli dice, la premessa che il condizionale sotto il rispetto del condizionale sia un termine dato dall'esperienza. Quosta non ci dà che sensazioni e sentimenti. Ma le sensazioni non sono il condizionale ? - Si , sono, ma non ci sono date come tali dall'esperienza . La qualità d'essere condizionale è una veduta dello spirito , non è nella sensazione, opperò non è trovata nella sensazione. Vedi Le ricerche apolog. del crist, del popolo dall'ab. G. Bignami esaminate, Lugano, 1841, p. 33 e seg . PASQUALE GALLUPPI 259 biamo vista. Gli attributi divini son dichiarati incomprensibili. Nè quell'assoluto del Saggio differisce molto dalla cosa in sè kan tiana . Ma nelle Lezioni non c'è solo l'assoluto, bensì la scienza del l'assoluto ; e non viene giustificata. La conclusione dell'opera si limita ad affermare che « mostrando l'oggettività delle nozioni di sostanza, di causa e dell'assoluto , il criticismo è rovesciato , e la realtà della conoscenza è stabilita » . Sono le ultime parole delle Lezioni; ma potrebbero essere a miglior ragione le ultime del Saggio, perchè in quelle s'era cercato di provare qualcosa più dell'oggettività della nozione che la mente possiede dell'as soluto. 74. Se la teologia naturale avesse avuto nella mente del Gal luppi la stessa saldezza dei principii più genuini della filosofia dell'esperienza, la sua etica non avrebbe mancato di esservi su bordinata. Invece ne è assolutamente indipendente . Anzi, pure inspirandosi , come si vedrà , all'idealismo kantiano , non tiene af fatto conto delle esigenze sentite dal Kant nella Critica della ra gion pratica e nella Fondazione della metafisica dei costumi. Forse egli non conobbe nulla direttamente di queste opere , e della mo rale kantiana non dovette avere che l'indiretta notizia fornitagli dalle solite esposizioni francesi. Non per questo si può dire con certi critici , che i suoi quattro volumi della Filosofia della volontà « non contengono nulla di nuovo, anzi , di fronte a Locke ed Hume, ed a tutta la specula zione contemporanea, segnano un sensibile regresso verso il vec chio rancidume metafisico e teologico » . Chi giudica così , non deve avere grande familiarità con questo rancidume, e certo è asso lutamente falsa la sua sentenza, che la morale galluppiana sia ispi rata all'idealità patristica e scolastica ( 1 ) . Non si potrebbe dire nulla di più inesatto intorno a quella morale. 75. Basta una sommaria esposizione per convincersene. Bisogna prima di tutto osservare , che il Galluppi insegnava nell'Università, come s'è visto , filosofia teoretica o , com'egli dice , intellettuale ; e non v'ebbe quindi occasione di trattar mai la morale. Ma egli aveva pubblicato nel '26 , nel quinto volumetto del suo ma nuale scolastico , gli Elementi della filosofia morale ; e prima d'as sumere l'insegnamento aveva scritto La filosofia della volontà , ( 1 ) Vedi l'art. La speculazione di P. G. , nella Rivista di filos, e sc. affini di Bolo gna , an. III , vol . V (ottobre 1901), p. 276 . 260 CAPITOLO VII in quattro volumi, che cominciò a pubblicare nel 1832 ( 1 ) . In essa , secondo che egli dichiara nella Prefazione , si proponeva di trat tare in un'opera estesa lo stesso argomento di quegli Elementi, ma col metodo stesso del Saggio filosofico, ossia con la discussione e l'esame delle varie dottrine relative ad ogni materia . Ma non do veva aver compiuto il lavoro prima di salire la cattedra di logica e metafisica ; e non pare che vi sia potuto più tornare ; sicchè non tutte le parti del volumetto degli Elementi vi sono riprese e no vellamente trattate con quella maggiore larghezza, che l'autore s'era proposta. E il disegno di essa , delineato sulla traccia degli Elementi, gli rimase colorito meno che a metà . 76. Nella Filosofia della volontà comincia dal distinguere nel l'uomo l'agente fisico della natura , « disposto o mosso ad operare pel fine della propria felicità , >> e l'agente morale, disposto o mosso ad operare dal principio del proprio dovere » . Distingue anche i movimenti « che nel corpo umano si osservano » , in mec canici, che non dipendono dalla volontà , e volontari, per cui sol tanto l'uomo può dirsi agente. Chiama quindi filosofia della vo lontà « quella scienza che fa conoscer l'uomo considerato come un agente » ; e divide questa scienza in quattro parti : « nella prima, dice , esamino l'uomo considerato generalmente come un agente ; nella seconda l’esamino sotto l'aspetto di agente morale ; nella terza sotto l'aspetto di agente fisico ; e nella quarta finalmente l'esamino riguardo alla sua esistenza in uno stato futuro, dopo il fenomeno della morte ; e ciò in conseguenza della sua virtù e de' suoi vizi » ( 2) . Questo il disegno. Ma delle quattro parti ideate i primi tre volumi dell'opera e il primo capitolo del quarto trattano solo la prima ; gli ultimi due capitoli di questo quarto volume e del l'opera iniziano appena la trattazione della seconda, com'è svolta negli Elementi; e della terza e della quarta non c'è nulla ; laddove negli Elementi l'una ( intitolata De' mezzi per esser felice, cap . VI) è trattata con relativa larghezza , e dell'altra c'è pure un cenno col titolo : Della religione. Sicché, quantunque l'autore appaiasse questa sua Filosofia della volontà col Saggio filosofico, come l'opera con tenente la sua filosofia pratica accanto a quella contenente la ( 1 ) I primi due volumi , pp. 338 0 452, nel 1832 presso C. L. Giachetti in Napoli ; il 3. ° vol , di pp. 388 nel 1839 presso la stamperia Tramater in Napoli; e il 4.° di pp. 361 nel 1840 ivi . La dedica del 1. ° vol. , a S. E D. Giuseppe Cova Grimaldi, marchese di Pie tracatella , reca la data di Napoli 30 aprile 1832. ( 2) Ed. cit. , I , 6-7 . PASQUALE GALLUPPI 261 a sua filosofia teoretica ; è evidente, che se la Filosofia della volontà presenta discusse con grande ampiezza questioni brevemente accennate negli Elementi, di questi non può fare meno chi voglia acquistare un concetto compiuto delle teorie pratiche gal luppiane ; e in essi deve principalmente attingere quella parte di coteste teorie , che spetta più propriamente alla morale. 77. Dal disegno stesso dell'opera maggiore si scorge un pre gio non comune in questo ramo della filosofia del Nostro : voglio dire la pienezza del suo concetto dello spirito pratico . Egli, com'è chiaro già da quelle semplici indicazioni, non vede tra la felicità e il dovere quella dualità inconciliabile, in cui si dibatte l'etica prima di Kant e nello stesso Kant; quella dualità che finisce ine vitabilmente, secondo l'uno o l'altro pensatore , o con la nega zione dell'uno o con la negazione dell'altro principio , o nel con cetto puramente utilitario o in quello del puro disinteresse . Il Gal luppi vede che sono due i fini dell'umano volere : due fini però conciliabili tra loro , sì che uno non importi la negazione dell'altro . L’uomo infatti è agente fisico e agente morale insieme ; e per es sere agente fisico non cessa di essere agente morale ; e viceversa : segno manifesto , che tra i due fini non c'è opposizione assoluta. La confutazione perentoria dell'utilitarismo dal punto di vista etico sta in questo concetto , che il Galluppi vide nettamente, come apparrà meglio dalla notizia che ora ne daremo. 78. Tutta la prima parte della sua filosofia pratica s'aggira adunque intorno all'attività in generale dell'uomo : è, come noi diremmo, una semplice psicologia pratica. Parla quindi del desi derio, della volontà, dell'influenza della volontà sull ' intelletto, e viceversa, e in generale dei principii motori della volontà , e della libertà umana . Questa è la trattazione più ampia, e occupa quasi per intero il secondo e il terzo volume della Filosofia della volontà ; non avendo voluto il Galluppi lasciare senza risposta nessuno degli argomenti che sono stati addotti contro l'esistenza del libero volere . 79. Della volontà il Nostro dice che non può definirsi. Ne fa una facoltà, avvertendo bensì , che « le diverse facoltà , che concepiamo nel nostro spirito , non sono certamente tanti agenti diversi : esse non sono che lo spirito stesso considerato relativa mente ad una determinata specie di modificazioni, che avvengono in lui » ( 1 ) (I , 15-16) . Si potrebbe intendere per volontà la facoltà ( 1 ) Quindi, secondo l'autore, è volontà « il nostro spirito stesso considerato relativa 262 CAPITOLO VII di volere ; ma questo come ogni atto semplice non può definirsi, e non se ne può altrimenti avere la nozione che « dirigendo la nostra attenzione sul sentimento che abbiamo di questo atto » , ossia ricorrendo alla nostra personale coscienza. La volontà senza gli atti di volere è indeterminata come volontà ; è lo spirito stesso in generale . La determinazione della volontà è la produzione de ' voleri particolari ; e siccome, dice Galluppi stesso, lo spirito è il principio efficiente de ' voleri , così può dirsi tanto che lo spi rito determina se stesso , quanto che la volontà determina se stessa ( I , 51 ) . 80. La volontà, come notò gia Locke, va ben distinta dal de siderio. Un idropico , malgrado il desiderio di bere , si astiene dall'acqua . Egli dunque desidera di bere , ma non vuol bere . In tali casi vi sono desiderii opposti , fra i quali la volontà si deter mina. Pel Galluppi tra desiderio e volere c'è una recisa differenza . Quello non è , come ordinariamente si crede , un fatto d'attività dello spirito , ma, come oggi si direbbe , un fatto puramente emo tivo ; quel misto di piacevole e di spiacevole onde lo spirito è af fetto per la percezione d'una sensazione in se stessa piacevole , ma assente , e però causa d'un dispiacere tanto maggiore, quanto più lontano è il futuro, in cui si pensa che essa sarà provata ( 1 ) , Quando, come fa il Wolff ( 2) , si vede nel desiderio uno sforzo, un'avversione, un'inclinazione, o ci si contenta di metafore fallaci, o si confonde col desiderio il volere, onde i movimenti corporei sono l'effetto. Sforzo, tendenza, inclinazione , allontanamento son tutti vocaboli, che applicati all'anima non presentano alcun senso ( 8) . ( I , 65) . 81. Come dal desiderio, la volontà va distinta dall'intelletto ; sicchè può parlarsi di un'influenza esercitata dalla volontà sul l'intelletto , come di un'influenza esercitata dall'intelletto sulla volontà. Quanto alla prima , il Galluppi vede un potere della vo lontà perfino nelle sensazioni, in quanto lo spirito « può esporre o pure sottrarre i propri sensi all'azione de ' corpi esterni ; e quindi procurarsi o privarsi di alcune date sensazioni » ( 4) . Quindi mente a quella specie di modificazioni, che abbiam chiamato voleri » ( I, 24 ). Insomma, gli atti singoli presuppongono un quid nella natura dello spirito ; o questo quid è la volontà . ( 1) Filos. d. vol., I , 63 e ss . (2) Psych , emp., SS 279 e 281. ( 3) Filos. d . vol. , I , 65 . ( 4) I , 112. L'autore s'accorge che questo potere della volontà si esercita indiretta PASQUALE GALLUPPI 263 ci parla di sensazioni volontarie e sensazioni involontarie ; e come i desiderii sono un effetto delle sensazioni , trova che vi sono e desiderii volontari e desiderii involontari; e come anche i fan tasmi seguono le sensazioni , anche tra i fantasmi pone la stessa distinzione nel campo dell'immaginazione. 82. Quando si passa dalla sensibilità alle facoltà dell'analisi e della sintesi , non si tratta più di un potere indiretto , ma im mediato della volontà sull'intelletto ; e dicesi attenzione ; nel cui studio l'autore si trattiene con diligenza e acutezza , che fan degne quelle pagine di esser lette ancora , pur dopo tanto progresso nella conoscenza dei fenomeni psicologici . E come l'analisi e la sintesi sono le due attività spirituali onde vengono prodotte tutte le conoscenze, l'impero su di esse vale l'impero su tutto il co noscere . 83. Che più ? L'associazione è anch'essa volontaria e involon taria. L'abito , questa seconda natura morale , può dirsi anch'esso volontario , quando consta della ripetizione volontaria di atti vo lontari ; e conferisce a quell'educazione onde ognuno è responsa bile , poichè egli ne è l'artefice. I giudizii temerarii sono colpevoli, perchè volontari ; in essi l'attenzione si volge a fantasmi , cui non dovrebbe rivolgersi , e l'uomo vuol manifestare i giudizii che da quei fantasmi deriva , confondendo l'immaginare col giudicare. Infine , da questo impero della volontà sull’intelletto la distin zione dei moralisti di ignoranza vincibile e invincibile ( 1 ) . 84. In quanto all'influenza dell'intelletto sulla volontà , è chiaro : che la vita dello spirito , come nota il Galluppi , comincia dalle sensazioni . Ora queste , secondo che sono piacevoli o no , deter minano lo sviluppo dell'attività dell'anima ( 1 ) ; suscitano i desiderii che influiscono sulla volontà. Quindi nasce il problema : in quanti modi l'intelletto influisce sulla volontà ? E se ciò che nel no stro spirito dispone o eccita la volontà all'atto di volere, dicesi principio attivo della volontà, si domanda : quanti sono i prin cipii attivi della volontà ? E non sono riducibili tutti ad un solo principio , come sue varie modificazioni ? 85. Elvezio concentrò tutti i principii dello spirito nella fi sica sensibilità . Ma, « annientata così tutta l'attività dell'anima, e mente ; ma non vede che pertanto in questi casi trattasi d'un impero del volere sul corpo , e non propriamente sull'intelletto . ( 1) Tutta questa dottrina dell'influenza della volontà sull'intelletto è anche negli Elem . , capp. II-VII. 264 CAPITOLO VII l’uomo riguardato come solamente sensitivo ed animale , la virtù negli scritti di Elvezio scomparve dall'universo, e vi fu rimpiaz zata da un grossolano egoismo » ( 1 ) . L'uomo per Elvezio è tutto ciò che le cause esterne lo fanno essere . Egli ricava le conse guenze logiche più rigorose dal sensismo del Condillac, che uso tutti i riguardi per la morale e per la religione, ma non ragionò coerentemente al suo principio della sensazione trasformata . Elvezio parte dallo stesso principio , e ne deduce illazioni che fanno or rore (2 ) 86. Ma, come è falso nella filosofia intellettuale che tutto sia sensibilità fisica o da essa derivi , com'è falso ridurre il giudizio che è attività sintetica e analitica, al mero fatto passivo della sen sazione, così è falso nella filosofia pratica non distinguere dalla passività del senso l'attività e la libertà della volontà , e non ri conoscere l'origine soggettiva del dovere ( 3) . 87. Non è vero che tutto lo spirito sia sensibilità ; e perciò il presupposto elveziano è privo di fondamento . Non è vero che i piaceri e i dolori che agiscono sul volere , sieno in ultima ana lisi sempre piaceri o dolori fisici provenienti da sensazioni ; è incontrastabile, che vi sono anche piaceri o dolori intellettuali provenienti da pensieri ( 4) . Quindi una prima divisione dei prin cipii motori della volontà o motivi : desiderii inriflessi, quelli in cui lo spirito è passivo , e principii riflessi, in cui lo spirito è at tivo. I primi si possono dire anche semplicemente desiderii, gli altri , ragioni ( 5) . I principii irriflessi si possono ridurre a sette ; appetito fisico ( fame, sete , amor fisico ), desiderio della propria ec cellenza, curiosità , sociabilità, desiderio della gloria , emulazione e potere, affezioni. 88. La ragione è principio di atti volitivi come principio eco nomico e come principio morale ; o , come il Galluppi dice , in quanto esamina ciò che conviene alla nostra felicità , fa il cal colo dei beni e dei mali , e dirige le nostre azioni a produrre un certo stato dell'anima ; e allora si chiama prudenza ; e in quanto ci mostra il bene e il male morale , e ci comanda di far l'uno e non far l'altro ; e allora può dirsi ragione legislatrice della nostra volontà (6) 89. I principii della prudenza sono quattro : un piacere che ci priva di maggiori piaceri è un male ; un piacere che ci pro ( 1 ) Op. cit . , I , 175. ( 2) I , 193. ( 3) I , 194. ( 4) I , 238 . ( 5) I , 286-7. ( 6) I , 318. PASQUALE GALLUPPI 265 duce maggiori dolori , è un male ; un dolore che ci libera da mag giori dolori , è un bene ; un dolore che ci produce maggiori pia ceri , è un bene ( 1 ) . 90. A questo punto l'autore si propone la questione della li bertà , alla quale , come s'è detto , dedica la maggior parte del l'opera sua , ma della quale noi ci sbrigheremo in poche parole . Questa è la parte più vecchia della sua filosofia, e una delle meno logicamente dedotte dai principii della sua speculazione . In essa egli sentì la forza del pregiudizio come impedimento insormonta bile alla visione della verità più evidente ; e ci si vede la soprav vivenza di una vecchia dottrina, che mal si connette all'orga nismo del nuovo pensiero ; anzi vi rimane aggiunta e giustap posta come membro morto che l'artificio collochi al posto di quello che manca in un corpo vivo . 91. Dal suo concetto dell'unità metafisica dell'Io, dal suo con cetto delle facoltà come semplici principii costitutivi della natura dello spirito , il Galluppi avrebbe dovuto esser condotto a più elevato e concreto concetto della libertà, che non sia quello da lui ancora difeso a forza di sottigliezze ingannevoli e d'illusorii ragionamenti. Egli vede la distinzione tra sensibilità , intelletto e volontà, di cui fa tre facoltà distinte , ma pur facendole scatu rire dall'unico Io , non giunge a scorgerne la recondita unità . E veramente , separato l'intelletto dalla volontà, da cid che v'ha di umano, di spirituale nella volontà , non è possibile altro con cetto di questa , all'infuori di quel vuoto volere , che è il fonda mento della libertà bilaterale. 92. Questa è la libertà a cui giunge il Galluppi : la libertà per cui nell'atto stesso che vogliamo , potremmo non volere ; quel po tere, che non si esercita , e la cui essenza stessa è di non esercitarsi nel momento stesso che lo sentiamo ( 2) . Questa libertà del volere è determinata nettamente dal suo confronto con la necessità del sillogismo . La coscienza ci attesta, che noi non siamo liberi di tirare o non da due premesse quella data conclusione , laddove ci attesta il contrario rispetto ai singoli atti del volere . E siccome ( 1 ) I , 318. Nella Filosofia della volontà tutto finisce con la enumerazione di queste leggi. Negli Elementi invece, come si disse, tutto il capitolo VI è dedicato ai Mezzi per esser felice ( pp. 210-292). Quivi fra i piaceri intellettuali si annovera il piacere estetico ; e quindi i 88 71-85 contengono una breve trattazione di estetica. ( 2) Elem . , V, 123. « La libertà , io dico, è il potere di volere, o di non volere un og getto percepito ; Filos. d. vol. , II , 811. 266 CAPITOLO VII la coscienza è quel fatto fondamentale, a cui il filosofo deve sem pre far capo, la sua testimonianza basta a provare la realtà della libertà ( 1 ) . Tutti gli argomenti contrari non reggono alla critica 93. Ma negli Elementi il Galluppi , prima di appellarsi al te stimonio della coscienza, ricorre a un argomento , che rivela su bito la paternità kantiana. Nella coscienza del dovere e del pre mio o delle pene che spettano alle azioni si comprende , egli dice, la coscienza della nostra libertà . « Non si comandano le azioni necessarie , come non si comanda ad un sasso il cadere se non è sostenuto . Le azioni necessarie non sono riguardate come meri tevoli nè di premio, nè di pena.... La coscienza della legge in teriore contiene la coscienza della propria libertà . Il comando suppone in colui , a cui è diretto , il potere di eseguirlo e di non eseguirlo » . Devi ; dunque , puoi, aveva detto Kant . 94. Non bisogna , del resto , porre il Galluppi fra le anticaglie pel suo concetto della libertà . L'indeterminismo anzi è una delle con cezioni oggi alla moda ; e non manca in Italia di rappresentanti ; i quali si sforzano di combattere il concetto della direzione unica ed unilineare degli atti del volere , ponendo nello spirito un irri conciliabile dualismo, che lacera internamente l'unità dell'indi viduo umano, e sta quasi condizione necessaria, se non sufficiente , della libertà morale ( 2) . E ancora uno dei più acuti psicologi che abbia l'Italia , afferma che il concetto del volere libero , « cioè non coatto estrinsecamente (libertas a coactione), nè intrinsecamente (li bertas a necessitate) è una verità , la quale, sebbene accanitamente combattuta da molti e sotto molti rispetti , resterà sempre incon cussa per chi , scevro da pregiudizii e forte nelle convinzioni morali , non si lascia smuovere da' sofismi ne turbare dalle difficoltà » ( 3) . Il vero è , che una questione mal posta non può aver mai la sua vera soluzione ; e potrà sempre far accettare or l’una or l'altra di due opposte soluzioni. Quella del libero arbitrio è stata ap punto una questione mal posta, per l'indeterminatezza del con cetto del volere , su cui si fondava. Giacchè, se si determina rigoro samente il volere, è impossibile escluderne la ragione , e non vedere quindi , che se han torto gl’indeterministi a difendere la libertas ( 1) Filos., II , 21 , 329 e passim ; cfr. gli Elem ., V, 123. ( 2) Vedi la lodata opera del prof. IGINO PETRONE, I limiti del determinismo scienti rico , Modena, 1900, pp. 105-6 ; 2.a ed ., Roma, 1903, pp. 110-111; cfr . BOUTROUX, De la con lingence des lois de la nature, Paris, 1895 , pp . 123 e sgg. ( 8) BONATELLI, Elem . di Psicologia e logica , Padova, 1895 , p. 210. PASQUALE GALLUPPI 267 a necessitate, non hanno minor torto i deterministi a combattere la libertas a coactione : gli uni perdendosi in una vuota creazione dell'intelletto astratto , gli altri rompendo nello scoglio fallace del meccanismo. E dire che non è mantato chi ponesse bene la questione , e le desse quindi una soluzione da soddisfare le oppo ste esigenze e dissipare tutte le difficoltà ! 95. Stabilita , comunque , l'esistenza della libertà morale, si tratta pel Galluppi di risolvere questo problema: esiste un bene e un male morale ? E ne chiede la soluzione , anche questa volta, alla coscienza . L'esistenza del bene e del male morale, e per conseguenza di una legge morale naturale, è una verità primitiva attestataci dalla nostra coscienza ( 1 ) . Darne una dimostrazione è impossibile, senza avvolgersi in circoli viziosi , al pari di chi vo lesse provare allo scettico l'esistenza e la realtà del nostro cono scere . La coscienza ci dice che esiste una legge morale naturale, ossia necessaria ed originaria che si dice dovere : indipendente dalla legge positiva , come dall'opinione altrui , valida nel segreto dell'anima nostra . Donde viene a noi la nozione di essa ? Chi indipendentemente dalla legge positiva mi comanda di non ucci dere un uomo, di rendergli il deposito , che mi ha confidato ? È la mia ragione , la quale comanda alla mia volontà . « Son io che comando interiormente a me stesso . Questo comando non mi viene dunque dal di fuori ; ma dall'interno del mio essere » . Il predi cato dei giudizii morali è l'idea del dovere ; e questa idea viene da noi , dice il nostro filosofo , non dagli oggetti. « La nozione del dovere , egli dice anche esplicitamente , è una nozione soggettiva essenziale alla nostra ragione » ( 2) . Meglio non si potrebbe dire. Altro che rancidume, e idealità patristica e scolastica ! Nessuna più esplicita e più coraggiosa proposizione avrebbe potuto pro nunziarsi in omaggio al moderno, al vero soggettivismo . Sog gettivo il dovere , ma anche essenziale : questa è la giusta defini zione non solo del vero soggettivo, ma anche del vero oggettivo , dopo Kant, quando bene s'intenda . E nella morale il Galluppi riproduce Kant bene inteso , senza esitazioni e senza limitazioni. Annunziata la soggettività del dovere egli dice con accento di sincerità commovente : « È questa una verità per me evidente , e credo che tale sembrerà a chiunque vi rifletta di buona fede » ( 3) . ( 1 ) Filos. d. vol ., IV , 38. ( 2) IV, 41 . Il corsivo è dello stesso Galluppi. ( 3) Ivi . Tutto ciò trovasi anche negli Elementi, V, 91 . 268 CAPITOLO VII 96. La nozione del dovere rende la ragione ragion pratica o legislativa (tutta terminologia kantiana, come si vede). Essa è essenziale alla ragione, e perciò potrebbe dirsi innata. Ma non sono già innati i principii della morale , ossia i singoli doveri . Non uccidere : se questo precetto fosse innato , dovrebbe esser tale anche l'idea di omicidio, la quale ci viene invece dall'esperienza. « L'uomo è però costituito di tal natura , che la nozione del do vere sorte, nelle occasioni , dal suo proprio fondo » ( 1 ) . Insomma, quel che vi ha di a priori in Galluppi, come in Kant , è la forma del giudizio pratico ; e la materia è data dall'esperienza . In che consista il dovere, non è determinato in quella nozione sogget tiva ed essenziale , che costituisce la Ragion pratica. Di a priori nello spirito e quindi di essenziale nei fatti etici non havvi che il predicato onde si giudicano le azioni morali : cioè appunto la forma. Soggettivista come Kant, Galluppi è del pari formalista nella morale . 97. « La nozione del dovere, egli dice , sorte dall'interno di noi medesimi, ed applicandosi alle azioni che si presentano allo spirito costituisce quei giudizii, che sono precetti o comandi » ( 2) . « Questi precetti, in conseguenza, son proposizioni sintetiche; poi chè essi sono un prodotto necessario della sintesi della ragione, che aggiunge ad alcuni dati atti liberi l'elemento del dovere... Questi giudizii , sebbene suppongano alcuni dati sperimentali, non sono però sperimentali; essi possono, in conseguenza, riguardarsi come giudizii a priori » ( 3) , - Questa dottrina non ha bisogno di commento. In essa l'implacabile avversario del Saggio filosofico riconosce la verità del sistema di quel grande uomo, com'egli lo chiama nella Morale , che fu Kant ( 4) , « In varie parti delle mie opere filosofiche, dice nella Filosofia della volontà ( 5) , io ho mo strato l'assurdità de' giudizii sintetici a priori , ammessi dalla scuola di Kant ; ma i giudizii sintetici di cui ho io parlato nelle mie opere di filosofia teoretica, sono giudizii teoretici , non già giudizii pratici » . E negli Elementi di morale, al $ 37 : « I giu dizii sintetici a priori teoretici mi sembrano assurdi . Ma dal l'esame profondo della nostra facoltà di volere son forzato di am mettere i giudizii sintetici a priori pratici, i quali son precetti. Mi sembra impossibile lo stabilire altrimenti la moralità delle azioni » . ( 1 ) Elem ., V, 92. (2) Ivi, ibid. (3) Filos. della vol. , IV , 46 ; Elem . , V, 120. ( 4) Elem ., V, 75. ( 5) IV, 46 . PASQUALE GALLUPPI 269 98. Fuori di questo soggettivismo morale il Galluppi , come il Kant, non vede altro che eudemonismo, o morale dell'interesse, come egli dice ; e questa gli pare soltanto una morale apparente (1). Quando s'intende la giustizia come un interesse bene inteso, si fi nisce necessariamente col sommettere la giustizia a qualche cosa che non è la giustizia . Distinguendo l'interesse bene inteso dal male inteso , « non si pongono in opposizione due interessi diffe renti ; al contrario, si pone in fatto, che non vi ha che un in teresse unico , che l'uomo giusto e l'uomo ingiusto hanno egual mente in veduta ; e che fra essi non vi ha che questa differenza , che l'uomo giusto è un uomo accorto , e l'ingiusto un imbecille » ( 2) . 99. Ora contro questa concezione morale militano tre argo menti. 1. ° « La volontà dell'uomo virtuoso differisce intrinseca mente da quella dell'uomo vizioso » . Laddove nella morale del l'interesse la volontà di entrambi è unica ; perchè entrambi vo gliono la cosa stessa : il proprio utile . 2. ° La virtù vera è una dote del volere ; e nella morale dell'interesse, invece , sta tutta nell'accortezza dell'operare ; poichè col cuore più perfido si può saper fare il proprio utile ( 3 ) . 3. ° La legge morale dee essere asso luta ed universale . Invece la morale utilitaria « è fondata su la situazione ipotica dell'uomo , la quale, cambiandosi, cambia pari menti nell'uomo il principio di direzione, e la virtù diviene vizio , il vizio virtù » . Sicché la morale utilitaria è falsa , distruggi trice di ogni vera virtù si privata che pubblica ( 4 ) . La virtù è causa della felicità ; poichè , se diviene mezzo, cessa di essere virtù ( 5) . 100. La morale è essenzialmente disinteressata : la virtù è amabile per se stessa, indipendentemente dal premio, che la segue. Ma « la coscienza di averla praticata dev'essere un piacere puro distinto dal piacere preveduto dal premio , ed indipendente da questo » ( 6) . Nella Filosofia della volontà ( 7 ) l'autore sostiene che se il principio dell'utile non può produrre la virtù , nondimeno può concorrere col principio del dovere a produrla. Non manca tuttavia di notare che tale concorrenza « non impedisce, che l'azione sia prodotta dal principio disinteressato del dovere; poichè il princi ( 1 ) Filos. d. vol., IV , 104. ( 2) Op. cit . , IV , 105 . ( 3) Il Galluppi non ammetto che dall'utile proprio possa nascere l'utile altrui , che l'egoismo, come ora si direbbe, possa generare l'altruismo . « L'uomo nulla può amare fuori di se stosso se non per se stesso » . Fil. d . vol ., IV, 105 . ( 4) Op. cit . , IV, 107-9 ; Elementi, V, 8 32, pp. 98-103. ( 5) IV , 113. ( 6) IV , 147. ( 7 ) IV, 164. 270 CAPITOLO VII pio dell’utile in tal caso toglie solamente o diminuisce gli ostacoli all'esercizio della virtù » ( 1 ) . Sicché , insomma, non è una vera e propria concorrenza : l'azione morale è effetto unicamente del principio del dovere assoluto e universale, categorico. Pare che il Galluppi si opponga alla rigidezza razionalistica della morale del Kant ; ma in realtà sono d'accordo nella medesima dottrina. 101. Negli Elementi l'autore pare accenni veramente al Kant, dove dice ( § 33) : « Alcuni filosofi alemanni hanno preteso che l'ubbidienza al dovere dee esser l'effetto del puro rispetto della ragione per la legge , senza alcuna specie di piacere , nè di amore. Una tal dottrina è falsa , e contraria alla testimonianza irrefraga bile della coscienza » . Ma egli spiega così il suo pensiero : « Non si dee esser giusto e benefico , per esser felice ; poichè anche quando la moralità non fosse una sorgente di felicità , non si do vrebbe abbandonare . Ma più la virtù sarà pura e disinteressata, più vivo sarà il piacere , che risulta dalla coscienza di averla praticata ..... Il piacere unito all'esercizio del proprio dovere di spone all'azione doverosa la volontà dell'essere ragionevole..... Ma non bisogna confondere le conseguenze di un fine col fine stesso .... L'uomo virtuoso vuole il dovere per se stesso : e questo è il fine ultimo della sua volontà ; egli , in conseguenza, non fa il dovere per lo piacere ; ma il piacere non lascia di accompa gnare la pratica del dovere » . Ora questa dottrina è in opposi zione a un kantismo mal inteso : al kantismo cui s'allude dallo Schiller nel famoso epigramma sullo Scrupolo di coscienza . Ma il Kant, in verità, non ammetteva meno del Galluppi quel piacere che consiste nella soddisfazione che ci dà la coscienza d'aver adem piuto il proprio dovere; ma come il Galluppi teneva a distinguere questo piacere morale consecutivo all'azione virtuosa dal piacere patologico a cui uò essere ispirata un'azione non virtuosa (2) ; ad affermare che il sentimento morale è conseguenza non principio ( 1 ) IV , 165. ( 2) P. es. nella prefazione alla Tugendlehre scrive : « Ich habe an einem Orte ( der Berlinischer Monatsschrift) den Unterschied der Lust, welche pathologisch ist, von der moralischen, wie ich glaubo, auf die einfachsten Ausdrücke zurückgeführt. Die Last nähmlich , welche vor der Befolgung des Gesetzes hergeben muss, damit diesem gemässgehandelt werde, ist pathologisch , und das Verhalten folgt der Naturordnung ; diejenige abor , vor welcher das Gesetz hergeben muss, damit sie empfunden werde, ist in der sittlichen Ordnung » . Werke ( ed . Rosenkr. ), IX , 221; cfr . Krit. pr. Vern . , in Werke, VIII , 152-3. PASQUALE GALLUPPI 271 della moralità . Il Kant bensì osservava che il piacere per l'atto virtuoso compiuto e il rimorso per il delitto presuppone che si sappia apprezzare il valore del dovere e l'autorità della legge mo rale'; ond’è che la legge morale è il fondamento di questi senti menti, non viceversa. Si deve essere , dice il Kant , almeno per metà di già galantuomini per potersi fare un'idea di tali senti menti . Osservazione che mi pare perentoria contro ogni specie di eudemonismo ( 1 ) . – Sicché, anche per questo rispetto, la morale del Galluppi riproduce quella del Kant. 102. Nella morale il Galluppi si attiene al criticismo del Sag gio filosofico . La sua morale, come quella di Kant , è indipendente dall'esistenza di Dio. All'ateo, con la sola considerazione dell'umana natura può provare l'esistenza del bene e del male morale, in dipendentemente dalla considerazione dell'utile ( 2) ; perchè l'ateo , qualora non voglia esser sordo alla voce della coscienza, non può non riconoscere una legge morale, che gli comanda di esser giu sto e benefico . Giacchè il dovere si conosce per se stesso , è un elemento semplice di tutte le verità morali , che sgorga dall’in timo di noi stessi . Le difficoltà da altri incontrate a dedurre dalla natura umana per sè considerata la legislazione morale, derivano dalla inesatta e incompleta comprensione di questa natura ; cui si attribuisce solo il principio dell'utile e si nega il principio mo rale . « Si parte dal principio che nella natura umana non vi può essere altro principio razionale di azione che quello della pro pria felicità ; ora qual meraviglia che partendo da un principio insufficiente a generare il dovere non si giunga ragionando con conseguenza ad una verità pratica ? » ( 3) . Anzi , secondo il Gal luppi , l'idea di Dio non è sufficiente a spiegarci l'origine del do vere : perchè una conoscenza teoretica non è sufficiente a generare un principio pratico. 103. Ma, diceva il Genovesi, la ragione umana è fallibile : è spesso traviata dal personale interesse ; epperd i suoi dettami non possono essere norma delle nostre azioni . E il Galluppi replica , che questo scoglio non si evita certo con la tesi dell'origine di ( 1 ) Cfr. del resto questo passo del GALLUPPI: « I difonsori della moralo dell'interesso bene riguardano il rimorso come motivi , che debbano determinar l'uomo a fare il proprio dovero ; ma noi sostenghiamo, che l'uomo virtuoso dee fare e fa il proprio dovore per se stesso , indipendentemente dagli effetti che seguono dalla pratica della virtù e da quelli del vizio » Filos. d. vol. , IV , 241. ( 2) Filos. d. vol. , IV , 238. ( 3) IV , 250 . 272 CAPITOLO VII vina della morale . Perchè la legge morale bisogna sempre che sia conosciuta dagli uomini ; e conosciuta , naturalmente, per mezzo della loro ragione . Nè maggior valore ha l'argomento a cui ar restavasi il Tamburini : che non si può concepire legge senza legi slatore . Il legislatore , dice il Galluppi , è essa la ragione , in quanto ragione pratica . 104. Un ultimo punto d'incontro del Galluppi col Kant è il seguente . Secondo il filosofo italiano è un principio essenziale della ragion pratica che la virtù è degna di premio , il vizio è degno di pena : giudizio sintetico a priori. Ora, se noi crediamo a questo principio , dobbiamo pure credere all'immortalità del nostro spirito ; perchè l'uomo virtuoso in questa terra non è sempre felice, nè sempre sfortunato il malvagio. Che il vizio dev'esser punito intanto è indimostrabile, come che la virtù debb’esser premiata : è indimostrabile, perchè è un giudizio sintetico . Ma è legge inalte rabilmente impressa nella realtà del mio essere ; è la voce di quella ragion pratica, che è la legislatrice delle nostre azioni , e che non ci pud ingannare, se la virtù non è nome vano . Uno stato è ne cessario in cui quel principio abbia il suo valore reale , la sua piena esecuzione . Inoltre , io trovo nel santuario del mio essere la necessità d'una ricompensa della virtù e d’una punizione del vi zio ; vi trovo pertanto la necessità di un giudice supremo. Vi è dunque un'intelligenza suprema, infinita , assoluta , che si manifesta a tutti gli esseri intelligenti . Questo supremo legislatore e giu dice è Dio ( 1 ) . È, comesi vede , su per giù , la teoria kantiana dei postulati della ragion pratica. 105. Ma il Galluppi sente la difficoltà che s'oppone a una de duzione teoretica da un'esigenza morale, e si domanda : possiamo noi su la semplice esistenza delle nostre affezioni in noi, stabilire la realtà degli oggetti di esse ? Anche al Kant si affacciava un problema simile ; e faceva escogitare quella teoria del primato della ragion pratica sulla ragion teoretica, che è una vera rinun zia a ogni diritto di vero e proprio filosofare , e perciò a ogni fondamento filosofico della stessa morale ( 2) . Il Galluppi non fa motto di questa teorica , forse convinto della sua manchevolezza, e tenta ogni via per distrigarsi dalla difficoltà ravvisata . Ma non pare che le ragioni trovate lo persuadano bene. Giacchè , infine, ( 1 ) Elem ., V, § 42, pp. 138-40 . ( 2) Vedi le ottime osservazioni del prof. SEBASTIANO MATURI , Principii di filosofia , Napoli, 1837-98, pp. 14 e sgg . PASQUALE GALLUPPI 273 1 si prova a dimostrare l'immortalità dell'anima, indirettamente, dimostrando che non si può provarne la mortalità . Se pure que sta può dirsi dimostrazione. 106. Egli dice in sostanza, dopo qualche esitazione : l'esperienza ci mostra che gli oggetti delle nostre affezioni sono reali ; ma fra le nostre affezioni c'è la tendenza alla immortalità ; dunque l'anima è realmente immortale. Bisogna riconoscere che in gene rale le nostre tendenze naturali non sono defraudate del loro oggetto . Una di queste tendenze è la curiosità . E « non possiamo noi forse, dice il Galluppi, spesso soddisfare la nostra curiosità ? » . Questo spesso , veramente , guasta, e non poco , l'argomentazione dell’autore ; il quale si contenta di constatare con l'esperienza : « non vi ha alcuna tendenza nel cuore umano la quale non possa qualche volta raggiungere l'oggetto cui ella tende » . Qualche volta ! Dunque l'asserzione dell'immortalità dell'anima non è nulla d'apodittico : è meramente problematica . Per dirla schietta, il nostro filosofo è convinto che « il domma dell'immortalità » im porti alla filosofia morale « come il più fermo sostegno della virtù infelice ed un freno potente alla licenza del vizio » ; ma chiuso nel suo sperimentalismo, ignaro degli espedienti mal fidi del Kant, non sa fondare teoricamente il suo principio , non sa darne una giustificazione filosofica ; più filosofo nella sua impo tenza degli odierni prammatisti, che con la maggiore disinvoltura creano una metafisica per uso e consumo della morale, quasi che lo spirito avesse fine più degno del vero ; quasi che il bene potesse fare a meno di essere il vero bene. 107. Stabiliti comunque i suoi principii generali della morale, che , come s'è notato , sono principii essenzialmente formali, come tutti i principii soggettivi, si può rimproverare al Galluppi ch'egli ne deduca i singoli doveri ( 1 ) . Ma anche in questo egli s'accorda col Kant, la cui Dottrina della virtù , nella seconda parte della Meta fisica dei costumi, per quanti sforzi facesse l'autore di salvare il suo formalismo , è in assoluta contraddizione col principio for male da cui si vuol derivare . Il formalista così nella logica come nella morale deve lasciare alla storia il compito di dare un con. tenuto alle leggi soggettive , epperò necessarie ed universali, dello spirito . 108. Certo , con tutti i suoi difetti , che non sono solamente suoi, anche nella morale il Galluppi rappresenta un progresso immenso ( 1 ) Elem . della filos. morale, cap. V. 18 274 CAPITOLO VII sui filosofi precedenti. In conchiusione , egli con le sue ispirazioni kantiane, co'suoi studi accuratissimi su tutta la moderna gno seologia post-cartesiana si libera dalle angustie del sensismo e dello spiritualismo dommatico ; e inizia in Italia un nuovo periodo speculativo ; nel quale il nostro pensiero, rinsanguato delle idee più vitali della filosofia tedesca . si solleva col Rosmini e col Gio berti a un'altezza non più toccata da noi dopo i grandi pensatori del Rinascimento.Galluppi. Pasquale Galluppi. “Galluppi errs in calling natural semiotics, ‘il linguaggio dell natura,’ since no tongue is involved!” But we can forgive him for that since he genially realizes, unlike King Alfred, that one can use ‘dire’, ‘con questo moto del ditto, egli dice al compagno che vada da B in C” Segno figurato, motto dei bracci quando imito il moto de pesare para figurar paragonare. – Grice: “Gallupi’s scheme is a complex, and much better than Locke. He notes that ‘natural’ can apply to ‘sign’, and it is a natural fact that men will start using ‘natural’ signs in an artificial way – this he calls ‘natural sign’ – in that it is already an utterer making the gesture, as when he sneezes, intentionally. Galluppi has always in mind the dyad, what he calls il ‘compagno’ – so he plays with fifty variants on a theme. A makes a gesture – with the finger, with the arm --. Galluppi speaks of the ‘proposizione’ being communicated even in these cases – a ‘grido’ is equivalent to the proposizione that the compagno is to ‘turn his attention towards the utterer’ – In the ‘natural’ sign, as used in communication, we are already in the realm of the artificial – only a black cloud naturally means rain – Galluppi hardly dwells on a ‘grido’ signifying pain in a natural way. He notes that we progress. And he keeps looking for the reasons in the utterer and the addressee for all this. So like me, he looks for a motivational rationale – a ‘semantic’ freedom – or ‘prammatica’ as he would say. Since he is an illuminista, he is only concerned about this in terms of a minimal taxonomy of signs. So between the signs used in communication he distinguishes three types: the imitative, the indicative (different criteria) and the figured sign – not figurative – ‘segno figurato’ – when a lot of pantomime takes place. It is only THEN that he explores the arbitrariness: one loses one’s compagno, and utters, “Where are you?” – so since this worked, they agree that ‘Where are you’ will mean, “I lost you – where are you?” --. And then we have a full lingo – or semiosis. He rightly thinks that his is an improvement over Lucrezio!”  Pasquale Galluppi. Galluppi. Keywords: gesto, grido, gemito, moto del ditto, dolore, causa del dolore, circustanza, segno naturale, segno istituito, segno commune (istituito per la comprensione mutua), segno arbitrario, segno artificiale, segno imitative, segno indicatore, segno figurato, segno analogico, segno figurativo -- gesto della mano, lo sguardo, communicare, sentire, volere, Gentile, il canone nella storiografia filosofica italiana – Gentile su Galluppi. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Galluppi," per Il Club Anglo-Italiano,The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758115582/in/dateposted-public/

 

Grice e Galvano – arte naturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Galvano; he has philosophised on aesthetics, on ‘spirit and blood,’ and on polytheism, citing Sallust!” Frequenta la scuola a via Galliari, animata da Casorati.  Fonda L'Unione Culturale di Torino.  Promuove il “Movimento Arte Concreta” – cf. Arte Astratta – Insegna all’Accademia Albertina. Dizionario Biografico degli Italiani.  FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA E ASSOCIAZIONE LUCANA CARLO LEVI    Pino Mantovani  Luca Motto       Albino Galvano  Fare, pensare, vivere la pittura                "i P____—_ mm gr s_———m dz de __—2zpA—A_t}    PA    "o    Scritti di    PINO MANTOVANI  LUCA MOTTO  ALESSANDRO BOTTA  ADRIANO OLIVIERI    ALBINO GALVANO    Fare, pensare, vivere la pittura    Aver puntato il senso della propria vita sui segni e sui colori    sarà stata magari una puntata inutile ma non elusiva e non insincera  | [ALBINO GALVANO, 1980]    FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA    AssociaziIoNE LUCANA IN PieMONTE Carto LEVI    MOSTRA D'ARTE  TRENTENNALE DI ALBINO GALVANO    Torino, marzo-giugno 2021  presso la Sala Mostre dell’Associazione Lucana Carlo Levi e della Fondazione Giorgio Amendola    Con il Patrocinio di Con la collaborazione di    REGIONE CONSIGLIO wc I GALLERIA | NE }  CITTA DI TORINO olii  MIN FEONIE DEL PIEMONTE att Sen    DEL PIEMONTE   Il 2020-21 è stato un biennio segnato dalle notevoli difficoltà imposte dalla pandemia da  Covid-19. Alla luce delle molte restrizioni, la Fondazione Giorgio Amendola ha cercato, nel limite  del possibile, di proseguire con le proprie attività di divulgazione e promozione culturale adattando  spazi e metodologie alle esigenze del periodo, rispondendo all'emergenza coronavirus con iniziative  dinamiche e creative, passando per la fruizione digitale per permettere agli utenti di restare a casa,  come le disposizioni prescrivono, senza perdersi dei contenuti culturali.   Sotto questa prospettiva e, nonostante le molteplici difficoltà, il lavoro svolto per ricordare, a  trent'anni dalla sua scomparsa, l'artista torinese Albino Galvano (1907-1990) è stato importante.  La Fondazione Giorgio Amendola ha ritenuto opportuno offrire alla città di Torino e non solo, la  possibilità di accedere gratuitamente all'incontro con l’opera artistica e intellettuale di una delle figure  di spicco del panorama artistico italiano della seconda metà del novecento. L'iniziativa, di rilievo  nazionale, ha permesso di raccogliere artisti e intellettuali di tutta Italia che hanno collaborato con  Galvano e che tuttora ricoprono un ruolo fondamentale nella produzione culturale del nostro Paese.          Prospero Cerabona  Presidente della Fondazione Giorgio Amendola    Studi, Convegni, Ricerche  della Fondazione Giorgio Amendola e  dell’Associazione Lucana Carlo Levi    54  Presidente Fotografie delle opere  PROSPERO CERABONA MARCO CORONGI  Curatore mostra e catalogo Direttore Responsabile  PINO MANTOVANI PROSPERO CERABONA  Scritti di Redazione  PINO MANTOVANI, LUCA MOTTO, ALESSANDRO BOTTA, ADRIANO OLIVIERI DOMENICO CERABONA, MARIA SOFIA FERRARI    Progetto ed allestimento    PINO MANTOVANI, LUCA MOTTO, EDITRICE IL RINNOVAMENTO —”  Fotocomposizione    © EDITRICE IL RINNOVAMENTO    Ente promotore  Fondazione Giorgio Amendola VIDEOIMPAGINAZIONE GRAFICA DI TESTI E IMMAGINI  Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi VIA TOLLEGNO 52 - 10154 TORINO TEL. 0112482970 — cerabona@libero.it    Si ringraziano per il prestito delle opere e la collaborazione: Galleria del Ponte (Torino), Civica Galleria d'Arte Contemporanea Filippo Scroppo  (Torre Pellice), Stefania e Stefano Testa, Liliana Dematteis, la famiglia Maggiorotto e tutti gli altri prestatori che hanno preferito restare ano-  nimi. Si ringrazia Francesca Barzan per la realizzazione delle docu-interviste.    Sommario    Albino Galvano e la pittura Pino Mantovani  Albino Galvano: la fedeltà alla pittura Luca Motto  Da discepolo a interprete. Albino Galvano e Felice Casorati Alessandro Botta    Gli occhi fervidi e il sapore di cenere.  Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau Adriano Olivieri    Opere esposte       ARTE DI VENEZIA 1954    GATMAZH TEAOZ GANATOZ    XXVI: ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D    GALVANO ALBINO    BIENNALE    (267) Foto Giacomelli - Venezia    FOTOTECA ASA.    Albino Galvano e la pittura  Pino Mantovani    Da pittore, Albino Galvano pone tre livelli d’inda-  gine; come qualsiasi artista intelligente, se non fosse  che, nel caso suo e di non molti altri, i tre livelli si  presentano specialmente complessi e coltivati con con-  sapevole separatezza e problematica interconnessione:   Il primo livello comporta chiedersi che pittore  Galvano sia stato e, ovviamente, interrogarsi sulla  specie e sulla qualità della pittura (delle pitture) che  ha messo in opera nel lungo percorso, sicuro e tortuo-  so, che lo ha impegnato pressoché ininterrottamente  dalla fine degli anni Venti (era nato nel 1907) fino alla  morte, nel 1990.   Il secondo livello comporta mettere a fuoco la  concezione (le concezioni) ch'egli ha elaborato della  pittura, in quanto da critico (e autocritico: nella sua  scrittura, l’autoritrattoè un vero e proprio genere!) si è  occupato dell’arte, in particolare della pittura, conuna  intensità, una pervicacia, una curiosità sempre sveglia,  direi aggressiva, in un'epoca provocatoria e insieme  minacciata dalla condiscendente banalizzazione.   Ma, forse, il nodo più difficile da sciogliere è  quale rapporto ci sia tra il praticante pittura (‘[...]  è questa l’arte — scrive di sé nel ‘46 — della quale ab-  biamo, bene o male, una qualche esperienza vissuta  e [...] non crediamo se non ai discorsi che nascono  da questa esperienza”, dove si radica anche la mi-  litanza del critico) e il teorico che usa gli strumenti  del filosofo, dell’antropologo, dello psicanalista, dello  storico (da competente, eppure mai imprigionato  dallo specialismo? e anche meno dall’appartenenza'*)       1 Sipuòdaffermare che ogni suo scritto è occasione per una au-  toanalisi. Come, d'altra parte, che l'autobiografia non è mai cro-  naca contingente, invece occasione per andare oltre la cosiddetta  evidenza dei fatti, per indagarne radici e proiezioni.   2 A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza” n.1,  Torino, ripubblicato in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue,  a cura di G. Mantovani, Il Quadrante, Torino 1988; in A. Galvano,  Diagnosi del moderno, a cura di A. Ruffino, Aragno editore Torino,  2018.   3. G. Gallino, in Attraverso il Novecento: Albino Galvano, Atti del  Convegno, Torino 1997 a cura di M. Pinottini. Bulzoni editore,  Roma 2004, pag. 45: "Se ... l’eclettismo diventa una condizio-  ne dell'esercizio dell’arte, è anche la qualificazione dello status  dell’intellettuale, che, in ogni specifico ambito d'indagine, è sol-  lecitato a non perdere di vista la visione d'insieme dei problemi.  La polemica di Galvano contro la specializzazione, quale esclusiva  procedura del sapere, risponde a tale regola metodologica. In-  dubbiamente, in ogni attività culturale, è necessaria una partico-  lare competenza, ma, al di là del suo confine, s'impone l'esigenza  del controllo unitario dei suoi esiti e delle sue interpretazioni”.  A. Ruffino, (Com)plessi galvanici, introduzione a Diagnosi del mo-  derno, cit., pagg. XIII-XIV: “Contro lo specialismo, ... Galvano ha  sferrato una controffensiva senza tregua e a tutto campo: sul pia-  no pratico, opponendo al tecnicismo la tèchne (nel suo caso quella  pittorica); sul piano morale, opponendo alla provvisorietà della  posa il rigore della presa di posizione (ma mai irrigidita in partito  preso); sul piano estetico, opponendo ai miraggi di progresso illi-  mitato espressi dal Funzionale le ragioni dell’Organico, capace di  suscitare creazioni vive”.   4 Interessato “da una parte all'eredità del tardo romantici-       A. G. con Mariacarla e Pino Mantovani, Racconigi, 1980.    per affrontare la pittura, alla quale riconosce una  singolare centralità.   Tutti questi temi mi hanno per decenni accom-  pagnato e sollecitato. I miei primi interventi su  Galvano pittore risalgono, infatti, all’inizio degli  Ottanta: data 30 novembre 1980, la presentazione  ad una personale presso la Galleria Maggiorotto  di Cavallermaggiore, seconda di una serie dedi-  cata ai protagonisti del MAC torinese; ma già nel  marzo dello stesso anno avevo tracciato, con la  collaborazione dei miei allievi in Accademia, un  quadro della pittura degli anni Cinquanta a Torino  nel Museo Civico di Casa Cavassa a Saluzzo’, sulla  falsariga delle indicazioni che Galvano aveva for-  nito a T. Sauvage? per una storia ancora regionale  dell’arte italiana nel Dopoguerra; e nel 1983 sul  catalogo della mostra Arte a Torino, 1945-1953” nel          smo e del decadentismo: Mallarmé e Bergson, ‘esoteristi e filosofi  della vita’, psicanalisi ed esistenzialismo, dall'altra alla severità  dello storicismo crociano e all'esempio del rigoroso metodo cri-  tico negli studi di storia dell’arte [...] Lettore di Klages, di Jung o  di Guénon, ma anche studioso di Kant e di Hegel” (A. Galvano,  Perché non possiamo non dirci crociani, in “Numero”, n. 3, 1953. At-  tento a Freud come a Jung. Curioso delle storie, nel tempo e nello  spazio, pronto a coglierne, nella comune umanità, le differenze e  le istruttive potenzialità.   5 PitturaaTorinoneglianni cinquanta, a cura di G. Mantovani, cata-  logo della mostra, Museo Civico di Casa Cavassa, Saluzzo 1980.   6 T. Sauvage (pseudonimo di A. Schwarz) Pittura italiana del  Dopoguerra; Ed. Schwarz, Milano 1957, il testo fu ripubblicato con  integrazioni e il titolo La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, in “Let-  teratura”, n. 1, Torino 1960, successivamente in A. Galvano, La  pittura..., cit. pag. 135 segg; e A. Galvano, Diagnosi..., cit., pagg.  393 segg.   7 Arte a Torino, 1945-1953, a cura di M. Bandini, G. Mantovani,  F. Poli, catalogo della mostra, Torino 1983    salone d’onore dell’Accademia Albertina, dedicavo  a Galvano il mio intervento, anche oltre gli anni  definiti nel titolo. Mi troverò, pertanto, a incro-  ciare in queste pagine scritti pubblicati in un arco  di tempo di circa quarant'anni, con il proposito,  spero non solo narcisistico, di organizzare in di-  scorso unitario contributi sparpagliati e spesso di  non facile reperimento.   Proprio dalla presentazione Maggiorotto — poi  variamente elaborata per occasioni ulteriori dedicate  appunto al MAC, come il catalogo per la esposizione  del MAC torinese sempre curata dalla galleria Mag-  giorotto alla Expo Arte — Fiera Internazionale di Arte  Contemporanea di Bari (1982), la presentazione del  catalogo Albino Galvano, Proferio Grossi, Luiso Sturla,  Artecentro, Milano 1994, fino al saggio sul movimen-  to torinese nel volume per la mostra MAC/ESPACE    TORINO  È VIa S. GIULIA 12 TORINO    370    ‘    Pre.       A. PARISOT  |F. SCROPPO    Bollettino «Arte Concreta» n. 9, 1952 e n. 12, 1953.    all’Acquario di Roma, 1999°—mi parlogico cominciare,  non tanto perché uno dei primi approcci al tema —  allora potevo anche contare sul rapporto diretto con  Galvano, ma devo dire che la sua disponibilità non  era invasiva e tanto meno arcigna rispetto alle inter-  pretazioni che venissero proposte del suo impegno  — quanto perché vi si pongono i fondamenti del mio  interesse per l'artista /critico / filosofo. L'incipit che  sceglievo allora mi pare sia ancora il migliore possibile;  non mio, intendiamoci, invece proprio di Albino che    8. Loscrittosarà rielaborato come prefazione a A. Galvano, La  pittura, lo spirito e il sangue, cit.   9 P. Mantovani, Pittori concreti a Torino, in MAC-ESPACE - Arte  concreta in Italia e in Francia, 1948-1958, a cura di L. Berni Canani e  G. Di Genova, catalogo della mostra, l'Acquario Romano, Roma,  ed Bora, Bologna 1999, pagg.60 e segg.       così aveva concluso un asterisco sul Bollettino “Arte  Concreta”, n.12, 195310 ;   “E scopriremo che è un programma [quello del  MAC le cui premesse erano già nei romanzi dei tempi  della nonna? Tanto meglio, almeno avremo evitato  l'equivoco più antipatico che grava sull'arte astratta:  che si tratti di cosa moderna 0, peggio, d'avanguardia”.  Una fulminante risposta al nemico Leonardo Borgese  che sul Corriere della Sera, aveva definito A’ rebours  di Huysmans, “un vecchio romanzo dell’800”, fonte  peraltro “di tuttele velleità estetiste dell'avanguardia”:  fornendo unovvio spunto polemico — non saprei quan-  to consapevole, nel caso addirittura masochistico — a  chi da anni si occupava del rapporto tra le cosiddette  “avanguardie” ela linea dal Romanticismo al Simboli-  smo; ma anche agli amici di Milano che si riconoscevano  nel programma di Sintesi delle Arti pubblicato nello    H    |    FIL    sintesi allo studio b 24 dal 21-2 al i:    se  ?  i    fi  5  5!  È    s7       A. G. riproduzione di Verso Occidente, Biennale di Venezia 1952.   stesso Bollettino, che prevedeva “il diretto concorso  di tecnici e artisti, sul piano della stretta collabora-  zione, per il raggiungimento finale d’un concreto il  quale aderisca alla funzione in armonia di colleganza  fra il mondo della forma, lo spazio e l'applicazione  pratica dell’opera collettiva”! viva il design, la grafica  e l'estetico diffuso, dunque. Come non bastasse, Gal-  vano conclude l'asterisco citato rigettando qualsiasi  attualismo:” Che bel giorno quello in cui potremo  lavorare in pace al compito che la storia ci ha affidato,  certi che nonè sulla misura della contingente attualità       10  L'asterisco, cioè l'osservazione, la messa a punto marginale  è il contributo che Galvano sceglie per intervenire criticamente  liberamente sui Bollettini del MAC (e altrove).   11 E Passoni, Le arti e la tecnica, “Arte Concreta” 12, 1953, pag. 65,  ried. anastatica, a cura della galleria Spriano, Omegna, 1981.    ,    ,    che il nostro lavoro verrà giudicato!”. Il fatto è che  Galvano non intende escludere tutta la complessità  di rimandi e proiezioni, soggettivi ed oggettivi, che i  linguaggi dell'immagine — specialmente quando non  siano troppo condizionati da tecniche o ideologiche  motivazioni — si portano dietro e dentro, e che, del  resto, la cultura moderna indaga con particolare  impegno e analizza con rinnovata strumentazione,  mentre altri linguaggi dell’immaginario—la poesia, la  narrativa, lamusica — stanno sperimentando a tentoni  forme “nuove” (o vecchie !? o antiche, al punto d’essere  “originarie”!). Neppure, d'altra parte, egli intende  abbandonare la pittura come linguaggio specifico,  proprio quella tradizionale (tela, carta o qualunque  supporto piano, disegnoe colore, gesti e tracce a formar  figure !4); per quanto metta in conto uno spostamento  dall’iconico all’aniconico, dal descrittivo all’evocativo,  dall’allusivo all’emblematico, dal geometrico al rit-  mico al gestuale; ciò che non precluderebbe peraltro  “la possibilità di uno scambio e di una penetrazione  sempre possibili nell'esercizio di una lettura figurativa  per elementi — segno, colore, movimento, materia ecc.    12. “Confessiamo di essere segretamente d'accordo con Bor-  gese [quando invita a rileggere A’ rebours]. Perché... l'essere agli  antipodi [delle scelte di Huysmans e delle preferenze in pittura  del suo eroe Des Esseintes] è troppo vitalmente legato a ciò che  rifiuta per non riprenderlo su di un piano meno esterno: e le cita-  zioni dalla Blavatzky e da Steiner del Kandinsky della ‘Geistige’,  l'appartenenza a circoli teosofici di Mondrian giovane, il fatto che  uno dei primi scritti italiani sull'arte astratta sia di J. Evola sono  ben significativi di un rapporto ambivalente — di rifiuto per la ca-  rica letteraria, moralistica o immoralistica, del simbolismo speso  alla spicciola nell’allusività delle immagini e della messa in scena,  e insieme di accettazione di quel gusto di allusioni e suggestioni,  di segrete corrispondenze tra immagini e speculazioni — che — nel-  le sue due facce: sensualmente umbratile l'una, simbolicamente  intellettuale l’altra — tra il 1890 e questa metà del nuovo secolo  hanno ostinatamente tentato di aprirsi una strada — sia pure af-  fidandosi alla romantica barca ‘ebbra’- dalle varie forme di resa  alla prosasticità del realismo”. Ancora dall'asterisco citato di Gal-  vano in “Arte concreta” 12, 1953.   13. Azzardo un'ipotesi (certo suggestionato dal recente catalogo  della mostra La regione delle Madri. I paesaggi di Osvaldo Licini, Elec-  ta, Milano, 2020, in particolare dal saggio di S. Bracalente, Licini  oltre la geometria: una primordiale genesi del mondo): che Galvano non  abbia ignorato “Valori primordiali”, e in particolare l’opera di F.  Celiberti, anche lui proveniente da studi di storia delle religioni,  tanto importante per Licini proiettato dalla fine degli anni Trenta  oltre la geometria, specialmente nell’incrocio tra teosofia, esisten-  zialismo e fenomenologia (Paci e Banfi), e per comuni interessi per  Spengler, Klages, Guénon ... e per l'alta poesia romantica.   14 “Dipingere con colori e pennelli ... è stata una costante del  mio lavoro nei suoi vari cicli, anche quando come spettatore ho  pregiato e difeso esperienze varie e opposte. Ma è certo che, se  tra il '75 e il ’78 ero venuto via via recuperando alla mia pittura  quell’attaccamento alle gidiane nourritures terrestres che confessa-  vo in un altro mio scritto, nei quadri qui presentati esse hanno  perso ogni ghiottoneria che non sia quella dell'occhio contemplan-  te: in bocca è solo sapore di cenere. Ciottoli, fossili: l'eco della vita  in ciò che non ha vita o non l’ha più”. A. Galvano, Autopresenta-  zione della Personale, Piemonte Artistico Culturale, Torino 1985).       Libretto di iscrizione a magistero.    — non diversi da quelli che consentono la valutazione  di ogni buona pittura”! Perfino le ‘’ giuste ragioni”  concesse ai concretisti milanesi sembrano far parte di  un gioco alquanto provocatorio, portando il discorso  dal livello tecnico a quello culturale ed etico, di una  eticità sempre esposta, in un certo senso negativa  (“demoniaca”, nella cultura occidentale, di radice  inevitabilmente cristiana anche nella più spinta laicità).  Già l’anno precedente, nelnovembre del ’52, firmando  con Biglione, Parisot e Scroppo quello che a ragione  o a torto è considerato il manifesto del movimento  torinese, Galvano aggira gli ottimistici programmi dei  milanesi, espressi nei manifesti dell’ Arte Organica, del  Macchinismo, del Disintegrismo, dell'Arte Totale!’  che sanno ancora tanto di Futurismo, e dichiara che  carattere essenziale nella scelta dei nuovi adepti è la  “responsabilità liberamente assunta sul limite più  impegnativo ... di lotta contro ogni conformismo e  pigrizia intellettuale” nel campo della pittura come  in diversa applicazione estetica e pratica, senza com-  promessi e “senza pudore”. Il fatto è che Galvano (e       15. A. Galvano, presentazione della collettiva, Bordoni, Galva-  no, Jarema, Parisot, Scroppo, Galleria del Fiore, Milano 1954.   16 Cfr. “Arte Concreta n. 10.   17. “L'unico atteggiamento ragionevole è quello di lavorare at-  tendendo colla sincerità di chi sa che lo spirito ama le posizioni  estreme ed attive , non i compromessi”. (A. Galvano, L'evasione, in  “Il Selvaggio”, 15 gennaio 1940, ripubblicato in A. Galvano, Dia-  gnosi del moderno (a cura di A. Ruffino), cit., pag. 28.    con lui i pressoché coetanei Adriano Parisot, Filippo  Scroppo, Paola Levi Montalcinie i più giovani Anniba-  le Biglione e Carol Rama, per nominare tutti i torinesi  che aderiscono più o meno convinti al MAC)ha dietro  le spalle una ventina abbondante d’anni di lavoro non  ovviamente mirato allo sbocco astratto. Basta pensare  alla frequenza orgogliosamente esibita fino all'ultimo  della scuola di Felice Casorati (sul quale elabora una  piccolamaimportantemonografia che punta non poco  sulla stagione simbolista — sull'argomento si rimanda  all'intervento in questo catalogo di Alessandro Botta),  al rapporto con il neoimpressionismo dei Sei, in va-  riante espressionista; al fatto che egli medita, continua  a meditare sul significato e sul valore della scelta  “moderna”, essenziale, inevitabile, ma problematica  nelle ragioni, nei modi, negli obiettivi; infine, che ha  una formazione teorica e storica — aggiungerei una  struttura psicologica ed una educazione — che non  gli consentono di utilizzare a cuor leggero la strategia  del manifesto, di ascendenza futurista, e in genere le  dichiarazioni programmatiche!8: una questione di  carattere e di stile oltre che di metodo e di cultura.  Del resto, Albino Galvano aveva già affrontato il  tema in testi antecedenti di alcuni anni, ne utilizzo uno  in particolare:” La pittura, lo spirito e il sangue”, che  uscì nel 1946 sul primo ed unico numero della rivista  “Tendenza”, nell’ambiziosa prospettiva dei direttori  responsabili — lo stesso Galvano e Pippo Oriani — Ri-  vista mensile di Arti figurative!. Certo esistono di  Galvano saggi più importanti come quelli che elenco  innota?°, dove il tema è affrontato con argomentazioni  analitiche e storicamente complesse, ma continuo a  trovare snodo esemplare nella vicenda dell'artista il  brevesaggio citato. Anche la data è importante, a guer-    18. Il dubbio, lo scetticismo, l'ambiguità come tensione fra op-  posti sono fondamenti del suo metodo, che non è irrazionale, in-  vece di un razionalismo critico che mai cede allo schema ideolo-  gico o alla rigida consequenzialità.   19 Nonacaso ho scelto il titolo del saggio come titolo per la  citata Antologia di A. Galvano, edita dal Quadrante, Torino 1988.  20 Diversi saggi di grande respiro, Galvano pubblica negli anni  immediatamente successivi alla seconda Guerra mondiale. Elen-  co in ordine cronologico quelli ripubblicati sull’Antologia citata,  consenziente l’autore: Aspetti del problema estetico dell’esistenziali-  smo, Atti del Congresso internazionale di Filosofia, Castellani e C  ed., vol II, Roma, 1946; L'esistenzialismo, a cura di E Castelli, Mi-  lano 1948; Storicità e significato dell’arte “astratta”, in “Archivio di  filosofia”, vol. I, Milano 1953, “Galleria di Lettere ed Arti”, n. 4-5,  1953; Medioevo e Romanticismo, “Questioni” n. 2, 1955; Vita e forma  in alcune ricerche di estetica contemporanea, Atti del IIl Congresso In-  ternazionale di Estetica, Venezia 1956, edito dalla “Rivista di Esteti-  ca”, Torino 1957; Le poetiche del simbolismo e l'origine dell’Astrattismo  figurativo, Studi in onore di L. Venturi, vol. II, Roma 1956. All'elenco  si aggiungono i saggi pubblicati in successive occasioni: in partico-  lare sul catalogo della Antologica postuma: Omaggio a Albino Galva-  no, a cura di P. Fossati, F. Garimoldi, M. C. Mundici, catalogo della  mostra, Circolo degli Artisti, Torino 1992 e, con scelta assai più am-  pia ma ancora lontana dalla completezza, sulla recente antologia:  A. Galvano, Diagnosi del moderno, cit.    ra appena finita; come significative le collaborazioni,  che elenco per segnalare la ricchezza e la varietà dei  contributi, intesi a coprire in tutta la loro estensione  le cosiddette Arti figurative: C. Mollino e U. Mastro-  ianni, Monumento ai Caduti per la liberazione d'Italia;  R. Chicco, ... et le tableau quittè nous tourmente et nous  suit; I. Cremona, Dal cannone alla Secessione; A. Dra-  gone, Disegni, acqueforti e acquerelli di Cino Bozzetti; P.  Oriani, Franco Costa; C. Mollino, Gusto dell’Architettura  organica; O. Navarro Il messaggio della cultura; ancora  A. Galvano, Woyzeck di Georg Biùchner, P. Oriani, Breve  discorso su due films di Cocteau. Aggiungo — e non è un  dato secondario—dopo una pagina redazionale, quindi  di Pippo Oriani “che proviene dall'esperienza futuri-  sta” e dello stesso Albino “che proviene dal purismo  casoratiano e dal neoimpressionismo venturiano”,  dove si rivendica, dalle due parti inconciliabili (ma  l’inconciliabilità è segno di forza, di utile tensione)  la gratuità dell'atto creativo rispetto alla riflessione  critica, e l'autonomia del giudizio critico rispetto alle  generalizzazioni dell'estetica, in un tempo storico che  minaccia di deludere chi aveva sperato che la fine del  regime politico e culturale comportasse il recupero  pieno della libertà e la sua pratica esplosiva.  L'avvio del saggio è forte, al solito compromesso,  e ancora una volta lo propongo: “L'appello della pit-    ‘LA PITTURA, LO SPIRITO E IL SANGUE    L'appello della pittura risuona dal profondu del  nostro sangue — ancora con quell’urgenza — come  nei quindici anni quando sostituiva in camuff:imenti  impegnati sino alle estreme ragioni della possibile  azione, gli slanci religiosi o i presentimenti sessuuli.  Ma le vie dell'Eden sono perdute, e sarà vano lo  sforzo di ricostruire un itinerarioche approdi al-  l’innocenza d'allora, che vi riscatti la sin troppv  chiara coscienza del carattere composito e compro.  messo di ogni atto umano che non sia di rinunzia:  il peccato fondamentale dell’arte. Invano da anni  l'estetica crociana, non per nulla irritata con  il « fanciullino »  pascoliano troppo chiaramente  preanunciante le scoperte freudiane {e contro  Freud i erociani si armeranno della più ipocrita in-  comprensione) cerca di riprendere e di legittimare,  con la sterilizzata convinzione del carattere « teore.  tico» dell’arte, il troppo scoperto « alibi » kan-  tiano del « bello come simbolo del bene morale ».  Credo siu venuto il momento di confessare schiet-  tamente che il bello, proprio questo bello artistico  che ci brucia sin dalla giovinezza ogni possibilità di  rassegnazione e di conformismo, è piuttosto il « sim.  bolo del male morale ». Tanto, anche eticamente.  dla questa franchezza non perderemo nulla.   Soltanto Nietsche ha insistito con sufficiente chia-  rezza su questo carattere, profondamente « vitale »  e perciò profondamente « immorale » dell'attività  artistica: contro il quale assai poco mi paiono va-  lere le due obiezioni che implicitamente o esplici-  tamente vengono mosse dagli idealisti e dagli spiri.  tualisti. Se per i crociani — ma credo che in Gen-  tile l'implicita ammissione, inevitabile data l’iden-  tificazione di arte e sentimento e l’inseparabilità  dell'agire dal conoscere, di quanto sì è detto, fosse  più che sospettata dall'autore anche se la reto.  rica di cui sempre fu ammalato gli impedì di am-  metterlo in termini chiari; che tuttavia non man-  cano nei più diversi fra i suoi seguaci o avversari-  seguaci: dal primissimo Abbagnano disciogliente  tatto il reale in irrazionalità, appunto con una re-  ducetio ad absurdum dell’attualismo, all'Evola, al  più recente Spîrito — se per i crociani, si diceva,  la scappatoia di ridurre l’arte a pura conoscenza,  giocando sul doppio ruolo confuso insieme del-  l’« intuizione » permette di evitare lo spinoso prò-    blema, i recenti spiritualisti — ma anche fra di.    loro lo Stefanini, ad esempio, ammettendo una.« in-  sufficienza dell’arte alla vita» — pur nella auto-  ì enza in ordine al proprio valore peculiare,  finisce collo svalutare moralmente l’arte — candi-  damente invece sermoneggiano sulle comuni radici  del bello e del buono (nel secolo scorso queste  niaiseries di solito avvenivano su di uno sfondo  ontologistico vagamente giobertiano, oggi lo gnoseo-  logismo idealistico generalmente è rispettato anche  dagli spiritualisti che dell’idealismo dovrebbero es-    ser avversari) e ci avvertono che il tormento del-    l'urtistu che insegue con il diuturno lavoro il fan-  tasma che sempre gli sfugge è profondamente mo-  rale! ;   Dio volesse che fosse veramente così. E che si  potesse sul serio sperare che all'artista, dopo la  conquista su cui ha tutto giocato, della propria  immagine, fosse anche riservato per soprappiù il  paradiso delle religioni e delle etiche!   Sarà meglio invece guardarci chiaramente in fac-  cia e chiederci se veramente per il puradiso provvi.  sorio della bellezza non giochiamo la salvezza della  nostra anima — ammesso che «questa espressione  abbia un senso: quello cristiano, + quello di una  etica « laica » (ma generalmente è cripto-eristiana  anch'essa) — riconoscere per che cosa abbiamo  scommesso; chè le conseguenze del nostro « pari »  atiche se lo avremo perduto non diventerunno duv-  vero peggiori per quest’atto di franchezza.   Rimane inteso che su questa rivista, che non è  dedicata a studi filosofici, non potremo farlo che  sotto l'angolo della pittura; ma poichè è questa  arte della quale abbiamo, bene 0 male. una qual  che esperienza vissuta e poichè d'altra parte non  crediamo se non ai discorsi che nascono da questa  specie d'esperienza, la cosa non sarà fuori posto.   La coscienza rimane inquieta. E poichè sente  che tutto nel problema implica la discussione delle       CAROL RAMA Disegno - 1944    Da «Tendenza», 1946, disegno di Carol Rama.    tura risuona dal profondo del nostro sangue — ancora  con quell’urgenza — come nei quindici anni quando  sostituiva in camuffamenti impegnati sino alle estre-  me ragioni della possibile azione, gli slanci religiosi  o i presentimenti sessuali”. Geniale, perché collega  direttamente, intimamente la pittura (ma in genere  i linguaggi creativi) alla natura, al sangue appunto,  affermando “il carattere profondamente immorale  dell'attività artistica” già sostenuto da Nietzsche,  negato o perlomeno arginato invece da Idealisti e  Spiritualisti; e insistendo sulla “presenza di una  volontà — non risolta nella pura contemplazione, né  risolvibile, dato ilsuo orientamento verso l’immagine  [...] La cosaè particolarmente evidente nelle arti figu-  rative e la multiforme e aperta a direzioni divergenti  attività [...] ne è il paradigma [...] Ed è appunto ciò  che è sfuggito all’idealismo, a causa della artificiosa  distinzione [...] di teoretico e di pratico, come al confu-  sionismo attualistico che confinando l’arte nella sfera  dell’immediato sentimento cade di fatto in un troppo  semplicistico naturalismo. La distinzione fra teoretica  e pratica è certo valida, ma all’interno di ogni singolo  atto spirituale nella sua integrità, ché la vita spirituale  presenta questi due aspetti come facce sempre distinte,  sì, ma sempre inseparabili”.   Conclude Galvano (e in questa direzione trova  sostegno nella fenomenologia di Alain?!, ne “L'Imma-  culée Conception” dei surrealisti e in Breton, più che  nella poetica di Valery, almeno quando troppo insiste  sul pieno controllo cosciente dell'artista nell’elabora-  zione dell’opera): ‘Qui [...] bisogna pensare [...] ad  una volontà tutta inconscia, individuante e non ancora  individuata (come[...] Schopenhauer presentiva) e ad  unopposto momento rappresentativo che solo giustifi-  ca il valore estetico dell'immagine raggiunta negando  nel sogno l’ebbrezza del movimento fisiologico”.   Con un salto di parecchi anni, dal 1946 de La  pittura, lo spirito e il sangue ad una autopresentazione          21 Utilissimal’ampia citazione in proposito da uno scritto ine-  dito di A. Galvano, riportata da F. Garimoldi Albino Galvano: pro-  getto di una nuova cultura, in Omaggio a Albino Galvano, cit., nota 12:  “[in Alain ovvero Emile Chartier] l'accento cadrà ... molto più  che nell’estetica idealistica, sul momento del fare che su quello  del conoscere , e sulla resistenza del mezzo sentita come condizio-  ne positiva ed essenziale al sorgere del fantasma artistico, fanta-  sma che non sarà più un'immagine al tutto congiunta a priori ad  una materiale estensione che la traduce, ma che sorgerà insieme  all'atto di esecuzione e che soltanto a posteriori rispetto a que-  sto avrà la sua concretezza “ ... “L'opera non nasce nella testa o  nel cuore, nell’intelletto o nel sentimento, per poi essere realizzata  nella pietra o sulla tela, ma, direi, nel vivo pulsare del sangue al  polso quando questo gioca le resistenze e le tensioni, gli scatti e  le flessioni del pollice e della mano nell’urto con il resistente ma-  teriale. La scultura e la pittura sono meno la realizzazione visiva  di un'immagine mentale che la materiale traccia lasciata da un  gioco di ritmi fisiologici”. Sarà in particolare Merleau-Ponty a  sviluppare il tema, per esempio negli studi dedicati a Cézanne.    lino Vieeate  colla (o crlize pus (olenda,  cuni (aza sr net&uk' a fr suina  und la gut rin % NAM (dA  Pene più 0 me0 Ara la rr tn he Ut    forata ME TISHOI: RE Peas LA LALA Les    al caso TU fi  e fa dii  Lo val poco comi pila est;  ua dn AA    Prima pagina della lettera di A. G. a Adriano Villata, 1980.    del 1980 — scritta a mano “quasi si trattasse di una  lettera destinata solo all'amico [il “Caro Villata”,  gallerista], nella quale ci si può confidare e divagare  come l'umore o la nostalgia suggeriscono” —, Galvano  ritorna sul rapporto fra il concepire e il fare, tra il fare e  il decodificare il senso in più o meno risolutive lettere;  ancora una volta mettendosi in gioco, ma senza alcuna  intenzione di assumere valore esemplare o chiedere  scusa 0 simpatia, esponendosi in tutto lo spessore  di sensibilità e intelligenza, di impossibilità (a meno  che non si scelga o si accetti la rinuncia) di sottrarsi  all'impulso profondo. E anche senza compiacimento  narcisistico: ci si esprime non per coltivare l'emozione  ma per darne testimonianza e, per quanto possibile,  esporla a sé e ad una analisi non priva di crudeltà,  comunque oggettiva. È interessante seguire il filo  del discorso, che nella scelta del tono dimesso non è  meno teso del solito.   Prima motivazione del movimento pendolare tra  pittura e scrittura, così esposto al giudizio e all’ironia  dei colleghi dell'una e dell'altra banda: l'appartenenza  “ad una generazione [quella di Cremona, di Maccari,  di Mollino, per restare tra amici] e ad un ambiente       22 Ripubblicata in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue,  cit., pag. 29 e segg.; e in A. Galvano, Diagnosi del moderno, cit. ,  pagg. 13-17.       All'inaugurazione di una sua personale, inizio anni ‘70.    in cui questo male, se male, era quasi una ragione di  orgoglio”. Era la generazione dei nati all’inizio del  secolo, che raccoglieva dai protagonisti del rinno-  vamento dell’arte (secessionista o avanguardistico,  rappresentato per Albino, in primo luogo e per sempre,  dal maestro Felice Casorati), una eredità che era non  meno di esperienza materiale che di elaborazione  intellettuale, un atteggiamento aperto, anzi tentato  da molteplici contraddittorie curiosità e linguaggi  espressivi (ma il quasi suggerisce l’affacciarsi di qual-  che incrinatura nella certezza adamantina esibita dai  predecessori, forse anche per il confronto inevitabile  con una generazione successiva che tornerà a proporre  arroccamenti specialistici).   Seconda motivazione: ‘[...] Tutto quantohai odiato  o amato nei giochi e nella noia dell'infanzia alimenterà  peruna vita quanto produrrai, buono o meno chesial....]   I nutrimenti terreni avranno un bel essere filtrati  in parole, in segni e colori, in note, in spettacolo, il  loro repertorio non muta, non lo hai scelto, ma ne  sei stato scelto, e tu sei quello che essi ti hanno fatto,  la tua libertà non può consistere che nell'essere loro  fedele sino alla fine, libertà di adesione non di ripudio,  e libertà nella misura in cui con il tuo ripensamento e  il tuo scavo li trasformi da passivo esser fatto in attivo  assecondamento della sorte che essi ti hanno assegnato,  in obbiettivazione in cui il loro oscuro sgorgo, la loro  inconscia matrice, si chiarisce nell'opera, nel segno  formato e consegnato all'oggetto che ti rivela agli  altri e in cui assumi responsabilità di confessione e di    10    proposta”. Insomma, è proprio il rilancio dal fare al  pensare e dal pensare al fare che definisce una identità  intuita come destino e accettata come scelta.   Ma se rimane “ovvio” il rapporto fra i nutri-  menti terreni e ciò che uno diviene e fa nel tempo, è  anche vero che “una immagine retrospettiva di sé  è sempre un’interpretazione che porta il peso della  mutata identità dell’interrogante, del penoso carico  di nostalgie, ricordi, rimpianti e rimorsi [...] e ogni  interpretazione, specialmente nell'impegno auto-  biografico, è anche una falsificazione”, per quanto  cerchi di evitare tanto l’apologia ideologica quanto  la “disgustosa e mimetica” confessione personale.   Giusto nel mezzo, fra le due citazioni del 1946  e del 1980, nel 1960 (è il caso di ricordare che è il  tempo della svolta neodada e pop che mette in crisi  e addirittura annichilisce alcuni dei pittori più con-  vinti), Galvano mostra d’avere di questo destino  ironica e malinconica ma anche dura consapevolezza.  Del fallimento egli tesse un sistema, secondo i miti  di Prometeo e Sisifo, riscoperti come”moderni” dal  Romanticismo all’Esistenzialismo. “Finis picturae?  [...] Il punto si identifica [...] con questo estremo di  coscienza contraddetta e irritata: la certezza che la  via senza uscita dell’arte oggi non ha [...] nemmeno  l'alibi della professione, del successo, del guadagno, ma  soltanto il fascino senza illusioni di una fedeltà a un  impegno individuale, quasi di una scommessa con la  propria intelligenza e con la possibilità e i limiti del  nostro stesso temperamento!”.   Diventano così esemplari l’ultima e penultima  produzione di Galvano pittore, alla quale viene dedi-  cata in questa mostra una intera sezione, iniziata verso  la fine degli anni ’70 con i ciottoli le foglie i frutti, i relitti,  proseguita con “i paesaggi (rocce, alberi, isole), i nudi, le  macchie[|...]”:esemplare neltentare una trascrizione di  archetipi, congelati inluoghi comuni della pittura, tipi,  generi e maniere (il fascino baudeleriano dei luoghi  comuni!). Ma già muovevano nella stessa direzione  ireos e cespugli d'inizio ‘70 — tracce che regrediscono  attraverso lamemoria nella gesticolazione elementare  — e prima i segni asemantici, prima ancora (siamo nella  seconda metà dei ‘60) le bandiere, i nastri, i nodi e così  via: tutte figure emblematiche, primarie e coltissime,  che niente hanno a che fare con la semplificazione, la  banalizzazione pop.   La pittura ivi coincide con la costruzione delle im-  magininominabili (nona caso varianti dell'icona della  cosa, anzi del frantume, astratta da qualsiasi contesto,  su un fondo bianco che è il segno di una definitiva  separazione dallo scorrere fenomenico), e insieme la  pittura è automatismo oggettivo, registrazione fredda  della emozione costruttiva (se non creativa): infatti  presentata tipicamente come nodo, descrizione dell’a-    23 A. Galvano, La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, cit.    »m®)  da cor. 4 È  "ut me rematori) E  ua Br su :    Pa    ù  LE  a       Con Gino Gorza a Palazzo Te, Mantova, 1988.    zione dell’annodare, avvolgere, intricare-intrigare, 0  dello sciogliere e liberare (vedi la bellissima immagine  scattata, credo, alla galleria Martano).   Ma è tutta la vicenda di Galvano pittore e critico  che val la pena di ripercorrere in mostra, sia pure per  cenni e con discutibili tagli.   Danotarel’uso ch'egli fa dell’insegnamento casora-  tiano: del maestro, Galvano non assume passivamente  il “platonismo”, consapevole che il rapporto di Felice  con la pittura è dal principio e resta nel tempo un  rapporto “decadente”, che diventa eticamente “sano”  e formalmente “classico” solo per un atto di volontà  tanto mirabile quanto falsificante; sarebbe meglio dire  critico, con vettore opposto, sia pure, a quella che sarà la  scelta di Galvano. Che il travestimentosia storicamente  giustificato su un modello rispettabilissimo come quello  gobettiano, non vuol dire che la sua sostanza più vera  non debba essere riconosciuta nonostante, attraverso  la corazza ideologica e formale ritrovando il nucleo  profondo, ’malato”ma straordinariamente vitale.    11    Del Galvano degli anni’30-inizio ‘40, sarebbe da  approfondire l’espressionismo — che del resto condivi-  de con altri della sua generazione: Nella Marchesini,  Paola Levi Montalcini, Piero Martina, Italo Cremona,  Carol Rama. In tal senso ci si potrebbe chiedere che  peso abbia avuto, localmente, Spazzapan che esaltava  l'ispirazione e deprecava l'istinto (viene in mente la  teoria di Klages, che insiste sulla attrazione magnetica  traimmagine e “anima”, ben distinta, l’anima ispirata  e creativa, dall’istinto che è del corpo, come dalla  volontà decidente e dotata di facoltà riflessiva che è  dello spirito”); e anche Carlo Levi, l’unico dei Sei che  partecipi intimamente all’espressionismo europeo, e,  fuori sede, i romani, Scipione in particolare al quale  Albino dedicò una bellissima recensione nel ‘40, che  è lo stesso anno della prima edizione del Casorati.   In un saggio intitolato Perché non possiamo non  dirci crociani, in “Numero”, 3, 1953, Albino Galvano  sottolinea che la sua generazione “decadente” deve  a Croce specialmente questo: d'essere stata messa  nella condizione di “accettare senza malafede e senza  rimorsi i dati di quella cultura di tardo romanticismo  che, così feconda quanto a ricchezza e sottile sensibi-  lità di ricerche particolari, tanto si è dimostrata inca-  pace di una sistemazione totale... [insomma di poter  essere] decadente malgrado Croce, grazie proprio  al riscatto che il metodo crociano offriva”. Che è un  modo ottimo anche per comprendere come coerenza  di sistema e incoerenza pragmatica siano in Galvano  strettamente congiunte in dialettica tensione: la co-  erenza consistendo nella allarmata coscienza critica,  nella responsabilità che non può consentirsi “nessuna  comoda complicità”, l’incoerenza nell'essere ogni  scelta un esito che, per quanto imperfetto, è sempre  compromesso e rappresentativo. Come a dire che la  vitalità della ricerca costituisce un valore, non meno  che l'aspirazione ad una sistemazione che finalmente  rappresenti una “identità”, forse meglio “la libertà  di essere identici al proprio destino”. Perciò Galvano  non intende, tanto meno come pittore, tagliare i ponti  col passato (il suo passato, oltre che la storia); invece  semina il cammino di tracce, di residui, vorrei quasi  dire fisiologici, di lapsus, così che in ogni momento  il cammino sia ripercorribile o almeno riconoscibile,  ma anche sostituibile. Egli, in effetti, sa che nulla  va distrutto e non consuma sacrifici liberatori. Per  lui in particolare (adatto il titolo di un importante  saggio del ’63), La sublimazione astrattista non liquida  l'erotismo del Liberty, semmai ne prende le distanze,  per poterlo rimettere in circolo, come in un processo  alchemico in perenne rinnovamento.   Così Galvano passa necessariamente da un con-  cretismo geometrizzante, che di fatto ironizza — ma  non banalizza - la geometria come privilegiata ma-       24 A. Galvano, Per un'armatura, Lattes, Torino 1960, pag. 87.    nifestazione della razionalità e della chiarezza, ad  un concretismo informale che libera la possibilità  di una pittura scritta usando il campo come tabula  rasa 0 pagina intonsa, dove il gesto può scorrere ed  intricarsi, e/o come dimensione praticabile in tutto il  suo spessore magmatico, a sua volta ironizzato dalla  scoperta di una ritmica, di una metrica essenziale.  Come adire che è nella pittura (nell'arte) chesi realizza,  assumendo evidenza di mito visivo — feticcio laico —  l'unico progetto possibile senza illusioni razionaliste  e moralismi ideologici.   Un momento certamente fondamentale, sarei  tentato di dire il perno sul quale ruota il resto è quello  attorno al’60: quando la “natura” del gesto s'incontra  felicemente conlo schema, generando una concrezione  araldica, l'intenzione simbolica con il simbolo ricono-  sciuto nella memoria collettiva; ennesima variante  della tradizione dell’ornato, raccolta e riavviata dal  Liberty: insieme puro gesto e automatismo assolu-  tamente impuro. In questa mostra, il momento avrà  adeguata evidenza. Ma è anche vero che Galvano  si guarda bene dal protrarre artificiosamente quel  momento (diciamolo pure, straordinario, quasi senza  confronto in Italia), tanto che si prenderà negli anni  immediatamente successivi, dal ‘62 al ‘65 circa, una  pausa di riflessione che produrrà anziché pittura saggi  teorici che culminano in Artemis Efesia, per riprendere  il filo (la matassa) della pittura con proposte (in appa-  renza) assai differenti: le bandiere, i nastri, 1 padiglioni,  gli anelli di Moebius.   Che cos'è la pittura per Galvano, allora?   Scrive di lui nel 1974 l’amico / avversario Giulio  Carlo Argan, che ha scommesso sul progetto ideolo-  gico, vincente almeno per un certo periodo storico:  “Egli non risponde una volta per sempre, con una  definizione filosofica: infatti ciò che vuol sapere è  che cosa sia la pittura in questa precisa condizione  della cultura, della coscienza, dell’esistenza, e quale  sia il suo grado di vitalità, quali le sue possibilità di  sopravvivere in uno spazio ogni giorno più ristretto”.   Non gli si potrebbe dar torto, se non fosse che  proprio l’opera e ciò che la sottende, l’opera come atto  critico, questo è appunto il suo contributo filosofico, e  anche la sua testimonianza sapienziale, che trascrivo  da una autopresentazione del 19822:   “Dunque [la pittura], una meditazione sulla morte  imminente [...] o il recupero della gioia ottica nello  spazio ripercorso in termini di colore e di luce, sia  pure della luce irreale della memoria e del sogno? O  la scenografia di ambigue emersioni dall’inconscio?  Davvero non saprei dirlo, e, forse, è inutile porsi le  domande. Forse anche soltanto la monotona iterazione       25. G.C. Argan, in catalogo della personale, Galleria Unimedia,  Genova, 1974.   26 A. Galvano, Autopresentazione, in catalogo della mostra,  Piemonte Artistico Culturale, Torino 1982.    12    di una passione per il dipingere, che ripercorre con  insistenza sigle che non è più capace di vivificare colla  curiosità e il gusto avventuroso della giovinezza”.  Tante pitture, allora, e però tutte mirate ad essere  presenza di pittura e non illustrazione di concetti.  Pittore concettoso, a volte, mai concettuale nel senso di  illustratore di concetti : aggiungo,nel segno di una ine-  ludibile, per quanto mascherata vocazione poetica.”   Devo citare, almeno una volta, Edoardo Sangui-  neti, allievo e amico, grande estimatore di Galvano:  “Mi trovo [...] forzato a pensare che, alle radici del  lavoro di Galvano, come artista e come studioso,  stia un'immagine — è la parola giusta — che accenna  all'uomo come animale che è capace di immagine.  E dunque un’antropologia fondata sopra la facoltà  della visione”,   In formula perfetta, a conclusione di Storicità e  significato dell’arte astratta (1953), Galvano aveva già  precisato:“L'opposizione affermata da Mallarmé tra  la concretezza della vue e l’allusività delle visions,  l'affermazione di Alain che il poeta è l'opposto del  visionario perché sa di non vedere sino a che la mano  non abbia realmente costruito nello spazio l'oggetto  che la passione progettava, sono divenute nella co-  scienza del pittore concreto l'imperativo di una scelta  tra il peso della memoria e la libertà pericolosa di una  iniziativa tutta affidata al risultato”. F. Garimoldi,  nel saggio più volte citato”, sottolinea che Galvano  pone come centro dell’arte “l’insoluto rapporto fra  espressione ed enigma” (che cosa di più chiaramente  collocato sulla linea romanticismo-simbolismo come  la vede Albino?), citando una autopresentazione del       27, La seconda parte di questo scritto elabora liberamente tre  miei testi: in ordine cronologico, Témoignage de notre dignité, in Fi-  gure d'Arte, artisti a Torino dagli anni ‘50, a cura di A. Balzola, R.  Cavallo, E. Ghinassi, P. Mantovani, Alberti ed., Pescara 1991; A  proposito del pittore Albino Galvano, in Attraverso il Novecento. Albi-  no Galvano, 1907-1990, a cura di M. Pinottini, Bulzoni ed., Roma  2004; Albino Galvano pittore, catalogo della mostra, Galleria del  Ponte, Torino, 2010.   28 E. Sanguineti, Contro la ragione, “La Stampa”, 10 marzo 1990.  Un libro singolare, dove Sanguineti è figura nodale nella messa in  circolo della “linea liberty” ancora nella seconda metà del ‘900; li-  nea che Casorati, Cremona, Mollino e Galvano avevano mantenu-  ta viva con originali apporti nella prima metà del secolo, è L'altra  faccia della luna — Origini del neoliberty a Torino di Elvio Manganaro,  Libria ed., Melfi 2018. Al libro citato devo la conoscenza di un te-  sto di Galvano: Processo alla pittura in “Il Selvaggio”, 15 novembre  1938, che dà originale contributo alla interpretazione della vicenda  artistica della sua generazione, che “si gioca tutto nello spazio che  separa le Uova del 1914 da quelle del 1920, o tra l’”Icaro senza ali e  le ali senza volo del Sogno...”, di Casorati naturalmente, perché  proprio Casorati era “appartenuto paradigmaticamente ai due  mondi [...] quello della figlia di Iorio e quello della Jeune Parque”...  (E. Manganaro, L'altra faccia della luna, cit., pagg. 168-170).   29 A. Galvano, Storicità... cit., 1953.   30 EF Garimoldi, A. G. Progetto di una nuova cultura, in Omag-  gio..., cit., pag. 15.    ‘77%:"Si dà arte solo quando il non differente operare  a fini strumentali o di puro edonismo è impedito e  stravolto dai sedimenti di una vicenda individuale che  s'insinuano e dominano dove pretendeva condurre il  gioco la razionalità del progetto decisionale. A que-  sta condizione in ogni tempo si è cercato di opporre  la dignità dell’autocontrollo [...], certo vanamente,  ma anche proficuamente perché [...] la possibilità di  coinvolgere gli altri [...] non consiste se non nel pun-  tualizzato istante di tensione in cui lascia materiale  traccia di segno o di tocco quel gioco d’insidie; l'istante  in cui l’inspiegata vicenda interiore si fa immagine ed  emblema”.       Con Francesco Bartoli a Palazzo Te, Mantova, 1988.    Nota bibliografica    La discutibile scelta di privilegiare la pittura  come via di accesso alle molteplici attività di Albino  Galvano, obbliga a segnalare gli autori che hanno af-  frontato il caso con particolare intelligenza e puntuale  cultura filosofica.   E. Sanguineti, in catalogo Antologica, 1979; R.  Tessari, nello stesso catalogo, e Galvano e il mito, in  Figure d'Arte, cit. 1991; G. Carchia, Prefazione a Arte-  mis Efesia, nella riedizione del 1989, cit.; P. Fossati, F.    31 Autopresentazione, mostra personale, Galleria Weber, Tori-  no 1977.       13    Garimoldi, M.C. Mundici (a cura di), catalogo della  mostra al Circolo degli Artisti, cit. 1992; A. Balzola,  Galvano e D'Adda: l'immagine matrice, in Figure d'Arte,  cit. 1991; G. Gallino, pagg. 27-46 e F. Salza, Albino  Galvano e Jung, in“ Attraverso il Novecento”, cit. 2004;  A. Ruffino, Introduzione in Albino Galvano — Diagnosi  del moderno, cit. 2018.   A parte, segnalo il “ritratto” che ne fa Paolo Fos-  sati, con riferimento prevalente agli anni Sessanta e  Settanta, presentando Omaggio a Albino Galvano nel 1992;  e le memorie che in circa trent'anni di colloqui — non  di rado centrati su Casorati, Cremona e Galvano — ho  potuto raccogliere da Gino Gorza, l'unico artista di  generazione successiva che per cultura e gusto potesse  essere accostato a Galvano. Fu proprio Gino a volere una  mostra comune — con il significativo titolo di Sincronie  — a Mantova in Palazzo Te, nel 1988; riannodando il  filo della presentazione che Albino gli aveva dedicato  dieci anni prima, per l’Antologica nello stesso luogo.  Ricordo all’inaugurazione del 1988 la presenza di  Francesco Bartoli, documentata anchein una fotografia  dove il geniale interprete di Licini sembra inchinarsi al  geniale interprete di Artaud. Più recentemente, sempre  al Te, una giornata di studio dedicata a Bartoli è stata  anche l'occasione per rievocare la figura di Galvano  con Roberto Tessari. Anche Tessari è mancato.    Prova di ritratto    Uomoriservatissimo, comea volte chi non si neghi  alla mondanità, anzi se la imponga come esercizio.   La leggendaria disponibilità (senza ombra di  debolezza) realizza una delle forme più aristocratiche  dell'etica (per discrezione in maschera di rigore pro-  fessionale). Essenziale un fondo di malinconia, come  misura di una perdita irreparabile, e di nostalgia per  una totalità irreversibilmente frantumata.   Tra distacco soggettivo e oggettiva commozione  scorre l’impurità di un continuare a vivere, si scrive in  tracce stenografiche il diario di un sedotto ... e di un  seduttore per forza (di un gentiluomo piemontese).   Sensualissimo lettore; scrittore capace di costruire  macchine logiche come trebbie di tortura, e di avvolgere  in sontuose inestricabili ragnatele (costante una specie  di dolcezza, cui tanto meno resistono rigidi baluardi):  trascurabile vi è l'inganno, perché la circonvenzione è  ignobile, specialmente d'incapace.   Come un dovere coltiva il diletto: su questo piano  potrebbe essere magistrale se non fosse troppo fine e  pericoloso un tal modello. Nel suo sistema, la pittura  rappresenta il “concreto”. Distratto semmai da irridu-  cibile curiosità, non è mai astratto.   Ireos, sassi e conchiglie sigillano una storia so-  stanzialmente coerente, perché osano confronto con il  principio e la fine: così su una pietra tombale si posano  cose e il tempo vissuto, relitti nudi, epifanie senza velo.    Omaggio a Albino Galvano       Catalogo mostra antologica, Palazzo Chiablese, Torino, 1979.  Catalogo mostra antologica, Circolo degli Artisti, Torino, 1992.  Atti del convegno, a cura di M. Pinottini, Torino, 1997.   Antologia di scritti di A. G., a cura di A. Ruffino, Aragno editore, 2018.    Electa Piemonte    ATTRAVERSO  IL NOVECENTO:  ALBINO GALVANO  (1907-1990)    a cura di    Marzio Pinottini    BIBLIOTECA DI CULTURA / 657    BULZONI EDITORE       14    Albino Galvano: la fedeltà alla pittura    Luca Motto    Il magistero casoratiano e la prima figurazione  1928 — 1944    Albino Galvano nacque a Torino il 16 dicembre  1907, l’anno d'esecuzione delle Demoiselles d'Avignon  di Picasso che segnò l’imporsi e il susseguirsi delle  avanguardie: « che nel bene e nel male problematico  [...]dovevanocaratterizzare, inconcomitanza concrisi  umane, politiche e sociali ben più gravi, ilnostro secolo  sino a porre oggi il problema della “morte dell’arte”  qualunque cosa si intenda sottolineare con questo  termine apocalittico»!. Galvano pur muovendosi nel  solco della modernità, affondava le sue radici in una  meditata e personalissima assimilazione di riferimenti  pittorici dell'Ottocento e del primo Novecento, ben  lontano dalla reazione e dall’inattualità. Apparteneva  all'ambiente casoratiano e alla sua scuola «divenuta il  centro di un'opposizione cortese, tacita che non esclu-  de — la cosa è molto torinese — rapporti amichevoli o  per lo meno corretti con gli avversari»?.   Nel decennio 1918-1928 venne segnata la tempe-  rie di una Torino moderna (tuttavia non futurista) di  seguito enunciata in pochi assunti utili a comprendere  l’ambiente artistico nel quale il giovane Galvano s'in-  trodusse: la comparsa di Felice Casorati alla Promotrice  del 1919 come artista rivoluzionario e di rottura; la  «breve esistenza » di Piero Gobetti e il suo cenacolo  antifascista; le polemiche e la reazione dell'ambiente  cittadino alle scelte di «gusto» antinovecentiste di  Lionello Venturi rivolte all'arte di nuovi «primitivi»,  gli impressionisti; il fugace percorso del gruppo dei  Sei di Torino (coagulato e promosso dal duo Persico e  Venturi)che rinunciarono a «Roma madre» per «Parigi  amica»; e la vitalistica apertura culturale europea del  finanziere, collezionista e mecenate Riccardo Gualino.   Dopo un precoce apprendistato con il pittore  Giovanni Pisano e il maestro di disegno Vannini,  l'educazione di Galvano all'arte contemporanea si svi-  luppò suriviste di settore (in particolare”“Emporium”  e “L'art vivant”) e attraverso la frequentazione delle  Biennali veneziane. Alla rassegna del 1928 Galvano  poté osservare dal vivo la pittura di Felice Casorati  che rappresentò «la scoperta del mondo nuovo e spre-  giudicato che si apriva alla nostra cultura: l'ingresso  del mondo “moderno”»*.   Al termine del 1928 si iscrisse alla Scuola Libera di  Pittura di Casorati (sorta a Torino nel 1921 e struttu-  ratasi maggiormente dal 1927 nella nuova sede di via  Galliari, antistante l'abitazione di Riccardo Gualino) e  la frequentò fino al 1930. Il suo magistero, lontano da       1. A. Galvano, Autobiografia, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura  di), Albino Galvano, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Re-  gione Piemonte, Torino 1979, pp. 17 — 18.  2 A. Galvano, Torino e i «Secondi futuristi», in A. Galvano, Dia-  gnosi del moderno. Scritti scelti 1934 - 1985, a cura di A. Ruffino,  Nino Aragno editore, Torino 2018, p. 344.    15       Albino Galvano (al centro, seduto) e (da sinistra, in piedi, tra gli altri)  Filippo Scroppo, Daphne Maugham, Rina Galvano, Danila Cremo-  na, Felice Casorati, Carol Rama, Leopoldo Bertolè, Valpellice 1949.    «Ogni sistematicità d'accademia»°, non fu solamente  estetico ma anche pregno dell'eredità etica e politica  gobettiana: un debito verso quel «fanciullo puro» che  esigeva «fedeltà e non lacrime»®. Per Galvano il punto  fondamentale della sua formazione fu il trovarsi par-  tecipe di un ambiente che lo salvò «tanto dal rischio  di un'adesione acritica al regime imperante [...] e da  quello ben più grave [...] di un'immersione o som-  mersione nella Torino di quel tipo di borghesia che  amava in pittura Giacomo Grosso». L'insegnamento  del «platonico» Casorati, pervaso «d’una signorile  severità», verteva su l’«insieme» e il «tono». Dalla  monografia Felice Casorati di Galvano (1940, editore  Hoepli, Milano) si legge che il Maestro consigliava  agli allievi di «imparare a vedere il più semplicemente  possibile [...] la forma di quella determinata massa  tonale, di quella determinata massa chiaroscurale,  non la forma dell'oggetto» [...]. La forma serve qui  a distruggere la linea ed a passare al colore [...]»*.   Il clima della scuola di via Galliari fu efficacemente  narrato da Lalla Romano ne Una giovinezza inventata:  «Verso sera venivano sovente visite: Alberto Rossi,  Mario Soldati, Carlo Levi. Levi ridacchiava — con  noi — sull'indirizzo classicistico della scuola, dove gli  allievi più ambiziosi preparavano un bozzetto per il  quadro. Rideva ma affettuosamente. C'era una base  culturale comune: il disprezzo per il fascismo».I  nomi citati sono solo una parte delle personalità con  cui Galvano, all’inizio degli anni Trenta, instaurò un  duraturo rapporto amicale sulla via del confronto  artistico, tra gli altri: Paola Levi Montalcini, Sergio  Bonfantini, Riccardo Chicco, Italo Cremona, i Sei e       5 P. Gobetti, Iniziative d'arte a Torino, in “L'Ordine Nuovo”, 27  dicembre 1921.   6 F. Casorati, in “Il Mondo”, 20 marzo 1926.   7. A. Galvano, Autobiografia cit., p. 17.   8 A. Galvano, Felice Casorati, cit. pp. 369, 371.   O) L. Romano, Una giovinezza inventata (1979), Einaudi, Torino  2018, p. 185.       Giulio Carlo Argan, ma anche Carlo Mollino, Massimo  Mila, Leone Ginzburg e Franco Antonicelli.   La pittura postimpressionista di Galvano del  decennio Trenta e fino al 1945 si orientava in un «con-  traddittorio intento di tenere insieme i valor plastici  di Casorati e quelli dei Sei» il cui risultato «pesante e  impastato» fu autocriticamente espresso dall'artista  stesso!°. Anche una certa l’arte d'oltralpe praticata da  stranieri fascinò Galvano (Maurice de Vlaminck, Ko-  stia Terechkovitch, Christian Krog), mentre i rimandi  nostrani furono indirizzati alchiarismo lombardo eai  tonalisti romani. «Quei loro mezzi [...] misi sfasciava-  no ed intorbidivano tra le mani, rimanendo parentele  d’accatto o esperimenti di lettura, ed enorme riusciva  la dispersione e la perdita di tempo»"!.   Un repertorio antinovecentista di temi iconogra-  fici ricorrenti segnò quel periodo: «pesci, molluschi,  conchiglie, vecchi libri accartocciati, crocefissi e  acquasantiere barocchi, nudi tortili come molluschi  e paesaggi incerti tra quegli andamenti sinuosi e un  modesto cezannismo che era nell’aria»!“.   Galvano s’inserì nel circuito espositivo nel 1929,  anno in cui le arti si avviavano verso la loro fasci-  stizzazione di forma con l'istituzione del Sindacato  Fascista a cui venne affidato il compito di gestire le  manifestazioni espositive periodiche sul territorio  nazionale. Il rapporto con la società artistica di un  Novecento sarfattiano (a un passo dallo smantella-  mento definitivo) e della retorica celebrativa di Stato  era destinato tuttavia a un sostanziale fallimento.   A Torino Galvano esordì nell'alveo casoratiano  in due mostre della scuola nel 1929 e nel 1930. Dal  1930 al 1942 furono regolari le sue presenze alle espo-  sizioni annuali della Promotrice di Belle Arti con più  sporadiche puntate alla Società degli Amici dell’arte  (1931, 1932, 1934).   Il critico Emilio Zanzi, in una recensione riguar-  dante un'esposizione di vendita torinese del 1934,  sagomava i tratti pittorici del giovane Galvano: «[...]  sfuggito anzitempo alla disciplina rigorosa della  scuola di Casorati. Il Galvano in certe composizioni di  nature in silenzio ricorda la chiara e sapiente pittura  del Maestro, in altri quadroni ricerca l’effetto della  pennellatona agile ed abile, cara passione di qualche  post-impressionista»".   Alle rassegne di carattere nazionale Galvano  prese parte alla I e alla Il Quadriennale romana (1931  e 1935) dove vi fu una discreta rappresentanza torine-  se e piemontese: Felice Casorati e il suo discepolato  (Paola Levi Montalcini, Nella Marchesini, Sergio  Bonfantini, Emilio Sobrero), Daphne Maugham,          10 A. Galvano, Autobiografia cit., p.18.   11 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria La Giostra,  Asti 1952.   12. Ibid.   13 E. Zanzi, in “La Gazzetta del popolo”, 1934    16       Albino Galvano e Filippo Scroppo alla I Mostra Internazionale  dell'Art Club, Palazzo Carignano, Torino 1949.    parte dei Sei (Carlo Levi, Francesco Menzio, Enrico  Paulucci), Giulio Da Milano, Umberto Mastroianni,  Italo Cremona. Alla Biennale di Venezia del 1930  Galvano presenziò con un’opera nella stessa sala di  Casorati e allievi, mentre nell'edizione 1936 espose  isolato (a Gigi Chessa scomparso nel 1935 venne  dedicata un'ampia retrospettiva, Menzio e Paulucci  comparivano attigui).   In questo periodo sono da indagare infine le par-  tecipazioni alle quattro edizioni del Premio Bergamo  (1939-1942). Fuuna manifestazione, insieme al Premio  Cremona, che svelò la dialettica artistica italiana: due  componenti antitetiche dello stesso volto del regime.  Il primo (promosso da Giuseppe Bottai), più elitario,  «si riallacciava a un versante dell’arte italiana colto,  internazionale e post-impressionista»!* suscitando  polemiche nell’ala più intransigente del fascismo; il  secondo (voluto da Roberto Farinacci) era sintonizzato  sull'onda delle mostre hitleriane.   AII Premio Bergamo del 1939 (in giuria Casorati,  Funi, Longhi e Argan) il terzo riconoscimento venne  suddiviso tra cinque concorrenti: si evidenziava la  presenza romana di Giuseppe Capogrossi e quella  piemontese con Menzio, Paulucci, Galvano e Piero  Martina (era presente anche Nicola Galante, non  premiato). Al secondo Premio Bergamo del 1940  Galvano ricevette una particolare menzione e il suo  dipinto fu acquistato dal Ministero dell'Educazione  Nazionale. Galvano espose anche alla terza (1941) e alla  quarta edizione (1942, vincitore l’intimista Menzio),  la rassegna scandalo della Crocifissione di Guttuso,  reinterprete drammatico e rabbioso di un’iconografia  mutuata dal sacro: anticipazione in chiave cubista  della militanza postbellica.   Il ventennio Trenta-Quaranta contrassegnò inol-             14 AA.VV, Gli anni del Premio Bergamo: arte in I talia intorno agli  anni Trenta, catalogo della mostra, Bergamo, Electa, Milano 1993,  p. 58.    tre il compimento della formazione intellettuale di  Galvano che si laureò nel 1938 (con Angiolo Gambaro  e Nicola Abbagnano) con una tesi sulla pedagogia  della religione: primo atto dell’approfondito con-  fronto con le tematiche spiritualiste, antropologiche  e filosofiche (in primis l'influenza di Benedetto Croce  e Henri Bergson).   Tra le sue prime prove di critica d’arte si possono  menzionare il breve scritto del 1932 su Armando Spa-  dini in “L'Arte” diretta da Venturi; il saggio del 1934  su Luigi Spazzapan in “Orsa”; le collaborazioni con il  periodico milanese “Le arti plastiche (1933) e la reda-  zione delle cronache d’arte torinese per “Emporium”  (1938-1942). Si ricordano inoltre i volumi del 1938 (per  l'editore fiorentino Nemi) L'arte egiziana antica, L'arte  dell'Asia occidentale e centrale, L'arte dell'Asia orientale;  la monografia Felice Casorati edita da Hoepli (nel  1947 uscirà una seconda edizione) e Tre nature morte:  Casorati, Menzio, Paulucci pubblicato a Torino nel 1942.   Fu assistente alla Cattedra di pittura di Paulucci  all'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino nel  1942 e da quell’anno, fino al 1978, insegnò storia e  filosofia negli istituti liceali. Tra inumerosissimi allievi  con i quali mantenne profondi legami si ricorda in  particolare Edoardo Sanguineti.    Dalla fase espressionista verso l'astrattismo 1945-1951    AI termine del conflitto bellico per Galvano e gli  artisti della sua generazione s'impose il confronto con  l'avanguardia, l'Europa e il moderno. «Moderna non  è soltanto l’arte prodotta nel periodo in cui viviamo,  ma quella che di voler essere moderna ha program-  matica intenzione! [...] Che assume come categoria  predicativa l'affermazione di “novità” rispetto ad  una situazione di cultura storicamente conclusa.  [...] Il concetto di moderno si chiarisce, così come un  concetto “etico” [...] per cui l'avversario non è un  modesto o nullo artista, ma il traditore di una causa  totale, il reazionario che non merita pietà e al quale  non giova la buona fede». Queste lucide affermazioni  di Galvano aiutano a delineare un settore della sua  linea di pensiero che contribuì ad animare il vivace  dibattito degli intellettuali torinesi, fautori di quel  compatto blocco culturale che, tra il 1945 e il 1947 tentò  una ricostruzione «morale e civile» della società. La  posizione politica di Galvano dopo la Liberazione fu  abbastanza distante dall’ideologia estetica del fronte  comunista. L'urto «non era tanto fra tradizione e  innovazione, anche meno tra astratto (o concreto)  e figurativo [...] ma tra militanza “costruttiva” ed  autonomia “critica” [...]»!9.          15 A. Galvano, Moderno, in Enciclopedia Universale dell'Arte, vol.  IX, Fondazione Cini, Roma-Venezia 1963.   16 G. Mantovani, Il malessere dell'arte, in A. Galvano, La pittura,  lo spirito e il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante edizioni,    E;    Negli anni postbellici il complesso confronto-  scontro con Croce era ineludibile e la posizione di  Galvano (sviluppata in anni più tardi nel fondamen-  tale scritto Perché non possiamo non dirci crociani, 1953)  merita qui qualche breve accenno. L'intuizione pura,  come atto teoretico astorico, non poteva prescindere  dalla soggettività dell’«opera manuale». La polarità  non sussisteva tra il bello crociano, simbolo del bene  morale e il suo opposto, quanto tra lo «spirito» (il  momento razionale - contemplativo) e il «sangue» (il  principio vitale inconscio che in ultimo concretizza  l’opera con il linguaggio scelto). Scriveva Galvano  nel numero unico del periodico “Tendenza” (1946,  coideato con Pippo Oriani): «Questo bisogno del  sangue che ignora l’astratto spirito e gli anatemi e  le accuse di “naturalismo” degli idealisti o quelle di  “immoralità” degli spiritualisti è essenziale all'opera  di pittura. Essa cade o sussiste con il sangue non con  lospirito»!. L'attività di critico d’arte seguitò in quegli  anni anche su quotidiani come “La Nuova Stampa”  (nel 1946) e “Mondo Nuovo” (nel 1947 e 1948).   Tra il 1945 e il 1949 la pittura di Galvano si aprì  ad una fase espressionista slargandosi e semplifi-  candosi in campiture bidimensionali dai contorni  lineari marcati e attraverso l’uso di un cromatismo  timbrico. In un testo di autopresentazione del 1952  l'artista esplicò: «Così quando, intorno al 1941, Guttuso  guardando a Picasso, Birolli e quelli di “Corrente”  sbirciando l’espressionismo, diedero altro indirizzo  alla pittura italiana, mi trovai in ritardo rispetto a quei  coetanei e ai loro discepoli molto più giovani di me, e  con un bilancio piuttosto negativo. [...] Tentavo così  una soluzione in un breve periodo di esasperazione  “espressionistica” del segno, dove l’“illusivo” si tra-  sformava in “allusivo” a quelle immagini che potevo  considerare mie».   Galvano puntualizzava inoltre di essere stato  tentato verso «esperienze varie di carattere cultu-  ralistico, fra cui un primo richiamo al liberty che  allora fu aspramente rimproverato da certi critici (A.  Podestà) come incomprensibilmente anacronistico  ma che almeno come recupero critico, rappresentava  un'anticipazione di interessi e recuperi diventati di  moda un ventennio più tardi».   Nella Torino della Ricostruzione gli spazi esposi-  tivi erano esigui; molto spesso sorgevano in simbiosi  con una libreria come per esempio la Galleria Faber,  dove Galvano nel 1945 partecipò ad una Antologica  di Maestri contemporanei. Alla personale di Galvano  del 1946 presso la Libreria del Bosco «ci troviamo di  fronte ad un artista dalle varie esperienze», denotava          Torino 1988, p. 18.   17 A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza”,  n.1, 1946.   18. A. Galvano, Galleria la Giostra cit.   19 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 18.    Salvatore Gatto su “L'Unità”, e proseguiva: «riesce  spesso a lievitare le acquisizioni culturali ed a tradurle  in efficienti risultati creativi». Il molteplice approccio  stilistico, confessato dallo stesso Galvano nell’auto-  presentazione del 1979, è qui confermato: «leggero  impressionismo, [...] decorativismo un po’ orientale,  [...] motivi che tendono a risolversi in figurazioni quasi  astratte». La fase pittorica più recente, concludeva  Gatto, «pare indirizzarsi verso una pittura dominata  da una volontà ed un’ansia di sintetismo formale»?.   Alla Biennale di Venezia del 1948 (la prima edi-  zione al termine del ventennio fascista nella quale  emersero le linee essenziali degli sviluppi dell’arte  moderna europea) Galvano partecipò su invito con  cinque opere (nudi e nature morte del 1947-48) in sala  con Martina e Paulucci. In quell’edizione fu parecchio  vasta la partecipazione di artisti torinesi sulla via  dell’astratto: Sandro Cherchi, Mario Davico, Franco  Garelli, Gino Gorza, Paola Levi Montalcini, Umberto  Mastroianni, Mattia Moreni, Adriano Parisot, Carol  Rama, Filippo Scroppo. All’edizione del 1950, nuova-  mente su invito, Galvano fu presente con tre opere (in  sala con Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti, Turcato,  Vedova, Zigaina).   Nel quadriennio 1948-1951 si registrarono nume-  rose partecipazioni dell'artista a rassegne nazionali di  verifica diretta degli sviluppi artistici contemporanei,  tra cui la Quadriennale romana del 1948 e la mostra  collettiva Arteastratta e concreta presso la Galleria Nazio-  nale d’arte moderna di Roma nel 1951(il comitato ese-  cutivo era composto da Joseph Jarema, Palma Bucarelli  e Giulio Carlo Argan). Il testo di Galvano in catalogo  analizzava la ricerca concretista propria e dei torinesi  verso una direzione lontana dal «formalismo astratto»  insenso stretto e intesa attraverso la «‘“proiezione” nelle  strutture dell'oggetto stesso di una carica emotiva, che  asua volta presuppone la totalità spirituale dell'artista  impegnato, ed impegnato “responsabilmente”, in una  prospettiva, in una scelta, in una “Weltanshaung”, cioè  in ultima analisi in un punto di vista etico e metafisico  [...]. Non può perciò stupire che anche a Torino siano  proprio gli artisti più responsabili di fronte a un loro  mondo interiore a volgersi a questa pittura. Superfluo  cercar nel dato estrinseco del gusto un’unità “munici-  pale” o di gruppo: se mai l’unità “torinese” di questi  pittori è nella condizione di cultura cui lo stesso schivo  etalvolta un poco scontroso raccoglimento della città in  cui essi lavorano, è, per taluna delle ragioni accennate,  propizia»”!.   Rilevanti furono inoltre le sortite extranazionali  del 1951. In occasione della mostra nizzarda, Peintres  de Turin, Galvano definì forme e colori delle sue com-       20 S.Gatto, Mostra d’arte. Galvano al Bosco, in “L'Unità”, 31 mag-  gio 1946.   21 A. Galvano, in Arte astratta e concreta, catalogo della mostra,  Galleria Nazionale d’arte moderna, Roma 1951.    18       Con Enrico Paulucci, Albino Galvano e Filippo Scroppo. Confe-  renza al Circolo degli Artisti, Torino 1967.    posizioni come «feticci laici», «costanti di sentimenti  e impulsi» che non necessitavano di riportarlo «a una  rappresentazione esteriore e imitativa». «La topografia  spirituale di questo mondo che non è né meccanica né  architettonica, ma piuttosto organica e determinata  soprattutto dalla tensione tra le forze elementarie vitali  pressanti, da una parte, e l'aspirazione religiosa o me-  tafisica dall'altra, che vuole dominarle e oggettivarle  nello spirito delle tradizioni filosofiche e religiose alle  quali nei miei quadri faccio a volte allusione anche  attraverso i titoli stessi».   Al Premio Parigi (itinerante anche a Cortina  d'Ampezzo) il critico Luigi Carluccio seguitava di  rimando: «[...] L'artista si è portato sempre su posi-  zioni di ricerca mantenendo tuttavia vivo il dialogo  fra i suoi istinti pittorici e le sue meditazioni. [...] Il  temine “feticcio laico” [...] annota con felice incidenza  che all'origine degli impulsi e dei sentimenti è sempre  vivo lo stesso dibattito tra la pressione vitale di forze  elementari, naturali, e l'aspirazione ad ordinarle in  una ragione metafisica»?3.   Il rivolgersi all'arte d'oltralpe (già a partire dalla  mostra Arte francese d'oggi, Roma e Torino 1947) ebbe  degli echi a Torino con le sei edizioni della rassegna  Pittori d'Oggi Francia- Italia (1951-1961) promosse da  Carluccio e alle quali Galvano partecipò alla prima  (1951) e alla terza (1953), così come figurava ai due  Premi Saint Vincent (1948-1949) messi in piedi dalla  fronda democristiana capeggiata da Carluccio in re-          1951.  23 L. Carluccio, in Mostra Nazionale del Premio Parigi 1951, cata-  logo della mostra, Cortina d'Ampezzo 1951 e Parigi 1951-1952.       Con Mauro Chessa e Liliana De Matteis.    azione al Premio Torino del 1947, troppo polarizzato  a sinistra secondo il critico.   È di vitale importanza ricordare infine il ruolo  di Galvano come animatore culturale nel clima  di fermento postbellico, dapprima impegnato  attivamente come promotore dell’Unione Culturale  (sorta nel 1945, raccolse intellettuali antifascisti tra cui  Giulio Einaudi, Massimo Mila, Franco Antonicelli,  Lionello Venturi e tra gli artisti Casorati, Menzio,  Levi) e nel 1949 come propugnatore di due rassegne  artistiche: la I Mostra Internazionale dell'Art Club a  Torino e la Mostra d’arte contemporanea di Torre Pel-  lice. La prima — con presidente Casorati e segretario  Scroppo, organizzata dalla sede torinese dell'Art  Club, un'associazione apartitica internazionale —  mirava a presentare le nuove voci artistiche italiane  e di diversi stati esteri. La seconda, aveva sede a  Torre Pellice, che «pur nella modestia delle proprie  possibilità, possiede, come centro delle Valli Valde-  si, una secolare tradizione di cultura che ha i suoi  particolari caratteri di pensiero e di ispirazione»”4.  Era stata ideata insieme a Filippo Scroppo, artista  e critico valdese, (nativo della Sicilia ma inseritosi  dalla metà degli anni Trenta nell'ambiente cittadino)  e da Leopoldo Bertolè notaio e illuminato collezio-  nista di moderno. La Mostra d’arte contemporanea  — appuntamento estivo annuale protrattosi per un    24 Mostra d'arte italiana contemporanea, catalogo della mostra,  Collegio Valdese, Torre Pellice 1949.    19    quarantennio (1949 - 1991) al quale Galvano espose  assiduamente—trasformòla cittadina della provincia  torinese in un polo culturale aggiornatissimo sulle  ricerche artistiche nazionali e con qualche non rara  puntata internazionale.    Il Movimento Arte Concreta 1952-1955    Il «confuso ribollire di tendenze astratteggianti»?,  che imperava tra il 1947 e il 1951, andò delineandosi  verso l’elusione dell’astrazione su base mimetica in  favore del concretismo. Una lucida definizione della  corrente venne offerta da Gillo Dorfles in uno scritto  del 1951, il così detto manifesto del Movimento Arte  Concreta, (MAC) fondato a Milano nel 1948 insieme  a Bruno Munari, Gianni Monnet e Atanasio Soldati.  Dorfles precisava il concetto di concreto «che non cer-  cava di creare delle opere d’arte togliendo lo spunto  o il pretesto dal mondo esterno e astraendone una  successiva immagine pittorica, ma che anzi andava alla  ricerca di forme pure, primordiali, da porre alla base  del dipinto senza che la loro possibile analogia con  alcunché di naturale avesse la minima importanza»”.   L'adesione formale al MAC di Galvano eun gruppo  di giovani torinesi — Annibale Biglione, Adriano Parisot,  Filippo Scroppo e in seguito Carol Rama e Paola Levi  Montalcini — avvenne nel 1952. A Torino il coagulo del  Movimento rappresentò una sfaccettata unione di poe-  tiche, abbastanza distante dal rigore costruttivista delle  soluzioni compositive lombarde che fondava le sue basi  nell’Astrattismo storico internazionale e locale degli  anni Trenta. In questa sede non è possibile analizzare  la presa di coscienza sulle radici dell'avanguardia delle  personalità torinesi e ci si limita al solo caso di Galvano.   Nel 19471] distacco di Galvano dal comitato promo-  tore del Premio Torino (la prima manifestazione locale di  arte attuale italiana dopola fine della guerra)non avven-  ne solo per posizioni politiche. Come chiariva Giuliano  Martano, nel catalogo della mostra Arte concreta a Torino  1947-1956, per una parte di artisti si trattava di una scelta  di «lettura in quelle matrici dell'avanguardia europea  [...]quasiin contrapposizione alle matrici trovate allora  in un neonaturalismo e del “Fronte nuovo delle arti”»”.   Per Galvano e il discepolato della scuola di Caso-  rati, alla quale riconoscevano la creazione di «una terra  concimata pronta a recepire, stratificazione di cultura  altezzosasevogliamo, maattenta[...]. Aveva purelasciato  ineredità una figurazione latente, una scansione dell’og-  getto che verrà dai torinesi lentamente e sofferentemente  decantata»°. Unosmarcamento, dunque, intotalebuona       25 T.Sauvage, Pittura italiana del dopoguerra 1945 — 1957, edizio-  ni Schwarz, Milano 1957, p. 129.   26 G. Dorfles, Manifesto del MAC, ora in Arte concreta a Torino  1947 — 1956, catalogo della mostra, Sala Bolaffi, Torino 1970.   27, G. Martano, in Arte concreta a Torino 1947 — 1956 cit.   28. Ibid.    pace del Maestro, che anche Galvano intraprese: la via  verso l’astrattismo ben circoscritta e lineare.   La sua poetica, tra i torinesi, era la più distante dal  concretismo «proprio perché non è mai d'origine speri-  mentale ma la sua “avanguardia” si pone sempre come  una verifica dello sperimentalismo. Si pone insomma  come contrasto immediato fra una realtà esterna [...]  ed una realtà interna quasi avida di controllare im-  mediatamente sul terreno stesso dell’accadimento, la  validità dell’accadere, e di controllarlo appunto in via  sperimentale»?   Gli aspetti strettamente contenutistici della pittura  di Galvano della prima metà degli anni Cinquanta  erano in diretto contatto con i suoi interessi in quanto  studioso di filosofia e storia delle religioni.   Andreina Griseri notava che gli entusiasmi per  il Kandinskij volto all’astratto e per il primo Kupka  giungevano «a una presa di posizione nell’ambito  dell’arte non figurativa, chiarita in numerosi scrit-  ti, in cui il Galvano lumeggia la derivazione dalla  secessione di Klimt di molta arte contemporanea in  una interpretazione nuova dei rapporti art nouveau-  Liberty e astrattismo»?°. Degli scritti galvaniani degli  anni Cinquanta ai quali Griseri si riferisce citiamo  almeno: Storicità e significato dell’arte “astratta” (1953),  Dal simbolismo all’astrattismo (1953), Le poetiche del  Simbolismo e l'origine dell’Astrattismo figurativo (1956).   Gli intendimenti del manifesto del MAC torinese  del 1952 furono piuttosto netti. Più in generale erano  incontrapposizione con il dibattito dilagante in quegli  anni che scindeva gli artisti tra formalisti e realisti, con-  tro il neopicassismo ed estranei al «pudore» del com-  promesso dell’astratto-concreto di Venturi. A livello  localelalororicerca era indirizzata all'emancipazione  dall’orbita casoratiana, dal neoimpressionismo dei Sei  e dal secondo futurismo con il quale condividevano  lo spirito avanguardistico, ma certamente non gli in-  tenti. Biglione, Galvano, Parisot e Scroppo firmarono  il testo programmatico, con la responsabilità di «lotta  contro ogni conformismo pigrizia intellettuale». «Se  il nome stesso di “arte concreta” [...] sta a significare  il desiderio di rigore di chi ha rotto ogni ponte con  tradizioni storicamente esaurite [...] per sostituire la  loro ricerca d'una diretta “presentazione” di oggetti  in cui si vengano obiettivando i bisogni spirituali  dell’uomo, come negli strumenti del suo lavoro quo-  tidiano si proiettano i suoi bisogni materiali [...]»®.   Galvano, pur immerso in una personalissima  ricerca non figurativa, nel periodo che all'incirca si    estende tra il 1952 e il 1954, sviluppò una maggior    29. Ibid.   30 A. Griseri, Albino Galvano, in Dizionario Enciclopedico, Utet,  Torino 1957.   31. A. Biglione, A. Galvano, A. Parisot, F. Scroppo, in “Arte con-  creta” n. 9, 15 novembre 1952, ora in L. Caramel, Mac Movimento  Arte Concreta 1948 - 1958, Electa, Milano 1984, p. 58.    20    adesione al MAC. Lo spazio dei suoi dipinti, asciugato  dall'andamento curvilineo delle partiture, si popolò  di forme squadrate dalla linearità spigolosa. Tutta-  via, la freddezza costruttivista e il rigore logico del  concretismo erano solo apparenti; l'artista puntava  al contrario «ad un'arte che preservi il dialogo tra gli  schemi astratto-geometrici e quelli compositivamente  più liberi, moduli grafici e forme archetipiche non  direttamente razionalizzate»”.   Un precoce avvicinamento ai concretisti lom-  bardi lo si data già al 1950. Galvano fu presente a  Milano in due collettive: con Filippo Scroppo (1950,  presentati da Gianni Monnet) presso la Libreria Il  Salto, cenacolo della pittura concreta milanese e  alla Terza mostra di pittura astratta italiana. Astrattisti  milanesi e torinesi allestita alla Galleria Bompiani  (1951, dove esponevano i piemontesi Costa, Davico,  Mastroianni, Parisot, Scroppo, Spazzapan). I mag-  giori rappresentanti della corrente di entrambe le  regioni figuravano, Galvano compreso, anche alla  II e III Mostra d’arte contemporanea di Torre Pellice  del 1950-51.   L'allineamento al MAC di Galvano fu palesato  anche dalla sua presenza ad esposizioni promosse  dal gruppo. La sortita d'esordio dei torinesi (Biglio-  ne, Galvano, Parisot, Scroppo ai quali si aggiunsero  anche Mario Davico, Mario Merz e Ugo Giannattasio)  avvenne alla Saletta Gissi di Torino con la mostra  Pittori astratto-concreti di Milano e Torino. Non fu  però la prima presenza organica del concretismo in  città poiché già nel 1950 presso la Galleria il Grifo  si affacciarono alcuni esponenti milanesi così come  alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Torino dove  comparve una nutrita schiera di astrattisti tra cui  anche Galvano. Commentando la mostra presso  Gissi, sul bollettino “Arte concreta” n. 9, Galvano  esibiva la profonda sicurezza di una non superficiale  accoglienza nell'ambiente cittadino e rilevava la  sfaccettatura di posizioni della compagine torinese  che collimavano in una base comune di principi.  «Principi che possono riassumersi in una profonda  fiducia nella capacità dell’uomo ad esprimersi e a  comunicare con gli altri uomini, attraverso il puro  linguaggio delle forme, attraverso l’organicità e la  coerenza ch’esso sa imprimere ad un discorso i cui  vocaboli non hanno bisogno di essere immagini e  finzioni per legarsi a una sintassi espressiva e, nei  casi più felici, poetica»®.   La politica espositiva del gruppo torinese non       32. L Mulatero, in P. Mantovani, I. Mulatero (a cura di), Lucide  inquietudini. Storie singolari dell’astratto-concreto tra il '50 e il ‘70,  Civico Museo d’arte Contemporanea di Calasetta, Calasetta 2016,  p. 26.   33 A. Galvano, Mostra di pittori concreti di Milano e Torino alla  Saletta Gissi, in “Arte concreta” n. 9 cit., ora in L. Caramel, Mac  Movimento Arte Concreta 1948 — 1958 cit., pp. 58-59.       Con un'opera dalla serie i Nastri.    ebbe seguito se non l’anno successivo alla Galleria  5. Matteo di Genova. L'eccezione è rappresentata da  Galvano che figurò in svariate mostre organizzate  dal MAC, si ricordano qui le principali: Pitture di  Albino Galvano in un esperimento di sintesi, presso lo  Studio b24 di Milano nel 1953 (valla pena rimandare  agli «asterischi» galvaniani di quel periodo, quasi  «privati manifesti» sui bollettini “Arte concreta” n.  12 e 14 che chiariscono la sua posizione all’interno  del movimento) e lo stesso anno a Torino da Gissi  esposero pittori concretisti italiani e francesi (Gal-  vano presentò collages polimaterici di ascendenza  prampoliniana); sempre al Torino l’anno successivo  Galvano fu presente ad una mostra allestita dallo  Studio b 24 in occasione del Salone dell'Automobile.  Si menziona a parte la collettiva presso la Galleria  il Fiore di Milano del 1954 dove Galvano espose  insieme a Bordoni, Jarema, Parisot e Scroppo. Nello  scritto introduttivo al catalogo elaborò stringenti  analisi nei riguardi di un’«arte figurativa che non  ripeta ma continui la natura», invitando il visitatore  a riflettere «che l'apparente chiusura ad una più  ovvia comunicazione di queste opere nulla intende  precludere alla possibilità di uno scambio e di una  penetrazione sempre possibili nell'esercizio di una    21    lettura figurativa per elementi, segno colore, mo-  vimento, materia, ecc., non differenti da quelli che  consentono la valutazione di ogni buona pittura»*.   Non sono da dimenticare infine le presenze alle  Biennali veneziane del 1952 e del 1954 con la sua  produzione concretista e la ripresa espositiva alle  rassegne della Società Promotrice di Belle Arti di  Torino (1951, 1953, 1954).    Dall'Informale al neoliberty floreale 1955- 1965    Il «logico passaggio all’astrattismo»” di Gal-  vano culminò tra il 1952 e il 1954 in una fase di  «tensione tra impaginatura attenta alle squadra-  ture neoplastiche e colore tonale impastato». La  vibrazione cromatica delle campiture, ottenuta  attraverso una libera stesura di pennellate, lo portò  a un lento e graduale sfaldamento delle sue strut-  ture geometrico-architettoniche a favore dell’indi-  pendenza dell'immagine e al protagonismo di una  componente espressiva. Sul piano formale il gesto  pittorico si faceva emancipato e l’organicità della  materia riprendeva vigore.   Si segnò qui il definitivo passaggio di Galvano  all’Informale, lontano dall’interpretazione del neona-  turalismo propugnata dal duo Carluccio-Arcangeli  (è proprio nel 1955 che furono presentati a Torino i  giovani artisti informali presso la Galleria La Bussola  nell'esposizione Niente di nuovo sotto il sole, titolo che  rivelava la volontà di mantenere una continuità con  il passato e la natura).   L'evoluzione del concretismo impose a Galvano (e  alla compagine torinese del MAC) un binario doppio  di direzioni che nonsiindirizzò all’antipittura quanto  piuttosto alla scelta di rimanere «dentro la pittura»  nell’opzione di un astrattismo lirico che lo condurrà  verso l’Informale. Un Informale, sosteneva Galvano,  affine alla «declinazione di un linguaggio asemantico  in cui tuttavia potessero trovare esito quelle allusioni  simbolistiche che già avevano un posto ben rivelato  dai titoli dei miei quadri del periodo astratto-concreto  Rica pe   Una delle prime esposizioni che offrirono un  Galvano smarcato dall’astrattismo di matrice con-  creta fu la personale (undici opere del 1954-56) alla  Biennale di Venezia del 1956 mirabilmente introdotta  da Giulio Carlo Argan. «La radice comune della sua  pittura [...]è la distinzione netta tra i concetti di forma  e immagine. L'idea di forma è inseparabile dall'idea  di arte come rappresentazione, implica sempre un  contenuto di nozioni, un riferimento alla natura, un       34 A. Galvano, in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo,  catalogo della mostra, Galleria Il Fiore, Milano 1954.   35 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20.   36 A. Galvano, in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo cit.   37 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20.    processo dioggettivazione. L'idea diimmagine supera  ildualismo dioggetto e soggetto, la relatività costante  di quod significat e quod significatur; mira a designare  un assoluto valore d’esistenza, a sostituire alla rap-  presentazione un'immediata semantica». Seguitava  Argan: «La sua è la ricerca di un'immagine che non  abbia determinazioni dirette o indirette nel mondo  esterno, che non si manifesti per via di similitudini o  allegorie, che dichiari esplicitamente le sue origini e  le sue ragioni esclusivamente umane, che si ponga ad  un tempo come noumeno e come fenomeno. [...] Così  la materia, non la forma, diventa mito ed immagine;  e la materia è il colore, ma anche il segno, la linea, il  punto».   Nel 1957 Galvano venne invitato da Carlo Lu-  dovico Ragghianti per una personale alla Galleria La  Strozzina di Firenze. Nell’autopresentazione l'artista  tenne a ribadire ancora una volta le convinzioni e la  coerenza del suo percorso pittorico che lo avevano  condotto all’Informale. La «formazione spirituale»  si era compiuta, esplicava Galvano, «attraverso la  mia adesione alle correnti non figurative, a quel-  l'inversione” del simbolismo nell’astrattismo che ho  cercato di spiegare storicamente in sede critica. Perciò  a Kandinskij e al Kupka del 1913 [...] agli americani  Pollock e Tobey, ai polimaterici di Prampolini. [...]  L'unico germe di “manifesto” è quello sul “feticcio  laico”. “Feticcio” cioè metafisica, ma “laico” cioè an-  timetafisica”. Credo si possa essere antimetafisici solo  nella misura in cui si è contro le false metafisiche. Nel  caso dell’arte contro la falsa “ispirazione”, l'evasione  sentimentale...»°.   Tra il 1956 al 1962 il mezzo informale di Galvano  virò verso accezioni neoliberty. La copertura totale  della tela della prima fase si distillò per mezzo di uno  sfondo neutro solcato da grafismi pittorici orientati  sempre meno verso un'immagine quanto in direzione  di archetipi floreali e calligrammidi scrittura gestuale.  Galvano recuperava, seppur allusivamente, attraverso  una nuova definizione di immagini, la figuratività  «trasformando o meglio puntualizzando i ‘feticci  laici” in “emblemi”»‘° esplicitati in forme larvali di  iris, i fiori paradigmatici del Simbolismo.   Sul finire del decennio Cinquanta e fino al 1965,  oltre alle regolari presenze alle Promotrici torinesi e  alle mostre annuali di Torre Pellice, si segnalano la  puntata alla collettiva berlinese presso la Maison de  France del 1957, le partecipazioni al V Premio Bergamo    dell’anno successivo, ai Premi Arezzo (1960) e Fiorino.    (Firenze 1960) e alla Quadriennale romana del 1963.  Di particolare rilevanza in quel periodo furono       38. G. C. Argan, in catalogo dell’ XXVIII Biennale di Venezia,  Venezia 1956.   39 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria La Strozzina,  Firenze 1957.   40 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 20.    22       Nel 1972.    due mostre. La personale del 1960 presso Galleria Il  Canale di Venezia presentata da Edoardo Sanguineti  che così ultimava il suo scritto: «I fiori Mallarmé ci  costringono anche a riguardare di nuovo in faccia la  posizione dell'artista las que la vie étiole, portando cosìla  pittura ad assolvere a un compito, molto forte e molto  importante, di smascheramento dell'avanguardia,  nella forma, secondo le possibilità “moderne” di uno  “estraniamento”»*!.   Nella collettiva (Galvano, Scroppo e Levi Mon-  talcini) alla Galleria il Quadrante di Firenze, Gillo  Dorfles, accogliendo gli enunciati di Sanguineti, alluse  altresì ad un significato orientaleggiante delle pitture  di Galvano che avevano: «accolto nella loro matrice  compositiva quasi il “vuoto” il sunyata di certa arte  zenista, purrimanendo lige a una composta scansione  di ritmi dell’Abendland»”.   Pittore dunque in «senso tradizionale» si definiva  Galvano che ricusava le forme antipittoriche, schiuse  alla strada dell’arte-oggetto (della quale si interessò  in sede teorica), per abbracciare una «simulazione  d'avanguardia». Un profondo disagio lo condusse,  tra il 1962 e il 1965, a compiere una pausa dalla pittura  causata probabilmente dal cortocircuito innescato a  causa di intendimenti antitetici perseguiti dal parallelo  mestiere di critico e di artista. Come rimarcava Argan:       41 E. Sanguineti, in catalogo della mostra, Galleria Il Canale,  Venezia 1960.   42 G. Dorfles, Tre pittori torinesi, in Albino Galvano, Paola Levi  Montalcini, Filippo Scroppo, catalogo della mostra, Galleria Il Qua-  drante, Firenze 1962.   43 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21.    Con Filippo Scroppo.    «la confluenza dei due percorsi di pensiero (e la sua  pittura è tutta pensiero) sono difficili e interiormente  sofferte[...]»*.   Assumono infine un ruolo fondamentale nella  produzione saggistica di Galvano i due volumi  pubblicati in quel periodo: Per un’Armatura (Lattes,  1960) e Artemis Efesia. Il significato del politeismo greco  (Adelphi, 1966). Sono opere difficilmente classificabili  che attingono alla filosofia, alla storia delle religioni,  alla psicoanalisi e all’antropologia. I due studi affron-  tano il problema dell’interpretazione sia culturale che  psicologica di un passato che ci coinvolge direttamente  e sono al tempo stesso «processo di autoanalisi in me-  rito al rapporto tra una figura-feticcio — un’armatura  tardomedievale e un idolo greco — e l’area psichica  della coscienza».   Il decennio 1955 -1965 fu certamente per Galvano  la fase più feconda di collaborazione con periodici e  riviste tra cui le torinesi “Sigma”, “Cratilo” e come  redattore di “Questioni” (già “Galleria di Arti e Lette-  re”)con Vincenzo Ciaffi, Mario Lattese Oscar Navarro  per l'editore Lattes. Una menzione a parte merita il    44 G. C. Argan, in catalogo della mostra, Galleria Unimedia,  Genova 1974.   45M. T. Roberto, Albino Galvano, Dizionario biografico degli  italiani, Treccani, Milano 1988.          23    contributo Le tigriimpagliate (1959) peril primo numero  della rivista “Azimuth” fondata da Piero Manzoni ed  Enrico Castellani. Per “Letteratura” nel 1960 Galvano  pubblicò La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, un lucidissi-  mosaggio che inquadrava, da testimone diretto, l’arte  torinese del dopoguerra. Successivi furono i notevoli  contributi sulla situazione artistica cittadina tra cui:  Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino (1960), Torino e  i “secondi futuristi” (1962) e il più tardo La pittura a  Torino all’inizio del secolo (1897-1918) (1978)?°.    Bandiere, Nastri, «Griffonages» e Segni asemantici  1966- 1974    Nel 1966 con l'esposizione Erbe e Bandiere, presso  la Galleria Botero di Torino, Galvano sentì «il bisogno  di affiancare e poi sostituire gli emblemi ispirati alla  natura con quelli di carattere artificiale più spogli e  tendenti in qualche modo a una nuova astrazione».  In mostra le forme organiche dai tratti guizzanti  dell'ultimo Informale di Galvano furono accostate,  in un felice trait d'union, con la nuova produzione  attraverso la serie delle Bandiere. In uno scritto critico  perla suddetta mostra Gilda Chepes sottolineava: «Le  sue erbe alghe, le sue flammulae, più che bandiere,  sembrano, ad analizzarle, vive, agitate da sentimenti,  da spasimi da aneliti, da desideri»**.   L'artista perseverò nella coerenza linguistica della  sua ricerca che ancora una volta, nei più nuovi risvolti,  non si collocò in un'immediata e netta inserzione in  correnti o gruppi operativi. Gli estesi panneggiamenti  svolazzanti dai colori accesi che si stagliavano su fon-  di neutri riecheggiavano quasi un'antica tradizione  araldica. I riferimenti pittorici non erano di certo  estranei al linearismo sensuale del Liberty, anche nella  sua declinazione decorativa, rammentando inoltre  suggestioni neobarocche. Un commento di Carlo  Mollino, riguardante un'architettura baroccheggiante  di Galvano dipinta degli anni Quaranta, potrebbe  restituire puntualmente le atmosfere delle recenti  Bandiere espresse in uno: «scenario di questo tempo  immobile nella chiara decisione di un arabesco che  non si placa che in un ordine senza indulgenza, ma  vivo di un amore disincantato»?   Furono ancora le Bandiere ad essere esposte nel  1968 per una personale a Cremona alla Galleria d’arte  I Portici. Gli stendardi svolazzanti davano la prova di  una profonda conoscenza degli allora attuali linguaggi  pop e forniscono anche un «grave riverbero di anti-  chità» rendendo l’immagine «imminente e insieme  assente che par scelta e fabbricata per un pubblico          46 Tutti gli scritti qui citati sono reperibili in A. Galvano, Dia-  gnosi del moderno, cit.   47 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21.   48. G. Chepes, in “Borsa Arte”, 1966.   49 C. Mollino, in S. Cairola, Arte italiana del nostro tempo, 1946.    senza tempo e d’ogni tempo [...]. Proprio per questo  [...]è significante perché carica di intenzioni contrad-  dittorie e fortemente drammatiche, nella dialettica che  stabiliscono tra l’esperienza passata e l'avvento, e la  necessità del presente»”.   Dal1968Galvanosirivolse alla nuova serie pittorica  dei Nastri mantenendo una viva tangenza allo sviluppo  formale del periodo MAC. L'oggettivazione del dato  geometrico si sostituì con una figurazione elementare  di armonica tridimensionalità sull’estensione della tela.  Le masse sventolanti e libere, nelle quali si evidenzia  una ben nota propensione per l’ellissi e il semicerchio,  proseguivano l'indagine sullo spazio volumetrico.  Giuliano Martano asseriva appunto di un'«astrazione  intellettuale, in cui i segni, i ghirigori, sono veri e pro-  pri simboli codicillari, incognite d’equazione, libertà  della memoria. [...] Nastri che si dipanano nel quadro  senza né capo né coda e sono le bandiere di prima rese  a brandelli, sono una forma chiusa che si apre, che da  circonlocuzione diventa interlocuzione»?”!.   Presso la Saletta d'Arte contemporanea di Cu-  neo, nel 1972, Galvano presentò questa figurazione  elementare di volute concave e convesse di recente  produzione, che si palesavano, secondo Giorgio Brizio,  «dall’uso parco e strettamente pensato delle timbrici-  tà cromatiche. Basandosi su toni primari, operando  esclusivamente sulla opacità della parte in ombra,  Galvano può, in una suddivisione doraziana dell’in-  fluenza tonale, usare la direttrice cinetica del timbro  per equilibrare il dinamismo globale della partitura  spazio-occupato, spazio-vuoto»”.   Nel 1974 la personale alla Galleria Martano di  Torino assunse il significato di una ricapitolazione,  dal MAC al presente, in cui gli elementi nastriformi si  erano evoluti, tra il 1973 e il 1974, in forme dall’aspet-  to cellulare e in moduli verticali e curvilinei. Tracce  realizzate a carboncino, impreziosite da lievi velature  scariche di colore, campeggiavano solitarie sulla tela;  la dimensione gestuale fu affiancata dall'espressione  intellettiva dell'atto primario del dipingere. Questi  moduli nella linea filogenetica della sua pittura non-  figurativa «appaiono anche maggiormente legati  ai dettami grafici di una cultura passata attraverso  “quell’inversione del simbolismo nell’astrattismo”  [...] che riaffiora con l’organicità delle sue forme così  tese ed essenziali, rispondenti ancora una volta a  quella logica interiore che resta come la matrice vera  di ogni opera di Galvano»”.    Lostesso anno una sala personale della 25° Mostra    d'arte contemporanea di Torre Pellice venne dedicata a    50 E. Fezzi, in catalogo della mostra, Galleria d’arte I Portici,  Cremona 1968.   51. G. Martano, Albino Galvano, in “Pianeta”, 1968.   52. G. Brizio, in catalogo della mostra, Saletta d'arte contempo-  ranea, Cuneo 1972.   53. A.Dragone in “Stampa sera”, 1976.    24    Galvano che vi espose una ventina di opere. L'artista  presentò efficacemente al pubblico la sua recente svolta  pittorica: «ho sentito il bisogno di logorare la forma,  di intercettarne la presunzione di organicità, sgranan-  done il supporto disegnativo in pochi cenni grafici su  cui il colore nonagisse più come elemento qualificante  ma soltanto come sottolineatura allusiva. [...] Come  nel ritmo stesso delle vicende vitali, a una stagione  di estroversa aggressione della percezione dello spet-  tatore si avvicendava una fase di ripiegamento sulla  discrezione, sulla riserva, sultono contenuto». Coevi  furono i Griffonages e i Segni dell'alfabeto asemantico  lavori con scritte quasi illeggibili rese «come puro  segno e gioco lineare [...] non senza un, fra ironico  e intenerito, strizzar l'occhio al “concettualismo”»59.   Sempre nel 1974 si ebbe la personale genovese  alla Galleria Unimedia per la quale Saguineti imple-  mentò la troppo riduttiva definizione del Galvano  “doppio”, critico e pittore, trascendendo anche nella  saggistica e nella filosofia e invitando a vedere «con  totale persuasione [...] la forza della sua lezione [...]  rispecchiata, con eguale fedeltà, nelle sue pagine e  sopra le sue tele». Il discorso si reiterava anche nello  scritto critico di Argan che chiudeva con un interro-  gativo dal quale Galvano non si discostò mai: «Che  cos'è la pittura?». «Ciò che vuol sapere è che cosa sia  la pittura in questa precisa condizione della cultura,  della coscienza, dell’esistenza, e quale il suo grado  di vitalità, quali le sue possibilità di sopravvivere in  uno spazio ogni giorno più ristretto»”.   Tra la ripresa dopo l'interruzione pittorica e  il 1974 si ricordano infine le puntuali presenze a  collettive con cadenza annuale come la Promotrice  delle Belle Arti e le mostre del Piemonte Artistico e  culturale di Torino; le rassegne estive di Torre Pellice  e due edizioni dell’Incontro di artisti piemontesi e liguri  a Bordighera (1967, 1969).    Il periodo ultimo 1975-1990    Dal 1975 si reimpose per Galvano un nuovo  approccio rivolto alle forme naturali: la ripresa  di una figurazione espressionista pervasa d’un  realismo quasi visionario e il fascino recuperato,  come confessò lo stesso artista, per le gidiane  «nourritures terrestes». Galvano sembrò sentirsi  quasi responsabile d'un tradimento verso la pittura  allorché, per coerenza, operò una «sintesi tra l’ele-  mento naturale e il non figurativo che gli consentì       54 A. Galvano, Personale di Albino Galvano, in 25° mostra d’arte  contemporanea, catalogo della mostra, Scuole comunali, Torre Pel-  lice 1974.   55 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21.   56 E. Sanguineti, in catalogo della mostra, Galleria Unimedia,  Genova 1974.    57 G.C. Argan, in catalogo della mostra Galleria Unimedia, cit.       SZ    Nella bottega dell'antiquario.    un'impaginazione astratta servendosi di forme non  inventate, non di natura cerebrale ma veramente  esistenti»,   Riemerse, con la serie dei Cespugli (fino al  1977 circa), la fascinazione per i cespi di iris, tema  dominante di inizio anni Sessanta, ma questa volta  non più giocato con la «gestualità irruente» del  colore spremuto direttamente sulla tela, eredità del  linguaggio informale, ma attraverso un sedimen-  tato approccio di sottili velature di pittura a olio  utilizzata come gouache che si rifaceva alle delicate  tinte dei moduli di qualche anno precedenti. Gli  sfondi bianchi svuotati erano percorsi esplicita-  mente da segni grafici e scritte che sembrarono  dischiudere uno spiraglio perfino alla poesia  visiva. Fu Galvano stesso, riferendosi a questi la-  vori — esposti in una personale del 1977 presso la  Galleria Weber di Torino — a parlare di «archetipo  floreale» dove «il fiore dell’iris scandisce l’intrico  dei segni, grafismi di parole o di immagini, altre  volte rigidamente modulari o, almeno non anco-  ra piegati all’allusione significativa. ‘“Cespugli”          58 A. Spinardi, in catalogo della mostra, Piemonte Artistico e  Culturale, Torino 1982.       25    perciò in contrapposizione ai glifi dell’”alfabetico  asemantico” e dei griffonages che li avevano, verso  la fine del 1974, preceduti»®?.   Dal 1978 e fino al concludersi del decennio seguì  la serie dei Motivi vegetali (Ciottoli, Foglie, Frutti, Relitti).  La riappropriazione di una rappresentazione ottica-  mente realistica fu solo apparente; il candore neutro  dei fondiesaltava una suggestione di tridimensionalità  attraverso la scansione prospettica degli oggetti. Tali  elementi solitari erano estraniati dal loro contesto  naturale e inseriti negli spazi illusori di questa pittura  d’assenza.   Sul cadere diogni riferimento a contenuti simboli-  ci «o anche solo sentimentali» della pittura di Galvano,  ne scrisse Renzo Guasco in un testo che introduceva  lagrande mostra retrospettiva dell'artista organizzata  a Torino nel 1979 dalla Regione Piemonte. Tali opere,  per Guasco, «non sono più emblemi né simboli che  rimandano a un ulteriore significato. Per essi si può  forse parlare di “sospensione di senso” (per usare un  termine di Barthes), di un muto stupore di fronte alla  vita e alla natura. Le foglie morte e i relitti di Galvano  rifiutano il significato, e quindi ogni commento, o  spiegazione. Il cespuglio spezzato è solo un cespuglio  spezzato; le foglie, anche se rosse, autunnali, non sono  les feuilles mortes»®.   Con avvio del decennio Ottanta ne i Paesaggi  (Rocce, Alberi, Isole) vi fu il riutilizzo di una stesura  cromatica che spesso occupava l’intera tela con un  conseguente recupero dell'effetto tonale. Gli spazi  desolati, le «muse inquietanti», che Galvano propose  in questa fase suggerirono a Paolo Fossati richiami alla  pittura metafisica. «Luoghi, intanto, vuoti, svuotati di  allotrie presenze, come è giusto siano le radure vuote  e silenti, per il camminante che vi si ferma a pensare  e meditare. Luoghi di pensiero e di inconsci sofismi:  con i relativi feticci oppure archetipi, teste in gesso  di eroi, manichini nel pictor optimus; rami sassi acque  per Galvano»®!.   L'artista in età avanzata, provato dalla difficoltà  dell’offuscamento della vista, con le serie di guazzi su  carta di Nudi e Macchie sperimentò infine, una pittura  liquida fatta di segni colantiin un'inversione di «sgor-  bi cromatici di netta matrice informale»? Nel 1988  confessava ai lettori del catalogo della Galleria Micrò  (una delle sue ultime mostre): «Ancora una volta ho  voltato gabbana e me ne scuso a chi può dare fastidio,       59 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria Weber, To-  rino 1977.   60 R. Guasco, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura di), Albino Gal-  vano cit., p. 16.   61 P. Fossati, Per un omaggio a Galvano, in P. Fossati, F. Garimol-  di e M. C. Mundici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano, catalogo  della mostra, Circolo degli Artisti, Torino, Electa, Milano 1992, p.  iz.   62 A.Galvano, in catalogo della mostra, Galleria Micrò, Torino  1988.    ma vorrei ricordare che vi è stata una mia stagione di  “eriffonages” [...] che a questi fogli ultimi molto si  apparenta, anche se là il segno prevaleva, monocromo  [...]. Perciò dico a mia difesa — il diritto di difendersi  è sempre riconosciuto ai colpevoli — “versatilità, ca-  pricciosità sì, incoerenza no”»®.   Molti furono gli spazi espositivi torinesi che ac-  colsero le personali di Galvano inquadrando la sua  ultima fase pittorica, tra cui: la Galleria Weber (1977),  il Piemonte Artistico e Culturale (1982), la Galleria  Cittadella (1981 e 1984) e la Galleria Micrò (1988).  Occasioni extracittadine rilevanti furono presso la  Galleria Morone di Milano (1979), la Galleria Villata  a Cerrina Monferrato (1980) e la bipersonale insieme  a Gino Gorza presso Palazzo Te a Mantova (1988). Si  rammentano poi l’antologica presso la Galleria La  Cittadella di Torino con opere dal 1930 al 1950 (1976);  la vasta esposizione del 1979 organizzata dalla Regio-  ne Piemonte presso Palazzo Chiablese di Torino che  esplorava l’intera carriera dell'artista (corredata da  un notevole apparato critico in catalogo) e le mostre  retrospettive del 1989 e 1990 alla Galleria Accademia  di Torino.   Costanti furono inoltre le partecipazioni a collet-  tive come alla Promotrice torinese (dal 1975 al 1979),  alla Galleria Martano (1976) e all'esposizione Torino  tra le due guerre presso la Galleria d’arte moderna di  Torino. Infine, nell’ambito della rinnovata attenzione  perlostoricizzato Movimento Arte Concreta, Galvano  figurò in svariate mostre a: Cavallermaggiore (1980),  Torre Pellice (1983), Gallarate (1984), Aosta (1987).   Albino Galvano morì il 18 dicembre 1990 a Torino  all’età di ottantatré anni.   La dichiarazione conclusiva sugli intendimenti  di una pratica pittorica perseguita per l'arco di una  vita intera è affidata a Galvano stesso e permette di  afferrare almeno un aspetto di questa multiforme e  primaria figura di artista, critico e intellettuale italiano  del Novecento. «Di una sola coerenza credo di poter-  mi vantare, ma è coerenza che in qualche modo mi  sequestra al di fuori di tanta arte contemporanea: la  fedeltà alla tela, al colore ai pennelli. In parole povere  ho sperimentato molto, forse troppo e troppo disper-  sivamente, ma non mi sono mai sentito vicino alle  ricerche di chi avevarifiutato o cercato un'alternativa ai  mezzi tecnici — che poi vuol dire anche espressivi — di  una tradizione che va dal Cinquecento agli impressio-  nisti, ai fauves, agli espressionisti. Fedeltà o incapacità  di uscire dalla routine? Non sta a me deciderlo. Ne  rivendico la responsabilità o il merito».    63 bid.  64 A.Galvano, in catalogo della mostra, Palazzo Te, Mantova 1988.       26       Seconda metà anni Settanta.       Alla presentazione del volume "La pittura, lo spirito e il sangue", 1988.    Da discepolo a interprete. Albino Galvano e Felice Casorati    Alessandro Botta    “Quando, a vent'anni, mi presentai alla Scuola di  via Galliari, cioè allo studio di Felice Casorati, avevo  dietro le incerte aspirazioni dettate da una pretesa mia  attitudine al disegno [...]. Poco, ma abbastanza, insie-  me alla passione per la storia dell’arte, perché seguis-  si con attenzione sulle riviste (specialmente “Empo-  rium”) le Biennali veneziane del 1926 e del 1928 che  mi educarono al gusto per l’arte contemporanea”.  Con queste parole Albino Galvano apre la sua auto-  biografia scritta per una mostra retrospettiva torinese  del 1979, definendo sin da subito le proprie origini di  formazione e circostanze di aggiornamento. Nato nel  1907, “anno in cui, con le Demoiselles’ di Picasso, l’arte  occidentale vedeva chiudersi il ciclo iniziatosi alla fine  del duecento”? si iscrive al liceo classico Cavour insie-  me a Giulio Carlo Argan (“eravamo vicini di banco”),  e presto interrompe gli studi per dedicarsi interamente  alla pittura, seguendo inizialmente le indicazioni di ar-  tisti intercettati attraverso le conoscenze familiari.‘   Un temperamento vivo e curioso, il suo, che più  che seguire le letture e gli studi che il percorso scola-  Stico gli impongono, preferisce accrescere le proprie  conoscenze con una formazione isolata, fatta di letture  personalissime: “Mi seppellivo cinque-sei ore al giorno  in biblioteca — sostiene in un'intervista —. Lì incomin-  ciai a leggere ‘La Critica’. Nel’25 avevo letto Bergson” 5  Nell’atteggiamento che caratterizza il giovane artista,  concentrato ad inseguire le proprie passioni piuttosto  che le strade già battute, si può forse leggere una conti-  nuità nella scelta di rivolgersi a Casorati come maestro,  una decisione non così scontata in una Torino dove gli  orientamenti estetici erano ancora influenzati dall’in-  gombrante figura di Giacomo Grosso e dall’insegna-  mento della paludata Accademia Albertina.   Galvano ha una fascinazione improvvisa verso  l'artista torinese, arrivata attraverso l'osservazione di-          1 A. GALVANO, Autobiografia, in N. PizzETTI, G. Givone (a cura  di), Albino Galvano, catalogo della mostra (Torino, Palazzo Chia-  blese, 21 dicembre 1979 - 13 gennaio 1980), Regione Piemonte,  Torino 1979, p. 17.   2 Ibidem.   3 G. C. ARGAN, Albino Galvano [presentazione], in XXVIII Bien-  nale di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, giugno - ottobre  1956), Alfieri Editore, Venezia 1956, p. 213; “Non eravamo tra i pri-  mi della classe: troppe cose c'interessavano, che non avevano nulla  a che fare col programma, e ne discutevamo per interi pomeriggi,  dimenticando le versioni di latino e i problemi di matematica. For-  se quell’amicizia di ragazzi ci costò qualche esame a ottobre ma,  almeno per me, non fu un'esperienza inutile” (Ibidem).   4 Galvano parla di “un apprendistato presso il Vannini, ma-  estro di disegno a cui ero stato indirizzato dal pittore Giovanni  Pisano amico di famiglia, che avevo avuto spesso occasione di  veder al cavalletto” (A. GaLvano, Autobiografia [1979], cit., p. 17).  ©) [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], in P. Fossati, F.  GarmoLpi, M. C. Munpici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano,  catalogo della mostra (Torino, Circolo degli Artisti, 23 gennaio - 1°  marzo 1992), Electa Piemonte, 1992, p. 140.    Ud       Albino Galvano alla mostra personale di Palazzo Chiablese, Torino,  1979. Archivio Storico della Città di Torino, fondo "Gazzetta del Popolo".    retta di alcuni suoi dipinti presenti nelle collezioni del  museo cittadino: “Alla Galleria di Torino — sostiene egli  stesso nell’autobiografia del 1952 — mi erano cioè pia-  ciuti piuttosto i bianchi di tempera con il rosso dei co-  ralli o il cielo spugnoso del bozzetto per il ‘Ritratto del-  la signora Wolf” che il neoquattrocentismo del ‘Ritratto  della sorella’”.. Prime indicazioni attestabili dopo il  1926, sintomatiche di un interessamento che si rafforza  man mano e che è destinato a diventare decisivo per il  suo ingresso nella scuola dopo la visita alla Biennale  veneziana del 1928, nella quale Casorati espone,” oltre  ad otto dipinti, anche due statue destinate al proscenio  per il teatro Gualino. Galvano è colpito, in questa occa-  sione, ‘“[dal]l’azzurro o il paglierino di stoffe e legni in  ‘Daphne’ che le pose ricercate dei nudi”.       6 A.GALVANO, [autobiografia], in Albino Galvano, catalogo del-  la mostra (Asti, Galleria La Giostra, 1952), Asti 1952, p.n.n.; rela-  tivamente ai dipinti di Casorati citati si veda il catalogo generale  dell'artista G. BERTOLINO, F. PoLi, Felice Casorati. Catalogo generale.  I dipinti (1904-1963), 2 voll., Allemandi & C., Torino 1995, nn. 188  (1922), 250 (1925). Da qui in poi citato come (Bertolino, Poli).   7 A. GALVANO, [autobiografia] [1952], cit., p. n.n. Relativamen-  te alla Biennale del ‘28 scrive: “Quella del 1928 volli visitarla di  persona e vi fui impressionato specialmente da Felice Casorati,  sicché decisi, scoperto che abitava a Torino, di iscrivermi alla sua  scuola.” (Ip., Autobiografia [1979], cit., p. 17).   8 Ibidem;inquell’occasione, oltre al Ritratto di Daphne (1928) (Ber-  tolino, Poli 328), Casorati espone l’opera Ragazze dormenti (o Mozart)  (1927) (309), ricordata da Galvano nel suo racconto autobiografico.    L'ingresso alla scuola, avvenuto probabilmente  verso la fine dell’anno o all’inizio di quello successivo,  lo vede inserirsi in un ambiente già consolidato, ac-  cresciuto notevolmente d’iscritti rispetto al nucleo  fondante di stretto discepolato del suo studio “che sta  tra l'accademia e il monastero” del 1921.!° La “Scuola  libera di pittura”, inaugurata nel 1927 in via Galliari  33, è ormai una realtà pubblica, che riunisce maestro  e allievi e li vede impegnati come fronte coeso nelle  esposizioni cittadine e nazionali.!   La serietà e la dedizione alla pittura sono le ca-  ratteristiche fondamentali che danno l’accesso alla  scuola: lo si ricava dalle impressioni che risuonano  con continuità tra i commenti e i ricordi degli allievi  che in tempi diversi affrontano l’alunnato casoratia-  no.! Galvano non fa eccezione: “L'accoglienza fu,  come era nel suo stile, di una signorile severità”.!  Ma, al di là delle incertezze iniziali, il maestro sem-  bra essere più colpito dalla spiccata vivacità intel-  lettuale del giovane allievo piuttosto che dalle sue  capacità pittoriche: “credo che — sottolinea Galvano  raccontando di se stesso — abbia avuto subito per  l’uomo la simpatia e la stima che poi sempre mi di-  mostrò, forse assai più scarsa la fiducia nelle mie  possibilità di pittore, il che mi fu ottimo stimolo a  intestardirmi e ad impegnarmi a fondo”!   Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre del  1929 lo scolaro “intelligente ma noioso, predicatorio”,  secondo il ricordo di Lalla Romano (anche lei discepola  di Casorati),'° presenta le sue opere per la prima volta  con il gruppo di allievi alla II Esposizione d’arte allesti-  ta nello studio di via Galliari. L'esposizione “intima”,  alla sua seconda edizione, è aperta al pubblico di inte-  ressati (a visitarla, sono perlopiù personalità del milieu  intellettuale antifascista cittadino) e vuol essere una  “raccolta dei lavori più notevoli eseguiti dagli allievi  nello scorso anno”.!° La prova generale della scuola  non sembra però garantire a Galvano l’accesso all’im-    9 Galvano, a molti anni di distanza, fissa la sua presenza nella  scuola “dalla fine del 1928 a quella del 1930” (A. GaLvano, Auto-  biografia [1979], cit., p. 17).   10 P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, Torino [1923], p. 91.   11 Perunostudiosulla scuola di Casorati e sulle vicende espo-  sitive della stessa si veda V. CavaLLaro, La scuola di Casorati, tesi  di laurea, Facoltà di lettere e filosofia, Università degli Studi di  Torino, 2012, relatore: F. Rovati; F. Poi, V. CavaLLaro (a cura di),  La scuola di Felice Casorati ed Andrea Cefaly, catalogo della mostra  (Catanzaro, Complesso monumentale di San Giovanni, 26 ottobre  — 26 novembre 2017), Rubettino, Soveria Mannelli 2017.   12  testimonianze e memorie dei suoi discepoli, in C. Pianciola (a cura di),  Il critico e il pittore. Gobetti, Casorati e la sua scuola, Aras Edizioni,  Fano 2018.    13 A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p. 17.   14 Ibidem.   15. L. Romano, Una giovinezza inventata, Einaudi, Torino, 1979,  p. 192.   16 E. PauLuccCI, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le Arti    Plastiche”, 16 novembre 1929, p. 2.    Su questo argomento si veda A. BOTTA, Felice Casorati nelle.    28    minente esposizione alla Galleria Valle di Genova — or-  ganizzata probabilmente da tempo e inaugurata nel  gennaio del nuovo anno -, che vuol essere l’occasio-  ne per riunire una selezione più stretta degli allievi.!”  Dovrà attendere ancora qualche mese, in primavera,  prima di assistere alla presentazione di un suo dipinto  (accolto per accettazione dalla Giuria) alla Biennale del  1930.!* Riuniti attorno al maestro, gli allievi di Casorati  — otto in totale — occupano la sala 30, attigua alla fortu-  nata e discussa retrospettiva di Modigliani ordinata da  Lionello Venturi, che non manca di far nascere alcune  corrispondenze e letture parallele con le opere dei ca-  soratiani.   Da questo momento in poi Galvano incomince-  rà ad essere presente con continuità alle mostre della  scuola. Una conferma che arriva già a poche settima-  ne di distanza con la partecipazione alla 88° esposizione  della Società Promotrice delle Belle Arti con ben quattro  dipinti. Ancora alla fine dell’anno il suo nome si regi-  stra tra gli allievi presenti alla III Esposizione d’arte di  via Galliari,' mentre nel gennaio del 1931 viene segna-  lato come uno dei “casoratiani” che espongono - que-  sta volta senza il maestro — alla mostra torinese degli  “Amici dell’ Arte”.   Se fino a questo momento le opere di Galvano  non sembrano sollecitare più di tanto l'interesse della  critica — forse perché il modello del maestro è troppo  riconoscibile nella sua pittura —, l'occasione della I Qua-  driennale d'Arte Nazionale di Roma del gennaio 1931  apre ad un interessamento che coinvolgerà da lì in poi  anche il giovane artista torinese, presente con il dipinto  Estate, riprodotto per l'occasione sulla nota rivista mi-  lanese “La casa bella”?!   Galvano, ancora coeso al gruppo almeno fino al  marzo di quell’anno (la sua presenza è confermata in  una mostra di “scuola” allestita alla galleria Milano),       17 Esposizione dei pittori Casorati, Bay, Bionda, Bonfantini, Mar-  chesini, Maugham, Mori, prefazione di G. Pacchioni, catalogo della  mostra (Genova, Galleria Valle, 20 gennaio - 3 febbraio 1930), Ge-  nova 1930.   18. Sitratta del dipinto Paese con un ponte; cfr. Catalogo XVII Espo-  sizione Biennale Internazionale d'Arte 1930, catalogo della mostra  (Venezia, maggio - novembre 1930) Venezia 1930, sala 30, n. 18.   19 Cfr. E. Pautucci, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le  arti plastiche”, 16 gennaio 1931, p. 2.   20 Cfr.E. ZANZI, Cronache torinesi. La mostra degli “Amici dell’Ar-  te”, in “Emporium”, vol. LXXIII, n. 433, gennaio 1931. pp. 50-51.  21. P. Torriano, Cronache d’arte. Note alla I Quadriennale, in “La  casa bella”, marzo 1931, p. 57. Relativamente alla partecipazione  degli artisti piemontesi alla rassegna romana si veda L. IAMURRI,  Levi, Paulucci e gli altri. Presenza torinesi alla Quadriennale, in M.  Cossu, C. MicHELLI (a cura di), Cultura artistica torinese e politiche  nazionali 1920-1940, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazio-  nale d'Arte Moderna, 16 dicembre 2004 - 13 febbraio 2005), Electa,  Milano 2004, pp. 58-60.   22. Cfr. Bay, Bionda, Bonfantini, Casorati, Chicco, Cremona, Donati,  Galvano, Levi, Maugham, Marchesini, Mennyey, Mori, catalogo del-  la mostra (Milano, Galleria Milano, 1° - 15 marzo 1931), Milano  1931.       Copertina del catalogo della mostra alla Galleria Milano, Milano 1931.    incomincia a dar segni di cedimento rispetto allo sta-  tuto casoratiano e nei confronti della scuola. Un di-  Stacco progressivo che si rende evidente nell'esercizio  Stesso della pittura, che lo vede ricercare una propria  indipendenza e nuove vie di espressione. La Promo-  trice del 1931 diventa per lui un terreno di confronto  nel quale presentare le più recenti ricerche, filtrate at-  traverso nuovi modelli nel frattempo subentrati e ma-  turati, chiariti con lucidità — a distanza di anni — dallo  Stesso artista:    Mi affascinavano il tentativo di ricostruzione formale  del mio maestro e, contemporaneamente e contradditto-  riamente, gli esiti dell’impressionismo e postimpressio-  nismo, sia nelle loro accezioni originali sia nelle riprese  locali dei Sei e, in genere, la pittura di colore e di tocco,  ovviamente legata a una visione naturalistica. Nel du-  plice e, in certo senso, contraddittorio intento di tener  Insieme i valori plastici di Casorati e quelli cromatici dei  Sei il risultato diveniva naturalmente pesante, impasta-  to, anche perché subivo fortemente l'influenza di una  certa pittura francese [...], o meglio di una pittura che  si faceva in Francia spesso da stranieri, [...] che allora  agli inizi degli anni trenta mi affascinava dalle pagine di  “L'Art Vivant”.®    Assente il maestro, Galvano è presente con tre ope-  re. La Composizione con figura, in particolare, riprodotta       23. A. Galvano, Autobiografia [1979], cit., p. 18.    29    sia in catalogo che sulla rivista “Emporium”,’° mostra  gli esiti dell'aggiornamento condotto sugli esempi dei  post-impressionisti francesi e sulle proposte figurative  dei “Sei” (sciolti ufficialmente, come gruppo, proprio nel  731), che si riconoscevano nella linea di rinnovamento  dell’arte contemporanea tracciata da Lionello Venturi.®   Il passaggio, da questo momento in poi, è breve.  Complice un disfacimento generalizzato della scuola  stessa, il pittore, alla mostra degli “Amici dell'Arte” al-  lestita nell'autunno del medesimo anno, è considerato  già da tutti un ex allievo.?? Ma la sua fedeltà al maestro  e l'amicizia che li lega lo vedranno partecipare ancora  ad una mostra di “scuola”, allestita nel teatro di Pavia  all’inizio del 1932. Accanto agli ex compagni, Galva-  no diventa una presenza eccentrica. Le sue opere, che  spaziano tra i generi (dalla natura morta al paesaggio),  mostrano la sua indecisione circa la strada da intra-  prendere, alla luce delle più recenti scoperte, passando  “da l’espressionismo a l'impressionismo senza un atti-  mo di esitazione”.   La “rottura” con Casorati — 0 presunta tale —, coin-  cide con il suo esordio di critico e con il suo avvicina-  mento a Lionello Venturi, al quale viene introdotto dal  suo compagno di studi Giulio Carlo Argan.* Nel lu-  glio del 1932 Galvano pubblica il suo primo contributo  sull’illustre rivista trimestrale “L'Arte”, che a partire  dal 1930 vede Lionello impegnato nella condirezione  accanto al padre Adolfo. La presenza del figlio, pro-  fessore all’Università di Torino, apre il periodico al di-  battito sulle arti contemporanee, fino a quel momento  escluso dai contenuti tradizionali della rivista. Il saggio  Armando Spadini e il gusto degli impressionisti? mostra  l'avvicinamento di Galvano alla critica venturiana, già  evidente nel titolo del contributo (che riecheggia il più  celebre volume del 1926)" e che si conferma nei conte-  nuti e nel soggetto stesso dell'articolo.    24 E. ZANzZI, Cronache torinesi. Dopo ottantanove anni... L'Esposi-  zione Interregionale della Promotrice di B. A., in “Emporium’”, vol.  LXXXIV, 443, novembre 1931, p. 307.   25 Alberto Rossi, sulle pagine de “L'Italia letteraria”, sottolinea  come Galvano sia ormai “teso a tutt'uomo alla ricerca di costru-  zioni personali” (A. Rossi, Una mostra interregionale, in “L'Italia  letteraria”, 12 luglio 1931, p. 4), mentre Emilio Zanzi, su “La Gaz-  zetta del Popolo”, rileva come la distanza -tra allievo e maestro-  sia ormai sensibile sia da un punto di vista cromatico che formale:  “Il giovane Galvano - fa notare - sta liberandosi dai grigi e dalle  tristezze casoratiane e ora si esperimenta, con accortezza e con  gusto, nelle esperienze di Matisse e di Friesz” (E. z. [E. Zanzil],  L'arte al Valentino. La terza Mostra regionale del Sindacato delle Belle  Arti, in “Gazzetta del Popolo”, 14 maggio 1931, p. 6).   26 Cfr.e.z. [E. Zanzi], Agli “Amici dell'Arte” pittori, scultori, ar-  chitetti, decoratori. La mensa degli avieri ideata da S. E. Balbo, in “Gaz-  zetta del Popolo”, 10 ottobre 1931, p. 7.   27, P.A.Sornini, Alla mostra Casorati II, in “Il Popolo di Pavia”,  27 gennaio 1932, p. 3.   28 Cfr. A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p. 17.   29  In., Armando Spadini e il gusto degli impressionisti, in “L'Arte”,  vol. III, nuova serie, IV, luglio 1932, pp. 318-331.   30 LL. VENTURI, Il gusto dei primitivi, Zanichelli, Bologna 1926.    Accanto all'impegno pittorico, piuttosto in crisi  in questo periodo (“per una dozzina d'anni, mi mossi  un poco a casaccio”), Galvano intraprende gli studi  universitari presso la Facoltà di magistero. Una scelta  che è dettata non tanto dalla sua ben nota passione per  le materie letterarie e filosofiche o dalla sua curiosità  innata, ma più semplicemente da “problemi economi-  ci” che lo obbligano “in fretta e furia a prendere una  laurea e ad iniziare l'insegnamento in istituti privati”  La fine del suo percorso di studi, che si conclude con  una Tesi sulla pedagogia della religione discussa con  Angiolo Gambaro e Nicola Abbagnano, coincide con  la ripresa dell'attività di critico ma anche di saggista,”  che si fa particolarmente intensa a partire dal 1938 e  che lo vede collaborare con le riviste “Il Selvaggio” ed  “Emporium”.   AI di là dell'abbandono della scuola di Via Gal-  liari, Casorati resta per Galvano un solido punto di  riferimento, non tanto come esempio figurativo o di  pratica pittorica da seguire, ma come rappresentate di  un modello culturale autorevole e indipendente pre-  sente in città. L'amicizia tra i due, avviata alla fine degli  anni Venti e riconfermata in più occasioni, sembra in  questo giro di anni intensificarsi ulteriormente, antici-  pando il sodalizio che porterà alla pubblicazione della  monografia per la collana “Arte Moderna Italiana” di  Scheiwiller nel 1940, dedicata integralmente al mae-  stro.”   A partire dal 1938 (fino al 1942) incomincia a col-  laborare con “Emporium” occupandosi di curare la  sezione Cronache torinesi del mensile. Questo nascente  incarico gli permette di affrontare e commentare l’atti-  vità artistica piemontese, confrontandosi con un uni-  verso legato ad una rivista nota ed ampiamente diffusa  e discussa. Casorati è sempre presente nei suoi articoli:  viene seguito passo passo da Galvano sia nelle vesti di  pittore che di organizzatore culturale, offrendo in spe-  cial modo la propria attenzione all'impresa della galle-    31 A.GALVvano, [autobiografia] [1952], cit., p. nn.   32. [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138.   33. Da ascriversi sempre al rapporto con Venturi sono i tre vo-  lumi di Galvano, apparsi a partire dal 1938 per l'editore Nemi  di Firenze (L'arte egiziana antica [1938]; L'arte dell'Asia occidentale  e centrale [1938]; L'arte dell'Asia orientale [1939]), pubblicati nella  collana “Novissima enciclopedia monografica illustrata”.   34  “Casorati [...] sapeva rispettare la personalità dell'allievo  anche quando non era affatto d'accordo sulla visione dell’allie-    vo. Infatti quei pochi che sono venuti fuori tra i molti che c'erano -    Bonfantini, Chicco, Paola Levi Montalcini, ed io, ci siamo subito  allontanati da Casorati pur restando suoi amici, pur essendo sem-  pre aiutati da lui sul piano pratico per mostre ed esposizioni. [...]  Ma la Montalcini ed io siamo passati negli anni Cinquanta all’a-  strattismo, poi all’informale, tutte cose che Casorati... ma non ci  ha mai tolto né la sua amicizia né la sua protezione. In questo era  veramente un grandissimo signore” ([Intervista di L. Lanzardo  ad A. Galvano], cit., p. 141).   35 A. GALvano, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie  A - Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1940.    30    ria “La Zecca”, avviata dal maestro a Torino insieme a  Enrico Paulucci in via Verdi 15.5   Se appare piuttosto chiaro come Galvano tenti —  con i mezzi a sua disposizione — di promuovere e so-  stenere l’amico Casorati nelle sue molteplici attività, il  maestro, dal canto suo, cerca di aiutare il suo ex-allievo  nel suo percorso di pittore. È lo stesso Galvano a di-  chiarare apertamente, molti anni più tardi, come la sua  affermazione al Premio Bergamo sia in realtà frutto di  un aiuto arrivato dallo stesso maestro: “Casorati era  molto potente [...] mi fece accettare [al Premio Berga-  mo], mi fece sempre dare qualche premio, per cui mi  trovai agganciato”. Presente con continuità dal 1939  al 1942, Galvano si aggiudica per ben tre anni i pre-  mi in denaro del concorso. Solo nella seconda edizio-  ne non compare tra i vincitori, ma la sua opera viene  acquistata dal Ministero dell'Educazione Nazionale a  titolo di incoraggiamento.    Il.    Verso la fine del 1940 è data alle stampe la mo-  nografia “Felice Casorati” scritta da Albino Galvano,  apparsa per le edizioni Hoepli di Milano.* La pub-  blicazione si inserisce all’interno dell’ambiziosa col-  lana “Arte Moderna Italiana” inaugurata nel 1925 e  coordinata da Giovanni Scheiwiller, immaginata per  raccogliere — uno dopo l’altro — gli artisti italiani più  noti del tempo, attraverso piccole monografie illustra-  te, introdotte da un testo critico che viene di volta in  volta scelto dall'editore o dall'artista protagonista del  volume. In questo caso, è infatti Casorati a suggerire il  nome del giovane critico a Scheiwiller, incaricandolo  di aggiornare radicalmente la precedente edizione di  Raffaello Giolli, ormai vecchia di quindici anni.”   La piccola monografia di Galvano non si colloca,  all’epoca, come una novità di genere nella letteratura  artistica del pittore, ma rientra in un panorama già  piuttosto sedimentato di studi sul maestro, che si oc-  cupano di fornire uno sguardo complessivo sull'intera  produzione raggiunta sino a quel momento. Il volume       36  Ip., La collezione Della Ragione, in “Emporium”, vol LXXXVII,  520, aprile 1938, p. 220; Ip., Torino. Maccari alla “Zecca”, in “Em-  porium”, vol. LXXXIX, 531, marzo 1939, pp. 161-162. In., Torino.  Mostre alla “Zecca”, in “Emporium”, vol. XC, 537, settembre 1939,  pp. 161-163; Ip., Torino. Mostre alla “Zecca”, in “Emporium”, vol.  XC, 538, ottobre 1939, pp. 203-204.   37. [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138.   38. A. GALVANO, Felice Casorati, cit. Per uno studio sulla mono-  grafia si veda A. Botta, Albino Galvano e Felice Casorati. La mono-  grafia per la collana “Arte Moderna Italiana” di Giovanni Scheiwiller,  tesi di specializzazione, Università degli Studi di Udine, 2014-  2015, relatore: F. Fergonzi.   39 R. Giotty, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie  A - Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1925. lo studio di Giolli,  infatti, limitava necessariamente l'indagine sull'artista alla prima  metà degli anni Venti.    di Gobetti del 1923,‘ che si propone come una rico-  struzione cronologica del percorso artistico (nonostan-  te la limitatezza della produzione casoratiana) apre la  strada a numerosi tentativi di interpretazione e ordi-  namento dell’opera del maestro, non limitati alle pub-  blicazioni di carattere monografico (il caso successivo  — come si è detto — è quello di Giolli) ma rintracciabili  anche all’interno di contributi meno estesi che, a par-  tire dal saggio di Venturi uscito il medesimo anno su  “Dedalo”, diventano sempre più frequenti nei tempi  a venire, anche sotto forma di presentazioni nei catalo-  ghi delle esposizioni.”   La critica contemporanea studia la produzione di  Casorati secondo principi e approcci molto differen-  ti che, verso la metà degli anni Venti, tendono a farla  rientrare in quel processo di costituzione di un'arte  nazionale ufficiale: un’annessione ai “pittori del Nove-  cento” (non pienamente condivisa dall'artista) che sarà  esplicitata nell'articolo di Margherita Sarfatti apparso  su “La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia” nel marzo  del 1925* e che contribuirà a determinare una lettura  della pittura di Casorati divisa “tra estetica e lettera-  tura”, destinata a rimanere ancora per molto tempo  identificativa del suo lavoro.   Intorno agli anni Trenta il lavoro di Casorati rien-  tra già nell'ottica di una ricostruzione storica più am-  pia dell’arte italiana ed internazionale: le pubblicazioni  della Sarfatti, di Virgilio Guzzi, di Vincenzo Costanti-  ni, di Anna Maria Brizio e — poco più tardi - di Ugo  Nebbia, esaminano Casorati secondo una prospettiva  generale (con le inevitabili ed ulteriori opinioni con-  traddittorie), ma sono tutte piuttosto concordi a identi-    40 P. Gost, Felice Casorati pittore, cit..  41 L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, IV, fasc. IV,  Settembre 1923, pp. 238-261.   42 Ip., Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV Esposizione  Internazionale d'Arte della Città di Venezia, catalogo della mostra  (Venezia, aprile - ottobre 1924), Carlo Ferrari, Venezia 1924, pp.  88-89; G. PACCHIONI, Felice Casorati, in Exposition d'’artistes italiens  contemporains, catalogo della mostra (Ginevra, Musée Rath, feb-  braio 1927), Stabilimento grafico Foa, Torino 1927, p. n.n.; A. Rossi,  Felice Casorati, in 21 Artistes du Novecento Italien. Deuxième exposi-  tion du Novecento italien, catalogo della mostra (Ginevra, Galerie  Moos, giugno-luglio 1929), Richter, Ginevra 1929; M. BERNARDI,  25 opere di Felice Casorati nel salone de La Stampa, catalogo della  mostra (Torino, gennaio 1937), Tipografia del giornale “La Stam-  pa”, Torino, 1937, p. n.n. Per una ricognizione sulla fortuna critica  Casoratiana si veda P. THeA, La critica e Casorati: profilo e antologia,  in M. M. LAMBERTI, P. Fossati, Felice Casorati 1883-1963, catalogo  della mostra (Torino, Accademia Albertina, 19 febbraio - 31 marzo  1985), Fabbri Editori, Milano 1985, pp. 141-167.   43. M. SARFATTI, Pittori d'oggi. Felice Casorati, in “Rivista illustra-  ta del Popolo d’Italia”, 15 marzo 1925.   44 In. Storia della pittura moderna, Paolo Cremonese Editore,  Roma 1930; V. Guzzi, Pittura italiana contemporanea. Origini e aspet-  il, Bestetti & Tumminelli, Treves, Roma-Milano 1931; V. COSTAN-  TINI, Pittura italiana contemporanea dalla fine dell’800 ad oggi, Ulri-  co Hoepli, Milano 1934; A. M. Brizio, Ottocento Novecento, Utet,  Torino 1939; U. NEBBIA, La pittura del Novecento, Società editrice  libraria, Milano 1941.       31    ARTE MODERNA ITALIANA N. 5    ALBINO GALVANO    FELICE CASORATI       1940 - XIX  ULRICO HOEPLI .  MILANO    EDITORE    Felice Casorati, Ulrico Hoepli, Milano 1940.    ficare nell'opera del medesimo una tendenza interna e  personalissima alla corrente novecentista.   Le difficoltà nel rintracciare una linea condivisa  per la sua arte era già stata evidenziata da Giacomo  Debenedetti (intellettuale torinese, come Gobetti, “pre-  stato” anche lui alla critica d’arte) con l'articolo Casorati  e la critica d'arte del 1933, nel quale sottolineava come  “L'arte di Casorati pare fatta apposta per isconcerta-  re gli schemi che la più ‘scientifica’ critica d'arte s'è  data come sicuri oramai ed incontrovertibili”,’° evi-  denziando nelle conclusioni tutte le contraddizioni di  una generazione: “Linea, dunque, no: forma plastica,  no: colore, no: o quanto meno né la linea, né la forma,  né il colore intesi come schemi esclusivi ed esaurien-  ti, nell'accezione data dai critici, che di quegli schemi  si sono fatti, non pure gli interpreti, ma i banditori. E  questa è l’involontaria polemica del Casorati contro la  critica d’arte”.   Davanti a questo insieme di opinioni e approc-  ci differenti, Galvano si dimostra sin da subito molto  perplesso verso i suoi predecessori, affermando in  maniera categorica come “Ciò che è mancato più ad  una critica concludente su Casorati è appunto [...] una  comprensiva ‘lettura’ delle sue pitture”,‘ e sintetizzan-          45 G. DEBENEDETTI, Casorati e la critica d'arte, in “L'Italia lettera-  ria”, 15 gennaio 1933, p. 4.   46 Ibidem.   47 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 28.    do poi, nelle prime pagine della monografia, i termini  di questa fortuna critica — che è anche incomprensio-  ne — sedimentata verso l’artista, almeno fino alla metà  degli anni Venti:    Casorati ha goduto di un momento di fortuna quando la  sua pittura, forse proprio perché meno urtante a prima  vista di quella di altri pittori di avanguardia, ebbe tutti  i suffragi e specialmente a quelli della critica che voleva  essere alla pagina, ma salvando il rispetto per la tradi-  zione [...] Erano i tempi in cui la pittura del novecento  appariva come uno sforzo neoclassico in polemica con  l’arte futurista da una parte, con l’aneddotismo elegante  dall'altra, [...] la pittura di Casorati [...] ebbe una sua  funzione in Italia per liberare il medio pubblico dagli en-  tusiasmi per Grosso, per Sartorio, per Dall’Oca Bianca.*    Rispetto ai precedenti studi la posizione di Gal-  vano è fin da subito ben chiara: risiede nell'approccio  preferenziale con cui affronta l’opera di Casorati, total-  mente inedito sino a quel momento, che viene ribadito  in più punti della monografia.   In apertura del volume il critico-pittore sottolinea  come la sua analisi non si circoscriva a una rilettura  analitica e distaccata della produzione casoratiana, ma  si sviluppi attraverso una consapevolezza fondata sul  ricordo della propria formazione: “Casorati pittore —  scrive richiamandosi ai suoi rapporti col maestro — è  stato per molti della mia generazione una esperienza  di importanza capitale in ordine alla formazione del  gusto e all'orientamento di una cultura non soltanto  limitata a fatti di specie figurativa. La pratica di di-  scepolato presso di lui e la frequente consuetudine  di Casorati uomo, hanno valso ad alcuni di noi come  un'esperienza fra le più profonde e decisive anche per  quanto riguarda la vita morale”!   L'insegnamento di Casorati, oltre a fornire una  solida base di rudimenti pittorici insieme agli stru-  menti per uno sviluppo individuale delle personalità  artistiche, è la chiave — sempre secondo Galvano — per  la comprensione stessa dell’opera del maestro, chiarita  metaforicamente in un passaggio del testo: “Casorati  è uno di quei pochissimi artisti che dopo il rapimen-  to delle muse non rimangono incoscienti di quanto  in loro è avvenuto; lo capiscono ed aiutano a capirlo  agli altri”.°° Un concetto che viene ribadito, in maniera  ancora più chiara, verso la fine del suo lungo contri-  buto per Scheiwiller: “Non molti di noi [allievi] hanno  saputo da quelle parole imparare a dipingere decente-  mente, ma certo tutti a leggere i suoi quadri un poco  meglio”.   Con queste premesse Galvano vuole dimostra-  re come la vicinanza al maestro gli permetta di avere    48 Ivi, p.7.  49 Ivi, p.d.  50 Ivi, p. 6.  51. Ivi, p.32.    32    una visione privilegiata, lucida e fedele del suo lavoro,  elevando la lettura delle opere ad un’originalità vicina  alle intenzioni del maestro, più di quanto gli altri pos-  sano avere.   AI di là degli schieramenti e dei tentativi di cate-  gorizzazione che, a più riprese, hanno interessato il la-  voro di Casorati — tra assimilazione al gruppo novecen-  tista, ascendenza neoclassica 0, ancora, appartenenza  alla poetica metafisica —, Galvano sceglie il sostantivo  “Platonismo” per riassumere gli esiti figurativi ottenu-  ti dall'artista a partire dagli anni Venti," un’indicazio-  ne che gli permette di liberarsi da ingombranti etichet-  te sino a quel momento attribuite all'opera del pittore.   È un'affermazione di Casorati a suggerire a Gal-  vano le basi per un'interpretazione platonica delle sue  opere: il critico recupera esplicitamente una dichiara-  zione del maestro che risale al 1921 espressa a margine  di un catalogo della Galleria Pesaro, nella quale chiari-  sce le proprie intenzioni —quasi programmatiche — di  esercizio pittorico: “Dipingere la verità, dimenticando  la realtà superficiale” 5° Un concetto che viene succes-  sivamente ribadito da Casorati, spogliato delle sue im-  plicazioni categoriche (rinnegate in un secondo tempo  dallo stesso pittore)? in una successiva dichiarazione,  fatta a dieci anni di distanza e riportata nel catalogo  della prima Quadriennale romana, con la quale l’ar-  tista sottolinea ancora una volta come il suo distacco  dalla realtà dei soggetti sia prerogativa fondante del  suo lavoro: “la mia pittura è staccata dalla vita”.>   La posizione “platonica” di Galvano pone il la-  voro di Casorati in netto contrasto con la pittura degli  Impressionisti (che godono invece di una notevole for-  tuna, verso gli anni Trenta, a Torino), collocando il mo-  vimento francese e il maestro torinese su due fronti op-  posti — sia da un punto di vista lirico che tecnico —: un       52  sto di Casorati preferiremmo ad ognuna quella di ‘Platonismo  (Ivi, p. 6).   53 F. Casorati, [Dichiarazione], in Arte italiana contemporanea,  catalogo della mostra (Milano, Galleria Pesaro, ottobre - novem-  bre 1921), Alfieri & Lacroix, Milano 1921; ora in In., Scritti intervi-  ste lettere, cura di E. Pontiggia, Abscondita, Milano 2004, p. 11.   54 “Scrissi allora nel catalogo alcune parole per spiegazione  del mio lavoro e quasi per contrappormi all'arte di quel tempo:  affermavo di voler dipingere la verità, dimenticando la realtà  apparente; di voler indulgere agli errori che spesso sono la sola  ragione dell’opera d’arte... Queste parole furono definite un’ere-  sia estetica; in fondo, però, esse volevano spiegare il carattere di  immobilità, di impassibilità dei contorni decisi di forma, in con-  trapposto al più o meno degenere impressionismo di sfarfalleg-  giamenti colorati, di indecisione ottica, di ricerca del movimento  nel vibrare continuo della luce” (F. CASORATI, in G. MascHERPa [a  cura di], Felice Casorati e il religioso, catalogo della mostra [Milano,  Galleria San Fedele, Milano, 1 marzo - 8 aprile 1983], Milano 1983,  p. 12).   55 E. CASORATI, Presentazione, in Prima quadriennale d'arte nazio-  nale, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle esposizioni, gen-  naio - giugno 1931), E. Pinci, Roma 1931; ora in In., Scritti interviste  lettere, cit., p. 23.    “E infatti se dovessimo trovare una parola per definire il gu-    IN    rifiuto che è categorico e si muove sulla falsariga delle  indicazioni già enunciate dall'artista nella citata pre-  sentazione del 1931: “non ho mai capito il movimento  ‘qui déplace les lignes’, e adoro invece le forme statiche  [...] la mia pittura nasce -per così dire- dall'interno e  mai trova origine dalla mutevole ‘impressione’ }° consi-  derazioni che vengono caricate di significati filosofici,  anche in questo caso, da Galvano:    Al Protagorico impressionismo per cui misura di tutte le  cose è l'uomo individuale, si contrappone dunque il Pla-  tonico Casorati richiamandoci all'ordine di una pittura  dove le cose appaiono reali in quanto hanno la maneg-  giabilità di ciò che dal flusso delle sensazioni è ritagliato  per opera dell'intelletto. Scodelle o uova, teste o seni var-  ranno come categoria.”    Al “degenere impressionismo” Casorati contrap-  pone, secondo Galvano, “i suoi caratteri di immobilità,  di impassibilità, di contorni decisi, di ‘forma’”.*   Alle premesse teoriche fanno seguito le prime  verifiche sulle opere che, a differenza dei precedenti  Studi, non seguono uno sviluppo strettamente crono-  logico ed organico della produzione casoratiana, ma si  Muovono più liberamente, procedendo secondo l’an-  damento del discorso.   | Come nelle antecedenti occasioni di studio, l’ini-  z10 dell'attività pittorica viene fatta coincidere con le  Opere del 1909, che gli valgono le prime attenzioni da  parte della critica alla Biennale di Venezia ed alla mo-  Stra degli Amatori e Cultori di Roma. Le considerazio-  ni che investono il dipinto Le vecchie (1909) e La cugina  (1909)? sottolineano nelle ricerche di Casorati “un sen-  so drammatico della vita teso in un’acuta analisi psico-  logica in cui non manca una punta di sensualità [...],  Ma temperata in una specie di serenità letteraria”’,9  Motivi che si pongono in continuità con le formulazio-  Ni espresse in precedenza sia da Gobetti che da Ventu-  Il, attenti entrambi a rilevare l’attenzione psicologica  ed il senso letterario di queste prime composizioni.‘   ._ Il salto a questo punto si fa subito brusco: l’esclu-  Silone di tutta la produzione degli anni della guerra  (che coincide con il suicidio del padre di Casorati e con  le nuove responsabilità di capofamiglia verso le due  Sorelle e la madre) è in linea con le volontà dell'artista,  che sceglierà di non conservare le opere di quel perio-  do, contraddistinte da un simbolismo e sintetismo de-  Corativo piuttosto anomalo.       56 Ibidem.  957 A. Galvano, Felice Casorati, cit., p.7.  98 Ivi, p. 6.    59 (Bertolino, Poli 40, 50).   90 A. GALvaNnO, Felice Casorati, cit., p. 9.   01 Cfr. P.Gosetti, Felice Casorati pittore, cit., p. 93; L. VENTURI,  Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV Esposizione Internazio-  nale d'Arte della Città di Venezia, cit., p. 88.    33    Un passaggio su Le signorine (1912), che “libe-  ro questa volta da preoccupazioni di ordine realistico  ed orientato verso una completa subordinazione alla  composizione”, permette a Galvano di transitare di-  rettamente su Tiro al bersaglio del 1919, anticipando i  problemi di annullamento della terza dimensione già  evidenti nel dipinto.   Per Galvano Tiro al bersaglio rappresenta un’opera  cruciale, da cui parte tutta la produzione più celebrata  dell'artista, quella del periodo immediatamente suc-  CESSIVO:    l’opera significativa ‘Tiro al bersaglio’ (1919) [...]. In essa il  colore e la linea collo scomparire di ogni ricerca della terza  dimensione assumono per la prima volta una organicità che  è davvero il segno dell’impostarsi nella pittura di Casorati  dei problemi di cui anche oggi essa si nutre. Ridotto il qua-  dro, colla completa scomparsa delle ricerche chiaroscurali  e mancando ancora l'ulteriore ricerca spaziale, ad un sem-  plice tappeto di tinte piatte, si comprende facilmente come  linea e colore divengano funzione l'uno dell'altro, tendendo  a uno stato in cui la visione inquietante del pittore raggiun-  ge uno dei più intensi suoi momenti”    Il dipinto, in realtà, aveva sino a quel momento  goduto di una fortuna alterna: tacciato di futurismo  nella prima presentazione pubblica del 1919, è per  Gobetti un’opera dai “rapporti formali [...] indecisi”  ancora legata alla produzione dalla prima metà degli  anni Dieci, un lavoro insomma, che Casorati realizza  come “prova per testimoniare a se stesso la fine del  suo estetismo e la sua incapacità di fermarsi ormai  all'episodio”. La rivalutazione di Tiro al bersaglio,  nei fatti trova, prima di Galvano, un precedente mol-  to prossimo all'uscita della monografia Scheiwiller:  nell'agosto del 1940 Italo Cremona (anch’egli vicino a  Casorati, pur non essendo mai stato allievo della sua  scuola), in maniera analoga a Galvano ragiona sull’im-  portanza del colore e sul principio di astrazione pre-  sente nel dipinto, che anticipa le opere più compiute e  celebrate degli anni Venti:    sottrarre le cose dai variabili accidenti della luce per pe-  netrare invece il colore secondo un processo di intelli-  gente astrazione. [...] In quella curiosa vetrina di oggetti  [...] vivono infatti quei bianchi spettrali, quei colori —fin-  ti-, che sovente ritroveremo nell'aria rarefatta dove re-  spirano le sue figure, anche quelle delle parate familiari  che Casorati ha sovente composto con sincera affettuosi-  tà ma che appaiono pur sempre affacciate a una ribalta,  in uno scenario freddamente preordinato, sul mondo  dal quale l’artista le ha volontariamente allontanate.”       62 (Bertolino, Poli 71).   (Bertolino, Poli 140).   A. GALVANO, Felice Casorati, cit., pp. 10-11.  65 P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, cit., p. 96.    Ibidem.  I. CREMONA, Felice Casorati, in “Primato. Lettere e arti d’Ita-    La rivalutazione del dipinto si pone verosimil-  mente in linea con le volontà dello stesso Casorati: l’o-  pera, che dal 1919 trova collocazione stabile nell’abita-  zione dell'artista, è ripresentata nel 1929 ad una mostra  degli allievi e riprodotta per volere dello stesso mae-  stro come prima tavola nella monografia Scheiwiller.®  Un interessamento che viene letto da Galvano come un  “Segno che una pittura senza volume ed una pittura di  colore sembra ancora a Casorati rivelatrice del senso  profondo della sua arte”.   Le opere realizzate a partire dal 1921 aprono la di-  scussione sulla funzione e l’importanza del colore per  Casorati, che viene ampiamente discussa nel testo e  che caratterizza da qui in poi tutta la monografia come  lettura univoca del decennio successivo. Accanto ad  una premessa platonica, che si confronta nuovamen-  te con le opere Meriggio (1923), Lo studio (1923) e Con-  certo (1924), allontanandole da facili letture estetiche,”  Galvano vede in “quegli slarghi formali” di pittura un  anticipo di “un’esperienza di tono che sarà chiarissima  intorno al 1931-32”.   Contrapponendosi alle interpretazioni — che vede-  vano nella linea e nella forma plastica le caratteristiche  fondanti dell’opera di Casorati — Galvano valuta la pit-  tura del maestro come una pittura essenzialmente di  colore,” spingendosi a verificare le intenzioni dell’arti-  sta e giustificare la scelta di determinati soggetti e for-  me piuttosto che altre, proprio in funzione del colore:  “Vi sono dei quadri di Casorati, e talvolta proprio i più  formali a prima vista, come ‘Daphne”? [...] che non si  afferrano in tutto il loro valore se non riferendoli al co-  lore. Casorati ama le forme semplici perché sono quelle  che permettono al colore di stendersi con la sua miglio-  re ampiezza. È strano come questa semplice verità sia  stata tanto spesso fraintesa, non mancando del resto di  contribuirvi la stessa interpretazione che il pittore ha  dato della propria opera”. Una sensibilità tonale che  porta il critico ad accostare come esempio di ‘“straordi-          lia”, I, 11, 1 agosto 1940, p. 19.   68 ‘è quanto mai significativo a questo proposito il fatto che  il pittore abbia tenuto in tempi recenti non lontani ad esporre, ad  introduzione e quasi chiave di sue opere più recenti, quel ‘Tiro  a segno’ piatto e ritagliato fra tutti che volle anche ad inizio di  queste riproduzioni” (A. GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 24).   69 Ibidem.   70 “Il ‘nudo’ e gli analoghi ‘Concerto’, ‘Meriggio’, ‘Studio’, ci  presentano un mondo che si presta ad essere interpretato in modo  equivoco, come estetistico, da chi non tenga presente che per Ca-  sorati quelle platoniche accolte di figure femminili ignude, anche  se esse presentano molta eleganza, non hanno veramente valore  per questa eleganza ma solo per lo snodarsi ritmico dei volumi”  (Ivi, p. 12). Cfr. (Bertolino, Poli 212, 215, 226).   71. A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 13.   72 “La forma serve [...] a distruggere la linea ed a passare al  colore: essa è, se si vuole, il punto di partenza, ma è proprio il  colore è il punto di arrivo” (Ibidem).   73. (Bertolino, Poli 328).   74 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., pp. 13-14.    34       ARTE MODERNA ITALIANA N.5    ALBINO GALVANO    | FELICE CASORATI       II ed. del volume Felice Casorati, Ulrico Hoepli, Milano 1947.    nario pre-casoratismo” l’opera di Jan Vermeer e di Ge-  orges de La Tour piuttosto che quella di Ingres, riferita  dallo stesso pittore come modello di riferimento alla  propria pittura nel “Referendum sul quadro storico”  del 1929.   A sostegno di questa sua tesi sul colore Galvano  recupera ancora una volta i ricordi dell’insegnamento  del maestro, affrontando questioni di metodo e di pra-  tica pittorica vissuta nello studio dell'artista, dove l’os-  servazione dei modelli veniva condotta non tanto sulla  forma degli oggetti, ma sui valori tonali dei medesimi:    ci limiteremo a notare come quanto resti nel ricordo di  chi è stato alla scuola di Casorati verta essenzialmente  su due punti: l'insieme e il tono. E soprattutto l’insie-  me come forma il più sintetica possibile in funzione del  tono. La forma intellettualistica di un oggetto, proprio  ciò che interessa di più al pittore formale o classico, è ciò  che Casorati consiglia all'allievo di disimparare, la for-  ma che l'allievo deve imparare a vedere il più semplice-  mente possibile è la forma di quella determinata massa  tonale, di quella determinata massa chiaroscurale, non  la forma dell'oggetto.”       75 F. CASORATI, [Risposta al referendum sul quadro storico], in  “Le arti plastiche”, 16 dicembre 1929; ora in Ip., Scritti interviste  lettere, cit., p. 22.   76 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 14. Analoghe impressioni  sì ritrovano in L. RoMAnO, La scuola di Casorati, in “L'Arte”, XXXIII,    La discussione sul colore offre a Galvano il punto  di partenza per affrontare le influenze cézanniane che,  secondo una critica assodata ormai da tempo, avrebbe-  ro avuto un ruolo capitale nell'evoluzione del lessico  pittorico casoratiano, soprattutto per il genere della  natura morta.”   È Venturi, nel 1923,” a offrire per primo quest'in-  terpretazione, individuando nell'esperienza diretta  di Casorati alla Biennale del 1920 (dove, su 28 dipinti  di Cézanne presenti, erano ben sette le nature morte)  il passaggio di svolta tra Le uova sul tappeto verde del  1914 e Le uova sul cassettone del 1920:”? “Le ‘uova’ [...]  del 1913 sono un motivo di bianco su verde, le ‘uova’  del 1920 sono un motivo di forma geometrica solida e  chiara sopra un volume scuro”.8°   Per Galvano, l'avvicinamento al maestro di Aix  è da intendersi come “esperienza più morale che  pittorica”, nella quale l'evoluzione delle sue natu-  re morte rappresenta un processo interno alla pittu-  ra stessa piuttosto che il risultato di quest’incontro:  “[Uova sul cassettone] non si spiega con un riferimento  al costruire tonale del Provenzale nella sua essenza sti-  listica” — puntualizza Galvano - “ma solo col metterlo  In relazione a quello che la pittura di Casorati fu prima  d'allora” 8 Secondo il critico, più che un precedente sti-  listico, la lezione di Cézanne offre la verifica di nuove  possibilità espressive; un punto di vista che trova con-  ferma — più tardi — nelle stesse dichiarazioni del pittore,  che ripercorrono l’incontro con i dipinti alla Biennale  del 1920:    Tutta la grandezza del Maestro di Aix mi si manifestò im-  provvisa. L'emozione che ne provai fu enorme e non fu  un'emozione di sbalordimento o di stupore, che anzi mi  sentii preso da quel senso di calma, di fermezza, di equi-  librio, che solo le opere dei grandi può dare. Equilibrio!  Compresi che nella sua pittura trovava il giusto equilibrio il  problema posto e sviluppato in un senso dell'Impressioni-  smo e il grande opposto risolto da tutta la tradizione; com-  presi l'aberrazione di una certa critica che non si staccava  di insistere sui problemi di Cézanne: capii che proprio, che  Specialmente in quei difetti era il germe della sua grandez-       fasc. IV, luglio 1930, p. 380.   77. Relativamente a questo genere si vedano P. Fossati, Nature  morte di Casorati, in M. M. LamBERTI (a cura di), Casorati. Mostra  antologica, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 27 mar-  ZO - 20 maggio 1990), Electa, Milano 1989, pp. 29-38; G. BERTOLINO,  Dal repertorio di oggetti alle prime nature morte (1910-1920), in ID., F.  PoLI (a cura di), La natura morta nella pittura di Felice Casorati, cata-  logo della mostra (Iseo [Brescia], Sale dell’ Arsenale, 24 maggio-20  luglio 1997), Electa, Milano 1997, pp. 11-22.   78. L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, cit.   79 (Bertolino, Poli 114, 162); relativamente alle opere si veda  In particolare M. M. LAMBERTI, Scherzo: uova (o Le uova sul tappeto  verde) e Le uova sul cassettone, in In., P. Fossati, Felice Casorati 1883-  1963, cit., pp. 62-64; 79-80.    80. L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, cit., p. 254  ù A. GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 33.    Ivi, p. 16.    35    za. Compresi che Cézanne era il pittore della rinuncia e che   la rinuncia era la forza della pittura moderna. Non cambiai  modo di dipingere, ero troppo inconsciamente orgoglioso  per tentare un cambiamento di rotta che non avrei potu-  to fare in alcun modo. Credetti allora di approfittare della  grande lezione di Cézanne proprio irrigidendomi sulle  mie posizioni e cercando solo in profondità.*    La monografia Scheiwiller, pensata per aggiorna-  re la precedente di Giolli, in realtà affronta solo margi-  nalmente la più recente produzione del maestro, soste-  nendo per le opere più prossime la piena attuazione del  proposito coloristico în nuce già nei primi anni Venti.   Ai ricordi della Biennale del 1924, e soprattutto a  quella del 1928,* Galvano contrappone le opere espo-  ste nei primi anni Trenta: per La lezione (1929), Susanna  (1929) e Lo straniero (1930) pone l'accento su come pre-  valgano in questi dipinti “certe note di rossi improvvisi,  il taglio in controluce, il gusto, almeno nei due primi, di  accostare il nudo ad una figura maschile vestita, un de-  siderio di atmosfera serena che suggerisce lontananze  chiare e assolate” .8# Motivi pittorici che, spogliati degli  elementi accessori (come la copertina del “Selvaggio”  nella Lezione o, ancora, le pantofole rosse di Susanna),  trovano un'ulteriore compiutezza in Daphne (1934) e  Ragazza in collina” delle collezioni dei Musei Civici di  Torino, “soluzioni più aneddoticamente umane [...]  dove il motivo del controluce sulla finestra aperta so-  stituisce figure familiari o umilmente umane ai mani-  chini, mentre il paesaggio si fa sereno [...] ricavato da  quei campi di Pavarolo ormai cari all’artista”.*   Come già sottolineato da Maria Mimita Lamberti,  l'apporto di Galvano si dimostra poi piuttosto illuminan-  te nell'individuare nel tema del nudo una possibile linea  di lettura della sua produzione, sino a quel momento tra-  scurata rispetto al genere più discusso della natura morta.       83 Il passo è riportato in L. Caruccio, F. Casorati, quaderni  d'arte del Centro Culturale Olivetti, Ivrea, All'insegna del pesce  d'oro, Milano 1958, p. 22.   84 ‘Noi veniamo dall'esperienza della generazione per cui i  quadri del ‘24 rappresentarono lo scandalo dell'adolescenza che  ancora confondeva la classicità coll’accademismo e che scorgeva  in quei quadtri, visti alle esposizioni colla famiglia deplorante o  pronta al riso di fronte alle stranezze dell'arte moderna, pur qual-  che cosa di inquietante e di tentatore che non si poteva dimenti-  care [...] i quadri della biennale del ‘28 rappresentarono invece  la scoperta del mondo nuovo e spregiudicato che si apriva alla  nostra cultura” (A. GaLvano, Felice Casorati, cit., p. 15).   85 (Bertolino, Poli, 366, 368, 396). Erroneamente Galvano attri-  buisce il titolo Lo studio al dipinto La lezione esposto alla Biennale  del 1930. L’opera verrà distrutta nell'incendio del Glaspalast di  Monaco del 1931.   86 A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 22.   87 (Bertolino, Poli 531, 592). Galvano, in realtà, indica il secon-  do dipinto con il titolo Estate. Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, cit.  p.iz.    88 Ibidem.  89  M.M.LAMBERTI, I nudi nello studio, in Ip. (a cura di), Casorati.    Mostra antologica, cit., pp. 13-28 (13).       Galvano vi riconosce una traccia di continuità che,  a partire dalle Signorine del 1912 (opera che, secondo il  critico, non è da intendersi come “gruppo” ma come  insieme di figure isolate), arriva sino alla Venere bionda  del 1934, “punto di arrivo e di dissoluzione di quello  che si potrebbe chiamare il ‘tonalismo’ di Casorati”:”  secondo Galvano il motivo del nudo in Casorati si  presenta “come figura essenziale, come una forma ele-  mentare, categorica, simile a quelle delle scodelle, delle  uova, dei libri”, caratteristiche che, alla pari dei sem-  plici oggetti che popolano i suoi dipinti, permettono  quegli “slarghi formali” di pittura, oltre alla “possibi  lità di un tono uniforme”? capaci di confermare la sua  sensibilità di colorista.    III.    A distanza di sette anni dalla pubblicazione la  monografia di Galvano su Casorati viene ristampata,”  aggiornata in alcune sue parti e rivista totalmente per  quanto concerne l'apparato iconografico. È il 1947.   Tra la prima uscita e la riedizione, l’interessamen-  to che il discepolo dimostra nei confronti del maestro  è continuo e si attesta già dall'inizio del 1941 con mo-  dalità simili a quelle che avevano contraddistinto il    suo precedente impegno sulle riviste nazionali. Vi si    affiancano però nuove prospettive lavorative. Proprio  nel 1941, accanto alla sua attività di pittore e di critico  (che in questi anni, oltre alla corrispondenza per “Em-  porium” e alla collaborazione per “Il Selvaggio”, si  amplia con due contributi sulla rivista “Le Arti”) Gal-  vano è impegnato nella nuova veste di assistente alla  cattedra di “Pittura” di Enrico Paulucci presso l’Acca-  demia Albertina di Torino, assegnata contestualmente  anche a Felice Casorati per l'insegnamento di “Com-  posizione pittorica”. Incarichi che vengono entrambi  costituiti ad personam dal Ministero dell'Istruzione nel  contesto dei provvedimenti avviati da Bottai a favore  delle Accademie artistiche. Sono questi, inoltre, gli  anni nei quali Galvano va consolidando una sicurezza  economica stabile — tanto auspicata negli anni Trenta —  grazie all'insegnamento nelle scuole superiori: prima  come professore di figura disegnata nei licei artistici  piemontesi e poi, dal 1942, come docente di filosofia e  storia nei licei classici e scientifici.   La mostra Casorati Menzio Paulucci, inaugurata nel  novembre del 1940 alla Galleria Cigala di Torino, è l’oc-  casione per tornare a parlare di Casorati sulle pagine di    90 A. GaLvano, Felice Casorati, cit., p. 18; cfr. (Bertolino, Poli  501).   sa: «Ivi, p. 20.   92 Ibidem.   93 Ip, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie A - Pitto-  ri - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1947.   94 Cfr. F. Darmasso, Casorati e l'Accademia Albertina, in M. M.  LAMBERTI, P. Fossati, Felice Casorati 1883-1963, cit., pp. 199-205.    36       Copertina e pagine del volume Tre nature morte. Casorati Menzio Pau-  lucci, Carlo Accame, Torino 1942.    “Emporium”, presente in questa circostanza con due  pittori torinesi protagonisti della scena artistica citta-  dina (reduci entrambi dall'esperienza del gruppo dei  “Sei” ), sicuramente vicini a Casorati ma mai allievi di-  retti del maestro: il quarantaduenne Francesco Menzio  e il più giovane (di poco) Enrico Paulucci, con il quale  Casorati ha intrapreso da tempo un rapporto di stretta  collaborazione.”   Il sodalizio dei tre artisti, che non vuol essere un  principio di ricerca comune ma piuttosto un impegno  di politica culturale condivisa, si ripropone più tardi,  in modo analogo, con una mostra allestita alla Galleria  Genova del capoluogo ligure nel febbraio del 1942. La  circostanza è anticipata da una pubblicazione autono-  ma di Galvano, intitolata Tre nature morte e stampata  dalla tipografia Accame di Torino (che pubblica, nello       95 A. Galvano, Casorati, Menzio, Paulucci, in “Emporium”, XCI-  II, 554, febbraio 1941, pp. 93-95.    Stesso anno, la monografia su Casorati di Italo Cremo-  na), in un elegante edizione in folio che riporta come  Sottotitolo i nomi dei tre pittori torinesi.’ In questa oc-  casione — che si propone di presentare sinteticamente  tre opere dei rispettivi pittori, con tanto di riprodu-  zioni a colori — Galvano sceglie la natura morta come  genere esemplificativo della produzione degli stessi.  Un'operazione che nell’introduzione viene definita  come “didattica”” e che si pone in aperta polemica nei  confronti della tendenza a considerare questo genere  come motivo poco adatto alla pittura moderna: “ad  Ogni esposizione abbiamo sentito deplorare l'eccessiva  presenza di nature morte o esaltare per il loro scom-  parire di fronte ai quadri di figura”. Una difesa per  l'autonomia e dignità del genere pittorico, che non si  risparmia nel chiamare in campo i precedenti noti di  Cézanne, Manet ed ancora Renoir.   La questione, in realtà, non è nuova, ma prende  le mosse da un pensiero espresso dal maestro quasi  quindici anni prima, che rappresenta verosimilmente il  pretesto per il contributo di Galvano, che mostra que-  sto taglio così inaspettato. Sulle pagine del quotidiano  torinese “La Stampa”, Casorati lamentava nell’artico-  lo La crisi delle arti figurative i medesimi problemi di  accettazione della natura morta da parte di pubblico  € critica, con presupposti che sembravano essere gli  stessi avanzati ora da Galvano nella sua introduzione:   Ho sentito dire ed ho letto purtroppo parecchie volte  questa frase: troppe nature morte, troppe mele, troppi  aranci, troppi pomodori ecc. [...] poveri oggetti, [...]  vo1 siete i modelli più docili e più esigenti degli artisti  [...] Nei momenti più disperati della mia vita di arti-  Sta, io ho potuto riconciliarmi con la pittura dipingen-  do umilmente una scodella, un uovo, una pera”.?   . La scelta della natura morta casoratiana — vero-  sImilmente selezionata da Galvano — ricade su Le pere  verdi del 1941,!% presentata probabilmente per la prima  volta in questa sede: un’opera che gli permette di riba-  dire il principio coloristico sostenuto nella monografia  del ‘40, che viene qui chiarito con un'attenta analisi          96 Ip., Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, Carlo Accame,  Torino, 1942.  97 “La presentazione di ‘Nature morte’, dovute a tre fra i più  autentici pittori operanti oggi a Torino, potrà anche apparire, ed  essere criticata, come una iniziativa a carattere tendenzioso e po-  lemico. Non sarà forse il caso di affermare che essa ha piuttosto  un intento didattico? E proprio di educazione del pubblico: degli  intelligenti (almeno in potenza, chè degli ostinati per limitazione  Naturale di possibilità, per passione di parte o per difficoltà di  Sclogliersi da presupposti culturali privi di validità non occorre  Hr a comprendere le ragioni per cui, su di una falsa impo-  azione di presupposti, può passare per atteggiamento polemico  9, peggio, di conventicola, il semplice intento di chiarificazione  Intellettuale e critica” (Ivi, p.n.n.).  8 Ivi, p.nn.  "i F CASORATI, La crisi delle arti figurative, in “La Stampa”, 29  ra raio 1928; ora in Ip., Scritti interviste lettere, cit., pp. 19-20.  (Bertolino, Poli 682).    CY    della sua pittura (non priva di tecnicismi del mestie-  re), che si concentra sui valori tonali e sugli accordi  cromatici presenti nel dipinto, che sottendono sempre  — secondo Galvano — a problemi ed equilibri di natura  compositiva:    Sul fondo rosa e paglia un accordo di due verdi: crudo e  spento, e le chiazze rugginose e calde della putredine che  intacca i frutti; solo dal colore prende realtà il fascino di  questa natura morta, eppure il colore qui non evocherà a  nessuno la categoria della ‘forma aperta’ o la scioltezza di  un pittoricismo abbandonato: chè Casorati è anche ora il  pittore delle forme assolute e degli elementari geometrici,  ma il colore ne rivela, per distinguersi dei campi continui e  dilatati, la purezza, anzi il purismo, di impaginazione e ce  ne propone la più castigata presenza.   [...] i colori si subordinano ad una ragione compositiva  a priori [...] in essa si giustifica quel disporsi graduale di  intensità pittorica che può far apparire persino sordo (e  tale veramente sarebbe se non servisse a concentrare ogni  attenzione sull’interno ordinarsi del gruppo centrale, ma  pretendesse di disporsi sul medesimo piano di ‘bel colo-  re’ dei toni vicini) il colore locale; necessario a staccare nel  castigato e serrato gioco compositivo della frutta ritagliati  sul fondo chiaro, dove più i toni non si distinguono nella  vibrante luminosità, la bruciata profilatura delle foglie.!®!    Di respiro ben diverso, invece, è il contributo Fe-  lice Casorati (e i torinesi) apparso un anno più tardi, nel  1943, sulla rivista “Pattuglia” di Forlì.!® Nel numero di  maggio-giugno, dedicato interamente alle arti figura-  tive e curato da Giovanni Testori, Galvano traccia un  bilancio della situazione artistica torinese: accanto a  considerazioni su Casorati in linea con la monografia  Hoepli del 1940, abbandona i ricordi della scuola di via  Galliari proponendo una lettura totalmente rinnovata,  alla luce dei più recenti sviluppi espositivi. Menzio e  Paulucci rappresentano qui (insieme agli altri “Sei”,  che però non vengono nominati) i “giovani pittori che  si erano stretti intorno a Casorati” e che, seppur non  direttamente allievi dell'artista, non “rinnegavano il  debito contratto col primo ideale maestro, né erano da  lui sconfessati: anzi la stima, l'amicizia e la valutazione  dei diversi ed ugualmente validi risultati, da parte del  più anziano rimanevano intatti od accresciuti”."° Una       101 A.GALVANO, Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, cit., p.    n.n.  102  In., Felice Casorati (e i torinesi), in “Pattuglia”, 7-8, maggio-  giugno 1943, pp. 15-16. La rivista, mensile del Guf di Forlì, viene  inaugurata nel 1941 e riporta nel sottotitolo la dicitura “Mensile  di politica, arti e lettere”. L'articolo di Galvano viene pubblicato  nell'ultimo numero della rivista, curato Giovanni Testori e in-  titolato “Omaggio alla pittura”, che si proponeva di fornire un  bilancio dell’arte italiana del ‘900. La rivista viene interrotta e se-  questrata da Mussolini per i suoi contenuti non in linea con le  direttive -in campo figurativo- imposte dal regime.   103 Ivi, p. 16.    07 ee    (E I TORINESI)    E condizioni che determinarono a To- ‘20: sei anni dopo l'altra polemica fra  rino l'orientarsi della pittura degna L. Venturi, a proposito del  di quest'ultimo,       di eu- proposito del valore positivo  tentici pittori. Condizioni in cui la eri. tivo delle influenze parigine sull'arte  tica ai pose di per se stessa come po- —ita'iana non ebbe significato diverso. Ora  lemica: © in cui da polemica fu l'one- —P. Gobetti e L. Venturi furono appunto  stà stessa della critica. La guerra del tra | primi ad esaltare l'opera di Ca  14-18 era terminata. Lo stile «libe- sorati. A dispetto danque delle av  ty » in architettura, il neo-pre-ralfuel- versioni del borghese e delle ammira  lismo tipo «In arte libertas» da cui zioni dell'aggiornato, che esalta insie  pure avevano mosso î primi passi pit- e Carrà 0 © Casorati, l'e  tori validi come Modigliani e Spadini figurativa di quest  uveva esaurita ogni pretesa alla forma- —srebbe un significato diverso, e in certo  zione di una coscienza figurativa nella senso opposto, n quello in cui si è  banalità di un'acquiescenza in cui i svolta la comune esperienza della più  fermenti di possibilità che più tard' vi viva pittura italiana? In parte si deve  scoprirà l'accorto senso del « perver- rispondere affermativamente  pEr eg sai 16 gin   lettuale per quello Hgurativo sano  ogni evasione dal fatto pittorico, E che sioo al 1928 la pittura di Casorati  quanto per queste esperienze avveniva —anche nelle punte di estrema avanguar-  ordine a le possibilità della linea cur- —.ija come in certi distrutti. di-  me di questo è quel complesso frea- —pinti, n quanto si dice. sotto l'influenza F. Casorati: “Ragazza,. (1937)  diano avveniva, in modo anche più vol- —gel gusto di Kandiski, cerca i proprii  gare è fatuo, mancati Sant'Elia e Boocio riferimenti non in un mondo mediterra-  : ma in uno nordico {quasi a fedeltà    i  H  È  È;  i    figurativo di Martino Span-  Torino poi: Thover seguitava a eredere viti e di Defendente Ferrari che guard    Memet o di Bestlovea, a confeadero assai più che quello, volto verso il       l'eleganza lineare di Modigliani con di Gaudenzio), non in un'umanità  l'imperizia del bambino (e se mai si assertrice di proporzionata statura mul  sarebbe dovuto rimproverargli un'ele- rondo det orizzonte, ma nel  panza sin troppo vicina » preoccupazio- tormento di sentirai oppressa da È  ni ostetistiche e contenutistiche simili amine mirror  quelle che limitavano fl eritico) inau- ciò di dramma per la propria persona,  guraodo quella tradizione di contenu- in quanto finita, Il sottile Tinguaggio  tismo ad oltranza e di cauto e garbato, formale, la ricerca d'equilibrio compo-  ma fondamentalmente deciso, « fin de sitivo, l'astratto rigore della sintesi po-  non recevoie » mel riguardi di una vi- Loveno sì! suggerire, insieme @ certo  conda pittoricamente valide a cui si at- codenze illustrative (i libri aperti, i  tiene con un'ostinazione che ha per io csrtigli) o agli accorgimenti ‘tecnici,  meno 2 merito della consequenzialità come l'uso della tempera verniciata, ri-  quel poco di csi valga la pena di (91 —rorimenti al quattrocento, mostro. sn  menzione della critica d'arte del quo- non poteva sfuggire ad ‘una  tidiani oggi ancora a Torino. più accorta l'assoluta continuità spi-  Un panorama, come si vede, sostan- rituale che legava il mondo d'allusioni  rialmente simile a quello del resto crepuscolari è le eleganze cstotizzanti  d'Italia, in cui tuttavia, in quegli delle « Vecchie» o delle « Signorine»  anni dell'immediato dopoguerra, Tori. attraverso 1 paradossi pseudoformali  ba ipo ipa delle « Scodelle » è delle « Uova » nella  maniera particolare e gerto senso, doppia redazione, a tappeto ed s vo-  fispetto al resto d'Italia, polemica, su tume. a questo muovo mondo di non  di un doppio piano, intellettuale e figu: —1meno quintessenziate definizioni umane  Rene a pi o spaziali, anche se nel silenzio di  IO) essere esemplificata PO quelle quinte prospettiche ora quei pro-  sizioni reciproche de «La Ronda fili proponessero le loro cadenze non  di « Rivoluzione Liberale ». Cinscuno più per la via analitica dei compisci  vede quanto diversi gli orientamenti menti particoleristici, ma per quella  umani e culturali. Ma è tipico che pro? —delle sintesi ellittiche.  prio fra Cardareti un'occe. Eppure una così diversa afferma-  sione polemica, sul Leopardi, portò a zione in ordine a scoperte pittoriche,  una discussione do andava ben una tanto dialettica decisione nel de-  oltre i termini della cortesia. Siamo nel finire il proprio mondo indipendente. F. Casorati: “ Bambina. (1932)    Felice Casorati (e i torinesi), "Pattuglia", 7-8 maggio-giugno 1943.    lettura della scena artistica cittadina che esclude total-  mente i primi discepoli dell'artista — che continuano  nel frattempo a dipingere ed esporre, non solo a Torino  — preferendo invece soffermarsi poi sulle “anomalie”  figurative (intese rispetto al tracciato casoratiano) pro-  poste da Luigi Spazzapan e Italo Cremona.   Il rapporto tra allievo e maestro, che è innanzi-  tutto di amicizia, rimane solido negli anni a seguire,  nonostante le scelte di Galvano si avviino, nel frattem-  po, verso un fronte non figurativo della pittura, che lo  vedono abbracciare l’astrazione ed aderire nel 1950 al  Mac (Movimento Arte Concreta), fondando insieme  ad Annibale Biglione, Paola Levi Montalcini, Adriano  Parisot, Carol Rama e Filippo Scroppo la sezione tori-  nese del gruppo.   Accanto alla sua attività di critico militante, più  orientata verso le verifiche nel frattempo ottenute con-  testualmente in pittura, tornerà solo raramente ad inte-  ressarsi di Casorati, soprattutto in occasione di letture  complessive e bilanci di un'epoca, che sembra ormai  essere lontana nel tempo.!%       104 Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, in S. CAIROLA (a cura di),  Arte italiana del nostro tempo, Istituto Italiano d’Arti Grafiche,  Bergamo 1946, pp. 18-20; In., La pittura a Torino dal '45 a oggi, in  “Letteratura. Rivista di lettere e di arte contemporanea”, 43-45,  gennaio-giugno 1960, pp. 55-76; ora in Ip., La pittura, lo spirito e    38    mente da ricerche solo per certi riguar- questi sforzi di giovani della cultura mona, Anch'egli amico di Casorati: ma pre riuscito a cogliere il momento di    di parallele, grazie all'autenticità della universitaria e in tutt'altra la lezione che ne ha appreso. spontanen concretezza pittorica. Senza  realizzazione figurativa è della schiet ritorno! Un rigore, un'incisività, un'analitica nì- che del resto questo gli abbia impedito  tezza di linguaggio fantastico da essa Nacque così il gruppo dei «Sei»: —tidenza di segno, una predilizione per quell'accorta coscienza teorica della po-  presupposia, s'inseriva nel dialogo della —Menzio, Chessa, Levi, Paolucci, Galanta —quei profili nettissimi che gli permettono sizione di gusto in cui il suo mondo fi-  italiana di quegli anni con una © Jessie Boswell.,Fntro e fuari le vi- di dare evidenza allucinante di inganno gurativo sì determina e del rapporti di  validità di proporzioni che tuttavia man. —cende del gruppo, Francesco Menzio isivo alla riproduzione dei i og- esso col movimento «surrealista», (di  tiene integro il valore dell'esperienza risultò allora e tale si mantiene, come i: distribuiti poi questi in un ardine cui, per una curiosa ‘e significativa  » a della la personalità più dotata che fosse ap- di fantasia di rara coerenza suggest vicenda gli interessi destati a Torino  memoria 0 più rigorosa- parsa, da Casorati in qua, fra i pit- rispondere a furono proprio nella cerchia dei col  monte impegnata in un bilanelo della tori torinesi. Un mondo di compiaci- più profondamente che gene- laboratori dell'originariamente  pittura. Tutti da « Fanciullo ad- —menti delicati, di edonismo controllato —rano l'inquietante mondo delle ansocia» sano» Seleaggio, per brev'ora torinese  dormentato » del "21, allo « Studio » del —© schivo, sceglie usa sun umanità d'ele- i oniriche e dei senza si ppunto, sino alle recenti realizzazioni  122, al « Concerto » del ‘24. ne henno zione in volti di giovani donne 0 di gnilicato, dei soprasensi di cui non si itettoniche, nella sede della società  nti i risultati più vivi. Poi el si bambini. Da questo punto di partenza —dà lettura , ma « cl Ippica di Carlo Mollino) che tatti 1 suoli  hnocorse che i valori di tono e di ero appena le due esperienze opposte, ma frata» per via di quegli emblemi pit- lettori conoscono,  ma erano pur utilizzabili în assai più —concordanti nella dissoluzione di ogni e- —torici in cui però Cremona è quasi sem- ALBINO GALVANO  concreto discorso di quanto non si lamento estrinsecamente contenutistico,  facesse dagli epigoni del peggior otto- del rigoriamo formale casoratiano in-  cento. Si affermò che i Macchiaioli tu- torno al ‘23, e del fervore cromatico de  rono fra gli artisti autentici della no- gli impressionisti intorno al ‘29 per- ===  stra tradizione; si riconobbe che un ar- —misero a Menzio di scontare in puro  tista ostile o almeno appartato di fron- sollecitazioni pittoriche quei dati del  te a ricerche futuriste, metafisiche © sentimento, si defini una visione tanto  neoclassiche era un grande pit- personale quanto coerente dove la mu  i si riscopri l'im- sicalità del colore e la freschezza del  pressionismo. Îl necclassiciamo, nel    È  È       «po  vecento » milanese, che qualcuno git si che delicati non impedirono, anzi fa-  definiva nooromantico, sì innestava, con vorirono lo spiegarsi di una confes-  Tosi, in una tradizione di pittura a- —sione umana piena di melanconica no-  perta. Soffici non più cubista predicava —biltà nel reiterato e come ansiosamento  ed esemplificava un ritorno alla natura interrogato indagare intorno alla con-  in cui l'esperienza di Cézaane non eselu- sistenza pittorica di quelle persone di  deva quella di Fattori: a Torino, do- drumma, così sottilmente lirico e di  ve già ‘intorno a Casorati una scuola cosi pausate parole, che si muovona  tendeva a ridurre a grammatica il sua nelle composizioni famigliari di Menzio.   figurativo, attraverso l’inse- Tanto Casorati che Menzio del resto  guamento universitario, Îl mecenatiamo —qutt'altro che paghi o chiusi nell'au  di un collezionista, i più rapidi con- tosoddisfazione: anzi entrambi sempre  tatti con Parigi, rapporti col gruppo sofferenti dei limiti 0 della  milanese di Persico anch'esso partito —contiagenti stanchezze che potessero cc-  in battaglia contro il neoclassicismo, appannare il gelido speo-  la lezione degli impressionisti fu at- chio di formalismi eidetici del primo,  tinta direttamente ai grandi modelli: ©  Manet, Renoir, Cézanne, in un preciso pida dell'altro. inquietudine che ci spie  senso importante due notevoli carollari). ga il piegare verso più riscntite ao Enrico Paolacei: * Piazza Navona ..   l'affermazione che Cèzanne non meno nitide pro-  veva reagito all'impressioniamo, ma lo filature lineari di Casorati dopo il ‘30,  veva continuato e che perciò la tradi- —come le | ritorni, e, meno  zione più viva di movimento an- , da monotonia le ripetizioni  dava proprio cercata in quel discorso —1delle cose meno valide di Menzio. ln  rapido ed atmosferico si, ma tutt'al. modo assai diverso, ina con accanita  tro che occasionale e vedutistico che era commovente dedizione ad un'ideale  stato proprio dei pittori che abbiamo di pura pittura che escludesse tanto  citato piuttosto che dei Monet, dei Pis- ogni intrusione intellettualistica  quento  surro, del Sisley. Secondo: che quel- ‘ ogni dispersione decorativa Enrico Pao  l'adesione all'impressionisno non po. Iucci è venuto sempre più approfon  teva che importare, da una parte, con- dendo una visione grata © improvvisa,    Van Gogh al più libero «fsuvinmo », rivivere il gusto degli impros-  che-dn qualche modo e sia pure unilate; sionisti, proprio di questa fase della  ralmente, il linguaggio di Cizanne ave- pittura torinese, possono essere riat-  ivano continuato, Gli strilli dei varii taccati, in senso diverto, Piero Mar-  Ojetti per i «salti in lunghezza da tina, temperamento delicato di colorista  Giorgione n Braque » naturalmente non eu cui è stata decisiva l'influenza di  si contarono! Ma intanto quello che te nf gie gi  importava fu che la esemplificazione cento personale una trepida, ©  vitale dei frutti di quest'esperienza cul- come smorzata, elaborazione di ogni da-  turale fosse data proprio da quei gio- to tonale degli oggetti, e Luigi Spazza-  vani pittori che sì erano stretti intorno pan la cui origine è le cui esperienze  è Casorati, pur non più così ragazzi istriano diedero ad una veramente pro  da diventar suoi allievi nel senso sco- digiosa capacità di trasfigurare |pit-  lastico della parola, © che ora nell'inì- —1toricamente, attraverso la rapidità della  ziare un lavoro diversamente orientato, —acchia e del segno, ogni dato ogget-  e vano il debito contratto col tivo una truculenza cspressionistica re-  primo ideale macatro, nè erano da Jui =—mota dal raccoglimento degli altri to-  sconfessati: anzi la stima, l'amicizia rincsi e dalla pacata visione dell'im-  © la valutazione dei diveral ed ugual. =—pressioniamo. È di questo suo pecu-  mente validi risultati, da parte del —liare atteggiamento ci restano molti mo-  più anziano rimanevano intatti od ec- menti d'espressione mirabile, speci       cootrapporre ai della mano facile è dell'illustra  < incomprensioni fra chi incegue un me- tone occasionale.  desio sforzo d'arte, ala pur attra- Opposta invece, per intento e per ri  verso divergenti esperionze di gusto. È all'impressionismo l'esperienza    i sultato,  altrettanto si può dire dell'attenzione a —Dittorica inieressantiesima di Italo Cre- Francesco Menzio: ‘ Ritratto ,,    Nel 1963, alla scomparsa del pittore, Galvano  traccerà un ricordo del maestro, a margine del catalo-  go della 14° mostra d'arte contemporanea di Torre Pelli-  ce. Non più il colore o il tono, ma quei valori umani  e di rispetto per le diversità appresi durante gli anni  di via Galliari animeranno, in conclusione, questo suo  “omaggio” di discepolo: “poiché fu anche la coscienza  di questa libertà, prima ancora morale che estetica, che  da Felice Casorati alcuni di noi ricevettero come l’inse-  gnamento più prezioso, ci è caro chiudere col richiamo  ad esso questo saluto al Maestro. Chè le sue opere par-  lano, per il rimanente, senza bisogno di commento”!°.    il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante Edizioni, Torino  1988.   105 A. GaLvano, Omaggio a Felice Casorati, in 14° mostra d'arte con-  temporanea, catalogo della mostra (Torre Pellice, Collegio Valdese,  3 - 28 agosto 1963), Tipografia Subalpina, Torre Pellice 1963.    Gli occhi fervidi e il sapore di cenere    Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau    Adriano Olivieri    Approssimarsi all'opera letteraria di un uomo di  cospicua cultura quale fu Albino Galvano, significa  penetrare in una eletta densità speculativa sorpren-  dente se commisurata a un intellettuale defilato in vita  e ricorrente oggi nella ferma e attenta riflessione di  pochi storici. Come ebbe a dichiarare Galvano stesso  In una autopresentazione del 1980, non gli si perdonò  l'ambiguità di essere scrittore e pittore aggravata dalle  stigmate dell’intellettuale, categoria in cui finì suo  malgrado per giovanile quanto vocazionale passione  per la cultura. Proprio nell’ambiguità, nel marcare un  confine ideologico sottile, ordinandosi orgogliosamen-  te in disparte insieme alla generazione degli eclettici  Cremona, Mollino e Maccari, ci pare che Galvano  trovi un eccentrico terreno di appartenenza sul quale  edificare una propria filosofia personale sistematica-  mente relata all’erudizione antropologica, filosofica,  religiosa e pedagogica. Formazione altresì integrata  agli interessi misteriosofici - Galvano stesso ebbe a  definire le proprie opere “evocazioni esoteriche”  — vagamente connessi alla cultura torinese d’inizio  secolo e, in modo maggiormente probante, con lo  Studio di Casorati in via Galliari dove conobbe Daphne  Maugham che, dopo avere respirato l’aria mistica della  parigina Académie Ranson, si era trasferita a Torino  dove la sorella Cynthia con Cesarina Gurgo Salice,  Bella e Raja Markman si dilettavano già, oltre che di  danza, di teosofia. Redattore e pubblicista prolifico,  Galvano — che inizia allora ad interessarsi a Rudolf  Steiner e Madame Blavatsky — batté gli argomenti  indigesti alla cultura del suo tempo facendo di sé un  Intellettuale atipico che, come ricordava Sanguineti,  ISpirò idee ereticali nei propri allievi. Autore di pochi  libri, che punteggiarono una carriera meno prodiga  di quella del compagno di studi liceali Argan, nel  1932 conobbe Lionello Venturi che lo accolse come  collaboratore de “L'Arte” facendogli inoltre pubblicare  alcuni studi sulle civiltà extraeuropee?.   L'equivocità tra critica militante e pratica pittorica  fu un banco di prova sul quale verificare, tra continui  rilanci e azzardi, la reciproca tenuta delle parti. In  questo assiduo riversarsi delle specificità discipli-  nari consiste per Galvano il senso estremo della sua  Pittura, votata alla vanità dell'atto privato, smagata  da Ogni velleità economica e promozionale ma cro-  S!uolo rovente dal quale estrarre i concentrati succhi    di un'urgenza creativa. L'incessante ritorno all'arte  . ni n GALVANO, La pittura a Torino dal ‘45 a oggi, in “Letteratura”, I,  “n 0, p. 99-76. Poi in: “La pittura, lo spirito e il sangue”, P.MAN-  ia la cura di), Il Quadrante Edizioni, Torino, 1988, p. 155. Poi  R i ALVANO, Diagnosi del moderno. Scritti scelti 1934-1985”, A.  UFFINO (a cura di), Nino Aragno Editore, Torino, 2018, p. 393.    | L'arte egiziana antica, Firenze, 1938; L'arte dell'Asia occidentale  centrale, Firenze, 1939; L'arte dell'Asia orientale, Firenze, 1939.    39       è,    Al Liceo Gioberti di Torino, 1961-62.       dA EdO a  ad.    come artificio, come fare in sé autosufficiente, fu per  Galvano un difettivo rimedio all’insanabile scissura  della natura umana divisa tra spirito e materia, tra  razionalità e intuizione, e un’imperfetta occasione  di confronto tra individui sul piano partecipabile ed  empirico dell'immagine che, pur sempre aderente  alla condizione fabrile, trova la propria natura più  autentica nell'essere essa stessa divisa tra creazione  e imitazione. L'attività poietica, l'agire sulla materia  intesa sui presupposti estetici gettati da Alain (pen-  satore scomunicato da Croce), sottrae il discorso di  Galvano dall’osservanza teoretica idealistica come  dall'impegno etico esistenzialista e, abrogando di  fatto la condanna platonica dell’arte, accetta il va-  lore estetico come simbolo del “male”. L'arte trova  allora la propria eretica ragion d'essere nella forma  materiata, così come l’idolo o il feticcio sarebbero la  divinità in presenza e non l’ipostasi divina. Per questo  la pittura per Galvano rappresenta enigmaticamente  il “dio visto di spalle”. Quando Mosè chiese al Signo-  re di mostrargli la sua Gloria il Signore gli rispose:  «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e  proclamerò il mio nome” [...]. Soggiunse: “Ma tu  non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo  può vedermi e restare vivo [...]. Tu starai sopra la  rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella  cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò  passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle,  ma il mio volto non lo si può vedere”». L'espediente  divino narrato nell’Esodo biblico?, fatto laicamente       3 i La Sacra Bibbia, cap. 33, vers. 19 e segg.       Cesare Saccaggi, Alma Natura, Ave!, pastello su carta applicata su tela, 68x125 cm., 1898, GAM Torino.    reagire con esperienze disposte alle “proiezioni”, tra  cui l’idea del dio pagano che non tace non parla ma  accenna, sarebbe da intendersi per Galvano — che si  era laureato presso la facoltà di magistero di Torino  discutendo con Gambaro e Abbagnano una tesi su  “La pedagogia della religione” — come metafora  dell'immagine (il “dio visto di spalle” appunto), quale  unica possibilità mondana di riconquistare l’unità  primigenia dell’uomo. L'azione esercitata dall'artista  nelle condizioni oggettive della materia è, più di una  tecnica operativa, un’alchimia - ai filosofi Galvano  preferisce Jean Baptiste van Helmont e Cesare Della  Riviera — che permette il verificarsi di un'unione  tra l'esperienza concreta bloccata nell'immagine e  l’'epifania del dio inteso non in senso devozionale.  Sì tratta in sostanza dell’allontanamento dall'idea  crociana di un'arte che esisterebbe autenticamente  solo nell’intuizione e non nella funzione estrinsecante  della materia. L'arte sfugge così al concetto di rap-  presentazione candidandosi come opportunità che  contemporaneamente apre allo sguardo rinserrandosi  nell’enigma, nella manifestazione del trascendente.  Galvano percorrerà incessantemente questa terra di  frontiera: come filosofo, come storico, come pittore.  Prodromo del percorso pittorico fu l’alunnato  presso Felice Casorati, scelto peril linguaggio sufficien-  temente decantato, sintetizzato e affrancato dal dato  naturalistico per mezzo di un'operazione intellettuale  capace di conferire un ordine platonico agli oggetti  dispensati dalla polverizzazione cromatica impressio-    40    nistica. Una lezione estetica essenziale quanto l’austero  contesto della scuola. Esemplarità che si concretizza  inunalto profilo morale e umano che Galvano ritiene  in dissolvimento nell'arte moderna con la quale si  conclude un ciclo plurisecolare aprendosene un altro,  tumultuoso nel bene ma anche nel male, dal quale si  sentì definitivamente estraneo dall'inizio degli anni  Sessanta. Il mondo del secondo dopoguerra sarebbe  affetto da una crisi di moralità alla quale potrebbe  unicamente fare fronte una presa di responsabilità  politica, artistica, religiosa, speculativamente limpida  ed esente da posizioni compromissorie e accomodanti  come quelle sostenute dagli artisti che vogliono salvare  i valori della tradizione pur dichiarandosi moderni.  L'intera modernità e l’idea stessa di progresso tecnico  aGalvanorisultano ree di edificare, intorno a un fulcro  di ragioni economiche (Marx) e sessuali (Freud), un  presente depauperato dall’opportunità della variazio-  ne imprevista. A una totalità di costruzione legata alla  forma, tipica del Medioevo, si avvicenda insomma  una totalità d'impiego legata allo scopo, decisamente  avvilente come comproverebbe per inverso il moder-  no carattere apologetico della narrazione tecnica e  scientifica. Giudizio estendibile al fatto estetico per  cui all'arte come atto fabrile, tipico del Medioevo,  si avvicenda l’arte come atto intellettuale, peculiare  del Rinascimento e dei secoli successivi fino al XVIII.  Seguirà il periodo reazionario e tradizionalista del  Romanticismo, caratterizzato dal recupero program-  matico degli archetipi (Jung) medievali ma rivissuti    Per un'armatura, Edizioni Lattes, Torino, 1960.    Senza il contesto sociale entro il quale quegli ideali  Sl erano formati. La spontaneità medievale diviene  nel Romanticismo programma culturale e come tale  sarà ereditata dal Decadentismo e dal Simbolismo,  il Soggettivismo dei quali impronterà di sé l'Espres-  Slonismo. Le avanguardie appaiono dominate dalla  pulsione oppositiva alla tradizione elevando a sistema  l'efficienza produttiva di un “nuovo” codificato come  autoreferenziale, programmatico e inintelligibile ma  ‘ncapace di emanciparsi dal dato naturale nonostante  esaurirsi dell'esperienza storica dell’arte illusiva. Gli  €pigoni dell’astrazione storica, i concretisti, sarebbero  Invece esonerati da questa soggezione insieme alle  Tetoriche idealistiche riuscendo, in piena ricostruzione  etica e umana, a calarsi completamente nel dato resi-  duale figurativo, ossia all'evidenza del fatto pittorico.  Fu l’esperienza che Galvano intraprese dal 1948 al  1953, con l'adesione alla branca torinese del MAC,  €sauritasi per lui nella spontanea affermazione delle  forme curvilinee tipiche del Liberty su quelle rette e  Spigolose dell’astrazione concretistica.   In una sorta di personale contropartita agli inte-  lessi spiritualistici e antropologici, Galvano pensa a    41       Artemis Efesia, Edizioni Adelphi, Milano, 1966.    un'arte come luogo del verificarsi del mito capace di  portare a definitiva decantazione la sua inclinazione  espressionistica (rubricata dal Pallucchini) estraendo-  ne la forza panica trasfigurata in una rinnovata spinta  metafisica. Sein ambito artistico risulta evidente come  egli abbia risolto insé l’apprendistato casoratiano non  assorbendone che un clima d'insieme, metabolizzando  l'aspetto decadentistico della pittura del maestro celata  sotto la rigorosa adesione a una norma di cristallina  evidenza estetica ed etica, sul piano dell'esercizio  critico volle incrinare dialetticamente il sapere con-  solidato al fine di cogliere unitariamente il senso più  autentico della modernità. Accostandosi ai testi suoi  maggiori, nei quali dispiega un cospicuo sforzo storico  ma editati in un periodo a loro sfavorevole — “Per una  armatura” (1960) e “Arthemis Efesia” (1967), si hala  sensazione di essere dinanzi a un affascinate quanto  indefinibile prodotto letterario —saggio, disquisizione  filosofica, colta divagazione, eccentrico soliloquio,  introspezione analitica — che, pensando alla continua  permutazione tra scrittura e pittura, indurrebbe a  pensare a una creazione letteraria con statuto indipen-  denteecreativo rifiutato da Galvano incline, viceversa,    a una critica intesa come emanazione di un'attività  immanente all'atto creativo. Permane tuttavia l’eco  dell'idea crociana della storiografia e della critica che,  pur non aggiungendo nulla all'opera ma limitandosi  a sancirne la validità poetica secondo l’idea del philo-  sophusadditusartifici- contrapposta all'idea dell’artifex  additus artifici sostenuta da Gabriele D'Annunzio e  Angelo Conti sulla scorta di John Ruskin e Walter  Pater -—, attribuisce facoltà filosofiche e artistiche alla  soggettiva sensibilità intuitiva dello storico.   Coscienza “temuta e avversata”* Croce è, per  Galvano, un'autorità intellettuale che in cambio  di una piattaforma teoretica esige la partecipata  condanna delle opere che, passate al vaglio di un  accurato approccio metodologico, risultino prive  di valore poetico. Nell’acido corrosivo dell'ironia e  dialettizzando gli argomenti con lo storicismo, Croce  condanna il Decadentismo nelle accezioni mistiche,  estetizzanti, irrazionalistiche e in quella che crede  inconsistenza filosofica e spirituale, includendo in  quel termine tutto ciò che tende a sviluppi formali  astratti e condannando di fatto la fitta rete culturale  e relazionale della modernità. Nonostante ciò Croce  avrebbe il merito di avere reso accessibile e ripercor-  ribile questa fitta topografia anche nella declinazione  contraddittoria e fragilmente raffinata del vituperato  Decadentismo. Accettando la condanna crociana,  Galvano confessa la propria passione per decadenti,  esotici, erotici e apostoli misteriosofici, ponendosi  scientemente in una giurisdizione infernale come  critico e come artista nato dalla linea evolutiva del  Simbolismo. Identifica anzi quello straordinario mo-  mento storico come un estremo malinconico balenio  della civiltà al crepuscolo, un'epoca di transizione  divisa tra spirito e carne, abitata da alcuni tra i più  eletti spiriti dell'umanità capaci di creazioni difformi  ma compiute e che lo sperimentalismo modernista  delle avanguardie esaurirà.   In una sorta di ribellione alla figura paterna,  Galvano trasgredisce la raccomandazione crociana  di non leggere Rimbaud, Mallarmé, Valéry e risco-  pre, anteriormente a Cremona?, il modernismo e la  linfa vitale del Decadentismo attraverso il quadro  metodologico del filosofo abruzzese inclusivo di fatti  estetici anche diametralmente opposti alle sue idee.  A Galvano, come alla sua generazione, fu quindi im-  possibile non dirsi crociano proprio per l'opportunità    4 A. GALVANO, Perché non possiamo non dirci crociani, in “Nu-  mero — Arte e letteratura”, V, n. I-II, gennaio-marzo 1953. Poi in:  “Omaggio a Albino Galvano”, catalogo della mostra, Circolo de-  gli Artisti, Torino, gennaio-marzo 1992, P. Fossati, F. GARIMOLDI, M.  C. MunpiCI (a cura di), Electa, 1992, pp. 116-120. Poi in: A. GALVA-  NO, “Diagnosi del moderno”, cit., p. 37.   5 I. CREMONA, Il tempo dell'Art Nouveau, Firenze, 1964.    42    che quella metodologia offriva nel sistematizzare  l’intera storia. Quello che invece depose fu lo spirito  conciliante dell'estetica di Croce buona, al più, a ba-  nalizzarsi nell’idea diunmuseoimmaginario.Quando  negli anni Sessanta ebbe il proposito di approfondire  l’immagine cultuale e psicologica dell’efesina Arte-  mide, partì dalla fascinazione prodotta su di lui da  un pastello di Cesare Saccaggi, “Alma Natura, Ave!”  (1898), opera collocabile allora, quando uscì il libro, e  tuttora, in un filone di gusto piuttosto sospetto. Con  una serie di pubblicazioni’, si renderà così protago-  nista, a partire dagli anni Cinquanta, del rinnovato  interesse per l’arte Liberty dalla quale trarrà ben più  diuna semplice ragione di studio quanto invece, nella  pratica pittorica, una viva permutazione in allusioni  enigmatiche irriducibili a ogni interpretazione, quali  il fiore di iris, destituite dal ruolo di metafore e sim-  boli. Questa continuità formale si chiarisce anche  come continuità semantica quando si consideri come  Galvano e Cremona abbiano ricondotto l’arte astratta  in un comune svolgimento con il Simbolismo e con il  Liberty che, di quest’ultimo, ful’espressione impiegata  sul piano della fabbricazione. Da cui il transitare di  Galvano dalla fase concretistica a quella informale  e, più in là negli anni, a quella araldica di nastri e  bandiere per giungere appunto agli iris. Trascorrere  stilistico da non leggersi come eclettismo quanto piut-  tosto come legittimo susseguirsi tra la carica allusiva  assegnata ai reticoli cromatici astratti e la sensibilità  decorativa trasformata in materia fermentata fino alla  disgregazione dalla quale estrarre infine nuovamente  il ritmo danzante delle forme arabescate. Il Simbolismo  gli consente di riversare il misticismo nella propria  opera di pensatore e, soprattutto, di pittore. L'arte  assume quindi un valore emersivo di forze morali  (leggi spirito) — del “bene” nel momento crociano,  del “male” più tardi in modo nietzschiano — prima  ancora che estetiche (leggi sangue); diade debitrice al  suo filosofo di riferimento Ludwig Klages, altro intel-  lettuale trascurato in Italia quanto sospettato di avere  incubato l'ideologia autoritaria tedesca quando invece  più coerentemente dovrebbe essere pensato come un  epigono del romanticismo intuizionista. L'arte tenta  un'indiretta conciliazione tra spiritualità e artificio  consegnando alla storia un’estrinsecazione autentica-  mente creatrice e non solo la copia di una copia; non  una rappresentazione ma un esserci immanente. La  volontà di accogliere quel “male” come necessario gli  viene dalla presa coscienza di un'’artisticità, che arde       6 A. Galvano, Dal simbolismo all'astrattismo, in “Galleria di  lettere ed arti”, n. 4-5, 1953; Le poetiche del simbolismo e 1 ‘origine  dell'Astrattismo figurativo, in “Studi in onore di L. Venturi”, vol. II,  1956. Articoli specifici ai quali aggiungere: L'erotismo del liberty e la  sublimazione astrattista, in “Cratilo”, n. 3, 1963. i    Gabetti Isola, Casa di Erasmo, Torino, 1953-1956.    inlui fin dalla giovinezza, radicata proprio nelle opere  Create tra XIX e XX secolo e nelle elaborazioni più  irrazionalistiche. Come quella immoralità sia aperta  a fertili risultati lo si comprende appoggiandosi all’in-  terpretazione che Galvano offre delle Artemis: bianca  come simbolo coadiuvante di perfezione conchiusa ma  Statica, nera come simbolo avverso di imperfezione  e INCompiutezza ma dinamica e che in potenza può  Jenerativamente aprirsi a una riserva di possibilità  eventualmente immanifeste. Per traslato, quindi, la  hegatività del Simbolismo si apre a una plenitudine di  risultati. Permane tuttavia il concetto di fondo che la  Pittura, come prodotto di una volontà impossibilitata  a realizzarsi nell’ideale, sia il risultato di una caduta la  Cul spoglia materiale sarebbe prova di vanità e disvia-  mento. Come s'accennava sopra, Galvano si smarca  dall'idea di un'arte quale esempio del bello estetico  e del bene morale, per lui non più coincidenti, ma  accetta la disperata affermazione dell'immagine come       43    “  ”  a  »  l  Me.  È  È  n  IS  18  la .  t   :  LI  è»  ®  î    unico possibile risultato dell'impulso proiettivo delle  aspirazioni individuali o sociali. Pittura che in ultima  istanza è anche piacere sensoriale, vocazionale istinto  a testimoniare (Baudelaire), “vizio assurdo”, vanitas;  pittura come atto cultuale che mantiene in gioco la  proiezione degli archetipi, la ricchezza delle imma-  gini aderenti al mistero, almeno per quel poco che la  contemporaneità consente, poiché ilmondo nega ogni  giorno più spazio alla pittura mentre il pensiero bor-  ghese, incapace di slanci estetici e metafisici, permette  che in questa duplice assenza si innesti la tecnica, la  pianificazione, la sterile sistematicità. Per Galvano la  nostra epoca è irrimediabilmente scissa dal significato  iù autentifico della vita, dalla sua forza feticistica  poiché ha fatto di quel mondo, in cui la presenza del  dio era costante, una favola bella l'iconografia della  quale non è che una lontana immagine idealizzata  priva, per i moderni, di ogni accenno oracolare.  Queste ragioni filosofiche, di estremo interesse,    dovettero apparire perlomeno eterodosse all'atto della  loro formulazione, divise tra esistenzialismo e fenome-  nologia e affacciate all’abisso del mondo preclassico,  alle profondità eraclitee. Scostatosi dall’irrazionalismo  di Klages, Galvano non intese fare di sé un anti-razio-  nale quanto piuttosto un convinto a-razionale, come  indica la personale concezione di arte in equilibrio  tra ragionevolezza e vaticinio, secondo un fare né  pienamente consapevole poiché eroticamente privo  di volontà intellettiva, né tantomeno completamente  incosciente poiché contemplativo. Pertanto l'ipotesi  di Galvano fu più aderente alla poetica di Mallarmé  piuttosto che al pensiero di Valery, perché dove il  primo disidratando e affinando la parola poetica  pose le condizioni per un superamento del modello  simbolistico aprendo di fatto alle avanguardie, il  secondo immaginò la creatività come un processo  logico ricondotto alla piena luce della razionalità, alla  consapevolezza dell'atto. Esaltando cartesianamente  l’intellettoela coscienza, il processo creativo per Valery  è un'attività spiegabile analiticamente senza ricorrere  a misticismo, vitalismo e spiritualismo. Carnalità,  sessualità e sensualità - Croce aveva biasimato la sen-  sualità nell'opera di Mallarmé come priva di “anelito  d’innalzamento”” — furono invece le pulsioni vitali  del Simbolismo che interessarono Galvano e che la  razionalità, in un prolifico ripiegamento autoanaliti-  co, dovrebbe avocare a sé integrandole senza ripulse  pregiudiziali. Speculazione intellettuale e artistica che  rivela tutta l’enigmaticità di Galvano che oscilla tra i  termini affermati da Mallarmé, e ripresi da Alain, di  “vision”, intesacome vaghezza di ispirazione, e “vue”,  intesa come concretezza dell'oggetto in sé risolto. Se  da una parte, sull'esempio di Mallarmé — il quale pre-  cipitò le parole nell’assoluta perentorietà delle pure  idee aspirando infine a una “poésie sans les mots”®  -, Galvano pare decidersi per la “vue” aderendo al  concretismo astratto come pars construens dalla quale  pretendere risposte formali di esito certo, dall'altra,  per mezzo del multiforme divenire della sua pittura,  apre obliquamente alla possibilità allusiva dell’appa-  rire, accettando di fatto unesito provvisorio prossimo  al concetto di “vision”. L'oscillazione dalla vaghezza  creativa all'evidenza intellettuale di forme e colori è  l’unica risposta contingente possibile per Galvano che  decide di non decidere tra i termini antitetici asseriti,  approfondendolo sguardo nell'oscurità della creazio-  ne e della vita. Medesimamente il Galvano scrittore  affronta il passato eludendo la descrizione analitica  delle epoche storiche portandone bensì all’emersione    7. B. CROCE, Poesiae non poesia, Laterza, Bari, 1950, 5° edizione  riveduta, pp. 318, 319.   g S.MALLARMÉ, Divagations, Bibliothèque-Charpentier, Eugène  Fasquelle Éditeur, Parigi, 1897, p. 297.    i reconditi meccanismi, le contraddittorie spinte pul-  sionali; un’organica prassi opportuna a increspare la  ricerca storica attraverso una molteplicità di punti di  vista culturali posti in reciproco dialogo e liberamente  sollecitati.   Il rischio nell’approcciare oggi la figura di Galvano  è quello di appiattirne il pensiero, come già avvertiva  Sanguineti nel 1990°. L'illustre allievo aveva compreso  come il decadentismo pittorico di un Moreau o lette-  rario di un Huysmans fossero considerati dal maestro  un indispensabile momento storico. Galvano mostra  insomma un’idiosincrasia per quelle “mortificazioni  crepuscolarmente schifiltose”!° che avevano impedito  ai Campana, agli Onofri, agli Ungaretti e ai Montale di  superare, senza rifiutarne la “carica panica e mitica”,  il naturalismo panteistico dell’Alcyone dannunziano.  InItalia, l'assenza del dissolutivo lavacro simbolista si  era in sostanza ripercosso nella crociana deplorazione  categoriale per l’arte moderna insieme all’illusione di  potere produrre un'opera estetica autenticamente nuo-  vaeludendo il peccato originario del Decadentismo. Il  tentativo di emanciparsi dal prestigio delle autoritates  latine che aveva tentato D'Annunzio richiamandosi  ai romantici tedeschi, apriva gli occhi di Galvano ai  presocratici e alla filosofia moderna (dall’irrazionali-  smo alla scuola ermeneutica) che del classicismo aveva  assunto il senso vitalistico, indefinibile e misterioso  di una natura come rivelazione del divino. Da cui  l’idea di una suprema ragion d'essere trascendente  alla quale l’arte, per Galvano, dovrebbe aprirsi ma  che invece nelle enunciazioni contemporanee gli  pare, con buona pace di Eco, rinserrarsi in un'opera  chiusa. Con un piglio da lettura sociale dell’arte,  Galvano scrive dell’esaurimento dei rapporti storici  tra committenti e artisti e di come ciò abbia mutato  l'originaria destinazione d'uso delle opere, ridotte  così a gratuite provocazioni. Conseguentemente  proponeva le dimissioni delle categorie di giudizio  elaborate perle arti visive del passato da sostituirsi con  un equivalente delle letture psicanalitiche tentate da  Sartre su Baudelaire e da Lacan su Poe. Restato sempre  un pittore tradizionalista, Galvano si dichiara disin-  teressato a certi sviluppi artistici lasciando intendere  come il problema dell'effimerità dell’arte contempo-  ranea—compreso l'amato astrattismo geometrico—sia  anche un problema della storia dell’arte come disci-  plina. Su come debba essere poi questa storiografia  Galvano non si pronuncia se non dichiarando che il  problema della storia dell’arte debba essere anche e       9 E. SANGUINETI, Contro la ragione, in “La Stampa”, 10 marzo  1990, p. 7.   10 A. GALVANO, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Tori-  no, dicembre 1979-gennaio 1980, p. 108.   11 Ibidem.    soprattutto il problema dell’uomo! Sovvengono le  parole destinate a grande fortuna critica che avrebbe  scritto Hans Belting nei pamphlet intitolati “La fine  della storia dell’arte o la libertà dell’arte” (1983) e  nel successivo “Das Ende der Kunstgeschichte. Eine  Revision nach zehnJahren” (1995)nei quali auspicava  la fine della storiografia artistica tradizionale a favore  di proposte olistiche e antropologiche avvedute delle  mutate circostanze sociopolitiche, del rimescolamento  di cultura alta e bassa, della suggestione determinata  dai linguaggi mediali, dell’emergere di realtà culturali  prima marginalizzate, dell’obsolescenza della funzio-  ne assegnata al lavoro manuale, dell’alterato ruolo di  musei e gallerie d’arte. La prospettiva delineata da  Galvano si tinge di accenti acri quando denuncia la  pacifica cittadinanza ottenuta dagli ismi ridotti alla  non nocenza di prodotti da supermarket immersi in  una rete di opportunità economiche e di complicità  professionali. Un terreno culturale desolante che  assume una disillusa trasposizione nella sua pittura  ultima, nei paesaggi desertificati, nella scelta estrema  del silenzio creativo come opzione possibile nonché  parzialmente intrapresa. Facendosi anticipatore di  posizioni storiografiche di superamento della cano-  nica divisione tra antico e moderno e concentrando  il periodo rivoluzionario dell’arte d'avanguardia tra  il 1907 e il 1925, in una sorta di personale à rebours  Galvano esprime l'opinione secondo cui i movimenti  artistici successivi si sarebbero attestati su posizioni di  assimilazione manieristica piuttosto che di irriverente  Sovversione peculiare degli ismi nei riguardi della  tradizione rappresentativa. Delinea unastoria dell’arte  moderna parallela più complessa e connettiva come  avrebbero potuto scriverla gli artisti ai quali infine  delega idealmente il compito futuro di creare un'ar-  te che, restando nell’ambito non figurativo e senza  Impossibili riflussi, riesca coerentemente a ristorare i  Valori artistici e umani del passato. Galvano insomma  invoca il diritto anon essere moderno, o peggio ancora  d avanguardia, evitando di lavorare sulla contingenza  e rifiutando l'egemonia della critica per privilegiare,  In senso dichiaratamente anticrociano, la poetica degli  artisti che al lavoro intellettuale uniscono la prassi.  Insieme alla proposta per un rinnovamento della  Storiografia artistica Galvano ne affianca un’altra di  Natura conservativa consistente nell’idea di salvaguar-  dare le opere minori del modern style, perlomeno gli  Oggetti e gli arredi non ancora distrutti (di Cometti  Per esempio). Immagina la documentazione degli  edifici Liberty finendo per invocare l'allestimento di  Una retrospettiva sull’Art Nouveau internazionale, ma    ù A. Gauvano, «Cosa nostra», in “Sigma”, Ln1, primavera  64, pp. 63-70. Poi in: “Omaggio a Albino Galvano”, 1992, cit.,  Pp. 130-133. Poi in: “Diagnosi del moderno”, cit., p. 59.          45    avveduta del caso italiano e piemontese nel dettaglio,  da allestirsi nella rinata Galleria di Arte Moderna di  Torino (1960). Caduta nel vuoto la proposta sarà pro-  prio Galvano a scrivere un articolo sull’Art Nouveau  a Torino! e poi, insieme a Giorgio Balmas e Lorenzo  Guasco, a curare nel 1978 al foyer del Piccolo Regio  una mostra dedicata alla pittura torinese all’inizio  del secolo. Sorta di doveroso omaggio a uno stile di  vita prima ancora che d’arte nel quale confluirono la  vita delle forme collettive e l’individualità creativa.  Dissentendo da Croce, l'interesse di Galvano per gli  oggetti si approssima alle idee espresse da Giovanni  Gentile nella prolusione al corso universitario di storia  della ceramica pronunciato nel Palazzo Comunale  di Faenza nel 1928 nel quale il filosofo, saldando  arte e vita, rivendica la dignità estetica dei prodotti  artigianali e industriali di qualità. Si consuma qui  l'ennesima contraddizione di un crociano affine alle  idee di Gentile che pur biasima per densità retorica.  Sensibile alle arti dei periodi di transizione e avvedu-  to della caducità dei giudizi, compresi i propri, per  Galvano ogni critica obiettiva deve essere sempre  un’autocritica. Augurandosi l'avvento di un esegeta  capace di rileggere l’arte tra i due secoli, così come  Sanguineti seppe fare con la letteratura, Galvano  rammenta come la sua generazione abbia vergato  parole sferzanti su Bistolfi fino a pochi anni addietro  valutato un artista di statura europea. Ma fu anche  la generazione di quei giovani i quali, raggiunti i  vent'anni nella terza decade del XX secolo, quando  dovetteroimmaginare una ribellione la fantasticarono  conle parole di Rimbaud, Gide, Lawrence e Huysmans  il cui Des Esseintes sembrò essere allora il prototipo  di un esteta come Carlo Mollino. Dell’amico, stimato  oltre che come professionista di genio anche come  dilettante d'eccezione, Galvano ammirò la capacità  di governare con la formazione culturale crociana  e il rigore razionale tipico della sua professione,  gli umori sensuali, avventurosi e ambigui del suo  animo capace di rievocare il ritmo aperto e biologico  del Liberty restituendolo nella voluttà degli interni  arredati, nell'armonia architettonica dei pieni e dei  vuoti, nella eterogenea e immaginosa commistione  di elementi organici e funzionali. Un'omogeneità  che il termine “surreale” illustra solo parzialmente  e che trova una segreta corrispondenza nelle opere  di Cremona come nei molluschi, nelle conchiglie,  negli antichi libri accartocciati e nelle acquasantiere  barocche che Galvano dipinge negli anni Trenta e  Quaranta. L'identità autopoietica generata da Torino  si manifesta nella condivisione spirituale prodotta da       13 A. GALVANO, Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino, in “Bol-  lettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti”, nn.  14-15, 1961.    questa generazione d’eccentrici intelletti, nella speci-  fica formazione di un genius loci come Galvano e nel  progetto della Bottega d’Erasmo che Gabetti e Isola  disegnano in forme intellettualistiche neo-liberty nel  1953. Proprio in quell’anno, “A Rebours” di Huysmans  diverrà per Galvano il pretesto per puntualizzare le  proprie posizioni all’interno del Mac e più in generale  nel modo di intendere il Decadentismo!. Quando  Leonardo Borgese consigliò agli astrattisti concreti,  in chiusura della recensione alla mostra di Galvano  allestita presso lo Studio B 24 di Milano nel 19535, di  rileggersi il celebre romanzo di Huysmans nel quale,  a suo parere, ci sarebbe stato il necessario per decodi-  ficare la loro poetica, gli aderenti al gruppo accolsero  l'esortazione come una blasfemia da respingersi inte-  gralmente. Galvano ritenne legittima la protesta dei  compagni astrattisti apparendogli chiaro come Borgese  incaricasse l’ipocondriaca, solitaria ed estetizzante vita  del protagonista narrato nelromanzo, diesprimere un'e-  pidermica quota di edonismo e di sensualismo ribelle  ai disvalori della società positivistica industrializzata  e scientifica, votata al profitto, al commercio, al nuovo  capitale borghese. Dopo di che Galvano, confessando  di aderire parzialmente al pensiero del capitano della  brigata anti-astrattista Borgese, s'inalvea in una lettura  sorprendentemente sincretica aperta al riconosci-  mento dell’ambivalenza del rapporto tra astrazione  e Simbolismo. Al rifiuto delle suggestioni emotive  del Simbolismo, l’astrattismo, secondo Galvano, ne  intellettualizzerebbe le allusioni ele “corrispondenze”  (termine apertamente rimontante a Baudelaire) come  strumento oppositivo al dilagare prosastico del reali-  smo. L'astrattismo del dopoguerra ridurrebbe quindi ai  minimi termini la carica letteraria aumentando quella  metafisica, riscattando la tradizione dei padri nobili  dell’astrazione primonovecentesca e tesaurizzando nel  contempo (sulla scorta della ricostruzione filogenetica  di Pevsner) la lezione di Toorop, Gauguin, Munch  e Klimt insieme a quella degli antesignani Runge,  Blake, Antonelli, Ciurlionis, Kupka; in sostanza dei  precursori che evocarono ancora le leggi del mondo  fisico consentendo agli evoluti linguaggi non figurativi  di divincolarsi più recisamente dalla mimesi. Negli  anni tra le due guerre, sull'onda della fenomenologia  e della psicologia della forma, si assisté a un aurorale  revisionismo storiografico dell'Art Nouveau — anche  Edoardo Persico ebbe in animo di scriverne una storia!°    14. A. GALVANO (asterisco di) in, ‘Pitture di A. Galvano in un  esperimento di sintesi” (testo anonimo), Milano Studio B 24,  “Arte Concreta”, bollettino n. 12, seconda serie, febbraio 1953. Poi  in: P. Fossati, “Il movimento arte concreta 1948-1958. Materiali e  documenti”, Martano Editore, Torino, 1980, pp. 62, 63.   15 L. BorcEse, “Corriere della Sera”, 1° gennaio 1953.   16 A. Pica, Revisione del Liberty, in: “Emporium”, a. XLVII. n. 8,  vol. XCIV, n. 560, agosto 1941, p. 66.    46    — ma sarà con gli anni Sessanta e Settanta che diverrà  condivisa acquisizione la carica anticipatoria ricoperta  da Mackmurdo e dalla cultura figurativa a partire da  Blake. Anima nera del concretismo, Galvano assume  un ruolo sovversivo nel movimento proponendo ine-  dite e intelligenti aperture di senso che tuttavia non  giungeranno a ispirare un prolifico dibattito all’interno  del gruppo infragilito dalle difformità tra la posizione  intellettuale rigorosamente metodica dei milanesi e  gli arrovellamenti sulla materia fortemente allusiva  espressi dalla linea torinese. Risalendo alle sorgenti  dell’arte astratta, Galvano riannodò, in antitesi alle let-  ture formalistiche, le affinità con le fonti spiritualiste di  Decadentismo e Simbolismo e — pensando alla densità  mistica nell'opera di Huysmans sfogata in occultismo  e cattolicesimo — con le citazioni della Blavatsky e di  Steiner scritte da Kandinsky, con la prossimità di Mon-  drian ai circoli teosofici, con il lirismo magico di segni e  colori dell’orfismo di Kupka e, non ultimo, con uno dei  primitesti dedicati all’astrazione scritto da Julius Evola.   Dandy autoironico votato alla marginalità, Galva-  no disseminò il proprio percorso di tracce sulle quali  indugiare, trascorrendo liquidamente da una disciplina  all'altra in modo stupefacente per un intellettuale ani-  mato da pura vocazione pedagogica ma riottoso alla  metodicità dello studio scolastico. Attribuire un senso  univocoal suo pensiero equivarrebbe a fraintenderne la  filosofia e l’idea stessa di un'arte come autosufficiente  e spontaneistico operare nella ferita aperta tra vitali-  smo e intelletto che l’atto artistico non riesce tuttavia  a cicatrizzare. La civiltà intera corrisponde per lui alla  fenomenicità delle immagini da essa prodotte che, in  sostanza, aprirebbero al mistero quale autentico even-  to metafisico. Intendendo come piani dell’emersione  archetipica i segni dell’arte — della quale l’idealismo  si limiterebbe a coglierne l'aspetto teoretico, Alain  quello pratico e l’Esistenzialismo quello etico — sarebbe  troppo semplicistico archiviare la passione di Galvano  per Decadentismo, Simbolismo e modern style, come  l'infatuazione culturale per un'epoca vesperale. Egli  si sente invece custode ed erede di quella lacerante  contraddizione, di quella genesi oppositiva, di quella  disperata tensione verso uno spirituale fatalmente  arreso alle forme dell’estetismo, di quella magnifica e  perduta sfida, tanto da riversarne la forza vitale nella  personale proteiforme pittura così come nelle pro-  gressive illuminazioni della sua letteratura filosofica  e artistica.    Opere esposte                   1 Lettrice sdraiata -— 1931 — olio su tela — 63,5x81 cm       2 Autoritratto - 1940 ca — olio su tela — 23,5x18 cm       3 Astrazione - 1950 — olio su tela — 50x60 cm    et adi       4 Il giorno — 1952 — olio su tela — 100x80 cm       5 Pacato — 1954 — olio su tela — 90x110 cm       6 Composizione in nero — 1954 — olio su tela — 90x110 cm       / S.t.-1956-olio su carta — 34x48 cm       $ Ercole ed Anteros — 1956 — olio su tela — 85x115 cm       9 Omaggio a Van De Velde - 1959 — olio su tela — 80x90 cm       10 Ir1s — 1960 — olio su tela — 105x95 cm    58       10Y1-1960- olio su tela — 95x110 cm    3 F       12 Calligramma — 1960 — olio su tela — 100x85 cm       13 Fiori di lago — 1962 — olio su tela — 100x120 cm       14 Le jardin de cet astre — 1962 — olio su tela — 132x116 cm       15 Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm       16 Proposta — 1965 — olio su tela — 135x122 cm       17 Pavese — 1967 — olio su tela — 120x110 cm       18 Farfarello e Malambruno — 1967 — olio su tela — 80x60 cm       19 Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80 cm       20 Nastro n. 25 — 1968 — olio su tela — 90x80 cm       21 Nastri — 1969 olio su tela — 60x50 cm       22 Nastri colorati — 1969 - olio su tela — 110x100 cm       23 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm       24 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm    MALI       25 Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm       ter» IG    MOFBEE sie  Tre  ir" Saitta    Sl          26 Segni asemantici (dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm    pari #1 =$    Re    |a te n ;       26 Segni asemantici (dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm       27 Artemis — 1974 — olio su tela — 120x110 cm          28 Maioresque cadunt - 1974 — olio su tela — 90x80 cm    —____    TITO       sal - 1974 — olio su tela — 70x50 cm       30 s.t. 1974 - olio e carboncino su tela — 80x60 cm       31 Ireos - 1977 — olio su tela — 70x60 cm    —_—— mr LIIII:5          ——_—_ T=—r-—-r®x    (i    32 Iris n. 2 - 1975 - acquarello su carta — 40x30 cm       Sa Cespu glio — 1974 — acquarello su carta — 40x30 cm                   34 Glotre du lon g desir idees —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm       35 Fiori — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm       VRREET L6 LL AIA USD GOG VE o VERDE IL I BEILET DART DIG SPARI DIO RR pia I I LITIO ODE LIL    36 Fiori — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm          37 Une Fleur — 1975 — olio su tela— 70x70 cm          38 Scrittura - 1976 — acquarello su carta — 60x50 cm       39 Sassi e foglie — 1978 — olio su tela — 80x80 cm       40 Foglie morte — 1978 — olio su tela — 80x80 cm       41 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 40x30 cm          Labrit, © di DASIO LT R EDLI u DILODIAT    42 Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm       43 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm    ”  —    hu    ro iiriiRRRE       44 Rocce e ciottoli — 1981 — olio su tela — 80x80 cm       45 Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm       46 Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm       47 Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80 cm    Opere in mostra    01 — Lettrice sdraiata — 1931 — olio su tela — 63,5x81 cm   02 — Autoritratto — 1940 ca — olio su tela — 23,5x18 cm   03 — Astrazione — 1950 — olio su tela — 50x60 cm   04 — Il giorno — 1952 — olio su tela — 100x80 cm   05 — Pacato — 1954 — olio su tela — 90x110 cm   06 — Composizione in nero — 1954 — olio su tela — 90x110 cm  07 — s.t.-— 1956 — olio su carta — 34x48 cm   08 — Ercole ed Anteros — 1956 — olio su tela — 85x115 cm   09 — Omaggio a Van De Velde — 1959 — olio su tela — 80x90 cm  10 — Iris-— 1960 — olio su tela — 105x95 cm   11 — Fiori - 1960 — olio su tela — 95x110 cm   12 — Calligramma — 1960 — olio su tela — 100x85 cm   13 — Fiori di lago —- 1962 — olio su tela — 100x120 cm   14 — Le jardin de cet astre — 1962 — olio su tela — 132x116 cm  15 — Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm   16 — Proposta — 1965 — olio su tela — 135x122 cm   17 — Pavese — 1967 — olio su tela — 120x110 cm   18 — Farfarello e Malambruno — 1967 — olio su tela — 80x60 cm  19 — Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80 cm   20 — Nastro n. 25 - 1968 — olio su tela — 90x80 cm   21 - Nastri — 1969 — olio su tela — 60x50 cm   22 — Nastri colorati —- 1969 — olio su tela — 110x100 cm   23 — Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm   24 — Nastri - 1970 — olio su tela — 60x50 cm   25 — Nastri - 1970 — olio su tela — 60x50 cm   26 — Segni asemantici (dittico) — 1973 — olio su tela — 110x90 cm  27 — Artemis — 1974 — olio su tela — 120x110 cm   28 — Matoresque cadunt — 1974 — olio su tela — 90x80 cm   29 — s.t.- 1974 -— olio su tela — 70x50 cm   30 — s.t.— 1974 — olio e carboncino su tela — 80x60 cm   31 — Ireos — 1977 — olio su tela — 70x60 cm   32 — Iris n. 21975 — acquarello su carta — 40x30 cm   33 — Cespuglio — 1974 — acquarello su carta — 40x30 cm   34 — Gloire du long desir idees — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm  35 — Fiori —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm   36 — Fiori - 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm   37 — Une Fleur — 1975 — olio su tela — 70x70 cm   38 — Scrittura — 1976 — acquarello su carta — 60x50 cm   39 — Sassi e foglie — 1978 — olio su tela — 80x80 cm   40 — Foglie morte — 1978 — olio su tela — 80x80 cm   41 — Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 40x30 cm   42 — Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm  43 — Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm   44 — Rocce e ciottoli - 1981 — olio su tela — 80x80 cm   45 — Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm   46 — Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm   4/ — Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80 cm       Finito di stampare nel mese di marzo 2021  da GARABELLO ARTEGRAFICA (SAN MAURO TORINESE). Grice: “I don’t see why Italians are obsessed with art, but Speranza is Italian, so let it be. Speranza thinks conceptual artists are the only ones – such as Keith Arnatt – worth analysing. In his more snobbish ways, he thinks to mould the male body was Pliny’s idea of art – bronze statuary of the ‘nudo maschile’ – Painting comes only second or third, and only because of the desegno – i.e . the line of beauty, which is – as shape, where ‘kallon’ resided for the Greeks!” -- Albino Galvano. Galvano. Keywords: arte naturale, Gallupi, Peirce, Grice. By uttering x (gestus), U means that p” gesto, gestus, Grice’s use of gesture. il concreto, l’astratto, Sraffa’s gesture. Il gesto di Sraffa, l’implicatura di Sraffa. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Galvano: implicatura concreta”– The Swimming-Pool Library. Luigi Speranza, “Grice e Galvano”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701743649/in/photolist-2mQtVUe-2mPdwPf-2mPdwwX-2mMQbzj-2mLzoXX-2mLzpRF-2mLzqdc-2mLGX8g-2mPsfT9

 

Grice e Gangale – il dia-letto e la dia-lettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cirò Marina). Filosofo. Grice: “I like Gangale; the fact that I taught for years in front of the martyrs memorial helps!” Porta a termine gli a San Demetrio Corone. Si iscrive alla facoltà di Filosofia di Firenze. Si laurea con “La logica della probabilita”. Iniziato in Massoneria, nella Gran Loggia d'Italia.  Porta avanti la difesa dell’idioletto e del dialetto.  Opere "Rivoluzione Protestante" (Torino, Gobetti); “Calvino (Roma, Doxa); “Apocalissi della cultura arabresca” (Roma, Doxa); “Il Protestantesimo in Italia” (Roma, Doxa); “Il dio straniero” (Milano, Doxa); “Giacomo della Marca” (Napoli); “Salve regina”; “Fragmenta ethnologica arberesca medio-calabra, Soveria Mannelli, Rubbettino. “L’arbërisht: l’utopia.  According to Louis Hjelmslev, semiotics is first and foremost a hierarchy. Its distinguishing feature is that it is guided by a dynamic principle by which it is split into dichotomies at all levels, yielding expression and content, system and process, denotative and non-denotative semiotics, and, within the latter, metasemiotics and connotative semiotics.  This text may be reproduced for non-commercial purposes, provided the complete reference is given: Sémir Badir (2006), « The Semiotic Hierarchy », in Louis Hébert (dir.), Signo[online], Rimouski (Quebec), http://www.signosemio.com/hjelmslev/semiotic-hierarchy.asp.  2. THEORY top 2.1. OVERVIEW The terms  semiotics and semiotic [n.] designate two a priori dissimilar things. By semiotics, we mean a field of study in which we can formulate a method for analyzing signifying phenomena, as well as a theory including all the particulars of this analysis. By semiotic [sg.], we mean the result of a semiotic analysis. So for example, there is a musical semiotics that seeks to map out music as a comprehensive signifying phenomenon. And furthermore, from a synchronic perspective (the music of a given period and culture), if not from a panchronic perspective (music in general), we can say that music is itself a semiotic [sg.], being possessed of both a system (distinctions in pitch, duration, timbre, and so forth) and a process (consistent relations between sounds in their various aspects).  According to Hjelmslev, the acceptations of semiotics and semiotic must be articulated in relation to one another. Semiotics as a field of study is (ideally) conformal to the results of its analyses. As such, it is also endowed with a system and a process. In order to preserve the distinction between the two terms, we must understand that semiotics as a whole contains specialized individual semiotics [pl.], some of which are useful in developing theories and methods (the ones that Hjelmslev calls metasemiotics), while others are meant to be articulated into semiotic hierarchies (this is the role of what he calls the connotative semiotics).  Francis Whitfield, the English translator of Hjelmslev's works, drew up a chart showing the semiotic hierarchy with its constituent parts (in Hjelmslev, 1975, p. XVIII; also translated into French in Hjelmslev, 1985, p. 17).  The class of objects The class  of objects NOTE: THE LIMITS OF GRAPHICS  The above chart shows only one aspect of the functions identified between semiotic components: their paradigmatic functions (the relations between classes and their members). A more complete diagram designed to include the distinguishing features of semiotics would also show the syntagmatic functions (relations of implication) that operate between the different components. Tree diagrams do not really lend themselves to this kind of representation. This is one difficulty that Hjelmslev himself was unable to completely resolve.  2.2. SEMIOTICS AND NON-SEMIOTICS In his first work, Principes de grammaire générale, written in French in 1928, Hjelmslev sets out the principle of classification that is operative in any language [langage]. "Categories as such", he writes, "are a fixed quality of language. The principle of classification is inherent in all idioms, all times and all places" (trans. of Hjelmslev, 1928, p. 78). Thus linguistics, with its three levels of analysis (phonology, grammar, and lexicology) is a science of categories.  However he adds that "the science of categories must disregard the categories established in logic and psychology and venture right into language's territory to find the categories that are characteristic of it, that are specific to it, and that are not found anywhere outside language's domain" (trans. of Hjelmslev, 1928, p. 80). Hjelmslev soon extended this domain to include languages other than verbal ones, but not to the point of including any system of classification.  The semiotics [pl.] make up this larger domain, and they are distinguished from other systems of classification by a certain uniformity (or homogeneity) that forms the basis of their analysis at all levels.  2.2.1 EXPRESSION AND CONTENT We find this uniformity first between the components of any semiotic. By custom, these components are called the expression plane and the content plane. The reason for this is that as a general rule, expression forms are visible in the object (they are "expressed"), whereas it is in the content forms that signification resides (the semiotic object "contains" content forms). However, this is beside the main point, which is that we always analyze a semiotic object (usually a text) uniformly, with an initial distinction between two components. In other words, for Hjelmslev, as for Saussure, neither expression nor content can be given predominance; they must both be analyzed together (Hjelmslev, 1928, p. 88).  NOTE: ISOMORPHISM AND NONCONFORMITY  It is true that Hjelmslev subsequently states that the semiotic planes must also not be conformal to one another; otherwise the distinction between them is nullified (Hjelmslev, 1963, p. 112). It would require too many theoretical details to explain the principle of nonconformity here. Suffice it to say that this principle is not directly related to the issue addressed in this chapter, which is hierarchical organization, and that, furthermore, nonconformity does not in any way interfere with the isomorphism of the semiotic planes (that is, their structural parallelism).   NOTE: SYMBOLIC REPRESENTATION  Although it doesn't simplify matters any, we must acknowledge that the diagram of semiotics given above actually postulates a classification that is itself non-semiotic: It is a symbolicclassification, for it can be seen as either an expression plane (the terminology Hjelmslev adopts in his theory) or a content plane (the meaning assigned to each of the terms it presents), and each of these planes is conformal to the other.  2.2.2 PARADIGMATIC FUNCTIONS In one aspect of semiotic analysis, we use paradigmatic functions to establish distinctions within the individual semiotics. A paradigmatic function can always be expressed as two elements in an either... or...relation: "either this or that". In a semiotic, any element of any magnitude (a sound, word, sentence, idea, or abstract feature) can be analyzed in terms of these functions. There are three possible results: (1) two constants are identified; (2) there is no constant identified, so that the elements involved remain as variables; (3) one of the elements is considered to be the variable of the other.  The three types of paradigmatic functions either this or that, one excludes the other  constant ↓ constant  complementarity  either this or that, it makes no difference  variable ↑ variable  autonomy  either this, or more specifically that  constant –| variable  specification  For example, in French, the masculine and feminine are two constants (of content) with respect to animate beings. Conversely, with respect to inanimate elements, they are regarded as variables. In French we refer to cities, which have no designated grammatical gender, sometimes as feminine and sometimes as masculine. And finally, with respect to the class 'sex' itself, each one has a variable, since sex has been selected as the constant of content.  Naturally, linguistics aims first to establish constants, in either a relation of complementarity or of specification. From a paradigmatic standpoint, the expression plane and the content plane are complementary in semiotics (e.g., in a verbal language), whereas in a symbolic system (e.g., in a computer programming language) they are autonomous.  2.2.3 SYNTAGMATIC FUNCTIONS  Another aspect of semiotic analysis identifies relations between elements. A syntagmatic function can be expressed as two elements in a both... and... relation: "both this and that". Once again, three kinds of syntagmatic functions may be identified: (1) if one element is present, the other must also be present, and vice versa; (2) one element does not have to be present for the other to be present; (3) one element is required for the other to be present, but not the reverse.  The three kinds of syntagmatic functions both this and that, by necessity  constant ↔ constant  solidarity  both this and that, by contingency  variable – variable  combination  this necessarily accompanied by that   variable → constant  selection  A verbal sentence is the necessary association of a noun phrase and a verb phrase; they are the two syntagmatic constants of the sentence. Conversely, there is no consistent relation between the categories of verb and adverb: the verb can be present without the adverb, and the adverb can modify something other than a verb (an adjective, such as pretty, in very pretty). The verb and the adverb are variables relative to one another. On the other hand, an article requires a noun, but the reverse is not true; in this relation, the noun is the constant and the article is the variable.  From a syntagmatic perspective, there is always solidarity between expression and content. If the analysis identifies an expression plane for a given object, then it must also identify a content plane, and vice versa; otherwise, the object in question would not be a semiotic object (something we are not supposed to know before we begin our analysis).  NOTE ON LINGUISTIC LAWS  Necessity in syntagmatic functions is quite relative; it depends on the corpus under study. Caution would prompt us to speak of consistency rather than necessity, as language is replete with exceptions, and its rules are subject to rhetorical non-compliance. We are keeping this term nevertheless, if only to emphasize the predictive intent of linguistic analysis: whatever consistencies have been recorded in attested texts must still be valid for future texts.  2.3 DENOTATIVE SEMIOTICS AND NON-DENOTATIVE SEMIOTICS Natural languages are the first object of semiotic analysis. Their systems are identified through the paradigmatic functions, and their processes through the syntagmatic functions on both planes, expression and content. When analyzed, texts are equivalent to processes, since they constitute chains of semiotic elements that are put into relation with one another.  Semiotic analysis can be applied secondly to other kinds of language, with no theoretical adjuncts, and it is from this extension that it has earned the name  semiotics.  But in addition, semiotic analysis can be applied to a third kind of target: forms of language that cannot be reduced to two planes (their components are not even in number). These languages [langages] are termed non-denotative. There are two kinds: the metasemiotics and the connotative semiotics.  2.4. THE METASEMIOTICS A metasemiotic is rooted in a semiotic equipped with a control plane, so to speak. Through this plane, each element of content takes on an expression in a denominative capacity.   This is what we are doing when we say that in a certain advertisement for French pasta (to take a famous example used by Roland Barthes), the yellow and green colours on a red background (the colours of the Italian flag) signify "Italianicity" (Barthes, 1985, p. 23). Italianicity is a metasemiotic expression used to designate the signification of visual elements (colours).  The same function is in operation when we say that the expression arbor signifies "tree" (Saussure, 1959, p. 67), except that in this case, both expression and content take on metasemiotic expressions through the use of distinct typographical markers (italics and quotation marks) and different languages (Latin and English). In this case they are called autonyms. Metasemiotic control helps us to avoid any equivocation between expression and content in our analysis.  Finally, metasemiotic expression also has a power of generalization, by allowing categories to be designated. When we talk about the verb, as we do in linguistics, we are attributing a name to several syntagmatic functions grouped under this common denominator. To put it another way, the metasemiotic expression verb can be used to describe a syntagmatic function that is analyzed in each particular verb (Badir, 2000, pp. 122-123).  It can be helpful to include this control plane in a specific semiotic, for the human mind seems to be adept at juggling metasemiotic expressions (writing being the prime evidence of this, and so very complex). This is how a metasemiotic is formed: one of the planes is the control plane, and the other is the object semiotic. By doing this, the metasemiotic once again becomes a binary structure, but with two tiers (in the table below, E stands for expression, C for content).  Metasemiotic structure metasemiotic  control plane (E)  object semiotic (C)     expression plane (E)  content plane (C)  2.5 CONNOTATIVE SEMIOTICS The plane that is affixed to a semiotic does not always perform a control function, however. In fact, we can always affix a third plane to a semiotic in order to account for anything that has been missed by the analysis, anything that is considered to be a special case or exception.   Variants are the evidence of this analytical shortcoming. If we wish to account for them in some way nonetheless, then we define them as invariants within special or narrowed parameters that Hjelmslev calls connotators. The third plane, then, is formed by considerations that were not selected in the first-tier analysis (called  denotative). This plane is ordinarily held to be a content plane, since it is assumed that semiotic objects cannot be intrinsically modified by these considerations. (One senses a delicate point here, that is admissible only at the discretion of the analyst).  Connotative structure connotative semiotic  denotative semiotic (E)  plane of connotators (C)  expression plane (E)  content plane (C)     For example, Hjelmslev maintains that any given language may be analyzed equally well through its written texts or its oral utterances; in other words, that its rules of syntax, its morphological formations and vocabulary are common to oral as well as written productions. Certainly anyone can see that this assessment is not ill founded. Nevertheless, there are distinctions, which have inevitably been left as variants in the linguistic analysis. Ensuring compatibility between the analysis of these variants and the first-tier analysis is a matter of establishing a plane in which orality and writing can be included as two paradigmatic invariants of content of a particular type: orality and writing are set up as connotators. In this way, the first-tier analysis remains valid, although it can always be customized with respect to the newly established paradigmatic function (Hjelmslev, 1963, pp. 116-119).  From a broader perspective, we can use connotative semiotics to specify which tier of specialization to use for a particular semiotic analysis, as semiotic analysis is not apt to be applied indiscriminately to any element of language (this is only true of its theoretical components, in particular, the ones presented here). In linguistics we begin by recognizing the plurality of verbal languages, basing our analyses on distinct corpora for each language. It is the role of connotative semiotics to establish each language as a connotator. So when we speak of the "linguistic analysis of French", French is a connotator, as it determines in which particular case the analysis is valid.  3. APPLICATION top At this time, the theory of semiotic hierarchy has been developed extensively only in the application for which Hjelmslev initially intended it: the metasemiotic hierarchy of verbal languages (as illustrated in Whitfield's tree diagram, reproduced in section 2.1).  Metasemiotic hierarchy with languages [langues] as the object semiotics       expression plane analysis  content plane analysis  internal semiologies  paradigmatic perspective  phonology  lexicology  syntagmatic perspective  "morphology"  grammar  external semiologies  paradigm of historical and geographic connotators  historical and dialectal phonology  historical lexicology and dialectology  comparative and historical grammar  paradigm of social connotators  sociolinguistics, linguistics of written language  paradigm of psychic connotators  pedolinguistics, psycholinguistics, study of language disabilities  paradigm of cultural connotators  rhetoric, stylistics, narratology  internal metasemiologies  phonetics  semantics  external metasemiologies  physics and physiology of sound  extrinsic interpretations  We will start by discussing the table entries. In the hierarchy there are two columns dividing the analysis into two components, labelled expression plane and the  content plane. However, this subdivision does not hold throughout (as in the case of comparative grammar), either because two different semiotic analyses bear the same name in practice, or because the analysis is non-semiotic, as it turns out. The hierarchy is divided into rows representing the object semiotics. First they are divided by their rank in the hierarchy (semiotic or metasemiotic), next by distinguishing the denotative semiotics (addressed by the internal semiologies) from the connotative semiotics (described by the external semiologies). Lastly, the denotative semiotics are divided into paradigmatic and syntagmatic functions. It should be noted that the hierarchical structure shown here is reversed in actual practice, where one always proceeds by progressive expansion, beginning with denotative analysis, or more specifically, paradigmatic analysis.  In this table, languages are denotative semiotics from the standpoint of the internal semiologies and metasemiologies; however, they are treated as connotators from the standpoint of the external semiologies and metasemiologies. The operation of the latter is dependent on the former.   In addition, the metasemiologies regulate the semiologies by allowing us to verify whether they are adequate to account for the facts of language [langage]; however, there is no one-on-one correlation between internal semiology and internal metasemiology, nor between external semiology and external metasemiology. For example, a semantic analysis can provide the basis for a lexical derivation or for a narrative schema. And the physiological analysis of sound can be used as a descriptor for a phonological invariant (e.g., using the physiological feature palatal to designate an invariant) or as a means to describe child language (e.g., the term "labial click", which describes the onomatopoeia produced by babies 12 months old, also known as the "kissing sound" – this example is cited in Jakobson, 1968, pp. 25-26, footnote).   Morphology should be understood in a specific sense, not entirely removed from the common meaning, but in a narrower sense. Morphology deals with what Hjelmslev calls the functions between grammatical forms in his Principes de grammaire générale (1928, pp. 112-127).  Finally, note that while linguistics can be considered as one metasemiotic among others, there can be no objection to adopting the point of view that semiotics provides cultural connotators for a comprehensive linguistic analysis. These two perspectives are compatible in glossematics (Hjelmslev's theory of language) and are even seen to be complementary, to the benefit of semiotics.  4. LIST OF WORKS CITED top BADIR, S., Hjelmslev, Paris: Belles-Lettres, 2000. BARTHES, R., "Rhetoric of the Image", in The Responsibility of Forms. Critical Essays on Music, Art, and Representation, trans. R. Howard, New York: Hill and Wang, 1985, pp. 21-40. HJELMSLEV, L., Principes de grammaire générale, Copenhagen: Bianco Lunos Bogtrykkeri, 1928 [1929]. HJELMSLEV, L., Prolegomena to a Theory of Language, trans. F. Whitfield, Madison: University of Wisconsin Press, 1963 [1943]. HJELMSLEV, L., Résumé of a Theory of Language, Madison: University of Wisconsin Press, 1975. HJELMSLEV, L., Nouveaux essais, Paris: Presses universitaires de France, 1985. JAKOBSON, R., Child Language: Aphasia and Phonological Universals, The Hague: Mouton, 1968. SAUSSURE, F. de, Course in General Linguistics, trans. W. Baskin, New York: Philosophical Library, 1959 [1916].Grice: “I like Gangale. Of course, the Italians adored him because he got Danish citizenship; also because he understood Hjemlslev as nobody does! Gangale was practical; he was into his ethnic minority. He formed good philosophical bond with Gobetti, against Croce and Gentile. It is obvious that those who know the Gangale of the Albanian studies won’t make a connection with his fight for protetantism and his adventures with Italian philosophy, with Doxa and Conscientia – but he got his doctorate and he was able to immerse in Hjelmslev’s glottology like nobody else did!” Giuseppe Gangale. Giuseppe Tommaso Saverio Domenico Gangale. Gangale. Keywords: il dia-letto e la dia-lettica, idiolect, dialect, ethno-lect, idio-letto, dia-letto, ethno-letto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gangale: dall’idioletto al dia-letto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758920461/in/dateposted-public/

 

Grice e Garbo – la fisiologia dell’amore -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I like Garbo; for one I like Firenze, for another I like a Renaissance man – I’m one!” Grice: “Garbo is extremely interesting at a time when physis did mean ‘nature’ – the physicist and the physician were the natural philosophers! At Oxford Transnatural philosophy was created against Natural Philosophy,” – Grice: “Garbo made the greatest comment on “Love unrequited” by G&S – by focusing on a ditty by Cavalcanti – Boccaccio loved the pretentious prose by Garbo on ‘eros,’ ‘amore,’ and ‘cupidus.’ –“ Studia sotto Alderotti a Bologna. Figlio di Bono, medico e chirurgo. Sotto il consiglio del padre, fu allievo a Bologna di Alderotti, suo cognato, poi uno dei più importanti rappresentanti di un riorientamento della filosofia, all che Garbo diede un contributo importante. Studia sotto Alderotti per un breve period. Torna presso la casa paterna a Firenze a seguito della guerra tra Bologna e Ferrara e fu iscritto, a fianco del padre, nella gilda di Firenze di medici e farmacisti. Le condizioni politiche migliorate gli consentirono di riprendere i suoi studi e si laurea, successivamente si sposta a Bologna, dove insegna. Quando Orsini scomunicò Bologna e, quindi, escluse i cittadini bolognesi dal frequentare lo studio generale, fu, ancora una volta, costretto a lasciare Bologna. Si transferice a Siena, con l'insolitamente alto stipendio di 90 fiorini d'oro come "dotore del chomune di Siena". Saltuariamente si recasse a Bologna nonostante la scomunica. E fu a Bologna che completa il suo commento su una parte del libro IV del Canon di Avicenna, tanto da guadagnare il soprannome di "espositore.” Torna a Bologna, inizia la sua “Dilucidatorium totius pratice scientie” un commento sul Libro I del Canon. Insegna a Padova, a causa del "propter malum statum civitatis Paduae" (come afferma nel suo commento ad Avicenna), riprese a peregrinare tra un'università e l'altra (anche se è un percorso poco chiaro, a causa delle scarse informazioni fornite dai biografi e dell'assenza dei documenti). Torna a Firenze e completa Dilucidarium. Sulla scia dell'esodo della Facoltà di Filosofia da Bologna a Siena, venne nuovamente nominato dal Comune di Siena, questa volta con uno stipendio annuo esorbitante di 350 fiorini d'oro, più 100 fiorini, perché teneva letture a casa sua, la sera. Lavora al suo commento al trattamento con piante medicinali nel libro II di Avicenna, Canon, cioè "l'Expositio super canones generales de virtutibus medicamentorum simplicium secundi canonis Avicennae", che complete dopo il ritorno a Firenze. Commenta sul “Donna mi prega” di Cavalcanti. Questo commento è conservato in un manoscritto di Boccaccio ed è stata tradotta in una versione in lingua “volgare”.  A causa dell'invidia dei suoi colleghi di Bologna, fu accusato di essersi appropriato del commento a Galeno di Torrigiani.  Le lezioni riscuotevano molto successo, allora i suoi colleghi, invidiosi, dettero il compito a un allievo che viveva con il medico di spiarlo; quest'ultimo scoprì che prepara le sue lezioni basandosi sul comment a Galeno di Torrigiani, che conserva segretamente. Il plagio e reso pubblico, addiruttura Cecco D'Ascoli ne fece scherno con i suoi allievi, e Garbo e costretto a allontanarsi da Bologna. Sia Tiraboschi che Colle notarono delle incongruenze cronologiche della vicenda. Torrigiani e co-etaneo e collega del medico alla scuola di Aldreotti, e successivamente si fece certosino in tarda età e solo da quel momento, o dopo la sua morte, avrebbe potuto prendere i suoi scritti.  L'episodio, probabilmente, indica l'atmosfera ostile – tossica -- in cui era immerso Garbo a Bologna, per questo è plausibile che decidesse di accettare l'offerta di Padova, che dopo la crisi causata dalla guerra contro Enrico VII, cerca insegnanti di fama. Tornato a Firenze, incontra Mussato in preda a un malanno, che probabilmente aveva conosciuto in precedenza a Padova e che era a Firenze in veste di ambasciatore di Padova. A Firenze, la sua stima di filosofo si riprese dai colpi bassi inflitti dai bolognesi; mostra un ritratto cordiale, sapiente ma non scontroso, con un atteggiamento affidabile e umano, che cercava di capire i segreti della natura e molto disponibile, questa era la maniera in cui appariva ai fiorentini. Descritto come una persona arguta in episodi riportati da Petrarca, che non conosceva direttamente, ma che aveva avuto contatti con Garbo. Pesso un cimitero, rispose a dei vecchi che lo volevano schernire con queste parole. La disputa è ingiusta, qui: infatti voi siete più coraggiosi perché siete a casa vostra. (Rerum memorandum libri, risposta simile a quella di Cavalcanti nel Decameròn. Un altro episodio, invece, fu la volta in cui un uomo prende in giro il suo piccolo cavallo dicendogli: "e gli insegni a camminare, ma dove hai imparato quest'arte?", e Garbo rispose: "A casa tua".  Quanto torna scrisse le "Recollectiones in Hippocratem de natura foetus" (Venezia), con la "Expositio super capitula de generatione embryonis" di Tommaso Del Garbo, suo figlio, e la "Expositio in Avicennae capitulum de generatione embrionis" di Torre. Il trattato di Garbo mostra quanto fosse dipendente dall'astrologia araba. Distingue l'anatomia dalla fisiologia. Indaga la causa delle malattie ereditarie, dicendo che dipendono da un vizio organico del cuore, dal quale ha origine lo spirito che il seme del padre trasmette al nascituro. Tratta anche di argomenti molto discussi dai filosofi del secolo, come la trasmissione dell'intelligenza tra generazioni, dell'origine del calore animale e della nascita di piante e animali per “fermentazione.” Dice nell'Expositio che torna a Firenze non per la crisi di Siena, ma per altri motivi di cui non si hanno documentazioni. Per Tiraboschi e Colle, Garbo non sarebbe mai uscito dall'Italia, mentre De Sade dice che ad Avignone  avrebbe incontrato Ascoli. Quest'ultimo è il motivo della grave colpa di cui Garbo, insieme al figlio, fu macchiato dopo il plagio già nominato. Ascoli venne allontanato da Bologna e sospeso dall'insegnamento poiché accusato di eresia, successivamente giunse a Firenze con la fama di mago e negromante, al servizio del duca Carlo di Calabria. Ascoli scrisse "Commentarii in Sphaeram Mundi Ioannis de Sacrobosco", che si ritiene fosse trattato che egli porta sul rogo, trattato che fu aspramente criticato da Garbo che gravemente accesi di rabbia e d'odio contro di lui, perché invidiosi che d'Ascoli fosse preferito come medico dal duca Carlo. I. Garbo accusa Ascoli di fronte al vescovo d'Aversa e successivamente lo denuncia all'inquisizione. Questo spinse il duca di Calabria ad allontanare Ascoli dalla sua corte e dopo fu arrestato dall'inquisitore Bonfantini. L’accusa era di essere "alieno dal vero dogma della fede". Ascoli fu bruciato sul rogo. E evidente la responsabilità di Garbo in questa condanna, per invidia e non per motivi religiosi. Garbo muore poco dopo l'esecuzione d’Ascoli. Questo, dice Grice, e causato da un incantesimo di vendetta lanciato da Ascoli.  Altre opere: La figura di Del Garbo campeggia se non come il più grande filosofo di Firenze, sicuramente come quello più nominato, sia nel bene che nel male, a prescindere dal valore che possono avere le sue opere a livello della storia della filosofia, infatti rappresenta, nell'opinione comune, il tipo ideale di filosofo, sia con i suoi pregi, che con i suoi difetti.  Tra le opere che sicuramente possiamo attribuirgli ci sono ricettari, commenti e trattati.  Tra i vari, ci sono i "Super IV Fen primi Avicennae praeclarissima commentaria, quae Dilucidatorium totius practicae generalis medicinalis scientiae noncupatur" (Venezia), dedicati agli studenti bolognesi che l'avevano seguito a Siena; "Chirurgia cum tractatu eiusdem de ponderibus et mensuris nec non de emplastris et unguentis" (Ferrara) insieme ad un trattato sulla lebbra di Gentile da Foligno e uno sulle giunture ossee di Gentile da Firenze, ampio commento ad Avicenna, Abū l-Qāsim az-Zahrāwī e ar-Rāzī. In questo e in altri testi, rileva molte inesattezze di Avicenna e parla con tono di ammirazione dei antichi greco-romani.  Altre opere invece non sono state stampate: "De militia complexionis diversae"; una "quaestio" sulla flebotomia secondo Ugo da Siena (Bergamo, Biblioteca civica)  "Recolectiones super cirurgia Avicennae" (Modena, Bibl. Estense); Tractatus podagre (San Candido, Bibl. della Collegiata). E non va dimenticato il commento alla canzone "Donna mi prega" di Cavalcanti: "Scriptum super cantilena Guidonis de Cavalcantibus" ("De natura et motu amoris venereis cantio cum enarratione Dini de Garbo", Venezia, introvabile). Il commento riguardo a “Donna mi prega” considera l'amore (eros) da un punto di vista strittamente patologico, come passione, e anche se a volte tende a sovrapporsi a “Donna mi prega”, esponendo le idee sull'amore di se stesso (“amore proprio”) che quelle di Cavalcanti, resta un importante document. Suddivide il testo in tre parti. Nella prima parte, Garbo dimostra quante e che sono le cose, che dello amore si dicono. Nella seconda parte, Garbo filosofa di quelle, che esser ne determina. Nella terza parte, la chiusa, Garbo dimostra la sufficienza di quelle cose, ch'egli ha dette. Nella seconda parte, la più importante, si segue la dimostrazione sulle *otto* caratteristiche dell'amore: I) dove si produce (nell’appetito sensitivo); II) chi lo genera? la disposizione naturale del corpo dell’amante – per non fare menzione digli influssi di Marte su Venere. III) quale virtù ha l’amore, dato che è passione d'appetito? Nulla. IV) Quale e l’effetto dell’amore? La  morte che impedisce le operazioni della virtù vegetativa; V) quale e l’essenza dell’amore? E una passione naturale. VI). Che alterazione provoca? Infermità, malinconia, morte. VII) Che spinge a filosofare sull’amore, dato che non si può celare la passione? Lo spirito platonico. VIII) Se l'amore (o strittamente, l’amare) si dimostri via il sentire? Si. È evidente che parli come filosofo aristotelico. Per Garbo, l'amore è una malattia, una passione dell'appetito sensitivo, che può causare a sua volta molte altre malattie, e per questo va curata, con la dimenticanza e l'allontanamento, l'"accidente fero" di Cavalcanti è il maligno influsso di Marte, in congiunzione col Toro e la Bilancia, quando si trova nella casa di Venere.  Altre opere: “Dynus super quarta Fen primi cum tabula” (Venezia: Lucas Antonius Giunta Florentinus); “Expositio super tertia, quarta, et parte quintae fen IV. libri Avicennae” (Venezia: Johann Hamann für Andreas Torresanus); “Dilucidatorium totius pratice medicinalis scientie Expositio super canones generales de virtutibus medicamentorum simplicium secundi canonis Avicennae (Venezia); “Recollectiones in Hippocratem de natura foetus; “Dilucidatorium Avicennae (Ferrara) Expositio super parte quintae Fen quarti Canonis Avicennae (Ferrara, André Beaufort); “Super IV Fen primi Avicennae praeclarissima commentaria, quae Dilucidatorium totius practicae generalis medicinalis scientiae noncupatur (Venezia); Chirurgia cum tractatu eiusdem de ponderibus et mensuris nec non de emplastris et unguentis (Ferrariae); “De militia complexionis diversae; di cui un saggio è pubblicato da Puccinotti; Recolectiones super cirurgia Avicennae (Modena, Bibl. Estense); De generatione embrionis; Dizionario biografico degli italiani.  Boccaccio, Cavalcanti’s Canzone “Donna me prega” and Dino’s Glosses The enigmatic, indeed disturbing figure of Guido Cavalcanti (1259– 1300) exercised the imagination of his contemporaries, especially of his fellow poets. Without naming him once, Dante talks about Guido in his youthful work, the Vita nuova, telling us that Cavalcanti was the “primo de li miei amici” (VN III), and that he was one of those who replied poetically to Dante’s first sonnet. Dante also refers to Guido’s senhal, Gio- vanna/Primavera (VN XXIV). The whole of Dante’s treatise, as a specifi- cally vernacular composition, is dedicated to this first friend (VN XXX). Amongst Dante’s Rime, also, there is a companionship sonnet addressed to Cavalcanti, “Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io,” to which the older poet responded in verse. The most memorable mention by Dante occurs in canto X of Inferno, where Guido is the “grand absent,” asked after by his damned father, Ca- valcante de’ Cavalcanti. The accent in the exchange is on Guido’s implied “altezza d’ingegno,” shared with Dante (X.59), and his disdain for some- thing — unspecified — which Dante by now was pursuing (poetry? theol- ogy?). The poet later resurfaces as an allusion in Purgatorio XI.97–99, where, in an object lesson in humility, literary primacy is passed through the Guidos, presumably from Guinizelli through Cavalcanti, and on to (perhaps) Dante himself. Guido Orlandi, who wrote the enquiry sonnet, “Onde si move e donde nasce Amore?” which occasioned Cavalcanti’s famous reply, the doctrinal canzone “Donna me prega,” paints a picture of the poet in “Amico, i’ saccio ben che sa’ limare,” stressing Guido’s verbal prowess, but also his consid- erable intellectual ambition, verging on vanity. Cino da Pistoia, however, in “Qua’ son le cose vostre ch’io vi tolgo?” reacts angrily to an accusation of plagiarism coming from Guido, and hints that his own humility is more appropriate than Cavalcanti’s self-importance. Amongst the other, almost contemporary poets who mention Cavalcanti is Cecco d’Ascoli (Francesco Stabili), in whose astrological apology the Acerba (III.1), dated to 1327, he seemingly takes Guido to task, in detail, for an erroneous analysis of love’s http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 1  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org workings (particularly the function of the irascible appetite, Mars) con- tained in “Donna me prega.” Chroniclers, too, were fascinated by him, but as much for his propen- sity to engage in partisan violence as for his intellectual eminence. His contemporary Dino Compagni refers repeatedly to the powerful Cavalcanti clan’s readiness for street-fighting, and refers specifically to Guido’s ex- ploits, including his failed attempt on the life of Corso Donati, who had re- portedly organised an assassination plot against the poet on the pilgrimage route to Compostela. Dino characterises Guido as “cortese e ardito, ma sdegnoso e solitario e intento allo studio.” Giovanni Villani, writing con- siderably later, draws attention to the prickly nature of Guido’s intelli- gence: “era, come filosofo, virtudioso uomo in più cose, se non ch’era troppo tenero e stizzoso,” a description of the philosopher-poet which al- most exactly parallels Giovanni’s description of Dante himself. Amongst the later novella writers, Sacchetti would include Cavalcanti as the butt (literally) of a practical joke by a small child (Trecentonovelle LXVIII), a jape which in turn is reminiscent of a Boccaccio novella (Decameron VIII.5). Cavalcanti figures in the early commentary tradition of the Comedy, in particular as a response to the pilgrim’s discussion with Cavalcante de’ Ca- valcanti in Inferno X, and the reference to the two Guidos in Purgatorio XI. He also figures to some extent in elucidations of the two lonely, anon- ymous Florentine “giusti” in Inferno VI.73. Commenting upon Inferno X, Guido da Pisa (1327–28) says of Cavalcanti “Fuit enim iste Guido scientia magnus et moribus insignitus, sed tamen in suo sensu aliqualiter inflatus. Habebat enim scientias poeticas in derisum” [This Guido was great in knowledge and celebrated in character, but nevertheless somewhat puffed up as to his opinion of himself. For he despised the poetic discipline]. Guido da Pisa’s interpretation of Cavalcanti’s “disdegno” (Inferno X.63) as essentially poetical will be influential amongst subsequent commentators. The Ottimo commentary (1334) points to Guido’s common intellectual in- terests with Dante (“similitudine d’abito scientifico”). Later, when discus- sing the two Guidos passage in Purgatorio XI, the commentator opines: “E Guido Cavalcanti si può dire, che fossi il primo, che [le] sue canzoni fortifi- casse con filosofi[ch]e pruove, come si mostra in quella sua canzona, che comincia: ‘Donna mi prega, perch’io deggia dire.’” The Selmiano (1337), commenting upon Inferno X, again points to Cavalcanti’s intellectual im- pact: “Guido fu tenuto del maggiore ingegno e più alto che allora fosse uomo di Firenze.” The greatest contribution to the myth of Guido Cavalcanti comes from Boccaccio, who views the poet essentially through the distorting prism of http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 2  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org Dante and the early Dante commentators. In the “Introduzione alla quarta giornata” of the Decameron, Boccaccio justifies his own persistence with amorousness, even in his more mature years, by claiming that such a trait was shared with Guido Cavalcanti, Dante and Cino da Pistoia in their old age. He even suggests that he could supply the biographical justifications to prove it (“istorie in mezzo”). The most consistent account of Cavalcanti, however, occurs in Decameron VI.9 where Boccaccio applies to Guido a widespread anecdote, with a “lethal” punch-line, which Petrarch, amongst others, had used some ten years previously in the Rerum Memorandarum (II, 60) about Dino del Garbo, the famous Florentine physician. The tale, now firmly attached to Cavalcanti, thanks to Boccaccio, will subsequently pass into the Dante commentary tradition when Benvenuto da Imola glos- ses the two Guidos passage in Purgatorio XI. The Decameron tale has been frequently discussed and minutely ana- lysed: what concerns us here is Boccaccio’s preliminary portrait of the poet: oltre a quello che egli fu un de’ migliori loici che avesse il mondo e ottimo filosofo naturale [...], si fu egli leggiadrissimo e costumato e parlante uom molto e ogni cosa che far volle e a gentile uom pertenente seppe meglio che altro uom fare; e con questo era ricchissimo, e a chiedere a lingua sa- peva onorare cui nell’animo gli capeva che il valesse. [...] Guido alcuna volta speculando molto abstratto dagli uomini divenia; e per ciò che egli alquanto tenea della oppinione degli epicuri, si diceva tralla gente volgare che queste sue speculazioni erano solo in cercare se trovar si potesse che Iddio non fosse. (Decameron VI.9.8–9) Creatively interpreting Dante, in order to give the punch-line extra signifi- cance, Boccaccio deliberately confuses (or rather suggests that the vulgar throng confuses) Guido with his father, Cavalcante de’ Cavalcanti, for it is effectively the latter who is amongst the “Epicureans” who “l’anima col corpo morta fanno” (Inferno X.15). A very similar portrait of the poet is given in the Esposizioni, where Guido is described as: uomo costumatissimo e ricco e d’alto ingegno, e seppe molte leggiadre cose fare meglio che alcun altro nostro cittadino: e oltre a ciò, fu nel suo tempo reputato ottimo loico e buon filosofo, e fu singularissimo amico dell’autore [scil. Dante], sì come esso medesimo mostra nella sua Vita nuova, e fu buon dicitore in rima; ma, per ciò che la filosofia gli pareva, sì come ella è, da molto più che la poesia, ebbe a sdegno Virgilio e gli altri poeti. (Esposizioni X.62) The phrase “ebbe a sdegno” clearly shows Boccaccio’s debt to Inferno X.63: “Forse cui Guido vostro ebbe a disdegno,” and to the view amongst early commentators, initiated by Guido da Pisa as we have seen, that the http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 3  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org disdain was for poetry, not theology. It is this Boccaccian portrait, with a distinctly Dante colouring, which will inform Filippo Villani’s much later biography of Cavalcanti in the Liber de origine civitatis Florentie [Book of the Origin of the City of Florence]. As we have seen, the anecdote in Decameron VI.9 had been previously used by Petrarch, who places Dino del Garbo as its protagonist. Dino was, in addition to being a notable physician (a pupil of Taddeo Alderotti at Bologna), a lecturer on materia medica at various universities. He had a number of commentaries to his credit, including a reading of the third and fourth fen of the fourth book of Avicenna’s Canon, dealing with surgery (a relatively new area for medicine, traditionally hostile to the knife). He also wrote a general handbook, based on book one of Avicenna, the Dilucidato- rium totius pratice medicinalis scientie [Clarification of the Whole Prac- tice of Medical Knowledge]. According to Giovanni Villani, Dino was very touchy about his academic standing, and took a mortal dislike to Cecco d’Ascoli, at the time a lecturer on the astronomy of Sacrobosco and Alca- bitius at Bologna, who publicly accused him of having plagiarised a dead colleague, Torrigiano de’ Torrigiani’s commentary on Galen. Indeed, Vil- lani suggests that Dino was instrumental in the passing of the death sen- tence on the astrologer: “molti dissono che ’l fece per invidia” (Cronica X.41). Popular opinion had it that Dino’s own puzzling death, very shortly after the astrologer’s execution, was the result of a posthumous necro- mantic revenge on Cecco’s part. Cecco wasn’t the only one to have an interest in Guido Cavalcanti’s canzone “Donna me prega.” Dino del Garbo wrote a detailed Latin com- mentary on the poem, heavily indebted to Avicenna, Haly Abbas and Ar- istotle, which was partially imitated and adapted in a vernacular version unconvincingly attributed to Egidio Romano. Medical and philosophical interest in Cavalcanti’s canzone would continue into the Renaissance, with Ficino, amongst others, clearly in debt to it. Dino’s commentary (no later than 1327) was certainly known to Boccaccio. Indeed, it has been con- vincingly argued by Antonio Enzo Quaglio (“Prima fortuna della glossa garbiana a ‘Donna me prega’ del Cavalcanti,” in GSLI 141 (1964): 336–68) that the unique surviving manuscript of the commentum (an insert in Vatican Chigiano L. V. 176, ff. 29r–32v) is a Boccaccian autograph. This particular transcription, one of the later documents reinserted into the manuscript, dates from approximately 1366, judging by the evolution of Boccaccio’s handwriting studied by Pier Giorgio Ricci (Studi sulla vita e le opere del Boccaccio, Milan-Naples: Ricciardi, 1985, p. 295 [and plate XIII]). The entire MS is reproduced phototypically in colour by Domenico http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 4  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org de Robertis (Il codice Chigiano L. V. 176 autografo di Giovanni Boccaccio, Rome-Florence: Alinari, 1974). However, already in the Teseida (1339–41), Boccaccio shows some fa- miliarity with the commentary. Perhaps he had obtained the glosses from Dino’s close acquaintance, the poet and jurist Cino da Pistoia, who had known and corresponded poetically with Cavalcanti, and who had been teaching Roman law in Naples whilst Boccaccio was a student canonist there. The commentary, entitled Scriptum super cantilena Guidonis de Cavalcantibus [Writing on the Canzone of Guido Cavalcanti] has been ed- ited and published as an appendix by Guido Favati (Guido Cavalcanti, Rime, Milan-Naples: Ricciardi, 1957, pp. 359–78). An earlier, sectionalised English summary translation and secondary commentary can be found in Otto Bird, “The Canzone d’Amore of Cavalcanti According to the Com- mentary of Dino del Garbo” (Mediaeval Studies 2 (1940): 150–203 and 3 (1941): 117–60). In Italian, there is a fine translation and commentary of the glosses by Enrico Fenzi (La canzone d’amore di Guido Cavalcanti e i suoi antichi commenti, Genoa: Il Melangolo, 1999, pp. 187–219). In the Teseida, Boccaccio furnishes substantial ecphrases of the abodes of Mars and Venus, the tutelary deities of the two rivals for the hand of Emilia, Arcita and Palemone. The description of the temple of Venus in book VII, octaves 50 ff., prompts an immensely long authorial gloss, part of which is on the nature of love itself. In keeping with Boccaccio’s implied fiction that the glosses are by somebody else, he refers to himself in the third person as the “author” and reserves the first person for the fictive commentator. The gloss labours on through the various symbolic, almost personified qualities (à la Roman de la Rose) propitious to erotic passion till it reaches the figure of Cupid, or desire: Alcune ne pone quasi confermative dello appetito eccitato per le sopra- dette: tra le quali pone Cupido, il quale noi volgarmente chiamiamo Amore. Il quale amore volere mostrare come per le sopradette cose si ge- neri in noi, quantunque alla presente opera forse si converrebbe di di- chiarare, non è il mio intendimento di farlo, perciò che troppa sarebbe lunga la storia: chi disidera di vederlo, legga la canzone di Guido Caval- canti Donna me priega, etc., e le chiose che sopra vi fece Maestro Dino del Garbo. (Teseida, gloss to VII.50) What is important here is that, for Boccaccio, the poet’s canzone and the physician’s glosses were already intimately linked, presumably in a single document (as would be the case in the much later Chigian MS transcribed by Boccaccio himself). The Teseida self-commentary then continues, after this parenthesis, with further enumeration of the “author’s” selection of symbolic qualities, beginning with an elucidation of Cupid’s darts. But the http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 5  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org first sentence of this continuation shows that Boccaccio was still thinking in terms of technical definitions of love borrowed from other sources: Dice sommariamente che questo amore è una passione nata nell’anima per alcuna cosa piaciuta, la quale ferventissimamente fa disiderare di piacere alla detta cosa piaciuta e di poterla avere. The phrasing about fervent desire, in this definition, is reminiscent of a remark in Dino’s commentary: est passio quedam in qua appetitus est cum vehementi desiderio circa rem quam amat, ut scilicet coniungatur rei amate. (Favati, 371) [it is a certain passion in which there is appetite along with fervent desire concerning the thing which it loves, so that it may join with the thing be- loved] But the presence in Boccaccio’s gloss of the adjective “nata” (even though it could be construed here as meaning merely “arising”) almost certainly betrays an older source, namely the opening definition in Andreas Capel- lanus’ De arte honeste amandi (late 12th cent.): Amor est passio quedam innata procedens ex visione et immoderata co- gitatione formae alterius sexus, ob quam aliquis super omnia cupit alte- rius potiri amplexibus et omnia de utriusque voluntate in ipsius amplexu amoris praecepta compleri. (De amore I.1) [Love is a certain inborn passion arising from the beholding of and un- controlled thinking about the beauty of the other sex, on account of which the person desires above all else to enjoy the embraces of the other person and, by common desire, fulfil all the commandments of love in this embrace] Andreas uses the term “innata” to describe erotic passion twice more, in quick succession, clearly wanting his readers to understand that its endo- genesis is an important part of his theory of love. “Innata” in the De amore is clearly adjectival in function, as shown by the following participle “pro- cedens”: but “nata” in the Teseida may be more in the nature of a past participle. The lexical fragment survives, however, despite its possible change of status, as a tell-tale sign of Boccaccio’s prior reading. For Boc- caccio, conflating the two sources was tempting, because Dino is clearly indebted, for substantial elements of his treatise, to the chaplain’s opening remarks on love, as the characteristic initial combination “passio quedam” already demonstrates. Boccaccio was not reading Cavalcanti and Dino del Garbo as an inno- cent, then, but rather as somebody who had already come across authori- tative, if somewhat obsolescent definitions. The problem for the compiler of the Teseida glosses is that the two definitions do not match. Andreas http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 6  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org believed that love was intrinsic (“innata”), the line which Guinizzelli would famously take in his canzone “Al cor gentil,” whereas Dino, following Ca- valcanti, declares that this passion was definitely exterior in origin “cau- sans ipsum principaliter est res extrinseca” (Favati, p. 360). Boccaccio at the time of his writing of the Amazon epic seems totally unaware of the in- consistency between these auctoritates. One might doubt that Boccaccio had anything more than circumstantial knowledge of the existence of Dino’s commentary. In other words possibly he hadn’t read it. But certain of the key words (“appetito” and “generare,” markedly Aristotelian terms, though present in the De amore, are simply not used as technicisms in An- dreas) imply that he has a good idea of the philosophical slant of Dino’s vocabulary. Unlike Cino da Pistoia, who is quoted unambiguously in the Filostrato (V.62–65) and Rime (XVI.8 and 13), textual traces of Cavalcanti in Boc- caccio’s fictional and creative works are rare and tantalising. The meagre harvest of possible (and hardly provable) intertextuality has been traced by Letterio Cassata, passim in hisedition of Cavalcanti (Guido Cavalcanti, Rime, Anzio: De Rubeis, 1993, esp. index, p. 353). Vittore Branca furnishes more detailed examples (Rime I, IX, XI, XIII, XXIV; Teseida X.55–57 etc.) in Boccaccio medioevale e nuovi studi sul Decameron (Florence: Sansoni, 1992, pp. 254–57). One could add to this list, tentatively, perhaps. There is possibly a hint that Boccaccio had a “cultural memory” of the opening of “Donna me prega” when writing the Filocolo, for Florio’s love is there de- scribed by an experienced Ascalion as “sì nobile accidente” (III.5.2). It could be, however, that this particular use of “accidente” (generically a very common term in the early Boccaccio) derives from a reading of Dante’s Vita nuova, where the distinction between substance and accident in love theory, probably as an echo of Cavalcanti, is also made (VN XXV.1). Another possible reprise of Cavalcanti occurs in the Teseida sequence which generates the gloss which mentions “Donna me prega” and Dino del Garbo’s glosses. In octave 53 of the seventh book, Boccaccio describes the musical and visual environment of Venus’ garden, indicating Palemon’s soul in prayer as it visits the bower: ripieno il vide quasi in ogni canto di spiritei, che qua e là volando gieno a lor posta... (VII.53.6–8) Though “spiritus” was a technical term in medicine, referring to the transmission of vital and animal forces through the body, the diminutive “spiritelli” is a characteristic Cavalcantian usage, denoting the hypostatic emanations of fragmented consciousness characteristic of the “anima http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 7  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org sbigottita.” Guido even parodied this verbal tic in a sonnet, “Pegli occhi fere un spirito sottile.” More persuasive again, in terms of intertextuality with Cavalcanti, is one of Boccaccio’s early Rime (XXI): Biasiman molti spiacevoli Amore e dicon lui accidente noioso, pien di spavento, cupido e ritroso, [...] Though Vittore Branca does not expressly say so in his commented edition of the Rime in volume V of Tutte le opere (Milan: Mondadori), this sonnet seems to parodically contrast a pessimistically Cavalcantian view of love in the first quatrain with a more Guinizellian, positive stance in the remain- der. All in all, though, compared with the massive early presence of Dante, and later of Petrarch, the verse of Cavalcanti seems to have had little prac- tical impact on Boccaccio. He seems to have been much more interested (as the layout of the glosses and the title of the autograph Chigiano LV 176 transcription shows) in “Donna me prega” as a vehicle for Dino del Garbo’s commentary, rather than as a composition in its own right. The Dino del Garbo commentary became more useful to Boccaccio when he came to write the Genealogie (ca. 1360 in its first version) and the Esposizioni (1373). By this time, his appreciation of the question of sub- stance and accident, and of intrinsic and extrinsic causality, had markedly improved, though his interest is still anything but scientific. The Genealo- gie passage occurs in the biography of Cupid, begotten from the illicit cou- pling of Mars and Venus, in IX.4. Cupid had been the figure, as we have seen, who had given rise to the mention of Dino del Garbo’s glosses on “Donna me prega” in the Teseida. This time, though used much more ex- tensively, the Garbian source is not explicitly acknowledged. Est igitur hic, quem Cupidinem dicimus, mentis quedam passio ab exte- rioribus illata, et per sensus corporeos introducta et intrinsecarum vir- tutum approbata, prestantibus ad hoc supercelestibus corporibus aptitu- dinem. Volunt namque astrologi, ut meus asserebat venerabilis Andalo, quod, quando contingat Martem in nativitate alicuius in domo Veneris, in Tauro scilicet vel in Libra reperiri, et significationem nativitatis esse, pretendere hunc, qui tunc nascitur, futurum luxuriosum, fornicatorem, et venereorum omnium abusivum, et scelestum circa talia hominem. Et ob id a phylosopho quodam, cui nomen fuit Aly, in Commento quadri- partito, dictum est quod, quandoque in nativitate alicuius Venus una cum Marte participat, habet nascenti concedere dispositionem phylocap- tionibus, fornicationibus atque luxuriis aptam. Que quidem aptitudo agit ut, quam cito talis videt mulierem aliquam, que a sensibus exterioribus commendatur, confestim ad virtutes sensitivas interiores defertur, quod placuit; et id primo devenit ad fantasiam, ab hac autem ad cogitativam http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 8  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org transmictitur, et inde ad memorativam; ab istis autem sensitivis ad eam virtutis speciem transportatur, que inter virtutes apprehensivas nobilior est, id est ad intellectum possibilem. Hic autem receptaculum est specie- rum, ut in libro De anima testatur Aristoteles. Ibi autem cognita et intel- lecta, si per voluntatem patientis fit (in qua libertas eiciendi et retinendi est) ut tanquam approbata retineatur, tunc firmata in memoria hec rei approbate passio (que iam amor seu cupido dicitur) in appetitu sensitivo ponit sedem, et ibidem, variis agentibus causis, aliquando adeo grandis et potens efficitur, ut Iovem Olympum relinquere, et tauri formam su- mere cogat. Aliquando autem minus probata seu firmata labitur et adni- chilatur; et sic ex Marte et Venere non generatur passio, sed, secundum quod supra dictum est, homines apti ad passionem suscipiendam secun- dum corpoream dispositionem producuntur; quibus non existentibus, passio non generaretur, et sic large sumendo a Marte et Venere tanquam a remotiori paululum causa Cupido generatur. (Genealogie IX.4.6–9) Rather than provide a translation into English here, we can go straight to Esposizioni V litt., 162–67, which is an outstanding example of Boccaccio’s self-volgarizzamento. The passage occurs in Boccaccio’s literal commen- tary on the episode of Paolo and Francesca, and is occasioned by Dante’s famous line “Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende” (Inferno V.100). Whereas in the Teseida Boccaccio indulges in a long account of Cupid’s iconography and dismisses (“per ciò che troppa sarebbe lunga la storia”) the aetiology of love with a curt reference to Cavalcanti and Dino del Garbo, here in the Dante commentary he inverts the process, omitting the lengthy account of details Cupid’s portrait (“alle quali voler recitare sarebbe troppo lunga storia”) so as to concentrate on the explanation of love’s workings. The passage is prefaced with an apparently perfunctory explanation of Aristotle’s tripartite distinction of the kinds of love (Ni- comachean Ethics VIII.3), of which more later. Only the very last periods suffer any change from the content of the earlier Genealogie text. The cor- responding passage in the Esposizioni, the volgarizzamento of the Gene- alogie text, reads: Ma, vegnendo a quello che alla nostra materia apartiene, dico che questo Cupidine, o Amore che noi vogliam dire, è una passion di mente delle cose esteriori e, per li sensi corporei portata in essa, è poi aprovata dalle virtù intrinseche, prestando i corpi superiori attitudine a doverla rice- vere. Per ciò che, secondo che gli astrologi vogliono, e così affermava il mio venerabile precettore Andalò, quando avviene che, nella natività d’alcuno, Marte si truovi esser nella casa di Venere in Tauro o in Libra, e truovisi esser significatore della natività di quel cotale che allora nasce, ha a dimostrare questo cotale, che allora nasce, dovere essere in ogni cosa venereo. E di questo dice Alì nel comento del Quadripartito che, qualunque ora nella natività d’alcuno Venere insieme con Marte parti- cipa, avere questa cotale participazione a concedere a colui che nasce una http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 9  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org disposizione atta agl’inamoramenti e alle fornicazioni. La quale attitu- dine ha ad aoperare che, così tosto come questo cotal vede alcuna femina, la quale da’ sensi esteriori sia commendata, incontanente quello, che di questa femina piace, è portato alle virtù sensitive interiori e questo pri- mieramente diviene alla fantasia e da questa è mandato alla virtù cogita- tiva e da quella alla memorativa; e poi da queste virtù sensitive è tra- sportato a quella spezie di virtù, la quale è più nobile intra le virtù apren- sive, cioè allo ’ntelletto possibile, per ciò che questo è il recettaculo delle spezie, sì come Aristotile scrive in libro De anima. Quivi, cioè in questo intelletto possibile, cognosciuto e inteso quello che, come di sopra è detto, portato v’è se egli avviene che per volontà di colui nel quale è que- sta passione, con ciò sia cosa che in essa volontà sia libertà di ritenere dentro questa cotal cosa piaciuta e di mandarla fuori, questa cotal cosa piaciuta sia ritenuta dentro, allora è fermata nella memoria la passione di questa cosa piaciuta, la quale noi chiamiamo Amore, o vero Cupido. E pone questa passione la sedia sua e la sua stanza ferma nell’appetito sen- sitivo e quivi in varie cose adoperanti divien sì grande e fassi sì potente che egli fatica gravemente il paziente e a far cose, che laudevoli non sono, spesse volte il costrigne; e alcuna volta, essendo meno aprovata questa cotal cosa piaciuta, leggiermente si risolve e torna in niente. E così non è da Marte e da Venere generata questa passione, come alcuni stimano, ma, secondo che di sopra è detto, sono alcuni uomini prodotti atti a rice- vere questa passione secondo le disposizioni del corpo: la quale attitu- dine se non fosse, questa passione non si genererebbe. The translation diverges only at the end. Out goes the Ovidian reference to a love-struck Jupiter preparing to ravish Europa (Metamorphoses II.846– 75), clearly inappropriate for a commentary to a Christian poem, and in comes a limp and vague reference to shameful behaviour. Similarly, the very last concessionary formula of the Genealogie passage, conceding at least the indirect operation of Mars and Venus, is removed in its entirety, leaving the earlier categorical denial of astral influence intact. But what of the content? The making of such contentious horoscopes, predicting a libidinous disposition, could be dangerous. Villani intimates that one of the reasons for Cecco d’Ascoli’s misfortune at the stake was his disconcertingly accurate prognosis for his patron, the duke of Calabria, that his daughter Giovanna, the grand-daughter of Robert the Wise and future queen of Naples, would be subject to scandalous erotic excesses on account of her birth under the sign of Mars in the house of Venus. Though at first sight, Boccaccio is implying that his source in both pas- sages is the Genoese astronomer Andalò del Negro (almost certainly dressed up as Calmeta in Filocolo V.8) and that he is quoting from Ptol- emy’s commentator Haly Abbas and from Aristotle’s De anima, a large section of this treatment, including the reference to these auctoritates, is in fact lifted from various, almost contiguous places in Dino’s glosses. The http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 10  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org opening sentence is an extremely reductive paraphrase of a section of Dino’s commentary where the physician indicates the role of the stars in creating the dispositions of the soul. Dino writes: Alia res concurrit ad causandum aliquam passionem, que est res ex- trinseca que suam ymaginem vel speciem causat in virtute sensitiva, ad quam cognitionem vel apprehensionem consequitur appetitus talis vel talis, in quo appetitu iste passiones fundantur. Ideo auctor, ut complete ostenderet que est res generans istam passionem, primo ostendit que est dispositio naturalis corporis que reddit hominem aptum ut faciliter istam passionem incurrat; secundo ostendit que est res extrinseca ex cuius ap- prehensione consequitur in appetitu passio amoris. Secunda ibi: “Vien da veduta forma”; vel posset incipere ibi: “D’alma costume.” In prima parte quod dispositio naturalis, per quam aliquis inclinatur ad incurrendum faciliter in aliquam passionem, ex principiis proprie nati- vitatis hominis contraitur et, inter ista principia nativitatis alicuius, pre- cipua et principalia sunt corpora celestia: nam, ut dicit Philosophus in Phisicis, homo hominem generat et sol; et in De Generatione Animalium dicit quod in spiritu genitivo est natura existens proportionalis ordina- tioni astrorum. (Favati 363) [Something else is involved in causing any passion, and that is an exte- rior thing causing its image or “species” in the sensitive faculty, upon the cognition or apprehension of which there follows an appetite for this or that, in which appetite these passions are established. So the author, in order completely to show what is the thing which generates this passion, first demonstrates what is the natural disposition of the body which makes man suitable for incurring this passion easily; secondly he demon- strates what is the external thing from whose apprehension the passion of love follows in the appetite. The second starts “Vien da veduta forma”; or can start at “D’alma costume.” In the first part he shows that the natural disposition, by which some- body is inclined to incur some passion, is contracted from the principles of a person’s own birth, and, amongst these principles of a person’s birth, the foremost and most important are the heavenly bodies: for, as Aris- totle says in the Physics, man and the sun generate man; and in The Ge- neration of Animals, in the generative spirit a nature exists proportion- ally to the ordering of the stars] Boccaccio’s reference to his astrological mentor, Andalò del Negro, is an opportunistic amplification of a far less specific passage in Dino. The Garbian passage, commenting on line 18 of the canzone, reads: Hoc autem ostendit in verbo illo quod premisit cum dixit “La quale da Marte viene et fa dimora”: nam ista passio dicitur procedere a Marte isto modo, quoniam astrologi ponunt quod, quando in nativitate alicuius Mars fuerit in domo Veneris, ut in Tauro vel in Libra, et fuerit significator nativitatis eius, significabit natum fore luxuriosum, fornicatorem et om- nibus venereis abusivis scieleratum; unde quidam sapiens qui dicitur Aly, http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 11  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org in “Comento Quadripartiti,” dicit quod, quando in nativitate alicuius Venus participat cum Marte, dat inamoramentum, fornicationem, luxu- riam et talia similia, que omnia pertinent ad passionem amoris de quo loquitur auctor in hac cantilena. (Favati 363) [He shows this, however, in that word he placed before when he said “La quale da Marte viene et fa dimora”: for this passion is said to proceed from Mars in this way. Astrologers claim that, whenever, at the birth of somebody, Mars is in the house of Venus, as in Taurus or in Libra, and there is a person to do the child’s horoscope, he will signify that the child will be lustful, a fornicator, and wicked in all venereal excesses. Whence a certain sage called Haly in his commentary to the Quadripartitum says that, when at the birth of somebody Venus participates with Mars, it grants enamourment, fornication, lust and such like, which all are con- cerned with the passion of love which the author talks about in this can- zone.] Boccaccio’s reference to Andalò is rather disingenuous, if the evidence of the Calmeta episode of the Filocolo is to be believed. For there the empha- sis in that passage is almost entirely astronomical, with no hint of judicial astrology, and the authorities consulted are almost certainly limited to Ptolemy’s Almagest, Andalò’s own Introductorium, rather than the simi- larly titled work by Alcabitius, and to the Alfonsine Tables. Of Haly’s commentary to the Ptolemaic Quadripartitum there is not a trace. Boccac- cio’s early astrological culture, under the sway of Andalò, has been exam- ined in an important study by Antonio Enzo Quaglio (Scienza e mito nel Boccaccio, Padua: Liviana, 1967) and its narrative consequences (possibly more tending towards judicial astrology) in the Filocolo have been investi- gated by both Janet Levarie Smarr and Stephen Grossvogel. The adventi- tious references to Haly in the love definition in the Genealogie and Espo- sizioni are a sure sign that the late Boccaccio, whilst acknowledging his youthful enthusiasms, was now passively accepting and reproducing Dino’s quotes and mentions, rather than referring to material he knew and remembered intimately and at first hand. What then follows in Boccaccio’s account, namely the sequence of inter- iorisation, comes from Dino’s gloss to line 21. Dino’s ordering of the inner processes is, according to Otto Bird, untypical, yet Boccaccio accepts it without demur: Hic autem est ordo in apprehensione humana, sicut declaratum est in scientia naturali: quod primo species rei pervenit ad sensus exteriores, ut ad visum vel auditum vel tactum vel gustum vel olphatum, deinde ab illis pervenit ad virtutes sensitivas interiores, sicut pervenit ad fantasiam primo, deinde pervenit ad cogitativam et ultimo ad memorialem. Ab istis autem virtutibus procedit postea ista species ad virtutem nobiliorem, que http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 12  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org virtus in homine est altissima inter virtutes adprensivas, et ista est virtus possibilis. (Favati 364–65) [For this is the sequence in human apprehension, just as it is declared in natural science. First of all the “species” of the thing reaches the exterior senses, for instance sight or hearing, touch, taste or smell, thence from these it reaches to the inner sensitive faculties, so it comes to fantasy first, then comes to the cogitative and lastly to the memorative faculty. From these faculties this “species” reaches to the nobler faculty, which in mankind is the highest amongst the apprehensive faculties, and this is the possible faculty] Dino then provides a brief explanation of the difference between the intel- lectus agens [active intellect], the reasoning function of individuation and universals, and the passive or possible intellect, merely concerned with the processing of species resulting from sensibles. The discussion is not otiose, for Dino is aware of Cavalcanti’s dramatic positioning of love right at the crucial borderline between rational and sensitive activity. Boccaccio is not at all interested in such technicalities, and moves on to a matter of much greater concern, namely the question of the relationship between love and will. The relevant passage from Dino glosses Guido’s assertion that love is “di cor volontate,” but Boccaccio characteristically leaves out Dino’s pro- fessionally inspired mention of the difference of opinion between Aristotle and Galen concerning the seat of the sensitive faculties, in the heart or in the head. Dino writes: Et nota quod istum appetitum vocavit voluntatem, que videtur intellectui attinere, ut ostenderet quod, licet amor fiat in aliquo ex dispositione na- turali per quam quis inclinatur ad incurrendum faciliter hanc passionem, tamen fit etiam ex proposito et per electionem, quod pertinet ad volun- tatem, que est libera et liberi arbitrii, cum se habeat indifferenter ad op- posita; et est simile hic, sicut etiam est in aliis passionibus ut, verbi gra- tia, de ira. Nam aliquis, licet sit dispositus ex natura ad faciliter incurren- dum in iram, tamen per voluntatem potest se retrahere ab ea, et potest etiam in eam incurrere; et simili modo etiam de amore. (Favati 364) [And note that he calls this appetite the will, because the latter is seen to appertain to the intellect, in order to show that, although love can happen to somebody through a natural disposition whereby that person is in- clined easily to incur this passion, that person does so nevertheless on purpose and by choice, and so that is a case of will, which is free and by free choice, when it is faced equally with opposites. And it is the same here, just as it is with the other passions, like anger, for instance. For somebody, even though he may be disposed by nature to get angry easily, nevertheless through his will he can draw himself back from it, and he can even indulge in it; and it is the same with love.] http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 13  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org For Dino, the question is one of classification: given the working of erotic passion specifically in the sensitive appetite, it follows that engaging in or disengaging from love is necessarily a voluntary act, and therefore in part subject also to the operations of the rational soul, where choices are made. Boccaccio’s rewording changes the emphasis substantially towards moral philosophy: love is no longer an ineluctable force, and the potential lover, being free to choose, is therefore responsible for his own actions in this field as in any other. Love, as a phenomenon of the soul, is consequent on an initial act of the will, by accepting or refusing to be drawn further into passion. Though Boccaccio’s direct quotations from the Garbian glosses are all located in a compact area, he may have been encouraged to under- line this aspect by his reading further on in the commentary, for Dino re- fers to the will obliquely later on, drawing on Haly’s Pantechne, to state more clearly than elsewhere the voluntaristic nature of passion: amor est sollicitudo melanconica, similis melanconie, in qua homo iam sibi inducit incitationem cogitationis super pulcritudinem quarundam formarum et figurarum que insunt ei. (Favati 371) [love is a melancholic anxiety, similar to melancholy, in which a man ac- tually brings upon himself the rousing of cogitation upon the beauty of certain forms and figures which are within him.] A fragment of this reading of Dino can be found in the Decameron, when Boccaccio describes the aegritudo amoris of the pharmacist’s daughter Lisa (X.7.8), as she struggles with cumulative “malinconia.” What is more important in the Garbian gloss is the accent on the will. The lover “sibi inducit incitationem.” And later again, Dino will return to the topic, to explain why nobles have a greater propensity for erotic pas- sion than those whose existence is marred by the struggle for economic survival: Secunda causa est quia, licet in amore, quando est multum impressus, appetitus non sit liber, imo est servus et ducitur secundum impetum huius passionis, tamen in principio, quando incipit hec passio in appe- titu, adhuc appetitus est quasi liber, ita ut possit amare et possit desistere ab amore. Et ideo initium huius passionis incipit multotiens ex proposito. (Favati 373) [The second cause is because, though in love for instance the appetite, when it is much pressed, is not free, indeed it is enslaved and is led by the impetus of this passion, nevertheless in the beginning, when this passion starts in the appetite, at that point the appetite is almost free, so that it can love or desist from love. And so the beginning of this passion fre- quently starts from choice.] http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 14  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org Whereas in the Genealogie the highlighting of the question of free will served no particular purpose, and was not set within a moralising context, in the Esposizioni the moral discussion is crucial. Boccaccio has a precise task, for he is explaining the sin of those who “la ragion sommettono al talento” (Inferno V.39). Boccaccio’s own prior interpretation of this line is rather odd: Eran dannati i peccator carnali, Che la ragion sommettono al talento, cioè alla volontà. E come che questo si possa dire d’ogni peccatore inten- dere, per ciò che alcun peccatore non è che non sottometta, peccando, la ragione alla volontà, vuol nondimeno l’autore che per quel vocabolo “carnali” s’intenda singularmente per i lussuriosi. (Esposizioni V litt. 46) Boccaccio, never very consistent when adopting others’ philosophical sys- tems or terminology, seems to see no difference here between “will” and “desire.” He seems to have no real understanding of the complexities of appetition. Perhaps he was thinking of the passage in Dante’s Vita Nuova XXXIX, where the poet admits to a struggle between appetite (“cuore”) and reason (“anima”). Maybe he is using “volontà” to stand for “voglia,” the term Meo Abbracciavacca uses when he writes “e qual sommette a voglia operazione” (Gianfranco Contini, Poeti del Duecento, Milan-Naples: Ricciardi, 1960, vol. I, p. 337). It is no surprise, therefore, to find that Boc- caccio now moves straight from his paraphrase of Dino del Garbo on love and will to a discussion of whether Paolo, “atto nato ad amare” (Espo- sizioni V litt., 168) was obliged to fall in love with Francesca. Boccaccio freely admits that Paolo was “flessibile,” in other words easily swayed, be- cause of his complexion. It is the same concept Boccaccio applies to Dante’s amorous disposition in the Chigi version of the Trattatello: “inchinevole molto a questo accidente” (again a fairly Garbian formula), but when it comes to the famous line: “Amor, ch’a nullo amato amar per- dona” (Inferno V.103), the moralist suddenly swings into action: Questo, salva sempre la reverenzia dell’autore, non avviene di questa spezie di amore, ma avvien bene dello amore onesto (Esposizioni V litt. 169) Here Boccaccio is returning to the Aristotelian distinction between the three varieties of love (Nicomachean Ethics VIII.3) with which he had prefaced his discussion in the Esposizioni. There, he had indicated that the sensual love indulged in by Paolo and Francesca is the morally inferior “amore dilettevole,” where the pleasure principle is foremost. It is a defi- nition totally missing from the Genealogie account of Cupid, even though it had been promised much earlier (III.22.8). Now he claims that Fran- cesca’s declaration of the inevitable reciprocity of love is misplaced, for http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 15  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org such reciprocity can only happen with “amore onesto.” He backs this up with the definition to be found in Purgatorio XXII.10–12 (where Statius’ love for Virgil causes a corresponding affection in the older poet). But the lovers of Inferno V are seekers of pleasure only, not seekers of goodness (the “amore onesto” of Aristotle). But why did Boccaccio, between the Genealogie and the Esposizioni accounts, suddenly introduce the Aristotelian distinction? What does it have to do with Dino’s commentary? Once again, Boccaccio has been searching around in the glosses, and has found that the next argument Dino engages in is concerned with is the dual nature of love. One is the common definition: uno modo comuniter et large, secundum quod est quedam passio per quam inclinatur et movetur appetitus in aliquam rem que videtur sibi bona propter complacentiam eius, ratione cuiuscumque actus illius rei: et isto modo non accipitur hic: nam amor est circa multa, de quo amore non est presens intentio. Et de omnibus amicis ad invicem est hoc modo amor: quia amici amant se ad invicem, et tamen non amant se amore de quo est hec presens intentio; et potest etiam esse amore in uno respectu alterius, et tamen non erit amicitia inter eos: omnis enim qui est amicus alicui amatur ab illo, sed non omnis qui amat aliquem amatur ab illo; et ideo, licet omnis amicitia sit cum amore, non tamen omnis amor est cum amicitia. (Favati 371–72) [one way commonly and widely defined, according to which it is a certain passion by which the appetite is inclined and moved towards something which seems good to it on account of its pleasurability, by reason of whatever agency of that thing: and it is not accepted in this way here: for love concerns many things, about which love it is not Guido’s present in- tention to speak. Concerning all mutual friends, love is of this kind: for friends love each other reciprocally, and yet they do not love each other with the kind of love which is the topic here; and it can be a question of love in one regarding the other, and yet there will not be friendship between them: for everybody who is a friend to somebody is loved by that other person, but not everybody who loves somebody is loved by that person, and so, even if every friendship is with love, not every love is with friendship.] In his round-about way Dino is dealing here with the distinction between love “per concupiscentiam” [for desire’s sake] and “per amicitiam” [for friendship’s sake]. The first is properly the subject of Guido’s canzone, whereas the second is Aristotle’s true friendship, what Boccaccio calls “amore onesto.” Dino’s purpose is to go on to define the pathology of the illness that derives from amorous excess, the so-called “ereos,” richly in- vestigated by Massimo Ciavolella (La “Malattia d’Amore” dall’Antichità al Medioevo, Rome: Bulzoni, 1976) and before that by John Livingston http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 16  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org Lowes (“The Loveres Maladye of Hereos,” Modern Philology 11.4 [1914]: 491–546). Boccaccio, uninterested in the minutiae of such medical matters (though he refers to them in his Valerius Maximus inspired episode of Giacchetto Lamiens in the novella of the Count of Antwerp (Decameron II.8.44–48), retains the distinction but uses it for a moral purpose. Paolo and Francesca were free to retreat from their passions, as theirs was an “amor dilettevole.” Their obstinate refusal to avail themselves of the free- dom of choice inherent in the birth of such sensual passion led to their damnation. This issue of free will clearly exercised Boccaccio, for he re- turns to it belatedly in the allegorical exposition to the canto. The com- mentator has been explaining why carnal sinners, guilty of excess in what is otherwise a natural process, are punished more lightly than the other damned souls, in a circle further from the pit of hell and nearer to God. He then has another go at defining the relative roles of astrological disposition and free use of the rational faculty of choice: L’origine del quale, secondo che di sopra è mostrato, par che sia nell’attitudine a questa colpa datane da’ cieli; la quale parrebbe ne do- vesse da questo scusare, se data non ci fosse la ragione, la quale ne dimo- stra quel che far dobbiamo e quel che fuggire, e, oltre a ciò, il libero albi- trio, nel quale è podestà di seguire qual più gli piace. (Esposizioni V all. 78) But this moralistic view of erotic passion, prompted by a public reading of the Paolo and Francesca episode and shaped, selectively, by Dino del Garbo’s glosses to Cavalcanti’s canzone, represents a very late position, beginning with the first redaction of the Genealogie, and perhaps impli- citly coeval with some of the thinking behind the remedia amoris of the Corbaccio. Boccaccio’s earlier allusions to the Inferno V episode seem to show, instead, that the involuntary nature of love, propounded by Fran- cesca, prevails. In the Filostrato, for instance, after much sighing and tearful pillow-soaking, Troiolo finally admits to his friend Pandaro the cause of his melancholy: he has fallen in love. Boccaccio’s writing at this point is saturated with reminiscences of the Paolo and Francesca passage from Inferno V. Troiolo is grateful that Pandaro is inclined to hear of his “martiro,” rhymed with “sospiro” (Dante: “sospiri” and “martiri”) and is responding to Pandaro’s “priego” since he is incapable of opposing a “nie- go” (Dante: “priega” and “niega”). Troiolo then indicates how love took over: Amore, incontro al qual chi si difende più tosto pere ed adopera in vano, d’un piacer vago tanto il cor m’accende, ch’io n’ho per quel da me fatto lontano http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 17  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org ciascheduno altro, e questo sì m’offende, (Filostrato II.7.1–5) This is a clear echo of Francesca speaking of how love “al cor gentil ratto s’apprende [...] e ’l modo ancor m’offende” (Inferno V.100–02). Boccaccio in paraphrasing “Amor, ch’a nullo amato amar perdona” here, further em- phasises the involuntary nature of such passion. The same emphasis can be seen in the Filocolo: in the “court of love” in book four, Clonico has asked the queen for a judgment on whether an unrequited or a jealous lover should be more pitied. The queen passes sentence, saying that the unrequited lover will finally get his reward, for true love induces inevitable reciprocity in the beloved: ché, ben che ella si mostri verso voi acerba al presente, e’ non può essere ch’ella non vi ami, però che amore mai non perdonò l’amare a niuno amato. (Filocolo IV.38.11) The same concept lies behind that other enamourment clearly inspired by Dante’s Paolo and Francesca, the Ovid-inspired passion of Florio and Biancifiore in Filocolo II: their love, too, is caused by Cupid’s agency, they too are apparently coerced by mutual delight. Florio clearly considers that such a situation is universal, and affects not only mortals but gods: Padre mio, sì come voi sapete, né il sommo Giove né il risplendente Apollo, da voi ora davanti ricordato, né alcuno altro iddio ebbe all’amorevole passione resistenza; né tra’ nostri predecessori fu alcuno tanto di virile forza armato, che da simile passione non fosse oppresso. (Filocolo II, 15, 1–2) But perhaps the most memorable examples of such love apologies come in the Decameron. In the novella of the count of Antwerp, the queen of France lays bare her passion for the count: Egli è vero che, per la lontananza di mio marito non potendo io agli sti- moli della carne né alla forza d’amor contrastare, le quali sono di tanta potenza, che i fortissimi uomini non che le tenere donne hanno già molte volte vinti e vincono tutto il giorno, essendo io negli agi e negli ozii ne’ quali voi mi vedete, a secondare li piaceri d’amore e divenire innamorata mi sono lasciata correre. (Decameron II.8.15) Though the power of love is emphasised, a subtle change has now taken place. We now get at least a fleeting admission that an element of volition was involved (“mi sono lasciata correre”). When we come to look at the famous justification of Ghismonda, caught in flagrante with Guiscardo by her jealous father (Decameron IV.1.31–45), we see the same refined con- cession. Her speech begins with a reminiscence of the Paolo and Francesca episode, audible in the pairing “né a negare né a pregare sono disposta.” http://www.heliotropia.org/02-01/usher.pdf 18  Heliotropia 2.1 (2004) http://www.heliotropia.org Ghismonda, at various points, then outlines the sheer power and durabil- ity of the passion which has overtaken her: Egli è il vero che io ho amato e amo Guiscardo, e quanto io viverò, che sarà poco, l’amer e se appresso la morte s’ama, non mi rimarrò d’amarlo. (Decameron IV.1.32) Though the wording has been altered, the influence of Francesca’s per- during love in Inferno V is clear: “ancor non m’abbandona” (105) and “che mai da me non fia diviso” (135). But then the speech gets down to detail. It is Ghismonda’s youthful appetite, whetted by previous marriage and now enforced celibacy, which causes her to cede to her desires: Sono adunque, sí come da te generata, di carne, e sí poco vivuta, che an- cor son giovane, e per l’una cosa e per l’altra piena di concupiscibile disi- dero, al quale maravigliosissime forze hanno date l’aver già, per essere stato maritata, conosciuto qual piacer sia a così fatto desidero dar com- pimento. Alle quali forze non potendo io resistere, a seguir quello che elle mi tiravano, sí come giovane e femina, mi disposi e innamora’mi. (Decameron IV.1.34–35) Yet, here again, we can see that Boccaccio clearly imagines there to be a moment of decision, an instance of rational choosing, even if the flesh (and the sensitive faculties) are predisposed to “incur such passion.” To sum up then, the evidence for Boccaccio having read Dino del Garbo early on in his career, earlier than the Teseida, is quite strong. The gloss on “Donna me prega” is not associated, as one might imagine, with an interest in Cavalcanti’s vernacular verse, but rather with its availability as a con- venient manual, accessible to a non medical scholar, on the “maladye of hereos.” For this reason, perhaps, it became associated with Boccaccio’s constant re-reading of the Paolo and Francesca episode from Inferno V. What changed over time was the quality of Boccaccio’s reading of Dino, starting from an opportunistic level, where the distinction between Capel- lanus and Del Garbo is hardly felt, and ending with an interpretation which consciously develops the potential in Dino’s understanding of the role of the will. The moment of transition, however timid, seems to take place in the years of the Decameron. Grice: “So here is charming Cavalcanti writing a charaming love lyrics (Donna mi preigha) and Garbo in his worst Aristotelian jargon destroying it. I dealt with Blake (“love that never told can be”) and the best thing is to leave poetry to poets (cf. Austin rebuffing Nowell-Smith’s inability to understand Donne). The physiology of love is beyond philosophy. But in philosophy, unlike any other discipline, we respect history, and the longitudinal history of philosophy ensures that every philosopher will be familiar with the idiocies Plato makes Socrates says in Convitto about Cupido, Cupidine, Amore, Eros, Erote, Anterote, and Mars, qua symbol of maleness. In Italy they were concerned about astrology. Since the future queen of Naples had been born under the House of Mars, she will possibly be a whore!” --  Aldrobrandino Del Garbo. Garbo. Keywords: appetitus, appetitus sensitivo – spiegatura dell’amore in termine aristotelichi – amare, sentire, il patico – fornicazione – latino/volgare – Boccaccio – Petrarca – Alighieri – Cavalcanti --. de militia complexionis diversae, eros, amore, malattia, Aristotele, passione, ragione, appetite sensitive, amore, sentire – re-cognosenza da parte dell’amato dell’amore dell’amante – via senso? Marte – self-love, other-love, amore proprio, amore a se stesso, amore all’altro. Refs.: Luigi Speranza, “Garbo e Grice: amore, passione, implicatura” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690528577/in/photolist-2mJq2uE-2mLzoFz-2mKHtgX

 

Grice e Gargani – Eurialo e Niso; ovvero, dell’empatia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “I like Gargani; many of his essays are pretty interesting: he’s written on the ‘sense’ of ‘true,’ and on the ‘endless phrase,’ – la frasse infinita – which according to Griceian principles, must rely on implicature, since it involves a communicational impossibility!” -- «È un fatto che gli uomini hanno prodotto assai più cose di quanto siano propensi ad ammettere; ma ciò che essi hanno eretto nella forma di costruzioni concettuali elevate e sublimi, come se fossero separate dal caso e dal disordine, corrisponde ad un uso che essi hanno fatto della propria vita.” Aldo Giorgio Gargani (Genova), filosofo. Si laurea a Pisa sotto Barone. Collaborando con Lepschy, allora professore all'University College di Londra, e conducendo le sue ricerche al Queen's sotto la guida di Geordie McGuinness.  È stato il massimo studioso italiano di Vitters, e ha contribuito alla diffusione della filosofia di D. F. Pears. I suoi ambiti di studio sono stati prevalentemente la filosofia del linguaggio, l'estetica, l'epistemologia, e la psicoanalisi. Di particolare interesse è anche il suo tentativo di una scrittura filosofica narrativa, come in Sguardo e destino” (Laterza, Roma-Bari); “L'altra storia” (il Saggiatore, Milano); Il testo del tempo” (Laterza, Roma-Bari).  Altre opere: “Esperienza in Vitters” (Le Monnier, Firenze); “Hobbes” (Einaudi, Torino); “Vitters” (Laterza, Roma-Bari); “Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell'esperienza commune” (Einaudi, Torino ); “Vitters a Cambridge” (Stampatori Editore, Torino); “Kafka” (Guida, Napoli); “Lo stupore e il caso” (Laterza, Roma-Bari);  “La frase infinita” (Laterza, Roma-Bari); “Il coraggio di essere” (Laterza, Roma-Bari); “Stili di analisi” (Feltrinelli, Milano); “L'organizzazione condivisa. Comunicazione, invenzione, etica” (Guerini, Milano); “Il pensiero raccontato” (Laterza, Roma-Bari); “Una donna a Milano” (Marsilio, Venezia); “Il filtro creative” (Laterza, Roma-Bari); “Dalla verità al senso della verità” (Plus, Pisa); “Mondi intermedi e complessità” (Ets, Pisa); “Il gesto” (Cortina, Milano); “La filosofia della cura” (ASMEPA Edizioni, Bentivoglio); “L'arte di esistere contro i fatti” (Lamantica Edizioni, Brescia); “Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane” (Einaudi, Torino). Altri contributi Relazione d'aiuto, sintonia comunicativa e organizzazione sociale, in Il vaso di Pandora, Dialoghi in psichiatria e scienze umane, Fondazionalismo e antifondazionalismo, Relativismo e nuovi paradigmi filosofici, Inquietudine, empatia, identità e narrazione (Pordenone). Eurialo e Niso coppia di amici, guerrieri troiani nella mitologia greca e nell'Eneide di Virgilio Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sugli argomenti mitologia romana e personaggi immaginari non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Eurialo e Niso Nisos Euryalos Louvre LL450 n2.jpg Eurialo e Niso (1827) di Jean-Baptiste Roman, Louvre SagaCiclo Troiano ed Eneide Nome orig.Euryalus e Nisus Epitetoinsigne per bellezza (Eurialo), fortissimo in armi (Niso), Irtacide (patronimico di Niso) 1ª app. inEneide di Virgilio, I secolo a.C. circa (Eurialo)  Sessomaschi Luogo di nascitaTroia (Eurialo), monte Ida (Niso) Eurialo e Niso (in latino Euryalus e Nisus) sono due personaggi che compaiono in due episodi dell'Eneidedi Virgilio. Giovani guerrieri profughi di Troia, costituiscono un grande esempio di amicizia e di valori che Virgilio teneva a riportare in vita con la sua opera.  Il particolare rapporto che li lega è definito dall'autore "amore", ciò che nel contesto dell'epoca va inteso come serena manifestazione di continuità tra l'amicizia fraterna e l'affettuosità omoerotica. Non è l'unico caso nel poema: anche tra gli italici nemici dei troiani vi è una coppia siffatta, quella costituita dai due giovani latini Cidone e Clizio.  Il mito «… Appresentossi in prima Eurïalo con Niso. Un giovinetto di singolar bellezza Eurïalo era; e Niso un di lui fido e casto amico.»  (Virgilio, Eneide, traduzione di A. Caro, V, 425-428) Eurialo                                                   Modifica Eurialo (figlio di Ofelte, un troiano morto durante la guerra di Troia nonché lontano parente di Priamo) è il più giovane dei due amici, poco più che un fanciullo, e con la sua grande bellezza riesce sempre a ottenere il favore degli altri.  Partecipa alla gara di corsa a piedi durante i giochi funebri per Anchise, nel quinto libro dell'Eneide, a fianco dell'amico Niso e riesce a vincerla grazie all'aiuto del compagno. Nonostante le proteste di Salio, un altro corridore, che è inciampato a causa di Niso, Eurialo sfrutta le sue lacrime e il suo bell'aspetto per far sì che gli spettatori parteggino per lui.  Nel nono libro affianca nuovamente Niso nel tentativo di raggiungere Enea, passando per l'accampamento dei Rutuli addormentati. I due giovani, approfittando dell'occasione favorevole, compiono un'ingente strage di nemici. L'inesperienza di Eurialo si dimostra quando il giovinetto ruba nell'accampamento nemico diversi oggetti di valore, tra cui uno splendido elmo. Saranno proprio quei trofei a mettere a repentaglio la vita di Eurialo; da una parte il riflesso dell'elmo attirerà l'attenzione del nemico Volcente sui due compagni, dall'altra il peso del bottino ostacolerà il giovane in fuga dai soldati nemici. Eurialo muore trafitto dalla spada dello stesso Volcente in un bosco vicino all'accampamento rutulo.  In quel momento Virgilio richiama alla mente un altro paragone con il candido corpo esanime di Eurialo, ossia l'immagine di un fiore purpureo reciso da un aratro o un papavero che abbassa il capo durante la pioggia.  NisoModifica Niso appartiene a una famiglia illustre: è infatti figlio - al pari di Ippocoonte e dell'omerico Asio - del nobile troiano Irtaco che aveva sposato Arisbe, la moglie ripudiata da Priamo, chiamata anche Ida. Egli è, rispetto a Eurialo, più maturo ed esperto, avendo combattuto insieme ai fratelli nella guerra di Troia. Nel poema è ricordata tra l'altro la sua passione per la caccia, trasmessagli da entrambi i genitori. Compare per la prima volta nel quinto libro al fianco di Eurialo nella gara di corsa, in cui scivola, ma aiuta il compagno a vincere grazie a uno stratagemma.  Successivamente, nel nono libro, Niso si fa avanti per uscire dall'accampamento dei troiani assediati dai Rutuli e raggiungere Enea, ma Eurialo vuole seguirlo. Dapprima Niso non acconsente ritenendo il ragazzo non ancora pronto per affrontare un'impresa tanto rischiosa, ma, data la sua insistenza, parte con lui. Entrato nel campo nemico, Niso vi uccide parecchi giovani italici sopraffatti dal sonno, dal vino e dall'inesperienza, imitato poi da Eurialo.  Tenterà invano di salvare l'amico fatto prigioniero dai cavalieri di Volcente. Il suo affetto per il giovinetto lo spinge a vendicarne la morte; egli riuscirà nell'intento cadendo però a sua volta.  Quinto libro - La gara di corsaModifica La prima apparizione di Eurialo e Niso risale al quinto libro dell'Eneide, durante la gara di corsa a piedi svoltasi a Erice nei giochi in onore di Anchise, il defunto padre di Enea. L'episodio è peraltro tratto dalla gara avvenuta nell'Iliade fra Odisseo, Aiace d'Oileo e Antiloco, vinta da Odisseo. Niso si porta in testa, ma scivola inavvertitamente su una pozza di sangue sacrificale, probabilmente sparso da Eneaprima della celebrazione dei giochi.  A quel punto Salio, un altro partecipante, tenta di correre per il primo posto, ma Niso, mosso da un profondo affetto per l'amico, fa uno sgambetto all'avversario che finisce a terra.  Di conseguenza Eurialo sorpassa Salio e vince la gara.  Irritato per la vittoria ingiusta di Eurialo, Salio si lamenta da Enea, ma il pubblico, commosso dal pianto e dal bell'aspetto di Eurialo, parteggia per il giovinetto.  Enea consegna comunque un premio di consolazione a Salio e a Niso, rispettivamente una pelle di leone africano e uno scudo forgiato da Didimaone, e offre al giovane vincitore il premio che gli sarebbe spettato di diritto, ossia un cavallo con borchie.  Nono libro - La sortita notturna e la morte dei due giovani                                 Modifica Nella sortita notturna del nono libro, Virgilio s'ispira a quella di Diomede e Ulisse nel decimo libro dell'Iliade, dove i due achei sorprendono nel sonno il giovane re trace Reso e dodici suoi guerrieri.  L'esercito di Turno sta cingendo d'assedio la cittadella dei Troiani sbarcati nel Lazio; Enea, alla ricerca di alleati, si è recato tra gli Etruschi. Niso si propone di uscire per andare a raggiungere Enea e avvertirlo del pericolo imminente, ma Eurialo vuole rimanere al suo fianco, pur sapendo di essere ancora molto giovane per un'impresa così rischiosa e di poter avere ancora una lunga vita davanti a sé. Dopo aver ricevuto il consenso dei compagni riguardo alla loro proposta, Eurialo e Niso si preparano a partire per la loro missione. Ascanio, il figlio di Enea, promette loro grandi premi, tra cui tazze e cucchiai d'argento, cavalli, armature, donne e schiavi, mentre gli altri troiani li equipaggiano con armi adatte all'impresa.  I due amici penetrano nel campo dei Rutuli addormentati. Niso mette al corrente Eurialo della sua intenzione di farne strage e passa immediatamente all'azione, aggredendo un amico intimo di Turno, il borioso re e augure Ramnete, che stava russando nella sua tenda su un cumulo di sontuose stuoie, e con la spada lo colpisce alla gola; introdottosi quindi negli alloggiamenti di Remo, altro importante condottiero italico, sgozza l'auriga disteso sotto i cavalli per poi staccare la testa al suo signore coricato nel letto e ancora al bellissimo giovinetto Serrano riverso a terra nel suo sonno di ubriaco dopo aver dedicato al gioco dei dadi buona parte di quella che sarebbe stata la sua ultima notte. Questi sono i più noti tra i numerosi guerrieri che finiscono vittime di Niso.  Anche Eurialo non resiste alla tentazione di uccidere qualche italico; un certo Reto, svegliatosi improvvisamente, cerca di nascondersi dietro un cratere, ma viene ucciso proprio da Eurialo. A questo punto Niso esorta il compagno a cessare la strage; i due troiani escono dal campo nemico. Eurialo porta via con sé alcuni oggetti di valore, tra cui l'elmo di Messapo (un alleato italico dei Rutuli, che non è tra le vittime).  Proprio per la vanità di Eurialo i due amici vengono avvistati da un drappello di trecento maturi cavalieri rutuli guidato da Volcente; accade infatti che i bagliori dell'elmo e il suo vistoso pennacchio attirino l'attenzione dei nemici, che incominciano allora a inseguire la coppia di troiani, rifugiatasi nel bosco.  Gli uomini di Volcente si sparpagliano quindi attraverso passaggi sconosciuti a Eurialo e Niso, che cercano una via di fuga.  Improvvisamente Niso si ritrova da solo e, correndo a ritroso per cercare l'amico, lo vede circondato da soldati italici. A quel punto, disperato, scaglia le sue armi contro i nemici e riesce a uccidere Sulmone e Tago, due cavalieri di Volcente, il quale, non capendo chi possa essere l'autore di quelle uccisioni, si scaglia su Eurialo con la spada, trafiggendolo mortalmente.  (LA)  «Talia dicta dabat; sed viribus ensis adactus transabiit costas et candida pectora rumpit. Volvitur Euryalus leto, pulchrosque per artus it cruor, inque umeros cervix conlapsa recumbit: purpureus veluti cum flos succisus aratro languescit moriens lassove papavera collo demisere caput, pluvia cum forte gravantur.»  (IT)  «Mentre così dicea, Volscente il colpo  già con gran forza spinto, il bianco petto del giovine trafisse. E già morendo  Eurïalo cadea, di sangue asperso  le belle membra, e rovesciato il collo, qual reciso dal vomero languisce purpureo fiore, o di rugiada pregno papavero ch'a terra il capo inchina.»  (Traduzione di Annibal Caro) Niso allora grida disperato e si scaglia con tutta la sua violenza contro Volcente, conficcandogli quindi la spada nella bocca spalancata e uccidendolo. Il giovane viene però attaccato dagli altri soldati presenti e, morendo, si getta sull'amico e si dà finalmente pace.  (LA)  «At Nisus ruit in medios solumque per omnis Volcentem petit in solo Volcente moratur. Quem circum glomerati hostes hinc comminus atque hinc proturbant. Instat non setius ac rotat ensem fulmineum, donec Rutuli clamantis in ore condidit adverso et moriens animam abstulit hosti. Tum super exanimum sese proiecit amicum confossus placidaque ibi demum morte quievit.»  (IT)  «In mezzo de lo stuol Niso si scaglia  solo a Volscente, solo contra lui  pon la sua mira. I cavalier che intorno  stavano a sua difesa, or quinci or quindi  lo tenevano a dietro. Ed ei pur sempre  addosso a lui la sua fulminea spada  rotava a cerco. E si fe' largo in tanto  ch'al fin lo giunse; e mentre che gridava,  cacciogli il ferro ne la strozza, e spinse.  Così non morse, che si vide avanti  morto il nimico. Indi da cento lance  trafitto addosso a lui, per cui moriva,  gittossi; e sopra lui contento giacque.»  (Traduzione di Annibal Caro) Conseguenze della morte di Eurialo e NisoModifica Sùbito dopo la morte di Eurialo e Niso, Virgilio interviene nella narrazione, assicurando ai due amici un eterno ricordo da eroi tragicamente sconfitti:  (LA)  «Fortunati ambo! Siquid mea carmina possunt, nulla dies umquam memori vos eximet aevo, dum domus Aeneae Capitoli immobile saxum accolet imperiumque pater Romanus habebit.»  (IT)  «Fortunati ambidue! Se i versi miei tanto han di forza, né per morte mai, né per tempo sarà che 'l valor vostro glorïoso non sia, finché la stirpe d'Enea possederà del Campidoglio l'immobil sasso, e finché impero e lingua avrà l'invitta e fortunata Roma.»  (Traduzione di Annibal Caro) I corpi esanimi di Eurialo e Niso vengono portati all'interno dell'accampamento rutulo, e quivi sottoposti a decapitazione.  Le teste recise dei due giovani vengono quindi conficcate su lance e portate davanti al presidio troiano con grande clamore.  In seguito la Fama avverte la madre di Eurialo della morte del figlio. Ella, sconvolta dalla notizia, corre fuori di casa strappandosi i capelli e urlando. Ha così inizio un commovente discorso in cui sembra rimproverare il figlio per non averla nemmeno salutata per l'ultima volta prima di partire per la sua pericolosa missione, e rimpiange di non aver potuto guidare le sue esequie e rivedere il suo corpo.  La donna sembra non aver più nemmeno la forza di vivere e implora di essere uccisa dai Rutuli, trafitta dalle loro frecce. L'ultima memoria a Eurialo e Niso è offerta dai troiani che li rimpiangono con gemiti e lacrime e riportano in casa la madre di Eurialo.  Vittime di Eurialo e NisoModifica Vittime di EurialoModifica Le vittime di Eurialo, tutte uccise nel campo dei Rutuli, sono perlopiù anonime; fanno eccezione:  Abari Erbeso Fado Reto (l'unico che non viene ucciso nel sonno). Colpito di spada al petto, muore vomitando l'anima insieme al vino e al sangue. Vittime di NisoModifica Cavalieri uccisi in scontro aperto (3):  Sulmone, colpito mortalmente da un dardo al petto Tago, ucciso con un dardo che gli trapassa le tempie Volcente, il comandante, cui Niso conficca la spada nella bocca spalancata Guerrieri sorpresi nel sonno (5):  Ramnete, augure e re italico Remo, condottiero rutulo Lamiro e Lamo, guerrieri rutuli al seguito di Remo Serrano, giovanissimo guerriero rutulo famoso per la sua bellezza, anch'egli al seguito di Remo In questo elenco vanno aggiunti i tre servi di Ramnete e l'auriga di Remo: ma il verso 328 «armigerumque Remi premit aurigamque sub ipsis», da alcuni tradotto «sopprime l'auriga ed armigero di Remo» è da intendersi per altri come «sopprime lo scudiero di Remo e l'auriga», quindi il numero complessivo delle vittime di Niso può variare da 12 a 13. In ogni caso Niso è, dopo Enea e Turno, il guerriero che uccide più nemici nel poema; e tra gli italici che egli sorprende nel sonno sono ben quattro quelli che subiscono la decapitazione, ovvero Remo, Lamiro, Lamo e Serrano.  Virgilio mette anche un certo Numa tra gli italici uccisi nel sonno, ma solo nella sequenza che descrive la scoperta della strage. Per molti studiosi il punto in questione sarebbe uno dei tanti sfuggiti alla revisione definitiva dell'opera: e poiché Numa viene citato insieme a Serrano, si pensa che il poeta abbia scritto erroneamente "Numa" in luogo di "Lamo" o "Remo". Peraltro in un passo del libro X il nome Numa ritorna, insieme a quelli di Volcente e Sulmone: quest'ultimo viene detto padre di quattro giovani guerrieri catturati da Enea, che poco dopo appunto uccide, in mezzo ad altri nemici, un guerriero chiamato Numa, e il figlio di Volcente, Camerte, biondo signore di Amyclae.  Raffronto con l'IliadeModifica Nel compiere la strage, i due giovani vengono paragonati dal poeta a un leone vorace che entrato in un ovile affonda i denti sulle inermi pecore; la similitudine proviene dal modello omerico con la strage dei Traci. La pagina del massacro compiuto dalla coppia troiana si caratterizza però soprattutto per la presenza di particolari cruenti, come l'immagine di Reto che vomita la sua anima intrisa del vino bevuto, e le decapitazioni operate da Niso (Diomede riserva questo trattamento a Dolone e non ai Traci addormentati); il giovane eroe tuttavia si astiene dall'incrudelire sulle teste recise delle sue vittime, divergendo in questo da altre figure epiche (Agamennone e Achille nell'Iliade; Turno e lo stesso Enea nell'Eneide). L'immagine di Eurialo morente, col giovinetto che piega il capo come un papavero, è anch'essa mutuata dall'Iliade, ma richiama un altro passo, quello dell'agonia di Gorgitione, uno dei figli di Priamo, ucciso in battaglia da Teucro nell'ottavo libro del poema. Il testo virgiliano contiene anche alcuni tratti di comicità nera (l'augure Ramnete, amante del fasto, che non riesce a prevedere la propria morte; e l'uccisione del bizzarro auriga di Remo, sorpreso mentre giace tra i suoi stessi cavalli).  Benché l'episodio della sortita notturna sia modellato su quella compiuta da Odisseo e Diomede, i troiani presentano tratti che rimandano più ad Achille e Patroclo per il rapporto che li unisce, ovvero quello di due guerrieri-amanti. In Niso peraltro si può riscontrare una personalità molto simile a quella di suo fratello Asio nell'Iliade, caratterizzata da audacia e irruenza; oltretutto anche Asio soccombe dopo aver tentato di vendicare un commilitone caduto, Otrioneo, al quale però non è sentimentalmente legato, così come non risulterebbe avere un coinvolgimento erotico col proprio auriga, destinato a perire subito dopo di lui. [1].  Interpretazione dell'episodioModifica Affiora in questi versi lo sgomento di Virgilio di fronte agli orrori della guerra, che miete lutti su lutti. La guerra non è tra buoni e cattivi: i troiani cercano una nuova patria, gli italici si sentono minacciati. In nessun altro punto del poema soccombono così tanti eroi giovani: se si eccettuano Volcente e i suoi due cavalieri, padri di famiglia, tutti gli altri personaggi dell'episodio vanno incontro a morte prematura, non ci sono solo Eurialo e Niso, dato che i guerrieri che i due troiani uccidono nel sonno sono più o meno loro coetanei: in IX, 161-63 si dice infatti che Turno sceglie per l'assedio 1.400 giovani («bis septem Rutuli muros qui milite servent / delecti, ast illos centeni quemque sequuntur /purpurei cristis iuvenes auroque corusci»). Gioventù che va di pari passo con l'imprudenza: i Rutuli si lasciano sopraffare dal sonno, un elmo sottratto da Eurialo ai nemici sarà all'origine della sua morte. Ma morire giovani in guerra significa anche guadagnarsi la fama eterna, e a questo provvede Virgilio che manifesta lo stesso senso di rispetto per tutti i caduti: guerrieri aristocratici come Niso, Remo e Ramnete (che pur bollato dal poeta in un primo tempo come superbus per l'ostentazione del suo doppio potere è uno degli italici che Virgilio metterà tra le vittime maggiormente rimpiante dall'esercito italico, essendo indiscutibile la sua amicizia per Turno), e soldati di estrazione non nobile come Eurialo e Serrano.  Fortuna dell'episodioModifica Nell'Orlando furioso di Ludovico Ariosto i due giovani soldati saraceni Cloridano e Medoro compiono una sortita notturna nel campo dei cristiani per cercare il cadavere di Dardinello, il loro signore caduto in battaglia, e vi uccidono diversi nemici sorpresi nel sonno. Fin qui Ariosto segue Virgilio: diversa è la conclusione, che vede soccombere il solo Cloridano, mentre Medoro è destinato a essere salvato dalla bella Angelica; inoltre mancano descrizioni relative al ritrovamento dei guerrieri uccisi nella strage.  Eredità culturaleModifica A Eurialo e Niso sono stati dedicati due crateri di Dione, uno dei satelliti di Saturno. Massimo Bubola ha preso ispirazione dall'episodio virgiliano per una sua canzone scritta in collaborazione con i Gang e da questi incisa in primis, intitolata Eurialo e Niso, in cui si narra di due giovani partigiani - omonimi della coppia di personaggi virgiliani - autori di una sortita notturna contro i nazisti. Anche in questo caso la vicenda si conclude con la morte di entrambi gli amici. FontiModifica Publio Virgilio Marone, Eneide, libri V e IX. NoteModifica ^ Asio è invece molto più legato al principe troiano Deifobo, che subito dopo la sua morte decide di vendicarlo Iliade (Monti)/Libro XIII - Wikisource, su it.wikisource.org. URL consultato il 23 giugno 2021. Voci correlateModifica Temi LGBT nella mitologia Irtaco Arisbe Asio (figlio di Irtaco) Ippocoonte (figlio di Irtaco) Salio Volcente Cloridano Medoro (Orlando furioso) Ramnete Remo (Eneide) Serrano (Eneide) Lamiro e Lamo Reto Cidone e Clizio Decapitazione Reso Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Eurialo e Niso   Portale Letteratura   Portale Mitologia Scienza e filosofia della complessità. Studi in memoria di Aldo Giorgio Gargani A cura di Angelo Marinucci, Stefano Salvia, Luca Bellotti Collana “I Tempi e le Forme” (Carocci 2020) INDICE Prefazione. Aldo G. Gargani: la filosofia come analisi delle possibilità di Alfonso Maurizio Iacono Introduzione di Angelo Marinucci e Stefano Salvia 1. Determinismo, linearità, prevedibilità. Il problema dei tre corpi da Newton a Poincaré di Stefano Salvia Genesi e sviluppo di un problema scientifico/La prima formulazione esplicita del problema/Dalla geometria analitica all’analisi algebrica/La controversia intorno a 1 r2/Il problema dei tre corpi ristretto/Il Sistema solare è stabile?/Dall’analisi algebrica alla meccanica analitica/La meccanica razionale e l’analisi classica/Il teorema di Poincaré: limite invalicabile o nuovo spazio di possibilità? 2. Il problema della previsione in un sistema deterministico classico di Andrea Cintio Introduzione/Il problema dello studio delle evoluzioni temporali/Sistema dinamico/Il determinismo e il problema delle previsioni delle evoluzioni/Evoluzioni caotiche/Dalle singole orbite alle famiglie di sistemi/Il problema della previsione e la dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali 3. Ordine e caos nella scienza moderna di Leone Fronzoni Introduzione/La riscoperta del caos/Le biforcazioni/Coerenza e autorganizzazione/La turbolenza/Stati coerenti localizzati: i solitoni/La sincronizzazione/Coerenza e disordine nella meccanica quantistica/Entropia e complessità/Network/Conclusioni 4. Su Turing, gli algoritmi, le macchine, la prevedibilità di Luca Bellotti Alan M. Turing (1912-1954): una brevissima biografia/Una digressione: Penrose contro Turing/Algoritmi/Macchine di Turing/Un’osservazione finale: sulla prevedibilità del comportamento delle macchine di Turing 5. Come il futuro dipende dal passato e dagli eventi rari nei sistemi viventi di Giuseppe Longo Introduzione/Storia e dipendenza dal cammino in fisica: qualche confronto/La memoria: un esempio d’invariante storicizzato/Gli osservabili biologici e le loro dinamiche evolutive/Verso il futuro: sapere e imprevedibilità/Tracce invarianti di una storia/Spazi relazionali costruttivi e invarianza/Conoscenza del presente e invenzione del futuro/Il ruolo della diversità e degli eventi rari/Conclusione 6. Possibilità e realtà tra fisica e biologia di Angelo Marinucci Introduzione/Fisica classica/La meccanica quantistica/La biologia/Conclusioni Bibliografia Gli autori Scienza e filosofia della complessità: Studi in memoria di Aldo Giorgio Gargani, a cura di: Angelo Marinucci, Stefano Salvia, Luca Bellotti, Carocci, Roma, 2020 Abstract Il volume raccoglie i contributi, ampiamente elaborati, presentati al convegno Possibilità al di là della determinazione. Matematica, fisica e filosofia della complessità, tenutosi all’Università di Pisa in memoria di Aldo Giorgio Gargani. Dello studioso scomparso nel 2009 sono ben noti gli interessi filosofici per la questione, nata nella fisica moderna e in altri saperi, dell’emergere – in sistemi complessi – di possibilità che vanno, irriducibilmente, al di là della determinazione.Aldo Giorgio Gargani. Gargani.  Keywords: Eurialo e Niso; ovvero, dell’empatia, scambio, organisazzione condivisa – communicazione – implicatura come condivisa – empatia – d. f. pears --. Mcguinness, Gargani on Grice – ragione – Treccani -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gargani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758901736/in/dateposted-public/

 

Grice e Garin – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rieti). Filosofo. Grice: “Garin is a serious student of what we may call the longitudinal, rather than latitudinal, unity of Italian philosophy! If ever there is one!” --  Italian philosopher, author of a very rich, “La cultura filosofica del rinascimento italiano.” And “L’umanesimo italiano”Grice was Lit. Hum. Oxon, so he knew. Linceo. Studia sotto Limentani. Frequenta il Liceo classico Galileo. Si laurea sotto Limentani. Vari studi sull'Illuminismo che confluiranno nel volume sui moralisti inglesi. Subito dopo la laurea sostenne e vinse il concorso per insegnare nei licei, cosa che continuò a fare fino a quando vinse la cattedra da ordinario all'università. Tra i commissari del concorso liceale c'era Guzzo, una figura che costituirà un punto di riferimento per Garin quanto meno fino ai primi anni del dopoguerra. I suoi riferimenti culturali non erano costituiti da intellettuali e politici come Gramsci, ma da filosofi di matrice spiritualista e cattolica come Lavelle,  Senne, Castelli Gattinara di Zubiena, Michele Federico Sciacca e lo stesso Guzzo. Iscritto al Partito Nazionaledal 1931, pronuncia al Lyceum di Firenze una commemorazione a Gentile. Una svolta nelle prospettiva politica, filosofica e storiografica (le tre cose non vanno separate) si ha con l'uscita dei Quaderni del carcere di Gramsci, che hanno fortemente influenzato la sua filosofia nel costante riferimento alla concretezza del pensiero, e con la pubblicazione delle Cronache di filosofia italiana”, fortemente sollecitato da Laterza. Storico della filosofia molto legato al rigore filologico e al lavoro sui testi, rifiuta la definizione di filosofo; è tuttavia considerabile tale proprio in virtù delle sue polemiche anti-speculative e come influente teorico della storiografia filosofica. Insegna a Firenze. Si ttrasferì a Pisa a causa dei perduranti disordini della rivolta studentesca iniziata nel '68, di cui non condivideva le modalità di lotta e che considerava espressione di astratto rivoluzionarismo.  La sua infaticabile avidità di letture filosofiche lo rese consigliere prezioso. L’Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per la Filosofia. Altre opere: “Giovanni Pico della Mirandola. Vita e dottrina”; “Gli illuministi inglesi. I Moralisti; “Il Rinascimento italiano”; “L'Umanesimo italiano”; “Medioevo e Rinascimento”; “Cronache di filosofia italiana”; “L'educazione in Europa”; “La filosofia come sapere storico”; “La filosofia nel Rinascimento italiano”; “La cultura italiana tra Ottocento e Novecento”; “Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano”; “Storia della filosofia italiana”; “Dal Rinascimento all'Illuminismo”  “Filosofi italiani”; “ Rinascite e rivoluzioni”; “Lo zodiaco della vita”; “Tra due secoli”; “Cartesio”; “L’Ermetismo del Rinascimento”; “Gli editori italiani tra Ottocento e Novecento”; “La cultura del Rinascimento”. Ciò non toglie che l'importanza della interpretazione del Rinascimento che Garin ci dà nei suoi scritti e ci documenta nelle sue edizioni, pubblicazioni, finissime traduzioni di testi umanistici di ogni tipo (filosofico, politico, critico, letterario) possa essere, senza iperbole, confrontata con l'importanza della evocazione del Burckhardt» in Cantimori, Studi di storia, Torino, Einaudi, la Repubblica, Mecacci L., La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, Milano, su lincei. Fondo Eugenio Garin, Il percorso storiografico di un maestro, Firenze, Le Lettere, Marino Biondi, Dopo il diluvio. Eugenio Garin, l'ombra di Gentile e i bilanci della filosofia, in Un secolo fiorentino, Arezzo, Helicon,,Olivia Catanorchi e Valentina Lepri, Dal Rinascimento all'Illuminismo (Atti del convegno Firenze), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,. Michele Ciliberto, Eugenio Garin. Un intellettuale nel Novecento, RomaBari, Laterza,. Raffaele Liucci, Quelle ombre sul delitto Gentile in "Treccani Magazine", La Ghirlanda fiorentina e la morte di Giovanni Gentile, Adelphi, Milano, "Il Gramsci di Eugenio Garin", in Archetipi del Novecento. Filosofia della prassi e filosofia della realtà, Napoli, Bibliopolis, Umanesimo e umanesimi. Saggio introduttivo alla storiografia di Garin, Milano, FrancoAngeli, TreccaniEnciclopedie Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Eugenio Garin, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di Eugenio Garin EUGENIO GARIN. LA LEZIONE DI UN MAESTRO *    Negli ultimi anni della sua vita, quando con ritrosia era portato a far¬  ne un sobrio bilancio, Eugenio Garin insisteva a dire di essere stato so¬  prattutto un insegnante. «Ho sempre insegnato», ripeteva. E insegnante lo  era stato da giovanissimo, appena ventenne, dei giovani della scuola di  avviamento al lavoro di Fucecchio, delle ‘ragazze di buona famiglia’ delle  Mantellate di Firenze, alle quali faceva lezione sorvegliato, giovinetto tra  giovinette, da una severa suorina, dei suoi quasi coetanei del Liceo Can-  nizzaro di Palermo, ventiduenne nel 1931, poi di quelli del Liceo scien¬  tifico Leonardo da Vinci di Firenze, mentre, precoce in tutto, sostituiva  uno dei suoi maestri, Francesco De Sarlo, neH’insegnamento universita¬  rio di Filosofia teoretica nel 1935, appena ventiseienne. Aveva, insomma,  sempre insegnato e, come si dice, in ogni ordine di scuola dall’università  in giù. Non saprei dire di Garin insegnante di liceo. Vorrei dire solo qual¬  cosa di Garin docente universitario. Credo che ognuno possa sostenere, e  con ragione, di aver conosciuto e di aver avuto un suo Garin. Non già  perché egli avesse la facoltà di adattarsi a chi per dovere o per diletto lo  volesse ascoltare. Anzi. Ma perché ciascuno era messo in grado di reagire  a quell’incontro con il proprio carattere, con la propria formazione, con    * Nel dicembre del 2004 è scomparso Eugenio Garin. Al maestro fiorentino e alla sua  opera la Biblioteca Roncioniana aveva dedicato un convegno nel 2002 (cfr. Giornata di studi,  omaggio a Eugenio Garin, «Bollettino Roncioniano», II, 2002, pp. 45-47; del convegno sono poi  usciti gli atti: Eugenio Garin. Il percorso storiografico di un maestro del Novecento, a cura di F. Audisio  e A. Savorelli, Firenze, Le Lettere, 2003). Pubblichiamo qui un ricordo di Garin, che Maurizio  Tonini ha letto neha cerimonia svoltasi in Palazzo vecchio il 12 gennaio febbraio 2005, aha qua¬  le sono intervenuti il Sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, Massimo Cacciali, Michele Ci¬  liberto, Mario Luzi e Paolo Rossi. Il testo è apparso neha brochure Per Eugenio Garin, Napoli,  Bibliopoli, 2055, edita a cura di Maurizio Tonini e Francesco Del Franco, che si ringraziano  per averne acconsentito la ristampa in questa sede.     6    Maurizio Tonini    le proprie attese. In altre parole egli non intendeva plasmare l’ascoltatore,  ma solo offrire occasioni, occasioni cui ognuno doveva e poteva rispon¬  dere a suo modo, liberamente. Non che il suo insegnamento fosse univo¬  co, uguale dappertutto e per tutti: era un insegnante troppo navigato per  sapere che una cosa era far lezione agli studenti di Lettere e filosofia assie¬  me, un’altra ai soli filosofi, come ci chiamava, un’altra cosa ancora ai lau¬  reati e laureandi.   Sapeva bene che era diverso rivolgersi ai colleghi in un convegno di  studio, o parlare in una casa del popolo, oppure rivolgersi a tutti, ai citta¬  dini, come spesso gli è capitato proprio qui nel Palazzo Vecchio della sua  Firenze. Cambiavano i contenuti, mutavano i toni, mai il carattere, l’alta  professionalità, medesima sempre la passione. Eugenio Garin non ha mai  spezzettato il pane della cultura: ovunque, o a chiunque avesse da parlare  o da insegnare, lo sconosciuto studente che si presentava all’esame, l’ami¬  co e collega, lo studioso straniero, il giovane laureato, tutti meritavano  sempre la stessa attenzione, il medesimo trattamento. Sì che nella sua pro¬  duzione letteraria le conferenze lincee e le lezioni al Collège de France  stanno insieme agli scritti, diciamo, d’occasione, senza che il lettore ne  colga, se non con l’aiuto di riferimenti bibliografici, la loro provenienza e  la loro destinazione.   Niente gli era più alieno, fisicamente e metaforicamente, dell’espres¬  sione ‘prendere per mano’. Garin non prendeva per mano nessuno: apri¬  va un libro, i cui capitoli andava narrando di volta in volta. Un libro sem¬  pre nuovo. Per chi sapeva apprezzarlo, quel libro conduceva a altri libri,  poi a una collana, infine a una biblioteca, spesso la sua. Un libro somi¬  gliante a quello di un autore a lui carissimo, Laurence Sterne, La vita e le  opinioni di Tristram Shandy, fatto di parentesi, di divagazioni apparenti, di  vie traverse che sembrano far perdere di vista il contenuto promesso fino  a farlo dimenticare, ma che in realtà indicano tutto ciò che è necessario  per cominciare, più tardi altrove, la lettura. Come in un libro ciascuno,  per proprio conto, doveva specchiarvisi, trovarvi, se volete, la propria  strada, senza ammiccamenti né scorciatoie. E come con un libro, ciascu¬  no instaurava con lui un rapporto individuale: per quanto paradossale, la  sua lezione non consentiva alcuna lettura corale, alcuna possibilità di di¬  spense, alcuna versione ufficiale.   Considerava la cultura, lo ha scritto, la «conquista di una più profon¬  da coscienza di sé». E l’università era cultura. In questo senso il suo non è  mai stato un insegnamento demagogicamente democratico, né si è mai  considerato un missionario, né ha considerato il proprio lavoro una mis¬  sione. Piuttosto un funzionario, come amò talora definirsi, civettando  con il motivo del trasferimento della sua famiglia a Firenze, che assicurava    Eugenio Garin. La lezione di un maestro    7         8    Maurizio Tonini    un viaggio su un treno sicuro, tecnicamente aggiornato, ben condotto,  ma che, al pari di un capotreno, non era, e non si considerava, poi re¬  sponsabile se i viaggiatori scendevano alle stazioni intermedie e prende¬  vano altre direzioni. Non credo si sia mai sentito coinvolto nelle scelte al¬  trui, né voleva esserlo. Non si prestava, pur avendone le doti, a essere il  pifferaio fascinatore di candide giovinette e di timidi giovinotti. Lo  avrebbe considerato un tradimento, un traviamento del suo compito, che  era appunto, e solo, quello di insegnare la filosofia, di insegnare a capirne  la storia, di fare cultura, ma sempre altro da convincere o da portare su  una strada che non fosse già in qualche modo segnata, e segnata indivi¬  dualmente, in chi lo ascoltava.   Un pescatore anche, ma un pescatore che gettava reti larghe e pro¬  fonde nelle quali si aspettava che i pesci entrassero spontaneamente, mai  che venissero catturati. I suoi pesci erano e dovevano essere studenti ma¬  turi — non venivano infatti da un esame che ne aveva certificato proprio  la maturità? — che egli considerava suoi pari, almeno per quel che riguar¬  da il cartesiano bori sens, la bona mens, la cosa più diffusa e più equamente  distribuita tra gli uomini, sì che la differenza tra lui e noi riguardava, ga¬  lileianamente, l’estensione del sapere, non la capacità di comprendere. Il  severo, severissimo Garin, che tanto spaventava le matricole, era un be¬  nevolo confessore dell’ignoranza dei suoi studenti. E quelli più maturi  imparavano subito che la migliore risposta alle domande che fioccavano  in aula era quella di confessarla subito quella ignoranza, anche quando si  era quasi sicuri della risposta (ma chi era sicuro di fronte a Garin?).   Certo, quell’estensione del sapere costituiva una barriera, una diffe¬  renza di cui era consapevole lui e consapevoli noi, una barriera quantita¬  tiva, ci faceva credere, scalabile e riducibile, quasi come una differenza di  età, mai come un’inattingibile diversità, che mai si trasformava in pater¬  nalistica condiscendenza. Quella barriera si sgretolava nella generosa di¬  sponibilità a fornire indicazioni e libri, al reiterato prestarsi a spiegare non  solo le tematiche del proprio corso, ma a offrirsi di guidare piccoli gruppi  alla lettura dei testi (Hegel, Kant o Husserl) dei corsi di altri colleghi che  ci risultassero particolarmente difficili. Il grande intellettuale non dimen¬  ticava in nessuna occasione la sua professione: non solo nel rigido adem¬  pimento dei suoi obblighi di docente, nella proverbiale puntualità, nella  scrupolosa preparazione dei corsi (i ‘bauli’ di libri che partivano anzitem¬  po per la montagna), nella paziente e tanto prodiga lettura dei capitoli  delle tesi di laurea, nella curiosità con cui ogni anno rinnovava l’incontro  con i suoi giovani interlocutori. Aveva trasformato una precoce vocazio¬  ne in una professione, in un affetto per il proprio lavoro, prima ancora  che per chi dovesse usufruirne, in una disciplina che scherzosamente at-    Eugenio Garin. La lezione di un maestro    9    tribuiva alle lontane origini savoiarde, ma che forse è la chiave per coglie¬  re la sua straordinaria e mai dismessa operosità, la freschezza di ogni suo  intervento.   Eugenio Garin non è mai stato altro che un insegnante: poche, mo¬  deste e occasionali le cariche accademiche, nelle quali emergevano un’in¬  sofferenza e una scontrosità imprevedibili nel professore, altrettanto rare  quelle istituzionali o editoriali e solo al termine, o quasi, della sua carriera  scolastica, nessuna, ovviamente, carica politica, in un uomo che aveva,  come sapete, una grande e perdurante passione civile, per la sua scuola,  per la sua città, per il suo paese. Credo che nulla gli sarebbe apparso più  estraneo e spiacevole di esser considerato a capo di qualcosa, fosse un isti¬  tuto, una rivista o una cordata accademica. Di fatto non c’è mai stata una  scuola di Garin, ci sono stati, e ci sono, tanti che hanno studiato e si sono  laureati con lui, che hanno lavorato con lui, che hanno condiviso aspetti  e momenti del suo lavoro, che si sono incontrati con lui, ma niente di  più. Incauti giovinetti, invidiavamo gli allievi di Dal Pra, che il maestro  radunava a S. Margherita o sul lago di Garda, cui apriva la «Rivista critica  di storia della filosofia», la collana del centro milanese di storia del pensie¬  ro scientifico e filosofico. O quelli di Paci, che si ritrovavano su «aut aut»,  che si incontravano nelle edizioni del Saggiatore, ricordavamo e ricono¬  scevamo quelli di Banfi o quelli emergenti di Geymonat, che attendeva¬  no a imponenti opere collettive, e tanti altri che andavano sorgendo vi¬  cino e lontano. Garin non aveva nulla: non ha mai diretto opere colletti¬  ve, non ha mai organizzato convegni né li ha fatti organizzare, mai colla¬  ne editoriali. Quando ciò è avvenuto, in tarda età, con l’Istituto  Nazionale del Rinascimento o con il «Giornale critico della filosofia ita¬  liana», tutto si è potuto e si può dire, fuori che fossero espressioni di una  scuola o di un gruppo che in lui si riconoscesse o che in lui fosse ricono¬  scibile. Neanche quando alla Scuola Normale di Pisa gli si è offerta l’op¬  portunità di cogliere ancora una volta una straordinaria e entusiasta messe  di giovani studiosi, è venuto meno il carattere del suo insegnamento. Lì,  come in S. Marco e poi in Piazza Brunelleschi, non ha mancato di offrire  opportunità, un’occasione irripetibile, anzi, generosamente resa disponi¬  bile, ma sempre e solo per chi aveva modo e voglia di coglierla e di rea¬  lizzarne le potenzialità, ma lasciando a ciascuno la libertà di decidere, di  interpretare quell’incontro, di farne ciò che voleva. Il severo Garin non  rimproverava mai: non gli sarebbe mai venuto in mente di riprenderci,  come capitava al suo amico e collega Cantimori o al più giovane Ragio¬  nieri, se mancavamo a una seduta di seminario e venivamo sorpresi in bi¬  blioteca o, peggio, al bar. Ma neppure gli sarebbe venuto in mente di    10    Maurizio Tonini    portarci nello stesso bar a prendere un aperitivo o un caffè, come capitava  spesso con Cantimori e occasionalmente con Ragionieri.   Non voleva essere né un padre, né un maestro di vita. Non credo  neppure che volesse additarci un modello: era piuttosto una lezione di  maturità, di piena e consapevole democrazia intesa come rigoroso rispet¬  to dei ruoli, quella a cui ci chiamava, e che per molti era anche la prima.  Il suo dovere era quello di insegnare, del nostro dovevamo rispondere  noi. Scendeva dalla cattedra per aiutarci a leggere un testo, per offrirci  un’indicazione, per mostrarci un passo di un libro, sedeva tra noi a discu¬  tere di Cartesio o di Platone, e la lezione poteva proseguire nella Biblio¬  teca di Facoltà, o vicino ai tavoli della Nazionale o tra i libri di Seeber, ma  senza mai abdicare alla sua funzione: non sarebbe mai sceso a discutere  con noi il corso dell’anno seguente, la sua organizzazione, le sue modali¬  tà. A ciascuno il suo. Non discuteva le nostre scelte di vita, i propositi di  lavoro, le carriere. Li considerava su un altro piano, nel quale l’insegnante  non doveva né poteva intromettersi: li accettava. Al massimo inarcava le  ciglia, come nei lavori che gli sottoponevamo, e abbiamo continuato a  sottoporgli, quando un impercettibile segno di lapis segnalava i dubbi e  gli errori di sintassi. Cittadino di forti passioni civili, le lasciava tutte,  fuorché quella di insegnare, fuori dall’aula. Era facile sapere come la pen¬  sava, lo leggevamo su «Paese sera», su «l’Unità», su «Rinascita», lo segui¬  vamo nelle Case del popolo, al Circolo di cultura, ma non si è mai inne¬  scata, con lui, una forma qualsiasi di intesa, di complicità, oserei dire, che  prescindesse da quella unica e prevalente di insegnante e studente.   Garin ci ha lasciato centinaia, migliaia di pagine in cui ci ha insegnato  come ricostruire figure di pensatori grandi e piccoli, da Elia Astorini a  Cartesio, da Antonio Cittadini a Giovanni Pico della Mirandola. Ha ri¬  costruito squarci del nostro passato culturale e civile, da Croce a Gentile,  da Gramsci a Labriola, da Gino Capponi a Pasquale Villari, ci ha dato testi  e momenti del nostro passato filosofico che hanno costituito e costitui¬  scono un’eredità operante, viva e vitale per ognuno che voglia fare una  professione simile alla sua. Non ci ha potuto lasciare, ed è purtroppo destinato a perdersi, quello che gli pareva più importante: la sua lezione.   Mi accorgo, nel concludere, di aver ricordato una scuola, un’università che non c’è più. Non saprei dire se l’attuale, nella quale molti di noi si  trovano ora, sia migliore o peggiore di quella. Mi auguro, e lo auguro so¬  prattutto ai più giovani, di potervi incontrare ancora un insegnante come  Eugenio Garin. L'insidia  implicita  nel  concetto  stesso  di  genere  letterario  ha  non  di  rado  contribuito  a  falsare  la  prospettiva  necessaria  a  ben  collocare  la  produzione  in  prosa  latina  del  grande  secolo  deH'Umanesimo.  Eta  in  cui  vennero  predominando  preoccupazioni  critiche,  in  cui  tutta  I'attivita  spirituale  era  impegnata  a  costruire  una  respublica  terrena,  degna  pienamente  dell'uomo  nobile,1  il  Quattrocento  trovo  la  sua  espressione  piu  alta  in  opere  di  contenuto  in  largo  senso  moralistico  e  di  tono  retorico,  in  cui  non  solo  si  consegnava  un  modo  nuovo  di  concepire  la  vita,  ma  si  difendeva  e  si  giustifi-  cava  polemicamente  un  atteggiamento  originale  in  ogni  suo  tratto.  Per  questo  chi  voglia  andar  cercando  le  pagine  esemplari  del-epoca,  le  piu  profondamente  espressive,  dovra  rivolgersi,  non  gia  a  testi  per  tradizione  considerati  monumenti  letterari,  ma  alle  opere  in  cui  veramente  si  manifest6  tutto  1'impegno  umano  della  nuova  civilta.  Cosi,  mentre  chi  prenda  a  scorrere  novelle  umani-  stiche  non  potra  non  uscir  deluso  da  talune,  piu  che  imitazioni,  traduzioni,  o  meglio  raffazzonamenti,  di  modelli  boccacceschi,  quali  troviamo,  tanto  per  esemplificare,  in  un  Bartolomeo  Fazio,  pagine  di  insospettata  bellezza,  capaci  di  colpire  ogni  piu  raffi-  nata  sensibilita,  ci  si  fanno  incontro  nei  trattati  e  nei  dialoghi  di  Poggio  Bracciolini,  e  perfino  nelle  opere  di  un  filosofo  di  profes-  sione,  dalPandamento  talora  scolasticizzante,  qual  &  Marsilio  Fi-  cino.  E  proprio  il  Ficino  della  Theologia  platonica,  presentando  gli  uomini  travagliati  dalla  malinconia  della  vita  e  desiderosi  che  tutto  sia  un  sogno  (wforsitan  non  sunt  vera  quae  nunc  nobis  ap  parent,  forsitan  in  praesentia  somniamus»),2  defmisce  nei  suoi  par-  ticolari  espressivi  un  tema  di  larghissima  risonanza  in  tutta  la  letteratura  europea.  Sempre  il  Ficino,  nel  Liber  de  Sole,  pur  para-  frasando  talora  Torazione  famosa  dell'imperatore  Giuliano,  fissa  i  momenti  di  quella  «lalda  del  sole))  che,  attraverso  Leonardo  da  Vinc,  arriva  fino  alPinno  ispirato  di  Campanella.  Leonardo  ri-  manda  esplicitamente  all'apertura  del  terzo  libro  degli  Inni  na-  turali  del  Marullo;  ma  chi  veramente,  ancora  una  volta,  in  una  prosa  di  grandissimo  impegno,  ci  offre  tutti  i  temi  di  quella  so-   i.  «L'omo  nato  nobile  e  in  citt&  libera»-  come  diii  Alessandro  Piccolo-  mini.  2.  FICINO,  Opera,  Basileae,  per  Henricum  Petri,  1576,  vol.  i,  pp.  315-17  (Theol  plat.,  xiv,  7).   lenne  preghiera  di  ringraziamento  alia  fonte  di  ogni  vita  e  di  ogni  luce,  e  proprio  Ficino.  Del  quale  e  la  non  dimenticabile  raffigu-  razione  di  una  tenebra  totale,  ove  e  spento  ogni  astro,  che  fascia  lungamente  i  viventi,  finche  di  colpo  il  cielo  si  apre  per  mo-  strare  colui  che  e  sola  forma  visibile  del  Dio  verace.  E  ficiniana  e  1'opposizione  del  carcere  oscuro  e  della  luce  di  vita,  della  te  nebra  di  morte  e  dei  germi  rinnovellati  dalla  luce  e  dal  calore  solare,  in  cui  si  articolera  il  metro  barbaro  di  Campanella.   Ma  per  rimanere  agli  scritti  di  un  medesimo  autore,  Leon  Bat-  tista  Alberti,  non  grande  imitatore  del  Boccaccio,  raggiunge  in-  vece  la  sua  piena  efficacia  quando  costruisce  i  suoi  dialoghi,  e  sa  essere  perfettamente  originale  pur  intessendoli  di  reminiscenze  classiche.  Perfino  la  tanto  celebrata  Historia  de  Eurialo  et  Lucre-  tia  di  Enea  Silvio  perde  tutto  il  suo  colore  innanzi  alle  pagine  dei  Commentarii'*  e  sono  piu  facili  a  dimenticarsi  i  casi  di  Lucre-  zia  che  non  le  stanze  delle  antiche  regine  divenute  nidi  di  serpi,  o  le  porpore  dei  magistrati  romani  rievocate  fra  Tedera  che  copre  le  pietre  rose  dal  tempo,  o  i  topi  che  corrono  la  notte  nei  sotter-  ranei  di  un  convento  e  il  papa  che  caccia  sdegnato  i  monaci  ne-  gligenti.  Per  non  dire  di  quella  feroce  presentazione  dei  cardinali,  fissati  in  ritratti  nitidissimi  con  rapide  Imee  mentre  per  complot-  tare  trasferiscono  nelle  latrine  la  solennita  del  conclave.   Poggio  consegna  a  trattati  di  morale  narrazioni  scintillanti  di  arguzia,  spesso  molto  piu  facete  di  tutte  le  sue  Facezie.  I  mari  di  Grecia  percorsi  sognando  di  Ulisse,  il  fasto  delle  corti  d'Oriente,  le  belve  africane,  i  fiumi  immensi,  «et  per  Nilum  horrifici  illi  anguigeni  crocodiliw,  si  alternano  a  discussioni  erudite  sulle  iscri-  zioni  delle  Piramidi  nelle  lettere  agli  amici  e  nel  taccuino  di  viaggio  di  quel  bizzarro  e  geniale  archeologo  che  fu  Ciriaco  dej  Piz-  zicolli  d'Ancona.  E  forse  ii  grande  Poliziano  ha  scritto  le  sue  pa  gine  piu  belle  nella  prolusione  al  corso  sugli  Analitici  primi  d' Aristotele  e  nella  lettera  alPAntiquario  sulla  morte  del  Magnifico  Lorenzo.  Lettere  dialoghi  e  trattati,  orazioni  e  note  autobiografi-  che,  sono  i  monumenti  piu  alti  della  letteratura  del  Quattro  cento,  e  tanto  piu  efficaci  quanto  meno  1'autore  si  chiude  nelle   i.  «La  novella  era  un  genere  troppo  definite,  troppo  condizionato  nelle  sue  linee  essenziali  da  una  tradizione  ormai  piu  che  secolare,  perche  il  Piccolomini  potesse  eluderne  il  colorito  e  gli  schemi»  (G.  PAPARELLI,  Enea  Silvio  Piccolomini,  Bari,  Laterza,  1950,  p.  94).  forme  tradizionali,  quanto  piii  si  impegna  nel  problema  concrete  che  lo  preoccupa,1  o  si  accende  di  passione  politica  nel  discorso  e  nell'invettiva,  o  si  dimentica  nella  confessione  e  nella  *lettera.   Poliziano,  che  della  produzione  letteraria  del  suo  tempo  fu  il  critico  piu  accorto  e  consapevole,  e  che  ha  dichiarato  con  grande  precisione  i  suoi  princlpi  dottrinali  nella  prefazione  ai  Miscellanea,  nella  lettera  al  Cortese  e,  soprattutto,  nella  grande  prolusione  a  Stazio  e  Quintiliano,  ha  visto  molto  bene  come  alPumanesimo  fossero  intrinsiche  particolari  maniere  espressive.  Proprio  nelle  prime  lezioni  del  suo  corso  sulle  Selve  di  Stazio,  con  la  cura  mi-  nuta  che  gli  era  propria,  si  sofferma  a  dissertare  abbastanza  a  lungo  intorno  a  due  forme  letterarie  tipiche,  Fepistola  e  il  dia-  logo,2  accennando  insieme  al  genere  oratorio,  da  cui  gli  altri  due  si  distaccano  pur  non  senza  svelare  un'intima  parentela.  L'epi-  stola  —  egli  dice  —  e  il  colloquio  con  gli  assenti,  siano  essi  lon-  tani  da  noi  nello  spazio  oppure  nel  tempo:  e  vi  sono  due  specie  di  lettere,  scherzose  le  une,  gravi  e  dottrinali  le  altre  («altera  ociosa,  gravis  et  severa  altera))).3  Ma  1'epistola  deve  essere  sempre    i.  In  una  compilazione  erudita  come  i  Dies  geniales  di  Alessandro  d'Ales-  sandro  la  discussione  filologica  si  inserisce  con  eleganza  fra  il  « ritratto»  e  il  «ricordo»  senza  togliere  a  questi  alcuna  grazia,  cosi  che  la  discus  sione  di  un  testo  classico  si  colloca  nella  descrizione  di  un  compleanno  del  Pontano  o  di  una  cena  di  Ermolao  Barbaro,  o  fa  seguito  a  una  lezione  romana  del  Filelfo  (cfr.  BENEDETTO  CROCE,  Varietd  di  storia  letteraria  e  civile,  n,  Bari,  Laterza,  1949,  pp.  26-33).  2.  A  proposito  del  dialogo  e  dell'epistola  come  forme  caratteristiche  dell'Umanesimo  e  da  vedere  quan  to  dice  WALTER  RttEGG,  Cicero  und  der  Humanismus,  Formate  Untersuchun-  gen  iiber  Petrarca  und  Erasmus,  Zurich,  Rhein-Verlag,  1946,  pp.  25-65,  anche  se  a  proposito  della  sua  tendenza  a  ricondurre  tutto  a  Cicerone  e  da  tener  presente  la  nota  che  Croce  stese  appunto  sull'opera  del  Rxiegg  (Mommsen  e  Cicerone,  in  Varietd  cit.,  pp.  1-12).  3.  II  com-  mento  del  Poliziano  e  nel  ms.  Magliab.  vn,  973  (Bibl.  Naz.  Firenze).  II  testo  in  questione  e  a  c.  4V-5V  («est  ergo  proprie  epistola,  id  quod  ex  Ciceronis  .  .  .  verbis  colligimus,  scriptionis  genus  quo  certiores  fa-  cimus  absentes  si  quid  est  quod  aut  ipsorum  aut  nostra  interesse  arbitremur.  Eiusque  tamen  et  aliae  sunt  species  atque  multiplices,  sed  duae  praecipuae  .  .  .  altera  ociosa,  gravis  et  severa  altera.  Atqui  neque  omnis  materia  epistolis  accommodata  est...  Brevem  autem  concisamque  esse  oportet  simplicis  ipsius  rei  expositionem,  eamque  simplicibus  verbis.  Multas  epistolae  inesse  convenit  festivitates,  amoris  significationes,  multa  proverbia,  ut  quae  communia  sunt  atque  ipsi  multitudini  accommodata.  Qui  vero  sententias  venatur  quique  adhortationibus  utitur  nimiis,  iam  non  epistolam,  sed  artificium  oratorium  .  .  .  Epistola  velut  pars  altera  dia-  logi.  .  .  maiore  quadam  concinnatione  epistola  indiget  quam  dialogus  .  .  .  imitatur  enim  hie  extemporaliter  loquentem  .  ..  at  epistola  scribitur»).    XII  INTRODUZIONE   breve  e  concisa,  semplice,  con  semplici  espressioni,  ricca  di  brio,  di  affettuosita,  di  motti,  di  proverbi  (amulta  proverbia,  ut  quae  communia  sunt  atque  ipsi  multitudini  accommodata»).  Ne  la  lettera  deve  prendere  un  tono  troppo  sentenzioso  e  ammonitorio,  altri-  menti  non  si  ha  piu  una  lettera  ma  una  elaborata  orazione  («iam  non  epistolam,  sed  artificium  oratorium))).  L'epistola  e  come  la  battuta  singola,  e  die  rimane  quasi  sospesa,  di  un  dialogo  («velut  pars  altera  dialogi»),  anche  se  deve  essere  formalmente  piu  cu-  rata  del  dialogo,  che  per  essere  schietto  deve  imitare  ii  discorso  improwisato,  mentre  Tepistola  e  per  sua  natura  discorso  medi-  tato  e  scritto.  In  tal  modo  un  carteggio  viene  ad  essere  un  dia  logo  compiuto  e  vario;  e  non  va  dimenticato  come  proprio  il  cu-  rioso  epistolario  del  Poliziano  ci  offra  un  esempio  caratteristico  di  simili  colloqui.   Non  a  caso,  con  la  sua  grande  sensibilita  critica,  il  Poliziano  batteva  proprio  su  queste  forme:  ad  esse  infatti  si  pu6  ricondurre  quasi  tutta  la  piu  significativa  produzione  latina  in  prosa  del  Quat  trocento,  poiche  anche  il  diario,  il  taccuino  di  viaggio,  si  confi-  gura  di  continue  come  lettera  ad  un  amico.  Cosi,  per  ricordare  ancora  V Itinerarium  di  Ciriaco  d'Ancona,  noi  vi  troviamo  ripor-  tati  di  peso  i  temi  e  le  espressioni  medesime  delle  epistole.1   6  stato  detto,  ma  non  del  tutto  giustamente,  che  «PUmanesimo  fu  una  rivoluzione  formale»;3  in  verita  la  profonda  novita  for-  male  aderiva  esattamente  a  una  rivoluzione  sostanziale  che  fa-  cendo  centro  nella  ((conversazione  civile)),  nella  «vita  civile)),  po-    i.  Itinerarium:  «ego  quidem  interea  magno  visendi  orbis  studio,  ut  ea  quae  iamdiu  mihi  maximae  curae  fuere  antiquarum  rerum  monumenta  undique  terris  diffusa  vestigare  perficiam  .  .  .»;  «Hinc  ego  rei  nostrae  gratia  et  magno  utique  et  innato  visendi  orbis  desiderio  ...»  Epist.  Bo-  ruele  Grimaldo  (ins.  Targioni  49,  Bibl.  Naz.  Firenze):  «cum  et  a  teneris  annis  summus  ille  visendi  orbis  amor  innatus  esset  ...»  Del  resto  tutta  1' opera  di  Ciriaco  e  una  serie  di  variazioni  di  questo  appassionato  motivo:  summus  ille  visendi  orbis  amor,  antiquarum  rerum  monumenta  vestigare,  quae  in  dies  longi  temporis  labe  .  .  .  collabuntur  .  .  .  litteris  mandare.  La  sete  di  conoscere  il  mondo,  il  bisogno  di  vincere  spazio  e  tempo,  di  riconqui-  stare  ogni  piu  lontano  frammento  d'umanita  e  di  sottrarlo  alia  morte,  e  insieme  questo  senso  concrete  del  passato  trovano  in  lui  una  espres-  sione  singolare.  Nella  medesima  epistola  a  Leonardo  Bruni  abbiarno  in  sieme  notizia  di  un'iscrizione  inviata  da  Atene  (ex  me  nuper  Athenis..,)  e  della  difesa  di  Cesare  contro  il  Bracciolini  spedita  dall'Epiro  (ex  Epyro  hisce  nuper  diebus  .  .  .).  2.  Cosl,  appunto,  il  Riiegg,  op.  cit.y  p.  26  («der  Humanismus  ist  eine  formale,  nicht  eine  dogmatische  Revolution»).    INTRODUZIONE  XIII   neva  il  colloquio  come  forma  espressiva  esemplare.1  E  se  la  let-  tera  deve  essere  considerata  velut  pars  altera  dialogi,  Fattenzione  si  polarizza  sul  dialogo:  ed  in  forma  di  dialogo  e  in  genere  il  trat-  tato,  di  argomento  morale  o  politico  o  filosofico  in  senso  lato,  che  rispecchia  la  vita  di  una  umana  respublica  e  traduce  perfetta-  mente  questa  collaborazione  voita  a  formare  uomini  ccnobili  e  li-  beri»,  che  costituisce  1'essenza  stessa  della  humanitas  rinascimen-  tale.  La  quale  celebrandosi  nella  societa  umana  tende  a  persua-  dere,  a  far  culminare  ogni  incontro  in  una  trasformazione  degli  altri  attraverso  una  riforma  interiore  raggiunta  per  mezzo  della  politia  litteraria.2-  Limiti  e  prolungamenti  del  colloquio  ci  appa-  iono  da  un  lato  la  notazione  autobiogranca,  dalTaltro  il  pubblico  discorso,  1'orazione,  che  attraverso  la  polemica  arriva  all'invettiva.  I  cancellieri  fiorentini,  Salutati  e  Bruni,  ci  ofFrono  esempi  insigni  di  questo  intrinsecarsi  di  letteratura  e  politica,  di  questa  prosa  che  deU'efficacia  e  potenza  espressiva  si  fa  un'arma  piu  valida  delle  schiere  combattenti.  La  lode  famosa  di  Pio  II  alia  saggezza  di  Firenze,  e  ai  suoi  dotti  cancellieri  le  cui  epistole  spaventavano  Gian  Galeazzo  Visconti  piu  di  corazzate  truppe  di  cavalleria,  non  e  che  la  proclamazione  del  valore  di  una  propaganda  fatta  su  un  piano  superiore  di  cultura  in  una  societa  educata  ad  acco-  gliere  e  a  rispettare  la  superiorita  della  cultura.  L'incontro  di  po  litica  e  cultura  a  Firenze  e  a  Venezia  ritrova  la  valutazione  della  «retorica»  di  un  Poliziano  e  di  un  Barbaro,  e  giova  a  defimre  un'epoca  che  cercava  i  suoi  titoli  di  nobilta  al  di  fuori  dei  diritti  del  sangue.  La  « virtu»,  che  non  e  certamente  un  bene  ereditato,  e  sempre  intelligenza,  humanitas.,  e  cioe  consapevolezza  e  cultura.  Anche  quando,  nelle  discussioni  non  infrequenti  sulP  argomento,  si  riconosce  il  valore  della  «milizia»,  s'intende  una  sottile  dottrina,  ove  il  valore  personale  del  capo  e  intessuto  di  sapienza.  Federigo  da  Montefeltro  —  e  poco  ci  importa  se  il  ritratto  sia  fedele  —  e  profondamente  addottrinato,  e  sa  che  i  poeti  descrivendo  le  bat-  taglie  possono  divenire  anch'essi  maestri  delParte  della  guerra.  Alfonso  il  Magnanimo  reca  seco  al  campo  una  piccola  biblioteca,  e  pensa  sempre  a  poeti  e  a  filosofi,  e  sa  che  la  parola  bene  ado-  prata,  ossia  veramente  espressiva,  e  piu  potente  di  ogni  esercito.   i.  C'&  appena  bisogno  di  ricordare  che  si  tratta  dei  titoli  delle  opere  di  Matteo  Palmieri  e  del  Guazzo.  2.  E  ancora  il  titolo  di  un'opera  signifi-  cativa,  quella  di  A.  Decembrio  in  cui  si  rispecchia  la  scuola  del  Guarino.  II  suo  motto,  racconta  Vespasiano  da  Bisticci,  era  che  «un  re  non  letterato,  e  un  asino  coronato  ».  II  che  non  significa,  si  badi,  che  ser  Coluccio  fosse  un  vuoto  retore,  o  Alfonso  un  re  da  ser-  mone,  ma  che  la  cultura  era,  essa,  viva  ed  efficace  e  umana,  e  perfetta  espressione  di  una  societa  capace  d'accoglierla.   L'uomo  che  nel  linguaggio  celeb ra  veramente  se  stesso  («l'uomo  si  manifesta  uomo  essenzialmente  nella  parola »),*  come  si  costi-  tuisce  in  pienezza  definendosi  attraverso  la  cultura  (le  litterae  che  formano  la  humanitas),  cosi  raggiunge  ogni  sua  efficacia  mondana  mediante  la  parola  persuasiva,  mediante  la  «retorica»  intesa  nel  suo  significato  profondo  di  medicina  dell'anima,  signora  delle  pas-  sioni,  educatrice  vera  dell'uomo,  costruttrice  e  distruttrice  delle  citta.  Tutto  e,  veramente,  nel  Quattrocento  «retorica)),  sol  che  si  ricordi  che,  d'altra  parte,  «retorica»  e  umanita,  ossia  spiritua-  lita,  consapevolezza,  ragione,  discorso  di  uomini;  perche',  vera  mente,  il  secolo  delPUmanesimo  e  il  Quattrocento,  in  cui  tutto  fu  inteso  sub  specie  humanitatis,  e  humanitas  fu  umano  colloquio,  ossia  tutto  il  regno  delle  Muse  figlie  di  Mnemosine  —  che  e  il  piu  vero  e  il  piii  bello  dei  miti.   Con  semplicita  francescana  frate  Bernardino  da  Siena,  che  ve-  deva  in  ser  Coluccio  un  maestro  e  in  Leonardo  Bruni  un  amico,  scriveva  cristianamente  le  medesime  cose:  «non  aresti  tu  gran  piacere  se  tu  vedessi  o  udissi  predicare  Gesu  Cristo,  san  Paulo,  santo  Gregorio,  santo  Geronimo  o  santo  Ambruogio?  Orsu  va,  leggi  i  loro  libri,  qual  piu  ti  piace  .  .  .  e  parlerai  con  loro,  ed  eglino  parleranno  teco;  udiranno  te  e  tu  udirai  loro».  E,  come  dice  altrove,  le  lettere  ti  faranno  «signore».  II  grande  Valla  par-  lera  di  un  sacramentum\  il  modesto  Bartolomeo  della  Fonte  dira  di  un  divinwn  mimen:  quel  «nume»  che  da  agli  uomini  anozze  e  tribunali  ed  are».2  Per  questo  le  litterae  sono  una  cosa  terri-  bilmente  seria,  e  la  responsabilita  di  un  termine  bene  usato  &  gravissima,  e  non  v'e  posto  per  Fozio.  Per  questo  la  poesia  in  senso  vichiano  e  da  cercarsi  la  dove  si  traducono  e  si  consegnano  i  discorsi  essenziali  per  la  vita  delFuomo.    i.  Cosi  FRANCESCO  FLORA,  Umanesimo,  « Letterature  moderne»,  i,  1950,  pp.  20-21.  2.  Ecco  —  secondo  il  Fonzio  —  quello  che  ottiene  la  parola:  «fidem  inter  se  homines  colere,  matrimonia  inire,  seque  in  una  moenia  cogere  viribus  eloquentiae  compulit».    INTRODUZIONE  XV    II   Per  tal  modo  quella  «poesia»  che  talora  &  lontana  dai  versi  e  dalle  novelle,  e  presente  ed  altissima  nella  pagina  di  un  filosofo  o  nell'appassionata  invettiva  di  un  politico.  La  dolcezza  del  dire  (dulcedo  et  sonoritas  verborum),  la  luce  della  forma  (lux  orationis),  che  si  invoca  per  ogni  espressione  di  vera  umanita,  vuol  far  «poe-  sia»  di  ogni  umano  discorso;  e  nel  momento  in  cui  riesce  a  tanto  toglie  ogni  privilegiato  dominio  alle  dettere  oziose».  Perfino  un  oscuro  erudito  come  Giovanni  Cassi  d'Arezzo  sa  dirci  che  in  tal  modo  nell'eloquenza  si  unificano  tutte  le  umane  attivita,  e  tutto  in  essa  si  umanizza  dawero,  e  non  perche\  come  taluno  ha  fan-  tasticato,  si  celebri  solo  il  letterato  ozioso,  ma  al  contrario  perche  1'uomo  e  presente  in  ogni  momento  dell'agire:  perche,  faccia  egli  il  matematico,  il  medico,  il  soldato  o  il  sacerdote,  sempre  e  in-  nanzitutto  e  uomo,  e  il  suo  sigillo  umano  imprime  ad  ogni  sua  opera  umanamente  esprimendola,  ossia  rivestendola  della  lux  ora-  tionis.*   Di  qui  Fimportanza  centrale  che  vengono  ad  assumere  le  trat-  tazioni  sulla  lingua,  sulla  sua  storia,  sulla  eleganza?  ove  la  discus-  sione  grammaticale  si  trasforma  di  continuo  in  discorso  finissimo  di  estetica:  e  quel  trapassare  dal  vocabolario,  e  magari  dal  reper-  torio  ortografico  —  basti  pensare  al  Perotto  o  al  Tortelli  —  nel-  Panalisi  critica  e  nella  dissertazione  storica.  Mentre,  contempo-  raneamente,  la  storia,  che  intende  farsi  vivo  specchio  della  a  vita  civile)),  e  per  eccellenza  eloquente  discorso,  ossia  prosa  politica  e  trattato  pedagogico-morale.  Bellissima  cosa  &  infatti  —  come  af-  ferma  Leonardo  Bruni  —  raccontare  1'origine  prima  e  il  progresso  della  propria  citta,  e  conoscere  le  imprese  dei  popoli  liberi  (est  enim  decorum  cum  propriae  gentis  originem  et  progressus,  turn  libe-    i .  « Quasi  unum  in  corpus  convenerunt  scientiae  omnes,  et  rursus  tem-  poribus  nostris  .  .  .  eloquentiae  studiis  studia  sapientiae  coniuncta  sunt»  (da  una  lettera  del  Cassi  al  Tortelli,  contenuta  nel  Vat.  lat.  3908  e  pubbli-  cata  nel  1904  da  G.  F.  GAMURRINI,  Arezzo  e  rUmanesimo,  Arezzo,  Tip.  Cristelli,  1904,  p.  87,  miscellanea  in  onore  del  Petrarca  dell'Accademia  Petrarca).  2.  A  proposito  delle  eleganze  del  Valla  scrivera  il  Cortesi,  De  hominibus  doctis,  ed.  G.  C.  Galletti,  Florentiae,  Giovanni  Mazzoni,  1847,  p.  229:  «  conabatur  Valla  vim  verborum  exprimere  et  quasi  vias  ...  ad  structuram  orationis».    XVI  INTRODUZIONE   rorum  populorum...  res  gestas  cognoscere).1  E  Paolo  Cortesi,  in  quel  felice  dialogo  De  hominibus  doctis  (1490),  che  e  una  vera  e  propria  storia  critica  della  letteratura  del  secolo  XV,  appunto  di-  scorrendo  delle  storie  del  Bruni,  batte  su  questo  incontro  della  verita  con  1'eleganza,  che  e  tutt'uno  con  queH'armonia  di  sapienza  ed  eloquenza  che  Benedetto  Accolti  celebr6  quale  dote  precipua  dei  Fiorentini  e  del  Veneziani  del  suo  tempo  nel  dialogo  De  prae-  stantia  virorum  sui  aevi.   Per  la  stessa  ragione  per  cui  tutto  sembrava  divenir  dialogo,  tutto  anche  e  libro  di  storia;  e  storia  e,  ancora,  colloquio  con  le  eta  antiche,  con  i  grandi  spiriti  del  passato.  II  Bruni  nell'intro-  duzione  ai  Commentarii  confessa  che  la  grande  letteratura  clas-  sica  fa  si  che  i  tempi  lontani  ci  siano  piu  vicini  e  piu  noti  dei  tempi  nostri  (mihi  quidem  Ciceronis  Demosthenisque  tempera  multo  magis  nota  videntur  quam  ilia  quae  fuerunt  iam  annis  sexaginta),  e  dichiara  che  e  compito  della  storia  immettere  nella  nostra  vita  e  nel  nostro  colloquio  il  passato,  farlo  vivo  con  noi  (quasi  picturam  quondam  .  .  .  viventem  adhuc  spirantemque).  Matteo  Palmier  i  in-  nanzi  alia  vita  di  Niccol6  Acciaiuoli  ci  insegna  che  la  storia  e  una  specie  di  immortalita  terrena  di  quanto  in  noi  e,  appunto,  vita  mondana;  la  storia  &  culto  e  salvezza  di  quella  parte  mortale  che  le  lettere  redimono  da  morte  dilatando  la  societk  umana  oltre  i  limiti  del  tempo  e  salvandola  dalPoblio  e  dal  destino.2    Ill   Si  aprono  qui,  tuttavia,  a  proposito  della  prosa  latina,  due  que-  stioni  fra  loro  strettamente  connesse  e  che  sembrano  in  qualche  modo,  gia  nella  loro  impostazione,  venir  contrastando  con  quei   i.  Cosi  nel  De  studiis  et  litteris  (in  HANS  BARON,  Leonardo  Bruni  Aretino  hu-  manistisch-philosophische  Schriften,  Leipzig,  1938,  p.  13).  Una  giusta  valuta-  zione  delPopera  storica  del  Bruni  presenta  B.  L.  Ullman,  Leonardo  Bruni  and  humanistic  historiography,  « Medievalia  et  Humanistica »,  1946,  4,  pp.  44-61  (e,  per  quanto  si  e  sopra  osservato  su  retorica,  politica  e  storia,  son  da  vedere  i  tre  saggi  di  HANS  BARON,  Das  Erwachen  des  historischen  Denkens  im  Humanismus  des  Quattrocento,  «Hist.  Zeitschrift»,  vol.  147,  1933;  di  NICOLAI  RUBINSTEIN,  The  Beginnings  of  Political  Thought  in  Florence:  A  Study  in  Mediaeval  Historiography,  « Journal  Warburg  Inst. »,  v,  1942;  di  DELIO  CANTIMORI,  Rhetoric  and  Politics  in  Italian  Humanism,  «Journ.  Warburg  Inst.»,  i,  1937).  2.  « Corpoream  vero  partem  non  om-  nino  negligendam  ducunt,  sed  tamquam  suam  in  terra  recolendam,  ideo-  que  desiderant  illam  oblivioni  et  fato  praeripere  ...»    INTRODUZIONE  XVII   caratteri  stessi  che  si  sono  voluti  definire:  come,  infatti,  parlare  della  «umanita»  di  una  produzione  che  si  serviva  di  una  lingua  che  nessuno  ormai  usava  e  che,  dunque,  gia  nel  mezzo  espres-  sivo  poneva  come  suo  canone  Timitazione;  in  che  modo  una  let-  teratura  mimetica,  ricalcata  su  modelli  (cciceroniani»,  poteva  ol-  trepassare  i  limiti  della  erudizione  ?  Ma  i  due  gravi  problemi,  del  latino  umanistico  e  della  imitazione  classic,  gia  tanto  dibattuti,  hanno  oramai  offerto  anche  1'avvio  a  una  soluzione.   Quanto  infatti  si  obbietta  intorno  alPuso  del  latino,  in  luogo  del  volgare,  e  ad  una  presunta  frattura  che  si  opererebbe  rispetto  alia  tradizione  trecentesca,  deve  essere  corretto  con  Posservazione  che  i  generi  di  prosa  a  cui  ci  riferiamo  —  orazioni,  trattati,  epi-  stole  politiche,  dialoghi  dottrinali  —  avevano  sempre  fatto  uso  del  latino.  Non  e  quindi  esatto  dire  che  da  un  presunto  uso  del  vol  gare  si  torna  al  latino;  e  vero  invece  che  al  latino  medievale  defi  nite  barbarico,  e  cioe  goto  o  parigino,  si  oppone  un  altro  latino  che  si  determina  e  si  definisce  rispetto  ai  modelli  classici.  II  quale  latino,  che  si  dichiara  —  come  dice  esplicitamente  il  Platina1  —  integrate  da  tutta  la  piu  feconda  tradizione  postciceroniana,  ivi  compresi  i  Padri  della  Chiesa,  intende  rivendicare  i  diritti  di  una  lingua  nazionale  romana  contro  Puniversalita  di  un  gergo  scola-  stico  (lo  stile  parigino),  ed  innanzi  tutto  nel  campo  di  una  pro-  duzione  costantemente  espressa  in  latino.  Giustamente  il  De  San-  ctis  sottolineava  la  frase  del  Valla  che  proclama  lingua  nostra  il  latino  vero,  che  si  contrappone  al  latino  gotico  delFuso  medie  vale.  La  quale  « nostra  lingua  romana»  degli  umanisti,  che  si  pre-  cisa  con  caratteri  propri  cosi  rispetto  al  latino  classico  come  a  quello  barbaro,  va  vista  per  quello  che  essa  veramente  e,  anche  rispetto  al  volgare:  «un  nuovo  latino,  in  cui  la  complessita  antica  cede  il  posto  alia  scioltezza  moderna)).  II  latino  degli  umanisti,  lingua  veramente  viva  che  aderisce  in  pieno  a  una  cultura  afTer-  matasi  attraverso  una  consapevolezza  critica  che  si  collocava  chia-  ramente  nel  tempo  defmendo  i  propri  rapporti  cosl  col  mondo  antico  come  con  il  Medioevo;  il  latino  deigrandi  umanisti,  lungi  dal  rappresentare  una  battuta  d'arresto  o  un  momento  di  invo-   i.  Cosi  nella  prefazione  alle  Vite,  che  riportiamo  per  intero.  Rilievi  utili  in  proposito  ha  il  Sabbadini  sia  nella  Storia  del  ciceronianismo  (Torino,  Loescher,  1886),  come  nel  Metodo  degli  umanisti  (Firenze,  Le  Monnier,  1920).    XVIII  INTRODUZIONE   luzione,  si  colloca  nella  storia  stessa  del  volgare.  «I1  latino  inse-  gnava  al  volgare  1'eleganza  la  misura  la  forza  e  1'eloquenza,  e  il  volgare  imprimeva  negli  scritti  latini  degli  umanisti  le  leggi  del  suo  andamento  piano,  della  sua  sintassi  sciolta,  dei  suoi  trapassi  intuitivi,  della  sua  eloquenza  interiore.  »*  Fra  il  latino,  in  cui  si  rispecchia  pienamente  tutto  un  atteggiamento  culturale,  e  il  vol  gare  v'e  una  collaborazione  che  del  resto  si  traduce  quasi  mate-  rialmente  nel  fatto  che  gli  autori  spesso  scrivono  1'opera  loro  in  latino  e  in  italiano.  Non  sempre  si  e  posto  mente  al  fatto  che  dal  Manetti  al  Ficino  gli  stessi  trattatisti,  siano  pur  filosofi,  stendono  anche  in  volgare  le  loro  meditazioni.2  E  come  il  loro  latino  e  davvero  una  lingua  low.,  cosi  il  volgare  che  adoperano  non  e  per  nulla  oppresso  da  una  imitazione  artificiosa  di  modelli  classici.   Giungiamo  cosi  a  quello  che  forse  e  il  punto  piu  delicato  ad  intendersi  dell' atteggiamento  di  questi  quattrocentisti:  Vimita-  zione  degli  antichi.  Che  la  posizione  assunta  dagli  umanisti  ri-  spetto  agli  autori  classici  sia  alimentata  da  una  preoccupazione  storica  e  critica;  che  essi  siano  dei  filologi  desiderosi  innanzi tutto  di  comprendere  gli  autori  del  passato  nelle  loro  reali  dimension!  e  nella  loro  situazione  concreta:  e  cosa  ormai  in  complesso  pa-  cifica.  Ora  gia  questo  defmisce  il  senso  di  quella  imitazione^  che  indica  un  atteggiamento  molto  caratteristico.  L'Accolti  dichiarera  nettamente  la  parita  di  valore  fra  i  nuovi  autori  e  i  classici.  Poli-  ziano  nella  polemica  col  Cortesi,  che  e  un  testo  capitale,  confu-  tera  tutte  le  istanze  del  ciceronianismo,  e  proclamera  il  valore  di  un'intera  tradizione  aff errata  nel  suo  sviluppo,  riven dicando  il  senso  di  tutto  il  periodo  piu  tardo  della  letteratura  romana  («  neque  autem  statim  detenus  dixerimus  quod  diversion  sit»).  Ma  dira  so-  prattutto  1'enorme  distanza  fra  una  poesia  che  fiorisce  come  li-  bera  creazione  su  una  cultura  meditata  e  fatta  proprio  sangue,  e  I'imitazione  pedestre  —  ilia  poetas  facit,  haec  simias.3   1.  RAFFAELE  SPONGANO,  Un  capitolo  di  storia  della  nostra  prosa  d'arte  (La  prosa  letteraria  del  Quattrocento),  Firenze,  Sansoni,  1941,  p.  3,  p.  10  ecc.   2.  E  cosi  sono  spesso  notevoli  le  version!  di  scrittori  celebri  come  lati-  nisti:  TAurispa  che  traduce  Buonaccorso  da  Montemagno,  Donate  Ac-  ciaiuoli  che  volgarizza  il  Bruni,  e  cosi  via.     3.  6  interessante  ritrovare,  distesi  e  volgarizzati,  i  concetti  di  un  Valla  e  di  un  Poliziano  negli  scrit  tori  francesi  del  '500.  Per  esempio  Joachim  du  Bellay,  scrivendo  a  meta  del  sec.  XVI,  dopo  aver  tratto  dal  Valla  il  concetto  che  Roma  fu  grande  per  la  lingua  ^imposta  all'Europa  non  meno  che  per  1'impero  (« la  gloire  du  peuple  Romain  n'est  moindre  -  comme  a  dit  quelqu'un  -  en  Tamplifacation    INTRODUZIONE  XIX   L'Umanesimo  fu  in  questa  singolare  « imitazione-creazione »,  come  1'ha  chiamata  il  Russo:1  umanita  fatta  consapevole  attra-  verso  il  rapporto  stabilito  con  gli  altri  uomini  nell'operoso  sforzo  di  raggiungere  una  sempre  pifc  alta  forma  di  vita.  Di  qui,  appunto,  il  particolare  carattere  delle  sue  piii  felici  espressioni  letterarie.   EUGENIO  GARIN    de  son  langaige  que  de  ses  limites»)>  eccolo  riprendere  Poliziano:  «im-  mitant  les  meilleurs  aucteurs . . .,  se  transformant  en  eux,  les  devorant,  et  apres  les  avoir  bien  digerez,  les  convertissant  en  sang  et  nouriture  ».  Solo  cosl  1'imitazione  e  giovevole  allo  scrittore ; « autrement  son  immitation  res-  sembleroit  celle  du  singe ».  Cfr.  BERNARD  WEINBERG,  Critical  prefaces  of  the  French  Renaissance,  Northwestern  University  Press,  Evanston,  Illinois,  1950,  pp.  17  sgg.  i.  LUIGI  Russo,  Problemi  di  metodo  critico,  Bari,  Laterza,  I95Q2,  PP.  126  sgg.  .  GARIN, Eugenio Antonio  Nacque a Rieti il 9 maggio 1909, figlio di Francesco e di Teresa Barbagli.  LA FORMAZIONE  Il nonno, intendente di Finanza, si era trasferito dalla Savoia in Toscana con l’Unità d’Italia; la madre era originaria di San Giustino nel Valdarno; il padre – allievo di Girolamo Vitelli, in rapporti amichevoli con Giorgio Pasquali, che scrisse il suo necrologio su Atene e Roma – era un giovane e valente filologo, con particolare interesse per la storia del romanzo greco, per Teocrito e per i commenti a Teocrito. La guerra e la fine prematura e quasi improvvisa – morì il 26 luglio 1920, a poco meno di quarant’anni – ne stroncarono la carriera e costrinsero il figlio ad assumersi, precocemente, pesanti responsabilità.  Garin ebbe, anche per questo, un'infanzia e un'adolescenza assai difficili e tormentate, che ebbero un peso nel rafforzare i toni disincantati e pessimisti del carattere, controllati, in genere, dall'ironia e anche dal sarcasmo, pronti però a esplodere nei momenti di  particolare amarezza o di maggior contrasto con i tempi in cui gli toccò di vivere e di lavorare.   Fin da quegli anni – duri e mai dimenticati – comprese però quale era la sua vocazione e individuò nei libri, e in uno studio assiduo e «disperatissimo», la bussola con cui avrebbe costruito, con tenacia, la propria vita: bruciando le tappe, si iscrisse a soli 16 anni, nel 1925, alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Firenze e si laureò col massimo dei voti in filosofia il 25 giugno 1929 con una tesi su Joseph Butler, preparata sotto la guida di Ludovico Limentani. A Firenze aveva compiuto anche gli studi elementari e medi, frequentando il Liceo Galilei, nel quale aveva insegnato il padre e dove incontrò Maria Soro, nata a Sassari il 20 agosto 1908, che sarebbe poi diventata sua moglie, con rito civile, il 17 luglio 1930.   Garin era nato a Rieti in seguito al trasferimento in quella città del padre, che come professore di liceo aveva girato, si può dire, tutta l’Italia; ma si considerò sempre fiorentino e conservò per tutta la vita un ricordo assai vivo degli anni liceali e, soprattutto, di quelli trascorsi nella facoltà di lettere di Firenze. In quel periodo fece incontri decisivi dal punto di vista sia personale sia scientifico, e non solo in ambito filosofico; stabilì rapporti con personalità come Pasquali, e conobbe compagni di studi ai quali restò legato tutta la vita, italiani e non italiani: Jacob Teicher, Nicolai Rubinstein, Cesare Luporini, il quale, nel 1979, rievocando gli anni della sua formazione (Qualcosa di me stesso, in Cesare Luporini 1909-1993, a cura di M. Moneti, numero speciale de Il ponte, LXV [2009], 11), ricordò come il giovane Garin eccellesse già allora su tutti, e fosse più avanti degli altri coetanei per maturità e sapere.   In quegli stessi anni, Garin conobbe due maestri che incisero segni profondi nella sua mente e nella sua personalità intellettuale e scientifica: Francesco De Sarlo e, soprattutto, Limentani, che lo avviò agli studi sull'Illuminismo inglese pubblicati nei primi anni Trenta, confluiti poi nel volume L'Illuminismo inglese. I moralisti (Milano 1942).       L'INSEGNAMENTO NEI LICEI E I PRIMI SCRITTI  Dopo aver insegnato nel Regio Convitto delle Mantellate negli anni 1929-30 e 1930-31, Garin, ottenuta nel 1930 l’abilitazione in storia e filosofia riuscendo tredicesimo nella graduatoria generale, fece nel 1931 il concorso per l'insegnamento di filosofia e storia nei licei per «sedi determinate», e lo vinse, dopo essere stato esaminato da una commissione presieduta da Augusto Guzzo. Prese servizio il 16 settembre dello stesso anno come professore straordinario di filosofia e storia presso il Liceo scientifico Stanislao Cannizzaro di Palermo, dove rimase fino al 15 settembre 1934, quando – dopo molti tentativi giustificati da motivi sia familiari sia scientifici – fu trasferito a Firenze per insegnare, come professore ordinario, filosofia e storia al Liceo scientifico Leonardo da Vinci.  Gli anni palermitani furono assai importanti e fecondi per Garin: per gli incontri umani e intellettuali che fece e per le ricerche che condusse, preparando l'importante volume Giovanni Pico della Mirandola. Vita e dottrina, pubblicato a Firenze nel 1937, ma già pronto fin dal 1935. Fu a Palermo che scrisse in gran parte il suo primo libro di argomento umanistico, servendosi delle «eccellenti biblioteche pubbliche» della città, e frequentando la Biblioteca filosofica a Palazzo Reale, col «suo singolare fondatore e direttore, il dottor Amato Pojero, l'amico di Giovanni Gentile e primo editore dell'Atto puro, il bizzarro 'filosofo' noto dappertutto, sempre teso a cogliere una battuta e a fissarla per scritto» (Una collaborazione lunga una vita, in Belfagor, LIV [1999], 6, p. 732).  A spostare Garin dagli studi iniziali sull'Illuminismo inglese verso le ricerche umanistiche e rinascimentali contribuì una pluralità di fattori: certo agirono la presenza, e il magistero, di Limentani, che in quegli stessi anni stava studiando il Bruno 'inglese' sulla scia della importante monografia su La morale di Giordano Bruno, pubblicata nel 1924.  Ma alla base di quello spostamento ci furono due altri motivi, forse più rilevanti: la centralità assunta a quella data dall'Umanesimo e dal Rinascimento nella ricerca filosofica europea intorno a problemi decisivi come la libertà, e la dignità, dell'uomo; il rapporto tra uomo, mondo, Dio; il carattere e il significato dell'esperienza umana. È stato, peraltro, Garin, in un testo degli anni Settanta (lettera a Saveria Chemotti del 16 febbraio 1978, la cui minuta è conservata presso il Fondo Garin della Scuola Normale Superiore di Pisa), a segnalare la complessità delle questioni che, negli anni Trenta, si concentravano nella discussione sul Rinascimento: domande di ordine sia filosofico sia religioso, ma tutte convergenti in una generale interrogazione sul significato dell'uomo e del suo destino, in un momento tragico della storia del mondo.  È in questo contesto che si inseriscono sia il libro su Pico sia il saggio su La "dignitas hominis" e la letteratura patristica (in La Rinascita I [1938], 4, pp. 100-146)  in cui questo intreccio di motivi si presenta in modo esemplare, con un netto primato della problematica di tipo religioso – anzi esplicitamente cristiano – e, simmetricamente, con un consapevole distacco dalle impostazioni di tipo idealistico, comprese quelle risalenti a Gentile.   Come testimoniano anche i molteplici richiami alla interpretazione di Konrad Burdach – messa in circolazione in Italia, nel 1935, anche da Delio Cantimori –, a quella data Garin era su un'onda assai diversa rispetto a Gentile che, pure, fin dal primo momento apprezzò molto i suoi lavori su Giovanni Pico, invitandolo a collaborare al Giornale critico della filosofia italiana, sul quale aveva cominciato a pubblicare fin dal 1932 con un saggio su L’etica di Giuseppe Butler (XXXIII, pp. 281-303).  Non si trattava solo di una distanza di ordine storiografico, evidente, per esempio, nella importanza che già in questi anni Garin cominciava ad assegnare alla tradizione ermetica, avviando una ricerca che avrebbe continuato, sia pure con toni e forme assai diverse, fino ai suoi ultimi anni (il saggio su Una fonte ermetica poco nota. Contributi alla storia del pensiero umanistico, destinato a essere ripreso e profondamente modificato nel 1958, uscì originariamente in La Rinascita, III [1940], pp. 202-232). Al fondo, rispetto a Gentile, c'era una forte distanza di carattere strettamente filosofico, come risulta dai principali riferimenti filosofici di Garin in questi anni: René Le Senne, Gabriel Marcel, Etienne Gilson, Louis Lavelle, forse il più importante di tutti, quello al quale si sentì a lungo più vicino.   Sono tutti autori di area francese e di matrice cristiana, convergenti, sia pure con toni differenti, nella prospettiva di un esistenzialismo religioso che appare ben presente negli scritti storici di Garin sul Rinascimento di questo periodo, pur mediati, e filtrati, da una armatura di carattere filologico ed erudito molto forte già in quegli anni (ne è una conferma il ricco e aggiornatissimo corredo bibliografico del libro su Giovanni Pico). Mancano, invece – con l'importante eccezione di Ernst Cassirer, presente già nel libro del 1937 – riferimenti altrettanto significativi ad autori di area tedesca, a cominciare da Martin Heidegger che, in quegli anni, era invece interlocutore privilegiato di altri importanti esponenti della generazione di Garin, come Luporini, suo amico fin dagli anni della Università, ma assai diverso sia per interessi filosofici che per le strade che avrebbe poi preso sul terreno politico.  È una mancanza che non stupisce, se si considera che la cultura di matrice francese fu una componente centrale della formazione di Garin, e che essa – insieme al pensiero inglese, ma con maggiore forza – ebbe un ruolo centrale nella sua attività scientifica e anche editoriale, come testimonia l'imponente opera di presentazione e traduzione di testi capitali del pensiero francese svolta insieme alla moglie – da Rousseau a Malebranche, a d'Holbach e gli Enciclopedisti.  Il primato della cultura di matrice francese era, del resto, un tratto diffuso della generazione di Garin e, in modo particolare, dell'ambiente culturale fiorentino: quello che si esprimeva in istituzioni di notevole rilievo come il Gabinetto Vieusseux – di cui in quegli anni era bibliotecario e direttore Eugenio Montale –, e la Biblioteca Filosofica di Arrigo Levasti e Piero Marrucchi, una personalità notevole, alla quale Garin rimase sempre legato e che ricordò in pagine molto intense, rievocando quell'ambiente e quell’atmosfera, in cui viveva il ricordo di una figura come Carlo Michelstaedter, alla quale anche Garin dedicò, a più riprese, molta attenzione.  Tornato a Firenze alla fine del 1934, nell'anno accademico 1935-36 ebbe un incarico di filosofia teoretica presso la facoltà di lettere e filosofia. Nel 1937 ottenne, poi, la libera docenza in storia della filosofia.  L’INCARICO DI FILOSOFIA MORALE E GLI STUDI SUL RINASCIMENTO E GIOVANNI PICO   Nel 1938, quando per effetto delle leggi razziali Limentani dovette lasciare la cattedra di filosofia morale, la facoltà decise di non chiamare su essa un altro ordinario, ma di conferire l’incarico a Garin, come il miglior discepolo di Limentani.  Nei modi possibili in quei tempi difficili, Garin espresse pubblicamente la sua fedeltà al maestro con cui si era formato, tenendo, il 30 gennaio 1940, una conferenza presso la Biblioteca Filosofica di Firenze in cui attaccò a fondo ogni forma di storicismo – identificato con il relativismo – rivendicando, da un lato, il valore della lotta, e dell'‘ostacolo’, sulla scia di Le Senne; ribadendo, dall'altro, e con massima energia, la distinzione tra vittima e carnefice, tra perseguitato e persecutore, che nessuna Provvidenza storica avrebbe mai potuto, in alcun modo, risarcire. Dopo la morte di Limentani, ne redasse poi un commosso necrologio, pubblicato in opuscolo insieme alla bibliografia dei suoi scritti (Ludovico Limentani (1884-1940), Firenze 1941).  Aveva, intanto, cominciato a partecipare a concorsi per ottenere una cattedra universitaria, che riuscì a vincere nel 1949, quando risultò primo ternato in quello per professore straordinario alla cattedra di storia della filosofia dell'Università di Cagliari (la commissione era formata da Antonio Aliotta, presidente, Eustachio Paolo Lamanna, segretario, e da Nicola Abbagnano, Antonio Banfi, Ugo Spirito). Precedentemente, nel 1938, nel 1942 e nel 1949, aveva partecipato, venendo dichiarato «maturo», a tre altri concorsi, banditi, rispettivamente, dall'Università di Messina e dall'Università di Napoli (quest’ultimo si svolse in due tornate, per l’annullamento, a causa di un ricorso, dei risultati della prima).  Difficili sul piano accademico e anche personale, quegli anni furono però fertilissimi dal punto di vista scientifico: oltre a una serie di saggi assai importanti usciti, in genere, su La Rinascita diretta da Giovanni Papini (con il quale ebbe, allora, un rapporto intenso), Garin pubblicò due importanti antologie: la prima, Il Rinascimento italiano (Milano 1941), commissionatagli da Gioacchino Volpe e stampata nella collana dell'ISPI; la seconda, Filosofi italiani del Quattrocento (Firenze 1942), uscita come pubblicazione dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento. Si tratta, in entrambi i casi di opere fondamentali, destinate a lasciare una orma profonda negli studi rinascimentali. Ma lette con attenzione – e tenendo conto della inclinazione dissimulatoria tipica dell'epoca –, esse svelano con precisione quali fossero gli atteggiamenti filosofici e politici di Garin in quel momento: una posizione nettamente antifascista, trasparente nelle pagine dedicate alla critica del tiranno; un profondo interesse di tipo religioso, già emerso nei primi saggi rinascimentali della seconda metà degli anni Trenta, e ora pienamente dispiegato nella lunga Introduzione ai Filosofi italiani del Quattrocento, a cominciare dalle pagine scritte sulla morte, discorrendo di Coluccio Salutati.   Sono anni, e temi, nei quali la nota religiosa risuona con particolare forza e vigore, e non solo nei testi sull'Umanesimo. Nel 1947 pubblicò per una piccola casa editrice fiorentina, Cya, una antologia di testi tolstoiani – Ultime parole –,  nei quali è affermato con nettezza il primato della 'riforma interiore' come condizione di ogni riforma di tipo economico e sociale. Sarebbe stato, del resto, lo stesso Garin a ricordare nel 1954 che anni prima, nel pieno della guerra, aveva attraversato una vera e propria crisi di tipo religioso, subendo a fondo l'influenza di Tolstoj. Sul terreno scientifico è una inclinazione che si rivela, oltre che sul piano del linguaggio, nel forte ruolo assegnato in quegli anni a fra Girolamo Savonarola, un autore che gli fu sempre carissimo, ma che nel 1943 arrivò ad affiancare al Platone della Repubblica per il Trattato sul reggimento di Firenze.   In questi anni spicca anche il lavoro di presentazione e di traduzione dei testi fondamentali di Giovanni Pico della Mirandola: De hominis dignitate, Heptaplus, De ente et uno (Firenze 1942); Disputationes adversus astrologiam divinatricem (ibid. 1946-52) un'impresa imponente, che contribuì a mutare in profondità sia l'immagine tradizionale di Pico, sia quella corrente del Rinascimento, ponendo le basi della interpretazione generale che Garin avrebbe proposto nel libro del 1947, Der italienische Humanismus, pubblicato nella collana diretta da Ernesto Grassi per l'editore Francke di Berna (ristampato poi nel testo originale presso Laterza nel 1952).  Furono lavori resi possibili anche dal forte sostegno di una figura singolare, ma più importante di quanto in genere si pensi, della cultura italiana di quegli anni: Enrico Castelli, il quale – oltre a pubblicare le traduzioni di Pico nell'ambito dell’Edizione nazionale dei classici del pensiero italiano promossa dal Regio Istituto di studi filosofici da lui presieduto e del quale Garin fu anche segretario della sezione toscana –, si impegnò con molta tenacia e costanza, a tutti i livelli, per fargli ottenere un distacco dal Liceo scientifico Leonardo da Vinci che gli consentisse di svolgere con maggiore tranquillità il suo lavoro.      IL DOPOGUERRA, LA SCOPERTA DI GRAMSCI, LE CRONACHE  Garin sottolineò più volte che non c'è un rapporto meccanico tra storia della cultura e storia politica, precisando, per esempio, che la crisi e la fine dell'idealismo crociano si compiono nel 1968, non nel 1945. Non c'è però dubbio che con la fine della guerra sia iniziata una nuova fase della sua lunga vita sul piano sia intellettuale sia politico.   Dopo un periodo connotato dalla vicinanza a posizioni di tipo liberal-democratico (come appare chiaro dagli articoli che nel 1946 pubblicò sull'Italiano), si avvicinò infatti, sia pur progressivamente, al Partito comunista italiano, senza mai iscriversi a esso, ma diventandone, specie negli anni Cinquanta e Sessanta, uno dei principali intellettuali di riferimento.  Alla base di questo netto spostamento di campo ci furono motivazioni di ordine intellettuale e di natura politica.   Sul primo punto, fu decisivo, nel 1947, l'incontro con le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci, che recensì subito su Leonardo, la rivista di cui, dal 1946, era diventato redattore – cioè, in effetti,  direttore –, avviando un intensissimo colloquio che sarebbe continuato lungo tutta la sua vita e che avrebbe inciso sia sulle sue ricerche umanistiche sia sulle Cronache di filosofia italiana pubblicate per i tipi di Laterza nel 1955 (ma preparate dagli articoli usciti alla fine degli anni Quaranta su Leonardo e sul Giornale critico della filosofia italiana fondato da Gentile e diretto allora da Ugo Spirito).   Dal punto di vista strettamente politico, per quanto possa apparire paradossale, in quella scelta agì il profondo, e mai venuto meno, interesse religioso di Garin: era infatti profondamente laico, non laicista. Riteneva necessario distinguere con chiarezza ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio, anzi pensava che dalla confusione dell'uno e dell'altro potesse derivare una degenerazione di entrambi. Dopo il 18 aprile 1948, il partito della Democrazia cristiana gli apparve come la realizzazione concreta di questo rischio, con la ripresa, e il potenziarsi, di quelle tendenze che durante il Regime si erano espresse nel clerico-fascismo, contribuendo, a suo giudizio, a corrompere il carattere morale degli italiani. Perciò considerò negativamente l'inserzione dell'articolo 7 nella Costituzione repubblicana, ma fu per questi stessi motivi che si avvicinò al Partito comunista: per una scelta di ordine anzitutto morale e, alle origini, religiosa. Pur nel dissenso con il Partito comunista nella valutazione dell'articolo 7, Garin vide in esso la forza più intransigentemente schierata a favore di una concezione laica dello Stato e, in genere, della vita, contro il riaffiorare e l'imporsi di una nuova forma di clerico-fascismo, dannosa, ai suoi occhi, sia per la politica sia per una autentica esperienza religiosa.  I due piani – quello culturale e quello politico – si intrecciarono e si potenziarono a vicenda, nella concretezza del suo lavoro, sia in quello sul Rinascimento sia nelle ricerche sulla filosofia italiana. A quest'ultima aveva già dedicato, per incarico di Gentile, due volumi pubblicati da Vallardi nel 1947 (si tratta dell'opera: La filosofia, da non confondere con la Storia della filosofia uscita per i tipi di Vallecchi nel 1945: uno de suoi libri più belli, più vivaci, più liberi).   Le Cronache di filosofia italiana del 1955 erano, in effetti, un'altra cosa: una sorta di autobiografia di una intera generazione, quella nata al tornante del primo decennio del secolo – la stessa di Norberto Bobbio, nato anch'egli, come Garin, nel 1909, e autore, nello stesso 1955, di Politica e cultura, l'altro grande testo 'autobiografico' della loro generazione. A considerare oggi quegli anni, non appare casuale che due intellettuali di quel livello abbiano avvertito, nello stesso momento, la necessità di confrontarsi con la propria storia, sia pure da punti di vista diversi e con strumenti differenti. In Garin, assai più che in Bobbio, era infatti presente la lezione di Gramsci. Sul piano del metodo, anzitutto: La filosofia come sapere storico (Bari 1959) si conclude con un lungo saggio su Gramsci, nato come relazione al primo Convegno di studi gramsciani, tenutosi a Roma l'anno prima, ma anche sul piano del merito, cioè di specifiche valutazioni di uomini e cose, come Palmiro Togliatti rilevò, nel 1955, nella sua recensione a Cronache di filosofia italiana (Rinascita, 1955, n. 6).  Non solo: la lezione di Gramsci, in forme assai mediate e controllate, è visibile anche negli scritti che Garin dedicò al Rinascimento negli anni Cinquanta e fino alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. Nonostante che, in questo caso, i giudizi di Gramsci e Garin fossero, proprio nel merito, profondamente differenti.     L’UMANESIMO CIVILE, IL ’68, IL TRAMONTO DI UN MONDO  Quando si parla di Eugenio Garin si pensa, in genere, alla sua interpretazione del Rinascimento come 'Umanesimo civile'. È giusto, ma riduttivo per due ordini di motivi: in primo luogo, essa svolge funzioni e ruoli diversi, anche a seconda del mutare dei contesti storico-politici; in secondo luogo, a cominciare dagli anni Settanta Garin riformulò in modo profondo la sua interpretazione, dislocando l'Umanesimo civile in zone progressivamente laterali, rispetto al nucleo centrale del suo discorso (in questo senso è fondamentale Rinascite e rivoluzioni: movimenti culturali dal 14. al 18. secolo, Roma-Bari 1975: uno dei suoi lavori più importanti, insieme a La cultura filosofica del Rinascimento italiano. Ricerche e documenti, uscito per i tipi di Sansoni nel 1961, nel quale spicca in apertura il saggio – capitale dal punto di vista dell'Umanesimo civile – su I cancellieri umanisti della Repubblica fiorentina da Coluccio Salutati a Bartolomeo Scala, pubblicato originariamente  in Rivista storica italiana, LXXI [1959], pp. 185-209).  All'interpretazione del Rinascimento come Umanesimo civile Garin lavorava, in effetti, fin dagli anni Trenta, in convergenza con le ricerche di Hans Baron, del quale nel 1938 fece pubblicare su La Rinascita un importante saggio. Ma allora esso aveva una funzione parallela, anzi secondaria, rispetto ai motivi ermetici che Garin tendeva maggiormente a valorizzare, anche in relazione a quell'esistenzialismo religioso nel quale allora si riconosceva. Negli anni Cinquanta e Sessanta il quadro mutò in modo deciso, e  l'Umanesimo civile diventò il motivo dominante della sua interpretazione, come appare dall'antologia, fortemente lodata da Cantimori, Prosatori latini del Quattrocento(Milano-Napoli 1952). I motivi messi a fuoco nella seconda metà degli anni Trenta erano ripresi, e anzi energicamente sviluppati, a cominciare dalle tematiche magiche e astrologiche, cui dedicò nei primi anni Cinquanta due saggi fondamentali; ma essi ora venivano riformulati (per esempio, cambiò in modo consistente il giudizio sull'astrologia) ed inseriti in una prospettiva che privilegiava, in primo luogo, la dimensione mondana, terrestre – appunto, 'civile' del Rinascimento –, dando rilievo centrale al problema del rapporto tra 'vita contemplativa' e 'vita activa', e valorizzando in questa luce i grandi cancellieri fiorentini come Coluccio Salutati e Leonardo Bruni.   Ne scaturì, in quegli anni, una nuova immagine del Rinascimento, entro cui assunsero valore centrale discipline come la retorica, l'arte della memoria o esperienze filosofiche prima trascurate, o non comprese in modo adeguato, come, per esempio, il lullismo.   Su questo sfondo, Garin si pose in termini nuovi rispetto agli scritti degli anni Trenta anche il problema della genesi e dei caratteri della scienza moderna, sforzandosi di «mostrare come un moto di cultura strettamente legato nelle sue origini alla vita delle città italiane fra Trecento e Quattrocento debba considerarsi una delle premesse del rinnovamento scientifico moderno» (come scriveva nella Premessa al volume Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano, p. V, pubblicato con Laterza nel 1965: una linea di ricerca, sia detto tra parentesi, che non ebbe ulteriori sviluppi, anche per i mutamenti che, di lì a poco, avrebbero sconvolto il mondo storico, coinvolgendo a fondo anche il mondo storiografico).   In questa accentuazione della dimensione civile agì certamente la lezione metodica di Gramsci, che appare con ancor maggiore chiarezza nei lavori che Garin dedicò, negli stessi anni, alla filosofia contemporanea, specie a quella italiana. Sono importanti, da questo punto di vista, sia La cultura italiana tra '800 e '900 (Bari 1962); sia, e soprattutto, quello sugli Intellettuali italiani del XX secolo (Roma 1974), che costituisce, per molti aspetti, il vertice della presenza, e della influenza, di Garin nella cultura, e anche nella politica, italiane.   Se si considera il corso della sua vita, si può azzardare un giudizio: forse furono proprio quelli gli anni in cui Garin riuscì a stabilire, nel complesso, un rapporto positivo con il proprio tempo storico, e non solo per i molti riconoscimenti pubblici che ebbe in quel periodo, dentro e fuori l'Università, in Italia e all’estero.   Nel 1952 era diventato professore ordinario di storia della filosofia medievale presso l'Università di Firenze (insegnamento che aveva tenuto per incarico dal 1941 al 1945 e dal 1947-48 al 1948-49); nel 1955 era poi subentrato a Lamanna come titolare della cattedra di storia della filosofia presso la stessa Università.   Riconoscimenti, e onori, altrettanto importanti stava avendo anche al di fuori dell'Università. Socio effettivo dell'Accademia toscana di scienze e lettere 'La Colombaria', dal 1948 ne era anche segretario generale; il 23 luglio 1965 fu  eletto socio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, diventandone socio nazionale il 23 novembre 1979; il 10 luglio 1975 ricevette dalla British Academy la Serena medal for Italian studies (gli ultimi italiani che l'avevano ottenuta – scrisse, con orgoglio, il 5 luglio 1975 al direttore della Scuola Normale comunicandogli la notizia – erano stati Roberto Longhi e Ranuccio Bianchi Bandinelli).  Al fondo, però, pur considerandosi anzitutto un insegnante, Garin era, a suo modo, un animal politicum, e avrebbe voluto essere un cittadino. Negli anni Cinquanta e per larga parte degli anni Sessanta riuscì a esserlo come non gli era accaduto prima e non sarebbe più successo dopo, intrecciando un'attività scientifica di alto livello con un impegno civile assai intenso sui temi che gli interessavano maggiormente, a iniziare dalla scuola, su cui intervenne anche con una relazione molto dura letta al Teatro Valle di Roma  il 3 giugno 1960, pubblicandola poi in volume (La cultura e la scuola nella società italiana, Torino 1960).   Negli anni successivi la situazione mutò profondamente; quell'equilibrio, sempre fragile e precario, si incrinò e Garin si distaccò, progressivamente, fino a contrapporsi, dai movimenti culturali e politici che, a cominciare dal 1968, avevano cominciato a scuotere il paese fin dalle fondamenta, nel bene e nel male. Il punto più aspro del contrasto, anzi la vera e propria rottura, si produsse alla fine del 1971, quando – si legge in una lettera del 16 novembre al preside della facoltà di lettere, Ernesto Sestan (minuta nel Fondo Garin della Scuola Normale Superiore) – fu costretto a interrompere la lezione per il «contegno oltraggioso e provocatorio di uno studente del 2° anno».  Fu una scelta assai meditata, anche se amara, quella di lasciare l’Università di Firenze, che era stata fin dagli anni giovanili la sua Alma Mater, trasferendosi, nell'anno accademico 1974-75, alla Scuola Normale Superiore di Pisa come professore – e anche questa scelta è significativa – di storia della filosofia del Rinascimento. Come scrisse il 22 giugno del 1974 al direttore della scuola, Gilberto Bernardini, sarebbe stata quella «la conclusione migliore – certo la più onorevole – di un lungo insegnamento» (minuta, ibid.).  Questo non significa che da quel momento si sia disinteressato della filosofia contemporanea, a cominciare da quella italiana. Anzi: nel 1983 pubblicò, con l'editore barese De Donato, un libro importante, Tra due secoli. Socialismo e filosofia in Italia dopo l'Unità, riprendendo in forme nuove il problema del positivismo e riaprendo, in generale, la questione del rapporto tra eredità positivistiche e filosofia del Novecento, nelle sue varie diramazioni. Ma il libro non ebbe un successo paragonabile a quello tributato nel 1974 al volume sugli Intellettuali italiani del XX secolo. Nel giro di pochi anni, la situazione era profondamente mutata e i temi trattati in quel testo, pur così importante, avevano perso peso e rilievo nel dibattito filosofico italiano, che stava ormai aprendosi, e su vasta scala, a nuove tendenze estranee alla tradizione nazionale, nel pieno di una crisi che investiva lo Stato italiano fin dalle fondamenta. Effettivamente, un intero mondo stava cominciando a finire.  Tanto più colpisce, in questa situazione, il lungo saggio  che nel 1991, in controtendenza, Garin dedicò a Giovanni Gentile pubblicandone, con l'editore Garzanti, le Opere filosofiche. Aveva ormai 82 anni: nel 1979 era uscito dai ruoli dell'insegnamento, nel 1984 era andato definitivamente in pensione, nel 1986 era diventato professore emerito della Scuola Normale; nel 1988 aveva lasciato anche la presidenza dell'Istituto nazionale di studi sul Rinascimento assunta nel 1978. Era dunque diventato un libero studioso sciolto da qualunque vincolo di ordine istituzionale, e forse anche questo contribuisce a spiegare la libertà – e l'atteggiamento 'non conformista', si potrebbe dire – con cui si confrontò con Gentile nella lunghissima Introduzione che premise ai testi, spiegando il senso della sua scelta.  Non era un'impresa facile: i rapporti di Garin con Gentile e con Croce furono infatti assai complessi e si modificarono, e complicarono, con il tempo. Si possono però in sintesi individuare alcuni elementi di ordine generale. Dal punto di vista filosofico egli si sentì, al fondo, più vicino a Gentile: basta leggere le pagine che gli dedicò nella Storia della filosofia del 1945, e accostarle a quelle scritte nello stesso testo su Croce, per vedere come ne apprezzasse la posizione e quanto fosse invece distante da Croce. Certo, come dimostrano le Cronache, il suo giudizio sul neoidealismo italiano si approfondì col tempo e divenne assai più ricco e articolato; ma la distanza di Garin dalla 'filosofia dello spirito' non venne mai meno, perché essa coinvolgeva un punto centrale, allora e poi, della sua posizione.   Alle origini, le ragioni di quella scelta stavano precisamente qui: sul piano filosofico Gentile apparteneva a quella filosofia della libertà, specie di matrice francese, in cui il giovane Garin aveva riconosciuto il carattere principale del pensiero del nuovo secolo e anche le proprie radici, sia filosofiche sia religiose. Filosofia della libertà: cioè azione, praxis, atto, volontà. Erano i motivi che erano presenti anche nel giovane Marx, quelli che gli avevano fatto apprezzare Gramsci, sentire affine la ricerca dei Quaderni del carcere, e che, nel volume del 1991, sottolineò anche in Gentile, vedendo anzi nella sua lettura di Marx la via attraverso cui si era affermato nel nostro paese il principio della praxis, dell'azione, della volontà.  È per queste stesse ragioni – strutturali, non contingenti – che Garin fu, invece, in sostanza, lontano da Croce, pur apprezzandone il rapporto stabilito tra politica e cultura e l'immenso lavoro: non ne condivideva la concezione del circolo spirituale; lo sentiva distante per l'incapacità di afferrare la intima, e insuperabile, tragicità della vita; rifiutava la dissoluzione dell'individuo empirico, che invece per lui era fondamentale.   Certo, con il tempo maturò un giudizio assai più ricco di quello espresso negli anni Quaranta; ma alcuni elementi – in cui si esprimevano un distacco, e un dissenso, perfino di ordine generazionale – non vennero mai completamente meno. Nel 1966, in occasione del centenario della nascita di Croce, scrisse un bel saggio sui suoi rapporti con Renato Serra (Serra e Croce, in Belfagor, XXI, 1, pp. 1-13) e, pur facendogli ampi riconoscimenti, non ebbe esitazione a schierarsi, proprio per questi motivi, dalla parte di quest'ultimo.      FILOSOFIA E AUTOBIOGRAFIA: ALBERTI  Con il '68 iniziò una profonda trasformazione del mondo storico, destinata a incidere, in vari modi, nel mondo storiografico, compreso quello di Garin, che operò mutamenti profondi nella sua posizione, a cominciare dalla concezione dell'Umanesimo civile, che nel ventennio precedente era stato il centro della sua interpretazione del Rinascimento. Ora venne configurandosi come un ideale; anzi una ideologia nobile e importante, ma pur sempre una ideologia (come appare nel Ritratto di Leonardo Bruni aretino in Atti e Memorie dell'Accademia Petrarca di Lettere, Arti e Scienze di Arezzo, XL [1970-72], pp. 1-17 ), mentre assunsero rilievo essenziale altri temi, altri autori, come risulta chiaro dal libro Lo zodiaco della vita. La polemica sull'astrologia dal Trecento al Cinquecento (Roma-Bari 1976), che raccoglieva quattro lezioni tenute al Collège de France fra l'aprile e il maggio 1975. Fin dall'inizio della sua attività Garin aveva dato rilievo alle tematiche magiche, astrologiche, ermetiche, sistemandole, poi, nel contesto dell'Umanesimo civile. Ora esse ridiventarono centrali, con una particolare sporgenza dei testi e dei motivi di carattere astrologico. Alla base di questo c'era, come sempre in Garin, un convincimento di ordine teorico.   A lungo era stato persuaso che nella cultura europea fosse stata presente, e dominante, quella che egli chiamava la 'linea Pico-Sartre', secondo cui l'uomo «non ha una natura (una "specie", una "forma"), ma […] è un atto che si sceglie» (per riprendere una sua battuta contenuta nella lettera a Leonardo Amoroso del 17 luglio 1991 [minuta nel Fondo Garin della Scuola Normale Superiore di Pisa]). Era un convincimento coerente con la sua filosofia della libertà, della praxis, del primato della volontà. Negli ultimi anni furono proprio questi capisaldi che si infransero e vennero meno sbalzando in primo piano, al posto dei cancellieri fiorentini, pensatori come Pomponazzi e, soprattutto, Leon Battista Alberti, sostenitori, l'uno e l'altro, di una concezione totalmente disincantata dell'uomo e della vita, ridotta o a gioco privo di senso o a una eterna vicissitudine di uomini, di cose, di sorti. E qui si può osservare come in un microcosmo in che modo lavorava Garin, e quanto fosse profondo nella sua ricerca l'intreccio tra autobiografia e storiografia, a loro volta sostenute da una posizione teorica precisa, ma destinata, al tempo stesso, a importanti variazioni e mutamenti. Alberti era stato infatti sempre al centro della sua attenzione, ma venne a lungo inserito nella prospettiva dell’Umanesimo civile, mentre negli scritti dell'ultimo periodo si configurò come uno dei principali esponenti di una concezione che vede nell'uomo niente altro che un ludus deorum, per riprendere l'espressione utilizzata da Platone nelle Leggi e ripresa nel De fato da Pomponazzi.  Sono precisamente questi temi, e queste espressioni (citate puntualmente nello Zodiaco della vita, e rafforzate dalla scoperta che aveva fatto di alcune Intercenali inedite di Leon Battista Alberti, pubblicate su Rinascimentonel 1964), che attrassero Garin quando si convinse che la linea Pico-Sartre si era infranta ed era stata sconfitta. Né è facile dire quanto in queste posizioni storiografiche avesse inciso la crisi che fin dalla fine degli anni Sessanta stava travagliando il mondo storico, dandogli progressivamente il senso – e poi la persuasione – che una intera epoca della cultura europea stava tramontando, dissolvendo quegli ideali e quelle utopie che ne avevano sostenuto il cammino, specie nei momenti più gloriosi come il Rinascimento e l’Illuminismo.   In un intreccio profondo di autobiografia e storiografia, le pagine dell'ultimo Garin sono solcate da toni assai disincantati e pessimistici. Ma neppure in questi anni, e in questi scritti, egli si presenta al lettore in toni disarmati o vinto: troppo forte era stata la persuasione di un primato della praxis, dell'azione, della volontà perché essa potesse venire mai integralmente meno. Stava qui la sorgente originaria della sua personalità fin dagli anni Trenta, e a essa – nonostante tutto – aveva cercato di restare fedele, dipanando il filo essenziale della sua esistenza, nelle diverse situazioni in cui gli toccò di vivere, per quasi un secolo.   Quando morì, a Firenze il 29 dicembre 2004, non aveva smesso di pensare all'utopia di un mondo diverso: come gli avevano insegnato a fare i rappresentanti più eminenti dell'epoca alla quale aveva dedicato tanta parte della sua esistenza.      BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE  E. G. Il percorso storiografico di un maestro del Novecento, Giornata di studio, Prato, Biblioteca Roncioniana, 4 maggio 2002, a cura di F. Audisio - A. Savorelli, Firenze 2003 (si vedano in particolare i saggi di C. Cesa, Momenti della formazione di uno storico della filosofia (1929-1947), pp. 15-34 e di C. Vasoli, Gli studi di E. G. su Giovanni Pico della Mirandola, pp. 65-92); G. e il Novecento, numero monografico del Giornale critico della filosofia italiana, LXXXVIII [XC], (2009), 2; M. Ciliberto, E. G. Un intellettuale nel Novecento, Roma-Bari 2011;  E. G. Dal Rinascimento all’Illuminismo, Atti del Convegno, Firenze, 6-8 marzo 2009, a cura di O. Catanorchi - V. Lepri, con Premessa di M. Ciliberto, Roma-Firenze 2011; Il Novecento di E. G., Atti del Convegno promosso dalla Fondazione Istituto Gramsci in collaborazione con l’Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 25-27 febbraio 2010, a cura di S. Ricci - G. Vacca, Roma 2011. Grice: “Don’t expect philosophical insight from Garin. He is at most an amanuensis. But like Gentile, it is helpful, if you are into minor philosophers, or minor figures, to go through the indexes of his many compilations. As with Gentile’s Storia della filosofia italiana, Garin’s is just as boring. Garin makes it more difficult in that he uses two or three words which we don’t use at Oxford: ‘pensiero’ for philosophy, ‘intellectual’ (‘intelletuali italiani del novecento’) and ‘culture’ (cultura italiana del ottocento’). By these monickers, he is attempting to include as philosophers people who we should not!” Eugenio Antonio Garin. Eugenio Garin. Garin. Keywords: cicerone come umanista – umanesimo e unamenismi – garin, umanista del Novecento – umanisti e il ritorno dei filosofi antichi – umanesimo, ovvero, il primo secolo del rinascimento – il ritorno dei filosofi antichi – retorica umanista – castelli e garin -- le griceianisme est un humanism!” humus, human, homo sapiens, homo sapiens sapiens, human vs. person, sapientia, persona -- human, umano, umanesimo – filosofia romana -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Garin – umano, troppo umano – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685979254/in/photolist-2mRgKq7-2mRi7qi-2mQPiYS-2mQDMyN-2mQerAd-2mPPzb6-2mPXDFp-2mPF8UJ-2mPAuFE-2mPszkp-2mN8Hgb-2mLQ1Vx-2mLLyEe-2mLEyw7-2mKMuu9-2mPsfT9-2mKMqqn-2mKGTYe-2mKw3hq-2mKxnN1-2mKCnei-2mKAsyK-2mKgN49-2mHGgw3-2mKj9Vm-DndBhH

 

Grice e Garroni – l’implicatura di Pinocchio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Garroni; he writes very Griceianly: on lying, on Pinocchio, on semiotics, on Kant – ‘quasi-Kant’ --, and on sense perception (‘senso e paradosso’, ‘immagine, figura, communicazione’). Inizia la sua attività in Rai, dove era entrato per un invito di Gualainsieme come intervistatore e autore di trasmissioni sulla filosofia. Affianca a questo lavoro l'opera intellettuale di critica e di riflessione sull'estetica, grazie anche alla sua frequentazione del mondo artistico dell'epoca anni cinquanta, redigendo anche presentazioni e cataloghi d'arte.  Insegna a Roma. Pur essendosi tenuto fino a quel momento ai margini della vita accademica, con “La crisi semantica dell’arte” (Roma, Officina), insegna estetica. Porta un rinnovamento dell'estetica italiana dopo Croce, culminante in una innovativa traduzione della Critica della facoltà di giudizio di Kant tesa a sottolinearne la co-appartenenza di tematiche estetiche (l’estetico) ed epistemologiche (il noetico). Cura Arnheim, Macherey, Mannoni, Lukács, Brandi, Dufrenne, akobson e del Circolo linguistico di Praga e collaborato alla rivista Rassegna di filosofia, alle riviste cinematografiche Cinema Nuovo e Filmcritica e alla Enciclopedia Einaudi.Cura Benedetto, Bottari,  Melis, Fieschi, Vacchi, Greco ecc. L’estetica è una "filosofia non speciale" il cui compito non deve limitarsi allo studio delle espressioni artistiche ("il bello", “l’arte” e “la natura”), ma è finalizzato ad una visione e ad una "costruzione" del mondo fondata sull'esperienza del “senso” (il sensibile, sentire, sensate). Ciò che va rivendicata è la portata iudicativa (e non solo volitiva) delle riflessioni kantiane, che trascendono lo stato empirico delle scienze  e vivono operanti nel meglio degli indirizzi novecenteschi, magari di ciò inconsapevoli. (L’orizzonte di senso). Altre opere: “Il mito negative” (Roma, Officina); “Semiotica ed estetica. L'eterogeneità del linguaggio e il linguaggio cinematografico” (Bari, Laterza); “Progetto di semiotica: il concetto di messagio” (Roma-Bari, Laterza); “Pinocchio uno e bino” (Roma-Bari, Laterza); “Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla "Critica del Giudizio"” (Roma, Bulzoni); “Ricognizione della semiotica” (Roma, Officina); “Estetica e linguistica” (Bologna, Il Mulino); “Senso e paradosso. L'estetica, filosofia non speciale” (Roma-Bari, Laterza); “Estetica. Uno sguardo-attraverso” (Milano, Garzanti); “Sul mentare e il mentire” (Castrovillari, Teda); “Altro dall'arte. Saggi di estetica” (Roma-Bari, Laterza); “Senso e storia dell'estetica: studi offerti a Emilio Garroni” (Pietro Montani, Parma, Pratiche Editrice); "Interpretare", in Il testo letterario. Istruzioni per l'uso, Roma-Bari, Laterza); “Critica della facoltà di giudizio” (Torino, Einaudi); “Immagine e figura” (Roma-Bari, Laterza); “Scritti sul cinema: pubblicati dalla rivista "Filmcritica"; Edoardo Bruno e Alessia Cervini, Torino, Aragno, Creatività, introduzione di Paolo Virno, Macerata, Quodlibet); “La macchia gialla’ (Milano, Lerici, Dissonanzen quartett. Una storia” (Parma, Pratiche); “Racconti morali, o Della vicinanza e della lontananza, Roma, Editori riuniti); “Sulla morte e sull'arte: racconti morali, Parma, Pratiche); Lettere alla TV”, Monteleone, Storia della Radio e della Televisione italiana, Marsilio; Una puntata del 1961, tratta da Rai Teche, del programma TV "Arti e Scienze", in cui Garroni parla del Bauhaus e intervista Zevi e Gropius  Presentazione della mostra dell'Autoritratto; Articolo de La Repubblica; Intervista che riassume la nozione di estetica come "filosofia non speciale". L'intervista fa parte dell'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche.  Treccani L'Enciclopedia italiana". Legalità / Creatività.: Garroni legge Kant di Romeo Bufalo, in Studi di estetica, Bologna.  LORENZINI, Carlo (Collodi). - Nacque il 24 nov. 1826 a Firenze, primogenito di Domenico, originario di Cortona, cuoco del marchese Carlo Leopoldo Ginori Lisci, e di Angiolina (Maria Angela Carolina) Orzali, figlia del fattore dei marchesi Garzoni Venturi e nata a Veneri (frazione di Collodi). Degli altri nove figli di casa Lorenzini sopravvissero il terzogenito Paolo, Maria Adelaide, Giuseppina, e l'ultimo dei fratelli del L., Ippolito.  È probabile che il L. abbia frequentato le scuole elementari a Collodi, dove risulta ospitato fino al 1836 dagli zii materni Giuseppe e Teresa (forse per le disagiate condizioni della famiglia a Firenze); l'anno successivo, con il sostegno economico del marchese Ginori, entrò nel seminario di Colle di Val d'Elsa. Nell'agosto 1842 decise di interrompere gli studi in seminario, iscrivendosi nel maggio dell'anno successivo al corso di retorica e filosofia delle Scuole pie di S. Giovannino a Firenze. Terminato il corso nell'autunno del 1844, trovò subito un impiego nella libreria Piatti di Firenze, nella quale aveva già svolto lavori saltuari per potersi mantenere agli studi.  La libreria, anche casa editrice, era fra le più importanti di Firenze e frequentata da molti letterati e patrioti liberali, tra i quali G.B. Niccolini, principale autore delle edizioni Piatti, considerato dal giovane L. uno dei grandi scrittori italiani. Il L. aveva incarico di redigere notizie, recensioni e bollettini bibliografici per il catalogo delle novità della libreria e strinse profonda amicizia con G. Aiazzi, amministratore dell'impresa ed erudito bibliotecario della Rinucciniana, al quale restò legato tutta la vita. Aiazzi avviò il L., che già nel 1845 ottenne l'autorizzazione alla lettura dei libri proibiti, alle ricerche di biblioteca e d'archivio e ne accompagnò le prime prove come cronista teatrale nella Rivista di Firenze e come critico musicale nell'Arpa musicale, periodi co milanese animato da C. Tenca, dove il 29 dic. 1847 apparve il primo articolo firmato del L., L'arpa.  Nel marzo 1848 il L., insieme con il fratello Paolo e con Giulio Piatti, proprietario della libreria, si arruolò nel II battaglione fiorentino e combatté a Montanara: di questa prima esperienza militare rimangono, nelle Carte collodiane, tre lettere ad Aiazzi, già notevoli per lucidità d'osservazione e descrizione.  In estate il L. tornò a Firenze e dovette trovarsi un altro impiego anche per poter aiutare la famiglia colpita dalla malattia del padre, che morì alla fine di settembre a Cortona. Per interessamento di Aiazzi fu nominato "messaggiere" (segretario, commesso) del Senato toscano e arrotondò il modesto stipendio con un'intensa attività di collaborazione a diverse testate, in particolare, al periodico democratico Il Lampione (1848-49) di cui fu tra i fondatori. Qui pubblicò numerosi articoli, per lo più non firmati, tra i quali spiccano alcuni pezzi anticomunisti e antifemministi e, soprattutto, la serie di ritratti intitolata "fisiologie" in cui già con matura incisività satirica tratteggiava caratteri e tipi contemporanei, come quelli contrapposti del "codino" e del "crociato" (cioè il falso volontario): in essi più che "mazziniano sfegatato" (come lo definì Martini, p. 168), manifestava tendenze repubblicane e democratiche derivate da Mazzini solo "in termini generali" e in "modo indiretto" (G. Candeloro, C. Collodi nel giornalismo del Risorgimento, in Studi collodiani, p. 68).  Nella primavera del 1849, con il ritorno dei Lorena nel Granducato, il L. dapprima rinunciò all'impiego (o ne fu allontanato), poi, in giugno, fu reintegrato, ma la sua condizione lavorativa dovette restare precaria, tanto che l'autunno dell'anno successivo si dedicò alla traduzione dal francese del romanzo La figlia dell'archibugieredi M. Masson che apparve a puntate nel periodico milanese l'Italia musicale, per il quale nel 1850 compì un lungo giro tra Emilia e Lombardia come critico corrispondente; con quella rivista continuò a collaborare per tutto il 1851 (nell'agosto era di nuovo a Milano per i suoi impegni giornalistici) e il 1852, quando perdette definitivamente il suo impiego.  Con il 1853 l'impegno del L. come giornalista e pubblicista si intensificò ulteriormente ed egli divenne una delle firme di punta del periodico artistico-letterario e teatrale L'Arte(cui collaborava anche I. Nievo). Nel periodico fiorentino venne pubblicando articoli di critica musicale, teatrale e letteraria (tra cui, nel 1854, una feroce stroncatura del poema Rodolfo di G. Prati che anticipava di netto le prese di posizione negative di F. De Sanctis e G. Carducci sul poeta trentino) e prose umoristiche: tra l'altro, condusse una battaglia contro la pittura accademica convergendo sulle posizioni dei macchiaioli, i cui più importanti esponenti (T. Signorini, A. Tricca, S. Ussi) incontrava e frequentava al caffè Michelangiolo. Il tutto "con uno stile rapido e di presa immediata, che si segnala per il valore e la modernità del linguaggio" (Marcheschi, in C. Collodi, Opere, p. LXXX). Contemporaneamente, fondò e diresse il periodico teatrale Lo Scaramuccia, per il quale aveva reclutato collaboratori di livello, tra cui P. Fanfani e il giovane P. Ferrigni (Coccoluto Ferrigni), poi famoso con lo pseudonimo di Yorick.  Ormai dedito a tempo pieno alla sua attività di pubblicista e scrittore, estese il raggio delle sue collaborazioni giornalistiche a periodici quali Lo Spettatore (cui collaboravano, tra gli altri, G. Giusti, N. Tommaseo e R. Bonghi) e al giornale umoristico La Lente, in cui per la prima volta usò lo pseudonimo di Collodi (nell'articolo Coda al programma della Lente, 1856).   Il L. coltivava anche ambizioni di scrittore teatrale e nel 1853 compose il dramma in due atti Gli amici di casa ispirato a un episodio reale e in cui si ritrovano evidenti influssi del romanzo Beppe Arpia di P. Emiliani Giudici: tentò invano (1854-55) di farlo rappresentare, ma il testo fu bloccato dalla censura, cosicché più tardi poté pubblicarlo (Firenze 1856), ma non riuscì a farlo mettere in scena. Sempre nel 1856 scrisse e pubblicò (ibid.) Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica, nato come opuscolo-guida per viaggiatori in occasione dell'inaugurazione della ferrovia Leopolda, che collegava appunto Firenze a Livorno. In esso il L. contaminava e stravolgeva, tentando un'inedita forma di giornalismo umoristico ispirato al modello di L. Sterne (cfr. Marcheschi, in C. Collodi, Opere, pp. XV-XIX), il genere "popolare" del romanzo e quello "borghese" della guida di viaggio. Così la narrazione romanzesca, che procede in modo parodisticamente caotico e con l'intreccio ingarbugliato della narrativa d'appendice, è inframmezzata da divagazioni con informazioni utili o curiose per il viaggiatore sulle diverse località toccate dalla ferrovia.  Confortato dal buon esito di critica e pubblico del Romanzo in vapore, il L. si dedicò alla stesura di un'altra opera romanzesca di carattere parodistico, I misteri di Firenze. Scene sociali, che uscì a dispense dall'ottobre 1857, preannunciata dalla stampa sin da maggio ed elogiata per lo stile vivace e spontaneo. Il romanzo, che restò (forse intenzionalmente) interrotto al primo volume, intendeva essere sin dal titolo parodia della narrativa d'appendice alla E. Sue (I misteri di Parigi), ma si risolve, senza il consolante lieto fine del romanzo popolare, in un'amara critica della società fiorentina, moralmente e politicamente decaduta, condotta con uno stile fortemente espressivo e satirico, con esiti non di rado farseschi e surreali.  Durante la stesura di queste opere, il L. proseguì incessantemente la sua intensa attività di pubblicista e di operatore teatrale. Nel marzo 1856 assunse l'incarico di segretario della compagnia teatrale Romandiolo-Picena fondata da G. Servadio, facendo la spola nei mesi successivi tra Ancona, Bologna e Firenze e intrecciando una breve e tormentata relazione amorosa con il mezzosoprano Giulia De Filippi Sanchioli. Conclusa nell'ottobre del 1857 la sua attività di segretario della Romandiolo-Picena, tornò per breve tempo a Firenze, da dove ripartì improvvisamente (forse in seguito a un'altra infelice relazione amorosa) la primavera successiva, spostandosi tra Milano e Torino come critico del periodico L'Italia musicale.  Nella capitale sabauda nell'aprile del 1859 si arruolò nell'esercito piemontese e partecipò come soldato semplice alla guerra. Dopo l'umiliante armistizio di Villafranca, alla fine di agosto fu posto in congedo e ritornò a Firenze. Qui, amareggiato e depresso, iniziò a collaborare come "cronista settimanale" al giornale La Nazione, diretto dall'amico A. D'Ancona, espressione del gruppo moderato che faceva capo a B. Ricasoli. E proprio dalla cerchia di Ricasoli, tramite C. Bianchi, gli venne chiesto di scrivere una replica all'opuscolo La politica napoleonica e quella del governo toscano del conservatore federalista e neoguelfo E. Albèri, uscito (con la falsa indicazione di Parigi, in realtà a Firenze) ai primi di dicembre del 1859. In esso, con un violento attacco contro i toscani filopiemontesi, i plebisciti e il partito unitario, si propugnava l'istituzione di un Regno dell'Italia centrale, da assegnare, secondo il desiderio di Napoleone III, a Gerolamo Bonaparte. Il L. rispose con l'ironico e brioso Il sig. Albèri ha ragione!( Dialogo apologetico (scritto a Collodi e pubblicato a Firenze alla fine di dicembre), in cui, fingendo di schierarsi dalla parte del professore bonapartista, ne ridicolizzava la proposta politica, sottolineando come sull'ipotesi dell'annessione convergesse la volontà prevalente dei Toscani.  Nel febbraio del 1860, per interessamento del marchese Ginori e di Ricasoli, ricevette la nomina per il modesto ruolo di commesso aggregato della commissione di censura teatrale; in marzo condusse dalle colonne de La Nazione un'accesa campagna in sostegno dei plebisciti annessionistici. Nei mesi successivi si imbarcò nell'impresa della riesumazione (dal 15 maggio 1860) del quotidiano umoristico Il Lampione, di cui era insieme fondatore, compilatore e direttore (fino al marzo 1861, mentre il fratello Paolo ne era l'amministratore) e che, presentandosi come prosecuzione del giornale interrotto nel 1849, intendeva incarnare ed esprimere l'evoluzione (non solo del L.) dal repubblicanesimo quarantottesco al successivo e più maturo lealismo annessionistico.  A questa amara e disillusa evoluzione politica corrispondeva del resto l'insoddisfazione personale per la sua posizione lavorativa, ormai stabile ma modesta e non amata. Ai doveri del suo ufficio il L. si dedicò sempre senza entusiasmo, anche quando, nel 1864, ebbe la nomina a segretario di seconda classe nell'amministrazione provinciale di Firenze e poi, nel 1874, quella a segretario di prima classe: appena poté, nel giugno 1881, chiese e ottenne di essere collocato a riposo.   Le non onerose incombenze del suo impiego, pertanto, non gli impedirono di occuparsi con crescente intensità delle sue molteplici attività di pubblicista, scrittore teatrale e, infine, di cultore di cose di lingua. Così, nel novembre 1860, recandosi a Milano per contattare Tenca e il gruppo del periodico Il Crepuscolo, fu cooptato come segretario aggiunto nella Commissione promotrice del Panteon italiano, cui era collegato il progetto di un'edizione nazionale delle opere di Dante.  Nel 1861 pubblicò l'opuscolo La Manifattura delle porcellane di Doccia, steso (probabilmente per iniziativa del fratello Paolo, direttore della fabbrica Ginori) come guida storica e illustrativa dell'industria dei marchesi Ginori in occasione dell'Esposizione italiana che si tenne quell'anno a Firenze. L'opuscolo del L., che ripercorreva abbastanza fedelmente la linea espositiva di un analogo volumetto compilato ancora da Albèri circa vent'anni prima, era anche un "elogio della politica illuminata dei marchesi Carlo ("l'Owen della Toscana") e Lorenzo, per migliorare le condizioni di vita dei propri operai" (Marcheschi, in C. Collodi, Opere, p. XCIII).  Sempre nel 1861, ne Il Lampione, apparve la commedia Gli estremi si toccano, in seguito ampliata (probabilmente nel 1867) con il titolo La coscienza e l'impiego, amara satira politica contro l'eterno trasformismo, e in novembre poté finalmente far rappresentare il dramma Gli amici di casa, rielaborato sul modello delle opere di V. Sardou in forma di commedia in tre atti: l'accoglienza della critica fu tiepida, ma unanime consenso ricevette la vivacità linguistica del testo.  Al teatro il L. continuò a dedicarsi per tutto il decennio successivo sia per dovere d'ufficio (dal 1862 faceva parte della Società d'incoraggiamento teatrale e il 23 sett. 1867 nella Gazzetta d'Italia apparve un suo importante articolo tecnico sulla Censura teatrale in Italia) sia come critico e in qualità di autore. Nel 1870 pubblicò a Firenze la commedia in tre atti L'onore del marito, rappresentata per la prima volta al teatro Niccolini nel 1872, rivolta non tanto alla condanna dell'adulterio quanto a sottolineare la vitalità della borghesia attiva rispetto all'infiacchita e oziosa aristocrazia italiana. In quel periodo attese anche alla stesura della commedia in quattro atti Antonietta Buontalenti, che non risulta essere stata rappresentata; al 1872 risale inoltre la composizione della commedia in due atti I ragazzi grandi, rappresentata con scarso successo a Firenze nell'agosto dell'anno successivo. Subito trascritta in forma di racconto lungo (o romanzo breve), fu pubblicata a puntate nel Fanfulla nella primavera del 1873 con il significativo sottotitolo Bozzetti e studi dal vero. Con esso per un verso si indicava il registro di spietata lucidità con cui erano ritratti i protagonisti, viziati dall'ozio, dall'agiatezza e dall'opportunismo politico; per l'altro si chiariva come il "vero" che si prefiggeva il L., più che quello del naturalismo letterario, era quello nitido, rapidamente tratteggiato e nettamente chiaroscurato en plein air della contemporanea pittura toscana.  Del resto, anche nell'intensa attività giornalistica esercitata dal L. nel quindicennio che va dall'Unità al 1876 (in particolare in La Nazione, La Gazzetta del popolo e, dal 1871, nel Fanfulla), la sua attenzione di notista politico e di osservatore e commentatore di costume andò concentrandosi, con toni progressivamente amari e disillusi, sull'esame dei problemi, dei conflitti e degli scandali dell'Italia appena unificata, con attacchi sempre più ironici e velenosi contro personaggi e provvedimenti politici (come M. Coppino e la sua legge sull'istruzione elementare, Q. Sella e la tassa sul macinato, il corso forzoso e la politica fiscale dei governi della Destra) e soprattutto contro tipi, costumi e mentalità dominanti, fino all'acme paradossale e sferzante della Delenda Toscana, sarcastica lettera aperta a M. Minghetti, pubblicata il 30 genn. 1876 nel Fanfulla. Qui, in risposta alla ventata antitoscana successiva alla polemica sul privilegiato esercizio delle ferrovie, era esposta la paradossale e sferzante proposta di sopprimere la Toscana stessa, cancellandola dalla carta geografica del Regno d'Italia.  A questa oltranza polemica, pagata peraltro cara dall'impiegato L., diffidato, in quanto dipendente del ministero degli Interni, da G. Nicotera e da F. Crispi dal pubblicare articoli politici, seguì un deciso cambiamento di attività e di orizzonti.  In primo luogo, al giornalismo etico-politico militante subentrò una fase in cui il L. si dedicò al riordino e alla pubblicazione in volume del meglio della propria produzione pubblicistica (racconti e cronache) nelle raccolte, dai titoli programmaticamente eloquenti, Macchiette (Milano 1880) e Occhi e nasi. Ricordi dal vero (Firenze 1881). In esse riunì, senza alcuna revisione, semplicemente legate con il "filo di refe", come avvertiva non senza autoironica civetteria nella prefazione di Macchiette, le prove più tipiche della prosa giornalistica, caratterizzate da "sapienti scorciature e tagli narrativi" (Asor Rosa, p. 554) a formare un antinaturalistico ritratto "alla macchia" dell'Italia contemporanea, schizzato, cioè, "dal vero" non a "figurine intere" ma con i tratti essenziali dei "profili", gli occhi e i nasi (prefazione a Occhi e nasi).   Inoltre, si fece più consapevole la sua attenzione, sempre così acuta, ai fatti di lingua, e tale senso nativo della lingua venne precisandosi in una più chiara adesione al fiorentino vivo di tono medio. Proprio per questo nel 1868 fu nominato dal ministro E. Broglio membro straordinario della giunta per la compilazione del vocabolario dell'uso fiorentino, impresa alla quale, peraltro, dette scarso contributo.  Il L. si indirizzò, dapprima casualmente e occasionalmente, poi con impegno, assiduità e adesione personale sempre più convinti, verso la letteratura per l'infanzia. Questa gli offriva un terreno di illimitata libertà fantastica in cui superare la grigia realtà del presente e insieme la possibilità di una sua piena partecipazione al clima "fortemente pedagogizzante" del "mondo morale e intellettuale del tempo", dominato da un "bisogno incoercibile di guardare al di sotto della superficie" delle cose (Asor Rosa, p. 555), dal quale prendevano le mosse i due diversi ma in fondo convergenti filoni della letteratura verista e della letteratura moralistica e normativa alla De Amicis. L'occasione per quella svolta fu offerta nel 1875 al L. dalla dinamica casa editrice fiorentina dei fratelli Paggi, all'avanguardia nel fiorente mercato dell'editoria scolastica, che gli propose di tradurre i Contes e le Histoires di Ch. Perrault, nonché le favole della Contessa di Aulnoy e di Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont. La versione, condotta dal L. con leggere variazioni rispetto agli originali e con stile piano ed elegantissimo, uscì l'anno seguente con il titolo Racconti delle fate e le illustrazioni di E. Mazzanti.  Da allora, pur riprendendo la collaborazione al Fanfulla (1878) e continuando la sua attività di critico teatrale, il L. si mosse quasi esclusivamente nel campo della letteratura scolastica e per ragazzi. Così, sempre presso Paggi pubblicò con discreto esito i due libri di lettura Giannettino (1877), che sin nel titolo riprendeva il fortunato romanzo pedagogico Giannetto di L.A. Parravicini (1837), e Minuzzolo (1878): entrambi erano storie di bambini discoli o svogliati, ricondotti alla scuola e alla normalità dalle famiglie e da esperienze che li inducevano a riflettere (lo schema è già quello di Pinocchio, ma le peripezie dei due protagonisti si svolgono sullo sfondo della Firenze contemporanea).   Ormai accreditato tra i più ricercati autori di libri scolastici e per l'infanzia, il L. (che per le sue opere pedagogiche ottenne nel 1878 la nomina a cavaliere della Corona d'Italia e nel 1880 ricevette da A. Conti, assessore alla cultura del Comune di Firenze, l'incarico di compilare i libri di testo per le scuole fiorentine) si dedicò con insolita metodicità alla compilazione di una lunga serie di opere che configuravano una sezione autonoma, personale e sistematica, all'interno della "Biblioteca scolastica" della casa editrice Paggi. Nacque così, tra l'altro, una serie di volumi imperniati sulla figura di Giannettino: il Viaggio per l'Italia di Giannettino: Italia superiore (1880), seguito nel 1883 dal secondo volume dedicato all'Italia centrale e nel 1886 dal terzo, sull'Italia meridionale; La grammatica di Giannettino (1883); L'abbaco di Giannettino(1884); La geografia di Giannettino (1885); fino a La lanterna magica di Giannettino (1890). Con la loro formula innovativa questi testi costituirono una novità ben accolta dal mondo scolastico, ma non sempre apprezzata dai vertici più austeri e arcigni del ministero della Pubblica Istruzione (cfr. Raicich, p. 74 n.): le diverse discipline, infatti, erano esposte in forma decisamente scherzosa e discorsiva, spesso apertamente dialogica nell'intento di alleggerire la finalità didascalica del testo e rendere l'apprendimento il più possibile piacevole e "naturale".  Al centro di tale intensa attività vanno inquadrate la nascita e la complessa vicenda redazionale ed editoriale de Le avventure di Pinocchio. Il libro nacque per le insistenze di G. Biagi, vecchio amico del L., che lo voleva tra i collaboratori del periodico Il Giornale per i bambini di cui era animatore e che era stato fondato nel 1881 da F. Martini con l'ambizione di rinnovare la letteratura infantile italiana. Il L., ormai stanco e disilluso, rispose controvoglia inviando all'amico i primi tre capitoli di un testo intitolato La storia di un burattino (dallo stesso L. definito, con la consueta autoironia, "una bambinata"), pubblicati nei numeri di luglio del Giornale. I capitoli successivi apparvero nei numeri dal 4 agosto al 27 ottobre: la vicenda si concludeva al capitolo XV con l'impiccagione e la presunta morte del burattino. Forse per le insistenze di Biagi e certo per il successo riscosso dalla storia, il L., dopo molti dinieghi, si decise a proseguire la narrazione, il cui seguito, con il titolo ormai definitivo di Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, iniziò a essere pubblicato (dal cap. XVI) dal febbraio 1882. La pubblicazione proseguì a ritmo irregolare durante tutto il 1882 per concludersi (con il XXXVI e ultimo capitolo) nel gennaio 1883. Velocissima fu invece la pubblicazione in volume, che uscì nel febbraio successivo presso Paggi, con le illustrazioni, di nuovo, di Mazzanti; sempre presso Paggi apparvero, e andarono presto esaurite, una seconda edizione nel 1886 (lo stesso anno in cui E. De Amicis pubblicava Cuore), una terza (1887) di cui non restano esemplari, e una quarta (1888). L'ultima edizione uscita vivente l'autore fu quella pubblicata nel 1890 presso R. Bemporad & figlio concessionari della Libreria Paggi. Non è sicuro che il L. abbia rivisto personalmente tutte queste edizioni, che pure furono stampate con il suo consenso; è certo, però, che nel corso delle varie ristampe il testo fu alterato da refusi e banalizzazioni.  Se ci si limita alle sole circostanze esterne della composizione e della pubblicazione di Pinocchio, dunque, può risultare fondata la qualifica di "capolavoro scritto per caso" risalente a P. Pancrazi. In essa, oltretutto, è cristallizzata in un'efficace formula critica la constatazione che la straordinaria qualità espressiva della "bambinata" ha finito per mettere in ombra il resto dell'intensa carriera letteraria e giornalistica del L., il quale, se non avesse scritto il suo capolavoro, sarebbe comunque restato, al di là delle sue ambizioni teatrali, uno dei protagonisti della narrativa umoristica e soprattutto del giornalismo della seconda metà dell'Ottocento.   In realtà, nell'archetipica polisemia della fiaba e con l'enigmatica perspicuità del capolavoro, in Pinocchio convergevano, in una struttura insieme profondamente coesa, traballante e sfuggente, tutte le componenti e le esperienze della vita e della carriera letteraria del L.: dalla sua lunga militanza come scrittore satirico e bozzettista (trasfusa nelle numerose figure e figurine che animano l'universo del burattino), alla sua intensa attività di autore di testi scolastici (da cui deriva il registro scherzoso e colloquiale con cui è condotta la narrazione), alla sua ricerca di una lingua non letteraria e mediana, che trova piena realizzazione nel toscano "vivo" in cui la celebre fiaba è narrata.  Di tutto ciò non si accorsero né i contemporanei, che decretarono a Le avventure di Pinocchio un successo crescente ma circoscritto all'esiguo spazio della letteratura infantile, mentre la fortuna editoriale della "bambinata" veniva crescendo fino a farne il libro più letto e tradotto al mondo dopo la Bibbia, né gli antesignani della critica collodiana (da P. Hazard, a Pancrazi, a B. Croce, fino ad A. Savinio e A. Baldini), i quali, rivolti a indagare e rivendicare Pinocchiocome capolavoro della letteratura mondiale, non si curarono di ricostruirne i nessi con la vita e la carriera del suo autore.  Negli anni della composizione e pubblicazione di Pinocchio, il L. proseguì la collaborazione al Fanfulla (fino al 1897) e assunse parte sempre più attiva nella gestione del Giornale per i bambini, di cui divenne direttore nel biennio 1883-85 e nel quale pubblicò racconti e novelle quali Chi non ha coraggio vada alla guerra. Proverbio in due parti, La festa di Natale e Pipì lo scimmiottino color di rosa, quest'ultima confluita con altri racconti e memorie, tra cui il brioso dialogo Dopo il teatro, nel volume Storie allegre pubblicato nel 1887, sempre presso Paggi.  L'anno prima era morta la madre, presso la quale il L. ancora viveva, e per lui fu un colpo da cui non riuscì a riprendersi. Gli anni successivi furono i più tristi e solitari della vita del L. che, già minato nel fisico, venne sempre più chiudendosi in se stesso e isolandosi nel suo lavoro.   Il L. morì a Firenze improvvisamente, la sera del 26 ott. 1890.  Dopo la sua morte, su incarico del fratello Paolo, il grammatico e lessicografo purista G. Rigutini ordinò e raccolse in due volumi (Note gaie e Divagazioni critico-umoristiche, editi entrambi a Firenze nel 1892) gran parte delle prose sparse del L., intervenendo con arbitrarie correzioni e aggiunte ai testi. Rigutini e il fratello Paolo, inoltre, passarono in rassegna la vasta raccolta delle sue carte, provvedendo a distruggere quasi tutte le lettere (private o d'argomento politico) che avrebbero potuto nuocere all'onorabilità del L. e di molti viventi, e soprattutto molti inediti, al fine di salvaguardare "il buon nome del Collodi scrittore" (cfr. Paolo Lorenzini [Collodi nipote], pp. 70, 74). Le non molte carte sopravvissute furono donate dall'ultimo dei fratelli, Ippolito, alla Biblioteca nazionale di Firenze.  Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, N.A., 754: Carte Lorenzini, cassette I, II, III; un altro nucleo di carte è custodito presso l'archivio del Gruppo editoriale Giunti Bemporad Marzocco di Firenze, erede della casa editrice Paggi (cfr. M.J. Minicucci, Tra l'inedito e l'edito delle carte manoscritte di C. L., in Studi collodiani. Atti del I Convegno internazionale,( 1974, Pescia 1976, pp. 381-403). Altri documenti sono presso l'Autografoteca Bastogi della Biblioteca Labronica F.D. Guerrazzi di Livorno e presso la Biblioteca nazionale di Roma. Infine, numerosi cimeli sono conservati presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze (cfr. i cataloghi Collodi giornalista e scrittore, a cura di R. Maini - P. Scapecchi, Firenze 1981; Pinocchio e pinocchiate nelle edizioni fiorentine della Marucelliana, a cura di R. Maini - M. Zangheri, Firenze 2000).  Tra le testimonianze biografiche contemporanee, i necrologi di E. Checchi e Yorick (rispettivamente nel Fanfulla della domenica e nella Domenica fiorentina, 2 nov. 1890; i profili premessi dai curatori a due successive edizioni delle Note gaie del L. (a cura di G. Rigutini, Firenze 1892, pp. V-XVI; a cura di I. Cortona [Lorenzini], ibid. 1911, pp. III-XL); G. Biagi, Il babbo di "Pinocchio": C. Collodi, in La Lettura, marzo 1907, pp. 184-190; F. Martini, Confessioni e ricordi (Firenze granducale), I, Firenze 1922, pp. 168 s.; inoltre P. Lorenzini, Collodi e Pinocchio, Firenze 1954; R. Bertacchini, Il padre di Pinocchio. Vita e opere del Collodi, Milano 1993; B. Traversetti, Introduzione a Collodi, Roma-Bari 1993; Cronologia, in C. Collodi, Opere, a cura di D. Marcheschi, Milano 1995, pp. LXVII-CXXIV. Manca un'edizione completa delle opere del L.: il progettato Tutto Collodi, a cura di P. Pancrazi, è rimasto interrotto al primo volume (Firenze 1948); la più ampia raccolta attualmente disponibile è quella delle Opere, a cura di D. Marcheschi, che nella Bibliografia delle opere di C. Collodi dà conto delle numerose edizioni e ristampe dei testi giornalistici e delle opere minori (narrative e teatrali) del L.: va inoltre ricordata la ristampa anastatica della Grammatica di Giannettino, a cura di F. Geymonat, Firenze 2003.  De Le avventure di Pinocchio si segnalano solo le edizioni di particolare rilievo: le due edizioni critiche, la prima a cura di A. Camilli, Firenze 1946 (basata sull'edizione Paggi del 1883); la seconda, a cura di O. Castellani Pollidori, Pescia 1983 (fondata sull'edizione Bemporad 1890 - l'ultima rivista dall'autore -, ma corredata delle varianti delle precedenti stampe e dei manoscritti dell'autore); inoltre, le tre edizioni curate da F. Tempesti (tutte pubblicate a Milano) nel 1972, nel 1983 e nel 1993, corredate da un ampio commento e da ricchi apparati documentari; infine, quella compresa nella raccolta di Opere, a cura di D. Marcheschi, cit. (pp. 359-526), con ampio corredo di note (pp. 916-1003). Tra le più recenti, quella (Torino 2002) con introd. di S. Bartezzaghi e prefaz. di G. Jervis, e quella (Milano 2002) con introd. di P. Italia (pp. VII-XXII) e prefaz. di V. Cerami (pp. XXII-XXVII).  Per il resto si rinvia (anche per la letteratura critica) alla Bibliografia Collodiana (1883-1980)di L. Volpicelli (Pescia 1980), da integrare con la citata Bibliografia di D. Marcheschi (pp. 1119-1130, aggiornata al 1994), alla consultazione del catalogo della Biblioteca Collodiana e all'Archivio digitale degli articoli su C. Collodi e Pinocchio (on-line su internet), gestiti dalla Fondazione nazionale Carlo Collodi di Pescia.  La storia degli studi critici sul L. (in gran parte contributi su Pinocchio) è ricostruita in due ampie panoramiche: Da Collodi a L.: sulla fortuna critica di D. Marcheschi, in C. L. oltre l'ombra di Collodi, a cura di G.E. Viola - F. Rovigatti, Roma 1990, pp. 55-64; Pinocchio tra due secoli. Breve storia della critica collodiana di R. Bertacchini, in C. L.- Collodi nel centenario. Atti del Convegno, Roma-Pescia( 1990, Roma 1992, pp. 121-164. Pertanto, diamo per esteso solo i riferimenti agli incunaboli della critica collodiana richiamati nel testo: P. Hazard, La littérature enfantine en Italie, in Revue des deux mondes, 15 febbr. 1914, pp. 842-870; P. Pancrazi, Elogio di Pinocchio [1921], in Id., Venti uomini, un satiro e un burattino, Firenze 1923, pp. 201-205; B. Croce, Pinocchio, in Id., La letteratura della Nuova Italia, V, Bari 1939, pp. 361-365; P. Bargellini, La verità di Pinocchio, Brescia 1942; A. Savinio, Collodi, in Id., Narrate uomini la vostra storia, Milano 1944, pp. 177-195; V. Fazio Allmayer, Commento a Pinocchio, Firenze 1945; A. Baldini, La ragion politica di "Pinocchio" (1876), in Id., Fine Ottocento. Carducci, Pascoli, D'Annunzio e minori, Firenze 1947, pp. 118-124; P. Pancrazi, Capolavoro scritto per caso[1948], in Id., Scrittori d'oggi, 5, Segni del tempo, Bari 1950, pp. 165-171. Inoltre, va ricordato l'impulso dato allo studio della personalità e dell'opera del L. dalla Fondazione nazionale Carlo Collodi, a Pescia, soprattutto con una lunga serie di congressi scientifici: Studi collodiani. Atti del I Convegno internazionale,( 1974, Pescia 1976; Pinocchio oggi. Atti del Convegno pedagogico,( 1978, Pescia-Collodi 1980; "C'era una volta un pezzo di legno". Atti del Convegno "La simbologia di Pinocchio", Pescia( 1980, Milano 1981; Folkloristi italiani del tempo del Collodi(, Pescia( 1982, a cura di P. Clemente - M. Fresta, Montepulciano 1986; Pinocchio fra i burattini. Atti del Convegno internazionale, ( 1989, a cura di F. Tempesti, Firenze 1993; Pinocchio sullo schermo e sulla scena. Atti del Convegno internazionale,( 1990, a cura di G. Flores d'Arcais, Firenze 1994; Scrittura dell'uso al tempo del Collodi( 1990, a cura di F. Tempesti, Firenze 1994; Pinocchio nella pubblicità(, Pescia( 1995, a cura di P.F. Bernacchi, Firenze 1997; Sterne e Collodi. Atti della tavola rotonda,( 1995, Lucca 1999.  Per il centenario della morte del L. vanno ricordati il volume promosso dalla Banca Toscana, C. Collodi, lo spazio delle meraviglie, a cura di R. Fedi, con introduzione di L. Comencini e Suso Cecchi D'Amico, s.l. [ma Firenze] 1990 e le citate pubblicazioni dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana a Roma: il catalogo C. L. oltre l'ombra di Collodi; e gli atti del Convegno C. L.- Collodi nel centenario.  Tra gli studi dell'ultimo decennio: M. Raicich, Di grammatica in retorica. Lingua scuola editoria nella Terza Italia, Roma 1996, pp. 3-7, 71 s., 74, 231; G. Cives, Pinocchio tra realtà e sogno, in F. Cambi - G. Cives, Il bambino e la lettura. Testi scolastici e libri per l'infanzia, Pisa 1996, pp. 279-314; E. Giachery, Tre compari intorno a un burattino, in Id., La letteratura come amicizia, Roma 1996, pp. 137-146; M. Gómez del Manzano - G. Janier Manica, Pinocchio in Spagna, Scandicci 1996; A. Asor Rosa, Le avventure di Pinocchio, in Id., Genus Italicum. Saggi sull'identità letteraria italiana nel tempo, Torino 1997, pp. 551-617; P. Citati, Il ritratto di "Pinocchio", in Id., Ritratti di donne, Milano 1997, pp. 148-160; G. Cives, Da "Pinocchio" a "Cuore": due fortune molto diverse, in Scuola e città, XLVIII (1997), pp. 13-23; M. Farnetti, I notturni di Pinocchio, in Id., L'irruzione del vedere nel pensare. Saggi sul fantastico, Pasian di Prato 1997, pp. 71-86; G. Gasparini, La corsa di Pinocchio, Milano 1997; D. Lanza, Lo stolto. Di Socrate, Eulenspiegel, Pinocchio e altri trasgressori del senso comune, Torino 1997, pp. 170-175; F. Tempesti, Pinocchio, in I luoghi della memoria: strutture ed eventi dell'Italia unita, a cura di M. Isnenghi, Roma-Bari 1997, pp. 115-137; V. Spinazzola, Pinocchio & C., Milano 1997 (in partic. pp. 9-97); P.M. Toesca, La filosofia di Pinocchio, ovvero l'Odissea di un ragazzo per bene con memoria di burattino, in Forum Italicum, XXXI (1997), 2, pp. 459-486; L. Pizzoli, Sul contributo di "Pinocchio" alla fraseologia italiana, in Studi linguistici italiani, XXIV (1998), pp. 167-209; R. Randaccio, La "Legge shandyana del nome" nei personaggi di C. Collodi, in Riv. italiana di onomastica, IV (1998), pp. 59-69; R. Bertacchini, Collodi poeta di teatro, in Nuova Antologia, 1999, n. 2122, pp. 244-253; G. Biffi, Alcuni interrogativi su Collodi e Pinocchio, in Studi cattolici, XLIII (1999), pp. 522-526; R. Campa, La metafora dell'irrealtà: saggio su "Le avventure di Pinocchio", Lucca 1999; Sterne e Collodi, Lucca 1999 (testi di R. Bertacchini, D. Marcheschi, F. Tempesti); E. Guagnini, Il "Romanzo in vapore" e la tradizione delle guide e della letteratura di viaggio, in Id., Viaggi d'inchiostro. Note su viaggi e letteratura in Italia, Udine 2000, pp. 69-84; T. Iermano, Da Parravicini a De Amicis: considerazioni sulla letteratura per l'infanzia tra Risorgimento e Italia umbertina, in Studi piemontesi, 2000, n. 2, pp. 345-362; M. Carosi, Pinocchio. Un messaggio iniziatico, prefaz. di G. De Turris, Roma 2001; A. Gnocchi - M. Palmaro, Ipotesi su Pinocchio, Milano 2001; S. Moret, Pinocchio e le "pinocchiate" in Francia, in Levia gravia, III (2001), pp. 77-88; L. Tamburini, Il cuore di Collodi e quello di De Amicis, in Studi piemontesi, XXX (2001), 2, pp. 295-314; M. Villoresi, La letteratura poliziesca e del mistero ambientata a Firenze. Contributo per un itinerario di ricerca, in Archivi del nuovo, 2001, n. 8-9, pp. 65-83; M. Scollo Lavizzari, Della disubbidienza in Pinocchio, in Nuovi Argomenti, s. 5, ottobre-dicembre 2002, n. 20, pp. 322-339; F. Geymonat, Una grammatica di buon senso, in C. Collodi, La grammatica di Giannettino, a cura di F. Geymonat, Firenze 2003, pp. I-XVIII; C. Marello, La dubbia efficacia del paternalismo induttivo, ibid., pp. XIX-XXII; O. Castellani Pollidori, In riva al fiume della lingua. Studi di linguistica e filologia (1961-2002), Roma 2004, ad ind.; Il giro di Pinocchio in due giornate. Convegno internazionale di studi, Pisa( 2004 (in corso di stampa).  D. Proietti Ho intervistato Emilio Garroni il 21 settembre 2004, presso la sua casa di Roma. Pochi mesi prima avevo deciso, insieme al mio relatore Prof. Leonardo Amoroso, di scrivere una tesi sull’estetica di Garroni. Garroni, molto gentilmente, non solo ha concesso l’intervista ma l’ha rivista e mi ha fornito indicazioni importanti per la stesura della tesi1. 1. Prof. Garroni, nei suoi testi c'è stato un progressivo spostamento di interesse dalla semiotica all'estetica, in che modo lo descriverebbe? Come lo motiva? Io mi sono occupato molto prima di estetica che di semiotica. Ma quando ho cominciato ad occuparmi di semiotica, l’interesse non era rivolto solo alle opere d’arte, anche se l’occasione fu questa. Perché mi sono occupato di semiotica? Sono stato attratto anch’io nel vortice della moda della semiotica, cominciata nei primi anni ’60, forse negli ultimi anni ’50. Ma forse avevo anche qualche motivo serio per farlo. Provenivo dalla cultura estetica imperante in Italia fino a tutti gli anni ’40, di tipo crociano, dove l’arte viene riportata all’intuizione, e non si dice quasi nulla di più. Non si sa in alcun modo come l’estrinsecazione di questa intuizione si strutturi e sia analizzabile. Lo stesso Croce nelle sue opere critiche conduce analisi critiche vere e proprie in modo assai esiguo. Poesia e non-poesia e quasi nient’altro. Anche i tentativi che furono fatti sulla scia 2crociana nell’ambito di arti particolari, nell’architettura da parte di Bruno Zevi , nella musica da parte di altri e così via, servirono fino a un certo punto, perché restava pur sempre quelle categoria fissa e indistinta dell’intuizione. Tanto meno si poteva sapere, come pure era nella mente di Croce, se e quando un’opera d’arte fosse veramente un’opera d’arte, se si potesse distinguere fra un’opera d’arte riuscita e un’opera d’arte non riuscita e quindi non più opera d’arte. Appunto questo intuizionismo mi urtava. Non a caso mi avvicinai in un 1 Questa intervista nasce dunque come appendice alla mia tesi di laurea, ovvero: Fiorenzo Ferrari, Estetica e filosofia in Emilio Garroni, tesi di laurea discussa presso l’Università degli Studi di Pisa, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Filosofia, relatore prof. Leonardo Amoroso, a.a. 2004-2005. 2 Cfr. Bruno Zevi, Saper vedere l’architettura, Einaudi, Torino, 1949.   Intervista a Emilio Garroni 2  primo momento a Galvano della Volpe, citato già nel mio primo libro del ‘643 e ampiamente discusso insieme al pensiero di Anceschi, di Formaggio e di molti altri. Perché Galvano della Volpe? Perché in lui c’era l’esigenza di riportare l’opera d’arte a un uso specifico del linguaggio: in lui insomma l’opera si presentava come analizzabile, ed effettivamente della Volpe conduceva analisi semantiche, piacciano o no, più che analisi sorvolanti sulla mera forma. Tali analisi semantiche si occupavano inoltre anche di varie arti non linguistiche. L’appendice alla Critica del gusto4, che riprende il tema del Laocoonte lessinghiano, contiene infatti riferimenti, per esempio, alla pittura, e non è un caso che al proposito si citi Cesare Brandi, che non fu mai un semiotico, anzi fu un accanito antisemiotico, e tuttavia poneva le basi di un’autentica analisi dell’opera d’arte. Tra parentesi: io apprezzavo e apprezzo tuttora moltissimo Brandi, che ho sempre letto fin dall’inizio, fin dagli anni ’40. Insomma: mi interessava di poter disporre di una teoria che permettesse di analizzare, sì, la struttura delle opere, ma anche la loro struttura comunicativa. Ero tuttavia contrario al modo semplicistico allora adottato frequentemente, di prendere pezzi materiali di opere e classificarli come segni (per esempio, nell’architettura, «capitello», «colonna», «base», e così via), e ho tentato invece un’impresa molto più difficile e in qualche modo più fine, che però si dimostrò anch’essa fallimentare o piuttosto inutilizzabile. Mi sforzavo cioè di produrre una semiotica formale mediante operazioni analoghe a quelle che si conducono sul linguaggio, dove appunto si arriva a unità formali, non materiali. Monemi e fonemi, per esempio, non sono pezzetti di frase, ma unità formali costitutive della sequenza linguistica. Volevo ottenere insomma una autentica leggibilità dell’opera, non puramente retorica, ma aderente alla sua costituzione. Non pretendevo, certo, di arrivare attraverso l’analisi di un’opera a giustificare la sua bellezza o non bellezza, il giudizio estetico è un'altra cosa, volevo solo analizzare e capire l’oggetto, che poteva poi essere opera d’arte o altre cose, anche non opere d’arte, anche oggetti comuni. Ho intrapreso dunque questa impresa assai ardua, ma a un certo punto mi sono accorto che quel lavoro poteva forse essere interessante come mero esperimento, ma non portava a niente. In realtà non portava a niente né la semiotica materiale di tanti altri, né la mia semiotica formale. Ho avuto una vera e propria crisi teorica dopo aver scritto Progetto di semiotica5, libro semioticamente troppo ambizioso. La crisi si risolse con Ricognizione della semiotica6, che è una dichiarazione di abbandono sostanziale della semiotica e un’apertura più decisa, anche se già più che affiorante negli scritti precedenti, verso altri orientamenti. Una precisazione importante: mi sono distaccato dagli studi di semiotica sulla base di un accorgimento ancora più fondamentale, vale a dire: avevo tentato di utilizzare opportunamente gli strumenti linguistici anche per i linguaggi non verbali e di arrivare a soluzioni non ovviamente identiche, ma analoghe, nella definizione del loro codice, e mi sono accorto a un certo punto che neanche il codice linguistico è un vero e proprio codice. C’è, sì, una parte codificata, fonematica, monematica e grammaticale, ma nell’uso, poi, il linguaggio è creativo, continuamente si amplia, muta, e così via. E mi sono convinto che sarebbe stato assurdo pretendere qualcosa di 3 Emilio Garroni, La crisi semantica delle arti, Officina Edizioni, Roma, 1964. 4 Galvano della Volpe, Critica del gusto, Feltrinelli, Milano, 1960. 5 Garroni, Progetto di semiotica. Messaggi artistici e linguaggi non-verbali, Problemi teorici e applicativi, Laterza, Bari, 1972. 6 Garroni, Ricognizione della semiotica. Tre lezioni di, Officina Edizioni, Roma, 1977.   Intervista a Emilio Garroni 3  più da linguaggi chiaramente ancora meno codificati, come per esempio il presunto linguaggio figurativo. Mi ha allontanato dalla semiotica, inoltre, l’approfondimento del pensiero di Kant. Naturalmente, mi ero da sempre occupato di Kant e in particolare della terza Critica, almeno dagli anni ‘60 e anche prima, e ho tenuto sull’argomento vari corsi di lezioni. E via via che andavo maturando una mia interpretazione di Kant, essa era sempre più in collisione con una prospettiva semiotica. Non che le opere non siano analizzabili, ma sono analizzabili con strumenti diversi, non con strumenti propriamente semiotici. Ma questo è un altro discorso. 2. Come reputa di inserirsi nella tradizione kantiana in Italia? Quali sono stati e sono i suoi riferimenti imprescindibili in essa, e come ritiene di averli rielaborati? Chi sono stati e sono i suoi interlocutori privilegiati? Il riferimento più significativo è stato ed è Scaravelli. Scaravelli dà un’inter- pretazione fulminante della terza Critica7, mettendo in evidenza cose che non erano mai state viste, e che invece, dopo aver letto Scaravelli, risultano addirittura ovvie. Debbo citare anche un autore, un po’ più antico, che pure dice cose molto interessanti: Baratono, che sostanzialmente interpreta il principio estetico della facoltà di giudizio come un principio per la possibilità dell’esperienza particolare della natura e quindi della scienza8. È insomma una parziale anticipazione di Sca- ravelli. Un ultimo riferimento notevole è Vittorio Mathieu, che è giunto a risultati analoghi nei riguardi del cosiddetto Opus postumum9. Questi sono i miei più importanti riferimenti. Tutti italiani? Naturalmente ho letto e apprezzato anche molte opere di stu- diosi non italiani, da Cassirer a De Vleeschauwer, da Hinske a Guyer, e così via. Ma sa che cosa si dice, scherzando, ma fino a un certo punto, in Germania, proprio nell’ambiente di Hinske?, che gli studi kantiani si sono ormai trasferiti in Italia. I miei interlocutori... non è che io abbia tanti interlocutori. Insomma: molti che si occupano di Kant non si occupano molto di me, e io non mi occupo molto di loro. Alcuni interlocutori, sì, li ho, e ottimi. Per esempio Marcucci, con cui ho avuto anche una corrispondenza che, come lei sa, è stata pubblicata, mi pare, in «Studi di estetica»10. Con Marcucci sono in ottimi rapporti, abbiamo sempre scambiato idee, mi manda i suoi libri e i suoi saggi e io gli mando i miei. Insomma discutiamo, anche se non siamo sempre d’accordo, soprattutto sul punto fondamentale dell’interpretazione del principio estetico della facoltà di giudizio. Ma spesso è più 7 Le considerazioni più rilevanti sulla terza Critica sono in: Luigi Scaravelli, Osservazioni sulla «Critica del Giudizio» (1955), poi in Scaravelli, Scritti kantiani, La Nuova Italia, Firenze, 1968. 8 Cfr. Adelchi Baratono, Il pensiero come attività estetica. Introduzione alla Critica del Giudizio, in «Logos», X, 1-2, 1927. 9 Vittorio Mathieu, La filosofia trascendentale e l’ «Opus postumum» di Kant, Edizioni di «Filosofia», Torino, 1958; Immanuel Kant, Opus postumum, a cura di V. Mathieu, Zanichelli, Bologna, 1963. 10 Garroni, Silvestro Marcucci, Lettere kantiane, in «Studi di estetica», V, 1979-80.   Intervista a Emilio Garroni 4  proficuo non essere d’accordo, che l’esserlo11. E ancora: Amoroso. Con Amoroso ho scambiato idee, ho letto il suo libro su Kant che apprezzo molto12. Per esempio, ci siamo visti in occasione di un seminario kantiano a Palermo13, e abbiamo parlato a lungo. E ancora Makkreel, che ho conosciuto a Cerisy La-Salle14, e La Rocca, che mi interessa molto. A proposito di Cerisy, proprio lì Amoroso ed io scoprimmo, chiacchierando insieme, non senza stupore e forse con un po’ di disappunto, che stavamo entrambi traducendo la terza Critica15, rispettivamente: Critica della capacità di giudizio16 e Critica della facoltà di giudizio17. Ma dovrei ricordare alcuni dei miei allievi, con cui sono molto legato e con cui c’è sempre stato uno scambio molto forte su problemi kantiani: Di Giacomo, Montani, Catucci, Velotti, che ha scritto un bel libro che si occupa largamente di Kant, recentemente edito da Laterza18. E soprattutto Miki Hohenegger, con il quale ho lavorato insieme nella traduzione della terza Critica, edita da Einaudi, e nella stesura della relativa Introduzione. E altri ancora. La Rocca è un caso per me leggermente, come dire?, angustiante, perché è un ottimo studioso ed è per fortuna d’accordo con me su molti punti, abbiamo anche parlato insieme oltre che scritto reciprocamente uno dell’altro, però non accetta, al pari di Marcucci, la mia interpretazione del principio estetico come il principio stesso della facoltà del giudizio19. Eppure Kant dice, mi pare più volte e chiaramente in tutto il testo, che quello è l’unico principio costitutivo della facoltà di giudizio, mentre il principio teleologico è soltanto derivato da quello. Il caso di La Rocca è in un certo senso l’inverso del caso di Desideri, che è senza dubbio, anche lui, un studioso bravo, interessante, forse un po’ complicato qualche volta, ma bravo. Perché inverso? Perché recentemente è uscito un suo libro20, in cui lui riprende in sostanza la mia interpretazione, che a lui sta bene, al contrario di La Rocca. Ebbene, 11 Cfr. Garroni, Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla “Critica del Giudizio” di Kant, Bulzoni, Roma, 1976 (2a ed. con una Premessa dell’autore: Unicopli, Milano, 1998); Marcucci, Epistemologia ed estetica in Kant, in «Physis», XIX, 1977. 12 Leonardo Amoroso, Senso e consenso. Uno studio kantiano, Guida, Napoli, 1984. 13 Seminario promosso dal Centro Internazionale Studi di Estetica e svoltosi a Palermo, Grand Hotel des Palmes, 9-10 ottobre 1998. Tema del convegno: Baumgarten e gli orizzonti dell’estetica; contemporaneamente all’uscita di: Alexander G. Baumgarten, Lezioni di estetica, a cura di S. Tedesco, Aesthetica, Palermo, 1998. Hanno introdotto la discussione L. Amoroso, M. Ferraris, E. Garroni, L. Russo. Partecipanti: M. Carbone, G. Carchia, P. D’Angelo, G. Di Giacomo, R. Diodato, E. Ferrario, D. Goldoni, T. Griffero, P. Kobau, G. Lombardo, E. Mattioli, M. Mazzocut-Mis, P. Montani, P. Pimpinella, L. Pizzo Russo, R. Salizzoni, S. Tedesco, G. Tomasi, S. Velotti. La relazione di Garroni e altre relazioni e comunicazioni sono state poi pubblicate in «Aesthetica Preprint», 54, 1998. 14 A Cerisy si svolgono le attività del Centre Culturel International (www.ccic-cerisy.asso.fr). 15 Il Colloquio su L’Esthétique de Kant si svolse nel giugno 1993. Gli atti sono stati poi pubblicati in: AA.VV., Kants Ästhetik, hrsg. H. Parret, Walter de Gruyter, Berlin-New York, 1998. 16 Kant, Critica della capacità di giudizio, a cura di L. Amoroso, BUR, Milano, 1995. 17 Kant, Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Einaudi, Torino, 1999. 18 Stefano Velotti, Storia filosofica dell’ignoranza, Laterza, Roma-Bari, 2002. 19 Cfr. Claudio La Rocca, Soggetto e mondo. Studi su Kant, Marsilio, Venezia, 2003. 20 Fabrizio Desideri, Il passaggio estetico. Saggi kantiani, Il Melangolo, Genova, 2003.   Intervista a Emilio Garroni 5  curiosamente non ho mai avuto rapporti personali con lui, al contrario di La Rocca, se non di sfuggita in concorsi o cose del genere. E per di più Desideri scrive all’inizio del suo ultimo libro che questa idea gli è venuta leggendo una serie di libri, fra cui il mio, ma anche quelli di altri che negano recisamente questa tesi. Non capisco bene il perché. In ogni caso posso dire che con Desideri sono «idealmente» in rapporti di discussione. 3. Più volte Lei fa riferimento alla problematicità di una storia dell'estetica. In Estetica. Uno sguardo-attraverso21 si prendono in considerazione Burke e Batteux oltre a, naturalmente, Kant. Inoltre lì, e per un certo verso anche in Senso e paradosso22, si argomenta intorno alla possibilità di una rilettura motivata di testi definibili come «estetici» scritti prima del XVIII secolo, rilettura nella prospettiva del «senso» che è a Lei propria. Come ritiene quindi fattibile una storia dell'estetica? E con quali limiti? Non ho mai scritto una storia dell’estetica, né mi è mai venuto in mente di farlo, e ormai non la scriverò neppure in futuro. Però cominciano a uscire dei lavori interessanti, cioè esempi di una storia dell’estetica calibrata in modo diverso rispetto a quello tradizionale: una storia dell’estetica che non presume di trovare un’estetica dappertutto, tale e quale, così come si è costituita nel secolo XVIII. Si è ormai consci che si debbono fare distinzioni opportune. L’oggetto stesso della cosiddetta riflessione estetica, in senso molto lato, è diverso nei vari tempi, non è affatto identico a quello che noi chiamiamo opera d’arte bella, una categoria nata storicamente in un certo tempo. Ci sono, come dico spesso nei miei libri, somiglianze, identità parziali, ma anche differenze, talvolta molto forti, tra i vari oggetti sui quali si esercita la cosiddetta riflessione estetica. Questo significa che non si può scrivere una storia dell’estetica come storia di una disciplina e che però si può forse delineare un panorama di tutti quei fenomeni che, in qualche modo, hanno analogie con ciò che noi, poi, abbiamo chiamato opere d’arte bella e che richiedono parimenti un principio non intellettuale. Su questa base è nata una subcollanina laterziana di Cultura Moderna, da me diretta, dedicata ai problemi dell’estetica e dell’altro dall’estetica23, dove sono usciti alcuni ottimi libri, per esempio quello di Paolo D’Angelo sull’estetica della natura e dell’ambiente24. Dunque, estetica fino a un certo punto, che non si occupa di opere d’arte, ma di oggetti diversi che possono essere sottoposti a giudizi di tipo diverso, che non sono sempre, o quasi mai, puramente estetici, ma coinvolgono altri aspetti della nostra esperienza. E’ uscito poi un libro di Guastini sull’estetica antica, particolarmente interessante, perché riesce a chiarirla senza mai dimenticare che la filosofia antica non possiede una vera e propria estetica, non solo perché non sia sanzionata come disciplina, ma perché i suoi 21 Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano, 1992. 22 Garroni, Senso e paradosso. L’estetica filosofia non speciale, Laterza, Roma-Bari, 1986. 23 La serie di Laterza si chiama: «Temi per l’estetica» ed appartiene alla collana «Biblioteca di cultura moderna». 24 Paolo D’Angelo, Estetica della natura. Bellezza naturale, paesaggio, arte ambientale, Laterza, Roma-Bari, 2001.   Intervista a Emilio Garroni 6  problemi erano alquanto diversi25. Ebbene, in quel libro si vedono bene, come le dicevo, e differenze e analogie. Insomma: questo è appunto un modo di fare storia dell’estetica senza pretendere di fare la storia di una disciplina, ma piuttosto la storia di un qualcosa di cangiante che circola nella riflessione e che tuttavia richiede una qualche condizione comune, qualcosa come il principio soggettivo della facoltà di giudizio. E del resto io stesso, il mio ultimo libro, l’ho intitolato L’arte e l’altro dall’arte, con questa precisa intenzione26. 4. Nei suoi più recenti saggi27, Lei lamenta il fatto che l'arte contemporanea non riesca più ad essere esemplificatrice di una prospettiva di senso: essa sarebbe solo una reduplicazione e sostituzione dell'esistente. In che modo valuta questi cambiamenti? Ritiene inoltre che vi siano nell'arte contemporanea propensioni opposte a questa tendenza generale? Sull’arte contemporanea ho poco da dire, ho poco da dire perché... Guardi, io mi sono interessato moltissimo di arte e storia dell’arte, occupandomi fin dagli anni ‘40 dell’arte antica e moderna, dai greci fino ai nostri giorni, compresa l’avanguardia novecentesca. Negli anni ’60 mi sono avvicinato di più all’arte che si stava facendo allora e ho scritto anche qualche saggio in onore di pittori che mi interessavano28. Ma questo interesse artistico è un po’ scemato col tempo. Perché? Un po’ per mie traversie intellettuali, non sempre testimoniate in libri e saggi, che mi hanno portato su altre strade. Un po’ perché credo che il giudizio che ho dato sull’arte attuale come riproposizione dell’esistente, con l’aggiunta di trovate e trovatine più o meno lodevoli, sia abbastanza valido. Io non so se esistano casi che facciano pensare il contrario, può darsi, non so dirglielo. Fino adesso non ne ho incontrati... qualcosa di «carino», sì, una invenzione che richiama l’attenzione... però tutto sommato mi pare che l’arte nella sua generalità tenda precisamente a quella riproposizione dell’esistente, attraverso i mezzi tecnologici oggi a disposizione. Le stesse installazioni, per esempio, che pure sono qualche volta opere di grande interesse, sono spesso la raccolta di oggetti trovati, ma con intenti diversissimi rispetto a Duchamps, e richiamano sempre l’esistente tale e quale, o quasi. In effetti è significativo che anche in quelle opere ci sia spessissimo un te- 25 Daniele Guastini, Prima dell’estetica. Poetica e filosofia nell’antichità, Laterza, Roma-Bari, 2003. 26 Garroni, L’arte e l’altro dall’arte, Laterza, Roma-Bari, 2003. Pochi giorni dopo l’intervista, Garroni mi ha inviato una e-mail con la bozza di quello che sarebbe stato davvero il suo ultimo libro: Garroni, Immagine Linguaggio Figura. Osservazioni e ipotesi, Laterza, Roma-Bari, 2005. 27 Cfr. Garroni, Relazione interna, relazione esterna e combinazione delle arti, relazione presentata al Convegno della Biennale Lo scambio delle arti nel ‘900, Venezia, 1998, poi in: Garroni, L’arte e l’altro dall’arte, cit.; Garroni, Senso e non-senso, conferenza letta a I Coloquio Latino-americano de Estética y de Critica di Buenos Aires e alla Facultad de Arquitectura Diseño y Urbanismo, novembre 1993, poi in: Garroni, Osservazioni sul mentire e altre conferenze, Teda, Castrovillari, 1994. 28 Garroni, Enrico Crispolti, Alfredo Del Greco, Biblioteca di Alternative Attuali, Roma, 1962; Garroni, Arte mito e utopia: 11 dipinti di Bice Lazzari, Tipografia Fonteiana, Roma, 1964; Garroni, Il mito negativo e la pittura di Vacchi, Officina, Roma, 1964; Silvio Benedetto, Amore Uno: 6 acqueforti, presentate da E. Garroni, Il Torcoliere, Roma, 1966; Silvio Benedetto (104 opere dal 1963 ad oggi), Galleria d’arte internazionale Due Mondi, Roma, 1966.   Intervista a Emilio Garroni 7  levisore, quasi che si volesse richiamare l’attenzione sulle comunicazioni di massa e sul fatto che quello che si mostra è proprio quello che potremmo incontrare andando in una casa che non conoscevamo. Naturalmente, non sto facendo previsioni per il futuro. Può darsi che tutto cambi, basta che emerga una personalità di talento, che faccia del nuovo diverso da quello che si fa adesso. Ma, a dire la verità, io non credo molto alle capacità taumaturgiche dei singoli talenti. I talenti sono un fatto, ma il loro emergere è condizionato dai tempi. E i nostri tempi sono tempi di degradazione, inadatti a sollecitare i talenti potenziali. Insomma, se l’arte mi pare giù di tono, non credo affatto che la colpa sia degli artisti, ma piuttosto dei nostri tempi disgraziati, che oppongono all’orrore ormai quotidiano la contemplazione dell’esistente ridotto a immagine televisiva o telematica. 5. Un filosofo citato nei suoi testi (insieme ad Heidegger e Wittgenstein) è John Dewey. I riferimenti a Dewey, pur significativi, sono più circoscritti rispetto a quelli nei confronti di Heidegger e Wittgenstein. Per quale ragione? Quali sono le sue idee ed opinioni sull'autore di L'arte come esperienza? Perché cito soprattutto Heidegger e Wittgenstein? Ognuno ha i suoi filosofi preferiti. Oltre a tutto, come è stato detto da Verra, Wittgenstein e Heidegger sono i due filosofi più importanti del XX secolo. Questo forse sarà un giudizio estremo. Senza dubbio ce ne sono altri importanti, ma sicuramente questi sono tra i pochi più importanti. Io ho trovato motivi di interesse per un certo verso più in Wittgenstein che in Heidegger. Heidegger non lo accetto per molti aspetti, ma certo ha intuizioni e riflessioni notevoli. In ogni caso mi hanno aiutato entrambi, o almeno lo spero, a capire come stanno le cose con la filosofia e con il problema stesso della filosofia. E qui allora vorrei citare ancora una volta un altro filosofo, che non cita più nessuno: Carabellese. Carabellese è stato per me un insegnamento fondamentale. Il modo di ricercare di Carabellese nell’ambito filosofico era stupefacente: la lettura del testo, lo smontaggio del testo, e lo scavare nel pensiero degli autori, talvolta non senza qualche coartazione qua e là, ma in ogni caso con serietà e profondità29. Confesso di preferire di gran lunga questo metodo a quello di certi filologi che capiscono a metà. Quella era la sua caratteristica principale. Io ho tentato di ispirarmi a quel metodo, anche se l’ammissione può nuocermi presso i filologi. Pazienza. Cito Dewey per una ragione semplicissima. Perché l’estetica di Dewey è un estetica precisamente nel mio senso più che non nel senso di molti altri. Non un’estetica dell’opera d’arte. Ha come oggetto non solo l’opera d’arte, ma certe esperienze, che rimandano ad un certo principio che è lo stesso di quello del giudizio estetico in senso stretto. Veramente, Dewey non parla esplicitamente di principi, ma fa esempi che non hanno niente a che fare con l’arte, assimilandoli tuttavia a questa sotto un comune denominatore: il pranzo in un ristorante francese, oppure la tempesta (se ricordo bene) durante una crociera, e così via. Però cito molto anche Brandi. Brandi, come le dicevo, è stato molto impor- tante per me, anche per il superamento della semiotica30, ma soprattutto per alcuni 29 Sul problema interno della filosofia, cfr. Pantaleo Carabellese, Che cos’è la filosofia?, in «Rivista di Filosofia», Anno XIII, 3, 1921. 30 Per le critiche alla semiotica, cfr. Cesare Brandi, Segno e immagine, Milano, Il Saggiatore, 1960.   Intervista a Emilio Garroni 8  aspetti filosofici della sua estetica, guarda caso proprio in riferimento allo sche- matismo kantiano, e per la sua prodigiosa capacità di lettura delle opere d’arte. Basta leggere i suoi Dialoghi31, l’Architettura barocca32, il Duccio33, eccetera eccetera, per rendersene conto. 6. Da sempre Lei ha alternato alle opere filosofiche, opere di narrativa34. C'è stata un'influenza tra i due ambiti? L’argomento dei miei scritti narrativi mi imbarazza leggermente, dato che cadono del tutto al di fuori dell’ambito dei miei lavori. Tuttavia non mi imbarazza dirle che li ho scritti con la stessa attenzione degli altri scritti, e, per di più, che essi meritavano forse un’attenzione maggiore, al di fuori della ristrettissima cerchia dei miei lettori, come dire?, «convinti». Non è uno sfogo da autore deluso. E’ una convinzione, credo non immotivata, che non nasce affatto dalla delusione. Ora lei mi chiede se c’è un’interrelazione tra i due ambiti. Senza dubbio, non può non esserci, perché sono sempre io che scrivo, quell’io che ha una certa storia, personale e culturale, e che è arrivato a certi risultati, buoni, cattivi o mediocri, questo non importa, in fatto di comprensione. E tuttavia ciò che scrivo nelle opere narrative non serve a spiegare nulla dei miei saggi. Anzi sarebbe una fonte di fraintendimento utilizzare quegli scritti per capire i miei saggi filosofici. Sono semmai gli scritti narrativi che esigerebbero una spiegazione ulteriore da parte dei saggi filosofici. Infatti si pongono in una posizione più arretrata. Sono, per così dire, una fabulazione interna di chi deve arrivare ad una vera comprensione cui non arriverà mai. Sono racconti di personaggi in qualche modo nevrotici e metafisici. Per esempio, ho usato queste due parole nel sottotitolo del libretto Racconti morali35: «lontananza» e «vicinanza». Ebbene i miei personaggi oscillano precisamente tra la lontananza dal mondo e la vicinanza al mondo, ma non si pongono mai il problema se questa oscillazione sia superabile, e quindi non arrivano mai a una comprensione critica della vicinanza con gli oggetti del mondo, né si pongono il problema se sia possibile guardare da lontano il mondo intero. In questo senso preciso sono racconti metafisici che intendono lasciare insoddisfatto il lettore con quella scrittura elaborata, saltellante, ripetitiva, cosparsa di frequenti contraddizioni, tutte intenzionali, ovviamente. Infatti questi personaggi nevrotici e metafisici sono fatalmente ambivalenti e contraddittori. Si potrebbe dire, per autocitarmi, che non hanno capito 31 Brandi, Carmine o della pittura, Scialoja, Roma, 1945; Brandi, Arcadio o della Scultura. Eliante o della Architettura, Einaudi, Torino, 1956; Brandi, Celso o della Poesia, Einaudi, Torino, 1957. 32 Brandi, La prima architettura barocca: Pietro da Cortona, Borromini, Bernini, Laterza, Bari, 1970. 33 Brandi, Duccio, Vallecchi, Firenze, 1951. 34 Garroni, La macchia gialla, Lerici, Milano, 1962; Garroni, I tasmaniani, Bucciarelli, Ancona, 1963; Garroni, Dissonanzen-Quartett. Una storia, Pratiche, Parma, 1990; Garroni, Racconti morali o Della vicinanza e della lontananza, Editori Riuniti, Roma, 1992; Garroni, Sulla morte e sull’arte. Racconti morali, Pratiche, Parma, 1994. Garroni si dedicava non solo alla letteratura ma anche alla pittura, alcuni dipinti sono riprodotti nel libro- intervista: Garroni, Doriano Fasoli, Il mestiere di capire, Edizioni Associate, Roma, 2005. 35 Garroni, Racconti morali, cit.   Intervista a Emilio Garroni 9  ciò che io chiamo «il guardare-attraverso». E tuttavia è vero che per arrivarci a capire qualcosa del genere, non dico quella formula, ma l’atteggiamento mentale che sta dietro a quella formula, forse bisogna proprio passare attraverso quelle oscillazioni tra vicinanza e lontananza. Quindi in qualche modo sono una premessa, anzi una sorta di postfazione, ai testi filosofici.  1. Emilio Garroni non è stato soltanto uno dei filosofi italiani più impor- tanti del secondo dopoguerra, ma anche una figura di intellettuale complessa e sfaccettata. Trovandosi di fronte alle sue molteplici attività e ai suoi svariati interessi, si sarebbe tentati di concentrarsi – per i fini di questo focus di «Syzetesis» dedicato ad alcuni Momenti di filosofia italiana – sui suoi contributi più convenzionalmente etichettabili come “filosofici”, quali quelli dedicati all’interpretazione del pensiero critico di Kant, tralasciando tutto il resto: le pratiche di narratore e di pittore (attraversate da specifiche auto-tematizzazioni teoriche e oggetto di riflessione saggistica), l’interesse per la psicoanalisi e la linguistica, gli interventi sulle arti visive, la letteratura e la musica – talvolta affidati a quotidiani, settimanali o cataloghi –, i numerosi saggi, sempre incisivi, su temi di grande impegno, dalla creatività alla spazialità, dalla verità alla menzogna1. A questi diversi aspetti dell’attività di Garroni potrò in effetti fa- re solo qualche cenno, tuttavia ho scelto di presentarne il pensiero se- condo un’angolazione in cui il confronto con Kant ha certamente un posto di rilievo, ma solo in funzione di quella che mi sembra la vera vocazione o passione dominante di Garroni, e che il titolo di una lunga intervista concessa a Doriano Fasoli poco prima di morire, nel 2005, mi pare colga bene: Il mestiere di capire2. L’impegno costante a capire – capire quello che la vita e la storia ci mettono davanti, capire “dove si sta”, capire “cosa si prova a essere un homo sapiens”3, capire i prodotti della cosiddetta cultura, capire o com- 1 La bibliografia più completa degli scritti di Garroni, curata da A. D’Ammando, è dispo- nibile sul sito dell’associazione “Cattedra internazionale Emilio Garroni” (https://www. cieg.info/ [14.09.2020]). 2 E. Garroni-D. Fasoli, Il mestiere di capire. Saggio-conversazione, Edizioni Associate, Roma 2005.  3 Cfr. E. Garroni, Che cosa si prova ad essere un homo sapiens?, testo introduttivo a A. B. Ferrari, L’eclissi del corpo. Una ipotesi psicoanalitica, Borla, Roma 1992, pp. 7-16; Garroni ha poi rielaborato questo testo in uno dei suoi ultimi scritti, uscito postumo, La mente, il corpo, le cose, in P. Carignani-F. Romano (eds.), Prendere corpo. Il dialogo tra corpo e mente in psicoanalisi: teoria e clinica, Franco Angeli, Milano 2006, pp. 27-36. 268   Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   prendere la stessa attività di capire e comprendere, cioè la filosofia – è strettamente legato in Garroni alla riflessione su quel “senso dell’espe- rienza” che ho messo nel titolo di questo saggio. Un senso che non è affatto da intendersi come la pretesa metafisica di cogliere un “senso ultimo” dell’esistenza, della storia o dell’universo (su cui la filosofia, nella prospettiva critica adottata da Garroni, ha ben poco da dire), ma neppure come una dimensione immanente ma pacifica, in cui ci si installa con un po’ di buona volontà, rassicurandosi che, essendo una condizione antropologica, possiamo acquietarci nell’ordine vigente delle cose. Tutt’altro: per Garroni, come vedremo, il senso dell’espe- rienza è piuttosto un dover essere4, trascendentalmente ineludibile ma per niente garantito nei fatti, un compito etico irto di difficoltà, intima- mente paradossale, e sempre strutturalmente pronto a rovesciarsi in non-senso. 2. Per chiarire ancora qualcosa a proposito del titolo di questo inter- vento (la sua seconda parte, “l’estetica come filosofia non speciale”), è bene ricordare che per Garroni l’estetica non è affatto una filosofia dell’arte, una disciplina con un proprio oggetto epistemico o materia- le, ma riguarda le condizioni di possibilità di fare esperienze sensate in genere, nella vita quotidiana, nelle ricerche scientifiche, in tutte le attività umane, filosofia compresa. L’arte, semmai, è, o è stata per qualche secolo, un suo referente esemplare5. Per Garroni, infatti, è la stessa filosofia a doversi comprendere nella sua possibilità non empirica: la filosofia, come tutte le attività umane, è sì un’attività empirica, concreta, determinata, ma a differenza di altre attività, che mirano a produrre effetti pratici o conoscenze, ha piutto- sto il compito di «guardare-attraverso»6 le esperienze determinate, per 4 Cfr. E. Garroni, Sul dover essere del senso, in appendice a Id., Estetica. Uno sguardo- attraverso, Garzanti, Milano 1992 (seconda ed., Castelvecchi, Roma 2020, con un’in- troduzione di S. Velotti), pp. 245-270, testo presentato originariamente al convegno dell’Associazione italiana di studi semiotici “Semiotica ed epistemologia delle scienze umane” (Siena, 23-25 settembre 1988).  5 Cfr. E. Garroni, Senso e paradosso. L’estetica, filosofia non speciale, Laterza, Roma-Bari 1986, in particolare p. 179 ss. 6 Garroni usa il termine “guardare-attraverso”, con il trattino, per sottolinearne l’uso tecnico, quale traduzione del durchschauen usato da L. Wittgenstein nel § 90 delle Philo- sophische Untersuchungen, ed. by G. E. M. Anscombe and R. Rhees, Blackwell, Oxford 1953 (Trad. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, Ricerche filosofiche, Torino, Einaudi 1967, p. 60: «È come se dovessimo guardare attraverso i fenomeni [die Erscheinungen durchschauen]: la nostra ricerca non si rivolge però ai fenomeni, ma alla ‘possibilità’ dei fenomeni»). 269   Stefano Velotti   risalire alle loro condizioni di possibilità intellettuali e non intellettua- li, tra cui appunto una condizione estetica, come orizzonte di senso dell’esperienza nella sua totalità indefinita e indeterminabile. Il com- pito di capire è inteso innanzitutto proprio come questo «guardare- attraverso» i fenomeni per comprenderli, cogliendone le condizioni di senso. Il cosiddetto «problema interno della filosofia»7 – con un’e- spressione ripresa questa volta da Pantaleo Carabellese, che Garroni ammirava e le cui lezioni aveva frequentato da studente alla Sapienza negli anni Quaranta – è infatti per Garroni un problema fondamentale, che riguarda il paradosso fondante della filosofia, cioè il suo esercitarsi dall’interno della stessa esperienza dalla quale, a un tempo, si distanzia per comprenderla, senza mai poter rivendicare un proprio altrove, un suo luogo metafisicamente appartato. 3. Vorrei partire, però, da qualche spunto di carattere biografico, ma solo per quel tanto che ci permette di intravedere l’urgenza anche contingente, socio-biografico-culturale, di quella passione per il capire stesso, che Garroni non considerava affatto un’esigenza contingente. Da giovane, Garroni aveva lavorato per diversi programmi televisivi della RAI, in parte dedicati alle arti, in parte ad altre questioni (ricor- do, per esempio, un bel documentario del 1960 su Adriano Olivetti, con quella che divenne la sua ultima intervista). Lavorava alla RAI per necessità, non per vocazione, per quanto la RAI di allora fosse cultu- ralmente molto più ricca di quella di oggi. Sono tanti i programmi che potrei citare a cui Garroni lavorò negli anni Cinquanta e Sessanta: tra gli altri, Piazze d’Italia, Musei d’Italia, Avventure di capolavori, Arti e scien- ze, Le tre arti, e soprattutto L’Approdo, iniziato come trasmissione radio- fonica nel 1944, con la direzione di Adriano Seroni e Leone Piccioni, diventato programma televisivo dal 1963 (come “settimanale di lettere e arti”), più tardi accompagnato da una sua rivista a stampa, nel cui comitato direttivo si trovavano alcuni dei più importanti intellettua- li dell’epoca (Riccardo Bacchelli, Carlo Bo, Emilio Cecchi, Roberto Longhi, Giuseppe Ungaretti, a cui bisognerebbe aggiungere altri col- laboratori di spicco)8, per non menzionare, nella RAI, la presenza di figure molto diverse tra loro ma tutte significative, come Carlo Emilio 7 E. Garroni, Senso e paradosso, cit., p. 130. 8 Cfr. A. Dolfi-M. C. Papini (eds.), L’Approdo: storia di un’avventura mediatica, Bulzoni, Roma 2006 e A. Grasso-V. Trione, Arte in TV. Forme di divulgazione, Johan & Levi, Monza 2014. 270    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   Gadda (tra il 1950 e il 1955) o, più tardi, di Andrea Camilleri, coetaneo di Garroni, o ancora di Umberto Eco, che di Garroni sarà, negli anni, un costante interlocutore. Garroni dà conto della sua attività televisiva in un’interessante in- tervista del 1994, da cui voglio prelevare solo una frase, apparentemente ovvia, ma credo invece rivelatrice del suo atteggiamento inflessibil- mente volto al capire: un curatore o conduttore di una trasmissione culturale, o sulle arti – dice lì Garroni – deve essere certamente colto, «ma c’è di più: deve essere, nel campo della letteratura, delle arti figura- tive, della musica, oltre che colto, anche intelligente»9. Sembra, e forse è, un’ovvietà: un conduttore di programmi culturali non deve essere uno stupido. Deve anche intelligere, deve capire. Deve insomma essere qual- cuno, precisa però subito Garroni, che sia «capace di far vivere un testo, di cogliere un problema che va a fondo, di far vedere o capire qualcosa di singolare che i più per pigrizia non vedono affatto»10. Emerge qui quell’avversione per la pigrizia, la sciatteria, la bana- lità e la semplificazione come le prime nemiche del capire, e dunque come un tratto costante di Garroni, che ha avuto conseguenze di ordi- ne diverso: non solo una prosa ritenuta spesso ardua – in realtà solo molto precisa, scrupolosa, controllata, mai fumosa o compiaciuta – ma anche l’avversione per una pratica che oggi seduce molti, anche i filo- sofi: occupare una casella nell’esistente, dare un marchio di fabbrica a se stessi, alla propria anche minima particolarità, e reiterarlo in ogni occasione, per garantirgli la massima riconoscibilità e diffusione sul mercato delle idee, al costo – naturalmente – di imbalsamarsi in un prodotto, rinunciando al compito di capire. Questo compito – inteso da Garroni come un compito intellettua- le, culturale ed etico-politico – coinvolge tutte le sue svariate attività: non solo l’estetica come «filosofia non speciale», cioè come filosofia tout-court, benché spesso praticata in una sua forma obliqua anche in relazione all’arte e alla letteratura; non solo il rapporto con la psico- analisi o lo studio del linguaggio, su cui sono nati, rispettivamente, il lungo sodalizio con Armando B. Ferrari e la duratura e profonda ami- cizia con Tullio De Mauro; ma anche l’attività giornalistica e, come vedremo – nelle modalità proprie, non certo assimilabili a quelle filosofico-argomentative – le stesse pratiche pittorica e narrativa. Garroni esordisce nel 1962 con un libro di racconti scritti negli anni 9 L. Bolla-F. Cardini, Le avventure dell’arte in TV, Nuova ERI, Torino 1994, p. 275. 10 Ibidem.  271   Stefano Velotti   Cinquanta, a cui seguiranno altri testi narrativi, pubblicando un’opera singolare, La macchia gialla11, titolo ripreso da un’incisione di Dürer, riportata sulla copertina del libro, in cui si vede la mano di un uomo che indica un punto del suo addome, e una didascalia dello stesso Dürer che dice: «Là dove c’è la macchia gialla e dove indica il dito, là mi fa male». È un dolore, direi, insieme singolare e generazionale, che nel giro di due anni metterà capo a una lunga analisi della nozione di “crisi” nel suo primo libro filosofico-estetico – La crisi semantica delle arti12, su cui non posso soffermarmi. Né mi soffermerò sulla Macchia gialla, se non per citare un primo autoritratto di Garroni, un autoritrat- to verbale dell’autore da giovane (o non più tanto giovane, dato che aveva 37 anni), a cui seguirà venti anni dopo un secondo autoritratto, questa volta dipinto (su cui tornerò in chiusura). I curatori della colla- na “Narratori” dell’editore milanese Lerici erano due nomi di grande rilievo del mondo poetico-letterario, Romano Bilenchi e Mario Luzi, i quali presentarono giustamente questa notizia biografica, o autoritrat- to semi-ironico dell’autore da quasi-giovane, come segnato da «acume» e «humour». Ne riporto qualche riga, che suggerisce una motivazione anche socio-biografica, per reazione all’ambiente di provenienza, di quella passione per il “capire” che ho indicato come la passione domi- nante di Garroni: Sono nato a Roma nel dicembre del 1925, in un ambiente ab- bastanza sciatto e approssimativo, che non posso soffrire e al quale sono legato controvoglia, tanto più che certa piccola bor- ghesia romana ha le sue asprezze ma anche le sue tenerezze. Oltrepassata la trentina mi sono accorto che anche la mia for- mazione culturale è caratterizzata dalle stesse contraddizioni: una cultura apolide e spregiudicata e nello stesso tempo lacu- nosa e assai provinciale. Mi sono laureato nel 1947 in filosofia presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Roma, 11 E. Garroni, La macchia gialla, Lerici, Milano 1962. Il testo, con la relativa copertina, è reperibile integralmente sul sito dell’associazione “CiEG - Cattedra internaziona- le Emilio Garroni” (https://www.cieg.info/ [14.09.2020]). 12 Ma, come ha scritto A. D’Ammando all’interno di un’ottima ricostruzione del percorso filosofico di Garroni (Il circolo estetico e il guardare-attraverso: la riflessione sull’arte di Emilio Garroni – Tesi di Dottorato in filosofia discussa alla “Sapienza – Università di Roma”, febbraio 2019), a cui rimando anche per un’analisi della Crisi semantica delle arti, «[s]i potrebbe affermare, in proposito, che “crisi”, al pari di “oriz- zonte” e “senso”, è una parola cara al pensiero di Garroni, almeno sotto il profilo del problema dell’arte e del suo statuto (quanto mai incerto e problematico)». 272    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   con la quale intrattengo ancora rapporti abbastanza scialbi. Ho pubblicato saltuariamente saggi, note e recensioni di filosofia e storia dell’arte su riviste specializzate, settimanali e quotidiani. La saltuarietà del mio lavoro scientifico oggettivo dipende in parte da una certa attitudine alla dissipazione, e in parte dalla mancanza di tempo. Da molti anni collaboro infatti alla tele- visione dove ho fatto un po’ di tutto dedicandomi prevalente- mente in questi ultimi tempi alla redazione e presentazione di rubriche d’arte, con intenti (dico io) nobilmente divulgativi13. A queste parole si potrebbero accostare quelle scritte oltre trent’anni dopo, su richiesta del Manifesto, che aveva invitato ventisei persona- lità della cultura a raccontare la propria esperienza personale di una visita a un museo. Garroni scelse la Galleria nazione di arte moderna di Roma: Non so se fosse possibile negli anni trenta – con la cultura licea- le imperante, bene che andasse, in assenza di una mentalità più ariosa, volta a capire, non a accettare, con giornali e riviste non specialistiche di livello assai modesto – che un museo o una galleria d’arte potessero essere immediatamente formativi per un ragazzo. Anche le famiglie da cui provenivano erano per- lopiù ignoranti e disinteressate a tutto ciò che non fosse stret- tamente tradizionale, compresa la stessa tradizione, più subita come un dato eccelso e di fatto semisconosciuto, che vissuta come genuina cultura. [...] Non era un atteggiamento conservatore retrivo, ma semplice- mente passivo. Cosicché chi è riuscito poi a combinare qualco- sa ha dovuto fare quasi tutto da solo. [...] A otto-dieci anni, ero in balia della cultura e dei gusti mediocri della mia famiglia, e della cosiddetta borghesia romana cui essa apparteneva, e fui condotto più volte da certi miei zii, che si ritenevano intenditori d’arte, alla Galleria nazionale d’arte moderna [...] Voglio solo dire che quella galleria fu, negli anni trenta, il luogo della mia diseducazione. Il fatto è che una galleria o un museo non formano nessuno, se non si è già preparati a formarsi mediante ipotesi, anche sbagliate. Ma lì, in quelle visite sinistre, non erano in gioco ipotesi o sforzi per capire, ma solo meschine e dogmatiche edizioni del mondo dell’arte ne varietur. È strano che, crescendo, non mi sia allontanato per sempre dalle arti figurative. [...] [Così che la] Galleria nazionale d’arte moderna, ha avuto il me- rito, con il concorso determinante dei miei zii, di farmi capire 13 E. Garroni, La macchia gialla, cit., risvolto di copertina.  273   Stefano Velotti   come non si guarda un quadro. Che è un’abilità indimenticabi- le, come andare in bicicletta14. Abbandono ora queste incursioni biografiche – che pur nella loro rapidità credo siano indicative del modo in cui Garroni si situava nei confronti della realtà, e quindi anche della sua attività filosofica – per cercare di indicare sinteticamente il nucleo centrale della sua rifles- sione più matura, intorno a cui si raccolgono questioni complesse e interessi anche eterogenei. 4. Ho già ricordato Pantaleo Carabellese – che, al di là degli esiti del suo «ontologismo critico», Garroni considerava «uno dei pochi inse- gnanti che ho avuto all’Università che fosse anche un grande filosofo»15 – perché è probabilmente uno dei tre punti di riferimento italiani più significativi per il suo pensiero, insieme a Luigi Scaravelli – per l’inter- pretazione di Kant – e poi, su un altro piano, a Cesare Brandi. Era stato infatti proprio Carabellese, in un articolo del 1921, ad aver criticato sia Gentile, sia Croce (come poi farà anche con Spirito e Calogero) per non aver colto il «problema interno della filosofia», la domanda, cioè, con cui la filosofia diventa problema a se stessa, si interroga sul suo luogo, la sua possibilità, le sue pretese. In una postilla del 1942, Carabellese spiegava così l’incomprensione da parte di Croce e di Calogero del problema da lui sollevato: Il vero è che il Croce e il Calogero (anzi il Calogero molto più del Croce) continuano a porre il problema della filosofia come pro- blema del suo oggetto, cioè non pongono veramente il problema interno della filosofia, ma soltanto e sempre il suo problema og- gettivo, e inconsapevolmente confondono questo con quello. Indicare come la filosofia il genere di realtà che essa dimostra o consente, come Calogero (filosofia della prassi) e Croce (storici- smo) d’accordo fanno, non è risolvere il problema interno della filosofia, ma non porlo neppure, ignorarlo. Con tale indicazio- ne, infatti, non si sa e non si ricerca neppure, che cosa sia mai la filosofia entro quella realtà che essa dimostra16. 14 E. Garroni, “Il piccolo Ottocento italiano”, in F. De Melis (ed.), La scoperta del museo. Ventisei guide sulla via dell’arte, Manifestolibri, Roma 1995, pp. 111-113, corsivi miei. 15 E. Garroni-D. Fasoli, Il mestiere di capire, cit., pp. 35-36. 16 P. Carabellese, L’ontologismo critico. Primi saggi II, Che cos’è la filosofia, Signorelli, Roma 1942, pp. 78-79. 274    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   Il problema della riflessione sul senso, per Garroni si lega stretta- mente a quello che chiama «il paradosso della filosofia» nel suo libro del 1986, intitolato appunto Senso e paradosso. L’estetica, filosofia non speciale. È forse il libro più impegnativo che Garroni abbia scritto, e certamente uno snodo centrale nello sviluppo del suo pensiero. Lì Garroni cita Carabellese e il suo articolo del 1921, e la replica di Croce dello stesso anno, sostenendo che entrambi facciano valere un’esigenza legittima: Carabellese, quella appunto del problema che la filosofia è a se stessa; Croce, quella di ribadire, quasi con fastidio, che la filosofia si conquista il suo luogo proprio solo dall’interno della conoscenza e del fare concreti e storici. Entrambi, in sostanza, inten- devano rifiutare l’idea di un luogo separato della filosofia, ma non si rendevano conto della parzialità e complementarità delle loro posi- zioni, che se rettamente intese si compongono in quello che Garroni chiamerà appunto il «paradosso fondante della filosofia». Il dissidio tra Carabellese e Croce, infatti, prefigurava una antinomia non risol- ta, formulata da Garroni in questo modo: Un problema interno della filosofia va posto, dato che non è per niente ovvio che questa abbia un suo luogo appartato e neutra- le [e questa è la giusta esigenza fatta valere da Carabellese]; ma il porlo suppone che un luogo del genere esista e sia ovvio [e questa è la replica di Croce, che ritiene il problema di Carabel- lese insignificante]17. Garroni fa notare che il rischio che correva Carabellese, che pure po- neva un problema genuino di cui Croce si disfaceva troppo frettolo- samente, era quello di considerare la filosofia, in quanto si pone il suo “problema interno”, come una sorta di meta-linguaggio che si e- sercita su un linguaggio oggetto già compattamente costituito (una me- tafisica, o un sistema, quale era per lo stesso Carabellese il suo «onto- logismo critico»), perdendo di vista proprio quel paradosso che pure aveva fatto emergere e trasformandolo così in un paralogismo. Il modo giusto di far valere insieme le esigenze di Carabellese e di Croce è inve- ce comprendere la filosofia come «risalimento», o come quel «guardare- attraverso» che risale dalla concretezza dei fenomeni, dall’interno dell’e- sperienza concreta in cui stiamo, alle loro condizioni di possibilità, senza dar per scontato che una filosofia già si dia da qualche parte, e senza 17 E. Garroni, Senso e paradosso, cit., p. 131.  275   Stefano Velotti   però neppure vederla disciolta nelle indagini oggettive. Quel «guardare- attraverso» deve essere inteso dunque come «un guardare-attraverso nel guardare, non un semplice guardare a meno di un taciuto guardare- attraverso»18. Richiamandosi a Merleau-Ponty, Garroni riassumeva così la sua posizione: «Una filosofia di questo tipo include la propria stranez- za, perché non è mai del tutto nel mondo e tuttavia non è mai fuori del mondo»19. Questa stranezza, questo paradosso fondante, era presentato da Garroni come una posizione fedele alla tradizione critica, in quanto opposta a posizioni metafisiche, nella specifica accezione di “non criti- che”, sia di stampo razionalistico, sia di stampo ingenuamente pragma- tista o empirista. Negli anni in cui in Italia Richard Rorty e il suo neopragmatismo sembravano raccogliere numerosi consensi (La filosofia e lo specchio della natura era stato presentato da Gianni Vattimo e Diego Marconi, che aprivano la loro introduzione sottolineando come questo libro si presentasse esplicitamente come «epocale»20), Garroni vi scorgeva una delle due prospettive metafisiche, non critiche, che può assumere lo sguardo della filosofia: da un lato, infatti, è certamente da rifiutare, con Rorty (e tanti altri) la pretesa di una God’s eye view, grazie a cui si presume di stabilire come stanno “veramente” le cose nell’esperienza umana, eccettuandosene: come di chi dicesse che tra noi e il mondo c’è un filtro fatto di schemi concettuali, culturali o intuitivi, presumendo contraddittoriamente di vedere la realtà di questa situazione al di fuori del filtro che varrebbe per tutti gli altri; ma anche di chi proponeva l’e- sperimento mentale dei “cervelli in una vasca”, magari – come Hilary Putnam – per confutarlo: per Garroni, porlo e comunicarlo è già confu- tarlo; immaginarlo o escogitarlo presuppone già un linguaggio sensato, pubblico e non escogitato. Dall’altro lato, altrettanto metafisica si presentava la posizione op- posta e complementare, apparentemente demistificante, di chi, co- me il neopragmatista Rorty, ci dipingesse come insetti intrappolati nel- l’ambra, cioè inesorabilmente immersi nella realtà e nelle sue determi- natezze, culturali storiche geografiche, per cui dovremmo rinunciare ad affermazioni che avanzano pretese universali, e dovremmo conside- 18 E. Garroni-D. Fasoli, Il mestiere di capire, cit., pp. 37-38. 19 Ibidem. 20 R. Rorty, Philosophy and the Mirror of Nature, Princeton University Press, Princeton 1979 (Trad. it. di G. Millone e R. Salizzoni, La filosofia e lo specchio della natura, Bom- piani, Milano 1986, p. V). 276    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   rare piuttosto la filosofia come un genere letterario tra gli altri. Garroni replica: Rorty avrà anche ragione, ma commette un unico errore, affer- marlo. È questo quel «taciuto guardare-attraverso» – negato in teoria, e quindi fatto valere metafisicamente come un ritorno del rimosso – a cui alludeva Garroni nel passo citato poco sopra dell’intervista con Fasoli, cioè la pretesa di stare sempre alle determinatezze dell’esperien- za, di sbarazzarsi di ogni riferimento alla sua totalità indeterminabile, ma facendola valere surrettiziamente nella stessa pretesa di determinare tutta l’esperienza come il darsi di volta in volta di esperienze solo con- tingenti e determinate21. Per Garroni, infatti, non si tratta né di riguadagnare una posizione di sorvolo, né di muoversi sempre in aderenza assoluta alle esperienze concrete e determinate, proprio in quanto le chiamiamo esperienze concrete e determinate. Se davvero ci stessimo soltanto dentro a tali esperienze, non potremmo dirlo, ci staremmo dentro e basta, saremmo cose tra le cose22. Risalire l’esperienza concreta o guardare-attraverso i fenomeni dall’interno dell’esperienza concreta è, sì, essere come insetti nell’ambra, ma con la complicazione decisiva che anche il solo fatto di affermarlo attesta qualcosa che smentisce quell’immagine, in quanto trascende le esperienze determinate e attinge all’indeterminatezza del- l’esperienza nella sua totalità indeterminabile. 5. È questo movimento che Garroni ravvisa in Wittgenstein e, in una certa misura in Heidegger (sulla scorta dei quali la filosofia si configura, sì, come un domandare mediante domande determinate, ma che inclu- dono e rivelano un’autotematizzazione del domandare in genere23). Questo paradosso fondante è tutt’uno con la condizione di senso del- l’esperienza e può essere ricondotto a una delle forme antinomiche tematizzate da Kant, in particolare all’antinomia della facoltà di giudizio estetica, che, nel modo più schematico, Kant formula in questo modo: (1) Tesi: il giudizio di gusto non si fonda su concetti, ché altri- menti se ne potrebbe disputare (decidere mediante prove). 21 Questa argomentazione, qui appena accennata, viene sviluppata da E. Garroni nel primo capitolo di Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., pp. 11-53, anche in relazio- ne ad alcuni autori classici e a diversi autori contemporanei. 22 Su questo punto potrebbe aprirsi un confronto con il diversificato universo di alcu- ni nuovi realismi-materialismi oggi in voga (per esempio quello della flat ontology), che propongono una visione degli esseri umani proprio come “cose tra le cose”. 277  23 E. Garroni, Senso e paradosso, cit., p. 132.   Stefano Velotti   (2) Antitesi: il giudizio di gusto si fonda su concetti, ché altri- menti, malgrado le differenze dei giudizi, non se ne potrebbe neppure discutere (avanzare l’esigenza del consenso necessario di altri con tale giudizio)24. L’antinomia può irrigidirsi in una contraddizione, oppure essere com- posta (non eliminata, ma compresa e resa praticabile), come fa Kant, spiegando che nella prima tesi si tratta di concetti determinati, nella seconda di concetti indeterminati. Ora, la struttura di questa antino- mia, e il modo in cui Kant la compone, è omologa a quella che Garroni fa valere, per esempio, in relazione al linguaggio (il motivo per cui Rorty non può affermare quel che l’uso stesso del linguaggio confu- ta). Un saggio dedicato a De Mauro, L’indeterminatezza semantica, una questione liminare, si apre con una frase che annuncia la riproposizione della struttura dell’antinomia kantiana della facoltà di giudicare, che Garroni proporrà poco dopo: Che il linguaggio sia stato talvolta considerato atto creativo in- dividuale e irripetibile oppure realizzazione o replica, secondo regole, di possibilità già interamente previste non è semplice- mente un’alternativa fondata su due ipotesi esclusive e, prese alla lettera, perfino bizzarre. È qualcosa di più [...]25, in quanto entrambe le prospettive – inaccettabili nella loro esclusività – fanno valere «un’esigenza che [...] non può neppure essere lasciata cadere»26. E infatti poco dopo Garroni riprende anche la forma stessa dell’antinomia kantiana, enunciando una tesi e un’antitesi che esigo- no di essere composte: Tesi: l’uso del linguaggio presuppone la determinazione di uni- tà e regole, prima di ogni sua presunta possibilità indetermina- ta, ché altrimenti non potremmo usarlo e non ci intenderemmo nell’usarlo. Antitesi: l’uso del linguaggio presuppone l’indeterminatezza del- 24 I. Kant, Kritik der Urtheilskraft, in Id. Werke in zehn Bänden, vol. VIII, ed. W. Weischedel, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmastad 1975 (Trad. it. di E. Garroni e H. Hohenegger, Critica della facoltà di giudizio, Einaudi, Torino 1999, §56, p. 173). 25 E. Garroni, L’arte e l’altro dall’arte. Saggi di estetica e di critica, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 241. Il saggio era già stato pubblicato nel volume a cura di F. Albano Leoni et al., Ai limiti del linguaggio, Laterza, Roma-Bari 1998. 26 Ivi, p. 89. 278    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   27 Ivi, p. 92. 28 Ivi, p. 91. 29 Ivi, p. 105. la sua possibilità, prima di ogni unità e regole determinate, ché altrimenti non potremmo neppure determinare unità e regole per usarlo e intenderci [...]27. L’antinomia nasce dal fatto che «quando parliamo, usiamo il linguag- gio così e così, in certe sue espressioni determinate, e nello stesso tempo lo usiamo nella sua totalità possibile indeterminata»28 o, detto ancora altri- menti, «per un verso il linguaggio richiede come una sua propria condi- zione l’indeterminatezza e per altro verso, proprio perché la richiede, la nega in favore delle sue determinazioni»29: non si darebbero espressio- ni linguistiche determinate, dotate di questo o quel significato, se non le comprendessimo come tali, cioè nella loro determinatezza, e dunque a condizione di un riferimento a una totalità indeterminata che le rende possibili e che esse “negano” in quanto, appunto, determinate. È questo il nodo a cui Garroni arriva sempre, che indaghi il lin- guaggio o la percezione, l’organizzazione della conoscenza o le opere d’arte, l’esperienza quotidiana o la natura dell’homo sapiens. Ed è un nodo che si è chiarito proprio nello studio assiduo e prolungato di Kant, in particolare della terza Critica, la cui dialettica presenta quella specifica forma antinomica appena esposta. C’è una pagina, in questo saggio, che credo chiarisca molto bene il nesso di queste riflessioni sul linguaggio con la rielaborazione del pensiero kantiano, e che per questo motivo mi permetto di citare dif- fusamente: Ma l’analogia tra questa antinomia [kantiana] e l’antinomia del linguaggio esposta all’inizio non si ferma tuttavia a un’analogia imperfetta tra le rispettive correlazioni “concetto determinato/ concetto indeterminato” e “determinazione/indeterminatezza” del linguaggio. C’è in Kant un problema ancora più pertinente rispetto al nostro argomento. Vale a dire: c’è la questione del rapporto tra la facoltà di giudizio, da una parte, (per cui, soltanto, la conoscenza empirica effettiva è possibile oltre i giudizi sintetici a priori dell’intelletto: ciò che Scaravelli ha chiamato “tessitura analitica di tutti fenomeni”, e il principio della quale facoltà ha tuttavia statuto non-intellettuale, ma estetico), e la ragione, dall’altra (i cui concetti non hanno appli- cazione nell’esperienza e tuttavia sono altrettanto indispensabili  279   Stefano Velotti   alla conoscenza empirica). Infatti la nostra conoscenza d’esperien- za, che è, sì, intellettualmente e sensibilmente determinata (pro- cede, per quanto le è dato, mediante costruzione di concetti, leggi e unificazioni di diversi leggi sotto leggi più potenti), non sarebbe possibile se non si inscrivesse innanzitutto nell’ambito di un’anti- cipazione della totalità indeterminata delle possibili conoscenze determinate – Kant scrive di “una conoscenza (di oggetti dati) in genere” –, se insomma, sull’occasione di rappresentazioni deter- minate, come nel caso esemplare dei cosiddetti giudizi di gusto, non avessimo coscienza forzatamente non intellettuale che una conoscenza d’esperienza è possibile. Esperienza possibile, però, non nel senso della possibilità della conoscenza in genere della prima Critica, (che ci dà appunto solo una tessitura analitica), ma nel senso che è possibile e ha in generale senso cercare di deter- minarla intellettualmente e sensibilmente nell’esperienza sotto il principio della facoltà di giudizio. Ma di questa totalità della conoscenza d’esperienza possibile né abbiamo una conoscenza a priori, né tantomeno possiamo fare una conoscenza di esperien- za. Non si fa esperienza di un’esperienza in genere. Ne sappiamo qualcosa in, non con un’esperienza determinata, cioè non la cono- sciamo, ma la sentiamo, mediante quel Gemeinsinn (senso o senti- mento comune, che abbiamo in comune, che ci assicura a priori della comunicabilità universale delle rappresentazioni e delle conoscenze), il quale esibisce sensibilmente e indirettamente ciò che non è propriamente esibibile e che la ragione può soltanto pensare. Qui la ragione, cioè l’idea indeterminata di una totalità, viene in qualche modo messa in scena sensibilmente mediante la facoltà di giudizio il cui principio riposa precisamente sul senso comune o il gusto, cioè mediante il sentire (esteticamente dunque) l’interna indeterminatezza del determinato30. «Sentire l’interna indeterminatezza del determinato» è uno dei modi per capire in che modo il paradosso fondante della filosofia fa della fi- losofia, come estetica non speciale, una riflessione sul senso dell’e- sperienza. Se vogliamo restare sul piano linguistico, possiamo dire in- fatti che dare significato ai concetti è determinarli, per esempio me- diante uno schema empirico o trascendentale, sempre a condizione di mettere in gioco un simultaneo e inevitabile riferimento all’inde- terminato, alla totalità indefinita del linguaggio o dell’esperienza, che solitamente resta implicita, e magari viene negata (come accadeva in Rorty), proprio in virtù di un surrettizio riferirvisi. 30 Ivi, pp. 110-111. 280    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   6. Il gioco delle parti tra senso e significati, e tra senso e non senso, è affrontato da Garroni in molte altre occasioni, ma viene tematizzato direttamente in una conferenza del 1988, poi pubblicata in appendi- ce al volume del 1992, Estetica. Uno sguardo-attraverso, con il titolo Sul dover essere del senso. Ora il problema non è tanto distinguere il senso dai significati, mettere in luce la condizione estetica di senso come anticipazione estetica dell’esperienza entro cui i significati possono significare, ma un problema ulteriore: riconosciuta questa condizione di senso che rende possibile e traspare in ogni significato determinato, non rischiamo infatti di «parificar[e] tutti [i significati] nel loro essere varianti di sensatezza, ‘seri’ nell’essere sensati come che sia, ma non altrettanto ‘seri’ nel loro proprio far senso?». Come se la filosofia critica, spinta fino a questo punto, rischi che il senso possa «riassorbire in sé la sensatezza che esso condiziona [...] Il senso, così, concederebbe sensatezza a tutti i sensi e i significati storici e proprio per questo la sottrarrebbe a ciascu- no di essi, convertendosi esso stesso in non senso»31. Un esempio concreto di questo problema, Garroni lo aveva scorto nel dilemma a cui deve far fronte l’antropologia in relazione all’etno- centrismo32: l’irrinunciabile rispetto che l’antropologia moderna ha costruito per ogni società altra rischia infatti, d’altra parte, di parifica- re ogni cultura come una variante di sensatezza, togliendole “serietà”. Il colonialismo e l’imperialismo, ovviamente inaccettabili, avevano però almeno il pregio di prendere le culture nella loro serietà33. Ma era proprio questo ciò su cui si interrogava Garroni: non tanto la questione delle culture altre, ma della nostra stessa cultura. E con- cludeva così: Le considerazioni appena svolte non hanno [...] una vera e pro- pria conclusione. Si può dire solo questo: che si è forse messo in luce qui un nuovo ossimoro, o una forma ulteriore del paradosso 31 E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 268. 32 Cfr. E. Garroni, Senso e paradosso, cit., p. 268 ss. 33 Si potrebbe sostenere che negli anni Novanta questo imperialismo della sensatezza sia stato proclamato (e poi smentito) da Francis Fukuyama nel suo libro The End of History and the Last Man (1992), mentre l’opposto – cioè il prendere la diversità delle culture nella loro serietà, e tuttavia prenderle così “seriamente” da negargli una dimensione comune di senso – veniva proposto di lì a poco da Samuel Huntington nel suo The Clash of Civilizations and the Remaking of the World Order (1996). Le due posizioni, insomma, potrebbero rappresentare tesi e antitesi di una antinomia non composta. Cfr. S. Velotti, Dare l’esempio. Cosa è cambiato nell’estetica degli ultimi trent’an- ni, «Studi di estetica» 1-2 (2014), pp. 339-367. 281    Stefano Velotti   in cui consiste la filosofia, vale a dire: che il senso pare che debba essere considerato nello stesso tempo come non-senso, in quanto il suo dare sensatezza è nello stesso tempo un sottrarla [...] Forse il senso si profila ora come il dover essere-sensato. E qui, forse, ritroviamo – come già in Kant – la più profonda congiunzione tra le radici estetiche del senso e le radici etiche del dover-essere34. Il problema del “prevalere” della sensatezza sui significati e quindi del rovesciarsi del senso in non-senso è strettamente legato al problema spinoso della perdita di esemplarità dell’arte, della questione, cioè, se l’arte, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, non abbia pro- gressivamente ceduto a un’aderenza sempre più spinta alla realtà fino a confondersi semplicemente con la sua ottusità, il suo darsi di fatto, come mero “accompagnamento” del senso, avendo per lo più rinun- ciato al rischio di dare corpo e forma a quella «regola che non si può addurre» di cui parlava Kant nel §18 della terza Critica; una «regola» indeterminata che, non potendosi “addurre” – formulare o esplicitare – può essere, appunto, solo “esemplificata” in un esempio singolare, inassimilabile a un esempio inteso come membro di una classe. 7. Nell’ultimo, breve e denso libro di Garroni – Immagine Linguaggio Figura35 – troviamo spunti inediti, ma anche una nuova sintesi di decenni di studi e ricerche. È un libro bello e importante, che attende ancora di essere esplorato a fondo, in tutta la sua fecondità, anche in relazione a ricerche in atto nel panorama nazionale e internazionale, ma che qui non posso affrontare in modo minimamente adeguato. Ricorderò solo che il perno intorno a cui ruota è la nozione di «im- magine interna» che ha preso forma attraverso «l’assiduo ripensamento del cosiddetto “schematismo” kantiano»36, e che non è confondibile in alcun modo con l’idea di poter spiegare qualcosa – della percezione o del riferimento al mondo – rimandando a immagini che avremmo nella testa. Distinte dalle «figure» (che nell’uso comune chiamiamo “imma- gini”, ma che non possono essere altro che elaborazioni, esteriorizza- zioni e riduzioni delle «immagini interne»), le «immagini interne» sono innanzitutto ispezioni attive e mobili, per scorci sempre diversi, degli oggetti percepiti, o di queste percezioni riprodotte, rielaborate e ricordate nell’imma- ginazione. È da escludere quindi ogni obiezione legata alla presuppo- 34 E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, cit., p. 270. 35 E. Garroni, Immagine linguaggio figura. Osservazioni e ipotesi, Laterza, Roma-Bari 2005. 36 E. Garroni, Immagine linguaggio figura, cit., p. ix. 282    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   sizione indebita e circolare di un homunculus che sarebbe a sua volta spettatore di “figure nella testa”. Figure nella testa non ce ne sono. In questo libro tornano anche temi antichi – come quello, centra- le, della metaoperatività, un concetto già introdotto oltre trent’anni prima, in Ricognizione della semiotica37. Era l’anticipazione di uno dei temi più dibattuti, oggi, in ambito cognitivo, sotto il titolo di “metarappresentazioni”38, ma che in Garroni si estendeva già all’in- tero ambito dell’operare umano (un operare che è senso-motorio, pragmatico e corporeo, percettivo e cognitivo). In analogia e in corre- lazione con la funzione metalinguistica – che è sempre implicata nelle funzioni di primo livello del linguaggio, così come quella costituisce pur sempre una funzione operante solo mediante un linguaggio di primo livello – Garroni introduce la nozione di metaoperatività come interna e presupposta in tutte le operazioni umane e praticabile solo mediante esse. È ciò che distingue, in sostanza, un’operazione del tipo “stimolo-risposta” da un’operazione che include già dentro di sé una generalizzazione. Piantare un chiodo con un martello è sì un’opera- zione determinata, concreta, e dotata di uno scopo preciso, ma – come operazione umana – contiene già dentro di sé una famiglia o una classe di operazioni possibili (qualcosa, dunque, che potrebbe essere chiamato uno «schema operativo»39). In Immagine linguaggio figura la nostra capacità metaoperativa viene reinterpretata e specificata40 pro- prio in relazione al lavoro di quella che Garroni chiama complessiva- mente «facoltà dell’immagine», che è responsabile sia delle sensazioni (come precedenti di un’immagine), sia delle percezioni (le immagini interne prodotte in presenza degli oggetti del mondo), sia dell’imma- ginazione nella sua specificità (delle immagini in quanto riprodotte o ricordate-rielaborate). Sensazione, percezione e immaginazione sono tutte «immagini interne», costitutivamente dinamiche, non fissabili in un’icona o figura materiale, e abitate da qualcosa di non sensibile, 37 E. Garroni, Ricognizione della semiotica, Officina, Roma 1977, p. 70 ss. 38 Cfr. per esempio D. Sperber (ed.), Metarepresentations. A Multidisciplinary Perspective, Oxford University Press, Oxford 2000. 39 Una formulazione molto simile dei rapporti tra linguaggio e metalinguaggio, tra operazione e metaoperazione – all’interno di una prospettiva “enattiva” sulla perce- zione, a cui credo sia riconducibile per molti versi anche quella proposta da Garroni – è possibile riscontrarla nei lavori di A. Noë. Per un confronto, su questi temi, tra Garroni e Noë, cfr. S. Velotti, Tecnica, in G. Ferrario (ed.), Estetica dell’arte contempora- nea, Meltemi, Milano 2019, pp. 149-170. 40 E. Garroni, Immagine linguaggio figura, cit., p. 18 ss. 283    Stefano Velotti   dunque distinte dall’immagine-segno materialmente intesa, la «figu- ra», appunto, e che è invece sostanzialmente statica. Proprio l’attività artistica, che mette pur sempre capo a «figure» (per quanto possano essere mobili, processuali, evanescenti, eventuali) è considerata da Garroni come il venire in primo piano di questa dimensione metao- perativa – una rielaborazione della kantiana «conformità a scopi senza scopo» – interna a ogni operazione determinata. Ma nel corso di questo «ripensamento del cosiddetto “schematismo” kantiano» vengono in primo piano questioni spesso prima trascurate, come quella della corporeità, e viene messa a punto una nozione che mi pare non fosse stata tematizzata in altri lavori, se non di sfuggita e appoggiandosi a elaborazioni di diversa provenienza41, come quella di «aggregato». Un aggregato, direi, costituisce una sorta di antecedente di uno schema, essendo qualcosa di pre-linguistico e pre-concettuale, che deve dunque precedere – in linea di diritto e ipoteticamente anche di fatto – anche il costituirsi di famiglie, in senso wittgensteiniano, oltre che di classi vere e proprie. Un aggregato è ciò che offre una prima pos- sibilità di riconoscimento degli oggetti, non come membri di una fami- glia o di una classe (che presuppongono appunto una caratterizzazione di tratti linguistici o una pertinentizzazione di note concettuali), ed è invece costituito «solo percettivamente» da «un insieme di casi effettiva- mente sperimentati o di oggetti effettivamente usati, quindi di numero finito, anche se via via crescente»42. Un aggregato può essere costituito da oggetti assai diversi, legati da una minima somiglianza e tal- volta da nessuna somiglianza, ma solo da un cortocircuito tra disparati che stabiliscono tra loro un’unità non chiaribile in- tellettualmente di tipo affettivo, emozionale, fantasticante, vol- to al padroneggiamento di eventi e cose amate, preoccupanti, esaltanti 43. Né la funzione dell’aggregato si esaurisce all’interno della prima infan- zia, o nelle ipotesi relative a una “infanzia dell’umanità” o in forme di “pensiero magico”, se, come nota Garroni, [A]ncora oggi, nello stesso pensiero occidentale, non possono es- 41 Alludo alle considerazioni dedicate agli oggetti transizionali di D. W. Winnicot in Senso e paradosso, cit., p. 274. 42 E. Garroni, Immagine linguaggio figura, cit., p. 11. 43 Ibidem. 284    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   sere evitati paradossi liminari, che denunciano in un certo sen- so la persistenza dell’ufficio, pur intellettualmente controllato, dell’aggregato, cioè dell’unione di due termini diversi e addirittu- ra opposti, in una proposizione unitaria e non più risalibile. Ba- sterebbe pensare alla kantiana comprensione dell’opposizione tra incondizionato e condizionato, di soprasensibie e sensibile, e insieme del loro richiamarsi l’un l’altro necessariamente, all’he- geliana unità di essere e non-essere, alla questione russelliana di “classe e classe di tutte le classi”, e così via44. 8. Voglio però, in conclusione, mostrare un altro autoritratto di Garroni, molto diverso da quello, verbale, ricordato all’inizio e consegnato, con «acume» e «humour» alla bandella della Macchia gialla, perché credo che nelle pagine di Immagine linguaggio figura si trovi, su un altro regi- stro, una sua importante eco. È un polittico dipinto da Garroni tra il 1983 e il 1984, sulla soglia dei sessant’anni – dopo aver subito una seria operazione chirurgica –, composto da 13 comparti, che formano un quadrato di 115 cm per lato.  Collezione privata 44 Ivi, pp. 12-13.  285   Stefano Velotti   Alcuni comparti rappresentano frammenti del proprio corpo, vis- suti come oggetti estranei e familiari a un tempo. Figurano anche stru- menti di studio e di affezione – dalla Critica del giudizio a Tempo e rac- conto di Ricoeur –, “cose” amate, come il Dissonanzen-Quartett di Mozart (che dà anche il titolo a un suo romanzo-saggio45). Ma questo è solo un primo riconoscimento di figure presenti nel dipinto, non certo l’inizio di un’interpretazione46. Quando dicevo che la passione dominante di Garroni era quella di capire, di comprendere, pensavo anche a questo dipinto, che credo tro- vi una sua ricomprensione filosofica proprio in un passo del suo ultimo libro, nelle riflessioni sul corpo e su “cosa si prova ad essere un homo sapiens”. Un’operazione chirurgica diventa nelle mani di Garroni un’oc- casione per elaborare, anche operativamente e metaoperativamente, e non solo linguisticamente e intellettualmente, l’esperienza fatta o subi- ta, anzi proprio per non subire soltanto l’esperienza comunque subita, ma per esercitare, appunto, quel “dover essere del senso” già articolato verbalmente. Quel che mi interessa è mettere in contatto questa ope- razione pittorica, con un passo che, mi pare, le corrisponde almeno in parte, e che rimanda a quella complementarità tra determinatezza e indeterminatezza che è al cuore del suo pensiero. Non è possibile, scri- ve Garroni in alcune notevoli pagine del suo libro47, mirare a cogliere l’indeterminato in quanto tale; è possibile farlo solo attraverso il deter- minato. E poi si pone una possibile obiezione: È vero: momenti di apparente non-riconoscimento e totale in- determinatezza percettiva intervengono in modo tipico quando ci risvegliamo e a volte pare che non riconosciamo neppure il nostro piede che spunta fuori dal lenzuolo aggrovigliato. Forse “vedremmo”, per così dire, solo l’indeterminato e ci sfuggirebbe affatto il determinato connesso con il riconoscimento di ogget- ti? Si può rispondere tranquillamente di no. Salvi i casi di pato- logie gravi, quando il mondo può forse divenire solo un magma indecifrabile e viene meno perfino il senso della nostra identità (ma parimenti dovremmo escludere il caso estremo del coma, se non addirittura dell’essere già morti), il riconoscimento non 45 E. Garroni, Dissonanzen-Quartett. Una storia, Pratiche, Parma 1990. 46 Una densa e attenta interpretazione di quest’opera è stata avanzata da A. Olivetti, dice [...]. Primi appunti su un Autoritratto di Emilio Garroni, pubblicato nel catalogo della mostra Emilio Garroni – Un Autoritratto, 4-15 dicembre 2006, Sala Santa Rita dell’Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma. 47 E. Garroni, Immagine linguaggio figura, cit., p. 33. 286    Il senso dell’esperienza: Emilio Garroni e l’estetica come filosofia non speciale   viene meno neanche nel caso di un risveglio depresso e confu- so. Si tratta piuttosto di una sensazione di estraneità degli og- getti e delle nostre stesse parti del corpo percepite come oggetti indipendenti e in qualche modo estranei. E l’idea di estraneità modifica il riconoscimento, non lo annulla. Anzi, l’idea di estra- neità del nostro piede presuppone un riconoscimento proprio in quanto lo riteniamo estraneo – è il nostro piede e per questo ci è estraneo. Solo che il riconoscimento viene depotenziato e in certo senso avversato. Infatti il nostro piede non dovrebbe esserci estraneo, ma il fatto è che ci pare assurdo che quel piede sia cosiffatto e ci appartenga. E insomma la sensazione della stranezza delle cose del mondo, esterne e nostre. Il che implica un riconoscimento sgradito, languoroso e stupefatto48. Nelle ultime pagine, poi, il tono sempre controllato di Garroni, tenden- te piuttosto all’ironia e allo humour che allo scoramento, si lascia anda- re anche a parole amare sul nostro presente (sono gli anni del venten- nio berlusconiano, che abbiamo sperimentato quanto fossero destinati a cambiare i parametri della vita pubblica, «la “mente” dei cittadini»): Ormai si è istituzionalizzato il banale ed espulso ciò che più con- ta, non tanto l’arte, di cui ci importa fino a un certo punto e solo a certe condizioni, ma soprattutto il comportamento civile, le ir- rinunciabili esigenze etiche, l’interesse alla comprensione delle cose, insomma: la “mente” dei cittadini, di cui invece ci importa molto in primissima istanza. E con una specie di apologo politico di trista attualità ho messo termine a questo breve saggio49. La “facoltà dell’immagine” di Emilio Garroni e il suo contributo alla ricerca  contemporanea sulla percezione   , i “contenuti non concettuali”    e l’immaginazione  . 1   L’ultimo libro di  Emilio Garroni,  Immagine Linguaggio Figura  2 , è in parte  una ripresa e un ripensamento di alcuni temi trattati quasi trent’anni prima in  Ricognizione della semiotica  3 . Da una rielaborazione dei problemi abbozzati in questo  volume del 19 77, e grazie a un’assidua  interpretazione e rielaborazione del pensiero kantiano, Garroni arriva a precisare il rapporto tra le due dimensioni irriducibili della sensibilità e  dell’intelletto   in termini di «“facoltà dell’immagine”» 4 , da un lato, e  di linguaggio e concetti, dall’altro. Nonostante  Immagine Linguaggio Figura   nomini fin dal titolo il problema della relazione tra queste due dimensioni correlate ma kantianamente irriducibili  dell’esperienza umana , lo statuto del linguaggio non è qui affrontato nella sua problematicità complessiva  all’interno di tale esperie nza, ma  solo in relazione all’«immagine interna», che deve essere considerata «la premessa e  la garanzia della realtà del significato delle parole del linguaggio» 5 . Naturalmente,  1   Relazione tenuta al convegno di studi “Emilio Garroni: determinazioni e dissonanze”, Chieti,  29-30 marzo 2012.  2  E MILIO  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura. Osservazioni e ipotesi  , Roma-Bari, Laterza 2005.  3  I D .,  Ricognizione della semiotica. Tre lezioni  , Roma, Officina 1977.  4  I D .,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. ix, dove Garroni precisa: «Chiamerò complessivamente  ‘immagine interna’ sia il precedente di un’immagine (sensazione), sia l’immagine in quanto  attualmente prodotta (pe rcezione), sia l’immagine in quanto riprodotta o ricordata -rielaborata  (immaginazione), per distinguerle complessivamente dalla ‘figura’ esteriorizzata, per esempio, mediante un disegno. […] Perciò […] mi capiterà di chiamare la facoltà che ne è responsabi le  ‘facoltà dell’immagine’, tale da riunire in sé sensazione, percezione, immaginazione».   5  I D .,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. 57non bisogna cadere nell’errore di considerare le «immagini interne» come «fig  ure», (  Bilder  ,  pictures   ) che avremmo nella mente. Garroni conosce bene la critica   wittgensteiniana a quest’idea tradizionale e insostenibile. Anzi, si potrebbe considerare la teoria dell’«immagine interna» come una lunga  e meditata replica a chi confonde la critica di Wittgenstein con un rifiuto di attribuire ogni valore cognitivo o semantico alla nostra attività percettivo-immaginativa, per attenersi al solo linguaggio. Per integrare quanto è implicito nel libro a questo riguardo, credo sia oppor tuno tenere presente l’articolo che Garroni ha  dedicato a   Minisemantica  di  Tullio De Mauro 6  nel 1998, caratteristicamente intitolato  L’indeterminatezza semantica,  una questione liminare  7 . Sia sul versante della percezione e dell’immagine, sia su quello  del linguaggio e dei concetti, troviamo infatti  in quest’articolo  quella correlazione di determinato e indeterminato che è forse il nodo teorico che Garroni ha pensato più a fondo e nelle sue molteplici articolazioni: il «paradosso fondante» della filosofia, ma a nche dell’esperienza comune  - di cui Garroni parla prima nella voce i  Paradossi  dell’esperienza   scritta per  l’Enciclopedia Einaudi  , e poi in  Senso e paradosso 8   - non è altro  che un’a ntinomia inevitabile, modellata  sull’antinomia della facoltà di giudiz io della terza  Critica   kantiana. La relazione paradossale tra determinatezza e indeterminatezza è  al centro sia della trattazione della facoltà dell’immagine, sia  della facoltà del linguaggio. Qui vorrei, per un verso, mostrare quale aspetto abbiano assunto  nell’ultimo libro certi problemi già impostati in  Ricognizione della semiotica     –   creando  6  T ULLIO  D E  M  AURO ,   Minisemantica  , Roma-Bari, Laterza 1982.  7  E MILIO  G  ARRONI ,  L’indeterminatezza semantica, una  questione liminare  , in A  A .V   V  .,   Ai limiti del linguaggio , a cura di F EDERICO   A LBANO  L EONI ,   D  ANIELE  G  AMBARARA ,   S  TEFANO  G ENSINI ,   F RANCO  L O  P IPARO ,   R   AFFAELE  S IMONE , Roma-Bari, Laterza 1998, poi in E MILIO  G  ARRONI ,  L’arte e l’altro dall’arte. Saggi di estetica e   di critica  , Roma-Bari, Laterza 2003, pp. 89-115, da cui cito.  8  E MILIO  G  ARRONI ,  I paradossi dell’esperienza   ,  in A  A .V   V  .,   Enciclopedia Einaudi  , vol. XV,  Sistematica  , Einaudi, Torino 1982,  pp. 867-915 ;  I D .,  Senso e paradosso. L’estetica, una filosofia non  speciale  , Roma-Bari, Laterza 1986così un asse verticale, o di profondità temporale, all’interno de lla ricerca stessa di Garroni; per altro verso, però, vorrei tentare qualche rapido confronto tra alcuni temi fondamentali affrontati in  Immagine Linguaggio Figura   e la filosofia contemporanea, soprattutto di area analitica, con qualche riferimento anche all ’ambito  della psicologia cognitiva e discipline affini. Con il corrodersi della  “ filosofia linguistica ” , infatti, - o, se si vuole , con l’apertura della  linguistic turn   al non linguistico   –    quest’area di ricerca emersa negli ultimi 40 -50 anni ha permesso di riscoprire il problema della perc ezione e dell’immaginazione, creando  ambiti disciplinari anche molto specialistici su questioni strettamente interconnesse: dal problema della natura della  mental imagery  9   a quello dei cosiddetti “contenuti non concettuali”  della percezione (in cui un ruolo di rilievo assume anche la percezione e la cognizione degli animali non umani, da sempre tenuta presente da Garroni); da quello della natura delle rappresentazioni mentali a quello delle numerose prestazioni assegnate oggi in ambito analitico e cognitivistico  all’immaginazione.   A  lungo considerata in area analitica come una “facoltà” nebulosa, indeterminata e quindi sospetta, da qualche anno a questa parte l’immaginazione è al centro di  molte aree di ricerca: se ne parla i n relazione ai “giochi di far finta” (   games of make believe   ) 10    –    sia nel campo delle arti che in quello più generale dell’esperienza comune  9   Cfr. l’ampio  contributo di N IGEL   J.T.    T HOMAS ,   Mental Imagery  , in  The Stanford Encyclopedia of Philosophy  , (Winter 2011 edition), a cura di E DWARD  N.   Z  ALTA , URL = http://plato.stanford.edu/archives/win2011/entries/mental-imagery/. Si tratta di un buon contributo, ma è sintomatico che proprio allo schematismo kantiano Thomas dedichi uno spazio molto ridotto, e limitato alla schematismo trascen dentale dell’intelletto della prima  Critica  :  aggrappandosi alla famosa asserzione kantiana secondo cui lo schematismo è «un’arte nascosta nella profondità dell’anima umana, il cui vero impiego difficilmente saremo in grado di strappare  alla natura per esibirlo patentemente dinanzi agli occhi» (B181), Thomas mette da parte il problema concludendo che Kant, «in attempting to grapple with problems about the nature of mental representation that the Empiricists had failed to solve, left the process of image formation, and the nature of image itself, deeply misterious» (ivi, p. 14).  10  Cfr. K  ENDALL   W   ALTON ,   Mimesis as Make-Believe. On the Foundations of Representational Arts  , Cambridge (MA), Harvard University Press 1990 (trad. it. di M  ARCO  N  ANI ,   Mimesi come far finta  , Milano, Mimesis 2011- , alle ricerche sull’autismo (considerato da alcuni come una “patologia dell’immaginazione”), a quelle sull’empatia  e sulla simulazione, ai cosiddetti  “paradossi della ‘finzione”, della “suspense” o della “resistenza immaginativa” , e ai tentativi, o alle rinunce, di fornire una nozione unitaria di immaginazione che ne comprenda le varie declinazioni: u n’immaginazione pr oposizionale e non proposizionale, una  “ricostruttiva”  e una  “creativa” , e così via 11 .  Immagine Linguaggio Figura   è stato scritto senza note e senza riferimenti espliciti ad altri autori o ad altre ricerche contemporanee. Ma  è tutt’altro che un  libro estemporaneo o isolato. Anzi, Garroni lo ha potuto scrivere liberamente,  quasi “di getto”, solo perché erano almeno trent’anni che andava elaborando quei  pensieri.   Abituati ormai a pensare, come è d’uso nella filosofia analitica,  sotto  l’ombrello di etichette generalizzanti, che identificano certi assunti teorici di fondo  nei confronti dei quali occorrerebbe definirsi   –   nel caso della  mental imagery  , per esempio, il primo discrimine che troviamo è quello  fotografato dall’annoso e  fuorviante dibattito tra sostenitori delle  teorie “analogiche”  e delle teorie  “proposizionali”  -, la riflessione di Garroni sembra condotta in isolamento, e risulta  difficile da collocare sotto un’etichetta  univoca. Mentre non credo che le etichette servano davvero, in quanto tali, a far progredire la comprensione dei problemi, credo invece che un confronto sostanziale tra le proposte di Garroni e quelle elaborate in ambito anglosassone sarebbe molto proficuo per entrambi gli schieramenti. In ogni modo, se proprio volessimo collocare le posizioni di Garroni in quel dibattito   –   che nel bene e nel male è sempre più ristretto, specialistico, talvolta accecato dai propri tecnicismi, ma altre volte utile a chiarire i problemi in gioco e a suggerire soluzioni che lì, magari, non sono contemplate -, potremmo  orientarci verso l’ambito delle teorie “enattive” (  enactive   ) della percezione e delle  11   Per il nuovo interesse suscitato dall’immaginazione in ambito anglosassone negli ultimi decenni,  e le relative indicazioni bibliografiche, rimando a S  TEFANO   V  ELOTTI ,  La filosofia e le arti. Sentire,  pensare, immaginare  , Roma-Bari, Laterza 2012, in particolare il cap. 3immagini mentali, che costituiscono una “terza via” –   non computazionale -  rispetto a quelle “analogiche” e  a  quelle “proposizionali”.  Come che stiano le cose rispetto a questi orientamenti, il confronto approfondito e sostanziale tra le riflessioni di Garroni e le teorie della percezione,  delle immagini mentali, dell’immaginazione –   nel loro ruolo in ambito cognitivo, semantico, estetico, artistico   –   è un lavoro ancora da fare. Qui offrirò qualche spunto in relazione al problema dei cosiddetti  “contenuti non concettuali” della percezione, cominciando però dallo sviluppo  interno al pensiero di Garroni stesso, e in particolare d all’insoddisfazione per  la  semiotica denunciata nel ’77 . Alla domanda se «la semiotica [sia] sufficiente a se stessa», Garroni rispondeva di no, perché la semiotica non poteva indagare «il problema delle condizioni» grazie a cui «un qualcosa diviene segno» 12 . Lì Garroni invocava la costruzione di una «semantica trascendentale» come metateoria di una «semantica empirica» e di una «semantica logica», e indicava il suo «oggetto  specifico» nei «significati trascendentali», cioè negli «“schemi dell’immaginazione” , affrontati in sede di schematismo trascendentale nella  Kritik der reinen Vernunft  » 13 .  Garroni, d’altra parte, già avvertiva –    avendo pubblicato l’anno prima   Estetica ed epistemologia  14    –    l’insufficienza dello schematismo trascendentale della prima  Critica  ,  valido solo per (le condizioni de)la conoscenza in genere (  überhaupt   ), ma non per comprendere la conoscenza effettiva o determinata, e rimandava al «  principio trascendentale soggettivo, creativo e costruttivo » 15  indagato da Kant nella terza  Critica.  Nella Premessa a  Immagine Linguaggio Figura    si dice che l’enigma dell’immagine interna, il  12  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 33.  13  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 37.  14  E MILIO  G  ARRONI ,   Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla  Critica del Giudizio  di Kant  , Roma, Bulzoni 1976, nuova ed. con una nuova Premessa, Milano, Unicopli 1998.  15  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 38, c.vo nell’originale.vero e proprio tema centrale del libro, ha preso forma attraverso « l’assiduo  ripensamento del co siddetto ‘schematismo’ kantiano» 16 . Dunque, una continuità  con l’opera del ’77, ma certamente anche un’importante discontinuità: lo schematismo trascendentale, quello dei concetti puri dell’intelletto, passa decisamente in secondo piano nell’ultimo libro, mentre a venire in primo piano  sono lo schematismo empirico - quello cioè che permette di pensare la costruzione dei concetti empirici a partire dalla percezione, che Kant nella terza  Critica   chiama «esempio» - e lo schematismo «simbolico»   –   quello che funziona per analogia, in relazione a concetti non propriamente esibibili e che è responsabile non solo delle  cosiddette opere d’arte bella, ma anche del funzionamento del nostro lin guaggio 17 . Naturalmente, questi diversi schematismi, pensabili grazie alla distinzione - disponibile solo a partire dalla terza  Critica     –   tra uno schematismo «oggettivo» e un «libero schematismo», si intrecciano sempre nella produzione effettiva di enunciati e figure significanti, ma devono essere distinti a livello analitico. Già nella  Ricognizione della semiotica   Garroni metteva in chiaro come lo schematismo kantiano costituisse il superamento di ogni concezione ingenuamente referenzialistica del linguaggio. Lì si indicava una direzione di ricerca che poi si preciserà nel tempo. Si diceva:  Il ‘referente’ non è la cosa s tessa, ma il nostro modo di operare sulle cose, di manipolarle e  configurarle come il correlato implicito del linguaggio; l’ ‘operazione’ a sua volta è questo stesso  concreto manipolare, che non può essere disgiunto peraltro dal nostro rappresentarci le cose e le  nostre manipolazioni delle cose, cioè dal nostro ‘prendere le distanze’ dagli stimoli immediati, e  che suppone quindi in qualche modo il nostro conoscerle e parlarne 18 .  16  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. ix.  17  Cfr. I MMANUEL  K   ANT ,  Critica della facoltà di giudizio , ed. it. a cura di E MILIO  G  ARRONI  e H  ANSMICHAEL  H OHENEGGER  , Torino, Einaudi 1999, in particolare §49 e §59,  e l’ introduzione dei curatori. Sull’analogia in Kant v.  M IRELLA  C  APOZZI ,  Le inferenze del giudizio riflettente in Kant:  l’induzione e l’analogia  , “Studi kantiani”, XXIV (2011), pp. 11 -48.  18  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 69.È evidente, mi pare, che «l’operazione»  di cui si parla include anche la nostra nativa attività percettiva che verrà poi indagata attraverso il problema della costituzione, della natura e della funzione delle «immagini interne». Distinte dalle «figure» (che non possono essere altro che elaborazioni, esteriorizzazioni e riduzioni delle immagini interne), le immagini interne sono innanzitutto dinamiche, sono cioè ispezioni attive e mobili, per scorci sempre diversi, degli oggetti percepiti,  o di queste percezioni riprodotte, rielaborate e ricordate nell’immaginazione. È da  escludere quindi ogni obiezione legata alla presupposizione indebita e circolare di un  homunculus    che sarebbe a sua volta spettatore di “figure nella testa”. Figure nella  testa non ce ne sono. È invece questa operazione percettiva, dinamica e attiva, che impedisce ogn i regresso all’infinito, anche se naturalmente non pretende di dare  una  spiegazione  , in termini oggettivi, di come ciò avvenga. Un ruolo decisivo gioca qui   la nozione di  metaoperatività  introdotta in  Ricognizione della semiotica  19   e poi ripresa, anche terminologicamente, in tutta la sua  importanza, solo trent’anni  anni dopo. È interessante come, anche in questo caso, Garroni anticipasse uno dei temi più dibattuti, oggi, in ambito cognitivo, sotto il t itolo di “metarappresentazioni” 20 , ma che in Garroni si es tende già all’intero ambito dell’operare umano  (un operare che è pragmatico e corporeo, percettivo, cognitivo). In analogia e in correlazione con la funzione metalinguistica   –   che per Garroni è sempre implicata nelle funzioni di primo livello del linguaggio, così come quella costituisce pur sempre una funzione che può essere solo interna al linguaggio di primo livello   –   Garroni introduce la nozione di metaoperatività come interna a qualsiasi o perazione umana. È ciò che distingue, in sostanza, un’operazione del  19   G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 70 sgg.   20  Cfr. A  A .V   V  .,    Metarepresentations. A Multidisciplinary Perspectiv  e, a cura di D  ANIEL  S PERBER  ,   Oxford, Oxford University Press 2000genere stimolo- risposta da un’operazione che include  già dentro di sé una generalizzazione. P iantare un chiodo con un martello è sì un’operazione  determinata, concreta, e dotata di uno scopo preciso, ma   –   come operazione umana   –   contiene già dentro di sé una famiglia o una classe di operazioni possibili (qualcosa, dunque, ch e potrebbe essere chiamato uno “schema operativo”  ):  “ piantare questo ch iodo”, per l’uomo, suppone “piantare i chiodi in generale” , cioè un comportamento operativo   –   metaoperativo rispetto a quello   –   volto alla fabbricazione di strumenti e alla determinazion e di variabili operative; e il “piantare chiodi in generale”  suppone ul teriormente l’“ operare in generale in vista d i possibili variabili operative” , cioè un comportamento specificamente metaoperativo. 21   Persino l’operare per prova ed errore –   tipico del comportamento animale non umano -  suppone nell’uomo un piano, una consapevolezza di operare  per prova ed errore. S appiamo che proprio l’attività artistica è considerata da Garroni come l’esemplificarsi di questa dimensione metaoperativa, e che questa dimensione  metaoperativa non è altro che una riformulazione della kantiana «conformità a scopi senza scopo». La terza parte di  Ricognizione della semiotica   è tutta incentrata sui cosiddetti linguaggi artistici, che linguaggi propriamente non sono, non solo in  quanto privi di un codice, ma in quanto strettamente condizionati da un’operatività  e da una metaoperatività irriducibili a linguaggio. Tutte le arti di cui Garroni lì parla brevemente   –    dall’architettura alla musica, dalla poesia alla narrativa alla pittura –   sono indagate a partire dal modo in cui in esse prende corpo questa nostra capacità metaoperativa, di per sé inosservabile, ma rilevabile in indici empirici in tutti i  prodotti umani, e in modo esemplare nelle opere d’arte. La stessa nozione di “ stile ”   viene riletta alla luce del manifestarsi concreto di indici metaoperativi. In estrema sintesi, questa capacità metaoperativa viene caratterizzata come una condizione  21  G  ARRONI ,  Ricognizione  , cit., p. 94nozioni diverse, quali gli oggetti che Donald W. Winnicott ha chiamato «transizionali» 27 , di quelli che Michael Dummett ha chiamato «proto-pensieri» 28 , che sono analoghi poi a quelli che alcuni studiosi   –   a partire da Gareth Evans 29    –    chiamano “contenuti non concettuali” della percezione (c ontraddicendo, dunque,  l’idea  fatta valere da Maurizio Ferraris secondo cui la tradizione kantiana avrebbe  decretato l’equivalenza tra epistemologia e ontologia, cioè l’assimilazione di tutt o il  reale, di quel che c’è, a quel che possiamo conoscerne grazie ai nostri “schemi concettuali” , gettando così le premesse del radicale prospettivismo e costruzionismo  nietszscheano secondo cui “non esistono fatti ma solo interpretazioni”, e di qui del p ostmoderno, del neopragmatismo alla Rorty, del decostruzionismo secondo cui niente è fuori dal testo, e così via) 30 .  affidata a un principio estet ico che esprime un’originaria adesione del soggetto all’esperienza, e insieme un’anticipazione distanziante di questa».   27  Già in  Senso e paradosso , cit. p. 274, G  ARRONI  si era riferito in un altro contesto agli oggetti transizionali di Winnicott («mediatori tra il narcisismo infantile, o primario, e le relazioni  oggettuali», obbedienti a «“quel principio di confusività” […] che violerebbe appunto “il principio aristotelico di non contraddizione”») accostandoli da un lato all’ Unheimliches    freudiano e, dall’altro, alla paradossale unità di determinato e indeterminato che ha nell’opera d’arte e nell’esperienza estetica una sua manifetsazione esemplare: «Non c’è esperienza ben determinata, apparentem ente solo ovvia, che non presupponga una condizione di transizionalità o, insomma, un paradosso-senso. E certi tipici oggetti transizionali non sono che concretizzazioni di un paradosso-senso.  Qui si legittima […] anche la creatività […] che viene esemplar mente e più tipicamente esibita  oggi, per noi e dal punto di vista di una riflessione estetica, da ciò che chiamiamo “arte” ed “esperienza estetica”», ivi, p. 275.   28  M ICHAEL  D UMMET ,   Origins of Analytical Philosophy  , Cambridge, Harvard University Press 1994, ed. it. a cura di E  VA  P ICARDI ,  Origini della filosofia analitica  , Torino, Einaudi   2001, cap. XII: «Il   proto-pensiero si distingue dal pensiero vero e proprio che è esercitato dagli esseri umani per i quali il linguaggio ne è il veicolo per il fatto di non essere separabile dalle attività e circostanze  presenti. […] non possiamo dare una spiegazione soddisfacente della nostra capacità di base di  apprendimento e di orientamento nel mondo trascurando il livello dei proto-pensieri» (ivi, pp. 138-139).  29  G  ARETH  E  VANS ,  The Varietis of Reference  , Oxford University Press, Oxford 1982.  30  Di M  AURIZIO  F ERRARIS , tra i tanti testi e articoli in cui sostiene questa tesi, si veda da ultimo il   Manifesto del nuovo realismo , Roma-Bari, Laterza 2012. Per una discussione più articolata di questadel l’esperienza che funziona come « unità costruttiva di un insieme di determinazioni linguistiche e operative», in dichiarata corrispondenza a « quell’unità  estetica delle rappresentazioni di cui si occupa Kant nella  Kritik der Urteilskraft  » 22 .   A questo punto abbandono il libro del ’77 per vedere come queste  problematiche vengano riformulate e rielaborate, in modo più adeguato, nel libro del 2005. Il nuovo strumento teorico che Garroni ha messo a punto, al di là del riferimento al principio di una «conformità a scopi senza scopo» quale senso e sentimento comune (il  Gemeinsinn   kantiano), è la nozione di «immagine interna», proprio a partire da una rielaborazione del libero schematismo della terza  Critica.  Qui la nostra capacità metaoperativa resta una nozione importante, ed è esplicitamente richiamata nel testo 23 , ma viene reinterpretata e specificata proprio in relazione al lavoro di quella che Garroni chiama complessivamente «facoltà  dell’immagine» , che è responsabile sia delle sensazioni (come precedenti di  un’immagine), sia delle percezioni (le immagini interne prodotte in presenza degli oggetti del mondo), sia dell’immaginazione nella sua specificità (delle immagini in  quanto riprodotte o ricordate- rielaborate). Quella che nel ’ 77 veniva chiamata per lo più «operazione» è qui inn anzitutto l’attività di questa «facoltà dell’immagine» , dal livello senso-motorio e non ancora associato effettivamente al linguaggio e ai concetti, fino al suo pieno intrecciarsi con linguaggio e concetti, ma pur sempre  all’interno di una non riducibilità dell’una dimensione all’altra. Sensazione,  percezione e immaginazione sono tutte «immagini interne» costitutivamente  dinamiche, non fissabili in un’ icona o figura materiale, e abitate da qualcosa di non  sensibile, dunque distinte dall’immagine -segno materialmente intesa, che Garroni chiama «figura», e che è invece sostanzialmente statica.  22  G  ARRONI ,   Ricognizione  , cit., p. 147.  23  G  ARRONI ,   Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. 18 sggUna delle nozioni di maggior interesse che emerge subito   –   assente, direi, negli scritti precedenti   –   è quella di «aggregato». Si tratta di qualcosa di pre-linguistico e pre-concettuale, che deve dunque precedere   –   in linea di diritto e ipoteticamente anche di fatto   –   il costituirsi di famiglie, in senso wittgensteiniano, e di classi. Un aggregato è ciò che offre una prima possibilità di riconoscimento degli oggetti, non come membri di una famiglia o di una classe (che presuppongono appunto una caratterizzazione di tratti linguistici o una pertinentizzazione di note concettuali). Un aggregato è invece costituito «solo percettivamente» e costituisce «un insieme di casi effettivamente sperimentati o di oggetti effettivamente usati, quindi di numero finito, anche se via via crescente» 24 . Un aggregato può essere costituito  da oggetti assai diversi, legati da una minima somiglianza e talvolta da nessuna somiglianza, ma  solo da un cortocircuito tra disparati che stabiliscono tra loro un’unità non chiaribile  intellettualmente di tipo affettivo, emozionale, fantasticante, volto al padroneggiamento di eventi e cose amat e, preoccupanti, esaltanti” 25 .  Mi sembra di poter dire che Garroni stia cercando di dar conto, con una  rielaborazione di quella che Kant avrebbe chiamato una “sintesi dell’apprensione” 26 ,  ancora priva di un’unità conc ettuale, della comune radice di  24  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. 11  25  Ibidem.  26  Ma G  ARRONI  segnala una revisione  tendenziale dell’estetica trascendentale kantiana a un livello  molto più radicale e produttivo, già da  Senso e paradosso , (cit., p. 226): «Con la riflessione estetica della  Critica del Giudizio , il problema dell’immaginazione viene in primo piano: nasce u n nuovo schematismo   –   lo schematismo libero, senza concetti,   dell’immaginazione     –   come capacità originaria di organizzazione delle percezioni. Di conseguenza tende a ridimensionarsi notevolmente la primitiva   Estetica trascendentale  , nonché la stessa  Logica trascendentale  , della  Critica della ragion pura  . Per esempio, che qualcosa possa essere dato ai sensi solo alle condizioni dello spazio e del tempo non è che  un  aspetto, forse non il più originario appunto, della questione dell’intuizione e della sua  elab orazione nell’immaginazione (non più soltanto ‘produttiva’ e ‘riproduttiva’, ma anche ‘creatrice’), non esauribile in termini di ‘forme’ spazio - temporali rispetto a una ‘materia’ sensibile. Il centro della questione, di fronte a quell’aspetto, è ora la lor o interna capacità organizzativa Quanto alla relazione tra «aggregato» e «oggetto transizionale», mi sembra che uno degli esempi portati in  Immagine Linguaggio Figura   non lasci adito ad alcun dubbio. Nella primissima infanzia, scrive Garroni, «prima che il linguaggio costituisca un vero e proprio ambiente e quindi sotto la condizione di  un’intelligenza prev  alentemente senso-motoria», si può ipotizzare che si producano,  nel la manipolazione degli oggetti, […] riconoscimenti, usi e aggregati di oggetti in essi variamenti  disposti. Un burattino può essere riconosciuto come un burattino e nello stesso tempo come un   vivente, oggetto d’amore o mostro persecutorio che sia; una cope rtina o un lenzuolino possono  essere riconosciuti come oggetti d’uso, adatti per coprirsi e stare al caldo, e insieme come utero  della madre, il suo abbraccio, il suo stesso seno e quindi come una difesa dal mondo esterno non ancora propriamente conosciuto  e dominato; e così via. In questi casi l’aggregato è lontanissimo  dalla formazione di una futura tassonomia intellettuale, e tuttavia una tassonomia non potrebbe più tardi formarsi se non fosse preceduta da quello. 31   Se queste forme prelinguistiche di aggregazione e riconoscimento sono  però contrassegnate da una vocazione al linguaggio e all’organizzazione  concettuale, ci si può chiedere se siano pensabili anche senza questa teleologia  evolutiva e se non siano per caso da pensare come l’analogo più prossim o, con le opportune specificazioni, delle rappresentazioni che dobbiamo attribuire ad alcune specie di animali non-umani. A questi, infatti, Garroni riconosce non una vera «percezione interpretante»   –   come quella umana -, ma neppure si sente di relegarli in un «ambiente» nettamente distinto da un «mondo» 32    –   come avevano fatto Scheler e Heidegger sulle orme di von Uexküll. Forse la distinzione vale per  l’ambiente sensoriale della zecca, ma sarebbe diff  icile dire la stessa cosa di un cane o delle grandi scimmie.  tesi rispetto a Kant, rimando a S  TEFANO   V  ELOTTI ,  Storia filosofica dell’ignoranza  , Roma-Bari, Laterza 2003, in particolare i capp. 3, 4 e 7.  31  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., pp. 12-13.  32  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. 44Un mondo, senza darne qui un’impossibile definizione e accettando della parola solo l’indicazione di un senso complessivo della vita e delle cose che la avvolgono, è attribuibile anche  agli animali non-umani. Solo che sembra presentarsi non come mondo in immagine, ma come comportamento, in cui la sensazione, visiva o non visiva, svolge una funzione segnaletica e non formativa, essenziale, ma non caratterizzante propriamente una co siddetta “immagine del mondo”. 33   Mi sono soffermato brevemente sul tema della percezione infantile e degli animali non-umani perché è diventato  forse l’argomento più forte  portato dai sostenitori dei contenuti non concettuali della percezione 34 . Questo confronto tra le  posizioni di Garroni e quelle dei sostenitori dei “contenuti non concettuali” (un’espressione che Garroni non usa mai)  richiederebbe uno studio specifico, come anche la relazione  tra l’ «aggregato» e i «proto -pensieri» di Dummett, una nozione elaborata proprio per dar conto di rappresentazioni che non sono dipendenti dal linguaggio, proprie sia dunque degli infanti, sia degli animali non-umani (anche se credo che sia necessario, anche per Dummett, distinguere tra proto-pensieri suscett ibili di diventare pensieri, o “vocati’  a diventarlo, e quelli che non lo sono). Se menziono i possibili punti di convergenza della riflessione di Garroni sulla irriducibilità della percezione al linguaggio con quella di alcuni filosofi di tradizione analitica e psicologi cognitivi, non è per mostrare che il pensiero di Garroni sta al passo con i tempi, o li ha precorsi, cosa che sarebbe di pochissimo interesse. Il fatto è che Garroni mette in luce   –   spesso senza portare fino in fondo i  dettagli dell’analisi –   aspetti, implicazioni e dimensioni del problema che potrebbero essere molto fecondi se messi a contatto con la ricerca contemporanea propria di quelle diverse tradizioni. Vorrei sottolineare che non si tratta solo di un generico auspicio di integrazione di prospettive diverse, ma di confronti concreti  33  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit., p. 44-5.  34  Non solo in E  VANS , cit., ma soprattutto, tra gli altri, in C HRISTOPHER  P EACOCKE ,   Does perception have a nonconceptual content?  , in “Journal of Philosophy”, 98 (2001), p p. 239-264 e I D .,  Phenomenology and nonconceptual content  , in “Philosophy and Phenomenological Research”, 62 (3) (2001), pp. 609 -15, e già anche in F REDERICK   D RETSKE ,    Naturalizing the Mind  , Cambridge (MA), MIT Press 1995che potrebbero portare a risultati sorprendenti forse anche in termini di nuove acquisizioni conoscitive. Farò due esempi: il primo, già accennato, riguarda proprio  i contenuti non concettuali. Il secondo riguarda invece l’indeterminatezza delle  immagini mentali  A. È indubbio che le principali ragioni che hanno portato la filosofia della  linguistic turn   a occuparsi di fenomeni non linguistici, e in particolare di contenuti percettivi non concettuali, è legata a una serie di ragioni che trovano corrispondenze abbastanza puntuali in Garroni. E tuttavia, nonostante la loro raffinatezza, spesso queste analisi sono incapaci di vedere aspetti della questione che una riflessione filosofica come quella di Garroni aiuta a scorgere. Le ragioni che hanno dato il via al dibattito sui contenuti non concettuali sono svariate: 1. La possibilità, riconosciuta da Garroni con la nozione di «aggregato», di rappresentare nella percezione stati di cose contraddittori o impossibili da un punto di vista proposizionale e concettuale:  l’esempio che si fa di s olito sono le figure di Escher, o la « l’illusione della casca ta» di Tim Crane 35 ,  ma l’aggregato di  Garroni, come abbiamo visto rapidamente, coglie questa possibilità percettiva  innanzitutto al livello dell’immagine interna, e nella sua  necessità     –   non solo come fatto accidentale ed episodico, o artatamente escogitato e realizzato in una figura 36 . 2. Un secondo argomento è stato proposto da Peacocke, il quale ha sostenuto che il contenuto della percezione è « unit-free  » 37 : percepisco una distanza  35  T IM  C RANE ,  The Waterfall Illusion  , in “Analysis”, 48  (1988), pp. 142-147.  36  Cfr. il capitolo 8 di  Immagine Linguaggio Figura  , in cui G  ARRONI  analizza la differenza tra la interpretabilità plurima di alcune   figure  , e il «ruolo primario nei riguardi della varia interpretabilità del percepibile» giocato dalla «indeterminatezza percettiva» propria delle  immagini interne   in relazione al mondo reale.  37  C HRISTOPHER  P EACOCKE ,   Analogue content  , in “Proceedings of the Aristotelian Society”, 60  (1986), pp. 1-17determinata tra me e un oggetto senza per questo dover  usare un’unità di misura. E  queste rappresentazioni sono irriducibilmente non-concettuali. Garroni, di nuovo appoggiandosi   –   qui implicitamente - a Kant 38 , usa  un’ argomentazione analoga per mostrare come la percezione ci appaia legittimamente come soggettiva e oggettiva a un tempo, senza che ci sia nulla di contraddittorio o ossimorico, in quanto la percezione «fornisce valori oggettivi delle cose, per esempio quantitativi, tali da poter essere   poi   esplicitati in rapporti metrici, in un modo che non è ad evidenza delle cose stesse: lo stesso avvertimento di quei valori  oggettivi   è  nostro  [e questo avvertimento è non concettuale: nota mia] e, tanto più, la  nostra misurazione   non sta  nelle cose  , ma dipende  da un’unità di misura da noi stabilita    idonea per l’esplicitazione  [concettuale] di quei rapporti» 39 . L’avvertimento dei valori quantitativi privo di un’unità di misura è dunque la condizione, non concettuale (estetica, direbbe  Garroni con Kant) di ogni misurazione oggettiva e concettuale. 3. Un terzo argomento, avanzato da Gareth Evans e poi ripreso da molti, è la maggiore «finezza di grana» della percezione rispetto alla  “ grana ”  dei contenuti degli atteggiamenti proposizionali. Qui è facile riferirsi di nuovo a Garroni nella sua rielaborazione del pensiero kantiano, ma non tanto in relazione agli aggregati, quanto al libero schematismo e a quelle che Kant chiamava «idee estetiche» (una modalità esemplare di «immagine interna», che Kant stesso designa come «intuizione interna»: « dal punto di vista estetico l’immaginazione è libera, al fine di fornire, ma in modo non ricercato […] una copiosa e inesplicita materia [  Stoff   ]  all’intelletto, che questo,  nel suo concetto, non prendeva in considerazione  » 40  ) . E l’analisi,  centralissima, che Garroni dedica al libero schematismo, non si limita a un riferimento alle ope re d’arte (che sono, per Kant, « espressioni  di idee estetiche»), ma  38  V. K   ANT  ,   Critica della facoltà di giudizio , cit. § 25.  39  G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. 6.  40   K   ANT  ,   Critica della facoltà di giudizio , cit., § 49, c.vo mio si allarga alla stessa costruzione di schemi per concetti empirici. Garroni precisa infatti che  lo stesso schema [lo schema empirico, l’immagine -schema o, nel linguaggio della terza  Critica    kantiana, l’  «esempio»  ] è possibile dentro il quadro del rapporto dell’intera immaginazione e dell’intero intelletto: è una scelta di certi tratti caratteristici nell’insieme di tutti i tratti caratteristici  percepibili di un oggetto, il quale a sua volta non sarebbe possibile se non sullo sfondo di tutti i tratti caratteristici possibili, percepiti o no, percepibili o no, c onfusi nell’indet erminatezza della totalità 41 .  Non si tratta, è vero, di una percezione non relazionata ai concetti (dato  il rapporto dell’immaginazione con l’intelletto) , ma è anche vero che qui nessun concetto determinato può corrispondere ai tratti caratteristici percepiti, e anzi un concetto empirico può formarsi solo su progressive selezioni a partire da una totalità indeterminata di tratti non già linguisticamente o concettualmente  classificati. Nella prospettiva di Garroni, la maggiore “finezza di grana” della  percezione verrebbe vista in un quadro più ampio di quello analitico e cognitivista,  che ha conseguenze antropologiche, semantiche, di teoria dell’arte, mentre  probabilmente potrebbe guadagnare a sua volta in precisione e articolazione da un confronto serrato con il dibattito analitico. 4. Un quarto argomento strettamente collegato al precedente è stato di nuovo messo in evidenza da Peacocke e da Michael Ayers 42 , e riguarda la possibilità di acquisire e apprendere concetti empirici. Se non si dessero contenuti non concettuali, o il nostro ragionamento sarebbe circolare (coglieremmo già concettualmente contenuti percettivi di cui invece, per ipotesi, dobbiamo costruire i concetti), oppure dovremmo supporre un innatismo fortissimo e insostenibile. La  41   G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. 98.   42 C HRISTOPHER  P EACOCKE ,   A Study of Concepts  , Cambridge (MA), MIT Press 1992, e I D .,   Does   perception… , cit.; M ICHAEL   A  YERS ,   Sense experience, concepts, and content   –   objections to Davidson and  McDowell  , in R.   S CHUMACHER  , a cura di,  Perception and Reality: From Descartes to the Present  , Paderborn, Mentis 2004, pp. 239-262ripresa da parte di Garroni delle considerazioni svolte da Umberto Eco nel suo  Kant e l’ornitorinco  (che a sua volta si riferiva a Garroni) fornisce un modello per la formazione dei concetti empirici proprio a partire dai contenuti non concettuali, in forma di aggregati, che permette un riconoscimento percettivo anteriore alla costituzione di uno schema empirico, correlato a un nome comune 43 . B. Veniamo al secondo esempio. Discutendo di immagini mentali, alcuni autori di provenienza analitica hanno sostenuto che una delle caratteristiche che le differenzia dalle figure (   pictures   ) è la loro indeterminatezza. Sembrerebbe, questo, un tratto che li avvicina alla tesi di Garroni sul reciproco correlarsi di determinatezza e indeterminatezza. Ma non è così. Lo scopo di chi usa questa argomentazione 44  è quello di sostenere che le immagini mentali, essendo indeterminate, sono più simili  a descrizioni che a figure. L’argomento di Dennett è abbastanza noto, e rig  uarda il numero delle strisce del manto di una tigre:  in un’immagine mentale il numero delle  strisce di una tigre può essere indeterminato, mentre in una figura le strisce devono essere numerabili, e dunque determinate. In una descrizione, il numero delle strisce  può essere indeterminato (“questa tigre ha numerose strisce sul manto”), dunque le immagini mentali sono più vicine alle descrizioni che alle figure. Un’autorità sulla  mental imagery   come Thomas   –   insieme a molti altri - sostiene che questo argomento  non è valido, perché un’immagine mentale di una tig  re potrebbe avere un numero determinato di strisce, solo che uno potrebbe non fare in tempo a contarle perché  l’immagine mentale svanisce velocemente dalla coscienza. Inoltre, anche una figura  di una tigre potrebbe rendere impossibile contarle, in quanto sfocata o sommaria, e  43   G  ARRONI ,  Immagine Linguaggio Figura  , cit. p. 58, sgg.   44  Tra gli altri D  ANIEL  D ENNETT ,  Content and Consciousness  , London, Routledge & Kegan Paul 1969, pp. 135-7; Z ENON  P  YLYSHIN ,  What the mind’s eye tells the mind’s brain: A critique of mental  imagery  , “Psychological Bullettin”, 80 (1973), pp. 1 -25; tra i critici di questa argomentazione, M ICHAEL   T  YE ,  The Imagery Debate  , Cambridge (MA), MIT Press 1991anche una tigre reale   –   presente alla percezione attuale e non immaginata -, data la natura frammentaria, confusa e sfuggente delle sue strisce, porrebbe molti dubbi quanto al loro numero 45 . A me sembra evidente come Dennett e gli altri autori abbiano colto solo di sfuggita un carattere delle immagini mentali o interne e ne abbiano tratto una conclusione affrettata. E come le contro-argomentazioni di  Thomas (insieme a quelle di molti altri) si mantengano sullo stesso livello, senza prendere neppure in considerazione la relazione, ben altrimenti pregnante e ricca di conseguenze, colta da Garroni tra determinatezza e indeterminatezza delle  immagini    interne   e il loro rapporto con le   figure  . L’indeterminatezza dell’immagine interna –   così come viene pensata da Garroni - non è una figura sfocata o mancante di alcuni particolari, o addirittura una figura che sarebbe determinabile se solo avessimo il tempo di esaminarla nella nostra mente. La correlazione essenziale tra determinatezza e indeterminatezza che la caratterizza è condizionata dal fatto che è  un’immagine dinamica e multimodale (visiva, olfattiva, tattile, uditiva, mnemonica,  affettiva, viscerale, e così via) e dunque non è in nessun modo una figura, neppure una figura sfocata o sbiadita o evanescente . È piuttosto un’operazione nativa e  attiva, che, nel caso della percezione visiva, è non solo filtrata dalla gamma limitata di raggi luminosi a cui è sensibile il nostro occhio, ma è resa possibile dai  movimenti saccadici e di altro genere dell’occhio, senza di cui non ci sarebbe neppure un’immagine retinica. E quest’immagine retinica è a sua volta attivamente  e selettivamente rielaborata dalla nostra «percezione interpretante» sullo sfondo di un contesto   –   oggettivo e soggettivo - che si allarga da quello visibile a quello non  visibile, fino ad estendersi alle altre caratteristiche non presenti (associazioni con altri oggetti e memorie percettive). I l problema dell’indeterminatezza condizionante dell’immagine  interna non è tanto se possiamo contare o meno certi suoi elementi, quanto quello di darne un resoconto teorico adeguato, che, per esempio, non si  45  T HOMAS ,   Mental Imagery  , cit., nota 31illuda di poterla considerare  come l’imma gine interna di un oggetto già definito e isolato dagli altri oggetti, dal mondo soggettivo e oggettivo e dal sentimento della  totalità dell’esperienza in cui siamo avvolti. Si possono anche costruire modellini  della percezione più semplici, avendo in vista la costruzione di macchine per il riconoscimento automatico di certe caratteristiche oggettuali nel mondo, ma senza illudersi che quei modellini riproducano effettivamente la percezione umana. Per concludere, vorrei citare per esteso quel che scriveva Garroni nel già citato articolo sulla indeterminatezza semantica a proposito del senso stesso di una riflessione filosofica. Credo che quel che diceva allora a proposito del linguaggio e dei linguisti, potrebbe essere ripetuto per la percezione e i percettologi, come  suggerisce l’ultimo esempio che ho portato:   Si metteva in dubbio prima che potessero esistere puri linguisti [o puri percettologi,  potremmo dire]. Forse è proprio vero: non esistono. Anzi, se l’antinomia che essi  inevitabilmente incontrano e si sforzano di comporre è sempre presente esteticamente in  loro e in tutti noi, linguisti e non linguisti, nell’anticipazione, all’interno dello stesso uso, del  linguaggio in genere nella sua totalità indeterminata, è forse addirittura possibile sostenere  […] che la cosiddetta ‘filosofia’ si inscrive necessariamente in ciò che abbiamo detto ‘coscienza implicita del linguaggio’. È infatti difficile dire cosa sia la filosofia istituzionalmente […] ma che essa nasca da un qualche sforzo di comprensione dell’esperienza   e del linguaggio, consustanziale all’esperienza e a linguaggio, nella stragrande  maggioranza dei casi solo una precomprensione o un avvertimento oscuro di una  comprensione, questo sembra tutt’altro che campato in aria.  Ciò comporta una differenza rispetto a una linguistica che non vuole saperne, di  filosofemi? Forse no, se la differenza va cercata in positivo, in una determinazione dall’alto di principi e metodi. Forse sì, se invece va cercata in negativo, nell’esclusione che principi e  metodi possano essere qualcosa di assoluto e unilaterale, si ispirino poi alla indeterminatezza o alla determinazione. Ciò pare plausibile soprattutto se essa fa emergere  più nettamente la coscienza implicita che ogni nostro uso del linguaggio […] non è solo un  uso particola re […] ma contiene una componente di indeterminatezza che lo fa essere paradossalmente proprio quell’uso e permette di descriverlo proprio come quell’uso  determinato,  nello stesso uso effettivo , in tutti i sensi. Non sarebbe per caso anche un contributo non del tutto insignificante, da un punto di vista etico e politico, non sospettabile di ideologismo, alla promozione di una cultura non dogmatica, non settaria e non particolaristica? 46   46  G  ARRONI ,   L’indeterminatezza semantica  …, cit. p. 112Emilio Garroni. Garroni. Keywords: l’implicatura di Pinocchio, Freges Sinn – Germanic ‘sinn’ *not* via Latin cognate ‘sentire’ -- senso, senso fregeiano – senso freegan – “Fregean sense” – Do not multiply senses --  mentire/mentare/meinen/mean -- messagio, message, semiotic – sender, recipient, message, emittente, mittente, recipiente, message, emission, utterance, emitire, to utter – to ‘out’ --  ‘to ex-press’ Lorenzini---- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Garroni” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51639513764/in/photolist-2mRGVwA-2mQ8kJS-2mLQyAA-2mLTVsg-2mFd1md-E4u3XA

 

Grice e Gatti – poetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Gatti. Gatti is a good’un; for one, he philosophised on Aristotle’s Poetics, something we hardly do at Oxford! And many other things, too!!” -- Nato di Stanislao e Marianna De Nigro. Studia a Napoli sotto Puoti ed ebbe, come colleghi, Cusani e Sanctis. Collabora  a “Il concetto di progresso.” E a “Filosofia,” il baluardo del hegelianismo a Napoli. Le fondamenta del suo pensiero sono da ritrovarsi nell'eclettismo di Cousin, sul quale scrisse “Di una risposta di Cousin ad alcuni dubbi intorno alla sua filosofia.” Sostiene che vi sia un fondo di verità comune a tutte le scuole filosofiche e reputa indispensabile fonderle in un'unica sintesi. Abbandona la filosofia cousiniana avvicinandosi in maniera decisa all'Idealismo tedesco. Dall’idealismo nasce la convinzione secondo la quale lo sviluppo interiore della coscienza e l'evolversi della storia provengono entrambe da un principio comune: la legge universale della ragione. Influenzato da Hegel e da Schelling, considera la filosofia attuabile solo all'interno della realtà storica in quanto è la scienza generale di tutto l'esistente. Si indirizza verso l'estetismo in “L’arte.” Critica la dottrina aristotelica secondo la quale l'arte è una riproduzione (mimesi) della natura, contrapponendole la filosofia hegeliana che ritiene l'arte riproduzione (mimesi) del sovra-sensibile, delle idee, del noetico. (“L’estetico e mimesi del noetico). In “Della filosofia in Italia” si sofferma sul pensiero e la cultura italiani contestualizzandoli nella filosofia europea. Esauritosi il periodo florido della diffusione della scuola hegeliana, la rivista del Gatti andò incontro ad un lento declino e fallì anche nella creazione di una nuova testata editoriale chiamata Rivista napoletana di politica, letteratura, scienze, arti e commercio.  Altre opere: “Della fenomenologia”; “Fichte e il concetto di scienza; “La filosofia della storia in Grecia”;“Filosofia”. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. treccani.   Si è detto,ora non saprei più da chi la prima volta,e poi da mol tisièsoventeripetutocheGian BattistaVicoautorediunsistemache isuoi contemporanei non poteano intenderecome quello che dovea esse re la scienza di un'altra età , e il frullo di nuovi germogliamenti dello spirito,nonaveaperquestaragionepotuto raccogliereinvitailpre. miodiquellagloriacheinepotipiù idoneiagiudicare dellapoteoza dellasua menteedelvaloredellesuedottrine,glidoveanoalarga mano prodigaredopolamorte.Orquestomododiconsiderarlacosaè senza fallo giustissimo quando vel filosofo napoletano ,come in tutti i filosofidelmondo,anziintuttiquelliuominichesonosi piùchemez zanamente sollevati sull'universale , si voglia sceverare due parti es senzialmente diverse insieme , e che congiunte solo per accidente, co. stituiscono una dualità permanente nell'unità stessa dell'individuo.Di queste due parti,l'una tulla relativa è determinata dalle condizioni e. steriori della vita,da'luoghi eda'tempi a cui siappartiene ,dagli uo. mini da'qualisiècircondato,dall'educazionestessachesièricevuta, daglistudiiacuipiùsièpiegatalamente,dal primo librochesiè letto,dalleprimeimpressionid'infanzia,dalle seguenti occupazioni  G. BATTISTA VICO   dallafamiglia,da'parenti,dagliamici.L'altra parte sottrattaatul te queste contingenze non si appartiene veramente a njun luogo o tempo determinato ma a tutti del pari,nè ha da farsullacon alcunaspecialecondizionedivita.Laprima diquesteduepartiscen de insieme col corpo nel sepolcro e dopo della morte non se rimango no più tracce, la seconda per contrario sopravvive all'ultimo giorno ed assicura all'uoino coll'immortalità la perpetuità della sua presenza fra'più lontani nepoti. Similmente in ogni sistema per quanto nuovo e profondoefruttifero essosia,trovasiunapartecheèdireltamentede terminata non solo dalle proprie particolarità dell'indole e dell'ingegno delsuoautore,ma siancoradaquelledelluogoedeltempoincui vennefuori,inmodochediquesticonservandosempre laspecialfiso nomia , ne parlecipa spesso agli errori e a'pregiudizii. Questa è quella p a r t e c a d u c a d e ' s i s t e m i, l a q u a l e n o n s o p r a v v i v e m a i a q u e l l e c o n d i zionispezialichelehannodatoorigine,eche,quandoquelleson cam biate,non ba più niun valore, ed è condannata all'obblio imman. cabile delle età posteriori,quando caduta nel dominio dell'istoria, non fapiùpartedellascienzavivaefeconda di conseguenzeediap plicazioni le cui tracce si scorgono presenti, quasi all'insaputa di tutti, in ogni ramo del sapere e in ogni manifestazione della vita.Concios siachènonsoloogninazione,ma ognisecolohaunasuaimpronta particolare, ha uno special modo di veder le cose , una sua propria lo gica,perlaqualeancheaquellecose chetieneperveredalleetàpre cedenti,nongiungeperimedesimi procedimenti,ma peraltrevie, per altri melodi, per argomentazioni e prove di diversa natura . L'altraparte,quasi l'altroelementocostitutivodiognigran sis tema , è per contrario indipendente da ogni condizione di luogo e di tempo,nonhainsénullachesiamomentaneoorelativo,ma stadi per se come un frammino della verilà assolula che mai non rivelasi lulla intera e nella sua irionfatrice purità nè alla mente di piano uo m o , nè alle investigazioni di niun secolo , imperciocchè è la conquista ideale dell'umanità che a fierissimo sudore della sua fronte ne va a po co a poco conquistando ora una ora un'altra parte in mezzo a errori ed acolpe,amensogneedaviolenze,ainganni ed a pregiudiziid'ogni maniera.L'edifiziointantodelsapere insepsibilmentema irreparabil.  268 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA   m e n t e s i a c c r e s c e ,a t t e s o c h e l o s p i r i t o u m a n o n o n d ' a l t r a c o s a a i u l a t o c h e dall'opera del tempo , va d'ogni sistema sceverando le parti false e vane e relative a cerle determinate contingenze,va spogliando della superflua ed incomoda scoria quella parte di eterna verità che in ciascuno si rac chiude,la fa diffinitivamente sua e la trasmetle come sacro deposito e in dubitabile acquisto alla seguente ,che facendone suo pro,l'arricchisce di nuovi progressi,ne'quali quelli che vengono dopo di essa banno ad esercitare il medesimo lavoro di purificar l'eredità ricevuta e di accre s c e r e il p a t r i m o n i o . C o s i l a p i a n t a f e c o n d i s s i m a d e l l a s c i e n z a c r e s c e d i secolo in secolo con non interrotta germinazione , non altrimenti che cresceunalberofraleassiduecure dell'agricoltore cheneinnaffiae lelama diligentemente le radici ,e a suo tempo ne taglia colla scure i sermenti vecchiedisutili.Questaèquell'aureacatenadicui,senon vado errato , parlava Platone , per la quale l'un secolo trasmette all'al tro l'eredità del sapere , come un sacro deposito che esso è tenuto di accrescereasuopotereetramandarloalsusseguente;benchènon tutti isecolipossonougualmenteaccrescere queldeposito,non intuttigli elementi secondarii e contingenti che circondano i frammenti della v e rità eterna son della medesima natura e nella medesima proporzione con essa. E questo è pure quell'ecletismo pon artificiale , quale può farloun uomoounascuolaecheomancadicriteriooneha uno in cerloesirisolvepiù tostoinsincretismo,ma reale edistoricoilqua lehapersuo autorelospiritoumano stessochedisecoloinsecolova sceverando da sistemi la parle condizionata e temporanea da quella che come frammento della verilà assoluta dee restare senza alterazione niusa in suo perenne dominio . Cosi il frullone abburrattando la farina de discevera il fiore dalla crusca inutile , e cosi molte verità da' tempi nondicodiArislotilemadiParmenide ediZenone diElea,sonori maste tuttavia sulla terra , dove che tutto l'insieme di que'sistemi non è adeguato nè alla forma nè al fondo del pensiero di generazioni cosi lontanead essiperdistanzadiluoghieperdiversitàditempi. Secondo queste considerazioni è indubitato che in tutto l'insieme del sistema del Vico trovasi una parte di un valore assoluto che è ri masta per sempre nella scienza ,ed a cui eran troppo immature le menti de'suoiconleinporanei,iqualionoa neinlesero affattoosolone  G. BATTISTA VICO 269   $ 270 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA frantesero e ne misconobbero la vera importanza. M a accanto a que staun'altracenehaper laqualeilfilosofonapoletanolegasi diretta menteco'suoitempi,echemeglio intesaeviepiùapprezzatada'coe. lanei non ha più per noiniun valore , ed è caduta come cosa vieta in dimenticanza. Sicché a lui , come a tutti igrandi uomini,è avvenuto che per una parteè uomoassolutamentede'suoi tempi,econessi perquella partesièmorto,dove cheperun'altraè contemporaneo de'suoi nepoti , e per essa a se medesimo sopravvive. Non giả che i puovi filosofi da lui abbiano preso il concetto della filosofia dell'isto ria,come alcunisono andatidicendo,credendo cosidiaccrescere, quando invece diminuivan la gloria e impicciolivan lavera grandez za di colui che voleano magnisicare. Conciossiache picciolissima glo ria,eche soloapochi,eforseaniuno anche dei mediocrissimie mancata,sièquelladicomporreun sistemache adaltriinunaltro secolo piacerà poi di seguire. M a grandissima si è quella d’indovina re e quasi divinare tutta una scienza per la quale la pienezza de' tempi non è ancor venuta , ed a cui un'altra età dovrà essere condotta per i nuovi progressi dello spirito , comunque per altre vie , per altri metodi e come per dialettica deduzione di principii di diversa natura , siccome appunto èavvenutoperlafilosofiadell'istoria moltotempo dopodel Vico,cheprimolapresenti.Manonpotendo,com'eranaturale, presentir tutto ,procedette senza metodo e senza principii proporziona. ti da cui dedurla ,sol per induzione da fatti troppo speciali ,e in mez zo a tali tendenze intellettive che rendeano impossibile qualunque ancorchè immaturo saggio diquelle costruzioni speculativesu cui solo potea la nuova scienza solidamente stabilirsi.Sicché cadde e rima. se infruttifero l'isolato tentativo sino a che la stagione più propizia non fu giunta ,a cui non furono nascoste levere vie che poteano condurre allanuova terrapromessa,scovertadalungida unarditissimonavi. gatore che per difetto de'necessarii aiuti appena vi avea potuto appro dare,manon prendernesicuramentepossesso.Quasiparechelospi ritotravedendo dilontanolanovellascienza,avesse fattoun primo tentativo per conseguirla , m a destituito degli altrezzi e delle armi che a q u e l l a c o n q u i s t a si r i c h i e d e a n o , a v e s s e d o v u t o t e m p o r p e a m e n t e m e t tersi giù dell'opera per fornirsi in silenzio de'mezzi che gli abbisogna    G. BATTISTA VICO 271 vano, e quando ebbeli tutti presti ed apparecchiati, ritornare con m a g giorconfidenzaall'interrottaimpresa,eriuscirvicon migliorsuccesso. Non si vede egli talora quando già la fióe dell'inverno si avvicina m a ancora la primavera è di lungi ,un solitario fiorellino quasi racco gliendoiprimicalorichesicominciano amuovereperlegelateaiuole, spuntare tra'bronchi eirovi ancora arsidal freddoebianchidalla Deve? M a quel primo sforzo e troppo precoce della natu ra riman solo, nèèseguitoda altri sinoacheallastagioneavanzata,nuovitorrenti di calore tutte compenetrando le zolle più mature ,covrono di famiglie innumerevoli di fiori la faccia de'prati e i dossi delle colline. Qui m a g gioreèlacopiaelabellezza,ma piùammiratoèilfiore delfebbraio, infrulluoso e solitario indizio d'una ricchezza a venire di cui tutti lar gamente godranno , m a che poca o niuna maraviglia non saprà più ri svegliareaglisguardiassuefatti. Se poi prendiamo quel sistema del Vico nel quale appunto ha tra scesoiconfini del suotempodivinandol'avvenire,vitroveremoma pifestada pertuttolapresenzadelgiureconsultonepoletano dellafine del decimo settimo secolo , e accanto a que'principii che si veggono diventati proprietà eterna della scienza e son passati quasi nella c o scienza universale del genere umano,ne troveremo altria cui nessuno piùnonsaprebbeattribuirealcunvalore,echesipossondire caduti per terra e dispersi come cadono e sono disperse dal vento le poche fo glieseccheche ancorasitrovanoinsu'ramideglialberiamezzono vembre per lasciare nudo il tronco che alla nuova primavera di più rigogliosa vegetazione si dovrà rivestire. Troveremo lui aver messo a capodelsuosistemaundualismoicuiduetermininon possonostare insieme , quello cioè di una mente ,di una ragione, di un mondo delleideechefacollesueproprieleggiilmondo de'fatti,equellodi unavolontàestraneadicuilascienzanonpuòtenere niunconto,es ·sendocheisuoiattiappuntoperessere volontarii nonsipossonosot tomettere a niuna costruzione scientifica,cioè a priori,ma sono essen zialmente contingenti. Troveremo lui aver detto che la sua scienza del lastoria è una vera teologia delle idee divine , la qual cosa se può es serverainaltrisistemi,appuntonelsuoèfalsa.Troveremo averegli traveduto il principio che la storia dell'umanità si va facendo per m e z    zo di un successivo passaggio da una fortuna più materiale a una più spirituale,dauna piùoscuraeincertadisèauna più chiaraepiù c o n s a p e v o l e , m a n o n a v e r p o t u t o v e d e r e n é il c o m e n è l e l e g g i d i q u e sto cammino , nè tutte le sue conseguenze, nè tutto l'insieme delle sue applicazioni. Troveremo che dopo di aver veduto la correlazione che è tra le idee e i fatti , la concepi però a rovescio dicendo che l'ordine delleideedee procederesecondol'ordine dellecose,ilche sepureè veroinunsenso tutto psicologico eaposteriori,è falsissimo,anzi privo affatto di senso,negli ordini dell'ontologia e dell'istoria.Or lutto quanto illibro della scienza nuova procedendo a questo modo svela costantemente agli occhi del riguardante la presenza di due uo mini,l'uno giureconsulto napolelanodeldecimo settimosecolo,e l'altro filosofo divinatore di un pensiero che dovea esser quello di al tri secoli a venire , e predicente una scienza che egli stesso non in tendeacheamezzo.Ma nellealtreoperequestadualità scomparisce, oalmenoilsecondoenuovouomo sieclissatantodarestarquasi tuttointeroilcampoalprimo,cioèall'uomodottodell'età incuigli era sortito di vivere. Le opere contenute nel volume il cui titolo è in capodiquestoscrittosonopiùtostodiquestaseconda specieche del la prima , quantunque non bisogna dimenticare quello che del resto è quasi inutile di dire , cioè che la parte più universale dalla sua mente non si nasconde mai tanto che e'non si veggano sempre e da per tut topresenti le traccediquello spiritoche ha pensatoilprimo sulla terra una scienza dell'istoria. Io non parlerò delle diverse orazioni suvariisubbietti,dellequalilelatineson tradotteinitalianodalPo. modoro , che con tanto amore si è volto il primo tra noi a dare una raccolta compiuta delle opere del filosofo napoletano. Neppure parlerò della sua vita scritta da lui medesimo e che anche trovasi nel presente volume,importante sopra tutto per questo,che in essa trovasi delinea -la la storia intima della mente del Vico , e vi si assiste alla generazio ne di tutto il sistema nato nel suo pensiero ( cosa straordinaria e quasi incredibile ) non di un principio metafisico , che dee essere la sua vera sorgente , m a più tosto da particolari considerazioni sull'insieme del dritto romano e sull'istoriadi Roma. L'opera di cui più particolarmente mi propongo di ragionare è  272 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA   G. BATTISTA VICO 273 38  quella dell'antichissima sapienza degli Italiani,la quale se pure io non m'inganno stranamente , non solo ci rappresenta più chiaro il Vico del suosecolo,ma noncirappresentaaltrochequesto,nèmaisenzalei dee e le teoriche che erano in voga a quell'età,e fino senza i pregiudi zi i e gli errori del tempo non sarebbe stata concepita , nė mai , neppure iltitolo,potrebbeorasaltarenellamentediniuno.Io non parlo delle speciali teoriche professatevi,di cui alcune si hanno o poco o niun v a lore, e altre ne hanno uno grandissimo m a non si appartengono al V i co propriamente,anzi a tutta la filosofia da Parmenide al Leibnitz e dal Leibnitz all'Hegel, ma quello che merita di esser considerato come pro prio di lui , si è il modo di deduzione e il procedimento con cui vi è pervenuto , pel quale una volta messosi,ne ha tirato delle conseguenze istoricheecredutodigiungereaunaseriascovertafilosologica, quan tutto riposava sopra due o tre falsi supposti che sono il perno intorno a cui si aggira tutta l'opera, e ne formano non meno la conchiusione che labase.Or ecco in che consiste tutto ilsistema.Nell'uso di alcune vo ciemodididirede'LatiniilVicoha vedutoo credutodi vedere un profondo significatometafisico, che dimostrava un gran progresso fatto in questa scienzapressoilpopolo che in quelmodo parlava; dall'uso che essi facevano delle voci causa eeffetto vero e fallo , ed altre simili egli deduce il sistema metafisico di cui quelle lo cuzioni erano l'immagine e che dovea trovarsi nelle menti dico loro che le avean irovale e che cosi le adoperavano. A questa prima scoverta poi tutta filosofica di sua natura,se ne veniva ad accoppiarecome perconsegnenza un'altrafilologicao istorica intorno alpopolo che era giunto a cosi profonda sapienza,a cosi riposta dottri na da essere autore e di quella filosofia e di que'modi di parlare.Certo ilromanononpotèessere,delqualesisaindubitatamentenon avere attesoad altro sino al tempodiPirro che all'agricoltura ed alla guerra, diche è mestieri di risalire più indietro sino al popolo da cui quello di R o m a ricevette con la lingua quelle locuzioni ,e lui senza più dichiarare popolodiprofondadottrina,epressoilqualelametafisicaavea dovuto giungere a uno non comune grado di eccelleoza.Nè lastoria ci può la sciarelungamenteincertinellascelta,sapendosiche iduepopoliconcui iRomani ebbero ab antico più strelte relazioni si furono i Joni della Apao XVII,Vol.VII.   Questa serie di dedazioni ci mena alla giustificazione nel titolo dell'o pera,dell'antichissimasapienzadegl'Italiani,ciòsonoiJoniegli Etru schi,iquali per questa via si scovre aver dovuto essere dollissimi in m e tafisica,epoichèdaessipreseroiLatinigran partedellalorolingua,si trovò questa come per eredità o più presto per invasione straniera picha di concelli metafisici,comunque ilpopolochelaparlavanefosseesso medesinioinconsapevole, ničsipotessedasèsolosollevarea tanlaal tezza.Ne qui le deduzioni istoriche si arrestano,anzi partendo da quel lepremesse,siècondottiassaipiùlungi,fino acongetturarechegli Egiziani quando fioriva appresso di essi e l'imperio e la potenza e l'ar. dimento delle lontane spedizioni,navigando per il mare interno che lut to signoreggiavano,avessero doyuto dedurre floride colonic per le cosle diquelle,ecosiportareinToscanalalorofilosofia.Quivi poiessendo s u r t o u n a s s a i g r a n r e g n o c h e d i e d e il n o m e a l u l t o q u e l t r a t t o d i m a r e che Lagna di Toscana fino a Reggio l'Italia,anche la lingua degli Etru schi si dovette per quello diffondere, e di questa più dovellero prendere i popoli più vicini del Lazio. Per la qual cosa non si dec credere che Pitagora avesse dalla Ionia portato in Italia la sua filosofia, m a sibbene esser venuto in Italia ad impararla , e sol dopo di essersi ammaestrato nellametafisicaitaliana,cioèetrusca,laqualenoneraaltroche l'egi ziana,essersistabilitoinCotrone e quivifondatolascuola.Diquila sua filosofia si sparse, cando necessariamente imprimendo le sue trac ce nella lingua, della quale gran parte passò poi a'Latini,iu guisa che sc ci ha vocc latina di filosofica signicazione,quella si dee tenere essere stala prima in Egillo,poi in Toscana e quindi passala in Magna Grecia. Perquestomodo ne'fossilidellalingualatinasitrovatuttalasapienza degli Etruschi, e dalla notomia di quelli noi possiamo ricavare tutta la anctafisica che era in voga sulle rive di Arno prima che il Tevere ba  e 274 MUSEO DI SICENZE E LETTERATURA magna Grecia e gli Etruschi,dei quali d'altra parte si sa che furon pc. poli dottissimi, gli uni avendo dato nascimento alla filosofia italica dell'antichissima sapienza degli altri facendo ampia fede la purità del la loro religione, l'augusto concetto che essi aveano dell'ente supremo, i sontuosi sagrisizii, la teologia civile onorata , la naturale praticata, e con questo l'architettura antichissima e semplicissima,a far testimo. nianza che essi furon dotti nella geometria prima de'Greci.   G. BATTISTA VIC ) 278 ! gnasse la città de'sette colli. Con un passo di più m a senza allontanar ci dal sistema del Vico,anzi seguendolo fedelmente, solo affidandoci al l'uso di poche parole latine, noi possiamo esser sicuri di essere in pie no possesso della cosmologia e teogonia egiziana.  6 1 1 Ho volutoinsisterealquantopiùalungosullevere pretensioni di questo libro del filosofo napoletano ,sol perchè basta l'esporle nettamen leperchèsenevegganochiaroilatideboliche sononè più nèman co che tutti isuoi lati,la cui poca consistenza połea essere nascosta un secolo e mezzo fa, m a ora non ha più scudo che la possa difendere da piun colpo della moderna critica. In alcuni punti poi esso ha contro di sè un inimico domestico e cognato nel Vico della scienza nuova,ilquite lecondotto da altre divinazioni più vicino alla scienza de'nostri tempi epiùlontano a quella de'suoi,poevade'principiiiqualinegano le basi su cui poggia tutto il libro dell'antichissima sapienza degl'Italiani. E in fatti in quel sistema che più lo ravvicina a noi e più lo stacca da'suoi contemporanei , egli riconosce tutta l'opera del popolo nella formazione delle lingue , e quasi lo riguarda senza ambagi come una creazionespontancadiquello,quandospiegatuttelediversitàchesono fra le une e le altre per mezzo della diversità che passa fra la natura o icostumi de'differenti popoli.Ma questo principio che veduto in tutta lasuaplenitudineesvoltosecondoilrigoredellalogicasarebbe stato fecondissimo d'importanti conseguenze, non gl'impedi di arrestarsi m a ravigliato innanzi alle locuzioni che a lui parvero troppo metafisiche dellalingualatina,pertalmodochedimenticodel popolo edelmon do delle nazioni, ostinatamente volle vedere in quelle l'opera meditata de'filosofi che dopo di averlo composte e sanzionate coll'autorità del loro sapere, le sparsero e le feccio adottare al popolo , da cui poi le c b beroineredità gli altri che la dottrina e ingran parte la lingua diquelloereditarono. Ora non iprincipii,comunque ancora incerti, dellascienzanuovacondusseroilVicoaquestascried'idee,ma sibbc ne la filosofia del suo tempo , contro la qualc egli in gran parte prote stava,etuttoilgeneralmodo concuisiriguardavanoalloralecose,e cheeglisenzasaperloesenzavolerlo,etalvoitapurvolendo ilcontra rio,avca comune con tutti.Ora uno de'punti principali della filosofia   del secolo passato si è il non aver riconosciuto in piente l'opera sponla nea dell'umanità e l'aver veduto da pertutto il prodotto volontario e riflesso e però consapevole e determinato dello spirito. Nel fatto della società civile non vide altra cosa che un contratto con cui gli uomini si eranovolontariamenteconvenutifrasèdivivereinsieme per ilmag giorcomodoelamaggiorsicurezzaditutti;nellereligioninon vide cheiltrovatode'pochipercontenereimolti,e farlipiegare coll'au torità di esseri superiori agli umani , a quelle cose che essi avean risoluto essere di universale vantaggio o di loro particolare utilità; nella poesia e nelle arti non vide che l'occupazione di alcuni uomini di più squisita immaginazione e di maggiore ozio che gli altri, i quali perloropropriodilettoeperaltruisidecideano didarsiaquell'eser cizio, seguitando delle regole parte tirate dalla natura stessa delle co se,e parte stabilite per reciproca convenzione fra quelli che si era no volti al medesimo non so se mestiero o passatempo ; finalmente nellelinguenon iscorse altro cheunsottilritrovatoeunauniversa. le convenzione degli uomini , iquali essendosi accorti di avere l'organo delle voce vie più pieghevole che quello degli altri animali , si erano risolutamentedecisi,non senzaesame,divolermettereaprofittoquel Ja flessibilità della gola , e servirsene senza più a render più facili e speditelelororeciprocherelazioni.Daquestateoricanon eralungo il cammino da percorrere per giungere all'ipotesi,o per dir meglio,al laconchiusionedelVico,ilquale,come primasifuimbattutoinlo c u z i o n i c h e g l i p a r v e r o a v e r e d e l f i l o s o f i c o i n s é , s u b i t o g i u d i c ò n o n il popolo ignorante,ma sibbene ifilosofiaverne dovuto esseregliautori. Di che senza por tempo in mezzo,si diede a ricercare dove doveano poter esser que'filosofi da cui eran venuti parlari filosofici a un popo lo che non aveva filosofia , e trovolli nell'Etruria e nella Magna Grecia e,risalendo,nellapatriade'Faraoni.Maisistemi talvoltasoncuriosi davvero;ecuriosissimisieran questi,iquali negavanolecosepiù ovvie,ilfatto,lastoria,lavita,l'uomo,peraccordar tuttoa'filosofi; razzanobilissimaed'ogniconsiderazionedegnissima,ma cosipocodi sua natura operativa e fattiva da non poter creare non che tutta una Jingua,un solverbooun articolo.Ora ilfattosiècheilpopolo,equi, intendiamocibene,popolovalquantogenereumano ospiritoumano ,  276 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA   G. BATTISTA VICO 277 il popolo adunque in cerle cose non è da meno e in certe altre è da più de'filosofi. Ancora non si dee credere che nello spirito de'filosofi trovi siassolutamentepiùdiquello che ènello spiritodiogniuomo,cioè nel popolo.E se nelle coloro menti trovasi tutta chiara ed aperta la teorica della ragione e degli elementi che la costituiscono,e la scienza delle sue leggi e del nodo come esse operano,la mente del popolo per mancare di quella teorica o per ignorar quellascienza non è men ri. schiarata dalla medesima ragione , nè men costituita dagli stessi ele. menti,nè men regolata dalle medesime leggi , conciossiache se cosi non fosse, la filosofia non sarebbe più la scienza dello spirito umano , ma lascienzadellospiritode’filosofi;ilche,seiononm'inganno,do vrebbe sufficientemente nuocere alla sua importanza ;la sola differen• za che passa tra il filosofo e colui che non è filosofo ,si è che l'uno sa quelcheegliha,laddovel'altroloha senzasaperlo;l'unopossiedee pur possedendo e usando della sua possessione,non ha mai posto mente a quel che egli possiede,dove che l'altro non solo possiede ma si è oc cupatodisapere lanatura,ilvalore,leleggi,l'importanza,gliele menti,ilmodo dioperare,lerelazioni e le condizionidiquelloonde egli è in possesso. Oralelinguesoncomefigliuoledidue madri,cioèsonoilpro. dotto di due cause che operano ngualmente nella loro formazione, v a le a dire delle attitudini naturali e delle fisiche condizioni degli orga ni della voce da un lato, e dall'altro della natura morale dell'uomo e delleleggisostanzialidellospirito.Dicheogni lingua senella parte puramente esternae fonetica de'suoni,della lorotrasformazione e cor ruzione,edel loropassaggioadaltrisecondariiederivati,eintutto quello che riguarda l'istoria naturale della parola , segue invariabil mente le leggi naturali dell'organizzamento fisico della gola, in quanto al contenuto interno di essa parola rappresenta tutti i principii psicolo gici del pensiero,tuttiglielementi ontologici che in esso si rinchiudono, esecondoleleggilogichedelpensierostessocoordinaedispone l'e s p r e s s i o n e e s t r i n s e c a d i t u t t o q u e l l o c h e il p e n s i e r o h a l a v o r a t o , e c h e nelle misteriose profondità della mente è stato apparecchiato.Certo si nella formazione che nell'esplicamento delle lingue non tutto si può ridurre e principii razionali,e qualche cosa ci ha che si sottrae all'ana    lisi e dipende da quella parte inesplicabile dello spirito umano ,che senza essere ilprodotto o l'espressione di una o di un'altra sua legge determinata,risultadall'azione nė descrivibile nè determinabiledi tutte quante insieme , e dall'opera simultanea di tutte quelle forze in cui si appalesa la vita nelle sue infinite manifestazioni.M a oltre a q u e sta parte che si sottrae ad ogni investigazione e ad ogni esplicazione scientifica,l'edificiodiognilinguaèlegatoper la parteestrinsecaal le leggi anatomiche e fisiologiche del corpo,e per l'intrinseca alle leg. gi morali dello spirito, in modo che siccome ogni sintassi nel coordina mento delle parole e delle frasi è regolata dalle leggi logiche del pen siero, e cosi ogni etimologia rinchiude in sè un sistema compiuto di tutte le categorie dellaragione ; e siccome non può trovarsi nello spiri to più o m e n o di quel che trovasi nella lingua , in cui talti i suoi ele menti raggiungono un'esistenza estrinseca ed oggettiva, e cosi non tro vasi nelle lingue nè più né meno di quel che sia nello spirito nel qua leesseelecategoriedicui esse sono l'espressionehannolaloroesi stenzaintrinsecaesoggettiva.Perlaqual cosa nonciè nullachesia meno arbitrario e meno convenzionale delle liogue ,nè ci la lingua di popolo così barbaro o selvaggio che non rappresenti e non contenga in sé un intero sistema di logica,e un intero sistema delle più recondite categorie della ragione. Ben si vede da quesle cose che egli è possibile di rendere ragiona di quelle parole latine che sembrano contenere un significato più a stratto e metafisico , senza avere a ricorrere all'ipotesi di un popolo progredito assai oltre nelle vie della dottrina e deHa filosofia, da cui i Romani nè dottiné filosofiabbiano dovuto ricavarle.Già l'ipotesidel Vico incontra nel fatto di tali difficoltà che niuno oggidi ancorchè men che mediocramente iniziato in certi studii, non avrebbela concepita nella mente senza voler che di lui si dicesse col proverbio che egii fossesi posto a pestar l'acqua nel mortaio.E in prima le parole su cui spezialmente cadono lo investigazioni filosofiche e istoriche del Vice sono di origine e di formazione cosi puramente latina che e'non si ve de che cosa abbian da fare con esse gli Etruschi o įJonii ,o come a b bia poluto saltare altrui in mente che iRomani lc abbiano prese dalle costorolingue,oalmenoimitatoda essiilmodo diadoperarle.Tan!e  278 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA 1   G. BATTISTA VICO 279 più che se in ana lingua si possono trovar parole di origine straniera, ilmododiadoperarlenonèmaistraniero opresoinprestanzadaal tri,ma propriodelpopolochelaparla,ilquale nell'usarne,imprime in esse il suggello della propria nazionalità e le fa sue , senza dire che un popolo per imparare da un altro ad usare secondo un concello metafisico lesue proprie o le altrui parole,dovrebbe innanzi imparare daquellotuttoilsistemadellasuametafisica,quando nonsivuolri conoscere che ogni lingua, qualunque siesi il popolo che la parla, e indipendentemente da ogni dojtrina acquisita,è naturalmente e sponta neamente l'espressione di un sistema di metafisica riposto nel fondo dellaragione,echecostituiscel'essenzastessadiessaragione. PerilVico intantoiLatiniaveanoaogni modo dovutoimparar qnelle parole e que'modi di dire du altri popoli più dotti che essi non erano , e questi popoli non poteano essere che iJonii e gli Etruschi popoli dottissimi e con cui i Latini aveano strette relazioni. Vediamo oraquelchenongiàioounaltroma tuttoilsaperedelsecoloincuivi. viamo oppone senza paura di contradizione al più dotto napoletano del XVIII secolo. Ne è possibile d'incominciare questo esame senza fermarsi in primo luogo ad un'improprietà di linguaggio che niente nonpuò giustificareecheinnessunsistemaeinnessuna ipotesi non si può difendere. E veramente non vi è niuno il quale abbia mai p e n satoa'Joniioaldialettojonicoper sostenerelaparenteladifiliazio netra ilGrecoeilLatino,elecolonic grechedicui parlail Vico, ca cui attribuisce nella formazione della lingua latina un'importanza che nonsihanno maiavuta,noneranodiJuniima diDori.Ilfatto sloricochelastoria latinaèposterioreallagrecaunitoall'altrofatto della relazione di simiglianza fra le due lingue avca condotto alla con chiusione che l'una lingua dovesse essere derivata dall'altra,nè lasciato alcunluogoadubitarequalesidovesse esserelamadreequalelafi gliuola fra la più giovine e la più vecchia. La stessa argomentazione poi avea fatto determinare più particolarmente questa relazione di m a ternitàfraillatinoeildialettoeolico,che èquellofra'dialettidella Greciachepiù diaffinitàsihacollalingua delLazio.Intantolenuo vescovertedellascienzadellelinguehanno dimostratoquestaipotesi impossibile , havno scoverto nel Latino tracce di maggiore antichità    che pel Greco si nel sistema de'suoni e si nelle forme grammaticali non che nella genesi etimologica e nello stato attuale delle parole ; hanno scoverto la stessa specie e lo stesso grado di aslioilà , e talvolta anche maggiore,che è tra ilGreco e ilLatinotrovarsi eziandio fra le duelin gue classiche ed altre ancora o meno conosciute o quasi del tutto igno te prima di a questi ultimi tempi, sicchè è stato forza di ricorrere all'ai. tra ipotesi di una lingna più antica di esse lulte , da cui come da comune stipitetuttequanteesse,elealtreadessesimilidiscen dessero , allontanandosene quale più e quale meno , quale in una e quale in un'altra cosa, ma ritenendone tutte e la general fisonomia, eilsistemagrammaticale,eilcomune materialedelleradici,in mezzo a quelle differenze che debbono fra’i varii rami di uno stesso tronco essere cagionale dalle speziali condizioni fra cui ciascuno di essi si è venuto separatamente formando ed esplicando , sicché la relazione di parentela è rimasta , anzi la famiglia si è trovata cre sciutadimoltialtrimembri creduliprimaaffattoestranei,masiè trovato quella parentela essere di fraternità e non già di filiazione. N ė si può negare che il dialetto eolico sia quello tra gli altri dialetti dell'anticaGreciachepiùsirassomigliaalLatino,ma invecedi con chiuderne che questo sia nato da quello,si è dovuto inferirne che esso è come l'anello intermezzo, ilpunto di passaggio tra le due diverse forme di una medesima lingua, appunto come la storia naturale ci dimostra molte specie di animali , molte famiglie di piante, le quali sono l'anello intermezzofraduespeciediversedelmondoanimaleotra due diverse famigliedelvegetabile,equasicome ilponte percui mezzolanatura che non procede per salti,dall'una è passata all'altra.Cerlo molte paro le si possono trovare nel Latino che vi si sono introdotte direttamente dalGreco,ma questeosonodidataassaipiù recente o sirisesconoa oggetti speciali,ad usi e invenzioni,a trovati comunicati dal conımercio e dalle esterne relazioni tra due popoli in quell'epoca e a quella parte della lingua a cui si riferiscono le investigazioni etmologiche e istoriche delVico.Diparolestranierecheperaccidentesienpassatedauna lin gua a un altra ancorché di diversa indole e di diverse famiglie se ne trova in tutte le lingue, m a si è questo un fatto tutto contingente di cui sirenderagionepermezzodelfattodelleesternerelazionisenzachenulla  280 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA   G. BATTISTA.VICO 281 se ne possa conchiudere per la forniazione della lingua stessa. La parola kalamos che è ab antico nel Greco per dinotare la penna o uno stru mento aguzzo , una capna qualunque da scrivere,non è di origine greca,nèsenetrovalaradicenellelingueaffinialgreco,ma èdi patriaaffattostraniera,parendoesserenèpiùnèmanco che ilsemi ticoKalem che inArabodinotalapenna.Certoverisimilmente è da crederecheavendoiGreciantichissimiappresoda'Fenici,po poli di stirpe e di lingua semitica , l'arte dello scrivere abbian preso a n c h e d a e s s i il n o m e d e l l o s t r u m e n t o d a e s e r c i t a r e , l a n u o v a a r t e . M a dove sono le parole greche , eoliche, e joniche, come impropria mente ilfilosofo napoletano direbbe, corrispondenti a quelle con cui i Latini esprimeano non già un utensile materiale,lo strumento di un'ar te ignola prima e poi appresa , m a i concetti più intimi e più astratti dello spirito senza di cui il pensare stesso è impossibile? Lemedesimecose,ma adassaipiùforteragionesivogliono ripetere per l'Etrusco. Che da questa lingua si sieno potute intro durreuel Latinodelleparolerelativeadusidellavitaeacerimonie sacre , è cosa che facilmente sipuò concedere massime chi pensi che molti riti religiosi dall'Etruria hauno dovuto passare in R o m a , m a non èpossibileditrasformare questaazionetuttaestrinseca,questa introduzione accidentale di alcune speciali parole , in un'azione più internaequasi primitivadell'EtruscosulLatino.Veroèche questa non è propriamente l'idea del Vico , nè la conchiusione a cui egli intende di giungere coi suoi procedimenti etmologici. E già la qui. stione delle lingue era così poco avanzata , anzi così poco sopposta a' tempi del Vico, che non ad essa la sua mente si rivolse , non di es sa egli si occupò come conseguenza e coronamento della sua ipote si,masibbenediquelladellafilosofia.Einfaltinon altrovechein questo punto egli vide l'importanza della sua scoverta , e assai più che nel libro stesso v'instette nelle sue riposte a varie obbiezioni mossegli allora contro con una critica , che non vedea,e in gran parte non poteavedereiveripuntidebolieimpossibiliasosteneredi tutto ilsistema. Quivi si vede che il Vico pensava di aver fatto una stupenda sco verta istorica , perocchè vi è detto chiaramente che essendo gli Etru. Apno XVII.Vol.VII.  36   schi cosi doltissimi in cosi remotissima eti , come si vedea manife. b'o da' modi di dire metafisici che sol dalla loro lingua avean poluto passare nella latina , si dovea credere fermamente che la dottrina non avea poluto passare dalla Grecia in Italia, ma si da questa , cice dall'Etruria in quella , e quindi coordinando tutte le parti del siste na , ne conchiude che Pitagora non avesse portato allronde la soa fi losofia inItalia,quando alcontrariosiavea dacredere che venulo quivi ad appararla , riuscitovi poi dottissimo , si fosse fermato nella Magna Grecia a formar la sua scuola , sicchè quest'antichissima silo. sofia che la rappresentava avea dovuto passare dall' Etruria nel La. zio e dal Lazio nella Magna Grecia , e in Etruria avea dovuto primitivamente venire dall'Egitto. Ecco perchè io diceva più sopra che secondo questo sistema, le vere origini di certe parole e modi di dire della lingua latina si convengono cercarle senza più nella patria deiFaraoni.Ma tuttequeste ipotesiriposano sul falsoconcelloche ogni vocedi un contenuto edi un valore metafisico supponga un sistema metafisico divenuto popolare nel popolo che la parla , ogni sistema metafisico debba essere stato da un popolo portato nel l'altro. Se i Greci non avean potuto escogitarlo da sè , ma riceverlo da'Latini,eiLatini dagliEtruschi,egli EtruschidagliEgiziani, non so perchè non si abbiano da spingere anche più oltre le investi gazioni,ecercare daquale angolopiùremoto dellaterra avessedo vato venir trapiantata sulle rive del Nilo.  282 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA La scienza moderna che è meno corriva alle ipotesi , e comunque sia spesso accusata di sognare , più riconosce l'importanza de' fatti prima di edificare un sistema , va più guardinga in questa qui stione degli Etruschi, e non ostante la grande abbondanza de'falli che sono a sua disposizione ,non ha sapulo per anche decidere che cosa eglino fossero stati e donde venuteci , nè che cosa si fosse la loro lin gua ,se cioè semitica o di origine arja ,nè che relazioni si abbia avu ta la loro civiltà coll'egiziana. A ogni modo le induzioni per cui giungeva ilVico allesue opinioni intorno all'Etruria niunoè ora cheardirebbedicrederledialcun peso o diprenderle in sulserio. Ben sonostatialcunipiùmodernichelehannosostenute,e avregnac chè l'istoria dimostri come cosa quasi indubitata che la civillà tenga   G. BATTISTA VICO 283 nel suo corso ilmedesimo cammino che il sole cioè da oriente în occidente,hanvolutocheiprimiprincipiidiessa fosseropassatidal l'Etruria nellaGrecia,ma han cercato con fatlieargomenti edo cumenti che al Vico mancavano di sostener la loro teorica ,comunque non sieno mai riusciti a sostenerla tanto da farla aceellare almeno permediocremeuteprobabilea'piùdottiinquestematerie. Enonha guari abbiam veduto mancare a'viviio Napoli uno deisuoi ultimi sostenitori,uomo picchissimodiabbondanteerudizione istorica,ina corrivo non so se ad:ingegno o per la natura stessa del suo spirito. ad abbracciar le opinioni più strane e le meno simili alle più comune . mentericevute.Spessosièripostocome unaspeciediamorproprio Nazionale a sostenere colesta emigrazione del sapere dall'Etruria nella Grecia.quasiperaggiungereunaltroperiodo digloriaallegloriedel l'istoria italiana E veramente pjente non è più giusto o più sacro quantoquel sentimentoper cui un popolosistudia diaccrescerei tesoro delle sue grandezze non meno presenti che future o passate, diquesteperpetuarelaricordanza nellamemoria degliuomini.Ma per esser gelosi custodi di questo tesoro noi altri Italiani non abbiamo afarviolenzaallaistoria,evolervendicareanoiquelche nonciap partiene,tantopiùchequellodicui non sipuòdubitarechesiano stro è più che bastevole a non farci desiderosi di altro.Or la nostra ve ra e indubitata istoria incomincia da Peoma ; ilche mi sembra itd'an lichitàabbaslanzaremota,eunagrandezzaabbastanza gloriosapera. verseneacontentare.Tuttoquellocheèprima diRoma,egiàèassat incertochecosafosse,nonci appartiene.E veramenteItalia nonera ancorailpaeserinchiuso traleAlpieilmare,nėHalianieranoi Grecidell'estremitàmeridionale,iSiculiogliAborigeni delLazioo gliEtruschi,Celtiogl'Iberi,sealcun trattogl'Iberineoccupavano, ma beneeranoessiglielementiprimordialiiqualistrituraliefasiin sieme dall'opera del tempo e dalla forza assimilatrice di Roma ,d o veano comporreilpopolo dicui ha fattol'istoriaTitoLivio,Niccolò Macchiavellie Carlo Botta;lavoro lentoe gigantescoele con diver se proporzioni e solto diverse condizioni si è operato per altri popoli ancora;perquestasolaragioneiMacedoni eranGreci,eAlessan droche sefossenatodu'secoliprimasarebbestatobarbaro,fualsuo    Innanzi di conchiudere questo scritto che avrebbe potuto esser piùbreve,machepotrebbeprolungarsi ancora dimolto,noncredo essereinutilepermegliofarcomparirelavera naturadelleobiezioni chehomossealfilosofonapoletano,ilricordarecomeeglinon a veapercosaaffattonuovailmodo dellesueinvestigazionietimologi che , anzi fin dal principio del suo scrillo afferma che egli è per fare quel medesimo per la lingua latina che avea già fatto Platone per la greca,ilqualedalleetimologieecomposizione delle parolediquella avea voluto scourire l'antichissima sapienza de'popoli che l'avean parlata.SenonchesiformavailVico un conceltoassairistrettodal C r a t i l o s e c r e d e a a q u e s t o s o l o o r d i n a t o q u e l d i a l o g o , il q u a l e a b b r a c cia tutta quanta la quistione della lingua ,della sua origine e del suo valore,coordinandola colla teorica socratica delle idee.Ben è vero che Platone anche delle etimologie si occupa in quel dialogo , e che ,ove non il fa ironicamente e come per istrazio , intende di cavare delle in . duzioni intorno a'primitivi concetti del popolo fra cui quelle parole a . veanoavutonascimento.Ma adonoredelfilosofoateniese,siconviene confessareche ilmetododellesuericerchenondeviavada'giusticon fini,nèpoteacondurload induzioniofalseoimmaginarieo arbitra rieocontrarieallagenesi delle lingueoripugnantialla vera palura. dellametafisicacheinquellesipuò trovare.Non abbiamnoiveduto che ogni lingua contiene in sè un intero sistema di metafisica , ma di netafisica spontanea che in quella si trova all'insaputa dello stesso p o  281 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA t e m p o il r a p p r e s e n t a n t e d e l l o s p i r i t o e d e l l a c i v i l t à d e l l a G r e c i a , e u n a delle più alte figure dell'istoria greca.Cosi le felci gigantesche del mondo antidiluviano non sono ilcarbon fossile ma debbono divenirlo, poiché , collo scorrere del tempo e coll'azione invisibile delle forze naturali si macerano a poco a poco , le differenze scompariscono, e da ultimo si trovano riunite in una sola massa che dee poi divenire uno de'motoripiù irresistibilinelle mani dell'uomo; ma leproprie tà che fanno onnipotente il carbon fossile non si appartengono alle umide foglie delle piante naufragate nel diluvio . Così le glorie q u a si mitologiche de'Pelasgi e de' Rasena , de' Tirreni e de'Siculi non siappartengonoa'discendenti delpopolo di GiulioCesaree di Tra jano.   G. BATTISTA VICO 285 polo che la parola , e che ve l'ha senza saperlo , depositata ? Imperocchè le lingue figliuole tulle dell'identica natura dello spi rito e dell'identica struttura degli organi della voce sol differisco no nella loro composizione in quanto che quell'identica natura vede da diversi o opposti lati le cose , e diversamente concepisce le relazioni obbiettive che passano fra quelle.Per la qual cosa si può dalla natura di una lingua scovrire il modo in cui il popolo che prima l'ha parla la concepiva le relazioni fra le cose,e ilmodo con cui iconcetti meta fisici che presiedono segretamente alla composizione di essa si presen taronoalsuospirito.E sequestolavoroèancora oggi pienod'incer tezzeedidifficoltà,seeraimpossibilea'tempi diPlatone,che fae glicotesto?BastacheildiscepolodiSocrateabbia vedulounaverità che solo ilontanissimi nepoti poteano dimostrare ,e tentato un lavoro per compiere ilquale,moltissimi secoli di esperienze e di scoverte non han potuto somministrare finora tuttiimezzi necessarii.Ma non cre dea Platone che una setta di filosofi avesse introdotto nella lingua i concettimetafisici,apziliattribuivaalpopolo stesso,cheegliperle esigenzedelsuolinguaggio filosofico,chiamaillegislatore,ilquale nellasuccessivacostruzionedellalinguave livenivaspontaneamente e però inconsapevolmente trasfondendo.Në pensò mai Platone che da filosofi di altra nazione dovessero quelle parole tirar la prima loro ori gioe,e quindi esser passate a'primitivi abitatori della Grecia,che per essereancoraignoragtinonleavrebberopotutemaipiù ritrovareda sèmedesimi.Sonquesteledue ipotesisucuièfondatoillibrodel l'antichissima sapienza degl'Italiani,ma nè dell'una nè dell'altranon è colpevole l'autore del Cratilo, Seiohotroppoinsistitosuquestecose,non ègià perdesiderio eheioavessidiappiccareun'inutilegiornata colmaggiore de'filosofi napoletani,ma sipervolermostrarecolsuoesempiocome camminan d o il s a p e r e c o l l a n d a r e d e l t e m p o ,e t r a s f o r m a n d o s i q u a s i i n o g n i s e c o l o lasuafisonomia,evedendo gliuomininellediverseetàsempre diver samentepurlemedesimecose,lagrandezzade'grandiuomininon si vuol misurare dal numero delle verità che eglino possono ancora inse guarea'lontaninepoli,acuipureessendo grandissimi,nonpossono    lalvolta insegnare più niente,ma sibbene dal grado a cui eglino si so no innalzati al di sopra de'loro contemporanei , dalle nuove vie che prima degli altri hanno aperle allo spirito, nelle quali altri c a m m i p a n do sonosi arricchiti di verità ad essi rimaste ignote , e dagli sforzi con cui hanno potuto faticosamente e oscuramente veder da lungi quel che alle seguenti generazioni è stato poi agevole di veder chiaramente e di loccare con mano , senza che per questo si possano dir sempre seguaci de'primi, alleso che avviene soventi volte che una verità giunta alla sua maturità e alla pienezza de'tempi, si mostri per nuove e più facili vieancheaspiri!imenoalli,quando altempocheeratuttaviaimma lura appena si era svelata per astrusissi mi sentieri alla potenza divina trice di solitarii ingegni. Chi è più grande di Aristotile ? m a quale è oggiscolarecheintutte lespezialiquistioni non ne sappiaepiùe meglio del maestro di coloro che sanno ? O quale è scuola filosofica a cui basterebbe il proporre la massima parte de'problemi della scienza inquelmodoappuntoincuisitrovanoproposti nell'Organoene'libri della Melafisica, anche in quei punti in cui il pensiero arislolelico quanto alla sostanza delle cose è identico col moderno ?  236 MUSEO DI SCIENZE E LETTERATURA L'altra cosa su cui io voleva insistere siè questa ,che un uomo pec quantograndeeglisia,perquantos'innalzialdisopra de'suoicon temporanei e de'suoi tempi , par non si può mai taplo da questi sepa rare che la più parle delle sue idee , anzi esse tulle non abbiano in quellilalororadice,siche eglinon puòmaisepararsi dalgeneral modod'intenderedell'etàchelovidenascere,anziappuntoperque slo ègrande , che egli tutta la compendia ed esprime , aprendole le vie agli altri nascoste che la legano coll'avvenire. Se non che se tul teleideede'suoitempiinlujsiriflollono,insiemeconquelle anche gli errori e i pregiudizii comuni penetrano nel suo spirito , nè per quanto egli se ne distacchi può giunger mai ad emanciparsene intera menle . Di che si vede quanto sia grande la semplicità di coloro che siappoggianoall'autoritàde'grandi uomini inque'punticheeglino. hanno in comune con tutta la loro generazione e che non costituisco no la loro vera e più squisita individualità.Molle volle mi è avvenuto di udir dire a proposito di speziali quistioni ; o siele voi più grande   G. BATTISTA VICO 287 di Dante Alighieri il quale pensava appunto cosi come voi negate di consentire.Or cerloilcanlore de'tre regni dellamorle si fuilpiù grande uomo del suo secolo,nè ci ha oggidi chi in potenza di menle e grandezza di comprensione poelica possa venire con lui in paragone , ma ilpubblicislaeilfilosofodelXIII secolo era figliuolo delmedio eroeaveacinquesecolidieducazione filosoficaed isloricamenodi noi, e il cilladino di Firenze nato l'anno di grazia mille duecento sessantacinque in molte cose non potea non pensare come frale Cipolla e Guccio Imbralta.Or chi è che vorrebbe piegarsi innanzi all'autorità di questi nomi ?Cerlo,che io mi creda,niuno. Quesle cose poi che si dicono dell'antorità de'grandi uomini van . no deltealmedesimo modo dell'autorità dell'istoriaingenerale.La sentenza di Tullio che dice l'istoria maestra della vita è veris ima se s'intendeinunsenso,ma fontedimoltierrorises'intendeinun altro. Verissima è in un senso universale e scientifico in quanto che l'istoria facendoci come assistere allo spellacolo delle diverse generazioni clic si sono succedute sulla terra,ci rende quasi contemporanei del pas sato.Permezzodiessanoipossiainoalloraformarciunconcello ge nerale del cammino del genere umano ,e delle leggi ideali che presie dono alsuccedersi dellecivilti,delleleggi,degliistituti,delle religio ni, degli stati e di tutte quante sono le manifestazioni dello spirito u - mano.Allora noi partendo da queste considerazionipossiainocom p r e n d e r e il p o s t o c h e a n c h e n o i o c c u p i a m o n e l l a s t o r i a d e l m o n d o , d e terminare le nostre relazioni con le generazioni che si sono prima di noi affaticalesullaterra,edivinarquellecheabbiamocollealtreche dopo di noi bagneranno col loro sangue e coloro sudori la patria dell'uomo. In questo senso veramente la sloria è maestra della vita, c o m e q u e l l a c h e n e p o r g e il p i ù s t u p e n d o a m m a e s t r a i n e n t o c h e si p o s . sa , la comprensione della vila slessa in tulle le sue manifestazioni, in tuttelesuerelazionicolpassalo,colpresenteecoll'avvenire.Ma inet ta e principio d'inganni è quella sentenza presa in un senso più ristrello edempirico,quasivolessedireche lastoriainsegnaagliuominico. gli esempii de'tempi passati a sapere come eglino si abbiano da con durre ne'casi agli antichi simiglianti,Il credere a questa specie di    aulorilàistoricadipendedallafalsa supposizioneche gliavvenimenti si ripelano o si possanoripeterenellemedesimecondizioni,ilcheè tantofalsoquanto èfalsoilcrederecheilgenereumanononsimuo va , e che l'istoria non cammini. Ora ogni clà ha suoi proprii fatti e un'indole sua propria per la quale anche i fatli che sembrano rasso migliarsi in certe esterne condizioni, sono diversissimi di significato e divalore.Ilprincipiochenienteèma luttosi fa,nientepermanema tultosimuove,spezialmentenellastoriaenelcammino delgenereuma no si verifica.Ben la nalura fisica ne'rivolgimenti cosmici e tellurici si ripete,la natura morale dell'umanità non mai.A coloro iquali dicono: bencosìdeeavvenireperchècosìaltravoltaèavvenuto,ben sipuò rispondere che appunto perchè altra volta così è avvenuto non può più avvenire al medesimo modo.Dove il genere uinano cosi continua. mente agitandosi finalmente abbia da giungere , chi è che possa pre vederlo,oqualeèfilosofiachelopossaalmeno verisimilmentepre dire? Ma quando si pensa quel che era la famiglia umana al tempo delre de'reAgamennone,pernon salirepiù alto,equaleog gi è divenuta , chi non si sente di naufragare coll'anima in uti O c e a n o s e n z a f o n d o , a l l o r c h è v o l g e il p e n s i e r o a c o l o r o c u i s e p a r e r à d a noi la medesima distanza che divide noi dagli eroi dell'Iliade  L'Italia era pervenuta al decimosesto secolo e nella letten ratura e nelle arti ad una eccellenza , che niuna delle mo derne nazioni ha forse potuto raggiungere e che emulava se non uguagliava quella de' giorni più felici della Grecia. La poesia, la pittura, la scoltura e l'architettura quasi facea no a garaper adornare di opere eternamente duratureun pae se che già per tanti riguardi parea prediletto dal cielo , e le interne agitazioni e le discordie civili di tanti piccoli e fio renti stati pareano quasi cote che affilavano gl' ingegni, af forzavano gli spiriti e rendeanli più pronti a concepire e a ritrarre squisitamente il bello . Intanto , fra queste potenti pa lestre che aveano esercitato l'infanzia e l'adoloscenza delle no stre menti,venne l' età più matura e quasi la virilità dell' in tendimento , nella quale l'uomo, ovvero lo spirito umano, chè qui suona il medesimo, si rivolgein sè stesso per conoscere da presso quello ch 'egli è , e quello che le altre cose sono, le quali in fino a quel punto è stato contento ad ammirare ed a servirsene per sè e per le sue immaginazioni. Allora inco mincia la filosofia, la quale di necessità dee sorgere dopo la poesia, siccome la Grecia e l'Italia col fatto ne fanno pro va . Nè si potrebbe addurre in contrario la scolastica che è 13 194 antichissima , e certo precedente alla poesia, perchè quella , oltre che confinava da presso con la teologia, più presto che esser l' effetto spontaneo , per così dire , del pensiero nazio nale , lavoravasi nel seno della chiesa e nel silenzio de' chio stri , senza che il pensiero laicale vi avesse alcuna parte . Il quale , quando fu venuto il tempo propizio, si fece da sè una filosofia che veramente dalla scolastica fu diversa. Costantinopoli non cadde in vano per noi; perchè la sua rovina che fu quasi l'ultimo crollo della civiltà antica servi ad arricchirci di gran numero di monumenti dell'antica sa pienza a noi tuttavia ignoti , e a compensar con usura i nostri padri dell ' ospitale accoglienza per essi accordata ai fuggitivi figliuoli d'una nazione illustre e generosa , che dopo quattro secoli d'oppressione, dovea riacquistar l'indi pendenza , e , bella delle memorie passate e del presente trion fo, ricomparire sul fortunoso teatro del mondo, sorgendo , come Lazaro , dal polveroso sepolcro che avea accolto il suo cadavere . So bene che da alcuni si è creduto il risorgimento degli studii classici e la conoscenza più intera dell'antica civiltà essere stati più presto di nocumenlo che di utile alla mo derna , parendo loro esserne stato impedito il libero cam mino degli spiriti, e turbata l'originalità del pensiero mer cè l' innesto violento d' un vecchio ramo sovra un più gio vane tronco . Ma costoro non pensano che la civiltà di un secolo non è e non può esser un fatto isolato e da sè ma che è iotimamente legata a quella de' precedenti mercè l' aurea catena delle tradizioni , e che ogni secolo dee, in quanto può , legarsi col passato e argomentarsi di perfezionarne l'opera, piuttosto che separarsene e disdegnare di riconoscerlo , o pretendere superbamente anzi puerilmente di incominciar tutto da capo , e rifar da sè l'opera a cui le generazioni pre cedenti han lavorato .Però il risorgimento degli studi classici . e la conoscenza dell'antichità , innanzi che nuocere, ha do vuto perfezionar l'edifizio della civiltà moderna , nè in fatto pud negarsi che a risorgimento delle antiche lettere sieno 1 195 dovuti in gran parte i subiti progressi che le scienze fecero tra noi . Quando si furono rotli i cancelli un po' stretti fra cui la scolastica volea talora chiusa l'intelligenza , quando si fu meglio e vie più direttamente conosciuto il pensiero dell'an tichità , ed ecco sorgere di presente una nuova filosofia, alla quale si può dire che avessero posto mano di conserva il pensiero antico e il moderno, la sapienza greca e lo spirito italiano. I più profondi ingegni della penisola si misero a quest' opera, lavorando insieme, quale in uno e qualein un altro modo , al comune e nobilissimo scopo, e tosto si vide venir fuori dal loro numero il celebre triumvirato di Telesio, Campanella e Bruno , i quali tutti e tre videro la luce in questa meridional parte d’Italia . Comune ebbero la forza della volontà , l'ardire dell'inge gno e la potenza della mente; ma il primo restò indietro agli altri due , imperciocchè la sua opera fu puramente ne gativa , laddove questi poterono crear de sistemi che nè il tempo nè i seguenti sforzi dello spirito umano non giunse ro a far dimenticare. A così bei cominciamenti fu possibile di sperare splendidi destini per la filosofia italiana , ma la speranza anche allora, siccome spesso è, fu ingannatrice, e l'avvenire mancò a così lieti principii . Del qual fatto non si può trovare altrove la ragione che nelle condizioni della storia italiana e nella intima natura della nostra filosofia . E, in vero se, come abbiam veduto, la filosofia comparve in Ita lia quando il pensiero era abbastanza maturo per siffatta ma niera di studii , quando questo momento fu arrivato, la na zione incominciò a declinare . Quella maravigliosa abbon danza di vita che avea alimentato il movimento dello spi rito e favorito l'innalzamento di tante piccole nazionalità, nel cui seno eran comparse prima la poesia e le arti , e poi la scienza , incominciava a indebolirsi e venir meno. AL XVII secolo la conquista era compiuta; le antiche forme di reg gimento eran cadute o avean perduto della loro importan za; e le nostre sorti incominciarono ad esser , quando più e quando meno , legate a quelle di altre nazioni. Strana 196 cosa è l'ammirazione di taluni storici , siccome il Denina , per la beata tranquillità , per i giorni di serenità e di pace che spuntarono a rallegrare il bel cielo dell' Italia . Più stra na ancora è la maraviglia del Tiraboschi il quale non sa comprendere come la letteratura , le arti e in gran parte le scienze sien volte in basso stalo allora a ppunto che la pa ce di cui finalmente godea l'irrequieta terra italiana , facea sperar nuovi progressi e quasi un novello secol d'oro al nostro paese . Costoro non intendevano che quando una nazione cade, cade di necessità con essa tutto quello che è intimamente collegato con la sua vita e col suo essere . E in fatti allora la bella prosa italiana fini, allora la poesia spirò sulle labbra del Tasso , e le arti andarono ogni di più declinando. Allora incominciò la corruzione onde il sei cento è rimasto celebre nella memoria degli uomini , sic come età di decadenza. E' sembra che l'antico spirito let terario si rifuggisse un momento in Toscana per morir no bilmente nel paese stesso che l'avea veduto sorgere , sic come la pittura cercò un asilo in Bologna e parve di nuo vo levar il capo fra le mani de' tre Caracci, di Guido Reni , del Guercino e d'altri. Ma questo fu come l'ultimo sforzo del gladiatore ferito , o come l' ultimo canto del cigno che si muore . Egli è facile il concepire come una filosofia, la quale derivava da un movimento al tutto italiano, e che pe rò era legata alla fortuna del pensiero onde ella avea da nascere, dovesse cader di necessità il giorno stesso che quel pensiero veniva a perdere la nazionalità e l'indole origina le . Il medesimo senza fallo sarebbe avvenuto nell'antichità, ove la Grecia fosse caduta il giorno stesso che il gran disce polo di Anassagora bevè la cicuta , perciocchè allora a Pla tone e ad Aristotile sarebbe mancato il tempo di compari re , siccome mancò tra noi dopo la morte de Socrati italiani. Dopo questo tempo non comparve, si può dire, nessuno il cui nome fosse degno delle antiche glorie, e le menti ita taliane sembravano comprese da una mortale stanchezza, quando venne fuori tra noi Gian Battista Vico quasi a pro 197 testare in nome di tutti e mostrare al mondo che il fuoco sacro del pensiero non era già spento nel bel paese ma solo nascosto sotto tiepide ceneri. Tra una gran folla di eccel lenti giureconsulti che fiorivano di quel tempo in Napoli, dalla meditazione del diritto romano egli seppe innalzarsi alla scienza delle leggi universali che reggono il cammino del genere umano sulla terra , e dalla meditazione d'una sola città alle leggi supreme della civiltà e del corso di tut ta quanta l'umana famiglia. Ma poichè egli precorreva di due secoli i suoi contemporanei, fu non curato e poco avuto in pregio da quelli , ed è stato sol da' posteri onorato condegnamente alla sua grandezza ; gloriosa ma pur tar da e , che è più , inutile ricompensa al merito degli uo mini veramente grandi , e a' sudori per esso loro sparsi in pro di chi o non li comprende e per ignoranza o per mali gnità li dispregia , ovvero di chi più non può giovarli . Parecchi anni dopo del Vico , e immensamente a lui infe riore , comparve in Napoli l'abate Antonio Genovesi . Del quale spiacemi di dover parlare in modo che a molti sem brerà per avventura o affatto ingiusto o troppo severo . Im perciocchè io penso che il suo merito, almeno comefilosofo, chè in quanto economista non so , sia stato più del giusto esagerato de' suoi compatriotti, i quali eran pure que' me desimi che avean veduto il Vico morir nella miseria , e poco o niente avean creduto alla sua grandeza. Genovesi poi, sendo prete , credeasi in certa guisa mail'obbligo di rico noscer l'antica metafisica,ma nè seppe intender quello che veramente di più profondo trovavasi in essa , nè il più delle volte seppe spogliarla dell' aridità delle forme, non ostante che non poco pretendesse alla leggerezza dello stile , e fino alle facezie e alle arguzie il più spesso di cattivo gusto e di sdicenti alla gravità delle materie per esso lui trattate. Nato poi nel XVII secolo e fiorendo ne' principii del XVIII , credeasi parimenti obbligato di seguir le dottrine del suo secolo , senza scorgere le conseguenze a cui quelle menavano . Per tal guisa mentre come teologo avea in 198 napzi san Tommaso , intendea come filosofo seguitare il Locke e il Cartesio , allora nuovi e in voga oltremonti , e a cui l'alta mente del Vico avea mosso infin dal principio potentissima guerra. Diviso fra due estremi così opposti in sieme , e' travagliavasi pure a volerli conciliare , e parvegli che l'autore del sistema delle monadi potesse maravigliosa mente servire al suo scopo , e così volea conseguir la gloria , tanto per lui ambita , di libero pensatore e di teologo ; ma il tentativo riescì vano alla prova . Chi in fatti apra i suoi libri di leggieri si potrà accorgere d'un continuo vacilla re e di una enorme confusione, per la quale il lettore si tro va , siccome l'autore dovea essere , in una strana tenzone di discordanti dottrine che ben sono accoppiate insieme , ma non sono e non posson essere ricondotte all'accordo e all'armo nia . E, in vero, quale è la teorica onde egli ha arricchito la scienza ? quale è il sistema che si chiama dal suo nome ? quale la scuola che ha fondata ? Se pure non voglia dirsi , come si potrebbe in certo modo affermare, che egli sia sta to il primo che incominciasse a introdurre fra noi la filoso fia del XVIII secolo , la quale dovea poi più largamente spandersi e acquistar quasidiritto di cirtadinanza . Concios siachè , spezzato il legame sacro che avrebbe dovuto legarci a' nostri più antichi, rotta la tradizione e in certo modo spenta presso il più gran numero la ricordanza delle passa te glorie filosofiche, parve più facil cosa il domandare ol tremonti bella e fatta la filosofia , innanzi che travagliarsi a crearla da sè; tanto più che tra noi l'uso delle profonde me ditazioni era venuto meno , ei sistemi che lavoravansi oltre le alpi , tra per la loro comoda facilità e per la popolarità che la letteratura francese ogni di più andava acquistando, divenivano anch'essi popolari in gran parte dell' Europa. Or questa filosofia era derivata direttamente da' sistemi del Bacone e del Locke , e più indirettamente da quello del Car tesio . . 199 II . Renato Descartes avea continuato nelle astratte regioni della filosofia l'opera incominciata dalla Riforma in quelle della religione, più astratte eziandio e al tempo stesso più positive delle prime, che era senza più l'idea della libertà del pensiero . Cosiffatta idea era nata da prima in Italia , do ve non chiedea altro che la libertà del pensiero filosofico; anzi in sulle prime si fu contenti a quella solo della libera discussione contro l'Aristotile delle scuole, salvo a costruire un nuovo edifizio con le vere dottrine dello stesso Stagirita ovvero di altri filosofi dell'antichità, siccome spesso si vide fare . Ma la Riforma, confondendo i limiti di cose diverse , domandò la libertà della discussione religiosa , il che era distrugggere la religione medesima , la quale per sua es senza è fondata sulla fede , sulla credenza e sul mistero, talchè sì tosto che la discussione e l'esame incomincia, la religione finisce, dove tra il credere e il non credere , tra il si e il no , alcuna transazione non è possibile, e ogni ana lisi l' uccide. Della religione avviene lo stesso che d'una leggiadra fanciulla dalle guance rosee e da' capegli dorati , la quale sembra contaminata dal solo sguardo troppo cupi do e indagatore dell'uomo; ma non si tosto l'abbiam pos seduta e contemplati a nudo i misteri della sua bellezza , ogni prestigio è finito . Così accade delle religioni , e tutte quelle che finora hanno imperato in su la terra, vere e fal se , ne son argomento. I libri sacri degli Ebrei eran conser vati nel luogo più recondito e segreto dell' arca ; l ' Egitto che può dirsi per eccellenza il paese della religione , è la patria de' simboli e de' geroglifici , e in Grecia solo pochi savi dopo faticose prove erano iniziati a' misteri di Samo tracia e diEleusi . In somma è strana cosa il credersi obbligato ad aver pure una religione e non volerla fondata sul principio dell'autorità. E in questo veramente il principio cattolico è superiore alle dottrine de protestanti e a quelle delle altre selte del cristianesimo , come quello che non soffre di discen 200 dere ad alcuna transazione , ma riconosce in sè la fonte di ogni vero , poggiandosi in sulla autorità che è potentissi ma, come quella che ha per sè la costante tradizione e l'im mutabilità delle dottrine. Ben cammina lo spirito umano , ben fa spesso de' progressi nel suo cammino, e le scoperte si succedono e i costumi s' ingentiliscono e le scienze si arricchiscono, e quasi pare che ogni verità sia destinata a cedere il luogo ad un'altra nuova, e che lo spirito dell'uo me sia in continuo movimentoed agitazione per avvicinarsi il più che a lui è conceduto all' unico e immutabile vero , Ma dove è questo vero ? chi mai può dire di averlo ve duto , o chi mai potrà vederlo e indicare agli uomini la meta di tutti i loro sforzi in su la terra , siccome il sepolcro di Gerusalemme a' Crociati e le coste di S. Domingoa Cristo foro Colombo ? Cotesto continuo moto , coteste secolari agi tazioni stancano l'anima , la quale ha sovente bisogno di fermarsi pure a qualche cosa di fermo e indubitabile, e di trovar come un'oasi in cui riposarsi dalle fatiche del suo penoso viaggio fra le certezze e i dubbi , fra le affermazioni e le negazioni dell' intelligenza . Or la Riforma distrugge questa proprietà assoluta ed es senziale d'ogni religione, gettandola in un pelago più con trastato ancora che quello della scienza , e in una bolgia di più inestricate e spaventevoli quistioni. Ma queste ardue pretensioni della riforma furono rendute ancor più estreme dal Cartesio , il quale spinse tant' oltre il desiderio della li bertà che volle quella stranissima di dubitar di tutte quanle sono le cose create e le increate fipo delle sue conoscen ze , delle sue idee e quasi di sè medesimo, per cercar poi, se gli fosse riuscito, di costruir da sè quello stesso che erasi dilettato con una nuova voluttà a distruggere. E veramente uno smodato desiderio di azione sernbrami dover esser in chi si piace di distruggere quello che egli ha intorno , per aver poi l'illusione del creare , e , che è più strano ancora, creare partendo dal dubbio ; nuovo e titanico esempio d' un sublime veramente dinamico, 201 Che cosa è egli quindi avvenuto ? Cartesio dovea egli so . lo ricostruir da sè l ' edifizio della realtà e dell'universo con solo i mezzi che il ragionamento gli porgea . Ora e' ci ha nella realtà delle cose alcuni fatti, siccome la religione , l'isto ria , le arti, i quali non sono opera dell'intendimento ovve ro della logica. E' ci ha nella vita delle cose e degli avve nimenti che non potrebbero derivare e non derivano dalla intelligenza individuale dell'uomo , quale essa alla logica e alla psicologia apparisce, ma sibbene da altri principii e da altri motori , a cui non si può che per diverse strade per venire . Per la qual cosa chi si argomenti di costruir la realtà delle cose con solo le armi che quelle più ristrette scienze gli concedono , e' non ginngerà mai ad avere essa realtà , quale nel fatto è, ma si quale con i suoi mezzi la si può formare, e priva delle sue più nobili parti, come quel le che di gran lunga son superiori ad ogni costruzione in dividuale . La quale difficoltà si può muovere a quasi tutta quanta la filosofia moderna, e nonsolamente a quella del Car tesio a cui essa è indubitamente debitrice di si superbe pre tensioni. Or delle due cose l' una può avvenire; o che la fi losofia riconosca la sua impotenza e rinunzii alla superba impresa, ovvero che presumendo troppo altamente di sè, nieghi di riconoscer come vero quello che essa non ha po tuto creare. Egli è inutile il dire che non potendo la prima ipotesi verificarsi per esser la scienza troppo superba di sua natura e troppo sicura del fatto suo , resta che la seconda si avveri . Pur tuttavia il Cartesio , siccome suole avvenire, per essere il primo, non giunse alle assolute negazioni di cui era pure nel suo sistema il germe , che poi seppe altri logicamente tirarne , allorchè si vide al fatto qua' si erano le estreme , ma pur legittime conseguenze delle dot trine cartesiane. Succedeva intanto in Inghilterra qualche cosa di simile a quello che in Francia , comunque le forme potessero esser diverse. Quivi il Bacone avea dichiarato quasi vana ogni scienza , il cui obbietto non potesse cader sotto l' impero de' 1+ 202 - sensi, quando il Locke cercò modo di applicar questo me todo alla conoscenza dell'intendimento umano , e fu di necessità costrello a vedervi solo quello che ci ha in esso di più apparente, cioè il fatto stesso della sensazio ne . Dalla quale , per sofismi che la scienza adoperi , non giungerà mai a cavare altro che fatti singolari con cui è impossibile di venire ad alcuna spiegazione probabile di fatti più alti e di più riposta natura, siccome sono le religioni , le arti , l' istoria . Pure il Locke si ostinò nel suo cammi no ma non seppe o non volle o temè di venire al termine estremo a cui quello conducea . Non io vorrei entrar mal levadore della verità d'alcun sistema , nè far l' apologista di una più presto che d'un' altra filosofia , ma mi sdegno di certi acciecamenti della scienza e della cieca sicurtà con cui sovente si ostina a perdurare in una via , quando bene si vegga ch'essa non possa condurre se non alla negazione assoluta di certi fatti i quali essa scienza dovrebbe bensì spiegare ma negare giammai, ove non volesse , come Ales sandro fece del nodo gordiano , non sciogliere ma tor di mezzo, negandole , le difficoltà. Pertanto quando il sistema del Locke ebbe passato lo stretto e ſu giunto sulla terra a lui ospitalissima della Francia, non fu chi non gli facesse buon viso , e venne accolto non già siccome quegli che giunge nuovo in terra straniera , ma come un antico amico che dopo lunga lontananza si riduce in patria . E veramen te sua patria era per esso quella del Cartesio . E' si dice che ogni idea cerca per per sua natura di venire ad atlo ed es ser messa in pratica. Or se ci ha filosalia al mondo, de la quale si può affermare che abbia raggiunto il suo scopo, è certamente quella della sensazione . Conciossiachè la rivolu zione di Francia si argomento di rifare la civil comunanza secondo quelle dottrine, e tulto un paese e una nazione no bilissima per amore di quelle fu veduta pronta ed apparec chiata a rinunziare un bel giorno alla sua istoria , alle sue tradizioni, alle sue antiche grandezze e alle passate glorie . Concessioni senza fallo enormi , ma pur logiche , e per le - 203 quali può dirsi che Marat, Danton , Robespierre e gli altri fossero gli estremi e più conseguenti discepoli del Locke, del Condillac, del Voltaire e dell' Elvezio; sebbene al fatto siasi veduto ove quelle teoriche peccassero, e come è pur mestieri di tener saldi certi altri e più antichi principii , chi vuol conservare in vita le umane società . Tale si era lo stato delle cose in Francia quando l'Italia legata oggimai a' destini della politica straniera ,cercò ezian dio fuori disua casa una filosofia bella e fatta , e potè leg germente trovarla , siccome l'abbiamo descritta , in Francia dove come in un nuovo Eden, cercammo l'albero della scien za e della verità, benchè il frulto che ci regalo fosse morta le per noi , come quello che fini di distruggere ogni germe di forza e di natio vigore nella patria di Gregorio VII e di Dante . Vero è bene che la filosofia della sensazione non può dirsi che in Italia fosse stata accettata ciecamente e compiu tamente , ma pur tuttavia ebbe abbastanza di forza per in sinuarsi nell' universale, e produrvi certa maniera di debo lezza morale che è l'effetto della mancanza d' ogni idea più elevata e più generosa . Ma comunque avesse avuto fra noi gran numero di ammiratori e di adepti, pure , come dicevo più sopra, le più alte menti italiane non si piegarono ad ab bracciarla compiutamente ancorchè non avessero saputo di scostarsene del tutto.Solamente più tardi e quando già quel la filosofia incominciava a venir meno nella sua stessa patria, si videro comparir tra poi i libri di Paolo Costa , di Mel chiorre Gioia e del napolitano Pasquale Borrelli che a quel le dottrine più da presso si accostavano; tre menti temprate in modo da non intendersi come abbiano potuto nascere nel la patria di Dante , Michelangelo e Vico . I due ultimi, scri vendo in una lingua a mezzo barbara , intendevano l'uno di spandere e divulgar nell' universale la parte più positiva della logica del Condillac, e l'altro di rianimare le teoriche del Cabanis , mercè qualche dottrina , già forse combattuta e dimenticata, del Locke. D'altra parte il primo, dico il Costa , purista ma pedante in letteratura , crede che la me 20% desima lingua che era servita a Dante per narrare i tre re gni misteriosi della morte, e descriver fondo a tutto l'universo ; la medesima lingua che era servita al Macchiavelli per disve lare i segreti della politica del medio evo , e al Vico per di vidare il passato e l'avvenire , e far la Divina Commedia della vita , siccome l'Alighieri avea fallo quella della morte; polesse impunemente esser condotta a raccontare le lepide trasformazioni della celebre statua , che a forza di odor di rosa dovea tornare uomo , come quella dell'antico Prome teo , mercè la fiamma del sole . Tolta per tal modo al pensiero l'originalità e l'indole na zionale , la letteratura di rimbalzo dovea sentire i cattivi ef fetti dello stato morale del paese . Già essa avea perduto la sua antica grandezza al XVII secolo , la sua fulgida stella era tramontata , e quel soffio divino che ne' secoli prece cedenti avea animato le nostre lettere parea si fosse ritira to dal cielo dell'Italia in mezzo alla corruzione che invadea d' ogni parte. Per la qual cosa il XVIII secolo , trovatici in queste condizioni, ci polè facilmente vincere , chè la strada era fatta, aperta la breccia , e agevolmente si potea una cor ruzione sostituire ad un'altra , un nuovo ad un antico vi zio . Allora si giunse perfino a sostenere che l'italiana era quasi una lingua morta la quale non potea più bastare ne alle nuove esigenze, nè alle nuove idee del secolo , nè agli andamenti più svelti e più liberi del pensiero moderno, sic chè bisognava al postuito rifarla , provvedere che ringiova nisse e sopperire alla sua manifesta povertà . Non è chi ignori come l'abate Cesarotti si fu il massimo campione di questa infelicissima scuola , e come con questo scopo dettò certo suo trattato che intitolo: Saggio sulla filosofia delle lingue. Se non che giunta la cosa a questo estremo punto , bisognava di necessità che , secondo il corso ordinario degli umani eventi, ritornasse indietro. E già nella Francia in un altro ordine 205 di cose una maniera di reazione era incominciata , concios siachè l'opera dell'impero può affermarsi non essere stata altro che una possente reazione contro gli anni prossima mente passati, e una ricostruzion di quello che negli eccessi della rivoluzione stato era distrutto e che pur meritava di esistere. In Italia , strana cosa ! questa reazione incominciò dalla lingua . Già poco innanzi il Parini, l'Alfieri e qualche altro aveano incominciato a levar la voce contro la servitù dell'imitazione straniera , ma poichè il male non era an cor venuto a quel punto estremo a cui le cose um ane deb bono arrivar per ritornar indietro, le loro parole furono im produttrici di effetti immediati in su le menti de' loro con temporanei , perchè le parole eriandio de' più grandi uomini non possono riescir proficue ove non trovano gli animi ap parecchiati a riceverle, e la pienezza de' tempi non è giunta per esse. E in vero quando le cose furon più mature, del le voci men possenti di quelle che ho citate poterono ope rare ciò che a'primi fu negato, chè trovarono un eco più fa cile nell' universale . Vero è che quelli i quali osarono per i primi di opporsi alla corruzion generale furon coverli di ogni maniera di ridicolo da' dotti del tempo e regalati, per più derisione, de’ titoli di pedanti (che forse erano) e di pu risti . Ma tutto fu indarno, perchè i puristi mostrarono un coraggio da onorar qualunque eroe , e niente valse contro di essi. Or e' bisogna confessare che costoro, non si credendo che i paladini delle parole , combatteano veramente , senza pur sospettarlo, l'invasione dello spirito straniero , e, se eran pedanti , significa che anche i pedanti possono talora aver ragione contro le pretensioni della filosofia. III . Duraya giá da alcun tempo questa reazion grammaticale contro la letteratura allora corrente , quando dalla remota Calabria s' intese risuonare una voce , che protestava contro la filosofia del senso e le sue eccessive pretensioni. Colesta 206 da voce era quella del barone Galluppi da Tropea , rapito pur testè alla scienza a cui avea consacrato religiosamente la sua vita. Per ben giudicar questo filosofo è d' uopo distinguere esattamente ciò che egli ha negato da ciò che ha affermato , cioè la sua polemica col sensualismo dal suo sistema . Con ciossiachè il suo vero merito si è quello d' essere stato il pri mo in Italia a sentir la necessità d' una filosofia più ampia opporre alle minute investigazioni del Condillac,delTracy e degli altri di quella scuola . Cotesto è il vero merito del Galluppi , e per questo solo gli è dovuto un posto nell' isto ria della filosofia italiana. Vero è che le sue armi erano il più delle volte domandate alla scuola scozzese , o eziandio à quel medesimo Locke che era il vero padre delle dottrine le quali egli volea combattere ; ma cotesto non diminuisce nè il suo merito , nè l'obbligo che la filosofia italiana gli dee avere. Medesimamente egli si è il primo che abbia in cominciato a divulgare fra noi il nome e il sistema del Kant, e comunque non manchi chi sostiene che egli me desimo non fosse giunto a penetrare compiutamente in tutti i misteri e gli andirivieni e i tragetti della psicologia kan tiana , pure è cosa indubita che egli si fu il primo ad occu parsene seriamente . Certo è , come innanzi vedremo, che altri è riescito meglio di lui nell' investigar la mente del fi losofo prussiano e nel misurar tutto il valore e le possibili applicazioni di quelle teoriche, ma certo è pure che il vanto di essere stato il primo,eziandio in questo , non può negarsi al calabrese. Quanto poi al suo proprio sistema composto in parle dalle teoriche delLocke e in parte da quelle del Reid, non credo che volendo esser giusti si potrebbe parlarne con alcuna ammirazione . Conciossiachè debolissima è la sua psicologia , e quasi nulla l' ontologia , la quale egli spesso non sa distinguere da quella , e sì confonde stranamente le quistioni che all'una e all'altra scienza si appartengono. Più confusa eziandio è la logica , che egli discerne in logica pura e mista ovvero applicata, mercè della qual distinzione che in niun modo non saprebbe sostenersi , è riescito a trattar 207 della prima delle pure forme del raziocinio, e ad ammassar nella seconda un gran numero di quistioni di psicologia e di ontologia, che non sapea come allogare altrove . Non parlo dello strano metodo con cui movendo dalla logica pura e passando per la psicologia e l' ideologia, giunge alla mista, perchè quello in cui mostrasi chiaramente tutta la debolezza delle sue teoriche , è l'applicazione che pure si argomenta di farne alla morale e all'estetica . Nell'estetica , per esempio, di cui si occupa sol di volo a proposito della teorica della volontà , senza punto curarsi de' più alti problemi che in essa si possono discutere , s'in trattiene a sostener l'opinione , un po' veramente troppo vo luttosa , che il bello può esserci rivelato dalla sensazione del tatto non altramenti che da quelle della vista e dell'udito, quasi non fosse chiara la differenza che è tra certi sensi più altaccati alle necessità della vita e però men nobili, da certi altri che servendo meno immediatamente al corpo son più liberi, e, se così può dirsi , più spirituali . Del resto e' si può dire che il Galluppi non ha veramente una certa teori ca sul bello e sulle arti , ovvero se pur l'ha , dubito forte non sia quella del Blair e del buon padre Soave , autore di un'intera enciclopedia d'istituzioni elementari per l' educa zione della povera gioventù italiana , filosofo , matematico , grammatico, relore, novelliere , moralista e Padre Somasco, che per molto tempo continuò e continua ancora in gran parte, ad infestar co' suoi libri , i seminarii, i licei e le scuo le italiane. Quanto poi al suo sistema sulla morale e sul di ritto, il Galluppi non può dirsi che siane uscito più felice mente che nelle altre parti della sua filosofia , e chi volesse prendersi giuoco di lui potrebbe leggermente qui , come al trove, trovarlo ad ogni pagina in contraddizione con sè me desimo. Non son molti anni passati che il nostro filosofo in cominciò a pubblicare per le stampe un'istoria della filosofia , ma sembra che per mancanza di soscrittori l'edizione non potesse andare innanzi , sicchè dovette smetterne il pensie ro , e l' opera morì ia sul nascere . Se in questa , come nelle 208 altre cose , l'induzione è buona, e si può indovinare che la scienza non vi abbia perduto gran fatto ; chè l'autore vi fa cea mostra d' un'erudizione non molto riposta. E' mi ricor da fra l'altro che nell'introduzione tentava ancora egli un'in terpetrazione del mito di Prometeo, e giunse per non so che strane congetture a persuadersi che il celebre prigioniero del Caucaso si era un anticore dell'Attica, che aveaprima insegna to a quelle genti i primi rudimenti di agricoltura e sopratut to la coltivazione del grano . Davvero mi sembra enorme non veder altro che questo in Prometeo inchiodato al Caucaso, per le mani di Mercurio , per comando di Giove e per decre to immutabile del destino, e mi sembra più che enorme di struggere il più profondo mito dell'antichità , e conver tire il figliuolo di Giapelo in un mietitore , con una rovinosa metamorfosi che trasforma di botto il capo d'opera del teatro di Sofocle in poco più di un' egloga. Del 1830 il barone Galluppi fu chiamato a dettar lezioni di filosofia nella regia Università di Napoli , e la scelta del governo fu facilmente accompagnata dagli applausi unanimi di tutti , imperciocchè si aspettavano cose grandissime da un uomo la cui riputazione potea dirsi gigantesca tra noi , e sul cui merito tanto più si giuraya, in quanto niuno avea ardito di dubitarne o di esaminarlo seriamente. Ma ora dopo se dici anni di esperienza deve esser conceduto di affermare che l'aspettazione pubblica è stata delusa , ed anche il suo insegnamento non ha condotto a nulla di durevole. Quale si è in fatti la scuola che egli ha fondata ? quali le verità che ha dato a svolgere a' suoi scolari ? quali applicazioni si son potute fare della sua filosofia al diritto, alle arti, alla politi ca , all'economia ed alle scienze naturali ? Per me io tengo che una filosofia la quale non è feconda di applicazioni di ogni maniera, e che si condanna a restare nel circolo delle quistioni puramente psicologiche, non meriterebbe il super bo nome a cui aspira , e più presto dovrebbe aversi quello di logomachia di scuola. Or tale si è quella del professor na politano. Però non dee arrecar maraviglia se le sue parole 209 uon hanno avuto un eco , se il suo insegnamento è stato per duto , e se, fra tanti discepoli che han frequentato la sua scuo la , non ce ne ha pure uno di cui si possa dire : costui conti nuerà l'opera del maestro ; chè nessun'opera il maestro ha incominciata, nessuno scopo si era prefisso, e niente vi ha di più inutile che le parole da lui pronunziale per sedici anni sulla cattedra. IV . Non ricorderò che di volo i nomi del Mancini , del Tede schi, del De Grazia e del Winspeare. De’quali i due primi , si ciliani, non possono dirsi , e sopratutto il primo, che seguita tori , ma nè interi nè profondi, dell' eclettismo francese, e, poveri non meno di erudizione che di potenza di mente, possono rassomigliarsi più presto a due scolari che non si ardiscono dilungarsi dalle peste del maestro. Il terzo , cala brese di patria, è un antico militare che ha finito per consa crare i suoi giorni alla filosofia , ed ha , già sono qualche anni passati, dato fuori per le stampe un'opera in cui intende a richiamare in onore e il Locke e la filosofia dell'esperienza , ma pur con tali modificazioni che agli occhi dell'autore do vrebbero allontanar le conseguenze a cui que' sistemi finora han condotto , e che agli occhi degl' intendenti di ta' discipli ne servono solo a metter l'autore , a sua insaputa , in con tradizione con sè medesimo , e l' un principio del suo siste ma in opposizione con l'altro . Il barone Winspeare, giureconsulto di rinomanza in Na poli , si è ancora egli rivolto agli studi della filosofia, e come frutto delle sue meditazioni ha incominciato da tre o quat tro anni a pubblicare una sua opera col titolo di Saggi di filosofia intellettuale. Della quale il primo volume, che l' au tore ha chiamato Introduzione allo studio della filosofia, con tiene un compendio dell' istoria di cotesta scienza da Talete in fino al Kant . Il secondo col titolo di Dizionario della Ra gione , dev'essere un dizionario di filosofia che si proponga 14 210 lo scopo di fermare per sempre le parole della scienza e il loro significato , affine di renderne il valore così certo e in dubitato come è quello delle matematiche, e distrugger così alla loro sorgente le quistioni e le difficoltà che lacerano da tanti secoli il seno della filosofia. Imperciocchè e' sembra che l'autore abbia per ferma la celebre opinione di quasi tutto il XVIII secolo , e che ora alcuno non oserebbe di sostenere, esser cioè le più profonde quistioni filosofiche niente altro che controversie di parole, sicchè, fermato bene il valore di queste , abbiano quelle immantinente da cessare . Il terzo vo lume poi dovrà contenere una traduzione de' Nuovi Saggi del Leibnizio , nella quale il traduttore si propone di dare un vero modello della lingua filosofica italiana, ancora così povera tra noi ( non credano i lettori che io esageri) , pro ponendosi di più di venir mostrando ne' suoicomenti quello che ci ha di buono e quello che ci ha di vieto e di rancidu me metafisico nelle pagine del filosofo tedesco . Ancora qui non fo quasi che ripetere le modeste parole dell'autore . Da ultimo il quarto volume dovrà contenere un'esposizione del sistema del Reid . E qui immagini il lettore il sistema del fi losofo scozzese , che non suole esser creduto , ch' io mi sap pia, de' più oscuri ed astrusi, esposto compendiosamente dal nostro barone , in un gran volume in quarto; chè questa è la dimensione dei suoi fratelli già venuti alla luce. Secon do il Winspeare e' non ci ha che due uomini al mondo a cui la scienza abbia veramente da essere obbligata; e di costoro il primo visse , già sono trenta secoli passati, in Atene, e l' altro nacque in Iscozia l'anno di nostra salute 1710. Questi due uomini sono Socrate e il Reid . Solo il Leibnizio potreb be esser terzo tra costoro , ma egli è troppo lordato di me tafisicume per essere accettato interamente dall' illastre giu reconsulto ; e però, come è detto , e' si propone di purgarlo . Salvo adunque il greco , Jo scozzese e il tedesco , così purificalo , tutti gli altri uomini che han consacrato la loro vita alla scienza e che son giunti a rendere immortali i loro nomi, voglionsi tenere comepericolosivisionarii, i quali ov 211 vero s'ingannano per difetto di giustezza di mente , ovvero si lasciano strascinare dalla loro immaginativa. A purgar la scienza da questi malaugurati sogni è sopra tutto ordinata ľ opera del Winspeare. Innanzi di lasciar Napoli non posso trascurar di ricordare il nome di un uomo , forse poco conosciuto altrove, e che eziandio tra noi non risuona molto , ancorchè il meritasse . Ma in tutte le cose la fortuna è signora , ed anche per giun gere alla gloria è necessaria certa maniera d'impostura. Co stui è l'abate Ottavio Colecchi, il quale, sendo già profondo matematico , allorchè si rivolse seriamente alla filosofia non si potè star contento all' empirismo che forse prima avea seguito, e si rivolse in quella vece al sistema del Kant. Con ciossiachè non ci ha niente in quella filosofia che possa ap pagar la mente di un matematico usata alle astrattezze e a ricercar le proprietà più essenziali e immutabili delle cose, laddove le analisi severe ed aride del Kant più ritraggono da' metodi matematici e vie meglio possono contentare le menti che a quelle sono avvezze. Il Colecchi seppe penetrarvi così addentro , che quasi le fece sue proprie , e spesso osò modificarne alcune parti e mutarne alcune altre : tanta è la dimestichezza che egli ha acquistata col suo autore , ancor chè ardisca di rinnegarlo e levi alto la voce a sostener che e' non è kantista, per alcune divergenze che separano in sieme le loro dottrine . Ma, che che egli si dica, non si po trebbe seriamente da altri dubitare seegli sia o pur no. Due sono i punti principali della filosofia del Kant, e l' uno si è la sua teorica della ragione soggettiva, e l'altro dove distin gue la parte mutabile e l'immutabile delle umane conoscen ze, quella cioè che da' sensi deriva e quella che trae altron de la sua origine ; cominciando egli dal porre come fonda mento del suo sistema che tutto il sapere incominci con l'esperienza ma non tutto da quella derivi . Cotesto è forse il più importante e il più vero di tutti i principii kantiani , comunque sia assai più antico della critica della Ragion Pura . Il Leibnizio, fra gli altri, avea già insegnato l'anima escir dal 212 le mani del Creatore con tutte quante le idee necessarie ed assolute, come quelle che compongono la sua propria essen za ; ma che, oscurate e quasi sepolte sotto il peso della ma teria , han bisogno che l'esperienza venga a discovrirle e quasi a far che lo spirito se ne avveda, benchè da quelle non derivino. A questa guisa appunto lo scultore, se una figura fosse impressa da natura nelle parti più interne d' una pie tra, ove questa tagliasse e levigasse, non sarebbe egli autore di essa figura , ma si cagione che quella fosse manifestata. E, assai prima del Leibnizio, la medesima dottrina può tro varsi insegnata da altri più elegantemente e con maggior di sinvoltura. Platone nel suo nobilissimo dialogo del Fedone, nel quale narra , come tutti sanno , della morte di Socrate e delle cose da lui discorse con i discepoli e con gli amici in nanzi di ber la cicuta , dimostra siccome è nelle nostre menti un' idea prima dell' uguaglianza (autò pò trov ) così astratta e generale che non si può in niun modo confondere con l'idea di duecose qualunque che sieno eguali insieme, come due pietre, due leyni o altro. Perchè dove quella è tale che noi sempre allo stesso modo la concepiamo e di necessità non possiamo comprenderla altrimenti col pensiero , questa per contrario è mutabile , sendo che il fatto quotidiano ne mo stra che quelle medesime cose , che pur ieri ne pareano uguali, ne sembrano altra volta disuguali, senza dire della differenza de' giudizii de' diversi uomini, a cui le stesse cose appaiono diversamente. Onde egli conchiude l'uguaglianza assoluta non si dover confondere con quella delle singole cose a cui questo attributo ci sembra di convenirsi. Le medesime cose Platone dimostra del bello , del giusto , del vero e di altre cosiffatte idee, che non si possono confondere con gli obbietti sensati , a cui si trova che solo per contin genza alcuno di que' modi di essere si può attribuire, e che sono come un debil raggio di quegli eterni tipi che sopra di esse cose mutabili vengonsi a riflettere , e che di quelli solo per accidente partecipano ( METÈYouTQ ). Se non che que sti obbietti mutabili e contingenti son come lo strumento 213 per cui mezzo l' anima giunge ad aver coscienza delle idee , sendo che, ogni volta che le cose uguali, belle, vere e giuste le son mostrate da' sensi, si vengono risvegliando in lei itipi eterni a quelle corrispondenti , i quali pur erano in lei ab eterno, ma si vennero oscurando il giorno che ella , lasciata la sua celeste dimora , discese nella prigione del corpo la tal guisa, secondo il divino Platone , il sapere è solo ricor danza, e l'apparare è ricordarsi. L'altro punto principale della filosofia del Kant, e pro prio a lui solo , si è la teorica della ragione che egli tiene per subbiettiva e inetta a farne conoscere altro che le appa renze, e non mai la sostanza delle cose . Teorica d'importanza principalissima, come quella da cui dipende il sapere se l' uo mo ha diritto a credere di poler giungere alla conoscenza di qualche verità , ovvero se, condannato a vivere fra illusioni e apparenze, dee rendere immagine del cane della favola, il quale credea un altro cane da lui distinto la sua propria immagine che vedea riflettuta nelle onde del ruscello . Chi concede questo punto al Kant, gli dee conceder tutta la sua filosofia e dee esser tenuto per kantista, siccome io affermo del Colecchi , quali che fossero in parti secondarie le loro di vergenze . II Colecchiha pubblicato un gran numero di articoli su di versi subbietti di filosofia speculativa e morale che poi ha raccolti in due volumi col titolo di quistioni filosofiche, ove assai spesso prende a combaltere il Galluppi , e se il faccia con buon successo , e se gli avvenga sempre di riportar facile vittoria sul nemico èinutile il dirlo. Conciossiachè il si stema slegato e debole del filosofo calabrese mal potrebbe resistere a colpi serrati della dialettica del suo avversario. A questi due volumi dovea tener dietro un terzo di quistio ni estetiche , di cui mi riesci di aver le bozze di stampa per le mani , poichè il libro non potè veder la luce . Cotesta este tica , come tutto il sistema del nostro filosofo , è quella me desima del Kant; un deserto di astrazioni senza mai incon trare un'oasi ove lo spirito possa alquanto rinfrancar le for 214 - ze . Egli è quasi che inconcepibile come quel divino rag gio che domandiamo bellezza, e che risplende misteriosa mente nelle volte de' cieli e negli occhi delle fanciulle , pos sa esser materia su cui s'innalzino de' formidabili edificii di aride astrattezze , con le quali è al postutto impossibile di dar pure una spiegazione del bello e dell'arte, alla guisa che è impossibile di trovare il mistero della vita nel cada vere , o quello della luce nelle tenebre . V. Mentre questa fortuna si aveano in Napoli le discipline filosofiche , nelle altre parti d'Italia non mancarono di esse re , ove più e ove meno, splendidamente coltivate, e in que sti ultimi tempi videro levarsi chi di gran lunga si lasciò in dielro i Napoletani. In Italia è succeduto al nostro vivente un fatto il quale è in manifesta opposizione con quello erasi veduto finora nell' istoria della nostra filosofia , la quale in fino dalla più remota antichità , ha avuta nel mezzodì della Penisola un' indole diversa che nel settentrione. Colà il ra zionalismo ha dominato , qui la scienza ha più presto incli nato al positivo e alla pratica; quasi queste due diverse ten denze della filosofia si fossero geograficamente diviso il ter reno . E in vero mentre nell'una parte venivan su la scuo la di Pitagora e quella degli Eleatici, nell' altra la sapienza etrusca s'introducea in Roma, che può dirsi il paese per ec cellenza della politica, della guerra e della legislazione. Vero è che in processo di tempo i due estremi si andarono ravvi cinando , e l' idealismo si accostò al suo contrario e quindi risultò l'indole vera della filosofia italiana, che è insieme speculativa e pratica , come quella che domanda i principii ma non dimentica le applicazioni , e , se intende di levarsi. sino al cielo in su le ale della speculazione non perde però di vista la terra . Se non che è innegabile che non ostante il ravvicinamento di queste due maniere di filosofare, pure la differenza non fu mai cancellata del tutto, e i filosofi del 215 - mezzodi restaron sempre più razionalisti , e più pratici quel li del settentrione ; testimonii il Vico e il Bruno da una parte, il Macchiavelli e il Pomponazzi, per non citarne in fioiti, dall'altra . Ora al nostro vivente , come dicevo , il fat to inverso si è veduto avvenire , chè i filosofi Napoletani non si son saputi dipartire dalla psicologia , e quelli della più alta Italia hanno ardito di sollevarsi infino all' ontologia ; quasi il coraggio delle ardue speculazioni , venuto meno a noi , si fosse rifuggito appo gli altri. E questi sono l'abate Rosmini , Terenzio MamianieVincenzo Gioberti . Antonio Rosmini ricorda in certo modo i nostri buoni fi losofanti del medio evo , i quali chiusi fra le mura di un chiostro , alternavano la vita fra la preghiera e la meditazio ne , e vedeano scorrere in silenzio i loro giorni senz'altro pensiero che quello della chiesa e della scienza . Così il no stro abate, pievano di un piccolo villaggio in quel di Nova ra, si è dedicato tutto quanto alla religione e alla filosofia, con una fede e un' anbegazione che ricordano altri tempi ed altri costumi . Egli era già conosciuto per altri scritti di fi losofia speculativa e di diritto pubblico e naturale , quando nel 1830 pubblicò per le stampe una sua opera sull'origine delle idee la quale per la profondità delle dottrine , per la forza della dialettica e per l'erudizione non comune di cui è ricca nel fatto dell'istoria della filosofia, e massime della scolastica, merita bene di essere allogata fra le più importanti che in questi ultimi anni han veduto la luce. Gran danno che sia di faticosa lettura per l'abbondanza non felice e del lo stile e delle parole . Il problema che l'autore principal mente discute in questo suo libro è quello onde è travagliala tutta la filosofia, e che più specialmente occupa la moderna, dico la questione della realtà della conoscenza. Gran cosa è veramente cotesta che molesta siffattamente la scienza . Noi siam circondati anche a nostro malgrado da una tur ba infinita di diversi obbietti ordinati quale alla soddisfazio ne de' nostri bisogni , e quale a render lieti o miserevoli i pochi giorni che dobbiam passare su' lagrimosi campi della - 216 - terra , che pur tanto amiamo ed a cui niente non ci avrebbe da legare. Or chi mai ha dubitato della realtà di tutte queste cose ? Certo se a taluno venisse talento di farlo e di dubitar seriamente se esista la donna che egli ama , l' inimico che odia , le catene che legano i suoi piedi o l'oro che brilla nella sua scarsella , e' non si dubiterebbe pure un momento di di chiararlo mentecatto , e condurlo di presente all' ospedale dei matti . Or la filosofia si è condannata di buona voglia a du bitar di queste cose e ad ignorar quello la cui ignoranza fa rebbe stimar folle un uomo agli occhi de' poveri di spirito. Nè è da credere peròche vengada modestia questo dubbio della scienza , anzi è figliuolo della superbia. Conciossiache la filosofia non vuol già conoscere le cose alla guisa medesi ma che gli altri uomini, ma si bene rendendosi ragione e chie dendo una spiegazione possibile di tutto che l'uomo pud sa pere. Quindi è addivenuto che essendo gli obbietti esterni parte della conoscenza, la si è imposto il dovere di non cre dere diffinitivamente in essi , o almanco seriamente dubitar ne in fino alla dimostrazione. E però si è messa con una calma edificante a discutere la questione di sapere se ci ha niente che esista fuori dello spirito. Soventi volte le armi le son mancate per provar quello che volea sapere, e allo ra più presto che essere incredula a sè medesima o infedele alla sua divisa , ha consentito ad accettare il nulla con una rassegnazione da disgradare un anacoreta , e a conchiudere che il genere umano s'inganna visibilmente allorchè crede alla realtà delle cose . O alliludo ! Or l'opera del Rosmini è precipuamente ordinata all'esame di una cosiffatta quistione, a cui egli giunge incominciando da una rassegna istorica de' varii sistemi antichi e moderni che su lo stesso problema si son travagliati , i quali tutti esamina con gran sottigliezza e con mirabile profondità ed erudizione . Di scute da prima la quistione dell'origine delle idee nella mente; quistione strettamente legata con quella della realtà della conoscenza, e fa vedere in una maniera non tolta da altri , come i filosofi di lutti i tempi sono andati errati in questo , - 217 o per eccesso o per difetto , dappoichè alcuni non vollero riconoscere alcuna idea primiliva nello spirito , ed altri cre dettero di vederne in maggior numero che veramente non sono . Lontano dall'errore degliuni e degli altri , il Rosmi ni ne ammette sol' una , cioè ľ idea dell'essere , forma uni versale de' nostri pensieri, idea primitiva e necessaria dello spirito , la quale non ne suppone alcun'altra prima di sè , ma bene da tutte quante le altre è supposta , come quella che alla loro formazione è necessaria . Or su questa idea riposa la realtà delle conoscenze, sendo che essa rinchiude il con cetto dell'esistenza , anzi è l'esistenza medesima ; per suo mezzo noi possiamo giungere dal mondo de pensieri a quel lo dell'esistenza, da' concetti a ' fatti. Non io qui intendo di difender l' una ovvero l'altra opi nione, ma poichè mi propongo solo di raccontare, non posso tralasciar di riferire una opposizione cheè stata fatta alla teo riea detta di sopra . Quale si è la difficoltà arrecata in mezzo dagli avversarii della realtà ? Noi non sappiamo le cose , e'di cono, ma sì le idee che ne abbiamo; o come si passa all' obbietto da quella rappresentato ? su qual ponte si supera la distanza che è da un'idea ad un fatto ? Or la vostra idea dell'essere, si è opposto al Rosmini, non è punto diversa dalle altre , e indarno vi dibattereste a dimostrare che è di differen te natura; e, se è vero, come è, che la è generale e necessa ria , non è però vero che a differenza delle altre idee di que sta medesima natura , sia di per sè stessa obbiettiva e atta a porci in relazione con le cose reali . Sicchè l' antica quistione non è stata per voi risoluta , anzi rimane tultavia intera , po tendosi opporre all'idea dell' essere le medesime difficoltà che alle altre idee, non ostante i vostri sforzi per sostenere il con trario . Vero è che l'autore , dopo cinque faticosi volumi , con una rara, non so se io dica superbia o modestia , dichiara che non è leggiera cosa l'intendere la sua dottrina , e che egli in vano si è studiato, per l'impossibilità della cosa , di esser chiaro e intelligibile . Non tacerò che a taluno è sembrato di vedere nell' opi passa dall'idea 218 - e nione del Rosmini una pericolosa teorica da cui agevolmen te si può sdrucciolare nel panteismo . Ma a questo proposito fa d'uopo por mente a tre cose; la primache siffatte conse guenze senza fallo non sono state pensate dal suo autore , e che se egli giungesse mai a persuadersi che quelle legitti mamente si possono far discendere dalle sue opinioni , certo pon indugerebbe pure un momento a ritirarle. La seconda cosa si è che non si vogliono tormentar troppo le parole le sentenze degli scrittori per condurli in una maniera o in un'altra a certi estremi punti a cui quelli non vogliono giungere e a cui regolarmente non si potrebbe menarli sen za i sottili sforzi d'una dialettica che può divenire per que sto petulanti ; chè da tutto si può giungere a tutto. Ultima mente non bisogna dimenticare che il panteismo oggidì è lo spauracchio universale, e che troppo facilmente si crede di poterlo trovare in tutte le opinioni; e se è vero che parecchi de'sistemi moderni v’inchinano, è pure strano vederlo sem pre e da per tutto. VI . Terenzio Mamiani della Rovere del 1834 pubblicò in Pa rigi un'opera di filosofia intitolata : Rinnovellamento dell'an lica filosofia italiana. Oltre al nome dell'autore che già ri suonava nella nostra penisola , cotesto titolo contribuì non poco a chiamar l'attenzione dell'universale sul libro del Mamiani . Conciossiachè si credette di vedere certo orgoglio nazionale , e quasi una bella virtù cittadina nell'idea di ri chiamare in onore e in vita la nostra antica filosofia . La ste rilità pedantesca de' nostri filosofi non avea fatto escir le loro scritture dai limiti della scuola , e privatili così d' ogni ma niera di popolarità in un paese in cui gli uomini consa crati specialmente agli studii filosofici, non sono abbastanza numerosi, perchè levi gran grido nell' universale un libro di malerie così speciali ; ma questa difficoltà il Mamiani riesci a superar felicemente . Or vediamo qual sia la sua idea . - 219 I filosofi italiani del XVI e del XVII secolo , non solo sono slati primi nell ' ordine del tempo a incominciar la guerra contro la scolastica , da cui poi dovea venir fuori la filosofia moderna , ma ancora sono entrati innanzi agli altri per la profondità e dottrina con la quale seppero eziandio trovare il vero metodo con cui unicamente le scienze speculative possono giungere a glorioso porto, riconducendole all'osser vazion della natura , da cui le astrattezze della scuola aveanle allontanate; metodo di cui il pensiero moderno mena gran vanto come della più bella delle sue invenzioni , e della sola armecon cui sipossa giungere alla scoperta della verità . An cora fecero di più, e non contenti ad indicare altrui la strada che si ha da tenere, si posero animosamenle in quella , e ri ducendo ad atlo il pensiero del loro metodo , riescirono a crear de ' sistemi a niuno secondi di quanti ne ' tempi posle riori si son veduti venir fuori. In questi sistemi certamente molte cose sono da rigettare, molte da correggere e da mo dificare , ma molte sono eziandio accanto alle prime, le quali meritano ben altra cosa che dispregio e noncuranza . La fi losofia moderna avrebbe da studiare attentamente in quelli per tirarne tutto il buono che vi è , e far tesoro delle altis sime verità che soventi volte han costato a' loro scoprilori la libertà o la vita . Sopratutlo gl ' Italiani non dovrebbero lasciar perire sotto a' loro occhi la grande opera incomin ciata da' loro avi con tanto ardire e potenza di mente, anzi dovrebbero alacremente continuarla , e in vece di tener die tro astraniere filosofie e trapiantarle siccome piante di al tro clima della loro patria, dove mai non potrebbero alli gnare siccome frutto indigeno e nazionale, bisognerebbe che si adoperassero a tult' uomo di richiamarli in vita e risve gliar la nobile tradizione d'una scienza pur nata fra essi . Le altre parti del libro del Mamiani son destinate a svol ger la vera natura di questo metodo , che , secondo lui , è quello dell ' osservazione , il quale a molti può parere non acconcio a condurre la scienza là dov'essa dee pervenire , e che a me sembra egli confonda troppo con i procedimenti i 220 delle scienze naturali. Ancora ne viene mostrando l' appli cazione a parecchie quistioni speciali , che egli si studia di risolvere seguendo per lo più le orme de' nostri antichi filo sofi. Per menon esaminerò sino a che punto i grandi filo sofi italiani del risorgimento abbian seguito il metodo di os servazione, siccome il Mamiani l' intende, nè se questo me todo, sì utile d'altra parte alle scienze fisiche, sia sufficiente alle metafisiche, chè cotesto mi menerebbe lungi dal mio pro ponimento e getterebbe in quistioni che non ho in animo di discutere ; solo dirò qualche cosa del proposto risorgimento della nostra antica filosofia . L'idea del Mamiani si è di ri chiamar in vita tra noi le nostre tradizioni filosofiche, per chè la scienza si abbia nella penisola un tipo veramente ita liano e un'indole nazionale. Egli è indubitato che ogni pae se ha da natura una particolar fisonomia,per la quale si di stingue da tutti gli altri , e che siccome è impossibile di can cellare del tutto così è vil cosa di non rispettare come up dono della Provvideoza, e di non custodir gelosamente come un sacro pegnocontro ogoi invasione straniera. Nè questa differenza d'indole si mostra solamente ne' costumi e nelle abitudini di ogni popolo, negli istituti e nelle maniere este riori della vita ma eziandio in un modo speciale di vedere e d' intendere e di rappresentarsi le cose . Gli obbietti sì del mondo fisico che del morale , si possono giustamente chia mar poligoni, in quanto che ciascuno ha molti diversi lati, e può , rimanendo sempre il medesimo , esser considerato in mille guise diverse , e produrre , secondo queste diversi tà , mille diverse impressioni. Or quanlo più le cose posso no essere variamente riguardate , tanto più vasto campo ha l'indolenazionale di ogni popolo di spaziarsi e mostrarsi aper tamente. Nella letteratura, per esempio , esercita vastissimo impero, perchè quella abbraccia tutta la vita , nè ci ha cosa che possa esser considerata sotto più diversi aspetti che la vita umana e i suoi infiniti accidenti , da cui ogni letteratu ra direttamente sorge , facendo ritratto dalle più intime qua lità di essa vita . Per contrario poi quanto meno di realtà è 221 negli obbietti che cadono sotto la considerazione e Y opera dello spirito , e quanto più essi son semplici o astratti; tanto più si viene a restringere il campo in cui l'indole nazionale si può mostrare. Cosi, appena se ne può scorgere le tracce nelle matematiche e nelle scienze naturali, occupandosi quel le di astrazioni nude e di semplici concetti e queste delle qualità fenomeniche ed esterne de'corpi, quali cadono sotto i sensi. Ma altrimenti avviene della filosofia perchè i prin cipii comunque razionali di cuiessa si occupa, son pieni di vitae di valore, comequelli che debbonoservire alla spiegazio ne di tutti i fatti umani e cosmici dell'universo , dell'uomo e delle civili comunanze. Certamente non ci ha nè ci po trebbe essere una verità italiana e una tedesca, ma ci ha una diversa maniera per gli Italiani e per i Tedeschi d'intendere i medesimi veri , di considerar gli stessi fatti generali , sic come di dare più importanza a una specie di essi innanzi che ad un'altra. Di qui deriva che si può giustamente parlare d'una filosofia inglese, francese o tedesca , dicendosi, per esempio, che la tedesca èpiù idealista e razionale, dove che l'inglese inclina in quella vece a starsene più dappresso a ' faiti ed è quindi più sperimentale o empirica ; differenze che trovandosi nell'indole della scienza, mostrano che ci ab bia da esserne un'altra corrispondente nell'indole delle due nazioni. In questo modo solamente si può intendere la na zionalità della filosofia , sendo però necessario di far due os servazioni su tal proposito. La prima si è che non bisogna credere alla necessità di un intero isolamento scientifico , ov vero credere che ogni idea straniera possa esser contagiosa e opporsi al libero procedimento del pensiero indigeno e na zionale. La verità non è pianta che germoglia in un solo paese, ma in tutta la terra, nè è proprietà di un solo uomo o d'un solo popolo ma di tutto quanto il genere umano; ciascuno può trovarne una parte, e tutti gli uomini sono ob bligati di riconoscerla per tale, ove che la sia , e di abbrac ciarla e farle plauso e festa. E' bisogna cercarla da per tutto, e lo spirito allorchè è forte e sicuro di sè medesimo , le da - 222 - rà a sua insaputa quell' atteggiamento particolare ,e quasi direi quel colore morale cheèfigliuolospontaneo dell'indole di uno o di un altro paese. Laseconda avvertenza da fare è che ogni consiglio su tal proposito dee tornare quasi inu tile , e che quindi debba riescir vano il raccomandare ad un popolo di custodir la sua nazionalità nella filosofia . Basta es sere veramente un popolo sano e robusto e sentirlo e glori arsene per avere untipo da sè e conservarlo senza fatica, e quasi non avvedendosene , in tutte le parti della vita ed eziandio nella filosofia. Ma se un paese è debole e corrotto , se già ha perduto la sua indole nativa , i consigli de'dotti saran vani, perchè avendo quelloperduto la suaoriginalità nelle al tre cose,non gli sarà possibile dicustodirla nella filosofia più presto che nella letteratura , nella politica e nelle arti . Del resto ho voluto dir queste cose più presto a proposito del Mamiani che contro di lui perchè nè l'uno nèl' altro de' due rimproveri gli si può fare. Quanto poi all'idea d' incomin ciar la scienza ove l'hanno lasciata i nostri maggiori , certo gl' Italiani d'oggidi avrebbero ben torto di dimenticare i no bilissimi lavori de'loro padri e le dottrine onde hanno splen didamente arricchito la scienza , ma è da vedere se per far questo si convenga rinunziare a tutto quello che lo spirito umano ha scoperto in processo di tempo, perchè non è ve rosimile che sieno tornati vani tutti i suoi lavori per tre se coli e più. Credo che non sia questa strettamente l'opinione del nostro autore, ma domando se vi si potrebbe giungere partendo dalla sua. VII . Eccomi finalmente arrivato a quello de' filosofi italiani no stri contemporanei che è giunto ad ottenere una fama uni versale fra noi. Ciascuno intende che io parlo dell'abate Vin cenzo Gioberti, il cui nome da qualche anno risuona univer salmente dall' uno all'altro estremo della penisola . Quindi è che ciascuno si è creduto in diritto di dar la sua opinione e 223 11 giudicarlo a sua posta , onde egli si è trovato esposto a ' più contraddittorii giudizii , alla più inetta critica , alle noiose esagerazioni del dispregio ed a quelle ancor più no iose della stupida ammirazione. Quanto a me, nemico come io sono d'ogni opinione eccessiva che si lasci volenlieri ac cecare all'odio e all' amor di parte , a' nuovi ed a' vecchi pre giudizi , dirò franco il mio parere per un uomo di un merito grandissimo, quantunque io credo che sia ancor troppo pre sto per poterlo ben giudicare, e che di lui meglio i posteri che i contemporanei potranno portar sentenza , perciocchè intorno a molte sue dottrine bisognerebbe aspettare i suoi nuovi schiarimenti e la prova del tempo . Intanto per por tare in fin da ora un giudizio più o meno esatto di quello che egli è, sarebbe mestieri di esaminare sottilmente il suo yalore come scrittore, come filosofo e come politico. Io, se condo il mio istiluto, non posso toccare che pe' generali della due prime parti e quasi niente della terza . Come scrittore, il Gioberti appartiene senza fallo alla no bilissima schiera de'Botta, de’Leopardi e degli altri che in questi ultimi tempi han cercato, ritirando la lingua italiana a'suoi principii, di renderle l'antico splendore , la forza, l'e leganza e la vivacità che ammiriamo ne'nostri grandi scrit tori de'secoli passati , e che le aveano negato la fiacchezza degli animi e i pregiudizi comuni del secolo XVIII e de’pri mi anni di quello in cui noi viviamo , e che ancora regnano appo la maggior parte de ' filosofi di cui innanzi è discorso , la cui lingua , e più ancora lo stile , si penerebbe a crederlo italiano , e si direbbe compassionevole , se la pretensione non non lo rendesse più tosto ridicolo. Il Costapuò dirsi il primo che in questi ultimi tempi abbia trattato di filosofia con cor rezione di lingua ed eleganza di stile, ma oltre a questi pre gi , non si può dire che abbia nessuna di quelle doti che co stituiscono il grande scrittore . La medesima cosa può affer marsi del Mamiani la cui lingua è pura , lo stile esalto ed elegante ma invano si cercherebbe altro nella sua prosa . Il Rosmini , senza aver nè l'uno nè l'altro di questi pregi, è di 224 una tale abbondanza, che e'si potrebbe comodamente ridar re alla metà i volumi delle sue opere senza chiedergli il sa grifizio pur d'una idea . Tull'altra cosa è del Gioberti nelle cui pagine si trova ben altro che purezza ed eleganza sola mente; qui è ricchezza smisurata , nobiltà e vera eloquenza , tanto che si potrebbe citar de' passi da valer come modello da imitare . Conservando il tipo originale e l'antica grandez za della nostra lingua , e’la tratta pur tultavia come la lingua d'un popolo che è ancor vivo , che ancora ha uno splendido posto nel mondo, e che forse a nuove e più luminose sorti è destinato da Dio . Chè nella nostra penisola accanto a quelli che nel fatto della lingua si lasciano andare ad ogni maniera di novità, ci ha degli altri che per paura di corromperne la natia purezza , non si vorrebbero allontanare da' limiti del tre cento , e si spaventano d'ogni innovazione , come se fosse morta la lingua parlata da ventiquattro milioni d'uomini . Niuno di questi rimproveri non può farsi al Gioberti, a cui niente manca per esser giustamente allogato tra gli scrittori di prim'ordine . Pure non saprei negare che, sia effetto del l'ardente immaginativa, sia naturale impazienza e difficoltà di contenersi , si abbandona talora un po ' troppo alla sua ine sauribile abbondanza, sì che si sarebbe inclinati a trovare il suo stile in certi luoghi aleun poeo declamatorio . Non su che spirito di sofisma viene talora segretamente a turbarne l' ordinaria chiaroveggenza , per modo che per volere aver troppo compiuta vittoria de' suoi avversarii e spingerne le opinioni alle più lontane e assurde conseguenze, scaglia con tro di essi ogni maniera di opposizioni e di ragioni e di ar gomenti , della cui perfetta convenienza si potrebbe talora dubitare. Ma questo non giunge ad oscurare per niente gli altri pregi grandissimi che sono in lui . Dalle cose che abbiamo così brevemente discorse intorno alla presenle filosofia italiana, si può vedere come i nostri filosofi, attenendosi strettamente solo alle questioni psicologi che , ovvero non osando che modestamente occuparsi di quelle di altra natura , si son tenuti lungi da' più alti pro 225 - 1 blemi ontologici sull'origine , l' essenza e le leggi della realtà , quistioni in cui risiede tutta la grandezza e l'importanza della filosofia e che l'hanno sollevata a un sì alto posto nel l'antichità e nel medio evo. In questi ultimi tempi i Tede schi sono stati i primi ad avvedersi che la scienza si era messa per vie troppo ristrette , e che per renderle il suo antico valore bisognava senza più ricondurla sul terreno che altra volta avea occupato , da cui le modeste pre tensioni della psicologia l'aveano scacciata , e in cui solo potea incontrarsi con quelle quistioni che più potentemente importano al genere umano, e riacquistar così la vita e l'im portanza primiera. Quest' obbligo la scienza deve indubitata mente a ' moderni Tedeschi, quali che siano state le conse guenze a cui sono giunti . Il Gioberti ha tenuto il medesimo cammino , ma con mezzi alquanto diversi , ed è venuto a conchiusioni di ben altra natura . Anch'egli vuol giungere ad una scienza più compiuta che esca dalle aridità psicolo giche, e che, piena del senso della realtà e della vita, cerchi di pervenire alla causa prima e reale d'ogni causa e d'ogni fenomeno , riproducendo nell' ordine ideale della scienza l'ordine reale della generazione. Movendo dalla teologia cri stiana, egli si è sforzato di ricondurre la scienza all' ontolo gia , in modo da conservarla d'accordo con la religione, e in vece di adoperar come i Tedeschi che fanno entrar la reli gione nella filosofia e vogliono col mezzo di questa spiegar la , egli , per opposto cammino, seguendo i più antichisistemi ortodossi, ha voluto sottomettere la filosofia alla religione , in guisa che fosse questa obbligata a riconoscer da quella ogni suo valore . Il suo punto di partenza è una formola sin letica , la quale , benchè d'accordo col Cristianesimo , anzi, appunto perchè è di accordo con esso , spiega l'uomo e l'u niverso e le loro relazioni con Dio , onde poi discendę ogni ordine d'idee e di fatti, il pensiero e la natura , le società e le civili istituzioni , la scienza a l'arte . Io non mi fermerò su ' varii punti del sistema , nè sulle varic applicazioni che egli va facendo del suo principio , nelle quali dimostra una po 15 226 tenza di mente mirabile e delle conoscenze non punto ordi narie , ma non posso tacere che soventi volte, siccome è moda oggidì, si lascia strascinar troppo all'amore del sistema, e a certa smania di costruzioni a priori , le quali son certamente del dominio della scienza , ma che oggi si sogliono condurre fino all'esagerazione. Per questo rispello gli antichi mi pa iono ben superiori a 'moderni, perchè Platone ed Aristotile si occupano anch'essi di costruire l'universo a priori e per mezzo delle idee , ma sanno bene fermarsi alle generalità senza discendere a taluni troppo minuti particolari , i quali sfuggono alla scienza e non si possono senza esagerazioni far discendere comodamente da' principii generali. E chi sa se nell'universo , come nell'uomo, non ci ha un punto in cui l'impero assoluto della legge ha termine , e quello dell' arbitrio , del capriccio e dell'accidente incomincia ? Certo è giusto di volere co' principii razionali spiegar le leggi e le . generalità delle cose, ma è strano il pretendere di spiegare ugualmente i più piccioli fatti, la cagione necessaria e razio nale d'ogni avvenimento , d'ogni legge, d'ogni fenomeno, d'ogni istituzione, d'ogni onda che la forza de'venti scaglia contro le rive , d'ogni foglia che la brezza dell'autunno fa . cadere dal ramo ; allora si potrebbe ripetere il detto di Na poleone, che un brieve limite separa dal sublime il ridicolo . Vediamo ora qual sia la formola suprema e creatrice del sistema del Gioberti. Ogni filosofia , egli dice, la quale muova dalla nozione semplice e astratta dell'essere, dee necessaria mente smarrire la diritta via . Siffatla nozione , come quella che si può applicare al Creatore e alle creature, senza alcuna diversità, e che però nulla può produrre, conduce all'ipotesi d'una sostanza unica , cioè al panteismo. Ora la teorica del panteismo è falsa perchè non risponde a tutte le esigenze della scienza , nelle applicazioni non trovasi d'accordo con la vera natura delle cose, distrugge la morale, ed è contraria al cristianesimo che è la veritàperfetta ela parola stessa di Dio. Però è mestieri trovar modo di escire di questa peri colosa ipotesi, la quale ha potuto soventi volte sedurre le più 227 belle intelligenze e i più profondi spiriti. Ove la causa che conduce al panteismo eziandio quelli che meno vi vorrebbe ro pervenire , chi ben guardi la troverà nel punto stesso onde muovono, giacchè la nozione dell'essere in astratto non può menare alla realtà. Per la qual cosa a fio di cansar l'errore , è d'uopo aggiungere all'idea dell'essere qualche altra nozione che sia nello stesso tempo primitiva e sottopo sta all'altra. Se non fosse primitiva rispetto al nostro spiri to , non potremmo acquistarla altrimenti, essendo la nozione dell' essere di sua natura improduttiva; d'altra parte se non fosse sottoposta ad essa nozione dell'essere e quasi da essa ingenerata, e' si cadrebbe io un dualismo assoluto non meno assurdo dello stesso panteismo. Ma fortunatamente è facil cosa trarre l'essere dal suo stato astratto , considerandolo siccome concreto e creatore , perchè l' essere così conside rato rinchiude in sè l'idea di un effetto, cioè di un'esistenza che non fa parte della natura di quello , ma che essendo un libero prodotto della sua volontà , è legato con esso lui mercè il vincolo della creazione . Per tal modo e ' si avrebbe un sol principio da cui partirebbe lo spirito , cioè l'idea dell' essere puro e necessario che crea l'esistenza contingente, e questa verità -principioprodurrebbe un principio-fatto, cioè la realtà dell'esistenza. Così l'autore invece di partire dalla nozione astratta dell'essere , è partito da quella dell'essere che per mezzo della creazione produce altre esistenze a lui sottopo ste, ed ha espresso il suo principio supremo con la formola: l'essere crea l'esistenza; e con questo mezzo ha evitato ilpan teismo , ponendo il concetto della creazione come il lega me fra l'essere assoluto e l'esistenze contingenti. Pur tutta via questo mezzo non è paruto a tutti soddisfacente; già non è mancato chi ha detto che il suo sistema era la teorica dello Schelling battezzata e fatta cristiana , ed altri altre difficoltà hanno arrecato in mezzo. Cone è egli possibile di costruire a priori una filosofia mercè diun principio il quale contie ne in sè un dato essenzialmente contingente e di fatto, quale è quello della creazione ? 228 Se si considera l'idea della creazione legata di necessità con quella dell'essere, e allora si cade senza più nel pantei smo, o almeno nella sentenza assai vicina a quello della ne cessità della creazione ; se poi si considera essa creazione come un fatto empirico e contingente, è impossibile allora di farla discendere dal concetto dell'essere , e dedurla da esso ; anzi , essendo essa libera e volontaria , il principio si dovrebbe esprimere altrimenti, dicendosi piuttosto: l'essere vuol creare l'esistenza ; nel qual caso potrebbe domandarsi : chi v'insegna questa volontà dell'essere ? domanda a cui è difficile di soddisfare senza cadere in Cariddi per evitare Scilla . Conciossiacchè se si risponde che l'insegna il fatto , la formola a priori è distrutta, e si cade in uo circolo vizio so , col quale si verrebbe a dire che l' essere ha voluto crear l'esistenza , perchè esiste , e che l'esistenza esiste , perchè l'essere ha voluto crearla . Se poi, mutando strada, si rispon de che non già il fatto ma la nozione stessa dell' essere rin chiude il concetto della creazione, e allora si giunge diritto , come inpanzi dicevamo, alla necessità di essa creazione. Non insisterò più a lungo su questa discussione, che, come tutte le altre , ho voluto toccar solo di passaggio, ma osser verò invece alcuna cosa sull'indole generale della dottrina del Gioberti. Nati in un tempo che è succeduto ad un altro di strani rivolgimenti ed inuditi rumori, e che ancora è in certo di sè medesimo e più incerto del suo avvenire , noi possiam dire di assistere al contrasto di due opinioni , le quali si disputano ostinatamente l'impero dell'intelligenza . L'una, che è la meno seguitata, è essenzialmente conserva trice, e non crede nè al presente nè all'avvenire, ma sogna caldamente il passato , i secoli scorsi e quasi il secol d'oro della favola. L'altra, che domina appresso l'universale, non ha fede che nel presente e nell' avvenire, dispregia e deride tullo quello che non è nato pur ieri, e ciecamente crede al progresso infinito delle umane generazioni , al cammino dello spirito sempre trionfanle e vittorioso. Il Gioberti non può essere accusalo nè dell'una nè dell'altra estrema opinione, e 229 il suo modo di vedere e giudicar le cose può dirsi essenzial mente conciliatore dell'antico e del moderno. Non egli du bita che lo spirito umano cammini , ma non crede che lutto quello ci ha di bene sulla terra sia nato ieri ; nè dubita che lo spirito progredisca, ma non crede che ogni suo mo vimento sia un progresso; in somma il passatonon è per lui unicamente l'antecedente cronologico del presente, o un ca davere senza vita e senza importanza, anzi egli vuole che se ne faccia altamente conto come di cosa che contiene in sè i germi del nostro essere presente, e che non venga punto messo in dimenticanza nelle nuove combinazioni si della scienza e sì della vita pratica. Nè punto diverso da questo è il principio delle sue opinioni politiche, nelle quali ammira il passato ma non lo crede bastevole a corrispondere a tutte le esigenze del presente , ammira il medio evo in tutto quello che ha di grande, di nobile e digeneroso ma pon vuole per questo la ricostruzione del castello feudale; vuol bene che la politica italiana sia degna del nostro secolo ma non chiama ugualmente degne del secolo tutte le utopie . VIII. Questi sono i filosofi italiani degni di essere ricordati da chi voglia tessere un quadro dello stato in che trovasi oggi la scienza fra noi . Il quale , come si può vedere, se non è da esserne troppo superbi, non è neppur tale da doyercene ver gognare, perchè accanto a nomi mediocri o poco maggiori della mediocrità, se ne trova pure altri , come quello del Ro smini e del Gioberti, degni di fare onore a qualunque tempo e a qualunque paese. Un'osservazione però sorge natural mente da tutto quello che finora abbiamo discorso, cioè che se ci ha de sistemi e de'filosofi italiani, non ci ha però una filosofia o una scuola italiana da mostrar le dottrine domi nanti universalmente, poichè dottrine comuni veramente non ce ne ha, ma ciascuno ha le sue proprie , e nessuno giunge a diffonderle in modo da formare una scuola forte ed upita da contrapporre ad un'altra . 230 La medesima cosa mi ricorda d'aver fatto osservare a pro posito del teatro , ove dicevo che ci ha bene de' drammi e dei drammaturgi in Italia , ma non un dramma italiano , da po terne indicare l'indole generale. Sarebbe lungo cercar le ra gioni di questo fatto , ma quanto a' sistemi filosofici, non può nascondersi che ciha un punto essenzialissimo in cui tutti o almeno i più importanti si accordano , e questo è l' essere ugualmente ortodossi e cattolici. I nostri antichi non erano generalmente così solleciti di trovarsi d'accordo con la reli gione , e spesso con le prigioni, con l'esilio e co' roghipa garono la pena del loro ardimento . Oggi in mezzo alla co mune eterodossia delle scuole moderne, e soprattutto delle tedesche , i filosofi italiani si studiano di mantener collegate amorevolmente la fede e il pensiero, la religione e la scien za , e compensano con la propria ortodossia gli errori de'loro predecessori , i quali signoreggiano oltremonti e trovano nuovi seguaci e arditi rinnovellatori massimamente nelle scuole di Germania . Certamente sarebbe cosa assurda il negare che la filosofia tedesca in questi ultimi anni abbia renduti straordinarii ser vigi alla scienza, e fattole fare de'passi che mai non saranno perduti per il pensiero umano. Certamente in que' sistemi sono altissime verità, profonde escogitazioni, fortunate e fe conde applicazioni a tutti i diversi ramidel sapere e della vita , ma accettarli interamente come veri è cosa enorme ed insoffribile. Insoffribile soprattulto per poi Italiani la cui mente è dotata da natura di forme troppo originali per sofferire qualunque maniera d'imitazione , senza che tosto ritorni in caricatura, ed al cui pensiero, naturalmente chia rissimo e bisognoso di realtà e di vita , mal si convengono le astrazioni soventi volte troppo vôte de' Tedeschi, e la col trice di tenebre onde al concello alemanno piace spesso di avvilupparsi. Oltre a ciò si potrebbe dire che assai male prova ha fatto la filosofia tedesca , quando dopo tante pro messe e sì grandi rumori , si è mostrata inetta a fermar niente d'intero e di durabile, e ora quasi venuta meno , tace pro - 231 fondamente , e quasi non ha un'idea o una parola comuni per farsi intendere, e le scuole deboli e divise internamente o più non vivono o vivono di una vita che molto si rasso miglia alla morte. Forse che il dottor Fausto ha ragione tut tavia di lagnarsi della loro impotenza e della vanità degli sforzi per esse fatti. Prima di conchiudere sentomi spinto come di viva forza a ricordare un nome, che pochi forse sanno e che niuno ha obbligo di conoscere ma che io non voglio tacere , solamen te perchè colui che il portava ora più non vive , e perchè al tra meno sterile testimonianza di amicizia non gli posso ren dere. Io non so se le poche pagine scritte da Stefano Cusani giungeranno a'posteri, e molto più dubito delle mie , ma de sidero che i contemporanei sotto i cui occhi potrà cadere questo scritto , sappiapo che fra’giovani che ora fra noi si oc cupano di filosofia nessuno forse fu fornito più di lui di mente veramente filosofica, la quale con più sodi studii e con la malurità degli anni avrebbe forse , anzi senza forse , dato frutti degni di vera gloria . Nè vorrei che di lui si giudicasse da quello che finora avea stampalo , perchè chi il conobbe può far giudizio sicuro di quello che un giorno avrebbe potuto fare se gli fosse bastata la vita. Non so altri che faccia bene e splendidamente sperare di sè , ma non dubito che fra tanti dovrà sorgere alcuno degno degli antichi e de' nuovi nomi , perchè giovami di credere, e i fatti mi confermano nella mia opinione, che la sacra fiaccola della scienza non sia , non che spenta, affievolita nella patria del Vico , del Campanella e di Giordano Bruno. Grice: “Gatti is a difficult one to catalogue – not at Oxford! He is a man of letters and action, by man of letters we mean Lit. Hum. And Gatti, being the snob he was, would rather be seen dead than referred to as merely a ‘philosoopher’ – He edited the Museo di FILOSOFIA e letterature – and his passion (if he had one) was Vico – and more, to criticse oters. He would not speak of ‘italian philosophy,’ but of ‘philosophy in Italia’! – He wrote on Rovere, and other philosophers – but he was always ready to grade them: “Genovesi, infinitely inferior to Vico” – Incredibly that this philosopher is talking the same lingo as Machiavelli or Dante!” – His exegesis of Vico is good – he refers to the Bruno, Campanella and Telesio as the celebrated triunvirato, and there are references to some obscure philosophers in his prose – about which he writes little to enthusiase his reader!” -- Stanislao Gatti. Gatti. Keywords: poetica, Vico, Filosofia Italiana, Scritti filosofici – implicature italiane – il vico di Gatti -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gatti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689398126/in/photolist-2mRyRFD-2mLN3xV-2mLJBAD-2mLEwLN-2mLEvWg-2mLJzAr-2mLN4xk-2mKBFeq-2mKBG8V-2mFYSKW-2mFTkXC-CnaT3p-BK5eka-iKAuj9

 

Grice e Gelli – sulla difficultà di mettere in regole la nostra lingua – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I like Gelli; he is a difficult philosopher, in a typical Italian fashion, mixing semiotics, philosophy, philology, and literature! His reflections on Adam’s tongue (lingua adamitica) is genial – and he proposes a distinction, which I often ignored, as Austin did, between ‘sweet language’ (lingua dolce, qua expression, or materia) and ‘content’ (forma) – The issue was central for Italians: Tuscan Italian was THE lingua because it was the sweetest – at least to Florence-born Gelli’s ears!” “Ricordati un poco di Matteo Palmieri, che era tuo vicino, che fece sempre lo speziale, e non di manco s'acquistò tante lettere ch'e' fu mandato da' Fiorentini per imbasciadore al Re di Napoli; la quale degnità gli fu data solamente per vedere una cosa sì rara, che in un uomo di sì bassa condizione, cadessono così nobili concetti di dare opera agli studi, senza lasciare il suo esercizio; e mi ricorda avere inteso che quel re ebbe a dire: pensa quel che sono a Firenze i medici, se gli speziali vi son così fatti.”. Figlio di Carlo, un agiato mercante di vini originario di Peretola e trasferitosi a Firenze col fratello, nacque in San Paolo.  Esercita per tutta la vita il mestiere di calzolaio e studia filosofia da amateur – cf. Grice, “Gioccatore di cricket amateur e filosofo profesionale” -- Discepolo di Francini, Verini, 3 Ficino e poeta di ispirazione savonaroliana, e vicino alla filosofia piagnona, participa, anche se in disparte, alle riunioni dell'Accademia, agli Orti Oricellari. Fedele a Cosimo I, ricopre cariche pubbliche di scarso rilievo, dapprima in qualità di magistrato delle arti, poi come membro del collegio dei dodici Buonomini, organo consuntivo del governo mediceo. Membro degli Umidi. Ne approva la trasformazione in Accademia Fiorentina l'anno successivo e ne fu console. Ivi tenne la sua prima lezione, commentando un passo sulla lingua di Adamo, tratto dal canto XXVI del Paradiso di Dante. Tenne saltuariamente lezioni su Dante e Petrarca. Le sue opere più famose sono I capricci del bottaio, ragionamenti fra un bottaio e la propria anima (inserito nel primo indice dei libri proibiti) e La Circe, un dialogo fra Ulisse e i propri compagni trasformati in animali. Tra le tesi sostenute nelle sue opere vi sono quelle della discendenza diretta da Noè dei fondatori di Firenze, dovuta probabilmente all'influenza sul Gelli degli “Antiquitatum variarum volumina XVII”; un falso confezionato da Annio da Viterbo, e quella della superiorità della lingua fiorentina sulle altre.  --- nominato da Cosimo I lettore ordinario della Commedia presso l'Accademia e recita nove letture dantesche, pubblicate con cadenza annuale, che ebbero grande influenza sugli interpreti di Dante durante tutto il Cinquecento fiorentino. Altre opere: “L'apparato et feste nelle nozze dello Illustrissimo Signor Duca di Firenze et della Duchessa sua Consorte”; “Egloga per il felicissimo giorno 9 di gennaio nel quale lo Eccellentissimo Signor Cosimo fu fatto Duca di Firenze”; “La sporta” “Dell'origine di Firenze”; “I capricci del bottaio”; “La Circe”; “Ragionamento sopra la difficultà di mettere in regole la nostra lingua”; “Lo errore”; “Polifila”; “Lezioni pubblicate”; “Il Gello sopra un luogo di Dante, nel XVI canto del Purgatorio della creazione dell'anima rationale”; “La prima lettione di Gelli fatta da lui l'anno, sopra un luogo di Dante nel XXVI capitol del Paradiso”; “Il Gello sopra un sonetto di M. Franc. Petrarca”; “Il Gello sopra que'due Sonetti del Petrarcha che Lodano il ritratto Della Sua M. Laura” “Il Gello sopra ‘Donna mi viene spesso nella mente’ di M. F. Petrarca, Tutte le lettioni di Gelli, fatte da lui nell'Accademia Fiorentina, Letture sopra la Commedia di Dante, Delmo Maestri, Opere di Giovan Battista Gelli, POMBA, Claudio Mutini, I dialoghi morali di Giambattista Gelli in "Storia generale della letteratura italiana V", Federico Motta Editore, Delmo Maestri, op. cit.  Claudio Mutini, op. cit.  Giovan Battista Gelli, Dialoghi, Scrittori d'Italia 240, Bari, Laterza, F. Reina, Delle opere di G. B. Gelli, Società tipografica de' classici italiani, B. Gamba,, G. B. Gelli, La Circe, Venezia, Tip. d'Alvisopoli, G. B. Gelli, La Circe e i Capricci del Bottaio (Milano, Silvestri); A. Gelli, Opere di G. B. Gelli, Firenze, Le Monnier, C. Negroni, “Lezioni petrarchesche” (Bologna, Romagnoli); C. Negroni, Letture edite e inedite di sopra la Commedia di Dante, Firenze, Bocca, A. Fabre, La Circe di G. B. Gelli, Torino, Tip. Salesiana, M. Barbi, “Trattatello dell'origine di Firenze” di Giambattista Gelli (nozze Gigliotti-Michelagnoli), Firenze, Tip. Carnesecchi, A. Ugolini, Le opere di Giambattista Gelli, Pisa, Tip. Mariotti, C. Bonardi, Giovan Battista Gelli e le sue opere, Città di Castello, Tip. Lapi, A. Ugolini, G. B. Gelli, Scritti scelti, Milano, Vallardi, U. Fresco, G. Battista Gelli. I Capricci del Bottaio, Udine, Tip. Del Bianco. M. Bontempelli, G. B. Gelli. La Circe e i Capricci del Bottaio, Istituto editoriale italiano, I. Sanesi,Opere di G. B. Gelli (Torino, POMBA, R. Tissoni, G. B. Gelli, Dialoghi, Bari, Laterza,  A. Corona Alesina, G. B. Gelli, Opere, Napoli, Fulvio Rossi, Bonora, “Retorica e invenzione” (Milano, Rizzoli); A. Montù, “Gelliana”. Dizionario biografico degli italiani.  cheesserescaciato,& fuggitodaogni Àno,comesifarebbe una fiera.A. tuparli come unfilosofoGiusto;chel'inuidiaèquela,laqualepiu chealtracosaguastailconfortiohumano;& tanto peggioriefetiproducequantoelaèinhuomini p i u ingeniosi p i u ualenti, m a eglie di giaaltoilsole,ionochetutilieui, pieno.  . > 0 wadi à letue faccende , con un'altrauoltara gioneremodi questopius   ellamipare?sie.Orgliètroppoinnanzi giornoà leuarsi,questifratiminorihannoquesto costume,disonarsempreilmattutinoinsulamez sarameglioleuarji,machefaroiopoi,egli ètantodiquiàleuatadisole,chemirincrefcera, ma iopotreiuedere,fel'animamiauolesseparlar meco.Anchoracheiocomincioadubitare,chefe joseguito,elanonmifacciimpazzare,& non èdafarsebeffe,perchesecondome,tutiqueiche impazzano,impazzan'nel'anima, nelcorpo, etcosifaràforsequestamiaàmeseiolecredocosi ognicosa.Eccoelam'hacominciatoàdire,chesi puoesseresauioe dottosenzasaperelinguagrea carolarinascheènnacosaches'ioladiceßifraque stidotimoderni,iosareiucelatopropriocomeun. gufo, iopermenonhomaisentitodire,cheesipos faeferefanioinwolgare,mapazzofibenesetnon   75 Y. > 4 1 OVELLA lasquiladisantaCroceco E una dimostrationegrandißimad'undisagio nonpicolo,esaràdunquebeneraddormentarsi unpocobenecheiltempochesidorme,ècomeper duto,anzièpocomeno,chesel'huomofufemorto, Operò S 0 an zanottechel'hucmoéapuntoinJulbuondeldors mire;bencheàlorocheneuannoàletocomeipol tidae'pocanoia, nientedimanconell'uniuersa lefar . i fi   n'homainedutohuomoalcunochenefiaftatofat tostimagrande,senonsaqualcosaingrammatica; ficheiononleuòcosicredere,maiopotreiforseno l'hauereintesabene,e'faradunquemegliouedere seelauoleseragionarealquantomeco,& potrò dimandarnela,Animamia,òanimamiacara,uo gliãnoifauelar'ancshotamaneunpocoinsieme A. DigratiaGiusto,cheiononhopiacerealcuno maggiordiquestoperchementrecheiomiftòraç coltainmemedesimaàparlareteco,ionounengo astareoccupatainqueiconcettinili,& bası,che tuhailamaggiorpartedel tempo;nemancot’hoa ministrarespiritietforze,finarequeituoizoccoli, etqueituoibariglioncin.iG.Iononmimarauiglio puntodicotesto,cheiolauoroanchoraiomalsolen tieri;anzinonfocosachemisiapiugraue,ale i nonchemelofafarelamaledettfaorzy,iononda reimaicolpo.A. Erchevoreftitu?startisempre, Guruerotiosamente?G. No, maioconsumereial tempoinqualcosa, chemidiletafsejdoueilavorare mied'affannoetdifatica. A. Opensaqueloche eglièàmè,essendomoltopiucontroalanatura mia,chealatua.G.Iononsòcotefto,coueggoche Idiodapocihel'huomohebbepecato,uoledodar glipartedelapenitentia,cosi   > comeeglihaueuada. toaladonnailpartorircondolore;glidiffestuman geraiilpanedelsudoredelupleotuojdandogliilla   let pocoapoconelopinionemia.Otutimarauigliaui, quandoiotidicenaľaltrogiorno,cheeglieraprufa tica,àunhuomfoareunpaiodizoccoli,che AiAhahuediuedi,chetuuienià vorareperlapiugraue,& piufaticosacosachpeo To tessedargli studia * remezoAristotile,eccolaragione;tul'hardetta da uuere. A.Eglièiluero,mailfato la stacontentarsidiquelocheènecessariosolamente n o n cercareilsuperfluo,cheèquello,chereca cada millepensieridifutiliàl'huomo,& lotienesempre occupatointerra,neglilasciamaialzarelafacia ra,acontentarsidelpoco;perchechifacosiguruecon * pochipensieri,etèlietoilpiudeltempo uatoinme,quãtomisiastatoutileilcontentarmidi o quelocheioho,accomodădolauogliaalafortuna, be etseiohauesiuolutouiuer,òueftirmeglio,e'miera a forza,òfarqualcosadishonesta,òandarastarecon me altri.A. Malperigranmaestri,Giufto,feglihuo 2.1 il gode al  1 da teàtesperchelostudiareenaturale,Qvé pro Pas priodel'huomo,gloinuiaalaperfetionesua,& bra 'illauoraregliè'unapenitentia.G. E bisognapur ancohauer alcielo;dondeusciprimieramentel'animasua,eo - doueeladesideradiritornar';&fappiGiustoche ilmaggiorbene,& lapiuutilcosachesipossafaro * agl'huominiinquestauita,è'auezargliabuon'ho pernondir o sempre, G. Iolocredocertamentepercheiohopro minifußindicotestauogliatuti,chebisognarebbe >   pochicheglirestano,ul mendoinferuitisperognipicoloprezzo,laqualeco Sanonsolsegiafarequelsapientißimofilosofodi Diogene,che   cheesiseruissindaloro,perchee'nonsonosenonle moglieimmoderate,òdelladegnità,òdelpoterben mangiare,& beresuntuosamenteuestire;che fanno,cheunbuomo,cheragionevolmentepuoui uereunsessantianni(dequalinedieci,òdodecipri mi,nonconoscequelcheèfifacia;& delrestone dormelametà)uendeque essendoglidettoda AlessandroM 5 gno,cheeichiedesequellocheuolena,Orchetue toglisarebbedatorisposecheancorchefußicosi ponero e'nonglimincauacosaalcuna,machesegle leuaffed'innanzi,percheglitoleusilsole,laqual cosanonerainpotest:suadidargli. G. Certa mentecheildependeredasestessoe'unacosabellis fima,etuorrebbesieseramicodesignori,minor giaseruo,honorandoglioubbidendogliperòfem pre,comequeglicherēgonointerrailuogodiDio, etquandounpuruuoleinnalzarsi,debbecercardi farloconlevirtù,& nonconferuire,pensandonon dimcno,chien ognistato,glihabbiaàmancarjem prequalcosa.A. Nontidoleradunquedeltuo; & sappicertamentechenonèstatoalcunoinque stomondo,douenonsiaqualcheincômodo,&aqual checosachedispiacciaaltrui.nesipuoritrouareal cuno,checometuhaidetto,nonglimanchiqual ,  ز 210 ,chetutiglistatidaglıhuominiera noàunmodo;Etdiceuaàciaschedunomancaso lamenteunacosa,e quelleprimieramentedeside ra.Verbigratia,unpoucrostropiatodesiderasola mentediesersano,dapotereguadagnarsilauita, pernonhauereàireaccatando;chréfano& non hanulla,hauerdichepoteruiuere;pernonhauerà lauore;chihadicheuiųerecommodamente,has uer tanto che eipossatenere una caualcatura c u unragazzo,& chihaquestohauerqualchedigni tà,àmaggioranzasopraglialtri;& dipoessere Principe,& chiePrincipefinalmente,potereper petuarsiinquelloStato,& nonhauereàmorire. A. Non'tidolereadunquetu,dihauereàlavorare un pocosedognunomancaqualcosa. G. Lha sereàlauorareunpocosarebbeunpiacere,mafem prezcomehoàfareio,chehopocoènulla;e >  cosa. G. Conquestaragioneuoleuagiaprouare unoamicomio 'undi Spetto.A. Eccochetufaipurancortu,comegli altri, m a dimmi un poco che uorrestitu ? che ti manch'egle? A. Cinquanta ducatid’ıntrata. & staremmipoiaffaiacconciamente.A. E quandotuhaueßicotestoanchorpoitimanchereb bequalchealtracosa,e desiderereftıla,cometu faihorquestaperchecometuhaidetodatsetesso, inqualsiuogliastato,sihasemprequalcosainanzi agliocchi,chseidesiderapensandocomel'huomo 79  tha, dhauersiacontentare;nientedimancopoi quandotul'haitunonticontenti,macomincia.de siderarneun'altra;ficheprudentementediseun trattounuostroCittadino,aunocheentrauainun disordinegrandißimopercomperareun podere', cheglieraaconfino.Tudonerestipensare,chetu haihauercanfini,e checomperatoquesto,tun'ha raiaconfinoun'altro,delqualetíuerralamedefi 2 ma uoglia.G.Iocredocertamente,cheinogni statosiadepensieri;mapiue maggioriinuno cheinun'altro.A.E'nonègiailtuoundiquegli chen'habbiao demaggiori fidianzifudatoal'huomoperpenitētiadesuoipeç C a t .t A . s i d i q u e g l i c h e h a n n o l e u o g l i e d i s o r d i nate,& chenon sicontentanodiquclchesiconuie nealostatoloro,comehauenaAdam ,quandogli duuennequesto,maachisiaccomodailcamminar patientementeinquellauitacheeglièstatochia mato;nonauuiengiacoli   ,G.Comenò,hauen doioaniveresolamentedellauorare,checom’iodir 2 ,qualpuoeserepuidolce cosa,cheuiueredellafaticadellesuemaniwediche DauitProfetach'erapurRe,cometusai,chiamò questifimilibeati,& fappifinalmentequesto,che quantepiucosefihajatantepiufihahauercura; Brèmoltopiugraue& faticosoilpensierodigo Hernarelecosesuperflue,cheladolcezzadelpolle derle;& quantipiuserpiòpiulaworatorisihatan tipin  ,cheognibuo mon'haunramo;benfai,cheèl'hamaggioreuno cheun'altro;Ma ecciquestadifferentiadaifaui,a imatti;cheifauiloportancoperto,& ipazziin manodifortechelouedeogn’uno. G.Ehtuuuoi tábaid.A. Stafermo,iotelouoprouareinte stesso,quanteuoltefetuandatoaspasopercasa,po nendoipiedinelmezodemattoni,& cercando, conognidiligentiadinon toccareiconuenti? G. Omilleuolte,& fommipostoàcontareicorenti delpalco,& àfareseialtrecosedabambini.A. o dimmiunpoco,setuhauesifattocotestecosefuo riifanciullinontisarebboncorsidietro,comefan noàipazzi? G. Permiafe,chetudiiluero;car non uòpiu negare dinonhauere ilmio capriccio anch'io;anzitengohoraperuerißimoquelprouen bio,cheiohopiuvoltesentitodire,che و + > tiprunimicisiha,comebendiceuaquelPhilosofo, Mi lasciamoandarequestiragionamenti,e'mipa rechenoin'habbiamoparlatoàbastanza,Tornia mounpocoàqueglidihiermattina,chenoilasciam 2 momperfetti;perälchetudubitauidianzi,chese tumicredesi,ionontifaceßitenerepazzo;come seancortunon'hanesilatuaparte,comeglialtri. G. Otoquest'altrafeelatipiace;cheuorraitu dire,cheognounosiapazzo?A. Pazzono; M a che ogn'uno n e sentasi. G . O questo è quafi quelmedesimo. A. SappiGiusto .0 selapazzia F  A. lotiuodireancorapiula,chetutrouueraipo chihuomınıalmodochehabbinolasciatofama,che setuconsideribenelauitaloro,nonhabbinoqual cheuoltaportatoilramoloroscoperto,maperche ceglieriuscitolorobenfato,nesonostatilodat,ima iononuòchenoifauelliamopiudiquesto,torniamo alragionamentonostro,dimmiunpocodondehar tusaputo,chenonsaigrammaticaa nonhaistu; diato,cheilauorarefuffedatodaIddio .G.Siquantoàleparole;maapenetrar poibeneisensibilognaaltro.A. Eibafta,che tunonharestidificulànelintendereleparolė; masolamentenellainteligentiade'fenfi;laqual cosasel'hannoancorquegli,cheleleggonoingre cooinlatinochetunonticredesiche dereunalinguayé's’intendinoancututigliAu. tori,tuttelescientiechesonoinquela,perche àfarequesto,bisognal'aiutodepreccettori de  fuffeundoloreinognicasasisentirebbestridere.'! ,anostropri mipadriperpenitentia& paritionedeladisúbi dientialoro? G. O non losaitu,chelaitanteuol teletomcoquelitBibiacheioho.A. Ocomela intenditu?G. Perchenonuuoitucheiolainten da?non sartucheel laeinuolgare? A s i sò. G. Operchemenedomandi?A. Perfarticonfeffa requelchetuhaidetto,eccodunquecheselescien tic,& laferiturafacrafußınoinuolgare,tulein tenderesti per inten. 2   you  4  2 gliinterpreti, anchepors'intendonoconfati cagrande,simileauuerebbemedesimamente, s'elefußınoinuolgare;maamebastaperhora, chetuconosca,chenonsonolelingue,chefanno glihyominidoti,malescientie;& chelelingue s'imparano,peracquistarlesciencie,chesonoin quelle. G.Etperònonsipuoeglieseredotto senzaintenderelalingualatina,doueelefontut te,cheuuoituimpararenellanoftra A. Mera 1 cedeRomanicheneletraduffono,selalinguala tinaneèricca;& colpadeToschani,chenonhan no maifattocontodelaloro,feelaneèpouera: G. ilfatostà,felacolpaviendzlalingua,che nonsiatantocopiosadiuocaboli,ch'elenon nifi poßinoscriuere.A. Oefenefadinuouo;e mettonfiinuso,dimanoinmanosecondoibiso-. gni.G. oèeglilecitofaredeleparolenuoueina unalingua?A siinquellechenonfonomorte; G dacolorosolamentedichielefonopropri.e G. Etqualichiamitumorte?A. Quellechenon siparlanonaturalmenteinluogoalcuno;comeso-, nohoggi,lagreca,e lalatina,e inquestaàco lorocheniseriuonpoernonesereelalaloronatit àpropria,nonèlecitofareparoledinuouo. G. O perchenonèegliancorlecitoà queiforestieri,che lafanno?A. Perchenonelsendoelalornatu rale;nonlefannoinmodo chel'habingratia,   selanaturaproducessetuttelesuecoseper fette,nonbisognerebbel'arte,& fel’artepotese farle perfettedasestessa non bisognarebbe lana tura,machebisognapiu,non ,e gliHebrei dagliEgitti,nonhaitumarsentitochee'nosipuo direcosialcunachenonsiastatadettaprimamai Romani,chieranoaltrihuomini,& d'altrogiudi cio,chenonsonohoggiiToscan,amandopiuleca   Ponmente alcuneche n'hannofattecertimoderni nellanostra,comemedesimitàgioucuolezza,mar, cigione& fimili.G.Tugiudichiadunqueche nonsarebbeerrorefarnenellanostrae?A. Non dechilaparlanaturalmente,anzisarebbecosalo-, deuole.Dimmiunpoco,credituchelalinguagre ca,òlalatina,fusincosiperfete& copiosediuoce. bolidaprincipio,comeelefurnopoinelcolmoloro, & quandofiorirnoinlorotantipregiatiscrittori? G 'Noncredere.io. A. Sianecerto,perchee nonsiritrouacosaalcuna 2 fra queste chesonoeserci tatedanoi;chesiastatenelprincipio,òprodotta perfettadilanatura,òritrouatada l'arte;perche sequestosipotesefare,l'unadilorofarebbeinus no;che fecionoancordelepa rolenuoueCicerone Boetioseeuolseromettere. nellalinguaRominalecosediPhilosofia,& diLo gica?G. Chelecauoronodaaltrenationi? A. Bensaichesi. G. Etdachi?A. DaiGreci, EriGrecilhebbenodaglıHebrei   OPINTO 85 feloroproprie(comeègiustoragioneuole)che Paltrui,studiauansolamentelelingueesterne,per Canarne,seuieranulladibuono, arrichirnelai loro. G. Inueritàcheinquestomiparecheefuf finomoltodalodare. A.Ricercaunpocobene tuttelecoseanticheconuedraichesitrouapochis fimiRomaniche .G.Inquestomeritonoeglinoalquantod'ef ferescusatinonessendocome tudiquellalalingua loro.A. Anzimeritonod'essereripresidoppia mente,nontiricordaeglihaucrmaisentitodire cheM. Catoneleggendocerte cosescritedaA l binoRomanoinlinguagreca,t&rouādonelprin cipiochesiscusauadelnonhauerlescriteconquel laeleganzachedoueua,dicendocheeracittadin. RomanoOrnatoinItalia,e moltoalienodalla linguagreca;non , o lofare.G.Veramentechequestesonoragions tantouerecheiopermenonsapreicontradirti. i A. VediquantoiRomanicercauanodinobilita relalingualoro,chee'nonistımauanomancolar recareinquelaqualchebelaopera,chesotopore, scriuesjeingreco,comfeannoque fliToscaniinlatino,chenonèlalingualoro.perche faccinoquantoeifannoeinonfiuedemaineiloro scrittiquelcandore,ne quelostilechee'neilatini proprii 2 . solamentenonloscusò;masene vise,dicendoherAlbino,tuhaiuolutopiurostoha wereàchiedereperdonod'unoerrorefato,cheno > 3    coloroiqua lihaueuasottopošoconlaforzaqualcheCità,è qualcheprouinciaàl'imperioRomano.G. Oani mieapensieriueramentesanti,& paroledegne d'unCittadinRomano,perchel'ufitiouerode Cnta dinièsempreinqualunchemodosipuogiouareàla patriaalaqualenoinonsiamomancoobligati,che, apadrıQ àlemadrinostre. A. Etperquesto èhoogiinpregiotantolalingualoro,cheritrouan dosiinquellabuonapartedelescientie,chiuuole, acquistarle,bisognaprimacheimparı;quelladoue, seinostriToscanitraduceßinomedesimamětequel lenellanostra,chidesiderad'imparare,non hareb, beaconsumarequattroòseideprimisuoimigliori anniinimparareunalinguaperpoterpoicolmez: zodiquellapassarealescientie,oltradiquestolefi imparcrebbonopiufacilmente conmaggiorfis curta,perchetuhaiàsaperequestocheenons'im paramaiunalinguaesterna,inmodocheelasi  plega bene,comelasuapropria,& fimlmente  al'imperiolovoqualcheCità,òqualcheRegns, chequestosiailnero,leggafiilproemiochefaBoe tionellasuatradurrionedepredicamentideAria, Storiledouee'dicecheessendohuomoconsulare,et n o n atto à la guerra ,cercherebbe di instruire i fuor Cittadiniconladottria; chenonfperaudmeri faremanco,neejeremenoutileàquegli,insegnan dolorol'aridelagrecafapientia,che 2 e 2   non siparlamaitantosicuramente,necontantai facilità,a setunonmicredi,pontrenteaquesti. chetuconosci,chedannooperaàlalingua.latina, chequandoe’uoglionoparlareinquellaèparpro-, priocheeglihabbinoàaccattareleparole,contan-> tadificultà,etantoadagiofauel'ano.G. Tudi; ilnero,maquestodeRomanifucertamenteunmo) dobelissimo,àtradurenellalingualoro,dimolte cosebele;acciochechedesiderauaintenderlefuf seforzatoàimpararla, cosielaueniseàfpar-, gersipertutoilmondo.A. Enonfecionsola mentequesto;mainmentrecheétennonol'impe riodelmondo,eilafaceuanoancoraimparareàla maggiorpartedelorosudditiquasiperforza. G. Et comefaceuano? A.Haueuanofattoperlegge, chequalseuolesseimbasciaderenonpotesseellere uditoinRomaseeinonparlauaRomano, oltre àquestochetutelecauseche > perlaqualcosatutiNobilidiqualsiuogliare grone,& tuttigliAuuocati,& tuttiiProcura forieranoforzatiadimpararla.G. Oiononmi marauigliopiucheRomadiuentassesigrande,fe. teneuandiquestimodinel'altrecose. A.Diquelo nonuoloragionarti,perchelecosebellechecausa noditutoilmondo,nefannochiaratestimoniázs:  11 EMA 3 siagitauanoinqual a fiuogliapaese,sotoiloroGouernatori,& turtii i procesisidouessinoscriuereinlinguaRomana; F irü   .nessunochescrineseinEgittio,ne. GrecochescriuefleinHebreo,neLatino(comeio t'hodeto)chsecriueffeingreco,f& e purecen’e's nostatisonopochissimi,G.Odondehannocauato aduncheiToscaniquestausanzadiscriuereingră matica,perdireamodotun A. Daloinordi natoamorproprio,n o n delapatria,òdellalin gualoro,imperòchecofifacendo,fisonocredutief Jerestatitenutipiuualenti   àchiunqueleconfidera.G. Ocostume'uerämen telodeuole,òCittadiniueramenteamatoridellapa trialoro.A. OquestocostumeGiustononfuso lamentedeRomani;madituttelealtregenti:cer capurequantotuuoi,chetunontroueraiquasi maiHebreo mequelMedico cheiobaueuagia?ilqualeperpa rore dotto,mi ordinaua certe ricctte con certinomi tantodifusati,chemifaceuonmarauigliare,infra lealtreiomi ricordounamattina chemiordinòno sochericetaperquelapostemationfeaicheroheb bi,doue infral'altrecosene n’entrauauna,chee' chiamauaRob,un'altraTartaro,e un'altraAl tea,perlequalimicredettiiochebisognasseman darepereseinquesteIsolenuouega porlunaera. Sapa; l'altraGrommadebotte,conl'altraMal ud.A. OtulhaipropriodettoGiusto,concofil mondo,fetuconsideribene,nonèaltro,tutto,che unaciurma,maferToscaniattendefinoatradur. N . G. Chefannoe',co > 2 2   relefcientienellalorolingua,10nonfodubbioalcu no,cheinbreuissimotempo,elauerrebbeinmag giorreputationecheelanonè,percheefiuedeche zao bontà gliauuienesolamenteperlabellez.   2 me elapiacemolto,G ehoggimoltoatesadefide rata,& questo fuanaturale,laqualcosanonconoscen doiforestieri,bensepessocoluolerlatropporipulire laguastano,ondeauuienproprioàlei,comeà unadonnabela,checredendosifarpiubellaconil lisciarsi,piufiguasta.G. Ocomepuoauueni-. requesto? A. Dirottelo,mentrecheecerca noperfarlapiuornata difareleclausulesimilia quelladelalatinaevengonoàguastarequelasua facilità& ordinenaturale,nelqualeconsistela bellezzadiquella, oltreaquestopiglierannoal cuneparolenfatequalcheuoltadalBoccaccio,òdal Petrarca,benchedivado,lequaliquantomancole trouanousatedaeßi,tantopaionolorpiubele;co efarebbongouari,altrefi,fouente,adagiare,fouer chio,& fimili, perchee'nonhannopernatura neiluerosignificato,neiluerofuononell'orecchio, lepongonquasiinogniluogo@bene spesofuor dipropofito,& cofileuengonoàtorelasuabel lezzanaturale.G. 1odubitochefee'nonglisan noimmitareinaltro,e’nonsipossadirelorocome disePippodiferBruncllescoàFrancescodela Luna,cheuolendosiscufared'unoarchitrame,ch'e   olihaueuafattosopralaloggiadegl'innocenti, chelaruvigneinsinointerra,coldirechel'haueua CauatodeltempiodesanGrouanni,glirispose,tu, l'haiimitatoappuntonelbrutto.Maselalinguae diquellaperfettionechetudizdondeuiene,chemot tidiquestiliteratibiasimantantocoloro,chetra duconoqualcosainquela? A :Etconcheragio mi? G. Diconchelalinguanonèatta,nedegna chesitraducainleicosesimil,& chesitoglielo vodiriputatione,& auxilisconsimolto. A. Tut telelingupeerleragionicheiotidißidianzi,sa n o a t t e a d e s p r i m e r e i c o n c e t t i, G i b i s o g n i d i c o l o socheleparlano;& quandopureelefußınoal trimenti,queichel'usanolefanno,sichenonmial. legarepiuquestascusa,cheelanonuale.G. O qualcagioneadunchepuoesere,cheglimuonaa direchelecoseche   liscono, fitraduconoinuolgarefiauui & perdondiriputatione?A. Quellache iotidissil'altrogiorno,cheeracagioneditantial trimali,malainuidiamaladetta,e ildesiderio ch'eglihannodeesertenutidapiudeglialtri. : G. Certamenteiocredochetudicailnero,perche iomiricordocheritrouandomiaquestigiornidoue eranocertilitterati,& dicendounocheBernardo SegnihaueuafattouolgarelaRhetoricad Aristo tele,unodilorodise cheeglihaueuafatoungran male;& domandacodelaragionerispose,perche:   enoistabene,ch'ogniuoloarehabbiaasaperequel lo,che un'altrofiharaguadagnatoinmoltianni congranfática;supelibrigrec.latini. A.O paroledisconuenienti.Iononnodirfolamentea u n C h r i s t i a n o ,m a a c h i u n c h e é h u o m o , s a p e n d o c h e quantonoisiamoobligatiadamarciascunocagio uarcl'unàl'altro,etmoltopiual'animachealcon poalaqualenonsipuofarmaggiorbenechefaci kitargliilmododelointendere.G. Maftafalda emiricordachediconoun'altracosa.A. Etches G.Diconochelecosechesitraduconod'unalingua inun'altra,nonhannomaiquellaforzanequella bellezza,cheelehannonellaloro. A. Eleron hannoanchequellanellaloro,chel'hannonel’als tre,percheognilinguahalesueargurie,& lefue. capresterie, laToscanaforsepiuchel'altre,et chinenuolsedere,leggadoueDāte,òrlPetrarcha handettoqualcosachel'abiaanchoradetoqual che Poetagreco,òlatino,etuedràchepassaronlor dimoltevolteinnāzi,etcherarissimifonquelliche Jonrimasti.adietro.G. Si,maneletradutionifa debbeattēderepiualsensochealeparole.A.1056 chesitraducepercagionedelesciēze,etnõperue. derlaforzaèlabellezzadellelingue,etse'non  gr | fur fecofiiRomani,cheteneuonlalorlinguaperlapru belladelmodo,nöharebbonotradottolecosediMa goneCartaginese,& dimoltialtrinelaloro,nei   nonlofaperaltro,senonpen chelecosefueessendoconferuaredallelettere,che non uengonmenoleuoci,fienointesedatuttoil mondo G. Tugiudicheadunchecheilcondurre lescientienelanostralinguafiabenee?Ai An ziaffermochenonsiposafarcosapiautilenepin lodeuole,perchelamaggiorpartedeglierrorina  • sconodal'ignorantia,& douerebbonoiPrincipiat tenderci,conciòsiachesienocomepadridepopolis Etalpadrenons'appartienesolamente  Grecfimilmente chfeurontantsouperbi,& tan 92 tofiuanaglorianadellaloro,chechiamanontut tialtrebarbare,quelledegliEgittij;odeCaldei. Nientedimancoesidebbecercareneltradurre oltreal'eferfideledidirlecosepiuornatamente chesepuo,eoperòènecesarioaunochetraduce Saperbenel'unalingual'altra,G dipoipoffe derbenequelecose,òquelescientiechseitraduco 30,perpoterledirebeneGornatamentesecondo imodidiquellalingua,percheàuolerdirelecose inunalinguaconimodidel'altre,nonhagratis alcuna,da sequestofioferuaffe,iltradurenonfaa rebbeforsetantobiasimato- G. E diconooltredi questochesifacontroal'intentionedel'authore. A. O comepuoesserequestochesifacontroàl'in tentionedellauthore.A. Ocomepuoessereque Stosechiunquescriue gouernare ifigliuoli,mainsegnarloro coregerli, seno   2 STŮ VINbyCo. 93 noglionfarquestoditutelecosee'douerebbonals mancofarlodiquele chesononecessarië 2 e .G.Et qualisonqueste? A. Leleggi,cosilediuineco melehumane. G. Etcheutilitàarecherebbeque stoaglihumani?A. Comecheutilita!quantofa rebbonoeglinpiuamatori& piudefenforidele coseappartenentialaReligioneChristiana?sele cominciasinoàleggeredaputi,etdimaninma nofiesercitasinoinquele,comefannogliHebrci; laqualcosanonsipuofare,nonlehauendobentrở dotteinuolgare,& beneacconcie:G Nonma rauigliafeglihebreifannotutisiben'parlaredel lecosedelaleggeloro,òuadinsiàuergognarei Christiani,cheinsegnonleggeredilorofigliuoli òinsuleleteredimercantia,òınsucerteleggende danopoterimpararuisucosanessuna;doueedoue rebbonolaprimacosainsegnarloroquello,cheap partieneal'esereChristiano,sapendochequeleco sechesimparanoneprimianni,sonoquele,chesi ritengonosēprepiuchel'altrenellamemoria.A. Etoltreaquesto,conquantapiureuerentia, attentionesisarebbeàgliuficidiuini  see's’inten defequelchedicono.G. Certamentechequesto èuero.A. Dimmiconchediuotione,òconcheani mololodanoglihuominiIddio,nõintendendoquel chesidicono,tufaipurilfauellaredeleputte,ca depapagalinonsichiamafauellare;mammita   gratiadisam Girolamochetraduseloroognicosainquellaline gua;comeueroam.storedellapatriafunt.G. Cene tamenteAnimimia,chequestainaopinionemi piacemolto.A. Ellatipuòpiacerecheelaé'an choradiPauloApostolo, chescriveàCorintiche doueuonoancoresidirealcuniloroofitijinhes breo,com.diroloidiora Amen,sopralabenedition uostra,seeglinonintendequelchesidice che fruttonecauerae’mu? G. o dachevenne adun que,chequandoquestecosefuronocanatelaprima uoltadihebreo,elenonfuronomoffeinvolgare? A. Percheall'horaperlamescolanzadelemolte gentiBarbare,cheeranoinqueitempiperlaItas tia,noncieraaltralinguachelalatina,laqualefuf seintesa,quafipertutto,Guedichee'nonsitrous  fcrituraalcunadiqueitempifenoninquestame  tionedisuonosolamenteperchee'nonintendono quelcheesidicono(conciosiachefanelareproa priamentesiaesprimereparole,chefagnifichinoi conceti,quello,cheintendecoluichefanela) adunqueilnostroleggere,òçantaresalmi,nonin tendendoquelchenoicidiciamo,èsimileaungrac chiarediputte,ècinguettaredipapagallinesoia ritrouarealcunaaltrareligionechelanostra,che tengaquestimodi,imperòchegliHebreilaudande noiddiainhebreo,i Greci,ingreco;iLatini; inlatino,conglisciauoniinistiauone, 2 ; .   0. ' 95 . wolgare,cosilesacrecomeleciuili.A. Dala maritiadePreti, defrati,chenonbastandolos roquellaportionedelledecimechehaueuaordina, toloroIddioperlegge,àuoleruiuertantofurtuo: Jamentecomee'fanno,celetengonoafcolecce deuendonoàpoco poco,comesidiceàminuto, inquelmodo,peròchee'uogliono,spauentandogli huominiconmillefalfiminacci,iqualinonsuonan cosinelaleggecomeegliinterpretano',dimas nieracheeglihannocanatodimarioà pouerises colaripiuchelametadiquel >  desima,chseonolecosesacre,maquestobastu,circa àleleggidiuine.Veniamohoraalehumanefe ele, fonoquellechehannoàregolareglihuomini,& secondol'arbitriodellequalisidebbeuiuere,perche hannoelenoaesereinunalingua,chesiintenda perpochi?IRomanichelefeciono,& n'ebbonotā tedaGreci,nonlefecionperòinaltralinguache laloro;& cofisimilmenteLigurgo,Solone,& gli altri,chedettenoleleggiatuttala Grecia,nonle fecionperòinaltralingua,cheinquelacheusana noipopoliloro.G.O s’elefonocosinecessarie cometudi,dondeuienėcheelenonsitraduconoin che eglihaueuano. G. Eh questoèunmalechemiparechesidia nonsolamenteàisacerdoti,ma aognuno,anzi noncehnomchepensiadaltrofenoninchemodo &potefjecauareedánaridelescarfeled'altri,e    sto 96  metterglinelasua,egliebëuero,cheiPretieFra ti,egoiNotaichelofannoconleparolesonpiuuse lentideglialtri. A. Ehimeenosarebbeuenuto lorfatrocosiagevolmente,seglihuominihanesi nohauutopiucognitione delescrituresacre, chee’nonhanno.Etlacagionechenonfitraduco no l'humane,èfimilmentelampietàdimoltidotto rij@ auocati,checiuoglionuenderelecosecommu ni,& perpoterlofarmeglio ,hannotrouatoquesto belghiribizzo,cheicontrattinonsipoßinfarein uoloare,misolamenteinquelalorobelagramma tica,chelaintendonpocoeglino,comancoglialtri; somemurauigliocertamente,cheglihuominihat binmaisopportatotantouna cosasimile,sotola qualesipuofaremilleinganni. G. Etchee'non senefaforse,esarebbemoltopiuutile,cheefifaces finonellanostralingua,perchel'huomointende rebbequelchee'facese,& cosiitestimoniquello cheeglihannoàtestificare& vorrebbonouederlo fcriuereal'hora,nòchepigliaßinoinomisolamēte, etpoilodestēdesinoinsulprotocoloàloropiacimë to,mettendoàogniparolaunacetera,chesecondo me nonèaltroch'ununcino,dovenon intendendo quelchefifaccino,bastalorosolamentediresi,ego nonpensanoaleconditionichespessouisicomprë dono;dondenasconopoimillepiatt.A , Etper questomicredoiochelofacino;ondetiuodirque    ' G47 totu uuoi.M a dePreti,ede Fratinon udio gia chetudicamale;perchesecondocheiohointeso purdaloro,enons'appartieneàisecolari,ilripren dergli ftochenoinon cipoßiamomancodoleredeSacere dotic,ordegli Auuocati,chesifarebbonoisuddi tidiqueiPrincipi,cheuolesinucderelorol'acquç GilSole.G. Diquestitilasceròiodire . A. Eccounadiquelleopinionicheficre deilmondoessereuera,pernonhauerl'intendimen todelleleteresacre.Dimmiunpoco,nonsiamonoi tutifigliuolidiDio,e conseguentementefrate. glidiChristo? G. Sifiamo. A. Etifrategls nonsonoequaliinquantofrategi? G. Sisono. A AdunqueancoranoicomeChriftianifi gliuolidiDio,fiamoequali,e àl'unfratelos'ap partieneriprenderel'altro.G. Corestoèuero;ma eglihannoquelladegnitàdelsacerdoria,cheglifa piudegnidinoi.A. Oqualpuoesseremaggior dignitàchel'eserefigliuolidiDio;uuoitucheilmi norlumecuoprailmaggiore?eglièmaggiordegni tàl'efferChristiano,chel'eferSacerdote,òPrin. 2 cipe,iqualisonoofituidatidaDio,& fannogli huominiministridiDio,tusaipurecheeglièpiues ferfeigliuolod'unprincipe,cheesseresuominifiro. G. Adunque iosonodapiucheilPapa.A. Que stonò;cheeglièprimieraměteChristianocometes i n questonoisiateequali;mapoiperesesreta   toeletoparticularmětedaIddio,persuominiftróz eglivieneaesereinuncertomododapiudite,per laqualcosatudebbihonorarlo,cometuomaggiorez manonperquestoperòtièprohibitodipotereriprē dereglierrorichee'fa,c&ommettecomehuomo, e comeChristianopurch'efifacia,conquellari uerentiacheinsegnalacaritaGloamoredelprof fimo,etchequestosiailuero,tunehailoesempioin PauloApostolo,ilqualedicecheripresePietro,che erafuomaggiore,percheeglierariprensibile subitoòeglimiraculosamětecadeuamor to,òeglin'eraportatodaDrauoli farebbedafarlorocomequelsoldato,che hauendotoltoàunFratelametà dicertopanno, cheeglihaueuaaccattatoperueftirsi,etminaccian doloilFratedirichiedergliloildidelGiuditio,gli tolequelresto;dicendo;poicheiohotantotempoà pagarlo,iouoglioancorquest'altro  .G. Inueritachequestatuaopinionenonmidispiace, maiononuogiadırlazpercheoltreàl'autoritàegli hannoancoralaforza,& fannodipoiconl'arme, ueggiēdochenonuaglionpiulorolescommuniche; comenellaprimitiuachiesa;chequädoeimaledina nouno,di senonhaueßinoaltrearmi te che cheleloromala ditioni,e .G.Ehime,che nonpossonoancorfaredeglialtrimiracolich'eifa Ceuano. A. Benlodises.Thomasod'Aquino quandoessendoglidettodaPapaInnocētio,cheha .A. Certamen e '   OK gustatopartequádoe'furapito elterzeÇıelo)dicellechenodesiderauaaltro,che  2 Heuaunmontedidanariinnanzi,& contauagli; TuuediThomaso,laChiesanopuopiudirecomeel ladiceuaanticamente;Argentum& aurumnon eftmihi,Eglirispose;Ne anchefurge etambula.G . . Otufaitantecoseanimamia,chetumifaiueramë temarauigliare,& seimoltopiudotta,etpiuualen te;cheiononcredena;ma dimmiunpoco;comehai tufatoàsaperlesẽzame;chemihaipurdetto,che noisiamounacosamedesima,etchementrechetu seiunitamecononpuooperarefenoninme?A.O Giufto,quesatarebbe cosatroppolungt;10uoglio chenoiindugiamoaunaltrauolta,cheeglègiadi, tempochetunadialefacendetueG. ohime. tudiiluero,egliedichiaroaffatto,ohcomepaffa uiailtempochel'huomononseneauueddequando sefa,òsiragionadiqualcosachepiaciaaltrui.  V andoio considero taluota meco med RAGIONAMENTO   IH   FRA   cosmo  BÀRTOLI  E  GIOYAN  BATISTA  GELU   SOPRA  LE  DIFFICOLTÀ  DI  NEHERE  IN  REGOLE   UL  NOSTRA  UNCSVA.    25    J    AL  MOLTO  REVERENDO   MESSER  PIERFRANCESCO  6IAHBULLARI    amico  SUO  canssuno    GIOVAN   BATISTA    GELLI.    Da  poi  che  voi  volete  pure,  messer  Pier  Francesco  mio  onoratissimo,  che  io  vi  racconti  il  ragionamento  stato  tra  messer  Cosimo  Bartoli  ^  e  me  quello  stesso  giorno  che  voi  novamente  fusto  rieletto  nel  numero  di  quegli  uomini  che  debbono  riordinare  e  ridurre  a  regola  la  nostra  lingua  fioren-  tina; ed, a  gli  amici  non  si  può  né  debbo  negare  cosa  alcuna  che  giusta  sia,  mi  sono  risoluto  in  tutto  porlo  in  iscritto,  ma  semplice  e  puramente  come  e'  nacque  allora  in  fra  noi ,  e  a  guisa  pure  di  dialogo,  a  cagione  che  e  la  cosa  sia  meglio  intesa,  e  si  fugga  il  lungo  fastìdio  di  quella  tanto  noiosa  re-  plica: disse  egli,  e  risposi  io.  E  perchè  voi  sapete  come  noi  altri  la  occasione  in  su  che  egli  è  nato,  senza  replìcarvela  ora  altrimenti,  dico  solamente  che  usciti  de  la  Accademia  accompagnando  messer  Cosimo  a  casa  sua,  sopraggiuntovi  da  la  sera,  e  desiderando  fuggire  quella  crudezza  de  Farla  che  comunemente  apporta  la  notte,  passammo  in  casa,  e  appressò  ne  lo  scrittojo.  Dove  ragionando  di  varie  cose,  e  eadendo,  non  so  in  che  modo,  in  su  quello  che  si  erd  il  di  fatto  ne  l'Accademia,  voltatosi  messer  Cosimo  a  me,  riguarda-  tomi alquanto,  cominciò  sorridendo  a  dirmi  cosi  :   BariolL  Io  ho  bene  assai  chiaramente  conosciuto  oggi,  GeUo  mio  caro,  esser  sommamente  vero  quanto  disse  il   '  Cosimo  Bartoli,  contemporaneo  del  Gelli ,  fu  uomo  di  molta  dottrina  e  di  molta  fama  a' suoi  tempi.  Fu  ambasciatore  per  Cosimo  I  alla  Repubblica  di  Venena.  1a  c^ere  die  lasciò  son  degne  di  escer  tenute,  pia  che  non  si  fa,  in  pregio.    292  mAGIONAMBNTO  INTORNO  ALLA  UNGOA.   diyinìssimo  nostro  Dante  in  persona  di  Adamo  nel  XKYI  del  Paradiso:   Che  nullo  effetto  mai  razionabile,  Per  lo  piacere  uman ,  cbe  rinovella  Seguendo  il  cielo,  fu  sempre  durabile.   Gonciossiach'  io  ho  veduto  dispiacerti  oggi  si  fattamente  ciò  che  Fanno  passato  tanto  ti  piacque,  che  con  ogni  tao  stu-  dio e  ingegno  hai  pur  fatto  quasi  che  forza  di  non  esser  di  nuovo  eletto  in  quel  piccol  numero  e  scelto,  che  debbo  ordinare  e  formare  le  regole  di  questa  lingua  ;  non  per  vie-  tare o  tórre  ad  alcuno  la  libertà  e  la  facoltà  di  parlare  e  di  scrivere  a  senno  suo,  ma  solo  perchè,  essendoci  alcuni  Accademici  assai  differenti  ne  la  pronunzia  e  ne  la  seri  tia-  ra ,  chi  vorrà  pure  apprendere  la  vera  e  natia  lingua  fioren-  tina, abbia  almanco  dove  ricorrere  a  vedere  il  modo  e  la  forma  de  V  una  e  de  V  altra  cosa  comunemente  iisata  in  Fi-  renze. Il  che  nascendo  pur  da  sincerità  di  mente  e  da  de-  sio di  giovare  altrui,  non  può  essere  giustamente  se  non  lo-  dato. E  perchè  le  «ose  degne  di  loda  si  debbon  sempre  far  volentieri,  non  so  io  veder  la  cagione  che  ti  abbia  fatto  cosi  fuggire  una  impresa  tanto  onorata.  Ricordandomi^  averti  sentito  più  volte  dire,  che  tu  porti  si  grande  amore  a  questo  nostro  parlare,  il  quale,  quando  egli  è  favellato  puro  e  senza  mescuglio  di  forestiero  ne  la  nostra  pronunzia  propria,  ti  pare  si  bello,  che  tu  non  puoi  in  maniera  alcuna  credere  o  ima-  ginarti  che  e'  fusse  più  beilo  udire  o  Cesare  o  Cicerone  o  qoal  altro  Romano  si  sia ,  che  alcuni  di  veri  e  nobili  citta-  dini di  Firenze,  i  quali  per  la  loro  grandezza  abbino  avuto  il  più  del  tempo  a  trattare  di  cose  gravi ,  e  a  mescolarsi  poco  col  volgo,  che  ha  lingua  molto  più  bassa  e  parole  tìIì  e  plebee  :  dove,  per  V  opposi to,  costoro  hanno  parole  scelte  e  fa-  cili, che  oltre  a  la  naturale  dolcezza,  di  questa  lingua,  ap-  portano un  certo  che  di  grandezza  e  di  nobiltà  ;  e  massima-  mente quando  essi  parlatori  hanno  atteso  a  le  lettere,  eser-  citandosi ne  gli  studj,  come  ne'  tempi  de  la  tua  fanciallezza   *  Qnesto  periodo  soTercfaiamente  lungo  è  guasto  andie  per  questo  gerundio  ;  invece  del  quale  dicendosi  ricordami,  tornerebbe  meglio.    BÀ6I0NÀÌIB1IT0  INTOBNO   ALLA  UNtìUA.  293   erano  Bernardo  Bucellai,  Francesco  da  Biacceto,  Giovanni  Canacci,  Giovanni  Corsi,  Piero  Martelli,  Francesco  Vettori  e  altri  litterati  che  allora  si  raganavanoaTorto  de'Rncellai,  doye  to,  quando  ponevi  tal  volta  penetrare  io  maniera  alca-  na,  stavi  con  quella  reverenza  e  attenzione  a  udirli  parlare  tra  loro,  che  si  ricerca  proprio  a  gli  oracoli,  E  di  più  mi  ricorda  ancora  averti  sentito  dire  che  andavi  si  volentieri,  quando  ci  venivano  ambasciadori,  a  udirli  fare  V  orazioni,  essendo  in  qoe'  tempi  usanza  che  parlassino  la  prima  volta  pubblicamente.  Di  che  sopra  modo  ti  dilettavi,  si  per  la  dif-  ferenzia che  tu  senlivi  tra  le  lingue  loro  e  la  nostra,  e  si  per  udire  la  maniera  de  le  risposte  che  si  facevano  o  per  il  Gonfaloniere  che  fu  un  tempo  Piero  Sederini,  o  per  il  segre-  tario de  la  Signoria,  che  era  messer  Marcello  Virgilio,  uo-  mo non  meno  elegante  e  facondo  ne  la  nostra  lingua  che  ne  la  latina,  e  non  manco  bel  parlatore  che  si  fosse  Pier  Soderini.  Sovviemmi  oltre  a  questo,  che  vivendo  Ruberto  Ac-  cia joli  e  Luigi  Guicciardini,  andavi  spesso  a  starti  con  lo-  ro, dii;endo  che,  oltra  i  dotti  ragionamenti,  essendo  e  T  uno  e  r  altro  litteratissimi,  ti  pigliavi  si  gran  piacere  de  lo  udir-  gli favellare,  parendoti  che  e'  si  fusse  cosi  ben  conservata  in  loro  la  grandezza  e  la  bellezza  di  questa  lingua.  De  la  qual  cosa  lodi  ancor  oggi  Jacopo  Nardi  per  le  lettere  che  e'  ti  scrive  ;  e  messer  Francesco  Vinta,  agente  ora  de  lo  illustrissi-  mo ed  eccellentissimo  Duca  nostro  appresso  la  eccellenzia  del  signor  don  Ferrante  Gonzaga ,  parendoti  (  secondo  che  tu  affermi)  che  egli,  ancora  che  Volterrano,  scriva  in  quella  pura  e  sincera  lingua  fiorentina  che  tu  hai  sempre  tanto  pregiata.  Queste  cose,  Gello  mìo  caro,  per  parermi  tutte, con-  trarie a  quanto  oggi  ti  ho  visto  fare,  mi  inducono  a  maravi-  gliarmi si  grandemente  di  questa  tua  mutazione,  che,  se  non  eh'  io  considero  che  tu  sei  uomo,  cioè  variabile  e  mutabile  come  è  la  natura  di  tutti,  io  non  saprei  quello  che  avessi  a  dirmi  di  te,  se  non  (parlandoti  piacevolmente  e  liberamente,  come  noi  sogliam  fare  insieme)  che  tu  medesimo  non  sai  ancora  quello  che  tu  ti  voglia.   Gelli.  Messer  Cosimo  mio  carissimo,  voi  mi  siete  venuto  a  dosso  improvisamente  col  principio  d' una  orazione  tanto   25»    294  KAGtOHAHUITO  IMTOKIIO  ALL4  UK«UA.   consideraia  e  cosi  bene  affortificata  da  tante  praoTe,  ehe  io  non  80  qoasi  donde  avenni  a  pigliare  il  Inogo  o  la  via  da  poter  rispondere.  Tattavotta,  concedendoTÌ  quello  che  è  da  concedere,  cioè  che  io  sono  umuo,  la  natora  de'  quali  non  è  fidamente  yariabile  e  matahile,  come  yoi  diceste,  ma  e  tanto  sottoposta  e  atta  ad  errare,  come  voi  forse  voleste  dire  e  per  modestia  non  lo  diceste,  che,  si  come  canta  la  santa  Chiesa,  ogni  nomo  è  mendace  e  pieno  di  errori  ;  e  negan-  dovi, per  Topposito,  ciò  che  è  da  negare,  cioè  che  tale  mala-  mente sia  nato  in  me  dal  non  sapere  io  medesimo  quello  che  io  mi  voglio,  vi  rispondo,  per  isgannarvi,  che  se  mai  approvai  per  vero  quel  detto  che  Umvìo  dMe  mnUar  proposito^  lo  ap-  provo ora  e  tengo  verissimo;  poiché,  eletto  io  ancora  lo  anno  passato  (come  voi  dite)  a  dare  regola  a  questa  lingua,  co-  minciai a  considerare  la  cosa  miAio  più  diligentemente  che  io  non  aveva  fotte  sino  a  qnell'  era.   Bartoli.  Egli  è  il  vero  che  questo  detto  è  molto  spesso  in  bocca  a  quegli  uomini  che  pare  che  abbino  qualche  qua-  lità più  de  gli  altrL  Nientedimanco,  se  e'  si  considera  bene  il  significato  di  questo  nome  Sapiente,  non  pare  a  me  che  e'  si  debbia  cosi  approvare  questo  motte  come  tu  di'.  Perchè,  non  volendo  dire  altro  lo  esser  savio,  che  le  avere  una  vera  scienzia  e  certissima  cognizione  de  le  cose,  a  chi  è  savio,  perchè  egli  ha  di  già  conosciate  il  vero  essere  di  quelle,  non  accade  mutar  proposito.  Perchè  il  mutarsi  conviene  so-  lamente a  colui  che  senza  aver  conosciuto  0  vero,  rùsolutosi  troppo  tosto,  vede  poi  finalmente,  o  per  sé  e  per  T altrui  am-  maestramento, di  avere  errato  ;  e  non  volendo  mantenersi  nel  preso  errore,  è  costretto  a  mutar  proposito.   OeìU.  Voi  dite  il  vero.  Ma  il  conoscere  perfettamente  la  verità  de  le  cose  non  è  si  agevole,  come  voi  forse  vi  imagi-  nate  :  anzi,  per  il  contrario,  è  tanto  difficfle,  che  alcuni  filo-  sofi usaron  dire  che  di  ciò  che  dicevan  gli  uomini  non  era  vera  cosa  alcuna  ;  ma  che  quello  che  e'  chiamavano  vero,  era  quel  che  pareva  loro.  De  la  quale  opinione  non  è  però  da  curarsi  molto  ;  si  perchè  e'  si  leverebbon  via  tutte  le  scienzie  ;  e  si  ancora  per  averla  e  dottamente  e  argutamente  riprovata  e  annullata  Aristotile  col  dire  che  non  essendo  vera    BAGIONÀMBNTO  INTORNO  ALLA  LIN«OA.  295   cosa  alcuna,  veniva  ancora  similmente  a  non  esser  vero  qael  che  dicevano  eglino.  Sì  che,  se  bene  si  paò  chiamare  solamente  savio  chi  conosce  le  cose  secondo  il  vero  esser  loro,  e'  non  è  però  inconveniente  che  a  questi  tali  ancora  bisogni  a  le  volte  mutare  proposito,  se  non  per  il  non  aver  conosciuto  la  verità,  per  la  occasione  almanco  de' tempi:  i  quali  continovamente  vanno  si  variando  tutte  le  cose,  che  assai  manifestamente  si  vede  esser  tal  volta  bene  il  fare  uno  effetto  in  un  tempo,  che  in  un  altro  non  è  ben  farlo.  Benché  questa  non  è  propriamente  la  causa  per  la  quale  io  ho  mu-  tato proposito  ;  ma  solamente  lo  aver  considerata  la  cosa  molto  più  che  io  non.  ave  va  prima,  e  lo  averla  discorsa  fra  me  medesimo  molto  più  diligentemente  che  in  sino  al-  lora.   Bariolù  E  con  quali  ragioni  ?  Perché  io  so  molto  bene  che  il  discorrere  non  è  altro  che  una  esamina  che  fa  sopra  le  cose  quella  nostra  parte  superiore ,  da  ia  quale  noi  acqui-  stiamo il  nome  di  animali  ragionevoli ,  considerando  non  meno  ciò  che  fa  per  una  parte,  che  tutto  quel  eh'  appartiene  a  V  altra.   GeUù  Le  ragioni  e  le  diflicultà  che  non  solo  mi  hanno  fatto  levar  via  V  animo  da  questa  impresa ,  ma  ancora  giu-  dicarla quasi  impossìbile,  sono  e  molte  e  molto  potenti;  e  quanto  più  vi  pensava  intorno,  più  mi  se  ne  offerivano  sem-  pre a  la  mente  de  V  altre  nuove.  Di  maniera  che  io  posso  dire,  che  e' sia  avvenuto  propriamente  a  me  in  questa  cosa,  come  avviene  a  chi  vede  da  lontano  una  torre  o  altra  cosa  simile  ;  che  quanto  egli  la  riguarda  più  di  discosto,  tanto  gli  pare  minore  e  più  bassa;  e  dipoi,  appressandosele,  quanto  più  la  guarda  da  presso,  tanto  gli  apparisce  continovamente  maggiore  e  più  alta.  Cosi  ancora  io,  mentre  che  io  stava  lontano  al  mettere  in  atto  questa  formazione  de  le  regole,  me  la  imaginava  piccola  cosa  ;  ma  quando  poi  tentammo  porla  ad  effetto,  quanto  più  la  considerai,  tanto  più  mi  parve  difficile.  Imperocché,  dovendo  principalmente  esser  questa  opera  d'una  Accademia  Fiorentina,  mi  si  appresentava  subito  a  l' animo,  che  e'  bisognava  che  ella  fusse  con  tanta  arte  e  con  tal  dottrina,  che  gli  uomini  non  avessino  a  dispreizarla.    !   296  BAQIORAUSNTO  INTORNO  ALLA   LINGUA.   e  ridendosi  di  noi  e  di  quella,  dire  con  Orazio  in  nostra  ver-  gogna:   Parturient  tnontes;  nascetur  ridieuhu  mtu.   Sovveniyami  dipoi,  che  questo  nome  di  Accademia  era  per  generare  ne  gli  animi  de  le  persone  una  espettazione  tanto  grande,  che  e'  sarebbe  al  tutto  impossibile  il  corrispon-  derle:  laonde,  ove  egli  è  consueto  non  solamente  scusare  gli  errori  che  qualche  volta  si  riconoscono  ne  le  composizioni  de'  privati,  ma  difendergli  arditamente,  affermando  che  chiunque  opera  merita  di  esser  lodato,  in  questa  nostra  im-  presa comune  avverrebbe  tutto  V  opposito.  Perchè  i  fore-  stieri, che  ci  vogliono  esser  maestri,  per  far  vero  il  detto  del  vulgo  che  t  più  dotti  manco  sanno,  si  porrebbono  con  ogni  industria  a  cercar  di  attaccar  lo  uncino  ;  e  gli  errori,  ancora  che  minimi,  chiamerebbono  sempre  gravissimi.  E  il  farla  in  ogni  sua  parte  con  tanta  considerazione,  che  alcune  cose  non  potessino  esser  chiamate  da  molti  errori,  credo  che  sia  al  tutto  impossibile.   Bartoli,  O  questo  perchè?   Getti.  Per  la  diversità  de'  nomi  e  de  le  pronunzie  che  si  traevano  per  le  città  di  Toscana  ;  ciascuna  de  le  quali  pre-  giando più  le  sue  cose  che  quelle  d'altri,  stimerebbe  e  ter-  rebbe errore  quello  che  in  Firenze  sarebbe  regola.  Ma  per  meglio  esplicarvi  ancora  questo  capo,  mi  bisogna  comin-  ciarmi da  un  altro  principio.  Ditemi  chi  fa  l' una  l' altra;  o  le  regole  le  lingue ,  o  le  lingue  1q  regole?.   Bartoli.  £  chi  non  sa  che  le  lingue  fanno  le  regole,  es-  sendo quelle  innanzi  che  queste;  e  non  essendo  fondate  queste  m  altro,  né  avendo  altra  pruova  che  le  confermi,  se  non  r  autorità  di  esse  lingue?   GeUL  E  da  questo,  essendo  egli  come  egli  è  vero,  nasce  che  e'  non  si  può  far  regola  alcuna  che  sia  veramente  rego-  la non  solo  a  la  lingua  toscana,  ma  ancora  a  la  fiorentina:  e  uditene  la  ragione.  Tutte  le  lingue  del  mondo  sono,  come  voi  vi  sapete,  o  variabili  o  invariabili.  Le  invariabili  sono  quelle  che  non  si  mutarono  mai,  per  tempo  o  cagione  alcuna,  ma  da  quel  di  che  elle  ebbero  principio,  insino  a    BAGIOMÀMEMTO  INTOBMO  ALLA  LINGUA.        297   che  elle  furono  al  mondo,  sì  favellarono  sempre  in  qoel  me-  desimo modo:  come  è  quella  che  gli  Ebrei  stessi  chiamano  sacra,  cioè  quella  de  la  Bib))ia,  la  quale  dal  suo  nascimento  sino  al  di  d' oggi  si  è  conservata  sempre  la  medesima  ap-  punto. E  se  bene  Esdra,  loro  sacerdote,  dopo  la  servitù  ba-  bilonica vi  aggiunse  punti  ed  accenti  per  farla  più  agevole  a  leggere,  non  mutò  egli  per  questo  né  lo  idioma  né  la  pro-  nunzia; laonde  la  mede<iima  lingua  favellano  ogfl^i  tutti  gli  Ebrei,  in  qualunche  parte  del  mondo  e' si  truovino,  che  fa-  vellarono i  loro  scrittori,  e  particularmente  Mosè,  il  quale  è  il  più  antico  che  elli  abbino.  La  qual  cosa  è  veramente  maravigliosa  :  perché,  non  si  mutando  quasi  le  lingue  per  altro  che  per  mescolarsi  que'cbe  le  parlano  con  genti  d'al-  tro idioma,  quale  è  quella  che  dovesse  essere  più  alterata  e  più  variata  che  la  ebrea?  Gonciossiachè  i  Giudei,  dopo  la  cacciata  loro  di  Jerusalem,  sono  già  MGGGG  anni,  senza  regno,  senza  patria  e  senza  luogo  dove  fermarsi,  sieno  andati  continovamente  errando  sino  agli  estremi  fini  della  terra,  e  mescolandosi,  a  guisa  di  peregrini,  con  tutte  le  generazio-  ni che  il  sol  vede  sotto  il  suo  cielo.  E  nientedimanco  quella  lor  lingua  é  per  tutto  quella  medesima.   Bartolù  Ger lamento  che  ella  è  cosa  fuori  di  natura,  e  che  non  può  attribuirsi  se  non  a  Dio.  Il  quale,  avendo  dato  la  legge  in  quella,  e  fattovi  scrivere  tutte  le  cose  sacre  e  divine,  ha  voluto,  per  indubitata  testimonianza  de  la  santis-  sima fede  nostra,  che  ella  duri  incorrotta  sempre.   GeUi,  Di  queste  dunque  si  fatte  lingue  non  occorre  che  noi  parliamo,  essendo  manifestissimo  a  ciascheduno,  che  elle  possono  agevolmente  ridursi  a  regole,  o  pigliandole  da  gli  scrittori  o  prendendole  pure  da  V  uso,  perchè  è  tutt'  uno.  Ma  le  lingue  che  io  chiamai  variabili  non  si  favellano  sem-  pre in  un  modo  ;  anzi  vanno  variando  e  mutandosi  di  tempo  in  tempo,  quando  in  peggii^  e  quando  in  meglio,  secondo  gli  accidenti  che  accaggiono  in  quelle  provincie  a  chi  elle  sono  e  private  e  proprie,  é  secondo  che  e' vi  vengono  ad  abitare  genti  d' un'  altra  lingua  :  come  avvenne,  verbigrazia,  in  Italia,  ne  la  venuta  dei  Gotti  e  Vandali,  a  la  lingua  lati-  na. E  queste  tali,  od  elle  sono  morte,  cioè  mancate,  e  non  si    298  hagionambnto  intorno  alla  lingoa;   parlano  più  in  laogo  alcuno,  ma  si  truovono  solamente  su  pe' libri  de  gli  scrittori;  od  elle  sono  vive,  e  si  parlano  an-  cora e  usano  in  qualche  paese,  come  è,  verbigrazia,  a  Firenze  la  lingua  nostra.  Di  queste  ultime  due  maniere  tengo  io  per  cosa  certa  che  le  morte  si  possine  agevolmente  mettere  in  regola;  ma  de  le  vive,  che  e' non  sia  solamente  difiQcile  il  farvi  regola  alcuna  perfetta  e  vera ,  ma  che  e'  sia  quasi  al  tutto  impossibile.   Bartoli.  £  per  che  cagione?   Gellù  Dirowelo.  Né  voi  né  altro  mai  di  sano  intelletto  mi  negherà  che,  avendo  a  farsi  regole  d' una  lingua,  e'  non  si  deU)a  pigliarle  da  lei,  quando  ella  fu  favellata  meglio  che  in  alcuno  altro  tempo;  essendo  cosa  pur  ragionevole,  quando  si  hanno  a  pigliare  per  regola  le  operazioni  d'una  cosa,  pigliarle  quando  ella  opera  meglio;  il  che  le  avviene  quando  ella  è  nel  suo  perfetto  essere.  E  chi  sarebbe  mai  quello,  se  non  forse  qualche  stolto,  che  avendo  a  pigliare  per  esemplo  le  operazioni  d' un  uomo,  pigliasse  quelle  che  e'  fa  ne  la  puerizia,  quando  i  sensi  suoi  interiori,  per  essere  di  troppa  umidità  ripieni  quelli  organi  ne'  quali  e'  fanno  lo  ufizio  loro,  non  potendo  porgere  a  lo  intelletto  la  facultà  che  a  per-  fettamente operare  gli  è  necessaria,  non  ha  esso  uomo  libero  V  uso  de  la  ragione,  e  vive  più  tosto  secondo  la  natu-  ra, che  secondo  la  mente  sua?  o  veramente  le  azioni  che  egli  fa  in  quella  parte  de  la  vecchiezza,  ne  la  quale  i  sangui,  per  il  mancamento  del  caldo  e  de  V  umido  naturali,  raffred-  dati e  diseccati  più  del  dovere,  non  somministrano  a'  me-  desimi sensi  gli  spiriti  atti  ed  accomodati  a  le  loro  opera-  zioni? Ninno  certamente,  mi  penso  ;  ma  sì  bene  quelle  che  egli  fa  ne  la  sua  età  migliore  :  la  quale  indubitatamente  sarà  nel  mezzo  e  nel  colmo  de  la  sua  vita;  come  poeticamente  lo  mostra  il  divinissimo  nostro  Dante,  dicendo  essersi  accorto,  che  la  vita  nostra  era  una  oscurissima  selva  di  ignoranzia  :   Nel  mezzo  del  cammin  di  nostra  vita  ec.   Bartoli.  Bella  certo  e  dottissima  considerazione.  Ma  sta  saldo,  Gello;  e  prima  che  tu  proceda  più  oltre,  dimmi:  come  si  potrà  egli  trovar  già  mai,  parlando,  come  e' pare  che  la    BAGIONAMBNTO  1NT0BN0  ALLA   LINGUA.  299   faccia,  propriamente  ed  esattamente,  questo  colmo  de  la  vita  e  questo  essere  più  perfetto,  ne  le  cose  generabili  e  corruttì-  bili? Le  quali  si  come  misurate  dal  tempo,  essendo  sempre  in  moto  continolo,  non  vengono  a  stare  già  mai  in  uno  stato  medesimo,  se  non  in  uno  instante  si  indivisibile,  che  e'  non  è  possibil  segnarlo  in  maniera  alcuna  :  per  il  che  viene  a  essere-  più  che  impossibile,  che  e'  vi  si  troovi  dentro  fer-  mezza.   Gellù  Confesso  io  ancora  che  questo  è  vero ,  se  voi  in-  tendete per  la  fermezza  il  mancare^d'  ogni  moto.  Ma  questo  non  è  quello  che  io  voglio  inferire.  Anzi  dico,  che  in  tutte  le  cose  le  quali  dopo  il  principio  loro  salgono  al  sommo  e  sapremo  grado  de  la  loro  perfezione,  conviene  di  necessità  concedere,  avanti  che  elle  comincino  a  scenderne,  un  certo  spazio  di  tempo ;  nel  quale  elle  non  salghino  e  non  ìscendi-*  no,  ma  stiano,  in  quanto  ad  essa  perfezione,  quasi  che  ferme,  e  in  uno  stato  medesimo:  essendo  di  necessità  che  in  fra  due  moti  contrari  si  truovi  sempre  un  po' di  quiete;  perchè  altrimenti,  o  non  finirebbe  mai  l'uno,  o  non  comincerebbe  mai  l' altro  moto.  E  questo  lo  potete  voi  chiaramente  cono-  scere in  un  sasso  tratto  a  lo  in  su  ;  il  quale,  poi  che  con  la  sua  gravitade  ha  superato  la  forza  di  quella  aria  che,  fessa  violentemente  dal  braccio  di  chi  lo  trasse,  correndo  con  grandissima  celerità  a  richiudersi  perchè  quel  luogo  non  restì  vóto,  continovamente  lo  pigne  in  su,  se  egli  non  si  fermasse  alquanto,  non  tornerebbe  mai  a  lo  in  giù.  Goncios-  siachè,  non  si  fermando,  egli  anderebbe  sempre  a  lo  in  su;  e  andare  in  su  e  tornare  in  giù  in  un  tempo  medesimo  (rispetto  a  la  natura  de'  contrari,  che  non  patisce  che  eglino  stiano  insieme  in  un  medesimo  tempo,  in  un  subietto  medesimo)  non  è  possibile.  Adunque  egli  è  necessario  in  tutte  le  cose  che  dopo  il  principio  loro  hanno  accrescimento  e  dicresci-  mento  di  perfezione ,  che  e'  si  ritraevi  tra  V  uno  e  l' altro  nn  certo  spazio  di  tempo,  nel  quale  elle  restino  di  acqui-  starne più,  e  non  comincino  ancora  a  pèrderne:  il  qual  tempo  è  chiamato  da' filosofi  lo  stato,  ed  è  cosa  osservata  molto  da'  medici  ne  le  infermità  umane.  Ma  se  voi  volete  vedere  ancor  meglio  questo  che  io  dico,  leggete  quella  parte  del    900  BAGIONAMBNTO  INTORNO  kthk  LIN6CA.   Convivio  del  nostro  Dante,  dove  e'  tratta  de  la  etÀ  de  V  ac-  ino,  e  resteretene  capacissimo.   Bartolù  Orsù,  sta  bene:  ma  che  vnoi  ta  dire  per  questo?   GeUi,  Yo'dire,  tornando  al  nostro  proposito,  che  non  si  potendo  sapere  ne  le  lingue  vive  quando  sia  questo  loro  stato  e  questo  colmo  de  la  loro  perfezione,  egli  non  si  può  ancora  conseguentemente  farne  regole  perfette  e   intere.  Perchè,  se  bene  e'  si  può  sapere  mediante  gli  scrittori  di  quelle  quando  meglio  che  mai  elle  si  siano  favellate  per  il  passato ,  nessuno  è  però  che  si  possa  promettere  per  il  futu-  ro, che  insino  a  che  elle  non  mancano,  elle  non  si  possino  favellar  meglio,  e  cosi  che  e' non  possino  surgere'  ancora  alcuni  scrittori  che  le  scrivine  molto  meglio.  Come  potete  voi  mai  sapere  quale  sia  il  mezzo  o  lo  stato  d' una  cosa,  de  la  quale,  se  bene  voi  avete  il  principio  noto,  voi  non  potete  però  non  solamente  sapere  quando  abbia  ad  essere  il  fine  suo  determinatamente,  ma  né  anco  imaginarvelo  per  con-  ìetture  ;  come  forse  la  vita  e  de  V  uomo  e  di  molte  altre  cose,  le  quali  quando  sono  arrivate  a  la  lor  vecchiezza,  age-  volmente si  può  farne  la  coniettura  quando  abbia  a  essere  la  morte  loro  ;  non  essendo  però  di  quelle,  a  chi  è  concesso  da  la  natura  il  rinovellarsi, come, verbigrazìa,rerbe  e  le  pianle  la  primavera.  Ma  le  lingue  non  sono  di  queste.  Resta  dunque,  non  si  potendo  saper  lo  stato  de  le  lingue  che  vivono,  che  e'  non  se  ne  possa  ancora  formar  regola  alcuna  ferma  e  vera:  il  che  non  avviene  de  le  già  morte,  come  ne  avete  lo  esemplo  chiaro  ne  la  latina.  Ne  la  quale  considerando  i  gramatici  cbe  ne  hanno  scritto  quale  fusse  stato  il  processo  suo,  e  giudican-  do, come  è  il  vero,  il  colmo  di  quella  essere  stato  ne  la  età  di  Cesare,  Cicerone  e  Virgilio  ;  perchè  ne'  tempi  di  Ennio  e  di  Plauto  si  vede  che  ella  era  ne  lo  augumento,  e  in  quegli  poi  di  Svetonio  e  di  Tacito,  nel  discrescimento ,  fondarono  tutte  le  regole  loro  sopra  il  parlare  di  Cesare,  Cicerone  e  Virgi-  lio, affermando  che  ciò  che  si  dicesse  per  lo  avvenire  ne  la  maniera  de'  sopra  detti,  sempre  sarebbe  detto  bene  e  lati-  namente ,  e  massime  secondo  Cesare  e  Cicerone  ;  per  esser  lecito  e  conceduto  a'  poeti  lo  usare  spesso  molte  cose  ne' versi  loro,  che  non  si  comportano  ne  la  prosa.  Ma  questo  non  si    RAOIOIUMBNTO  INTORNO  ALLA    LINGUA.  301   può  fare  ne  la  lingua  fiorentina,  e  molto  manco  ne  la  to-  scana, che  ^  vivono  ancora,  e  non  hanno  scrittori  da  fon-  darvi lo  intento  sno,  non  si  sapendo  se  elle  sono  ancor  per-  venute al  colmo  de  V  arco.   Bartoli,  E  se  questo  non  si  può  fare  per  via  de  gli  scrit-  ti ,  chi  vieta  che  e'  non  si  faccia  almanco  per  via  de  lo  uso?   GeUi.  E  di  quale  uso?  Oh  questa  è  l' altra  difficultà,  e  non  punto  minore  de  la  precedente.   Bartoli.  E  perchè?   GeUi.  Perchè  ne'  tempi  nostri  non  avviene  di  questa  lìngua  quello  che  ne'  tempi  de'  Romani  avveniva  de  la  la-  tina; che  essendo  propria  d'una  nazione  che  dominava  allora  ad  una  grandissima  parte  di  questo  mondo,  era  tanto  stimata  e  onorata  da  ciascuno  de'  soggetti  loro,  e  in  Italia  massimamente,  che  e' non  si  trovava  nohile  alcuno  e  da  farne  stima,  per  qual  si  voglia  città,  il  quale  non  si  ingegnasse  di  parlar  la  lingua  romana.  SI  perchè  chi  non  sapeva  era  da  essi  chiamato  barbaro,  cioè  persona  inculta  e  di  rozzi  e  aspri  costumi;  e  si  ancora  per  ì  bisogni  che  occorrevano  giornal-  mente ne  le  faccende  é  private  e  publiche  ;  avendo  coman-  dato i  Romàni  in  tutte  le  loro  Provincie,  che  e'  non  si  potesse  agitare  causa  alcuna  criminale  o  civile,  né  far  procèsso  od  ìnstrumento  alcuno,  se  non  in  lingua  latina.  Ad  imitazione  de'  quali,  per  quanto  io  n'ho  inteso  dire  da  Amerigo  Benci,  che  da  venticinque  anni  in  qua  ha  usato  molto  la  Francia,  e  come  voi  vi  sapete,  oltra  le  pratiche  mercantili  ha  qualche  cognizione  ancora  de  le  speculative,  ordinò  il  padre  di  questo  re,  che  e' si  facesse  cosi  in  franzese  per  tutto  il  dominio  suo:  il  che  osservatosi  fino  ad  ora,  ha  tanto  migliorata  e  fatta  più  bella  e  ricca  quella  lingua,  che  è  una  maraviglia  a  chi  lo  considera.  £  il  re  che  vive,  Arrigo  II,  imitando  le  ve-  stìgio del  padre,  oltra  il  fare  osservare  quello  ordine,  fa  ancora  e  carezze  e  cortesie  grandissime  a  chi  traduce  in  essa,  0  fa  opera  di  arricchirla  e  farla  perfetta.   Bartoli.  Bella  impresa  e  degna  veramente  d'un  principe,  amare  e  onorare  la  sua  lingua:  atteso  massimamente  che  nessuna  può  sormontare  e  venire  in  riputazione  senza  il  favor  del  principe  suo.   *J6    302  RA6I0NAMBNT0  INTOBNO  ALLA  LINGUA.   GeUi.  Non  sarebbe  dunque  stato  diflScile  a  ehi  avesse  voluto  mettere  in  regola  la  lingua  latina  in  que'  tempi  ehe  ella  era  yiva,  poi  che  gli  bastava  osservare  solamente  Io  uso  e  il  modo  che  tenevano  i  cittadini  romani  :  p^chè  non  era  in  que'  tempi  ehi  ardisse  pre^rre  la  sua  lingua  a  qoeUa,  e  non  confessare  che  la  vera  pronunzia  e  il  vero  modo  del  favellare  era  quello  de'  Romani,  altrimenti  detto  latino.  Ma  non  può  questo  avvenire  a  noi  de  la  nostra,  essendo  in  To-  scana tanti  principati  e  tanti  signori;  li  stati  de' quali,  se  non  in  tutto,  hanno  pure  in  parte  ciascuno,  come  io  dissi  in  quella  mia  traduzione  *  a  lo  illustrissimo  e  reverendissimo  Cardinale  di  Ferrara,  qualche  favella  e  pronunzia  propria,  varia  e  diversa  da  tutte  le  altre,  e  parendo  a  ciascuno  che  la  sua  sia  meglio.  Perchè  noi  non  ci  abbiamo  imperio  alcuno  cosi  grande,  che  e'  muova  (come  i  Romani)  le  città  sottopo-  steli a  cercare  spontaneamente  di  favellare  e  onorare  quella  lingua  che  favella  chi  le  comanda.  Gonciossiachè,  quando  ben  la  Toscana  tutta  fusse  comandata  da  un  signor  solo,  lo  imperio  suo,  per  avere  ì  confini  si  presso,  non  sarebbe  mai  di  tanta  grandezza,  che  e'  fusse  oiiorato  e  temuto  quanto  era  allora  quel  de' Romani.  Imperocché  i  suggetti  a  loro,  essendo  privi  d' ogni  speranza  di  «scir  mai  di  tale  servitù,  non  aveado  principe  aieuno  a  lo  intorno  dove  ricorrere  quando  e'  pensassero  di  ribellarsi ,  erano  necessitati,  se  non  per  amore,  almeno  per  timore,  a  far  ciò  che  piaceva  à'  Ro-  mani.   Bar  Ioli*  Io  cedo,  e  confesso,  quanto  a  la  grandezza  e  forza  romana,  che  egli  è  vero  tutto  quel  che  tu  di'.  Niente  dìmanco,  e'  si  vede  pur  manifestamente  ne'  tempi  nostri,  che  molte  persone  di  quakhe  spirito,  i»8i  fuor  d' Italia  come  in  Italia,  s' ingegnano  con  molto  situdio  di  apprendere  e  di  favellare  questa  nostra  lingua  non  per  altro  che  per  amore.   GelU.  Egli  è  vero  che  quello  che  ne  la  età  de'  Romani  faceva  la  forza ,  lo  fa  oggi  la  bontà  e  la  bellezza  di  questa  lingua.  Ma  perchè  coloro  che  la  desiderano  e  cercano  per  loro  stessi  come  cosa  buona, la  appetiscono  edamano  in  quella   *  Intende  la  tradniione  dell'  operetta  di  Simone  Porzio  del  modo  di  orare  cristianamente.  Qui  parla  di  cose  dette  nella  lettera  dedicatoria.    BAGIONAìIBNfo  INTORNO  ALLà  UNGUA.  .      303   maniera  che  si  desidera  ed  ama  il  bene,  ella  è  ancora  dipoi  seguitata  e  adoperala  come  esso  bene,  cioè  da  ì  meno,  e  non  da  i  più.  Ma  datò  che  e'  fosse  il  vero  che  ognuno  cer-  casse di  favellare  in  lingua  toscana ,  e  desiderasse  che  e'  se  ne  facessi  regole,  donde  si  arebbe  poi  a  cavarle,  non  ci  essendo  ciltade  alcuna  che  signoreggi  tutta  Toscana?  Perchè  i  Luc-  chesi, i  Pisani,  i  Sanesi,  gli  Aretini,  e  qualunque  altra  città  di  questa  provìncia ,  direbbe  sempre  che  la  vera  lingua  e  pronunzia  losca  fusse  veramente  la  sua;  e  il  cavare  una  parte  di  esse  regole  da  una  città  e  V  altra  da  un'  altra,  sce-  gliendo, come  dicono  alcuni,  il  meglio,  per  fare  un  composito  di  tutte  quante,  sarebbe  cosa  molto  difiScile,  e  poi  forse  anche  non  approvata  e  non  osservata,  non  ci  essendo  chi  la  comandi.   Bartoli.  Oh,  io  non  penso  però  che  il  luogo  donde  cavare  le  regime  abbia  molta  difBcultà  ;  non  essendo  se  non  raris-  simi que'  che  volendo  imparar  la  lìngua  piglino  altri  autori  che  Dante,  il  Petrarca  e  '1  Boccaccio  ;  i  quali  essendo  pure  tutti  e  tre  di  Firenze,  mostrano  assai  manifestamente  donde  sì  debba  imparar  la  lingua.  Non  ostante  che  alcuni,  poco  amici  per  avventura  del  n<Mne  nostro,  hanno  voluto  privarci  del  Petrarca  e  del  Boccaccio,  facendo  questo  ultimo  da  Certaldo  e  quello  altro  Aretino,  senza  avertire  che  ser  Pe-  tracco  padre  di  messer  Francesco,  come  cittadino  che  egli  era,  ebbe  per  moglie  una  de'Ganigiani,  e  luogo  tempo  fu  cancelliere  alle  Riformagioni  ;  e  che  il  Petrarca  stesso  dice  di  sé  medesimo:   SMo  fossi  stato  fermo  a  la  spelonca  Là  dove  Apollo  diventò  profeta,  Fiorenza  avria  forse  oggi  il  suo  poeta;   e  che  Matteo  Villani  dice  ne  la  Cronica  che  e'  seguitò  dopo  Giovanni  suo  fratello  :  «  Questo  anno  furono  coronati  poeti  due  nostri  cittadini  fiorentini;  messer  Francesco  di  Petracco,  vecchio;  e  Zanobi  da  Strata,  giovane.  »  E  che  il  Boccaccio,  nel  suo  libro  de' Fiumi,  quando  e' ragiona  de  l'Elsa,  dice:  et  quum  oppida  plura  hinc  inde  ìabens  videai,  a  dexlro,  modico  elatum  tumulo,  Certaldum,  vetus  msiellum,  Unquii:  cujus  ego    304  RÀGIONAMMTO  DlTOBNO  ALLA  UHGUA.   libens  memorùiffi  celebro,  sedes  qtUppe  et  natole  solum  nu^o-  rum  meorum  futi,  anUquam  illos  susciperet  FloretUia  eives.   GelH,  Egli  è  vero  che,  non  si  stimando  qaanto  a  la  lin-  gna,  altri  scrittori  che  questi  fiorentini,  rispetto  (credo  io)  al  non  si  esser  trovato  mai  in  queste  altre  favelle,  non  sola-  meate  ehi  gli  pareggi,  ma  nò  par  chi  si  appressi  loro,  e' pare  certamente  da  confessare  che  la  lingua  fiorentina  tenga  il  principato  ne  la  Toscana  ;  nìentedimanco......   BartolL  Sta  fermo,  Gello,  e  non  dir  cosi;  che  noi  ci  recheremo  a  dosso  una  invidia  troppo  grande.  Perchè  e'  non  si  può  nò  debBè  negare  che  ne'  tempi  nostri  medesimi  non  ci  siano  stati  de'  forestier,  *  e  fuor  di  Toscana,  che  abbino  scritto  in  questo  idioma  si  eccellentemente,  che  e'  ne  sono  stati  lodati..   Geìlu  Si,  ma  se  voi  avvertite  bene,  vedrete  che  i  più  celebrati  fra  questi  tali  sono  selamenle  quegli  stessi  che  hanno  saputo  più  e  meglio  imitare  gli  scrittor  fiorentini  ;  e  non  son  però  stati  molti  :  e  di  questi  ne  avete  alcuno,  che  per  aver  si  bene  imitato  ed  espresso  i  concetti  altrui  con  gli  stessi  modi  e  parole  de  gli  autori,  que'  dotti  de  V  Orto,  pi-  gliando la  metafora  da  quegli  scultori  che  attendono  più  a  improntar  V  altrui  che  a  sculpire  di  loro  artifizio,  usavano  di  dir  tra  loro:  costui  ha  formato.  Ma  voi  ci  avete  ancora  un'  altra  cosa,  che  dimostra  meglio  e  più  chiaramente  quel  che  voi  dite:  che  tutti  o  la  maggior  parte  de' forestieri  con-  fessano e  acconsentono  tacitamente,  che  la  lingua  che  e'  cer-  cano e  tengon  buona  ò  solamenle  la  Fiorentina;  io  intendo  di  quella  che  favellano  i  nobili  e  veri  cittadini  fiorentini  che  hanno  qualche  cognizione  o  di  lingue  o  di  scienzie  ;  e  non  di  quella  che  usano  i  plebei,  e  gli  uomini  che  hanno  cognizione  di  poche  altre  cose  che  di  quelle  che  si  conven-  gono loro  come  animali.  Perchò,  non  vi  crediate  però  che  la  plebe  di  Roma,  quando  fiori  la  lingua  latina,  favellasse  con  quella  leggiadria  che  facevano  e  Cesare  e  Cicerone.   Bartolù  Certamente  no  ;  anzi  si  legge  di  Cicerone,  che  i  Romani  stessi  lo  ammiravano,  maravigliandosi  grandemente   *  H  monicipalismo  a  que'  tempi  faceva  non  conoscere  che  non  son  forestieri  fra  loro  quelli  che  abitano  il  paese  fra  le  Alpi  e  il  lilibeo.    RAQIOMJJIENTO  INTORNO  àthk  LlNGOl.  SOtt   de  la  8oa  eloquenzia.  Ma  quale  è  questa  cosa  che  ta  volevi  dire?   GeììL  II  non  si  esser  trovato  ancora  scrittore  alcuno  di  Toscana,  che  abbia  avuto  ardimento  a  dire  di  avere  scritto  ne  la  sua  lingua  propria,  come  dissero  Dante  e  il  Boccaccio,  r  uno  nel  Convivio,  e  V  altro  nel  Decamerone,  e  come  fanno  ancor  oggi  molti  Fiorentini.  Di  maniera  che  e'  non  si  truova  opera  alcuna,  che  si  dica  scritta  in  lingua  Pisana,  Sanese,  Lucchese,  Aretina,  o  di  qual  si  voglia  altro  luogo  toscano:  e  pure  hanno  avute  queste  città  scrittori  di  non  piccola  fama.  Laonde  non  può  avvenir  questo  per  altro,  se  non  perchè  questi  tali  conoscono  molto  bene  la  lor  lingua  naturale  non  esser  quella  che  si  stima  oggi  e  pregia  cotanto.  E  se  bene  essi  hanno  ancora  imitato  gli  scrittor  nostri,  quanto  è  loro  stato  possibile,  e'  npn  V  hanno  però  voluto  confessare  aper-  tamente e  liberamente,  giudicando,  per  avventura,  che  ciò  non  fusse  molto  onor  loro.  Anzi,  perchè  se  e' l'avessero  chiamata  Fiorentina,  e'  non  sarebbe  parato  loro  avervi  parte  alcuna  o  pochissima ,  e'  l' hanno  chiamata  Toscana  o  vulgare;  volendo,  col  chiamarla  cosi,  dare  a  intendere  a  le  persone,  che  ella  si  parli  vulgarmente  per  tutta  la  Toscana.  Il  che  si  vede  che  non  è  vero.  E  altri  dipoi  non  Toscani,  per  avervi  ancor  eglino  parte,  V  hanno  chiamata  italiana.   Bartolù  Sta  fermo.  Cello,  che  Dante  ancora  egli  fu  di  opinione  che  ella  si  dovesse  chiamare  Italiana,  in  quel  li-  bretto suo  De  vulgari  eloquerUia,  se  io  mi  ricordo  bene.   Gellù  Ehi  messer  Cosimo,  non  vi  ho  io  detto  più  volte  che  cotesto  libro  non  può  essor  di  Dante,  ma  che  e'  conviene  che  qualcun  altro  l'abbia  finto,  sotto  il  colore  di  quella  pro-  messa che  ne  la  Dante  nel  suo  Convivio?  Il  che  non  può  veramente  esser  nato  da  altro,  che  da  lo  avere  troppo  arden-  temente desiderato  chi  ne  fu  lo  autore,  che  V  onor  de  la  lingua  fusse  generalmente  comune  di  tutta  la  Italia ,  e  non  particulare  di  Firenze  solo.  Ma  se  voi  forse  non  ve  ne  ricor-  date, avvertite  che  que'litterati  de  l'Orto  de'Rucellaì,dispuT  tando,  ne  la  venuta  di  Papa  Leone,  col  Trissino  (perchè  egli  fu  che  ci  condusse  la  prima  volta  questa  opera}  sopra  lo  essere  o  non  esser  ella  di  Dante,  gli  facevano  centra    308  MifiioMAMBaro  irtouio  alla  limooa*   quella,  non  variati  né  alterati  in  maniera  akona,  come  omo,  Urrà,  mare  e  simili  ;  e  ana  grandissima  quantità  di  quegli  altri  dove  si  varia  scrfo  una  lettera,  come  leggo  e  aequa,  che  a'  Latini  son  lego  e  aqua,   GeUL  Questa  fo,  come  dite  voi,  nua  esposixione  assai  stravagante,  e  da  uomini  che,  desiderando  introdurre  cose  nuove,  volsero  mostrare  che  ciò  fusse  fatto  con  qualche  mo-  tivo ragionevole.  Ma  non  è  già  venuta  di  qui  la  diversità  della  pronunzia,  la  quale  molto  prima  si  variò,  che  e'  venisse  a  campo  si  stran  precetto.   BarioU.  E  donde  venne  dunque  la  orìgine?   GeUi,  Dicono  alcuni  diligentissimi  osservatori  de  le  cose  di  questa  lingua,  e  io  lo  confermo  con  esso  loro,  che  in  al-  cune città  e  luoghi  particolari  di  Toscana,  per  naturale  pro-  prietà si  costuma  di  mettere  Vo  in  quelle  parole  ne  le  quali  in  Firenze  si  mette  l' u;  di  maniera  che,  dove  noi  di-  ciamo suslanza,  singutare,  particulare,  speculare  e  specular-  tivo,  quivi  si  dice  sostanza,  singolare,  parlicolare,  speco-  lare  e  specoUUivo:  e  cosi  ancora  di  mettere  Ve  dove  noi  altri  mettiamo  V  i ,  costumandosi  ordinariamente  dire  in  Fi-  renze, principe  e  UUerato;  e  quivi  prendpe  e  letterato:  la  quale  pronunzia  arreca  a  gli  orecchi  de' Fiorentini  un  suono  cosi  sgarbato  e  tanto  spiacevole,  che  e'  non  si  traeva  tra  noi  chi  l' usi,  se  non  alcuni,  e  ben  pochi,  che  per  proprio  comodo  loro  seguitano  la  pronunzia  così  fatta  ;  non  si  curando  non  solamente  di  dare  od  accomunare  ad  altrui  quello  che  era  solamente  de'  Fiorentini,  ma  di  adulterare  e  imbastardire  una  lingua  mantenutasi  pura  e  schietta  sino  a'  di  nostri,  e  solamente  bella  e  leggiadra,  quando  manco  vi  si  accompagna  voci  o  pronunzie  di  forestieri.   Bartolù  Certamente  che  questa,  né  a'  tempi  nostri  né  a  quegli  de  li  antichi,  per  quanto  se  ne  vegga  da  le  scritture,  non  fu  mai  pronunzia  fiorentina.  £  chi  non  lo  crede,  av-  vertisca  e  osservi  bene,  come  coloro  che  V  anno  1527  fecero  stampare  in  Firenze  quel  Cento  novelle,  avuto  poi  univer-  salmente in  tanta  reputazione  e  tanto  pregiato,  essendo  tutti  cittadini  fiorentini  nobili  e  veri,  e  avendo  cotanti  testi  antichi  e  buoni,  e  tra  gli  altri  uno  che  é  oggi  in  guardaroba    RÀGIOMÀIIBMTO  INTOBNO  ALLA  UNGUÀ.  309   di  Sua  Eccellenza,  scritto,  vivendo  ancora  il  Boccaccio,  da  uno  de' 'Mannelli,  e  non  solamente  copiato  da  lo  originale  de  lo  anlore,  ma  riveduto  ancora  e  corretto  da  lui  medesimo;  avyertisca,  dico,  e  osservi,  come  sempre  dissero  principe^  liUerato,  iustanzia  e  partieulare,  come  ordinariamente  si  dice  in  Firenze.   Getti,  Ritrovandosi,  adunque,  in  Padova  alcun  di  questi  tali  nel  principio  deHa  Accademia  de  gli  Infiammati,  dove  non  era  per  buona  sorte  alcuno  veramente  Fiorentino  (che  e'  non  sarebbe  forse  seguito  questo  disordine)  ;  e  mettendo  in  uso  col  favellare  e  con  lo  scrivere  questa  lor  naturai  pronunzia,  scoperta  però  primieramente  fra  gli  Intronati  ;  i  Lombardi  e  i  Yeniziani,  che  cercavano  di  pronunziare  toscanamente, credendosi  che  quella  fusse  la  vera ,  cominciarono non  solo  a  celebrarla,  ma  ad  usarla,  ed  a  trasferirla  ne  le  loro  stampe.  A  la  qual  cosa  si  aggiunse  presto  che  alcuni  altri  non  Toscani,  per  ispogliare  la  Toscana  di  questa  gloria,  cominciarono  a  mescolare  in  essa  molte  parole,  le  quali,  al  giudizio  mio,  né  si  favellarono  nò  si  scrissero  mai  in  Toscana;  e  oltre  a  questo,  cercarono  ancora  dì  mutarle  nome.  £  perchò  se  ella  si  dicesse  lingua  Tosca,  essi  che  erano  forestieri  non  ci  avevano  parte  alcuna,  cominciarono  a  chiamarla  chi,  come  il  Trissino,  Cortigiana,  e  chi  Itala  o  Italiana,  come  il  reverendissimo  Sadoleto;  persona  dottis-  sima veramente  e  eloquentìssima,  ma  appartata  e  in  tutto  aliena  da  questa  professione.  E  di  costoro  non  voglio  io  ve-  ramente dir  cosa  alcuna;  ma  solo  che  io  mi  maraviglio  oltre  a  modo  di  alcuni  Toscani,  che  avendo  molto  più  rispetto  al  comodo  proprio,  che  a  la  verità,  per  la  servitù  forse  che  e'  tengono  con  alcuni  di  questi  tali,  sono  concorsi  a  chiamarla  Italiana  essi  ancora  l  non  si  curando  di  vendere  per  si  vii  pregio  l'onore  e  la  gloria  propria;  e  non  avendo  avver-  tenza che  i  Genovesi,  i  Milanesi,  que'  del  Lago  Maggiore,  i  Bergamaschi,  una  gran  parte  de' Romagnuoli,  i  Marchigiani,  i  Norcini,  gli  Abbruzzesi,  i  Pugliesi,  i  Calabresi  e  altri  infi-  niti popoli  de  la  Italia,  fanno  fede  manifestissima  a  chiun-  que favella  loro,  che  a  gran  torto  ò  posto  nome  a  la  lìngua  nostra  Italiana.    310  BACIOHAMSino  mOUO  ALLk  LU60A.   BarlatL  E  come  potette  più  in  cotesti  tem|M  (lasciando  or  le  querele  da  banda)  V  antorità  di  cotestoro,  che  ifoella  de' Fiorentini,  se  il  principio  de  la  lingua  e  il  fonie  è  in  Firenze,  e  fondato  in  sa  gli  scrittori  fiorentini?   GtXtL  I  Fiorentini,  attendendo  in  cotesti  tempi  quasi  tutti  a  la  mercanzia,  a  la  quale  sempre  è  stata  molto  incli-  nata la  città  nostra,  e  forse  |mù  per  bisogno  che  per  natura,  rispetto  a  la  magrezza  del  paese  ;  non  davano  opera  alcuna,  se  non  pochissimi,  a  la  lingua  latina,  e  molto  meno  a  la  greca  ;  e  cosi  non  venivano  a  considerare  la  propria  »  e  a  riconoscer  l'arte  e  lo  studio  che  avevano  usato  in  essa  Dante,  il  Petrarca  e  il  Boccaccio:  anzi,  quando  leggevano  questi  autori,  attendevano  pio  le  istorie,  che  altra  cosa.  Di  maniera  che,  se  vi  ricorda  bene,  crono  molto  più  stimati  allora  i  Trionfi  del  Petrarca,  che  le  Canzoni  e  Sonetti  suoi.  Ma  In  alcune  altre  città  toscane,  dove  per  la  fertilità  e  grassezza  del  lor  paese  non  è  il  guadagno  si  necessario,  attendendo  que'  cittadini  a  gli  studj  de  le  buone  lettere,  cominciarono  a  considerare  molto  (Nrima  di  noi  ne'  nostri  scrittori  la  bel-  lezza di  questa  lingua,  e  ad  osservare  ne  lo  scriverla  quelle  terminazioni  e  quelle  concordanzie  de'  singolari  e  de'  plura-  li che  que'  nostri  avevano  usate.  Bene  è  vero  che  per  la  lor  favella  natia  pronunziando  non  come  noi,  e  mescolandoci  ancora  qualche  parola  de  le  loro,  ce  l'hanno  condotta  a  r  essere  che  voi  medesimo  vi  vedete.  Lo  avere  adunque  i  nostri  atteso  a  la  mercatura  e  non  a  le  lettere ,  e  la  molti-  tudine de'  travagli  che  sempre  ci  sono  stati,  fecero  per  lungo  tempo  restare  in  dietro  e  quasi  che  perdersi  interamente  gii  avvertimenti  e  l'arte  usata  da' tre  sopra  detti  ne  la  nostra  lingua;  e  i  primi  che  cominciassero  in  Firenze  a  rios-  servargli,  e  ne  la  fovella  e  ne  la  scrittura,  furono  quegli  stessi  litterati  che  usavano  a  l' Orto  de'  Rncellai.  E  ricordami  che  e'  non  potevano  restare  di  maravigliarsi  di  alcuni  litte-  rati poco  avanti  la  loro  età,  che  avevano  composto  in  versi  e  in  prosa  di  questa  lingua  senza  alcuna  osservazione;  parendo  loro  impossibile  che,  avendo  pur  veduti  gli  scritti  di  que'  tre  famosi,  e'  non  avessero  aperti  gli  occhi  a  le  loro  osservazioni,  e  non  si  fossero  accorti  in  quanta  corruzione    BAfilOllAXBIfTO  IMT(MmO  ALLA  UKSUA.  311   fosse  incorsa  la  beHìssima  lingua  che  noi  inrliamo.  Da  co-  storo avvertiti  Cosimo  Rocellaì,  Lnigfi  Alamanni,  Zanobi  Baondelmonti,  Francesco  Guidetti  e  aiconi  altri,  i  qaali»  praticando  con  esso  Cosimo»  si  trovavmo  spesso  a  rOrU»  con  qoe'  più  vecchi,  c«ninciarono  a  cavar  foori  le  dette  consi-  derazioni, e  a  metterle  tanto  in  atto,  che  la  lingua  n'  è  poi  tornata  in  quel  pregio  che  voi  vtdele.   BarloU,  Tu  di'  il  vero,  GeUo  mio  caro;  perchè  e'mi  rioor*  da  che  da  venticinque  anni  in  dietro  non  erano  versificatori  io  Firenze,  se  non  tre  o  qoattro;  a'  qnali,  senza  avere  altri-  menti oensiderazione  akana  di  terminazioni  di  parole ,  di  concordanzie  di  numeri,  o  d' altra  cosa  che  faccia  bello,  ba-  stava solamente  che  e'  rimassero  e  fusser  versi.  £  chi  lo  vuol  vedere  e  toccar  con  mano,  legga  le  rappresentazioni  che  si  facevano  in  que'  tempi  :  le  quali  quando  io  considero  chenti  elle  sono,  e  quanto  non  solamente  poco  verisimili,  ma  impossibili  e  mostruose,  mi  fanno  tenere  per  di  poco  giudizio  e,  per  dirla  cosi  fra  noi,  molto  goffi  tutti  coloro  che  potevano  stare  a  udirle  ;  e  mi  iinno  credere  che  se  elle  si  facessero  oggi  cosi,  i  fanciulli,  non  che  altri,  uccellerebbono  si  a  la  scoperta  i  compositori,  che  e'  se  ne  rimarrebbono  in-  teramente per  lor  medesimi.   eretti.  E  da  che  vi  pensate  die  nasca  questo,  se  non  da  r  essere  oggi  in  Firenze  cosi  gran  numero  di  persone  che  hanno  bonissima  cognizione  de  la  lingua  latina  e  greca?  le  quali  essendo  state  necessitale  ne  lo  impararle,  a  vedere  i  veri  poeti,  hanno  assai  chiaramente  conosciuto  che  cosa  sia  poesia,  e  quanto  sia  verbigrazia,  centra  i  precetti  de  Tarte  il  ridurre  tutta  la  vita  di  uno  uomo,  o  pur  le  azioni  di  venticinqoe  o  trenta  anni,  in  due  o  tre  ore  di  tempo  che  •  si  consuma  nel  recitare.  E  a  cagione  che  e'  non  si  abbia  a  dire  de'  casi  loro  quel  motto  di  Orazio   Delfinum  silvis  appingit,  fluctibus  aprum,   non  hanno  solamente  lasciali  cotesti  errori,  ma  sbanditili  ancora  in  tuUo  da  le  loro  composizioni,  e  si  sono  ridotti  a  quello  uso  buono  che  avevano  i  Latini  e  i  Greci.  Olire  a  questo,  avendo  appreso  per  via  di  regole  quelle  due  lingue.    31S  miaoiiAanno  ummo  aua   c4HMM6eiido  quante  e  quali  nano  le  parti  del  pariare,  e  in  cbe  modi  elle  debbino  accompagnarsi ,  cominciano  a  favel-  lare tanto  rettamente  e  con  tanta  leggiadria,  che  io  mi  persuado  gagliardamente,  la  nostra  lingua  esser  molto  Tidna  a  quel  sommo  grado  de  la  perfexione,  oltra  il  quale  non  si  può  salire.   BartoU.  E  se  cori  è,  die  cosi  la  tengo  io  ancora,  perehè  non  si  può  eDa  adunque  mettere  in  regole,  e  farla  perfetta  alilittoT   GM.  A  le  cagioni  che  io  ve  ne  ho  di  già  assegnate,  si  aggiagne  questa  altra  ancora,  che  non  è  di  poco  momento:  ed  è  il  non  avere  in  su  che  fondare  e  formare  esse  regole;  eonciossiachè  in  su  gli  scrittori  non  si  può,  non  avendone  noi  alcuno  che  si  possa  tenere  per  bello  e  per  buono  tutte  quello  che  egli  ha  usato.  Perchè,  cominciandoci  da  qne'  tre  primi  che  sopra  gli  altri  sono  approvati,  Bante,  oltra  lo  esser  poeta,  ebbe  dal  secol  suo  rozzo  e  duro  molte  e  molte  pa-  role lasciate  oggi  in  tutto  da  Y  uso.  H  medesimo  avviene  al  Boccaccio,  nel  qoal  sono  e  modi  e  parole  che,  se  ben  fìiron  belle  in  quel  secolo,  l' oso  di  oggi  non  le  riceve.  E  il  Petrar-  ca, se  bene  ha  la  sua  lingua  assai  più  purgata,  per  essere  (come  io  dissi  in  Dante)  poeta,  per  le  molte  licenzie  che  a' poeti  son  concedute,  non  è  materia  conveniente  a  formarne  le  regole  per  la  prosa.   BarUAL  Io  non  so,  Gello  mio,  come  questo  sia  da  conce-  dere;  perchè,  se  bene  da  que'  primi  due,  rispetto  a  le  licen-  zie poetiche,  non  si  posson  trar  buone  regole,  il  Boccaccio  è  por  tanto  bello  e  tanto  pregiato  universalmente,  ch'io  non  so  perchè  tu  lo  sfugga.   GéUU.  11  Boccaccio,  per  quanto  ne  dicono  questi  suoi,  si  imaginò  di  usare  i  tre  stili:  T  alto,  nei  Filocolo  ;  il  mediocre,  ne  la  Fiammetta;  e  il  basso,  nel  Decamerone.  Il  che  se  bene  gli  successe  o  no,  non  ci  accade  ragionarne  ora.  Basti  che  la  più  approvata  de  le  sue  cose  è  il  Cento  novelle  ;  opera  beila  certo  e  piacevole,  ma  non  da  essere  in  tutto  imitata  rispetto  ad  alcune  costruzioni  che,  per  non  esser  piaciute  a  Toso,  son  restate  del  tutto  in  dietro,  e  ad  una  infinità  di  parole  che  sono  oggi  aborrite  e  fuggite  da  gli  scrittori:  come,    lAGIOMAMKlITO  ISITOINO  ALLA  LINGUA.  313   yerbigrazla,  bwma  pezxa^  ìa  Intogna,  gravenza,  abUawBa,  niquUoso,  avaecio,  autorevole,  contezza,  deliberanza,  sez-  zaio»  Ma  che  sto  io  a  contarle  a  toì  che  ri  faceste  sopra  la  tavola y  e  le  notaste  già  taile  quante?   BartoU.  Certamente  queste  si  fatte  voci  non  solamente  si  usano  oggi  da  molto  pochi ,  ma  elle  non  sono  ancora  più  accettate  per  fiorentine,  e  pare  che  elle  offendine  altrui  r  orecchie,  se  pur  si  truova  qualcuno  che  V  usi.   Getti.  Non  si  possono  adunque  le  regole  toscane  cavare  da  gli  scrittori.   Bariolù  Gavinsi  le  fiorentine  (che  de  V  altre  non  tocca  a  noi)  da  V  uso  di  Firenze.   GeUù  £  questo  anche  mal  si  può  fare;  dovendosi  (come  io  dissi  non  molto  avanti)  pigliar  V  uso  non  d'ogni  tempo,  ma  de  la  età  dove  la  lingua  fu  nel  suo  colino.  Il  che  non  possiamo  saper  noi  altri,  poi  che  e  la  è  viva,  e  va  a  T  insù  ;  avvenga  che  voi  forse,  come  alcuni  forestieri,  vi  persuadia-  te che  ella  fusse  nel  sommo  grado  ne  la  età  di  que'  tre  scrittori.   Bartolù  Questo  no;  anzi  tengo  per  fermo  che  ella  fusse  nel  nascimento,  e  che  ella  avesse  quasi  principio  da  essi  tre,  per  essere  stati  Dante  e  1  Petrarca  i  primi  in  questi  paesi  che  cominciassero  avere  tanta  notizia  de  la  lingua  latina  più  de  gli  altri  uomini ,  che  e'  ne  furono  chiamati  suscita-  tori e  ritrovatori  ;  come  apertamente  si  può  vedere  nel  pri-  vilegio conceduto  ad  esso  Petrarca,  quando  publicamente  fu  coronato  nel  CamfMdoglio  :  e  il  Petrarca  e  il  Boccaccio  de  la  greca,  de  la  quale  non  si  aveva  in  Italia  notizia  alcuna  ne  la  età  loro,  se  non  piccola  e  defettiva.  Laonde  braman-  dola questo  ultimo  sommamente,  condusse  a  Firenze  un  Greco,  per  quanto  si  legge  ne  la  sua  vita,  che  glie  la  inse-  gnasse, e  una  quantità  di  libri  greci,  lasciati  poi  da  lui  stesso  dopo  la  morte  a  la  libreria  del  nostro  Santo  Spirito.  Costoro  adunque,  mediante  la  cognizione  di  queste  lingue,  cominciarono  a  parhire  rettamente  e  ordinatamente,  miglio-  rando e  inalzando  tanto  il  nostro  idioma  da  quello  che  egli  era,  per  quanto  veder  se  ne  può  in  que'  che  scrissero  avanti  a  loro,  che  noi  possiamo  liberamente  tenere  e  dire,  che  il   27    314  BA6I0NAMB1IT0  IMTO&NO  ALLA  LINfiOA.   vero  nascimettto  e  principio  di  questa  libgtta  fa  solunente  dalor  tre:  ma  che  e'  non  foron  già  poi  segniti  né  imitati  ne  lo  allegarla  secondo  i  modi  posti  da  loro,  imperoceliè  chi  venne  dopo,  non  essendo  dato  a  gli  stadj^  noA  eomiderò  le  costrocioni  e  le  terminazioni  osate  da  lèro»  e  iMcMla  di  tempo  in  tempo  cadere  in  ^ella  barbarie  die  iMd  eenllm-  mo  non  son  molti  anni.  Ma  io  dico  bene>  che  poi  the  g^i  uomini  hanno  ricomincialo  a  considerarla,  come  fecero  qnegli  de  r  Orto,  e  ad  osare  i  modi  de*  tre  nostri  Inmi^  ella  é  tanto  migliorata  a  poco  a  poco,  che  io  la  tengo  oggi  nsolto  piA  bella  universalmente,  che  eOa  non  era  ne'  tempi  loro  ;  e  che  se  eglino  scrissero  cosi  bene  allora  (^il  che  fn  molto  più  da  impotare  a  lo  ingegno  loro  che  a  4a  bontà  de  la  Ikigoa),  scriverebbero  molto  meglio  oggi  :  non  essendo  necessitati  da  la  povertà  Òe  la  lingua,  che  oggi^  è  ricchissima^  ad  osare  quelle  parole  che  più  non  piacciono,  e  qoe'  modi  ohe  son  fuggiti  da'  nostri  orecchi  ;  di  modo  c^e  nel  volto  ancora  del  Petrarca  non  si  scorgerebbero  q«e'  pochi  avvegnaché  pic^  eolissimi  nei,  che  i  ben  purgati  giudizj  vi  riconoscono.   GelU.  Io  credo  che  voi  giudichiate  bene,  e  che  la  cosa  stia  come  voi  dite*  Ma  io  voglio  andare  un  passo  più  là,  e  dire,  che  essendo  ancor  vìva  la  lingua  nostra,  e  in  maggiore  speranza  di  avere  a  vivere,  che  eUa  fosse  fom  ancor  mai,  egli  non  si  può  affermare  che  la  nstnra  (la  quale  iton  si  stracca  e  non  invecchia  mal,  anzi,  se  bene  ella  varia  talora  alquanto,  è  por  sempre  quella  medesima  )  non  possa  e  non  abbia  ancora  a  produrre  de  gì'  ingegni  simili  a  loro;  i  qoali,  trovando  la  nostra  lingoa  in  molto  maggior  perfezione  che  non  la  trovmrono  i  sopradetti,  serivino  non  solamente  bene  cernie  qoelli,  ma  forse  ancora  assai  meglio  di  loro»   Bartolù  £  questo  similmeiite  mi  par  di  credere,  essen-  dosi veduto  ne'  tempi  nostri^  che  in  quaiuncàe  faciità,  e  particnlarmente  ne  la  architettura,  pittura  -e  scoltura,  ha  la  nostra  città  generati  aiconi  che  non  solo  haano  paseggiaU  i  famosi  antichi,  ma  forse  ancora  avanzatili  in  ^oalohe  cosa»   GellL  Non  si  poò  donqoe  dire  dM  ella  sia  ne  lo  stato  Mio>  veggendosi  come  di  giorno  in  gèomo  olla  va  «i  soo  augomento;  e  potendosi  agevdmente  far  conieltara  da  te lA^IOMAVCNTO  INTORNO  ALLA   LINGUA.  315   cose  che  soprareiigoDO,  ehe  ella  abbia  ancora  a  farsi  più  ricca  e  saolto  più  beUa.   MartoU.  E  q«ali  Mm  questo  cose»  Gello?   GeUù  Molte  e  molte  sono,  messer  Cosimo;  e  dae  sopra  tatto  l'altre.  L'nna  de  le  quali  è  la  moltitadine  grande  di  ei^oro  che  oggi  si  danno,  in  Firenze  a  la  lingna  latina  e  greca;  i  quali  imparando  quelle  con  re-  gola, avellano  dipoi  ancora  reg<^tamente  la  nostra,  e  con  leggiadria;  e  da  questi  imparando  gli  altri,  mossi  da  quello  ingenito  desiderio  ohe  ha  ciascuno  di  non  volere,  in  quello  che  egli  può,  essere  in  maniera  alcuna  soprayanzato  da  i  suoi  pari,  faranno  di  mane  in  mano  la  lingua  più  bella  ^  più  onorata,  si  col  parlare  e  si  col  tradurre,  arrecando-  ci le  scienzie  e  V  arti  che  elli  imparano  ne  l' altre  lingue.  L'a&tra  è  il  cominciare  i  principi  e  gli  uomini  grandi  e  qualificati  a  scrivere  in  questa  lingua  le  importantissime  cose  de'  governi  de  gli  Stati,  i  maneggi  de  le  guerre  e  gli  altri  negozj  gravi  de  le  faccende,  che  da  non  molto  in  die-  tro si  scrivevano  tutti  in  lingua  latina.  Perché,  non  vi  date  a  intendere  ehe  una  lingua  diventi  mai  ricca  e  beila  per  i  ragionamenti  de'  plebei  e  de  le  donniciuole,  che  faveUan  sempre  (rispetto  a  lo  avere  concetti  vilis6imi)di  cose  basse:  chò  e'  sono  solamente  gli  uomini  grandi  e  virtuosi,  quelli  ehe  inalzano  e  fanno  grandi  le  lingue;  imperocché,  avendo  sempre  concetti  nobili  e  alti,  e  trattando  e  maneggiando  coae  di  gran  momento,  e  ragionando  bene  spesso  e  discor-  rendo sopra  quelle  in  prò  e  in  contro,  persuadendo  o  dis-  suadendo, accusando  o  lodando,  e  talvolta  ancora  ammo-  nendo e  insegnando,  fanno  le  lingue  loro  copiose,  onorate,  ricche  e  leggiadre.  Per  queste  due  cose  adunque,  ancora  che  altre  cagioni  non  ci  fossero,  si  può  giustamente  sperare  ^M  la  nostra  lingua  abbia  a  essere  ancora  un  giorno  tanto  pregiata  appresso  molti  che  nasceranno,  quanto  sono  oggi  appresso  di  noi  e  la  greca  e  la  latina.  £  conseguentemente  concludo,  che  non  essendo  ella  ancor  pervenuta  a  lo  stato  suo,  non  se  ne  possa  far  regola,  che  in  tempo  non  molto  lungo  non  abbia  a  scoprirsi  defettuosa,  e  non  più  tale  quale  oggi  forse  ci  apparirebbe.  Si  come  avviene,  per  esemplo,  ne    316  BAGioNAMBirro  nrroBHo  alla  libcua.   la  pittura  ;  dove  i  ritratti  de*  giovanetti,  se  bene  gli  sonii-  gliono  interamente  quando  e'  son  fatti  y  non  vi  corre  però  gran  tempo  che,  cambiandosi  lo  aspetto  del  ritratto  nel  farsi  egli  nomo,  tanto  varia  la  effigie,  che  non  lo  somiglia  più,  né  apparisce  più  qnel  medesimo.   BartolL  Orsù,  pongbiamo  per  le  tante  cose  allegate  da  te,  cbe  a  r  Accademia  non  si  convenga  il  fare  queste  regole  :  vuoi  tu  però  affermare  al  tutto,  che  una  persona  privata  e  particolare,  lasciando  favellare  ad  arbitrio  loro  qualonche  città  e  luogo  de  la  Toscana,  senia  difettargli  o  ripotargli  da  meno  per  questo,  non  possa  almanco  da  i  tre  primi  nostri  scrittori  e  da  T  uso  di  Firenze  formare  le  regole,  che  a' tempi  d' oggi  insegnino  favellare  rettamente  a'  Fiorentini  stessi,  e  a  chi  pur  volesse  imitar^?   GeìU.  Oh  questo  no,  messer  Cosimo;  perchè  io  mi  credo  pure,  che  un  solo,  in  suo  nome  proprio  e  non  di  Accade-  mia, con  tutte  quelle  avvertenzie  che  voi  avete  dette,  sicu-  ramente le  possa  fare.   Bartoli,  E  con  qoal  ordine?  o  in  che  maniera?   Geìli,  Dirovvelo:  ma  perchè  voi  mi  intendiate  più  facil-  mente,  avvertite  che  questa  lingua,  come  quasi  tutte  l'altre  cose  di  questo  mondo,  ha  due  parti  principali;  la  materia,  cioè,  e  la  forma  :  la  materia  sono  le  parole  de  le  quali  ella  è  fatta  ;  e  la  forma  è  qod  modo  e  quell'  ordine  col  quale  son  conteste  e  tessute  insieme  l' una  parola  con  Y  altra,  che  si  chiama  ordinariamente  la  costruzione.  Di  queste  due  parti  la  materiale,  o  de  le  parole,  non  tengo  io  per  molto  difficile  a  metterla  in  regola;  ancora  che  ella  abbia  forse  bisogno  di  lungo  tempo,  rispetto  a  lo  aversi  a  fare  un  vocabolista  di  tutte  le  voci  che  si  usano,  come  aveva  già  cominciato  il  nostro  Norchiaio,  prima  che  morte  gli  troncasse  il  volo.  Ma  de  la  costruzione,  o  volete  dire  de  la  forma,  ne  la  quale  consiste  tutta  la  bellezza  e  la  leggiadria  de  la  lingua ,  e  ap-  presso di  noi  è  per  avventura  molto  più  dolce  che  ne'  no-  stri vicini,  non  so  io  come  ella  possa  mostrarsi  meglio  che  da  gli  esempi  de'  tre  scrittori   Bartolù  Oh  Gello,  e'  mi  ricorda,  a  questo  proposto  de  la  dolcezza  de  la  testura  del  parlar  nostro,  che  messer  Ales-  1À6I0NAMB1ITO  INTORNO  ALLA  LIN6DA.  317   Sandro  Piccolaomini,  persona  dottissima  e  tanto  rara  qaanto  lo  sai,  ritrovandosi  in  casa  mia,  e  leggendo  aicani  scritti  dì  questi  nostri,  rivoltatosi  a  me,  disse:  come  può  e'  mai  essere,  messer  Cosimo  mio,  che  non  essendo  le  patrie  nostre  più  lontane  V  ttna  da  V  altra  che  trenta  miglia,  noi  altri  non  abbiamo  le  clausole  cosi  dolci  e  gli  andari  tanto  piani  e  si  ordinati,  quanto  gli  veggiamo  e  sentiamo  in  voi  Fiorentini?   GéìU.  £  voi  vedete  bene  che  tutti  costoro  che  fino  ad  oggi  hanno  fatto  le  regole  del  parlar  toscano,  distendendosi  ne  le  declinazioni  solamente,  si  hanno  passato  la  costruzio-  Be  senza  parlarne  se  non  pochissimo,  come  cosa  troppo  difficile  e  ad  essi  forse  mal  riuscibile.  Laonde,  circa  il  for-  mare queste  regole,  non  mi  affaticherei  molto  ne  là  prima  parte  ;  ma  dichiarate  le  parti  de  la  orazione,  e  dimostrate  le  declinabili  e  le  indeclinabili,  e  gli  esempli  de'  verbi,  mas-  simamente con  quella  diversità  che  è  tra  V  uso  moderno  e  quello  che  e'  dicono  de'  nostri  antichi,  me  n'  andrei  tutto  a  la  costruzione.  Ne  la  quale,  consistendovi  (come  ho  detto)  tutta  la  importanzia  di  questa  lingua,  vorrei  io  certamente  usare  una  diligenzia  più  là  che  estrema,  togliendo  da'  tre  sopra  detti  tutto  quel  che  fusse  ben  detto.  Il  che,  al  giudizio  mio,  solamente  sarebbe  quello  che  V  uso  di  oggi  si  ha  man-  tenuto;  essendo  V  orecchio  nostro  inclinato  naturalmente  a  lasciar  sempre  le  cose  aspre,  dure  e  difficili,  e  seguitare  le  dolci  e  le  facili.  Per  la  qual  cosa,  giudicando  io  che  oggi  si  favelli  meglio  in  Firenze  che  in  nessun  de'  tempi  passati,  attribuisco  molto  a  l' uso,  non  di  Mercato  e  del  vulgo  vile,  ma  de'  nobili  e  qualificati  de  la  nostra  città,  come  io  dissi  poco  di  sopra.   Bartoli.  Questo  è  appunto  l' ordine  stesso  e  il  modo  che  il  nostro  GiambuUari  tenne  in  quelle  sue  regole,  che  egli,  già  son  tre  anni,  donò  a  lo  illustrissimo  signor  Don  Fran-  cesco de'  Medici  primogenito  di  Sua  Eccellenza.   Gellù  Voi  dite  il  vero,  che  il  GiambuUari  che  mi  è  quello  amico  che  voi  sapete,  me  le  conferi  molte  volte,  e  massi-  mamente r  anno  passato,  quando  eravamo  in  questo  maneggio:  e  perchè  e'  mi  parve  sempre  che  egli  avesse  trovato  la  vera  via,  e  con  una  diligenzia  maravigiiosa  fatto  ciò  che   27»    KAGIONAMBIITO  INTORNO  ALLA  LINGUA.   fosse  possibile  farsi  in  questa  naterìa,  però  metto  io  a  campo  di  nuovo  lo  stesso  modo  die  egli  ha  tenuto»  Ma  per-  chè non  le  comunica  egli  oramai  con  la  stampa  a  taUe  le  genti  che  le  desiderano?   BartoìL  Sta  di  buona  TogUa,  Geiio,  che  io  ne  Tho  tanto  contaminato»*  che  egli  finalmente  mi  ha  dato  non  solo  esse  reg(^9  ma  e  libera  e  pimia  licenzia  che  io  ne  &ccia  la  vo-  f^ia  mia.  E  cosi  fra  non  molti  giorni  comincerò  a  fturle  stampare,  che  di  tanto  son  convenuto  col  Torreatmo.   GM.  Sollecitate  dunque,  messer  Cosimo  mio,  perché  farete  gran  benefizio  a  chi  desidera  imparar  dal  buono.  Ma  perchè  noi  siamo  oramai  vicini  a  l'ora  de  la  nostra  cena,  rimanetevi  con  Dio,  che  a  casa  sono  aspettato.   Bartolù  Dì  grazia,  cena  con  esso  meco.   GellL  Non  questa  sera,  messer  Cosimo,  che  dovendo  tro-  varmi in  un  altro  luogo,  non  posso  mancar  de  la  mia  pro-  messa. Restate  con  la  buona  notte.   BmtkdL  Poi  che  cosi  ti  piace,  va'  ool  oom»  di  Dio.   Tanto  fu,  messer  Pierfranoesoo  mio  onorando,  il  ragio-  namento che  avete  chiesto  ;  e  messer  Cosimo  nostro  ve  ne  può  render  testimonianza:  Catene  adunque  come  di  cosa  vostra,  che  io  ve  ne  fo  un  presente,  e  vivete  felice^  ricordan-  dovi che  il  GeUo  è  vostro.   Di  Firenze,  il  xvm  di  febraio  MDLL   *  Come  ora  si  direbbe  importunato,  o  seccato.  Velia  Crusca  non  è  con  que-  sto significato.  Io non credo, magnifico signor Consolo,prudentissimi Consi glieri, e voi altri virtuosissimi Accademici e maggiori miei ono randi, ? che con voi, i quali sapete i nostri ordini, e come più per imparare esercitandomi,che per insegnare ad altri,io sia salito oggi in questo luogo,sia di bisogno che io ne faccia seusaalcuna.Ma perchèforsequalcundiquest'altriuditoripo trebbeingiustamente incolparmidipresunzione,essendoioil primo che dopo due si dottissimi e famosissimi uomini, mes ser Francesco Verini filosofo eccellentissimo, e Andrea Dazi tanto nella greca e latina lingua celebrato, sia salito sopra que sta onorata cattedra, non vi sarà grave comportare che in escusazione e scarico mio io dica loro alquante parole. Nobilissimi uditori, iquali tirati dalla fama dei valenti uomini che insino a questo giorno hanno letto in questa nostra Acca demia siate venuti qui,se ilritrovarci in cambio di quegli oggi m e , il q u a l e s a r e i m o l t o p i ù a t t o a t a c e r e c h e a p a r l a r e , v i a r recherà maraviglia,non dovete perciò incolparmi di presunzione. Imperò che avendo ordinato questi miei maggiori Accademici, che per esercizio nostro,per esaltazione di questa nostra lin gua nativa,e per imparare a esprimere in quella inostri con cetti, ciascuno di noi legga una volta quello che più gli piace, ha voluto la sorte che io sia ilprimo a dar principio a così lode devole,eseionon me neinganno,utilissimoesercizio.Nè debbe · Le parole e maggiori miei onorandi mancano nella 2^ T.  La 1a T., ingiustamente potrebbe. 3 La fa T., auditori.   certamente esser preso questo se non per buono e felicissimo augurio di questa nostra Accademia.Perciò che se le cose che fa la natura sono più ferme e più stabili che quelle della fortuna, per procedere quella con ordine e questa senza,ed essendo l'or. dine della natura 'andare sempre dallo imperfetto al perfetto (si come noi manifestamente veggiamo verbigrazia ? nella creazione d e l l ' u o m o, d o v e e l l a f a p r i m i e r a m e n t e u n p e z z o d i c a r n e , il q u a l e è solamente animato d'anima vegetativa come le piante,da im e dici chiamato embrione, e secondariamente infondendovi l'anima sensitiva*lo fa animale,e finalmente gli dà l'anima razionale,la quale è l'ultima perfezione sua),dovrà senza dubbio questa nostra impresa aver anch'ella felice successo,da che io,che sono il più insufficiente di sì bel numero, sono il primo a darle principio. Se dunque voi non,udirete oggi da me cosa degna de'passi spesi da voi a venire in questo luogo,non mancherete però di venire a udire quest'altriche dopo me leggeranno ; da i quali, per esser queglio e per natura e per professione di gran lunga più sufficienti che non sono io, caverete tal frutto, che di que. stie di quelli vi ristorerà largamente.La lezione nostra sarà unluogodiDantenelXXVI capitolodelParadiso;ilquale, per trattare alcune cose del parlare, mi è parso molto al pro posito nostro,essendo questa nostra Accademia stata principal mente ordinata per utilità di questa lingua,o per dir meglio, usando le parole stesse del nostro Boccaccio nella quarta gior nata,di questo nostro fiorentino,volgare. Presterretemi adun que grata udienza come avete cominciato, se non per altro, almeno per dare animo a coloro che dopo me leggeranno; da i qualisenzacomparazionecaveretemaggiore dilettoSemaggior frutto.Ma vegnamo alla nostra lezione. 6  616 LETTURA DUODECIMA La 1a T.,di quella. ? verbigrazia è della 2a T. 3 La 1a T., solamente è. 4 Nella 2a T. manca sensitiva. s La 1a T., l'ultima sua perfezione. quegli è della 2a T. 7 La 1a T.,che io non sono. 8 La 11 T., caverete e diletto maggiore ecc.   LEZIONE UNICA 017 conosciuti,dico,iviziiepurgatosi”da essi,asceseper contem plazione sopra i cieli alla gloria de'beati. Intra i quali trovato il primo nostro padre A d a m o, 4 come desideroso di sapere, lo . dimandò di alcune cose ; fra le quali fu questa,che io oggi ho preso per materia del nostro ragionamento, cioè qual fusse lo idioma o vero il linguaggio nel quale, quando ei fu fatto da Dio,egliprimieramente parlò.Allaqualedimanda rispose Adamo in questa maniera: La lingua ch'io parlai fu tutta spenta Innanzi che all'opra 5 inconsumabile  Libero, sano e dritto 3 è tuo arbitrio, Fosse la gente di Nembrot intenta.6 Che nullo effetto ? mai razionabile Per lo piacer uman,che rinnovella, Seguendo il cielo, fu sempre & durabile. Avendo il divino nostro poeta Dante, poeticamente parlando, nel suo discendere allo Inferno conosciuto tutti i vizii e i p e c cati, che cosi per malizia e per matta bestialità come per umana incontinenza e fragilità si possono commettere,ed essendosene nel passare del Purgatorio in cotal modo purgato, ch'egli era tornato1in quello stato della innocenza nel quale fu creata da Iddio l'umana natura ; là dove la parte nostra inferiore, irra . zionale e mortale, alla superiore, razionale e immortale, stava obbediente, nè punto ardiva la sensitiva e carnale, dalla origi nale giustizia regolata,levarsi e combattere contro allo spirito; tal che dal suo precettore gli fu detto: fallo fora non fare a suo senno; | La 1a T.,che tornato era. 2Cr.Libero,dritto,sano. •La 1aT.,purgato. * La 1a T., Adam . 5Cr.oora. 8Cr.lagentediNembrotteattenta. • Cr, affetto. 8Cr.semprefu.   Opera di natura è ch'uom favella;' Poi fare a voi,secondo che viabbella. Pria ch'io scendessi all'infernale ambascia, Donde s vien la letizia che mi fascia. Elle*sichiamò poi,eciòconviene; Però che l'uso umano 5 è come fronda In ramo,che sen va,ed altra viene. Da queste parole di Adamo caviamo noi oggi tre principali conclusioni.La prima è,come la sua linguasispenseemancò tutta, innanzi che Nembrot cominciasse a edificar la torre ; cosa molto contraria alla volgare oppenione.La seconda,la ragione perchè si mutino i parlari. La terza, la risposta a una obie zione che se gli potrebbe fare,dove egli adduce alcuni esem pli in confermazione di quanto egli ha detto,come largamente si vedrà nel nostro ragionamento.Cominciamo ora adunque a esaminare la prima,con l'aiuto di Colui dal quale depende ogni nostra sufficienzia. Avendo l'onnipotenteIddio,nellaproduzione delmondo,creato tutte le cose insieme con l'uomo,non perchè elle fossero in lor medesimesolamente,maperchèellefosseroancor principiodel l'altre, ciascheduna di quelle della sua specie, non tanto nel generarle, quanto nell'instruirle e governarle,bisognò ch'egli le .creasse nel loro perfetto essere.Dalla quale ragione mossi dis sero alcuni dottori ebrei che il mondo fu creato di settembre; perciò che allora pare che tutti gli alberi,insieme con l'erbe, abbianocondottoaperfezioneifruttiloro.Fu adunque(lasciando stare l'altre cose) creato l'uomo da Dio nel suo stato più per fetto, e in quanto al corpo e in quanto all'anima. In quanto al corpo,sano,bene complessionato,e di età di trenta o tren +Cr.Operanaturaleèch'uom favella. 2Cr.El. öCr.Onde.  618 LETTURA DUODECIMA M a , cosi o cosi, natura lascia Un : s'appellava in terra il sommo bene, Cr. El. 5 Cr. Chè l'uso de'mortali. ancor è della 2a T. 1 6   LEZIONE UNICA 619 tacinque anni, secondo la maggior parte dei dottori, acciò che ei fusse atto alla generazione.E in quanto all'anima, ripieno di tutte quelle scienze, alla cognizione delle quali si può na turalmente pervenire, acciò chè ei potesse insegnare a quegli che nascessero di lui tutte quelle cose che sono necessarie alla vita e al bene esser nostro. Con questa cognizione pose Adamo inomi convenientiatuttelecose,secondolaloronatura;eformò uno idioma,o vogliam dire uno parlare,con ilquale ei po tettemanifestareaidescendentiisuoiconcetti.Ma qualfusse questa lingua, non si sa già manifestamente per alcuno scrit tore. Gli Ebrei, come si legge ne’loro dottori sopra lo XI del Genesi, ove il testo dice che alla edificazione della torre di N e m brot si parlava in terra d'una sola lingua, dicono questa essere stata la loro, ed essersi così dal principio del mondo miraco losamente conservata intera e incorrotta (la qual cosa a nes sun'altra è avvenuta giammai "), per avere parlato Iddio sem p r e -m a i a M o i s è e a g l i a l t r i s u o i p r o f e t i i n q u e l l a ; e q u e s t o è ancora confermato da loro'con l'autorità dei loro Cabalisti,la quale può molto appresso di loro.Il che nasce dalla opinione ch'egli hanno, che quando Iddio dette la legge a Moisè sopra ilmonte Sinai,egli:glidesseancoralainterpretazionediquella, e gli manifestasse molti altri profondi misterii, contenuti e n a scosi sotto la lettera di quella, si come scrive Esdra nel suo primolibro.Ma dicano ch'egliglicomandòsch'einonscri vesse altro che la Legge,e l'altre cose dicesse a bocca a quelli che reggevano ilpopolo.Per laqual cosa,disceso dal monte, solamente le rivelò a losuè;e Iosuè dipoi a i settantadue più vecchi del popolo;e quelli dipoi per ordine successivo le re velaronoailorodiscendenti.E questadicanoesserelascienza Cabala,che non vuol dire altro che ricevuta a bocca per suc cessione. Questa oppenione ebrea ha molte difficultà. Primiera  1 giammai è della 2a T. · La 18 T., e questo ancora confermano. 3 La ja T., esso. * Cioè, dicono ; cosi, appresso , scrivano per scrivono, e simili. 5La14T.,eglicomando.   mente,sicomescrivanoiloroTalmudisti,'e'non parech'eisia vero che questa lingua ch'egli usano,e nella quale è scritta? la Legge, sia la lor prima e antica lingua.Imperò che Esdra, loro sommo sacerdote, nella restaurazione del tempio dopo la servitù Babilonica,5 temendo che se gli avveniva loro un'altra avversità simile, la Legge totalmente non si perdesse, ragunò tutti i savi loro; e fece scrivere quella, e ciò ch'ei sapevano appartenente a quella, in settantadue volumi. Ne'quali si legge che, per essere stati tanto tempo in quella servitù, mutarono molto il modo dello scrivere e dell'antica favella loro, e tro varono nuovi caratteri e nuovi punti, i quali sono quelli ch'egliusano oggi;equesto ancorapare,chesentaS.Girolamo nel prologo sopra i Libri dei Re. La ragione, per la quale ei dicano che Iddio parlo in quella, non è d'alcuno valore; i m però chè quasi tutti i loro scrittori, o la maggior parte, sopra iProfetidicanoIddiononaverparlatomai aquellivocalmente, ma quando egli ha voluto manifestare qualcosa o a Moisé a aglialtri,avere loro formato nella mente uno concetto,per il quale egli hanno inteso pienamente la volontà sua.'L'autorità Cabalistica,dalla servitù Babilonica in qua,non ha avuta molta fede; imperò che allora molti di loro, e per la servitù, e per la loro natura ch'è molto superstiziosa,come scrive Apuleio nel primo libro de'Floridi, scrissero di molte cose (dicendo di averle avute da iloro Cabalisti),che sono manifestamente contro alla lorleggeecontro alla ragione naturale;come sileggenelloro TalmutBabilonico,ilqualenonèaltrocheunoraccoltodi sen tenzie dei loro sapienti di quel tempo.Aggiugnesi ultimamente a questo, che secondo essi medesimi la loro lingua, con loro insieme, ebbe così nome da Eber figliuolo di Sem ,figliuolo di N o è , a l q u a l e n e l l a d i v i s i o n e d e l l a t e r r a t o c c ò l a G i u d e a ; il c h e ·La 1aT.,pererrortipografico,ha Tamuldisti;diquilosconciodella2a, che ha Tamulisti. 2 La 18 T., hanno scritto. i La 1a T., la Babilonica servitù. mai è della 2a T. La 1a T., la sua volontà. delle.  620 LETTURA DUODECIMA 6 La 1a T.,   LEZIONE UNICA 621 I Caldei,o vero Assirii,dall'altra parte dicono similmente che la lor lingua fu la prima che si parlasse mai ; e certamente ellaètantosimileallaebrea,come diceSanGirolamo?nelpro logo di sopra allegato,ch'ei si potrebbe fare coniettura ch'elle fussero già stateo una medesima.E in confermazione di questo adducanoquesteragioni,conl'autoritàdiBerosoCaldeo,'ediMna seae Damasceno, e d'Ieronimo Egizio.Primieramente e'dicano che non si truovano scritture innanzi al diluvio,se non nella lingua loro;e queste esser certe cose di astronomia, insieme con la pre dizione del diluvio scritta da Enoc,figliuolo di Iared,bene cin quecento anni innanzi a quello,in certi pezzi di terra cotta, ac ciò che leacque non l'offendessero.E similmente dicano essere nel MonteGordeo’inArmenia,incertisassi,dovedopo quellosifermò l'arca, scritte in quel luogo da Noè in memoria di tanto caso alcune cose;"e illuogo ancor nella loro lingua chiamarsi Mirmi Noa, che tanto vale uscita di Noè. Aggiungano a questo,che Abramo,ilquale fu primo a dare principio al popolo ebreo, fu da Dio primamente cavato di Caldea.Plinio pare che fusse ancor egli di questa oppenione, scrivendo che le lettere assirie 3 Male le stampe Masea ; e la 12 T., con errore più grave, facendo di due scrittori uno solo,Masea Damasceno.Anche nel Giambullari,Origine della lingua fiorentina (Fir.,1549,p.19),trovasi quasi l'errore stesso, cioè Mnassea Damasceno. Mnasea,geografodellafinedel3°sec.avantia Cristo, e Niccola di Damasco o Damasceno, storico dei tempi di Augusto, sono citati,insieme con Beroso Caldeo e con Girolamo Egiziano,da Giu seppe Flavio nel primo libro delle sue Antichità Giudaiche, là dove ei parla del Diluvio.  fu'circa trecento anni dopo ildiluvio.Si che ei pare più ra gionevole, ch'ella avesse principio allora quando ella ebbe il nome,ch'ellasifusseparlataprimatantotempo.E così,come voi vedete, questa loro oppenione è molto dubbiosa. 1 il che fu non si legge nelle 1a T. La 1a T., S. Ieronimo. 3 La 1a T., che ella fusse già stata. 4 Caldeo manca nella 2a T. 6 cotta manca nella 2a T. ? Giuseppe Flavio, loc. cit., lo chiama Monte de'Cordiei. 8 alcune cose manca nella 1a T.   sono eterne:la quale non di manco non è senza molte diffi cultà. Imperò che molti istoriografi degni di fede, e particular mente Iustino nel secondo della sua Istoria,tengono che la prima terra che fusse abitata sia la Scizia,e conseguentemente la lor lingua parimente sia stata o la prima. Il nostro Dante,parendogli che ciascuna di queste oppenioni fusse dubbiosa e incerta,sicome per il testo si vede,fu d'un altro parere diverso ; e a ciò lo indusse la esperienzia, maestra delle cose.Imperò che vedendo egli per lescritture le lingue d i t e m p o i n t e m p o v a r i a r s i, i n m o d o t a l e c h e c o m e e g l i s c r i v e nel suo Convito) se quei che morirono cinquecento anni sono, risuscitatitornasseroallelorocittadi,eicrederebbonoche quell fosserodastranegentioccupate,perlalinguadaloro discor dante.E non potendo però per questo persuadersi che dal prin cipiodelmondo allaedificazionedellatorre diNembrot,dove corsero circa due mila . anni, sempre si conservasse un m e d e simo modo di parlare, induce Adamo a rispondere che quella lingua,la quale eiprimieramente parlò,sispense e mancò tutta, innanzi che le genti di Nembrot cominciassero a edificare la torre. Per la quale risposta si può chiaramente vedere che il libro Della volgare eloquenza,tanto da alcuni Lombardi lodato,e tra dotto (per dire come loro) in lingua italiana, non è di Dante, ma da qualcuno altro stato cosi composto,e col nome di esso Dante mandato fuora.Con ciò sia cosa che quivi sidicas che la prima lingua,che parlasse Adamo,fuquella che usano oggi gli Ebrei, e che ella durò insino alla edificazione della torre di Nembrot ; dove qui dice Dante il contrario. Oltr'a di  5 La 1a T., 022 LETTURA DUODECIMA que sto, quivi si biasima il parlare fiorentino, il quale Dante nel suo Convito loda massimamente. Le quali contradizioni non credo iomai che Dante non avesse vedute, o vedutole, accon 1 La 1a T. ha soltanto stata . ? Le stampe hanno dalloro ;ma parrebbe qui meglio convenire dalla loro. i della torre, manca nella 2a T. *La 1aT.,dumilia. dice .   LEZIONE UNICA 623 sentite e scritte.E questo basti per intelligenza della nostra prima conclusione.Or vegniamo alla seconda: Che nullo effetto 1 mai razionabile, Per lo piacere uman,che rinnovella Seguendo il cielo, fu sempre ? durabile. Rende la ragione Adamo perchè si mutino e variino i par lari; e comincia da questa dizione che, dicendo che nullo effetto razionabile,cioè nessuna cosa fatta dall'uomo, il quale si chiama animal razionale,per lo piacere umano,cioè per il desiderio e per loappetitoumano:questovocabolopiacerehanellanostra lingua duoi significati; primieramente e'si piglia per ogni sorte di diletto; e appresso, perchè a tutte quelle cose che noi de sideriamo, ottenute che noi le abbiamo, ne seguita la diletta zione e il piacere, ei si piglia ancora per il desiderio e per loappetitochenoiabbiamodiunacosa;sicome noiveggiamo usarlo dal Boccaccio in molti luoghi,e particularmente nella novella di Rustico e di Alibec,dove ei dice:cheper disporla a ' s u o i p i a c e r i, c i o è a l l e s u e v o g l i e : e d i n q u e s t o s i g n i f i c a t o l ' u s a qui Dante, dicendo:per lopiacere umano,cioè per ildesiderio umano,che sirinnova esimuta,seguendo ilmoto del cielo, fu sempre durabile.E qui con grandissima arte egli aggiunse sempre; imperò che ei si truovano molti effetti dell'uomo, si come sono le scritture,le statue e la fama, Che trae l'uom del sepolcro e'n vita il serba, come disseilnostroPetrarca,lequaliduranotantotempo,che gli uomini,per non vedere ilfineloro,l'hanno chiamate eterne; ma non però sono durabili sempre.La qual cosa mirabilmente espresse Dante medesimo in un altro luogo, dicendo: Tutte le vostre cose hanno la morte 3 Come che voi;* ma celasi in alcuna Che vive 5 molto, e le vite son corte.  1 Cr.affetto. 2Cr.semprefu. ö Cr.Le vostre cose tutte hanno lor morte. i Cr. Siccome voi. 5 Cr. Che dura.   E cosiharendutolaragioneperchèiparlarisimutino.Ma per maggiore intelligenza di questa sua ragione, è di necessità vedere per quello che l'uomo si chiami razionabile,e in che modo le sue voglie, seguendo i moti del cielo, si mutino. D e vetedunque saperecheilCreatorediquestouniverso,perfarlo più bello ch'ei poteva, fece in quello di ogni sorte creature ; e quelle dispose tra loro con tanto ordine,cominciandosi dalla prima materia che riceve lo essere di tutte le cose,e salendo d i g r a d o i n g r a d o i n s i n o a l l ' u l t i m a f o r m a , c h ' è I d d i o , il q u a l e 1 dà l'essere a tutte,che ifilosofi l'assimigliarono a i numeri;i quali sono tra loro disposti con tanto ordine, ch'ei non si può tra loro inframettere unità alcuna senza variargli. Intra queste cose,  624 LETTURA DUODECIMA alcune o furono da lui fatte perfette, e alcune imperfette. Perfette si chiamono : quelle che furono da lui create incor ruttibili,e in certo modo eterne, ed ebbero tutte le perfe zioni che si convengono alla loro natura insieme con lo essere, sì come sono, infra i corpi, i cieli, e infra gl'intelletti, quello dell'angelo.Imperfette poi si chiamono quell'altre,che furono da luicreate corruttibili e mortali,e che non ebbero da prin cipiotuttalaloroperfezione,ma sel'hannoacquistataconil moto e con il tempo,e oltr'a questo sono sottoposte a tutte le alterazioni che arrecano seco imoti celesti; si come sono, tra i corpi, le piante e gli animali, e tra gl'intelletti, quello del l'uomo,per essere col suo corpo mirabilmente unito.E questo fece il sommo Fattore, perchè a questo universo non mancasse alcuna sorte di creature, acciò che le perfette con la loro bel lezza e perfezione di natura ci tirassino alla contemplazione di esso Iddio sommo,e le imperfette, poste a lato a quelle,ci ren dessino la loro bellezza più maravigliosa e più desiderabile. L a qual cosa veggiamo noi che usano ancora 6 nei loro canti i m u . sici,mescolandovi delle consonanze imperfette, perchè quelle r e n dino poi le perfette più dolci e più grate a gli orecchi de gli iLa 1aT.,che. 2 2a T., alcune ne furono. 3 La 1a T., chiamo io. * La 1a T., Imperfette chiamo io ecc. 5 La 1a T., che ancor fanno.   LEZIONE UNICA 625 ascoltanti.Ma perchè questo sommo benefattore e padre volle che ogni cosa potesse acquistare la perfezione sua, dette a cia scuna un valore e una virtù per la quale ad essa si conducessi, e una voglia e un desiderio ardentissimo che a quella le ti rassi; si come agli elementi uno valore che gli spigne a quei luoghi dove ei sono sempre perfetti, come alla terra lo andare alcentro,ealfuocoalconcavodellaluna,làdoveegliève ramente fuoco; (imperò che,come noi abbiamo da Aristotile nel primo delle Meteore, questo che noi veggiamo non è fuoco, m a è una soprabbondanza di calore,sicome è ilghiaccio nell'acqua una soprabbondanza di freddo); e alle piante uno principio in trinseco,' per il quale elle si nutrissero ed aumentassero e po tessero generare dell'altre simili a loro;? e agli animali uno principio di moto intrinseco, per il quale ei potessero fuggire quelle cose che fossero nocive e disconvenienti alla natura loro, e seguir quelle che fosser loro salutifere e convenienti, insieme con un desiderio innato che gli spingesse a cercarle. Questo principio nelle piante e negli animali è stato chiamato dai filo sofi natura, che altro non vuol dire, che quella potenza onde ha origine e principio quel moto,per il quale egli acquistano le loro perfezioni.E desiderando similmente ancor che l'intel letto dell'uomo acquistasse la sua perfezione, gli diede una po tenza o vero facultà, con la quale ei potesse similmente acqui starla,chiamata dai filosofi discorso o vero ragione.Imperò che l'intelletto dell'uomo non ha da natura altra cognizione che quella dei primi principii,insieme con ildesiderio dello inten dere,ch'è lasua perfezione:iquali,sìcome noi abbiamo da Ari stotile nel quarto della sua Prima filosofia,' sono le conclusioni che sono parimente chiare e note a tutti gl'intelletti, subito ch'egli hanno inteso itermini loro,come sarebbe questa:egliè impossi bile che in un medesimo tempo una cosa medesima sia e non sia; perchè ciascuno intelletto,subito ch'eisa che cosa è essere,e che 1La 1aT.,uno intrinsecoprincipio. ? La 1a T., dell'altre a loro simili. 3 La 1a T., valore. 4 La 2a T., della sua Filosofia.  40. Vol.II.   626 LETTURA DUODECIMA cosa è non essere,sa che questa conclusione è vera per proprio lume intellettuale, e non l'impara per esperienza o per eserci z i o a l c u n o . O n d e b e n d i s s e il n o s t r o D a n t e n e l s u o P u r g a t o r i o : Da questa cognizione intellettuale de iprimi principii,come da cosa nota,partendosi l'intelletto dell'uomo,con una potenzia ch'egli ha va discorrendo e raziocinando (se così dir si puote) all'intelligenzia delle cose ch'ei non intendeva,ed empiesi di intelligibili,doveprimaeracome una tavola rasa;ecosìviene ad acquistare la sua perfezione. Questa potenzia nella nostra lingua si chiama ragione; e da lei è l'uomo poi chiamato ra zionale, così come quell'altre cose, che io prima vi dissi, per acquistare la loro perfezione con la natura, son chiamate n a turali. Questo nome razionale ? non si può dare all'Angelo, a n cora ch'egli abbia lo intelletto,per essere quello • d'una natura pura intellettuale; la quale fu creata da Dio con tutte le sue perfezioni, cioè piena di tutte le specie intelligibili (onde non sel'haacquistare conalcunasuaoperazione,comel'uomo);e che oltra di questo è 8 di tanta virtù,che quando Iddio gli a p presentasse qualche nuovo intelligibile, ei lo intenderebbe s u bito per semplice lume dell'intelletto,nel modo che intendiamo noi iprimi principii,e senza alcun discorso,e tutto perfetta menteinunoinstanteeinuno tempo indivisibile;enonprima una parte e poi l'altra, si come fa l'intellettonostro ne l’in tender suo,o per non essere di tanta perfezione; m a farebbe in quel modo che fa uno lume,quando egli è portato in una stanza buia,che la illumina tutta in uno istante, e non prima una parte e di poi un'altra.E per questo dicano alcuni teologi che gli A n g e l i c h e p e c c a r o n o n o n si s o n o m a i p o t u t i p e n t i r e ; i m p e r ò c h e ne l'intender suo, non è nella 1a T.  Però là onde nasca 1 l'intelletto Delle prime notizie,uomo non sape. 1Gr. vegnd . ? La 1a T. manca di questa parola. 3La1aT.ha:perchèegliè. ·La18T.,enonsel'haavuteacquistare. 5La1aT.hasolo:Oltraadiquestoeglièecc.   LEZIONE UNICA 627 intendendo quegli ciò ch'egl'intendano per semplice 'apprensione d'intelletto, lo intendano immutabilmente, e senza mai potere variareemutare illoro intendimento;sicome ancora noi non possiamo mutarci di quelle cose che noi intendiamo per sem plicelume d'intelletto,come sonoiprimiprincipii;ilchenon avviene di poi di quelle che noi intendiamo per discorso di ra gione.E peròsichiamal'Angelocreaturaintellettuale,el'uomo creatura razionale e discorsiva.E perchè,in quanto al corpo, l'uomo è composto di questa materia elementare della quale sono composte tutte le altre cose sotto la luna, la quale m a teria è obligata e sottoposta alle alterazioni che inducano i moti celesti in lei,egli è da quegli insieme con l'altre cose di versamente disposto.Onde cosi come la terra altra disposizione riceve dai cieli il verno, quando ella ha a corrompere i semi e generare le cose, e altra la primavera, quando ella si ha a vestire di erbe e di fiori, così la complessione nostra altrimenti è disposta in uno tempo,e altrimenti in un altro;onde l'anima nostra razionale,in quanto ellaè fondata in su questa nostra complessione corporale,altre voglie ha in un tempo,e altre in un altro. Imperò ch'ella è tanto mirabilmente unita con quello,che l'operazioni che ancor totalmente dependono da lei mentre ch'ella è in esso corpo, si attribuiscano al tutto; onde dice il Filosofo nel primo Dell'anima, che chi dicesse : l'anima mia odia,o l'anima mia ama, sarebbe come dire:l'anima mia fila,ol'animamiatesse.E seciònonfusse,cioèchel'anima seguisse la disposizione del corpo,egli ne avverrebbe,sicome apertamente pruova Galeno in una operetta ch'ei fa di questa materia, che l'operazioni degli uomini sarebbero tutte a un modo medesimo;3di che manifestamente si vede ilcontrario. Imperò che le anime nostre nella loro sustanzia,e,come dicono questi teologi, in puris naturalibus, sono tutte in un medesimo modo e d'una medesima virtù;ma pigliano poi diversi costumi, secondo la complessione de'corpi ne'quali elle sono incluse,  1La1aT.,perunasemplice. 4 La 1a T.,con manifesto errore,mutabilmente. 3La1aT.,aunmodo.   e hanno diverse voglie, secondo che quegli si variano per i moti celesti.E questo basti per la seconda parte del nostro ra gionamento. Or vegniamo alla terza e ultima. Risponde dottissimamente in questa ultima parte Adamo a una tacita obiezione, che se gli sarebbe potuto fare; la quale Ma,cosiocosi,naturalascia Poi fare a voi secondo che v'abbella. Per le quali parole voi avete a considerare che l'uomo è c o m posto di due nature,o vogliam dire di due parti;con l'una delle quali,laqualeèl'animaincorporea,immortale,razionalee li bera,egliè simile alleIntelligenzie celesti;econ l'altra,laquale è ilcorpomortaleeirrazionale,èsimileaglianimalibruti.E ciò fu dalla natura fatto con mirabile artificio; imperò che avendo ella fatto in questo universo delle creature irrazionali,corporee e m o r t a l i , e d e l l e r a z i o n a l i, i n c o r p o r e e e d i m m o r t a l i , e n o n v o lendo che siandasse da l'uno estremo all'altro senza mezzo,le fu necessario fare l'uomo, che con una parte communicasse con  628 LETTURA DUODECIMA 1 Opera di natura3 è ch'uom favella; può,non leggesi nella 2a T. ? naturale, manca nella 2^ T. 3 Cr. Opera naturale. è questa. Potrebbe dire alcuno:A me non pare che questa tua ragione, Adamo,conchiuda e sia bastante;imperò che tudi'che iltuo parlare mancò per essere effetto dell'uomo,e gli effetti dell'uomo col tempo mancano tutti,per esser esso uomo ,ch'è la loro causa , caducoemortale;enessunoeffettopuò esseredimaggiorperfe zione che la sua causa. Questo è ben vero, che gli effetti che procedano semplicemente dall'uomo non sono sempre durabili; m a il p a r l a r e n o n è d i q u e s t i . I m p e r ò c h e n o n è s u o e f f e t t o t o talmente, ma è sua propietà naturale;' le quali così fatte pro pietànon siseparano mai dallaspecie loro,sìcome lacalidità dal fuoco, e la frigidità dall'acqua. Dunque come di'tu ch'ei mancasse per esser suo effetto ? Alle quali parole così risponde Adamo :   LEZIONE UNICA 629 q u e s t e , e c o n u n ' a l t r a c o n q u e l l e . E p e r ò il p a r l a r s u o , i n s i e m e con l'altre sue operazioni, si può similmente considerare in due modi.Primieramentesipuò considerarecomesuaproprietàna turale; e questo è il parlare istesso in genere,non si ristrignendo piùaunomodocheaunoaltro;'einquestomodoeglinon mancherà mai all'uomo,ma sempre che saranno uomini,sempre parleranno;e di questo non parla qui Adamo.Secondariamente si può considerare come cosa dependente dalla parte libera e r a zionale dell'uomo ;e questo è il modo del parlare (e non il par lare),come sarebbegreco,latino,o toscano;e in questo modo è egli effetto dell'uomo, e variasi e mutasi secondo che pare a gli uomini.E però disse il Filosofo che i nomi sono stati posti alle cose,secondo ch'è piaciuto a gli uomini.E questo è quello chedicequiAdamo,chemancòemutossi.Onde diceneltesto: Opera di natura è ch'uom favella, cioè : egli è cosa naturale all'u o m o il parlare ; m a così o così, m a più in questo modo che in quello,natura lascia poi fare a voi, secondo che vi abbella, cioè secondo che vi piace;chè cosi si gnifica questo verbo.Il quale è verbo provenzale,che a quei tempi era in uso ; e dal medesimo Poeta ancora fu usato,? nella medesima significazione, nel Purgatorio in persona di Arnaldo di Provenza, che fu nei tempi suoi compositore molto famoso, sì come noi veggiamo per le parole del Petrarca ne'suoi Trionfi. E così è soluta questa obiezione.Ma per maggiore dichiara zione di questo testo, voglio che noi veggiamo per quello che il parlare sia stato dato dalla natura solamente all'uomo, e non ad alcun'altracreatura,ese egliènecessarioono;imperò che la natura, così com'ella non manca mai nelle cose necessarie, non abbonda ancora mais nelle soverchie. ' La 1a T., non si ristrignendo più a questo modo che a quello. 1La 1aT.hasolo:ancorausato.  Avendo la naturà fatto l'uomo, in quanto al corpo, il più imperfetto e debole di alcun altro animale (il che forse le fu 3 ancora mai, non è nella 1a T.   forza, per volerlo fare più prudente che alcun altro,donde gli bisognò farlo di più temperata complessione),ne avviene che ogni minima cosa l'offende; il che non fa così agli altri animali.Oltr'a di questo,avendogli dato lo intelletto in certo modo imperfetto e ilminimo tra le intelligenze,come noi abbiamo dal Filosofo nel libro Dell'anima,e desiderando ch'ei potesse conseguire la perfezione e dell'uno e dell'altro,le fu necessario concedergli il parlare, con il quale ei potesse chiedere i bisogni del corpo, e apparare le cose necessarie alla perfezione dell'anima. Voi vedete,inquantoalcorpo,ch'einasceignudo,ehassia ve stire della pelle degli altri animali, a procacciarsi il cibo, e a fabricare le case,dov'ei possa difendersi da quegli incommodi che arrecano'seco le varie stagioni de'tempi.Vedete ancora di poi,in quanto all'anima,che gli bisogna apparare molte cose,se non necessarie allo essere,almanco al bene essere della sua vita, senzalequaliellasarebbemiseraeinfelice.Ilchenon avviene a gli altri animali;' perciò che ei sono vestiti dalla natura, e per tutto truovano i cibi convenienti alla lor vita ; e senza alcuno maestro, ma solamente da naturale instinto guidati, si sanno fare le case, e ciò che fa loro di mestieri a conservarsi. Vedete la rondine, che quando viene il tempo di fare i suoi figliuoli, sa per natura fare il nido ; e di poi, veggendogli nati ciechi,vaacercare lacelidoniaperguarirgli.Eleformiche similmente sono da lei spinte,quando ifrumenti sono sparsi su per l'aie, a pigliarne e riporgli nelle lor buche. Che bisogno adunque avevano glianimali di parlare? Chè,seeisono d'una specie medesima,hanno bisogno di sìpoche cose, e tutti a un modo,e son spinti dalla natura a cercarle:e se ei sono di varie specie,non convengonoinsieme.Ma all'uomoèeglicertamente stato necessario ;imperò che egli ha bisogno di tante cose,e quanto al corpo e quanto all'anima,che nessuno se le può procacciare per sè solo; e però è stato bisogno che si accozzino insieme molti, e che l'uno sovvenga al bisogno dell'altro. Il che non 4 La 1a T., Il che a gli altri animali non avviene. 2 La 1a T., è dalla natura spinta a cercare. 3 La 1a T., hanno di sì poche cose bisogno.  630 LETTURA DUODECIMA   LEZIONE UNICA 631 si saria potuto fare senza questo mezzo del parlare,con ilquale l'uno possa manifestare all'altro i suoi bisogni ; e per questo la natura l'ha dato solamente all'uomo,come quella che non manca mai'nellecosenecessarie.E peròèquichiamatodalPoetail parlare operazione naturale dell'uomo, cioè necessaria alla n a tura sua.E se alcuno mi opponesse,dicendo che ci sono an cora de gli animali che parlano,si come gli stornegli, le gazze, i papagalli,e non solamente l'uomo,si risponde che il loro non èparlare,ma èunaimitazionedivoce;imperòcheeinonin tendono ciò che ei dicano,e dicano sempre quelle parole che egli hanno nell'udire imparate,o a proposito o no ch'elle si sieno. E se alcun altro dicesse : C o m e di'tu che il parlare è solamente dell'uomo ?non abbiamo noi nelle sacre lettere,in molti luoghi, ch'e'parlanoancoragliangeli?dicocheilparlarenon s'appar tiene all'angelo,come angelo.Imperò che gli angeli sono spiriti, e sono loro manifesti iconcetti l'uno dell'altro; ma se eglino alcuna volta hanno parlato, ei l'hanno fatto per manifestarsi a noi e per bisogno nostro, e hanno preso corpi, dal ripercoti mento de i quali hanno formate le voci o vero suoni,e con la lor virtù le hanno poi terminate e fatte significative; si come ei fecero nell'asina di Balaam, la quale coi suoi strumenti natu rali faceva la voce,e l'angelo la terminava e faceva significativa. A v e t e d u n q u e v e d u t o c o m e il p a r l a r e è s o l a m e n t e d e l l ' u o m o , e com'ei sia sua operazione e proprietà naturale.Della qual conclusioneioprobabilmentecavo una particularlodedellano stra lingua;equesta siè,ch'ellasiapiùpropria all'uomo,che alcun'altrachesiparli.E chequestosiailvero,lopruovocosì. Tanto quanto una operazione è all'uomo più propria e secondo lasuanatura,tantoglièancopiùfacileemen faticosa;ilpar lare nostro gli è men faticoso e più facile che alcun altro; adunqueglièpiùproprio,epiùsecondolanaturasua.E che •La1aT.ha:imperòcheeinonintendonociòcheeidicano,cheèil propriodelparlare.E cheeisiailvero,avvertitechee'diconosempre quelle parole ecc.  i La fa T.,che mai non manca. ? La 1a T., gli storni.   questosiailvero,ponetementechenessunalinguaèpiù fa cile a imparare,che la nostra.Pigliate uno che non sappia altra lingua che lasua,emenateloinTurchia,nellaMagna,fraSpa gnuoli,Francesi o Schiavoni,o tra quale altra gente sivoglia; e poi lo menate tra noi. Voi vedrete (e questo ne dimostra la esperienzia) ch'ei non imparerà di qual si voglia lingua tanto in uno anno, quanto ei farà della nostra in uno mese. Il che non avviene per altro, che per la facilità d'essa, e per la pro prietà ch'ella ha con la natura umana.Un'altra cagione si po trebbe forse ancor dire che fusse quella, per la quale questa nostra lingua s'impara così facilmente.E questa siè,per avere tutte le sue parole che finiscono in lettere vocali ; le quali per essere, come scrive Macrobio, quasi che naturali all'uomo, si mandon più facilmente alla memoria che l'altre,e ancora più lungamente si ritengono.Donde nasce forse ancora quella m a ravigliosa bellezzach'ellaha,scrivendoQuintiliano,chequante più lettere vocali ha una parola, tanto è più dolce e più grato il suo suono. Seguita Adamo ilparlar suo;e per confermazione delle cose ch'egli ha dette adduce per esemplo,che innanzi ch'ei morisse, gliuominimutaronoilnomeaDio;edoveprimalochiama vano Uno,gli posero nome El.Nelle quali parole ei fa quella bellaargomentazione cheilogicichiamanoamaiori;laquale io credo che noi potremo ? chiamare dalla parte più importante. Fa dunque Adamo questa argomentazione, per volere provare che la sua lingua mancò, dicendo: Se Iddio, il quale è sola mente stabile e immutabile in tutto questo universo, a mio tempo mutò nome, che credete voi che facessero l'altre cose, le quali sono in sempiterno moto e continuamente si variano ? Di poi dice che noi non ci debbiamo maravigliare diquesto; con ciò sia cosa che l'uso umano continuamente si muti e si varii in ciascuna operazione nostra. E assomigliandolo alle frondi, fa una comparazione tanto dotta e tanto bella, che io  632 LETTURA DUODECIMA 1La1aT.,eifaunaargomentazione. 2 Così le stampe; ma forse la lezione vera ha da essere potremmo. 3La 1aT.hasolo:conciòsiachel'usoumanocontinovamentesimuta.   LEZIONE UNICA 633 Pria ? ch'io scendessi all'infernale ambascia, cioè: prima ch'io morissi e discendessi nel Purgatorio,o vero nel Limbo,dove andavano tutte l'anime di coloro che crede vano l'avvenimento di Cristo.Ambascia è quella infermità che iGreci e iLatini chiamano asma,e ancora da noi toscanamente si chiama asima;la quale è una difficultà di alitare, che, se condo Aezio nell'ottavo, nasce dall'avere ristretti i meati del polmone (cioè quei luoghi dove passa lo spirito a rinfrescamento del cuore),e ripieni di materie grosse eviscose;'o veramente nasce da debolezza di virtù naturale. Galeno nel quarto libro De'luoghiinfettidicech'ellapuòancorprocedereda infiamma zione di cuore;e dà lo esemplo di coloro che hanno la feb bre,e di coloro che si sono affaticati nel correre, i quali, per avere acceso ilcalore nel cuore ed eccitatolo,'patiscono que sta difficultà di respirare. E perchè ancora coloro che sono rinchiusi in luoghi che non abbino esito,o son ripieni di vapori grossi, patiscano questa difficultà, si dice per similitudine che gli hanno l'ambascia. Ora perchè ilLimbo,come voi avete da Dante medesimo, è un luogo appiccato con l'Inferno nel ventre della Terra; e ne'luoghi che sono sotterra,per esser ripieni di vapori,che il sole continuamente tira da quella, si respira con difficultà, dice qui Adamo: Pria ch'io scendessi all'infernale ambascia, cioè,al Limbo tra gli altri santi padri.Questo luogo ancora nelle s a c r e l e t t e r e è c h i a m a t o il s e n o d i A b r a m o ; e l a c a g i o n e è , p e r chè Abramo fu il primo,che lasciati gl'Idoli venissi al cultos  perme nonsapreichealtralodedarmele,senondirech'ella' è di Dante ; perciò che io non ho mai visto ancora autore al cuno che in questo l'avanzi.Dice adunque il testo: 1 La 18 T., che dire ella ecc. ?Malela2aT.,Prima. 3 La 1a T.,di materia grossa e viscosa. · La 1a T., escitatolo. 5 La 1a T., venne al vero culto.   di Dio;onde gli fu promesso che del seme suo uscirebbe la redenzione del mondo.E però coloro che morivano,andando in questo luogo, si diceva che gli andavano a riposarsi nel seno di A b r a m o, cioè nella promissione che fu data da Dio ad A b r a m o . Dice adunque Adamo:pria ch'io scendessi a questo luogo,il sommo bene, cioè Iddio, Donde vien la letizia che mi fascia, cioè, da cui viene la mia beatitudine (imperò che, come noi a b biamoinSanGiovannialXVIIcapitolo,altrononèvitaeterna chevedereIddio),erachiamato dagliuominiUno.Ilqualenome glifupostodaqueglipersimilitudine,eper alcune proprietadi cheha l'unità con Dio,sìcome è,essere semplice,indivisibile, non essere numero, ma principio di tutti,e mantenere tutte le coseinessere;perchè,come voi avete da Boezio,tantoèuna cosa,quantoellaèuna;lequalituttecosesonoinDio.Im però che egli è semplice e indivisibile; non è alcuna di queste cose che noi veggiamo,ma principio di tutte,e mantienle in essere continuamente ; e molte altre proprietà simili al l'unità , comesileggenelladottrinapitagorica.E perògliposerogli uominiquestonomeUno;perchènonpotendoporglinomi che significassero la sua sustanzia (perchè nessuno conosce il Padre , se non ilFigliuolo,come noi abbiamo in San Matteo allo XI ), gli ponevano di quegli che significano ? qualche sua proprietà. Dipoi,lasciandoquestonome Uno,lochiamaronoEl,cioèDio; il quale nome gli fu ancora posto per una proprietà sua. I m però che considerando gli uomini la maravigliosa potenza de le opere sue, lo assimigliarono a l'ardere del fuoco, non si ritro vando infra l'operazioni delle cose naturali potenzia alcuna che superiquelladelfuoco.Onde diceiltesto:Ellesichiamdpoi. Avvertite che tuttiitesticheiohovistidicano:Eli sichiamo poi; ilche non può stare;imperò che Eli vuol dire Iddio mio; 1 La 28 T., ha ;ma la lezione è mal sicura,poiché il passo nella stampa è guasto, e potrebbe non essere stato emendato interamente nelle correzioni a detta edizione. In quella del Doni, le parole a l'unità mancano.  634 LETTURA DUODECIMA •La faT.,significavano.   LEZIONE UNICA 635 donde la sentenza non quadrerebbe a dire:ei si chiamò poi Iddio mio.Anzi sichiamò El, che vuol dire Iddio.E per fare il verso intero disse Elle,e non El,come ei devea;e usò qui lo Elle in quel modo ch'egli usò nel XXIII canto del Pur gatorio lo m , dicendo : Ben avria quivi conosciuto l'emme. Questo nome El fu ancora posto a Dio per una sua proprietà; perchè tanto è adireEl,quanto potenteeconservatore.E per questa cagione una gran parte degli angeli,per essere stati da Dio ordinati e deputati a governare e mantenere questo uni verso,hanno incluso nel nome loro questo nome diIddio El; nè senza quello si possono nella ebraica lingua proferire, si come è Gabriel,che vuol dire grazia o vero virtù di Dio, Raf fael,medicina di Dio,e così va discorrendo de gli altri.La qual cosa non è senza gran misterio,come potrà ben vedere chi vorrà diligentemente esaminarla nel santissimo Reuclino e nell'uni versalissimo'Agrippa.Di poiseguitailtesto:eciòconviene,e questa è cosa conveniente;però che l'uso umano Dottissimamente e con grande artificio assomiglia il Poeta i c o stumi dei mortali alle fronde.Imperò che,come voisapete,le fronde si generano e cascano da gli alberi per la disposizione che fa il sole con l'altre stelle, appressandosi o discostandosi da quegli; e così le nostre voglie, sì come noi abbiamo a suf ficenzia di sopra dichiarato, si mutano e si variano secondo la disposizionecheilcieloinduceneinostricorpi.E questobasti per dichiarazione di questo testo. Se altra volta ne fia data occasione,noi c'ingegneremo di sodisfarvi maggiormente per la grata audienza che voi ne avete prestata; della quale somma mente vi ringraziamo. 1 La 1a T., e universalissimo. Grice: “The issues Gelli addresses are interesting, but hardly Oxonian.” Grice: “Gelli is considering ‘our tongue’ (nostrra lingua) and conversing on how difficult it is to set it to rules – not impossible, though. Cf. my procedures. Gelli is confused about ethnicity. The Roman ethnicity is different from the Latin ethnicity, -- or rather the Latin ethnicity involved more than the Roman ethnicity – yet he uses freely and undistinnctly ‘lingua romana’ and ‘lingua latina’ – or ‘latino’ meaning sermone – otherwise, he refers to ‘i romani’ – never to ‘I latini’ – the thing is – with who is he contrasting them? With the fioreusciti fiorentini like himself, the flourished Florentines – lingua fiorentina – but he seems to prefer lingua toscana – he accepts that lingua napoletana is quite a different thing, since he himself cared to translate from ‘lingua napoletana’ to ‘lingua toscana’ – more interestingly, he is into Toschani (thus spelled) --. And here comes the myth which some have called evangelist. Etruria as the cradle of Tuscany, and Hebrew and Adam’s tongue as the ‘lingua primigenia’. Gelli is clear about the nature of language – made for ‘uno possa manifestare all’altro i suoi bisogni. Like Plato, he revels in the dialogic form, of a cooper with his own soul – what about Boezio and Cicerone, he asks. They are different. Cicero tried to ENRICH (make piu ricca) the lingua he thought was the ‘piu bella del mondo’ – Boezio the same. But the Toschani are not Romani – and so the cooper can do as he wishes!” Giovan Battista Gelli. Gelli. Keywords: sulla difficultà di mettere in regole la nostra lingua, lingua, linguaggio, Grice on English, idiolect, dialect, Language, ---. Noe – origine della lingua, la lingua di Adamo – la lingua fiorentina -- Accademia agli Orti Oricellari; Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690118940/in/photolist-2mPC6Zb-2mLKeCe-2mKC3nj-2mKFnvf-2mKA5tC

 

Grice e Gemmis – il console – filosofia italiana – Luigi Speranza (Terlizzi). Filosofo. Grice: “I love Gemmis.” Grice: “Gemmis is a good example of how an Italian philosopher differs from a philosophy don at Oxford – ‘don’ is derogatory; whereas de’ Gemmis is a barone! – And he writes about ‘reason,’ ‘ragione’ – with Abate Genovesi --; unlike a ‘don’ at Oxford who would over-do reason to keep a post at his college!” – Grice: “In them days, Italian illuminists took reason very seriously, and possibly ‘light,’ too!” Ferrante de Gemmis (Terlizzi), filosofo. Figlio del Barone di Castel Foce Tommaso de Gemmis e di Francesca Bruni dei baroni di Cannavalle, fu fratello di Gioacchino, rettore dell'Altamura, di Giuseppe de Gemmis, Presidente della Regia Camera della Sommaria, e di Giovanni Andrea, Consigliere della Suprema Corte di Giustizia.  Si trasferì in Napoli affidato al prozio, il potente Ministro Ferrante Maddalena, dove studia dai più prestigiosi precettori. Fu allievo di Genovesi, di cui divenne amico e con cui mantenne una cospicua corrispondenza epistolare raccolta nelle Lettere familiari del celebre illuminista. Si laurea a Napoli, il ministro Maddalena lo introdusse negli ambienti più esclusivi della corte partenopea istituendolo erede universale con la clausola di aggiungere il suo cognome, obbligo mai rispettato dai discendenti. Morto il pro-zio, e nominato dal sovrano giudice a Cava de' Tirreni e fu malvisto a corte poiché rinunzia alla carica per ritirarsi a Terlizzi, per stare vicino al padre malato. Qui si dedica ai suoi studi di filosofia e da vita ad una fervida attività culturale rivelandosi l'esponente primario dell'illuminismo. Istituì una Accademia, vero e proprio cenacolo culturale con scopo di ricerca scientifica e di attuazione pratica di conoscenze in campo agricolo. Purtroppo, non ottenendo l'approvazione Reale perché sospetto centro di idee liberali, l'Accademia dovette chiudere, ma gli incontri culturali proseguirono ufficiosamente per anni grazie anche all'incoraggiamento epistolare di Genovesi. Sposa Caterina Lioyi, di nobile famiglia di orientamento massonico. Fu governatore de promosse il riscatto della città dal diritto di molitura che aveva la duchessa di Giovinazzo donna Eleonora Giudice. Fonda il Conservatorio delle Orfanelle a la scuola pubblica con reale approvazione. Fu inoltre incaricato da Ferdinando I di Borbone al riordinamento dell'amministrazione della Città, che fu divisa in tre ceti in base ai ranghi. Ebbe sette figli, tra cui Tommaso de Gemmis Maddalena, capitano dei R. R. eserciti e governatore militare di Terlizzi; Elisabetta, moglie di Giuseppe de Samuele Cagnazzi, fratello del celebre Luca de Samuele Cagnazzi; Cecilia, sposatasi con Pietro Lupis e Giuseppe, sposato a Donna Maria de Introna, dalla cui discendenza avrà origine il ramo di Gennaro de Gemmis. De Gemmis scrive numerose opere letterarie e filosofiche, che volle pubblicate anonime per modestia e che oggi sono andate perdute, salvo “Tavole cronologiche della Storia Universale” (Napoli, Stamperia della Soc. Letteraria e tipografica). Gaetano Valente Feudalesimo e feudatari Terlizzi nel Settecento, Molfetta, Mezzina, Cabreo de Gemmis, Biblioteca Provinciale de Gemmis, Bari Ruggiero Di Castiglione, La Massoneria nelle Due Sicilie e i fratelli  meridionali del '700, Gangemi Editore, Roma.  FERRANTE DE GEMMIS Figlio di Tommaso de Gemmis e di Francesca Bruni dei baroni di Cannavalle, fu fratello di mons. Gioacchino de Gemmis, rettore dell'Università di Altamura e di Giuseppe de Gemmis, Presidente della Regia Camera della Sommaria. All'età di undici anni si trasferì nella capitale affidato al prozio, il potente Ministro Ferrante Maddalena, dove studiò grammatica, eloquenza greca e latina, logica e matematica dai più prestigiosi precettori dell'epoca. Fu anche allievo dell'Abate Antonio Genovesi, di cui divenne amico e con cui mantenne una cospicua corrispondenza epistolare raccolta nelle Lettere familiari del celebre illuminista. Laureatosi in diritto all'Università di Napoli il ministro Maddalena lo introdusse nella pratica forense e negli ambienti più esclusivi della corte partenopea istituendolo, alla fine, erede universale con la clausola di aggiungere il suo cognome al proprio, obbligo mai rispettato dai discendenti. Morto il prozio nel 1752 fu nominato dal Re giudice a Cava de' Tirreni e fu malvisto a corte poiché rinunziò alla carica per ritirarsi a Terlizzi nel 1754. Qui si dedicò ai suoi studi di filosofia e diede vita ad una fervida attività culturale rivelandosi esponente primario dell'illuminismo della regione. Istituì una Accademia a Terlizzi, vero e proprio cenacolo culturale con scopo di ricerca scientifica e di attuazione pratica di conoscenze in campo agricolo. Purtroppo, non ottenendo l'approvazione Reale perché sospetto centro di idee liberali, l'Accademia dovette chiudere ma gli incontri culturali proseguirono ufficiosamente per anni grazie anche all'incoraggiamento di Antonio Genovesi. Ebbe un grave incidente per la caduta da un calesse, per cui subì una difficile operazione e a stento salvò la vita. Prese in moglie nel 1757 Donna Caterina Lioy di Terlizzi. La nobile famiglia Lioy, di orientamento massonico, si trasferirà in quegli anni a Vicenza dove avrà i natali il nipote Paolo Lioy. Fu governatore di Terlizzi e promosse il riscatto della città dal diritto dell'ius moliendi, diritto di molitura, che aveva la duchessa di Giovinazzo donna Eleonora Giudice. Fondò il Conservatorio delle Orfanelle nel 1769 e nello stesso anno aprì le scuole pubbliche con reale approvazione. Fu inoltre incaricato da Francesco I di Borbone al riordinamento dell'amministrazione della Città, divenuta regia nel 1774. Ebbe sette figli, tra cui Tommaso de Gemmis Maddalena, capitano dei R. R. eserciti e governatore militare di Terlizzi; Elisabetta, moglie di Giuseppe de Samuele Cagnazzi, fratello del celebre Luca de Samuele Cagnazzi; Cecilia, sposatasi con Pietro Lupis e Giuseppe, sposato a Donna Maria de Introna, dalla cui discendenza avrà origine il ramo di Gennaro de Gemmis. Scrisse numerose opere letterarie e filosofiche, che volle pubblicate anonime per modestia e che oggi sono andate perdute, salvo il libro storico intitolato "Tavole cronologiche della Storia Universale" pubblicato a Napoli nella stamperia della Soc. Letteraria e tipografica nel 1782. Ne scrisse la biografia Vitangelo Bisceglia pubblicata nel "Dizionario degli uomini illustri del Regno". Morì a Terlizzi, largamente stimato, il 21 aprile 1803, e fu sepolto nella cappella nobiliare de Gemmis di Terlizzi.Ferrante de Gemmis. Gemmis. Keyowords: il console, tavola cronologica della storia universal. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gemmis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758773591/in/dateposted-public/

 

Grice e Genovese -- tribù – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Genovese; for one, he has explored the philosophy of ‘vincoli,’ which is all that my theory of communication is about!” Grice: “Genovese has explored the etymology of ‘tribe,’ as originating with Romolo!” Gricce: “Genovese has punned on Kant’s silly ‘pure reason,’ surely what Kant meant was a pure critique of reason – since ‘pure’ is hardly synonymous with ‘theoretical,’ which the treatise is all about! When Kant goes on to write Part II, he qualifies ‘reason,’ as ‘practical,’ HARDLY impure!” – Studia a Pisa e Parigi sotto Foucault al Collège de France. Interessato alla teoria dei sistemi, entra in contatto con Luhmann. La teoria sociologica costituirà da allora una parte importante della sua riflessione. Membro della Fondazione per la critica sociale, fa parte della redazione della rivista La società degli individui e lascia la redazione di Il Ponte per contrasti sulla direzione della rivista.  Formatosi in una prospettiva hegelo-marxista vicina alla Scuola di Francoforte, se ne allontana progressivamente (come si può osservare già in “Dell’ideologia inconsapevole. attraverso Schopenhauer, Nietzsche, Adorno” (Napoli, Liguori), assumendo sempre più nettamente una postura scettico-relativista con un’attenzione alle scienze sociali e, in esse, alla funzione, appunto relativistica, svolta dall’antropologia culturale. Indicativo di questo passaggio è l’articolo su “Hume e la filosofia antropologica” in “Tra scetticismo e nichilismo” (Pisa, Ets), in cui nel contempo si nota l’interesse per la teoria dei sistemi.  La forma compiuta dell’evoluzione della sua filosofia si trova in “La tribù occidentale”, “Per una nuova teoria critica” (Torino, Bollati Boringhieri), e:Un illuminismo autocritico. La tribù occidentale e il caos planetario” (Torino, Rosenberg e Sellier), in cui, nella presa di distanze dalla soluzione di Habermas (v. Speranza, “Grice e Habermas”), si profila una logica dell’ibridazione e del paradosso come fuoriuscita dalla dialettica di marca hegeliana.  Questa linea è approfondita, in senso più strettamente politico con il rilancio di un’idea di socialismo, nel successivo “Convivenza difficile” (Milano, Feltrinelli), “L’Occidente tra declino e utopia” (Milano, Feltrinelli), e soprattutto, facendo i conti finali con la teoria dei sistemi, nel “Trattato dei vincoli. Conoscenza, comunicazione, potere” (Napoli, Cronopio),  a tutt’oggi la sua opera teoricamente più significativa. Si è dedicato in modo particolare ai temi politici e civili con “Che cos’è il berlusconismo” (Roma, Manifesto); “Il destino dell’intellettuale” (Roma, Manifesto), “Totalitarismi e populismi” (Roma, Manifesto) -- tutti pubblicati dalla casa editrice Manifesto di Roma, e intervenendo regolarmente in rete nel sito “Le parole e le cose” e in quello della rivista Il Ponte. I suoi interessi estetico-letterari si esprimono dapprima con “Teoria di Lulu. L’immagine femminile e la scena intersoggettiva” – keywords: scena intersoggetiva – (Napoli, Liguori), in cui, nel rivisitare il mitico personaggio teatrale, e poi anche filmico, creato da Wedekind, affronta il tema della cosiddetta lotta dei sessi, ripreso con un romanzo breve in forma epistolare (“L’anti-eros”, Firenze, Ponte alle Grazie) in cui sono presenti sia una chiara vena satirica sia il tentativo di fare filosofia in altro modo, in una vaga ispirazione kierkegaardiana. Seguono i libri di viaggio, o apparentemente tali nella miscela di finzione narrativa e saggismo, Falso diario e Tango italiano (Torino, Bollati Boringhieri); “L’Occidente (“Roma, Manifestolibri), e ancora quello che probabilmente è il suo libro più sofferto, insieme documento di una crisi e stravolta autobiografia visionaria, “Ci sono le fate a Stoccolma. Dal diario dell'esilio mentale” (Reggio Emilia, Diabasis). Altre opere:  “Modi di attribuzione” (Napoli, Liguori); “Figure del paradosso” (Napoli, Liguori); “Critica della ragione impure” (Milano, Bruno Mondadori); “Gli attrezzi del filosofo” (Roma, Manifesto). “L'idea, o forse dovrei dire il gesto, mi sembra felice: invece di scrivere un saggio su x (ideologico, politico, storico) scrivere di sé come turista a disagio che vorrebbe scrivere un libro su x», G. Bollati a R. Genovese, leGiulio Bollati. Lo studioso, l'editore, Torino, Bollati Boringhieri, A. Tricomi, La Repubblica delle Lettere, Macerata, Quodlibet. “Genovese è quasi costretto non semplicemente ad alternare, ma addirittura a sovrapporre, ad arricchire l'uno con le peculiarità degli altri, e infine a rendere, più che reversibili, indistinguibili, registri argomentativi e stilistici tra loro assai diversi. Ci sono le fate a Stoccolma diventa perciò il libro di un  filosofo, senza che mai si possano individuare luoghi del testo in cui una delle anime che lo ispirano prenda nettamente il sopravvento».  MEMORIE I.Ledueleggendetroianaeromulea.– I.Ilprimopopolo,ossia iRamni,iTiziieiLuceri.– IV.Laplebe. Dopo la rivoluzione portata nella storia tradizionale romana dal l'olandese Perizonio, con le sue Animadversiones historicae, e dal Beaufort con la sua famosa Dissertation sur l'incertitude des cinq premiers siècles de l'histoire romaine, lavori che si succedettero alla distanza di mezzo secolo (1), la critica, che era rimasta ne gletta nell'evo antico e nel medio, perchè riguardata o inutile o incapace di produrre frutti fecondi, comparve un elemento neces sario nello studio di quella storia tradizionale. E di quei due critici va detto ciò che in una pubblicazione recentissima (2)sidisse,senza (1)La prima edizione delle Animadversiones venne in luce ad Amsterdam nel 1685,equelladella Dis sertation beaufortiana ad Utrecht nel 1738. (2 ) S t o r i a d i R o m a n a r r a t a d a R . B o n g h i, v o l . I , M a n i f e s t o d i F r . B r i o s c h i, G . B . G i o r g i n i e M . M i n ghetti.QuestitresignorirecanoilseguentegiudiziosullaStoriaRomanadiB.G.NIEBUHR: Amalgama felice di erudizione e di critica, l'opera del Niebhur (sic) era fatta col sentimento che vi domina, non tanto per dare una nuova direzione allo studio delle antichità, quanto per ispirarne l'amore ». Questo giudizio dimostra che gli autori del Manifesto non sono storici. Ma appunto perchè non sono tali, avreb bero potuto astenersi dal profferire sul fondatore della critica storica moderna un giudizio che dilàdelle Alpi fará un'impressione tutt'altro che lusinghiera per noi. Al giudiziodegli scrittori del Manifesto, con trapponiamoquellodelSavignyedelloSchwegler,lacuicompetenzainsiffattoargomento nonèscono sciatadaalcuno.IlSavigny,ne'suoi Vermischte-Schriften,IV,216,cosìparladellaStoriaRomanadel Niebuhr:«L'opera del Niebuhrhaimpressoallatrattazionedellastoriadell'antichitàuncarattereaf fatto nuovo (Niebuhrs Werk hat der Behandlung der Geschichte des Alterthums einen ganz neuen Cha r a k t e r v e r l i e h e n ); e s s a h a i n a l z a t o l ' i d e a l e d e l l a s t o r i o g r a f i a e f i s s a t o l ' i n d i r i z z o d i o g n i r i c e r c a n e l c a m p o Rivista di Storia Italiana.  Origini Romane. 13 I. I critici: loro scuole: Niebuhr, Schwegler, Mommsen , Bonghi. I. <   ragione,aparernostro,delNiebuhr;che,cioè,questisi propo nesse più d'inspirare l'amore allostudiodelleantichitàromane,che di dare a quello studio un indirizzo nuovo. L'opera del Niebuhr mirasoprattuttoaquesto secondoscopo;quantoall'altro,delde stare l'interesse per lo studio delle antichità,esso rampollava natu ralmente dal primo ; mentre la critica del Perizonio e del Beaufort, pel suo carattere negativo, non poteva prefiggersi che quest'ultimo scopo. Sebbene però ilconcorsodellacritica fosse,dopolacomparsadel l'opera del Perizonio,generalmente ammesso,esso non fu usato da tutti secondo l'ufficio suo. E se i più se ne giovarono per ret tificare od anche per abbattere del tutto la tradizione romana, non mancarono anche coloro che se ne servissero in senso op posto, che è a dire, in difesa di essa tradizione. Fra questi ultimi vanno segnalati il Kobbe (Römische Geschichte, 1841),il Gerlach e Bachhofen (Geschichte der Römer, 1851),il Newmann (Royal Rome,ecc.1852)eilDuruy(HistoiredesRomains). Gli altri scrittori, e sono il maggior numero, si divisero in due scuole:all'una vanno ascritti iseguaci del Niebuhr,all'altraisuoi correttori. Oggi il campo è tenuto dai secondi , in mezzo ai quali spiccano le due splendide figure di Alberto Schwegler e di Teodoro Mommsen.Costoro sono pure campioni di due metodi diversi nel l'applicazione della critica alla storia tradizionale romana. Il metodo dello Schwegler è severamente analitico. Egli espone prima la tra dizione in tutti i suoi minuti particolari e con le sue varianti ; poi, nel paragrafo successivo, assoggetta la tradizione ad un rigoroso esame critico, diretto a scovrirne la genesi,e ilcarattere degli ele menti che concorsero a crearla. In questa diagnosi spicca, colla potenza di acume dello scrittore, la sua meravigliosa erudizione. Dopo di avere ben fermato il concetto della leggenda e del mito, e fissate del secondo le categorie diverse (mito etiologico, etimo l o g i c o , e c c . ), e g l i p r o c e d e a c l a s s i f i c a r e g e n e t i c a m e n t e i s i n g o l i e l e menti della tradizione romana, e ci dice quali debbano ascriversi delleantichitàromane»,- EloSchwegler(Röm.Gesch.,I,145)aggiunge:«La StoriaRomanadel Niebuhr, opera sotto ogni rispetto classica, non solo diede una nuova direzione allo studio dell'antichità fatto sinora, ma è ancora il punto di partenza e il fondamento a tutte le ricerche future, alle quali egli segnòl'indirizzoediedeilpiùfecondoimpulso (SeinerömischeGeschichte,eingrossartiges,injeder Beziehung classisches Werk,ist nicht nur der Brennpankt und Abschluss der bisherigen,sondern auch der Ausganzspunkt und die Grundlage aller spätern Forschungen , zu denen es den Anstoss und die fruchtbarste Anregung gegeben hat).  188 MEMORIE   F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 189 alla leggenda, quali all'una o all'altra forma del mito, e quali deb bano aversi in conto di storici.Non oseremmo asserire che in questa minuta classificazione lo Schwegler cogliesse sempre nelsegno;ma dobbiamo pur dichiarare che in essa nulla apparisce mai di co scientemente arbitrario; di maniera che si potrà dissentire da una data sua opinione, perchè faccian difetto gli argomenti con cui c o m provarla, non già perchè gli argomenti siano stati usati a sproposito. L'opera dello Schwegler,comparsa or fanno 30 anni, è rimasta, a parer nostro, fino ad oggi insuperata. E fu una sventura irrepara bile per la scienza, che la vita di quell'uomo dottissimo si spegnesse asoli38anni(n.1819,m.1857). IlmetododelMommsen ètuttol'oppostodiquellodelloSchwegler. Qua il racconto tradizionale è preso in esame capo per capo ; là di esso non è fatto nemmen parola : in luogo della tradizione,abbiamo un racconto ricostruito dalla critica, senza però che estrinsecamente apparisca traccia di siffatto lavoro.Non vi è dubbio che questo m e todo presenti maggiori attrattive dell'altro,perocchè escluda ogni processo dimostrativo; ma appunto perciò porta anche maggiore responsabilità a chi lo segue ; e offre più largo campo alle censure. La Storia romana del Mommsen ne incontro difatti di vive ed acerbe, sebbene il valore generale della sua opera fosse da tutti rico nosciuto. La polemica suscitata da essa tornò poi a grande profitto della critica storica,perchè essa diè occasione al Mommsen di lumeggiare alcuni luoghi oscuri della Storia romana, mercè una serie di monografie storico -critiche, che egli raccolse poi in due v o lumi col titolo di Ricerche romane (Römische Forschungen). Il metodo dello Schwegler trovò in questi ultimi giorni un am plificatore fra noi,in Ruggiero Bonghi.La sua Storia di Roma, da molti anni aspettata, ha cominciato ora a comparire in luce col primo volume. Il chiarissimo autore premette ad esso una lettera in risposta al manifesto dei triumviri che aveano promosso la pub blicazione della sua opera.In questa lettera egli dice, che « gli pa reva strano e vergognoso che una storia tutta nostra non avesse mai ritrovato in Italia chi dopo gli antichi avesse intrapreso di nar rarla ». Veramente, gli storici nazionali di Roma antica non m a n carono, come non mancarono i critici, e da Lorenzo Valla ad Atto Vannucci trovasi una schiera numerosa di dotti che a quello studio applicarono l'ingegno e la dottrina. In questa schiera spiccano i nomi di Francesco Orioli, di P. Uccelli,di Fr. Rossi, dell'ab.Canal, di L. Canina, le cui opere dimostrano, che noi non ci eravamo con    190 MEMORIE tentati, come afferma il Bonghi, di tradurre prima il Rollin, poi il Niebuhr e il Mommsen . E se la letteratura nostra mancasse pure di codeste opere, non basterebbero le pagine inspirate che sulla Storia romana dettarono il Machiavelli e il Vico, per ismentire il basso concetto che il Bonghi reca della storiografia italiana? Il volume che abbiamo davanti non contiene sufficiente materia, perchè si possa dire fin d'ora in quale misura l'aspettazione dell'o pera sia stata soddisfatta. Perché l'autore, amplificando, come si è detto, il metodo dello Schwegler , premette alla critica storica la critica letteraria della tradizione. All'esame di ciò che vi può es sere di storico nella tradizione e della genesi sua, egli manda in nanzi la ricerca della sua forma primigenia. Per ora non abbiamo che la sua dichiarazione di avere scoverto « in una selva selvaggia ed aspra e forte di dissensi, di congetture, di questioni d'ogni fatta qualche sentiero non ancora battuto »; lo che acuisce il desiderio diaveresott'occhilasecondapartedelvolume,che avrebbedo vuto comparire insieme con la prima , con la quale ha comune il subbietto, e della quale è l'anima. L'autore stesso riconosce che lo scompagnare le due parti, come si è fatto, « avrebbe reso meno facile ai lettori di comprendere il suo disegno ». E così appunto è avvenuto ; ed io devo confessare che questa difficoltà è nata anche in me, sebbene il lungo esercizio mi abbia reso in certo modo fa migliare questo studio.Dopo illavoro diligentissimo dello Schwegler, a me era parsa meno necessaria quest'opera « di gran pazienza e fatica»,come l'Autore stesso chiama e con ragione,l'esameminu tissimo cui sottopose la tradizione.E perchè a ciò solo non si rimane l'opera sua nel volume pubblicato,ma qua elàeglifuindottodallo sviluppo della sua analisi, ad entrare nel merito storico della tra dizione, la separazione della seconda parte dalla prima è ancor più deplorata.Senza di essa noi avremmo,per esempio,chiaritosubito la teorica, con la quale l'Autore chiude il suo discorso sulla leg gendadiRomolo,echemessafuoriamo'diassiomastorico,anoi è parsa mancante della necessaria chiarezza, per poterci risolvere ad accettarla. Eccola con le parole stesse dell'Autore : « Del rima nente,ènecessario,dic'egli,tenerebendistintequeste tredimande: prima,seunaleggenda contengaelementistorici;seconda,quale  Sebbene perd l'Italia abbia fatto il dover suo in questo impor tante studio, ciò non iscema l'interesse che desta nei dotti la com parsa di un'opera, dettata da una mente che della sua grande potenza avea dato saggi copiosissimi nelle discipline più svariate.   la storia sia stata ; terza, come la leggenda sia nata. Noi abbiamo obbligo di rispondere di no alla prima dimanda,se ci si prova che debba essere negativa, pur quando non abbiam modo - e moltissime volte anche a tempi molto più vicini ai nostri, che non sono quelli dellafondazionediRoma,nonneabbiamoilmodo— dirispondere nè in tutto nè in parte alla seconda ed alla terza ». Come si vede, questo giudizio riesce alquanto oscuro, particolarmente perché gli manca una dichiarazione di termini, senza la quale non se ne può m i s u r a r e il v a l o r e . C h e c o s a i n t e n d e il B o n g h i p e r l e g g e n d a ? C i d Ciò che noi chiamiamo Leggenda, i Tedeschi chiamano Sage, ma la differenza sta tutta nella forma, mentre un solo ne è ilconcetto. Ora ilconcettodellaleggendaèquesto;cioè,ilricordodiunevento notevole trasmesso oralmente, soprattutto per mezzo di canti popo lari,dall'una all'altra generazione,e colorito dalla fantasia per modo da imprimere ad esso un carattere prodigioso. Il nucleo della leggendaèadunque storico.Ilmito,invece,ètutt'altracosa;in luogo del fatto storico che costituisce l'essenza della leggenda,nel mito abbiamo come elemento essenziale e come motivo genetico una data idea, resa concreta e sensibile per mezzo di un intreccio di fatti immaginarii.Ora,nella tradizione romana leggenda e mito tro vansi mescolati insieme, e il lavoro della critica consiste in cið ap punto, di sceverare l'una dall'altro, e liberare entrambi dagli invo lucri che hanno impresso a ciascuno il carattere proprio. Questo lavoro, che non è meno improbo, e per la storia è assai più utile di quello fatto dal Bonghi nel primo volume della sua opera , fu già tentato da molti ; ed è in esso che apparirà nel vero valor suo l'opera dell'illustre storico. Il presente volume si chiude all'anno 283 della fondazione di Roma. Ed ecco la ragione che il Bonghi dà di questa fermata: « N e l l ' a n n o 2 8 3 , è s u c c e d u t o , d i c e e g l i , n o n a d d i r i t t u r a il p r i m o fatto certo della storia interna di Roma , ma quello de'suoi fatti certi più antichi da cui tutta la sua storia anteriore è spiegata, e tutta la sua storia posteriore,è,se mi si permette la parola, pre formata ; l'elezione dei tribuni nei comizii tributi > Per ciò che riguarda la certezza del fatto accennato, notiamo che esso, tanto rispetto alla sua cronologia, quanto rispetto al suo stesso contenuto, è tutt'altro che sicuro.Fatti certi dei primi secoli di Roma non ponno chiamarsi che quelli i quali sono attestati da documenti autentici. Ed essi sono : la fondazione del tempio federale di Diana sull'Aventino, avvenuta sotto il regno di Servio Tullio : il trattato  F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 191   federale stipulato da Tarquinio il Juniore coi Sabini : il primo trat tato di navigazione e commercio conchiuso da Roma con Cartagine subito dopo il bando di quel re ; e il patto federale conchiuso da Roma colle città latine sotto il secondo consolato di Spurio Cassio. Questi sonoifatti,chesiponno chiamarcerti,perchèqualcunodegli storici maggiori dichiarò di avere visto il documento originale in cui erano consacrati. Tale qualifica non può essere data alla lex Publilia, il cui contenuto forma ancor oggi obbietto di disputazioni fra i critici. Il Bonghi ci dice fin d'ora com'egli spieghi il tenore di quella legge, ed io sono curioso di sentire con quali nuovi ar gomenti egli suffragherà una opinione,che oggi è abbandonata dai più; e cioè, che prima della lex Publilia i tribuni della plebe fos sero eletti in altra sede fuorchè nei comizii tributi.Nei nostri Saggi critici noi esprimemmo il nostro avviso sul tenore della lex Publilia, e rimandiamo il lettore a quel nostro libro, non essendo il caso di ripeterquiciòchescrivemmoaltrove.— Un'ultimaosservazione.Il Bonghi dice, che il fatto del 283 è quello dei fatti certi più antichi di Roma, che spiega tutta la sua storia anteriore.Aspetto di avere la dimostrazione di questo asserto prima di giudicarlo. Per ora, la mia opinione, è che al disopra di quel fatto (badisi che qui si parla di fatti interni) ci stia l'altro della creazione del tribunato della plebe, da cui tanto la lex Publilia, quanto le successive leges tri buniciaeemanaronocome prodottinecessariidiunfattorecomune. II. Il primo problema che si affaccia alla critica nello studio delle romane origini,è come avvenisse l'innesto della leggenda troiana nella leggenda romulea, perchè è fuor d'ogni dubbio che l'una e l'altra traessero origine da fonti diverse; e mentre la romulea è creazione paesana, nata sui luoghi stessi che sono la scena del suo racconto,latroianaèindubbiamenteimportazione straniera.Però non tutti gli elementi di questa seconda leggenda sono nati di fuori. Dal momento che l'eroe troiano ha posto piede nel Lazio, la leg genda lo mette in relazione con le popolazioni indigene,facendogli imprendere una serie di guerre coi Latini, Sabini ed Etruschi.Ora, se tolgasi il protagonista che è un personaggio favoloso, il racconto di quelle guerre racchiude indubbiamente elementi storici, che la sciati inavvertiti da Catone e da Dionisio,furono segnalati e lumeg  192 MEMORIE   F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 193 giati dall'autore dell'Eneide.Infatti,mentre presso idue primi,le lotte combattute da Enea si presentano come guerre dinastiche, nelle quali i popoli appariscono come stromento delle ambizioni di questo o di quel principe;presso Virgilio quelle lotteassumono fin da principio la proporzione di una guerra di stirpi italiche,in cui sono adombrati gli sconvolgimenti politico-sociali onde il Lazio fu teatro nella età preromana . Quel Turno che negli altri racconti figura come capo dei Rutuli,nell'Eneide comparisce come duce di una intera confederazione di città italiche e di popoli di diversa stirpe. Alla sua chiamata accorrono iguerrieri di Laurento,Ardea,An tenne, Crustumerio , Tiburi , Atina , Preneste , Gabii , Anagnia , e con essi gli Aurunci,i Volsci,i Sabini, i Falisci. Per tener fronte a tanta oste, Enea , seguendo il consiglio di Evandro, rivolgesi ai Tirreni,iquali eransidirecenteliberatidal tirannoMezenzio, divenuto ora alleato di Turno ; e col loro ausilio, conquista L a u rento. Ora,levando da questo racconto la parte leggendaria che è la intromessadiEnea,chiaro apparisce ilcontenuto storicodiesso.Ivi troviamo adombrati, da un lato,iprogressi della conquista etrusca nella valle inferiore del Tevere, e dall'altro, gli sforzi operati dai popoli del Lazio per redimere il paese dalla servitù straniera.Alla quale impresa iLatini trovano ausiliarii non pure nelle città fini time del Lazio, ma ancora in un popolo di stirpe sabellica che la primavera sacra ha già portato sulla frontiera latina, e a cui la parte avuta nella liberazione del Lazio frutterà una stanza nel Set timonzio. Così per mezzo di Virgilio noi siamo posti in grado di spiegare lapresenza dei Sabini sul Quirinale e sul Capitolino, comple tando la tradizione romana, il cui contenuto storico, purificato da gl’innesti leggendarii,consiste nel presentarciidue popoli,latinoe sabino,viventi già l'uno presso l'altro sul Settimonzio,e riusciti a pacificarsi e ad unirsi insieme dopo di essere stati lungamente in guerra fra loro. Ancora nei tempi storici, noi troviamo gli Etruschi imperanti nella Campania ; prima di arrivare nella valle del Vol turno, essi aveano dovuto trarre in loro potere la valle inferiore del Tevere, che è a dire , il Lazio. Senza l'Eneide non sapremmo come questo paese ricuperata avesse la sua libertà.L'Eneide ci apprende che ricuperolla per mezzo di una insurrezione popolare capitanata da un eroe. Quest'eroe è Turno. Enea gli ha strappato dalcapoillaurodeiprodi.Ma l’Eneaitalicoèunmito;Turno invece è persona rimasta viva nella tradizione di un popolo. Ed è singolare, che dal gran cantore di Enea la critica storica sia stata    messa sulla via di riconoscere in Turno un eroe italico, e di ren dergli la sua corona. Dopoquestadigressione,che nonc'èparsafuoridiluogo,ve niamo ora a risolvere il problema della confusione avvenuta di due leggende,tanto diverse l'una dall'altra,siaperlafontedacuiema nano, sia pel loro contenuto. La tradizione romana nella sua forma più antica, non  194 MEMORIE (1) « Ennius dicit Iliam fuisse filiam Aeneae,quod si est,Aeneas arus est Romuli » Servio,ad Æn.,VI,778. sa nulla nè dell'una nè dell'altra leggenda. Prima che la boria destata dalla p o t e n z a d i R o m a , i n t r o d u c e s s e il t r o i a n o E n e a n e l l e r o m a n e o r i g i n i , a che nascesse il bisogno di spiegare riflessivamente l'origine nomi, di instituti e di consuetudini di antiche che si trovavano esistenti da tempo immemorabile, senza che fosse stato riferito ab antiquo come fossero nate,la fondazione di Roma erasi spiegata in quel modo semplice, in cui l'antichità si figuró la origine di tutte le città greco-italiche, vale a dire,per mezzo di un fondatore epo n i m o . U n a c i t t à c h e n o m a v a s i R o m a , d o v e a a d u n q u e , s e c o n d o il c o n cetto dell'antichità, avere avuto per fondatore un Romo, progenie divina al pari di tutti i fondatori eponimi. Ed a noi fu serbata questa tradizione semplice della origine di Roma, la quale biamente la più antica. Ne dobbiamo è indub la conoscenza al grammatico Festo , che la tolse dallo storico Antigono. « Antigonus, italicae historiae scriptor,ait,Rhomum quemdam nomine,Jove conceptum urbem condidisse in Palatio , ,Romae eiquededissenomen».Così Festo all'articolo Romam .La tradizioneromulea,nellaqualel'epo nimo Romo diventa Romolo e gli è dato Remo per fratello,e l'uno e l'altro sono aggregati alla dinastia dei Silvii che regnava ad Alba Lunga e ripeteva la sua origine da Enea; questa tradizione era dunque ignota all'antichità.Lo stesso poeta Ennio,che visse nel VI secolodiRoma (239-169 a.C.)non laconoscecheinunostato ancora embrionale,giacchè egli dà allamadre diRomolo,Ilia,Enea per padre (1). Pero , il concetto inspiratore della leggenda è già nato col poeta rudiese, come è nato l'intrecciamento delle due leggende Ora come avvenne questa sovrapposizione . della leggenda troiana alla romulea? La ragione psicologica del fatto fu data già dal Vico in quella boria delle nazioni, le quali appena son pervenute leggenda ad un alto grado di potenza, non sdegnano loro origini oscure, e aspirano a fastose e insigni. Il Vico accennò anche la capitale ca   F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 195 gione che indusse i Romani, quando andarono in cerca di origini fastose, a fissare la mente sulla leggenda di Enea.Ei laattribuisce alla fama strepitosa che ebbe per lo mondo la guerra di Troia, a cagione del poema di Omero e della introduzione dell'Occidente nel ciclo troiano, dovuta alla via che si fece percorrere al reduce Ulisse. Però se la boria nazionale fu la causa inspiratrice della fusione delle due leggende, a questa non mancarono altri impulsi. Quando il Senato romano, verso la fine della prima guerra punica, inter venne nella contesa fra gli Etoli e gli Acarnani, e giustificò la sua intromessa in favore dei secondi, osservando che gli Acarnani erano il solo popolo greco, il quale non avesse partecipato alla guerra contro i Troiani progenitori dei Romani , era l'orgoglio nazionale che ispirava quella dichiarazione. Similmente, quando ilSenato ac cettò l'amicizia offertadal re Seleuco,ponendovi per condizione che liberasse i Troiani da ogni tributo ; e quando Flaminino , nel pre sentareidonativideiRomani aiDioscurieadApollo,chiamòisuoi concittadini col nome di Eneadi, è sempre l'orgoglio nazionale che inspira la fusione delle due leggende. Ma allorquando la politica militare di Roma ebbe prodotto in seno  Altri fattori vanno considerati. E , soprattutto, la parte che nella propagazione della leggenda di Enea in Italia ebbero le numerose colonie greche dell'Italia meridionale, e più specialmente Cuma,che oltre ad essere la più antica e la più vicina al Lazio, era di pro venienza diretta dall'Asia Minore, e precisamente dalla Misia, luogo finitimo alla Troade. E come le colonie greco-italiche divennero al trettanti centri propagatori del culto di Afrodite Alveias, dea dei naviganti, con cui la leggenda di Enea è intimamente collegata, cosi l'oracolo della Sibilla cumana divenne ilcentro propagatore dei fausti vaticinii, onde la religione della dardanica Afrodite confor tava nel suo esilio la famiglia degli Eneadi.Già nell'Iliade è fatta allusione a quei vaticinii, dicendosi che la famiglia di Enea era serbata ad un nuovo e splendido avvenire, mentre quella di Priamo era stata destinata alla perdizione. Ora , in questa promessa di un glorioso avvenire serbato alla progenie di Enea giace il motivo riflesso dell'amalgama delle due leggende troiana e romulea.Roma costitui se stessa obbietto dei vaticinii sibillini, e dichiarò avvenute in se stessa le promesse fatte ai discendenti di Enea.Già il poeta E n n i o p r e s e n t d i n q u e s t o m o d o il f a t t o , d i c e n d o c h e T r o i a e r a r i s o r t a in Roma, e non andrà guari che la Repubblica innalzerá a domma nazionale l'origine troiana della potente metropoli.   alla Repubblica i suoi effetti liberticidi, e la maestà quiritaria che era in bocca a tutte le nazioni straniere, ed era oggetto di terrore e di riverenza universale, scomparve dal popolo per riassumersi in un uomo, l'orgoglio nazionale passò in seconda linea per cedere il primo posto all'interesse dinastico creato da un usurpatore.Il grande anello di congiunzione fra la leggenda di Enea e la dinastia dei Cesari è quel famoso Julo,che comparisce nella genealogia degli Eneadi,or quale figlio, or quale nipote di Enea. E cosi nell'uno,come nell'altro grado, sembra siavi stato introdotto dai Giulii stessi, dopo che fu sorto il giorno di loro grande fortuna. Infatti, gli scrittori più an tichi della leggenda non conoscono quel nome , sebbene più nomi attribuiscano al presunto figlio di Enea,chiamandolo ora Eurileone, ora Ascanio, ora Ilo. Forse quest'ultimo nome, che ricorda quello della patria Ilio,suggerì l'idea della finzione genetica,ed Ilo diventò facilmente Julo progenitore degli Julii. Ciò spiegherebbe il fatto del comparir di quel nome per la prima volta negli scrittori cesarei. C o m u n q u e s i a d e l l ' o r i g i n e s u a , v e n n e u n g i o r n o c h e il p o p o l o r o m a n o apprese per bocca di Caio Giulio Cesare, ch'esso avea nel suo seno una progenie di Celesti,e che dalla morte di Romolo in poi essa avea camminato fuori del diritto divino, nel cui sentiero era ora chia mato a ritornare. Il giorno in cui Cesare, essendo questore,recitò dalla tribuna del Foro il panegirico di sua zia Giulia, fu decisivo per le sorti di Roma e del mondo. Fu là che egli annunzið al popolo stupito,che lasuafamigliaeraaduntempoprogeniedidèiedire.«Amitae meae Juliae maternum genus ab regibus ortum,paternum cum Diis immortalibus conjunctum est.Nam ab Anco Marcio sunt Marcii reges, quo nomine fuit mater, a Venere Julii, cujus gentis familia est nostra. Est ergo in genere et sanctitas regum qui plurimum inter homines pollent, et caerimonias deorum, quorum ipsi in pote state sunt reges » (1). Quando Cesare recitò questa orazione non avea che 32 anni di e t à , e n o n a v e a f a t t o a n c o r a il s u o i n g r e s s o n e l l a p o l i t i c a m i l i t a n t e , comecchè avesse già coperto parecchie magistrature.Ma l'uomo che avea osato fare pubblicamente l'apologia della regia potestà e pro clamare la origine divina della sua famiglia, avea già intuito il futuro e divisato di rivolgerne a suo profitto il realizzamento. Nel seguente anno , infatti, lo vediamo stretto in lega con Pompeo , e (1) SVETONIO, Caes ., cap. 6.  196 MEMORIE   F. BERTOLINI ORGINI ROMANE 197 avviato a compiere il cammino trionfale che da Farsaglia lo con durrà a Munda, e metterà nelle sue mani l'impero del mondo. Riassumendopertantolecoseinsinquidette,noteremo,che se la leggenda romulea è anteriore alla troiana, all'una e all'altra so vrasta per antichità la leggenda semplice,riferitada Antigono,che Roma avesse avuto per fondatore un eroe eponimo progenie di ce lesti, e cioè, che fosse nata nello stesso modo in cui l'antichità si figuró l'origine di tutte le città greco-italiche: che la leggenda ro mulea, sebbene nata sul suolo romano, mostrasi nelle sue parti es senziali come il prodotto di una invenzione riflessa, avente in mira di spiegare sistematicamente le origini di nomi,d'instituti e di con suetudini antiche che si trovavano esistenti da tempo immemorabile, senza che fosse stato riferito come avessero avuto nascimento : che la leggenda troiana, divulgata in Occidente per mezzo delle colonie greco-italiche e degli oracoli sibillini, fu introdotta nella leggenda romulea, quando la boria destata nei Romani dalla loro potenza li obbligo ad andare in cerca di origini fastose da sostituire alla ori gine volgare trasmessa loro dai maggiori. E come la discendenza di Enea era stata creata per soddisfare l'orgoglio di un popolo con quistatore, cosi essa fu scaltramente usufruita da Giulio Cesare per legittimare la sua opera liberticida. Un altro problema non meno interessante della fusione delle due leggende troiana e romulea,per mezzo della quale si spiegò l'ori gine della città di Roma,è quello che concerne la formazione del suo primo popolo. La tradizione romana spiega questa formazione in un modo semplicissimo. Romolo, dopo che ebbe per la morte di Tito Tazio raccolta nelle sue mani la sovranità sui socii Sabini del Settimonzio, parti il popolo in tre tribù, e pose a ciascuna ilnome del duce che aveala capitanata. Ai suoi pose pertanto il nome di Ramnenses ; ai seguaci di Tazio il nome di Titienses, e a quelli diLucumone,cheavealoaiutatonellaguerra contro iSabini,il nome di Lucerenses. Quanto alla nazionalità, la tradizione ne at tribuisce una propria a ciascuna tribù.I Ramnenses di Romolo sono per lei Latini ; i Titienses di Tazio sono Sabini, e iLucerenses di Lucumone sono Etruschi. Però, se la tradizione è concorde ri spetto alla origine dei due primi nomi, non lo è rispetto a quella  III.   del terzo. Il Lucumone di Cicerone diventa presso Plutarco illucus asyli, e presso Paolo Diacono il titolo dignitario e il nome topico si trasformano in una persona, in Lucero re di Ardea. Queste va rianti attestano per se stesse la mal ferma base su cui riposa co desta tradizione. Livio se la sbriga, dicendo il nome dei Luceri di incerta origine. Ma se lo storico maggiore di Roma qualifica d'in certezza l'origine dei Luceri , la filologia dichiara impossibile la d e rivazione dei Ramni da Romolo, avendo questi due nomi radicali affatto diverse. Pure la origine dei nomi sarebbe cosa di poco interesse, quando ad essi non si annettesse la origine della nazionalità. Il Lucumone o il re Lucero da cui si è derivato il nome della terza tribù ro mana, si è prodotto come testimonio della origine etrusca di questa tribù, e da ciò si trasse la conclusione, che la nazione romana uscisse fuori da tre elementi etnici, il latino, il sabino e l'etrusco, e fosse quindi una nazione mista. Diciamo subito che questa opinione è oggi abbandonata (1), e che la critica moderna, dopo di avere impugnato la provenienza etrusca deiLuceri,non arrestandosiaquestoresultamentonegativo,hapur risoluto positivamente la questione, dimostrando che iLuceri devono essere tenutiincontodiunaschiattalatina;ondelanazionero mana sarebbe stata composta di due elementi etnici omogenei , il latino e il sabino, ramificazioni entrambi del gran ceppo italico,che (1) Prima della pubblicazione della Storia Romana di A. SCHWEGLER,l'origine etrusca dei Luceri era ammessa dalla maggior parte degli storici. Tra i fautori di essa vanno ricordati:Feodor Eago, Untergang der Naturstaaton,1812,pag.181,195. WACHSMUTH,AeltereGeschichtedesrömischenStaats,1819, GÖTTLING,GeschichtederrömischenStaatsverfassung,1836,p.55.— USCHOLD,Geschichtedes trojanischen Krieges,1836,pag.347.– KORTÜm,Römische Geschichte,1852,pag.41. BECKER,Hand bruch der römischen alterthümer,1853,II,18,38,135. WALTER, Geschichte des römischen Rechts, 1845,I,II. SCHÖMANN,DeTulloHostilio,1847,p.8.- P.U.(P.UCCELLI),Altrevistesugliantichi popoliitaliani,Cortona,1853,p.172.– A.VANNUCCI,Storiadell'Italiaantica,Fir.,1863,I,pag.392. L'originelatina,anzialbana,deiLucerièammessadalNiebunR,RömischeGeschichte,I,315—- dallo SCHWEOLER,Römische Geschichte,I,505,515 –dalNIEMEYER,De equitibusromanis,p.9esegg. BREDA,Centurie-VerfassungdesServiusTullius dalKLAUSEN,AeneasunddiePenaten-  198 MEMORIE pag. 197. -dal RömischeAlterthümer,dritteAuflage,I,99. IlMommsen silimitaadosservare,nonesseircvhinailcchutns ostacolo ad ammettere la origine latina dei Luceri (Ueber die Herkunft der Lucerer lässtzu erklären), sagen,als das nichts in Wege steht die gleich den Ramnern für eine latinischequeGlelmaeidnidaendare in cerca Röm .Gesch., I,43. L'Ihneinvece èscettico,edicecheèfaticasprecata dall'ag del vero su una questione nella quale le fonti ci lasciano al buio, e che non si gu2a0d.agna nulla g i u g n e r e u n ' o p i n i o n e n u o v a a q u e l l a d e g l i a n t i c h i , R ö m . G e s c h ., L e i p z i g , 1 8 6 8 , I , dalLANGE, parer nostro, che l'Ihne non ha bene studiato la quistione, altrimenti troverebbe che si guadagna qualche cosa da questa aggiunta. Il primo guadagno che si fa è quello di avere chiarito il significato del nome di questa terza tribù.Luc-ere vuol dire risplendere;Luceri equivarrebbe adunque ad illustres:equestoap pellativo ben si addice alla nobiltà di Alba, la quale, dopo la distruzione della loro patria, fu trasferita nel Settimonzio ed ebbe per sua stanza il Celio. Cid dimostra,a   F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 199 immigroinItaliadopoiljapigicoeprimadeiRaseni.Noi diremo gli argomenti coi quali si impugnò la origine etrusca dei Luceri ; indi ci faremo a dire quelli coi quali si dimostró la loro origine latina, e la loro provenienza da Alba Longa. Prima di tutto, vuolsi avere presente, che la origine etrusca dei Luceri non è che una mera presunzione, mancante di una tradi zione positiva, e desunta da dati estrinseci ed accidentali,che pas sati sotto il crogiuolo della critica, non danno alcun frutto. L'uno di questi dati fu somministrato da certa analogia che si riscontra fra il nome della terza tribù e quello di Lucumone , che è titolo gentilizio e dignitario presso gli Etruschi. E come il nome del colle Celio si è voluto spiegare derivandolo da un duce etrusco per nome Cele Vibenna,ilquale,secondo alcuni (Varrone),altempo di Romolo, secondo altri (Tacito), al tempo di Tarquinio Prisco, sarebbesi sta bilito con una grossa schiera dei suoi connazionali nel Settimonzio; cosi il nome Luceri che portavano gli abitanti del Celio si spiego per mezzo del titolo di Lucumone che portava il Vibenna. L'altro dato è ancor più arbitrario, in quanto che fu desunto dalla ubica zionegeograficadiRoma,quasicheilfattodeltrovarsiRoma in mezzo a tre schiatte diverse, generar dovesse necessariamente l'ef fetto, che essa componesse la sua cittadinanza con ciascuna delle tre schiatte, per modo che esse vi fossero rappresentate tutte pro porzionalmente. A questo concetto subbiettivo si contrappone vitto riosamente per ciò che riguarda il contingente etrusco, il famoso motto del trans Tiberim vendere, e del senso latissimo che esso acquisto e mantenne per lungo volgere di secoli, anche dopo che gli Etruschi erano caduti sotto la dipendenza di Roma, ed il Te vere avea cessato di essere un confine politico. In verità,che se gli Etruschi avessero dato a Roma un contingente proporzionale della sua cittadinanza, quel motto diverrebbe uno strano enimma. Perchè esso non si riferisce tanto alla divisione politica dei due Stati, romano ed etrusco, quanto alla differenza di nazionalità,ay vertita e vivamente sentita nella lingua, nelle istituzioni politiche e civili, e nei costumi dei Romani. Ma se i dati estrinseci su cui fu eretta l'ipotesi della origine etrusca dei Luceri non giustificano siffatta conghiettura, le prove intrinseche dimostrano addirittura la sua falsità.Queste prove si de sumono dalla lingua e dalla religione dei Romani. È ovvio,che se gli Etruschi avessero dato un proprio contributo alla formazione del popolo romano, in tal caso la lingua latina dovrebbe somministrare    200 MEMORIE lachiaveperdecifrareleinscrizioni etrusche,edessastessado vrebbe contenere tale copia di voci etrusche da assumere il carat tere di una lingua mista, ossia, di una lingua formata di due diversi organismi ; ma nè il latino aiuta a spiegare l'etrusco, nè nella co stituzione organica della lingua del Lazio apparisce alcun vestigio di miscele eterogenee;chè,anzi,la caratteristica peculiare della lingua latina è la straordinaria uniformità della sua struttura; lo che attesta la uniformità della sua formazione. Alla stessa conclusione conduce l'esame delle istituzioni religiose diRoma.SeiLucerifosserostatiunatribù etrusca,lareligione romana conterrebbe traccie di divinità e di culti etruschi,come ne presenta di divinità sabine. Imperocchè il pareggiamento successivo della terza tribù alle due prime dovesse avere per effetto la mutua comunicazione dei rispettivi culti, come cið era avvenuto prima fra i Ramni e i Tizii, ossia fra Latini e Sabini. Ora, la religione ro mana non presenta una sola divinità e un solo culto che vesta un carattere etrusco. Anche lo stato d'inferiorità, in che,rispetto alla tribù dei Ramni e dei Tizii,trovasi la tribù dei Luceri,portato al grado da tenere costoro fino al tempo di Tarquinio Prisco esclusi dal Senato, contraddice alla ipotesi che i Luceri entrassero fin dal l'origine di Roma a formar parte del primo popolo,e compissero di questo la compagine etnica recando nel suo seno l'elemento etrusco. Questo stato d'inferiorità si spiega invece in modo semplice e na turale, quando ammettasi che la tribù dei Luceri fosse costituita dai nobili d'Alba tramutati a Roma, e che quindi entrasse più tardi a formar parte del primo popolo. Alla posteriore aggregazione dei Luceri alle due primitive tribù, e allo stato d'inferiorità dei primi rispetto alle seconde accenna il verso di Properzio (IV, 1, 31): «HincTatiesRamnesqueviri,Luceresquecoloni».— Nonmancano poi le prove dirette, dimostranti che i Luceri , oltre ad essere e n trati posteriormente nel consorzio dei Romani e dei Tizii,sono pure di origine albana. Tito Livio (II, 33), parlando degli stanziamenti condotti dal re Anco Marcio sul colle Aventino, osserva che egli assegnò ai vinti Latini per sede quel colle, perché gli altri quattro, il P a l a t i n o , il C a p i t o l i n o , il Q u i r i n a l e e il C e l i o (il V i m i n a l e e l ' E s q u i lino furono aggiunti alla città solo dal tempo di Servio Tullio) erano già popolati ; e cioè, il colle Palatino dai Romani primitivi, ossia dai Ramni ; e il Capitolino e il Quirinale dai Sabini, e il Celio dagli A l b a n i . O r a , s e q u e s t i u l t i m i e b b e r o p e r l o r o s t a n z a il C e l i o , n o n saprebbesi davvero dove collocare iLuceri,quando non siammet    F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 201 tesse che i Luceri e gli Albani fossero la stessa cosa. La critica adunque negando la origine etrusca dei Luceri, ha messo in sodo il fatto che la nazione romana venne composta di due elementi etnici,anzichè di tre,il latino,cioè,e ilsabino.Questa composizione spiega il carattere che distingue la nazione romana dalle altre na zioni italiche. Questo carattere è il prodotto della fusione di due stirpi che parevano fatte apposta per completarsi a vicenda. Dall'e lemento sabino il popolo romano riceverà la frugalità, lo spirito religioso, la severità dei costumi, il principio della patriapotestas lasciata senza freno dalle leggi. Sono la base di granito e il duro cemento che i Sabini apporteranno all'edifizio romano (1). Se nel sabino prevale lo spirito di conservazione, nel latino predomina lo spirito di sviluppo. Ma come il primo non è inflessibile, così il se condo non è radicale. E dal contrasto fra la mobilità latina e la stabilità sabina derivò quel lento, ma pur continuo e sicuro sviluppo della costituzione romana, che formd di essa la più grande creazione politica della civiltà antica (2). Ma le tribù dei Ramni, dei Tizii e dei Luceri non formano t u t t o il p o p o l o r o m a n o . A c c a n t o a l o r o c o m p a r i s c e , c o m e p a r t e c o stitutiva di esso popolo,la plebe,la quale,dopo di essere rimasta a lungo in uno stato di semi-dipendenza dal primo popolo , ossia dal patriziato, fini col prevalere su di esso, ed obbligarlo a seguire la sua via. Ora, come sorse questo ceto sociale? Ecco il terzo problema che ci proponiamo di risolvere in questo breve nostro lavoro (3). (1) I Romani non erano ignari di questo prezioso patrimonio che avevano ricevuto dai Sabini. Ce lo attesta Catone per bocca di Servio : « Sabinorum mores populum romanum secutum Cato dicit ». SERVIO a d E n ., V I I I , 6 3 8 . (2)Vedi Devaux,Étudespolitiquessur lesprincipauxévénementsdel'histoireromaine,Paris,1880,I,25. (3) La quistione dell'origine della plebe fu studiata particolarmente dallo STRESSER, Versuch über die römischen Plebejer der ältesten Zeit, Elberfeld, 1832. PELLEGRINO, Ueber den ursprünglichen Reli gionsunterschiedderPatricierundPlebejer,Leipzig,1842. -lune,Forschungenaufdem Gebieteder römischenVerfassungsgeschichte,Frankfurta.M.1847. KRUSZYNSKI,DierömischePlebsinihrerpo litischenEntwickelungvom UrsprungebiszurvölligenGleichstellunngmitdenPatriciern,Lemberg,1852. SCHWEGLER,Römische Geschichte,I,628. TOPHOFF,Depleberomana,Essen,1856. WALLINDER, De statu plebejorum Romanorum ante primam inmontem sacrum secessionem quaestiones,Upsaliae,1860. - Lange, Verbindung der plebs mit dem patricischen Staate (nei Römische Alterthümer, Berlin, 1876, 1 , 4 1 4 ).  IV.   Gli storici antichi erano affatto all'oscuro intorno il fatto della origine del ceto plebeo di Roma. La sola cosa che essi sapessero era che la plebe erasi trovata sempre in uno stato d'antagonismo verso il patriziato: da ciò la definizione negativa che essi davano della plebe, chiamandola il ceto in cui gentes civium patriciae non insunt.Perqualviapoil'antagonismo fossenato,oinaltriter mini, come la plebe avesse avuto origine,ciò essi riguardavano come una quistione oziosa, imperocchè a loro paresse assurda l'idea che fossemai esistito uno Stato romano senza plebe;onde per loro era un assioma, che patriziato e plebe fossero nati e cresciuti insieme collo Stato romano. Contro questa presunzione stava però il fatto, non considerato, della condizione giuridica diversa in che trovavansi due ceti sociali all'infuori del patriziato, la quale attestava che essi non erano nati insieme nè allo stesso modo. Accanto alla plebe,trovasi, cioè,neiprimi tempi delloStato romano,laclientela,caratterizzata e distinta dalla plebe dalla forma speciale della sua dipendenza. Mentre la dipendenza della plebe avea un carattere impersonale e comprendeva ilcetonellasuageneralità,quelladellaclientelaimpe gnava giuridicamente l'individuo come persona e non come consorte, ed appunto perciò esso nomavasi cliente (da cluere, klúeiv, dipen dere),in quanto che fosse ascritto alla gente di un patrono,e da questo dipendesse. Che se nel giure politico plebei e clienti trovansi originariamente costituiti nella stessa condizione negativa ; nel giure privato, la condizione loro era assai diversa. Il cliente nè possedeva del proprio, nè poteva stare in giudizio; mentre ilplebeo possedeva s u q u e s t o c a m p o p i e n a p e r s o n a l i t à g i u r i d i c a ( c i v i t a s s i n e s u f f r a g i o ); di guisa che, quando per la costituzione di Servio Tullio, il censo divenne il fattore del diritto di suffragio,questo diritto iplebei con s e g u i r o n o , m e n t r e i c l i e n t i n e r i m a s e r o o r b i c o m e p e r il p a s s a t o ( 1 ) . Ora, questa differenza esistente fra i due ceti inferiori non si pud altrimente spiegare fuorché ritenendo,che l'origine loro fosse,rispetto al tempo e al modo, diversa. La clientela deve certamente avere preceduto la plebe, e l'inferiorità della prima rispetto alla seconda dimostra che la forza, che creò la sottomissione dei due ceti, eser citò sui vinti ridotti in clientela un impero più assoluto che su quelli ridotti in istato di plebeità. (1) Perchè il cliente conseguire potesse iljus suffragii faceva mestieri che il dominium ,che egli te nevacome peculium,glifosse assegnatocomeliberaproprietàexjure Quiritium.Ilqualeattoequiva leva in certo modo ad una manumissio censu .  202 MEMORIE   F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 203 Ora, se l'istituzione della clientela è più antica che quella della plebe, è forza cercarne l'origine nella prima conquista che frutto ai Ramni edaiTiziiildominiodelSettimonzio.Gliabitantiprimitivi di quella regione devono avere formato il nucleo della clientela romana, che le ulteriori conquiste vennero via via ingrossando. Ma tra la prima e le ulteriori conquiste, corse, rispetto agli ef fetti sociali, forte differenza. Se la prima non produsse che dei clienti e degli schiavi, le successive produssero particolarmente dei plebei. Già l'interesse politico consigliava i conquistatori a tempe rare verso i nuovi vinti il rigore dell'antico jus gentium ; e noi non abbiamo memoria della piena applicazione di quel diritto che verso la città di Collazia (1). E se alle famiglie imperanti fosse pur piaciuto di partire i novelli sudditi fra le genti romane, traducen dole sotto la loro clientela, la monarchia dovea opporsi a questo uso della conquista che avrebbe con pregiudizio della regia potestà accresciuto in modo esorbitante la potenza dell'aristocrazia. E chi erano poi questi vinti? Erano Latini : appartenevano, cioè, a quella stirpe che avea coi Ramni formato il nucleo della cittadi nanza romana ; erano dunque connazionali dei Romani. Che se co storo aveano avuto pei vinti Albani tale riguardo, da ammetterli nel loro consorzio religioso e politico, perchè vorrassi ammettere che verso gli altri popoli latini,sottomessi pure colle armi,applicas sero in tutto il suo rigore il diritto della guerra? E ove pure si ammettesse che questo rigore fosse usato, come ci renderemmo ra gione del sorgere di questa plebe e della importanza sociale che venne improvvisamente acquistando, così da presentarsi come un potente appoggio della monarchia, e da ricevere da questa servigi e beneficî che schiuderanno all'avvenir suo il più vasto orizzonte? Non dimentichiamo che questi plebei son Latini.La tradizione stessa ci dice quando e per opera di chi i popoli del Lazio caddero sotto ladizionediRoma.La distruzionediAlbaLonga,eiltramuta mento dei nobili Albani nel Settimonzio , portarono per effetto lo scoppio di ostilità fra le città latine, erettesi a vindici della loro antica metropoli, e Roma che pretendeva, come conquistatrice di Alba Longa, di essere riconosciuta anche come erede della sua (1) Livio ci ha trasmessa la formula deditionis di Collazio, che egli attinse verisimilmente dai C o m mentarii Pontificum : « Rex interrogavit: dedistisne vos populumque Conlatinum,urbem ,agros,aquam, terminos, delubra, utensilia, divina humanaque omnia in meam populique romani dicionem ? Dedimus ». Livio, I, 38. La domanda del re è rivolta ai deputati di Collazia. Rivista di Storia Italiana.    egemonia sulla confederazione latina. La grossa guerra scoppiò sotto Anco Marcio.Non èdubbiochequesti,primadiscendereincampo, approfittasse delle gelosie esistenti fra l'una e l'altra città latina, e che sono effetto di ogni confederazione a base ristretta, per r o m pere il fascio con promesse e lusinghe date a tempo e a luogo. Senza ciò, non potremmo avere ragione della sua facile e completa vittoria.Ora che cosa fece Anco Marcio di questi nuovi vinti?Gli storici antichi ce lo apprendono in modo chiaro : « Ancus Marcius, dice Cicerone (1), quum Latinos bello devicisset, adscivit eos in ci vitatem».ELivio,completando ilraccontodiCicerone,osserva che Anco segui rispetto ai vinti Latini il costume regum priorum , onde anche allora parecchie migliaia di Latini furono introdotti nellacittadinanzaromana:«tum quoquemultismillibusLatinorum i n c i v i t a t e m a c c e p t i s » ( 2 ). N o n c i c u r i a m o d e l r a c c o n t o t r a d i z i o n a l e , chefamaterialmenteintrodurredaAncoinRoma questivinti,eas segnare ad essi per sede il colle Aventino e la valle Murcia . In questo racconto,laprolessistoricaèmanifesta:chesappiamo in modo in contestabile,chefinoallafinedelIII°secolodiRoma,l'Aventino fu disabitato (3). Ma lasciando da parte questo particolare, ciò che va considerato nel racconto tradizionale è il fatto della cittadinanza c o n cessa da Anco Marcio ai vinti Latini. E perchè, nè questa era la prima guerra combattuta vittoriosamente da Roma contro i Latini,e nemmeno era la prima volta che della vittoria fosse fatto quest'uso; ne emerge,e Livio avvalora l'induzione nostra,che se laconquista di Ancodiedeilmaggiorcontingentealcetoplebeo,essanon neinizio la formazione, come suppose ilNiebuhr,seguito in cið dallo Schwegler, dal Lange e da altri. Il Bonghi, per ora si limita a dire, che non credechela plebedovesse lasuaorigine adAnco,e promette,che «procurerà altrove di esporre donde sia nata l'opinione di una condottarispettoa'vintineirediRoma,cosidiversa da quella che per molto tempo appare propria della città nel seguito della sua storia ».E perchè insin d'ora egli dichiara esposta a molti e gravi dubbii cosi larga concessione di cittadinanza, il desiderio di sapere quale opinione l'insigne storico porti sul gravissimo tema della ori (3) Lo fece abitare la « les Icilia de Aventino publicando » dell'anno 298. Il tenore di questa legge ci è dato da Dionisio, il quale attesta di aver letto il testo originale di essa inciso in una colonna di bronzo che sorgeva nel tempio di Diana sull'Aventino. Drox ., X , 32 .  204 MEMORIE (1)DeRep.,II,18,33. (2 ) L i v ., I , 3 3 .   F. BERTOLINI ORIGINI EOMANE 205 ginedellaplebe romana rimane più fortemente sentito.Comunque sia perd dell'opinione del Bonghi su ciò, noi rimaniamo saldi nella nostra,laquale,oltreadavereilsuffragiodellefonti,hapure insuo favore la condizione sociale da cui la romana plebe fu costituita. Il plebeo romano è agricoltore; egli non è nè commerciante nè indu striale;queste arti,che nell'antichità erano assai meno considerate dell'agricoltura,sonoprofessateinRoma peculiarmente daiclientie dai liberti.Codesta condizione sociale della plebe romana è attestata dallatradizioneinpiùmodi.Ora,essacidiceche Servio Tullio,per poter avere l'appoggio della plebe alla sua esaltazione al trono, chiamòincittàirurali,eperboccadiCatone ci dice,che gliagri coltori formavano il nerbo della fanteria romana (1). Ma un testi monio che serve per tutti, è l'antica istituzione che le adunanze plebee,ossiaicomiziitributi,non sipotessero tenere cheneigiorni di mercato (nundines), e che ogni proposta di legge dovesse pubbli carsi tre giorni di mercato (trinundines) prima di essere messa a partito (2) Anche la condotta tenuta dalla plebe nella sua lotta col patriziato conferma questa condizione sua.Gli storici qualificano siffatta con d o t t a c o l l e p a r o l e m o d e s t i a , v e r e c u n d i a e p a t i e n t i a ( 3 ). S o n o d o t i codeste che appariscono più proprie di coloro che attendono alla col tura dei campi, che di coloro che praticano l'industria e il com mercio (4). E se le contese sociali di Roma non degenerarono in ( 1 ) « E x a g r i c o l i s v i r i f o r t i s s i m i e t m i l i t e s s t r e n u i s s i m i g i g n u n t u r » , C a t o n e , D e r e r u s t i c a , P r a e f ., $ 4 . (2) MACROBIO TEODOSIO, Saturnalia , I, 16, 34 : « Rutilius scribit Romanos instituisse nundinas, ut octo quidem diebus in agris rustici opus facerent,nono autem die intermisso rure ad mercatum legesque acci piendas Romam venirent,et ut scita atque consultafrequentiore populo referrentur,quae trinundino die proposito a singulis atque universis facile poscebantur ». (4) Ci sia permesso di riportare su l'influenza educativa dell'agricoltura un brano di una conferenza che tenemmo nel 1881 all'Esposizione Nazionale di Milano, col titolo : L'industria nei suoi rapporti colla civilta. «Gli economisti,dicevamo,sogliono distinguereduespeciedilavoro:quellocheagiscesullecose,e quello che agisce sugli uomini. Questa distinzione non è esatta. Se tolgasi il lavoro puramente intellet tuale,ogni altro agisce ad un tempo su gli uomini e su le cose;questa duplice azione viene esercitata sopratutto dall'agricoltura e dall'industria. Dal raffronto fra queste due arti ritrarremo la ragione psico logica del nesso intimo che esiste fra l'industria e la libertà. « L'agricoltore riguarda la terra come fonte unica della ricchezza ; essa è per lui una provvidenza e un mistero ad un tempo. Perciò noi lo vediamo affezionato al suo suolo, ivi fissato in istabile sede,ed unito in pacifico consorzio co' suoi conterranei. Da questo legame contratto dall'uomo colla terra che lo nutre nacque ilprimo concetto di patria,come dai consorziigeneratidall'agricolturaebberooriginoiprimi Stati. « Ma la terra, come dicemmo, non è per l'agricoltore solo una provvidenza, essa è per lui anche un mistero. E questo lato misterioso sarà una sorgente feconda di superstizioni, che egli porterà facilmente anche nei negozi civili, o nelle maggiori contingenze della vita pubblica. Quei soldati di Nicia e D e mostene,chelanottedel27agosto413a.C.ricusaronodilevareilcampoda Siracusaerifugiarsia  (3)Livio,III,52. 3:V,25,12. CICERONE,de Rep.,II,36,61.   Riassumendo pertanto le cose dette intorno la formazione della plebe romana,diremo,che sebbene la genesi di quel ceto non possa esserechiaritaintuttiisuoiparticolari, tuttavia hannosi datiposi tivi,iquali rilevano di che elementi fosse formato, e la ragione po litica che indusse i vincitori a trattare i vinti con una generosità di cui non si ha esempio nella storia dell'antichità. Questi dati ci dimostrano ancora che la istituzione della clientela precedette quella della plebe, e ci spiegano il diverso trattamento avuto dai primi vinti rispetto ai secondi. Catania, perchè quella notte comparve in cielo un ecclisse lunare, erano agricoltori dell'Attica. E l'es sere essi rimasti in quel luogo portò per effetto lo sterminio della flotta e dell'esercito ateniese,e la ro vina di Atene. « Del resto, non è da meravigliarsi che l'agricoltore sia superstizioso. Quel grano che egli consegna alla terra per riceverlo moltiplicato, non gli dice come sia avvenuto il fatto della moltiplicazione sua. mentre questo evento che ogni anno si rinnova gli stordisce l'intelletto, altri fenomeni del mondo fisico, dinaturadeleteria,gliriempionol'animodisgomentoediterrore.L'uragano cheglidevastailcampo; la grandine che gli distrugge le messi, gli appariscono mandatarii di forze arcane che gli fanno la « Dallo stesso principio che aveva dato nascimento alle gerarchie ipercosiniche ebbero origine le ge rarchie sociali, trasformate ben presto in tirannidi. Il despota non è un uomo come un altro. Egli è il mandatario di un ente superiore che gli affida l'incarico d'imperare in suo nome. E l'agricoltore subisce rassegnato il suo imperio, e comprende nel suo culto mandatario e mandante, dai quali altro non impetra che la sua pace. « Quanto diverso è il magistero civile che si consegue dall'industria ! Anche l'industriale ritrae dalla naturafisicalamateriadelsuolavoro.Ma questamateriainluogodiessereperluiunmistero,èinvece una rivelazione. Essa gli rivela che egli coll'opera della sua intelligenza non solo può trasformare i pro dotti della natura e adattarli a'suoi bisogni,ma può anche sorprendere isegreti di essa e svelarli.Si, l'intelligenza gl'insegna,ch'egli può perfino combattere contro la natura,ora congiungendo mari da lei divisi, ora atterrando baluardi da lei inalzati fra l'una e l'altra regione, ora sopprimendo colla vaporiera e coll'elettrico le distanze. Se l'agricoltore può chiamarsi servo della natura, l'industriale può dirsi suo ribelle. Ed è mai possibile che quest'uomo, al quale l'impero della natura è troppo grave,possa rassegnarsi a sopportare l'impero di un suo simile ? »  206 MEMORIE guerre civili, come avvenne in tutti gli altri Stati dell'antichità con jattura della loro libertà, cið fu particolarmente dovuto al carattere longanimeepazientedellapleberomana,laquale,convinta delsuo diritto, lasciò che il tempo ne facesse maturare la coscienza anche nei suoi avversarii, e transigette sopra uno scacco patito oggi per essere più sicura della vittoria domani. guerra , e contro le quali egli non sa difendersi. Da ciò il suo ricorso ad una tutela che lo educherà alla sommes sione per prepararlo alla servitù. In questi misteri del mondo fisico è riposta quindi la genesi tanto delle religioni, quanto delle teocrazie. Le due specie divine, l'una delle quali risiede in cielo in mezzo alla luce, l'altra negli abissi del tartaro, sono emanazioni antropomorfe delle forze benefiche e malefiche della na tura.Createlespecie,erafacilecreareunasimbolica,permezzodellaquale spiegareidiversifenomeni e momenti della natura fisica. In questa simbolica vediamo attribuita una importanza affatto speciale al fenomeno della fecondazione terrestre. I Latini simboleggiarono quel fenomeno in una festa nuziale divina chesirinnovava ognianno nelmesedidicembre,quandolanaturasiraccoglieinsè,eserbainistato latente le sue forze per ispiegarle rigogliose tra poco. Così ebbero origine in Roma i Saturnali, la più popolare delle feste romane, durante la quale era concesso anche agli schiavi di ricordarsi di essere uomini. La chiesa cristiana sostituì ai Saturnali la nascita del Cristo,e non poteva collocare in migliore luogo la comparsa dell'uomo che veniva ad insegnare, essere tutti gli uomini eguali davanti a Dio.   F. BERTOLINI ORIGINI ROMANE 207 La clientela sorse colla conquista del Settimonzio, ossia,colla for mazione del primo Stato ; e clienti diventarono i prischi abitatori di quella contrada. La plebe surse invece col primo sviluppo che con seguì lo Stato romano fuori del Settimonzio, nelle altre contrade del Lazio. Una eccezione fu fatta cogli Albani, e fu eccezione di privilegio dovuta al primato che Alba Longa possedeva verso le città della lega latina. Sia la riverenza che tributar si volle all'antica metropoli;sial'interessepolítico,che consigliavalalarghezzaverso i vinti Albani, per poter più facilmente ridurre le città latine ad accomodarsi alla nuova padronanza ; e l'una e l'altra ragione por tarono per effetto, che gli Albani venissero dai vincitori accolti nel loro consorzio religioso e politico,e costituiti in una nuova tribù. Questa larghezza non poteva essere usata verso le altre città la tine, e cið per più ragioni. Prima di tutto, va considerato il carat tere d'inferiorità che, rispetto alla loro importanza, si manifesta fra esse città e Roma.Se eccettuisi Alba Longa,che ha una posi zione privilegiata rispetto alle città latine confederate, queste son tutte sul piede di una piena eguaglianza vicendevole ; e però, nes suna di esse poteva invocare dal vincitore un trattamento eccezio nale accampando privilegi anteriori che non erano stati posseduti. Però, se la eguaglianza delle città vinte fra loro non dava luogo a sperare che iljus gentium non sarebbe stato applicato verso di esse in tutto il suo rigore, vi erano altre ragioni che creavano questa speranza, la quale ebbe poi nel fatto sua piena conferma. L'una di queste ragioni era riposta nella connazionalità esistente tra vinti e vincitori, Roma, dovesse la sua origine all'atto geniale di un fondatore, o alla deliberazione di un'assemblea, non poteva dimenticare che dal Lazio erano partiti i suoi primi fondatori, i Ramni; e che dal Lazio , essa avea tolto i suoi costumi e le sue primitive istituzioni. Dopo il tramutamento in Roma dei vinti Al bani, la latinità di Roma ebbe rafforzato il suo contingente,onde avvenne che i rapporti morali fra lei ed il Lazio si facessero più forti e più sentiti. I quali rapporti non poterono rimanere senza influenza il giorno in cui la vittoria trasse le città latine sotto la dipendenza di Roma. Anche l'interesse monarchico concorse a mitigare la sorte dei vinti. Importava ai re di rivolgere a loro profitto questa novella forza che ora introducevasi nello Stato, per potere col mezzo di essa mettere un freno alle tendenze invaditrici del patriziato. Cosi, pel concorso di due circostanze, che apparentemente contraddiceansi,    i vinti Latini ebbero pur essi da Roma un trattamento eccezionale. Non furono ascritti nel consorzio gentilizio come i nobili Albani , ma non vennero nemmeno degradati allo stato di clientela. Diven tarono invece plebe, che vuol dire massa disorganizzata (da pleo, plenus); ma non sarà lontano il giorno, che essa conseguirà pure un organismo suo ; e allora il nome non rappresentando più la cosa, non le rimarrà che come ricordo storico. E sarà il giorno, in cui, per opera di Servio Tullio,al principio teocratico che cinge in nome del diritto divino di una cerchia di ferro i privilegi del patriziato, si sostituirà il principio timocratico, che aprirà quella cerchia per attribuire il privilegio al censo. Fu questa la prima breccia aperta nella cittadella del patriziato; dopo di essa,la espugnazione della fortezza diventava quistione di arte strategica, che è a dire, qui stione di tempo. Bologna,giugno 1884. FRANCESCO BERTOLINI.  208 MEMORIE M a se la plebe nel suo nascere non avesse posseduta la persona litàgiuridicacheimplicavailjuscommercii,essanonavrebbe po tuto pervenire per mezzo del diritto di proprietà a quello del suf fragio, e la riforma di Servio Tullio sarebbe rimasta sterile per lei, come sarebbe mancata la ragione politica di crearla.Rino Genovese. Genovese. Keywords: tribù, attribution, self-ascription, ascription, labelling, power, language, illuminism, critical illuminism, critical theory, critica della ragione impura; tribu occidentale; Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Genovese” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758754166/in/dateposted-public/

 

Grice e Genovesi – logica pei giovanetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Castiglione del Genovese). Filosofo. Grice: “I like Genovesi.” Grice: “Genovesi is a good’un – he reminds me of Oxford – his treatise on logic he called ‘per gli giovenetti,’ which is, as Piaget would say, as it would.” Grice: “Genovesi reminds me of Strawson, or rather of myself teaching logic to Strawson back in that infamous term of 1938!” – Grice: “I like Genovesi; I don’t think Socrates taught logic to Alcebiades; he couldn’t teach since the ‘dialogue’ is hardly the way to do it; and then Socrates did not teach logic to Plato; Plato did not teach logic to Aristotle, since the dialogue is not the way to go – so it is possibly Aristotle who first ‘taught’ logic to Alexander – this would indicate that he felt the need to change the form from silly dialogical exchanges to actual propositions that Alexander could swallow – “Sign” is what stands for something – a word is the sign of an idea – the idea is the sign for a thing.” – and so on. “Some things imply others; others IMPLICATE others.” – Grice: “Genovesi has an interesting bunch of things to say about logic, but then any writer of a ‘tractatulus’ in logic would: so he explores the natural/conventional distinction as applied to signs, and then the affirmation and negation, and pragmatic concerns with obscurity and ambiguity – and sophismata – and complex ‘causal’ propositions, -- quite a genius – and if a palaeo-Griceian, if I may myself say so!” Figlio di Salvatore, calzolaio e piccolo imprenditore, e di Adriana Alfinito di San Mango. Il padre lo indirizza in tenera età verso gli studi. E affidato agli insegnamenti di Niccolò Genovese, un congiunto, medico tornato da Napoli, il quale lo istruì in filosofia peripatetica per due anni e in quella cartesiana per un anno. Nel corso degli studi filosofici, si innamora di Angela Dragone. Questo amore non trovò l'approvazione del severissimo genitore il quale condusse immediatamente il figlio a Buccino, dove abitavano alcuni parenti, presso il convento dei Padri Agostiniani dove seguì gli insegnamenti filosofici di Abbamonte, appassionandosi al latino di Catone e Varrone. Insegna retorica a Salerno dove incontra Doti, dal quale riceve lezioni di perfezionamento nel latino.Si trasferì a Napoli, dove intraprese dapprima la carriera forense, che lasciò presto. Fonda una scuola privata di metafisica e teologia. A Napoli fu in contatto con Vico e ottenne la cattedra di metafisica. Alcune sue posizione contenute in “Elementa Metaphysicae” furono dai suoi nemici considerate eretiche, e dovette servirsi dell'intervento dell'arcivescovo di Taranto Celestino Galiani, e di Benedetto XIV per conservare l'abito talare. In seguito a queste denunce lascia l'insegnamento della metafisica a Napoli, per passare all'etica, cattedra che era stata tenuta in passato da Vico.  L'evoluzione dalla metafisica- all'etica prosegue con il passaggio all' “economia” quando si compì la trasformazione 'da metafisico a mercante', come egli stesso ebbe a scrivere nella sua autobiografia. Insegna'commercio e meccanica, con fondi privati da Intieri, la prima cattedra di economia di cui si abbia traccia in Europa, se non consideriamo cattedre di economia quelle istituite negli anni venti Professorei n Prussia nell'ambito della tradizione camerale. Il suo lavoro come economista è stato quello più fecondo, tanto che Genovesi divenne un autore fondamentale. Si diffondevano in quel tempo i primi accenni di rivolta allo spirito e al costume della Contro-Riforma: gli spunti di polemica antigesuitica e anticlericale, la ripresa della lotta in difesa dell'autonomia di un sato laico contro ogni interferenza del cattolicesimo, ai primi elementi di una teoria delle monarchie illuminate e del regime paternalistico, nonché, sul piano letterario, l'avvento di una poetica e di una critica più aperte e coraggiose.  In pratica, fu l'inizio della vera rivoluzione culturale che si attuò nella seconda metà del Settecento sotto il segno dell'Illuminismo caratterizzata dalla necessità di trasformare integralmente i cardini dciviltà in tutte le sue manifestazioni. In questo ambito, la filosofia politica di Genovesi e decisamente di tipo riformatore, un anglofilo sotto spoglie francesi. Nella sua filosofia, persegue un compromesso tra idealismo ed empirismo, cercando ad ogni costo di salvare gli essenziali valori religiosi della filosofia cristiana. Riceve l'influenza del nuovo panorama culturale italiano, con la voglia di cercare con studi ed esperimenti il concetto della pubblica felicità, consistente nel far uscire l'uomo dallo stato di "oscurità" (Illuminismo, che in Francia era già in atto: Les Lumières). Prese coscienza della decadenza culturale, materiale e spirituale dopo il periodo d'oro del Napoletano e, quindi, si rese conto della necessità di intervenire per riportare le arti, il commercio e l'agricoltura a nuovi splendori. “Io, che era cominciato a tediarmi di questi intrighi teologici e che cominciava ad avere in orrore studi si turbolenti, e spesso sanguinosi, feci di più: mi ripresi i miei manoscritti, e deliberai permanentemente di non pensare più a queste materie.»  Per tale motivo, abbandona la metafisica e si dedica all’economia affermando tra le altre cose, che l’economia deve servire ai governi per alimentare la ricchezza e la potenza del stato. Ritiene che per favorire il benessere “sociale” sia necessario promuovere la cultura e la civiltà, per questo motivo è il primo cattedratico ad impartire le sue lezioni in italiano. Docente di economia politica, occupa una cattedra istituita appositamente per lui di “commercio e meccanica” a Napoli da Intieri. Soggiorna più volte nel palazzo proprio di Intieri a Massaquano per lunghi periodi dove si rifugiava per trovare "la musa ispiratrice" e lì infatti scrisse alcune sue opere. Sostiene che anche le donne e i contadini abbiano diritti alla cultura poiché questa è uno strumento fondamentale per realizzare l'ordine e l'economia nelle famiglie, e di conseguenza nella società, è inoltre importante anche l'educazione degli uomini e in particolar modo lo sviluppo delle arti e delle scienze, contrapponendosi all'idea di Rousseau per il quale il progresso costituisce la fonte di tutti i mali. Denuncia anche la presenza di un numero eccessivo di persone che vivono esclusivamente di rendita e affronta tematiche importanti come problemi di debito pubblico, inflazione e circolazione monetaria.  Il suo pensiero economico è espresso in Lezioni di commercio o sia di economia civile  e considerate una delle prime opere di filosofia economica. Cerca, così, di indicare la via per alcune riforme fondamentali: dell'istruzione, dell'agricoltura, della proprietà fondiaria, del protezionismo governativo su commerci e industrie.  Tenne sempre le sue lezioni in italiano grazie alla sua passione per il civile: viene ricordato per essere stato il primo docente a esprimersi in italiano durante i suoi corsi e per essere stato tra i primi a scrivere trattati di metafisica e di logica in italiano. Così operò, anche e soprattutto, per diffondere lo studio dell'Economia e delle scienze nel popolo: in questo atteggiamento Genovesi è ancora una volta in piena continuità con gli umanisti, giudicando anche questo un mezzo di incivilimento. Altre opera: Lezioni di commercio (Milano, Fondazione Mansutti). Altre opera: Elementa metaphysicae mathematicum in morem adornata, Napoli; Elementorum artis logicae-criticae libri quinque Gli elementi dell'arto logico-critica, Venezia) Meditazioni filosofiche; Lettere filosofiche;  Lettere Accademiche; Memorie Autobiografiche; Lezioni di commercio o sia d'economia civile; Della diceosina o sia della Filosofia del Giusto e dell'Onesto; Delle Scienze Metafisiche per li giovanetti 1767; Altre opere da ricordare sono La logica per i giovanetti, Istituzioni di Metafisica per Principianti e Lettere familiari, che testimoniano l'intensa corrispondenza epistolare tra l'abate e il letterato dell'epoca Ferrante de Gemmis, uno dei pochi testimoni dell'illuminismo pugliese. Corpaci, F., Antonio Genovesi; note sul pensiero politico, Giuffrè, Peter Jones, Reception of David Hume in Europe, Continuum, Palatano, Rosario; Genovesi, Antonio. Antonio Genovesi: teoria del commercio, LUISS University Press,.Antonio Genovesi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 10 maggio.  Lucio Villari, Il pensiero economico di Antonio Genovesi, Le Monnier, Chines, Loredana. Su alcuni aspetti linguistici degli scritti di Genovesi, Pensiero politico, Davide Alessandra, Antonio Genovesi: uno dei padri dell'illuminismo meridionale, su historiaiuris.com,. M. Bonomelli (a cura di, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, Fondazione Mansutti, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa, Luigino Bruni, Voce "Antonio Genovesi" in Il Pensiero Economico Italiano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani.  Luigino Bruni e Stefano Zamagni, Economia civile, Il Mulino, Bologna,. A. M. Fusco, Antonio Genovesi e il suo mercantilismo "rinnovato", in A. M. Fusco, Visite in soffitta. Saggi di storia del pensiero economico, Napoli, Editoriale Scientifica, Giuseppe Galasso, Il pensiero religioso di Antonio Genovesi, Rivista storica italiana, G. Genovese, Contro le "Penelopi della filosofia". Note sulle Lettere accademiche di Antonio Genovesi, L'acropoli, G. Genovese, Tra Vico e Rousseau: le autobiografie di Antonio Genovesi, L'acropoli, D. Ippolito, Antonio Genovesi lettore di Beccaria, Materiali per una storia della cultura giuridica, C. Passetti, Una fragile armonia: felicità e sapere nel pensiero di Antonio Genovesi, Rivista storica italiana, M.L.Perna, Eluggero Pii e l'edizione delle opere di Antonio Genovesi Dialoghi e altri scritti. Intorno alle Lezioni di Commercio, Il pensiero politico: rivista di storia delle idee politiche e sociali, A. M. Rao, Etica e commercio: i Dialoghi di Antonio Genovesi nell'edizione di Eluggero Pii, Il pensiero politico: rivista di storia delle idee politiche e sociali,  Wolfgang Rother, Antonio Genovesi, in Johannes Rohbeck, Wolfgang Rother: Grundriss der Geschichte der Philosophie, Die Philosophie des 18. Jahrhunderts, Italien. Schwabe, Basel, Rosario Villari, Antonio Genovesi e la ricerca delle forze motrici dello sviluppo sociale, «Studi Storici», E. Zagari, Il metodo, il progetto e il contributo analitico di Antonio Genovesi, Studi economici, 2V. Gleijeses, Napoli nostra e le sue storie, Società Editrice Napoletana, Napoli, Pietro Napoli Signorelli, Treccani, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Antonio Genovesi, sConferenza Episcopale Italiana.  Opere di Antonio Genovesi / Antonio Genovesi (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Antonio Genovesi,.  Luigino Bruni, Genovesi, Antonio, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Saverio Ricci, Genovesi, Antonio, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. 13 novembre. Corrado Barbagallo, Antonio Genovesi, Estratto da: Rassegna Storica Salernitana.  Antonio Genovesi 1 2 non è uno di quei filosofi, che  fanno compiere un passo innanzi al pensiero filosofico.  A paragone del grande Giambattista Vico, che si gloria di  aver avuto maestro e la cui Scienza Nuova cita nelle sue  opere con profondo rispetto : , il Genovesi apparisce come  uno di quei mille ammiratori, più o meno sinceri, che il  Vico ebbe tra i suoi contemporanei e tra gli uomini più  illuminati delle generazioni successive; i quali ebbero un  certo sentore di alcune teorie di lui, concordanti o no  con dottrine congeneri di altri pensatori e da annoverare  tra le parti accessorie del suo sistema, ma pei quali i  problemi originali posti e risoluti dal Vico, si può dire,  non ebbero senso. Se pertanto nella storia del pensiero  il Vico rappresenta quello che egli rappresenta a’ nostri  occhi di storici che han penetrato il significato di quei  problemi, il Genovesi dopo di lui è un arresto o una de¬  viazione. Quella vena speculativa altissima nello scolaro    1 Discorso tenuto al Teatro Verdi di Salerno, il 17 gennaio 1932,  ì n occasione del monumento inaugurato lo stesso giorno a Castiglione  del Genovesi.   2 « L’illustre Giambattista Vico, uno de’ fu miei maestri, uomo  d’immortai fama per la sua Scienza Nuova » (Lez. di Comm.,  Napoli, 1783, IX, p. 12; parte II, c. I, § 5); «Il nostro Vico nella  Scienza Nuova, libro maraviglioso e uno dei pochi che in queste ma¬  terie [su Omero] facciano onore all’ Italia » (Logica e Metafisica, Mi¬  lano, Classici italiani, 1835, p. 208. Cfr. ivi, p. 331).        72    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    è inaridita. Il pensiero ha cambiato strada, abbandonando  gli ardui argomenti con cui s’era cimentato.   Ma il paragone col Vico storicamente non è giusto.   I due pensatori in verità appartengono a due piani  storici, da uno dei quali non si passa all’altro direttamente.  Se il Genovesi non ebbe occhi per vedere i problemi del  Vico, neanche il Vico, dalla parte sua, ebbe occhi per  vedere quelli del Genovesi. Uomini di tempra diversa,  con diversi interessi spirituali, si può dire che il maestro  abbia pensato sempre al cielo, e lo scolaro alla terra.  L’uno non si guarda mai attorno se non come uomo  privato, che, quando dai pensieri ordinari si rivolge alla  sua scienza e alle cure più nobili del suo intelletto, vi si  assorbe tutto, estraniandosi affatto dai pensieri, dalle  gioie e dai dolori della vita quotidiana. Dove non sono  in verità gli attori del dramma che egli ama studiare e  nel cui studio concentra infatti le energie più potenti  della sua intelligenza. Passa perciò tra i suoi e tra i coe¬  tanei come l’uomo astratto, il filosofo, l’uomo che non  è di questo mondo. Quantunque il suo animo, propria¬  mente, sia a questo mondo legato così strettamente come  nessun altro mai, e di questo mondo, scrutato con sguardo  penetrante fino al profondo, aspiri appassionatamente  a intendere il significato, e in questo mondo appunto  agogni con titanico sforzo a conquistarsi razionalmente,  col pensiero, un suo posto. Ma questo mondo egli vuol  vederlo sub specie aeterni, come mondo che è sempre lo  stesso, in ogni luogo e tempo; e che assume bensì aspetti  sempre diversi, ma per l’interna virtù che lo muove con  immutabile legge.   L’altro invece è tutto occhi pel mondo che si agita  intorno a lui, nella scuola e fuori della scuola; nelle città  e nelle campagne; nello Stato e nella Chiesa; a Napoli,  per tutta Italia, e di là dalle Alpi. L’istruzione del  popolo e l’educazione dei giovani; l’agricoltura e il com-    ANTONIO GENOVESI    73    mercio; l’economia del Regno, e i problemi della feudalità  e della manomorta; il problema della moltitudine degli  ecclesiastici eccessiva in rapporto alla popolazione; e poi  la questione giurisdizionale e l’ardente lotta anticuria-  lista in difesa dei diritti dello Stato; e via via tutte le  questioni che erano all’ordine del giorno nella Napoli del  tempo, o che uno spirito alacre ricavava da quelle a cui  la pubblica opinione s’interessava. E poiché i paesi  allora alla testa della cultura europea erano insieme  Inghilterra e Francia, e i libri che si pubblicavano in  quelle lingue i più letti, celebrati e discussi, ecco quelle  lingue, insieme con le classiche, a cui il Vico si era limitato,  studiate e possedute con animo pronto a seguire il movi¬  mento della letteratura straniera in ogni campo di ri¬  cerche filosofiche e sociali. Allargato quindi enormemente  l’orizzonte. Non più quel carattere antiquato e accade¬  mico della scienza tradizionale, nel cui cerchio si muove  ancora il Vico, modernissimo per la sostanza de’ suoi  problemi, arcaico per la forma (lingua ed erudizione)  E la modernità segna la fine di quel chiuso provincia¬  lismo, onde lo scrittore napoletano si era sentito sempre  cittadino di Napoli. Genovesi guarda più in là del  Garigliano e del Tronto. Egli si sente italiano; e come  italiano, partecipe dell’unica società europea della cultura.  Italiano e moderno, si lascia alle spalle il vecchio mondo  tradizionale dell’accademia fratesca e teologizzante e  dell’angusta provincia, e respira largo, apre le finestre  della scuola della letteratura e del pensiero, e vive nel  tempo suo e si sforza d’interessare gli uomini, tutti, al  sapere e al lavoro dell’ intelligenza.   Siamo, come dicevo, in un piano diverso da quello  della pura filosofia. Qui si può dire che la filosofia ri-  nunzii alla sua propria forma, e quasi si annulli per  risorgere in forma più adeguata alle sue esigenze più  profonde. Ciò che è tante volte avvenuto nella storia;    6 - Gentile, Albori. I.    74    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    e avviene continuamente nella vita. Il pensiero sale, sale,  si purifica, si libera dal rappresentare fantastico e cor¬  pulento, e si libra da ultimo in un’astrazione diafana,  per ridiscendere tosto al concreto della realtà che con  quell’astrazione ha cercato di definire e più perfetta¬  mente possedere: alla realtà che è corpo e fantasma,  e passione e sentire, e quell’oscuro misterioso impeto  dell’essere che tende a realizzarsi, scaturigine ascosa di  ogni esistenza e di ogni luce. Il progresso è pur sempre  in certo modo regresso; e se si volesse andare avanti,  avanti sempre, si finirebbe col precipitare nel vuoto.  Bisogna a volta a volta rifarsi da capo. Bisogna toccare  la terra per rialzarsi. Toccare la terra, s’intende, come  l’Anteo della favola, da gigante che ha già la forza per  rialzarsi: che ha, in altri termini, un certo grado di co¬  scienza filosofica.   2. — Vogliamo sentire dallo stesso Genovesi qual fosse il  suo ideale di cultura ? Basta leggere un suo Discorso sopra  il vero fine delle lettere e delle scienze, che nel 1753 pubblicò  innanzi a un Ragionamento sopra i mezzi più necessari  per far rifiorire Vagricoltura dell’abate Montelatici, quasi  per giustificare la nuova via per cui egli si metteva, dopo  aver anche lui pubblicato i suoi libri di Logica, di Me¬  tafisica e di Teologia in lingua latina. In questi stessi  libri, per altro non è difficile scorgere le tendenze innova¬  trici del Genovesi e il carattere dominante del suo pen¬  siero filosofico, del quale ci proveremo qui appresso a  dare un sommario cenno ; ma ancora non è avvenuta la  radicale conversione per cui la mente dello scrittore, dopo  che ebbe trovato negli studi economici e sociali una ma¬  teria più adatta al suo genio, raggiunse la sua forma  storica, e ritrovò propriamente se stesso.   In questo Discorso il Genovesi propugna una sorta di  filosofia « reale », com’egli dice, e cioè pratica ed appli-    ANTONIO GENOVESI    75    cativa: come dire una filosofia non propriamente specu¬  lativa e filosofica; e prende a partito tutti i più celebrati  filosofi della tradizione e le loro dottrine. Esalta bensì  la ragione come quella che << più di tutte le nostre doti  ci rassomiglia a Dio », « la sola cosa, per cui l’uomo si  solleva sopra tutto ciò ch’è in terra»: la ragione, «arte  universale » governatrice di tutte le arti e strumenti onde  l’uman genere arricchisce la vita e viene ogni dì perfe¬  zionando il sistema dei mezzi diretti ad accrescerne il  benessere. Ma ne addita nelle astratte speculazioni e  schernisce i deviamenti già nell’antichità derivati appunto  dall’abuso che l’uomo fa della ragione in questioni oziose,  sottili, astruse e atte nondimeno a suscitare la stima e  l’ammirazione dei semplici e a procacciare una riputazione  fallace.   « Poiché gli uomini quanto son più semplici, tanto so¬  gliono più stimare quel che meno intendono, i dialettici  ed i metafisici. I don Chisciotti della repubblica delle  lettere, combattenti con gli indistruttibili giganti delle  chimere, per la gloria vanissima di sottilissimo ingegno,  loro Dulcinea del Toboso, salirono in alta stima, ed usur¬  parono il premio doTTito al vero sapere; ciò che fu l’esca  fatale, che riempì ne’ vecchi tempi d’indiscreti sofisti  la Grecia, e ne’ secoli assai più vicini buona parte del-  1 ’ Europa ».   Eppure, la prima e più antica filosofia era stata una  « filosofia tutta cose ». I più antichi filosofi erano stati i  legislatori, i padri, i sacerdoti delle nazioni, studiosi di  etica, economica, politica; persuasi anch’essi, al pari di  tutti i buoni cittadini, che, « come partecipavano a’ comodi  della società, così dovevano aver parte alle cure e alle  fatiche » pel bene pubblico e domestico. Vennero dopo i  tempi di corruzione, in cui prevalse la massima che l’ozio  fosse un nobile e onorato mestiere. E quindi la genia infi¬  nita di coloro che sono «peste del vero sapere e della      76 ALBORI DELLA NUOVA ITALIA   virtù»; «i quali si credettero nati o per garrire inutil¬  mente, o per disputare di cose inintelligibili, o per met¬  tere empiamente in ridicolo le sante ed utili cognizioni,  le leggi ed i precetti della giustizia e dell’onestà ». Ven¬  nero i grammatici (oggi diremmo i critici) « interpreti  de’ sogni dei poeti, o mercanti de’ propri»; vennero i  metafisici, «Penelopi della filosofia, implicati in disciorre  quelle tele, che eransi tessute colle loro mani » ; verniero  i dialettici, che « tendevano indissolubili lacciuoli alla  ragione istessa per cui andavan fastosi, e come seppie  gittavan del negro, sotto cui il vero e il falso prendesse  un sol volto ». Socrate, — il gran Socrate, di cui fu detto  che richiamò la filosofia dal cielo in terra e a cui infatti  gli uomini devono di sapere che tutto quello che si vuole  intendere essi non lo possono cercare se non nel pensiero,  cioè in se medesimi, — dal Genovesi non è ricordato qui  se non come colui che insegnò la più ricca e la più bella  possessione dell’uomo essere l’ozio. Dei suoi scolari non  gli giova menzionare altri che Aristippo e Diogene il  Cinico, corruttori del costume. Di Pitagora a scherno  ricorda la monade e il binario; e l’uno di Parmenide; e  l’omeomeria di Anassagora, e le astratte forme di Platone  e le entelechie di Aristotele; ed altre cosiffatte «bambole  di ragione » degli altri più celebrati filosofi.   Che dire poi della filosofia medievale ? Non si può  leggerne la storia « senza aver pietà della debolezza del-  l’ingegno umano ». Poveri scolastici ! «Vestono corazze  di carta, che stimano del più fino metallo; e combattono  con i mulini a vento, come con i Giganti distruttori del-  l’uman genere. Un estro ignoto gli rapisce fuor del nostro  mondo. Sembra che sieno i maestri di ogni altra cosa,  fuor che di ciò che ci appartiene o c’ interessa ».   In questa caricatura della storia della filosofia super¬  fluo avvertire lo strazio che il Genovesi fa delle più im¬  portanti dottrine dei maggiori pensatori. Voglio solo rife-        ANTONIO GENOVESI    77    rire in proposito un altro periodo, tipico documento  degli stravolgimenti storici di questa invettiva, e insieme  dello spirito che la moveva:«La materia prima,  che Aristotele fantasticò, animata dal fuoco dagli Arabi,  fu di sì vivi e vaghi colori arricchita in mano di Abelardo,  e di alcuni altri, che divenne una Divinità, la quale poi  il più empio e il più freddo de’ filosofi del passato secolo,  si studiò di adornare con un sistema geometrico ». Allu¬  sione a Spinoza, che pure Genovesi aveva studiato con  grande interesse ’.   « Alle quali cose quante volte io penso », conchiude il  nostro filosofo, « forte mi meraviglio, come gli agricoltori,  i pastori e tutti gli altri coltivatori delle arti per cui l'uman  genere si sostiene, abbian potuto tollerare in pace una  razza di uomini, i quali, lungi di dar loro il menomo ri¬  schiaramento e aiuto nel tempo medesimo che de’ frutti  della loro industria godevano, pare che si ridessero delle  loro fatighe, o che gli riguardassero come animali di  altra specie, fatti da Dio in forma umana per servire  a’ loro piaceri ».   Lode a Bacone, che proclamò la necessità di ristaura-  zione dalle fondamenta tutto il sapere, e dimostrò che  « si poteva essere filosofo con assai gloria, senza essere  peso inutile agli altri uomini ». Lo studio della natura,  l’esperienza, « gran maestra delle utili cognizioni », la  geometria « nutrice di tutte le arti » vennero in grande  onore. L’ Europa cambiò faccia. Ogni nazione ebbe il  suo Ercole, uccisore dei mostri che la infestavano. L'Italia  ebbe Galileo. Napoli, sì, rimase lungo tempo chiusa a  questa nuova scienza, forse perché con maggior vigore  questa potesse irrompervi a rendere più glorioso il rin-    1 Cfr. la sua lettera dell' u sett. 1756 a R. Sterlich; dove racconta  come potè studiare, quando aveva 28 anni, 1 ’Etica di Spinoza: Leti,  fam., ed. Napoli, 1788, I, 124.     78    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    novamento che il Regno, ristaurato dal primo dei Bor¬  boni, doveva promuovere. Genovesi ha qui un concetto  che rammenta l’hegeliano spirito del mondo. « Egli è  veramente un certo Genio, che discorre per le nazioni,  e che in dati intervalli le anima, e le raccende, quello  che o primamente mena, o estinte ravviva le lettere e  le belle arti ». Ma questo Genio, secondo il Genovesi,   « vuol essere sempre accarezzato, sollecitato e alimen¬  tato. Può dirsi che la curiosità, la più utile molla del-  l’animo umano, il dischiuda dal suo guscio, la gloria  l’animi e gli dia della grandezza, l’emulazione l’aguzzi  e ’l rinforzi: ma certamente il premio il sostiene e l’ali¬  menta ». Insomma, il rinnovamento del pensiero richie¬  deva a Napoli le più propizie condizioni create dalla  nuova vita impressa allo Stato dal nuovo Regno.   Grande infatti il progresso già avvenuto in Napoli,  delle arti, delle scienze, della ragione che le alimenta.  Ma « un certo lezzo dell’antica barbarie » (prisci vestigia  ruris) è rimasto tuttavia attaccato agli scrittori. La  ragione non è pervenuta ancora alla sua maturità: è  ancora tutta nell’ intelletto, e deve passare nel cuore e  nelle mani. È bella, non è operatrice; adorna, non utile.  Bisogna che diventi pratica e realtà; come può solamente  quando « tutta si è così diffusa nel costume e nelle arti,  che noi l’adoperiamo come sovrana regola, quasi senza  accorgercene » : come accade alle bestie, in cui « la cogni¬  zione è tutta uso, perché è l’arte di Dio lavorante su la  materia, ed in Dio non ci sono Enti di ragione»:  cioè le astrattezze che si annidano nel cervello dei filosofi.  I dotti napoletani hanno bensì coltivato lo studio delle  leggi; ma vi hanno portato le argutezze dei dialettici:  questioni sottili, speciose, aliene dalla pratica e dalla vita.  Tutta una forma di sapere, in cui, insomma, secondo il  Genovesi, c’è forza bensì e intelligenza; ma non c’è cuore;  e c’è cattivo gusto. Manca, diremmo oggi, il senso scien-    ANTONIO GENOVESI    79    tifico; e gl'ingegni si credono più grandi quando sono  ammirati come incomprensibili, che quando stimati come  utili.   La pratica dell' insegnamento (insegnava già egli da  sedici anni) aveva dimostrato al Genovesi che Napoli era  un semenzaio di nobili e glandi ingegni ; ma i migliori  ingoiavano avidamente la nuova filosofia prima di di¬  gerir la vecchia. Avvezzi alle sottigliezze vane e alla  « ciarleria », troppo ancora se ne compiacevano per fare  il debito onore alle scienze sode, feconde, che avevano  già trasformato la cultura inglese, francese, olandese.  Sacrifichiamo dunque « una volta la seduttrice e vana  gloria dell’astratta speculazione al giusto desiderio della  parte più grande degli uomini, i quali ci vogliono men  contemplanti e più attivi. Dio ha fatto a tutti il divin  dono della ragione perché intendiamo, che il vero sapere  non è di sì gelosa natura che voglia essere di pochi ». Esso  deve giungere al popolo. Il quale ha bisogno di essere illu¬  minato, e non seguito nella sua naturale ritrosia alle  novità, ancorché utili, e nel suo attaccamento tenace  alla tradizione. Deve essere indotto a profittare delle  osservazioni e delle invenzioni dei dotti. Deve essere in¬  gentilito, rianimato, spronato ad elevarsi. E si deve quindi  operare su di esso non con le leggi che non cambiano gli  uomini, sì con la « savia educazione e coltura di questa  sì preziosa derrata dell'uomo, da che egli comincia a  sbucciare dal suo guscio ».   Curare l'educazione. È uno degli articoli principali  dell’apostolato del Genovesi 1 ; poiché i contemporanei,  a suo giudizio, curavano più i « testi di fiori » e le piante    1 Sulla educazione e istruzione popolare vedi Lez. di Comm., parte I,  cc. VI e Vili; e Logica, ed. cit., pp. 271-72. Senza educazione «oltre¬  ché non è possibile, che la popolazione si aumenti.... ma, pure dove  avviene che cresca, la repubblica si potrà ben dire aumentata di semi¬  uomini, ma non di forze» (Lez. di Comm., t. I. p. 121).     8 o    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    peregrine che avevano per avventura ne’ loro giardini,  che non i figli. E raccomandava la massima diligenza  nella scelta dei maestri, poiché molto, a suo giudizio,  mancava per questa parte il Regno di Napoli. Bisogna  sentire il ritratto vivo che ce ne ha lasciato:   « I maestri di scuola pongono poca cura a studiar l’ur¬  banità e l’aria nobile, piena di verecondia e de’ tratti  d’onore: sovente i loro moti, gesti, tuono di voce e tutto  il lor volto, che suol esser lo specchio dei ragazzi, spira  tutt’altra cosa che gentilezza: la loro lingua è più fre¬  quentemente un gergo corrotto de’ vari dialetti del nostro  Regno, che la bella e nobile della pulitissima Italia: final¬  mente, dirò io che il lor costume sia sempre il più puro  e il più santo ? Inoltre, quasi tutti si studiano di coltivar  assai più la memoria de’ loro allievi che la ragione e il  cuore. Un solecismo o barbarismo in lingua latina è da  loro più severamente punito, che molti a’ gentiluomini  sconvenevoli barbarismi e irragionevolissimi solecismi di  ragione e di costume. Si adirano anche spesso, gridano  e fanno dei schiamazzi in testa a’ loro allievi; gli battono  senza misericordia, e gli trattano più da servi, che da  figli: tutte cose più atte a fare o stupidi o villani o zotici  e feroci i ragazzi, che ad allevargli nel sapere, nelle virtù,  nella nobiltà. Questi medesimi difetti trovansi ben anche  spesso ne’ padri o nelle madri di famiglia. Io ho sentito  dire a molti di coloro un proverbio, che fa disonore agli  esseri ragionevoli : che i fanciulli si curan  colle mazze».   3. — Un filosofo che parla questo linguaggio umano,  familiare, e che pensa come s’è veduto, dei filosofi e dei  loro sistemi, evidentemente non è un filosofo di professione.  Sarà un filosofo che avrà qualche cosa da dire più e meglio  dei filosofi di professione; ma non potrà facilmente an¬  dare d’accordo con questi. Così poco rispettoso di quelle    ANTONIO GENOVESI    Si    che sono le idee e le maniere per loro più rispettabili e  venerande, con così scarso interesse, anzi con tanto fa¬  stidio verso le questioni che formano il nutrimento e il  vanto dei loro cervelli, certo potrà, per caso, trovarsi in  mezzo ad essi: ma vi starà a disagio, e se ne trarrà fuori,  spontaneamente o per necessità, appena se ne presenti  l’occasione.   L’abate Genovesi, nato nella terra di Castiglione 1 ’ Ognis¬  santi del 1713 *, fu avviato quattordicenne agli studi di  filosofia da un suo stretto congiunto, che gli insegnò per  due anni filosofia scolastica e per un terzo anno filosofìa  cartesiana (filosofìa di moda allora nel Napoletano);  quindi, poiché il padre lo volle ecclesiastico, obbligato ad  apprendere Canoni e Teologia, e ammesso agli ordini  minori nel 1730, promosso suddiacono nel settembre '35.  Chiamato questo anno a insegnar rettorica nel seminario  di Salerno, vi rimane due anni, studiando per suo conto  con gran fervore ; finché nel '37 sarà ordinato prete J'e  un’eredità allora conseguita gli consentirà di recarsi l’anno  appresso a Napoli, per appagare in quella Università e  nella consuetudine degli illustri letterati della metropoli  la sua sete ardentissima di sapere. A Napoli frequentò  molti corsi; tra gli altri, fino al *41, quello di Giambattista  Vico; di cui, ci racconta un anonimo biografo, aveva  già da un anno letta la Scienza Nuova : « Il perché corse  ad ascoltarlo; a cui avendo dedicato la sua servitù, ebbe  l’onore della sua amicizia » 1 2 . Insoddisfatto della filosofìa  che s’insegnava, disegnò programmi suoi, e aprì una sua  scuola privata; finché nel '41 il Cappellano Maggiore  monsignor Galiani, che era l’uomo che poteva intenderlo,  gli affidò l’incarico d’insegnare nell’ Università Meta¬  fìsica. Aveva letto Malebranche, Locke, studiato Spinoza    1 Note di A. Cutolo alle Memorie autobiogr. del G., in Ardi. stor.  nap., 1924, p. 261.   2 Cutolo, Noie cit., p. 260.     82    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    e Leibniz; e dettava agli alunni, come volevano i rego¬  lamenti del tempo, le sue lezioni in latino. Ne nacquero gli  Elementi di Metafisica in lingua latina, in cinque tomi; il  primo dei quali pubblicato nel '43, pel metodo geometrico  con cui la dottrina era esposta (metodo, si sussurrava, caro  ai protestanti), per le novità che conteneva, per le con¬  cessioni che faceva al razionalismo, per quello scetticismo  moderato che vi dominava, procurò all’autore ire e per¬  secuzioni dei censori ecclesiastici, aprendo una serie di  contestazioni teologiche, che alienarono sempre più il  suo animo dagli studi che rimanevano in Italia, e sopra¬  tutto nel Mezzogiorno, monopolio quasi esclusivo dei  frati.   Ma ecco che nel '44 il Galiani gli viene in aiuto pas¬  sandolo dall’ incarico di Metafisica alla cattedra ordinaria  di Etica : insegnamento più conforme all’ ingegno del  Genovesi, e da lui infatti tenuto per un decennio con  grande efficacia per l’eloquenza delle sue lezioni, la mo¬  dernità della dottrina, la ricchezza e praticità delle que¬  stioni trattate. Pure alla Metafìsica nel '45 s’aggiungeva  in cinque libri un'Arte logico-critica, anch’essa in latino.  E queste opere si ristampavano e si diffondevano in  Italia e fuori d’Italia. Nondimeno l’autore nel '65 poteva  scrivere a un amico : « La Metafìsica (mia) fatta pei teo¬  logi e frati, non può piacere ai fìsici e ai matematici, come  neppure piace a me. E con tutto ciò, la Logica e la Meta¬  fìsica s’insegna in molti collegi di Francia, e in quasi  tutte le scuole di Germania» '. Avevano fortuna; poiché  questi libri rispondevano al bisogno delle scuole, e nel  loro andamento eclettico e largamente informativo ben  s’adattavano alla tendenza media degli studiosi non ri¬  solutamente moderni ma neppur ciecamente chiusi nella  tradizione, e disposti quindi a conciliare nova et vetera    1 Leti, jam., II, 67.     ANTONIO GENOVESI    83    e farsi una filosofia senza compromettersi; ma, come  si vede, non finivano di contentare l’autore stesso. Anche  i due libri De iure et officiis (1764) eran nati dalla scuola  e per la scuola (in usum tironum) ; e del pari altri due  brevi compendii latini di Logica ('5 2) e di Metafisica (’68).   Ma quando al Genovesi sarà possibile avere una scuola  a modo suo, intorno a materie nuove, indirizzate a pub¬  blica utilità, non contemplate nei vecchi quadri, egli non  scriverà più latino. Che gioia quando fu istituita per lui,  nell’ Università, la cattedra di « Commercio e Economia »,  fondata dal suo vecchio amico, facoltoso e autorevole,  il fiorentino Bartolomeo Intieri, studioso di macchine  agricole e di questioni economiche: ingegno pratico alla  toscana, avverso a ogni oziosità speculativa ! Allora il  Genovesi si sentì davvero maestro, e veramente filosofo.   Grande l’attesa nel pubblico per il nuovo insegnamento ;  ma potente altresì l’estro del nuovo insegnante e l’im¬  peto e il calore della sua eloquenza. Quando il 5 novembre  del ’54 tenne la sua prima lezione, fu un avvenimento  nella vita del Genovesi e nella storia non soltanto della  cultura napoletana ma della scienza europea. Poiché que¬  sta del Genovesi fu la prima cattedra istituita in Europa  di Economia politica: dovuta, s’intende, non al semplice  intuito d’un privato ma al movimento degli studi che la  situazione economica del Regno di Napoli aveva prodotto.  In una lettera dello stesso mese il Genovesi scriveva a  un amico 1 : « Nel dì 5 corrente feci il mio discorso pre¬  liminare, 0 sia l'apertura alla nuova Cattedra del Com¬  mercio con uno straordinario concorso, tuttoché io non  avessi fatto invito. Parlai un’ora, non solo senza niente  aver mandato a memoria, ma senza aver niente scritto  di quello che dissi. Con tutto ciò il discorso fu ricevuto  con applauso, e subito diffuso per tutta la città. È stata    Leu. falli., I, 108.     84    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    bella ! Alcuni volevano copiarselo, e io non ho potuto  lor dire, che dopo averlo letto n’aveva perduto anche  l’originale.... Il giorno seguente cominciai a dettare.  Grande fu la meraviglia in sentir dettare italiano ; sicché,  essendomene accorto, nello incominciare la spiegazione  dovetti cominciare dai pregi della lingua italiana, e urtar  di fronte il pregiudizio delle scuole d’Italia.... La scuola  è stata sempre piena in guisa che molti non ci hanno  trovato luogo ; ma la maggior parte sono uditori di barba,  e di vari ceti. Gli scriventi sono circa cento.... Gran moto  è nato da queste lezioni nella città, e tutti i ceti domanda¬  vano libri di economia, di commercio, di arti, di agri¬  coltura ; e questo è buon principio ».   Da questo corso, che il Genovesi proseguì finché le  forze gli bastarono (morì il 23 settembre 1769, ma un  anno prima per malattia aveva dovuto lasciare la cat¬  tedra), trassero origine le belle Lezioni di Commercio ossia  di Economia civile in due volumi (1766 - 67), che rimar¬  ranno tra le opere classiche della nuova scienza: opera  riboccante d’ingegno, di erudizione, di brio e di amore  del pubblico interesse, dall’agricoltura alla pubblica istru¬  zione. Ma uscì prima la traduzione della Storia del com¬  mercio della Gran Bretagna di John Cary con un Ragio¬  namento del Commercio in universale e lunghe e impor¬  tanti annotazioni del Genovesi sul commercio del Regno,  e altri scritti minori. In questi stessi anni il laborioso  scrittore riprese bensì in italiano gli argomenti delle sue  opere latine. Sono del '58 le sue Meditazioni filosofiche,  che arieggiano quelle di Cartesio; ed ebbero l’ammira¬  zione del Baretti 1 ; e del '59 le Lettere filosofiche ; come    1 Da leggere l'articolo che gli dedicò nel 2 0 numero della Frusta  Letteraria (15 ottobre 1763): dove il Baretti giudica il libro con questi  termini di alto elogio (ed. Piccioni, Bari, 1932, I, p. 40) :   « Fra le tante migliaia e migliaia di libri scritti nella nostra lingua,  io non ne conosco assolutamente neppur uno, dopo quelli del Galileo,     ANTONIO GENOVESI    35    del '64 le Lettere accademiche. Nel '65 imprese a scrivere  in italiano un Corso di filosofia. E volle scriverlo per i  giovani (com’egli stesso faceva sapere a un amico) « che  son curiosi di sapere se le scienze potessero così parlare  italiano come una volta parlarono greco e latino. Il mo¬  tivo che mi muove, è una massima, che può stare che  sia falsa, ma 1’ ho nondimeno per vera, cioè che ogni  nazione che non ha molti libri di scienze e di arti nella  sua lingua è barbara ». Perciò in Francia nell’età di  Luigi XIV s’era cominciato a scrivere di filosofia in  francese. Perciò aveva seguito l'esempio l’Inghilterra.  E altrettanto si cominciava a fare in Germania. Dove  non si scrive nella propria lingua, dice il Genovesi, si  accenderà magari mi lume grande e brillantissimo, ma  questo resterà « nondimeno sepolto in que’ lanternoni da  antiquari d’onde non tralucono che pochi tenebrosi  raggi » 1.   E nelle stesse Lezioni di Commercio inculcava come    che sia tanto pregno di pensamento e di vera scienza quanto è questo  primo tomo di questo nostro ampio, sublime ed aggiustatissimo pen¬  satore Antonio Genovesi ».   Al Baretti non andava lo stile del Genovesi, seguace della scuola  toscaneggiante del Di Capua: «Una cosa però disapprovo in lui asso¬  lutamente, e questo è lo stile suo.... perché troppo a studio intralciato  e rigirato si, che non poche volte abbuia il pensiero. — Com' è pos¬  sibile, ho detto tra me stesso mille volte leggendo queste sue tanto  stimabili meditazioni, — com’è possibile che un uomo il quale è una  aquila quando si tratta di pensare, si mostri poi un pollo quando si  tratta di esprimere i suoi pensieri ? Come mai un Genovesi ha potuto  avvilirsi tanto da seguire i meschini voli terra terra di certi secchi e  tisici uccellacci di Toscana ? Eh, Genovesi mio, adopera gli abbin¬  dolati stili del Boccaccio, del Bembo e del Casa quando ti verrà ghi¬  ribizzo di scrivere qualche accademica diceria, qualche cicalata, qualche  insulsa tiritera al modo fiorentino antico e moderno; ma quando scrivi  le tue sublimi Meditazioni, lascia scorrere velocemente la penna....;  e lascia nelle Frammette e negli Asolani e ne’ Galatei, e in altri tali spre¬  gevolissimi libercoli i tuoi tanti conciossiacosacché e i perocché.... e tutte  quell’altre cacherie e smorfie di lingua, che tanti nostri muffati gram-  maticuzzi vorrebbero tuttavia far credere il non plus ultra dello scri¬  vere ».   1 Cfr. la pref. alla Logica italiana.     86    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    « certissimo assioma politico » che una nazione non sarà  mai perfettamente culta nelle scienze, nelle arti, nelle  maniere, « se non abbia le leggi, le scienze, le scuole e i  libri di arti parlanti la propria lingua; perché ella dovrà  dipendere da una lingua forestiera; la quale, non essendo  intesa che da una picciolissima parte del popolo, tutto  il resto sarà fuori della sfera del lume delle lettere....  Le lingue sono come vasi, che contengono le nostre idee  e la nostra ragione. Or qual pazzia è pretendere di essere  in un paese uomini, e aver la ragione in un altro ? ». 1 * 3  Finché in un paese le scienze saranno in un gergo stra¬  niero alla maggior parte del popolo, avremo sempre, dice  il Genovesi -, « molte scuole inutili, molto tempo perduto,  molti cervelli stupiditi; e mancheremo delle necessarie,  né ha possibile di avere delle buone teste ».   Con questo ideale di una scienza che penetri il popolo  per svegliarne e metterne in moto tutte le forze morali  ed economiche, il Genovesi voleva scuole e quando  furono da Napoli espulsi i Gesuiti e riordinata la pubblica  istruzione ed egli a tal fine invitato a scrivere un Piano  di riforme 3, non dimenticò nelle sue proposte le scuole  del popolo —; voleva metodi razionali e semplici perché  fossero efficaci gl’ insegnamenti accostati al popolo c ai  giovinetti; voleva accademie, che, abbandonando la vec¬  chia letteratura e le discussioni vane della filosofia in¬  feconda, si rivolgessero alle ricerche sperimentali e alle  arti più necessarie alla vita; e voleva, come sè visto,  libri in italiano, attraenti e di facile lettura. Ma aveva  pure il suo ideale di una dottrina che, liberando il popolo  dalle superstizioni e dai pregiudizi, e rinvigorendo nelle  coscienze i convincimenti morali e la fede religiosa che ne    1 Parte I, c. Vili, § 24.   = Op. cit., I, IX, p. 13.   3 Per questo Piano, vedi gli appunti che ne pubblico G. M. ga¬  lanti, Elogio stor. di A. Genovesi, Firenze, 1781, p. 108.     ANTONIO GENOVESI    37    è sempre il fondamento, potesse aprire la strada a quel  rinnovamento che egli auspicava: potesse infondere negli  uomini e nelle nazioni la fede nella ragione, di cui egli  era l’apostolo. Tutto il suo sistema riformatore era in¬  somma ispirato a una filosofia.   Della qual filosofia nelle Meditazioni e nei trattati di  Logica e di Metafisica, che, bene accolti dai contempo¬  ranei e più volte ristampati (è almeno da ricordare 1 edi¬  zione che della Logica volle curare, nel 1832, il Roma-  gnosi), sono entrati a far parte della letteratura filosofica  nazionale, si scorgono i lineamenti anche da chi non ri¬  cerchi i ponderosi volumi latini, che li precedettero e  prepararono.   Il Genovesi è un empirista t , ma non e un sensista, e  tanto meno un materialista. Combatte le idee innate,  ma cartesianamente mette il pensiero a capo di tutto,  e la ragione, che l’uomo che medita trova in se stesso  come attività sovrana, libera, signoreggiatrice, col suo  giudizio, dell’universo, vede conforme a una ragione  creatrice universale, divina 1 2 . L’uomo per essa è immor¬  tale. Per essa destinato a vincere il dolore, a superare  ogni difficoltà, a viver felice. Questa ragione infatti non  è fredda astratta intelligenza. Essa è energia ( energetico ,  dice Genovesi) perché è anche passione, cuore i. Non    1 Come empirista, Genovesi, pur non ripudiando ogni metafisica,  insiste sempre sulla necessità di limitare le ricerche speculative alle  questioni essenziali per una concezione sana e morale della vita. Insi¬  stenza che ha fatto pensare al criticismo kantiano. Vedi Gentile,  Stona della filos. ital. dal Genovesi al Galluppi, Milano, Treves, 1930,  c. I’ dov'è particolarmente studiata la dottrina della conoscenza  di Genovesi. Oltre i luoghi ivi citati (voi. I, p. xm), e le frequenti di¬  chiarazioni che ricorrono nelle Lettere familiari circa 1 infecondità  delle più astruse ricerche metafisiche e teologiche, vedi Logica, ed.  cit., pp. 250-51, 255. Notevole in special modo la lett. del 2 aprile 1763   a P. Saffiotti. ,   2 Vedi Meditazioni filosofiche, Milano, Silvestri, 1846, pp. 53 -° 3 .   Logica, p. 252.   1 Vedi Logica, pp. 260, 274-75.      83    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    distrugge la passione; una passione infatti si combatte  con un’altra passione. E poiché ogni essere è ragione, e  soffre e aspira a godere, essa, non essendo individuale,  ma comune e universale, stringe in un vincolo di amore  gli uomini.   Intuizione ottimistica, che s’inquadra in una concezione  leibnizianamente spiritualistica del mondo. Poiché anche  per Genovesi i corpi, scomposti negli elementi semplici  di cui sono formati, si riducono a sostanze spirituali,  attive. E tutte le qualità sensibili dei corpi non sono  altro che fenomeni, nostre sensazioni.   Lo spirito è attività : è quella stessa forza che è in tutte  le cose che sono in natura, e che tende ad espandersi.  In noi questa forza si svela nella ragione, che è prima di  tutto coscienza, affermazione di sé. Questa forza è attiva  e tende perciò a svilupparsi, ad estendere il suo dominio,  a trionfare. Il mondo non è, infine, se non questo svol¬  gimento della ragione, che nel suo progressivo prevalere  è cultura sempre più intensa e sempre più diffusa; è  benessere in cui lo spirito viene ritrovando e procuran¬  dosi le condizioni più favorevoli al suo sviluppo ; è amore  degli altri, insieme coi quali ogni uomo viene adempiendo  in comune il destino della sua natura, la libera vita della  ragione.   Questa la fede del Genovesi. Questa la sorgente dell’en¬  tusiasmo col quale egli attese con ferventissimo zelo dalla  cattedra e cogli scritti, malgrado la sua malferma salute,  infaticabilmente alla sua opera di apostolato. Questo il  segreto della potente azione da lui esercitata sul suo  tempo, promovendo nuovi studi, animando i giovani alla  lotta contro il vecchio mondo: contro la feudalità in fa¬  vore dei lavoratori della terra e della nascente borghesia;  contro la Curia per lo Stato autonomo e laico; contro il  pregiudizio per la critica; contro la superstizione per la  religione; contro tutto ciò che nel pensiero e nelle isti-    ANTONIO GENOVESI    89    tuzioni impedisse 0 ostacolasse il libero sviluppo del  lavoro, della civiltà, della ragione.   Antonio Genovesi non fu un rivoluzionario; ma fu  un educatore di rivoluzionari, che quando scoppierà  in Francia la grande Rivoluzione, o crederanno di obbe¬  dire alla voce del vecchio maestro accogliendone una  scintilla anche a Napoli, e quindi suscitando il glorioso  incendio della Repubblica Partenopea, celebrazione di  una grande fede idealistica ancorché astrattamente gia¬  cobina, santificata dal martirio 0, uomini di grande  accorgimento ed equilibrio, come Galanti e Cuoco, con  più profonda intelligenza dell’ insegnamento del Genovesi,  ne trarranno argomento a una più realistica concezione  politica della libertà necessaria al popolo napoletano:  poiché vedranno come il maestro aveva veduto, che  questa libertà non poteva essere vitale, se non era forte  della forza di uno Stato ben ordinato e potente: di uno  Stato infine in cui tutta l’Italia, prima o poi, doveva  unirsi tutta in un corpo solo tra l’Alpi e il mare.   Questa idea di un’ Italia unificata dal Galanti, il più  fido dei discepoli del Genovesi, passò al Cuoco, e dal  Cuoco, come oggi sappiamo, passerà al Mazzini; ma era  stata preconizzata a Napoli dal Genovesi. La cui com¬  memorazione io non potrei meglio concludere che rileg¬  gendo una sua pagina del 1757, a proposito della sicurezza  necessaria al commercio, e impossibile senza una fiotta  militare adeguata. Impossibile perciò allo stesso Regno  di Napoli, che era tuttavia il maggiore e più potente  Stato d’Italia: «Vorrei io», scriveva nel detto anno il  Genovesi, «in questo luogo dire un pensiero, che ho  sempre meco d’intorno all’animo avuto, ed hollo tut¬  tavia; ma io temo ch’egli non sia per incontrar male   1 Sulla scuola del Genovesi e la sua importanza storica, A. Simioni,  Le origini del Risorgimento politico dell' Italia meridionale, voi. I, Mes¬  sina, Principato, 1925, pp. 152-99.    7 - Gentile, Albori. I.     90    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    presso coloro, che niuno amore hanno e niun zelo nutri¬  scono per l’Italia, come madre nostra. Ma il dirò pure  in qualunque parte sia per prendersi da chi non guarda  più in là del proprio utile.   « A voler considerare l’Italia nostra, e dalla parte del  suo sito, e da quella degl’ ingegni, e per quello che ha ella  altre volte fatto e fa eziandio, tuttoché divisa e come  dilacerata, si converrà di leggieri, ch'ella tra tutte le na¬  zioni di Europa sia fatta a dominare; perocché il suo  clima non può esser più bello, né più acconcio il suo sito  rispetto alle terre e al mare che la circondano, né più  perspicaci e accorti e destri e capaci di scienze e di arti  e duranti di gran fatiche, e oltre a ciò più amanti della  vera gloria, i suoi popoli, di quel ch’essi sono. Ond’ è  dunque, ch’ella sia non solo rimasta tanto addietro al-  l’altre nazioni in tutto ciò, che par suo proprio, ma dive¬  nuta in certo modo serva di tutte quelle che il vogliono ?  Ella non è stata di ciò causa la sola mollezza, che le con¬  quiste de’ Romani v’apportarono; perocché questa mor¬  bidezza, che le ricchezze e la pace v’avevano introdotta,  non durò lungo tempo; ma la vera cagione del suo avvi¬  limento è stata quell’averla i suoi figli medesimi in tante  e sì piccole parti smembrata, ch’ella n’ ha perduto il suo  primo nome e l’antico suo vigore.   « Gran cagione è questa della ruma delle nazioni. Pur  nondimeno, ella potrebbe meno nuocerci, se quei tanti  principati, deposta ormai la non necessaria gelosia, la  quale hanno spesse volte, e più ch’essi non vorrebbero,  sperimentata e al comune d’Italia e a se medesimi fu¬  nesta, volessero meglio considerare i propri e i comuni  interessi, e in qualche forma di concordia e di unità ri¬  dursi. Questa sarebbe la sola maniera di veder rifiorire  il vigore degl’ Italiani.   « Potrebbe per questa via aver l’Italia nostra delle  formidabili armate navali, e di tante truppe terrestri.    ANTONIO GENOVESI    91    che la facessero stimare e rispettare non che dalle po¬  tenze d’oltremare, che pure spesso l'infestano, ma dalle  più riguardevoli che sono in Europa. Ella non vorrebbe  ambire altro imperio, che quello che la natura le ha cir¬  coscritto: ma ella dovrebbe, e potrebbe difendersi il suo.  Potrebbe veder rinascere in tutti i suoi angoli le arti e  le industrie, dilatarsi il suo commercio, e tutte le sue parti  nuovo abito e la pristina bellezza prendere. Se questi  sensi s’ispirassero ai pastori di tutte le sue parti, forse  che non sarebbe questo un voto platonico. E mi pare che  i principati d’Italia non siano sì gli uni degli altri gelosi,  che per massime vecchie che son passate ai posteri più  per costume che per sode ragioni. Non son ora i tempi  ch'erano: e quelle cagioni di reciproci timori, che pote¬  vano una volta essere ragionevoli, sono ora non solo vane,  ma nocevoli e al tutto e alle parti, se ben si considerano.  Egli è per lo meno certo, ch’ella non può, come le cose  sono al presente, sperare altronde la sua salute, che dalla  concordia e dall’unione de' suoi principi. Il comune e  vero interesse suol riunire anche i nemici: non avrà egli  forza da riunire i gelosi ?   Rettor del Cielo, io chieggo  Che la pietà che ti condusse in terra.   Ti volga al tuo diletto almo paese » ».    Al Genovesi dunque, il più filosofo dei grandi riforma¬  tori italiani del Settecento, spetta il merito di essere stato  il più italiano di tutti. Egli scosse il petto dei giovani, e  vi infuse una fede nella civiltà che è scienza ed è libertà.  Egli indicò agl’ Italiani 1 * Italia, che non c’era, ma co-    1 Carv, Storia del Comm. della Gran Bretagna, Napoli, 1757, II, p. 35.  Pagina celebre dacché il Carducci l’ebbe inclusa nelle sue Letture del  Risorgimento Italiano.        92    ALBORI DELLA NUOVA ITALIA    minciava a presentirsi, ed egli l’annunziò, insegnando  come le si potesse preparare la via. E la sua voce si riper¬  cosse di generazione in generazione, finché l’Italia venne.  E venne per la via che egli aveva aperta: riavvicinando  la letteratura alla vita, la filosofia all'uomo, ammaz¬  zando l’accademia e l’ozio ancorché dotto ed elegante,  educando il popolo a credere nella cultura, a servire  l’ideale, andando incontro per esso anche alla morte.  Fulgido esempio i martiri del '99. Stato laico e veramente  sovrano, religione tutta rivolta alla vita dello spirito,  libera da ogni cupidigia e pretesa mondana; libera la  ragione, rispettata come cosa sacra la scienza, e la scuola  che la promuove. E di là dal breve confine della provincia,  per l’Italiano, l’Italia grande, laboriosa, armata, consa¬  pevole di una sua missione civile. Questa la scuola del  Genovesi. Perciò gl’ Italiani devono ricordare il suo nome;  perciò devono annoverare Antonio Genovesi, lui così  modesto, così riservato e chiuso tra la scuola e i libri, tra  i padri della patria. E nella scuola italiana particolar¬  mente deve esser ricordato come esempio ed ammonimento  contro la pseudoscienza astratta dalla vita sempre rina¬  scente. Poiché i frati, che punzecchiarono in vita Antonio  Genovesi e furono perseguitati dalla sua dialettica e dal  suo frizzo, hanno cambiato veste, e non natura. E contro  di essi bisogna ancora combattere, ancora difendersi.  Perciò Genovesi è vivo.  GENOVESI, Antonio. - Nacque il 1° nov. 1713 a Castiglione (ora Castiglione del Genovesi), piccolo paese dell'Appennino campano a pochi chilometri da Salerno, primogenito dei quattro figli di Salvatore e di Adriana Alfenito. La famiglia, un tempo benestante, era decaduta da "civile" in "basso" stato, e viveva con i modesti proventi del lavoro del padre calzolaio e di una piccola proprietà. Allo sforzo di recuperare una condizione economicamente più solida e socialmente più prestigiosa, nonché alle strategie familiari in uso nella società del tempo e della zona, si deve la precoce destinazione del G. alla carriera ecclesiastica, realisticamente accettata dal ragazzo come unica strada percorribile per accedere agli studi superiori e a una professione intellettuale, per la quale si sentiva particolarmente tagliato, poi vissuta sempre con autentica adesione a una religiosità profondamente sentita. Affidato a parenti membri del clero locale, il G. compì i primi studi nel paese natio, praticamente da autodidatta, completando il corso di lettere latine a tredici anni. Seguirono tre anni dedicati alla filosofia, dapprima quella scolastica, per la quale maturò un rapido rifiuto, poi quella cartesiana, sotto la guida di un medico suo parente, Niccolò Genovesi, a sua volta allievo del medico cartesiano napoletano N. Cirillo. Le due autobiografie redatte dal G. e rimaste incompiute e inedite in vita (la prima si ferma al 1748: Autobiografia I, in P. Zambelli, La formazione, pp. 797-916; la seconda al 1755: Vita di A. G., in Illuministi italiani, pp. 47-83) ci trasmettono il ritratto di un adolescente vivace, intelligente e ricettivo, fortemente motivato allo studio per curiosità intellettuale e desiderio di primeggiare, ambizioso e abile nella dialettica. Nello stesso tempo fu iniziato al gusto della letteratura dai consigli di un altro amico del luogo, S. Parrilli; gliene derivò una passione, che durò tutta la vita, per i poemi cavallereschi, per Dante e Petrarca, alla quale seguì il nascere di un altrettanto intenso interesse per la storia.  Ma il padre sorvegliava attentamente che il ragazzo non si concedesse distrazioni. La rigidezza paterna ebbe modo di manifestarsi più duramente quando il giovane si innamorò, ricambiato, di una giovane compaesana, Angela Dragone. Per impedire che questo amore cambiasse i programmi di vita del giovane, il padre gli impose il trasferimento a Buccino (sempre non lontano da Salerno), in casa di parenti, mentre la ragazza fu costretta al matrimonio con un pastore. Il G., pur profondamente addolorato e deluso, trovò conforto nella maggiore apertura e possibilità di contatti che il nuovo ambiente, sempre provinciale ma più aperto e animato, gli offriva, e nell'amicizia con l'arciprete G. Abbamonte, che migliorò la sua preparazione classica e stimolò l'interesse per la teologia e il diritto civile e canonico.  Nel settembre 1735 il G. prese gli ordini minori. Nel frattempo, spinto dalla necessità di rendersi indipendente economicamente, con l'appoggio dell'arcivescovo di Salerno G.F. Di Capua, che ne aveva apprezzato le doti esaminandolo per il diaconato, ottenne l'insegnamento di retorica presso il seminario della città, dove rimase due anni. Ordinato sacerdote nel Natale del 1737, l'anno seguente, fornito del modesto capitale di 600 ducati ereditato da uno zio materno, insieme con il fratello Pietro, destinato alla carriera forense, si trasferì nella capitale del Regno, dove avrebbe trascorso tutto il resto della vita, allontanandosene solo per brevi periodi di villeggiatura. Abbandonato rapidamente il progetto di intraprendere anche la professione forense, che gli parve avere "poca conformità […] con le massime del puro cristianesimo" (Vita, p. 53), insofferente del formalismo giuridico e dell'ambiente del foro, scelse definitivamente gli studi filosofici. Frequentò le lezioni di N. De Martino e dell'ormai anziano Vico - di cui già conosceva la Scienza nuova -, conobbe P.M. Doria, si legò di amicizia con Appiano Buonafede, che lo descrive, in quei primi anni napoletani, in un acuto ed efficace profilo (Ritratti poetici, storici e critici di vari uomini di lettere, Venezia 1788, p. 266). Lasciò inattuato il progetto di un'opera ispirata a Platone, La repubblica divina, per rivolgersi avidamente alla cultura anglo-olandese, ai neoplatonici di Cambridge, a J. Le Clerc, a Newton, a Locke (progettando una traduzione dal francese del Cristianesimo ragionevole), al giusnaturalismo. Nel 1739 aprì una scuola privata, in cui insegnare i suoi "nuovi piani di filosofia e di teologia", in particolare il "piano di un'etica" (Vita, p. 53), frutto delle riflessioni di quegli anni. Cominciò a maturare in quest'esperienza - che durerà tutta la vita - la vocazione pedagogica che caratterizzerà tutta l'attività del G. e che si realizzerà in un metodo d'insegnamento dinamico, in cui l'ampliarsi dell'orizzonte culturale del docente sollecitava e promuoveva l'apprendimento in interazione costante con i giovani. Il carattere innovativo e il successo della scuola gli procurarono l'amicizia e la protezione di M. Cusano, di G. Orlandi e, soprattutto, del cappellano maggiore C. Galiani, autentico iniziatore della nuova cultura newtoniana a Napoli, fondatore dell'Accademia delle scienze e promotore della riforma universitaria, da poco avviata.  Attraverso il Galiani, il G. ottenne il primo incarico universitario, come professore straordinario di materie metafisiche, e cominciò a insegnare nel novembre 1745. Era nel frattempo approdato a una visione filosofica fondata su un "eclettismo programmatico", che tendeva alla serena composizione di un costante atteggiamento apologetico con la più totale disponibilità verso i portati della cultura innovatrice, di cui si appropriava con onnivora curiosità. Ne dette la prima dimostrazione nel manuale degli Elementa metaphysicae (Napoli 1743), prima tappa dell'ambizioso progetto di un corso completo di filosofia. Proprio per queste caratteristiche, nonostante la sostanziale ortodossia e l'approvazione del revisore regio G. Orlandi, l'opera fu duramente attaccata dagli ambienti ecclesiastici. La protezione del Galiani e la disponibilità ad accettare di chiarire le proprie posizioni in una Appendix pubblicata nel 1744 salvarono il G. dalla denuncia al S. Uffizio. La polemica però accrebbe la sua notorietà a Napoli e fuori del Regno; divenne abituale frequentatore del salotto letterario di M. Di Sarno, bibliotecario di José Joaquín marchese di Montealegre (duca di Salas dal 1740), primo segretario di Stato. Le tesi esposte nella Metafisica attirarono l'attenzione di A. Conti, con il quale il G. avviò uno scambio di lettere filosofiche sulla natura delle idee, stampate nel 1746 (poi in Letterefamiliari, Venezia 1774). Nel 1745 il G. era passato alla cattedra di etica, con buon successo per la rinnovata affluenza di studenti. Nello stesso anno pubblicò, in collaborazione con G. Orlandi, cui si devono le note scientifiche, gli Elementa physicae di P. van Musschenbroek, ai quali premise una Disputatio physico-historica de rerum corporearum origine et constitutione, agile e precisa sintesi delle idee scientifiche dall'antichità al presente. La manifesta adesione al newtonismo si colloca tuttavia ancora all'interno di una visione spiritualizzante e ortodossa, che connette la visione del cosmo di Newton al vitalismo di Cardano e di Campanella e con la platonica anima mundi. L'opera ebbe grande fortuna, come pure il contemporaneo manuale di logica Elementorum artis logico-criticae libri V(Napoli 1745), che gli procurò gli elogi di L.A. Muratori, con il quale avviò un carteggio, quasi totalmente perduto, destinato a durare fino alla morte del modenese. Ma altri e più pericolosi attacchi si andavano preparando nel clima di scontro determinatosi a Napoli a causa del tentativo, peraltro fallito, di introdurre il tribunale dell'Inquisizione, messo in atto dall'arcivescovo cardinale G. Spinelli nel 1746.  Nel 1747 il G. pubblicava la seconda parte della Metafisica, dedicandola a Benedetto XIV con l'evidente scopo di garantirsi un'autorevole tutela, e nel contempo portava a compimento la stesura del manuale di teologia cui attendeva dai primi anni Quaranta: gli Universae theologiae elementa. Quando, nel 1748, si rese vacante la cattedra di tale disciplina, il G. ritenne di avere giusto titolo per concorrervi con buone probabilità di successo. Ma la sua candidatura provocò violente opposizioni. In base alla denuncia di un altro concorrente, l'abate I. Molinari, la Curia romana volle esaminare il manoscritto, mentre la corte di Napoli ne affidò la revisione a un gesuita spagnolo, G. Barba. Nonostante i suoi timori, anche questa volta il G. riuscì a evitare la denuncia per eresia, soprattutto in virtù dell'appoggio dei gesuiti, ostili all'arcivescovo Spinelli, della sua personale amicizia con il padre provinciale della Compagnia e del fatto che, sul piano dottrinale, si definiva "mezzo molinista" in materia di grazia. Ma in questa occasione fu assai tiepido l'appoggio del Galiani, che gli impose la rinuncia non solo alla cattedra, ma anche all'insegnamento privato della teologia e alla pubblicazione degli Universae theologiae elementa, provocando la decisione del G. di abbandonare "studi sì turbolenti e spesso sanguinosi" (Vita, p. 70).  Il G. continuò a insegnare etica fino al 1753, mentre proseguiva il completamento della Metafisica con un quarto volume (1752), dedicato al giusnaturalismo. Reinterpretando Grozio e soprattutto Pufendorf, il G. vedeva nel giusnaturalismo le basi per rinnovare un'etica razionalmente e scientificamente fondabile, in grado di definire il quadro di valori di una società mercantile, i cui problemi si venivano ormai collocando al centro dei suoi interessi. La persecuzione di cui era stato oggetto, oltre ad allargare la cerchia delle sue frequentazioni amichevoli a personaggi come Raimondo di Sangro principe di Sansevero e F.P.B. De Felice, gli aveva offerto infatti l'occasione di entrare a far parte del cenacolo che in quegli anni si era venuto a creare intorno a B. Intieri.  Ormai avanzato nell'età, questo abile e fortunato imprenditore toscano, amico di C. Galiani e cofondatore dell'Accademia delle scienze, ritiratosi a poco a poco dalle sue multiformi attività, aveva raccolto intorno a sé vecchi e soprattutto nuovi esponenti dell'intellettualità napoletana, come A. Rinuccini, G. Orlandi, F. Galiani, con i quali aveva avviato una fruttuosa consuetudine di discussione, tesa a stimolare non solo la circolazione delle idee in rapporto con la cultura internazionale, ma anche l'attività di collaboratori più giovani e la loro concreta azione nel contesto politico e sociale del Regno. Il cenacolo dell'Intieri fu infatti tra i primi a leggere e commentare l'Esprit des loisdi Montesquieu. Dalle opere e dai carteggi di quegli anni emerge con chiarezza l'autorappresentazione di questo gruppo di intellettuali come forza operante nel nuovo contesto politico: la ritrovata indipendenza del Regno, che appare loro come conditio sine qua non per l'avvio di un processo di cambiamento e di modernizzazione.  Vero e proprio manifesto del programma riformatore del gruppo, incentrato sull'ineludibile nesso teoria-prassi, che ne costituì la novità immediatamente percepita dai contemporanei, fu il Discorso sopra il vero fine delle lettere e delle scienze, maturato durante la villeggiatura dell'autunno 1753 nella villa intieriana di Massa Equana, e pubblicato all'inizio dell'anno seguente a Napoli insieme con il Ragionamento sopra i mezzi più necessari per far rifiorire l'agricoltura di U. Montelatici e con la Relazione dell'erba orobanche di P.A. Micheli. Il G. operava così la sua scelta di campo, presentandosi come l'interprete più convinto di quel programma e il più attivamente impegnato nella sua realizzazione.  Requisito indispensabile per il progetto di riforma era la diffusione di una nuova cultura scientifica, economica, tecnologica, posta al centro degli interessi di una intellettualità nuova. A essa, come campo di indagine, ma anche di azione, doveva rivolgersi la "studiosa gioventù" del Regno, distolta dagli studi forensi e da speculazioni astratte, e avviata da un lato a una conoscenza cosmopolita di idee e linguaggi, dall'altro a sviluppare capacità di osservazione e di studio dei fenomeni naturali e sociali della realtà in cui viveva.  A questa istanza della cultura intieriana corrispose il progetto che meglio ne rappresentò la realizzazione istituzionale: la costituzione presso l'Università di Napoli di una cattedra di "meccanica e commercio" - cioè la prima di economia politica in Europa -, che Intieri volle finanziare con un lascito di 7500 ducati che garantisse una rendita di 300 ducati annui, a condizione che essa venisse affidata al G., che l'insegnamento fosse svolto in lingua italiana e che anche in futuro ne fossero esclusi rappresentanti del clero regolare. La nuova cattedra fu inaugurata il 5 nov. 1754, con grande affluenza di pubblico. Il G. presentò il nuovo corso con una prolusione che avrebbe poi sviluppato nel Ragionamento sul commercio in universale, pubblicato in estratto nel 1756 e poi in apertura della Storia del commercio della Gran Brettagna scritta da John Cary (Napoli 1757).  Questo grosso centone in tre volumi conteneva pure la traduzione dell'Essai sur le commerce d'Angleterre di V. de Gournay e G.-M. Butel-Dumont (Paris 1755), i quali avevano a loro volta tradotto e aggiornato l'Essay on the state of England di J. Cary (Bristol 1695), e la traduzione-rifacimento genovesiana dell'England's treasure of commerce di T. Mun (London 1664), corredate dalle ampie e ricche annotazioni dello stesso G. e da altri suoi saggi (Ragionamento filosofico sulle forze e gli effetti delle gran ricchezze e Ragionamento sulla fede pubblica) destinati a ricomparire negli Elementi del commercio e nelle posteriori Lezioni di commercio o sia di economia civile.  Contemporaneamente il G. procedeva alla stesura del suo corso biennale (1757-58) di Elementi del commercio, che anche nel titolo riecheggiavano gli Eléments du commerce di F.-L. Véron de Fortbonnais.  Ambedue le opere avevano un palese carattere propedeutico, non solo per i destinatari, ma in certo modo per lo stesso autore, che nel suo sforzo di informazione e acquisizione di nuove competenze sembra lavorare in parallelo con i suoi allievi e lettori. Il discorso genovesiano assolveva a una duplice funzione: definire contenuti e linguaggi della nuova cultura economica; tracciare le linee di un programma di politica economica per il governo, nel quadro dell'assolutismo illuminato, che viene considerato come la garanzia istituzionale delle riforme. Esso si articola sulla polarizzazione tra il cosmopolitismo culturale, perseguito con la consueta ampiezza e tempestività di letture, e il patriottismo, consistente nell'attenzione alle specifiche condizioni del Regno, su cui misurare l'effettiva validità degli interventi. Sul primo versante i termini di confronto scelti dal G. furono la Spagna e l'Inghilterra. L'una, studiata attraverso le opere di G. Uztáriz e B. de Ulloa, per le evidenti analogie con la situazione del Regno; l'altra, proposta come il modello più avanzato di economia mercantile, nel quale erano ormai operanti le strutture della moderna circolazione di merci, monete e idee. Su di essa il G. si documentava con ostinata puntualità, trovando la referenza più significativa nei Political discourses di D. Hume. L'elemento di mediazione culturale, approdo dei riformatori napoletani alla koinè illuministica degli anni Sessanta, era costituito dalle opere e dai dibattiti francesi, da J.-F. Melon a Fortbonnais, a Plumard de Dangeul. Sull'altro versante, il G. articolava una serie di proposte operative per una conoscenza sperimentalmente e statisticamente fondata delle reali condizioni del Regno (andamento demografico, natura e produttività dei terreni, configurazione della proprietà attraverso il catasto, strade e comunicazioni ecc.), cui dovevano collaborare gentiluomini e parroci, intellettuali e proprietari, creando una rete di società agrarie e scientifiche diffuse sul territorio e radicate nella società provinciale. La politica economica di un paese povero di materie prime e del tutto marginale nel commercio internazionale doveva puntare allo sviluppo qualitativo e quantitativo della produzione agricola, destinata al mercato reso libero dai vincoli interni.  L'adesione piena del G. alla liberalizzazione del commercio interno dei grani si manifestò, in concomitanza con la grave carestia che colpì il Regno nel 1764, attraverso la pubblicazione dell'Agricoltore sperimentato di C. Trinci (Napoli 1764) e delle Riflessioni sull'economia generale de' grani (Napoli 1765; traduzione della Police des grains di C. Herbert, Berlin 1755), da lui prefati e commentati. La fiducia nella possibilità di realizzare le riforme si scontrava, tuttavia, con la crescente consapevolezza della natura strutturale degli ostacoli che vi si opponevano. La concentrazione delle terre nelle mani di una nobiltà feudale ancora detentrice di poteri giurisdizionali e di un clero numericamente eccessivo, attaccato ai propri privilegi, impediva la formazione di una proprietà contadina, che ormai appariva al G. la condizione necessaria perché si sviluppasse non solo l'iniziativa economica, ma pure l'auspicata mobilità sociale. Sono quindi i problemi della società civile quelli cui il G. guarda con maggiore attenzione nell'ultimo quinquennio della sua vita, che rappresenta un'ulteriore scansione della sua attività.   Tra il 1764 e il 1769 il suo impegno politico e culturale si caratterizzava per una sempre più accentuata polivalenza di funzioni, legata alla sua ormai consolidata posizione di maître à penser. All'insegnamento universitario e privato si aggiunsero infatti le consulenze per B. Tanucci e per la giunta degli Abusi, sui problemi più scottanti del momento: dalla liberalizzazione del commercio dei grani ai trattati di commercio, dalla monetazione alla redazione dei nuovi piani di studio per le scuole ex gesuitiche (nel quadro di una vigorosa ripresa della battaglia giurisdizionalistica per l'abolizione della cattedra delle decretali); per l'istituzione di nuove cariche in difesa delle prerogative regie, per la lotta alla manomorta. Si intensificò soprattutto l'attività editoriale, relativa alla pubblicazione di opere proprie e altrui, che investì tutti gli aspetti della sua attività di studioso e di insegnante. Ne fece parte un corso completo di "istituzioni filosofiche per i giovanetti", in italiano, articolato nella Logica (Napoli 1766), nellaDiceosinao sia della filosofia del giusto e dell'onesto (ibid. 1766), nelle Scienze metafisiche(ibid. 1767). Contemporaneamente, il G. stendeva i Dialoghi morali e le note all'Esprit des lois (pubblicate postume nel 1777).  In questo contesto si collocano le tre edizioni delle Lezioni di commercio o sia di economia civile, cui il G. lavorò direttamente: le due napoletane, rispettivamente 1765-67 e 1768-70 e quella intermedia del 1768, promossa a Milano dall'allievo T. Odazi. Alle Lezionifanno da contrappunto, su un tema specifico carissimo al G., le due edizioni delle Lettere accademiche sulla questione se sieno più felici gli scienziati o gl'ignoranti, in cui la ripresa della polemica con Rousseau si amplia a un riesame critico dello sviluppo delle società umana. I testi che nascono da questa attività multidisciplinare rappresentano l'espressione più compiuta di un modusoperandi già sperimentato, fondato su una memoria interna, attraverso la quale il G. riutilizza e riorganizza continuamente i materiali della sua riflessione, in uno sforzo onnicomprensivo che tende a coagulare in una sintesi complessa, pur se talvolta ridondante, tutte le tensioni intellettuali e politiche degli ultimi anni di vita. Le ampie varianti recepiscono anche le spinte di circostanze esterne: per queste caratteristiche, le Lezioni si presentano come l'autentica summa del pensiero genovesiano, un vero e proprio "work in progress" di letteratura militante.  Il G. colloca le problematiche dell'economia in un più ampio quadro di considerazioni sulla società, sulle sue dinamiche, esaminate negli aspetti antropologici e psicologici, secondo una linea storicizzante alla quale contribuisce con una sua versione della teoria stadiale, per approdare a un più ampio affresco della situazione del Regno. Il confronto tra gli Elementi e le tre edizioni delle Lezioni mette in luce l'evoluzione del suo pensiero sui temi più caratterizzanti, dalla popolazione al lusso alla tassazione, e l'intensificarsi della polemica antifeudale e anticuriale. Diventa centrale il problema della comunicazione, elemento caratterizzante della società e del vivere civile e di conseguenza della lingua, alla quale dedica anche una riflessione teorica nella Logica, e dei mezzi, delle sedi, delle modalità attraverso le quali essa può realizzarsi e costituire l'asse portante della formazione dell'opinione pubblica.   La morte lo colse a Napoli il 12 sett. 1769.  Negli anni seguenti la sua opera fu oggetto di aspri attacchi e di appassionate difese, culminate nell'Elogio storico dedicatogli dall'allievo G.M. Galanti (Napoli 1772). Larga ma diversificata fu l'eco della sua opera nelle altre aree d'Italia e di Europa. Nonostante la fortuna dell'edizione milanese delle Lezioni, sulla quale furono esemplate tutte le successive ristampe, in realtà l'opera genovesiana non venne apprezzata nella Lombardia asburgica, proiettata verso la fisiocrazia, perché considerata troppo farraginosa e legata ai problemi di una società sottosviluppata. In Francia l'annunciato progetto di J. Pingeron di tradurre le Lezioninon ebbe seguito. In Germania, invece, vennero tradotti sia la Storia del commercio(Leipzig 1788), sia le Lezioni (ibid. 1776), a cura rispettivamente di A. Witzmann e di C.A. Wichmann. Molto più ampia fu invece la diffusione dell'opera genovesiana, sia filosofica sia economica, nella penisola iberica. In Spagna, infatti, apparve una traduzione in castigliano delle Lezioni (1785-86), a cura di V. de Villava, mentre nei paesi di lingua portoghese i suoi corsi di filosofia costituirono la base dell'insegnamento universitario per tutto l'Ottocento.  Edizioni: Illuministi italiani, V, Riformatori napoletani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1962, pp. 3-330; Autobiografia, lettere e altri scritti, a cura di G. Savarese, Milano 1962; Della Diceosina o sia della filosofia del giusto e dell'onesto, a cura di F. Arata, Milano 1973; Scritti, a cura di F. Venturi, Torino 1977; Delle lezioni di commercio o sia di economia civile, Varese 1977 (rist. anast. dell'ed. Milano 1768); Scritti economici, a cura di M.L. Perna, Napoli 1984; Se sieno più felici gl'ignoranti che gli scienziati. Lettere accademiche, a cura di G. Gaspari, Carnago 1993; Lezioni di commercio o sia di economia civile con gli "Elementi del commercio", a cura di M.L. Perna, Napoli 1998; Dialoghi e altri scritti. Intorno alle "Lezioni di commercio", a cura di E. Pii, Napoli 1998.  Fonti e Bibl.: Le carte genovesiane conservate si trovano a: Napoli, Biblioteca nazionale, ms. XIII.B.39; ms. XIII.B.92; ms. XIV.B.53; Arch. di Stato di Napoli, Casa reale antica. Diversi, f. 868; ibid., LII, Affari gesuitici, ff. 1297, 1298, 1302, 1304, 1307, 1473; Altamura, Archivio Biblioteca Museo civico, Fondo Serena, Carte Genovesi; Arch. di Stato di Milano, Piani di economia pubblica, Autografi, 164; Arch. segr. Vaticano, Nunziatura di Napoli, 279, 291, 292, 372; Arch. di Stato di Torino, Materie economiche. Zecche e monete, n. 9. Inoltre, copie manoscritte della Theologia sono conservate a Bari, Biblioteca nazionale, ms. III.16; Ibid., Biblioteca provinciale De Gemmis, Fondo De Gemmis; Fano, Biblioteca civica Federiciana, Fondo Collegio Nolfi, ms. 9; Macerata, Biblioteca comunale Mozzi Borgetti, ms. 340; Napoli, Biblioteca oratoriana dei gerolamini, ms. M.XXVIII-210. Varie lettere sono conservate a: Firenze, Arch. stor. dell'Accademia dei Georgofili, Carteggio, b. 23; Ibid., Biblioteca nazionale, Autografi Gonnelli; Forlì, Biblioteca comunale, Autografi Piancastelli; Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss. Beccaria, B.231; Modena, Biblioteca Estense, MC.103.1; Ibid., ArchivioMuratoriano, filza 65; Ibid., Autografoteca Campori; Torino, Biblioteca civica, Collezione Nomis di Cossilla; Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Mss. Lettere XLI.26.   G. Racioppi, A. G., Napoli 1871; G.M. Monti, Due grandi riformatori del Settecento, A. G. e G.M. Galanti, Firenze 1926; Studi in onore di A. G., Napoli 1956; L. Villari, Il pensiero economico di A. G., Firenze 1959; A. Potolicchio, Postille autografe inedite alla "Logica" di A. G., in Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche della Società nazionale di scienze, lettere ed arti in Napoli, LXXIII (1962), pp. 1-67; F. Corpaci, A. G. note sul pensiero politico, Milano 1966; O. Nuccio, Un grande riformatore napoletano. A. G.: scienza economica e problemi di rinnovamento sociale a Napoli nella seconda metà del XVIII secolo, Roma 1966; M. Agrimi, A. G. e l'Illuminismo riformatore del Mezzogiorno, in Belfagor, XXII (1967), pp. 373-410; N. Badaloni, Antonio Conti, Milano 1968, ad indicem; M. De Luca, Gli economisti napoletani del Settecento e la politica di sviluppo, Napoli [1968], passim; M.T. Marcialis, Note sulla "Disputatio physico-historica" di A. 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Imbriglia, in Boll. del Centro di studi vichiani, X [1980], pp. 225-232); P. Zambelli, A. G. and eighteenth-century empiricism in Italy, in Journal of the history of philosophy, XVI (1978), pp. 195-208; E. Piscitelli, Il pensiero degli economisti italiani nel Settecento sull'agricoltura, la proprietà terriera e la condizione dei contadini, in Clio, XV (1979), pp. 245-292; D. Demarco, Il dibattito settecentesco sulla popolazione in Italia, in La popolazione italiana nel Settecento. Relazioni presentate al Convegno su: La ripresa demografica del Settecento, … 1979, Bologna 1980, pp. 539-590; A. Pennisi, Filosofia del linguaggio e filosofia civile nel pensiero di A. G., in Le forme e la storia, I (1980), pp. 321-380; V. Ferrone, Scienza, natura, religione, Napoli 1982, pp. 609-674; L. Taranto, Il progetto di G. e l'economia civile di V.E. Sergio: un modello di sviluppo borghese, in Nuovi Quaderni del Meridione, XXI (1983), pp. 29-50; M.T. Marcialis, G. tra Wolff e Locke. Metafisica ed empirismo nella "Ontosophia" genovesiana, Cagliari 1984; E. Pii, A. G.: dalla politica economica alla politica "civile", Firenze 1984; F. Di Battista, La storiografia su G. oggi, in Quaderni di storia dell'economia politica, III (1985), pp. 277-296; M. Bazzoli, Il pensiero politico dell'assolutismo illuminato, Firenze 1986, pp. 486-498; E. Garin, A. G. metafisico e storico, in Giorn. critico della filosofia italiana, LXVII (1986), pp. 1-15; R. Bellamy, Da "metafisico" a "mercatante". A. G. and the development of a new language of commerce in eighteenth-century Naples, in The languages of political theory in early-modern Europe, a cura di A. Pagden, Cambridge 1987, pp. 277-299; F. Di Battista, Sul popolazionismo degli economisti meridionali prima di Malthus, in Le teorie della popolazione prima di Malthus, a cura di G. Gioli, Milano 1987, pp. 237-260; M. Fatica, Il lavoro come mediazione tra l'uomo "civile" e la natura: alcuni problemi di "police" in G. e nei suoi referenti culturali, in Prospettive Settanta, IX (1987), pp. 325-340; M.T. Marcialis, Natura e sensibilità nell'opera manualistica di A. G., Cagliari 1987; A. Pennisi, Grammatici, metafisici, mercatanti. Riflessioni linguistiche sul Settecento meridionale, in Teorie e pratiche linguistiche, a cura di L. Formigari, Bologna 1987, pp. 83-107; Id., La linguistica dei mercatanti, Napoli 1987, pp. 137-198; V. Ferrone, I profeti dell'Illuminismo, Bari 1989, pp. 187-203; G. Galasso, La filosofia in soccorso de' governi, Napoli 1989, pp. 369-451; A. Pagden, La distruzione della fiducia e le sue conseguenze economiche a Napoli nel secolo XVIII, in Le strategie della fiducia. Indagini sulla razionalità della cooperazione, a cura di D. Gambetta, Torino 1989, pp. 166-169, 173 s., 177-181; M.T. Marcialis, Legge di natura e calcolo della ragione nell'ultimo G., in Materiali per una storia della cultura giuridica, XXIV (1994), pp. 315-340; J. Robertson, The Enlightenment above national context: political economy in eighteenth-century Scotland and Naples, in The Historical Journal, XL (1997), pp. 667-697; M.L. Perna, L'universo comunicativo di A. G., in Atti del Convegno Editoria e cultura a Napoli nel XVIII secolo, Napoli 1998.Antonio Genovesi. Genovesi. Keywords: logica per gli giovanetti, critica della ragione economica, scambio conversazionale --. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Genovesi: critica della ragione economica” --  per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51759585870/in/dateposted-public/

 

Grice e Gentile – Enea all’inferno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taggia). Filosofo. Grice: “It seems every philosopher has a catabasis – as Eneas did!” “Falamonica spends a ‘stagione’ in hell, too!” -- “I do like Falamonica – the way he makes ‘Aristoteil’ rhyme! “E vidi alfin colui, che fra’ mortali / più degno par di tutto quell Collegio, / levarsi contra tutti, e batter l’ali; / dico Aristotil.” – Grice: Falamonica is interesting: there is Socrates teaching Alcibiades, and Socrates teaching Plato, and Plato teaching Aristotle, and Aristotle teaching Alexander!” Figlio di Pancrazio Falamonica Gentile e Violantina Piccamiglio. Venne in contatto coll’astrologia. Compose i Canti, poema dottrinale in terzine di 42 canti, chiaramente derivato dalla Commedia di Dante. Grice: “It is a fun philosophical comedy: “E vidi alfin colui, che fra’ mortali / più degno par di tutto quell Collegio, / levarsi contra tutti, e batter l’ali; / dico Aristotil.” Opere: “Canti. Dizionario Biografico degli Italiani. FALLAMONICA GENTILE, Bartolomeo. - Di antica famiglia genovese, che negli anni 1460-1480 entrò nell'"albergo" dei Gentile (e da qui è l'origine del doppio cognome con il quale è conosciuto: cfr. Grendi), nacque a Genova, nella contrada di S. Pancrazio, intorno al 1450, da Pancrazio e da Violantina Piccamiglio.  Nulla si sa intorno alla sua formazione ed ai suoi studi. Il primo documento nel quale è nominato è il testamento del padre, del 1469. In una data incerta della fine del sec. XV si trasferì in Spagna, dove svolse attività mercantile. Durante il soggiorno spagnolo fu tra i protagonisti della rinascita del lullismo, partecipando alle attività della scuola di Jaume Janer a Valencia. Fu promotore di iniziative editoriali, fra le quali la pubblicazione del Liber artis metaphisicalisdello stesso Janer, una sorta di summaenciclopedica del lullismo, stampata a Valencia nel 1506; dalla dedicatoria apprendiamo che il F. studiò le dottrine di R. Lullo con Janer. Da un'altra dedicatoria, quella di Alfonso Proaza, un altro importante membro della scuola lulliana di Valencia, alla Disputatio Remondi christiani et Homerii sarraceni del 1510, apprendiamo che il F. si era dedicato anche a studi di astronomia e di medicina, e che sollecitò Proaza a pubblicare testi di Lullo. Il F. fu inoltre in possesso di manoscritti di Lullo, del quale subì l'influenza anche nei testi letterari di cui fu autore.  Diciotto sonetti di argomento religioso, appartenenti alla tipica tradizione poetica catalana fra XV e XVI secolo e nei quali è anche rilevabile l'influenza delle opere poetiche di Lullo, furono pubblicati per la prima volta nell'edizione di Valencia del 1514 del Cancionero general. Nell'edizione del 1520 del Cancionero (quella da noi consultata) sono suddivisi in cinque sonetti "sobre ecce homo", un sonetto "in dialogo de Dio", un sonetto "de trinitate", un sonetto "a la verge Maria par les guerres dela sglesia", cinque sonetti "en llor del glorios nom de Iesus" e cinque sonetti "en llahor del nom dela gloriosa verge Maria".  Non si sa di preciso quando il F. rientrò a Genova, dove morì presumibilmente in una data compresa fra il primo e il secondo decennio del sec. XVI.  In vecchiaia ("Lasciando a dietro il sessagesim anno") si dedicò alla stesura di un poema, che ci è stato tramandato ed è stato pubblicato con il generico titolo di Canti. In quarantadue canti in terzine, di cui il primo ha la funzione di proemio, il F. costruisce un poema dottrinale secondo il modello dantesco del viaggio nei regni oltremondani. Ma la particolarità del testo del F., cui non manca una certa abilità nella costruzione del discorso in poesia, è data dall'aver scelto come guida del viaggio proprio Raimondo Lullo, il filosofo cui aveva dedicato molti dei suoi studi durante il soggiorno spagnolo. Nei quarantadue canti troviamo trattati i temi più caratteristici della filosofia lulliana. I primi canti sono dedicati alla divisione e descrizione dell'universo ("de' cieli, de' elementi, de' minerali, de' vegetali, degli animali, dell'uomo, de' morali"), cui seguono canti sulla divinità e sul messaggio cristiano ("pronostico della cristiana religione, della divina essenza, della generazione e spirazione eterna, della creazione del mondo, della natura angelica, della incarnazione, della concezione, della passione, de' sacramenti, della predestinazione"), sull'uomo e i suoi peccati ("del divino e mondano amore, dell'usura, del giuoco, dello scandalo e della fama"), e, in ultimo, i canti del vero e proprio viaggio nei regni dell'oltretomba ("dell'inferno, del purgatorio, del final giudizio, del paradiso"). La storia del testo dei Canti è stata piuttosto tormentata: ricordati negli Annali della Repubblica di Genova di Agostino Giustiniani, già Uberto Foglietta nei Clarorum Ligurum Elogia lamentava l'inaccessibilità del testo, che si credette perduto durante i secoli XVII e XVIII. Nel 1821 venne data la notizia del ritrovamento del poema, che venne descritto nella Storia letteraria della Liguria da Giambattista Spotorno. Dopo alcuni saggi di pubblicazione, i Canti vennero finalmente editi, in una veste non particolarmente curata, a cura di Giuseppe Gazzino (Genova 1877). In questa edizione i Canti sono accompagnati da un canto in terzine Alla Vergine e da tre sonetti In nome di Lei, che fanno parte di quelli già pubblicati nel Cancionero.  Fonti e Bibl.: R. Soprani, Li scrittori della Liguria, Genova 1687 (reprint, Bologna 1971), p. 49; (segnalazione in G. Spotomo, Storia letteraria della Liguria, II, Genova 1824, pp. 189-204; Giorn. stor. della letteratura ital., XIV [1889], p. 333); S. Caramella, B. G. F. (contributo alla storia del lullismo nei primordi del Cinquecento), in Dante e la Liguria. Studi e ricerche, Milano 1925, pp. 127-176; E. Levi, Un poeta italo-catalano del Quattrocento, in Estudis Universitaris catalans, XXII (1936), pp. 681-685; M. Battlori, El lulismo, en Italia, in Revista de filosofia, II (1943), pp. 504 ss.; D.W. McPheeters, The Italian poet and lullist B. G. in XVIth century Valencia, in Symposium, VII (1953), pp. 375-379; P. Zambelli, Il De audito cabalistico e la tradizione lulliana nel Rinascimento, Firenze 1965, p. 127; L. Grillo, Seconda appendice ai tre volumi della raccolta degli Elogi di liguri illustri, Genova 1976, pp. 183 s.; M. Pereira, Bernardo Lavinheta e la diffusione del lullismo a Parigi nei primi anni del '500, in Interpres, V (1983-1984), p. 256; E. Grendi, Profilo storico degli alberghi genovesi, in Mélanges de l'Ecole Française de Rome, M.-A., - Temps modernes, LXXXVII (1975), 1, pp. 241-302 (spec. pp. 246-254).  CRIT ICA. SOPRA UN POEMA di Bartolommeo Falamonica. N o n sono che pochi anni dacchè si scopri un poema di B a r tolomeoGentile Falamonica,uomo ligure,daluiscritto tra il 1470 e il 1490. Il Giustiniani e qualche altro G e novese aveano parlato di quell'uomo con assai lode ; m a deploravano la perdita di quella Opera sua , che andava smarrita. Il sig. Spatorno nella recente sua Storia lette raria della Liguria dà un'analisi di quel Poema,che merita per,ognirispetto d'essere conosciuto.Il manoscritto oggi trovasi presso il marchese Giancarlo di Negro , p a trizio genovesc, amatore e cultore di ogni ottimo studio. Il poema del Falamonica non ha titolo; la materia diceilcitatoGiustiniani ėtuttafilosoficaeteologica, con interpretazione di leggi pontificie e cesaree. Lo stesso attesta ilsig.Spatorno. L'A.incomincia dal favellare de'Cieli; e iprimi suoi versi sono questi: Nel tempo che s'inclina ilfiore e l'erba, 38 TARIETA': WY > Perdar lecarespoglieal'aspraterra, Partendo dalla età dolce e superba ,  CRITICA . Lasciando addietro il sessagesim ' anno ... Vedea che l'error m 'avea condotto 39 Aristotil ... Intanto gli apparve dalle parti occidentali una gran Stella in formadiromito,dinome Raimondo (Lullo) spiegò il suo desiderio di conoscere la verità , e di lasciare alcun vestigio di sè dopo morte ; e Raimondo disse:stasecuro. e lo condusse al Sole,acciò lo guidasse ne'Cieli. Per man mi prese  Tornava senza onor dallamia guerra Con tutte mie speranze sparse al vento , De'miei passati giorni indarno spesi, Ch'ogni piacere in me restava spento... 2 motor che mi costrinse il senso E mi condusse in una oscura valle. Iviilpoetaudìprimaun suonodiguerra;poiunaltro come di favelle che parlavano del Cielo e della Terra. e > NelIlCantovedeSaturno,poiMarte,poiGiove; e il Sole gli dice : Già presso al fin che tutto il mondo atterra. Allor mi ritrovai tutto scontento A volgerealmioverobenlespalle... Ed eccouscirdelCiel,nonsosiofalle Un gran E vidi ch'eran Spirti in quel deserto Qual dicea in prosa, e qual cantava in versi. E conobbe tutti esser poeti , e in tanto numero E vedi alfin colui che fra'mortali Più degno par di tutto quel Collegio , Levarsi contra tutti e batter l'ali , Questa è la introduzione , e costituisce il primo Canto del Poema. Nel II Canto si trova in luogo , dal quale si vede sotto i piedi la Luna e i Pianeti; e sentiva il movimento delle sfere.VideilcerchiodelleStellefisse edaciòprende occasione di parlare degli Astronomi , il più moderno dei quali è il Regiomontano ,morto nel 1476, ed afferma non essere possibile l'eternitàdel mondo. Ma qui conviene omai fermar le piante Ch'ionon potreidituttiinomidirti. Ne dice però una lunga lista di greci e latini: nd ram menta alcun italiano. "Ei li lasciò tutti per gire a' filosofi, tra i quali dà il primo luogo ad Aristotele, di cui dice   Perquellestradeluminose e.terse Ch'ionon potealasciarlaviaserena. Il Sole dà al poeta un de'suoi rai, onde possa vedere gli oggetti terreni. E inquesto Canto, e nel VI parla dell'aria,!della dell? E la lussuria il buon smeraldo affrena; Vedi l'assenzio,ch'apre e scalda e sciolve: Che già della bell'arte han fatto vizio... Vacuando idenari,e non gli umori. Nel Canto IX ragiona della vitasensitiva degli animali e delleproprietà delle varie specie. E le cicogne d'empietà nemiche... ecc. d'onde prende occasione di parlare della empietà degli u o mini, Che gli uomini son fatti fere ed orsi: Qual strazia , qual uccide, qual graffigna. Cosi servate son le sacre norme. Le cose accennate formano la prima cantica del poema ; ed incomincia la seconda parlando dell'uomo. Alzato già del Ciel a tanto lume ,  ! 49 CRITICA. acqua edelfuoco. Nel VII parla de minerali,e delle supposte aque? tempi meravigliose virtù delle pietre preziose ,dicendo terra , Stringel'acanto> e falevenesalde; Tempo era omai d'entrar nel mio volume : Dove trovai del mondo tanta parte· Finchè io ti mostri la mia casa propria. Nel Canto IV visita Venere , Mercurio, e la Luna ; e famoltedimandedifisica,elerisolvecolla dottrinape= ripatetica che alloracorreva. N e l canto V. parla degli elementi ; e vi s'introduce così: Era mia vista di luce si piena, Son gli ametisti incontro all'ebriopoto , Contra ilvenenoilgran giacinto è noto. Nel Canto VIII parla della vegetazione, e delle proprietà vereo immaginarie dellepiante. Torna l'altea la gran durezza in polve. cec. E contro i Medici. Falcon leale,eladralaperdice... Adulterate son le cose sante ... La genteritornatasimaligna, Come si mostra in le passate carte , Ch'io vidi in lui siccome linea al punto Quanto Dio crca , e quanto poi comparte ,   Ogni mondana ed immortal bellezza ... Nel Canto Il parla della immortalità e libertà dell'ani ma ,e delle idee e degli affetti. Ogni pensier, e quanto qui s'adopra opra In questa nostra carne per sua forina (l'anina ) Il lume della vita è la scienza .. Questa partefilosoficaè chiusa con un pronostico della Religione cristiana. Il Genio del Sole lascia finalmente il poeta ;e come questi nell'accomiatarsi sentendo una voce terribile, abbraccia spaventato il suo duce , esso sdegnato Come uomo irato qui fra noi s' incende , si volge al'Eterno, e lo prega di far sentire l'indigna zionesuaalla Terrapienaditirannide,disimoniayd'inu gratitudine e di avarizia. Han fatto un altro Dio tutto mondano ; Creato per usanza un'altra legge; E posto in terraallorquando s'aggiorna  O somma vita, dove son raccolte Ligate qui col tempo , e là disciolte ; Eterno libro , in cui si nota e scrive E posto già il tuo nome tutto in vano. E commette al poeta di palesare queste cose a tutto il mondo escriverlealettered'oro;minacciandochese gliuomini non ritornano buoni, saranno preda dei Maomet tani,che alloraaveano presa Otranto.Questa secondaCan ticatermina coi seguenti versi. Che nulla per di fuora par si scopra. Nel I I I Canto espone il difetto delle virtù , e spezialmente della carità , onde l'anima va dannata. Chiudendo incrudel pianto sua giornata. 1. C a n t i I V , V e V I t r a t t a n o d i c o s e m o r a l i . CRITICA. 45 Nobil naturà , in cui si trova giunto Le vitenostrepriache insesienvive, Per l'alme che lassù si fanno dive ; Fammi sentir sìcome dentro s' Mortal non è colui che mai non erra . C h e p e r r i c c h e z z a l' u o m n o n è g i o c o n d o : 1 : Un fonte di sospetti è signoria... Seguilipochi,e non lavolgargente... Da poimi vidituttii sensi presi: Con un gridar che uscia da que'paesi Oh ! mondo pravo , torna , tornia, torna.   Ed ecco allor m'apparve quel divino Miomastroantiquo(Raimondo Lullo). I Canti I e II trattano della essenza divina secondo la dottrina e le sottigliezze degli Scolastici. Nel Canto III il poeta si sforza di mettere in versi la generazione del Verbo, e la spirazione eterna,giusta gli astrusi concetti delle scuole. NelIVragionadellacreazionedelMondo;nelV della natura angelica con tutte ledivisioni gerarchiche. Nel VI e VII tratta della incarnazione del Verbo. Poi dellaconcezione, seguendolanotasentenzadiScoto Più degno , più eccellente, più gentile , Di non veder la sua vision divina fermazione,dellaEucaristia, delaPenitenza,edelleIna dulgenze. Nel Codice autografo , dice il sig. Spatorno , è Jasciato in bianco ciò che apparteneva agli altritre Sacra menti.Favellaposciailpoeta dellapredestinazioneedel l'amore divino emondano. Quest'ultimo lo ispira contro Usura in pravi volentier s'annida ... E cresce questa piaga al mondo ognora. Quanto son pianegià le vie di morte ! Ne’susseguenticanti inveiscecontro ilgiuoco; indi ra. giona delloscandalo e della fama. La terza parte del Poema ha per soggetto ilMondo ir. visibile, e comincia dall'Inferno.  42 CRITICA . E più decente ancora all'Infinito. Della più mite dottrina poi si mostra seguace rispetto ai fanciulli morti senza battesimo. Che poco curan giàdiveder Dio Di quanto in sè contien filosofia. In due Canti espone la passione del Redentore ; nè pia. ceranno a tutti le disperazioni della Vergine a piè della croce.In duealtriCanti ragiona delBattesimo, dellaCon I La Cantica terza abbraccia la parte teologica ; e comin cia così. Eragià fattosicom'uom selvaggio. Non hanno danno alcun , se non quel bando Giocando insieme tutti e giubilando , Non hannopiù sospiro alcun,nè stento, E sono al lor parer si gloriosi Siccome fanno al mondo i più viziosi. E lisuppone occupati M Busura.   Secondo differenzia di peccati. A guardiade'superbistannoileoni,de'lasciviiporci; de'golosi gli orsi: Viensi poial Giudizio universale Così montaro inCiel disquadrein squadre. Ilpoema si chiude col Paradiso partito in seicapitoli. Nel I si parla dellafelicità de'Giusti. Nel IIsono ricor datituttiipiùcelebripersonaggi dell'anticaalleanza;fra quali ètaciuto diSaloinone,che secondo l'opinionedel b.Alessandro Sauli si teneva per dannato. NelIII si trattadegli Apostoli, dei Discepoli e degl'Innocenti, Nel IV parlandosi de' Martiri cosi dice di S . Lorenzo . Felice tu , mia Genoa , che l'onori , Eccelsocavalier di Cristo atleta. Giorgio chiamato, e vera insegna e duce Di nostra gran Liguria.  CRITICA. 43 Flegias,Cocito,furie d'Acheronte, Aletto con Megera e Tesifone. Lascio la Stige , e Lete , e Flegetonte , Ed ogni simulacro de Poeti Seguendo solo l'ortodossa fonte. Ne fu già l'occhio mio cotanto ardito Il Purgatorio delFalamonica ha forma di anfiteatro; le grotte che rinchiudono le anime , sono dispostesotto gli scaglioni, e sopra questistanno demonii in sembianza di animali. La valle tenebrosa ed ipfelice D'ogni ben priva,e d'ogni male carca E le corone d'uno e d'altro impero Correr fra l'onde , e naufragar con elle ... E come il balenar seconda il tuono. M a l'invito del Giudice eterno agli Eletti, dice il signor Spatorno,sa troppodiquellelicenzedantesche pena si perdonano all'Autoredella incomparabil Commedia. E Roma,ovefursparsiisuoidolori. E di S. Giorgio. > cheap Cerbero lascio , Minos e Plutone , Da riveder qual fosse quello e questo. Cið gli frutterà guerra presso gli adoratori d'ogni cosa di Dante. Venite a me del nome mio maacipio, Diletti e benedetti dal mio padre. Che come miei fratelliio vi recipio. Felice ancor la Spagna , dov'ei nacque ,   Nel V Canto si parla ancora de martiri. Nel VI de' dottori,monaci,ronitieconfessori,ediquesti l'ul timo è s. Bernardino di Siena. Di Bernardino parlo ,che a l'uscita Di questa schiera il più moderno parve , Fra tanta moltitudine infinita. E chiama s.Anna Ava del Figlio , e Socera del Padre Miserere di un cuor che in tes'adombra ! e dichiarando di sottomettere l'Opera sua al giudizio di Santa Chiesa. G. B.  44 CRITICA. Nostro celeste in Ciel... Chiude poi ilcapitolo e tutto il poema , volgendosi a Dio , e pregandolo Ch'io la rimetto a lisuoi santi piedi. Tale è l'analisi che ci ha data del poema del Fala monica ilsig.Spatorno.Non potevaquestaesserepiùam pia dovendo costituire parte di un articolo della sua Opera. Ma egli ha lasciato maggior desideriodel medesimo, poi chè pare anoi, che altri passi, e forse più felici, dovreb b'essocontenere,se,comedicegli,questo poemadopola CommediadiDante,eprima dell'Orlandofuriosodee tenersi per la migliore composizione poetica che in quel l'intervallo l'Italia abbia avuta. Noi speriamo che il signor di Negro lo comunicherà al Pubblicocolle stampe. E vidi alfin colui che fra’ mortali/più degno par di tutto quell collegio/levarsi contra tutti e batter l’ali./Dico Aristotil posto in sì gran pregio/di lor filosofanti un lume acceso/E pur dal ciel si trova dato in spregio/si ch’io restai fra me tutto sospeso/con l’alma or.  Falamonica. Bartolomeo Fallamonica Gentile. Gentile. Keywords: Enea all’inferno, parodies of the Divine Comedy, Raimondo Lullo, Bruno e Lullo, il libro dell’amante e dell’amato, ars amative. Commedia filosofica.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gentile” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758709006/in/dateposted-public/

 

Grice e Gentile – implicatura dell’atto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Castelvetrano). Filosofo. Grice: “Do not multiply the senses of ‘state’ (normative, prerogative) beyond necessity.” Grice: “It’s difficult to assess the philosophy of Gentile; he is a Peirceian, like me –. He ie into ‘conventional sign’ and ‘natural sign’ – and considers intersubjectivity as a way to suprass the type of Berkeleyan idealism – his tradition is Plathegel, mine is Ariskant!” Grice: “The roots of Gentile’s philosophy are in Hegel’s logic, as are Bradley’s, Bosanquet, and Collingwood’s! – and Croce’s!” -- idealist philosopher. He taught philosophy at Pisa. Gentile rejects Hegel’s dialectics as the process of an objectified thought. Gentile’s actualism or actual idealism claims that only the pure act of thinking or the transcendental subject can undergo a dialectical process. All reality, such as nature, God, good, and evil, is immanent in the dialectics of the transcendental subject, which is distinct from the empirical subject. Among his major works are “La teoria generale dello spirito come atto puro” and “Sistema di logica come teoria del conoscere.” Gentile sees conversation is a concerted act that overcomes the apparent difficulties of inter-subjectivity and realizes a unity within two transcendental subjects. Actualism was pretty influential. With Croce’s historicism, it influenced two Oxonian idealists discussed by H. P. Grice: Bernard Bosanquet and R. G. Collingwood (vide: H. P. Grice, “Metaphysics,” in D. F. Pears, The Nature of Metaphysics, London, Macmillan). Insieme a Croce uno dei maggiori esponenti del idealismo, nonché un importante protagonista della cultura, fonda L’Istituto dell'Enciclopedia Italiana e artifice della riforma della pubblica istruzione (Riforma Gentile). La sua filosofia è detta attualismo.  Inoltre fu figura di spicco del fascismo italiano. In seguito alla sua adesione alla Repubblica Sociale Italiana, fu assassinato durante la seconda guerra mondiale da alcuni partigiani comunisti dei GAP. «Era un omone che ispirava grande simpatia; con la pancia incontenibile, i bei capelli brizzolati sopra un faccione rosso acceso, di carnale cordialità. Tutto fuorché un filosofo: così mi apparve, benché fossi pieno di entusiasmo per i suoi Discorsi di religione, freschi di lettura. Bonario, familiare (paternalista), mi fece l'impressione di un vigoroso massaro siciliano, che fonda la sua autorità sull'indiscusso ruolo di patriarca” (Geno Pampaloni, Fedele alle amicizie. Figlio di Giovanni e Teresa Curti. Frequenta il ginnasio/liceo "Ximenes" a Trapani. Vince quindi il concorso per posti di interno di Pisa, dove si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia. A Pisa ha come maestri, tra gli altri, Ancona, professore di letteratura, legato al metodo storico e al positivismo e di idee liberali, Crivellucci, professore di storia, e Jaja, hegeliano seguace di Spaventa, che influirono molto su Gentile. Dopo la laurea, con massimo dei voti e ottenimento del diritto di pubblicazione della tesi, ed un corso di perfezionamento a Firenze, ottiene una cattedra in filosofia presso il convitto nazionale Pagano di Campobasso. Si sposta a Napoli.  Sposa Erminia Nudi, conosciuta a Campobasso: dal loro matrimonio nasceranno Federico Gentile, i gemelli Gaetano Gentile e Giovanni Gentile junior, Giuseppe Gentile, e Tonino Gentile Ottiene la libera docenza in filosofia teoretica. Ottiene poi la cattedra a Palermo, dove frequenta il circolo di Pojero e fonda “Nuovi Doveri.” A Pisa e Roma. Insegna a Palermo, Pisa, Roma e Milano. Durante gli studi a Pisa incontra Croce con cui intratterrà un carteggio continuo. Uniti dall'idealismo (su cui avevano comunque idee diverse), contrastarono assieme il positivismo e le degenerazioni dell'università italiana. Insieme fondano “La Critica”  al rinnovamento della cultura italiana. L'attualismo ha configurazione sistematica. Divenne membro del Consiglio superiore della pubblica istruzione. All'inizio della prima guerra mondiale, tra i dubbi della non belligeranza, si schiera a favore della guerra come conclusione del Risorgimento. Rivela a sé stesso la passione politica che gli stava dentro e assunse una dimensione che non era più soltanto quella del filosofo che parla “ex cathedra”,  ma quella dell'"intellettuale" militante, che si rivela al pubblico. Partecipa attivamente al dibattito politico e culturale. E tra i firmatari del manifesto del “Gruppo Nazionale Liberale”, che, insieme ad altri gruppi nazionalisti e di ex combattenti forma l' “Alleanza” per le elezioni politiche, il cui programma politico prevede la rivendicazione di uno stato forte, anche se provvisto di larghe autonomie regionali e comunali, capace di combattere la metastasi burocratica, il protezionismo, le aperture democratiche alla Nitti, rivelatosi «inetto a tutelare i supremi interessi della Nazione, incapace di cogliere e tanto meno interpretare i sentimenti più schietti e nobili».  Fonda il “Giornale critico della filosofia italiana”.  Diviene consigliere comunale al Municipio di Roma, mentre l'anno successivo viene nominato anche assessore supplente alla X Ripartizione, A. B. A., ovvero alle “Antichità” e alle “Belle Arti”, sempre del Municipio di Roma. Diviene socio dell'Accademia dei Lincei.  Gentile non mostra particolare interesse nel confronto del fascismo. Fu solo allora che prese posizione in merito, dichiarando di vedere in Mussolini un difensore di un “liberalismo” risorgimentale nel quale si riconosce.“Mi son dovuto persuadere che il ‘liberalismo’, com'io l'intendo e come lo intendeno gli uomini della gloriosa destra che guida l'Italia del Risorgimento, il liberalismo della libertà nella legge, e perciò nello stato forte, e nello stato concepito come una realtà etica, non è oggi rappresentato in Italia dai ‘liberali’, che sono più o meno apertamente contro di Lei, ma per l'appunto, da Lei.” (Lettera a Mussolini). All'insediamento del regime viene nominato ministro della Pubblica Istruzione, attuando La Riforma Gentile, fortemente innovativa rispetto alla precedente riforma basata sulla legge Casati di più di sessant'anni prima! Diviene senatore del Regno. Si iscrive al Partito Nazionale con l'intento di fornire un programma ideologico e culturale. Dopo la crisi Matteotti, date le dimissioni da ministro, Gentile viene chiamato a presiedere la Commissione dei Quindici per il progetto di riforma dello Statuto Albertino (poi divenuta dei Diciotto per la riforma dell'ordinamento giuridico dello stato). Resta fascista e pubblica il “Manifesto degli intellettuali” in cui vede la filosofia come un possibile motore della rigenerazione degli italiani e tenta di collegarlo direttamente al Risorgimento. Questo manifesto sancisce l'allontanamento di Gentile da Croce, che gli risponde con un tipico “contro-manifesto”. Promuove la nascita dell'Istituto di Cultura. Per le numerose cariche, esercita un forte influsso sulla cultura italiana, specialmente nel settore filosofico. È imembro dell'Istituto Treccani. A Gentile si devono in gran parte il livello culturale e l'ampiezza della visione dell'Enciclopedia Italiana. Invita infatti a collaborare alla nuova impresa 3.266 filosofi di diverso orientamento, poiché nell'opera si deve coinvolgere tutta la cultura italiana, compresi molti studiosi notoriamente anti-fascisti, che ebbero spesso da tale lavoro il loro unico sostentamento. Riesce in tal modo a mantenere una sostanziale autonomia, nella redazione dell'Enciclopedia Italiana, dalle interferenze del regime. È coinvolto nell'istituzione del Giuramento di fedeltà al regime che causerà l'allontanamento di alcuni dall'Università.  Inaugura a Genova l'Istituto mazziniano. Fonda il Centro nazionale di studi manzoniani. Fonda la Domus Galilaeana a Pisa.  Non mancano comunque i dissensi col regime. In particolare, la sua filosofia subisce un duro colpo alla firma dei Patti Lateranensi tra il cattolicesimo e lo stato. Sebbene riconosca il cattolicesimo come una forma della spiritualità, ritiene di non poter accettare uno stato NON laico. Questo evento segna una svolta nel suo impegno politico militante, è inoltre contrario all'insegnamento del cattolicesimo nel ginnasio e nel liceo. Il Sant'Uffizio mette all'”Indice” le sue opere a causa del loro riconoscimento, nel solco dell'idealismo, del cattolicesimo come una mera "forma dello spirito” -- totalmente inferiore alla filosofia: ‘theologia ancilla philosophiae.” “La mia religione, in cui vi sono anche alcune velate critiche al cattolicesimo e ispirata da Alighieri, Gioberti e Manzoni.” Degna di nota anche la sua difesa di Bruno, il filosofo eretico condannato al rogo dall'Inquisizione, al quale dedica una apologia, impegnandosi anche presso Mussolini perché la statua di Bruno in Campo de' Fiori e opera dello scultore anticlericale Ettore Ferrarinon fosse rimossa, come richiesto da alcuni cattolici. Comincia una lunga polemica contro Vecchi, che Gentile accusa di “inquinare la cultura”.“Roma non ebbe mai un'idea che fosse esclusiva e negatrice.”“Roma accolse sempre e fuse nel suo seno, idee e forze, costumi e popoli.” “Così poté attuare il suo programma di fare dell'urbe, l'orbe.” “La Roma antica volgendosi con accogliente simpatia e pronta e conciliatrice intelligenza a ogni persona a ogni forma di vivere civile, niente ritenendo alieno da sé che fosse umano.”“Sono i popoli – come i longobardi! -- piccoli e di scarse riserve quelli che si chiudono gelosamente in se stessi in un nazionalismo schivo e sterile.”In La mia religione dichiara di essere credente nello stato laico – ‘stato no laico e una contradictio in terminis’ --  Nel Discorso del Campidoglio esorta all'unità. Si ritira a Troghi, dove filosofa su la “Genesi e struttura della società” nel nel quale teorizza su la politica dell’umanesimo. Considera “Genesi e struttura della societa” il coronamento dei suoi studi speculativi tanto che mostrando il manoscritto, scherzando disse. "I vostri amici possono uccidermi ora se vogliono.”“Il mia missione nella vita è compietata.”La caduta di Mussolini non preoccupa particolarmente Gentile che intese il tutto come un avvicendamento al governo. Inoltre la nomina nel primo governo Badoglio di alcuni ministri che precedentemente erano stati suoi collaboratori lo conforta. In particolare la amicizia con Severi spinse Gentile ad inviargli una lettera di auguri per la nomina e a sottoporgli alcune questioni rimaste in sospeso con il governo precedente.  Severi rispose a Gentile lanciandogli un duro e inatteso attacco. Travisandone volontariamente i contenuti evitando però di renderli noti avvalorò l'idea che Gentile gli si fosse proposto come consigliere ponendolo quindi in obbligo a respingerne la proposta. Gentile replica a Severi e rassegna le dimissioni da Pisa. Gentile respinse in un primo tempo la proposta di Biggini di entrare al Governo, dopo un incontro con Mussolini sul lago di Garda si convinse ad aderire alla Repubblica Sociale Italiana. Divenne presidente della Reale Accademia d'Italia, con l'obiettivo di riformare L’Accademia dei Lincei che fu assorbita dall'Accademia. “Venne qui tempo fa un amico a cercarmi, ed io dissi francamente i motivi politici per cui desideravo restare in disparte.”“Ma egli mi assicurò che io potevo benissimo restare in disparate.”“Ma dovevo fare una visita al mio amico che desidera vedermi ed era addolorato di certe manifestazioni recenti, ostili alla mia persona.”“Negare questa visita non era possibile.”“Feci comodamente il viaggio con Fortunato.”“Ebbi un colloquio di quasi due ore, che fu commoventissimo.”“Dissi tutto il mio pensiero, feci molte osservazioni, di cui comincio a vedere qualche benefico aspetto”“Credo di aver fatto molto bene all’Italia.”“Non mi chiese nulla, non mi fece offerta.”“Il colloquio fu a quattr'occhi.”“La nomina fu poi combinata col ministro amico e portata qui da me da un Direttore generale.”“Non accettarla sarebbe stata suprema vigliaccheria e demolizione di tutta la mia vita.”Sostenne la chiamata alle armi e la coscrizione militare dei giovani nell'esercito della RSI, auspicando il ri-pristino dell'unità nazionale sotto la guida ancora una volta di Mussolini.  Intanto il figlio, Federico Gentile, capitano d'artiglieria del Regio Esercito, era stato internato dai tedeschi in un campo di prigionia a Leopoli in condizioni particolarmente severe.Federico Gentile e l'unico ufficiale italiano del campo a non ricevere la posta di ritorno. Federico Gentile aveva aderito alla RSI, ma non aveva accettato l'arruolamento nell'Esercito Nazionale Repubblicano, preferendo tornare in Italia da civile.Gentile elogia pubblicamente al "Condottiero della grande Germania", e lodando l'alleanza italiana con le Potenze dell'Asse.Pochi giorni dopo, Federico Gentile, venne trasferito in un campo meno duro.Infine, gli fu permesso il ritorno. Per il suo appoggio dichiarato alla leva per la difesa della RSI, riceve  diverse missive contenenti minacce di morte. In una in particolare era riportato: "Tu sei responsabile dell'assassinio dei cinque". L'accusa era riferita alla fucilazione di cinque renitenti alla leva rastrellati dai militi della R. S. I. -- fucilazione orchestrata da Carità, che detesta Gentile, ricambiato. Ha infatti minacciato di denunciare le eccessive violenze del suo reparto allo stesso Mussolini.Gentile non e assolutamente collegato con tale evento. Il governo repubblicano gli offre quindi una scorta armata che però Gentile declina.“Non sono così importante, ma poi se hanno delle accuse da muovermi sono sempre disponibile.”Considerato in ambito resistenziale come il filosofo del regime, apologo della repressione e di un regime ostaggio di un esercito occupante, e ucciso isulla soglia di Villa di Montalto al Salviatino, da gappisti di ispirazione comunista. Il commando si apposta circa nei pressi della villa.Appena giunse in auto, il gappista Fanciullacci si avvicina, tenendo sotto braccio un libro di filosofia – “Apperance and Reality,” di Bradley -- per nascondere la rivoltella e farsi così credere un filosofo.Abbassa il vetro per prestare ascolto.E subito raggiunto dai colpi della rivoltella. Fuggito il gappista in bicicletta, l'autista si diresse all'ospedale Careggi per trasferirvi il filosofo moribondo.Gentile, colpito direttamente al cuore e in pieno petto, in breve spira.Fu un episodio che divise lo stesso fronte di resistenza e che è al centro di polemiche non sopite, venendo infatti già all'epoca disapprovato dal CLN toscano con la sola esclusione del Partito Comunista, che ri-vendicò l'esecuzione. Fu sepolto nella basilica di Santa Croce, il foscoliano tempio dell'itale glorie. Dopo l'attentato, le autorità della R. S. I.,  dopo aver sospettato all'inizio lo stesso Mario Carità promisero mezzo milione di lire in cambio di informazioni su Fanciulacci.Venne disposto l'arresto di cinque, indicati da come i mandanti morali.Grazie al diretto intervento della famiglia, gli arrestati sono rimessi in libertà. All'interno di Santa Croce si inaugura un convegno di studi gentiliani. La filosofia di Gentile fu da lui denominata “attualismo” o idealismo attuale.L'unica vera realtà è un “atto” puro del «pensiero che pensa», cioè l'auto-coscienza, in cui si manifesta lo spirito che comprende tutto l'esistente.Solo quello che si realizza tramite lo spirito rappresenta la realtà in cui il filosofo si riconosce. Il Pensiero è attività perenne in cui all'origine non c'è distinzione tra “soggetto” e “oggetto” – dunque l’intersoggetivita e un pseudo-problema. Avversa pertanto ogni dualismo rivendicando il monismo e l'unità di natura (corpo, materia) e spirito (anima, forma) (monismo).Al'interno, assieme al primato, la auto-coscienza è vista come “sintesi” della tesi del soggeto e l’antitesi dell’oggetto.Questo e un atto in cui il primo, la tesi, il soggetto, pone se stesso e pone il secondo (auto-concetto).In ciò consiste l'”autoctisi” –Non hanno quindi senso un orientamento solo spiritualista o solo materialista (naturalista).Non ha senso la divisione netta tra spirito (l’astratto) e materia (astrazzione) del platonismo, in quanto la realtà è Una.Qui è evidente l'influsso dell’aristotelismo (hyle-morphe) e il panteismo rinascimentale e anche dell’ “immanentismo” (contro il transcendentalismo) più che dell'hegelismo.Di Hegel, a differenza di Croce, che era fautore di uno storicismo assoluto (o idealismo storicista), per cui tutta la realtà è “storia” e non “atto” in senso aristotelico (energeia/dunamis – actus – cf. Grice, “What is actual”), non apprezza tanto l'orizzonte storicista, quanto l'impianto idealistico relativo alla auto-coscienza.La auto-coscienza è considerata il fondamento del reale. Anche vi è un errore in Hegel nella formulazione della “dialettica”. Ma questo non consiste unicamente, come afferma Croce. Croce infatti sostiene che "tutto è Spirito". La critica di Croce non è sufficiente.Gentile sostiene che Hegel confunde la dialettica del “implicare” (‘impiegare”) (che ha individuato correttamente) con la dialettica dell’ “implicatum” ‘empiegato’. Lascia forti residui della dialettica dell’impiegato,cioè quella del determinato e delle scienze. Gentile inoltre non accetta la “dialettica dei distinti” (A distinto da B) che Croce, in base al adagio che "non ogni negazione è opposizione") introduce posto accanto alla “dialettica degli opposti" (A opposto B). Infatti Gentile  ritiene la ‘dialettica dei distinti’ un'aggiunta arbitraria, che snatura la dialettica propria.Questa invece si esplica in un “atto” in cui utilizza la dialettica (A opposto B, sintesi C) in un atto puro.Questa dialettica si esplica quindi nel rapporto dell’impiegare e l’impiegato.Recuperando La Dottrina della scienza di Fichte, Gentile afferma che lo spirito (anima, forma) è fondante in quanto unità di autocoscienza, atto; l'atto puro –, è il principio e la forma della realtà diveniente, non esistente (Gott im Werden – dall’divenire all’essere). La dialettica dell'atto puro e l’opposizione tra la soggettività (il soggeto) rappresentata dall'espressione --  intention-based semantics -- (tesi) e l'oggettività (oggeto) – cf. inter-soggetivo -- rappresentata dal positivism scientism. (antitesi), cui fa da soluzione nell’atto puro (sintesi). L'atto puro si fonda sull'opposizione della «logica del pensiero pensante» e la «logica del pensiero pensato” – cfr. implicans – implicatum. impiegatore – impiegante – impiegato --. La prima è una dialettica materiale– implicans/impiegante --, la seconda una logica formale – l’impiegato --.Gentile dedica la sua attenzione al tema della soggettività dell'espressione nel vivere del spirito. Se da un lato l'espressione è il prodotto di un sentimento soggettivo o una intenzione, dall'altro l’espressione è un atto puro “sintetico” – “composito” -- non analitico – or divisso -- che coglie tutti i momenti della vita dello spirito, acquistando dunque alcuni caratteri del questo che Grice chiama il discorso razionale o la conversazione come cooperazione razionale. Sviluppando fino in fondo la filosofia di Spaventa, la filosofia dell’atto puro, per il quale la realtà esiste solo nell'atto puro che pensa la realta.è stato interpretato come un idealismo soggettivo (una forma di soggettivismo – o intersoggetivismo), sebbene Gentile tende a respingere tale definizione, non essendo quell'atto preceduto né dal “soggetto” né tantomeno dall'”oggetto” -- bensì coincidente con l'Idea stessa, e a differenza di Fichte, in cui l'Infinito (come aveva già affermato Hegel) è un "cattivo infinito" è in realtà immanente (non trascendente) all'esperienza, proprio perché l’atto puro e creatore d una esperienza (datum). Gentile e un ideologo del regime.La filosofia politica di Gentile è  fortemente attivista e attualista (cioè trasponte l'attualismo del atto puro nel campo veramente inter-soggetivo dello scambio sociale.La politica coniughi «prassi e pensiero» (lo pratico e lo speculative) che sia insieme «una azione a cui è immanente una ‘dottrina’ condivisa.’”Essendo insoddisfatto di fronte alla realtà, in Gentile troviamo il primato del futuro, l’utopia, l’ideale regolativo. Ma, allo stesso tempo, un recupero della concezione romantica illuminsita di una Ragione intesa come Spirito universale che tutto pervade, avversa al materialismo e alla ragione meramente strumentale mezzo-fine. In questo, l’analogia con Grice e obvia. Per Gentile, ad esempio, il «modo generale di concepire la vita» proprio della sua dottrina è di tipo «spiritualistico». La dottrina non è la sola qualificazione politica che dà dello speculative.Gentile infatti e un ‘liberale’ -- nonostante sembri respingere quasi in toto il ‘liberalismo ottocentesco’ ne La dottrina del regime.Difatti la sua concezione politica riprende la concezione di Hege di un stato etico o morale -- per cui ‘libero’ (free) non è primariamente l'individuo o persona atomisticamente e materialisticamente inteso, ma soltanto lo stato stesso nel suo processo storico. Un individuo e  ‘libero’ se esplica la sua moralità nella forma istituzionale di suo stato libero -- come chiarisce nella 'Enciclopedia italiana. L'individuo esprime la sua libertà individuale personale solo all'interno di un stato libero ("libertà nella legge" – lo giuridico -- ), con ciò a dire in un contesto istituzionale organizzato (positivismo kelseniano). Un esempio di questa concezione lo si può trovare nella destra storica, la quale governa l'Unità d'Italia.Impone un governo autoritario (concezione ereditata poi dalla sinistra storica di Crispi) che riusce a moderare l'individualità dei singoli, quella che Gentile definisce come la spinta alla disgregazione.Questo modello di governo forte è giusto (lo giuridico) in quanto, per definizione, un stato libero e un stato etico, definito alla Mazzini come "stato educatore". Se Gentile voglia uno stato totalitario vero e proprio è questione invece incerta.Di certo nella sua fase prettamente del regime, Gentile fa riferimento a un ‘stato totale", l'organismo che accoglie tutto in sé.Con il regime si può avere vero "liberalismo" in quanto riporta al valore primigenio del Risorgimento. Gentile dimostra un forte approccio storicistico, secondo il quale il regime trade la sua legittimazione dalla storia, sarebbe appunto una vera fase storica, non una mera mistica o dottrina o ideologia. Il Risorgimento non e olo un'operazione politica, ma un "atto di fede".Il campione di suddetto atto di fede e Mazzini: anti-illuminista e romantico, anti-francese, spiritualista e nemico dei principi materialistici. Lo stato giolittiano rappresenta invece un tradimento dei valori risorgimentali.Per rompere questo “status quo” degenerativo del processo italiano e necessario una rivoluzione. Porta un nuovo assetto, ma anche statale, perché va a colmare una lacuna che vige nel sistema del stato. Insiste molto sulla novità di questa rivoluzione. è un modo nuovo di concepire una nazione, ha una consapevolezza mistica di ciò che sta compiendo. Un duce viene perciò dipinto come un vero eroe idealistico. La missione della rivoluzione è quella di creare l'Uomo nuovo: un uomo di fede, spirituale, anti-materialista, volto a grandi imprese. Questo nuovo tipo di uomo e anti-tetico al carattere che Giolitti tentò di imprimere a una nazione e che connota l'Italia come una nazione scettica, mediocre e furbastra. In quanto ideologo, Gentile sostiene che la dottrina revoluzionaria si deve istituzionalizzare: ciò avverrà nei fatti attraverso l'istituzione del Gran Consiglio. La dottrina si deve inoltre far assorbire dall'italianità (e non il contrario). Il fine è che nella società italiana non vi siano più contra-dizioni, nessuna differenza tra cultura italiana e cultura della dottrina. Bisogna arrivare ad una comunità omogenea e compatta anche in ambito lavorativo.  Attraverso l'istituzione della  cooperative e la corporazione, la quale deve sanare la frattura sindacati-datori di lavoro tramite la collaborazione o cooperazione di classe. Anche qua Gentile riprende le teorie di Mazzini, oltre che il distributismo. Il corporativismo (di cui le estreme realizzazioni saranno la democrazia organica e la “socializzazione” dell'economia, progettate nella R. S. I.) permette di giungere ad uno stato di fatto in cui i problemi economici si risolveranno all'interno della corporazione stessa, senza provocare fratture all'interno della società, ed evitando una lotta di classe (classe bassa, casse media, classe alta) grazie alla “terza via” della dottrina. Gentile sostenne, opponendosi all'ala estrema e intransigente l'idea una riconciliazione, la più ampia possibile, di tutti gli italiani.Pur riconoscendosi nella R. S. I., invita pubblicamente il “popolo sano” ad ascoltare “la voce della Patria”, esortandolo alla pacificazione e ad evitare una “lotta fratricida", di cui comunque non vedrà la fine.  Il gentilismo fu una delle cinque correnti culturali del regime, assieme alla sinistra "rivoluzionario" di Malaparte, Maccari, Bottai, e Marinetti; la dottrina clericale; la mistica di Giani, Arnaldo, e Mussolini; e il neo-ghibellinismo pagano di Evola. Per l'idealista Gentile, a differenza di Croce, che ritene il Marxismo solo "passione politica", causata da uno sdegno morale a causa delle ingiustizie sociali, il marxismo è una filosofia della storia derivata da Hegel. Gentile afferma infatti che la concezione materialistica della storia è costruita da Marx sostituendo la Materia -- la struttura economica -- allo Spirito. Per Hegel lo Spirito è l'essenza di tutta la realtà, che comprende la materia (all'interno della Filosofia della natura), come momento del suo sviluppo.Secondo Marx invece, avendo scambiato il relativo con l'assoluto, si finisce con l'attribuire a un mero momento (la materia, cioè, il fatto economico) la funzione dell'Assoluto che per Hegel si sviluppa dialetticamente ed è determinato a priori rendendo così determinato a priori l'empirico: la struttura economica. Nonostante che la filosofia della storia marxiana sia pertanto una errata filosofia della storia hegeliana "rovesciata", però la filosofia di Marx possiede ugualmente un pregio: è una "filosofia della prassi". Nelle Tesi su Feuerbach, che Gentile cura, il "Moro" infatti critica il materialismo volgare.Questo concepisce metafisicamente l'oggetto come dato e il soggetto come mero ricettore dell'essenza-oggetto. Nonostante ciò, secondo Gentile, Marx, attribuisce alla “prassi”, considerata come attività sensibile umana, la funzione di far derivare a torto il pensiero medesimo.I filosofo di Treviri infatti considera il pensiero una forma derivata dell'attività sensitiva e non un atto che ponga l'oggetto. Gentile sostiene invece (contro Marx e il Marxismo) come sia l'atto del pensiero,come atto puro a porre l'oggetto, e quindi, in ultima istanza, a crearlo.Gentile riflette a lungo sulla funzione pedagogica e unisce la pedagogia con la filosofia, avviando una rifondazione in senso idealistico della prima, negandone i nessi con la psicologia e con l'etica. L'educazione deve essere intesa come un attuarsi, uno svolgersi dello spirito stesso che realizza così la propria autonomia. L'insegnamento è spirito in atto, di cui non si possono fissare le fasi o prescrivere il metodo.Il metodo è il maestro o tutore, il quale non deve attenersi ad alcuna didattica programmata ma affrontare questo compito sulla scorta delle proprie risorse interiori. Programmare la didattica sarebbe come cristallizzare il fuoco creatore e diveniente dello spirito che è alla base dell'educazione. Al maestro o tutore è richiesta una vasta cultura e null'altro.Il metodo verrà da sé, perché il metodo risiede nella Cultura stessa che si forma continuamente da sé nel suo processo infinito di creazione e ri-creazione.Il dualismo scolaro-maestro (tutore/tutee) deve risolversi in unità – il dialogo socratico -- attraverso la comune partecipazione alla vita dello spirito che tramite la cultura muove l'educatore (tutore) verso l'educando (tutee – Gentile qui usa una forma romana, ‘educando’ – cfr. ‘implicandum’ -- e lo riassorbe nell'universalità dell'atto spirituale. «Il maestro è il sacerdote, l'interprete, il ministro dell'essere divino, dello spirito». Il maestro incarna lo spirito stesso, l'allievo (l’educando, il tutee, lo scolareo) deve allora entrare in sintonia nell'ascolto col maestro, proprio per partecipare anche lui dell'attuarsi dello spirito, per farsi libero ed autonomo, e in questa relazione arriva ad auto-educarsi (auto-diddatica), facendo del tutto propri i grandi contenuti presentati.Questi concetti ispirano la riforma scolastica attuata da Gentile in veste di ministro della Pubblica istruzione, anche se solo una parte furono applicati secondo i suoi desideri. Altri principi della filosofia di Gentile presenti nella riforma scolastica sono in particolare la concezione della scuola come membro fondamentale dello stato (viene infatti istituito un esame di stato che sancisce la fine di ogni ciclo scolastico, anche se gli studi sono effettuati in un istituto privato) e il predominio delle discipline del gruppo umanistico-filologico.Gentile fu ministro della pubblica istruzione e mise in atto la sua riforma scolastica, e definita da Mussolini "la più riformante delle riforme", in sostituzione della vecchia legge Casati. Essa era fortemente meritocratica e censitaria; dal punto di vista strutturale Gentile individua l'organizzazione della scuola secondo un ordinamento gerarchico e centralistico. Una scuola di tipo piramidale, cioè pensata e dedicata ai migliori e rigidamente suddivisa a livello secondario in un ramo classico-umanistico per i dirigenti e in un ramo ‘professionale’ per il popolo. I gradi più elevati erano riservati agli alunni più meritevoli, o comunque a quelli appartenenti ai ceti più abbienti. Furono istituite borse di studio perché gli studenti dotati di famiglia povera potessero proseguire gli studi (cf. Grice, a “Midlands scholarship boy bound to Corpus!”). La logica e messa in secondo piano, poiché e una materia priva  di valore universale, che ha la sua importanza solo a livello ‘professionale’.Difatti Giovanni Gentile, a differenza di Croce che sosteneva l'assoluta preponderanza sociale delle materie classiche sulla scienza, pur criticando gli eccessi del positivismo e considerando anch'egli le materie letterarie come superiori, intrattenne anche rapporti, improntati al dialogo, con matematici e fisici italiani (come Majorana, collaboratore di Enrico Fermi nel gruppo dei "ragazzi di via Panisperna", che divenne anche amico del figlio Giovanni Gentile jr., coetaneo del Majorana) e cercò di instaurare un confronto costruttivo con il scientism.L'”obbligo” scolastico fu innalzato a 14 anni e fu istituita la scuola elementare da sei ai dieci anni. L'allievo che termina la scuola elementare ha la possibilità di scegliere tra il ginnasio/liceo classico e la scuola scientifica oppure un istituto tecnico.Solo il ginnasio-liceo permette l'accesso alla faculta di filosofia nella universita di Bologna.In questo modo però viene mantenuta una profonda divisione tra classi – l’elite, la classe alta, la classe media, e la classe basssa (questo vincolo fu rimosso completamente). Ciò anda incontro alla visione patriarcale del Duce.Anche Gentile nel complesso mostrò posizioni poco ricettive verso il femminismo ("il femminismo è morto" dirà), sebbene più sfumate, sostenendo che i licei dovessero formare i "futuri capi" guerrieri.Nel triennio dell'istruzione classica viene poi introdotta, in sostituzione, la filosofia, adatta alla elite o classe dominanti e alla futura classe dirigente, ma non al popolo minuto. Gentile è un filosofo della secolarizzazione e della risoluzione della trascendenza in prassi in ciò accomunato a Marx -, determinante addirittura per lo stesso comunismo italiano attraverso la ripresa che ne fece Gramsci. Da sottolineare che già sulla rivista L'Ordine Nuovo, Gobetti nota sche Gentile «format la cultura filosofica italiana.”. Di tutt'altro avviso Sasso, secondo il quale a dover essere rivalutata non è affatto la disastrosa prassi politica di Gentile, la cui «passionale» adesione alla dottrina «fu filosofica, forse, a parole ma nelle cose no». Ciò che merita ancora di essere studiato, sostiene Sasso, è invece «la filosofia dell'atto in atto», e tra essa «e la dottrina non c'è, né ci può essere, alcun nesso». La filosofia di Gentile e la «fascistizzazione dell'attualismo» e pertanto una «deformazione dell'idealismo”. Al di là della sua appartenenza politica, si attribuisce comunque a Gentile un notevole spessore filosofico. Gentile fu fascista e pagò con la vita la sua fedeltà alla dottrina. Ma fu anche profondo pensatore. Lo riconobbero, nel primo dopoguerra, persino Gramsci e Togliatti. Per approfondire gli studi sull'opera di Gentile e create l' “Istituto di studi gentiliani” e la "Fondazione Giovanni Gentile" a Roma. La filosofia gentiliana è stimata anche dal Severino, che ravvisandovi una condivisione del sostrato filosofico tecno-scientifico del nostro tempo la considera uno dei tratti più decisivi della cultura mondiale. Gentile e certamente un romantico, forse l'ultima più vigorosa figura del Romanticismo europeo.Gli venne dedicato un francobollo delle Poste italiane, unico tra le personalità di primo piano del regime ad avere questa celebrazione da parte della Repubblica Italiana.  L'assassinio di Gentile fu una carognata ingiusta e vigliacca. Gentile non era fascista. Che gli antifascisti furono dei acasotto perché uccisero un grande e inerme filosofo mentre non ebbero il coraggio di sminare i ponti di Firenze che i tedeschi avevano minato.Cavaliere di gran croce insignito del gran cordone dell'ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce insignito del gran cordone dell'ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, Cavaliere di gran croce insignito del gran cordone dell'ordine della Corona d'Italianastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di gran croce insignito del gran cordone dell'ordine della Corona d'Italia, Cavaliere di II classe dell'Ordine dell'Aquila Tedesca (Germania nazista)nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di II classe dell'Ordine dell'Aquila Tedesca (Germania). “L'atto del pensare come atto puro; La riforma della dialettica hegeliana” (Firenze, Sansoni); La filosofia della guerra; Teoria generale dello spirito come atto puro, Firenze, Sansoni); I fondamenti della filosofia del diritto; “Sistema di logica come teoria del conoscere; Guerra e fede (raccolta di articoli scritti durante la guerra) Dopo la vittoria (raccolta di articoli scritti durante la guerra) Discorsi di religione; Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia; Frammenti di storia della filosofia”; “La filosofia dell'arte”; “Introduzione alla filosofia”; “Genesi e struttura della società” “L'attualismo V. Cicero e con introduzione di E. Severino, Bompiani, Milano  Di carattere storiografico Delle commedie di Antonfrancesco Grazzini detto il Lasca”; “Rosmini e Gioberti”; “Marx”; “Dal Genovesi al Galluppi”; “Telesio; “Studi vichiani” “Le origini della filosofia contemporanea in Italia”; “Il tramonto della cultura siciliana; Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento; Frammenti di estetica e letteratura; La cultura piemontese; Gino Capponi e la cultura toscana del secolo XIX; Studi sul Rinascimento; I profeti del Risorgimento italiano: Mazzini e Gioberti; Bertrando Spaventa; Manzoni e Leopardi; Economia ed etica; Giovanni Gentile un filosofo scomodo; L'insegnamento della filosofia nei licei; Scuola e filosofia; Sommario di pedagogia come scienza filosofica” “I problemi della scolastica e il pensiero italiano; Il problema scolastico del dopoguerra; La riforma dell'educazione, Bari, Laterza); Educazione e scuola laica; La nuova scuola media; La riforma della scuola in Italia; “Manifesto degli intellettuali”; Che cos'è la cultura? Origini e dottrina”; “La mia religione”; “Discorso agli Italiani”; “Essenza” la prima parte si trova nella Civiltà Fascista, Torino U.T.E.T.: la prima e la seconda si trovano in l’Essenza del Fascismo, Libreria del Littorio, Roma; un'altra opera in cui si trova questo testo è in Origini e dottrina del fascismo, istituto nazionale fascista di cultura, Roma; altro testo in cui si trova si intitola Lo stato etico corporativo). La filosofia del fascismo (Origini e dottrina del fascismo; si trova in Politica e Cultura, oppure lo si può trovare le libro intitolato L’Identità” un altro libro in cui si trova si chiama, Italia d’oggi, edizioni de Il libro italiano del mondo, Roma); Che cosa è il fascismo-discorsi e polemiche (Firenze, Vallecchi). Fascismo al governo della scuola; Giovanni Gentile Scritti per il Corriere. Note  Vi è chi attribuisce al neoidealismo di Gentile e Croce il motivo che avrebbe posto l'istruzione scientifica in un ruolo subordinato rispetto a quella filosofico letteraria (L'Italia della scienza negata, in Il Sole; altri invece respingono questa interpretazione, ricordando che durante l'egemonia gentiliana nacquero numerosi enti scientifici (Croce e Gentile amici della scienza, in Corriere della Sera. 10 giugno.).  Cit. di Geno Pampaloni tratta da Nicola Abbagnano, Ricordi di un filosofo, Marcello Staglieno, Milano, Rizzoli. Manifesto cit. in Eugenio Di Rienzo, Storia d'Italia e identità nazionale. Dalla Grande Guerra alla Repubblica, Firenze, Le Lettere, Cfr. Vito de Luca, Un consigliere comunale di nome Giovanni Gentile. Attività amministrativa a Roma e linguaggio politico, "Nuova Storia contemporanea", Dello stesso autore,cfr. "Giovanni Gentile. Al di là di destra e sinistra. Il linguaggio politico del filosofo, dell'assessore e del ministro", Chieti, Solfanelli,,Scheda senatore GENTILE Giovanni  Paolo Simoncelli41.  Amedeo Benedetti, "L'Enciclopedia Italiana Treccani e la sua biblioteca", Biblioteche Oggi, Milano, Testo qui  Ripubblicato nel 1991 come Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento, ed. Le Lettere, collana La nuova meridiana. S. saggi cult. cont.  Giordano Bruno. LE VICENDE DELLA STATUA  «De Vecchi, Cesare Maria», Treccani  Paolo Simoncelli207.  La scelta di campo, Marco Bertoncini, Giovanni Gentile, la razza e le bufale, l'Opinione, 30 marzo   Paolo Mieli, Gentile criticò in pubblico l'antisemitismo del regime. Uno sforzo vano  Paolo Simoncelli43.  Paolo Simoncelli40.  Paolo Simoncelli34.  Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo; "Giovanni Gentile" di Gabriele Turi; Giovanni Gentile in “Il Contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia”Treccani  Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo23.  Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo24.  Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo, Luciano Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Palermo, Sellerio, Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo26.  Vittorio Vettori, Giovanni Gentile, Editrice Italiana, Roma, Simonetta Fiori, dirigere la casa editrice Sansoni esecondo la testimonianza dell'ex interermania.html Io, italiano prigioniero in Germania, in La Repubblica, Antonio Carioti, Quando Gentile s'inchinò a Hitler per salvare il figlio, in Corriere della Sera, Renzo Baschera, "Chiese la grazia per molti partigiani ma non riuscì a salvarsi", "Historia", Raffaello Uboldi, Vigliacchi perché li uccidete?, Storia Illustrata; Arnoldo Mondadori Editore, Milano56: "Gentile, sdegnato, ha minacciato di denunciarlo a Mussolini"  Elio Chianesi, La Benvenuti non volle mai raccontare i precisi particolari, dal suo punto di vista: «Questa è una cosa che non dirò mai. Perché potrei fare rovesciare tutte le cose. Perché non è come è stato detto. Come è andata l’azione dei Gap io non lo voglio dire. Me l’hanno chiesto in tanti ma non l’ho rivelato mai a nessuno». Vedi un intervento della Benvenuti anche in M. C. Carratù ().  Paolo Paoletti, "Il Delitto Gentile" esecutori e mandanti, Ed. Le Lettere, L'omicidio raccontato da Giuseppe Martini "Paolo" uno dei due esecutori materiali"...Sicuramente (Fanciullacci l'altro esecutore) gli chiese se era il professore e subito dopo gli sparammo insieme dalla stessa parte, non attraverso i due finestrini posteriori..."  Resistenza: "Angela", la ragazza col fiore rosso  Antonio Carioti, Sanguinetti venne a dirmi che Gentile doveva morire, in Corriere della Sera,  «Per fare in modo che i gappisti incaricati dell'agguato potessero riconoscerlo, alcuni giorni prima li accompagnai presso l'Accademia d'Italia della Rsi, che lui dirigeva. Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò. Provai un terribile imbarazzo.»  (Teresa Mattei)  Luciano Canfora, "Giovanni Gentile nella RSI" in La Repubblica Sociale Italiana Poggio, Annali della Fondazione Luigi Micheletti, Brescia, Antonio Carioti, Sanguinetti venne a dirmi che Gentile doveva morire, sul Corriere della Sera,: "L'omicidio di Gentile, anziano e inerme, suscitò una forte impressione e fu disapprovato dal CLN toscano, con l'astensione dei comunisti. Tristano Codignola, esponente del Partito d'Azione, scrisse un articolo per dissociarsi."  Maria Cristina Carratù, E dopo 70 anni nuovi scenari dietro l'esecuzione di Giovanni Gentile, La Repubblica, 24 aprile   Renzo Baschera, "Chiese la grazia per molti partigiani ma non riuscì a salvarsi", articolo su "Historia", Ecco le carte che assolvono l'archeologo  Romano302.  Gabriele Turi, "Giovanni Gentile" Così Gaetano Gentile ricordò il suo intervento presso la prefettura: «Quella sera stessa, per desiderio di mia Madre, io mi recai dal capo della Provincia e gli parlai della voce [di rappresaglie] diffusasi in città, esprimendogli la ferma e calda preghiera di mia Madre che quel proposito, se effettivamente esisteva, venisse abbandonato e anzi gli arrestati rilasciati. Dissi anche, naturalmente, come a me sembrasse in fondo superfluo dover esprimere tale preghiera proprio in quella stanza in cui ancora quella mattina la voce di mio Padre si era levata a deplorare la tragica inutilità di un metodo, dal quale non poteva seguire che il ripetersi indefinito di una crudele successione di attentati e rappresaglie. Era ovvio poi che, indipendentemente dalla eventuale giustificazione politica o militare di atti simili, nulla del genere poteva aver luogo in occasione della morte di mio Padre, alla quale si doveva da parte del Governo e delle autorità fiorentine questo gesto di rispetto delle sue convinzioni e del suo costante atteggiamento».  Firenze: due consiglieri, via tomba Giovanni Gentile da Santa Croce, su liberoquotidiano. 15 novembre  16 novembre ).  «Attualismo», Enciclopedia Treccani  Diego Fusaro, Giovanni Gentile  Sull'importanza della riforma della dialettica idealista di matrice hegeliana in Gentile, si veda quest'intervista a Gennaro Sasso. L'intervista è compresa nell'Enciclopedia Multimediale delle Scienza Filosofiche.  Bruno Minozzi, Saggio di una teoria dell'essere come presenza pura, Il Mulino, Gentile quindi contestava a Fichte la trascendenza dell'Io assoluto rispetto al non-io, e di restare così in un dualismo,che non viene mai superato dall'attualità del pensiero, ma solo da un agire pratico dilatato all'infinito ("cattivo infinito"), fermo alla contrapposizione fra teoria e prassi, per la quale Fichte «s'irretisce in un idealismo soggettivo in cui invano l'Io si sforza di uscire da sé» (Discorsi di religione, Firenze, Sansoni).  Giovanni Gentile, Benito Mussolini, La dottrina del fascismo.  Nicola Abbagnano, Ricordi di un filosofo, Marcello Staglieno, Nella Napoli nobilissima, Milano, Rizzoli, Vito de Luca, Giovanni Gentile e il liberalismo, Mussolini, Gioacchino Volpe, Giovanni Gentile, Fascismo, Enciclopedia Italiana.  Augusto Del Noce, L'idea del Risorgimento come categoria filosofica in Giovanni Gentile, in "Giornale Critico della Filosofia Italiana", G. Belardelli, Il fascismo e Giuseppe Mazzini  Giovanni Gentile, Manifesto degli intellettuali fascisti  Giovanni Gentile, "Ricostruire" in Corriere della Sera, Cfr. Libertà e liberalismo ("Conferenza tenuta all'Università  di Bologna"), in Scritti Politici, tratti da Politica e Cultura H.A. Cavallera, Firenze, Le Lettere, Il pensiero pedagogico di Giovanni Gentile  La riforma Gentile, su pbmstoria. Si veda anche ne Il fascismo al governo della scuola, in Annali, Milano, Istituto Giangiacomo Feltrinelli,  «[Boffi:] Qual è il criterio su cui si è fondata Vostra Eccellenza nella limitazione delle iscrizioni? — Gentile: Questa limitazione non c'è nella scuola complementare come non ci sarà nella scuola d'arte e nelle scuole professionali; essa è propria delle scuole di cultura e risponde alla necessità di mantenere alto il livello di dette scuole chiudendole ai deboli e agli incapaci; dipende anche dalla riduzione del numero degli scolari nelle singole classi fatta per evidenti ragioni didattiche, quelle stesse che hanno consigliato l'abolizione delle classi aggiunte; ma soprattutto dalla necessità di consigliare agli italiani un diverso indirizzo nella loro attività.  Noi abbiamo troppi ed inutili, quando non son valenti, professionisti, ed abbiamo invece molto bisogno di industriali, di commercianti, di artieri, di minuti professionisti, che portino nella esplicazione delle loro arti e dei loro mestieri quello spirito fine della Nazione che finora li ha spinti a disertare le scuole industriali, commerciali e professionali per seguire la scuola umanistica.»  (R.Sandron, Il fascismo al governo della scuola, iscorsi e interviste, Ferruccio E. Boffi, Giuseppe Spadafora, Giovanni Gentile: la pedagogia, la scuola: atti del Convegno di pedagogia e altri studi, Armando Editore, 1997261.  Enrico Galavotti, La filosofia italiana e il neoidealismo di Croce e Gentile, Homolaicus.  Il mistero di Ettore Majorana  Eleonora Guglielman, Dalla scuola per signorine alla scuola delle padrone: il Liceo femminile della riforma Gentile e i suoi precedenti storici, in Da un secolo all'altro. Contributi per una "storia dell'insegnamento della storia" (M. Guspini), Roma, Anicia, Una parte del lavoro è stata in precedenza pubblicata, con alcune varianti, sulla rivista "Scuola e Città" con il titolo Il liceo femminile Manacorda D'Amico, Katia Romagnoli, Donne, la Resistenza "taciuta". L'esclusione delle donne nella società fascista  G. Gentile, La donna nella coscienza moderna, in La donna e il fanciullo. Due conferenze, Firenze, Sansoni, De Grazia, Le donne nel regime fascista,  G. Ricuperati, La scuola italiana e il fascismo, Bologna, Consorzio Provinciale Pubblica Lettura, De Grazia, Le donne nel regime Giovanni Gentile, La riforma della scuola in Italia, Milano citata in: Manacorda Le omissioni, qui tra parentesi tonde, sono nel testo di Manacorda. Noce, Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, il Mulino,  Giovanni Bedeschi, Il ritorno del maestro, sta in Il Sole 24 ore Domenica, 1Gennaro Sasso, Le due Italie di Giovanni Gentile, Bologna, il Mulino,  Martin Beckstein, Giovanni Gentile und die 'Faschistisierung' des Aktualismus. Zur Deformation einer idealistischen Philosophie, in «Acta Universitatis Reginaehradecensis, Humanistica I» Filosofia: A Firenze Convegno Studi Gentiliani  Fondazione Gentile | Dipartimento di Filosofia | SapienzaRoma Liberiamo la filosofia di Giovanni Gentile dalla faziosità del '900  Emanuele Severino: Ecco perché la giovane Italia sta andando in malora, da Il Fatto Quotidiano  È Gentile il profeta del la civiltà tecnica.  «I nemici di Giovanni Gentile», puntata de Il tempo e la storia, documentario Rai  Emanuele Severino, dalla quarta di copertina de L'attualismo, Milano, Giunti,   Nicola Abbagnano, Ricordi di un filosofo, Nella Napoli nobilissima, Milano, Rizzoli, "La partigiana Fallaci fa a pezzi l'antifascismo", pubblicato da Il Giornale.  Monografie principali Armando Carlini, Studi gentiliani,  VIII di Giovanni Gentile, la vita e il pensiero a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici, Firenze, Sansoni, Aldo Lo Schiavo, Introduzione a Gentile, Bari, Laterza, Sergio Romano, Giovanni Gentile. La filosofia al potere, Milano, Bompiani, Luciano Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Palermo, Sellerio,Augusto del Noce, Giovanni Gentile. Per una interpretazione transpolitica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino, Hervé A. Cavallera, Immagine e costruzione del reale nel pensiero di Giovanni Gentile, Roma, Fondazione Ugo Spirito, Gennaro Sasso, Filosofia e idealismo. IIGiovanni Gentile, Napoli, Bibliopolis, Hervé A. Cavallera, Riflessione e azione formativa: l'attualismo di Giovanni Gentile, Roma, Fondazione Ugo Spirito, Giorgio Brianese, Invito al pensiero di Gentile, Milano, Mursia, Gennaro Sasso, Le due Italie di Giovanni Gentile, Bologna, il Mulino, 1998 Gennaro Sasso, La potenza e l'atto. Due saggi su Giovanni Gentile, Firenze, La Nuova Italia, 1998 Hervé a. Cavallera, Giovanni Gentile. L’essere e il divenire, SEAM, Roma, Paolo Mieli, Una rilettura liberale di Giovanni Gentile, da "Le storie, la storia", Milano, Rizzoli,  Daniela Coli, Giovanni Gentile, il Mulino, Sergio Romano, Giovanni Gentile, un filosofo al potere negli anni del regime, Milano, Rizzoli, Francesco Perfetti, Assassinio di un filosofo. Anatomia di un omicidio politico, Firenze, Le Lettere, Gabriele Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Torino, POMBA, Hervé A. Cavallera, Ethos, Eros e Tanathos in Giovanni Gentile, Pensa Multimedia, Lecce, Hervé A. Cavallera, L’immagine del fascismo in Giovanni Gentile, Pensa MultiMedia, Lecce, Marcello Mustè, La filosofia dell'idealismo italiano, Roma, Carocci, Alessandra Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Bologna, il Mulino, 2009 Davide Spanio, Gentile, Roma, Carocci,. Paolo Bettineschi, Critica della prassi assoluta. Analisi dell'idealismo gentiliano, Napoli, Orthotes,. 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Saggio su Giovanni Gentile nel 130° della nascita, Vittorio Vettori, Giovanni Gentile, Roma, Editrice Italiana, Marcello Veneziani, Giovanni GentilePensare l'Italia, Le Lettere, Firenze,   Attualismo (filosofia) Fascismo Idealismo italiano Manifesto degli intellettuali fascisti Riforma Gentile Uccisione di Giovanni Gentile Ugo Spirito, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Gentile, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Gentile, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Giovanni Gentile, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Giovanni Gentile, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Gentile, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca. H  Questa soluzione della trascendenza è cara, s'intende, ai :filosofi che per la loro indole amano starsene alla fine­ stra a godere dello spettacolo che essi contemplano, ma di cui non hanno la responsabilità (né merito, né demerito). Nella strada la gente ignara soffre, combatte, muore; alla .lìnestra il filosofo (che come tale deve essere puro pensiero) imperturbato, spiega, si rende conto e si frega le mani. Il vecchio ideale di Lucrezio, che è alla base della eterna leggenda del filosofo che si libera delle passioni e rinunzia all'azione per chiudersi nel pensiero: Suave, mari magno turbantibus aequora ventis e terra magnum alterius spectare laborem; non quia vexari qucmquam'st iucunda voluptas sed quibus ipse malis careas quia cernere suave'st: suavc ctiam belli certamiua magna tueri per campos instrncta tua sine parte perieli: sed nil dulcius est, bene quam munita tenere edita doctrina sapienlum tempia serena, despicere unde queas alios passimque videre errare atque viam palantis quaerere vita.e, certarc ingenio, contendere nobilitate, noctes atque dies niti praestante labore ad summas emergere opes rerumqne potiri. O miseras hominum mentes, o pectora caeca I T.ucR. Il, 1-14.L'etica come legge . . p. 9 1. Disciplina. - 2. Positivismo ed empirismo. - 3. Legge. - 4. Prammatismo. - 5. Prassi e teoria. - 6. Oggetto del volere. - 7. Volontà- autoctisi. - 8. Praticità del conoscere. - 9. Unità cli teorico e pratico. - 1a."L·atto. JJ}-L'individuo ............... p.II i) Senso realistico e senso idealistico della individualità. - 'i; Individuo e società. - _J) Comunità immanente ali' individuo come sua legge. - ,f.) La comunità ideale e la gloria. - ; Vox populi. - 6:)La concretez1.a dell'individuo. - Ì} La conquista dei valori. - 8) li processo d<>IJa individualità. - g. La parti­ colarità dell'individuo nello spazio e nel tempo. III.-Ilcarattere. . . . . . . . p. 25 1. Velleità, volere, carattere. - 2. 11 carattere attraverso la condotta emJ?irica. - 3. Critica del concetto della molteplicità degli atti o l'unità del volere. - 4. Presente ed estemporaneo nel carattere. - 5. Trascendentalità del carattere. - 6) Il coraggio civile. - i> La socialità origmaria. \r:v1-Società trascendentale o società in interiore homine. . . . . . . . . . . . . . . .!' Alte" e socius. - Dalla cosa al socio. - 5. Il dialogo intemo, o trascendentale. - G'. Il momento dell'alteriEà. - 7. La dialettica pratica. - 8. La crisi dell'Universo. sare più al clovere che ai doveri - 0. Il bene e il male Avvertenza V. - La categoria etica e l'esperienza. . 'z. Dialettica dell'Io. - 3. li nulla. - 4. p. H 1. Unicità della categoria logica. 2. La legge dell'uomo: Pett.sa/ 3. Intendere e amare. - .4., Intendere pratico. - 5. La categoria etica. - 6. li senso morale e la sua inattualità. - 7. Dovere e doveri. - 8. Errore di metodo nell'etica. -'..i Necessità cli pen­ --,_ p. 33    190 INDICE VI. - Lo Stafo. p. 57 1. Concetto dello Stato. - 2. Nazione e Stato. - .3. Diritto. - 4. Governo e governati. - !1· Autorità e libertà, -f Il liberalismo. - 7. Etica e politica. 8. Stato etico. - 9. Moralismo, VII1 - Stato ed econoraia . . . . . . . . . . . . p. 71 t. Economicità dell'uomo e quincù dello Stato. - 2. Umanità dell'operare economico. - 3. Operare utilitario o utile? - 4. Umano e subumano. - 5. Il corpo e l'anima. - 6. Naturalità dell'utile. - 7. Le scienze della logica dell'astratto. -8. Lo schema del naturalismo nella logica dell'astratto. - q. La forma mate­ matica dell'economia. - ro. [L'utilitarismo. - n. L'edonismo. - 12. Moralità ed eudemonia.-13. Natura e Spirito. -14. Economia e politica. I VIII. - Stato e religione. . . . . . . . . . . . . p. 88 1. Rapporto essenziale tra i due termiai. - 2. Laicità. - 3. Rel-igio 1nstntme111u,n regni. - 4. Immanenza della religione nello Stato. IX. - Stato e scienza . . . . . . . . . . . . 1. Scienza e filosofia; e rapporto di questa con lo Stato. - 2. Necessità cli questo rapporlo.-31 Cultura. -4.Scienze naturali. - 5. L'obbligo dj critica della filosofia. - 6. Immanenza della .filosofia nrlla politica dello Stato. 'X.-LoStatoegliStati............ p.101 u Libertà e infinità dello Stato. - 2. P!ui:alità degli Stati, unità dello Stato. - 3. Critica del punto di vista intellettualistico. - 4. Concreto punto di vista pratico. - .'i_- Il riconoscimento degli altri Stati e il Diritto internazionale, - 6,_ )La guerra. -7.) La pace e la collaborazione umana. -fil Impero e ordine nuovo. Xl.-LaStoria................ p.106 r. La Storia come storia dello Stato. - 2. Storia dell'uomo. - 3. Statolatria. - 4. Autocritica dello Stato. - 5. Rivoluzione. - 6. L'Unico. - 7. Umaoesùno del lavoro. - 8. Famiglia - 9. Categorie di lavoratori e rappresentanza politica. 1XII.-LaPolitica............... p.u5 'I) Definizione della politica. j':)Etica e politica. -;) Im­ possioilità cli un'etica apolitica. -:;,:11 privato e il pubblico. - 5) La teoria dei limiti dello Stato.- Stato atoritario e demo­ crazia. - L'anarchismo e il Jiberalis1:no. - 8. Bellum omnium contra 01mies. - 9. Guerra e pace. - ro. Ordine. - u. Senti­ mento politico. - 12. Genio politico. - 13. La politica del fanciullo. - 141 La politica in ogni forma di attività umana. - 15. Politica dell'arte. - 16. Politica della scienza.- 17. Politica della lede. - 18. Chiesa e proselitismo. - 19. La dottrina della tolleranza. - 20, La politica diritto e dovere. p. 93   l:).'DICE 19r XIII. - La Società trascendentale, la morte e l' im­ mortalità.................. p.138 1. 11 motivo della fede ncll' immortalità. - 2. Immortalità e religione. - 3. L'equivoco. - 4. Illusioni. - 5. Fuga tn01-t1s. - 6. La difficoltà del problema e la soluzione. - 7. La morte. APPENDICE: L'immanenza dell'azione.NUOVI INDIZI DI (( IIEGELLOSIGKEIT )) ITALIANA    11 prof. Bollami dell' Università di Leida in un suo inte¬  ressante opuscolo *, qualche anno fa mettev a in, mostra una  lunga fdza di evidenti spropositi commessi da filosofi con¬  temporanei di ogni risma nel parlare di Hegel. E dopo  avere rilevato con 1 ’ Herbart, con l’Alexander, col Barth.  col Taggart, che Hegel non concepì mai la follìa 4 Lde-  durre dal pensiero auro ciò che non è puro pensier o (realtà  naturale e realtà storica), ma volle solo sistemare logica¬  mente, — comunque poi si giudichi questa sistemazion e e  la sua possibilità. — la cognizione necessariamente empi-  rica della natura e della storia, soggiungeva: «Intanto  anche F. Paulsen in vólliger Hcgellosigkeit afferma (nel  suo Kant, p. 177) che Hegel deduce a priori la stessa  natura ». *" L -      yOVt      Di questa Hegellosigkeit, che non saprei davvero come  tradurre in italiano, di questo stato d' hegeliana innocenza,  cosi caro tuttavia agli studiosi di filosofia italiani, fu dato  recentemente dal Croce 2 qualche cenno' significativo dove  si mostrò con quanta competenza sia stato spesso giudi¬  cato in Italia 1 Hegel da quelli che volevano passare per    1 Alte I ernunft unii netto I’erstami, Leiden, 1002,  3 Critica, IV, 410-11.    n — Saggi critici.          i    — /»x4it'w® \    TU) , Kvuf^vru?    - xtiekW^o * ** '   — 162 —    jpt uJQy>^òfjO    suoi avversari. Una prova recentissima ne ha avuta però  lo scrivente per aver curata una nuova ristampa degli Lh -  menti di filosofia 1 di Francesco Fiorentino secondo la pri¬  mitiva edizione del 1877, dall’autore più tardi parzialmente  rifatta e radicalmente mutata nell’ indirizzo dottrinale. Al¬  cuni (tra i quali uomini dotti nella storia della filosofia)  han rimproverato il nuovo editore di aver voluto dare un  Fiorentino hegeliano, laddove il Fiorentino dagli studi  degli ultimi anni della sua vita era stato costretto ad ab¬  bandonare le dottrine di Hegel per accostarsi al neokan¬  tismo. E un insegnante di liceo, a chi proponeva il libro  per testo scolastico, opponeva senz'altro ch’egli non po¬  teva adottare «un libro prettamente hegeliano!)).   Molto probabilmente l’unico fondamento di quest’as¬  serzione, che io denuncio soltanto per richiamare ancora  una volta l’attenzione sulla comune Hegellosigkeit, è in  ciò, che questo libro è stato ristampato per cura mia, e  da me consigliato ai colleghi dei nostri licei. Ma, trala¬  sciando i motivi che mi hanno indotto ad additare il ma¬  nuale del Fiorentino, nella sua forma originaria, come  l ’unico , fra quanti ne abbiamo in Italia, degna , ancoraci  es ser m esso nelle mani dei giov ani e tolto a base d’un  p j nmp~ìnsegnamento filosofico (motivi che credo di avere  sufficientemente accennati nella mia prefazione alla detta  ristampa), qui voglio solo annunziare, col debito  permesso dei colleglli accusatori, che il libro del Fioren¬  tino nella prima edizione non è punto hegeliano;  e che la differenza tra la prima e la seconda edizione non è  divario tra hegelismo e kantismo, ma tra kan¬  tismo ed empirismo spenceriano.   Poiché ne avevo l’occasione, a me parve opportuno to¬  gliere di mano ai giovani, che cominciano a riflettere su  cose filosofiche, un libro, — raccomandato al nome di  Francesco Fiorentino, per tanti titoli benemerito della cul¬  tura filosofica italiana, — nel quale s’insegnava a riflet¬  tere su verità di questo genere : « Kant intende • per a  priori soltanto ciò che non‘è derivato dalla sperienza, ma  che invece è condizione indispensabile, perchè la sperienza    1 Torino, Paravia, 1007: voi I: Psicologia e Logica       i63 —    sia possibile. Egli non investiga, se questo a priori abbia  potuto originarsi da una associazione di esperienze ante¬  riori accumulate, trasmessa poi per eredità; nè poteva ai  suoi tempi, e prima del Darwin, porre il problema in questi  nuovi termini. L ’q trio ri kantiano è una funzione dell o  spinto , non già un dato : e questo ritenghiamo anche noi :  ma ciò non toglie, che pure di questa funzione si possa  cercare di spiegare la genesi», un libro, in cui si dichia¬  rava che l’d priori kantiano è una semplice fer¬  mata al concetto dell’ attività preformata a  compiere certe funzioni, senza di cui la  sperienza non si farebbe; e che « la filosofia  moderna.... domanda: come si è preformata ? E cerca di  trovar la risposta in due fattori: l’asso¬  ci a z i o n è e la eredità; la prima che accumula, la  seconda che trasmette. Per loro mezzo, l’a priori  dell’individuo sarebbe ciò ch’è poste¬  riori per la specie» (23* ed., pp. 30-31 n.).   E altrove : « Se il fine etico, che è la vita comune, è  stato il risultato di una lunga lotta per l’esistenza, è pur  sempre vero che cotesto primo acquisto viene  oggi trasmesso come eredità, che gl’in¬  dividui trovano, e non debbono più riacquistare »  tp. 288 n.). Proposizioni che si equivalgono nei due campi  della conoscenza e della pratica, e di cui lo stesso Fio¬  rentino. ci dice la fonte, dove avverte (p. 304) che «nella  filosofia dello Spencer ogni a priori è sbandito, e tutto è  spiegato con l’adattamento, o con la trasmissione eredita¬  ria ». E tutta la seconda edizione è ispirata a questo prin¬  cipio della negazione di ogni assoluto a priori: onde si  costruisce nèi primi capitoli una teoria psicologica della  conoscenza che non occorre qui valutare. Quello che non  ha bisogno certamente d’ulteriore schiarimento, è che tale  negazione dell'a priori e tale confusione del problema psi¬  cologico con lo gnoseologico, non può a niun patto ac¬  cettarsi come integrazione del kantismo.   C’era un Fiorentino, che pur poteva presentarsi ai gio¬  vani, e che io ho rimesso in luce; un Fiorentino che non  s’era lasciato sfuggire il vero punto di questa questione  fondamentale dell'a priori, che è pòi il problema di vita        — i&4 —    o di morte per Io spirito, e quindi della scienza e della  moralità Nella prima edizione lo stesso Fiorentino aveva  detto « Vuoisi avvertire, che l’o priori non si deve inten¬  dere come qualche cosa di preesistente, di preformato.... ma  come una funzione essenziale dello spirito » (nuova ediz.,  P 33 )- Aveva discusso, opponendole l’una all altra, le dot¬  trine di Kant e di Spencer intorno all’apriorità o aposterio¬  rità della coscienza, e aveva dimostrato che non se ne può  dare nessuna derivazione empirica perchè « la coscienza è un  rapporto tale, di cui nel mondo esterno non si trova il cor¬  rispondente; ed è un rapporto semplice, che non si può de¬  durre dalla risultante delle nostre rappresentazioni. L’Io, la  coscienza è originaria » (51). « 11 fondamento dell'esperienza  non può essere attinto mediante l’esperienza » (57). E que¬  sto fondamento è nella coscienza e nelle sue categorie.  « Se tutto derivasse davvero da dati sperimentali, nè l’idea  di sostanza, nè quella di causa, quali noi le concepiamo,  sarebbero ammissibili » (63).   Questo mi pare puro e schietto kantismo ; e se. il con¬  cetto d’una possibile integrazione di Kant per via delle  ricerche psicogenetiche è uno sproposito, che oggi non ha  più bisogno d'essere dimostrato tale, mi pare anche evi-,  dente che ricondurre il manuale del Fiorentino a’ suoi  principii fosse dovere imprescindibile d’ ogni nuovo edi¬  tore, hegeliano o non hegeliano. Perchè, dato e. non con¬  cesso che empiristi si possa essere per proprio conto,  certo per nessuno è più sostenibile una svista di questo  genere per cui, appunto a proposito dell interpretazione  di Kant, una questione gnoseologica si scambia con una  questione psicogenetica.   Hegel, dunque, non c’ è entrato proprio per nulla, be  ci fosse stata del Fiorentino un’edizione hegeliana ante¬  riore alla kantiana, chi sa!, avrei preferito il Fiorentino  hegeliano al kantiano. Ma gabellare per hegeliano quello  che ho dovuto e potuto scegliere, francamente, mi pare  indizio di Hegellosigkeit ! Pur troppo, anche nella prima  redazione del suo manuale il Fiorentino rende omaggio  al fantasma della materia opposta all’attività formale dello  spirito; e nell’etica, invece di correggere il timido forma¬  lismo kantiano col formalismo assoluto, crede di compierlo      — 165 —    con l’eudemonismo aristotelico. Non importa: sempre me¬  glio, infinitamente meglio Kant, anche se non perfezio¬  nato, che Spencer!   Si sente, per esser sinceri, negli Elementi del Fioren¬  tino un’eco lontana dei Principii di filosofia (1867) dello  Spaventa. Ma non più che un'eco, nel paragrafo sull’auto¬  coscienza (pp. 66-7). Ma, se Hegel s'avesse a rannicchiare  in quell'a u t o c t i s i della coscienza accordata con tutto  il formalismo astratto accettato e difeso dal Fiorentino,  io ritengo che potrebbero andare a braccetto con lui tutti  i kantiani più scrupolosi del mondo.   1907. LA FILOSOFIA A NAPOLI  DOPO G. B. VICO (1750-1850).   1. Nel 1743 A. Genovesi cominciò a pubblicare in  Napoli i suoi Elemento, metaphysicae. Nel 1744 morì G. B.  Vico. Questi aveva avuto due profonde intuizioni fon¬  damentali: una intorno alla potenza costruttiva dello  spirito, per cui anticipò il principio di soggettivismo  kantiano; P altra intorno al concetto dell’ assoluto come  sviluppo nella natura e nel pensiero, per cui anticipò  il principio della nuova metafisica dimostrata dalla Lo-  >jica di Ucgel. Ne’ 6tioi Elementi di metafisica il Geno¬  vesi invece si mostra seguace di un incoerente sincre¬  tismo, in cui la monadologia leibniziana s’ accoppia con  l’empirismo di Locke. Così la tradizione del grande  pensiero di Vico è spenta sul nascere, e finita con  1’ uomo che nella solitaria meditazione del diritto, anzi  di tutto lo spirito come vive nella storia, aveva attinto  una forza speculativa che lo pose al di sopra e fuori  del tempo suo, episodio solenne nella storia del pen¬  siero italiano. Gl’ interpetri del pensiero di Vico non  furono nè i suoi coetanei, nè i suoi immediati successori  nella filosofia italiana in genere e napoletana in ispecie.        58    STORIA DELLA FILOSOFIA   La vera interpetrazione cominciò in Germania col Jacobi, 1  dopo Kant, e fu compiuta in Italia in quel fervore di  pensiero nuovo, che venne suscitato dall’ hegelismo, da  Bertrando Spaventa.* *   2. Tra Vico e Spaventa — i cui primi scritti cadono  attorno al 1850, — per tutto un secolo, c’ è un’ inter¬  ruzione nello sviluppo dell’ idealismo iniziato dalle opere  di \ ico ; nella quale il pensiero napoletano si appropria ed  elabora per conto suo la moderna filosofia europea. Questo  movimento, che riempie tutto il secolo che va dalla  metà del secolo XVIII alla metà del XIX, può essere  designato dai nomi dei due pensatori che aprono e chiu¬  dono tale periodo, Dal Genovesi al Galluppi. E così  appunto s’intitola la monografia, nella quale ho cercatq  d’illustrare tutti gli studi speculativi più notevoli di  cotesto periodo. 3   Può recar meraviglia, che la ricerca sia così limitata  dentro i brevi confini di spazio accennati dai nomi stessi  del Genovesi e del Galluppi, e corrispondenti ai confini  del reame di Napoli, ila chi ponga mente alle condizioni  d Italia per tutto il tempo del dominio borbonico, alle  piofonde differenze civili e politiche e letterarie, in una  paiola, storiche, tra la parte meridionale e il resto della  penisola, troverà ovvia e storicamente esatta la linea  da me tracciata intorno ai pensatori che ho studiati e    Vedi lo scritto Voti den gòtlUchen Lìingen unii ihrer Offenbarung  (1811), in Werke, Leipzig. 1816, III, 358. Sul kantismo vicinano cfr.  specialmente Tocco, Descartes jugé par Vico in Reme de métaphy-  sigue et de morale del luglio 1896, pp. 568-78, e gli scritti da me  citati nel Discorso premesso agli Scritti filosofici di B. Si’avknta Na-  poli, 1901, p. LXXV.   • Vedi tfli Scritti cit., pp. lxxxiv lxxxix, 139-45, 303 e segg.   3 Studi di letteratura , storia , filosofia , pubbi. da B. Crock, voi. I  (Napoli, Edizione della Critica , 1903 ).         LA FILOSOFIA A NAPOLI 59   considerati come formanti una speciale serie storica  a sé.   3. Pel carattere generale della loro filosofia questi  pensatori costituiscono una continuata corrente di em¬  pirismo, a cominciare dal Genovesi stesso, in cui ben  presto il principio critico dominante nell’ empirismo  lockiano corrode ogni concetto metafisico, fino ad Ottavio  Colecchi (1773-1847), filosofo abruzzese pochissimo noto  — benché i suoi scritti consacrati all’ interpretazione di  Kant, quelli specialmente relativi alla filosofia pratica,  possano ancora esser letti con profitto — il quale, pur  combattendo la «filosofia dell’esperienza» del Galluppi  dal punto ili vista del kantismo, insiste tuttavia su  talune correzioni eh’ ei vorrebbe apportare alla Critica  Mia ragion pura in un senso decisamente empirico¬  oggettivo.   Ma tutti quosti empiristi si potrebbero dividere in  due generazioni: 1 una di ideologi e l’altra di criiicisti;  e tra mezzo a queste un gruppo di seguaci della filosofia  scozzese e di eclettici. Tra gl’ ideologi scrittori come  Melchiorre Delfico (1744 - 1835), Pasquale Borrelli (1782-  1849) e Francesco Paolo Bozzelli (1786-1864) meritano  certamente di esser posti accanto agl’ ideologi contem¬  poranei francesi, ai Cabanis, ai Destutt de Tracy, coi  quali essi formano quasi una sola famiglia, rispecchian¬  done spesso il pensiero pur senza ripeterlo. Anzi il Bor-  relh e il Bozzelli stanno, 1’ uno per la sua genealogia del  pensiero (com’ ei chiamava la sua filosofia dello spirito) e  per la sua critica di Kant, e 1’ altro pel suo tentativo di  morale intellettualistico-utilitaria, al di sopra dei francesi;    di 8 ‘ ba,la a " a dala di P“*»bUM*lone delle opere   di quest! filosofi e al tempo (leir influenza da essi esercitata; giacché  per a nascita due degli ideologi furono più giovani dei criiicisti.       60 STORIA DELLA FILOSOFIA   il cui valore nondimeno fu giustamente rivendicato nella  storia della filosofia dall’ ottima monografia del profes¬  sore F. Picavet su Les idéologues pubblicata nel 1891.  Una pari rivendicazione in prò dei confratelli italiani  vuol essere in parte il mio lavoro, mediante una larga  notizia e uno schiarimento delle loro dottrine. Onde ci  son rimasti documenti notevolissimi in libri ed opuscoli  estremamente rari, nelle riviste del tempo e in mano¬  scritti ancora inediti.   4. In mezzo alle due generazioni alcuni pensatori le-" '  vano la voce contro le tendenze materialistiche, palesi   o nascoste, proprie del pensiero speculativo di questi  ideologi, traendo autorità e argomenti dalla filosofia del  senso comune del Reid o dall’ eclettico spiritualismo del  Cousin e della sua scuola. Non hanno nessuna origina¬  lità di dottrine : ma con le loro esposizioni e coi loro  commenti di molti libri francesi, eco, per quanto fioea,  di celebri filosofie europee, valgono a suscitare o pro¬  muovere un moto di studi e di partecipazione al lavoro  filosofico straniero, onde a poco a poco si ringagliardisce  la fibra del pensiero napoletano, e si prepara una scuola  di veramente alto e libero filosofare: da cui uscirà l’e¬  stetica di Francesco De Sanctis e la metafisica e la  storia della filosofia di Bertrando Spaventa. In questa  parte la mia monografia studia scrittori mediocri, testi¬  moni di cotesta preparazione al risveglio filosofico po¬  steriore.   5. Nella seconda generazione campeggiano due figure  principali: P. Galluppi e 0. Colecchi: due kantiani, di  cui si può dire che la vita speculativa si consumi tutta  nella meditazione del criticismo. Ed entrambi riescono  per due vie opposte al medesimo risultato, che è di  accettarlo sostanzialmente e di farne penetrare profonda¬  mente lo spirito nella filosofia del loro paese. Il Galluppi   À            61    LA FILOSOFIA A NAPOLI   combatte sempre, o quasi sempre, un Kant immaginario  con le armi del Kant reale ; e il Colecchi combatte con  le armi stesse un immaginario Galluppi, o almeno un  Galluppi che non è il vero, poiché non vede di lui che  la dichiarata opposizione al kantismo, e non scorge mai  il valore intrinseco delle dottrine da lui professate. Dalla  curiosa situazione di questi due pensatori, che genera  altre false posizioni nella filosofia italiana successiva,  nascono, com’è agevole pensare, due conseguenze: 1°  che la scuola dei galluppiani continuerà a combattere  Kant e tutta la filosofia tedesca posteriore, sempre meglio  conosciuta in grazia dell’influsso francese già accennato;  2° che la scuola del Colecchi e dei tedescheggianti con¬  tinuerà per un pezzo a disconoscere il vero valore del  pensiero del Galluppi e di quella filosofia italiana, che  da lui prende le mosse : ossia della rosminiana e gio-  bertiana.   6. Se da queste ricerche si sottrae la parte che con¬  cerne il Genovesi e il Galluppi, si può dire che esse  scoprano una regione presso che sconosciuta nel campo  della filosofia moderna. E poiché anche del Genovesi e  del Galluppi questo studio analitico della serie in cui  essi rientrano, pono sotto una luce in parte nuova e in  parte più chiara il significato e il valore, può pure af¬  fermarsi, che l’insieme di queste ricerche colmi una  lacuna nella storia della filosofia italiana, anzi della  europea. Vico, infatti, e l’interpetrazione di Vico, i due  termini al cui intervallo coleste ricerche si riferiscono,  non sono due capitoli della storia della filosofia italiana,  ma due capitoli della storia della filosofia europea: ed  è difetto gravissimo quello che può notarsi in proposito  in tutte le recenti storie straniere della filosofia moderna.  A. Genovesi, M. Delfico, P. Borrelli, F. P. Bozzelli,  P. Galluppi e 0. Colecchi sono nomi ai quali, una     62    STORIA DELLA FILOSOFIA    volta conosciuti gli scritti a cui sono legati, devesi pur  rovare un posto, e non degl’ infimi, nel quadro degli  u imi tentativi dell’empirismo naturalistico e materia¬  listico del secolo XVIII e delle feconde discussioni  suscitate dalle Critiche di Kant in ogni paese civile.   1903. DOCUMENTI INEDITI  SULL’ HEGELISMO NAPOLETANO 1    « Il trionfo dell’ Idea » in Italia :   Antonio Tari e Floriano Del Zio   Fin dal 29 ottobre 1860 B. Spaventa era stato nomi¬  nato professore di Filosofìa nell’ Università di Napoli ;  e la sua nomina — scriveva a lui stesso il De Meis, da  Napoli — era stata accolta in questa città « con una  commovente impazienza dai giovani e dal pubblico ». Ma   10 Spaventa chiese ed ottenne di tornare e restare qualche  tempo a Bologna, dove nel maggio era passato, da Mo¬  dena, a insegnare Storia della filosofìa, per farvi almeno   11 primo corso semestrale e « non mancare al suo dovere  verso quella Università». A Napoli, dopo una rapida  corsa nel novembre, non andò se non negli ultimi  mesi dell’ anno appresso. Era a Torino dall’aprile, perchè  eletto deputato di Atessa (ma la sua elezione fu annul¬  lata il 25 giugno per eccedenza del numero legale di  deputati professori, * quando gli pervenne la seguente    1 Già pubblicato nella Critica del 1906; ma qui ristampato con  molte aggiunte.   * Vedi per questi particolari il mio B. Spaventa, Firenze, Vai-  lecchi, 1925, p. 109.     182    STORIA DELLA FILOSOFIA    lettera di Floriano Del Zio, che è un curioso documento  delle disposizioni degli animi verso 1’ hegelismo nella  gioventù colta di Napoli, da cui lo Spaventa era atteso :   Napoli, 30 giugno 61.   Amico carissimo,   Mi prendo licenza di togliervi con questa mia una piccola  parte del tempo che cosi lodevolmente sacrate alla scienza.   E per due ragioni. Per procurarmi il bene di aver vostre  novello, e per dirvi poi alcunché sul trionfo dell’ Idea, alla  qualo abbiamo data la nostra fede.   Sono pervenute qui in Napoli parecchie copie del nuovo  libro di Vera (V Hégélianisme et la Fhilosophie). T. lavoro  scritto con molta spiritosità, e che non solo porrà a dovere  1’ intelletto superficialissimo degli ecclettici francesi, ma farà  pure il suo buon effetto in mezzo al dilettantismo filosofico  de’ nostri dominatici. Si comincia a sentire come il Pensiero  sia P infinita misura e forza, che, battuto ogni positivismo  storico e morale, eleverà ad armonia vivente Essere e Spirito,  Natura ed Umanità. — Son persuaso p. es. che il signor Pes¬  ame, che tanto ride dell’ Jissere-per-si — e della Fila ridotta  a Pensiero da De Meis, cesserà di sparlarne così frequeu-  temeute, dopo che avrà contemplato il gaio spettacolo che ha  dato di sé Monsieur Jauet.   Come Hegel disse che ai tempi della Rivoluzione francese  una nuova vita, un nuovo sole sorgevano per risplendere in  mezzo agli uomini, noi possiamo dire che oggi il suo proprio  principio filosofico, l’Assoluto Spirito, è la forza che dovrà  consapevolmente invadere ogni cosa, e chiarificare le creature  tutte quante di un raggio della idealità infinita. Affrettatevi,  amico, a partecipare alla gran vittoria. Felice voi, che siete  sì bene apparecchiato a questa lotta, che chiude nel proprio  grembo 1’ adempimento della libertà assoluta dell’ Uomo, e  quel regno di giustizia e di amore, a cui tutte cose corrono  come al bacio dell’ Universo, giusta il bel dotto di Schiller:  Diesen Kur der ganzen IVelt !   Il punto però che nel libro del Vera avrei desiderato più  estesamente sviluppato, è quello della pluralità dei mondi. I,a  dottrina di Hegel su questa materia non può essere difesa  che movendo dal principio dell’ Unità della Coscienza di si    L’ HEGELISMO NAPOLETANO    183    dello Spirito, unità che, nel presupposto della pluralità de’  mondi, avrebbe fuori di sè i circoli della vita siderea oltre¬  tellurici ; e cesserebbe d’ essere in conseguenza la pieua ed  una Coscienza di sè. A questa è necessario che tutto 1* essere  sia suo sapere.   La dottrina poi dello Spirito assoluto, ne andrebbe, in quel  presupposto, interamente falsata. Noi non conosceremmo pili  l’Assoluto, come vuole Hegel, ma l’Assoluto umano. E, non  potendo darsi ripetizioni nello spirito, si dovrebbero porre,  post’ i mondi come innumerabili, intellezioni intinite, infinita¬  mente diverse, dell’ istesso Assoluto. E dove sarebbe l’idealità,  1’ unificamento di esse? Se si risponde: nell’Idea medesima  dell’Assoluto — , altri potrebbe osservare che quest’ idea ap¬  punto è quella che deve essere concreta nell’Umanità. L’U¬  nità della Rivelazione universale dello Spirito sarebbe sempre  un postulato. Krause immagina una sintesi superiore do’  pianeti e delle stelle; ma la comunione dell’Umanità terrestre  colla solare è sempre data da lui come un’ intuizione, come  un desiderio!   Anche il signor Tari, riconosce nella sua Lettera la necessità  della pluralità de’ mondi. Ma in questa ipotesi vedo sempre  che 1’ indeterminato piglia il Inogo del sistematico, e che il  fantastico si sostituisce alla scienza. Diventa oramai neces¬  sario di approfondire maggiormeute 1’ infinito matematico nel-  1’ influito filosofico, e sottomettere cosi 1’ astronomia al con¬  cetto della finalità assoluta, lo Spirito.   La lettera però del Tari appunto perchè, com’ ei dice,  tiene il germe del suo proprio sistema, avrebbe dovuto essere  più lunga e scritta più chiaramente.   Vi prego intanto mandarmi una copia della vostra prolu¬  sione alla storia della filosofia italiana, perché n’ ebbi ili dono  nell’anno scorso una copia dal vostro fratello D. Silvio; ma  quando scesi in Basilicata per 1’ insurrezione, la sperdei a  Potenza, e non ho potuto procurarmene un’ altra. Se poi con  questa mia preghiera dovessi riuscire indiscreto, allora usa¬  temi la cortesia dirmi presso chi è vendibile a Torino, perchè  sarà mia cura farla richiedere da librai napoletani.   Quando portate a stampa il vostro libro su Gioberti f Esso  dovrà levar grido straordinario, secondo che mi accennano i  comuni amici, e per quanto ancor io presagisco dal vostro  ingegno. Date presto ; e nel frattempo compiacetevi di tenermi         184 STORIA DELLA FILOSOFIA   di tanto in tanto consapevole de’ vostri stndii, e segnatemi •   quelle opere che possono concorrere all’ aumento vero della  scienza.   I miei ossequi a Tari ed all’ egregio De Sanctis. Se posso  attestarvi in alcunché la uiia devozione, comandatemi libe¬  ramente.   Vostro amico  Flokiano Dei. Zio.   AH’ Egregio Bertrando Spaventa   Deputato al Parlamento Italiano in  Torino.   II libro, da cui il Del Zio prende le mosse, è 1 ’ Hé-  gélianisme et la Philosophie (Paris, Detken 1861), che il  Vera, allora professore di Storia della filosofia nell’Ac¬  cademia di Milano, aveva pubblicato poco innanzi per  ribattere le critiche mosse ali* hegelismo da Paul Janet  e da altri scolari del Cousin. — Enrico Pessima, già di¬  scepolo del Galluppi, dal Galluppi era passato al Gio¬  berti e dal Gioberti al Krause; e mormorava contro  Hegel e gli hegeliani 1 .   La lettera di Antonio Tari, a cui il Del Zio accenna,  è un articolo, uscito appunto nel fascicolo di giugno  del 1861 della torinese Rivista contemporanea, col titolo:   De’ rapporti del Kantismo collo stato della filosofia in  Alemagna, Lettera filosofica. Il difetto di chiarezza la¬  mentato in questo scritto dal Del Zio, e divenuto  poi sempre maggiore e sempre più caratteristico del-  P ingegno del Tari, — che ingegno ebbe e una certa  bizzarra genialità — aveva fatto dire allo Spaventa, in  una lettera a suo fratello Silvio, dell’8 marzo 1858:   «Ho letto molti mesi fa un articolo di Totonno... Un    1 Vedi il mio B. Spaventa, p. 114; Spaventa, La fllos. ital. in re¬  lazione con la fllos. europea,' p. 275 e una lettera dello stesso Pes-  sina nella Critica V (1907), 494-5.   ♦        L’HEGELISMO NAPOLETANO 185   articolo filosofico, come puoi immaginarti, sopra un  punto di estetica. Mi pare che abbia studiato finora per  imparare a non farsi capire. I tedeschi non sono facili  a comprendersi, e la colpa è un po’ anche loro. Ma i  più difficili tedeschi sono facilissimi di fronte a Totonno;  il quale mi pare che abbia preso da costoro più i di¬  fetti che i pregi. Ti dico, in confidenza, che sono ri¬  masto trasecolato; e che, dopo tanti anni e con tanto  ozio, mi aspettavo qualcosa di meglio da lui »*.   « Dopo tanti anni ! » S’erano conosciuti a Cassino, quando  Bertrando insegnava a Montecassino (tra il 1838 e il  1840); e il secondo giorno, seduti fraternamente sulla  sponda d’ un letto, Bertrando apriva così la conversa¬  zione: «Dunque, che ne pensate delle categorie kan¬  tiane?»-. Da lui lo Spaventa aveva appreso i rudimenti  del tedesco ; e, col suo aiuto, acquistato familiarità con  la letteratura filosofica tedesca. Nella quale il Tari,  chiuso dal 1849 al 18G0 nella solitudine di un villaggio  (Terelle, in provincia di Caserta), s’era sprofondato,  accumulando una meravigliosa erudizione. Questa però  non valse in verità a rischiarare il suo pensiero. Il  quale dall’assoluto idealismo di Hegel finì nell’agno¬  sticismo del suo cosidetto Innominabile ; in cui credette  si '_ lovesse fondere in una unità superiore lo spinozismo  e 1’hegelismo; in quanto il divenire della logica pre¬  suppone un principio, che, essendo fuori del divenire,  è fuori della logica; e non si può chiamare Volontà, nè  Monade, nè Inconscio, nè Noumeno, nè altro; poiché  ogni nome importerebbe conoscenza, quindi un movi¬  mento di pensiero, quindi il divenire. È un’ essenza    p 'ri SPAVBNTA ’ Dal 184i al i8G1 < leU < scruti e (toc., ed. Croce,»   R. Cotuono, Le lettere di A. Tari in diresa dell’ « Innomina¬  bile», Iranl, Vecchi, 1905, p. XVI.     186    STORIA DELLA FILOSOFIA    non battezzata e non battezzatile, l’Innominabile. « An-  ch’ io, Bpecie di Lohengrin, difendo il santo Graal.  Sapete qual’ è? La dotta ignoranza, che Hegel chia¬  mava l’ignoranza dotta».   Non è questo il luogo di chiarire questo innominabi-  liBmo o limitiamo, — com’ egli anche lo chiamò, — del  Tari *. Giova piuttosto ricordare un aneddoto dello Spa¬  venta. Il quale, richiesto di consiglio da uno scolaro  del Tari per una dissertazione di laurea circa il diritto  di punire, il 29 settembre 1882, gli scriveva : « Ti vo¬  levo suggerire di chiedere consiglio al nostro caro Tari.  Chi sa, l’Innominabile! Ma come cavare da lui il di¬  ritto di punire? Mi ricordo di aver detto a Tari, quando  fu nominato professore ordinario (nel 1873), che la sua  nomina era in contradizione coll’ esistenza dell’Innomi¬  nabile, principio, essenza, natura, causa di ogni cosa  e avvenimento. Figurati il diritto di punire!» 1 . — Il  Tari, che di questa lettera doveva aver notizia dallo  scolaro, rispondeva a questo, il 23 ottobre 1882 : « Par¬  liamo ora un pò del quesito, con cui mi tenta 1’ ami¬  cissimo Bertrando Spaventa. Eccolo: —Come concilie¬  remo il diritto di punire con la dottrina dell’ Innomi¬  nabile? — Se fossi profeta, o figlio di profeta, di  rimbecco direi : Vade retro, Satana. Noli tentare Tariiim  admiratorem tuum! —- Ma, non essendo Gesù, nè gesuita,  mi contento di rispondere con un tibi quoque. Ossia: —  Anche a te, o pensatore liberissimo, fa intoppo questa  pietra di giuridico scandalo? Anche a te metterebbe  conto salvar capra e cavolo ; cioè la capra della Feno¬  menalità di ogni fatto umano, ed il cavolo della pretesa    * V. le mie Orig. della / Uos. contemp. in Italia, III, pari. II,  pp. 28-37.   * COTI’GNO, Leu. cit M p. 43.        L’HEGELISMO NAPOLETANO 187   Giustizia Assoluta? — Eppure ricordo che, disputando  con me di questo brocardico, uscisti in questa categorica  sentenza: — La pena non è che una valvola di sicu-  rezza che la società impiega a garentirsi di chi la in¬  sidia 1 . E di fatto, il voler costruire a priori un ma¬  nifesto modus rivendi essenziale, epperò cangevole etno-  crono-topograflcamente è marcia follia. La Idea Giustizia  Assoluta anzidetto, s’ ha a lasciare nel natio concavo  della luna, insieme al cervello dei tanti Astolfì dell’in¬  natismo. Chi ben pensa, riconosce la deplorevole povertà  di siffatte deduzioni... Diritti e doveri, Pene e ricom¬  pense non giacevano in seno a Giove, a mo’ delle uova  dell’aquila esopiana, ad aspettare che lo scarafaggio  umano le facesse rotolare nel basso mondo; ma si for¬  marono, con un quasi stillicidio psicologico, a poco a  poco scavandosi un bucherello nel naturale egoismo...   E tutta la giustificazione delle pene, da quella del ta¬  glione e quella penitenziaria, che è ancora in Werden  si riduce a formare la necessità di salvarsi al bosco  dalle belve accoppandole, ed alla città dai birboni ren¬  dendoli incapaci di nuocere. Ora quali sono i birboni?  ** U1 e 11 busil tis; e qui interviene P Innominabile a  comporre la gran lite, illuminando i legislatori sul da  fare in sullo sdrucciolo del dispotismo, dove si trovano  sempre... Il codice penale, non che un bene in sè, è un  necessario male, presso a poco simigliante alla chirurgica  estirpazione di un arto, il quale, se curabile, anche a  dilungo, l’operatore rispetta religiosamente... Un inno-    mi 'n^ 10 S , paventa avrà l )ure " sa[0 '(«està frase. Ma la valvola per  del delino, ! V ? Cbe neCessaria ' c °“>« necessaria era l'insidia   dello s r n e a,,a | S0Cie,A: d ’"' ,a necf8sUà Andata su"» natura  o spirito, ossia sul concetto concreto del bene. Il genuino pensiero  dello spaventa intorno all'assoluta giustificazione della pena é ne  suoi Principi di dica, ed. Gentile, p. 102 sgg.        188    STORIA DELLA FILOSOFIA    minabilista può solo affermare, in barba a tutti i dot¬  trinari criminalisti del mondo, come qualmente il bar¬  baro Kedivè egiziano funzionerà legalmente, da par suo,  fucilando e forse impalando 1’ eroe Arabi pascià, reo di  non aver saputo nascere dove e quando dovea. Ed in-  neggerà al magnanimo Umberto, il quale, facendo grazia  all’abietto Passannante, confondeva molti tirannelli stra¬  nieri e mostravasi anche dappiù del Re Galantuomo  suo padre, cioè filantropo e progressista. In Oriente il  palo, in Occidente 35 legislazioni che aboliscono il car¬  nefice (v. ult. lett. di Victor Hugo): chi ha ragione?  Secondo l’illustre prof. Vera ha ragione il palo!... 1  Insomma, le cose anzidette tumultuariamente, a modo  mio, rispondono su per giù al caro mio tentatore Asmo-  deo Spaventa »*. — Avviatosi per la sua striida, il Tari,  dunque, negava coraggiosamente jT diritto come diritto.  Poeto-1’ assoluto di là dal divenire, nel divenire, ch’egli  vedeva indirizzato a un Nirvana iperindividualistico, non  poteva trovare niente d’ assoluto. Per lui il magnifico  proemio dello Spaventa ai Prineipii di etica (1869) in¬  torno al rapporto dell’assoluto col relativo, e quindi al  concetto dell’ assoluta relazione (per cui 1’ assoluta giu¬  stizia non solo comporta, ma richiede per la propria  realizzazione tutti i modi di esistema cangevoli etno-crono-  topouraficamentc), non era stato scritto. E come in quel  concetto è il segreto dell’ hegelismo, era naturale che  egli non riuscisse ad orientarsi e a vedere la nullità  del suo Innominabile in quanto tale, in quanto sostanza,  cioè di qua dallo spirito.   Il Tari fu insomma de’ tanti che girarono attorno a    1 A. Vbra nel 1883 pubblicò un opuscolo La pena iti morte (risi,  nel Sappi filosofici, Napoli, Morano, 1883. pp. 37-381, dove svolgeva le  ragioni del sistema hegeliano in sostegno della pena di morte.   * COTUONO, pp. 22-6.      189    L’HEGELISMO NAPOLETANO   Hegel, ricevendone magari ispirazione e suggestioni fe¬  conde, senza scoprire il principio vero del suo pensiero.  Molti si ritrassero presto sconfortati dall’impresa; etra  questi il Del Zio, che con tanto entusiasmo nel ’61  studiava le opere e la letteratura hegeliana; e ansiosa¬  mente aspettava gli scritti dello Spaventa (la prolusione  letta a Modena sul Carattere e sviluppo della filosofia  italiana del secolo A VI sino al nostro tempo ‘ e la Filo¬  sofia di Gioberti, di cui il I» volume usci nel 1863) per  fede vaga che indi potesse venirgli la luce.   Il Del Zio allora si preparava a un corso di lezioni,  sulla Enciclopedia di Hegel. Al quale infatti proluse  alcuni mesi dopo con una enfatica lettura, la quale,  come documento aneli’ essa de’ tempi, merita d* essere  ricordata: Prolusione al corso di lezioni sulla Enciclopedia  delle scienze filosofiche di Hegel; letta in privato con¬  vegno ne’ dì 16 e 18 novembre 1861*: scritto pieno di  giovanile entusiasmo e di ardore filosofico. Oltre le opere  del Vera, fin allora pubblicate, l’Autore vi cita ed esalta  1 aurea operetta di Karl Werder (Logile, als Commentar  u. Ergdnzung zu Hegels ÌViss. der Logik, 1 Abili, Ber¬  lino Idèi) « restuta incompiuta con grave danno di co¬  loro che s’ iniziano alla filosofia hegeliana » (p. 22);  i Esquisse de logique di K. L. Michelet (Paris, 1866); e    1 Risi, in Scritti filosofici, ed. Gentile pp. 115 sgg. Giorgio Pallavi¬  cino, a una figliola del quale lo Spaventa aveva privatamente Im¬  partito qualche lezione, gii scriveva per questo opuscolo:   Amico pregiatissimo,   l.a ringrazio della sua Prolusione — un magnifico lavoro — il quale  rnfiìf. -u- l Sn me . *' (le ?. l . ller ‘° di vp| ter presto pubblicata la grande  Opera eli Ella sta meditando. Ammiratore di Vincenzo Giohprti. posso  io non ammirare il suo degno interprete: II. Spaventa? lo l’ammiro  e i amo!    Giorgio Palla vicino.   * Napoli, S. Marchese, IMI, di pp. 8-1 In 16». Reca quest'epigrafe:  « Essere, sapersi e volersi come la Personalità eterna dello Spirito,  ecco il line della lilosofla ».       190    STORIA DELLA FILOSOFIA    di questo le lezioni Ueber die Persònliehkeit Oottes u.  Unsterblichkeit der Seele, oder die ewige Persònliehkeit des  Geistes (Berlin, 1841) ; le quali « quando furono pub¬  blicate, tenevano aspetto di polemica negativa in rap¬  porto a certi donimi dell’ intelletto ; ma 1’ avanzato  sviluppo della scienza ha tolto loro il senso irreligioso,  che gli avversarti accaniti dell’ hegelianismo volevano  a forza vedervi dentro. E debbono così considerarsi come  la teorica potente della nuova sintesi dall’ umanità »  (p. 41): ciò che appare, nota il Del Zio, dell’opera  maggiore del Michelet, Die Epvphanie der ewigen Per-  sònlichkeit des Geistes (in tre diali., 1844, 47 e 52). A  proposito del problema hegeliano del punto di partenza  fenomenologico e logico della filosofia, l’Autore dichiarava  di sperare che le difficoltà sarebbero state da lui sciolte  più chiaramente nelle note a una sua traduzione del  System der Wissenschaft, ein philosophisches Eincheiridion  (Koenigsberg, 1850) del Rosenkranz : « che avrei di già  pubblicata senza la tirannide borbonica, o la guerra che  tutto il mondo ha fatto e fa presso noi al libero pensiero»  (p. 23). Un altro suo lavoro concerneva la filosofia di  Krause, la quale, specialmente per mezzo di Ahrens  (il cui Corso di diritto naturale , 1838, era molto letto  dagli avvocati di Napoli, ed era stato anche tradotto  già due volte in italiano, da Francesco Trincherà e da  Vincenzo De Castro 1 ) poteva dirsi « in qualche modo  popolare nelle nostre province ». « Le sue Lezioni sul  sistema della scienza (Vorlesungen nb. System der Philos.,  1828)», dice il Del Zio, « e 1’ampio sviluppo enciclo-    1 Corso Ul Diruto naturale o della ftlos. del dir. traci, da Fr. Trin¬  cherà, Napoli. 18-11, e Capolago, 1812. Nuova trad. eseguita sulla  quarta ed. dal prof. V. De Castro, 2. voli., Napoli, Stab. Tip. dell'An¬  cora, 1860. Più tardi la sesta ed. (uscita in ted., Vienna, 1870-71) fu Irad.  in italiano da A. Margllieri, Napoli 1872.     191    L’HEGELISMO NAPOLETANO   pedico eh’ egli tentò dare a tutto lo scibile rivelano in  classico modo il fermento incommensurabile dal quale  era travagliata 1’ intera Allemagna alla vigilia dell’ ap¬  parizione d’ Hegel sul teatro della scienza. Ma in Krause  c’ è il presentimento della scoperta, che fu fatta invece  da Hegel »; e questo giudizio era il « risultamento di una  conveniente disamina » . « A tanto speriamo di adempiere  più tardi, pubblicando un nostro lavoro, che ha per ti¬  tolo: Studii sul rapporto del Sistema della scienza di  Krause a quello di Hegel » . Appunto per quella certa  popolarità che il Krausismo aveva acquistata anche nel  Napoletano, il Del Zio stimava opportuno che fosse di¬  scussa la sua teorica generale da’ cultori della filosofia.  « Se non cominciamo a disputare pubblicamente sulle  nostre convinzioni speculative, il trionfo della scienza  e il progresso della nazione non saranno nè liberi nè  universali » (pp. 27-8).   L’opuscolo era dedicato Alia gioventù napoletana con  parole di questo tono : « A voi dedico, o fratelli, questo  piccolo lavoro, il quale non è altro che il programma  dell andamento scientifico, a cui dovrebbe avviarsi, se¬  condo le mie convinzioni, il nostro paese, per essere  in armoniu coll’ indirizzo generale della scienza in Eu¬  ropa. Se vi parrà vero, Voi, più che me, potrete con¬  durlo ad atto, perchè 1’ amico vostro, comechè giovane,  è già percosso dai dolori dell’ animo e dalle sofferenze  lei corpo che 1’ opera dissolutrice della tirannide seppe  in molti generare negli anni scorsi». Continuava an¬  nunziando che, accettato il suo programma, tre fiamme  divine sarebbero venute ad accendere 1’ anima dei gio¬  vani napoletani : tre sedendovi d’ un unico sole, il libero  Pensiero ; le tre fiamme della Filosofia, della Rivoluzione,  dell’Amore. «Colla prima darete fine alla superstizione  del Papato, la più maligna fra quelle che ancora cor-    192    STORIA DELLA FILOSOFIA   rodono lo spirito moderno. Colla seconda scrollerete il  Dritto divino ed ogni altra specie d’irragionevole im¬  perio. E coll’ ultimo tramuterete le rovine in creazione  eterna di bellezza e di verità ; costituirete I* Italia, e  getterete il fondamento alla fratellanza democratica di  tutta Europa».   Svolto brevemente il concetto della Fenomenologia  dello spirilo, per mostrare come lo spirito sia necessa¬  riamente condotto dalla sua interna dialettica al punto  di vista del sapere assoluto, il Del Zio schizzava con  pochi tratti l ’ideale della scieina, a cui egli invitava  con molto calore : « Deliberando di seguirmi fraterna¬  mente nel mondo del sapere, renderete testimonianza  dell’ istinto divino che move lo spirito del nostro tempo,  e della vita novella d’Italia resa a sè stessa ed alla  sua naturale grandezza... Il nuovo metodo dell’insegna¬  mento filosofi co è il metodo della morte e dell’ amore  assoluto», della morte alle cose finite e a se stesso, e  dell’ amore per 1’ assoluto, in cui lo spirito deve rina¬  scere. Quindi combatteva le obbiezioni mosse all’ hege¬  lismo «dalla corta vista dell’intelletto 1 o del sentimen¬  talismo ipocrita della santocchieria » . Ai filosofi dell’ in¬  telletto, del pensare finito addebitava la loro incosciente  predilezione dello scetticismo e del nullismo: e dimo¬  strava che « non solo il sapere assoluto è possibile, ma  che esso è 1’ unicamente possibile » ; poiché ninna realtà  finita, naturale o spirituale, può dirsi conosciuta fuori  del sistema, in cui essa va concepita. Ai mistici di  buona o di mala fede, cercava d’ additare il carattere  intrinsecamente religioso della filosofia hegeliana, nella  quale la verità della religione non è negata, ma trasfi¬  gurata e fatta valere per la ragione, assolutamente. In-    1 Intelletto (Verstand), nel senso di Hegel.      L' HEGELISMO NAPOLETANO    193    fine, combattendo anche lui il pregiudizio, allora sal¬  dissimo tra i giobertiani di Napoli, del primato italico-  e della filosofia nazionale, sosteneva, a simiglianza dello  Spaventa, ohe « la grandezza del nostro spirito non è  tanto nel sapersi precursore di tutto l’incivilimento  occidentale, quanto nel prevedere che dev’ esserne il  successore eterno ». Si ammira Vico: ma egli « travagliò  por tutta la vita per provare che uno spirito solo regge  il mondo delle nazioni, che una è la mente dell’ Uma¬  nità, e che un piano ideale stringe in armonia assoluta  la totalità de’ fatti politici e le forme svariatissime del-  1’ intera vita sociale». «La storia della filosofia è dav¬  vero un’ opera unica, una sola attività produttrice...  Le frutta abbondanti di quei primi pensieri filosofici,  che gl’ italiani del XV e XVI secolo destarono nella  coscienza umana sono appunto i grandi sistemi della fi¬  losofia moderna... Nutricandoci del supere e della vita  europea, noi vendicheremo lo spirito de’ padri nostri,  celebreremo la festa di commemorazione a quel Risor¬  gimento, che il papato e l’Impero soffocarono nel sangue  di tutta la Penisola» : sopra tutto a Bruno, la cui vita  randagia per 1’ Europa, ma cominciata in Italia e in  Italia tragicamente finita, sembra al Del Zio il sim¬  bolo divino del corso storico della filosofia mo¬  derna nel mondo. E col ricordo della vita del Bruno e  un invito a vendicarne la morte facendo tornare in  Italia la sua filosofia arricchita nel suo secolare viaggio,  termina questa prolusione.   Cinque giorni dopo leggeva nell’ Università la prolu¬  sione al suo corso lo Spaventa, tornando a trattare il  tema : Della nazionalità nella filosofia.    13 — Gentile. Storia della filosofia.      194    STORIA DELLA FILOSOFIA    2 .   Marianna Fiorenti Waddingtoìi e D. Spaventa   Affrettando col desiderio la pubblicazione dell’ impor¬  tante carteggio della marchesa M. Fiorenti Waddington  tuttavia posseduto dalla famiglia di Francesco Fio¬  rentino, gioverà spigolare tra le carte dello Spaventa,  alcune lettere e ricordi di questa egregia donna, che  non ci paiono inutili alla storia della fortuna di  Hegel in Italia. Quando la Florenzi entrò in rela¬  zione con lo Spaventa aveva passata la sessantina,  essendo nata nel 1802: da Schelling era giunta fino a  Hegel : dall’ ammirazione del Mamiani, per la conver¬  sazione frequente col Fiorentino, che da Bologna andava  spesso a Perugia ospite suo, era potuta passare a quella  del critico severo della prefazione, che il Mamiani nel  1844 aveva premessa alla sua traduzione del Bruno di  Schelling 1 . Prefazione desiderata da lei, che ne caròla  promessa con un certo imperio di belletta che. ancor pos¬  siede, come il Mamiani scriveva al suo fratello Giuseppe  il 7 aprile 1844 ;* prefazione piaciuta già allo stesso  Schelling. 3 Ma ben presto la marchesa tedescheggiente  e libera pensatrice e il conte italianissimo e cantore dei  santi cattolici, s’ erano accorti di non potersi intendere.  Già in una lettera del 1846, 4 il Mamiani le rimprove-    ' Vedi B. Spaventa, Saggi di critica. Napoli, Gliio. 1867, pp. 366 sgg.  Intorno alla Florenzi v. le mie Origini della, fllos. contemp. in Italia  III, parte II, pp 37-50.   * Mamiani, Leti, dall’ esilio a cura di E. Viterbo. Roma, 1809. 1, 211.   * In una sua lettera a un suo amico, del 26 dicembre 1845, il Ma-  raiant scriveva: «Quantunque lo vi discorra della tllosolla tedesca  moderna con gran franchezza di giudicio, lo Schelling non se ne tiene  punto mal soddisfatto, e scrivendo alla traduttrice, che è la march.  Florenzi, ha detto di me parole onorevolissime » (op. cit. I, 320). Cfr.  il Bruno stesso, ed. I.e Monnier, 1859, p. 213.   * Leti, cit.. Il, -10. Cfr. la lett. al fratello del 28 ag. 1846 (II, 33).     L'HEGELISMO NAPOLETANO    195    rava di ragionare un po’ alla tedesca, e , non avendo alla  mano ragioni ferme ed evidenti, essersi rairolta della  nebbia del suo grande maestro, lo Schelling. L’ anno ap¬  presso le scriveva: « ìli congratulo molto con voi dello  studiare indefesso che fate e dello involgervi coraggiosa  tra le tenebre sacre della metafisica dello Schelling». 1  Era quasi un addio dalla spiaggia a chi si avventurava  per il rischioso viaggio!   Sul principio del 18GB, la Fiorenti aveva pubblicato  i suoi Filosofemi di Cosmologia e di Ontologia (Perugia,  V. Bartelli) ; e il Fiorentino, che doveva scriverne una  recensione, nella Rivista Italiana (o Effemeridi della P.  di Torino, del 20 aprile 1863, a. IV, pp. 250-52), la  incitò a mandarne un esemplare allo Spaventa. Quindi  la seguente lettera :   Signore,   Se un nostro amicissimo, e molto suo conoscente, non m’ in¬  coraggiasse a mandarle il mio libretto testé stampato, io non  oserei inviarglielo. Esporlo al giudizio d’ uno de’ più distinti  lilosofi è al certo temerità più die grande. Ma io mi affido  più assai all’ indulgenza di cui sono capaci i grandi uomini,  e temo maggiormente i piccoli. Ardisco ancora dimandare il  suo leale, franco giudizio e la sua severa censura; ed ancbo  la disapprovazione mi sarà più cara assai di qualsiasi com¬  plimento.   È dunque sotto l’egida del nostro amico che il mio libretto  vieue a cercarla. Mi abbia per iscusata s’ io l’incomodo por  cosa di sì poco valore; ma, le ripeto, io riposo nella indulgenza  sua. Me le offerisco e raccomando.   Perugia, li 20 marzo 1863.   Obb.ma   M. Marianna Florbnzi WAnDiNcroN.   Lo Spaventa in ricambio le mandò il suo volume  Prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia, starn-    1 Lett., li, 314.     196    STORIA DELLA FILOSOFIA    pato 1’ anno innanzi ; a cui la Florenzi fece gran festa,  diffondendolo nel circolo di letterati e filosofi, 1 che si  raccoglievano intorno a lei.   € Dono prezioso, scriveva all’ autore il 9 maggio  del '63, di cui mi valgo per miu istruzione e per  ammirare uno de’ più grandi filosofi (o il più grande),  che ora dia fama alla nostra nazione » .   Da altre lettere della colta gentildonna si rileva che  tra gli ammiratori guadagnati da lei allo Spaventa, de¬  siderosi di leggere i suoi scritti, v’ erano anche delle  donne. Tanto poteva 1’ esempio della Florenzi !   Il 25 maggio questa mandava allo Spaventa un suo  piccolo discorso sojrra l' Eleroyenia che doveva essere stam¬  pato coi Filosofemi. Era instancabile : quando, nel giugno  1864, lo Spaventa le ebbe mandata la memoria su Le  prime categorie della logica di Hegel, ella poteva annun¬  ziargli un suo nuovo lavoro, che avrebbe toccato anche  quell’argomento (Saggio di psicologia e di logica, Fi¬  renze, 1864): «Mi preme sempre di leggere le cose sue,  e per questo ho indugiato a dirmene grata e ricono¬  scente. Non ho parole per esprimerle quanto quella  lettura mi abbia soddisfatta. Un ingegno come il suo  non poteva a meno di escogitare fino al fondo l’argo¬  mento trattato, ed in vero non c’ è nessuno che abbia  penetrato tanto addentro la dottrina e le intenzioni di  llegel, il più formidabile dei tedeschi filosofi.   «Ella ha ragione: chi è mai entrato sì puramente  nella scienza del filosofo?   « Tanto più piacere mi ha recato il suo scritto in  quanto che io aveva già compiti due capitoli del libro  che scrivo ora : Il divenire e V essere e il non essere, pen-    1 Cfr. la Necrologia che scrisse di lei il Fiorentino, in Scritti vari,  Napoli, 1876, p. 410-1.        L' HEGELISMO NAPOLETANO    197    siero ed essere. Quanta istruzione io posso ricavare da  lei ! Dunque, per tutto il piacere e per tutto 1’ utile ri¬  cevuto io ne la ringrazio di cuore ed anima » (Lettera  del ló giugno ’64).   In una poscritta d’ una delle sue lettere la Florenzi  scriveva allo Spaventa: «Vi prego di fare il grande  sforzo di rispondermi al pili presto » . Lo Spaventa, in¬  fatti, era tardissimo a scrivere, anche se chi aspettava  era una dama così gentile. Il Fiorentino badava a fare  le sue scuse. Così, in una lettera allo Spaventa del 19  novembre 1804, gli scriveva : « Alla marchesa Florenzi  ho parecchie volte detto quale sia la vostra indole, perciò  non ho durato fatica a persuaderla della vostra trascu-  ranzn nello scrivere. Ella ha sotto i torchi due saggi,  uno di logica e 1’ altro di psicologia, ed aspetta di averli  in pronto per rispondervi. Credo che li avrà prima che  il mese finisca. Li ha composti con l’intendimento di  dare due lavoretti elementari, e mi sembrano molto giu¬  diziosi e precisi e chiari, da qualche capitolo almeno  che ho scorso, correggendo gli stamponi che le venivano  quando io ero colà. A proposito di lei, che cosa avete  fatto per l’Accademia, di cui mi parlaste costà? Io non  le ho detto nulla, com’ era vostro desiderio ; e sarebbe  cosa ben fatta se si potesse effettuare, perchè veramente  è una donna meravigliosa per 1’ ardore che ha per la  scienza » .   Lo Spaventa aveva pensato di premiare la nobilissima  operosità e il virile animo, onde la Florenzi proseguiva  gli studi filosofici, facendola ascrivere all’Accademia  delle scienze morali e politiche di Napoli. Nomina che  la scrittrice gradì molto, e ne fregiò il frontespizio  de’ suoi libri pubblicati dopo il 1865. Primo il Saggio  sulla natura (Firenze, 1866), che è dedicato appunto allo  Spaventa: non per orgoglio , ma soltanto perla fiducia...       198    STORIA DELLA FILOSOFIA    che gl’ ingegni, quanto più sono alti , tanto maggiore in¬  dulgenza tisano alle persone di buona volontà. Gliene chiese  licenza il 14 dicembre 1865 con una lettera molto mo¬  desta, dove sono espressi gli stessi sentimenti della de¬  dica a stampa, e da cui s’ apprende che il Saggio era  da tre mesi in tipografia.   Nell’aprile del ’G6 fu a Napoli il'cav. Evelino Wad-  dington, marito della marchesa, ed ebbe dallo Spaventa  liete accoglienze. «Egli se n’è tornato», scriveva il  Fiorentino, « contento di aver conosciuto un uomo  del vostro ingegno e con quella franca ed ingenua indole,  che è segno infallibile». E come a Napoli si prepa¬  rava, in occasione d’ una esposizione di cotone, un Con¬  gresso scientifico italiano, la Florenzi contava di venirci  anche lei; come infatti ci venne: «Ebbi la vostra me¬  moria 1 che ho letta con grande attenzione per racco¬  glierne quell’ utile che sogliono apportare i vostri scritti.  Evelino fu molto contento di conoscervi e lo sarò pur  io fra poco, perchè ai primi di agosto contiamo di essere  costì nuli’ ostante gli eventi del monito.   « Mi faceste dire di fare un qualche piccolo discorso  per 1’ occasione del Congresso; e 1’ ho tracciato alquanto,  e per distenderlo vorrei la certezza se si fa o no codesto  Congresso.   « Io presumo che no, stante 1’ imminenza della  guerra ; nulla di meno vi prego a scrivercene una riga ;  ed ancora più mi preme sapere se vi troverete in Na¬  poli a quell’epoca, o alla campagna, ed in quale cam¬  pagna, od in quale città ; infine, mi direte dove dimo¬  rerete » (15 giugno ’6G).    1 La dottrina della conoscema di G. Bruno, pubbl. negli Atti  dell'Acc. delle Se. mor. e poi. di Napoli del 1865; risi. In Saggi di cri¬  tica pp. 100-S55.     199    L'HEGELISMO N U'OLETANO   Un’ ultima lettera del 8 agosto 1867, ha un certo in¬  teresse, per l’accenno che vi si fa al discorso Della  immortalità dell’ anima umana, che la Florenzi pubblicò  nel maggio 1868 :   « Io mi preparo o mi sono già preparata a scrivere  un opuscolo sulla immortalità dell’anima: problema  scabroso! ma che voglio sostenere perchè sento 1’ im¬  mortalità dentro di me e voglio essere immortale a tutti  i costi. Sarà dolorosa ai feuerbachiani miei amici 1 la  mia assoluta opposizione».   Nè anche gli amici hegeliani, non feuerbachiani, d’ I-  talia fecero plauso all’ assunto della marchesa. E lo  Spaventa alluderà forse, con quell’ ironia che gli era  propria, al discorso poco persuasivo della Florenzi,  quando nello stesso maggio 1868, scrivendo al De Meis,  la chiamava: « la nostra immortale Marchesa, — immortale  almeno come, socia della Beale nostra Accademia » . !   L’intimo pensiero dello Spaventa sull’ immortalità  dell’ anima individuale apparisce dal principio d’ una  malinconica lettera da lui scritta al De Meis il 13  luglio 1880 ; dove ricorda la sua prima figliuola morta  a tre anni :   Napoli, 13 luglio 80.   Mio caro Camillo,   Spero che la festa di quel sant’ nomo del De Lellis, 3 tuo  omonimo concittadino e la tua, ti riconoilieranno cogli amici.  In particolare io conto sulla reminiscenza, anche involontaria,  di que’ maccheroni al pomidoro; di quella Irittata e di quelle  cocozzelle, oramai divenuti celebri no’ nostri annali domestici.  Via de’ Fiori a San Salvario, n... 4 . Il numero non lo ricordo    1 II Ff.ii* *riiach, coni' è noto, nel Gcdanhen iiber Tod und Sterb-  li chheil (183(1) sostenne la mortalità dell'anima.   J v. scritti filoio/lci. ed. Gentile, p. 303 n.   8 San Camillo De I.ellis, di Bucchianico, patria del De Meis.   • Recapito dello Spaventa a Torino. Il numero era 23. Isabella  Scano. moglie dello Spaventa, a lui sopravvissula, morta il 18  die. 1001.      200      STORIA DELLA FILOSOFIA   più, e non ho tempo (li consultare la signora Isabella, che  attende alle faccende di casa. Non lo ricordo; ma fa lo stesso:  ricordo il luogo, il prato, la soala, il piano, le stanze e il  mio tavolino da lavoro, e tutte le miuchionerie che scrivevo :  le cose futili e le serie; il mio chiodo Bolare e i misturi he¬  geliani svelati ; e te che venivi ogni giorno, angelo consola¬  tore, e le chiacchiere che facevamo insieme; e la mia povera  prima Mimi e lo sue ultime parole: — Papà lavorai — Papà  lavora! — Io non so so (|uella casa sia rimasta ancora in piedi;  oramai non vedo piti Torino da circa vent’ anni : ma ella sus¬  siste tuttora qui, come forse non ha mai meglio esistito iu  realtà, nel mio cervello, o, come (licevano una volta, nell’ a-  nima mia; o non si dileguerà se non quando questo cervello  (Papà lavora, Papà lavora), non ci sarà piti. E che ne sarà!  Che significa nou esserci pi fi i Diverrà proprio nullaf Eppure  è stato ed è. O ci è proprio uu modo di essere che non è  sussisterei E sussistere cos’ài 1/orgoglio e la balordaggine  umana ha trovato lo consolazione: — tutto nasce e perisce, è  vero, ma gli atomi restano, e son sempre quelli, non mutali  mai. — Bella scoperta! me li fo fritti gli atomi, io.   Troppo serio per la festa di San Camillo ; troppo malinco¬  nico, anzi. Ma va e freua la mia fantasia!...   Lo Spaventa, non occorre dirlo, non era materialista.  Ma nella concezione hegeliana della natura e dello spi¬  rito non trovava posto per lo spiritualismo astratto, e  quindi neppure per l’immortalità personale.   3.   Il primo scolaro (li B. Spaventa (F. Fiorentino).   Battaglie carducciane ancddote.   Nella nota polemica del 1876 con l’Acri il Fiorentino  dice di aver conosciuto tardi lo Spaventa, e poco prima  i suoi libri. « Letti i suoi libri, intravidi un altro  mondo, e mi parve rinascere. Allora (1861-1862) ero  professore a Maddaloni, e stavo a Napoli. Tra i molti            L’HEGELISMO NAPOLETANO    201    che si preparavano a combatterlo c’ero io; ma, lettolo,  mi sentii tirare verso lui, e capii che i suoi avversarii  non valevano neppure i suoi calzari. Quale fu la mia  maraviglia, quando dai più sinceri riseppi, ch’ei non  avevano lotto nulla di lui, e che lo combattevano,  perchè volevano combatterlo, senza sapere perchè! ». 1  Allora infatti egli si presentò allo Spaventa. Ma, quando,  sullo scorcio del ’62, andò a Bologna professore di Storia  della filosofia, non E aveva visto che due volte o tre. * *  L’ultima di queste ne ebbe consigli e suggerimenti  circa gli studi per cui la Biblioteca Universitaria di  Bologna avrebbe potuto offrirgli E opportunità. Giacché  dallo Spaventa egli fu stimolato a intraprendere quelle  ricerche sui nostri filosofi del Risorgimento, da cui pro¬  vennero le sue opere più importanti. E quando si di¬  visero, lo Spaventa dovette annunziargli il libro, che  allora stampava, Prolusione e introduzione alle lezioni  di filosofia , dove il Fiorentino avrebbe trovato uno  schema della storia della filosofia italiana. Glielo inviò  poi infatti con una lettera, della quale possediamo la  risposta :   Mio carissimo amico,   La vostra lettera e il vostro libro lungamente aspettati  mi sono arrivati carissimi. Mi son messo subito a leggerlo,  e posso dirvi di averne scorsa quasi la metà; se non che  intendo rifarmici sopra, come prima avrò satisfatto l'impa¬  ziente desiderio con questa prima lettura. Voi mi riuscite  sempre profondo e stringato ragionatore ; oogliete nel criticare  il nodo del sistema, c ne mostrate lo scioglimento cosi luci¬  damente che meglio non si può. lo vi ho sempre tenuto, e  vi tengo a ninno secondo nell’arto difficilissima della critica  filosofica, eh’ è quella appuuto, di cui noi Italiaui abbiamo    ' La fllos. contemp. in Italia, Napoli, 1876, p. 150.   * O. c., p. 152.        202    STORIA DELLA FILOSOFIA    specialmente bisogno, serondochè voi avete maestrevolmente  notato. Le considerazioni su la lìlosofia nazionale sono esatte,  e l’indole della filosofìa del Risorgimento, che io ho letta  fino al Bruno, è scolpita cou molta fiuezza, e contorni assai  rilevati. Le osservazioni su l’antichissima sapienza degl’i¬  taliani del Vico, e ricavate qunuto al fondo dalla Scienza  nuova, sono inappuntabili ; ed a rifiutarlo bisognerebbe di¬  sconoscere la teorica della parola dal Vico medesimo adottata.  Io mi rallegro di tutto cuore con voi, mio carissimo amico,  ed auguro all’ Italia molti uomini che vi rassomiglino.   Negli scrittori, come negli uomini, a me piace la lealtà del  manifestare le proprie convinzioni, quali che si fossero; la  coscienziosa ricerca nel formarsele, ed il saldo proposito del  sostenerle. Ora invece si scrivacchia e si cinguetta a spro¬  posito, e più ilei nomi e dell’autorità si fa caso, che non  della verità eterna ed immutabile. Voi siete molto opportuno  nelle condizioni poco prospero del nostro paese, e gran bene  potrete fare. Esperto come siete di gran parte delle nostre  città, dovete conoscere meglio di me, che cotesta o nessuna  può spingere e continuare il movimento della italiana filo*  sofìa. Qui se ne ha pochissima cura: alla mia scuola usano  pochi uditori, alle altre della mia facoltà meno che pochi,  o nessuno. Per buona ventura è venuto qua a continuare i  suoi studi filosofici un bravo giovane delle provincia meri¬  dionali, un tal Donato Jaja, quel medesimo che mi accom¬  pagnava, quando presi commiato da voi. Ila buon ingegno,  e buona volontà, eh’è ancora più rara no’ nostri giovani.  Altri vanno e vengono più per curiosità che per vaghezza ili  studio: sono le comete di tutte le cattedre.   Tra pochi altri giorni vi manderò la Prolusione che lessi  qui, e che ho fatta inserire sul Progresso che si stampa costà.  Me no aspètto vostro giudizio, che quanto so che sia com¬  petente, altrettanto voglio che sia ingenuo e franco. Voi  sapete che io non mi sdegno dell’essere appuntato e corrotto:  amo la verità più del mio amor proprio...   A libri filosofici qui si sta molto male, e sebbene mi sia  stato promesso che qualcheduno dei più necessari si farebbe  venire, pure io ci conto molto poco per la scarsezza dell’as¬  segnamento di cui gode questa Universitaria Biblioteca. Avrei  bisogno di buoni espositori di Platone e di Aristotile, perchè  questo anno mi occupo della filosofia greca, e intanto, tranne    L’HEGELISMO NAPOLETANO    203    alcuni commentatori antichi, non si trova altro. Ho fatto ve¬  nire «lei mio la esposizione della Logica aristotelica di Bar-  thólemy; ina a far venire tutto a proprie spese come si riescef  ìi questo per me un gran contrattempo, c, senza le vostre  prevenzioni, quasi inaspettato o iuusputtabile. Chi diamine  poteva credere che la dotta Bologna viveva ancora in pieno  Medio Evo»   pi Pomponazzi ci è il solo libro dell'Immortalità. I mano¬  scritti di Boccaferrato versano più su la tisica aristotelica, che  su la metafisica: ed oltre a ciò sono poco agevoli a leggere,  e a parer mio ili poco giovamento. Ho trovato pori» Scoto  Krigena, e Patrizzi, che costà non mi era riuscito avere. Oopo  che avrò letti questi, mi metterò a studiare la storia della  filosofia indiana del Colebrooke, che voi mi diceste buona. * 1  Mi dimenticai l’altra volta di dirvi, che Vittorio Cousin  scriveva alla Florenzi una lettera sn quel mio lavoretto in¬  torno al Bruno, dove sentenziava degl’italiani a modo suo.  È piuttosto una lunga lettera, di cui io ho copia, che vi  manderò, se vi aggrada leggerla. Parla altresì del Vera.®  Ecco quante ve no ho dette, e forse vi avrò annoiato: ma  io sentiva il bisogno di trattenermi con voi, e P ho fatto alla  mia usanza, e senza riserva. Io, oltre all’ammirarvi, vi amo  assai, e stimo che questo all’etto che vi porto renila più  scusabili le molte ciarle che faccio nello scrivervi. Quando  avrete tempo scrivetemi, perchò mi è caro comunicare con  qualche spirito privilegiato ed amico in tanta solitudine in  cui vivo. Se potessi in qualche cosa adoperarmi per voi, mi  terrei fortunatissimo di farlo. Addio, adunque, mio carissimo  amico, ed amate   Di Bologna, 12 del 1863.   Il tutto vostro  Francesco Fiorentino.    1 Enrico Tommaso Colebrooke (1765-1837), celebre indianista, pre¬  sidente della Società Asiatica londinese, autore degli Kssai/s on thè  Vedas and on thè phtlosophu of thè llindous nel I voi dei Miscclla-  neous Essaj/s (London, 1837, 3.» ediz., 1873); — e a parte: Essays on  thè relii/ion and phtlos. of thè Hlndous, 3.» ediz., London, 1858.   1 Tra la corrispondenza Inedita del Cousin ci sono lettere del  Fiorentino: vedi Gentile, Albori delta nuova Italia, I, 150.           204    STORIA DELLA FILOSOFIA    La Prolusione al corso di storia della filosofia (letta  il 25 novembre 1862) fu dal Fiorentino pubblicata nel  Progresso di Napoli (a. IL voi. II, 1863, pp. 22-33) ;  ma non venne più ristampata. È infatti ancora un do¬  cumento della fase giobertiana del pensiero del Fio¬  rentino, quantunque vi appariscano le prime tracce dei  nuovi studi e delle nuove tendenze dell’ autore. Giova  riferirne qualche brano:   Il pensiero, o signori, regola il mondo o lo riempie, perché  esso è la pienezza ed il vigore dell’ essere : è la sua compe¬  netrazione, e la sua identità. L’ essere senza il pensiero è spar¬  pagliato, disterminato, e però incompiuto e Unito. Imperocché  l’essere compie se medesimo geminandosi, vale a dire facen¬  dosi principio e fine; ed il mezzo, pel quale esso si pone e  conclude, è il pensiero, la relazione, l'identità suprema...  (p. 23).   Se non che esso nel mondo inorganico si occulta inconsa¬  pevole, eil in certo modo seppellito, comincia ad agitarsi  operoso nel vegetale, si va sempre pifi disimpacciando dal  grave involucro della materia nella forma dell’animale; e si  sveglia libero e padrone di sé filialmente nella coscienza  umana... Il pensiero divino che trasparisce attraverso tutto  il creato, si che ogui cosa, secondo la frase biblica, appaia  piena dello spirito di Dio, non parla poi e non si rivela am¬  piamente, se non nella coscienza dell’uomo. Il resto della  natura è parola scritta, rinchiusa, direi quasi cristallizzata:  l’uomo solo è parola viva e palpitante... (p. 24)   La dualità di natura e spirito non è insuperabile.  Essa inette capo « nell’ unità cosmica ». E in virtù di  questa la natura tende allo spirito; che comincia bensì  aneli’ esso come forza individua partecipante all’ uni¬  versità del cosmo ; ma esso si generalizza pensandosi.   ...Do spirito è l’attuazione compiuta dell’unità cosmica, e  ciò che questa è in potenza, ed esso è in atto. Or quando  lo spirito si abbia assimilato la natura e sé stesso per quella  serie di sviluppamenti che va spiegata nella Fenomenologia,       L'HEGELISMO NAPOLETANO    205    egli, a rendere scientifico il suo processo spontaneo ed in-  cosoio di sé, si rifà sopra il cammino fatto. E può rifarsi in  tre modi. Quando rigira sè in sò, dà luogo a quel ripensa¬  mento che si dice riflessione psicologica; e quando si ripete  su la natura, partorisce la riflessione detta dal Gioberti ontolo¬  gica. Ma sopra eoteste due guise di riflettere, ve u’ ba una  terza, che lo vince di pregio e di amplitudine, vale a dire  la riflessione logica, nella quale lo spirito si rivolgo su la  sua azione medesima, sul proprio pensiero... su la natura e   10 stesso spirito è Dio, ossia l’unità vera, l’unità che non  è il moltiplico, ma lo fa. Se l’unità cosmica fosso tutto, 1’ ul¬  timo grado del pensiero sarebbe la riflessione psicologica e  l’ontologica, e la logica non sarebbe possibile. V’è logica,  perché v’ha un assoluto perfettamente uno; v’è la logica,  perchè v’è Dio... Da logica è dunque l’unità finale della  cosmologia e della psicologia, come la protologia n’ era stata  1’ unità primitiva. L’ unità assoluta, 1’ unità cosmica, 1' anima,   11 concetto; ecco le quattro gradazioni, per le quali passa il  pensiero speculativo, produceudo una scienza eh’è la prima  e la massima, e che comprende la protologia, la cosmologia,  la psicologia e la logica. . (p. 2fi)   Venendo alla storia della filosofia, il Fiorentino di¬  chiara che il disegno della storia si deve modellare  su quello della scienza : sicché la storia dev’ essere essa  medesima un sistema. « Una storia che non fosse un  sistema ma un’ imbastitura di fatti racimolati qua e là,  non sarebbe meritevole di tanto nome». Quindi la con¬  nessione da preferire tra i vari sistemi è quella logica.   So bene io essersi talvolta tenuto conto o della successione  cronologica, o della continuità etnografica; confesso che  queste maniere contengono qualche parte di vero ; che il  tempo maturi ed incalzi le deduzioni della logicn ; che la  scienza alcune volte si sviluppi come un dramma vivente in  una nazione: nondimeno il pensiero, essendo di natura estem¬  poranea ed eslraspaziale, mal si potrebbe acconciare tra questi  angusti cancelli... Egli è da maravigliaro intanto come fra  tanti che hanno trattato la storia della filosofia quasi uiuno  abbia fatto capo dellu genesi logica dei sistemi, salvo l’Hegel    206    STORIA DELLA FILOSOFIA    in cui celesta legge si appalesa inflessibile come il fato; e  nelle cni mani la storia si trasforma in una geometria, dove  nulla viene lasciato all’arbitrio del pensatore. Hegel accorcia  e distende i sistemi come il Procuste della favola, affinché  tutti ripetessero costantemente il ritmo prescelto della trico¬  tomia. Il Richtor inchina per contrario a sostenere l’au¬  tonomia delle scuole e dei sistemi ; sminuzza, taglia i nervi,  e leva di mezzo ogni addentellato. Nel primo 1’ uniformità ò  monotona, nell’altro la varietà rimaue disordinata ed inor¬  ganica. Contemporaro però questi due estremi, badare alla  continuità del pensiero universale, senza disconoscere l'in¬  fluenza individuale, è proprio mettersi sul giusto mezzo, ed  in postura convenevole, onde si possa portar giudicio sopra  i sistemi. E qnando dico sistemi, io non guardo alla breccia (f),  ma alla radice: non all’aspetto subbiettivo, o nlla convinzione  del filosofo, ma alla materia, eli’ è stata fondamento della  sua opinione. Voglio vedere non quel ch’egli crede, ma quali  cause lo abbiano sforzato a questa credenza... (p. 29)   La storia della filosofia presuppone un sistema, che  sia come il regolo con cui conviene riscontrare e mi¬  surare le dottrine. E dalla maggiore o minore ampiezza  del criterio di una storia, dipende il valore di questa.   Hegel ha immedesimato la storia della filosofia col suo si¬  stema, affermando non essere tutti gli altri se non momenti del  suo, e (singolare ardimento!! egli non si è peritato di pian¬  tare le colonne di Ercole della filosofia ! L’avvenire giudicherà  di lui, provando coi fatti, se dopo la grande Enciclopedia  ancora allo spirito umano qualche cosa rimarrà da fare.   Infine il Fiorentino toccava la questione di una filo¬  sofia italiana contestata dagli storici stranieri.   Mettendo n rassegna le nazioni filosofiche di Europa, Hegel  tripartisce il mondo della filosofia moderna, maiorasco ina¬  lienabile, tra l’Inghilterra la Germania e la Francia... Il  Cousin di poi, n cui non tornava conto una terza nazione,  non avendo una tripartizione a fare, ridusse le partite, e  diede luogo a due nazioni soltanto, alla Germania ed alla  Francia... Il professore di Berlino e quello della Sorbona si       L’ HEGELISMO NAPOLETANO    207    trovano peri» d’accordo nel diseredare l’Italia. E perchè 1  Forse Telesio e Galileo non parlarono mai del metodo spe¬  rimentale ? Giordano Bruno non mosse dall’unità della sostanza  prima ancora dello stesso Spinoza? Campanella non iniziò la  osservazione psicologica? K Vico non partì dalla conversione  del vero col fatto, statuendo il fondamento più solido cito  potesse avere la filosofia? Nulla di tutto questo, o signori;  tre termini bisognarono all’ Hegel, due al Consin, e per noi  non rimase luogo. L’Italia, se diamo retta alle divisioni di  oltremonte non ha fatto mai nulla, non ha pensato mai a  nuli», e sola, spogliata del comune retaggio dell’urnan go-  nero, ella è costretta a stare spettatrice stupida od ingloriosa  delle maraviglie altrui. Troppo beata, se il passato della Ger¬  mania o della Francia potesse diventare il suo presente;  troppo venturosa se, chiamata dalla straniera magnanimità, le  venisse consentito di spigolare nel campo, ove a si larghi  manipoli hanno gli altri mietuto.   Mi rincresce, o signori, di dover prorompere in parole  amare verso uomini al cui ingegno porto di cuore molta ri-  vegenza; me ne rincresce ancora più forte per dover rinfre¬  scare titoli lunga stagione abusati, quando la gloria dei padri  fu chiamata a coprire la riprovevolissima inerzia de’ figli. No,  io protesto, signori, die noi non vogliamo addormentarci sugli  allori dei nostri padri, che noi non vogliamo farci belli della  loro gloria, fragile schermo alle immeritate rampogne... (p. 31)   Il Fiorentino ricordava la « gran sollecitudine » che  a Napoli egli aveva visto « affaticare gl’ intelletti traen¬  done argomento a bene sperare e ad asserire che forse  la filosofìa era « deputata a maturare i fati della patria».  Faceva voti cho quel « desiderio ardentissimo » si dif¬  fondesse da Napoli per tutta Italia ; « lieto di poter  proseguire l’impresa, che qui (a Bologna) inaugurava il  suo illustre predecessore»; cioè lo Spaventa. Infine,  una patriottica perorazione :   Por gli altri, o signori, la scienza può essere forse un ad¬  dobbo ed un decoro, por noi italiani è desiderio di riscossa,  è condizione indispensabile di vita. Noi non sapremmo pas¬  sarcene senza tralignare dalla nostra antica fierezza, senza    208    STORIA DELLA FILOSOFIA    disconoscere la missione nostra nella storia. E poi grandi  cose ancora ne avanzano a fare, nè potremmo meglio allenarci,  che fortificandoci la mento di profondi studi. Nella infanzia  dei popoli era la fede che operava prodigi, e remica possibili  le Crociate; nella loro virilità non si possono aspettare altri  miracoli, che lineili della scienza... Un pensiero che non fosse  progenitore fecondo di magnanimi fatti, io lo disdegnerei;  ma esso avventurosamente non sarebbe nemmeno da dire  pensiero, si bene fantasma vano, e passeggero capriccio. Io  nel filosofo anzi tutto voglio guardare l’uomo coni’esso è, e  voglio trovarcelo vergine, schietto, maschio e vigoroso. Io  batto le mani a Socrate che combatte u Potidca, sento un cotal  orgoglio di coltivare la scienza elio mantenne serena la fronte  di Giordano Bruno avanti al rogo: applaudo a Kicbte che  lascia la cattedra di Jena e corre sui campi di Lipsia; e non  so rifinire di ridurmi nella memoria Sl’acteria, Mestre e Cur-  tatouo, ove siete caduti voi, Santarosa, Poerio e Pilla, va¬  lorosi ingegni, valorosissimi cittadini.   Sì, o giovani, di profondi veri e di magnanimi fatti noi  abbiamo bisogno, e 1’ Italia sarà. Addoppiate gli sforzi... Per¬  corriamo di conserva e con alacrità 1' arduo arringo della  scieuza, e siamo certi di cooperare in tal guisa potentemente  al riscatto della patria nostra. La scieuza lo iniziò, ed essa  indubitatamente lo coronerà, snebbiando le nienti, aprendo il  cuore a piò candidi alletti ed utlbrzando le braccia della no¬  vella ed adulta generazione. Un ultimo sforzo ancora, e quanto  prima il Ponte di Rialto risuouerà dell’ eco dell’ inno nazionale  cantato sulle serve lagune dell’Adriatico, e le piume dei nostri  bersaglieri si agiteranno al vento che spira dai sette colli  (pp. 32-33).   Dagli studi sulla filosofia greca pel corso universitario  annunziato nella lettera del 12 gennaio 1863, fatti sotto  l’ispirazione dello Spaventa, uscì il Saggio storico sulla  filosofia greca (Firenze, Le Monnier, 1864), dove il gio-  bertiuno di tre anni innanzi, autore dell’ opuscolo 11  Panteismo e G. Bruno, si palesava hegeliano e scolaro  dello Spaventa, di cui infatti metteva a proposito la  memoria su Le prime categoi'ie della Logica ili Hegel (1864).   Così il Fiorentino si staccava coraggiosamente da’          L* HEGELISMO NAPOLETANO    209    vecchi amici di Napoli : onde nella conclusione del Saggio  (p. 302) accennava: «Devoto alla verità, non mi ter¬  ranno del certo impastoiato nè vecchie preoccupazioni,  nè codarde paure». Non gli mancarono, infatti, silenzii  sdegnosi e tacite rampogne, seguite da una rottura,  che fu la prima origine della polemica scoppiata dodici  anni dopo con l’Acri e il Eornari. Nella seguente lettera  ne abbiamo il più antico documento:   Mio carissimo amico,   Vi so infinitamente grado di llo coso gentili che mi dito  del mio libro, o non vi nascondo che le vostro parole mi  sono valso di sprone efficacissimo a seguitare. Voi sapete di  quanto peso io tenga il vostro parere? o come lo anteponga  ad ogni nitro che potessi avere in Italia, o anche (V oltre¬  mente 5 onde me n* è venuta allegrezza o buona voglia da  non potersi misurare. Per me la filosofìa è stata sempre un  amore, e perciò mi vi sou messo in buona fede, e senza preoc¬  cupazione di partigiano. Non timido amico del vero, io  dirò sempre aperto il mio modo di vedere; ed in ciò debbo  confessare che voi mi siete stato esempio e conforto. Delle  altrui dicerie non mi brigo; conserverò P amicizia a chi me  la continua non ostante il dissidio delle opinioni, coni’ è mio  costume; uon mi dorrà di perdere amici, i quali pretendessero  d impormi un treno, e di vincolarmi con pastoie, che Panimo  mio, non che nou comportare, anzi disdegna.   Questo anno mi occuperò «Iella filosofìa tedesca, e epocial-  nmnte di Kant, lo cui opere ho già tutte, oltre ad altre espo¬  sizioni, tra le quali quella del Cousin. Sopra tutto ho in  pn.'gio il vostro lavoro su Kant e Rosmini, dove mi pare ve¬  dere il kantismo scolpito con tutP i suoi pregi e le sue la¬  cune.   Mi vo procacciando i nostri filosofi «lei Risorgimento, per  occuparmene in un lavoro che ho in animo di stendere que-  st’anuo medesimo. Ditemi voi se le biblioteche di Torino,  dove siete stato, ne hanno qualcuno, e quale; perchè potrei  chiedere al Ministro che fossero di mano in ninno mandati a  questa hibliot«^ca por studiarli...   Vi ricordo e rnccomando da ultimo l’affare della Metafisica  1-1 — Gentili:. Storia della filosofia.      210 STORIA DELLA FILOSOFIA   Aristotile del Bonghi, avendo egli ora il tempo di de¬  dicarsi alla continuazione di quella stampa. Add.o, uno ca¬  rissimo amico, e ricordate ed amate    Di Bologna, 19 novembre 1864.    Il tutto rostro        £—5S-Svt*-- —   Addio.   Dal lavoro su Kant e Rosmini dello Spaventa ossia  La filosofia di Kant e la sua relazione con la filosofie  italiana (Torino, 1860, rist. in Scritti filos pp. 1- 9)  il Fiorentino aveva mostrato nel Saggio di avere ben  compreso il valore della categoria kantiana. Ma poco  vantaggio potè certo cavare dalla esposizione <  Cousifr^Li «fe filosofìa di Kano che - 18«  era stata pure tradotta in italiano da F. Irmctiera  eredità, probabilmente, dei primi studi di Napoli, avan  alla conoscenza dello Spaventa. Della tradurne della  Metafisica di Aristotele, di cui il Bonghi aveva pubblicati  i primi sei libri a Torino nel 1854, il Fiorent.no in¬  sieme col Bonatelli, che allora gli era collega a Bologna  procurava di rendere possibile, con una sottoscrizione .  resto della stampa, anzi la pubblicazione completa, con  hTristampa della prima parte; ed è a deplorare che non  ‘ S riusci», e che Jop» il Bonghi ne .1*» *»b.n.  donato il pensiero, quantunque la sua interpretazione   non sia senza difetti.   TTT^ale che allora pubblicavano a Napoli il De Sancii» e .1  Settembrini.           L’HEGELISMO NAPOLETANO    211    Il corso 1864-65 fu in effetti consacrato a Kant. Della  prolusione è notizia in quest’ altra lettera, dove il Fio¬  rentino torna a lagnarsi del silenzio del Fornari, dando  a divedere quanto pur ne soffriva il suo animo affettuoso':   Carissimo amico,   ...Io sono venuto qua a passarvi le feste, ed ieri, appena,  arrivato, vi ho trovato la vostra lettera rinviatami da Bologna.  Aspetto con premura la vostra lunga lettera, ora che le va¬  canze ve ne lasciano il tempo.   Ho letto a Bologna una prolusione su Kant, di cui questo  anno mi occupo precipuamente. Sarà stampata a Firenze in  un nuovo giornale scientifico, elio ha per titolo La civiltà  italiana, e eh’è diretto da De Gubernatis. Quando ne avrò  gli estratti, ve ne manderò uno subito. Se voi voleste scrivere  qualche rosetta, o in qualche modo valervi di questo nuovo  giornale, so che De Gnbernatis no sarebbe lietissimo, fc un  bravo giovane, che io ho conosciuto, e che vi ammira molto.   Sapete voi, che, avendo mandato il mio libro ad alcuni a  Napoli, non ne ho avuto neanche risposta! Che voglia dire,  non so ; ma mi par barbara usanza il voler imprigionare la  mente umana. La mia, non si lascia inceppare, e rinunzio vo¬  lentieri ad alcuno amicizie, quando queste non possono con¬  ciliarsi con l’amore della verità.   Por la soscrizione ili Bonghi vi rinnovo le premuro, perchè  egli sta aspettando che io gli rimandi i manifesti. So come  si vada incontro ad inconvenienti, ma noi non assumiamo  nessun obbligo personale. Addio, mio carissimo amico, ed  amate   Di Perugia, 26 dicembre 1861.   Il vostro afet.mo sempre  F. Fiorentino.   La Civiltà italiana pubblicò nei primi tre numeri (I  trimestre, gennaio 1865) il discorso del Fiorentino : Em-  manuele Kant ed il mondo moderno; come pubblicò di  lui stesso il 19 febbraio 1865 (n. 8) lo scritto su I dia-    1 Cfr. quello che se ne dice nella Filos. contemp., p. 139.       212 STORIA DELLA FILOSOFIA   Ioghi di Orazio Rucellai; dall’aprile al giugno dello  stesso anno (II trimestre, nn. 1, 2, 5, 7, 11 e 12), le  lettere Stilla Scienza Nuova di Vico / e nel luglio, il  discorso Dell’armonia del concelto di Dante come filologo,  come storico, come statisla (II semestre, nn. 1 e 2): lavori  tutti ristampati più tardi dall’ autore, salvo il primo,  negli Scritti vari (1876).   Del discorso su Kant dimenticato conviene riferire  qualche pagina, la quale dimostra quanto il fiorentino  avesse profittato della lettura degli scritti dello Spaventa.   Ecco, per esempio, come poneva il problema kantiano :   jjji sperienzu prima di Kant era stata smaltita siccome il  fondamento più stallilo della scienza, o come le colonne di  Ercole, di là dalle quali non era dato allo spirito umano  travalicare senza pericolo d’imminente naufragio. Kant ri¬  flette, clic la sperieuza è tiu fatto, e ebe perciò non può  essere primitivo; essendo un risultamento, del quale si può  e si deve cercare la guisa e la ragione del nascimento. Egli  adunque propone una domanda nuova nella storia della tìlosoiìa.  coni’è possibile la sperienzat E più generalmente ancora:  coni’ è possibile il conoscerei Con la quale domanda 1 oriz¬  zonte della scienza si trova onninamente cangiato, e i vecchi  filosofi seriamente imbrogliati. Il Galluppi, che primo in Italia  giudicò convenevolmente il movimento kantiano, si accolse  di questa novità di problema, e con la Bolita sua semplicità  di linguaggio la espose così: — Prima di Kant la filosofia era  dommutio .1 o scettica: con lui comincia una nuova forma, la  critica. E prima, difatti, i filosofi o ammettevano la sperieuza,  o no; Kant uè l’nmmise, nè la rifiutò; ma disse: come si  formai II problema così mutato non versava più sull’esi¬  stenza del fatto, ma sul suo nascimento; e cotesto è la mu¬  tazione più sostanziale che Kant avesse recato in mezzo nella  scienza filosofica.   I.a Scolastica mutuava or dalla tradizione religiosa, or dalla  storia, or finalmente dalla filologia il contenuto della sua  scienza: presupponeva l’anima, il mondo, Dio, i loro attributi,  la loro origine, e vi attagliava una forma scientifica per pal¬  liare l’intrinseco difetto. Cartesio se ne sdegnò, e sopprimendo       213    L’ HEGELISMO NAPOLETANO   quel vuoto ingombro, fece capo alla coscienza, dove credette  trovare il punto stabile, sul quale puntellando la leva onni¬  potente del pensiero si mettesse in grado di smuovere il mondo  antico, e di sfasciarlo. La filosofia sperimentalo sotterra¬  tagli ridusse lo spirito a tavola rasa, e vi disegnò sopra le  prime linee della scienza nascente. Kant sorpassò l’uno e  l’altra, e soffiò su tutto il sapere precedente, perfino su la  coscienza di Cartesio, pertìuo su la sperienza di Locke ; es¬  sendoché entrambe contenevano degli elementi variabili,  ed egli, messo su l'avviso dalle rigide deduzioni di limile]  non voleva più far entrare nella scienza nulla elio avesse  sembianza di mutabilità.   Esposte rapidamente la unificazione del molteplice,  onde nell’esperienza kantiana s’intuisce il sensibile e  onde si giudica per mezzo delle categorie le intuizioni,  il fiorentino dimostra come la vera unificazione ancora  non sia compiuta, essendosi passati dall’ opposizione  della materia e della forma dell’intuizione a quella di  intuizione e categoria.   Il legame primitivo, ove si rannoda il multiplo sì della  sensibilità, come della intuizione, è l’unità trascendentale  della coscienza. E badiamo che non ci tragga in inganno il  nome medesimo di coscienza, di cui Kant si vale in due si¬  gnificazioni ben differenti. Questa coscienza trascendentale ò  primitiva ed originaria; producondo gli opposti, non può ella  essere un opposto; se no, si andrebbe all’infinito. L’altra  coscienza di soconda muno vien oontraseguata con la giunta  di empirica, ed è una fattura di quella primo, come ogni  altro fenomeno: va costruita con la forma del tempo, con le  categorie di possanza, di causa, di relazione, e via via. La  coscienza empirica, insomma, ò posteriore assai alla coscienza  trascendentale, la quale sola ò unità originaria e feconda.   L non è senza ragione se ho ribadito questa distinzione,  essendo capitalissima nel sistema che stiamo abbozzando, il  vero merito di Kant non è di avere trovato i concetti a priori,  ma di avere posto a capo della sintesi quella eli’ ei chiama  energia porlentota, vale a dire la unità sintetica originaria della  coscienza. L’illustre prof. Spaventa lia con molto aocorgimento      214    STORIA DELLA FILOSOFIA   messo in sodo questo punto, criticando la esposizione che il Ro-  smiui aveva fatto del Kant. Non è gii che gli opposti sieno  dati, e che lo spirito, trovandoli, se ne impadronisca e li  vada elaborando: questo processo ci era prima di Kant, ed  egli lo ha sorpassato, vedendone la insufficienza. Imperocché  quale conoscenza potessi avere, posto che i termini, ond ella  si compone, fossero stati accoppiati per caso e alla rinlusaf  Data da uua parte la intuizione, dall’altra la categoria, e  poi lo spirito che le sforza ad un’ unione innaturale, o per  lo meno arbitraria ; non si vede che il giudizio sarebbe  un’imbastitura come quella che descrive Orazio, e non già  un processo dello spirito, il cui carattere specialissimo è  l’intimità? Se lo spirito adunque unisce gli opposti, è perchè  entrambi scaturiscano da una sorgente comune, e perchè il  riunirli è per lui una scria necessità.   Ma Kant non fu coerente a questo concetto della sua  energia portentosa. Confusa la coscienza trascendentale  pura con l’empirica, ritenne impossibile la deduzione  logica delle categorie, che ripescò perciò empiricamente  attraverso i giudizi ; stralciò il pensiero dall’ essere, fa  cendo della sua attività una forma affatto vuota ; e finì  nel noumeno inconoscibile.   E la conseguenza è giusta, ogni volta che si ammetti' un  pensiero che non pensa nulla, e, di rincontro, un essere che  non può essere pensato. Se non che lo sbaglio sta appunto  in questa concessione. Un pensiero vuoto non è : un essere  non pensato non è: sono due astratti, ai quali voi accordate,  con soverchia larghezza, forma e persona. Che vuol dir mai  cotesta cosa in sè, che fatalmente sfugge al nostro intelletto?  Cotesto essere oscuro, che brilla per la sua mancanza, e dopo  balenato alla mente, si cela per sempre? Voi diti' di non co¬  noscerlo ed io vi replico con 1’ Hegel, chi' nulla è più Incile  a conoscere di questo punto oscuro. Esso è l’oggetto del  pensiero spogliato di ogni determinazione, vuotato di ogni  contenuto, ridotto alla mingherlina condizione il’ identità pu¬  ramente astratta. Or dunque non raffigurate in lui uuu crea¬  tura vostra?....     L’HEGELISMO NAPOLETANO    215    Nè le altre due Critiche riescono a sanare pienamente  le conseguenze prodotte da questa opposizione risorta  tra pensiero ed essere nella Critica della ragion pura.   Nella stessa Civiltà italiana (II sem., n. 10, 17 set¬  tembre 1865) il Fiorentino inserì una recensione del  primo di quei tanti libri che poi Ruffaele Mariano venne  compilando sui libri altrui : Lassalle e il suo Eraclito,  € saggio di filosofia hegeliana » (Firenze, 1865). Recen¬  sione benevola verso il giovine autore, nella quale giova  rilevare due osservazioni, che mostrano già nel ’65 ben  determinate le due direzioni divergenti degli scolari del  Vera da una parte e di quelli dello Spaventa dall’ altra.  Una è questa : « Perchè chiamate rivoluzionaria, in senso  di... retriva la filosofia di Rosmini? Perchè dir filastrocca  quelln del Gioberti? Questo acerbo procedere verso due  illustri italiani, quando anche si fondasse sul vero, non  sarebbe certo modesto consiglio il tenerlo. Nè veggo che  l’essere hegeliano debba di necessità far avere in poco  conto le loro dottrine, perchè la critica imparziale e  seria, che P illustre prof. Spaventa ha fatto dell’ uno e  dell’altro, prova il contrario».   L’altra è anche più notevole: «Ammesso come pre¬  feribile [a quello di Lassalle] il giudicio di Hegel sopra  Eraclito, non v’ha proprio nulla a ridire, specialmente  su la relazione che P Hegel pone tra Eraclito e P ultimo  degli Eleatici? E forse vero che Eraclito segni un  progresso sopra Zenone? Pare che, Eraclito essendo stato  prima di Zenone, la dialettica obbiettiva di quello sa¬  rebbe apparsa alla coscienza speculativa prima della  dialettica zenoniana ; onde l’andamento storico, per lo  meno, sembra essere stato da Hegel capovolto. Dico ciò,  allinchè l’egregio Mariano si tenga in guardia inverso  la eccessiva fiducia nell’ autorità di maestri, per grandi  che fossero. Le colonne di Ercole dell’ ingegno umano.     216 STORIA DELLA FILOSOFIA   bisogna tenerle discoste più che si può ; e se si potesse  affondarle nell’Oceano, tanto meglio. Anche lo Spa¬  venta era di quest’avviso.   Nel 1865 il Fiorentino si accinse al suo lavoro sul  Pomponazzi, pur continuando all’Università i corsi sulla  filosofìa tedesca moderna. E scriveva allo Spaventa:    Mio carissimo amico,   È trascorso gran tempo che manco <li vostre nuovo, non  ostante die vi abbia scritto durante le vacanze, quando il  Settembrini mi fece sapere ch’oravate a diporto nella cam¬  pagna. Ora che il oholèra si sente a Napoli, io sono divenuto  inquieto per causa di qualche amico elle vi ho, e più d ogni  altro per causa vostra. Levatemi da questa iuquietitudine  scrivendomi due parole che m’informassero della vostra salute.   Io sono tornato qui prima della riapertura della Università,  e vi ho riprese le mie lozioni. Ho passate le vacanze qualche  giorno a Ravenna, un po’ a Firenze, un po’ a Perugia, e poi  il più del tempo in villa.   Sto esponendo la filosofìa tedesca da Kant in qua ; e ciò  alla Università. Sto preparando una biografia ilei Pomponazzi  ricavata dalle sue opero medesime, per leggerla nella Società  di Storia Patria, di cui faccio parte. Se questa prima non  dispiacerà, o non parrà inutile, ne farò qualche altra di  qualche pensatore più importante che abbia insegnato a Bo¬  logna. Oltre l’Acbillini, chi altro mi suggerireste voif Forse  potrei farla ancora del Cromonini, che, stato a Ferrara, può  dirsi delle stesse provinole di Emilia: del Zabarella no, eh’è  stato soltanto a Padova. Io poi a queste biografie, elle leggerò  nella Deputazione di Storia Patria, aggiungerò per conto mio  la esposizione e la critica del contenuto filosofico dei loro  libri, compiendo di ciascuno una monografia. Che ve ne  pare t   ...Col medesimo ordinario vi spedisco un libretto conte¬  nente alcune mie lettere su la Scienza Nuova. Le scrissi per  compiacere a De Gubernatis, che mi chiese qualcosa per la  sua Civiltà italiana. Non sapendo se abbiate o no avuto quel  periodico, ve le mando così radunato, come le feci estrarre;      L’HEGELISMO NAPOLETANO 217   e vi prego di accettarla come testimonianza della mia sincera  stima ed amicizia.   Addio adunque, datemi presto vostre nuove, e ricordate ed  amato   Di Bologna, 30 novembre 1865.   Il vostro afi.mo amico  P. Fiorentino.   E questo il primo disegno del Pomponazzi, la cui  biografìa fu prima inserita negli atti della Deputazione  di Storia Patria per le provincie di Romagna (1867), e  poi riprodotta in capo al volume pubblicato nel maggio  1868. Il 19 giugno 1867 il Fiorentino, che diventava  sempre più intrinseco dello Spaventa, tornava a darne  notizia all’ amico : « Io aspetto la nuova ristampa [della  tua memoria] sul Campanella, 1 perché essendomene  quest’ anno occupato nel corso scolastico, sono desideroso  di vedere come tu l’hai trattato. Ora sono attorno ad  una monografia sul Pomponazzi, attorno a cui raggrup¬  però i più celebri suoi contemporanei. Me lo stampa il Le  Monnier... Me ne dà cinquanta copie e 150 lire pei libri  che mi sono occorsi ». E il 26 aprile 1868: « La stampa  del mio libro è finita, e sono attorno a scrivere due  parole di conclusione, per le quali ho aspettato di ri¬  leggere tutto il libro, che non avevo riletto, nè ricopiato,  dopo scrittolo. A Firenze, nella Magliabechiana, trovai  di Pomponazzi un manoscritto inedito col titolo di Quae-  sliones ammostiate : * le chiesi al Napoli. 3 Mi promise di  spedirle subito, ed ancora non le vedo. Ciò mi turba  non poco, non potendo sbrigare subito la stampa. Ma¬  ledetta fiaccona degl’italiani! ».    1 III Saggi ili critica, Napoli, 1867.   5 Cfr. Fiorentino, Pomponazzi, p. 509.   «Federigo Napoli, allora segretario generale del Ministero della I. P.         218    STORIA DELLA FILOSOFIA    Uscito il libro, il Fiorentino, mandato che l’ebbe allo  Spaventa, ne attendeva con la solita ansietà un giudizio.  E giudice, in altro campo, era stato quell’anno lo Spa¬  venta a Bologna, tra ire, sospetti e timori, di cui un’eco  risuona anche nella lettera qui appresso riferita del  Fiorentino. Era stato col Brioschi e il Messedaglia a  fare quella ispezione alla Università, di cui parla il  Carducci in Ceneri c faville ; e aveva riferito lui al Mi¬  nistero.   Mio Carissimo amico,   Ilo ricevuto i manoscritti del Gatti, che ho consegnato  subito al Siciliani, uonchè lo due dispense che mi mancavano,  e di cui ti ringrazio vivamente... Non ho visto incora l>e  Meis, ma fari) di tutto per leggere la lettera di venti pagine: 1  ci dovrà essere una epopea intera.   Qui si fa un grati dir male di te per la famosa relazione: *  io uon l’ho letta, e se non la leggerò, non me ne sto al detto  di nessuno. Mi si è detto cose, alle quali, come puoi pensare,  non ho potuto dar credito: tra le altre cose che voi avete  dato una patente d’ignoranti a tutta l’università in massa,  e che in difetto di scienza, si va in cerca di popolarità nello  associazioni politiche, lo per me, se fosBe vero il detto, nou  protesterei per l’ignoranza, che sento di averne una grossa  dose in corpo, nm protesterei per la popolarità, perchè non  no ho avuto mai gran voglia ; e se si acquista nei cliilie, ci  vorrà un pezzo prima che me ne tocchi un briciolo. Manco  male se si acquistasse dormendo, perchè allora potrei averci  delle pretensioni. Fuori di scherzo, quello che si bucina qui,  e che ha prodotte molte ire, nò senza ragione se fosse vero,    1 La lettera al De Meis che fu pubblicala col titolo Paolotttsmo,  positivismo e raslonallsmo , c che é qui appresso citata.   « Si allude a una Relazione da lo Spaventa presentata al Ministero  della P. I. in seguito ad una inchiesta da lui fatta in commissione  col Brioschi e col Messedaglia, nell’ Università di Bologna, iter ragioni  d'ordine politico, nel 1868. Un articolo del Carducci su questa faccenda,  pubblicato Dell'Amico del popolo, di Bologna, del 29-H0 luglio iami. si  può vedere nel volume teneri e faville, serie I: Opere, V, 61 sgg.     L’HEGELISMO NAPOLETANO    219    è qnell’aver messo sotto nini tuie cntegorin, e tutti in un  fascio, i professori bolognesi, lo sono nn mezzo proscritto, perchè  sapendomi tuo amico, o si guardano di me, o mi tempestano  a tutta furia.   Lasciamo questa miseria. Ho letto i documenti che il Berti  lui stampato della vita di Bruno. Il processo veneto, se  non e stato adulterato il contenuto, fa mostra di poca fer¬  mezza, o non so persuadermene. Che cosa ne dici tu! Gli hai  visti! 1   Ho tra le mani pure la seconda edizione delle opere di  Comte, e voglio leggerla tutta, perchè ne ho Ietto soltanto  esposizioni, benché assai larghe.   Il mio libro è (inito, almeno le correzioni ultime le mandai  una settimana fa, ma ancora noi vedo. Appena uscirà, scriverò  a Firenze, che di là stesso te ne mandino mia copia, per far  più presto. Tu poi leggila col tuo comodo, e dimmene il tuo  parere, quando potrai. Capisco che hai molto da fare, o che  non puoi tutto quello che vuoi.   Mi prometto di avere qualcosa di tuo pel giornale; qualcosa  del Settembrini, fosse anche tuia pagina. Il Siciliani spesso  me ne fa premura... Io non solo non ti ammazzo, ma ti rin¬  grazio, e col vecchio adagio ti ripeto: meglio tardi che inai.  Non credo però a quel « subito », con cui vuoi darmi ad in¬  tendere che mi scriverai del lavoro di Labriola.* * Sii contenterei  che fosse tra nn mese.   Hai avuto il libro del De Meis! 3 Dopo il Don Chisciotte non  ho letto libro che mi avesse fatto rider tanto : le cause del  riso sono spesso gravide di grandi pensieri. Mi piace molto,  ma molto. Qui l’hanno con lui tutti, il dott. Rossi perchè  noi trova abbastanza filosofo, le donne per essere state chiamate  animali domestici, e portino i bambini per essere stati ingiuriati    1 II Fiorentino, esaminali più lardi gli atti del processo veneto,  si confermò Infatti nel sospetto che fossero adulterati. Vedi un suo  scritto nel Oiorn. napol. di fllos. e teli., luglio 1878.   * Non saprei dire a qual lavoro si alluda.   * Il Dopo la laurea del l)e Meis (1808-69).       220    STORIA DELLA FILOSOFIA    per tignosetti. La contessa Gozzadiui 1 gli scrisse una lettera,  nella quale si firmava: « l’animale domestico di Gozzadini*.   Addio, mio carissimo Spaventa, veglimi bene come te ne  voglio io   Di Bologna, 19 maggio ’68.   Aff.mo tuo amico  F. Fiorentino.   Lo Spaventa dovette rassicurarlo sul contenuto della  famosa Relazione. Quindi quest’ altra lettera del Fio¬  rentino :   Mio carissimo amico,   Ero capacitato anche prima, che tu non potevi aver detto  tutta quella roba da chiodi di questa Università, che altri  diceva, ed i pih credevano, lo perù, come amico, mi tenui  in obbligo di informartene, non per conto mio, ma per tua  regola. Tu puoi già pensarti, che con gli altri ho detto, e  gridato, e asseverato, esser impossibile che tu avessi voluto,  e potuto dire quello che non era; e elio la verità poi non si  può, nè si dove tacere. La tua lunga lettera mi ha fatto bene,  perchè mi ha snebbiato adatto la meute: il cuore, già s’in¬  tendo, propendeva sempre a darti ragione, e non ci era bi¬  sogno di altri eccitamenti. Io dunque non solo non ti ammazzo,  ma neppure ti muovo un rimprovero, molto meno poi per  mie personali considerazioni, lo sono un misto di stoico, di  cinico, e di scettico, che di questi tre elementi non so quale  prevalga pih. Dal Ministero non voglio nastri, dagli studenti  non voglio applausi; dunque, mi sento in grado di resistere  ad ogni tentazione. Ad una sola cosa non resisto, ed è il  bisogno di voler bene agli amici, e di dir loro franca, ed  anche brusca la verità.   Tu avrai dovuto ricevere a quest’ ora una copia del mio  Pomponazti; perchè io, vedendo il ritardo di Le Monnier a  spedirmene le copie, commisi ad un mio amico di spedirne    1 Maria Teresa G., di cui scrisse la Vi la 11 marito, Giovanni Goz-  zadini (Bologna, Zanichelli, 1884), con pref. di G. Carducci. V. pure  Carducci, Opere, III, 369 ss.         221    L’HEGELISMO NAPOLETANO   una copia almeno a te ila Firenze stessa. Fa il tuo commotlo  nel leggerlo, ma poi dammene il piìl severo giudizio die tu  possa, perchè da nessuno me lo aspetto piìi aspro e più  istruttivo. Chi mi dica: bravo, non ini mancherà; ed anzi  più me lo dirà chi meno me ne crederà degno, nè io ho da  peccar contro la modestia per accettarli, o per pronunziarmeli  io stesso; ma chi mi mancherà di certo sarà chi mi dica: qui  hai sbagliato, là avresti dovuto pensar meglio: queste pagine  avresti dovuto bruciarle intere intere. Kbbene, voglio che  quest’uno non mi manchi, e dovrai essere tu. Mettiti al naso  l’inseparabile occhiale, aggrotta le ciglia, prendi quel cipiglio  mezzo tragico che hai nella fotografìa di Napoli ; e per dir  tutto in una parola, figurati di scrivere una pagina di quella  relazione, per la quale vivrai eterno tra gli archivi del Mi¬  nistero, e poi scrivimi un letterone quanto quello che scrivesti  a De Meis. Più male parole ci troverò, e più te ne renderò  grazie.   A proposito, quella tua lettera, con partito unanime, fu li¬  cenziata alla stampa, riseoandone certi nomi propri, e certe  espressioui che ricordavano il Candelaio di Brano... Io mi oc¬  cuperò in alcuni articoli successivi dei tuoi lavori. Vorrei  farne tre o quattro, o quanti me ne verranno, per far notare  lo sviluppo della filosofia italiana secondo la tua critica, che  a me pare una vera scoperta. Ma aspetto prima di finire le  lezioni, perchè tu sai che questa rivista non è tanto facile...  Addio, mio carissimo Spaventa, e veglimi bene come te no  voglio io   Di Bologna, 3 giugno 1868.   Ajff.mo tuo amico  F. Fiorentino.   La lettera dello Spaventa, stampata nella Rivisiti Bo¬  lognese, , che allora il Fiorentino pubblicava con l’Al-  bicini, il Siciliani e il Panzacchi, è quella al De Meis,  col titolo Paolottismo, positivismo e razionalismo (rist.  in Scritli filosofici, pp. 291 sg.). Gli articoli che il Fio¬  rentino aveva in animo di scrivere sulla scoperta dello  Spaventa, non furono più scritti. Ma egli se ne occupò  qualche anno più tardi in quello inserito nell’itoh'a  dell’ Hillebrand.       222    STORIA DELLA FILOSOFIA    E poiché abbiamo accennato alle brighe universitarie  bolognesi del 1868, di cui fu tanta parte il Carducci,  diamo pure un altro curioso brano di lettera del Fioren¬  tino, diretta allo Spaventa poco dopo la sua partenza  da Bologna, dove si serba il ricordo d’una polemica  del Carducci col De Meis e col Fiorentino:   « Io sono stato poco bene, parte per la stagione che  corre, parte ancora per una certa polemica, nella quale  ci siamo trovati De Meis ed io, e di cui non so se ti  è pervenuto rumore. Or dunque, hai da sapere, che il  Carducci, credendo dall’articolo di De Meis, intitolato  Il sovrano, 1 offesa la dignità del suo partito, gli scrisse  contro nell’-Amico del popolo parole aspre. Gli diede del-  l’imbecille, chiamò citrullerie le cose dette dal De Meis...  L’ articolo non era firmato ; ma io sapeva esserne stato  autore il Carducci, per aver questi scritto le stesse cose  in una lettera particolare al Siciliani. s Risposi io, di¬  cendo... potersi combattere le opinioni, senza insultare  le persone. Il Carducci si rivolse contro di me una prima  volta ; ed io lo avvertii privatamente, che lo avrei jHinto  sul vivo. Non si stette a questo avviso, e ripigliò da  capo una tirata contro di De Meis e di me ad un tempo »  (18 marzo 1868).   Il Fiorentino replicò, ed ebbe, a quel che sembra,  l’ultima parola. Ma, «tutto ciò mi ha irritato», egli  scriveva nella stessa lettera, « ed il povero De Meis  n’era rimasto seriamente afflitto : dopo avuta la rivincita,  che tutta Bologna ha approvato, si è rinfrancato ; ed ora    * Pubbl. nella Rivista bolognese del 1868.   * Documenti dell’amicizia del Carducci per P. Siciliani sono i  giudizi del primo sul Rinnovamento della filosofia positiva in Italia  del Siciliani, In Ceneri e faville, 8. II, Opere , VII, 362-68: e le af¬  fettuose parole Alla bara di P. Siciliani, in Ceneri e faville, s. Ili,  Opere, XI, 313-316.      L’HEGELISMO NAPOLETANO    223    è allegro e sta bene... Eccoti descritta la nostra battaglia,  eh’è finita con nostro decoro».   Quegli articoli il Carducci non li volle pili ristampati.  Ma insieme con quelli del Fiorentino sono stati rin¬  tracciati dal Croce, che ha così potuto tessere la storia  di questo aneddoto. 1   In un’altra lettera di due anni appresso (25 maggio  1870) del Fiorentino allo Spaventa si legge ancora: « Io  sono sul punto di rientrare in lizza col Carducci, che  mi ha provocato con una nuova lettera insolentissima.  Questa nuova contesa, alla quale non ho potuto sot¬  trarmi, mi fa crescere il desiderio di allontanarmi de¬  finitivamente da Bologna ». Nel novembre 1871 il Fio¬  rentino, infatti, si fece tramutare nell’ Università di  Napoli, come professore di Filosofia della storia.   Ma non aveva lasciato Bologna quando cominciò a  lavorare intorno al Telesio. Ecco infatti che cosa scriveva  allo Spaventa il 14 gennaio 1869:   Mio carissimo amico,   Sono passati sei lunglii mesi che uè ti ho piti visto, nò ho  avuto tue nuove, tranne questa che mi diede tuo fratello,  che tu eri stato a villeggiare negli Abruzzi. Ora è cominciato  un anno nuovo, e voglio ritentare se tu, chi sa, volessi pure  incominciare una vita nuova. Dalla parte mia non voglio  mancare di mandarti i miei augnrii, tra i quali non ultimo  quello di scrivere un poco più frequentemente agli amici. Vedi,  che non ho detto di pensare o di voler bene ad essi, perchè  so che per questo riguardo non ci è bisogno di miglioramenti.   Io quest’ anno mi occupo di Leibniz o di Spinoza princi¬  palmente, poi dei seguaci, e, se mi avanzerò il tempo, di Ma¬  lebranche. Mi servo, oltre alle opere loro, di varii espositori  e critici, tra i quali della stupenda storia di lCuiio Fischer.    1 Vedi B. Crocb, Documenti carducciani: una dimenticata potè-  mica tra II Carducci, F. Fiorentino e A. C. De Mele, nella Critica  vili (1910), pp. 401-421.       t    224 STORIA DELLA FILOSOFIA   Avrei intenzione di scrivere quulclie cosa sul movimento  telesiano, ed ho scritto per avere alcuni manoscritti che ri¬  guardano Telesio, e che si trovano parte costà, parte a  Firenze. 1 lo aspetto sempre il tuo parere sul mio libro;  parere, che per essere più aspettato, e piìì pregiato di tutti,  si fa lungamente desiderare. Ma verràf Lo spero.   Hai letto che cosa ne scrisse Franti sul Centralblatt? Egli  stesso mandommi con molta cortesia un numero di quel gior¬  nale, dove ci era la sua rivista sul mio libro.   Con De Meis ci vediamo spesso, ma egli non è in grado di  darmi tue nuove, più che io non sia riguardo a lui. La  neve ieri si è fatta vedere la prima volta in città: tu però  quest’anno non verrai a goderne lo spettacolo. Io quasi quasi  sarei tentato di pregare che a qualche professore saltasse in  capo di tribuneggiare per la tassa del macinato, per vederti  comparire in commissione straordinaria. Ma non vorrei poi il  danno del prossimo: in questo sono cristiano.   Tra questi giorni scriverò a Vera per invitarlo a scrivere  qualche cosa su la nostra Rivista. 11 Siciliaui, con le suo  velleità ortodosse, n’ò uscito, come saprai, ed io e l’Albicini  vorremmo tenerla in piedi, anche uu po’ più decorosamente.  Con te non ci vogliono inviti; ma, lo so purtroppo, non c’è  neppure da far grande assegnamento.   Addio, mio carissimo, scrivimi qualche riga, anche per dire  a chi mi doumnda di te, che sei vivo o sano.   Di Bologna, 14 del 1869.   Aff.mo tuo amico  F. Fiokentino.   L’articolo del Franti sul Pomponazzi uscì nel Cen-  tralblait del 30 ottobre 1868, e fu tradotto dal Tocco e  pubblicato in Italia, in una difesa dell’opera del maestro  contro gli attacchi della Civiltà Cattolica (nella Rivista  contemporanea di Torino, a. 1860, voi. LVI, pp. 247 58).   Del Telesio si torna a parlare in una lettera del 9  novembre 1869 : « Tocco ti ha mandato la prima dispensa    1 Vedi L. Settembrini, Epistolario, con pref. e note di F. Fio¬  rentino, 3.* ed. Napoli. 1898, pp. 285-88S. 835-8.     225    L’HEGELISMO NAPOLETANO   delle sue Lezioni, * 1 e so che aspetta il tuo giudizio. Io  ho cominciato a scrivacchiare le prime pagine di un  lavoro sul Telosio, che non so come mi potrà riuscire.  Aspetto la tua memoria completa su P Etica di Hegel. 1  Quanti più ne conosco, tanto più ti stimo e ti voglio  bene. Dimmi ora una cosa; vorrei dedicare a te ed  a De Meis questo mio lavoruccio sul Telesio, quando'  sarà finito: accetteresti tu la dedica? Tra me e te non  ci sono timori di adulazione, o di altri secondi fini :  è una pubblica professione di stima e di amicizia, che  mi piacerebbe di fare...». Il primo volume del Telesio  (18<2) fu dedicato, infatti, allo Spaventa: non solo  come testimonianza di amicizia, ma come dovere di gra¬  titudine e di giustizia: di giustizia verso chi aveva  scritto i saggi sul Bruno e sul Campanella ; di grati¬  tudine per l 'insolita luce che scintillava da essi, e da  cui il I iorentino era rimasto colpito. In questi studi  storici sui filosofi italiani del risorgimento il Fiorentino  infatti non fu, come s’è detto, se non uno scolaro dello  Spaventa: da lui avviato e da lui guidato.   Ecco come cou lo Spaventa si consigliava per pre¬  pararsi al primo corso di Filosofia della storia da tenere  a Napoli :   Camerino, 26 luglio 1871.   Mio carissimo amico,   Ti Borivo da Camerino, per sapere come stai, poiché non  mi iti dato di rivederti a Bologna, dove sperava poter passare  qualche giornata cou te. Avevo anzi desiderio di discorrere    1 F. Tocco, Lezioni di filosofia ad uso de’ Licei, Bologna, R. Ti¬  pografia, 1889, con pref. del Fiorentino.   1 il proemio a gli Studi sull'mica di Hegel era uscito nel 1869 nella  Riv. bolognese; ma l’anno stesso fu ristampalo con gli Studi negli  Atti della R. Acc. delle se. mor. e poi. di Napoli; e il tutto fu ripub¬  blicato da me nel 190-1 col titolo di Principti di Elica (Napoli, Pierro)..   15 - Gkntilb. Storia della filosofia.       226    STORIA DELLA FILOSOFIA   teco seriamente, per sapere che cosa avresti creduto meglio,  ch’io potessi insegnare nel corso dell’unno venturo in coleste  Università. Tu sai meglio di me i bisogni, i desideri!, ed  anche i gusti di costà, lo per me vorrei far poche chiacchiere  sui generali, e, detto quel tanto eli’è indispensabile come in¬  troduzione, entrare a dirittura nel tema, che sarebbe, salvo  tuo avviso in contrario, il mondo grimo. Dol mondo orientale  so poco: avrei bisogno di studiare prima; ed il tempo, per  questo anno almeno, mi manca. Della Grecia conosco qualche  cosa, e con questi tre mesi di studio mi preparerei suffiiiien-  temente. Che cosa ne dici tu? Quali libri mi consigli di leg¬  gere ? lo sto rileggendo gli storici greci ; e dopo averli riletti  testualmente, uii gioverò del Grote e del Curtius. Per la parte  letteraria ho il Milller (Ottofrodo); per le religioni, la Storia  di Alfredo Minirv; per la parte filosofica, il Zeller; per arte  greca forse mi gioverebbe il Winckelmann, ...a noi so, perchè  ancora non lMio lotto.   Da tutti questi potrei attingerò, si sa, i materiali; ma U  resto è da fare. Le poche linee di Hegel nella Filosofia Mia  storia mi servirebbero di traccia: sui tuoi consigli poi faccio  largo assegnamento. Intanto comincia dal darmene qualcuno,  e fa presto...   Tutto tuo  F. Fiorentino.    Aggiungo qui appresso un altro gruppetto di lettere  o frammenti di lettere dello stesso Fiorentino allo Spa¬  venta, di cui trassi copia alcuni anni fa dalla carte  dello Spaventa ora depositate presso la biblioteca della  Società napoletana di storia patria ; poiché anche queste  lettere e frammenti / gettano qualche luce sugli studi,  sulle passioni, sulle idee, che si agitavano in Italia in¬  torno allo Spaventa.   (Pisa, 14 aprile 1873). — Ieri sera parti di Pisa Silvio, ed  a quest’ora sarà a Milano, e domani parlerà a Bergamo. Si  trattenne con me la giornata d’ ieri, ed arrivò qni avantier-  sera. Sta benissimo, e me ne sono consolato tanto. Gli dissi     L’HEGELISMO NAPOLETANO 227   elle ti avrei scritto stamattina ed al solito ti mando queBta  lettera col liciti. 1   K la tna lunga lettera? 15 rimasta tra i pii desiderii, di  cui è lastricato, dicono, 1’ inferno.   Io ho scritto una risposta all' accademico linceo Pietro Hu-  cione. 1 Si sta stampando a Napoli, e vorrei che tu ne guardassi  le prove prima di pubblicarsi. Ne ho scritto al Zumbini,  perchè te la mostrasse. Gli ho fatta una lavata di capo delle  mie solite. La presunzione e P ignoranza nel Ferri si bilan¬  ciano tanto, che non so a quale delle due dare la preferenza.   Aspetto tua lettera dopo letto questo articolo: mi preme  sapere il tuo giudizio, e ti do piena facoltà di mutare, e di  cancellare anche qualche cosa, die non ti paia conveniente,  o inesatta.   (Portici, 9 settembre ’73). — Ieri tornai da Soma, dove la¬  sciai Silvio che stava benissimo. Ho trovato qui una lettera  dello Zeller, clic mi annunziava la sua venuta a Napoli. Oggi  P ho visto, ed ho insieme saputo dal Labriola, che tu sei a  Maddaloni. Vuoi vederlo? Oggi si è parlato di te, ed egli de¬  sidererebbe di conoscerti di persona, come ti conosce di fama.  Dimora questa settimana...   (Pisa, 31 dicembre ’7(i) — Prima che tramonti l’ultimo sole  ili questo anno, e sta già per tramontare, voglio scriverti. Il  tuo ostinato silenzio avrebbe scoraggiato ogni altro, non me,  ohe quando si tratta di te, il peggio che possa pensare è,  che il calamaio l'abbi o smarrito, o asciutto come la sabbia.  Kccoci ora intesi : tu taci, io scrivo.   Io sto bene, e tutti di casa pure, salvo la Tuta 3 eh’è un  po raffreddata. E tu? E donna Isabella? E Camillo e la  Mimi f 4 Speriamo che stiate bene, ed auguriamo che stiate  meglio.    Pisa 1501 ** 0 ’* malenla lico, che insegnava nella Università di   lll0R0, '° Luigi Ferri, cui era sialo tra gli amici dello Spaventa  applicato tale nomignolo dopo elle Vittorio Imbruni nel Olorn  Napol. di filo.,, e leu , I (18 2) 397, aveva rilevato lo strafalcione dal  j ,, commesso nel trascrivere f.V. Antologia, voi. XX, 1872) l'epitrrafe  della tomba del Cusano in S. Pietro In Vincoli leggendo: Promise*  Pelei lìucionts [invece di retri — bucionisj non fefetut eum »   HestItuta Trebbi, moglie del Fiorentino.   * Isabella Scano moglie dello Spaventa; Camillo e Mimi tigli.        228    STORIA DELLA FILOSOFIA   Ln disfatta del nostro partito mi ha commosso non por me,  che sai quanto io stimi il genere umano in massa; ma pe  miei amici, per tuo fratello specialmente, che non ha alte  vita, si può dire, che la politica. Ne sono stato costernato,  ancora è scemata l’impressione. Nicotor» è dunque 1 arbitro  dell’Italia, e tutti, o quasi, gli si curvano, gl. si prosternano  innanzi. Quanta viltà 1 Quanta corruzione! Vaie il pregio <  curarsi del prossimo! E una terribile domanda : piò si conosce  il moudo, e piti si devo disprezzare: Leopardi non aveva  torto. Ma... c’ è un ma; ed io ti confesso che non mi “ ,re “ do -  con tutte le ragioni in contrario. Mi sono chiuso, vivo tra.  miei ed i libri, non vedo nessuno, non conosco e “   conosciuto, e mi sento beato in questo silenzio ed in questa  oscurità. 11 mio Niuarello cresce eh’è una delizia, ad ha tonto  alletto e tanto accorgimento, che mi diverte e mi ristora,  tess’io vederlo giovane fatto come il tuo (.umilio   Non Io perchè, mi sento ora più legato alla vita, come non   Cì iTn povero 1 Settembrini f ■ A casa mia ci fu lutto come  se fosse morta persona nostra: lessi la notizia su la Gazze a  dell’Emilia, ed insieme appresi la scondita di bihio.  colpi in una volta. Ma Silvio tornerà alla Camera, e al Mi¬  nistero, se il senso dell’ onestà non sarà spento nel nostro  nomilo ; il povero Settembrini non tornerà piu .   • Penso di scrivere per lui un articolo sul Giornale napoletano;  è la sola cosa ch’io possa fare per lui. Ma lasciamo questo   tr Che3 U rfacendo t lo sto scrivendo certe lezioni di  filosofia pei Licei: il Morano mi è stato addosso, e finalmente  mi ci sono piegato. È cosa molto ardua, ed il noti poterti  allargare quante vorresti, toglie gran parte della scioltezza  del pensiero, ed anche dello stilo. Farò alla meglio e quel  eli’è peggio, in fretta. 11 Morano commise lo sbaglio di un   f..U, munirò ...» »». «■,•«•*>   fogli, ora con la spada alle reni ni’...calza per la tonti   n u azione.   i n settembrini mori addi 3 novembre 1878. Il Fiorentino non   scrisse poi l'articolo di cui parla in questa lettera; del rimpianto  scrisse P°' ,, u Scriui va .u di tener, polii, ed atte   (Napoli, Morano. 1873; e V Epistolario (ivi, 1883), premettendo agl.   uni e all'altro belle e affettuose prelazioni.      L’HEGELISMO NAPOLETANO    229    All’ Università faccio nu corso di Etica, ed lio riletto la  tua memoria su l’Etica di Hegel. Hai visto il giudizio  portato dal Berlini 1 su di te, o di Hegel f Ci ho avuto molto  gusto, perchè la sua autorità non è sospetta, come In mia,  appresso la filosofia italiana. Povero Bortini, spento anche lui 1   Scrivimi, se puoi, e se vuoi: lascio la cosa al tuo arbitrio ;  non cosi, il volormi bene che in mezzo a tanti disiugauni  mi preme e mi giova assai.   Alla tua famiglia di tanti augurii anche da parte della  mia, e tu credimi sempre, e non a parole.   S. — Vedi se puoi sorivere qualche cosa pel Giornale  napoletano.   (Samhinse, 25 agosto 1877). — Ed ora un’altra notizia.  L’arciprete Pompa mi perseguita per causa tua: ha scritto  su l' Eburino, giornale che si stampa ad Elicli, una recensione  di un uuovo capolavoro artistico dell’Acri, e dico che io sono vo¬  tato a te anima e corpo. Fin qui non erra : ma il reverendo, pos¬  sessore de’ documenti della storia antidiluviana, non sa farsi  capace della mia polemica contro il vice-gesh, ed il vice-  Fornari; cioè contro il Fornari, e l’Acri.   Quest'ultimo, dopo di aver ponzato altri 14 mesi, è venuto  fuori con un opuscolo su Spinoza ; non so che cosa dica, e  come c’entri coi giudizi su la filosofia italiana, ch’egli doveva  convalidare. Non ho nessuna intenzione di rispondere, qua¬  lunque sia il libro, che ancora non conosco, se non per la  receusione dell’arciprete noetico».    1 Su G. M. Berlini (1818-1876) v. lo mio Origini della fllos. contemp.  in Italia. 1,* 129-201. Il giudizio cui alludo 11 Fiorentino, é contenuto  in una lettera del Berlini al prof. P. Merlo, pubblicala nel Giornale  napoletano di fllos. e letl. (ottobre 1876) IV, 823, dov’é detto: « Vi ringra¬  zio di avermi mandato lo scritto dello Spaventa, che io considero corno  il più serio e il più chiaroveggente degli Hegeliani d'Italia. Volendo lo  terminare un corso di filosofia elementare ad uso de’ licei... mi sono  creduto in obbligo di tener conto delle dottrine di quel valentuomo,  tanto più che io sono sempre in questa persuasione, che II restringere  il vocabolo scienza a significare puramente i risultati dell'esperienza,  dell'osservazione e dell’induzione, come si fa oggidì, negando ogni  valore scientifico alle discipline speculative, sia non solo arbitrario,  ma contradittorio... Quindi io credo che sla salutare un ritorno ad  Hegel, o per dir meglio, al suo metodo, e a quella sua assoluta, e  direi quasi eroica fiducia nelle forze della ragione umana ».       230    STORIA DELLA FILOSOFIA    (Pisa, 16 giugno 1878). — Prima di scordarmi, ae hai por¬  tata la Vita di Giordano Urlino, 1 dalla al Betti che me la  porterà: se no, mandala a Domenico Morano, affinchè me  la l'accia pervenire.   li Bruno si sta copiando, e dentro questa settimana co-  mincerò a mandare il manoscritto. Spero che tu hai con¬  certato pei caratteri, pel formato, per la carta. Se non avessi  ancora stabilito niente, scrivo che aspettino Beuz’altro il tuo  ritorno.   Il Peipers mi ha risposto che a Gottinga si conserva sol¬  tanto il manoscritto delP Oratio coneolatona ; ma non mi dice  neppure s’è autografo. Quest’ orazione io la trovai a Roma  tra la collezione degli opuscoli del Cardinal Valenti, ed è  rarissima. Vale la pena di far veniro il manoscritto? Nota  che a Gottinga, la copia stampata non l’hanno neppure.   L’edizione del Gfrorer ! non si trova in commercio : il  Zeller uii ha mandato la sua, la quale però è mancante della  quinta dispensa. Ne ho data commissione, ma non so se mi  riuscirà pescarla.   Ho scritto per l’edizione del Tugiui, Ve Umbrie idearum.   Ho riscontrato il Buhle : non dice nulla di manoscritti : porta  un catalogo delle opere abbastanza esatto. Ho trovato qualche  altra notizia sul Bruno uelPAoidalio. 3   Dopo che tu partisti di Roma, riseppi che nell’archivio  della congregazione di San Giovanni decollato c’ era la no¬  tizia del giorno della esecuzione del Bruno, e che questa  data non corrisponde a quella generalmente ritenuta (17 Feb¬  braio 1600).* * Mi è stata promessa una copia, benché quei  fratacchioni non vogliano far supero nulla. La notizia ag¬  giunge, che a nessun patto si volle convertire. Come sai,  questa notizia è un documento autentico, perchè finora non  c’ è altro che la lettera di quel furfante dello Scioppio.    ■ I.a Vita scritta da D. Berti (Torino, Paravia, 1888).   * Ossia il volume degli Scritti latini del Bruno, pubblicati nel 1838  (frontespizio 1831) da A. Kr. Gfrorer a Stoccarda.   * Cfr. la pref. dello stesso Fiorentino alle Opere latine del Bruno,  ed. naz , I, p. XX.   * Il doc. pubbl. in facsimile nel voi. Ili delle Opere latine del  Bruno a cura di F. Tocco e G. Vitelli (Firenze. 1891).     L’HEGELISMO NAPOLETANO    231    Inoltre il cav. Podestà 1 * mi disse, che a lui orati venute sot-  t’occhio parecchie carte mauoscritte concernenti il Bruno: non  sapeva però dove. Cercai una giornata intera, ma ce ne vo¬  levano delle dozzine di giornate, ed io avevo fretta di tornare.  Il Podestà mi promise di continuare le ricerche: se no, ci  andrò io per lina settimana.   Mi ci sono messo, o voglio riuscire.   Tornato tjiti, trovai Nino ammalato di febbre gastrica: com¬  parvero lo macchie difteriche; in un giorno si pennellarono tre  volte; due altre volte il giorno appresso: disparvero. Ma come  fossi stato io d’animo, tu puoi pensarlo. I nervi mi ballano  ancor», o tra giorni andremo in campagna, in una villa che  ho trovata in iptel di Lucca.   Ilo avuto i titoli di Bàrbera, 5 quelli del Siciliani non ancora:  conosco gli uni e gli altri; ma r/itid agenduml Sono tra l’in¬  cudine e il martello, e non so a qual partito appigliarmi.   E tu dimorerai a Napoli? Ovvero andrai in campagna, e  dovei Vorrei saperlo.   Il Labriola mi ha mandato un suo articolo su la libertà; 3 * e  vorrebbe ne dicessi qualche parola: mi ci trovo imbrogliato.  Capisco il Labriola, quando parla, non lo capisco quando  Bcrive. Non ha stabilità di pensiero, ondeggia in aria, ed  ha la pretensione di parere elaborato, come egli mi scrive.  Capisco Herbart, non capisco lui. L’oscurità non è nelle  parole, o nello stile, è dentro la testa.   Ilo letto il discorso di Silvio, e poi Insita sdegnosa lettera  all’Opinione, tritai maturità ili pensiero nel primo, e qual forza  di carattere nella seconda! Il discorso appartiene al mondo  moderno, ma la lettera è di altri tempi, ed ora non tutti  possono gustarla.   Salutamelo tanto, anche da parte della mia famiglia, che  fa lo stesso con te.    1 11 bibliotecario Bartolomeo P. <m. noi 1910), allora nella Vltt.   Emanuele di Roma.   ’ Luigi Bàrbera, che fu professore di Filosofia morale nella R. Uni¬  versità di Bologna.   * Del concetto della libertà, studio psicologico, nell'Archivio di sta¬   tìstica del 1S78 (risi, in Lakkiola, Scritti cori, ed. Croce, pp. 135-189).        232    STORIA DELLA FILOSOFIA    /). 5. M’ero dimenticato di raccomandarti il Persiani. È  impaurito, perché il relatore 1 non sei tn, ina un lombardo  (forse il Teneaf), e par che dalla Lombardia non si riprometta  gran che di bene. Son certo però che tn potrai njutarlo  sempre.   (Pisa, 22 marzo 1877). — Avantieri ti scrissi a Napoli,  ed ora avendo saputo che il Betti ò stato chiamato per tele¬  grafo, ti rescrivo da capo, e ti manderò questa lettera per mezzo  suo. Io non gliela posso portare di persona, perchè sono al¬  quanto infreddato a causa della lezione d’ieri.   Tu che sei la fenice dei Presidenti, specialmente quanto  a prudenza, vedi se non entra fra le attribuzioni presidenziali  quello che ti chiedo io.   Ho bisogno di venire a Roma, perchè il primo volume è  finito, e per continuare la stampa voglio esser certo che il  ministro non adduca cavilli : nel qual caso pianterei 11 la  baracca. Premesso ciò, e visto e considerato che il Ministero  ha premura pel Siciliani, e poca o punta premura pel concorso  di Torino, visto e considerato, che sta alla chiaroveggente  perspicacia del Presidente il decidere se necessiti la convo¬  cazione del concilio: io riproporrei che tu ci convocassi; che,  convocati nell’ interesse del pubblico erario, stimoli i padri  ecumenici di Roma a finir la eterna questione di Torino; e  son certo, come ogni dottor Pangloss, che tutto andrò per lo  meglio in questo perfettissimo mondo, tranne il mio raffreddore  che sempre piò s’ inasprisce.   Ed ora che ti ho detto il mio desiderio, tu con quell’occhio  critico che ti rende (che cosa dico!) che ti rende piuttosto  singolare che raro, farai quel che crederai.   Ed orn da capo, ma su di un altro argomento, una notizia.  Nell’ultima puntata (stile mamianico) della Filosofia delle  scuole italiane, il sullodato Conte scrivendo all’amico Ferri,  sai che cosa gli dico f Che in tutta Europa (le pelli rosse e gli  Zulus non ci vanno compresi) a parlare di Platouo e delle  idee non ci sono rimasti altri che loro due. Povero Platone !  Chi glielo avrebbe detto, che dopo tante feste, e tanti conviti,    1 Nel Consiglio Superiore della P. I., di cui Carlo Tenca, come lo  Spaventa, faceva parte, e da cui il Persiani aspettava 1’ abilitazione  all' insegnamento.       L'HEGELISMO NAPOLETANO    233    <• tanti commensali (a 20 franchi l’uno) che lo ringiovanirono,  lo restaurarono, lo rinnovarono, oramai, finita la digestione del  pranzo, ognuno lift preso la sua via e di idee non ne vuol  sapere nessuno più? Chi avrebbe creduto che perfino quello  ragazze, tanto belline, tanto plutoniche, si son buttate anche  loro al materialismo 1 1 Ah ragazzo, ragazze: da voi me lo  aspettavo, che sareste rimaste platoniche lino ad aver  trovato un marito, o un facente funzione; ma il Finali, il  Monabrea, il Borgatti, tutta gente massiccia, chi avrebbe mai  creduto ohe avrebbero lasciato nelle peste il Conte ed il suo  illustre oommilitonef   Vista la brutta china, direbbe il Sella, io proporrei (il  raffreddore mi ha dato un diluvio di proposte) che il Ma-  miani ed il Ferri siano impagliati, e ben conservati nell’atrio  dell’Accademia de’ Licei con questa memore iscrizione:   QUESTI BIPEDI IMPLUMI  ULTIMI DELLA SPECIE ESTINTA  RIMASERO platonici,   ESSI SOLI IN EUROPA  DOPO IL PRANZO PLATONICO* *   DEL 1874.   Dopo della qual cerimonia vorrei che l’Accademia prelodata  a voti unanimi incaricasse il poeta pindarico B. Spaventa  perchè ne celebrasse condegnamente l’eroismo. E diamine 1  Alle Termopili furono treceuto finalmente, eppure Simonide  s’incaricò di cantarne: qui si tratta di line soli, in Europa,  non contro schiere barbariche, ma contro eserciti di dotti, e non  ti paro che ci sia più materia di canto? Ridettici bene, e poi  dimmi il tuo avviso.   Tu duuque hai leggicchiato il mio amico Marino! 5 Beato te,    1 Scolare dell’ Istituto superiore di Magistero, allora fondato a  Roma: le quali — era la prima volta che si vedevano tante signorine  in una Università — frequentavano alla Sapienza le lezioni di D. Berti.   * Su questo pranzo v. le mie Orig. della fllos. contemp., I, 1 p. 117.   * Una critica che I.uigi Marino (che fu poi professore di Filosofia  morale nella Università di Catania) aveva pubblicata degli Elementi  di flloso/la del Fiorentino.       234    STORIA DELLA FILOSOFIA    che hai tanto tempo da marineggiare. Io l’ho qui il suo  libro, ma non mi è avanzato un briciolo di tempo: ed ho una  sua lettera autografa, che impaglierò pure. Povero giovane!  Mi ha scritto con una ingenuità, ohe se mi fosse vicino, lo  abhraccerei. Abbracciarlo sì, ma leggere no. Non gli ho neppure  risposto, ed ho fatto male. Volevo leggere prima e poi scri¬  vere. La bestia che sono stato! Bisogna fare il rovescio: uè  senza un perchè i metodi moderni fanno precedere la scrittura  alla lettura. Berti, p. es., fondatore della moderna pedagogia  prima lm scritto lo suo opere, e solo da qualche mese iu qua,  a quanto mi assicurano, si sta esercitando nella lettura.   A proposito, vorrei venire a Berna per informarmi da lui,  perchè Camoeraceneie, che vuol «lire di Cambrai, egli l'ha  tradotto della Sorbona : facendo poi una dottn osservazione,  che cioè il Bruno or* saltato a piè pari dentro la rocca dol-  1’ aristotelismo eco.   E poi vorrei sapere, perchè dice che il De immenso, è un  libro, uno tA’ tanti in cui è divisa l’opera De monade, nu¬  mero et figura; quando il De immenso ole. contiene otto libri,  ed il De monade, che sarebbe il contenente, non contiene nè  otto, nè due, perchè è un libro solo, unico tiglio di madre  vedova.   Sono piccoli nèi, lo so, ma che dimostrano una piccolissima  cosa: il precetto pedagogico che testò avevo 1’onore di dirti,  cioè ch’egli prima scrisse, poi lesse ; o forse scrisse, e poi  spese, nello stampare, il tempo che doveva impiegare nella  lettura.   11 Barzelletti 1 però assicura eh’è il gran capolavoro della  critica italiana : così mi han dotto, perchè io, al solito, non  1’ ho visto ; e poiché 1’ articolo sarà tradotto certamente dnl-  l’inglese nella lingua degli Zulus, io mi tiguro la festa che  faranno quegli eruditi di laggiù.   A furia di scrivere, mi sono snebbiato un poco il capo,  ina temo forte di averlo annebbiato a te; legge di compen¬  sazione. Quando io mi trovavo a discorrere di lilosotia col  Berti, rimanevo muto: tu eri più fortunato di me, avevi il  pretesto di andare a fumare. Io che ho abborrito sempre il    1 Nell’ art. sulla Filoso/la in Italia pubbl. in una rivista inglese,  e poi tradotto nella Muova Antologia del 15 febbraio 187».     L’ HEGELISMO N APOLETANO    235    tabacco, »e tornassi deputato, per non dovermi ingoiare quelle  forti dosi di filosofia scientifica, che mi somministrava il nostro  Berti, m’imparerei a fumare. Meglio lo stomaco sconvolto,  elle il cervello come un mulino. Spero bene però che non  sarò costretto a nessuno di questi tormenti.   Non mi dicesti se il Morano ti diede o no la prima parte  del Manuale ili moria della filosofia. Fattelo ilare, e leggic¬  chialo: invece di Marino, potresti dure un’ occhiata al libro  mio. Vorrei sapere se quel tanto è sullìciente per la coltura  generale, o s'ò dippiit, o di meno. Mi servirebbe di norma  per le altre duo parti.   (Portici 26 settembre 1873). — Ebbi lettera dal Zeller,  che ancora ò a Roma, e seppi del viaggio che faceste insieme  felicemente. M’incaricò pure di dirti tante cose per la lettera  che poi gli scrivesti da Napoli. Egli è in giro dalla mattina  nlla sera, e crede che noi ci vediamo quotidianamente, e non  che siamo a due poli opposti.   Ebbi la ricetta : si è fatta la bobba, ma non li’ è venuta  fuori la storia delle prove dell’esistenza di Uio.   Per un concorso a una cattedra universitaria, della  cui commissione faceva parte il Fiorentino ed era pre¬  sidente io Spaventa, questi lo aveva pregato di rac¬  cogliere gli appunti per una relazione sulla voluminosa  Storia delle prove dell! esistenza di Dio di Romualdo Bobba.  Il Fiorentino, il 19 aprile 1879, da Pisa gli rispondeva:   Letto il tuo, piò volte espresso, desiderio, ho posto mano  alla lettura del Itobbu. Un corto estro maccaronico mi invase  alla prima pagina; ma ho lasciato il poema lutino ai primi  due versi e mezzo. Eccoteli:   Iufainem, liertrunde, iubes supportare laborcm,   Insipidimi scilicet putidumqiie ingoiare bobatam ;   Obediain tamen etc.   E sto prendendo appunti; ma che diavolo vuoi appuntaret  Finirà prima la pazienza mia, che le sue sciocchezze. È un  pover’ uomo, e noi uccideremo un morto.      236 STORIA DELLA FILOSOFIA   (Pisa, 8 dicembre 1879). — E poi c’è il secondo libro della  Legge morale del De Crescenzio: il titolo è Francesco Fiorentino.  Te lo saresti sognato eh’ io dovessi diventare nn secondo libro  della legge morale! Neppure per idea: la Puglia fa miracoli.   Ma la cosa non Unisce qui : il terzo libro sarai tu. 1 u  in persona! con gli occhiali, con gli stivali alla prussiana,  tu sarai un libro di un’ opera.   Non so se l’opera avrà molti altri libri : a congetturare  dall’opera de intellectn dello stesso autore, ch’era divisa in  100 libri, par checi debbano entrare il mellifluo D’Èrcole, il  veronese Bertinaria, ed il truculento Ferri, con parecchi altri  personaggi minori. Ogni libro costa 20 centesimi : ed io per  ora sono venduto a questo prozzo : tu iorse salirai a cinque  soldi ; o calerai a tre, secondo che P opera seguirà il processo  ascensivo o il discensivo.   Il bello consiste ne' documenti. Nella copertina 1 autore di¬  mostra che io sono causa di parecchie depredazioni e gras¬  sazioni nei pressi di Casale. La mia influenza venefica s è  esercitata, per non so quale selezione, su la provincia di Ales¬  sandria: e la tua! Probabilmente verso Girgenti, o in quei  pressi. Che non ci sii stato non preme, l’etica hegeliana è come  la filossera, si estende per salti di 70 chilometri la volta.   Delle stroncature, come oggi si direbbe, dei De Cre¬  scenzio ormai chi se ne ricorda più ? Ma c’ è sempre  qualche De Crescenzio in giro, pronto a dimostrare,  come quattro e quattro fanno otto, che il tal filosofo o  il tal altro sovverte la legge morale, il buon senso, o  le leggi fondamentali della logica ecc. Ma il filosofo può  accogliere siffatte dimostrazioni con lo stesso buon umore  del Fiorentino. 1    * Intorno al Fiorentino v. le mie Origini della fllosofla Conlem-  poranea in Italia , III, part. I, pp. 7-50.  Giovanni Gentile. Keywords: Reale Accademia d’Italia, what does ‘fascista’ applies to – philosophically? To ‘state’ – how is it defined philosophically? Opera complete frammenti di storia di filosofia 3 volls -- - Refs.: Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, Villa Grice – Luigi Speranza, “Grice e Gentile: implicatura conversazionale” -- Conversation and inter-subjectivity. – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51748250462/in/photolist-2mQPiYS-2mQUPa3-2mQUPbR-2mQUPcs-2mQY4Qg-2mQWSKX-2mQTy2s-2mQWSML-2mQWSMR-2mQPj6k-2mQY4Qb-2mQTy4X-2mQUPeX-2mQUPew-2mQTy5D-2mQTy53-2mQWSMa-2mQY4R3-2mQUPem-2mQDMyN-2mQtVUe-2mQerAd-2mQfWLw-2mQmZZv-2mQ81kz-2mPY4jk-2mPRG8i-2mPQGvz-2mPPzb6-2mPTwCM-2mPJLpp-2mPJYbw-2mPF8UJ-2mPyn68-2mPyUzx-2mPukhq-2mPnrMV-2mPmmR4-2mN34bs-2mN8u25-2mN8ym7-2mN8nen-2mNbFJE-2mN36eA-2mMYDFF-2mMV4pg-2mMP5LF-2mLP4Rj-2mLLZRD-2mLFBT9

 

Grice e Gentile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo. Grice: “I love Gentile; like me, he is interested in Aristotle’s immotum motor, and the idea of number in Plato – but he extends his views to all the rest of philosophy of language; if Vitters wrote a ‘trattato,’ so did Gentile!” – Si laurea a Pisa sotto Carlini. Insegna a Mantova, Vigevano, Padova e Trieste. Fonda il Bollettino filosofico. Considerato il fondatore della "scuola padovana" di metafisica neo-aristotelica.  Altre opera: “La dottrina platonica delle idee numeri e Aristotele” (Pisa: Tip. Pacini-Mariotti); “I fondamenti metafisici della morale di Seneca” (Milano: Vita e pensiero); “La metafisica presofistica; con un'appendice su Il valore classico della metafisica antica, Padova: MILANI); “La politica di Platone, Padova: MILANI); Institutio: sommario storico di filosofia dell'educazione, Verona: La Scaligera); “Umanesimo e tecnica, Verona: Arti grafiche Chiamenti); “Bacone, Brescia: La Scuola); “Didattica: testo ad uso degli istituti magistrali e dei giovani maestri, Milano: Marzorati); “Filosofia e umanesimo, Brescia: La scuola); “Il problema della filosofia moderna, Brescia: La scuola); “Come si pone il problema metafisico, Padova: Liviana); I grandi moralisti, Torino: Edizioni Radio Italiana); “La riforma silenziosa della scuola: il completamento dell'istruzione primaria ma inferiore, Bologna: G. Malipiero); “Se e come è possibile la storia della filosofia, Padova: Liviana); “Storia della filosofia (I: Periodo antico e medioevale;  II: Dal Rinascimento fino a Kant;  III: La filosofia contemporanea), Padova: RADAR); Saggi di una nuova storia della filosofia, Padova: MILANI); Breve trattato di filosofia, Padova: MILANI). Dizionario biografico degli italiani.  Marino Gentile (1906-1991) occupa sicuramente un posto importan-te nella storia della filosofia del secolo scorso, ma – se fin dall’inizio non vogliamo avanzare discorsi di carattere celebrativo o commemorativo, quanto innanzitutto teoretico – forse dovremmo dire, più correttamente e semplicemente, che egli occupa un posto importante nella storia della filosofia. Il senso di questa affermazione, e la ragione per cui vale la pena di rinnovare, anche in questa sede, la riflessione sul maestro patavino, è che egli ci rimette davanti alla struttura essenziale del filosofare.La sua concezione della filosofia come “problematicità pura” si di-mostra infatti quale dice di essere, veramente “classica”, in quanto, evidenziando in tale problematicità quella che non può non essere con-siderata la caratteristica fondamentale e imprescindibile del filosofare, mostra di possedere essa stessa un valore permanente ed attuale.Ricordato come fondatore della scuola padovana della metafisica clas-sica, Marino Gentile, proprio in virtù del riconoscimento dell’attitudine problematica del filosofare, poté affrancarsi dalla sua formazione idealisti-co-attualista e aderire alla scoperta aristotelica dell’Atto puro quale princi-pio divino trascendente l’esperienza. Egli sviluppò così una posizione ori-ginale che, giunta a maturità speculativa negli scritti padovani del secondo dopoguerra, si distingueva, oltre che dalla corrente neoidealista, ancora attiva soprattutto nel pensiero di Ugo Spirito, anche dalle due filosofie di ispirazione cristiana allora prevalenti, la filosofia neotomistica, nelle sue va-rie declinazioni (Vanni Rovighi, Fabro, Giacon), e la filosofia neoclassica di Gustavo Bontadini. Le sue opere più significative, in particolare  Come si pone il problema metafisico  (Padova 1955),   Breve trattato di filosofia  (Pa-dova 1974) e  Trattato di filosofia  (Napoli 1987), non sono tuttavia solo innovative per l’epoca in cui sono state concepite, ma, come si accennava, restano a tutt’oggi testi vivi e parlanti, che, nella radicalità del domandare su cui si fondano, appaiono in grado di raccordare la prospettiva metafisica anche alla sensibilità esigente e inquieta del nostro tempo   Sent from the all new AOL app for iOSLa fecondità della problematicità pura non è peraltro esaurita dai suoi esiti metafisici: il “domandare tutto che è un tutto domandare” è ben più che una formula descrittiva della natura della filosofia, è un vero e proprio “metodo”, che il maestro patavino dispiega nei più diversi ambiti del suo impegno teoretico. E che anche nel nuovo millennio merita attenzione. Di questo domandare filosofico vogliamo dunque continuare a va-gliare la profondità speculativa, a cominciare dai “saggi” qui raccolti, che intendono sviluppare i motivi di interesse riscontrati nel pensiero di Gentile da alcuni studiosi che lo hanno, direttamente o indiretta-mente, conosciuto. Questa stessa problematicità può del resto essere assunta anche come chiave di lettura dei contributi che presentiamo, essendo ravvi-sabile quale principio animatore, ora espressamente tematizzato, ora silenziosamente sottostante l’opportuno ripensamento dei vari aspetti dell’opera filosofica del nostro Autore. Il nesso risulta subito evidente nell’articolo di Enrico Berti, uno dei primi e forse il principale tra gli allievi, che in un saggio denso di ricor-di, si sofferma su uno scritto apparentemente secondario tra gli ultimi pubblicati dal Maestro, forse l’ultimo, dedicato alla possibilità di pre-gare il Motore immoto. Si tratta infatti sicuramente di un’occasione per ripercorrere nei suoi tratti essenziali l’interpretazione gentiliana della metafisica aristotelica, per ripensare le due caratteristiche fondamentali del “Dio” dello Stagirita, la trascendenza e l’intelligenza, ma anche – ci sembra di poter aggiungere – per ritrovare in quel pregare l’espressione estrema, e forse più autentica, del “domandare tutto-tutto domanda-re”, che, di fronte alla Causa suprema ordinatrice del cosmo, poteva, e forse doveva, assumere connotazioni affettive e oranti. Il tema del domandare puro e integrale è ancor più pienamente al centro del saggio di Maria Cristina Bartolomei, che di tale domandare indaga le potenzialità, sia come ineludibile punto di partenza di ogni ricerca filosofica, sia come fulcro di “fruttuosi collegamenti” con alcu-ni pensatori contemporanei, evidenziandone, pur nella distanza e di-vergenza delle posizioni, la comunicabilità e l’inaspettata consonanza su punti fondamentali. È quanto si verifica con Adorno, a proposito della legittimità della problematica metafisica e delle caratteristiche di apertura e processualità che connotano la conoscenza dei suoi oggetti, i concetti; con Badiou, per la specifica intenzione di verità che distin-gue la filosofia dagli altri saperi; con Weischedel, sotto il profilo della necessaria radicalità dell’interrogare filosofico, che, anche laddove non giunga ad esiti metafisici o teologici, non può non avvertire la realtàdel mistero che lo sollecita. In tutti questi casi – conclude l’Autrice – la posizione di Gentile, interloquendo costruttivamente con linee di pensiero profondamente differenti da quella propria della metafisica classica, dimostra una inesausta vitalità filosofica.Il terzo saggio, redatto da Gabriele De Anna, affronta il problema del valore morale dell’azione cercandone la soluzione nelle pagine del  Trattato di filosofia , e rinvenendola nel ricorso all’uso pratico dell’intelli-genza che coglie il principio nell’esperienza, e quindi una normatività nel reale. In questa lettura l’importanza della problematicità gentiliana emer-ge specialmente nel farci intendere come il manifestarsi del principio, e quindi del “valore”, sia inseparabile dall’esperienza, intesa come atto che precede e trascende continuamente la distinzione soggetto-oggetto nella sua costitutiva tensione al sapere. Ma essa ci fa anche meglio compren-dere la prospettiva metafisica di Gentile, che si presenta come ripresa della concezione aristotelica, ma allo stesso tempo accoglie dal pensiero moderno l’attenzione al ruolo del soggetto, si dice “classica”, ma non è per questo “oggettivista”, come altre, più note, versioni della stessa. Una particolare declinazione dell’azione morale è costituita dalla pra-tica pedagogica, un altro dei grandi temi della riflessione filosofica gen-tiliana, cui è dedicato il quarto e ultimo saggio, frutto della riflessione comune di Carla Xodo e Mirca Benetton. La pedagogia di Gentile è una pedagogia umanista, poiché «l’umanesimo – egli scriveva – che è ricerca di classicità, si attua come   paideia , cioè come sforzo di realizzare nelle più diverse situazioni storiche l’essenza dell’uomo», e pertanto non è un si-stema compiuto, ma una sollecitazione a riprendere instancabilmente la ricerca speculativa sulla verità della persona, ulteriore espressione di quel domandare radicale in cui si traduce ogni serio impegno filosofico. Le Autrici sottolineano come in questa prospettiva, considerando l’essere umano nella sua integralità, l’umanesimo, anziché contrapporsi, si possa intrecciare fecondamente, anche in ambito scolastico, con la scienza, la tecnica, e le attività professionali, persino manuali. L’indicazione è di preziosa attualità e ci fornisce un’altra conferma della potenza del domandare filosofico, che percorre tutti questi testi. In essi possiamo infatti vedere tale domandare vigorosamente rinno-varsi tramite la voce di Gentile. D’altra parte, a sua volta, lo stesso Gentile, in un necessario scambio di ruoli, tramite questo domandare, persiste a interrogare e a interrogarci. Ci auguriamo che possa profi-cuamente interrogare anche l’attento lettore. Marino Gentile. Gentile. Keywords: storia della filosofia period antico – filosofia romana, la preghiera, segno dei romani – italici antici – pre-sofistica – pre-Georgia –l’uso di ‘classico’ in latino classico ---- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gentile” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689595451/in/photolist-2mJvNUU-2mJx5ao-2mJvNWn-2mJvNU3-2mJrG6h-2mJAknd-2mJx5a8-2mJx5aP-2mJAkke-2mJzfSc-2mJzfUG-2mJq2uE-2mJ4GHU-hSTpSd-2mKCFTz-2mLEPqL-2mLF5SC-2mKQ3hR-2mKCVmS-2mKSbL6-2mKzRPk-2mKbRVb-2mKjoDU-2mKj6Hp-2mKkwb6-2mKjpwa-2mKhhHU-2mKgWR9-2mKjphT-2mKhhve-DvhhWW-DhRHD2-CcSX6Q-Ck5UQW-CcC1aL-BUZEEQ-rpCCQN-nMb3Qx-nurrdd-nupnpX-ncRws1-nu4v1p-nw7T5i-ncRvsK-nw7Qo6-nu57jS-nnvnLQ-nr43e9-nmysSN-nokWCo

 

Grice e Gentili – filosofia italiana – la filosofia romana arcaica -- Luigi Speranza (Valmontone). Filosofo. Grice: “I love Gentile, and Austin and Ryle do too – he is a classicist – from central Italy therefore he FEELS Roman – he has explored the beginnings of philosophical thinking in Lazio, as opposed to the old schools of Velia, Crotone, and Agrigento --.” Si laurea  a Roma sotto Mercati e Perrotta. Isegna a Urbino. Fonda Il Centro di studi sulla metrica latina. Figlio di Attilio e Giuseppina Cicciarelli. Frequent il Liceo Classico "Ovidio" di Sulmona. Studia a Roma sotto Romagnoli, laureandosi sotto Mercati con “Un Studio critico intorno alla storia di Agatia e alla sua tradizione manoscritta”. Insegna a Roma, al Liceo Classico "Virgilio" di Roma.  Quando Perrotta si avvicendò a Romagnoli a Roma, Gentili ne fu subito conquistato e Perrotta lo  volle come assistente.  Dal suo maestro Gentili apprese l'arte della filologia e la passione per la metrica latina (“Metrica e ritmica”). Influenza significativamente gli allora giovani della filologica latina capitolina, tra cui Rossi e Privitera che ricorda come quelle "lezioni non avevano il tono pacato delle lezioni ex cathedra. Come docente, Gentili era bifronte. Si può, anzi, dire che bifronte fosse sempre; secondo i casi poteva essere flessibile o intransigente, giocoso o severo". Le sue erano esercitazioni, erano seminari. Bbasava l'insegnamento sulle sue ricerche.  Gli anni '50 non sono facili, sono anni di studio intensi e febbrili per lo studioso che culmineranno, insieme ai volumi sulla metrica, con una serie di lavori sui lirici: oltre alla già ricordata antologia Polinnia, il saggio Bacchilide. Studi e l'edizione di Ancreonte, Insegna a Lecce dove ebbe modo di frequentare Prato insieme al quale divenne coautore della teubneriana edizione dei Poetae elegiaci.La svolta decisiva, tuttavia, fu rappresentata dalla chiamata a Urbino dove nello stesso anno venne inaugurata la Facoltà di Lettere grazie all'impegno di Bo. Cura la Medea di Seneca (Istituto Nazionale del Dramma Antico, Mazara del Vallo). Altre opere: “Lo spettacolo nel mondo antico, Roma, Bulzoni); “Storia e biografia nel pensiero antico” Bari-Roma, Laterza. Cfr. Bruno Gentili, Eric R. Dodds mentitore? “La idea della comunicazione nella tradizione classica" Treccani.  La cultura e l’opinione pubblica: anche nel mondo romano antico il rapporto è stato difficile, spesso conflittuale. Le origini della retorica e della filosofia a Roma lo testimoniano, e non solo in un dato momento storico; l’arco di tempo della difficoltà dei rapporti va almeno dall’inizio del secondo secolo a.C., al principio del primo. E non solo: tensioni, incomprensioni e scontri non mancarono anche in epoche successive. Basta pensare alle poche voci di dissenso da Nerone, che erano le voci dei filosofi stoici, in contrasto anche con ciò che la mentalità comune pensava dell’imperatore: ma qui la nostra analisi si limita alla fase iniziale di questo rapporto. La filosofia per prima aveva trovato resistenze nella concretezza tradizionale dei Romani: l’astrazione filosofica di origine greca suscitava sospetti diffusi, come se si trattasse di un imbroglio, un raggiro. Non mancarono le espulsioni dei filosofi a partire almeno dal 190-180 a.C. Celebre la cacciata di Carneade, Critolao e Diogene nel 155 a.C., perché giudicati pericolosi per la società romana: soprattutto tale appariva quel Carneade sul quale si interrogava don Abbondio nella notte degli imbrogli. Ma insieme alla filosofia venne colpita la retorica, cioè la tecnica del parlare bene, che pure era d’importazione greca. Svetonio ci racconta delle difficoltà iniziali per questa disciplina e sappiamo che nel 161 a.C. un decreto del Senato bandiva dalla città insieme retori e filosofi greci. Ma la novità culturale non si arrestava per decreto: e la tecnica retorica riprese fiato, poi un po’ di vigore, progressivamente apprezzata anche dai Romani: purché fosse rigorosamente controllata dall’aristocrazia. E così accadde che nel 93 a.C. venne aperta la prima scuola di retorica a Roma, per iniziativa di un personaggio non molto famoso: Plozio Gallo. Era la scuola dei rhetores Latini, della quale parla anche Cicerone, per testimoniarci dei successo che essa riscontrava presso i giovani di allora e del suo rammarico per non potervi accedere: il giovane Arpinate era infatti trattenuto da altri maestri, che lo indirizzavano allo studio della retorica solo in greco, come una volta si faceva. Ma per quali motivi questo allontamento dalla scuola di Plozio Gallo? Oggi sappiamo dare una risposta alla domanda e possiamo affermare che i consiglieri di Cicerone agivano in tal senso per motivi non solo o non tanto didattici, quanto politici: la scuola dei retori latini rischiava agli occhi loro, e agli occhi di altri benpensanti romani, di trasformarsi in un pericoloso centro di democratizzazione del sapere, e, quindi delle vie di accesso al potere sociale e politico. Sappiamo infatti dell’amicizia del maestro, cioè di Plozio Gallo, col popolare Mario, in anni di contrasti fortissimi in Roma, culminati nella guerra del 91 a.C. per il diritto di cittadinanza degli Italici. È sempre Cicerone a informarci, nel trattato intitolato De oratore , dell’esistenza di questi maestri e del loro insegnamento, e lo fa per bocca di Lucio Licinio Crasso che, allora censore, li aveva colpiti con un editto di chiusura della scuola. Era una scuola di impudenza e di perdita di tempo, agli occhi di Crasso e dei suoi amici: essi andavano ripetendo che la mente dei ragazzi diveniva ottusa e si rafforzava la loro pericolosa sfacciatagggine, mentre i nuovi retori si proponevano esattamente il contrario: aprire la mente degli alunni, farli ragionare, spiegare il perché delle cose e dei problemi. Il nuovo genere di insegnamento consisteva sostanzialmente in una sintesi di retorica e filosofia, in vista della formazione di un uomo di cultura completa. Si doveva trattare quindi del superamento di una preparazione esclusivamente tecnica e precettistica, a vantaggio di una formazione globale dell’oratore: questi diveniva così il depositario di una cultura in grado di fargli reggere con competenza il timone della repubblica romana. È in questo contesto culturale e sociale pieno di fermenti e di stimoli nuovi che si formò il giovane Cicerone.  E. Badi?n, nella recensione al volume Gli storiografi latini tra mandati in frammenti, Atti del Convegno, Urbino 9-11 maggio 1974, a cura di S. Boldrini, S. Lanciotti, C. Questa, R. Raffaelli (Studi Urb. n.s. B n. 1, 1975), pubblicata in Am. Journ. Philol. 99, 1978, p. 137 sg., una recensione per altro biliosa e insieme presuntuosa, nella stragrande maggioranza dei contributi, dedica al mi? saggio 'Storiografia greca e storiografia ro mana arcaica' appena due parole: "the long essay in unoriginal medio crity, e.g. a potted survey by B. Gentili": un giudizio dr?sticamente negativo, non sorretto da un'ombra di argomentazione; diverso eviden temente il par?re di D. Musti, che ne ha inserito un lungo brano nel reading, da lui curato, La storiografia greca. Guida storica e critica, Bari 1979, pp. 151-157'. Certamente ognuno, nel recensire un libro, ha il diritto di giudicare come crede Topera che recensisce, ma ha il dovere di motivare con una qualche analisi il proprio punto di vista, se non altro per mettere in grado il lettore di comprendere il senso critico del discorso. Se ilBadi?n si fosse soltanto limitato ad esprimere il suo dissenso o il suo scetticismo sulle mie tesi, non avrei ritenuto necessario que quale liquida molto perentoriamente la sto mio intervento. Ma quando egli definisce sic et simpliciter "non ad una "rassegna raffazzonata", il suo giudizio in uno stato originale" ilmio discorso, debbo pensare che egli d'ira, provocato forse dal fatto che io non ho citato il suo saggio riducendolo abbia espresso 'The Early Historians', in Latin Historians, edited by T.A. Dorey, London 1966, pp. 1-38, che, esso si, ? realmente una rassegna, certo ben informata e corretta ma senza alcuna pretesa di originalit?. Egli stesso del resto lo presenta come un'esposizione panor?mica intesa a riproporre alla storiografia di lingua inglese una tem?tica da essa obli terata (cfr. p. 27 sg.). Faccio notare, d'altra parte, che questo suo sag gio ? stato da me citato, a proposito della cronaca pontificale, nel vo This content downloaded from 128.6.218.72 on Thu, 22 Oct 2015 07:06:10 UTC All use subject to JSTOR Terms and Conditions    148 lume che ho scritto in collaborazione scorso storico nel pensiero greco e B. Gentili con G. Cerri, Le teorie del di Roma mie 1975, ricerche la storiografia p. 82 n. 2 e che rappresenta Pedizione arcaica, delle dettato infon certa ricon "prag definir? Dunque, giudizio dato mente dotta m?tica" "non sulP argomento. solo un risentimento che, prima ancora che agli effettivi contenuti di questo ingiusto, del mio tipo appare un rispetto sa che la studio. alla t?cnica di tipo Come quella da nel soleo ? me allora ed tucidideo-polibiano. una nuova tesi, Topera storiografia 'isocratea'? possibile proposta illustrata, indico come originale" che riconduce di Che cosa io intenda quella che con questa storiografia degli Annales di Fabio Pittore Pontificum di Fabio chiarito in un precedente saggio, sulla rivista II Verri (2, 1973, pp. 53-76), al quale di proposito avevo rinviato alPinizio del mio intervento nel Convegno di Urbino ora ripubblicato in Communication Arts in the Ancient World, ed. by E.A. Havelock and J.P. Hershbell, New York 1978, pp. 137-155. E avevo esaustivamente pubblicato frammento delle varie ancora: pu? dirmi programma tico di il Badi?n se la mia Sempronio Asellione interpretazione del con una ? nuova A questo punto sarebbe doveroso da parte del Badi?n tornare sul Pargomento per dimostrare, se ? in grado di farlo, che Pimpostazione del mio discorso ? effettivamente priva di qualsiasi originalit? e non ? altro che una rassegna rabberciata di idee altrui. Universit? di Urbino  Letteratura: addio al grecista Bruno Gentili, insigne studioso di metrica Aveva 98 anni, era accademico dei Lincei e professore emerito ad Urbino Roma, 9 gen. - (Adnkronos) - Il grecista Bruno Gentili, insigne studioso della letteratura classica e in particolare della metrica greca, e' morto ieri a Roma all'eta' di 98 anni. L'annuncio della scomparsa e' stato dato dall'Accademia dei Lincei di cui era socio dal 1984. Nato a Valmontone (Roma) il 20 novembre 1915, Gentili era professore emerito dell'Universita' di Urbino, dove ha insegnato letteratura greca dal 1963, nella Facolta' di Lettere che insieme al rettore Carlo Bo ha contribuito a istituire. E' stato fondatore nel 1966 della rivista ''Quaderni urbinati di cultura classica'', di cui e' stato a lungo direttore.  Filologo rigoroso, Gentili si e' dedicato allo studio della lirica e della metrica greca arcaica, curando anche edizioni critiche di testi di diversi poeti. Tra i suoi libri ''L'Iliuperside nelle figurazioni anteriori a Virgilio'' (1941), ''Metrica greca arcaica'' (1949), ''La metrica dei greci'' (1952), l'edizione critica di Anacreonte (1958), ''Bacchilide. Studi'' (1958), ''Aspetti del rapporto poeta, committente, uditorio nella lirica corale greca'' (1965); l'antologia ''Polinnia. Poesia greca arcaica'' (in collaborazione con G. Perrotta, 1966).  La vasta bibliografia di Gentili comprende anche ''Le teorie del discorso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica'' (in collaborazione con G. Cerri, 1975), ''Storia della letteratura latina'' (in collaborazione con E. Pasoli e M. Simonetti, 1976), ''Lo spettacolo nel mondo antico. Teatro ellenistico e teatro romano arcaico'' (1977), ''Storia e biografia nel pensiero antico'' (in collab. con G. Cerri, 1983) e ''Poesia e pubblico nella Grecia antica'' (1984), che che e' valsa all'autore il Premio Viareggio-saggistica 1984.  (Sin-Pam/Ct/Adnkronos) CLASSICITÀ E CONTEMPORANEITÀ:BRUNO GENTILI NEGLI STUDI CLASSICI ITALIANI DEL NOVECENTO «Kein Volk der Geschichte, auch das begabteste nicht, läßt sich isoliert betrachten. Ein jedes wird durch äußere Anstöße aus zuständlichem Dasein in geschichtliches Leben übergeführt. Weder seine äußere noch seine innere Geschichte kann verstanden werden, ohne die Fäden zu verfolgen, die es mit außen verbinden».(Usener 1907, 11).«Il senso vero di una vita piena è quello che essa imprime di più anche sulla quotidianità: la ricerca. Ricerca. Ricerca. Ricerca. Il possesso che noi abbiamo di certi principi (che a loro modo sono verità) è labile e sfuggente – e non appena noi ci illudiamo di stringerlo, ecco scom-pare».(  Diari Anceschi/2  2006, 55).1. Il periodo successivo alla morte di Bruno Gentili nel suo novanta-novesimo anno d’età, il 7 gennaio 2014, ha visto comparire vari ampi e impegnati ricordi ad opera di alcuni tra i colleghi e allievi più vicini. Con attenzione e devozione vi sono evocati i momenti e i contributi più signi-ficativi nella carriera scientifica del grande grecista scomparso; nel riper-correrla si dà davvero la possibilità di posare lo sguardo su ottant’anni di storia della filologia classica, via via italiana europea e mondiale, sin dagli anni Trenta del Novecento. A tutti comune è il riconoscimento del forte valore innovativo nell’incessante attività critica e filologica di Gentili, a partire soprattutto dalla metà degli anni Sessanta con la fondazione dei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica», «vera e propria officina intellet-tuale» dove su impulso del fondatore e direttore «la filologia classica, sen-za mai smarrire la dimensione tecnica e specialistica, si apre al confronto serrato non solo con l’archeologia, la storia e l’ermeneutica, ma anche con discipline emergenti quali l’antropologia, la semiotica, la linguistica e la sociologia della letteratura» 1 . A tale sensibilità può ben connettersi la visione che sino ai suoi ultimi anni Gentili elaborò della traduzione, nel- la ricerca e nell’asserzione di una «teorica eminentemente pragmatica»,  1  Così Catenacci 2014, 450e quindi «una poetica non astratta, non prefigurata su schemi di modelli già esperiti», così sempre tendendo a «una poetica aperta che si costrui- sca gli strumenti adeguati ad una maggiore portata di comunicazione»: il problema del tradurre è così definito nei termini «di quell’idea cui aspira l’antropologia contemporanea della traduzione come comunicabilità fra culture, visioni del mondo, strutture linguistiche e sistemi grammaticali diversi e distanti nel tempo» 2 . Una prospettiva che nello studio e nella ‘traduzione’ dall’antico (e dell’antico) a Gentili certo si schiuse in relazio- ne e risposta alle sfide prodotte dai grandi mutamenti culturali e sociali, di rilievo antropologico appunto, degli ultimi quattro decenni del XX se-colo: una prospettiva di ‘apertura’ nell’analisi e negli strumenti applicati all’interpretazione dei testi antichi, e in particolare della Grecia di età ar-caica, che mi è sembrato potesse essere bene espressa dalla prima citazio-ne in esergo, di un altro grande innovatore degli studi classici al volgere di un secolo, Hermann Usener (1834-1905). Il passo proviene da un discorso rettorale bonnense del 1882 riproposto in occasione del Congresso inter-nazionale della FIEC tenutosi a Bonn nel 1969 3 , e richiamato da Gentili nel famoso saggio   L’arte della filologia  (1981). A differenza della for-tunata citazione nietzschiana d’incipit («filologia è quella onorevole arte che esige dal suo cultore soprattutto una cosa, trarsi da parte, lasciarsi tem-po, divenire lento»), il rimando a Usener è passato piuttosto inosservato. Gentili si rifà alla   Rede  bonnense, dal titolo   Philologie und Geschichts- wissenschaft  4 , discutendo della prevalente natura ‘storica’ o ‘scientifica’ della filologia classica e rinvenendo «una impostazione sostanzialmente corretta del problema» nella distinzione attribuita a Usener, «che delimitò i due campi specifici della ricerca, riservando alla filologia la critica e la ricostruzione del testo e all’indagine storica l’interpretazione globale del mondo antico» 5 . La prolusione di Usener si apre con un panorama della storia degli stu-di classici sin dal XVI secolo francese e ugonotto 6 , subito poi riservando  2  Gentili 1989, 61, dalla relazione presentata al convegno   La traduzione dei testi classici .  Teoria prassi storia  (Palermo 6-9 aprile 1988), nei cui Atti poi comparve (Gentili 1991).  3  All’interno della   Festschrift   per il convegno curata da W. Schmidt (Schmidt 1969, 13-36); al congresso bonnense Gentili presentò il fondamentale intervento   L’interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo. Sin-cronia e diacronia nello studio di una cultura orale  (Gentili 1969). 4  Usener 1907.  5  Gentili 1984 (2006 4 ), 299. 6  Che la riflessione sulla storia della filologia classica sia strettamente connessa ai temi trattati nella prolusione rettorale è ben chiarito nella postilla che la intro-duce: «Die Geschichte einer Wissenschaft verzeichnet nicht bloß Leistungen. In ihrer Geschichte entfaltet sich ihr Begriff, der nicht unberührt bleiben kann von dem Wandel der Generationen. Die wissenschaftliche Arbeit bedarf der Selbstbe-sinnung, will sie nicht ziellos in der Unendlichkeit des Einzelnen umhertreiben." grande rilievo al genio di Bentley («zur Grundlegung einer Wissenschaft […] die Wege dazu hat erst das Genie Rich. Bentleys gebahnt»), pur rico-noscendo solo alla cultura tedesca, nel fatale trapasso tra XVIII e XIX se-colo, la decisiva spinta perché lo studio dell’antichità classica si costituisse «zu einer geschlossenen philologischen Wissenschaft». Grazie soprattutto all’impegno di dotti come Melantone e Camerarius, la centralità della Pa-rola proclamata dalla Riforma si era rivelata determinante per assicurare la presenza dell’insegnamento del greco nelle nuove scuole volte primaria- mente alla formazione dei pastori evangelici, finché nei rifondatori della letteratura tedesca del XVIII secolo (Klopstock, Lessing, Hamann, Herder) «der gottergebene idealistische Sinn des norddeutschen Protestantismus», laicizzandosi, risultò fecondo per la rinascita della cultura e della scienza tedesca grazie a figure come Winckelmann, Reiske, Heyne 7 . L’organica sistematizzazione delle varie discipline volte al fine della   Rekonstruktion des Altertums  secondo l’intuizione dei grandi edificatori e teorizzatori dell’  Altertumswissenschaft  , Wolf e soprattutto Boeckh, nel corso del XIX secolo si fece altresì modello per le nuove filologie applicate alle varie letterature d’Europa, come pure per le discipline storico-filologiche volte allo studio del ben più antico patrimonio di cultura e civiltà delle lingue mesopotamiche, semitiche e arie. A fronte dell’enorme ampliarsi delle co-noscenze non solo all’interno dell’  Altertumswissenschaft  , con diretto rife-rimento al mondo classico nelle sue varie epoche e aspetti, ma soprattutto all’esterno, negli orizzonti aperti dalle antiche civiltà del Vicino Orien-te rivelate dall’archeologia, Usener riconosce l’impossibilità di isolare la civiltà greca dall’attenta considerazione di quegli influssi, certo determi-nanti nella genesi almeno dell’arte greca: «heute zeigen die Reste Babylons und Ninivehs verglichen mit den griechischen und italischen Gräberfunden  jedem, der Augen hat zu sehen, von wo jene hellenische Kunst […] ihre Anstöße und auf lange hin nachwirkenden Vorbilder empfangen hat». In realtà a Usener preme soprattutto mettere in rilievo che il concetto stesso di storia si è enormemente ampliato, al di là della tradizionale identificazio- ne nella «pragmatische Entwicklung der Haupt-und Staats-aktionen von Fürsten und Völkern», ormai annettendo territori ignoti, nati dall’indagine delle origini delle lingue, dei credi, dei costumi, dei miti («die unbegrenz-te Ferne einer vorgeschichtlichen Geschichte»). In tale condizione appare al professore bonnense ormai impossibile aderire a una costruzione della filologia quale quella boeckhiana. La filologia, egli afferma, non può più essere intesa come scienza storica, perché radicalmente mutata è la visione stessa della storia propria del tardo XIX secolo 8 . La filologia è piuttosto da  7  Onde se «la moderna poesia italiana e francese è figlia degli studi umanistici, la letteratura tedesca è invece legata alla nostra filologia in uno stretto rapporto di sorellanza» (Usener 1907, 7). 8  Usener è in proposito molto chiaro: «Es bleibt also dabei: eine geschichtlicheconsiderarsi «ein Studienkreis», un insieme di discipline che vertendo sulla parola scritta, e così assolvendo alla funzione di arte o metodo di decisivo valore nel fissare i contenuti della conoscenza storica, costituisce «die le-tzte Voraussetzung aller geschichtlichen Forschung» 9 : una filologia come tecnica dell’interpretazione che, potenziata dalla prospettiva comparatista, assunse forse agli occhi di Usener i tratti di «una sorta di antropologia» 10 . Ho indugiato sul saggio di Usener perché l’insieme della sua opera, spesso poco apprezzata dal mondo filologico tedesco contemporaneo, gode da anni di crescente attenzione 11 , anche in ragione degli interessi ‘trasversali’, comparativi e  religionsgeschichtlich  che l’attraversano e innervano, non privi di influssi sullo sviluppo della teologia dapprima protestante e poi cattolica nella Germania del XX secolo 12 , e forse anche sulle origini degli studi novecenteschi italiani di storia delle religioni e di storia del cristia-nesimo 13 . Notevole è, nelle pagine di Gentili sull’arte della filologia, il suo ri-farsi a Usener. Sin dal titolo, a Nietzsche esse intendono forse associare proprio il filologo bonnense, quasi provocatorio (in una prolusione retto-rale del 1882!) nel definire   Kunst   l’essenza dell’attività filologica 14 , pri- Wissenschaft ist die Philologie nicht. Sie konnte und mußte als solche erschei-nen zu der Zeit, als die Geschichtswissenschaft in ihrem heutigen Begriff noch nicht vorhanden war […]. Es war die Zeit, wo die moderne Geschichtswissenschaft zuerst ihre Blüten trieb. Alles hat seine Zeit». 9  «Wenn es also wahr ist, daß der Boden aller geschichtlichen Wissenschaft das geschriebene Wort ist, so folgt, daß die Kunst, welche dasselbe feststellt und deutet mittels ihres grammatischen Vermögens, die letzte Voraussetzung aller geschicht-lichen Forschung ist. Diese Kunst haben wir in der Philologie erkannt» (Usener 1907, 26). 10  Così Momigliano 1985, 166. 11  A partire soprattutto dal seminario del febbraio 1982 presso la Scuola Nor-male di Pisa coordinato da Arnaldo Momigliano e subito pubblicato come   Aspetti di Hermann Usener filologo della religione  (Arrighetti [et al.] 1982). Sono apparse negli ultimi anni edizioni italiane di varie opere di Usener, tra le quali Usener 1993; Usener 2008; Usener 2010. 12  Assai notevole e davvero anticipatrice, nonché oggi di particolare attualità, è la lettera del dicembre 1888 al teologo bavarese I. von Doellinger, nella quale Use-ner afferma che «lo scopo ultimo ed inespresso dei miei sforzi è quello di aiutare a preparare l’unità della Chiesa della nostra nazione», passo su cui attira l’attenzione Momigliano 1985, 147. 13  È opportuno ricordare l’attenta, e assai poco nota, presentazione che del   Le-benswerk  di Usener, «grande maestro che l’Italia colta quasi ignora», diede Pesta-lozza 1909 (che cito dall’estratto), sulla rivista del modernismo cattolico milanese «Il Rinnovamento» cessata quello stesso anno: su Pestalozza, in quegli anni presso l’Accademia scientifico-letteraria di Milano primo libero docente e poi primo do-cente in Italia di Storia delle religioni, vd. i riferimenti in Benedetto 2008. 14  Non sorprende il dissenso, rispettoso ma chiaro, che subito espresse il trenta-quattrenne Wilamowitz circa la visione della filologia presente nella   Rektoratsre-de , prospettandone una ben diversa: «Die alte Poesie (und natürlich ebenso Rechtmariamente volta a fondare l’affidabilità della   parola scritta . La centralità del testo, oggi preferiamo dire: quel testo visto da Gentili come «struttura complessa di materiali linguistici, di implicazioni metrico-ritmiche, refe-renziali e pragmatiche» 15  nel cui processo interpretativo «una pluralità di discipline» è coinvolta (uno  Studienkreis , appunto) 16 . Senza qui proporsi di passare in rassegna l’ampia, varia, settantennale attività scientifica di Bruno Gentili 17 , si cercherà piuttosto di soffermarsi su alcuni aspetti, quali soprattutto il rapporto con la figura di Gennaro Perrotta e in genere con gli studi italiani di filologia classica nella prima metà del Novecento, la produzione degli anni ’50 e ’60, e la serie di saggi «di portata fondativa» 18  scritti da Gentili tra la metà degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, nei qua-li evidente è una svolta per gli studi sulla lirica greca, e notevole l’interesse verso temi e problemi della traduzione dall’antico.2. L’esordio di Gentili si ebbe nel pieno della Seconda guerra mondiale con un articolo nato dalla tesi di laurea con Silvio Giuseppe Mercati, dedi-cato soprattutto a passare in rassegna quattro inesplorati codici delle  Storie  di Agazia conservati in biblioteche italiane (tre Vaticani e un Marciano) 19 . In quegli anni drammatici il giovane studioso li collazionò in parte, avendo in animo di preparare una nuova edizione critica dell’opera 20 , in vista del-la quale non tace anzi l’intenzione di provvedere a «un nuova collazione accurata» di un manoscritto Vulcaniano conservato nell’allora inaccessi-bile Leida 21 . Il netto cambiamento di interessi e «una decisa virata ver- und Glaube und Geschichte) ist tot: unsere Aufgabe ist, sie zu beleben […] dann  empfinde ich, daß Philologie doch etwas für sich ist, oder wenigstens ihr τέλος  hat» (lett. del febbraio 1883 in Dieterich – Hiller von Gaertringen – Calder III 1994 2 , 28), e cfr. Sassi 1982, 79. 15  Gentili 1984 (2006 4 ), 301. 16  «Philologie in dieser Auffassung ist nicht eine Wissenschaft, sondern ein Stu-dienkreis» (Usener 1907, 16). 17  Sin d’ora rimando alle molte informazioni e osservazioni desumibili dal   Ri-cordo di Bruno Gentili  di Angeli Bernardini 2013; Catenacci 2014; Cerri 2014; Lomiento 2014; G. A. Privitera, commemorazione lincea dell’11 aprile 2014, ac-cessibile on line presso  www.lincei.it/files/documenti/Privitera_commemorazio-ne_Gentili.pdf  ; Tedeschi 2014. 18  Cerri 2014, 230. Non si tratterà di Gentili editore e critico del testo, tema che di per sé richiederebbe apposita discussione. 19  Gentili 1944. 20  Come chiaramente lascia intendere la chiusa dell’articolo: «Da quanto abbia-mo detto appare chiaro che la sola finora ad avere almeno l’aspetto di edizione cri-tica ed anche il metodo è quella del Niebuhr, in quanto si fonda sul valore effettivo di una parte della tradizione. Ma l’uso di tutto il materiale manoscritto, secondo gli intendimenti che ho esposto, trae con sé la necessità di una recensione del testo di Agatia, che si fondi su basi più complete e quindi più solide. E questo compito, se le forze non mi verranno meno, spero di poter assolvere». 21  Vd. in particolare p. 168: «occorrerebbe perciò una nuova collazione accurata  Sent from the all new AOL app for iOSso la poesia greca arcaica» 22  si legano all’incontro con Gennaro Perrotta (1900-1962), dal 1938 sulla cattedra romana di Greco come successore di Ettore Romagnoli (1871-1938) 23  e nel corso degli anni ’30 impegnato nel rinnovamento su modello crociano dello studio della lirica greca ( Saffo e  Pindaro. Due saggi critici  uscì presso Laterza nel 1935), ma attento altresì all’esegesi puntuale di frammenti e ritrovamenti papiracei, in particolare con interventi accolti nei pasqualiani «Studi italiani di filologia classica» (nota è in particolare la polemica intorno al ‘poeta degli epodi di Strasbur-go’) 24 . Un’importante rassegna ad opera di Perrotta su   La filologia classica nell’ultimo ventennio , apparsa per il Natale di Roma del 1943 in un volu-me promosso dal Ministero dell’Educazione Nazionale (Perrotta 1943), se è priva non solo di elogi ma si può dire di qualsiasi menzione del morente Regime, è peraltro chiarissima sin dalle prime righe nell’affermare che il «vero progresso» segnato nel precedente ventennio dalla filologia classi-ca in Italia è spiegabile perché essa «ha sentito profondamente l’influsso dell’estetica moderna, anzi di tutto il pensiero moderno», con sicuro ri-ferimento al crocianesimo e in genere agli orientamenti antipositivistici: «superate le polemiche del periodo precedente, la filologia classica ha preso un nuovo indirizzo […] vivificata dalle correnti nuove della cultura moderna, è divenuta meno arida e pedantesca», e finanche «abbondano i saggi critici, che una volta avrebbero destato scandalo». Dopo un rapido ma attento ragguaglio di commenti, edizioni critiche ed edizioni di papiri pubblicati nel periodo considerato, l’articolo si conclude appunto notando che mentre «in qualunque campo la filologia classica italiana può sostene-re dignitosamente il confronto con quella delle altre Nazioni», proprio «nel campo della critica letteraria, essa supera di gran lunga la filologia classica di qualunque altro Paese del mondo» 25 . Cinque anni dopo, nell’Italia e nell’Europa del 1948, presentando ai let-tori insieme al condirettore Gino Funaioli la nuova rivista «Maia» («nome caro a due grandi poeti, a Gabriele d’Annunzio e a John Keats»), in sostan-ziale continuità e coerenza con se stesso Perrotta indicherà la via della ripresa dello «studio della civiltà antica, per noi moderni» in un «rinnovato umanesimo», fondato sull’incontro tra l’eredità del classicismo europeo  del manoscritto, che mi propongo di fare quanto prima»; si tratta del Cod. Vulc. 54, usato da Bonaventura Vulcanius per l’ editio princeps  del testo greco del   De impe-rio et rebus gestis Iustiniani imperatoris libri quinque , uscita a Leida nel 1594 (cfr. Dewitte 1981, 196). B. Vulcanius (B. de Smet), fu dal 1578 (in effetti dal 1581) professore nella nuovissima università di Leida. 22  Lomiento 2014, 1. 23  Su circostanze e contesto della successione illuminanti scorci in Canfora 2005, 19-20 e   passim . 24  Sulla quale, e sulla persuasiva identificazione in Ipponatte sostenuta da Per-rotta, vd. Gamberale 1994, 75; Sisti 1994, 43-45; Morelli 1996, 24. 25  Perrotta 1943  Sent from the all new AOL app for iOSdegli ultimi due secoli («la tradizione gloriosa di Goethe e di Humboldt, di Gioacchino Winckelmann e di Federico Schlegel, di Shelley e di Keats, di Hölderlin e di Nietzsche, di Foscolo e di Leopardi, di Carducci e di Pasco-li») e una pratica filologica che, nutrita di adeguata consapevolezza critica e storica, trascendesse le mai del tutto sopite conseguenze delle polemiche, e dei connessi schieramenti, che avevano lacerato gli studi classici italiani d’inizio secolo: Il nostro ideale è il filologo che abbia l’abnegazione d’un grammatico alessandri-no e l’entusiasmo d’un umanista del Quattrocento, la tecnica filologica e il senso storico dei grandi filologi dell’Ottocento, il senso artistico e la coscienza critica dei migliori critici letterari dell’età nostra. L’ideale della nostra rivista è la storia senza lo storicismo, la filologia senza il filologismo, la critica estetica senza l’estetismo e il vacuo filosofismo 26 . Non manca subito di séguito una citazione da Nietzsche, dalla qua-le risulta «la filologia nel suo senso più elevato rappresentata, come me- glio non si potrebbe, con alta fantasia poetica» 27 . Né manca un richiamo a Nietzsche, in quella stessa prima annata di «Maia», nell’ampia e intensa commemorazione che Perrotta dedicò nel decennale della morte a Ettore Romagnoli 28 , accostato a Nietzsche nell’accesa e ‘immaginifica’ giovinez- za di filologo 29 , quindi rievocato come professore universitario a Catania  26  Funaioli – Perrotta 1948. Che punto nodale del «discorso sulla filologia» sia «la divisione o meno delle competenze tra filologia e critica letteraria in senso lato» rimarrà, con altra prospettiva, costante elemento di riflessione per Gentili: cfr. Gentili 1984 (2006 4 ), 300 sgg. 27  L’ammirazione di Perrotta per Nietzsche filologo è messa in rilievo da Gi-gante 1996, 150-151, il quale anche suggerisce che mediatore per il filologo ita-liano della conoscenza di Nietzsche possa essere stato Croce; un’emendazione del giovane Nietzsche («oltre a giudicare il carme nel suo insieme con la finezza e la profondità ch’erano proprie del suo genio») è lodata e accolta in Perrotta 1951, 83.  28  Un certo paradossale irrigidimento di Perrotta «negli ultimi tempi in cui poté ancora esercitare un sensibile influsso negli ambienti culturali», onde «egli affermò sempre più polemicamente e rigidamente la sua fedeltà al verbo crociano […] com-memorò entusiasticamente il Romagnoli, proclamò ripetutamente la indipendenza dei supremi valori poetici da ogni condizionamento ambientale e culturale» noterà Paratore 1963b, 6 (appunto a intendere «quella sopravvalutazione della critica let-teraria che è sembrata così singolare in un uomo di così severa formazione filolo-gica» è dedicata la commemorazione lincea di Paratore 1963a, in gran parte rifusa nel profilo  Gennaro Perrotta  in Grana 1969, IV, 2591-2601). 29  È utile citare il passo: «Federico Ritschl soleva dire che Federico Nietzsche giovinetto concepiva una dissertazione filologica come un romanzo. Il grande filologo non intendeva certo, con queste parole, spregiare l’attività filologica di Nietzsche giovane, del quale egli presagì il genio. Ma un intuito profondo gli face-va scoprire in Nietzsche qualche cosa di singolare, di acceso e di appassionato, che non faceva assomigliare le sue dissertazioni, pur dottissime e condotte con metodo impeccabile, a quelle degli altri. Poichè un uomo dotato di molta immaginazione(attraverso la testimonianza del fraccaroliano e romagnoliano F. Gugliel-mino), in particolare quando  leggeva con predilezione i lirici greci, e, traducendoli, comunicava agli uditori con la scelta felice delle parole e delle espressioni, che potessero rendere con maggiore adesione il pensiero e il sentimento dell’antico poeta, e anche con l’inflessione della voce, quello che egli stesso sentiva. Il commento era sobrio, scevro d’in-gombrante erudizione: accennava a questioni controverse dibattute dai filologi solo quando avevano importanza innegabile per la retta interpretazione di un passo dub-bio, e in tal caso riduceva la questione all’essenziale 30 . Il 1948 fu anche l’anno in cui, a cura di Gennaro Perrotta e del suo as-sistente Bruno Gentili, uscì   Polinnia , antologia della lirica greca ad uso dei licei destinata a grande fortuna nella scuola italiana della seconda metà del Novecento, sino alla recente e rinnovata terza edizione del 2007. Non fu la prima antologia dei lirici greci destinata alla scuola e impostata con rigore scientifico. Dopo che i programmi del 1923, con la riforma Gentile, più decisamente aprirono ai lirici le porte dei licei, si diffusero antologie sco-lastiche «nate in un periodo di estetica esasperata, di olimpico dispregio per tutto quello che si chiamava (e la parola era oltraggio) filologia», come vollero osservare prefando i loro   Lirici greci scelti e commentati  (1940) Giuseppe Ugolini e Alessandro Setti che a quell’andazzo con efficacia e serietà reagirono, avendo per modello essenzialmente   Aglaia , la  nuova an-tologia della lirica greca da Callino a Bacchilide  pubblicata nel 1937 da Bruno Lavagnini (1898-1992) 31 . In sede di valutazione storica è giusto rilevare che «ad   Aglaia  si sono ispirate tutte le antologie successive che si  finirà sempre per mettere, anche senza averne affatto il proposito, perfino in una dissertazione filologica, un po’ della sua immaginazione. Questo avveniva spesso a Romagnoli giovane» (Perrotta 1948, 93). Le pagine di Perrotta sono in parte ripro-dotte nella sezione su Romagnoli in Grana 1969, II, 1448-1459. 30  Nel   Profilo di Bruno Gentili  premesso da Carlo Bo al I volume dei ricchissimi  Scritti in onore di Bruno Gentili , Romagnoli ricorre accanto a Perrotta come pre-senza utile a comprendere in Gentili l’«uomo dotato di spirito creativo, quale ge-neralmente posseggono soltanto gli scrittori e in modo più specifico i poeti. La sua straordinaria perizia filologica è strettamente collegata al suo gusto e alle sue doti di creatore. Tutte cose che si possono riscontrare nella storia della sua formazione, perché accanto a uno dei suoi primi maestri, Ettore Romagnoli, a un certo punto si è accostato uno studioso come Gennaro Perrotta» (in Pretagostini 1993b, I,  XXVIII ). 31  Nella   Prefazione  a Ugolini – Setti 1940 due sono «tra i lavori scolastici» quelli citati dai curatori perché risultati utili «per il loro carattere più spiccatamente scientifico»: oltre all’antologia di Lavagnini si fa cenno a un’opera di A. Taccone, in cui è da ravvisarsi l’  Antologia della melica greca  pubblicata nel 1904 con pre-fazione del maestro G. Fraccaroli, attenta e informatissima ma ormai invecchiata a fronte delle scoperte papiracee accumulatesi nei decenni successivi. Del libro di Ugolini e Setti oltre trent’anni dopo uscirà un’edizione ampliata e rinnovata, in seguito ristampata: Ugolini – Setti 1972possono definire serie, a cominciare da   Polinnia » 32 , senza dimenticare che in pieni anni Trenta la volontà di chiarire agli alunni di liceo l’«enigma psicologico» di Saffo e della sua passione dettò all’antologia di Lavagnini toni ben più diretti 33  di quanto dieci anni dopo accadrà a Perrotta (cui si deve la sezione su Saffo in   Polinnia ), e più in linea con le posizioni cui Gentili espressamente approderà negli anni Sessanta. I cenni di Perrotta alle «gioie leggere del tiaso di Saffo» insieme a un certo riemergere delle preoccupazioni per la difesa della poetessa dalle accuse di immoralità   tor-nano a riflettere ambagi e premure proprie peraltro dei più noti studiosi di Saffo tra metà del XIX e metà del XX secolo, da Welcker a Valgimigli 34 : impostazione da Perrotta stesso a suo tempo esplicitamente confutata in  Saffo e Pindaro 35 . 32  Così Degani 1995, 30. 33  Nell’introduzione alla sezione su Saffo in Lavagnini 1937, 116, si dice che «Saffo visse facendo della sua casa un centro di culto ad Afrodite, alle Muse, e alle Cariti. Le più nobili e le più belle fanciulle di Lesbo e dell’Asia vicina venivano a lei per essere ammaestrate nella poesia e nel canto, ed essa vive tutta in questa compagnia di fanciulle. Anzi l’affetto per le scolare assume un trasporto così im-petuoso e sa trovare accenti così caldi da prendere i colori della passione di sesso, sicché la Lesbia resta ancora, almeno in parte, un enigma psicologico per noi, che siamo così lontani da quel suo mondo». Ivi è inoltre il rimando alla trattazione che del tema Lavagnini aveva dato nella sua precedente   Nuova antologia dei frammenti della lirica greca  (Lavagnini 1932, 171), dall’ incipit  e dalle tesi assai esplicite, e con esplicito rifarsi a Freud nell’individuare in Saffo «una  invertita : essa trasferì sopra creature del medesimo sesso il potenziale affettivo ( libido  secondo la termi-nologia di Freud) che avrebbe dovuto normalmente rivolgere su persone del sesso opposto». Al di là dell’interpretazione di Saffo, le pagine di Lavagnini meritano di essere particolarmente segnalate in relazione alla prima (s)fortuna italiana della psicanalisi, quando si pensi che la «Rivista italiana di psicoanalisi», diretta da E. Weiss, fu fondata in quello stesso 1932 e soppressa due anni dopo: ricco di infor-mazioni in proposito, benché talora disorganico e confuso, Zapperi 2013. 34  Per più ampi riferimenti su molti dei temi qui e di seguito trattati rimando a Benedetto 2012. 35  Cfr. Perrotta 1935, 28-31, in pagine non prive di sarcasmo e oggi dimenticate: «Infine, non giovano a nulla le discussioni, interminate e interminabili, sull’amo-re e sulla purezza di Saffo. I Welcker e i Wilamowitz hanno difeso la poetessa nobilmente, ma non si sono accorti che nel loro zelo appassionato essi stessi non erano troppo lontani dai grammatici dell’età romana, da quel Didimo che disser-tava dottamente  an Sappho publica fuerit   […] In realtà, Saffo non ha bisogno di essere giustificata: essa che, se potesse udire i suoi accusatori e i suoi difensori, non intenderebbe neppure i termini della questione. La soluzione dei Welcker e dei Wilamowitz non risolve nulla […] Quando per spiegare il tiaso amoroso di Saffo, si parla di un convento, di un pensionato di fanciulle, di un conservatorio di musica e di declamazione, e perfino d’un salotto letterario, e perfino d’un  club  estetico di donne, non si spiega nulla; e per giunta non si mostra né senso storico, né gusto irre-prensibile […]. E, ancora peggio, si è costretti a ridurre ad elemento secondario, ad ammettere a mala pena, facendo di tutto per togliergli ogni importanza, l’amore di Saffo per le amiche; ma per Saffo l’amore era tutto». Significativo il pieno consen   Sent from the all new AOL app for iOSLa parte curata da Gentili comprende tra gli altri Alceo, Anacreonte e Bacchilide, i tre autori di cui più egli si occupò tra la fine degli anni ’40 e la fine degli anni ’50. Nella difesa che Gentili fa (come già Coppola e Perrotta negli anni ’30) dell’allegoricità del famoso frammento alcaico ora 208a V. citato da Eraclito stoico («nella nave è rappresentato lo Stato, cioè la città di Mitilene, minacciata dalla rovina») 36 , tra affinità e differenze piace scorgere lo spunto delle future pagine sulla ‘pragmatica dell’allegoria della nave’ 37 . Superando i vincoli ancora operanti in   Polinnia  connessi al tradi-zionale confronto ‘estetico’ con Orazio, tramite l’approccio pragmatico-espressivo Gentili giungerà lì a riconoscere nell’allegoria lo strumento co-municativo strategicamente più idoneo e perciò scelto in varie occasioni da Alceo poeta e politico al fine di «trasmettere il messaggio in un linguaggio velato e allusivo  comprensibile solo  dall’uditorio dei compagni» 38 . Crocia- namente priva di introduzione sia generale, sia ai singoli poeti 39 ,   Polinnia  riserva particolare attenzione alle presentazioni dei singoli carmi. Spiccano lo spazio e il ruolo assegnati all’esposizione della metrica, «quelle sequenze di lunghe e di brevi, che avevano pari dignità grafica rispetto ai caratteri del testo, e apparivano ben in evidenza, non erano nascoste a fondo pagina, magari in una nota», sì da divenire per un liceale «il primo impatto reale con la metrica greca» 40 . Ciò appunto dovettero prefiggersi i curatori, con quella passione per gli studi metrici che la scarna premessa   Ai lettori  rivela: Riteniamo che l’accurata interpretazione metrica sarà accolta con favore. Essa ha per suo fine principale la lettura metrica, senza la quale non è possibile sentire e gustare un poeta greco. La metrica greca non è, come purtroppo credono ancora molti, né una scienza inesistente, né una scienza che permetta ad ognuno d’inter-pretare i versi come vuole, ma una scienza che è facile imparare, purché sia studiata sul serio. Per agevolare la lettura metrica, ci siamo presa la libertà di segnare gli  ictus  dei piedi, benché agli  ictus  non crediamo: certo i Greci non avevano l’accento dinamico, ma l’accento musicale. Poiché la lettura metrica è indispensabile: coloro che traggono, dalla giusta constatazione che la nostra lettura con gli  ictus  non corri-so riservato in nota alle posizioni esegetiche di Lavagnini: «Una pagina coraggiosa scrive, invece, nel senso contrario, il Lavagnini, col quale consento in tutto, benché abbia meno fiducia di lui nella psicanalisi».  36  Perrotta – Gentili 1948, 198-199. Sulle   Allegorie omeriche  del non altrimenti noto Eraclito nell’àmbito dell’esegesi antica di Alceo, e in particolare sul tema delle immagini marittime e il loro uso con significato politico da parte del poeta di Mitilene, rimando alla messa a punto di Porro 1994, 22-23, 55 sgg. e 105 sgg. 37  È il capitolo XI in Gentili 1984 (2006 4 ), 257-283. 38  Gentili 1984 (2006 4 ), 279. 39  Si ricordi per confronto la collana laterziana degli  Scrittori d’Italia , priva d’introduzione e di qualsiasi apparato interpretativo. Senza introduzione generale e ai singoli poeti sarà anche la successiva edizione del 1965: Perrotta – Gentili 1965. 40  Sono parole dalle pagine molto belle, di tono e sapore memorialistico, che alla metrica di   Polinnia  dedica Di Benedetto 2001, 141 sggsponde alla lettura degli antichi, la pessima conclusione dell’inutilità di ogni lettura metrica, fanno un’imperdonabile rinunzia, che generalmente tende a nascondere la pigrizia o l’ignoranza. Non diverse considerazioni, e non diversa passione didattica, animano la prefazione a   La metrica dei Greci  (1952), il libro che rappresentò «lo sdoganamento» di tale disciplina «nella scuola e, più in generale, negli studi classici italiani» 41 . Val la pena rileggere l’inizio di quella prefazione: È sentita in Italia la mancanza di un manuale di metrica ad uso dei non iniziati. Tale mancanza ha nociuto sino ad oggi all’insegnamento di questa disciplina soprattutto nelle scuole medie, poiché spesso i docenti, mossi da uno strano scetticismo […] considerano di scarso interesse la conoscenza della metrica greca, talora ritenen-dola del tutto estrinseca alla poesia, pura invenzione di alcuni studiosi moderni 42 anche perché già vi si rinvengono temi e motivi che ispireranno per decen-ni l’indefessa indagine metrica di Gentili: In realtà la metrica non è né estrinseca alla poesia, né invenzione dei moderni. Come ho già dimostrato nella mia   Metrica greca arcaica , alcune teorie metriche dei moderni, quelle più attendibili, sono già contenute nella migliore tradizione dei metricologi antichi. La metrica è necessaria, non solo ai fini della critica testuale, ma anche ad una più compiuta intelligenza del testo poetico. Poiché metrica e poe-sia furono nell’antica Grecia intimamente connesse, in funzione reciproca. È un errore avvicinarsi allo studio delle forme metriche con pregiudizi scolastici […] Soltanto dimenticando gli schemi e seguendo i metri nel loro sviluppo storico, si può davvero intendere il valore e la necessità dello studio di questa disciplina. Notevoli sono il precoce apprezzamento per il valore dei metricisti antichi 43  e la visione non ancillare degli studi metrici, da intendersi non  41  Catenacci 2014, 448. 42  Gentili 1952,  VII - VIII . Circa venticinque anni dopo, tra le cause dell’isolamento in Italia dello studio della metrica greca «nel ghetto degli specialisti e guardato al pari di una disciplina esoterica con sospetto e diffidenza», Gentili tornerà a cita-re l’idea largamente diffusa «della impossibilità di costruire per la versificazione greca una teoria coerente ed univoca», inoltre aggiungendo l’influsso avuto dalla nostra cultura degli anni Trenta «che aveva reciso alla radice ogni altro impulso all’indagine critica che non procedesse nel solco della teoria estetica dell’arte»: cfr. Gentili 1979a, 681. 43  Sensibilità critica in cui Cerri 2014, 232 ravvisa l’indizio di una attitudine ‘an-tropologica’ già allora in qualche modo operante nella filologia di Gentili: «Contro l’orientamento che era invalso tra i metricisti di allora, non solo rivaluta le teorie e le analisi dei metricisti antichi, ma basa costantemente su di esse la propria trat-tazione […] è del tutto evidente che ciò avviene non solo e non tanto perché le ritenga ipotesi scientifiche acute e azzeccate, ma soprattutto perché le assume come testimonianza diretta di una sensibilità ritmico-musicale diversa dalla nostra, di un linguaggio fonico-gestuale specifico di quella civiltà e di quell’orizzonte mentalecome meramente funzionali o subordinati alla critica del testo, ma in-dispensabili innanzitutto per una piena comprensione dell’antica poesia, nella convinzione «che la metrica non sia un fatto esteriore, ma in funzio- ne della poesia stessa», come è poi ribadito all’inizio dell’  Introduzione . Lì è anche subito affermata l’unità ritmica del verso antico, la sua strutturale unione con la musica, onde «posta l’unità del verso greco, non sarà più legittimo parlare di piedi, ma soltanto di  cola » 44 . Rievo-cando di recente le lezioni di metrica tenute da Gentili alla Sapienza nell’immediato dopoguerra, G. A. Privitera ha colto nella «prospetti-va storica» l’aspetto che in quelle esercitazioni più colpiva, quando «a differenza dei trattatisti, che nei manuali si limitano ad esporre le loro interpretazioni, Gentili citava anche le opinioni dei metricisti antichi e dei metricisti moderni» 45 : come con ampiezza appunto avviene in   Me-trica greca arcaica , il volume del 1950 dedicato a Gennaro Perrotta, anch’esso aperto dalla rivendicazione della metrica come «una scienza al pari delle altre discipline classiche», tutta «nella migliore tradizione della filologia ellenistica» 46 . Conoscenze ampie sugli studi metrici degli ultimi centocinquant’anni attestano i primi due capitoli del libro, dove dapprima ( Studi metrici: brevi cenni ) Gentili delinea con ricchezza di esempi e osservazioni lo svolgersi delle principali analisi e teorie me- triche da Hermann (con cui «la scienza metrica nacque nel secolo scor-so» sulle orme di Bentley e di Porson) a Westphal 47 , a Usener 48 , a Wila- 44  Gentili 1952, 1-2. 45  G. A. Privitera, commemorazione lincea, cit.  supra , n. 17. 46  Gentili 1950. Ho consultato la copia conservata presso la biblioteca del Cen-tro di papirologia ‘Achille Vogliano’ (Dipartimento di studi letterari, filologici e linguistici dell’Università degli Studi di Milano), con  ex libris  dello stesso Voglia-no (segn. Vgl.II.B.61), in quegli ultimi anni di vita alle prese con lo studio rimasto incompiuto   La lirica eolica e Pindaro nella critica di Gottfried Hermann .  47  La cui «Entdeckung eines indogermanischen Urverses» già è lodata in Usener 1907, 15. 48  Di Usener è rammentato con interesse il trattato   Altgriechischer Versbau: ein Versuch vergleichender Metrik   (Usener 1887), con la sua «analisi comparativa del-la metrica greca con la metrica germanica». I capitoli IV e V dell’opera di Usener consistono di una rassegna, desultoria ma affascinante, volta a dimostrare la predi-lezione dei popoli indoeuropei per una struttura metrica base in otto sillabe ancor ravvisabile nei testi sanscriti, avestici, nelle più antiche ricostruibili forme metriche greche e latine, nei canti popolari germanici, slavi settentrionali e meridionali, li-tuani: nota è l’icastica reazione negativa di Wilamowitz alla lettura del libro («In metrischen Dingen vermag ich nicht in kurzem meine Differenz auszudrücken, weil sie zu tief geht […]. Ich kann überhaupt das einheitliche griechische Volk nirgends finden, also auch keine urgriechische Sprache und keinen urgriechischen Vers und keine urgriechische Religion», lett. del 13 ottobre 1887 in Dieterich – Hiller von Gaertringen – Calder III 1994 2 , 46). Dal punto di vista della linguistica storica e della metrica comparativa indoeuropea severo giudizio sul lavoro di Use-ner dà Campanile 1982, cfr. anche Morelli 1996, 50 sgg. e 83-87   Sent from the all new AOL app for iOSmowitz, a Schroeder, a Maas 49 . Il successivo capitolo (  Metrica e musica ), prendendo spunto dai lavori di R. Westphal volti a «applicare le leggi dell’isocronia musicale ai metri greci», tentativo fallito ma assai noto in Italia per l’applicazione che ne diede Romagnoli nei suoi   Poeti lirici 50 , si segnala per la riflessione sulla centralità del rapporto metrica-musi-ca, cioè poesia e musica, e sulla necessità di considerarlo storicamen-te, alla luce delle svolte nella storia della cultura greca dall’arcaismo sino a Timoteo e poi all’età ellenistica, quando «il distacco della musica dalla poesia è definitivo; questa sarà destinata quasi sempre alla lettu-ra» 51 . Noti sono i meriti di Perrotta nella rinascita degli studi italiani di metrica antica 52 , nei quali «egli raggiunse una competenza che lo pose in una condizione di assoluto predominio in Italia». Così Ettore Para-tore all’indomani della morte del collega grecista nell’ateneo romano, rimarcandone la visione della metrica quale «premessa indispensabile per l’intelligenza di un altissimo testo poetico» e osservando la pro-fonda coerenza della «esemplare e severa scienza metrica del Perrotta» con l’intera sua concezione degli studi classici («nella metrologia del Perrotta veramente filologia e critica si dànno la mano in una sintesi tra le più feconde») 53 : nel timbro certo ‘romano’ ma già storiografica- 49  Cui già allora Gentili imputa gravi limiti metodologici, per la sopravvaluta-zione ‘empirica’ dell’ observatio metrorum  e il connesso «profondo scetticismo per tutti i problemi metrici di  Urgeschichte »: Gentili 1950, 20 sgg. 50  Particolarmente il secondo volume (  I Poeti Lirici. Terpandro, Alceo, Saffo , Bologna 1932) è costellato di «traduzioni in segnatura moderna della realizzazione sonora», cioè vere e proprie trascrizioni per musica dei frammenti dei tre antichi autori; almeno da un punto di vista storico non a torto Stella 1972, 171 indica come merito di Romagnoli «quello di avere richiamato l’attenzione fin dai primi anni del Novecento sul binomio   poesia-musica , in stretta interdipendenza di nota e parola, nei poeti greci fino all’età ellenistica», e di aver così dato «avvio ad una compren-sione profonda e meno letteraria di Saffo e di Pindaro, di Eschilo e Aristofane: indicava nuove strade per future ricerche». 51  Gentili 1950, 33. Le indagini sulla musica greca anche in età ellenistica cono-scono oggi nuovo impulso: vd. Martinelli 2009. 52  Messi in rilievo da Albini 1963, 111, il quale anche ricorda che «quando la morte lo sorprese, Perrotta stava ultimando un libro sul saturnio», sul contenuto del quale vd. la ricostruzione di Morelli 1996, 70 sgg. Resta il paradosso, segnalato da Morelli sin dall’inizio del suo studio, che «nella produzione di Gennaro Per-rotta, anche tenendo conto delle notazioni occasionali e delle scansioni fornite in   Polinnia , i contributi di carattere metrico risultano nel complesso piuttosto scarsi ed esigui, specie se rapportati all’importanza che egli annetteva notoriamente alla materia e agli anni spesi nelle relative ricerche fin dall’adolescenza». 53  Paratore 1963b, 7-8. È visione che si ritrova bene espressa anche nell’esordio del I capitolo di   Metrica greca arcaica : «Critica testuale, metrica, interpretazione estetica sono problemi che devono essere affrontati contemporaneamente dal fi-lologo classico; essi rappresentano una unità indissolubile, inscindibile. È merito grandissimo dei grammatici alessandrini se essi, unitamente all’esame critico delmente atteggiato della valutazione di Paratore, «la più grande scuola di metrologia classica fiorente in Italia», derivata da Perrotta, si ricapitola e si identifica nel nome di Bruno Gentili. L’esperienza di Perrotta me- tricista non può disgiungersi dal magistero pasqualiano 54 . Con il ricordo di conversazioni avute con Pasquali «su problemi importanti di metrica greca» Gentili scelse di aprire il suo contributo su Pasquali e la metrica nell’àmbito del convegno del 1985  Giorgio Pasquali e la filologia clas-sica del Novecento : Ricordo con perfetta lucidità l’esame metrico cui fui sottoposto al nostro primo incontro: mi chiese se ero in grado di scandire un carme di Bacchilide o di Pindaro; risposi affermativamente. Non ne fu del tutto convinto; mi porse il testo di Bacchi-lide e mi invitò a leggere metricamente il quinto epinicio, chiedendomi prima in quale metro fosse composto. Risposi: «Dattilo-epitriti» e lessi tutta intera la prima triade strofica. Ne fu sorpreso, forse perché dubitava che un giovane non formatosi alla sua scuola fosse in grado di superare questa difficile prova 55 . I colloqui con Pasquali, avvenuti a Firenze nell’immediato dopoguerra, si incentrarono (continua Gentili) quasi esclusivamente su un problema che particolarmente angustiava il grande filologo, quello cioè «delle re-sponsioni impure nei lirici corali e nei  cantica  della tragedia e della com-media del quinto secolo», in relazione soprattutto alla soluzione data da P. Maas in due articoli del 1914 e del 1921, dove «egli crede di poter negare le responsioni impure in Bacchilide e in Pindaro, correggendo ar-bitrariamente il testo nei luoghi dove esse appaiono» 56 . Ciò che qui conta mettere in rilievo è la persuasione che Gentili trasse da quegli incontri dell’esigenza, in Pasquali riconoscibile, «di affrontare il tanto discusso problema delle libere responsioni fra strofe e antistrofe non più nella pro-spettiva astratta e schematica indicata da Paul Maas ma in una prospettiva più attenta alla fenomenologia del rapporto metro-ritmo melodico» 57 : che cioè, più in generale, Pasquali già avesse  testo, curarono nelle loro edizioni critiche la divisione in strofe, in στίχοι e in κῶλα  dei cori lirici, tragici e comici […]. Se oggi il filologo moderno dissentirà da essi nell’interpretazione, non potrà certo dissentire nel metodo. Conoscere, dunque, la metrica di un poeta significa poter intendere più profondamente la sua stessa poe-sia, significa poter penetrare nell’intima armonia e musicalità del verso».  54  «Tratto ereditato da Pasquali» lo dice Gamberale 1994, 77. 55  Gentili 1988, 79. Per la centralità nella ricerca metrica di Gentili dell’inter-pretazione dei dattilo-epitriti, «così denominati nel secolo scorso da R. Westphal», nella dialettica tra individuazione di  cola  unitari e sistematizzazione metrica otto-centesca di origine boeckhiana vd.  e. g.  Gentili – Giannini 1977, 13 sgg. 56  Così Gentili 1950, 21, in un passo e in un contesto che sembrano conservare qualche traccia delle conversazioni con Pasquali di quegli anni (la prefazione reca la data del 30 settembre 1949, ma Gentili informa il lettore che la prima parte del libro era già in bozze nella primavera del 1948). 57  Si ricordino le polemiche degli anni seguenti con Maas circa luoghi bacchi   Sent from the all new AOL app for iOSnetta e chiara l’idea che la poesia lirica sia essa monodica o corale e la musica erano i mezzi di comunicazione di una cultura che, attraverso il linguaggio poetico, i ritmi e le melodie, trasmetteva oralmente i suoi messaggi in pubbliche audizioni 58 . In parte riguardante l’àmbito delle responsioni, e in polemica con Maas, fu l’intervento di Gentili compreso nella raccolta di contributi in memoria del maestro («Maia» 15, 1963) 59 : «alcuni problemi qui discussi», è detto in apertura, «furono non di rado il tema preferito da Gennaro Perrotta nelle  conversazioni con i suoi allievi, i μετρικώτατοι», particolarmente negli  anni 1947-1951. L’articolo è interessante anche per l’attenzione che di-mostra, pur con vari dubbi, verso la colometria antica quale attestata dai pa-piri di Anacreonte e di Bacchilide, già in qualche modo preludendo a quel- lo che diverrà, soprattutto dagli anni Ottanta, uno degli àmbiti di studio più cari a Gentili e alla sua scuola 60 .3. Come per l’Italia e il mondo, così per Bruno Gentili gli anni Sessanta videro prepararsi e poi compiersi svolte decisive. Poco dopo la precoce scomparsa di Perrotta (settembre 1962), Gentili divenne all’Università di Urbino ordinario di Letteratura greca, insegnamento tenuto per incarico da alcuni anni, sin dall’istituzione della locale Facoltà di Lettere di cui fu subito «figura cardine» 61 . La prolusione urbinate del 18 giugno 1964, pub- blicata l’anno successivo con il titolo   Aspetti del rapporto poeta, commit- lidei in cui «la presunta corruttela del metro, per la responsione non perfetta» aveva condotto il filologo tedesco a ritenere corrotto il testo, difeso ammettendo la re-sponsione impura in Gentili 1958, 20 sgg. 58  Gentili 1988, 80-81. Il racconto di Gentili va naturalmente letto tenendo pre-sente la frattura tra Pasquali e Perrotta su cui vd. Morelli 1996, 33 sgg.; dal no-vembre 1948, su sollecitazione di Pasquali, erano ripresi i rapporti epistolari con il filologo tedesco: cfr. Bossina 2010. 59  Gentili 1963 (poi nei monumentali  Studi in onore di Gennaro Perrotta ). Nella stessa  Gedenkschrift   non manca un breve contributo di P. Maas, una nota metrica di argomento ‘moderno’ datata Oxford, 31 ottobre 1962: Maas 1963. Anche per Maas metricologo molto si potrà trarre dall’esame delle carte segnalate in Lehnus 2010a e Lehnus 2010b. 60  Una quindicina d’anni dopo Gentili osserverà: «Si ritiene che la dottrina me-trica degli antichi sia di scarso valore e di nessuna utilità per noi […]. Ma, ch’io sappia, nessuno sino ad oggi ha realmente dimostrato la validità di questa asser-zione. Il disprezzo e il totale rifiuto delle teorie antiche è una moda invalsa negli studi metrici del Novecento» (Gentili 1979a, 688). Dello sviluppo degli studi sulla colometria antica guidati da Gentili negli anni successivi sono testimonianza molti contributi nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica»: come sguardo d’assieme vd. Pretagostini 1993a, Gentili – Perusino 1997 e più di recente la  Tavola rotonda  2008; breve consuntivo del dibattito in corso in García Novo 2008, 408-409. 61  Sugli studi classici a Urbino dapprima nella Facoltà di Magistero (dall’a. a. 1937/38) poi in quella di Lettere e Filosofia (dall’a. a. 1956/57) vd. il profilo di Colantonio – Bravi 2006tente, uditorio nella lirica corale greca , presenta un chiaro carattere pro-grammatico 62  e introduce quell’insieme di temi che «nel tempo si rivelerà più produttivo e tipicamente ‘gentiliano’» 63 . Fin dalle prime righe del sag-gio è messo in evidenza il valore di «strumento di conoscenza del reale» proprio della produzione poetica nella cultura greca del tardo arcaismo, il suo farsi «guida orientativa nell’evoluzione della società greca, nelle forme del linguaggio e dell’arte del poetare» per motivi non estrinseci ma stret-tamente connessi alla centralità del rapporto diretto tra il committente e il poeta che particolarmente connota la poesia corale. La funzione del mito, e dunque il tessuto dei contenuti stessi del carme, si svela quando ci si rifaccia al professionismo del poeta e alla funzione celebrativa costitutiva-mente propria della sua attività, volta a «scegliere una leggenda appropriata all’occasione», a trovare cioè e rendere intelligibile all’uditorio la relazio- ne tra racconto e celebrando, cosicché «il mito avesse un reale significato e un valore esemplare». Solo in tale contesto, a un tempo storicamente determinato e aperto alla necessità dell’interpretazione, possono corretta-mente configurarsi il rapporto mito-attualità e il rapporto mito-gnome, e può considerarsi superato «il problema dell’unità dell’epinicio e in genere del carme corale sul quale per più di un secolo dal Boeckh in poi la critica si è tormentata nella disperata ricerca di un’unità logica o estetica». Era, quello dell’unità dell’epinicio, il problema centrale della critica pindarica quale intuíto e sviscerato dalla grande filologia tedesca del XIX secolo, e che Perrotta aveva posto tematicamente al centro della sezione pindarica in  Saffo e Pindaro  (1935), dedicandovi una rilettura di oltre cento pagine attraverso l’intera produzione del poeta di Tebe, frammenti compresi, infi-ne giungendo alla constatazione dell’assenza di unità sia estetica sia logica nelle odi pindariche. Sostanzialmente riprendendo la visione romagnolia-na di Pindaro come «poeta del mito» 64 , l’interpretazione di quel «poeta puro, più che poeta-moralista o poeta-filosofo» 65  è infine da Perrotta per intero riportata all’interno della dicotomia crociana poesia/non poesia, senza arretrare dinanzi alle necessarie conseguenze di quella scelta critica: Non poeta dei giuochi, nè della gnome; non poeta dell’etica e della politica dorica; non poeta della saggezza di Apollo delfico. Ma poeta grandissimo del mito sentito religiosamente come miracoloso eroismo e miracoloso prodigio. Questa defini-zione dell’arte pindarica costringe a ripudiare come non poesia buona parte dei versi del poeta. Questo forse dispiacerà; e si dirà che Pindaro è ridotto ad essere, a questo modo, un poeta frammentario, e si deplorerà ch’egli è stato rimpicciolito e diminuito. Ma una più serena considerazione convincerà, che, anzi, il poeta è  62  «Una specie di manifesto per la Scuola urbinate» lo definisce Angeli Bernar-dini 2013, 16. 63  Catenacci 2014, 449. 64  La cui derivazione da Burckhardt sottolinea Paratore 1963, 300. 65  Perrotta 1935, 107-108stato accresciuto, perchè l’unico modo di onorare un poeta è quello di esaltare la sua poesia. Isolare le parti impoetiche, non che fargli torto, è un servigio reso al poeta stesso 66 . Non a caso subito Perrotta richiama per confronto il caso della poesia dantesca («naturalmente continueranno ad esistere gli ammiratori dell’architettura, dell’unità, dell’armonia dell’epinicio pindarico, proprio come non mancano gli ammiratori dell’architettura, della struttura, della concezione del mondo dantesco») 67 , a proposito della quale con maggior valenza paradigmatica Croce aveva teorizzato e applicato la necessaria dis-tinzione – valida per ogni autore e opera letteraria – tra la dimensione pro-priamente ‘poetica’ e quella ‘allotria’, attinente «una varia interpretazio- ne filosofica e pratica» 68 .Trent’anni dopo, nel 1965, disegnando il percorso per un profondo rinnovamento degli studi italiani su Pindaro e i lirici che definitivamente li sottraesse alle ipoteche critiche della prima metà del secolo, Gentili in certo modo proietterà all’esterno il tema dell’unità dell’epinicio, rinvenen-dolo «nel mondo dei valori che il poeta in rapporto al suo pubblico e alla funzione sociale della poesia era portato a interpretare» 69 . Discernere nella orazione urbinate i fili di una nascosta dialettica con Perrotta è operazio-ne non priva di giustificazioni, quando si pensi che il saggio   Aspetti del rapporto poeta, committente, uditorio nella lirica corale greca , nato da quella prolusione e poi pubblicato in più sedi, per la prima volta comparve nel volume di «Studi Urbinati» contenente gli  Scritti in onore di Genna-ro Perrotta 70  aperti da una pagina di presentazione di Gentili stesso, alla quale segue un inedito perrottiano, una nota critico-testuale a un passo di Lucano, in duello con una atetesi di Housman nel pasqualiano baluginare di «due varianti antiche» 71 . Significative le parole introduttive di Gentili, che indicano nel maestro un modello di «vivo impegno a dare un senso di attualità ai nostri studi», mentre pur non si può tacere l’esigenza di porre nuove domande alla grecità arcaica e classica: 66  Perrotta 1935, 227-228.  67  E così prosegue: «gli uni e gli altri si riterranno i soli capaci d’intendere i poeti, pur essendo incapacissimi d’intendere qualunque poesia, perchè per poesia intendono l’allegoria, oppure la così detta ‘poesia d’idee’, oppure perfino una rac-colta di massime belle e utili». 68  Mi limito a rimandare in proposito, come testo esemplare, all’  Introduzione  di Croce 1921, che cito da una ristampa laterziana sostanzialmente immutata del 1943. 69  Saranno poi i temi fondamentali di molte, famose pagine di   Poesia e pubblico nella Grecia antica , soprattutto nel cap. VIII   Poeta-committente-pubblico, ovvero la norma del polipo . 70  Gentili 1965a. 71  Perrotta 1Chi gli fu vicino e poté, anche fuori della scuola, ascoltarlo nella conversazione abi-tuale, sempre viva e piena d’intelligenza umana, apprese, oltre che il rigore scien-tifico della ricerca, il vivo impegno a dare un senso di attualità ai nostri studi, oggi, nelle prospettive del nostro tempo, diremo l’impegno a comprendere nell’inesauri-bile mondo della grecità arcaica e classica la problematicità dei rapporti di valore culturali e civili, quali uomo-scienza, uomo-natura, uomo-società, che sono alla base della nostra inquietudine e per i quali sentiamo l’urgenza di una soluzione se dobbiamo, tra i rottami inutilizzabili del vecchio umanesimo e tra gli automi della odierna civiltà industriale, riproporre una nuova dimensione dell’uomo, dell’uomo non come strumento ma come fine 72 . La seconda parte del saggio discute un buon numero di passi, perlopiù di Pindaro, anticipando traduzioni destinate all’antologia   Lirica corale greca. Pindaro Bacchilide Simonide , che uscì per Guanda nel 1965 73 ; il saggio originato dalla prolusione urbinate sarà lì riproposto in versione sostanzialmente immutata, a mo’ di introduzione dal titolo   Poeta e com-mittente . Nuovo è però l’avvio (ripreso nel retrocopertina), che intercetta le curiosità ‘d’avanguardia’ di quegli anni di profondi mutamenti, un po’ provocatoriamente invitandoli a una nuova lettura dei poeti della lirica co-rale greca: In un momento di crisi, oggi, della poesia, tra sperimentalismi d’avanguardia, giu-stificati, entro certi limiti, dalla buona intenzione di trovare linguaggi più idonei ad interpretare la realtà presente, ha forse un senso riproporre una nuova lettura dei poe- ti della lirica corale greca, Pindaro, Simonide, Bacchilide. La scelta non è casuale, ma ha un suo significato che sarebbe stato eluso se ci si fosse limitati a ripresentare i poeti della lirica monodica, troppo consunti dalla tradizione ermetica. Premeva invece offrire, nei limiti consentiti dall’indole della collana, un panorama delle op-poste tendenze ideologiche e artistiche che animarono la poesia del tardo arcaismo greco, cioè di un’epoca culturale caratterizzata da una profonda crisi evolutiva nella quale la poesia, come solo rare volte nella storia della cultura occidentale, divenne strumento di conoscenza del reale […] 74 . Si tratta dunque di una affermazione di ‘contemporaneità’ della lirica greca ancorata a solide e rinnovate basi filologiche e storiche, proposta in un’epoca di crisi e trasformazione tra le più incisive e impetuose del se-colo, come oggi sappiamo. Se può forse anche rimandare qualche eco dei  72  Parole che in parte torneranno trent’anni dopo nell’introduzione premessa da Gentili alle  Giornate di studio su Gennaro Perrotta . Si può aggiungere che nella premessa agli Scritti urbinati in onore del maestro, Gentili segnalava che alcuni di essi costituivano i primi contributi di collaboratori del neocostituito «Centro di studi sulla lirica greca e sulla metrica greca e latina» presso l’Università di Urbino. 73  Gentili 1965c. Ho consultato presso la Biblioteca centrale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano una copia appartenuta a Luigi Alfonsi, con dedica manoscritta di Gentili datata «Urbino 18.11.1965». 74  Con l’ultimo periodo si apre il saggio in «Studi Urbinati» clamori suscitati dalla  beat generation  di A. Ginsberg, il cenno iniziale agli «sperimentalismi d’avanguardia» nell’àmbito della poesia contempora-nea, ai loro eccessi e alle loro ragioni, essenzialmente rinvia alla neoavan-guardia italiana di quegli anni, la cui fase preparatoria si suole riconoscere nel dibattito culturale sviluppato sulla rivista milanese «Il Verri», fondata nel 1956: sin dall’inizio diretta da Luciano Anceschi (1911-1995), se n’era avviata nel 1962 una seconda serie presso l’editore Feltrinelli, sedendo nel comitato di redazione letterati poeti e studiosi destinati a fama e fortu-na nei successivi decenni (Nanni Balestrini, Renato Barilli, Umberto Eco, Alfredo Giuliani, Angelo Guglielmi, Antonio Porta, Edoardo Sanguineti). I nomi appunto intorno a cui nel 1961 si era aggregata l’antologia poetica   I  Novissimi: poesie per gli anni Sessanta  (con testi di N. Balestrini, A. Giu- liani, E. Pagliarani, A. Porta, E. Sanguineti), con il successivo passaggio al Gruppo 63, più eterogenea e conflittuale formazione: intorno alla metà degli anni Sessanta poli entrambi di definizione e diffusione della neoa-vanguardia italiana,   poetae novi  avversi contemporaneamente a ermetismo e neorealismo 75 , volti (i più) alla destrutturazione sperimentale di lingua e forma come unica modalità di espressione di/in una realtà svuotata di sen-so e accettata come tale 76 . Presentando il primo numero della nuova serie de «Il Verri» (febbraio 1962), L. Anceschi salutava il determinarsi di un evidente mutamento nel panorama della poesia italiana contemporanea. A una maniera «che fu giustamente detta  anacoretica , o  ermetica , o  chiusa , non senza certe tentazioni di involuzione neoclassica» e che intendeva la poesia «come fuga o rifugio; come estrema voce del soggetto nascosto e introverso […] come sintesi illuminante, pregnante, e veloce nel rigore calcolato, coltivatissimo, e raro della parola», si sostituiva ora il diverso atteggiamento e sentimento «di una poesia dissacrata, estroversa, che si ritrova in un mondo di oggetti reali, affidata talora alla casualità del sin-tagma, talora ad un ritaglio significante dell’effimero, di modi analitici, a struttura complessa e multipolare, tale che […] può farsi capace di una critica di vita, di un’azione per la trasformazione dell’uomo»: egli avver-tiva insomma il farsi avanti di una poesia, e di una stagione di poesia, «come  accrescimento della vitalità , e nuove tecniche, e volontà di for-me aperte, e speranze di una maggior portata di comunicazione…» 77 . Il saggio già apparso in «Studi Urbinati» fu da Gentili subito ripubblicato  75  Nonché «uniti e avvinti (per impulso d’Anceschi) nel programma di approfit-tare della prima congiuntura economica favorevole dopo secoli – il famoso  boom »: così Alberto Arbasino in Anceschi – Campagna – Colombo, 338. 76  «Sganciato il linguaggio da intenti determinati e da precise responsabilità semantiche, lo scrittore appare attirato non tanto dalla mancanza di senso quanto piuttosto da ciò che sembra lecito chiamare il possibile verbale, ossia l’estrema libertà di invenzione linguistica. La parola comunica non dei significati, ma le pro-prie avventure e peripezie, percorre lo spazio senza fine del desiderio, del gioco e del godimento», come efficacemente sintetizza Curi 2014, 100.   Sent from the all new AOL app for iOS appunto su «Il Verri» 78 , all’interno di un numero monografico  Classicità e contemporaneità  contenente contributi anche di altri studiosi del mon-do antico 79 . Il fascicolo era introdotto da un intervento di Anceschi, da sempre attento a «scoprire in modi non fortuiti una zona antica e nuova della classicità» 80 , qui volto a riflessioni di singolare lucidità e preveggen-za, oggi certo più inoppugnabilmente attuali di cinquant’anni fa: Le infinite maniere con cui nel secolo son stati sentiti i classici testimoniano già esse di un continuo vivere dei classici al di fuori della astrazione, ormai incredibile, di eterne, immobili esemplarità. Che senso avrà la lettura dei classici in un mondo in cui l’Europa non sia più il “cervello del mondo” ma solo, se sarà possibile,  una  delle sue fibre,  una  delle voci di una cultura che si è aperta, aperta al riconoscimen-to delle ragioni di tutti i popoli, di tutte le tradizioni? La cultura europea in certi suoi esponenti della metà del secolo scorso sembra aver intuito la possibilità del determinarsi di una situazione di questo genere […]. Questa è la situazione in cui siamo, qui dobbiamo vivere, e in questo ordine recuperare i nostri antichi 81 . Particolarmente appropriati, nel contesto del numero de «Il Verri», ri-sultano dunque sin dall’inizio del saggio di Gentili i rilievi sulla ‘lontanan-za’ dal gusto moderno specialmente della lirica corale, tra le varie forme della poesia greca arcaica, e sull’almeno apparente maggiore accessibilità dei grandi poeti della lirica monodica (Saffo, Alceo, Anacreonte) anche se il loro volto è apparso spesso da noi alterato da un certo estetismo deca-dentistico che ha ancor più accentuato, a suo modo, quell’idea astratta e astorica della lirica greca che abbiamo ereditato dalla nostra cultura classicistica. Il culto della “poesia pura” idoleggiò in essi quella che fu ritenuta l’espressione essenziale, irripetibile, poetica per eccellenza, o addirittura la “poesia del frammento” conden-sata in un’immagine di pochi versi superstiti. Il riferimento è qui alla importante, benché spesso indiretta presenza dei maggiori lirici monodici nella letteratura italiana dalla seconda metà  77  Anceschi 1962, in partic. 14 sgg.  78  Gentili 1965, 80-97. 79  C. Del Grande ( Grecità ); C. Diano (  Ritorno a Plutarco ); E. Pasoli (  Per una lettura dell’epistola di Orazio a Giulio Floro ); G. C. Giardina (  Note per l’esegesi di Orazio lirico ); A. Mele ( Orazio e il significato culturale del classicismo latino ). 80  Cit. in Nisticò 1997. 81  Anceschi 1965, 4-5. Quanto una ben diversa visione della Grecia come «anti-ca madre comune» fosse in àmbito filosofico italiano ancora viva pochi anni prima testimonia ad esempio il volume di Barié – Sini 1959, dove a fronte del «senso della crisi dei valori oggi tanto diffuso nella coscienza dei contemporanei, che nessuna generazione del passato potrebbe probabilmente reggerne il paragone», si propugna un ritorno alla Grecia, che «vagheggiata dall’Umanesimo al Romanticismo come il felice e radioso mattino della nostra storia, sembra non avere mai deluso chi ricerchi in essa i germi del modo occidentale di considerare e vivere la vita» (17dell’Ottocento, non solo e non primariamente nelle traduzioni 82 . A Car-ducci in particolare, e per vari aspetti già al Foscolo 83 , si deve «la riscoper-ta, nelle immagini e nei metri, dei lirici greci, di Alceo e Saffo, già di leo-pardiana memoria, e poi di Alcmane […] come modelli di poesia pura» 84 , all’origine di un ricco e complesso processo di ricezione, ancora non ade-guatamente studiato, che attraverso Pascoli 85  e D’Annunzio conduce sino ai   Lirici greci tradotti da Salvatore Quasimodo , usciti a Milano in prima edizione nella tragica primavera del 1940, introdotti da un saggio critico del ventinovenne Luciano Anceschi. A Milano Anceschi si era formato con Antonio Banfi, subito segnalandosi con il volume   Autonomia ed ete-ronomia dell’arte  (1936) 86 , radicale presa di distanza dall’intuizionismo estetico crociano e dalla sua incapacità di comprendere le poetiche del Novecento 87 . Come il coetaneo Carlo Bo (1911-2001) per la corrente ‘fio-  82  Tra le quali per più ragioni merita ricordare quella che Felice Cavallotti (1842-1898), allora già famoso deputato dell’  Estrema , dedicò a  Canti e frammenti di Tirteo. Versione letterale e poetica con testo e note preceduta da un’ode a Gio-suè Carducci , Milano 1878, con prefazione, interessante per il rifiuto della ‘metrica barbara’ («il tentativo – che non data da oggi – di ricondurre la poesia italiana alla esteriorità dei metri greci e latini, mal saprebbe giudicarsi alla stregua di alcune splendide ispirazioni di Enotrio»), e per l’attenzione alla fortuna di Tirteo anche fuori d’Italia, in particolare nel mondo tedesco (lingua che Cavallotti aveva appreso nell’ancor asburgico liceo milanese di Porta Nuova), finanche citando «la versione olandese in versi di Bilderdijk»: ma nella costituzione del testo adottando «per base la volgata di Enrico Stefano – del 1566 – che ancora oggi fra tutti i distillamenti di cervello della critica germanica rimane la guida del testo più fida e più sicura». 83  Del Foscolo si ricordi almeno la visione dei versi della  Coma  catulliano-calli-machea come   poesia lirica  sin dalla dedica a G. B. Niccolini («non credo che l’an-tichità ci abbia mandata poesia lirica che li sorpassi, e niuna abbiano le età nostre che li pareggi») della traduzione e commento de   La Chioma di Berenice poema di Callimaco tradotto da Valerio Catullo  (1803): ivi il   Discorso quarto. Della ragione  poetica di Callimaco  si chiude nel nome di Pindaro dopo aver esaltato Alceo e Saf-fo nei superstiti  rari vestigi  a fronte di Orazio e di Catullo. Sul ‘pindarismo’ fosco-liano dal commento alla  Chioma di Berenice  attraverso i  Sepolcri  sino alle  Grazie  come riflessione sul nesso che lega lirica antica e moderna vd. Benedetto 2006. 84  Nava 2007, 90; qualche utile elemento si trae da Tomasin 1997. 85  Fondamentali soprattutto i   Poemi Conviviali  (del 1904 la prima edizione in volume) sin dal liminare  Solon  (1895), su cui vd. le considerazioni introduttive e il dettagliato commento in Treves 1980, I 555-569. Un àmbito di particolare interesse è quello della sperimentazione pascoliana ispirata ai metri della lirica greca, cfr. Giannini 2009 e ora Capone – Giannini 2015. 86  Lo stesso anno de   La poetica del decadentismo  di W. Binni, per il cui influs-so sugli studi pindarici degli anni Quaranta di M. Untersteiner (1899-1981) vd. Lehnus 1989. 87  Sui fondamenti filosofici e critici del precocissimo anticrocianesimo di An-ceschi vd. Lisa 2007, cap. I (  La nuova fenomenologia e la nozione di poetica ); su Anceschi, la critica di ispirazione fenomenologica e la sua connessione con la neoavanguardia (come già con l’ermetismo critico) utile profilo in Orvieto 2003, 1090-1095 e 1104-1110rentina’ dell’ermetismo, sul versante ‘milanese’ Anceschi fu figura di spicco tra i giovani critici che si fecero interpreti e banditori della singolare intensità della parola nella poesia di Quasimodo: ‘poetica della parola’ sul-la cui centralità Anceschi torna nell’introduzione ai   Lirici greci  del 1940, dicendola erede dell’«esperienza complessa della poesia dopo Hölderlin, Poe, Baudelaire, e, per noi in special modo, Leopardi» e, soprattutto, scor-gendone l’antecedente nella «pura e libera voce dei lirici greci». Anceschi si mostra consapevole del fecondo lavoro filologico svoltosi per secoli intorno a quegli antichi poeti, ma del pari afferma che nella cultura euro-pea «non ci fu mai la felice e piena stagione dei lirici greci». Quella stagio- ne ora è giunta, cosicché «nella ricerca di una poesia veramente  nuova  e  contemporanea » e soprattutto «nella aspirazione al raggiungimento di una rigorosa   purezza lirica » l’‘ermetico’ Quasimodo può pienamente espri-mere se stesso traducendo Saffo Alceo Archiloco e Alcmane, ritrovando cioè «la purezza di quell’antica sensibilità in una condizione di linguaggio attuale della poesia». Senza sentimentalismi – va detto – ma nutrito di una chiara percezione della terribile crisi della civiltà europea 88 , risuona l’appello alla lirica greca come depositaria dell’assolutezza della parola, paradossalmente assicurata dalla condizione frammentaria di quella tra-dizione testuale: Questa aspirazione di purezza in un riconoscimento della relativa «brevità» di ogni composizione poetica, che, per raggiungere il suo scopo, deve presentarsi alla no-stra coscienza come  un tutto  è, appunto, la lirica – per la prima volta nata all’u-manità nella Grecia. Di essa solo la   parola  (qualche parola altissima, e interrotta) ci resta, là dove era anche danza e musica: parola, danza, musica in un’invisibile armonia unitaria di ritmi. E solo l’immaginazione più libera può darci un’approssi-mazione felice a quel segreto. Se pregevole appare la sottolineatura del concorrere di parola, danza e musica nel definire la particolare natura della lirica greca, è indubbio che il suggerire compatibilità o addirittura sovrapponibilità tra ‘poetica della parola’   cara agli ermetici novecenteschi e scarni testi dei lirici greci conservati   per fragmina  («qualche parola altissima, e interrotta») si risolve in una forzatura critica a danno del concetto e della realtà di ‘frammento’ propri della filologia classica: all’indomani della guerra pubblicamente lo segnalò Manara Valgimigli (1876-1965) 89 , peraltro con Quasimodo e  88  Consapevolezza che ad esempio si esprime nel richiamo a un’illuminante frase di P. Valéry: «… une civilisation a la même fragilité qu’une vie. Les cir-constances qui enverraient les oeuvres de Keats et celles de Baudelaire rejoindre les oeuvres de Ménandre ne sont plus du tout inconcevables: elles sont dans les  journaux» (22-23). 89  Valgimigli 1946 (1957). Dopo aver ricordato che dei lirici greci «per tra-dizione medioevale diretta, oltre la silloge teognidea e quella pseudofocilidea, e oltre i quattro libri degli Epinici di Pindaro […] tutto il resto lo abbiamo o per ciAnceschi in rapporti epistolari già in quel 1940, e da subito ben disposto verso l’impresa traduttoria del poeta ermetico e i suoi risultati 90 . Quan-do Gentili, nel saggio pubblicato nel 1965 su «Studi Urbinati» e su «Il Verri», polemicamente alludeva a quell’impresa nei termini su citati («il culto della “poesia pura” idoleggiò in essi [ scil . i grandi poeti della lirica monodica] quella che fu ritenuta l’espressione essenziale, irripetibile, poe- tica per eccellenza, o addirittura la “poesia del frammento” condensata in un’immagine di pochi versi superstiti»), i   Lirici greci  di Quasimodo erano nel pieno della loro fortuna: mentre proprio nel 1965 era definita la for-ma  ne varietur  delle versioni dai lirici nell’edizione mondadoriana degli  Opera omnia  del poeta, tra vivaci polemiche di recente laureato dal Pre-mio Nobel (1959), quelli erano gli anni in cui se ne radicava e diffondeva la presenza nelle scuole italiane, particolarmente dopo l’istituzione della Scuola media unica. Soprattutto dai primi anni Sessanta e nel successivo decennio si può dire che in Italia nella percezione comune, anche gene-ricamente colta, la lirica greca coincise con i   Lirici greci  di Quasimodo, opera anzi che già all’indomani della morte del poeta (1968) si prese a riconoscere come la sua migliore 91 . La stessa scelta da parte di Gentili di  tazioni indirette, oppure, dove siamo stati più fortunati, per ritrovamenti papiracei; a ogni modo, per frammenti» e che in realtà anche la lirica era «tutta intessuta e ragionata nel mito», Valgimigli pienamente riconosce le ragioni storico-culturali di quell’equivoco, il ‘fascino singolare’ esercitato sui ‘lirici nuovi’ dagli antichi poeti in frammenti: «ora, se io penso a quelle che furono ai principi del Novecento le teoriche dell’intuizionismo, del futurismo, del frammentismo, non credo peccare di temerità né di irriverenza se tra le cause di questo incontro di poesia greca e poeti nuovi oso porre anche questa umile e strana combinazione, cioè del casuale stato frammentario e quindi, in certo senso, alogico, anticontenutista, antisintattico, e, vorrei aggiungere, anticantato di certa poesia lirica greca». 90  Quanto sopravvive dei carteggi Quasimodo-Valgimigli e Anceschi-Valgimi-gli è ora raccolto nel volume Benedetto – Greggi – Nuti 2012. Val la pena qui trascrivere almeno la breve missiva (da Padova, 6 giugno 1940, su carta intestata «R. Università di Padova/Seminario di Filologia Classica») con cui Valgimigli rin-graziava il poeta per l’invio di una copia degli appena pubblicati   Lirici greci : «Caro Quasimodo / Ho avuto il libro. Grazie. Certi versi mi hanno ridato la consolazione di un nuovo cantare. Sopra tutto, come già Le scrissi, c’è quel pudore schietto, quel pudore senza inganni, quella limpidezza liquida, che erano e sono qualità insolite e ignote. Di alcuni punti e modi, di alcuni suoni di parole, assai mi piacerebbe par-lare con Lei. Anche mi piacerebbe scrivere di questo suo libro. Ma dove, in questi giorni feroci? Addio, caro Quasimodo. E auguriamoci bene. E auguriamo bene al nostro paese e alla nostra civiltà. / M. Valgimigli» (in Benedetto – Greggi – Nuti 2012, 100-101). 91  Così per primo E. Sanguineti, uno dei protagonisti della neoavanguardia, che in chiusura dell’  Introduzione  alla sua importante antologia einaudiana   Poesia italiana del Novecento  (1969) accomuna in iconoclastico dileggio antiermetico le versioni quasimodee al famoso saggio di Carlo Bo   Letteratura come vita  (1938); appunto perché gli antichi lirici risultano «volgarizzati, mediante il Quasimo-   Sent from the all new AOL app for iOSantologizzare e tradurre per Guanda i poeti della lirica corale (Pindaro, Bacchilide, Simonide) fu con ogni evidenza determinata dal fatto che si tratta appunto degli autori non presenti tra i   Lirici  di Quasimodo perché non compatibili con l’idea di lirica sottesavi, come peraltro Anceschi ave-va a suo tempo esplicitamente affermato: Entro i limiti di una pura (attuale e antica)  idea   della poesia  perciò fu osservata la scelta dei testi […]. Naturalmente è ben definito il senso anche delle esclusioni di poeti disposti a mettere a servizio della «celebrazione» la magnificenza di uno stile espertissimo, come Pindaro; o, come Bacchilide, abile e colto in una dolcezza di analisi descrittive. E sempre, poi, un rigore senza concessioni ha voluto la esclu-sione, o, almeno, la limitazione nella presenza di poeti «semi-lirici» (giambici o elegiaci, gnomici o politici) troppo disposti alla  sentenza , all’ esortazione  o alla  narrazione : a indubbie condizioni di prosa 92 . Venticinque anni dopo la comparsa dei   Lirici greci  prefati da Anceschi, Gentili propugnava e realizzava il rovesciamento di quella prospettiva cri-tica 93 ; ci si può quindi chiedere perché il grecista urbinate abbia scelto pro-prio la rivista diretta da Anceschi per ripubblicare e più ampiamente divul-gare il saggio   Aspetti del rapporto poeta, committente, uditorio nella lirica corale greca . Quanto si è prima accennato circa i convincimenti maturati da Anceschi nel corso degli anni Cinquanta, e poi sempre più all’inizio dei Sessanta, rende chiara la risposta: «nemico di ogni posizione cristallizza-ta» 94 , Anceschi soprattutto con «Il Verri» individuò come primario compi-to del critico «quello di risolvere la situazione in cui si trova, e di cui sente l’ansia e l’instabilità» 95 . Non solo sin dai primi anni del dopoguerra egli si  do, con i tratti deformanti della poetica ermetica», su quindici poesie antologizzate da Sanguineti tredici sono tratte dai   Lirici greci , definiti «il suo più vero contribu-to originale alla poesia del nostro secolo» e «uno dei documenti più significativi dell’intiera stagione ermetica». 92  L. Anceschi,   Introduzione  in Quasimodo 1940, 22. 93  Con espressioni che sembrano anche direttamente rispondere a quelle di An-ceschi del 1940: «per questa via era difficile accostarsi ai lirici corali del tardo ar-caismo greco, particolarmente a Simonide, Pindaro e Bacchilide, più elaborati, più consapevoli delle loro possibilità espressive, più ricchi nei contenuti etici, politici e artistici, indissolubilmente legati a un particolare ambiente e ad una determinata occasione che stimolarono e condizionarono il loro canto» (Gentili 1965c, 15). 94  Anceschi – Campagna – Colombo 1998, 331: «Anceschi – si sa – era nemico di ogni posizione cristallizzata […]. Non sconfessava l’ermetismo, in cui si era riconosciuto e che lo aveva visto nascere come critico militante, ma non intendeva lasciarsi rinchiudere in esso. E magistrale […] era la sua capacità di muoversi in territori ambigui, d’incerta definizione, non ancora riconosciuti, e di porsi come punto di riferimento per chi cercava la sua strada». 95  Anceschi 1956, saggio con cui si apre il primo numero de «Il Verri» nell’au-tunno di quell’anno, riproposto nella nuova serie de «il verri» nel 1996; sulla con-dizione della letteratura italiana dopo la metà degli anni ’50, chiusa tra le ultimeera convinto (come Quasimodo del resto) dell’esaurimento della stagione ermetica, ma tornò ad affrontare i   Lirici greci  e la sua stessa introduzione dieci anni dopo, riscrivendola nel 1951 per una nuova edizione mondado-riana. Molte qui sono le novità, sin dall’avvio. Anceschi lascia intendere di essere all’origine dell’incontro di Quasimodo con la lirica greca (come peraltro già le pagine del 1940 lasciavano sospettare) 96 , prende atto del de-finitivo isterilirsi dell’ermetismo, contestualizza la traduzione quasimodea nel suo valore e nei suoi limiti storicamente determinati: Ma che cosa si son fatti i lirici greci nella lettura di Quasimodo? Essi furon letti, è evidente, nel gusto particolare di una certa tendenza alla poesia del tempo […]. Era un momento in cui la verità della poesia ci sembrava tutta compresa nella veloce intensità della lirica in una estrema lucidità di contatti tra oggetti lontanissimi e lon-tanissimi tempi della memoria; e gli antichi   frammenti  (la giustificazione della vali-dità del frammento è sempre la prova di resistenza delle estetiche) ci confermavano con la loro forza che la poesia  non  sta nella struttura,  non  sta nella «musica esterio-re»,  non  sta nel «contenuto morale» o nella «narrazione» e nel «discorso»…: tutto ciò può andar perduto, eppure una bellezza intensa e veloce resta, e ci commuove. 4. Importante novità rispetto all’introduzione del 1940 è il richiamo al saggio «incompiuto e bellissimo» di Renato Serra (1884-1915)   Intorno al modo di leggere i Greci , pubblicato postumo da Valgimigli nel 1924 su «La Critica». Ispirate dalle contradditorie reazioni che il primo volu-me della traduzione commentata dei   Lirici greci  del Fraccaroli (1910) gli avevano suscitato 97 , le pagine di Serra sono soprattutto una riflessione sulla fine del vecchio classicismo («il calco in gesso dell’Ellade serena, dell’Ellade perfetta, che aveva fatto le delizie di tante generazioni, dagli umanisti fino al Carducci, è andato in frantumi»), sul nuovo «desiderio di realtà» suscitato dall’incessante lavoro di filologi e archeologi, sulla inquie-  manifestazioni dell’ermetismo e il dogmatismo neo-realista, e sulla risposta libera-toria che la rivista trovò in una ‘fenomenologica’ concezione della letteratura «che rinnova continuamente la propria consapevolezza in rapporto al concreto mutare delle situazioni» torna ad esempio Anceschi 1967. 96  «Non dimenticherò certo facilmente il giorno – davvero molto lontano, or-mai – in cui, parlando con Quasimodo, mi venne fatto di associare, secondo certe ragioni, due idee familiari e carissime, che, in quel momento, sollecitavano in modo singolare la mia mente; voglio dire: l’idea della prima lirica greca, e quella della poesia italiana contemporanea. Fu, credo, un giorno dell’autunno 1938»: l’introdu-zione anceschiana del 1951 è ristampata in Quasimodo 2004, 321-333. 97  «Ho davanti a me i Lirici del Fraccaroli. Che cosa è dunque l’interesse di que-sto libro? L’intendimento nuovo di mettere sotto gli occhi dei lettori comuni questi avanzi venerabili della lirica greca, sì che ognuno possa vedere e giudicare senza scrupoli quel che sono sostanzialmente e quel che valgono. Con questo animo l’au-tore ha dato e il pubblico ha ricevuto, molto lietamente, come sapete, il libro. Per-ché dunque invece di partecipare a questa lietezza io resto malinconico e dubitoso  ad ascoltare l’eco beffardo di una ironia lontanissima. ὁρᾶς τὸν πόδα τοῦτον;»   Sent from the all new AOL app for iOSta grecità da loro rivelata, consentanea al gusto   fin de siècle  («coi prefidi-aci, con la civiltà micenea e con la cretese, con le fasce delle mummie e con gli ostraka dei monticoli egiziani, e insomma con l’insistenza su tutto ciò che la Grecia può dare di più crudo, barbaro, romantico, positivo, con-trastante col vecchio ideale gelato»), e soprattutto sulle opportunità svelate da questo diverso, modernissimo ‘bisogno di antico’: Realtà, come dicevo, di cose, e non di parole. Questa è la differenza profonda fra la nostra generazione e quelle che l’han preceduta. Le statue, le fotografie, le imma-gini, i processi, i costumi, in somma la vita nella sua indifferente nudità ha preso il posto degli aoristi del maestro di seminario e delle figure di Longino […]. Una cosa è chiara, direi quasi  a priori ; che con tanta voglia di appropriarsi solo il grosso e l’essenziale della grecità, i pensieri e i motivi e le immaginazioni piuttosto che le frasi e le formalità, quest’ora dev’essere propizia per i traduttori. I passi ora citati del saggio di Serra provengono dal fascicolo de «Il Verri» dedicato a  Classicità e contemporaneità , che si apre con estratti da   Intorno al modo di leggere i Greci 98 . Sugli appunti di Serra si sofferma il liminare   Intervento  di Anceschi. Nel giovane critico cesenate caduto sul Podgora, Anceschi indica colui che «intuì una crisi del modo di sentire e vivere i classici, in cui noi ancora siamo», la crisi di chi ha compreso «che non ha più alcuna utilità per noi una lettura  assoluta  dei classici», ma che esistono ancora molti modi, altri modi, con cui i classici ci possono rispon-dere, molti e diversi piani su cui essi vivono ancora per noi, e che molti e diversi possono essere i gesti del nostro rapporto con loro. E su questa fenomenologia va forse ormai posato l’accento. Sono evidenti le consonanze tra un così attento bisogno di fondare una diversa presenza dei classici in un futuro avvertito come totalmente ‘altro’, e l’attività di Gentili in quegli anni come filologo e come docente. Ne è conferma la scelta di continuare a pubblicare su «Il Verri» gli articoli di maggior impegno teorico e programmatico già apparsi nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica»: in particolare i due saggi   L’interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo  e   Prospettive critiche nell’interpretazione della cultura greca dell’età dei lirici . Il primo (Gentili 1970) 99  pienamente si presenta al lettore ‘nella dimensione del nostro tempo’, subito prospettando l’ineludibile «grosso problema di fon-do che è il problema stesso della sopravvivenza del mondo classico nella nostra cultura», letto all’interno del più radicale tema della ‘morte della storia’ nelle società a tecnologia avanzata e pervasiva degli ultimi decenni  98  Serra 1965. 99  Già in «QUCC», con il sottotitolo  Sincronia e diacronia nello studio di una cultura orale : Gentili 1969del XX secolo. Quaranta e più anni dopo, sono riflessioni che colpiscono per lungimiranza, e per estraneità agli ideologismi allora correnti come a qualsivoglia ‘umanistica’ retorica consolatoria o deprecatoria: In concreto, quale senso può avere la grecità arcaica nell’odierna civiltà tecnolo-gica che rifiuta la storia e s’impone come civiltà nuova, integrata e alienata come è definita dai sociologi, perché ha tolto al mondo, irrevocabilmente, le sue proprie dimensioni storiche? Il risultato di questa situazione irreversibile è a tutti noto: la grande crisi dei valori etici, politici, espressivi. Se volgiamo per un attimo lo sguardo alla cultura contemporanea e agli ultimi movimenti delle neoavanguardie europee, lo stato di crisi dell’espressione ha forse toccato i suoi limiti. L’articolo enuclea e propone con chiarezza i principali elementi caratte-rizzanti il rinnovamento a livello internazionale degli studi sulla lirica gre-ca arcaica, sulla spinta soprattutto dei lavori di E. A. Havelock, muovendo dal riconoscere che «dato comune alla lirica greca, e in generale alla poesia greca sino alla fine del V sec. fu il tipo di comunicazione cui fu affidata, comunicazione non scritta ma orale», e che una poesia orale «comporta modi di espressione e atteggiamenti mentali diversi dalla poesia di comu-nicazione scritta». Si è di fronte a una ‘tecnologia di scrittura’   rinvenibile «in contesti poetici di altre culture orali», solita affidarsi a periodi brevi e figurazioni paratattiche, estranea all’«uso dell’io idiosincratico», cioè appunto all’‘io lirico’ della poesia latina e poi moderna, connessa invece a una «psicologia della   performance  poetica che mira a pubblicizzare il personale e il soggettivo per renderlo immediatamente percepibile e coin-volgere emozionalmente l’uditorio» attraverso la ricca serie di immagini e metafore proprie del linguaggio della lirica arcaica. La presenza del mito ne riflette la funzione, «tessuto connettivo della cultura orale e strumento sociale di interazione tra passato e presente, fra tradizione e attualità, tra poeta e uditorio», sì da delineare un tipo di poesia prammatica per la sua funzione e i suoi scopi parenetici, didattici e celebrativi, sollecitata nella scelta dei temi dalle vicende della vita militare e politica, dalle reali situazioni della vita sociale, dei simposi, delle feste religiose e degli agoni atletici, vincolata alle richieste di un committente o a un uditorio di “amiche” e di “amici” di un thiaso di ragazze o di una consorteria politica di identico rango sociale. Si trovano qui compendiate e illustrate con efficace consapevolezza critica le linee guida che per mezzo secolo ispireranno l’amplissimo la-voro di Gentili e della sua scuola sulla lirica greca arcaica 100 . È opportu-no sottolineare la volontà di Gentili di legare l’interpretazione dei lirici greci, così rinnovata, a una prospettiva particolarmente ampia e ambizio- sa, protesa sul futuro e infatti più volte ribadita nei decenni successivi,  100  Esemplare l’esposizione in Gentili 1990   Sent from the all new AOL app for iOSl’idea cioè «cui aspira l’antropologia contemporanea, dell’interpretazione come comunicabilità fra culture diverse e distanti nel tempo». Il rifiuto, all’inizio dell’articolo, sia della «interpretazione umanistica tradizionale della poesia greca come eterna storia naturale del gusto e dell’arte» sia del ‘neoumanesimo etico’, e in definitiva la presa d’atto della «crisi profon-da dell’umanesimo tradizionale» in un contesto culturale dominato dalle nuove scienze dell’uomo, mira all’affermazione di un diverso paradigma (identificabile nei nomi diversi ma variamente concordanti di Dodds e di Finley, di Vernant e di Havelock) con «lo sforzo di capire in concreto la mentalità dell’uomo greco arcaico», secondo una linea critica attenta all’oggi e al domani: nella quale cioè «convergono le domande, le cate-gorie e gli strumenti delle moderne scienze dell’uomo: dalla lessicologia semantica alla psicologia sociale e alla psicologia della storia, dalla socio-logia all’antropologia», e il vero tema risulta infine «il problema concreto dell’uomo nella sua vita individuale e sociale» 101 .Allo scopo evidentemente di segnalare nell’attività critica ed esegetica la necessità di una costante riflessione concernente passato (dell’oggetto) e presente (dell’interprete), «contro il pericolo di arbitrari travestimenti» 102 , il saggio si chiude con una breve citazione da T. S. Eliot 103 , cara a Gentili, che la ripeterà in futuro. Si tratta di un passo proveniente da un saggio del 1920 (  Euripides and Professor Murray ), violento attacco dello scrittore contro le traduzioni euripidee approntate per la scena dal famoso grecista, accusato di adottare per le proprie versioni un obsoleto stile tardo-otto-centesco incapace di trasmettere la sostanza del testo greco e di renderlo comprensibile nel presente (opinione ben espressa dalla devastante frase finale: «è per il fatto che il professor Murray non ha istinto creativo che lascia Euripide lì, proprio morto»): è giusto aggiungere che, quali siano stati moventi e intenti della stroncatura di Eliot, le traduzioni di Murray proposte  on the stage  furono grandemente popolari per decenni, e anzi «it was largely due to Murray that Greek tragedy established itself as a permanent feature of the theatrical landscape» 104 . L’intervento fu incluso  101  Sul significato di fondo dell’opera di Gentili da individuarsi nella «applica-zione alla filologia testuale dell’antropologia culturale», al fine di porre «la spiega-zione dei testi, della loro struttura e dei singoli passi, nel quadro illuminante della cultura complessiva cui furono funzionali» vd. soprattutto le osservazioni di Cerri 2014. 102  Con riferimento a quanto sembra alle interpretazioni idealistiche e estetiz-zanti della lirica greca contro cui più polemizza Gentili. 103  «Abbiamo bisogno di un occhio che possa vedere il passato al suo posto con le sue definite differenze dal presente e tuttavia in modo così vivo che esso sia tanto presente a noi come il presente». 104  Cfr. Garland 2004, in partic. 161-163. Su   Euripides and Professor Murray  vd. ora i rilievi di Morwood 2007, 139 sgg.; sui ben noti, profondi interessi di Eliot per le letterature classiche e soprattutto per Virgilio, e sull’importanza nella costru-zione e nell’autorappresentazione del poema  The Waste Land   (1922) del concetto   Sent from the all new AOL app for iOSda Eliot nella raccolta   Il bosco sacro  ( The Sacred Wood  ), rivelata nel 1946 alla cultura italiana dalla traduzione di Luciano Anceschi, che premise una lunga introduzione (datata marzo 1945!) 105  dove non manca di essere menzionato   Euripides and Professor Murray , da Anceschi accostato al saggio «incompiuto e bellissimo di Serra   Intorno al modo di leggere i Greci » per la comune avversione verso «quel tipo ambiguo di traduttore-poeta-filologo-professore che fu di moda nei primi anni del secolo e che […] non soddisfò né le ragioni pure della filologia, né tanto meno quelle, certo più rigorose, dell’arte» 106 . Bersaglio di Anceschi, subito dichiarato, è «il prof. Romagnoli», esempio più noto della «filologia poetica di fine secolo», appunto quella «  filologia poetica , che è riuscita a ridurre i liri-ci greci ad una farsa domenicale» a suo tempo già attaccata dallo stesso Anceschi (direttamente coinvolgendo Romagnoli, da poco scomparso) nell’introduzione ai   Lirici greci  del 1940 107 , priva invece di riferimenti al certo in Italia ancora ignoto intervento di Eliot contro Murray traduttore: lo si troverà poi citato, in chiusura, nella rielaborata, quasi palinodica pre-fazione anceschiana del 1951 108 . Il terzo ampio e importante contributo che Gentili in quegli anni ripropose sulla rivista di Anceschi (  Prospettive critiche nell’interpretazione della cultura greca dell’età dei lirici : Gentili 1972) è per intero dedicato a discutere i radicali mutamenti intervenuti tra la prima e la seconda metà del Novecento nel definire «l’orizzonte della critica sui lirici greci». Il saggio prima di tutto registra con soddisfazione il venir meno «dei miti e dei luoghi comuni della vecchia critica idealistica e delle sue estreme frange estetizzanti», particolarmente forti in Italia «per oltre un trentennio» proprio nell’àmbito degli studi sui lirici, e nelle tradu-zioni. Come traccia dell’estremo persistere della «critica del gusto» e in  di   fragment   («these fragments have I shored against my ruins») vd. il profilo di Martindale 1999. 105  Anceschi 1946. 106  Anceschi 1946, 32. 107  L. Anceschi,   Introduzione  in Quasimodo 1940, 24-25. Questo il passo: «Quasimodo sembra perciò essere veramente il più adatto – oggi – per una impresa così ardua – necessariamente – difficile […] in reazione a certa   filologia poetica , che è riuscita a ridurre i lirici greci ad una farsa domenicale (e si veda Romagnoli da un frammento bellissimo:  Tramontata è già Selene / e le Pleiadi: il ciel tiene /  Mezzanotte: l’ora vola; / io son qui sopita e sola )», dove il riferimento è natural-mente al famoso frammento saffico 94 D. =   168b V. 108  In Quasimodo 2004, 333, dove Eliot «nel saggio su Euripide» è menzionato accanto a pensieri sul tradurre di Leopardi e di Pound. Pochi mesi prima della comparsa in italiano de   Il bosco sacro , il richiamo al Murray di Eliot a proposito delle traduzioni dai lirici greci prodotte in Italia tra Ottocento e Novecento da «certi filologhi non so come invasati dal dio» era già in L. Anceschi,   Presentazione  in Anceschi – Porzio 1945, 15-16 (dove come traduttore di poeti antichi oltre a C. Sbarbaro, da Sofocle, compare in realtà il solo S. Quasimodo, con testi da Omero, Saffo, Alceo, Erinna, Eschilo, Virgilio, Ovidio, Catullo).generale di «quel gusto del lirismo novecentesco che ha dominato la cul-tura italiana tra il 1920 e il 1940» è indicata l’ancora presente «tendenza a ricondurre il testo originale al gusto del lettore e non viceversa a guidare il lettore verso il testo originale», così procedendo a un’operazione «che an-nulla le categorie del tempo e dello spazio in vista di una contemporaneità falsa ed artificiale». A rinforzo dell’osservazione e come monito «contro il pericolo di arbitrari travestimenti» in cui possano cadere le traduzioni, Gentili torna a menzionare il passo di Eliot  contra Murray  già citato al termine dell’articolo di due anni prima (  L’interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo ). È interessante notarlo, inte-ressante e paradossale. Originario intento del brano, e in genere di   Euri- pides and Professor Murray , era l’accusa dello scrittore Eliot al grecista Murray di essere privo dell’‘occhio creativo’ 109  capace di render vivo Euri-pide con una traduzione inglese adeguata ai tempi e alla perduta centralità dell’educazione classica 110 . Anceschi nel presentare la traduzione italiana ravvisò in Murray l’equivalente inglese di Romagnoli, cioè dell’esponente più illustre di quella ‘filologia poetica fine di secolo’   a lungo di voga in Italia, colpevole di aver travestito gli antichi poeti nelle  forme di un linguaggio che non sappiamo collocare né storicizzare: un inafferrabile linguaggio di Utopia che ci ha sempre meravigliato con certi moti di umore, e oggi ancor più ci meraviglia e diverte; solo in qualche caso si potrà parlare di uno sfatto e maldestro residuo di discepolato carducciano 111 . 109  È opportuno citare per intero nel contesto originario il brano, con cui il sag-gio di Eliot si conclude: «Abbiamo bisogno di una digestione che assimili insieme Omero e Flaubert; abbiamo bisogno (come ha incominciato Pound) di uno studio accurato degli umanisti e dei traduttori del Rinascimento. Abbiamo bisogno di un occhio che possa vedere il passato al suo posto con le sue definite differenze dal presente, e, tuttavia in modo così vivo, che esso sia tanto presente a noi come il presente. Questo è l’occhio creativo; ed è per il fatto che il professor Murray non ha istinto creativo che lascia Euripide lì, proprio morto». 110  Eliot 1920 (1946), 142-143: «Negli ultimi anni del diciannovesimo secolo e fino ad oggi, i classici han perduto il loro posto di pilastri del sistema politico-socia-le […]. Se i classici devono sopravvivere e giustificare se stessi, come letteratura, come elementi del pensiero europeo, come fondamento per la letteratura che spe-riamo di creare, sono proprio sfortunati per il bisogno che hanno di persone capaci di chiarirli. Se di Aristotele si può dire che è stato un pilota morale dell’Europa, noi abbiamo bisogno di qualcuno […] che ci spieghi come sia materia vitale per noi il rinunciare o no a tale pilota. E abbiamo bisogno di un gruppo di poeti colti che abbiano, almeno, opinioni sul dramma greco, e se esso sia o no di qualche utilità per noi. Si deve dire che il professor Gilbert Murray non è l’uomo adatto per ciò. I poeti greci non avranno il più insignificante effetto di sollecitazione per la poesia inglese, se appariranno solamente travestiti in un volgare avvilimento dell’idioma troppo risentitamente personale di Swinburne». 111  Anceschi 1946, 32 n. 1: discorso che, Anceschi tiene a precisare, «non si rife-risce ad un letterato di bella educazione e di civilissimo spirito, come il Valgimigli»Per l’Anceschi del 1945, come per quello del 1940 e parimenti del 1951 (e poi sempre), la risposta alle illeggibili e a tratti grottesche traduzioni di Fraccaroli e di Romagnoli 112  venne dai   Lirici greci  di Quasimodo, frutto di «acuto, inatteso, e ormai da molti anni pressoché desueto contatto tra l’antico e il contemporaneo» 113 , fonte di poesia nuova e antica a un tempo: proprio l’opera cioè implicito (e di lì a poco esplicito) obiettivo polemi-co di Gentili, in quanto espressione più nota e fortunata di quel ‘lirismo novecentesco’ che indebitamente assimilò alle proprie categorie critiche ed estetiche la realtà incommensurabilmente altra della lirica greca, pie-gandola alle attese e ai gusti del moderno lettore. Riscoperto da Anceschi a sostegno di una resa dei classici antichi affine a quella operata da Quasi-modo con i lirici greci,   Euripides and Professor Murray  è invece evocato da Gentili come alleato contro gli «arbitrari travestimenti» realizzati da traduzioni quale quella di Quasimodo. Lo si nota non per ossessione ‘fon-tistica’ 114  o gusto della minuzia paradossale, ma come indizio – insieme a tanti altri più rilevanti – del ruolo che nei decenni centrali del Novecento la versione quasimodea dei   Lirici  ebbe, come presenza immanente e come termine di confronto positivo o negativo, non solo nel mondo letterario italiano, ma anche in quello filologico e accademico 115 . Nel caso di Gentili una tale presenza e un tale confronto dovettero sin da giovane caricarsi di più intense risonanze, quando si pensi che la prima (e pressoché unica) re-censione dei   Lirici greci  di Quasimodo ad opera di un grecista accademico fu di Gennaro Perrotta, nell’ottobre 1940. Dimenticata dopo la guerra in  112  Ottime in proposito le osservazioni di U. Albini,   Prefazione , in Perrotta – Al-bini 1972,  V : «Le due traduzioni dei lirici greci che hanno contrassegnato la prima parte del Novecento sono opera di G. Fraccaroli ed E. Romagnoli, due studiosi di seria dottrina, impegnati nello sforzo di rievocare la bellezza e la grandezza dei classici antichi […]. Si voleva spalancare una grande finestra sul mondo antico, offrire le chiavi di un mondo paradigmatico, richiamare al passato come premessa e garanzia per l’avvenire. Se le riprendiamo in mano oggi, tali versioni si rivelano sconfortantemente indecifrabili. Lessico, movenze, stilemi ci sono estranei, ignoti, quasi…». 113  Dall’introduzione di Anceschi del 1951 ora in Quasimodo 2004, 324. 114  Pare certo che Gentili sia giunto al saggio di Eliot attraverso Anceschi, che lo propose al pubblico italiano, e di cui nel saggio poche righe più avanti è del resto citata l’introduzione all’edizione 1951 dei   Lirici greci . Ancora nella postuma   Premessa  di L. Anceschi,   Brevi parole, su un modo del tradurre  a Mariotti 2001, le versioni di Mariotti sono lodate come «ben lontane dalle effusioni floreali del prof. Murray, non meno che da quelle di certi nostri professori-poeti», e si ha un interessante ricordo personale delle «traduzioni dai   Frammenti dei tragici greci  [1925] che lessi ai tempi del liceo, lontane ormai, ma non dimenticate, di Mario Untersteiner, un traduttore che rimase esente dalle rumorose, eccitate, e un poco illusionistiche euforie degli esuberanti traduttori  liberty  del suo tempo». 115  Anche in questo senso non è fuori luogo osservare, come più volte fece Marcello Gigante, che «la traduzione dei   Lirici greci  ha conquistato un posto ben definito nella storia degli studi classici ragione della sede in cui fu pubblicata 116 , la recensione di Perrotta non si limitò a rilevare errori e spropositi della traduzione («Bella cosa, se Quasi-modo sapesse un po’ meglio il greco!»), ma soprattutto seppe cogliere nell’impresa di Quasimodo quella di «un poeta, un modernissimo poeta che vuol tradurre i lirici greci modernamente, e riesce così a conservare ad essi la semplicità antica»: da contemporaneo Perrotta comprese cioè il ‘novecentismo’ dei   Lirici greci , la loro pertinenza (come Anceschi dirà del «classicismo post-simbolista» di Eliot) a «una zona di dignità anticamente moderna, di classiche aspirazioni, che è movimento proprio a gran parte dell’Europa civile tra gli anni 1919-1939» 117 .Sono osservazioni utili, credo, a contestualizzare e meglio valutare l’attenzione, pur critica, che Gentili spesso manifestò verso i   Lirici greci  quasimodei nonché verso significato e influsso nella cultura italiana del Novecento di quella modalità di accesso alla poesia greca. Nel saggio di Gentili compreso nell’annata 1972 de «Il Verri» alle versioni di Quasimo-do dai lirici è accostato il   Pindaro  di Leone Traverso, cioè la traduzione delle odi e di una scelta di frammenti che il grecista e germanista L. Tra-verso (1910-1968) aveva pubblicato nel 1961 per Sansoni 118 . Va ricordato che sede originaria di   Prospettive critiche nell’interpretazione della cul-tura greca dell’età dei lirici  fu l’imponente numero in due tomi di «Studi Urbinati» (1971) per intero dedicato a ospitare  Studi in onore di Leone Traverso 119 , con   Dedica  di Carlo Bo, di cui è altresì presente il saggio   La cultura europea in Firenze negli anni ’30 . Vi si rievoca il clima degli anni di formazione fiorentina di Traverso, poi professore di Lingua e letteratura tedesca nell’Ateneo urbinate, tra i giovani poeti e scrittori (Bo, Bigongia-ri, Luzi, Macrí) che raccolti intorno a «Il Frontespizio» e a «Letteratura» diedero vita all’esperienza dell’ermetismo, prima di tutto come esigenza di apertura a una cultura di carattere europeo e organicamente volta perciò alla traduzione 120 : «anni lontanissimi dove la poesia era una sorta di religio-  116  Si tratta de «Il Bargello. Foglio d’ordini della Federazione fiorentina dei Fasci di combattimento», periodico cui collaborarono molti giovani intellettuali anche vicini all’ermetismo. La recensione ai   Lirici greci  è comunque segnalata nelle bibliografie di Perrotta in  Studi Perrotta  1964, 663 e in Perrotta 1978, 397; sul tema vd. Benedetto 2012,   40 sgg. e   passim . 117  Anceschi 1946, 21; ricordo in proposito il recente, ricco catalogo Mazzocca 2013.  118  Traverso – Grassi 1961. 119  Gentili 1971. 120  Cfr. Bo 1971 (in origine conferenza pronunciata a Firenze nel 1967); nel I tomo è l’ampio saggio di Macrí 1971, dove particolare attenzione è riservata alla rigorosa formazione filologica classica di Traverso («addetto, nella distribuzione dei nostri compiti generazionali, alla specula ellenico-germanica»), alla sua ammi-razione per Perrotta e alla intrinsichezza con Pasquali, alla lunga consuetudine con Pindaro, letto e tradotto «non con un rifacimento o rimpasto contemporaneizzante di tipo idealistico pseudostoricistico (poesia e non poesia, ciò che è vivo e ciò chene e la critica sposava le stesse passioni e le stesse ricerche dei poeti» 121 . Già coinvolto in una polemichetta con Quasimodo ( duce  Lavagnini) ancor prima dell’uscita dei   Lirici greci , intorno all’interpretazione di ὤρα come  giovinezza  nel famoso fr. 94 Diehl di Saffo ( Tramontata è la luna ) 122 , Tra-verso fu uno dei primi recensori dell’opera, su «Primato» dell’1 luglio 1940. Pur notando qualche «arbitrio» e «difetto» nella resa del greco, sin dall’ incipit  egli aderisce alla scelta effettuata sui lirici («perfettamente adeguata al gusto del nostro tempo»), alla sua modalità e ispirazione: Tralasciati i pezzi gnomici e oratorii o comunque ristretti al giro d’una polemica occasionale (Callino, Tirteo, Focilide,Teognide, Solone, Senofane, ecc.) e insieme le manifestazioni illustri – a prima vista un po’ estranee al nostro spirito – di poeti considerati, ma non sempre a ragione, come ufficiali quali Pindaro e Bacchilide  – egli isola di quella poesia una zona che più evidente offre il carattere di una «pu-rezza» rarissima in tutte le civiltà letterarie. (E l’ha aiutato efficacemente in questa selezione anzitutto lo stato in cui più di frequente furono tramandate quelle reliquie  – naturalmente per ragioni diversissime dalle sue: frammentario) 123 . Forse memore di quei lontani trascorsi, e certamente del retroterra erme-tico di Traverso, Gentili assimila   Lirici greci  di Salvatore Quasimodo e   Pin-daro  di Leone Traverso come «prove più rappresentative di un’esperienza letteraria intesa come problema d’immagini, d’invenzione linguistica, di ricerca di stile». Mentre in Quasimodo la «vera “fedeltà” di traduttore è nella libertà del movimento linguistico e ritmico» con il conseguente scarso valore attribuito al reale rapporto originale-traduzione 124 , l’assai più ricca  è morto, ecc.) ma di colpo, al centro e al cuore dell’assoluto e del sublime pindari-co, che fu operazione tipica della critica ermetica nel contatto con l’opera d’arte»: notandosi inoltre che «non diverso (pur computata la diversità della preparazione filologica) fu il possesso della lirica greca da parte di Quasimodo». In una vivace intervista del novembre 1981 O. Macrí ebbe a ricordare Traverso all’inizio degli anni Trenta come parte «del primissimo gruppo pre-ermetico al caffè San Marco […] infusi del demone delle letterature straniere», insieme naturalmente a Carlo Bo, che «venne alla Facoltà di Lettere fiorentina per seguire gli studi classici, poi ci ripensò e divertì sulla letteratura francese, maestro Luigi Foscolo Benedetto, anche di Luzi» (Tabanelli 1986, 65). 121  Sono parole a proposito di Quasimodo e degli anni Trenta da un articolo di Carlo Bo,   Ma dove va la poesia? , apparso sul «Corriere della Sera» dell’11 marzo 1987, ora in Bo 1994, 1610. 122  I testi della disputa, avvenuta su «Corrente di vita giovanile» del 29 febbraio 1940, sono ora disponibili in Benedetto – Greggi – Nuti 2012, 138-140. 123  Traverso 1940; la recensione è ora ripubblicata in Benedetto – Greggi – Nuti 2012, 143-144. Di fronte alle versioni di Quasimodo anche a Traverso, come a tutti i primi recensori, «preme anzitutto riconoscere la validità di poesia italiana, indipendente, che ne risulta». 124  E quindi, come da molti è stato osservato, «il tradurre diviene un momento essenziale del poetare   Sent from the all new AOL app for iOStrama letteraria e filologica sottesa, nonché l’influsso di Hölderlin traduttore di Pindaro e di Sofocle, ha come effetto in Traverso un maggiore rispetto «per gli usi della lingua greca che per lo spirito della propria lingua», con il paradossale scivolare «in una sorta di ermetismo di scrittura che rende inintelligibile il senso e in un preziosismo linguistico che tradisce l’impegno della trasparenza anche se il calco raggiunga in qualche caso la fedeltà auspicata» 125 . Pur tra loro sotto molti aspetti differenti, le versioni di Quasimodo e di Traverso sono agli occhi di Gentili accomunate dall’inadeguatezza a riproporre «la totalità umana e artistica dei lirici greci», vittime della loro stessa ricerca di una «fedeltà emotiva» incapace di rendere l’attuale lettore consapevole della distanza che lo separa da quegli antichi e frammenta-ri testi. Allora e per i successivi decenni della sua intensissima attività scientifica, di filologo e di traduttore, la risposta scelta da Gentili fu ri-nunciare a soffermarsi sul «problema teorico, e in un certo senso ozioso, della traducibilità o intraducibilità in assoluto», e invece, per così dire ‘fenomenologicamente’, «investire sul piano prammatico il problema del-la traducibilità» 126 . Si tratta di pagine di grande rilievo, dove sono indi-viduate priorità e finalità concernenti «il discorso della traducibilità dei lirici, dei modi e delle tecniche del tradurre», nel rifiuto dell’assunzione a modelli di specifiche poetiche del tradurre, affermando l’impossibilità di «prescindere dalle reali situazioni di cultura del mondo contemporaneo e dalle richieste che al traduttore pone il lettore moderno», e definendo esigenze di vasto e pur rigoroso valore comunicativo, destinate (come già si è visto) a essere ribadite e di continuo inverate nel lavoro di Gentili dei decenni a venire: Una poetica non astratta e irreale, non prefigurata su schemi di modelli già espe-riti, ma una poetica aperta del tradurre che si costruisca gli strumenti adeguati a una maggiore portata di comunicazione e riproponga il problema del tradurre dai  125  Gentili 1972, 23-24. Le considerazioni a proposito di Traverso, e delle tra-duzioni di Hölderlin come «esempi mostruosi» di fedeltà all’originale, torneranno in B. Gentili,   Introduzione , a Gentili – Angeli Bernardini – Cingano – Giannini 1998 2 ,  LXVIII . 126  Gentili richiama in nota «il pregevolissimo saggio» di Mattioli 1965, com-preso nel numero speciale  Classicità e contemporaneità , dove anche si aveva la fondamentale prolusione urbinate   Aspetti del rapporto poeta, committente, uditorio nella lirica corale greca . Il saggio di Mattioli si conclude con alcune considera-zioni di tipo teorico, a partire dalla convinzione che «la soluzione univoca (tra-ducibilità assoluta o intraducibilità assoluta che sia) nega il concreto del vissuto», e che perciò risposta sul piano teorico non si può dare ma «il problema si risolve soltanto in un contesto prammatico», cioè sul piano delle molteplici risposte della storia. Alla tradizionale domanda ‘si può tradurre?’ Mattioli propone di sostituire domande quali ‘come si traduce?’ e ‘che senso ha il tradurre?’, cioè «sostituire alla domanda di tipo metafisico la domanda di tipo fenomenologico» greci non nei limiti dei vecchi modelli privilegiati della traduzione letteraria e della traduzione poetica, ma nella prospettiva più ampia di quella idea cui aspira l’et-nografia contemporanea della traduzione come comunicabilità fra culture, visioni del mondo, strutture linguistiche, sistemi grammaticali diversi e distanti nel tempo […]. Poiché fedeltà alla poesia o fedeltà alla qualità letteraria è un problema che investe la comprensione totale del testo, non soltanto di tutte le sue connotazioni, dei suoi registri linguistici e metrici […] ma anche di tutta la realtà extralinguistica e situazionale dell’enunciato poetico 127 . Senza passare dettagliatamente in rassegna l’intero saggio, bastino al-cuni richiami a temi che in futuro variamente continueranno ad occupa-re Gentili. Così l’interrogarsi su una versificazione italiana adeguata alla complessa struttura metrica delle strofe di Pindaro e di Bacchilide conduce Gentili a sostenere la preferibilità del verso libero delle grandi odi dannun-ziane 128 , finanche segnalando le possibilità aperte dal «verso “dinamico” e “atonale” della poesia dei Novissimi», e in effetti nell’antologia   Lirica corale greca  del 1965 lo stesso Gentili aveva tentato «di risolvere il movi-mento dei metri simonidei con le tecniche metriche della poesia contem-poranea dei Novissimi» 129 : va detto che un profondo interesse per le strut-ture metriche della poesia italiana soprattutto ottocentesca e novecentesca sin dall’inizio caratterizzò i «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» 130 . La  127  Gentili 1972, 25. Sono affermazioni che ritorneranno, insieme a parte dell’intero saggio, nell’  Appendice II. La traduzione dai lirici. Alcune osservazioni sul problema del tradurre  in Gentili1984 (2006 4 ), 313-320 (e cfr. anche  supra  n. 2). 128  Si ricordi la scelta del verso libero per la traduzione delle   Pitiche , con l’os-servazione che «le grandi odi delle   Laudi  del D’Annunzio, particolarmente il verso libero della   Laus vitae , scandito da strofe di 21 versi, offrono sotto il profilo tecnico un modello esemplare di versificazione per l’esuberante dovizia delle forme ritmi-che, tali da riecheggiare […] i molteplici schemi della metrica pindarica» (Gentili,   Introduzione , a Gentili – Angeli Bernardini – Cingano – Giannini 1998 2 ,  LXIX - LXX ); e si ricordi altresì la lunga citazione da   Maia , con l’apparizione del «monarca de-gli Inni», al principio dell’  Introduzione  alla postrema fatica Gentili – Catenacci  – Giannini – Lomiento 2013. 129  Lo rileva Bernardini 1966, 144. In àmbito diverso ma non estraneo si tenga presente, dello stesso Gentili, l’importante e innovativo lavoro  Cultura dell’im- provviso. Poesia orale colta nel Settecento italiano e poesia greca dell’età arcaica e classica  (Gentili 1980), poi riproposto in altre sedi: nella conclusione si esprime vivo interesse per esperienze contemporanee quali «l’affermarsi, in America, di un’avanguardia poetica, che si definisce “postmoderna” e trae il suo alimento dai contributi sulla poesia orale forniti, in questi ultimi decenni, non solo dall’antropo-logia culturale, ma anche e soprattutto dalla più autorevole filologia classica ameri-cana, rappresentata dagli studi del Parry, del Lord e dell’Havelock» (poi in Gentili 1984 [2006 4 ], 29-30). 130  Già nel primo numero si ha l’articolo di Pinchera 1966, 92-127, che si apre lamentando l’effetto negativo sulle «indagini critiche relative alla storia delle forme metriche» prodotto dalla «dittatura culturale esercitata per vari decenni in Italia da Benedetto Croce».riflessione sull’eclissarsi nel secondo dopoguerra del neoumanesimo di W. Jaeger è occasione per evocare il contemporaneo «crollo dell’esperienza critica crociana», la cui presenza più autorevole nel settore della classicità e più coerente con l’orientamento crociano è riconosciuta in G. Perrotta, particolarmente per  Saffo e Pindaro  (1935) 131 . Circa la più generale posi-zione critica del maestro, Gentili tiene a mettere in rilievo che «pur ade-rendo senza riserve al canone dell’interpretazione estetica dei lirici, aveva tuttavia saldissime basi filologiche e storiche, non era in altri termini una critica del gusto», giacché il crocianesimo operava in lui come una sorta di sovrastruttura, sul tronco più vi-tale di quella viva metodologia critica introdotta in Italia da Giorgio Pasquali, che portava in sé già latenti i fermenti di un approccio linguistico, psicologico e antro-pologico alla cultura classica: la ricerca filologica costituiva soltanto il momento preliminare e necessario di un’indagine il cui fine era l’intelligenza del mondo an-tico nella viva concretezza della sua cultura 132 . Nel prosieguo del contributo, Gentili brevemente si sofferma sull’innova- tivo apporto soprattutto degli indirizzi di Dodds e di Vernant allo studio della cultura greca arcaica, infine indicando il problema cardine della ricerca sulla cultura e la poesia di quell’età «nel corretto rapporto tra livello sincronico e livello diacronico della ricerca», il che è stimolo per accennare alle note riserve verso gli studi pindarici di E. L. Bundy, e poi di D. C. Young. Ad essi Gentili rimprovera un’analisi limitata ai soli aspetti sincronici delle strutture linguistiche e formali, tale da precludere «la possibilità di comprendere gli aspetti situazionali ed extralinguistici della   performance  della lirica pindarica». Alcuni anni dopo, più ampia- mente e duramente Gentili assocerà a questa nuova critica «il fastidio che suscita inevitabilmente un’analisi soltanto formale, intesa a repe-rire le costanti intertestuali, senza riguardo all’articolazione dei singoli contesti ed alla impostazione ideologica dei diversi autori» 133 : è per noi interessante il confronto lì istituito con «quella critica estetica che ebbe in Italia come suo massimo esponente G. Perrotta», a tutto vantaggio  131  In nota è menzionato il contemporaneo saggio su Saffo di M. Valgimigli (1933), «da noi la prova più rilevante di una critica del gusto permeata di evoca-zioni e suggestioni letterarie della cultura italiana fra i due secoli». Significativo è, nella stessa nota, il richiamo invece favorevole all’intonazione anticlassicistica dei frammenti dal saggio di Serra   Intorno al modo di leggere i Greci  pubblicati da E. Raimondi nel numero de «Il Verri» 1965 su  Classicità e contemporaneità ; si consi-deri anche che del 1965, in occasione del cinquantenario della morte, è il saggio di Carlo Bo   La religione di Serra , poi accolto nel volume   La religione di Serra e altre note di lettura , Firenze 1967. 132  Gentili 1972, 30. Su crocianesimo e Pasquali in Perrotta, analoghe espressio-ni vent’anni dopo in Gentili 1996, 12. 133  Su questi temi vd. poi almeno Gentili 1984 (2006 4 ), 156-157dell’approccio del maestro, «una critica estetica che non è puro estetismo impressionistico ed intuizionistico, ma una critica del gusto corroborata da un’acuta sensibilità storica» 134 . L’articolo del 1972 si chiude confer-mandosi come «proposta di una diversa lettura dei lirici, che recuperi nella storicità delle relazioni fra poeta e uditorio il significato originario del loro messaggio». Una proposta di cui si tiene a sottolineare il caratte-re antidogmatico, inteso a rispondere alle esigenze critiche del presente: «Ma, di là da una falsa pretesa di un equivoco oggettivismo metasto-rico, essa non presume di essere definitiva. Al contrario, consapevole del divenire storico della critica, si affianca alle precedenti proposte, già esperite, in una modalità di lettura più coerente con l’orizzonte culturale del nostro tempo» 135 .Assai più dei due precedenti interventi accolti su «Il Verri», nel 1965 e nel 1970,   Prospettive critiche nell’interpretazione della cultura greca dell’età dei lirici  è attento al tema della traduzione, e alle ricadute delle varie correnti critiche del Novecento su teoria e prassi delle traduzioni dai lirici greci. Al ‘piano prammatico’ e all’impostazione ‘aperta’ della traduzione, di taglio antropologico, Gentili rimarrà fedele, ulteriormente approfondendo la riflessione negli anni, sì da scorgere nel traduttore «uno “sciamano” che non conosce confini sino al punto da divenire un altro da sé e di cogliere il momento puntuale in cui significante e significato si compenetrano» 136 , nella fedeltà alla «norma dannunziana di avvicinare il lettore all’opera e non viceversa» 137 . La presenza di contributi di Gentili  134  Gentili 1979b; sul conflitto tra gli indirizzi di E. L. Bundy e della scuola ur-binate di B. Gentili, le considerazioni di Lehnus 1988. Ampia analisi delle posizioni di Bundy e di Young, con frequenti richiami a Perrotta e in nome (come noto) della riproposizione di una ‘lettura estetica’ degli epinici, è nel lavoro di Bonelli 1987, con ricca bibliografia. 135  Gentili 1972, 38. Analogamente, e fenomenologicamente, si concludeva il già citato Mattioli 1965, 128: «Altre risposte (traduzioni e idee del tradurre) segui-ranno in futuro per le quali sarebbe arbitrario stabilir regole o far previsioni come lo sarebbe per l’arte del futuro», e perciò «a questo punto si può fermare il discorso, non solo perché si presenta come abbozzo di una futura ricerca, ma anche perché i  discorsi conclusi  in questo àmbito di studi sono palesemente insensati». Si veda già Mattioli 1963 per la proposta di «una impostazione fenomenologica della ricer-ca», considerata particolarmente necessaria e opportuna nel campo dell’antichità classica proprio in ragione dello «scacco che ha ricevuto il tentativo, compiuto in Italia, di trasportare sic et simpliciter l’estetica crociana nella interpretazione delle letterature classiche». 136  Gentili,   Introduzione , a Gentili – Angeli Bernardini – Cingano – Giannini 1998 2  ,  LXIV . 137  Così in Gentili 2002, dove anche è ricordato il giudizio di Perrotta 1935, 97, per il quale D’Annunzio fu «non solo il traduttore ideale di Pindaro, ma il poeta italiano che meglio di tutti ha saputo riecheggiarne l’arte, intendendola pienamen-te». Più positivo si fa nel citato articolo il giudizio sulla traduzione pindarica di L. Traversosu «Il Verri» non andrà oltre i primi anni ’70 138 , ma sino alla vigilia del-la morte di Anceschi (maggio 1995) durarono i rapporti epistolari, come oggi sappiamo grazie alla pubblicazione dei diari riferiti agli ultimi anni del professore bolognese 139 , che molte volte sino agli estremi suoi giorni continuò a tornare con il pensiero alla traduzione di Quasimodo dei   Lirici greci  e al suo significato storico e culturale 140 .A quella stessa seconda metà degli anni ‘60 fecondissima di idee e di propositi appartiene il numero d’avvio dei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» (1966), come espressione del  Centro di studi sulla lirica gre-ca e sulla metrica greca e latina  diretto da Bruno Gentili   e connesso al CNR. Un effettivo riesame dell’attività scientifica di Gentili comportereb-be una sistematica rilettura non solo dei contributi e degli interventi del direttore dei  Quaderni  ma più in generale delle principali linee di ricerca espresse dalla rivista, del loro permanere, mutare ed evolvere nel corso di cinquant’anni. Mi limiterò a richiamare due contributi di Gentili su Saffo ospitati nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» a distanza di oltre quarant’anni l’uno dall’altro, per così dire ai due poli cronologici dei  Qua-derni  di Bruno Gentili. Il primo è   La veneranda Saffo , del 1966 141 , che  138  Sino a Gentili – Cerri 1973: sull’importanza dell’articolo per successivi lavo-ri di Gentili sulla storiografia antica vd. Angeli Bernardini 2013, 16. 139  Oltre a un cenno in un’annotazione del 3-5 settembre 1989 («Eccellente scritto di Bruno Gentili sulla “Repubblica”. Lo riporto integralmente. Ancora una volta acu-te considerazioni sulla oralità – e sulla situazione degli studi umanistici», cfr.   Diari  Anceschi  2006, 109), si veda soprattutto quella del 2 gennaio 1993 («Lettera molto lusinghiera di Bruno Gentili. Conosco l’ironia, ed è tale da non accettare ambiguità. Ecco un uomo che dice quello che pensa», cfr.   Diari Anceschi/2  2006, 9). Nell’Ar-chivio Anceschi presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna sono conservate 26 lettere di Bruno Gentili: cfr. Campagna 1998, 513; si tratta della presenza più am-pia per un filologo classico, insieme a M. Barchiesi (parimenti 26 lettere), del quale sulla rivista anceschiana vd.   Plauto e il “metateatro” antico  (Barchiesi 1969), con la premessa: «sulla tentazione erudita […] prevalse l’idea di tenere aperto, in perfetta modestia, il discorso su quello che è più che mai il nostro tema cruciale, e che può designarsi con la formula stessa del “Verri”, “classicità e contemporaneità”». 140  Così l’11 marzo 1995, a meno di due mesi dalla morte: «Con Quasimodo ho avuto una frequentazione amichevole molto prolungata e, mi pare, serena aperta ai problemi con vivi impulsi di collaborazione e di conoscenza. Certo sono passati tanti anni; per altro, l’affetto del ricordo non diminuisce. Quale che sia la forza della mia vita letteraria, per me si è trattato di un risvolto capitale […]. La traduzione dei   Lirici Greci  fu una esperienza radicale alle origini, che ci portò a rivivere il proble-ma del tradurre come un problema fondamentale della poesia. Da quel momento la discussione è aperta, e mi pare con qualche frutto, mi pare anche che in questo senso l’impulso continui. Penso che questa esperienza nel mettere in rilievo tanti motivi della relazione complessa tra traduzione e poesia – sia, o almeno sia per quel che mi riguarda, costitutiva di un modo di vedere che continua ad operare» (  Diari  Anceschi/2  2006, 92). 141  Gentili 1966 (confluito in forma abbreviata nel cap. XII di Gentili 1984 [2006 4prende spunto dal famoso fr. 384 V. (verosimilmente) di Alceo ἰόπλοκ’ ἄγνα μελλιχόμειδε Σάπφοι, forse (si è supposto) «l’ incipit   di un car-me dedicato all’illustre concittadina» 142 . Era il frammento cui s’era volto Perrotta dopo aver espresso il proprio rifiuto verso «la soluzione dei Wel- cker e dei Wilamowitz» a difesa della ‘purezza’ di Saffo: Molto meglio, per chi voglia davvero intendere e onorare Saffo, ricordare il fram-mento di Alceo che dice (63 D.): «Saffo pura, dal dolce sorriso, dal crine di viola». L’omaggio devoto dell’insolente cavaliere di Lesbo basta a farci sicuri che né bia-simi né malignità aduggiarono mai la vita mortale di Saffo. Altro non è da ricercare: non si può pretendere di giudicare con le nostre idee moderne, né giudicare una donna di Lesbo con i pregiudizi di un Ateniese […]. Ognuno vede quanto sarebbe ingiusto rimproverare alla poetessa i suoi amori per le amiche, mentre nessuno rimprovererà al suo compatriota e contemporaneo Alceo gli amori per Lico. Ma più importa questo: Saffo è soprattutto una poetessa, anzi è soltanto una poetessa per noi; soltanto la sua poesia noi dobbiamo giudicare, e soltanto in essa noi possiamo trovare la sua immagine. Ora, alla sua poesia possiamo accostarci con animo puro: essa è pura, perché poesia, e altissima poesia 143 . Al passo, per molti aspetti paradigmatico dell’interpretazione perrottia-na di Saffo, Gentili non fa diretto riferimento, rifacendosi invece all’ultimo articolo di Walter Ferrari, l’allievo prediletto di Pasquali «inviato come as-sistente di Perrotta a Roma ma morto assai giovane nel 1940» 144 . Se merito dell’intervento di Ferrari era stato sottrarre l’interpretazione dell’epiteto  ἄγνα all’àmbito della «castità profana» 145 , caro a «tutte le mitiche specula-zioni sulla purezza degli amori di Saffo» e a tutte le «moderne idealizzazioni della sua poesia» 146 , dimostrandone invece il senso arcaico «limitato esclu-sivamente alla sfera del sacro», d’altra parte – rileva Gentili – l’indagine di Ferrari sfociava in una idealizzazione di Saffo sostanzialmente coerente «con l’orientamento critico di stretta osservanza crociana prevalente in quei tempi», rappresentato al meglio dal  Saffo e Pindaro  di Perrotta, «scritto appena cinque anni prima» 147 . Nel varare la fortunata avventura dei «Qua-derni Urbinati di Cultura Classica», dalla ‘purezza’ di Saffo Gentili decide  142  Degani – Burzacchini 2005, 241. 143  Perrotta 1935, 31. 144  Canfora 2005, 216. 145  L’articolo di Ferrari era ricordato a proposito del «significato di ἀγνός»  anche nella I edizione di   Polinnia , 202  ad loc . 146  «Questo verso famoso, che sarà da attribuire ad Alceo, è innocentemente responsabile di tutte le mitiche speculazioni (soprattutto da noi) sulla personalità di Saffo che poeti, critici e filologi ci hanno somministrato a partire dalla Saffo “dal riso morbido, dall’ondeggiante | crin di viola” del Carducci sino alla casta Saffo del Valgimigli»: così Gentili l’anno prima, in occasione del rifacimento della sezione su Alceo per l’edizione di   Polinnia  del 1965, 224 (anche in Gentili – Catenacci 2007a, 196). 147  Gentili 1966, 37-38di prendere le mosse: da quello stesso frammento, si può aggiungere, scelto ad introdurre la sezione su Saffo nei   Lirici greci  di Quasimodo («o coro-nata di viole, divina / dolce ridente Saffo»). In conformità ai principî deli-neati nel saggio dell’anno precedente   Aspetti del rapporto poeta, commit-tente, uditorio nella lirica corale greca , dove si poneva in primo piano la necessità per il moderno lettore di comprendere la funzione e il fine proprio del carme lirico, il senso dell’apostrofe è rintracciato attenendosi «al senso reale del contesto alcaico», così leggendo nel saluto di Alceo «un reverente omaggio alla dignità sacrale della poetessa quale ministra d’Afrodite», con precisa allusione «alla funzione religioso-sociale nell’ambito del tiaso» 148 . L’inveterato tema degli amori di Saffo è radicalmente riesaminato alla luce di carattere, aspetti, scopi del tiaso saffico «nelle sue giuste proporzioni storiche e sociali anche mediante l’apporto di analoghe esperienze di altre culture». Il riconoscimento dell’esistenza nella dinamica del tiaso di «pre-cise “unioni” per così dire ufficiali fra le ragazze» tali da non escludere «probabilmente un rapporto di tipo matrimoniale» è posto da Gentili in relazione a una testimonianza di Simone de Beauvoir circa la presenza a Singapore e a Canton ancora in anni recenti «di molte comunità femminili che nelle convenzioni e nelle pratiche di culto sembrano ripetere antichi modelli culturali molto simili a quelli delle comunità della Lesbo arcaica», e cioè «des lesbiennes reconnues […] se marient entre elles et adoptent des enfants». Gentili offre qui un geniale esempio di «interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo», come suonerà il ti-tolo dell’intervento al congresso di Bonn del settembre 1969: al di là di eventuali dubbi circa la sostenibilità del confronto, comunque verosimile, conta mettere in luce l’efficacissima reazione ermeneutica che lega antico e contemporaneo illuminando entrambi. Né manca l’apertura sul futuro, quando si pensi in che misura a distanza di pochi decenni in molti Paesi oc-cidentali quegli antichi modelli culturali si siano concretizzati nella rifles-sione giuridica, nella legislazione e nella prassi sociale. Esempio forse tra i più chiari di quanto i classici, e il rinnovamento della loro interpretazio- ne, abbiano contribuito a porre lontane, e meno lontane, basi della (post)moderna  sexual revolution 149 , con tutte le forzature e gli arbitrî propri di tali ardui e complessi intrecci di tempi e di culture. Dell’attenzione di Gen- 148  Gentili 1966, 46 sgg. Importanti in quest’àmbito anche i numerosi contributi ospitati nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» a proposito di significato e contesto del partenio di Alcmane, a partire soprattutto da Gentili 1976 (poi rifuso nel cap. VI   Le vie di Eros nella poesia dei tiasi femminili e dei simposi  in Gentili 1984 [2006 4 ]); sul più ampio tema delle iniziazioni femminili l’assai più recente volume Gentili – Perusino 2002. 149  In luogo di rifarmi alla sovrabbondante bibliografia anglosassone in proposi-to, spesso ideologicamente determinata, ricordo il capitolo   Klassieken en seksuele vrijheid   nel bel libro di Veenman 2009, 273-291: con particolare riferimento a una cultura, quale quella dei Paesi Bassi, cui in differenti epoche, sino alle più recentitili a questi temi e alle loro ricadute e implicazioni, è infine testimonianza  Saffo ‘politicamente corretta’  , l’articolo del 2007 (in collaborazione con C. Catenacci) dove la ribadita posizione critica che ammette la presenza nei carmi saffici di elementi avvaloranti la pratica dell’omoerotismo in àmbito iniziatico e paideutico 150  è volta a contrastare «una nutrita serie di lavori ispirati ai  gender studies » di recente diffusisi soprattutto negli (e dagli) Stati Uniti, e intesi a sostenere che «Saffo non si rivolgeva a giovinette, ma a sue coetanee in una forma di libera attrazione omosessuale, e non svolgeva nessun ruolo né paideutico né religioso all’interno del gruppo». Un corag-gioso intervento, di grande valore metodologico e rilevanza storiografica, per il quale una tale Saffo   politically correct   va respinta, al pari della Saffo otto-novecentesca votata alla purezza, giacché «rappresentazione astorica e forgiata su istanze manifestamente attualizzanti» 151 .Nel quadro del crescente interesse nei «Quaderni Urbinati di Cultura Classica» dell’ultimo ventennio per questioni di storia e metodologia degli studi classici, alcuni anni fa apparve un articolo di C. Miralles, dal titolo  The use of classics today , aperto dall’indubbia constatazione «the huma-nities are losing ground and classical studies are in retreat» 152 . Al di là dei suggerimenti proposti, e dell’enorme differenza di tempi e condizioni, torna in mente «il vigile e costante impegno a dare un senso di attualità ai nostri studi» caro a Perrotta, da Gentili più volte ricordato nelle com-memorazioni del maestro. Nel salutare la recente rinnovata edizione di   Polinnia  è stato giustamente e autorevolmente rilevato che «in tanto rin-novamento, Gentili e la sua scuola non hanno dimenticato né che la poesia greca si può avvicinare solo attraverso la storia e la filologia, né che essa ha comunque uno straordinario valore estetico. Gentili non ha rinnegato le sue radici, semplicemente da esse è nato un albero capace di produrre fiori non prevedibili all’inizio – se Perrotta sarebbe contento di lui? Difficile dirlo» 153 . Forse, e per molti motivi, si può azzardare una risposta positiva. Giovanni Benedetto si devono determinanti apporti nell’elaborazione di teoria e prassi della moderna sessualità ‘liberata’, Veenman mostra quanto soprattutto negli ultimi due secoli «i classici hanno aiutato a capire e denominare l’omosessualità» («de klassieken hielpen homoseksualiteit te begrijpen en te benoemen»). 150  Gentili – Catenacci 2007b; circa la storia della fortuna e della ricezione di Saffo mi limito a rinviare alle incisive osservazioni di Most 1996. 151  Va detto che in generale la critica più recente sembra avvertire una quantità crescente di aporie circa il significato del contesto comunitario, il gruppo ristretto e omogeneo tradizionalmente attribuito a Saffo, il ‘tiaso’, e torna ad osservare che «mentre nel caso di Alceo la dimensione di gruppo ristretto è evidente e spiega ade-guatamente gran parte – se non la totalità – della sua poesia, nel caso di Saffo è più difficile da delineare senza rischiare attualizzazioni indebite» (Michelazzo 2007).  152  Miralles 2009, in partic. 23-24. 153  Bettini 2010, 336Albini 1963 = U. 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Zapperi,   Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista , Milano 2013. Grice: “I know Gentili’s type – once in love with Greek, you cannot be a honest Latinist. So he found that everything Roman had to be Hellenistic, -- see his notes on the Saturnio – this of course irrirtates and rightly so Latinists – there are Roman ways which are not Hellenistic ways. Geymonat has analysed this in social-class terms in his history: Athens remained the finishing school for the ‘figli’ of the ‘migliore famiglie romane’ – and the circle of Scipione Emiliano was pro-hellenic, but Cato won: Latin remained the lingo!” Grice: “It also shows the unfairness of academia for the poor – only the poor learn at Oxford, and I was fortunate enough to have Hardie – but imagine you are born near Urbino and decide to study classics at Urbino and you have Bruno Gentili as your teacher in “Latin literature” and all he teaches you is how Hellenistic it all is! I hope you are not poor and that you don’t have to LEARN at Urbino!” -- Bruno Gentili. Gentili. Keywords: implicature. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gentili” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758048183/in/dateposted-public/

 

Grice e Gerratana – il contratto sociale – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Scicli). Filosofo. Grice: “I like Gerratana; for one, he translated Rousseau, and I have been called a contractualist, if not like Grice [G. R. Grice].” Grice: “Gerratana carefully edited Pintor’s oeuvre.” – Grice: “I like Gerratana; they – Italian philosophers, generally -- philosophise on the working people – operaio --; at Oxford we usually do not!” Partecipa alla resistenza a Roma, nelle file dei GAP, legandosi a Salinari e Pintor, conosciuto al corso allievi ufficiali di Salerno, e ricordato in “Sangue d'Europa.” Prende parte alla ricostruzione del PCI romano e si laurea a Roma. Insegna a Salerno e Siena. Studioso sobrio e rigoroso del marxismo, cura Labriola e Gramsci. La sua edizione, con un'accurata ricostruzione cronologica, archiviò definitivamente l'edizione tematica. Gerratana mette in luce lo stile "frammentario" e "antidogmatico" di Gramsci. Altre opera: “L'eresia di Rousseau, Roma, Editori Riuniti), Il marxismo, Roma, Editori Riuniti); “Labriola di fronte al socialismo giuridico, Milano, Giuffrè editore); “Gramsci. Problemi di metodo, Roma, Editori Riuniti); “Quaderni dal carcere. Treccani L'Enciclopedia italiana". Biografia di Gerratana nel sito dell'ANPI Associazione Nazionale Partigiani d'Italia.  Si è svolto a Roma il 18 e 19 novembre nella Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università Roma Tre, un convegno di studi in memoria di un importante esponente del pensiero politico italiano, Valentino Gerratana, a dieci anni dalla sua morte. Essenzialmente noto per aver curato nel 1975 l'edizione critica dei Quaderni del carcere di Gramsci, Gerratana fu in realtà uno studioso politicamente appassionato e uomo politico di estrema cultura. Merito di questo convegno è stato l'aver messo in luce tanto l'impegno politico e morale di un uomo quanto l'eclettismo, la vivacità intellettuale e la serietà di un pensatore troppo poco conosciuto in fin dei conti, la molteplicità variopinta dei suoi contributi scientifici e la continuità e coerenza del suo impegno, politico ed intellettuale.  Il convegno è stato organizzato dalla International Gramsci Society-Italia – di cui Gerratana fu co-fondatore nel 1996, assieme ad Aldo Tortorella, Giorgio Baratta e Guido Liguori. Le giornate, divise per sessioni tematiche, hanno ricordato la figura di Gerratana nella sua complessità: partigiano antifascista a Roma negli anni della Resistenza, giornalista negli anni giovanili, curatore e studioso di molti classici della storia della letteratura, della filosofia e del marxismo (dalla cura dell'edizione critica degli Scritti politici di Labriola a quella degli scritti estetici di Marx ed Engels, ai contributi su Rousseau, Machiavelli, Lukács, Lenin), ma noto in tutto il mondo anzitutto come curatore e studioso del pensiero di Gramsci (dall'edizione critica dei Quaderni, all'approfondimento dell'indagine sulle categorie sociali e politiche della riflessione gramsciana e la cura – assieme al suo più stretto collaboratore, Santucci – del volume sugli scritti gramsciani dell'Ordine nuovo). Non è facile informare esaurientemente sul convegno, credo proprio per la personalità e la grande vivacità intellettuale di Gerratana, emersa nella sua complessità lungo la due giorni di lavori.  L’evento ha messo alla prova intellettuali e ricercatori, ha dialettizzato l'ascolto reciproco di relatori e pubblico, fra i quali si è avuto un confronto sereno ma anche serrato, indubbiamente appassionato. Ne è risultato – e ne va il merito agli organizzatori – un evento generoso per ricchezza e poliedricità delle tematiche affrontate, per l'eterogeneità degli accenti che si sono avvicendati (secondo l'esperienza politico-culturale di relatori e pubblico), quanto infine per la vastità dei territori culturali esplorati (dalla storia – italiana e internazionale, alla filosofia, alla politica). Su tutta l'iniziativa s'è aggirato lo spettro benevolo di Antonio Gramsci, della sua vicenda umana come anche di quel lascito inesauribile che è la sua produzione culturale. E di Gramsci Gerratana non è stato solo il curatore e il promulgatore, ma anche un indimenticabile interprete. Gli anni e la formazione giovanile: partigiano antifascista ed intellettuale engagé Questa introduzione credo consenta di comprendere forse più chiaramente il contesto e lo spirito in cui il convegno di questi giorni ha trovato spazio.   Anche la presenza e il saluto delle istituzioni che con la IgsItalia hanno permesso il convegno – contrariamente al solito – sono stati sentiti ed interni al tema in oggetto dell’incontro. La figura di Gerratana è stata difatti ricordata con stima sincera e rispetto da Cecilia D'Elia (Assessora alla cultura della Provincia di Roma) e Gaetano Domenici (Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Roma Tre). Cecilia D'Elia ha sottolineato la rilevanza di questo convegno su Gerratana – figura complessa, in cui ricerca politica e ricerca della libertà si intrecciano –, studioso che sempre volle tener connesso l'impegno pratico e l'impegno teorico, combattente antifascista negli anni della Resistenza, uomo che diede un contributo decisivo alla costruzione della democrazia in Italia. Sulla stessa linea d'onda Gaetano Domenici ha salutato con piacere l'evento in ricordo di Gerratana, anzitutto perché questa facoltà contribuisce a "formare i formatori": ed è stato forse fra i più grandi meriti di Gerratana l'aver decisamente contribuito a divulgare la genesi del pensiero pedagogico-educativo di Gramsci, a partire dalla cura dell'edizione critica dei Quaderni di Gramsci. Non pochi interventi hanno messo in luce i meriti di Gerratana riguardo la divulgazione del pensiero pedagogico-educativo di Gramsci. In particolare ricordiamo qui l'intervento di Donatello Santarone, Coordinatore del CESME di Roma Tre, che ha messo in luce il valore generale degli studi di pedagogia della tradizione marxista che delineano quella fondamentale concezione della formazione umana come "sviluppo onnilaterale dell'uomo". Un tale impegno risulta ancora più fondamentale in epoca di globalizzazione capitalista, sottolinea Santarone, in cui il lavoro dell'uomo e la sua formazione paiono ormai finalizzati unicamente ai processi di valorizzazione di capitale, i centri di formazione ed istruzione di massa vengono de-finanziati mentre nel contempo si sostengono economicamente scuole e "poli di eccellenza" privati, volti a creare le future élite e classi dirigenti. L'impegno di Gerratana come intellettuale engagé è stato sottolineato in molti interventi nel corso del convegno, fra cui quello di Guido Liguori che – in apertura dei lavori – si è soffermato sulle ragioni della scelta dell'espressione gramsciana filosofo democratico come carattere fondamentale dell'animo e dell'impegno di Gerratana. Tale formulazione sta ad indicare un pensatore che non si chiude nella propria torre d'avorio, ma contribuisce attivamente alla creazione di un senso comune di massa, un uomo «convinto che la sua personalità non si limita al proprio individuo fisico, ma è un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente culturale» (Q 10, § 44, p. 1332). É questa essenzialmente l'immagine che Liguori ci ha voluto restituire di Gerratana: un pensatore che non si accontentò del «pensiero proprio, "soggettivamente" libero, cioè astrattamente libero», ma che operò per l’unità di scienza e vita come «una unità attiva, in cui solo si realizza la libertà di pensiero», secondo un «rapporto maestro-scolaro, filosofo-ambiente culturale in cui operare, da cui trarre i problemi necessari da impostare e risolvere», un uomo che concepì la propria attività intellettuale come rapporto di «filosofia-storia» (ibidem), un uomo il cui impegno politico e la cui elaborazione teorica sono stati la testimonianza della migliore tradizione del comunismo e del marxismo italiani.   Ha fatto seguito l'intervento di Paola Demurtas, che ha illustrato i criteri e i temi sulla base dei quali si è svolto l'intervento di riordino dell'archivio di Gerratana assieme alla collega Lorenza Salvatori (di cui è stato letto un contributo), e che ha sottolineato come grazie al riordino delle carte e dei documenti sia ora possibile svolgere ricerche e approfondimenti sull’attività di Gerratana. I documenti archiviati, difatti, coprono un arco di 61 anni, sono circa 300 fascicoli, che si è deciso di suddividere in 8 partizioni tematiche fra studi e attività, e fra queste risultano particolarmente rilevanti le quantità di fascicoli dedicati a Gramsci e a Labriola e da cui si evince una grande meticolosità nell'elaborazione. Ha concluso la prima parte di introduzione ai lavori del convegno la lettura della lettera di saluto del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in cui è stato espresso «il più vivo apprezzamento per la scelta di ricordare un insigne studioso, cui va il merito di aver contribuito, con l'edizione critica dei Quaderni del Carcere di A. Gramsci. È stata poi la volta del primo relatore, Alfonso Musci (giovane studioso dell'Istituto Gramsci per gli studi storici) che ha ricostruito gli anni giovanili di Gerratana, in particolare quelli degli studi universitari e della polemica con Benedetto Croce, sottolineando una tendenza di Gerratana a considerare gli eventi storici attenendosi ai fatti, alle formule logiche e alla loro riproducibilità, ma senza prescindere del tutto dalla "situazione psicologica" in cui questi si svolgono e che spesso si maschera in concetti. Ma Gerratana non fu solo un intellettuale impegnato. Fu un partigiano. Questo hanno ricordato le successive relazioni della mattina proseguite con i due contributi "di memoria storica" di Alfredo Reichlin e Giuseppe Prestipino–, significativi per la nota autobiografica in essi contenuta, che ha permesso una comprensione più articolata del senso dell'impegno politico di Gerratana negli anni della lotta di liberazione nazionale dal regime fascista. Medaglia d'Argento per l'impegno negli anni della lotta di Liberazione dell'Italia dal regime fascista, la narrazione di quei mesi è stata emozionante nell'intervento di Alfredo Reichlin. Che ha ricordato gli anni giovanili della "passione politica" (tema che è stato ripreso anche da Tortorella in chiusura dei lavori del convegno) e le vicende dell'inverno '44 in cui, nella Roma occupata dai tedeschi, Reichlin incontrò Gerratana; con Pintor formarono una cellula, e Gerratana divenne loro dirigente, nome di battaglia "Santo". Furono quelli gli anni in cui nacque un sentimento nuovo, l'antifascismo, ed una nuova cultura, quella dell'impegno. Come allora – ha concluso Reichlin – il popolo italiano, nonostante appaia fiacco e corrotto, tuttavia continua ad esprimere degli intellettuali, e questi dovrebbero anch'essi prendere il proprio posto di combattimento. Gerratana fu dunque un partigiano antifascista con un deciso interesse per la storia e la filosofia politica. Ma anche un giornalista. La tendenza all'impegno culturale trovò uno sbocco concreto in questa attività – su cui si è soffermata la relazione di Giuseppe Prestipino –, quando cominciò a scrivere su "La voce della Sicilia" fra il '45-'48. Prestipino ha raccontato di un "comunista", un uomo di «innata modestia», che non firmava i suoi articoli, direttore di giornale cordiale ma austero, «un intellettuale pensoso». Gerratana: uomo di cultura, filosofo democratico, marxista Non solo di politica, ma anche di letteratura e di filosofia si occupò Valentino Gerratana.   La sua natura di intellettuale a trecentosessanta gradi è stata ben messa in luce da tre relazioni in particolare, quelle di Voza, Savorelli e Burgio. Pasquale Voza ha ricordato come a metà degli anni '50 si svolse in Italia un ricco dibattito sul tema della "lotta per il realismo", che nel dopoguerra espresse una "tendenza" la quale si affermò in molta parte dell'intellettualità. Nacquero le poetiche neorealistiche della "cronaca" e del "documento" come ricerca di un massimo di "oggettività" di contro all'influenza di suggestioni lirico-decadentistiche. Nel passaggio dalla crisi del neorealismo al realismo si colloca il contributo di Gerratana, che riteneva quest'ultimo un fondamentale strumento teorico-culturale. In risposta all'intervento polemico di Croce De Sanctis-Gramsci? (“Lo Spettatore Italiano”, 1952, n. 5), Gerratana stende per "Società" (1952, n. 3) De Sanctis-Croce o De Sanctis-Gramsci? Appunti per una polemica e sviluppa il ragionamento nell'Introduzione all'estetica desanctisiana desanctisiana (“Società”, 1953, nn. 1-2). Egli ha come riferimento la positiva valutazione di Gramsci del realismo desanctisiano, fondato sull’analisi del contenuto artistico in connessione alla lotta culturale. Difatti Gramsci coglie nel De Sanctis un modello di critica letteraria che lo rende emblema della concezione di un'estetica realista e anticipatore di una concezione marxista dell'estetica. Alla base della sua concezione vi sarebbe la ricerca di unitarietà fra La Scienza e la Vita (titolo di un famoso saggio desanctisiano del 1872, più volte citato da Gramsci nei Quaderni), cosicché De Sanctis si discosta dalla concezione speculativa dell'estetica di Hegel. In tal senso la tendenza estetica di De Sanctis, secondo Gramsci, era "istintivamente materialista", ciò perché la sua attività critica non era «frigidamente estetica» (Q 4, § 5, p. 426). Per tali ragioni De Sanctis resta, per Gramsci, un modello di come nella stessa coscienza critica, pur rimanendo distinti, possano confluire convenientemente giudizio estetico e valutazione di una tendenza artistico-culturale, cosicché Gerratana condivide l'appello gramsciano del «ritorno al De Sanctis» (Q 23, § 1, p. 2185), intendendo con ciò la necessità di assumere verso il rapporto arte-vita un atteggiamento di stretta connessione, così come lo intendeva De Sanctis ai suoi tempi. Nella seconda parte del suo intervento Voza ha ricordato come sempre nel '53 Gerratana abbia steso il saggio Lukács e i problemi del realismo (“Società, 1953, n. 4). Si ricordi che con la pubblicazione di Il marxismo e la critica letteraria di Lukács nel '50 giungeva anche in Italia quella poetica dell'estetica marxista che si poneva come obiettivo la costituzione di una nuova letteratura in una società socialista – dunque la necessità di definirne la natura e il ruolo che in essa avrebbero dovuto ricoprire gli intellettuali. Gerratana mise in luce due diverse idee di realismo: come metodo (di impronta lukácsiana) e come tendenza (di memoria gramsciana), specificamente come tendenza culturale che esprime un atteggiamento programmaticamente orientato verso la realtà piuttosto che verso la sua evasione. La lotta di Gerratana per il realismo, conclude Voza, alla luce del carattere complesso che intendeva conferirgli, alludeva in certo modo alla "lotta per l'egemonia" così come delineata da Gramsci e alle nozioni di "progresso intellettuale di massa" e "riforma intellettuale e morale".  Se l'intervento di Voza ha posto in luce la capacità di Gerratana di dar conto anche di questioni legate alla scienza estetica, l'intervento di Alberto Burgio ha affrontato la lettura critica da parte di Gerratana del pensiero di Rousseau, ripercorrendo le tappe di sviluppo ed il senso della sua produzione del ginevrino. Burgio ha illustrato come Gerratana e Rousseau siano stati legati da un "lungo rapporto di fedeltà", particolarmente significativo per il fatto che Gerratana scelse di leggere una parte degli scritti rousseauiani – quelli politici – e perché non mancò mai d'interrogarsi sull'attualità di questi testi, pur leggendoli entro una prospettiva storica. Questa è la ragione per cui si tratta di un Rousseau sempre "diverso" a seconda delle diverse fasi della ricerca di Gerratana, che possono delinearsi anzitutto secondo un ordine cronologico: gli anni '40, '60 e '90. È degli anni '40 la Prefazione di Gerratana al Contratto sociale, in cui egli denota il maggior valore di questo testo rispetto ai Discorsi – «reazione sentimentale al compromesso della cultura illuministica con la realtà sociale iniqua e corrotta del tempo». Il moralismo di Rousseau appare tuttavia a Gerratana storicamente attuale in forza dei valori sui quali si impernia – un valore sopra ogni altro, la libertà. D’altra parte, sottolinea Gerratana, «non la libertà estenuata dal completo esautoramento da cui sembrerebbe condannata da una lunga e ormai logora tradizione liberale, bensì una libertà resa concreta dalla stretta connessione con l'uguaglianza»; piuttosto una libertà la cui essenza costitutiva è precisata dal riferimento all'idea di eguaglianza e di legge, ciò che consente a Gerratana di riformulare il tema della libertà in chiave collettiva, sociale, vincolandolo al criterio della giustizia e della autonomia politica della società. Negli anni '60 – caratterizzati sul piano teorico dalla polemica fra il PCI e Bobbio ('61-'62) – Gerratana prende parte alla discussione sul tema della transizione dalla democrazia al socialismo (rispetto al quale Rousseau veniva chiamato in causa da Della Volpe come ispiratore dello stato democratico e socialista). Egli interviene con una prosa misurata e sobria: Rousseau è il tramite teorico-pratico dell'evoluzione della democrazia borghese in senso socialista; quello di Rousseau è dunque un programma di «massimizzazione della democrazia», non di "anticipazione" del socialismo. Il discorso di Gerratana muta decisamente nella seconda parte degli anni '60, quando stende l'Introduzione alla traduzione del Discorso sull'ineguaglianza (Editori Riuniti, 1968), sullo sfondo della quale pare di intravedere le lotte sociali che sfoceranno nel '68 studentesco ed operaio. Non si tratta più del tema della transizione, nota Burgio, ma della trasformazione sociale nel suo complesso e non è più il Contratto al centro della riflessione di Gerratana, ma il secondo Discorso. Infine, nel '90 Gerratana stende un saggio con al centro nuovamente l'interesse per il Contrat (Sul nesso Rousseau-Hobbes, in “Studi politici in onore di Luigi Firpo”, Angeli 1990): Rousseau è ancora il padre della democrazia moderna (costituzionalismo) e viene contrapposto a Hobbes, teorico dell'oppressione assolutista. Burgio indica infine un possibile mutamento di prospettiva nella lettura di Rousseau da parte di Gerratana, facendo perno sul testo rousseauiano: se gli scritti degli anni '40, '62 e '90 privilegiano il Contrat (classico del costituzionalismo e del governo della legge, letto – nota Burgio – in chiave fondamentalmente montesquieuiana), il contributo del '68 trova il suo oggetto nel secondo Discorso e qui emerge la consapevolezza di Gerratana del versante distruttivo del progresso, della civilizzazione e della cieca tendenza degli uomini a far valere le proprie istanze particolaristiche.   Infine ricordiamo il contributo di Alessandro Savorelli sul “Labriola di Gerratana”, che si è soffermato sull’intento di Gerratana di sottrarre il pensiero di Labriola dalla lettura che ne faceva la tradizione crociana e liberale. Negli anni '60 Gerratana riconsidera Labriola alla luce della polemica con lo spontaneismo dei movimenti e con la contestazione del marxismo ‘storicista’, mentre negli anni dell'arretramento del movimento operaio, mentre si profilava la crisi del PCI – Gerratana si preoccupa per le degenerazioni della politica («sistema di aggregazioni corporative di interessi locali», per l’emergere in Italia della «disinvoltura pragmatica» di spregiudicati «mestieranti», «avventurieri» e «giocolieri»), destinate a spingere le masse verso il riflusso e l’apatia. Savorelli sottolinea come le attualizzazioni cui Gerratana volse il pensiero di Labriola non furono una forzatura; al contrario il richiamo a Labriola, al critico sferzante della società italiana e delle sue classi dirigenti, era sinistramente profetico dell’accelerazione impressa in quel decennio ai fenomeni degenerativi di lungo periodo. Infine nell’ultimo Labriola Gerratana scorse l’intuizione di problemi (imperialismo, globalizzazione, regresso della democrazia, «crisi della cultura popolare», ritorno del misticismo), che sarebbero ancora i nostri (V. Gerratana, Antonio Labriola e la politica, “Studi storici”, 1985, n. 3, p. 578). Vittorio Diniha concluso la serie di testimonianze sulla vita e l'impegno culturale di Gerratana raccontando della comune esperienza negli anni dell'insegnamento universitario a Salerno nel 1971. Dini ha letto una pagina dedicata da Roberto Racinaro a Gerratana nella quale quest’ultimo è descritto come uomo poco diplomatico, amante di una verità da pronunciare senza mediazioni, uomo poco tenero anche con i cari, amante della filosofia illuminista, in particolare del Kant di Cassirer; e la sua stessa vita accademica si caratterizzava per la puntualità "kantiana", il forte senso del dovere e il rigorismo morale, quasi draconiano, che fu messo in luce anche durante gli anni del ’68 all’Università di Salerno. D’altra parte il rigorismo morale di Gerratana, secondo Dini, sarebbe stato trasferito in modo eccessivamente rigido contro quella società che si stava rivoltando in quegli anni di sommovimenti sociali e popolari, dacché ne risultava un rigorismo spesso astratto. Dini ha inoltre ricordato che Gerratana riprese l’attività universitaria a Salerno sotto sollecitazione di Lucio Colletti, che ne promosse l’ingresso, ritenendo questo rapporto GerratanaColletti un esempio del minimo “rigorismo ideologico” di Gerratana, della sua concezione “aperta” del marxismo – evidente anche nella ricostruzione non sistematica dei Quaderni.   Il quadro non sarebbe completo se non si accennasse a un altro tema (assieme all'indagine su Gramsci) che ha attraversato l'evento: l'impegno di Gerratana come intellettuale marxista. Questo aspetto è stato messo in luce essenzialmente da due relazioni, quella di Fabio Frosini e quella di Michele Filippini. Quest'ultimo ha discusso due aspetti peculiari della cultura filosofica di Gerratana, l'esser insieme democratico e marxista, e si è soffermato soprattutto su due esempi emblematici di ciò, un dialogo fra Gerratana e Colletti del 1958-59 ed un lungo articolo di Gerratana del 1971 sul saggio di Althusser sugli Apparati ideologici di Stato.   Ma è stato soprattutto Fabio Frosini a ricostruire le linee del marxismo di Gerratana, a partire dal volume del 1972, Ricerche di storia del marxismo. Il testo, che è in realtà una raccolta di saggi già pubblicati altrove, ha una sua sistematicità. Nella Prefazione al volume Gerratana sottolinea che il principale denominatore comune degli otto saggi è il rapporto fra marxismo e movimento operaio, fino ad affermare che «marxismo e storia del marxismo fanno tutt’uno» (Ricerche, p. VII). La loro unitarietà sarebbe dunque nell'idea stessa di storia del marxismo. Il marxismo di Gerratana pare a Frosini ben sintetizzato da un passo della Prefazione: «Nei confronti della pratica sociale l’analisi scientifica si distingue dalla raffigurazione ideologica perché non è solo, come questa, funzionale alla prassi, ma al tempo stesso è funzionale alla comprensione di questa prassi» (p. X), che mostra l'imprescindibile reciprocità di prassi e teoria scientifica atta comprendere la prassi. In conclusione, secondo Frosini il marxismo di Gerratana che emerge dalle Ricerche è confinato nel piano di una generalizzazione sempre provvisoria e da riprendere ogni volta in condizioni solo parzialmente ripetibili; e questa sarebbe l’unica condizione per rispettare l’apertura costitutiva di una verità che si definisce nella pratica, a contatto con la politica di massa.   Gerratana, politico (e) gramsciano   La terza sessione del convegno si è incentrata essenzialmente sul rapporto fra Gerratana e l'impegno politico per un verso, la cura delle opere e lo studio del pensiero di Antonio Gramsci dall'altro. Presieduta da Giuseppe Vacca, la mattinata si è aperta con l'intervento di Albertina Vittoria sull'esperienza di Gerratana alla Fondazione Gramsci – con cui il filosofo ha collaborato sin dagli anni della sua fondazione e che abbandonò negli anni '90 –, esperienza complessa e non esente da dissidi teorico-culturali. Vittoria ha messo in luce di Gerratana l'impegno di studioso e insieme quello di "organizzatore della cultura", come anche l'attività di uomo politico di partito. Non si può dunque isolare l'attività di Gerratana all'Istituto Gramsci dal resto dell'impegno: quello editoriale come anche quello nella Commissione culturale del PCI. Già dal '44 egli era considerato un militante anche sul piano culturale e subito dopo la Liberazione, Gerratana collaborò a "L'Unità", a "Rinascita", fece parte del Comitato Stampa e Propaganda del PCI. Nel '47 fu, con Platone e Trombadori, collaboratore di Onofri, allora responsabile della Commissione Propaganda del PCI; nel '49 fu responsabile delle “Edizioni Rinascita” e dopo la fusione fra queste e gli “Editori Riuniti” cominciò la sua collaborazione con la "Fondazione Gramsci" (fondata a Roma nel 1950) come studioso di filosofia. Sono questi anche gli anni del rapporto con Colletti e Cerroni. Nel '54 l'Istituto Gramsci diviene “Fondazione”, nel '56 – anno della "svolta" del XX Congresso del PCUS, degli eventi di Ungheria e del «Manifesto dei 101» – Gerratana resta in accordo con le posizioni di Alicata e Togliatti. Nel '58 si organizza il primo convegno di studi gramsciani, evento che dà il via all'opera di divulgazione del pensiero di Gramsci, alla cui base era la necessità di riarticolare teoricamente il legame fra movimento operaio e democrazia. Gli anni '60 sono per Gerratana gli anni dell'impegno per l'Edizione critica dei Quaderni del carcere (di cui cominciò ad occuparsi sin dal '58), impegno che aveva a monte l'intento di offrire un contributo alla garanzia dell'indagine critico-filologica. Gerratana divenne poi direttore del "Centro studi gramsciani" dell’Istituto Gramsci, avente come obiettivo la cura degli scritti di Gramsci nel loro insieme e dal '77 l'attività "gramsciana" ebbe soprattutto come fine un riordino in quindici volumi dell’opera del comunista sardo. Sono degli anni '80-'90 i dissapori con la nuova direzione dell'Istituto, quella di Vacca (la diatriba che si incentrò soprattutto su una diversa datazione dei Quaderni sul piano metodologico, ma Vittoria rileva anche come il dissenso fosse in generale culturale e politico). Nel '93 la crisi giunge all'apice: Gerratana vuole dimettersi, dimissioni successivamente ritirate, sebbene da allora in poi continui a lamentare il fatto che vi fosse un tacito dissenso sul suo lavoro. Furono questi gli eventi che infine condussero Gerratana all’abbandono dell'Istituto Gramsci.   É pur vero che Gerratana sarà essenzialmente ricordato per esser stato curatore, interprete e divulgatore del pensiero di Gramsci, con l'edizione critica dei Quaderni del 1975, ciò che l’ha reso noto in tutto il mondo. Da questo evento, difatti, si è avviato a livello internazionale un approfondimento dei testi e della riflessione di Gramsci, con l'edizione fra il 1992 e il 2007 negli Stati Uniti dei Prison Notebooks (curati da Joseph A. Buttigieg, intervenuto su questo tema) e l'avvio in America Latina degli studi su Gramsci come scienziato politico, tema su cui è intervenuto Carlos N. Coutinho. I due contributi hanno mostrato ciò che in apertura di questa relazione si è tentato di individuare come spirito del convegno: poliedricità degli accenti pur su tematiche affini, partecipazione rispetto al tema affrontato (giacché il pensiero di Gramsci è indagato come cosa viva), esigenza di dialettizzare la riflessione di Gerratana con gli eventi politico-culturali che vedono oggi coinvolti i paesi di provenienza dei relatori. Cosicché se per Buttigiegl'edizione critica si è rivelata uno stimolo per dar vita ad una ricerca che appagasse l'esigenza di riscoprire il pensiero di Gramsci come cultura "aperta" e dei riferimenti validi per il pensiero democraticoprogressista; per Coutinho, grazie all'edizione del '75, il pensiero di Gramsci si è mostrato come nuova fonte per indagini di scienza politica alla luce della contemporaneità – dal marxismo alla "filosofia della prassi", al rapporto di questi con i processi di trasformazione sociale. In particolare Coutinho – docente di teoria politica all’Università Federale di Rio de Janeiro –, ha messo in luce come il valore dell'edizione del '75 dei Quaderni stia essenzialmente nella capacità di porre in luce come Gramsci nel suo operare filosofico adotti, come marxista, il punto di vista della totalità. Negli scritti di Gerratana che Coutinho prende in esame emerge la trattazione prevalente, non casuale, di due tematiche gramsciane, rivoluzione ed egemonia. Le due nozioni sono a tal punto interconnesse che quella di egemonia consente a Gramsci di «arricchire e sviluppare il concetto marxiano di rivoluzione» (V. Gerratana, Sul concetto di “rivoluzione”, 1997, p. 100). A questi due concetti gramsciani principali se ne dialettizza un terzo (che in certo modo li tiene insieme entrambi), quello di stato allargato, che – secondo Gerratana – viene adoperato da Gramsci per «allargare il ruolo politico delle masse», per «concepire un processo di estensione delle democrazie, in connessione con il concetto di egemonia» (V. Gerratana, Stato, partito, 1977, p. 48). Come nel pensiero di Marx e di Lenin, anche in quello di Gramsci vi è un nesso filosofico-politico che tiene assieme egemonia e Stato da un lato, la rivoluzione dall'altro. Secondo Gerratana Gramsci modificò la propria concezione della rivoluzione nel corso dell'evoluzione del suo pensiero: se negli anni giovanili questa venne intesa come volontarismo soggettivista, già negli anni de L’Ordine Nuovo Gramsci avrebbe dato vita a una vera e propria «teoria organica della rivoluzione» (Gerratana, Sul concetto di “rivoluzione”, cit., p. 88), in particolare a seguito dell’influenza del pensiero di Lenin. In questo secondo momento Gramsci avrebbe tenuto conto anche del peso delle condizioni oggettive in cui opera la volontà. In generale secondo Gerratana sia Gramsci che Lenin concepirono l'egemonia come superamento della dimensione corporativa in cui opera la classe; ma quel che Gramsci riconosce a Lenin è anzitutto l’aver integrato questo concetto (la teoria dello Stato-forza) con la dottrina dell’egemonia. Secondo Coutinho Gramsci dà vita in tal modo ad una generale teoria dell'egemonia, ed è qui che Gerratana offrirebbe il suo più importante contributo: «per Gramsci le forme storiche dell’egemonia non sono sempre le stesse e debbono variare a seconda della natura delle forze sociali che esercitano l’egemonia. Egemonia del proletariato e egemonia borghese non possono avere le stesse forme né possono utilizzare gli stessi strumenti» (ivi, 123). Sviluppando l'elemento del "consenso" proprio dell'egemonia gramsciana, Gerratana distingue l’egemonia borghese, che si basa su un consenso passivo (o manipolato), e l’egemonia proletaria, che necessita un consenso attivo. Accenniamo infine ad altre due relazioni che hanno chiuso il convegno, quella di Aldo Tortorella e quella di Chiara Meta. Tortorella si è concentrato essenzialmente su due aspetti portanti della personalità dello studioso gramsciano, la passione politica e il rigore morale. Ha indicato in Gerratana non uno studioso come altri, ma un uomo che la cui vicenda intellettuale è da porre dentro una storia specifica e collettiva: quella della Resistenza e della nascita del PCI. È proprio attraverso la storia di queste vittorie e tragedie collettive che si è sviluppata la trama della vita personale e intellettuale di Gerratana. Tortorella ha messo in luce la profonda inquietudine che s'aggirava nell'animo di Gerratana, al di là dell'apparente serenità scientifica ed il suo “rigorismo”. Se una distinzione per lui esisteva fra politica (come etica pubblica) e morale (come etica privata), tuttavia il rapporto fra queste era per lui molto stretto (non a caso si era espresso sempre in modo contrario rispetto a guerre di aggressione presuntivamente “etiche” o a qualsiasi violazione dei diritti umani per ragioni politiche). La concezione etica cui Gerratana fa riferimento non è quella di Cartesio, tantomeno quella di Spinoza, ma in diretta connessione con la sua passione politica, dove la politica era intesa come un'impresa razionale. La passione politica, difatti, poteva avere due diversi contenuti: volgersi a favore o contro le dittature, e Gerratana scelse questa seconda strada. In questi anni è nato dunque un modo nuovo di intendere la libertà come effettualità, anzitutto come libertà dai rapporti di dominio sul piano materiale. L’intervento di Meta ha infine affrontato la ridefinizione del concetto di persona nella riflessione di Gerratana. Nel corso della relazione, Meta ha mostrato come Gerratana abbia risposto positivamente all'interrogativo sull'esistenza o meno di una teoria della personalità nel pensiero di Gramsci a partire dallo scritto Unità della persona e dissoluzione del soggetto ("Critica Marxista", XXV, 1987, nn. 2-3, pp. 113). Indagando gli scritti gramsciani alla luce dell'elaborazione marxiana delle Tesi su Feuerbach e di Miseria della filosofia, Gerratana ricorda che Gramsci – in Q 10 dal titolo emblematico «Che cosa è l’uomo?» – argomenta che l’uomo è essenzialmente un processo, precisamente «il processo dei suoi atti» (Q 10, § 54, p. 1344). D'altra parte l’individuo entra in rapporti con gli altri uomini «organicamente, cioè in quanto entra a far parte di organismi dai più semplici ai più complessi». Così lo sviluppo e costituzione della "personalità" di ciascuno è da intendersi come acquisizione di coscienza di tali rapporti e insieme modificazione di sé in relazione al modificarsi di tali rapporti: difatti «ognuno cambia se stesso, si modifica, nella misura in cui cambia e modifica tutto il complesso di rapporti di cui è il centro di annodamento» (Ibidem).   Ed è proprio Gerratana, secondo Chiara Meta, uno dei pensatori che più avrebbe colto questa natura dialogico-relazionale della filosofia gramsciana, che intesse tutta la trama dei Quaderni. Sottolineiamo infine un ultimo aspetto che ha qualificato questi due giorni di confronto intellettuale: la ricchezza del dibattito. Il convegno ha messo in luce come sia possibile recuperare una trasversalità reciproca nel modo di concepire il rapporto fra relatori e pubblico, fra ricerca e scienza, fra passato e presente.   Quest'ultimo aspetto è stato la cifra indiscutibile del convegno: non si è trattato di esposizioni accademiche di "memoria", ma di un confronto vivo con l'eredità intellettuale di Gerratana, che ha riportato all'ordine del giorno l'attualità della ricerca e della riflessione sulla scienza storico-politica del passato al fine di comprendere la politica e la cultura del nostro tempo, finanche alla luce d'uno sguardo internazionale. Su molte questioni poste dai relatori il pubblico è difatti intervenuto: dal rapporto fra Gerratana e Calvino (Lea Durante), Gerratana e Rousseau (Manuela Ausilio), Gerratana e Colletti (Guido Liguori), al rapporto fra il pensiero di Gramsci e Lukács (Renato Caputo), alla dialettica fra organicità e frammentarietà nei Quaderni del carcere (Eleonora Forenza). Lea Durante ha ricordato come la stretta amicizia fra Gerratana e Calvino risalisse ai primi anni '50. Nonostante fossero intellettuali provenienti da una diversa impostazione culturale, tuttavia avevano l'uno verso l'altro reciproco rispetto ed in comune l'esperienza partigiana. Durante si è soffermata sul carteggio GerratanaCalvino in merito al suicidio di Pavese, in cui Calvino rifiutava la lettura di questo evento come d'un gesto irrazionale, ma riteneva andasse letto piuttosto all'interno di una storia collettiva, emblematico di una "faglia" di questa storia: la volontà di risolvere l'attività politica degli intellettuali entro l'orizzonte collettivo, ciò che è impraticabile. La sottoscritta è intervenuta cercando di porre in luce come la “fedeltà” di Gerratana a Rousseau nel corso di mezzo secolo possa spiegarsi anche relativamente all'unitarietà dell'opera rousseauiana, a un rapporto complementare fra i Discorsi e il Contrat, da cui emerge un pensatore che per un verso è interno alla modernità borghese, per l'altro ne comincia a cogliere, prima di altri, i rischi ed i limiti. Renato Caputo si è dialettizzato con la relazione di Voza confrontandosi sul merito della concezione lukácsiana del realismo e rilevando da un lato che l'autore fa ancora parlare di sé e dunque è tutt'altro che un "cane morto", dall'altro la necessità di riconsiderare la battaglia di Gerratana per il recupero di De Sanctis non tanto in contrapposizione a Hegel quanto in funzione dell'esigenza di liberarsi della lettura crociana dell'autore. Guido Liguori è intervenuto sul rapporto fra Gerratana e Colletti, affermando che fra i due intellettuali – sebbene legati dall’amicizia – non vi era solo una distanza, ma una radicale contrapposizione teorica. Infine Eleonora Forenza ha interloquito in particolare con la relazione di Buttigieg, sottolineando il valore dell’edizione critica dei Quaderni di Gerratana nella sua capacità di porre in luce il carattere frammentario della riflessione gramsciana dei Quaderni, l’attualità dialogica di un processo conoscitivo inteso come “ritmo” e “sviluppo”, la centralità della tensione nell’organicità dell’opera carceraria e il valore del “frammento” come elemento del processo. Ma uno dei contributi che più ha emozionato è stato quello di Mario Alighiero Manacorda, intervenuto per ricordare che in quello "Zibaldone" che pure sono i Quaderni vi è un'unità assoluta, che ritorna nelle pagine pedagogiche, e ha riguardato l’indagine gramsciana sulla formazione dell’uomo nuovo, fondata sul principio dell’unità di «braccia e cervello» (Q 4, 13, 12, 29, 22). Questa ricerca coinvolge la questione (che l'umanità si porta dietro da millenni) di cosa sia la “natura umana”. Da sempre alla base vi è una sua declinazione come duplice, cosicché quella duplicità dell'attività umana trova spazio in una duplicità sociale (gli eroi da una parte come intellettuali, la plebe dall'altro). Quell'unità fra i due elementi che si ricerca nella filosofia antica viene rotta dal cristianesimo, che ha separato drasticamente anima e corpo (così come nella struttura sociale ha diviso cleres e milites), e da allora ci trasciniamo questa duplicità, che pure oggi biologia e fisica negano esistere del tutto. Storia passata e futura: la lezione di Gerratana serve ancora In questa due giorni di convegno si sono succeduti ricercatori, storici, docenti di filosofia, intellettuali di orientamento politico affine ma niente affatto identico, esponenti di rilievo dell'odierna intellettualità italiana che sono (o sono stati) spesso insieme politici e uomini di cultura, che hanno partecipato alla costruzione della storia democratica del nostro paese; e che si sono interrogati sul contributo culturale di Gerratana come lezione viva, esempio per la storia politico-culturale dell'Italia futura. Un evento da e per Gerratana, dunque: antifascista, organizzatore di cultura, interprete di politica e filosofia, pensatore infaticabile ed aperto, sebbene saldo quando necessario nelle sue convinzioni, pronto alla lotta, all'ascolto come anche alla rottura. Gli interventi dei relatori hanno riportato alla luce (alcuni affettuosamente alla memoria) la riflessione di Gerratana come frutto della contraddittorietà della modernità: di quella terra dissestata e martoriata che è stata l'Italia negli anni della lotta partigiana, di quella storia che si è radicata nella consapevolezza dell'inaggirabile dialettica fra libertà ed eguaglianza sociale. Ecco: discutere e ricordare in questi giorni Valentino Gerratana ha significato parlare insieme della nostra storia passata e delle prospettive future per questo paese, che ha trovato in una figura come Valentino un indimenticabile esempio di caratura morale, coerenza politica, onestà e intellettuale, amore per la vita, per il progresso, per l'eguaglianza sociale, per la dignità umana e per la libertà – e questa storia, in fondo, non è di uno. Ma di tutti noi. Valentino Gerratana. Gerratana. Keywords. Rousseu, Grice on social justice, Gramsci, Labriola, Grice’s ontological Marxism, eresia di rousseau, labriola a fronte del socialismo, il metodo di gramsci – gappismo – G. A. P. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gerratana” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Geymonat – il temperamento romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Geymonat – he calls himself a neo-rationalist, like Canova – whereas I go for the real thing! Plato!” – Grice: “Geymonat has explored the origin of infinity in the triangle of Tartaglia.” – Grice: “Geymonat has explored what he calls ‘the images of man’ – Grice: “Geymonat has a curious essay on darkness (‘tenebre’) – and a longer essay on ‘reason.’ – Grice: “Like me, Geymonat has explored the philosophy of probability – from Latin ‘probare’ – and he was an anti-fascista1” –Figlio di Giovanni Battista, un geometra liberale di origini valdesi, e da Teresa Scarfiotti. Frequenta la scuola privata del Divin Cuore e poi l'Istituto Sociale, un liceo classico torinese gestito dai gesuiti, dal quale fu espulso l'ultimo anno di corso a causa di un tema su Giovanna d'Arco non in linea con l'ortodossia e così conseguì la maturità nel Liceo classico Cavour.  Si laurea a Torino con “Il problema della conoscenza nel positivism” sotto Pastore e sotto Fubini lcon “Sul teorema di Picard per le funzioni trascendenti intere”. La sua scelta di unire, nella sua ricerca, filosofia e logica, tenute separate in Italia dall'imperante cultura idealistica del tempo, quella gentiliana che, con la sua riforma della scuola, privilegia la cultura umanistica, e quella crociana, con la sua concezione svalutativa della scienza, creatrice, ad avviso del filosofo abruzzese, di un “pseudo-concetto”, mostra l'apertura europea delle prospettive di ricerca intravista allora da Geymonat e la sua estraneità al provincialismo culturale italiano. Un rifiuto che egli estese anche alla politica del regime allora dominante. Assistente di Analisi algebrica nell'Torino ma avversario del fascismo, rifiutò l'iscrizione al partito fascistacio è di prendere la cosiddetta tessera del pane vedendosi così preclusa la possibilità di una carrier statale. Si avvicinò altresì a  Martinetti, non tanto per comunanza di prospettive filosofiche quanto per averlo riconosciuto un esempio di impegno civile e morale, essendo stato tra i pochissimi filosofi a rifiutare il giuramento di fedeltà al Fascismo. Come Ayer. Anda in Vienna per approfondire la dottrina del Circolo di Schlick, e  pubblica “La filosofia della natura”  e “Nuovi indirizzi della filosofia.”  e iscritto clandestinamente al Partito comunista, si guadagna da vivere insegnando matematica nella scuola privata «Giacomo Leopardi» di Torino, dove Pavese insegna italiano. Con il nome di battaglia Luca fu partigiano in Piemonte nella 105ª Brigata Carlo Pisacane e, dopo la Liberazione, assessore comunista al Comune di Torino, quando, vinto il concorso a cattedra, e nominato professore a Cagliari. Insegna a Pavia e Milano. Fonda il Centro di studi metodologici a Torino. Ebbe uno stile di pensiero razionalista ateo. La sua filosofia può essere inquadrata nel filone del neopositivismo (ebbe diversi contatti con il Circolo di Vienna), da lui ri-elaborato nell'ottica del marxismo! Nell'evoluzione della sua filosofia, si possono tracciare due fasi. Nella prima fase, approfondisce temi tipici del positivismo. Nella seconda fase, si sforza di analizzare la realtà oggettiva ed a questo scopo utilizza concetti caratteristici del materialismo dialettico.  Interpreta la concezione della matematica di Galilei come un strumento d'interpretazione della realtà. Approfondisce alcuni temi teorici come quello della causalità, il fondamento della probabilità, il continuo, l’intuizione, centrali nell'epistemologia. Politicamente fu vicino inizialmente al Partito Comunista Italiano, da cui si allontanò poi per aderire a Democrazia Proletaria e successivamente ai movimenti che diedero vita al Partito della Rifondazione Comunista. Nel corso di questo viaggio politico ha partecipato alla Fondazione, a Roma, dell'Associazione Culturale Marxista e collabora nella rivista Marxismo Oggi (editore Teti). Ha compiuto alcune ricerche sul teorema di Picard e sul teorema di Carathéodory per le funzioni armoniche. In “Neo-razionalismo”, spiega che un'indagine efficace della realtà, e svolta solamente tramite lo strumento della ragione.  Per fare questo, propose di scarnificare la razionalità di ogni verità e da ogni sistema di riferimento assoluti. Il neoilluminismo, capeggiato da Abbagnano e coinvolgente numerosi altri filosofi italiani, rappresentò per Geymonat il suo corso del neo-razionalismo, che avrebbe dovuto accogliere i metodi e i risultati della scienza, perseguendo un duplice obiettivo: ummanizare la scienza e concretizzare la filosofia – e l'utilizare un'impostazione storicistica al posto di quella metafisica. Per storicismo, intese l'analisi storica della struttura di un modello scientifico. Pur condividendo inizialmente l'anti-idealismo di Popper, sostenne che vi era la più manifesta e totale incompatibilità tra il marxismo e l'epistemologia popperiana. Alle sue accuse di essere il filosofo ufficiale dell'anti-comunismo, reo di difendere i regimi liberali, Popper gli rispose: “I nostri intellettuali dicono che vivono in un inferno, mentre di fatto questo mondo non è stato, fin da Babilonia, mai così vicino al paradiso come lo è ora il mondo occidentale. Per contrasto, in Unione Sovietica, si dice alla gente che vivono in paradiso, e tanti lo credono e sono moderatamente contenti; è questo, credo, l'unico aspetto per il quale la società sovietica è migliore della non-sovietica. Si deve a Geymonat l'introduzione in Italia di Kuhn.  Altre opera: “Il problema della conoscenza nel positivismo” (Torino, Bocca); La nuova filosofia della natura in Germania, Torino, Bocca, “Per un nuovo razionalismo, Torino, Chiantore, Neo-razionalismo. Torino, Einaudi, Galileo Galilei, Collana Piccola Biblioteca Scientifica, Torino, Einaudi, La filosofia della scienza, Feltrinelli, Milano); Filosofia nella storia della civiltà, con Renato Tisato, Garzanti, Milano, Storia della filosofia, Garzanti, Milano, Il materialismo dialettico, Editori Riuniti, Roma, Scienza e realismo, Feltrinelli, Milano); “Paradossi e rivoluzioni. scienza e politica, Giulio Giorello e Marco Mondadori, Il Saggiatore, Milano, La probabilita, con Feltrinelli, Milano, Kuhn e Popper, Dedalo, Bari. Lineamenti di filosofia della scienza, Mondadori, Milan); “Le ragioni della scienza” (Laterza, Roma-Bari, La libertà, Rusconi, Milano, La società come milizia, Minazzi, I sentimenti, Rusconi, Milano, Filosofia, scienza e verità, Rusconi, Milano, La Vienna dei paradossi. Controversie filosofiche e scientifiche nel Wiener Kreis, Mario Quaranta, Il poligrafo, Padova, Dialoghi sulla pace e la libertà, cCuen, Napoli, La ragione, con Minazzi e Sini, Piemme, Casale Monferrato, Attualità del Marxismo. Quaderni di Città Futura, Ancona); “Storia e filosofia dell'analisi infinitesimale, Bollati Boringhieri, Torino. Emanuele Vinassa de Regny, «Corrado Mangione: breve storia di una lunga amicizia», «AppendiceL'Associazone Culturale Marxista», in Attualità del Marxismo. Filosofia e dintorni, Intellettuali non fate ideologia. L'Occidente non è quest'inferno, Dario Antiseri, articolo su «Il Mattino di Padova», lincei. Geymonat Mario Quaranta, Geymonat filosofo della contraddizione, Sapere, Padova, Mangione, Scienza e filosofia. Saggi in onore di Geymonat, Garzanti, Milano, Pasini, Rolando, Il neo-illuminismo italiano. Cronache di filosofia, Il Saggiatore, Milano, Minazzi, Scienza e filosofia in Italia negli anni Trenta: il contributo di Persico, Abbagnano e Geymonat. Norberto Bobbio, Ricordo, "Rivista di Filosofia" Silvio Paolini Merlo, Consuntivo storico e filosofico sul "Centro di Studi Metodologici" di Torino, Pantograf (Cnr), Genova,  Minazzi, “La passione della ragione” Thélema Edizioni Milano-Mendrisio, Mario Quaranta, Una ragione inquieta, Seam, Formello, Minazzi, Filosofia, scienza e vita civile inGeymonat, La Città del Sole, Napoli, Fabio Minazzi, Contestare e creare. La lezione epistemologico-civile di Geymonat, La Città del Sole, Napoli, Silvio Paolini Merlo, Nuove prospettive sul "Centro di Studi Metodologici" di Torino, in «Bollettino della Società Filosofica Italiana», Bruno Maiorca,Scritti sardi. Saggi, Cagliari, Minazzi, Ludovico Geymonat, un Maestro del Novecento. Il filosofo, Edizioni Unicopli, Milano, Pietro Rossi, Avventure e disavventure della filosofia. Saggi sul pensiero italiano del Novecento, il Mulino, Bologna, Minazzi, Geymonat epistemologo, Mimesis Edizioni, Milano   Positivismo logico Circolo di Vienna Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Geymonat, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Massimo Mugnai, Scienza e filosofia: Geymonat e Preti, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Articoli della stampa italiana su L. Geymonat, dal Sito Web Italiano per la Filosofia L'eredità intellettuale di Ludovico Geymonat (C.Preve).  La  scuola  pitagorica  rappresenta  un  movimento  di  pensiero  di  livello  scien- tifico  molto  superiore  a  quello  della  scuola  ionica.  Per  la  verità  non  tutti  gli  studiosi  sono  d'accordo  su  ciò.  Taluni  sostengono  infatti  che  Pitagora  (il  quale  non  lasciò  nulla  di  scritto)  sia  stato  il  fondatore  più  di  una  setta  religiosa  analoga  all'orfismo,  che  non  di  un  vero  e  proprio  movi- mento  di  pensiero  scientifico-filosofico. Essi  affermano  che  soltanto  mezzo  se- colo  dopo  la  morte  del  fondatore  la  setta  pitagorica  cominciò  ad  interessarsi  di  scienza  e  di  filosofia.  Oggi  però  si  ritiene  dai  più  che  l'interpretazione  ora  ac- cennata  sia  eccessivamente  critica,  e  si  preferisce  ritornare  all'interpretazione  tradizionale,  che  attribuiva  proprio  a  Pitagora  la  maggior  parte  delle  concezioni  note  sotto  il  nome  di  «  pitagoriche  ».  La  ricchezza  del  sapere  di  Pitagora  ci  è  del  resto  attestata  da  Eraclito,  che  polemicamente  lo  definiva  po!Jmathés,  «  eru- dito.” Anche  noi  dunque  ci  atterremo  alla  tradizione,  pur  riservandoci  di  trat- tare  nuovamente  nel  capitolo  v  la  reazione  pitagorica  all'eleatismo,  rappresen- tata  nel  v  secolo  da  Filolao.  Nato  a  Samo  verso  il  575,  Pitagora  abbandonò  circa  a  quarant'anni  la  pro- pria  patria  per  trasferirsi  nella  Magna  Grecia,  e  precisamente  a  Crotone  in  Calabria  (dove era  fiorita  un  'importante  scuola  di  medicina,  per  la  quale  rinviamo  al  capitolo  vn).  Qui  fondò  una  scuola  che  ebbe  un  notevole  peso  nella  vita  poli- tica  della  città,  essendo  legata  al  partito  aristocratico.  Era  organizzata  sulla  base  di  regolamenti  molto  rigorosi,  che,  tra  l'altro,  esigevano  dagli  scolari  un  lungo  periodo  di  tirocinio  prima  di  essere  ammessi  ai  segreti  più  profondi  della  setta.  Su  questa  base  si  creò  assai  presto  la  divisione  fra  «  acusmatici  »,  ascoltatori,  e  «matematici»,  partecipi  degli  insegnamenti  più  profondi,  che  in  seguito  si  accu- sarono  a  vicenda  di  non  essere  i  veri  depositari  delle  dottrine  del  maestro.  L'in- segnamento  di  Pitagora  era  circondato  da  grande  rispetto,  e  si  riponeva  in  lui  una  fiducia  illimitata,  tanto  che  a  Pitagora  per  la  prima  volta  si  riferì  il  celebre  autòs  efa  (ipse  dixit).  Fatto  notevole  è  infine  che  nella  scuola  pitagorica  fossero  ammesse  anche  le  donne. Verso  la  fine  del  VI  secolo,  una  sommossa  provocata  dal  partito  democratico  cacciò  i  pitagorici  da  Crotone.  Pare  che  Pitagora  sia  riuscito  a  fuggire  a  Metaponto,  ove  poco  dopo  morì.  Sul  grande  pensatore  sorsero  presto  numerose  leggende,  alcune  delle  quali  erano  già  note  ad  Aristotele.  Queste  accentuarono  il  carattere  religioso  della  sua  figura,  facendone  poco  meno  che  un  semidio,  e  furono  particolarmente  care  a  quel  movimento  neopitagorico  misticheggiante  che  fiorì  nel  tardo  periodo  alessandrino  e  che,  attraverso  le  opere  di  Numenio  e  di  Giamblico,  confluì  nel  neoplatonismo.  La  realtà  accertata  dagli  storici  è  che,  dopo  l'espulsione  da  Crotone,  si  organizzarono  varie  comunità  pitagoriche  nel  mondo  ellenico  e  soprattutto  nella  Magna  Grecia.  Esse  ebbero  lunga  vita  e  diedero  notevoli  sviluppi  all'opera  del  maestro.  Le  due  più  celebri  furono:  la  scuola  di  Filolao  (vissuto  nella  seconda  metà  del  v  secolo)  che  dalla  Magna  Grecia  si  trasferì  a  Tebe,  e  quella  di  Archita  (inizio del  IV  secolo)  che  fiorì  a  Taranto,  dominando  anche  politicamente  la  città.  Di  Filolao  ci  sono  pervenuti  vari  frammenti,  che  dopo  lunghe  discussioni  vengono  oggi  ritenuti  generalmente  autentici,  e  che  costituiscono  la  base  prin- cipale  per  ricostruire  la  dottrina  di  Pitagora;  su  di  lui,  come  già  abbiamo  accen- nato,  si  tornerà  con  più  ampiezza  nel  capitolo  v.  Archita,  uomo  di  straordinaria  va- stità  e  modernità  di  interessi,  fu  legato  da  amicizia  personale  con  Platone,  che  lo  ricorda  affettuosamente  nella  VII  Epistola,  ed  esercitò  per  suo  tramite  una  grande  influenza  sull'Accademia.  Di  Archita  parleremo  più  diffusamente  nel  capitolo  xn.  Né  l'influsso  del  pitagorismo  si  limitò  alla  filosofia  ed  alla  scienza,  ma  si  risentì  fortemente  in  tutte  le  manifestazioni  dello  spirito  greco.  All'acustica  pi- tagorica  si  possono  far  risalire  molte  delle  teorie  musicali  greche  tramandateci  dagli  Elementi  armonici  del  peripatetico  Aristosseno  (m  secolo  a.C.),  ed  al  pitago- rismo  esplicitamente  si  richiamò  lo  scultore  Policleto,  contemporaneo  ed  amico  di  Fidia,  che  nel  Canom  sviluppò  una  teoria  artistica  basata  sulla  concezione  della  bellezza  del  corpo  come  giusta  proporzione  delle  parti.  Legato  al  pitagorismo  fu  pure  Ione  di  Chio,  poeta  tragico  e  filosofo  del  v  secolo.  I  NUMERI  PRINCIPIO  DELLA  REALTÀ  Questa  dottrina  si  imperniava  su  di  un  pensiero  fondamentale:  i  numeri  sono  il  principio  di  tutte  le  cose.  «  Tutte  le  cose  che  si  conoscono  hanno  numero;  senza  questo  nulla  sarebbe  possibile  pensare,  né  conoscere.  »  Dovremo  ora  cercare,  innanzi  tutto,  di  comprendere  il significato  filosofico  di  questo  pensiero;  poi  di  svilupparne  le  conseguenze  matematiche  e  fisiche.  Alla  fine  del  capitolo  accenneremo  al  valore  intrinseco  della  teoria,  e  al  significa- to  della  crisi  scientifica  formatasi  nella  scuola  prima  ancora  della  cacciata  di  Pita- gora  da  Crotone. Pitagora  prese  forse  le  mosse  dalle  ricerche  ioniche  sul  principio  e  in  parti- colare  dalla  teoria  dell'àpeiron  di  Anassimandro.  Una  più  acuta  sensibilità  ai  pro- blemi  etico-religiosi  (quali  l'opposizione  del  bene  e  del  male  nel  mondo,  la  vicenda  della  colpa  e  del  riscatto),  stimolata  probabilmente  dall'incontro  nella  Magna  Grecia  con  i  culti  misterici,  e  d'altro  canto  una  maggiore  attenzione  per  le  leggi  formali  e  modali  della  realtà,  cui  diedero  impulso  le  sue  prime  ri- cerche  acustiche,  dovettero  però  fargli  apparire  inadeguato  il  principio  unico  dei  naturalisti  ionici.  Per  rendere  conto  di  questi  più  complessi  problerill,  Pitagora  sdoppiò  il  principio  in  due  opposti:  da  una  parte  il  principio  del  limitato,  del  finito,  dell'uni- tario,  che  rappresentava  l'ordine,  il  cosmo,  il  bene;  dall'altra  il  principio  dell'il- limitato,  dell'infinito,  che  raffigurava  il  disordine,  il  caos,  il  male.  La  grande  in- tuizione  di  Pitagora  consistette  nel  vedere  nei  numeri  e nei  loro  rapporti  la  chiave  e la  struttura  ultima  di  questo  assetto  dualistico  della  realtà.  Col  termine  «  numeri  »  i  pitagorici  intendevano  soltanto  i  numeri  interi,  concepiti  come  le  collezioni  di  più  unità.  Non  fecero  particolari  indagini  sulla  natura  di  queste  unità,  limitandosi  a  rappresentarle  con  punti,  circondati  cia- scuno  da  uno  spazio  vuoto.  Proprio  questa  rappresentazione  spaziale  facilitò  il  passaggio,  caratteristicamente  arcaico,  dalla  concezione  del  numero  come  «  chiave  »  e  rapporto  alla  sua  concezione  come  costituente  fisico  elementare  delle  cose.  Il  problema  essenziale  diventava  allora,  per  i  pitagorici,  quello  di  cogliere  il  modo  con  cui  dalla  collezione  di  più  unità  si  generano  tutti  gli  esseri.  Le  leggi  della  formazione  dei  numeri  venivano  considerate  come  leggi  della  formazione  delle  cose,  e.  si  riteneva  di  poter  trovare  in  esse  la  vera  ragione  esplicativa  del  mondo  fisico  e  morale.  La  più  importante  di  tali  leggi  era  costituita  - secondo  i  pitagorici  - dal- l'opposta  struttura  dei  numeri  dispari  e  di  quelli  pari.  L'antitesi  dispari-pari  ve- niva  cosi  assunta  a  principio  di  una  serie  di  altre  nove  opposizioni,  che  spezzano  il  mondo  in  due:  limitato-illimitato  (opposizione  che  era  stata,  come  s'è  visto,  il  problema  iniziale  del  pitagorismo,  ma  poteva  ora  venir  spiegata  sulla  base  del- l 'antitesi  precedente);  uno-molti;  destra-sinistra;  maschio-femmina;  luce-tenebre;  buono-cattivo;  immobile-mobile;  retto-curvo;  quadrato-rettangolo.  Alcune  di  queste  nove  opposizioni  avevano  palesemente  un  carattere  fisico  (quella  per  esempio  di  luce  e tenebre;  da  essa  scaturiva  la  raffigurazione  del  cosmo  come  costituito  da  un  fuoco  centrale,  immerso  in  un'estensione  illimitata  di  nebbia);  altre  invece  un  preciso  carattere  morale.  Questa  presenza  di  significati  multipli  finiva  con  l'infondere  ai  numeri  in  generale,  e  a  certuni  di  essi  in  parti- colare,  un  vero  e  proprio  valore  magico-simbolico.  Così  il  numero  5  veniva  assunto  a rappresentare  il matrimonio,  essendo  la somma  del  primo  numero  dispa-ri,  il  3,  con  il  primo  numero  pari,  il  2  (l'I  veniva  considerato  come  «  parìmpari  »servendo  a  generare  sia  i  numeri  pari  che  i  dispari);  il  4  e  il  9  venivano  presi  come  simboli  della  giustizia;  il  7  dell'opportunità;  e  così  via.  Di  derivazione  pitagorica  è  un  trattato  di  medicina  intitolato  Sul  numero  sette  (Peri  hebdomadon),  che  cerca  appunto  nei  rapporti  settenari  la  spiegazione  della  struttura  dell'orga- nismo  e delle  sue  affezioni.  Qualcuna  di  queste  concezioni  è  pervenuta  fino  a  noi,  onde  si  attribuisce  per  esempio  al  7  un  significato  speciale  etico  e  fisico  (nella  tradizione  cristiana  sette  sono  i  ·vizi  capitali,  sette  le  opere  di  misericordia,  in  varie  malattie  si  ha  la  «settima»,  ecc.).  La  purificazione  religiosa,  che  formava  - almeno  in  un  primo  tempo  il  fine  principale  dell'insegnamento  pitagorico,  era  cercata  essa  pure  attraverso  la  contemplazione  dei  numeri.  Questa  veniva  pertanto  a  possedere  un  doppio  aspetto:  scientifico  e  mistico.  La  peculiare  nobiltà  dell'ascesi  pitagorica  consisteva  appunto  nel  fatto  che  a  ogni  sua  tappa  doveva  corrispondere  la  conquista  di  un  più  alto  gradino  del  sapere.  Il  carattere  mistico  delle  ricerche  matematiche  co- stituì  per  molto  tempo  un  notevole  impulso  al  loro  sviluppo,  e  insieme  un  im- pedimento  al  loro  caratterizzarsi  come  ricerche  puramente  scientifiche.  III  ·  L'  ARITMO-GEOMETRIA  In  particolare,  la  concezione  ora  spiegata  spinse  i  pitagorici  a  studiare  la  geometria  per  via  aritmetica.  Ne  sorse  una  disciplina  che,  per  il  suo  doppio  ca- rattere,  fu  chiamata  «  aritmo-geometria  ».  Essa  era  fondata  sulla  convinzione  che  da  un  lato.  fosse  possibile  ricavare  le  principali  caratteristiche  delle  figure  a  partire  dal  numero  dei  punti  (supposto,  in  ogni  caso,  finito)  che  le  compongono,  e dall'altro  fosse  possibile- viceversa- ricorrere  alla  forma  delle  figure  per  illustrare  le  più  recondite  proprietà  dei  nu- meri.  Di  qui  la  distinzione  dei  numeri  in  vari  tipi;  per  esempio:  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  triangolari  polig6nali  quadrati  c~  bici  Al  numero  triangolare  10  veniva  attribuita  un'importanza  speciale,  come  somma  dei  primi  quattro  numeri  naturali.  I dispari  venivano  chiamati  «  gnomoni»,  per  la  possibilità  di  rappresentarli  informa  di  gnomone  (cioè  squadra).  Questa  rappresentazione  permise  di  scoprire  che  ogni  numero  dispari  è  la  differenza  di  due  quadrati;  per  esempio:  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  •  7  =  4 2 - 3 2  Varie  testimonianze  ·- tra  cui  quella  di  Proclo  ·- ci  dicono  che  Pitagora  fu  il  primo  a  comprendere  la  validità  generale  del  teorema  che  ancor  oggi  porta  il  suo  nome,  e  che,  per  taluni  casi  particolari  (per  esempio  quando  i  cateti  val- gono  3  e 4, e  l'ipotenusa  5),  era  noto  già  prima  di  lui.  Non  sappiamo  però  quale  ragionamento  servisse  a  Pitagora  per  provare  l'importante  teorema.  Certamente  la  dimostrazione  riferita  negli  Elementi  di  Euclide  non  fu  ideata  dal  filosofo  di  Crotone.  IV  ·  L'ACUSTICA  E  L'ASTRONOMIA  PITAGORICHE  La  dottrina  che  «  i  numeri  sono  il  principio  di  tutte  le  cose  »  trovò  pure  conferma  negli  studi  di  acustica.  Stando  alla  più  antica  tradizione  dobbiamo  infatti  ammettere  che  Pitagora  riuscì  a  scoprire  i  principali  intervalli  musicali.  Sarebbe  giunto  a  questa  notevolissima  scoperta  dallo  studio  sperimentale  delle  corde  sonore,  e  dalla  constatazione  che  nei  principali  accordi  il  rapporto  fra  le  loro  lunghezze  è  espresso  da  numeri  interi  molto  semplici.  L'acustica  venne  in  tal  modo  a costituire  una  specie  di«  aritmetica  applicata»,  come  l'astronomia  costituiva  una  «geometria  applicata».  Il  quadro  delle  ricerche  scientifiche  risultò  pertanto  suddiviso  in  quattro  rami  fondamentali:  aritmetica,  musica,  geometria,  astronomia. 1  L'astronomia  pitagorica  - come  abbiamo  accennato  nel  paragrafo  n   - partiva  dall'ammissione  di  un  fuoco  centrale  immerso  in  una  sconfinata  nebbia  di  tenebre.  Intorno  a  tale  fuoco  si  pensava  ruotassero  dieci  corpi  (notiamo  l'intervento  del  numero  10):  la  Terra,  l'Antiterra  (invisibile),  la  Luna,  il  Sole,  i  cinque  pianeti  allora  conosciuti,  e  il  cielo  delle  stelle  fisse.  I  movimenti  ciclici  di  questi  corpi  produrrebbero  - secondo  Pitagora  - una  meravigliosa  armonia,  che  noi  però  non  riusciamo  a  percepire  a  causa  della  sua  continuità.  La  loro  ciclicità  sarebbe  la  causa  del  ritorno  periodico  di  tutte  le  cose.  Nei  secoli  I  Questa  ripartizione  costituisce  il  lontano  antecedente  del  celebre«  quadrivio  »,che  starà  alla  base  dell'istruzione  nelle  scuole  del  medioevo.successivi  l'astronomia  pitagorica  portò  a  concezioni  di  grande  interesse  scien- tifico;  degna  di  particolare  menzione  l 'ipotesi  eliocentrica,  ideata  per  la  prima  volta  da  Aristarco  di  Samo  nel  III  secolo  a.C.  Ricordiamo  infine  la  teoria  secondo  cui  tutto  il  cosmo  sarebbe  sorto  dal  fuoco  centrale  e  ritornato  in  esso  per  poi  nascere  un'altra  volta.  Con  riferimento  ad  essa,  i pitagorici chiamavano  «anno  cosmico»  l'intervallo  di  tempo  impiegato  dal  cosmo  per  nascere  e  ritornare  nel  fuoco.  LA  CONCEZIONE  DELL'ANIMA  La  teoria  pitagorica  dell'anima,  malgrado  la  sua  ambiguità,  ebbe  notevoli  riflessi  sui  filosofi  posteriori.  Da  un  lato  alcune  testimonianze  ci  dicono  che  l'anima  veniva  concepita  dai  pitagorici  come  «armonia»  del  corpo,  nel  preciso  senso  in  cui  si  parla  di  ar- monia  dei  suoni  emessi  da  uno  strumento  musicale.  Secondo  questa  interpreta- zione,  l'anima  doveva  venire  necessariamente  pensata  come  mortale,  poiché  - spezzato  lo  strumento  - anche  l'armonia  viene  a  cessare.  D'altro  lato  sappiamo  però  che  uno  dei  cardini  della  filosofia  pitagorica  era  costituito  dalla  trasmigrazione  delle  anime  (metempsicosi),  e  questa  suppone  ovviamente  che  l'anima  non  muoia  con  il  corpo  che  la  ospita.  Un  frammento  del  medico  Alcmeone  (che  visse  a  Crotone  alla  fine  del  VI  secolo,  e  fu  legato  ai  circoli  pitagorici)  afferma  che  l'«  anima  è  immortale  per  la  sua  somiglianza  con  le  cose  immortali  ...  la  luna,  il  sole,  gli  astri  ». 1  Come  risolvere  l'apparente  contraddizione?  Probabilmente  bisogna  ritenere  che  i  pitagorici  ammettessero  due  specie  di  anime:  una  costituita  dal  tempera- mento  psichi  co,  legato  indissolubilmente  al  corpo  e  destinato  a  morire  con  esso;  l'altra  da  un  principio  immortale  o  «  anima-dèmone  ».  In  ogni  vita  si  avrebbe  una  stretta  rispondenza  tra  le  due  anime;  questa  rispondenza  verrebbe  però  a  cessare  coll'uscita  dell'anima-dèmone  dal  corpo.  Tale  uscita  sarebbe  da  lei  de- siderata  per  raggiungere  la  purezza  di  una  vita  interamente  spirituale.  A  tali  dottrine  si  ispirava  il  «  modo  di  vita  pitagorico  »,  altamente  lodato  da  Platone  per  la  sua  unione  di  teoresi  e  di  ascesi;  la  metempsicosi  in  particolare  determi- nava  il  più  famoso  dei  divieti  rituali  pitagorici,  quello  di  mangiare  la  carne  di  certi  animali,  nei  quali  potrebbe  essersi  incarnata  un'anima.  Anche  dio  veniva  concepito  dai  pitagorici  come  anima;  e  precisamente  come  «  anima  del  mondo  »  che  circola  continuamente  in  esso  e  perciò  è  presente  in  ogni  luogo.  Il  rapporto  dio-mondo  restò  tuttavia  molto  incerto  nella  filosofia  pitagorica,  sicché  non  possiamo  cercare  in  essa  un  vero  e  proprio  sistema  teolo- gico.  I  Ad  Alcmeone  si deve  la  notevolissima  sco- perta  che  il  centro  della  vita  organica  e  mentale  va  localizzato  nel  cervello.  Del  pensiero  scientifico  45  di  Alcmeone,  che  costituì  l'aspetto  più  significa- tivo  della  sua  personalità,  sarà  detto  più  ampia- mente  nel  capitolo  vuQuanto  abbiamo  finora  riferito  basta  per  farci  comprendere  la  complessità  dell'insegnamento  pitagorico.  Se  in  taluni  punti  esso  può  apparirci  ingenuo,  in  altri  casi  contraddittorio,  ciò  non  deve  farci  sottovalutare  l'importanza  dei  temi  ivi  abbozzati,  che  ricompariranno  ampliati  e  sviluppati  nei  più  diversi  indirizzi  filosofici  e  scientifici.  Notiamo,  per  esempio, che  l'idea  di  cercare  nei  numeri,  cioè  nella  matematica,  la  spiegazione  di  tutti  i  fenomeni,  ricomparirà  potenziata  nell'epoca  moderna  e  formerà  per  molto  tempo  la  «  spina  dorsale  »  di  tutta  la  ricerca  scientifica.  Vi  è  chi  sostiene,  esagerando  forse  le  cose,  che  le  più  celebri  teorie  della  fisica-ma- tematica  moderna  (per  esempio  la  teoria  della  relatività  generale  di  Einstein)  non  costituirebbero  altro  che  il  proseguimento  del  programma  pitagorico.  Ma,  a  parte  ciò,  noi  troviamo  nella  matematica  di  Pitagora  un  carattere  speciale  che  la  differenzia  notevolmente  da  molte  altre  concezioni  posteriori,  pur  esse  accentratesi  sulla  ricerca  matematica.  Il  carattere  cui  voglio  riferirmi,  suol  venire  indicato  col  termine  «discontinuità».  Si  dice  che  la  scienza  di  Pi- tagora  è  una  matematica  del  discontinuo,  perché  essa  si  fonda  esclusivamente  sui  numeri  interi  e  su  ciò  che  può  venire  espresso  con  i  numeri  interi  (per  esem- pio  sulle  frazioni  ordinarie,  e  non,  invece,  sui  numeri  irrazionali).  Secondo  essa,  l'accrescimento  di  una  grandezza  procede  per  «salti  discontinui»,  essendo  im- possibile  aggiungere  qualcosa  che  sia  minore  dell'unità.  Taluno  giunge  a  riconoscere  nelle  teorie  quantistiche  moderne  una  soprav- vivenza  dell'antica  eredità  pitagorica  sotto  forma  dì  concezione  discontinua  dell'energia.  LA  SCOPERTA  DELLE  GRANDEZZE  INCOMMENSURABILI:  CRISI  DEL  PITAGORISMO  Lasciando  da  parte  le  reminiscenze  pitagoriche  presenti  nella  fisica  moderna,  va  detto  però  ben  chiaramente  che  l'aritmo-geometria  di  Pitagora  non  ebbe  vita  lunga  nella  scienza  greca.  La  sua  fine  fu  provocata,  per  l'appunto,  dalla  crisi  di  quell'idea  di  discontinuità  che  costituiva  - come  s'è  detto  - uno  dei  suoi  cardini  fondamentali.  La  grande  crisi  fu  causata  dalla  scoperta  che  le  figure  geometriche  sono  co- stituite  non  da  un  numero  finito,  ma  da  una  infinità  di  punti.  (Le  teorie  moderne,  che  tornano  ad  un'idea  rinnovata  di  discontinuità,  sosterranno  implicitamente  che  la  geometria  classica  - proprio  perché  parla  di  una  infinità  di  punti  - non  trova  esatta  applicazione  nella  realtà.)  Il  primo  «  fatto  geometrico  »  che  costrinse  i  pitagorici  a  riconoscere  che  le  figure  sono  costituite  da  infiniti  punti,  è  proprio  connesso  a  quel  medesimoteorema  che  porta  il  nome  di  Pitagora.  Ed  infatti,  applicando  detto  teorema  ad  uno  dei  due  triangoli  isosceli  in  cui  è  diviso  un  quadrato,  si  dimostra  facil- mente  che  il  lato  e  la  diagonale  di  tale  quadrato  non  possono  avere  alcun  sot- tomultiplo  comune,  cioè  sono  incommensurabili.  Orbene  proviamo  a  supporre  che  un  segmento  sia  generato  dall'accostamento  di  una  serie  finita  di  punti  (pic- coli  ma  non  nulli,  e  tutti  eguali  fra  loro,  come  allora  si  immaginava):  ne  se- guirebbe  che  uno  qualunque  di  questi  punti  risulterebbe  contenuto  un  numero  intero,  e  finito,  di  volte  (per  esempio  m  volte)  nel  lato  e  un  altro  numero  in- tero,  e finito,  di  volte  (per  esempio  n  volte)  nella  diagonale.  Lato  e  diagonale  avreb- bero  dunque  un  sottomultiplo  comune,  e  non  sarebbero  - come  si  era  dimo- strato  - incommensurabili.  La  loro  incommensurabilità  esige  pertanto  che  es- si  siano  costituiti  da  una  infinità  di  punti.  La  leggenda  racconta  che  il  fatto  scandaloso,  ora  riferito,  fu  gelosamente  custodito  per  vari  anni  tra  i  segreti  più  pericolosi  della  setta.  Esso  fu  rivelato  fuori  della  scuola  pitagorica  da  Ippaso  di  Metaponto,  una  delle  figure  più  notevoli  dell'antico  pitagorismo.  Pastosi  a  capo  degli  acusmatici  per  la  moderna  irre- quietezza  del  suo  ingegno  che  mal  tollerava  il  dogmatismo della  setta,  egli  sarebbe  stato  vicino  ad  Eraclito  per  l'idea  che  il  fuoco  è  il  principio  di  tutte  le  cose,  e  si  sarebbe  schierato  dalla  parte  dei  democratici  nei  moti  che  condussero  alla  cacciata  dei  pitagorici  da  Crotone.  Per  avere  rivelato  la  natura  delle  grandezze  incommen- surabili,  Ippaso  sarebbe  stato  cacciato  ignominiosamente  dalla  scuola,  ed  a  lui  anzi  i  pitagorici  avrebbero  eretto  una  tomba  come  ad  un  morto.  Secondo  la  tra- dizione  su  di  lui  sarebbe  caduta  anche  l'ira  di  Giove,  il  quale  lo  fece  perire  in  un  naufragio;  la  sua  triste  morte  non  impedì  tuttavia  che  lo  scandalo  si  diffondesse  rapidamente  tra  i  cultori  di  matematica  e  finisse  per  scuotere  dalle  fondamenta  l'intera  concezione  pitagorica.  Questa  crisi  verrà  resa  ancor  più  acuta  - come  vedremo  - dalla  scoperta  delle  antinomie  di  Zenone  sul  movimento  e  sulla  divisibilità.  Per  uscire  da  essa,  i  maggiori  scienziati  greci  non  troveranno  altra  via  se  non  quella  di  scindere  completamente  la  geometria  dall'aritmetica,  interpretando  la  prima  come  studio  del  continuo  e  la  seconda  come  studio  del  discontinuo.  Il  rapporto  tra  continuo  e  discontinuo  resterà,  per  tutta  la  storia  del  pensiero  umano,  un  problema  molto  difficile  e  molto  dibattuto;  verrà,  anzi,  considerato  come  uno  dei  più  astrusi  «labirinti»  della  ragione.  L'averne  intuito  l'esistenza  e  la  difficoltà  va  dunque  considerato  come  un  merito,  e  molto  notevole,  dello  spirito  greco.  Il  primo  passo  della  ragione  umana  si  compie,  in  ogni  ricerca,  col  porre  a  nudo  le  difficoltà  ivi  esistenti,  per  gravi  che  esse  siano,  non  col  nasconderle.  Solo  chi  le  conosce,  non  chi  le  ignora,  può  sentirsi  spinto  a  cercare  i  mezzi  indispensabili  per  risolverle  o,  comunque,  dominarle;  e  questa  ricerca  è  la  molla  più  decisiva  del  progresso  scientifico. Oggi  si  riconosce  quale  autentico  fondatore  della  scuola  eleatica  il  grande  Parmenide,  nato  ad  Elea  verso  il  51  5  e  fiorito  nella  prima  metà  del  v  secolo.  Egli  scrisse  un  poema  allegorico  Sulla  natura  (Perì  fjseos),  di  cui  ci  sono  pervenuti alcuni  interessantissimi  frammenti  che,  integrati  da  varie  testimonianze,  ci  per- mettono  di  ricostruire  con  sufficiente  sicurezza  il  suo  pensiero.  Data  la  vicinanza  di  Elea  ai  maggiori  centri  del  pitagorismo,  è indubitato  che  Parmenide  subì,  in  forma  più  o  meno  diretta,  l'influenza  di  questo  indirizzo  di  pensiero.  Taluni  storici,  accentuando  questo  legame,  giunsero  a  presentarcelo  come  un  pitagorico,  distaccatosi  dalla  scuola  di  provenienza  per  divergenze  di  ordine  filosofico.  Tale  interpretazione  ci  costringerebbe  a vedere  in  gran  parte  degli  argomenti  eleatici,  come  ad  esempio  nelle  aporie  di  Zenone,  un  intento  polemico  soprattutto  antipitagorico.  La  gravità  di  questa  conseguenza  lascia  tuttavia  perplessi  molti  autorevoli  critici.  Si  ritiene  oggi  piuttosto  che  la  critica  di  Parmenide  fosse  rivolta  in  generale  contro  tutte  le  filosofie  ioniche  ed  italiche  del  molteplice  e del  divenire,  di  cui  egli  rilevava  acutamente  la contraddittorietà:  nel  tentativo  di spiegare  razionalmente  la  realtà,  e  di  modellare  la  ragione  sui  dati  dell'esperienza,  tali  filosofie  dovevano  ammettere  una  serie  di  opposizioni  e  di  alterità  di  cui  però  si  assumeva  la  coesi- stenza.  Ora  - osservava  Parmenide  - se  di  una  qualsiasi  cosa  si  dice  o si  pensa  che  «  è  »,  di  ciò  che  è  diverso  od  opposto  ad  essa  si  dovrà  dire  o  pensare  che  «non  è»:  e  com'è  possibile  riconoscere  realtà  alcuna  a  ciò  che  non  è,  se  non  si  vogliono  violare  le  leggi  immutabili  del  discorso  e  del  pensiero?  La  grandezza  della  filosofia  di  Parmenide,  quella  grandezza  che  costituì  un  fecondo  punto  di  partenza  per  il  pensiero  successivo  e  anche  un  difficile  problema  la  cui  soluzione  era  tuttavia  indispensabile  per  poter  progredire,  sta  proprio  qui:  nell'aver  cioè  individuato  nella  sua  radice  filosofica  l'ambiguità  della  speculazione  ionica  edita- lica,  e nell'aver  posto  in  primo  piano  il problema  della  verità  del  linguaggio  e  del  pensiero,  il  problema  della  «  via  »,  cioè  del  metodo,  che  linguaggio  e  pensiero  dovevano  percorrere  per  giungere  alla  realtà.  Il  metodo  vero  costruisce  cono- scitivamente  la  realtà,  l'essere,  perché  elimina  gradualmente  dal  pensiero  tutti  i  contrassegni  di  irrealtà,  di  non-essere,  che  vi  si  erano  infiltrati:  la  molteplicità  nello  spazio,  intesa  _come  differenziazione  di  parti,  la  molteplicità  nel  tempo,  intesa  come  differenziazione  di  momenti,  il  vuoto  inteso  come  assenza  di  realtà,  la  generazione  e  la  distruzione  intese  come  limiti  dell'essere.  Partito  dal  riconosci- mento  logico  e  metodologico  delle  esigenze  del  pensiero  e  del  discorso,  Parme- nide  giunge  al  culmine  della  «via»  a  dichiarare  l'impensabilità,  l'inesprimibilità  e  l'inesistenza  del  non-essere,  e  la  parimenti  assoluta  esistenza  dell'essere,  che  condiziona  la  possibilità  di  pensare  e  di  dire  il  vero.  All'essere  non  potrà  venir  riferito  - sempre  per  l'opposizione  or  ora  ac- cennata  - alcun  attributo,  che  possa  in  qualche  modo  diminuirne  la  positività,  assimilandolo  al  non-essere.  Ci  si  dovrà  limitare  a  dire  che  esso  è  uno,  invaria- bile,  immobile,  eterno.  Qualche  critico  moderno  però  (come  l'Untersteiner)  ha  ritenuto  che  Parmenide  avesse  concepito  l'essere  come  «totalità>>  e  non  come  «unità».  L'erronea  interpretazione  del  suo  pensiero  sarebbe  dovuta  alla  falsa testimonianza  di  Teofrasto  che  attribuisce  a Parmenide  il sillogismo:  «  Quello  che  è  oltre  l'essere  non  esiste;  quello  che  non  esiste  è  nulla;  dunque  l'essere  è  uno.»  L'attributo  dell'unità,  con  cui  polemizzò  Aristotele,  risalirebbe  solo  a  Melissa.  Come  possiamo  conciliare  la  concezione  parmenidea  dell'essere  col  fatto  incontrovertibile  che  l'esperienza  ci  presenta  ad  ogni  piè  sospinto  degli  esseri  molteplici,  variabili,  temporanei?  Di  fronte  a  questo  stato  di  cose  - risponde  Parmenide  - non  vi  è  altro  da  fare  che  respingere  la  nostra  spontanea  fiducia  nell'esperienza,  riconoscendo  che  essa  costituisce  per  l'uomo  una  via  di  cono- scenza  fallace  e illusoria.  Al  mondo  dell'esperienza  è  appunto  dedicata  la  seconda  parte  del  poema  di  Parmenide.  Confutate  «  le  opinioni  dei  mortali  »,  quali  si  erano  espresse  nelle  precedenti  cosmologie  naturalistiche  basate  sul  divenire,  Parmenide  non  rinuncia  tuttavia  a  costruire  una  propria  spiegazione  di  questo  mondo,  di  cui  aveva  di- chiarato  la  radicale  inconsistenza  di  fronte  all'assoluto  essere.  Molto  si  è discusso  fra  gli  studiosi  sul  significato  da  attribuire  a  questo  sconcertante  aspetto  del  pen- siero  parmenideo:  fra  le  più  recenti,  le  due  posizioni  estreme  sono  quella  del  Raven,  secondo  cui  l'eleata,  impegnato  nella  polemica  contro  l'indebita  confu- sione  di  razionale  e di  empirico  tipica  dei  suoi  predecessori,  avrebbe  voluto  costrui- re  una  cosmologia  a  base  puramente  empirica,  da  affiancare  alla  dottrina  logico- razionale  dell'essere  in  modo  da  isolare  ancor  più  chiaramente  i  due  momenti;  e  quella  dell'Untersteiner,  che  ritiene  che  il  mondo  dell'essere  e  il  mondo  del- l'esperienza  siano  unificati  nel  pensiero  di  Parmenide  dal  medesimo  metodo  ra- zionale,  in  grado  di  individuare  il  fondamento  di  realtà  presente  anche  nel  se- condo:  una  realtà,  tuttavia,  che  si  differenzia  da  quella  assoluta  in  quanto  immersa  nel  tempo,  e  che  ne  costituisce  perciò  soltanto  una  «  immagine  ».  In  ogni  caso  se  ne  può  concludere  che  per  Parmenide  solo  la  ragione  è  un  mezzo  di  conoscenza  veramente  efficace;  solo  essa,  rompendo  la  crosta  delle  ap- parenze,  può  farci  cogliere  l'unità  profonda  del  reale.  L'opposizione  tra  razio- nalismo  ed  empirismo,  che  tanti  sviluppi  avrà  nella  storia  della  filosofia,  trova  proprio  qui  la  sua  prima  radice.  L'essere  di  Parmenide  è  stato  interpretato  da  taluni  in  senso  idealistico,  da  talaltri  in  senso  materialistico.  Entt;ambe  queste  interpretazioni  svisano,  però,  il  pensiero  del  grande  eleata,  non  tenendo  conto  che  esso  antecede,  in  realtà,  ogni  consapevole  distinzione  tra  idealismo  e  materialismo.  L'affermazione  di  Parme- nide  che  più  si  presta  ad  una  interpretazione  materialistica  è  quella  che  ci  presenta  l'essere  come  sferico  (cioè  come  una  sfera  piena)  ; evidentemente  Parmenide  pensò  alla  sfera,  perché  la  superficie  sferica  non  è  limitata  da  alcun  perimetro  né  inter- rotta  da  alcuno  spigolo.  Non  si  può  tuttavia  negare  che  la  sfericità  ora  accennata  vada  accolta  con  la  massima  cautela;  se  infatti  la  interpretassimo  alla  lettera,  ca- dremmo  in  contraddizione  con  tutto  l'insegnamento  di  Parmenide,  perché  sa- remmo  costretti  ad  ammettere  l'esistenza  di  un  non-essere  (o  vuoto),  che  è  al  di là  dell'essere  sferico,  e lo  limita.  Essa  va  intesa invece  come  identità  e assolutezza  dell'essere  lungo  tutte  le  direzioni;  come  è  stato  recentemente  osservato,  la  sfera  di  Parmenide  è  più  simile  allo  spazio  curvo  einsteiniano  che  al  solido  euclideo  che  siamo  portati  a  raffigurarci.  L'interpretazione  idealistica  è  d'altra  parte  esclusa  perché  se  il  pensiero  scopre  l'essere,  certamente  non  lo  crea;  anzi  è  piuttosto  l'esistenza  dell'essere  a  rappresentare  la  possibilità  e  la  condizione  del  pensiero,  che  in  esso  culmina  e  con  esso  deve  identificarsi.  III  ·  CONCLUSIONE  DELL'ELEATISMO:  ZENONE,  MELISSO  Parmenide  ebbe  due  grandi  discepoli:  Zenone  e Melissa.  Il contributo  da  essi  arrecato  all'affinamento  del  pensiero  del  maestro  assicura  loro  un  posto  assai  ragguardevole  nella  storia  della  filosofia.  Entrambi  si  adoperarono  a  difenderne  le  tesi  sia  pure  svolgendo  in  direzioni  opposte  la  tensione  che  vi  era  implicita:  Zenone  cioè  approfondendo  la  problematica  dellogos  nella  sua  crescente  autono- mia,Melisso  invece  sviluppando  il  tema  dell'essere  nella  sua  assolutezza  sostanziale.  Zenone  di  Elea,  più  giovane  di  Parmenide  di  circa  venticinque  anni,  fu  un  ingegno  acuto,  sottile,  vigorosamente  polemico.  Per  gli  argomenti  ideati  a  difesa  dell'unità  (intesa  come  omogeneità  e  con- tinuità  non  divisibile  in  parti)  ed  immobilità  dell'essere,  e  per  il  suo  metodo  di  discussione,  Aristotele,  che  li  discusse  a  lungo  nella  Fisica,  lo  considerò  il  fonda- tore  della  dialettica  (dialettica  formale,  però,  non  reale).  L'originalità  del  metodo  zenoniano  consisteva  nell'assumere  a  punto  di  partenza  la  tesi  da  confutare  e  nel  dedurne  rigorosamente  tutte  le  logiche  conseguenze,  per  mostrarne  la  contraddit- torietà  e  di  conseguenza  l'assurdità  della  tesi,  Oltre  che  di  filosofia,  si  occupò  di  politica  e  contribuì  notevolmente  al  buon  governo  di  Elea.  Morì  con  grande  fierezza- non  si  sa  l'anno  preciso- per  aver  cospirato  contro  il  tiranno  della  città  (Nearco  o  Diomedonte).  Sullà  sua  fine  si  tramandano  vari  particolari  che  ne  confermano  l'eccezionale  coraggio.l  I  celebri  argomenti  di  Zenone  a  difesa  della  filosofia  di  Parmenide  mirano  a  provarci  che,  se  la negazione  del  movimento  e della  molteplicità  può  a prima  vista  apparire  assurda,  l'ammissione  di  essi  conduce  tuttavia  ad  assurdità  ancor  più  gravi,  nascoste,  ma  non  risolte,  dal  linguaggio  ordinario.  Il perno  di  tali  argomenti  consiste  nella  dimostrazione  che,  sia  nella  nozione  di  movimento,  sia  in  quella  di  pluralità,  si  annida  il  delicato  concetto  .di  infinito.  Immaginiamo  che  un  mobile  debba  spostarsi  da  un  estremo  all'altro  di  un  I  Ecco,  per  esempio,  una  versione  dei  suoi  ultimi  istanti:  «  Antistene,  nelle  Successioni,  rac- conta  che  Zenone,  dopo  aver  denunziato  (come  cospiratori)  gli  amici  del  tiranno,  fu  da  questi  in- terrogato  se  c'era  qualche  altro  complice.  Egli  ri- spose:  "  Tu,  la  rovina  della  città.  "  E  poi,  rivolto  52·  ai  presenti,  esclamò:  "  Mi  meraviglio  della  vostra  viltà,  se  siete  servi  della  tirannide  per  timore  di  questo  che  ora  io  sopporto.  "  Da  ultimo,  mozza- tasi  coi  denti  la  lingua,  gliela  sputò  addosso.  I  cit- tadini  allora,  incitati  da  questo  esempio  abbatte- rono  il  tiranno.  »dato  segmento:  prima  di  aver  percorso.  tutto  il  segmento,  dovrà  averne  percorso  la  metà;  prima  di  questa,  la  metà  della  metà,  e  cosl  via  all'infinito.  In  modo  ana- logo,  se  il  «  piè  veloce  »  Achille  vuole  raggiungere  la  lentissima  tartaruga,  che  lo  precede  di  un  tratto  s,  egli  dovrà  percorrere:  innanzi  tutto  quella  distanza  s,  poi  il  tratto  s'  percorso  dalla  tartaruga  mentre  Achille  percorreva  s,  poi  il  tratto  s"  percorso  dalla  tartaruga  mentre  Achille  percorreva  s',  e  così  via  all'infinito.  Nel- l'un  esempio  come  nell'altro,  il  fatto- in  apparenza  semplicissimo  - del  mo- vimento,  si  frantuma  dunque  in  infiniti  moti,  sia  pure  sempre  più  piccoli  ma  non  mai  nulli.  Proprio  questa  loro  infinità  è  causa  di  profonde  difficoltà  concettuali,  che  non  possono  non  rendere  perplesso  qualsiasi  uomo  disposto  al  ragionamento.  Quanto  all'argomentazione  di  Zenone  contro  la  molteplicità,  essa  si  svolgeva  così:  supponiamo  che  esistano  due  entità  A  e  B  distinte;  per  il  fatto  di  essere  distinte,  queste  due  entità  devono  risultare  separate  da  uno  spazio  intermedio  C.  Ma  C è  distinto  tanto  da  A  quanto  da  B,  e quindi  esisteranno  altri  d).le  elementi D  ed  E  che  separano  rispettivamente  C  da  A  e  da  B,  ecc.  Poiché  ciò  può  venir  ri- petuto  all'infinito,  se  ne  conclude  che l'ammissione  di  due  entità  distinte  conduce  di  necessità  all'ammissione  di  infinite  entità.  Al  fine  di  porre  luce  sulle  difficoltà  logiche  di  quest'ammissione,  Zenone  passava  poi  a dimostrare  come,  partendo  da  essa,  si  debba  giungere  a negare  l'esi- stenza  di  qualsiasi  lunghezza  finita.  Ed  infatti- così  ragionava- se  gli  elementi  che  costituiscono  un  segmento  AB  sono  infiniti,  o  essi  sono  nulli,  o  non  sono  nulli;  nel  primo  caso  la lunghezza  del  segmento  non  può  essere  che  nulla  (perché  la  somma  di  infiniti  zeri  è  zero);  nel  secondo  non  può  che  essere  infinita  (per- ché  a  suo  parere  la  somma  di  infinite  quantità  diverse  da  zero  sarebbe  infinita).  É  ingiusto  considerare  questi  ragionamenti  zenoniani  (e  gli  altri  che,  per  brevità,  siamo  costretti  a tralasciare)  quali  semplici  sofismi  o  pseudoragionamenti.  In  realtà,  essi  attirano  efficacemente  la  nostra  attenzione  su  talune  gravissime  dif- ficoltà  dei  due  concetti  di  movimento  e  di  lunghezza,  dovute  all'inevitabile  in- troduzione  dell'infinito,  sia  allorché  si  scompone  un  intervallo  di  tempo  (o  il  moto  attuantesi  in  qtJ.esto  tempo),  sia  allorché  si  scompone  un  segmento.  Questi  argomenti  - che  venivano  ad  aggiungersi  alle  difficoltà  già  ricordate  nell'ultimo  paragrafo  del  capitolo  III,  connesse  alla  scoperta  delle  grandezze  in- commensurabili  - suscitarono  presso  i  greci  una  tale  diffidenza  nei  confronti  dell'infinito,  da  persuaderli  a  compiere  qualunque  sforzo  pur  di  escludere  tale  concetto- per  lo  meno  nella  forma  di  «  infinito  attuale  »  1 - da  ogni  seria  costru- .  I  Si  dice  che  una  grandezza  variabile  costi- tuisce  un  <<  infinito  potenziale  »  quando,  pur  as- s~mendo  sempre  valori  finiti,  essa  può  crescere  al  di  là  ~i  ?gni  limite;  se  per  esempio  immaginiamo  di  suddividere  un  dato  segmento  con  successivi  di- mezzamenti,  il  risultato  ottenuto  sarà  un  infinito  pot~nziale  perché  il  numero  delle  parti  a  cui  per- ventamo,  pur  essendo  in  ogni  caso  finito,  può  crescere  ad  arbitrio.  Si  parla  invece  di  «  infinito  attuale  »  quando  ci  si  riferisce  ad  un  ben  determi- nato  insieme,  effettivamente  costituito  di  un  nume- ro  illimitato  di  elementi;  se  per  esempio  immagi- niamo  di  avere  scomposto  un  segmento  in  tutti  i  suoi  punti,  ci  troveremo  di  fronte  a  un  infinito  attuale  perché  non  esiste  alcun  numero  finito  che  riesca  a  misurare  la  totalità  di  questi  punti. zione  scientifica.  Oggi  noi  abbiamo  imparato,  con  l'analisi  infinitesimale  e  con  la  teoria  degli  insiemi,  a  trattare  con  disinvoltura  l'infinito  matematico  (sia  l'infi- nito  potenziale  sia  quello  attuale);  proprio  perciò  tuttavia  ci  rendiamo  conto  che  le  difficoltà  incontrate  dai  greci  erano  effettive,  non  artificiose,  e  possiamo  affer- mare  con  piena  consapevolezza  che  non  erano  certo  dovute  a  volgari  errori  di  logica,  non  erano  dei  «  sofismi  »  nel  senso  usuale  del  termine.  Dal  punto  di  vista  dell'eleatismo,  il  metodo  scelto  da  Zenone  per  difendere  le  posizioni  di  Parmenide  poneva  tuttavia  la  premessa  di  una  loro  crisi  e  di  un  loro  superamento.  Lo  spregiudicato  uso  logico-matematico  che  egli  faceva  del  logos  non  si  muoveva  più  sulla  via  di  una  identificazione  del  logos  stesso  all'essere,  del  riconoscimento  di  una  realtà  scoperta  dal  pensiero  ma  in  cui  il  pensiero  doveva  confondersi;  Zenone  poneva  piuttosto  le  premesse  per  uno  svincolamento  del  discorso  logico-matematico  dalla  realtà,  e  lavorava  quindi  oggettivamente  alla  rottura  di  quella  unità  discorso-pensiero-essere  che  caratterizzava  la  «vera  via»  proposta  dal  grande  maestro  di  Elea.  La  figura  di  Melissa  è  assai  diversa  da  quella  di  Zenone.  Nato  a  Samo  quasi  contemporaneamente  a  Zenone,  egli  trascorse  tutta  la  vita  nella  propria  isola,  ove  ricoprì  importanti  cariche  politico-militari.  Basti  ricordare  che  fu  capo  della  flotta  con  cui  Samo  sconfisse  gli  ateniesi  nel  440.  La  sua  permanenza  a  Samo  co- stituì,  in  certo  modo,  il  ponte  ideale  attraverso  cui  l'insegnamento  eleatico  per- venne  dalla  Magna  Grecia  nell'Asia  Minore.  La  lunga  lotta  fra  Mileto  e  Samo  può  del  resto  contribuire  a  spiegare  l'abban- dono  melisseo  della  tradizione  ionica;  una  tradizione,  tuttavia,  che  continuò  ad  operare  indirettamente  nel  suo  pensiero  condizionando  in  senso  realistico  la  sua  riforma  dell'eleatismo,  in  contrapposizione  all'indirizzo  prevalentemente  logico  che  quest'ultimo  aveva  assunto  in  Zenone.  Più  che  alla  difesa  delle  teorie  del  maestro,  Melissa  si  dedicò  infatti  al  loro  sviluppo  e  alla  loro  integrazione.  Ab- bandonatane  l'iniziale  carica  logico-verbale  e  metodica,  Melissa  si  propose  una  più  coerente  deduzione  dei  caratteri  sostanziali  e  antologici  dell'essere.  Egli  fu  il  primo  ad  insistere  sul  suo  carattere  di  unità,  che  rappresentava  più  adeguata- mente  in  senso  spaziale  e  temporale  la  «totalità»  dell'essere  parmenideo,  e  so- prattutto  sulla  sua  infinità.  Melissa  afferma  in  proposito  che  non  è  possibile  interpretarlo  come  sferico  (per  le  difficoltà  accennate  alla  fine  del  paragrafo  n)  bensì  lo  si  deve  concepire  come  infinito  o  illimitato  sia  nello  spazio  sia  nel  tempo.  Per  analoghe  ragioni  egli  negò  che  si  potesse  ammettere,.  nell'uno,  una  qualsiasi  sofferenza  o  dolore  o  altra  passione,  perché  ciò  provocherebbe  in  lui  una  specie  di  perturbazione  e  quindi  ne  diminuirebbe  l'unità  e  immobilità.  Quest'ultimo  argomento  sembra  mostrare  come  Melissa,  sulla  traccia  della  teologia  di  Senofane  e  della  tradizione  ionica,  dovette  interpretare  l  'unico  essere  come  dotato  di  vita:  una  vita,  probabilmente,  identica  al  pensiero,  secondo  l'equa- zione  parmenidea  che  abbiamo  già  esposto.  Secondo  la  tradizione,  Melissa  avrebbeanche  definito  l'essere  come  incorporeo,  il che  contrasta  con  la  sua  infinita  esten- sione  spaziale  e  con  la  negazione  eleatica  del  vuoto  :  ciò  mette  a  nudo  in  realtà  una  profonda  contraddizione  dell'eleatismo,  che  non  poteva  concepire  la  realtà  come  puramente  intelligibile  ed  incorporea,  ma  tuttavia  tentava  di  attribuirle  tutte  le  caratteristiche  di  pura  intelligibilità  richieste  da  un  pensiero  filosofico  ormai  maturo.  L'incorporeità  dell'uno  melisseo  significava  dunque  soltanto  che  esso  era  invisibile  e  illimitato  da  qualsiasi  forma  o  corpo  tangibile;  e  significava  al  tempo  stesso  il  portare  al  limite  una  contraddizione  già  implicita  in  Parmenide  del  cui  superamento  avrebbe  grandemente  beneficiato  il pensiero  posteriore.  L'avere  reso  l'essere  infinito  nello  spazio  e  nel  tempo  impediva  a  Melissa  di  accettare  la  bipartizione  parmenidea  tra  realtà  atemporale  e  mondo  sensibile  temporale:  a  quest'ultimo  doveva  venir  negata  qualunque  sia  pur  secondaria  sussistenza,  ed  è infatti  alla  negazione  dell'esistenza  e della  concepibilità  delle  cose  sensibili  che  Melissa  dedica  alcune  delle  sue  argomentazioni  più  suggestive.  Perché  una  cosa  qualsiasi,  egli  dice,  possa  essere  conosciuta,  pensata  ed  esistere,  essa  dovrebbe  essere  sempre  identica  a  se  stessa,  assolutamet?-te  immobile  ed  immuta- bile  nello  spazio  e  nel  tempo,  giacché  una  minima  modificazione  ne  farebbe  una  cosa  diversa  e  così  via  all'infinito;  dovrebbe  dunque  avere  le  stesse  caratteristiche  dell'uno.  Proprio  questo  argomento,  che egli  intendeva  come  una  sfida  contro  il  pluralismo,  sarebbe  stato  rovesciato  e  raccolto  dalla  corrente  estrema  del  plura- lismo,  quella  atomistica:  si  può  dire  infatti  che  l'atomismo  attribuì  alle  sue  in- finite  unità  fisiche  proprio  tutte  le  caratteristiche  dell'uno  melisseo,  ad  eccezione  dell'immobilità  che  non  era  più  necessaria  dato  il riconoscimento  del  vuoto.  Con  Zenone  e  con  Melissa,  l'arco  dell'eleatismo  si  conclu<i.e  così,  sia  sotto  la  spinta  di  contrapposte  esigenze  logiche  e  naturalistiche  che  esso  aveva  cercato  di  stringere  in  una  compatta  unità,  sia  per  l'insorgere  di  problemi  che esso  stesso  aveva  per  la  prima  volta  portato  in  luce  e  chiarito,  ma  che  non  potevano  essere  risolti  nel  suo  ambito.  L'eleatismo  era  comunque  destinato  a  restare  una  pietra  miliare  nel  pensiero  greco,  un  imperativo  richiamo  alla  soluzione  di  alcuni  fra  i  più  profondi  problemi  filosofici.  La  sua  importanza  fu  enorme  anche  nella  storia  del  pensiero  scientifico,  soprattutto  - come  abbiamo  più  sopra  spiegato  - per  quanto  riguarda  l'affi- namento  delle  esigenze  logiche.  Vale  la  pena  ricordare  le  parole  con  cui  questo  contributo  degli  eleati  è  sottolineato  in  una  recente,  autorevolissima,  storia  della  matematica,  Eléments  d'  histoire  des  mathématiques  del  gruppo  Bourbaki:  «Il  tenore  de- gli  scritti  filosofici  subisce  nel  v  secolo  un  brusco  cambiamento  :  mentre  nel  v~I  e  nel  VI  secolo  i  filosofi  affermano  o  preconizzano  (o  tutt'al  più  abbozzano  vaghi  ragionamenti,  fondati  su  altrettanto  vaghe  analogie),  a  partire  da  Parmenide  e  so- prattutto  da  Zenone  essi  "  argomentano  "  e  cercano  di  ricavare  dei  principi  generali  che  possano  servire  di  base  alla  loro  dialettica:  appunto  in  Parmenide  si  trova  la  prima  affermazione  del  principio  del  "  terzo  escluso  ";  e le  dimostrazioni  "  per  assurdo  "  di  Zenone  di  Elea  sono  rimaste  celebri.  »  Anzi,  il  richiamo  so- pra  ricordato  di  Aristotele  a  Zenone  come  fondatore  della  dialettica,  sembra  appunto  riferirsi  all'attribuzione  all'eleate  della  scoperta  e  dell'impiego  della  reductio  ad  impossibile  in  metafisica  (suggerito  peraltro  a  Zenone,  probabil- mente,  dall'impiego  che  di  tale  forma  di  ragionamento  veniva  fatto  dai  mate- matici  pitagorici. Nato  ad  Agrigento  intorno  al49o  e  morto  verso  H 430,  Empedocle  riassunse  nella  propria  vita  tanto  la  ricchezza  di  umori  della  sua  terra  natale,  quanto  la  grandezza  e  l'ambiguità  del  suo  pensiero.  L'entusiasmo  per  la  natura  e  la  varietà  dei  suoi  fenomeni,  il  profondo  senso  religioso  che  connetteva  uomini,  dei  e  fysis  in  intimi  legami;  la  violenza  delle  passioni  politiche,  l'ansia  della  salvezza  e  il  senso  del  tragico:  di  questi  caratteri  della  Sicilia  greca  Empedocle  fu,  prima  che  interprete,  pienamente  partecipe.  Capeggiò  la  fazione  democratica  della  sua  città;  esiliato  nel  Peloponneso,  si  recò  in  seguito  ad  assistere  alla  fondazione  di  Turi,  dove  poté  probabilmente  incontrare  Protagora,  Erodoto  ed  Ippodamo;  non  è  da  escludere  un  suo  contatto  diretto  con  gli  eleati.  Seguendo  l'uso  ar- caico,  scrisse  in  versi;  uno  dei  suoi  poemi,  Sulla  natura  (Perì  Jjseos),  trattava  argo- menti  cosmologici  e  naturalistici,  l'altro,  le  Puriftcazioni  (Katharmoi),  aveva  ca- ratteristiche  spiccatamente  mistico-religiose.  Il  rapporto  cronologico  fra  queste  opere  e  quelle  di  Melissa  e  di  Anassagora  è  incerto;  sembra  tuttavia  che  egli  le  abbia  composte  prima  di  quest'ultimo.  La  tensione  fra  i  due  aspetti  della  perso- nalità  di  Empedocle  - tuttavia,  come  vedremo,  profondamente  interrelati  - ap- pare  già  dall'argomento  dei  suoi  due  poemi;  e  si  riflette  in  quanto  ci  è  noto  della  sua  vita,  pur  attraverso  le  molte  leggende  di  cui  fu  ben  presto  ammantata.  Stu- dioso  di  fysis,  amava  presentarsi  come  profeta  e  capo  religioso,  e  vagava  per  le  città  di  Sicilia  seguito  da  turbe  di  seguaci  entusiasti;  teorico  di  biologia  e  di  micina  - anzi  fondatore  di  una  scuola  di  medicina  scientifica  - si  considerava  però  guaritore  e  iatromante  alla  stregua  di  Apollo,  e  vantava  la  capacità  di  ope- rare  miracoli;  conoscitore  attento  ed  esperto  delle  technai,  si  atteggiava  tuttavia  a  mago.  Interessante  è  il  caso  del  suo  intervento  a  Selinunte:  la  città  soffriva  di  un'epidemia,  dovuta  alle  acque  infette  del  suo  fiume,  che  veniva  attribuita  agli  dei;  accorsovi,  Empedocle  risanò  la  città  con  incantagioni  e  magia  (di  fatto  rea- lizzando  la  confluenza  di  altri  due  fiumi  a  monte  di  Selinunte  per  purificare  le  acque  del  primo).  «Sciocchi!  giacché  non  hanno  pensieri  di  larga  veduta;  essi  credono  che  possa  nascere  ciò  che  prima  non  era  o  che  qualcosa  possa  perire  e andar  del  tutto  distrutta  ...  E  un'altra  cosa  ti dirò:  non  c'è  nascita  alcuna  di  tutte  le  cose  mortali,  né  alcuna  fine  di  morte  funesta;  ma  solo  mescolanza  e  cangiamento  di  cose  commiste,  e  nascita  si  chiama  fra  gli  uomini.  »  In  queste  parole  Empedocle  esprime  limpidamente  la  misura  della  sua  accettazione  dell'eleatismo  e  insieme  le  prospettive  della  sua  soluzione.  L'impossibilità  che  ciò  che  è  derivi  da  ciò  che  non  è  o  vi  si  dissolva  si  impone  al  filosofo  di  Agrigento  come  il  requisito  fondamentale  della  realtà  e  della  pensabilità  del  mondo;  e  perciò  egli  non  può  considerare  se  non  come  follia  il  pensiero  pre-eleatico.  Tuttavia,  proprio  in  Melissa  egli  trovava  la  chiave  del  riconoscimento  della  molteplicità  del  mondo;  giacché  bastava  riconoscere  i caratteri  dell'  «uno»  melisseo  -l'identità  nello  spazio  e  la  permanenza  temporale  - a  un  certo  numero  di  realtà  distinte,  perché  da  esse  si  potesse  dedurre  l'intera  varietà  del  molteplice.  Certo,  tale  soluzione  cozzava  pur  sempre  contro  gli  imperativi  logico-metodici  di  Parmenide;  ma,  come  si  è  visto,  Melissa  aveva  già  avviato  la  loro  ontologizzazione,  cioè  la  loro  trasformazione  in  realtà  spazio-temporale:  aveva  insomma  avviato,  nel  linguaggio  dell'epoca,  la  trasformazione  dell'essere  in  «pieno».  Da  questa  prospettiva  melissea  prendeva  propriamente  le  mosse  Empedocle  - come  ha  messo  in  luce  il  Calogero  - giacché  essa  corrispondeva  alla  sua  esigenza  di  dar  conto  del  mondo,  nella  sua  varietà  quale  si  offre  ai  sensi,  nella  sua  segreta  unità  quale  è  colto  dall'anima,  nella  sua  realtà  cui  il  pensiero  non  può  rifiutarsi.  Nel  suo  presentarsi  alla  nostra  osservazione,  la  realtà  appare  indefinitamente  diversa  eppure  connessa  da  ritmi,  da  cicli,  da  permanenze  che  ne  formano  la  struttura  unitaria;  così  come  accade  per  l'organismo  vivente,  mutevole  eppure  uno,  la  realtà  appare  un  tessuto  variegato  di  poche  sostanze  semplici,  un  divenire  scandito  dal  ciclo  delle  stagioni,  della  generazione,  degli  astri.  Fedele  per  istinto  alla  verità  dell'osservazione,  Empedocle  concepiva  dunque  il  mondo  come  un  organismo  unitario  vivente  e  senziente,  del  quale  nessuna  parte  poteva  venire  arbitrariamente  amputata  e  tutte  dovevano  avere  una  loro  profonda  giustifica- zione.  Se  questo  punto  di  vista  ilozoico  doveva  trovare  una  spiegazione  non  mitica,  una  più  universale  razionalizzazione,  occorreva  infondervi  i  requisiti  melissei del  vero;  occorreva,  una  volta  reso  molteplice  l'«  uno»,  trovare  un'armonia  tra  questo  vero  molteplice  e  la  molteplicità  dell'esperito.  Da  questa  esigenza  nasce  il  sistema  cosmico  di  Empedocle,  una  delle  più  potenti  sintesi  teoriche  del  pensiero  greco.  Alla  base  del  sistema  stanno  i  quattro  elementi,  o  piuttosto  «  radici  »  come  li  chiama  Empedocle  stesso  con  un  termine  che  meglio  corrisponde  alla  sua  vi- sione  vitalistica  del  mondo:  la  terra,  l'acqua,  il  fuoco,  l'aria  (o  meglio  l'etere).  Tali  elementi  non  sono  nuovi  nella  filosofia  presocratica:  si  pensi  all'acqua  di  Talete,  al  fuoco  di  Eraclito  e  così  via.  In  tutti  questi  pensatori  il  processo  era  consistito  nell'assumere  una  zona  dell'osservazione  empirica  alla  funzione  pri- vilegiata  di  principio  o  arché  di  .fJ'Sis;  nel  rendere  quindi  assoluti  alcuni  dati  dell'esperienza  per  usarli  come  chiave  di  comprensione  e  di  spiegazione  dell'e- sperienza  nella  sua  totalità.  Identico  è  l'approccio  fondamentale  di  Empedocle:  un'analisi  dell'osservazione  lo  porta  a  scoprire  in  ciò  che  è  osservato  alcune  costanti  fondamentali,  che  una  volta  generalizzate  e  rese  assolute,  valgono  a  spiegare  l'osservato  - di  cui  sono  costituenti  essenziali  - e  l'osservazione  stessa  - di  cui  sono  canoni  imprescindibili.  Merito  specifico  di  Empedocle  è  tuttavia  quello  di  aver  isolato,  sia  dall'osservazione  diretta  sia  dalla  precedente  riflessione  naturalistica,  tutte  e  solo  quelle  costanti  che  potessero  valere  da  ra- dici,  senza  che  si  fosse  costretti,  contro  l'imperativo  eleatico,  a  postulare  il  mu- tamento  di  una  radice  in  qualcosa  diverso  da  sé  (come  avevano  dovuto  fare  i  monisti  ionici),  né  ad  immaginarne  un  numero  eccessivo,  che  avrebbe  ostacolato  la  semplificazione  e  quindi  la  possibilità  di  comprensione  dell'esperienza.  Ad  ognuna  delle  quattro  radici  Empedocle  attribuiva  dunque  lo  status  del- l'«  uno»  melisseo:  l'infinità  e  l'immutabilità  nello  spazio  e  nel  tempo,  l'essere  ingenerati  e  imperituri,  e  di  conseguenza  l'assoluta  realtà  e  intelligibilità.  Ciò  non  significava  tuttavia  negare  la  realtà  degli  infiniti  altri  oggetti  dell'esperienza:  ogni  singolo  ente  è  il  risultato  di  una  mescolanza  delle  radici,  la  sua  nascita  è  la  formazione  della  mescolanza  e  la  sua  morte  ne  è  lo  scioglimento;  benché  in  tali  mescolanze  le  radici  entrino  sotto  forma  di  porzioni  frazionali,  neppure  nella  minima  di  esse  perdono  alcuna  delle  loro  proprietà.  L'individualità  specifica  di  ogni  composto  gli  deriva  dalla  diversa  proporzione  dei  componenti  (così  ad  esempio  le  ossa  sono  formate  da  due  parti  di  acqua,  due  di  terra,  quattro  di  fuo- co;  il  sangue  dal  miscuglio  perfetto  I  :I :I  :I).  Si  è  visto  in  questa  dottrina  di  Em- pedocle  un'anticipazione  della  chimica,  il  che  può  anche  essere  accettato  qualora  non  si  dimentichi,  però,  che  le  radici  empedoclee  non  solo  erano  concepite  come  viventi  ma  anche  come  divinità  creatrici,  in  stretto  rapporto  con  la  cosmogonia  orfica.  Se  le  quattro  radici  potevano  spiegare,  nel  loro  vario  comporsi,  la  molte- plicità  del  mondo,  esse  non  davano  tuttavia  conto  del  suo  infinito  divenire,  del  formarsi  e  dello  sciogliersi  dei  composti;  unificavano  cioè  il  reale  in  senso  sin- cronico  ma  non  diacronico.  Empedocle  introdusse  quindi  altri  due  principi,  questpiù  spiccatamente  dinamici:  «  amicizia»  e  «  discordia».  Come  le  quattro  radici  rappresentavano  una  generalizzazione  dell'osservazione  naturale,  così  queste  due  «forze»  rappresentano  una  generalizzazione  dell'esperienza  psichica,  e  perciò  allargano  a  tale  settore  la  capacità  di  comprensione  e  di  spiegazione  del  sistema.  Nel  mondo  di  Empedocle  non  era  tuttavia  pensabile  una  distinzione  radicale  delle  due  sfere,  come  abbiamo  osservato  in  sede  introduttiva,  ma  piuttosto  una  diversa  funzionalità  della  medesima  realtà:  come  le  radici  sono  a  loro  volta  viventi,  così  «  amicizia  »  e  «  discordia  »  sono  coestese  e  coeterne  ad  esse,  e  dunque  non  meno  di  esse  «reali».  «Amicizia·»  simbolizza  nel  sistema  l'attrazione  del  dissimile,  cioè  l'impulso  che  spinge  le  diverse  radici  a  fondersi  reciprocamente  dando  luogo  a  composti  sempre  più  stabili;  «discordia»  rappresenta  invece  l'attrazione  del  si- mile,  cioè  la  forza  che  spinge  ogni  radice  a  restare  coesa  a  se  stessa,  sciogliendo  qualsi.asi  composto.  Questi  due  principi  sono  stati  interpretati  come  cause  in  senso  aristotelico  e  anche,  modernamente,  come  le  forze  elettromagnetiche  di  attrazione  e  repulsione.  Benché  anche  questi  siano  possibili  sviluppi  del  pensiero  empedocleo,  va  ribadito  che  nel  suo  quadro  «amicizia»  e  «  discordia»  rappre- sentavano  soprattutto  le  funzioni  essenziali  di  una  realtà  vivente,  in  cui  causa  e  causato,  forza  e  materia  non  potevano  essere  distinte  se  non  in  modo  simbolico,  non  erano  che  aspetti  profondamente  connessi  di  un  unico  mondo;  mentre  poi  esse  rappresentavano  l'aggancio  più  immediato,  come  vedremo,  alle  vedute  religiose  e  morali,  che  a  quel  mondo  non  potevano  certo  essere  eterogenee.  Funzione  primaria  delle  forze  nel  sistema  era  comunque  quella  di  promuovere  il  divenire.  Poiché  tale  divenire  non  poteva  dar  luogo  ad  alcun  mutamento  dei  suoi  contenuti  fondamentali,  secondo  il  divieto  eleatico,  esso  non  poteva  pre- sentarsi  che  come  ciclo:  solo  nel  ciclo  si  dà  infatti  ripetizione  perpetua  dei  me- desimi  eventi  e  delle  medesime  strutture,  solo  il  ciclo  concilia  le  sembianze  del  divenire  (l'esperienza  umana  non  può  carpirne  che  una  piccola  frazione  e  ha  dunque  l'impressione  del  mutamento)  con  la  verità  del  permanere,  rivelata  a  chi  penetri  nell'intimo  della  natura.  Nel  periodo  cosmico  di  assoluta  prevalenza  di  «amicizia»,  ognuna  delle  radici  è così  strettamente  congiunta  alle  altre  che  nessun  singolo  ente  sussiste  di  per  sé:  «Non  v'è  discordia  né  infausta  contesa  nelle  sue  membra  ...  Non  più  si  distinguono  in  esso  le  agili  membra  del  sole,  né  la  forza  villosa  della  terra,  né  il  mare,  tanto  fortemente  sta  legato  nei  fitti  segreti  del- l'armonia,  d'ogni  parte  uguale  e  per  tutto  infinito,"  sfero  "rotondo  che  gode  della  sua  solitudine  circolare.  »  Nello  «  sfero  »  è  facile  individuare  l'«  uno»  eleatico,  non  tuttavia  visto  come  unico  possibile  assetto  della  realtà,  ma  conquistato  dalla  vittoria  di  un'armonia  di  schietta  derivazione  pitagorica;  qui  emerge  anche  il  valore  religioso  e  morale  di  «amicizia»,  che  significa  concordia  e  pace  nel  cosmo  e fra  gli  uomini.  Agli  antipodi  sta  il  trionfo  di  « discordia»,  che  vede  ognuna  delle  radici  ritratta  in  se  stessa  e  ostile  alle  altre,  il  che  parimenti  significa  la  fine  del  mondo  quale  noi  lo  esperiamo  e  comporta  la  negazione  dei  valori  etico-religiosiFra  i  due  opposti  regni,  stanno  le vaste  regioni  in  cui  «discordia»  viene  prevalendo  su  «amicizia»,  e  quindi  scioglie  le radici  dal  loro  complesso  senza  tuttavia  contrap- porle  del  tutto;  qui  si  situa  una  prima  generazione  del  molteplice;  e  l'altra  dove  «amicizia»  si  a.dopera  a  ricomporre  l'unità  senza  poter  ancora  scacciare  del  tutto  «discordia»,  sicché  il  processo  di  unificazione  è ancora  frammentato  in  una  mol- teplicità  di  enti:  ed  è  questa  la  seconda  generazione  del  mondo  che  noi  osser- viamo.  Va  detto  che  mentre  il  ciclo  nel  suo  insieme  è  determinato  dalla  neces- sità  (ananke),  la  formazione  dei  singoli  composti  è  affidata  al  caso  (ryche)  e  che  quindi  la  natura  che  noi  esperiamo  consta  della  sintesi  di  necessità  e  di  caso.  Questa  veduta  è  importante  per  la  comprensione  di  molte  posizioni  della  scienza  naturale  greca.  Come  si  articoli  concretamente  il  ciclo  nelle  due  fasi  intermedie  è  mostrato  più  chiaramente  da  Empedocle  a  proposito  degli  organismi  viventi,  cui  andava  il  suo  prevalente  interesse  (non  a  caso  è  possibile  paragonare  l'intera  vita  cosmica  alle  sistole  e diastole  del  cuore,  e  lo  «  sfero  »  appare  assai  vicino  all'«  uovo  »  origi- nario  presente  nel  culto  orfico  ).  All'inizio  del  ciclo  di  «amicizia»,  in  un  mondo  ancora  dominato  da  «  discordia»,  si  venivano  formando  membra  ed  arti  separati:  « Sulla  terra  spuntarono  teste  senza  colli,  ed  erravano  braccia  nude  prive  di  spal- le,  vagavano  occhi  soli  sprovvisti  di  fronti»;  poi  queste  membra  si  congiungono  a  caso  dando  luogo  a  mostri  d'ogni  specie:  «e  molti  esseri  nascere  con  doppie  facce  e  petti,  e  buoi  con  facce  d'uomini,  o  invece  sorgere  busti  umani  con  teste  bovine,  e  forme  miste  di  maschi  e  di  femmine,  provviste  di  membra  villose.  »  Ma  la  gran  parte  di  queste  forme  viventi  perivano,  sopravvivendo  solo  quelle  più  adatte  alle  condizioni  di  vita  perché  meglio  organizzate  nella  propria  strut- tura.  È  interessante  notare  che  in  questo  processo  è  assente  qualsiasi  idea  di  finalismo  preordinato;  i  viventi  si  aggregano  a  caso,  ed  è  la  selezione  naturale  che  decide  della  sopravvivenza  di  alcuni  di  essi.  Nell'opposto  processo  di  «di- scordia»,  che  viene  disgregando  l'unità  cui  «amicizia»  era  finalmente  giunta,  si  formano  dapprima  creature  complete,  omogenee;  ma  una  separazione  successiva  dà  luogo  alle  creature  del  mondo  in  cui  viviamo,  differenziate  per  sessi  e  per  la  prevalenza  in  esse  di  una  delle  radici  (così  nella  costituzione  dei  pesci  prevale  l'acqua,  ecc.).  Abbiamo  già  visto  come  la  struttura  del  nostro  organismo  fosse  interpretata  da  Empedocle  mediante  la  composizione  delle  radici  in  diverse  proporzioni.  A  spiegare  la  compenetrazione  reciproca  delle  radici,  e  i  maggiori  fenomeni  vitali,  quali  la  respirazione  1  e  il  movimento  del  sangue,  Empedocle  concepiva  I  Il  resoconto  della  respirazione  va  ripor- tato  per  la  sua  originalità  e  tipicità.  Il  sangue  si  muove  entro  pori  i  cui  fori  terminali  sono  abba- stanza  piccoli  da  non  permettergli  di  fuoriuscire,  sufficienti  però  per  lasciar  entrare  l  'aria  nel  corpo.  !utta  la  spiegazione  è  costruita  per  analogia  con  ti  funzionamento  della  clessidra  o  pipetta  per  il  travaso  dei  liquidi  da  un  recipiente  all'altro.  Al- lorché  il  sangue  si  ritrae  dai  pori,  esso  attira  l'aria  che  irrompe  nel  vuoto  così  formatosi:  si  ha  così  l'inspirazione.  Quando  il  sangue  torna  ad  af- fluire,  esso  espelle  l'aria  dando  luogo  all'espira- zione l'organismo  come  percorso  da  una  fitta  rete  di  pori  o  canaletti  (una  teoria  in  parte  derivata  da  Alcmeone),  la  cui struttura  e le  cui  dimensioni  giocavano  altresì  una  parte  importante  nel  meccanismo  della  sensazione.  Esso  è  spiegato  dal  filosofo  di  Agrigento  mediante  gli  efflussi  materiali  che  ogni  corpo  emette  e  che,  giungendo  a  contatto  del  senziente,  possono  o  meno  penetrare  attraverso  i  pori  nel  suo  organismo  a  seconda  delle  reciproche  dimen- sioni;  g~i  efflussi  sono  determinati  dall'attrazione  del  simile,  che  spinge  le  radici  a  ricongiungersi  attraverso  la  varietà  dei  singoli  enti.  La  spiegazione  è da  un  lato  meccanicistica,  dall'altro  vitalistica  perché  appunto  fondata  sull'intrinseca  «ani- mazione  »  del  corporeo;  di  conseguenza  Empedocle  attribuiva  la  sensazione,  sia  pure  in  gradi  diversi,  a  qualsiasi  ente,  perché  ognuno,  anche  quelli  ai  nostri  occhi  inanimati,  era  in  qualche  misura  partecipe  della  grande  vita  del  cosmo.  Il  pensiero  non  è  per  Empedocle  qualitativamente  diverso  dalla  sensazione. Contro  le  scoperte  alcmeoniche,  ed  introducendo  una  veduta  destinata  ad  eserci- tare  profonda  influenza,  egli  pose  la  sede  del  pensiero  e  dell'attività  razionale  nel  sangue,  esattamente  in  quello più  puro,  prossimo  al cuore  che  ne  è la  fonte.  Poiché  il  sangue,  come  si  è  visto,  consta  di  una  mescolanza  perfetta  delle  radici,  esso  è  il  più  atto  a  riflettere  la  struttura  del  mondo,  essendole  più  omogeneo.  Non  v'è  ovviamente  per  Empedocle  opposizione  tra  pensiero  e  sensi,  giacché  entrambi  convogliano,  con  meccanismi  fondamentalmente  analoghi,  il messaggio  profondo  di  una  natura  che  non  può  essere  fallace  in  alcuna  delle  sue  manifestazioni.  Poiché  l'uomo  è  omogeneo  al  mondo,  la  verità  della  sua  conoscenza  del  mondo  non  di- pende  né  dai  metodi  né  dai  linguaggi  che  egli  impiega;  in  tal  senso,  sparisce  il  problema  della  «via»  parmenidea  e  del  suo  sempre  difficile  rapporto  con  il reale.  L'uomo  è generato  dalle  stesse  radici  e animato  dalle  stesse  forze  che  generano  e  animano  il  mondo  nella  sua  totalità;  egli  riflette  il  mondo  in  se  stesso,  lo  «  com- prende»  proprio  perché  ne  ritrova  dentro  di  sé  l'immagine  rimpicciolita.  Il  san- gue  è pensiero  perché  il  sangue  è principio  vitale  e secondo  Empedocle  conoscere  è propriamente  vivere  fino  in  fondo  la  vita  dell'universo,  sperimentarne  la  molte- plicità  e l'unità,  l'eternità  ciclica,  gli  intimi  legami  che  tutto  quanto  lo  connettono.  Sparita  così  la tensione  tra  vero  e reale,  tra  uomo  e  mondo,  tra  mondo  e divi- nità,  sparisce  anche  la  presunta  contraddizione  tra  i  due  aspetti  della  personalità  di  Empedocle,  quello  «  fisico  »  e quello  «  magico  ».  Ragione  e mito  non  sono  che  due  forme  di  un  identico  conoscere,  due  funzioni  di  un'unica  realtà.  La  conoscenza  razionale  è esposizione  discorsiva  ed  analitica  della  molteplidtà  del  mondo  quale  essa  risulta  dall'azione  di«  discordia?>  e ci  è rivelata  dai  sensi;  ma  il  suo  scopo  è  quello  di  rivelarci  la  verità  di  questa  molteplicità  dando  conto  dell'unità  che  la  informa  e  della  necessità  che  la  domina.  D'altra  parte,  la  conoscenza  mitica  è  penetrazione  intensiva  di  questa  unità  e necessità,  è  il  porsi  per  così  dire  dal  punto  di  vista  dello  «  sfero  »  che  simbolizza  l'unità  da  un  punto  di  vista  sia  fisico,  sia  religioso,  sia  morale;  è drammatica  consapevolezza,  tuttavia,  della  necessità  del  ci-do  e  dd  molteplice,  nel  loro  decadere  dall'età  aurea  e nel  loro  fatale  tornarvi. 1  Di  qui  le  «  purificazioni  »,  di  qui  la  dottrina  pitagorizzante  della  metempsicosi  che  adegua  la  sorte  dell'anima  al  ciclo  cosmico.  E  la  via  alla  purificazione  etico-reli- giosa  è ancora  una  volta,  per  Empedocle,  quella  di  vivere  fino  in  fondo  la vicenda  -per  il singolo  uomo,  il  dramma- dell'uno  e dei  molti,  del  tempo  e dell'eterno,  della  necessità  e del  caso;  la  via  della  purificazione  è quella  che  conduce  nel  cuore  profondo  della  natura  che  sola  giustifica  l'uomo  e  il  suo  destino,  che  sola  gli.  concede  conoscenza  e  potenza  nel  tempo,  salvazione  nell'eternità.  Sicché  la  leg- genda  della  morte  del  filosofo  sparito  nella  voragine  dell'Etna  bene  esprime,  sotto  questo  aspetto,  la  vocazione  del  pensiero  empedocleo.  Si  intende  così  anche  il senso  dell'ambiguo  atteggiamento  di  Empedocle  verso  le  technai,  e del  suo  interesse  profondo  per  quelle  che  consentissero  un  immediato  controllo  della  natura  (la.  medicina,  le  tecniche  manifatturiere,  la  fisica;  mentre  la  matematica  gli  doveva  sembrare  irrimediabilmente  lontana  dal  mondo  della  vita  e  quindi  sterile).  Non  v'è  nulla  di  più  ingiusto  dell'immagine  trasmessaci  dalla tradizione  di  un  Empedocle  abile  medico  e  tecnologo  che  ciarlatanescamente  am- mantava  di  magia  i  suoi  successi  per  guadagnarne  in  prestigio.  In  realtà,  l'oppo- sizione  fra  technai  e magia  sarebbe  sembrata  assurda  ai  suoi  occhi.  Al  culmine  della  sua  capacità  di  penetrazione  e  di  controllo,  la  techne  aderisce  così  compiutamente  all'intima  vita  del  mondo  da  diventarne,  dall'interno,  una  forza  agente:  il  «mi- racolo»  è  una  possibilità  di  fysis  che  techne  porta  alla  luce  (non  troppo  diverse  dovevano  essere  le  vedute  degli  alchimisti  rinascimentali).  Techne  si  situa  dunque  al  crocevia  di  conoscenza  razionale-discorsiva  e  conoscenza  mitico-intensiva;  come  il  problema  del  rapporto  tra  uomo  e  mondo,  tra  conoscenza  e  realtà  s'era  tendenzialmente annullato nell'unità della vita del cosmo,  così a  techne,  allorché  muova  dalla  consapevolezza  della  struttura del reale, basta foggiarsi via via ad immagine e simiglianza della  natura  per  poter  penetrare  sempre  più  profonda- mente  in  essa,  per  paterne  acquisire  un  sempre  maggiore  controllo.  Disvelandosi  all'osservazione  dell'uomo,  la  natura  gli  aveva  donato  la  conoscenza;  offrendosi  ad  una  techne  che  ne  sappia  comprendere  i  segreti,  essa  gli  concede  l'accesso  alla  potenza:  sicché  alla  fine,  nel  volgere  del  ciclo,  l  'uomo  diviene  «  profeta,  bardo,  medico  e  principe  »,  pari  agli  dei  immortali,  come  Empedocle  proclamava  di  se  stesso.  Data  la  natura  della  conoscenza  e delle  technai,  è chiaro  come  per  il filosofo  di  1  «V'è  un  oracolo  del  fato,  antico  decreto  degli  dei,  suggellato  da  larghi  giuramenti:  se  mai  alcuno  dei  demoni  (anime)  che  ebbero  in  sorte  lunga  vita,  macchi  le  sue  membra  di  sangue  col- pevole,  o seguendo  la  "discordia"  empio  spergiuri,  vada  errando  tre  volte  diecimila  anni  !ungi  dai  beati,  nascendo  nel  corso  del  tempo  sotto  tutte  le  forme  mortali,  permutando  i  penosi  sentieri  della  vita  ...  Uno  di  essi  sono  anch'io,  fuggiasco  dagli  dei  ed  errante,  perché  fidai  nella  folle  "di- scordia"  ...  Da  quale  onore  e  da  quale  ampiezza  di  felicità,  così  bandito  mi  aggiro  fra  i mortali!  »  (La  traduzione  di  questi  frammenti,  come  di  quasi  tutti  quelli  empedoclei  citati,  è  del  Mondolfo.)  Ma  v'è  la  via  del  ritorno:  «  Ma  alla  fine  essi  vengono  sulla  terra  fra  gli  uomini  come  profeti,  bardi,  me- dici  e  principi,  e  poi  assurgono  al  rango  di  dei  degni  d'onore  ...  Io  vengo  nelle  vostre  città  quale  un  dio  eterno,  non  certo  mortale,  coperto  d'ogni  onore. Agrigento  non  si  ponesse  il  problema  della  logica  e del  metodo.  Il  metodo  che  egli  in  effetti  usa  va  era  essenzialmente  analogico:  acute  inferenze  dall'osservazione  quotidiana,  sia  biologica  (il  palpito  del  cuore,  lo  sviluppo  dell'uovo,  il  meccani- smo  della  respirazione),  sia  fisica  1  (la  riflessione,  l'evaporazione,  il ciclo  stagiona- le),  sia  tecnica  (il  travaso  dei  liquidi,  la  manifattura  dei  vasi,  la  miscelazione  dei  colori),  gli  offrivano  lo  spunto  per  audaci  generalizzazioni  cosmiche.  Tuttavia  ai  suoi  occhi  queste  estensioni  non  avevano  nulla  di  arbitrario,  basate  com'erano  sulla  certezza  di  una  fondamentale  unità  e  significatività  di  tutte  le  manifestazioni  della  natura  (una  certezza,  come  abbiamo  visto  all'inizio,  a  sua  volta  ricavata  dall'esperienza  immediata,  sia  sensoriale  sia  psichica).  Allo  stesso  modo,  l'espres- sione  linguistica  di  Empedocle  non  poteva  che  tentare  di  riprodurre,  grazie  ad  una  poesia  potentemente  sintetica  e visualizzante,  la vita  del  mondo  nella  sua  ricchezza;  anche  qui,  l'immagine  poetica  (la  trasvalutazione  delle  radici  in  divinità  o  in  «membra»  del  mondo,  l'affiorare  ovunque  dello  psichico,  del  vivente,  dell'orga- nico)  riposava  sulla  profonda  verità  che  per  questa  via  si  tentava  di  rivelare.  Tale  dunque  la  risposta  empedoclea  al  nodo  di  problemi  che  si  sono  esposti  in  sede  introduttiva:  una  delle  più  grandiose  sintesi  mai  elaborate  dal  pensiero  greco  ed  anche  una  delle  più  affascinanti  ipotesi  scientifiche.  Il  rischio  che  Empe- docle  si  assumeva  era  d'altro  canto  totale  quanto  il  suo  sistema:  o  quest'ultimo  si  rivelava  davvero  capace  di  spiegare  l'intero  universo,  o  sarebbe  crollato  tutto  quanto,  perché  l'agrigentino  non  offriva  - né,  date  le  sue  premesse,  avrebbe  potuto  farlo  - alcuna  regola  di  pensiero  e  di  metodo  esterna  al  sistema  ed  atta  a  modificarlo,  a  criticarlo,  a  renderlo  più  comprensivo.  La  potenza  del  genio  di  Empedocle,  in  tutta  la  sua  ambiguità,  si  esercitò  sul  pensiero  greco  ed  oltre;  e  «  dinanzi  a  lui,  »  ha  osservato  il  Bignone,  «  le  prospettive  del  mondo  greco  si  scompongono  stranamente:  è  già  un  antico  rispetto  a  Tucidide,  che  è  di  pochi  lu- stri  più  giovane  di  lui;  e  sarà,  dopo  più  secoli,  quasi  un  contemporaneo  rispetto  a  Platino  e  Porfirio  ».  Subito  rifiutato  dal  miglior  pensiero  filosofico-scientifico  del  v  secolo,  da  Anassagora  ad  Ippocrate,  che  vedeva  nel  dogmatismo  dell'esperienza,  nel  vitali- smo  mistico,  nel  rifiuto  di  ogni  strumento  razionale  di  tipo  logico-metodologico  il  più  mortale  pericolo  per  un  libero  progresso  della  ricerca,  il sistema  di  Empedo- cle  apparve  tuttavia  a  lungo  come  l'unico  che  potesse  garantire  una  sicura  base  speculativa  alle  scienze  nascenti,  dalla  biologia  alla  fisica,  l'unico  che  ne  assicurasse  l'universalità.  Così  all'inizio  del  rv secolo  la  dottrina  dei  quattro  elementi,  la  con- cezione  organicistica  dell'universo  (che  presto  significò  anche  visione  finalistica),  il  prevalere  della  qualità  sulla  quantità,  finirono  per  trionfare  della  scienza  ionica  e  passarono  in  gran  parte  al  platonismo  del  Timeo,  all'aristotelismo,  alla  medicina  I  Il  sole  è  il  luogo  dove  l'emisfero  terrestre,  che  agisce  come  una  lente,  riflette  e  concentra  il  fuoco  emesso  dall'emisfero  etereo;  il  mare  è  il  «sudore»  della  terra:  sotto  l'azione  del  calore;  la  terra  stessa  è  stata  disseccata  dal  calore  al  pari  di  un  vaso  d'argilla;  e  così  via. siciliana  di  Filistione.  Tramite  questi  canali,  e sia  pure  con  aggiustamenti  progres- sivi,  tali  vedute  percorsero  un  lunghissimo  cammino,  fino  ad  affacciarsi  al  rinasci- mento  e alle  soglie  dell'età  moderna.  Qui  tornarono  a  scontrarsi  con  il meccanici- smo  di  tipo  democriteo,  e  risultarono  questa  volta  soccombenti  senza  però  lasciar  del  tutto  il passo. IL  MONDO  DEL  NUMERO:  FILOLAO  DI  CROTONE  Poco  sappiamo  della  vita  di  Filolao:  nato  a  Crotone  attorno  alla  metà  del  v  secolo,  e ivi  formatosi  in  ambiente  pitagorico,  egli  si  trasferì  a  Te  be  dove  sul  finire  del  secolo  lo  troviamo  a  capo  di  una  fiorente  scuola  pitagorica,  in  rapporto  con  il  gruppo  socratico-platonico  ad  Atene.  Questa  presenza  di  Filolao  a  Tebe,  congiun- tamente  all'esilio  peloponnesiaco  di  Empedocle,  ci  rivela  un  rifluire  della  filosofia  italica  nella  madrepatria  greca,  localizzato  non  a caso  nelle  poleis  che  combattevano  Atene  nella  guerra  del  Peloponneso:  il  pensiero  ionico-attico  si  trovava  così  in  qualche  modo  circondato  non  meno  di  quanto  lo  fosse,  in  senso  politico-militare,  la  sua  metropoli.  Come  abbiamo  già  avvertito,  i  frammenti  di  Filolao  sono  stati  a  lungo  con- testati  per  vari  motivi  filologici,  alla  cui  base  stava  tuttavia  la  constatazione  che essi  anticipavano  un  importante  aspetto  del  platonismo,  e  dunque  la  preoccu- pazione  che  questo  potesse  risultarne  sminuito  nella  sua  originalità.  L'autenticità  dei  frammenti  è  stata  per  fortuna  rivendicata  dal  Mondolfo  e  dalla  Timpanaro- Cardini;  ed  è  chiaro,  secondo  una  più  corretta  visione  storiografica,  che  il  genio  di  Platone  risulta  tutt'altro  che  diminuito  dalla  consapevolezza  che  egli  seppe  fondere  in  una  sintesi  critica  gran  parte  dei  risultati  del  pensiero  filosofico-scienti- fico  del  v  secolo,  pur  conferendo  ad  essi  la  propria  originalissima  impronta.  D'al- tra  parte,  già  questa  considerazione  impone  di dare  alla  figura  di  Filolao  il  posto  che  gli  compete  fra  i  protagonisti  della filosofia  preplatonica.  Il  problema  centrale  di  Filolao  è  analogo  a  quello  di  Empedocle,  ma  i  suoi  punti  di  riferimento  speculativi  sono  meglio  definiti,  e il  suo  approccio  alla  realtà  è  più  chiaramente  delimitato  dall'eredità  pitagorica  di  cui egli  si faceva  portatore.  Certo,  il  pitagorismo  originario  era  stato  travolto,  in  campo  matematico,  dalla  crisi  degli  irrazionali,  in  campo  fisico-filosofico,  dalla  critica  parmenidea  al  molte- plice  e dalla  sua  incapacità  a soddisfare  i  nuovi  requisiti  logico-metodici.  Vedremo  all'inizio  del  capitolo  xn  come  si  svolse,  attraverso  il  v  secolo  e  fino  ad  Archita,  il  processo  ricostruttivo  delle  matematiche  pitagoriche,  al  quale  Filolao  stesso  diede  un  importante  contributo.  Qui  ci  interessa  piuttosto  il  suo  sforzo  di  rico- .  struzione  del  pitagorismo  come  sistema  globale  del  mondo,  compiuto  innestando  sul  tronco  di  quella  tradizione  la  più  matura  consapevolezza  posteleatica.  Si  trattava  innanzitutto  di  salvare  entrambi  i  termini  della  diade  costitutiva  di  uno  e  molteplice,  di  limite  e  illimitato,  dove  il  primo  termine  assicurava  la verità  e  l'intelligibilità  del  secondo  ma  dove  il  secondo  garantiva  l'estensibilità  del  primo  al  mondo  del  reale,  la  sua  presa  sull'esperienza,  conferendogli  quindi  una  concretezza  e  una  funzionalità  sepza  le  quali  esso  sarebbe  stato  confinato  alla  sfera  delle  aspirazioni  etico-religiose.  Ma  non  bastava  più,  dopo  Parmenide,  con- trapporre  la  serie  dell'uno  e  del  limite  alla  serie  dei  molti  e  dell'illimitato;  giac- ché  su  quest'ultima  sarebbe  poi  gravata  la  dichiarazione  di  assurdità  e di  irrealtà,  che  avrebbe  vanificato  la  tensione  insita  nella  diade.  Il  problema  di  Filolao  era  dunque  quello  di  calare  il  principio  di  unificazione  e di  verità  profondamente  all'interno  della  struttura  molteplice  dell'esperienza,  in  modo  da  garantirne  con  ciò  stesso  la  realtà;  era  di  trasformare  i  termini  della  diade  in  modalità  e  struttura  intima  di  un  unico  mondo,  di  cui  essi  potessero  dar  conto  nella  sua  to- talità.  La  chiave  più  ovvia  per  la  soluzione  del  problema  era,  agli  occhi  di  Filolao,  quella  offerta  dal  numero.  Generato  dall'  «uno»,  e governato  da  leggi  che  sempre  all'  «uno»  potevano  riportarsi  senza  contraddizione,  il  numero  era  tuttavia  atto  a  fungere  da  limite  al  molteplice  perché  ne  rifletteva  in  sé  la  struttura;  ma  la  riflet- teva  in  modo  tale  da  renderla  omogenea  all'«  uno»  e alla  sua  legge.  Si  consideri  ad  esempio  la  decade  (il  numero  dieci):  secondo  l'analisi  di  Filolao,  essa  comprende  in  sé  tutti  i possibili  rapporti  aritmo-geometriciche  si originano  a partire  dall'unità  ed  è  perciò  stesso  atta  a comprendere  e  ad  organizzare  il  molteplice.!  Ma  Filolao  non  poteva  più  arrestarsi  alla  generica  veduta  pitagorica  del  nu- mero  come  natura  delle  cose.  Occorreva  che  fosse  davvero  possibile,  leggendo  il  libro  della  natura,  scoprirne  i  caratteri  aritmo-geometrici;  da  un  punto  di  vista  complementare,  occorreva  dare  una  più  precisa  dimensione  spaziale  al  numero  e  concretarla  di  una  sussistenza  corporea.  Perciò,  partendo  dall'assioma  aritmo-geo- metrico  secondo  cui  l 'unità  rappresenta  il  punto,  il due  la linea,  il tre  la  superficie,  il  quattro  il  solido,  Filolao  diede  un  impulso  originale  e deciso  alla  geometria  so- lida,  giungendo  a costruire  un  certo  numero  di  figure  semplici  che  si potevano  age- volmente  riportare  alle  modalità fondamentali  dei  numeri.  Queste  figure  si  assicu- ravano  una  prima  realizzazione  grazie  alla  loro  applicabilità  ai movimenti  e alla  con- figurazione  degli  astri,  e, tramite  l'astrologia  pitagorica,  allo  stesso  assetto  del  divino.  x  Più  efficaci  di  ogni  spiegazione  critica  sono  le  parole  di  Filolao  sulla  decade:  «L'essenza  e  le  opere  del  numero  devono  essere  giudicate  in  rap- porto  alla  potenza  insita  nella  decade;  grande  è  in- fatti  la  potenza  (del  numero)  e  tutto  opera  e  com- pie,  principio  e  guida  della  vita  divina  e  celeste  e  di  quella  umana,  in  quanto  partecipa  della  po- tenza  della  decade;  senza  questa,  tutto  sarebbe  in- terminato,  incerto  ed  oscuro.  Conoscitiva  è  la  na- tura  del  numero,  e direttrice  e maestra  per  ognuno,  in  ogni  cosa  che  gli  sia  dubbia  o  sconosciuta.  Per- ciò  nessuna  delle  cose  sarebbe  chiara  ad  alcuno,  né  per  se  stessa,  né  in  rapporto  alle  altre,  se  non  ci  fosse  il  numero  e  la  sua  essenza.  Ora  questo,  74  armonizzando  tutte  le  cose  con  la  sensazione  nel- l'interno  dell'anima,  le  rende  conoscibili  e  tra  loro  commensurabili  secondo  la  natura  dello  gnomone,  in  quanto  compone  o  scompone  i  singoli  termini  delle  cose,  così  delle  interminate  come  delle  ter- minanti.  Né  solo  nei  fatti  demonici  e  divini  tu  puoi  vedere  la  natura  del  numero  e la  sua  potenza  dominatrice,  ma  anche  in  tutte,  e sempre,  le  opere  e  parole  umane,  sia  che  riguardino  le  attività  tecniche  in  generale,  sia  propriamente  la  musica»  (trad.  Timpanaro-Cardini).  Da  varie  testimo- nianze  risultano  le  ingegnose  deduzioni  di  natura  sia  aritmetica  e  geometrica,  sia  fisica,  dalle  quali  Filolao  traeva  conferma  al  dominio  della  decade. A  questo  punto  tuttavia  Filolao  avvertiva  l'esigenza  di  una  semplificazione  del  mondo  fisico  che  era  assente  nella  tradizione  pitagorica,  e  riconosceva  nel  si- stema  empedocleo  il  più  potente  strumento  in  questo  senso.  È  propriamente  nel- l'assunzione  che  ne  fece  Filolao  che  le  radici  di  Empedocle  si  trasformarono  in  «elementi»,  avulsi  ormai  dalla  vita  del  cosmo  ed  inseriti  su  di  una  più  fredda  strut- tura  numerico-geometrica.  Nei  quattro  elementi,  infatti,  e  nello  «  sfero  »  che  li  riassumeva,  Filolao  vide  il  veicolo  ideale  per  la  conquista  del  mondo  fisico  da  parte  dei  suoi  solidi  geometrici.  Per  via  analogica, il  cubo  trovò  il  suo  equivalente  nella  terra;  il  tetraedro  nel  fuoco;  l'ottaedro  nell'aria;  l'icosaedro  nell'acqua;  il  dodecaedro,  infine,  nello  «  sfero  ».  Da  un  altro  punto  di  vista,  ciò  equivale  a  dire  che  gli  elementi  trovarono  il  proprio  limite,  la  propria  forma,  la  propria  armonia,  infine  la  propria  razionalità  nelle  rispettive  figure.  I  molteplici  oggetti  dell'espe- rienza  e  le  loro  mutazioni  si  presentavano  ormai  come  aggregati  degli  elementi  e  dunque  come  composizione  di  forme  geometriche  semplici;  ma,  imbrigliati  dal  limite,  armonizzati  dalla  figura,  il  loro  variare  nulla  più  aveva  di  misterioso  o  di  irrazionale,  sempre  riconducibile  com'era,  sia  pure  per  vie  complesse  e  non  tutte  esplorate,  alla  legge  del  numero.  Filolao  giungeva  dunque  a  modificare  così  l 'assioma  pitagorico  che  i  numeri  sono  le  cose:  «  Tutte  le cose  hanno  un  numero;  senza  questo,  nulla  sarebbe  possibile  pensare,  né  conoscere.  »  Le  cose  hanno  un  numero  perché,  come  in  un  universo  cristallografico,  hanno  una  figura-forma  che  le  delimita  e  che  è  riconducibile  a  rapporti  numerici;  1  e  perché  sono  inserite  in  un'armonia  cosmica  che  ne  ritma  il  divenire  e  che  è  anch'essa  riconducibile  al  rapporto  (logos)  numerico.  Nel  frammento  che  abbiamo  ora  citato  Filolao  compie  un'altra  fondamentale  deduzione:  poiché  la  nostra  conoscenza,  se  vuol  essere  ve- ra,  non  può  che  muoversi  dall'«  uno»  e seguirne  la legge,  poiché  il  nostro  pensiero  non  può  che  essere  -e  di  fatto,  nella  tradizione  pitagorica,  è  -logos  mathematikòs,  ecco  che  il  numero  instaura  la  sua  suprema  armonia  fra  pensiero  e realtà,  fra  uomo  e  mondo;  ecco  che  il  linguaggio  dell'uomo  è  identico  al  linguaggio  di  fysis,  e basterà  affinarlo  nel  medesimo  senso  per  decifrare  fysis  tutta  intiera.  Così  egli  ristrutturava  il  pitagorismo  in  modo  da  adeguarlo  alle  esigenze  posteleatiche  e  insieme  ne  allargava  l'orizzonte  fino  a  includervi  le  necessità  di  spiegazione  naturalistica.  Più  rigoroso,  sebbene  meno  ricco  di  quello  empedo- cleo,  il  suo  sistema  si  prestava  a  brillanti  deduzioni  cosmologiche,  ma,  posto  a  confronto  con  i  problemi  del  significato  e  della  vita,  era  spesso  costretto  a  sce- I  È  interessante  a  questo  proposito  la  fi- gura  di  Eurito,  un  pitagorico  del  v  secolo  spesso  associato  a  Filolao.  Eurito  era  famoso  fra  i  suoi  contemporanei  perché,  assegnato  a  qualsiasi  og- getto  reale  un  determinato  numero  (non  sappiamo  come  lo  ottenesse),  egli  dimostrava  in  un  modo  caratteristico  la  necessità  naturale  del  rapporto  fra  l'uno  e  l'altro:  si  provvedeva  di  un  pari  numero  di  sassolini,  tracciava  la figura  dell'oggetto  in  que- stione  e  incastr11va  lungo  il  suo  perimetro  tali  75  sassolini  (il  numero  atto  a  definire  la  figura  del- l'uomo  era  per  esempio  250).  Variando  le  dimen- sioni  dell'oggetto,  il  numero  di  sassolini,  che  ne  esprimevano  i  rapporti  essenziali,  non  cambiava.  In  tal  modo  Eurito  voleva  stabilire  visivamente  la  relazione,  tipica  anche  del  pensiero  di  Filolao,  tra  numero  e  forma  limitante  gli  enti  reali:  il  nu- mero,  tradotto  in  forma,  era  quindi  il principio  di  individuazione  e  anche  di  intelligibilità  della  na·  tura. gliere  la  via  del  superamento  mistico  alla  maniera  del  primo  pitagorismo;  oscil- lazione  riconoscibile  lungo  tutto  l'arco  della  riflessione  naturalistica  di  Filolao.  L'«  uno»,  ipostatizzato  fisicamente  nel  «fuoco»,  sta  al  centro  del  cosmo;  dal  suo  rapporto  con  l 'infinito  circostante- un  rapporto  paragona  bile  al processo  del- la inspirazione  ed  espirazione  - si è  generato  tutto  quanto  il cosmo,  che,  come  ab- biamo  visto,  consta  di  una  sintesi  inscindibile  di  «  uno  »  e  molti,  di  limitante  e illi- mitato.  Rinnovando  la  meccanica  celeste  della  tradizione  pitagorica,  spinto  a  un  tempo  dall'esigenza  astronomica  di  spiegare  le  eclissi  e  da  quella  mistica  di  asse- gnare  all'«  uno-fuoco»  il  posto  centrale  dell'universo,  Filolao  fece  audacemente  della  Terra  un  pianeta  eccentrico  e  mobile  come  gli  altri,  anticipando  così  di  se- coli  la  veduta  di  Aristarco.  La  medesima  ambiguità  si  riscontra  nell'ipotesi  di  un  decimo  pianeta,  l'  Antiterra,  in  aggiunta  ai  nove  conosciuti:  si  trattava,  da  un  lato,  di  costruire  un  modello  di  meccanica  celeste  atto  a  spiegare  fenomeni  quali  la  maggior  frequenza,  in  uno  stesso  luogo,  delle  eclissi  di  luna  rispetto  a  quelle  di  sole;  e,  dall'altro,  di  trovare  un  'ulteriore  conferma  al  valore  universale  della  decade.  Analogamente  ad  Empedocle,  Filolao  riteneva  poi  il  sole  percepito  dai  nostri  sensi  un  semplice  riflesso  focalizzato  del  «fuoco  »  centrale.  Filolao  fu  anche  attento  cultore  di  biologia  e di  medicina:  operando  nel  solco  della  tradizione  alcmeonica,  egli  accoglieva  da  un  lato  alcune  posizioni  del  sistema  vitalistico  di  Empedocle,  dall'altro,  grazie  proprio  a  quella  tradizione,  appariva  più  vicino  all'empirismo  esprimentesi  nella  medicina  cnidia;  né  poteva  riuscirgli  agevole  la  trasposizione  dei  punti  di  vista  aritmo-geometrici  al  campo  della  vita.  Proprio  per  questa  complessità  di  approccio,  appaiono  nel  filosofo  di  Crotone  germi  interessanti  di  teoria  medica;  essi  passeranno  in  Platone  e  in  alcune  opere  del  Corpus  hippocraticum,  e  per  un  altro  verso  nella  scuola  siciliana  di  medicina,  ma  non  troveranno  una  diretta  continuazione  per  il  progressivo  abbandono,  da  parte  del  successivo  pitagorismo,  delle  ricerche  più  propriamente  naturalistiche.  Un  primo  movimento  analogico  permette  a Filolao  di  ravvisare  nel  ritmo  della  vita  organica  una  stretta  affinità  cosmogonica.  Principio  costitutivo  della  vita  è  lo  sperma,  il  calore  originario;  principio  del  corpo  è  dunque  il calore,  così  come  il  «fuoco»  lo  era  del  cosmo.  D'altra  parte  la  respirazione  introduce  nel  corpo  l'ele- mento  freddo  necessario  ad  equilibrare  tale  calore,  proprio  come  l'inalazione  del- l'illimitato  circostante  da  parte  dell'«  uno»  originava  l'universo.  Gli  stessi  organi  principali  del  corpo  sono  racchiusi  in  uno  schema  quaternario  analogo  a  quello  degli  elementi,  ed  essi  sono  visti  come  rispettivamente  egemonici  nelle  varie  classi  di  viventi.  Il  cervello,  cui  corrisponde  il  pensiero,  è  così  egemonico  nel- l'uomo  (qui  è  chiara  l'eredità  alcmeonica);  il  cuore,  cui  corrisponde  il  principio  della  vita  sensibile,  è  egemonico  negli  animali  (prevalendo  qui  l'ispirazione  empe- doclea);  l'ombelico,  che  presiede  alla  crescita  dell'embrione  e alla  vita  vegetati  va,  contrassegna  la  classe  delle  piante;  i  genitali,  infine,  da  cui  proviene  il seme  fecon- dante,  individuano  tutti  i  viventi  in  quanto  tali.  In  senso  più  propriamente  medicFilolao  costruì  un'eziologia  in  cui  i  maggiori  agenti  patogeni,  di  derivazione  cni- dia,  erano  la  bile  (vista  come  siero  delle  carni),  il  sangue  e il  flegma  o  catarro  che  si  originava  dalle  urine  ed  era  comunque  il  prodotto  di  una  infiammazione.  I  fattori  scatenanti  i processi  morbosi  erano  poi  ravvisati,  alla  stregua  della  dottrina  alcmeonica,  nell'eccesso  o  nella  scarsità  di  alimenti,  di  esercizio  fisico,  dei  fattori  ambientali  necessari  alla  vita  dell'uomo.  La  teoria  dell'anima  era  in  Filolao  strettamente  connessa  alla  concezione  del- l'organismo:  l'anima  rappresentava  infatti  da  un  lato  il  respiro  vitale,  il  principio  di  refrigerazione  che  temperava  il  calore  corporeo  e  dava  luogo  alla  vita;  dall'al- tro  essa  era  l'armonia  che  scaturiva  dalla  tensione  degli  opposti  elementi  fisici  - come  dalle  corde  di  uno  strumento  musicale -    e  li  teneva  connessi  nel  miracoloso  equilibrio  della  vita.  L'anima  era  dunque  la  presenza  dell'armonia  universale  nel  corpo  vivente,  e  d'altro  canto  l'espressione  intrinseca  dei  diversi  fattori  che  si  componevano  armonicamente  a  dar  luogo  alla  vita  stessa.  Così  strettamente  legata  all'equilibrio  transeunte  della  vita  organica,  l'anima  individuale  non  poteva  sopravvivere  al  dissolversi  nella  morte  degli  elementi  corporei  che  essa  armo- nizzava;  ancora  una  volta,  per  giustificarne  l'immortalità  secondo  il  dettame  pitagorico,  Filolao  era  costretto  ad  un  trascendimento  religioso  della  propria  dottrina.  Al  contrario  di  Empedocle,  Filolao  veniva  così  offrendo  al  pensiero  sia  filo- sofico  sia  tecnico-scientifico  uno  strumento  d'indagine  dotato  di  una  enorme  po- tenzialità:  quello  cioè  dell'analisi  formale  e  modale  della  realtà,  e  della  sua  tradu- zione  nei  termini  della  logica  aritmo-geometrica.  In  questo  senso,  era  fondamentale  il  suo  apporto  allo  sviluppo  della  matema- tica,  che  poteva  ormai  procedere  sulla  via  della  specializzazione  arricchita  della  certezza  che  qualsiasi  sua  scoperta  avrebbe  comportato  oggettivamente  una  più  vasta  e  profonda  comprensione  della  realtà,  avrebbe  comunque  rivestito  un  signi- ficato  universale.  E  parimenti  fondamentale  - anche  se  destinato  ad  un  meno  im- mediato  successo  - era  il suo  contributo  alla  fisica,  che  per  la  via  della  matematiz- zazione  era  avviata  ad  una  intelligibilità,  ad  un  rigore  nuovi;  un  rigore  persino  superiore  a  quello  della  fisica  atomistica,  che,  come  ha  osservato  il  Rey,  avrebbe  dovuto  basarsi  sulla  meccanica,  una  disciplina  molto  meno  progredita  nel  pensie- ro  greco  di  quanto  non  lo  fosse  l'aritmo-geometria  pitagorica.  Se  in  epoca  moderna  matematizzazione  e concezione  atomica  della  fisica  erano  destinate  a riunirsi,  dando  luogo  al  «  sistema  del  mondo  »  proprio  della  scienza  a  partire  dal  Seicento,  nel  mondo  greco  pitagorismo  ed  atomismo  restarono  però  a  lungo  contrapposti.  Ciò  è  dovuto  anche  all'ambiguità  che  abbiamo  visto  sottendersi  a  tutta  la  speculazione  di  Filolao.  Il  logos  mathematikòs  non  era  soltanto,  e  non  tanto,  un  metodo  del  pensiero  quanto  la  struttura  essenziale,  garantita,  dell'universo;  il  numero  non  era  tanto  uno  strumento  euristico  dell'uomo  quanto  una  realtà  originaria,  primale,  che garantiva  la  validità  della  scienza,  ma  soprattutto  la  condizionava  al  riconoscimento  di  sé,  principio  dogmatico  del  conoscibile  prima  che  del  conoscere.  Già  per  la  matematica,  questa  natura  del  numero  creava  una  situa- zione  di  privilegio  necessariamente  ambigua:  giacché  essa  veniva  trasvalutata  in  una  sorta  di  teologia  razionale,  secondo  un  processo  che  sarà  comune  a  Platone  vecchio  e  a  tutto  il  successivo  pitagorismo,  sempre  più  alieno  dalla  ricerca  empi- rica,  sempre  più  portato  a  rifiutare  il  contatto  così  fecondo  tra  la  matematica  stessa  e  le  discipline  tecniche  e  naturalistiche.  Nel  senso  di  Filolao,  assolutizza- zione  delle  matematiche  voleva  dire  dunque  anche  loro  isterilimento  sul  piano  scientifico-tecnico,  e  contemporaneamente  condanna  ad  uno  status  non  scientifi- co  delle  technai  di  controllo  della  natura,  dalla  meccanica  alla  biologia.  L'accen- tuarsi  della  natura  mistica  del  numero  - che  all'origine  aveva anche  significato  l~  preoccupazione  di  una  saldatura  tra  uomo  e  mondo,  tra  conoscenza  e  realtà  - avrebbe  scavato  un  solco  sempre  più  profondo  tra  il pitagorismo  e le  tendenze  più  vive  del  pensiero,  conducendo  da  ultimo  alla  fusione  tra  un  pitagorismo  teologiz- zante  ed  un  parimenti  infiacchito  platonismo.  Filolao,  con  tutta  la  sua  ricchezza  di  interessi  metodici  .e  scientifici,  era  certamente  lontanissimo  da  tali  esiti.  Ma  la  sua  impossibilità  di  liberarsi  da  talune  ambiguità  di  fondo  lo  poneva  già,  nono- stante  tutto,  su  questa  via.Gorgia  nacque  a  Lentini,  in  Sicilia,  intorno  al  480.  La  tradizione  ci  rac- contà  che  sarebbe  vissuto  fino  a  108  anni,  e  sarebbe  stato  discepolo  vuoi  dei  pi- tagorici  vuoi  di  Empedocle.  Senza  dubbio  riuscì  a  conquistarsi  la  stima  dei  suoi  concittadini,  tanto  è  vero  che  fu  da  essi  inviato  come  ambasciatore  ad  Atene  per  chiedere  aiuto  contro  Siracusa.  Viaggiò  per  tutta  la  Grecia,  facendo  ovunque  sfoggio  della  sua  sottilissima  arte  dialettica  che  era  basata  su  una  tecnica  analoga  a quella  di  Zenone.  Scrisse  varie  opere,  fra  le  quali  ci limitiamo  a ricordare  l'Elena  e  il  trattatello  Intorno  al  non  ente  o intorno  alla  natura  (Perì  tou  me  ontos  é perì  Jjseos).  Nella  prima  viene  svolta,  con  molta  abilità,  la  paradossale  difesa  della  celebre  eroina,  scagionata  da  ogni  colpa  per  l'abbandono  della  casa  del  marito,  e  viene  intessuto  l'elogio  dell'onnipotenza  della  parola,  specie  quando  essa  è  guidata  dalla  retorica:  «  La  parola  è  un  gran  dominatore,  che  con  piccolissimo  corpo  e  invisi- bilissimo,  divinissime  cose  sa  compiere;  riesce  infatti  a  calmar  la  paura,  e  a  eli- minare  il  dolore,  e  a  suscitare  la  gioia,  e  ad  aumentare  la  pietà.»  Nell'altra  opera  Gorgia  espone,  una  triplice  tesi:  a)  nulla  è;  b)  se  anche  qualcosa  fosse,  non  sa- rebbe  conoscibile;  c)  se  poi  fosse  conoscibile,  non  sarebbe  esprimibile,  «poiché  il  mezzo  con  cui  ci  esprimiamo,  è  la  parola;  e  la  parola  non  è  l'oggetto,  ciò  che  è  realmente;  non  dunque  realtà  esistente  noi  esprimiamo  al  nostro  vicino,  ma  solo  parola  che  è  altro  dall'oggetto».  La  critica  della  vecchia  filosofi di  Parmenide  è  qui  evidente;  essa  si  fonda  sull'equivocità  del  termine  «  essere»  usato  ora  nel  senso  di  « esistere»  ora  in- vece  nel  senso  puramente  copulativo.  Ma  più  ancora  di  questa  critica  è  impor- tante  la  chiarezza  con  cui  si  pongono  i  problemi  della  conoscibilità  e  dell'espri- mibilità  (cioè  i  problemi  se  tutto  ciò  che  esiste  possa,  per  il  solo  fatto  di  esistere,  venire  conosciuto  e  venire  espresso).  Abbiamo  parlato,  a  proposito  sia  di  Protagora  sia  di  Gorgia,  di  critica  al- l'eleatismo.  Tale  critica  investì  certamente  il  tentativo  dell'eleatismo  di  stringere  in  una  rigida  unità  l'ordine  del  pensiero  e  del  linguaggio  con  quello  della  realtà  percepita  e  vissuta,  e  vi  contrappose  la  relativa  autonomia  di  questi  due  momenti.  Ciò  premesso,  la  critica  moderna  tende  tuttavia  a  non  sottovalutarei  legami  che  connessero  i  maggiori  sofisti  all'eleatismo,  e  non  solo  nel  senso  che  la  situazione  di  crisi  creata  da  quest'ultimo  rappresentò  il  loro  punto  di  partenza.  Nell'ordine  logico,  i  sofisti  accettarono  infatti  i  requisiti  di  verità  imposti  dall'eleatismo,  quali  l'identità  tautologica  (di  cui  la  orthoépeia  protagorea  sarebbe  una  versione  raffinata)  e  la  pregnanza  di  significati  esistenziali  e  copulativi  del  verbo  «essere».  La  rivendicata  autonomia  dell'esperienza  vissuta  si  tradurrebbe  pertanto  in  una  sizioni  professionali  variano  da  individuo  ad  in- dividuo,  sicché  ognuno,  possedendone  alcune,  è  privo  delle  altre,  la  capacità  di  contribuire  a  con- 93  servare  e  perfezionare  l'organismo  sociale  deve  essere  considerata  presente  in  tutti  gli  individui  normali. rinuncia  a  controllarla  con  strumenti  logici,  e  in  un  suo  abbandono  alla  psico- logia  dell'individuo  a  sua  volta  stratificato  nella  convenzione  sociale.  Questo  atteggiamento  si  tradusse,  da  un  lato,  in  una  certa  incapacità  della  sofistica  di  comprendere  l'originale  rapporto  di  logica  ed  esperienza  che  si  veniva  realiz- zando  nella  scienza  contemporanea  (di  qui  la  polemica  di  Protagora  e  di  Gorgia  contro  la  geometria,  la  fisica  e,  indirettamente,  contro  la  medicina);  dall'altro,  nella  tendenza  a  considerare  il  momento  irrazionale  del  profitto  e della  forza  come  primario  nell'ordine  sociale,  trascurandone  le esigenze  etico-storiche.  Questo  non  toglie  nulla  alla  fecondità  dell'atteggiamento  critico  della  sofistica,  ma  certamente  sottolinea  la  vastità  del  compito  di  ricostruzione  scientifica,  filosofica  e  storico- sociale  che  spetterà  al  pensiero  greco  dopo  il  fallimento  eleatico,  l'esaurimento  della  filosofia  della  natura  e  la  critica  sofistica.  Non  sappiamo  se  a  Crotone,  quando  vi  approdò  Callifonte,  l'asclepiade  di  Cnido,  cui  abbiamo  fatto  cenno  nel  secondo  paragrafo,  già  esistesse  una  scuola  di  medicina  o  se  la  sua  fondazione  si  debba  a questo  scienziato  venuto  dall'Orien- te.  È  certo,  tuttavia,  che  la  scuola  conobbe  una  rapidissima  fioritura.  Già  il  figlio  di  Callifonte,  Democede,  si  guadagnò  la fama  di  miglior  chirurgo  del  mondo  greco,  e,  fatto  ritorno  alla  nativa  costa  ionica,  impose  alla  corte  del  re  di  Persia  la  supremazia  della  nuova  scuola  ellenica  su  quella  tradizionale  d  'Egitto.  Toccò  al  crotoniate  Alcmeone,  nato  verso  il  540,  di  portare  la  scuola  al  suo  massimo  livello  scientifico.  E  soprattutto  toccò  ad  Alcmeqne  -che  il  Wellmann  ha  definito  a  buon  diritto  pater  medicinae  grecae  - di  rinnovare  profondamente  il  pensiero  scientifico  ellenico,  condizionandone  lo  svolgimento  lungo  tutto  il  v  secolo.  A  contatto  attraverso  la  sua  scuola  con  le  esperienze  maturate  dalla  historle  ionica  nel  VI  secolo,  egli  entrò  d'altro  canto  in  relazione  con  le  filosofie  i tali  che  che  sullo  scorcio  di  quel  secolo  si  sviluppavano  rapidamente:  il  pensiero  di  Senofane  da  un  lato,  il  pitagorismo  dall'altro.  Dalla  critica  senofanea  al  sapere  umano,  Alcmeone  derivò  la  consapevolezza,  via via  affinatasi,  che  l'osservazione  empirica  non  può  immediatamente  offrire  la  chiave  della  conoscenza,  che  la  verità  non  si  rivela  tutt'intera  a  chi  si  limiti  a  descrivere  la  natura.  Con  il  pitagorismo,  Alcmeone  mantenne  rapporti  su  di  una  base  di  autonomia,  da  scuola  a  scuola;  insofferente  del  carattere  settario,  dogmatico,  della  dottrina  e  della  prassi  pitago- rica,  egli  rivolse  contro  di  esse  la  sua  critica  teorica  e  la  sua  azione politica  demo- cratica.  Fu  tuttavia  profondamente  interessato  non  solo  dai  progressi  che  i  pi- tagorici facevano  compiere  alle.  scienze  naturali,  ma  soprattutto  dal  loro  tentativo  di  scoprire  leggi  dell'esperienza  che  fungessero  da  principio  di  organizzazione  e  di  interpretazione  dei  fenomeni  osservati.  Ecco  dunque  che  sul  tronco  dell'empirismo  ionico,  cui  per  altro  restava  solidamente  ancorato,  Alcmeone  veniva  innestando  una  problematica  e  una  consapevolezza  nuove,  la  cui  carenza  aveva  sempre  frenato,  come  s'è  visto,  i  progressi  di  quell'empirismo.  Proprio  con  la  dichiarazione  di  questa  acquisita  consapevolezza  si  apre  l'opera  di  Alcmeone:  «Delle  cose  invisibili,  delle  cose  mortali  gli  dei  hanno  immediata  certezza,  ma  agli  uomini  tocca  procedere  per  indizi  (tekmdiresthai).  »  Bastava  un  tale  punto  di  vista  gnoseologico  ad  infrangere  l'illusione  dell'immediata  trasparenza  dell'esperienza,  ad  aprire  la  via  ad  una  osservazione  critica  dei  fenomeni  e  ad  un  più  attivo  intervento  dello  scienziato  nella  loro  interpretazione.  Alcmeone  si  valeva  del  principio  così  scoperto  nel  vivo  della  propria  ricerca  scientifica,  e  d'altra  parte  era  la  ricerca  stessa,  divenuta  criticamente  più  vigile,  a  confermargliene  la  validità.  Nel  campo  dei  fenomeni  naturali  egli  non  vedeva  più  alcun  «  elemento  »alcuna  coppia  di  contrari,  alcuna  arché  che  di  per  sé  valessero  a  spiegare  la  natura  e  la  vita.  Da  biologo,  egli  riconosceva  piuttosto  nell'empirico  una  indefinita  molteplicità  di  principi  attivi  o  «  qualità  »,  vale  a  dire  di  stimoli  capaci  di  de- terminare  nell'organismo  una  certa  reazione  fisiologica  (l'amaro,  il  freddo  e  così  via);  di  conseguenza,  non  v'era  continuità  fra  organismo  senziente  e  il  suo  ambiente,  ma  il  rapporto  fra  l'uno  e  l'altro  era  quello  di  stimolo  e  reazione  (questo  è  il  significato  della  «  sensazione  per  contrari  »  attribuita  ad  Alcmeone,  in  contrasto  con  la  «sensazione per simili»  che,  come  s'è  visto,  fu  tipica  di  Empedocle).  Parallelamente,  Alcmeone  scopriva,  grazie  alla  pratica  coraggiosa- mente  scientifica  della  dissezione,  che  la  funzione  del  percepire  è  nell'uomo  bensì  diffusa  nei  vari  organi  di  senso,  ma  che  essa  viene  poi  coordinata  da  un  organo  centrale,  e  precisamente  dal  cervello.  Con  questa  scoperta  Alcmeone  non  solo  compiva  un  progresso  di  fondamentale  importanza  per  tutta  la  biologia  greca,  ma  trovava  altresì  una  decisiva  conferma  al  proprio  punto  di  vista  gno- seologico:  la  funzione  del  cervello  spezzava  di  fatto  il  legame  immediato  fra  uo- mo  e  mondo,  fra  conoscenza  e  realtà.  Ed  Alcmeone  rendeva  esplicita  questa  con- seguenza  dichiarando  che,  se  la  «sensibilità»  è  una  proprietà  di  tutti  gli  organi- smi  viventi,  la funzione  del  «  comprendere  »,  cioè  del  ridurre  a  sintesi  significa- tiva  l'esperienza,  e  del  «prender  coscienza»  della  sensibilità  stessa  è  propria  esclusivamente  dell'uomo.  Il  valore  di  queste  asserzioni  si  po.trà  intendere  appie- no  ove  si  ricordi  che  ancora  una  generazione  più  tardi la  dottrina  della  centralità  del  cuore  conduceva  Empedocle  a  conclusioni  estremamente  antitetiche.  In  ogni  modo,  profondo  era  il  solco  così  apertosi  fra  l'uomo  e  la  realtà  che  egli  vuol  comprendere  e  trasformare.  Il  mondo  dell'esperienza  riacquistava  la  sua  concretezza,  e  l'esperienza  stessa  veniva  riconosciuta  incapace  di  dare  spontaneamente  conto  di  sé.  Così,  lo  scienziato  riconquistava  un'autonomia  e una  possibilità  di  comprensione  e  di  controllo  sul  mondo,  scoprendo  un  punto  di  vista  ad  esso  eterogeneo.  Ma  Alcmeone  si  avvide  di  una  conseguenza  decisiva  di  questa  situazione:  la  realtà  si  faceva  a  un  tratto  opaca  agli  occhi  dello  scienziato;  la  sapienza,  intesa  come  perfetta  trasparenza  di  tutto  il  mondo  all'uomo,  restava  ormai  solo  una  proprietà  degli  dei.  In  termini  di  metodo  scientifico,  la  sapienza  doveva  allora  venir  sostituita  dall'indagine,  la  rivelazione  dalla  congettura,  l'os- servazione  e  le  analogie  che  essa  sembrava  offrire  dovevano  essere  integrate  dal  metodo  dell'indizio  e  della  prova.  Quando  Alcmeone  poneva  il  tekmdiresthai,  il  proceder  appunto  per  indizi,  congetture  e  prove,  come  metodo  tipico  della  conoscenza  umana,  egli  conferiva  una  consapevolezza  teorica  alla  prassi  della  me- dicina,  che  doveva  interpretare  l'esperienza  per  ritrovare  in  essa  un  significato,  un  valore  di  sintomo,  e  risalire  così  all'unità  della  malattia  e  delle  sue  cause:  una  consapevolezza  che,  come  s'è  visto,  fece  sempre  difetto  ai  cnidi.  Sulla  base  di  queste  prospettive  teoriche,  Alcmeone  poté  anche  offrire  alla  medicina  una  dottrina  fisio-patologica  e  un'eziologia  unitaria  cui  i  cnidi  non avevano  potuto  pervenire.  Le  infinite  «qualità»  (4Jnàmeis)  agenti  nell'organismo,  formano  nel  loro  stato  normale  un  composto  (krasis)  omogeneo  ed  armonico  (isonomia).  La  malattia  nasce  dalla  rottura  di  tale  equilibrio  e  dal  prevalere  patolo- gico  (monarchia)  di  uno  solo  di  questi  principi,  oltre  che  per  l'azione  di  una  mol- teplicità  di  fattori  ambientali.  È  importante  notare,  per  l'influenza  che  questa  veduta  ebbe  su  Ippocrate,  che  Alcmeone  lasciò  indefinito  il  numero  delle  4Jndmeis,  senza  irrigidirle  né  nello  schema  quaternario  degli  elementi  proprio  della  scuola  empedoclea,  né  in  quello  degli  «  umori  »  sviluppatosi  nella  tarda  scuola  di  Cos.  Queste  determinazioni  negative,  le  uniche  che  ci  restano  delle  4Jndmeis  alcmeoniche,  sono  tuttavia  importanti,  perché  gettano  il  seme  di  una  embrionale  chimica  fisiologica,  consapevole  della  molteplicità  degli  elementi  e  dei  composti  (come  ribadirà  anche  Anassagora)  e  attenta  soprattutto  alla  loro  sempre  variabile  funzionalità  nelle  sintesi  organiche.  D'altra  parte,  rompendo  anche  qui  con  tutta  la  tradizione  della_bsiologia,  Alcmeone  affermava  l'irreversi- bilità  dei  processi  biologici  e  dunque  l 'impossibilità  del  ciclo:  «  Gli  uomini  per  ciò  periscono,  che  non  possono  congiungere  il  principio  con  la  fine.  »  Troppo  innovatrici  erano  tuttavia  le  sue  intuizioni,  perché  Alcmeone  ne  potesse  trarre  tutte  le  conseguenze.  La  via  del  metodo  scientifico  era  stata  indicata,  ma  un  lungo  cammino  doveva  essere  ancora  percorso  perché  quel  metodo  potesse  essere  sviluppato  e  consolidato.  Il  problema  del  rapporto  fra  pensiero  e  realtà,  fra  teoria  ed  esperienza  era  stato  posto  senza  che  le  strutture  di  quel  rapporto  potessero  essere  compiutamente  analizzate  e  rese  esplicite.  Questa  mancanza  di  una  chiara  elaborazione  teorica  spiega  come  l'eredità  alcmeonica  si  sia  suddivisa  in  due  filoni  diversi  e  contrastanti.  Da  un  lato,  infatti,  essa  fu  riassorbita  dalla  fysiologia  italica  e  siciliana,  che  utilizzò  alcune  delle  sue  conquiste  scientifiche  contestandone  altre  e  soprattutto  annullandone  via  via  la  carica  innovatrice  dal  punto  di  vista  del  metodo.  Attraverso  Empedocle,  questo  filone  dell'eredità  alcmeonica  passò,  sul  finire  del  v  secolo,  alla  scuola  italica  di  medicina,  di  cui  diremo  più  ampiamente  al  capitolo  xr.  L'altro  filone  ci  interessa  qui  più  da  vicino:  tramite  l'autonoma  ricerca  medico-biologica,  esso  rifluì  nell'ambiente  scientifico  ionico-attico,  e  dunque  nel  suo  crogiuolo  ateniese,  destandovi  immediatamente  l'interesse  delle  più  vive  correnti  di  pensiero.  Ad  Anassagora  la  lezione  alcmeonica  apportava  la  veduta  dell'alterità  del  conoscere  rispetto  al  conosciuto,  dell'inesauribile  concretezza  del  mondo  empirico,  del  tekmdiresthai  come  metodo  della  conoscenza;  agli  scienziati  che  si  raccoglievano  intorno  al  filosofo,  ai  medici  come  lppocrate,  Alcmeone  insegnava  l'importanza  metodica  del  sintomo,  la  centralità  del  cervello,  le  basi  fisiologiche  della  patologia;  agli  uomini  di  cultura,  agli  storici  come  Tucidide,  egli  trasmetteva  analoghi  spunti  metodici,  e  ancora  il suo  rifiuto  della  ciclicità,  la  sua  concezio"ne  - così  suggestivamente  trasferibile  alle  vicende  umane- dell'armonia  come  salute,  della  monarchia  come  sua  rottura  patologica Seguendo  questo  secondo  filone  dell'eredità  alcmeonica,  occorrerà  quindi  tornare  nell'Atene  della  metà  del  v  secolo,  dove  si  venivano  intrecciando  i  nodi  di  tutto  il  pensiero  scientifico  greco  e  grazie  a  ciò  si  ponevano  le  premesse  per  le  sue  conquiste  più  alte.Nel  seguire  al  capitolo  vn  il  filone  alcmeonico  che  si  svolgeva  attraverso  Anassagora  e  culminava  in  Ippocrate,  accennammo  anche  al  permanere  di  una  scuola  medica  in  Magna  Grecia  e  in  Sicilia,  nella  quale  l'eredità  di  Alcmeone  doveva  però  esser  ben  presto  sopraffatta  dal  prepotente  influsso  della  fysiologia  di  Empedocle.  Quest'ultima  era  in  effetti  tale  da  condizionare  sia  nelle  premesse  sia  nei  metodi  la  ricerca  medico-biologica,  promuovendone  a  un  tempo  lo  svi- luppo  e  indirizzandolo  verso  esiti  estremamente  insidiosi.  La  concezione  del  inondo  come  un  organismo  vivente  pareva  infatti  assicurare  la  fondazione  più  universale  e  più  valida  alle  scienze  biologiche;  e  la  riduzione  del  mondo  stesso  a  quattro  elementi  primari,  o  archai,  sembrava  a  sua  volta  offrire  uno  strumento  decisivo  per  la  comprensione  della  struttura  del  corpo  e  delle  sue  affezioni.  La  metodica  da  porre  in  opera  era  pure  esemplificata  da  Empedocle:  si  trattava  di  battere  la  via  dell'analogia  tra  microcosmo  e  macrocosmo,  di  riportare  cioè  co- stantemente  i  fenomeni  organici  alla  struttura  di  fondo  del  corpo  e  la  struttura  del  corpo  a  quella  dell'universo,  ritrovando  in  quest'ultima  una  garanzia  di  ve- rità  e  una  premessa  per  ulteriori  spiegazioni.  Entro  tale  orizzonte  la  scuola  italica  si  sviluppò  lungo  la  seconda  metà  del  v  secolo,  finché  sullo  scorcio  di  quello  stesso  secolo  e  nei  primi  decenni  del  IV,  Filistione  di  Locri  la  condusse  al  suo  definitivo  assetto  dottrinale  e  metodico.  Importante  in  senso  dottrinale  l'elaborazione della  teoria  del  pneuma  o  «respiro»,  principio  vitale  che  animava  la  struttura  elementare  sia  del  corpo  sia  del  cosmo,  e  che  valeva  a  spiegare  molti  fenomeni  patologici  quando  la  sua  circolazione  or- ganica  risultasse  anomala.  Ma  soprattutto  importante,  dal  punto  di  vista  metodico,  era  la  traduzione  in  senso  biologico  degli  elementi  empedoclei,  che  certamente  Filistione  derivava  dalla  scuola  ma  cui  egli  conferì  una  forma  destinata  a  domi- nare  per  lunghi  secoli  il  pensiero  naturalistico.  Non  immemore  della  lettera  al- meno  dell'insegnamento  alcmeonico,  e  impegnato  più  direttamente  di  Empedo- cle  nell'osservazione  dei  fenomeni  organici,  Filistione  trasformò  gli  elementi  in  «  qualità  »  o  principi  organici  attivi  (c!Jndmeis):  così  la  terra  veniva  espressa  dalla  djnamis  «secco»,  l'acqua  dall'«  umido»,  il fuoco  dal«  caldo»,  l'aria  dal«  fred- do  »:  queste  c!Jndmeis  erano  secondo  Filistione  la  forma  specifica  con  la  quale  la  struttura  elementare  dell'universo  si  manifesta  nell'organismo  umano;  grazie  tuttavia  alloro  legame  univoco  con  gli  elementi,  esse  non  potevano  diventare,  come  in  Anassagora  ed  in  Ippocrate,  stati  relativi  e  mutevoli  degli  oggetti  em- pirici,  bensì  restavano  principi  stabili  e necessari  dell'empirico  stesso.  Il  processo  analogico  con  il  quale  Filistione  giungeva  alle  quattro  qualità  era  strettamente  affine  alla  deduzione  empedoclea  degli  elementi,  e  non  occorrerà  tornare  a  descri- verlo;  e la  sua  critica  più  pertinente,  dal  punto  di  vista  del  metodo  della  medicina  empirica,  fu  del  resto  anticipata  dallo  stesso  Ippocrate  in  Antica  medicina,  come  si  è  visto  al  capitolo  vn.  L'importanza  storica  della  rielaborazione  di  Filistione  e la ragione  del  suo  duraturo  successo  stanno  da  un  lato  nell'aver  offerto  alla  biolo- gia  uno  strumento  di  spiegazione  e  di  semplificazione  dei  fenomeni  pur  sempre  dogmatico  ma  tuttavia  assai  più  riconoscibile  nella  concretezza  dei  processi  or- ganici  di  quanto  lo  fossero  gli  elementi  empedoclei  (ad  esempio  il  «calore  vitale»  e  il  suo  eccesso  patologico  rappresentato  dalle  febbri  si  spiegano  meglio  con  le  vicende  della  qualità«  caldo»  che  con  la  materia  «fuoco»);  d'altro  lato,  toglien- do  dalla  fysiologia  empedoclea  quanto  vi  era  di  materialistico  e  in  fondo  di  mec- canicistico,  Filistione  ne  troncava  i  pur  possibili  legami  con  l'atomismo  e la  ren- deva  assai  meglio  accetta  al  prevalente  indirizzo  qualitativo  del  pensiero  platonico  e  soprattutto  aristotelico.  Un'altra  importante  evoluzione  egli  faceva  poi  subire  all'organicismo  del  filosofo  di  Agrigento.  Mentre  quest'ultimo  non  aveva  mai  compiuto  esplicita- mente  il  passo  che  portava  dalla  concezione  vitalistica  del  mondo  al  ricono.sci- mento  di  un  finalismo  in  esso  operante,  Filistione  trovava,  ad  esito  delle  sue  ri- cerche  anatomiche  sull'organismo,  proprio  questo  grande  principio  esplicativo:  che  la  natura,  e  soprattutto  la  natura  vivente,  è  organizzata  in  funzione  di  un  si- stema  di  fini,  che  questa  organizzazione  si  ritrova  allivello  di  .tutti  gli  organi,  e  che  dunque  l'indagine  biologica  non  deve  vertere  tanto  sul  «  che  cosa  »  e  sul  «come»,  quanto  sul  «perché»  finale  dell'assetto  dei  fenomeni  studiati.  Nel  trattato  sul  Cuore  (Perì  kardies)  - dove  tra  l'altro,  nonostante  la  sua  grande dottrina  anatomica,  egli  rifiuta  Alcmeone  per  Empedocle  e  pone  l'intelli- genza  nel  cuore  stesso  - Filistione  concepisce  quest'organo  come  la  costru- zione  mirabile  di  un  «  buon  artefice  »,  che  tutto  ha  predisposto  affinché  la  vita  potesse  aver  luogo  nel  migliore  dei  modi.  L'incontro  di  queste  dottrine  con  il  platonismo,  concretatosi  in  quello  fra  Filistione  e  Platone  avvenuto  in  Sicilia  ver- so  il  36o  e  dunque  all'inizio  del  periodo  di  elaborazione  del  Timeo,  doveva  ave- re  conseguenze  incalcolabili  per  la  scienza  della  natura  greca.  Attraverso  Platone,  passarono  infatti  ad  Aristotele,  che  le  adottò  ancor  più  risolutamente  del  maestro,  e  grazie  a  lui  conquistarono  una  egemonia  per  lungo  tempo  quasi  incontrastata.  Ma  prima  che  tutto  questo  avesse  luogo,  le  posizioni  della  scuola  italica  fa- cevano  sentire  la  loro  pressione  sulla  stessa  scuola  di  Cos  postippocratica,  e  oc- correrà  ora  seguire  gli  estremi  tentativi  di  quest'ultima  di  salvare  la  techne,  «l'an- tica  medicina  »,  da  così  agguerriti  avversari. Già  si  parlò  nel  capitolo  v  dell'opera  di  Filolao,;  qui  vogliamo  ancora  accen- nare  ai  progressi  compiuti,  nell'ambito  della  matematica,  dal  filosofo  e  scienziato  Archita,  vissuto  a  Taranto  tra  la  fine  del  v  secolo  e  la  prima  metà  del  IV,  ultima  figura  di  statista  pitagorico.  Egli  resse  per  lungo  tempo  la  sua  città  incrementan- done  la  prosperità  e  la  potenza  militare,  facendone  la  prima  della  Magna  Grecia.  Si  ritiene  che  Archita  abbia  applicato  la  propria  dottrina  matematica  alla  mecca- nica  militare,  e,  poiché  sappiamo  pure  che  fece  uso  di  strumenti  meccanici  per  ri- solvere  problemi  geometrici,  si  può  dire  che  per  primo  (e  sfortunatamente  con  pochi  imitatori  per  molto  tempo)  egli  intuì  la  fecondità  teorica  e  pratica  di  una  rela- zione  fra  matematica  e  meccanica.  Profonda  fu  l'impressione  che  la  personalità  di  Archita  suscitò  in  Platone  in  occasione  del  suo  soggiorno  a  Taranto  nel  3  89.  In  campo  matematico,  Archita  riprese  il  problema  di  Delo  secondo  le  linee  tracciate  da  Ippocrate  di  Chio,  e  lo  portò  a  soluzione  mediante  la  rappresenta- zione  strumentale  di  figure  geometriche  in  movimento.  La  soluzione  di  Archita  è  troppo  complessa  per  essere  qui  riportata:  da  essa  risulta  comunque  che  egli  era  familiare  con  i  processi  mediante  cui  si  generano  cilindri,  coni  e  altri  solidi  di  rivoluzione,  e  che  fu  il  primo  ad  usare  consapevolmente  il  concetto  di  luogo  geometrico.  In  questo  modo,  Archita  offriva  il  primo  esempio  di  applicazione  della  geometria  dello  spazio  alla  soluzione  dei  problemi  di  geometria  piana,  e  insieme  dava  inizio  alle  ricerche  che  concluderanno  alla  teoria  delle  coniche.  Ma  quello  che  va  messo  in  maggiore  rilievo,  è  lo  spregiudicato  coraggio  con  il  quale  Archita  faceva  ricorso  - nonostante  la  polemica·platonica  - a  tutti  i  metodi  e  gli  strumenti  che  permettessero  di  far  progredire  la  ricerca.  Parimenti  ardite  le  sue  impostazioni  in  aritmetica  e  in  acustica:  quanto  alla  prima,  egli  contribuì  a  sviluppare  il  concetto  che  il  numero  è  essenzialmente  un  rapporto,  perciò  in- dipendente  dalle  condizioni  di  commensurabilità  e  razionalità,  e  poté  quindi  tor- nare  a rivendicare  la  supremazia  dell'aritmetica  fra  le  scienze  matematiche;  quanto  alla  seconda,  egli  scoprì  che  il  suono  è  dovuto  al  movimento  e  all'urto  dei  corpi,  e  che  l'aria  è  un  corpo  atto  a  ricevere  la  vibrazione  e  a  propagarla La  tradizione,  che fa  di  Archita  uno  dei  maestri  di  Eudosso,  anche se  dubbia,  vale  certamente  a  simboleggiare  la  funzione  del  tarantino  nel  passaggio  dalla  ma- tematica  del  v  secolo  alla  grande  fioritura  che  ebbe  luogo  nel  IV I  romani,  prevalentemente  agricoltori  e  guerrieri,  non  si  occuparono  affatto,  nei  primi  secoli  della  loro  storia,  né  di  problemi  filosofici  né  di  problemi  scienti- fici.  Il  loro  interesse  culturale  si  concentrò,  tutto,  sui  problemi  giuridici,  per  l'evi- dente  importanza  del  diritto  nella  costruzione  di  uno  stato  efficiente.  Nel  168  a.C.  la  conquista  della  Macedonia  li  portò  a  contatto  immediato  con  la Grecia  e  provocò  un  rapido  incremento  nei  loro  rapporti  con  la  cultura  elle- nica.  Questi  furono,  in  un  primo  tempo,  tutt'altro  che  facili.  La  penetrazione  in  Roma  dell'arte,  della  filosofia  e  della  scienza  greche  poteva  infatti  costituire  un  vero  pericolo  per  lo  stato  romano,  minacciando  di  alterarne  quei  caratteri  cheavevano  fino  allora  costituito  la  base  stessa  del  suo  crescente  successo  politico.  Gli  elementi  ·più  conservatori  come  Catone  se  ne  avvidero  immediatamente  e  cercarono  di  opporre  una  seria  resistenza.  Un  senatoconsulto  del  161  ordinò  che  i retori  e i  filosofi,  venuti  in  Roma  come  esuli  della  Macedonia,  fossero  cacciati  dalla  città.  Cinque  anni  più  tardi  Atene  inviava  a  Roma  una  missione  diplomatica,  formata  da  tre  filosofi  (Critolao,  che  rappresentava  il  Liceo,  Diogene  di  Babilonia,  che  rappresentava  la  Stoa,  e  Car- neade,  che  era  alla  direzione  dell'Accademia);  essi  approfittarono  di  questo  sog- giorno  per  esporre  in  pubblico  le  proprie  dottrine.  Ottennero  un  enorme  successo,  soprattutto  Carneade,  la  cui  oratoria,  ricca  di  sottili  argomentazioni  dialettiche,  riuscì  in  breve  a  conquistare  la  parte  più  intelligente  della  gioventù.  Famoso  è  rimasto  il suo  discorso  sul  contrasto  fra  la  giustizia  e la  saggezza,  dimostrato  pro- prio  con  l'esempio  del  popolo  romano,  che  fondava  la  propria  potenza  sui  terri- tori  strappati  con  la violenza  ad  altri.  Questa  non  fu  l'ultima  ragione  per  cui  i filo- sofi  ateniesi,  appena  conclusa  la  loro  missione,  furono  invitati  a  lasciare  la  città.  È  noto  che  questi  ostacoli  non  riuscirono  a fermare  il  processo  iniziato.  Nel  corso  di  pochi  decenni  la  situazione  muta  radicalmente:  i  giovani  delle  migliori  famiglie  romane  accorrono  sempre  più  numerosi  a  completare  i  loro  studi  in  Grecia;  i più  celebri  pensatori  greci  vengono  invitati  a Roma,  ove  diventano  amici  di  influenti  personalità  politiche.  A  Roma  fu  per  oltre  un  decennio  il  filosofo  Panezio,  uno  dei  maggiori  rappresentanti  della  media  Stoa.  Egli  si legò  particolar- mente  al  circolo  ellenizzante  di  Scipione  Emiliano.  Questo  comprendeva  oltre  allo  storico  Polibio,  i  maggiori  rappresentanti  della.  cultura  romana  del  tempo:  Terenzio,  Lucilio,  Caio  Lelio,  Quinto  Elio  Tuberone,  ecc.  Nel  I  secolo  a.C.  Roma  comincia  a  diventare  un  centro  culturale  di  notevole  importanza.  Sarebbe  erroneo  tuttavia  ritenere  che  la  Grecia,  con  i  successi  ora  ricordati,  sia  effettivamente  riuscita  a imporre  a  Roma  la  propria  cultura.  Che  non  sia  stato  così  ce  lo  dimostra  un  fatto  semplicissimo  ma  molto  significativo:  mentre  la  lingua  greca  si  era  rapidamente  diffusa  in  tutto  il  mondo  mediterraneo  orientale  (per  esempio  in  Egitto),  tanto  da  diventarvi  l'unico  mezzo  di  comunicazione  della  cultura,  nulla  di  simile  accadde  in  occidente.  Nel  campo  linguistico  la  resistenza  di  Catone  riportò  piena  vittoria:  i  romani  continuarono  a  scrivere  in  latino  ( cer- cando  evidentemente  di  arricchire  il  proprio  vocabolario),  e  la  civiltà  mediter- ranea  finì  a  poco  a  poco  per  diventare  bilingue.  Anche  nel  campo  della  filosofia  e  della  scienza  le  qualità  più  caratteristiche  del  temperamento  romano  - buone  o  cattive  che  fossero  - non  andarono  som- merse.  Una  certa  ripugnanza  per  le  speculazioni  troppo  astratte,  l'interesse  volto  più  alle  conclusioni  che  alle  premesse,  la  spiccata  attitudine  dei  romani  alla  pra- ticità,  non  tardarono  a far  sentire  il peso  della  loro  influenza. 1  I  Per  i  notevoli  riflessi  di  questo  tempera- gogico,  rinviamo  all'ultimo  capitolo  della  pre- mento  caratteristico  dei  romani  in  campo  peda- sente  sezione.Illustreremo,  nel  prossimo  paragrafo,  le  conseguenze  di  questo  spirito  nel- l'ambito  delle  teorie  filosofiche.  Ora  può  essere  opportuno  - per  dimostrare  l'immediata  efficacia  che  tale  spirito  ebbe  sugli  stessi  studiosi  non  romani  entrati  a  contatto  con  Roma  - premettere  qualche  cenno  intorno  a  due  scrittori  partico- larmente  significativi:  Poli  bio  e  Strabone.  Il  greco  Polibio  (205-123  a.C.)  fu  invia,to  a  Roma  come  ostaggio  dalla  lega  achea  e  vi  rimase  per  oltre  sedici  anni,  nei  quali  ebbe  modo  di  assimilare  profon- damente  lo  spirito  di  quel  popolo.  Scrisse  in  greco  le  Storie  (in  quaranta  libri)  sulle  imprese  di  Roma;  opera  solitamente  considerata  come  un  grande  trattato,  oltreché  di  storia,  anche  di  geografia  descrittiva,  per  l'enorme  ricchezza  di  notizie  riferite  sugli  usi e  costumi  dei  vari  popoli  presi  in  esame.  Orbene  il  modo  con  cui  è  concepita  quest'opera  è  una  prova  evidente  che  Polibio  intende  la  ricerca  scien- tifica  in  maniera  .completamente  diversa  dai  suoi  connazionali.  Proprio  nulla,  infatti,  lo  interessano  le  teorie  generali  e  tanto  meno  le  ipotesi  sulle  zone  lontane  e  mal  note  del  mondo;  esse  non  meritano  la  sua  attenzione,  perché  prive  di  im- mediata  utilità.  Secondo  lui,  ogni  indagine  seria  deve  essere  giustificata  da  un  ben  preciso  scopo  pratico.  Il  compito,  per  esempio,  che  egli  si  propone  è  quello  di  istruire  i  romani  intorno  al  mondo  mediterraneo  in  cui  hanno  svolto  e  svolge- ranno  le  loro  conquiste:  tutto  ciò,  dunque,  che  fuoriesce  da  questo  programma  non  può  che  apparirgli  privo  di  senso  e  dannoso  allo  sviluppo  della  ricerca.  Da  un  punto  di  vista  metodologico  merita  di  venire  notato  che  la  storiogra- fia  di  Poli  bio  presenta  alcune  affinità  con  quella  di  Tucidide:  la  ricerca  tenace  della  certezza,  l'analogia- da  lui  resa  esplicita- con  il  metodo  della  medicina,  la  rinuncia  ad  ogni  abbellimento  retorico.  Ancora  più  profonde  sono  tuttavia  le  differenze  che  lo  separano  dal  grande  ateniese.  Polibio  credeva  nella  diretta  fruibilità  della  storiografia  come  magistra  vitae,  nella  autonoma  significatività  delle  informazioni  riferite  quanto  più  possibilfedelmente,  e  si  ricollegava  in  tal  modo  alle  teorie  sia  di  Isocrate  sia  di  Teofrasto.  Gli  era  ignoto  lo  sforzo  di  com- penetrazione  tra  ragione  e fatti  che  Tucidide  aveva  cercato  di  attuate  nel  suo  me- todo  storiografico,  convinto  com'era  che  solo  da  esso  potesse  scaturire  quella  essenziale  verità  della  storia  la  cui  «utilità»  era  certamente  meno  immediata  ma  più  fondata  e  più  generalmente  feconda.  In  tal  senso  la  storiografia  di  Polibio  sta  a  quella  tucididea  esattamente  come  la  filosofia  ellenistica  sta  a  quella  del  v  e  del  rv  secolo.  Strabone  visse  un  secolo  e  mezzo  dopo  (63  a.C.-25  d.C.).  Nato  ad  Amasea  nel  Ponto  da  una  famiglia  di  sangue  misto  greco-asiatico,  fu  anch'egli  fortemente  influenzato  dallo  spirito  romano  (come  ce  lo  dimostra  la  decisione  con  cui  so- stenne  il  dominio  politico  di  Roma).  Compì  lunghi  viaggi  e  scrisse  una  Geografia  (Geograftkd),  ampio  trattato  in  diciassette  libri.  Ebbene,  questo  trattato  dimostra,  non  meno  della  storia  di  Polibio,  il  nuovo  tipo  di  interessi  che  anima  il  suo  autore:  brevissima  è  la  parte  dedicata  all'aspetto  matematico  della  geografia;  ricchissimeLa  filosofia  postaristotelica  e  diffuse  sono  invece  le  notizie  sugli  usi,  le  istituzioni,  la  storia  dei  paesi  via via  presi  in  esame.  La  differenza  fra  l'indagine  di  Strabone  e quella  compiuta  dai  geo- grafi  alessandrini  di  qualche  secolo  prima  non  potrebbe  essere  maggiore.  L'og- getto  di  studio  ha  conservato  lo  stesso  nome,  ma  il  modo  con  cui  è  condotta  la  ricerca  dimostra  che  il  significato  stesso  della  scienza  è  completamente  mutato.  L  'ECLETTISMO.  CICERONE  L'espressione  più  caratteristica  dell'interesse  prevalentemente  pratico  dei  romani,  nell'ambito  delle  ricerche  filosofiche,  è  l'eclettismo.  Non  che  esso  sia  nato  per  opera  di  pensatori  latini,  né  che  tutti  i  filosofi  latini  siano  direttamente  o  indirettamente  legati  ad  esso;  ma  nell'ambiente  culturale  latino  esso  trovò  le  ragioni  del  suo  successo,  e  in  Roma  il  suo  più  illustre  sostenitore,  Cicerone.  Per  trovare  un  esempio  di  filosofo  latino  che  non  abbia  compiuto  alcuna  con- cessione  all'eclettismo,  bisogna  riferirsi  al  poeta  Lucrezio  di  cui  abbiamo  parlato  nel  paragrafo  111.  Questa  particolare  posizione  di  Lucrezio  non  è,  del  resto,  che  la  conseguenza  logica  della  sua  adesione  alla  dottrina  epicurea;  già  sappiamo,  in- fatti,  che  l'epicureismo  è  stato  l  'unico  indirizzo  dell'epoca  mantenutosi  costan- temente  fedele  alla  propria  concezione  teoretica,  senza  evoluzioni  interne,  e  questa  sua  stessa  staticità  esclude  che  abbiano  potuto  sorgere  seri  tentativi  di  conciliazione  fra  esso  e  gli  indirizzi  avversari.  A  parte  Lucrezio,  però,  è  difficile  scoprire  pensatori  latini  che  non  mostrino  qualche  venatura  di  eclettismo.  Espli- citamente  eclettico  è  l'amico  di  Cicerone,  Marco  Terenzio  Varrone;  atteggia- menti  senza  alcun  dubbio  eclettici  caratterizzeranno  i  grandi  stoici  del  periodo  imperiale  romano;  un  po'  di  eclettismo,  mescolato  con  molto  scetticismo,  potrà  venire  ritrovato  quasi  dovunque  tra  gli  uomini  più  rappresentativi  e gli  spiriti  più  raffinati  della  cultura  romana,  come  per  esempio  in  Orazio,  che  riuscirà  ad  esten- dere  la  propria  concezione  eclettica  fino  ad  includervi  anche  molte  dottrine  filo- sofiche  caratteristiche  degli  epicurei.  Come  si  è  accennato  nei  paragrafi  precedenti,  l'eclettismo  ebbe  le  sue  prime  affermazioni  nella  nuova  Accademia  e  nella  media  Stoa.  Esso  rappresentò  un  tentativo  di  soluzione  della  crisi  che  tali  scuole  stavano  attraversando,  e rispecchiò  una  diminuita  fiducia  - da  parte  di  ciascuna  di  esse  - nei  propri  principi  teore- tici.  Da  questo  punto  di  vista  possiamo  giustamente  sostenere  che  esso  esprima  un  rilassamento  dello  spirito  filosofico,  una  profonda  stanchezza  e  una  mancanza  di  originalità.  Esprime  anche,  però,  la  raffinata  consapevolezza  dei  pericoli  cui  va  incontro  qualsiasi  sistema  filosofico  astrattamente  coerente,  e  la  convinzione  di  poter  trovare,  su  di  un  piano  meno  rigido  che quello  dei  principi  generali,  la  via  per  una  comprensione  reciproca  e  per  un  sostanziale  accordo  circa  i  problemi  più  interessanti  per  l  'uomo  concreto.  Cicerone  (106-43  a.C.)  ascoltò  con  molto  interesse  le  lezioni  di  maestri  che, come  Filone  nell'Accademia  e  Posidonio  nella  Stoa,  sostenevano  la  necessità  di  un'evoluzione  filosofica  in  senso  eclettico,  e  si  lasciò  da  essi  facilmente  convincere  che  qualcosa  di  buono  si  trova  di  fatto  in  tutte  le  dottrine,  specialmente  nei  loro  precetti  d'ordine  pratico,  che  il  più  delle  volte  coincidono,  pur  venendo  fatti  derivare  da  pri11cipi  molto  diversi  e  in  apparenza  quasi  antitetici.  La  sua  adesione  all'eclettismo  fu  dunque  immediata  e  totale,  sembrandogli  che  esso  dovesse  co- stituire  il  frutto  più  maturo  dell'ormai  plurisecolare  travaglio  filosofico.  Proprio  questo  atteggiamento  largamente  comprensivo  gli  consentì  di  stu- diare  con  sincero  interesse  tutta  la  storia  del  pensiero  greco,  sforzandosi  con  impegno  e  intelligenza  di  renderlo  accessibile  ai  romani.  Il  suo  perfetto  possesso  della  lingua  latina  gli  permise,  in  particolare,  di  trovare  espressioni  eleganti  e  so- brie  per  le  più  difficili  formulazioni  tecniche  dei  greci.  «  La  filosofia,  »  scrive  nelle  Tusculanae  disputationes,  «  è  rimasta  fino  ad  oggi  negletta,  e  su  di  essa  la letteratura  latina  non  ha  portato  nessuna  luce;  ma  io  debbo  illuminarla  ed  esaltarla,  così  che,  se  io  sono  stato  di  qualche  utilità  ai  miei  concit- tadini  nelle  faccende  attive  della  vita,  potrò  esserlo  anche,  se  mi  riuscirà,  stan- domene  ozioso.  » 1  Se  Cicerone  ha  il  torto  di  dimenticare,  in  queste  parole,  il con- tributo  dato  alla  filosofia  latina  dal  suo  contemporaneo  Lucrezio, 2  egli  riesce  tut- tavia  ad  esprimerci  molto  bene  l'animo  con  cui  si  accinge  a  scrivere  di  filosofia.  È  un  dovere  che  egli  compie  per  colmare  una  gravissima  lacuna  della  letteratura  latina.  Egli  sente  che,  se  anche  non  introdurrà  nessuna  idea  originale,  il  semplice  riuscire  a  mettere  in  circolazione,  nell'ambito  della  cultura  latina,  un  patrimonio  così  serio  come  la  filosofia  ellenica,  costituirà  per  lui  un  merito  di  cui  i  concitta- dini  dovranno  essergli  grati.  E  di  fatto  gliene  saranno  grati  non  solo  i  concitta- dini,  ma  anche  i  posteri,  poiché  i  suoi  scritti  rappresenteranno  per  molti  secoli  una  delle  principali  fonti  per  la  conoscenza  del  pensiero  filosofico  antico.  Tra  le  principali  opere  filosofiche  di  Cicerone  ricordiamo,  oltre  le  Tusculanae  (Le  Tu- sculane),  il  De  legibus  (Delle  leggi),  il  De  finibus  bonorttm  et  1nalorum  (l  limiti  del  bene  e  del  male),  il  De  natura  deorum  (La  natura  degli  dei),  il  De  ojficiis  (Sui  doveri),  il  celebre  Somnium  Scipionis  (Sogno  di  Scipione),  che  è  un  frammento  del  dialogo  De  re  publica  (andato  per  gran  parte  smarrito),  l'  Hortensius  (un'esortazione  alla  filosofia,  andata  perduta,  che  influenzò  profondamente  Agostino,  e  che  era  un'imi- tazione  del  Protrettico  di  Aristotele),  ecc.  Non  è  vero,  però,  che  Cicerone  si  limiti  a  presentare  le  teorie  altrui  senza  apportarvi  nulla  di  suo;  in  realtà  egli  le  ripensa  dal  suo  particolare  punto  di  vista,  le  espone  in  modo  tale  da  poterle  utilizzare  a  favore  della  concezione  eclettica.  Ora  utilizza  Platone,  ora  Aristotele,  ora  invece  gli  scettici  o  gli  stoici;  e  conclude  I  Qui  si  accenna  al  fatto  che  Cicerone  si  accinse  a  scrivere  opere  filosofiche  solo  quando  venne  escluso  dalla  vita  politica  per  l'affermarsi  del  primo  triumvirato  e,  in  seguito,  per  il  trionfo  di  Cesare.  2  Proprio  Cicerone  aveva  pubblicato,  po- stumo,  il  poema  di  Lucrezio,  e  tale  dimenticanza  è  dovuta  probabilmente  alla  posizione  dichiara- tamente  antiepicurea  da  lui  assunta  in  sede  fi- losofica. con  un  generico  probabilismo,  che  ammette  proprio  come  unico  criterio  di  ve- rità  il  consenso  dei  filosofi  (prova  evidente  - secondo  Cicerone  - che  esistono  delle  idee  innate,  a  tutti  comuni).  In  queste  molteplici  discussioni,  non  prive  talvolta  di  incoerenze  l'una  ri- spetto  all'altra,  nel  difficile  e complesso  lavorio  di  selezione  e coordinamento  delle  tesi,  una  preoccupazione  appare  costantemente  presente  in  Cicerone:  quella  di  rendere  ogni  uomo  consapevole  dell'immenso  valore  educativo  della  filosofia.  Solo  la  filosofia,  infatti,  può  farci  cogliere  il  valore  esatto  delle  nostre  conoscenze;  solo  essa  ci  insegna  a  guardare  con  effettiva  serenità  la  morte,  mostrandoci  con  chiarezza  ove  risiedano  la  vera  felicità  e  la  vera  sventura;  solo  essa  riesce  a  farci  comprendere  che  chi  ha  giovato  alla  patria  dovrà  vivere  eternamente  libero  dalle  catene  del  carcere  corporeo.  Non  v'è  dubbio  che,  per  il  senso  pratico  dei  romani,  proprio  questa  capacità  educatrice  della  filosofia  costituiva  la  sua  più  seria  giusti- ficazione:  unica  giustificazione  veramente  sicura  e  da  tutti  accettabile Marco  Aurelio  nacque  a  Roma  nel  I  21.  Salì  al  trono  imperiale  nel  I  6  I,  alla  morte  di  Antonino  Pio  di  cui  era  figlio  adottivo;  morì  nel  I  So.  Fu  convertito  allo  stoicismo  dalla  lettura  di  Epitteto.  Scrisse,  in  greco,  una  delle  più  interessan i  opere  filosofiche  della  sua  epoca:  Colloqui  con  se  stesso  (Ta  eis  heaut6n),  ordinaria- mente  nota  col  titolo  di  Ricordi  (in  dodici  libri).  Le  note  dominanti  della  sua  filosofia- nella  quale  emergono  sempre  più  chiari  i  caratteri  dell'ultima  Stoa  - sono  un  disprezzo  ascetico  di  tutti  i  beni  esteriori  e  una  profonda  religiosità.  L'essere  divino  non  è  semplice  fato,  ma  è  soprattutto  provvidenza  universale.  Il  rapporto  dell'uomo  con  dio  è  un  rapporto  di  effettiva  parentela,  che  di  conseguenza  viene  a  legare  fra  loro  tutti  gli  uomini.  Oltre  ai  caratteri  ora  accennati,  è  tuttavia  presente  in  Marco  Aurelio  un  carattere  nuovo,  evidentemente  connesso  proprio  al  tipo  di  vita  attiva,  gravida  di  responsabilità,  che  gli  toccò  in  sorte  come  capo  dello  stato.  Non  a  caso  - egli  pensa  -l'uomo  occupa  la  propria  carica,  ma  perché  espressamente  postovi  dalla  provvidenza  divina;  l'uomo  ha  quindi  il  dovere  di  agire  con  tutta  la  necessaria  energia,  di  non  sottrarsi  ai  compiti  -- per  quanto  difficili  e  ingrati  -- affidatigli  da  tale  provvidenza.  È  la  forma  mentis  del  cittadino  romano  che  si  inserisce  in  quella  del  filosofo  stoico.  Né  fra  le  due  sorge  alcun  contrasto;  anzi,  esse  riescono  a  fondersi  in  una  mirabile  armonia,  permeate  entrambe  da  un  senso  di  vivissima  religiosità,  che  non  di  rado  sembra  dare  alle  massime  dell'imperatore  un  tono  molto  simile  a  quello  degli  insegnamenti  cristiani. Neanche  i  romani,  malgrado  il  loro  indiscusso  spirito  pratico,  seppero  svi- luppare  a  fondo  la  preziosa  eredità  degli  ingegneri  alessandrini.  Essi  rivelarono  senza  dubbio  grandi  capacità  nella  costruzione  di  strade,  di  acquedotti,  di  fastosi  edifici,  ma  non  riuscirono  a  comprendere  l 'interesse  della  vera  e  propria  ingegne- ria  meccanica,  né  avvertirono  l'importanza  pratica  di  ricerche  direttamente  o  indirettamente  rivolte  alla  scoperta  di  nuove  fonti  di  energia.  Il  fatto  appare  tanto  più  singolare,  quando  si  pensi  che  proprio  al  I  se- colo  a.C.  risale  la  massima  invenzione  tecnologica  dell'antichità:  il mulino  idrau- lico  (invenzione  non  dovuta  a  qualche  scienziato  di  particolare  rinomanza,  ma  sorta  probabilmente  - come  scrive  U.  Forti  -nell'orbita  della  civiltà  di  Ales- sandria).  È  un  fatto  che  non  sembra  spiegabile  se  non  facendo  appello,  come  già  spiegammo  nell'ultimo  paragrafo  del  capitolo  XIV,  alla  difficoltà  di  comprendere,  in  quell'epoca,  i  vantaggi  che  avrebbero  potuto  provenire  dallo  sfruttamento  sistematico  delle  varie  forme  di  energia  naturale,  mentre  esse  apparivano  :lssai  più  costose  dell'energia  umana  (schiavi)  e  animale.  Per  quanto  riguarda  lo  scarso  interesse  dimostrato  dai  romani  verso  gli  arti- ficiosi  congegni  esposti  negli  Pneumatikd  di  Ero  ne,  va  inoltre  osservato  che  la  via  da  percorrere,  onde  giungere  ad  una  loro  utilizzazione  su  vasta  scala,  non  poteva  non  apparire  troppo  lunga  e  difficile  a  uomini  - come  appunto  gli  ingegneri  ro- mani  --direttamente  impegnati  nelle  realizzazioni  pratiche  immediate.  L'abban- dono  di  tale  atteggiamento  richiederà  una  profonda  trasformazione  sociale  e  cul- turale,  che  avrà  inizio  solo  parecchi  secoli  più  tardi.  Fra  gli  autori  latini  che  abbiano  scritto  opere di  ingegneria  di  qualche  pregio,  il  più  importante  è  senza  dubbio  Vitruvio,  ingegnere  militare  del  tempo  di  Giu- lio  Cesare  e  di  Augusto;  di  lui  non  si  conoscono  con  precisione  né  la  data  di  na- scita  né  quella  di  morte.  La  sua  opera  principale,  De  architectura,  reca  evidentiUltimi  sviluppi  della  matematica  e  dell'astronomia  nell'antichità  classica  le  tracce  dell'influenza  degli  ingegneri  alessandrini.  Vitruvio  ricorda  infatti  espli- citamente  il  nome  di  Ctesibio,  riferendoci  parecchie  sue  invenzioni  (la  pompa  cui  abbiamo  fatto  cenno  nel  paragrafo  m,  una  balestra  ad  aria  compressa,  l'argano  idraulico,  ecc.).  Il  voluminoso  trattato  del  nostro  autore  si  articola  in  dieci  libri,  che  esaminano  una  gamma  assai  vasta  di  argomenti:  dalla  preparazione  culturale  richiesta  all'architetto  ai  problemi  specifici  concernenti  la  costruzione  di  edifici  pubblici  e  privati,  all'idraulica,  alle  macchine  da  guerra.  È  inoltre  ricco  di  richia- mi  storici,  di  indicazioni  giuridiche,  di  massime  morali,  e costituisce  una  preziosa  fonte  per  studiare  la  cultura  tecnologica,  e  in  generale  i  costumi  dell'epoca.  In  essa  sono  tuttavia  riscontrabili  alcuni  non  lievi  difetti.  Pur  sforzandosi  di  risultare  tecnicamente  chiaro  e  cercando  - ove  necessario  -- di  introdurre  nuove  espressioni  e  nuovi  vocaboli  adatti  al  linguaggio  tecnico,  il  nostro  autore  non  può  nascondere  talune  pretese  stilistiche,  che  spesso  rendono  oscura  la  di- zione,  ove  accanto  a volgarismi  e plebeismi  si  trovano  espressioni  ampollose  e  ri- cercate.  Inoltre  Vitruvio  non  è  padrone  sicuro  della  materia  di  cui  tratta,  onde  non  solo  non  riesce  a  portare  contributi  nuovi,  ma  spesso  suscita  anzi  l'im- pressione  di  non  comprendere  bene,  egli  stesso,  le  ricerche  che  si  sforza  di  esporre.  Gli  è  che  la  vera  tecnica  non  si  identifica  con  la  pura  e  semplice  pratica;  essa  è scienza  applicata,  e,  come  tale,  richiede  dai  suoi  cultori  una  profonda  prepa- razione  scientifica.  Ma  questa  non  poteva  essere  presente  in  chi  aveva  manifesta- mente  studiato  troppo  poca  matematica.  Più  che  di  ingegneria  la  cultura  romana  si  era  occupata  di  agricoltura,  su  cui  ci  sono  giunti  i  trattati  di  Marco  Porcio  Catone  (234-149  a. C.),  di  Varrone  e  di  Columella  (I  secolo  d.C.).  Fu  proprio  una  disciplina  tecnico-scientifica  parallela  all'agricoltura  ad  avere  in  Roma  gli  sviluppi  più  originali:  l  'agrimensura,  detta  gromatica  dalla  groma,  lo  strumento  che  gli  agrimensori  romani  usavano  nella  mi- surazione  dei  terreni.  Un  famoso  codice  latino,  il  codice  Arceriano  del  VI  secolo,  ci  ha  conservato  una  parte  delle  opere  degli  agrimensori  da  cui  si  possono  ricavare  i vari  interessi  dei  grornatici  ed  i  loro  importanti  compiti:  ad  essi era  affidato  il  com- pito  di  costruire  gli  accampamenti,  fondare  le  città  e le colonie,  misurare  le altezze  dei  monti  e le  larghezze  dei  fiumi  nelle  campagne  militari,  far  applicare  le  leggi  agrarie  e  stabilire  le  confische  ed  i  tributi.  Apposite  scuole  erano  istituite  nell'im- pero  romano  per  istruire questi  funzionari  imperiali  nella  geometria,  intesa  nel  suo  aspetto  pratico,  nel  diritto,  nell'arte  militare  e  nei  rituali  religiosi  che  accompa- gnavano  le  loro  opere.  Fra  i  maggiori  autori  gromatici  possiamo ricordare  Balbo,  famoso  per  aver  condotto  a  termine  fra  il  34  e  il  20  a.C.  l'opera  di  misurazione  di  tutto  l'impero  che  era  stata  iniziata  con  Cesare;  Igino  (fine  del  I  secolo-inizio  delu  secolo  d.C.);  e infine  Sesto  Giulio  Frontino  (40-103),  una  volta  console  sotto  Vespasiano  e  due  volte  sotto  Traiano,  autore  anche  di  un'opera  di  arte  militare  sugli  Stratagemmi  (Stratagemata)  e  di  un'opera  su  Gli  acquedotti  di  Roma  (De  aquis  urbis  Romae. Grice: “Geymonat, for some reason, is obsessed with science as we at Oxford are not. Indeed, he wrote a LOOONG history of “THOUGHT”, which is a word we don’t use at Oxford. The French and Latin types in general use it – pensée – the idea is something like science, mathematics, philosophy, you name it. So, his remarks about how the ignorant Romans started philosophy is interesting. According to Geymonat it was a generational thing. Catone did not want to do anything with it – for reasons of ‘state’, Geymonat says, i. e. philosophy would be subversive, as it indeed is. The odd thing is that it attracted the knock knock it’s the youngest generation knock knock knocking at the door. The Senate forbade philosophers in 161 and five years later Carneade and two more arrived and that changed things. Geymonat makes two comments. For one, the best youth – I figli delle migliore famiglie romane – would have something like the Americans call a Rhosdes – they would go to Athens as a ‘finishing school’. But what was interesting is that Scipione Emiliano started a club in his palazzo – more like a villa – where Polibio Terenzio, Cirilio, Tiburone, Elio, Celio attended --. The third terribly interesting comment Geymonat makes is twofold. For one, those Greek slaves who called themselves philosophers (Strabone and Polibio, are the only two he quotes) did write, respectively, history and geography, but ‘tuned to the Roman ear’. Geymonat speaks of ‘il temperament romano’ which he characterizes in a fourtfold way: concretto, interested in the conclusions – conclusive, rather than the premises – prattico --. So the history by Polibio is only one that may interest a Roman, a far cry from Thucydides philosophical prose! And the geography of Strabone has no information on calculus and measures – only bits about institutions of people the Romans might conquer – nothing about foreign distant lands! The second most notable remark is then that Scipione Emiliano paid lip service to the Hellens – Catone’s ‘resistenza’ won in the end – as is seen by the mere fact that Latin was retained as the lingua romana – in romano – unlike the Empire of the East where Greek was adopted – So with the fall of the Eastern Empire, the West became bilingual. The rough tongue of the Latins survived this fashion for things Hellenic! – Geymonat spends enough time on what Cuoco calls ‘filosofia italica antica’ – it starts with Crotone and Metoponto – where Pythagoras settled. With his theorem he underwent a crisis, and philospophy traveled to VELIA with Parmenide and his lover, Zenone, and Melisso – reductio ad absurdum, and tertium exclusum. Then there was Girgenti, and that crazy one, Empedocle, who however wrote some witty things about the four elements (in verse! Like Parmenide). Then there’s Filolao, educated at Crotone under Pyhathogras but himself from Taranto, and himself teacher of Archita of Taranto. Then there is the sophistical movement started with Gorgia of Lentini – and Siracusa – So, ‘philosophy’, as we know it, had an Italic origin, and is molded in the language of the conquering Romans! Ludovico Geymonat. Geymonat. Keywords: ragione -- temperamento romano – concretto – pratico – Catone – il trionfo di Catone con la lingua latina – la gioventu romana entusiasta con Carneade – I Scipioni ellenisante – la gioventu delle megliore familie – grand tour a Grecia! -- il teorema di Picard, il teorema di Caratheodory per le funzione armoniche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Geymonat” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690486990/in/photolist-2mRwP4i-2mRgKq7-2mQEv8h-2mPPzb6-2mPEDc8-2mPyn68-2mPukhq-2mPiqeP-2mPmmR4-2mPpwbZ-2mPphVq-2mKHfUW-2mKGTYe-2mKFeJo

 

Grice e Ghersi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Celle Ligure). philosopher -- curator of The Swimming-Pool Library at Villa Grice, Liguria, Italia. Ghersi has an interest in Grice’s philosophybut finds Strawson pretty enjoyable, too!Theere’s something about the Oxonian nonsensical philosophical humour that Ghersi appreciates like none other. Ghersi often makes candid fun of some of Grice’s inventions, such as that of the conversational “common-ground status”!Ghersi enjoys the full-time paradoxes of the bald king of France. Ghersi’s favourite humorist is J. K. Jerome, but also enjoys Wodehouse.And finds Dodgson just fascinatingThe Swimming-Pool Library is mainly organised along Ghersis’s personal tastes, as a personal library should!Ghersi is not particularly appreciative of poetry, but will enjoy the ballad set to piano! Ghersi’s favourite genre is drama, since “it is so clear in implicature.” Grice is a frequent contributor to cultural circles and societies and a host like none otherVilla SperanzaSperanza appreciates Ghersi’s talent to infuse enthusiasm in all type of endeavours --. Keywords: love, soul, life, inghilterra. Refs.: Ghersi e GriceGrice e Watson --. Refs. BANC MSS 90/135c. Vide Speranza.Vide SperanzaVide SperanzaVide Speranza. – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Ghezzi – i tordi ubriachi – filosofia italiana – dirtto artificiale -- Luigi Speranza – (Milano). Filosofo. Grice: “I love Ghezzi: he has explored ‘turdus,’ as in ‘sturdy,’ ‘drunk as a thrush’ – but also a count who was condemned by the church; he has explored the history of masonry – in Italy it started in Calabria – from a semiotic point of view, ‘il segno del compassso,’ – and he has explored on Ayax’s ‘nichilismo razioale’ – among many other topics – also an ‘epistemology of willing’ – epissttemologia della volonta --.” Grice: “Typically of Italian philosophers, he has explored Italian  history, ‘ceneri del diritto,’ and a confrontation between people and ‘stato’. Si laurea a Milano sotto Bobbio con “La Filosofia del Diritto.” Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d'Italia.  Marginalità e Società,  ell'Università degli Studi dell'Insubria (sede di Como). Sociologia della Devianza. Studia il positivism giuridico dal punto di vista del concetto di diritto. Affrontato il tema del pluralismo dei valori e degli ordinamenti giuridici, del federalismo, criminalità, devianza, marginalità e pluralismo nell'ambito della Sociologia del Diritto Penale, sulla giustizia e sulla legittimità degli ordinamenti giuridici, con particolare riferimento alla figura del "deviante giuridico", introducendo i concetti che porteranno alle teorie della "divergenza” sociale, marginalità, Si rileva essersi principalmente dedicato al tema del nichilismo giuridico, proponendo una visione nichilista, definite come “l’assenza del valore” -- del tutto neutra circa la potenzialità “regolatrice” e la potenzialita ordinatrice di una norma. L’approfondimento del nihilismo assiologico o valuativo risulta essersi svolto attraverso il confronto con filosofi contemporanei di questo ambito, tra cui Ferrari, Severino, e Giorello. Scetticismo. La Rivoluzione del Diritto come Estetica, in estensione del suo libro Il Diritto come Estetica. Nel volume è stata inclusa, come Appendice, una Raccolta di diversi saggi di filosofi contenenti riflessioni ed approfondimenti interamente riferiti a Ghezzi. Altre opera: “Socialismo e sociologia giuridica: "Centro lombardo studi socialisti, Milano, “Devianza tra fatto e valore nella sociologia del diritto” (Giuffrè, Milano); “Federalismo,  I e II, Patera Palermo Editore,  Diversità e pluralismo. La sociologia del diritto penale nello studio di devianza e criminalità, Raffaello Cortina, Milano, “Il segno del compasso. La massoneria e i suoi persecutori attraverso simboli, idee, fatti e processi, Mimesis, Milano. “Le Ceneri del Diritto. La dissoluzione dello Stato democratico in Italia, Mimesis, Milano. Le lacrime di Hiram. Autobiografia incompleta di un Libero Muratore, Edizioni della Confraternita Sufi Jerrahi Halveti in Italia, Milano “La Scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto, Mimesis, Milano  Federalismo laico e democratico, Mimesis, Milano; “I tordi ubriachi” Un viaggio iniziatico, Mimesis, Milano,  Sociologia giuridica del lavoro, Mimesis, Milano, Il Diritto come Estetica. Epistemologia della conoscenza e della volontà: il nichilismo/nihilismo del dubbio, Mimesis, Milano Della vita e della morte. Vulnerant omnes ultima necat, Mimesis, Milano; “Nichilismo razionale e mistico. Indicazioni per il nuovo mondo, Mimesis, Milano); “Stranieri, ospiti, alieni, alienati e pluralismo culturale” (Mimesis, Milano); “Nichilismo come valore senza valori, Mimesis, Milano); “Abusi di stato: Risarcimento del danno al cittadino, Mimesis, Milano); In ricordo di Riccardo Bauer, di Ghezzi e Arduino, C.R.E.A., Milano; “Educare alla democrazia e alla pace. Bauer. Scritti scelti, L.I.D.U., edizioni Raccolto,  Alle origini dell'Umanitaria, Ghezzi e Canavero Raccolta Edizioni-Umanitaria, L'immagine pubblica della Magistratura italiana, di Ghezzi Giuffrè, Milano Curatele. “Etica contro politica”; Morris L. Ghezzi, edizione Iesi, Ferrari, Ghezzi,‘’Diritto, cultura e libertà. Atti del convegno in memoria di Renato Treves’’ (Milan), Giuffrè, Milano, Studi preliminari di sociologia del dirittoTheodor Geiger, Morris L. Ghezzi, Nicoletta Bersier Ladavac e Michele Marzulli, traduzioni di Leonie Schröder, Mimesis, Milano); “Criminologia” (Mimesis, Milan). Pubblica amministrazione. Diritto penale. Criminalità organizzata, Osservatorio permanente sulla criminalità organizzata, Carola Parano, Giuffrè Editore, Stefano Carluccio, In ricordo di Morris Ghezzi, anima della Società Umanitaria, su CriticaSociale.net. 1 Dei delitti e delle pene. Rivista dell'Agenzia del territorio, L'Agenzia, rif. Archivio Università degli Studi dell’Insubria. Cura “Studi preliminari di sociologia del diritto” (Mimesis, Milano); “Socialismo e sociologia giuridica: introduzione Arduino, Centro lombardo studi socialisti); La scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto, Legge di Hume e tesi giusnaturalistica: un’antitesi teorica nel pensiero di Norberto Bobbio, su dialettica e filosofia.  Etica contro politica, di Elias Diaz, Ghezzi, edizione Iesi,  L' immigrato extracomunitario non marginale. Una ricerca empirica sul territorio Milanese, in ‘’Marginalità e Società’ Berzano, Renzo Gallini, Giovani E “Violenza: Comportamenti Collettivi in Area Metropolitana, Ananke, con richiamo ad art. Di Ghezzi in “Marginalità e Società, II”.  Le ceneri del diritto. La dissoluzione dello Stato democratico in Italia, Mimesis, Milano, al Ghezzi fa riferimento Rosario Minna in Crimini associati, norme penali e politica del diritto: aspetti storici, Giuffrè Editore, Morris L. Ghezzi, Federalismo Laico e Democratico, Mimesis, Milano Arturo Colombo, Franco Della Peruta “et al.”, in Carlo Cattaneo: i temi e le sfide, Ed. Casagrande, Milano, Con riferimento al Federalismo del Ghezzi: “mentre ci sarà chicome Ghezzi pur con tagli molto diversi, collegherà la prospettiva degli Stati Uniti d'Europa con l’altra formula cattaneana degli Stati Uniti d’Italia.»  Edmondo Bruti Liberati in "PostfazionePotere e Giustizia", richiama Morris L. Ghezzi 3 in: Governo dei giudici. La Magistratura tra diritto e politica, E. Bruti Liberati et al., Ed. Feltrinelli, Berzano, Gallini, cita di Ghezzi “Alle origini della labelling theory e del concetto di devianza”, da Marginalità e società, Ghezzi e Simonetta Balboni, Mimesis, Milano, Cirus Rinaldi fa suo il concetto di Devianza di Ghezzi. “come sostiene Ghezzi essa svolge un ruolo euristico [empirico] non solo nella spiegazione di fenomeni di stigmatizzazione di intere categorie, ma anche penetrando nella marginalizzazione, che agisce all’interno delle categorie” in Devianze e crimine. Antologia ragionata di teorie classiche e contemporanee, Cirus Rinaldi e Pietro Saitta, PM edizioni, Scrive M. Marzulli, BRÜCKE als sein Ordinamento sociale come ponte tra tradizione e futuro nella descrizione del diritto come estetica, in Ermeneutica del "Ponte". Materiali per una ricerca, Silvio Bolognini, Mimesis, Ferrari, in Ciò che resta. Le ultime parole diGhezzi, in Sociologia del Diritto, Fascicolo gennaio, ed. F. Angeli,   Emanuele Severino, nel capitolo 4 di Dispute sulla verità e la morte (Rizzoli) prende a riferimento un libro di Ghezzi (Il Diritto come Estetica) e s’intrattiene lungamente sul pensiero dell’autore.  Giulio Giorello si intrattiene sul testo del Ghezzi (“Il Diritto come Estetica”), lo commenta, ne riporta il pensiero, secondo cui « "la morale non è altro che una forma dell’estetica"» e ricorda la figura "nihilista" dell'autore. Da "Introduzione" di Giorello, Piacere, Diritto e Burocrazia. In ricordo di Morris Ghezzi, inGhezzi. Ciò che resta. La rivoluzione del diritto come estetica, Furio S. Ghezzi e Simonetta Balboni, Mimesis, Milano, Il Diritto come Estetica. Epistemologia della conoscenza e della volontà: il nichilismo/nihilismo del dubbio, Ghezzi. Ciò che resta. La rivoluzione del diritto come estetica (Domenico Mazzullo, ‘’Prefazione’’, “Appendice“: saggi di: Isabella Merzagora, Riflessioni di una criminologa prestata alla filosofia del diritto, Claudia Roxana Dorado, El devenir del derecho: reflexiones acerca de las concepciones jurídicas de Ghezzi,  Il futuro del diritto: riflessioni sulle concezioni giuridiche di Ghezzi,  Metodo di ricerca sul rischio sociale,  Marco A. Quiroz Vitale,  Esistenzialismo e Nihilismo come confini aperti del Giurispositivismo; Enrico Damiani di Vergata Franzetti, Il Diritto come Estetica,  Emanuele Severino, Dispute sulla verità e la morte, Rizzoli, Ghezzi. Ciò che resta. La rivoluzione del diritto come estetica, Simonetta Balboni e Furio S. Ghezzi, Mimesis, Milano, “Prefazione” di Domenico Mazzullo, “Introduzione” di Giulio Giorello, In “Appendice” saggi di: Isabella Merzagora, Claudia Roxana Dorado, Marco A. Quiroz Vitale, Damiani di Vergata Franzetti. Michele Marzulli, "BRÜCKE als sein” Ordinamento sociale come ponte tra tradizione e futuro nella descrizione del diritto come estetica." in Ermeneutica del "Ponte". Materiali per una ricerca, Silvio Bolognini, Mimesis,  Vincenzo Ferrari, Ciò che resta. Le ultime parole diGhezzi, in Sociologia del Diritto, Fascicolo, ed. F. Angeli, Cirus Rinaldi e Pietro Saitta (a cura) in Devianze e crimine, Antologia ragionata di teorie classiche e contemporanee, a cura di, PM edizioni,,Rosario Minna, Crimini associati, norme penali e politica del diritto: aspetti storici, Giuffrè Editore,  Sociologia del diritto Filosofia del diritto Criminologia.  Le doverositàstatutarie ritualirischianoc, on il passaredel tempo,di perderela lorodimensione rilevanzaoriginariap, er trasformarsi in meri adempimentrioutinari,prividi quelladimensionecreativa, c o s t r u t t i v a p, r o p o s i t i v a c, h e n e a v e v a m o t i v a t o l a n a s c i t a . D u n q u e , a n c h e p e r q u a n t o r i g u a r d a l a n o s t r a r e l a z i o n em o r a l es i r i s c h i ad i f a r s c i v o l a r el e n t a m e n t en e l l ' o b l i ol e i s t a n z es t o r i c h e c, h e n e i a c c o m a n d a r o n o I'introduzionep,eraffrontarlacomeunaincombenzan,eppuremoltopiacevolee, comunqueretoricamente orientata riempiresemplicsi paziscenograficei nonad esserestrumentodi autoriflessioninedividuale di riflessionecollettivaper la fratellanzatutta sul passato,nonchépotentestrumentodi stimolocreativoper affrontarecon consapevolezzale realtàfuture.Purtroppopiù che un rischiotale situazionesi e negliuliimi t e m p i m a n i f e s t a t ac o m e a v v e n i m e n t oC. o n s e g u e n t e m e n tpea r e n e c e s s a r i op, r i m a d i e n t r a r ed i r e t t a m e n t e nellasostanzadellequestionsiullequalirifletterer,icordarebrevementeilsignificattoradizionaleprofondo dellarelazionemoralepropriadellaliberamuratoriadelGrandeOriented'ltalia. P e r c o m p r e n d e r et a l e s i g n i f i c a t oè n e c e s s a r i oc o n o s c e r ef u n z i o n ie c o m p e t e n z ed i c h i e p r e p o s t oa l l a sua stesura;ossia del GrandeOratore.Rituali,Costituzione Regolamentdi el GrandeOriented'ltalia comeognunodi noi,al calicedivinoe assoggettarmail voleredeldestino. JohannWolfgangGoethe   a s s e g n a n oa l G r a n d e O r a t o r e c o m p e t e n z ei n c a m p o i n i z i a t i c o c , u l t u r a l e e q i u r i d i c o( e x a r t . 1 1 9 R e g . ) . I n o l t r e ilGrandeOratorei,nquantoOratoree, competenteasvolgerequestestessefunzionaincheexart.36Reg., funzionei competenzeche,peraltro,salvole elencazioneisemplificativreiportateda quest'ultimaorticolo, nellasostanzadellamateriadisciplinattaendonoa coincidereP. ertantola relazionemoraleda discuterein Gran Loggiaex art. 28, letterad, Cost.,in quantoassegnatanellasua stesuraal GrandeOratoree previamentesaminata(exart.38,letteraf, Cost.)in riunionedi GiuntadelGrandeOriented'ltalian, onpuò checonsistereinunsistematicoespletamentaonaliticoepropositivdoellefunzionei dellecompetenzedel GrandeOratore.Risalendop, oi, allatradizionestoricaall'internodellaqualenacquenell'ottocentIo'istituto dellerelazionmi orali,e facilecomprenderceomeessofosse,al contempou, nasortadi biianciocriticodelle attivitasvoltee, soprattuttod,ellaloroincisivitasia all'internos,ia all'esternodell'lstituzionen,onchéun programmaed un impegnodi attivitàper il futuro. Dunque,da un lato,il GrandeOratoree tenutonella propriarelazionemoralea richiamarel'attenzionedellaComunionesuitemi,chereputamaggiormente rilevantpi er la stessa,privilegiandonaelmenouno,e, dall'altraparte,ad analizzarela moralitàinternad, ei suoicomponentid,eifratelltiuttinelloroinsiemep, erevidenziarnleacorrettezzcaomportamentalceh,enon puòessereintesacomemeracorrettezzagiuridica. C o n s e g u e n t e m e n l t ae p r e s e n t er e l a z i o n em o r a l e v e r r à i d e a l m e n t ed i v i s a i n d u e p a r t i : I ' u n a r i g u a r d a n t e l a s i t u a z i o n em o r a l e e g i u r i d i c ad e l l a n o s t r a c o m u n i o n e e, d e . c r e d o , a t u t t i e v i d e n t eq u a n t o s i a n e c e s s a r i o ungeneralerichiamoinquestadirezionem, entrel'altrarivoltaaitemitrattatei datrattareinambitoiniziatico, filosoficoc,ulturale sociale.Permegliosvolgeresoprattuttoquestasecondapartedellarelazionemorale h o r e p u t a t o o p p o r t u n on o n f a r s c a t u r i r ei c o n t e n u t t i e m a t i c di a u n m e r o l a v o r o s o l i t a r i od e l l ' u f f i c i do e l G r a n d e O r a t o r e , c o n f o r t a t oa l p i ù d a l l e r i f l e s s i o n d i e l l a G i u n t a , m a m i e p a r s o o p p o r t u n o o, l t r e c h e m a g g i o r m e n t e proficuoai fini dell'individuaziondei un correttoquadrodi attivitae di aspettativein materia,rivolgermi direttamentaeifratelldi ellaComunioneimpegnatsiulterritorionazionalenelcampodell'elaboraziondee,lla proposizionedell'organizzaziodnelleiniziativeiniziatico/culturachli,esonopropriedellanostratradizione. A talefine,ho organizzatonellasecondametàdi novembredell'annopassatoun incontroa, pertoa tuttii F r a t e l l ci h e a v e s s e r od e s i d e r i od i p a r t e c i p a r v ai , M a s s a M a r i t t i m ap r e s s o l a R : . L : . V e t u l o n i ae c o l g o q u e s t a o c c a s i o n e p e r r i n g r a z i a r ei F r a t e l l i d e l l a R : . L : . V e t u l o n i a p e r l a l o r o c a l o r o s a a c c o g l i e n z a n , o n c h é t u t t i i p a r t e c i p a n at i l l ' i n c o n t r po e r i p r e z i o s ci o n t r i b u t f i o r n i t i a l l a d i s c u s s i o n e L . ' i n c o n t r oh a v i s t o l a p a r t e c i p a z i o n e numerosadi moltiFratellci omesingolic, omerappresentandti associazionciollegateallanostralstituzione e comeoperatoriculturali.I lavorisonostatipienamentesoddisfacentpiertuttii partecipanteid,in particolarep,er me, in quantomi hannofornitonumeroseed utiliindicazionpi er la presenterelazione morale.Nelringraziaraencora,dunque,tuttii Fratellic,hehannocontribuitaollabuonariuscitadell'iniziativa, possosin da ora comunicareche intendocontinuaresu questastradaanchein futuroed auspicouna partecipazionsemprepiuestesaa questomodellodi incontro. 2. L'immaginesternadellaLiberaMuratoria L'immagineprofanadellaLiberaMuratoriaper lunghianni,soprattuttoin ltalia,e stataoffuscatadai pregiudizid, allecalunniee, talvolta,anchedallacongiuradel silenzioperpetratacontrodi noi dai nostri nemicistorici,ossiadaiseguacidiintegralismeiditotalitarismpioliticir,eligiosei filosoficdiiognicolore. T u t t a v i ap, u r t r o p p op, e r ò ,t r o p p os p e s s op e r i n s i p i e n z ai g, n o r a n z ao d i n v i d i al a c a l u n n i ae d i l d i s p r e z z os o n o natianchedal nostrostessosenoe si sonodiffusinel mondoprofanograziead un masochisticocupio dissolvoi adundiffusoatteggiamentpoassivoedautocommiserativo,peggioancora,adunaprofanità p e n e t r a t at r a l e n o s t r e c o l o n n e a d o p e r a d i f r a t e l l i ,c h e e r a n o e s o n o r i m a s t i p i e t r a g r e z z a . F o r t u n a t a m e n t e q u e s t i f e n o m e n i ,s e b b e n e a n c o r a p r e s e n t i ,s o p r a t t u t t oa d o p e r a d i f r a t e l l i i n v e t e r a t di a l u n g h i a n n o n e g l i antichivizl,comegiustamenteha piuvoltericordatoil nostroVenerabilissimGoranMaestrot,endonoa non avere più presasull'opinionepubblicaprofanagraziesoprattuttoalla decennalepoliticadi chiarezzad, i trasparenzea di impegnocivileintrapresdaall'attualGe ranMaestranza. Se cosi si puo dire,la battagliaper I'affermazionedella nostra legittimapresenzanella società democraticaitalianae per la costruzionedi una nostraimmaginepubblicapositivaè statavinta. Oggii massmediadistinguonqouasisempreconrigoretraGrandeOriented'ltaliae massonerieirregolaroi deviate,riportanofedelmentea, nchese ancoracon non sufficientefrequenza,le nostreopinionie le nostre iniziative ci riconosconouno spazionell'informazionceh, e, sebbeneda estendere,ha tuttaviagia il caratteredellacorrettezzaA.nchele istituzionpiubblichehannomutatoatteggiamentnoei nostriconfronti, riconoscendocin taluni ambiti, che storicamenteci appartengono,come interlocutoriqualificati (partecipazionaecommissionic,omitatipubblicie, tc.);i messaggdi ellemassimeAutoritàdelloStatoalle nostremanifestazionsiono ormaidiventateuna feliceconsuetudines,emprepiu frequentementepoliticied amministratorpiubblicipartecipanoalle nostreiniziativeculturalie le Comunionimassonicheestere guardanoallanostrarealtàconrispettoedammirazioneI.nsintesil,asocietàcivileciharestituitoilruoloche   storicamentien ltaliae semprestatonostro.Poiché,però,nessunaconquistanellastoriaumanae definitiva e quandoci si fermaa contemplarecompiaciuti risultatiraggiuntisi rischiadi perderequantosi è faticosamenteconquistaton, on solo è necessarioperseverarenell'impegnosino ad ora profusonella costruzionedellanostraimmaginepubblicam, a e altresìindispensabilientensificaruelteriormente in modo operareattraversoun radicamentosemprepiu profondo semprepiù rigorosotale impegnoe, soprattutto, dellanostraimmaginenell'azionesocialeeffettiva,nellanostrarealepresenzastorica,nelleazioniche quotidianamencteiascunodinoidevecompiereperesseredegnodellamaestranzacuiappartiene. Nelle attualisocietapostmodernel'immagineè molto,talvoltaquasi tutto, ma non è tutto. Oltre all'immaginseerveanchela sostanzada cui tale immaginedovrebbederivareI.n particolarep,roprionella v i a i n i z i a t i c al i b e r o r n u r a t o r i al ' i m m a g i n en o n d o v r e b b e e s s e r e i l v u o t o s i m u l a c r od i i r r e a l i s t i c h e aspirazionoi diabiliingannim, alafedeleiconadellarealtà,diciochevogliamoesseree siamocomeLiberiMuratorei comeappartenenatil GrandeOriented'ltalia.Pertantole azionidi markefrngsonosenzadubbionecessarie inunasocietacomelanostra,percorsadaapparenzesemprepiùinvasivem, aepropriolanostranatura iniziaticae tradizionalae imporcdi i essereciochedesideriamaopparireP. erraggiungerqeuestoobiettivoe indispensabilperogettared,a braviarchitetti, unafattivapresenzanellasocietàin cuiviviamo;unapresenza che sia significativa,ttraversole nostreopere.dei valoriche da semprerappresentiamoT.arepresenza avrà la prevalentecomponenteindividuale, ciascunLiberoMuratoree chiamatoa farecomesingolola propria parte di lavoro, a dare con il proprio comportamentoil buon esempio, ma dovrà essere a c c o m p a g n a t ea s o r r e t t a a n c h e d a l l a p r e s e n z a d e l l ' l s t i t u z i o n l i e b e r o m u r a t o r i a n e l s u o i n s i e m e p e r r i s u l t a r e maggiormenteincisivae persistentenel tempo:il mondomodernoe semprepiù istituzionalizzato ed anche noi dobbiamoadeguarcia questatendenzasociologicad, el resto,la tradizionealtro non è che una istituzionliazzaziondeeisingoilcomportamenti. 3. Lo statodellaComunione La situazioneinternadellanostraComunionesi presentaa, d unaanalisai pprofonditas,ostanzialmente positivae riccadi prospettiveper il futuro,anchese le fastidioseturbolenzeprofanedi talunifratelli,più a n i m a t di a s p i r i t od i r i v a l s ac h e d i c o l l a b o r a z i o n pe o, t r e b b ef a r p e n s a r ei l c o n t r a r i oF. o r t u n a t a m e n ti er i s u l t a t i c o n c r e t ci o n s e g u i tpi a r l a n op i ù e m e g l i od i q u a l s i a s pi e t t e g o l e z z o o d i q u a l s i a s si c o m p o s t od i s s e n s o . L a C o m u n i o n es i p r e s e n t ai n c o s t a n t e q u a n t i t a t i v a , crescitasia siaqualitativea segnaI'affermarsdii un decisoringiovanimendtoeisuoiaderentiQ. uest'ultimdoatonondeveesseretrascuratononsoloe nontanto percheil futuroe dei giovani.ma soprattuttoperchesonole vecchiegenerazioni che manifestanmo aggiori difficoltàad abbandonaruen modellodi LiberaMuratorianonconsononé allanostratradizioneiniziaticane allarealtàstoricaattualmentesistente. Nel generalepanoraman, on solo nazionaled, i diffusadisaffezionveersoI'impegnoassociazionistico (RotaryClub,Lions,partitipoliticic, hiese,etc.) ed, in particolarev,ersoquelloliberomuratorioconforta constatarecome il GrandeOriented'ltaliasi ponga in controtendenzae riescaa catalizzareI'interesse l'adesionedi notevolei qualificateforzgeiovaniliO. vviamentetaliadesionsi ollecitanuon rinnovatoimpegno per garantireal nostrointernoun ambientesemprepiù favorevolead una crescitainiziaticacomune.Le a d e s i o n i s c a t u r i s c o n od a a s p e t t a t i v e e l e a s p e t t a t i v e p i u d i f f u s e s o n o p r o p r i o q u e l l e c h e h a n n o c a r a t t e r i z z a t o la nostrastoria:unaelevataqualitàiniziatico-esoterica qrande unitaad una capacitadi presenzasociale. Simbolicamentpearlandop, urtroppole noteiniziatichdeel FlautoMagicodi WolfgangAmadeusMozart sonotroppofrequentementperofanatedall'irromperneellaComunionedi comportamenatinimatidallatipica profanitàdeitreCompagndi 'ArtecheucciseroHiram. La LiberaMuratorianon puo esserené la cameradi compensazionedellefrustrazionpi rofanee neppure un campo di futili contese di natura condominialel;a Libera Muratoriaè una scuola di p e r f e z i o n a m e n t ion d i v i d u a l ef i n a l i z z a t oa l b e n e d e l l ' U m a n i t a d; i q u e s t a n o s t r a c a r a t t e r i s t i c an o n p o s s i a m o m a i s m a r r i r n el a m e m o r i a a p e n a d i n e g a r e l a n o s t r a s t e s s a n a t u r a . Per questomotivoe necessariostigmatizzarenegativamentequei comportamentcihe, nascendoda uno smisuratonarcisismopersonalep, ongonoil proprioio in posizioneassolutae tentanodi imporreil proprio modo di vedere come I'unicocorretto.Tali comportamentni on solo contrastanocon il nostro basilare principioditolleranza,mancheconquellavisionerelativam, olteplice, checi e propriada sempre. Non meno deprecabilsi ono quei profani comportamenti che mercanteggiancoarriere,grembiulie r i c o n o s c i m e n t p i , r e s c i n d e n d do a c a p a c i t à c, o n v i n z i o n i i d, e e e p r o g e t t oi p e r a t i v i D. e v e r i s u l t a r eb e n c h i a r o a tuttiche le funzioniniziatiched organizzative, chesi ricopronoin Loggiae nell'lstituzionien,genere,sono serviziprestatialla comunitàe non orpelli,gerarchieo privilegdi a esibire,se non ancheda ostentare. esibizionei d ostentazionsi i configuranocome veri e propriabusi delie funzioniricoperte.Se vissute correttamentetalifunzionidebbonoessereintesecomeonerie, pertanto,nondovrebberodareaditoad alcunlitigioin sedeelettoraleo di nominaallemedesimen; onvi dovrebbei,nfattie, sserenessuninteresse personalea ricoprire qualsiasi una funzionel;'unicointeresselecitoe quellodi servirela comunità. stratificatea cumulativadellaverità,   Ulteriorniegativitcàigiungonop,oi,dallaormainvalsabitudindeiesternariensedeprofanaiconflitti i n t e r n i a l l a n o s t r a C o m u n i o n e Q. u e s t o c o m p o r t a m e n t o c , e r t a m e n t e f a v o r i t o d a i m o d e r n l m e z z i d i comunicaziondei massa(lnternet, e m a i l s, m s , e t c . ) , i n d u c e p r e n d e r ep o s i z i o n e , i l p r o p r i op e n s i e r so e n z a i n t e r p o r r pe r i m a u n a g i u s t a p a u s a d i r i f l e s s i o n es o: n o v e r a m e n t e convintodi quello ch-escrivo?Rispondaelveroquantoaffermo?E'opportunaoffermarloF?accioilbenedellanostraComunità affermandoloE?tc..L'azionedelloscriverecostaormaicosìpocafaticaed è cosìimmediatcaheprecedeil pensierostessos: i agiscesenzaunasufficientreiflessioneI .dannid'immaginpeernoitutti,pot,a causa dell'impulsivirtàrazionaldeeipochis, i diffondono profani, trai cheleggonoiunquele nostresternazioni, spessoanchesenzariuscirea capirle,ma semprecomprendendcohe siamocoinvoltin scontri completamenpterofania,nchepeggiori dlquellpi roprdi ellanormaleprofanità. Particolarmenrtieprovevolaeppare,poi,I'usoormaidiffusodi giuridicizzariecontenziosi . -giuridica, interni, abbandonandlaonoslratradizionme oralei,niziaticea ritualep, iùche e di inasprirei tonidegli scontrbi enoltrequantodovrebbesserelecitotraFratelli nell'lniziazionSé.emprepiùspessoI,nottret,ali conflittinon si fermanoall'internodella nostragiustiziamassonicam, a fuoriesconop,er'approoare direttamenatei TribunadliellaRepubbliclatalianaD. ellaillegittimiatànchegiuridicadi talicomportamenstii diràinseguitop,erorabastisottolineariledegradomoralede-lltaradizionme-uratoria, lcomportamendtei scritti sonodecisamentreiprovevoli comeesempioluminosoI.nfattic, onestrema algradodiApprendistLaiberoMuratorreicordalrecipiendario: ll.secondo[dovere]è di praticarela virtù,di soccorrereivostri Fratellid, i prevenirele loro necessità, d i a l l e v i a r e l e l o r o d i s g r a z i e e d i a s s i s t e r l ci o n i v o s t r i c o n s i g l i e c o l v o s t r o a f f e t t o . e u e s t e v i r t ù , c h e nelmondoprofanosonoconsideratequalitàrare,sonotra ioi soltantoil compimentodi un dovere gradito. ll terzodovereè quellodi conformarvai lteleggidell'Ordinedei LiberiMuratorie ai Regolamentdii questaLoggia[...]. LanostraComunionenon.dovrebberappresentaruenospaccatodellanostrasocietà,maraccogere soloilmeglioc,heinessagiàvive,periniziareunpercorsodisemprecrescentpeerfezionamento. ll Libero Muratorenon può rappresentareil cittadinomedio,ma deve aspiraread essere l'éllfe della società. Fortunatamenltae maggioranzdaella nostracomunioneè compostada Fratellimeravigliosi, che si distinguonoperprofonditàiniziaticae generositàcivile.Pochepiete gîezzenonpossonorovinarequantoi piùhannolevigato. 4.Alcuntiemidiriflessione La giornatadi MassaMarittimhaa evidenziatIo'esigenzdai rifletterientornoad unanumerosaseriedi temi,chepaionocrucialpierlanostraComunionienquéstoparticolare momentostoricoC. ertamentietemi individuaeticheoraverrannoespostni onsononuoviallanostraTradizione,ppuresembranononancora completamenpteadroneggiati datutti. InconvergenzcaonleistanzechedapiirpartidellaComunionleiberomuratorisailevanol,apresente Gran Loggiaè dedicataall'Eticadella libertà ed all'eticadella responsabilitàN. on può sfuggire soprattuttionunambitocomeilnostroc,henon dovrebberiprodurrievizi dellasocietàprofanam, a proporsi chiaîezzial ritualedi iniziazione I'ispirazionweeberiana, cheanimaquestotema.MaxWeberfu,forse,il piùillustresociologioedescodella primametàdelsecolopassatoefucertamente -postindustriale un acutoosservatore criticodellasocietà e burocraticac'hein quegliannisi stavaformandoall'ombradellaminacciadellegrandidittatureuropee, alloranascentlil. messaggidoell'illustrseociologeovidenziava, primo poterec'hetendevanaospersonalizzare le decisionpiolitichiendividuali e lerelatrvseceltem, asubitodopo richiamavIa'attenzionaenchesullasolitudindeell'esseruemanodifrontealcrescentpeoliieismdoeivalori delmondomodernop;oliteismo, chetuttorainesorabilmente organizzazionsiociali.Tuttaviaa frontedi un politeismodilagantenell'estremosoggettivismo, Weber c o n c e n t r l a a p r o p r i a a n a l i s si u l c o m p o r t a m e n r t ao z i o n a l e e s u l m o m e n t oe t i c o , p e r m a t é i i a l i z z a r e dei valoriun comportamento o r i e n t a t oa d u n r e l a t i v i s m o o p e r a t i v oi ,s p i r a t oa à u n a o r g a n i z z a z i o n e tutta umanaedemocraticdaellèsocietàW. eberaffrontailtemafondantedellesocietàmoderÀec:omepossano funzionarele societàindustriali di massanelrispettodelleindividualitpàersonaluimane?E',dunque,in questoquadroche I'eticadellalibertàr,ivoltaallatuteladel singoloessereumano,devecoordinarsei conciliarscion I'eticadellaresponsabilità, fìnalizzatagliinteressciollettiveid istituzionalNi.ulladi più attuales, oprattuttoa, llalucedei presentpi roblemdi i sviluppoeconomicosostenibile di benessereo,t tuteladellelibertàindividuaeli di sicurezzad,i partecipazione d e m o c r a t i c ea d i e s i g e n z ed i g o v e r n o p, e r citaresolopochiesempi. Aldilà,.comunqued,egLsipecificciontenutciulturalieberianiiilsempiice richiamao questoAutoresprimeunelementfoondaniedellaTradizionleiberomuratoria: a a parlareda trasmettere cheessirivetano. in luogo,i mèccanismi burocraticdiel incalzae rischiadi sprofondàrneelnichilismloe dalnulla   I'impegno civile e sociale sostenuto da un'etica radicata nella nostra cultura iniziatica,ossia individuale,personale,propriadi ciascunLiberoMuratore. La nostraTradizioneiniziaticaci assisteed accompagnanelleimpegnativeprove,che I'attualerealta storicacipresentae, noi,peressereall'altezzaditaleTradizioned,obbiamoesserecapacidireinterpretarla a l p r e s e n t e n, o n d i r i p e t e r l a a l p a s s a t o L. a T r a d i z i o n e e t a l e p e r c h e s i p o n e f u o r i d a l l a s t o r i a i n u n a p e r e n n e attualitan, onin un richiamocristallizzato ad un singoloattimodeltempopassato. La centralitaeticadelnostrolevigarela pietragrezzadi noistessisi impiantasulleduecolonnedi una profondaconoscenzafilosoficae di unaaltrettantoprofondaconsapevolezza morale.lgrandi insegnamenti che ci giungonodai simboli,dai riti,dallasapienzae dai lavoridei nostriFratellipassatie dallanostra lstituzionehannonaturaeminentemente filosoficae morale.Dunque,ciascunodi noidevecostruirsciome un attentoconoscitoredei nostri insegnamentim, a anche come un ferreo e rigorosoportatoredi comportamentisi piratialla nostrapiu rigidamoralità.Troppospessosi sentonotalunifratellivantarsidi conoscenzesoteriche, poi,il lorocomportamenteo paragonabilae quellodei peggiorpi rofani.Troppo spesosi assistealleiamenteledi talunifratellpi erl'assenzadinsegnamenti poi, massonicei , loropersistentaessenzanonsoloadibattitei convegnim, aancheesoprattuttoaglistessilavoridiLoggia. TroppospessosiascoltanotalunifratellliamentarsdiiquellochenonottengonodallaLiberaMuratoriae non domandarsciosaessidannoallaLiberaMuratoriaT. uttiquesticomportamenti rivelanounaassenzadi vera e p r o f o n d am o r a l e l i b e r o m u r a t o r i a D. e l l ' a s s e n z da i c o n o s c e n z an o n e n e p p u r ei l c a s o d i p a r l a r e . F o r t u n a t a m e n taef r o n t ed i q u e s t ed e g e n e r a z i o nl ai g r a n p a r t ed e i F r a t e l lsi i d i s t i n g u ep e r i m p e g n oe s e r i e t à nelpercorrerelaviainiziatictaradizionaldeellaLiberaMuratoria. Perfavorirelacrescitadellanostralstituzionenecessarioin, unasocietadimassa,giuocaresuigrandi numerie, quindi,selezionaredai grandinumerii miglioriuomini,per inserirlai l nostrointerno.Se si raffrontanoquantitativameniteMassoni dell'ottocentiotalianoa quelliattualied entrambialla rispettiva dimensionenumericadellasocietà,nellaqualeviviamoe vivevanoc, i si accorgecheogginoisiamomolto s o t t o d i m e n s i o n a Nt i o. n c r e d o c h e s i p o s s a p e n s a r ec h e g l i i t a l i a n di i o g g i s i a n o p e g g i o r di i q u e l l i d i i e r i , f o r s e , comesembranotestimoniartealunenostrerealtainternealGrandeOrienteè, veroilcontrarioE.dallorae nostracarenzanon dare la possibilitai miglioridi entrarenellanostralstituzione. questa Su c o m u n i c a z i o n è e c e n t r a l e e m o l t o s i e f a t t o i n t a l e d i r e z i o n e s , i a a t t r a v e r s oi n c o n t r pi u b b l i c i s , i a g r a z i e a d u n a r i c c a p u b b l i c i s t i c as , i a , i n f i n e , a t t r a v e r s ol a p r e s e n z a s u i m a s s m e d i a . N o n s i d e v e r a l l e n t a r s l ' i m p e g n i on questedirezioni,ma tale impegnopotrebbetrovarefattoridi moltiplicazionaettraversoun sistematico coordinamentnoazionaledegliinterventiI.noltreil moltiplicarscioordinatodi una reteassociazionistica sul territorionazionalepotrebbedivenireun utilestrumentoa, l contempod, i diffusionedei nostriprincipei di informazionientornoallenostreiniziative, ma anchedi selezionedi colorocheintendonoavvicinarsai noi. A questaselezionesternadeibussantdi eveanchecorrisponderuenaselezioneinternadeiFratelli. Non casualmentegli insegnamentliberomuratorvi engonoimpartitsi u tre gradi(Apprendista, Compagno d'Arte,Maestro)p, ertantonon puo essereil merotrascorreredel tempoa determinarei passaggdi i grado. Solola conoscenzadelgradonelqualesi lavorapuodaredirittoad aumentdi i salarioc, omebeneesprime l a n o s t r a T r a d i z i o n e e, l a c o n o s c e n z as c a t u r i s c ed a l l a s o m m a d e l l a v o r o i n d i v i d u a l ec o n q u e l l o d i L o g g i a . Pertantola selezionenonpuocheavvenirea seguitodi unacostantepresenzain Loggiae di un sistematico lavoropersonaledi ricerca. Le Loggedovrebberolavorarein tuttii gradi,nonsoloin quellodi Apprendistae,d, in particolare, i lavori in terzogradodovrebberoesserevalorizzati, affinchesi possaconstatareche il GrandeOrientee composto da Maestric, he lavoranonel lorogradoe non in gradodi Apprendistal.l gradodi Maestroe il verticedella nostralstituzione, pertantod, eve informarela maggioranzadei lavoriritualidi Loggiaper evitareche le ritualitadi altrigradiprendanoil sopravvento, snaturandonleaforzainiziaticail:avoridaApprendistraestano perApprendisatinchese fattida Maestri. ln questiultimianni il GrandeOriented'ltaliaha promossouna crescenteorganizzaziondeella Comunioneal fine di potenziarnela presenzasocialee la capacitainternadi creicita qualitativae quantitativaIn.fattis,emprepiùnumerosei culturalmente rilevantsionostatii convegnil,etavolerotondee g l i i n c o n t r si i a p u b b l i c si i a p r i v a t i ; l a n o s t r a p r e s e n z a s u l t e r r i t o r i o e s t a t a r a î f o r z a t ad a c o n s i s t e n t i i m p e g n i p e r f o r n i r e a i f r a t e l l s i e d i d i g n i t o s e m; a n e c e s s i t a a n c o r a s i a u n a m a g g i o r e p a r t e c i p a z i o n i e n t e r n a a i l a v o r i d e l l a Comuniones,iaunapiuadeguataorganizzazione storiche. Rispettoal tema dellapartecipazione ai lavoridi Loggianon mi sembrasi debbainsisteremoltoper costituzionalech, e megliorappresentlei attualiesigenze evidenziarnela doverositaoltrealla necessitàT. uttaviapare opportunoribadirecome la radiceprofonda d e l l a L i b e r a M u r a t o r i ar i s i e d a n e i t r e g r a d i d e l l ' O r d i n e e n o n n e g l i u l t e r i o r gi r a d i d e i R i t i , i q u a l i , a l m a s s i m o , possonoessereconsiderati dellearticolazionsipecificheD. unque,nessunacameraritualepuo sostituire sopperireallacarenzadi lavorinei primitre gradi.Questariflessionedovrebbeconvinceretuttii Maestri Venerabilai promuovereun consistenteincrementodi lavoriin cameradi Maestro,al fine di espandere pienamentele potenzialita iniziatichdei dettacamera. R i g u a r d o , p o i , a l l a n o s t r a o r g a n i z z a z i o n ec o s t i t u z i o n a l ei n t e r n a , p a r e n e c e s s a r i o c o n s t a t a r e c o m e g l i e p i s o d i cei d o c c a s i o n a li in t e r v e n tdi i r i f o r m an o r m a t i v as, o v r a p p o s tai d u n t e s s u t o g i à di disposizioni spesÀo si constatala stradala   contraddittorio carente,abbianoormairesaevidentela necessitàdi unaorganicae completariscrittura dellanostraCostituzionee deinostrRi egolamenti. Infattir,isultasubitochiaroa chiunquestudila nostralstituzionceomeallastrutturainiziatic(aLogge, GranLoggiae, tc.)dellanostraComunionsei sovrappongaper dallanostraappartenenza precisa ad una realtàstoricau, nasovrastruttuarassociazionistica di inevitabile saporeprofanoP. oichenone possibilpeorsfiuoridalleesigenzseloriche dallasocietàc,uisiappartienae pienotitolo,la strutturainiziaticadeveper necessitàcoordinarsci on l'oîganizzazionperofanalassociazioni, societàcommerciaolib, blighfiscalei .dipubblicasicurezzaq,uoteassociativelo,cazionimi moòiliari, etc.)dalmodelloconfederale originarivoersoun modellofederalepiùo menocentralizzaìo. neirecentpi rowedimendti adeguamenatollenormative fiscalimposteallealsociazioni c i v i l e s, i a d e l l a L i b e r a M u r a t o r i a , siadelrapportocheintercorre pertanto traquesteduerealtàstoriche. dobbiamostupircci heancheil nostroapparatonormativo, quello conseguentemennteo,nscambinoi gradipercarriere,grembiuli i peronorifìcenzeelenormeperstrumenti diprevaricazionLea.LiberaMuratorisaialimentadiidealiedispiritodiserviziofraterno. 5.Inultimom, anonultimo. A chiusuradi questarelazionme oralemi sembraopportuno ricordardeuespecifichtematiche, sonodovuteaffrontarein questoprimoannodellanuovaGranMaestranza. prima intornoallatroppoeslesacontenziosigtàrudiziaria ed al degradocomportamentale, d e r i v a t o e, m e r s i i n o c c a s i o n ed e l r i n n o v od e l l e c a r i c h ed i é i u n t a e c o n t i n u a tpi e r v i c a c e m e n t e anchenel corsodelcorrenteanno.LasecondainvesteirapporttiraOrdine CorpiRitualei dhaportatoallastesuradi nuoviProtocoldli'lntesa. Procediamcoon ordine.ll primotemaaffrontaI'ormadi iffusomalcostumdei ricorrereallagiustizia ordinariaperpresuntedisarmonie in materialiberomuratoria, prima anche di esperireil forodomesticeo di cercareconcordiafraterna,come dovrebbeesserenostrodoverefare. Inolt;e,tali scontrigiudiziarisi connotanaoncheperlaviolenza, la ripetitiviteàla caparbiareiteraziondei atti,citazionei,sposti, r i c h i e s t de i accertamentin via preventivaed in via risarcitoria,querele,richiestedi prowedimentiourgenzae quant'altro consentaI'articolatoordinamentgoiudiziario si sommaancheun corrispondente di massa(giornalil,eúere,siti internet, , esigenzesocialei giuridichdeipendenti etc.)ai e giuridicarmonicae,ntrola qualesvolgereinostriarchitettonici finedi costituireunaunitàistituzionale lavoriD' elrestotaleproblemahanaturaTradizionalpeo, ichenonnasceoggrm, aciaccompagna storicdi elcompagnonaggeio dellaMassoneriOaDerativa. La Tradizionecostituzionale dellaMuratoriaUniversale, Infattil,eLoggesovranesiunisconoc,onservandlaopropriasovranitàp,erformareunaGranLoggiam, ail sistemaè lentamentsecivolato, lnoltre,ha naturaevidentemente federale. comeperaltroè awenuioanchenellecostituziosntiatal(iSvizzera, U.S.A., In sintesis, i è materialeallaCostituzionfeormaleorigtnariaC.iòha sovrappostuana,cosìdettadaigiuristiC, osîituzione prodottoincertezzeinterpretativea,d esempiointornoall'autonomidaelleLogge,comebenesi e evidenziato dalloStatoltaliano. Maanchea presclnderdealleantinomied,allelacunee dalleoscuritàdeinostritestinormativil,tempo, comeè notoai giuristiè, nemicodelleleggie: ssocorrementrele leggirestanofermec, ristallizzate nellaloro immobilitàIn. questiultimai nniabbiamoassistitaollerapidetrasfor-Àazioanni,coraínfieri,siade a società n o n adeguarsai lle nuoveesigenze.OwlamenteI'adeguamento deve esserefatto in modo organtcoe sistematictoe,nendoanchecontodelledimensioncirescendtiellanostralstituzioned,elleregolamentazioni, che si sonodate le altreMassoneriestranieree, dellenormativedegliordinamengtiiiridicistatalie sovranazionali. .. UnaultimariflessjonmeiportaaricordaraetuttiiFratelliche,comunquela,LiberaMuratorinaonpuò divenireuna organizzazionperofana.Essa è e deve restareuna lstituzioneTradizionaleIniziaticaper il perfezionamento dell'esseruemanoC. iÒp, erò,presuppone non i n i z i a t i c os , i m b o l i c oe r i t u a l e d, e b b a anchechei Fratelliavivanoinquestospiritoe, italianoP. eraltroall'iperattivismgioudiziariJprofano fenomenodi comunicazione emails, ms,etc.),perlo piùanonimot,endentea screditare lanostralstituzionaédín,particolaie, alcunsi uoi esponendtiiverticeN. onparenecessarisooffermarsui llaprofaniteà,spessoa,ncheilliceitàgiuridicdaitali comportamenstie,mbra,inveceo, pportunosotlolineare comeessirendanodi dominiopubúicole nostre c o n t e s ei n t e r n ev, i o l a n d on o n c e r t oi l s e g r e t om a s s o n i c op,o i c h én o n v i è n u l l ad i s e g r e i oi n s i m i l im i s e r i e umane,ma umiliandoil buongusto,il dirittodei fratellai d una immaginepubblica internodistesoed alla riservatezzadelle proprieproblematiche f,ositiva, di fàmiglia.La litigiositàed ancor più I'accanimenntoellalitigiosità -una sonopessimbi igliettdi a visitae forniscono immag"ine Oriented'ltalia. finedi evidenziarqeualidebbanoessereicomportamenti correùiinialematerianellanostraComunioneln. nostralstituzioneT.uttipossonopercepire idannichequestsi considerati PoichéilGrandeOratoretraipropricompitiistituzionali quello haanche di interpretare e di custodirle leggiho reputatomio precisidoverecompiereun lavorodi esegesigiuridicasullenostrefontinormativea, l chesi La riguardala riflessione chène è connessoe deteiioratdaella comportamenairirecanaol Grande daitempi ad un clima   breve,risultaevidenteche la nostraTradizionenon consenteun facilericorsoalle giustizieor6inariein materialiberomuratorie, comunquen, ontolleraunaeccessivanimositaneldifenderàl" propriepresunte ragioni.Se non e possibileparlaredell'esistenznael nostroordinamentogiuridicodi una vera e propria clausolacorxpromissoraiassimilabilaequelletipichedell'associazionismproófanoe, tuttaviaevidentecome il ricorsoallagrustiziaordinariavengacostantementveistoe vissutocomeun comportamentpoatologicoe talvoltaanchecomeunaverae propriacolpamassonicaL.asituazionesiaggravaperI'attoiequalorail g i u d i z t o m a s s o n i c oo a n c h e s o l o q u e l l o p r o f a n o d i a a l u i t o r t o ; p o i c h e i n t à l e c a s o s i e v i d e nz i a s e n z a equivocei d incertezzeuncomportamentnoonfraternoneiconfrcntdi elconvenuto. A l f i n e d i c h i a r i r ei l p i ù p o s s i b i l et a l i t e m a t i c h eh o p r o v v e d u t oa d u n a a n a l i s id e l l e n o s t r ef o n t i d i d i r i t t o , analisiche gia evidenziaquantosopraesposto,ma che raccomandapiù puntualmi odifichenormativenei nostriregolamentail finedi rendereesplicitaa, nchesul pianoassociazionistico, nostroordinamentgoiuridicodi unaclausolacompromissoria. ll pareresullefontidel dirittoliberomuratoriodel GrandeOriented'ltaliae sul vincolodei Fratellai limitarsni eicontenziosaillagiustiziadomesticavieneriportatonell'allegato n.1. ll secondorilevantetemaaffrontatoin questoannomassonicoriguardai Protocoldli'lntesatra il Grande O r i e n t ed ' l t a l i ae d i C o r p i R i t u a l ai d e s s o a d e r e n t i P. u r t r o p p oa n c h e i t o m p o r t a m e n t i c, h e h a n n o c o s t r e t t oa d affrontaretaletematicanonsonocertocommendevolei rivelanoilmaisopitotentativodellearganizzazioni ritualdi icostituirsciomeunaMassonerianellaMassoneriac,omeunlivellosuperioredicontrollòdell'Ordine Libero Muratoriodei primi ed unici tre gradi, contravvenendoin tale modo alle regole massoniche internazionalmentreiconosciute.Pertantoi nuovi Protocollid'lntesasi sono rigorotamenteispirati all'applicaziondellenormativeinternazionali in materiaed hannointeso pericolosa, correggerela anchese traOrdinee CorpiRituali nuoviProtocolldi'lntesasifondanosuquattro forseinconsapevoltee,ndenzaegemonicadeiCorpiRitualsi ull'Ordine. Al finedi ristabilirIe'equilibrio principbi enprecisi: 1) 2) 3) L'Ordineo, ssiail GrandeOriented'ltalia,svolgeuna indiscutibiled originaria'funzionieniziaticamente fondantee giuridicamentlegittimante regolarizzantreispettoai CorpiRituali. | CorpiRitualihannotuttiparidignitadi fronteal GrandeOriented'ltaliae, pertantoi, Protocolli, specifichepeculiaritdaovuteadoggettivedifferenzestoriches,onougualipertuttii CorpiRituali. Ordinee CorpiRitualgi odonodellapiùassolutae reciprocautonomiaE. ',quindi,fattoobbligoai Corpi Ritualdi i astenersdi a qualsiastiipodi interferenzaedingerenzadirettaod indirettanellavitadell'Ordine ed in modo particolarenei momentiistituzionadlii sceltae di rinnovodegliorganiinternidi governo dell'Ordinestesso.A tale fine è parso necessarioritenereincompatibili dell'OrdinedeiCorpiRituali. 4) l-e normative interne dei Corpi Rituali devono essere conformi alle normative massoniche internazionalmenrtieconosciute particolare, ed, in a quellepropriedel GrandeOriented'ltalia,nonche, ovviamentea,nchealledisposizioni di leggedellaRepubblicaltaliana. La bozzadei Protocolldi 'lntesatra GrandeOriented'ltaliae CorpiRitualivieneriportataper esteso nell'alleganto.2. A conclusiondei questarelazionemoralesia lecitoricordarecon profondodoloree fraternorimpiantoil F r a t e l l oB e n t P a r o d id i B e l s i t o g, i a G r a n d eO r a t o r eA g g i u n t o c, h e n e l l e i m m i n e n z ed e l S o l s t i z i od ' i n v e r n oe passatoall'OrienteEterno.La sua immensaculturasi univaad una profondadedizioneagli idealilibero muratori,ma soprattuttocoloroche hannoavutoil privilegiodi conoscerloda vicinohannopotutoapprezzare q u a n t a n o b i l t a g, e n e r o s i t ae d a m o r e f r a t e r n oa l b e r g a s s e r no e l s u o a n i m o . Nel rimpiantodi un fratelloed amicoscomparsovogliodedicareal suo ricordoquestemie brevi riflessiondiiuntempogiovanileormaiperduto: RINTOCHI Se le campanesuonanos, egnandoil miofato; seilgiornoe lanottecircolarmente si avvicendano; Coniltriplicefraternosaluto. se il marearrotolacadenzatriicciolbi ianchi; se i montiforzanolavoltadelcielo, lo ridoe piangoe bevoe negoildomani. L'orizzonteguidaallamadre, matuseiunrigidosegmento. IL GRANDEORATORE MorrisL. GhezziPrima di formulare alcune precisazioni intorno alle principali critiche rivolte, soprattutto in sede di postfazione, al mio scritto, voglio ribadire che sono infinitamente grato ad Emanuele Severino, ad Agostino Carrino ed a don Paolo Renner per l’attenzione, che generosamente hanno voluto de- dicare al mio lavoro. Le obiezioni, infatti, che mi sono state rivolte hanno arricchito la ricerca con contributi seri e proficui per la conoscenza umana; conoscenza che non può che scaturire da serrate critiche, severe obiezioni, profondi dissensi, diversità metodologiche ed euristiche, divergenti punti di vista e ripensamenti vari. Ma senza indugiare oltre è tempo di commen- tare queste critiche. Ogni affermazione presuppone anche la propria negazione: luce e tene- bre, dritto e curvo, finito e infinito, piace non piace, etc.. La dialettica degli opposti appare una fenomenologia, per così dire ontologica, ossia propria della struttura mentale dell’essere umano. Ciò non significa che il dualismo sia dotato di un fondamento maggiore o minore del monismo, ma sem- plicemente, che né l’uno, né l’altro sono dotati di alcun fondamento non dogmatico, non assiomatico. Conseguentemente fidare in un paganesimo monista di dei, semidei, eroi ed uomini divinizzati, come propone Carrino, o in un dualismo giudaico-cristiano, che separa il divino dall’umano, è scelta meramente arbitraria e priva di un solido sostegno logico od em- pirico, nonché, meno che mai, metafisico o religioso. Probabilmente nel pensiero o, meglio, nella rivelazione cristiana la sintesi teologica, il ponte          138 Il diritto come estetica tra fisico e metafisico avviene attraverso la figura del Cristo, che viene considerato vero uomo, ma, al contempo, espressione della trinità divina. Afferma, infatti, Massimo Cacciari, commentando Emo: Lo sforzo teologico di Emo consiste, dunque, nell’intuire nella Croce stessa (non oltre la Croce o dopo la Croce) la Resurrezione1. Si tratta, tuttavia di una Resurrezione/rivelazione di natura puramente spirituale e, conseguentemente soggettiva, poiché tale rivelazione di pas- sione e di morte nulla ha mutato nella realtà empirica del mondo, se non il modo di pensare e di credere dei fedeli e solo dei fedeli: si continua a nascere, soffrire, morire, fare violenza e guerra, elargire misericordia ed amore esattamente come nell’era precristiana. Del resto neppure la diviniz- zazione dell’’essere umano (pagana o meno), con buona pace dell’amico Carrino, nulla ha mutato nel panorama delle sciagure e delle piacevolezze empiriche, se non la superbia dell’approccio, basti pensare alla tragedia greca. Inoltre anch’essa si presenta come una conoscenza di fede (leggasi scelta arbitraria) Le affermazioni del presente saggio, per essere correttamente comprese, devono essere considerate solo come ipotesi scettiche di riflessione, tut- te possibili, ma nessuna fondabile su solide basi conoscitive, e non come asserzioni sostenibili alla luce di baluardi inconfutabili; ciò sarebbe in evidente contraddizione con il presupposto fondante tutte le ipotesi che hanno natura nihilista/nichilista. Ė ovvio che alla luce di tali presupposti teorici qualsiasi critica si voglia muovere al saggio non può che avere na- tura esterna; infatti una critica interna affonderebbe inesorabilmente nelle sabbie mobili di posizioni incerte, si velerebbe nella nebbia di affermazioni tutte possibili e nessuna certa. L’empiria vorrebbe imporre come certezze le affermazioni della perce- zione umana, ma tali percezioni derivano dalla struttura organica dell’es- sere umano, propria del mondo, che noi crediamo di conoscere e, comun- que, nel quale viviamo; ma di tale mondo nulla si conosce, salvo il nostro percepito ed il nostro percepito è presupposto di se stesso, pertanto non testabile a sua volta empiricamente. Il reale, ammesso che esista un qual- che referente empirico da attribuire a tale termine, potrebbe essere anche molto diverso e maggiormente composito, come dimostrano altre forme di percezione animale ed ulteriori possibili modalità ipotetiche percettive, da 1 M. Cacciari, “Prefazione” ad A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, cit., p. VIII.           M. L. Ghezzi - P.S. Trappola senza uscita: una riflessione sulle critiche ricevute 139 come viene immaginato dall’essere umano. In altre parole, il saggio, pro- blematizzando il fondamento euristico del metodo empirico, problematizza proprio anche l’a priori kantiano e dubita delle sue categorie. Ciò tende a porre la ricerca empirica sul medesimo piano di quella metafisica in quanto entrambe fondate su un a priori indimostrabile. Infatti, giustamente Ema- nuele Severino parla di una struttura originaria, che implica per necessità l’eternità, ed è proprio e soltanto a questa struttura, che si può chiedere il fondamento dell’esistenza del soggetto e dell’empiria. In termini religiosi il problema non muta: il divino intende permeare l’umano in modo empi- ricamente comprensibile, trasformandolo? Pare che ciò sino ad ora non sia mai avvenuto. In termini filosofici si ripete il medesimo quesito: il meta- fisico riesce ad entrare nel fisico, trasformandolo dialetticamente? Anche in questo caso la risposta sembra sino ad ora essere negativa. Dunque il dualismo non può tramontare, almeno come ipotesi. Ovviamente a questi dubbi mostra il fianco anche l’indiscutibile visione morale di Kant: non fondabile teoreticamente a priori e per necessità re- lativa nella sua comportamentalità pratica umana; infatti l’illustre filosofo cerca di fondarla, pur fugacemente ed in modo quasi silente, nell’antropo- logia umana del mi piace, nell’estetica, che appare essere la dimensione più originaria (strutturale? ontologica?) dell’essere umano. Ma un macigno an- cora più grande e pesante ostruisce la strada dell’etica, della morale (kan- tiana e non kantiana) e del diritto: il tema del libero arbitrio. L’eventuale assenza di libero arbitrio nell’essere umano cancella d’un solo colpo ogni dover essere ed ogni prospettiva teleologica. Certo non si può asserire l’as- senza del libero arbitrio, ma purtroppo non è neppure possibile affermare la sua presenza. Nel dubbio, e scommettendo, fideisticamente, sulla possibile esistenza del libero arbitrio, ciascuno può scegliere la propria convinzione e, quindi, la propria strada da percorrere, ma dovrebbe anche avere ben chiaro che la sua scelta non ha alcun fondamento euristico, ma solo esteti- co, ossia soggettivo e, pertanto, è esclusivamente riferibile e vincolante per il solo soggetto, che ha compiuto tale scelta. Il tema diviene centrale nel mondo del diritto, se si attribuisce a quest’ultimo, come nella prospettiva di Carrino, una dimensione teleologica; ma il telos (τέλος) è un fine, ossia un valore, una scelta ed è proprio dell’assenza di fondamento etico o di qual- siasi altro tipo dei valori, delle scelte, che si sta discutendo in questa sede. Di fronte al tema teleologico del diritto pendono almeno due interrogativi, una di natura prevalentemente politica e l’altra di natura eminentemente teoretica: Cui prodest; a chi giova, a vantaggio di chi va la scelta compiuta? E, con affermazione ancora più radicale: per quale motivo si dovrebbe re- putare superiore, più auspicabile in assoluto il Cosmos, l’ordine rispetto al          140 Il diritto come estetica Caos, il disordine, quando, come dimostra il pur discusso, in sede di scien- za fisica, principio di entropia, è quest’ultimo quello verso cui si muove il nostro universo? Sono mere preferenze soggettive, estetiche, appunto. Il diritto è ideologia e l’ideologia è arbitrio personale o collettivo. Riguardo, in fine, all’interpretazione data da Renner delle affermazioni di Emo, penso che vi sia stato un fraintendimento, cosa, per altro, non stu- pefacente data la generale oscurità e frammentarietà dell’opera di questo Autore. Emo si muove nello spirito del Deus absconditus di Nicolò Cu- sano e, soprattutto, nel solco dell’attualismo gentiliano, pertanto compie una sorta di rovesciamento lessicale nel significato delle parole: ciò che afferma come negativo viene ad esprimere una positività, ciò che è invi- sibile assume il ruolo di realtà visibile, al contrario, il visibile si annienta, ciò che è nulla è il vero essere e ciò che appare essere è nulla, etc.. Per- tanto tra fede e scienza prevale euristicamente la fede, in quanto, negando l’apparente realtà dell’essere può accedere alla realtà reale del nulla, che si presenta come il vero essere, perché privo di presenza in quanto assoluto. A conferma di questa pur complessa interpretazione testimoniano alcune affermazioni di Emo: “L’incoscienza dei vegetali, delle specie viventi, è la loro unità panica col tutto, che è appunto il paradiso terrestre, il giardino dell’Eden. Il dramma della coscienza, che è il dramma della Presenza, è la cacciata dal paradiso dell’unità panica, è il dramma della separazione, della negazione; ma appunto perché la separazione è negazione, noi, mediante la negazione, possiamo ritornare all’unità. La fede è fede nella potenza, nella sacralità della negazione. La nostra colpa è la trasgressione e la sepa- razione; separazione cioè negazione.”2. Ed ancora: “Il Dio nascosto, il Dio negativo, è già implicito nel cristianesimo, religione antichissima che ha origine insieme all’uomo; religione del Dio sacrificato che, per la logica stessa della sua situazione, diviene religione del Dio che si sacrifica, cioè si nega. Il Dio la cui attualità ed atto e realtà è il negarsi. Ed a sua immagine e somiglianza sono gli uomini e il mondo.”3. Per quanto poi riguarda l’interpretazione che Renner attribuisce al mio concetto di estetica (mi piace/non mi piace) debbo dire che riflette esatta- mente quanto desideravo esporre. Infatti, con estetica non intendo né un fugace capriccio, né una ludica superficialità e neppure una occasionale propensione, bensì un profondo appagamento, un convinto compiacimento dell’animo, un radicato benessere spirituale, una persistente pace con se stessi. In sintesi, è un concetto che si avvicina molto al kalos kai agathòs 2 A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, cit., p. 30. 3 A. Emo, op. cit., p.39.           M. L. Ghezzi - P.S. Trappola senza uscita: una riflessione sulle critiche ricevute 141 (καλòς καì αγαθός) degli antichi greci, nel quale ciò che era bello aveva buone probabilità di essere anche buono. A mero titolo esemplificativo penso possa essere utile all’interpretazio- ne fornire da parte mia uno scenario concettuale per meglio comprendere i dubbi, che permeano le affermazioni empiriche, ma anche quelle metafi- siche, che agitano questo lavoro. Naturalmente tale scenario è ispirato ad alcune convinzioni proprie di chi scrive, che, ovviamente, si presentano ar- bitrarie, soggettive, relative, come quelle avanzate da qualsiasi altra perso- na. Procedendo con ordine, pare doveroso iniziare il discorso da ciò che si crede di percepire vivendo: un continuo movimento, oscuro nel significato, ma soprattutto, senza fondamenti di certezza non solo sulla sua origine e direzione, ma addirittura anche sulla sua stessa esistenza. Il treno della vita non consente discese ai passeggeri: non possiede porte d’uscita e le finestre sono sigillate; non compie fermate; non avvertì del- la partenza, ma neppure prevede stazioni d’arrivo. I passeggeri ignorano come sia loro capitato di salirvi; non conoscono il luogo nel quale si tro- vano e non sanno neppure nulla di se stessi: come funzionino, siano solo il percepito o si sdoppino in soggetto ed oggetto; siano Tutto, un terminale del Tutto o parte tra parti. Sentono, ma non hanno accesso alle fonti del sentire. La fonte si localizza, oscillando tra spazi successivi, ed immagina le successioni, il tempo. Eppure non vi è ancora forma, ma puro sentire senza immagine: chi sente? Chi o cosa fornisce l’immagine, quando si presenta? Tuttavia una qualche forma di immagine deve pur esistere come riferimento sia del sog- getto, sia dell’oggetto, affinché anch’essi possano assumere una propria immagine. La forza, l’energia oscilla senza sosta tra se stessa ed una qualche forma, modulando la propria vibrazione, ma la forma è instabile e si liquefa con- tinuamente nella forza, come ghiaccio nell’acqua. Se la forza osserva vede la forma, che non esiste in se stessa, se non è osservata. Il mondo sembra un osservatorio permanete, che osserva se stesso in un circolo tautologico, che esiste nell’osservarsi e l’osservarsi è il solo esiste- re. Forza e forma, due volti del medesimo fenomeno. La forma si dissolve nelle metamorfosi e la forza persiste, ma non esiste come massa senza alienarsi nella forma. Tra i due enti si instaura un vizioso legame mutualistico indissolubile, nel quale il soggetto crea l’oggetto, ma l’oggetto modifica a sua volta il soggetto. L’incontro dei due enti produce il fenomeno della consapevolezza, che è solo consapevolezza di se stessi, ossia del soggetto/oggetto. Un se stesso, oscillante tra tutto e parte, tra onda e particella, tra forza e forma, tra energia e massa, che non ha identità fissa.          142 Il diritto come estetica Un soggetto indeterminato come l’oggetto privo di osservatore, che è sog- getto di se stesso. Soggetto ed oggetto sono due indeterminazioni, che si determinano reciprocamente, dando vita al percepire da parte sia dell’uno che dell’altro. Il senso è la selezione dei fenomeni, che costruisce oggetti e soggetti. Il tavolo si occulta sotto la tovaglia, ma la tovaglia è materiale coprente men- tre significa pasto per l’essere umano, ma l’essere umano è entità bipede senza piume, se avesse le piume sarebbe un capo indiano o un uccello, ma un capo indiano o un uccello esistono, il primo sia in India sia in America il secondo nel cielo, ma India, America e cielo sono solo terra ed aria e terra ed aria sono composti di elementi chimici, ma gli elementi chimici sono energia e massa, ma energia e massa sono vibrazioni. Le forme si dissolvono. La trappola è l’apparire di un ente, che fugge oltre le quinte (forse ver- gognandosi della propria oscenità – fuori dalla scena) di un essere, il quale esiste nell’oscillare del nulla, al di là dell’essere e del nulla (“[...] è nel determinato essente che il Nulla è Essere”4). L’indeterminato si determina, sentendo se stesso, ma torna indeterminato appena cessa di sentire; ecco perché non ha senso, perché è e resta indeterminato, salvo che per se stesso per un breve lampo di sensazione, non di senso.L’arco del cielo è sorretto da due colonne. Dal lato destro, la metafisica fornisce abissale profondità a stelle, galassie e mondi; dal lato sinistro, l’empiria avvicina l’abisso, presupponendone il fondo anche senza poterlo raggiungere. L’empiria ci accompagna quotidianamente, nella vita di tutti i giorni, fornendoci informazioni intorno all’ambiente, nel quale viviamo, ed a noi stessi, alla nostra nascita, vita e morte. Informazioni che, quasi sem- pre, non soddisfano per la loro oscurità ed incompletezza. L’essere umano possiede un corpo, di cui manca il libretto d’istruzioni per l’uso. I problemi del dolore e del senso dell’esistenza non trovano risposta certa e, forse, non possono neppure trovarla in quanto argomenti sottratti alla ricerca em- pirica. Non è possibile verificare/falsificare il valore di un biologico, che si decompone progressivamente e diviene nutrimento di altro biologico. Il proprio e l’altrui si fronteggiano fieramente come anelli di una catena, che li tiene separati, ma strettamente legati; come componenti, appunto, di una catena, di cui non si conosce né l’origine, né il fine e neppure il senso del suo esistere. Di fronte al mistero l’empiria si arrende e si asserraglia nelle sue deboli certezze pratiche, tecniche e strumentali, ma l’essere umano non demorde e cerca risposte con o senza verificabilità/falsificabilità empirica. Si apre a questo punto il mundus imaginalis1, ma anche l’Universo dell’i- deazione, della creatività, della fantasia umana, la cui immaterialità è un suo elemento costitutivo, proprio per sfuggire ai dubbi dell’empiria, non 1 L’espressione è usata da Henry Corbin per indicare una realtà intermedia tra fisica e metafisica, tra materia e spirito, una sorta di sintesi tra i due termini, che non relega il trascendente nell’ambito dell’inesistenza.           16 Il diritto come estetica un inconveniente. Purtroppo anche questa via si trova ostruita per l’essere umano, in quanto diretta o verso una conoscenza superiore ed incompati- bile con quella umana o verso una conoscenza individuale, soggettiva e, quindi, incerta, relativa e prospettica. In sintesi, sia l’empiria, sia la metafi- sica svelano l’unica conoscenza umana possibile, quella propria di Socrate e narrata da Platone nell’Apologia: so di non sapere2. Può la psicologia umana accettare un verdetto tanto duro sul senso della propria vita? Evidentemente no ed, infatti, le elaborazioni metafisiche si sono moltiplicate, articolate e complicate nel tempo, mentre gli studi em- pirici hanno continuato il loro corso senza aspirazione di completezza e di assolutezza. Il fondamento di qualsiasi discorso continua a sfuggire e le affermazioni fisiche e metafisiche restano come appese nel vuoto e da nulla sorrette. Forse è proprio questa loro collocazione priva di alto e di basso, che ne impedisce la definitiva caduta o, forse addirittura, che rende priva di senso la domanda stessa sul fondamento. Un dato empirico tuttavia è certo: la psicologia umana tende verso la certezza anche a costo di rinunziare al mondo dei cinque sensi. Dunque, il metafisico è, in qualche misura, conna- turato con l’essere umano come il fisico; è una componente, per così dire, strutturale dell’antropologia. Nel mondo dell’etica, cui il diritto sino ad ora è appartenuto, queste medesime problematiche hanno dato corpo all’ideologia ed all’utopia, alla norma morale ed a quella giuridica, al diritto naturale ed al diritto positivo, alla giustizia ed alla legalità, alla validità ed all’efficacia del diritto, al do- ver essere ed al mi piace/non mi piace. Tutte queste alternative esprimono la tensione tra il vissuto reale e le aspirazioni, i desideri del soggetto. In particolare, l’ultima alternativa ricordata apre la strada, che conduce dal diritto come obbligo al diritto come estetica. Lo smascheramento del dover essere avviene con la constatazione empirica, che le scelte umane sono 2 “Infatti, operando con una logica (quella apofatica) che nega ogni proposizione assertiva (ed esaustiva) in merito alla verità di qualsiasi ente – ma invece proponendovi l’inclusione di ogni possibilità – si giunge a questo risultato che auspicava Nicolò Cusano con il suo De docta ignorantia. Si giunge a un non-sapere che include ogni sapere e viceversa: allo stesso modo in cui l’Essere-Uno – che non è un essere specifico – include in sé tutti gli esseri a cui conferisce l’esistenza. Ma questo sapere non è, gerarchicamente, estraneo e al di sopra dell’uomo – che ne verrebbe in qualche modo dominato e esautorato – ma assolutamente intrinseco all’uomo stesso che ne è, pienamente, partecipe, pur essendone abissalmente lontano. Così come il molteplice è l’espressione ontologica dell’Uno di cui è la manifestazione teofanica”. C. Bonvecchio, Le meditazioni abissali di Henry Corbin, in H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, Mimesis, Milano-Udine 2011, pp. 14-15.           Premessa 17 guidate dal piacere e non dal dovere, anche se talvolta i due termini coinci- dono. Dover essere e piacere divengono i due poli reali del disagio esisten- ziale umano e, contemporaneamente, anche il tentativo di risolverlo. Solo di un tentativo purtroppo si tratta. Il diritto come estetica non esclude, e non può escludere, la dimensione metafisica, ma rafforza la descrittività empirica del comportamento umano, consiglia maggiore consapevolezza psicologica dei limiti conoscitivi uma- ni ed apre nuove prospettive di regolamentazione sociale. Ogni demistificazione è un atto di liberazione della conoscenza, ma non è possibile illudersi di poter superare gli ostacoli ultimi, che oscurano una visione sia assoluta, sia relativa del mondo, cui apparteniamo. La dea Ananke (Aνάγκη), la dea Tyche (Τύχη), le Parche, il Fato, il Destino, la Divina Provvidenza intanto sorridono, interrogandosi intorno al determini- smo ed all’indeterminismo. Ringraziamenti Al termine di questo mio lavoro voglio rivolgere un particolare ringra- ziamento ad Emanuele Severino per la sua grande cortesia e disponibilità ad ascoltare le mie riflessioni; ad Agostino Carrino per il fraterno impegno con il quale ha setacciato i concetti del mio scritto, evidenziando proble- matiche a me sfuggite, ed a Don Paolo Renner, che, tra i moltissimi suoi impegni di misericordia, ha voluto aggiungere, con antica amicizia, anche quello verso il mio scritto. Capo di Ponte, 11 novembre 2015La frase, come risulta dalla lettera, riguarda esclusivamente l’Albero della scienza, della conoscenza del bene e del male, non anche l’Albero della vita, che pure era presente nel Giardino dell’Eden2. Di quest’ultimo, dunque, Adamo ed Eva erano legittimati a mangiarne i frutti. Per ora la no- tazione può apparire irrilevante, ma in seguito risulterà determinante, poi- ché evidenzia che nel Paradiso terreste i nostri progenitori erano immortali ed, infatti, compartecipavano della conoscenza divina. La prima evidenza che colpisce il giurista nella narrazione biblica della cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, dall’Eden è il concetto di colpa, la quale, per necessità logica, presuppone ed è indissolubilmente legata ai concetti di conoscenza e di responsabilità. Se l’albero, del quale mangiano il frutto, è l’albero della conoscenza del bene e del male, ossia della consapevolezza morale del proprio comportamento, non si compren- de come sia possibile emettere da parte di una divinità come da parte di un essere umano un verdetto, una sentenza di condanna per azioni commesse 1 Genesi, 2, 15-17. 2 “Ora il Signore Dio sin da principio aveva piantato un paradiso di delizia; ivi pose l’uomo da lui formato. Produsse il Signore Dio dalla terra ogni albero bello a vedersi e buono a mangiarsi; inoltre, l’albero della vita nel mezzo del paradiso, e l’albero della scienza del bene e del male”. Genesi, 2, 8-9.           22 Il diritto come estetica da esseri inconsapevoli, per così dire, innocenti dal punto di vista sia del- la volontà, sia della conoscenza, in quanto, appunto, ignari dell’esistenza stessa del contenuto dei concetti di bene e di male: disobbedire poteva essere sia bene, sia male. Se la ragione, da cui la teoria giusnaturalistica ritiene di dedurre le norme giuste, è la ragione divina nell’uomo e non la ragione empirica, questa dottrina non può essere definita come razionalistica. [...]. Se è la ragione conoscitiva a statuire norme, su cui si fonda il valore del bene e quindi il disvalore del male, allora la distinzione fra bene e male è una funzione della conoscenza che statuisce norme, cioè della ragion pratica. [...]. In questa versione, il concetto risale fino al mito dell’albero della conoscenza: è infatti la conoscenza del bene e del male data a chi gusta i frutti di quell’albero. [...]. L’essenza di Dio è nel fatto di sapere ciò che è bene e ciò che è male; sapendolo, egli vuole anche che si faccia il bene e di ometta il male. Il suo sapere coincide con il suo volere e la sua ragione è una ragion pratica: è questa la ragione divina di cui l’uomo si appropria col peccato originale3. Ma è proprio questa la ragione di cui si appropria, mangiando la mela, l’essere umano o, piuttosto, esistono due diverse ragioni, quella divina, universale, e quella umana, particolare, ed è della conquista di quest’ul- tima, che il mito dell’Albero della conoscenza del bene e del male parla? Probabilmente l’interpretazione della simbologia biblica deve spingersi oltre, più in profondità, del concetto di acquisizione della responsabilità (conoscenza del bene e del male) attraverso la colpa: un colpa che non pre- suppone apparentemente l’esistenza di alcuna responsabilità e scaturisce da una disobbedienza ad un comando. Forse, è proprio la nostra cultura, ormai atavicamente assuefatta ad una eteronomia incentrata su divieti e sanzioni, a condurci sulla strada di una interpretazione colpevolizzante del mito della mela. Forse, il peccato originale altro non è che il nostro stesso esistere come esseri umani e non divini e la metafora della mela, intesa come nutrimento, atto tipico e specifico dell’essere vivente, sembra richia- mare simbolicamente questa interpretazione. Probabilmente il senso esoterico del brano biblico nasconde significati, che non sono meramente giuridici, ma sconfinano nella riflessione filosofi- ca e nella materia teologica. Ogni condanna prevede una responsabilità, che scaturisce direttamente dalla consapevolezza e dalla conoscenza sia dell’azione che si compie, sia della norma, che la vieta: so ciò che faccio e conosco ciò che si può fare e 3 H. Kelsen, Il problema della giustizia, Einaudi, Torino 1975, pp. 90-91.           La mela, il serpente ed il buon Dio 23 ciò che non si può fare; ciò che si può fare è bene, ciò che non si può fare è male. Ma bene e male possiedono almeno due diverse dimensioni: quella assoluta del bene e del male universale e quella relativa del bene e del male propria di colui che agisce, del suo modo di sentire, di vedere, di giudicare gli eventi ed i comportamenti. Dio disse di non mangiare: sembra un comando eteronomo e, quindi, in quanto tale, pare contrapporre un divieto divino ad un giudizio e compor- tamento umano. Questa interpretazione, per altro condivisa anche da Alf Ross (1899-1979)4, viene rafforzata dalla presunta sanzione comminata: se ne mangerai morirai. Ma si tratta effettivamente di una norma giuridica o morale dotata di sanzione oppure si tratta di un mero avvertimento, della descrizione di una sorta di legge naturale, come quelle che derivano da teorie scientifiche e che prevedono, ad esempio, il moto degli astri? In altre parole si tratta di un comando o di una descrizione? Per rispondere alla domanda è necessario risalire alla situazione di Adamo ed Eva rispetto a Dio nell’Eden. Non era una situazione di separazione, ma di unione; non vi era individualità, ma comunione; conseguentemente, l’unica conoscen- za esistente era quella divina, che permeava, proveniente da Dio, anche Adamo ed Eva. Conoscere e volere, dunque, erano la stessa cosa non solo per Dio, ma anche per Adamo ed Eva ed in una tale situazione un comando eteronomo è del tutto privo di senso; in primo luogo, perché non può essere eteronomo, in quanto vi è comunione, ed, in secondo luogo, perché un co- mando comporta volontà diverse, mentre, in questo caso, come vi era una sola conoscenza così vi era anche una sola volontà. Desiderando il frutto dell’albero, torniamo alla realtà del sospetto, cioè allo svincolare la conoscenza dall’amore e ad impiegarla ai fini dell’autoafferma- zione dell’individualità. Una conoscenza contemplativa è una conoscenza del buono, del bello e del vero. La conoscenza contemplativa è una conoscenza della pace, perché è la conoscenza del riconoscimento dell’altro, dunque non può essere a fin di male. La conoscenza contemplativa che Dio propone all’uo- mo, sua immagine, è una conoscenza sapienziale, che ha in sé una dimensione assiologia, cioè di valutazione del bene e del male. Ma l’uomo ha questa co- noscenza già in quanto amico di Dio, sua immagine, e può sempre contem- 4 “Il peccato nacque quando l’uomo violò il divieto, assolutamente arbitrario e irragionevole, di Dio di mangiare il frutto di un certo albero che gli avrebbe dato una conoscenza che era di Dio stesso. Peccato significa dunque disobbedienza, pura e semplice volontà propria, autodecisione e per questo peccato Adamo ed Eva e la loro discendenza venivano puniti in eterno nel modo più crudele. Tutti dovevano subire l’ira di Dio ed essere affetti dal peccato originale”. A. Ross, Colpa, responsabilità e pena, Giuffrè, Milano 1972, p. 19.           24 Il diritto come estetica plarla nell’albero della conoscenza del bene e del male. Il bene e il male sono conosciuti dall’uomo insieme a Dio, suo Creatore, e in lui. Anzi, l’unica giusta conoscenza del bene e del male è quella che l’uomo contempla in Dio. È con gli occhi di Dio che l’uomo vede il bene ed il male. Ma guardare con gli occhi di un altro e gioire di questa intimità è proprio delle persone che si amano. Nell’a- more è la tendenza a conoscere attraverso l’amore dell’altro e con il suo amore. Proprio nel fatto che l’uomo può guardare l’albero della conoscenza del bene e del male, perché proprio lì in qualche maniera si incrociano gli sguar- di tra Dio e l’uomo, c’è la possibilità dell’idolatria, quindi di una tentazione. Guardare può diventare desiderare, e desiderare prendere5. Il rapporto tra Dio e l’essere umano in quella dimensione di equilibrio creazionistico, tutto racchiuso nello spazio/tempo divino dell’Eden, era di completa compartecipazione, e non proprio di identità (a sua immagine e somiglianza). L’identità dell’immagine non appartiene ad un semplice fenomeno visivo, ma si estende anche alla dimensione cognitiva, sebbene non in modo completo (somiglianza). Il derivato non partecipa a pieno titolo di tutti i caratteri del derivante, ma certo ne incarna una rilevante porzione. Conseguentemente Adamo ed Eva non erano privi di conoscenza e, quindi, anche di responsabilità, ma partecipavano della medesima cono- scenza divina, della conoscenza propria dell’Uno e del Tutto. L’uomo abbandonerà Dio e la proposta della tentazione acquisterà sempre più un aspetto di verità [...]. Poiché l’uomo non è più nella contemplazione dell’albero della conoscenza, ma è ormai scivolato nella logica della posses- sione, gli rimane solo il male, ossia la necessità di possedere. Sganciandosi dall’amore, da quella intimità con Dio nella quale ha potuto conoscere che cosa è bene e che cosa è male per lui, finisce essenzialmente posseduto dalla necessità di possedere per salvarsi6. La conoscenza divina, della quale erano compartecipi nell’Eden Adamo ed Eva, era universale, assoluta, non prospettica, ma posseduta a tutto ton- do nella dimensione della totalità degli eventi di un Essere, che racchiude in sé ogni evento7. Il comando, dunque, di non mangiare la mela, la proibi- zione non si presenta come un atto di volontà eteronoma rispetto ad Adamo 5 M.I. Rupnik, Dire l’uomo. Persona, cultura della Pasqua, Lipa, Roma 2011, vol. I, pp. 227-228. 6 M.I. Rupnik , op cit., p. 230. 7 “Il Dio degli Dei, lo Spirito assoluto, permane in eterno, al di là della conoscenza che può averne la religione in questo mondo. La storia non è il luogo del divenire della coscienza divina suprema”. H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, cit., p. 74.           La mela, il serpente ed il buon Dio 25 ed Eva, ma come una informazione, un avvertimento, una descrizione di ciò che avviene quando dall’unità si passa alla molteplicità, quando l’asso- luto cede il passo al relativo. Né vi è sanzione nel monito di Dio; ciò che appare come condanna altro non è se non descrizione di ciò che accade nel relativo, di ciò che produce, di ciò che è il relativo, ossia l’umano. La mela è un frutto commestibile, che allieta e nutre il palato umano, quindi potrebbe simboleggiare quella conoscenza tutta umana e relativa, richiamata anche dalla leggendaria mela di Isaac Newton (1642-1727), in contrapposizione ad una conoscenza divina ed assoluta. Adamo ed Eva, mangiando la mela, decidono di abbandonare l’unione con il divino, per vivere una propria vita separata, individuale ed autonoma, dotata, quindi, di una propria conoscenza soggettiva e prospettica, non più oggettiva e completa. Nel racconto del peccato originale, la tentazione spinge l’uomo a spostare l’attenzione da Dio all’albero – cioè dalla persona all’oggetto – e a fissarsi sull’oggetto. Prima l’uomo parlava con Dio e a Dio, poi comincia a contrat- tare con la tentazione, per finire col ritrovarsi a desiderare l’oggetto – l’albero – come se fosse la sua salvezza. L’interlocutore ontologico dell’uomo non è più un principio agapico assoluto, ma una realtà oggettuale. L’uomo diventa ciò che contempla. Come è il suo interlocutore fondamentale, così è l’uomo. Poiché l’uomo è una realtà dialogica, non può fare a meno del dialogo, ma tutto dipende da chi è l’interlocutore di questo dialogo. Se è un oggetto, l’uomo diventerà sempre più un oggetto. Percepirà se stesso come un oggetto e si rela- zionerà agli altri come ad oggetti. Anzi, li considererà come suoi oggetti. Ogni peccato commesso dopo il peccato originale sarà un passo ulteriore in questa reificazione spersonalizzante dell’uomo8. La ribellione al comando divino (meglio, l’avere ignorato la descrizio- ne divina) non consiste nell’infrangere un divieto, ma nel desiderare una propria personalità individuale, separata dal Tutto, soggettiva, ma questa soggettività si trasforma in oggetto del Tutto; abbandonata la soggettività del Tutto ciò che resta, come parte, è una soggettività relativa, ossia una reificazione rispetto al Tutto: il peccato originale, infatti, si presenta come separazione, rottura del Tutto nelle sue molteplici parti, come oggetti della soggettività universale. Una prima rottura nel creato (diversa la rottura dell’Uno prodotta dalla creazione, poiché essa fu anche rottura, salto qualitativo, di sostanze: so- miglianza con Dio, non identità) era già avvenuta con la comparsa di Eva: 8 M.I. Rupnik, Dire l’uomo. Persona, cultura della Pasqua, cit., pp. 233-234.           26 Il diritto come estetica Mandò dunque il Signore Dio ad Adamo un sonno profondo; ed essendosi egli addormentato, gli tolse una delle coste, e ne riempì il luogo con della carne. E con la costa che aveva tolta ad Adamo, formò il Signore Dio una donna, e gliela presentò. E disse Adamo: “Ecco, questo è un osso delle mie ossa, e carne della mia carne; questa sarà chiamata virago, perché è stata tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà il padre e la madre, e si stringerà alla sua moglie, e saranno due in un corpo solo”9. Tale rottura, tuttavia, non si manifesta come irrimediabile, poiché frutto di una medesima sostanza, la costola di Adamo appunto, che riconduce ad unità ciò che appare altro, diverso, separato (saranno due in un corpo solo; rebis di alchemica ispirazione). Ed, infatti, è proprio questo diverso, separato in apparenza, ma pur sempre composto della medesima sostanza, a patrocinare ed ad attivare la rottura: è il due che rompe l’unità e la rompe per attrattiva verso l’individualità, una individualità nuova, il due, appun- to. Il serpente sembra rappresentare questa attrazione verso il particolare, verso la separazione (diavolo da diabolos, διάβαλος, colui che divide). La massa della materia (il serpente) si separa nelle sue parti, forme e qualità dall’energia omogenea e priva di forme (la Divinità) o, se si preferisce, i corpi si separano dallo spirito universale. Pare di vivere nel mito l’equa- zione di Albert Einstein (1879-1955) della conversione, dell’oscillazione, della compresenza (tra?) di energia e massa in un sistema fisico, che ha su- perato la visione propria di un materialismo legato solo al visibile, all’og- gettivato: E=mc2. Henry Corbin (1903-1978) ben sintetizza il tema dell’individualizzazio- ne, dell’oggettivizzazione nel paradosso (ossimoro?) dell’unità molteplice:  9 È la visione della molteplicità nell’unità. [...]. È la visione dell’unità nella molteplicità. Le due interpretazioni si completano l’un l’altra necessariamen- te: l’ontologia integrale presuppone nel perfetto Saggio la visione simultanea dell’unità nella pluralità e della pluralità nell’unità. È attraverso questa simul- taneità che si effettua la differenziazione seconda, quella stessa in forza della Genesi, 2, 21-24.          La mela, il serpente ed il buon Dio 27 quale il pluralismo metafisico si trova fondato a partire dall’Uno – senza di esso non vi sarebbero i molti, ma caos e indifferenziazione10. I nostri simbolici progenitori, Adamo ed Eva, nell’abbandonare la cono- scenza divina, assumono, come loro conoscenza specifica, quella umana e, dunque, divengono prigionieri di tale conoscenza limitata, che comporta anche la comparsa di fatiche, dolori e morte. La separazione è un divenire altro dal Tutto, conseguentemente, all’immutabilità dell’Essere subentra il divenire con le sue opposizioni, polarizzazioni: essere e non essere, fatica e riposo, dolore e piacere, morte e vita, etc.. Il divenire non può esistere senza l’alternarsi di manifestazioni diverse, ossia, soprattutto, non può esi- stere senza la morte, intesa come termine di una manifestazione ed inizio di una nuova manifestazione. La morte, dunque, come nell’ammonimento di Dio, è indissolubilmente legata alla conoscenza umana, simbolicamente rappresentata dal cibarsi della mela. A questo punto risulta ormai eviden- te che Adamo ed Eva non potranno più cibarsi dei frutti dell’altro albero presente nell’Eden, dell’Albero della vita, dei quali sino a quel momento potevano godere. I frutti dell’Albero della vita donano la vita eterna, ma la conoscenza ed il divenire umani impediscono l’eternità, ciò che è eterno non conosce solo la parte, ma conosce direttamente il Tutto, e non diviene, ma permane sempre immutato uguale a se stesso. La parte, in quanto limi- tata non può sfuggire alla morte. Particolarmente penetrante si presenta la puntualizzazione di Friedrich W. Nietzsche (1844-1900): L’albero della conoscenza. – Verosimiglianza, ma non verità: parvenza di libertà – è per questi due frutti che l’albero della conoscenza non può venir scambiato per l’albero della vita11. Alle considerazioni mitologico-religiose sino a questo punto svolte pos- sono ora essere aggiunte altre ed ulteriori considerazioni di natura più stret- tamente filosofica. Se il divenire condanna, prima, la parte a distinguersi da un’altra parte e, successivamente, la stessa parte ad essere se stessa e, poi, a trasformarsi in altro, allora il divenire appare come un alternarsi di essere e di non essere. Il tema è antico e vide già contrapposti il pensiero di Eraclito (535 a.C.-476 a.C.), con il suo tutto scorre, panta rei (πάντα ρει), a quello di Parmenide (544 a.C.-459 a.C.), sostenitore di un Essere che non può non essere. Effettivamente anche nella realtà empiricamente rilevabile il non 10 H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, cit., p. 39. 11 F. Nietzsche, Umano, troppo umano II, in Opere 1870/1881, Newton, Roma 1993, p. 797.           28 Il diritto come estetica essere è di problematica individuazione. Rilevabile, invece, con estrema facilità è l’essere e l’essere altro come espressione del divenire. Ma a livel- lo logico, secondo il principio di identità, l’essere è solo se stesso e l’essere altro non è continuità dell’essere iniziale, ma un diverso essere a sua volta uguale solo a se stesso. La logica parmenidea, ampiamente sviluppata ai nostri giorni da Emanuele Severino12, nega nella sostanza il divenire e co- struisce una logica di identità degli eterni, che si separa e distingue dalla logica dialettica del divenire. La logica degli eterni si addice ad un mondo metafisico, proprio del divino; mentre la logica dialettica, empiricamente verificabile/falsificabile, pare tipica degli esseri umani. Commentando Corbin, Claudio Bonvecchio in proposito ricorda: [...] oltre che teologica – la modalità catafatica [affermativa n.d.r.] di rap- portarsi al divino ha costruito una vera e propria logica (di ascendenza aristote- lico-scientifica). Anzi, si può affermare che si è affermata come la base stessa della logica occidentale in quanto sostiene (apoditticamente oltre che dogmati- camente) – nella costruzione del discorso – la possibilità di affermare in manie- ra indiscutibile le caratteristiche di un ente. Caratteristiche che ne esprimono la verità che si ritiene assoluta, se si ottemperano determinate condizioni logico- razionali (principio di non contraddizione, principio del terzo escluso, etc.). Tuttavia, questa verità [...] non consente mai un rapporto partecipativo con l’Essere. Infatti, esclude dal discorso [...] la dimensione dell’Essere che è l’u- nica che fa di un ente un ente esistente13. Ciò che conta tuttavia, ai fini delle presenti riflessioni non è tanto l’af- fermarsi nella storia umana dell’una o dell’altra logica, quanto piuttosto la constatazione che anche a livello filosofico emerge la possibilità di un dualismo logico non dissimile da quello evidenziato nell’episodio biblico del Giardino dell’Eden. Sul piano filosofico il legame tra l’Albero della conoscenza del bene e del male e quello della vita appare ancora più indissolubile che nel testo bi- blico. Infatti, è la stessa logica conoscitiva umana del divenire, che trascina con sé, come compagna inseparabile, la morte. Ciò che diviene possiede un inizio ed una fine, prima non esiste, poi esiste, quindi torna nel nulla. Non è questa la logica conoscitiva del divino, nella quale ciò che è, lo è per sempre, dall’eternità e nell’eternità. Scrive Massimo Donà: 12 Cfr. E. Severino, Immortalità e destino, Rizzoli, Milano 2006. Ed anche del medesimo Autore: L’identità del destino, Rizzoli, Milano 2009. 13 C. Bonvecchio, Le meditazioni abissali di Henry Corbin, in H. Corbin, Il paradosso del monoteismo, cit., p. 12.           La mela, il serpente ed il buon Dio 29 [...], nel testo biblico l’Albero della Vita o delle vite, al plurale, come dice in verità l’Antico Testamento – a indicare, molto probabilmente, l’infinito distin- guersi del principio – allude ad una verità che solo l’Albero della Conoscenza avrebbe potuto spingerci a ridire. Facendoci innanzitutto tradire quel senso di infinita apertura verso un futuro sempre ancora possibile che caratterizza ap- punto l’Albero della Vita. Ossia, la speranza in una rigenerazione in grado di negare la definitività connessa ad ogni supposto improbabile compimento; in primis quello costituito dalla morte. Ecco perché l’Albero della Conoscenza avrebbe reso mortale il soggetto che avesse voluto cibarsi dei suoi frutti. Perché il logos umano, troppo umano, da quest’ultimo (dall’Albero della Conoscenza) rappresentato, è costitutivamente portato a credere nell’intrascendibilità delle distinzioni e dunque a fare dello stesso distinguersi in quanto tale il principio incontrovertibile dell’esistere. Per questo, proprio dicendo tale intrascendibilità, il logos avrebbe dovuto comunque riconoscere il limite costitutivamente caratterizzante il suo stesso orizzonte, concependo anche quest’ultimo come essenzialmente limitato – os- sia, distinto. Finendo così per negare finanche la sua stessa intrascendibilità. Ed instituendo l’impossibile per eccellenza: ossia un nulla posto di là dalla po- sitività di tutto quel che è – un nulla concepito, esso medesimo, dunque come positivo. E perciò valevole come perfetta metafora del male assoluto14. Dunque, non solo la riflessione religiosa, si potrebbe dire teologica, ri- leva la presenza, almeno potenziale, nell’essere umano di ben due diverse logiche, ma anche l’analisi filosofica giunge alla medesima conclusione. Alla logica dell’Essere Assoluto si giustappone la logica del divenire, dell’essere altro. La prima si presenta meramente razionale, priva di possi- bilità empiriche di verifica/falsificazione, tutta dispiegata intorno a principi considerati indiscutibilmente veri ed evidenti senza ulteriori necessità di- mostrative; principi che nella terminologia kantiana possono essere definiti a priori. La seconda, invece, completamente costruita a posteriori, grazie alla percezione empirica del divenire, alla rilevazione, si potrebbe dire, sempre in terminologia kantiana, categoriale degli eventi. Quest’ultima lo- gica si limita a descrivere una realtà fenomenologica umana e, come tale, relativa, quindi, senza pretese di accesso conoscitivo ad ipotetiche realtà assolute e metafisiche. L’indissolubile legame, sostenuto dalla logica dell’Assoluto, tra l’Albe- ro della Conoscenza e la realtà di separazione sembra ribadito dalla Bibbia anche nell’episodio simbolico della costruzione e del crollo della Torre di Babele. L’unione tra terra e cielo, già simboleggiata dall’albero, qualsiasi albero (Yggdrasil, l’albero di Natale, etc.), viene ricercata, in questo caso, 14 M. Donà (a cura di), Parmenide. Dell’essere e del nulla, Albo Versorio, Milano 2012, pp. 94-95.           30 Il diritto come estetica attraverso un’opera di architettura, che sfida altezza e forza di gravità, ma nel crollo di questo asse umano-divino si dissolve l’universalità della pa- rola, intesa anche nella sua accezione più estesa di logos, la sua capacità creatrice e comunicatrice universale. La terra era tutta d’una sola lingua e d’una sola parlata. [...]. Ma il Signore discese per vedere la città e la torre che i figli di Adamo stavano edificando, e disse: “Ecco, è un popolo solo, ed ha una lingua sola per tutti; hanno cominciato a far questo lavoro, né desisteranno dal loro pensiero sinché non l’abbiano condotto a termine. Andiamo dunque, discendiamo, e confondiamo ivi le loro lingue, così che nessuno più comprenda la parola del prossimo suo”15. Il Tutto diviso in parti si differenzia e perde di unitarietà. Ciascuno divie- ne consapevole di sé, ma solo di se stesso; gli altri mutano in esseri ignoti, estranei. La metafora della confusione delle lingue, ancora una volta, non suona come condanna divina, ma come descrizione delle conseguenze de- rivate dalla separazione delle parti dal Tutto16. L’essere umano, in quanto parte del Tutto, non ha né colpe, né meriti, ma solo caratteri suoi propri, che si separano e divergono da quelli divini: 15 Genesi, 11, 1 e 5-7. 16 “Diventare un solo popolo, sotto una istituzione – la lingua sola – è qui, chiaramente, l’espressione della hýbris degli uomini, del loro istinto auto- idolatrico: così chiaramente che non viene nemmeno detto, ma sottinteso. Ma la questione più interessante, sulla quale ha richiamato l’attenzione Stefano Levi della Torre nel suo splendido e illuminante Zone di turbolenza, è se la misura presa da Dio – la dispersione su tutta la terra e la confusione delle lingue – sia la punizione per un grande male (come nel caso di Caino reso ramingo e fuggiasco) o la garanzia di un grande bene. L’interpretazione di Stefano Levi, in breve, è che la distruzione della città dell’onnipotenza, la moltiplicazione delle lingue, rese incomprensibili l’una all’altra, e la dispersione dei popoli in lungo e in largo sulla terra, tutto ciò è una moltiplicazione delle culture e delle istituzioni, un antidoto all’idolatria del pensiero e del potere unico, una garanzia di pluralità delle visioni del mondo e del modo di vivere nel mondo. Secondo questa profonda interpretazione, la civitas maxima non è altro che idolatria”. G. Zagrebelschy, La virtù del dubbio, Editori Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 134-135.           La mela, il serpente ed il buon Dio 31 è relativo e non assoluto; è finito e non infinito; possiede una conoscenza limitata e non universale. In conseguenza di queste considerazioni risulta chiaro che gli avvenimenti drammatici, che videro come scenario il Para- diso terreste, non possono essere incasellati nella concatenazione di eventi, che accomuna il diritto e la morale: alla colpa consegue la responsabilità del soggetto agente, al quale, proprio in quanto responsabile, viene appli- cata la pena. Questi concetti vengono chiaramente espressi a livello sia morale che giuridico da Alf Ross (1899-1979): L’idea che esista una responsabilità morale, è identica all’idea della respon- sabilità giuridica, è l’espressione di una prescrizione normativa per cui la colpa viene collegata con le conseguenze della colpa, cioè con la pena che qui si chiama riprovazione17. Ed ancora in modo più esplicito: Quando si fa valere una responsabilità, ciò avviene sempre con la motiva- zione che qualcosa fu commessa che, secondo un determinato ordinamento normativo, non sarebbe dovuta accadere, qualcosa di riprovevole o proibito che, di conseguenza, dà motivo a quella reazione che consiste nel far valere la responsabilità18. Nel caso dell’Eden, come si è detto, non pare che ci si trovi in questa situazione, non solo perché viene meno l’uso tecnico della terminologia giuridica (colpa, responsabilità), ma anche, e soprattutto, perché manca la norma vincolante, il divieto. Infatti, l’interdetto pronunziato da Dio, proprio per il suo carattere che unisce conoscenza e volontà, non può essere considerato un comando, ossia una norma, ma più semplicemente una informazione, un avvertimento, al massimo, un consiglio. Si tratta cioè di una frase ipotetica (se mangi la mela divieni mortale) tesa a de- scrivere gli avvenimenti conseguenti all’azione segnalata come perico- losa. Del resto, come avrebbe potuto Dio formulare un comando a dei soggetti che, prima dello strappo, della rottura, partecipavano della sua stessa conoscenza e volontà? Dunque, se non vi fu comando, norma, non vi fu neppure colpa, in quanto mancò la violazione, la disobbedienza. Vi fu, invece, responsabilità per l’azione compiuta, ma la natura umana di Adamo ed Eva avrebbe potuto consentire loro di compiere una scelta diversa? La risposta deve essere rinviata, in quanto strettamente dipen- 17 A. Ross, Colpa, responsabilità e pena, cit., p. 49. 18 A. Ross, op. cit., p. 29.           32 Il diritto come estetica dente dalle convinzioni intorno all’esistenza o meno del libero arbitrio. Ovviamente, se non vi fu colpa non è neppure possibile reputare la tri- ste condizione umana come una pena inflitta dal Creatore alle proprie creature. Piuttosto si tratta di considerare la stessa natura umana come caratterizzata, nei propri intrinseci limiti, in quanto parte di un Tutto mol- teplice e differenziato, appunto, anche in qualità diverse. Per fornire un paragone pur imperfetto: rispetto alla media statistica degli esseri umani il fenomeno dell’albinismo è minoritario ed, in quanto tale, appare come uno svantaggio genetico, ma può veramente essere considerato sempli- cemente uno svantaggio esistenziale o potrebbe anche essere visto come una articolazione qualitativa del genere umano, dotata a propria volta di taluni vantaggi soggettivi, sui quali tendiamo a non soffermarci per pigrizia culturale? L’interpretazione di comando (norma), di colpa e di, conseguente, punizione (pena) divina pare prodotta da una cultura umana troppo governata da una autoflagellazione di natura, prima, etica e, poi, giuridica; del resto, questa interpretazione prevalente punitiva della cac- ciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre ed anche della distruzione della Torre di Babele e relativa confusione delle lingue non può stupire in un mondo sempre più giuridicizzato, quale è il mondo attuale. Che la parte ed il tutto siano distinguibili sia teoreticamente, sia empi- ricamente è nozione inconfutabile anche, ad esempio, a livello geometri- co; così come è inconfutabile che la parte, almeno quella umana, possieda una consapevolezza, più o meno veritiera, del proprio esistere (cogito ergo sum) e non certo solo per l’autorità di René Descartes (1596-1650); altra e ben diversa questione è comprendere se esista e che caratteri manifesti la consapevolezza di se stesso propria del Tutto. Certo la parte partecipa del Tutto e, quindi, pare arduo pensare che ad una limitata consapevolezza della parte non corrisponda una illimitata consapevolezza del Tutto, pur tuttavia nulla può essere escluso senza l’evidenza di prove comprensibili alla mente umana ed, inoltre, resta comunque impregiudicato il tema della qualità, delle caratteristiche di questa eventuale consapevolezza. Lo Spirito, Dio, l’Energia sicuramente non possiedono un carattere di autocoscienza, di consapevolezza uguale a quello proprio dell’essere uma- no, ma neppure la massa (materia individualizzata) possiede livelli omo- genei di autocoscienza, di consapevolezza, almeno per quanto si conosce attualmente, nelle sue molteplici articolazioni, nelle sue diverse parti. I minerali, i vegetali, gli animali e l’animale umano percepiscono se stessi ed il mondo a loro presupposto esterno in modi molto diversi ed in modi altrettanto diversi reagiscono, interagiscono con l’ambiente circostante. Il Tutto, come somma di tutte le singole parti o come entità ulteriore, può, e          La mela, il serpente ed il buon Dio 33 secondo quali modalità, percepire se stesso? Una possibile risposta passa attraverso il concetto di Spirito o di Energia che, permeando ogni cosa, ogni fenomeno, pur in quantità e, forse, anche in qualità diversa, consente questa generale, universale consapevolezza eterna di sé; una sorta di anima individuale, ma universale (sembra un ossimoro, ma è solo prospettiva di- versa), di anima mundi. Bene e male rappresentano una dualità, che acquista significato solo in un mondo scisso, a sua volta, in un bipolarismo oscillante tra un polo, espressione di assoluto, ed un secondo polo, espressione di relativo, il qua- le subisce il giudizio del primo: buono o cattivo, appunto, rispettivamente nelle sue singole e molteplici manifestazioni comportamentali. Quest’ulti- mo bipolarismo non riguarda solo la distinzione tra dover essere ed essere, ma si articola ulteriormente in quel dualismo del dover essere perennemen- te in tensione tra valori assoluti e valori relativi: i primi frutto della dimen- sione assoluta del Tutto ed i secondi propri della dimensione relativa delle parti del Tutto. La dimensione relativa della bipolarità etica consente solo l’espressione di formule valoriali a contenuto soggettivo, cioè proprie del soggetto, della parte che le esprime; del resto anche la dimensione assoluta non riesce a fornire un contenuto etico certo, ma si limita a proporre for- mule o dogmatiche oppure vuote di contenuto, prive di precise indicazioni comportamentali, come, ad esempio, il noto broccardo del diritto romano intorno alla giustizia: unicuique suum tribuere. Il problema irrisolto riguar- da il significato, cosa si intenda per suum, oltre, ovviamente alla discutibi- lità del principio generale, che potrebbe anche consistere nell’attribuire a ciascuno l’altrui e non il proprio o, addirittura non riconoscere l’esistenza di un proprio. Il problema può essere superato solo distinguendo la cono- scenza umana, cui si riferiscono queste aporie, dalla conoscenza divina, che, in quanto assoluta, non può incorrere in esse. Certo tale conoscenza non può competere all’essere umano se non per fede o per rivelazione, ma qui il tema si complica, poiché nella storia della cultura umana spesso l’e- sistenza stessa dell’Assoluto, del metafisico, in quanto non empiricamente percepibile e, quindi, problematico per la conoscenza umana, è stata messa in discussione. Pertanto questo argomento si è sviluppato secondo due di- versi percorsi culturali, l’uno monista e l’altro dualista; il primo sostenitore di una realtà unitaria, nella quale fisica e metafisica si sintetizzano o si escludono a vicenda, ed il secondo portatore di una visione separata dei due piani del reale, anche se in qualche modo comunicanti tra loro; ma di ciò si tratterà tra poco. Oltre alla possibilità alternativa dell’esistenza di una logica divina e di una umana si presenta anche l’ipotesi di una vera e propria assenza di lo-          34 Il diritto come estetica gica, come risultato dell’inconoscibilità dell’Assoluto; un Assoluto che è solo silenzio, oscuramento della conoscenza umana, come suggerisce Ni- colò Cusano (1401-1464) con l’ipotesi del Dio nascosto (absconditus): Né ha nome, né non ha nome, né ha nome e non nome. Ma quanto può dirsi disgiuntamente e copulativamente, per accordo o disaccordo, non gli conviene, per incommensurabilità di sua infinità, perché è principio uno, anteriore ad ogni concetto su esso formulabile19. Abbandonato il Paradiso terrestre da parte di Adamo ed Eva, non solo subentra la logica umana, il divenire e la morte al posto dell’unione con il divino, l’eternità statica e la vita eterna, ma la rottura porta con se stessa anche l’estraneazione dall’Assoluto, che assume una dimensione impe- netrabile, misteriosa. L’Assoluto creatore si pone prima di ogni creato e di ogni creatura e, quindi, anche prima di qualsiasi logica e razionalità. L’Increato non appartiene al mondo empirico, ma neppure al metafisico pensato od al metafisico alienato nella creazione. Esso appartiene solo a se stesso ed all’insondabile abisso, che separa l’Assoluto dal relativo, il Tutto dalle sue parti.  19 N. Cusano, Il Dio nascosto, Mimesis, Milano-Udine 2010, p. 37.          2. MONISMO E DUALISMO DEL MONDO Carcharias Taurus è il nome scientifico del meglio conosciuto squalo toro, il quale possiede una caratteristica, che può farlo assurgere ad icona, ad emblema della natura biologica. Lo squalo toro, infatti, è noto per prati- care il cannibalismo intrauterino; ossia l’embrione dominante si nutre delle uova e degli altri embrioni presenti nell’utero materno. Tale pratica non può stupire nel mondo biologico, giacché il biologico si nutre solo di altro biologico (salvo la fotosintesi clorofilliana). La vita è, dunque, indissolu- bilmente legata alla morte in un perenne solve et coagula, nel quale vige la locuzione latina mors tua vita mea. La fine di un essere vivente costituisce la possibilità di sopravvivenza per un altro essere vivente. Talvolta, poi, il ciclo vitale si esaurisce direttamente con la procreazione, evidenziando in tale modo l’irrilevanza della vita del singolo individuo e la sua funziona- lità esclusivamente orientata alla continuazione della specie. Lo scenario di morte, nel quale viene ambientata la vita biologica, si completa anche con la lotta per la vita, che pervade, permea ogni entità vivente. La lotta si dispiega all’esterno dei corpi per l’approvvigionamento di cibo, che si concretizza in una forma di dominio del più forte sul più debole, ma anche al loro interno, poiché miliardi di microorganismi (batteri, virus, funghi e parassiti vari) combattono continuamente, senza sosta contro le difese immunitarie dei corpi, che li contengono, per la propria sopravvivenza. Talvolta, pur nelle loro ridottissime dimensioni, riescono ad avere il so- pravvento, dimostrandosi più forti del loro ospite, ma, più frequentemente, soccombono, eppure non si estinguono, se non raramente, grazie alla loro facilità riproduttiva e sovrabbondanza numerica. Cannibalismo e lotta si presentano, dunque, come la struttura (si po- trebbe usare anche il termine ontologia se non fosse troppo compromesso con visioni metafisiche) profonda della natura del biologico. Non si creda, poi, di sfuggire a questa struttura con facili moralismi legati a forme, più o meno radicali, di alimentazione vegetariana o vegana, poiché anche il mondo vegetale, come quello animale è vivente e, come non si comprende la discriminazione etica tra animali sacrificabili e non sacrificabili, così          36 Il diritto come estetica non si comprende la sacrificabilità a fini eduli della vita vegetale, ma non di quella animale. Potrebbe esservi una spiegazione solo in una ipotetica gerarchia delle esistenze biologiche, che ponga l’essere umano al vertice e il vegetale alla base, ma allora non si giustifica perché tale gerarchia debba saltare un gradino, quello animale, appunto, nella scala delle sacrificabilità gerarchiche. Lo stato permanente di guerra, che caratterizza il mondo biologico, è aggravato dalla precarietà programmata della sua esistenza, la quale si deteriora e consuma progressivamente lungo tutto il corso dello sviluppo della vita. L’adagio latino, che indica l’inesorabile trascorrere delle ore, vulnerant omnes, ultima necat, ben descrive l’itinerario tra la nascita e la morte, funestato non solo dalla ricerca cannibalesca del cibo e dalle insidie date da malattie ed infortuni vari, ma, soprattutto, dal decorso del tempo e dal disgregarsi dei corpi, che accompagnano l’essere biologico verso la sua estinzione, la sua fine. Per sintetizzare l’orizzonte esistenziale del bio- logico basti ricordare la locuzione latina attribuita ad Agostino d’Ippona (354-430), ma molto più probabilmente di Bernardo da Chiaravalle (1090- 1153), con la quale si descrive la nascita dell’essere umano: inter faeces et urinam nascimur. La nascita, dalla cellula all’essere umano, è una cruenta rottura dell’individualità, una separazione di materiale organico, una fuo- riuscita di un ente da un altro ente, il numero uno che produce un altro uno, dando il via con il numero due alla catena dei molti. Quanto, poi, alla morte basta visitare ospedali, case di riposo per anziani e cimiteri per chiarirsi le idee intorno al dolore, al decadimento psico-fisico ed... all’approvvigiona- mento alimentare di microorganismi, vermi ed insetti vari, messi in fuga solo dal fuoco liberatore della cremazione. Il tragico disvelamento della triste condizione del biologico, in genera- le, ed umana, in particolare, è presente in quasi tutte le religioni, le quali, infatti, tendono a costruire speranze in un mondo non più biologico ed a porre al centro dei vari culti il concetto di sacrificio: sacrificio, in epoche arcaiche, non solo animale e vegetale, ma anche umano, a favore del divi- no. Il Cristianesimo, con ulteriore lucidità intorno alla condizione umana, poi, ha addirittura capovolto i termini del mistero sacrificale, rovesciando ed integrando il sacrificio umano nei confronto della divinità con il sacrifi- cio divino in favore dell’essere umano. Nell’Eucarestia rivive svelata l’on- tologia del biologico umano e la sua speranza di redenzione, liberazione attraverso il sacrificio del Cristo1. Il fedele cristiano, infatti, beve il sangue 1 “Ma se Cristo ha ripristinato il sacrificio umano e il cibarsi della vittima, questo è accaduto a lui e non a un fratello, perché Cristo ha instaurato la suprema legge           Monismo e dualismo del mondo 37 e mangia il corpo del Redentore; si nutre del divino per sfuggire all’orrore del biologico, per aspirare ad una vita priva di dolore ed eterna in Dio2. Il Cristo dovrebbe risanare la frattura tra divino ed umano, ricostruire il ponte crollato, riportare la riconciliazione e l’unione tra le parti ed il Tutto. La struttura del nostro mondo è stata descritta con estremo realismo da Baruch Spinoza (1632-1677): Per diritto e istituto naturale, non intendo altro che le regole della natura di ciascun individuo, in ordine alle quali concepiamo che ciascuno è naturalmente determinato a esistere e a operare in un certo modo. Così, per esempio, i pesci sono dalla natura determinati a nuotare e i grandi mangiano i più piccoli, onde diciamo che di pieno diritto naturale i pesci sono padroni dell’acqua e i grandi mangiano i più piccoli. È infatti certo che la natura, assolutamente considerata, ha pieno diritto a tutto ciò che è in suo potere, e cioè che il diritto della natura si estende fin là dove si estende la sua potenza, essendo la potenza della natura la potenza di Dio, il quale ha pieno diritto ad ogni cosa: ma, poiché la potenza universale dell’intera natura non è se non la potenza complessiva di tutti gli individui, ne segue che ciascun individuo ha pieno diritto a tutto ciò che è in suo potere, ossia che il diritto di ciascuno si estende fin là dove si estende la sua determinata potenza. E, poiché è legge suprema di natura che ciascuna cosa si sforzi di persistere per quanto può nel proprio stato, e ciò non in ragione di altra cosa, ma soltanto di se stessa, ne segue che ciascun individuo ha a pieno diritto, e cioè, come ho detto, ad esistere e a operare così come è naturalmente determinato. E qui noi non riconosciamo alcuna differenza tra gli uomini e tutti gli altri individui della natura, né tra gli uomini dotati di ragione e gli altri che ignorano la vera ragione, né tra i deficienti, i pazzi e i sani. Tutto ciò, infatti, che ciascuna cosa fa secondo le leggi della sua natura, questo fa di pieno diritto, dell’amore, per cui nessuno dei fratelli ne ha riportato danno, ma tutti hanno potuto gioire di questa restituzione. Succedevano le stesse cose dei tempi antichi, ma sotto la legge dell’amore. Per cui, se non hai un profondo rispetto di ciò che è stato compiuto, distruggerai la legge dell’amore. Che cosa quindi accadrà di te? Sarai costretto a ripristinare ciò che c’era prima, ossia atti di violenza, assassini, azioni illecite e disprezzo per il fratello”. C.G. Jung, Il libro rosso. Liber novus, Bollati Boringhieri, Torino 2013, p. 225. 2 Il sangue, la carne, il vino, il pane, l’acqua, il cielo sono simboli magici sino dai tempi più antichi: “Se avviene che io sia sopraffatto, quando bevi acqua o mangi pane, l’acqua assumerà il colore del sangue davanti a te, e il pane prenderà davanti a te il colore della carne, e il cielo prenderà davanti a te il colore del sangue. Horo figlio dell’Etiope stabilì dunque questi segni tra sé e la madre; poi si recò in Egitto, essendo pieno di magie”. E. Bresciani (a cura di), Testi religiosi dell’antico Egitto, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001, p. 397. Il testo è ambientato ai tempi del faraone Ramesse II, XIX dinastia, 1293-1190 a. C.. Cfr. anche. J.G. Frazer, La crocifissione del Cristo, Quodlibet, Macerata 2007; S. Peverada, Il sacrificio del Dio Bambino. Edipo e l’essenza del tragico, Mimesis, Milano 2004.           38 Il diritto come estetica in quanto agisce nel modo a cui è determinata dalla natura, né può comportarsi altrimenti3. Non sempre la potenza coincide con la grandezza, come dimostrano i microorganismi, tuttavia il senso di Spinoza è chiaro: ciascuno è per natura se stesso e si comporta secondo la propria natura; la gazzella è gazzella ed il leone è leone (preda e predatore), ma anche l’essere umano è tale ed il pazzo od il criminale altro non sono che una particolare espressione di essere umano. La struttura della natura assegna a ciascuno caratteri ben precisi, tutti equivalenti nell’articolazione molteplice della natura, ma ta- luni dotati di una potenza maggiore di altri ed i più potenti prevalgono sui meno nel breve periodo della conquista del nutrimento, per, poi, comunque soccombere anch’essi sotto i colpi dell’invecchiamento, dell’indebolimen- to, delle malattie e della morte. Ovviamente dietro questa visione si agita un fiero determinismo, di cui ci occuperemo in seguito, per ora interessa notare che la natura non si presenta benigna ai nostri occhi, ma la sua strut- tura ci appare profondamente malevola, matrigna. Questa però è la mera visione propria della prospettiva umana, alla quale manca, come si è detto in precedenza, la prospettiva globale, quella divina, e, soprattutto, è viziata da un ragionare antropocentrico di fronte al Tutto, all’universale. Sarebbe facile ironia sbeffeggiare, dal punto di vista etico, il diritto naturale alla luce dell’empiria del nostro mondo biologico, ma, forse, è proprio la vi- sione etica, che dovrà essere messa in discussione nel rapporto tra visione monista e dualista del reale. In questo senso appaiono particolarmente il- luminanti le parole di Giacomo Leopardi (1798-1837) nel Dialogo della natura e di un islandese: Natura. Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra se di ma- niera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimen- ti in dissoluzione. Per tanto risulterebbe in suo danno se fosse in lui cosa alcuna libera di patimento. Islandese. Cotesto medesimo odo ragionare a tutti i filosofi. Ma poiché quel che è distrutto, patisce; e quel che distrugge, non gode, e a poco andare è di- strutto medesimamente; dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: a chi pia- ce o a chi giova cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con danno e morte di tutte le cose che lo compongono?4. 3 B. Spinoza, Trattato teologico-politico, Einaudi, Torino 1980, pp. 377-378. 4 G. Leopardi, Operette morali, Rizzoli, Milano 2008, p. 288.           Monismo e dualismo del mondo 39 La visione del mondo di Spinoza e le domande di Leopardi hanno il grande pregio di rappresentare un limpido, inequivocabile e coerente esem- pio di monismo immanentista del reale (Deus sive Natura). Nel pensiero monista non si tratta, per lo più, di eliminare uno dei due termini dell’al- ternativa, ma di ridurli entrambe ad unità, di sintetizzarli entro un unico termine. Tale unico termine può relegare il mondo empirico all’ambito del- la pura illusione (Velo di Maya, espressione con la quale Arthur Schopen- hauer – 1788-1860 – si richiama alla religione induista), all’ambito di un sogno che potrebbe appartenere anche solo al soggetto che lo percepisce; il mondo esterno potrebbe esistere solo nell’esperienza di chi lo vive (sogget- tivismo filosofico: esse est percipi). Spinoza esprime l’indiscutibile merito di unificare il mondo senza sacrificare la sua dimensione empirica, ma am- pliandolo ad un Tutto, che tutto comprende, seppure nell’incertezza di non riuscirne a descrivere ogni specificità, ogni particolarità, ogni individualità. Infatti, poiché la virtù e la potenza di Dio, e le leggi e regole della natura sono i decreti stessi di Dio, si deve senz’altro credere che la potenza della na- tura è infinita e che le sue leggi sono tanto ampie da estendersi a tutte le cose concepite dallo stesso intelletto divino5. L’intelletto umano, ma soprattutto il suo sentimento, di fronte ad uno scenario tanto deludente e tragico della vita si è posto la domanda del senso, del significato di tanto dolore. Poiché nel mondo del percepibile attraverso i sensi non fu, e non lo è tuttora, possibile trovare risposte sod- disfacenti, la ricerca si è avviata verso l’immateriale, verso un reale imma- ginato solo nella mente, ma non soggetto a verifica/falsificazione empirica. L’operazione si è fondata su un modello dualista di negazione del sensibile e di contemporanea affermazione del suo esatto contrario: soffro la morte ed allora affermo l’esistenza della vita eterna, a mero titolo d’esempio. Una approfondita descrizione ed analisi di tale operazione, applicata alla religione ed, in particolare, al Cristianesimo, la si può trovare nell’opera di Ludwig Feuerbach (1804-1872)6. Ragione e fede7 si sono contese questo mondo astratto dell’immagina- rio, che ha duplicato l’universo, spiegando il senso del percepibile senso- rialmente attraverso il non percepibile sensorialmente. 5 B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cit., p. 153. 6 Cfr. L. Feuerbach, L’essenza della religione, Einaudi, Torino 1972; del medesimo Autore, L’essenza del Cristianesimo, Feltrinelli, Milano 1971. 7 Cfr. J. Habermas, Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2006.           40 Il diritto come estetica Sul piano razionale sono stati elaborati assiomi, principi primi imme- diatamente evidenti, ma non dimostrabili, concetti a priori, ossia ancora non dimostrabili, ed operazioni logiche, teorie e teoremi, ossia descrizioni di una qualche realtà esistente, validi solo se vengono accolti i presup- posti non empirici, dai quali prendono le mosse. Del resto, è ormai noto dai teoremi di incompletezza di Kurt Gödel (1906-1978), che è possibile definire formule logiche, che negano la propria dimostrabilità, cioè siano autoreferenziate. Si tratta di teoremi di logica, che hanno prodotto notevoli conseguenza in ambito matematico e geometrico, ma che possono essere estesi a qualsiasi sistema formale. Particolarmente significativo ai fini delle riflessioni qui svolte sembra essere il secondo teorema di Gödel, quello relativo alla indimostrabilità di un sistema coerente attraverso la sua stessa coerenza, ossia la coerenza si presenta come una sorta di petitio pricipii (le premesse già contengono ciò che si deve dimostrare) e/o di tautologia (af- fermazione vera per definizione) indimostrabile, appunto. Sull’argomento sono interessanti anche le parole di Bertrand Russell (1872-1970): I grandi scandali della filosofia della scienza sono sempre stati, dopo Hume, la causalità e l’induzione. Ad ambedue tutti ci crediamo, ma Hume mostrò che la nostra credenza è una fede cieca che non poggia su alcuna prova raziona- le. [...]. Se noi sottolineiamo il fatto che la nostra credenza nella causalità e nell’induzione è irrazionale, dobbiamo inferire che non sappiamo se la scienza sia vera, e che da un momento all’altro essa potrebbe anche cessare di darci quel controllo sul nostro ambiente per amor del quale essa ci piace8. La ragione, dunque, duplica il mondo secondo il modello proprio di René Descartes tra res extensa e res cogitans: la prima riferibile ai cor- pi fisici e la seconda al pensiero dell’essere umano. La distinzione pare speculare a quella tra materia e spirito, ma ne diverge perché, mentre la distinzione cartesiana potrebbe sussistere anche all’interno di un sistema immanentista monistico, tutto incentrato sull’essere umano come modello di unificazione, nel quale i due termini tendano rispettivamente ad identifi- carsi con l’alternativa concreto/astratto, la separazione tra materia e spirito, invece, è per necessità dualista, in quanto le due realtà si escludono vicen- devolmente come espressione di mondi diversi: fisico e metafisico. Martin Heidegger (1899-1976) va oltre nella critica e sottolinea come Descartes dualizzi il mondo, presupponendo, ma non dimostrando, il trascendente: 8 B. Russell, Saggi scettici, Longanesi &C, Milano 1975, pp. 37-38.           Monismo e dualismo del mondo 41 Cartesio non si fa offrire il modo d’essere dell’ente intramondano da questo ente, bensì, in base a un’idea di essere non disoccultata nella sua origine e non dimostrata nel suo diritto (essere = esser-stabilmente-sottomano), prescrive per così dire al mondo il suo essere autentico. Non è dunque primariamente il ricor- so a una scienza, guarda caso particolarmente apprezzata, come la matematica, a determinare l’ontologia del mondo, bensì l’orientazione fondamentalmente ontologica verso l’essere inteso come esser-stabilmente-sottomano, alla quale la conoscenza matematica soddisfa in modo eccezionale. Cartesio opera così filosoficamente in modo esplicito la commutazione degli esiti dell’ontologia tradizionale sulla fisica matematica moderna e sui suoi fondamenti trascen- dentali9. Del resto anche Werner Heisenberg (1901-1976) rileva la problematici- tà euristica della divisione cartesiana soprattutto alla luce del principio di indeterminazione. In realtà non erano in gioco soltanto degli esperimenti fisici, ma autentiche posizioni filosofiche. Qui la vecchia concezione, radicata fin da Cartesio, del- la divisione tra un mondo oggettivo, svolgentesi nello spazio e nel tempo, e un’anima da esso separata, in cui esso si rispecchia, entrava in conflitto con le nuove vedute, alla cui luce non era più possibile compiere quella divisione nel rudimentale modo precedente10. Oltre la ragione, meglio, prescindendo dalla ragione, però, si è presenta- ta all’essere umano, come via d’uscita dalla sua malasorte e dalle incertez- ze del quotidiano vivere anche un altro strumento mentale: la fede, spesso interpretata più come un dono divino che come una conquista personale11. Nell’ambito della fede il campo sembra apparentemente occupato in modo completo dalle religioni, ma non è possibile tacere che anche talune con- vinzioni filosofiche (paradosso di Zenone, negazione del divenire di Ema- nuele Severino) od anche scientifiche (teoria delle stringhe, delle brane, 9 M. Heidegger, Essere e tempo, Mondadori, Milano 2011, p. 143. 10 W. Heisenberg, Lo sfondo filosofico della fisica moderna, Sellerio Editore, Palermo 1999, p. 95. 11 “La fede essenzialmente una negazione implicita o violenta di una realtà o della realtà. La realtà è per tutti una prigione: ma, fortunatamente, una prigione male custodita. Ora, la fede insegna a negare queste muraglie, insegna il modo di fuggirle, ecc. La scienza è invece una affermazione di questa realtà; il modo che essa ci insegna di liberarci della realtà è appunto quello di affermare la realtà. La fede invece vuole insegnarci a fuggire la realtà, insegnando a negarla. La scienza appare come superiore alla fede, appunto perché essa è una liberazione dalla negazione”. A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teorici 1925 -1981, Marsilio, Venezia 1989, p. 5.           42 Il diritto come estetica degli universi paralleli e multidimensionali) sono sorrette più da dogmi, da assiomi logici, da teorie indimostrabili e da convinzioni personali che da prove empiriche. Esempio tipico di dualismo è rappresentato dal sistema filosofico di Pla- tone (428 a.C.-348 a.C.). Il mondo empirico si presenta come l’ombra di una realtà metafisica ideale, nella quale la perfezione dei modelli informa di sé le copie degradate della realtà in cui vive l’essere umano. Gli arche- tipi, le idee delle qualità e degli Enti emanano perfezione, immutabilità ed eternità e sono questi a presentarsi come la vera ontologia del mondo, che nelle forme terrene manifesta tutta la propria imperfezione e provvisorie- tà. Il mondo fisico, come brutta copia del mondo iperuranico, metafisico, spirituale, privo di spazio e di tempo, posto oltre la volta celeste e sede delle idee, produce una duplicazione consolatoria, sottraendo il concetto di verità alla percezione dei sensi ed attribuendolo all’elaborazione razionale. Questo sopraceleste sito nessuno dei poeti di quaggiù ha cantato, né mai canterà degnamente. Ma questo ne è il modo, perché bisogna pure avere il co- raggio di dire la verità soprattutto quando il discorso riguarda la verità stessa. In questo sito dimora quella essenza incolore, informe ed intangibile, contem- plabile solo dall’intelletto, pilota dell’anima, quella essenza che è scaturigi- ne della vera scienza. Ora il pensiero divino è nutrito d’intelligenza e di pura scienza, così anche il pensiero di ogni altra anima cui prema di attingere ciò che le è proprio; per cui, quando finalmente esso mira l’essere, ne gode, e con- templando la verità si nutre e sta bene, fino a che la rivoluzione circolare non riconduca l’anima al medesimo punto. Durante questo periplo essa contempla la giustizia in sé, vede la temperanza, e contempla la scienza, ma non quella che è legata al divenire, né quella che varia nei diversi enti che noi chiamiamo esseri, ma quella scienza che è nell’essere che veramente è12. Il mito della caverna e delle sue ombre, proiettate sulla roccia, descrive una conoscenza limitata, tutta ed esclusivamente umana, che può presen- tarsi completa solo nel momento in cui riesce ad uscire all’aperto e con- quistare la luce delle idee pure: una conoscenza, dunque, non empirica è quella sostenuta da Platone, poiché quest’ultima altro non sarebbe che una falsa conoscenza. Dentro una dimora sotterranea a forma di caverna, con l’entrata aperta alla luce [...], pensa di vedere degli uomini che vi stiano dentro fin da fanciul- li, incatenati gambe e collo, [...]. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d‘un fuoco e tra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungo questa 12 Platone, Fedro, in Tutto Platone, Laterza, Bari 1967, vol. I, p. 755.           Monismo e dualismo del mondo 43 pensa di vedere costruito un murricciolo, come quegli schermi che i burattinai pongono davanti alle persone per mostrare al di sopra di essi i burattini. [...]. Immagina di vedere uomini che portano lungo il murricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, [...]. Strana immagine è la tua, disse, e strani sono questi prigionieri. – Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possano vedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal fuo- co sulla parete della caverna che sta loro di fronte?13. Come si è già fatto cenno, il pensiero religioso presuppone già di per se stesso un dualismo del reale: la realtà divina crea la realtà umana ed esse vivono separate nella costante tensione di quest’ultima verso la prima: il ritorno alla casa del Padre. Esempio particolarmente significativo in questo senso è il pensiero gnostico. Sono molteplici le correnti gnostiche, alcune risalgono al mondo antico ed altre fioriscono nell’alveo del Cristianesimo, ma comunque tutte hanno in comune alcuni caratteri identificativi. In pri- mo luogo, il mondo umano rappresenta un degrado rispetto a quello divino. In secondo luogo, lo spirito, la scintilla divina che alberga in ciascun essere umano è racchiusa, come in una prigione, dal corpo fisico, ossia nella ma- teria. In terzo luogo, è aspirazione comune di tutte le scintille racchiuse nei corpi umani di risalire al cielo per ricongiungersi con la perfezione eterna del divino. La dottrina di Simon Mago (I secolo d.C.), descritta con spirito critico cristiano da Ireneo (130 d.C.-202 d.C.) sembra particolarmente utile per rilevare gli elementi gnostici più caratterizzanti di questo pensiero: Se infatti alcuni caratteri presentano chiara impronta gnostica (ostilità degli angeli [= arconti] verso Dio e verso l’uomo, imprigionamento dell’elemento divino nel corpo umano), altri sembrano estranei a questa esperienza: diviniz- zazione di Simone, cioè del capostipite della setta, e di Elena, e la loro pretesa immortalità; mancanza di una specifica colpa che spieghi l’imprigionamento dell’elemento divino nel corpo; redenzione del credente solo grazie alla cono- scenza della natura divina di Simone, mentre nell’esperienza gnostica è fon- damentale il riconoscimento dell’elemento divino che ogni gnostico reca in sé; assenza del Demiurgo, creatore del mondo, e della componente giudaica in genere: il personaggio femminile non è Sophia ma ha nomi greci, Ennoia ed Elena. Anche tenuto conto che la notizia di Ireneo presenta una dottrina che appare influenzata da tratti tipicamente cristiani e perciò non è di facile apprezzamento, si ha l’impressione che con Simone siamo sulla via che porta allo gnosticismo vero e proprio, senza esserci ancora giunti14. 13 Platone, Repubblica, in Tutto Platone, cit., vol. II, p. 339. 14 M. Simonetti (a cura di), Testi Gnostici in lingua greca e latina, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2001, pp. 6-7.           44 Il diritto come estetica Ovviamente anche il Cristianesimo dualizza il mondo nell’attesa di una sua riunificazione alla fine dei tempi. Il non senso del mondo empirico cer- ca, dunque, spiegazione in un dualismo astratto, ma non per questo meno probabile del monismo empirico o soggettivistico. Comunque se i dualismi concreto/astratto e fisico/metafisico rappresentano probabilmente l’origine del concetto stesso di dualismo del reale, molti altri dualismi percorrono sia le visioni dualiste che moniste del mondo. Si pensi alle coppie luce/tenebre, finito/infinito, eternità/tempo, perfetto/ imperfetto, che per il loro stesso carattere simbolico aprono le porte alla via metafisica, poiché in esse è già insito, sottointeso un mondo migliore che si contrappone ad uno peggiore, ma anche la coppia vita/morte prepara a problematiche di rottura o di continuità dell’essere umano, ossia ancora a problematiche filosofiche e religiose. Del resto, è la stessa razionalità nu- merica, che indica il nascere del dualismo con la presenza del numero due dopo il numero uno; tale presenza consente l’emergere di tutti gli altri nu- meri ed, in effetti, rotta l’unicità dell’Essere, il dualismo muta rapidamente in pluralismo e nel mondo empirico prende il via il divenire e lo scorrere del tempo; lo si è già visto in precedenza nella vicenda gnoseologica del Giardino dell’Eden. Tra i molti dualismi esistenti, alcuni appena ricordati, ne emerge uno particolarmente significativo, poiché favorisce la dualizzazione del reale, sebbene venga generalmente considerato di natura metodologica e non on- tologica, quello tra giudizi di fatto e giudizi di valore15. Si tratta della nota Grande Divisione di David Hume (1771-1776), nella quale si distingue ciò che può essere predicato di falsità o di verità attraverso la verifica empirica, sono i soli giudizi di fatto, e ciò che può essere predicato di buono o di cat- tivo, di giusto o di ingiusto, di bello o di brutto, in quanto non sottoponibile a verifica empirica, sono i giudizi di valore. Il dualismo immediatamente evidente tra oggettività empirica e soggettività umana, nasconde un altro dualismo ben più rilevante per la visione dualistica del reale, quello tra valori relativi e valori assoluti; infatti questi ultimi non possono che pre- supporre per avere senso nella loro indiscutibile veridicità una dimensione a sua volta assoluta, alla quale essi appartengono. Tale dimensione può essere anche meramente razionale, ma più frequentemente ha natura tra- scendente e religiosa. Immanuel Kant (1724-1804), infatti, accanto ad una ragion pura e pratica pone anche una dimensione noumenica. 15 M.L. Ghezzi, La distinción entre hechos y valores en el pensamiento de Norberto Bobbio, Universidad Externado de Colombia, Bogotá 2007.           Monismo e dualismo del mondo 45 Nell’antinomia della ragion pura speculativa si trova un contrasto simile [impossibilità del sommo bene secondo regole pratiche e, quindi fantasiosità ed inutilità della legge morale, n.d.r.] fra necessità naturale, e libertà nella cau- salità degli eventi del mondo. Esso fu tolto col dimostrare che non c’è un vero contrasto se gli eventi, ed anche il mondo in cui essi avvengono, si considerano (come appunto si deve fare) soltanto quali fenomeni; perché un solo e mede- simo essere, agente come fenomeno (anche davanti al proprio senso interno), ha una causalità nel mondo sensibile, che è sempre conforme al meccanismo naturale; ma rispetto allo stesso evento, in quanto la persona agente si consideri nello stesso tempo come noumeno (come intelligenza pura, nella sua esistenza non determinabile secondo il tempo), può contenere un motivo determinante di quella causalità secondo leggi naturali, libero esso stesso da ogni legge na- turale16. I valori assoluti conducono direttamente nel mondo divino dell’igno- to, del noumenico, appunto17, mentre quelli relativi si situano nel giudizio morale dell’individuo umano, che tuttavia, può essere a sua volta conside- rato come una entità noumenica. Questi ultimi, dunque, rivelano immedia- tamente la propria natura soggettiva, ossia legata al pensiero del singolo essere umano, che solo una ottimistica visione illuminista può reputare espressione di una razionalità universale e, quindi, omogenea. Il sogget- tivismo valoriale apre la strada al nichilismo, ma di ciò si dirà più oltre, per ora bisogna meglio comprendere la distinzione posta alla base della separazione tra giudizi di fatto e giudizi di valore. Per quanto riguarda i giudizi di fatto il problema si presenta di sempli- ce soluzione, giacché possono definirsi tali solo quei giudizi sostenuti da percezione empirica. Ovviamente esistono delle difficoltà anche sulla stra- da dell’empiria, poiché sempre di giudizi trattasi, ossia di percezioni sog- gettive filtrate attraverso la struttura categoriale propria della conoscenza umana, che possiede almeno due caratteri limitanti la presunta oggettività esterna al soggetto: quello biologico, anatomico, e quello culturale. Potreb- be sussistere anche un terzo limite, quello psicologico, se si attribuisce una propria autonomia individuale o collettiva alla mente come entità separata dal cervello. Si pensi alla distinzione tra conscio, inconscio ed inconscio 16 I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Bari1972, pp. 139-140. 17 “[...] la realtà oggettiva della legge morale non può esser dimostrata mediante nessuna deduzione, nonostante ogni sforzo della ragion teoretica, speculativa o sostenuta empiricamente; e quindi, se anche si volesse rinunziare alla conoscenza apodittica, quella realtà non potrebbe venire confermata mediante l’esperienza e così dimostrata a posteriori; e tuttavia essa è stabile per se stessa”. I. Kant, op. cit., p. 59.           46 Il diritto come estetica collettivo18. Una ulteriore difficoltà è data dai limiti assoluti, non categoria- li, della percezione umana: le unità di misura di Max Planck (1858-1947) ed, in particolare, il tempo (tp), la lunghezza (lp) e la massa (mp) di Planck costituiscono l’attuale, e, forse, definitivo limite di rilevazione empirica, al di sotto del quale è impossibile o, ancora forse, anche privo di significato procedere19. Riguardo ai giudizi di valore si presenta qualche ulteriore difficoltà. Tra- lasciando i valori assoluti, in quanto appartenenti ad un mondo separato da quello umano, ad un mondo umano assolutizzato o all’individuo sempre assolutizzato, pare opportuno soffermarsi sulla natura dei giudizi di valore relativi, soggettivi. Questi ultimi generalmente vengono identificati come un dover essere, ma cosa significa dover essere a livello del singolo sogget- to? Parrebbe un impegno inderogabile, morale, non motivato da particolari interessi personali. Eppure la scelta di un qualche sistema etico e dei suoi 18 “[...] l’incosciente razionalmente comprensibile [...] consiste per così dire di materiali artificialmente incoscienti, è solo uno strato superficiale, e [...] sotto di questo vi è ancora un incosciente assoluto, che non ha nulla a che fare colla nostra personale esperienza, che dunque sarebbe un’attività psichica autonoma, opposta all’anima cosciente e perfino agli strati superiori dell’incosciente, non tocca – e forse non toccabile – dall’esperienza personale, una specie di attività psichica superindividuale, un incosciente collettivo, come io l’ho chiamato, in contrapposto con un incosciente superficiale, relativo o personale”. Cfr. C.G. Jung, Il problema dell’inconscio nella psicologia moderna, Einaudi, Torino 1971, p. 111. 19 “[...] la gravità quantistica è proprio la scoperta che non esistono punti infinitamente piccoli. Esiste un limite inferiore alla divisibilità dello spazio. L’Universo non può essere più piccolo della scala di Planck, perché non esiste nulla che sia più piccolo della scala di Planck”. C. Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare della cosa, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014, p. 201. “Analogamente a come, secondo la teoria della relatività, non si può parlare in modo sensato di velocità il cui valore superi quello della velocità della luce, così non si può nemmeno parlare sensatamente di una indicazione di posizione la cui imprecisione sia inferiore al valore di 0,5. 1013 cm”. W. Heisenberg, Lo sfondo filosofico della fisica moderna, cit., p. 103. Ed ancora: “Se partiamo dall’idea che le leggi della natura contengono realmente una terza costante universale nella dimensione della lunghezza, e dell’ordine di 1013 cm, allora dovremmo aspettarci di poter applicare i nostri concetti usuali soltanto a regioni dello spazio e del tempo che siano grandi rispetto alla costante universale. E dovremmo attenderci fenomeni di un carattere qualitativamente diverso quando nei nostri esperimenti ci avviciniamo a regioni nello spazio e nel tempo più piccole dei raggi nucleari. Il fenomeno dell’inversione temporale, di cui si è discusso e che, fin qui, è risultato soltanto da considerazioni teoriche come una possibilità matematica, potrebbe perciò appartenere a queste minimissime regioni”. W. Heisenberg, Fisica e filosofia, il Saggiatore, Milano 2015, p. 165.           Monismo e dualismo del mondo 47 valori scaturisce da preferenze personali, legate all’ambiente in cui il sog- getto è stato educato e/o vive (consuetudinarietà del comportamento, etc.) e dalle proprie individuali attitudini (propensioni caratteriali, gusti, etc.), non certo da timore di ricevere punizioni o dal desiderio di ottenere utilità di qualche tipo per se stesso o per qualcun altro, poiché, in tale caso, non si sarebbe in presenza di un dover essere morale. Dunque, in concreto il dover essere consiste in una scelta comportamentale, che appaga il sog- getto agente almeno da un punto di vista morale. Potrebbe, infatti, in esso sussistere un conflitto tra un appagamento contrario al dover essere morale e l’appagamento dell’ottemperanza al medesimo. Ovviamente il conflitto interiore si risolverà in favore dell’appagamento più forte, della tensione emotiva più potente. Ma se di appagamento si tratta, il concetto di dover essere non presenta alcuna propria autonomia di significato, poiché si iden- tifica semplicemente con il concetto più immediatamente verificabile in via empirica di mi piace. Del resto, è lo stesso Kant a fornire indicazioni in questa direzione: Invero, ogni inclinazione e ogni impulso sensibile sono fondati sul senti- mento, e l’effetto negativo sul sentimento (mediante il danno che avviene alle inclinazioni) è anche sentimento. Quindi possiamo vedere a priori che la legge morale, come motivo determinante della volontà, perché reca danno a tutte le nostre inclinazioni, deve produrre un sentimento che può esser chiamato dolore; e qui ora abbiamo il primo, e forse anche l’ultimo caso nel quale, con i concetti a priori, possiamo determinare la relazione di una conoscenza (qui è conoscenza di una ragion pura pratica) col sentimento del piacere o del di- spiacere20. Il dover essere altro, dunque, non è che un mi piace, nobilitato dall’es- sere riferito ad una forza od ad una entità esterna al soggetto. Si riferisce la propria scelta ad un obbligo inderogabile esterno, radicato nella trascen- denza della ragione, del metafisico o del divino. Si sdoppia il mondo per dare oggettività anche alle scelte soggettive ed, in tale modo, tranquilliz- zare se stessi della bontà della propria opzione e presentare agli altri tale opzione non come un arbitrio, un capriccio personale, ma come una ogget- tiva necessità etica, come un comando eteronomo irresistibile, in quanto doveroso, a pena di riprovazione, disonore, colpa, peccato, rimorso, etc.. Esempio tipico di questo processo è il concetto di obiezione di coscien- za, proprio di taluni ordinamenti giuridici, che con tale motivazione esen- tano alcune persone dal tenere, in una data situazione, il comportamento 20 I. Kant, Critica della ragion pratica, cit., p. 90.           48 Il diritto come estetica prescritto per legge, ma contrario ai convincimenti etici delle medesime. Ciò spiega anche il tentativo di taluni autori21, che comunemente dai divi- sionisti viene definito con l’espressione fallacia naturalistica, di superare la Grande Divisione di Hume, unificando i due termini, fatti e valori, in un’unica entità di natura oggettiva. In questo modo tutti i valori divengono assoluti, gli uni perché trascendenti e gli altri perché immanenti ed empi- ricamente verificabili; l’essere soppianta il dover essere, ma quest’ultimo, sotto le sembianze dell’essere, mantiene la propria funzione di guida delle azioni umane e di giudizio morale. Un tale passaggio diviene impossibile se si prende atto che il concetto di devo coincide, semplicemente si identifi- ca, con quello di mi piace. Del resto, è Hume steso ad indicare questa come la vera e profonda natura del dover essere: Ora, niente accomuna il bello naturale e morale (entrambi causa di orgo- glio), se non questo potere di produrre piacere22. Il piacere, quindi, è all’origine del dover essere, ma, se questa è l’ori- gine, pare opportuno riportare un po’ di ordine nel vocabolario e chiama- re i concetti col proprio nome senza tentativi di mistificazione. L’etica, la morale, ma anche il diritto altro non sono che articolazioni specialistiche dell’estetica; talune diversità le distinguono, ma, in ultima analisi, sono semplicemente espressioni estetiche del soggetto agente. Inoltre questa de- mistificazione non solo opera favorevolmente sul piano pratico, in quanto, svelando la natura estetica, ossia soggettiva e relativa delle scelte umane, ne mina anche l’arroganza integralista ed intollerante, ma consente anche una migliore utilizzazione metodologica della Grande Divisione. Infatti, sostituire ai dualismi buono/cattivo, giusto/ingiusto il dualismo bello/brut- to significa conservare l’elemento soggettivo del giudizio, anzi rafforzar- lo, ed inoltre radicarlo anche in una realtà umana individuale o sociale empiricamente analizzabile. Si apre in questo modo la strada allo studio delle strutture motivazionali dei soggetti, alle psicologie individuali, all’e- ducazione, alla cultura ed alle tradizioni. Tolti i valori dall’empireo della razionalità astratta, della religione, della metafisica e ricollocati, come en- tità estetiche, all’interno del soggetto agente e della società cui appartiene, divengono fondamentali gli studi psicologici, antropologici e sociologici per spiegare le scelte comportamentali. Il dualismo della Grande Divisione permane, ma non necessità più di giustificazioni non empiriche (almeno in 21 Cfr. G. Carcaterra, Il problema della fallacia naturalistica. La derivazione del dover essere dall’essere, Giuffrè, Milano 1969. 22 D. Hume, Trattato sulla natura umana, Bompiani, Milano 2001, p. 599.           Monismo e dualismo del mondo 49 uno dei suoi due termini) e non produce più neppure quello sdoppiamento del mondo, che faceva sospettare una sua natura ontologica, e non mera- mente metodologica, proprio per l’ambiguità oggettiva/soggettiva del do- ver essere, dei giudizi di valore. La Grande Divisione, nella versione essere – mi piace/non mi piace l’essere, giudizi di fatto e giudizi di estetica, riesce a separare, a distinguere con chiarezza il primo temine come oggettivo ed il secondo come soggettivo; ossia, il primo, come empiricamente sussi- stente all’esterno del soggetto giudicante ed, il secondo, empiricamente sussistente all’interno del medesimo soggetto; ovviamente la prova empi- rica dell’esistenza e della qualità di quest’ultimo giudizio consisterà, sarà data proprio dalla espressione, dalla manifestazione di piacere o di dolore esternata del soggetto. Alla luce di quanto detto sino a questo punto pare chiaro che non esi- stano dimostrazioni affidabili per propendere decisamente a favore della tesi di una realtà monista o di una realtà dualista; d’altronde non è logico pretendere una dimostrazione empirica dell’esistenza di un mondo che, per definizione, non è empirico, né l’affermazione che il mondo empirico sia l’unica realtà esistente, in quanto verificabile empiricamente, può essere considerata qualche cosa di diverso da una tautologia. Forse, l’ontologia del mondo è e non è monista; è e non è dualista, ma oscillano e coesistono contemporaneamente entrambe le realtà, come sembra suggerire la fisica subatomica con la coppia particella/onda ed ancor più con l’equazione, già ricordata, di Albert Einstein E=mc2, nella quale energia e massa sembrano essere due aspetti della medesima realtà, come potrebbero essere anche spirito e materia. Anche in questo contesto appare significativo il fatto che, secondo la mec- canica quantistica, la conservazione dell’energia da un lato, che esprime la sua esistenza atemporale, e il manifestarsi dell’energia nello spazio e nel tempo dall’altro sono due aspetti opposti (complementari) della realtà. In verità, essi sono sempre compresenti, ma in concreto ora l’uno ora l’altro esplicano la loro azione in modo predominante23. La riflessione di Wolfgang Pauli (1900-1958), sopra riportata, apre la strada ad una visione non più oggettivizzata in modo statico del reale, ma, bensì, oscillante in modo instabile, con frequenze diverse, sia in se stessa, sia tra soggetto ed oggetto24. Se il mondo non fosse un fatto, ma una mera 23 W. Pauli, Psiche e natura, Adelphi, Milano 2006, pp. 36-37. 24 “Laddove il vecchio tipo di spiegazione della natura, partendo dal presupposto di un osservatore indipendente, assumeva un decorso totalmente determinato dei           50 Il diritto come estetica possibilità oscillante continuamente a pendolo tra dualismi indissolubili tra loro, quali soggetto/oggetto, determinato/indeterminato, assoluto/relativo, visibile/invisibile, finito/infinito, etc., allora neppure una logica dialettica potrebbe rendere ragione degli eventi, poiché mancherebbe comunque il momento di sintesi. Si aprirebbe, invece, una finestra su una visione del mondo instabile, in pendolare mutazione perenne. Una sorta di metamor- fosi continua, come nell’opera poetica di Publio Ovidio Nasone (43 a.C. – 18 d.C.): Vi sono creature, o grandissimo eroe, il cui aspetto fu trasformato una sola volta e per sempre rimase in questa trasformazione; ve ne sono altre, a cui è data facoltà di mutarsi in più aspetti, come a te, o Proteo, abitatore del mare che circonda la terra. Ti videro, infatti, ora quale giovane, ora quale leone; ades- so eri irruente cinghiale, adesso un serpente, al cui contatto si provava paura; alcune volte le corna ti fecero toro, spesso riuscivi ad apparire pietra e spesso anche albero; talvolta, assumendo l’aspetto di acque fluenti, eri fiume; talvolta, l’opposto delle acque, fuoco25. Ovviamente ad una tale visione si accompagnerebbero inevitabilmente le domande intorno alla illimitata variazione delle metamorfosi o alla loro natura evolutiva o non evolutiva oppure, ancora, alla loro ripetitività cicli- ca secondo il principio dell’eterno ritorno di nietzschiana memoria. Forse, il futuro ci riserva la necessità di una profonda revisione dei no- stri processi logici, ad iniziare dal principio stesso di identità. Per ora basti prendere atto almeno di quanto la conoscenza scientifica ha ormai empiri- camente appurato: Con l’aiuto di queste particelle [particelle α] Rutherford riuscì nel 1919, a trasmutare nuclei di elementi leggeri; poté, per esempio, trasformare un nucleo di azoto in un nucleo di ossigeno aggiungendo la particella α al nucleo d’azoto ed espellendone nello stesso tempo un protone. Fu questo il primo esempio di processi su scala nucleare che ricordassero quelli dei processi chimici ma con- dussero alla trasmutazione artificiale degli elementi. Il successivo sostanziale fenomeni naturali, la fisica odierna è giunta a un nuovo tipo di spiegazione della natura: è il caso cieco, privo di finalità, la probabilità primaria che non può essere ricondotta a leggi deterministiche. Secondo questa concezione la probabilità primaria appare legata in modo essenziale al fatto che l’osservatore influenza i fenomeni attraverso la scelta del dispositivo sperimentale, dal momento che la misurazione comporta per legge di natura interazioni incontrollabili con l’oggetto da misurare. Questa concezione sottolinea quindi con forza l’elemento della libertà nei processi naturali”. W. Pauli, op. cit., p. 163. 25 Ovidio, Le metamorfosi, Bompiani, Milano 1992, vol. I, p. 453.           Monismo e dualismo del mondo 51 progresso fu, come è ben noto, l’accelerazione artificiale dei protoni per mezzo di congegni ad alta tensione ad energie sufficienti a produrre la trasmutazione nucleare. Erano necessari a questo scopo voltaggi di circa un milione di volt, e Cockcroft e Walton riuscirono nel loro esperimento decisivo a trasmutare nuclei dell’elemento litio in quelli dell’elemento elio26. Il sogno antico degli alchimisti diviene sempre più reale, contempora- neamente, le forme si presentano oscillanti non solo a livello di particella e di onda, appaiono sempre meno stabili e l’energia sembra giuocare contro il principio d’identità.Il tema del libero arbitrio e del suo corrispondente opposto, il servo ar- bitrio, tormenta da sempre, con un dubbio sino ad ora irrisolto, i pensieri dell’essere umano e percorre tutta la storia della filosofia1. Senza presun- zione di poter risolvere tale dubbio, conviene tuttavia, per affrontare l’ar- gomento con sufficiente chiarezza, tentare qualche definizione e qualche precisazione intorno ai concetti in discussione. In via preliminare, dunque, pare opportuno prendere le mosse dal noto confronto storico tra Erasmo da Rotterdam (1466-1536) e Martin Lutero (1483-1546), rispettivamente sostenitori, il primo, dell’esistenza del libero arbitrio ed, il secondo, della sua negazione. Erasmo formula una precisa definizione di libero arbitrio: [...] noi qui definiremo il libero arbitrio come un potere della volontà umana in virtù del quale l’uomo può sia applicarsi a tutto ciò che lo conduce all’eterna salvezza, sia, al contrario, allontanarsene2. La contestazione di Lutero non si fa attendere ed è completamente in- centrata sulla salvezza operata esclusivamente dalla Grazia di Dio e non conquistata attraverso le opere umane:  1 2 Innanzitutto Dio è onnipotente non solo per il suo potere ma anche per la sua azione, altrimenti sarebbe un Dio ridicolo. In secondo luogo sa tutto e prevede tutto, perciò non può né errare né fallire. Se il nostro cuore e la nostra intelli- genza approvano pienamente questi due punti, siamo obbligati ad ammettere, per una conseguenza ineluttabile, che non siamo stati creati per nostra volontà, ma per necessità; e perciò non facciamo ciò che ci piace in virtù del nostro Cfr. M. De Caro, M. Mori, E. Spinelli (a cura di), Libero arbitrio. Storia di una controversia filosofica, Carocci Editore, Roma 2014. E. da Rotterdam, Saggio o discussione sul libero arbitrio, in F. De Michelis Pintacuda (a cura di), Libero arbitrio. Servo arbitrio, cit., p. 57.          54 Il diritto come estetica libero arbitrio, ma ciò che Dio ha previsto da ogni eternità e che fa accadere secondo il suo proponimento e il suo potere infallibili ed immutabili3. Sia Erasmo che Lutero incentrano la questione intorno alla salvezza spi- rituale ed alla Grazia di Dio, ossia si muovono in ambito religioso, teolo- gico, tuttavia, mutando i nomi e sostituendo al nome Dio quello di Natura, di scienza, di necessità causale, di assenza del divenire o di inesistenza del tempo, i termini del problema non variano e continuano a contrapporsi, anche se mascherate in Erasmo da formule religiose di stile, proprie dell’e- poca, per evitare conseguenze repressive, le due medesime posizioni: il monismo umano ed il dualismo divino. Mentre per Erasmo l’essere umano può conoscere e decidere il proprio agire, per Lutero, invece, la conoscenza non implica anche la volontà, la scelta. Una definizione estesa di libero arbitrio potrebbe essere la seguente: es- sere soggetto autoreferenziato, cioè giustificato nella propria esistenza da se stesso; autonomo, ossia legislatore in proprio delle proprie regole di vita, e detentore di una possibilità di volere e di agire incondizionata da fattori esterni al soggetto medesimo. L’autoreferenzialità risponde all’esigenza di fornire un’origine ed un senso in proprio della vita del soggetto. L’autono- mia esprime il rifiuto di regole non condivise, provenienti da altri soggetti (eteronomia). La libertà di volere e di agire intende descrive l’inesistenza di condizionamenti sia psichici, mentali, sia fisici. La definizione deve per necessità presentarsi radicale ed estrema, poiché nell’alternativa libero o sevo arbitrio sembra impossibile prendere in considerazione posizioni in- termedie, per così dire, moderate, in quanto o la libertà c’è o non c’è, una libertà limitata corrisponde ad una non libertà, sicuramente almeno rispetto ai limiti posti, ma anche in generale, poiché lede un principio, la libertà, che, per la salvaguardia della dignità umana, non può che essere assoluto, come è assoluto il soggetto individuale, unico ed irripetibile. Del resto, l’assolutezza empirica del soggetto individuale è chiaramente palesata dal fatto che è solo su di esso che si fonda ogni conoscenza del mondo ed è da esso che si manifesta qualsiasi forma di azione, ogni agire. Naturalmente per soggetto individuale non si intende esclusivamente l’essere umano, ma qualsiasi entità esistente, capace in qualche modo di conoscere ed agire (minerali, piante, animali, entità non visibili,...?). La definizione sopra illustrata parrebbe far propendere, alla luce della percezione empirica del nostro esistere, per l’inesistenza del libero arbi- 3 M. Lutero, Commento di Martin Lutero al saggio di Erasmo, in F. De Michelis Pintacuda (a cura di), op. cit., p. 158.           De libero o de servo arbitrio? 55 trio. Infatti, l’essere umano è condizionato dal suo stesso vivere entro una forma, una realtà corporea da lui non scelta, ad esempio non possiede ali per volare, può non apprezzare il proprio aspetto fisico, rendersi conto di non possedere talune abilità intellettive (difficoltà di apprendimento, scar- sa fantasia, etc.) o funzionali (carenza di arti, difficoltà respiratorie, aller- gie, etc.), etc., e l’elenco, è bene ricordarlo, si presenta come meramente esemplificativo. Ma un colpo ancora maggiore alla libertà umana è dato dall’impossibilità di scelta di quando, dove, da chi e se nascere, con il conseguente condizionamento dato dall’ereditarietà del patrimonio gene- tico e dalla casualità della condizione sociale dei genitori, inoltre neppure il momento della propria morte è frutto di libera scelta (salvo il suicidio, forse). Naturalmente tutto ciò alla sola luce della conoscenza umana, che non può escludere qualsiasi cosa si possa immaginare nella duplicazione metafisica del mondo, anche la libera scelta di nascere, si pensi alla dottrina della reincarnazione e della metempsicosi, operanti nel pitagorismo, nel mito platonico di Er, in talune sette gnostiche, nell’Induismo, nel Buddi- smo, etc.4. Comunque, empiricamente parlando, le uniche certezze che si presentano riguardano la nostra forma, il nostro inizio e la nostra fine5. Sia 4 “Secondo costoro, che appartengono alla setta cui la ragione è più amica [aristotelici], le anime beate, liberate da ogni contaminazione materiale possiedono il cielo. Ma quelle che, sotto l’effetto di un segreto desiderio, da quella dimora vertiginosa e da quella luce perpetua hanno gettato uno sguardo in basso verso i corpi e verso ciò che chiamano quaggiù la vita si sono a poco a poco trascinate verso le regioni inferiori, per il solo peso di questo pensiero terreno. Quando abbandona lo stato di perfetta immaterialità, questa vestizione del corpo fangoso non è tuttavia, per l’anima, improvvisa, ma graduale, ed essa si impoverisce impercettibilmente e con lento degrado dalla sua purezza uniforme e assoluta, mentre s’ingrossa con certi accrescimenti di sostanza siderale. Infatti, in ciascuna delle sfere situate al di sotto del cielo, l’anima si riveste di un involucro etereo, di modo che attraverso tali involucri si adatta, progressivamente, ad unirsi a questo nostro rivestimento di sostanza terrena e pertanto, per un numero di morti pari a quello delle sfere che attraversa, l’anima perviene a quello stato che quaggiù in terra è chiamato vita”. A.T. Macrobio, Commento al sogno di Scipione, Bompiani,, Milano 2007, pp. 331-333. 5 “I mortali sono gli uomini. Essi si chiamano i mortali perché possono morire. Morire significa essere capaci di morte in quanto morte. Soltanto l’uomo muore. L’animale cessa di vivere (verendet). Esso non ha la morte in quanto morte né davanti a sé né dietro di sé. La morte è lo scrigno del nulla, vale a dire di ciò che sotto tutti gli aspetti non è mai qualcosa di meramente essente, ma che, nondimeno, è essenzialmente in quanto l’essere stesso. In quanto scrigno del nulla, la morte è il riparo nascosto (Gebirg) dell’essere. Chiamiamo ora i mortali i mortali, non perché la loro vita terrena cessi, bensì perché sono capaci di morte, essendo essenzialmente nel riparo nascosto dell’essere. Essi sono il rapporto           56 Il diritto come estetica lecito il paragone, siamo come una entità di forma predeterminata, che, nel percorso della sua caduta dall’ultimo piano di un grattacielo al marciapie- de sottostante, pensa di essere libera di poter fare ciò che vuole. Ma esiste veramente questa libertà lungo il tragitto della caduta (vita)? Per poter ri- spondere a questa domanda converrà ora approfondire anche il concetto di servo arbitrio. Il determinismo comportamentale o della volontà può presentarsi sotto diverse sembianze. Quando si afferma di poter fare una certa cosa, di poter compiere una data azione si possono intendere referenti empirici diversi, come bene illustra Ross, individuando tre condizioni necessarie per la sus- sistenza dell’agire: L’agire attuale richiede quindi il verificarsi di tre gruppi di condizioni: quel- le costituzionali, quelle occasionali, e quelle motivazionali. Possiamo anche dire che esso presuppone che l’agente abbia sia la capacità, sia l’occasione, sia la volontà o il motivo per compiere l’atto6. Ad esempio, per poter nuotare è necessario saper nuotare (capacità), disporre di uno specchio d’acqua (occasione) e, finalmente anche, volere, decidere di nuotare (volontà, motivo). A rigore solo quest’ultimo requisito riguarda direttamente il tema del libero arbitrio; il tema deterministico, in- vece, coinvolge tutti e tre i gruppi di condizioni. Infatti, il determinismo non riguarda solo la volontà, ma anche le condizioni soggettive (capacità) ed oggettive (occasioni) dell’individuo. Comunque, per semplificare un tema sin troppo arduo, conviene tralasciare queste ulteriori condizioni e soffermarsi solo sulla volontà. La volontà può presentare almeno tre forme di ipotesi di condizionamento: 1) la scelta non è riconducibile al soggetto agente (volontà divina); 2) la scelta è condizionata da fattori immateriali (cultura, educazione, morale, inconscio individuale o collettivo, psicologia, etc.); 3) la scelta dipende dalla struttura biologica, biochimica dell’essere umano (si pensi all’uomo macchina di Julien Offray de La Mettrie (1709- 1751) ed agli studi medici intorno alla causalità chimica nella struttura organica umana). È possibile ipotizzare anche altri fattori di condizion- amento, ma, data la loro particolarità concettuale, sarà più opportuno trat- tarli in seguito; ora è bene tornare al fattore di condizionamento metafisico. L’esistenza di una volontà divina prevalente su quella umana presup- pone l’accettazione di una visione dualista del mondo (fisica e metafisica), essenzialmente essente con l’essere in quanto essere”. M. Heidegger, La cosa, in A. Pinotti (a cura di), La questione della brocca, Mimesis, Milano 2007, p. 63. 6 A. Ross, Colpa, responsabilità e pena, cit., p. 264.           De libero o de servo arbitrio? 57 senza la quale l’esistenza del divino non è pensabile. Se Dio tutto ha creato, quindi, tutto conosce e tutto vuole, allora la volontà umana in altro non può consistere che nella volontà stessa di Dio. Tale posizione fu compiu- tamente espressa dall’occasionalismo di Arnold Geulincx (1624-1669) e di Nicolas Malebranche (1638-1715). L’occasionalismo, negando un qual- siasi collegamento tra la res estensa e la res cogitans cartesiane, sosteneva che le azioni umane altro non erano che occasioni della manifestazione della volontà divina, l’unica ad essere libera. In questa visione le azioni umane e la dimensione psichica si presentano come due orologi perfetta- mente sincronizzati dalla volontà divina, ma indipendenti l’uno dall’altro. A rigore, data l’evidente derivazione platonica di questo pensiero, il mondo umano potrebbe essere anche inesistente oppure, seguendo la convinzione nella onnipotenza creatrice di Dio, apparso solo in questo preciso istante in cui, tu lettore, stai leggendo questo testo, con tutti i tuoi ricordi e le tue sensazioni. L’unica certezza dell’esistenza di questo mondo deriva dalla certezza della fede in Dio7. Ovviamente il determinismo appena descritto è strettamente legato ad un pensiero religioso. Prendendo ora in considerazione il pensiero immanentista, si presenta un determinismo tutto incentrato sulla concatenazione degli eventi attra- verso il nesso di causa/effetto. La prima considerazione da manifestare ri- guarda la natura di tale nesso e la sua stessa esistenza. Già Auguste Comte (1798-1857) ne metteva in evidenza la natura metafisica e lo sostituiva con delle leggi generali di comportamento degli eventi: Se, più tardi cambia [l’essere umano, n.d.r.] le sue concezioni in proposito, è unicamente perché, allontanato, attraverso l’esperienza e la riflessione, dalle illusioni primitive, rinunzia assolutamente a penetrare il mistero del modo di prodursi dei fenomeni, di cui la sua natura gli impedisce per sempre ogni cono- scenza, per ridursi ad osservare le leggi effettive. Ed invero, se anche oggi, con tutte le nozioni positive acquisite, volessimo, per il più semplice fenomeno, 7 In termini moderni questo problema è stato affrontato sotto l’aspetto dell’autoreferenzialità causale: “I fenomeni più elementari dal punto di vista biologico, incluse le esperienze percettive, le intenzioni di fare qualcosa e i ricordi, presentano nelle loro condizioni di soddisfazione una struttura logica particolare. [...]. Le condizioni di soddisfazione del ricordo non si limitano, se le esamino nei dettagli, all’occorrere effettivo dell’evento, ma richiedono che il ricordo stesso, delle cui condizioni di soddisfazione è parte l’occorenza dell’evento, sia stato causato da tale occorenza. Possiamo esprimere la peculiarità di tale struttura dicendo che sia i ricordi sia le intenzioni sia le esperienze percettive sono causalmente autoreferenziali. Ciò significa che il contenuto dello stato stesso si riferisce allo stato ponendo un requisito causale”. J.R. Searle, La mente, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, p. 154.           58 Il diritto come estetica tentare di concepire per quale potere il fatto che chiamiamo causa generi quello che chiamiamo effetto, saremmo inevitabilmente portati a realizzare immagini analoghe a quelle che sono servite di base alle prime teorie umane8. Il nesso causale non viene negato dalle leggi generali, ma semplicemente contenuto entro il limite del suo significato di costanza, di ripetitività negli accoppiamenti temporali dei fenomeni, senza indagare e pregiudicare il motivo, si potrebbe dire la causa, di questo legame; ossia possiede natura meramente descrittiva e non anche esplicativa: rileva il fenomeno, ma non ne spiega il senso. In altre parole, il principio causale si presenta come il risultato del principio induttivo, sul quale si fonda tutta la ricerca empirica, ma che, non essendo a sua volta verificabile/falsificabile in via empirica, deve essere accolto a priori. Un ulteriore affinamento del principio caus- ativo passa attraverso la dimensione probabilistica delle rilevazioni em- piriche9. Conseguentemente le leggi generali causali si sono trasformate negli studi scientifici in probabilità statistiche di accoppiamento dei feno- meni, trasformando il nesso causa/effetto in un mero nesso probabilistico a frequenza variabile. La potenza di questo strumento metodologico (leggi generali causali) ha creato in un primo tempo negli studiosi una baldanzosa presunzione di poter conoscere in anticipo tutti gli eventi futuri e tale pre- sunzione ha indotto a pensare che un generale determinismo governasse gli eventi10. Tuttavia ben presto il principio probabilistico, in generale, ed, ancor più, in particolare, quello fisico-quantistico di indeterminatezza di Heisenberg11 hanno, almeno in parte, ridimensionato questa presunzione e riaperto il dibattito intorno al libero arbitrio. 8 A. Comte, Opuscoli di filosofia sociale, Sansoni, Firenze 1969, pp. 182-183. 9 “Dobbiamo dire che generalmente i dati rendono il risultato probabile. La causalità regge, diremo, in ogni esempio che abbiamo potuto provare: perciò regge probabilmente anche in esempi non confermati. Ci sono gravi difficoltà nel concetto della probabilità, ma per ora possiamo trascurarle. Almeno finché è senza eccezione disponiamo così di un principio logico”. B. Russell, La conoscenza del mondo esterno, Longanesi & C. Milano 1975, p. 38. 10 “Vi sono relazioni così invariabili tra eventi diversi avvenuti nello stesso tempo o in tempi diversi che, dato lo stato di tutto l’universo in un tempo finito, per quanto breve, ogni evento precedente o seguente può essere determinato teoricamente in funzione degli eventi dati durante quel tempo”. B. Russell, op. cit., p. 210. 11 “Al posto della precisione della posizione subentra dunque in questa interpretazione l’immagine di una nuvola di materia, il cui diametro sta nell’ordine di grandezza di 1013 cm e la cui densità decresce dal centro verso l’esterno suppergiù al modo di una curva di Gauss”. W. Heisenberg, Lo sfondo filosofico della fisica moderna, cit., p. 101.           De libero o de servo arbitrio? 59 Il nesso causa/effetto degli eventi è stato per lungo tempo centrale nell’alternativa determinismo/indeterminismo, sino al punto da relegare il tema della libertà del volere ed il relativo indeterminismo nell’ambito delle questioni metafisiche e degli errori di logica. In proposito Nietzsche si esprime in modo estremamente chiaro: La credenza originaria di ogni essere organico è forse addirittura questa, che tutto il resto del mondo sia uno e immobile. Da quel grado originario del pensiero logico è lontanissimo il pensiero della causalità: anzi, ancora oggi, noi pensiamo in fondo che tutti i sentimenti e le azioni siano atti della libera volontà: se un individuo senziente si osserva, considera ogni sensazione, ogni mutamento come qualcosa di isolato, ossia non condizionato, privo di senso, che affiora in noi senza legami col prima e col dopo. [...]. Dunque, la fede nella libertà del volere è un errore originario di ogni essere organico, che esiste sin da quando esistono in esso gli stimoli del pensiero logico; e allo stesso modo è un errore originario e ugualmente antico di ogni essere organico la fede in sostanze non condizionate e in cose uguali. Ma, in quanto ogni metafisica si è occupata prevalentemente di sostanza e di libertà del volere, la si può definire come la scienza che tratta degli errori fondamentali dell’uomo – come se fos- sero però verità fondamentali12. Estremamente interessanti in merito si presentano i più recenti studi biochimici e neurologici. In particolare, poiché i neuroni per scambiarsi scariche elettriche attraverso le connessioni sinaptiche necessitano di ener- gia, che è loro fornita dal glucosio e dall’ossigeno trasportato dal sangue, è possibile misurare l’attività cerebrale attraverso l’incremento distrettuale di tale flusso. Ciò si ottiene grazie a metodologie di esplorazione funziona- le del cervello quali la tomografia a emissione di protoni per il consumo di glucosio (PET – positron emission tomography) e la risonanza magnetica funzionale, per il flusso ematico (fMRI – functional magnetic resonance imaging). Un esperimento specifico, condotto da Benjamin Libet (1916-2007) e finalizzato a misurare il, così detto, potenziale di prontezza (ossia il cam- biamento elettrico cerebrale del soggetto, ormai da tempo dimostrato, in presenza di movimenti volontari) sembra giuocare a favore di un determi- nismo inconscio. Infatti, il distretto cerebrale corrispondente al movimento volontario in esame si attiva 550 msec prima dell’atto presupposto volon- tario. Dunque, sembrerebbe che un impulso inconsapevole anticipi l’azio- ne, ma la volontà di agire diviene consapevole 100-150 msec prima della effettiva manifestazione nel mondo esterno dell’azione stessa. 12 F. Nietzsche, Umano, troppo umano I, in Opere 1870/1881, cit., p. 529.           60 Il diritto come estetica Si può ritenere che le azioni volontarie comincino con iniziative inconsce, che vengono borbottate dal cervello. La volontà cosciente quindi selezione- rebbe quali di queste iniziative possono proseguire per diventare un’azione, o quali devono essere vietate e fatte abortire in modo che non compaia nessun atto motorio13. Ciò comporta che l’esperimento consente anche di ipotizzare, in que- sti istanti consapevoli, una attività di veto del soggetto nei confronti del processo messo in atto per giungere all’azione ed il vietare è pur sempre espressione di libero arbitrio, come il fare. Tuttavia è possibile obiettare, non solo e non tanto, che il concetto di causa non coincide con quello di correlazione, ma, soprattutto, che il concetto di conscio non si identifica con quello di arbitrio. Infatti, è possibile essere consapevoli che la casa, nella quale ci si trova, stia per crollare, ma ciò non comporta né che si pos- sa agire sul crollo, né che si possa compiere liberamente la scelta di restare o di fuggire. Il punto da dimostrare, in relazione al libero arbitrio, riguar- da la scelta, ossia l’origine dell’eventuale veto, non la consapevolezza o meno dell’azione. Del resto, tale dimostrazione scientifica pare logicamen- te impossibile, poiché la verifica/falsificazione empirica può rilevare solo i nessi, gli accoppiamenti causali, ma tali nessi possono essere considerati pressoché infiniti, quindi non sottoponibili tutti ad una sistematica speri- mentazione. Soprattutto non possono essere presi in considerazione, per ovvia impossibilità, i nessi ignoti e non immaginati come possibili dallo scienziato. Conseguentemente si può solo empiricamente affermare che l’eventuale veto all’azione nei precedenti 100/150 msec all’azione stessa può essere libero, ma può anche essere determinato da un nesso causale ignoto (l’assenza di nesso causale è solo assenza di nesso noto o ipotizza- to come possibile); ciò prescindendo da tutti i molteplici condizionamenti noti14. 13 B. Libet, Mind time. Il fattore temporale nella coscienza, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007, p. 143. 14 “Nessuna libertà assoluta dunque, bensì uno spazio di manovra limitato dalla nostra eredità biologica, dal luogo e dal tempo in cui ci siamo trovati a nascere, dalle esperienze familiari, dalla banda criminale a cui abbiamo voluto aggregarci, o dall’associazione differenziale a cui siamo stati esposti, insomma: uno spazio di manovra limitato dalla nostra storia, nostra in quanto in gran parte costruita da noi”. I. Merzagora Betsos, Colpevoli si nasce? Criminologia, determinismo, neuroscienze, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, p. 101. Cfr. anche E. Soresi, Il cervello anarchico, UTET, Torino 2013. L’Autore affida lo studio delle relazioni intercorrenti tra mente e corpo ad una nuova scienza, la psico-neuro- endocrino-immunologia (PNEI). Intorno a detta scienza vedere anche P. Lissoni, Teologia della scienza, Editore Natur, Milano 2003.           De libero o de servo arbitrio? 61 Vi è poi un ulteriore impedimento logico alla dimostrazione empirica dell’esistenza del libero arbitrio: quest’ultimo è caratterizzato da assenza di nessi causativi estranei alla volontà stessa del soggetto agente, ma ciò si- gnifica che la volontà dovrebbe essere indagata prima della sua manifesta- zione empirica e ciò non è possibile per definizione. L’assenza di fenomeni empirici non può essere studiata con metodologia empirica; il nulla fisico non può essere né falsificato, né verificato, ma solo rinviato o non rinviato a realtà trascendenti, immateriali, metafisiche. Cercare la causa di una vo- lontà significa già presupporre il determinismo, poiché la volontà è libera solo se priva di cause, salvo la volontà stessa del soggetto agente (autore- ferenzialità ed autonomia), ma nulla è privo di cause nel mondo fisico ed una volontà del tipo indicato non può appartenere al mondo fisico; anche la scelta soggettiva, presupposta libera, è ancorata all’essere soggettivo, alla sua psiche ed al suo corpo, ossia ai condizionamenti culturali e materiali sia ambientali, sia personali. L’indagine sul libero arbitrio è, dunque, una indagine sul nulla o sul metafisico; non è possibile ipotizzare l’esistenza di un libero arbitrio senza duplicare il reale in entità trascendenti la fisicità, si- ano esse divine o meramente mentali astratte, non risiedenti comunque nel corpo dell’individuo agente. La consolatoria conclusione di Libet in argo- mento pare indirettamente confermare le considerazioni appena formulate: La mia conclusione sul libero arbitrio – libero davvero, in senso non deter- ministico – è che la sua esistenza è un’opinione scientifica altrettanto buona, se non migliore, della sua negazione in base alla teoria deterministica delle leggi naturali. Data la natura speculativa di entrambe le teorie, quella deterministica e quella non deterministica, perché non adottare il punto di vista che abbiamo il libero arbitrio, almeno finché non compaia – ammesso che compaia – qualche evidenza che realmente lo contraddica? Questo ci permette, almeno, di proce- dere in un modo che accetta e accoglie i nostri più profondi convincimenti e il comune sentire, che ci dicono che il libero arbitrio lo possediamo15. Resta il problema che solo il determinismo può essere assoggettato ad indagine empirica e non anche l‘indeterminismo! Conseguentemente, con- scia o inconscia che sia l’origine di un’azione, il tema da affrontare resta la presenza o l’assenza di libertà nella dimensione sia conscia, sia incon- scia e questo tema rinvia, per il libero arbitrio, ad un livello immateriale privo di quell’origine deterministica propria del mondo fisico: il mondo si duplica necessariamente per rispondere alla domanda, ma la necessità, in questo caso, ha natura logica, non certo empirica. Il punto focale di questa 15 B. Libet, Mind time. Il fattore temporale nella coscienza, cit., p. 160.           62 Il diritto come estetica discussione non sembra, dunque, essere il nesso di causa ed effetto od an- che le leggi costanti e generali di comportamento e neppure le probabilità statistiche di accoppiamento dei fenomeni, ma, piuttosto, il fattore con- dizionante l’esistenza stessa del concetto di scelta, ossia il fattore tempo: se scegliere significa generare azioni successive in alternativa tra loro, le azioni di questo tipo si possono produrre solo in un sistema in movimento, ossia condizionato dal tempo. I sistemi acronici sono privi di movimento e, quindi, anche di scelte, ma di ciò si parlerà più oltre. Al determinismo neuro-biologico, appena considerato, può aggiungersi una ulteriore forma di determinismo, nel quale determinante non appare il nesso causa/effetto, ma la totalità dell’essere con i propri caratteri e le proprie qualità, già e per sempre dispiegate nelle sue parti specifiche ed individuali. Questo determinismo si presenta espresso con rigore da Spi- noza, come in parte si è già visto, nella sua sintetica espressione Deus sive Natura. La totalità della Natura, governata dalle proprie naturali leggi, determinazioni, assurge al ruolo di divinità impersonale. Il problema non riguarda più tanto la catene causativa degli eventi, ma i caratteri peculiari, con linguaggio moderno si potrebbe dire genetici, delle sue parti, i quali, per necessità, non possono che estrinsecarsi nell’attività di queste sue parti, nelle azioni, se si tratta di animali e di animali umani. Ognuno esiste per sommo diritto di natura, e conseguentemente per sommo diritto di natura ognuno fa quelle cose che seguono dalla necessità della sua natura; e perciò, per sommo diritto di natura, ognuno giudica cosa sia bene e cosa sia male, e provvede alla sua utilità secondo il suo giudizio, e si vendica, e si sforza di conservare ciò che ama e di distruggere ciò che ha in odio16. Esponente di questa tendenza deterministica di pensiero pare essere an- che Nietzsche, come risulta con evidenza dal seguente brano: Che gli agnelli non amino i grandi uccelli predatori non sorprende nessuno: ma non autorizza certo a rimproverare i grandi predatori per il fatto di cacciare gli agnelli. E se gli agnelli dicono tra loro: “Questi predatori sono malvagi; e chi è rapace il meno possibile, anzi chi è addirittura l’opposto, un agnello cioè, non dovrebbe essere buono?”, non possiamo certo biasimare questo criterio di edificazione ideale, anche se i predatori stessi considereranno la cosa con un 16 B. Spinoza, Etica. Dimostrata con metodo geometrico, Editori Riuniti, Roma 2002, p. 258. “Infatti, alla natura di una cosa non appartiene nulla se non ciò che segue dalla necessità della natura della causa efficiente, e tutto ciò che segue dalla necessità della natura della causa efficiente accade necessariamente”. Ibidem, p. 233.           De libero o de servo arbitrio? 63 certo scherno e si diranno probabilmente: “Noi non li odiamo affatto, questi buoni agnelli, anzi li amiamo, niente è più squisito di un tenero agnello”. – Pretendere dalla forza che essa non si manifesti come forza, che essa non sia volontà di sopraffazione, volontà di oppressione, di potere, che essa non sia sete di nemici e di resistenze e di trionfi, è tanto assurdo come il pretendere dalla debolezza che essa si manifesti come forza17. I rapaci e gli agnelli di Nietzsche si sovrappongono idealmente ai pesci grandi ed a quelli piccoli di Spinoza, nell’evidente tentativo di evitare, at- traverso il determinismo della forza, della potenza insita in ciascuna entità vivente, il giudizio morale. Il vivente si trasforma in un indifferenziato Tutto, nel quale minerali, vegetali, animali ed umani rivestono ciascuno il proprio ruolo predeterminato ed esplicano le diverse potenzialità volitive ed operative, che sono state loro assegnate dalla loro stessa natura, senza poter sfuggire ai limiti imposti da quest’ultima. La forza necessitante è consustanziale all’individualità: la pietra non possiede organi riproduttivi e, quindi, non può riprodursi, ma si moltiplica per frantumazione; la pianta non ha gambe per camminare e, dunque, vive sempre nel medesimo luogo; la maggioranza degli animali non possono opporre il dito pollice alle altre dita della medesima mano, conseguentemente non possiedono manualità ed hanno sviluppato inevitabilmente attività artigianali limitatissime; l’es- sere umano vive respirando ossigeno e muore se respira anidride carboni- ca. A causa di questa particolarità può abitare esclusivamente su pianeti simili, per caratteri atmosferici, alla Terra. Questo determinismo sembra paragonabile all’opera di un tiranno, che imprigiona i propri sudditi entro carceri diversi in qualità per ciascuna categoria di essi, ma anche per cia- scun individuo di ciascuna categoria (ad esempio esseri umani nati senza braccia o diabetici). L’unica differenza consiste nella fonte del vincolo: mentre nel caso della Natura il determinismo si presenta autonomo, cioè proprio della natura stessa, nel caso del tiranno esso è eteronomo, ossia proveniente dall’esterno del soggetto agente. Per descrivere la diversità dei due modelli attraverso la tripartizione sopra ricordata del significato di poter fare qualcosa, proposta da Ross, si deve dire che il modello determi- nista spinoziano non lascia spazio né all’occasione, né alla capacità, né alla volontà, mentre il modello del tiranno inibisce solo l’occasione. Oltre a questa ipotesi determinista è possibile formulare almeno altre due ipotesi. La prima strettamente legata alla visione di un mondo governa- to da rigide leggi causali in sviluppo cronologico progressivo, in sintesi, un 17 F. Nietzsche, Genealogia della morale, Newton Compton Editori, Roma 1977, p. 64.           64 Il diritto come estetica mondo programmato in via di sviluppo; la seconda, invece, frutto della vi- sione di un mondo acronico, privo di tempo. Non pare il caso di soffermarsi ulteriormente sulla prima ipotesi, già trattata in precedenza, se non per dire che tale ipotesi può essere presa in considerazione sia dal punto di vista della Totalità di un Essere (realtà, mondo) in sviluppo determinato e pro- gressivo, ed è di questo che qui si discute, sia dal punto di vista dei singoli gruppi, delle singole catene di nessi causali, come l’ipotesi è stata discussa in precedenza e come è usata in ambito strettamente scientifico. Il mondo in sviluppo causale conserva la variabile tempo, mentre l’ulteriore ipotesi determinista, che si tratterà ora, non prevede l’esistenza di tale variabile. Il tempo non esiste. L’affermazione sembra forte, controintuitiva, ma anche falsificata dall’evidenza empirica del divenire, eppure da Parmenide a Severino, molti filosofi hanno percorso questa strada. La qualità non me- ramente logica delle affermazioni di Heidegger, consiglia di orientarsi, per esemplificare il tema, verso questo filosofo: Il tempo ha sempre funzionato come criterio ontologico o, meglio, ontico nella distinzione ingenua delle diverse regioni dell’ente. Si delimita qualcosa che è temporalmente (i processi della natura e gli accadimenti della storia) rispetto a ciò che è non temporalmente (le relazioni spaziali e numeriche). Si è soliti distinguere un senso a-temporale delle proposizioni rispetto al decorso temporale delle enunciazioni. Infine si trova un abisso tra l’ente temporale e l’eterno sovratemporale e ci si ingegna nel gettare fra essi un ponte. Temporale equivale qui in entrambi i casi ad essente nel tempo, una determinazione che, tra l’altro, è abbastanza oscura18. Il panorama del tempo heideggeriano si presenta come una estensione spaziale, nella quale si manifestano gli essenti, si illuminano, per poi scom- parire nuovamente dietro il sipario del tempo. L’ente che reca il titolo di esser-ci è rischiarato. [...]. È solo in base al ra- dicamento dell’esser-ci nella temporalità che diventa intelligibile la possibilità esistenziale di quel fenomeno, che all’inizio dell’analitica dell’esserci abbiamo contraddistinto come costituzione fondamentale: l’essere-nel-tempo19. Il tempo sfuma e con esso si affievoliscono anche le sue articolazioni in passato, presente e futuro. In fondo è solo la memoria che consente una simile distinzione. Dunque, la principale prova dell’esistenza del tempo ha natura psicologica: ricordo, quindi, ho vissuto il passato, ma, a parte 18 M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 37. 19 M. Heidegger, op. cit., p. 492.           De libero o de servo arbitrio? 65 l’ipotesi di Malebranche di un mondo creato da Dio attimo dopo attimo, l’organizzazione cronologica degli eventi potrebbe essere determinata dal- la forma categoriale, di kantiana memoria, della nostra conoscenza: cono- sciamo attraverso la categoria del tempo, che in questo caso risiederebbe in noi e non fuori di noi; avrebbe una esistenza solamente gnoseologica, non anche ontologica. Russell avanza proprio questo sospetto: La differenza che sentiamo [...] tra cause ed effetti è una semplice con- fusione, dovuta al fatto che ricordiamo gli eventi passati ma non ci capita di ricordare i futuri. L’indeterminatezza apparente del futuro su cui fanno assegnamento alcuni sostenitori del libero arbitrio, è soltanto il risultato della nostra ignoranza rela- tiva ad esso. [...]. Il libero arbitrio in ogni significato importante deve essere compatibile con la conoscenza più completa. [...]. La nostra conoscenza del passato non è basata interamente sulle deduzioni causali, ma deriva in parte dalla memoria. È un puro caso se noi non abbiamo memoria del futuro. [...]. Si deve ricordare che la previsione supposta non creerebbe il futuro più di quanto la memoria non crei il passato20. Risulta evidente che Russell costruisce il proprio ragionamento sulla indifferente reversibilità dei fenomeni di causa e di effetto, proprietà che è tipica delle operazioni di fisica teorica; inoltre, nell’accogliere questa ope- razione riduce necessariamente la funzione tempo ad un indifferenziato presente. Probabilmente la posizione privilegiata di un filosofo, che è stato al contempo anche un insigne matematico, ha consentito a questo Autore di vivere pienamente le suggestioni di fisica teorica, che i tempi agitavano. Se il mondo è privo di divenire e di movimento, che rappresenta una delle possibili forme del divenire, è anche privo di tempo, poiché non è pensabile divenire e movimento senza tempo. Riappaiono i fantasmi del- la scuola eleatica e della formulazione del principio di identità assoluta, ontologica: l’essere è e non può non essere. Se l’identità non può essere nientificata nell’essere altro, ossia non essere più se stessi allora il divenire è pura illusione psicologica. Queste riflessioni di natura filosofica, nel se- colo passato hanno trovato sostegni e conforto anche in campo scientifico: L’equazione di Wheeler-De Witt, secondo l’interpretazione più diretta, ci dice che l’universo nella sua interezza è simile a una enorme molecola in uno stato stazionario e che le diverse configurazioni possibili di questa molecola mostruosa sono gli istanti di tempo. La cosmologia quantistica diventa l’estre- 20 B. Russell, La conoscenza del mondo esterno, cit., pp. 224-225.           66 Il diritto come estetica ma estensione della teoria della struttura atomica e, simultaneamente, com- prende il tempo. Domandiamoci di nuovo quali conclusioni possiamo trarne in relazione al tempo. Le implicazioni sono quanto mai profonde. Il tempo non esiste. Esiste soltanto la mobilia del mondo che noi chiamiamo istanti di tempo21. L’equazione sopra richiamata, detta anche di Einstein – Schrödinger (1877-1961), cerca di conciliare la meccanica quantistica, che necessita di un tempo definito, con la relatività generale, che lo nega, per descrivere la gravitazione quantistica. Johon Wheeler (1911-2008) e Bryce De Witt (1923-2004) nel tentare questa difficile operazione, non ancora completa- mente risolta, evidenziarono, forse anche in parte inconsapevolmente, che la funzione tempo si presentava come problematica e lo stesso concetto di tempo poteva essere messo in discussione. Del resto, già la teoria einstei- niana della relatività, proponendo la relatività, rispetto all’osservatore, del tempo, non poteva che presupporre non solo l’assenza di un tempo asso- luto, ma anche l’irrilevanza conoscitiva di un prima e di un dopo (rispetto a cosa?), di cui l’indifferenza di Russell per il passato ed il futuro ne sono una coerente espressione. Ma se passato e futuro si propongono come in- differentemente intercambiabili, la realtà nel suo insieme, il Tutto, non può che possedere un’unica dimensione temporale: il presente. Dunque, è nel solo presente che si può discutere del libero arbitrio in questa ipotesi deter- minista. Il solo presente trasforma il tempo in una sorta di spazio (spazio/ tempo, appunto), nel quale gli eventi non trascorrono, ma sono collocati, dispiegati, come tanti libri in una libreria. Ciascuno può narrare la propria storia, ma sempre quella, il cui finale è ben noto sin dall’inizio e, comun- que, immodificabile. In questa ipotesi i fenomeni possono essere solo de- scritti, non anche voluti, ed il libero arbitrio non viene meno né per catene causali predeterminate di eventi biologici, biochimici, neurologici etc., né per la natura necessitante dei caratteri e delle potenze dei singoli enti, ma semplicemente perché non esiste il tempo ed il divenire, quindi non ha sen- so parlare di scelte libere o condizionate, che siano. Il mondo si presenta come una pellicola cinematografica, il cui movimento illusorio è dato dallo scorrere della successione dei singoli fotogrammi, in se immobili, statici, o, se si preferisce un paragone più naturalistico, come una prateria unifor- me, della quale è possibile descrivere sassi, piante, animali ed umani, che vi alloggiano, ma completamente priva di ogni arbitrio umano o divino 21 J. Barbour, La fine del tempo. La rivoluzione fisica prossima ventura, Einaudi, Torino 2003, p. 247. Cfr. anche P. Yourgrau, Un modo senza tempo. L’eredità dimenticata di Gödel e Einstein, il Saggiatore, Milano 2006.           De libero o de servo arbitrio? 67 (salvo che divina non venga considerata la prateria stessa). Questa totale assenza di arbitrio e ben descritta da Ross: Ognuno deve agire esattamente a quel modo che è determinato ad agire. Il nocciolo del problema può chiarirsi con la storiella del ladro, il quale si difen- deva dicendo che, essendo egli determinato ad agire così come aveva agito, e non avendo egli alcuna possibilità di sfuggire alla necessità ineluttabile della legge della causalità, sarebbe stato assurdo e ingiusto punirlo. E il giudice gli rispondeva: sì, Lei ha ragione. Il Suo comportamento era determinato e Lei non ha potuto sfuggire alla necessità che governa tutto l’universo. Lo stesso vale però per la società e per me in quanto suo rappresentante. La società è determi- nata a difendersi da aggressioni come la Sua e perciò io Le infliggo una pena22. Il contesto della storiella si colloca all’interno di un condizionamento governato dalla catena causale, ma si adatta ancora meglio ad un mondo privo di tempo, nel quale non ha neppure senso parlare di scelte e tutti si manifestano per quelli che sono, collocati in quel luogo da sempre e per sempre, in una eternità non data da un tempo infinito, ma da una completa acronicità. Riguardo al libero o servo arbitrio ogni proposta di soluzione del proble- ma non può che essere considerata una semplice ipotesi di lavoro, poiché le eventuali soluzioni non si prestano ad una verifica empirica; pertanto l’affermazione o la negazione del libero arbitrio deve essere considerata una mera proposizione a priori. La verifica/falsificazione empirica del determinismo o dell’indetermini- smo risulta metodologicamente impossibile a causa, oltre a quanto prece- dentemente già sostenuto, anche per l’irripetibilità dell’atto presunto voli- tivo. Infatti, se nel tempo to si presenta l’alternativa tra il compiere l’azione A o l’azione B e si compie l’azione A, nel tempo t1 si potrà forse anche compiere l’azione B, ma ciò non dimostra che la si poteva compiere anche nel tempo to. Per poter raggiungere questa dimostrazione si dovrebbe poter ripetere la scelta dell’azione, questa volta B, nel tempo to, poiché la ripetiti- vità dell’esperimento in questo caso non riguarda una serie di eventi simili (solo simili: ogni evento varia rispetto ad un altro almeno per il tempo nel quale si realizza, oltre che per la sua configurazione interattiva), ma la scel- ta stessa dell’evento da mettere in essere. Poiché è la scelta, non l’oggetto della scelta, da sottoporre a verifica/falsificazione empirica, dovrà essere possibile ripetere l’atto dello scegliere, non ciò che si è scelto o non scelto, ma ciò risulta impossibile per l’unidirezionalità presunta del tempo: dal 22 A. Ross, Colpa, responsabilità e pena, cit., pp. 184-185.           68 Il diritto come estetica presente pare possibile accedere solo al futuro ed impossibile tornare nel passato, almeno per una concezione assoluta del tempo23. Il tempo in mo- vimento unidirezionale, dunque, impedisce di trasformare il libero arbitrio da concetto a priori in concetto a posteriori, condannandolo in tale modo alla dimensione metafisica. Oltre all’impossibilità empirica di raggiungere certezze in questo cam- po, si presenta anche un ulteriore impedimento, questa volta di natura lo- gica: se il determinismo descrivesse, corrispondesse effettivamente alla realtà, alla struttura del nostro mondo, allora essere monista o dualista ed, addirittura, essere determinista o indeterminista sarebbe una condizione imposta deterministicamente. Pertanto prima di affrontare il tema del com- portamento e delle convinzioni individuali si dovrebbe descrivere e spie- gare il modello di sistema, nel quale comportamenti e convinzioni sono collocati. Se il sistema è deterministico saranno condizionate, non libere, anche le azioni e le convinzioni, che in esso si agitano, ma, viceversa, se il sistema è indeterministico le azioni e le convinzioni ad esso afferenti po- trebbero essere anch’esse libere oppure vincolate da un determinismo cau- sativo interno al sistema stesso (è il caso del principio di indeterminazione, che opera solo a livello subatomico). Tuttavia, per sapere se un sistema è o non è deterministico si devono analizzare empiricamente le azioni e le con- vinzioni che lo compongono. Risulta evidente il corto circuito che si crea: per conoscere del sistema si deve conoscere delle azioni e delle convinzio- ni che lo compongono, ma per conoscere delle azioni e delle convinzioni che lo compongono si deve conoscere il sistema. Si è in presenza di una evidente petitio principi, che impedisce ulteriori conoscenze. 23 Questo esperimento mentale risulta valido solo nella realtà a dimensione umana, ove il tempo è assoluto (tempo assoluto newtoniano), a livello di fisica teorica, invece, perde di validità o perché il tempo diviene relativo e consente viaggi almeno nel futuro (teoria della relatività einsteiniana), o perché addirittura il tempo è proprio considerato inesistente (teoria quantistica a loop). “A livello fondamentale, il tempo non c’è. L’impressione del tempo che scorre è solo un’approssimazione che ha valore solo per le nostre scale macroscopiche: deriva dal fatto che osserviamo il mondo solo in modo grossolano”. C. Rovelli, La realtà non è come ci appare. La struttura elementare delle cose, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014, p. 159. “Il tempo non è che un effetto del nostro trascurare i microstati fisici delle cose. Il tempo è l’informazione che non abbiamo. Il tempo è la nostra ignoranza”. Ibidem, p. 220.           4. DIRITTO ARTIFICIALE L’ambito culturale del diritto presenta un ulteriore dualismo rispetto a quelli precedentemente affrontati: il dualismo diritto naturale, diritto po- sitivo, meglio, artificiale. Tale dualismo non si discosta dal modello di duplicazione del mondo, ispirato ad una visione speculare, ma perfetta, della realtà empirica: al concreto corrisponde l’astratto; al particolare il generale; al visibile l’invisibile; al finito l’infinito; al relativo l’assoluto; al fisico il metafisico; all’umano il divino. Questa specularità opera anche nel campo del diritto e genera, a fronte del diritto positivo, imposto dalla forza degli esseri umani dominanti, un diritto assolutamente giusto, detto natu- rale. Ovviamente, il processo potrebbe essere interpretato anche in senso contrario: il diritto naturale, per specularità, ispira la produzione del diritto positivo, che, tuttavia, si presenta relativo ed imperfetto, ossia non necessa- riamente giusto, ma solo valido ed efficace, rispetto al modello imitato. La differenza tra i due diritti è tutta giuocata intorno ai concetti contrapposti di assoluto/relativo e di giusto/ingiusto. Si tratta, dunque, di evidenziare l’origine, la fonte di questi concetti, rispettivamente nei due tipi di diritto. Il diritto naturale propone come propria fonte la dimensione assoluta dell’Essere, sia esso Dio, la Ragione o la Natura. Non cambiano molto i caratteri di queste tre denominazioni, che, sostanzialmente, esprimono il medesimo referente; ciò che muta è solo il necessario dualismo del rea- le, implicito nel concetto di Dio, a fronte della duplice compatibilità dei concetti di Ragione e di Natura sia con la realtà dualista che con quella monista. Infatti, la Ragione può appartenere solo al mondo fisico, può dua- lizzarsi nella res cogitans e può anche risiedere nel mondo metafisico; la medesima riflessione può essere svolta intono alla Natura, che può essere vista come una realtà completamente immanente o come il corrispondente degradato di una realtà trascendente. Non conviene addentrasi nella discussione intorno ad una Natura me- tafisica, giacché non si avrebbe alcun strumento di riscontro delle affer- mazioni, se non il proprio o l’altrui personale convincimento. Conviene quindi appoggiarsi ad un concetto di Natura immanente e procedere con          70 Il diritto come estetica lo strumento della constatazione empirica. In questo limitato ambito si incontrano due diversi significati dell’espressione diritto naturale. Da un lato, si intende descrivere la costanza di comportamento degli eventi na- turali: la legge di gravità, le condizioni che fanno franare una montagna, scoppiare un temporale, sollevare le maree, morire un essere vivente, etc.. In questo significato l’espressione è semplicemente descrittiva di ciò che avviene. Dall’altro lato, invece, la stessa espressione acquista una valenza prescrittiva di comportamenti, che possono essere seguiti o violati a livello umano (se si accoglie l’ipotesi dell’esistenza del libero arbitrio), ossia sono relativi, ma che a livello dell’Assoluto si impongono come inderogabili, necessitanti, poiché a tale livello conoscenza e volontà coincidono. Detta inderogabilità si traduce nel mondo umano in valorialità assoluta sul piano morale e, tuttavia, non necessitante su quello fisico come le leggi naturali, descrittive di fenomeni. Ancora una volta la scriminante passa attraverso il libero arbitrio: se esiste, la legge naturale non è necessitante, se non esiste, lo è ed, in quest’ultimo caso, scompare la differenza tra i due significati dell’espressione, che resta solo descrittiva. A livello empirico è facilmente constatabile che i comportamenti umani non sono omogenei, uniformi, ma divergono, anche profondamente, gli uni dagli altri (ciò che è bene per gli uni è male per gli altri e viceversa) e tale constatazione è stata portata da taluni autori come prova evidente dell’ine- sistenza del diritto naturale in quanto prescrizione giuridica assoluta. Come una sgualdrina, la legge naturale è a disposizione di tutti. Non esiste ideologia che non si possa difendere con un appello alla legge naturale. E a ben vedere come potrebbe essere altrimenti, dal momento che il fondamento ulti- mo di ogni diritto naturale risiede in una immediata percezione privata, in una contemplazione evidente, in una intuizione? Non può la mia intuizione essere buona quanto la vostra? L’evidenza, assunta a criterio di verità, spiega il ca- rattere assolutamente arbitrario delle affermazioni metafisiche. Essa le innalza sottraendole alla forza del controllo intersoggettivo, aprendo completamente la porta alla libera fantasia e al dogmatismo1. La prova empirica permane in tutta la sua validità, ma mostra il proprio limite, ossia resta solo empirica, e come tale, non può escludere che il diritto naturale non sia monolitico, ma, bensì, pluralista od, addirittura, ni- chilista. In queste due ultime ipotesi la contraddittorietà dei diritti naturali non dimostrerebbe la loro inesistenza, ma semplicemente il loro carattere variabile in dipendenza da fattori a noi ignoti: tempo, luogo, individui inte- 1 A. Ross, Diritto e giustizia, Einaudi, Torino 1965, p. 246.           Diritto artificiale 71 ressati (perché mai il diritto naturale dovrebbe essere egualitario ed uguale per tutti?), etc.. L’empiria, tuttavia ci riconduce ad osservare la realtà naturale, nella quale vive l’essere umano. Come si è già detto, il panorama è desolante e fortemente immorale agli occhi della nostra attuale cultura umana: il più forte vince sul debole, il cannibalismo governa tutto il biologico, il com- portamento etico risulta indifferente alla buona o cattiva sorte umana, al premio o alla pena e la morte trionfa su tutto e su tutti. Sembra che nella natura e nella vita non vi sia alcun senso. Infatti già Giobbe, il personaggio biblico, si interrogava: Perché mai fu data all’infelice la luce, e la vita agli amareggiati d’animo? I quali anelano la morte – che pur non viene – come si cerca un tesoro [nascosto]; i quali si rallegrano oltre ogni dire, allorché hanno trovato un sepolcro? [Perché fu data la luce] all’uomo, la cui via è nascosta, avendolo Dio circondato di tenebre?2. Il senso lo si è dovuto trovare ancora una volta nello sdoppiamento del mondo, nella dimensione metafisica, religiosa. Comunque, stando alle rile- vazioni empiriche, non pare che vi sia molto da mutuare dal diritto naturale per la vita umana. Anzi, è proprio l’orrore della natura che ha indotto l’es- sere umano a cercare differenti modelli di comportamento, modelli artifi- ciali, non naturali. Il diritto positivo rientra nel novero di questi modelli. L’artificialità si è sostituita, per motivi forse deterministici, etici o forse anche utilitaristici, alla naturalità. Il dibattito intorno alla natura benigna o maligna di questo mondo appassionò in passato molti autori tra i qua- li è possibile ricordare Gottfried Leibniz (1646-1716), quale sostenitore dell’affermazione che questo è il migliore dei mondi possibili in quanto creato da Dio, e François-Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778), che contesta tale posizione da un punto di vista filosofico. L’affermazione di Leibniz si presenta evidentemente metafisica e teologica, ossia a priori, mentre la critica di Voltaire si muove in ambito filosofico ed empirico, ossia a posteriori, tanto che quest’ultimo Autore la affida anche ad un rac- conto satirico, Candide, ou l’Optimisme. 2 Giobbe, 3, 20-23.           72 Il diritto come estetica Signori – disse Cocambo – voi dunque pensate di mangiare un gesuita oggi; molto bene, nulla è più gustoso del trattare così i propri nemici. In effetti il diritto naturale ci insegna a uccidere il nostro prossimo, ed è così che si agisce in tutto il mondo. Se non esercitiamo il diritto di mangiarlo, è perché abbiamo altro per fare un buon pranzo; ma voi non avete le nostre stesse risorse; certo è meglio mangiare i propri nemici anziché abbandonare il frutto della propria vittoria a corvi e cornacchie. Ma signori, voi non vorreste mangiare i vostri amici 3. Si ripresenta il solito dualismo ontologico, umano/divino, e valoriale, bene/male, di cui il dualismo diritto naturale/positivo ne è una diretta de- rivazione. In ambito immanentista monistico il dualismo riesce ad essere risolto attraverso l’artificialità dell’agire umano, attraverso l’homo artifex che crea sempre e solo, pur sotto sembianze diverse, un diritto artificiale. Una delle principali caratteristiche dell’essere umano è quella di creare artefatti materiali ed immateriali, oggetti ed idee, ossia di essere un artefi- ce; è questa una sua particolarità congenita, che lo distingue da altre entità naturali, in particolare animali. Dunque, quando si tratta di esseri umani la naturalità coincide con l’artificialità. È naturale per l’essere umano essere artificiale. La mano impugnò prima il pugno, poi la spada e la pistola per difendere il proprio corpo. La mente ideò il diritto per rendere più certi i rapporti interpersonali. In questo modo nacque il diritto positivo, che è artificiale per definizione, ma anche il diritto naturale, se espressione della creazione umana di un modello ideale, è ugualmente artificiale e frutto di istanze etiche tutte umane. La coscienza è un livello di sistema, una proprietà biologica pressoché allo stesso modo in cui la digestione, o la crescita, o la secrezione della bile sono livelli di sistema, proprietà biologiche. In quanto tale la coscienza è una ca- ratteristica del cervello e perciò è parte del mondo fisico. La tradizione contro cui mi batto dice che, essendo gli stati mentali intrinsecamente mentali, non possono per ciò stesso essere fisici. Io sostengo invece che, in quanto intrinse- camente mentali, essi sono un certo tipo di stato biologico, e dunque a fortiori sono fisici4. La posizione di Johon R. Searle è evidentemente materialista rispetto alla mens cogitans, pertanto rispecchia un modello monista e immanentista del reale. Conseguentemente, in un tale modello tutto il diritto è solo arti- ficiale, ossia umano e, quindi, relativo alla cultura dei luoghi e dei tempi 3 Voltaire, Candido o l’ottimismo, Publidue, Bolzano Novarese 1997, p. 56. 4 J.R. Searle, La mente, cit., p. 104.           Diritto artificiale 73 in cui sorge. In tale visione il diritto naturale è frutto della mente umana esattamente come il diritto positivo e, pertanto, entrambe possono essere definiti diritti artificiali. Paradossalmente potrebbero essere anche definiti come naturali, poiché l’artificialità è una componente naturale, congeni- ta dell’essere umano5. È bene precisare che il carattere umano di artifex non coincide con l’espressione latina homo faber fortunae suae, poiché quest’ultima presuppone un libero arbitrio che la prima ignora: non è pre- cisabile sotto quale spinta l’essere umano crei manufatti ed idee. Ciò detto, si tratta di evidenziare in cosa si diversificano questi due tipi di diritto (naturale e positivo), che manifestano la medesima origine, quella umana. Il diritto naturale esprime la speranza, sempre viva nell’essere umano, di accedere ad un mondo perfetto ed immutabile di giustizia; aspirazione che, per altro, come si è visto, ha prodotto la duplicazione del mondo reale. In questo caso l’accento non viene posto né sul carattere della perfezione, né su quello dell’immutabilità, bensì sulla giustizia. Cosa è giusto? La ri- sposta risiede nell’origine stessa del diritto naturale artificiale. Il giudizio del singolo essere umano determina il contenuto concettuale del sostantivo giustizia. Esso, dunque, si manifesta come soggettivo e trascina con sé la relatività propria dei giudizi soggettivi. Non si tratta di un valore assolto, ma semplicemente dell’espressione di un’opinione, di una preferenza; ciò spiega ampiamente il suo, già ricordato, carattere variabile. Per approfon- dire ulteriormente il discorso, quindi, si dovrà abbandonare il giudizio in se stesso, il suo contenuto, per rivolgere l’attenzione verso il soggetto che lo ha espresso, verso i suoi interessi, i suoi gusti, la sua cultura. Infatti, è nel soggetto ed esclusivamente nel soggetto, che è possibile comprendere non solo la variabilità dei contenuti del giudizio di giustizia, ma anche la qualità di questi contenuti. Storicamente gli esseri umani hanno prodotto da sempre utopie sociali tranquillizzanti, che potessero fungere da faro verso il quale rivolgere, di- rigere la vita in comunità. Dalla Repubblica di Platone al De Civitate Dei di Sant’Agostino d’Ippona, all’Utopia di Thomas More (1478-1535), alla Città del Sole di Tommaso Campanella (1568-1639), alla Nuova Atlantide di Francis Bacon (1561-1626), alle Avventure di Telemaco di François de Salignac de La Mothe-Fénelon (1651-1715), al Comunismo di Karl Marx (1818-1883), al movimento New Age dell’Era dell’Acquario, e l’elenco è 5 Cfr. G. Barsanti, Dalla storia naturale alla storia della natura. Saggio su Lamarck, Feltrinelli, Milano 1979. Vedere anche M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Rizzoli Editore, Milano 1980.           74 Il diritto come estetica solo esemplificativo, l’interesse per una società giusta si è sviluppato attra- verso i secoli, chiedendo conforto ora all’assoluto metafisico ed ora al rela- tivo immanente. In quest’ultimo caso l’accento è stato generalmente posto sui valori della libertà e dell’eguaglianza, sia in alternativa, sia in equilibrio instabile tra loro6. Il desiderio di far prevalere il valore della libertà o quello dell’eguaglianza, come il cercare un equilibrio tra i due, è espressione di precise situazioni sociali e personali indagabili empiricamente. Basti pen- sare ai diversi interessi di potere ed economici, nonché agli altrettanto di- versi gusti ideologici, culturali e religiosi, presenti nelle menti dei singoli individui e nelle relative organizzazioni sociali. Ovviamente i singoli orga- nizzati in gruppo dominante, più forte, tenderanno a far prevalere le proprie visioni nell’ambito sociale e, per raggiungere più agevolmente tale scopo, possono avvalersi non solo del diritto positivo, ma anche, in funzione di sostegno, di quello naturale. Di contro, i singoli appartenenti al gruppo dominato, recessivo, più debole, tenteranno di opporsi alle visioni valoriali dominanti e, per fornire maggiore forza alle proprie idee, faranno appello ad un ipotetico diritto naturale, giusto per definizione. Il diritto naturale, dunque, può svolgere alternativamente una funzione sociale di rafforzamento metafisico del diritto positivo vigente o di contral- tare, sempre metafisico, al diritto positivo dominante. La contrapposizione tra gruppi sociali dominati e recessivi si manifesta, quindi, già nella dua- lizzazione tra diritto naturale e diritto positivo, ma si esprime in modo più evidente intorno ai concetti di ideologia e di utopia, così come vengono espressi da Karl Mannheim (1893-1947): [...] le utopie trascendono la situazione sociale, in quanto orientano la con- dotta verso elementi che la realtà presente non contiene affatto. Ma esse non sono ideologie, non lo sono nella misura e fino a quando riescono a trasfor- mare l’ordine esistente in uno più confacente con le proprie concezioni. Ad un osservatore che abbia di esse un concetto relativamente estrinseco, questa distinzione teoretica e del tutto formale tra ideologie e utopie sembra offrire poche difficoltà. Determinare in concreto quale, in un certo caso, sia l’ideologia e quale l’utopia è invece estremamente difficile. Noi ci troviamo qui di fronte all’applicazione di un concetto che implica dei valori e dei modelli. Per riuscire a questo, uno deve di necessità partecipare ai sentimenti e alle finalità dei partiti in lotta per il potere su di una realtà storica7. In sintesi, le ideologie esprimono prevalentemente l’opinione consoli- data dei gruppi dominanti, mentre le utopie quella dei dominati; in questa 6 Cfr. C. Rosselli, Socialismo liberale, Einaudi, Torino 1979. 7 K. Mannheim, Ideologia e utopia, il Mulino, Bologna 1970, pp. 197-198.           Diritto artificiale 75 dualizzazione si manifesta all’incirca il medesimo rapporto che intercorre tra diritto positivo e diritto naturale ed anche in questo caso, sia l’ideologia che l’utopia sono realtà meramente umane, relative, pur aspirando ad una dimensione assoluta. Ovviamente la distinzione è solo indicativa, poiché non è sempre agevole individuare chi veramente domini e chi sia vera- mente dominato ed in che misura. In ogni caso, il diritto naturale, al pari dell’utopia, si presenta come una speranza, come una istanza politica od etica; se si accoglie il dualismo fisica/metafisica, umano/divino, come la voce, l’ombra empirica del metafisico, del divino. In questo modo il diritto, in quanto organizzazione della forza fisica degli esseri umani nella storia, si trasforma in forza anche morale attraverso un dover essere eteronomo, la cui fonte è superiore a quella umana. Ma proprio quando viene meno, si prosciuga, con lo svilupparsi del soggettivismo individualista, questa fonte eteronoma ed il diritto aspira a divenire autonomo (democrazia o nichili- smo, poco rileva), si indebolisce anche la sua forza morale ed il dover es- sere perde di senso in favore del mi piace, come si dirà in seguito. A questa perdita di senso corrisponde un progressivo evaporare del diritto naturale ed una corrispondente identificazione del diritto positivo tout court con la forza. Il diritto positivo, ma anche quello naturale, finalmente gettano la maschera e si svelano come espressione della potenza dei gruppi sociali dominanti, che possono agire, nel perseguimento dei propri fini, attraverso la violenza, il convincimento od il condizionamento culturale. Sotto questo profilo le differenze tra dittatura, monarchia, oligarchia e democrazia risul- tano marginali, poiché anche quest’ultima, operando attraverso il principio maggioritario, si distingue solo quantitativamente e non qualitativamente dall’uso della sopraffazione sul singolo individuo dissenziente. Un ulteriore tentativo mistificatorio trova espressione attraverso la se- parazione del concetto di ordinamento giuridico da quello di Stato, come se un diritto potesse esistere come fonte originaria di doveri, di obblighi, senza il supporto coercitivo di uno Stato, e come se le regole imposte dallo Stato potessero vivere di vita propria senza lo Stato che le ha generate. Si è ancora in presenza di una duplicazione, che assegna al diritto una propria natura trascendente rispetto all’immanenza dello Stato. Immanen- za e trascendenza continuano ad essere i protagonisti di questo dilemma tra autonomia ed eteronomia, tra relativo ed assoluto, tra umano e divino. Ma il dilemma è destinato a restare tale, poiché la scelta non può avva- lersi di prove né empiriche, né logico-razionali. Le prove empiriche sono impercorribili, incompatibili con le realtà non empiriche e quelle logico- razionali non possono descrivere un mondo governato da una logica e da una ragione diverse da quelle umane. La scelta resta, dunque, arbitraria,          76 Il diritto come estetica affidata ad assiomi, a fede, la cui origine risale sempre e solo al soggetto, alla sua personale convinzione, illuminazione ed, in quanto tale, ad esso relativa. Più in generale, tutto il mondo empirico si manifesta sempre e solo come relativo al soggetto che lo percepisce. Lo stato di natura, come si è detto, consiste in una perenne lotta per l’esistenza e la sopravvivenza, che genera una generale incertezza nei sog- getti consapevoli intono alla propria sorte. Da ciò scaturisce l’esigenza e, contemporaneamente, il desiderio di costruire una propria sicurezza di rapporti, sicurezza in gradazione crescente dal mero impegno morale al diritto. L’artificialità non si limita, dunque, all’ideazione del diritto, ma lo organizza anche in istituzione, cioè in una entità astratta permanente, che persiste nel tempo con il mutare dei soggetti umani che la compongo- no. Esempi tipici di tale organizzazione sono l’ordinamento giuridico e lo Stato, che nelle società contemporanee tendono praticamente a coincidere, anche se, come si è visto sopra, originano da un tentativo mistificatorio di duplicazione. In altre parole, il diritto, inteso come tecnica di trattamento dei conflitti intersoggettivi umani, si organizza in un sistema burocratico istituzionalizzato. Il diritto, quindi, diviene tecnica e si produce e si applica attraverso pro- cedure burocratiche, a loro volta determinate dal diritto stesso. Il diritto ge- nera se stesso attraverso procedure ed artifici linguistici, quali i concetti di doverosità e di obbligo. In realtà, può dirsi diritto solo quel comportamento concretamente messo in essere nella convinzione del soggetto di adempie- re ad un dovere giuridico. Le procedure legislative sono solo canali per convogliare o mediare il consenso dei soggetti intorno alle proposizioni normative e queste ultime sono indicazioni, segnali per l’azione o la non azione, ma la norma resta il fatto concretamente materializzato dell’azione compiuta e non perseguita da sanzione. Si potrebbe dire che il diritto altro non è che l’opinione giuridica del soggetto intorno ai comportamenti da tenere. Il comportamento conseguente a tale opinione potrà anche essere sanzionato, ma ciò non potrà cancellare la natura giuridica di tale opinione e del conseguente comportamento. Ciò spiega anche come il diritto natu- rale possa considerarsi diritto al pari di quello positivo, non solo in quanto entrambe artificiali, ma anche perché entrambe soggettivi, esistenti solo nella convinzione di obbligatorietà del soggetto agente. Tornando ora al diritto come tecnica burocratica pare opportuno preci- sare che la burocrazia si forma come strumento di garanzia della certezza e della velocizzazione delle procedure, ossia come strumento il cui fine è il raggiungimento dei fini propri dell’organizzazione, cui viene applicata. Nel nostro caso il fine dovrebbe consistere nella realizzazione della giusti-          Diritto artificiale 77 zia, ma si è già detto che, purtroppo, il concetto di giustizia resta di conte- nuto vago e, comunque, relativo al pensiero dei singoli soggetti agenti. In queste condizioni la burocrazia ha buon giuoco a fare quello che Severino denunzia essere la tendenza di qualsiasi tecnica: il trasformarsi da mezzo in fine. Tanto il capitalismo, quanto il diritto sono forme di volontà destinate a di- ventare, da scopi, mezzi della tecnica. La tecnica è destinata a prevalere stori- camente, e questo prevalere è appunto il rovesciamento in cui la tecnica – da mezzo della volontà giuridica, o capitalistica, o democratica, o di ogni altra forma di volontà – diventa lo scopo di tali forme; si che, anche per quanto ri- guarda la volontà capitalistica e la volontà giuridica, non sarà più il capitalismo a servirsi della tecnica (e della volontà giuridica) per incrementare il profitto, e non sarà più (posto che lo sia stata) la volontà giuridica a servirsi della tecnica (e del capitalismo) per realizzare un certo ordinamento giuridico, ma sarà la tecnica a servirsi della volontà del profitto e della volontà giuridica per incre- mentare all’infinito la propria potenza8. La tecnica incrementa se stessa perseguendo obiettivi sempre più estesi ed ambiziosi, sino al punto di dimenticare gli obiettivi stessi e di espandersi per una propria logica di espansione. La burocrazia segue questo medesi- mo modello espansionista e diviene la referente di se stessa. Natalino Irti, pur sollevando vari dubbi intorno alla posizione di Severino, in particola- re riguardo alla capacità di tenuta dei giuristi e della scienza giuridica, in quanto detentori della decisione e della scelta (ritorna il libero arbitrio con il diritto), riconosce il pericolo del pantecnicismo: Insomma, se l’Apparato tecnico-scientifico è incremento indefinito della ca- pacità di raggiungere scopi, chi decide, nel silenzio della politica e del diritto, i concreti e determinati scopi, a cui quella capacità può dare soddisfazione? Non rischia forse, quell’Apparato, di risuscitare gli antichi dei, i quali, risolvendo in se stessi il tutto, non hanno bisogno degli effimeri scopi dell’uomo? Così il cammino, aperto dal giusnaturalismo, si chiuderebbe nel giustecnicismo9. La risposta alla prima domanda potrebbe essere: nessuno. Le decisioni potrebbero estinguersi nel dominio di procedure, che, una volta decise, per- mangono per sempre immutate, perpetuando se stesse. La seconda doman- da si limita a proporre un inconveniente della tecnocrazia, la sua tendenza 8 E. Severino, Atto secondo, in N. Irti, E. Severino, Dialogo su diritto e tecnica, Edizioni Laterza, Roma-Bari 2001, p. 80. 9 N. Irti, Atto primo, in N. Irti, E. Severino, Dialogo su diritto e tecnica, cit., pp. 20-21.           78 Il diritto come estetica al metafisico, ma la risposta giunge dal noto broccardo latino: adducere inconveniens non est solvere argumentum. Lo sviluppo dei sistemi informatici, poi, moltiplica queste tendenze espansioniste autoreferenziate a scapito dei fini, cui erano stati preposti. Valga l’esempio dei sevizi bancari, che, svolti da persone fisiche, forni- scono informazioni e prestazioni variabili; parzialmente sostituiti dai ban- comat, ampliano il servizio sotto il profilo degli orari di apertura, ma lo complicano con operazioni a computer autogestite dalla clientela e da co- dici segreti; completamente sostituiti da sistemi informatici, obbligano la clientela entro rigidi schemi e variabili predeterminate, vincolanti per la prestazione del servizio, con limitato, se non inesistente, accesso ad un dia- logo, ad una trattativa personale intorno alle condizioni di erogazione dei sevizi medesimi. La tecnica ha cancellato il servizio in nome del suo stesso sviluppo tecnologico. Ciò che vale per la tecnica, vale anche per il diritto, in quanto tecnica: si estende senza sosta, occupando aree sociali sempre più ampie; la giuridicizzazione del mondo moltiplica le controversie civili ed i reati; si creano aspettative di certezza sempre nuove, ma sempre anche frustrate dall’inevitabile varietà del mondo, che non conosce limiti. Inutil- mente l’artificialità del diritto si affanna a prevedere futuri comportamen- ti possibili da governare, i comportamenti continuano a moltiplicarsi alla stessa velocità delle regole e l’unico risultato resta l’inflazione normativa, ossia l’estendersi della tecnica giuridica. Da un lato, la tecnica giuridica tende a soppiantare nella regolamentazione sociale tutte le altre tecniche. Dall’altro lato, accoppiata ai modelli informatici, si disumanizza e fornisce vita ad un nuovo diritto naturale, non più divino, ma pur sempre metafisico. L’essere umano, per natura, pone domande, nei sistemi informatici deve solo fornire risposte; le domande le pone il computer. I termini dei proble- mi li determina il computer e le soluzioni pure. Non si è ancora completato questo processo di disumanizzazione, ma con i ritmi di sviluppo attuali della tecnologia i tempi della sua realizzazione probabilmente non saranno lunghi. La tecnica, dunque, si assolutizza, prima, come alibi egualitarista di de- responsabilizzazione decisionale umana, poi, come vera e propria delega di decisione autonoma, in fine forse, come effettiva capacità decisionale autonoma. La regolamentazione, che indirettamente viene generata dalle decisioni informatiche, diviene diritto, un diritto completamente artificiale, che spodesta sia il diritto positivo che quello naturale. Ma questo nuovo diritto, che si appresta a nascere, ha i caratteri del suo genitore informati- co: immateriale, trascendente l’essere umano, onnipotente, onnipresente ed assoluto.          Diritto artificiale 79 Il metafisico sembra potersi materializzare su questa Terra attraverso l’informatica ed il diritto naturale riconquistare la propria autonomia tra- scendente attraverso una nuova dualizzazione: umano/informatico. Questa nuova legge naturale è meramente descrittiva, come quella divina, poiché anche in essa conoscenza e volontà coincidono: ci si deve attenere alla maschera dei comandi e delle domande o non si ottiene risposta e servizio; in metafora, devi nuotare se non vuoi affogare. Il dover essere del diritto naturale, per così dire, di derivazione etica cede il passo al dover essere dei fenomeni naturali, delle frane, delle inondazioni, della fisica e della chi- mica. Questo diritto naturale informatico non manifesta doverosità etiche o giuridiche, ma necessità empiriche. L’alienazione dell’umano avviene nella tecnica, ed in particolare in quella informatica, attraverso una etero- nomia imposta per necessità e non più per scelta. Il libero arbitrio viene negato nei fatti e nella loro ineluttabilità. Forse, nella ciclicità delle alterne vicende del futuro potrà rinascere un nuovo umanesimo, che dovrà portare con sé anche l’emergere di un nuo- vo diritto positivo o, forse, la rinascita competerà ad una nuova fede tra- scendente ed al relativo diritto naturale oppure, sempre forse, lo strumento giuridico potrà non essere più considerato idoneo a gestire le conflittualità umane, le incertezze prodotte dalla natura ed i suoi orrori. Probabilmente il mutare della prospettiva potrà dipendere da un nuovo salto culturale, da un nuovo paradigma, per usare una espressione di Thomas Kuhn (1922- 1996)10. Del resto anche Foucault, nelle sue ricerche archeologiche intorno al sapere, alla conoscenza umana ha individuato taluni di questi salti cul- turali. Essa [la natura] si rivela omicida in quello stesso movimento che la destina alla morte. Uccide perché vive. La natura non sa più essere buona. Che la vita non potesse più essere separata dall’omicidio, la natura dal male, e i desideri dalla contro-natura, era quanto Sade annunciava nel XVIII secolo, del quale egli esauriva il linguaggio, e nell’età moderna, la quale volle lungamente con- dannarlo al mutismo. Si perdoni l’insolenza (verso chi?): I 120 giorni sono il rovescio vellutato, meraviglioso, delle Lezioni d’anatomia comparata. Co- munque sul calendario della nostra archeologia hanno la stessa età11. 10 Cfr. Th. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche. Come mutano le idee della scienza, Einaudi, Torino 1978. 11 M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, cit., pp. 300-301.           80 Il diritto come estetica Anche il concetto stesso di natura subisce le mutazioni culturali proprie del soggettivismo e del relativismo umano: la natura ora appare madre ed ora matrigna, ora si manifesta come benefica ed ora come malefica (indif- ferente nell’ipotesi leopardiana), ora generatrice ed ora omicida, probabil- mente perché possiede contemporaneamente tutti questi aspetti. Il giudizio dipende dal punto di vista dal quale la si osserva, ossia non è possibile per l’essere umano raggiungere una conoscenza complessiva, completa, universale, si potrebbe dire olistica. La stagione, la temperie culturale delle varie società umane consente, poi, il prevalere di una visione, di un con- vincimento, di una interpretazione rispetto ad altre, diverse ma altrettanto possibili, secondo un modello di trasformazione, di sviluppo non ancora ben identificato, secondo un modello di salto culturale molto simile ai salti quantici propri della fisica teorica.          5. NICHILISMO E NIHILISMO Le strade che conducono ad una posizione nichilista o nihilista (si vedrà in seguito la differenza tra questi concetti) sono almeno due. L’una provie- ne dal riconoscimento del pieno ed insindacabile soggettivismo delle scelte umane e conduce al pluralismo, al relativismo dei valori. L’altra origina nella convinzione del divenire della storia e della vita umana e porta a quel trionfo logico del nulla, del non essere, che attualmente sembra approdare ai lidi della tecnocrazia. Entrambe le strade, tuttavia, si aggirano nel mede- simo panorama ambientale: la fine dell’Assoluto, dell’ episteme (επιστήμη – ciò che si impone), del trascendente, dell’immutabile, dell’Essere che non può non essere1. Questo panorama è stato descritto con estrema lucidità da Nietzsche e sintetizzato nell’espressione: Dio è morto. Cerco Dio! Cerco Dio! [...]. Dov’è andato Dio? – gridò – Ve lo dico io. L’abbiamo ucciso noi, – voi ed io! Noi tutti siamo i suoi assassini. Ma come ab- biamo fatto? [...]. Che cosa abbiamo fatto, quando abbiamo svincolato questa terra dal suo sole? [...]. Non vaghiamo attraverso un nulla infinito? Non avver- tiamo l’alito dello spazio vuoto? [...]. Non sentiamo il frastuono dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo ancora l’odore della putrefazione divina – anche gli dei si putrefanno? Non è troppo grande per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo divenire dei noi stessi, per essere degni di lei?2. 1 “Non ci si ferma più soltanto al sentimento della mancanza di valore e di senso del divenire, né a quello dell’irrealtà del divenire. Il nichilismo diventa ora esplicita incredulità per qualcosa come un mondo eretto al di sopra del sensibile e del divenire (del fisico), cioè metafisico. Questa incredulità per la metafisica si vieta ogni sorta di via traversa per giungere a un mondo dietro il mondo o a un sopramondo”. M. Heidegger, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano 2010, p. 75. 2 F. Nietzsche, La gaia scienza, in Opere 1882-1895, Newton, Milano 1993, pp. 121-122.           82 Il diritto come estetica Già in passato, narra Plutarco (46 d.C.-127 d.C.), all’epoca dell’impe- ratore romano Tiberio (42 a.C.-37 d.C.) correva la leggenda che un certo Thamus, capitano di una nave sulla rotta dall’Egitto verso Roma, si fosse sentito chiamare da una voce tonante, che alla sua risposta gli ingiunse di riferire a Tiberio che il Grande Pan era morto. Fine di un’epoca? Simbo- logia astrale della precessione della presunta stella fissa Sirio? Avvento del Cristianesimo al posto delle antiche divinità? Altro? Poco importa la risposta; ciò che conta è il concetto di fine di un mondo e delle sue certezze al subentrare di un altro. La morte cancella il passato ed apre le porte al futuro: nuovi dogmi, nuovi concetti, nuovi metodi di ricerca, nuove cre- denze, nuovi valori, nuove leggi. Si rinnovano le basi della conoscenza umana e delle sue modalità esistenziali, individuali e collettive. Dio è mor- to simboleggia la fine del mondo trascendente, dell’assoluto, del divino e dell’eteronomia e prepara l’avvento di un nuovo mondo immanente, rela- tivo, umano, autonomo. Il punto centrale da affrontare riguardo alla fine del vecchio mondo ed alla nascita del nuovo, ossia all’origine ed alla forma del nichilismo, è rap- presentato dal soggettivismo, che Heidegger analizza nel suo sviluppo da Protagora (486 a.C.-411 a.C.) a Descartes, sino a Nietzsche. Il soggettivi- smo genera un nuovo assoluto, quello umano, sul quale fondare il senso e le scelte, ma tale assoluto si presenta privo di certezze, di verità, poiché relativo; si è costretti dentro un ossimoro tra metafisica del soggetto e fisica del soggetto oggettivato, identificate entrambe nell’essere umano. L’alter- nativa è stringente: o si accoglie una nuova metafisica o si rinunzia al senso ed alla verità tradizionale e consolidata, per percorrere la via nichilista, sulla quale trovare un nuovo senso privo di verità e di valori. Heidegger esprime con evidenza questa difficoltà: La metafisica moderna, in balia della quale sta o sembra inevitabilmente stare anche il nostro pensiero, in quanto metafisica della soggettività fa passare per ovvia l’opinione che l’essenza della verità e l’interpretazione dell’essere si determinino per l’opera dell’uomo in quanto è il soggetto vero e proprio. A pensare in modo più essenziale, tuttavia, si vede che la soggettività si de- termina partendo dall’essenza della verità come certezza e dall’essere come rappresentazione. E prosegue in modo ancora più esplicito: Ora, che l’uomo erri, dunque che non sia immediatamente e costantemen- te in pieno possesso del vero, significa certamente una limitazione alla sua essenza; di conseguenza, anche il soggetto – come tale l’uomo funge nel rap-          Nichilismo e nihilismo 83 presentare – è limitato, finito, condizionato da altro. L’uomo non è in possesso della conoscenza assoluta, non è, pensando in termini cristiani, Dio3. Se il soggettivismo si trasforma in un nuovo assolutismo della verità, presupponendo a priori come veritiera ogni affermazione soggettiva, si è solo costruita una nuova metafisica immanentista, ossia priva di dupli- cazione trascendente. Ma una tale metafisica appare ancora più infondata di quella trascendente. Infatti, l’immanentismo fisico possiede il carattere della fattualità, ossia di poter essere sottoposto a verifica/falsificazione em- pirica. La verifica empirica del soggettivismo narra solo posizioni e scelte relative ai soggetti che le esprimono, pertanto un suo eventuale assoluti- smo verrebbe falsificato proprio in via empirica. Ci si deve rassegnare; la via soggettivista non può che avere come compagno di viaggio il dubbio e come meta l’incertezza. Si tratta di capire se la psicologia umana è in grado di sostenere un tale peso esistenziale e se è possibile organizzare una società priva di verità e di valori assoluti. Se questa è la dimensione umana sarebbe strano rispondere negativamente ai due precedenti quesiti. Tutta- via non appare strano che il genere umano abbia tentato di evitare un tale salto nel dubbio e nell’incertezza attraverso la duplicazione metafisica del mondo. Ma questa duplicazione può trovare una qualche giustificazione ed, ancor più, un fondamento, se non logico almeno antropologico. Ciò, in- vece, che è chiaro è che con l’avvento del soggettivismo, inevitabilmente, viene meno anche l’Assoluto. Infatti, l’Assoluto, creando il relativo, stacca una parte dal Tutto, genera un’altra unità, che, sommata alla prima, l’uno, risulta due, la pluralità. In tale modo, automaticamente, anche l’Assoluto diviene parte di quel Tutto composto da Creatore e Creato. Il Tutto si esten- de, si diversifica e l’Assoluto si relativizza; ossia muore. La scienza moderna esprime alle proprie origini un principio metodo- logico, che passa sotto la denominazione di Rasoio di Occam (novacula Occami) dal nome di William di Ockham (1285-1347). Questo principio ha trovato varie formulazioni tra le quali la seguente pare la più adatta al tema qui trattato: Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem. In sintesi, si tratta di scegliere tra due alternative, a parità di fattori, quella più semplice, più immediata. La domanda, dunque, da porre potrebbe essere: è necessario duplicare il mondo per spiegarlo? In una visione immanentista sembrerebbe inutile la duplicazione, giacché i nessi causali e le leggi co- stanti, universali, nonché probabilistiche, paiono poter rispondere ad ogni quesito, salvo quello dell’origine del mondo stesso, dell’Essere; ma un tale 3 M. Heidegger, Il nichilismo europeo, cit., pp. 234 e 237.           84 Il diritto come estetica interrogativo dalla duplicazione viene solo rinviato al metafisico e, quindi, privato di risposta per non senso della domanda o, più semplicemente, per misteriosità impenetrabile del metafisico. Le risposte causali e le regolarità comportamentali, però, si limitano a descrivere i fenomeni, e non giusti- ficano né la loro esistenza, né la loro finalità, ossia non riescono a fornire senso, significato alla realtà immanente. Non è questo un difetto dell’em- piria, ma la sua naturale caratteristica, che consiste nella mera descrittività dei fenomeni osservati, i quali sono rilevati come privi di finalità nella loro immediata dimensione dell’attimo presente. Dunque, in una visione imma- nentista del mondo, a maggior ragione se priva di libero arbitrio, ma anche se dotata del medesimo (l’empiria si limita a descrivere le scelte non a mo- tivarle valorialmente), manca completamente il senso della vita, il motivo dell’esistere: ciò che esiste, esiste perché esiste. Ovviamente una simile carenza di senso non può soddisfare la presunzione umana e, tanto meno, placare i timori dell’ignoto. L’essere umano aspira all’assoluto, all’infinito per se stesso e teme la morte in quanto nulla. Per esorcizzare aspirazioni frustrate e timori è necessario trovare un senso all’esistere e, possibilmen- te, anche una sopravvivenza post mortem di questo esistere. Conseguente- mente la duplicazione del mondo diviene necessaria per giustificare, per attribuire una qualche finalità alla vita e per calmare le angosce esistenziali; è antropologicamente e psicologicamente necessaria, non certo teoretica- mente, come si è già visto. Al contrario, teoreticamente dovrebbe valere il principio del Rasoio d’Occam e, quindi, reputare inutile, o almeno, poco probabile, la duplicazione, in quanto operazione meramente mentale al pari di qualsiasi altro sogno, credenza, ideologia o fantasia. Presa confidenza con il panorama, conviene ora porre attenzione alla strada da percorrere. Max Weber (1864-1920) indica la prima (pluralismo e relativismo dei valori). Si tratta di constatare l’emergere nel mondo occi- dentale moderno di un politeismo di valori, che pone fine all’unità ideolo- gica, che fu propria della Res publica christiana4. 4 “La Entzauberung der Welt sfocia nel politeismo dei valori, con cui Weber certifica la destinale pluralizzazione degli ordinamenti della vita, ossia la perdita di universalità della ragione occidentale. Quella di Weber è la assunzione radicale della sentenza di Nietzsche Dio è morto, ossia la consapevolezza di vivere in un mondo senza dei e senza profeti tipica di un’epoca che ha mangiato all’albero della conoscenza. I valori supremi di ordine religioso che avevano avviato il processo di razionalizzazione si svalutano irrimediabilmente nell’epoca del compiuto disincanto, ossia del nichilismo compiuto”. F. Fusillo, Nichilismo e sovranità, in R. Esposito, C. Galli, V. Vitiello (a cura di), Nichilismo e politica, Editori Laterza, Roma-Bari 2000, p. 188.           Nichilismo e nihilismo 85 [...], respingendo come cosa estranea e ostile ogni santità e ogni bene, ogni legalità etica o estetica, ogni significatività della cultura o valutazione della personalità, pretenderebbe [questa concezione n.d.r.] tuttavia, ed anzi proprio perciò, la sua propria dignità immanente nel senso estremo della parola. Quale che possa essere la nostra presa di posizione nei confronti di tale pretesa, in ogni caso essa non può venire dimostrata o confutata con i mezzi di nessuna scienza. Ogni considerazione empirica di questi argomenti condurrebbe, come ha osservato il vecchio Stuart Mill, al riconoscimento di un politeismo assoluto come la sola forma di metafisica ad essi corrispondente. [...]. Tra i valori, cioè, si tratta in ultima analisi, ovunque e sempre, non già di semplici alternative, ma di una lotta mortale senza possibilità di conciliazione, come tra dio e il demonio. [...]. Il frutto dell’albero della conoscenza, frutto inevitabile anche se molesto per la comodità umana, non consiste in nient’altro che nel dover cono- scere quell’antitesi e nel dover quindi considerare che ogni importante azione singola, ed anzi la vita come un tutto – se essa non deve procedere da sé come un evento naturale, bensì essere condotta consapevolmente – rappresenta una concatenazione di ultime decisioni, mediante cui l’anima (come per Platone) sceglie il suo proprio destino – e cioè il senso del suo agire e del suo essere5. Il mondo sociologico weberiano è animato da una pluralità di soggetti individuali e collettivi, che perseguono propri interessi e proprie valuta- zioni, non richiamandosi necessariamente a legittimazioni trascendenti, Anzi cercando nell’azione razionale, ossia umana, rispetto al mezzo od al fine il senso, il significato dell’agire. Questo senso diviene in tale modo meramente immanente e, quindi, patrimonio esclusivo del soggetto agente. Il soggettivismo si impone come scelta politica e giuridica, ma anche come procedura burocratica. In Weber si possono già leggere le prime avvisaglie di quello che la burocrazia potrà generare come tecnica fine a se stessa; è possibile intravedere il fantasma della tecnocrazia disumanizzante6. Ma ai fini del nichilismo ciò che maggiormente interessa è il richiamo alla molte- plicità degli interessi, delle prospettive e delle ideologie sociali, poiché da tale molteplicità scaturisce anche il relativismo soggettivo delle stesse. Molti valori non significano certo nessun valore, ma comunque incrinano 5 M. Weber, Il metodo delle scienze storico-sociali, Einaudi, Torino 1958, pp. 331-333. 6 “La burocrazia è di carattere razionale: la regola, lo scopo, il mezzo, l’impersonalità oggettiva dominano la sua condotta. Il suo sorgere e la sua espansione hanno perciò avuto ovunque un senso rivoluzionario – che rimane ancora da esaminare – come di solito avviene per la penetrazione del razionalismo in tutti i campi. Essa annientò le forme strutturali di potere che non avevano un carattere razionale in questo senso specifico”. M. Weber, Economia e società, Edizioni di Comunità Milano 1995, p. 101.           86 Il diritto come estetica il monolitismo sociale e ne cancellano la legittimazione trascendente. Le società umane si presentano molteplici come molteplici sono gli esseri umani. Severino intraprende, invece, per giungere al nichilismo la strada del divenire che nientifica l’Essere. L’Essere è immutabile quindi non divie- ne, ciò per Severino non significa, come per Spinoza, che il movimento è illusione, ma che il nulla non esiste; ciò comporta l’assenza di tempo nel pensiero spinoziano di contro ad un emergere ed eclissarsi dell’Essere nel tempo, senza mai divenire nulla, in quello severiniano. Questa posizione di Severino incide anche sul suo concetto di libertà e di nichilismo. Il libero arbitrio dell’essere umano immutabile si fonda sulle infinite vite che po- trebbero apparire e che non sono apparse; ossia si fonda non sull’alternarsi del divenire tra essere e nulla, ma sulla possibilità di manifestasi dell’Esse- re. La libertà è in questo modo pura contingenza dell’apparire: La possibilità non è nell’essere, ma nell’apparire dell’essere [...]. Se vivo eternamente tutte le vite che avrei potuto vivere – se ho già da sempre deciso tutto ciò che avrei potuto decidere – nell’apparire entra peraltro solamente que- sta vita che vivo. Ma entra soltanto questa perché tutte le altre restano nascose, o perché non esiste alcun’altra vita? O anche: esistono altre mie vite, oltre questa che appare? E se esistono, sarebbero potute apparire invece di questa che appare? In tale possibilità risiede il fondamento della libertà dell’uomo; che dunque può essere libero, solo se è pensato come l’eterno vivere tutte le vite che potrebbe vivere7. La natura non empirica dell’Essere di Severino appare evidente, ma essa scaturisce non da una duplicazione del mondo, ma dalla negazione, operata con gli strumenti della logica, del divenire, del passare dall’essere al non essere nel tempo. La nozione di nichilismo esprime la medesima esigenza di non dare realtà al nulla. Un Essere tutto pieno ed eterno in se stesso non diviene, quindi può trovare disvalori solo nell’altro, ossia nel nulla di sé. Siamo prossimi all’autoreferenzialità chiusa delle monadi di Leibniz, ma in Severino l’accento non viene tanto posto sull’autoreferenzialità di una molteplicità di Esseri, tutti equivalenti, di pari dignità e, quindi, ingiudi- cabili nella loro autonomia, ma piuttosto sul divenire, che, consentendo il nulla, relativizza appunto nel nulla qualsiasi affermazione, qualsiasi scelta. 7 E. Severino, Essenza del nichilismo, Adelphi, Milano 1995, p. 165. Cfr., per una certa analogia di pensiero, C. Bruce, I conigli di Schrödinger. Fisica quantistica e universi paralleli, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006.           Nichilismo e nihilismo 87 Il nulla consente la negazione dell’assoluto e rende tutto relativo, contin- gente, occasionale, in breve, nichilista. Nichilismo significa affermare che le cose sono niente, ossia che il non- niente è niente. Sin da Platone, la metafisica ha identificato le cose al niente: affermando che escono e tornano ad essere niente. Il mondo è la dimensione in cui il non-niente è niente, e ove Dio e l’Uomo hanno la capacità di operare l’identificazione del non-niente e del niente. Forza-cultura, religione-ateismo, cristianesimo-anticristianesimo, meta- fisica-antimetafisica, materialismo-spiritualimo, moralismo-immoralismo, assolutismo-democrazia, capitalismo-comunismo, servo-padrone, umanesimo- tecnicismo formano i grandi contrasti che si svolgono all’interno della comune alienazione nichilista dell’Occidente8. Severino è portatore di un monismo immanentista non empirico, nel quale libero arbitrio e nichilismo si identificano col problema del divenire e, quindi, giuocano la loro presenza o assenza intorno all’impossibilità di esistere del non essere e all’impossibilità di non esistere dell’essere; possi- bilità ed impossibilità tutte logiche ed, appunto, non empiriche. Oltre il bivio nichilista tra la strada di un pluralismo valoriale soggettivo e la negazione del divenire si presenta un ulteriore bivio, quello tra l’eguale fondamento e dignità di qualsiasi scelta, di qualsiasi valore e l’inesistenza stessa dei valori. L’equivalenza di tutti i valori conserverà il nome di ni- chilismo, mentre la vera e propria completa assenza concettuale di entità 8 E. Severino, op. cit., p. 137. In merito ai passi citati in testo, con una comunicazio- ne personale del 6 marzo 2016 via mail, Emanuele Severino precisa quanto segue: “Lei [Ghezzi] considera quanto si dice nel mio saggio Essenza del nichilismo intorno al libero arbitrio. Ma in Destino della necessità (1980) mostro che questa posizione è un residuo di nichilismo e va superata. Quando uso la parola essere (quasi sempre o sempre con l’iniziale minuscola) intendo gli essenti, qualsiasi essente, empirico o no. Mostrando che l’essere sè degli essenti (in quanto esso è ciò la cui negazione è autonegazione, ossia in quanto è la struttura originaria del destino della verità) implica l’eternità di ogni essente, si mostra anche l’essere della dimensione non empirica degli essenti. Ma il decisivo è che l’eternità non è un presupposto, ma è implicata con necessità dalla struttura originaria; ed è questa necessità che si tratta di discutere. Questa necessità esclude di essere relativizza- ta e messa accanto alle varie posizioni filosofico-culturali. Il suo saggio afferma l’esistenza del soggetto e del suo sentire. Ma la struttura originaria chiede in base a che cosa si afferma tale esistenza (e l’esistenza del ricco panorama culturale espresso dal suo saggio, e dunque l’esistenza del mondo) richieste analoghe, si intende, vanno rivolte a tutta la cultura filosofica e scientifica”. Ulteriori precisa- zioni in argomento sono presenti anche nella Presentazione di Emanuele Severino a questo saggio.           88 Il diritto come estetica definibili come valori verrà chiamata nihilismo. La distinzione potrà appa- rire più chiara se applicata al nichilismo giuridico. Nella visione dualista del mondo al diritto positivo, come si è visto, si contrappone una giustizia, la cui fonte si afferma superiore. L’Assoluto, come analizza senza timore Irti, tuttavia, si è ritirato nelle sue varie forme (Dio, la Natura, la Ragione) dalla conoscenza umana, conseguentemente, la volontà dell’essere umano è stata abbandonata ad una completa solitudine. Solitudine nelle scelte, soggettività delle medesime e relativismo dei valori perseguiti. Irti constata questo fenomeno nel diritto e, quindi, ne mette in discussione la capacità legittimante di comportamenti, che, privi di copertura giuridica, si identifi- cano con la violenza e con la volontà di potenza del più forte. Gli Dei si sono ritirati, e non offrono più al potere il fondamento di legitti- mità. Il potere rimane affidato a se stesso, alla capacità di sostenersi e di rea- lizzarsi. Il successo della volontà è, appunto, un succedere, un semplice e nudo accadere, che trae fondamento dalla propria fatticità9. Il diritto abbandona la dimensione di conoscenza, per divenire volontà, volontà di potenza e quest’ultima risulta indistinguibile dalla forza, dalla violenza10. La volontà di potenza non conosce altro imperativo che la pro- pria affermazione ed espansione. Il dover essere morale e giuridico cede il passo al confronto/scontro, alla lotta tra le diverse potenze, per determinare quale sia la maggiore11. [...] il nichilista della volontà di potenza non può auspicare alcun esito, avendo congedato la categoria del dover essere. Può solo aspettare l’esito dello scontro storico delle volontà, e non potrà condannare alcunché12. Una volta abbandonata la categoria del dover essere, il campo, da un punto di vista pratico, fattuale resta a completa disposizione della forza, ma dal punto di vista concettuale si deve affrontare il tema di come il dover 9 N. Irti, Nichilismo giuridico, Editori Laterza, Roma-Bari 2005, p. 49. 10 “Il falso contrasto tra diritto e forza deriva da una concezione metafisica del diritto, dal diritto inteso come un potere sovrannaturale, come un potere vincolante che crea ed impone dei doveri. Questo potere vincolante superiore viene opposto alla forza, cioè al potere concreto”. K. Olivecrona, Il diritto come fatto, Giuffrè, Milano 1967, pp. 107-108. 11 “Sul rango decide il quantum di potenza che sei; il resto è viltà”. F. Nietzsche, La volontà di potenza, in Opere 1882-1895, Newton, Milano 1993, p. 939. 12 V. Possenti, Nichilismo Giuridico. L’ultima parola?, Rubettino, Savoria Mannelli 2012, p. 146.           Nichilismo e nihilismo 89 essere viene meno e con cosa viene sostituito. La risposta a quest’ultimo quesito verrà affrontata nel prossimo capitolo, per ora basti concentrarsi sul primo. Il dover essere può semplicemente perdere il proprio carattere assoluto o scomparire completamente, come concetto inesistente o falso. Si è già visto come il soggettivismo renda relativi i contenuti comportamentali del dover essere e, quindi, ne vanifichi la forza vincolante, imperativa. Il dover essere resta in vita, ma persiste come valore individuale, non generalizza- bile, non imponibile a terzi. Però è dato anche il caso che il dover essere si dissolva come entità concettuale. E può dissolversi come entità solo teorica od anche come entità pratica; come affermazione priva di senso o come affermazione falsa. Il dover essere comunque scompare, ma secondo mo- dalità differenti. Un esempio articolato ed eloquente di queste tematiche è dato dalla dia- triba sviluppatasi tra la Scuola di Uppsala, che annovera tra i propri mas- simi esponenti Alex Hägerström (1868-1939) ed Karl Olivecrona (1897- 1980), e Theodor Geiger (1891-1952). La prima osservazione che Geiger muove alla scuola di Uppsala riguar- da il carattere solo teorico del nihilismo proposto. In questo caso si tratta di nihilismo e non di nichilismo, poiché il presupposto risiede nell’inesisten- za dei valori, non nella loro generale equivalenza, indifferenza. Chi è criticamente illuminato è necessariamente un nihilista teorico dei va- lori. Egli ha compreso che le idee di valore non sono altro che orientamenti emotivi indebitamente oggettivati. Egli sa che i valori non appartengono alla realtà temporale-spaziale, che i giudizi di valore non possono pertanto essere altro che oggettivazioni errate di valutazioni primarie soggettive, traduzioni di situazioni emotive in enunciazioni conoscitive teoriche13. Gaiger propugna un nihilismo anche pratico, che cioè abbandoni l’uso dei giudizi di valore anche nelle discussioni politiche intorno alle decisioni da prendere; non si tratta, in breve, per questo Autore, solo di teorizzare la fine dei valori, ma anche di operare senza l’uso giustificativo dei medesi- mi. In questo modo si potrà dare vita a quello che da Geiger viene definito illuminismo critico e che, a sua volta, può generare una democrazia sobria, ossia fondata esclusivamente su discussioni e scelte intorno ai fatti e sulla base dei meri fatti. 13 Th. Geiger, Saggi sulla società industriale, U.T.E.T., Torino 1970, pp. 553. Vedere anche M.L. Ghezzi, Un precursore del nichilismo giuridico: Theodor Geiger e l’antimetafisica sociale, in Sociologia del Diritto, 2007/3, pp. 5-46.           90 Il diritto come estetica [...] la persona criticamente illuminata deve sapere su quali questioni non si può sapere niente, quali siano i problemi sui quali non può esprimersi con la pretesa di validità oggettiva, essa deve conoscere in breve i limiti naturali posti al processo conoscitivo. Essa ha da mantenersi scettica dinanzi alle as- serzioni altrui e rigettare tutte le asserzioni presentate con intenti pragmatici. È pragmatica ogni asserzione che pretenda di motivare teoricamente una finalità dell’agire (di dimostrarne l’esattezza), o suggerisca tacitamente tali finalità14. La seconda osservazione riguarda la predicabilità o meno di verità/falsi- tà dei giudizi di valore. Mentre Hägerström, ma soprattutto i suoi discepoli e primo fra tutti Olivecrona, sostengono l’inesistenza di una teoria che for- nisca significato alla domanda sulla veridicità/falsità dei valori e, pertanto, la domanda risulta priva di senso, neppure formulabile; Geiger, invece, afferma l’esistenza di senso della domanda, in quanto la teoria esiste, ma è falsa e, quindi, anche la risposta risulta falsa. Chi asserisce la veridicità di un valore non formula una proposizione priva di senso, ma intende soste- nere l’esistenza concreta di ciò che afferma, cioè della fattualità dei valori; pertanto, per Geiger, non si tratta di una proposizione priva di senso, ma di una proposizione falsa, poiché ciò che afferma non esiste, è fantasia, è desiderio soggettivo. Chi giudica non può esprimersi sulle qualità di valore dei fenomeni, quando è dimostrato che i fenomeni non posseggono alcuna qualità di valore. Valore e non-valore non sono inerenti all’oggetto stesso, ma gli sono attribuiti dal soggetto dell’esperienza. [...]. Il giudizio di valore non è che una esplosione emotiva rivestita della forma linguistica di una enunciazione oggettiva15. È evidente che mentre Hägerström si muove su un piano meramente logico, nel quale dovrebbero operare solo teorie verificabili e la veridicità dei giudizi di valore non è verificabile, ossia su un piano sul quale le teorie non falsificabili o falsificate sono già state scartate; Geiger, invece, opera nel mondo empirico dove il primo passo da compiere è proprio la verifica/ falsificazione delle ipotesi e delle relative teorie16. Empiricamente la do- manda intorno alla veridicità dei giudizi di valore è stata posta e continua 14 Th. Geiger, Saggi sulla società industriale, cit., pp. 573-574. 15 Th. Geiger, op. cit., p. 554. 16 “Ora una ideologia è per definizione qualcosa di unilaterale perché è determinato dalla prospettiva particolare di colui che pensa. Secondo questo si dovrebbe dire che tutte le ideologie sono false . [...]. L’ideologia è determinata dalla prospettiva corrispondente alla posizione sociale di colui che la pensa quindi è pensiero unilaterale. Essa non soddisfa i requisiti dell’oggettività posti dalle scienze naturali e quindi è teoricamente falsa”. Th. Geiger, op. cit., p. 142.           Nichilismo e nihilismo 91 ad essere posta, pertanto si tratta di falsificare la teoria che la regge ed è proprio questa la conclusione a cui giunge Geiger. La differenza appare minima, ma non irrilevante e tutta impostata sul piano del discorso svolto e sui tempi cui si riferisce l’affermazione (prima o dopo la verifica empiri- ca). Del resto, il tema fu affrontato in senso generale anche da Heisenberg, riguardo alla costruzione di teorie attraverso l’accoppiamento di simboli a fenomeni: Il procedimento della scienza naturale è raffigurato come l’applicazione di simboli a fenomeni. I simboli possono, come in matematica, essere combinati secondo certe regole, in tal modo le affermazioni sui fenomeni possono essere rappresentate da combinazioni di simboli. Perciò una combinazione di simboli in disaccordo con le regole non è falsa ma priva di significato. L’ovvia difficoltà di questo ragionamento è la mancanza di un criterio ge- nerale che indichi quando una proposizione debba essere considerata priva di significato. Una chiara decisione è possibile soltanto quando la proposizione appartiene ad un sistema chiuso di concetti e di assiomi, il che nello sviluppo delle scienze naturali costituisce piuttosto l’eccezione che la regola17. L’equivoco, dipendente sia dalla difficoltà di definizione dei concetti, in quanto legati alle teorie di cui sono figli, sia dall’impossibilità di verifi- ca empirica degli assiomi su cui si fondano le teorie (concetti ed assiomi non chiusi), non può stupire. Infatti, come afferma Michel Foucault (1926- 1984), le parole (simboli) e le cose (fenomeni) non coincidono dal crollo della Torre di Babele in poi: Nella sua forma originaria quando fu dato agli uomini da Dio stesso, il lin- guaggio era un segno delle cose assolutamente certo e trasparente poiché asso- migliava ad esse. I nomi erano deposti su ciò che indicavano, come la forza è scritta nel corpo del leone, la regalità nello sguardo dell’aquila, come l’influsso dei pianeti è stampato sulla fronte degli uomini: mediante la forma della simi- litudine. Tale trasparenza fu distrutta a Babele per castigo degli uomini. Le lin- gue furono separate le une dalle altre e rese incompatibili solo nella misura in cui venne anzitutto cancellata la somiglianza alle cose, la quale aveva costituito l’originaria ragione d’essere del linguaggio. Tutte le lingue che conosciamo non vengono da noi parlate che sullo sfondo di tale similitudine smarrita e nello spazio da essa lasciato vuoto18. Riemerge il solito dualismo tra divino ed umano, tra conoscenza asso- luta e conoscenza relativa, tra certezza e dubbio. Tuttavia, ritornando ora 17 W. Heisenberg, Fisica e filosofia, cit., p. 90. 18 M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 50.           92 Il diritto come estetica alla polemica tra la Scuola di Uppsala e Geiger, probabilmente essa ne sottointende un’altra ben più rilevante e di natura politica; non è possibile, infatti, dimenticare le simpatie della Scuola di Uppsala ed, in particolare, di Olivecrona per il nazismo di fronte alla posizione social-democratica di Geiger, sostenitore della Repubblica di Weimar19. In conclusione, il nichilismo come il nihilismo scaturiscono dalla fine della credenza in verità assolute, siano esse trascendenti od immanenti, ossia dalla fine della duplicazione del mondo. Questa fine può giungere attraverso una relativizzazione dei giudizi di valore od una loro completa soppressione, ma, in ogni caso, l’antica via eteronoma rispetto all’essere umano non può più essere percorsa. Si tratta, quindi di costruire una nuova strada autonoma, che tenga conto della fluidità, della varietà, dell’incer- tezza, ma anche dell’arbitrarietà dei giudizi di valore. Si tratta di capire se sono effettivamente necessari o, almeno, utili per la convivenza sociale e se non possono essere sostituiti da altre e diverse entità in grado di guidare l’agire umano, ammesso che esista la possibilità di guidarlo attraverso la volontà umana. Tralasciando ora i dubbi intorno all’esistenza o meno del libero arbitrio, chi scrive è convinto della possibilità di compiere questa ricostruzione comportamentale anche senza i giudizi di valore in ambito sia morale, sia giuridico, ma questo è argomento del prossimo capitolo.  19 Cf.r. K. Olivecrona, I problemi del tempo visti da uno svedese. Inghilterra o Germania?, in Lo Stato, 3/2014, pp. 173-195.          6. IL DIRITTO COME ESTETICA L’estetica è una disciplina che studia, dal punto di vista trascendente, il bello in sé, mentre, dal punto di vista immanente le sensazioni umane che si manifestano nell’alternativa bello/brutto. Il bello in sé, il Sublime conduce subito verso il metafisico, la perfezione delle idee, una realtà per- fetta non appartenente alla realtà umana. Il semplice bello e brutto sono, invece, giudizi tutti umani intorno a ciò che piace o non piace. Già Aristo- tele (384 a.C.-322 a.C.), nella Poetica (ποίησις, poiesis, il cui significato è fare, creare) evidenziava come il parametro attraverso il quale giudicare un’opera d’arte fosse la produzione o meno nel soggetto di una percezione gradevole, di piacere. Sembra poi in generale che la poesia l’abbia prodotta due cause, e tutte e due naturali. Infatti è proprio della natura umana, sin dall’infanzia, l’istinto dell’imitazione e che tutti godano innanzi ai suoi prodotti, e l’uomo differisce specialmente dagli altri animali come quel genere che più sa imitare, e questo è il mezzo con cui si procaccia le prime cognizioni. E che ciò sia vero è mostrato dai fatti, perché mentre certi oggetti, così come sono in natura, ci riescono sgradevoli, le loro riproduzioni invece, quanto più sono esatte, ci danno diletto, come le forme degli animali più ripugnanti e dei cadaveri1. Aristotele definisce l’arte come capacità di suscitare piacere attraver- so l’imitazione, ossia attraverso il primo strumento umano di conoscenza. Dunque, riporta al soggetto che conosce la decisione intorno al bello ed al brutto. In particolare, sottolinea che una imitazione perfetta dell’orrore naturale può risultare piacevole e questa sensazione pare essere il fonda- mento del diritto positivo come estetica. Il diritto positivo è decisamente disumanizzante in quanto generale ed astratto, mentre l’essere umano è particolare e concreto, pertanto non può essere giudicato con canoni stati- stici, medi, ma deve essere indagato in tutte le sue particolarità individuali, personali, ammesso che ciò sia possibile, se si intende comprenderne vera- 1 Aristotele, La poetica, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1940, p. 10.           94 Il diritto come estetica mente il comportamento. Tutto vero; ma la natura, con il suo diritto natu- rale, è ancora peggiore, poiché sembra colpire a caso, in modo arbitrario, senza una qualsiasi giustificazione; giustificazione che, seppur arbitraria, spesso anche ipocrita e sempre soggetta ad errore, il diritto positivo tenta di fornire. Dunque, Aristotele ha ragione a sostenere che il bello può scaturire anche dall’imitazione del brutto naturale; in questo senso si indirizza anche un autore più recente quale Thomas De Quincey (1785-1859): Ci asciughiamo le lacrime, e abbiamo forse la soddisfazione di scoprire che un’azione disgustosa e indifendibile sotto il profilo morale si rivela, se valutata secondo i criteri del gusto, un atto meritevole2. Non deve stupire il divario tra dover essere ed estetica, perché il primo è frutto di una duplicazione metafisica o razionale del tutto estranea (sal- vo che per il concetto di Sublime) al secondo. Pertanto, abbandonata ogni duplicazione del Mondo, il vero divario esistente, che tuttavia accomuna dover essere ed estetica, riguarda la diversità che intercorre tra il sentito individuale, personale ed il sentito indotto a qualche titolo (minaccia, edu- cazione, tradizione, etc.) dall’ambiente circostante il soggetto. Ma si tratta di un divario più apparente che sostanziale, poiché sussiste solo a livello individuale, infatti, a livello collettivo, viene colmato dal gusto prevalente dei gruppi sociali, che riescono ad assicurarsi il dominio sugli altri gruppi. [...] la situazione nell’estetica non è dissimile da quella nell’etica. In en- trambe le sfere di valori i criteri di valutazione del gruppo influenzano le nostre decisioni, in entrambe sono stati interiorizzati nella voce della coscienza o in quello che gli psicoanalisti chiamano il super-io. C’è una creatura ansiosa na- scosta in noi che domanda posso fare questo?, oppure può piacermi questo?3. Questa creatura è il nostro sdoppiamento, che non ci consente aperta- mente di porci come unici giudici delle nostre azioni. È lo sdoppiamen- to dell’eteronomia. Si cerca sicurezza in un parametro comportamentale esterno ed, in quanto tale, presupposto oggettivo. L’autonomia non con- cede giustificazioni esterne all’agire; si agisce palesemente per seguire il proprio gusto, sia che esso sia originario, sia che sia stato indotto dall’am- biente o dal determinismo. Tuttavia lo sdoppiamento appare più evidente 2 Thomas De Quincey, L’assassinio come una delle belle arti, TEA, Milano 1990, p. 25. 3 E.H. Gombrich, Ideali ed idoli. I valori nella storia e nell’arte, Einaudi, Torino 1986, p. 94.           Il diritto come estetica 95 nella visione del bello metafisico, del Sublime, espresso da Platone attra- verso l’esempio di un letto inteso come mobile d’arredo, di un letto come quadro e dell’idea di letto: Questi nostri letti si presentano sotto tre specie. Uno è quello che è nella natura: potremmo dirlo, creato, creato dal dio. – Uno poi è quello costruito dal falegname. – Sì, disse. – E uno quello foggiato dal pittore. Non è vero? – Va bene. – Ora, pittore, costruttore di letti, dio sono tre e sovrintendono a tre specie di letti. – Si, tre. – Ebbene, il dio, sia che non l’abbia voluto sia che qualche necessità l’abbia costretto a non creare nella natura più di un solo e unico letto, si è limitato comunque a fare, in un unico esemplare, quel letto in sé, ossia ciò che è letto. Ma due o più letti di tal genere il dio non li ha prodotti, e non c’è pericolo che li produca mai4. L’idea del letto in sé o del bello in sé non si differenziano, sono entrambe metafisiche, assolute e perfette, quindi rappresentano il corretto parametro verso il quale rivolgere l’attenzione per sapere cosa è letto e, ciò che in questa sede più interessa, cosa è bello. In questa prospettiva la dualizza- zione del mondo si è compiuta completamente e l’eteronomia diviene un elemento strutturale del sistema interpretativo del mondo, in generale, e di quello umano, in particolare. L’ulteriore duplicazione, quella tra dover es- sere ed estetica, si è probabilmente prodotta sia per contenere l’arbitrarietà evidente del senso estetico, sia per quell’illusoria pausa che intercorre tra la constatazione che una cosa piace e l’azione che ne segue. In questa pausa potrebbe celarsi il libero arbitrio, che potrebbe far rinascere la distinzione secondo il principio: ho agito in un modo che non mi piace perché era mio dovere farlo! Purtroppo non abbiamo conoscenze idonee né per escludere che in quel momento nel soggetto il dovere coincidesse con il piacere, ma neppure che questa pausa concettuale tra sensazione ed azione esista e sia governata nella libertà. Tralasciando ora i problemi metafisici legati al Sublime, in quanto frutto della solita duplicazione del mondo già più volte discussa, pare interessan- te approfondire il termine estetica, il cui significato deriva dal sostantivo greco αίσθησις, che indica un sentire, una sensazione e dal verbo, sempre greco, αισθάνομαι, che significa percepire attraverso la mediazione dei sensi, ossia ricevere stimoli che producono sensazioni. L’essere umano percepisce in continuazione sensazioni provenienti dal mondo esterno attraverso i suoi cinque sensi fisici, ed è questa la base sulla quale si fonda il metodo empirico di ricerca; ma percepisce anche sensa- 4 Platone, La Repubblica, in Tutto Platone, Editori Laterza, Bari 1967, p. 427.           96 Il diritto come estetica zioni interiori, sentimenti provenienti da precedenti esperienze, da ricordi, da pregiudizi, da preconcetti, da convinzioni personali, da tutto ciò, in sin- tesi, che può essere considerato il suo vissuto mentale. Queste due fonti di sensazioni non sono e non possono essere rigorosamente separate, poiché insistono sull’unitarietà del soggetto che percepisce. La percezione fisica viene selezionata, filtrata e completata dalle propensioni della mente, sino al punto di rendere indistinguibile la percezione fisica in quanto tale dal percepito e vissuto mentale. La questione, poi, si complica ulteriormente, poiché la percezione occupa anche il campo del sogno e del ricordo, con i loro stati dubbi, incerti di realtà empirica. Le percezioni esterne presuppongono l’esistenza di un ambito circostan- te il soggetto, dal quale partono gli stimoli che colpiscono i sensi. Non si può, tuttavia, essere certi, che questo ambito esterno esista veramente fuori dal soggetto, poiché ciò che si percepisce altro non è che una immagine, una sensazione mentale. Del resto, non è neppure possibile asserire con certezza l’inesistenza del mondo esterno, sempre per il problema che a giu- dicare è una entità soggettiva non oggettiva. L’oggettività nella percezione umana è impossibile, per la stessa natura umana di soggetto. Si è già osservato che alla mente non si presentano che percezioni [...]. Ora, siccome le percezioni si distinguono in due generi, impressioni e idee, questa distinzione solleva una questione, con cui avvieremo la nostra indagine sulla morale: è dovuto alle idee oppure alle impressioni il fatto che noi distinguia- mo la virtù dal vizio, e dichiariamo un’azione biasimevole oppure pregevole? Questo escluderà tutti i discorsi e le dichiarazioni arbitrarie, riconducendoci a qualcosa di preciso e di esatto in merito al presente argomento5. La percezione, dunque, è legata ai sensi, l’acqua fredda produce una sensazione di freddo, mentre l’impressione esprime la predisposizione, il giudizio del soggetto verso il percepito: il freddo mi produce sollievo dall’afa estiva o mi disturba perché abbassa la temperatura dell’ambiente. Conseguentemente l’Autore non esita nella sua risposta, come del resto era prevedibile data la Grande Divisione di cui è artefice ed alla quale ha fornito anche il nome: [...] è impossibile che la distinzione tra bene e male morale possa essere compiuta dalla ragione; poiché quella distinzione ha sulle nostre azioni un’in- fluenza di cui la sola ragione non è capace. La ragione e il giudizio possono, infatti, essere la causa mediata di un’azione, destando o guidando una passione: 5 D. Hume, Trattato sulla natura umana, Bompiani, Milano 2001, p. 903.           Il diritto come estetica 97 ma non bisogna pretendere che un giudizio di questo genere, sia vero o sia fal- so, possa accompagnarsi alla virtù o al vizio6. Hume non si limita a negare la predicabilità di vero/falso all’ambito mo- rale, ma affronta anche la natura di questo ambito, di queste impressioni, ed appare con evidenza che la sua analisi conduce direttamente al principio del piacere come scriminante tra bene e male. La prossima domanda è: di quale natura sono queste impressioni, e in che modo agiscono su di noi? È qui impossibile non esitare, ma dobbiamo dichia- rare che l’impressione che sorge dalla virtù deve essere gradevole, e quella che deriva dal vizio sgradevole. In qualsiasi momento l’esperienza deve convin- cerci di questo. [...]. Una rappresentazione teatrale o un romanzo bastano a darci esempi di questo piacere, che la virtù ci procura; e del dolore, che nasce dal vizio7. Risulta chiaro che sia l’alternativa buono/cattivo, sia quella bello/brutto dipendono dalle impressioni umane, ossia sono legate alla percezione di piacere o di dolore. Nell’essere umano la percezione è unitaria, non esisto- no due diverse forme di percezione, come può dimostrare l’empiria, forse possono esistere due diverse forme di impressioni, se elaborate nella mente e quindi non sottoponibili, almeno per ora, a verifica/falsificazione empiri- ca. Dunque, se non si desidera procedere ad una ulteriore duplicazione, pri- va in questo caso di motivazione, che avrebbe un sapore formale incentrato sul mero linguaggio (dover essere o mi piace) e non su fatti, tra percezioni e conseguenti impressioni morali ed estetiche, si deve concludere che vi è un’unica percezione ed i due ipotetici tipi di impressioni coincidono tra loro e sono un solo ed unico tipo di impressione; ossia la morale altro non è che una forma dell’estetica in quanto fondata, come l’estetica, sul piacere. In questo caso la prova empirica è possibile poiché si tratta di impressioni prodotte da percezioni, sensazioni empiriche, salvo sempre, ovviamente, la duplicazione strutturale del mondo in fisico e metafisico. Se le percezioni esterne, produttrici di impressioni esterne, provengono dalla presupposta esistenza di un mondo esterno al soggetto percipiente, da dove provengono le sensazioni interne, ammesso che abbiano natura diversa da quelle esterne? La risposta potrebbe risiedere nella capacità del- la mente di apprendere, ricordare e rielaborare il percepito ed il sentito, in qualunque modo venga percepito e sentito: fisico o metafisico. Certa- 6 D. Hume, op. cit.., p. 915. 7 D. Hume, op. cit., p. 931.           98 Il diritto come estetica mente la tradizione, l’educazione, le convinzioni religiose e scientifiche dovrebbero giuocare un ruolo centrale nella determinazione delle sensa- zioni interiori e nel giudizio su quelle esteriori. Commozione, attaccamen- to, repulsione, amore, odio, etc. possono essere conseguenze di precedenti esperienze: il fuoco mi ha scottato e provo una repulsione nell’avvicinarlo. Ma anche preconcetti, superstizioni, credenze si presentano come sensazio- ni interiori e possono avere un’origine culturale: provo paura alla vista di un gatto nero, perché sono convinto che porti sfortuna; provo gioia per aver trovato un quadrifoglio, perché penso che porti fortuna. Searle affronta il tema immediatamente nel suo significato empirico; le impressioni umane determinano il comportamento, in presenza del libero arbitrio, attraverso le sensazioni di piacere o di dispiacere. Dunque, le sensazioni di piacere o di dispiacere si collocano all’origine dell’intenzionalità, che per sua stessa natura è sempre e solo cosciente; pertanto la domanda da porre diviene la seguente: come funzionano nei particolari gli stati intenzionali? L’Autore, pur reputando che resti un mistero il funzionamento dell’intenzionalità, tuttavia fornisce alcune interessanti riflessioni ed indicazioni in merito. [...] ogni stato cosciente presenta un certo grado di piacere o dispiacere. Per meglio dire, occupa una certa posizione sulla scala che include le nozioni ordi- narie di piacere e dispiacere. Così, per ogni esperienza cosciente che qualcuno abbia, è sensato chiedergli: È stato piacevole? È stato bello? Sei stato bene, male, ti sei annoiato, ti sei divertito? È stato disgustoso, delizioso o deprimen- te? La dimensione piacere/dispiacere si estende pervasivamente a tutti gli stati di coscienza8. Si deve notare che la dimensione piacere/dispiacere ha natura empiri- ca, ossia può essere sottoposta ad un processo di verifica/falsificazione, pertanto passare da un giudizio di valore ad un giudizio estetico comporta anche la reintroduzione della metodologia empirista. Ovviamente non ri- guardo all’oggettività del giudizio, ma all’impressione prodotta dalla sen- sazione percepita. Infatti, un giudizio morale, se non si identifica con un giudizio estetico, se non è un giudizio estetico, non può scaturire da una sensazione produttrice di impressioni di piacere/dispiacere, non solo per Kant, ma per sua stessa definizione, in quanto il dover essere, per essere morale, deve essere anche privo di interesse personale. In modo diverso si presenta la doverosità giuridica, che può anche essere sostenuta da un interesse personale, e, proprio per questo motivo, sembra appartenere più 8 J.R. Searle, La mente, cit., p. 128.           Il diritto come estetica 99 al mondo dell’estetica che a quello della morale. Ma è bene continuare con Searle, che precisa il concetto di percezione: Dovremmo concepire la percezione non come qualcosa che crea la coscien- za, ma come qualcosa che modifica un campo di coscienza preesistente9. Siamo vicini concettualmente alla res cogitans di Descartes, ma lontani dalla sua astrattezza; infatti in Searle tutto ruota intorno ad una sensazio- ne rapportata ad una percezione non necessariamente autoreferenziata al soggetto percipiente; in breve, soggetto ed oggetto vengono posti in cor- relazione, non rigidamente separati. Pare un timido tentativo di riduzione del dualismo soggetto/oggetto. Ma ciò che più conta riguarda direttamente lo stato mentale cosciente, che altro non è che l’espressione delle proprie condizioni di piacere/dispiacere. L’esser vera sta alla credenza come l’esser appagato sta al desiderio o l’esser realizzata sta all’intenzione. Propongo di descrivere tale fenomeno nel modo seguente: ogni stato intenzionale con direzione di adattamento non nulla pos- siede condizioni di soddisfazione. Possiamo considerare gli stati mentali come rappresentazioni delle proprie condizioni di soddisfazione10. Searle è esplicito; la separazione fatti/valori comporta, per i fatti, la pos- sibilità di rispondere a verificabilità empirica, mentre, per i valori morali o estetici, negata questa possibilità, produce la mera soddisfazione o insod- disfazione personale del soggetto agente. La Grande Divisione persiste, ma ridimensionata entro un vocabolario, che meglio la descrive. La sepa- razione tra giudizi di fatto e giudizi di valore non esaurisce la serie delle possibili divisioni. Infatti, subito subentra anche la sottodivisione giudizi di valore e giudizi di estetica, come si è già visto. Tuttavia, mentre la pri- ma divisione regge alla prova empirica come scriminante fra i due tipi di giudizio (solo i giudizi di fatto sono empiricamente verificabili/falsifica- bili), la seconda suddivisione (giudizi etici/giudizi estetici) non trova altra giustificazione che il tentativo di recuperare, attraverso il giudizio etico, di 9 J.R. Searle, op. cit., p. 141. 10 J.R. Searle, op. cit., p. 154. “Come è possibile che io abbia sete d’acqua?, vale a dire che abbia un desiderio il cui contenuto è bere acqua. [...] la risposta si fornisce mostrando la connessione essenziale tra intenzionalità e condizioni di soddisfazione. Ciò che fa del mio desiderio il desiderio di bere acqua è che sarà soddisfatto se e solo se berrò acqua. Non si tratta di un’osservazione psicologica che predice cosa mi farà sentire bene, ma della definizione del contenuto intenzionale pertinente”. Ibidem, p. 171.           100 Il diritto come estetica valore, un metafisico assoluto, trascendente od anche solo razionale. Del resto, risulta chiaro che, rispetto alla sua origine, il giudizio di valore non è altro che un giudizio estetico, poiché scaturisce da condizioni di soddisfa- zione o, se si preferisce, da sensazioni percepite e produttrici di impressioni (piacere/dispiacere). Le sensazioni, dunque, producono dei giudizi estetici (impressioni), ri- assumibili sinteticamente nell’alternativa mi piace/non mi piace. Si tratta ora di vedere se questi giudizi estetici, oltre all’origine, possiedono anche i medesimi caratteri dei giudizi di valore. Sia i giudizi estetici che i giudizi di valore esprimono una dimensione meramente mentale, ma mentre i primi dovrebbero essere finalizzati a manifestare un piacere personale, i secondi, invece, dovrebbero svolgere la funzione di governo del comportamento. Ma il giudizio di valore che cosa è? Vi è una sola alternativa possibile: o è un valore assoluto, in qualche modo trascendente, che è giunto all’essere umano dal di fuori per illuminazione, per rivelazione, per quant’altro di immaginabile; oppure è un valore relativo, nato nella mente del soggetto agente e caratterizzato dalla sue preferenze. Si tralasci ancora il primo caso, che resta indimostrabile empiricamente e che, comunque, deriva sempre dalla duplicazione del mondo, e si affronti il secondo caso. Esso non si distingue dal giudizio estetico: è soggettivo nel medesimo modo; porta giu- stificazioni solo apparentemente diverse alla propria adozione; infatti, al di là di giustificazioni autonome od eteronome, funzionali, utilitaristiche, pietistiche, anagrafiche, culturali, etc., la scelta finale altro non è che una preferenza personale, un equilibrio tra le convinzioni e le scelte possibili, che soddisfi il soggetto, lasciandolo emotivamente tranquillo. Il giudizio di valore è un giudizio estetico formulato in modo diverso, poiché pone l’accento sul comportamento da tenere e non sul piacere nel tenerlo, ma la forma non riesce a mascherare il piacere di fondo, che si colloca all’origine delle scelte etiche; dunque, poco conta la forma funzio- nale, ciò che importa è, invece, la matrice, la natura comune, unitaria, che li caratterizza. Inoltre la loro sovrapponibilità perfetta è anche confermata dal modo in cui se ne può venire a conoscenza: per sapere quali siano i giudizi estetici e di valore di un soggetto non è possibile fare altro che porre la domanda al soggetto medesimo od osservarne il comportamento, pre- supponendo (sperando) che il pensiero sia coerente con l’azione. Tuttavia i giudizi estetici presentano un vantaggio empirico su quelli di valore: il giu- dizio estetico produce un immediato senso di piacere nel soggetto, piacere che è empiricamente verificabile; al contrario, il giudizio di valore aspi- rerebbe ad essere disinteressato e, quindi, il piacere non dovrebbe essere percepibile nell’imperativo del dovere. Ciò ovviamente nasconde il piacere          Il diritto come estetica 101 originario della scelta etica, ma, soprattutto, lascia intendere l’estraneità alla verifica/falsificazione empirica del giudizio di valore, in quanto asso- luto, a priori, arbitrario. Anche il giudizio estetico è e resta arbitrario, ma esso riconosce la propria origine empirica nel piacere e, quindi, può essere studiato anche senza duplicare il mondo. Demistificare il giudizio di valore significa svelarne l’egoismo e la volontà di potenza, che nasconde. Il pathos dell’aristocrazia e della distanza [...] il duraturo e dominante sen- timento totale e basilare di una specie superiore e dominante nei confronti di una specie inferiore, di un sotto, questa è l’origine dell’opposizione tra buono e cattivo. (Il diritto signorile di imporre nomi, risale così indietro nel tempo, che si sarebbe autorizzati a ritenere l’origine della lingua stessa come espressione di potenza di chi era al potere: essi dicono questo è questo e questo e con un suono impongono il loro sigillo a cose e avvenimenti e, così facendo, se ne impossessano)11. Il giudizio di valore ha una lunga storia dietro le spalle di violenza, di persecuzioni, di soprusi, di processi, di torture, di eresie, di condanne capi- tali proprio per questa sua tendenza a porsi fuori dall’immediato giudizio umano individuale, per questa sua costante aspirazione all’assoluto, anche quando si manifesta palesemente come relativo, come appunto avviene nell’ambito del diritto. Infatti, quando il giudizio di valore prende vera- mente atto della propria relatività, si apre il capitolo del nichilismo e del nichilismo giuridico. Il giudizio estetico, invece, non sembra manifestare questa tendenza: esso è relativo e tale resta, almeno nella attuale cultura occidentale, eppure i due giudizi sono un medesimo giudizio, che, più cor- rettamente dovrebbe essere definito solo giudizio estetico12. Per continuare ora la marcia verso il diritto estetico si devono svolgere alcune considerazioni intorno al diritto. Non si tratta certo di aspirare ad una compiuta definizione di diritto, che ha affaticato vanamente genera- zioni di giuristi, quanto piuttosto di estrarne alcuni caratteri, che possono evidenziarne la natura. Kelsen individua chiaramente due aspetti diversi, ma fondamentali, del diritto: la validità e l’efficacia. 11 F. Nietzsche, Genealogia della morale, Newton Compton Editori, Roma 1988, p. 49. 12 “[...] quello che vale per i giudizi di valore sensoriali e estetici vale anche per quelli morali, di cui fanno parte quelli politici e sociali”. Th. Geiger, Saggi sulla società industriale, cit., pp. 452-453.           102 Il diritto come estetica La possibile indipendenza della validità della singola norma giuridica dalla sua efficacia indica nuovamente la necessità di distinguere con chiarezza fra i due concetti13. La validità attiene alla vincolatività giuridica della norma, l’efficacia, invece, alla sua capacità di manifestarsi nella realtà operativa umana. La validità appartiene al mondo delle convinzioni, mentre l’efficacia a quel- lo dell’empiria. Efficace è una norma che viene applicata da coloro cui è diretta, rivolta; valida è una norma che viene considerata appartenente all’ordinamento giuridico vigente, ossia in essere in un certo luogo e tempo (si tratta sempre di convinzioni personali). In entrambe i caratteri la realtà, tuttavia, non può essere tralasciata: è evidente per l’efficacia, ma è altret- tanto evidente anche per la validità dell’ordinamento giuridico, che o si impone o non si impone come efficace. Come è impossibile nella determinazione della validità di astrarre dalla re- altà, così è anche impossibile di identificare la validità con la realtà. [...]. Nel senso della teoria qui sviluppata il diritto è un determinato ordinamento (od organizzazione) della forza14. Il diritto, dunque, si presenta sia come valore (validità), sia come forza (efficacia), ma anche la validità a livello di ordinamento giuridico, ossia di cambio di regime politico o sociale, si riduce ad efficacia, in breve, a forza. Certo, la validità cerca di pilotare l’attenzione verso il giudizio di valore, verso il dover essere, verso la vincolatività, verso la doverosità, ma il depi- staggio non è sufficiente a far scomparire la forza, la violenza (sanzione), come principale carattere identificativo del diritto. È al vincitore che appartiene il vinto, con la sua donna e i suoi figli, i suoi beni e il suo sangue. La violenza è il primo fondamento del diritto, e non c’è diritto che nel suo fondamento, non sia tracotanza, usurpazione, prepotenza15. La forza del diritto è, dunque, mera forza bruta, mera violenza, alla qua- le è difficile resistere, senza subire gravi danni materiali. Il mito dell’ob- bligo giuridico, della doverosità, prima, morale e, poi, anche giuridica, non descrive fedelmente il fenomeno diritto, ma lo cela dietro un immateriale velo di spontanea subordinazione, di impegno interiore, che poco o nulla esprime del reale. Nel dover essere la fantasia imperversa libera da qualsia- 13 H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del diritto, cit., p. 104. 14 H. Kelsen, op. cit., pp. 101-102. 15 F. Nietzsche, Verità e Menzogna, Newton Compton Editori, Roma 1988, p. 103           Il diritto come estetica 103 si vincolo empirico verso poli opposti di intensità, che vanno da una razio- nalità morale dubbiosa, moderata e tollerante ad un integralismo fanatico ed intollerante, e di qualità, di contenuto variegato e molteplice. Sia i giuristi che i filosofi sono perfettamente consapevoli del fatto che la forza vincolante del diritto non è un elemento del mondo spazio-temporale che li circonda, del mondo empirico. L’ovvia conclusione a cui dovrebbe portare tale constatazione è che la forza vincolante esiste soltanto nell’immaginazione degli uomini. Ma la convinzione della sua esistenza reale è talmente radicata che una simile idea non è stata quasi mai formulata. Al contrario la nozione di forza vincolante intesa nel senso tradizionale ha continuato, e continua tutto- ra, a costituire una della assunzioni fondamentali di tutte le teorie giuridiche correnti16. Il diritto è l’organizzazione della forza operata dal gruppo sociale domi- nante, sia esso politico, economico, etnico, religioso od anche solo mag- gioritario; neppure la democrazia, infatti, è estranea a questo contenuto del diritto. Pertanto, la burocrazia, come organizzatrice di questa forza, svolge un ruolo dominante nel diritto, anzi, il diritto come procedura, come applicazione procedurale e processuale è burocrazia, tecnica buro- cratica con tutti i problemi disumanizzanti, che sono già stati evidenziati nel rovesciamento della tecnica da mezzo a fine. Anche il diritto rischia e talvolta subisce tale rovesciamento. Basti pensare al detto latino: Fiat ius et pereat mundus. Il diritto, secondo questo broccardo, deve trionfare in quanto tale, costi quello che costi; si presenta come un imperativo cate- gorico di kantiana memoria, che ha perso la sua funzione di trattamento dei conflitti sociali17 e si è trasformato in un valore assoluto, metafisico, da mezzo è diventato fine. Non si tratta, dunque, di descrivere il diritto quale si vorrebbe che fosse, ma di attenersi rigorosamente al diritto quale esso effettivamente è nella realtà umana. In questa direzione il diritto si manifesta come l’espressione di una preferenza individuale, che, sommata ad altre preferenze individuali omogenee, riesce a raggiungere un punto critico di forza, a produrre una forza dominante, sulla base della quale si impone nel contesto sociale e si organizza secondo il modello burocratico. Questa scelta personale, spesso detta ideologica, altro non è che una prefe- renza estetica del soggetto, che risponde alla domanda: mi piace o non mi piace? L’organizzazione, che ne deriva, dunque, in nulla si discosta dagli stili e dai canoni estetici, che hanno accompagnato l’essere umano lungo 16 K. Olivecrona, Il diritto come fatto, Giuffrè, Milano 1967, pp. 9-10. 17 Cfr. V. Ferrari, Funzioni del diritto, Editori Laterza, Roma-Bari 1987.           104 Il diritto come estetica la storia nelle sue avventure culinarie, musicali, letterarie, architettoniche, pittoriche, scultoree, etc.. Non casualmente, infatti, non solo il nichilismo giuridico ha fatto la sua comparsa all’orizzonte delle nostre società con- temporanee, ma anche i modelli, le regole, i canoni, gli ordini estetici, con la modernità, sono precipitosamente tramontati. Il nichilismo si converte, a parte subjecti, in solipsismo giuridico. Il diritto è scelto da me; accettando l’inizio, anche accetto le procedure, con cui si svolge l’intero ordine di norme. Scegliendo l’inizio di un regime democratico accetto il criterio della maior pars, e procurerò di scendere nel conflitto e di inserirmi in una od altra delle forze in campo18. Il solipsismo è l’essenza stessa del nichilismo; la piena consapevolezza dell’autonomia individuale umana19; il riconoscimento dell’irriducibilità del soggettivismo ad oggettività; la constatazione che l’individuo è il referente ultimo ed indiscutibile di qualsiasi scelta. L’individuo osserva se stesso e, senza la duplicazione del mondo, resta solo con se stesso, con le proprie speranze, con le proprie opinioni, con il proprio senso estetico, ma anche con le proprie angosce e con un profondo senso di impotenza, che certo non riesce ad essere compensata dalla volontà di potenza insita nel nichilismo. Non deve stupire che il nichilismo ed ancor più il nihilismo dei valori terrorizzi i gruppi sociali dominanti. Sono, infatti, essi che governano più facilmente, velando la forza ed il potere con lo strumento del dover essere etico, morale e giuridico, che riescono a meglio celare i propri interessi e le proprie preferenze estetiche sotto una parvenza di universalità, di bene comune, di giustizia oggettiva. [...] la teoria del nihilismo dei valori è altrettanto pericolosa quanto alcuni secoli orsono lo è stata la nuova immagine astronomica del mondo, e cento anni fa la teoria genetica e a suo tempo ogni rivoluzionamento delle rappre- sentazioni abituali. A lungo andare tale pericolosa verità non potrà rimanere celata; gradualmente si imporrà, e sarà pericolosa soltanto nella misura in cui durante un periodo di transizione provocherà disorientamenti passeggeri. Con il graduale adattamento degli atteggiamenti pratici di vita alla nuova visione teorica il pericolo verrà superato. Per ciò che concerne in particolare l’incom- bente pericolo del nihilismo dei valori, di una disgregazione morale, io non riesco a vederlo. Nessun nihilismo dei valori potrà far sì che il nostro standard 18 N. Irti, Nichilismo giuridico, cit., p. 139. 19 Cfr. V. Frosini, L’ipotesi robinsoniana e l’individuo come ordinamento giuridico, in Sociologia del Diritto, 2001/3, pp. 5-15.           Il diritto come estetica 105 morale sia più disgregato di quanto già non lo sia a causa dello scisma delle rappresentazioni morali20. La Grande Divisione di Hume si trasforma, come si è visto preceden- temente, facendo cadere il termine giudizi di valore e sostituendolo con il termine giudizi di estetica. Ciò produce un certo vantaggio nel campo della tolleranza, poiché è a tutti noto e da quasi tutti accettato che i gusti sono personali e non discutibili (de gustibus non est disputandum), per- tanto non ha senso affaticarsi a convincere gli altri della maggiore bontà dei propri gusti, della bontà dell’arrosto piuttosto che dello stufato o del bollito, della bellezza dello stile architettonico romanico piuttosto di quel- lo gotico o barocco. Il soggettivismo appare in tutta la sua sfrontatezza e taglia la strada a qualsiasi tentativo di oggettivizzazione. Ma ciò vale tanto per il prossimo, quanto per il soggetto medesimo e questo fatto (si tratta di un fatto l’origine personale dei giudizi) mina alla radice ogni presuntuosa pretesa di verità assoluta. Solo l’ottusità cerebrale potrà consentire con- vinzioni personali certe ed intolleranti delle, altrettanto possibili quanto le nostre, scelte e ragioni estetiche altrui. Il nichilismo ha in parte contribuito a costruire questa strada ed in altra parte ne è la conseguenza. Il nihilismo, poi, ne è lo sviluppo logico più radicale, ma anche più concreto e coerente. L’inesistenza fattuale, oggettiva dei valori non poteva più trovare pudica copertura nell’ipotetica equivalenza di qualsiasi valore. Il soggettivismo non produce tante oggettività diverse, non produce alcuna oggettività. Il soggettivismo, se rende il soggetto consapevole dei propri limiti, dovreb- be guidarlo anche verso una revisione critica delle proprie convinzioni, prima che verso la censura delle convinzioni altrui. Il nihilismo non è né caos, né arbitrio capriccioso, ma semplice consapevolezza dei propri limiti conoscitivi e questi limiti, nella loro varietà, forniscono il panorama del multicolore teatro umano. La pazzia è una forma particolare dello spirito e aderisce a tutte le dottrine e le filosofie, ma ancor più alla vita di ogni giorno, poiché la vita stessa è colma di follia ed è sostanzialmente irragionevole. L’uomo aspira alla ragione solo per potersi creare delle regole per lui stesso. La vita in sé non ha regole. Questo è il suo segreto, questa è la sua legge sconosciuta. Quello che tu chiami cono- scenza è un tentativo di imporre alla vita qualcosa che risulti comprensibile21. 20 Th. Geiger, Saggi sulla società industriale, cit., p. 559. 21 C.G. Jung, Il libro rosso. Liber novus, Bollati Boringhieri, Torino 2013, pp. 227-228.           106 Il diritto come estetica La partita intorno al nihilismo la si può giuocare solo se si considera fuorviante la duplicazione metafisica del mondo; è, infatti, solo nell’ipotesi metafisica che i valori non sono giudizi, ma fatti di una oggettività assoluta, tanto assoluta da essere trascendente. Il dualismo cartesiano, razionale (res cogitans/res extensa), potrebbe anche sussistere, giacché nulla impedisce in via teorica che le scelte estetiche siano frutto di autonoma elaborazione mentale. Intorno al tema del determinismo o dell’indeterminismo, poi, la caduta della categoria del dover essere e della sua sostituzione con il giu- dizio estetico, non muta la prospettiva, che resta come scelta necessaria nel primo caso e libera nel secondo. Evidentemente si avranno due diversi giudizi estetici: l’uno condizionato dal sistema e l’altro espressione della scelta, della preferenza del soggetto singolo. Resta sempre aperto il proble- ma se il soggetto può essere completamente libero da condizionamenti di qualsiasi tipo, a cominciare da quelli culturali, ma questi condizionamenti potrebbero anche essere intesi proprio come i limiti personali, individua- li della conoscenza. Deve risultare ben chiaro che né le ipotesi trascen- denti, né quelle immanenti e neppure il determinismo e l’indeterminismo possono essere sostenuti da verifica/falsificazione empirica; al massimo è possibile affermare che ciò che si verifica empiricamente è empiricamente verificabile: una tautologia, come è evidente. Il nichilismo, tuttavia, viene visto da Nietzsche, e non solo da lui, come un mostro incombente, come una sciagura del nostro mondo occidentale, ma una tale visione negativa appare eccessiva a chi scrive: Pensiamo questo pensiero nella sua forma più terribile: l’esistenza, così com’è, senza senso e scopo, ma che ritorna ineluttabilmente senza finire nel nulla: l’eterno ritorno. È questa la forma estrema del nichilismo: il nulla (il non senso) eterno!22. È bene ripeterlo; il nichilista ed il nihilista dovrebbero mettere in discus- sione le proprie scelte, non le altrui, che rispondono ad un soggettivismo esterno ed estraneo al nostro e, quindi, si presentano insindacabili, in quan- to autonome. L’educazione in questo ambito è destinata a trasformarsi in autoeducazione, in autocontrollo, in autolimitazione, non certo in arbitrio verso il prossimo, sul quale non si potrebbe vantare alcun titolo, come il prossimo non può vantare alcun titolo verso il soggetto agente. Risulta evidente che etica, morale, diritto, sinteticamente, dover essere, in questa cornice risultano privi di senso, ma ciò non significa, che la vita 22 F. Nietzsche, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano 2006, pp. 13-14.           Il diritto come estetica 107 umana sia priva di senso. Significa soltanto che il senso non è dato, non può essere dato, da valori né morali, né giuridici, ma solo dal soggetto stesso, ammesso che abbia senso interrogarsi intorno al senso di un essere, di un esistere che si presenta come dato ineluttabile, ineludibile, come un dato primo, come una singolarità, si potrebbe dire con espressione propria della fisica teorica. Un diritto estetico è solo espressione di una maggiore consapevolezza intorno alla realtà, non certo di un imbarbarimento dei costumi. Se, infatti, il diritto estetico è mero frutto di una descrizione, come pare che sia, e non di una scelta valoriale, allora già esiste nei fatti, come sostiene chi scrive, e nulla muta nell’averlo smascherato, se non una maggiore chiarezza sul- la natura e i limiti del diritto. Il diritto estetico è un diritto positivo, che non si nasconde dietro né la trascendenza universalistica dello Stato, né la doverosità metafisica della norma, ma prende atto della propria origine arbitraria umana. Del resto è interessante riflettere intorno al fatto che già in epoca romana si discuteva sull’identificazione di ius come ars. L’idea di associare alle artes la conoscenza del ius appare infatti, sia pure di fuggita e in modo concettualmente marginale, in due testi di Tacito e di Gellio, entrambi, curiosamente, riferiti a Labeone [...]. La connessione fra ius e ars era stata infatti, tempo prima, una bandiera [...] degli studi giuridici di Cicerone. Quando Celso scriveva non poteva pensare che a lui23. Naturalmente, all’epoca, il termine ars non corrispondeva all’attuale si- gnificato di opera artistica, tuttavia, nella interpretazione di Marco Tullio Cicerone (106 a. C.-43 a. C.) esso descriveva l’elaborazione di un metodo, di una teoria tecnico-logica universale, di una dottrina razionale. Tale dot- trina, frutto dell’interpretazione giuridica, spostava sulla ragione umana il contenuto normativo e, quindi, consapevolmente o inconsapevolmente il diritto, pur sembrando trasformarsi in una forma di conoscenza e non di volontà, in realtà diveniva una elaborazione dei giuristi, una scelta relativa, arbitraria, soggettiva, come tutte le scelte umane. Nota infatti senza esitazioni Guido Alpa: Un po’ di sano realismo consente di dissacrare i dogmi dell’interpretazione, o, meglio, di strappare il velo dell’omertà su dogmi interpretativi. Questi dog- 23 A. Schiavone, Ius. L’invenzione del diritto in Occidente, Einaudi, Torino 2005, p. 385.           108 Il diritto come estetica mi tacitando le coscienze, restituiscono tranquillità al giudice, danno conforto al dottore. Tutti questi schemi o espedienti possono essere considerati per l’appunto schemi o espedienti da parte di altri interpreti, e quindi la linea del lecito e dell’arbitrio tende a spostarsi o a non riconoscersi. Nella più parte di casi essa coinciderà con la linea che la maggioranza degli interpreti dirà essere collocata nella posizione corretta24. Il soggettivismo, di cui l’interpretazione è un aspetto, esprime nel diritto estetico tutta la propria potenzialità delegittimante di Stati, ordinamenti giuridici e norme giuridiche non condivise, ma semplicemente subite. Poiché l’origine dell’autorità, la fondazione o il fondamento, la posizione della legge possono per definizione appoggiarsi alla fine solo su loro stessi, sono anch’essi una violenza senza fondamento. Il che non vuol dire che siano ingiusti in sé, nel senso di illegali o illegittimi. Non sono né legali né illegali nel loro momento fondatore. Eccedono l’opposizione del fondato e del non fondato, come di ogni fondazionalismo o di ogni antifondazionalismo. Anche se il successo di performativi fondatori di un diritto (ad esempio, ed è più di un esempio, di uno Stato come garante di diritto) suppongono delle condizioni e delle convenzioni preliminari (ad esempio, nello spazio nazionale o interna- zionale), lo stesso limite mistico risorgerà all’origine supposta delle suddette condizioni, regole o convenzioni – e della loro interpretazione dominante. [...] il diritto è essenzialmente decostruibile [...] perché il suo ultimo fondamento per definizione non è fondato25. Ancora una volta per discutere del fondamento si deve uscire sia dal soggettivismo, sia, conseguentemente, anche dall’empiria, per entrare in una qualche forma di duplicazione mistica del mondo. L’alternativa, sem- pre possibile resta il nichilismo/nihilismo, ma anche del nichilismo/nihi- lismo si può avere una versione metafisica ed una non metafisica legate alla sorte dell’Essere e dell’Ente: inesistente, il primo, (metafisica come affermazione infondata); in dissoluzione, il secondo, (come espressione empiricamente verificabile/falsificabile). Se l’Essere è inesistente la me- tafisica diviene priva di fondamento, mentre l’Ente, dissolvendosi nel non essere, appartiene al mondo dell’empiria. Tuttavia la dimensione metafisi- ca può anche sopravvivere, monoteisticamente, con un Essere molteplice, 24 G. Alpa, Interpretare il diritto: dal realismo alle regole deontologiche, in J. Derrida, G. Vattimo (a cura di), Diritto, Giustizia e Interpretazione, Laterza, Roma-Bari 1998, p. 210. 25 J. Derrida, Diritto alla giustizia, in J. Derrida, G. Vattimo (a cura di), op. cit., pp. 16-17.           Il diritto come estetica 109 ad esempio, nel Cristianesimo, con una Divinità una e trina e, nella Gnosi, con il progressivo alienarsi, decadere del divino nella materia, (in alterna- tiva politeista: con una molteplicità di Esseri equivalenti) oppure con un Ente cristallizzato, che si manifesta immutabile. Ma anche la negazione, il Nulla, se dotato di esistenza, di presenza e non di assenza, vincola alla metafisica. Si sarà già capito che il nichilismo rimane impigliato nella metafisica fino a che, anche solo implicitamente, si pensa come la scoperta che là dove crede- vamo ci fosse essere, c’è, in realtà, il nulla. Così, dove credevamo ci fossero principi della legge c’è solo l’arbitrio del legislatore o dell’interprete, la de- cisione infondata, e per questo essenzialmente violenta, che deve essere resa accettabile dalla finzione delle affabulazioni, o da una accettazione motivata misticamente (nella versione kierkegaardiana del nichilismo). Una definizio- ne non metafisica del nichilismo si può invece formulare richiamandosi all’e- spressione con cui Heidegger caratterizza la storia del nichilismo nietzschiano: nichilismo è la vicenda nella quale dell’essere come tale non ne è (più) nulla. Nichilismo, se non deve (e non può) intendersi come la scoperta che al posto dell’essere c’è il nulla, non può che pensarsi come la storia (senza fine – senza conclusione in uno stato in cui al posto dell’essere c’è il nulla) in cui l’essere, asintoticamente, si consuma, si dissolve, si indebolisce26. Il Nulla è entità metafisica al pari dell’Essere, tuttavia, paradossalmente, tale negazione dell’Essere, del Principio può trasformarsi, capovolgendosi, in affermazione a livello di teologia negativa. Scrive, infatti, Andrea Emo (1901-1983): Il principio. Dobbiamo cominciare con un principio. Ma, nessun principio è definibile od oggettivabile. Dobbiamo dunque cominciare con la rinuncia ad un principio, il che equivale ad una negazione del principio. Ed è appunto questa negazione che è il principio. Il cogito. Come passare da questa negazione alla presenza. Dobbiamo contemplare l’origine della negazione. L’assolutezza della presenza consiste in questo: che essa non è presenza in quanto presenza di qualcosa, ma è presenza per sé, in quanto cioè nega ogni cosa. Nega ogni cosa che non sia la presenza stessa. Il suo essere pura presenza è un essere presenza di... che è un essere presenza di nulla, quindi è un negarsi, appunto perché è un ridurre a presenza27. 26 G. Vattimo, Fare giustizia del diritto, in J. Derrida, G. Vattimo (a cura di), op. cit., p. 286. 27 A. Emo, Il Dio negativo. Scritti teoretici 1925-1981, cit., pp. 18-19.           110 Il diritto come estetica La negazione diviene, metafisicamente, affermazione proprio per la sua alienazione da qualsiasi affermazione. Ma questa affermazione negativa della metafisica si distingue dall’affermazione positiva dell’empiria, poi- ché mentre quest’ultima è oggettivata, individualizzata, è parte di un tutto, la prima, invece, è puro soggetto, privo di specificazioni e qualità empiri- che, proprio perché le trascende come puro Essere. In questa logica nega- tiva conoscenza e volontà, pur coincidendo, si connotano come non cono- scenza e non volontà. Ovviamente, l’ipotesi si capovolge nella metafisica positiva, nella quale conoscenza e volontà si presentano come assolute, e scompare nell’empiria, ove la negazione è metamorfosi, ove il nulla è essere altro. Tuttavia anche nella metafisica negativa il nulla sembra sci- volare nell’altro, tanto altro da essere al di là della fisica e della metafisica, ossia del pensiero umano, ma questo altro è a sua volta nulla, almeno per la dimensione conoscitiva umana, che non riesce a comprendere un altro non umano e fatica ad immaginare una nullità, una assenza assoluta. Tornando ora in modo più stretto al tema del diritto, è possibile riassu- mere quanto detto nel seguente modo: se conoscere e volere coincidono a livello metafisico, nella realtà fisica possono sia coincidere (Spinoza), sia non coincidere (volontà di potenza) e lasciare spazio a scelte soggettive. Il diritto, inteso come estetica, consente di non rinunziare al diritto, pur rela- tivizzandolo, e di affidare al singolo soggetto l’adesione o meno al diritto dominante, che in questo modo non rappresenta più una obbligatorietà, ma l’alternativa tra una vita omologata, ma sicura (forse), ed una vita origina- le, deviante, ma pericolosa. La norma estetica può essere obbedita o disat- tesa. Il disattenderla, senza possedere una potenza, una forza sufficiente a piegarla alla propria volontà, significa soccombere alla forza dominante. Disattendere il diritto diviene una scelta come tante altre, della quale si possono subire le conseguenze, generalmente sgradevoli. Il determinismo o la volontà di potenza governano comunque il sistema umano, ma almeno non sopravvive l’inganno di un mitologico dover essere, frutto dell’ulterio- re sdoppiamento nel soggetto che agisce e nel soggetto che guida l’azione. Nichilismo/nihilismo, in sintesi, sono la demistificazione del mondo ed il diritto estetico è ciò che resta del diritto dopo questa demistificazione, che, tuttavia, è solo empirica e, quindi, non può fornire certezze assolute. Ma l’incertezza, il dubbio sembrano proprio essere il sigillo della condizione umana. Infatti, la duplicazione del mondo, dei piani della conoscenza e del- la volontà si presenta come una possibile via di fuga dall’incertezza, dalla solitudine angosciante dell’individuo; ma, al contempo, è anche la misura fisiologica del biologico, della stirpe animale ed umana. La duplicazione, dunque, si manifesta sia come una contromisura psicologica ed artificiale          Il diritto come estetica 111 alla condizione umana di assenza di senso esistenziale, sia come naturale moltiplicarsi e perpetuarsi della vita. La singola cellula aliena parte di se stessa, scindendosi in due cellule. Dalla madre fuoriesce per espulsione viscerale la prole. Le scissioni, il sacrificio di parte del proprio corpo per generare il corpo dell’altro è un processo traumatico di riproduzione, che tendenzialmente volge verso l’infinito, salvo eventi esterni ed imprevi- sti, che ne interrompono lo sviluppo. Dall’uno scaturisce per rottura un secondo uno, il due, ed, una volta iniziata la pluralità, automaticamente, sopraggiungono gli altri numeri (3, 4, 5, 6, ..., infinito). Anche l’infinito, come idea, è richiamato da questo processo moltiplicativo, ma, come in matematica, è una duplicazione (finito/infinito) espressione di un processo al limite, che mai si compie, che, per sua stessa natura, non può compiersi, giungere al termine, altrimenti cadrebbe la duplicazione stessa e resterebbe solo il finito. La vita propone la tentazione dell’infinito, ma, subito, infligge la disil- lusione. Ogni duplicazione si presenta come speranza e si accomiata come sconforto. Resta solo un soggetto, della cui identità tutto o quasi si ignora (dell’oggetto, poi, non vi è neppure certezza della sua stessa esistenza), con il proprio sentire incomunicabile se non attraverso l’atto comportamentale. Un sentire percorso da limiti organici, stimoli, motivazioni, giustificazioni, condizionamenti, influssi misteriosi, comandi metafisici, etc., ma pur sem- pre riducibile ad una semplice alternativa: mi piace/non mi piace. Nella solitudine dell’essere è questa l’unica certezza; una certezza dal contenuto vario e variabile, come vari e variabili sembrano essere i singoli soggetti; una certezza che può essere definita estetica. Morris Lorenzo Ghezzi. Morris L. Ghezzi. Gezzi. Keywords: i tordi ubriachi, i tordi, tordo, “drunk as a thrush/newt” turdus ubriacus – sturdy – I tordi -- nihilism about values, Mackie, Inventing right and wrong, Hare, emotivism, Grice, The conception of value, valitum – valore – axiology, stato federale, federazione, fascismo, il fascismo e la autobiografia d’Italia – Gobetti – statocentrale – diritto – diritto naturale e diritto artificiale – assiologia, codice valoriale, fierezza, onore, massoni, bruno, Alighieri, conte Cagliostro, bobbio, nihilism, nichilismo, pena e castigo, Beccaria, delitto, delinquent, delinquenza, devianza, diritto come estetica. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ghezzi: l’implicatura del tordo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757983938/in/dateposted-public/

 

Grice e Ghisleri – atlante filosofico – federalismo contrarivoluzione – lo stato -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Cascina Sant’Alberto). Filosofo. Grice: “Whereas to many, Ghisleri’s best work is that on Ancient Rome and counter-revolution, I treasure the details: ‘the pen is like a sword’ – ‘the pen and the sword.’ “The pen is my sword.’ Note that the first is a mere simile – as used by Ghisleri, but his executor turns it into a metaphor just by eliding the ‘like’ (“come”). Grice: “I like Ghisleri – a typical Italian philosopher; wrote on geography, on ‘la penna d’oca,” and a fabulous history of Roman philosophy!” --  “He was into politics, too!” L'Italia non è studiata, non è conosciuta dagli italiani. Dobbiamo rifare la nostra educazione politica e civile sulla base di una nuova e più razionale conoscenza del nostro paese. Dobbiamo studiare l'Italia regione per regione nella natura del suolo, nella sua topografia, ne' suoi prodotti nelle sue industrie, ne' suoi dialetti, nelle sue tradizioni, nelle sue varie necessità politiche e sociali.” Fonda La Società dei Liberi Pensatori (L’'Associazione Nazionale del Libero Pensiero "Giordano Bruno") di chiare simpatie democratiche e repubblicane. Iniziato in Massoneria, l'anno seguente entrò nella Loggia "Pontida" di Bergamo e nel 1906 fu affiliato alla Loggia "Carlo Cattaneo" di Milano.  Ghisleri diede alle stampe una nuova rivista mensile, Cuore e critica, rivolta all'educazione civile e agli studi sociali ed espressione di un'avanguardia intellettuale impegnata nella costruzione di una coscienza repubblicana e progressista. Sorta a Savona, la redazione della rivista si trasferì a Bergamo, in coincidenza con il trasferimento del Ghislèri al Sarpi di quella città. Si dedica con assiduità agli studi di geografia e di cartografia, che aveva cominciato a coltivare quando insegnava a Matera. Allora si era sentito mortificato nel constatare che nelle scuole italiane venivano adottati atlanti stranieri, assai carenti nel trattare la geografia storica dell'Italia. Dopo aver pubblicato il “Piccolo manuale di geografia storica” (Bergamo) volle perciò cimentarsi in un'impresa che non era mai stata tentata: la realizzazione di un testo-atlante che desse il dovuto rilievo all'evoluzione storico-geografica dell'Italia. Al progetto fu interessato lo stabilimento "Fratelli Cattaneo di Bergamo" che, grazie al successo delle iniziative editoriali promosse da Ghisleri, si trasformò in Istituto italiano d'arti grafiche e s'impose nel settore della cartografia. Ghisleri concepì il suo atlante in modo da offrire per una stessa regione molteplici carte e cartine con le denominazioni e le divisioni topografiche proprie di ogni epoca. L'apparizione dell'atlante fu salutata dalle lodi di esperti e studiosi, ma suscitò anche riserve di parte del mondo accademico, che rimproverava al Ghisleri superficialità e la commistione tra la geografia fisica e la storia dei popoli, delle civiltà, delle esplorazioni, dei commerci. Commistione del resto ricercata dal Ghisleri che, in polemica con il tradizionale approccio alla geografia e senza sentirsi condizionato dai limiti angusti dei programmi scolastici di allora, perseguiva metodi nuovi nello studio e nell'insegnamento della materia. Tenne la cattedra di filosofia nel Liceo di Lugano. Giornalista, fu direttore di «La geografia per tutti» e «Le comunicazioni di un collega».Di idee mazziniane, recepite soprattutto nella versione che ne proponeva Saffi, in campo politico fu vicino ai movimenti rivoluzionari e collabora con Gaudenzi alla fondazione del Partito Repubblicano Italiano. Tuttavia Ghisleri non fu un ideologo sistematico: una sistematizzazione del suo pensiero è soprattutto opera di Conti.  Diresse la rivista Preludio di stampo filosofico positivista e progressista. Diresse L'Italia del popolo.  Al Congresso del Partito Repubblicano, tenuto a Forlì, intervenne con una relazione su La questione meridionale e la sua logica soluzione. Demofonti, La riforma nell'Italia del primo Novecento: gruppi e riviste di ispirazione evangelica, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Vittorio Gnocchini, L’Italia dei Liberi Muratori, Milano-Roma, Mimesis-Erasmo. Altre opera: “La Scapigliatura democratica: carteggi” (Pier Carlo Masini,Milano), L'archivio di Ghisleri fu ritrovato da Pier Carlo Masini ed è depositato presso la Domus Mazziniana di Pisa. Democrazia come civiltà. Il carteggio Ghisleri-Conti, Antonluigi Aiazzi, Libreria Politica Moderna, Firenze, Tripolitania e Cirenaica dai più remoti tempi sino al presente, Emporium, novembre, Tripolitania e Cirenaica, dal Mediterraneo al Sahara, monografia storico-geografica, Società Editoriale Italiana, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, Le meraviglie del globo esplorato e le zone non ancora conosciute Letture geografiche Società Editoriale Italiana, Milano, Bagdad e la Mesopotamia nel passato e nell'avvenire, Emporium, giugno, Lombroso nella vita intima, Emporium, luglio 1917 L'ultima colonia africana della Germania, Emporium, Atlante scolastico di Geografia moderna astronomica-fisica-antropologica,Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo (a cura dei professori Magg. G.Roggero, G.Ricchieri, A.Ghisleri) Saffi. La vita, gli studi, l'apostolato, Libreria politica moderna, Roma, La questione meridionale nella soluzione del problema italiano, Libreria politica moderna, Roma, “Testo-atlante di geografia storica generale e d'Italia in particolare, espressamente compilato per le scuole italiane conforme ai loro programmi- I Mondo Antico; II Storia Romana; Fratelli Cattaneo e poi Istituto di Arti Grafiche, Bergamo. Medio Evo, Evo Moderno e contemporaneo Atlante d'Africa, Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, Antipode, a Radical Journal of Geography, Berardi, Verso un nuovo Risorgimento. Il Carteggio tra Ghisleri e Belloni, Acireale-Roma, Bonanno, Dizionario biografico degli italiani,  L'Italia risorgimentale di Ghisleri, Milano, Angeli, Aroldo Benini, Vita e tempi di Ghisleri, con appendice bibliografica, Manduria, Lacaita, Tomasi, Scuola e liberta in Arcangelo Ghisleri: con una scelta di lettere inedite dell'archivio Ghisleri, Pisa, Nistri-Lischi, Ghisleri: mente e carattere: L'Italia e la rivoluzione italiana, Milano, Sandron Editore, Treccani. Arcangelo Ghisleri, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere di Arcangelo Ghisleri, su Liber Liber.  Opere di Arcangelo Ghisleri, su openMLOL, Horizons.   ANTROPOGEOGRAFIA.   21. Antiobb oe.sti b vicbndb storiodb DBLL'I-  TAbiA 6RTTKNTRI0NALB. — Avanzi di armi e di stru¬  menti di pietra primitivi, preistorioi (punte di  soioe» epeoie di asole oon.) e poi di bronzo e di  ferro» nonobè avanzi di palafitte, di abitazioni  umane, dei pasti, di oggetti diversi ritrovuti In  più luoghi nel sottosuolo, dimostrano ohe l'Italia  settentrionale fu abitata nelle età più remote,  anohe prima^ del xieriodo storioo, quand'ossa era io    gran parte oooupata da foreste e da paludi. Ma  di oodesci primissimi aoitanti ben pooo» quasi nulla   Allorché si oominotano ad avere documenti sto-  rfoi sulle popolazioni dell* Malia settentrionale  questa si trova abitata in qualche tratto delle  Alpi centrati dai Reti, di stirpe etrusoa» ohe la¬  sciarono il loro nome alle Api Retiohe; ma per  massima parte del resto, sopratutto nel bassopiano  Padano (dove sono attualmente il Piemonto, la  L/)mbardÌa»l'Bmilial» dal OtltioÒollif da ouÌ venne  appunto il nome antico éìOallia ei$alpina. Nella  attuale Liguria, invece» erano i Liguri, ohe si ore-  dono afnni alla stirpo Iberica» e nella parte orien¬  tale 1 Kensff» di stirpe Illirloa, il ouÌ nome sioon-  Borva appunto anohe attualmente.   l Romani più tardi si sovrapiiosoro agli abitanti  e li assimilarono; non oosl però ohe non si distin¬  guano anoora» soprattutto nei dialetti» le tracce  delle antiche genti nel vari oompartimenti. Pinal-  roente nel medio evo avvennero lo Invasioni bar¬  bariche. Ma i Oérmanici invaoori, rolatlvamento  I>oohl di numero» invece di far soomparire ia po¬  polazione vinta, si ooufusoro oon essa» adottan¬  done la piviltà e la lingua o lasoiando di sO ap¬  pena { ricordi in certi nomi (ad es. Lombardia dai  Longobardi).   Nell’800 d. U. Carlo Magno» re del Fronohl, vinti  i Longobardi, fu dal PonteHoe di Roma incoronato  Imperatore Augusto, considerato cioè quale erede  dell'autorità e dei diritti dell'impero Romano  d’Oecidontei il quale, almeno di nome, durò fino  al jprinoipio del 13ii0, vale a diro por diooi seooli.  H}' in baso a tali diritti ohe Carlo .Magno e i suoi  Huooessori pretesero al dominio dell'Italia e spo-  oiulmente deiritalia sottoritrioiialo e della cen¬  trale» mentre 'l' Italia meridionale oontfnuò per  oiroa due seooli a oonslderarsiinolusaneirimpero  d'Oriente» greoo-bisantino. ~ Passata» Uopo raen  di un sooolo, la oorona imperiale dai diretti di-  Noendenti dì Carlo Magno ai ro Germanioi anche  l'Italia settentrionale e oentralo fooe parte del  oosiddetio Sacro Romano Impero della nazione  Germanica e fu divisa in feudi, assegnati ai vas¬  salli dei sovrani tedoaohi. Questi però si trovarono  in lotte continue tanto oói Pontefloi di Roma,  quanto oolle popolazioni» soprattutto delle città;  le quali, cresciute in potenza e rionhezza oon le  industrie e ool oommorol. vollero ornanoiparsi e  governarsi sotto forma di liberi Comuni. Alcuni  di ouosti, oome Milano e le città marittime di Ve-  nesia e di Genova acquistarono, colla libertà» una  importanza e potenza, una gloria e prosperità  sempre maggiore. — Disgraziatamonto. però» le  lotte fra oittà o oitt.à o quello intorno tra lo olassl  scoiali, prepararono la trasformazione dei oomuni  in signorie» e mantonnero l'Italia divisa e mili¬  tarmente debole» proprio nel moatroaldi là delle  Alpi, in luogo del frazionamento dei feudi e del  oomuni, si costituivano doi forti regni unitari e  nazionali» ohe volgevano gU occhi cupidi all’UaHa»  giunta allora al colmo della floridezza eoonomioa  e oivile.   Cosi fu ohe dalla fine del 1400 Tltalia fu Invasa  Uni Franoesi. d.'igli Spagnoli» dai Todesohl. Bonza  ohe gli Stati Italiani opponessero valida resistenza  D'allora In poi soltanto*11 Piemonte sotto la Gasa  di Savoja e la repubblica di Venezia poterono  oonsorvaro la loro indipendenza» mentre 11 diioato  di Milano fu occupato dagli stranieri e anohe gli  nitri stati minori (Ducato di Parma, di Modena,  Murobesato di Mantova eoo.) orano ad essi indiret-  laiuonte soggetti.   Dulia metà del 1500 fin al prlnoipio del 1700 do¬  minò 008 ) nell'Italia settentrionalu la Spagna» a  oiG suooedette l'Austria, mentre una parte d*d-  l'RmiUa (la cosiddetta Romagna» oon Bologna, Ra¬  venna» Ferrara) apparteneva alto stat^/dolla  Chiosa. — Alla flne del 1700 1« rivoluziono Fran¬  cese e quindi l'epoca Napoloonioa portarono anohe  nell'Italia settentrionale grandi mutamenti. Pur  troppo però» il Congresso di Vienna del 1815 as¬  segnò la tradita reptibblloa di Venezia oon la Lom¬  bardia airAustria, mentre la Casa di Savoia ag-         - 39 -    U Liguria al Piemoote ed alia Sardegna,  le derivava il titolo del itegno. tla l’e-  rimento per la liberaiione nazionale trovò  nel Piemonte e nell* Italia settentrionale  mtri e focolari maggiori e s’iniziarono le  ria unità e l’indipendenza, l’ultima delle .  tra coronata dalle gloriose vittorie del  li Vittorio Veneto. (Ved. Atl. tav. VI).   22. Sdpbbfioib b popolazionb. — Sopra  una superfloio ohe si può oaloolare, entro  ai oonfiiii fisioi, di circa 132 000 kmq., ha  ora una popolazione che ei calcola di circa  18 700000 di ab.   pi codesta superfloie i oonBni del Regno inelu'  devano finora soltanto lOiUOO km> oiroa, mentre  ora ne inoludono IZ7 000 ; e includevano otre» 16  milioni 0 >/z di ab., mentre ora la popolazione,  per i nuovi acquisti (oiroa 1 milione e i/il o per il  oaturale aumento annuo, si oaloola di oiroa 18 mi¬  lioni.   Tale popolazione tende continuamente  a crescere, nonostante la forte emigrazione  di alcuni compartimenti, soprattutto del  Veneto, del Piemonte e della Lombardia.   La densità dunque dell’Italia Bettentrio-  nale entro ai nuovi oonBni del Regno ri¬  sulta in media 141 ab. per kmc^., mentre  entro ai vecchi confini sarebbe di IBO. L’I¬  talia settentrionale ha perciò una densità  superiore alla media di tutta Italia, che  nei 1921 risultò di I2fj ab. per kmq. ed è  fra le regioni d’Europa più popolose.   La densità tuttavia è inuguale, perohò in certe  province supera 200 e In quella di àlllano arriva  fino a 002 ab, per kmq. mentre in altre e speoial-  mente nelle regioni montuose può soendero a  mono di 60 por kmq. — Oltre a oio 6 da osservare  ohe, aehbeue la popolazione per le indusirie tenda  ad aumentare nello città, anche la popolazione  eparea deU'ltalia settentrionale 6 assai numerosa  e vive in case sparse e in pioooli villaggi, ohe  dànno alle sue campagne un aspetto molto dille-  rento da quello dell’Italia meridionale e della  Bioilia.   Delle città deli’ Italia settentrionale consi¬  derate nella cerchia del comune, una supera  ormai i 700 000 ab-, Milano — una e^cra  già '/; milione, Torino — una supera 300000  ab., Genova — due superano 200 000, —  Trieste e Bologna — una vi s’avvicina,  Venezia — due superano 100000, Padova e  Ferrara, mentre altre due vi si avvicinano,  Brescia e Verona. La popolazione di quasi  tutte le città dell’Italia settentrionale  tende a crescere.   83 Gruppi ni liroua ■ kazioràlitX btraviera  — Abbiamo già detto ohe nelle valli Alpine Pie¬  montesi (speoialmonte in Val d’Aosta e nelle valli  dpi Valdesi) si parla tuttora franoeee da oiroa SS  mila individui : i quali sono però di eentimenti  nazionali perfettamente italiani. — Ugualmente  legati alla nazionalità italiana sono quelli ohe par¬  lano tetteeoo nelle valli intorno al m. Rosa (Qros-  soney. Alagna, Maougiiaga) oiroa 4mila; — nell'alto-  piano dui Sette Comuni in provinola di Yioenza,  oiroa 3 mila; — e nella Gamia, circa 8 miU. mentre  inve-ie li popolazione tedeso.a dell’Alto Adig^  oompatta nelle valli superiori, oaloolata circa ZOO  mila Individtii.ò stata finora delle piò ostili contro  l'Italia. — Finalmente nel Friuli orientale si tro¬  vavano finora entro i confini del regno oiroa -tO mila    Sloeeni ispnoialmente intorno a Cividale) anoh'essi  nazionalmente fedeli all’Italia : ma oltre ad essi  si trovano Inoluai entro 1 nuovi confini del regno  d’Italia, noi baoino dell’Isonzo, nella otttà e nel re¬  troterra di Trieste, nellTstriao nello Statodi Fiume  oiroa i/i milione di Ulaoi (Sloreni e Croofi) finora  molto ostili agli Italiani.   24. OoOUFàZlONI OBOLI ABITANTI ■ PBO-  DOTTi - IsTRCzioME. (V’cd. Atl. tav. IX). —  L’agricollura occupa il maggior numero di  abitanti ed ò in più luoghi agricoltura in¬  tensiva, con vigneti (specialmente in Pi^  monte) ed orti e veri giardini per la colti¬  vazione dei fiori (in Liguria), — con campi  ohe dànno un prodotto por ettaro pan a  quello dei paesi più progrediti dollaTerra,  — con risaie (speoialmonte in provinoia  di Novara), — con prati irrigui (mar-  oite) specialmente nella bassa Lombardia,  ohe permettono il girando allevamento del  bestiame e l’industria pel cas«i;?cto (nel Lo-  digiano, come pure nel Parmigiano); — fi¬  nalmente con cana;i«/t, soprattutto nell’E¬  milia, — con la coltura della barbabietola da  zucchero (nell’Emilia, nel basso Veneto e  altrove). Gli olivi dànno copioso prodotto  nella Liguria e i gelsi diffusi in tutto il  bassopiano permettono uno sviluppo della  bachicoltura, che rendo l'Italia unode^aesi  di maggior produzione dellaseta nella'Terra.   La Venezia Tridentina darà all’Italia grande  quantità di tranarneoou i nosoni, oue si trovano uu-  nbe in altri luoghi, ma non eooossivamonte al>-  londanti nulla zona alpina. — La pesca t> fonte  abbastanza importante di guadagni lungo le coste  dell’Adriatico e nelle lagune (ealli di Gomaoohio  eco.); ò pooo frutti fra invece nel mar Ligure.   Ma l’occupazione che subito dopo all’ a-  griooltura ha raggiunto nell’ Italia setten¬  trionale uno 8vilup(K) grandissimo ò Tindu-  sfria nelle sue svariatissime manifestazioni.  Sotto questo riguardo l'Italia settentrionale  supera senza confronto il resto d’Italia e può  gareggiare con le regioni più industriali dol-  Pestero, nonostante la mancanza di mate-  ' rie prime (metalli, carbone, cotone eoc.)o)io  è uno degli ostacoli maggiori alla prosperità  eoonomioa del nostro paese. Alla mancanza  di carbone mal si provvede con le ligniti o  con il poco petrolio dell’Emilia e molto più  efficacemente, invece, ma sempre in modo  inadeguato ai bisogni, con le energie elet¬  triche ottenute dai corsi d’acqua.   Iva le industrie piti importanti e sviluppate sono  quelle metallurgiche o mecoaniohe per fusione e  lavorazione di metalli e fabbrioazione di maooliine,  di automobili, di navi, specialmente a Milano, a  Torino, a Genova e dintorni (8. Pier d’Arena. Sa¬  vona eoo.), a Venezia, a Trieste ed anche in altre  località, come nel Bergamasco e nel Bresciano.   Non meno importanti sono le induatrie teeaili:  soprattutto della eeta, a àlilano. a Como e altrove,  in modo da gareggiare con I piu progrediti paesi  della Terra sotto questo riguardo ; del ootone, pure  nel Milanese e nelle province di Torino, di Novara,  di Como, di Bergamo, di Genova. Por la lana hanno  acquistato fama soprattutto i dintorni di Biella  (prov. di Novara) o di Schio (prov. di VIoenza).   Delle induetrie alimentari ha preso grande svi-    gliingova  dalla qua  foioo mo'  appatj»^  { •uoi 06  ^crre pe  quali fu 5  Piave e d           — 40 —    luppo negli ultimi anni quella iJello xùcchero di  barbabietola specialmente nell’Elmilia, nel Veneto  o in Liguria. A (lenora sono anche numerose le  fabbrlohe di pa*r«. R nell'Sìmilia sono (famose le  t alum trix di Modena e di liologna.   Terzo grande ramo d’oootipazione degli  abitanti nell’ Italia settentrionale sono il  commercio e la navigazione ; il primo age¬  volato dalla posizione goograflna, e dalla  rete ormai assai svilupjjata ui strade, e spe¬  cialmente di ferrovie, ohe s’intrecoiano in  tutti i sensi e_ traversano, come abbiamo  veduto, le Alpi e gli Appennini. Ad esse  s’aggiungeranno Io vie d’acqua interne,  specialmente quella Padana.   La navigazione ò occupazione delle pili  antiche per gli abitanti dei litorali della  Liguria o del Veneto, dove sorsero nel medio  evo le più potenti città marinare di quei  tempi. Uenclib superati ormai sulla Terra e  nello stesso Mediterraneo da altri d’altre  regionij i porti di Genova, Venezia e Trieste  gareggiano con i maggiori od è a crederò  furmamente che avranno uno sviluppo  commerciale sempre più intenso.   Por tutte questo ragioni l’Italia setten¬  trionale supera le altre parti d’Italia in  ricchezza e in generale anche nelle varie  formo di vita civile. Wistruzione vi è no¬  tevolmente sviluppata, d’ogni ramo o grado:  gli analfabeti, sebbene pur troppo non  manchino, sono in generalo in numero mi¬  nore ohe altrove, soprattutto nel Piemonte  tu su 100 ab. d’oltre 6 anni), nella Lom¬  bardia (13 su 100) e nella Liguria (17 su    25. Rboio.vi stobiohb b divisioni aumini-  STRATivB. — Come già abbiamo detto, l’I-  tiilia settentrionale si divide in 8 compar¬  timenti 0 regioni storiche : Piemonte. Liqu-  ria ool Nizzardo, Lombardia, Canton Ticino,  che costituisce la parto maggiore della Sviz¬  zera italiana, Venezia propria, Venezia Tri-  dentina, Venezia Giulia con lo Stato di Fiume,  ed Emilia, con la piccola repubblica indipen¬  dente di S. Marino.   Di questi compartimenti o regioni sto¬  riche (delle quali il Canton Ticino o il Niz¬  zardo, oltre a S. Marino, non fanno parte  del Regno d’Italia) diamo qui sotto la su¬  perfìcie e la popolazione, secondo il cen¬  simento del 1921. Si noti, però, ohe tale  superfìcie e popolazione corrisponde alla  somma di quelle delle provinole (che sono  le maggiori oiroosorizioni amministrative  del Regno) ; ma i uonfìni di queste non  sempre corrispondono ni oonfìni fìsici, et¬  nici 0 storici dei compartimenti.   In fìne al volume diamo in una tabella  i dati statistici particolari per le varie pro¬  vinole.   Si noti poi ohe la popolazione che indi¬  chiamo fra parentesi per le varie città nella |    descrizione dei vari compartimenti corri¬  sponde a quella della cerchia del comune,  non del centro principale abitato, che h  la città vera. Tra l’una o l’altra di tali  cifre vi sono assai spesso differenze gran¬  dissime, ohe rileveremo a mano a mano  quando l’occasione se ne presenterà.    Dati statistici relativi alle ragioni  dell’ Italia settentrionale.    Entro 1 nuovi confini politioi e amministrativi.    Superficie   Popol. nel 1921    In km>   assol.   relat.   l’iemonto   29 8b6   3 88S 000   116   Liguria . . . .   S 280   1 S'IO flOO   248   Iximbardia   24 180   S uo ooo   211   Vanesia propria .   28 010   4 2IS OOO   150   Venezia 'Tridentina .   18 800   645 000   47   Venezia Giulia   8 iOO   OiO flOO   103   Emilia . . . .   21 848   3 012 000   138   RepubhItQt di 8. Marino 00   12 OOO   200   Nizzardo ool Principato     di Monaco .   600   200 OOO   290   Svizzera italiana   8 8J0   170 000   43   Dati piò speolfioati,   soprattutto per lo'province.   Si trovano in aopendioo at fasotoolo.     lo - IL PIEMONTE.   r   Confini e nosloni generali. — Il Piemonte (In S  latino ftdemontium, oioO paese > pie’ di monti) si T  può dire all'insrosso limitato a H, a WeaN dalla {  crosta dell’Appennino Ligure e dello Alpioocideu- 1  tuli 0 t'entrali fino alle sorgenti dolla Tooe e al 4  lago Maggioro. Verso R. il Ticino lo divide soloiJ  in parte amministrativamente dalla I.ombordia, <|  perohò a questa appartrngono la Lomellioa o il I  cosi detto Oltrepò Pavese, formante il curioso ou- 4  neo di Bobbio. '4   Pisioaraento ooraprondo: la sona alpina; la pla-iL  nura piemontese da Ounoo ai Ticino, Il paeso ool- J  linose del Monferrato e la pianura di Marengo. Y   Divisione in province. — II Piemonte, di oul /  sopra abbiamo indioato la suporfloie e la popole-'V  alone a>soluta o relativa, ò diviso in t province:  ili Torino (!• per superlicfe e per popolaaione) ohe 'I  abbraooia l'angolo NW del compartimento, cioè ■  gran parte delie Alpi Ponnlne, tutte le Graie ita- .  liane e parie dolio Cozie, un tratto piano luogo il  Poe le colline sulla destra del fiume; —di Cuneo  (Z» per Slip.. 4* per popolaz.) ohe oooupa l’angolo'  SW ; — di A.le%8andria (4* por sup. o 2» por pope- ’  laz.) por niussima parto formata dal Monferrato;!   — di Novara (»• por sup. e por popola:.) a NE, ,  par.e alpina e parte piana.   Occupazioiij degli abitanti e prodotti. — I vi-,  gneti ^ecialmentc del Monferrato e lo]  risaie aoì Vercellese, dànno i prodotti più  caratteristici del Piemonte. Il quale ha '  grande sviluppo anche industriale a To¬  rino e dintorni (industrie metallurgiche e >  meccaniche), nel Diellese per la tessitura di •  lana, in parecchi luoghi per filatura e les-J  silura di cotone, in Valsesia per cartiere^   Città principali. — Torino 6'20) capitale de l  Piemonte, è per alcuni anni (dal 1881 a j  1885) già capitale del regno d’Italia, o entro]  deU'tilt.i valle del Po e delle relazioni cora-J  meroiali terrestri dell’Italia con l’Buropa oc-1  cidentale à, dopo Milano, la più iniuatriale]  città d’Italia. Si distingua da tutte le^altrej            - 41 -    grandi oitt& italiane per la re^olarith delle  vie o le sue costruzioni tuoderno.   Torino Tu oiilU 'Ini risor|;irapnio itahiiiio r pa¬  tri» t' 'lliiKtrl uomini, comi- U ih'ranso, Kali'O, liio-  (mrtl. IVAmifiio e, superiore a tutti. Camlilo (;.i-  yn,,r HiiI rioinn nnlle 41 Kurerir» /> la hasllina ohe  oontiene le tomtie dei re e prinoipi di Casa Barola  flno a Carlo Alberto.   Impila provincia di Torino sono da ricordare an-  oorii: /rrea(12) allo sbocco dolla valle d’Aosta, città  d'orisine romana di notevole importanza storica  _ e Aosta I Mianch'essa d'origine romana e capo-  luogo doila bellissima valle, a oui^dà il nome.   Cuneo (30), allo sboooo delle etrmle dei  passi di Tenda e dell' Argenterà. Sostenne  oon esito felice otto assedi dei Francesi.   Nella sua provincia è Saluteo (16), giàrapoluogo  di un Uarohesato, patria di Silvio Pellioo.   Novara (60), molto commerciante. Sotto le  sue mura avvennero importanti battaglie  nel 1613 e nel 1849. Grande centro di pro-  iluzione di riso.   Nella sua provincia: ttirl/a (13), soprannominata  la àlanohostor d'Italia, per le sue numerose e Ho-  renii industrie. — VtretUi (36), antiohisaitna città  sulla ferrovia Torino-àlilano, in territorio fertilis¬  simo: centro del mercato del riso.   Alessandria (78), fondata dalla Lega Lom¬  barda contro Federico Barbarossa alla con¬  fluenza della Bormida eoi Tànaro, nella  pianti rar di Marengo : ebbe in passato no¬  tevole importanza strategica.   Nella Rum provincia: Asfi (àO), città antichissima,  repubblica dei medio evo; centro vinifero del Pie¬  monte. patria di Vittorio Autori. — Aeaui (15), fa¬  mosa per le sue aocue termali, da cui ha li nome.  — Uanal* Monferrato (35), sulla destra dei Po, già  oapiiale del ducato di Monferrato. Importante cen¬  tro vinloolo.   2o . LA LIGURIA.   Confini e nozioni generali — La Liguria fl-  slonmente oooupa il versante dell’ Appennino e  delle Alpi Idguri rivolto al mare, arrivando a W en¬  tro I oonfini politioi o amministrativi fino alla valle  della ifoja e ad K verso la Tosoana (Ino alla foce  della .Magra. Etnograficamente però ed anche am-  inliiistraciraraente la Liguriapassa in qualohepunto  al di là della cresta spartiacque. Oonlina perciò  con la Pranoia, oon il Piemonio, por breve tratto  oon la lx>mbardia, in causa del cuneo di Bobbio,  oon l'Emilia e oon la Tosoana.   Divisione In province. — Ni divide in duo pro-  rinoe : di Oenova a E (la maggioro per sup. e  par popol.) e Porto Maurizio a W.   Occupazioni degli abitanti e prodotti. — Suolo  ristretUL moatuoso e naturalmente poco  fertile. Gli abitanti però seppero trarne il  maggior profitto, ooltivandolo a giardini ed  orti, che dànno, per il clima, fiori e legumi  primatiooi, ohe si spediscono in altre re¬  gioni d'Italia od all’estero. Altri prodotti  abbondanti sono : olio, castagne, vino e a-   riimi. Le industrie prinoipali sono quelle   el ferro e dei cantieri navali a Genova, a  S. Pier (l’Arena, a Savona ed alla Spezia;  poi quelle ohiraiebe (zucoherifloi), del co¬  tone, eco.. Ma la riochozza di Genova b  il commercio marittimo, che supera quello  di tutto il resto d’Italia.    Città principali. — Genova (300), sorta nel  punto della costa ligure pili opportuno per  le oornunicazionì ool bassopiano Padano, è  il primo porto e insieme una delle pili belle  citth d' Italia. Edificata ad anfiteatro su per  il monte, ohe salo subito dal mare, manca  di spazio por allargursi ; e le costruzioni  anche per l'ingrandimento del porto furono  assai difficili e costose. Un tempo ora pure  piazp forte ; ora non pili. I molti e son¬  tuosi palazzi le meritarono il nome di Su¬  perba. Decaduta dalla sua prima potenza  e dal suo splendore dal 1600 in poi, riac¬  quistò tutta la sua importanza nel secolo  passato con l’unità d’Italia, oon l’apertura  del oanale di Suez e con i trafori del S. Got¬  tardo e del Sempione. Ora Genova è rivale  di Marsiglia e si sviluppa sempre più, anche  por le industrie Vi nacquero Cristoforo  Colombo e Giuseppe Mazzini.   Nell.a sua (Tovincla: 8. J-Her d’Arma (SOI, ò  quasi un sobborgo di Genova, oon rInoinaM fon¬  derie ed oltloiiio sidertirgioho. — àfaronaiTò), sooon-  deporto della Riviera, molto ingrandito; si può oon-  siderarooome ti porto del Piemonte — Npezia( 90),  pruno porto militaru d'Italia, si trova In fondo ad  un golfo ampio o ben riparato, cinto da ripide mon¬  tagne, o«ronato da forti,e chiuso danna diga a Ror  d'acqua ^sta diventando anche centro industriale.  — Molte altre cittadine minori, amenissime, Af-  bmga, Sestri Levante, lìapallo eoo., sono stazioni  olimatloho di fama internazionale.j   Porto Maurizio (9) è il (piooolo c^oluogo  della provincia a cui dà il nome. E’ diviso  da Oneglia{S) quasi somplioemonte dal tor¬  rente Impero, alla cui foce;fe il piooolo,porto  comune. '■* *■'   Nella provinola ben piti imiràrtante oo'me' città  ò S»N RaunlSO), rinomata stazione olimatioa, oome  la Tlolna Bordighera (li), — yentimigiia ò a pojiii'  km. dal oonflna franoese; grande mordalo di (lori.  Arcangelo Ghisleri. Ghisleri. Keywords: atlante filosofico, tavola I, tavola II, tavola III, -storia romana, eta romana – classe V ginnasiale -- storia romana e filosofia, memoria di Cattaneo, rivoluzione con Rensi – Mazzini, mazziniano – lo stato italiano – stato federale – federazione -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ghisleri: storia romana e filosofia”– The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giacchè – l’altra visione dell’altro – Barba, Bene, e Fellini antropologo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo. Grice: “I like Giacché; for one, he philosophises on theatre, which any Sheldonian should appreciate!” Grice: “Giacché is what I would call a philosophical anthropologist.” Grice:”Giacché has an ability with language: “l’altre vision dell’altro,” for example – difficult to translate, but genial nonetheless, or perhaps genial because uneasily translatable!” – “He has philosophised on spectator and participant, which is conversational in tone – there’s no monologue, but dialogue --.” “He has criticised authoritarian types of performances like traditional teaching which he has compared to religion!” Insegna a Perugia. Si occupa di varie problematiche socio-culturali quali condizione giovanile, devianza, comunicazione di massa, solitudine abitativa, politica culturale. Saggi: Una nuova solitudine. Vivere soli fra integrazione e liberazione, Roma); “Lo spettatore partecipante. Contributi per un'antropologia del teatro, Guerini, Milano, Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, Bompiani, L'altra visione dell'altro. Una equazione fra antropologia e teatro, Ancora del Mediterraneo, Napoli, Ci fu una volta la sinistra. Ovvero il silenzio dei post-comunisti, Asino, Roma.  CURRICULUM di Piergiorgio Giacchè (Perugia, 16.04.46), Professore a contratto (incarico gratuito), docente di “Etnologia europea: patrimonio culturale immateriale” presso la Scuola di Specializzazione in Beni demo-etno- antropologici, Università di Perugia, Firenze, Siena e Torino (sede di Castiglione del Lago, PG) - anni accademici 2014-15, 2015-16. TITOLI DI STUDIO E INCARICHI ACCADEMICI Laurea in lettere (indirizzo moderno), con tesi in Etnologia conseguita nell’anno acc. 1969-70 presso l’Università degli studi di Perugia, con voti 110/110 e lode. Abilitazione all’insegnamento delle materie letterarie nelle scuole medie inferiori - titolo conseguito il 3.2.1973 con voti 100 su 100. Borsa di studio quadriennale (dal 1.11.77 al 31.08.76) per “ricerche nel campo sociale”, usufruita presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università di Perugia. Titolare di contratto quadriennale (dal 1.11.77 al 31.10.81) presso la Facoltà di lettere e filosofia della stessa università. Addetto alle esercitazioni presso la cattedra di Etnologia della stessa Facoltà, per gli anni accademici 1974-75, 1975-76, 1977-78, 1978-79, 1979-80, 1980-81. Ricercatore confermato dal 1° settembre 1981 al 28 dicembre 2004, presso l’Istituto di Etnologia e Antropologia culturale dell’Università di Perugia; in tale ruolo ha condotto seminari, cicli di lezione, moduli didattici e progetti speciali (in prevalenza sui temi della devianza, della condizione giovanile, della società dei consumi e dello spettacolo, dell’antropologia e sociologia del teatro) fino all’anno acc. 1994-95, in cui è divenuto affidatario di un Corso di Antropologia teatrale (unico corso attivato in Italia), riconfermato per tutti i successivi anni accademici. E’ stato altresì docente affidatario del corso di Antropologia culturale presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Perugia, nell’anno accademico 1998-99. Professore associato presso il Dipartimento Uomo & Territorio – Sezione antropologica ; docente di Fondamenti di Antropologia e di Antropologia del teatro e dello spettacolo presso la  Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Perugia, dal 23.12.2004 al 31. 12. 2013. Professore a contratto, docente di Antropologia culturale presso la Facoltà di Scienze della Formazione della L.U.M.S.A. di Roma – corso per Educatori professionali, sede di Gubbio – anni accademici 2004-05, 2005-06, 2006-07, 2007-08, 2010-11, 2011-12, 2012-13. Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Libre de Bruxelles - facoltà di Scienze Sociali e di Filosofia e lettere (9 - 27 febbraio 1998); (10 -15 marzo 2000). Visiting Professor presso l’Università di Malta, Facoltà di Scienze della Formazione (23 – 29 aprile 2001). Professore invitato, nel quadro del progetto “Socrates”, presso l’Université Paris VIII – Département d’Etudes théâtrales (7 - 15 dicembre 2000 ; 10 – 20 gennaio 2002; 7 – 9 aprile 2004; 12 – 14 gennaio 2005). Professore invitato dall’Université Paris VIII per un seminario da tenersi presso il laboratorio di Etnoscenologia della Maison de l’Homme – Paris Nord (15 novembre – 15 dicembre 2006). Membro della Commissione per la Procedura di valutazione comparativa per il reclutamento di un ricercatore presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Cagliari, M05X – Discipline demoetnoantropologiche (gennaio – luglio 2002). Docente del Dottorato Internazionale in Antropologia ed Etnologia (A.E.D.E.) – anni accademici 2006-07, 2007-08, 2008-09, 2009-2010. CONSULENZE, COLLABORAZIONI E ALTRI INCARICHI ISTITUZIONALI Consulente socio-antropologico per alcuni programmi R.A.I. della Sede Regionale dell’Umbria: “Decentramento e sviluppo urbanistico” (15 - 25 ottobre 1979); “Anticamera” (novembre 1980 - aprile 1981); “Aperitivo” (aprile-luglio 1982). Consulente antropologico del Centro Regionale Umbro per le Ricerche Economiche e Sociali, nel 1978 (Ricerca sulla “popolazione reale”). Consulente del Comitato Regionale Umbro Radiotelevisivo e curatore di numerose indagini sul sistema dell’emitttenza locale e sull’ascolto radiotelevisivo ( dal 1978 al 1989). Consulente e collaboratore del Festival Internazionale del Teatro in Piazza di Santarcangelo di Romagna (edizioni: 1981 e 1982). Consulente e collaboratore del Teatro Studio 3 di Perugia, dal 1981 al 1985. 2  Consulente e collaboratore della 1^ Rassegna Internazionale del Teatro di Strada (Montecelio di Guidonia, 24 - 31 luglio 1982). Consulente artistico e scientifico del festival di teatro, musica e cinema “Segni Barocchi” di Foligno (edizioni 1985, 1986, 1987). Consulente del Teatro San Geminiano di Modena, poi centro teatrale “Dramma Teatri”, dal 1982 al 1995. Consulente e assistente, in qualità di antropologo del teatro per il periodo 27 settembre- 30 ottobre 2013, della rappresentazione teatrale de “La escuela de la escena y la escena de la escuela jesuita en el siglo XVII” a cura di Bruna Filippi, nel quadro del congresso De los Colegios a las Universidades. Las ensenanzas jesuitas y sus relatos cotidianos, organizzato da la Universidad Iberoamaricana de Ciudad de Mexico (Città del Messico, 25-29 ottobre 2013). Membro del comitato scientifico dell’International School of Theatre Anthropology diretta da Eugenio Barba, con sede a Holstebro, Danimarca (dal 1981 al 1997). Membro del gruppo di lavoro internazionale di Sociologia del teatro, con sede presso l’Université Libre de Bruxelles, Belgio (dal 1992 fino al suo scioglimento nel 1995). Membro del gruppo di lavoro della Maison de Sciences de l’Homme (E.H.E.S.S.) “Spectacle vivant et sciences humaines” (dal 1996 al 2002). Membro del comitato scientifico della quinta sezione di ricerca “Créations, Pratiques, Publics” della Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord (dal 2002). Membro del Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto di Psicosomatica Psicoanalitica “Aberastury” di Perugia (dal 2000). Membro del Comité de Rédaction de “L’Ethnographie. Noveaux objets, nouvelles méthodes. Revue de la Société d’Ethnographie de Paris” (dal 2002). Collaboratore della rivista “Lo straniero. Arte Cultura Società” diretta da Goffredo Fofi (dalla sua fondazione – 1997 – ad oggi); già redattore della rivista “Linea d’ombra” (1982- 1997) e co-direttore de “La terra vista dalla luna” (1995-1996). Collaboratore della rivista “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, diretta da Luigi Monti, dalla sua fondazione – 2010. Membro del Comitato scientifico della rivista trimestrale “Catarsi. Teatri della diversità”, dalla sua fondazione – 1996. Membro del Comité scientifique de la revue trimestrelle “Théâtre Public” (dal 2013) Presidente della Fondazione “L’Immemoriale di Carmelo Bene” (dal 2002 al 2005). Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali (dal 2005 al 2007). Membro della Commissione di valutazione dei progetti di cofinanziamento per lo spettacolo – Ministero per i Beni e le Attività culturali. (giugno-luglio 2007). 3  Consulente della Regione dell’Umbria – Assessorato alla Cultura, con l’incarico di ricognizione ed esplorazione del settore teatro nel territorio regionale (luglio 2010 – settembre 2011). Membro della Commissione Consultiva per il Teatro – Ministero per i Beni e le Attività Culturali (dal 2011 al 2013) Membro del Comitato Scientifico della Fondazione Centro Studi “Aldo Capitini” di Perugia (dal 2012). Membro del Comitato scientifico PerugiAssisi, candidata a capitale europea per il 2019. CORSI E SEMINARI DIDATTICI SPECIALI Partecipazione, in qualità di docente, ai seguenti corsi o seminari: • Corso biennale per la formazione di tecnici della ricerca sulle tradizioni popolari nella regione umbra (Perugia, 1974-75). • Primo corso regionale di preparazione e aggiornamento per operatori socio-sanitari impegnati nell’attività di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza (Bologna, 27 e 28 settembre 1977). • Corso regionale per operatori culturali nel settore del cinema (Orvieto, dicembre 1977 - giugno 1978). • Corso di riqualificazione professionale per operatori audiovisivi: il videotape (Foligno, febbraio-ottobre 1978). • Corso di formazione professionale per i 28 diplomati di scuola media superiore (schedatori) previsti dal progetto di “catalogo unico regionale dei beni bibliografici” (Perugia, maggio 1978). • Corso di formazione professionale per i 46 diplomati di scuola media superiore (ordinatori di biblioteca) previsti dal progetto “sistemi bibliotecari comprensoriali” (Perugia, luglio 1978). • Corso Animatori Q/1 - Seminario sulle comunicazioni di massa (Spoleto, 23 - 26 giugno 1984). • Seminario residenziale “L’Atelier: centro internazionale di ricerche artistiche” (Volterra, 1 novembre - 23 dicembre 1984). • “Soglie: esperienze di confine tra attore e spettatore”, seminario-laboratorio per studenti e insegnanti delle scuole medie superiori (Perugia e Todi, novembre 1990 - aprile 1991). 4  • Corso di Formation Doctorale Esthetique, Sciences et Technologies des arts della Université Paris VIII à Saint Denis (lezioni del 15 e 22 gennaio 1991). • Corso di Scenografia della Facoltà di Architettura e del Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma (lezione del 29 gennaio 1991). • “Teatro, gioco, narrazione”, progetto teatrale per insegnanti delle scuole materne (Perugia e Città di Castello, febbraio e marzo 1991). • “L’attore consapevole. Seminario teorico-pratico sull’arte dell’attore” (Fara Sabina, Rieti, 25 - 31 gennaio 1993). • “La società italiana del dopoguerra”. Seminario di aggiornamento per gli italianisti polacchi, organizzato dall’Ambasciata d’Italia, dall’Università Jagellonica di Cracovia e dall’Istituto Italiano di cultura di Cracovia (Cracovia, 20 – 23 settembre 1993). • Corso di aggiornamento A/41 dell’I.R.R.S.A.E. dell’Umbria (Perugia, lezioni del 4 marzo 1994). • Seminario di Antropologia del teatro per gli allievi della Scuola Civica d’Arte drammatica “Paolo Grassi” (Milano, 24 e 25 marzo 1994). • V Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, “La cultura del confronto”, organizzato dall’Unicef di Roma (lezione del 20 aprile 1995: “Uomini e teatro: culture del mondo a confronto”). • I Corso di aggiornamento sulla didattica del teatro nella scuola - Seminario internazionale su Scuola e Teatro (Marcellina, Roma, 19 - 21 ottobre 1995). • Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie superiori della regione Lazio (Roma, novembre 1995 - giugno 1996). • III Corso Universitario Multidisciplinare di Educazione allo sviluppo, organizzato dall’Unicef di Bari (lezione del 28 marzo 1996). • Università del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla “Storia sotterranea del teatro contemporaneo. Solitudine, tecnica, drammaturgia e rivolta” (Scilla, Reggio Calabria, 9 - 16 giugno 1996). • “Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale” - II anno: Dalla Commedia dell’arte alla Riforma goldoniana - organizzato da Emilia Romagna Teatro (Modena, Teatro Storchi, ottobre - novembre 1966). • Corso Uni-Tea 1997: “Figli della storia e maestri del teatro” (Parma, 5 febbraio - 19 aprile). • Corso d’aggiornamento per docenti e dirigenti di ogni ordine e grado, organizzato dal C.I.D.I. Versilia e dal Provveditorato agli studi di Lucca e intitolato “Letteratura teatrale e scuola” (Forte dei Marmi, 21 - 23 febbraio 1997). • Convegno-seminario “La musa fra i banchi di scuola. Esperienze e modelli di relazione / incontro fra teatro e scuola” (Cervia, 11 - 13 aprile 1997). 5  • Università del Teatro Euroasiano, sessione dedicata alla formazione dell’attore e intitolata “Apprendere ad apprendere” (Scilla, Reggio Calabria, 1 - 8 giugno 1997). • Corso Uni-Tea 1998, “Oplà noi viviamo! Tecniche originarie e tecniche nuove nel teatro d’attore” - seminario interno al Corso di Sociologia dell’Educazione dell’Università di Parma (Parma, 19 marzo 1998). • “Vedere Fare Pensare Teatro, per una formazione dell’educatore teatrale”, organizzato dall’E.T.I., dal Teatro delle Briciole, dal G.S.A Fontemaggiore, dal Teatro Kismet OperA e tenutosi in tre sessioni a Bari (25 - 29 marzo 1998), a Isola Polvese - Perugia (17 - 21 aprile 1998) e a Parma (8 - 12 maggio 1998). • Corso d’aggiornamento per insegnanti degli Istituti medi e superiori su “1968 - 1969. Gli anni della contestazione” (Parma, 24 marzo 1998). • « Sulla verticalità del verso », seminario di e con Carmelo Bene, organizzato dall’Ente Teatrale Italiano (Roma, Teatro Valle, 19 maggio 1998). • “Criticando criticando. Laboratorio d’analisi dello spettacolo”, organizzata in collaborazione con l’Associazione Nazionale Critici di Teatro (sessione dedicata al Teatro Ragazzi - Bagnacavallo, 4 giugno 1998; sessione dedicata al Teatro di Ricerca - Reggio Emilia 29 giugno 1998. • “I mestieri e le lingue del teatro”, Seminario di autoapprendimento per operatori dell’area penale esterna, organizzato dal Teatro Kismet e dall’Università di Bari, con il patrocinio del Ministero di Grazia e Giustizia (Bari, 2 - 3 luglio 1998). • “Teatro e Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza” - conversazione con P. Giacchè e Armando Punzo, in collaborazione con l’E.T.I. (Volterra, 21 luglio 1998). • Ciclo di incontri organizzati dall’Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia (ottobre-dicembre 1998) “Rivelazioni e promesse del ‘68”; relazione su “Il ‘68 e il teatro” (Cagliari, 20 novembre 1998). • “La magia del leggere”, Corso di aggiornamento per insegnanti e genitori della Scuola Elementare “Ciro Menotti”, Villanova di Modena (26 marzo 1999). • Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole elementari del comprensorio Valle Umbria (Foligno, 23 aprile 1999). • “Teatro e Carcere: l’esperienza della Compagnia della Fortezza”, nel quadro di “Maggio cercando i teatri” organizzato dall’E.T.I. (Roma, Teatro Valle, 19 maggio 1999). • “Il verso dannunziano e il concerto d’autore”, seminario con A. Asor Rosa, C. Bene, P. Giacchè (Roma, Teatro dell’Angelo, 24 novembre 1999). • Ciclo di incontri “La parte dello spettatore” (relatore del 1° incontro – Faenza, 22 gennaio 2000). • Corso Uni Tea 2000, “Il teatro come disagio antropologico” (Parma, 27 gennaio 2000) 6  • “Divenire teatro”, incontri su Antonin Artaud organizzati dal Centro Teatro Universitario di Ferrara. Relatore del 3° incontro: “Artaud fatto Bene” (Ferrara, 17 aprile 2000). • “Politica e società nel 2000”, ciclo di incontri di formazione politica (Roma, aprile – giugno 2000). Relatore del 5° incontro: “Minoranze e movimenti nell’Italia del dopoguerra”, insieme a G. Fofi (Roma, 29 maggio 2000). • “Incontri in scena. Per un’indagine sull’antropologia dell’infanzia” (Vicenza, Teatro Astra, 20 ottobre – 24 novembre 2000), organizzati dalla compagnia “La Piccionaia – I Carrara” con la collaborazione dell’Università di Cà Foscari di Venezia. Relatore del 2° incontro: “Antropologia dell’infanzia” (3.11.00). • “L’utopia del teatro vivente. Living Theatre” (Siena, 7 marzo 2001), nel quadro di incontri organizzati dall’Università degli studi di Siena attorno ai “Cinque sensi del teatro. Cinque trasmissioni monografiche sulla filosofia del teatro” (Rai-Pontedera Teatro). • “Strumenti innovativi per favorire l’inclusione sociale”, lezione inaugurale (“Altro è narrare”) del corso organizzato dal Centro Solidarietà di Modena (CEIS) e da Emilia Romagna Teatro (Modena, 19 ottobre 2001). • Giornate di studio per l’inaugurazione della sezione di ricerca “Créations, Pratiques, Publics”, presso la Maison de Sciences de l’Homme – Paris Nord (St. Denis, 23 – 23 maggio 2002). • Conferenza sul Living Theatre, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine, 28 gennaio 2003). • Conferenza su Carmelo Bene o delle provocazioni del genio, nel quadro del seminario “Maestri del ‘900. Gli uomini e le idee che hanno fatto la storia del teatro contemporaneo” organizzato dal Teatro Nuovo “Giovanni da Udine” (Udine, 13 febbraio, 2004). • “Le risorse della diversità”, seminario organizzato da Proteo Fare Sapere e dal Movimento Cooperazione Educativa (Firenze, Educandato SS. Annunziata, 20 – 21 febbraio 2004). • Corso per attrici “Il corpo del testo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro Fondazione; docente di Elementi di antropologia e cultura del teatro e spettacolo (30 ore di Antropologia del Teatro nel biennio 2004-2005). • Seminario sulle “Quattro lezioni sul teatro” di Carmelo Bene, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale di Carmelo Bene” e dall’Università di Lecce (Lecce, 19 marzo 2004). 7  • Dimostrazione-conferenza “L’attore compositore: Mejerchol’d e la biomeccanica teatrale”, organizzata dal Centro Internazionale Studi Biomeccanica Teatrale (Perugia, 30 aprile 2004). • Quattro giornate di lavoro teatrale: incontri, dimostrazioni di lavoro, spettacoli Pontedera, Teatro di via Manzoni, 7 – 10 ottobre 2004), nel quadro di “Generazioni Festival 2004”, organizzazione e cura della Fondazione Pontedera Teatro. • Seminario dell’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, “Carmelo Bene. Voir la voix, écouter le visible”, coordinato da B. Filippi e G. Careri (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art, 8 novembre – 20 dicembre 2004); comunicazione Le Sud du Sud des Saints,, 15.11.04. • “Teatro in forma di libri”, incontri organizzati dal Teatro Due Mondi – Casa del Teatro (Faenza, novembre-dicembre 2004). • “Arte dello spettatore”.Corso di formazione per insegnanti, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore (Perugia, Teatro Sant’Angelo, novembre 2004 – aprile 2005). • Seminario orientativo sul settore spettacolo, organizzato dalla Fondazione Emilia- Romagna Teatro nel quadro della Laurea specialistica “Progettazione e gestione di attività culturali” della Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Modena (lezione del 17.3.2005). • Seminario di studio nel quadro della Mostra “Carmelo Bene. La voce e il fenomeno. Suoni e visioni dall’archivio”, organizzato dalla Fondazione L’Immemoriale e dal Comune di Roma (Casa del Teatri-Villino Corsini, 29 aprile – 26 giugno 2005); comunicazione L’ultimo Bene. La verticalità del verso, 7.5.05. • Incontro seminariale “Parole chiave per il teatro” (Lecce, 22 ottobre 2005), organizzato dai Cantieri teatrali Koreja. • “Un’antropologia della memoria” Conferenza dibattito sul libro di C. Severi Il percorso e la voce (Perugia, Palazzo dei Priori, 23 novembre 2005). • Corso “Salute mentale, Antropologia e Teatro: confronto su un’esperienza di pratica laboratoriale” (Perugia, Parco di S. Margherita, Padiglione Neri, 13.12.2005), organizzato dal Centro di Formazione della ASL 2 di Perugia. • “Pasolini antropologo” (Gubbio, Biblioteca Comunale Sperelliana, 17 dicembre 2005), nel quadro del ciclo di incontri “Pasolini e la nuova barbarie. Conversazioni su un testimone del nostro tempo” organizzato dal Comune di Gubbio (dicembre 2005 – aprile 2006). • “Atelier intensif S.P.O.T. (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre)”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de La Coruña - Spagna (6 – 18 febbraio 2006); docente di un corso di 15 ore di Antropologia teatrale. 8  • “Teatro come impegno civile”, seminario-incontro con Marco Paolini organizzato dai Cantieri Teatrali Koreja (Lecce, 10 giugno 2006) • Laboratorio di ricerca interdisciplinare – Quello che ci fa la vita che facciamo, nel quadro del “50° Seminario di Louis Chiozza”, organizzato dall’Istituto di Psicosomatica “Aberastury” e dalla Scuola di specializzazione in Psicoterapia psicoanalitica di Perugia (Città di Castello, Palazzo Vitelli, 22 febbraio 2007). • “Quadri concettuali per l’analisi del sistema cultura – Seminari di studio”, organizzati dalla Fondazione Mario Del Monte di Modena (febbraio – aprile 2007); comunicazione su L’antropologia e il “teatro” della cultura (Modena, Teatro delle Passioni, 29 marzo 2007). • “L’ultimo Bene”, conferenza-lezione nel quadro delle attività didattiche speciali della Fondazione Accademia di Belle Arti di Perugia (Perugia, 17 maggio 2007). • Seminario di studio “Economia della cultura, sviluppo umano e politiche culturali”, a cura del CAPP (Centro di Analisi delle Politiche Pubbliche), Modena, ottobre 2007- gennaio2008; comunicazione su La domanda di teatro. Una prospettiva antropologica (Modena, Facoltà di Economia, 17 dicembre 2007). • S.P.O.T. II (Spectacle vivant, Opèra, Thèâtre) “Espectàculos y dialogo entre culturas: La adaptacioòn y la escena”, organizzato nel quadro del Master Europeen conjoint en Etude du spectacle vivant, coordinato dall’Université Libre de Bruxelles e organizzato dalla Universitad de Sevilla - Spagna (28 gennaio – 8 febbraio 2008); docente di un corso di 8 ore di Antropologia del teatro e dello spettacolo. • Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali (III edizione in collaborazione con l’International School of Theatre Anthropology, organizzata dal Teatro Potlach, Fara Sabina (Rieti), 13 – 26 ottobre 2008); comunicazione su L’antropologia dello spettatore, 14.10.08. • Seminario – Convegno “Omaggio a Carmelo Bene” (Centro Teatro Ateneo – Dipartimento Arti e Scienze dello Spettacolo dell’Università “La Sapienza” di Roma, 12 – 14 novembre 2008); Prologo al seminario e comunicazione dal titolo A scuola da Bene, 12.11.08. • “Il potere di tutti. Conversazione su Aldo Capitini” (Perugia, Sala Miliocchi, 14 febbraio 2009), organizzata dall’Associazione “Vivi il borgo”, dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso e dalla Fonoteca Regionale “O. Trotta”. • Giornata di studi “La religione dell’educazione. Don Milani e Aldo Capitini”, organizzata dalla L.U.M.S.A. di Roma, Facoltà di Scienze della Formazione (Roma, Aula “Edda Ducci”, Piazza delle Vaschette, 1° aprile 2009). • Seminario “Migrazioni. Prospettive etnografiche sullo Stato italiano”, organizzato dal Dipartimento Uomo & Territorio – sezione antropologica (Perugia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Palazzo Manzoni, 16 aprile 2009). 9  • “Voler Bene al cinema. Omaggio a Carmelo Bene” (Bellaria, Cinema Astra, 4 giugno 2009), nel quadro di “Bellaria Film Festival 2009. • Seminario interdisciplinare su: “Grotowski e la ricerca invisibile” (Perugia, Istituto Aberastury, 20 giugno 2009. • “Bruciare la casa“, incontro-colloquio con Eugenio Barba (Isola Polvese (PG), 8 settembre 2009), nel quadro di “Terre di confine. Lo spazio del teatro”, progetto a cura di Linea Trasversale. • Séminaire doctoral collectif - Centre d'Etudes Féminines et d’Etudes de Genre/ CRESPPA-GTM : « Théâtre du genre : production, performance, spectacle » (Parigi, CNRS , 4 dicembre – comunicazione su “Travestissement à théâtre: masculin, féminile ou neutre? “). • Séminaire “SPACE-Supporting Performing Arts Circulation in Europe “- Session Paris (ONDA, Paris, 3 – 6 février 2010), Comunicazione “Europe Toolbox: quelle boîte pour quels outils?” • “Cinema e teatro non si incontrano mai, se non all’infinito” (Bergamo, 17 febbraio 2010) incontro seminariale nel quadro de “Il teatro vivo. Introduzione al teatro contemporaneo: Corso di Alti Studi Teatrali – XI edizione, 2009-2010”, organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo. • “La Festa nelle culture dei popoli: criteri di autenticità” (Gubbio, 19 marzo 2010), nel quadro del ciclo di incontri “La Festa nella Festa dei Ceri”, per la celebrazione del 850° anniversario della morte di S. Ubaldo. • Introduzione e partecipazione al XI Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “La vocazione minoritaria”, condotto da G. Fofi (Perugia, 14 maggio 2010). • Incontro seminariale su “Lo spettatore partecipante” nel quadro del progetto “Paesaggio con spettatore” a cura di R. Vannuccini e organizzato da ArteStudio per il Festival dei Due Mondi – Spoleto 53 (Spoleto, Palazzo Comunale, 25 giugno 2010). • Coordinatore del IX Laboratorio di Ricerca Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury “Dialogo con Sctutatori d’anime di Carlo e Rita Brutti” (Assisi, 23 febbraio 2011). • Incontro-conversazione “Radicalism: Piergiorgio Giacchè speakes about Carmelo Bene with Dora Garcia” (Venezia, Padiglione Spagnolo della Biennale Arte, 4 giugno 2011), nel quadro della performance THE INADEQUATE: ogni giorno un artista in scena (Padiglione spagnolo, 54th International Art Exibition – Venice Biennale, 1 giugno - 27 novembre 2011). • Relatore e conduttore del XIII Seminario Interdisciplinare dell’Istituto Aberastury su “L’anima del mondo viene prima del mondo dell’anima? (Perugia, 11 giugno 2011). • Dialogo teatrale – incontro tra un antropologo e un avvocato su Teatro Trattamento Carcere, nel quadro di “Stanze di teatro in carcere 2011. Rassegna intinerante di Teatro Carcere in Emilia Romagna” (Modena, Teatro delle Passioni, 29 ottobre 2011). 10  • “La congiura della creatività”, seminario pubblico con P. Giacchè e R. Sacchettini, organizzato dal collettivo Nevrosi (Agliana, PT, Teatro Il Moderno, 28 gennaio 2012). • Incontro con Marc Augè in dialogo con Piergiorgio Giacchè, organizzato dal Circolo dei lettori di Perugia (Perugia, Sala dei Notari, 29 marzo 2012). • Incontro con Piergiorgio Giacchè e Giuseppe Di Leva (Piccolo Teatro Grassi di via Rovello, Milano, 12 luglio 2012), nel quadro di “Visioni di Bene. Voce, teatro, cinema, televisione secondo Carmelo”, Milano, 12 – 15 luglio 2012. • “Memorie del sottosuolo. Il teatro raccontato da spettatori speciali: Piergiorgio Giacchè su Carmelo Bene” (Giardino del MUSAS, Santarcangelo di Romagna, 13 giugno 2012), nel quadro di Santarcangelo 12 – Festival Internazionale del Teatro in Piazza – 13-22 luglio ’12. • “Raduno degli artisti della scena: Punctum e tempo, dalla fotografia alla scena”, incontro seminariale a cura di Claudio Morganti, organizzato dal Teatro Metastasio Stabile della Toscana, nel quadro del festival “Contemporanea 12: le arti della scena” (Prato, spazio Magnolfi, 6 ottobre 2012). • Incontro-Lezione – TITOLO - per il seminario residenziale Università Elementare de Gli asini nel quadro di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia aprile 2014) • Seminario su “La parabola dell’animazione teatrale” nel quadro della seconda edizione della Summer School di Arti performative e Community care (Carpignano Salentino, 20 – 29 agosto 2013). • Incontro con Piergiorgio Giacchè e Alessandro Leogrande condotto da Giovanna Casadio, intitolato Vizi privati e pubbliche virtù, nel quadro della decima edizione del “Festival Lector in fabula: Privato, Pubblico, Comune” Conversano, 11-14 settembre 2014 (Conversano, BA, Auditorium di San Giuseppe, 12 settembre 2014). • Conferenza Orizzonti e vertici del “viaggio del teatro” nel quadro della XVII edizione de “IL TEATRO VIVO. Progetto di promozione e diffusione del teatro contemporaneo”, organizzato dal Teatro Tascabile di Bergamo (Bergamo, 5 dicembre 2014). • Conferenza Dal Living Theatre all’Odin Teatret, nel quadro di “Effetti collaterali. Ciclo di incontri per la formazione degli operatori e del pubblico”, organizzato dal Teatro di Sacco di Perugia (Perugia, Sala Cutu, 18 dicembre 2014). • Incontro-Lezione “Essere giovani, essere attori” (Pistoia, Piccolo Teatro Mauro Bolognini, 11 aprile 2015) per il seminario residenziale Università Elementare de Gli asini “La cultura di massa dall’emancipazione all’alienazione”, nel quadro di “Leggere la città: lo spazio pubblico” (Pistoia 9-12 aprile 2015). • Corso residenziale “Si deve, si può. Ruolo delle minoranze etiche tra globale e locale” - primo modulo Dove va il nondo? Analisi del presente: il globale e il locale (Lamezia Terme, 3-4-5 luglio 2015); Progetto Spring organizzato dalla Comunità Progetto Sud in collaborazione con le riviste Gli asini e Lo straniero. Relazione: “La mutazione antropologica: dal locale al globale e ritorno”.  11  • Corso di formazione per docenti presso l’Istituto Omnicomprensivo “D. Alighieri” di Nocera Umbra (PG): intervento formativo di due ore sul tema “Giovani Oggi” (1° aprile 2016). • Corso d formazione per docenti “Teatro come cultura delle differenze”, organizzato dal 1° Circolo didattico di Marsciano (PG) e dal Teatro Laboratorio Isola di Confine; conferenza “A scuola da Pinocchio” (Marsciano, Sala E. De Filippo, 14 giugno 2016). Curatore e ideatore dei seguenti progetti o seminari speciali: • “La casa de l’Odin”, Ciclo di conferenze sulla cultura teatrale e sull’antropologia del teatro (Valencia, Barcellona, Castellon e Madrid, marzo - aprile 1983). • “Apriamo un salotto: appuntamenti di restaurazione culturale” - tre cicli di conferenze sulle attività e sulla politica culturale (Perugia, marzo - giugno 1984). • “Storia & Geografia. Corso effimero di educazione permanente” - cinque incontri dedicati a Gabon, Germania, Iran, Argentina e Umbria, per favorire l’integrazione degli studenti stranieri (Perugia, febbraio - maggio 1985). • “La parte dell’altro. Teatro ed esperienze antropologiche” - ciclo di conferenze e seminario conclusivo con E. Barba (Perugia, febbraio - aprile 1989). • “Altro e Teatro” - ciclo di conferenze e relazioni di ricerca sugli ambiti contigui al teatro (Perugia, febbraio - maggio 1990). • “L’età dell’oro. Per un teatro giovane” - incontri e discussioni fra giovani gruppi teatrali (Parma, 17 - 20 aprile 1994). • “Il primo giorno. Scuola di teatro a scuola” - convegno/laboratorio sul rapporto tra il teatro nella didattica scolastica e la pedagogia del teatro (Parma, 5 - 8 novembre 1997). • Coordinatore del seminario “L’infanzia ritrovata. Lo sguardo dell’artista nel presente che muta” (Parma, 14 gennaio - 25 marzo 1999), all’interno del Corso Uni-Tea 1999. • Coordinatore del seminario laboratorio “Curare gli affetti. Il teatro come legame sociale. Un percorso tra luoghi e non luoghi” (Parma, 27 gennaio – 6 aprile 2000), all’interno del Corso Uni-Tea 2000. • Curatore (assieme a G. Fofi) del ciclo di incontri “L’arte contro lo stato. Lo stato delle arti” (Santarcangelo di Romagna, 8 – 16 luglio 2000), nel quadro del XXX Festival “Santarcangelo del Teatri”. • Curatore (assieme a F.Orlandi) del Corso di aggiornamento per insegnanti della Scuola Media Superiore “Oralità, Narrazione, Teatro: In Principio era il verbo”, organizzato da Emilia Romagna Teatro – Fondazione (Modena, Teatro delle Passioni, 26 gennaio – 23 marzo 2006). • Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontri video spettacoli con il Teatro delle Albe”. (Spello, Palazzo Comunale e Teatro Subasio, 16 – 17 maggio 2006), organizzato dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia. 12  • Coordinatore (assieme al prof. L. Mango) del Laboratorio di osservazione dello spettacolo contemporaneo, nel quadro del Festival Internazionale ESTERNI (Terni, 20 – 30 settembre 2006). • Curatore (assieme a S. Cipiciani) di “Piccoli maestri. Incontro con Santagata o Morganti” (Terni, Officine Ex-Siri, 22 – 25 settembre 2007), organizzato dal Teatro stabile di innovazione “Fontemaggiore” di Perugia nel quadro del festival Es-Terni 2007. • Ideatore e curatore di “Bene Detto. Oratorio e Laboratorio sull’arte di Carmelo Bene” (Oratorio: Mondaino (RN), 1° settembre 2009 – Laboratorio: Mondaino (RN) luglio 2010), organizzato da L’arboreto. Teatro Dimora, con la collaborazione dell’Ass. Liminalia di Perugia e di B. Filippi e S. Pasello. • “I tagli e le ferite. La poetica della politica e viceversa”, Incontro con gli artisti italiani nel quadro di “Vie. Scena contemporanea festival”, organizzato dall’E.R.T. (Modena, Biblioteca Delfini, 16 ottobre 2010). • Curatore e conduttore del meeting “Per Ora Labora” sulla condizione lavorativa dell’attore teatrale, nel quadro del Cantiere delle Arti (Modena, Biblioteca “Delfini”, 15 ottobre 2011). • Ideatore e curatore di “InizioAzione.Vacanze scolastiche per allievi attori delle scuole di teatro” (per una ricerca sulla motivazione teatrale), nel quadro del Festival VIE 2012 dell’E.R.T. (Rubiera, Corte Ospitale – Modena, Biblioteca “Delfini”, 25 – 28 maggio 2012). • Curatore e coordinatore dei sei incontri del seminario-laboratorio “Il grande attore e il piccolo spettatore” a cura del Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia e del Dipartimento Uomo e Territorio – sezione antropologica – dell’Università degli studi di Perugia (Perugia, Teatro Brecht, 7 marzo – 2 maggio 2013). • Curatore di “Autocritica”, quattro incontri fra critici e attori per il Cantiere delle Arti, nel contesto di Vie Scena Contemporanea Festival 2013 (Modena, Biblioteca “Delfini”, 23 maggio – 1 giugno 2013). • Curatore e coordinatore del laboratorio per spettatori “Piccolo pubblico”, organizzato dal Teatro Stabile d’Innovazione Fontemaggiore di Perugia nell’occasione delle repliche degli spettacoli del Progetto Interregionale di promozione dello spettacolo dal vivo “Teatri del presente” (Teatro Brecht di Perugia e Teatro Clitunno di Trevi, novembre e dicembre 2013). • Curatore e direttore scientifico de “Il Centro della Visione. Per un’accademia dello spettatore”, progetto organizzato da Kilowat Festival a Sansepolcro (AR), dal dicembre 2013 a luglio 2014. • Ideatore e curatore del progetto “Verso Capitini, per un Colloquio corale”, prodotto dal Teatro Stabile d’Innovazione “Fontemaggiore” di Perugia (da aprile 2014 ancora in corso: prima sessione presso il Teatro Drama di Modena 17-18-19 ottobre 2104; seconda sessione presso il Teatro Brecht di Perugia 23 dicembre.2014). 13  • Ideatore e curatore del convegno “Il teatro della critica” (Pistoia, 14 e 15 novembre 2015), organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese. CONVEGNI • Convegno su “L’Italia e l’Umbria dal Fascismo alla Resistenza: problemi e contributi di ricerca” (Perugia, 5 - 7 dicembre 1975). • Convegno internazionale su “Droga. Dalle esperienze ad una proposta concreta. Aspetti terapeutici, sociali e legislativi” (Firenze, 14 - 17 aprile 1980). • Incontro seminariale “Musica, Possessione, Spettacolo” (Greve in Chianti, Firenze, 15 - 17 maggio 1981). • Seconda sessione dell’I.S.T.A. - International School of Theatre Anthropology (Volterra, 8 agosto - 6 ottobre 1981). • Convegno di studi su “Improvvisazione e spettacolo” (Firenze, 21 ottobre 1981). • Convegno di studi su “Vedere ed essere visti” (Volterra, 26 - 28 febbraio 1982). • Convegno di studi su “Come si potrebbe vivere. Corpo e linguaggio” (Vicenza, 22 maggio - 4 giugno 1982). • Giornate della cultura e della partecipazione (Barcellona, 17 - 18 giugno 1983). • Convegno di studi su “Elogio dei fiori: tecniche personali e creatività” (Volterra, 9 - 11 dicembre 1983). • Mostra-Convegno “Spoleto come titolo” (Spoleto, 7 - 9 marzo 1985). • Simposio “Le maître du regard”, nel quadro della terza sessione dell’I.S.T.A. (Paris, Malakoff, 20 - 21 aprile 1985). • “Incontri di lavoro con Richard Schechner” (Pontedera, 24 - 26 aprile 1985). • Convegno-seminario su “Cosa narrare e come narrare” (Bellaria-Igea Marina, 29 - 30 luglio 1985). • Convegno Nazionale di Psichiatria “Crisi e costruzione delle conoscenze” (Massa, 4 - 6 ottobre 1985). • Convegno “Le forze in campo. Per una nuova cartografia del teatro” (Modena, 24 e 25 maggio 1986). 14  • Quarta sessione dell’I.S.T.A. - “Il ruolo della donna nel teatro delle diverse culture” (Hostelbro, 17 - 22 settembre 1986). • Convegno Nazionale di Antropologia delle società complesse (Roma, 27 - 30 maggio 1987). • Quinta sessione dell’I.S.T.A. - “Tradizione dell’attore e identità dello spettatore. Dialoghi teatrali” (Otranto, 1 - 14 settembre 1987). • Convegno su “Teatro e Emergenza. Quattro incontri” (Bologna, 11 - 13 dicembre 1987). • “Natura e buongoverno del teatro. Convegno Nazionale per il rinnovamento della scena italiana” (Milano, 20 e 21 ottobre 1988). • 1° Encuentro de Artes Escenicas sobre perspectivas, necesidades, metodos, limitaciones y alternativas para la investigacion y esperimentacion (Mexico D. F., 23 - 26 gennaio 1989). • Convegno su “La presenza misconosciuta. Nuovi progetti di teatro” (Frascati, 17 - 19 marzo 1989). • Giornate di studio su “Grotowski, la presenza assente” (Modena, 6 e 7 ottobre 1989). • 2° Congresso Mondiale di Sociologia del Teatro (Bevagna, 27 - 29 ottobre 1989) • Seminario Internazionale “A la recerca d’un espai teatral contemporani” (Olot - Catalunya, 28 - 30 giugno 1990). • Sesta sessione dell’I.S.T.A. - “Università del teatro euroasiano. Tecniche della rappresentazione e storiografia” (Bologna, 28 giugno - 18 luglio 1990). • XIIth World Congress of Sociology (Madrid, 9 - 13 luglio 1990). • Convegno di fondazione di “Mantis. Centro per la ricerca sui linguaggi del comportamento funzionale” (Palermo, 15 e 16 dicembre 1990). • Convegno su “Culture immigrate e teatro in Europa. Analisi dei fenomeni interattivi fra culture immigrate e culture europee” (Bologna, 16 novembre 1991). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano (Padova, 7 e 8 marzo 1992). • Convegno internazionale su “Teatro Europeo: quali percorsi formativi” (Torino, 14 - 17 maggio 1992). • 3° Congresso Internacional de Sociologia do Teatro (Fondazione Gubelkian, Lisbona, 30 ottobre - 2 novembre 1992). • Convegno su “La piazza nella storia. Eventi, liturgie, rappresentazioni” (Università di Salerno-Fisciano, 9 - 11 dicembre 1992). • Seminario-convegno della Università del Teatro Euroasiano - “Drammaturgie parallele” (Fara Sabina, 21 - 30 maggio 1993). • Giornate di incontri e di studi “Per Carmelo Bene” (Perugia, 13 - 16 gennaio 1994). • 1° Congresso Nazionale “L’antropologia e la società italiana” (Roma, 28 - 30 aprile 1994). 15  • Convegno “L’identità collettiva e la memoria storica: un confronto tra Italia e Polonia”, organizzato dall’Ambasciata d’Italia e dall’Università di Varsavia (Varsavia, 16 – 18 giugno 1994). • Convegno di studi su “L’altra via dell’intelligenza. Teatro e valore” (Terza Università di Roma, 11 e 12 ottobre 1994). • 1° Convegno Europeo Teatro e Carcere - “Immaginazione contro emerginazione” (Milano, 21 - 23 ottobre 1994). • Convegno su “I sommersi e i salvati. Come, perché, dove e per chi fare teatro?” (Terza Università di Roma, 4 e 5 marzo 1995). • Convegno internazionale per la fondazione del Centre International d’Ethnoscènologie (Paris, 3 - 4 maggio 1995). • Convegno su “Pacifismo, disobbedienza civile, obiezione di coscienza: il ruolo della Comunità di Capodarco” (Lido di Fermo, 13 - 14 maggio 1995). • Congresso Europeo della Biennale Théâtre Jeunes Publics - “Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui?” (Lyon, 3 - 5 giugno 1995). • Convegno su “Teatro antropologico e Antropologia teatrale” (Scilla, 25 giugno 1995). • Convegno su “Tradizione e modernità al sud” (Gallipoli, 14 agosto 1995). • Convegno Internazionale su “Teatro e Scuola: Università ed Educazione al Teatro” (Roma, 18 - 19 ottobre 1995). • Convegno “Teatro e Scuola fra espressività e percezione” (Modena, 15 - 16 novembre 1996). • 5ème Congres International de Sociologie du Théâtre (Mons, 20 - 23 marzo 1997). • Convegno Nazionale su “Arte del narrare, arte del convivere. Incontro tra immigrati, educatori e artisti narratori” (Palermo, 3 - 5 aprile 1997). • Convegno di studio “Creativi si nasce? Teatro e creatività nei possibili percorsi della riforma scolastica” (Palazzolo sull’Oglio - BS, 16 - 17 ottobre 1997). • Convegno su “Le letterature popolari. Prospettive di ricerca e nuovi orizzonti teorico- metodologici” (Fisciano e Ravello - Università di Salerno, 21 - 23 novembre 1997). • Convegno su “Il gioco del teatro. L’animazione trent’anni dopo” (Torino, 21 - 22 aprile 1998). • Convegno “Processo federalistico delle istituzioni meridionali e mediterranee” (Messina, 24 aprile 1998). • Convegno-Seminario “Carmelo Bene e Gabriele D’Annunzio. Sulla verticalità del verso” (Roma, Teatro Valle, 19 maggio 1998). • “Acting, Life, and Style”, convegno per un progetto internazionale di ricerca organizzato dall’Italienska Kulturinstitutet “C.M. Lerici” e dal Teatervetenskapliga Institutionen della Universitet Stockholms (Stoccolma, 9 - 13 settembre 1998). 16  • 3° Convegno Europeo di Teatro e Carcere: “Verso il Duemila, il cammino di un’utopia concreta” (Milano, 27 - 31 ottobre 1998), tavola rotonda su “Il costringimento e il suo doppio” (30.10.98). • Convegno “Io sono la prima attrice. Crocevia di esperienze tra teatro e handicap” (Milano, 20, 21, 22 novembre 1998). • Convegno “Un teatro per domani”, all’interno della X edizione di Galassia Gutemberg Mostra mercato del libro e della multimedialità (Napoli, Mostra d’Oltremare, Galleria Mediterranea, 21 febbraio 1999). • Convegno di studio per dirigenti e docenti della scuola “Il Corpo - la Macchina tra avventura, traduzione, mistero” (Calcinate, Bergamo, 21 - 22 maggio 1999). • Congresso “Le Corps du Théâtre. À partir de la Méditerranée: organicité, contemporanéité, interculturalité” (Bologna, 13 e 14 ottobre 1999), organizzato dalla Maison de Sciences de l’Homme, Ente Teatrale Italiano e D.A.M.S. dell’Università di Bologna. • Encontro Internacional de Novo Teatro para Crianças e Adolescentes – “Percursos” (Lisboa – Portugal, Centro cultural de Bélem, 20 – 27 maggio 2000). • “Per un teatro popolare di ricerca”, convegno organizzato da La Corte Ospitale (Rubiera, 23, 24 e 25 giugno 2000). • Primo Convegno Internazionale di Studi “I teatri delle diversità e l’integrazione” organizzato da Ass. Cult. Nuove Catarsi (Cartoceto –Ps, 14 – 15 ottobre 2000). • Convegno Internazionale “Intrecci tra Educazione Arte Natura nella prospettiva della conversione ecologica” (Amelia, 29 marzo – 1 aprile 2001), organizzato dalla Casa Laboratorio di Cenci. • Giornate di studio e di ricerca “I Sud e le loro Arti” (Arnesano, 6, 7 e 8 settembre 2001, organizzato dal Comune di Arnesano (Le) e dall’Università di Lecce. • Convegno “Il cinema al limite, al limite il cinema” (Perugia, 9 novembre 2001), organizzato da Batik-Perugia Film Festival. • “Ho sognato che vivevo. Teatri della trasformazione e dell’esclusione. Esperienze di teatro con protagonisti non comuni (pazienti psichiatrici, carcerati, portatori di deficit, immigrati) a confronto con studiosi e amministratori”, (Arena del Sole, Bologna, 12 e 13 aprile 2002) convegno organizzato dall’Azienda USL Bologna Nord e dalla Regione Emilia-Romagna. • Convegno di Studi “Antropologia e poesia” (Fisciano-Ravello, 2 – 4 maggio 2002), organizzato dall’Università degli studi di Salerno e dall’A.I.S.E.A.- Sezione di Antropologia e letteratura. • Convegno “Per un nuovo Teatro in Italia e in Europa” (Roma, Teatro Valle, 16 e 17 maggio 2002), organizzato dall’Ente Teatrale Italiano nel quadro di “Cercando i teatri 2001-2002”. 17  • Convegno “Residui illimitati” (Bergamo, Chiesa di S.Agostino, 21 giugno 2002), organizzato da Il Teatro Prova nel quadro del festival “Non voglio perdere la meraviglia. Teatri e arti tra diversità e alterità”. • Convegno Internazionale “Le arti del ‘900 e Carmelo Bene” (Torino, Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, 24 – 27 ottobre 2002), organizzato dalla Regione Piemonte e dall’Organizzazione per la Ricerca in Scienze e Arti di Torino. • Convegno Internazionale “Performing Through – Tradition as Research at the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards” (Vienna, Theater des Augenblicks, 28 – 29 giugno 2003. • Non solo per piacere. Pratiche teatrali. Adolescenti. Giustizia. Convegno nazionale sulle esperienze di teatro con minori in area penale interna ed esterna (Bologna, Maison Française, 28 febbraio 2003), organizzato dal Dipartimento Musica e Spettacolo dell’università di Bologna, dalla Regione Emilia-Romagna e dal Centro Giustizia Minorile per L’Emilia Romagna e Marche. • Colloque International d’Ethnoscénologie (Parigi, Université Paris 8, 12 – 14 settembre 2005) • Convegno “L’Attore”, organizzato da Primafila e InScena con il patrocinio delle Segreterie di stato per il Turismo e gli Istituti Culturali – Repubblica di san Marino (Sala SUMS, 23 e 24 settembre 2005). • Giornate di lavoro e di studio nel quadro dell’Assemblea Generale di IRIS - Associazione Sud Europea per la Creazione Contemporanea (Modena, Palazzo Comunale, 28 – 29 ottobre 2005). • “Controscuola. Riflessioni ed esperienze pedagogiche”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Museo di Roma in Trastevere, 4 – 5 febbraio 2006). • International symposium on tracing roads across “Living Traces – Performing as a Shared Reality” (in the occasion of the 20th Anniversary of the Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards), Teatro Manzoni, Pontedera – PI, 11 – 13 aprile 2006. • Convegno “Réécritures de Médée”, organizzato dal Centre de Recherche en Etudes Féminines – Etudes de genre del’Université Paris 8 (Saint-Denis, Musée d’Art et d’Histoire, 24 e 25 novembre 2006. • “Il disagio e chi se ne occupa. Crisi dei sistemi educativi e di cura e prospettive dell’agire sociale”, convegno organizzato dalla rivista “Lo straniero” (Roma, Sala Civita, Piazza Venezia, 12 – 13 maggio 2007. • 1° Incontro su “Travestitismo e identità di genere nelle scienze della recitazione” (Napoli, Galleria Toledo, 16 novembre 2007), organizzato dal Dipartimento di Neuroscienze, Unità di Psicologia Cilinica e Applicata e dalle Università degli Studi di Napoli Federico II , L’Orientale, Suor Orsola Benicasa; comunicazione su Il teatro e l’alterità di genere. Il caso o l’esempio di Carmelo Bene. 18  • 2° Convegno Regionale A.I.Fi Umbria su “Le alterazioni posturali: dalla conoscenza alla coscienza riabilitativa” (Trevi, Hotel della Torre, 1 marzo 2008), organizzato con la collaborazione dell’Università di Perugia; comunicazione su Postura e cultura. Il corpo della tradizione e il corpo della rappresentazione. • Convegno “Venti anni di teatro della Compagnia della Fortezza – Per un teatro stabile in carcere” (Volterra, Cortile principale del carcere, 21 e 22 luglio 2008) – coordinatore e relatore. • Convegno internazionale “Il teatro che ho in testa. Per un festival di teatro da sogno” (Ulassai e Jerzu, 8 – 9 agosto 2008), organizzato da Cada Die Teatro, nel quadro di “Ogliastra Teatro, festival dei tacchi”. • Convegno “La frontiera del teatro. Grotowski 30 anni dopo” (Milano, Teatro dell’Arte, 23 – 24 gennaio 2009), organizzato dal CRT Centro di Ricerca per il Teatro di Milano. • Convegno “Teatro e Infanzia”, a cura di G. Fofi e M. Martinelli, organizzato dal Teatro Stabile di Napoli e da Punta corsara (Scampia-Napoli, Teatro Auditorium, 28 e 29 marzo 2009. • Journée d’étude “Modes et formes d’émergence dans le théâtre” (Liegi, Belgio, 15 maggio 2009), organizzato, nel quadro del progetto Prospero, dall’Université de Liège e dal Théâtre de la Place. • “Ricordando Lévi-Strauss. Convegno di studi” (Macerata, 6 maggio 2010), organizzato dal Centro Internazionale di Studi sul Mito e dall’Università di Macerata. • Convegno seminariale “Chi è il prossimo?”, organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del 40° Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, XXXXX luglio 2010) • “Futuramente. 1° Convegno intorno alla Creatività per le future generazioni” (Pontedera, Museo Piaggio, 29, 30, 31 ottobre 2010), organizzato dall’ass. Libera Espressione e dal Comune di Pontedera (PI). • Journée d’étude “Vous ne trouvez pas ça tragique? – conversation publique sur l’art, l’esthétique et la politique” (Tolosa, Francia, 15 gennaio 2011), organizzata dal Théâtre Garonne, nel quadro di “In Extremis # 7”, 6 – 15 gennaio ’11. • “Una giornata con il Living Theatre” – conversazione pubblica (San Sisto – Perugia, Teatro Bertolt Brecht, 27 marzo 2011) organizzata dall’UILT nel quadro della Giornata Mandiale del Teatro. • Convegno Internazionale “Civiltà, culture, educazione. Le sfide della società tardo- moderna alla pedagogia” (Aula Magna della Lumsa, Roma, 5 aprile 2011), organizzato dalla Facoltà di Scienze della Formazione della LUMSA di Roma. • Convegno seminariale “Un’idea di rivoluzione” , organizzato dalla rivista “Lo straniero” nel quadro del 41° Festival Internazionale del Teatro in Piazza (Santarcangelo di Romagna, Supercinema, 16 luglio 2011). 19  • “Il n’y a pas de révolution politique possible, s’il n’y a pas d’une révolution poétique” – incontro internazionale e tavola rotonda sul rapporto tra pratiche artistiche e mutazioni politiche nelle aree interessate dalla “primavera araba” (Terni, Festival Internazionale della Creazione Contemporanea, Caos Area Lab, 18 settembre 2011). • Journée d’études “Potlach notionnel sur la performance. National potlach on performance”, organizzata dall’E.H.E.S.S., dall’Université Paris Ouest-Nanterre, dal Centre Edgar Morin e dal H.A.R. (Amphithéâtre François Furet, 105 bld. Raspail, Paris – 29 maggio 2012). • Convegno internazionale della Facultatea de Teatru si Televiziune – Universitatea Babes-Boyai di Cluj-Napoca (Romania) “The Bad Spectator. Performing Arts between Construction and Destruction / Le mauvais spectateur. Les arts du spectacle entre construction et destruction”, organizzato dal gruppo di ricerca Istoria Teatrului, Iconografie si Antropologie Teatrali a Cluj-Napoca (7 – 9 giugno 2012). • Seminario “L’esperienza del principio. Jerzy Grotowski, l’infanzia e la rinuncia all’assenza” (Cenci-Amelia, 16 giugno 2012), nel quadro della manifestazione “Sorgenti e torrenti. Omaggio a Jerzy Grotowski e al Teatro delle sorgenti” organizzata dal Laboratorio di Cenci 15 – 17 giugno 2012. • Convegno “Le théâtre et ses publics: la création partagée” - 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO (26 -29 settembre 2012, Salle académique dell’Università di Liegi – Belgio), organizzato dal Théâtre de la Place di Liegi e dell’Université de Liège. • “Confusion de genres. Journées d’étude en l’honneur de Jean-Paul Manganaro”, organizzato dall’Université de Lille 3, dall’Université Paris Ouest-Nanterre-La Defense e dall’Università Italo Francese (Lille, 29 novembre – 1° dicembre; Paris, 12 dicembre 2012). • Colloque International “D’après Carmelo Bene” (Parigi, Institut National d’Histoire de l’Art - Conservatoire National Supérieur d’Art Dramatique - Cinéma du Panthéon – 8, 9 e 12 gennaio 2013), organizzato da HAR, Université Paris Ouest-Nanterre, Labex Arts-H2H, Université Paris 8 Vincennes-Saint Denis, CNSAD, Dipartimento Uomo e Territorio dell’Università di Perugia (in partenariato con Union des Théâtres de l’Europe e con Emilia Romagna Teatro Fondazione). • Incontro sul tema “Memoria e Identità” (Gubbio, Biblioteca Sperelliana, 23 febbraio 2013), organizzato dal Comune di Gubbio e dal Lyons Club Gubbio Host. • “Teatro e nuovo umanesimo”, convegno nel quadro della “Giornata per Claudio Meldolesi” (Bologna, Laboratorio delle Arti, 18 marzo 2013), organizzata dal Dipartimento delle Arti visive, performative, mediali dell’Università di Bologna, con il patrocinio dell’Accademia dei Lincei. 20  • Convegno Nazionale di Teatro educativo intitolato “Scrittura e riscrittura. Da testo alla messa in scena – Esperienze a confronto” (Avigliano Umbro, TR, 27 -28 aprile 2013). • 7° Colloque international d’ethnoscénologie, organizzato da Maison des Cultures du monde, Université Paris 8, Maison des Sciences de l’Homme Paris Nord (Paris, 21 -23 maggio 2013) • Incontro sul tema “Ai confini della democrazia” (Roma, La Pelanda, 11 settembre 2013) organizzato dalle Edizioni dell’Asino nel quadro della rassegna Short Theatre n. 8 intitolato “Democrazia della felicità” (Roma, 5 – 18 settembre 2013). • Convegno Seminario “Intellettuali e riviste tra passato, presente e futuro” (Perugia, Sala della Partecipazione del Consiglio regionale dell’Umbria, 17 settembre 2014). • Convegno sulla Rete Regionale dei Teatri (Modena, Teatro delle Passioni, 27 novembre 2013), organizzato dalla Fondazione Mario del Monte e da Emilia Romagna Teatro. • Convegno “La possibilità del teatro. Un incontro di riflessione e confronto”, organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro (Pontedera, PI, Teatro Era, 12, 13, 14 dicembre 2014). • Convegno “Il teatro della critica” (Pistoia, 14 e 15 novembre 2015), organizzato dal Centro Culturale “Il Funaro” e dall’Associazione Teatrale Pistoiese. RICERCHE ricerche teoriche: • Il contesto sociale della criminalità e della devianza - “Le basi strutturali dei processi di criminalizzazione” (1974 - 1976). • La solitudine abitativa come fenomeno emergente (gennaio - ottobre 1980). • Riferimenti teorici ed esperienze empiriche nella fondazione di una antropologia del teatro (1984 - 1988). • Cultura dell’attore nelle tradizioni teatrali euroasiatiche (1987 - 1992). 21  • L’identità dello spettatore e i modelli di fruizione del teatro (1988 - 1990). • Sociabilità, Relazionalità, Spettacolarità (1990 - 1991). • Tecniche del corpo e azioni performative (1992 - 1993). • Studio per la realizzazione di uno spettacolo teatrale sul tema del cooperativismo (dicembre 1993 - febbraio 1994). • Elements anthropologiques dans le théâtre contemporain - nel quadro della partecipazione al Groupe international de recherche interdisciplinaire “Spectacle vivant et sciences de l’homme” - Maison de l’Homme, Paris (dal 1996 ancora in corso). • Il teatro e la scuola: le funzioni pedagogiche del teatro e i corsi di formazione degli operatori teatrali e degli insegnanti - nel quadro dell’attività dell’Uni-Tea, progetto coordinato dall’Ente Teatrale Italiano (dal 1997 al 2000). ricerche empiriche: • Gli atteggiamenti nei confronti della devianza criminale e dell’istituzione carceraria (ricerca condotta nel quartiere di P.ta Eburnea di Perugia - giugno 1974). • Le opinioni e gli atteggiamenti degli studenti dell’Istituto Tecnico per Geometri di Perugia nei confronti della scuola e della condizione giovanile (aprile - maggio 1976). • Indagine su tipologia e censimento degli organismi di democrazia di base (ricerca per il Consiglio Regionale dell’Umbria, 1976 - 1977). • Ricerca sulla definizione e le caratteristiche della popolazione “reale” (ricerca del C.R.U.R.E.S., marzo - maggio 1978). • Indagine sull’ascolto radiotelevisivo in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, maggio 1978 - ottobre 1979). • Ricerca sul comportamento elettorale in Umbria attraverso l’analisi dei risultati delle elezioni politiche ed europee del giugno 1979 (giugno - dicembre 1979). • Indagine sull’esercizio e il mercato cinematografico in Umbria (ricerca dell’Associazione Umbra per il Decentramento delle Attività Culturali, ottobre 1982 - marzo 1983). • Inchiesta sul teatro dialettale in Umbria (ricerca del Centro Documentazione Spettacolo, settembre 1983 - aprile 1984). • Analisi dei risultati delle elezioni amministrative del 1985 nel comune di Perugia (ricerca del Comune di Perugia, giugno 1985 - aprile 1986). • Ricerca sulla memoria e sulla identità dello spettatore (ricerca condotta in Salento per l’International School of Theatre Anthropology, marzo- ottobre 1987). • L’informazione televisiva in Umbria: i notiziari regionali (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, novembre 1987 - giugno 1988). • Indagine sulle emittenti radiotelevisive operanti in Umbria (ricerca del Comitato Regionale Umbro per il Servizio Radiotelevisivo, novembre 1988 - settembre 1989). • Aspetti devozionali e spettacolari nelle feste religiose patronali (ottobre 1996 – ottobre 2002). 22  • “In compagnia: ricerca e analisi sulle opportunità di lavoro e di impiego nel settore teatrale” (nel quadro dell’azione pilota “terzo settore e occupazione” promossa dalla Commissione Europea D.G.V); ricerca coordinata da Emilia Romagna Teatro con la collaborazione di “Amitié”, Taller de Investigaciòn de la Imagen Teatrale di Madrid, Teatro delle Briciole, Teatro Festival, Thomas Consulting Group (dal 15 dicembre 1997 al 15 dicembre 1998). • Ricerca empirica sulla definizione e sulla’informazione e formazione dello spettatore, all’interno del progetto “100 spettatori da adottare” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro e dall’ETI Ente Teatrale Italiano (aprile 2000 – aprile 2001). • “Il nuovo attore nuovo” Osservatorio scientifico sulla pedagogia dell’attore di innovazione, applicato al Progetto interregionale “Teatro – Percorsi di Alta Formazione” organizzato dalla Fondazione Pontedera Teatro, dai Cantieri Teatrali Koreja di Lecce e dal Nuovo Teatro Nuovo di Napoli, in convenzione con le rispettive Regioni (gennaio – giugno 2008). • Analisi documentale del “Cantiere delle Arti” – un cantiere transnazionale per la creazione di percorsi integrati connessi alla realtà produttiva del settore spettacolo dal vivo – costituito da Emilia Romagna Teatro Fondazione, dalla Regia Accademia Filarmonica e Musica e Servizio Cooperativa Sociale (aprile – dicembre 2011) 23  PUBBLICAZIONI Sull’opera e il pensiero degli antropologi Giulio Angioni. Tra antropologia e letteratura (recensione), “Lo straniero Arte Cultura Società”, anno VII, n. 35, maggio 2003, pp. 153 – 156. Bourdieu: l’autoanalisi di un maestro, “Lo straniero Arte Cultura Scienza Società”, anno X, n. 70, aprile 2006, pp. 90 – 92. Postfazione alla parte quinta “Dimensioni della festa” in: T. Seppilli, Scritti di antropologia culturale, (M. Minelli – C. Papa, curatori), 2 voll., Olschki Ed. , Firenze, 2008; vol. II – La festa, la protezione magica, il potere, pp. 519 – 529. Lo sguardo lontano di Lévi-Strauss, “Lo straniero Arte Cultura Scienza Società”, anno XIV, n. 116, febbraio 2010, pp. 106 - 109. Lezione e monito dell’ultimo Baudrillard, “Lo straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVII, n. 157, luglio 2013, pp. 76 – 79. Sulla condizione e la subcultura giovanile: Dopo Licola, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse”, n. 17, nov. 1976, pp. 50 - 67. Il corpo e il territorio, “Segno critico”, anno I, nn. 2 - 3, luglio - dicembre 1979, pp. 99 - 103. Una nuova solitudine. Vivere soli tra liberazione e integrazione, (in coll. con P. Bartoli e S. La Sorsa), Savelli ed., Roma, 1981, 255 pp. Protagonismo, narcisismo e consumismo, “Ombre Rosse”, n. 33, marzo 1981, pp. 13 - 21. Forza ragazzi, “Linea d’ombra”, anno IV, n. 13, febbraio 1986, pp. 8 -10. Disagi giovanili, disagi senili, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno II, n. 8, autunno 1999, pp. 43 – 50. Il diavolo, sicuramente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XI, n. 84, giugno 2007, pp. 33 – 37. Lo studente quotidiano, “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, anno I, n. 3, novembre- dicembre 2010, pp. 10 – 19. La Giovane Italia, “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, anno II, n. 7, settembre- ottobre 2011, pp. 93 – 98. Un saggio Laffi sui giovani e i vecchi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVIII, n. 166, aprile 2014, pp. 30 – 34. Sulla devianza e la criminalità: La ricerca dei ricercati. Sociologia dell’ordine pubblico, (in coll. con G. Baronti), “Ombre Rosse”, n. 21, luglio 1977, pp. 85 - 95. 24  La organizzazione del consenso nel regime fascista: la manipolazione ideologica della devianza criminale, (in coll. con G. Baronti), “Studi e materiali di antropologia culturale”, n. 5, Perugia, 1983, 33 pp. Sulla cultura meridionale: Mezzogiorno è già passato, in: G. Fofi – A. Leogrande (curatori), Nel sud, senza bussola. Venti voci per ritrovare l’orientamento, L’ancora del mediterraneo, Napoli, 2002, pp. 17 – 30 Sulla cultura politica e la politica culturale: Partiti e comportamento elettorale. Analisi dei risultati delle elezioni del giugno 1789 in Umbria (in coll. con A. Sorbini), Com.Reg.Umbro PSI, Perugia, 1980, 295 pp. Caro nome..., in: AA.VV., A proposito dei comunisti, Linea d’ombra ed., Milano, 1990, pp. 49 - 64. La festa dell’albero. Come ri-nasce un partito, “Linea d’ombra”, anno IX, n. 58, marzo 1991, pp. 16 - 20. Invenzione, diffusione e agonia dell’operatore culturale, “Linea d’ombra”, anno XI, n. 88, dicembre 1993, pp. 13 - 17. Ebrei e naziskin. I fatti e le notizie, in: A. Cavaglion (a cura di), Gli aratori del vulcano. Razzismo e antisemitismo, Linea d’ombra ed., Milano, 1994, pp. 59 - 64. Il punto e la linea. Maggioranze, minoranze e critica della politica, “Linea d’ombra”, anno XIII, gennaio 1995, n. 100, pp. 4 - 5. La cultura del maggioritario, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, n. 1, febbraio 1995, pp. 4 - 7. Una merce come le altre? La fiera del libro a Torino, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, n. 4, giugno 1995, pp. 65 - 66. Laici ed eretici, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, n. 13, marzo 1996, pp. 15 - 16. A Perugia c’è cultura da vendere , “L’indice”, anno XV, n. 10, novembre 1998, p. 50. Sull’industria della coscienza: una questione di dettaglio , introduzione a: H.M. Enzensberger, Questioni di dettaglio. Poesia, politica e industria della coscienza , trad. di G. Piana, ediz. e/o, Roma, 1998, pp. 5 - 12. La parabola del buon rettore, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno II, n. 5, inverno 1998-99, pp. 56 – 60. L’età dello stagno , “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno II, n. 6, primavera 1999, pp. 150 - 159. Cosa ci tocca vedere, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno II, n. 7, estate 1999, pp. 58 – 63. Il laico e il sacro, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno V, nn. 15-16, primavera 2001, pp. 165 – 176. 25  Qualcosa è accaduto, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno V, n. 17, settembre 2001, pp. 41 – 48. Il porto dell’università, fra la nebbia e il miraggio, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno VI, n. 21, marzo 2002, pp. 47 – 53. Toni, Bepi e san Francesco (per tacere di sant’Agostino), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno VI, n. 23, maggio 2002, pp. 24 – 27. (recensione) La sera del dì di festa, “Lo straniero. Arte Cultura Società”, anno VI, n. 28, ottobre 2002, pp. Questo Papa e quella guerra, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno VII, n. 38-39, agosto- settembre 2003, pp. 15 – 20. La controriforma e il doposcuola, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno VIII, n. 42-43, dicembre 2003 – gennaio 2004, pp. 120 – 124. Grande Papa, tanta gente, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno IX, n. 60, giugno 2005, pp. 20 –22. La questione comica, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno IX, n. 65, novembre 2005, pp. 10 –13. Il silenzio dei post-comunisti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno X, n. 73, luglio 2006, pp. 10-14. Il viaggio di Francesco Piccolo nei divertimenti di massa (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XI, n. 81, marzo 2007, pp. 106 –108. La mamma ha un cuore verde. Un racconto di Rosa Matteucci (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XI, n. 88, ottobre 2007, pp. 33 – 37. La montagna elettorale, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società, anno XII, n. 94, aprile 2008, pp. 14 – 17. Il male minore, in: M. Bon Valsassina (curatore), In fondo al male. Contributi e Iconografie sul Male, Futura ed., Perugia, 2008, pp. 81 – 85. Universitas docet, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIII, n. 105, marzo 2009, pp. 24 – 28. Un pomeriggio tra le minoranze, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIII, n. 110-111, agosto-settembre 2009, pp. 161 – 165. Silvio, Umberto e i giovani d’oggi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIII, n. 112, ottobre 2009, pp. 18 – 23. La parte dell’arte, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIV, n. 118, aprile 2010, pp. 93 – 104. (riedito in: P. Giacchè – V. Giacopini – E. Morreale – N. Lagioia, Necessità e servitù della critica. Cosa cerca l’arte? A che serve la critica?, Edizioni dell’Asino, Roma, 2011, pp. 5 – 18). Prefazione a: Carlo e Rita Brutti, Scrutatori d’anime. La psicoanalisi che viene, Edizioni dell’Asino, Roma, 2010, pp. 5 – 19. Lo sciopero e la grève, ovvero dalla Francia con stupore, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIV, n. 126/127, dicembre 2010-gennaio 2011, pp. 15 – 18. Il teatro del prossimo, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIV, n. 126/127, dicembre 2010-gennaio 2011, pp. 48 – 52. 26  Teatro e politica all’italiana: l’Attore e l’Assessore, “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, anno II, nn. 5 – 6, marzo/aprile – maggio/giugno 2011, pp. 161 -168. Via col vento, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XV, n. 133, luglio 2011, pp. 33 – 37. Specchiarsi nelle vite degli altri. Un romanzo di Emmanuel Carrère, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XV, n. 136, ottobre 2011, pp. 44 – 46. Il maggio è francese, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVI, n. 144, 2012, pp. 15 – 21. Ci fu una volta la sinistra, ovvero il silenzio dei post-comunisti, Edizioni dell’asino, Roma, 2013, 149 pp. La cultura e la politica, un atto unico in due tempi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVII, n. 153, marzo 2013, pp. 94 – 98. Indovinala Grillo!, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVII, n. 154, aprile 2013, pp. 15 – 18. Fazio ovvero l’ultima volta della tivvù, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVII, n. 154, aprile 2013, pp. 71 – 76. L’università dei vavassini, “Gli asini. Rivista di educazione e intervento sociale” (numero monografico su Valutazione e meritocrazia nella scuola e nella società), anno IV, ottobre- novembre 2013, pp. 50 – 58. Il niente che avanza, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVIII, n. 164, febbraio 2014, pp. 18 - 25. Il Giovane Renzi, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVIII, n. 167, maggio 2014, pp. 35 – 39. I volontari dell’ottimismo. Marino Sinibaldi riflette sulla cultura, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XVIII, nn. 170-171, agosto-settembre 2014, pp. 14 – 18. Sul pensiero e l’azione di Aldo Capitini Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Opposizione e liberazione. Scritti autobiografici, Linea d’ombra ed., Milano, 1991 (riedizione con il titolo Opposizione e liberazione. Una vita nella nonviolenza, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2003). Al servizio (civile) della coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, nn. 5 - 6, luglio-agosto 1995, pp. 18 - 19. Aldo Capitini e l’obiezione di coscienza, “La terra vista dalla luna. Rivista dell’intervento sociale”, n. 10, dicembre 1995, pp. 45 - 49. Introduzione e cura del volume: A. Capitini, Liberalsocialismo, ediz. e/o, Roma, 1996. L’obiezione è coscienza. L’insegnamento di Aldo Capitini, “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno V, n. 18, ottobre-novembre 2001, pp. 123 – 133. Introduzione e cura del volume: La religione dell’educazione. Scritti pedagogici di Aldo Capitini, Edizioni La Meridiana, Molfetta (Bari), 2008, 226 pp. 27  Capitini e i Perugini, “Studi Umbri”, n. 0, anno I, 2009, (www.studiumbri.it) Cura –assieme a G. Fofi- del volume: A. Capitini, Agli amici. Lettere 1947-1968, Edizioni dell’Asino, Roma, 2011. L’importanza di chiamarsi prete, “Gli asini. Educazione e intervento sociale”, anno II, n. 9, aprile/maggio 2012, pp. 6 – 11. Sulla cultura teatrale e la società dello spettacolo: Il teatro delle esperienze, (in coll. con S. De Matteis), “Quaderni di Teatro”, anno V, n. 20, maggio 1983, pp. 145 - 155. Diario scolastico del sussidiario teatrale, “Scenascuola”, n. 1, giugno 1984, pp. 42 - 52. Un pugno di terra. Conversazione con Eugenio Barba, “Linea d’ombra”, anno II, n. 12, novembre 1985, pp. 36 - 46. Living memories. Ricordi del Living e memorie viventi, “Teatro Festival (nuova serie)”, n. 1, dicembre 1985, pp. 4 - 9. Antropologia culturale e cultura tetrale. Note per un aggiornamento dell’approccio socio- antropologico al teatro, “Teatro e Storia” 4, anno III, n. 1, aprile 1988, pp. 23 - 50. Una bùsqueda de “antropologia teatral” sobre la identidad del espectator, “Repertorio. Revista de teatro”, nos. 9,10,11, agosto 1989, pp. 93 - 97. Memoire sociologique. Extraits de carnets d’une recherche anthropologique sur “L’identité du spectateur”, “Buffonneries”, nn. 22 - 23, 1989, pp. 177 - 197. Teatro necesario y teatro suficiente, “Màscara. Cuadernos Latinoamericanos de Reflexion sobre la Escenologia”, anno I, n. 2, gennaio 1990, pp. 105 - 108. Come lavorare in discesa. Ragionamenti e aggiornamenti sul teatro “minore”, “Linea d’ombra”, anno VIII, n. 46, febbraio 1990, pp. 86 - 90. Lo spettatore partecipante. Contributi per una antropologia del teatro, Guerini e ass., Milano, 1991, 207 pp. Uno spettacolo prigioniero e un teatro libero, in: M.T. Giannoni (a cura di), La scena rinchiusa. Quattro anni di attività teatrale dentro il Carcere di Volterra, Tracce ed., Piombino, 1992, pp. 73 - 76. Introduzione all’identità dello spettatore. Una ricerca di antropologia del teatro, “R.I.S.T. Revue Internationale de Sociologie du Théâtre”, n. 0, 1992, pp. 12 - 19. Teatro e antropologia. Note su una “canoa di carta”, “Linea d’ombra”, anno XI, n. 86, ottobre 1993, pp. 75 - 78. Una equazione fra antropologia e teatro, “Teatro e Storia”17, anno X, 1995, pp. 37 - 64. L’esplorazione antropologica e i “fines” del teatro, “Etnoantropologia”, nn. 3 - 4, 1995, Argo ed. Lecce, pp. 60 - 67. Nostalgia del teatro e simulazione della piazza, in: D. Scafoglio - M. Vitale (a cura di), La piazza nella storia: eventi, liturgie, rappresentazioni , Ed. scientifiche italiane, Napoli, 1995, pp. 201 - 254.  28  Introduzione e cura del volume: AA. VV., Per Carmelo Bene (Atti del convegno, Perugia, 14 - 15 gennaio 1994), Linea d’ombra ed., Milano, 1995, 218 pp. De l’anthropologie du théâtre à l’ethnoscènologie, “Internationale de l’immaginaire (nuovelle serie)”, n. 5, 1996, Ed. Maison de Cultures du monde, Paris, pp. 249 - 254. Il teatro “privato “del pubblico. Cenni di storia e appunti sulla fenomenologia dello spettatore, in: Le età del teatro. Corso triennale di storia e cultura teatrale, Ert (Emilia Romagna Teatro) ed., Modena, 1997, pp. 3 - 15. Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale, Bompiani ed., Milano, 1997, 185 pp. (Premio del Presidente del Premio “G. Pitrè – S. Salomone Marino). De la consommation du théâtre au théâtre dans la société de consommation, in: AA.VV., Pourquoi aller au théâtre aujourd’hui? (Actes du quatrième colloque européen - Biennale Théâtre Jeunes Publics, Lyon), Les Cahiers du soleil debout, Lyon, 1997, pp. 27 - 35. “Giulio Cesare”, teatro dei corpi, (recensione),“Lo straniero. Arte Cultura Società”, anno I, n. 1, estate 1997, pp. 122 - 126. Teatro antropologico: atto secondo, “Catarsi. Teatri delle diversità”, anno II, nn. 4 - 5, dicembre 1997, pp. 12 – 14 (ripubblicato in: E. Pozzi – V. Minoia (a cura di), Di alcuni teatri della diversità, ANC ed., 1999, pp. 57 – 65). Consumare teatro , “Teatro e Storia” 19, anno XII, 1997, pp. 349 - 369. Shakespeare e Garibaldi, (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno I, n. 2, inverno 1997/98, pp. 73 - 77. Au théâtre comme à la guerre!, in: Centre Dramatique Hainuyer - Centre de Sociologie du Théâtre, La mediation théâtrale (Actes du 5è Congrès International de Sociologie du théâtre organisé a Mons (Belgique) mars 1997) , Lansman, Carnières-Morlanwelz (Belgique), 1998, pp. 75 - 80; (ripubblicato dalla rivista “Théâtre éducation”, nouvelle serie, n. 9, maggio 1998, pp. 22 - 26). Spettatori non si nasce, in: Provincia di Modena - Emilia Romagna Teatro,Teatro e scuola fra espressività e percezione. Atti del convegno (Modena, 15 - 16 novembre 1996), Centro Stampa Provincia di Modena, ottobre 1998, pp. 126 - 136. O la guerra o il teatro. Sul film di Mario Martone (recensione),“Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno II, n. 4, autunno 1998, pp. 55 – 59. Politica culturale e cultura teatrale , “Primafila. Mensile di teatro e di spettacolo dal vivo”, n. 49, novembre 1998, pp. 13 - 17. Aux confins du théâtre. Sur la relation entre théâtre et anthropologie , “Diogène”, n. 186, Avril- Juin 1999, pp. 110 -123. (ripubblicato nell’edizione inglese: At the Margins of Theatre. On the Connection Between Theatre and Anthropology, “Diogenes”, n. 186, vol. 47, feb. 1999, pp. 83 – 92) Il Teatro come ‘attore’ del terzo sistema, in: “In Compagnia. Materiali per la costruzione di un quadro di riferimento per lo sviluppo dell’occupazione degli operatori artistici teatrali: il teatro quale strumento di crescita sociale”, (relazione di ricerca), Emilia Romagna Teatro, Stampa Tem, Modena, 1999, pp. 40 – 64. 29  Dell’ascolto distratto e dell’attenta lettura. I versi di Campana ripartoriti dalla voce di Carmelo Bene, (recensione), “L’indice”, anno XVI, n. 10, ottobre 1999, p. 22. Cinque domande sul presente di Danio Manfredini, (intervista), “La porta aperta”, n. 1, settembre-ottobre 1999, pp. 70 – 79. Le bugie della scuola e quelle del teatro, “Art’o”, n. 4, gennaio 2000, pp. 42 – 45 (ripubblicato in: Abbecedario della non-scuola del Teatro delle Albe, allegato a “Lo straniero Arte Cultura Società”, anno VIII, n. 45, marzo 2004, pp. 37 – 41). Il giullare fatto santo. Fo Dario fu Francesco, “L’indice”, anno XVII, n. 5, maggio 2000, pp. 24 – 25. (recensione) La settima volta di Riccardo terzo. Incontro con Claudio Morganti (intervista), “La porta aperta”, n. 5, maggio – giugno 2000, pp. 7 – 15. Tragedie nella terra, verso il mare, sotto il cielo. Incontro con Alfonso Santagata (intervista), in: S. Maggiorelli (a cura di), Tragicamente. Il teatro di Alfonso Santagata, Titivillus ed., Corazzano (PI), giugno 2000, pp. 63 – 75. (testo parzialmente ripubblicato con il titolo Teatro a cielo aperto. Incontro con Alfonso Santagata in “La porta aperta”, n. 6, luglio – agosto 2000, pp. 16 – 24) La fine dello spettatore, in: P. Giacchè (a cura di), Lo spettatore e le visioni del teatro futuro, “Prove di Drammaturgia”, anno VI, n. 1, settembre 2000, pp. 11 – 13. Entelechia del Bene. Incontro con Carmelo Bene, “La porta aperta”, n.8, novembre-dicembre 2000, pp. 48 – 59. Il teatro fuori dai teatri. Memorie di uno spettatore di provincia, in: F. Gentili (a cura di), Teatri dell’Umbria. La storia, il gioco, la memoria, Octavo, Firenze, 2000, pp. 259 – 287. L’arte dello spettatore, vedere i suoni e ascoltare le visioni, in: Città di Palermo – Assessorato alle Politiche Educative, Arte del narrare, arte del convivere (Atti del Convegno nazionale – Palermo, 3 – 5 aprile 1997), Eliocopisteria “Milone”, Palermo, 2000, pp. 123 – 138. L’identità dello spettatore. Un saggio di Antropologia Teatrale, “Etnostoria” nn. 1 – 2, 2000, pp. 57 – 86. L’art du spectateur: voir les sons et écouter les visions, “Diogène”, n. 193, Janvier – Mars 2001, pp. 100 – 113 (ripubblicato nell’edizione inglese: The Art of Spectator: Seeing Sounds and Haering Visions, “Diogenes”, n. 193, vol. 49, issue 1 2002, pp.77-87.) Carmelo Bene, attore della cultura, “Lo Straniero Arte Cultura Società”, anno VI, n. 22, aprile 2002, pp. 106 – 108. Lo spettatore del teatro e il pubblico del rito, in: A. Cappelli – F. Lorenzoni (a cura di), La nave di Penelope. Educazione, teatro, natura ed ecologia sociale. Testimonianze e proposte a partire dai 20 anni di esperienze della Casa-Laboratorio di Cenci, Giunti ed., Firenze, 2002, pp. 98 – 109. Teatro prigioniero, in: M. Buscarino, Il teatro segreto, Leonardo Arte, Milano, 2002, pp. 13 – 18. Il Sessantotto e il Teatro: un anno senza “stagione”, in: AA.VV., Rivelazioni e promesse del ’68, CUEC, Cagliari, 2002, pp. 141 – 164; (riedito con il titolo Un anno senza “stagione”: il ’68 e il teatro, “Lo straniero Arte Cultura Società”, anno VII, n. 36, giugno 2003, pp. 57 – 71). 30  L’avventura finale di Benigni (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno VI, nn. 30-31, dicembre 2002-gennaio 2003, pp. 49 – 53. Questa non è una tragedia (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno VIII, n. 44, febbraio 2004, pp. 59 – 63. L’altra visione dell’altro. Una equazione tra antropologia e teatro, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2004. Perdere un amico, “Rivista di psicologia analitica”, nuova serie n. 17, 2004, pp. 87 – 97; (ripubblicato in “Lo straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno IX, n. 59, maggio 2005, pp. 68 – 75, con il titolo Perdere un amico. Ricordo di Carmelo Bene) (ripubblicato in: B. Massimilla (a cura di), La perdita. Lutti e trasformazioni, Vivarium ed.. Milano, 2011, pp. 137 – 150). Apparire alla Madonna, postfazione a: C. Bene, Sono apparso alla madonna. Vie d’(h)eros(es). Autobiografia, Bompiani, Milano, 2005, pp. 157-159. L’identitè du spectateur. Essai d’anthropologie théâtrale, “L’Ethnographie. Création, Pratiques, Publics”, n. 3, printemps 2006, pp. 14 – 44. “Arrevuoto”: il teatro in festa (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Società”, anno X, n. 72, giugno 2006, pp. 74 –77. Un Amleto di più (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno X, n. 76, ottobre 2006, pp. 110 – 113. Dar corpo alla poesia: l’esempio e il metodo di Carmelo Bene, in: D. Scafoglio (a cura di), La coscienza altra. Antropologia e poesia, Marlin ed., Cava de’ Tirreni (SA), 2006 (Atti del Convegno di Studio “Antropologia e poesia”, organizzato dall’Università di Salerno, Salerno-Ravello, 2 – 4 maggio 2002), pp. 202 – 212. Carmelo Bene. Antropologia di una macchina attoriale – nuova edizione aggiornata e ampliata, Bompiani ed., Milano, 2007, 224 pp. Arrevuoto, n’ata vota (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XI, n. 83, maggio 2007, pp. 107 – 109. “Arrevuoto”: quando il teatro sospende la dittatura del mondo, in: Teatro delle Albe, M. Martinelli – E. Montanari (curatori), Suburbia. Molti Ubu in giro per il pianeta. 1998-2008. Ubulibri, Milano, 2008, pp. 99 – 109. La verticalità e la sacralità dell’atto, in: A. Attisani – M. Biagini (curatori), Opere e sentieri. Testimonianze e riflessioni sull’arte come veicolo, Bulzoni ed., Roma, 2008, pp. 119 –128. La dernière Médée. Le mithe dans le théâtre contemporain: un parcours à l’envers, in: AA.VV., Réécritures de Mèdée , (sous la direction de N. Setti – Centre de Recherche en Etudes Féminines et Etudes de genre, Université Paris 8), “Travaux et Documents”, n. 37, 2008, pp. 221 – 230. Saldi di fine stagione, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XII, nn. 98-99, agosto-settembre 2008, pp. 104 – 109. Teatro: Romeo all’Inferno (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XII, n. 100, ottobre 2008, pp. 108 – 110. 31  Un soffio di teatro, in AA.VV., In cammino con lo spettatore (Laggiù soffia – Era – In carne ed ossa), (a cura di S. Geraci), La casa Usher, Firenze, 2008, pp. 118 – 126. De la consommation du théâtre au théâtre dans la société de la consommation (nouvelle édition), “Degrés. Revue de synthèse à orientation sémiologique”, XXXVI année, nn. 134 – 135, été- automne 2008, pp. e/1 – e/19. L’effetLiving.Lavisiond’Artaudparles“Balinais”deNewYork,“Theatre/Public” (L’avant- garde américaine et l’Europe / II. Impact), n. 191, décembre 2008, pp. 9 -12. Le personnage public et l’acteur privé (entretien avec Piergiorgio Giacchè pas Ciryl Béghin), “Théâtre et Cinéma 2009. Marco Bellocchio, Carmelo Bene”, tome 20, publié à l’occasion du 20e Festival à Bobigny (18 mars – 5 avril 2009), sous la direction de Dominique Bax, pp. 141 -144. Voler Bene al cinema, in “Bellaria 27” (catalogo di Bellaria Film Festival, 27^ edizione, 2 – 6 giugno 2009), pp. 66 – 68; riedito in: “Lo straniero”, anno XIII, n. 109, luglio 2009, pp. 109 - 112. Fellini antropologo. Fra nostalgia e profezia, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIII, nn. 110-111, agosto-settembre 2009, pp. 94 – 101. La nostalgia, merce per tutti, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIII, n. 113, novembre 2009, pp. 129 -133. Bene Detto. Dispensa per Oratorio e Laboratorio, (a cura di P. Giacchè, con interventi di C. Bene, B. Filippi, G. Fofi, P. Giacchè, J.P. Manganaro, S. Pasello), L’arboreto – Teatro Dimora, Mondaino, 2009-2010, 143 pp. Il corpo dimenticato: Carmelo Bene, in: U. Birmaumer-M. Hüttler-G. Di Palma (curatori), Corps du Théâtre – Il Corpo del Teatro, Hollitzer Wissenshaftsverlag/Verlag Lehner, Wien (Austria), 2010, pp. 3 – 16. Los verbos transitivos del teatro. Mirar teatro, in: C. Lisòn Tolosana (a cura di), Antropologìa: horizontes estéticos, Antrhropos Editorial, 2010, pp. 153 – 182. Émergence et submersion en Italie: le système théâtral et son double, “UBU Scènes d’Europe- European stages” (numero: Emergence(s) dans le théâtre européen – in European Theatre), revue bilingue français-englais / bilingual English-French review, nn. 48 -49, 2^ semestre 2010, pp. 111 – 118. Uomini e dei in un film francese (recensione), “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XIV, n. 126/127, dicembre 2010-gennaio 2011, pp. 158 – 160. L’antropologia del teatro e il teatro della cultura, in: V. Borghi – A. Borsari – G. Leoni (curatori), Il campo della cultura a Modena. Storia, luoghi e sfera pubblica, Mimesis Edizioni, Milano- Udine, 2011, pp. 459 – 472. Homo Videns. Quella TV che si guarda da sola, “L’altrapagina”, anno XXVIII, n. 3, marzo 2011, pp. 28-29. Lo spettatore ospite, “Culture teatrali. Studi, interviste e scritture sullo spettacolo”, n.20, Annuario 2010 (Teatri di Voce, a cura di L. Amara e P. Di Matteo), giugno 2011, pp. 205- 210. 32  La parabola dell’animazione teatrale, in: D. Pietrobono – R. Sacchettini (curatori), Il teatro salvato dai ragazzini. Esperienze di crescita attraverso l’arte, Edizioni dell’Asino, Roma, 2011, pp. 46 – 65. Non fare l’amore, in: T. Cots (a cura di), Loving effects, Quodlibet ed., Macerata, 2011, pp. 17-66 (trad.inglese: pp. 175-184). Buttare il bambino nell’acqua sporca, “Lo Straniero. Arte Cultura Scienza Società”, anno XV, n. 138/139, dicembre 2011-gennaio 2012, pp. 125 – 127. Les Menoventi et le Perithéâtre, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), maggio 2012, pp. 75 – 76. Liquidité et/ou verticalité, in: C. Hurault – G. Banu (curatori), Frontières liquides – territoires de l’art. Emergences de la scène européenne, Editions Alternatives théâtrales / Union des Théâtres de l’Europe (n. 9 hors série de la revue “Alternatives théâtrales”), maggio 2012, pp. 32 – 33. Le public est mort. Vive le Public! Sur la poétique et la politique du mauvais spectateur, in: S. e J. Pop-Curseu – A. Maniutiu – L. Pavel-Teutisan – D. Enyedi (curatori), Regards sur le mauvais spectateur – Looking at the Bad Spectator, Presa Universitara Clujeana, Cluj-Napoca, Romania, 2012, 346 pp., cfr. pp. 21 – 29. Eugenio Barba e Carmelo Bene. Vite parallele e viaggi perpendicolari, “Teatro e Storia”, a. XXVI, vol. IV nuova serie, Bulzoni ed., n. 33, 2012, pp. 321 – 332. (riedito in francese, traduzione di Cristina De Simone in: Les Voyages ou l’ailleurs du théâtre. Hommage à Georges Banu (Essais et témoignages réunis par Catherine Naugrette), Éditions Alternatives théâtrales – Sorbonne Nouvelle-Paris 3, 2013, pp. 252 – 263). Il pubblico troppo emancipato, “Quaderni del Teatro di Roma”, n. 11, gennaio-febbraio 2013, pp. 12 – 13. O Espectador-Hòspede, “Revista Brasileira de Estudos da Presença”, Porto Alegre, v. 3, n. 1, pp. 101 – 109, jan./abr. 2013 - http://www.seer.ufrgs.br/presenca. Le public est mort. Vive le Public!, “Alternatives théâtrales” (Le mauvais spectateur), n. 116, 1er trimestre 2013, Bruxelles, pp. 16 – 19. Le “Public” trop émancipé: vers une poétique pauvre de la politique théâtrale, in: Le théâtre et ses publics. La création partagée (Actes du 2° Colloque International du Projet Européen PROSPERO - Liège, 26 -29 settembre 2012), Les Solitaires Intempestifs Editions, Besançon, 2013, pp. 57 – 72. Teatro e comunità, “Scena”, n. 74, 4° trimestre 2013, pp. 12 – 15. Sur Sieni, et surtout sur Virgilio... Trois exemples, in: V. Sieni, Trois Agoras Marseille. Art du geste dans la Méditerranée, Maschietto editore, Firenze, 2013, pp. 42 – 43. Risposte o riposte. Cinque lettere aperte su CB, “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”, anno XVIII, n. 1, ottobre 2013, pp. 43 – 46. Un Pinocchio letto per Bene, introduzione a: C. Bene, Pinocchio, Bompiani ed., Milano, 2014.  33  Vers la verticalité du vers, “Revue d’Histoire du Théâtre”, LXVI année, juillet-septembre 2014-III, n. 263 (D’Après Carmelo Bene. Actualité), pp. 345-354. Il combattimento tra la teoria e la poesia (dedicato a Claudio Meldolesi), “Prove di drammaturgia. Rivista di inchieste teatrali”, anno XIX, nn. 1 - 2, novembre 2014, pp. 27 – 29. Il teatro piccolo, povero, nuovo, in: “L’Italia e le sue regioni. L’età repubblicana, vol. IV Società (a cura di M. Salvati – L. Sciolla)”, Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Abramo Printing, Catanzaro, 2015, pp. 485 – 503. Carmelo selon Jean-Paul in: Croisement d’écritures France-Italie. Hommage à Jean-Paul (sous a direction de Camille Dumoulié, Anne Robin et Luca Salza), éd. Mimésis, 2015, pp. 177 – 182. Vêtements liturgiques et corps dévôts, in: Jean-Marie Pradier (sous la direction de), La croyance et le corps. Esthétiques, corporeité des croyances et identités (Actes du 7° colloque international d’ethnoscénologie, Paris, 21-23 mai 2013), Presses Universitaires de Bordeaux, 2015, pp. 113 – 121. Il presente curriculum comprende i titoli, le attività e le pubblicazioni al 31 dicembre 2016 Il sottoscritto è a conoscenza che, ai sensi dell‚art. 26 della legge 15/68, le dichiarazioni mendaci, la falsità negli atti e l‚uso di atti falsi sono puniti ai sensi del codice penale e delle leggi speciali. Inoltre, il sottoscritto autorizza al trattamento dei dati personali, secondo quanto previsto dalla Legge 196/03. Quanto dichiarato nel presente curriculum vitae corrisponde al vero ai sensi degli artt. 46 e 47 del D.P.R. 445/2000 Piergiorgio Giacchè. Giacchè. Keywords: l’altra visione dell’altro, Clifton, religion and education, ego et tu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacchè: A Cliftonian implicature” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757949198/in/dateposted-public/  

 

Grice e Giacomo – icona -- sensibile, imagine, presentazione, rappresentazione, formante e formato, contentente e contenudo -- l’inspiegabile – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Avola). Filosofo. Studia estetica. Il rapporto tra estetica e figura, immagine, rappresentazione. Si laurea sotto Garroni. Insegna a Parma e Roma. Fonda la Società Italiana d'Estetica. Nell'affrontare il concetto di ‘immagine’ è necessario rifiutare sia l'interpretazione che vede una'immagine come lo specchio di una cosa (“Fido”-Fido). E necessario rifiutare anche quella interpretazione del concetto di ‘imagine’ che la considera esclusivamente come un segno significante di se stesso. Il concetto di ‘rap-presentazione’ implica qualcosa che si mostra e nel manifestarsi resta ‘altro' dalla ‘percivibilita’ della rappresentazione stessa. Così, nel ‘presentare’ se stessa, una immagine manifesta l'altro del perceptible, del rappresentabil. Quell'altro che si rivela nel perceptibile, nascondendosi a esso. Ed è proprio così che una immagine si fa un ‘icono’ di quello che e altro il perceptibile. Afferma la tendenziale perdita di ‘figurativita’ di una immagine e del continuare a sussistere dell'immagine stessa. Una immagine, infatti, è una segno e insieme una non-segno. E il paradosso di una “irrealta reale”. Si riferisce al tentativo di scindere la natura ancipite dell'immagine negli elementi che la compongono. Da una parte in un “readymade” (come l’urinale di Duchamp), nel quale la dimensione rap-presentativa si dissolve in una dimensione puramente PRE-sentativa, e dall'altra in una pura immagine soggetiva, dotata di un debole supporto materiale. Una immagine e una meta-immgine: l’immagine di una immagine (homuncular regressus ad infinitum of Griceian theories of representation, according to Cummings, but not Grice!). Di questo modo, una immagine non e neppure propriamente immagini quanto piuttosto una ‘simul-azioni’, simile allo imperceptibile, un “simul-acro”.  Non a caso una immagine, in quanto ri-produzione (doppia) ha uno scarso valore di immagine, giacché quello a cui tende è l’assumere dell’ ‘aspetto’ di una cosa.  L’immagine perde così quella connessione di ‘trasparenza’ o ‘opacità’ che caratterizza una immagine autentica. Di qui, appunto, la questione di realizzare una immagine vera e propria. Troviamo il superamento della dimensione epifanica che è propria dell'icona, dove appunto il perceptibile è il luogo di mani-festazione di la cosa impercetibile – l’Assoluto di Bradley. Emerge una concezione dell'immagine che, nella consapevolezza dell'impossibilità di ogni pretesa di esaurire ‘il reale’ e insieme di ‘manifestare’ l'Assoluto, può essere interrogata come testimonianza di quanto non si lascia ‘tradurre’ (translation) in immagine: testimoniare, infatti, è raccontare ciò che è impossibile raccontare del tutto. In questo modo, la testimonianza fa tutt'uno *non* con la memoria in quanto conformità con l'accaduto, ma con l’immemoriale -- qualcosa che non possiamo né ricordare né dimenticare, che non è “dicibile” né “indicibile”. Insomma, il testimone “parla” (spiega, dispiega) soltanto a partire da l’impossibilità concettuale di spiegare o dispiegare. Che l'immagine valga allora come testimonianza significa che il tentativo di dire l'indicibile (spiegare l’inspiegabile) è un compito infinito. La questione dell'immagine è una questione di fidanza, di etica. In una immagine, non essendoci alcuna compiutezza, non si dà alcuna redenzione né alcuna pacificazione nel confronto col reale. Analissare l’immagine come testimonianza equivale a vedere l’immagine come il luogo di una tensione sempre irrisolta tra memoria e oblio, e quindi come l'espressione del dover essere (il possibile) del senso in un orizzonte, come l’attuale. quale sempre di più sia il mondo che l'arte sembrano essere abbando il NON-senso.  Altre opera: “Dalla logica all'estetica” (Parma, Pratiche); “Icona” “L’immagine tra presentazione e rappresentazione” (Palermo, Centro internazionale studi di estetica); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Roma-Bari, Laterza. Introduzione a Paul Klee, Roma-Bari, Laterza, "Ripensare le immagini", Mimesis, Milano,  "Volti della memoria", Mimesis, Milano,  Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Milano, Mimesis,  "Malevic. Pittura e filosofia dall'Astrattismo al Minimalismo", Carocci, Roma,  Fuori dagli schemi. Estetica e figura dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari,  "Arte e modernità. Una guida filosofica", Carocci, Roma,  "Una pittura filosofica: l'informale", Mimesis, Milano,  "F. Nietzsche. L'eterno ritorno", Alboversorio, Milano,  Media e divulgazione  Art and Perspicuous Perception in Wittgenstein’s Philosophical Reflection, L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin e Adorno. Il saggio più importante per il rapporto tra estetica e letteratura è Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Cf. "Dalla logica all'estetica”, "Alle origini dell'opera d'arte contemporanea" “Astrazione e astrazioni”,  "La questione dell'aura tra Benjamin e Adorno", Rivista di Estetica, “Volti della memoria”.  Giuseppe Di Giacomo è stato Professore ordinario di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma fino al 2015 e, dopo il pensiona- mento, dal 2015 al 2017, è stato professore a contratto di Estetica presso stessa la Facol- tà. Sempre presso la Facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza Università di Roma, è stato membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Ricerca in “Filosofia e Storia della filosofia” e Presidente del Corso di Laurea Magistrale in “Filosofia e Storia della filosofia”. È socio fondatore e membro del Consiglio di Garanzia della Società Italiana d’Estetica (SIE). È direttore della collana Figure dell’estetica presso l’editore Albover- sorio (Milano) e della collana Forme del possibile, presso l’editore Mimesis (Milano); fa parte del Comitato scientifico della rivista Paradigmi, della rivista Studi di estetica, della Rivista di estetica, della rivista Estetica. Studi e ricerche, della rivista Compren- dre. Revista catalana de filosofia, della rivista on line Memoria di Shakespeare. A Jour- nal of Shakespearean Studies e di Aesthetica Preprint, collana editoriale del Centro In- ternazionale Studi di Estetica. Fa parte inoltre del Comitato scientifico delle seguenti collane editoriali: Filosofie (Mimesis, Milano), Caffè dei filosofi (Mimesis, Milano), Eterotopie (Mimesis, Milano). È stato Coordinatore nazionale dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della Società Ita- liana di Estetica e coordinatore, dal 2001, di numerose Ricerche di Ateneo dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” relative a diverse tematiche filosofi- che, estetiche e artistiche. E’ stato inoltre responsabile di diversi progetti PRIN. Dal no- vembre 2012 all’ottobre 2015 è stato Direttore del Museo Laboratorio di Arte Contem- poranea (MLAC) della Sapienza Università di Roma. Come Direttore del Museo Labo- ratorio di Arte Contemporanea della Sapienza Università di Roma, ha ideato e coordina- to, in collaborazione con la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma e con il Teatro Argentina di Roma, numerose iniziative di carattere seminariale aventi per oggetto la filosofia, la letteratura, la musica, le arti figurative, il teatro. Dal 2015, collabora con il Teatro Eliseo all'interno del quale tiene una serie di conferenze e organizza seminari sul teatro, la musica, la letteratura e le arti visive. Collabora inoltre con la Fondazione Pri- moli di Roma e con il Museo Andersen (Polo Museale del Lazio). Tra le sue pubblicazioni: Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein (Parma, 1989); Icona e arte astratta. La questione dell’immagine tra presentazione e rappresentazione (Palermo, 1999); Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Otto- cento e Novecento (Roma-Bari, 1999; trad. in lingua spagnola a cura di D. Malquori, Estética y literatura, Universidad de Valencia, Servicio de Publicaciones, 2014); Intro- duzione a Paul Klee (Roma-Bari, 2003); Alle origini dell’opera d’arte contemporanea (Roma-Bari, 2008); Beckett ultimo atto (Milano, 2009), Ripensare le immagini (Milano, 2009); Astrazione e astrazioni (Milano, 2010); L’oggetto nella pratica artistica, (Para- digmi, 2, 2010), Il Museo oggi (Studi di Estetica, 2012), Aura (Rivista di Estetica, 2013), Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo (Roma, 2014), Fuo- ri dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi (Roma-Bari, 2015; trad. in lingua spagnola a cura di Juan Antonio Méndez, Al margen de los esquemas. Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid, 2016), Filosofia e teatro (Paradigmi, 1, 2015), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica (Studi di Estetica, 1-2/2014), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni (Milano, 2015), Arte e modernità. Una guida filosofica (Roma, 2016), 1  Una pittura filosofica. Antoni Tàpies e l'informale (Milano, 2016), Nietzsche e l’eterno ritorno (Milano, 2016). Ha partecipato a progetti di ricerca internazionali e a progetti di ricerca europei. Ha svolto attività didattica e di ricerca (tenendo conferenze, lezioni e seminari, partecipan- do a convegni di studio e svolgendo attività didattica anche in qualità di correlatore o tutor di tesi di laurea e di Dottorato) presso importanti istituzioni straniere sia accademi- che che extra-accademiche, in Spagna, Russia e Messico: Facultat de Filosofia, Universitat de Barcelona; Facultat de Pedagogia, Universitat de Barcelona; Facultat de Filosofia, Universitat “Ramon Llull”, Barcelona; Societat Catalana de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans; Ateneu de Vic; Ateneu de Barcelona; Associació Filosòfica de les Illes Balears, Mallorca; Facultat de Filosofia i Lletres, Universitat de les Illes Balears, Mallorca; Facultat de Filosofia i Ciències de l’educació, Universitat de València; Facultad de Filosofía, Universidad Complutense de Madrid; Istituto di studi post-universitari “SS. Cirillo e Metodio”, Mosca; Russian Christian Academy for the Humanities, S. Pietroburgo; “Peter the Great” St. Petersburg Polytechnic University, S. Pietroburgo; Producciòn Artìstica Contemporànea Coloquio (PAC), Centro Cultural San Pablo, Ciudad de Oaxaca, Messico; PUBBLICAZIONI: Monografie · Nietzsche e l’eterno ritorno, Commentario a F. Nietzsche, L’eterno ritorno, Al- boversorio, Milano, 2016 · Arte e modernità. Una guida filosofica, Carocci, Roma, 2016 · Una pittura filosofica. Antoni Tàpies e l'informale, Mimesis, Milano, 2016 · Fuori dagli schemi. Estetica e arti figurative dal Novecento a oggi, Laterza, Roma-Bari, 2015 (trad. in lingua spagnola a cura di Juan Antonio Méndez, Al margen de los esquemas. Estética y artes figurativas desde principios del siglo XX a nuestros dìas, La balsa de la Medusa, Madrid, 2016) · Malevič. Pittura e filosofia dall’Astrattismo al Minimalismo, Carocci, Roma, 2014 · Narrazione e testimonianza. Quattro scrittori italiani del Novecento, Mimesis, Milano, 2012 · Introduzione a Paul Klee, Laterza, Roma-Bari, 2003 · Estetica e letteratura. Il grande romanzo tra Ottocento e Novecento, Laterza, Roma-Bari, 1999 (quinta ed., 2015; trad. in lingua spagnola a cura di D. Mal- quori, Estética y literatura, Universidad de Va-lencia, Servicio de Publicaciones, 2014); 2  · Icona e arte astratta. La questione dell'immagine tra presentazione e rappresen- tazione, «Aesthetica Preprint», Palermo, 1999 · Dalla logica all'estetica. Un saggio intorno a Wittgenstein, Pratiche, Parma, 1989 Curatele · G. Di Giacomo, L. Talarico (a cura di), Letture shakespeariane. Otello e Re Lear, «Studi di Estetica», 3, 2017 · G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, «Rivista di Estetica», 61 (2016) · G. Di Giacomo (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, 2015 · G. Di Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi», 1, 2015 · G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, «Studi di Estetica», 1-2/2014 · G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), Aura, «Rivista di Estetica», 52 (2013) · G. Di Giacomo, A. Valentini (a cura di), Il museo oggi, «Studi di Estetica», 45 (2012) · G. Di Giacomo (a cura di), Volti della memoria, Mimesis, Milano, 2012 · G. Di Giacomo (a cura di), Astrazione e astrazioni. In occasione di una mostra di Gualtiero Savelli, Alboversorio, Milano, 2010 · G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), L'oggetto nella pratica artistica, «Pa- radigmi», 2 (2010), Franco Angeli, Milano, 2010 · G. Di Giacomo (a cura di), Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, 2009 · G. Di Giacomo, R. Colombo (a cura di), Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Mi- lano, 2009 · G. Di Giacomo, C. Zambianchi (a cura di), Alle origini dell'opera d'arte con- temporanea, Laterza, Roma-Bari, 2008 Saggi 2018 Introduzione a D. Malquori, L’incomprensibile ambiguità dell’orizzonte. Un so- gno fatto a Ginostra, Mimesis, Milano, collana Narrativa Mele d’Oro, 2018, pp. 5-10. 2017 Il problema della forma nella Teoria estetica di Adorno, in M. Manicone (a cura di), Sostanza di cose sperate. Scritti in onore di Franco Purini, Iiriti Editore, Campo Calabro (RC), 2017, pp. 329-337. 2017 Re Lear. “Essere maturi” in un mondo abbandonato alla cecità e alla follia, in G. Di Giacomo-L. Talarico (a cura di), “Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», 3, 2017, pp. 85-108. 3  2017 Otello: la tragedia della parola e il ruolo della narrazione, in G. Di Giacomo-L. Talarico (a cura di), “Letture shakespeariane. Otello e Re Lear”, «Studi di Estetica», 3, 2017, pp. 1-18. 2017 Dostoevsky, a writer and philosopher: “The Grand Inquisitor”, in “ACTA ERU- DITORUM”, 2017, Vol. 23, Publishing house of the Russian Christian Academy for the Humanities, 2017, pp. 61-68. 2017 Tradició i innovació en l’art, in “La Tradició”, Col-loquis de Vic, Societat Catala- na de Filosofia, Institut d’Estudis Catalans, XXI, 2017, pp. 171-178. 2017 Understanding of the «image» in Plato, in «PLATO AND ANCIENT SCIENCE», Collection of materials of 25TH INTERNATIONAL CONFERENCE «THE UNIVER- SE OF PLATONIC THOUGHT», RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMA- NITIES, Saint Petersburg, June 21–22, 2017, Appendice alla rivista di Fascia A (in Russia “VAK”) “Vestnik” della RUSSIAN CHRISTIAN ACADEMY FOR HUMANI- TIES. Redattori: Svetlov R. V., Robinson T. M. (Canada), Protopopova I. A., Mochalo- va I. N., Kurdybajlo D. S., Shmonin D. V., Alymova E. V., pp. 163-170. 2016 Form, appearance, testimony: reflections on Adorno’s Aesthetics, in G. Matteucci, S. Marino (a cura di), Theodor W. Adorno: Truth and Dialectical Experience / Verità ed esperienza dialettica, “Discipline filosofiche”, XXVI, 2, Quodlibet, Macerata, 2016, pp. 79-97 2016 Antoni Tàpies e Bill Viola: un'arte che sopravvive alla mercificazione, in G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), Contemporaneo. Arti visive, musica, architettura, “Rivista di Estetica”, 61, pp. 49-64 2016 Composizione, costruzione, icona nella concezione artistica di Pavel Florenskij, in D. Guastini, A. Ardovino (a cura di), I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore di Pietro Montani, Pellegrini Editore, Cosenza, pp. 325-334 2016 Prefazione a A. Lanzetta, Opaco mediterraneo. Modernità informale, Libria, Fog- gia, pp. 7-9 2016 Reflexions filosòfiques sobre la festa. Entre temporalitat i eternitat, in “La festa”, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, XX, Vic, pp. 51-66 2015 The Myth. Aesthetic surgery clearly demonstrates what Greek myth has already taught us: beauty stems from horror, in P. Gandola, P. Persichetti (a cura di), Art of Blade. A book about surgery and humanity, T.A.M. Books, 2015, pp. 17-29 2015 La guerra i l'art, in La guerra, Col-loquis de Vic, Societat Catalana de Filosofia, XIX, pp. 11-26 2015 Arte e vita nella Recherche di Marcel Proust, in G. Di Giacomo (a cura di), Tra arte e vita. Percorsi fra testi, immagini, suoni, Mimesis, Milano, 2015, pp. 111-138. 4  2015 Lettura dell’Amleto, in G. Di Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi», 1, 2015, pp. 21-36. 2015 Lettura del Macbeth, in G. Di Giacomo, L. Talarico (a cura di), Filosofia e teatro. Amleto e Macbeth, «Paradigmi», 1, 2015, pp. 111-125. 2014 Arte, linguaggio e rappresentazione nella riflessione filosofica di Wittgenstein in Comprendre. Revista Catalana de Filosofia, 16,2, pp.29-50. 2014 Icona e immagine, in G. Bordi, J. Carlettini, M.L. Fobelli, M.R. Menna, P. Poglia- ni (a cura di), L'officina dello sguardo. Scritti in onore di Maria Andaloro, Gangemi, Roma, pp. pp.33-37. 2014 El poder i les seves representacions, in L'estat, Col•loquis de Vic., vol. XVIII, pp.27-49. 2014 Dalla modernità alla contemporaneità: l’opera al di là dell’oggetto, in G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), Tra il sensibile e le arti. Trent’anni di estetica, «Stu- di di Estetica», 1-2/2014, pp. 57-84. 2013 Entre la paraula i el silenci: la filosofia com a recerca de la veritat, prefaci a An- toni Bosch-Veciana, "Imatge-Mirada-Paraula", Barcelona,Facultat de Filosofia, URL, 2013 2013 L’immagine artistica tra realtà e possibilità, tra “visibile” e “visivo”, in P. D’Angelo, E. Franzini, G. Lombardo, S. Tedesco (a cura di), Costellazioni estetiche. Dalla storia alla neoestetica. Studi in onore di Luigi Russo, Guerini e Associati, Mila- no, 2013, pp.121-134. 2013 La questione dell'aura tra Benjamin e Adorno, in «Rivista di Estetica», 52 (2013), pp. 235-256 2012 Antonio Pizzuto: tra letteratura e filosofia, in D. Perrone (a cura di), La vera novi- tà ha nome Pizzuto, Bonanno Editore, Catania, 2012, pp. 37-48 2012 Bellezza e chirurgia estetica, in «Studi di Estetica», 46 (2012), pp. 65-94 2012 Il paradosso dell'apparenza nel teatro di Jean Genet, in «Comprendre. Revista Catalana de Filosofia», 2 (2012), vol. 14, pp. 41-57 2012 La qüestió de la imatge a partir del debat sobre la icona, in «Col•loquis de Vic», Societat Catalana de Filosofia, 16 (2012), pp. 71- 89     2013 Art and Perspicuous Vision in Wittgenstein's Philosophical Reflection, in “Aisthe-  sis. 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Guastini, A. Campo, D. Cecchi (a cura di), Alla fine delle cose. Contributi a una storia critica delle immagini, La Casa Usher, Fi- renze, 2011, pp. 200-204. 2011 Intervista sulla bellezza, in Scuderi N. (a cura di), A me la mela. Dialoghi su bellezza, chirurgia plastica e medicina estetica, Franco Angeli, Milano, 2011, pp. 128-136 2011 La produzione artistica contemporanea attraverso la riflessione di Benjamin e Adorno, in «Studi di Estetica», n. 43, 2011 , pp. 5-20 La relaciò entre imatge i temporalitat en la reflexiò de Warburg, Benjamin i Adorno, in I. Rovirò Alemany (a cura di), Estètica catalana, estètica euro- pea. Estudis d’estètica: entre la tradiciò i l’actualitat, Barcelona, 2011, pp. 9-27 L’immagine-tempo da Warburg a Benjamin e Adorno, in “Aisthesis. Prati- che, linguaggi e saperi dell’estetico”, anno 2, n. 2, pp. 73-80, (http://www.fupress.net/index.php/aisthesis/article/view/11009/10381). 2010 Arte e realtà nella produzione artistica del Novecento, in G. Di Giacomo, L. Marchetti (a cura di), L’oggetto nella pratica artistica, «Paradigmi», 2 (2010), Franco Angelini, Milano, 2010, pp. 87-104 Il percorso di Gualtiero Savelli: dall'astrattismo di Malevič e Mondrian all'astrazione geometrica, in G. Di Giacomo (a cura di), Astrazione e astra- zioni. In occasione di una mostra di Gualtiero Savelli, AlboVersorio, Mila- no, 2010, pp. 11-19 2011 2010 2010 6  2010 La bellezza. Promessa di Immortalità?, in “Medic. Metodologia Didattica e Innovazione Clinica”, vol. 18, 1-3, dicembre 2010, pp. 48-51 2010 Ripensare l'aura nella modernità, in L. Russo (a cura di), Dopo l'Estetica, «Aesthetica Preprint», Supplementa, Palermo, 2010, pp. 75-89 Il male oggi. Produzioni artistiche e riflessioni estetiche, in P. D'Oriano, D. Rocchi (a cura di), Il male e l'essere, Mimesis, Milano, 2009, pp. 247-261 2009 Arte e moda nella riflessione estetica di Adorno, in P. Romani, Percorsi teo- retici. Scritti in onore e in memoria di P.M. Toesca, Diabasis, Reggio Emilia, 2009, pp. 213-225 2009 Forma e riflessione nel romanzo moderno, in M. Fusillo (a cura di), Philoso- phie du roman, Revue Internationale de Philosophie, 63, Meyer, Bruxelles, 2009, pp. 137-151 2009 Il silenzio, il vuoto e la fine della rappresentazione, in G. Di Giacomo, R. Colombo (a cura di), Beckett ultimo atto, Albo Versorio, Milano, 2009, pp. 13-26 2009 Immagine, icona, opera d'arte, in F. Desideri, G. Matteucci, J.M. Schaeffer (a cura di), Il fatto estetico. Tra emozione e cognizione, ETS, Pisa, 2009, pp. 163-179 2009 La questione del rapporto arte-forma nella riflessione di Prinzhorn sulle "Produzioni plastiche" dei malati mentali, Prefazione a F. Bassan, Al di là della psichiatria e dell'estetica. Studio su Hans Prinzhorn, Lithos, Roma, 2009, pp. XI-XVIII 2009 La questione dell'immagine nella riflessione estetica del Novecento, in G. Di Giacomo (a cura di), Ripensare le immagini, Mimesis, Milano, 2009, pp. 367-390 2009 Le Mal aujourd'hui. Productions artistiques et rèflexions esthètiques, in «La règle du jeu», 39 (2009), pp. 153-171 2008 Adorno: arte ed estetica dopo Auschwitz, in M. Failla (a cura di), Dialettica negativa: categorie e contesti, Manifesto libri, Roma, 2008, pp. 195-207 2008 C'è ancora spazio per l'aura nella scultura contemporanea? A proposito di Luigi Mainolfi, in P. De Luca (a cura di), Intorno all'immagine, Mimesis, Milano, 2008, pp. 135-149 2008 Postfazione, in G. Di Giacomo, C. Zambianchi (a cura di), Alle origini dell'opera d'arte contemporanea, Laterza, Roma-Bari, 2008, pp. 203-222 2007 Armando Ferrari ed Emilio Garroni: un incontro, in in F. Romano, M. Ro- manini, S. Tauriello (a cura di), La metafora nella relazione analitica, Mi- mesis, Milano, 2007, pp. 21-41 2009 Modernitat, Societat Catalana de Filosofia, Barcellona, 2009, pp. 113-134 2009 Modernità e arte, in J. Monserrat Molas, I. Roviró Alemany (a cura di), La [Atti del convegno, Col•loquis de Vic, XIII, Vic, 2008] 7  2007 Dal cosmo al caos: la pittura di Paola Romano, in Paola Romano, Catalogo della Mostra, Print Company, Roma, 2007, pp. 5-7 2007 Ironia e romanzo, in P. F. Pieri (a cura di), Perché si ride. Umorismo, comi- cità, ironia, Moretti & Vitali, Bergamo, 2007, pp. 133-152 2007 La connessione arte-moda nella riflessione estetica del Novecento, in «Al- manacco Odradek», 2 (2007), pp. 174-177 2006 Arte, storia dell'arte e beni culturali, in D. Goldoni, M. Rispoli, R. Troncon (a cura di), Estetica e management nei beni e nelle produzioni culturali, Il Brennero - Der Brenner, Bolzano - Trento - Vienna, 2006, pp. 53-60 2006 Da Nietzsche a Benjamin: riflessioni sulla metropoli e dialettica del risve- glio, in R. Colombo (a cura di), «Fictions. Studi sulla narratività», 5 (2006), pp. 31-39 2006 Il "Tintoretto" di Sartre, tra presentazione e rappresentazione, in G. Farina (a cura di), «Bollettino Studi sartriani. Gruppo ricerca Sartre», 2 (2006), pp. 213-224 2006 Pietro M. Toesca: il rovesciamento della prospettiva, ovvero il doppio sguardo, in «Eupolis», 42 (2006), pp. 40-52 2006 Sul corpo. Riflessioni filosofiche e psicoanalitiche, in «Eupolis», 41 (2006), pp. 9-20 2006 Vedere e vedere-come: le "Osservazioni sulla filosofia della psicologia" di Ludwig Wittgenstein, in S. Borutti, L. Perissinotto (a cura di), Il terreno del linguaggio. Testimonianze e saggi sulla filosofia di Wittgenstein, Carocci, Roma, 2006, pp. 125-134 2005 La poesia dopo Auschwitz, in «Eupolis», 38 (2005), pp. 36-46 2005 Sul rapporto arte-vita a partire dalla "Teoria estetica" di Adorno, in «Idee», 58 (2005), pp. 93-112 2005 Visione, forma e contenuto in Arnheim e Wittgenstein, in L. Pizzo Russo (a cura di), Rudolf Arnheim. Arte e percezione visiva, «Aesthetica Preprint», Supplementa, Palermo, 2005, pp. 195-212 2004 Arte e rappresentazione nella "Teoria estetica" di Adorno, in «Cultura tede- sca», 26 (2004), pp.103-121 2004 Le idee estetiche di Stendhal, in M. Colesanti, H. de Jacquelot, L. Norci Ca- giano, A. M. Scaiola (a cura di), Arrigo Beyle "Romano" (1831-1841), Edi- zioni di Storia e Letteratura, Roma, 2004, pp. 113-135 2004 Rappresentazione e memoria in Aby Warburg, in C. Cieri Via, P. Montani (a cura di), Lo sguardo di Giano. Aby Warburg fra tempo e memoria, Nino Aragno Editore, Torino, 2004, pp. 79-112 2003 Il problema della rappresentazione in Gombrich e Goodman, in «Studi di estetica», 27 (2003), pp. 79-112 2003 Il tema della bellezza nel romanzo moderno, in F. Sisinni (a cura di), Rifles- sioni sulla bellezza, De Luca, Roma, 2003, pp. 99-117 2003 Le nozioni di famiglia, classe, individuo nella riflessione estetica di Morpur- go-Tagliabue, in L. Russo (a cura di),Guido Morpurgo-Tagliabue e l'estetica del Settecento, «Aesthetica Preprint», Palermo, 2003, pp. 75-84 8  2003 Sguardo, simbolo, mito. Viaggio in un museo immaginario, in G. Baruchello, Cosa guardano le statue, Danilo Montinari Editore, Ravenna, 2003, pp. 5-22 2001 Comprensione e rappresentazione in Wittgenstein, in «Il cannocchiale», 3 (2001), pp. 197-224 2001 Sulla rappresentazione, in U. Cao, S. Catucci (a cura di), Spazi e maschere dell'architettura e della metropoli, Meltemi, Roma, 2001, pp. 139-147 1998 Eros come narrazione nella "Ricerca del tempo perduto" di Marcel Proust, in «Almanacchi nuovi», 2 (1998), pp. 55-76 1998 Il Secondo Concilio di Nicea e il problema dell'immagine, in L. Russo (a cu- ra di), Nicea e la civiltà dell'immagine, «Aesthetica Preprint», Palermo, 1998, pp. 71-86 1995 Jean Genet e il paradosso dell'immagine, in P. Montani (a cura di), Senso e storia dell'estetica. Studi offerti a Emilio Garroni in occasione del suo set- tantesimo compleanno, Pratiche, Parma, 1995, pp. 831-853 1994 Etica ed estetica nella filosofia del giovane Lukács, Introduzione a G. Lukács, Teoria del romanzo, Pratiche, Parma, 1994, pp. 7-41 1992 Realtà e Finzione in "Dissonanzen-Quartett" di Emilio Garroni, in «La ra- gione possibile», 5 (1992), pp. 264-268 1986 Il comportamento cognitivo dell'uomo nell'epistemologia evoluzionistica di Popper, in «Terzo Mondo», 27 (1986), pp. 48-71 1984 L'epistemologia di Mach fra positivismo e costruttivismo, in «Lineamenti», 6 (1984), pp. 57-76 1984 Senso e significato nella filosofia del linguaggio di Wittgenstein, in A. Gar- gani (a cura di), Il Circolo di Vienna, Longo, Ravenna, 1984, pp. 131-156 1983 La nozione di «uso» e la funzione della filosofia in Wittgenstein, in A. Gar- gani (a cura di), L. Wittgenstein e la cultura contemporanea, Longo, Raven- na, 1983, pp. 117-127 1982 Implicazioni e aspetti epistemologici della sociobiologia, in M. Ingrosso, S. Manghi, V. Parisi (a cura di), Sociologia possibile, Franco Angeli, Milano, 1982, pp. 69-82 1982 Natura e cultura: il rapporto tra "strutture" genetiche e "processi" di ap- prendimento nel comportamento animale e umano, in AA. VV. (a cura di), L'osservazione del comportamento sociale, Regione Piemonte, Torino, 1982, pp. 37-54 PROGETTI DI RICERCA - Progetto PRIN Tema: La forma dell’immagine Ente promotore: MIUR 2003 / 24 mesi; - Progetto PRIN / Responsabile Tema: Estetica analitica ed estetica continentale: problemi, prospettive e tradi- zioni a confronto 9  Ente promotore: MIUR 2005 / 24 mesi; - Progetto PRIN / Responsabile nazionale e Coordinatore dell’unità locale Tema: Memoria e rappresentazione nella riflessione filosofica e artistica Ente promotore: MIUR 2007, 24 mesi; Coordinatore dei seguenti Progetti di Ateneo: - Progetto di Ateneo: Immagine e rappresentazione. Problemi estetici, artistici e storici Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza” 2001 / 24 mesi - Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" 2002 / 24 mesi; - Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" 2003 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Significati e usi delle immagini nella cultura dell'Otto- Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" 2004 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica e artisti- ca del Novecento - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" 2007 / 24 mesi; - Progetto di Ateneo: Memoria e testimonianza nella riflessione filosofica, storica e artistica - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" 2008 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Rappresentazione, memoria e testimonianza nella riflessione filosofica e artistica - Ente promotore: Università di Roma "La Sapienza" 2010 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: La questione arte-vita nella società multiculturale. Identità, immagine e implicazioni etico-politiche - Ente promotore: Università di Roma “La Sapienza” 2012/ 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Il tema dell'"Annunciazione" come chiave di lettura degli at- tuali processi di globalizzazione - Ente promotore: Università di Roma “La - Sapienza” 2013/ 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Memoria e rappresentazione nella riflessione estetica e arti- stica Ente promotore: AST - Università di Roma "La Sapienza" 2007 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Evento e testimonianza nell'estetica del Novecento Ente promotore: AST - Università di Roma "La Sapienza" 2008 / 12 mesi; - Progetto di Ateneo: Il problema dell'aura nell'arte contemporanea Ente promoto- re: AST - Università di Roma "La Sapienza" 2009 / 12 mesi; 10  Coordinatore dei seguenti Seminari dell’Osservatorio di Storia dell’Arte della Società Italiana di Estetica, presso la Facoltà di Filosofia dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza” - 22 settembre 2003: Seminario sul tema Estetica e storia dell’arte: necessità di un dialogo; - 27 settembre 2004: Seminario sul tema Fine (della storia) dell'arte?; - 26-27 settembre 2006: Seminario sul tema Arte, Estetica, Visual Studies; - 8-9 febbraio 2008: Seminario sul tema Oggetto artistico e oggetto comune; - 20-21 febbraio 2009: Seminario sul tema Leggere l'opera d'arte; - 18-19 febbraio 2011: Seminario sul tema Ancora l’aura oggi?; - 27-28 gennaio 2012: Seminario sul tema Che cos’è il museo oggi? Cfr. inoltre: - Sito Web ufficiale: www.giuseppedigiacomo.it - Voci su Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo ; https://fr.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo https://en.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo https://de.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo https://ca.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Di_Giacomo 11ROMANTIC PAINTERS and playwrights of the nineteenth century found rich material in the lives of the old masters. Fueled by irresistible half-truths and rumors, they created swashbuckling narratives about the personal intimacies and rivalries, as well as the career failures and triumphs, of the Italian Renaissance artists. At the Paris Salon of 1843, for instance, Léon Cogniet unveiled his grand entry, a large canvas depicting Tintoretto painting a portrait of his beloved daughter Marietta, who lies on her death bed. Three years later, the painter and playwright Luigi Marta published a melodrama about an amorous intrigue that supposedly led to the death of Marietta, who assisted her father as an artist in his workshop. The six-episode play reads like a soap opera in which the aristocratic Alfredo is pitted against Marietta’s true love, Valerio Zuccato, a Venetian mosaicist (and thus, in Tintoretto’s world, a fellow craftsman). The play circles around the inevitable showdown between the arrogant count and the sincere artist, which precipitates Marietta’s death at the hands of the entitled, privileged, and violent Alfredo.  Parallel to this love story, the reader is regaled with the homosocial rivalry between Tintoretto and Titian, with Paolo Veronese appearing as an intercessor who mediates a grandiloquent reconciliation scene in which all three masters unite to defend the honor of the Venetian state. The narrative unfolds against Tintoretto’s commission for the Last Judgment (1562–64) in Santa Maria dell’Orto. Marta’s artist was thus, in no uncertain terms, a struggling genius waiting for recognition from his fellow artists even at the height of his success. Indeed, the episode concludes with Titian’s transformative endorsement—Ora non siete più il povero Tintoretto, ma bensì il famoso Giacomo Robusti (“now you are no longer the poor ‘son of a dyer,’ but the famous Jacopo Robusti”).1  Loosely based on actual historical personages, the tale is almost entirely fantasy. Such theatrical characterizations are nevertheless of great importance, for they help give legends the veneer of history. Giorgio Vasari’s sixteenth-century notices about Tintoretto, as well as, in the seventeenth century, Carlo Ridolfi’s biography and Marco Boschini’s various writings on the artist, were the primary sources for many of these tasty morsels, and while scholars have tried to sift fiction from reality, some myths are just too delectable to give up. We still hear repeated, for instance, the unfounded story that the young Tintoretto was kicked out of Titian’s studio. It’s not entirely impossible, but there isn’t a shred of solid evidence to confirm the tale (any more than Ridolfi’s allegation that Tintoretto dressed Marietta up as a boy so that father and daughter could wander the city streets unimpeded by society’s strict gender expectations).   The image of Tintoretto-as-rebel would culminate in Jean-Paul Sartre’s essay “The Prisoner of Venice”(1964), where the artist is reinvented as an existentialist hero, a lone wolf fighting against the stultifying rules of the system:  Fate has decreed that Jacopo unwittingly expose an age which refuses to recognize itself. Now we understand the meaning of his destiny and the secret of Venetian malice. Tintoretto displeases everyone: patricians because he reveals to them the puritanism and fanciful agitation of the bourgeoisie; artisans because he destroys the corporate order and reveals, under their apparent professional solidarity, the rumblings of hate and rivalry; patriots because the frenzied state of painting and the absence of God discloses to them, under his brush, an absurd and unpredictable world in which anything can occur, even the death of Venice.2  At the other end of the spectrum, this leitmotif is perhaps best played out for comic effect in Woody Allen’s Everyone Says I Love You (1996), in which a skirt-chaser (Allen) is overheard in the so-called Tintoretto Museum (really the Scuola Grande di San Rocco) in Venice trying to impress a Tintoretto enthusiast (Julia Roberts) by lauding the artist’s immense genius for painting “outside the academic convention of sixteenth-century Venice.”   Sometimes myths are just too powerful, and the Tintoretto myth is an extremely appealing one for modern tastes, especially in the celebratory year marking the fifth centenary of the artist’s birth. Tintoretto’s anniversary has been staged as a magnificent international banquet. The festivities began last autumn in Venice with exhibitions at the Palazzo Ducale(“Tintoretto: Artist of Renaissance Venice”) and the Gallerie dell’Accademia (“The Young Tintoretto”), as well as an excellent little show at the Scuola Grande di San Marco (“Art, Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice”). New York, in the fall, offered “Drawing in Tintoretto’s Venice” at the Morgan Library & Museum and “Celebrating Tintoretto: Portrait Paintings and Studio Drawings” at the Metropolitan Museum of Art.  The fete continues in 2019 at the National Gallery of Art in Washington, D.C., where slightly adapted versions of the Palazzo Ducale and Morgan Library exhibitions go on view this month, fortified by a third independent show called “Venetian Prints in the Time of Tintoretto.” This is a once-in-a-lifetime opportunity for audiences in America to see some one hundred and seventy artworks by Tintoretto and other Venetian Renaissance artists, painstakingly gathered by art historians Robert Echols and Frederick Ilchman (who organized the show at the Palazzo Ducale),along with curators John Marciari (of the Morgan) and Jonathan Bober (of the National Gallery). Fans of the artist and of painting in general should take note.     IT’S HARD NOT TO get swept up in all the unbridled Tintoretto worship, but this celebration also provides us an opportunity to revisit the man, the myth, the legacy, and above all, the work. To start with the biographical elements: Tintoretto was hardly seen as a pitiful “poor dyer’s son” in the eyes of his fellow Renaissance artists, nor as a maverick who “displeases everyone.” When speaking about Titian vs. Tintoretto, one must take into account a few historical particulars. For instance, in 1519, the year after Titian installed the magnificent Assumption of the Virgin in Santa Maria Gloriosa dei Frari, Tintoretto’s only achievement was to be born. In 1545, two years before Tintoretto’s first self-portrait (with which all Tintoretto exhibitions seem compelled to begin), Titian was called to Rome by Pope Paul III; in the 1550s and 1560s he was practically a court painter to the Habsburgs, while Tintoretto was painting acres of canvas to fill the walls at the Chiesa della Madonna dell’Orto, the Scuola Grande di San Rocco, and the Scuola Grande di San Marco in Venice; Titian died in 1576 during the plague, and in 1577 a conflagration devastated the Palazzo Ducale, destroying many of his paintings there, some of which would be replaced with works by Tintoretto and his assistants in the 1580s. While there was probably no love between the two men of the kind that nineteenth-century dramatists might dream up, their careers ran parallel to each other rather than in constant antagonistic competition.   Many romantic myths are dispelled in the scholarship that went into the exhibitions and the catalogue essays, but the melodrama of this rivalry still sneaks into sections such as “The Mantle of Titian,” which, at the Palazzo Ducale, was called “Dopo Tiziano” (After Titian) thereby underlining both chronological priority as well as influence. The paintings Tintoretto did afterTitian’s death in 1576—large, powerful mythological pictures such as the Forge of Vulcan (1577) and the Origin of the Milky Way (ca. 1577–78)—are spectacular, but why filter these achievements once more through Titian? And why not have, instead, a section labeled “Dopo Tintoretto,” which would include El Greco, the Carracci, Caravaggio, and a host of other artists from the past five centuries who found inspiration in his stark chiaroscuro, raking perspective, extreme foreshortening, airborne saints, psychologically charged portraits, barefoot worshippers, elaborate banquet scenes, wraithlike angels and spirits, and busted-out straw chairs?  The oft-repeated trope that Tintoretto was an outsider also willfully overlooks his obvious status as a complete insider, born in Venice and fully embedded in its institutions from birth. Titian and Veronese, in contrast, were both provincials (practically foreigners by Renaissance standards), who came from the hills and plains beyond the lagoon. While a questionable seventeenth-century account suggested an aristocratic lineage for the Robusti family, more recent studies have emphasized instead the artist’s “working class” origins. The truth is somewhere in between. Stefania Mason’s essay “Tintoretto the Venetian,” from the catalogue that accompanies “Tintoretto: Artist of Renaissance Venice,” goes a long way to contextualize the precise socioeconomic conditions of the son of a Renaissance dyer or—to be more accurate—the son of a manager of a dye works married to a “well-born woman.” The Robusti were not wealthy by any means, but they were comfortable enough to give Tintoretto a basic education that enabled him later in life to befriend the circle of writers and intellectuals known as the poligrafi, including the notorious satirist Pietro Aretino (a friend of Titian and an early supporter of Tintoretto).   Like his father, Tintoretto married up. His father-in-law, Marco Episcopi, not only belonged to an influential family of Venetian cittadini, he was also the guardian of the Scuola Grande di San Marco, where Tintoretto—two years before his marriage—painted his finest early work, Miracle of the Slave (1548). The scene features St. Mark swooping in headfirst from the sky to protect a slave from being martyred for his faith. Current viewers need not be intimidated by the religious matter of the vast majority of Tintoretto’s pictures—they are gripping visual tales of life and death. According to seventeenth-century artist and critic Marco Boschini, one beholder of Tintoretto’s St. Mark cycle reported: “The terror makes me faint, and the piety liquefies my heart in such a manner that I lose heart and melt like wax and feel completely mad!”3 As much “Game of Thrones” as Catholic doctrine in pictures, these works were meant to move, delight, and instruct their audience. Indeed, one cannot help but feel that if Tintoretto were alive today, he would be an unapologetic fan of action films and special effects. Looking at Miracle, with its explosive light and tense shadows, its superhuman heroes and racially profiled villains, and its meticulous staging of powerful, muscular, controlled bodies, one might think he invented the genre. No wonder Boschini described him as a “thunderbolt” and the “cannons of a ship.”4  Unfortunately, Miracle of the Slave has not been allowed to cross the Atlantic. Audiences in D.C. can, however, marvel at the luminous Saint Augustine Healing the Lame (ca. 1550) and the always pleasing Creation of the Animals (1550–53), which the French philosopher Gilles Deleuze once described as an image of God as a referee “at the start of a handicapped race, in which the birds and the fish leave first, while the dog, the rabbits, the cow, and the unicorn await their turn.”5  While Miracle has been in the possession of the Gallerie dell’Accademia for many decades now, seeing it anew, rehung next to the diminutive bronze relief of the same subject by the Florentine sculptor Jacopo Sansovino, was one of the highlights of the “Young Tintoretto”exhibition. With the works placed next to each other in a darkened room, the similarities and differences were enlightening. Designed and executed between 1541 and 1546 for the north tribune of the choir at the Basilica di San Marco, Sansovino’s glowing bronze panel reduces the scene to a compact, tactile, monochromatic field of chiaroscuro with a vibrant mass of bodies emerging from the picture plane in dynamic, agitated poses. Tintoretto, just on the cusp of his thirtieth year when he painted Miracle, clearly looked closely at the dramatic effects that could be sculpted out of gesture, form, and composition alone. To this art he would add the detail of expression, the intensity of extreme lighting, the terribilità that often comes with scale, and the incomparable power of color.     WHILE THE TWENTY-FIRST CENTURY audiences might think it odd for an ambitious artist to unveil a painting so closely modeled on a recent work by another artist, the reuse of motifs was a common Italian Renaissance practice, as was made clear in an insightful section of the Palazzo Ducale exhibition simply called “The Recycler.” Tintoretto and his assistants, after all, produced more square footage of painting than any other workshop in the Venetian Renaissance. In one instance, the painter salvaged an old composition from his painting Mystic Crucifixion by cutting, splitting, and reintegrating the canvas into a new picture, The Nativity(ca. 1550s and 1570s); on another occasion, he copied, pivoted, and re-costumed a previously used figure of St. Lawrence intended for the Bonomi family altar in San Francesco della Vigna, transforming the martyr into Helen of Troy. Such shortcuts were standard in most Renaissance workshops, especially prolific ones that had to turn out hundreds of altarpieces, portraits, mythological paintings, battle scenes, and other pictures.  The juxtaposition between the Florentine sculptor and the Venetian painter also underlines Tintoretto’s connectedness with other artists. He painted Sansovino’s portrait more than once, even signing one of the works as “Jacobus Tintorettus eius amicissimus” (which, if you believe the inscription, means they were Renaissance BFFs). Tintoretto was an artist’s artist. His profound sense of community comes across in a rather touching contract found in the Venetian archives and included in the small but brilliant “Art, Faith, and Medicine in Tintoretto’s Venice” at the Scuola Grande di San Marco. In this document, drafted and signed shortly after Christmas in 1585, the artist agrees to provide works and forgo any payment on the condition that the confraternity admit four people: his son Giovanni Battista Robusti; his son-in-law Marco Augusta (the real-life husband of Marietta); the tailor Bartolomeo di Lorenzo; and another man named Angelo Girardi. His dedication to his family, friends, and students is also borne out in numerous workshop drawings, which are well represented in D.C.  Offering important opportunities for artistic communion, drawing had its pragmatic as well as pleasurable purposes. In several sketches made after a copy of the ancient bust known as the Grimani Vitellius, we see multiple hands working seemingly side by side, line by line, smudge by smudge, highlight by highlight, with the goal of mastering the visible world around them. The willful way that these graphic studies dematerialize carved stone and reincarnate the male portrait head into what looks at first glance like the image of a flesh-and-blood subject is remarkable. In this sequence, note especially the Morgan Library drawing rendered by what the curator identifies as a “left-handed draftsman.” The work seems almost too bold in its deliberate, sweeping gestures to be “workshop,” but then Tintoretto was clearly a very good master with some very capable assistants.   In Tintoretto’s drawings and paintings, one often feels that he is “sculpting” with chalk, charcoal, watercolor, oil, and pigment, ignoring the flat surface of the paper or canvas. This comes across not only in the speckled black-and-white patterns of his drawings from sculptures (which he avidly collected) but in his life studies, too. His rendering of flesh frequently seems to be rippling and quivering with animal energy, as if the artist were trying to catch the living body in motion. His is possibly the most atomistic rendering of the human form in the Renaissance. The frenetic, vibrating lines in Seated Man with Raised Right Arm (ca. 1577), for instance, exemplify this stylistic peculiarity: the contours of the mythological body can never sit still but seem to be in a constant state of flex and flux. (Indeed, Tintoretto’s figural drawings make Marcel Duchamp’s Nude Descending a Staircase and every episode of “The Incredible Hulk” seem old hat when they appear centuries later.)   One of the art-historical myths destroyed—hopefully once and for all—by the exhibitions in honor of Tintoretto is that Venetians did not really draw. Some did more than others, and Tintoretto and his assistants surely drew up a storm. On various sheets we find words such as fa (make), sì (yes), fatto (made), no (no), and bono (good) scrawled across the surface; sometimes figures are singled out by an asterisk. These marks were workshop instructions on designs that had been cleared for production by the master. Sheets such as Study of a Man Climbing into a Boat (1578–79) were frequently greased and held up to the light so that forms could be retraced on the verso, offering compositional options. Many have squaring grids drawn across them. In some instances, this facilitated the transfer of the design onto a larger surface; in other cases, it assisted in the correction of foreshortening and the adjustment of figural proportions.   Of the thirty-some drawings by Tintoretto and his workshop on display at the National Gallery of Art, the majority are on the blue paper favored by Venetian artists. The dark surface of this carta azzurra provided an ideal ground upon which to map out gestural movements, tonal subtleties, and, above all, the effects of light and shadow. It might also be compared with the darkened grounds of many Tintoretto paintings. The canvas support for The Origin of the Milky Way, for example, is prepared with a brownish layer upon which the artist sketched out his composition with white lead paint (rather than using black paint on a white gessoed surface). Once a scene had been plotted out on the canvas, however, Tintoretto was prone to further editing, altering, and redrawing of figures and forms in a variety of white, black, and even red paint until the work was completed.     PAINTERS AND people interested in the way things are made will find much to consider in these exhibitions. Tintoretto’s process is revealed in medias res through the various X-rays that accompany the didactic material in the galleries and comes across most clearly in the oil sketch Doge Alvise Mocenigo Presented to the Redeemer(1571–74, a work included in the 2016 exhibition “Unfinished: Thoughts Left Visible” at the Met Breuer in New York). Looking at the mannequinlike figures waiting to be dressed with flesh and clothes, one comes to appreciate the procedural logic that binds these drawings and paintings together (a topic expertly discussed in Roland Krischel’s essay “Tintoretto at Work” in the National Gallery of Art exhibition catalogue). The show reveals Tintoretto’s exploratory procedure: visceral, intuitive, yet ultimately studied and thought-through—but never entirely scripted.   Tintoretto is all gestalt. If the Marxist machismo of Sartre’s characterization of the artist as a rebel “born among the underlings who endured the weight of a superimposed hierarchy” is misplaced, one must admit that his phenomenological acumen regarding the works is often startlingly spot on. Sartre writes with great perspicacity about the narrow, vertical composition of Saint George and the Dragon (ca. 1553–55):  Everything is simultaneous in his canvas, he contains everything within the unity of a single instant. But to mask the over-harsh rift, he presents the spectator with the spectre of a succession of events. Not only is the route traced in advance, but each stage devalues the previous one and shows it up as an inert memory of things past. The corpse’s immobility is memory: it is prolonged and repeated from one moment to the next, identical and useless. . . . The time-trap works, we are caught: a false present welcomes us at every step and unmasks its predecessor which returns, behind our backs, to its original status of petrified memory.6  Time and space collapse in on the spectator’s embodied experience, simulating the effects of a hallucinatory drug. And indeed, as early as Boschini we find the revelatory quality of Tintoretto’s art described in pharmacological terms. Of the whirlwind of paintings on the ceilings and walls of the Scuola Grande di San Rocco, he effuses: “I feel as if I am in a drugstore. Under my nose these odors have aromas that overwhelm my heart. These fragrances remain in my mind, my mind feels so utterly purged that my heart jumps for joy in my chest, and my soul feels totally jubilant.”7  One must be in the presence of the work in order to experience the psychosomatic force of Tintoretto’s art. A black-and-white photograph of a room filled with Tintoretto’s portraits can look like a field of dull heads, but in person these works become alarmingly ghostly presences, with hands and faces that seem capable of movement. The sketches that move from light fluffy strokes to devastating valleys of black charcoal seemingly carved with a chisel, the thick ridges of impasto that rise suddenly like waves from the surface of a canvas, the glazes and scumble that modulate color and reflect light differently depending on the angle of view, the enormity of compositions that threaten to engulf the spectator’s body—these elements simply do not translate in any form of mechanical or digital reproduction. This is true not only for Tintoretto but for Venetian art in general, with its penchant for chromatic and luminous variability and richness.   In “Drawing in Tintoretto’s Venice” the difference between Veronese’s gorgeous drawings covered in elegant, spindly figures created in a torrent of quick brown ink strokes and Jacopo Bassano’s schematic black chalk sketches marked by dusty smudges of red, white, green, pink, and brown becomes immediately clear. Domenico Tintoretto, one of the master’s sons, produced oil sketches of battle scenes that look comic in reproduction, but when one stands before the flurry of red, white, and black patches on dark brown paper, these detailed compositions dissolve unexpectedly into near abstraction.  Renaissance drawings are so fragile and sensitive to light that they can be exhibited only rarely, and many  Tintoretto paintings are so large that they have remained in situ in Venice for most of their existence. Thus the current triple exhibition is the first substantial retrospective of the old master’s work in America. It is a fitting tribute on the occasion of his five hundredth birthday—and a viewing experience not to be missed.  Endnotes 1. Luigi Marta, Il Tintoretto e sua figlia: drama in sei quadri del pittore Luigi Marta, Milan, Borroni e Scotti, 1846, p. 46.  2. Sartre quoted in Laura Lepschy, Tintoretto Observed: A Documentary Survey of Critical Reactions from the 16th to the 20th Century, Ravenna, Longo Editore, 1983, p. 185.  3. Marco Boschini, La carta navegar pitoresco, edited by Anna Pallucchini, Venice/Rome, Istituto per la collaborazione culturale, 1966, p. 280.  4. Ibid., p. 4.  5. Gilles Deleuze, Francis Bacon: The Logic of Sensation, trans. Daniel W. Smith, London, Continuum, 2003, p. 7.  6. Sartre quoted in Lepschy, p. 189.  7. Boschini, p. 150.Tintoretto was too good an artist for his time’s uses; he still clamors for a proper role, seeking affirmation, four centuries later. This thought came to me as whimsy, and stayed as conviction, at the Prado, in Madrid, which has just opened the second-ever retrospective (the first was in Venice, in 1937) of Jacopo Comin, who was also known as Robusti, and called Tintoretto, or “Little Dyer,” after his father’s profession. Tintoretto (1518-94) is the most mercurial of the five undisputed immortals of Venetian painting—the others being Bellini, Giorgione, Titian, and Veronese—and I was eager to see the Prado show, because I have never managed to get a satisfying fix on him. How could someone so great, able to summon the world with a brushstroke, be so inconsistent in style, and, on occasion, so awful? Stupefyingly prolific, Tintoretto garnished the walls, ceilings, altars, exteriors, and even the furniture of Venice, performing commissions for free when that was what it took to edge out a rival. (He was not popular with his fellow-artists.) He brought off one of the world’s largest paintings—“Paradise” (1588-92), in the Ducal Palace, which, at seventy-two feet long and twenty-three feet high, is so vast as to be essentially unseeable—and perhaps history’s most sustained demonstration of sheer painterly talent, brimming the Scuola Grande di San Rocco, between 1564 and 1588, with pictures whose profusion and intensity burn the most concerted effort of looking to ashes. But he and his populous workshop also perpetrated some of the grimmest daubs—murky and slack—that you ever rushed past with a shudder. I realized, too late, that my puzzlement was a warning. Now I feel that I have acquired a brilliant, neurotic, exhausting friend who enjoins me to undertake on his behalf campaigns that he bungled when their conduct was up to him.  Nothing inferior taxes the eye at the Prado, which augments the cream of Tintorettos in European and American collections with a few loans from Venice, where hundreds of his paintings—including his greatest works, such as “The Miracle of the Slave” (1548)—reside immovably in churches, palaces, and galleries. The show more than overcomes doubts about presuming to assess the artist outside his home town, which he is known to have left just twice, briefly, in his life. The well-restored canvases, shown in good light, sparkle and blaze. Some make plungingly deep space with muscular figures of different sizes; your mind provides perspective that the artist didn’t deign to chart. Others array action on intersecting diagonals, along which someone is apt to be arriving from somewhere at terrific speed. (There is an old line that Tintoretto invented the movies; his ways of enkindling routine scenarios, with thrilling visual rhythms that seem to unfurl in time, endorse it.) He drew with his brush, light over dark—so that shadings came first, imparting a sumptuous density to forms that are hit with highlights like spatters of sun. He is supposed to have said that his favorite colors were black and white, but he could be every bit the startling and seductive Venetian colorist when a commission required it. With abject competitive fury, he was not above imitating the grand dragon of the Venice art world, Titian, and his designated successor, Veronese.  “As a matter of fact, he almost never takes the liberty of being himself unless someone builds up his confidence and leaves him alone in an empty room,” Jean-Paul Sartre wrote in a 1957 essay, “The Venetian Pariah.” For Sartre, Tintoretto is an avatar of existential anguish, who was both behind his time—as the last native-born master on a scene ruled by a cosmopolitan élite—and ahead of it, as the ideal artist for a rising bourgeoisie that was too intimidated by the pomp of the ducal republic to recognize itself in his demotic trashings of aristocratic decorum. Intellectuals of the era, while in awe of Tintoretto’s gifts, scolded him for being too fast, careless, and insolent; when Vasari credited him with “the most extraordinary brain that the art of painting has ever produced,” it wasn’t meant as unalloyed praise. (Vasari also called him the medium’s “worst madcap.”)  As a boy, Tintoretto is said to have entered Titian’s workshop as an apprentice but was thrown out after a few days, having either frightened the master with his aptitude or irked him with his personality; at any rate, Titian’s attitude toward him was plated with permafrost. Little is known of Tintoretto’s subsequent training. His earliest surviving work, from the early fifteen-forties, is anti-Titianesque—radically sculptural and draftsmanly, embracing Central Italian influences. Then something happened which the art historian Alexander Nagel compares to the bluesman Robert Johnson’s “going down to the crossroads and coming back with scary new powers.” “The Miracle of the Slave,” made for the Scuola Grande di San Marco, electrified Venice. Its unprecedented range of spatial, chromatic, and kinetic effect suggested a synthesis of “the disegno of Michelangelo and the coloring of Titian”—a contemporaneous formula, often cited, for ultimate greatness in painting. He was roundly hailed, though Pietro Aretino, Titian’s literary ally, added a caveat about his lack of “patience in the making.” Commissions came in bunches to the new hero, but solid status skittered out of reach.  He compensated by striving to engulf the town. Meanwhile, Titian refused to slacken his grip on preëminence, let alone die. When he finally expired, at the age of eighty-eight or so, in 1576, it brought Tintoretto no peace. Though he was now, by general consent, Italy’s leading painter, he responded with pictures as flailingly ambitious and various as ever. Three from the late fifteen-seventies triumph in as many styles. In “The Rape of Helen,” the hauntingly lovely captive languishes in the corner of a churning land-sea battle scene, with scores of figures, ranging in size from huge to tiny, which you can all but hear and smell. In “Tarquin and Lucretia,” the naked, lividly fleshy protagonists struggle at the edge of a bed, toppling a sculpture and breaking a necklace that rains pearls. The woman’s right hand seems to extend from the canvas, as if to be grasped by a rescuing viewer. (The Baroque, which took hold two decades later, with Caravaggio, can seem an edited ratification of tendencies already developed by Tin-toretto.) “The Martyrdom of St. Lawrence” is a sketchy and fierce nightmare of death by roasting, with an anticipatory whiff of Goya. Tintoretto strongly influenced El Greco, blazed trails for Rubens, and fascinated Velázquez, who acquired his paintings for Philip IV.  “What is a Tintoretto?” the art historian Robert Echols asks in the show’s catalogue. The answer might be almost anything touched with genius and a strange, thorny, dashing humor. Tintoretto was reported to be a witty man who never smiled. What is his “Susannah and the Elders” (1555-56) if not a grand lark? A luxuriant, glowing nude sits outdoors, surrounded by a glittering still-life of jewelry and implements of beauty, and is ogled by dirty old men (one pokes his bald pate, at ground level, practically out of the canvas) from behind a hedge that forms part of a corridor-like recession into the far background. There are distant little ducks, and the rear end of a stag. But the picture’s form is too disorienting to sustain any particular response, including amusement. The backstage space outside the hedge ignores the unity of the central perspective, bespeaking a world that rolls away in all directions, indifferent to pocket realms of mythic anecdote. The effect is stirring and confusing. “Who is Tintoretto’s viewer?” strikes me as the really compelling question. No other great artist before modern times, in which shifting contingency affects every enterprise, seems less certain of whom he is addressing, and why. It might as well be you or me as some cinquecento ingrate, and, if we happen to think of people we know who may be interested, the artist encourages us to contact them without delay. ♦La tesi di fondo di questo saggio è che l’orizzonte problematico entro il quale si muove da sempre la pittura faccia tutt’uno con le questioni dell’immagine e che la tradizione occidentale, soprattutto nella riflessione sulla storia dell’arte, abbia incentrato la sua atten- zione sul problema dell’immagine senza tenere conto in genere dei suoi aspetti iconici. Già Tommaso d’Aquino aveva posto in questi termini tale problema: l’immagine può essere considerata come og- getto particolare, o come immagine di un altro; nel primo caso l’og- getto è la cosa stessa che al contempo ne rappresenta un’altra, nel secondo l’aspetto dominante è ciò che l’immagine rappresenta. Sem- bra dunque che rispetto a un’immagine l’attenzione si rivolga o al- l’immagine in se stessa – all’immagine come fine – o a ciò che l’im- magine rappresenta – all’immagine come mezzo 1. A diversi secoli di distanza un pensatore della statura di Witt- genstein riproporrà con forza il problema dell’immagine che, a par- tire da una prospettiva iniziale fortemente improntata a concezioni logico-raffigurative, si andrà via via sempre più delineando all’inter- no della sua riflessione come un problema di natura estetica. Così egli scrive nelle Ricerche filosofiche: «E chi dipinge non deve dipin- gere qualcosa – e chi dipinge qualcosa non deve dipingere qualcosa di reale? – Ebbene, qual è l’oggetto del dipingere: l’immagine di un uomo (per esempio), o l’uomo che l’immagine rappresenta?» 2. Tut- tavia Wittgenstein porta il problema alle estreme conseguenze: «Se paragoniamo la proposizione con un’immagine, dobbiamo tener con- to se la paragoniamo con un ritratto (un’esposizione storica) o con un quadro di genere. E tutti e due i paragoni hanno senso. Se guar- do un quadro di genere, esso mi ‘dice’ qualcosa, anche se io non cre- do (mi figuro) neppure per un momento che gli uomini che vedo rappresentati in esso esistano realmente, o che uomini in carne e ossa si siano davvero trovati in questa situazione. Ma, e se chiedessi: ‘Al- lora, che cosa mi dice?» 3. La risposta di Wittgenstein suona: «‘L’im- magine mi dice se stessa’ vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua propria struttura, nelle sue forme e colori» 4. Ponendo la questione in tali termini tuttavia Wittgenstein non in- 7  tende affatto contrapporre un’immagine intesa come ‘ritratto’, il cui scopo sarebbe quello di indirizzare l’attenzione dell’osservatore esclu- sivamente su ciò che essa rappresenta, e un’immagine intesa come ‘quadro di genere’, il cui fine sarebbe quello di presentare la «sua propria struttura» e le «sue forme e colori». Del resto, continua Wittgenstein nello stesso paragrafo, «(Che significato avrebbe il dire: ‘Il tema musicale mi dice se stesso’?)». Il fatto è che per Wittgenstein queste due modalità dell’immagine: immagine intesa come mezzo e immagine intesa come fine, sono tra loro connesse, tanto da formare un unico concetto di ‘immagine’. Che il problema vada inteso e ap- profondito in questi termini, lo chiarisce lo stesso Wittgenstein, af- frontando in alcuni paragrafi successivi la questione relativa al «com- prendere una proposizione»: «Noi parliamo del comprendere una proposizione, nel senso che essa può essere sostituita da un’altra che dice la stessa cosa; ma anche nel senso che non può essere sostituita da nessun’altra. (Non più di quanto un tema musicale possa venir sostituito da un altro.) Nel primo caso il pensiero della proposizione è qualcosa che è comune a differenti proposizioni; nel secondo, qual- cosa che soltanto queste parole, in queste posizioni, possono esprime- re. (Comprendere una poesia)» 5. E subito dopo aggiunge: «Dunque qui ‘comprendere’ ha due significati differenti? – Preferisco dire che questi modi d’uso di ‘comprendere’ formano il suo significato, il mio concetto del comprendere» 6. Wittgenstein sottolinea in questo modo che i due tipi di com- prensione – quella che potremmo chiamare ‘logica’, nel senso che il pensiero espresso dalla proposizione può essere riformulato in modi diversi, rimanendo lo stesso, e quella che potremmo definire ‘esteti- ca’, caratterizzata invece dal fatto che il suo ‘tema’ non può essere riformulato in altro modo, come esemplifica il caso del ‘tema musica- le’ o della ‘poesia’ – sono imprescindibilmente connessi tra loro in un concetto unitario. È la stessa interconnessione che Wittgenstein aveva rilevato in relazione all’immagine. Il fatto è che quel particolare tipo di immagine che l’opera d’arte costituisce può rimandare all’altro da sé, soltanto in quanto in primo luogo rimanda a se stessa, ‘dice se stessa’; può essere ‘rappresentazione’ dell’altro, solo in quanto è ‘pre- sentazione’ di se stessa. Di conseguenza, ciò che nell’opera viene rap- presentato riceve la sua ‘unicità’, la sua ‘specificità’, è insomma pro- prio ‘questo’, grazie al fatto che l’immagine lo rappresenta, lo ‘dice’, secondo le sue ‘linee e colori’. Così questo qualcosa di ‘unico’ può e anzi deve essere visto come qualcosa che, seppure da sempre presen- te sotto i nostri occhi, appare come se lo vedessimo per la prima vol- ta e, proprio per questo, non può che procurarci stupore e meravi- glia. Scrive a questo proposito Wittgenstein: «Non pensare che sia cosa ovvia il fatto che i quadri e le narrazioni fantastiche ci procura- 8  no piacere, tengono occupata la nostra mente; anzi, si tratta di un fatto fuori dell’ordinario. (‘Non pensare che sia cosa ovvia’ – questo vuol dire: Meravigliatene, come fai per le altre cose che ti procurano turbamento [...])» 7. Già nel Tractatus Wittgenstein aveva affermato che «La tautologia segue da tutte le proposizioni: essa dice nulla» 8, volendo con ciò sot- tolineare il fatto che ogni proposizione dice, rappresenta qualcosa solo in quanto in primo luogo è una tautologia, ossia ‘dice nulla’, e tale tautologicità della proposizione è ciò che la proposizione ‘mostra’ in ciò che dice. Secondo Wittgenstein il carattere logico della proposizio- ne in quanto immagine 9 è dato dal suo essere ‘rappresentazione’ di qualcosa, ossia dal suo rinviare a qualcosa d’altro da sé. In questo con- siste, sempre secondo Wittgenstein, la «fondamentalità» della logica, giacché «se segno e designato non fossero identici rispetto al loro pie- no contenuto logico, allora vi dovrebbe essere qualcosa d’ancora più fondamentale che la logica» 10. E tuttavia Wittgenstein si rende con- to che «Nella proposizione qualcosa dev’essere identico al suo signi- ficato, ma la proposizione non può essere identica al suo significato, dunque in essa qualcosa dev’essere non identico al suo significato» 11. Questo qualcosa di ‘non-identico’, vale a dire di differente, tra la proposizione, o l’immagine, e il qualcosa che viene rappresentato o detto, è ciò che esse mostrano o ‘presentano’. Tale presentazione, nel suo costituire la condizione interna al rappresentato, è anche ciò che dà a quest’ultimo il suo carattere di unicità, ossia di individualità, che sfugge a ogni previsione logica, vale a dire a ogni identificazione nel già-saputo; ciò che fa, in definitiva, del rappresentato qualcosa di non-previsto e di non-saputo, qualcosa che nell’opera d’arte trova il suo luogo esemplare. E, se la logica «è prima del Come, non del Che cosa» 12, allora «Il miracolo per l’arte è che il mondo v’è, che v’è ciò che v’è» 13. C’è dunque per Wittgenstein qualcosa di più fondamentale della logica 14. La rappresentazione logica infatti implica qualcosa che si mostra, che si manifesta e nel manifestarsi resta ‘altro’ dalla visibilità della rappresentazione stessa. Così, nel presentare se stessa, l’imma- gine manifesta l’altro del visibile, del rappresentabile: quell’altro che si rivela nel visibile, nascondendosi a esso. Se questo è il tratto carat- terizzante l’icona, allora possiamo affermare che le riflessioni di Witt- genstein sull’immagine si riferiscono non all’immagine come ‘copia’ della realtà, bensì all’immagine intesa appunto come ‘icona’. Non a caso, se per Wittgenstein il silenzio, sul cui tema si ‘chiude’ il Tracta- tus, non può dirsi, giacché esso mostra sé, è proprio l’icona che ha a che fare con l’irrappresentabile, con ciò che resta sempre altro rispet- to a ogni determinazione logica e rappresentativa. Ciò che nell’opera d’arte ‘si presenta’ sfugge alla nostra cono- 9  scenza e alla rappresentazione. Non è stata l’arte ‘astratta’ a mettere per prima in opera la ‘presentabilità’ del pittorico di contro alla sua ‘rappresentabilità’, dal momento che il rapporto tra presentazione e rappresentazione appartiene all’essenza stessa dell’immagine. È pro- prio della natura dell’immagine infatti il suo presentarsi sempre chiu- sa e insieme aperta, opaca e insieme trasparente, vicina e insieme lon- tana: nell’offrirsi all’occhio, essa cattura il nostro sguardo. È necessa- rio tornare, al di qua del visibile rappresentato, alle condizioni stes- se dello sguardo, della presentazione. È questo il non-sapere che l’immagine manifesta, e tuttavia tale non-sapere non è una condizio- ne privativa, una mancanza, ma piuttosto una condizione positiva, come positivo è il ‘Niente’ dei quadri suprematisti di Malevicˇ. Si trat- ta dell’esigenza di qualcosa che costituisce l’altro del visibile, il suo al-di-là e che non va pensato come l’Idea platonica, dal momento che questo altro del visibile è nel visibile stesso. Così l’iconoclastia del Quadrato bianco di Malevicˇ annuncia non la fine dell’arte, ma ciò che l’arte deve essere, per essere tale, arte appunto. Nell’opera d’arte qualcosa è rappresentato e si offre alla vista, ma qualche altra cosa nello stesso tempo ci guarda, ci ri-guarda. Ciò si- gnifica che la visione si divide, si lacera, nel suo stesso interno, tra vedere e guardare, tra rappresentazione e presentazione. Nella visibi- lità del quadro è in opera qualcosa che non si lascia cogliere e che, come l’oblio, resta sempre altro rispetto a ciò che possiamo ricorda- re. È come se l’immagine fosse nello stesso tempo rappresentazione di ciò che ricordiamo e presentazione di ciò che abbiamo dimentica- to; per questo nell’immagine la rappresentazione deve essere pensa- ta sempre con la sua opacità. In particolare nell’icona cogliamo l’assenza di ogni immagine, in- tesa come rappresentazione logica: è questa l’ ‘astrazione’ dell’icona, astrazione come sarà intesa, teorizzata e messa in opera da tanta par- te della pittura del Novecento. Quello che l’icona mostra non è di- scorsivamente esprimibile e, se essa può far valere la propria impre- scindibile implicazione di senso di contro alla critica iconoclastica, è perché mostra l’inesprimibile in quanto inesprimibile. È proprio que- sta paradossalità dell’icona a permettere di superare l’iconoclastia, per la quale non può che porsi l’alternativa schiacciante tra un asso- luto realismo e un assoluto silenzio. L’icona è la «porta regale», come voleva Florenskij, attraverso la quale si manifesta l’invisibile e si tra- sfigura il visibile: in essa non c’è né imitazione, né rappresentazione, ma comunicazione tra questo e l’altro mondo. Così nell’icona la di- mensione epifanica finisce per coincidere con la sua dimensione apo- fatica. Da questo punto di vista si può dire che i problemi posti dal- l’icona siano gli stessi problemi che si ritroveranno nella contempo- ranea problematica dell’‘astrazione’. 10  L’arte astratta fa appello all’occhio spirituale, ossia allo sguardo, e ciò comporta il rifiuto della tradizionale distinzione soggetto-ogget- to, dal momento che l’oggetto è in tale prospettiva un soggetto che ci cattura proprio mentre lo guardiamo. Già Kandinskij con la nozio- ne di ‘composizione’ intende superare sia gli stati d’animo del sogget- to che l’oggetto come fenomeno naturale, per dare luogo a una pit- tura «iuxta propria principia», nella quale lo stesso limite estremo, la tela bianca o il silenzio, non significhi la ‘morte dell’arte’, ma la ra- dicale ‘presentazione’ di quella possibilità dalla quale ogni arte pren- de le mosse: l’essenza o, per dirla con Heidegger, l’origine dell’arte stessa. In Kandinskij l’astrattismo non è vuoto decorativismo. Al con- trario, l’astrattezza del segno, la sua non-rappresentatività, è la mani- festazione della sua «risonanza interiore», ossia della sua «spiritua- lità». La concezione dell’arte di Kandinskij è intessuta della connes- sione di interiorità e astrazione, e una componente essenziale di tale astrazione è il «misticismo». Già la mistica tedesca medievale affer- mava, con Meister Eckart, che, come Dio agisce al di là del mondo dell’essere, così l’anima, che è in grado di rappresentarsi le cose che non sono presenti, opera nel non-essere; un’analoga operazione com- pie il pittore astratto, che nientifica il mondo naturale delle cose, dando vita a un mondo di entità non-oggettive, inesistenti e tuttavia reali. Così nel principio di Kandinskij della «necessità interiore» si riflette la natura mistica del procedimento astratto di costruzione di un’opera che viene sottratta alla dipendenza delle cose esistenti. Que- sto rimando a un agire interiore dà luogo a un non-oggetto che, ana- logamente a quanto avviene nella mistica, mostra un diverso modo d’essere delle cose rispetto a quello della loro forma reale. L’eman- cipazione da qualsiasi dipendenza diretta dalla natura, della quale parla Kandinskij, è la riduzione delle cose naturali al non-essere. Di conseguenza, la necessità interiore di Kandinskij, che costituisce il tratto essenziale della sua pittura astratta, si pone come ‘altro’ rispet- to al mondo delle cose, e quest’ultimo trova in essa la sua unità e il suo senso. Del resto per Kandinskij, come per Wittgenstein, il misticismo riguarda «Non come il mondo è [...], ma che esso è» 15; esso consiste nel «Sentire il mondo quale tutto limitato» 16. Ciò significa dunque che la totalità del visibile ha un limite: lo ‘sguardo’ delle cose, ossia la loro spiritualità. ‘Astrazione’, d’altro canto, è proprio questo visi- bile limitato dal manifestarsi in esso di ciò che visibile non è: è sen- tire il non-visibile nel visibile, è cogliere la differenza nell’identità. Nell’astrattismo il segno mostra se stesso, nel senso che non riman- da all’altro fuori di sé, all’oggetto, ma all’altro che è nel segno senza essere tuttavia esso stesso segno. Così l’astrattismo rifiuta il significato 11  del segno e nello stesso tempo ne esalta il senso, che si mostra nel segno ritraendosi da esso. Non c’è dunque alcun contenuto, alcun significato manifesto dell’immagine, ma questa è l’espressione di un «contenuto interiore»: è questo a rendere il segno ‘astratto’, proprio nel suo presentarsi come ‘evento’. In definitiva, se il cubismo ha in- franto la totalità, lasciando solo frammenti, la composizione di Kan- dinskij mira non a ricomporre tale totalità, bensì a ‘presentare’ il sen- so, facendo risuonare il «contenuto interiore» del frammento stesso. Se lo ‘spirituale nell’arte’ di Kandinskij, come il suo concetto di composizione, è interno al problema dell’icona, altrettanto lo è il «mondo senza oggetto» del suprematismo di Malevicˇ. L’opera su- prematista infatti ha un’intenzione iconica: non esprime una perdita, ma una presenza, la presenza dell’‘altrimenti che essere’. Di qui quella dimensione apofatica, propria dell’icona in genere e del suprematismo di Malevicˇ in particolare, che, in opposizione ai presupposti dell’ico- noclastia – tesi a identificare la verità con la rappresentazione logico- discorsiva – mostra la verità che contiene in sé la propria negazione: la docta ignorantia è la testimonianza di tale inesprimibile coincidenza. Per questo nel colore suprematista, come nell’icona, non c’è alcuna ‘finzione’. L’essere di Malevicˇ non è l’essere secondo la necessità, ovvero secondo il concetto, ma è l’essere come evento: è qualcosa che si la- scia riconoscere solo al momento del suo apparire e, in quanto even- to, l’essere è l’altro, poiché non è soggetto ad alcuna identificazione: è l’essere così, che potrebbe anche non essere; in questo senso, affer- ma Malevicˇ, l’essere è il ‘Nulla’, ovvero il «che», lo spazio parados- sale proprio dell’opera d’arte, del tutto indipendente dal pensiero logico. Questo «che» è negazione del significato, inteso come signi- ficato logico, è negazione della rappresentazione, come rappresenta- zione logica e nello stesso tempo è affermazione del senso, in quan- to condizione dei significati possibili 17. Il «che» non può essere rico- nosciuto in relazione ad altro, ma solo per se stesso, e tuttavia por- ta in sé l’alterità, la differenza. Nel non significare nulla al di là di se stesso, l’evento – il «che» – è assolutamente singolare: accade sem- plicemente, si dà, si mostra, non come un mero oggetto per un sog- getto. Esso è il manifestarsi di qualcosa che, presentando se stessa, presenta l’altro, vale a dire si presenta come l’altro dell’essere oggetto di rappresentazione possibile. Per raggiungere infatti questo essere, che è il Nulla, Malevicˇ è uscito dal mondo degli oggetti e delle rap- presentazioni, aprendo uno spazio ‘assoluto’, in quanto spazio del- l’‘altro’. Così l’astrazione di Malevicˇ è il liberarsi dalla rappresentazio- ne per la presentazione: è questa l’autentica iconoclastia che rivela il profondo legame del suprematismo di Malevicˇ con l’icona. 12  E, se nel suo «mondo senza oggetto» il segno non è rappresenta- zione di qualcosa, ma rivela l’altro, ovvero il Nulla – in quanto Nulla di rappresentabile e di dicibile – questo Nulla non è da intendersi come nichilismo: non indica il silenzio, la fine della pittura, ma espri- me la consapevolezza che si deve continuare a dipingere perché il Nulla si riveli. È questa la radicalità della pittura di Malevicˇ. A differenza di quella di Malevicˇ, l’opera di Mondrian presenta uno spazio la cui assolutezza assume un preciso significato: tutto ciò che è, è perché si dà solo spazialmente. Per questo in Mondrian il se- gno non nasconde e in esso non ha luogo alcun ‘ritrarsi’; al contra- rio, nel segno si mostra l’essenza, l’Idea, e non a caso egli definisce l’astrattismo come la sola «arte concreta». In definitiva: nella pittura di Mondrian non si manifesta alcun ‘altro’, né alcun «contenuto in- teriore»; essa si risolve totalmente nella superficie del quadro, ossia in un piano assolutamente bidimensionale, nel quale non c’è alcuna fin- zione di profondità, ma ci sono soltanto linee in rapporto ortogonale che, tautologicamente, ‘dicono se stesse’. Così, se la ‘composizione’ di Mondrian è volta a ricostituire la totalità, tale ricomposizione si dà proprio e solo all’interno della rappresentazione pittorica, rappresen- tazione ‘assoluta’, in quanto indipendente da qualsiasi riferimento ad altro da sé. L’arte di Klee, pur interrogandosi su problemi non del tutto dis- simili, muove in direzione opposta rispetto a quella di Mondrian. Se infatti quest’ultimo vuole abolire l’elemento soggettivo – definito «tragico» – in nome dell’oggettività, Klee invece indaga proprio la presenza del mondo nel soggetto. L’oggettività di Mondrian è il ri- fiuto del mondo, in quanto particolarità e contingenza; Klee, al con- trario, non cerca una realtà più vera di quella sensibile, non cerca cioè una realtà fissa e immutabile, retta da leggi eterne, fuori dalla storia. Ciò a cui tende l’opera di Klee è ‘frugare’ nel profondo, nel- la vita sotterranea, immergendosi nel divenire delle cose stesse, nel- la genesi dei mondi possibili. Il compito dell’artista è infatti, a suo giudizio, quello di ritornare sulla creazione, portando avanti e tentan- do le vie di realtà possibili. Klee, in definitiva, non vede nel mondo qualcosa di già-concluso, ma ne ripercorre la genesi, e tale genesi si riferisce al sorgere della realtà nella percezione e quindi al costituirsi dell’essere in significa- to. I presupposti di tutto ciò vanno rintracciati nel fatto che è pro- prio sul piano della percezione che il mondo non si configura come l’insieme delle cose già date, ma come un continuo generarsi. Così l’immagine di Klee «richiama alla memoria» 18 possibilità diverse, so- miglianze e dissomiglianze, e queste trovano la loro ragione sul pia- 13  no dell’agire del pittore, che non prende le mosse da una logica pre- fissata, ma genera continuamente forme via via che procede, muoven- dosi appunto tra somiglianze e differenze. I processi di formazione di Klee sono questa sorta di «somiglianze di famiglia» – ancora una vol- ta nell’accezione wittgensteiniana – e, in quanto tali, escludono la de- finitività di ogni forma. Non a caso nell’opera di Klee la genesi dei mondi possibili riguarda l’essenza stessa della pittura: si tratta di mo- strare l’apparire di qualcosa che nessuna logica ha pre-visto, qualcosa che viene all’esistenza, apportando un «aumento di essere» 19 rispetto a tutte quelle altre possibilità che comunque sono presenti nel qua- dro come possibilità simultanee. Klee ha disvelato così l’essenza dell’opera d’arte: quest’ultima non è la rappresentazione di un fatto del mondo, ma è un evento nel qua- le si manifesta la possibilità di molteplici determinazioni del mondo, senza che tale possibilità sia riconducibile ad alcun principio logico di identità e di non-contraddizione. A ben vedere dunque tale evento, che l’opera costituisce, altro non è che il darsi del contingente, del ciò che è così ma poteva essere diversamente, in quanto condizione della stessa necessità logica che regola ciò che nel mondo è già-dato; si trat- ta di quel «che» – che si dia questo mondo e non un altro – il qua- le, come afferma Wittgenstein, precede quella logica che presiede al «come» del mondo. Si tratta insomma di quel senso che è la condi- zione dei tanti significati possibili: l’opera è la presentazione del darsi di questo senso, e non la rappresentazione del suo configurarsi come significato dato, di un senso che si può dunque soltanto sentire, stan- do al suo interno e non contemplare dall’esterno. Per questo la pit- tura di Klee ha il suo luogo d’elezione nel cuore stesso della creazio- ne, lì dove hanno origine tutte le cose. 1 Sul problema dell’immagine e del segno in genere nella riflessione filosofica medievale, si veda A. Maierù, «Signum» dans la culture médiévale, in “Miscellanea Mediaevalia”, Veröf- fentlichungen des Thomas-instituts der Universität zu Koln, Walter de Gruyter, Berlin – New York 1981; Id., Signum negli scritti filosofici e teologici fra XIII e XIV secolo, di imminen- te pubblicazione. 2 L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1968, § 518 (ed. or. Philoso- phische Untersuchungen, Blackwell, Oxford 1953). 3 Ivi, § 522. 4 Ivi, § 523. 5 Ivi, § 531. 6 Ivi, § 532. 7 Ivi, § 524. 8 L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino 1968, 5.142 (ed. or. Tractatus logico-philosophicus, London 1922). 9 Nel Tractatus infatti i due termini si equivalgono, dal momento che «La proposizione è un’immagine della realtà» (ivi, 4.01). 10 Ivi, p. 87. 14  11 Ivi, p. 103. 12 Ivi, 5.552. 13 Ivi, p. 189. 14 Vedi su questo G. Di Giacomo, Dalla logica all’estetica. Un saggio intorno a Witt- genstein, Pratiche Editrice, Parma 1989. 15 L. Wittgenstein, Tractatus..., cit., 6.44. 16 Ivi, 6.45. 17 Si veda in proposito E. Garroni, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano 1992, in part. pp. 245-270. 18 L’espressione è usata nel senso del Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, §§ 89,90. 19 H. G. Gadamer, Verità e metodo, Bompiani, Milano 1983, pp. 168-196 (ed. or. Wahr- heit und Methode, J. C. B. Mohr (Paul Siebeck), Tübingen 1972).Giuseppe Di Giacomo. Giacomo. Keywords: l’inspiegabile, aura; ‘impiegatura como spiegatura dell’inspiegabile” sensibile, imagine, icona, segno segnante segnato presentazione rappresentazione contenente contenuto formante formato, Tintoretto, Sartre, Venezia. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giacomo: impiegatura come spiegatura dell’inspiegabile” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758320754/in/dateposted-public/

 

Grice e Giametta – il volo d’Icaro e l’implicatura di Sanctis – filosofia italiana – Luigi Speranza (Frattamaggiore). Filosofo.  Grice: “Giammetta is a good’un, but you gotta be an Italian to appreciate him fully, or at least have gone to Clifton, as I did!” --  Grice: Giametta’s philosophy is full of Italianateness: ‘il volo d’Icaro,’ and then there’s his ‘Croceian heterodoxies,’ and most Italianate of all, the Dantean reference to Nisso, Chiron, and Folo in the “Inferno”! Sublime!” Cura Nietzsche a Firenze. Ha scritto saggi di critica "eterodossa" su Croce. Cura Cesare. È anche romanziere, estraneo a scuole o correnti, con storie dalla forte valenza filosofica e morale;  attitudine stilistica: la prosa di Giametta pare quella di un centauro: sorprendente incontro di letteratura e filosofia.  Nella "Trilogia dell'essenzialismo" (composta da “Il Bue squartato” --  L'oro prezioso dell'essere e Cortocircuiti), elabora un proprio sistema di filosofia erede del naturalismo rinascimentale. L’Essenzialismo è una nuova filosofia, fondata esclusivamente sulla natura, intesa nei suoi due aspetti, sia come “naturans” (cf. Grice, implicans, implicaturus)  sia come “naturata” (cf. Grice implicatum, implicatura, implicaturus, implicata). Grice: “The problem: ‘is ‘naturare’ a good verb?’ --. L’essenzialismo descrive la condizione umana come determinata dalla combinazione di due elementi eterogenei: dall’essenza di tutto ciò che esiste, che è divina, e dalle condizioni di esistenza, che sono spesso fin troppo diaboliche, a cui sono sottoposte tutte le creature. Il con-temperamento di questi due elementi (essenza ed esistenza), diverso in ogni individuo, spiega le ragioni per cui si afferma o si nega la vita, si è ottimisti o pessimisti...".  Alter opera: “Oltre il nichilismo” (Tempi moderni, Napoli); “Poeta e filosofo” (Garzanti, Milano); Palomar, Han, Candaule e altri. Scritti di critica letteraria, Palomar, Bari Nietzsche e i suoi interpreti. – cfr. ‘Grice interprete di se stesso” – “Erminio; o, della fede. Dialogo con Nietzsche di un suo interprete. Spirali, Milano); “Saggi nietzschiani” (La Città del Sole, Napoli); “Croce” (Bibliopolis, Napoli); “Il mondo” (Palomar, Bari); “Madonna con bambina e altri racconti morali, BUR, Milano); “Commento allo Zarathustra” Mondadori Bruno, Milano); “Filosofia come dinamita” BUR, Milano), “Croce, il pazzo” (La Città del Sole, Napoli); “Eterodossie crociane” (Bibliopolis, Napoli); “La caduta di Icaro” (Il Prato, Padova); Introduzione a Nietzsche. Opera per opera, BUR, Milano, Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, Mursia, Milano. L'oro dell'essere. Saggi filosofici, Mursia, Milano. Cortocircuito e implicatura -- Mursia, Milano. Adelphoe, Unicopli, Milano. Il dio lontano, Castelvecchi, Roma); “Tre centauri, Saletta dell'Uva, Napoli. Filosofi, Saletta dell'Uva, Napoli. Una vacanza attiva, Olio Officina, Milano. Grandi problemi risolti in piccoli spazi. Codicillo dell'essenzialismo; Bompiani, Milano. Colli, Montinari e Nietzsche, BookTime, Milano. Capricci napoletani. Pagine di diario (Marco Lanterna), OlioOfficina, Milano; “Il colpo di timpano, Saletta dell'Uva, Napoli); “Dio impassibile” (Babbomorto, Imola. Contromano, BookTime, Milano. Il bue squartato e altri macelli, Mursia, Milano.  La passione della conoscenza. Pensa Multimedia, Lecce,. Marco Lanterna, Le grandi oscurità della filosofia risolte in lampeggianti parole. Marco Lanterna, Contributo alla critica di Sossio (in Giametta, Capricci napoletani, OlioOfficina, Milano ).  Friedrich Nietzsche Arthur Schopenhauer Giorgio Colli Mazzino Montinari.  DE SANCTIS, Francesco. - Nacque il 28 marzo 1817 a Morra Irpina (oggi Morra De Sanctis, in prov. di Avellino), al centro di. una zona che fino a dieci anni prima era stata tutta feudale e di cui gli antichi feudatari ancora sfruttavano la scarsa ricchezza boschiva, mentre il potere era gestito direttamente dal clero e dai piccoli o medi proprietari terrieri, anch'essi strettamente legati alla Chiesa sul piano economico -, sociale e Politico. In questo ambiente il D. trascorse solo i primi nove anni, ma esso costituì sempre per lui un punto di riferimento, perché sempre egli lo ebbe presente come "polo reale" e, insieme, come "polo negativo" della storia: la realtà da cui partire e rispetto alla quale operare per tutte le conquiste del "progresso" (morale, culturale, civile).  La famiglia De Sanctis apparteneva a quel ceto di piccoli proprietari del Sud che produceva i preti, gli avvocati e i pochi medici. Avvocato era il padre del D., Alessandro (1787-1874), che però viveva del reddito della sua piccola proprietà, prima ampliata attraverso un "buon matrimonio" locale con Maria Agnese Manzi (1785-1847), poi progressivamente sempre più dissestata; preti i due zii Carlo e Giuseppe; medico lo zio Pietro (ed anche per costui la qualifica professionale servì soltanto a sostenere l'orgoglio del ceto dei "galantuomini"). Come molti esponenti del "galantomismo" meridionale, don Giuseppe e Pietro De Sanctis avevano aderito alla carboneria (in funzione patriottica e antifeudale): dopo aver partecipato ai moti carbonari del 1820-21, vissero in esilio per dieci anni, serbando intatto lo spirito antiborbonico, ma non il patrimonio. L'altro prete, invece, don Carlo, fece fortuna in Napoli come titolare di una stimata "scuola di lettere" (un ginnasio privato).  Nel 1826 il D. fu trasferito come ospite ed allievo presso lo zio Carlo.  Dai "ricordi" del D. (La giovinezza) si può ricavare l'elenco delle discipline da lui studiate, con fortissimo impegno, per tutta la durata del corso quinquennale tenuto dallo zio ("Grammatica, Rettorica, Poetica, Storia, Cronologia, Mitologia, Antichità greche e romane" e inoltre "l'Aritmetica, la Storia Sacra, il Disegno"), nonché una serie di notazioni sul metodo d'insegnamento tutt'altro che critico e innovativo ("Un grande esercizio di mernoria era in quella scuola, dovendo ficcarsi in mente i versetti del Portoreale, la grammatica di Soave, le Storie di Goldsmith, la Gerusalemme del Tasso, le ariette del Metastasio; tutti i sabati si recitavano centinaia di versi latini a memoria").  Poiché i cinque anni di studi "letterari" avevano un completamento canonico in due anni di studi "filosofici", nel 1831 fu iscritto alla scuola di don Lorenzo Fazzini, matematico e fisico illustre, di dichiarate convinzioni sensistiche. Per due anni, perciò, egli visse immerso nello studio di "Locke, Condillac, Tracy, Elvezio, Bonnet, Lamettrie", o del Genovesi, ma (e questo è un tratto molto importante, destinato a rimanere come atteggiamento mentale) nell'ottica "moderata" che era propria sia dell'ambiente familiare sia del maestro ("Il professore diceva che il sensismo en una cosa buona sino a Condillac, ma non bisognava andare sino a Lamettrie e ad Elvezio .... Voltaire, Diderot, Rousseau mi parevano bestemmiatori, avevo quasi paura di leggerli"). Lo stesso amalgama di aperture progressiste e di scarsa chiarezza ideologica fu nell'esperienza successiva (quella degli studi giuridici), in un'altra scuola privata, dove (con l'abate Garzia) il D. imparò ad apprezzare soprattutto i codici napoleonici, aprendosi così alla dialettica giuridica liberale. Questi studi avrebbero dovuto rappresentare il punto d'arrivo di tutto il lavoro precedente (poiché, scartata una primitiva ipotesi di carriera ecclesiastica, si pensava di far di lui un avvocato), ma a determinare una diversa scelta di vita intervenne una grave malattia dello "zio Carlo", in seguito alla quale il peso della scuola cadde sulle fragili spalle del D. diciottenne, ed egli divenne fonte di sostegno economico per la sua numerosa famiglia (dopo la morte della primogenita Genoviefa, restavano ben cinque tra fratelli e sorelle, che sempre in qualche modo gravarono su di lui, con molte preoccupazioni e ben poche gratificazioni affettive o sociali).  Un altro avvenimento, questo di qualche anno prima (1833), aveva preparato nel D. tale mutamento di interessi e di scelte: il suo ingresso nella "scuola di lingua italiana" del marchese Basilio Puoti: di un "maestro", cioè, che rappresentava in quel momento uno dei punti di riferimento più vivi della cultura napoletana e che presto prese a stimarlo, ad amarlo e a guidarlo. Ed è in ambito puotiano che nascono i primi scritti a stampa del D.: la sua volgarizzazione di un brano dell'Eudemia di Giano Nicio Eritreo (Discorso contro gl'ippocriti), apparsa nel 1835 sul Tesoretto, e la Dedicatoria (sua e del cugino Giovannino) al Puoti dell'edizione (da entrambi curata) del Volgarizzamento delle Vite de' santi Padri di D. Cavalca e del Prato spirituale di Feo Belcari (1836).  Non è da qui però che si può ricavare l'immagine complessiva di ciò che egli era alla fine del suo corso ufficiale di studi e all'inizio del suo primo magistero.  Certo, la competenza grammaticale e testuale e la sensibilità alle cose della lingua (alla lingua come sistema formale in cui penetrare con il rigore dell'intelligenza, della scienza e del gusto) erano allora e restarono per sempre una componente molto importante del D. studioso e maestro (questo va ribadito, anche per opporsi a una troppo lunga sottovalutazione critica dell'eredità puristica attiva all'interno della metodologia critica desanctisiana); ma dalla sua precedente esperienza culturale egli aveva ricavato anche un complessivo eclettismo nozionistico e ideologico, un evidente taglio "settecentesco" nell'impostazione del sapere e in più una vastissima pratica di letture, che egli sottolinea con forza nella Giovinezza e che si riverbera in tutta la sua opera. Ricostruendo dai suoi "ricordi", risulta che il D., diciottenne, aveva letto con profondo coinvolgimento (oltre a tanti latini, greci, filosofi, storici e giureconsulti) un'incredibile quantità di classici italiani maggiori e minori, dai trecentisti a Metastasio, e poi Parini, Alfieri, Verri, Monti, Foscolo, Manzoni, Berchet, Leopardi, e Fénelon e Voltaire, Young e Scott (ma la zona "moderna" ed "europea" andava rapidamente allargandosi: a poco più di venti anni, il suo patrimonio di lettura spaziava con sicurezza da Shakespeare a Richardson, da Milton e Klopstock a Chateaubriand, Lamartine e Hugo).  La professione dell'insegnamento diventò per il D. definitiva (grazie all'intervento del marchese Puoti) nel 1838-39, più o meno contemporaneamente nel settore della scuola pubblica (prima alla scuola dei sottufficiali; poi, dal 1841, al Collegio militare della Nunziatella, prestigiosa accademia militare borbonica) e in quello privato (con la "scuola di Vico Bisi", che il Puoti aprì per lui, affidandogli all'inizio i suoi allievi più giovani, poi di fatto - a grado a grado - la sua stessa funzione docente). A quest'ultima esperienza (di cui restano importanti documenti nei Quaderni discuola e una vasta rievocazione nella Giovinezza) si attribuisce, per tradizione ormai consolidata, la definizione di "prima scuola" del De Sanctis. Ma sarebbe forse più giusto comprendere nella definizione l'esperienza didattica complessiva del decennio 1838-48: il decennio che consacrò il successo indiscusso del D. maestro, il quale intanto (nelle diverse fasi della sua frenetica attività) metteva a punto il suo metodo e il suo atteggiamento critico, mentre andava costruendo intorno a sé rapporti affettivi e intellettuali che sarebbero rimasti centrali in tutta la sua vita, e mentre andava maturando fondamentali scelte ideologiche, filosofiche, politiche.  I numerosi Quaderni di scuola, che documentano il primo insegnamento desanctisiano, furono in massima parte scritti dagli alunni sotto dettatura del maestro e finalizzati a raccogliere il "succo" dei diversi corsi di lezioni, rispetto ai quali si configuravano come veri e propri libri di testo costruiti in parallelo con l'esperienza scolastica. Si tratta, perciò, di una testimonianza ampia e diretta del suo progressivo evolversi (a stretto contatto con la cultura del proprio tempo) dal purismo e dall'illuminismo moderato fino all'hegelismo, attraverso l'eclettismo, il neocattolicesimo, la partecipazione alla temperie vichiana e a quella dello storicismo romantico. In vista della loro funzione manualistica, i quaderni sono divisi secondo le "materie d'insegnamento" della scuola (alcune presenti fin dall'inizio, altre introdotte successivamente, come lo stesso D. testimonia nella Giovinezza). La grammatica fu l'insegnamento originario della scuola, ma i quaderni "grammaticali" più importanti che ci restano appartengono agli ultimi anni e si configurano perciò come approdo della ricerca desanctisiana in materia (con l'acquisizione dello storicismo romantico, del giobertismo, di Hegel). I più antichi tra i quaderni in nostro possesso sono quelli di Lingua e stile (1840-41), dove, dopo una serie di precetti di radice puristico-illuministica (con forte incidenza della "grande Enciclopedia" e in particolare di D'Alembert), troviamo documentato il primo impatto con il pensiero romantico tedesco (in particolare con F. Schlegel) e tracciata la prima sintesi di storia della letteratura italiana ("Sviluppo della letteratura italiana"). Questa ha già alcune caratteristiche che resteranno immutate nel D. maggiore (si muove in ambito postilluministico, con grande attenzione all'Europa e al presente letterario, ma presenta come modello privilegiato di scrittore "contemporaneo" il Manzoni, con un'accentuazione del punto di vista neocattolico, che andrà attenuandosi in seguito). Una lunga storia della poesia è nei quaderni dedicati alla Lirica (1841-42), in cui l'approdo è rappresentato dal Leopardi; i quaderni sul Genere narrativo (1842-43) hanno le loro fonti in Villemain, Sismondi, Voltaire, F. e A. W. Schlegel. Un salto di qualità notevolissimo si avverte nei corsi del 1843-44 (Estetica) e del 1844-45 (Estetica applicata), in cui l'esigenza di definire teoricamente i problemi dell'arte trova un sicuro sostegno nelle teorie estetiche di Gioberti, mentre Hegel fa la sua apparizione nel corso di Storia della critica (1845-46), che introduce una più stimolante rivisitazione della lirica. Nei due anni successivi egli presenta ai suoi allievi l'Estetica di Hegel nella traduzione francese di Ch. Bénard. Alla luce dei nuovi principî affronta inoltre l'esame della Letteratura drammatica (1846-47), soffermandosi a lungo sulle opere di Shakespeare. Dell'ultimo anno di scuola (1847-48) ci resta anche un quadernetto di Storia e filosofia della storia, che ha come punti di riferimento costanti Vico, Sismondi, Hegel e che aiuta a chiarire il senso dei "compendi" (autografi) della Storia d'Inghilterra di Hume e della Storia civile del Regno di Napoli di Giannone. Questo blocco di materiali storiografici conferma il livello criticamente e ideologicamente molto avanzato della ricerca desanctisiana alla fine della "prima scuola", attestando una visione laica della storia, un rigoroso rifiuto di ogni astrattismo e una forte rivendicazione della "concretezza" in ogni ambito d'analisi, nonché una chiara assunzione di metodo hegeliano in direzione progressista.Negli entourages di Puoti, della Nunziatella, della sua stessa scuola (e delle altre che dopo il 1830 fiorirono a Napoli, inaugurando il clima "filosofico" vichiano-hegeliano), il D. aveva finito per trovarsi al centro dell'intellettualità progressista napoletana, non si sa fino a che punto compromettendosi con le frange estremistiche di essa. Fatto sta che molti giovani della sua scuola si schierarono a combattere sulle barricate del maggio 1848 (dove fu ucciso quello che era certamente il più colto e il più ideologizzato fra tutti: Luigi La Vista) e che dopo quella data il D. fu in qualche modo implicato in una setta segreta rivoluzionaria di ascendenza musoliniana, l'Unità italiana, e in un attentato per il quale, tra gli altri, furono condannati a morte L. Settembrini e C. Poerio ("Si facevano i più matti deliri: porre una mina sotto Palazzo Reale pareva un gioco ... Fu la prima volta e sola che fui in convegni segreti"). "Espulso", perciò, dalla Nunziatella e da "ogni altra scuola anche privata" (come recitano i rapporti della polizia borbonica, che cominciava ad interessarsi di lui), nel 1849 il D. si rifugiò in Calabria presso un noto e attivo "patriota", il barone Francesco Guzolini, in casa del quale fu arrestato il 3 dic. 1850 con l'accusa di essere "uno dei principali agenti" della "setta diretta da G. Mazzini e da Ledru-Rollin". Trasferito a Napoli e rinchiuso in Castel dell'Ovo, subì due anni e mezzo di "carcere duro", e fu infine giudicato politicamente molto pericoloso ("attendibilissimo") e perciò bandito dal Regno e imbarcato per gli Stati Uniti (3 ag. 1853). 1 suoi allievi-amici napoletani (in particolare A.C. De Meis e D. Marvasi, a quel tempo già in esilio) lo aiutarono a sbarcare a Malta, per raggiungere il Piemonte, inserendosi nell'allora foltissima schiera degli illustri esuli politici ivi rifugiatisi (tra i meridionali, sono da ricordare: B. Spaventa, R. Bonghi, P. S. Mancini, S. Tommasi, M. d'Ayala, G. Nicotera, E. Cosenz).  Gli scritti del periodo calabrese e della prigionia rappresentano la punta massima della "spinta a sinistra" che segnò il pensiero desanctisiano a partire dal 1848. In Calabria furono elaborati due saggi (Introduzione all'Epistolario di G. Leopardi e Sulle opere drammatiche di F. Schiller), in cui l'interpretazione dei testi esita in senso fortemente politico (sia Leopardi sia Schiller segnano la fine di un'epoca, quella dell'individualismo, dalla quale va nascendo un'epoca nuova - dell'"Umanità" - impegnata in senso sociale). In Calabria fu probabilmente impostato anche un dramma in prosa, il Torquato Tasso, terminato negli anni di prigionia (il modello più vicino è quello goethiano; il linguaggio è leopardiano; evidente è l'identificazione personale-politica dell'autore con l'intellettuale perseguitato). Negli stessi anni il D. studiò la lingua tedesca e se ne servì sia per tradurre il Manuale di una storia generale della poesia di K. Rosenkranz, sia per leggere in lingua originale la Logica di Hegel, che ridisegnò in una serie di Quadri sinottici (praticamente una sintesi completa dell'intera opera). Ma il testo più interessante elaborato in Castel dell'Ovo (nel 1850-51) è certamente La prigione: un carme di 256 endecasillabi sciolti (l'unica prova poetica, se si esclude qualche poesia d'occasione), che rappresenta il punto massimo di "giacobinismo" realizzato dal D., con il rifiuto e la denuncia di ogni metafisica (un'inversione fortissima rispetto al neocattolicesimo degli anni della "prima scuola"), e con una proposta politico-ideologica chiaramente ispirata all'interpretazione "di sinistra" della filosofia di Hegel. Fortissima è anche la svolta di atteggiamento nei confronti del Leopardi: all'immagine sentimentalistica e scettica divulgata nel clima del primo romanticismo napoletano si sostituisce un'immagine combattiva e materialistica del poeta di Recanati (che offre, del resto, il modello stilistico e strutturale all'intero carme. costruito come storia metaforica del pensiero umano, in rivolta per la libertà, contro la tirannia, l'oscurantismo, l'ingiustizia sociale).  A Torino il D. rimase dal settembre 1853 al marzo 1856, in un vitale rapporto d'amicizia con De Meis e Marvasi e con B. Spaventa, ma molto isolato rispetto al potere politico e culturale. Il suo unico lavoro fisso fu, allora, l'insegnamento dell'italiano nell'istituto femminile della signora Eliott (dove si verificò un episodio d'innamoramento - per la giovanissima Teresa De Amicis - che riempirà d'illusioni e di malinconie gli anni successivi); ma ebbe anche alunni privati dal nome prestigioso (come Virgina Basco - futura destinataria del Viaggio elettorale -, Ainardo di Cavour, Luigi di Larissé). L'esperienza centrale del periodo torinese si realizzò, tuttavia, attraverso due corsi di "lezioni pubbliche" su Dante (1854 e 1855): conferenze organizzate dai suoi amici per soccorrerlo "nella dignitosa povertà dell'esilio" e che di fatto lo rivelarono alla cultura italiana.  Nel 1855 egli prese a collaborare alle appendici letterarie: sul Cimento di Torino pubblicò alcuni saggi fondamentali, vero e proprio punto d'arrivo della sua critica "militante". E allo stesso anno risale anche il primo episodio di giornalismo politico della sua vita: la pubblicazione, sul Diritto di Torino, di una serie di interventi contro il "murattismo" (cioè contro l'ipotesi di una sostituzione "diplomatica" della dinastia borbonica di Napoli con la discendenza di Gioacchino Murat), che rappresenta la prima fase di avvicinamento del D. alla monarchia sabauda (questa viene proposta come unico possibile strumento di unificazione della nazione, in un'ottica di "patriottismo costituzionale" cui, in seguito, egli resterà sempre sostanzialmente fedele).  Nel 1856, sempre per interessamento dei suoi compagni d'esilio, fu finalmente gratificato di un importante incarico pro- fessionale: l'insegnamento della letteratura italiana presso l'Istituto universitario politecnico federale di Zurigo, dove rimase fino al 1860. Gli anni di Zurigo furono anni di nostalgia e di isolamento (anni di réve, com'egli stesso diceva), ma produssero almeno due conseguenze molto importanti: l'elaborazione di lezioni che sarebbero rimaste come una pietra miliare della sua ricerca critica (soprattutto su Dante, Petrarca e la poesia cavalleresca) e il contatto con ambienti culturali e politici di vera e propria avanguardia in Europa (Wagner e Matilde Wesendonck, Moleschott, gli Herwegh, Burckhardt, Vischer, ecc.) che egli ebbe modo di conoscere e di valutare criticamente (per esempio, prendendo le distanze dall'irrazionalismo di Wagner e di Schopenhauer molto prima che le mode irrazionalistiche toccassero l'Italia, o cercando di capire i limiti concreti del ribellismo dei mazziniani quando Mazzini era ancora un mito in Italia).  Dei corsi danteschi di Torino non restano manoscritti, ma ciascuna lezione fu ricostruita su appunti di allievi (Marvasi, D'Ancona), in vista di una non mai realizzata pubblicazione in volume. Le conferenze torinesi (undici di argomento teorico, diciannove dedicate all'Inferno, cinque al Purgatorio) sviluppano presupposti romantico-hegeliani, con particolare riguardo ai problemi dell'"unità" e della "forma" del poema di Dante. Nell'esaltazione "passionale" dell'Inferno, emergono le grandi figure alla cui analisi è legata la fama popolare del D. dantista (Farinata, Francesca, Ugolino) e si afferma il taglio monografico che sarà proprio dei maggiori saggi desanctisiani. Semplificando la materia dei corsi, e prolungandola fino a percorrere tutta la Divina Commedia, il D. insegnò Dante a Zurigo dal 1856 al 1859 (anche di queste lezioni ci resta la ricostruzione da appunti). Da tale lavoro deriva tutto ciò che egli pubblicò successivamente su Dante e sul suo tempo (ivi compresi i capitoli della Storia, che ne tesaurizzano le idee-forza), ma i risultati metodologici più avanzati da lui raggiunti negli anni d'esilio sono testimoniati dai contemporanei scritti giornalistici (che furono poi pubblicati, a partire dal 1866, tra i Saggicritici). Il Pier delle Vigne (1855) è addirittura una lezione torinese trascritta, per LaNazione di Firenze, da A. D'Ancona: la celebre lettura del canto esalta i "grandi caratteri" e le "grandi passioni" dei personaggi e ne analizza le sfumature, le "situazioni", i contrasti; il saggio La Divina Commedia(versione di Lamennais), anch'esso del 1855, dichiara la fine dell'antico metodo retorico e il rifiuto del metodo "storico" di oscuola francese"; quello intitolato Carattere di Dante e sua utopia (1856) individua il "centro" della grandezza poetica di Dante nella sua "anima di fuoco" in cui "si riverbera l'esistenza in tutta la sua ampiezza". Il punto d'arrivo della ricerca zurighese (molto più problematica di quanto appare nelle lezioni) è suggerito nel saggio del 1857 Dell'argomento della Divina Commedia, che afferma da una parte il rifiuto del sistema e dall'altra la validità degli strumenti d'analisi hegeliani, a stretto contatto col testo letterario (un approdo, in sostanza, per il D. definitivo).  Negli scritti letterari d'argomento contemporaneo o d'occasione (destinati a giornali torinesi e anch'essi in massima parte raccolti poi nei Saggi), il D. esplicò, negli anni d'esilio, il suo impegno "militante", ma sempre a stretto contatto con i problemi di metodo critico che sono al centro dell'insegnamento dantesco. Il più esplicitamente politico di questi saggi è L'ebreo di Verona (febbraio 1855), che consacrò, a livello nazionale, la sua fama di polemista laico e liberale (l'autore del romanzo, il gesuita A. Bresciani, ignorando le conquiste del cattolicesimo manzoniano, ripropone la religione in funzione antiliberale e antiprogressista: il suo ruolo storico, dopo la sconfitta del '48, è "aggiungere i suoi colpi codardi alle mannaie del carnefice"). La militanza critica passa sempre attraverso una precisa idea (romantico-hegeliana o posthegeliana) della letteratura. In Satana e le Grazie (1855) essa è espressa con molta chiarezza: di fronte al poemetto di G. Prati "la fantasia rimane inerte: il cuore riman freddo", perché "in questo lavoro non vi è creazione e quindi non vi è fantasia ... Prati ha una viva immaginazione, e per questa facoltà è forse il primo poeta di second'ordine che sia oggi in Italia"; del resto, i suoi testi poetici hanno tutti i limiti e i difetti della "declamazione rettorica". E questa non è un difetto esclusivo degli scrittori moderati: essa è condannabile anche quando sia posta al servizio delle più ardite analisi politiche, come nella Beatrice Cenci di F. D. Guerrazzi (1855), avvolta nel "vecchio repertorio" delle "metafore" e dei "luoghi comuni". C'è un solo poeta italiano che abbia attinto i livelli della "grande poesia" nel mondo moderno, dice in un importantissimo saggio, e questo è Leopardi. Il saggio s'intitola Alla sua donna. Poesia di G. Leopardi ed è, probabilmente, lo scritto leopardiano più importante del D., che, con parametri schilleriani e byroniani, traccia qui una straordinaria immagine di poeta laico, interprete della civiltà contemporanea perché capace di farsi "critico e filosofo" e di far "scintillare" la poesia dalla "meditazione". Ma, a parte l'eccezione leopardiana, il clima del presente letterario fa temere un ritorno alla identificazione tra poesia e retorica (Sulla mitologia - Sermone di V. Monti, 1855). A questa pericolosa tendenza il D. oppone la difesa di Alfieri contro i critici francesi contemporanei (Veuillot e la Mirra, Giulio Janin, Janin e Alfieri, Vanin e la Mirra), ed evidentemente questa polemica ha un profondo retroterra politico: la rivalutazione della fase "eroica" del classicismo settecentesco, nella cultura "rivoluzionaria" dell'intera Europa. Perciò questa rivalutazione riguarda anche Foscolo (Giudizio del Gervinus sopra Alfieri e Foscolo e "Storia del secolo decimonono" di G. G. Gervinus, 1855) e la polemica colpisce anche un critico come A. de Lamartine ("Cours familier de littérature" par M. de Lamartine, 1857). Nello stesso ambito il modello di V. Hugo viene proposto come sostanzialmente positivo (Triboulet e "Le contemplazioni" di V. Hugo, 1856) ed è possibile perfino il recupero di un classico manierato come Racine, perché capace di creare dei grandi personaggi drammatici (La "Fedra" di Racine, 1856). In questo ambito, infine, si configura una delle prime, ma già precise professioni di "realismo" del D. critico (Saint-Marc Girardin, 1856): "Il sentimento astratto non è poesia, non è cosa vivente ... La poesia dee riprodurre la realtà "vivente" ... Il poeta dee rappresentarci un uomo vivo", perché questo, in quanto tale, "ègià un perfettissimo personaggio poetico".  La progressiva conquista di un punto di vista "realistico" con cui guardare al testo letterario è registrata dai ricchi appunti che ci restano (a cura di V. Imbriani) delle lezioni zurighesi sul Poema epico. Proprio in questa sede il D. usa per la prima volta il termine "realismo" (ancora nuovo nella critica francese più avanzata da cui lo deriva), mentre ribadisce il rifiuto del "sistema" hegeliano come strumento di critica letteraria e conferma la validità degli strumenti d'approccio al testo ricavabili dall'estetica hegeliana. Il messaggio filosofico più complessivo, nell'ultima fase del suo esilio e del suo vitale contatto con le avanguardie europee, fu affidato dal D. al dialogo Schopenhauer e Leopardi (1858). Anche questo testo ha una struttura leopardiana (ispirata alla provocatoria ironia delle Operette morali), ma s'interessa a Leopardi solo nell'ultima parte, dedicando molto spazio all'illustrazione del pensiero di Schopenhauer, indicato come il liquidatore di un'epoca (quella "dell'Ottantanove", "del Trenta", "del Quarantotto") che egli considera "un'illusione, o piuttosto ... una imbecillità generale". La filosofia di Schopenhauer è, perciò, "nemica della libertà, nemica dell'idee, nemica del progresso"; in politica, egli ripropone "lo Stato monarchico, la nobiltà, il clero, i privilegi", nega la libertà di stampa e odia Hegel come "corrompiteste" (la moda di Schopenhauer in Europa è, in sostanza, un grave sintomo di regresso storico: la sua tardiva riscoperta equivale a un'abiura di tutto il progressismo europeo). A prima vista, il rifiuto dell'ottimismo ideologico accosta Leopardi a Schopenhauer; ma, in realtà, c'è tra i due una vera e propria opposizione, e Leopardi è tanto interno alla fase "eroica" (progressista e rivoluzionaria) dell'umanità, quanto ad essa è estraneo e ostile Schopenhauer. La differenza non è solo nel "materialismo" di Leopardi (opposto allo "spiritualismo" di Schopenhauer) o nelle sue scelte di stile "inamabile" (mentre Schopenhauer si affida al fascino della retorica), ma anche e soprattutto nell'effetto di lettura che Leopardi produce come uomo e poeta veramente "grande" (egli "non crede al progresso, e te lo fa desiderare non crede alla libertà, e te la fa amare , è scettico, e ti fa credente").  Dopo le speranze e le delusioni della seconda guerra d'indipendenza, sulla scia dell'impresa dei Mille, il D. lasciò improvvisamente Zurigo e il politecnico e ritornò a Napoli, dove svolse un ruolo, probabilmente importante, nella mediazione che portò il "partito garibaldino" (e lo stesso Garibaldi) ad accettare il plebiscito "piemontese". Per nomina di Garibaldi, appunto in fase di preparazione del plebiscito annessionistico, fu governatore della provincia di Avellino e si mostrò attivissimo organizzatore del consenso politico, della guardia nazionale locale, della lotta al banditismo (che era già esploso violento in Alta Irpinia, recuperando antiche radici sanfediste). Subito dopo, fu direttore dell'Istruzione a Napoli e, in quindici giorni (tra l'ottobre e il novembre del 1860), tesaurizzando tutte le precedenti esperienze di riforme liberali degli studi (in particolare quella del 1848), impostò una vera e propria rifondazione della scuola napoletana. All'università chiamò ad insegnare illustri rappresentanti della cultura liberale (da Spaventa a Ranieri, a Bonghi, a Imbriani, a Villari, a Mancini); in sostituzione del liceo gesuitico istituì un ginnasio-liceo statale; per la formazione dei maestri elementari (sua grande preoccupazione di progressista ottocentesco) deliberò l'istituzione di scuole "normali" in tutte le province della luogotenenza (non senza ragione, il 1860 restò per sempre nei suoi ricordi come il periodo eroico della sua vita).  Eletto deputato al primo Parlamento nazionale unitario, fu ministro della Istruzione pubblica con Cavour e con Ricasoli (dal marzo 1861 al marzo 1862), continuando sulla linea già tracciata a Napoli, ma senza ripetere l'exploit del 1860, nell'ambito della troppo vasta e ibrida realtà nazionale (in pratica, rinunciando .all'ambizione di produrre una "legge di riforma" della scuola italiana, si limitò ad estendere con decreti all'Italia unita la legge Casati). Ciò che resta di più indicativo del primo periodo di attività come ministro è proprio la linea di tendenza teorizzata nel programma iniziale e vanificata dall'opposizione dei gruppi reazionari ("Noi abbiamo decretato la libertà in carta. Sapete, o signori, quando questa libertà cesserà di essere una menzogna? Quando noi avremo effettivamente uomini liberi; quando della plebe avremo fatto un popolo libero ... Provvedere all'istruzione popolare sarà la mia prima cura"). In questo ambito si pone anche la battaglia per istituire una rete capillare di "scuole tecniche" e "istituti professionali", nonché l'impegno per la qualificazione degli studi scientifici (ma molto avversate furono anche in questo campo le più importanti scelte progressiste, come quella che portò il materialista e "rivoluzionario" J. Moleschott ad insegnare fisiologia nell'università di Torino).  Dopo questo incarico ministeriale, pur sempre rieletto in Parlamento (con la sola parentesi di un anno, tra il 1865 e il 1866), il D. rimase estraneo e in forte opposizione rispetto ai nuovi gruppi di potere (le "consorterie", che vedeva via via riavvicinarsi ai "retrivi" e ai "codini"), su una linea mediana di progressismo monarchico e antirivoluzionario. Su questa linea si pose il giornale L'Italia (che egli diresse dal 1863 al 1867), in appoggio al gruppo emergente della Sinistra costituzionale, che nel 1865 ottenne proprio nel Sud il suo primo successo elettorale. L'appassionamento garibaldino ai tempi di Mentana, la firma del manifesto di opposizione crispina e un importante discorso di denuncia contro il riemergere del clericalismo (in campo ideologico, politico ed economico) segnarono, nel 1867, i punti più alti della sua partecipazione politica.  Nel 1863 aveva sposato, a Napoli, Maria Testa dei baroni Arenaprimo, ma il matrimonio agiato (da cui non nacquero figli) non fu sufficiente a sconfiggere la precarietà economica in cui tutta la sua vita si svolse, né fornì uno stabile nutrimento al suo complesso bisogno di réve e di comunicazione sentimentale. All'interno di una sempre meno inconfessata delusione politica e personale, egli tornò, quindi, agli studi che gradualmente ridivennero protagonisti della sua vita: dal 1866 al 1872 pubblicò in volume i Saggi critici (dove raccolse gli scritti giornalistici dell'esilio), il Saggio critico sul Petrarca, la Storia dellaletteratura italiana, i Nuovi saggi critici.  Il Saggio critico sul Petrarca (1869) ripropone un corso di conferenze tenuto a Zurigo nell'inverno 1858-59, con "pochi mutamenti" e con una "introduzione" del 1868. Esso si articola in dodici capitoli (tre dedicati alla personalità del poeta e al suo "mondo" culturale; gli altri strutturati come lettura tematica e analisi del Canzoniere) ed è finalizzato a fornire un preciso punto di vista per l'interpretazione del testo petrarchesco, sulla base della teoria elaborata dal D. a partire dalla "prima scuola" e consolidata appunto negli anni dell'esilio (tesaurizzazione dell'illuminismo, del romanticismo, dell'hegelismo; rifiuto del metodo "sistematico" e dei suoi esiti panlogistici; rivendicazione della "poesia" come "forma uscita dal più profondo della vita reale" e come "sostanza vivente", secondo i grandi modelli di Omero, Dante, Ariosto, Shakespeare). In quest'ottica, Petrarca va riscoperto, pur con i limiti che la cultura romantica ne aveva segnalato, e va rivalutato per quel che lo separa dal petrarchismo (cioè dalla sua riduzione a modello "rettorico" e "platonico"). La "poesia" di Petrarca va, quindi, individuata in particolari "situazioni" liriche (soprattutto nella "malinconia" e nei momenti di "abbandono" sentimentale), pur tra gli ostacoli frapposti dall'educazione "rettorica" e da una visione "spiritualistica" della vita. Particolare interesse è rivolto alla figura di Laura (cui sono intitolati quattro capitoli): Laura è "la creatura più reale ... che il Medioevo poteva produrre", e la sua "realtà", tutta interiorizzata nella poesia del Canzoniere, non si spegne, ma si ravviva dopo la morte del personaggio (proprio in questa "situazione" Petrarca tocca le sue rare punte di "poesia sublime").  La Storia della letteratura italiana (1870-71) nacque come testo scolastico ed è, infatti, una sintesi didattico-pedagogica di materiali in gran parte preelaborati secondo una precisa metodologia critica (quella appena illustrata a proposito del saggio petrarchesco) e utilizzati per un progetto complessivo di informazione-formazione (il progetto dell'"educazione nazionale") nel quale convergono tutte le attese (ed anche i timori) del D. "letterato" e "politico" agli inizi degli anni Settanta. Divisa in venti capitoli, la Storia disegna una linea di svolgimento della letteratura italiana che va dal XIII al XIX sec. secondo il "principio direttivo" (ufficialmente dichiarato dal D. in uno dei suoi ultimi scritti) della "successiva riabilitazione della materia" (di "un graduale avvicinarsi alla natura e al reale", in parallelo con i progressi della scienza, della cultura, del costume, della vita politica, della stessa morale). Ma la finea risulta tutt'altro che retta e univoca: sia perché l'ipotesi del "graduale" svolgimento della storia letteraria verso mete progressive è fortemente contraddetta dalle fasi di stasi, d'involuzione, di "ritorno"; sia perché continuamente emergono distanze o divaricazioni tra livello storico e livello letterario (e qui s'innesta la forte rivendicazione della "forma" come valore specifico del testo letterario); sia, infine, perché (in base alla predilezione per il metodo monografico e per l'analisi testuale) il racconto della Storia alterna lunghe soste con rapidissimi voli, grandi indugi analitici con improvvise e fortissime elisioni. La Storia procede, perciò, per grandi nodi tematici e testuali, muovendosi in un sistema "a spirale" di allusioni e richiami tra fenomeni, autori, epoche, con un disinibito oscillare del linguaggio dal familiare e dal basso all'oratorio e al patetico, non senza momenti di carattere mimetico a ciascun livello di scrittura (sono queste, del resto, le caratteristiche peculiari del suo composito stile). Seguendo il cammino della Storia a partire dai primi capitoli, troviamo anzitutto ISiciliani come "scuola poetica ... feudale e cortigiana", legata alla potenza della corte sveva e destinata a spegnersi prima che "venisse a maturità", radicandosi nelle "classi inferiori". Proprio questo processo di radicamento si analizza nel ben più complesso capitolo intitolato I Toscani, ma centrato soprattutto sulla cultura bolognese (e sulla "scienza" che si sviluppò in senso antifeudale presso l'università di Bologna). Il punto d'arrivo di questa storia del "mondo lirico" medievale è Dante. Il breve capitolo dedicato a La lirica di Dante la definisce come "la voce dell'umanità a quel tempo": Dante rappresenta (vichianamente) l'epoca della "fantasia", ed è "la prima fantasia del mondo moderno". Coi capitoli IV e V il discorso ritorna alle origini, per esaminare La Prosa e I Misteri e le Visioni del sec. XIII, che esprimono "l'idea religiosa penetrata ne' costumi e nelle istituzioni", ma che restano a livello di fase letteraria preparatoria dell'"aureo" Trecento. A questo secolo è dedicato un capitolo molto puotiano (attento ai Fioretti, al Cavalca e al Passavanti. ai testi di s. Caterina da Siena e alla "maravigliosa cronaca" di D. Compagni), che però anch'esso converge, romanticamente, verso la grande figura protagonistica di Dante. La trecentesca "commedia dell'anima" esprime, infatti, l'ordito culturale da cui nascerà La "Commedia" (cap. VII), con la sua "base ascetica" e la sua radicata abitudine alla "allegoria". Ma tutto ciò rappresenta (secondo l'ottica tipica del D. dantista) la "falsa poetica" attraverso e nonostante la quale Dante crea un'opera somma di poesia (una vasta analisi del poema tende proprio a mostrare come, per virtù di passione e di poesia, esso possa esprimere, "ancora pregno di misteri, quel mondo che, sottoposto all'analisi, umanizzato e realizzato, si chiama oggi letteratura moderna"). Il capitolo defficato al Petrarca (Il "Canzoniere") è breve, ma fondamentale: Petrarca non è solo un "artista" pieno di "grazia" e di "malinconia", ma è il rappresentante di una nuova generazione culturale che, dopo Dante, "volgeva le spalle al Medio Evo ... e si affermava popolo romano e latino". In questa scelta, secondo il D., c'è una profonda ambivalenza (da una parte c'è il "rinnovamento" inteso come nascita della coscienza laica; dall'altra la letterarietà come "erudizione", "imitazione", abito retorico), in cui si muoverà, per lunghi secoli, la storia della letteratura italiana. E in un'ottica così conflittuale il Decamerone (cap. IX) appare come "l'apoteosi dell'ingegno e della dottrina" in dimensione laica, ma anche come espressione di un "niondo borghese" che, liberatosi dai vincoli dello spiritualismo, non riesce ad innalzarsi, al di là del "comico", fino alle "alte regioni dello spirito". Il Cinquecento (cap. XII) è il secolo che vede l'arte assoldata al mecenatismo, pur quando potrebbero porsi le condizioni storiche per un avvicinamento tra cultura e "popolo" (ad esempio, nella Firenze medicea) e pur quando sono già stati raggiunti grandi vertici di raffinatezza letteraria (ad es., nelle Stanze del Poliziano, cap. IX). Infine il Seicento, simboleggiato dal Marino (cap. XVIII), produce in letteratura "idilli" ed "elegie", "voluttà" e "musica", mentre l'intellettuale italiano si fa "estraneo al movimento della cultura europea e a tutte le lotte del pensiero", stagnando "in un classicismo e in un cattolicesimo di seconda mano". Nell'arco fra '300 e '600, e sempre in chiave antifrastica, sono tanti gli episodi letterari che il D. analizza, e ad alcuni, comunemente ritenuti minori, dedica interi capitoli: a F. Sacchetti il cap. X (L'ultimoTrecento), a La Maccaronea il cap. XV, a Pietro Aretino il cap. XVI. L'opera dell'Ariosto (L'Orlando furioso, cap. XIII) è esaminata secondo i parametri zurighesi: inserita nella serialità storica, essa si propone come "sintesi dell'intero Rinascimento", mentre l'"ironia" e il "riso scettico" di Ariosto si manifestano espressione di un "secolo adulto" (cioè divenuto capace di critica e ormai maturo per la libertà "borghese", pur nell'accettazione di fatto della realtà "cortigiana"). T. Tasso (cap. XVII), autore-simbolo dell'ambivalenza ideologica e sentimentale, offre l'occasione per un discorso altrettanto ambivalente sulla Contro-riforma e sul suo significato storico-culturale. Il poema del Tasso è lo specchio della "ipocrita" cultura controriformistica italiana e i suoi valori letterari vanno individuati in senso opposto rispetto a quello programmatico e ufficiale: non nella "falsa" religiosità, ma nell'"idillio", nell'"elegia", nella "voluttà" (Tasso è, perciò, accostato al Petrarca, nella tradizione di storiografia politica risalente a Sismondi e Ginguené). Ma proprio al centro dell'arco storico fra '300 e '600 c'è una punta alta, un grande ritratto in positivo: quello di Machiavelli (cap. XV), che riesce a costruire una valida ipotesi di "rinnovamento", sia opponendo alla teocrazia "l'autonomia e l'indipendenza dello Stato" ("un presentimento dei nostri ordinamenti costituzionali"), sia rinnovando il "metodo" della conoscenza, col rifiuto della "teologia" e del principio di "autorità" (per lui "la verità è la cosa effettuale, e perciò il modo di cercarla è l'esperienza accompagnata con l'osservazione, lo studio intelligente dei fatti"). Evidentemente, il ritratto di Machiavelli (liberato da tutte le riserve moralistiche precedentemente espresse su di lui) è un caso-limite d'interpretazione "tendenziosa" di un autore: se è scelto a simboleggiare, all'inizio del '500, la politica e la scienza moderna, è perché il D.-maestro che scrive la Storia nel 1870 (l'anno della presa di Roma, a cui esplicitamente, proprio nel cap.XV, egli fa riferimento) vuol proporre ai giovani un preciso progetto di produzione letteraria che leghi indissolubilmente letteratura, "scienza" e politica laica (e che indichi anche lo strumento di una lingua letteraria "precisa e concisa", antiretorica e antimusicale, che pure a Machiavelli viene attribuita con qualche forzatura). Nel nome di Machiavelli, dunque (anche se a distanza di 4 capitoli), si apre la parte "moderna" e propositiva della Storia, che consiste nei due ultimi lunghissimi capitoli, intitolati La nuova scienza (cap. XIX) e La nuova letteratura (cap. XX). Il rapporto tra essi è derivativo: la "nuova letteratura" non potrà nascere se non dalla "scienza", che ha come obiettivo "il progresso e il miglioramento dell'uomo", e che ha come principale strumento la libertà intellettuale e politica. Perciò, "i primi santi del mondo moderno" (i primi intellettuali capaci di "lottare, poetare, vivere, morire" per la "fede" nel progresso) furono Bruno, Telesio, Campanella, Galilei; e poi Sarpi, Vico, Giannone; infine Beccaria e Filangieri, con alle spalle il pensiero laico europeo, da Bacone alla Rivoluzione francese. Come s'innesta in questo clima la "nuova letteratura"? Dopo l'affascinante ma "superficiale" opera di Metastasio, l'innesto si realizza con la scelta illuministica di utilizzare "cose e non parole". Il primo autore "vero" della "nuova letteratura" è Goldoni (ma con dei limiti di superficialità). Il primo "uomo nuovo" è Parini, e poi vengono Alfieri e Foscolo (col Monti personaggio negativo), ma con dei limiti negli eccessi e nelle scelte di stile retorico. L'Ottocento (pur con la sua tensione d'impegno e di sperimentazione) non ha ancora offerto, in Italia, modelli attendibili per il cammino da percorrere. Il nostro futuro letterario è, perciò, incerto ma la direzione da seguire è chiara: "convertire il mondo moderno in mondo nostro, studiandolo, assimilandocelo e trasformandolo, "esplorare il proprio petto" secondo il motto testamentario di G. Leopardi, questa è la propedeutica alla letteratura nazionale moderna".  Nella seconda edizione dei Saggi critici (1869) e poi nei Nuovi saggi critici (1872) il D. inserì alcuni scritti (in gran parte composti per la Nuova Antologia) che precedono o accompagnano la stesura della Storia e che nei confronti di essa risultano in diverso modo illuminanti. Il più antico è Una "Storia della letteratura italiana" di C. Cantù (1865), che, recensendo l'opera appena pubblicata, la denuncia come fondata su "pregiudizi" e "superficiale dottrina" e su valori che nulla hanno a che fare col letterario (perciò l'inevitabile sottovalutazione di autori come Machiavelli, Ariosto, Leopardi, Alfieri, Giusti, Berchet, cui si contrapporrà, appunto, la Storia desanctisiana). Fondamentale, per chi indaghi sulla genesi della Storia, è il saggio Settembrini e i suoi critici (1869), in cui il D. condanna il grave limite del contenutismo radicale settembriniano, così come aveva condannato il contenutismo cattolico-moderato del Cantù, ed afferma che una vera storia della letteratura dovrebbe essere un lavoro interdisciplinare (con contributi di "filosofia, critica, arte, storia, filologia") al quale la cultura italiana non è ancora attrezzata (risalendo queste considerazioni al periodo iniziale di stesura della Storia, esse dimostrano la problematicità del D. nei confronti della sua opera maggiore, e la profonda consapevolezza della "parzialità" di essa). Più collegati alla componente ideologica "positiva" della Storia risultano L'"Armando" di G. Prati e L'ultimo dei puristi del 1868. Nel primo si denuncia la fine dei "tempi sentimentali" e si afferma, per il presente, la necessità di un impegno tutto reale e concreto ("il materialismo è uscito trionfante dal seno stesso del mondo hegeliano" e impone la "serietà della vita terrestre"); nel secondo, la stroncatura di un purista attardato (F. Ranalli) dà luogo a una attenta e intelligente rievocazione del Puoti e della sua scuola, che fu "bandiera" di "libertà, scienza, progresso, emancipazione" nei primi decenni del secolo, ma che (a parte il valore sempre vivo del "metodo" puotiano) esaurì il suo ruolo storico alla vigilia della fase rivoluzionaria del '48 (al presente, ogni nostalgia puristica risulta storicamente e politicamente ingiustificata). Anche i grandi saggi danteschi del 1869 (Francesca da Rimini, Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante) nacquero in margine alla Storia, sia come ripresa del tema-Dante (e, in particolare, delle riflessioni zurighesi), sia come esempio di quel lavoro di "monografia" che il D., all'epoca, considerava storicamente e scientificamente più valido delle "sintesi". I personaggi danteschi prediletti dalla cultura romantica ed hegeliana sono letti rispettivamente in chiave di "amore" e "pietà femminile" (Francesca), orgoglio politico (Farinata), complessità e profondità di sentimenti antinomici (Ugolino), nell'ambito di un'attenta, colta, sensibile lettura testuale (era in questo, appunto, che il D. voleva proporsi come modello di critica "attuale", "paziente" e costruttiva, ed è appunto questo l'aspetto dei Saggi che va ancor oggi rivendicato). Il saggio L'uomo del Guicciardini(1869) ripropone l'antitesi (presente anche nella Storia) fra Machiavelli, precursore del nazionalismo moderno, e Guicciardini, il cui "particulare" rifiuta ogni "vincolo religioso, morale, politico" (ma la vera funzione del saggio si esplicita nell'ultima frase, di amara denuncia della situazione politica presente: "L'uomo del Guicciardini vivit, immo in Senatum venit, e lo incontri ad ogni passo").  Nel 1871 venne affidata al D. la cattedra di letteratura comparata nell'università di Napoli, dove egli tenne quattro corsi annuali, dal 1872 al 1876 (è questa l'esperienza nota come "seconda scuola napoletana", che produsse quattro gruppi di lezioni, rispettivamente su Manzoni, Scuola cattolico-liberale, Scuola democratica, Leopardi). Contemporaneamente pubblicò una seconda raccolta di saggi (Nuovi saggi critici, Napoli 1872) e inaugurò quella serie di conferenze e articoli sugli orientamenti della letteratura contemporanea in chiave realistica che sarebbe continuata, per dieci anni, fino alla vigilia della morte. Tra il 1874 e il 1875 realizzò un nuovo momento d'impegno politico attivo, in occasione delle elezioni che prepararono l'avvento al potere della Sinistra costituzionale (in particolare, nel gennaio 1875 appoggiò, con un'avventurosa campagna elettorale, la propria candidatura - difficile e piuttosto equivoca - nella provincia d'origine, e ne rivisse il ricordo in una serie di cronache giornalistiche pubblicate prima sulla Gazzetta di Torino e subito dopo in volume, col titolo Un viaggio elettorale, 1876).  Al 1877 data il terzo e ultimo episodio importante di giornalismo politico desanctisiano: ancora un impegno battagliero, ma interno alla Sinistra (contro la gestione trasformistica e antidemocratica del potere da parte di Depretis e Nicotera), condotto soprattutto sulle colonne del Diritto di Roma. Nel 1878 Cairoli riaffidò al D. il ministero della Pubblica Istruzione che egli tenne fino al 1880, riproponendo, dopo 17 anni, i problemi della "scuola di tutti" (la "scuola per l'infanzia", la "scuola primaria", la formazione dei maestri) e quelli dell'istruzione tecnica, in un'ipotesi di cultura "scientifica" da sostituire alla "cultura retorica"; ma ancora una volta fu sconfitto nei punti più qualificanti del suo programma (la traccia più concreta che ne rimase fu l'inserimento dell'educazione fisica tra le materie d'insegnamento: un omaggio alla rivalutazione positivistica dell'uomo fisico). Nel 1880, colpito da una grave malattia agli occhi, lasciò l'incarico ministeriale e dedicò i suoi ultimi anni di vita a un lavoro di riflessione autobiografica (le Memorie che andò dettando alla nipote Agnese) e critica (soprattutto ripresa e riorganizzazione della riflessione petrarchesca e leopardiana). Morì a Napoli il 29 dic. 1883, lasciando incompiuti i suoi ultimi lavori, cui, pur tra le sofferenze della malattia, si dedicò sino alla fine.  Come tutti i principali episodi dell'insegnamento desanctisiano, anche le lezioni della "seconda scuola napoletana" sono documentate da riassunti (redatti in genere da F. Torraca), rivisti e ufficialmente accettati dall'autore. Il primo corso (gennaio-marzo 1872) fu dedicato a Manzoni e rappresenta il punto d'arrivo di una riflessione iniziata all'epoca della "prima scuola", sviluppata a Zurigo e rimasta sempre centrale nella ricerca del D., pur senza trovare una sistemazione editoriale. In queste lezioni le posizioni ideologiche e gli strumenti di ricerca sono molto cambiati rispetto agli anni della "prima scuola", ma non cambia il giudizio di valore. La grandezza del Manzoni è identificata ora nella sua capacità di "calare l'ideale nel reale": da lui escono tre "grandi idee critiche che hanno importanza universale": la "misura dell'ideale", il "vero" positivo e storico, la "forma" diretta e "popolare". Manzoni rappresenta la massima realizzazione della letteratura "moderna" in Italia e le "scuole letterarie" non segnano alcun progresso né sul piano dell'arte né su quello dell'ideologia. Negli anni successivi. il D. analizzò, appunto, lo svolgimento della letteratura in Italia a partire dal Manzoni, dividendola (secondo una traccia già seguita da Emiliani Giudici, da Settembrini e da altri) nei due filoni cattolico e laico, definiti rispettivamente "scuola liberale" e "scuola democratica". Alla Scuola liberale fu dedicato il secondo anno di lezioni universitarie (1872-73), con risultati di giudizio fortemente militanti: l'impegno dei cattolici per l'"educazione popolare" non offre risultati validi in arte e svolge un ruolo (più o meno esplicito) d'insegnamento reazionario ("nuovi Arcadi" sono Grossi, Carcano, Tommaseo, Cantú; Gioberti e Rosmini ripropongono una dimensione "metafisica" della storia e della politica; D'Azeglio resta attardato su una vecchia e superata immagine di letteratura retorica). Un interessante excursus riguarda, però, la letteratura meridionale dell'Ottocento: poeti poco noti (come D. Mauro, V. Padula, P. P. Parzanese, N. Sole) vengono esaminati con interesse e simpatia. Il corso del 1873-74 fu dedicato alla Scuola democratica, e anche in quest'ambito il giudizio globale è negativo: Mazzini, Rossetti, Berchet, Niccolini non possono fornire il modello della "nuova letteratura". Si conferma così l'esito perplesso e sostanzialmente pessimistico che caratterizza le ultime pagine della Storia e l'affermazione del principio del "realismo".  I saggi più importanti elaborati dal D. nell'ultimo decennio di vita riguardano, appunto, le tematiche del realismo (alcuni di essi furono raccolti nella 2 ed. dei Nuovi saggi critici, del 1879). Dopo la prolusione universitaria La scienza e la vita (1872), sono da ricordare: Ilprincipio del realismo (1876), Studio sopra Emilio Zola (1878), Zola e l'Assommoir (1879), Il darwinismo nell'arte(1883). L'assunto complessivo è che il "realismo" auspicato dal D. non si può confondere né col materialismo, né col positivismo, né col naturalismo di Zola (il quale, però, è molto valido come scrittore: lo studio a lui dedicato è particolarmente vasto e attento). La letteratura del "reale" dev'essere (cfr. Manzoni) "l'ideale calato nel reale", e cioè una costruzione "eticac forza morale impegnata per rinnovare la società, contro l'individualismo, la reazione, l'autoritarismo sempre in agguato.  Nell'ultima fase della sua vita il D. non si limitò a teorizzare l'importanza e la "modernità" del realismo in letteratura, né ad inserirsi con diversi strumenti critici all'interno del problema per farne emergere i pericoli (o quelli che a lui sembravano tali sul piano morale e politico), ma volle fornire delle prove concrete di narrativa realistica, utilizzando un registro di linguaggio "familiare", che già aveva usato nelle sue lettere alla moglie (con estrema semplificazione sintattica e con frequenti coloriture dialettali) e che, del resto, non era ignoto ai momenti più colloquiali della sua critica. L'operetta narrativa che elaborò in funzione di esempio e modello fu Un viaggio elettorale (1876): una serie di cronache del tragicomico attraversamento della provincia natia da lui compiuto a sostegno di una candidatura politica poco chiara e poco fortunata. Nella cronaca, il bozzettismo locale si alterna col patetico dei ricordi d'infanzia o delle esortazioni politiche; ma il senso del testo va ricercato più nella sua funzione che nei suoi esiti, né si può dimenticare che nella storia del realismo italiano esso si colloca quasi in contemporanea con Nedda (1874), quattro anni prima di Giacinta (1879), sei anni prima dei Malavoglia (1881).  Alla vigilia della morte (sempre su materiali autobiografici e sempre in ambito di racconto dal vero in linguaggio familiare), il D. perseguì un progetto molto più ambizioso: la stesura di un'autobiografia, della quale, però, non riuscì a portare a termine che la prima parte (egli l'aveva intitolata Memorie; P. Villari ne pubblicò il frammento realizzato col titolo La giovinezza). Così come ci resta, il frammento narra l'esperienza del D. dalla nascita fino al 1843, e consta di due nuclei narrativi essenziali. Il primo è legato ai personaggi bozzettistici della famiglia paesana e degli ambienti napoletani alti e bassi (preti, professori, avvocati, ragazze da marito, giovani avventurieri, vecchie serventi) e, al centro di essi, l'autore pone il personaggio "comico" di se stesso, pieno di tic, di timidezze, di chiusure, di sogni. Il secondo nucleo è legato, invece, alla formazione culturale e all'esperienza della "prima scuola". Qui il tessuto è molto serio e impegnativo: il D. (utilizzando ricordi, ma soprattutto vecchi "quaderni di scuola") vuole offrire un importante contributo alla critica di se stesso, mostrando come siano andate formandosi le linee di forza del suo metodo. In ciò la Giovinezza non è del tutto veritiera (molti sono gli imprestiti ideologici e teorici che il vecchio D. fa al se stesso giovane maestro di Vico Bisi), ma resta, comunque, il fascino di un clima in cui rivivono Puoti e Leopardi, la scoperta del romanticismo, di Vico e di Hegel, l'autoritarismo borbonico e le utopie libertarie del primo '800 napoletano.  Nell'ultimo anno d'insegnamento all'università di Napoli (1875-76), argomento delle lezioni era stato Leopardi: dagli appunti delle lezioni il D. ricavò, negli ultimi mesi di vita, uno Studio su G. Leopardi, che segue il poeta nelle diverse tappe della vita, dell'opera, del pensiero, secondo lo schema della "biografia critica" di taglio positivistico. La biografia rimane, però, incompiuta, chiudendosi al livello dei "nuovi idilli" (come il D. definisce i grandi canti del 1827-29), e proprio in questo tentativo di riduzione di Leopardi alla misura dell'idillio lo Studio è stato foriero di gravi equivoci e fraintendimenti nella successiva critica leopardiana, mentre nell'ultimo D. si giustifica come tentativo di leggere Leopardi in quella stessa chiave di "realismo" che si era rivelata funzionale per il Manzoni e il suo romanzo. Celebri, proprio in quest'ambito, le riflessioni sulle figure femminili dell'"idillio" leopardiano ("Silvia non è questa o quella donna; è il primo apparire della giovinezza in un cuore femminile", ecc.); ma, a parte questo, lo Studio non aggiunge molto né alla conoscenza del Leopardi né alla critica del De Sanctis. In sostanza, il meglio su Leopardi era stato detto nel saggio del 1855 (ma non vanno dimenticate certe importanti considerazioni della "prima scuola", né il ruolo interessantissimo, problematico e antidogmatico, che Leopardi ha nelle ultime pagine della Storia). Altri saggi leopardiani appartengono alla fase e al clima di ricerca della Storia (La prima canzone di G. Leopardi, 1869; Le nuove canzoni, 1877; La Nerina, 1877). In quest'ultimo, ancora un esame (forse uno dei più importanti) della donna nella poesia leopardiana: "La vita è tutta e solo in terra... La morte è l'altro motivo tragico di questa concezione ... Il motivo della Silvia è lo sparire. Il motivo della Nerina è il riapparire".  Lasciando da parte la fortuna del D.-maestro (un vero e proprio appassionamento suscitato nei giovani allievi di Napoli, Torino e Zurigo), per ricostruire la storia del dibattito sul D. bisogna muovere da un dato obiettivo di iniziale "sfortuna" critica: lo scarto fra i tempi della genesi dei testi maggiori (a partire dagli anni '40) e quelli della loro pubblicazione (intorno al '70). A causa di questo scarto, egli apparve subito come un idealista "attardato" (e perciò più meritevole di giudizi sommari che di attenzione testuale), nel clima di positivismo dominante in cui i suoi scritti si offrivano ad un'interpretazione globale (per es. F. D'Ovidio era convinto che il D. ignorasse "la pazienza della ricerca e dello studio", e G. Carducci gli attribuiva "difetto" di "cognizione dei fatti e dei documenti"). A sintomatico che, in un dibattito così fortemente pregiudiziale, venisse del tutto ignorato non solo il tipo di formazione del D., ma anche l'ultimo decennio della sua produzione, con la dichiarata opzione "realistica" e con la forte propensione per lo scientismo. Ma proprio a causa della pregiudizialità del dibattito di fine secolo (rilevata, fin d'allora, da qualche attento osservatore straniero, come A. Gaspary), il D. poté divenire, attraverso l'elaborazione crociana, lo strumento chiave per il rilancio di un metodo critico antipositivistico e per la progressiva riaffermazione culturale e ideologica dell'idealismo nei primi decenni del '900. Al Croce spetta, certo, il merito di aver "costretto" la cultura italiana a riconoscere nel D. un protagonista dell'800 (la sua appassionata cura di editore e di studioso del D. durò per oltre mezzo secolo); ma, contemporaneamente, Croce prese a "rielaborare" il "pensiero" del D., fino a propome la riduzione a teoria del "puro" gusto estetico (G. A. Borgese, che nel 1905 presentò il D. come punto di arrivo di "tutte le esperienze della critica romantica in Italia", fu, in realtà, uno dei primi e più autorevoli interpreti di questa tendenza riduttiva; scarsa fortuna ebbe, d'altra parte, una proposta di G. Gentile per un "ritorno al De Sanctis" di segno fascista).  Proprio dall'interno della scuola crociana (dai cosiddetti "crociani di sinistra") fu prospettata, tuttavia, l'esigenza di un dibattito diversamente impostato, volto al recupero della complessità della figura del D.: mentre L. Russo rivendicava "il significato pedagogico ed etico" dell'opera (1928) e la sua "intelligenza dell'arte" come notalità" (1931), C. Muscetta sottolineava l'importanza della sua "poetica realistica" (1931), la sua "serietà" culturale (1934), la sua visione della letteratura come "vita morale" (1940). Importanti, in questa fase, furono anche gli studi di W. Binni sull'"amore del concreto" che nutrì tutta la ricerca desanetisiana e che problematizzò i suoi rapporti con l'hegelismo (1942) e di G. Getto sulla Storia, "in cui la letteratura era studiata nel suo autonomo valore e insieme nel suo necessario legame con tutta la vita e la cultura" (1942). Infine, presentando una importante antologia di scritti desanctisiani, nel 1949, G. Contini dichiarò, a nome di un'intera generazione di studiosi, l'uscita dall'"equivoco formalistico" della "riduzione crociana" del D. e la necessità di tentare finalmente una comprensione filologica dei testi desanctisiani, con tutta la loro problematicità anche irrisolta.  Ma lo spostamento ideologico dell'intero dibattito critico mosse dalla pubblicazione dei Quaderni di Gramsci (Letteratura e vita nazionale, Torino 1950) e dalla sua celebre affermazione che "il tipo di critica letteraria proprio della filosofia della prassi è offerto dal De Sanctis". Da qui appunto si partì per un'ampia verifica dell'"impegno" del D., del carattere "militante" della sua critica, dei "saldi convincimenti morali e politici" che, secondo Granisci, la sostanziavano: era una verifica, evidentemente, molto correlata al bisogno della cultura d'incidere sul presente storico, dopo e contro il "disimpegno" teorizzato, nel ventennio fascista, da crociani e non crociani. Questo momento di dibattito produsse, fra l'altro, le iniziative editoriali, cui si deve, oggi, la possibilità di leggere il D. su testi di alto livello scientifico: le due collane avviate nel 1952 da Einaudi e Laterza (e dirette rispettivamente da C. Muscetta e L. Russo) per la pubblicazione delle "opere complete". E non a caso, negli stessi anni, apparivano fuori d'Italia (dove la letteratura desanctisiana è scarsissima) due importanti interventi critici: quello di R. Wellek (che nella sua grande Storia della critica moderna del 1957 presentò il D. come autore della "più bella storia che sia stata mai scritta di una letteratura") e quello di P. Antonetti (che nel 1963 ne pubblicò in Francia una documentata e intelligente biografia culturale). Né a caso, negli anni '50-'60, furono condotte indagini nuove e approfondite sui legami tra il D. e la cultura dell'800 (M. Mirri, S. Landucci, G. Oldrini).  Alla fine degli anni '70, in un clima culturale ancora una volta mutato, e ormai insofferente dell'insistenza sull'"impegno politico del letterato", si affermò l'esigenza di uscire dall'ottica di un D. modello per il presente, e di sottolineare (accanto ai "valori" ormai definitivamente affermati) la distanza storica e le diversità culturali che ci separano da lui. Tra gli interpreti di questa esigenza ricordiamo A. Asor Rosa e parecchi dei partecipanti al convegno napoletano del 1977 su "De Sanctis e il realismo". Con maggiore cautela, le più recenti occasioni offerte dal centenario desanctisiano (F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari 1983 e F. D.: un secolo dopo, a cura di A. Marinari, ibid. 1985) si sono mosse su una linea di attenzione ai testi, di chiarificazione e approfondimento della vasta (ancora aperta e interessante) problematica desanctisiana, di tricollocazione" storico-culturale nel mutevole orizzonte di cultura europea in cui tutta la sua ricerca si mosse.  Il materiale manoscritto, ormai quasi tutto edito, si trova (tranne una parte di quello epistolare, sparso un po' in tutta Italia) a Napoli (Bibl. nazionale, bibl. di casa Croce e bibl. del dott. F. De Sanctis Jr.) e ad Avellino (Bibl. prov. S. e G. Capone). Restano inediti quasi solo i voll. dell'Epistolario, relativi agli anni 1870-1883.  Le raccolte degli scritti, dopo le incomplete ediz. Cortese (1931-38) e Barion (1933-411, sono oggi quella laterziana (Bari, negli "Scrittori d'Italia", a cura di L. Russo, incompleta) e quella einaudiana (Torino, Opere di F. De Sanctis, a cura di C. Muscetta, priva soltanto degli ultimi due voll. dell'Epistolario). La raccolta laterziana comprende i seguenti voll.: La letteratura italiana nel sec. XIX, I (A. Manzoni, a cura di L. Blasucci, 1953); II (La scuola liberale e la scuola democratica, a cura di F. Catalano, 1953); III (G. Leopardi, a cura di W. Binni, 1953); Storia della letteratura italiana, a cura di B. Croce 19121, 19659; Memorie, lezioni e scritti giovanili, I, a cura di F. Brunetti, 1962; Saggio critico sul Petrarca, a cura di E. Bonora, 1954; Saggi critici, a cura di L. Russo, 19521, 19656; La poesia cavalleresca, a cura di M. Petrini, 1954. La raccolta einaudiana, invece, comprende: Lagiovinezza (memorie postume seguite da testimonianze biografiche di amici e discepoli), a cura di G. Savarese, 1961; Purismo illuminismo storicismo (scritti giovanili, frammenti di scuola e lezioni), a cura di A. Marinari, 1975; La crisi del romanticismo (scritti del carcere e primi saggi critici), a cura di G. Nicastro e M. T. Lanza, 1972; Lezioni e saggi su Dante, a cura di S. Romagnoli, 19551, 19672; Saggio sul Petrarca, a cura di N. Sapegno e N. Gallo, 1952; Verso il realismo (prolusioni e lezioni zurighesi sulla poesia cavalleresca, frammenti di estetica, saggi di metodo critico), a cura di N. Borsellino, 1965; Storia della letteratura italiana, a cura di N. Sapegno e N. Gallo, 19581, 19663; La letteratura italiana del secolo XIX, Manzoni (a cura di C. Muscetta e D. Puccini, 1955), La scuola cattolico-liberale e il romanticismo a Napoli (a cura di C. Muscetta e G. Candeloro, 19531, 19722), Mazzini e la scuola democratica (a cura di C. Muscetta e G. Candeloro, 19531, 19612), Leopardi (a cura di C. Muscetta e A. Perna, 1960); L'arte la scienza e la vita (nuovi saggi critici, conferenze e scritti vari), a cura di M. T. Lanza, 1972; Il Mezzogiorno e lo Stato unitario (scritti e discorsi politici dal 1848 al 1870), a cura di F. Ferri, 1960; I partiti e l'educazione della nuova Italia (scritti e discorsi dal 1871 al 1883), a cura di N. Cortese, 1970; Un viaggio elettorale(seguito da discorsi biografici, dal taccuino parlamentare e da scritti politici vari), a cura di N. Cortese, 1968; Epistolario: 1836-1856 (a cura di G. Ferretti e M. Mazzocchi Alemanni, 1956); 1856-1858 (a cura degli stessi, 1965); 1859-1860 (a cura di G. Talamo, 1965); 1861-62(a cura dello stesso, 1969); 1863-1869 (a cura di A. Marinari, G. Paoloni e G. Talamo, in corso di stampa). Ottime antologie degli scritti del D. sono quelle curate da G. Contini (Torino 1949) e da N. Sapegno e N. Gallo (Milano-Napoli 1961).  Fonti e Bibl.: Per la bibl. delle opere e della critica, cfr. B. Croce, Gli scritti di F. D. e la loro varia fortuna, Bari 1917 (con integrazioni di C. Muscetta, in F. De Sanetis, Pagine sparse, Bari 1944) ed E. Pesce, Supplemento alla bibliografia desanctisiana 1944-65, Napoli 1965. Sono da tener presenti inoltre le rassegne: M. Tondo, La lezione di D. Rassegna degli studi dell'ultimo venticinquennio, Bari 1976; P. Tuscano, F. D. a cento anni dalla morte, in Cultura e scuola, LXXXVI (1983), pp. 32-45; G. Oldrini, La storiografia desanctisiana dell'ultimo decennio, nel miscellaneo F. D. - Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari 1985.  Per la biografia, vanno ricordati anzitutto i seguenti saggi d'insieme: E. Cione, F. D., Messina-Milano 1938 e Milano 19442; F. Montanari, F. D., Brescia 1939; P. Antonetti, F. D. (1817-1883). Son évolution intellectuelle, son esthétique et sa critique, Aix-en-Provence 1963; E. Croce-A. Croce, D., Torino 1964. Per gli anni della formazione, sono da tener presenti i seguenti scritti: B. Croce, Introd. a F. De Sanctis, Teoria e storia della letteratura, Bari 1926; A. Marinari, Introd. a Purismo illuminismo storicismo cit., nonché Le correzioni del Puoti ai primi due discorsi di scuola del D., in Belfagor, XV (1960), pp. 584-601; Id., Alcuni problemi di cronologia desanctisiana, Firenze 1963 e Il giovane D. lettore di P. Giannone, in Letteratura e critica, Studi in onoredi N. Sapegno, II, Roma 1975, pp. 643-80; G. Savarese, Primo tempo del D. e altri saggi, Bologna 1971; P. Luciani, L'"estetica applicata" di F. D., Firenze 1983; C. Muscetta, D. e i generi letterari in F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari 1983, pp. 363-84. Per gli anni della prigionia e dell'esilio, sono indispensabili: E. Cione, F. D. dallaNunziatella a Castel dell'Ovo, Napoli 1933; B. Croce, Il soggiorno in Calabria, l'arresto e la prigionia di F. D., Napoli 1917 (ora in Aneddoti di varia letteratura, IV, Bari 1954); F. D. a Torino, a cura di C. Vernizzi, Torino 1984; M. Guglielminetti-G. Zaccaria, F. D. e la cultura torinese (1853-56) e R. Martinoni, Gli anni zurighesi (1856-60), entrambi in F. D. nella storia della cultura cit. (dello stesso Martinoni, cfr. anche La puzza della birra e del tabacco. Gli anni zurighesi di F. D. [1856-60], in L'Almanacco 1983, Bellinzona 1983, pp. 112 s.); O. Besomi, D. "in partibus transalpinis", ma non "infidelium": letture zurighesi, in Per F. D., Bellinzona 1985, pp. 89-118. Per gli anni 1836-60 sono da tener presenti i voll. dell'Epistolario (con le rispettive introduzioni). Lo stesso vale per gli anni successivi (almeno fino al 1869). Per il soggiorno del D. a Firenze, cfr. G. Spadolini, D. e Firenze capitale, in F. D. - Un secolodopo cit., pp. 437-43. Per il D. ministro, cfr.: G. Talamo, F. D. politico e altri saggi, Roma 1969; S. Soldani, Scuola e lavoro: D. e l'istruzione tecnico-professionale, inF. D. nella storia della cultura cit., pp. 451-516; G. Ciampi, Il governo della scuola nello Stato postunitario, Milano 1983, ad Indicem; A. Santoni Rugiu, Aspetti dell'ideologia formativa di F. D., nonché S. Valitutti, Il pensiero e l'azione scolastica di D. ed E. Bottasso, D. ministro e la formazione delle prime tre biblioteche nazionali (tutti in F. D. - Un secolo dopo cit.). Per la morte e le onoranze funebri, cfr. In memoria di F. D., a cura di M. Mandalari, Napoli 1884 (rist. anast., Napoli 1983, a cura della Comunità montana "Alta Irpinia").  Tra gli studi critici di carattere generale, cfr.: B. Croce, F. D., in Letteratura della nuova Italia, I, Bari 1956 (per gli altri scritti desanctisiani del Croce, cfr. G. Savarese, Croce e D., in Rassegna della letteratura italiana, CXLIV [1967], pp. 158-174; L. Russo, F. D. e la cultura napoletana, Venezia 1928 (poi Firenze 1956, ora Roma 1983); C. Muscetta, F. D., inLetteratura italiana. I minori, IV, Milano 1962 e in Letteratura italiana. Storia e testi, VIII, 1, Bari 1975, ibid 19854; M. Fubini, F. D. e la critica letteraria, in Romanticismo italiano, Bari 19653; M. Mirri, F. D. politico e storico della civiltà moderna, Messina-Firenze 1961; S. Landucci, Cultura e ideologia di F. D., Milano 1963 (sul quale cfr. M. Mirri in Critica storica, III [1964] e la risposta di S. Landucci, in Belfagor, XX [1965]); A. Asor Rosa, L'idea e la cosa: D. e l'hegelismo, in Storia d'Italia (Einaudi), IV, 2, Torino 1975, pp. 850-78 e Il "diagramma De Sanctis"... e il nostro, in Letteratura italiana (Einaudi), Torino 1982, I, pp. 22-26. Utilissime sono anche tutte le introduzioni ai singoli volumi delle edizioni cinaudiana e laterziana. Sono da tenere inoltre in grande considerazione le osservazioni di I. Svevo (in Racconti. Saggi. Pagine sparse, Milano 1968, p. 800" e G. Debenedetti (Commemorazione del D.), 1934 (ora in Saggi critici, 2a serie, Milano 1971), nonché quelle di W. Binni (L'amore del concreto e la "situazione" nella prima critica desanctisiana [1942], ora in Critici e poeti dal Cinquecento al Novecento, Firenze 1951, pp. 99-116), G. Contini (Introd. a F. De Sanctis, Scelta di scritti critici, cit.); G. Getto (Storia delle storie letterarie, Milano 1942, ad Indicem), C. Dionisotti (Geografia e storia della letteratura italiana, Torino 1967, ad Indicem) e R. Wellek (Storia della critica moderna, IV, Bologna 1969, pp. 123-55). Molto ricche sono le miscellanee: F. D. e il realismo, con Introd. di G. Cuomo, Napoli 1978; F. D. nella storia della cultura, a cura di C. Muscetta, Bari 1983; F. D. tra etica e cultura ("Riscontri", VI, 1-2), a cura di M. G. Giordano, Avellino 1984; D. - Un secolo dopo, a cura di A. Marinari, Bari 1985; Per F. D., Bellinzona 1985; F. D.: recenti ricerche, a cura dell'Ist. per gli studi filosofici, Napoli 1989.  Per i rapporti fra il D. e la cultura napoletana dell'800, cfr. gli scritti di G. Oldrini (in particolare, La cultura filosofica napoletana dell'800, Bari 1973 e gli interventi apparsi nelle varie miscellanee già citate). Per quelli con l'hegelismo, oltre allo scritto già cit. del Binni, cfr.: N. Giordano Orsini, D., Hegel e la situazione poetica, in Civiltà moderna, XIV (1942), pp. 138 ss.; M. Rossi, Sviluppi dello hegelismo in Italia (F. D., S. Tommasi, A. Labriola), Torino 1957; Il primo hegelismo italiano, a cura di G. Oldrini, Firenze 1969; M. T. Lanza, D. e Hegel, in F. D. nella storia della cultura, cit., pp. 155-84; S. Landucci, cit.  Tra i tanti altri saggi, cfr. pure: M. Aurigemma, Lingua e stile nella critica di F. D., Ravenna 1968; F. Battaglia, Parva desanctisiana, Bologna 1970; B. Moretti, La lingua di F. D., Firenze 1970; A. Prete, Il realismo di D., Bologna 1972. G. Malcangi, F. D. deputato di Trani, con Introd. di A. Lapenna e A. Marinari, Bari 1972; A. Marinari, Il "viaggio elettorale" di F. D. Il "dossier Capozzi" e altri inediti, Firenze 1973; F. Ghilardi, Il superamento del kantismo e l'esperienza politica di F. D., Napoli 1974; G. Guglielmi, Da D. a Gramsci: il linguaggio della critica, Bologna 1976; N. Celli Bellucci-N. Longo, F. D. e G. Leopardi tra coinvolgimento e ideologia, Roma 1979; M. Dell'Aquila, Giannone, D., Scotellaro. Ideologia e passione in tre scrittori del Sud, Napoli 1981; G. Nencioni, F.D. e la questione della lingua, Napoli 1984.  Per i rapporti con le altre letterature europee: per la Francia cfr. F. Neri, Il D. e la critica francese, 1922 (ora in Saggi, Milano 1964); P. Antonetti, F. D. et la culturefrançaise, Firenze-Parigi 1964; U. Piscopo, D. e la culturafrancese, in F. D. - Un secolo dopo cit.; per la Germania, cfr.: G. Bach, La cultura tedesca in F. D., in Studi e ricordi desanctisiani, Avellino 1935; F. Matarrese, Goethe e D., Bari 1975; M. Westhoff, Schiller e D., Roma 1977; M. Mazzocchi Alemanni, La "fortuna" di D. in Germania, in F. D. nella storia della cultura cit., pp. 547-76; per il mondo angloamericano, cfr.: A. Lombardo, D. Shakespeare e la letteratura inglese, in F. D. - Un secolo dopo cit., pp. 549-68; D. Della Terza, D. e la cultura anglosassone, in F. D. nella storia della cultura cit., pp. 527-45, e D. negli Stati Uniti d'America, in F. D. - Un secolo dopo cit., pp. 651-63.  Per la fortuna critica dell'opera del D., cfr. L. Biscardi, F. D., Palermo 1960; S. Romagnoli, F. D., in Iclassici italiani nella storia della critica, a cura di W. Binni, II, Firenze 19612 ; F. De Castro, F. D. nella critica italiana del secondo dopoguerra, in Problemi, LIX (1980); N. Longo, Il "ritorno" di D. Storia, ideologia, mistificazione, Roma 1980. Cfr. pure, al riguardo, le rassegne di G. Oldrini, M. Tondo e P. Tuscano citate a proposito degli scritti bibliografici.Sossio Giametta. Giametta. Keywords: il volo d’Icaro, l’implicatura di Croce – eterodossie crociane – Cosi parlo Zoroaster; cosi implico!”—cortocircuito e implicature, la pazzia di Croce, il pazzo di Croce – la caduta di Icaro? No, il vuolo di Icaro! – Colli e Montanari! --   Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giametta: cortocircuito ed implicatura” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716489340/in/photolist-2mRAqeJ-2mQxzwE-2mQDDPt-2mQMcti-2mQMcsB-2mQHU1f-2mQK7Hp-2mQMcs1-2mQMcr4-2mQK7Gn-2mQDDQq-2mQMcsG-2mQHTYB-2mQHU15-2mQK7GY-2mQNoEv-2mQK7HQ-2mQNoHr-2mQK7J1-2mQDDPd-2mQHU1a-2mQHTZo-2mQMct8-2mQDDPP-2mQHTYG-2mQNoEF-2mQMcqT-2mQNoFx-2mQK7Hz-2mQHTYr-2mQMcqN-2mPkhvE-2mN1wvj/

 

Grice e Giandomenico – l’apertura semantica e l’implicatura di Galilei – filosofia italiana – Luigi Speranza (Carunchio). Filosofo. Grice: “I like Giandomenico; he makes excellent commentary on Bernard’s controversial, deterministic idea of life – from amoeba to man, in Russell’s words --.” Grice: “Surely this has connections with my method in philosophical psychology, from the banal to the bizarre, which actually starts with philosophical BIO-logy!” Grice: “Giandomenico shows that while Bernard never thought he had to provide a ‘conceptual analysis’ of ‘vivente,’ he does propose this or that criterio: for one he tries to prove that self-nourishment cannot be the criterion – but I’m not sure what the positive he poes, if any!” Si laurea con Corsano all’istituto di filosofia di Bari.Insegna a Brindis, Lecce, Foggia, e Bari. Studia l'insegnamento di Filosofia  nei Licei. Studia filosofia della comunicazione. Fonda il Laboratorio di Epistemologia Informatica e il Centro per la Metodologia della Sperimentazione. Studia pragmatica computazionale e Informatica umanistica. Membro della Società Filosofica Italiana. Si occupato della storia della fisiologia, la storia sdell’informatica, l’informatica pragmatica, teoria della comunicazione, teoria dell’implicatura conversazionale, e teoria del segno. Pubblicato uno studio su Tommasi, che aderì alla sperimentazione. Ha trattato il contributo scientifico di Pende.  Analizza i fondamenti dell'informatica nei suoi rapporti con le teorie filosofiche, mettendo in evidenza le strutture epistemiche reciprocamente significative. “Filosofia ed informatica”, Inoltre, ha sperimentato applicazioni delle tecnologie informatiche nella ricerca umanistica.  Le ricerche condotte nell'ambito dell'informatica linguistica si sono proposte l'analisi linguistico-computazionale. L'obiettivo è stato quello di andare al di là del livello “lessicografico” – il filosofese – o terminologia filosofica, como ‘implicatura’ -- e di implementare una rete sintattica automatica con l'ausilio di software dedicati.  Il primo progetto ha riguardato l'analisi della conversazione nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi” di Galileo. Usando un software, creato dal Laboratorio di Epistemologia Informatica di Bari, ricava un “vocabolario” (filosofese, terminologia filosofica, vocabolario filosofico) galileiano, procedere ad una prima valutazione dello stile ed avviare l'analisi “semantica” di un “concetto” utilizzato da Galileo. Ha raccolto, infine, questi spunti in una riflessione sui linguaggi dell'artificiale, intersecati con quelli della vita, sulle nuove tecnologie della comunicazione e sull'etica.  Altre opera: “Tommasi, filosofo, Bari, Adriatica; “Filosofia e sperimento” Bari, Adriatica; “Scienza, filosofia, letteratura, Verona, Bertani; “ Introduzione a Charcot, Fasano, Schena); “Epistemologia informatica, Bologna, Transeuropa); “ Filosofia e informatica. Bari: G. Laterza); “L'uomo e la macchina trent'anni dopo: Filosofia e informatica, Società Filosofica Italiana, Bari, G. Laterza); “Dall'offerta formativa alla creazione di un nuovo lavoro: la laurea umanistica” in Convegno per il corso "Informatica umanistica” BARI: G. Laterza); “Laboratori di psicologia tra passato e futuro, Lecce, Pensa Multimedia); “La prosa di Galileo: la lingua la retorica la storia, Lecce, Argo); “La filosofia come strumento di dialogo tra le culture, Bari, Mario Adda Editore); La Società Filosofica Italiana, Roma, Armando,. Note  M. Triggiani, Cultura, un fronte unico. Università e Comune per una rete dei contenitori, in Gazzetta del Mezzogiorno, 3 A.L., Dopo la laurea faccio il master in orecchiette, in Specchio. Supplemento di La Stampa, F. Di Trocchio, Dall'archivio al futuro, in L'Espresso,de Ceglia, l. Dibattista, Semi di storia della scienza.  Milano, Franco Angeli.  L’esperire immediato e l’esperienza mediata Affronteremo in questa lezione il difficile rapporto che s’instaura tra il mondo-della-vita e quello della scienza, tra esperienza diretta ed immediata ed organizzazione razionale. Husserl ritiene che le scienze moderne (matematiche e naturali) hanno bisogno di un nuovo fondamento, diverso e ben più solido di quello che vien loro solitamente attribuito dalla comunità degli scienziati, dei logici e dei metodologi. Per trovare questo nuovo fondamento, egli si rivolge direttamente al mondo-della -vita, cioè al mondo dell’esperienza concreta, nel quale le intuizioni si presentano al loro stato originario, non ancora elaborate in concetti: in una parola, si rivolge al mondo del precategoriale. A questo proposito egli mette in guardia gli scienziati, i quali ritengono di considerare la natura come è realmente e non si accorgono dell’astrazione attraverso la quale essa è diventata per loro un tema scientifico, non si accorgono cioè che le cose cui fanno riferimento - perfino quando parlano di oggetti empirici, di risultati dell’osservazione e della sperimentazione - sono in realtà il frutto di un precedente, assai complesso e artificioso, lavoro categoriale. Possiamo ricordare, a questo proposito, le procedure operative che oggi (in maniera più evidente di quanto si poteva percepire ai tempi di Husserl) le scienze sperimentali adottano. Ecco un esempio. Vedere, nella scienza del nostro tempo, vuol dire, quasi esclusivamente, interpretare segni generati da strumenti: tra la vista di un astronomo del nostro tempo che fa uso del telescopio spaziale Kepler e una di quelle lontane galassie che appassionano gli astrofisici ed accendono la fantasia di tutti gli esseri umani sono interposti oltre una dozzina di complicati apparati mediatori Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  3 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune del tipo: un satellite, un sistema di specchi, una lente telescopica, un sistema fotografico, un apparecchio a scansione che digitalizza le immagini, vari computer che governano riprese fotografiche e processi di scansione e memorizzazione delle immagini digitalizzate, un apparecchio che trasmette a terra queste immagini in forma di impulsi radio, un apparecchio a terra che ritrasforma gli impulsi radio in linguaggio per un computer, il software che ricostruisce l’immagine e le conferisce i necessari colori, il video, una stampante a colori e così via. Questo esempio evidenzia che la scienza ha due attività fondamentali: la teoria e gli esperimenti. Le teorie cercano di immaginare come il mondo è; gli esperimenti servono a controllare la validità delle teorie e la tecnologia che ne consegue cambia il mondo. L’intero iter della ricerca scientifica si può sintetizzare con una affermazione netta: rappresentiamo e interveniamo. Rappresentiamo al fine di intervenire e interveniamo alla luce delle rappresentazioni. Dall’epoca della rivoluzione scientifica ha preso vita una sorta di “artefatto collettivo” che dà campo libero a tre fondamentali interessi umani: la speculazione, il calcolo, l’esperimento. La collaborazione fra ciascuno di questi tre ambiti porta a ciascuno di essi un arricchimento che sarebbe altrimenti impossibile. Per questo, come aveva insegnato già il filosofo inglese Francesco Bacone (ritenuto con Galilei il padre della scienza moderna), la scienza non è osservazione della natura allo stato grezzo. I sensi dell’uomo vanno ampliati mediante strumenti. I raggi dell’ottica di Newton, così come le particelle della fisica contemporanea, non sono dati in natura, sono i dati di una natura sollecitata da strumenti. Di fronte alla natura - come aveva affermato con una delle sue barocche metafore il Lord Cancelliere inglese - dobbiamo imparare a “torcere la coda al leone”. Da questo punto di vista la storia degli strumenti non è esterna alla scienza, ma ne è parte costitutiva e integrante. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  4 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune In altre parole: la definizione operativa accolta usualmente dagli scienziati tende sì a ricondurre i concetti ad un contenuto empirico, ma questo contenuto in realtà è quello filtrato da teorie e strumenti, come dall’esempio che abbiamo sopra riportato.  Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune 2 Categoriale e precategoriale La tesi di Husserl è, invece, che il fondamento di tutte le scienze - anche di quelle cosiddette empiriche - possa venire fornito soltanto dal «fiume eracliteo» delle intuizioni che precedono qualsiasi tipo di concettualizzazione e che ci coinvolgono nell’immediatezza della vita, personale e professionale, vissuta, la quale presuppone “il mondo circostante quotidiano della vita, in cui tutti noi, e anch’io in quanto filosofo, esistiamo coscienzialmente: non meno le scienze, in quanto fatti culturali inclusi in questo mondo, e gli scienziati e le loro teorie. Nei termini del mondo-della-vita: noi siamo oggetti tra gli oggetti; siamo qui o là, nella certezza diretta dell’esperienza, prima di qualsiasi constatazione scientifica, fisiologica, psicologica, sociologica, ecc. D’altra parte siamo soggetti per questo mondo, soggetti egologici che lo esperiscono, che lo considerano, che lo valutano, che vi si riferiscono attraverso un’attività conforme a scopi, soggetti per i quali il mondo circostante ha il senso d'essere che gli è stato attribuito dalle nostre esperienze, dai nostri pensieri, dalle nostre valutazioni, ecc., e nei modi di validità (della certezza, della possibilità, eventualmente dell’apparenza, ecc.) che noi realizziamo attualmente, in quanto soggetti di validità o che già possediamo da prima e che portiamo in noi in quanto abitualmente acquisiti, in quanto validità di questo o di quel contenuto che possono essere attualizzate a piacimento. -Naturalmente tutto ciò soggiace a una molteplice evoluzione, mentre ”il” mondo continua a essere un mondo unitario, e si corregge soltanto nella sua struttura di contenuto”.[...] Ora, se consideriamo noi stessi in quanto scienziati, nella funzione di scienziati in cui ora di fatto ci troviamo, al nostro particolare modo d’essere, di essere scienziati, corrisponde il nostro fungere attuale nel modo del pensiero scientifico, del nostro porre problemi e del nostro ricavare Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  6 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune soluzioni teoretiche in relazione alla natura e al mondo dello spirito; ciò a cui ci riferiamo non è dapprima altro che uno degli aspetti del mondo-della-vita già precedentemente sperimentato o, comunque, già presente alla coscienza e già valido scientificamente o pre-scientificamente. Fungono con noi gli altri scienziati, che vivono con noi in una comunità teoretica, che attingono o già possiedono le stesse verità, oppure che, grazie all’accomunamento di questi atti, stanno con noi nell’unità di operazioni critiche e nel proposito di un accordo critico. D’altra parte noi possiamo essere per gli altri, e gli altri per noi, meri oggetti; invece che nella comunità dell’unità di un interesse teoretico attuale, possiamo conoscerci reciprocamente attraverso l’osservazione; possiamo conoscere gli atti del pensiero, gli atti dell’esperienza e, eventualmente, altri atti, come fatti obiettivi, ma “senza interesse”, senza partecipazione, senza un’adesione o un rifiuto critico”. (E. Husserl, La crisi delle scienze europee, cit. pp. 134-135, 139). Ogni pensiero scientifico e qualsiasi problematica filosofica, secondo Husserl, implicano sempre certe ovvietà, per esempio la certezza che il mondo esiste, che è già sempre preliminarmente, e che qualsiasi rettifica di un’opinione di qualsiasi tipo, presuppone sempre il mondo in quanto orizzonte di ciò che senza dubbio è e vale. Anche la scienza oggettiva pone i suoi problemi sul terreno di questo mondo, il quale, però, è sempre già da prima, che è già a partire dalla vita prescientifica. Essa, come qualsiasi prassi, presuppone il suo essere; ma, insieme, si pone come fine la trasformazione del sapere prescientifico (che è imperfetto sia nella sua portata che nella sua consistenza), in un sapere compiuto, conformemente all’idea della correlazione tra mondo, che in sé è ben determinato, e verità scientifiche che lo spiegano, presentandosi come delle verità in sé. In altri termini, il suo compito è quello di attuare questa esplicazione attraverso un processo sistematico, attraverso gradi di compiutezza, utilizzando un metodo che permetta un costante progresso. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  7 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune In realtà Husserl tende a realizzare una descrizione dello strato precategoriale (o antepredicativo) posto a fondamento dell’edificio logico-categoriale. Questo strato può presentarsi sia come un piano autonomo d’esperienza che ignora la destinazione predicativa, sia come un’anteriorità funzionale, cioè come un precategoriale non autonomo in quanto indirizzato verso il piano predicativo (o categoriale). In questo secondo caso, il predicativo assume il valore di interpretazione ed esposizione linguistica dell’antepredicativo cioè dell’originario d’esperienza. Il criterio che egli assume, peraltro, richiede che ogni fondazione e chiarificazione conoscitiva acquisisca, dal punto di vista fenomenologico, la forma del rinvio all’intuizione fondante. In tal modo il rapporto tra sensibilità ed intelletto (è evidente qui il richiamo critico alle due “fonti della conoscenza”, di kantiana memoria) si traduce nel rapporto tra “sensibile” e “categoriale”: il non-categoriale, il precategoriale è collocato nella sfera del sensibile con tutta la sua valenza fondativa per gli atti logici superiori.  Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune 3 Agrimensura empirica e geometria scientifica Tra le pagine più note, nelle quali Husserl analizza il rapporto fondativo del precategoriale incarnato nel mondo-della-vita ed il categoriale consacrato nei paradigmi scientifici, quelle dedicate alla genesi della geomertia e della geometrizzazione della natura sono particolarmente idonee per le tematiche che stiamo analizzando. Husserl precisa subito che la sua indagine “genealogica” non mira ad una ricostruzione “storiograficamente corretta” delle origini della geometria (emblematicamente assurta a simbolo della scienza “esatta”, ma non “rigorosa”) bensì vuole rintracciare il senso profondo, originario della sua collocazione categoriale. “Il problema dell'origine della geometria (e sotto il titolo di geometria raccogliamo qui, a fine di concisione, tutte quelle discipline che si occupano delle forme esistenti matematicamente nella spazio-temporalità) non è qui un problema storico-filologico; non si tratta quindi di reperire i primi geometri che·abbiano formulato proposizioni, dimostrazioni, teorie geometriche, né quelle determinate proposizioni che essi possono aver scoperto, ecc. Il nostro interesse mira invece a risalire al senso più originario in cui la geometria si è costituita, in cui si è sviluppata attraverso millenni, in cui è ancora viva per noi e in cui continua a evolvere; noi indaghiamo cioè il senso in cui si è presentata per la prima volta nella storia - il senso in cui dev’essersi presentata, anche se nulla sappiamo, né cerchiamo di sapere, sui suoi creatori. Partendo da ciò che sappiamo della nostra geometria, oppure dalle sue forme più antiche tramandateci (per es. dalla geometria euclidea), cerchiamo di risalire agli inizi originari e ormai sommersi della geometria, a quegli inizi “originariamente fondanti” così come devono necessariamente essersi prodotti. Questo tentativo di risalire al senso originario si mantiene necessariamente nell’ambito delle generalità, ma, come Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  9 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune risulterà tra breve, si tratta di generalità ricchissime, la cui esplicitazione offre la possibilità di attingere problemi particolari e constatazioni evidenti che a loro volta si configurano come problemi. La geometria, per così dire, compiuta, a cui occorre rifarsi per risalire al suo senso, è una tradizione. La nostra esistenza umana si muove nell’ambito di un numero enorme di tradizioni. Tutto il mondo culturale, in tutte le sue forme, è per noi in base alla tradizione. Perciò le forme culturali non sono soltanto divenute causalmente: noi sappiamo anche che la tradizione è appunto una tradizione che si è costituita nel nostro spazio umano e in base all’attività umana, sappiamo che è spiritualmente divenuta - anche se in generale noi non sappiamo nulla della sua precisa provenienza e della spiritualità che l’ha di fatto determinata. E tuttavia, anche questo non-sapere include sempre, per essenza e implicitamente, un sapere che può essere esplicitato, un sapere di un’evidenza incontestabile”. (E. Husserl, ibidem, p.381). Questo sapere, continua Husserl, affonda le radici, nell’esempio specifico che egli illustra, nell’impiego empirico dei concetti geometrici. A questo livello possiamo certo accontentarci di determinazioni piuttosto vaghe, di una vaga tipicità; e dunque di confronti sommari, a occhio e croce. Ci possiamo contentare, ma beninteso secondo i casi. Vi sono situazioni in cui non ci contentiamo affatto. Se, ad esempio, dobbiamo vendere il nostro campicello o scambiare il nostro con quello di un altro, presumibilmente non saremo affatto soddisfatti da determinazioni tra il più e il meno. Cercheremo di escogitare metodi più precisi di confronto, dunque metodi di misurazione. Si vede subito allora in che senso la pratica della misurazione abbia a che fare con la geometria, e in particolare con la sua origine. Pur essendo motivati da interessi pratici, cominciamo tuttavia ora a porci problemi teorici, continua Husserl, sia pure in una forma relativamente disorganica. Per escogitare metodi di misurazione abbiamo bisogno di operare una certa Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  10 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune classificazione delle forme, scoprire certe relazioni tra esse o inventare dei ben determinati congegni per stabilire tra esse una relazione. In tutto ciò sono implicite numerose riflessioni teoriche che preparano la riflessione propriamente geometrica. Lo stesso problema di una classificazione tenderà, ad esempio, ad un certo ordinamento che prefigura la distinzione tra forme elementari e forme derivate e che non solo richiede un preciso intervento teorico, ma configura altrsì un possibile campo di indagine con fini propriamente ed esclusivamente conoscitivi. Questa origine della problematica geometrica non ha evidentemente un carattere “storiografico” nel senso consueto del termine. In altri termini, non ci sono “documenti” che mostrino che le cose siano andate proprio così, e questo è un altro elemento di notevole interesse che emerge dalle riflessioni di Husserl e che riguarda il concetto della storicità. È innegabile infatti che siamo comunque di fronte ad una descrizione “storica”, ma essa è condotta sul filo di una logica interna ai concetti, non è un racconto più o meno leggendario. E persino l’origine della riflessione geometrica dall’agrimensura ha forse queste caratteristiche di una connessione “genetica” non storiograficamente documentata in senso stretto, ma che rientra tuttavia, in un certo senso, nel pensiero di una storia della geometria alle sue origini. Scrive Husserl: “La metodica geometrica della determinazione operativa di alcune e poi di tutte le forme ideali a partire da forme fondamentali, in quanto mezzi elementari di determinazione, rimanda alla metodica esercitata già nel mondo circostante pre-scentifico-intuitivo, dapprima in modo rudimentale poi secondo regole d’arte, alla metodica della misurazione e in generale della determinazione misurativa. Le sue finalità hanno un’origine, che è rivelatrice, nella forma essenziale di questo mondo-della-vita. Le sue forme sensibilmente esperibili e sensibilmente- intuitivamente pensabili in esso e tutti i tipi pensabili, a qualsiasi grado di generalità, si Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  11 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune connettono continuamente le une con gli altri. In questa continuità essi riempiono la spazio- temporalità (sensibilmente intuitiva) che è la loro forma (Form). Ogni forma che rientra in questa aperta infinità, anche quando è data come un fatto nella realtà, è priva di “obiettività”, perciò non è determinabile intersoggettivamente da chiunque - per es. da un altro che non la veda di fatto -, né comunicabile nella sua determinatezza. Evidentemente a costui serve la misurazione. La misurazione è qualcosa di molto differenziato, il misurare vero e proprio non è che il suo momento conclusivo: da un lato si tratta di produrre concetti adatti per le forme corporee dei fiumi, dei monti, degli edifici, ecc. che di regola devono rinunciare a concetti e a nomi rigorosamente determinanti; innanzitutto per le loro “forme” (nell’ambito della somiglianza visiva), e poi per le loro grandezze e per i loro rapporti di grandezza e; ancora, per l’ubicazione, mediante la determinazione delle distanze e degli angoli che vengono riportati a luoghi e a direzioni presupposti noti e immobili. La misurazione scopre praticamente la possibilità di scegliere come misura certe forme fondamentali empiriche, che sono concretamente definite su corpi che di fatto sono generalmente disponibili ed empirico-rigidi, e, mediante i rapporti che esistono (e che devono essere scoperti) tra queste misure e le altre forme corporee, cerca di determinare intersoggettivamente e in modo praticamente univoco queste forme - dapprima in sfere ridotte (ad es. nell’ agrimensura) poi per nuove sfere di forme. Si capisce così come, in seguito all’esigenza, ormai desta, di una conoscenza “filosofica”, di una conoscenza che determinasse il “vero” essere, l’essere obiettivo del mondo, la misurazione empirica e la sua funzione empiricamente- praticamente obiettivante, attraverso la trasformazione dell’interesse pratico in un interesse puramente teoretico, potesse venir idealizzata e trapassare così in un pensiero puramente geometrico. La misurazione prepara così la geometria universale e il suo “mondo” di pure forme- limite”. (E. Husserl, ibidem, pp. 57-58). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  12 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune Naturalmente la fenomenologia rappresenta in certo senso la guida di questo pensiero. Benché l’istante della transizione non possa essere documentato, è tuttavia chiaro che molte conoscenze geometriche siano state anticipate e presupposte nella tecnica degli agrimensori. Anzi in generale i problemi che sorgono nell’ambito della soluzione di difficoltà pratiche stimolano la ricerca sul piano teoretico–conoscitivo: la prassi tecnica genera motivi di riflessione teorica. E inversamente la riflessione teorica diventa un “mezzo della tecnica”; una volta che una scienza come la geometria si è costituita, quando cioè esiste un lavoro scientifico diretto in modo autonomo ad un universo di oggetti concettualmente definito, questo lavoro si ripercuote a sua volta sul terreno dei problemi tecnici suggerendo nuove idee e nuovi progetti.  Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune 4 Logica trascendentale e mondo-della-vita Questa interconnessione tra precategoriale e categoriale non riguarda soltanto le scienze naturali e sociali, ma investono ovviamente anche le scienze formali e, tra queste, la logica, verso la quale Husserl, fin dall’inizio della sua attività filosofica, ha sempre mostrato particolare interesse. Dalle Ricerche logiche (1900) a Logica formale e trascendentale (1929) a Esperienza e giudizio (1939), egli traccia la via di una “genealogia” della logica, in polemica con il logicismo e lo psicologismo, Nello sviluppo del suo pensiero si impone a Husserl anche l’esigenza di chiarire che genere di rapporto sussiste tra la logica antepredicativa e la logica predicativa . La percezione sensibile, per quanto consista nel tendere da parte dell’io verso l’oggetto intenzionato, è sempre una conoscenza instabile, insicura, che non consente mai di possedere l’oggetto conosciuto in maniera definitiva. Questo è possibile soltanto mediante una conoscenza predicativa, cioè attraverso la logica, la quale ha la capacità di fissare l’oggetto e di conservarlo anche quando non è presente nella percezione. La conoscenza antepredicativa e quella predicativa, perciò, si differenziano nettamente e ciascuna si caratterizza per una propria specificità. Se però si analizza la genesi della logica, ci si rende conto che bisogna rifarsi alla percezione sensibile per spiegare la logica predicativa. Questo significa che la conoscenza predicativa, di cui appunto la logica è l’espressione più compiuta, riposa fenomenologicamente, cioè dal punto di vista della sua fondazione, sulla conoscenza antepredicativa, cioè si esplicita in logica trascendentale. Scrive Husserl: Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  14 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune “Chiarito il contrasto tra scienza obiettiva e mondo-della- vita, occorre tuttavia localizzare la loro essenziale connessione: la teoria obiettiva nel suo senso logico (in termini universali, la scienza come totalità delle teorie predicative, dei sistemi “logici” in quanto sistemi di “proposizioni in sé”, di “verità in sé” e, in questo senso, di enunciati logicamente connessi) è radicata e fondata nel mondo-della-vita, nelle sue evidenze originarie. Proprio per questo la scienza obiettiva ha una costante relazione di senso col mondo in cui sempre viviamo, e in cui, quindi, viviamo anche nella nostra qualità di scienziati accomunati a tutti gli altri scienziati - si tratta cioè di una relazione col comune mondo-della-vita. Ma così la scienza obiettiva è un’operazione di persone pre-scientifiche, di persone singole e di persone accomunate nell’attività scientifica, di persone quindi che appartengono al mondo-della-vita. Le loro teorie, le formazioni logiche, non sono naturalmente cose del mondo-della-vita nel senso in cui lo sono i sassi, le cose, gli alberi. Sono totalità logiche e parti logiche costituite da elementi logici ultimi. Per parlare con Bolzano: sono “rappresentazioni in sé”, “proposizioni in sé”, conclusioni e dimostrazioni “in sé”, unità ideali di significato, la cui idealità logica è determinata dal loro telos “verità in sé”. Ma anche questa idealità, come qualsiasi altra, non muta nulla al fatto che sono formazioni umane connesse per essenza alle attualità e alle potenzialità umane, e che quindi rientrano nella concreta unità del mondo-della-vita, la cui concrezione dunque ha una portata maggiore di quella delle “cose”. Ciò vale, correlativamente, anche per le attività scientifiche, sperimentali, per le attività che “in base” all’esperienza plasmano le formazioni logiche, in cui esse compaiono in forma originaria e in modi originari di evoluzione, nei singoli scienziati e nella comunità degli scienziati: quale originarietà delle proposizioni, delle dimostrazioni, ecc. che sono state elaborate in comune”. (E. Husserl, ibidem, pp. 158-159). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) '    15 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune Come potete notare, si tratta di un’ampia riflessione sul come le strutture logiche siano o meno adeguate alla dimensione della realtà oggettiva. In questo senso la logica trascendentale si presenta come logica dei fondamenti, ed è in seno ad essa che si costituisce la logica come scienza formale. La logica formale tradizionale, invece, ha ignorato la propria genesi, presupponendo come ovvia la validità delle proprie leggi. Al contrario, un giudizio logico deve essere valutato come un atto soggettivo di conoscenza che si impadronisce del suo contenuto. Per questo motivo le leggi logiche formali, che siano normative del giudizio, ma che non tengono conto del fatto che sono normative anche del suo contenuto, fanno sorgere interrogativi sulla validità dei loro giudizi sul mondo naturale e sulla verità ed evidenza dei loro contenuti. Seguendo questo punto di vista, Husserl sviluppa pienamente il tema della logica trascendentale in rapporto alle categorie di verità e di significato. Conseguentemente, la logica si configura qui come teoria delle teorie: essa non è solo un discorso logico sulla logica, condotto con i mezzi della logica, ma un metadiscorso sulla logica, che tuttavia non si presenta né come una sovrastruttura né come una forma speculativa. E’, a tutti gli effetti, una regressione, un ritorno ai fondamenti che l’hanno costituita nelle sue operazioni originarie, anche storiche, nonché nelle sue operazioni attuali. Le ricerche fenomenologiche, ribadisce Husserl, risultano necessarie alla logica pura, trascendentale. Ne rappresentano la sua fondazione intuitiva e precategoriale: in quanto la logica è da ricercare nelle operazioni costitutive, diventa logica filosofica, filosofia prima, teoria della teoria. Ma, badate bene, ciò non è in contraddizione con la fondazione precategoriale: è solo l’altra faccia della questione, poiché la fondazione deve sempre essere ristabilita nella presenza e nelle modalità temporali e quindi genetiche e storiche. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)  16 di 17   Università Telematica Pegaso La rivincita della conoscenza comune Le scienze, invece, che non prendono in considerazione ciò che costituisce il loro fondamento trascendentale, cioè le condizioni per cui si danno, si risolvono in pure tecniche di manipolazione di simboli linguistici.Mauro Di Giandomenico. Giandomenico. Keywords: l’apertura semantica, “How Pirots Karulise Elatically” – pirots karulise elatically – pirots karulise – ‘implicazione’ – aperture semantica, Galileo, la retorica di Galilei, Galilei, lo stile di Galilei, Vinci, I corpi, la filosofia positivistica italiana  -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giandomenico: l’implicatura conversazionale: ‘Pirots karulise elatically; therefore, pirots karulise!” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757604051/in/dateposted-public/

 

Grice e Giani – implicatura mistica – l’implicatura di Catone -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Muggia). Filosofo. Grice: “It’s hard for me to judge Giani’s philosophy because I fought against the Italians during the so-called ‘second world war,’ so-called!” Grice: “But I would be willing to expand: if Giani developed what he aptly called a ‘mystique’ – so did we at Oxford – Churchill surely held his ‘mystique.’ Of course the Italian, being more scholastic, had to call it ‘scuola di mistica,’ – and the idea was that of an all-male chivalry order – aptly set at Milan!” Fonda la corrente filosofica nota come "Mistica". Partì come volontario di guerra e morì sul fronte.  Dopo aver frequentato il Liceo ginnasio Dante Alighieri di Trieste si trasferì a Milano, dove si iscrisse a Milano e quindi ai Gruppi Universitari, laureandosi. Anticipa l'imminente apertura della scuola sul foglio dei Gruppi Universitari, "Libro e moschetto" della Scuola di Mistica. Ne divenne direttore, carica che lasciò alla fine dell'anno seguente dopo aver scritto il suo ampio discorso da tenersi a Roma in occasione dellaI iunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze che coincideva anche con il decennale della Marcia su Roma in cui enuncia i principi della nuova scuola.  Su impulso di Giani si comincia inoltre a pubblicare i Quaderni della scuola di mistica. Poche settimane dopo la riunionesi dimise da direttore con una lettera inviata a Mussolini, per contrasti interni con il segretario politico dei Gruppi Universitari. Imputa le dimissioni al mancato trasferimento della Scuola nella vecchia sede de Il Popolo d'Italia chiamato anche "Il covo" La richiesta di entrare in possesso de "Il Covo" puntava ad ottenere il possesso di uno degli ambienti più importanti dell'immaginario fascista. Continua quindi a collaborare con diversi quotidiani come "Il Popolo d'Italia" e "Gerarchia". "Lineamenti sull'ordinamento sociale dello Stato" gli fece ottenere la libera docenza e e quindi la cattedra di Storia a Pavia ma parte volontario per la guerra d'Etiopia arruolandosi col grado di capomanipolo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale nel CXXVIII Battaglione"Vercelli".  Rientrato in Italia, riassunse la guida della scuola, qui in occasione della chiusura dell'anno scolastico nell'aula della casa del Fascio di Milano. Rientrato in Italia riassunse la carica di direttore della "Scuola di Mistica" lanciando due importanti iniziative, rilancia la pubblicazione della serie di "Quaderni" che affrontavano differenti problematiche e sempre per sua iniziativa fu creata nell'ambito della scuola la rivista mensile, Dottrina che divenne l'organo ufficiale della Scuola, in cui pubblica  il "Decalogo dell'italiano nuovo”. Si dedica inoltre al giornalismo diventando direttore a Varese di "Cronaca prealpina" e collaborando a diverse testate, tra cui Tempo (Direttore: Alfredo Acito). Dalle pagine di "Cronaca prealpina" prese parte alla campagna fondata sui propri convincimenti del ‘spirito’ contrapposto al "biologico"  La Cronaca prealpina dopo la nomina di Giani a direttore arriva a quadruplicare la tiratura.   L'incontro a Roma con Mussolini in cui si decise la cessione del "Covo" ai "mistici" della Scuola. Su impulso di Giani, con una cerimonia presieduta di Starace, la sede ufficiale della Scuola di Mistica si spostò nel medesimo edificio che ospitò ai suoi primordi il giornale Il Popolo d'Italia, chiamato "il Covo". Il "Covo" negli anni era stato trasformato in una galleria. La palazzina e proclamata monumento nazionale con tanto di guardia d'onore  svolta da squadristi e combattenti. Per esplicita decisione di Mussolini, fu ufficialmente consegnata ai mistici della scuola. L'evento fu vissuto come una autentica consacrazione dei insegnanti riuniti intorno a Giani. In realtà la consegna era già stata disposta come risulta da un foglio d'ordini del PNF e in quell'occasione il consiglio direttivo era stato ricevuto a Roma da Mussolini. Mussolini li aveva spro continuare nella loro attività.  A Milano, in occasione del decennale dalla fondazione della scuola, organizzò il "Convegno nazionale di mistica" che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto essere il primo della serie. Obiettivo che sfumò a causa dell'entrata in guerra. L'incontro vide oltre 500 partecipanti ed ebbe l'adesione della maggior parte degli filosofi dell'epoca. Come gran parte dei "mistici", partecipa nuovamente come volontario alla seconda guerra mondiale, conflitto nel quale vedeva il presagio di una rivoluzione in vista di una nuova era.  Inquadrato nell'11º reggimento alpini prese parte alla battaglia delle Alpi Occidentali contro la Francia e venendo decorato con la medaglia d’argento al valor militare.Terminata la campagna di Francia in seguito all'armistizio tornò alla vita civile ma incominciata nel frattempo la guerra in nord Africa richiese più volte di partire volontario senza ottenere soddisfazione. Alla fine ottenne di partire  come corrispondente di guerra de Il Popolo d'Italia, della Cronaca prealpina e de L'Illustrazione Italiana presso i reparti della Regia aeronautica. Per quest'ultima realizza anche diversi servizi fotografici. All'attività di giornalista affiance anche quella di militare prendendo parte ad alcune azioni e ottenendo una medaglia di bronzo al valor militare. E richiamato in Italia dove riassunse la guida de "La cronaca prealpina".Nuovamente incorporato nell'11º reggimento alpini riparte infine come volontario per la campagna di Grecia, dove cadde sul fronte greco-albanese nella battaglia per la conquista della Punta Nord del Mali Scindeli. Si offre volontario per una pericolosa missione che prevede la conquista di una munita postazione greca. L'attacco ebbe inizialmente successo con la conquista della posizione ma riorganizzatisi i greci condussero un contrattacco. Nello scontro cadde. Il periodico L'Illustrazione Italiana scrisse, senza riportare dove o come avrebbe potuto registrare tali parole, che l'ufficiale greco che lo aveva colpito a morte avrebbe raccontato che nello scontro Giani gli si era parato davanti "come un dio o un demone".  Il corpo di Giani andò disperso e gli altri assaltatori che avevano preso parte all'attacco dovettero ritirarsi rapidamente incalzati dai soldati greci. Fu pochi giorni dopo incaricato delle ricerche Carati che era anche vice-direttore della Scuola di mistica. Le ricerche a causa della perdurante situazione di guerra furono nulle, e riuscì solo ad individuare il luogo in cui era caduto.  In quell'occasione, richiesta un'udienza al Duce, chiese che potessero partire per l'Albania il cognato Guido Giani e il fratello Aldo Sampietro. Questi ultimi rinvennero la salma sepolta in maniera anonima in territorio greco. Di qui la salma fu translata nel piccolo cimitero militare di Klisura.  Mussolini fu preso come principale punto di riferimento dalla Scuola di Mistica. Elabora un discorso programmatico in cui enuncia i principi fondanti della Scuola e della Mistica fascista. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di mistica ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori  che sono nell'opera del Duce.  (Giani in La marcia sul mondo). Inizialmente i principi esposti da Giani facevano parte di un discorso più ampio da tenersi a Roma in occasione di una riunione della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. L'ampio discorso fu poi pubblicato nella serie dei "Quaderni" voluti da Giani con il titolo "La marcia sul mondo della Civiltà". Si impone un ritorno alle origini, ovvero al movimentismo rivoluzionario, riallacciandosi idealmente all'esperienza delle prime squadre d'azione e degli arditi della Grande Guerra quindi, secondo Veneziani "una più radicale rivoluzione coniugata al recupero di una più integralistica tradizione". Ma più che legati agli enunciati politici del manifesto di sansepolcro i mistici di quella esperienza esaltavano soprattutto la lotta contro la borghesia affaristica del primo dopoguerra. La mistica si considera rappresentante proprio di questo mondo ispirato dall'amore di patria e posta a guardia della rivoluzione permanente e in contrasto con gli opportunisti e i trasformisti. Individuava nell'epoca contemporanea *quattro* principali mistiche, destinate ad apportare in un primo tempo dei benefici ma poi a fallire: liberale, democratica, socialista e comunista. Liberalismo, democrazia, socialismo e comunismo sono le quattro mistiche dominanti nella societa. Il bilanciolo abbiamo già visto è per tutte negativo. Il liberalismo porta all'anarchia. La democrazia porta all'instabilità politica e sociale. Il socialism porta alla otta civile. Il comunismo porta alla vita primitiva. Queste quattro mistiche sono pertanto anti-storiche. A fronte di esse l'unica mistica in grado di superare tali crisi era quella come sviluppato nel capitolo intitolato "La marcia ideale" la cui conoscenza e diffusione presso le masse era compito della élite. Medaglia d'argento al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia d'argento al valor militare «Volontario nella guerra d'Africa ove prese parte volontario a diverse pattuglie esploratori, chiese ed ottenne di essere anche in quest guerra assegnato ad un reparto combattente. Destinato all'11º alpini volontario a due azioni del battaglione Bolzano chiese di partecipare alla ardita discesa di due compagnie del battaglione Trento effettuata in una valle occupata dal nemico e avanzò con la prima pattuglia sotto intenso bombardamento, sprezzante del grave pericolo di sorprese e di accerchiamento nemico, esempio trascinante a ufficiali e soldati, e prova di dedizione alla patria, di alta fede e di valore.» Medaglia di bronzo al valor militarenastrino per uniforme ordinariaMedaglia di bronzo al valor militare «Corrispondente di guerra presso una squadra aerea disimpegnava il suo particolare e delicato servizio con alto senso di responsabilità. Spesso presente sugli aeroporti più avanzati e maggiormente battuti dall'offesa nemica allo scopo di rendersi conto di ogni particolare, partecipava volontariamente a difficili e rischiose missioni di guerra, dando sicura prova anche nelle più critiche circostanze di sereno sprezzo del pericolo e completa dedizione al dovere.» Medaglia d'oro al valor militarenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro al valor militare «Volontariamente, come aveva fatto altre volte, assumeva il comando di una forte pattuglia ardita, alla quale era stato affidato il compimento di una rischiosa impresa. Affrontato da forze superiori, con grande ardimento le assaltava a bombe a mano, facendo prigioniero un ufficiale. Accerchiato, disponeva con calma e superba decisione gli uomini alla resistenza. Rimasto privo di munizioni, si lanciava alla testa dei pochi superstiti, alla baionetta, per svincolarsi. Mentre in piedi lanciava l'ultima bomba a mano ed incitava gli arditi col suo eroico esempio, al grido di: «Avanti Bolzano! Viva l'Italia», veniva mortalmente ferito. Magnifico esempio di dedizione al dovere, di altissimo valore e di amor di Patria.» — Punta NordMali Scindeli (Fronte greco), 14 marzo 1941. Opere: “La via della gloria, anni 20 La marcia sul mondo della Civiltà Fascista, Lineamenti su l'ordinamento sociale dello Stato, Giuffré ed. La mistica come dottrina. Perché siamo, A. Nicola. Perché siamo mistici. Mistica della rivoluzione. Antologia di scritti, Il Cinabro,  Longo, “I vincitori della guerra perduta” (sezione su  Giani), Edizioni Settimo sigillo, Roma.Carini, Giani e la scuola di mistica fascista,  Mursia, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate,Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Tomas Carini nella prefazione su  Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,Carini,  Giani e la scuola di mistica, Mursia,Tomas Carini, Giani e la scuola di mistica, Mursia, Carini, Giani e la scuola di mistica fascista, Mursia, Tomas Carini nella prefazione su Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,Grandi, Gli eroi, Giani e la Scuola di mistica, Cfr. a tale proposito le ricerche di Enzo Laforgia, una cui sommaria sintesi è nel sito varesenews Archiviato. Tomas Carini nella prefazione su Niccolò Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo, Il saggio, edito da Dottrina Fascista, riporta in forma integra la conferenza inaugurale tenuta da Giani per l'inaugurazione del corso per maestri della Scuola di Mistica. Cfr. a tale proposito le ricerche di Enzo Laforgia in Aldo Grandi, Gli eroi di Mussolini, BUR, Milano, Antonellis, Come doveva essere il perfetto, su storia illustrate, Veneziani, La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarcoedizioni, Varese, Longo, Gli eroi della guerra perduta, edizioni settimo sigillo, Roma,  L'Illustrazione italiana, Grandi, Gli eroi di Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista, cAldo Grandi, Gli eroi di Mussolini. Niccolò Giani e la Scuola di mistica fascista, cNiccolò Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,, Tomas Carini nella prefazione su Niccolò Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,Marcello Veneziani, La rivoluzione conservatrice in Italia, Sugarcoedizioni, Varese, Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,, Tomas Carini nella prefazione su Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo, Tomas Carini nella prefazione su Giani, La marcia sul mondo, Novantico Editore, Pinerolo,  Tomas Carini, Giani e la Scuola di mistica, prefazione di Marcello Veneziani, Mursia, Milano, Grandi, Gli eroi di Mussolini. Giani e la Scuola di mistica, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, RaidoSpeciale Scuola di Mistica, Raido, Roma, Arnaldo M., Coscienza e dovere.  Niccolò Giani MISTICA DELLA RIVOLUZIONE FASCISTA Antologia di scritti, 1932-1941, pp. 302, euro 15.00 In libreria dal 27 novembre   In breve: «Siamo mistici perchè siamo degli arrabbiati, cioè dei faziosi, se così si può dire, del Fascismo, uomini [...] partigiani per eccellenza e quindi anche assurdi [...]. Del resto nell’impossibile e nell’assurdo non credono gli spiriti mediocri. Ma quando c’è la fede e la volontà, niente è assurdo». (Niccolò Giani) Un’antologia che raccoglie i più significati testi di Niccolò Giani, tra i massimi esponenti della corrente più radicale, oltranzista e universale del Fascismo, la Scuola di Mistica Fascista.         Questa antologia rappresenta la prima raccolta organica dei più significativi scritti di Niccolò Giani nel periodo che va dal 1932 al 1941. È, a nostro giudizio, il modo migliore per illustrare senza filtri la sua persona, il suo pensiero e la sua azione. È un omaggio doveroso al testimone di quello che fu il Fascismo universale e intransigente che mai scese a compromessi con la “vita comoda”, al rinnovatore spirituale e politico di una intera generazione. Esempio di eroismo che, al di là della contingenza storica, seppe essere coerente con i propri principî vivendo l’ideale sino all’estremo sacrificio; quasi innalzando il Fascismo ad una categoria universale dell’essere, come fonte inesauribile di spiritualità cui innestarsi per fare la rivoluzione dell’uomo e del mondo. Niccolò Giani, nato a Muggia il 20 giugno 1909, cadde sul fronte greco il 14 marzo 1941, nello slancio del combattimento, trasfigurato ormai nell’eroismo muto. Dimostrò con la vita affermata oltre la morte, l’armonia tra pensiero e fede, la continuità tra dottrina ed azione, e della autentica Rivoluzione rimane il puro rappresentante della giovinezza nuova: per questo il suo esempio sarà il seme fecondo dell’aspro cammino di domani. Seppe con l’azione indicare la strada, con l’intransigenza insegnare l’esempio. I «tesserati» furono i suoi avversari. Contro di essi combatté, contro cioè i falsi, i presuntuosi, gli esibizionisti, i retorici, gli arrivisti; contro coloro, insomma, che considerarono la Rivoluzione come atto di ordinaria amministrazione, sfruttabile per fini personali.    Il Cinabro Ufficio stampa ufficiostampa@ilcinabro.it   INDICE: Saggi introduttivi: - Luca Leonello Rimbotti: Mistica Fascista. L’ordine della Milizia sacra - Maurizio Rossi: La Mistica Fascista dell’Uomo Nuovo. Tra milizia politica e metapolitica la scuola rivoluzionaria del Fascismo *** Introduzione: - Fernando Mezzasoma: Niccolò Giani discepolo di Arnaldo *** Decalogo dell’Uomo Nuovo La marcia ideale sul mondo della Civiltà fascista Generazioni di Mussolini sul piano dell’Impero Civiltà fascista civiltà dello spirito Aver Coraggio A difesa dell’Europa Fuori La mistica come dottrina del fascismo Le due Europe Mistica del fascismo, Corporativismo e Autarchia Il Centro di preparazione politica per i giovani. Fucina di Campioni della Rivoluzione Valore primordiale del “Covo” I soliti imbecilli L’equivoco Perché siamo dei mistici Il volto della guerra Testamento spirituale al figlio Niccolò Giani: Presente!Mistica Della Rivoluzione Fascista “E questo diritto alla prima linea, ad essere i disperati del Fascismo, è l’unica pretesa che, oggi, domani, sempre, i mistici del Fascismo accamperanno di fronte alla Rivoluzione, come, con vena veramente squadrista, ha detto Guido Pallotta nella sua relazione che ha avuto lo spirito e la mordenza del «menefreghismo» più autenticamente fascista. Prima linea, sul fronte esterno ed interno, contro il nemico di fuori e di dentro. Contro gli attentatori della nostra integrità territoriale, ma anche, e con uguale decisione e durezza, contro gli attentatori della nostra integrità spirituale.”  (Niccolò Giani)  Le conseguenze derivate dalla fine del primo conflitto mondiale e l’immediatarossi 5 crisi strutturale delle istituzioni e dei valori che investì, con una forza che non aveva avuto precedenti nella storia, le società europee, vennero allora giudicate come l’annuncio di un radicale mutamento di tutte le forme della vita politica e civile fino ad allora conosciute e complessivamente accettate. Una deflagrazione interna dei costumi, di certezze consolidate e di mentalità che modificò in maniera irreversibile l’immaginario collettivo di popoli e nazioni.  Niente sarebbe più stato come prima. Uno Spirito nuovo si affacciava con ruvida decisione e realismo eroico reclamando il proprio posto nella Storia. L’alba delle grandi rivoluzioni si affacciava sul continente europeo e i popoli si sarebbero messi in marcia affascinati da nuove e esaltanti Weltanschauung.  Per Arthur Moeller Van Den Bruck, uno dei primi e tra i più significativi esponenti della Rivoluzione Conservatrice tedesca, si tratterà di una presa di posizione a carattere diffuso più che evidente: “Assistiamo all’evento per cui tutto quel che non è liberale si unisce contro quel che è liberale. Noi viviamo i tempi di questa agitazione mondiale, che si produce per una estrema consequenzialità, e che si esplica in una rivoluzione radicale che prospetta la perdita da parte del nemico della sua posizione di potere: tale nuova situazione mondiale esordisce con un allontanamento dall’Illuminismo.”  Il periodo che immediatamente fece seguito al termine di un conflitto di così immensa portata, venne visto dai più attenti e acuti osservatori incredibilmente saturo di una genuina e stupefacente valenza rivoluzionaria e innovatrice, ciò significò l’inizio di una nuova stagione di entusiastiche mobilitazioni che avrebbero alla fine tonificato la fibra morale e politica del continente fino ad allora logorata ed estenuata da sovrastrutture ipocrite e corrose nel loro intimo che erano riuscite, attraverso innumerevoli sotterfugi, a sopravvivere a se stesse, sempre più annichilite da un pervasivo decadentismo culturale e morale e dal predominio di una mentalità borghese e oligarchica connotata dalle sue più perniciose vedute utilitaristiche e mercantilistiche.  Le conseguenze della fine della grande guerra significarono soprattutto una presa di coscienza collettiva e un’accelerazione formidabile dei fenomeni sociali, accompagnate entrambe da una esigenza totalmente nuova di considerare l’esistenza e i rapporti umani, esigenza che venne principalmente percepita prima dai combattenti e poi dai reduci come il frutto maturo della traumatica e allo stesso tempo travolgente esperienza della guerra di trincea, insomma un insieme di condizioni imprescindibili che prepararono il terreno e l’atmosfera per l’avvento delle ondate rivoluzionarie nazionalpopolari che misero in crisi valori e regole consolidate da tempo, assestando colpi mortali alle strutture politiche, sociali e culturali delle società borghesi liberal-democratiche.  Dalle forme statiche si passava alle forme dinamiche, nel senso jungeriano del termine.  Il Fascismo sarà la matrice principale che inaugurò la feconda ed entusiasmante stagione delle insurrezioni nazional-rivoluzionarie e il primo laboratorio culturale delle ancor più affascinanti sintesi nazionali e sociali.  Furono infatti i reduci del fronte, gli ex-combattenti che avevano creduto fino in fondo ad una particolare visione eroica della vita propria di una ideologia della guerra sviluppatasi nell’interiorizzazione del sacrificio bellico e del sangue versato – subendo poi la frustrazione di una vittoria conseguita sul campo di battaglia a duro prezzo che videro mutilata negli accordi di pace internazionali – a rappresentare la spina dorsale di una innovativa e volontaristica visione politica che pretendeva di coniugare un nazionalismo intransigente e guerriero partorito nelle trincee con le più avanzate e spregiudicate chiavi di lettura sociali.  La grande guerra di popolo aveva travasato nei combattenti il senso della tensione nazionale e sociale verso scopi e missioni comuni, una nuova coscienza collettiva che sarebbe stata cementata da un formidabile sentimento di fraterno e virile cameratismo, il culto della differenza e del radicamento nella specificità etnica della Stirpe italica.  Gli squadristi fascisti non fecero altro che travasare tutti questi motivi nelle battaglie di piazza.  Sorti dalla guerra di popolo, divennero avanguardia di popolo. E il 28 Ottobre 1922 sarà il coronamento dei loro sacrifici, la loro apoteosi.  D’altronde era stato lo stesso Mussolini a dire che l’esperienza della guerra avrebbe generato le migliori condizioni per la rivoluzione sociale e politica. Anzi, ne sarebbe stata la prefazione. Era il novembre 1916 e Mussolini combatteva sul fronte del Carso, nei ranghi del 11° Reggimento Bersaglieri: “Noi vinceremo la guerra: ma poi dovremo vincere la pace. Sarà duro; ma ci arriveremo. La società italiana deve assolutamente mutare. (…) Sui giovani bisognerà contare. Questa guerra che noi combattiamo e che con tragica definizione viene detta di logoramento, porterà alla ribalta delle lotte civili una generazione che riuscirà a fare quello che la nostra non è riuscita a fare: il riscatto sociale e politico del mondo del lavoro, al di sopra e al di fuori dei dottrinarismi che oggi lo incatenano. A ciò non saremmo mai arrivati se non avessimo voluto la guerra, rovesciato i vecchi feticci sostituendo alle vuote ideologie i fatti e le loro naturali conseguenze. Questo non sarà solo di noi, ma anche di altri popoli.”  Una lucida e profetica anticipazione di quanto sarebbe poi accaduto in tutta l’Europa.  Tutto questo si pose, in maniera del tutto naturale, in totale opposizione al principio democratico in politica e a quello liberale nel campo economico, all’insegna di una rivoluzionaria concezione elitaria, fortemente gerarchica e anti-egualitaria che reclamava la valorizzazione delle minoranze attivistiche e carismatiche con la conseguente affermazione del principio guida del Capo, con il mito dello Stato totalitario come asse formante e legittimante della Comunità nazionale e non ultimo la funzione pedagogica del Partito unico, soprattutto mediante una costante mobilitazione politica delle masse, una sacralizzazione della politica attraverso il ricorso a liturgie collettive, miti e simbologie, e una crescente militarizzazione della vita sociale e civile, l’intervento statale attraverso gli istituti del Corporativismo per una razionale direzione disciplinata dell’economia che ponesse termine all’epoca del predominio delle oligarchie mercantilistiche e parassitarie e riportasse la vita economica al servizio dell’interesse collettivo subordinandola alle necessità politiche nazionali.  Infine, l’affermazione sovrana di una particolare e severa tipologia umana di nuova impronta che avrebbe rappresentato lo spirito del nuovo tempo: l’Uomo Nuovo, l’Uomo integrale come manifestazione vivente di una Tradizione atemporale che ebbe la volontà e la capacità di tradursi in Rivoluzione.  Proprio nel senso di quell’interpretazione che Niccolò Giani seppe dare, facendosi portavoce di quegli ambienti del Fascismo intransigente e rivoluzionario che vollero interpretare al meglio gli insegnamenti mussoliniani: “Il Fascismo è un richiamo violento alla Tradizione, non un ritorno o una ripetizione. Per noi fascisti la Tradizione come lo dice il significato etimologico del termine e come Evola ha documentato, è e non può essere che dinamica. Altrimenti si parlerebbe di conservatorismo o di reazione. Invece, la Tradizione è continua coniugazione, attraverso il presente, del passato e dell’avvenire; è processo inesausto di superamento, è una fiaccola accesa con la quale ogni popolo illumina la propria strada e corre nel tempo verso l’avvenire. Ecco perché, oggi, Rivoluzione e Tradizione non si escludono, ma anzi si identificano e questo spiega il culto che noi abbiamo pel passato e dice ai soliti uomini dai paraocchi che l’italiano del secolo XX non può che essere fascista.”  Questa nuova visione della politica rappresentata dal Fascismo rappresentò inequivocabilmente la radicale negazione dei principi emersi dalla rivoluzione francese, una evidente antitesi storica e culturale di quanto fu incarnato dall’illuminismo, che costituì l’essenza di tutte le manifestazioni materialistiche ed economicistiche della decadenza moderna: da quelle individualistiche, liberali e democratiche a quelle cosmopolite, genericamente progressiste e marxiste.  Il Fascismo, anche nella sua più vasta comprensione europea, intese proporre in maniera concreta ed efficace un discorso radicalmente alternativo alla politica borghese e alla società borghese richiamandosi al concetto di avanguardia delle idee, un’avanguardia rivoluzionaria che fosse in grado, senza contraddizioni, di saldare assieme passato e presente vincendo così la sfida della modernità, sostituendo il vigore giovanile della passione idealistica e volontaristica alla decadente dissolutezza del conservatorismo borghese e il cameratismo militante radicato nella coscienza popolare alla società atomizzata e polverizzata delle democrazie liberali.  Un discorso ambizioso per un’avanguardia che ambiva ad essere al contempo simbolo della genuinità politica e della resurrezione spirituale, una speranza che venne riposta nel mito capacitante dell’Uomo Nuovo creatore di nuovi valori, l’esemplare di una specifica specie umana lanciata alla conquista del futuro senza per questo dover recidere le radici culturali e spirituali che lo mantenevano legato alla propria dimensione storica, etnica e popolare; nei confronti della quale si espresse il Duce parlando nel 1933 all’Assemblea delle Corporazioni: “L’uomo economico non esiste, esiste l’uomo integrale che è politico, che è economico, che è religioso, che è santo, che è guerriero.”   Quindi questa figura particolare dell’Uomo Nuovo, capace di raccogliere in sé tutte le sue forze creative, che la cultura rivoluzionaria del Fascismo proponeva e che non mancava costantemente di ricollegare alla stagione dello squadrismo, così intrisa di eroicità e di sacrificio, riconduceva alla stessa definizione dell’Uomo integrale di mussoliniana memoria, ovvero un uomo che non esistesse unicamente perché cartesianamente pensante, ma perché arricchito di tutte quelle virtù “romanamente” intese, eroiche, civiche e politiche, sia nella ragione come nei sentimenti.  Spesso e volentieri nell’immaginario intellettuale il discorso sull’Uomo Nuovo si andava a concretizzare poi nell’ideale della gioventù, una gioventù non solamente intesa in senso spirituale ma anche come dato anagrafico, poiché il concetto di gioventù rimandava all’ansia del cambiamento e all’impeto rivoluzionario, racchiudendo in se stessa gli ideali della forza e della bellezza, di una esuberante virilità aggressiva, l’anelito vitale di un futuro tutto da conquistare, proprio l’opposto di quanto ancora proponevano i rappresentanti delle democrazie borghesi con tutte le loro desuete convenzioni e i loro logori formalismi, con tutta la loro boriosa rispettabilità e lasciva ipocrisia.  Il Fascismo fu quindi profondamente giovane e irruento, meravigliosamente violento e lo fu sia spiritualmente che anagraficamente.  Il comune denominatore della più intransigente e autentica cultura fascista, quella derivata appunto dalla passionale ed eroica stagione dello squadrismo, si trovava nell’aspirazione alla realizzazione di un originale disegno politico ed esistenziale da esplicarsi mediante cambiamenti radicali frutto di una ferma volontà rivoluzionaria che armonizzava i riferimenti alla rivolta romantica dell’interventismo e alla mistica eroica evocata dalla guerra di trincea con i nuovi miti palingenetici di trasformazione della società e dello Stato. Questa cultura dell’azione che si nutriva dello spirito barricadiero di rivolta contro l’ordinamento borghese in nome di un rivoluzionario e fascista Ordine Nuovo era la caratteristica di quell’ambiente fascista che si riconosceva, anche per esperienza diretta, nel mito capacitante delle aristocrazie del combattentismo – quella trincerocrazia più volte evocata da Mussolini – e nella scuola di vita e di coraggio rappresentata dalla militanza squadristica che venne vissuta, letta ed interpretata non solamente come una reazione organizzata e armata volta all’annientamento dei focolai dell’insurrezionalismo marxista, ma soprattutto come militanza rivoluzionaria e idealistica volta alla rigenerazione della Nazione e alla creazione di uno Stato nuovo. Una specifica rilettura che si svolgeva anche in aperta polemica con coloro che ritenevano che la nascita del governo presieduto da Mussolini, all’indomani della marcia su Roma, rappresentasse la fase risolutiva del Fascismo.  In questo modo, il Fascismo, doveva e poteva assumere una superiore valenza metafisica affermando il suo essere come un completamento naturale e organico della storia della Nazione italiana, andando ben oltre la semplice insorgenza anti-sovversiva e anti-modernista – non a caso lo stesso Niccolò Giani volle mettere l’accento sul fatto che: “La Rivoluzione Fascista infatti non è stata reazione come qualcuno ha creduto in origine e come tuttora si crede da molti all’estero; è stata invece l’ostetrica della nuova storia. Il 28 ottobre 1922 è sorta una nuova civiltà capace di risolvere tutti i problemi della società contemporanea.”  Per costoro, che in fondo rappresentavano la vasta base della militanza fascista e anche quella intellettualmente più viva, l’agire politico del Fascismo non doveva assolutamente compromettersi con i residui della vecchia classe dirigente, che in virtù del processo di normalizzazione e di pacificazione avviato dal Duce si adoperavano nell’inserimento all’interno dei gangli del regime, doveva invece mantenere e tonificare una assoluta intransigenza dottrinaria senza incorrere in alcun cedimento politico e morale, perché se il Fascismo era una rivoluzione, doveva necessariamente procedere nei suoi obiettivi con mentalità e metodi rivoluzionari, come perentoriamente affermò un autorevole esponente dell’epopea squadristica della statura di Roberto Farinacci: “Bisogna insomma che la bestia proteiforme del vecchio conservatorismo sornione sia liquidata bruscamente; che le vecchie clientele d’interessi e d’ambizioni fiorite ai margini della vita politica italiana siano messe in mora, vigilate, controllate, sopra tutto tenute lontane, bisogna che sia impedito a chiunque di rifarsi, attraverso il Fascismo, una qualsivoglia verginità e continuare, sotto mentite spoglie, le abitudini peccaminose del passato. La vittoria deve essere integrale.”  Tra gli oppositori più accaniti della deriva moderata si evidenziarono gli ideatori della Scuola di Mistica Fascista, costituitasi a Milano il 10 Aprile 1930, tutti provenienti da quella generazione di giovani dei GUF che era cresciuta respirando l’atmosfera del Fascismo, maturando così una profonda convinzione nei miti fondatori del regime e una fedeltà assoluta nella persona del Duce.  Al loro fianco si schierarono altre personalità di spicco del Fascismo rivoluzionario: Berto Ricci con il suo universalismo fascista, Alessandro Pavolini e l’esaltazione della primavera squadristica, Edmondo Rossoni con tutte le aspettative del sindacalismo rivoluzionario.  Il 29 Novembre 1931, la Scuola di Mistica Fascista verrà intitolata a Sandro Italico Mussolini, il figlio prematuramente scomparso di Arnaldo Mussolini.  Niccolò Giani, Guido Pallotta, Fernando Mezzasoma e molti altri giovani entusiasti, avvalendosi della guida orientatrice di Arnaldo Mussolini, seppero rappresentare, attraverso l’opera che fu sviluppata dalla Scuola, una autentica e intransigente avanguardia intellettuale e morale posta a difesa dei valori espressi dalla Rivoluzione Fascista, che sempre più doveva farsi rivoluzione culturale e antropologica per meglio adempiere alla consegna rivoluzionaria che il Duce del Fascismo aveva dato alle nuove generazioni.  Sarà Niccolò Giani a spiegare gli scopi dell’istituzione: “Poiché una mistica è un postulato di tanti credo, e un valore assoluto non lo si può derivare che da una fonte indiscutibile, questa fonte non può essere che il Duce. Ecco perché la fonte deve essere quella, esclusivamente quella. Compito nostro deve essere soltanto quello di coordinare, interpretare ed elaborare il pensiero del Duce. Ecco perché è sorta una Scuola di Mistica fascista ed ecco il suo compito: elaborare e precisare i nuovi valori del Fascismo che sono nell’opera del Duce.”  Quindi una rivoluzione culturale, del carattere e dello Spirito che, attraverso interessanti rievocazioni del mito della romanità e della sacralità della Stirpe – rappresentazioni metastoriche e metafisiche della migliore tradizione aryo-romana – sarebbe approdata ad una coesione organica della Stirpe italica costituitasi in Comunità nazionale e avrebbe dato all’Italia fascista il diritto-dovere di adempiere ad una missione universale facendo del Fascismo il crocevia della storia europea del ventesimo secolo e il riformatore dei tratti essenziali della Civiltà contemporanea in ogni suo aspetto, la ripresa e il rinnovamento dell’Europa all’indomani del fallimento della democrazia liberale e delle utopiche promesse marxiste. Aprire la strada al secolo fascista.  Certamente nella visione della Mistica fascista elaborata dalla Scuola vi era la ferma consapevolezza che il Fascismo fosse una autentica rivoluzione totale della società italiana: spirituale ed etica, sociale e politica, ma al contempo anche una ripresa di tutte le tradizioni essenziali, però la memoria storica proposta non si sarebbe dovuta risolvere in un ripiegamento nel passato, l’immagine del passato non finì mai per schiacciare la dimensione del presente e tanto meno si configurò come un richiamo intensamente nostalgico, bensì le potenzialità ideologizzanti della rimemorazione storica vennero fatte espandere fino a provocare una vera e propria occupazione del cosiddetto campo dei ricordi – una lotta spirituale e rivoluzionaria per il dominio del ricordo e della memoria – che conducesse ad una riscrittura della cronologia nazionale che rispecchiasse le concezioni del pensiero irrazionalista, anti-intellettualista e pragmatista dei decenni trascorsi, un pensiero profondamente permeato di sfumature di matrice nietzschiana e soreliana.  Anche i richiami alla Mistica insita nel Fascismo erano animati dallo spirito di rivolta, contro le mentalità borghesi ancora sussistenti, delle nuove generazioni cresciute ed allevate nelle organizzazioni totalitarie giovanili e universitarie, una rivolta che si manifestava con i forti caratteri di un idealismo morale ed etico qualitativamente aristocratico esprimente l’esaltazione di una giovinezza istintiva, disinteressata e piena di spirito vitale, aggressiva, pura e decisa a dare battaglia a qualsiasi forma di conservatorismo e di borghese “buon senso” pur di affermare il carattere intransigente e le finalità rivoluzionarie sociali e spirituali del Fascismo.  Non vi era nessun punto di convergenza con eventuali nostalgie reazionarie, mentre invece era presente una totale e coerente aderenza alle istanze di trasformazione rivoluzionaria che il Fascismo esigeva e che ancor di più il Duce imponeva.  Per questi giovani attivisti non vi era altra strada per uscire definitivamente dalla crisi della modernità, esplosa alla fine del primo conflitto mondiale, che con un mutamento radicale del popolo italiano e una tale mutazione antropologica poteva provenire solamente da una fede ben salda che aveva iniziato a germinare in un primo tempo con l’esperienza della guerra nel mito della Nazione in armi, della guerra di popolo, proseguendo poi con l’esaltante epopea della lotta squadristica, per approdare infine nella costruzione dello Stato fascista di popolo, corporativo e totalitario, il compimento finale del rinnovamento sociale e spirituale della Stirpe e della grandezza politica della Nazione.  Nel corso degli anni che trascorsero dal 1930 fino all’entrata in guerra dell’Italia nel 1940 la Scuola di Mistica Fascista assolse in maniera esemplare ai compiti che si era prefissata, ovvero l’ambizione di voler rappresentare l’infrangibile scudo morale, etico e dottrinario contro il quale si sarebbero dovute infrangere le velleità dei nemici del Duce e del Fascismo, soprattutto i nemici interni, i più pericolosi, quelli che si annidavano tra le pieghe del regime per minarlo alla base.  Affinché lo scudo della rivoluzione fosse solido i mistici della Scuola, i soldati politici dell’Idea, vollero essere loro stessi esempio di virtù civiche, morali e politiche, di fedeltà indiscussa nei confronti della guida della rivoluzione, il Duce, spesso descritto come il genio della Stirpe, l’Eroe che con la sua instancabile opera dava quotidianamente prova di rappresentare pienamente la coscienza e la voce dell’anima del popolo, soprattutto di un popolo a cui il Fascismo aveva restituito la dignità politica e sociale e un’unità spirituale che attingeva dalla viva coscienza di appartenere integralmente all’organismo della Nazione.  Da questa chiave di lettura emergeva, quindi, una superiore comunione mistica che legava il Duce al suo popolo, cementata dalla comune fede fascista, una fede intensa che a sua volta veniva elevata al rango di una sorta di religione mistico-popolare sacralizzata dal sangue offerto in sacrificio dai martiri dello squadrismo sull’altare della rivoluzione, una rivoluzione continua che, come affermava un giovane esponente della Scuola, procedeva impetuosamente la sua marcia: “I giovani della Mistica si sono irradiati tra le file delle generazioni vecchie e nuove e hanno dato il goccio d’acqua, il pezzo di pane del conforto, hanno sorretto i deboli, hanno convinto i pusillanimi. La Rivoluzione ha attraversato le ubertose valli della sua fase politica, ora sale. Guai a chi volesse tentare di derogare alle direttive di marcia per evitare le asprezze della salita e impedire che dalla politicità si torni alla rivoluzione piena e travolgente delle ore di audacia e di lotta.”  Per queste nobili motivazioni gli esponenti della Mistica fascista chiesero e ottennero nel 1939 che la Scuola divenisse la custode del famoso “Covo” milanese di via Paolo da Cannobio, il sacrario della rivoluzione delle camicie nere, appunto il Covo del fascio primogenito dove la fede fascista aveva mosso i primi passi e dove il Duce aveva chiamato all’adunata.rossi  Un luogo simbolico carico di suggestivi richiami emozionali, ben presente nell’immaginario collettivo della militanza squadristica, che avrebbe dovuto essere la fonte di irradiamento della Mistica fascista verso tutta la Nazione.  Il cosiddetto “Covo” del fascio primogenito rivestì sempre per i mistici fascisti un ruolo centrale nel loro immaginario dottrinario, rappresentava la fonte mitica della fede mussoliniana, il principio fondante del Fascismo, era come trascendere il tempo profano per riapprodare al tempo mitico della purezza dell’Idea, un riaccostamento di ordine metafisico a cui si poteva accedere soltanto attraverso i miti e i simboli, e la Mistica fascista era satura di richiami, di miti e di simboli: “Qui è tutta l’attualità e la contemporaneità del “Covo”. Attualità e contemporaneità che non dovranno mai tramontare. Non solo per noi, infatti, ma per i nostri figli e per i figli dei nostri figli il “Covo” deve e dovrà essere l’Arca dei valori della Rivoluzione, la bussola cui guardare nei momenti di indecisione, la guida cui ispirarsi, la stella polare che il navigante dello Spirito deve vedere sempre alta e lucente davanti a se. E ad esso oggi, domani, sempre gli italiani dovranno salire in pellegrinaggio, per meditare, per ispirarsi. Ad esso le generazioni si accosteranno sempre con stupore religioso per imparare che nulla allo Spirito è impossibile.”  Il Fascismo, come spesso ripeteva il Duce, era una fede coltivata nella lotta che aveva avuto i suoi caduti, i suoi martiri che immortalatisi vestendo la gloriosa camicia nera la avevano rafforzata e sacralizzata: “Se ogni secolo ha una sua dottrina, da mille indizi appare che quella del secolo attuale è il Fascismo. Che sia una dottrina di vita, lo mostra il fatto che ha suscitato una fede: che la fede abbia conquistato le anime, lo dimostra il fatto che il Fascismo ha avuto i suoi caduti e i suoi martiri. Il Fascismo ha oramai nel mondo l’universalità di tutte le dottrine che, realizzandosi, rappresentano un momento nella storia dello spirito umano.”  Adesso, questa fede, attraverso i mistici fascisti della Scuola aveva trovato i suoi intransigenti custodi e i suoi più appassionati apostoli.  Anche loro si stavano preparando al combattimento – nella sua duplice veste fisica e spirituale – aspirando di potere affrontare degnamente il supremo sacrificio per il Fascismo e onorare così la loro scelta di vita versando il proprio sangue per la causa rivoluzionaria.  Morire all’ombra dei gagliardetti neri: Mistica dell’azione – Mistica del realismo eroico – Mistica della fede. Fedeltà che era più forte del fuoco, come narravano antiche saghe.  Che l’intensa e interessante attività svolta dalla Scuola nell’approfondimento e nell’arricchimento della Dottrina fascista fosse il risultato di un grande impegno contrassegnato da un’altrettanto grande serietà venne comprovato dai numerosi riconoscimenti che ricevette, non ultimo l’apprezzamento e la manifesta simpatia avuta da parte di Julius Evola, ma il riconoscimento più importante, i mistici, lo ricevettero dal Duce che li encomiò pubblicamente il 20 novembre 1939, incontrando i quadri della Scuola a Palazzo Venezia, incitandoli a proseguire nel cammino intrapreso quali custodi della purezza dell’Idea e del mito rivoluzionario: “Io vi ho seguito in tutti questi anni da vicino e con vivissima simpatia perché considero la mistica in primo piano. Ogni rivoluzione ha infatti tre momenti: si comincia con la mistica, si continua con la politica, si finisce nell’amministrazione. Quando una rivoluzione diventa amministrazione si può dire che è terminata, liquidata. Potrei dimostrarvi che tutte le rivoluzioni sono passate attraverso questo ciclo: noi che conosciamo la storia dobbiamo impedire che la politica scivoli nell’amministrazione. Alle origini di ogni rivoluzione c’è la mistica: se la politica è il contingente, la mistica è l’immanente, essa rappresenta i valori eterni, essenziali, primordiali. (…) Voi dovete lavorare per l’avvenire. Per far questo occorre la fede. E’ facile ad un certo momento deviare nella politica: voi dovete essere al di fuori e al di sopra delle necessità della politica. Di queste cose ho parlato in modo molto sommario; ma tutte erano presenti in voi. Avete tempo di riflettere.”  Il secondo conflitto mondiale era però già iniziato e l’Italia sarebbe entrata in guerra l’anno successivo.  I mistici fascisti volendo essere, fino alle estreme conseguenze, la prima linea del Fascismo accolsero con felicità ed entusiasmo la notizia, chiedendo ufficialmente che gli venisse concesso l’Onore dell’arruolamento volontario “nei più rischiosi reparti di terra, di mare o di cielo”. Subito, ben 169 quadri dirigenti della Scuola partiranno per il fronte, convinti che il processo rivoluzionario fascista avrebbe avuto una formidabile accelerazione proprio per effetto della guerra. Molti altri mistici seguiranno a ruota l’esempio dei loro capi.  La loro esemplare condotta evidenzierà una magnifica esplicazione degli insegnamenti della Tradizione: se hai di fronte due strade, scegli sempre la più difficile. Poiché c’è sempre una strada per chi vuole percorrerla.  Sia Niccolò Giani, sia un’altra figura di eccezionale valore come Berto Ricci, testimonieranno la loro intransigente coerenza esistenziale e politica con la scelta del combattimento. Il primo volontario sul fronte greco-albanese dove troverà eroicamente la morte nel marzo del 1941, il secondo, sempre volontario, sul fronte africano dove coronerà la propria esistenza di credente nella fede fascista incontrando, altrettanto eroicamente, la morte il 2 febbraio 1941 a Bir Gandula sul Gebel cirenaico.  Nell’arco di un solo mese il Fascismo perse due tra i suoi migliori campioni.  Le vicende belliche decimarono di fatto il gruppo dirigente della Scuola che sarà costretta a cessare le sue attività. I pochi sopravvissuti di quell’esperienza raccolsero di nuovo la chiamata del Duce aderendo nel 1943 alla Repubblica Sociale Italiana, tra questi Fernando Mezzasoma che era stato il vicepresidente della Scuola e che ricoprì il dicastero della propaganda nella RSI, trasportando con il proprio esempio le intime motivazioni della Mistica fascista nell’esperienza repubblicana: “È questa nostra intransigenza nei confronti della Dottrina che abbiamo sposato, delle battaglie che combattemmo, delle realizzazioni che abbiamo attuate, che, se ci consente di accettare la collaborazione di qualsiasi Italiano in buona fede e di buona volontà che voglia aiutare la titanica fatica del Duce, ci obbliga tuttavia a respingere sdegnosamente qualunque patteggiamento con coloro che agiscono al servizio del nemico, uccidendo a tradimento i nostri migliori compagni di marcia e di battaglia, con coloro che nell’Italia invasa perseguitano i fascisti che a migliaia risorgono e insorgono per rendere dura la vita agli invasori e aprire la strada al nostro ritorno. Questa deve essere oggi la nostra missione di fascisti. Questo è il comandamento di Niccolò Giani. Questo è il suo insegnamento. Nel suo nome, e nel nome degli altri Caduti, i superstiti della Scuola di Mistica fascista chiamano a raccolta l’autentica gioventù italiana.”  Anche lui morirà poi nel 1945 assassinato dai partigiani.  Andarono tutti volontariamente incontro alla morte per onorare un patto di fedeltà e di fede che li legava al Duce e al Fascismo, così facendo coronarono una vita degna e ben vissuta, il loro abbraccio mistico con il Fascismo si consumò eroicamente in combattimento e di fronte ai plotoni di esecuzione.  Se ancora oggi, dopo i tanti decenni trascorsi, la loro memoria, la memoria delle tante battaglie ideali e materiali affrontate, viene nonostante tutto ancora sentita come viva, se il ricordo di questi uomini caduti con onore non in nome di una passione generica, ma per il Fascismo, per il compimento di una Rivoluzione che è rimasta scolpita nella Storia, torna ancora ad emergere non deve assolutamente avvenire perché i vivi di oggi debbano morire nel loro cuore, struggendosi nella nostalgia del ricordo, ma deve invece impetuosamente emergere affinché i morti di ieri possano tornare a vivere tra di noi.  Quella marcia, iniziata il 28 Ottobre 1922, non è ancora terminata.  Non ci consta che esistessero specifiche istituzioni pubbliclie, ma in proposito possiamo ricordare numerosi provvedimenti e diverse associazioni private. Fra quelli, le leggi agrarie, le disposizioni a favore dei debitori, le distri­ buzioni semigratuite o gratuite dì grano, fatte dagli edili; i congiari imperiali (che erano copiose elargizioni di farina, olio e carne disposte dagli imperatori). Provvidenze che mi­ ravano tutte a combattere, direttamente e indirettamente, le cause dell’indigenza o almeno a paralizzarne gli effetti, ben­ ché nella loro essenza e origine avessero carattere politico, cioè fossero prese sopratutto per cattivarsi il favore e la simpatia della plebe o evitare tumulti e sommosse. Fra le associazioni, sopratutto bisogna ricordare quelle costituite a scopo mutualistico ; e tale è il carattere dei collegia fune- raticia, dei collegia termiorum, delle casse di soccorso isti­ tuite da Giulio Cesare fra i suoi legionari. Anche nel campo dell’istruzione si devono ricordare istituti privati i quali istruivano la classe dirigente romana. E’ invece nelle opere pubbliche ohe specialmente i romani ai distinsero legando ai posteri terme e acquedotti, palestre e strade, circhi e palazzi olle ancora oggi, in parte, almeno, durano e sono efficienti. L’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO STATO  SECONDO LA CONCEZIONE FASCISTA    Capitolo Primo    Pag.   LA TEORICA FASCISTA SULLA NATURA E SULLE   FUNZIONI DELLO STATO.' . . 3-10    Capitolo Secondo   IL CONTENUTO DELLA FUNZIONE SOCIALE DELLO   STATO .11-18    Capitolo Terzo    I PRECEDENTI STORICI DELLA FUNZIONE SOCIALE  DELLO STATO NELLA POLITICA E NELLA LEGI¬  SLAZIONE SOCIALE 19-32   Capo i - in generate .. 19   § 1. Nell’antica Grecia. 19   § 2. In Roma sino all’editto di Costantino. 20   § 3. In Roma dopo li riconoscimento ufficiale del cattoli¬  cesimo . 20   § 4. Durante il medioevo. 21   § 5. Dopo la riforma protestante. 22               XIV    Ordinamento sociale dello Stato fascista    Capo II - In Italia . 25   § 1. L’evoluzione e la trasformazione della legislazione sociale 25   § 2. La legislazione sulla beneficenza e sulla assistenza pub¬  blica e privata. 26   § 3. La legislazione sulla mutualità e sulla previdenza . . 2?   § 4. La legislazione del lavoro. ?t)   § 5. La legislazione sull’istruzione pubblica .... 30   § 6. La legislazione sull’igiene e sulla sanità pubblica . . 31   § 7. La legislazione sui servizi e sulle opere pubbliche . 31   Capitolo Quarto   GLI ELEMENTI DELL’ORDINAMENTO SOCIALE DELLO   STATO FASCISTA.33-47   Capo I - I soggetti . 33   Capo II - (Hi obiettivi . 36   § 1. Gli obiettivi relativi ai cittadini in genere .... 36   A. Gli obiettivi inerenti alle condizioni generali di vita . 36   B. Gli obiettivi inerenti in particolare alla fase di forma¬   zione e di preparazione del cittadino, a quella di  produttività e a quella di riposo. 37   g 2. Gli obiettivi relativi ai cittadini benemeriti .... 38   § 3. Gli obiettivi relativi ai cittadini non risanabili e non   rieducabili 38   Capo III - Gli strumenti . 38   § 1. Il criterio, profondamente corporativo, adottato dal legi¬  slatore fascista per la scelta degli strumenti attuanti la  politica sociale. 36   g 2. La famiglia. 40   g 3. L’associazione professionale . 42   § 4. Le istituzioni promananti, singolarmente o paritetica¬  mente, dalle associazioni professionali. 43   g 5. Gli enti locali. 43   g 6. Le opere nazionali parastatali. 43   Capo IV - I limiti . 44                     Indice-S onvmario    xv    PARTE SECONDA   LE ISTITUZIONI DEL NUOVO ORDINAMENTO  SOCIALE DELLO STATO FASCISTA  Di alcune considerazioni preliminari. 51   Capitolo Pbimo   LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLE CONDI¬  ZIONI GENERALI DI VITA DEL CITTADINO . . 55-118   Preliminari .   Capo I - ha- legislazione inerente alla sicurezza, all’igiene e   alla sanità pubblica . 56   § 1. Per garantire la sicurezza. 56   § 2. Per assicurare l’igiene e la sanità ...... 58   Capo II - La legislazione inerente alla previdenza ... 62   | 1. Per incrementare il risparmio .. 63   § 2. Per potenziare la mutualità. 64   £ 3. Per favorire la cooperazione. 64   § 4. Per diffondere le assicurazioni Ubere. 65   Capo III - La legislazione inerente alla assistenza di soccorso 65   § 1. Per l soccorsi in natura e in contanti. 66   § 2. Per i soccorsi medico-sanitario-ospitalieri .... 67   Capo IV - La legislazione inerente alla propaganda, all'inte¬  grazione culturale e al perfezionamento scientìfico . 68   § 1. Per favorire il perfezionamento scientifico .... 68   § 2. Per la propaganda e l’integrazione culturale .... 60   Capo V - La legislazione inerente all’integrazione della forma¬  zione e dell’educazione fisica e sportiva . 71   Capo VI - La legislazione inerente alla costituzione e all’in¬  cremento del nucleo familiare . 72   § 1. Per favorire la costituzione della famiglia .... 72   § 2. Per facilitare l’esistenza e lo sviluppo delia famiglia . 73   Capo VII - La legislazione inerente a particolari servizi pub¬  blici. 73   § 1. Per garantire il soddisfacimento di bisogni primari . . 74   § 2. Per assicurare i rapporti e i contatti economico-sociali . 75   § 3. Per valorizzare il patrimonio nazionale ..... 76             XVI    Ordinamento sociale dello Stato fascista    *   Capo Vili - La legislazione inerente al controlla, <UVadegua¬  mento e al collegamento ielle istituzioni dell’ordinamento  sociale e alla selezione dei suoi soggetti . 77   § 1. Per assicurare il controllo e l’adeguamento delle istitu¬  zioni sociali . 78   § 2. Per ottenere il collegamento nell'ambito dell’ordina¬  mento sociale . 78   •§ 3. Per assicurare la formazione della classe dirigente me¬  diante la selezione totalitaria del cittadini .... 79    Appendice al Capo Vili   IL PARTITO NAZIONALE FASCISTA E LE ORGANIZZA¬    ZIONI DIPENDENTI.80-116   Origine, natura e funzione sociale del P. N. F . 80   I. I Fasci di Combattimento .. 86   co I compiti . gg   3 - I soggetti .• . . 87   y. L’ordinamento. 87   II. L’Associazione nazionale famiglie Caduti fascisti e Muti¬   lati e Invalidi per la Causa Nazionale . 88   a- I compiti . 88   0 . I soggetti . 88   y. L’ordinamento. 88   III. L’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia ... 88   • a- I compiti .. gg   &• I soggetti . 89   y. L’ordinamento. gg   IV. L’Unione nazionale fascista del Senato . 90   a- I compiti . gg   3 . I soggetti . 90   Y- L’ordinamento. 90   V. I Gruppi Universitari Fascisti . 90   co I compiti . 90   3 . I soggetti . 91   y. L’ordinamento. 91   VI . I Fasci Giovanili di Combattimento . 92   a- I compiti . 92   3 . I soggetti . 94   y. L’ordinament*. 94                            Indice-Sommario    XVII    VII. I Fasci Femminili .....   ♦     *    95   tt . I compiti .        95   0 . I soggetti .        95   y. L’ordinamento.        96   Vili. L’Opera Nazionale Dopolavoro .        96   a- I compiti .        96   I soggetti .        97   y. L’ordmamento.        9T   IX. Le Scuole superiori femminili        00   X. Le Associazioni fasciste ....        99   a . I compiti .        99   5 . I soggetti ..        101   y. L’ordinamento.        103   XI. Il Comitato intersindacale ....        104   a- I compiti .        104   0 . I soggetti .        105   Y- L'ordinamento.        105   XII. OU Uffici di Collocamento        105   tt . I compiti .        105   0 . I soggetti .        105   y. L’ordinamento.        106   XIII. L'Ente Opere Assistenziali        106   a- I compiti .        106   g. I soggetti .        106   y. L’ordinamento.        106   XIV. L'Opera Universitaria ....        107   a. I compiti .        107   0 . I soggetti .        107   y. L’ordinamento.        107   XV. Il Comitato olimpionico nazionale italiano       108   a. I compiti .        108   0 . I soggetti .   *       108   y. L’ordinamento.        109   Di alcune considerazioni sul P. N. E. .     *   *    109   La legislazione richiamata ....   .   .    .    113    DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SO¬  CIALI RELATIVE ALLE CONDIZIONI GENERALI  DI VITA DEL CITTADINO.116               XVIII    Ordinamento sodale dello Stato fascista    Capitolo Secondo   LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FORMA¬  ZIONE FISICO-MILITARE E ALLA PREPARAZIONE  PROFESSONALE-NAZIONALE DEL CITTADINO . . 119-167   Preliminari . 119   Capo I - La legislazione inerente al nucleo familiare per la   formazione fisico-militare del cittadino . 121   S 1. Per sopperire alla insufficienza relativa dei mezzi econo¬  mici della famìglia e sostituirla nella vacanza di alcune  sue funzioni. 121   § 2. Per integrare l’inadeguatezza assoluta di alcuni mezzi   della famiglia. 122   Appendice al Capo I   L’OPERA NAZIONALE PER LA PROTEZIONE DELLA MA¬  TERNITÀ’ E DELL’INFANZIA.122-189   I. L’origine, la natura e la funzione sociale deU’.O.N.M.I. , . 122   II. I compiti . 129   a- Per l’integrazione e il coordinamento dell’azione svolta   da altri enti o istituti o da privati. 130   3 - Pev la vigilanza e il controllo delle singole istituzioni   di assistenza. 131   Per la propaganda e la vigilanza suU’applieazione  delle leggi e dei regolamenti riguardanti l'assistenza  materna e infantile. 132   III. I soggetti . . 133   IV. L’ordinamento . 135   Dì alcune considerazioni suli’O. N. M. 1 . 137   La legislazione richiamata. 140   Capo II - La legislazione inerente all’istruzione e alla forma¬  zione professionale del cittadino . 142   § 1. Per garantire l’istruzione professionale del cittadino sino   al 14° anno di età. 143   § 2. Per favorire e incrementare l’istruzione professionale    Capo III - La legislazione inerente all’educazione e alla forma¬  zione fisica, premilitare, morale e nazionale del cittadino 149   Appendice al Capo III   L’OPERA NAZIONALE BALILLA PER L’ASSISTENZA E  L’EDUCAZIONE FISICA E MORALE DELLA GIO¬  VENTÙ’ .150-164                Indice-Sommario    XIX    I. L’origine, la natura e la funzione somale dell’.O.N.B. . . 150   II. I compiti . 155   III. I soggetti .. 160   IV. L’ordinamento . 161   Di alcune considerazioni sull’O.N.B. 162   La legislazione richiamata. 164   DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SO¬  CIALI RELATIVE ALLA FORMAZIONE FISICO-MI¬  LITARE E ALLA PREPARAZIONE PROFESSIONALE-  NAZIONALE DEL CITTADINO. 166   Capitolo Teszo   LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE ALLA FASE DI   PRODUTTIVITÀ’ DEL CITTADINO.189-100   Preliminari . 169   Capo I * La- legislazione inerente all’azione sociale attuata   dalle associazioni professionali ....... 172.   § 1. Per garantire l’azione sociale da attuarsi direttamente   dai sindacati . 174   § 2. Per assicurare l’azione sociale da attuarsi dai sindacati   a mezzo di speciali istituzioni. 175   Appendice al § 2 del Capo 1   IL PATRONATO NAZIONALE PER L’ASSISTENZA SO¬  CIALE .’ - • 176-183   I. L'origine, la natura e la funzione sociale del P.N.A.S. . . 176   II. / compiti . 179   IH. I soggetti . 181   IV. L’ordinamento . 181   Di alcune considerazioni sul P.N.A.S. 182   La legislazione richiamata. 183   Capo II - La legislazione inerente all’azione sociale attuata.   dalle corporazioni . 183   § 1. Per garantire il produttore obiettivamente e subiettiva-   mente di fronte alle condizioni del lavoro. 184   § 2. Per tutelare i reciproci rapporti fra i produttori nella   loro dualità di datori di lavoro e di prestatori d’opera . 186   § 3. Per favorire ii perfezionamento e l'elevazione professio¬  nale del produttore. 187                  XX    Ordinamento sociale dello Stato fascista-    capo III - La legislazione inerente alla conservazione dello  spirito nazionale e della preparazione fisico-militare del  produttore . 188   DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SO¬  CIALI RELATIVE ALLA FASE DI PRODUTTIVITÀ’   DEL CITTADINO. 189    Capitolo Quarto   LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AL PERIODO DI   RIPOSO-VECCHIAIA DEL CITTADINO .... 191-105   Preliminari . 191   Capo I - La legislazione inerente all’obbligo delle garanzie pre¬  videnziali per la fase di riposo-vecchiaia . . . 193   Capo II - La legislazione inerente a speciali interventi statuali   a favore del vecchio bisognoso ....... 194   DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI 'SO-  CIALI RELATIVE AL PERIODO DI RIPOSO-VEC¬  CHIAIA DEL CITTADINO. 194    Capitolo Quinto   LE ISTITUZIONI RELATIVE AI CITTADINI CHE HAN¬  NO BENEMERITATO DALLO STATO .... 197-203    Preliminari . 197   Capo I - La legislazione inerente alle benemerenze collettive 198   Capo II - La legislazione inerente alle benemerenze individuali 200   DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI SO¬  CIALI RELATIVE AI CITTADINI BENEMERITI . . 202    Capitolo Sesto    LE ISTITUZIONI SOCIALI RELATIVE AI CITTADINI   ■ MINORATI NON RISANABILI E NON RIEDUCABILI 205-210    Preliminari . 205   Capo I - La legislazione inerente ai minorati assolutamente   non produttori . 208              Indice-Sommario    XXI    Capo II - La legislazione inerente ni minorati relativamente   non produttori . 200   DI ALCUNE CONSIDERAZIONI SULLE ISTITUZIONI RE¬  LATIVE AI CITTADINI MINORATI NON RISANA¬  BILI E NON INEDUCABILI. 209   *   PARTE TERZA   LA POSIZIONE E I RAPPORTI DI RELAZIONE DEL  CITTADINO NEL NUOVO ORDINAMENTO SOCIALE   Di alcune considerazioni preliminari ...... 213   Capitolo Primo   LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO DALLA NA¬  SCITA ALLA MAGGIORE ETÀ’.215-236   Capo I - L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato sino   al quinto anno . 216   § l. Per la costituzione della famiglia. 215   § 2. Per la esistenza e l’incremento della famiglia . . 217   § 3. Per la donna gestante. 218   § 4. Per li cittadino neonato . 218   A. Per Viilegittimo e l’esposto ....... 210   B. Per l’orfano. 220   § 5. Per iì cittadino infante.. 220   Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assisten¬  ziale dello Stato sino al quinto anno. 221   Capo II - L’azione previdenziale e assistenziale dello Stato   dal sesto al quattordicesimo anno . 223   § 1. Per la formazione e lo sviluppo fisico, militare, morale   e nazionale. 223   § 2. Per la formazione intellettuale e professionale . 225   Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assisten¬  ziale dello Stato dal sesto al quattordicesimo anno . . 228    Capo III - L’azione previdenziale e assistenziale dello Stato  dal quindicesimo al ventunesimo anno .    229             xxn Ordinamento sociale dello Stato fascista   § 1. Per il cittadino elle studia. 230   § 2. Per il cittadino che lavora. 233   Di alcune considera «ioni sull’azione previdenziale e assisten¬  ziale dello Stato dal quindicesimo al ventunesimo anno 235   Capitolo Secondo   DA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO PRODUT¬  TORE . 237-251   Preliminari . 237   Capo I - L’anione previdenziale e assistenziale dello Stato per   il cittadino ohe è produttore . 239   Di alcune considerazioni. 245   Capo II - L’azione previdenziale e assistenziale dello Stato per   la cittadina che è produttrice .247   § 1. Per la cittadina sposa e madre. 248   § 2. Per la cittadina lavoratrice 249   Di alcune considerazioni sull’azione previdenziale e assi¬  stenziale dello Stato per la cittadina che è produttrice 250   Capo III - L’azione previdenziale e assistenziale dello Stato   per la famiglia e i suoi membri . 251   Capitolo Terzo   LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO A RIPOSO . 253-254   Capitolo Quarto   LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO BENEME¬  RITO . 255   Capitolo Quinto    LA POLITICA SOCIALE PER IL CITTADINO MINORATO   NON RISANABILE E NON RIEDUCABILE . . . 257-258                In dioe-Sommario    XXIII    PARTE QUARTA   LA POLITICA SOCIALE DELLO STATO FASCISTA  PER GLI ITALIANI ALL’ESTERO   Di alcune considerazioni preliminari. 261   Capitolo Primo   DELL’AZIONE SVOLTA DIRETTAMENTE DALLO STATO   ATTRAVERSO AI SUOI ORGANI. 269-274   Capo I - Per la riorganizzazione, il potenziamento e l’esten¬  sione della rete consolare . 269   Capo II - Per i cittadini che emigrano . 270   Capo III - Per gli italiani all’estero . 272   Capitolo Secondo   DELL’AZIONE SVOLTA MEDIANTE LA STIPULAZIONE  DI CONVENZIONI BILATERALI E PLURILATERALI  E MEDIANTE L'OPERA DELL’O.I.L. 275-305   Capo 1 - Le convenzioni bilaterali e plurilaterali .... 275   Capo II - Le convenzioni intemazionali, le raccomandazioni e   le risoluzioni dell'O.I.L . 280   La legislazione richiamata. 294   DI ALCUNE CONSIDERAZIONI FINALI - - • ™  CAMERATI, Niccolò Giani apparteneva alla categoria dei mistici per i quali è bello vivere se la vita è nobilmente spesa ma è più bello morire se la vita è donata all'Idea. Arnaldo Mussolini fu il suo Maestro: da Arnaldo im­ parò che prima di agire e costruire è necessario ele­ varsi, purificare il proprio spirito, temprare il proprio carattere; allora soltanto si potrà essere certi che l'azione sarà feconda e l'edificio sicuro. Da Arnaldo imparò che per conoscere, giudicare e guidare gli al­ tri è prima indispensabile conoscere bene se stessi, punire inesorabilmente i propri difetti, affinare inces­ santemente le proprie virtù: allora soltanto si potrà aspirare all'onore del comando. Da Arnaldo imparò che solo il sacrificio può suscitare le opere grandi e buone e distruggere le cose piccole e vili. Ciò che —7   non costa non vale; ciò che non procura fatica e sof­ ferenza non dura; quanto è al di fuori di noi non conta; gli onori, le cariche, le ricchezze sono effimere e ca­ duche cose. Quello che importa è quanto è dentro di noi, perchè è nostro e nessuno potrà mai portarcelo via, neanche a strapparci la carne viva di dosso. Es­ sere se stessi in ogni momento, rimanere se stessi sempre: ecco la più grande conquista degli uomini. Uomo di fede Un uomo di fede fu Niccolò Giani. E la sua fede era di quelle che non vacillano mai, di quelle che restano intatte nella buona e nella cattiva sorte e che traggono anzi dalle difficoltà e dalle sfortune un più profondo contenuto e sempre nuovi motivi. La sua fede era di quelle alte cui fonti cristalline attingono le intelligenze chiare e gli animi trasparenti degli uomini puri i quali sanno che se si vuole raggiungere l'ultima cima, mol­ te vette bisogna scalare e talvolta anche scendere da alcune per risalire su aifre vette più alte ancora. In 8 i   Giani la fede nasceva da un inesausto tormento spi­ rituale, da un'ansia incontenibile di elevazione e di conquista per divenire, come dice il Poeta, «cara gioia sopra ia quale ogni virtù sì fonda ». Egli credeva in Dio, nel Dio di noi Italiani fascisti e cattoiici a cui dobbiamo non soltanto il dono misterioso della vita ma anche il privilegio di averci chiamati a continuare la missione di civiltà e di giustizia che la gente nostra svolge nel mondo da più di due millenni. Egli credeva nella dottrina politica enunciata da Mussolini, scaturita dall'azione, alimentata dalla fede, consacrata dal sa­ crificio e nella sua possibilità di instaurare un nuovo sistema di vita, di educare gli uomini a una visione vasta ed umana delle cose, di creare un nuovo tipo di civiltà italiana, ed europea. Credeva in Mussolini perchè lo considerava l'uomo della Provvidenza, l'e­ sponente di una razza eletta, il fondatore di una ci­ viltà universale, il protagonista e l'artefice di una nuòva storia, il condottiero di giovani generazioni, il DUCE, a cui non occorre chiedere prima di iniziare la marcia dove ci porta e quando si arriverà perchè dal giorno in cui un destino fortunato (o pose alla testa —9 ‘1   del suo popolo, la meta era già nei suoi occhi e la vittoria nel suo pugno. Credeva nei giovani nati e cresciuti col sorgere del Fascismo, educati alla severa scuola del Partito e li voleva rivoluzionari nello spirito e nel sangue, gene­ rosi ed audaci, pronti alla lotta e alla rinunzia. Sogna­ va una classe dirigente che sapesse dimostrare con l'esempio, nelle opere e nel sacrificio, di essere de­ gna del nostro grande popolo e del nostro grande Capo; una classe dirigente fatta di uomini integrali, forti della loro indipendenza morale — la sola ric­ chezza umana che non abbia un valore misurabile in denaro — e dotati di tutte le virtù spirituali, intellet­ tuali e fisiche che sono indispensabili per poter eser­ citare con dignità e con efficacia la missione dei co­ mando. Concepiva la famiglia nel senso più tradizio­ nalmente nostro; amava cioè la sana numerosa fami­ glia italiana, ricca di onestà e prodiga di figli, sboc­ ciata dall'amore tra l'uomo che vive lavorando o com­ battendo-per la Patria e la donna che nel piccolo gran­ de regno della casa vive nella serena ed operosa attesa del ritorno di lui; e se l'uomo non tornerà la 10 —   donna lo piangerà senza lacrime perchè egli sopravvi­ va nella fierezza dei figli, I quali continueranno, nella luce del suo esempio, l'opera sua. Credeva nella Patria come ne « la più pura, la più grande, la più umana delle realtà », amava la Patria « più della propria anima ». Tutto per la Patria: fu la sua consegna. Niente per lui valeva qualche cosa se non serviva alla Patria. Perchè la Patria è tutto e tutti; sè e gli altri; le generazioni che furono, che sono e saran­ no; la storia di ieri, di oggi e di domani. La Patria è la sintesi di tutte le più nobili aspirazioni. Essa è fatta di uomini da rendere sempre più degni e di territori da fare sempre più vasti. Per essa si lavora, si soffre, si spera; per essa si combatte, si vince o si muore. Giornalista della Rivoluzione e Maestro dei giovani Niccolò Giani fu un giornalista della Rivoluzione. Egli intendeva il giornalismo come una scuola di vita, come uno strumento di educazione e di formazione. Dalle agili colonne del suo giornale, la «Cronaca Preal- — 11   ■^ . " T T r pina », e da quelle della sua rivista « Dottrina Fasci­ sta » si battè accanitamente per la creazione di un giornalismo rivoluzionario, dinamico, coraggioso, un giornalismo che fosse in grado di svolgere una fun­ zione costruttiva di divulgazione, di propulsione e di controllo, un giornalismo che fosse degno di essere considerato un'arma affilata della Rivoluzione. Ma soprattutto maestro dei giovani egli fu. All'Inse­ gnamento si era consacrato con il religioso fervore con il quale soleva dedicarsi a tutte le attività rivolte ai giovani. All'Ateneo di Pavia, al Centro di prepara­ zione politica, alla Scuola di Mistica Fascista egli portò il contributo della sua beila cultura fatta di conoscen­ za e di azione, illuminata dalla fede, riscaldata dal sentimento, Alla Scuola di Mistica diede la parte mi­ gliore di se stesso. «Tutto quello che di buono e di meritevole è stato fatto dalla Scuola — ha detto Vito Mussolini, nostro Presidente — proviene unicamente da lui. Bisognerà ricordarlo sempre e presentarlo co­ me un mirabile esempio ai giovani che in lui potranno vedere l'espressione più sublime di obbedienza ai comandamenti del Duce ».     Era il migliore tra noi: il più limpido, ii più generoso, ii più puro. Delia nostra mistica fede fu l'aifiere più ardilo e i'apostolo più acceso. Egli voieva che dalia nostra Scuoia uscissero ì missionari, i portatori del no­ stro credo politico e fu egli stesso il più tenace e il più convinto assertore dei principi che sono a fonda­ mento deiia nostra dottrina. La Scuola sorse con lui per la volontà di un mani- poio di credenti che egli chiamava i «disperati del Fascismo », così come gli squadristi un tempo amava­ no chiamarsi « fascisti arrabbiati ». Aii'inizio la Scuola fu un'attività de! Guf milanese; divenne quindi un'attività di tutti i Gruppi Fascisti Uni­ versitari: oggi si è imposta al rispetto e ail'atten- zione di tutti i fascisti. La sua opera è rivolta ai gio­ vani, ma la sua azione è seguita ed amata anche dai camerati della vecchia guardia che vedono con in­ tima gioia esaltate e rinnovate ogni giorno, dagli al­ lievi della Scuola, le due più preziose virtù dello squa­ drismo: la fedeltà e la intransigenza. I camerati della vecchia guardia milanese sanno che il, nome di Niccolò Giani è legato alla riapertura — 13   del Covo di Via Paolo da Cannobio, prima sede del « Popolo d'Italia », prima trincea del Fascismo, che il Duce ha voluto affidare in gelosa custodia ai giovani della Scuola di Mistica perchè le giovani generazioni, accostandosi alle sorgenti genuine delia nostra Ri­ voluzione, cogliessero, dall'umile grandezza delle ori­ gini, la poesia e il fermento delia vigilia. Niccolò Giani fu soprattutto un fedele ed un in­ transigente. Taluni potrebbero chiamarlo un fanatico, ma solo I fanatici sanno dare movimento col sangue «alla ruota sonante della storia». Il suo spirito si ribellava a qualunque forma di com­ promesso; sul terreno della fede non ammetteva pat­ teggiamenti; il bello, il buono, il vero sono da un lato della barricata; dall'altra parte c'è il brutto, il male, la meschinità. Mi piace di ricordarlo ai Convegno di Mistica del febbraio 1940: eravamo alla vigilia delia nostra guer­ ra di liberazione e c'era in tutti noi una febbrile im­ pazienza di decisione. Il tema del Convegno era bru­ ciante: «Perchè siamo dei mistici?». I problemi del- 14 —   l'inteiligenza e deila cultura furono esaminati al lume della fede; i poveri dì fede furono sbaragliati e Giani dichiarò guerra a viso aperto a tutti gli spiriti troppo raziocinanti, agli innamorati della ricerca fredda e del ragionamento calcolatore. La dottrina che conquista è quella che sorge dalla fede e non quella che discende dalla indagine arida ed oziosa; la cultura che costruisce è quella che pene­ tra e trasforma e non quella che resta gelida ed inerte. li Convegno si svolse in un'atmosfera di fuoco e la risposta al tema che fu oggetto dei nostri appassionati dibattiti fu data dallo stesso Giani: « Fascismo uguale a spirito, uguale a mistica, uguale a combattimento, uguale a vittoria. Perchè credere non si può se non si è mistici, combattere non si può se non si crede, e vincere non si può se non si combatte ». Fu in quel Convegno, ò giovani camerati della Scuola di Mistica, che i giovani della generazione del Litto­ rio affermarono solennemente il loro diritto al combat­ timento, — 15   Soldato dì Mussolini Niccolò Giani fu tra i primi a partire. C'era in lui la preoccupazione morbosa di stabilire coi fatti una coe­ renza perfetta tra il pensiero e l'azione. Aveva già partecipalo come volontario alla guerra per la con­ quista dell'Impero, aveva chiesto ripetutamente di partire per la Spagna e non gli era stato concesso; finalmente sopraggiungeva la nuova prova lungamente attesa. Chi lo vide tenente degli alpini al Fronte Occidentale lo ricorda come un esempio di disciplina e di ardi­ mento. Ma la parentesi fu troppo breve: tornò insod­ disfatto, Andò in Africa settentrionale come corrispon­ dente di guerra del «Popolo d'Italia»; ma quando seppe che il suo reggimento era già sul fronte greco chiese di raggiungerlo. Non poteva vivere lontano dai suoi alpini, gli sembrava un tradimento. Partì per non tornare. Tre volte si offrì per azioni rischiose, tre volte fu appagato, la terza volta fu l'ul- 16   tima. I suoi uomini lo adoravano; con lui sarebbero andati dovunque: potenza insuperabile dell'esempio! Andò con un manipolo di 25 alpini a raggiungere una vetta lontana per compiere una ricognizione sulle po­ sizioni del nemico; assolse il suo compito felicemente e rapidamente, ma proseguì oltre: il suo programma era un altro. Aveva incontrato poco prima, lungo il cammino, un camerata di Milano e gli aveva affidato l'incarico di salutare per lui tutti gli amici di Mistica e di comunicare loro che egli era partito per un'impresa della quale si sarebbe dovuto' parlare. Mantenne la promessa. Alla testa dei suoi alpini raggiunse un'altra vetta, sulla quale alta sfolgorava la luce della gloria, e a bombe a mano assalì un presidio greco. Circon­ dato, lottò eroicamente, fino a quando una pallottola ' gli recise la gola, gli spezzò la vita, soffocò il canto della sua giovinezza. Così cadde Niccolò Giani. Egli è morto come era vissuto, non per sè ma per gli altri, Ètriste non potergli più vivere accanto, non poter più rinfrescare il nostro spirito alia polla purissima della sua fede; ma egli 17   ha chiuso la sua vita terrena in modo degno di luì, Arnaldo gli aveva insegnato che i! segreto della vita è tutto qui; saper vivere, saper morire, nel modo più degno. Niccolò Giani ha voluto insegnare ai giovani della sua generazione come deve vìvere e come sa morire un italiano di Mussolini. La nostra Scuola, o camerati di Mistica, non lo onora col pianto che egli non approverebbe. Il nostro ciglio è asciutto anche se il cuore in questo momento acce­ lera il ritmo dei suoi palpiti. Ma noi sentiamo che non un vuoto egli ha lasciato nelle nostre file, li suo spirito inquieto è con noi, dinanzi a noi, oggi come non mai, ad additarci la strada che conduce alla vittoria, ad ammonirci che il suo tormento deve essere anche il nostro tormento, la sua ansia anche la nostra ansia, il suo amore anche il nostro amore, oggi, domani, sempre. E noi sentiamo che Arnaldo, il suo ed il nostro Mae­ stro, lo ha accolto nell'altra esistenza, accanto al suo figlio prediletto e agli altri Martiri delia nostra Scuola, come il migliore dei suoi discepoli. Il mito di Roma contro Si guardi Ro- il mito di Jehova in ma repubblicana. Catone, Cicerone, Quale è il suo Tacito, Giovenale ideale? Ce lo di- e negli Imperatori ce Marco Porcio Catorie nel suo libro « De Agri cultura » laddove scrive che i romani « quando lodavano un uomo dabbene, 15   lo chiamavano buon agricoltore, buon colono. E con ciò si riteneva di dare la maggiore lode a colui che così veniva chiamato ». E ciò per­ chè « dalla classe degli agricoltori nascono gli uo­ mini più forti e i soldati più valorosi... e coloro che si dedicano a tale occupazione non concepi­ scono cattivi propositi ». Queste parole, questo saggio romano le scrive­ va più di 150 anni avanti Cristo, cioè, esattamen­ te, nello stesso periodo in cui Roma combatteva l’ultima e definitiva partita con la semita Carta­ gine. Ma, a questo proposito, ci si è mai chiesto perchè poi Cartagine era delendam, perchè Ro­ ma s’era fissata ili questo mito della distruzione totale della città di Annibaie? La risposta è una sola : la lotta tra le due rivali infatti non era solo politica ed economica : era ben di più : era lotta di civiltà, di sistema di vita. Roma rurale, Ro­ ma gerarchica, Roma guerriera ed eroica com­ batteva anche la Cartagine dei mercanti e della demagogia. Ecco perchè non è strano, ma, anzi, logico, necessario addirittura, che l’uomo che in Senato terminava i suoi discorsi col noto « cete- rum censeo Carthaginem delendam esse » fosse lo stesso che nel suo libro poneva l’ideale ro­ mano nella gente nata dai campi, cresciuta in mezzo alle bellezze e alle forze della terra, tem­ prata nelle lotte aperte e solari della natura. Più di un secolo dopo, un altro grande roma­ no, che gli ebrei aveva conosciuto perchè uno di 16   essi, Apollonio Molone, come ci dice il giudeo Lazare, aveva avuto per maestro : Cicerone, tuo­ nerà anche lui contro la loro mentalità. « Il tenere testa alla turba giudaica che spesso schiamazza nelle riunioni popolari e farlo nel­ l’interesse della Repubblica è prova di saldi prin­ cipi », diceva infatti Cicerone rivolto a Lelio, cinquanta anni prima di Cristo, nella sua orazio­ ne « Pro Fiacco ». E nel suo « De Officiis » (II, 89) si legge questo aneddoto che dice anche ai sordi in quale dispregio avessero i romani i traf­ ficanti di denaro. Ecco infatti come Cicerone rac­ conta che Catone rispondesse a chi lo interroga­ va sul miglior modo di amministrare i propri beni : « Bene pascere ». E in quale altro modo? fu richiesto a Catone. « Salis bene pascere » fu la risposta. E poi? « Arare » egli disse ancora. «£ che ne pensi del prestare ad usura?» cioè del prestare denaro a interesse. Rispose Catone : « E tu che ne pensi dell’uccidere un uomo? ». Come, quindi, i romani, con mentalità siffat­ ta, avrebbero potuto, non dico apprezzare, ma solo riconoscere la mentalità ebraica? E se è vero che nel 160 avanti Cristo con l’Ambasciata di Giuda Maccabeo si iniziano i primi rapporti di­ plomatici tra Roma e Gerusalemme, se è vero che nel 143 e nel 139 seguono altre ambasciate, se è vero che Giulio Cesare e Ottaviano li tolle­ rano, è altrettanto vero che gli ebrei anziché essere grati e devoti allo stato romano ricambia- 17 2   rio con disordini e con tradimenti la generosità dei Cesari, al punto che Claudio, da un decreto di tolleranza passa alla loro espulsione e ciò per­ chè, come testimoniano numerosi scrittori lati­ ni — da Persio a Ovidio, da Svetonio a Plinio, da Tacito a Giovenale — « gli Ebrei conside­ rano come profano tutto ciò che da noi è consi­ derato sacro » (cfr. Tacito, Hist.; V, 4, 5); per­ chè « essi hanno un culto particolare, leggi par­ ticolari, disprezzano le leggi romane » (cfr. Gio­ venale, Im. Lat.; XIV, 96, 104). Colle generazioni questo contrasto di civiltà e questa antitesi di istituzioni si acuiscono. È così che si arriva alla spedizione di Tito : all’assedio e alla distruzione di Gerusalemme. E in tal mo­ do, due secoli dopo Cartagine, anche sull’or­ goglioso regno di Giudea passa l’aratro romano e viene cosparso il sale. Così quei giudei che pretendevano di essere il popolo eletto e che per invidia di capi e per in­ comprensione ingenerosa di popolo avevano tra­ dito e condannato nostro Signore Gesù Cristo; quegli eredi del Profeta che smentirono la profe­ zia compiuta, furono dispersi per il mondo. La profezia del Golgota ebbe in tal modo realizza­ zione per mano di Tito, di quel Tito, il cui arco, forse per imperscrutabile volontà di quel Dio che egli inconsciamente servì, s’aderge ancora intatto contro il cielo eterno di Roma, quasi a testimonia­ re e ammonire le genti e il mondo intero della giu- 18   stizia e della verità che promanano dai sette colli sacrati all’Impero del Littorio e alla Chiesa di Cristo.Niccolò Giani. Giani. Keywords: implicature mistica, mistico, il mistico – la mistica del liberalismo – la mistica del comunismo – la mistica della democrazia – la mistica del socialismo – filosofia politica – dottrina liberale – dottrina comunista – dottrina democratica – dottrina socialista --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756746927/in/dateposted-public/

 

Grice e Giani – la radice italica del melodramma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I love Giani; for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’ comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” – surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!” --   Appartene ad una famiglia dell'alta borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo zio  Giuseppe (Cerano d'Intelvi) fu pittore piuttosto noto, docente all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi  fino alla laurea. Si interessa inoltre al fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di Così parlò Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante gli scritti di Giani, soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito, che egli da allora considerò incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La posizione intorno al Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di Giani e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa tragedia farebbe parte del novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto, musica concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara una certa delusione. Uomo dalla cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli studi di letteratura, Giani cura L'estetica di Leopardi. Vede inLeopardi il luogo in cui le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed estetico coerente. All'interno della storia della critica leopardiana, pare avvicinabile ora alla posizione di Croce, di distinzione tra il momento della poesia e il momento della riflessione, ora a quelle positivistiche. Singolarmente,parla di musica e dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il ruolo del coro nelle Operette morali solo nella conclusione, benché in termini acuti. Avrebbe contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella tragedia” -- Fin dal saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”. Giani non condivide l'opinione di Nietzsche secondo cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un livello musicale altissimo. Per affermare questo ricostruisce il ruolo della musica nei testi tragici sulla base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole parti e forme musicali dei drammi, sempre attento a sottolineare la valenza estetica complessiva della tragedia o melodramma, ma nel contempo senza trascurare le posizioni metodologiche della scuola filologica. Fino ad allora non aveva stretto profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicina sempre più alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti, approvandone principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa spiritualità nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in particolare dai drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte totalmente compiute.  Un legame creativo e biografico molto più stretto strinse con Ghedini, anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per Ghedini, che sta ancora cercando una personale posizione estetica e anda raggiungendo progressivamente le conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso, Giani valse come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le liriche e esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini.  Giani stesso fu librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck, musicata da Ghedini ma mai rappresentata, e scrisse Esther per Pannain.Verso il termine della sua vita, divenne molto noto in tutta Italia per i suoi scritti di radicale confutazione di Croce. Non era particolarmente ostile all'idealismo di Croce, anzi considerava la teoria dell'arte come intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività anche musicale e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce veniva sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri seguaci mal tollerati dal nostro, attaccò tale concezione con il bellicoso pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato italiano. Il posto di Giani nella storia della musicografia è tutto particolare.Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della “fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò, pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila "figuratrice dell'invisibile", cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del "critico-artista" teorizzata da Wilde, che Giani ben conosceva: un "critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati "ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome.  Altre saggi: “Per l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto di potere --  Il “Nerone” di Arrigo Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Anticlo:  Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi Pagano:  La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce), Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia, Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Stefano Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”, Paolo Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di Casagrande, Baldi,  Betta, Cavallo, Balbo, Fenoglio.  GIANI, Romualdo. - Nacque a Torino il 28 febbr. 1868 da Francesco e da Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi.  Laureatosi in giurisprudenza non ancora ventenne, esercitò l'avvocatura patrocinando esclusivamente cause civili nel settore commerciale; allo stesso tempo si occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee.  Nel 1894 fu tra i fondatori, con l'amico editore G. Bocca, della Rivista musicale italiana, alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi di pseudonimi.  Esordì sul primo numero della rivista con la critica "I Medici". Parole e musica di R. Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus. italiana, I [1894], pp. 86-95); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per musica(ibid., pp. 141-143, 321-323), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte.  Nel 1896, in Per l'arte aristocratica (ibid., III, pp. 92-127), sostenne una vivace polemica con L. Torchi sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono M. Pilo, D. Garoglio, A. Foulliée e altri; il G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o "l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come sostenuto dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione.   Nel 1901 pubblicò il saggio critico Il"Nerone"di A. Boito (Torino 1901; 2a ed. ampliata ibid. 1924; cfr. Riv. mus. ital., VIII [1901], pp. 861-1006, e XXXI [1924], pp. 199-392), che gli procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui si dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei "Pensieri" di G. Leopardi (Torino 1904; 2a ed. ibid. 1928; cfr. Riv. musicale italiana, XXXV [1928], pp. 226-243) il G. oltre a ricostruire il pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte musicale.  Nel 1899, per la "Biblioteca di scienze moderne" del Bocca, era stato pubblicato Così parlò Zaratustra di F. Nietzsche, tradotto da E. Weisel; il G., ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne approntò una nuova versione d'accordo con il Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca, nel 1906. Nel 1913, con lo pseudonimo di Anticlo, diede alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia greca (Milano 1924; Riv. musicale italiana, XX, pp. 821-887). Nel 1917, durante il primo conflitto mondiale uscì L'amore nel Canzoniere di F. Petrarca (Torino 1917; in appendice Nota sul suono e sul ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita.  Il G. inoltre traduceva per diletto dal latino, soprattutto Tibullo e Orazio, e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti d'opera: Esther (Riv. musicale italiana, XXVII, pp. 611-648), tragedia lirica in tre atti ispirata dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a I. Pizzetti, e L'Intrusa (ibid., pp. 340-358), un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di M. Maeterlinck, musicato dapprima da G.F. Ghedini (1921; non rappresentato), e poi da G. Pannain (1926), che la rappresentò a Genova nel 1940.  La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (in Riv. musicale italiana, XXXII [1925], pp. 571-598), apparso sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. Il G., con logica inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica (1913), opere che il G. ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid., XXXIII [1926], pp. 77-102) rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo (ibid., pp. 61-76), in cui il Pannain assumeva la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del Pannain, furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino 1928) insieme con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di Pizzetti, giudicata un'opera mancata. Contemporaneamente il G. pubblicava il Sillabario di estetica (in Riv. musicale italiana, XXXV [1928], pp. 442-453), e a conclusione della polemica aggiungeva una Nota crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora altre contraddizioni nella teoria del Croce. La polemica si riaprì nel 1929 con lo scritto La favola dell'aridità(ibid., XXXVI, pp. 311 s.) con il quale il G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale italiano, contro un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità creativa" il secolo compreso tra il 1550 e il 1650; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece il G., che replicò con Il parto settimello (ibid., XXXVII [1930], pp. 249-254).  Il G. scrisse inoltre numerose recensioni e articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna musicale, a cui collaborò dal 1928, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A. Cannella.  Il G. morì a Torino il 16 genn. 1931.  Oltre agli scritti citati si ricordano: "Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana, II (1895), pp. 95-112; Note marginali agli "Intermezzi critici" di I. Pizzetti, ibid., XXVIII (1921), pp. 677-690;Note Leopardiane, in Campo (Torino), n. 5, 18 dic. 1904; Estetica nuova, ibid., n. 9, 15 genn. 1905; Per una biografia di Berlioz, ibid., n. 26, 14 maggio 1905; Melodramma e dramma musicale, ibid., n. 37, 30 luglio 1905.  Fonti e Bibl.: G. Adler, R. G., Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in Riv. mus. ital., XXXII (1925), pp. 113-115; L. Ronga, In morte di R. G., ibid., XXXVIII (1931), 1, pp. 115-124; C. Botto Micca, R. G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo, VI (1931), 7; A. Pastore, In memoria di R. G., in Riv. musicale italiana, XLV (1941), pp. 50-53; M. Vajro, R. G., ibid., LIII (1951), pp. 337-368; A. De Angelis, Diz. dei musicisti, Roma 1928, pp. 244 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, III, p. 189.Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannantoni – la dialettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo. Grice: “I love Giannantoni; for one, he believes, with me, that there is Athenian dialectic, Roman dialectic, Florentine dialectic and Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly ‘Athenian dialectic,’ and he has noted that its birth (‘nascita’) is in the ‘dialogo socratico,’ so it should surprise nobody that I have based my philosophy on the facts of conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il dialogo di Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una concezione molto laica della divinità e della religiosità («Religiosità, che Socrate, il quale era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua dottrina storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione filosofica si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle fonti.  Questo spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato all'elaborare la sua opera monumentale, “Reliche di Socrate” (“Socratis et Socraticorum reliquiae”). Giannantoni ha sempre seguito il criterio di Croce e Gramsci, secondo cui l'esposizione di un filosofo debba avvenire tramite l'esame storico cronologico (unita longitudinale) delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza dell'evoluzione della dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione interpretativa personale non adeguatamente basata sulle fonti.  Convinto dell'onestà intellettuale come valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della storia della filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia un profilo “ideale” dello «storico autentico» della filosofia, che ha il «dovere di farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo del filosofo da lui studiato», ben sapendo che ciò «non basta ancora se non è accompagnato da una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e storica insieme. Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci consapevoli di una grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina in un autentico arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato caratterizzato dalla volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del pensiero considerando questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi.  Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica quanto più scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla logica di Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria del segno).  Nella sua vita e nella dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica l'insegnamento socratico, così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la conversazione basatio sulla regola d’oro: il rispetto verso il co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz. Altre saggi: “La metafisica dei lizii” (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici (Firenze: Sansoni); “Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia italica in eta antica” (Milano: Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee, Torino: Loescher, I fondamenti della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova Italia); Le forme classiche / Torino: Loescher, “Volpe / Roma: Riuniti, Socrate. Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari: Laterza, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari: Laterza, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita; Bignone;.Bari: Laterza, I presocratici: testimonianze e frammenti / Bari: Laterza, Profilo di storia della filosofia, Torino: Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis et Socraticorum Reliquiae. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni,  2Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni; Introduzione di Francesco Adorno: per Gabriele Giannantoni: un dialogo, Editore Bibliopolis (collana Elenchos), 2009  Deputati della V, VI, VII legislatura.  Op.cit. Bruno Centrone, ed.Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Bruno Centrone, Bibliopolis, Edizioni di filosofia, ILIESI CNR  La traduzione dei Presocratici da parte di Giannantoni è stata criticata da Giovanni Reale nell'introduzione alla sua nuova traduzione dei Presocratici del 2006, critiche riportate in due articoli-intervista comparsi sul "Corriere della Sera" nei quali  Giannantoni, di formazione gramsciana veniva accusato come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero di Socrate#Socrate: l'interpretazione di Giannantoni Guido Calogero La teoria sul pensiero greco arcaico.  Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia filosofica negli anni ’80 e ’90, il nome di Gabriele Giannantoni (Perugia, 1932 – Roma, 1998) è legato anche al Centro di Studio del Pensiero Antico (CSPA).   dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su richiesta, appunto, di Gabriele Giannantoni – in sostituzione del precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero Antico si inserì nel panorama nazionale e internazionale della ricerca storica come una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una disciplina, la storia della filosofia antica, appartenente al duplice contesto della storiografia filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu attivo in modo autonomo fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che ridisegnò la rete scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con il Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’ Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee (ILIESI), sotto la direzione di Tullio Gregory.2 L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu inevitabilmente legata al percorso intellettuale e di ricerca del suo fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono alla base della costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli scientifici di riferimento che ne hanno determinato in certa misura la configurazione e l’attività; in secondo luogo, i contributi originali che il Centro è stato in grado di fornire all’area disciplinare di propria competenza, in termini di pubblicazioni, progetti e formazione, sotto la guida di Giannantoni e di coloro che ne coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del Presidente del CNR. n. 6303, ratificato successivamente da una convenzione tra il CNR e “La Sapienza”, stipulata il 21 aprile 1983 e confermata dal Presidente del CNR fino al 2001. Per il testo della convenzione si veda “Elenchos”, 1, 1980, pp. 201-202. 2 Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti normativi, si veda Liburdi 2018, p. 49 e ss. Istituito nel 1979  presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio del Pensiero Antico fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e metodologiche di colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che ispirarono la promozione di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul pensiero antico, in tre principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di considerare la storia della filosofia antica come una disciplina dotata di un proprio specifico (e in certa misura autonomo) profilo quanto a materia di indagine, arco storico e metodologia; in secondo luogo, la nascita, o rinascita, dell’interesse verso scuole filosofiche dell’antichità greca e romana tradizionalmente classificate come minori, in particolare, le cosiddette scuole socratiche e le scuole ellenistiche, che dalle socratiche discendono direttamente sotto l’aspetto storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del patrimonio dossografico – cioè del complesso della tradizione indiretta che ha conservato, per estratti, parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi antichi di cui non è giunto a noi né il corpus né una singola opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si inseriva in una tendenza di studi continentale che fece della dossografia antica una vera e propria categoria storiografica con risultati particolarmente innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre a sostenere gli studi nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e quelle ellenistiche (delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun testo d’autore), apriva un percorso di studi a cui Giannantoni era particolarmente legato e che lo vide impegnato sia come direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione di tutta la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa a fuoco di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi scientifici di Gabriele Giannantoni abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale che esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo specifico della storia della filosofia antica presuppose, da parte di Giannantoni, una approfondita analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della 6 ILIESI digitale Temi e strumenti   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico rivista “Elenchos” intitolato La storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico (“Elenchos”, 1, 1980, pp. 7-44), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero oggettivo, astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la positività dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più alti raggiunti dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele, coincidevano rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale astratto, con la sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee trascendenti e la scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica puramente strumentale (la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la teorizzazione del giudizio individuale, o giudizio storico,3 nonché la capacità di superare l’astrattezza e attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella filosofia pratica parimenti i Greci antichi, pur non mancando di intuizioni profonde, non avrebbero superato il precettismo e l’empirismo, e la loro etica ingenua non sarebbe mai giunta a distinguere etica ed economica, morale e diritto, come categorie dello spirito.5 3 Giannantoni 1980, n. 13, rimanda a Croce 19092, di cui diamo qui i riferimenti da Croce 1996a, pp. 112-116, 352-356, 396-398. 4 Ciò Giannantoni ricavava, pur senza riferimenti testuali precisi, sia dagli excursus storici che possiamo leggere in Gentile 19543, presumibilmente alle pp. 112-113, 123-125, 202-206, e in Gentile 1917, vol. I, pp. 21-32, sia da Gentile 1964. 5 Giannantoni 1980, nn. 14 e 15, rimanda a Croce 19455; si veda Croce 1996, pp. 112-114, 224-225, 367-368, e a Croce 19273, si veda Croce 2007, pp. 164-165. ILIESI digitale Temi e strumenti 7   Figura 1: copertina di “Elenchos”, 1, 1980.    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico Per l’altro verso, però, l’idealismo formulò una critica, entro certi limiti giusta e salutare, alla filologia classica – cioè alla filologia classica moderna sviluppata in Germania nel corso del XIX secolo, distintasi, tra le altre cose, per una predilezione della cultura greca rispetto alla latina –, colpevole sostanzialmente di non essere una disciplina veramente storica. La filologia classica, malgrado i grandi risultati raggiunti nella costituzione dei testi della letteratura antica, nella revisione della tradizione bizantina e nelle nuove acquisizioni, si affermò come una procedura tecnica complessa e molto raffinata ma priva della visione della storicità del documento, del suo autore, dell’ambiente della sua composizione, nonché del suo testimone. La questione, che emerse inizialmente nel campo delle edizioni letterarie,6 non è meno complessa per quelle filosofiche: i testi della filosofia antica richiedono anche una comprensione dei contenuti teorici e pretendono di essere inquadrati in sistemi di pensiero il cui senso trascende il ripristino del testo, o quanto meno se ne distingue in data misura. Questo fu il nodo che si dovette sciogliere perché si potesse cominciare a delineare una storia della filosofia antica che includesse tanto la capacità di fornire edizioni affidabili sotto il profilo testuale, quanto quella di storicizzare i documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce di coordinate culturali congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia idealistica è dunque imputata da Giannantoni di evidenti limiti interpretativi del pensiero antico, come fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri monografie di Rodolfo Mondolfo sull’infinito nel pensiero greco e sul soggetto umano nell’antichità,7 che smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile oggettivismo della filosofia greca. Tuttavia l’idealismo ha fornito un’importante lezione e soprattutto ha indicato con chiarezza un ostacolo da superare: 6 In particolare, la critica crociana a cui Giannantoni fa riferimento (1980, p. 18 s., n. 11) prese le mosse da edizioni di testi poetici e si volse contro la “mera filologia” e la Kulturgeschichte che, nella pretesa di restituire il senso del testo letterario, non apportavano comprensione né storica né concettuale. Cfr. ad esempio la recensione alla monografia del 1950 di Ettore Romagnoli su Aristofane e che si può leggere in Croce 2003, pp. 97-107. Dice Giannantoni al riguardo (p. 19): “...il problema del rapporto tra filologia e poesia, tra filologia e storiografia, tra filologia e filosofia sta al centro dell’elaborazione dell’idealismo italiano”. Giannantoni probabilmente pensava anche alle considerazioni gentiliane intorno al “filologismo” che affligge la storia e ostacola la costituzione di una storia della filosofia, in Gentile 19543, pp. 132-134. 7 Mondolfo 1933; Mondolfo 1958. 8 ILIESI digitale Temi e strumenti    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico Tracciando nel primo dei due volumi in onore di B. Croce per il suo 80° compleanno, quello che è tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di filosofia antica nel cinquantennio 1896-1946, Guido Calogero non ritenne di dover prendere in considerazione né Croce stesso né Gentile (e neppure De Ruggiero) quali interpreti del pensiero antico; né altri ne hanno trattato in modo approfondito (mentre studi importanti esistono sulle loro interpretazioni di altri periodi della storia del pensiero) ... la ragione ... è da ricercare in una persistente separazione, non solo concettuale, ma anche di organizzazione degli studi, che lo stesso idealismo ha contribuito non poco a consolidare, tra considerazione filosofica, ricostruzione storica e indagine filologica. Gli studi di filosofia antica hanno infatti sofferto in modo particolare di una vera e propria scissione tra quelli che erano considerati i compiti esclusivi del filologo e quelle che erano considerate le competenze dello storico e del filosofo: con la conseguenza che questi studi sono potuti apparire troppo filologici ... ad alcuni e ad altri, all’opposto, troppo filosofici per entrare di pieno diritto nell’ambito di ciò che si era soliti chiamare la “scienza dell’antichità”.8 Quando Giannantoni scriveva queste parole (cioè nel 1980), era persuaso che la scissione non fosse superata e fosse causa, oltre che di una durevole influenza idealistica, anche di un pregiudizio nei rispetti della filologia, malgrado i grandi progressi e le messe a punto di tanta prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante, quindi, una situazione di progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi storiografici italiani sulla filosofia antica, Giannantoni nutrì l’aspirazione di delimitare un preciso terreno metodologico cogliendo la preziosa occasione che il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è quello che, almeno a prima vista, rivela maggiormente la stretta relazione tra il percorso scientifico individuale di Giannantoni e lo spettro di interessi messi in campo da quanti hanno operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi allievi. Tanto più che l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle tradizioni socratiche ed ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione dell’impatto dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia filosofica dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di Socrate, Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio deprezzamento delle tradizioni “minori”.10 Ed è appena necessario 8 Giannantoni 1980, pp. 7-8. Il riferimento a Calogero è da intendersi a Calogero 1950, pp. 43-59. 9 Si veda al riguardo il chiarimento di Giannantoni relativo all’opera di Giorgio Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità di metodo, non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della filologia classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie” del pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (cfr. 1980, p. 37). 10 Cfr. Croce 19455, p. 201: “... col considerare principalmente il contrasto delle passioni verso la volontà razionale sorsero le scuole opposte dei cinici e cirenaici, ILIESI digitale Temi e strumenti 9    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico ricordare che la figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e storiografiche di Guido Calogero,11 che di Giannantoni fu il maestro. Abbiamo poi vari segni di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori dell’Italia. L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto paragonate alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo tramite tradizione indiretta, si manifesta già alla fine degli anni ’40 con studi seminali sui Sofisti, su alcuni discepoli di Socrate, in particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene, sulla tradizione scettica.12 Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola Giannantoni dedica la sua prima importante opera scientifica (Giannantoni 1958). In essa si profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica: l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi determinati, non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto concetti filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che filosofi sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole socratiche minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile 1964, pp. 141-177. 11 Com’è molto noto, Socrate occupò un ruolo centrale nella personale riflessione teorica di Guido Calogero, che elaborò la sua “filosofia del dialogo” esattamente sul modello del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale il filosofo italiano vide la prima formulazione di un’istanza intellettuale e morale – il dialogo, appunto, contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia della pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che sarebbe stata anche alla base della moderna concezione dello stato liberale e di diritto. Ma Socrate fu anche al centro di importanti lavori storiografici di Calogero, alcuni dei quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del magistero socratico nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale critica diversa da quella di Giannantoni, ma in linea con la percezione del ruolo capitale svolto da Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto ciò a rimandare a Giannantoni 1987 e a Brancacci 2017. 12 Per limitarsi alle opere principali: Untersteiner 1949, con moltissime riedizioni; Dal Pra 1950; Humbert 1967; Mannebach 1961; Decleva Caizzi 1966; Patzer 1970. 10 ILIESI digitale Temi e strumenti     Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella filologia europea degli anni ’70, sempre più determinanti per la comprensione delle dottrine di personalità come Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di Megara, Eschine di Sfetto. In più, il superamento della Quellenforschung tradizionale e l’approfondimento dei contenuti filosofici aprirono nuove possibilità di delineare il percorso che dalle scuole socratiche della seconda metà del IV secolo a.C. porta alle principali tendenze ellenistiche, il Giardino, la Stoa, il Peripato post- aristotelico, la scepsi pirroniana ed accademica. A questo complesso terreno di ricerca è dedicata una iniziativa che precede l’istituzione del Centro di Studio del Pensiero Antico benché sempre sostenuta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: il convegno “Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica”, organizzato nel 1976 dal Centro di Studio per la Storia della Storiografia (la cui direzione era stata affidata allo stesso Giannantoni), e i cui atti furono pubblicati nel 1977 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al Convegno del 1976, mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle filosofie riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti concettuali tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età imperiale,13 furono aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul tema Per un’edizione delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella quale lo studioso esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma ancora lontano, nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono messe a fuoco le 13 Cambiano 1977; Celluprica 1977; Sillitti 1977; Decleva Caizzi 1977; Ioppolo 1977; Brancacci 1977; Donini 1977; Isnardi Parente 1977; Repici 1977. ILIESI digitale Temi e strumenti 11   Figura 2: copertina di G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche, traduzione e studio introduttivo, Firenze, 1958.    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico peculiarità e la notevole problematicità, soprattutto sotto il profilo filologico, di una edizione di testi filosofici e di molti autori. Emerge da questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma un criterio programmatico che non considera sufficienti, benché certamente necessarie, le sole competenze della filologia classica, ma pretende una sensibilità storica e una capacità di comprensione teorica che gli sforzi della Altertumswissenschaft tradizionale non avevano sempre garantito. L’edizione di testi filosofici di trasmissione indiretta non può limitarsi alla costituzione del testo e alla redazione di apparati critici da cui si desuma il meticoloso lavoro di collazione dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e problematici nei quali sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone. Inoltre, un’edizione che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non provenienti da) molti filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinseca14 della singola testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza cronologica dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici, etc.) e di individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo abbastanza lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e, al contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la specificità (secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli di una lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il fatto è che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più filosofi, emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di considerare la testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi la necessità di storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere considerata come un capitolo di una vera e propria storia della cultura durata all’incirca un millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo e alle tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un Diogene irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come ingredienti mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e Giuliano l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno sotto il nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è quello che presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto alle problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di 14 Sulla cosiddetta filologia “esterna”, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni filosofiche e sui suoi limiti, si veda Giannantoni 1980, p. 15, a proposito dell’opera di Girolamo Vitelli, la cui importanza per la storia della filosofia antica è legata specialmente alle edizioni critiche dei commenti aristotelici di Giovanni Filopono. 15 Giannantoni 1977, p. 22. 12 ILIESI digitale Temi e strumenti    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico dottrine riportate da testimoni spesso assai lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di cui si vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata un capitolo importantissimo di quella millenaria storia culturale che costituisce il terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si potrebbe ancora oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità senza iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite dalla filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le raccolte di Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche dalla prima grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi Graeci di Hermann Diels;19 come è altrettanto vero che non si può oggi fare a meno dei più recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia filosofica, cioè gli Aëtiana di Jaap Mansfeld e David Runia.20 I più importanti progetti editoriali varati negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati alla problematica della dossografia e all’analisi dei testimoni, a lato di quelle condotte sugli autori e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio di autori di grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai quali si deve gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti, come Cicerone e Plutarco, si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità con testimoni meno noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come Filodemo, Diogene Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Giovanni Stobeo. L’indirizzo dossografico fu quindi un segno della tempestività e della sensibilità di Gabriele Giannantoni nei rispetti di un terreno di ricerca che si veniva imponendo in ambito internazionale, e che di fatto contribuì alla dimensione internazionale dello stesso Centro, la cui attività progettuale e congressuale fu in buona misura dedicata alla dossografia di epoca tardo ellenistica ed imperiale. Si può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche una linea di attività di studi la cui ragione storiografica fu oggetto di un vivacissimo 16 Usener 1887. 17 Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20 Mansfeld-Runia 1997; Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena necessario ricordare che le parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono coniate da Hermann Diels. Sulla dossografia e sul suo sviluppo come categoria filologico-storiografica, cfr. Mansfeld 1998, rist. in Mansfeld-Runia 2010, Mansfeld 2002, rist. in Mansfeld-Runia 2010. ILIESI digitale Temi e strumenti 13    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico dibattito e che è nota come la questione delle dottrine non scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca, in particolare a Tübingen, da un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degli agrapha dogmata consisteva, molto in breve, nella convinzione che Platone avesse teorizzato una dottrina dei principi (Uno e Molteplice), della quale non resta traccia nei suoi scritti – perché oggetto di pura trasmissione orale all’interno dell’Accademia antica – ma solo sparsi indizi in pagine aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del Centro, Giannantoni invitò Konrad Gaiser, ordinario di filologia classica all’Università di Tübingen e uno dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, a tenere una lezione presso la Sapienza sul tema La teoria dei principi in Platone, il cui testo venne pubblicato nel primo numero della rivista “Elenchos”.21 Tuttavia, il punto che merita attenzione in questa sede è che la questione delle dottrine non scritte di Platone fu, oltre che un tema rilevante per se stesso, anche un “pretesto” per riconsiderare Aristotele come testimone egli stesso del passato filosofico, più precisamente per le cosiddette filosofie presocratiche. Com’è noto, Aristotele può essere considerato se non il primo testimone in assoluto delle precedenti tradizioni di pensiero, certamente il primo testimone che ne offre una informazione organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle proprie esigenze filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la visione storiografica moderna. Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire Aristotele un dossografo, il riesame della sua testimonianza della filosofia precedente, anch’essa una tradizione indiretta, apparve a Giannantoni una linea d’azione congrua con quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie ellenistiche, ancorché meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro. A conclusione di questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del Centro di Studio del Pensiero Antico non fu del tutto priva di modelli in Italia e fuori e che con alcuni di essi si instaurò una costante collaborazione. L’esempio più immediato, sia sotto il profilo tematico e scientifico, che sotto quello del funzionamento istituzionale, fu il – Léon Robin, una unità di ricerca del 21 Gaiser 1980. 14 ILIESI digitale Temi e strumenti  Centre de Recherches sur la Pensée Antique  Centre National de la Recherche  Scientifique (CNRS), ma operante all’interno e sotto l’egida    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico  dell’Université Paris-Sorbonne (perciò definito anche Unité Mixte de  Recherche, o UMR), in modo non troppo dissimile dai Centri di Studio  del CNR istituiti in regime di convenzione con i vari Atenei italiani. La  collaborazione con questo Centro si focalizzò sulle tematiche  socratiche e dette luogo al ripetuto scambio di studiosi tra le due sedi nel biennio 1994-1995 nell’ambito del programma di ricerca “Socrate e la storia del pensiero antico: rottura o continuità?”; i contributi  pubblicati nel 1997 sotto il titolo di Lezioni socratiche, a cura di furono   Gabriele Giannantoni e Michel Narcy, per l’Editore Bibliopolis di  Napoli. Un’altra importante istituzione scientifica a cui Giannantoni  guardò con particolare attenzione e con cui intrecciò stretti rapporti  scientifici nonché di cordiale amicizia è stata senz’altro il Centro  Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi, oggi intitolato a  Marcello Gigante, che ne fu il fondatore nel 1969. I motivi di tale  collaborazione erano dettati ovviamente dall’interesse intrinseco per  la grande opera editoriale a cui il Centro fondato da Gigante era  votato. La pubblicazione delle nuove edizioni critiche dei papiri reperiti  nel sito ercolanese offriva alla comunità scientifica un patrimonio  inestimabile per la conoscenza dell’Epicureismo, della tradizione  socratica, dello Stoicismo. Ma furono anche ragioni metodologiche a  sancire un sodalizio importante, che si concretizzò in varie iniziative e  pubblicazioni cui parteciparono entrambi i Centri: i testi ercolanesi,  com’è molto noto, costituiscono un materiale che permette di  arricchire enormemente la conoscenza di molte importanti tradizioni  filosofiche e letterarie, a condizione di possedere un complesso di  conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono  trovarsi nella medesima personalità e che però vanno applicate  contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi  due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente storica e  filosofica, l’altro, di alte competenze filologiche, contribuì in modo  significativo a costituire quella storiografia della filosofia antica che  aveva, almeno per la cultura accademica italiana dei primi decenni  del ’900, faticato ad assumere uno statuto proprio.  ILIESI digitale Temi e strumenti 15  Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico L’ATTIVITÀ DI RICERCA DEL CENTRO E I SUOI RISULTATI: I PROGETTI, I CONGRESSI, LA FORMAZIONE Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso, diretto o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico, oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una iniziativa promossa da Giannantoni dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un indirizzo dell’organo direttivo della rivista “Elenchos”, e dedicata alla problematica storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista “Elenchos” è emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio, sui metodi attuali della storiografia filosofica relativa al pensiero antico. Si è pensato perciò di cominciare con una “tavola rotonda”, chiamando a parteciparvi esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di intervenire liberamente su tre questioni principali: 1) se ha senso parlare ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; 2) quali innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia del pensiero antico; 3) quale è il contributo che viene, una volta tramontato il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle “scienze umane”.22 Alla tavola rotonda parteciparono Enrico Berti, Mario Vegetti, Carlo Augusto Viano, e lo stesso Giannantoni, ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di Giannantoni rispecchia le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla: ... senza perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono il pensiero antico, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella della storia degli studi ... ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale isolamento e a promuovere una 22 Giannantoni 1983, p. 147. 16 ILIESI digitale Temi e strumenti    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico organizzazione del lavoro diversa e meno diffidente verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso, la storia degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia avere un minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma anche per le divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è o l’arbitrio nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla “lettura diretta” dei testi.23 In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo la finalità della costituzione del Centro e la visione di Giannantoni del modo di operare storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che l’esortazione ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e l’altra, conta sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi come parte integrante della storia della filosofia, in particolare della filosofia antica, affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La “serietà”, cioè la plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica sono messi a rischio dalla “illusione” di poter leggere (e capire) le parole del filosofo, specie se antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica, linguistica e culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene ricostruendo, ove sia possibile, anche una storia intelligente delle letture altrui. Uscire dall’“isolamento” è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi ad un progetto scientifico unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione delle migliori offerte interpretative che di un testo e del suo contesto siano state date entro un certo arco di tempo.  23 Giannantoni 1983, pp. 182-183. ILIESI digitale Temi e strumenti 17   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico Sia nelle azioni istituzionali, che investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Già nel 1980, il Centro organizza un convegno sullo scetticismo antico,24 e tra il 1982 e il 1986 coopera strettamente con l’Università degli Studi di Pavia e in particolare con Mario Vegetti, ordinario di Storia della filosofia antica di quella Università, e con i suoi più stretti collaboratori, sostenendo l’organizzazione di due importanti convegni: “La scienza ellenistica” (Pavia, 1982)25 e “ 1986).26 Ancora alla filosofia ellenistica è dedicata l’importante pubblicazione dei Proceedings del quarto simposio internazionale sulla filosofia ellenistica, che vide tra i suoi partecipanti esperti di caratura internazionale, alcuni di stretta collaborazione con il Centro stesso.27   Figura 3: copertina del primo volume di Lo scetticismo antico, Atti del convegno, a cura di G. Giannantoni, Napoli, 1981.  Le opere psicologiche di Galeno” (Pavia, 10-12 settembre 14-16 aprile    24 25 26 27 18 ILIESI digitale Temi e strumenti  Giannantoni 1981.  Giannantoni-Vegetti 1985.  Manuli-Vegetti 1988.  Barnes-Mignucci 1988.   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico Carattere sistematico ebbe anche la linea d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza, nel 1985, il congresso internazionale sull’opera del biografo di età imperiale Diogene Laerzio (“Diogene Laerzio storico del pensiero antico”, Napoli-Amalfi, 30 settembre-3 ottobre 198528) e, nel 1991, il congresso internazionale sull’opera del medico scettico di età imperiale Sesto Empirico (“Sesto Empirico e il pensiero antico”, Sestri Levante, 28 maggio-1 giugno 199129). Si delinea in entrambi gli eventi un’unica prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica è, per così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo il cui pensiero è oggetto di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la sua epoca, il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua testimonianza, struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle informazioni attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così, mentre l’opera di Diogene Laerzio, che già da lungo tempo aveva attirato l’attenzione della filologia classica, conserva una concezione ampia del genere biografico, restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi di Marcello Gigante, permise di allestire negli anni subito successivi un grande congresso internazionale sul tema “L’Epicureismo greco e romano” (Napoli-Anacapri, 19-26 ILIESI digitale Temi e strumenti 19   Figura 4: copertina di Diogene Laerzio storico del pensiero antico, Atti del congresso, “Elenchos”, 7, 1986.  28 Atti pubblicati nel volume 7 dell’annata 1986 della rivista “Elenchos”. 29 Atti pubblicati nel volume 13 dell’annata 1992 della rivista “Elenchos”.    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico maggio 1993),30 un evento di ampio spettro tematico e cronologico all’interno del quale poterono cimentarsi papirologi e papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed epigrafisti, storici, storici della letteratura e della poesia greca e romana e, ovviamente, storici della filosofia antica. Proprio di questo incontro fu il suo carattere transdisciplinare e, per quel che attiene alle attività in corso presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi di lavoro anche individuali sulla relazione tra l’Epicureismo e le rilevanti tradizioni (le scuole socratiche, la Stoa, la scepsi accademica e pirroniana) che impegnavano in quegli anni sia Giannantoni in prima persona che il suo gruppo di lavoro operante presso la Sapienza e il Centro. Tra gli ultimi impegni di Giannantoni in qualità di direttore del Centro ci fu l’organizzazione di due altri convegni: “ “Empedocle e la cultura della Sicilia antica. Illustrazione di un frammento inedito della sua opera” (Agrigento, 4-6 settembre 1997).32 Il primo raccolse un gruppo consistente di esperti della cultura greco- romana e fu un raro esperimento di indagine lessicale da parte del Centro, volto a delineare l’area semantica dell’affezione (emozione, sentimento, malattia) nelle diverse manifestazioni della cultura classica antica, dalla letteratura, dal teatro e dall’arte figurativa, alla filosofia e alla medicina. Il secondo convegno fu un altro esempio del modo in cui Giannantoni intendeva inserire la vita scientifica del Centro all’interno di una rete di relazioni istituzionali, oltre che scientifiche e accademiche, perché il convegno, motivato dalla 30 Giannantoni-Gigante 1996. 31 Atti pubblicati nel volume 16/1 dell’annata 1995 della rivista “Elenchos”. 32 Atti pubblicati nel volume 19/2 dell’annata 1998 della rivista “Elenchos”. 20 ILIESI digitale Temi e strumenti   Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco e romano, Atti del congresso, a cura di G. Giannantoni e M. Gigante, Napoli, 1992.  Il concetto di  pathos nella cultura antica” (Taormina, 1-4 giugno 1994);31     Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico recente scoperta del Papiro di Strasburgo contenente una porzione del poema empedocleo, fu organizzato in collaborazione con la sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre doveva essere una prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni culturali e filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia, e che non vide la luce per la scomparsa dello stesso Giannantoni. *** Sarebbe un errore pensare che le strategie e i progetti del Centro avessero come unici interlocutori le istituzioni accademiche italiane e straniere. Certamente, uno degli obiettivi di Giannantoni era quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino collettore degli interessi intorno al pensiero antico, e tali interessi erano, di fatto, collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della didattica e della formazione universitarie. Ma il Centro partecipò anche alla realizzazione di una delle maggiori iniziative che il Consiglio Nazionale delle Ricerche abbia dedicato al settore delle scienze umane, e cioè il progetto strategico intitolato “Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali”.33 Questo grande progetto  fu articolato in cinque linee di indagine, la  prima delle quali dedicata al mondo antico, in particolare greco-  romano.34 Fu in questo contesto che Giannantoni, oltre a scrivere il  saggio La tradizione culturale greca in Magna Grecia e Sicilia,  apparso nel 2002 nel volume che raccoglieva i risultati delle attività  promosse dal progetto,35 maturò l’idea di una linea di attività, cui si è  fatto cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna Grecia e  della Sicilia, linea che avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le  metodologie sperimentate nella più generale attività del Centro  33 Il Progetto Strategico, svoltosi negli anni 1995-2000 e coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato nel 1994 dal 34 “ 35 Biagini 2002. ILIESI digitale Temi e strumenti 21  Comitato Nazionale di Consulenza del CNR per  le Scienze Storiche, Filosofiche e Filologiche, allo scopo di convogliare tutte le competenze rappresentate ed espresse dalla rete scientifica costituita dai Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al Comitato stesso, in una grande area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al fondo della decisione del Comitato era la convinzione che il Mediterraneo costituisse non un’entità identitaria ma un complesso “sistema” di realtà molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da parte di settori disciplinari indipendenti. Si trattava perciò di conferire unità strategica e di metodo ad una  naturale e fisiologica molteplicità di fenomeni culturali.  Origine e incontri di culture nell’antichità”.   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico  (studio della dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse, in questo  progetto non realizzato, l’antico interesse di Giannantoni per la  trasmissione delle cosiddette tradizioni presocratiche, molte delle  quali per l’appunto fiorite nelle aree magnogreche (l’Eleatismo, il  Pitagorismo, Empedocle, Gorgia di Leontini), e per il ruolo svolto in  tale trasmissione da Platone e Aristotele. A questo più antico arco  cronologico, si sarebbe poi unito il costante interesse per  l’Epicureismo, nella forma storica dell’Epicureismo campano.  Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa che il Centro  riuscì a svolgere, facilitata, come è facile comprendere, dalla  posizione accademica di Giannantoni. Il Centro di Studio del Pensiero  Antico si formò infatti raccogliendo i suoi allievi, che si unirono ai  ricercatori già in forza presso il precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale, inoltre, non si limitava alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor meno alla sola organizzazione dei convegni, ma prevedeva lavori continuativi di studio collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di rilevanza strategica.  I maggiori convegni venivano quindi preceduti  da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di  Diogene Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo  autore, anzi, si svolse un seminario aperto anche ai dottorandi di  ricerca della Sapienza. Nell’ambito del progetto strategico  “Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul Mediterraneo antico,  il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per le Scienze Storiche,  Filosofiche e Filologiche tre borse di studio (1995-1996).  22 ILIESI digitale Temi e strumenti  Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico LE PUBBLICAZIONI DEL CENTRO  Un discorso a parte merita l’attività editoriale a cui il Centro riuscì a  dar vita. Due furono le iniziative editoriali, strettamente coerenti con  l’idea programmatica che ispirò la costituzione del Centro: la serie  “Elenchos. Collana di testi e studi sul pensiero antico”, e il periodico  “Elenchos. Rivista di studi sul pensiero antico”. La scelta del  medesimo nome per le due iniziative si spiegava facilmente in  riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello  stesso Giannantoni, che riteneva la discussione, il confronto  (elenchos, appunto), in primo luogo, uno dei lasciti più significativi  della cultura filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito  alla formazione della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e  secondo un’angolatura più tecnica, Giannantoni vedeva nella  discussione, intesa come analisi critica, il metodo per eccellenza dello  studio del testo filosofico antico e della dottrina in esso contenuta,  come avevano mostrano i primi autori di una nascente “storia della  filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto, com’è  assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale dialogico  trasmesso dal magistero di Guido Calogero, l’elenchos fu, nei limiti  del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o promosse dal  Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe affidate  alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di Filosofia e  Scienza, di Francesco del Franco.  La collana era destinata in larga misura, benché non  esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali dovevano  concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti per la  ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a mettere in  primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae, collegit,  disposuit apparatibus notisque instruxit Gabriele Giannantoni, 1990, 4  voll. Frutto di una ricerca individuale più che trentennale, preparato da  molte precedenti pubblicazioni, questa edizione delle testimonianze  relative a Socrate e alle scuole socratiche, corredata di apparati critici  e note di commento (e senza traduzione, secondo la prassi  dell’austera filologia classica moderna), rappresentò la più importante  espressione degli interessi tematici e dei principi metodologici che  caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti considerare i volumi  usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle tradizioni  socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle edizioni di  ILIESI digitale Temi e strumenti 23  Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico  testi e frammenti di autori ancora  poco studiati, per apprezzare   l’impatto delle ricerche di Giannantoni su tutto il gruppo di ulteriori interessi e accolse studi accademica.   ricerca del Centro.36 Naturalmente  la collana non fu preclusa ad   critici su tematiche di grande  rilevanza nell’ambito del platonismo  e dell’aristotelismo e delle filosofie  della tarda antichità,37 promuovendo  in tal modo uno scambio costante  con la più ampia comunità   Quanto alla rivista, è forse  opportuno rimandare direttamente  alla Presentazione che Giannantoni  Figura 6: copertina del primo volume di G. Giannantoni, Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli, 1990.  antepose al primo fascicolo: essa fa  molto ben intendere tanto la  relazione essenziale tra il programma scientifico del Centro e il periodico  che di quel programma doveva essere lo strumento di diffusione; quanto  l’apertura al dibattito scientifico che la rivista (e quindi il Centro stesso) si  prefiggeva; quanto, infine, la tempestività di un’operazione culturale che  il Consiglio Nazionale delle Ricerche ebbe la sagacia di sostenere:  Questa rivista ... intende dare attuazione ad uno dei punti programmatici contenuti nella convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e l’Università di Roma, e che sta alla base del neocostituito Centro di Studio del Pensiero Antico ... essa non è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo Centro: al contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno strumento di studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto di incontro e di confronto e un’occasione a disposizione sia di studiosi già affermati sia di giovani ricercatori ... Questa rivista è l’unica dedicata interamente al pensiero antico che si pubblichi in Italia38 e perciò essa non può non proporsi anche un compito di promozione di questi  36 I titoli della collana “Elenchos”, corredati da schede riassuntive, sono consultabili al sito web dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee http://www.iliesi.cnr.it/pubblicazioni.shtml 37 Mi limito a citare il grande progetto di traduzione e commento della Repubblica di Platone, promosso e diretto da Mario Vegetti, e i cui primi tre volumi furono stampati quando Giannantoni era ancora in vita: Vegetti 1998, 2000, 2003, 2005, 2007. 38 Questa situazione è rimasta invariata fino al 2007, e cioè fino alla comparsa della rivista “Antiquorum Philosophia”, edita da Fabrizio Serra Editore, Roma-Pisa, e diretta da Giuseppe Cambiano. 24 ILIESI digitale Temi e strumenti    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico  studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più ambizioso; se è vero, come è vero,  che la storia del pensiero antico è un campo in cui debbono potersi incontrare ... gli apporti e le problematiche della storiografia filosofica e del metodo filologico; e se è vero, come è vero, che tanto la storiografia filosofica quanto il metodo filologico attraversano ... una fase di ripensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle proprie certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il compito di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi diversi di affrontare lo studio del pensiero antico e di aprire le sue pagine ... anche a contributi che per la conoscenza del pensiero antico possono venirci da storici dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e delle letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi di fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità dell’orientamento interpretativo ...39  CONCLUSIONI: LA PERMANENZA DI UN PATRIMONIO E L’ATTUALITÀ DI UN METODO In accordo con gli obiettivi enunciati nella Presentazione della rivista “Elenchos” e nel protocollo che lo istituiva, il Centro di Studio del Pensiero Antico si dotò di un consiglio scientifico che affiancò Gabriele Giannantoni nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse, il quale contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali Francesco Adorno, Enrico Berti, Giovanni Reale, Carlo Augusto Viano, Anna Maria Ioppolo, Aldo Brancacci e Vincenza Celluprica, nonché eminenti filologi classici e storici della letteratura greca quali Marcello Gigante e Luigi Enrico Rossi. Il Centro poté disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa40 che gli 39 “Elenchos”, 1, 1980, pp. 3-4. 40 Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del Consiglio Nazionale delle Ricerche: Barbara Faes (direttrice del Centro nel 1999), Gigliola Caporali, Stefano Garroni, Vincenza Celluprica (direttrice del Centro per il biennio 2000-2001 e poi responsabile della linea relativa al pensiero antico nell’ILIESI fino al 2005), Lucina Ferraria, Aldo Brancacci (poi docente presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), Bruno Centrone (poi docente presso l’Università degli Studi di Pisa), Francesca Alesse, Maria Cristina Dalfino, Luca Simeoni, Riccardo Chiaradonna (poi docente presso l’Università degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e continuativo con il Centro Anna Maria Ioppolo (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”), Luciana Repici (Università degli Studi di Torino); Giuseppina Santese (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); Giovanna Sillitti (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); Carmela Baffioni (Università degli Studi di Napoli l’Orientale); Emidio Spinelli (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”) e Francesco Aronadio (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”). Molti sono stati i giovani che, nel corso della loro formazione post lauream sono venuti in contatto con Gabriele Giannantoni e con il Centro, lavorando fattivamente alla redazione di “Elenchos” o adoperandosi in attività editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare Rosa Maria Piccione (Università degli Studi di Torino), Michele Alessandrelli (ILIESI-CNR), Diana Quarantotto (Sapienza Università di Roma), Francesco Fronterotta (Sapienza Università di Roma), Adriano ILIESI digitale Temi e strumenti 25    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico consentirono di diventare un organismo collettore di attività di ricerca nel campo dell’edizione critica e dell’interpretazione dei testi della filosofia antica, fino al 2001. Chi scrive non crede che l’esperienza acquisita nei poco più che vent’anni di vita del Centro sia andata perduta né dimenticata. Quando, nel 2001, nacque l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia delle indagini relative alla storia della filosofia antica, per esplicito volere di Tullio Gregory che del nuovo Istituto fu il primo direttore. Queste indagini confluirono in una linea progettuale denominata prima “Storia del pensiero filosofico- scientifico e della terminologia della cultura mediterranea greco-latina, ebraica e araba” e successivamente “  Il pensiero filosofico nel mondo  antico: testi e studi”.41 L’impegno principale della linea fu  rappresentato da una serie di progetti che in parte proseguivano le  tematiche di studio e le strategie cooperative del Centro di Studio del  Pensiero Antico, e in parte introducevano nuove tipologie di analisi,  connesse alle tecnologie digitali. La continuità culturale fu inoltre  garantita dal mantenimento delle due pubblicazioni, la collana  “Elenchos” e la rivista “Elenchos”. Da questa permanenza delle  ricerche sul pensiero antico nella nuova realtà istituzionale si deve  ricavare non solo e non tanto l’attualità di una disciplina (che si è  comunque stabilizzata nel mondo accademico con la benefica  diffusione di cattedre e centri di insegnamento, in Italia e fuori),  quanto piuttosto l’attualità di un metodo di lavoro. Questo metodo di  lavoro, che potrebbe descriversi, un po’ aulicamente, come un nuovo  diatribein socratico, cioè come la capacità di discutere in modo  competente con i “morti” prima che con i vivi, rispecchia abbastanza  bene la disposizione intellettuale e comportamentale di Gabriele  Giannantoni, uomo tanto pacato nelle discussioni con i contemporanei,  quanto fermo nelle sue strategie di ricerca sul mondo antico.  Gioè, Matteo Nucci, Mariacarolina Santoro, Francesca Gambetti e Cristina Cunsolo (a quest’ultima si deve l’allestimento della bibliografia ragionata digitale Le tradizioni filosofiche e culturali greche della Magna Grecia e della Sicilia antica, ora in fase di aggiornamento ad opera di Francesca Gambetti). 41 A questa linea, diretta da Vincenza Celluprica fino al 2005, fanno riferimento i ricercatori già operanti nel Centro, a cui si aggiunge, dal 2010, Silvia M. Chiodi, specialista in storia delle religioni del mondo antico e del Vicino Oriente. 26 ILIESI digitale Temi e strumenti   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico BIBLIOGRAFIA Arnim 1903 = Hans von Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Lipsiae, Teubner. Barnes-Mignucci 1988 = Jonathan Barnes, Mario Mignucci (a cura di), Matter and Metaphysics. Fourth Symposium Hellenisticum, Napoli, Bibliopolis. Biagini 2002 = Antonello F. Biagini (a cura di), Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali, Roma, CNR Edizioni. Brancacci 1977 = Aldo Brancacci, Le orazioni diogeniane di Dione Crisostomo, in Gabriele Giannantoni (a cura di), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp. 141-171. Brancacci 2017 = Aldo Brancacci, Il Socrate di Guido Calogero, “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, s. 7, vol. 13, pp. 205-226. 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La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. VII (Libro X). e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. VII (Libro X).  a    BS’l RATTO <Ia 1 Bollettino (ti Filologia Classica  Anno XXIV. - Fase. 2-3-1 - Agosto-Setteiiibre-Ottobre 1917      X II 6xi|iòvtov di Soorate — Como già nei tempi antichi, cosi anello  più tardi il 3 r.|iàviov di Socrate lui sempre suscitato il più vivo inte¬  resso ed è rimasto lino ai giorni nostri oggetto di studio. Ma, per  quanto sia stato scritto attorno ad essa e per quanto no sia stata ago-  volata la compronsione por merito di Seliloiormacher e dei suoi suc¬  cessori, non si può dire clic si sia linoni riusciti a trovare una spie¬  gazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una dèlio cause dèlia  tragica fine del grande pensatore.   Le fonti, alle quali dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono,  come si sa', gli scritti di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo  subito di fronte ad una questione molto discussa c cioè; quale dei due  autori sia rispetto alla dottrina socratica il più attendibile. Poiché i  rapporti di Platono o di Senofonte si contraddicono riguardo allo ma¬  nifestazioni del Satpdviov di Socrato in un modo assai pronunciato, è  chiaro che dalla decisione alla quale arriviamo rispetto a questo divario,  deliba infine dipendere la soluzione del problema.   1 > m ,to che nel diciottesimo secolo si fece strada il parere del leib-  niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti di Senofonte sarebbero  per lo studio del socratismo i più veritieri, parere che ha avuto fino  ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in linea generalo anche  Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però, Schleiermacher (2) ed  altri insistettero che por la valutazione della dottrina socratica do  vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone. Di fronte a queste  due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio possiamo chiamare  intermediario. Senza entraro in particolari, si può dire che, sebbene  gli atti attorno a questo divario non siano ancora chiusi, diventa sem¬  pre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo di Platone  una comprensione del socratismo non è possibile (-1). Ma con ciò il no¬  stro quesito non è ancora risolto.   Secondo Platone il Sxigóvwv agisce in modo esclusivamente inibitorio,  esso non è mai incitativo. Secondo Senofonte, però, funziona nei due  modi. Si è, è vero, creduto che la contraddizione tra lo due versioni  fosse soltanto apparente, perchè, se il «aigóviov non inibiva Socrate  nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è detto, ad un'atrcrmaziono nel senso   «C.   (1) G. W. F. Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp s. Il, 2* ed., p. 69, 1812.   (2) F. Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, 1818, p. 50 seg.   (3) E. Zm.i.ER, Die Philosophie hen li, 1, t* '.al., p. 91 seg., p. 131    Mg. 1869.     (4) Cfr. G. Zuocantb, Socrate, pòrte prima, 1909.              35    ISOLI,ETTI NO L>1 FILOLOGIA CLASSICA    di un ordine positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità  venga con una talo interpretazione soltanto celata, ma non eliminata,  perchè in realtà le differenze tra i rapporti doi due autori sono do¬  vute a processi psichici in sè diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad  es. : non andare via ! quosto equivale praticamente al comando positivo:  rosta ! Ma con ciò la cosa non è fluita. So io non distolgo qualcheduno,  che devo guidaro, da una azione, che egli è in procinto di compiere,  do, è vero, con ciò il mio consentimento al suo proposito, ma la sua  azione scaturì da motivi sorti nella sua coscienza e prosegue secondo  leggi psichiche. E so, in un altro caso, lo freno con un semplice: no!  senza però dargli altri ordini positivi, io non permetto che egli ese¬  guisca quello che stava per fare, ma con ciò non gli indico ancora  quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo agiro dipende di nuovo  unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi che sorgono in lui  stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo in senso positivo  ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione, i cui motivi  sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo strumento  del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal lato etico,  la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado in questo  caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono altri  esempi : in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a poco  al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini positivi  dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui deciso,  secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in se¬  guito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sem¬  pre la sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato,  per l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa.   Como si vede, la differenza non si lascia eliminare. Per quanto si  corchi di celarla, essa riappare sempre. Mi sembra quindi più savio  di riconoscerla. Ma ciò facondo ammettiamo anche che una dello due  versioni non può essere esatta e cho si deve decidere, quale delle due  si abbia da riconoscere come vera.   Delle opero cho portano il nome di Senofonte, V Apologia viene oggi  quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo conto.  Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il Con¬  vito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva lette¬  ratura o specialmente in base agli studi dello Schonkl(l), sono arri¬  vato alla conclusione cho per il nostro problema soltanto i passi Meni.  1, 1, 2 segg., Meni. I, 4, 15 segg. o Conv. 8, 5 sono con tutta sicurezza  da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da parte in  questa breve nota i passi : Mem. IV, 3, 12, IV, 8, 1 o IV, 8, 5.   Dalle opero cho vanno sotto il nome di Platone e che trattano del  Saipóviov escludiamo il Teagete, perchè oggi generalmente ritenuto apo¬    lli K. Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K. Akad. d. Wiss . i  zu Wien, 1875, 1876.        BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA    36    orilo. L’autenticità dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo  accettiamo con riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane,  malgrado lo obiezioni di Ueborwog (I). Dogli altri scritti platonici limino  per noi valore VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica.   Senza entrare rpii noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino  cronologico delle opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in  cui fu scritta Y Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in-  i rmazione intorno al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu-  .dcigi — c ciò è per noi importante — fa salirò l’origine di quest o-  pcra ad un’epoca non molto distante dalla condanna o dalla morte del  illusolo, l’orsino autori elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta  a Megara, ammettono con ciò (dio questo importante documento ap¬  partiene al suo primo periodo di attivila, scientifica. Allo stesso risul¬  tato giunse Lutoslawski per mezzo del suo metodo stilometrico. Quan¬  tunque si debba riconoscere l’unilateralità di questo metodo e per  •quanto sarebbe arrischiato di fondarci unicamente su di esso, ci co-  -stringono nondimeno ragioni psicologiche di non negargli ogni valore.   Alla questione esposta si connetto quost’altra, cioè, so nell’Apologià  .di Platone si tratti di una fedele riproduzione di quanto Socrate real¬  mente disse davanti al tribunale di Atene, o se si tratti soltanto di  una riproduzione piu o meno fedele del contenuto dei suoi discorsi.  La prima opinione è quella di Schleiermacher (2), della seconda è  Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià un'opera d'arte, in cui lo spirito  -socratico o quello di Platone si trovano armonicamente fusi insieme.  Ambedue le opinioni hanno avuto i loro fautori. Considerazioni psico¬  logiche mi hanno condotto nelle duo questioni accennato a con' inzioni  che risultano da quanto seguo.   Come si vuol spiegare l'influenza che quest'opera ha sempre eser¬  citata sui più grandi spiriti della razza umana, o come si potrebbo  comprendere la elevazione morale clic ognuno devo provare in sè,  quando vi si abbandona senza pregiudizio, so non si ammette che essa  suscita nel lettore la convinzione di sentire la parola viva di Socrate  stesso ? Quale valore potrebbo avere questo scritto, se si volesse con¬  siderarlo unicamente come una creazione d'arto, come una descrizione  dell’ideale platonico? In questo caso dovremmo bensì inchinarci da¬  vanti all’autore quale artista, ma in fondo avremmo cosi un Socrate  come Platono avrebbo desiderato che egli fosso, ma non come real¬  mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità incorporata da¬  vanti ad Atene decadente, davanti alla stessa Atene che egli aveva  conosciuta nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest uomo  un idealo morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di idealiz¬  zarlo maggiormente doveva necessariamente rimpicciolì rio ?    .y ■  ' ' V    v- V  /   f.'O-    ;!£■   : S    %     (1) P. Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli. Schriflen ,  ,p. 201, 250, 1861.   (2) F. Schle i rum ache R, Plalons Werke, I, 2, 3* ed. p. 128, 1835.   (3) H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons sàmmtl. Werke, li, p. 216, 1851.    — 3 —        37    BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA    Per quali ragioni poi l 'Apologia non fu scritta in forma di dialogo?  Nessuna introduzione, nessuna descrizione dello scenario, nessun nesso  tra i singoli discorsi, nessun accenno a circostanze secondarie inter¬  rompono l'azione in questo meraviglioso documento. Non dovremo con¬  venire che soltanto forti motivi psicologici indussero l’autore ad esporre  cosi lo sviluppo del processo? Non si dimentichi neppure quanto di¬  versamente Socrate parla della morte ne\\'Apologia e nel Fedone, la  qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta molto più tardi. Nell’yfpo/ofna  è in verità Socrate stesso che parla, mentre nel Fedone è Platone che  motto, entro la cornice della realtà storica, la propria convinzione in  bocca al suo amato maestro.   Vi sono poi altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone  ascoltava un maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬  tusiasmo giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un lascino  che faceva dimenticare a lui come ad altri giovani greci la figura di  Sileno clic nascondeva il vero essere del grande innovatore. Ricordiamo  clic Platone era penetrato nello spirito della dottrina socratica come  nessun altro e clic egli solo è stato capace di salvarla interamente  per la filosofia occidentale. Gli orano quindi lamiliari tutti i partico¬  lari esteriori che sono caratteristici por ogni personalità umana o senza  i quali non possiamo neppure rappresentarcela. Conosceva esattamente  il timbro e la cadenza della sua voce, il suo vocabolario, il suo perio¬  dare, i suoi movimenti mimici e pantomimici, in breve tutti i numerosi  fattori clic, secondo la leggo della fusione psichica, cooperano a lar  sorgere in noi l’immagine di una persona a noi nota c che, tutti quanti,  esercitano la loro influenza dormito la riproduzione di un suo discorso.   È inoltro cosa saputa che ogni riproduzione di un discorso riesce  tanto più fedele, quanto piu l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬  giore era l’interesse che l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può  immaginano un’attènzione piu concentrata elio nel caso presente?   Figuriamoci lo stato d’animo del giovano Platone, che pende dalle  labbra del suo maestro e che appercepisce attivamente ogni parola  da lui pronunciata; ridestiamo nella nostra immaginazione l’uragano  di emozioni che lo travolge, le fluttuazioni della sua anima tra la spe¬  ranza ed il timore, tra l'ammirazione della grandezza sovrumana  che si palesa e lo schianto per la certezza della perdita irrimediabile,  e si dovrà convenire elio l’organismo umano forse non sopporterebbe  tali stati d’animo una seconda volta. Sappiamo che emozioni come  queste non passano facilmente, ma (die tornano sempre in nuovo on¬  dato. Sappiamo inoltro che nessun moto d'animo rimane senza espres¬  sione o elio lo singolo persone a questo riguardo si comportano diver¬  samente. Anche l’anima dell’artista lui le sue reazioni ed ogni artista  le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò la sua vita. Ora, anche Pla¬  tone era artista o come tale non potevano rimaner mute lesile emo¬  zioni. Ma egli era anello scienziato, uno scolaro, anzi Io scolaro per  eccellenza, ili quoH'uomo che durante una lunga vita non aveva ccr-      BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA    :i8    rato altro ohe la verità. Oli era impossibile di rinchiudere in se ciò  clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può, prende lo stile por  dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il suo stato non diede  luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri, nondimeno tutto ciò che  aveva visto e sentito, torna a vivere in lui, conio per il poeta vivono  ed agiscalo lo persone croato dalla sua fantasia.   Cosi, io penso, nacque VApologia platonica. Essa non è un rapporto  stonogralico, perché è certo olle anche questa riproduzione doveva su¬  bire quei cambiamenti che, secondo i risultati della trattazione speri¬  mentale. hanno luogo in tutti i processi riproduttivi. Perciò non ogni  parola ebbe il suo posto originario, un pensiero avrà avuto un'espres¬  sione un po' più breve, un altro una l'orma un po' più lunga, eco., ma  quanto al resto il documento è. come per il contenuto, cosi puro pol¬  la forma tanto fedele, quanto, data la mente Idi un Platone, era uma¬  namente possibile. Con ciò ho esposto II mio punto di vista rispetto  allo due questioni sovracconnatc. No risulta che dobbiamo fondarci nella  nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in quest'opera intorno al &ti-  póviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni contenuti negli altri scritti  di Platone non contraddicono in alcun modo i dati precisi dell’Apologià.   Per quanto concerno lo opero di Senofonte che ci interessano, bi¬  sogna ricordare che esse furono scritte parecchi anni dopo la morto  di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai informati intorno al feno¬  meno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare l'innocenza del grande  filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c della condanna, Senofouto  metto, convinto, beninteso, di scrivere la verità, il Saipòvcov di Socrate  in relazione colla fedo popolare nello divinazioni. Ciò non può sorpren¬  dere, quando si pensa all'abuso che il popolo di qucH'epoea, già invaso  dallo scetticismo, fece dei divinatori, c quando si tiene presente elio  Souofontc non ora filosofo, ma uomo politico. Per questa ragione non  dove recar meraviglia, se Senofonte non aveva compreso ciò che era  nuovo ed essenziale nella concezione socratica del fenomeno.   In Meni. I, I, 2 è detto clic la divinità (vi Saipòviov) dava segni a  Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli comunicava tali messaggi  a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva loro predetto ciò che dove¬  vano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro elio quelli elio se¬  guivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli altri elio non  li seguivano, dovevano poi pentirsene.   Meni. 1, 4 contiene il noto colloquio con Aristodemo. In 4, 11 Socrate  domanda ad Aristodemo, clic cosa gli dei dovessero l'aro per convin¬  cerlo elio si curavano anche di lui. A ciò Aristodemo, alludendo al  S-x.aó e.'j'i. risponde, un po' ironicamente, che dovevano mandargli dei  consiglieri per fargli sapere quello elio doveva faro e non fare, corno  Socrate pretendeva che fosse il caso spo.   In Cono. 8, 5 Socrate non aveva affatto parlato del suo Sxtgtìvwv o  non no parla neppure in seguito. Antistuno, però, gli fa il rimprovero,  come se egli se no servisse per trarsi d'impiccio.    5     39    BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA    È evidente che, se non avessimo lo rispettivo, opere platoniche, il  ixigiviov di Socrate sarebbe rimasto per sompro un fenomeno inespli¬  cabile. D'altra parte però le comunicazioni di Senofonte sono di grande  valore, in (pianto che fanno vedere il modo in cui in Atene si giudi¬  cava questo fonomono, ivi assai conosciuto.   Dall' Apologia ili Piatone apprendiamo che Socrate disse nel suo primo  discorso (Apoi. 31 c-d), che egli non si era occupato di altari politici,  perchè succedeva qualche cosa di divino o di demonico (Dstov r. -/.od  Sxqidvtov) in lui, che dai tompi della sua fanciullezza (è-/. r.x'.Sif) vi era  stata in lui una corta voce (qxov^ vi?) la quale, ogni volta che gli so¬  pravveniva, l’aveva trattenuto da qualche cosa, ma che non l’aveva  mai spinto a qualsiasi azione. Nel terzo discorso (40 a-c) Socrate spiega,  come la solita divinazione (r, siioSHtà poi prmxi)) l’avesse nel passato  sovento fermato, trattandosi anche di coso molto piccole (jiàvu érti opi-  xpotg), ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO a^pstov) non gli era soprav¬  venuto durante tutto il giorno c neppure durante tutto il suo parlare,  mentre durante altri discorsi l'aveva spesso frenato. Dice ancoraché  la morte non poteva essere un male per lui, perché nel caso contrario  il solito segno (vò e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe cortamente trattenuto nel  parlare. Alla fine di questo discoi-so (41 <1) ripeto che il morire doveva  ora essere per lui la miglior cosa, perché altrimenti il segno (vo oij-  pstov) l'avrebbe avvertito.   Gli altri scritti di, Platone, dei quali dobbiamo tener conto, non pos¬  sono naturalmente iù avere il valore storico, elio abbiamo attribuito  all’Apologià, ma siccome i rispettivi passi, corno fu già detto, non sono  menomamente in contraddizione con quolli dell' Apologia, essi hanno  certamente un fondamento storico. In ogni modo illustrano, come Pla¬  tone vuole che il Sxwdvwv di Socrate venga inteso.   Nell'Atò/drtde I (103 a) l’autore si servo del fenomeno per iniziare  il dialogo. Socrate dice ad Alcibiade di non meravigliarsi, se da tanti  anni non gli avesse più parlato, perchè un ostacolo di natura non  umana, ma demonica (oùx ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx) gliene  aveva impedito.   ììo\VEulifrone (3 b) questo domanda a Socrate, su che cosa Meleto  abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico che Meleto gli rimprovera  di introdurre nuovi dei c di non credere negli antichi. E Eutifrono  gli risponde di aver capito ora, che è perchè Socrate parla sempre  del suo Sxtpóviov.   Noi Teetelo (150 c-151 a) Socrate parla della sua maieutica e dico che  molti discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non comprendendo la  sua arto, lo tenevano in poco conto. Egli aggiunge che, se tali giovi¬  netti tornavano da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov) gli impe¬  diva di accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che  questi facevano di nuovo progressi.   Nell 'Entidemo (272 o), un dialogo, in cui Platone fa vedere tutto  il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica, Critono prega Socrate di         BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA    40    parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico clic il giorno innanzi  ora stato seduto noi liceo od in procinto di andarsene, quando gli ora  sopravvenuto il solito sogno demonico (tò siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}.  Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei duo, cioè Kutidemo e Dioniso-  doro orano entrati.   Noi Fedro (241 a-d) Platone ha già oltrepassato di molto il socialismo  puro e semplice, come risulta dalla spiegazione elio dà dell’anima o  dello ideo. Dopo una meravigliosa descrizione del paesaggio vediamo  corno Socrato o Fodro si coricano sulla sponda dell’Ilisso nell'omhra  di un albero. Socrato ticno il discorso sul bel ragazzo che aveva avuto  molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse su questo tema, ma So¬  crate gli risponde che, in procinto di attravorsare il fiume, gli era so¬  pravvenuto il solito segno demonico (tò ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl,  gli era parso di sentire una corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v  àzoùoai), elio lo impediva di andare via prima di essersi purificato da  un peccato commesso contro la divinità. Dice ancora che egli deve essere  veramente un divinatore, ma soltanto per ciò elio riguarda lui stesso,  e continuando rileva dm la sua divinazione rassomiglia all'arte di  quelli che leggono c scrivono male, perché anche questi possono ser¬  virsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò egli passa man mano  agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. — Platone si serve in que¬  st'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in cui so n'è  servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il fenomeno per  rendere possibili i discorsi che seguono.   Nella Repubblica (VI, 496 c) Socrato dice elio il segno demonico (tò  ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o quasi  a nessuno.   So analizziamo più da vicino il problema, vediamo che esso rac¬  chiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno dopo l'altro.  S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia potuto  -chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si connette  l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente inteso per  questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la psicologia  empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito e, fino  ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia dei  popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia indi¬  viduale.   I. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista della psi¬  cologia dei popoli. — 11 concetto del demone è sorto da primitive ve¬  dute attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto  il quale, sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte  trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,  questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-  talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere imper¬  sonale, mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il  panteismo. Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappre-       53 BOLLETTINO L)1 FILOLOGIA CLASSICA    sontazione ilei demono non si perdo dopo la formazione degli dei pa¬  gani o elio corto qualità ili questi ultimi vengono attribuite anche ai  demoni. Per ciò accado olio lu coscienza popolare non distinguo sempre  nettamente tra dei e demoni. Nella Grecia il concetto del demone, sotto  l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modifica¬  zione, in quanto i demoni vengono considerati come esseri elio stanno  tra gli dei o gli uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione  deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone (802 dj, come pure il primo  discorso di Socrate nel .['Apologià platonica (27 c).   Dal punto di vista della psicologia dei popoli si può diro elio col  «aipóviov di Socrate il concetto del demono torni nell'anima umana,  nella quale, per motivi psicologici e per processi di oggettivazione, è  nato, vi ritorna filosoficamente trasformato ed eticamente purificato (1).  E caratteristico per tutto questo sviluppo elio Socrate nel Convito di  Senofonte chiama l'anima umana un santuario dell’Eros (Vili, 1). ,   2. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? — Prendo le mosse da un  punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente dal  punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli nella  sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello Stato,  o so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto an¬  nuisco a questNiltima interpretazione, l’accusato corea di far vedere  l'assurdità dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qual¬  che cosa di demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili  demoni. E quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni  sono figli di doi, la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può ere-  dorè all’esistenza di tigli dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò  anche a quella degli dei stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano  colpevole, erano in piccola maggioranza.   Se prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate dice ancora  ilei suo 2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità, abbiamo in mano la  chiave per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui ancora notare  che intendo il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone, secondo l'os-  sorvaziono dello Schlcierinacher (2), nel senso di un aggettivo. Dico  questo per respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno spe¬  ciale spirito custode.   Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in conformità alla fedo popo¬  lare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o uomini e ven-  .,gono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il demonico  in lui è generato dalla divinità. Per questo lo chiama anche tó 3-iCov,  il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo qual¬  cosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli credeva  puro impostogli dalla divinità (Teeteto 150, o). Come a baso di tutte   (1) Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li, 2, p, 3iìS. 19 ni; Clemente der  VSt/cerpsi/chol., p. 313. 1912.   (21 Op. cd., p. 309. — Cfr. puro B. E. Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo,  XXVIII, ri, p. 185. 1911.    — 8 —        BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA    54    lo azioni di Socrate sta il bisogno etico della cortezza(1), cosi egli è  assolutamente certo che in casi, in cui la propria ragione lo lascia in  asso, una volontà divina lo trattiene in ogni circostanza, piccola o  grande, dolla vita, quando è in pericolo di non agire giustamente, cioè  di non compiere la sua missione. In questa cortezza, che forma una  parte della sua fedo religiosa, sta la giustificazione otica dolla ironia,  colla quale egli lancia l'accusa indietro sull’avversario. Ma oltre ad  essere qualche cosa di divino, il demonico in Socrate è poi anche qualche  cosa di umano, perché si produce nell’anima umana o diventa sua pro¬  prietà, cioè un oracolo interiore. Per ciò il demonico stava veramente,  come il demone della mitologia, in mezzo tra il divino e l'umano. Si  aggiunga elio Socrate ora in fondo persuaso che prima di lui questo  dono non era stato posseduto da nessun altro mortale. Ecco ciò che  vi ha di nuovo nella concezione socratica della divinazione, di fronte  a quella della fede popolare. Como dalla Repubblica di Piatone, questo  fatto risulta anche dalle superbe parole, colle quali Socrate si esprime  sul suo valore davanti ai suoi giudici (Apoi. 31 a-38c). Tali parole  può pronunciare un ammalato di mente, che si deve compatire, ma  quando escono dalla bocca di un Socrate, sono l'espressione di una pro¬  fonda convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque miri a tini  etici. Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca di scol¬  parsi in quanto al non credere negli dei dello Stato, ma solo in quanto  al sospetto di avere delle convinzioni ateistiche (Apoi. 35d).   Por quanto concorno la teologia socratica, elio al pari della sua  etica doveva rimanere ili carattere pratico, anziché sistematico (2),  è importante ricordare che Socrate trovò nella sua naz.iono il poli¬  teismo ellenico, corno Cristo trovò nella sua il monoteismo giudaico.  Socrate era, come ogni essere umauo, un tiglio del suo tempo. Educato  in (inolia religione ogli si riteneva, come Cristo, esteriormente legato  allo prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva sul serio la mas¬  sima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava l'altra di ubbidire alle  leggi. L’ultima parola del filosofo morente era la raccomandazione di  non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio (Fedone. 118), e poco  prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il calice fatale, se  ora permesso di farne una libazione. In questo modo Socrate non rag¬  giunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si avvicina ad essa,  perchè sulla*larga base della religione popolare si eleva, quale sintesi  della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al quale si deve ubbi¬  dire più che non agli uomini (Apoi. 29 d) c di cui egli si credeva un  apostolo (Apoi. 31 a). Socrate è tolcrautc verso la fede della moltitu¬  dine, ma il suo Dio è l’intelletto che governa l’universo e per il quale  non trova neppure un nome, un Dio onnisciente ed onnipresente, che    (1) A. Labriola, Socrate. Nuova edizione a cura di B. Croce, p. 5, 35, 76,  80 seg., 86 seg., 88 sei;., 150 si>g., 176, 274 seg. 1909.   (2) Cfr. A. Labriola, op. cit., p. 151, 155, 179 segg., 250 segg., 271 segg.       55      BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA    si cura ilei Leno di tutti gli nomini (Sonof., Meni. I, 4). Tutte le sue  pratiche religioso sono in fondo rivolto n quest'unico Dio senza nomo,  clic si rivela agli uomini in molti modi. Con una espressione di ledo  in questo Dio onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia platonica(l). Tenendosi  presente questo concetto della divinità, si comprendo la sua incrolla¬  bile fede nel S»tpóvtov come in una rivelazione della medesima.   Il l'atto che il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in Senofonte  accanto al sì neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio Sorrato  accanto all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio altro forme  divino. Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo simile come,  per es., nella Genesi il plurale Eloliim sta por il singolare della di¬  vinità. Non è qui il luogo ili entrare in altri particolari. Ricordo sol¬  tanto elio troviamo precedenti in Senofane e che audio Anassagora  aveva già riconosciuto un unico principio immateriale che tutto or¬  dina secondo lini. Cho Socrate abbia conosciuta l'opera di Anassagora,  apprendiamo direttamente da Platone (Fedone. U7).   Non ho bisogno di rilevare che, con quanto fu esposto, sono sen¬  z’altro respinte le opinioni di Lèi ut o di altri, cho considerano Socrate  come un ammalato di mente, come pure il parere di Dii l’rel, che  mette il Sxqidvtov di Socrate in relazione collo proprio teorie mistiche (2).   3. // 8r.pó/tov di Sacrale dal punto di vista detta psicologia empirica  moderna. — So teniamo conto di tutti i fatti che Platone ci presenta,  è evidente che nel «atpivtov di Socrate si tratti ili un processo che ap¬  partiene al campo delle inibizioni psichiche. Naturalmente non può  trattarsi qui di una inibizione nel senso della dottrina intcllcttuuli-  tstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso è inibitorio, non appartiene  all'atto al contenuto oggettivabile della coscienza umana, ma si trova  piuttosto dalla parte puramente soggettiva di essa, cioè da quella dei  sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo cercare di risolvere il  problema. L’inibizione procede da un sentimento totale, che si forma  in base ad un numero più o meno grande di intensivi sentimenti par¬  ziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono al limito della  coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo è inteso,  che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo ripetutamento  affermato, di processi allucinatoci (3). Nel fatto che l’inibizione parte  da un sentimento, al quale non corrisponde un contenuto oggettivo,  sta la ragione, perchè Socrato non può fare alcuna indicazione precisa    (l) Cfr. pure (I. /Cuccanti:, op. cit., pirte IV, c«p. XIII.  tX) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de Si,croie ni. 1 4556. — C. Du Prel, Ine Ma¬  stiti d. alt. (ìrieclien, p. 121 seg. 1.333. E caratteristico che Du Prel l'accia uso  ilei Teapele , benché riconosca che questo non sia un'opera di Platone.   d) Cile Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a xùxcàsv ày.ofkJx: „  non vuol alludere ad una allucinazione, dimostra con molta chiarezza anche lo  Cuccante (op. cit., p. 372). Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di Socrate avesse  tale origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi racconti platonici, ciò che  non è assolutamente il caso.    - 10 —           BOLLETTINO DI FILOLOGIA CLASSICA 56    intorno al fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬  mente il demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla,  ad es., di una voce, come oggi si usa il termine “ voce della coscienza,,.  Questo sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene poi atti¬  vamente appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere di  un motivo imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo co¬  stringe ad abbandonare un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione  viene da Socrate creduta un segno divino, si comprendo elio in lui  non possono mai nascere dei dubbi, come accadrebbe con altro persone.  Non vi è mai in un tal caso una lotta tra motivi in lui, mai alcun  conflitto tra doveri. Appena egli s'accorge dell’inibizione, è assoluta¬  mente sicuro di aver avuto trasmesso un divino “No,.. Cosi la rifles¬  sione o la fedo nel suo Sztjióv»/diventano i principi fondamentali, che  lo guidano nella sua intera attività filosòfica ed etica.   In ultima analisi si tratta qui di un fatto psichico clic si verifica in  ogni coscienza normale più o meno frequentemente, benché molte per¬  sone non lo osservino o non si lascino da esso frenare. Di James Stuart  Mill ci viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se stesso molto  intensamente (1). A me molte persone hanno dotto di aver notato in  sè tali inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che egli  aveva osservato il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua fanciul¬  lezza, non è escluso che vi sia stata in lui por lo sviluppo di esso una  certa disposizione. Ma d'altra parto si devo ricordare (dio egli per tempo  si abituò a fare molto sul serio l'esame di se stesso o cho il fenomeno  era una parte integrale della sua fede religiosa. Dal momento cho egli  era corto cho il sentimento inibitorio era una rivelazione divina, questa  convinzione doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo continuo  autoesame in connessione collo sviluppo (lolla sua convinzione teolo¬  gica, si comprendo, come dovesse entrare in giuoco un principio che  governa ogni vita psichica, cioè quello dell’esercizio. L’ininterrotto  esercizio doveva renderlo capaco di riconoscere l'inibizione di ogni  grado appena sorta e di afferrarla coll'attenzione. Si aggiunga (die la  coscienziosità colla quale cercò continuamente di compiere la sua mis¬  sione, e colla quale mirava sempre ai medesimi lini, doveva renderlo  straordinariamente sensibile o facilitare la formazione di tali senti¬  menti. Cosi si spiega il frequente ripetersi del fenomeno in tutto lo  sue azioni. Io credo clic, con quanto fu esposto, siano trovati i punti  principali «he debbono guidarci nella spiegazione psicologica del Sacgóviov  di Socrate. Tornerò sull’argomento in un lavoro più esteso, ed in questo  sarà tenuto conto delle opinioni di altri autori più di quanto mi è  stato possibile di fare in questa breve comunicazione.    (1) G. Zuccante, op. cit., p. 378. JL ~jt    e 3    Federico Kiesow.    — 11 —                     ni            a   •n      ..t          i i ;. i •   ... »w> -ff.   '• * fl   ,<iì, i i          jT   JWi * 1 •- j- <|     *   . .ff' • . Mi l> . •         ‘                 " !   ' ' >   • 1 *' • v ‘ r • •» •• »   < OktJ     '( i tr'l ’ ! v>   fu . . ih /. J ’t. 1 1 ,    > t . ... ! i  T        Digitized by the Internet Archive  in 2016    https://archive.org/details/b24876057                  5    SOCRATE   ET    VoAmour Grec     ♦    SOCRATE   ET   IPAmour Grec   ( Socrates sanctus naiSepaatrjs )   D1SSERT ATlON DE   Jean-Matthias GESNER   Traduite en Francais pour la premiere fois  Texte Latin en regard   Par Alcide BONNEAU     PARIS   Isidore LISEUX , Editeur  Rue Bonaparte, n° 2  I 877    ^ Qt-FA-TE: f   <rv / /hio nT .•    T'pn iA /^ / ( / a_)      AVANT-PROPOS    jegg^arean-Matthias Gesner, 1’auteurde  «JgE cette curieuse dissertation, est  I S&fe l un erudit Allemand du xvm e sie-  cle, dont les travaux ne sont pas tres-  connus en France. On lui doit d’excel-  lentes etudes sur les Scriptores rei rus-  ticce , une Chrestomathie de Ciceron,  une Chrestomathie Grecque , des Lexi-  ques, une traduction Latine des ceu-  vres de Lucien, des editions de Pline  le jeune, de Claudien, de Quintilien,  de Rutilius Lupus et autres anciens    a    VI    AVANT-PROPOS    rheteurs, toutcs enrichies de notes sa-  vantes et de longs prolegomenes; plus,  un nombre formidable de dissertations  sur toutes sortes de sujets, Opuscula di-  versi argumenti (Breslau, 1743-45, 8 vol,  in-8°), parmi lesquelles son Socrates  sanctus pce der asta tire forcement l’oeil  par la bizarrerie de son titre.   Cette bizarrerie a valu au livre sa no-  toriete, et en meme temps lui a fait grand  tort. Beaucoup de gens, entre autres  Voltaire, malheureusement pour 1 ’erudit  Tudesque, n’ont pas ete au dela, et iis  ont construit sur cette minee donnee un  ouvrage tout entier de leur fantaisie, a  1 ’extreme desavantage du pauvre Gesner.  D’autres ont cru Voltaire sur parole et  sont arrives au meme resultat.   C’est Larcher, THelleniste, qui le pre-  mier chez nous mit en lumiere cet opus-  cule, dans son Supplemenl & THistoire  universelle de labbe Bapn (1767, in-8°),  en le citant parmi les ouvragcs a con-    AVANT-PROPOS    VII    sulter sur le proces de Socrate ; il se  contenta d’en faire mention, sans meme  traduire ni expliquer le titre, ne s’ima-  ginant pas qu’on put s’y meprendre, et  qu’un homme tel que Gesner fut suppose  capable d’une indecente apologie. Vol-  taire, dont le vif et alerte esprit se plai-  sait a effleurer les surfaces, sans presque  jamais approfondir, ne connaissait sans  doute pas Gesner et certainement n’avait  pas lu son Socrates. Le Supplement a  VHistoire nniverselle n’etait d 7 ailleurs  qu une refutation tres-savante, quoique  un peu lourde, de son Introduction a  1'Essai sur les maeurs , publiee d^abord a  part et sous le pseudonyme de 1’abbe  Bazin; quelques critiques justes qu’on y  rencontre le mirent de mauvaise humeur ,  et, battu sur divers points d’erudition, il  chercha une occasion de dauber Larcher,  a cote du sujet, selon son habitude. Il  crut la trouver dans le livre etrange qu’il  supposa, d’aprcs le titre cite qu’il inter-    VIII    AVANT-PROPOS    pretait mal, s’indigna de ce qu’on osait  donner comme faisantautoritedesimons-  trueuses elucubrations (le monstrueux  n’etait que dans ce qu’il imaginait), et  tantot sous le pseudonyme d’Orbilius,  tantot sous celui de M Ilc Bazin ( Defense  de mon oncle, un de ses pamphlets), il ne  cessa de poursuivre la-dessus de ses bro-  cards son inoflensif adversaire. Tres-  content d’avoir leve ce lievre, il a meme  reproduit son assertion plus que hasardee  dans le plus populaire de ses ouvrages ;  on la trouve en note de 1’article Amour  socratique , du Dictionnaire philosophi-  que. « Un ecrivain moderne, nomme  Larcher, repetiteur de college, dans un  libelle rempli d’erreurs en tout genre et  de la critique la plus grossiere, ose citer  je ne sais quel bouquin dans lequel on  appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So-  crate saint b ! Il n’a pas ete suivi   dans ces horrcurs par 1’abbe Foucher. »  Larcher avait trop beau jeu pour ne    AVANT-PROPOS    IX    pas repliquer. II le fit dans sa Repons e .  la Defense de mon oncle (1767, in-8°),  opuscule rare, reimprime a la suite du  Supplement a 1’Histoire universelle :  « Vous m’attribuez , dit-il a Voltaire,  votre infame et infidele traduction du  titre d’une dissertation de feu M. Gesnera  Je n’ai point traduit le titre de cette dis-  sertation ; il ne pouvait se prendre que  dans un sens tres-honnete, mais il etait  reserve a M lle Bazin et a Orbilius de lui  en donner un infame. Cela ne vous suf-  fisait-il pas? Fallait-il encore me 1 ’im-  puter? »   Pour qui avait suivi toutes les phases  de la discussion, Larcher et Gesner etaient  innocentes; Voltaire restait convaincu  d’avoir note dfinfamie un livre sans le  connaitre. Mais ces temps sont loin ; per-  sonne aujourd’hui ne lit Larcher pour  son plaisir, et le Dictionnaire philoso-  phique est dans toutes les mains. Voila  pourquoi on croit generalement que Ges~    X    AVANT-PROPOS    ner a developpe le plus scabreux des pa-  radoxes et fait une apologie en regie d’un  vice honteux. Nous pourrions citer au  moins un de ceux qui, se fiant a Voltaire,  ont propage 1’erreur mise par lui en cir-  culation, et affirme que cette dissertation  n’est qu’un tissu d’invectives ; mais nous  ne voulons faire de la peine a personne.   Gesner, ecrivain des plus doctes et plus  estime encore pour son caractere que  pour son savoir, professeur de Belles-  Lettres a TUniversite de Goettingue, puis  bibliothecaire de cette universite, ne pou-  vait ecrire qu’une defense de Socrate,  une refutation des calomnies dont on a  obscurci sa memoire, et que la langue a  attachees a son nora d’une maniere en  quelque sorte indelebile par les mots de  socratisme et d 'amour socratique. Inquiet  et tourmente, comme il 1’assure, de voir  peser sur le pere de la Philosophie de si  indignes soup9ons, il a voulu remonter  aux sources, compulser tout le dossier    AVANT-PROPOS    XI    et reviser le proces sur les pieces memes.  II l'a fait d’une facon non moins inge-  nieuse que savante dans cette disserta-  tion lue a 1 ’Academie de Goettingue en  fevrier 1752, recueillie dans les Memoires  de cette academie (t. II, p. 1), dans les  Opuscula diversi argumenti de 1 ’auteur  et tiree a part en 1769 (Utrecht, in-8°).  C’est cette derniere edition que nous  avons suivie pour la reimprimer et la tra-  duire, ce qui n’avait jamais ete fait en  Francais, ni probablement dans aucune  autre langue. Gesner a-t-il reussi a dis-  culper entierement Socrate? Nous l’es-  perons; mais nous etions de son avis  avant d 7 avoir lu son livre, et, ccmme per-  sonne ne 1’ignore, c’est surtout chez ceux  qui pensent comme lui qu’un auteur, si  bon dialecticien qu’il soit, porte la con-  viction. Les esprits mal faits qui incli-  nent a 1’opinion contraire, et ceux-la  seront toujours difficiles a persuader,  persisteront peut-etre a trouver singulier    XII    AVANT-PROPOS    que Platon, interprete de Socrate, ait si  souvent parle de 1’amour; qu’il ait con-  sacre trois de ses plus beaux dialogues,  le Lysis , le Phedre et le Banquet , a cette  brulante passion; qu’il l’ait tant de fois  soumise aux analyses les plus delicates,  expliquee par les conceptions les plus  sublimes, les mythes les plus poetiques,  et que jamais, sauf un moment, dans  l’admirable episode de Diotime du Ban-  quet , il ne soit question de la femme.   Alcide Bonneau.      UEDITEUR AU LECTEUR   [TIRE DE l’eDITION D’UTRECHT, 1 768]    es hommes illustres, ceux qui sont  regardes comme tels non-seulement  par la posterite, mais par leurs  contemporains, ceux surtout dont le  plus grand eclat consiste precisement dans  leur vertu, sont souvent accuses, sur les plus  legers indices, de quelques travers, sinon  de defauts plus graves; et c’est la un travers     EDITOR L. S.    iros illustres, et non a posteris solis sed  coaevis tales habitos , eos maxime quorum  praecipua laus virtutis est , vitii alicujus  nedum criminis gravioris suspicari levibus ar-  gumentis, vitium id quidem non leve : reos agere  et condemnare crimen et piaculum ; in Christiano  homine, in homine , in barbaro.   Quanta istorum ignominia, tanta est gloria  piorum virornm qui versantur in probrosis his      XIV    l’editeur   qui Iui-meme ne manque pas de gravite. Se  faire a la fois 1’accusateur et le juge, c’est  une chose criminelle, un sacrilege, qu’il  s’agisse d’un Chretien, ou seulement d’un  homme, meme d’un paien.   L’ignominie de ceux-la rehausse d’autant  la gloire des hommes pieux qui s’appli-  quent a repousser ces odieuses attaques.  On peut le dire de Gesner, ce savant illus-  tre, du petit nombre de ceux qui depas-  sant par la science tous leurs contempo-  rains, font encore plus estimer en eux les  qualites du coeur que celles de 1’esprit ;  c’est un honneur pour lui d’avoir pris en  main la cause de Socrate, et un plus grand  peut-etre pour Socrate d’avoir dte le Client  de Gesner.   II nous a paru bon de recueillir dans  une edition nouvelle cet ouvrage de faible    conatibus coercendis. Gesnero, illustri nomini , e  numero paucorum illorum qui cum eruditione  coaevos possint excellere, animi dotibus quam  ingenii celebrari malunt, incertum an honori sit  caussam Socratis egisse, magis quam Socrati  Gesnerum habuisse patronum.   Visum fuit , memoriam brevis operae sed auro  contra noti carae nova editione colere. Docuit  vir praeclarus , scripto quidem, quam inani co-  natu virtus summi hominis sollicitata fuerit ab  obscuris obtrectatoribus , qui non solent deesse  virtuti. Docuit autem exemplo, pertinere ad    AU LECTEUR    XV    dimension, mais qui ne serait pas trop  cher paye au poids de For. Son excellent  auteur nous y montre, la plume a la main,  1’inanite des efforts diriges contre un sage  par ces obscurs detracteurs qui ne man-  quent jamais a lavertu; il nous fait voir  aussi, par son exemple, qu’il appartient a  tout honnete homme de defendre la cause  des gens de bien. II nous enseigne surtout  avec quel soin et avec quelle erudition il  est besoin d’ecrire dans de telles matieres,  ou l’on ne doit rien avancer qu’apres un  examen scrupuleux.   Profite donc, lecteur, de ce travail, plus  utile qu’il ne le semblerait au premier  abord; et si, par ignorance ou par trop  forte credulite, tu as rejetd loin de toi les  ecrits Socratiques, reprends-les maintenant  et garde-les avec amour. Il nous sera per-    bonos omnes bonorum virorum caussam : tum et  illud, in primis, ubi ejus modi res agitur, accu-  rate et docte scribendum esse, nec arripi quid-  piam absque subtili examine, et benevolo illo ,  debere.   Fruere, Lector , labore utiliori quam decet : et  si imprudentius forte abjeceris Socraticas char-  tas nimium credulus, abi continuo et in sinu  eas reconde. Integrum erit culpare qui Socratem  citant, tibi convenisset laudari Davidem et Sa-  lomonem : sed patiamur , bonum et pauperem  Socratem . , placide subridentem , sereno vultu ,    xvi l’editeur au lecteur   mis a notre tour de mettre en accusation  ceux qui font un crime a Socrate de ce  qu'ils trouveraient admirable s’il s’agissait  de David et de Salomon ; mais laissons le  bon et pauvre Philosophe s’interposer dou-  cement avec son placide sourire, son tran-  quille visage, et s’ecrier : Moi aussi, Vertu,  je t’ai honoree, Deesse !   Quant a ceux qui blameront cette apolo-  gie, non comme excessive, grands dieux,  car que pourrait-on dire de trop sur So-  crate ? mais comme inconvenante et depla-  cee, qirils prennent garde de tomber dans  Todieux de cette populace Portugaise tou-  jours prete, sinon a lapider ou a bruler,  du moins a exorciser a force de signes de  croix traces d’un doigt tremblant, le teme-  raire qui oserait croire que la Bienheu-  reuse Vierge Marie etait une Juive.    leniter interponere, Et ego te, Virtus ! colui  Deam,   Quibus fastidium movent elogia, justa Di boni!  quid enim de Socrate dici nimium potest? sed  quce magis opportune forsatn collocari potuis-  sent, videant ne in odium id evadat, quale est  plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut la-  pides, saltim tremente digito averruncas cruces  describentis, si quis auserit credere, B. Virginem  Judaeam fuisse.      SOCRATE   ET    UaAmour Grec     IO. MATTHI. GESNERI V. C.   Socrates   SANCTUS T/E D E T{A STA    t nihil tam alte vel natura , vel  virtus , vel fortuna constituit, in  quo non vel deprehendatur ali-  quid labis et vitii , vel vires suas experia-  tur maledica invidia , cujus vocibus boni  etiam viri abripi se ad suspicandum certe  non nunquam patiuntur : ita mirum non  est , neque excelsam Socratis gloriam      Socrate   ET   L’qAMOU% g%ec    1 n’est rien de place si haut par la  nature, la vertu ou la fortune,  qui n’ait ses taches ou ses inv  perfections, ou que 1’envie ne s’efforce  d’atteindre, cette medisante envie dont  les clameurs poussent 1’homme de bien  lui-meme a soupconner le mal : c’est  pourquoi nous nc devons point nous     4 SOCRATE   obtrectatoribus suis carnis se. Ac de  Anyti Melitique criminibus, quibus op-  pressus est vir innocens , et, si forte vani-  tatis aut nugarum et cavillationum pos-  tulatus, et Scurrae nomine traductus est (i),  in prcesenti non erimus soliciti. Unum  crimen est, quod, varie jactatum, et plus  semel non sine specie in scenam reduc-  tum scepe me solicitum habuit, Fuerit ne  impuro ac detestabili puerorum amori  deditus? Hoc enim si verum sit, actum  est profecto de virtute viri, indignus est  cujus cum honore nomen usurpetur.    2. Postulatum esse hujus turpitudinis,  negari non potest. Mittimus , quae de  adolescentia viri ad libidinem proclivi    (i) Factum id esse a Zenone Epicureo, prodidit  Cic. de Nat. Deor. i, C. 34, ubi vid. Davis.    ET L’AMOUR GREC    5    etonner que lagloire si haute de Socrate  ait eu, elle aussi, ses detracteurs. Tou-  tefois nous ne voulons ni parier ici des  accusations d’Anytus et de Melitus sous  lesquelles succomba son innocence, ni  nous inquieter de savoir si ce grand  homine a ete incrimine de vanite, de  mensonge et de sophisme, affuble du  surnom de Bouffon[i). Une seule accu-  sation m’a souvent tourmente ; c’est  celle qui, sans cesse discutee, a toujours  ete remise en avant, non sans apparence  de justesse: Socrate etait-il adonne d  l’impur et detestable amour des jeanes  gargons ? Si cela est vrai, c’en est fait des-  ormais de la vertu de cet homme ; c’est  un indigne, lui dont on ne prononce le  nom qu’avec respect.   2. Qu’il ait ete accuse de cette turpi-  tude, le fait est certain. Negligeons ce  que Porphyre, d’apres Theodoret [De la    (i) Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire de Ci-  c6ron {De Natura Deorum , i) ; consuit, la-dessus  J. Davies.    i .    6    SOCRATE    Porphyrius apud Theodoretum [Graecar,  affect. cur. ser. 4 pr.) memorat : nam  ibidem additur , illum c-ojo^ xat oioayrj  xouxou? a^aviaat xou; xurcous, impressas ve-  luti notas libidinum studio ac doctrina  abolevisse (1). Neque valde huc faciunt ,  quce ex eodem Porphyrio , qui Aristo-  xeno auctore usus sit, idem Theodore-  tus (Serm. 12 p. iy5, 8) memorat, par-  tim quod ad adolescendam primam viri,  de qua nobis sermo non est, pertinent ,  partim quod Archelaus Anaxagorae dis-  cipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius  fuit. Ejusdem generis est, quod Cyrillus  (contra Julia. 6, p. 186, D) ex eodem  Porphyrio (in Historia Philosopha , libro  olim deperdito) refert , Socratem -po; xr ( v  twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv sivac,  aoizov os p.rj -poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat?  •/.oivat; y prjaQat fj-ovat?. Fuisse ad res venereas  aliquantum vehementem, sed injuriam  abfuisse, qui vel uxoribus solis, vel    (1) Conf. quae in fra de mali equi Socratici notis  dicentur. § 18.    et l’amour grec 7   cure des prejuges des Grecs , Disc. iv),  raconte de sa jeunesse, laquelle aurait  ete encline au libertinage ; 1’auteur  ajoute, en effet, au meme endroit qu’il  parvint a effacer en lui, par Venergie de  sa volonte \ jusqu’aux traces meme des  passions (i). Ne nous occupons pas non  plus de ce que le meme Theodoret  (Discours xn) emprunte encore a Por-  phyre, qui lui-meme suivait Aristoxene,  c’est-a-dire de ce qui se rapporte a la  premiere jeunesse de Socrate (elle n’est  pas en cause), et a ce disciple d’Anaxa-  goras, Archelaus, qui aurait ete, en tout  bien tout honneur, un ami fervent  (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme cate-  gorie appartient ce que S. Cyrille  [Contre Jidien, 6) a extrait de YHistoire  philosophi que de Porphyre, livre aujour-  d’hui perdu : a savoir que Socrate et ait  violemment pousse aux choscs de ia-  mour, mais qiiil s’abstint de faire tort a   (i) Voyez ce que l’on dit plus bas des marques  du « mauvais cheval Socratique. »    8    SOCRATE    (quam diu caelebs esset) communibus  uteretur. Nondum quidquam ex Por-  phyrio vel Aristoxeno, quem ille aucto-  rem sequitur, allatum est de horribili  scelere, Pcederastia : quod praetermissu-  rus non erat, qui satis hic in Philosophice  parentem iniquus est, Cyrillus. Decla-  mat igitur praeter rem Socrates alter  (Hist. Eccles. 3, 23, p. i gj, D), cum ita de  Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou xopu^aio-  xaxoa xoiv <piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov oietu-  psv £v ifi YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai  xoiauxa Tuept auxou ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs  MeTaxo;, p.r[x£ v Avuxo; oi jpa^aixsvoi Swxpaxrjv  ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait, a  Porphyrio Socratem, talia de viro scripta,  quae neque accusatores ipsius Anytus et  Melitus dicere in ipsum ausi sint. Acci-  pimus, quod negat objectam in judicio  turpitudinem talem Socrati, quo nempe  argumento constet, famam viri hac tum  macula caruisse. Sed nec a Porphyrio  plura aut turpiora his memorata, quae  jam vidimus, satis illud argumento est ,  quod iniqui Socratis glorice homines,    9    ET L’AMOUR GREC   personne, en riusant jamais que de ses  propres femmes ou , durant son celibat,  des femmes qui apparticnnent a tout le  monde. Nulle part, soit chez Porphyre,  soit chez Aristoxene que Porphyre co-  piait, il n'est rien allegue de cet horrible  crime : Pederastie ! II ne Paurait point  passe sous silence, ce Cyrille si injuste  envers lepore de la Philosophie. IPautre  Socrate ( Histoire ecclesiastique, m, 23 )  avance donc une insigne faussete lors-  qu’il dit : « Porphyre a compose la vie  de Socrate, le coryphee des philosophes,  d’apres les histoires ecrites sur lui ; et il  nous a transmis, d Vaide de ces docu-  ments, des choses si monstrueuses que les  accusateurs de Socrate, Anytus et Meli -  tus, n’ont pas meme ose' les lui reprocher. »  Retenons seulement de ceci Taveu qu’on  n’en fit pas un grief a Socrate, lors du  jugement public, ce qui ressort de la  phrase elle-meme, et que cette tache fut  alors epargneeT a sa renommee. Mais  Porphyre n’a pas rapporte autre chose  ou des choses plus monstrueuses que ce    IO    SOCRATE    Cyrillus ac Theodoretus, non plura pro-  tulere, quibus fuerant haud dubie cau-  sam suam , si res facultatem dedisset,  ornaturi.    3. Nempe nec Aristophanes , qui cor-  ruptce ad impietatem et calumniandi ar-  tem juventutis accusat in Nubibus Socra-  tem . hujus criminis ullam mentionem  facit , non omissurus profecto , si illud  adhaerescere posse putasset. Nec forte  quisquam est ex omni antiquitate remo-  tiore illa, et temporibus Philosophi pro-  pinqua . , serius et severus accusator hujus  criminis. Lusit inter posteriores, pro  petulanti illo ingenio suo, Lucianus (de  CEco, ita enim potius dicendus erat ille  libellus quam de Domo, c. 4 , T. 3, p.  ig 2 , 83) cum accusat Socratem, qui non  erubuerit advocare Musas, virgines,  cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent  illos de puerorum amore sermones. At-  qui illi sermones, uti mox videbimus.    ET l/AMOUR GREC 1 I   que nous venons de dire ; nous en trou-  vons la preuve en ce que S. Cyrille et  Theodoret, deux detracteurs de Socrate,  n’en ont souffle mot, et qu’ils n’auraient  pas manque d’en orner leurs diatribes si  la chose eut ete possible.   3 . En second lieu, Aristophane qui, dans  ses Nuees , represente Socrate comme  un corrupteur de la jeunesse, comme  faisant de 1’imposture un enseignement,  n’a pas davantage mentionne cette accu-  sation; l’aurait-il omise, si elle eut pu  s’appliquer a Thomme qu’il bafouait? II  n’y a enfin personne, si l’on prend des  temoins dans cette antiquite reculee ou  dans les temps voisins du Philosophe,  qui se presente comme un accusateur  serieux et digne de foi. Plus tard seule-  ment Lucien, entraine par sa verve  moqueuse (dans 1’opuscule que l’on tra-  duit ordinairement De Domo et qu’il  vaudrait mieux traduire De CEco ,  chap. iv), reprocha a Socrate de n’avoir  pas rougi d ; invoquer les Muses, des    12    SOCRATE    reprehendant vehementer amorem : re-  spicit enim ad Phcedrum Platonis (p. 340 ,  G) de quo dedita opera dicendum erit.  Qua ? in Amoribus (c. 24. To. 2. p. 424 ,  go) in Socraticum amorem Platonicum-  que vel a Luciano, vel quicunque auctor  est, jocose et per calumniam dicuntur,  ea ad ipsum illum locum diluisse me  arbitror .    4. Sed veterum criminationes Maxi-  mus Tyrius ( Dissertat . 2S. 26. et 27  al. g. 10. 11) refutavit, ut non videatur  opus esse aliquid addi : cum praesertim  tanto magis et agnoscant innocentiam  Socratis, et illud crimen ab illo depel-  lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis  homines, quo magis virum ex aequalium  ac paullo juniorum de illo scriptis ut  cognoscere possent, cuique contigit. Quin  ne consultum quidem judicarem veterem  litem resuscitare , nisi viderem, nuper    et l’amour grec i3   vierges, pour leur faire dcouter ces fa-  mcnx discours sur Vamour des jeunes  gargons. Mais ces discours, comme nous  allons le voir, blament fortement cette  sorte d’amour; Lucien fait, en effet,  allusion au Phedre de Platon dont nous  aurons a nous occuper. Ce que Fon dit  debamourSocratiqueet Platonique dans  les Amonrs , que ces dialogues soient de  Lucien ou de tout autre, n’est qu’une  plaisanterie ou une mechancete, comme  je\ l’ai demontre en temps et lieu (i).   4. Maxime de Tyr ( Dissertations 25 ,  26 et 27) a d’ailleurs refute toutes les ac-  cusations portees a ce sujet par les an-  ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter.  Le meilleur argument, c’est que ceux qui  ont le mieux reconnu Tinnocence de  Socrate et repousse loin de lui avec le  plus de force 1’accusation infame, sont  les hommes de la generation qui a imme-   (1) Dans ses notes sur Lucien, dont il a fait une  edition et une traduction Latine tres-estimees. (Note  du Traducteur.)    H    SOCRATE    fuisse, et esse hodie homines eruditos, et  bonos viros, qui pravam de patre illo  Philosophia ? opinionem conceperint, quo-  rum non pono nomina, quia mihi non  cum ullo homine certamen esse volo,  sed cum opinione ea, quam praeterquam  quod falsam puto, etiam virtuti noxiam ,  praeter consilium quidem bonorum viro-  rum, humanitati certe adversam esse,  arbitror.    5. Qui autem fieri potuit, ut homines  neque indocti neque maligni in sinistram  falsamque de Socrate opinionem incide-  rint? ut apologia vir sanctus opus habeat?  Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav nos-  tram, quae imis velut medullis fixa , et  superbiae illius nostrae nixa radicibus.    et l’amour grec i5   diatement suivi la sienne. Or, ce sont  les contemporains et leurs successeurs  immediats qui peuvent le mieux juger un  homme, en pleine connaissance de tout  ce qu’on aecrit sur lui. Je n’aurais donc  pas songe a ressusciter cette vieille que-  relle si je n’avais vu naguere, et tout  recemment encore, des hommes instruits,  vertueux, concevoir la plus mauvaise  opinion de ce pere de la Philosophie ; je  ne dirai pas leurs noms, ne voulant me  prendre corps a corps avec personne,  mais seulement avec une opinion que  je considere comme sans fondement,  nuisible a la vertu, et, contrairemcnt a  1’avis de ces gens de bien, defavorable a  1’humanite tout entiere.   5. Comment donc a-t-il pu se faire  que des personnages qui ne p£chent ni  par ignorance ni par mechancete, aient  concu de Socrate une opinion si facheuse  et si fausse? Pourquoi cet homme veri-  tablement saint a-t-il besoin d’etre de-  fendu? En dehors de cette maligni te    i6    SOCRATE    inter ultima vitia eradicatur, ceterasque  ex genere morum rationes, conveniunt  hic alia qucedam , quce facilem errandi  occasionem praebent. Magna pars docto-  rum etiam hominum legendi laborem  fugit, legendi uno tenore, continuata  attentione , totos veterum scriptorum  libros; sed satis habet decerpere quce-  dam, in quce primum incurrere oculi,  aut, quod deterius frequentius que idem,  repetere ab aliis excerpta, et e media  nonnunquam sermonum velut compage  evulsa, de quorum sic sententia non facile  sit judicare. Platonis libri , unde pleraque  Socratica peti hodie necesse est, multos  arcent ob Atticum illud sermonis genus,  breve et acutum, floridum praeterea, ac  semipoeticum, ipsamque disserendi ratio-  nem subtiliorem scepe, quam ut mediocri  attentione, non acutissimi homines illam  statim adsequantur. Nec licet , ut adhuc  res est, ad interpretes confugere ; qui  quoties vel nihil dicant, vel alia omnia  dicant, vix sine invidia licet commemo-  rare. Et tamen nisi attente legas, et to-    ET L.’AMOUR GREC    '7   naturelle qui reste fixee jusqu’au fond de  nos moelles, qui se fortifie de notre or-  gueil et qui ne s’arrache qidavec les der-  niers defauts, outre encore diverses rai-  sons tirees de nos mceurs, il a fallu pour  cela un concours de circonstances pro-  pres a faciliter 1’erreur. La plupart des  gens instruits eux-memes evitent la fa-  tigue de lire dans leur entier, avec une  attention soutenue, tous les livres ecrits  par les Anciens ; on a plus tot fait de  choisir quelques passages, les premiers  qui tombent sous les yeux, ou, ce qui est  bien pire, de s'en tenir aux passages  choisis par d’autres, a des fragments de-  taches de 1’ensemble et dont il est par  consequent difficile d’apprecier le sens  veritable. C’est ce qui arrive des livres  de Platon, d’ou il nous faut aujourd’hui  tirer toutc la doctrine Socratique ; iis  embarrassent bon nornbre de lecteurs  par leur style trop Attique, raffine et  aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique,  par ces controverses si subtiles souvent  que, si 1’attention se relache, 1’esprit le    i8    SOCRATE    tos legas dialogos, et qua scripti sunt  lingua legas, non est ut de sententia  illorum, h. e. quam tribuat Plato sen-  tentiam Socrati, recte judices. Quare  mirum non est, si multi refugiant lectio-  nem ita laboriosam ; et illis veluti spinis  a familiari tractatione eorum librorum  deterreantur .    6. Denique si quid etiam tribuatur a  Platone Socrati, tamen, si illud Xeno-  phontis narrationi repugnet, non dubi-  taverim equidem, fidem potius adhibere  Grylli filio, memor illius, quod narrat  Laertius 3, 35, Socratem , cum Lysin  Platonis legisset, dixisse , to; tzoXKx uoj    ET l/AMOUR GREC 19   plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil.  Et il serait inutile, dans le cas present,  de recourir aux annotateurs ; ou iis  ne disent rien, ou iis disent tout  autre chose que ce qu’il faudrait ; on ne  peut s’empecher de leur en faire un re-  proche. Cependant, amoins de lire avec  un soin scrupuleux tous les dialogues de  Platon et de les iire dans la langue meme  ou iis ont ete ecrits, il n’est pas possible  de juger saineinent de leur doctrine,  c’est-a-dire de la doctrine que Platon  attribue a Socrate. Il n’est donc pas sur-  prenant que nombre de gens reculent  devant une si laborieuse lecture et  soient rebutes, comme par des epines,  du commerce familier de ces livres.   6. Enfin il faut dire que si Platon at-  tribue a Socrate une maniere de voir  contredite par la narration de Xenophon,  il n’y a pas a hesiter : c’est a Xenophon  qu’il faut se fier, si l’on se souvient du  mot rapporte par Diogene de Laerte  (ui, 35). Socrate, apres avoir lu le Lysis    20    SOCRATE    xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; ; Quam multa de me  mentitur adolescens! Tanto magis hoc  memorabile est , quod ille Dialogus ita  scriptus est, ut non modo tanquam per-  sona colloquens inducatur Socrates, sed  tanquam, qui ipsum illum dialogum  scripserit. Ceterum quia hic sumus, hoc  breviter indicamus, amatorium quidem  esse hunc libellum , sed nihil habere pu-  dendum ne Platoni quidem. Argumen-  tum hoc est : Queritur Lysidis amator  Hippothales, ab illo se non amari ; So-  crates ostendit, si velit amari, non adu-  landum esse puero, sic enim futurum  superbiorem ; sed illi potius ostenden-  dum, quibus rebus indigeat, et quam  parum in ipso sit boni (i). Deinde dela-  bitur in disputationem, Quis proprie  amicus sit vocandus? et, In quo insit  natura amicitia’ ? plenam illam quidem  cavillationum , sed praeclararum etiam  de amicitia sententiarum. Ceterum tri-   (i) Sic nempe ipse solebat Socrates in potestatem  quasi suam redigere adolescentulos, de quo que-  rentem audiemus Alcibiadem. § 3~.    ET L’AMOUR GREC    2 I    de Platon, se serait ecrie : « Comme ce  jenne homme invente souvent ce qu’il me  fait dire! » Le mot est d’autant plus  remarquable que, dans ce dialogue, So-  crate estpresente non comme un simple  interlocuteur, mais comme s’il avait  ecrit lui-meme tout le morceau. Pen-  dant quenous y sommes, disons brieve-  ment que cetouvrage roule sur 1’amour,  mais qu’il n’y a rien dont put rougir  Platon lui-meme. Voici le sujet : Hip-  pothales, qui aime Lysis, se plaint de ne  pas en etre aime; Socrate lui demontre  que s’il veut 1’etre, il ne faut pas qu’il  fiatte ce jeune homme, ce qui le rendrait  plus orgueilleux encore ; il vaut mieux  qu’il lui represente tout ce qui lui man-  que et le peu de bonnes qualites quhl  possede (i). On discute ensuite ces ques-  tions : Qui est digne d’etre appele un ve-  ritable ami? et, Quelle est la nature de  Tamitie? Controverse pleine, il est vrai,   (i) C’est ainsi que Socrate avait en effet coutumc  d’assujettir les jeunes gens & son autorite, et nous  voyons Alcibiade s’en plaindre. § 37.    22    SOCRATE    bui a Platone colloquentibus, de quibus  ipsi non cogitarint, vetus observatio est ,  de qua vid. Athenaeus Deipnos. i, i / ad  fin. p. 5 o 5 . Qiio dialogorum more se  excusat, etiam Varroni in Academico-  rum dedicatione Tullius. Neque ausim  Platonis ipsius, junioris praesertim, pa-  trocinium suscipere de mollioribus versi-  culis, quos Apulejus servavit (Apol.  p. 279 sq.) et Laertius Diogenes ( 3 , 2g) :  de quibus modo in neutram partem dis-  puto, causamque Platonis a Socratis  causa hac in re sejungo.    7. Quaecunque vero cum aliqua specie  testimonia Platonis contra Socratem pro-  feruntur, ea cum ex Phaedro, nescio  quam bona semper fide, corrupte quidem  et perverse non nunquam, depromi vi-  deam, propter ea pretium opera* putavi,    ET L’AMOUR GREC    23    de futilites, mais aussi de remarquables  definitions dePamitie. C ; est uneobserva-  tion qui a ete faite depuis longtemps,  que Platon attribue a ses interlocuteurs  des idees qu’ils n’ont jamais eues : on  peut consulter la-dessus Athenee ( Dei -  pnosophistes i, ii). Ciceron, qui avait le  meme defaut, s’en excuse sur le genre  meme du dialogue , dans son envoi des  Academiques a Varron. Je n’ose pas non  plus defendre Platon du reproche d’avoir  commis, surtout dans sa jeunesse, des  vers badins tels que ceux que nous ont  conserves Apulee (dans son Apologie) et  Diogene de Laerte (m, 29); vieux ou  jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe  completement sa cause de celle de So-  crate.   7. Entrelesdiverstemoignages fournis  par lui, ceux que Ton peut alleguer con-  tre Socrate avec quelque apparence de  justesse sont tires du Phedre ; pas tou-  jours bien scrupuleusement et quelque-  fois a 1’aide d’alterations ou de contre-    24    SOCRATE    non semel totum illum dialogum attento  animo perlegere , et uno quidem tenore ,  et lingua sua, ne quid eorum me falleret,  qua • saepe fraudi esse viris doctis, modo  dicebam. Ac spero non ingratum fore  aliis, quorum rationes non ferunt tam  longam solicitamque operam, si hic pos-  sint brevi studio cognoscere velut oecono-  miam illius libri et argumentum, inde-  que de toto consilio vel Platonis vel  Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne  abuti videamur illa, quam modo propo-  suimus observatione, Socratis hic veram  sententiam bona fide a Platone proponi.    8 . Ac primo illud meminerimus, So-  cratem hic (p. 340, E) introduci senem,  tantum non decrepitum, quem facile ju-  venis Phaedrus viribus superet. Jam  fingitur Phaedrus audisse Lysiam dispu-  tantem, magis obsequendum gratifican-  dumque esse non amanti, quam amanti :  camque orationem Socrati prcelegere    ET L AM0UR GREC    25    sens. Cest ce qui m’a engage a lire  attentivement ce dialogue, et plutot deux  fois qu’une, dans son entier, et dans le  Grec, afin d’echapper a ces chances d’er-  reur dont j’ai parle plus haut et qui font  trebucher les plus doctes. II sera peut-etre  interessant, je 1’espere, pour ceux dont  1’esprit repugnerai-t a une besogne si  longue et si difficile, de connaitre sans  grande etude le sujet et pour ainsi dire  1’economie de ce livre, et de pouvoir  apprecier toute la theorie de Platon ou  de Socrate. Nous admettrons, pour ne  pas abuser de la reserve faite par nous  plus haut, que la doctrine de Socrate a  ete ici exposee de bonne foi par Platon.   8. Rappelons d’abord que Socrate y  est presente comme un vieillard, non  pas tout a fait tombe en decrepitude,  mais qu’un jeune homme, comme Phe-  dre, peut maitriser aisement. Phedre ra-  conte qu’il a entendu Lysias discourir  sur cette question : Un jeune homme  doit-il avoir plus de facilite et de com-    3    SOCRATE    2b   (a p. 338 , C. ad 33 g, G). Reprehendit  hanc Lysiae orationem , cante quidem et  multa cum ironia Socrates , et meliora se  audisse ait , quae dicere illum amabilis-  sime cogit Phcedrus. Incipit hic a Musa-  rum invocatione (p. 340 , G) quam calum-  niatur, ut modo dicebamus 3 ), Lu-  cianus : cum sit nihil in ea oratione non  virginum auribus dignissimum. Orditur  a definitione Amoris (p. 341, D) quem  vocat cupiditatem , quae incitate feratur  ad voluptatem ■ pulchritudinis, et inde,  quam mala res, quam noxia sit, ostendit  (ad p. 342, F) et claudit hexametro :   A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv  1 r’ 1 !   |Sf/aTra’..   Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet amator.    9. Bene ista , et Musis faventibus. Sed  subito, At Amor tamen Deus est, inquit ,  et palinodiam parat , quae incipit (p. 3 43 .    ET LAMOUR GREC    2 7    plaisance pour celui qui ne 1’aime pasque  pour celui qui Faime ardemment ? II lit  ensuite ce discours a Socrate. Celui-ci,  avec beaucoup de finesse et ddronie,  trouve a blamer dans la composition  oratoire de Lysias et pretend qu'il a en-  tendu dire la-dessus autrefois de bien  plus belles choses; Phedre le conjure de  les lui rapporter. Socrate debute alors  par cette invocation aux Muses que Lu-  cien a calomniee, comme nous le disions  plus haut, car il n’y a rien dans tout le  discours qui ne soit parfaitement digne  des oreilles chastes. II commence par la  definition de 1’amour, qu’il appelle un  desir violemment entraine vers le plaisir  que promet la beaute ; il enumere en-  suite les ecarts auxquels il peut pousser  et conclut parcet hexametre :   Comme le loup aivic Vagneau , ainsi Vamoureux   [cherit le jeune garcon.   9. Voila qui est bien, grace aux Muses.  Mais aussitot : L’ Amonr est cependant  un Dieu, s’ecrie-t-il ; et il entrcprend une    28    SOCRATE    F) ab eo, uti dicat, non ideo amorem  damnandum fuisse, quod sit furor ; esse  enim furorem etiam bonum aliquem :  ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam facultatem  esse a verbo [i-aiveaOai dictam , velut quan-  dam [j.avi/7]v s. furiosam. Talis furoris  plura genera enarrat , in his etiam ponit  amorem, cumque (p. 344, C ) magnae  felicitatis causa tum amantis cum amati  datum his esse divinitus, conatur osten-  dere. Ad eam demonstrationem sumit  primo hanc propositionem. Omnem ani-  mam esse immortalem, quam inde pro-  bat (quam bene vel male , nunc non dis-  putamus) quod principium motus sui in  se habeat.    1 0 . Deinde similem ait animam no-  stram, etiam antequam ea in corpus ve-  niat, bigae alatae cum suo auriga. Alte-  rum hujus biga 3 equum bonum ponit et  tractabilem (ibid. E), malum alterum ac  refractarium. Sic coelestia spatia ingre-  diuntur ista • cum suo auriga bigce, et    ET l’aMOUR GREC 2(J   palinodic en declarant tout d’abord que  1’amour n'est pas condamnable en soi,  qu’il estun delire, et que dans tout delire  il y a quelque chose de bon ; que fxavnxr],  la divination, derive du mot (jiodveaGai,  comme qui dirait [xavtxr), c’est-a-dire  folle. II compte diverses especes de  delires parmi lesquelles il place 1’amour,  et il s’efforce de montrer que c’est un  present divin fait a bhomme pour le plus  grand bonheur de celu*i qui aime et de  celui qui est aime. Sa demonstration  s’appuie sur cette proposition premiere:  Tonte dme est immortelle, dont il tire la  preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre  affaire) de ce qu’elle a en soi le principe  de son mouvement.   io. Il compare ensuite notre ame,  avant qu’elle ne vienne habiter un corps,  a un attelage aile, compose de deux  chevaux et d’un cocher. L’un des  chevaux est excellent et docile ; 1’autre,  d’un mauvais naturel et retif. L’attelage  parcourt ainsi les espaces celestes, avec    3 .    3o    SOCRATE    Deorum aliquem secutce (Socratis anima  Jovem , p. 846 , D) ea spatia permeant.  In hoc volatu et illa equorum dissimilium  dissensione, alia; quidem anima; retinent  alas, et ad sublimia feruntur, contem-  plantur que ea etiam, qua; extra supre-  mum coeli orbem sunt (p. 345 , B). Alia;,  qua; partim in altum elata; viderunt plu-  ra, partim ab equo illo refractario impe-  dita; ac retractae, pauciora ; ruptisque  per illam equorum in diversa tendentium  luctam pennis atque amissis, cadunt, et  in corpora humana veniunt.    1 1 . Harum, pro gradu cognitionis  illius et inspectionis rerum coelestium  diverso, novem classes constituit (ibid. F).  Qua plurimum veritatis et rerum coeles-  tium vidit anima, ea inseritur semini, e  quo nascatur aliquis sapientias, pulchri,  doctrinas, et amoris studiosus, st? yovfjV    et l’amour grec 3 I   son cochcr, et s’elance a la suite de l’un  des douze dieux ( 1 ’ame de Socrate sui-  vait Jupiter). Dans cette course a travers  les espaces et malgre la lutte des deux  chevaux, si dissemblables, quelques ames  parviennent a garder leurs ailes, voya-  gent dans les regions etherees et con-  templent meme ce qui est au dela de la  voute du ciel. Les autres, parfois em-  portees jusqu'aux plus hautes regions,  parfois retenues et embarrassees par le  cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre  une partie des mysteres ; dans cette lutte  des chevaux qui tirent en sens inverse,  elles brisent et perdent leurs ailes ; ces  ames tombent alors sur terre et sont  emprisonneesdans les corps des hommes.   1 1 . Suivant le degre de connaissance  qu'elles ont atteint dans la contempla-  tion des essences, Socrate divise en neuf  classes ces ames dechues. Celle qui a  per9u le plus de verite et de choses  sublimes, vient animer le germe d’ou  naitra un homme tont entier consacre au    32    SOCRATE    avopo? ycV7]ao[j.c'vO’j ? oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj  fi.ouaixou Ttvos, x at spamxoy. Secundi fastigii  anima animabit regem, legibus, bello,  imperio, potentem : tertiae classis anima  civitatis familiaeque regendae et rei fa-  ciendae peritum : quartae, laboris aman-  tem eundemque in exercendis sanan-  disve versantem corporibus : quinti  ordinis animae vitam habebunt in vati-  cinando, aut in castimoniis initiisque  mysteriorum occupatam : sexti, poetas :  septimi, geometras aut fabros : octavi  sophistas aut cum factione populares :  noni denique animabunt tyrannidis cu-  pidos. Multa hic nec injucunda de hoc  ordine , de his vitee generibus, disputandi  occasio : sed maneamus in argumento  nostro.    12 . Ha’ omnes anima?, cum morte dis-  cesserunt a corporibus, in locum vel pce-    33    ET L’AMOUR GREC   culte de la sagesse, de la beaute , de la  Science et de Vamour ; Vdme du second  degre vivra dans le corps d’un roi juste ,  belliqueux et capable de commandere  celle du troisieme fonnera un homme  habile a administrer sa famille, sa cite  ou la chose publique ; celle du quatrieme  un athldte laborieux ou un medecin, tous  deux occupes soit d exercer le corps  humain , soit d le guerir ; les ames de la  cinquibme classe passeront leur vie , soit  d predire 1’avenir, soit d initier aux  abstinences et aux mysteres ; celles de la  sixieme former ont des poetes ; celles de  la septieme , des laboureurs ou des ou-  vriers,- celles de la huitieme, des sophistes  ou des chefs de factions populaires ;  celles de la neuvidme, enfin, des tyrans.  Ce serait peut-etre 1 ’occasion de dispu-  ter, et non sans agrement, des rangs  assignes a ces ames et de leur genre de  vie : mais restons dans notre sujet.   1 2.Toutes ces ames,quandle trepas les a  separees du corps, parviennent au sejour    SOCRATE    34   narum vel pr cerni orum perveniunt, et  mille exactis annis, accipiunt potesta-  tem eligendi sibi nova corpora , vitas  novas, sive hominum sive bestiarum .  Quce anima ter sibi, exactis millenis illis  annis, primam istam sedulo philoso-  phantis, sive pueros cum philosophia  amantis, vitam delegerit (p. 3g5, G) tou  <ptXocrocprjaavto; aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO;  [j.£xa <ptXoao<p''a;, ea, absoluta ista ter mille  annorum periodo , pennas denuo accipit,  quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi,  contemplari coelestia , queat : cum reli-  quarum octo classium animae, non nisi  decies mille annorum periodo absoluta,  in primam illam conditionem restituan-  tur. Hoc ipsum quod primam et felicis-  simam classem Paederastarum philoso-  phantium constituit, quod tantum prae-  mium illis, compendium septies mille  annorum, tribuit Mythi hujus s. Allego-  ria ? auctor, sive Socrates fuit, sive Pla-  to ; hoc ipsum igitur jam satis monere  nos poterat, non posse hic sermonem esse  de re ita turpi , quam fuisse illud, cujus    ET LaMOUR GREC    35    des peines et des recompenses, et au bout  de mille annees, recoivent la permission  de choisir de nouveaux corps, soitd’hom-  mes soit de betes, et de vivre de nou-  velles vies. L’ame qui, durant trois revo-  lutions de mille annees, trois fois de  suite a choisi Texistence d’un homme  quicultive sincerement la philosophie, ou  qui aime les jeunes gens d'un amour  philosophique , a 1’expiration de cette  triple periode, recouvre les ailes qidelle  possedait autrefois et peut, comme au-  paravant, suivre l’un des dieux et con-  templer les essences celestes. Les huit  autres classes ne retournent a cette con-  dition premiere qu’apres une revolution  de dix mille annees. Ainsi la premiere  classe et la plus heureuse est celle des  philosophes amis des jeunes gens, et l’in-  venteur de ce mythe ou allegorie, que  ce soit Socrate ou Platon, la favorise  d’une exemption de sept mille annees :  cela seul nous avertit assez qu’il ne peut  etre question ici de ce vice infame dont  on accuse Socrate et que d’ailleurs les    36    SOCRATE    postulatur Socrates, ipsis etiam legibus  Atticis, paullo post ostendemus : sed ma-  gis hoc apparebit, si quis ea, qu ce sequun-  tur, apud Platonem paullo attentius  considerare mecum voluerit.   i 3 . Intelligentia hominum , ex pluribus  rebus sensu perceptis collecta, nihil est  aliud, quam recordatio illorum, quae  anima in illo volatu suo coelesti viderat,  quae sola verum illud ens sunt (t 6 ov-co;  ov, p. 346, A). Haec intelligentia maxima  est in illa prima philo sophantium paede-  rastarum classe : haec ipsa est, ob quam  alas soli recipiunt, quibus volatum illum  coelestem, deorumque comitatum tentant :  prae qua terrena hcec, et sensus externos  ferientia, ita negligunt, ut male sani  aliis et furiosi videantur, icocpa -/.ivouvts?,  quos commotos s. commotce mentis  vocat Horatius (Serm. 2, 3 , 2og et 278),  cum re vera divino quodam spiritu agi-  tentur, svOouaux^oviss, qui illos semper ad  coelestem illam pulchritudinem revocet,  quam in priore volatu viderant.    ET L AMOUR GREC 87   lois Athenicnnes reprimaient, comme je  le demontrerai tout a 1’heure ; cela de-  viendra plus evident encore pour qui  voudra bien examiner attentivement  avec moi ce qui suit dans Platon.   i3. L’intelligence humaine est formce  de la reunion des idees percues a l’aide  des sensations, et les idees ne sont rien  autre chose que les reminiscences de  ce que 1’ame a vu anterieurement dans  son vol celeste, c’est-a-dire des essences  veritables. Or 1’intelligence la plus com-  plete appartient a la premiere classe, a  celle des philosophes amis zeles des  jeunes gens, et c’est pourquoi seuls iis  recouvrent les ailes a 1’aide desquelles  iis pourront essayer de nouveau de par-  courir le ciel et suivre le cortege des  dieux. Detaches des soins terrestres et  de tout ce qui frappe les organes, iis pas-  sent pour des insenses et des hommes en  delire, -apa/ivoSvis?, de ceux qu’Horace  appelle des fren^tiqucs, des esprits trou-  bles, tandis que vraiment ce sont des en-    4    38    SOCRATE    14. Haec pulchritudo , qucc inest in  sensu, <ppov 7 ]<m (p. 846, E), in mentis  qua vult et intelligit prostantia, si ita in  oculos, ut alia quce videri his possunt,  incideret , ad mirabiles sui amores exci-  tatura esset. Jam pulchritudo sola corpo-  rum, hanc (Aotpav habet, hoc velut fatum,  et conditionem , uti subeat oculos, ut amo-  rem moveat. Hinc ponamus ipsa verba ,  ut existimare melius ac certius de tota  re possint etiam, quibus ad manus non est  Plato ipse, vel magnum volumen de pluteo  promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];,  ■Jj otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat  7ip6; auxo xo xaXXo;, Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE  smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv, aXX’  7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct-  y stpsT xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv,  ou os'ootxsv ou 8’ ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN ( 1 )    (1) Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib. r .    ET LAMOUR GREC 3y   thousiastes, agites comme d’un transport  divin, qui les attire sans cesse vers cette  beaute celeste precedemment entrevue  par eux dans leur vol.   14. Cette beaute, dont Pessence reside  dans un sens particulier, la sagesse,  source de la volonte et de 1’intelligence,  s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir,  comme toutes les autres choses visi -  bles, elle nous exciterait a d’admirables  amours. Mais c’est seulement la beaute  corporelle, telle est sa necessite fatale et sa  nature, qui frappe les yeux et nous porte  a 1’amour. Ici nous placerons le texte  meme afin que ceux qui n’ont point Pla-  ton sous la main ou qui ne se soucient  pas de tirer du rayon un gros volume,  puissent se faire une opinion en toute    p. 56g, E. hanc turpitudinem appsvwv np 6?  appevag, Ij OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to ITAPA  •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non igitur Plato-  nem , vel Socratem adeo, feriunt divina illa ful-  mina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea, qua ? in  idolatriam vibrantur.    40    SOCRATE    f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv xdxe  TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX-  Xo; eu [j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av —  oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita verto, Hic ergo,  qui non est nuper illis mysteriis coeles-  tibus in illo volatu animarum initiatus,  aut, initiatus cum esset, corruptus est,  non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac  corporea, non vera, pulchritudine, illuc  fertur ad ipsam veram, coelestem pul-  chritudinem, cujus hic videt nomen,  umbram , similitudinem : itaque neque  inter adspiciendum eam, divinum quid-  dam colit : sed libidini se tradens, qua-  drupedis ritu inscendere formosum co-  natur, et genitale semen profundere, et  cum contumelia (vid. ad §. 18) congres-  sus formoso corpori , non veretur, nec  erubescit PRXETER NATURAM libidi-  nem persequi. At ille nuper initiatus,  qui multa eorum quae tum videbat ,  contemplatus est, ubi vultum divino  similem conspexit, qui pulchritudinem  illam veram bene imitetur, aut incor-  poream quandam illius speciem, verbo ,    ET L’AMOUR GREC    41   certitudc. « L’homme qui n’a pas un  « souvenir recent de son initiation aux  « mysteres, ou qui, recemment initie,  « s’est laisse depraver, ne s’eleve pas fa-  « cilement, comme il faudrait, de cette  « beaute corporelle, qui n’est pas la  « vraie, a cette beaute celeste, absolue,  « dont il ne rencontre ici-bas que le nom,  « 1’ombre, la ressemblance ; en 1’aper-  « cevant il n’y respecte rien de divin.  « Entraine par la volupte, il se precipite,  « comme une brute, sur 1’objet de ses  « desirs, ne cherche qu’a genitale semen  « profundere et, outrageant ce beau  « corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il  « ne rougit pas de poursuivre un plaisir  « contre nature ( 1 ). Au contraire, l’hom-  « me, encore plein des saints mysteres  « qu’il a longtemps contemples autrefois,    (1) 11 est remarquable que Platon, meme dans ses  Lois, appelle crime contre nature le commerce hon-  teux marium cum maribus, et feminarum cum fe-  minis. Les foudres de Saint Paul ( Ep . aux Rom. 1.  26) n’atteignent donc ni Platon ni Socrate, pas plus  que celles qu’il lance contre 1’idolatrie.    42    SOCRATE    virtutem speciosam : — Dei instar  colit.    i5. Deinde enarrat pheenomena quae-  dam hujus sancti et philosophici amoris ,  similia, ex parte Venerei, et quomodo  illa ' alce, quas amiserat anima , hinc de  novo crescant, sub Allegoria perpetua  describit, qua nihil aliud tandem indicat ,  quam enthusiasmum quendam , et injec-  tam divinitus philosopho cupiditatem  versandi cum pulchris, h. e. ingenio vel  forma potentibus, adolescentulis : quos  nempe captabat Socrates, qui sciret , cum  facilius sit formare ad sapientiam et  virtutem hanc aetatem, tum hos esse, a  quibus futura civitatis fortuna pendeat.  Hinc est quod se venari pulchros non dis-  simulabat (vid. Protagora > principium ,  frustra reprehensum Cyrillo contra  Julia, i, 6, p. i8j, A), quod Xenophon-  tem baculo etiam transverso objecto    et l’amour grec q'3   « en presence d’un visage presque divin  « ou d’un corps dont les formes lui rap-  it pellent 1’essence de la beaute, c’est-a-  « dire 1’essence de la vertu, adore comme  « en presence de la divinite. »   i5. Platon retrace ensuite quelques-  uns des phenornenes de ce saint et phi-  losophique amour, parfois peu different  de l’autre; il montre aussi comment re-  poussent les ailes autrefois perdues par  rame. C’est une allegorie perpetuelle  dont la conclusion est que le philosophe  con^oit, par une sorte de grace divine,  le plus fervent desir de vivre au milicu  des beaux adolescents distingues par la  perfection de leurs formes ou par leurs  dispositions naturelles. C’est ceux-la, en  effet, que Socrate ambitionnait de gagner ,  sachant qu’il est facile, a cet age, de les  tourner au bien et a la vertu, et que  c’est d’eux que dependent les futurs des-  tins de la Republique. II appelait cela  prendre les beaux garcons dans ses filets  (voyez la-dcssus le commencement du.    44    SOCRATE    velut exceptum, sibi adjunxit (Diog.  Laert. 2, 48). Ipsum illud hinc est , quod  gymnasia , conviviaque et deambulatio-  nes, quoscunque denique juvenum coetus,  sequebatur, quod ludos et jocos non refu-  giebat, quod se plane communem illis  faciebat , nec irrideri aut peti maledic-  tis refugiens. Ipsa illa ironia perpetua,  quod doceri se velle simularet , certe dis-  cendi causa disputare , ut accessum ad  Sophistas illi dabat , ita adolescentulo-  rum super bulae de se opinioni et praeci-  pitantiae blandiri videbatur. Sed perga-  mus Platonis Mython enarrare.    16. Philosophi illi amatores pulchro-  rum non indiscretim omnes amant , sed  (p. Sdy, C) quem quisque in illo coelesti  volatu Deum secutus est , ejus Dei si-  milem sibi quaerit amasium; qui Jovem ,  ut Socrates, Jovialem (Auvov x wa), Martia-  lem vero qui Martem, et sic Junonios.    ET L AMOUR GREC    45   Protagoras , blame a tort par Saint Cy-  rille), et il se fit de la sorte un disciple  de Xenophon qu’il arreta en lui barrant  le passage avec son baton. Voila pour-  quoi aussi il frequentait les gymnases,  les banquets, les promenades, tous les  lieux de reunion des jeunes gens, ne  fuyait ni les jeux ni les badinages, s’en-  tretenait avec tous et s’inquietait peu de  preter a rire aux medisants. Cette ironie  perpetuelle grace a laquelle il feignait  toujours de vouloir apprendre, pour  mieux enseigner, lui donnait acces au-  pres des Sophistes et flattait aussi la suf-  fisance et la presomption de la jeunesse.  Mais achevons d’exposer le Mythe de  Platon.   16. Ces philosophes amoureux des  beaux garcons ne s’attachent pas indis-  tinctement a tous ; selon le dieu quhls  accompagnaient dans les espaces etheres,  chacun d’eux choisit parmi les anciens  suivants du meme dieu celui qu’il doit  aimcr. L’ame qui etait, comme celle de    SOCRATE    46   Bacchicos , Apollineos : et talem ubi in-  ventum amare coeperint , faciunt omnia ,  uti Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu-  jus jam similitudinem quandam in ipso  deprehenderunt, sibique adeo , reddant  quam similimum. Ita Socrates, Jovis in  illo volatu satelles, quaerit Joviales, ama-  tores natura sapientiae, et natos ad im-  perandum. Hactenus ergo bene res ha-  bet, sancti tales Paederaslce, J elices qui  sic amantur.    / 7 . Sed nec dissimulanda sunt quae  sequuntur apud Platonem. Redit Socrates  (p. 3 -lj, F) ad superiorem illum de Ani-  ma Mythum (’§. 10), quam triplicis na-  turae ponit scilicet. Sunt vellit equi duo,  est auriga. Equorum alter bonus, sanus,  verecundus, gloria • amator , qui sine pla-  gis, sola ratione auriga regitur : pravus  alter, qui multum ac temere una aufera-    ET L AMOUR GREC    47   Socrate, dans le cortegc de Jupiter, re-  cherche un suivant de Jupiter, et ainsi  des autres qui avaient choisi Mars, ou  Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des  qu’ils Pont trouve, iis s’efforcent de  rendre celui qu’ils aiment semblable a ce  dieu dont iis retrouvent en eux-memes  le caractere. Ainsi Socrate, satellite de  Jupiter, recherchait pour les cherir ceux  qui avaient aussi suivi ce dieu, c’est-a-  dire ceux qui, par nature, etaient portes  a la sagesse et a la domination. Jusqu’ici  tout va bien ; de tels Pederastes sont de  vrais saints, et bien heureux ceux qui  sont aimes de la sorte !   17. Mais il ne faut pas dissimuler ce  qui vient apres dans Platon. Socrate re-  tourne au precedent Mythe de hame  qu’il a coniparee aux triples forces reu-  nies de deux chevaux et d’un cocher.  L’un des chevaux est bon, sam, plein de  retenue et d’emulation ; le cocher le di-  rige, sans avoir besoin du fouet et par  la seule persuasion : 1’autre est mechant    SOCRATE    48   tur , (impetu alieno potius feratur ,  smo judicio) dura ac brevi cervice, simus,  nigri coloris, glaucis oculis, suffusus san-  guine, petulantia contumeliaque gau-  dens, hirsutus circa aures, surdus, fla-  gello ac stimulis vix tandem concedens.  Operet ? pretium videtur mali equi notas  etiam Gra } ce ponere : cxoXt 65, ~oXu; eixrj  a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, ( 3 payuipayrjXo?,  aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?, oepat-  [xo;, u6p ew; xal aXa^oveiac staTpo?, zept coxa  Xaaco; , xwipog , gaartyt p.S7a xdvxpwv [xdy.;   UTEclXOJV .   r<S\ Apposui Graeca , ut facilius judi-  cari possit , probabilisne sit conjectura, in  quam incidi , dum in hac equi mali de-  scriptione versor. Nempe, aut vehemen-  ter fallor, aut memorat hic Socrates non  tam equi mali proprie dicti signa, quam  sui corporis formam, quatenus vitiosum  inde ingenium colligebat physiognomon  ille Zopyrus. Hic enim , ut est apud Ci-  ceronem (de Fato c. 5), Stupidum esse  Socratem dixit et bardum, — addidit    ET L ; AMOUR GREC 49   et s’emporte facilement, sans raison au-  cune (c 7 est-a-dire qu’il semble dirige plu-  tot par une force exterieure que par son  propre jugement); il a 1’encolure courte  et dure, les naseaux apiatis a la maniere  du singe, le poil noir, les yeux glauques  le sang le tourmente et il est toujours en  rut et en querelles ; il a, de plus, les  oreilles velues, il est insensible a tout et  n 7 obeit qu’a peine au fouet et a 1’aiguil-  lon. Il est necessaire de transcrire, dans  le texte Grec, ces marques particulieres  du mauvais cheval.   18. J’ai cite le texte afin qu’on puisse  decider si la conjecture que me suggere  cette description du cheval retif a quel-  que vraisemblance. Ou je me trompe  fort, ou Socrate ici retrace moins les ca-  racteres d 7 un cheval defectueux que son  propre portrait, dans lequel le physio-  nomiste Zopyre trouvait les indices d’un  naturel vicieux. Zopyre, au dire de  Ciceron (Du Destin , chap. v) pretendait  en effet que Socrate etait lourd et stu~    DO    SOCRATE    etiam mulierosum. Illud de stupore con-  venire cum Homzne xpaTepau/7)v et (3payuxpa-  mox declarabitur : quod muliero-  sum dicebat, illud cum G6psa Ixatpop con-  gruit : novimus enim quos uSp-.sxa; tum  dixerit Graecia ( i ). Porro illud aipio-pd-  aw-ov plane pertinet ad notationem Socra-  tis, in quo cum deridetur a Critobulo (2),  tum ipse suaviter sibi illudit, et in eo  patulisque non modo deorsum sed in hori-  qontem naribus, non minus quam in ocu-  lis ultra frontem eminentibus, et labio-   (1) Unum ponamus exemplum e libello, quipree  manu est, Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18 1,  E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs; papuxovov, OSpiaxa^. Ava-  tpspexat £~1 xoj; ovoj;. Physiognomones e simili-  tudine vocis asinina: argumentum ducunt ad libi-  dinem asininam. Conf. § 14, it. 32 .   (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p, Socrates ad  Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w?  yap /a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid  istuc? quasi me quoque pulchrior esses, ita gloriaris.  Ad qua: Critobulus , Nrj Ata, rj Ttavxcov SsiX7jvwv  xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te for-  mosior essem, ait, essem Sileuorum, qui in Satyri-  cis fabulis in scenam veniunt, turpissimus.    ET L t AMOUR GREC    5i    pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai-  sirs veneriens. Pource qui est dela lour-  deur, cela concorde avec 1’encolure  courte et dure ; adonne anx plaisirs ve-  neriens, repond a &'6peto; ItaTpo;. Nous  savons, en effet, quels etaient ceux que  les Grecs appelaient uSpiatat' (i). Quant a  la face simiesque, cette designation s’ap-  plique parfaitement au portrait de So-  crate ; il y a fait lui-meme agreablement  allusion en repondant aux moqueries de  Critobule ( 2 ). Il avoue que toute sa  beaute consiste en un nez epate et me-  nafant le ciel, en des yeux saillants et    (1) Contentons-nous d’un seul exemple tird du livre  que nous avons sous la main , le De Physiognomia ,  d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave  sont &6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que  la voix £tait bruyante comme celle de l’ane, les phy-  sionomistes conci uaient qu’on devait avoir le tempe-  rament lascif de cet animal.   (2) Xenophon (Banquet, ch. IV, 19). Socrate dit il  Critobule, qui vante sa propre beautd : « Quoi donc ?  Tu crois etre plus beau que moi ? » Critobule lui  repond : « Si je n’etais plus beau que toi,je serais  le plus affreux de ces Silenes que Von voit paraitre  dans les drames salyriques. »    5 2    SOCRATE    rum tumore molli , pulchritudinem suam  prcedicat (Xenoph. Sympos? c. 5) sicut  in Platonis Convivio (vid. §. 35) Sileni  s. Satyri formam Alcibiades illi tribuit :  et in Tlieceteti Platonici principio Theo-  dorus negat pulchrum esse Thecetetum,  cum sit Socrati similis, tQ te cijxo-rjta xat  to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo et eminen-  tibus oculis, licet minus quam Socrates  utraque re sit notabilis. Nempe hcec si-  gna cum haberentur, et naturales quae-  dam notce, hominis libidinosi, iracundi  et stupidi, non negabat illud Socrates,  verum eo majoris faciendam esse Philo-  sophiam ostendebat, quee tantum contra  vitiosam naturam valeret.    iy. Quoniam hic sumus, non injucun-  dum forte fuerit lectoribus nostris in  rem quasi preesentem ire, et ex artis,  qualis tum erat, praeceptis, Zopyri judi-  cium defendere. Vix autem opus est  admoneri lectores, non hoc agi, Num  veri aliquid sit in ea arte? Num ipso    ET L ? AMOUR GREC    53    des levres gonflees comme un abces ; de  meme dans le Banquet de Platon, Alci-  biade compare son masque a celui de  Silene ou d’un satyre, et au commence-  ment du Theatdte , l’un des interlocu-  teurs, Theodore, refuse toute grace a  Theatete en disant qu’il ressemble a So-  crate, qu’il est camard et que les yeux  lui sortent de la tete ; que pour etre chez  lui moins apparents que chez le maitre,  ces defauts n’ensontpas moins sensibles.  Socrate ne niait pas d’ailleurs que ces  particularites physiques n’indiquassent  un homme lascif, violent et d’un esprit  paresseux ; il en concluait seulement en  faveur de la Philosophie qui parvient a  dompter un si vicieux naturel.   19. Pendant que nous y sommes, il ne  deplaira peut-etre pas au lecteur d’aller  plus au fond sur ce chapitre et de de-  fendre les idees de Zopyre, idees basees  sur des regles alors acceptees. Il nes’agit  pas de savoir si cette Science est sure ;  est-ce que 1 ’excmplc meme de Socrate    SOCRATE    54   etiam Socratis exemplo ea refellatur, et  vanitatis convincatur? sed hoc modo ,  quod dixi, Utrum Zopyrus ex arte, et  ut oportebat, judicium de illo tulerit?  Exstat in operibus Aristotelis libellus,  <J>uaioyvoj[juxa inscriptus, quo superiorum  hujus artis consultorum collegisse prae-  cepta videtur . Hinc ea, quee ad formam  Socratis, qua ? ad equi hujus mythici na-  turam pertinent , huc transferamus.   2 0 . Igitur (c. 3, p. 1 1 j3, B) inter ’Avai-  c07j- ou hoc est stupidi , et sensu communi  pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a  aap'/.oj07) 7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va,  Ea quas adjacent collo carnosa, com-  plexa et colligata, itemque cervix crassa,  XGxytjkoq -ayjj;. Et (c. 6. p. I Ij8, C) Oi?  Ta "£p\ ta; xXeTBoc; aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv,  avodaQiyroL. Nonne totidem fere verbis  Ciceronianus Zopyrus? Stupidum esse  Socratem, et bardum quod jugula con-  cava non haberet, obstructas eas partes  et obturatas. Alia adhuc mala signifeat  ista conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc xai    55    ET L’AMOUR GREC   ne temoigne pas du contraire ? Mais  Zopyre en a-t-il tire, en ce qui concerne  notre Philosophe, un pronostic judi-  cieux ? II y a dans les oeuvres d’Aristote  un opuscule intitule Physionomiques ou  ce philosophe parait avoir recueilli les  regles admises avant lui par les habiles.  Nous transcrirons celles qui se rappor-  tent au portrait de Socrate et au carac-  tere de son cheval mythique.   20. D ? apres Aristote (chap. m), les in-  dices d’un esprit lourd et presque prive  du sens commun sont le gonflement des  chairs qui avoisinent le cou, leur engor-  gement et leur replelion- ce qu’il con-  firme en disant au chapitre vi : « C’cst  un signe de betise que d’ avoir 1 ’cncolure  epaisse. » Zopyre, dans Ciceron, n’ex-  prime-t-il pas la meme idee? Socrate,  dit-il, etait lourd et stupide, parce quii  navait pas le cou bien degage, que ces  parties etaient cheq lui comme engorgees  et obstruees. Cette conformation indi-  que cncore bien d’autrcs dcfauts : la    56    SOCRATE    TzlioK, 0 o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et plena cervix  iracundos signat, exemplo taurorum : Ol?  8s [Bpayjj; ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium  quibus est, ii sunt homines insidiosi, lu-  porum instar. Talem modo vidimus  illum malum equum, xpaxepauyeva et [Bpa-  yuxpayjiXov. Talem nisi fallor se indicat  Socrates, aut potius talem significat  Plato Socratem, a natura fuisse.    21. Videamus reliqua. Equus malus  Socratis est — sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus  circa aures. Libidinosi, Xayvou, apud  Aristotelem ( c . 3 extr. p. 1174, C) o t  xpdxoupot oaa$T?, densa pilis i. e. hirsuta  tempora. Deinde (c. 6. p. 1174, C) oi  xa yecXrj “aysa eyovxe; puopoi — avacpdpexai    £7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa labia  stultitiae characterem faciunt, ob simili-  tudinem asinorum. Quid de se Socrates  (Xenoph. 1. c.) in ludicra cum pulchro  Critobulo contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv  xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv oou 'iyv.v xo  csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat  osculum mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov    et l’amour grec 5 7   nuque epaisse et charnue denote un  homme violent, par similitudo avec le  taure au ; ceux qui l’ont trop courte sont  ruses, par similitude avec le loup. Or,  cette indication, 1’encolure epaisse et  courte, figure parmi les marques du  mauvais cheval. Si je ne me trompe  Socrate avoue qu’il etait bati de la sorte,  ou plutot c’est ainsi que le depeint Platon.   21 . Voyons le reste. Le mauvais che-  val Socratique a les oreilles velues : Aris-  tote designe comme libertins ceux qui  ont du poil jusques sur les tempes. De  plus, les physionomistes notent les  grosses levres comme un indice de betise,  par similitude avec 1’ane. Or que lisons-  nons dans la plaisante discussion (Xeno-  phon, 1 ) de Socrate avec Critobule? —  « A cause de ses l&vres charnues il pense  que son baiser est plus sensuel », et plus  loin : « Je te par ais avoir, 6 Critobule,  une bouche plus difforme que celle de  Vane, avec ces bourrelets qui me tienncnt  lieu de levres. »    58    SOCRATE    aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv,  turpius os quam habent asini illum  mollem labiorum tumorem habere tibi,  o Critobule , videor.   22 . Simus fuit, ut vidimus, Socrates :  at|jio-po'ato7:o; est malus equus. Quid Phy-  siognomones, atque adeo Zopyrus ? Si  fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01  G'|j.7jV Eyovts; piva, Xayvor avacpspezai i~\ tou;  iXa^ou;, Simi sunt libidinosi, exemplo  cervorum. Patulas quoque versus nares  suas, qu£e possint odores undecunque  oblatos excipere, laudat sipojv Socrates  Xenophonteus , pra ? Critobuli naribus  humo obversis. Ot ;xev yao ao\ (xuxT7jpE; ei;  yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte tx;  T:av~o0£v oGua; izpoa ov/yOou. At Physio-  gnomones ( I . C.), 0:; o! p.uxT7jp£$ ava"E^"a-  pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt, quorum  patula? nares, quod in ira diffundi so-  lent. Iracundum valde a natura fuisse  Socratem, non soli credamus Cy r rillo,  quamvis Porphyrium auctorem laudat ,  qui ab Aristoxeno se illud dicat acce -    ET LAMOUR GREC    59    22. Socrate, nous le savons, etait ca-  mard ; son mauvais cheval a les naseaux  ecrases du singe. Quel indice en tirent  les physionomistes et Zopyre ? Aristote  dit : « Les camards sont lascifs, par simi -  litude avec le cerf ». Socrate declare  quii a les narines lar gement ouvertes ,  comme pour subodorer de toutes parts  les parfums. Jaime mieux cela, dit-il,  que d’avoir, comme Critobule , un ne^  penche vers le sol. Mais d’apres les phy-  sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera-  ment porte a la colere. Que Socrate ait  etedun naturel violent, nous ne nous en  rapporterons pas la-dessus seulement a  Saint Cyrille, quoique son temoignage  soit corrobore de ceux de Porphyre etd’A-  ristoxene et qu’il dise en propres termes :  « Socrate etait devenu si irritable qu’il  ne pouvait moderer ni ses paroles ni ses    6o    SOCRATE    pisse, ’'Ote <pXe-/0e't7] utzo zou TrdOou; toutou [de  ira sermo est) ostvrjv etvat xr ( v aayr][jLO(Hjvr)v •  ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe  -payjj.ato;, Eo importunitatis progressum ,  ut nullo neque verbo neque opere absti-  neret : sed ipsi de se credamus Socrati,  qui tam gravi ac molesto sibi, quam fuit  Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis  gymnasio opus fuisse, fassus sit apud  Xenophontem [Sympos. 2, 10 ) BouXo'|ievo;,  dv0pco7tot; y prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj-  ptat, sii eloco;, oxt, et lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS  TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN, avOptfaoic  auveaouat, Quam ferre si posset, facilis  esset cum aliis omnibus conversatio.    23 . Unum superest : e^^OaXpto; erat  Socrates. Itaque ita jocabundus disputat  cum pulchro Critobulo, ut cum primo  convenisset, Pulchras esse res , quatenus  respondeant consilio, propter quod ha-  bentur ; roget eum , Cujus rei gratia ha-  beamus oculos? eoque, ut necesse erat ,  respondente, Ad videndum, inferat ,  Suos ergo pulchriores esse, qui Sta zo    ET CaMOUR GREC    6i    actions ». Croyons-en Socrate lui-meme;  dans le Banquet de Xenophon , il avoue  que le caractere acariatre de Xanthippe  fut pour lui la meilleure ecole de pa-  tience et de douceur; que par la suite il  lui fut plus facile de supporter la con-  tradici ion.    23 . Il ne reste plus qu’une chose : So-  crate avait les yeux saillants. Il dispute  la-dessus agreablement avee le beau Cri-  tobule, et le fait convenir d’abord que  toute chose est belle pourvu qu’elle re-  ponde au but en vue duquel elle existe.  Il lui demande alors : Pourquoi faire  avons-nous des yeux ? — Pour voir, re-  pond naturellement Critobule. — E/i bien  alors , dit Socrate, mes yeux sont les plus  beaux de tous, car iis me sortent de la    62    SOCRATE    £7it-oXatot sivat, quod emineant, non ea  modo, quas exadversum sint videant, sed  etiam quae a latere. Et cum diceretur ,  secundum hmc pulcherrime oculatum  (euo^OaXjj-GTa-ov : ) animal esse cancrum,  id ipsum affirmat. Jam Physiognomon  Aristoteles (c. 6. p. i ijg, D) "Oaoi i£6z>-  OaXjjiot, inquit , aS&vepoi, Fatui sunt, quibus  oculi eminent : rationem petit ab judicio  quodam decoris et convenientia ■ naturali ,  et ab similitudine asinorum. Male de  horum gente meritus est Stagirita :  quce videtur ex hoc prcesertim libello  contraxisse infamiam illam , qua ab eo  inde tempore, et Platonis quibusdam  dictis, onerata est : honestum superiori  cetate animal, cujus majestatem, ut Var-  roniano verbo utamur, (de R. R. 2, 5,  4) adhuc agnoscebat Homerus. De hac  re adjicietur potius huic disputationi  quoddam corollarium, quam ut longius  digrediamur a Socrate.    ET L’AMOUR GREC    63    tete, si bien que je puis voir non-seule-  ment devant moi, mais & droite et d  gaiiche. Son interlocuteur lui repond  qu’a ce compte les crabes ont de tres-  beaux yeux, et Socrate affirme que c’est  parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote,  les yeux saillants sont 1’indice de la sot-  tise; il tire ce pronostic de certains rap-  ports naturels de convenance, de syme-  trie, et de la ressemblance que ces yeux  offrent avec ceux des anes. Le philosophe  de Stagyre a par la bien mal merite de  cette race inoffensive, et ce doit etre a  partir de ce petit traite qu’il acquit le  mauvais renoni confirme depuis par  Platon lui-meme. L’ane, cet honnete  animal, etait mieux apprecie des genera-  tions precedentes, et Homere se plaisait,  suivant le mot de Varron, a lui recon-  naitre de la majeste. Nous ferons de cela  un corollaire a cette dissertation pour ne  pas trop nous eloigner presentement de  Socrate (i).    (i) Gesner a «Jcrit un appendice intitulc De antiqua    SOCRATE    64   24. Nempe tempus est, ut videamus,  quorsum evadat ille de bono et malo  equo Myihus. Ad conspectum pulchri  (p. 34 j, F) bonus ille quidem aurigee  obsequitur, contineri se patitur, malo  alteri , quantum potest reluctatur. Simile  certamen est in pulchro, qui amatur :  repugnat malo isti equo bonus illius  jugalis, hic enim est (p. 348 , G) 6 [xo'£u£,  et ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous  xat Xdyou, cum pudore et recta ratione. Si  ergo ita vincant meliora, et ad vitam  ordinatam, quae eadem philosophia est,  ducant illum currum, beatam et concor-  dem hic vitam agunt continentes se, et  decus suum tuentes, syxpatcTs auroiv xat  xdajjuot ovtss, in servitutem redacto illo  equo, cui vitiositas animae inerat; in li-  bertatem asserto eo, cui virtus. Tandem  vero alati ac leves denuo facti, sic de tri-  bus illis certaminibus (de quibus §. 12)   asinorum honestate, imprime i la suite du Socrates  sanctus pcederasta ; il ne nous a pas sembl£ otfrir  assez d’interet pour Ctre traduit. (Note Ju Traduc-  teur.)    ET L’AMOUR GREC    65    24. II est temps de voir ou il veut en  venir avec son Mythe du bon et du mau-  vais cheval. A Taspect de la beaute, ie  coursier docile obeit au cocher et se laisse  contenir; il resiste de toutes ses forces a  son mauvais compagnon. L/objet aime est  lui-meme en proie aunesemblablelutte ;  son bon cheval se defend contre les ten-  tatives de son mauvais compagnon d’at-  telage, que de plus le cocher s’efforce de  contenir par la pudeur et la raison. Si les  meilleurs instincts remportent la victoire  et conduisent le char dans les chemins de  la vie rangee, cest-d-dire de la philoso-  phie, les deux amant s vivent dans le bon-  heur et bunion, maitres d’ eux-memes  et regles dans leurs mceurs : iis ont  dompte le mauvais cheval, qui repre-  sente le vice, et affranchi 1’autre qui re-  presente la vertu. Recouvrant enfin leurs  t ailes et leur legbrete primitives , iis sor-  tent vainqueurs de ces trois luttes vrai-  ment Olympiques dont nous avons parle  plus haut. Socrate peut donc dire*sans  hesitation que ccux qui se prescrvcnt.    66    SOCkATE    vere Olympicis, unum vicerunt. Absque  hcesitatione igitur beatissimos esse dicit,  qui se puros et castos ab amore Venereo  servaverint.    25. At nunc sequitur apud Platonem,  in quo defendere illum , Platonem, in-  quam, nam Socratis causam hic segre-  gandum putamus (vid. 6) paullo diffi-  cilius est; tacuisset enim forte sapientius :  sed non iniquum (i) excusare. Nempe  his, quee modo prolata sunt, subjungit,  quee non scripta equidem malim : sed  pono, ne quid dissimulasse videar, ne  parum bona fide egisse. Quam vero caute,  quam suspensa velut manu illud ulcus  tractet, videre opera? pretium est. Eav’  os 8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO—  cptXoTtjxu) 8s yprfacjvzx'., -i/' av ~oj ev uiOat;  sitivi a)xA7) dasXsta Tci> axoXaTCto ajTOtv Gno-  JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j; aovaya-  yovTE et; toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot-    fi) Multum certe facilior causa Platonis, quam  alicujus Beneventani Episcopi : aut aliorum, quos  vrxterco sciens.    ET L'AMOUR GREC 67   purs et chastes, de 1’amour Venerien,  jouissent de la plus grande beatitude.    25. Ce qui suit, chez Platon, est un  peu plus difficile a expliquer; chez Pla-  ton, disons-nous, car ici nous croyons  devoir separer sa cause de celle de So-  crate; evidemment il aurait mieux fait  de se taire , mais il n’cst pas impossible  de l’excuser (i). A ces choses sublimes  que nous venons de transcrire, il en  ajoute d’autres que j’aimerais mieux lui  voir passer sous silence; je les exposerai  cependant, de peur de paraitre rien dissi-  muler et manquer un peu de bonne foi.  Il faut ici donner le texte pour qu’on    ( 1 ) Son cas est en effet moins grave que celui de  certain eveque de Bdnevent et de quelques autres que  je ne veux pas nommer. — (L’auteur fait ici allusion  a 1’archeveque Giovanni .delia Casa et a son fameux  Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait probablement  pas lu, et il se meprend, comme bien d’autres, surle  sens de ce celebre petit poeme. — Note du Traduc-  te ur.)    68    SOCRATE    cTr;v atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X.  Si vero vitam vivant LICENTIOREM  et A PHILOSOPHIA ALIENAM, ean-  demque ambitiosam, forte aliqua in  ebrietate aut qua alia negligentia depre-  hensas INCAUTAS animas equi illi  uiriusque amatoris indomiti, eodem con-  ducant, et sic illam quce beata vulgo vi-  detur electionem faciant, et (turpe illud  facimts) peragant : eoque peracto per re-  liquum tempus utantur quidem (illa  voluptate ) sed raro, quippe qui non  omnino deliberata mente (sed deprehensi  velut incauti ) hoc agant — etiam hi  praemium non parvum amatorii illius  furoris (non Venerei, de quo modo dic-  tum, sed philosophi , de quo §. i3) aufe-  runt : in tenebras enim illas et illud sub  terram iter non veniunt, etc.    ET L'AMOUR GREC 69   voie avec quelle prudence et sans ap-  puyer la main, il decouvre cet ulcere de  la civilisation Grecque. — « S’ils embr as-  sent , dit-il, nn genre de vie moins austdre,  etrangbre a la Philosophie et livree aux  passions desordonnees , il arrivera quau  milieu de Vivresse ou de quelque autre  etourderie les coursiers indomptes sur-  prendront leurs ames et les meneront l’un  et l’ autre au meme but,' iis prendront alors  le parti de faire ce en quoi , selon le vul-  gaire , consiste le supreme bonheur et  (c’est la le crime infame) satisferont leurs  desirs. Dans la suite , iis renouvelleront  leurs jouissances , mais rarement, parce  qxCelles ne sont pas approuvdes de l’dme  entiSre et qu’ils agissent comme par sur-  prise et sans defense. C’est pourquoi ce  qu’il y a encore d’excellent dans leur  amour (le pur amour pliilosophique et  non le desir Venerien) recevra plus tard  sa recompcnse ; iis niront pas, aprds leur  mort, dans ces tenebres et par ces routcs  souterraines,.., etc. »    yo    SOCRATE    26. Apertum est his, qui et sermonem  Platonis intelligunt, et non ultro qucerunt  crimina, non illum prcemium constituere  pceder astice turpi, non Philosophice genus  facere flagitiosum puerorum amorem :  sed summam c.ulpce esse hanc , quod di-  cat, si qui coelestis illius pulchritudinis,  quam in volatu illo suo viderint, deside-  rio icti, etiam pulchros amant, et dum  arctius eos complectantur, liberius cum  iis versentur, etiam ad turpe facinus ab  ebrietate, certe ex improviso, incauti,  proster deliberatam voluntatem, abri-  piantur, id quod ipsis contingat ob genus  vivendi licentius atque a Philosophia alie-  num, iis tamen prodesse primum illud7'io-  biliusque philosophandi propositum, ut  non cum reliquis ad inferos mittantur,  et ad poenarum locum (vid. §. 12) non  cogantur post ternas millenorum anno-  rum periodos , septem alias subire ete  sed facilius alas ut recipiant, quibus evo-  lare ad coelestia, deum aliquem sequi du-  cem possint. Hactenus reprehendat Pla-  tonem, si quis volet, non ut laudatorem    et l’amour grec 7 1   26. II est bien clair, pour qui veut  comprendre Platon et ne cherche pas de  griefs de son plein gre, qu J il n’assigne  pas cette recompense aux fauteurs du  vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’igno-  minieux amour masculin un attribut  special des Philosophes. On voit, au con-  traire, combicn il blame ceux qui, les  yeux encore eblouis de cette beaute ce-  leste entrevue par eux dans leur vol an-  terieur, con^oivent des desirs pour la  beaute terrestre, recherchent les jeunes  garcons, et a force de les embrasser etroi-  tement, devivre familierement avec eux,  se trouvent entraines a 1 ’improviste, au  milieu de livresse, par surprise et sans  que leur volonte y ait part, a conimettre  l’acte immonde; cela leur arrive, parce  qu’ils ont adopte un genre de vie trop  libre et qu’ils negligent la Philosophie.  Iis tirent cependant ce profit, de s’etre  d’abord propose pour but cette noble  Science, qu’ils ne sont pas relegues aux  enfers avec tous les autres hommes ; apres  une revolution de trois mille annees, iis    SOCRATE    7 2   Pcederastice, sed ut clementem nimis ,  lentumque adeo castigatorem : qui prae-  sertim in aliis peccatis severum satis ac  durum se praebuerit (1 ).    27 . Sed , si cequi esse volumus, si de  nostris religionum doctoribus ecquos ex-  periri judices, videamus etiam , quid dici  pro ratione illa Platonis possit , quid pro  Socrate, quatenus et ipse non horribili  flagello sectari vitia id genus solebat.  Distinguamus legislatoris personam et  Philosophi. Legibus Atheniensium primo  antiquissimis illis a Cecrope , sanctitas   (1) Bona pars libri De re publica decimi in eo  consumitur, ut a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?,  implacabiles sacrificiis Deos, ostendant. Vid. pras.  a p. 6 72 extr. et conf. qua: collegit Davis. ad Gic.  de Legib. 2. c. j 6 . p. i 3 j    ET L’AMOUR GREC 78   n’ont pas a en su.bir sept mille autres;  iis recouvrent plus vite leurs ailes et peu-  vent s’elancer vers les spheres celestes, a  la suite d’un des douze dieux. Que l’on  reproche donc a Platon, si l’on veut, non  pas de s’etre fait 1’apologiste de la Pede-  rastie, mais d’avoir ete trop clement,  de ne pas chatier assez ferme, lui surtout  qui pour de moindres fautes se montre si  dur et si severe (i),   27. Mais soyons equitables; prenons  d’honnetes gens pour juges de nos Phi-  losophes, voyons ce que l’on peut dire  en faveur de Platon ou de Socrate, et  jusqu’a quel point ce dernier a vraiment  neglige de flageller le vice en question.  II faut distinguer le legislateur du Phi-  losophe. Les plus anciennes lois Athe-  niennes, celles de Cecrops, proclamaient  la saintete du mariage. La loi de Dracon    ( 1 ) II emploie la majeure partie du X® livre de sa  Republique a montrer que les dieux sont insatiables  de sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies  sur le Tr ciite des lois , de Cicerrr.i.    7    74 SOCRATE   matrimoniorum constituta : Draconis  lex capite plectebat adulteros : Solon li-  beram faciebat marito potestatem sta-  tuendi in adulterum in facto deprehen-  sum , quidquid liberet. Itaque mirum  fuerit si masculam libidinem non punis-  sent.   28. Sed bene habet : supersunt monu-  menta Solonis hac etiam de re legum,  diligenter collecta a Sam. Petito (de Le-  gibus Att. 6, 5 et in Commentario  p. 468 sqq.) prcesertim ex vEschinis in  Timarchum (a p. 186 edit. Aurei. Al-  lobr. 1607. /•) et Demosthenis contra  Androtionem (a p. 421) orationibus :  unde hoc constat, qui vi vel persuasione  ingenuum corrupisset, produxissetve,  gravissima poena (quce ad ultimum sup-  plicium corruptoris et productoris, in-  terdum etiam corrupti, poterat progre-  di) affectum esse. Qui illam patiendi pro  mercede turpitudinem admisisset, si  effugisset poenam aliam, illi neque lice-  bat inter novem Archontas esse, neque    ET LAMOUR GREC 7 5   punissait de mort les adulteres; Solon  laissait la faculte au mari, dans le cas de  flagrant delit, de se faire justice comme  il 1’entendrait. II serait bien surprenant  que ces deux legislateurs fussent muets  a l’egard de Tamour masculin.    28. Mais nous avons mieux ; il reste  des lois portees par Solon sur la matiere  divers fragments precieusement recueillis  par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques  et le Commentaire dont il a accompagne  cet ouvrage); ii les a surtout tires du  Discours contre Timarque, d’Eschine, et  du Discours contre Androtion, de Demos-  thene. Il y est dit : Quiconque, memesans  violence, aura debauche ou prostitue un  homme de condition libre sera passible  de la peine la plus rigoureuse. — (Le cha-  timent pouvait etre la mort, dans l’un  comme dans Tautre cas, et pour le liber-  tin, comme pour savictime.) — C elui qui  se sera prostitue pour de l’argent, s’il  echappe a toute autre peine, ne pourra ni    SOCRATE    76   fungi sacerdotio, neque syndicum creari,  neque ullum magistratum vel intra vel  extra urbem, neque sortito neque suf-  fragiis, capere, neque pro Praecone s.  oratore mitti usquam, neque sententiam  dicere unquam, neque in templa publica  intrare, neque in pompa coronata et ip-  sum coronari, neque intra sacros fori  cancellos (evto; twv t rj; ayopa? TteptppavTT]-  P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im-  pudicitiae quidquam horum fecisset, ca-  pital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba  legis ab As schine recitata. Plura huc  transferri opus non est , cum rarum esse  Petiti opus desierit. Summa capita habet  etiam in Themide Attica ( 1 , 6) Meur-  sius.    2 q. Utrum seynpcr valuerint istce le-  ges? annon eas perruperit interdum au-    ET L AMOUR GREC    77   etre l’un des neu f archontes , ni remplir  aucune fonction sacerdotale , ni etre nomme  delegue d’une ville ; il lui est interdii  d’exercer aucune magistrature, soit en  dedans , soit en dehors de la cite , quii  ait et e designe par le sort ou par les  suffrages de ses concitoyens ; d’etre en-  voyd nulle part comme Herault, ou comme  orateur ; de prononcer aucune sentence ;  de penetrer dans les temples publics; de  faire partie des processions et d’y porter  une couronne sur la tetc; de franchir  ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque,  deja condamne pour fait de prostitutiori ,  fera ou acceptera de faire une de ces  choses sera puni de mort. Puni de mort,  tel est le texte meme de la loi lue par  Eschine. II est inutile d’en transcrire ici  davantage, car Touvrage de Samuel Petit  est loin d’etre rare ; Meursius en a meme  donne, dans sa Themis Attique, les cha-  pitres importants.   29. Ces prescriptions eurent-elles tou-  jours force de loi? Ne purent-elles etre    SOCRATE    7 8   dacia , astus subterfugerit , eluserint  rhetores? annon ipsa poenarum gravitas  impunitati occasionem non nunquam de-  derit? an non professce impudicitiae ho-  minis utriusque sexus, libidinum publica-  rum victimce, toleratce sint? An denique  poetce non multa saepe impudenter scrip-  serint, fecerint? jam non quceritur. Uti-  nam non avxtxatrjyopia quadam repellere  possent veteres Attici cujuscunque vel sec-  tae vel cetatis homines, si qui acerbius ex-  probrare iis velint, quce de Comicorum pe-  tulantia sublegerunt illi apud Athenaeum  (i3, 8 p. 601 ) Deipnosophistce, et quae  colligere ex illa parentum cura apud  Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda-  gogos constituentium suis filiis, qui ne  quidem colloqui suis cum amatoribus  (turpibus nimirum et flagitiosis) eos pa-  tiantur : e. i. g. a.    3o. Ceterum severitate legum eo ma-  gis opus erat, quod obtentum fiagitiis    et l’amour grec 79   enfreintes par les audacicux, adroitemcnt  tournees par les gens ruses, eludees par  les avocats ? La rigueur du chatiment ne  favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite ?  Est-ce qu’on ne tolera pas des prostitues  de profession, victimes de 1’incontinence  publique et remplissant le role de l’un et  1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas ef-  frontement deerit ces turpitudes, ne les  ont-ils pas mises en action sur la scene ?  Cela ne fait aucun doute. Plut au ciel  que les Atheniens de nfimporte quelle  secte et de quelle epoque ne pussent re-  tourner Taccusation a ceux qui leur re-  procheraient trop vertement ces horreurs  etalees par les poetes comiques et recueil-  lies par les Deipnosophistes d’Athenee, ou  ce qu’on peut induire de 1’inquietude des  peres de famille confiant leurs fils, d’apres  Platon, a des precepteurs severes, pour  les empecher de s’entretenir avec leurs  amis, — des amis infames et detestables.   3o. Les lois devaient etre d’autant plus  severes, que les coutumes de la Grece    8o    SOCRATE    non nunquam praeberet (ut nempe res  sancta ? prope omnes , ut ipsce populorum  sceculorumque pene omnium religiones ,  atque ceremonice) ille puerorum amor ,  castus , legitimus, sanctus, quo tanquam  potentissimo virtutis cum bellicce tum  civilis incitamento utebantur qucedam  Grcecorum respublicce : quarum legisla-  tores, cum viderent, ignava fere esse  virtutis prcecepta, firmis licet nixa de-  monstrationibus, nisi ea affectu quodam  et tanquam spiritu animentur, nisi ev0ou-  aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti  homines et commoda sua , et jacturas, et  salutem, et pericula et tormenta contem-  nerent. Hinc excogitata et in usum  civitatis recepta sunt splendida ista et  efficacissima remedia, Religio, Pudor,  Amor patrice, Gloria, res quondam po-  tentissimce, quod ex illarum effectibus  judicare pronum est: nunc prceclara quo-  rundam, qui sibi Philosophi videntur,  opera fere ad inanium vocabulorum stre-  pitus relata, et, dum relata sunt, etiam  redacta.    ET l’aM0UR GREC    8i    ( comme toutes les choses saintes, comme  les cultes et les ceremonies religieuses de  presque tous les peuples et de tous les  temps) donnaient plus de facilite a la  depravation. La fervente amitie entre  jeunes gens, Tamitie chaste, legitime, sa-  cree, etait favorisee, dans les republiques  de la Grece, comme le plus energique  stimulant du courage militaire et des ver-  tus civiles. Leurs legislateurs savaient  bien que ni la vertu ni le courage ne s'in-  culquent a 1’aide de demonstrations, si  bonnes qu’elles soient ; que 1’homme est  naturellement faible a moins qu’il ne soit  pousse par la passion et par 1’orgueil ou  entraine par cette espece d’enthousiasme  qui lui fait mepriser les aises de la vie, la  fortune, la vie elle-meme, et affronter les  perils et les supplices. C’est pourquoi l’on  mettait en jeu, dans Torganisme de la cite,  ces heroiques et sublimes mobiles, la Re-  ligion, 1’Honneur, 1’Amour de la patrie,  la Gloire, mobiles autrefois bien puis-  sants, comme nous pouvonsen juger par  ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,    82    SOCRATE    3 i . In illis igitur rei publicce bene ge-  renda? incitamentis, an instrumentis?  erat Amor ille adolescentulorum tum in-  ter se, tum inter ipsos et natu majores :  inde illa sacra Amantium cohors The-  bis, et Cretensium. Quanta illius vis  esset, et quam metuendus esset miles  amator, svOouatwv, et ab Amore simul  atque a Marte bacchans, occurenti in  prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H.  V. 3 , g) ut IvOo-jatav et furere ipse prope  videatur. Idem (c. io et 12) Laconica  qucedam circa eam disciplina? publica?  partem instituta commemorat : V. G.  ab illis multatum esse virum alioquin  bonum, ea de causa , quod nullum ha-  bere juniorem, quem amando sui si-  milem, et per hunc forte etiam alios,  redderet : itemque peccantis adoles-  centuli virum amatorem punitum , cui    83    ET l/AMOUR GREC   grace a de certains Philosophes, ou soi-  disant tels, ces grandes choses ne sont plus  que de vains mots, creux et vides, dont le  sens s’affaiblit a mesure qu’on en abuse.   3 1 . Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit  entre eux-raemes, soit entre eux et leurs  ames , etait favorise partout en Grece ,  pour le bien de la chose publique ; voila  ce qui donna naissance a la cohorte sa-  cree des Amants , chez les Thebains et  chez les Cretois. Quel etait le courage de  ces sortes de soldats, quelle etait la ter-  reur qu’ils inspiraient, lorsqu’ils rencon-  traient Tennemi, ivres a la fois d’amour  et de sang : c’est ce que Elien nous a fait  connaitre, en partageant, pour nous les  mieux depeindre, leur impetuosite et  leur fureur. II nous indique aussi qu’il  y avait quelque chose de semblable dans  les institutions de Sparte ; un Lacede-  monien fut mis a 1’amende , quoique  excellent citoyen, pour avoir neglige d’ai-  mer quelque compagnon plus jeune que  lui, a qui il aurait inculque ses vertus et    SOCRATE    84   nempe illius imputari vitia posse cen  serent.    32 . Etiam illud Laconicum narrat , so-  litos ibi adolescentulos petere ab ama-  toribus , viris nempe bonis ac fortibus ,  stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta-  tur illud verbum , Laconibus proprium,  sElianus per epav, amare : idem factum  ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver.  Multa similia ad utrumque Hesychii  locum viri docti , post Meursium (Mis-  cell. Lac. 3 , 6 ) sed nihil, unde ratio ap-  pellationis queat intelligi. Nec satisfacit,  quod refert, non probat Eustathius (ad  Odyss. A, 36 1 p. 1743 et ad E, 478  p. 240, 38 ) EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^?  ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et  pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se-  veritati parum conveniunt, si fides anti-  quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo,  de quo agimus , loco. Srap-ctaTT)? epio; ata-    ET LAMOUR GREC    85    qui eut ete capable, a son tour, de les  transmettre a d’autres. Lorsqu’un jeune  homme commettait une faute, les Spar-  tiates punissaientson intime ami, comme   responsable des vices qu’il lui tolerait.   /   32. Elien rapporte encore cette autre  coutume de Sparte, que les jeunes gens  exigeaient de ceux dont iis etaient aimes,  toujours choisis parmi les meilleurs et les  plus braves, ut se adflarent. II explique  le verbe ekjttvs Tv ( adflare ), propre aux La-  coniens, par cet autre : spav (aimer), et He-  sychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS  et eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette  interpretation, a 1’exemple de Meursius;  mais je n’ai rien compris aux raisons  qu’ils en donnent. Je ne suis pas davan-  tage satisfait de Tassertion emise, sans  preuve, par Eustathe, dans son commen-  taire des chants IV e et V e de YOdyssee :  a Les inspires (i) sont guides dans leur    (i) On appelait indifTeremment ItaKVETxat, ii a-  7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat (amants) ces couples   8    86    SOCRATE    ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor  turpe nihil quidquam novit. Sive enim  ausus fuerit adolescentulus pati turpia  (upo-v uzoaeivat) sive amator facere (£»|Bp6  oat) neutri quidem Spartee manere pro-  fuerit : aut enim patria privarentur, aut  vita ipsa. Quare illud ela-vetv s. s[j.7ivsTv,  illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa? vocat  Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov) ab in-  spirando s. adspirando divino quodam  spiritu, dictos arbitror , unde afflati, ut  7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi-  no quodam furore perciti , ruerent. Hic  est ille furor, quem supra i3) tetigi-  mus, et de quo plura sunt in Platonis  Phcedro (p. 344, A. 346, A. 352, E).  Nempe spiritum 7iveSp.a quum dicebant an-  tiqui, non rem illi tantum cogitantem in-  dicabant, sed rem subtilem, magna ean-  dem movendi et agendi vi praeditam, etc.   de friires d’armes , si terribles dans les batailles.  'Etcnvelv (ad/lare) peut se traduire positivement  par meter les souffles ou metaphoriquement par  avoir des aspirations communes. ( Note du Tra-  ducteur.)    ET l’aMOUR GREC 87   choix par la beaute et 1’elegance corpo-  relle. » Cela me parait peu convenir a  cette severite Laconienne dont temoi-  gnent tous les anciens et Elien lui-meme,  a Tendroit en question : « On ignorait a  Sparte ce que detait que les impures  amours. Si quelque jeune homme eut ose  se prostituer , ou prendre 1’autre role, il  lui eut mal reussi de rester d Sparte; il  y allait pour lui de Vexilou de la mort. »  C’est ce qui me fait croire que ces inspires ,  designes aussi sous les noms de compa-  gnons, freres d’armes, par Eustathe et  par Hesychius, etaient ainsi appeles du  souffle ou de Tesprit en quelque sorte  divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient  sur l’ennemi comme transportes d’une  fureur plus qu’humaine. Nous avons deja  parle de cette espece de delire, dont il est  si souvent question dans le Phedre de  Platon. Il convient en effet de remarquer  que les anciens n’entendaient pas comme  nous par esprit une faculte intellectuelle,  mais une essence subtile, douee d’une  grande forcc de mouvement et d’action.    88    SOCRATE    33. Non vagatur hcec extra oleas ora-  tio. Cum enim fuerit , quod, adhuc proba-  tum est, in Grcecia r.aiozptxizv.a. quaedam  honestissima, et sancta adeo , qua ad virtu-  tem, bellicam praesertim , et quidquid pul-  chrum est, incitari homines crederentur,  cum nomina spojvuo?, Ipaaxou, raioapaaxou,  itemque spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur-  pitudinem nondum haberent : cum illud  raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut quem  ad modum capital Romae erat servo, si  militarat, ita Solonis lege multaretur  quinquaginta plagis publice, qui servus  eXsuOspou 7ra'oo; spav, amare liberum pue-  rum, auderet : haec ita se cum haberent  omnia, nemo jam debet mirari, adoles-  centulorum esse amorem professum So-  cratem, fecisse illum, quae ante (§. i5)  dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So-  cratis dicta Platonem, quae ex Phaedro  commemoravimus . Quod mitior est vel  Plato, vel ipse adeo Socrates, (si quis ei  tribuat, non satis ille quidem aequa ratio-  ne, quidquid apud Platonem ex ipsius  persona dictum ponitur) in hos etiam quos    ET L’AMOUR GREC 89   33. Cette digression ne nous a pas  eloigne de notre sujet. Puisqu’il existait  en Grece , comme nous venons de le  prouver, une jcatBspao-rfta tres-honnete ,  sainte, on peut dire, et reputee propre a  pousser les hommes au bien et a la vertu,  surtout a la vertu guerriere; puisque les  mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu et  de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux ;  puisqu’il etait meme si honorable de se  livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de  Solon punissait de cinquante coups de  fouet, subis en pleine place publique,  tout esclave qui aurait ose aimer un jeune  homme de condition libre; puisque tout  cela est irrefutable, personne ne doit s’e-  tonner que Socrate ait professe 1’amour  des j eunes gens, qu’il ait lui-meme eprouve  cet amour et agi en consequence; que  Platon nous ait transmis, comme l’ex-  pression des doctrines de Socrate, ce que  nous avons cite du Phedre. Sans doute  Platon ou, si l’on veut, Socrate, quoiqu’il  ne soit pas equitable de lui attribuer tout  ce que son disciple lui fait dire, se montre    SOCRATE    90   mala libido ad turpitudinem transversos  abripuit 25 . 26) illud primo hanc  rationem , ut innuimus , habuit , quod nec  legislatorem hic, neque publicum accusa-  torem ageret ; sed Philosophum , sed  amatorem, amicum certe quidem, qui  non metu pcence deterrere a turpitudine  homines, sed virtutis amore revocare a  peccato vellet. Deinde erant forte, quibus  parcendum erat, juvenes a vitiis ejus-  modi non plane puri, Alcibiades , Critias ,  alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem «popti-  ■/Mxipcc et dcfikoaofM otattr) yprjaajxsvoi (vid.  §. 25 ) quos abscisse nimis ab omni fructu  Philosophice, ab omni ad virtutem reditu  excludere velle, et sic plane a se et a  virtute segregare, non erat consilii. Non  instituam hic comparationes, quce invi-  diam habere possunt : sed illud addam  unum, si forte aliquid veri sit ineo, quod  de liberiori Socratis adolescentia dictum  est /'§. 2) : si non mendax historia , e qua  refert Origenes contra Celsum , qui su-  periorem vitee conditionem primis Chris-  ti discipulis objecerat (l. 1. p. 5 o. pr.)    ET L AMOUR GREC    9 1   beaucoup trop clement envers ceux qu’un  infame desir pousse a Tacte honteux. Son  excuse, nous Tavons deja dit, c’est que ce  n’est pas ici un accusateur public ou un  legislateur qui parle, c’est un Philosophe,  un ami, un amant, et il essaye non de  detourner les hommes du vice en les ef-  frayant par la menaee des chatiments,  rnais de les dissuader d’une faute en leur  inculquant Tamour de la vertu. II y avait  d’ailleurs peut-etre autour de lui des  jeunes gens qui n’etaient pas irreprocha-  bles et envers lesquels il ne fallait pas se  montrertrop dur, un Alcibiade, un Cri-  tias, d’autres encore, pleins de fougue,  adonnes a une vielicencieuse et etrangere  a la sagesse; les priver de quelques-uns  des benefices de la philosophie, c’eut ete  leur fermer toute voie de retour au bien,  les eloigner de la personne du maitre et  par consequent de la vertu. Je ne cherche  pas a faire des comparaisons qui pour-  raient sembler malseantes; je veux ce-  pendant rapporter un fait, vrai ou faux,  qui a traita la jeunesse un tant soit peu    SOCRATE    9 2   Phcedonem e lupanari traductum ad  Philosophiam a Socrate : quid facere  illum oportebat in hac disputatione?    34. Nihil igitur est in Phcedro , quod  urgeat Socratem : si quid incautius dic-  tum sit , illa Platonis culpa fuerit : quam-  quam si universam circumstantiam , ut  a nobis ostensa est , quis consideret , etiam  hunc accusare , vel non excusare, ini-  quum videtur. De Convivio Platonis jam  non opus est multis disputare. Distin-  guat mihi aliquis personas loquentes : ad  universam libelli descriptionem, quam  vocamus CEconomian, ad Allegorian  denique ab amore Venereo ductam , ac  translatam ad animos, quorum lenonem  se et obstetricem ferebat Socrates : ad  hcec, inquam , mihi attendat aliquis, et    et l’amour grec q3   dereglee de Socrate. C'est Origene qui le  raconte dans son traite contre Celse.  Celse reprochait aux premiers disciples  du Christ d’avoir ete tires de conditions  abjectes; Origene repondit que Socrate  avait bien tire Phedon d’un mauvais lieu  pour le convertir a la Philosophie. J e vous  demande un peu ce que ce Phedon venait  faire dans la discussion.   34. On ne rencontre donc rien dans le  Phedre qui puisse incriminer Socrate; s’il  y a ca et la quelques paroles imprudentes,  c’est la faute de Platon. Encore, si l’on  examine bien toutes les circonstances,  comme nous 1’avons fait, il serait injuste,  tout en blamant Platon, de ne pas lui  trouver d’excuse. Nous ne nous etendrons  pas longuernent sur son Banquet. Que  l’on distingue bien les uns des autres les  interlocuteurs, que Fon fasse attention  a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous  appelons 1’economie de 1’ouvrage, que  Fon analyse enfin cette allegorie tirce  de 1’amour physique, puis appliquee aux    94    SOCRATE    mirabor, si quid ibi sit , unde Jiagitio  ipsi praesidium, vel crimini in Socratem  jactato firmamentum peti possit. Sed est  in illo libro, quod maxime ad defenden-  dum a Socrate fagitium pertinet, quod  ut magis pateat, tota ultimee partis, et  velut actus postremi fabulae illius convi-  valis, CEconomia proponenda est, e qua  ipsa appareat, velle pro veris haberi Pla-  tonem, qua ’ in Alcibiadis personam con-  jecta de Socrate dicuntur.    35. Ebrius nempe Alcibiades ad eum  finem, ut neque pedes officium faciant,  comissator supervenit potantibus apud  Agathonem Socrati ceterisque. Hic, ex  lege compotationis , dextrum sibi accum-  bentem Socratem laudare jussus, obse-  quitur cum professione ebrietatis, ut  tamen (p. 332, G) vera se dicturum con-  firmet et redargui petat , si quid mentia-  tur. Ac primo sub imagine quadam lau-    et i/amour grec 9 5   idees, dont Socrate se donnait comme  l’entremetteur et Taccoucheur, et je serai  bien surpris si 1’on y decouvre quoi que  ce soit en faveur du vice infame ou a  1’appui de 1’accusation portee contre So-  crate. On pourra y puiser, au contraire,  les meilleurs arguments pour l’en defen-  dre ; mais il est necessaire d’exposer ici  toute 1’ordonnance de la derniere partie,  ou plutot du dernier acte de ce dialogue,  ou il est clair que Platon veut nous faire  tenir comme vrai ce qu’il a place, tou-  chant Socrate, dans la bouche d’Alci-  biade.   35. Alcibiade arrive a la fin du festin  dans un tel etat d’ivresse que ses pieds  refusent de le porter; il veut prendre sa  part de plaisir avec Socrate et les autres,  en train de boire chez Agathon. La, par  suite d’une convention adoptee entre les  convives, il est force de faire 1’eloge de  Socrate, assis a sa droite, et demande  de 1’indulgence, en se fondant sur ce  qu’il est ivre ; il affirme pourtant qu’il ne    SOCRATE    96   daturus Socratem , cum Sileno aliquo  (Conf. §. 18 J nominatim cum Satyro  Marsya , tibicine , illum comparat, cujus  figura, ex ligno, edolata ruditer atque  deformi, utebantur artifices pro theca,  quce intus haberet pulcherrimum aliquem  Mercuriolum (p. 333, F) : scilicet in  corpore deformi habitare animam pul-  cherrimam demonstrat : et esse tibicini  Marsyce similem Socratem, ob illam  vim demulcendi animos, cui resisti non  posset.    36. Deinde narrat, cum eundem pul-  chrorum sectatorem quendam ct capta-  torem videret, se, qui fiduciam fornice  haberet, sperasse, si pellicere virum ad  amorem sui (venereum nempe) posset,  eique se prceberet obsequiosum, impetra-  turum se ab illo admirabilem illam ar-  tem, et ablaturum, quce Socrates sciret,  omnia. Hinc narrat verbis quidem ho-  nestis modestisque , ct tamen venia ante    ET LAMOUR GREC    97   dira que la verite et exige, s’il se trompe,  qu’on lui donne un dementi. II com-  mence, pour louer Socrate, par le com-  parer a ces grossieres figures de bois  representant Silene ou le satyre Mar-  t syas, le joueur de flute, sculptees sans  travail et sans art, dont les statuaires se  servaient comme de gaines, et qui rece-  laient a 1’interieur quelque joli petit Mer-  cure ; ainsi, dit-il, dans un corps difforme  peut habiter une belle ame; de plus, So-  crate ressemble au joueur de flute Mar-  syas en ce qu’il a, pour charmer, une force  a laquelle nui n’est en etat de resister.   36. II raconte ensuite que le voyant  s’attacher a la poursuite des beaux ado-  lescents et s’efforcer de les prendre dans  ses filets, plein de confiance en sa beaute  parfaite, il avait essaye de lui inspirer de  1’amour, comptant bien qu’avec un peu  de complaisance pour ses desirs il obtien-  drait de lui qu’il lui communiquat son  admirable science, et qu'il gagnerait a  cela tous les talents de Socrate. Alcibiade    9    SOCRATE    98   exorata ebrietati , et pro? fatus (p. 334 ,  C) uti servi aliique profani aures obtu-  rent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s)  quam varie, et quibus veluti gradibus,  frustra continentiam Socratis, temperan-  tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adji-  cit) tentarit. Summam facit hanc, (p.  334 , G) ut Deos Deasque testes faciat,  se cum totam noctem sub eadem veste  cum Socrate jacuisset, non aliter ab  illo, quam ut filium a patre, aut a fratre  majori frater deberet, surrexisse. Itaque  se frustratum spei esse in homine, quem  hac sola forte parte capi posse putasset.    3y. Enumeratis deinde aliis Socratis  virtutibus, bellica prcesertim , qua sibi  etiam vitam servarit, addit, non se tan-  tum contumelia tali ab eo affectum , sed  Charmiden etiam , Euthydemum et    et l’amour grec gg   place ici , mais en termes honnetes et  mesures, quoiqu’il se soit excuse sur son  ivresse et qu'il ait recommande aux es-  claves et aux profanes de se boucher les  oreilles, le recit des gradations savantes  et de tous les stratagemes vainement mis  en oeuvre par lui pour induire en tenta-  tion la continence, la temperance ou plu-  tot, comme il le dit fort justement, l’he-  roique fermete de Socrate. II conclut en  disant : Je prends les dieux et les deesses  d temoin quapres avoir repose toute une  nuit d cote de Socrate, et sous le meme  m ante au , je me levai d'aupres de lui tel  que je serais sorti du lit de mon pere ou  de mon frere aine. Ainsi, le seul point  par lequel il croyait que cet homme fut  accessible avait tout a fait trompe ses  esperances.   37. Apres avoir ensuite enumere les  autres vertus de Socrate et appuye sur sa  valeur guerriere, a laquelle il etait lui-  meme redevable de la vie, il ajoute qu’il  n’est pas le seul, du reste, a qui Socrate    100    SOCRATE    alios multos, quos ille amoris simulatione  deceptos in potestatem suam redegerit ,  ou? oiito; s^aTCatojv w; IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov  autos -/.aOiaTa-ai avi’ epaotou. Nempe adu-  labantur vulgo amatores , certe qui turpe  quid spectarent , pueris aetatula sua et  illa ipsa adulatione superbientibus. Alia  ratio Socratica , quae etiam supra (§. 6)  in Lysidis argumento declarata est. Sua-  vissima sunt reliqua in Symposio Plato-  nis : eo autem referuntur omnia , ut in-  telligamus Socratis hanc fuisse consue-  tudinem . , pulchrorum amorem uti prae se  ferret , cum illis suaviter et amice ut  versaretur, ut virtutis illos amore im-  pleret , reliqua omnia non tanti esse os-  tenderet , in quibus valde sibi elaboran-  dum vir sapiens existimaret.    38. Sanctus ergo Paederasta Socrates ,  et foedissimi , si quod usquam est , crimi-    ET L AMOUR GREC 101   ait fait un tel affront; que pareille chose  est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a  bien d’autres qu’il avait feint d’aimer  tendrement, pour mieux les asservir et  les diriger. Les amis vulgaires, ceux sur-  tout qui esperaient de honteuses com-  plaisances, se faisaient les flatteurs des  jeunes garcons, et ceux-ci n’en etaient  que plus fiers de leur beaute. Autre etait  la methode Socratique, comme nous l’a-  vons montre plus haut en exposant le  sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Ban-  quet de Platon, est charmant ; tout aboutit  a nous montrer que telle etait la coutume  de Socrate de rechercher les bonnes gra-  ces des jeunes gens que distinguait un  exteneur gracieux, et de vivre avec eux  dans une douce et agreable intimite, afin  de leur faire aimer la vertu; ce point  obtenu, il jugeait facile de leur donner  les autres qualites qu’un sage doit s'ap-  pliquer a acquerir.   38. Ainsi, Socrate n’avait pour la jeu-  nesse qu’un amour chaste ; il etait pur du    9 -    I 02    SOCRATE    nis expers : a quo etiam alios avocare  studuit , quod Critice exemplo docet  Xenophon, ejus, qui post in triginta  tyrannis fuit , quem Euthydemi pudori  insidiari cum sentiret , utxov ti Tiaay eiv  dixit, suillo more prurire, eaque re ini-  micitias hominis factiosi et potentis sibi  contraxit; quibus carere poterat , nisi  potius fuisset officium.    3g. Sed admonet me Xenophon de  crimine alterius illo quidem generis, et  multo, ut in malis, tolerabiliore : quod  tamen ipsum etiam in illo adhaerescere,  quantum in me est, non patiar. Accusa-  tur, ut naturalis quidem , sed malce ta-  men libidinis suasor et leno quidam,  propter ea quce referuntur in Xenophon-  tis Convivio (c. 7 et g). Sed nec ibi quid-  quam est, cujus bonum Socratem, aut  illius amicos pudere debeat. Spectacula  exhibentur convivis mirabilia , partim    ET LAMOUR GREC    io3    vice infame entre tous. Bien mieux, il  s’efiforcad’en detourner lesautres, comme  Xenophon nous 1’apprend par 1’exemple  de Critias. Ce disciple de Socrate, devenu  par la suite l'un des Trente tyrans, avait  voulu attenter a la pudeur d’Euthydeme ;  lorsque son ancien maitre Bapprit : II a  le prurit du porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles  qui lui attir£rent 1’animosite d’un homme  puissant et redoutable, ce qu’il lui eut  ete facile d’eviter, s’il n’avait mieux aime  faire son devoir.   3g. Mais Xenophon me fait songer a  une autre accusation qui a ete egalement  portee contre Socrate ; quoique moins  grave, elle n’en est pas moins facheuse,  et je l’en disculperai de toutes mes forces.  On lui reproche, a 1’occasion d’un inci-  dent rapporte par Xenophon, dans son  Banquet , d’avoir excite ses disciples a la  debauche, ce qui serait pernicieux encore,   (i) Concupiscit ad Euthydemum se affricare  quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xeno-  phon, Memorabilia).    1 04    SOCRATE    etiam periculosa , et horrorem quendam  spectantibus moventia , inter districtos  gladios corpora saltu jactantium , aut in  figuli rota circumacta scribentium le-  gentiumque. Non placent ea Socrati, qui  aptius convivio spectaculum putat ipyjln-  Gat r.poc, tov auXov T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe; ts  •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad tibiam  edi motus et saltationes, eo habitu, quo  Gratiae, Horae, Nymphae a pictoribus  exhibentur.    Forte suspectum alicui fuit hoc quod  Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus-  picioni repugnat , quod dicitur Ariadne  illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,, sponsce  autem profecto apud Grcecos nudce esse    ET L AMOUR GREC 105   bien qu’i.1 s’agisse ici de plaisirs confor-  mes au vceu de la nature, et de s’etre fait,  en quelque sorte, entremetteur. II n’y a  rien, dans ce passage, dont doivent rougir  1’honnete Socrate et ses amis. Des mimes  viennent d’executer devant les convives  toutes sortes d’exercices extraordinaires,  quelques-uns tres-dangereux et propres  a donner le frisson aux spectateurs; on  a vu les uns presenter leurs poitrines, en  sautant, a des pointes d’epees rangees en  file ; d’autres lire ou ecrire enfermes dans  une roue de potier mise en mouvement.  Ces exercices deplaisent a Socrate ; il  pense qu’il serait plus convenable, au  milieu d’un festin, de voir des danseuses  executer des poses, au son de la Jlute,  sous le costume que les pcintres pretent  d’ ordinaire aux Graces, aux Heures et  aux Nymphes.   Cela a pu paraitre suspect parce qu’on  a coutume de representer les Graces  toutes nues. Mais ce soupcon ne repose  sur rien, car la danseuse qui parut  alors, habillee en nymphe, representait    SOCRATE    I Ob   non solebant : nymphae in insectis ab  eo ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gra-  tias decenter vestitas contemplari licet  in Grcecis monimentis apud Montfauc.  Ant. Expl. To. i Tab. iog ad p. ij6.  Movit forte eum, qui primus crimen  hinc excerpsit Socrati, a/r^a-coiv appel-  latio, qua? inter alia ad turpes figu-  ras refertur , quales olim Philcenidis et  Elephantidis commendatas libellis fuisse  constat (i), ut hic ejusmodi impudens  spectaculum suspicaretur . Sed tum inter-  jecta de amore disputatio ( 2 ) (c. 8) tum  ipsa perfectio exsecutioque consilii (c.  g) suspicionem illam eximunt. Aguntur  Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut in  scenam nihil veniat, pra?ter oscula et   (1) De quibus Spanhem. de usu et Praest.  numism. Diss. i 3 . p. 522 . sq. Hic ay 7 jfi a est  omnis gestus saltantium blandus, minax, derisor.  Vid. Lucia. de Saltat, c. 18. T. 2 p. 278 in  primis c, 36 . extr.   (2) Apertior, simpliciorque , et incautior adeo  Xenophontis de his rebus oratio , quam Plato-  nica : sed cujus summa eodem pertineat, uti ab  impura libidine ad sanctam animorum conjunc-  tionem homines revocentur.    F.T L^AMOUR GREC IO7   Ariadne, et les Grecs ne permettaient  pas le nu dans les roles de femmes  mariees. D’ailleurs, certains insectes  imparfaits sont appeles nymphes pre-  cisement parce qu’ils sont enveloppes.  On peut voir aussi, dans YAntiquite' ex-  pliquee de Montfaucon, que les Grecs,  meme sur leurs monuments, figuraient  les Graces decemment vetues. Celui qui  le premier a lance contre Socrate cette  accusation s’est peut-etre effarouche du  mot pose, qui, entre autres, est applique  a des images obscenes, du genre de celles  qu’on rencontrait dans les livres de Phi-  laenis et d’Elephantis (i); il a soupfonne  Socrate d’avoir reclame un spectacle lu-  brique. Or, ladiscussion surTarnour qui  intervient alors ( 2 ), 1’execution et l’ache-   (1) Spanheim (De prostantia et usu numisma-  tum antiquorum) parle de tout cela. On appelait  poses toute esp6ce de geste lascif, provocant ou  railleur, des mimes. ('Comparez Lucien, De la  Danse, ch. XVIII.)   (2) Le dialogue de Xenophon est bien plus franc,  bien plus simple et bien moins circonspCct que celui  de Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au meme    io8    SOCRATE    amplexus , cetera reservantur postsce-  niis (i).    but, qui est de detourner les hommes des plaisirs les  plus impurs et de les rapprocher dans une sainte  communion des ames.    (r) Tales saltationes s. repraesentationes etiam  pars sacrorum erant. Apud Lucia. in Pseudom.  c. 38 . To. 2 p. 244 xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat  Alexander , xai SaStyta?, xat tepocpavxta; —  In his mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo?  yapto; cum Apolline — item riooaXstpiOU xai  pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; — denique SsXrJvr^  xai AXs^avBpou spto? — Alexander ut Endymion  alter xaOsuSwv exsixo sv xw piato — cptXrjtxaxa  xs eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r. oXXat  iqaav at 8a8ss, xay’ av xt xat xwv utco xoXtcou  sjxpaxxsxo. Apposui locum , quia hic etiam  7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil obscenum.    ET l’aMOUR GREC IO9   vernent immediat du divertissement qu’il  avait demande, enlevent toute force a  cette conjecture. Les mimes representent  les noces d’Ariadne et de Bacchus : mais  on ne voit rien de plus sur la scene que  des baisers et des etreintes amoureuses ;  le reste se passe derriere le rideau (i).   ( 1 ) Ces sortes de danses et de reprdsentations  faisaient partie des Myst6res. Dans lM lexander seu  Pseudomantis, de Lucien, on voit Alexandre, in-  troduit comme nouvel initii, passer par les 6preuves  du dadouque et de l’hi<5rophante. Parmi les scenes  religieuses auxquelles cette initiation donne lieu  figurent : les noces d’Apollon et de Coronis, celles  de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin les  amours d’Alexandre et de la Lune. « Alexandre,  comme un autre Endymion, etait couchd au milieu  du theatre; on dchangeait des caresses et des bai-  sers. S’il n’y avait pas eu D des torches en quan-  tite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6 entrainer a  faire qucedam earum quce sub veste Jieri solent. »  Cest un peu ldger ; cependant il n’y a rien la de bien  obscene.   — Gesner aurait du citer Lucien plus complete-  ment ; ce passage du Pseudomantis offre un tableau  de genre exquis : « Alexandre, comme un autre  Endymion, etait couche au milieu du thdatre, faisant  semblant de dormir. II tombait de la voute, comme du  ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait le  role de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant  de 1'einpereur. Elie aimait vraiment Alexandre et    10    I IO    SOCRATE    40 . Finem et effectum negotii ita indi-  cat Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci ’.oovte;  T:ept6e6Xr]xdT:a; ts aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv    aTr-.ovTa:, 01 (j.r,v ayauoi yaixetv £zw[xvuaav, 01  oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci xou; ? 3 C 7 COUS, a-rj-  Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim; xojxojv  xuy otsv . Tandem post blanditias quasdam ,  verecundas, maritales, complexi se invi-  cem sponsus et sponsa , i. e. manibus  implexis, vel brachiis mutuo cervici im-  positis, vel tergo circumjectis , velut  cubitum discedunt : ab hoc spectaculo  incalescentes , et ut paullo ante dicebat,  av£7iTEpo)|jiivoi (vid. no. ad §. i5) convivae  caelibes dejerant, se ducturos esse uxo-  res ; mariti autem equis conscensis domos  festinant, ut simili voluptate et ipsi  fruantur. Utinam vero e spectaculis et  theatris hodie ita discederetur ! utinam  Socratis hac parte disciplinam sequeren-  tur publicarum Voluptatum Tribuni.  Talia spectacula edere debebant Romani    eu 6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari,   iis echangeaient des caresses et des baisers »   (Note du Traducteur.)    ET L’AMOUR GREC    l I I    40. Xenophon indique de la maniere  suivante la fin et les resultats de l’his-  toire. Apres toutes sortes de caresses  honnetes et maritales, les deux epoux se  tenant embrasses, c’est-a-dire, je pense,  les mains entrelacees ou les bras pas-  ses mutuellement soit autour du cou,  soit autour de la taille, s’eloignerent  comme pour aller se coucher. Echauffes  par ce spectacle et se sentant de furieu-  ses demangeaisons, comme s’il leur pous-  sait des ailes , les convives encore celiba-  taires /irent le serment de ne pas tarder  a prendre femme ; les maris monthrent a  cheval et se haterent de regagner le lo-  gis, pour gouter d leur tour de sem-  blables voluptes. Plut au ciel qu’aujour-  d’hui on quittat les spectacles et les  theatres dans de si bonnes intentions !  plut au ciel que cette partie de la disci-  pline Socratique fut pratiquee par les  ediles preposes aux plaisirs publics ! Ce  sont de tels divertissements qu’auraient  du decreter les empereurs Romains, sou-  cieux d’exciter toutes les classes au ma-    I 1 2    SOCRATE    principes , cum de maritandis ordinibus ,  et sobole Romana augenda soliciti erant :  talia conveniebant nuper Lutetia ? et Gal-  lice adeo universae, quum Ducis Burgtin-  dice natalem nuptiis mille puellarum  celebrarent : talia magnam Britanniam ,  si quid veri habent quorundam qucerelce,  Swiftiance praesertim , quas eo loco protu-  lit , ubi de abrogando clero disputat : aut  eorum , qui hodie peregrinos invitandos ,  supplendi populi causa . et civitate donan-  dos , censent.    41. Nempe incidit aetas Socratis in ea  tempora, ubi civium paucitate laborabat  exhausta bellis Persicis et Peloponnesia-  cis Attica , cui etiam lege matrimoniali  obviam ire, et afferre remedium , conati  esse dicuntur. Debemus notitiam hujus  legis ipsi Socrati, quatenus nulla forte  illius mentio extaret hodie, nisi de dua-  bus Philosophi uxoribus jam olim dispu-  tatum esset. Res cum queestioni. de qua    et l’amour GREC 1 I 3   riage ct d’accroitre la posterite de Re-  mus : iis auraient convenu naguere a  la ville de Paris et a la France entiere  lorsqu’on feta la naissance du duc de  Bourgogne en mariant un millier de  jeunes falles; iis auraient bien fait Faf-  faire de la Grande-Bretagne, s'il y a  quelque chose de vrai dans ces plaintes  dont Swift surtout s’est fait l’e'cho et qui  reclamaient 1’abolition du celibat despre-  tres; iis conviendraient encore a ces  pays ou l’on attire les etrangers en leur  conferant les droits civiques pour sup-  pleer au petit nombre d'habitants.   41. Socrate vivait a une epoque ou  1 ’Attique, epuisee par les guerres des  Perses et du Peloponese, souffrait de ne  plus avoir qu'une population clair-se-  mee ; on dit menae que les Atheniens s’ef-  forcerent de remedier a cet etat de choses  par une nouvelle loi touchant lesmaria-  ges. Nousdevons 1’unique renseignement  que l’on ait sur cette loi a Socrate , car  il n’en subsisterait aujourd’hui aucune    IO.    >4    SOCRATE    agimus conjuncta sit , illam , quam brevi-  ter jieri potest , expediemus. Duas So-  crati uxores vulgo tribui videmus, Xan-  thippen e qua Lamproclem susceperit, et  Myrto , Sophronisci atque Menexeni  matrem. In hoc conveniunt Cyrillus  ( contra Julia. I. 6. p. 186, D) et Theo-  doretus (Grcecar. Affect. curat, ser. 6 p.  ij4, 40) ac Diogenes Laertius (2, 26).  Porro de Xanthippe Cyrillus ex Por-  phyrio, 7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in  ipsius amplexus venisse ; quod plane  repugnat Platoni et Xenophonti, qui  nullius conjugis prceter Xanthippen , jus-  tam uxorem , mentionem faciunt : tum  Theodoreto, qui tamen ipse quoque sua  debere ait Porphyrio, sed non tantum  pro TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav  Xa6sTv, induxisse priori uxori, ut pereat  illa secreti , et furti amatorii notio : sed  etiam addit, solitas esse eas mulieres in-  ter se depugnare, deinde pace facta con-  junctim impetum facere in Socratem  ideo , quod is bella illarum non dirime-  ret : hunc vero utrumque genus pugna: •    et l’amour GREC I I b   mention sans la controverse autrefois  agitee au sujet de ses deux femmes.  Comme cette question tient a notre su-  jet, nous la discuterons bridvement. On  donne communcment a Socrate deux  femmes : Xantippe, dont il eut un de ses  fils, Lamprocles, et Myrto, la mere de  Sophronisque et de Menexene. S. Cy-  rille, Theodoret et Diogene de Laerte  sont tous les trois d’accord la-dessus.  Mais S. Cyrille, empruntant ce detail a  Porphyre, dit de Xantippe que son ma-  riage avec Socrate fut clandestin, qu’elle  se cachait pour 1’embrasser, ce qui con-  tredit absolument Xenophon et Platon,  puisqu’ils ne parient d’aucune autre  femme que de Xantippe, epouse legitime  de Socrate. Theodoret, qui lui aussi dit  tenir de Porphyre ses renseignements,  change 7iepi7tXoaEiaav XaOsTv en npovnXxxsT-  aav XafleTv et declare ainsi que Socrate  introduisit Xantippe chez sa premi^re  femme, ce qui ruine toute cette histoire  de mariage secret, et de furtifs baisers ;  bien mieux, il ajoutc que ces deux me-    SOCRATE    1 16   cum risu speci are consuevisse. Utri fi  dem habebimus?    42. Sed nondum est finis discordia-  rum. Theodoretum si audimus , induxit  Xanthippen suce jam Myrto Socrates :  sed Laertius negat convenire inter auc-  tores , utram prius duxerit. Idem ait ,  simul ambas habuisse Socratem , a qui-  busdam esse traditum. In hac sententia  etiam fuit auctor Dialogi Halcyon , qui  inter primos Lucianeos editur , in cujus  fine Socrates dicat , se Halcyonis amo-  rem in maritum suis conjugibus Xan-  thippee et Myrto prcedicaturum esse.  Antiqua porro esse illa relatio memora-  tur Callisthenis , Demetri Phalerei , Sa-  tyri Peripatetici , Aristoxeni Musici ,    ET L’AMOUR GREC I I 7   geres se battaient continuellement, puis  la paix faite, tombaient a poings fermes  sur le pauvre Philosophe, en lui repro-  chant de ne les avoir pas separees: pour  lui, il restait simple spectateur du com-  bat et voyait donner ou recevait lui-  meme les coups en souriant. A qui faut-  il s’en rapporter, de S. Cyrille ou de  Theodoret?   42. Et nous ne sommes pas au bout  de la querelle. Dapres Theodoret, So-  crate epousa Xantippe, dtant deja marie  a Myrto; mais Diogene de Laerte af-  firme que les auteurs ne sont pas d’ac-  cord et qu’on ne sait qui des deux il  epousa la premiere. Il dit aussi qu’il les  eut toutes les deux ensemble, et sur  quelles autorites repose cette assertion.  Elie a ete accueillie par 1’auteur du dia-  logue intitule Alcyon, imprime en tete  de ceux de Lucien; on y voit Socrate  proposer en exemple a ses deux femmes,  Xantippe et Myrto, 1’amour d’Alcyon  pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris-    ii8    SOCRATE    Hieronymi Rhodii, apud Plutarchum  (vita Aristid. extr.) qui ceteris narrandi  auctorem fuisse ait Aristotelem in libro  de nobilitate, (rapi s-jyevsia;) qui tamen  liber an sit Aristotelis, Plutarchus dubi-  tat : narrant autem ita, Aristidis neptim  Myrto, vidua cum esset et paupercula,  domum ductam a Socrate, eique cohabi-  tasse, licet aliam uxorem habenti .    43. At non licebat a Cecrope inde  Athenis plure s una habere uxores. Qui  sit igitur, ut neque Comici exprobrarint,  neque Accusatores objecerint digamian  Socrati ? Hic nobis narrant Athenaeus et  Laertius legem, latam supplenda 1 multi-  tudinis civium causa. Exstabat Athenceo  prodente ipsum decretum a Rhodio Hie-  ronymo conservatum, wax' si-eivat xai ouo    ET 1/aMOUR GREC I i q   tide) rapporte que cettc opinion etait  ancienne, et qu ; elle fut partagee par  Callisthene, Demetrius de Phalere, Sa-  tyrus le peripateticien, Aristoxene le  musicien et Hieronyme de Rhodes;  Athenee dit de son cote qu’ils Tavaient  tous puisee dans le Traite de la No-  blesse d Aristote, livre dont cependant  Plutarque doute qu’Aristote soit l’au-  teur. Tous racontent que- Myrto, pe-  tite-fille d Aristide, etant veuve et se  trouvant dans une extreme pauvrete, fut  recueillie par Socrate dans sa maison et  qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut  deja marie.   4 J - Les vieilles lois de Cecrops inter-  disaient cependant a Athenes les doubles  unions. Pourquoi donc ni les poetes co-  miques, ni les accusateurs de Socrate ne  lui ont-ils reproche ou oppose ce cas de  bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et  Diogene de Laerte nous parient de cette  loi nouvelle_, edictee, disent-ils, dans le  but d’accroitre le nombre des citoyens.    120    SOCRATE    'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov. Secundum haec  male accusaretur Socrates, qui et legi  paruerit de augenda sobole Attica , et  Aristidis progeniem viduitate et pauper-  tate extrema liberaverit.    V    44. Verum enim vero totum hoc de  duabus Socratis uxoribus , quin de lege  maritali etiam falsum esse , prcesertim  ex dissensu commemorato , itemque ex  Platonis et Xenophontis silentio arguit  Bentleius (1). Et habet , quantum est de  monogamia Socratis, magnum auctorem  Pancetium, quem laudat Plutarchus, qui  cum retulisset eam quce modo proposita  est de Myrto narrationem, satis illam  refutatam ait a Panaetio : cujus si opus  hodie extaret, facilior forte hodie esset  causa Socratis, quem tamen a turpi pue-   (/) In Dissertat, de Phalaridis et exteror.  Epistolis, § / 3 , p. /06 5 9 9.    ET l’aMOUR GREC 12 1   Athenee s’avance jusqida dire qu’il y  avait un decret, conserve par Hieronyme  de Rhodes, et ainsi concu : « 11 est per-  mis d’avoir jusqua deux femmes. » Si  cela est vrai, on accuserait mal a propos  Socrate, qui n’aurait fait qu’obeir a la  loi portee en vue de repeupler 1’Attique,  et qui de plus aurait sauve du veuvage  et de la mis&re la petite-fille d’Aristide.   44. Mais vraiment Phistoire des deux  femmes, tout aussi bien que celle  de la loi matrimoniale, paraissent en-  tachees de faussete a Bentley (1); il se  fonde surtout sur le desaccord que nous  avons signale et tire une grande preuve  du silence de Platon et de Xenophon.  Nous avons, pour ce qui est de la mono-  gamie de Socrate, une excellente auto-  rite, Pantetius, dont Plutarque fait le  plus bel eloge; apres avoir rapporte ce  que nous avons dit de Myrto, il ajoute  que cettefable a ete suffisamment refutee   ( 1 ) Dissertation sur les Epitres de Phalaris ,  Themistocle, Sacrale et Euripide (1697, iu-8").    I 22    SOCRATE    rorum amore, et a lenocinio turpi , et a  libidinosa digamia, vel sic satis libera-  tum esse confido.     123    ET L AMOUR GREC    par Panaetius. Si nous possedions son  livre, la cause de Socrate serait aujour-  d’hui plus facile a defendre; je pense  cependant avoir prouve qu’il ne fut ni  un corrupteur de la jeunesse, ni un  provocateur a la debauche, ni un bi-  game libertin.     TABLE DES MATIERES    Alcibiade; ses avances  repouss^es par Socrate,  p. 97-99.   Ame, comparde par Pla-  ton a un attelage ai!6,  p. 29, 47-65 ; — clas-  sification des ames  suivant le degrd de  connaissances acquises  avant la vie, p. 3 1 - 3 5 .   Amour philosophique,  p. 35 , 43; — raisons  qui dirigent les choix  dans cette sorte d’a-  mour, p. 45-47; — les  impuretes ou il peut  s’egarer, p. 69.   Analyse du Lysis, dialo-  gue de Platon, p. 21;  — du Phedre, p. 23 -  29; — du Banquet,  p. 95 et suiv.   Beaute morale et Beaute  physique, p. 39-41.   Bigamie; Socrate eut-il  deux femmes? p. 1 1 3  et suiv.; — la bigamie  etait-elle autorisde en  Grece ? p. 1 19.   Cohorte sacree des  amants, a Thebes et  en Crete, p. 83 .   Inspires; couples d’amis,  p. 85 - 87 -   Minies ; leurs exercices et  poses plastiques, p. io 5 .   riaiospaatsta, le mot  et la chose pouvaient  etre pris en bonne part,    chez les Grecs, p. 89.   Peines portees par les  Grecs contre les infa-  mes, p. 75.   Pronostics tirds par les  physionomistes de la  voix forte et grave, p.  5 1 ; — de lencolure  courte, p. 55 ; — des  oreilles velues, p. 57 ;   — des grosses levres,  p. 5 q; — du nez ca-  mard, p. 59; — des  yeux saillants, p. 61.   Representations mytho-  logiques et divertisse-  ments dans les festius,  p. 105-109 ; — dans les  mysteres, p. 109 (note);   — effets singuliers pro-  duits parfois sur les  convives par ces re-  pr^sentations, p. m.   Socrate; motifs ordi-  naires des accusations  portees contre lui, p.  1 5 — 1 7 ; — pourquoi il  recherchait les beaux  garcons, p. 43 ; — son  portrait physique, p.  49 et suiv.   Socrate l’ Ecclesiasti-  que ; comment il a ac-  cuse, sans preuves, So-  crate le Philosophe, p. 9.   Sparte ; coutume rappor-  t6e par Elien, p. 85 ; —  les amours impures y  etaient ignorees, p. 8.7.    Paris. — Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma, Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758022139/in/dateposted-public/

 

Grice e Giannetti – corpuscolarismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Albiano di Magra). Filosofo. Grice: “I like Giannetti; for one, he is the only philosopher I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at Pisa, but not in the tower – Oddly, while he is from Tuscany, there is a street (‘via’) in La Spezia named after him!” – Grice: “His logic was considered heretic, at least by the duke, who diligently expelled him from any obligation of teaching!” – Insegna a Pisa. Quando lascio la cattedra,  gli successe Grandi. Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi, che lo aveva anche introdotto a Newton, cura Galilei (Firenze). Rimosso da Pisa da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo.  NC. Preti, Dizionario Biografico degli Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 54, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  PASCASIO GIANNETTI Essendo Pascasio Giannetti tra'maestri più singolari di filosofia e di medicina dell' Universi tàdiPisa,quantoonoreaquelloStudio recasse non si può dire. Costui ebbea quelle scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno > che a sermonare e discorrere di materie mediche efilosofichepareanatoaposta.Fu e'diAlbiano di Lunigiana, e divenne lettore in detta Univer sità nel 1682 ; e così bene in cattedra sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo del M a r chetti e del Bellini, cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano. Nulla ignoto eragli di quanto G a   lileo e Gassendo aveansi ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia corpusculare. Per ques stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li Peripatetici e Scolastici ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi sistemi, quali adesso ricor dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che il Giannetti futenuto per uno de'più arditi e co raggiosisostenitori degli insegnamenti novelli e assai molesto riuscì a'superstiziosifilosofanti, ma in particolar modo ai Gesuiti i quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo IIIde'Medici,fece ro in grave sospetto cadere di errori di religione il Giannetti non solo, ma quasi tutta la Pisana Università. Per tale cagione , sendo state forti let tere scritte e minaccevoli ai professori con ordi nare,chenon volevasifilosofiademocratica,ilGian netti, cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e rintuzzare le dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese con trion fo la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso. Finalmente costretto nel 1706 di mutarcattedraedileggeremedicina,non ostan te filosofava su i nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismid'Ippocrate e di Galeno,e men tre con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie mediche spiegavà,senza punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ; l' al trui cabale e leggerezze con vaghi scherzi e argu ti motti derideva. Moltissimo ancora si adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di Michela gnolo Tilli per ogni maniera di lode famoso : nè mezzanamente sidistinse insieme con lo Zambes cari di Pontremoli suo collega a sperienze fare nti lissime su le terme del territorio Pisano e Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande merito. Intra le altre fece minute prove su l'acqua salsa di Monzone di Lunigiana, e trovolla più efficace di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e poteró  183   Viri Paschasii Giannelli Albianeusis Philosoph. et Medicin, in Pisau. Acudem . Professoris logeniiacumine eloquen.et ingenua philosoph. libert. Quam difficillimis temporib, fere solus inter Acadlem. retinuit ConcesseratAun.S. MDCCXXXXII. Thomas Perelliuspraecept.et Amico DI PIER CARLO VASOLI Io non posso tacere di aver molte cose rica vato diquesto librodalle fạtiche e dagli scritti di questo Pier Carlo Vasoli di Fivizzano, il quale sembra avesse in mente d'illustrare sua patria , e però non deggio scordarmi di retribuirlo di grata inemoria, tanto più che molto distinto riuscì nel la medicina e buon coltivatore della poesia. Q u e stouomoerudito,comeraccontaincertosuoEr bariolo Lunense m . s., avendo studiato prima a Bolognae poiaPisaallascuoladelcelebreMar cello Malpighi, dove si dottorò verso la fine del  184 si estrarre il sale catartico a guisa di quel d' In ghilterra , se non venisse incautamente adulterata. Benespesso Pascasio dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli uomini più che i segreti dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i vizi ele inezie altrui. Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e vivendosi fino alla vecchiezza, dopo 57 anni di lettura in quella Università, nel 1742 morì in una villetta che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto nellachiesadiquellaterra,fugliperTommaso Pe relli suo scolare messo questo marmo sopra il se polcro, riferito ancora da inonsignor Fabroni in sua stor. dell'Univ. Pis. tom . 3. dove parla del Giannetti: = Pijs Manibus et Memoriae aeternae Cum paucisaetatis suae comparandi Obiit Octuagenario major in proxima Villula In quam post impetratam a docendo vacationem D. S. O. M. P.  GIANNETTI, Pascasio. - Nacque, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in Lunigiana, il 2 ag. 1661.  Avviato agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli medici, presso l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana e, in fisica e in medicina, era ben rappresentata la corrente meccanico-corpuscolarista. Fu il gruppo di docenti formatisi alla scuola di G.A. Borelli a istradarlo verso questa tradizione concettuale; soprattutto A. Marchetti, L. Bellini e D. Zerilli lo introdussero allo studio delle opere, oltre che di Galilei, di Gassendi e del Borelli. Parallelamente, il G. attinse da G. Del Papa gli stimoli di un diverso indirizzo, anch'esso presente nell'ateneo pisano, teso a far convivere, soprattutto in campo medico, il galileismo con esigenze di ordine pratico.  Laureatosi il 30 maggio 1682 in filosofia e medicina (promotore fu il Del Papa), il G. ottenne nello stesso anno la lettura di logica, che conservò fino al 1686, per passare poi a quella di filosofia naturale. Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e apertamente atomistico, dovette risultare piuttosto efficace. Quando, verso il 1690, si delineò una reazione generale della Chiesa contro quelle interpretazioni dello sperimentalismo considerate arbitrarie e potenzialmente eversive dell'ortodossia religiosa, a causa dei possibili esiti materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Nell'ottobre 1691, insieme con altri sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M. Sergrifi di non insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a detta di A. Fabroni, il G. alimentò le polemiche che seguirono con un libello, oggi perduto, in difesa dei lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare tra i contemporanei il provvedimento, preso dal governo di Cosimo III nel 1706, di trasferire il G. alla lettura di medicina teorica, mitigato dal permesso di tenere lezioni domiciliari di filosofia.  Come lettore di questa disciplina medica, il G. mostrò di voler tenere aperti spiragli per un discorso "moderno". Lesse gli Aforismid'Ippocrate, proclamandosi così seguace dell'indirizzo che privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria medica, ma nel commentarli continuò a seguire i novatori.  In particolare, a quanto sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano venuti in lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva recepito la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso l'ipotesi dei diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come matrice delle qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti attraverso le quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata il padre camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che il Grandi "solea frequentemente conversare" nella casa del G.), ma, a differenza del Grandi, il G. non dovette essere pienamente in grado di coglierne l'impalcatura matematica, tanto da ritenerla conciliabile con la distinzione gassendiana tra punto matematico e punto fisico.  All'inizio del secondo decennio del XVIII secolo il G., insieme con B. Bresciani, G. Averani e altri, fu coinvolto dal Grandi nella preparazione della seconda edizione delle Opere di Galilei (Firenze 1718). Più tardi, alla metà degli anni Venti, il suo nome venne fatto in alternativa a quello del Grandi quale autore di un libretto pseudonimo (Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiae novo-antiquae r.p. Thomae Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii, Augustoduni 1724), che segnò una nuova occasione di scontro tra i novatori pisani e i gesuiti del collegio di Firenze.  Il libretto, nato come replica alla prefazione del gesuita M. Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua (Florentiae 1723), del confratello T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale delle forme di opposizione allo sperimentalismo che, a detta dell'autore, circolavano nel collegio fiorentino.  Non è chiaro se sia da collegarsi a questa polemica il basso profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo. La relazione sullo stato dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi governanti nel maggio 1738, ci informa che "già da alcuni anni" il G., pur retribuito, aveva interrotto le lezioni pubbliche e si limitava a dare privatamente lezioni di filosofia. Il Cerati attribuiva ciò a non meglio precisate "indisposizioni del corpo", ma l'Ortes attesta che il G. godette per tutta la vita di ottima salute. Priva di riscontri è la notizia di una sua adesione alla loggia massonica fondata a Firenze nel 1733, loggia che però sicuramente accolse un buon numero di suoi allievi.  Il G. morì a Capannoli, presso Pisa, il 28 giugno 1742.  Quelle che sembrano essere le sue uniche opere a noi giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. 3098 (Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem conscripti a Paschasio Giannetto) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. 177 (Philosophiae tractatus, datato 1714).  Fonti e Bibl.: Per la collaborazione del G. all'edizione fiorentina del 1718 delle Opere del Galilei vedi le lettere di T. Buonaventuri a G. Grandi, Pisa, Bibl. universitaria, Carteggio Grandi, 85, passim; sei lettere del G. al Grandi e alcune note di argomento fisico ibid., 92, cc. 19r-28v; Acta graduum Academiae Pisanae, II, a cura di G. Volpi, Pisa 1979, p. 549; G. Ortes, Vita del padre Guido Grandi, Venezia 1744, pp. 111-113, 133, 157; G.A. De Soria, Raccolta di opere inedite, Livorno 1773, pp. 190-192; A. Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, III, Pisis 1795, pp. 410-413; F. Sbigoli, Tommaso Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano 1884, p. 71; N. Carranza, Monsignor Gaspare Cerati provveditore dell'Università di Pisa nel Settecento delle riforme, Pisa 1974, pp. 85, 338, 362; Storia dell'Università di Pisa, Pisa 1993, pp. 143, 153 s., 520; M.A. Morelli, Per una storia di Andrea Bonducci, Roma 1996, pp. 14 s., 166 s., 230; Id., A Livorno nel Settecento, Livorno 1997, pp. 23, 62, 79.Pascasio Giannetti. Gianetti. Keywords: corpuscolarismo, implicature corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei, Grandi, Giannetti -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura corpuscolare – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757992274/in/dateposted-public/

 

Giannetta search – another time?

 

Grice e Giannone – la terza Roma – e l’implicatura ligure – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ischitella). Filosofo. Grice: “Giannone is an interesting philosopher. He philosophised on the ‘citta terrena,’ which is a back-fromation from ‘celestial city,’ and by which he meant Rome! – Then he compared men – in their collectivity, to apes, even if ingenious ones!”  “Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse fra ceppi e catene.” Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), lasciò il paese natale per intraprendere gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben presto in contatto con filosofi vicini a Vico. Fu praticante presso Argento, che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu essenziale per la sua formazione.  I suoi interessi non si limitarono soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici e dedicandosi alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la Chiesa per il suo contenuto.  Costretto a riparare a Vienna, ottenne protezione e sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire indisturbato i suoi studi filosofici.  Il suo tentativo di rientrare in patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città, rifiutò sia la cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico.  Dopo aver vagato per l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio della Savoia, ove fu attirato con un tranello.  Rimasto nelle prigioni sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi».  Nel Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come fondamento giuridico e sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti scolastici, tra cui lo storico Liceo classico Pietro Giannone di Caserta, quello di Benevento, quello di Foggia, e quello di San Marco in Lamis.  Nel Capitolo settimo della Storia della colonna infame, Manzoni dedica al Giannone ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche Voltaire gli rimprovera. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come "scrittore più rinomato di lui", poi aggiunge un lungo elenco (e raffronto) delle opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino, Bufferio, Costanzo e Summonte: "...e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire chi ne facesse ricerca". E conclude che se non si sa se fosse "pigrizia o sterilità di mente", fu certo "raro il coraggio".  Altre opera: Autobiografia: i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti, Augusto Pierantoni, Roma, E. Perino, I discorsi storici sopra gli Annali di Tito Livio, Apologia dei teologi scolastici Istoria del pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape ingegnosa” “Istoria civile del Regno di Napoli. 1, Napoli, Giovanni Gravier); Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 2, Napoli, Giovanni Gravier, Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 3, Napoli, Giovanni Gravier, Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 4, Napoli, Giovanni Gravier, Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli. 5, Napoli, Giovanni Gravier,  aprile. Note  Pietro Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Tipografia Elvetica,   l  Ibidem, note da 80 a 89  Fausto Nicolini, La fortuna di Pietro Giannone: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il giannonismo (Bari, Laterza). Vigezzi, PGiannone riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, 1Giannoniana: autografi, manoscritti e documenti della fortuna di Giannone, Sergio Bertelli, Milano-Napoli, Ricciardi, Giuseppe Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Giannone., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di Giannone, Firenze, Le Lettere, Giuseppe Ricuperati, La città terrena di Pietro Giannone: un itinerario tra crisi della coscienza europea e illuminismo radicale, Firenze, Olschki, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, testo in versione digitale della Biblioteca Italiana, 2003.//filosofico.net/giannone.htm.  De'Liguri duri e forti:loro estensioneinItalia;e come sopra tutti gli altri popoli tenesseró esercitati i Romani nella disciplinamilitare,sicchèfosserogliultimiad essersog. giogati. Livio in più occasioni parlando de'liguri,confessa che niuna provincia esercitò cotanto i romani nella virtù e disciplina m i litare, quanto la Liguria, poichè dura nelle armi , bellicosa amica di fatiche e di travagli, e di riposo impazienle , nelle sueguerrenon tostoerada’romanivintachesorgevapiùani mosaefortediprima:ishostis,velutnatus ad continendam inter magnorum intervalla bellorum romanis militarem discipli nam , erat : nec alia provincia militem magis ad virtutem acue bat(1).Nonabitavanoiliguri(eciòanche contribuivaalla loro bellicosa indole) in luoghi piani ed ameni e sotto tempe r a t o e m o l l e c l i m a , il q u a l e a v e s s e p o t u t o r e n d e r e s i m i l i a s è gli abitatori ; m a all'incontro occupando essi quella occidental parte d'Italiache ha per confine laGalliaNarbonense,vivendo in regioni montuose aspre ed inaccessibili, e per le angustie delle vie acconce a tendere aguali ed insidie; non temevano di numerosi eserciti, nè d'istromenti bellici , nè di macchine o d'altri apparati militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti.E perciò essi militavano senza molto apparecchio mi cidiale:nihil,dice Livio,præter arma etviros,omnem spem inarmis habentes,erat, Gli antichi liguri erano divisi di qua e di là delle alpi e d e l l ' a p p e n n i n o in m o l t i p o p o l i o s i e n o c o m u n i t à , n o n a l t r i m e n t i di ciòche si èdeltodegli antichi etruschi, ed occupavano va stissime regioni. Le alpimarittime e gran parte delle medi terraneeeranodaessipopolate.Dilà dellealpiipiù celebri furono i liguri salii, i deceali e gli oxibi ; di qua furono i vedianzi,ivagienni,glistatielli,imagelli,gli eburiati, (1)Dec. IV,lib.9,inprinc.  265 >   266 i veliati , i tigulii, gl'ingauni , i salassi , i libici, i lau riniedaltri.Livio,oltrequestipopolida Pliniorapportati fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chia mati Apuani, i quali vinsero i romani e debellarono un eser cito consolare sotto Q. Marzin console , e nota che il luogo della sconfitta fino a'suoi tempi chiamavasi perciò il campo Marziano:famemoriaancora dialtriliguridilàdell'appen nino ch'egli chiama ligurifrisinati. Questi popoli aveano più città o vichi, dove dimoravano ciascuno nel proprio distretto ; e fra le città son da considerarsi alcune antiche ed illustri le quali, secondo la divisione dell'Italia fatta poi da Augusto in undici regioni, formavan parte della XI. Nella Liguria rivoltaal mare inferiorediquà delfiume Varo, che divide l'Italia dalla Gallia Narbonense , la prima città marit timaches'incontravaerade'ligurivedianzi chiamata Cime lion. Prossima a questa i massiliesi edificarono Nicea , oggi detta Nizza, alle radici delle alpi marittime, non lontana dalle foci del fiume Varo, che poi crebbe dalle ruine di Cimelio , cittàantichissima,la quale ebbe vescovi prima che da Costan tino Magno fosse stata la religione cristiana fatta ricevere nel l'imperio. Rimangono ancora le vestigia de'suoi ruderi ed il nome di Cimelio: l'anticasua cattedra fu unita a quella di Nicea, la quale non si appartiene già al la Gallia Narbonense , siccomealcunicredeltero,ma secondoPlinio,Tolomeoedaltri geografi antichi, alla nostra Italia, c o m e quella che è costrutta di qua del fiume Varo.Antipoli fondata pure da'massiliesi si appartienealla GalliaNarbonense,perchèerettadilàdelfiume: essa lungo tempo fu sotto i massiliesi loro fondatori, ed ora sotto ire di Francia è chiamata Antibo. Appresso Nicea nel mar li gustico siegue Monaco detta dagli antichi Porto di Ercole, indi AlbioInlemelio,Albingauno,Savona,Genua,Porto Delfino Tigulia, e più in dentro Segesta città de'liguri tigulii. Chiude questo confine il fiume Macra che da questa parte divide la Liguria dall'Etruria.  9 > > ? Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino ,ampio monte il quale con gioghi perpetui e continuali fino allo stretto Siciliano divide l'Italia per mezzo , avevano i liguri di qua e di l à d e l m o n t e m e d e s i m o 'n o b i l i s s i m e c i t t à ; e s p e c i a l m e n t e d a u n >   lalo del Po Libarna , Dertona , Iria , Barderate , Industria , Polentia, Potentia, Valentia,ed Augusta de'liguri vagienni. Quest'ultima città posta alle radici delle Alpi Cozie , non molto lontana dal monte Vesulo d'onde ilPo ha sua origine, fu dappoi resa colonia de'romani. Non ci rimane ora di essa alcun ve stigio, ma insua vece surse al luogo stesso ne'secoli da noi men lontani la città di Saluzzo sede un tempo di principi e capo del famoso 'marchesato di Saluzzo , la quale in fine da GiulioImeritòesserdecoratadelladignitàepiscopale.Ma sopra queste s'innalzarono nella Liguria tre città non meno antiche che illustri,Alba Pompeia,Asta,ed Aqui cittàde'liguristatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso l'Appennino nellarivadelfiume Tanarofudagliantichigeografichiamata Pompeia, e per distinguerla da Alba degli Elvii posta nella Gallia Narbonense, e per aver quella G. Pompeo rifatta e la sciati ivi vestigi di sua memoria e beneficenza. Ebbe vescovi antichissimi,poichè rapportasi ilprimo tra questi essere stato nell'anno 350 S. Dionigi discepolo di S. Eusebio, poi innal zato alla cattedra di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due uomini insigni che laillustrarono, uno per la pru denza civile,e fu Lazarino Fieschi de'Conti di Lavagna , al quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza nel 1350 commiseilgovernodelPiemonte,daluiquindiammi nistratoconsomma lodeecommendazione;l'altropersapienza é somma dottrina ed erudizione, qual fu il famoso Girolamo Vida,quelchiarissimopoetalatinochecilasciò l'incompara bilesuaCristeideedisuoidottidialoghiDe Republica. Acqui posta alla riva della Bormida in quella parte del Piemonte di là del Tanaro ,la quale Monferrato oggi si ap pella, fa edificatada’liguri statielli popoli potentissimi della  267 > Asla posta nella Liguria mediterranea non lontana dal Tanaro furesacoloniade'romani,edun tempofuseded’unodeglian tichi duchi longobardi. Ebbe anch'essa antichissimi vescovi,i quali quando l'imperio di Occidente passò a'germani , furono dagli imperatori molto favoriti ed a sommi onori innalzati; e non poco splendore recò a quella città aver seduto nella sua cat tedra vescovileilfamoso Panigarola,chiaroalmondo eloquenza e per tanti monumenti che lasciò di sua dottrina. > per lasua   montuosa Liguria. Fu detta Acqui dalle acque calde che quivi scaturiscono assai salutifere , siccome oltre la testimonianza diPlinio,l'istessaesperienza dimostra:efuchiamataAcqui de'liguri statielli, per distinguerla dalla Acqui sestia de' Salii posta nella provincia Narbonense . Fu anche sede di uno de'Duchi longobardi; ma la sua cattedra non è cotanto an tica quanto le due precedenti come quella che prende sua ori gine da'longobardi che furonoi primi ad erigerla. I liguri si stendevano anche di là del Po , é molte città le qualisecondoladivisioned'ItaliafattadaAugusto sono col locate nella XI regione alle radici delle Alpi , anche da'liguri traggon l'origine. Le prime che s'incontrano sono Vibiforo e Secusia, oggi detta Susa , le quali furon poi mutate in due colonie romane.Anche Torino Plinio fa derivare dall'antica stirpede’liguri;antiquaLigurum stirpe,egliscrisse(1)edisse il vero, poichè coloro che la fan derivare da'massiliesi , sica come Nicea ed Antipoli, vengono a togliere a questa città molto della sua antichità. Non è dubbio che i liguri sieno popoli d'Italiatantoantichi,chediessinon sisal'origine,onde sicredono indigeni del paese, nè mischiati con altrefore stiere nazioni , non altrimenti che Tacito credette de' ger mani : all'incontro de'massiliesi si sa l'origine ed il tempo nel quale profughi dalla Focide navigando nel mare inferiore e cercando nuove sedi,si fermarorro ne'lidi della Gallia Nar bonense innanzi detta Bracata. Ciò avvenne , secondo la te stimonianza di Livio (2), mentre in Roma regnava Tarquinio Prisco,quando laprima voltaigallipassaronoleAlpi,iquali dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano loro lo sbarco, se ne calaron pe' monti Taurini dalle Alpi Giulie nell'Insubria , discacciandone gli etruschi. Livio stesso ri ferisce che a'medesimi tempi i salluvii avendo passate le Alpi , si posarono intorno al fiume Ticino vicino a ’ liguri levi , anticagenteed indigenadique'luoghi.Salluvii, e'dice,qui, præter antiquam gentem Levos ligures, incolentes citra Ticinum amnem , expulere. Se dunque i liguri, chiamati da Livio gente antiea, quando i massiliesi poser piede nella Gallia Narbo (1)Lib.III,cap.17. (2 ) D e c , 1, lib . 5 .  > > > 268 >   nense tenevano questi luoghi ; più antica sarà l'origine di T o rino derivandola da’liguriche da'massiliesi,iqualisiccome molti e molti anni dappoi che furono stabiliti in Massiglia fon darono Antipoli e Nicea , molto maggior tempo appresso avreb ber dovuto fondare Torino più lungi che quelle.Si aggiunge che quando Anoibale calò per le Alpi in Italia , secondo rapporta Livio (1),Torino eragià metropoli degli antichi popoli Taurini,i quali reggendosi per se slessi aveano allora mossa guerra agl’in subri,ericusaronol'amiciziadiAnnibalecontrastandogli corag giosamente il passo, che egli sforzò a gran fatica.Inoltre Livio stesso rende testimonianza che la prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’liguri fu per occasione che questi depredavano i campi di Nicea e di Antipoli , ciltà de'massiliesi soci de’ro mani ,e non già i campi di Torino, la qual città perciò non era de'massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Furono questi popoli chiamati Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa è posta furono anche detti Taurini, a cagione che dagli antichi i gioghi de *monti erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dottipoiquesti popoliliguri sottolasoggezionede'romani, Augusto ingrandi la città, che perciò venne poi detta Augusta Taurinorum , non altrimenti che Lutetia Parisiorum da'parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitavano. Ebbero i liguri salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone , Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria (ora detta Aosta) per distinguerla dall'altra Augusla de'liguri vagienni già menzionata : è posta frà le due facce delle Alpi Graie e Pennine . Furon le prime dette da' greci Graie per lo passaggio di Ercole (nisi de Hercule fabulis crederelibet,comesaviamentedicePlinio),eleseconde (sic c o m e v o l g a r m e n t e si c r e d e v a ) d a l p a s s a g g i o d i A n n i b a l e c o ' s u o i  269 ! > (1)Dec. III,lib.1.   cartaginesifuronchiamatePoenine,secondoavvisòanchePlinio, benchèLivione dubiti.Checchèsiadiciò,èda osservarsi che da questa Augusta Prætoria , essendo per la sua situazione laprima cittàd'Italia,gliantichigeometriprendevanlamisura della lunghezza di questo nostro paese , tirando una linea per Capua fino a Reggio, ultima città sullo stretto siciliano (1). Fu dessa ancora città famosa ed illustre a'tempi de're longo bardi, quando questi tennero il regno d'Italia.Ad Eporedia , città posta nella stessa regione all'imbocco della Valle Augustana edalleradicidelleAlpi,oggi dellaIvrea,Pliniodà,senon così anticaorigine,nulladimenounaassaipiù illustre,scrivendo che fu da”romani fondata per impulso degli dei, secondo che da'librisibillinierastatolormostrato:Oppidum Eporediam, e'dice,SybillinislibrisaPopuloRomano condijussum(2).Fu antica colonia romana ,e perciò cotanto memorata da Cicerone, Strabone, Tacilo e da altri romani scrittori. Vercelli anche secondo Plinio dee riconoscere la sua origine da'liguri sallii poichè egli scrive: Vercelle Libicorum ex Salliis ortæ. E se dobbiamo prestar fede al vecchio Catone, Novara anche da’li guri ebbe origine, quantunque in ciò Plinio discordi, facendola derivare da' vocontii popoli della Gallia Narbonense. Questa era l'aptica Liguria che occupava tutta quella gran parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal tempo che cangia emuta inomi,ilinguaggi,icostumi,iconfinietutto,sorti altre divisioni e nuovi domini . Furon poi queste regioni chia mateLanga,Monferrato,l'Astegiana,Piemontesuperiore,Mar chesato di Saluzzo, Piemonte inferiore ovvero tratto Torinese, Canavese,ValleAugustana,Vercellese e Biellese.Molti tra vagli i romani sopportarono per sottoporre tanti popoli liguri, poichè questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si mantenner liberi, nè prima degli ultimi tempi della romana repubblica furono ad essa soltomessi. I romani cominciarono a sperimenlarli nelle armi dopo che si erangiàresiformidabili inItaliaedaltrove,dopocheebbervinto Pirro re di Epiro e lui costretto a ritirarsi nel suo regno , e dopo che nella prima guerra punica il console C. Lutazio diede  > ! (1) Plin., Hist. nat.lib. II , cap. 5. (2)Plin.lib.I,cap.17. 270   a'cartaginesi quella terribile rotta nelle isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a'romani. Allora , finita questaguerra,ivincitoricominciaronoamuovere learmicontro i liguri intorno alla metà del sesto secolo di Roma . Livio , n e l l a s e c o n d a s u a d e c a , s e g u e n d o il s u o c o s t u m e , n e a v r e b b e certamentefattoconoscereleminute circostanze,ma questa deca interamente ci manca .L. Floro nell’Epitome ne rammenta ilprincipio dicendo: Adversus ligurestuncprimum exercitus promotus est. Ma da altri scrittori romani e da ciò che Livio stesso scrisse nella III e IV deca,lequali per buona sorte ciri mangono , è facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente sopra i liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della seconda guerra punica quando Anni bale passòleAlpi,iliguri gli prestaronoaiutocontroiromani; e Livio nel primo libro della III deca parra, che col loro fa. vore prese Annibale per insidie due questori romani con due tribuni de'soldati e cinque figliuoli de'sanniti dell'ordine eque stre.Nè dopo scacciatoAnnibaled'Italiasiperderonodianimo, sicchè non tenessero continuamente esercitati i romani nelle a r m i . D e c l i n a n d o il s e s t o s e c o l o d i R o m a , a m b i d u e i c o n s o l i C. Flaminio contro i liguri frisinati ed apuani (i quali scor r e v a n o f i n o n e ' c a m p i P i s a n i e B o l o g n e s i ), e M . E m i l i o c o n t r o glialtriliguridiqua dell'Appennino, furono destinati con due eserciti consolari a soggiogarli: e sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di risorger poi più animosi e forti che prima , sicchè fu d'uopo nel s e guenteannoa'successoriconsoliQ. MarzioePostumio,dopoche questi sispacciarono dalle inquisizioni de'baccanali, riprender la guerra , la quale a Q. Marzio riusci pur troppo infelice , poichè colto ilsuo esercito da'liguri apuanifraluoghistreltie dificili,fudissipatoinguisache,siccomescriveLivio(1),qua tuormilliamilitumamissa,etlegiunissecundæsignatria,undecim vexilla sociorum ac Latini nominis in potestatem hostium venerunt, et arma multa,quæ quia impedimento fugientibusper silvestres semitas erant, passim jactabantur: prius sequendi Ligures finem quam fugæ Romani fecerunt. Marzio fuggi dunque col residuo  (1)Dec.IV,lib.9. - 271   delsuoesercito:nonlamen,soggiunge Livio,obliterarefa mam reimalegestepotuit;nam saltus,undeeumLiguresfu gaverant,Martiusestappellatus.Nè minorifuronoglisforzi ne'seguenti anni de'consoli successori, Sempronio che pugnò contro iliguri apuani ed Ap.Claudio controiliguriingauni. Inbreve,diceLivio(1),eragiàridottoincostume"non de cretarsia'consolialtraprovinciasenon quellade'ligurionde erano quelli spesso intenti a formare nuove legioni per poter abbattere sì valorosi inimici;laqual cosa non ebbe effetto se non sotto L. Emilio Paolo il quale (essendogli stata proro gata la consolare potestà) con potente esercito spedito contro i liguri ingauni ottenne su questi piena viltoria, siccome più tardi M. Bebio l'ottenne su’liguri apuani .E finalmente soltanto verso la fine del secolo, insieme con gl'istri, co' galli cisalpini e con le genti alpine, furono i liguri sottomessi a'romani (2): de’liguri in fatti primieramente trionfo C. Claudio console l'apno 578 , e ne'posteriori anni furono quelli poscia del tutto debellati(3).Di questa costanzaedabitode'liguriallefatiche della milizia ed a soffrire patimenti e disagi, ben si accorse A n n i b a l e , il q u a l e p a s s a t e l e A l p i , n e l l e s u e p r i m e p u g n e c o n tro i romani, più che in altro popolo e più che ne'cartaginesi stessi,poseogni fiduciane'liguride'quali sivalse.E quando profugo da Cartagine ricovrossisotto Antioco re della Siria, il q u a l e a l l o r a a v e a g u e r r a c o ’ r o m a n i , il p i ù s a n o c o n s i g l i o c h e a quel principe pole dare, siccome Livio scrisse (4), fu che dovesse attaccare in due parti i romani dividendo in due classi lanumerosasuaarmata,eduna,dellaqualefossestato An tioco stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per discacciarne i romani , l'altra, dellả quale egli stesso A n nibale sarebbe stato il capitano supremo , dopo avere stretta lega co'cartaginesi, con le navi di questi inviare nel mar li gustico; poichè pensava che sbarcata la sua gente nella Li guria, egli fidando mollo nel coraggio e valore de'liguri osti nati difensori della loro libertà contro i romani , bene avrebbe  . 272 (1)Dec. IV,lib.10,inprinc. (2)Dec. IV,lib.10,et Dec. V, lib.2. (3)Florus Epit.,lib.7,Dec. V. (4)Dec. IV. >   273 . potuto unendo le armi liguri alle sue portar nuova formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio fino alle mura di Roma istessa ; m a quello stolto e vano re non appigliandosi a questo sano consiglio e volendo piuttosto seguire leadulazionide'suoi propricapitani,die'cagionealletantesue perditeesconfitte ed alla sua totale rovina. Ma riguardandosia'secolipiùanoivicini,non dovrà ta cersi un pregio che rese la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di essere state avventurose madri di eroi e di semidei. Si celebrano cotanto presso i greci e le nazioni tutte del mondo Alcide , Bacco ed Ulisse per le lunghe loro peregrinazioni, per aver debellato i mostri , verteignoteterreescorsiincognitimari.Ma Ercolestesso Chi fu colui che rese isegni diErcolefavolavile a'naviganti industri? Chi fu colui che rese navigabili quelli che prima erano inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi ai noi regni non meno sconosciuli che vasti ? Chi fu colui che spiegando le fortunate sue antenne ad un nuovo polo , oscurò la fama di Alcide e di Bacco , se non il ligure Colombo ? Quanto ben gli si adattano, e con quanta maggiore proprietà e ragione con vengono à lui quelle lodi che Lucrezio diede al suo Epicuro , e che dal nostro incomparabile Torquato assai più acconcia mente furono attribuite al coraggio ed alla grandezza d'animo del Colombo, quando di lui canto : Unuom dellaLiguriaavràardimento All'incognito corso esporsi in prima: Nè ilminaccevol fremito del vento, Nè l'inospitomar,nèildubbioclima, Nè s'altro di periglio o di spavento Più grave e formidabile or si stima, Faran che il generoso entro a'divieti D'Abila angusti l'alta mente accheti (1). (1)Ger.lib.c.XV.  GIANNONE, Pietro. - Nacque il 7 maggio 1676 a Ischitella (Foggia), piccolo centro del Gargano, da Scipione (1646-1725), speziale, e Lucrezia Micaglia (1653-1709). Ebbe quattro fratelli: Francesca (n. 1680), Vittoria (1685-1735), Carlo (1688-1755) e Teresa (n. 1691).  Dopo aver compiuto i primi studi sotto la guida dell'arciprete del paese, Gaetano Serra, dal 1691 il G. studiò per due anni filosofia con un frate francescano. Fu inizialmente destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia mutò parere e ai primi di marzo del 1694 il G. si trasferì a Napoli, dove, grazie all'aiuto del prozio materno, Carlo Sabatelli, iniziò a studiare diritto presso il procuratore Giovan Battista Comparelli. Nel 1696 divenne allievo di Domenico Aulisio, sotto la cui guida studiò diritto civile e canonico; iniziò poi gli studi storici nella Biblioteca Brancacciana e in quella del cardinale Gerolamo Seripando. Negli stessi anni il poeta leccese Filippo De Angelis lo introdusse alla filosofia di P. Gassendi e ai classici latini, greci e italiani.  Laureatosi il 4 sett. 1698 all'Università di Napoli, dallo stesso anno il G. iniziò a frequentare (anche se marginalmente) l'Accademia di Medinacoeli, in cui conobbe alcune delle maggiori figure della cultura napoletana, fra cui il giurista e poeta Nicola Capasso, il medico Luca Antonio Porzio, il filosofo Gregorio Caloprese e il medico Nicola Cirillo sotto il cui influsso abbandonò la filosofia gassendiana per abbracciare quella di Cartesio. Morto improvvisamente il Sabatelli nel 1700, il G. iniziò l'attività d'avvocato, conducendo il suo apprendistato presso Giovanni Musto, ma, insoddisfatto della sistemazione, si trasferì (su consiglio di don Giovanni Spinelli, che già lo aveva presentato all'Aulisio) presso Gaetano Argento. Per la formazione culturale del G. l'incontro con Argento si rivelò fondamentale, poiché a casa di questo, dal 1702, iniziò a riunirsi l'Accademia de' Saggi, che, proseguendo l'esperienza della Medinacoeli, riuniva un gruppo di giovani giuristi destinati a divenire il nerbo del governo napoletano durante il viceregno austriaco. Fu in quell'Accademia che maturò il progetto d'una nuova storia del Regno, cui il G. diede il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile del Regno di Napoli.  Grazie alla sua attività di avvocato, il G. si garantì un agiato tenore di vita che gli permise di chiamare a Napoli il fratello minore Carlo e l'ormai anziano padre. Il G. aveva nel frattempo iniziato una relazione con la popolana Elisabetta Angela Castelli, da cui ebbe due figli: Giovanni (1715) e Carmina Fortunata (1721). Anno decisivo per la sua carriera forense fu il 1715, quando divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa intentata contro il vescovo di Lecce Fabrizio Pignatelli intorno alla questione delle decime. In risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del vescovo, il G. pubblicò la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per gli ampi riferimenti che il G. faceva alla storia del Regno, provocarono una forte e vivace discussione e possono considerarsi i suoi primi importanti lavori.  Molto scalpore suscitò nel 1719 la causa in difesa del nipote dell'Aulisio, Nicolò Ferrara, arrestato due anni prima con l'accusa di avere avvelenato lo zio. Vinta la causa, come compenso il G. ottenne dal suo assistito i manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei quali avrebbe poi curato l'edizione. Nel 1718 a Napoli il G. aveva pubblicato intanto, sotto lo pseudonimo di Giano Perontino (anagramma del nome del G.), la Lettera scritta da Giano Perontino ad un suo amico che lo richiedea onde avvenisse che nelle due cime del Vesuvio in quella che butta fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto più alta e intera non duri che pochi giorni. Il breve scritto era frutto degli interessi scientifici che il G. aveva coltivato sin dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le opere sino a quelle del carcere) e dai quali, come avrebbe affermato nell'autobiografia, s'era dovuto allontanare perché assorbito dagli studi giuridici e storici.  Infatti il G., pur impiegando gran parte del suo tempo nell'attività forense, lavorava alacremente all'Istoria civile. Fu proprio per potervi attendere con più tranquillità che, nel 1718, comprò e restaurò una villa presso Posillipo, detta Dueporte perché si riteneva fosse appartenuta ai fratelli Giovan Battista e Niccolò Della Porta. Nei cinque anni successivi la stesura dell'Istoria lo assorbì sempre di più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero l'ironico soprannome di "solitario Piero". Alla fine del 1720, l'Istoria civile era ormai pressoché completata; il G. fece allora trasferire la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico Ottavio Vitagliano aveva a Posillipo, vicino a Dueporte, e all'inizio del 1721 cominciò la stampa. Poiché, nonostante l'istruzione ricevuta, era più avvezzo al linguaggio giuridico (e al dialetto napoletano) che non all'italiano letterario, il G. chiese allora all'amico Francesco Mela di rileggere l'opera, volgendola, ove necessario, in buon italiano. Nel marzo 1723 l'Istoria civile del Regno di Napoli vedeva finalmente la luce, in un'edizione di 1100 esemplari (1000 in carta ordinaria e 100 in carta reale).   Scritta con lo scopo principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato contro la Curia romana, l'Istoria civile non intendeva tanto apportare nuovi contributi documentari alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione, esaminandone l'evoluzione dalla disgregazione dell'Impero romano sino al Viceregno austriaco.  Il G. non raccolse (se non per i primi libri) la documentazione direttamente dalle fonti, ma organizzò quella reperibile in altre opere, in particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di A. Di Costanzo (L'Aquila, Cacchi, 1581), nell'Historia della città e Regno di Napoli di G.A. Summonte (Napoli 1601-43), nella Historia della Repubblica veneta di B. Nani (Venezia 1662) e nel Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli di D. Parrino (Napoli 1692-94). Il procedimento gli causò, in seguito, l'accusa di plagio da parte di A. Manzoni nel capitolo VII della Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neoguelfa, rappresentata, tra gli altri, da G. Bonacci e C. Caristia. Il giudizio non coglieva l'importanza dell'Istoria civile, che non stava nella ricostruzione erudita degli eventi del Regno, ma nell'affermazione del principio dell'autonomia dello Stato.  In effetti, se dagli storici napoletani il G. traeva le notizie necessarie, i modelli storiografici erano però altri, italiani ed europei. Fra i primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, il Machiavelli delle Istorie fiorentine: come quest'ultimo aveva attribuito alla Chiesa la responsabilità di avere impedito ai Longobardi la realizzazione in Italia di un forte regno nazionale, così il G. accusava Roma di avere troncato lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo l'esperienza normanno-sveva con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei confronti degli Angioini è uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile: alla dinastia francese il G. imputava di avere diminuito il potere regio, accresciuto quello baronale, ma soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno come feudo della Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, il Meridione avrebbe consumato il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le dinastie regnanti contrastavano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli stranieri che avevano ispirato il G. erano J.-A. de Thou e U. Grozio, da cui il G. riprendeva la rivalutazione dei barbari, e in particolare dei Longobardi, visti come signori nazionali, nemici di Roma e di Bisanzio. Tanto il G. era avverso agli Angioini quanto mostrava simpatia per gli Aragonesi, i quali, pur fra incertezze e contraddizioni, avevano tentato di restituire al Regno l'autonomia dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio spagnolo si era concluso tale tentativo e per questo il G. era fortemente critico verso Madrid, sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del Regno. L'Istoria civile si concludeva con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel quale il ceto civile riponeva le proprie speranze.  L'Istoria era dunque un'opera collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente sostenevano i nemici del G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e organizzava le esigenze del ceto civile" (Ricuperati, 1970, p. 163). Con l'Istoria civile il G. si era proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa nell'Italia meridionale e in vista di ciò aveva dedicato ampio spazio all'epoca longobarda (l'unica per cui il G. ricorresse direttamente alle fonti). Per dimostrare soprusi e sopraffazioni della Chiesa sul Regno, il G. ricostruiva l'evoluzione politica del Papato, respingendone implicitamente l'origine divina; questo atteggiamento verso la religione, interpretata in chiave esclusivamente politica, rendeva l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama storiografico europeo ma motivava anche l'ostilità di Roma verso il Giannone.  Il 17 marzo 1723 il Consiglio municipale di Napoli (gli Eletti) concesse al G. una regalia di 195 ducati e lo nominò avvocato generale della città. Mentre copie dell'Istoria erano inviate a Vienna, a Napoli divampavano le polemiche. Le autorità ecclesiastiche protestarono perché l'opera non aveva ottenuto la licenza del tribunale vescovile (il G., in effetti, non l'aveva chiesta, ritenendola superflua poiché riteneva che l'opera non trattasse argomenti di giurisdizione ecclesiastica) e alcuni religiosi iniziarono a tenere prediche contro il Giannone. In seguito a ciò, il potere civile mutò atteggiamento: il viceré austriaco Friedrich Michael von Althann, che alla fine del 1722 aveva concesso al G. la licenza necessaria per la pubblicazione dell'opera, il 12 aprile, in una riunione del Consiglio del Collaterale, biasimò apertamente gli Eletti, i quali, peraltro, sin dal 7 aprile avevano congelato i provvedimenti a favore del G., nominando una commissione per valutare l'opera. Nello stesso tempo, il Collaterale ordinò la sospensione delle prediche contro il G. e la vendita dell'Istoria.  La situazione volse al peggio al momento del rito di s. Gennaro: poiché il sangue tardava a sciogliersi, il clero napoletano cominciò a sostenere che il santo fosse adirato con i Napoletani per la pubblicazione dell'Istoria civile. Contro il G. si diffusero allora in tutta la città poesie e libelli (diversi dei quali sono oggi conservati in un codice della Biblioteca nazionale di Napoli), mentre la curia arcivescovile si preparava a scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita del G., il quale, spinto anche dagli amici, decise di recarsi a Vienna per chiedere la protezione dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, il 1° maggio il G. lasciò Napoli per quella che sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata una partenza senza ritorno. Raggiunta in incognito Manfredonia, da lì si trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una villa del fratello di Niccolò Fraggianni; nel frattempo a Napoli il sangue di s. Gennaro si scioglieva. Trovata una nave su cui imbarcarsi, il 25 maggio 1723 era a Trieste, il 27 a Lubiana e ai primi di giugno giungeva a Vienna.  In questa città il G. prese subito contatto con alcuni esponenti della numerosa comunità italiana, fra cui Alessandro Riccardi, Niccolò Forlosia e il medico e bibliotecario di corte Pio Niccolò Garelli, che portò una copia dell'Istoria all'imperatore Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica lanciatagli dalla curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice dell'Istoria civile (1° luglio), il G. ricominciò a scrivere. Dapprima ritornò sul trattato Del concubinato de' Romani ritenuto nell'Impero dopo la conversione alla fede di Cristo, già iniziato a Napoli, poi scrisse due nuovi trattati: De' rimedi contro le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della potestà de' principi in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le scommuniche invalide e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle cassare ed abolire (che confluì nell'Apologia dell'Istoria civile). Negli ultimi mesi dell'anno la posizione del G. sembrò migliorare. Il 22 ottobre, in seguito alle pressioni viennesi, la scomunica fu revocata e in dicembre il G. ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli concesse una pensione annuale "sopra i diritti della Secreteria di Sicilia". Egli non riuscì, però, a ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli permettesse di tornare a Napoli in una posizione sicura. Decise quindi di fermarsi a Vienna e nel 1726 si stabilì nel palazzo della baronessa Therese Leichsenhoffen von Linzwal, con la sorella minore della quale, Ernestine, aveva stretto una forte amicizia.  Nel frattempo, in Italia apparivano diverse confutazioni dell'Istoria civile. Nel 1724 fu pubblicata a Roma l'Apologia di quanto l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni ecclesiastici della sua diocesidell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta Ottavio Ignazio Vitagliano pubblicò a Napoli, nel 1727, una Difesa della real giurisdizione intorno a' regi diritti su la chiesa collegiata appellata di S. Maria della Cattolica della città di Reggio, in cui, pur volendo difendere il G., finiva invece con il criticarlo. Il G. fu allora costretto a reagire con un proprio testo, diffuso a Napoli in forma manoscritta. Nel 1728 apparvero a Roma le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del Regno di Napolidel gesuita Giuseppe Sanfelice: rispetto all'opera dell'Anastasio si trattava di un lavoro ben più articolato e problematico, tanto che il G. in un primo tempo aveva deciso di non replicare, ma durante la villeggiatura a Perchtoldsdorf (nei dintorni di Vienna) scrisse la Professione di fede. L'opera conobbe una vasta fortuna, testimoniata da un'imponente circolazione manoscritta, e segnò la definitiva rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra Risposta del G. fece seguito alla pubblicazione delle Annotazioni critiche sopra il nono libro dell'Istoria civile di Napoli(Napoli 1732) del padre Sebastiano Paoli, scritte con l'aiuto dell'erudito e antiquario Matteo Egizio, esponente della parte più moderata del giurisdizionalismo napoletano, non disposta a seguire la lezione del Giannone.  Fallite le speranze di ottenere un incarico a Vienna, il G. riprese l'attività forense; oltre a diverse allegazioni per clienti viennesi e napoletani, nel 1725 scrisse il Ragionamento per il signor don Leopoldo Pilati, in cui difendeva i diritti di quest'ultimo alla nomina (poi non avvenuta) a vescovo di Trento dopo la morte di Giovanni Benedetto Gentilotti e, nell'autunno del 1727, il trattato De' veri e legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano nel Tribunale detto della Monarchia, sulla complessa questione del Tribunale della Monarchia di Sicilia. Al 1731 risalgono due lavori di rilievo: la Breve relazione de' Consigli e dicasteri della città di Vienna, commissionatagli dal reggente Domenico Castelli, e le Ragioni per le quali si dimostra che l'arcivescovado beneventano… sia… sottoposto al regio exequatur, come tutti gli altri arcivescovadi del Regno, opera scritta su incarico della Città di Napoli.  Nel frattempo, con l'apparizione della traduzione inglese dell'Istoria civile (The civil history of the Kingdom of Naples, London 1729-31) iniziava la fortuna europea del G. e dell'Istoria. Sin dal 1728 il G. aveva cominciato a corrispondere regolarmente con gli eruditi tedeschi Siegmund Liebe e Johann Burckard Mencke, e con il figlio di questo, Friedrich Otto, iniziando la collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Nel 1729 scrisse la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni creduta coniata in Napoli l'anno 1502, che, tradotta in latino, uscì a Londra nel 1733 in un'edizione degli Historiarum sui temporis libri XXIV di J.-A. de Thou. All'inizio degli anni Trenta, il G. era ormai un intellettuale inserito nel contesto europeo, per i rapporti di collaborazione stretti con esponenti della cultura inglese e tedesca e per la sua conoscenza, maturata in quel periodo, delle opere che meglio rappresentavano quelle culture. In tal senso, un ruolo fondamentale aveva avuto la frequentazione con il principe Eugenio di Savoia, nella cui ricchissima biblioteca il G. aveva letto i più importanti testi del pensiero libertino e radicale europeo. Da queste sue fertili frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese derivò il progetto della sua opera principale, il Triregno, iniziata nell'estate del 1731, durante una villeggiatura a Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due anni più tardi, nel 1733.  Il Triregno si articola in tre parti: nella prima, il Regno terreno, il G. studia la religione ebraica e sottolinea come in essa non si conoscesse un aldilà, in quanto al popolo ebraico si prometteva esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun riferimento a mondi ultraterreni. Quello che Dio aveva promesso all'uomo nella Genesi era, dunque, esclusivamente un regno terreno. Nel successivo Regno celeste l'attenzione del G. si sposta al cristianesimo delle origini: studiando i testi neotestamentari, mette in evidenza come fosse stato il cristianesimo a introdurre l'idea di un mondo ultraterreno cui i fedeli erano destinati dopo essere stati giudicati sulla base delle loro azioni mondane. Il Regno papale, l'ultima parte, riprende il discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del Papato: dopo i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento evangelico, i pontefici, approfittando della decadenza del potere imperiale dopo Costantino, costituirono il loro Regno sul principio della superiorità rispetto agli Stati mondani.  Nella composizione del Triregnoconcorrevano diverse tradizioni: la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con cui il G. era entrato in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana, per influenza dell'Aulisio, dal quale il G. comprese l'importanza della storia ebraica. Molti temi delle Scuole sacre - l'opera di Aulisio uscita postuma nel 1723, pochi mesi dopo l'Istoria civile - ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati dalle conoscenze acquisite a Vienna: la storiografia protestante tedesca (particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae di Joseph Bingham e delle Observationes sacrae di Salomon Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo postspinoziano. In questo senso importante era stato il rapporto con gli scritti di John Toland (in particolare le Lettere a Serena, Origines Iudaicae e Nazarenus), dai quali il G. trasse la tesi secondo cui gli ebrei credevano nella mortalità dell'anima e non avevano idea di un mondo ultraterreno, e con la storiografia che con questi si era misurata criticamente (come le Vindiciae antiquae Christianorum disciplinae del luterano Johann Laurenz Mosheim).  Il Triregno non era, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria civile. La matrice giurisdizionalista era evidente soprattutto nell'incompiuto Regno papale, dove il G. riprendeva il problema delle origini del potere ecclesiastico, affrontandolo, però, con gli strumenti della storiografia protestante: non più "istoria civile" del Regno di Napoli, ma di tutto l'Occidente cristiano. Di qui la persecuzione che la Curia romana mosse contro di lui, riuscendo, infine, non solo a farlo arrestare, ma a entrare anche in possesso dell'autografo del Triregno.  Si impedì così la pubblicazione dell'opera, ma non ne fu, tuttavia, impedita completamente la diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli archivi romani in cui l'originale era custodito). Nel secondo Settecento diversi codici del Triregnocircolarono in Italia e in Europa, e negli anni Sessanta sembrò addirittura imminente una sua pubblicazione, poi non avvenuta, ad Amsterdam.  La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di Borbone determinò la dispersione della comunità napoletana di Vienna. Ritenendo, con ragione, che fosse in pericolo la sua pensione, basata su rendite siciliane, anche il G. decise, allora, di partire. Lasciò Vienna il 28 ag. 1734, e giunse a Venezia il 14 settembre. Doveva essere solo un punto di passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli rifiutarono il passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le trattative per il riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale veneziano si rivelò, comunque, ricco di stimoli per il G., che strinse amicizia con il senatore Angelo Pisani, con il principe milanese Alessandro Teodoro Trivulzio, con l'abate Antonio Conti, con l'avvocato Giuseppe Terzi e con il libraio Francesco Pitteri. Con quest'ultimo, in particolare, si accordò per una nuova edizione dell'Istoria civile, per la quale approntò, come quinto tomo, quell'Apologia dell'Istoria civile cui lavorava da tempo e in cui confluirono i tre trattati composti a Vienna. In realtà, anche a Venezia il G. non mancava certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo, Domenico Pasqualigo gli aveva offerto la cattedra di diritto civile all'Università di Padova, ma la Curia romana era riuscita a fare sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia, Iacopo Oddi, faceva pressioni sul governo della Serenissima perché il G. fosse cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per screditare il G. venne diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica veneziana in alcune pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi: la Risposta a tale accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile. Alla fine del marzo 1735 il G. si stabilì nell'abitazione del Pisani e un mese più tardi fu raggiunto a Venezia dal figlio Giovanni, che aveva lasciato a Napoli dodici anni prima. Riprese, allora, la stesura del Triregno, discutendone con i suoi amici veneziani. Fu nella villa del Pisani a Rovere di Crè (presso Rovigo) che, nel luglio 1735, il G. scrisse la Prefazione al Triregno. Anche questa volta, tuttavia, la tranquillità doveva rivelarsi effimera.  Dopo oltre un anno di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato sperato: la notte del 13 sett. 1735, poco dopo aver lasciato, insieme con l'abate Conti, la casa dell'avvocato Terzi, il G. fu catturato da agenti del S. Uffizio, caricato a forza su un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio pontificio. Riuscì quindi fortunosamente a raggiungere Modena e vi restò nascosto per circa un mese, sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto, fra gli altri, anche da L.A. Muratori. Iniziò, allora, la stesura del Ragguaglio dell'improvviso e violento ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Raggiunto, infine, dal figlio, il G. si recò a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove sperava nell'aiuto della famiglia del principe Trivulzio. Il 16 nov. 1735 fu ricevuto dal marchese Giorgio Olivazzi, gran cancelliere, il quale gli consigliò di scrivere a Carlo Vincenzo Ferrero marchese d'Ormea, ministro di Carlo Emanuele III di Savoia, per offrirsi come storico di corte. Quel che Olivazzi non poteva sapere era che l'Ormea s'era già accordato con il cardinale Alessandro Albani, offrendogli l'arresto del G. come contropartita per la concessione di un concordato favorevole allo Stato sabaudo al fine di chiudere lo scontro - aperto un ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino partì quindi l'ordine di arresto del G., che però nel frattempo aveva già lasciato Milano per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un rifugio sicuro dopo l'esperienza veneziana, il G. aveva deciso di andare a Ginevra, dove era in contatto con l'editore Marc-Michel Bousquet (che sin dal 1729 aveva annunciato la sua intenzione di pubblicare una traduzione francese dell'Istoria civile). Mentre dava l'ordine di arrestarlo a Milano, l'Ormea non poteva immaginare che il G. fosse proprio a Torino, dove si fermò il 27 e il 28 nov. 1735. Giunse a Ginevra il 5 dicembre, dove, pur rifiutando di convertirsi al calvinismo, strinse amicizia con i teologi protestanti Jean-Alphonse Turretini e Jacob Vernet.   A causa delle sue precarie condizioni economiche, decise di pubblicare la traduzione francese dell'Istoria civile, per la quale s'era accordato già da tempo con il Bousquet. Questi, però, aveva sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore J.-A. Pellissari, e si era trasferito in Olanda. Fu solo grazie all'aiuto di Vernet che il G. poté trovare un nuovo finanziatore nel libraio Jacques Barillot, ma, quando, all'inizio del marzo 1736, tutto era pronto per la nuova edizione dell'Istoria, il G. fu attirato fraudolentemente in territorio sabaudo e arrestato.  Sin dal 10 dic. 1735 il marchese d'Ormea aveva dato disposizioni per l'arresto al governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del rapimento è stata raccontata dal G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli aveva preso alloggio presso il sarto Charles Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale Giuseppe Gastaldi, il cui fratello era aiutante di campo del conte Piccon. Dapprima Gastaldi si guadagnò la simpatia di Giovanni, il figlio del G., invitandolo spesso a Vésenaz (il piccolo centro savoiardo di fronte a Ginevra, dov'era la dogana) insieme con Chénevé. In questo modo egli venne a conoscenza dei movimenti del G. a Ginevra, informandone Piccon. Dopo aver rifiutato gli inviti del Gastaldi per tutto l'inverno, il G. accettò di assistere alla messa della domenica delle Palme nella chiesa di Vésenaz. Sabato 24 marzo 1736 si trasferì con il figlio a casa di Gastaldi. Questi, presi con sé alcuni soldati, irruppe di notte nella stanza del G. e arrestò lui e il figlio; il giorno dopo, Gastaldi si mise in marcia verso Chambéry. Il G. racconta la gioia del doganiere il quale, tenendo in mano un suo ritratto (probabilmente una copia dell'incisione fatta a Vienna da Jacob Sedelmayer) andava di paese in paese urlando di aver catturato "un grand'uomo".  Giunto a Chambéry la sera del 26 marzo 1736, Gastaldi consegnò i prigionieri al conte Piccon, il quale, il 7 aprile, ne dispose il trasferimento nella fortezza di Miolans, tradizionalmente deputata ad accogliere i prigionieri di Stato (quarant'anni dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il marchese de Sade). Ricevuta notizia dell'arresto, l'Ormea ne informò il cardinale Albani, al quale riferì anche l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare il G. a Roma, ma di impegnarsi a tenerlo in carcere "perpetuamente". Per quanto la corte di Roma avrebbe preferito giudicare direttamente il G., il 5 maggio Clemente XII ringraziò il sovrano sabaudo per l'arresto del "sedizioso". Ormea e Albani si accordavano, intanto, perché il G. fosse processato dal S. Uffizio piemontese e costretto ad abiurare.  Durante la sua prigionia a Miolans (aprile 1736 - settembre 1737) il G. scrisse l'autobiografia (Vita di Pietro Giannone scritta da lui medesimo) e iniziò, aiutato dal figlio, una prima versione dei Discorsi sopra gli Annali di Tito Livio, un'opera che intendeva offrire a Carlo Emanuele III per l'educazione del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo III. Nello stesso periodo l'Ormea riuscì, grazie al conte Piccon e ad altri agenti sabaudi, a entrare in possesso dei manoscritti delle opere del G. (compreso quello del Triregno), che, dopo esser stati esaminati da Giovanni Antonio Palazzi, abate di Selve, bibliotecario e storico di corte, furono inviati a Roma. Il 15 sett. 1737 il G., separato dal figlio Giovanni (che fece ritorno a Napoli), fu trasferito a Torino (nelle carceri di Porta Po, prima, e nella cittadella, poi). Qui fu affidato alla cura spirituale del padre filippino Giovan Battista Prever. Nel marzo del 1738 prestò formale abiura dei suoi errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di Magliano.  Il testo dell'abiura non era quello che la Curia romana si attendeva, tanto che - contrariamente alla prima intenzione - si decise di non renderlo pubblico. A convincere il G. ad abiurare era stata la speranza di poter tornare presto in libertà, ma il 15 giugno 1738 fu trasferito al forte di Ceva, dove sarebbe rimasto sei anni. Le istruzioni impartite al conte Giuseppe Amedeo De Magistris, governatore del forte, erano per la migliore sistemazione possibile nel castello (il G. fu rinchiuso nella prigione detta "la speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite in legno e chiuse da una porta di pietra). Gli era permessa qualche ora d'aria al giorno (purché non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il confessore del forte) e poteva leggere e scrivere (purché le sue opere non uscissero da Ceva se non per Torino).  Nei sei anni di prigionia cebana il G. terminò i Discorsi sopra gli Annali di Tito Livio (conclusi nel maggio 1738) e scrisse altre tre opere: l'Apologia de' teologi scolastici (1739-41), l'Istoria del pontificato di s. Gregorio Magno(1741-42) e L'ape ingegnosa (1743-44). In esse riaffioravano molti temi del Triregno, soprattutto nell'Apologia de' teologi scolastici - dove l'autorità dei Padri della Chiesa era sottoposta a una vera e propria demolizione -, e nell'Istoria del pontificato di s. Gregorio Magno. Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione dell'Apologia, era una vera e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte doveva essere dedicata a tale pontefice. Temi tipici degli autori libertini, in particolare del Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis historiadi Plinio il Vecchio, tornavano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa, vasto e complesso zibaldone, come recita il titolo, di "varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte", denso di spunti autobiografici.  Nonostante la prigionia, la fortuna europea del G. continuava: nel 1738 ad Amsterdam era apparsa la traduzione francese dei libri sulla "politia ecclesiastica" (Anecdotes ecclésiastiques contenant la police et la discipline de l'Église chrétienne depuis son établissement jusqu'au XIe siècle), nel 1742 l'intera Istoria civile era stata tradotta in francese da C.-G. Loys de Bochat e G. Bentivoglio e pubblicata a Ginevra (ma con la falsa indicazione dell'Aja). Mentre a Torino la diffusione delle opere giannoniane preoccupava le autorità ecclesiastiche, a Ceva il G. entrava in contatto con esponenti della nobiltà locale, che lo incaricarono della stesura di alcune allegazioni forensi.  Nell'estate del 1744, a causa dell'avanzata delle truppe franco-spagnole, allora impegnate contro il Piemonte nella Guerra di successione austriaca, il G. fu trasferito a Torino, dove giunse il 3 settembre. In un primo tempo le condizioni della prigionia nella cittadella si rivelarono assai più dure: il governatore Ercole Tomaso Roero di Cortanze non aveva avuto, come invece il De Magistris, ordini particolari per il prigioniero, il cui trattamento non fu inizialmente dissimile a quello riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto il Piemonte. La situazione fu aggravata dalla morte del marchese d'Ormea (maggio 1745), tanto che il 14 maggio 1746 il G. inviò al sovrano un lungo e disperato memoriale sul proprio stato e sulle angherie cui lo sottoponeva il maggiore della cittadella, il conte Giovan Battista Caramelli. Da allora le condizioni della sua detenzione migliorarono sensibilmente. Il suo ritorno a Torino non era passato inosservato; in pochi mesi il G. entrò in relazione con personaggi della corte e della cultura, come i bibliotecari dell'Università Paolo Ricolvi e Antonio Rivautella, e, soprattutto, con il residente inglese, Arthur Villettes, il quale gli fece avere diversi libri della propria biblioteca, grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla Biblioteca reale tramite Roero di Cortanze, il G. poté aggiungere nuovi capitoli all'Apologia de' teologi scolastici e iniziare una nuova versione, rimasta incompiuta, dei Discorsi. Il nuovo interesse destato dal G. suscitò la reazione delle autorità ecclesiastiche: il nunzio a Torino, mons. Ludovico Merlini, protestò presso il sovrano, il quale gli assicurò che le condizioni del prigioniero sarebbero divenute più severe.   In realtà il G. continuò a scrivere e a ricevere libri da Villettes e da Roero di Cortanze sino alla morte, sopraggiunta il 17 marzo 1748.  Il desiderio del G., formulato in una lettera all'Ormea nel marzo 1741, che sulla sua tomba fosse posta un'iscrizione da lui appositamente composta non fu esaudito: il suo corpo fu sepolto nella fossa comune dei prigionieri della chiesa di S. Barbara, all'interno della cittadella. La chiesa fu distrutta intorno al 1860.  Opere: Opere di Pietro Giannone, a cura di S. Bertelli - G. Ricuperati, Milano-Napoli 1971 (con un'accuratissima bibliografia), in cui sono comprese la Vitascritta da se medesimo, pagine scelte dell'Istoria civile, del Triregno, del Ragguaglio del ratto, delle altre opere del carcere e alcune lettere; Istoria civile, a cura di A. Marongiu, Milano 1970; Triregno, a cura di A. Parente, Bari 1940; Dopo la "Giannoniana": problemi di edizione, nuovi reperimenti di fonti e l'introduzione perduta del "Triregno", a cura di G. Ricuperati, in L'Europa fra Illuminismo e Restaurazione.Studi in onore di Furio Diaz, a cura di P. Alatri, Roma 1993, pp. 43-88; un manoscritto del Ragguaglio del ratto è stato pubblicato in Un testo inedito di P. G., a cura di A. Denis, in Archivio storico italiano, CLIII (1995), 4, pp. 709-761. Delle altre opere del carcere l'unica sinora pubblicata in edizione critica è L'ape ingegnosa, overo Raccolta di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, a cura di A. Merlotti, Roma 1993 (con bibliografia dal 1971, pp. CXVII-CXXI). Per le lettere: P. Giannone, Epistolario, a cura di P. Minervino, Fasano 1983; Lettere autografe, a cura di P. Minervino, ibid. 1990 (in entrambi i casi l'edizione non è del tutto affidabile, cfr. la rec. di G. Di Rienzo, in Bollettino storico-bibliogr. subalpino, XCI [1993], 1, pp. 317-322).  Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di Giannone(inventario a cura di G. Ricuperati, Le carte torinesi di P. G., in Memorie dell'Acc. delle scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 4, IV [1962]): nel 1992 il fondo è stato arricchito da documenti autografi del G., in gran parte relativi ai periodi austriaco e veneziano; F. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di P. Giannone. Ricerche bibliografiche, Bari 1913; L. Marini, P. G. e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari 1950; B. Vigezzi, P. G. riformatore e storico, Milano 1961; S. Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e documenti della fortuna di P. G., Napoli 1968; G. Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di P. G., Milano-Napoli 1970; G. e il suo tempo, a cura di R. Ajello, Napoli 1980; A. Merlotti, Settecento e "Risorgimento ghibellino": Giuseppe Ferrari lettore di P. G., in Annali della Fondazione Einaudi, XXVIII (1993), pp. 301-358; Id., Negli archivi del Re. La lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo (1748-1848), in Riv. stor. italiana, CVII (1995), 2, pp. 332-386; G. Ricuperati, P. G.: an itinerary in European free-thinking, in Transactions of the Ninth International Congress on the Enlightenment, Oxford 1996, pp. 242-245; H. Trevor-Roper, P. G. and Great Britain, in The Historical Journal, XXXIX (1996), 3, pp. 657-675; A. Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli" di P. G., il giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche, XXVIII (1998), pp. 391-402; L. Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di P. G., Firenze 1999.Grice: “One good thing about the Roman Church (you know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone – he was rendered an ‘impious’ by the Church and imprisoned to death. This allowed him to philosophise on the Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone. Keywords: la terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi – Liguria – commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --. Storia di roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690283554/in/photolist-2mKGdrq

 

Grice e Gioberti – del bello – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Gioberti; he published ‘Del bene, del bello,’ suggesting they are etymologically connected, and they are: BONUS alternates with BENE in Roman, and the dimintuvie, BENETULUS, gives ‘bellus’ – So the Roman implicature is that the ‘bello’ is a ‘little’ ‘bene’ – or gracious, comfortable, and proportionate, rather than having to do with ‘bene’ itself. – “like bene” – and affectionate diminutive, one hopes!” – Laureato, e parzialmente influenzato da Mazzini, lo scopo principale della sua vita divenne l'unificazione dell'Italia sotto un unico regime: la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti del primato morale e civile degli italiani. Questo primato era associato alla supremazia del Papa, anche se inteso in un modo più letterario che politico. Carlo Alberto di Savoia lo nomina suo cappellano. La sua popolarità e l'influenza in campo privato, tuttavia, erano ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo all'esilio; non era uno di loro e non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico ma fu arrestato con l'accusa di complotto e bandito dal Regno sabaudo senza processo. Andò a Parigi e Bruxelles per insegnare filosofia. Nonostante ciò, trovò il tempo per filosofare con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.  Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto,  divenne libero di tornare in patria. Al suo ritorno a Torino, fu ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiutò la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati, della quale fu presto eletto presidente.  Cadde il governo. Il re nominò Gioberti nuovo presidente del Consiglio. Il suo governo terminò. Con la salita al trono di Vittorio Emanuele II lla sua vita politica giunse alla fine. Ebbe un posto nel consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio irriconciliabile non tardò a maturare. Fu allontanato da Torino con l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fece più ritorno. Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica, visse in povertà e passò il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi agli studi filosofici. I primi due licei istituiti a Torino celebrarono uno l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo classico Cavour) e l'altro il pensiero, anche politico, di Gioberti (il Liceo classico Vincenzo Gioberti). Gli scritti sono più importanti della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-Serbati, contro cui scrisse, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale. Anche il sistema di Gioberti, conosciuto come “ontologismo”, più nello specifico nelle sue più importanti opere iniziali, non è connesso con le moderne scuole di pensiero. Mostra un'armonia con la fede che spinse Victor Cousin a sostenere che la filosofia italiana era ancora fra i lacci della teologia e che Gioberti non e un filosofo.  Il metodo per lui è uno strumento sintetico, soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e comincia con la formula ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è l'unico ente Ens. Tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta la conoscenza umana (le idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve riflettere, e questo avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza dell'ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni reciproche, sono necessarie per l'inizio della filosofia.  Gioberti è, da un certo punto di vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione che la chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si fonda. In questo afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e sull'opinione pubblica. Tale opera e la base teorica del neoguelfismo. In “Rinnovamento e Protologia” si dice che abbia spostato il suo campo sull'influenza degli eventi. La sua prima opera aveva una ragione personale per la sua esistenza. Un amico, avendo molti dubbi e sfortune per la realtà della rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de “La teorica del sovrannaturale”.  Dopo questa, sono passati in rapida successione dei trattati filosofici. La “Teorica” è seguita dalla “Filosofia”, dove afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una nuova terminologia. Qui riporta la dottrina per cui la religione è la diretta espressione dell'idea in questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella storia. La Civiltà è una tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla quale la religione è il completamento finale se portato a termine. È la fine del secondo ciclo espresso dalla seconda formula, l'ente redime gli esistenti.  I saggi “Del bello” e “Del buono hanno” seguito l'introduzione. Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni sulla stessa e a breve trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno, pubblicato clandestinamente a Losanna da Bonamici, ha senza dubbio accelerato il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a quelle civili. È stata la popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata da altri articoli politici occasionali e dal suo Rinnovamento civile d'Italia, che lo ha portato ad essere acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese natio. Tutte queste opere sono state perfettamente ortodosse e hanno contribuito ad attirare l'attenzione del clero liberale nel movimento che è sfociato, sin dai suoi tempi, nell'unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia, si sono raduttorno al Papa più fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla fine gli scritti di Gioberti furono messi all'indice. I resti delle sue opere, specialmente “La filosofia della rivelazione” e la Prolologia espongono i suoi punti di vista maturi in molte parti. Tutti gli scritti giobertiani, tra cui quelli lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati daMassari (Torino). Il Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione dell'edizione nazionale all'Istituto di Studi Filosofici "Enrico Castelli", presso l'Università La Sapienza di Roma. Altre opera: Prolegomeni del Primato morale e civile degli italiani, Enrico Castelli; Primato morale e civile degli italiani, Ugo Redanò; Introduzione allo studio della filosofia, Alessandro Cortese; Teorica del sovrannaturale, Alessandro Cortese; Del rinnovamento civile d'Italia; Vincenzo Gioberti, Del rinnovamento civile d'Italia, Del rinnovamento civile d'Italia, Scrittori d'Italia Bari, Laterza. Cfr. lettera di V. Gioberti a G. Leopardi  in Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier. Gioberti visse in Rue des marais S. Germain, hotel du Pont des Arts n° 3.  In lingua latina: "dal nulla", vedi anche la locuzione Ex nihilo nihil fit di Lucrezio. Antonio, su Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Istituto Castelli-Roma in.  Anteprima disponibile su  Anteprima della II edizione disponibile su books.google.  Giuseppe Massari, Vita di Gioberti, Firenze, Antonio Rosmini Serbati, Gioberti e il panteismo, Milano, Spaventa, La Filosofia di Gioberti, Napoli, Achille Mauri, Della vita e delle opere di Gioberti, Genova, Giuseppe Prisco, Gioberti e l'ontologismo, Napoli, Pietro Luciani, Gioberti e la filosofia nuova italiana, Napoli, Domenico Berti, Di  Gioberti, Firenze, Giorgio Rumi, Gioberti, Bologna, Il mulino, Mario Sancipriano,  Gioberti: progetti etico-politici nel Risorgimento, Roma, Studium,  Francesco Traniello, Da Gioberti a Moro: percorsi di una cultura politica, Milano, Angeli, Gianluca Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di Gioberti, Milano, Mursia, Mustè, La scienza ideale. Filosofia e politica in Gioberti, Soveria Mannelli, Rubbettino, Mustè, Il governo federativo, Roma, Gangemi, Alessio Leggiero, Il Gioberti Frainteso. Sulle tracce della condanna, Roma, Aracne,  Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Gioberti attuale – Il Popolo d’Italia -- Non bisogna cedere alla facile tentazione erudita di dare troppi precursori al fascismo, come si è fatto da taluno in questi ultimi tempi. Il fascismo ha molti precursori e e non ne ha nessuno. Non ne ha nessuno se alla parola « precursore » si dà un significato strettissimo o letterale, ne ha molti se la stessa parola viene interpretata in un senso più lato. ln quest'ultima categorià può esser posto Vincenzo Gioberti. Ecco un autore che appare oggi « attuale » più di quanto non fosse fra il 1840 e il 1850 o anche semplicemente venti anni fa. Ci sono nelle pagine dei suoi libri notazioni, istruzioni, moniti, previsioni che il tempo ha confermato. Si vuole oggi, dal fascismo, una gioventù studiosa, che sia forte nel corpo come nello spirito. Or ecco come il Gioberti, a proposito della necessità dell'educazione fisica giovanile, si esprimeva nel suo Primato: « I giovani indurino il corpo avvezzandolo al sole, allenandolo alla corsa e ai ginnici esercizì, rompendolo alle operose veglie e alle utili fatiche, costringendolo a nutrirsi di cibi frugali, a posare su dura coltrice e assoggettandolo in ogni cosa allo imperio dell'animo, il quale col domare i sensi; si rende libero e franco e si dispone ai nobili affetti, ai vasti e magnifici pensieri ». Il fascismo ha battuto sempre in breccia certi persistenti snobismi linguaioli, che sono ormai superstiti soltanto in piccoli gruppi. Vedete come Gioberti flagellava gli esotismi del tempo che facevano preferire le lingue straniere all'italiana, l'abietto « forestierume », come, con parola di scherno supremo, diceva il Gioberti: « Riscuotano dunque se stessi da ogni ombra di forestierume, non solo nelle cose gravi ma anco nelle leggere, perché queste concorrono a informare il costume, che in opera di mutazioni morali è la somma del tutto. E non lieve faccenda, ma gravissima e importantissima è la lingua nazionale così per la stretta ed intima congiuntura dei pensieri con le voci, onde gli uni tanto valgono quanto l'espressione che li veste (dal che segue che le parole non sono pur parole, ma eziandio cose) come perché essendo ·la favella lo specchio più compito e più vivo delle specialità morali e intellettive di un popolo, chi la trascura e disprezza non può essere veramente libero, né aver cara l'indipendenza e la libertà della patria. Perciò indizio grave di servilità e di declinazione civile e prova non dubbia di poco amore verso il luogo natìo, è il trasandare la propria loquela e il vezzo di parlare o di scrivere senza bisogno di lingua forestiera. Tale indegno costume è altresì basso e vile! ». Pochi scrittori hanno, più del grande pensatore torinese, posto in rilievo la somma importanza della lingua nella vita di un popolo e i pericoli insiti nel trascurarla o avvilirla. L'ostracismo che il regime ha dato agli eccessivi dialçttismi e ai tentativi di creare su basi regionali delle letterature dialettali, trova la sua più alta giustificazione in questo superbo brano ,di prosa giobertiana. E da ricordare che il Gioberti definisce la italiana come « la più bella delle lingue vive ». « Lo stile, dice Giorgio Buffon, è l'uomo; lo stile e la lingua, dico io, sono il cittadino. La lingua e la nazionalità procedono di pari passo, perché quella è uno dei principi fattivi e dei caratteri principali di questa, anzi il più intimo e fondamentale di tutti, come il più spirituale, quando la consanguineità e la coabitanza poco servirebbero ad unire i popoli unigeneri e compaesani, senza il vincolo morale della comune favella. E però il Giordani insegna che "la vita interiore e la pubblica di un popolo si sentono nella sua lingua", la quale "è l'effige vera e viva, il ritratto di tutte le mutazioni successive, la più chiara e indubitata storia dei costumi di qualunque nazione e quasi un amplissimo specchio in cui mira ciascuno l'immagine ·della mente di tutto e tutti di ciascuno". E il Leopardi non dubitò di affermare che "la lingua e l'uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa" ». Parole queste che non saranno mai abbastanza meditate. Quanto alla missione di Roma nella storia italiana e in quella europea e universale, ecco alcune citazioni di Gioberti che hanno un sapore attualissimo. « Il genio orientale affine a quello dell'Italia, se non altro perché Roma fu una volta e sarà forse di nuovo un giorno, se posso così esprimermi, l'oriente dell'Oriente ». « Roma in effetto, nel bene come nel male, nei tempi antichi come nei moderni, è arbitra suprema e norma delle genti italiche ». La figura di Gioberti, quale filosofo e patriota, ci è giunta un poco deformata dalle polemiche del tempo. Ma bastano le citazioni di cui sopra per far vedere che la portata educatrice del pensiero giobertiano, non è diminuita con le vicende del tempo. Gioberti è « attuale », anche e soprattutto oggi, nell'Italia del Littorio. The next day in “Il Popolo d’Italia” by Scrittore Fascista. Ancora Gioberti (Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 11 febbraio 1934)  di Scrittore fascista  La prosa giobectiana è ricca di parole asprigne, saporose e di neologismi indovinati. Si incontrano parole come queste: schifiltà, infemminire nell'ozio, forestierume, perennare, sfasciume, smanceroso, attillature, disviticchiare, mollizie, delicature, uomini faticanti, laicocrazia, fogliettisti, ecc. Ma più importanti sono sempre i pensieri del filosofo torinese. In tutte le questioni egli ha un punto di vista, che rappresentando le verità fondamentali, vale, oggi, come nel 1850. Ecco con quali termini il Gioberti stabilisce i compiti e i doveri di un'aristocrazia degna di questo nome. Si tratta dell'educazione da impartire ai figli degli aristocratici. « Imprimano in essi la semplicità dei modi, la grandezza dell'animo, l'austerità del costume, la tolleranza nelle fatiche, la fermezza nelle risoluzioni, J'intrepidità nei pericoli, la generosità nei travagli; li assuefacciano a contentarsi del poco, a fuggire gli agi e le pompe, a tenersi per depositari anziché padroni della loro ampia fortuna, come di un tesoro da dispensarsi in opere di beneficenza e in imprese di utilità pubblica ». Nel Gioberti si trova l'incentivo e la giustificazione delle opere di ripristino archeologico, alle quali il regime si è particolarmente consacrato, non soltanto a Roma, ma in ogni parte d'Italia. Se Vincenzo Gioberti potesse vedere lo spettacolo meraviglioso della Roma di oggi, dovrebbe fare constatazioni diverse da quelle del suo tempo. Gli scavi, la esumazione e la restaurazione degli antichi monumenti, non giovano soltanto a documentare al mondo la nostra gloriosa storia trimillenaria, ma sono anche fonti di ricchezza, per il richiamo che essi esercitano su tutte le ·genti del mondo civile. Le poche decine di milioni spese per creare quei capolavori che sono la via dell'Impero, la via dei Trionfi, la via del Mare, sono già stati recuperati almeno cento volte, attraverso l'affluire ìnces.sante degli stranieri. Ma Gioberti insisteva sul lato educativo e morale delle ricerche archeologiche così esprimendosi: « Egli è doloroso a pensare che così pochi siano al dl d'oggi gli italiani solleciti di conoscere e studiare le patrie rovine e che tale inchiesta si abbandoni, come inutile, all'ozio erudito di qualche antiquario. L'archeologia non meno della filologia, ben !ungi dall'essere una scienza sterile e morta, è viva e fecondissima, perché oltre a rinnovare il passato, giova a preparare l'avvenire delle nazioni. Imperocché la risurre2ione erudita dei monumenti nazionali porta seco il ristauro delle idee patrie, congiunge le età trascorse colle future, serve di tessera esterna e di taglia ricordatrice ai popoli risorgituri, destandone ed alimentandone le speranze colla voglia e con l'esca delle memorie ». Tutta la storia d'Italia passa in rapide sintesi potenti nelle meditazioni di Gioberti. I periodi di grandezza e di miseria, gli alti e bassi del nostro popolo, trovano nel Gioberti un indagatore e un illustratore vigoroso e penetrante. Egli « sente » la storia e come s'inorgoglisce parlando dei periodi di splendore, è amaro e violento quando trae a descrivere le epoche di decadenza. Nella citazione che segue sono condensati tre secoli della nostra storia, i quali dal punto di vista politico sono stati oscuri, perché furono secoli di divisione e di servitù. « Le ultime faville di virtù e di carità patria perirono in Italia colla repubblica di Firenze; spenta la quale dalla truce e schifosa progenie dei secondi Medici, l'ingegno secolaresco, costretto a menar vita privata ed umbratile, non ebbe più altro campo dove esercitarsi che quello degli studi: in cui rifulsero ancora tre sommi laici, il Tasso, il Galilei, il Vico, che nel culto della sapienza poetica, naturale, filosofica, andarono innanzi a tutti, e risposero in un certo modo alla triade clericale e monachile del Bruno, del Campanella e del Sarpi. Ma il rinnovamento del ceto civile nella penisola e la creazione dell'Italia laicale è dovuta a Vittorio Alfieri, che, nuovo Dante, fu il vero secolarizzatore del genio italico nell'età più vicina e diede agli spiriti quel forte impulso che ancora dura e porterà quando che sia i suoi frutti ». Questa profezia del Primato si è avverata. L'impulso dato da Alfieri diede i suoi frutti col Risorgimento. Dopo una eclissi, tale impulso è lo stesso che scatenò il maggio radioso del '15 e la marcia di ottobre del '22. È l'impulso che fece vincere la guerra e trionfare la rivoluzione. Non ancora un secolo è passato e già queste parole del Primato giobertiano fiammeggiano nei cuori delle generazioni littorie. « Italiani - diceva Gioberti - qualunque siano le vostre miserie, ricordatevi che siete nati principi e destinati a regnare moralmente sul mondo! ». GIOBERTI, Vincenzo. - Nacque a Torino il 5 apr. 1801 da Giuseppe, impiegato, e da Marianna Capra. Un dissesto finanziario del padre, morto prematuramente, rese molto precarie le condizioni economiche della famiglia. Formatosi nelle scuole dei padri oratoriani, rivelò precoci interessi per la letteratura e per gli studi filosofici e teologici, e annoverò tra i suoi maestri e guide spirituali G.G. Sineo, poi ricordato come "il solo vero prete moderno" che avesse incontrato. Tuttavia il G. fu essenzialmente un autodidatta, che, nonostante la malferma salute, si dedicò con inaudita intensità alle più disparate letture, toccando anche il settore linguistico, storico, naturalistico, geografico, politico (con una precoce passione per N. Machiavelli), e lasciandone traccia in una congerie sterminata di appunti e di pensieri: in uno dei quali rivelava di essere stato "reso anti-monarchico dalla lettura dell'Alfieri, irreligioso, ma per poco, da Rousseau, pirronista dagli altri filosofi" (Meditazionifilosofiche inedite, p. 45). Tali frammenti provano come il giovanissimo G. accumulasse una rilevante cultura filosofica, in parte di tipo manualistico, ma in parte notevole ricavata da letture di prima mano (sebbene non sempre nella lingua originale) concernenti in special modo le opere di Platone, s. Agostino, F. Bacon, J.-B. Bossuet, G. Vico, G.W. von Leibniz, N. de Malebranche, G.S. Gerdil, J.-J. Rousseau e I. Kant. Quest'ultimo, unitamente alla "scuola scozzese" di Th. Reid, appariva al G. il filosofo che aveva riportato "nel campo dell'osservazione quel principio pensante, che molti aveano a tal segno obliato da confonderlo coi sensi e colla materia" (ibid., p. 167). Alla linea di pensiero che il G. definiva allora idealistica si affiancò il confronto ravvicinato, ma costellato di dissensi, con il tradizionalismo cattolico di J. de Maistre, L.-G.-A. de Bonald, F.-A.-R. de Chateaubriand, P.-S. Ballanche e delle prime opere di F.-R. de La Mennais. È da osservare che il G. conosceva bene il francese, appreso dalla madre, e, ovviamente, il latino, ma non il greco, mentre nel 1821 aveva iniziato, senza però approfondirlo, lo studio dell'ebraico e del tedesco.   In linea generale, prevalse nel giovane G. un orientamento eclettico, considerato peculiare dei "cristiani filosofi" e apertamente professato in opposizione allo "spirito esclusivo" dei sistemi, pur in un quadro teorico segnato dalla polemica antisensistica e dalla ricerca, non priva di momenti laceranti, di un punto di equilibrio tra una persistente venatura scettica e l'ancoraggio, punteggiato peraltro da corrosivi spunti anticlericali, alla religione cattolica, assunta come deposito di verità oggettive, attingibili per via razionale solo in maniera parziale e frammentaria. Oltre che sul piano teoretico, la necessità della rivelazione cristiana s'imponeva per il giovane G. sul piano pratico e politico, essendo "una religione rivelata e positiva l'organo indispensabile della morale nella società", ovvero anche "un'obbligazione sociale", chiamata a integrare "il mantenimento e l'accrescimento dei diritti", indicati come fine della politica. La ragionevolezza dell'adesione alle verità dogmatiche della fede cattolica, tenute distinte da quanto nella società religiosa vi è di accidentale e di transeunte, sostituiva, nel giovane G., l'idea di religione naturale d'impronta deistica, facendo salvi, da un lato, il principio di una rivelazione soprannaturale depositata nella Chiesa cattolica e, dall'altro, il concetto di un suo progressivo dispiegamento nella storia umana.  Membro dell'accademia ecclesiastica fondata dal Sineo e di quella dall'abate L. Solaro, il G. risentì dell'impronta - probabiliorista in campo morale e cautamente giurisdizionalista in campo ecclesiastico - della facoltà teologica torinese, da cui trasse alimento il suo vivace antigesuitismo. Addottorato in teologia il 9 genn. 1823, fu aggregato alla facoltà teologica l'11 ag. 1825, con la discussione di tre tesi: De Deo et naturali religione, notevole per la padronanza della relativa letteratura sei-settecentesca, De antiquo foedere, De christiana religione et theologicis virtutibus, la cui edizione accademica restò per quattordici anni l'unica opera del G. data alle stampe. Poco prima, il 19 marzo 1825, era stato ordinato sacerdote, dopo che la curia torinese e forse lo stesso arcivescovo C. Chiaverotti erano intervenuti per vincere la sua ritrosia all'ordinazione. Nel gennaio 1826 fu nominato cappellano di corte con uno stipendio annuo di 480 lire.  Notevoli zone d'ombra caratterizzano la fase successiva della sua biografia. La stessa renitenza del G. a tradurre in pubblicazioni l'immenso materiale accumulato, nonostante la notorietà acquisita negli ambienti colti e l'attività svolta in alcuni circoli filosofici e letterari, appare indicativa sia di una persistente fluidità del suo pensiero, sia della percezione di un sempre più chiuso clima intellettuale e politico, che il G. tendeva ad attribuire, sul fronte ecclesiastico, alle mene dei gesuiti e della "frateria" - da lui personalmente contrastati in occasione della vicenda che aveva coinvolto il teologo G.M. Dettori, allontanato dalla cattedra universitaria nel 1829 con l'accusa di giansenismo - e, sul versante politico, all'involuzione autoritaria del governo sabaudo.  Tra il 1826 e il 1833 la riflessione del G. sui rapporti tra religione e filosofia e tra religione e vita sociale seguì un percorso non lineare. Ne sono documento eloquente le lettere indirizzate a G. Leopardi (personalmente conosciuto nel 1828 a Firenze, durante un viaggio per l'Italia in cui il G. ebbe modo di incontrare anche A. Manzoni), le lettere al giovane amico e discepolo C. Verga e una lettura accademica sull'accordo della religione cattolica coi progressi della società civile (Ricordi biografici e carteggio, a cura di G. Massari, I, pp. 116-126).  Scrivendo al Leopardi da Torino il 2 apr. 1830, il G. confessava di aver professato nel passato "un puro teismo", e di aver mutato idea in seguito a nuove indagini sulla "verità del Cristianesimo (e quindi del Cattolicismo che è la sola forma invariabile di quello) come sistema dottrinale e come fatto storico", e di essere approdato a una "adesione intima, schietta, profonda alla religione cattolica", che gli aveva consentito di vincere "i fastidi, le amaritudini, i terrori, la malinconia" che fin allora lo avevano tormentato (Epistolario, I, pp. 41-44). Due anni dopo, reduce dall'aver "letto a furia" Le mie prigioni di S. Pellico, scriveva al Verga una lettera in cui, opposto "il cristianesimo di Silvio" a quello dei gesuiti, dei "nemici della filosofia e della civiltà", rivelava di essere divenuto assertore di una religione filosofica: cioè di una religione "immedesimata" e non solo conciliata con la filosofia, fondamento di una morale austera, "ispiratrice di azioni grandi e generose, e dell'oblio di se medesimo per intendere unicamente al bene della patria" (ibid., pp. 131-133).  Nei primi anni Trenta, anche in seguito alla lettura del Nuovo saggio sull'origine delle idee di A. Rosmini Serbati, il G. enunciò in modo più stringente e sistematico l'idea di una diretta connessione tra risorgimento filosofico e risorgimento nazionale, appellandosi a una tradizione filosofica autoctona, dispiegata genealogicamente da Pitagora al Rosmini, attraverso la scuola eleatica, la patristica latina, l'umanesimo e G. Vico (lettera a C. Verga, 23 dic. 1831, ibid., pp. 69-73). Dichiarandosi continuatore di questa linea ideale, il G. manifestò una speciale consonanza con il pensiero di Giordano Bruno, facendo a più riprese, in parallelo con l'evoluzione delle proprie idee politiche, professione di panteismo.  Tale collegamento è attestato da una lunga lettera, scritta probabilmente nella primavera-estate del 1833 ai compilatori della Giovine Italia e ivi pubblicata sotto lo pseudonimo di Demofilo nel 1834. Il G. vi esaltava il panteismo come la sola filosofia "destinata a fiorire un giorno col voto unanime dei buoni ingegni", affermando di avvertire nelle dottrine politiche professate dai mazziniani "un'applicazione di questi dettati" (ibid., II, pp. 5-25; cfr. anche lettera al Verga del 9 apr. 1833, ibid., I, pp. 167-172). La lettera, ripubblicata con intenti antigiobertiani nel 1849 non da G. Mazzini, come a lungo si credette, ma probabilmente da C. Cattaneo, col titolo Della repubblica e del cristianesimo, era rivelatrice di una radicalizzazione delle convinzioni del G., coinvolto in una serie di vicende destinate a mutare il corso della sua esistenza: vi si proclamava la necessità di una religione civile finalizzata alla liberazione dei popoli, ma, contemporaneamente, l'impossibilità di dar vita a "una religione veramente nuova […], tanto che i filosofi, e gli uomini universalmente cominciano a persuadersi, che fuori del Cristianesimo non v'ha religione"; e vi si accennava a una lettura escatologica, ma non solo ultraterrena, dell'idea cristiana di salvezza e di redenzione, implicante una sua dilatazione dalla sfera individuale a quella sociale, prefigurata nella promessa di un regno "da aspettarsi eziandio in questo mondo". Nell'accezione giobertiana, ispirata ora a un messianismo politico-sociale in vesti cristiane cui non erano estranei gli echi delle dottrine sansimoniane, il motto mazziniano "Dio e il popolo" diventava così il presupposto di una "cristianità novella", l'annunzio di un'epoca imminente in cui "Iddio sarà umanato non nel figliuolo dell'uomo, ma nel popolo", e destinato non alla croce, ma a un "regno stabile, a una pace perpetua, all'immortalità e alla gloria".   L'abito di prudenza e di riservatezza adottato dal G. non impedì che le sue idee destassero diffusi sospetti di ateismo anche presso i suoi superiori. Ciò lo indusse il 9 maggio 1833 a lasciare la carica di cappellano e a rinunciare al relativo stipendio. Nel frattempo si era affiliato a una società segreta, detta dei Circoli, e poi ad altra associazione patriottica di dubbia identificazione, forse i Veri Italiani; non sembra che mai entrasse nella Giovine Italia, sebbene coltivasse intimi rapporti con alcuni suoi affiliati, come l'abate P. Pallia. In seguito a delazione, fu quindi coinvolto nella repressione prodotta in Piemonte dalla scoperta della congiura mazziniana del 1833, arrestato con pesantissime accuse il 31 maggio e tenuto in carcere, senza processo, fino al settembre. Qui lo raggiunse un provvedimento immediatamente esecutivo che lo esiliava senza permettergli di incontrare alcuno dei suoi amici.  Per poco più di un anno, dall'ottobre 1833 alla fine del 1834, il G. visse a Parigi in una situazione assai precaria, che lo induceva ad autorappresentarsi nei panni di uno "sdottorato" e uno "spretato" (era privo di celebret per la messa), di uno che aveva "perduto tutto". Nonostante le relazioni intrecciate con i molti italiani insediati stabilmente o temporaneamente nella capitale francese, come il matematico G. Libri, A. Peyron, T. Mamiani, C. Botta, e con esponenti di primo piano del mondo accademico francese, come V. Cousin e J.-J. Champollion, visse in relativo isolamento, in una città che considerava il "microcosmo d'Europa" ma non amava, ascoltando le lezioni accademiche di C. Fauriel e di Th.-S. Jouffroy, impartendo per vivere lezioni private d'italiano e progettando, senza realizzarli, lavori di argomento filosofico o di polemica politica sulla sanguinosa repressione seguita alla congiura del 1833 e al tentativo mazziniano del 1834. Nella febbrile atmosfera intellettuale della monarchia di luglio il G. avvertì come sintomi di una crisi epocale, ma senza condividerne appieno i contenuti, i messaggi di rinnovamento sociale espressi dalla tarda scuola sansimoniana, da Ph.-J.-B. Buchez, dalle Paroles d'un croyant di F.-R. de La Mennais. Lo scenario parigino, che gli appariva connotato dalla totale estinzione del culto e della pratica cattolica, fornì nuovo alimento alla venatura apocalittica del suo pensiero, che gli faceva presagire come prossima la "fine del mondo; ma del mondo antico, donde sorgerà il nuovo", nel quale "gli ordini morali di Cristo" sarebbero diventati "gli ordini civili delle nazioni", compenetrando lo Stato sino a produrre "una società di uomini, retta da sé medesima, sotto la legge universale, una, libera, fiorente, morigerata, santa, ed esprimente la concordia del cielo colla terra" (lettera all'abate P. Unia, 14 maggio 1834, ibid., I, pp. 134-139). Per altro verso, si approfondiva sino a divenire inconciliabile il dissenso del G. nei riguardi della linea mazziniana e verso i movimenti insurrezionali, cui attribuiva la responsabilità di aver "impedita o spenta una metà almeno di quel civile progresso che altrimenti or sarebbe in Italia". Ne discendeva un caldo invito, rivolto ai suoi numerosi corrispondenti piemontesi, all'accorta prudenza e a un lavoro di lunga lena finalizzato a un apostolato politico basato sull'aperta propaganda delle idee patriottiche. Dall'insieme delle posizioni giobertiane dell'esilio parigino trasparivano una sostanziale sfiducia nel grado di maturazione raggiunto dalla coscienza nazionale del popolo italiano, "languido, diviso e inerte", un'attenuazione delle antecedenti pregiudiziali repubblicane e l'abbandono delle convinzioni panteistiche. Sul piano politico, il G. inquadrava ora la questione nazionale nella riapertura, ritenuta certa, del ciclo rivoluzionario in Francia e nella susseguente esplosione di una guerra europea, condizioni determinanti della liberazione dell'Italia dall'Austria e della cacciata definitiva dei "nostri tiranni".  Nel dicembre 1834 accettò, anche per ragioni economiche, l'offerta di assumere l'insegnamento di storia e filosofia nel collegio fondato a Bruxelles da P. Gaggia (un ex sacerdote italiano convertitosi al protestantesimo), che ospitava un centinaio di giovani cattolici ed evangelici. Forse anche in relazione alla più pacata atmosfera politica del Belgio, dove i cattolici erano parte attiva del sistema costituzionale sortito dalla rivoluzione del 1830, il G. proseguì nella revisione ideologica già profilatasi nel periodo parigino, prospettando più lucidamente che nel passato un'esigenza di conciliazione, che non implicasse identificazione, tra dogmatica religiosa e idee filosofiche e tra ordine soprannaturale e ordine civile. Dichiarava in proposito che, mentre in precedenza aveva immedesimato i dogmi cristiani colle idee, ora li disgiungeva, evitando di ridurre il cristianesimo a una simbolica filosofia, ma considerandolo invece "il compimento della filosofia medesima" (a P.D. Pinelli, 15 apr. 1835, ibid., II, pp. 239-243). Ne conseguì la decisione di produrre finalmente delle opere a stampa. Ai primi del 1838 vide infatti la luce a Bruxelles una sua "dissertazione religiosa" intitolata Teorica del soprannaturale, o sia Discorso sulle convenienze della religione rivelata colla mente umana e col progresso civile delle nazioni, composta in poco più di un mese sul finire del 1837 e stampata a spese dell'autore; cui seguirono, in rapida successione, l'Introduzione allo studio della filosofia (Bruxelles 1839-40), che ebbe una circolazione superiore a quella, inizialmente limitatissima, della Teorica, sebbene di entrambe le opere venisse interdetta l'introduzione nel Regno sardo; la Lettre sur les doctrines philosophiques et politiques de m. de Lamennais (dapprima anonima, nel Supplement à la Gazette de France dell'8 genn. 1841, poi con firma e con titolo leggermente mutato a Parigi-Lovanio, 1841); il saggio Del bello, composto come voce dell'Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione (Venezia) diretta da A.F. Falconetti, e pubblicato anche come volume a sé nell'autunno del 1841, prima opera del G. edita in Italia, che doveva essere seguita da un altro testo destinato alla stessa sede, Del buono, uscito invece in forma autonoma a Bruxelles nel 1843; e le dieci lettere Degli errori filosofici di Antonio Rosmini (Bruxelles 1841; la seconda edizione, del 1843-44, portava a 12 il numero delle lettere e comprendeva altri scritti giobertiani).  Nella Teorica il G. faceva i conti con il proprio antecedente itinerario intellettuale e con le tendenze filosofico-religiose del suo tempo. L'opera, imperniata sull'analisi delle relazioni tra ordine religioso e ordine civile osservate sotto un'angolatura gnoseologica, etica e storica, aveva come principale obiettivo polemico la riduzione monistica della sfera religiosa a quella civile o viceversa, operata, secondo il G., dalle teorie razionalistiche e panteistiche, dal "cristianesimo politico" dei sansimoniani alla Buchez, dal tradizionalismo antimoderno di Maistre, Bonald e del primo La Mennais. Dalle dottrine tradizionalistiche, tuttavia, il G. prendeva, rielaborandola, l'idea di una rivelazione primitiva cui veniva fatta risalire sia l'attivazione (mediante il dono soprannaturale del linguaggio) della facoltà di conoscere e di volere e quindi l'origine della civiltà, sia l'infusione nella mente umana di verità sovraintellegibili, percepite come misteri, analizzabili razionalmente solo per via analogica, e fondanti l'ordine religioso. Ne discendeva una storia parallela, basata sul principio di distinzione e di interrelazione, della civiltà e della rivelazione religiosa, anch'essa rappresentata come progressiva, fino al suo compimento nella rivelazione cristiana, custodita integralmente e infallibilmente dalla Chiesa cattolica. Il tracciato di questo duplice cammino era per il G. contrassegnato dal progressivo incremento del ruolo della religione come "causa e stromento" di civiltà, e dal graduale accostamento degli ordini politici al modello di società organizzata costituito dalla Chiesa (visibile tra l'altro nell'applicazione alla sfera politica del sistema elettivo proprio degli ordini ecclesiastici). Emergevano pertanto dalle pagine della Teorica i lineamenti di una rilettura cattolica della genesi della civiltà moderna, in opposizione alla tesi delle sue origini protestanti, e una riaffermazione del primato della religione sulla civiltà e della Chiesa sullo Stato, che si traduceva nella confutazione dei sistemi politici, assoluti o democratici che fossero, i quali implicassero una subordinazione della religione alla volontà del sovrano. Si trattava, in definitiva, di un'apologia del cattolicesimo in senso civile, che nello scorcio conclusivo dell'opera assumeva una marcata impronta nazionale.  Tale impronta era ancora più forte nell'Introduzione allo studio della filosofia. L'opera era infatti imperniata sull'idea che toccasse all'Italia, dopo un lungo periodo di oscuramento della sua tradizione filosofica determinato dalla perdita dell'"indipendenza civile", promuovere la restaurazione della "vera filosofia", scomparsa dall'orizzonte europeo in seguito all'espulsione dell'"idea di Dio dallo scibile umano", e porre rimedio agli effetti devastanti prodotti sul piano politico dalla diffusione di falsi principî filosofici, generatori delle due contrapposte tirannidi prevalenti nel mondo moderno, quella dei despoti e quella del popoli, dipendenti "dallo stesso principio, e aventi uno scopo unico, cioè il predominio della forza sul diritto". L'Introduzione intendeva porre le basi di un organico sistema filosofico (inteso in senso molto estensivo), in grado di contrapporsi alle deviazioni psicologistiche, soggettivistiche o panteistiche della filosofia moderna generate principalmente, sul piano speculativo, dal pensiero e dal metodo analitico di Cartesio e, su quello religioso, dalla Riforma: un sistema imperniato sull'Idea, intesa, a suo dire, in un'accezione totalmente diversa da quella utilizzata dai sensisti, dagli idéologues e dai panteisti moderni (tra cui G.W.F. Hegel), e analoga invece a quella platonica e malebranchiana. Il riferimento all'Idea, intuita dalla mente umana come oggetto reale e in atto che esiste indipendentemente dal soggetto, cioè come Ente o principio ontologico e non solo gnoseologico, si realizza nel giudizio sintetico a priori o formula ideale "l'Ente crea l'esistente", che pone nell'atto creativo l'origine del mondo, e da cui scaturisce, in ragione dell'identica matrice della realtà generata e del pensiero, l'intera enciclopedia filosofica sul piano speculativo. Il principio contenuto nella formula ideale si esplica infatti in un secondo ciclo creativo che procede, a differenza del primo, dall'esistente all'Ente, e del quale è partecipe, come causa seconda, l'azione dell'uomo in quanto dotato di intelligenza e di libero arbitrio, che lo rende "in un certo modo creatore" e simile a Dio. Mentre il primo ciclo è il principale oggetto dell'ontologia, scienza dei principî, il secondo ciclo, nel quale si esplica la "vita attiva", è l'oggetto dell'etica, scienza dei fini.  Tra le molteplici applicazioni della formula ideale abbozzate nell'Introduzione assumevano un rilievo particolare quella concernente il rapporto tra religione e civiltà secondo lo schema relazionale già profilato nella Teorica, e quella riguardante la sfera della sovranità. In argomento il G., ponendo nell'Idea l'origine della sovranità, ne confutava sia il fondamento contrattualistico (visto come prodotto delle deviazioni soggettivistiche e sensistiche della filosofia moderna), sia l'identificazione con il potere assoluto di un principe. Definendo la sovranità come un processo discendente dall'Idea, ma nello stesso tempo partecipativo, il G. perveniva alla enunciazione di una formula politica (modellata sulla formula ideale), per la quale "il sovrano fa il popolo" ma "il popolo diventa sovrano", mediante "la trasformazione lenta, graduata e sicura del Demo in patriziato". Ciò si traduceva in un'apologia della monarchia civile o rappresentativa generata dal cristianesimo e già prefigurata negli ordinamenti medievali, vista come sintesi tra un potere tradizionale e un'"aristocrazia elettiva" chiamata a estendersi col progredire dell'incivilimento. Inoltre, distinguendo il diritto sovrano dal diritto del principe, il G. finiva per recuperare come "unico giure assoluto, essenziale, irrepugnabile" l'idea di sovranità nazionale, trasferendo alla nazione (una volta istituita come corpo politico) il carattere di primazia che i fautori dell'assolutismo attribuivano al principe: sino a proclamare non solo il diritto di resistenza nei confronti del principe assoluto, ma financo, in casi estremi, la legittimità della rivoluzione.   Il progetto di cui la Teorica e l'Introduzionecostituivano una prima cornice speculativa era sintetizzato in una lettera a T. Mamiani del 15 ott. 1840 (Epistolario, III, pp. 66-69), dove il G. esprimeva la convinzione che il solo modo di giovare all'Italia fosse quello di "creare una scuola di libertà temperata, morale, religiosa, italiana, una scuola di civiltà tanto aliena dal sentire dei demagoghi quanto da quello dei despoti"; indicava l'obiettivo di far della religione "una insegna nazionale" immedesimandola "col genio dell'Italia, come nazione", facendone "una di quelle idee madri che seggono in cima al pensiero degli uomini e signoreggiano ogni parte del vivere civile". Con l'aggiunta che, distinguendo "nella religione cattolica la credenza dall'istituzione" e insistendo sulla seconda, non sarebbe stato difficile convincere gli increduli che "il cattolicesimo, anche umanamente considerato, sia il migliore degli istituti religiosi possibili".  Un programma di così ambiziosa portata prefigurava un disegno in qualche misura egemonico sul piano culturale e induceva il G. non solo a entrare in diretta polemica con le opere di autorevoli esponenti del coevo pensiero europeo, come Cousin (in uno scritto concepito come appendice dell'Introduzione, ma pubblicato inizialmente a parte, a Bruxelles nel 1840, le Considerazioni sopra le dottrine religiose di Vittorio Cousin), e come Lamennais (in un opuscolo duramente critico verso le sue ultime opere filosofiche e politiche), ma soprattutto a competere con l'altro pensatore italiano, Rosmini, che aveva intrapreso a propria volta, con intenti non meno ambiziosi, un programma di edificazione di una filosofia cristiana capace di misurarsi con il pensiero moderno. Il dissenso nei suoi confronti si era già manifestato nell'Introduzione, dove alla dottrina rosminiana dell'Essere ideale era mossa la critica di perdurante e invalicabile psicologismo e perciò di soggettivismo e finanche di sensismo mascherato. Tale iniziale dissenso si tradusse in acre e prolungata polemica, specialmente in ragione dei successivi interventi dei seguaci del Rosmini, come M. Tarditi, l'abate L. Gastaldi, futuro arcivescovo di Torino, G. di Cavour, secondo i quali le tesi giobertiane menavano dritto al panteismo. Il G. ribatté colpo su colpo, incominciando dalla già citata alluvionale opera Degli errori filosofici di A. Rosmini, importante soprattutto per il fatto che l'autore vi tracciava il processo teorico attraverso cui era pervenuto alla formula ideale. Nella polemica il G. fu affiancato e sostenuto dai suoi amici e seguaci, come P. De Rossi di Santarosa, mentre risultò vano l'intervento pacificatore di N. Tommaseo.  Nella primavera del 1843, sempre a Bruxelles, il G. diede alle stampe l'opera che doveva dargli la celebrità, Del primato morale e civile degli Italiani, tirato nella prima edizione in 1500 esemplari. Concepito inizialmente come "un'operetta di non molte pagine", "un discorsetto non solo sul Papa ma sull'Italia", il Primato divenne strada facendo un ponderoso lavoro in due grossi volumi, la cui scrittura, iniziata nel 1842, procedette in parallelo con la stampa fino al maggio dell'anno successivo.  L'opera, dalla struttura sovrabbondante e magmatica, colma di formule apodittiche e di scarti lessicali, aveva tuttavia un suo asse portante nel tentativo di definire i caratteri originali e permanenti della nazionalità italiana sintetizzati in quello che il G. chiamava "genio nazionale". Plasmato da fattori naturali, come il sito geografico e la feconda mescolanza di stirpi pelasgiche ed etrusche, connotato dalla preminenza di elementi sacerdotali e aristocratici, dotato di un suo particolare "genio federativo" espresso dalla "società di popoli" realizzata dalla repubblica romana (poi tralignata in signoria imperiale), riflesso culturalmente da un'ininterrotta tradizione filosofica autoctona, il genio italico aveva trovato, secondo il G., una sua configurazione effettivamente nazionale per opera del Papato, che lungo il Medioevo gli aveva dato stabile forma avviando la traduzione in "ordini civili" dei dettati religiosi e morali del cristianesimo. Il tratto costitutivo della nazione italiana veniva così reperito in un principio ideale, convalidato tuttavia da fattori naturali di tipo etnico e confermato dalla storia: nell'essere l'Italia "nazione religiosa per eccellenza", dotata di un primato religioso determinato dal trapianto in Roma dell'Evangelo e dall'elezione provvidenziale della sede romana a sede apostolica, che si riverberava in un primato dell'Italia nell'ordine morale e civile, da cui traeva il carattere di "creatrice, conservatrice e redentrice" della civiltà europea. Il ruolo o la missione religioso-civile, che faceva degli Italiani "il nuovo Israele" e dell'Italia una "nazione sacerdotale", veniva perciò raffigurato dal G. come indivisibile da quello del Papato: il quale, mediante l'esercizio della potestà civile connaturata alla sua primazia religiosa, non solo aveva costituito la nazionalità italiana, ma le aveva altresì impresso i tratti suoi propri di nazione guelfa. Per converso, il declino della potestà civile dei pontefici, iniziato nel tardo Medioevo e culminato nell'Età moderna, si era tradotto nella decadenza, nell'asservimento politico, nella subordinazione culturale dell'Italia e nella frammentazione politico-religiosa dell'Europa. Il risorgimento italiano, concepito dal G. sullo sfondo di una riunificazione religiosa europea, veniva dunque a raccordarsi strettamente con la restaurazione della "scaduta potestà civile del Papa in modo conforme e proporzionato all'indole e ai bisogni del secolo". Tale formula conteneva il nocciolo della tesi centrale del Primato: posto che, secondo il G., l'esercizio della potestà civile pontificia, perno della più ampia potestà civile della Chiesa, era per sua natura suscettibile di assumere modalità variabili in relazione al cammino della civiltà in senso secolare, essa era chiamata a evolversi in maniera vieppiù adeguata alla propria originaria legittimazione religiosa e alla progressiva acquisizione di "indipendenza civile" e di "capacità nazionale" da parte dei popoli, assumendo le forme preminenti della forza morale, della persuasione, dell'influenza pacifica e pacificatrice. L'itinerario della potestà civile pontificia tracciato dal G. procedeva dunque dalla "dittatura", consona alle età barbariche, verso un "potere arbitrale", delimitato dal fatto di non "avere alcun effetto civile che non sia consentito alla libera [cioè liberamente] dalle parti gareggianti e deliberanti". Si realizzava così la saldatura tra la restaurazione-riforma del potere civile del Papato e il Risorgimento italiano: nel senso che la ridefinizione del primo avrebbe reso possibile l'esercizio effettivo da parte del pontefice del ruolo, mai assunto nel passato, di capo civile della nazione sotto forma presidenziale (o dogale) - un ruolo, dunque, istituzionale, analogo ma più forte di quello arbitrale -, e la contemporanea trasformazione in unità "nazionale e politica" della preesistente, ma virtuale, unità italiana senza che ne venissero toccati i legittimi poteri dei sovrani.  Quest'ultimo aspetto costituiva un altro snodo del Primato, che consentiva al G. di tracciare una via consensuale, pacifica e aliena da fratture rivoluzionarie per la costruzione dello Stato nazionale. Scartate come estranee alla natura e alla storia del genio italico le forme del dispotismo e della democrazia "demagogica" fondata sull'idea della sovranità popolare, e assumendo come punto di riferimento il riformismo settecentesco, in specie di Pietro Leopoldo e di Benedetto XIV, il G. raffigurava l'erigenda entità politica nazionale come una confederazione dei maggiori Stati italiani, retti a monarchia "consultiva" sotto la presidenza moderatrice del pontefice elettivo. La formula della monarchia consultativa veniva preferita a quella della monarchia rappresentativa per il fatto di non frammentare la sovranità, e di permettere ugualmente ai sovrani di governare secondo il voto della nazione, raccolto e filtrato da un corpo vitalizio di "veri ottimati" tratto da un'aristocrazia selezionata dal merito e dall'ingegno più che dal sangue nobiliare, agente come canale di collegamento con l'opinione pubblica. Un'attenzione particolare era dedicata dal Primato al potere dell'opinione negli Stati moderni, alle condizioni necessarie del suo sviluppo, al ruolo che il clero era chiamato a esercitarvi nel rispetto del "principio sacrosanto della libertà delle coscienze", alla funzione modernizzatrice delle élitesintellettuali. L'utopia della confederazione italiana (tale la definiva lo stesso G.) si traduceva in una forma politica composita, che richiamava in certa misura l'ordinamento ecclesiastico, caratterizzata dalla presidenza conciliatrice del pontefice, da un insieme di "aristocrazie civili e consultative, ciascuna sotto un capo ereditario investito del supremo comando", e finalizzata all'unione, all'indipendenza e alla realizzazione della libertà civile, tenuta distinta da quella politica, cioè costituzionale.  Scritto come libro "moderatissimo" per non "irritare gli animi" e consentirgli di circolare per tutta la penisola (il che accadde, nonostante gli interdetti dell'Austria e il divieto di smercio nello Stato pontificio), con l'esplicita intenzione di raccogliere i più ampi consensi, il Primato lasciava deliberatamente da parte argomenti di più immediata rilevanza politica, che pure il G. affermava di aver originariamente previsto, quali il predominio dell'Austria o la laicizzazione del governo dello Stato pontificio. Il Primatosegnava inoltre un ripiegamento rispetto ad alcune delle tesi sviluppate nell'Introduzioneallo studio della filosofia e conteneva positivi apprezzamenti nei riguardi della Compagnia di Gesù. Accolto con favore in ambienti laici ed ecclesiastici, compresi quelli gesuitici, ma stroncato da G. Ferrari nel quadro della polemica antigiobertiana che percorreva il suo saggio La philosophie catholique en Italie (uscito in due puntate sulla Revue des deux mondes nel marzo-maggio 1844, cui il G. rispose con una lettera pubblicata in appendice alla seconda edizione di Degli errori filosofici di A. Rosmini), il libro contribuì in modo rilevante alla formazione dell'opinione nazionale, pur a prezzo o forse in ragione delle sue reticenze e dissimulazioni, trovando una naturale collocazione nel contesto del riformismo moderato degli anni Quaranta, specialmente in Piemonte, grazie anche all'apologia, presente in certe sue pagine, della missione nazionale riservata allo Stato sabaudo sotto il profilo militare, e all'esaltazione del riformismo carloalbertino: temi subito ripresi e sviluppati, in senso più marcatamente sabaudista ma anche meno proclive all'idea del primato italiano, nelle Speranze degli Italiani di C. Balbo (che sul finire del 1844 ebbe parte principale nella nomina del G. a socio nazionale non residente dell'Accademia delle scienze di Torino). Di segno opposto furono le accoglienze riservate al Primato da G. Mazzini e dai neoghibellini. La prima edizione del Primato - la cui lettura era resa ancora più ardua dalla mancanza di un indice analitico - andò rapidamente esaurita, e il G. provvide tra il 1844 e il 1845 ad allestirne una seconda corretta, stampata dallo stesso tipografo belga, e comprendente un lungo testo introduttivo, che venne tirato a parte in 2000 copie col titolo di Prolegomeni del Primato. Qui il G. abbandonava alcune delle originarie cautele, con un pronunciamento a favore della monarchia rappresentativa e con un'acre denuncia degli orientamenti settari attivi nella Chiesa e identificati in particolare nell'Ordine gesuitico o, per meglio dire, nel "gesuitismo" inteso come categoria morale contrapposta al "cattolicismo" e incompatibile con la civiltà moderna e i suoi valori nazionali. Ciò innescava un'aspra controversia, destinata ad aggravarsi e a prolungarsi nel tempo, con eminenti scrittori della Compagnia, segnatamente con F. Pellico, fratello di Silvio, e C.M. Curci, non senza il sostegno e l'incoraggiamento del padre generale J. Roothaan.  I Prolegomeni segnavano una prima sterzata rispetto alle tonalità ecumeniche del Primato, e il riaffiorare nel G. di una virulenta vena polemica che trovò un successivo sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno, apparso a Losanna nel 1846-47. Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio del G. da Bruxelles a Parigi (1845), reso possibile dall'autonomia finanziaria assicuratagli dalla buona riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da P.D. Pinelli per una nuova edizione delle sue opere complete. A Parigi, ove rinsaldò l'amicizia con G. Massari (divenuto nel frattempo suo discepolo e ammiratore), il G. si trovò nel pieno dello scontro sulle scuole delle congregazioni e nel cuore delle controversie sulla Compagnia di Gesù innescate dai corsi tenuti al Collège de France da E. Quinet e da J. Michelet. Soprattutto, suscitò grande eco nell'animo del G., che ne avrebbe tratto a più riprese corrosivi spunti antigesuitici, il coinvolgimento della Compagnia nei coevi conflitti politico-religiosi della Svizzera, sfociati poi nella guerra del Sonderbund.  Impostato come una replica alle critiche dei padri Pellico e Curci, Il gesuita moderno si trasformò strada facendo in un farraginoso lavoro in cinque volumi (l'ultimo dei quali di documenti) scritto dal G. in uno stato di tensione e di inquietudine che lo induceva a sospettare di una sistematica opera di spionaggio messo in atto da emissari della Compagnia nei suoi confronti. L'opera era un concentrato di argomenti antigesuitici ricavati dalla storia e collegati dall'idea dominante già abbozzata nei Prolegomeni: la radicale e irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in quanto pervaso da misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un cattolicesimo civile, ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il gesuitismo come il principale e più subdolo nemico del Risorgimento, il G. prendeva anche in considerazione, in un'appendice al quinto volume, le tesi enunciate dal p. L. Taparelli d'Azeglio nel saggio Della nazionalità (1846), dove si affermava non essere l'indipendenza politica un attributo necessario della nazionalità, e veniva definito inammissibile il perseguimento di uno Stato nazionale se in conflitto con i diritti dei sovrani. Il G. vi contrapponeva un'idea di nazionalità come "creatrice di diritti", fattore sostanziale e incoercibile di identità di un popolo, in tal modo proclamando non solo l'incomponibile divaricazione tra due idee di nazionalità, ma anche prendendo definitivo congedo dalle sfumature legittimistiche del Primato.  Gli eccessi polemici del Gesuita moderno, singolarmente contrastanti con la moderazione del Primato, gli valsero un'accoglienza controversa e suscitarono non poche critiche anche da parte di cattolici liberali come Balbo, Rosmini e Tommaseo; ma assicurarono ulteriore udienza e popolarità all'autore e un'ampia circolazione, superiore a quella del Primato, all'opera, che non era stata interdetta dalla censura ecclesiastica ed era venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico spirava forte negli Stati europei (la seconda edizione, del 1847, fu tirata in 12.000 copie).  I cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella situazione italiana con l'elezione di Pio IX e l'accelerazione del movimento riformatore, gli atteggiamenti assai cauti, se non riguardosi, del nuovo papa, già lettore del Primato, nei confronti del G., e, viceversa, il moltiplicarsi delle critiche al Gesuita modernoin Italia e più ancora in Francia, specialmente per mano dell'archeologo Ch. Lenormant, indussero il G., sul finire del 1847, a porre mano a un nuovo lavoro, l'Apologia del libro intitolato "Il gesuita moderno", con alcune considerazioni intorno al Risorgimento italiano (Bruxelles e Livorno 1848). Qui la rinnovata battaglia contro il gesuitismo, estesa ora al partito francese dei "laici ipercattolici" capeggiato da Ch. de Montalembert, veniva a connettersi più direttamente con i progressi compiuti nel frattempo dal movimento nazionale e interpretati dal G. come una totale convalida delle proprie tesi. Sennonché, tra l'inizio della stesura e della stampa, progredita assai lentamente, e la conclusione del lavoro, compiuto nell'aprile 1848, erano intervenuti il sovvertimento della scena politica europea con la rivoluzione parigina del febbraio (direttamente osservata e idealmente difesa dal G.), la concessione degli statuti da parte dei maggiori sovrani italiani, la rivoluzione di Vienna e la crisi dell'Impero austriaco, l'insurrezione milanese, l'avvio della guerra in Italia. Inoltre la Compagnia di Gesù era stata espulsa da molti Stati, tra cui quello sabaudo, tanto da far pensare al G. che i gesuiti, dei quali aveva auspicato in lettere private l'espulsione, fossero "morti politicamente", pur continuando a sopravvivere "i loro spiriti". Tutto questo impose un rifacimento del capitolo finale dell'opera, più legato all'attualità, e la stesura di un lungo proemio, datato Parigi 8 apr. 1848, in cui i fatti italiani, a partire dalla rivoluzione siciliana del gennaio, entravano prepotentemente nella sua analisi, rendendo il libro ancor più eterogeneo nei suoi contenuti e il suo titolo ancor più inadeguato, ma accrescendone pure di molto l'interesse. L'opera vide finalmente la luce, in quattro edizioni quasi contemporanee, quando il G. era ormai ritornato a Torino.  Molteplici elementi imprimevano all'Apologiail tono di un manifesto programmatico, in linea con i numerosi interventi avviati dal G. su alcuni giornali liberali come la Patria di Firenze, l'Italia di Pisa, il Risorgimento e soprattutto la Concordia di Torino, diretta da L. Valerio: in primo luogo, l'esaltazione, condotta con toni volutamente forzati, dell'azione riformatrice di Pio IX, nel quale il G. indicava l'incarnazione provvidenziale del pontefice da lui stesso preconizzato, guida del Risorgimento nazionale interpretato come "un evento religioso, europeo, universale", promotore di "una rivoluzione fondamentale negli ordini umani del cattolicesimo" e di una metamorfosi del Papato da "aristocratico e monarcale" a "popolano e democratico come nelle sue origini"; in secondo luogo, la perorazione per la sollecita creazione di un regno costituzionale dell'Alta Italia sotto la dinastia dei Savoia, accompagnata dalla confutazione dei programmi municipalisti e repubblicani. Per altro verso, l'Apologia portò allo scoperto, sotto la sollecitazione degli eventi, venature del pensiero giobertiano in precedenza tenute in ombra, riflettendone gli approdi più recenti. Il libro era tutto attraversato dal tema della democrazia, non tanto intesa come ordinamento politico, ma quale prorompente e benefica "rivoluzione, che per la mole, l'estensione, la natura, l'importanza, la durata, non si può comparare a niuna di quelle che la precedettero, la quale avrà per ultimo esito di conferire al popolo la piena signoria delle cose umane"; rivalutava, rifacendosi alle opere di A. de Lamartine e di J. Michelet, l'opera dei giacobini nella Rivoluzione francese; assegnava a meta conclusiva del movimento nazionale, dopo la necessaria fase federativa, la costituzione di uno Stato unitario, accennando a una sua futura trasformazione in senso repubblicano; individuava il solo modo di perpetuare la monarchia pontificia in una riforma costituzionale dello Stato della Chiesa, che consentisse al papa, in quanto principe temporale, di regnare senza governare e di realizzare la "separazione assoluta del governo spirituale dal temporale".  Quando rientrò a Torino, il 29 apr. 1848, dopo oltre quattordici anni di esilio e accolto da entusiastiche manifestazioni, il G. era reduce da una prima cocente delusione politica, determinata dall'annuncio confidenziale, pervenutogli a Parigi e seguito da immediata smentita, della sua nomina a ministro dell'Istruzione nel gabinetto Balbo, fatta cadere dal veto di Carlo Alberto, che gli era e gli restò ostilissimo. In compenso, in un collegio torinese e in uno genovese era appena stato eletto a sua insaputa alla Camera subalpina, che alla metà di maggio lo proclamò proprio presidente. Fino alla fine di luglio, tuttavia, il G. non mise piede in Parlamento, perché ai primi di maggio, accompagnato da don G. Baracco, già era partito per una lunga peregrinazione politica, che lo avrebbe portato a Milano (dove ebbe un incontro col Mazzini), al quartier generale piemontese di Sommacampagna (dove fu ricevuto da Carlo Alberto), poi, attraverso la Lombardia e l'Emilia, a Genova, a Livorno, a Roma (dove soggiornò due settimane e fu ricevuto in tre diverse udienze da Pio IX), e infine, per l'Umbria e le Marche, a Bologna e a Firenze, donde rientrò, via Genova, nella capitale sabauda. Il viaggio per l'Italia, avvenuto in una fase in cui la guerra federale contro l'Austria aveva ricevuto un colpo letale dall'allocuzione di Pio IX il 29 aprile - il cui significato il G. tentò invano di minimizzare - e dalla reazione borbonica di maggio, fu tanto indicativo dei vertici raggiunti dalla popolarità del G., ovunque fatto oggetto di accoglienze trionfali e talora deliranti, e tanto ricco d'incontri con i più vari circoli politici, quanto povero di durevoli risultati. Nel corso di tale viaggio, affrontato con lena missionaria, il G. propagandò fervidamente alcune idee-guida: in nome della concordia nazionale combatté a spada tratta le ipotesi repubblicane di ogni genere, i movimenti da lui tacciati di municipalismo, i progetti per un'assemblea costituente, che finì tuttavia per ritenere inevitabile e non pericolosa a certe condizioni; invocò il pronto accoglimento dei voti di unione al Regno sabaudo del Lombardo-Veneto e la proclamazione di un forte regno dell'Italia settentrionale; tentò con la medesima energia di rilanciare la soluzione federale, contro i riaffioranti particolarismi statali e dinastici, non esclusi quelli del Piemonte; si adoperò per un consolidamento del sistema costituzionale a Roma, utilizzando anche i propri rapporti di amicizia con il ministro T. Mamiani.  Analoghi programmi il G. sostenne durante la breve vita del gabinetto Casati, al quale fu aggregato dal 29 luglio, giusto all'indomani del disastro di Custoza, in qualità di ministro senza portafoglio e poi dell'Istruzione, facendosi personalmente promotore della missione del Rosmini presso Pio IX, finalizzata alla stipulazione di un trattato confederale e di un nuovo concordato. Ma la firma dell'armistizio Salasco (9 ag. 1848) e l'interruzione della guerra con l'Austria lo colsero di sorpresa. Di fronte alla svolta che portò alle dimissioni del governo Casati, il G. abbracciò posizioni assai impopolari presso i moderati, dapprima avversando e poi perorando una richiesta di aiuto militare alla Repubblica francese, combattendo a spada tratta la richiesta di una mediazione diplomatica franco-inglese, schierandosi per una ripresa della guerra in una cornice federativa quanto mai inattuale. Le ombrosità e le ambizioni del G., che aspirava alla presidenza del Consiglio, ebbero modo di tradursi in aperto dissenso politico in occasione della formazione del governo presieduto da C. Alfieri di Sostegno (poi da E. Perrone di San Martino), che pure includeva tre amici del G. come il Pinelli, in posizione preminente, F. Merlo e Santarosa. Al nuovo ministero il G. dichiarò guerra aperta con un opuscolo dai toni aggressivi, I due programmi del ministero Sostegno (Torino 1848). Accusato il nuovo governo di spirito municipalista, cioè di disinteresse per le sorti degli altri Stati italiani, il G., che aveva lasciato il seggio parlamentare in occasione della sua nomina ministeriale, tentò, facendo appello all'opinione pubblica nazionale, di promuovere una politica alternativa basata sull'idea di una Costituente federativa con mandato limitato, da contrapporre sia all'inerzia del governo piemontese in carica, sia ai programmi di Costituente agitati dai gruppi democratici radicali. Fu quindi coinvolto nella fondazione della Società nazionale per la confederazione italiana, che tenne in ottobre a Torino il suo primo e unico congresso. Preceduto da un suo infiammato indirizzo "ai popoli italici" (dov'erano tra l'altro adombrati gli irreparabili guasti religiosi di un eventuale "funesto scisma d'Italia e di Roma") e aperto da un discorso introduttivo in cui il G. denunciò le colpe dei "repubblicani pratici" e le "disorbitanze dei democratici schietti e dei comunisti", il congresso si concluse con la faticosa elaborazione di un progetto di Costituente federativa e con la proclamazione del carattere irrevocabile della fusione delle regioni settentrionali nel Regno dell'Alta Italia.  Rieletto alla Camera nella tornata suppletiva del 30 settembre e nuovamente asceso alla presidenza dell'Assemblea, dopo le dimissioni del governo da lui accanitamente avversato il G. ebbe a metà dicembre l'incarico di presiedere il nuovo ministero, in cui assunse anche il dicastero degli Esteri. Salito alla presidenza del Consiglio non più come simbolo di unità e di concordia ma come esponente di maggior spicco dell'opposizione, nel discorso programmatico del 16 dicembre definì il proprio ministero con l'appellativo di democratico, cioè, come disse, volto a innalzare la plebe "a dignità di popolo", a serbare rigidamente l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge comune, a provvedere agli interessi delle province, con implicito riferimento alla difficile situazione genovese, a "corredare il principato d'istituzioni popolane, accordando con gli spiriti di queste i civili provvedimenti"; manifestò inoltre l'intenzione di riprendere la guerra interrotta, di promuovere una Costituente federativa italiana, e proclamò il diritto degli Stati italiani - di fatto, il diritto dello Stato sabaudo, cui attribuiva apertamente una funzione egemonica - di intervenire negli altri Stati della penisola per evitare sommovimenti rivoluzionari o interventi militari stranieri. Il G. s'inoltrò pertanto in una politica nazionale alquanto avventurosa, seppur coerente con il principio, carico di valore ideale ma povero di forza normativa e da lui ribadito in documenti ufficiali, per il quale egli affermava la sussistenza di un diritto della nazionalità, preminente sulle vigenti istituzioni politiche e imperativo nelle relazioni tra gli Stati italiani. Venne così progettando invii di truppe sarde nei punti critici della penisola e si propose come indesiderato mediatore tra i sovrani italiani e i loro popoli. Del tutto vani si rivelarono i suoi insistiti tentativi di intermediazione tra Pio IX, rifugiatosi a Gaeta, e la commissione provvisoria di governo di Roma, intesi a ricondurre il pontefice nel suo Stato con l'appoggio di truppe piemontesi subordinato al mantenimento degli ordini costituzionali; e volti nel contempo a impedire l'ingresso del Mazzini in Roma e la convocazione della Costituente italiana.  Sul finire dell'anno il G. chiese e ottenne dal sovrano lo scioglimento della Camera e l'indizione per il 22 genn. 1849 di nuove elezioni, che videro il suo personale successo in dieci collegi del Regno, ma produssero un'Assemblea decisamente sbilanciata sulla Sinistra democratica. Poco attento agli equilibri parlamentari, che considerava con un certo disdegno, abbandonate le velleità di convincere Ferdinando di Borbone e gli indipendentisti siciliani ad affidare alla Costituente federativa la composizione del loro prolungato conflitto, s'addentrò in un'avventura militare che doveva riuscirgli fatale. Dopo aver lungamente tentato, grazie anche ai suoi buoni rapporti con G. Montanelli, di indurre il governo democratico toscano a più moderati consigli circa i ventilati progetti di Assemblea costituente, posto di fronte alla traduzione di tali progetti in legge operativa e alla successiva fuga di Leopoldo II, il G. predispose in gran segretezza un intervento armato piemontese in Toscana, per riportare il granduca sul trono preservando il sistema costituzionale. La conoscenza del disegno, rivolto contro un governo di orientamento marcatamente democratico, e degli atti compiuti per realizzarlo, provocò la sollevazione del Parlamento sardo, una frattura profonda nella compagine ministeriale e le dimissioni del presidente del Consiglio, accolte di buon grado il 21 febbraio dal sovrano, pronto a sostituirlo con il generale A. Chiodo. Per sostenere le ragioni della propria politica, invisa ormai alla maggioranza dei gruppi parlamentari di ogni orientamento, il G. dette vita, in marzo, a un giornale politico, il Saggiatore, sul quale intervenne il 17 marzo per invocare l'unità degli spiriti in occasione della ripresa della guerra con l'Austria, da lui perorata ma ora altamente disapprovata per i modi in cui era avvenuta. Dopo Novara l'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II, il G., su invito del Pinelli, accettò di entrare come ministro senza portafoglio nel nuovo gabinetto presieduto da G. De Launay, nonostante il solco profondo che lo divideva dal primo ministro e dai suoi orientamenti conservatori, e di assumere l'incarico di inviato straordinario del Regno sardo a Parigi. L'indeterminatezza del compito affidatogli e gli atti poco amichevoli compiuti dal governo piemontese nei suoi confron ti non appena giunto a destinazione, indicavano che il vero significato della missione era quello di togliere di mezzo l'incomodo personaggio, anche per favorire le trattative di pace con l'Austria. Il G., che aveva preso a tessere relazioni con vari personaggi della vita politica francese e inglese, tra cui A. de Tocqueville, reagì con la consueta irruenza, troncò ogni rapporto ufficiale con il Regno sardo dimettendosi da deputato, da ministro e da inviato straordinario, manifestò a chiare lettere il suo pessimismo sulla situazione italiana, espresse il suo distacco dal Piemonte anche con la decisione di restituire le somme pervenutegli per l'edizione delle sue opere, e si ritirò in un secondo, volontario esilio.  Si aprì per il G. un altro periodo operosissimo sul piano intellettuale e di riflessione, non certo distaccata, sugli eventi di cui era stato protagonista. Nella corrispondenza privata, tutta intessuta di riferimenti alla situazione italiana, francese ed europea, ebbe modo di reagire, con sarcasmo misto ad amarezza, alla condanna comminata il 30 maggio 1849 dalla congregazione dell'Indice al suo Gesuita moderno, adottando pubblicamente la linea del silenzio anziché quella della sottomissione. Sul piano politico espresse a più riprese la convinzione che le idee repubblicane, colorate di socialismo, fossero in fase di inarrestabile ascesa, affermando, in una lettera del 1851, di vedere all'opera una Provvidenza tinta di rosso "perché ordina tutto al trionfo vicino o lontano di questo colore". Si dichiarava altresì fautore di un ordinamento scolastico saldamente nelle mani dello Stato, in quanto promotore e responsabile dell'"educazione nazionale", della gratuità dell'istruzione primaria, dell'assistenza pubblica ai vecchi, agli ammalati e "alla povertà che non trova da lavorare".  Mentre nella primavera del 1851 usciva a Capolago, per iniziativa e con un'introduzione del Massari, una raccolta di lettere, interventi e discorsi dalla fine del 1847 all'inizio del 1849, con il titolo di Operette politiche, il G. riprese in mano i propri lavori di argomento filosofico e religioso, editi e inediti, ma soprattutto si dedicò alacremente alla stesura di una nuova opera di ampio respiro che volle si stampasse a Parigi sotto la sua sorveglianza, pur affidandone la pubblicazione all'editore torinese Bocca: era Del rinnovamento civile d'Italia, che vide la luce nel novembre del 1851, in due volumi, il secondo dei quali contenente anche una nutrita parte documentaria.  Il Rinnovamento si presentava come una riflessione politica che, prendendo spunto dalla ricostruzione critica e storica degli eventi del '48, affrontava il tema generale delle mutate condizioni interne e internazionali in cui l'unificazione nazionale avrebbe ripreso il suo cammino. Il libro proclamava la fine della fase del Risorgimento e l'inizio della fase del rinnovamento, concepito come parte integrante "di un moto comune a quasi tutta l'Europa": il primo si era mosso nella logica di una trasformazione graduale delle cose, il secondo avrebbe assunto "aspetto e qualità di rivoluzione"; il primo era stato movimento autonomo, governato dalle condizioni dell'Italia, il secondo sarebbe dipeso "in gran parte dai fatti esterni"; il primo aveva dovuto limitarsi all'obiettivo di un sistema federale "perché non ve n'era altro possibile", il secondo non poteva escludere una possibile, e benefica, accelerazione storica verso l'unificazione politica. Su questa falsariga il G. affrontava dettagliatamente, traendo lezione dagli errori che a suo giudizio erano stati commessi da tutte le forze nazionali, una serie di argomenti di grande impegno: l'insostenibilità del potere temporale dei papi, "la maggiore anticaglia superstite dell'età nostra", dannoso all'Italia, all'Europa e soprattutto al cattolicesimo come causa di subordinazione del Papato alle forze della reazione interne ed esterne; il posto e la natura del partito conservatore e del partito democratico nella "politica nazionale"; le condizioni alle quali il Piemonte, "il paese più scarso di spiriti italici", dominato da una classe politica di patrizi e di avvocati "inclinati al municipalismo", guidato da una dinastia "stata finora impropizia all'ingegno, aristocratica e municipale", e nondimeno l'unico ad aver preservato gli ordinamenti costituzionali, poteva svolgere quel ruolo egemonico su scala nazionale che solo avrebbe salvato la monarchia sabauda da un fatale declino. Un argomento che l'autore adduceva a convalida delle proprie tesi, e che, diversamente dal Primato, implicava l'attribuzione al Regno sardo di un ruolo anche morale (pur rimanendo una futura "Roma laicale e civile […] il principio ideale della risurrezione italica"), era la politica ecclesiastica inaugurata dalle leggi Siccardi: un passo verso la "separazione assoluta tra le due giurisdizioni", la temporale e la spirituale, costituente "la prima base della libertà religiosa, che tanto è cara ai popoli civili", cornice necessaria alla formazione di un clero "liberale e sapiente", capace di purgare la religione "dagli errori e dagli abusi che la guastano".  Ma il Rinnovamento era pure un discorso di "scienza civile", secondo la definizione giobertiana, intessuto di riferimenti a Machiavelli, ma condotto sulla base dei "bisogni principali dell'età nostra, il predominio del pensiero, l'autonomia delle nazioni e il riscatto della plebe": a soddisfare i quali il G. poneva come condizioni l'esistenza di governi liberi, la costituzione di Stati a misura nazionale, il funzionamento di ordini civili atti a promuovere l'innalzamento della plebe a popolo. Per tale aspetto una funzione determinante veniva attribuita, da un lato, all'"ingegno", cioè alle élites intellettuali, chiamate a imprimere unità e coesione alla "sciolta moltitudine", e a impedire che sotto il simulacro della democrazia trionfasse invece la demagogia dei numeri e delle masse; dall'altro lato, alle riforme economiche, "unico riparo al comunismo politico", se volte a ripartire e a regolare le ricchezze (anche con l'imposta progressiva) e non a inaridire le sue fonti. Il Rinnovamento, percorso tra l'altro da fremiti antiborghesi, rifletteva una visione del movimento nazionale quale luogo d'incontro e d'interazione tra le "aristocrazie dell'ingegno", tratte dal popolo e da questo riconosciute, e le plebi anelanti al proprio riscatto sociale, garantite da una monarchia non solo costituzionale, ma anche schiettamente popolare.  Nel pubblicare il Rinnovamento il G. era convinto che l'opera sarebbe incorsa nell'interdetto della Chiesa; quando apprese che il S. Uffizio, con decreto del 14 genn. 1852, aveva condannato tutte le sue opere, in qualunque lingua pubblicate, si consolò col rilevare che, "involgendo nella proscrizione anche quegli scritti che furono conosciuti da tutti per irreprensibili", si erano meglio manifestati il puntiglio di Pio IX e la vendetta dei gesuiti.  I pesanti giudizi su figure eminenti della classe politica subalpina di cui il Rinnovamentoera cosparso, provocarono una tempesta di polemiche, cui il G. rispose con due opuscoli del 1852, il primo dei quali conteneva una risposta (che non cambiava, ma semmai aggravava la sostanza di quei giudizi) alle risentite reazioni di U. Rattazzi, di F.A. Gualterio e del generale G. Dabormida; il secondo intitolato Ultima replica ai municipali, aveva soprattutto di mira il Pinelli e C. Bon Compagni, schieratosi a difesa del vecchio amico del G. e ormai divenuto uno dei suoi bersagli preferiti, il quale si era ammalato gravemente nel bel mezzo della diatriba. La morte del Pinelli, sopravvenuta quando già l'opuscolo era stampato, creò grande imbarazzo al G., che stese a tamburo battente un Preambolo in cui rendeva giustizia sul piano personale alla figura del defunto, decidendo in seguito, dopo vari tentennamenti, di far distruggere le oltre 1200 copie già stampate dell'Ultima replica - di cui restò un solo esemplare - e di mettere in circolazione esclusivamente il Preambolo (Parigi e Torino 1852).  Fu l'ultima opera edita lui vivente: in assoluta solitudine il G. morì infatti improvvisamente, nel suo modesto appartamento di Parigi, il 26 ott. 1852.  Tra le sue carte rimase una mole imponente di frammenti manoscritti e di opere incompiute e inedite, costituenti nel loro insieme una specie di continente sommerso, non meno rilevante, per la conoscenza del suo pensiero, degli scritti da lui dati alle stampe. Questo materiale manoscritto fu in parte pubblicato postumo, con scarso rigore, dal Massari che, nel quadro di un'edizione delle opere inedite giobertiane, di cui uscirono a Torino 10 volumi, diede alle stampe nel 1856 i frammenti Della riforma cattolica della Chiesa e la Filosofia della Rivelazione, seguiti nel 1857 dalla Protologia, forse la maggior opera filosofica del G. maturo, che ne aveva incominciato la stesura negli anni Quaranta. Nel 1910, a cura di E. Solmi, furono editi, con criteri non meno discutibili, i frammenti della Libertà cattolica e della Teorica della mente umana, insieme con il dialogo Rosmini e i rosminiani. In seguito La riforma cattolica e La libertà cattolica furono ripubblicate, in modo più corretto, da G. Balsamo Crivelli nel 1924, e da G. Bonafede, insieme con la Filosofia della Rivelazione, nel 1977 e, lo stesso anno, nell'edizione nazionale delle opere, da C. Vasale. Appartenenti per la maggior parte alla produzione che il G. aveva definito "acroamatica", le opere postume, pur nel loro stato di incompiutezza, rivelano un G. che si confrontava in maniera più diretta con la critica della religione sviluppata dalla cultura primo-ottocentesca, anche nelle sue espressioni radicali. L'obiettivo di questi lavori era la dimostrazione dell'adeguatezza del cattolicesimo, liberato dalle sue deformazioni temporalistiche, autoritarie e "iper-mistiche", nel rispondere ai bisogni intellettuali e morali dell'uomo moderno. A questo fine il G. assumeva come fondamento del suo rinnovato discorso religioso-filosofico la nozione cattolica di tradizione, facendone il criterio ermeneutico dell'evoluzione storica delle forme religiose e dello sviluppo del cristianesimo in senso secolare. Ne derivava un'interpretazione molto audace per la sua epoca del rapporto tra libertà e autorità in materia religiosa e, in generale, della dogmatica cattolica. Tali opere dimostrano che il pensiero giobertiano in materia religiosa si era vieppiù spostato dall'asse della riforma ecclesiastica o politica a quella della riforma religiosa. Ciò spiega anche la riscoperta del G. in epoca modernistica; senza trascurare tuttavia che una parte molto consistente della cultura dell'Ottocento e del Novecento si è misurata con l'eredità giobertiana, dall'idealismo al federalismo (specialmente meridionale), dal gentilianesimo al nazionalismo e quindi al fascismo, dal popolarismo di L. Sturzo alla cultura democratico-cristiana.  Fonti e Bibl.: La principale raccolta di manoscritti giobertiani è quella giunta dopo varie vicende in possesso della Bibl. civica di Torino, che li conserva in 55 voll., 54 dei quali rilegati nel 1912 in maniera alquanto arbitraria e classificati in un indice sommario: si tratta di carte che il G. aveva con sé al momento della morte, riguardanti i frammenti miscellanei giovanili, appunti ed estratti di lavoro, e gli autografi delle opere più tardive, pubblicate postume. Alla stessa biblioteca sono anche pervenute una parte della biblioteca personale del G. (il cui principale nucleo fu peraltro venduto all'incanto dopo la sua morte), poche decine di sue lettere autografe e circa 2500 lettere di corrispondenti, il cui indice è stato pubblicato nel 1928 col titolo Le carte giobertiane della Bibl. civica di Torino da G. Balsamo Crivelli, al quale risale anche La fortuna postuma delle carte e dei manoscritti di V. G. ora depositati nella Bibl. civica di Torino, in Il Risorgimento italiano, IX (1916), pp. 665-694; cfr. anche P.A. Menzio, Cenni sulle carte e sui manoscritti giobertiani, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, LI (1915-16), pp. 659-675. Manoscritti autografi riguardanti Il Rinnovamento sono conservati nella Bibl. nazionale di Napoli e presso l'Istituto per la storia del Risorgimento italiano di Roma, quasi integralmente pubblicati a cura di L. Quattrocchi nel III volume (Inediti) del Rinnovamento, ed. nazionale, Roma 1969.  L'Epistolario, a cura di G. Gentile - G. Balsamo Crivelli, I-XI, Firenze 1927-37, è lungi dall'essere esaustivo; le lettere sono riprese, salvo rari casi, da precedenti edizioni a stampa come: V. Gioberti, Ricordi biografici e carteggio, a cura di G. Massari, I-III, Torino 1860-63; Il Piemonte nel 1850-51-52. Lettere di V. Gioberti e G. Pallavicino, a cura di B.E. Maineri, Milano 1875; D. Berti, Di V. G. riformatore politico e ministro con sue lettere inedite a P. Riberi e G. Baracco, Firenze 1881; Lettere inedite di V. Gioberti e saggio di una bibliografia dell'epistolario, a cura di G. Gentile, Palermo 1910; Lettere di V. Gioberti a P.D. Pinelli, a cura di V. Cian, Torino 1913; G. - Massari. Carteggio (1838-52), a cura di G. Balsamo Crivelli, Torino 1920; Carteggio Lambruschini - Gioberti, a cura di A. Gambaro, in Levana, III (1924), pp. 277-409. Un numero cospicuo di lettere al G. fu pubblicato col titolo di Carteggio di V. Gioberti, I-VI, Roma 1935-38, in un'edizione che comprende lettere di P.D. Pinelli (a cura di V. Cian), di I. Petitti di Roreto (a cura di A. Colombo), di G. Baracco (a cura di L. Madaro), di G. Bertinatti (a cura di A. Colombo), di "illustri italiani" e di "illustri stranieri", a cura di L. Madaro. L'Edizione nazionale delle opere edite e inedite, avviata nel 1938 con la riedizione dei Prolegomeni del Primato, a cura di E. Castelli e affidata nel tempo a tre editori diversi, è giunta al vol. XXXVIII, con il secondo tomo dei Pensieri numerati, a cura di G. Bonafede, Padova 1995: comprende ormai tutte le principali opere del G., pubblicate con criteri non omogenei. Materiale giobertiano continua peraltro a venire alla luce: per es., Appunti inediti di V. Gioberti su R. Cartesio. La storia della filosofia, a cura di E. Bocca - G. Tognon, Firenze 1981.  Le principali bibliografie giobertiane sono quelle di A. Bruers, G., Roma 1924, che comprende circa 1400 titoli, fino al 1923, e di G. Talamo, in Bibliografia dell'età del Risorgimentoin onore di A.M. Ghisalberti, I, Roma 1971, pp. 168-172. Tra le voci enciclopediche: G., V., di G. Saitta, in Enc. Italiana, XVII; di L. Stefanini, in Enc. Cattolica, VI; di C. Mazzantini, in Enc. Filosofica, III; di F. Traniello, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX. Per una sintesi delle interpretazioni: G. Bonafede, G. e la critica, Palermo 1950. Tra le opere più recenti: E. Passerin d'Entrèves, Ideologie del Risorgimento, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), VII, L'Ottocento, Milano 1969, pp. 333-364; A. Del Noce, Gentile e la poligonia giobertiana, in Giornale critico della filosofia italiana, IL (1969), pp. 222-285; G. Derossi, La teorica giobertiana del linguaggio come dono divino e il suo significato storico e speculativo, Milano 1970; F. Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontese (1825-1870), Milano 1970, pp. 31-51 e passim; E. Pignoloni, G. e il pensiero moderno, in Rivista rosminiana, LXIV (1970), pp. 155-175, 231-247; LXV (1971), pp. 4-23; Id., Le postume giobertiane nel giudizio della critica, ibid., LXV (1971), pp. 167-186; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, pp. 64-70, 180-189 e passim; C. Vasale, L'ultimo G. fra politica e filosofia. Appunti sulle origini ottocentesche dell'ideologia in Italia, in Storia e politica, XV (1976), pp. 201-261; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, II, Roma-Bari 1977, pp. 238-245, 338-341, 362-368 e passim; A. Galimberti, G., Gentile, Rosmini, in Giornale critico della filosofia italiana, LVIII (1978), pp. 172-187; C. Vasale, Riforma e rivoluzione nel G. postumo, in Storia e politica, XVIII (1979), pp. 395-441, 621-665; A. Rigobello, V. G., in Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, a cura di E. Coreth, I, Graz-Wien-Köln 1987, pp. 619-642; S. La Salvia, Il moderatismo in Italia, in Istituzioni e ideologie in Italia e in Germania tra le rivoluzioni, a cura di U. Corsini - R. Lill, Bologna 1987, pp. 169-310; F. Traniello, La polemica G. - Taparelli sull'idea di nazione e sul rapporto tra religione e nazionalità, in Id., Da G. a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano 1990, pp. 43-62; Id., Il cattolicesimo riformato di V. G., in Storia illustrata di Torino, a cura di V. Castronovo, Milano 1992, IV, pp. 1101-1120; G.P. Romagnani, V. G., A. Chiodo, G. De Launay, M. d'Azeglio, Roma 1992; C. Vasale, Il significato del federalismo giobertiano nella storia d'Italia, in Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, a cura di G. Pellegrino, Stresa-Milazzo 1994, pp. 215-245; L. Pesce, Peyron e i suoi corrispondenti. Da un carteggio inedito, Treviso 1997, pp. 457-471 e passim; G. Rumi, G., Bologna 1999; G. Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione del pensiero filosofico di V. G. alla luce delle opere postume, Milano 1999.  INDICE LIBRO PRIMO. INTRODUZIONE. Cap. 5. La sovrintelligenza Sezione seconda.ConceTTO,METODO E DIVISIONE DELLA FILOSOFIA (Dommatismo) Sezione prima .COSTRUZIONE DEL PRIMO TERMINE DELLA FORMOLA (l'Ente ). CAP. 1. Definizione del Primo.Distinzione del Primo psicologi c o e d e l P r i m o o n t o l o g i c o . Il P r i m o f i l o s o f i c o CAP. 2. Il Primo filosofico S I.Caratteristica del Primo filosofico Giobertiano.Po l e m i c a c o n t r o R o s m i n i . p a g . 1 3 2 - 1 5 8 - ) . II . Il P r i moèl'Entereale.Cosasialarealtà.Giob.nonar riva a dirlo chiaramente. Difello e pregio del suo concello della reallà (del concreto:unità del positi 55-72 72-99 vo e del negativo).pag.158-164. CAP. 3. Deduzione della realià dell'Ente dal concetto dell'Ente. 164-185 D. I. Dal giudizio l'Ente è non si deduce la realtà del. 126-185 1 2 6 - 1 3 1 131-16%  3 1 CAP. 1. L'intuito . pag . 1-99 . O ľ Ente. Sicontradiceall'ontologismo.- Sicon 100-119 Sezionc prima.LA CONOSCENZA CAP . 2. La riflessione psicologica CAP. 3. La riflessione ontologica Cap.4.Laparola. . 3-14 14-20 21-55 LIBRO SECONDO.COSTRUZIONE DELLA FORMOLA IDEALE   fondelarealtàcolpuroesserepag.165-170.- .II. Personificazione dell'Ente pag. 170-178.- S .III. Abbozzo della vera via di dedurre la realtà dell'Ente. Realtàosussistenza= intelligibilitàoidealità.Giob. non adempiequestaesigenza.pag.179-184.-Con . . 186-264 Cap.1.RelazionetraEnte edEsistente.Processoaprioriea posteriori.(Causa ed Effetto) . II.Prova dell'intuito (Identità dei due ordini ,onlo logico e psicologico.Verità dell'atto creativo).pag. 206-246. - S.III. L'intuito come prova dell'atto creativo.Dommatismo.Gioberti,Platone,Schelling ed Hegel.pag. 216-220. CAP. 3. Prove indirelte dell'intuito 248-253.- $. I. Lo spirito è produzione di sè stesso.pag. 253-260. – S. III.Intuito dell'intuito. $.II.Falsoconcellodellalibertàenecessilàdel pen  242-247 CAP. 4. Conseguenze della dottrina dell'intuito. 540 . 198-220 S.1.OntologismoePsicologismo.pag.200-206.- S. S.I.Epilogo:mancanza didialettica.pag.272-274- o 272-282 CAP. 2. L'intuito come conoscenza dell'atto creativo . .248-264 $.I. L'intuito immediato è la conoscenza empirica.pag. CAP.1.Epilogo.Confusione del(primo)pensabile edel(pri mo )conoscibile. . 266-272 Cap. 2. Falso concello del pensiero speculativo 189-198 265-311 . . 220-247 S. I. Duplice ordine psicologico: intuitivo e riflessivo. chiusione di tutta questa Sezione pag.184-185. Sezione seconda.COSTRUZIONE DEL SECONDO E TERZO TERMINE DELLA FORMOLA . Gioberti e Rosmini.Insussistenza delle ragioni re c a t e d a G i o b e r t i p e r d i f e n d e r e il p r i m o o r d i n e c o m e condizione del secondo : il concetto dell'infinito condizione del concelto del finito (concello dell'Ente condizione del concetto dell'esistente).La relazione ei suoi termini. L'ordine intuitivo come cognizione nonèchelascienza.pag.220-234.- S.I.Nuova instanza di Gioberti: concello del Necessario e del contingente. pag.235-241.- $.III,L'intuito del l'atto creativo è lo stesso processo a posteriori pag. pag.260-264. Sezione ( il N o o ) . terza,L'INTUITOSPECULATIVO O IL PENSIERO PURO   $.I.Prima prova delloSpinozismogiobertiano.pag. Cap. 5. Epilogo sulla identità e differenza tra Spinoza e Gio berti. Sezione terza,L'INTELLIGIBILITA'. $ . I.Identilà di crcazione e illustrazione.La vera i m m a 372-381 381-390 397-415 324 349  . 541 LIBRO TERZO.CONTENUTO DELLA FORMOLA 324-333.- $.II.Seconda S. III.Si considera di nuovo l'intuilo.Caralleristica. (Contenutodell'altocreativo)(Dio-Quantilà). 350-390 CAP. I. Caralleri dello Spinozismo:loro contradizione.Concello generaledelladifferenzatraSpinozaeGioberti. 350-356 Cap.2. Anticipazionedelconcello diDiocomerelazioneasso lula.Confradizione. Doppio concello dell'esislenic (ediDio) CAP . 3. Dio Quantità. Lo spirito : contradizione. La vera dili 356-364 collà . Cap. 4. Soluzione: Dio come Sviluppo. (Prima di Kant e dopo 364-372 Kant) nenza.Difetto delloSpinozismo.Doppia intelligibi. lità delle cose.pag.398-402.- S.II.Difficoltà con tro la immanenza nel sensibile.Paragone della co " gnizione colla visione.Meccanismo nello spirito.Con cello dello spirito (del conoscere ).Kant; l'empirismo. prova. pag. 333-344. - 306-311 siero.pag.274-279. S.III.Confusionedell'lilea CAP.1. FalsoSpinozismo(Diosemplicesostanza,noncausa).317-323 CAP. 2. Vero Spinozismo (Diosostanza causa). 317-349 e della rappresentazione.pag.279-282. CAP. 3. Relazione del pensiero puro coll'esperienza . 283-300 CAP.4.IlNoopassivoèilsenso 301-306 CAP, 5. L'Innatismo . IDELAE (Spinozismo). Sezioneprima.SPINOZISMO(forma dell'alto creali vo:meccanismo) pag.344-349. Sezione secondo.DIFFERENZA TRA GIOBERTI E SPINOZA. . .[ CAP. 1. Intelligibile assoluto CAP.2. Intelligibile relativo.Fondamento dellasoluzionedel problema 391-415 391-397   Gioberti riunisce idue difetti.pag.403-411.- S.III. Rispostaalla difficoltàprecedente,everoconcetto dell'intelligibilerelativo.pag.411-415. LIBRO QUARTO .COGNIZIONE DELLA REALTÀ DE CORPI, E ORIGINE DELLE IDEE, COME PROVE INDIRETTE DELLA FORMOLA .PASSAGGIO AL MISTICISMO. Sezioneprima.COGNIZIONEDELLAREALTA'DE'CORPI. .420-467 Cap. 1. Gioberti non ammette la prova,ma l'inluito della realtà dei corpi . . 426-429.S.II.Ragioni del realismopag.429.- S. III.Necessità di un principio superiore: cos'è. Galluppi:criticatodaGioberti.pag.430-437– ). IV.Certezza e verità.Fede e Scienza.Certezza e ve denza metafisica,efisica.Critica. pag.456-467. Sezione seconda.Origine delle idee.pag. precedenti,especialmentediRosmini.La generazio 483-489.S II.La dipendenza logica.a )Distinzione delSovrintelligibile edell'Intelligibile.Significato econseguenzadiquestadistinzione.b)Ragionee So  C a p . 2 . I d e a l i s m o e R e a l i s m o ( i m p e r f e t t i ): i d e a l i s m o a s s o l u t o ; certezzaedevidenza .. . . . 420-425 .425-443 9. Ragioni dell'idealismo;e suo difello.Rosmini.pag. . . . 468-538 Cap. 1. Significato generale della quistione.Critica de'filosofi . .479-526 S. I. Distinzione de'concelli in assoluti e relativi.pag. . .468-479 ritàdelmondo pag.437-443. CAP. 3. Dottrina propria di Gioberti sulla cognizione de'corpi; 542 e certezza ed evidenza di questa cognizione ..444-467 . 1. 1. Significato e difficoltà del problema . 2. solu zione:l'Individuazione (creazione:creareèindivi d u a r e ) . G i o b . p o n e b e n e il p r o b l e m a , m a n o n l o r i solve.Anzifaimpossibileogni soluzione;incono scibilità dell'alto creativo nella sua essenza.Perples silàdiGioberti3.Critica.pag.444-456– $.II. Certezza dellacognizione de'corpi.1. Distinzione della certezza in fisica e metafisica. 2. L'evidenza come fondamento della certezza in generale.3. Evi ne ideale (analisi e sintesi )pag. CAP. 2. La produzione ideale giobertiana : attività sintetica ori ginaria. Critica di questa dottrina   vraragione ( Ente cd Essenza ); dipendenza logica e generazione.Contradizioni.Doppio sovrintelligibile: Unità delle delerminazioni razionali , e Trinilà divi na.c)L'ldea come pura ragione o unilà delle deter minazioni razionali. Moltiplicilà astralla e unilà a stratla ( pura sintesi o dipendenza logica,e pura a nalisi ).Vera unità: unità della sintesi e dell'analisi; lamoltiplicitàcome momento dell'unità;unità- pro cessoassoluto.pag.489-509. -S.Ill.Larelazione del concello relativo coll'Ente ( creazione ). a ) D u e ipotesi:generazione,e creazione.Risultato ;assur dilà dell'allo creativo come punto di passaggio tra l'Ente e l'esistente.La creazione è l'aulogenesi dello spirito. b).La creazione è in sè generazione. Conse  guenze di questa dolirina pag.509-526. C A P . 3. Risultato generale deila doitrina di Gioberti sulla p r o duzioneideale.— PassaggioalMisticismo Elenco di Opere di Vincenzo Gioberti possedute dalla Biblioteca Nazionale di Torino (*) De Deo et naturali religione, de antiquo foedere, etc. Taurini, Bianco, 1825, in-8°. Teoricadelsovrannaturale.Brusselle,Hayez,1838,in-8°. La stessa. Torino, Ferrerò e Franco, 1849, in-8°. La stessa. Accresciuta d’un discorso preliminare e inedito intorno alle calunnie di un nuovo critico. Capolago, Tip. Elvetica, 1850, 2 tomi in 1 voi., in-8°. Degli errori filosofici di Antonio Rosmini. Brusselle, Hayez, 1841, in-8°. La stessa. Brusselle, Meline, 1843, 3 voi. in-8°. La stessa. Capolago, Tip. Elvetica, 1846, 3 voi. in-8°. Del primato morale e civile degli Italiani. Brusselle, Meline, 1843, 2 voi. in-8°. (i) Elenco favorito con gentile premura al Comitato Editore dal Prefetto della Biblioteca Nazionale Cav. Avv. Francesco Carta.   284 La stessa. Capolago, Tip. Elvetica, 1846, 5 voi. in-16°. Prolegomeni del primato morale e civile degli Italiani. Brusselle, Meline, 1846, in-12°. Introduzioneallostudiodellafilosofia.Brusselle,Hayez, 1840, 2 tomi in 3 voi., in-8°. Lastessa.Secondaediz.,Brusselle,Meline,1844,4vo¬ lumi in-8° Considerazioni sopra le dottrine religiose di Vittorio Cousin. Brusselle, Meline, 1844, in-8°. Il Gesuita moderno. Losanna, Bonamici, 1846, 5 vo¬ lumi in-8°. Lastessa. Torino, Fontana, 1848, 5 tomi in 3 voi., in-8°. Lastessa.Capolago,Tip.Elvetica,1847,7voi.in-16\ Apologia del libro intitolato « Il Gesuita moderno », con alcune considerazioni intorno al risorgimento italiano. Parteprima.Parigi,Renouard,1848,in-8\ DelBuono.Brusselle, Meline,1843,in-8°: La stessa. Capolago, Tip. Elvetica, 1845, in-16°. Essai sur le Beau, ou éléments de philosophie esthétique, traduìtde l’italien par Joseph Bertinatti. Brusselle, Meline, 1843, in-8°. Del Bello. Firenze, Bucci, 1845, in-8°. Allocuzione di un filosofo cattolico a Pio IX. Torino, 1847, in-12°.   285 Discorso pronunziato nell’adunanza generale per l’aper¬ tura del Congresso nazionale federativo la sera del 15 ot¬ tobre1848nelTeatroNazionale.Torino, G.PombaeC., 1848, in-8°. IdueprogrammidelMinisteroSostegno.Torino,Fontana, 1848, in-8°. Antiprimato papale e l’automatismo romano distrutto dal VangeloedaiSantiPadri.Torino,1850,in-16°. Lettre sur les doctrines philosophiques et Politiques de Lamennais.Capolago,Tip.Elvetica,1850,in-8°. Delrinnovamentociviled’Italia.Parigi, Crapelet,1851, 2 voi. in-8°. Operette politiche. In « Documenti della guerra santa d’Italia », voi. VII. Capolago, Tip. Elvetica, 1851. Preambolo dell’ultima replica ai Municipali. Parigi, Mar- tinet, 1852, in-8°. Risposta a Urbano Rattazzi. Sopra alcune avvertenze di Filippo Gualterio. Al Generale Dabormida. Torino, Ferrerò e Franco, 1852, in-8°. Della filosofia e della rivelazione, pubblicata per cura di GiuseppeMassari.Torino,ErediBotta,1856,in-8°. Pensieri e giudizi sulla letteratura italiana e straniera, raccolti ed ordinati da Filippo Ugolini. Firenze, Barbèra, 1856, in-12°. Della protologia, pubblicata per cura di G. Massari. Torino, Eredi Botta, 1857, 2 voi. in~8°.   286 Profezie politiche intorno agli odierni avvenimenti d'Italia. Torino, 1859, in~l2°. Pensieri, Miscellanee. Torino, Eredi Botta, 1859, 2 voi. in-8°. Ricordi biografici e carteggio, raccolti per cura di Giu¬ seppe Massari. Torino, Eredi Botta, 1860-62, 2 vo- lumi, in-8°. Studi filologici desunti da manoscritti di lui autografi ed mediti fatti di pubblica ragione per cura dell’avvo¬ catoDomenicoFissore.Torino,Tip.Torinese,1867, in-8u gr. Una lettera a Terenzio Mamiani in data del 28 maggio 1834, pubblicatadaVincenzoDiGiovanni.Roma,Tip.delle Terme, di a. Balbi, 1894, in-8°. Lettera sugli errori politico-religiosi di Lamennais. Vincenzo Gioberti e Giordano Bruno. Due lettere inedite, pubblicatedaG.0.Molineri.Torino, L.Kourt:eC. 1889, in-8°. Vincenzo Gioberti e Giorgio Paìlavicino. Lettere per cura di B. K. Maineri. (Piemonte (II) negli anni 1850-51-52). Milano,FratelliRechiedei,1875,in-l&'. METAFISICA PREAMBOLO. ONTOLOGIA PARAGRAFO 1. Dell'Enle, come concreto e reale. PARAGRAFO 2. Dell'Ente, come astratto ed ideale, CATEGORIA I. 86 CATEGORIA 4 . 104 PARAGRAPO . I. Dell'atto creativo. TEOLOGIA RAZIONALE-PARTE GENERALE. PARTE SPECIALE : 143 velazione e della Civiltà colla Reli . 161 'ART. 3. D. Primo Storico CATEGORIA 2. 91 100 CATEGORIA 6 . PARAGRAFO. 2. Del tempo e dello spazio. C A P . II. Delle convenienze della ragione colla R i COSMOLOGIA PARTE GENERALE, 3& 120 ivi   LOGICA fato,della fortuna e del destino,dell'ac cidente e della necessità. PARTE SPECIALE Della sovrintelligenza e del desiderio PARTE GENERALE. PARTE SPECIALE Della diffinizione e della divisione. 269 271 ART. 5. Del metodo. PARTE SPECIALE  284 , 253 pag. 193 • 204 221 227 234 gressisti , 110230 * 233 ART. 1. ART,2. PARAGRAFO 2. Della volontà umana . 212 218 PSICOLOGIA PARTE GENERALE. CAP. II. Dellefacoltàdellospiritoumano. ART. 4. Det raziocinio e delle sue forme esteriori. 273 A r t . 6 . Dell'arte critica. 9 C A P . I. Del 1. Ciclo generativo e Cosmogonico ART. 3, della forzacosmica.. 216 • 26 278 266 ART . i. Della proprietà delle parole. . C A P , I. Delle proprietà dell'uomo . ART. 1 Art. 2. ART. 2. 280 ART. 3. Dei giudiziie delleproposizioni. FINE DELL'INDICE.E SOMMARIO ITRE ULTIMI ANNI DI VITA,E LE OPERE POSTUME Prima di esporre la filosofia acroamatica si compie il ritratto della vita dell'autore- Giobertisiritiranellavitaprivata- come eiparla disè stesso cercadirompereognilegamenonpurecolGoverno, macogliuomini-comesostienelavita– lapovertàdiluidàoccasione adunattogenerosodelRosmini— pertenersiprontoastampareal cuna opera utile all'Italia non vuole dettare un Discorso sull'Alfie ri- qualieranoicasiimprovisichepoteanoindurloastampare— perchè opinava più probabile che la repubblica francese non ca desse — concetto che egli avea di Luigi Napoleone - i n che fu fal laceilsuo giudiziosullaFrancia— nellametà del51 pone inlucc il Rinnovamenlo – intento di questo libro : sua convenienza e diffe renzacolPrimato– censuratuttietuttocoll'intendimentochefae cia pro nell'avvenire - - -rottura col Pinelli e coi municipali - pole micaconesi— mortedelPinelli--sibrucianolecopiedel'opu scoloUltimareplicaaimunicipali— l'autorelascialapoliticaeri volge il suo animo tutto al le opere nuove da pubblicare — forse la troppatensionedimenteglinocque- morteimprovisaedoloreuni versale— quantodannofuallascienzaeallareligione– vocazione diGiobertinonmancataperlamorteintempestiva— leoperepostu me– quando furono scritteprimaodopoil48?- ilconcettoeil titolo di esse furon suggerito dalle circostanze o ne sono indipen denti?– Tuttociòcheoraèstampatoappartenevaadessesecondo l'intendimento dell'autore ? - - c quale fu quest intendimento ? - gli scritti postumi sono solo l'apparecchio e imateriali delle opere che volevadarealaluce- ildisegnoperòv'apparisce:qual'èdesso?-  CAPITOLO PRIMO   ragioni che rendono difficile a cogliere la connessione e la verita della dottrina contenuta nei detti scritti---apparente antinomia di cssa dottrina -come ho proceduto io per afferrarne l'unità e la germanaintenzione inqualformamisonrisolutodiesporla-fu benecheilMassaricurasselapubblicazionediessiscritti– pote vanoperòesseremeglioordinatidariuscirepiùintelligibili– ladot trina del Gioberti è più difficile di quella dell'Hegel. CAPITOLO SECONDO PRELIMINARI La filosofia acroamatica non è contraddittoria all'essoterica , ma solo tanto diversa - nesso tra l'una e l'altra — differenze della cognizione direttaospontaneadelRosmini,edelCousindalpensiero imma nentedelGioberti Doppiostatodelpensieroumano caratteri dellostatoriflessivoedellostatoimmanente– l'intuitodell'ente differisce da quello dell'esistente — in che consiste la strellezza spe cialedell'enteintelligibilecolpensieroimmanente -comel'attività dello spirito coesiste coll'Ente senza che questo sia subbiettivato condizioni proprie dello stato immanente - si rimuove una obbiezio nc-dell'attivitàumana -suodoppiostatoedifferenzedell'unostato dal l'altro- - della personalità — l a penetrazione del pensiero nello slalo immanente è diversa dalla compenetrazione dello stato successivo triplice proprietà del pensiero immanente analoga a tre momenti dell'ente- lospiritosebbeneunapersonanelpensieroimmanente non subbicttivizza la cognizione - l'ordine psicologico è proprio della riflessione:suofondamentoontologico– anchepropriodellarifles sione è l'ordine cronologico - che fa il tempo -- onde nasce il ripie gamento della intuizione sovra se stessa— falso modo d'intendere la visioneideale cheèlavitaanterioredescrittadaPlatonenelFe d r o - d i f f i c o l t à d i c o g l i e r e il p e n s i e r o i m m a n e n t e - - - l a d i s t i n z i o n e b e n nelladellaintuizionedallariflessionecorreggeladottrinaplatonica- obiezione del Grote - come vi si risponde - - dei giudizii – doppio giul. dizioobiettivo- lospiritoescedallostatoimmanente coll'affermare eglil'Ente-comesiafferrailpensicroimmanente- delmodocome  502 3.42   possediamo le idee - le quali nascono per via didisgregazione, non di generazione— deigiudiziianaliticiesintetici- sichiarisceundub bio-delraziocinio dellafilosofia:suadefinizione--filosofiaprima qual'è;sua distinzionedall'ontologia-obiezione contro laProtologia: risposta -dellacircuminsessionedeiveri:suaradice -criteriodelve ro - onde nasce l'evidenza e la certezza scientifica— che è un siste m a scientifico - in che senso i principii dipendono e sono illustrati dalle conseguenze — le une non sono affatto eguali in valore agli al tri--dell'ipotesi,deipostulati,edegliassiomi- seiprincipiisono astratti , onde si trae la concretezza , senza di che la scienza non avrebbevalore?- IlPrimodellascienzaèlaFormola ideale-c0 me siprova che è ilPrimo -mutua collegazione e dipendenza delle verità secondarie e primato relativo della formola -- l'unità scienti fica deve salire e fondamentarsi nell'unità ideale trasparente all'in tuito - il processo non fa la scienza perfetta - questa risulta dalla in tima unionedellacognizioneriflessivacollaintuitiva--dell'Ultimo della scienza – la parola è il passaggio dal pensiero inimanente al s u c cessivo - onde si cava la necessità della parola per l'uso del pensiero riflesso - origine del linguaggio : tre opinioni - - -sentenza dell'aulo re- comepuòdirsicheilsegnodellinguaggioèunitoal'Idea unità della dottrina di Gioberti su questa materia . CAPITOLO TERZO DOTTRINA DELL'ENTE C o m e l'unità e semplicità di Dio si accorda colla moltiplicità degli a l tributi - dell'unione dei contraddittorii in Dio - - trasformazione dia letticadeidiviniattributi— Hegelcontuttiipanteisticonfondeil processopsicologicocol'ontologico-l'antropomorfismoéopera del l'imaginazionenondellaragione dellafuturizionedivina-Iddioè insieme sovrintelligibile e intelligibile- negatività di Dio- come co nosciamol'Assoluto?— Dioèpersonale:obiezioni,risposte— Dio produttività infinita-lapotenzialitàel'attualitàsonodiverseinDio enellecreature- Dioèliberoenecessario- èbuono- l'esistenza di Dio è verità intuitiva pel pensiero immanente , dimostrativa pel  503 43-94   504 DOTTRINA DELLA CREAZIONE L'ideadicreazioneportasecoperduerispettil'ideadinulla—delcan 95-124  successivo- laprovadimostrativamiglioretraggesidallanozione dell'infinito- processoprotologicoedesplicativodelleattribuzioni dell'Ente - attribuzioni esterne ed interne- doppia eptate - dell'in finito;onden'abbiamol'idea- èdeterminato;mas'intendenonsi comprendedella presunzione divina dell'infinito potenziale nel suo atto — antinomie rislessive:ipanteisti frantendono l'idea dell'infi nito - assurdità dell'infinito nunerico - distinzione dell'infinito pos sibile o potenziale dall'attuale - due infiniti: ilrelativo e l'assoluto dell'infinito aritmeticomonadico. giamento-l'atlocreativoèunoinsè anchenell'estrinsecoéper fetto-puossiconsiderarepertrerispetticomeinfinito– l'infinità potenziale del finitosuppone ilpossesso attuale,benchè finito, del l'infinitàattuale-incheconsistesiffattopossesso— l'attocreativo intervieneintutto— ècausachel'unitàdell'Ideasisparpagliain molteidee- igenerisonovari-lavarietàspecificadellecosede riva dalla maggiore o minore intensità dell'atto creativo CAPITOLO QUARTO zioneèdivisioneemoltiplicazione- rispettoall'esistentel'attocrea tiyo è sintetico e analitico - differenza della causalità finita dall'in finita-cheèilcronotopo--suaunità- comedall'unitàdell'istante edelpuntosibiforcailtempoelospazio— l'intervalloèuno-5e nesidelcronotopo- doppiovaloredelpuntoedell'istante- dell'in ternitàedell'esternità- l'unitàdelcontinuosirappresentainordine lospazioeiltempohannouncentro al discreto sotto tre aspetti— del passato , sintesi del continuo e del discreto nei modi del tempo -- del presente e del futuro- l'eternità non cresce — doppio continuo , attualeepotenziale -infinitazionedelcronotopo-inchesensoilmon do è cterno - ogni epoca e stato mondiale è una palingenesia verso il p a s s a t o , e u n a c r e a z i o n e v e r s o l ' a v v e n i r e - il c r o n o t o p o e l ' u n i v e r soinfinitisonorealicomeintelligibili– l'indivisibilitàdelcronotopo dal pensiero colto dal Kant- del pensiero divino e umano-- interio la crea   DOTTRINA DELL'ESISTENTE debbonsidiresull'esistente- questosomigliaall'entepereffettodella creazione- incheconsistel'improntadell'entecheportainsèl'esi stente diversosensodatodall'autoreallevocimetessiemimesi quale è il senso che in quest'opera si dà alla prima -- distinzione dellapotenzaedell'atto- metessipotenziale,intermedia,eattuale l a m i m e s i - e s s e n z i a l e a l l e f o r z e c r e a t e è il c o n c r e a r e e il g e n e r a r e : prove- carattere del primo momento dello sviluppo dinamico -- due 64 125-166  505 Difficoltà di esporre la materia-nesso delle cose dette con quelle che ritàeesterioritàdelpensieroumano irrazionalitàdelvero nella s u a c o n c r e t e z z a - c o m e il p e n s i e r o u m a n o c o n o s c e il c o n t i n u o - l ' i m manenzadell'eternodatocidalpensiero— l'estensioneeladurata esprimono ilimitidell'esistente — Dialettica;ildiverso,ladualità, lamoltiplicitàappartengonoall'essenzadellacreazione- incheversa ladialetticaeondetraeilnome duedialettiche:realeeideale che forma il moto o vita dialettica- la dialettica consta di due m o menti,sebbene sembra che constidi tre- glieterogenei,cioè idi versi ed opposti,non sono contraddittorii---differenza della eteroge neità dalla contraddizione –secondo un certo rispetto l'eterogeneità èinDio-l'opposizioneriguardailnegativodellecose- ilcontrap postoèdiversodall'opposizione- glieterogeneiimportanogliomoge neieviceversa-cheèilterzoarmonicoodialettico come mai il conflitto dialettico pruduce l'armonia — uell'unione dell'omogeneo ed eterogeneo quale prevale— ciò che è l'opposto in natura è l'antino mianellascienza– dellaantinomiarealeedell'apparente– della guerra- lapolemicaèlaguerranell'ordinedelpensiero- delloscet ticismo - lo scetticismo obbiettivo non è sofistico -che sono l'errore e la colpa - due periodi distinti della storia della filosofia - - -divisione eriunioneèilprocessouniversaleedialettico- diversitàdiprocesso delladialetticadell'Enteediquelladell'esistente dellaschemato logia - - -della sofistica - - - il moltiplice e il conflitto son ridotto ad unità ed armonia mediante la mediazione dell'infinito. CAPITOLO QUINTO 1   ciclidellavirtùconcreativadelleesistenze realtàd'unaintelli gibilitàrelativa- ilsensibileèlafugadell'intelligibilerelativoda sèstesso,lasuamoltiplicazione,diversificazioneerottura-prove causa percuil'intelligibilecreatosimanifestacomesolosensibile negliordinideltempo differenzadellanostradottrinadaquelladei sensisti — nozioni che racchiude l'idea del sensibile- la successiva distruzioneerinnovazione delle forme sensibilièilnisusdiessoa diventareintelligibili- ilsensibileconsisteessenzialmentenelare lazione tra l'uomo intelligente e la natura intelligibile - del sensibile interno ed esterno - se il sensibile può o no conoscersi- si chiarisce ilsignificatodellaparolasensibile- ilsensibileschiettononsipuò pensare- prova che la sensazione non è lacognizione- qual'èl'og getto della cognizione del sensibile - - come si risolve l’antinomia ap parenteditrovareinescogitabileilsensibileepurepoterlopensare la dottrina nostra è la sintesi delle diverse dottrine precedenti Galluppi,Rosmini,Platone- nelladottrinadiGiobertinonbisogna confondere l'intelligibile assoluto,l'intelligibilerelativoeilsensi bile- la teorica dell'intelligibile relativo non annienta ilsovrintelli gibile— siviendivisandopiùparticolarmentelamimesi—mimesi prevalente-esteriorità,apparenza,fenomeno,conflitto,passaggio, metamorfosi-la gerarchiamimeticadeglienticonsistenellavarietà deigradiconativi-sinotanoiprincipali dellaluce-lamaggiore intelligibilità nella natura corporea si manifesta mediante la finalità , dell'uomo;ilcorpo,chiloforma —delsonnoedeisogni—l'istinto l'anima e il corpo in parte diversi , in parte uni - doppio stato del la vita;latenteeinanilesta—duevitedell'uomo- dellepassioni:la gloria,lamalinconia,lanoia- facoltàdell'animo:ilsenso,l'imagi nazione,lamemoria,laragione— lescoperteeitrovatiapparten gono allo sviluppo metessico del Cosmo -- che cosa è la scienza- lo spirito creato è l'anima del mondo , lo spirito uniano è l'anima della lerra- gl'intelligibiliintelligentirelativinonsonogiàdellosteso generedue speciedimentalità -cheèilpensiero- inchesifonda l'identitàdelmondo- metessiprevalente:suadefinizione-doppia u n i t à , la d i v i n a d e l l ' a t t o c r e a t i v o , e l ' u n i t à m e t e s s i c a e c o n c r e a t i v a dellarelazione;essasovrastaaiterminichelacostituiscono- due relazioni--natura speciale della relazione che corre tra l'Ente e l'esi  506   CAPITOLO SESTO DECORSO DELL'ESISTENTE Del progresso : che n'è il tipo e il principio – il progresso considerato 167-250  507 stente— l'azione finita è reciproca , quindi inseparabile dalla passio no:l'unitàloroèlarelazione,larelazioneinfinitaè unamla rela zioneèilveraceassoluto cherappresentalarelazione essaè l'appicco del finito coll'infinito - riscontro del vero col mondo - le relazioni sono nelle cose,enon solo nello spiritonostro,enella mente divina -- falsità della dottrina dell'Hegel che pone l'assoluto e il concreto nelle sole relazioni - la specie non è un'astrattezza la specie non è l'idea specifica-metessicamente non si distingue il tutto dalle parti- come raffigurarci la concretezza della potenza - dellecontagionimoraliemateriali- l'armoniadellamimesierumpe sempreerisiedesostanzialmentenellametessiiniziale diversità della metessi mimetica dalla finale -dell'implicazione e dell'inter nitàdellecose- qual'èilprogressometessico- v'èunapermanenza metessica di ciò che passa mimeticamente- Idea,metessie mimesi - ilpassaggiodellamimesiècreazioneeannientamente- accordodi dueopinioniopposte- trecondizionimondiali— vanitàdellecose umane inquantopassanoesiannullano- delladottrinadiProtago ra- scienzamimeticaemetessica--Comemaiilrealepuòrassomi gliarsiall'ideale?- Comemaiilfinito,ilrelativoecontingentepuò rassomigliareilnecessario,l'assolutol'infinito? Comemailecose materiali possono rassomigliare il pensiero ? in riguardo alla metessi iniziale, alla mimesi ,e alla metessi linale lamimesièprogressivaneiparticolari,soloregressivanel genera le- ilregressoèleggedelprogresso– l'andamentocosmicosial terna di progressi e di regressi— la vita è la sintesi e il dialettismo del progresso e del regressoma conferma di ciò si trova nell'esame dell'uomo,dellareligione,dell'arteedellascienza- ilprogressoquan do è passato diventa regresso - accordo dei progressisti e dei regres sisti-delaperiodicità– ècircolareeregressivadisuanatura— ha luogo nelle parti dell'universo, non nel tutto - la forza rallenta   508 tricenecessariaallasocietàcomeallanatura seilprogressosia reale o apparente --- la periodicità perfetta è sola apparente - corso migliorativodituttol'universo- ilprogresso nascedall'intreccio deltempocollospazio- Individuoegenere--processoestrinseco dell'atto creativo- l'evoluzione è nelle idee , nella metessi , non già nell'Idea—checosaèlagenerazione- essenzialeallagenerazione è l'idea di specie, la quale non è astratta soltanto- la generazione è l'estrinsecazione più viva della metessi specifica delle cose,eap partieneallamimesi -dellasessualità—dov'èilprincipiogenerativo se nello sperma o nell'uovo- della donna e dell'uomo - la sessualità riscontratacolladialettica dellafemminilitàedellavirilità–del conjugio — dell'individuo compiuto e in che consiste la sua essenza e valore -- l'individuo e l'Idea sono nell'ordine attuale idue estre midellarealtà— influenzadelpensieroneglieffettidellagenera zione la generazione e la nutrizione sono le principali azioni tantodelcorpoquantodellospirito— altreconsonanzetrailcorpo e l'anima - del psicologismo e dell'ontologismo - come ci può essere concretamente insegnata l'attinenza del genere coll'individuo -due classi d'individui- - se l'individuo è sparito dinanzi alle masse - che cosaèlaplebe- relazionedell'ingegnocollamoltitudine -comepuò affermarsi che nell'ingegno v’abbia qualcosa del divino - Dell'amo r e , d o v ' è il s u o t i p o , e q u a l e n ' è l ' e s s e n z a - l ' a m o r e a s s o l u t o e i n finito è l'identità --ch'è l'amore rispetto all'esistente nello stato m i mctico dell'amoreattivoedelpassivo- delpuroe corrollo Ca gione dello scisma tra l'amor del cuore e quello dei sensi — che è l'idealedell'amore--delmaritaggio- deldivorzio– l'amorecorro traidissimiliarmonici-universalitàdell'amore--parenteladell'amo recolBelloecolBuono--delBelo--originedelmalc- duemorale, p a r t i c o l a r e e u n i v e r s a l e – o t t i m i s m o r e l a t i v o n o n a s s o l u t o - il m a l morale è impossibile nell'etica divina e universale - l'antinomia a p parente della natura seco stessa si risolve mediante la necessità de gli ordini --contraddizione della natura nello stato presente --dell'in felicità umana--scopodellavitaterrestre--della virtùedellalibertà umana— l'uomoèpotenzialmenteonnispecie,puòsalireescendere nella gerarchia cosmica - la giustizia cosmica procede per ragione geometrica - dell'abito- è verso l'anima ciò che l'accrescimento e  >   509 la nutrizione verso il corpo - la virtù è sforzo , è la trasformazione dellamimesiinmetessi-ed ilsagrifiziodell'individuoalaspecie- La Società ha un fondamento metessico e idealee logico-lapolizia è una metessi iniziale - la polizia dell'uomo comincia coi primi prin cipii della sua vita— individualità e polizia principiano e crescono di conserva--unitàdinamichedellanostraspecie– divisionedelgenere umanoingenericheespecifiche– dellanazionalitànaturaleearti ficiale- lamisuradell'ampliazionedell'unitàèiltermometrodella civiltà-doppiaunificazionedeipopoli--autorità morale— ilpotere sovrano è fontalmente l'Idea— formazione primordiale della socie tà- unitàprogressivadeivaricetidellasocietà— dellaplebeedel l'ingegno - intento della riforma politica moderna - nel mondo tutto èordinatoallosvolgimentodelpensiero— ciòcheaccadeorainEu ropa è in certa guisa una ripetizione di ciò che accadde in Grecia dellademagogia:dominiodellaRussia —unitàsovrannazionale- unità intermediatralasovrannazionaleelanazionale- l'egemoniamo dernadoverisiede-delPrimato,assolutoerelativo- alcunititoli del primato italiano- il Cielo che rappresenta alla mente umana - della causa e dell'effetto negli ordini finiti- attinenza della terra col c i e l o - i v a r i m o n d i f a n n o u n s o l o u n i v e r s o - il m o n d o n o n è s o l o u n aggregato, ma un aggregante - da che è prodotto l'individualità nei corpi- gerarchiadegliesseri--dellaNuidità -ilprincipioeilfine si somigliano e differiscono - della materia in astratto e in concreto -- lapotenzagenerativaessenzialeaogniforzacreata- dellapreesi stenzadeigermi--dellaleggecentripetainorganogenia- ilcentri fugismo non è la stessa cosa dell'ipotesi della preesistenza dei ger mi —laforzaprimitivaquandoerumpenell'attocominciacolladualità ocollamoltiplicità?-gradidellaforzacreatauniversalmente- dei cinque gran regni della natura - della mutazione delle specie- sunto delladottrinadell'autore- dueleggidell'esistente:leggedietero geneità,eleggediomogeneità— dellapolarità– infinitonumerico solo possibile nello stato di metessi - due soluzioni di esso - infinito aritmeticomonadico - l'infinitoèilsovrannaturale-due errorisul mondodell'ottimismo— infinitàpotenzialedellacreatura -delfu infinito e del sarà infinito.  251-349   510  mo 343-370 CAPITOLO SETTIMO SECONDO CICLO CREATIVO Palingenesia Del secondo ciclo creativo ; ritorno del'esistente al l'ente – è solo per approssimazione -- la creazione non ebbe prima, perchè fu un Pri ilsecondociclocreativoèumanoedivino- comeilprincipio e il fine sono finiti e infiniti -- che cosa è specificatamente la palia genesia--come siamcerticheesiste– lapalingenesiaèobietiva esubiettiva,cosmicaeindividuale— delprogressorelativoedel progressoassolutodellecose comesideeintenderechelostato palingenesiacosiamentalitàpura— dellamorte– dell'immortali tà--l'esistenzaeinamissibile- lamorteèunsaltoegradosecondo chesiguardaildiscretooilcontinuo— futuritàparticolaredel l'anima— la palingenesia consiste nell'acquistare la coscienza che nonsiha- èilcolmodellacoscienza– duepresunzionidel'infi nitopotenziale– delliberoarbitrio- ilprocessopalingenesiacoè unprocessogenerativo- due metamorfosi:mondaneeoltramonda ne– obiezionecontrolarealtàdellapalingenesia:risposta– igno riamol'avvenire– haancheunabasenell'esperienza--nelapa lingenesial'internitàsaràesternata- divarioerassomiglianzatrala cosmogoniaelapalingenesia- inchesensolanegazionedell'im mortalità umana è vera - unità dello stato palingenesiaco - comuni cazionedell'intelligenzaedell'amorecoll'infinito dellafelicitàe beatitudineassoluta-l'uomonellapalingenesiaopera- ideadelpro gressopalingenesiaco– larivelazionepalingenesiacanonescluderà ogni elemento misterioso. CAPITOLO OTTAVO RELAZIONE DELLA PROTOLOGIA COLLA RIVELAZIONE Il Gioberti prima cercò verificare psicologicamente l'idea di mistero poisiproposedimostrarlaontologicamente infineporgerneuna   511 prova universaleeprotologica- lametessièilsovrannaturale- unione dialettica del naturale e sovrannaturale nell'atto creatico - ilsovrannaturale èuniversale;ènelprincipionelmezzo enel fiue- la natura senza la sovrannatura è in contraddizione seco stessa- la dottrina del nostro autore toglie l'opposizione tra il naturalismo e il sovrannaturalismoesagerati- ilsovrannaturaledell'ordineattuale è la metessi anticipata nel seno della mimesi -nel sovrannaturale e nelsovrintelligibilev'haunelementonaturaleeintelligibile~-due spe ciedisovrannaturale— differenzatrailsovrannaturaleel'oltrena turale--ideadellareligione- religioneperfettaèlarivelata— ari velazione è l'apice della cognizione- necessaria ad accordare la ri flessionecoll'intuito duerivelazioni- larivelazioneimmanenteè virtuale— la potenza primitiva delle due rivelazioni è l'intuito- la rivelazione sovrannaturale spiega le potenze dell'intuito rimase in fecondepermancodiparolaacconcia- larivelazioneesterioredi vieneinteriore- treconseguenzcimportanti- intentodelGioberti- nel suo sistema la ragione e la fede entrano l'una nell'altra – l'idea d e l l'infinitoèilvincolotrailsovrintelligibileel'intelligibile- essenzadel mistero:misteriteologici,antropologici,e teoantropologici- imi steririvelatinonsonoeffetto,ma principiodiragione-esempidella feconditàrazionaledeimisteririvelati- ilmisteropertieneallara gione e la supera ad un tempo — tre membri della formola, tre es senze,tremisteri-veradottrinadelGioberti- nellavitaterrenail sovrintelligibile non diventa mai intelligibile- il vero sovrintelligi bilenoniscema- delmiracolo:sesipensa,èpossibile-checosa èilmiracolo- ogniprodigioimportaunfattoobbiettivoeunfatto subbiettivo--ilmiracoloeladisposizioneeattitudineacrederlo si corrispondononell'unitàmetessica- ilfattomiracolosononènelco smo,ma nellapalingenesia- imiracolidecrescono— lanatura(mi mesi ) e mito e simbolo del sovrannaturale (metessi, palingenesia) il cristianesimo importa un nuovo atto creativo, ciò come avviene ? - perchè si tralasciano di esporre partitamente i dogmi religiosi attinenze della rivelazione colla scienza,e della religione colla filo sofia 371-399    CAPITOLO NONO CONCLUSIONE DELL'OPERA Perchè mi son risoluto a tessere questa conclusione-- il lettore non ri  - 512 cordando più le cose lette negli altri volumi non avrebbe potuto giudi care quest'ultimo - m'è piaciuto altresi di dare uno sguardo su tutto ciòdamepensatoescritto— occasionedell'opera- caratteredela maggiorpartedegliegeliani—come èdeltatoillibrodelprof.Spa ventasullafilosofiadiGioberti- lemieConsiderazioni— suiaspra menteripreso- soliloquio- neiprimivolumimostraiunpo'diri sentimento - l'esposizione della seconda parte si fa con modi dice voliallascienza- checosamihafattoperseverarelungamentein questa opera , perchè l'idea di essa non si era prima incarnata l'Italia al la stregua della filosofia dominante oltrealpi - perchè era nomala terra dei morti— lotta interiore del pensiero di Gioberti ragione del suo tardi stampare— la lotta cessa nel 1835 : creazione d'unanuovadottrina--lacuipellegrinitàstanelnessodellareligione collafilosofia -perquattroannisecostessoesaminalabontàeve rità del nuovo sistema - tre stadi del suo processo intellettuale- le nazionicoesistonoinsiemecsigiovanoscambievolmente- lanuova vitad'Italianecessariaalprogressoumano- ciòchehannocompiuto nel mondo i Francesi e i Tedeschi — difetto della civiltà da essi pro dotta— scopodellarinascenzaitalica— caratteredellavitaitaliana dall'AlfieriaGioberti nelqualeciòcheeravirtualeeastratto divieneconcretoeeffettivo— chiudeunepocaenecominciaun'al tra - medesimezza dell'idea individuale che costituisce l'eccellenza di Gioberti coll'idea sostanziale che costituisce ilgenio nuovo na zionale - rifà in sè tutto il processo anteriore dello spirito u m a n o quando acquistò il suo spirito intera coscienza di se medesimo - sti mò che iconcetti natigli in mente erano stati indirizzali ad un alto linedallaProvvidenza– siapparecchiaadeseguireildisegnodivi no- moto dall'individuo alla nazione e alla specie- come nel divul gare la sua dottrina e farla fruttare si mostrasse tradizionale e n o vatore ad un tempo --procedette per l'antagonismo degli estremi per 1 l   513 meglio far spiccare l'armonia del mezzo—dissimulò una parte del suo pensiero -- la filosofia la religione e la nazionalità italica sono unite e connesse subbiettivamente e obbiettivamente  mosse dal l'idea al fatto, dai principi al metodo di esposizione -carattere delle opereessotericheedelleacroamatiche- Giobertipossedevauna dottrina ben divisata e armonica , di cui avea piena consapevolezza – ciòsinegadaicritici- sidiscutelalorosentenza -sigiungeaduna conclusionc lutta opposto alla loro con solo l'esame dei fat ti -- si cerca allrcsi la dottrina intrinsecamente e logicamente e si ha lo stessorisultamento, perchéquasituttiicriticihanfranteso trinadiGioberti- ilmedesimo ladot è accaduto al Prof. Spaventa - qua l'èilconcellonuovoch'ioneporgo- essoèstatoignotofin'ora; nelle scuole d'Italia s'è insegnato solo la parte essoterica- di questa ècontrappostol'Hegelianismo- venutoiltempochesistudiaecol liva la parte acroamatica che contenendo la sintesi ed armonia di questoediquella,delpresenteedelpassato apre la via alla spe culazioneavvenire- nellacontroversiaintornoaGiobertibisogna separarelatesistorica,dallafilosofica— caratterichedistinguono, la dottrina di Gioberti da quella di Hegel , e il moto civile d'Italia daquellodiGermania- solol'Italiahaoggiunaveramissionestori ca,ilcuidelineamento trovasidegliscrittideltorinese—riscontri tra le parti in cui fu divisa la dottrina c i vari periodi del rinnova - mentonazionale– comel'egemoniapiemontesehaprodottoisuoi frutti, così li produrrà il Primato – il primato è tutt'uno colla riu novazione del pensiero italiano- ogni nazione ha da natura un sito intellettivo- - che dee cavare dal suo l'Italia- oggello della scienza sulural'idealitàinfinita– riformareligiosacnuovavitadelcattoli cismo - senza una filosofia e leologia infinitesimale ogni ristorazione religiosaèindarno-provailrecentemotodiGermania- ilDöllin ger non ha ragione di biasimare gli italiani- i vecchi cattolici sono oppostosofisticodeiGesuiti– quindicontinuanolasofisticareli giosa che travaglia la nostra età-diseltano d'una teologia veramente nuova e proporzionata al bisogno- mentre coi loro ciechi colpi con tro il papismo gesuitico ne han mostrato più che mai la necessità— senza di quella non si può distinguere l'essenziale dall'accessorio nella religione, nè accordare ildivino coll'umano-carattere della 63   nuovateologia- modocomedeeprocederelariformacattolica- l'entratura di essa appartiene al laicato,e in ispezieltà all'italiano così lagerarchia non sarà annientata,nè scossa,ma condotta a ri formarsidasè— ilmoloitalicoristabiliràperfezionatal'unitàmora le e civile d'Europa – esso perciò è indirizzato ad una meta più alta diquellaacuiègiuntalaGermania— iforestierimalintendonoe mal giudicano l'Italia ; in parte ne han colpa i fautori della coltura tedesca -ragionedell'imitazionetedescatranoi--devecessareedar luogo alla produzione paesana nell'ordine dei pensieri ,dei senti menti e delle azioni.La teorica della conoscenza nel Gioberti .   Esposizione e critica.   In uno degli ultimi scritti, — certo V ultimo scritto filosofico, —  pubblicato pochi mesi prima di chiudere la sua lunga e intensa  operosità, Antonio Rosmini, discorrendo della necessità speculativa  di tener distinta nell' essere la forma ideale dalla reale, usciva in  queste solenni parole: ' L'esperienza tuttavia e la storia della fi-  losofìa dimostrano, che e' è una somma diMcoltà a distinguere e  mantenere costantenftnte distinta nella mente la forma ideale ed  obbiettiva dell'essere, dalla forma reale, e me ne somministrò non  ha guati la prova quel facondo e immaginoso scrittore che diede  a me biasimo e mala voce d'aver proposta e stabilita una tale  distinzione, dettando tre volumi col titolo de' miei errori. Laonde  con tutto lo zelo e la fidanza egli si pose di contro a me, quasi  abbarrandomi il passo, e si dichiarò perfetto realista: incolpando  gli stessi scolastici realisti, di non essere stati tali abbastanza, ec-  cetto alcuni pochi. Ma pace a quell'anima ardente: e torniamo  alla storia *) ,.   Si sa che gli avvenimenti politici del quarant' otto avevano rav-  vicinato i due grandi avversar], smorzato perfin le ire implacate e  sospettose del torinese, che faceva pubblica ammenda della vivacità  frequente delle sue polemiche, dichiarando che, appena conosciuto  di persona il Rosmini, aveva cominciato anche lui " a venerare     ') RoiKiNi, Ariat. esposto ed esaminato, Torino, 1857, pre&z. p. 36. La  prefazione di quest'opera postuma era Btnta pubblicata dal Bosmìnì Hteeao  nella Riviìta contemporanea di Torino, au, ir, voi. II, fase. 17» e 18', decembre  1854 egenoaio 1855; riprodotta poi nella Poliantea Caffo^ca di Hilauo, an.  IV, 1855.     Digitizcdby Google     Rosmini e CHoberH 247   con tutta Italia tanta sapienza e tanta virtù , ^). — Quanto al Ko-  smini, benché l' animo suo non si fosse mai inasprito, i fatti del  ' 48 lo conciliarono di più col Gioberti, e non è questo il luogo  dì ricordare le belle prove da lui date de' suoi sentimenti verso il  filosofo esule per la seconda volta '), e poi quando fa morto, e  quando prima, nel ' 49, ebbe a G-aeta a difenderne calorosamente  la fama a l' ing^no contro le insinuazioni e le malignazioni d' un  gran gesuita ^).   Ebbene, tutto ciò e il tempo corso in mezzo e il cammino in-  tanto fatto nella scienza, non lo rimossero fino al termine, come  s' è visto dall' ultimo suo scritto dianzi citato, dalla posizione già  tenuta di contro al Gioberti. E questi, dal canto suo, ìn quel di-  scorso che premise alla seconda edizione della sua Teorica del  sovrannaturale, e che si può considerare come Y ultima sua scrit-  tura di genere puramente filosofico, rimaneva anche lui al suo posto,  nonostante l' om^gio quivi reso alle virtù e alla sapienza dell' av-_  versarlo; poiché scrìveva: *U Rosmini ed io siamo d'accordo nel  recare alla riflessione la possibilità dell'errore, e il suo rimedio  all'intuito che la precede. Ma dissentiamo intorno al contenuto di  tale intuito ; il quale al parere dell' illustre Roveretano, non ci poi^e  che un ente astratto, iniziale, destituito di sussistenza ; laddove, al     ')■ Discorso preliminare tìiU 2' Bàìz.ifiìla Teorica del sovran7iaturide(i850]  I, ^ n. Vedi pure ciò ohe, quasi nel tempo atesBo, ne scriveva nobìlmeate nel  Rinnovamento àvUs, lib. I, cap. XIII; ediz. Napoli, Morano, 1864, 1, 285 e aegg.   !) Vedi quel che HCTisae Q. Uassuii, nella bua Bitiista pdiHca del 15  luglio 1855 nel Cimento di Torino (voi. VL B. 3", p. 86) commemoiando il Ro-  smini. Sono due pagine dimenticate, e che hanno tuttavia molta importansa per  le opinioni politiche e per la biografia del Rosmini; T. pure Tommaseo, A. Ro-  smini, (in Rimala Contemporanea dal 1855, voi. IV) §. 28,   ') H Liberatore. — Chi fu presente al colloquio e ne scriveva poi a Baff.  De Ceaare.attesta che le parole «eloquenti dette dalBosmini in quella occasione  lìaHciiono il più autorevole e più meraviglioso elogio del Gtiobeiti >. Tedi  Db CssAaB, Dopo la wndanna del S. Uffi,ziOt in N. Antologìa, 16 luglio  1888, p. 205.     .dbyGoosle     348 G. Gentile   mio, ci dà un concreto effettivo, che nel primo de' suoi termini  è assoluto e apodittico. Or qual'è il miglior fondamento del vero?   ^ l'astratto o il concreto? T insusaistente o il reale? l'incoato o l'as-   l soluto?, ').   I due filosofi, adunque, compiono la loro carriera filosofica con  opposta sentenza intomo al principio della loro dottrina, nonostante  la polemica vigorosa per dottrina e dialettica che s' era in propo-  sito dibattuta; talché si direbbe che essa non abbia avuta nessuna  efficacia sulle dottrine de' due filosofi. Questo però è appunto quello  che ci rimane ancor da vedere.   f~^ Come il Rosmini abbia introdotto V. Gioberti nel campo della   ' moderna filosofia, cioè della filosofia kantiana, l'abhiam veduto e  dimostrato nel terzo capitolo della prima parte del presente studio;  coachiudendo, che già nella Teorica del sovrannaturale egli ci ap-  parisce sì un rosminiano, ma un rosminiano il quale vuole andare  avanti al Rosmini. Neil' opera che seguì immediatamente dopo,  V Introduzione aUo studio della Filosofia, si delinea ben nettamente  la nuova posizione speculativa del Gioberti ; e si vede quali essen-  ziali modificazioni, secondo lui, debbono subire le dottrine del filo-  sofo roveretano.   Ma prima di studiare cotali modificazioni, vediamo come si  muove in questa nuova opera il pensiero dell'autore.  / La concezione della storia filosofica qui è l'es^erazloae di quella  donde sì rifa nel Nuovo Saggio il Rosmini; ma certamente è mo-  dellata sovra di essa. Pel Rosmini, come s'è notato, v'ha sistemi  che peccano per eccesso e sistemi che peccano per difetto di apriori  nella spiegazione del fatto del conoscere : da una parte falsi idea-     *) Op. cit, I, 2K. Cfr. Errori filoaqfiei di A. Bosmini, II, 126-134. —  L'ultima parola venunente à nel Rmnovat>ieato civile, dove al lib. n, oap. 7*,  (voi. II, pag. 191), è detto ancora uoa volta « Cosi, per cagion d'esempio, il  divorzio introdotto da un chiaro nostro psicologo tra il reale e l'ideale, non  si puA comporre stando nei termini della psicologia sola; e se si muove da  questo dato pei salir più alto, si riesce di necessità al panteismo dell'Hegel e  de' suoi seguaci >.     DigitizcdbyGOOgle     Jtosmitii e Gioberti 249   iiami, e dall'altra falsi empirismi. Ma nell'idealismo, oltre l'errore  di ammettere più elementi a priori che non ne siano richiesti a  quella spiegazione (Platone, Aristotele, Leibniz) può esservi un  più grave difetto : quello di far soggettivo, come avviene in Kant, Va  priori ricercato in seno alla conoscenza, la quale, se vuol essere vera  e certa, dev'essere invece oggettiva. Onde pel Rosmini Ì sistemi  sbagliati si riducono al postutto al sensismo o all'idealismo sog-  gettivo, cfae è una specie di scetticismo mascherato ; dacché il pla-  tonismo, a parte l'eccesso dell' a priori che va corretto, trova grazia  appo lui per l'assoluta separazione posta fra cotesto a priori e il  soggetto umano che conosce. E contro il sensismo e l' idealismo  soggettivo e si può dire (poiché pel Rosmini il senso era la fa-  coltà soggettiva per eccellenza) in genere, contro il soggettivismo  ei si proponeva di scendere in campo col Numo Saggio.   Contro questo soggettivismo insorge parimenti la filoso&a del  Gioberti; il quale raddoppiando d'ardore per le dottrine platoniche  riconosciute pure in fondo al contenuto filosofico delle dottrine  cristiane, tutti gli opposti sistemi involge in una comune condanna  con quel sensismo, che ormai, quando usciva il suo libro, era già  morto e sepolto cosi in Italia come in Francia; talché dimostrare  sensistica una teorica, era lo stesso che averla giudicata senza  appello.   E sensistica, a parere del Gioberti, è tutta la filosofia moderna  in Europa; a cominciare da Renato Cartesio; il quale, del resto,  non fece se non applicare alla filosofia il metodo che aveva già  fatto ben trista prova con Lutero, nella Protesta, proclamando la j  intimità autonoma della fede religiosa. . -J   Cartesio sensista? " Parrà strano, scrive il Gioberti, a dire che  il sensismo sia conforme ai principii cartesiani, e che il Locke,  il Condillac, il Diderot, con tutta la loro numerosa ed infelice pro-  genie, siano figliuoli legittimi del Descartes; quando questi pre-  tese nlle sue dottrine un teismo purissimo al sembiante, e volle  stabilire sopra uua salda base la spiritualità degli animi umani.  Ma il teismo del Descartes é puerilmente paralogistico. Il suo dubbio     .dbyGoosle     250 Q. OmHk   metodico e assoluto, e il riporre eh' egli fa nel fatto del senso in-  timo la base di tutto lo scibile, conducono necessariamente alla  negazione di ogni realtà materiale e sensibile , *). E che altro è  il sensismo? ' Spogliato dalle contraddizioni de' suoi partigiani, e  ridotto al suo vero essere dalla logica severa di Davide Hume,  riuscendo a un giuoco aubbiettivo dello spirito, che, rimossa ogni  realtà, è costretto s trastullarsi colle apparenze, è propriamente  scettico e si manifesta come l' ultimo esito di ogni dottrina, che   _, metta nel sentimeuto dell'animo proprio i princlpii del sapere . *).   1 II Descartes, adunque, è uu sensista, e a lui si deve tutta la   serie di errori di cui è iutessuta la storia della filosofia moderna ;  egli è l'iniziatore, purtroppo, fortunato del moderno sensismo psi-  cologico, poiché pone come principio della filosofia un fatto, che  come tale non può essere se non un sensibile ^).   Insomma il Locke e il Gondillac sono cartesiani. " Né rileva che  i successori di Locke facciano caso della sensazione sola, e non  del sentimento interiore, imperocché questo e quello convengono  nell'essere forme sensitive, destituite di obbiettività assoluta , *).   \ Il Gioberti, insomma, intendeva parlare di soggettivismo, e di-  COTa sensismo, che è pure una direzione speculativa molto diversa. La  colpa bensì non è propriamente sua, perchè risale al Galluppi ; il  quale nella sua teoria della sensazione (che qui il Gioberti ripete)  aveva con essa confusa la percezione o rappresentazione e la coscienza,  introducendo nel seno stesso di quella le distinzioni che sorgono     ') Introdwi., lìb. 1, c&p. l" (ediE. di Firenze, Poligrafia italiana, 1846)   I, m.   ») Ibid., p. m-12.   3) «... E certameiite la seoteiiEa ; io penso, dunqm sono, equivale a questa:  io sento di oaeere pensante ... e più concisamente : io sento, dunque sono . . .  n pensiero conosciuto per via della liflesaione, ò un meco fatto della coscienia,  cbe appartiene al senso interiore; onde il Cartesianismo che muove da quella,  colloca in un fenomeno della facoltà sensitiva la base della scienza >. Tntrod.,  lib. I, oap. 3" (n, T7 e segg.).   *) Op. àt., n, 78.     n     DiBiiizMb, Google     Rosmini e Qioberti 2&1   invece per cotesti fatti ulteriori della psiche '). Del resto, il Gio-  berti risente presto l' iDcooTeuiente che deriva dal fare un sensista  delio stesso Cartesio, pel quale il fatto della coscienza, invece che  un sensibile (donde, secondo il Gioberti, stesso non può derivarsi  mai l'essere) era una cosa stessa con l'essere, e quindi noD un  semplice principio psicologico '), ma una inscindibile unità del prin-  cipio psicologico e dell' ontol<^Ìco, che se fosse stata fecondata,  avrebbe già fatto procedere di molto la filosofia moderna. Infatti,  quando ai accinge a classificare tutte le scuole filosofiche figliate dal  sensismo cartesiano, comprendendo nella seconda categoria i se-  guaci del lochiamo, egli è costretto a porre &a i caratteri di questo  * il ripudio della ontologia cartesiana, come ripugnante ai principii e  al metodo del Descartes, e troppo simile all'antica, dichiarata dal  francese filosofo insuMciente e buttata fra le ciarpe ; e l'ommis-  sione e lo sfratto implicito e tacito di ogni ontologia , ').   E già da questa medesima classificazione de' sistemi resulta  cbiaro che il nemico preso di mira è precisamente quello stesso  del Rosmini: cioè il soggettivismo, il falso so^ettìvismo, che ri-  pete le sue origini da Cartesio, anzi {ed ecco l'intreccio significan-  tissimo della filosofia eterodossa con la falsa filosofia!) da Lutero.  Nelle cinque categorie, in cui dovrebbesi, secondo il Gioberti, par-  tire tutta la storia della filosofia moderna, così vengono distribuiti  i vai^ indirizzi: nella 1" Cartesio e la sua scuola: nella 2' Locke;  nella 3' Spinoza, i panteisti tedeschi e in parte Giorgio Berheley^;     ') Eppure il Gioberti stesao aveva combattuta questa teorica galluppiaaa,  nella n. 3* della Teorica (II, 319 e segg.) imputando al filosofo di Tropea  < di Bveie considerato come semplice e indivisibile ciù che è ancora composto,  Bocomunando per tal modo elsmenti svariatisaimi con una sola voce >.   *) < Il paicologiamo ed il BcnHÌaino sono identici : l' uno è il Henstsma ap-  plicato al metodo, l'altro è il psicologismo adattato ai principii »- — Introd.,  I. 30 (il, 83 e eegg.)- Gtt- p. 83 e segg. e 3^ e segg. Ha < Cartesio è sen-  sista nei principii e nel metodo * p. 83.   3) Op. cit., voi. Sf p. 85.     .dbyGoosle     252 a. Gentile   nella i* Kant e i sensisti francesi dal Condillac in poi *) ; ' infine  nell'ultima classe si debbono collocare gli scettici assoluti, che  giunsero al dubbio universale, mediante i principii del sensismo,  aiutati da una logica s^^ce ed inesorabile; ... il cui principe è  Davide Hume , *).   CapOTolgimenti, come si vede, ce n'è piti d' uno; e come va che  il Gioberti confonde il fenomenismo del Berkeley con l'idealismo  assoluto di Fichte, dì Schelling e di Hegel, e l'idealismo trascenden-  tale di Kant col sensismo di CondillacPEcco: secondo lui, " l'asso-  luto dei filosofi tedeschi non è l'idea schietta, ma bensì l'idea  mista di elementi sensitivi, e per dir meglio un concetto, un astratto,  un fantasma, frammescolato di elementi ideali , (p. 85); insomma  è un assoluto fantasticato dalla mente umana ; e cosi il Kant con-  verrebbe coi sensisti ' nel dare alla cognizione la proprietà del  senso, facendone una facoltà aubbiettiva, e quindi considerando il  vero, come relativo , (p, 86). — È chiaro che la causa della con-  fosione nel primo e nel secondo caso è la medesima; per Gioberti,  r a priori di Kant e de' suoi successori è falso perchè contraddit-  torio: è posto come a priori, perchè necessario ed universale; e  intanto lo si fa subbiettivo, e quindi particolare all'individuo che  conosce, e come esso contingente.   Questa falsa maniera d' intendere il nuovo soggettivismo, che  cominciava con la teoria della sintesi a priori dal negare definiti-  vamente quello scetticismo, cui fin allora il so^ettivismo era sempre  stato come equivalente, — è un'eredità che il Gioberti raccoglie  dal Rosmini, e rivolge subito, come or ora vedremo, contro di lui.   E già si può dire, che l'avesse raccolta nella Teorica del so-  vrannaturale, quando, a proposito dell'eclettismo francese, aveva     ') E petcbè esclndecne ì materìaliati del aec. XVIII, le cui open, come  ricorda opportunamente il Imnge, precedettero i libri e le dottrine del Con-  dillao?   ') Op. dt, p. 86.     .dbyGoosle     Bosmim e Oioberti 253   parlato dì un * razionalismo imperfetto , che consente col sensismo  ' nel so^ettivare interamente e parzialmente la conoscenza „ ^),  e meglio altrove, discorrendo dell' egoismo psicologicor cui avreb-  bero appartenuto Cartesio, Reid e Kant, e del quale * l'egoismo  ontologico metafisico di un celebre filosofo tedesco, che im  sima r ente stesso coll'esistenza individuale, sarebbe la nect  conseguenza , *).   I! Gioberti, invero, come il Rosmini, non conosce altn  gettìvismo che il falso antropometrismo individualistico  goreo, il soggettivismo, che il Rosmini combatteva in Em.  Pel soggettivismo, a parer del Oioberti, tot capita, tot senti  donde, secondo il principio di Lutero, tanti cristianesimi  cristàani, e ' tante filosofìe quanti sono i filosofanti, se et  Descartes, rinnovatore della verità subbiettiva, immaginata di  già e da Protagora , ^. Di guisa che è un errore, dice Ìl I^  paragonare la riforma cartesiana a quella socratica ; avendo 8  presentito la teorica delle idee assolute, che venne poscia es]  da Platone, e dovendosi quindi interpetrare il suo vvia^i •  quasi — contempla e studia te stesso nella idea divina.   In breve: la salvezza della scienza è nel platonismo, nella  razione dell'idea dal soggetto, nella oggettività della conos  E si deve anche far forza alla storia e in Socrate trovare PI  se in Socrate si vuol trovare un principio di sana filosofia,  menti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione d  tagora, come sono Cartesio e Kant, — il famoso " sofista i  nisberga , !   Questa falsa interpetrazione della storia, in gran parte  fondamentalmente rosminiana, non pone del resto, il Oioberti  bene egli sei creda, fuori del criticismo kantiano, come non ne  escluso il Rosmini. Ed è davvero curioso a vedere il gran     ') NotaXH; n, 329.  *) Nota XVn i n. 338.  ») Introd., I, 3»; H, 76.     .dbyGoosle     354 Q. Gentik   glìere invano che tutti i filosofi italiani della prima metà del secolo  fanno tra loro, accusandosi TicendeTolmente di kantismo e di  so^ettivismo, intanto che ognun d'essi, senza accoi^erseae, vi  rimane impigliato. Galluppì accusa Rosmini; Testa, Galluppi e  Rosmini; De Grazia, Galluppi e Rosmini egualmente; Gioberti e  Mamiani, Rosmini; e questi, il Gioberti. — Così, il Rosmini era  persuaso che tutta la sua attività filosofica fosse una guerra con-  tinua contro il sensismo e il soggettivismo. Ebbene, vien fuori Ìl  Gioberti a proclamare che ancora il sensismo è la dottrina filo-  sofica predominante in Europa; dacché non tutti i razionalisti si  potesser dire immuni dal comun vizio, avendosi a distinguere uu  razionalismo ontologico e un razionalismo psicologico; ìl secondo  de' quali separa bensì, come non fa il sensismo, l' intelligenza dal  senso, ma a quella non dà altro fondamento che il soggetto, lo  stesso fondamento, in fine, del senso, senza perciò poter conferire  alla cognizione veruna certezza oggettiva. E in questo razionalismo  psicologico o psicologismo, che vogliasi dire, con Kant e Reid e  Stewart, va, secondo il Gioberti, annoverato anche il Rosmini, non  correndo alcun mezzo possibile Ira Io psicologismo e l'ontologi-  smo, che anche lui, il roveretano, rifiuta; sebbene né il filosofo  italiano né i due Scozzesi possano propriamente rientrare nel quadro  della quÌntnplÌG« classificazione del sensismo cartesiano, ossia della  moderna filosofia.  '"~ Oi certo il falso criterio onde il Rosmini aveva delineato una  storia della filosofia, passato al Gioberti, era agevole rivolgerlo  contro lo stesso Rosmini. Sennonché, quel che importa rilevare è  l'esigenza che l'uno e l'altro afiFermavano, ribellandosi a quel  cotale soggettivismo, in cerca di uno stabile e certo oggettivismo.  Il Rosmini, come s' è veduto, vuole introdurre nella cognizione  un elemento necessario ed universale, che sia veramente tale, e dì  cui ammette un intuito costitutivo dell'intelletto, un intuito che,  secondo una critica n^ionevole, devesì interpetrare come una sem-  plice aflfermazìone della universalità e necessità (trascendenza, e  quindi — pare — opposizione all'individuo contingente) AeWa^Hori     Digitizcdby Google     Rosmini e Gioberti 255   della cognìzioDe. E il Gioberti prende la stessa posizione di contro  all'empirismo, pur senza ripetere una critica che era stata fatta,  ma accettandone benal il resultato.   ' Oggi si tiene per certo, egli scrive nell' Introduzione, che il  Toler derivare con Locke i concetti razionali dalla sensazione e  dalla riflessione, ovvero col Condillac e co' suoi seguaci, dalla sen-  sazione sola, è un assunto d'impossibile riuscimento; e che, sì come  il necessario non può nascere dal contingente, né l' oggetto' dal  soggetto (ecco l'unica concezione rosminiana d'oc/petto e soggetto:  oggetto = necessario: soggetto = contìngente), così i sensibili od este-  riori non possono partorire l'intelligibile , •). — Pel Gioberti la  questione stessa dell'origine dell' intelligibile, di cotesta idea, in-  volge una repugnanza; giacché, essendo essa oggetto immediato  ed eterno, come necessario ed universale della cognizione, non ha  nn principio né una genesi. Potevasi senza dubbio osservare al-  l' autore, che appunto la definizione stessa che egli dà della idea,  inchìnde il teorema, che gli avversarj volevan dimostrato.   Comunque ciò sìa, egli ammette bensì un' altra questione, che  è la vera questione della ideologia rosminiana ; la quale è volta a  indiare " se derivando la cognizione dell'Idea da una facoltà spe-  ciale, che dicesi mente o intelletto o ragione, ella è acquisita od in-  genita; cioè, se l'uomo può su^atere, eziandio pure un piccolissimo  spazio di tempo, come spirito pensante, ed esercitare la facoltà cogi-  tativa, senz'avere l'Idea presente; e quindi ne va in cerca e se la  procaccia; ovvero, se ella gli apparisce simultaneamente col primo  esercizio della mente, tantoché il menomo atto pensatìvo e l'Idea  siano inseparabili , *). E tal quistione, che brevemente si può espri-  mere, se l'Idea sia o no innata (nel senso kantiano di forma si-  multanea alla esperienza) ei la risolve affermativamente, come il  Rosmini, dichiarando che a suo avviso ( * per rispetto nostro , )  non si può assegnare altra origine all'Idea, che l'origine medesima  dell' esercizio intellettivo.     «)Iiib. I, oap. 3»j n, 6. *) le     .dbyGoosle     ■m     266 O. Gentile   Questa apparizione dell'Idea simultanea al primo esercizio della  mente corrisponde per l'appunto a quello che il Rosmini avrebbe  detto propriamente nozione ■■) dell'idea dell'essere. Anche pel Gio-  berti cotesta nozione è la stessa intelligibilità, la evidenza stessa;  anche per lui " non arguisce nulla di subbiettivo, oè risulta dalla  struttura dello spirito umano, secondo i canoni della filosofia cri-  tica , *) ; anche per lui è " l' ometto della cognizione razionale in se  stesso, aggiuntovi però una relazione al nostro conoscimento , *).   L' intuito di cotesta idea è dal Gioberti stabilito con breve di-  samina del procedimento del conoscere, e benché egli non se ne  rimetta al Rosmini, è chiaro che psicologicamente la lacuna, che  egli stesso poi riconobbe in questa parte della sua teorica, devesi  alla grande efficacia esercitata sulla sua mente dallo studio di Ro-  smini ; talché, scrivendo quasi di getto, come fece, l' Introduzione,  non avrà pensato che ci volesse molta discussione a solidare     già muorevasi la mente   iegazione del conoscere.   nella esposizione, del   Ione fece il Massari nel     un'ipotesi, la quale, per l' indirizzo per cui ^  sua, era assolutamente necessaria alla spie  Si accorse di poi del mancamento ; e lo v  resto tanto piaciutali, che AeW Introdtizio  Progresso di I^apoli, quando già l' intrapresa polemica col Rosmini  cominciava a fargli guardare più attentamente ogni parte della  costruzione filosofica, cui aveva posto mano. B al Massari, ai 17  giugno del 42, scriveva: "Ho riletto quel poco che ho detto del-  l'intuito iLviW Introduzione e l'ho trovato ancor più scarso che non  credevo; tanto che la critica che vi ho fatta di non esservi steso  davvantaggio e con nu^giore precisione su questo punto manca  affatto di fondamento , *) ; e a' 20 lugho tornava a scrivergli : * Non     ') < Nozione io chiamo un'idea considerata sotto questa relazione, in quanto  doè ella mi serve, a rendermi note le cose >; Bosuini, Prindpj di acietua mo-  rale, in Optre, ed. Bstelli, TX, 2 n.   ») Inirod., I. 3"; II, 8.   ') Ibid., p. 5.   *) Cart, n, 375. Il MAasÀBi aveva fatto una analisi dell' Introduzione ( la  1* ohe ne faue fatta in Italia) in tie puntate del Frogreeso del i841.     Digitizcdby Google     Bosmmi e Gioberti 257   è come vi ho detto che uDa iBcuoa, proreniente dal mio testo del-  l' Introduzione; ODde può parere che l'intuito sia una facoltà mi-  steriosa conforme all'inspirazione dei mistici; laddove no  la cognizioae umana e ordinaria, spogliata però del repli  riflessivo. L'ho definito, credo, nel libro degli i/rrori , '). -  questa definizione dell'intuito corrisponde evidentemente i  trina già esposta del Rosmini, che l'intuito dell'idea si rit  un lavorio riflessivo sulla cognizione ordinaria, mediante  cesso d' astrazione.   Nel Gioberti non s' incontra una teoria compiuta del f  noscitivo, come si trova nel Bosmini. Ma qualche accennc  qua e là, basta a dimostrarci che, sebbene l'autore sia de  che la psicologia, per dirla con la parola sua, non debb  fondamento né propedeutica alla ontologìa, della quale egli  trattare specialmente, tuttavia l' ideologia rosminiana giace  alla sua dottrina. Egli ammette un' ' attività intima e s<  sima, che rampolla dall'unità sostanziale deWanimo, e con  primo raggia intorno a sé le molteplici potenze, donde na  varie modificazioni di esso animo , *); ripetizione, anzi de  d'un punto del rosminianismo, da noi già messo in rilii   L'intelletto, la facoltà dell'intuito secondo il Rosmini,  presso il Gioberti una " energia contemplativa „ che  venir meno, ossia non può cessar d' intuire il suo termine, se  durre,in grazia di quell'unità sostanziale dello spirito, la ce  simultanea dell'esercizio deliamente^); come nel Rosmii     •) Cart, n, 381 e aegg.   ^Infrod., I, 2° (1, 135). Animo dice il Gioberti; per castigatezz  tuna di lingua, lovece di anima, spirito.   ') < Tutte le potenze dell' aaimo amano esseDdo collegate inBieme  dosi a vicenda, è inverosimile il aupporre che l'energia contemplat  ▼eoir meno, «enza che le altre facoltà a proporzione se ne riaentan  cap. 5° (1, 138). Altrove dice che t l'intelletto è ti mezzo, con cui I  prende la manifestazione naturale del verbo ■; 1, 2° (1, 196). Ma egli no  a questo propoailo, una terminologia costante.     .dbyGoosle     258 G. Gentile   dell'intelletto vedemmo esser necessario non solo alla costituzione  dell'intelletto, ma anche, per l'unità del soggetto, a tutta la fun-  zione del conoscere.   Né pel Gioberti l' intuito ha un valore diverso da quello indi-  cato nella teoria del filosofo roveretano; come sarà agevole accor-  gersene esaminando con la brevità necessaria la teoria giobertìana  della riflessione.   L'iatuito rosminiano vedemmo essere non vera e propria cogni-  rjone, ma condizione di ogni conoscenza, e però un vero a priori  kantiano, una pura forma dell' intelletto, che come tale distruggeva  l'antica concezione di oggetto opposto e separato dal soggetto,  — avendo dimostrato che il nuovo oggetto non esisteva per sé, fuor  della sintesi, essenzialmente soggettiva, co' dati offerti dal senso ed  elaborati nel soggetto. E il Gioberti scrive: 'Egli è vero che l'in-  tuito diretto della mente non basta a fare la scienza, ma ci vuol  di pili quella ridessione che ho denominata ontologica dall'obbietto  in cui ella si adopera. La quale arreca nel suo oggetto quella di-  stinzione, chiarezza e delineazione mentale, che senza alterarne  r intima natura, lo fanno scendere, per così dire, dalla sua altezza  inaccessibile, e accomodarsi all'umana apprensiva... Se l'intuito  fosse solo, l'uomo assorbito dall'idea non potrebbe conoscerla,  perchè ogni conoscenza importa la compenetrazione del proprio  intuito, e la coscienza di noi medesimi , ; vale a dire la coscienza  dell'intuito e la coscienza del soggetto, che in fondo sono una me-  desima coscienza; dacché, anche pel Gioberti, l'intuito è costitutivo  del soggetto, e non v'ha soggetto senza l'intuizione immanente  dell'Idea. Sicché l' intuito giobertiano neanch'esso fornisce una ef-  fettiva conoscenza, ne è bensì anch'esso la pura condizione, la pura  forma a priori, la quale ha bisogno, come qui dice l' autore, della  riflessione *).   Orbene, che è questa riflessione, e qual'è l'ufficio suo? Essa     *) «La riflesBione pertanto dee accompagnue l'intuito primitivo >; I, 30,  (H 107).     DigiiizMb, Google     'l,     Bosmim e Gioberti 259   è come un intuito secODdario, cioè un replicamento cosciente del-  l'atto coatemplativo della Idea; ma, appuoto perchè cosciente, non  è più puro intuito, non è più condizione, ma atto di coscienza: essa è  già coscienza. — La riflessione importa quindi una determinazione  soggettiva e però una modificazione pur soggettiva; poiché l'intuito  è vago e indeterminato, mentre ogni atto di conoscenza è essen-  zialmente determinazione ed unità; elementi che all'intuito non  possono essere aggiunti dall'oggetto suo, che non ha in sé né de-  terminazione, . né principio veruno di determinazione. ' Nel primo  intuito la cognizione è vaga, indeterminata, confusa, si disperge,  si sparpaglia in varie parti, senza che lo spirito possa fermarla,  appropriarsela veramente, e averne distinta coscienza... L'intuito  secondario, cioè la rimessione, chiarifica l'Idea, determinandola; e  la determina, unificandola, cioè comunicandole quella unità finita,  che è propria, non già di essa Idea, ma dello spirito creato , *).   La riflessione, adunque, si deve considerare come una funzione  determinatrìce dell'intuito, o vogliam dire dell'» priori; funzione  fondata sull' unità del soggetto, di quell'attività intima e sempli-  cissima, che dianzi rilevammo. — Ma in che modo avviene la de-  terminazione? " Ciò succede, mediante l'uniOne mirabile dell'Idea  colla parola. La parola ferma e circoscrive l'Idea , ^); unione mira-  bile e ' misteriosa ,, donde s'inizia la conoscenza, come lo era quella  percezione intellettiva, per la quale Rosmini faceva sviluppare l'atto  del conoscere; ma unione necessaria, unione, come s'è visto, senza  la quale non v'ha umana conoscenza^).   E alla percezione intellettiva l'atto prodotto per la riflessione  si riconnette anche per la natura della parola, che si sostituisce  in esso alla sensazione rosminiana. Il Gioberti infatti, definendo la     ») Introd., I, 3°, (II, 11).   «) Op. cit, l. e.   3) iLa parola, easendo il priocipio determinativo dell'Idea à altreai  una condizione neoeBjacia della esistenza e della certezza rlfleasiva» I, 3°;   n, 12.     >dby Google     jm^-     2d0 0. Gentile   parola, come ogni segno, per un sensibile, osserva: * Se adunque  ella BÌ richiede per ripensare l'Idea, ne segue che il sensibile è neces-  sario per poter riflettere e conoscere distintamente l'intelligibile •).  II cbe consuona con la doppia natura dell'uomo composto di corpo  e d'animo, e annulla quel falso spiritualismo, che vorrebbe con-  siderar gli organi e i sensi, come un accessorio e un accidente  della nostra natura „ . Sulle quali parole è bene cbe meditino quanti  sono che l'intuito giobertiano sogliono appaiare con quello del  Malebranche. Anche il Gioberti, come il Rosmini fa ricorso al sen-  sibile e Io ritiene necessario alla formazione dell'Idea; e il senso  anche lui fa costitutivo dell' oi^anismo unico dello spirito.   Sennonché, sulla natura di questo nuovo sensibile proposto dal  Gioberti solvono varie difficoltà, sulle quali non è pcasibile sor-  volare, volendo fornire una idea non troppo manchevole della sua  teorica della cognizione.   Vedemmo altrove (part. I, cap. 3") come già fin nelle Miscel-  lanee, che sono sì prezioso documento della formazione della mente  del Gioberti, si accettasse e si lodasse la teoria bonaldiana del lin-  ' S^^SS^°- ^^^ 1"' nsll^ Introduzione è detto: ' Parecchi scrittori mo-  derni assai noti, fra' quali il Bonald merita un luogo particolare,  hanno avvertita la necessità del linguaggio per l'esercizio del pen-  siero , *}. Ed è senza dubbio dal Bonald eh' egli ha mutuato la sua  dottrina, che ha, pel modo come sorse, una grave ragione storica.   È noto che l' empirismo inglese e il sensismo francese sì pro-  ponevano di spiegare il linguaggio umano, come una invenzione  dell'uomo, Tommaso Reid per primo, (poiché le profonde intui-  zioni del Vico passarono inosservate), nelle sue Ricerche stdl' in-  tendimento (1763), dimostrò che il linguaggio nel suo più ampio     ') Cfr. Teor. Sovr-, II, 35 < Senaa la contezia di qualche aenaibile, le idee  non aorebbeia acceBsibili alla mente nostra*. Teoria che bÌ conferma e ai de-  fiaiace meglio nella Protoloffia, per la qaale cfr. i Inoghi dUti dallo Spàtbhti.,  nella FUoa. di Oiob., p. 53 n.   *j Introd., nota S' del voi. II, p. 213.     Digitizcdby Google     Bosmini e Qioberti 261   significato è naturale prima che artificiale. Definiva egli Ìl lin-  guaggio, — definizione, ai badi, espressamente citata e accolta dal  nostro Gioberti, '■) — ' tutti i segni onde gli uomini fanno uso per  comunicarsi reciprocamente i loro pensieri, le loro conoscenze, le  loro intenzioni, i loro disegni e i loro desiderj , *}. Pel Reid v' ba  due specie di lingu^gio : un linguaggio naturale, formato da quei  vocaboli, che non hanno un significato convenzionale, ma ne hanno  uno che tutti intendono naturalmente e per istinto; e un linguaggio  artificiale, costituito dei vocaboli non aventi altra significazione se  non quella attribuita loro convenzionalmente dagli uomini. Che vi  sia un lii^uaggio naturale è innegabile: e l'attestala sopravvi-  venza stessa di esso al linguaggio artificiale: le modulazioni della  voce, ì gesti, i tratti del viso o la fisonomia, — mezzi tutti onde  l'uomo esprime naturalmente i pensieri, — sono per l'appunto le tre  classi alle quali riduce il Reid tutti gli elementi di cotesto lin-  guaggio.   Ora è ovvio dedurre, siccome fa appunto il filosofo scozzese,  che il linguaggio artificiale presuppone ÌI naturale, senza di cui  gli uomini non avrebbero potuto intendersi per convenire nei signi-  ficati di quei vocaboli onde resulta Ìl loro linguaggio artificiale.  Di modo che se, come vuole l'empirismo, il linguaggio fosse dovuto  solver per un'invenzione umana, come la scrittura o la stampa,  tutte le nazioni, dice il Beid, sarebbero ancora mute, come i bruti.   Né meno stringente è la critica dal Bonald opposta alla teo-  rica del Gondillac ') nelle sue Eicerche filosofiche. Secondo il Bonald  il linguaggio ci è dato primitivamente con la prima conoscenza;  a causa della necessaria simultaneità della idea con la sua espras-   *) < Le parole sono i segni principkli, ma non i soli Bagni, come sa oiaaouuo;  tntti i sentimeati sodo veri segni deUe cose, secondo la bella e profonda dottrina  di Tommaso Eeid >; Introd., nota l' al voi. II, p. 211.   *) Rech. sur V entendemenf humain, trad. Jouffro;, oliap. IV, sect. 2 in  OtMvres (Paria 1828), H, 88.   ') Combatte la teoria com'era stata formulata da) CoDdiUac; ma tiene por  conto delld OBservazioni di Hobbe» di Locke e di tutti i Bensisti.     Digitizcdby Google     aione (espressione, si noti, anche semplicemente * mentale « )■ S  contro i sostenitori dell'opposta sentenza, osserva che essi comin-  ciano dal supporre, contro ogni autorità ed ogni ragione, l'uomo  in uno stato primitivo bruto e insociale, e a tal grado di barbarie,  da essere perfino privato della facoltà di conoscere e comunicare  i proprj pensieri, per attribuirgli nello stesso stato i pensieri, i sen-  timenti, le affezioni, le intenzioni, i bisogni, Io spirito d' invenzione  e d'industria dell'uomo sociale e civilizzato , ').   Lo critica del Bonald è in fondo identica a quella del Reid.  Si presuppone nell'uomo sfornito tuttavia del linguaggio, cbe gli  tocca inventare, qualità o attitudini necessarie all'invenzione; le  quali non possono non equivalere al possesso del linguaggio che  vien negato, comecché in una forma primordiale e naturalmente  rozza. E questa ingenua teoria del vecchio empirismo che fon-  dava la società io un contratto, la religione su un arbitrio dì  legislatori, e Ìl linguaggio in una invenzione convenzionale, è stata  anche in quest' ultimo campo, sconfitta dalla moderna scienza della  linguistica comparata; la quale se tra Max MuUer e il Witney  discorda intorno alia necessità delle relazioni che intercedono fra  il pensiero e la parola, ha però definitivamente e concordemente  stabilito che il linguaggio è un fatto speciale, primitivo e naturale  dell'uomo, non essendovi alcuna società, per quanto barbara e  selvaggia, che non ne sia fornita; del pari che la sociologia e la  scienza delle religioni comparate hanno provato l' originarietà, cioè  l'apriorismo, del fatto sociale e del religioso.   Ed è appunto merito della scuola teologica francese, come  osserva giustamente il Janet ^), di aver dimostrato contro i filo-  sofi francesi del sec. XVTII la vanità delle teorie intorno all'o-  rigine fattizia e riflessa di tutti i fatti i più importanti dell'uomo  sociale. Al Bonald poi spetta particolarmente la lode per quel che è  del linguaf^io; e a lui specialmente volgeremo l'attenzione, giacché     ') lUeherches phiioaophiquea, ohap. Il, in Oeuvres ( Paria 1858 ) p. 107.  *) La ph&os. de LamtnnaU, p. 18.     Digitizcdby Google     Bosmini e Oioberii 263   egli connette questa teorìa con quella della rivelazione neceasaria  per l'umana conoscenza, siccome fece tra noi il Oiobeiii.   II Bonald, con l' Histoire comparée del Degerando alla mano,  rileva che la filosofia non è riuscita peranco a fissare un punto  fermo, un criterio sicuro di certezza e di verità, anzi per tutti i  sistemi è finita nello scetticismo e nel soggettivismo; e si chiede  quindi se non fosse possibile " trovare nei fatti sociali un fonda-  mento alle dottrine filosofiche piìl solido di quello che s' è cercato  fin qui nelle opinioni personali , ') ; e questo fondamento gli pare  appunto di trovarlo nel linguaggio, che, dimostrato non potersi in-  ventare dagli uomini, deve (non essendovi, secondo lui, altra via)  essere stato comunicato da Dio alla società umana, e in questa  appresa via via dagli individui.   Si direbbe che il criterio del Bonald riesce sottosopra a quello  altrove rilevato dal Lamennais; che questa parola, che possiamo  accettare come saldo fondamento di certezza, data da Dio all'umano  consorzio, è precisamente la rivelazione. Ma quel che v'ha di ori-  ginale nel Bonald, e prova che il Gioberti ne dipende io modo spe-  ciale, è la teoria della parola coma atto o strumento necessario  del pensiero; vale a dire che, dato che il linguaggio, tutto il  linguaggio aia rivelazione divina, il pensiero dì cui il Bonald  dice che la parola è il corpo, è esso stesso tutto una rivelazione,  cioè ha tutto per se stesso un fondamento di certezza obbiettiva o  sovrumana, nel senso di universale. La quale è appunto la teoria  del Gioberti, che ammette bensì una conservazione, ma anche una  alterazione della forraola ( = contenuto della rivelazione, coni' è  contenuto dell' intuito) ; e fa che il pensiero che rimane, anche al-  teratasi la rivelazione, possa tuttavia cogliere il vero. Di guisa  che la rivelazione (l'elemento sensibile della conoscenza) non è ac-  cidentale ed esterno al pensiero, ma necesaario e quindi costitutivo  di esso ; sicché, essendo il pensiero un fatto, cotesto elemento sen-  sibile, ne dipende e gli è strettamente connesso.   *) BecA., p. 42.-     .dbyGoosle     264 O. Gentile   Questa rivelazione, adunque, ha ud valore tutto speciale, in  quanto è qualcosa d' intrìnseco al pensiero stesso, tale perciò che  il ricorrervi non sia per quello un esautorarsi o uà apprendere  dal di fuori, ma bensì uno sviluppare se stesso; laddove, presso il  Ijameanais del Saggio suW Indifferenza, il pensiero infermo per se  medesimo e incapace d' attingere il vero, si dee abbandonare, quasi  per chiederle conforto, alla rivelazione esteriore. Pel Gioberti la  rivelazione va cercata nella vita stessa del pensiero, equivalendo  alla parola, che è tale a sua volta, che senza di essa, come aveva  osservato il Bonald, il pensiero non esisterebbe. Chi rigetta la  rivelazione, viene a rigettare secondo il Gioberti, la parola, ossia  lo strumento necessario alla cognizione riflessiva dell'Idea; epperò  non può attinger questa, senza la quale — lo vedemmo già eoi  Kosmini — il pensiero cessa di essere '■). La necessità dì questo  è pertanto la stessa necessità della rivelazione, considerata unica-  mente per rispetto a quell' ufììcio che dee compiere nel fatto della  conoscenza.   Sennonché, cosi considerata, a che si riduce la rivelazione? Essa  ci deve offrire la parola, ossia i segni delle cose, Ìl dato sensibile  che circoscrive l'idea dell'essere e le dà attuale esistenza di cono-  scere; e, come dice l'autore, ' una successione di sensibili, per cui  essa Idea rivela se medesima all' intuito riflessivo dello spirito  umano, e compie l'intuito diretto, che li porge da sé *).   Non è del nostro tema trattare ampiamente di questo punto  della filosofia del Gioberti, che richiederebbe una troppo lunga di-  samina. E bisognerebbe sovrattutto discuterla, — come in parte  ha fatto, da quel gran maestro che era, lo Spaventa — nelle opere  postume, una delle quali è appunto dedicata alla filosofia della     ') B il QiOBBBTi dice: «Il ripudio assoluto della tradizione religiosa e  Bcientifica si trae dietro neceasariacoente quello della parola. Ora, siccome l'aiuto  della parola è neceaaarìo per conoscere riflessivamente l'Idea, chi lo rifiuta  dee eziandio dismetteie e gittar da sé ogni cognizione ideale. Ha tolta l' Idea,  che rimane? Nulla ».-- /«(roA, I. 3»; II, 51.   ») Op. «(., I, 3"; n, 107.     .dbyGoosle     Sosmini e Gioberti 265   rivelazione. Ma esse furono tutte scritte dopo la polemica col Elo-  amÌDÌ, e sarebbe perciò inopportuno il prenderle come un punto di  partenza, volendo discorrer di quella.   Gì basta notare, che nella stessa Introduzione la teoria della  parola va messa in relazione con le dottrine del Reid e del Bonald,  dalle quali deriva, e co' principj rosminiani già adottati nella Teo-  rica del soEiannaturale ; che deve intendersi {secondo la distinzione  di parola naturale e artificiale, ripetuta dallo stesso Gioberti) '),  come parola naturale, cioè come segno della cosa, o sua rappre-  senlanions, il che corrisponde appuntino alla teoria rosminiana della  sensazione, per la quale si determina e circoscrive l'ente indeter-  minato. Infatti, secondo il Gioberti, la parola artificiale non può  esprimere se non le idee già espresse, e presuppone quindi la pa-  rola naturale, la rappresentazione *).   Ora, se anche pel Gioberti ogni concetto si forma per una de-  terminazione che si fa per la parola dell' essere indeterminato del-  l'intuito, ciò avviene, come s'è visto, per opera della riflessione;  la quale richiamerebbe perciò, secondo s'è pur notato, la percezione  intellettiva del Rosmini. — Ma il Gioberti, come ha mutato la parola,  ha mutato anche, o crede d'aver mutato, il concetto. Alla sua fìlo-   'J 4 La potenza dell'intuito per attuarsi ha d'uopo della parola, cioè del  sensibile! La parola è di due specie: naturale e artificiale. Questo è il lin-  guaggio elle non può eaprimere che le idee già espresse. Il linguaggio del-  l'arte è sempre una traduzione del linguaggio della natura; è verso di esso db  che la scrittura verso In parola artificiale >. Kioi d. Rivela):., Toriao, Botta,  i8o6, p. 89.   ') Meglio potremmo solidare questa interpetrazione discutendo le difficoltà  che fa insorgere la teoria della parola cori com' è esposta uell' Introduzùtne, o  prima facie par che quivi debba intendersi, esaminando la critica fattane dal  Tbsta nelle sue Considerazioni aopra l' InlrodtiziorK aUo st. ddla JHo*. di  V. Q., Piacenza, Del Majno, 1845, part. n, p. 32 e segg. Ma non ist htc locus.  Con la critica del Testa consuona in alcuni punti quella di V. Db Gbaziì,  ne' suoi Discorsi au la logica di Hegel e su la Filos. speculativa { Napoli,  Tip. de' Gemelli, 1350) 2' rass.; e mutuata dal Testa pare l'obbiezione che il  critico calabrese muove all'ipotesi dell'intuito (iTÌ,p. 100) nel Gioberti.     .dbyGoosle     ^^T1     aee O. Gentile   sofìa, che per la spi^azìone della conosceoza ha bisogno del fatto  della rivelazione egli coutrappone la filosofla eterodossa, la quale,  rifìutaodo lo strumento della rivelazione, non può ammettere una  riflessione che rifaccia T intuito e conduca perciò al possesso del-  l'Idea; e deve quindi rinunciare alla Idea, appigliandosi alla per-  cezione del sensibile, il quale può essere l'oggetto del senso esterno,  come dell'interno, ossìa materiale ed estrinseco, o spirituale ed  intrinsepo. Donde, doppia eterodossia, sensismo da una parte e psi-  cologismo dall'altra; e in ambo i casi ' la sostituzione del sensi-  bile all'intelligibile, come principio, onde muove la filosofia , ');  ossia un metodo il quale, come vedemmo, conduce direttamente  al soggettivismo, allo scetticismo, al nullismo, dacché è vano lo  sforzo dei sensisti e de' psicologisti, di trarre dal sensibile l'in-  telligibile.   La filosolia eterodossa, dunque, ammette bensì anch' essa la  riflessione; ma la sua rifiessione si differenzia essenzialmente dalla  riflessione della filosofìa ortodossa, in quanto, non servendosi di  quel mezzo che solo mette in grado di tornare, dopo il primo in-  tuito, fìno al termine di questo, si deve necessariamente fermare  al fatto della mente (per parlare dello psicologismo che c'inte-  ressa) e rimaner quindi semplice riflessione psicologica, in luogo  di pervenire all'Ente intuito immediatamente e farsi, come dovrebbe,  ontologica.   ' Lo strumento, onde lo spirito umano si vale in psicologia,  è la riflessione psicologica, per cui il pensiero si ripiega sovra se  stessO; e afferma, non già la propria sostanza, ma le proprie ope-  razioni solamente. All'incontro nell'ontologia lo strumento è la  contemplazione, la quale si divide in due parti, cioè in uu intuito  primitivo, diretto, immediato, e in un intuito riflesso, che chiamar  si può riflessione contemplativa e ontologica , >). Cosicché la ri-  flessione psicologica è una operazione semplice ; l' ontologica una     ') Introd., I, 3"; II, Bi e segg.  *) Introd., I, 3»; II, 104 e aegg.     DigitizcdbyGOOgle     Boamini e Gioberti 267   operaziooe duplice; quella si esercita sopra il prodotto soggettivo  di una precedente operazione (l'intuito)-; questa sopra l'oggetto  stesso della operazione precedente, che rifa maturandola.   Si potrebbe dire perciò, che la riflessione ontologica sia la stessa  riflessione psicologica aggiuntavi la ripetizione dell'intuito. Infatti  * nell'ontologia lo spirito, ripensando, si rifa sull'oggetto imme-  diato dell'intuito stesso.. . Ma, egli è vero che nella riflessione  contemplativa •}, la mente rivolgendosi all'oggetto ideale, si ripiega  pure di necessità sull' intuito proprio, che lo apprende direttamente ;  onde il tenor psicologico del rìpensare accompagna sempre l'altro  modo di riflettere; tuttavia queste due operazioni, benché simul-  tanee, sono distinte, perchè hanno il loro termine in uu oggetto di-  verso , *).   Una critica non molto difficile qui può sorgere conti'o questa  dottrina della riflessione ontologica. Se l'intuito lascia uno stato  speciale nella mente, un fatto, tal che sia possibile coglierlo con  la riflessione psicologica, due casi si posson dare: o in esso v'ha  uno specchio fedele dell'oggetto proprio dell'intuito, e allora la  riflessione psicologica è fondamento di una conoscenza oggettiva  per eccellenza, e non soggettiva, come pretende il Gioberti; o non  si riflette affatto (ovvero, che è lo stesso, non si riflette fedelmente)  il termine dell' intuito, e in tal caso questo primo intuito è per-  fettamente inutile.   Il dilemma ci pare senza uscita. La riflessione ontologica del  Gioberti sarebbe davvero un secondo intuito, se potesse traspor-  tare la determinazione sopravvenuta con la parola (dato sensìbile)  dall'interno del soggetto, dove interviene, nello stesso oggetto; il  che è impossibile, perchè secondo la sua teoria la parola è un sen-  sibile.   E perchè dovrebbe potervela trasportare, cotesta determina-     *) Cobi è par detta dal Oìobei-ti la riflesBione ontologica; mentre la psico-  logica è pur detta osservaHva (p. 105).  «) latroduz.. l, 3", II, 104.     .dbyGoosle     868 G. Qmiile   zionep Perchè, avvenendo la determinazione nella riflessione, es-  sendo questa ontologica, il sensibile, principio della determinazione,  dovrebbe ripensarsi coli' intelligibile, e come questo (poiché si tratta  di un secondo intuito), fuori del soggetto; il che, ripetiamo, è im-  possibile.   Di certo la riflessione ontologica è l' espressione, benché non  esatta, d'una giusta esigenza del pensiero, come or ora vedremo;  ma contrapposta, com'è dal Gioberti, a una riflessione psicologica,  fallisce al suo scopo, non potendo sfuggire alle conseguenze dello  accennato dilemma. Sennonché, il Gioberti ci dice: ' La rifles-  sione psicologica non ha per termine diretto il pensiero, come pen-  siero, ma il pensiero come sensibile intemo, cioè come atto dello  spirito, e quindi non riguarda direttamente l'Intelligibile, che si  congiunge col pensiero e lo illustra. Egli è vero che la riflessione  del psicologo si connette per indiretto coli' Intelligibile ; ma cì6  non prova nulla in favore dei psicologisti; imperocché non ne  partecipa, se non mediante quell'intuito mentale, che, al parer  mio, è il vero e necessario strumento dell' ontologo , •}•   L'equivoco qui è evidente: la riflessione psicologica non coglie  il pensiero come pensiero, cioè in quanto intuisce l'Idea^, ma  lo coglie, secondo Gioberti, come un sensibile intemo ; dunque la  riflessione ontologica non fa altro che cogliere il pensiero come  pensiero.   Ora, se la riflessione psicologica presuppone anch'essa un intuito,  e (poiché, parlando contro il psicologismo, il Gioberti si riferisce  specialmente al Rosmini) un intuito, che, come vedemmo nella  esposizione della teorica rosminiana, è costitutivo del pensiero, é   ») Introi., I, 3» i U, 109.   ') Nella FUoB. iella Uivdaz., il Qioberti scrive : < Una meate aeiiEa idee,  e in igtato di tavola rasa perfetta è una contraddizione. La facoltà con cui  la meate creata afferra questa rivelaiione [la riveUsioae imuaQente, virtuale,  che diventerà attuala pei opera della riflessione; v. ivi, p. 87] che fa, la sua  assensa, è l'intuito»; p. 88 Né pia uè raeao di ci6 che dell'intuito aveva  detto il Rosmini!     DigitizcdbyGOOgle     ■^ ■»- -w'-     Rosmini e QvAerii 369   la sua propria essenza, — come può fare a ritornare sovra un  pensiero ehe non siasi già appropriato l'Intelligibile, e Io abbia  ancora fiiori di sé, e sia ancora in atto d'intuirlo? Insomma sì  può concepire un intuito immediato dell'Intelligibile come essenza  del pensiero, che pur lasci il pensiero sempre al puro stato di tcAida  rasa, sempre in atto di guardare l'Intelligibile, senza mai vederìo?  Il pensiero pel Rosmini intanto è pensiero, in quanto ha un  intelletto costituito dall'intuito dell'intelligibile; non può quindi  riflettersi su se stesso, senza trovare in sé non già Ìl semplice atto  astratto dell'intuito, ma sì l'atto concreto, ossia l'atto terminante  nell'Intelligibile: la forma, in una parola, dell'intelletto. E l'equi-  voco propriamente consiste in ciò : nel concepire l' intuito imme-  diato come una pura dualità; dove, al pari della visione corporea,  da cui immaginosamente è desunta, non può essere se non un'unità  sintetica, di soggetto ed oggetto. L' intuito ond' è fornito l' intel-  letto è una nozione, in cui Ìl soggetto e l'oggetto, come nel pro-  dotto della sensazione, sono affatto indistinti. Ora se la nozione  è qualcosa di perfettamente uno, ripiegandosi sovra di essa, lo spi-  rito non può non coglierne il contenuto, che è per l'appunto l'Intel-  ligibile. — SI' equivoco si fa manifesto quando l' autore soggiunge  che questo scambiamento di metodi (psicologico ed ontologico) gli  ' riesce un trovato cosi bello, come l'assunto di chi adoperasse le  dita e le orecchie, per apprender la luce e distinguere ì colori in  essa racchiusi „ (p. 105). Qui sì immaginano la luce e ì colori  come oggetti o segni esterni e indipendenti dell'organismo sensi-  tivo, in che si rappresentano; per modo che a noi, sapendoli lì ad  aspettare di esser da noi sentiti, sia dato scegliere lo strumento  più acconcio alla bisogna. Laddove fìa dal 1834, quando fu pub-  blicato il celebre Manuale di fisiologia di Giovanni Mailer, si sa  da tutti che non v'ha nulla di più falso. Quello che not sentiamo  e diciamo luce e colori, non è se non per la nostra sensazione e nella  nostra sensazione. Ma il Oioberti ignorava questo concetto della  soggettività della sensazione, comecché avesse già appreso dagli  scozzesi quella teoria della percezione esteriore, per la quale ve-     .dbyGoosle     270 ^ 0. Oentile   nivano per sempre seppellite le vecchie idee imniagiiii, che solo  la leggerezza filosofica di Ippolito Taine doveva più tardi esumare  nella sua haldanzosa quanto vana guerriglia contro la filosofia  classica francese in genere, e per questo punto contro il Royer-  Collard >).   Or, come è uno shaglio credere che il colore che diciamo di  vedere con l'occhio, sia fuori dell'occhio, talché se si avesse modo  di riflettere sulla visione, si rifletterebbe sul semplice atto del ve-  derlo, ma non propriamente sul colore; così soltanto un equivoco  può far pensare che nella nozione rosminiana fornita dall' intuito  dell'Intelligibile, non siavi altroché l'atto dell'intuire; di guisa  che la riflessione sovra di essa pervenga soltanto indirettamente  all'oggetto, sul quale cotesto atto si esercita. L'oggetto qui è  una cosa stessa con l' atto, siccome vedemmo altrove discorrendo  dell'intuito; oggetto ed atto sono una cosa sola nell'intuito in-  tellettivo, che è atto insieme e forma dì esso, secondo la teoria  del Rosmini.   E questa è la vera ragione che il Tarditi avrebbe dovuto op-  porre al Gioberti, per dimostrargli infondata, come tentò di fare  nella prima e nella seconda delle sue famose lettere, la distinzione  fra le due riflessioni psicologica ed ontologica *). Le quali si po-   ') Convengo pienamente nella controcritica oppostagli dal Janet nel primo  de' suoi scrìtti en La crke phUoaopMques, Paris, 1865, p. 26 e segg. Li teoria  scczzcBe toRlienda l'inutile intermediario dell'immagine tra l'oggetto sensibile  e il soggetto sensitivo, fece di certo un primo passo verso quell'unità del  tatto della sensazione, che non poteva d'altronde concepirai senza i nuovi prin-  cipj del kantismo, di cui giustamente la psicologia genetica tedesca si con-  sidera come un fedele compimento. — Vedi in proposito gli scritti del  TabÌktino in Giom Napdet. di FUob. e Lett. del 1880 e 81 e del Cm*p-  PELLi, ivi. QnelH del primo bqu pure raccolti nei Saggi fUoeofici, Napoli,  Morano, 1885, pp. 37-128. — Dopo la pubblicazione di quwto votame  il Chiappelli tornò sull'argomento nella Filosofiti delle Scude Italiane, voi.  XXSI (1885), in un art. sulle Attinenze fra il criticiamo kantiano e la pri-  coloffia inglese e tedesca.   ') « Siccome, osservava il Tarditi, noi non possiamo riflettere su ne»aa     DigitizcdbyGOOgle     Rosmini e Gioberti 271   trebberò ira loro distinguere solamente pel dÌTerso oggetto (e a  questo soltanto s'è appellato come a ragion distintiva in un passo  deìV Introduzione già citato il Gioberti); talché se l'una noa ha,  né può avere un oggetto diverao dall' altra, è chiaro che la distin-  zione non possa più farsi.   n Gioberti, veramente, negava più tardi che la distinzione si  desuma soltanto dall' oggetto ; e voleva che si fondi anche sul  metodo {Errori, I, 151 e segg.); e dava sulla voce al Tarditi, che  ciò non aveva saputo vedere •). Ma come sosteneva la sua sen-  tenza ?   ' La diversità dei metodi in ogni ordine di ricerche consiste . . .  in quella del veicolo, che si dee scegliere per conseguire l'oggetto  ricercato; e la natura del veicolo è determinata da quella dell'og-  getto medesimo, considerata non in sé semplicemente, ma nelle  sue attinenze con le facoltà e le condizioni del cercatore , *). E  più in là: ' Il punto, a cui si vuol giungere, determina l'indirizzo  che si dee tenere; l'intervallo che s'ha da correre, insegna le ope-  razioni da farsi, per superare gli ostacoli e toccare la mèta , ').   Ora^ senza dire dei caratteri differenziali che il Gioberti poi  indica nei due processi che vuol distinti, basta notare che la sua  deduzione avrebbe un valore soltanto nel caso eh' ei avesse dimo-  strato essere realmente distinti i due pretesi oggetti di riflessione,  poiché, a confessione dello stesso Gioberti, la natura del metodo     oggetto se Doa quanto da noi o intuito se ideale, o percepito se reftle; pad  la riflesBÌoDe passare egualmente dall' oggetto atl' intuito, e dn questo a quello;  anzi ta rìfleasioue sull'intuito non puA essero completa, imparziale, quale s'ad-  dice al filosofa, se non coasidera l'intuito, e nel soggetto di cui è atto, e nel-  V oggetto in cui termina, e dal quale Sformalo*; Leti, d'un Sosminiano,  Z\ p. 38 ; e si riferisce alla teorìa della rytesiione filosofica del Rosmini ; cfr.  p. S e segg. Or se si distìngue e separa, come fa il Tarditi, atta da oggetto,  il Gioberti ha cagione. H vero è ohe essi non sono afiatto distinti.   ') Leti, eit, I, 19-20.   •) Errori. I, 153.   3) Op. eit., I, .158.     .dbyGoosle     272 G. Omtile   è determinata dalla natura dell' oggetto. Contro il Tarditi che  ammetteva un atto di intuire distinto attualmente da un oggetto  intuito, egli aveva ragione; perchè se vi sono due termini di di-  versa natura, noi non possiamo giungere a ciascuno di essi con  un medesimo processo. Ma conviene prima provare quella distin-  zione di atto e di oggetto nell'intuito; la quale è, pift che altro,  presupposta dal nostro autore.   E peccando il suo ragionamento di una siffatta petizion di  principio, né potendosi altrimenti che per astrazione distinguere  r atto dall' oggetto, il Gioberti non può dire nemmeno che la re-  plicazione dell'intuito, cioè la riflessione, si differenzi! per l'oggetto  e pel metodo; poiché il metodo potrebbe esser diverso solo allof  che fosse differente l' ometto. E se il metodo trae i suoi caratteri  specifici dall'oggetto, e se l'oggetto è uno e inscindibile, come  si può distinguere una riflessione psicologica e una riflessione onto-  logica?   Il pensiero non si può riflettere se non sopra di sé, come pensiero;  e siccome è costituito tale dall'intuito dell'essere, che gli dà l'idea  dì questo, la riflessione non può non comprendere direttamente  questa idea dell' essere, che è oggetto dell' intuito.   Che se l'intuito si considera nel suo intimo e profondo signi-  ficato, secondo la critica da noi fattane, cioè io quanto esprime  l'oggettività vera (non la falsa oggettività fantasticata, con la im-  maginaria opposizione, a risolver la quale # ricercato l'intuito),  e però la vera soggettività, vedasi quanta ragione più si abbia di  volere una riflessione che, a differenza della riflessione suU' intuito,  faccia riflettere lo spirito sullo stesso oggetto dell'intuito. — E a  questo punto noi volevamo arrivare. — Perchè Gioberti distingue  una riflessione ontologica dalla riflessione dei psicologisti ? Qnesta,  egli dice, si ferma a un fatto dello spirito ; quella ci conduce fino  allo stesso oggetto ; e quella è però da preferirsi, se si vuole evitare  il soggettivismo. Or si veda che fedele rosminiano è fin nell'afferma-  zione di questa esigenza il Gioberti ! La critica sbagliata Fatta dal  Kosmini delle forme kantiane, ecco che egli la rivolge una seconda     DigitizcdbyGOOglc     Jìosmini 6 QwberH 27   Tolta contro il Rosmini medesimo. Gioberti, infatti, si accorge (  l'intuito rosminiano è una pura e semplice forma dell'intellet  ne più né meno delle forme di Kant; se ne accorge e gli pare, dìei  l'insegnamento del Itosmini, di vedersi risorgere innanzi il fosco fs  tasma del soggettivismo. Quindi non gli basta un intuito, coi  bastava al Iio3mÌDÌ, onde salvare l'oggettività, cioèl'universal  e la necessità della scienza, e gliene vogliono due, un doppio ìntu  intuito riflesso o secondario, o veramente una riflessione oni  logica. Bisogna davvero che questa Idea stia fuori del soggel  umano, stia da sé, e bisogna cbe si vada sempre fino a lei, ti  per un semplice intuito (potenza o virtualità di conoscere), vi  per un intuito riflesso, reale ed effettivo conoscere.   Ma il guajo è che se l'intuito, l'intuito scempio, sul quale  esercita la " riflessione eunuca , ^) del Rosmini, è un semplice s<  sibilo interno, o meglio, un semplice dato soggettivo (che pel G:  berti quel termine ha questo significato) — opperò individuali  contingente, — non c'è modo di provare che non sia un sempl  dato soggettivo anche lo stesso intuito doppio, che gli si vuol (  stituire. À rigor di logica, infatti, la critica stessa che il Qiobe  muove al Rosmini, si può muovere a lui, e si può continuare  l'infinito contro chi intenda l'oggettività, cioè l'universalitì  necessità delle forme di cognizione, come opposizione al sogge  conoscitore. Giacché l' intuito è sempre la stessa operazione, ed i  plica sempre la medesima relazione tra soggetto ed oggetto,  che si eserciti una sola volta, sia che si eserciti due volte,  riflessione ontologica rifa l'intuito circoscrìvendone l'oggetto  dato sensibile, offerto dalla parola. Ora, se il prìmo^intuito i  era bastato a cogliere l'intelligibile, perchè e come deve potè  cogliere il secondo ? — L'aveva evolto, dirà il Gioberti; ma appui  perciò bisogna ripeterlo, quando si vuol predicare del dato sensil  quella intelligibilità, e formare il concetto. — Ma anche a  v' ha risposta; cioè, l'intuito non è, come s' è visto un precedei   *) Errori, I, 144.     .dbyGoosle     -^?5^"     274 G. Gentile   cronologico della percezione intellettiva, dell'atto (che il Gioberti  dice riflessione) della determinazione dell'Idea, del differenzia-  mento della primitiva identità. E se non precede cronologicamente,  come non deve, né può, poiché non v'ha l'identico senza la diffe-  renza, né l'universale fuori del particolare, né l'uno fuori del vario,  é falso i! concetto d'un replìcamento dell'intuito nella percezione  intellettiva o nella riflessione; perchè il replicaraento presuppor-  rebbe l'intuito come un precedente anche cronologico, oltre che  logico ; con che si tornerebbe al vecchio concetto dell' a priori.   La riflessione ontologica, adunque, non può intendersi come in-  tuito riflesso, cioè come doppio intuito, nonostante l' esigenza che  r Intelligibile aia intuito nell' occasione stessa della percezione sen-  sitiva, oltre che solo; per la semplice ragione che da solo non è mai  intuito, se non come presupposto logico, come un quid trascendente  il fatto della conoscenza. D'altronde, il secondo intuito che si com-  prende in cotesta riflessione ontologica, non è né più né meno che  una ripetizione del primo ; talché, insuMciente il primo, non pub  non essere, e il Gioberti non dice perchè né come non debba es-  sere insufficiente il secondo, E perciò, rifiutato il primo, egli non  aveva nessuna ragione di tenersi contento al secondo, come aveva  avuto torto, a fil di logica, il Rosmini, rifiutando le forme kan-  tiane, a contentarsi di quel suo primo intuito. Ma come l'errore  del Rosmini risguardava la sua interpetrazione di Kant, ma non,  ci pare, la sua teorica, ed anzi era prova, come s' è più volte notato,  delia buona esigenza da lui avvertita di una perfetta universalità  e necessità nel conoscere; così, con la sua teoria della riflessione  ontologica, il Gioberti, se crede a torto di correggere il "Rosmini  e con esso anche il Kant, dimostra anche lui di avere avuto il  giusto concetto dei bisogni essenziali della scienza.   E v' ha di più nel Gioberti. Questi sente più forte una esigenza,  che non si può dire sia stata trascurata dal Rosmini, comecché  in lui non sembrasse pienamente soddisfatta ; vale a dire l' esigenza  dell' unità non pure come compimento della dualità della sintesi,  ma altresì come sua base, fondamento ed inìzio.     Digitizcdby Google     Rosmmi e Oioberti 275   Infatti, con la riflessione ontologica 8Ì ritrae la differenza nel  seno stesso delU identità; perchè la parola, principio determina-  tivo, aiceome è una rivelazione dell'Idea, così è strumento di quella  riflessione, che risale fino all'Idea stessa, a guisa d'un quadro, in  cui s' incornicia la vaga Idea sconfinata, tanto per lasciarsi vedere  dal finito spìrito umano. Ma quadro e Idea sono una medesima cosa;  tanto che la parola è detta rivelazione dell'Idea, ed è propria-  mente parola dell' Idea medesima. Sicché la differenza qui scatu-  risce dal fondo stesso dell'identità, dall'Idea; e la funzione dello  spirito, per cui si apprende insieme l' identico e il diverso, è pre-  cisamente la riflessione ontologica, che si rifa dal centro stesso  dell' identico ; laddove, secondo il Gioberti, la riflessione psicologica  non si rifaceva se non dall' atto stesso dell'intuito di cotesto iden-  tico, cioè da un fatto sensibile, epperò da un diverso; il quale, d'al-  tronde, se pure era un identico relativamente all' ordine dei cono-  scibili, non conteneva però in sé il principio della differenza.   Il Gioberti, adunque, senza riuscire a dimostrare l' insufficienza  della riflessione rosminiana, con la critica di questa e col volervi  sostituire una riflessione più compiuta, mirava a porre su più solido  fondamento la oggettività del conoscere, e a giustificare più sicu-  ramente quella vera sintesi a priori che per questa via accettava,  attraverso il Rosmini, da Em. Kant; fondandola su quell'unità indis-  solubile di identico e di diverso, di uno e di moltepUce, di uni-  versale e di particolare, di necessario e di contingente, nella quale  è la vita e la spiegazione del pensiero e del mondo ; unità, del resto,  di cui sentì pure il bisogno Rosmini, come in parte s'è visto e  meglio si vedrà nel capitolo ohe s^ue.   E per conchiudere intanto su questo punto, diremo che la ri-  flessione ontologica non è una operazione differente dalla riflessione  psicologica, che il Gioberti attribuisce al Rosmini; non potendone  differire pel metodo, poiché non ne differisce per l'oggetto, e non  potendo per questo differirne, poiché non esiste quella duplicità di  c^getto, che è presupposta dal Gioberti, e che ne sarebbe condi-  zione necessaria e sufficiente. L'immediatezza dell'intuito, come     .dbyGoosle     378 0. OmHle   forma del conosoere, esclude essa appunto ogni distinzione tra atto  d'intuire e oggetto intuito, siccome distrugge l'opposizione, che  pur presuppone col suo letterale significato, fra soggetto ed oggetto. Della proprietà delle parole. 1: La parola , prima che fosse scrilla,è parlata : la parola parlata fu inventata da Dio,come abbiamo detto di sopra,elascritlurafuun trovatodell'uomo,einspeciedel sacerdozio , secondo l'opinione del Gioberti, La parola artificiale, come espressione dell'Idea, non è già ilVerbo ereatore, m a l'immagine del Verbo, cioè il vero Verbo dellamente umana;e quindiilveromedialoreidealetra lo spirito e l'Idea.Se adunque lo spirito contempla l'Idea a traverso della parola, egli è chiaro, che la parola dee yelare appena e non coprire l'Idea,come terso cristallo corpi sottostanti ; quindi ella dee essere trasparente, e in ciò consiste la sua semplicità e perfezione, Dalla sempli cilà dellaparola nasce la proprietàdellevoci,lapuritàe l'eleganza dei vocaboli ; le quali doli della parola si tra yasano nelle frasi,che esprimono l'unione armonica delle yuci mediante i concetti ; e per via delle frasiriverberano quindi nello stile, e generano la bellezza del discorso. I m perocchè il discorso è bello allora quando le voci,le frasi, e quindi lo stile che ne deriva, sono semplici,proprie, pure ed eleganti. Infatti la parola è semplice, quando vela a p pena ilconcetto,e non lo copre dinanzi all'occhio della mente, nel qual caso la parola è per l'opposto materialé, e oscura.L a parola è propria , se è un ritratto fedele del concetto che esprime ; ed è sempre tale , ogniqualvolta  266 linguaggio ; della precisione dei concetti mediante le dif finizioni ,e della loro partizione mediante le divisioni dell'organismo dei concelti mediante i giudizii ; delle pruove delle verità seconde mediante i raziocinii';.e in fine del processo della mente secondo il lenore obbieltivo delle idee mediante ilmetodo. Ma poichè in tuttequeste operazioni della mente si può cadere inerrore,ogni qual volta non si fa buon uso dei canoni logici e dellaloro applicazione , quindi entra innanzi la critica a giudicar dell'uso che si è fatto dei canoni logicali , mediante il giudicatorio supremo dei principii che sovraslano alle stes. seleggi.Diche noidividiamoluttalamateriadiquesto capitolo in tanti distinti articoli . ART. 1.   conserva la suasemplicità. Quando la parola è propria mantiene a capello la corrispondenza perfetta tra l'Idea e il suo segno sensibile, se ella siguilica l' Idea increata, cioè l'Ente ;'e se ella esprime l'idea creata,cioè l'esistente è anche propria , oġniqualvolta conserva la corrispon. denza tra lamimesi e lametessi.Quindi è,che la lingua primitiva, la quale ebbe due parti, l'una divina,e l'altra umana, fu eminentemente propria ; imperocchè la parte divina di quella lingua consisiente nella rivelazione dei verbi originali manteóne,perchè divina,la corrispondenza tra l'Idea e il segno,e la parte umana,consistente nel l'invenzione dei nomi primilivi,mantenne ancora la cor rispondenza tra la mimesi e la metessi , perchè A d a m o pernominare isensibilicoiloroproprii nomi, lidedusse dagl' intelligibili, cioè dalla loro radice melessica. Quindi è,ancora , che nelladivisione delle lingue avvenuta pel fatto diBabelen,on re,che non abbia più o meno perdule e guaste molte pri. milive sue forme ; che non costi di n o m i e verbi anomali, eteroclili, difettivi, e di molte altre irregolarità di linguag gio , sicchè ogni lingua compare una rovinadel primitivo idioma. Quindi è finalmente,che gli scrillori autichiper che erano studiosissimi della proprietà delle voci c dello stile (onde le loro distinzioni dei varii generi di stile,te nué, mezzano, sublime ) perciò sono appellati classici, e sono isoli che abbianobuona scuola,cioè ispirano e pro ducono altri scrittorigrandi.  267 2. Abbiamo detto che dalla proprietà nasce la purità l'cleganza e la bellezza della lingua e dello stile;e quindi del discorso.E infattilavoce proprio nella lingua italiana importa il concelto di identità, cioè della medesimezza di una cosa con seco stessa:importa pureilpossessoche una cosa ha di sè medesima,perchè la cosaposseduta èquasi parte è in certo modo faltura eziandio del possidente. Quindi il vocabolo proprietà è spesso sinonimo di m e desimezia ;cosìl' amor proprio è l'amor di sè; è desso an, cora sinonimo di possessione ; così gli attributi specifici di una cosa,iqualine sono leproprietà,sono la cosa stessa, perchè le qualià e i modi degli esseri sono la sostanza m o dificata,valquantodirelamimesidella metessi.Adunque laproprietàdelparlarealtronon èchelacorrispondenza della mimesi colla melessi del discorso; la quale corrispoc   3. M a se la proprietà del linguaggio è la fonte di tulti i pregi del parlare e dello scrivere, la improprielà del parlare poi è una delle cause principali degli errori ontologici e logici, che producono la declinazionedellafilosofia,como avvertimino nella prima parte di questo corso. L'errore in generale altro non è che lo sviamento dell'intelletto nella cognizione della verità ; e come tale si distingue dall'igno, ranza , la quale non importa la cognizione alterata del vero,ma bensìla privazione assolutadella cognizione,E poichè al vero si oppone il falso; perciò siccome il vero si gnisica, in quanto è desso l'essere, così il falso n o n si goifica, secondo la bella espressione del Tasso, perchè € desso ilnon essere  268 denza costituisce la dialettica del linguaggio, e quindi la improprietà ne è la sofistica. Ora la purità delparlare i m porta la sua pulitezza, la quale è una speciedi proprietà; imperocchè la pulitezza,mostrando la cosa nella sua forma nativa, fa che la cosa sia identica a se stessa, yalquantodire che l'apparenza risponda allasostanza"; ilche importa in altri termini che la cosa abbia possesso di sè medesima. E poichè la politezza importa la scelta di ciò che costiluisce l'orpamento degli oggelti maleriali; cosi nella lingua l'ele ganza è inseparabile dalla purità delle voei.E siccome alla pulitezza si oppone l'immondezza, che illaidisce edeforma gli oggetti, così all'eleganza si oppone la vanità che li al. teraedeformacome sefosseunamaschera straniera:al. treltanto succede nella lingua e nello stile.Dalla stessa fonte della proprietà e semplicità del linguaggio scaturisce la bellezza dello stile e del discorso.Imperocchè quando il lin guaggio vela appena e non appanna l'idea o il concetto, se ne rende allora ilritratto fedele, come abbiamo detto di sopra ; nel quale caso l'idea increata o creata manifesta n a turalmente e senza ostacolo la sua luce diretta o riflessa n e l l a p a r o l a . O r a il b e l l o e s s e n d o l o s p l e n d o r e d e l l ' i n t e l l i . gibile, sia assoluto,sia relativo, che sirivela a trayerso il sensibile, cosi quando la parola è semplice e propria, è a n cora bella necessariamente ; e quindi la bellezza del di scorso in sè raccoglie tulle le qualilà della parola e dello stile, cioè la semplicila e la propriela , la purità e l'ele ganza. > c i o è il n u l l a c h e n o n h a , n è p u ò a . vere virtù di significare. Ora le cause degli errori sirie ducono a due principali, onde le altre derivano, cioè ally   269 l i m i t a z i o n e d e l l ' u o m o , e q u i n d i d e l l e s u e f a c o l t à , e a l l' a l terazione della parola,come espressione dell'Idea;ben'in leso però, che anche questa seconda dipende dalla prima , siccome dicemmo nella prima parte di questa Istituzione. Dalla limitazione dell'uomo e delle sue facoltà nacque lo sviamento del libero arbitrio in ordine alla legge, e quindi l'esistenza del male morale ; il quale fu cagione delmale intelletsuale, inquanto fucagione del predominio del sen sibilesuil'intelligibilee dellepassioni sullaragione,onde deriva l'alterazione dell' Idea, e quindi l'esistenza del'l e r rore.Ma qualunquesia,diceilGioberti,lacausadellacor ruzione egli è indubitalo, che in origine l'alterarsi dell'Idea è congiunto equasi coetaneo a quellodellaparola;laddove in appresso,e nelcommercio tradizionale,ildisordine tra passa nei pensieri dai segni ; sicchè l'improprietà della parola è la causa, e l'errore èl'effetto. Imperocchè,quando Ja parola è impropria , siccome ella non mantiene più la perfettacorrispondenzatra l'Ideaeilsegnochelaesprime, cosi i concetti ideali sono travisati dai concetti sensibili in. chiusi nella parola, e l'Idea viene adulterala dalla metafora o dalla etimologia . Nel quale caso i concelti ideali si c o r rompono proporzionatamente,se giả , come avvertimmo altrove,una nuovarivelazione, o un magisterioesteriore, organato dall'Idea istessa , ñón impedisce tali corruzioni della parola, serbando incorrolta quellagenuina e originale corrispondenza fral'Ideà eilsuo segno esteriore.Idea gtnerale dell'opera, e tua diritieue in due libri. — La tloria delle religioni appar- tiene a snella della Blotofia. — Si ritolrono alcune obbieiioni in contrario. — Perpe- tuità della Blotofia. — Del metodo critico aegailo dall’ autore nelle rirerebe aloriebe. — Si liepolide ai nemici delle eonpilatìoni. — Del metodo dottrinale, oaaerralo dall' auto- re; perebd egli anteponga la. linloti all’ analisi. — Cenni sopra nn’ opera precedente.— Prorotsione cattolica dell’ autore. — RUpoala a ehi te aoeuta di eiaer troppo ratlolico. •— La moderazione' nelle dottrine non è oggi di moda. — Via {utile e compendiosa, per giungere alla gloria. <—In che senso l’ antere sìa sago del progresso. —Sua pro- trata, intorno alle persone generalmente; agli scritlori risi ed ai morti, in itpeeio. — Di Giorgio Byron. — Dei sentimenti , che mosiero l' auloro a scrirere. — Contro la sella degP Italogalli. — Funesti influssi della Francia. — Della eterodosna moderna in generale, e della filosofia germanica in particolare. — Gl’Italiani debbono filosofare da sé. — Dello stile filosofico. — Importanza della lingua in ordine alle cose. — {.odi ifi An- tonio Cesari. — Contro i cattisi amatori d’idee. — Dei parolai. — Contro la barbarie dello scrirere, che domina in Italia. — Della cbiaretxa, bresild, semplicità, precisione, c purezza del dettalo. — Esempi italiani di elocuzione filosofica perfette. — Del modo, con cui si può inoorar nella lingua. — Scusa dell' autore , intorno alla lingua e allo alile da lui adoperato. — Eaorlazioue ai giorani italiani. — L’Iililà della sera filosofia. — Elsa non dee sparenlare i buoni goreroi, né i buoni principi. — Sua opportunità, Gioberti Inlrud. Voi. I. 21 Digitized by Google   r lG-2 per ristorare la religione. — La Gloa^fia dee cucre collìfaU specialmente dai cbicrici. — Lodi del chiericato italiano. - Del sacerdoiio frnncese ; sua antica dottrina, e suo virtù io ogni tempo. — Del modo, eoo <ui li coltivano le lettere da oleum chierìci franoesi. ~Della parlecipasìonc dei chierici olla vita sociulo» —Della liberti cattolica nel culto delle dottrine. » Che il clero catiolico dee essere emìnenle anche nelle scìen* se profun<’, per sortire picnamt nte rt-netlo del suo o>ini^te/io. — Di certe sette politi* che, che nocciono alla religione. ~ Dei ti elogi laici, che ioondcAO la Francia: loro tracotanza. ^ Al'eanza della filosofia colla religione. La dottrina cattolica é la sola dottrina religiosa, che abbia un valore acientifico. — Come la novità si accordi coli*anti« chità nello cose filosoticlic. — Si concbiude, esortando gl* lioliaui a I. barare le sc cuse ipecuialve dai nuovi barbari. LIBRO PRIMO. DELLE DOTTBLNE C.4P1T0L0 PU1.M0 Della dcelinaztone delle scienze spcculalive in generale. Cunirapposlo fra- lo sla o fìorcnle delle matetnatiche e fi*ichr, e lo s(|uallure della fihtsofìa ai ili nostri. » Sue cagioni gencr-chc. — Cobsidenuioui a <ju sia propos to sul'o stalo delia filosofia nelle varie parli d'Europa. —D.vario, che corre Ira le duii'ine fiancesi o U’de.-che, nato dalle loro diverse attinenze colla religione. — Di Renalo Descartes. ^ 1 semi'li moderni sono suoi d’srepoli assai piu legiilmi del Malebranche, e di altri antichi cartisiani. Dd panteismo germanico; temperalo dalle tr iduioni religiosa: l*idea «i è oscurata, non eslin a del tutto. ^ Di Emanuele Kant. Perelié t Tedeschi prot<‘Slanti furono io filosofia più a ioni dall' eaipielà, che i Francesi rallo(ici. ^ Dtver* sita d«‘ir ingegno spcculat vo, presso i Francesi e i Tedeschi. — Se ne cerca la causa nella storia, e nelle origÌr>i di queste due nazirni. — Delia tilosofia inglese : sue difie* n’nte dalla francese, e dalli germanica. — Dei fìloSvfi ftaìiaiii del secolo quiiidcciao, c del seguente. — Di Glambaitisla Vico : sue lodi. ~ Epiio{:o d.-I quadro. CAPITOLO SECONDO. Della dedinazione degli eludi specidatici, in ordine al soggetto. lufeiiurilà speculaliia e rnoralo dei popoli modcToi, verso gli antichi. — La no-a speciale dciruoQio moJeroo è Ir frivoUzza. — La cagione di questo vizio è la debolezza della faiol.à volihva. — Inlluruza dtl voli re nella cogoiziouv, e oelf ingegno delP uomo. — La modioiriià letteraria dui moderni nasce dalle hggcrizza dei loto animi. — Esempi S 2»S * Digitized by Googic  es»e bi chiude il capitolo. . - Note. Aula prima. Siti diltflanti tpleoJ Jì c Itiili, elle h fanno Ja m.eilri. 71 1 1 ptincipii dal Ufi 2^ 3. V 5. 6. T. 8. 9^ 10. 11. 12. 13. 11. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. Clw il inftoilo El<w>fict> »i J>e di durre dai principi!, e non I metodo. Il ig. Coiaio «.elude la «tiri» delle religioni da quella dtlU Bloiplia. Del cullo reciproco de’ moderni Rfillofi ff.nceii. Di una iKioea Enciclopedia. Sopr. OD* «poitigi. recefllo di Giorgio Djroa. 117 l'i. 1 lit 125 125 129 i6. 13t) 131 132 ii, i6. IM ii, Ai nemici delle wItiglieMf. Sullo lingua e luU' eluguenia francese. Sul primato della Fraocia. L'.terodomia modarna non i fono ancora al «uo fine. Della periiia di Paolo Luigi Cuarier nella lingua a negli icrillori italiani, Paw dal Letiinj; mila lobrielA « ammauralega degli antichi tceitlofi. Sull'uli-iU dei buoni giiirnali «ccletiailici. Pmm del Leibnu «olla libertà cattolica dcKii «eritteri, Querela del tig. Cousin eoutro il clero ffauceee. P«Mu del Leibnii contro i dùaipatori delle antiche dotUine. Sull' apoilaiia lU alconi prelati ruwù Delle cagioni della H>rorma. Che la tinceritA di Renato Denartei nel proretiani cattolico è per lo meno dubbia.- Il Malebranche non è earleeiano intorno al primo principio dellalua filoaoCa. 143 Clia il «ig. Coutin ha ao concetto mollo ineaatio dello Spinci.Mio. 144 Pawo del Courier tuH'iitiulo aotTilo dei moderni. 1^ ^ ; iò 5,  163 rcceoli e ìuliani di una Tolontà forte : Napoleooet e Vittorio Alfieri. — Lodi deli’ Al> fieli. — La fursa della volontà dipende in gran parte dall* educasioae. ^ Cbe co a sia r educatione. — Saa oeceuilA. — Delle varie forme, che prese 1’ educazione, tecoodo il ccM’to dei tempi e la varieii di'! popoli. — Po pubblica presso gli antichi ; qoasi pub- bloa nei basti tempi. » OelP opera dei chierici nell' iostitusione dei giovani. —> L’cdu* catione diveone pnvate, piesso i moderni. —Cagioni di ciò: false teorirlie in politica e IO pedagogia, inglesi e francesi. — Di G angiacomo Rousseau. — Errori del suo Emito. — Delle doUrìne poi tieba snlla liberti dell' ednratione. — Falsili loro. L’e* ducaaioQ^ manca quasi alTatto nello stato presente di Europa. » Difetti dei metodi vi* genti dell* insegnare. L’ias«gnameoto pubblico dee < ssere uno, forte, e dipendente dal* lo stalo. — Frivolezza dell' insegoamenlo cattedratico, quale si usa oggidì nei paesi più civili. » Dei giornali. — Diretti, e danni dei giornali, come per lo piò si scrìvono in Francia. *— Nuocono al'e lettere e al e sciente dalia parte di chi scrive, e di chi leg* ge. — Necessità dell’ iniìtiiuzione pubblica, e di un supremo poto<e educativo. — Quella non lìpugna ai costumi, oè questa alla libertà politica dei moderni. —> Che M»sa sia r iagfgiiu spccuUtivu. — D<2 tla setta dei sofisti moderni, e deg'ì artefici di parole. ^ Quàlìià loto. — Si chiamano a rtssrgoa le prìneipai diti diU’ ingegno sfeeulativo, e con Digìtized by Google   23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. Pano d«l Leibnii tull’abbierion» morale JcrU onioi moderni. Sulla patria di Napoleone. Pano dfl tig. Cuusin mila balta«lia di Waterloo. Pel gioiliiio, che il tilt. Villeoiain ha recato mll' AlCeii. Sugli errori della pueriiia. ^ Sull* uUbU di tre clasii di gioroali. Soll’aliBio Jei generali. Lodi di alcuni illmiri eruditi fraaceii. Pano del Malebraoche augi’ iugegni friToli. In che modo il genio naiionale poeta imprimere la ma forma nelle icieate «peculatiee. Sull' indola morale, e lugli ulUnii UUmli del Goèlhc. Itt 143 . 149 1^ 152 132 138TAVOLA. E SOMMARIO     Diuu. Pag-   SCDU bill' iCTOKI.     Le lodi d'ililia nim sana oggi pericolose per la sua modcslio. —  Sano opportune, e perchè. — Scopo del preienle dilcorsa. —  L'aifluiui di CMO non t per ilcaa Ter» iiigiiiriUD agli tlnnieri.  — L* doUriiu del primalo itili IBO è necetMtfai per rÙHltun-  ziuie delle sci une flloMBclie neita pcniioli.   PASTE nanu.   Dell' Hlonooiia uwlnUi e rdtlin In genere. — Di qidia cbe con.  peti (He uDoni in paiticoUrc — Lt isdice dell' tiatononùi è  neDi virtù creatrice, — L'Italia è anlmMina peraccdiema; rau-  lonomia i la boM della mi* nMggionma. — DeOnitionE del pri-  mato italiano in noiTerale,— La petùxria per It ina poitora è il  centro monte del nondo civile. — Convenienu geogniGehe dell'  lUUa coir India e colla HeMpoUmia. -^-La religione b flprtndpal   / S)ndimeiito.del primato italiano. — II principio calttdieo è Ime-  panbile dal genio narionile d'Italia. — Opinione dei ghibellini  e del flloioll nominali a questo propoaiUi, e aun falsiln. — Del  Hachiavelli , del Sarpi e <li Amalitii ih ìlmcm. — Ln xt» iIiiL-  Irina naiionnle d'Italia i quella dei rufIIì e dei realisti. — ì!,s\iii-   cattolicismo e dall' Italia. — L'Italia è la nniiuuc creatrice: Suo  ing^DO inventivo, c sul) liuiilà delle sue opere. - Essa c pure la  naiione redentrice degli altri popoli, e non puA essere redenta     440     T1V0L& E SOnARIO     per open loro. —I papi non (nrono !■ caoM della divisione iT ita-  lia, and lì mottnrono benemeriti In ogni tempo ddroniU iu-  liana ed enropea. — ObUeiionl e liipoile. — .Dei don nemici  perpetui dellt penisela. — Fati perpelui e glorie di Roma in ósni  tempo. — L'Italia non dee invidiare alle altre Milani la gran-  dena e la potenia disgiunte dalla gìnitliia. — Vino a qual segno  i coiHiuisU e II dominio temporale dell' antieo imperio romano '  sinno stati legitUini.— Gmdeiie supcnliti della modema BÓma.  — Della PMpapnda c ddle mitiioni. — Puagone del SiTerlo e  dd Boonaparte.— L^Iialia/itaempTB la più co9inopoK(Ìca delle  nanoni. — li auo principato si Tonda Mrratlutto nella religione,  j la quale di sua natura suvrasla a ogui cosa umnoa. — L' Italia tal '   in si lultc le cuii<ii£i<iiii ilei ^un nai limale c politica risorgimento,  \ sema ricorrere «Ilo somniossc iiilcsthie, alle imitaiioai e inva-  j sioni Farcsilere. — Dell' umane ÌUliaoa. — Essa non può uUenersi  colio rivoluiioiii, — [l principio dcU' unità il.iliani è il Pajia; il  quale jiiiii unilìenrc h penisola, mediante una confeclemiinne  ilc'suui principi, — Vanlnggi di una lega ilaliana. — Il governo  folemlivo è connalurale all' llalia, e il pili imturale ili lutti i  goterni. — Danni della centralità cccessita. — La sicoreiia e la  prosperità d'iLalia non sì possono conseguire altrimenti che con  un' alleaniB italica. — 1 lUrcslieri non possono impedire i]uett'  alleanza, e non che opporvisì , debbono deiideratlo. — Semi dell'  autore se entra a iliscorrcrc ili caie dì stato. — L'opinione nasce   Ida pìccoli principii , ma dee essere edncato dai senno della ni-  liane, — Dna province (oprattutlo debbom cooperare a ^TOfjr  l'opim'aue Hi-iriiiatì"imieiiVTlnnii « ti Piwnnnl>. _ ^Bìj^^ )jj \f  Itoma pei popoli, e sua imparzialità fra i pedali ed i prindpi. —  I L'onilA italica sareblie di grande utilità ■iWti religione cattolica , .   loro'genio. — Deli.i (]d.s;i ili S^ii.iia e luili. — .l[lincnzc c cor-  risponderne delle famiglie regnatrid tugl' incrementi civili dei  popoli. — itrfi^ nnn^^ ^pip rtr il Piemonte, n delle sorti  c he le Mno^reDiral|e ^\]f Ptnuy^fjm. — Delta concordia fra  T'popoli 0 i principi italiani. — D difetto di osa ta la cauta     TAVOLA E SOMMARIO     principale del c)iM:atlinicnla d' Italia. — Errore ili chi .illribuÌKe  tal decadi nHMi lo nib qualità della stirpe o alla religione. — ti'in- ■  forlunia ilcgl' llaliaiii aiiehe pur quvsta parte iiarque dai fores-  tieri. — Frincipii di risurgiiiienlo nel secalo passala , e rili^nu  cìtIIì (alte dai ptiaeipi ooslrali. — Inlerratte dgfla rivolaiioiKi  rranceM , ora è il tempo opporUum di ripigiUrte. — Necessitai di  ordinare la pubblici opìaione. — Dne modi con cni quesla ai ap-  I>alc9a ; lit parola dei tmi e la alampa. — Della monarehia con-  ■ullatiia, e del Consiglio civile. — La Btarapa non dee essere  MTva , iiv liceniiusa. — La sala via per evitare amenduc gli  ccccs^ , ilà neir affidarne l'iodlriuo a un caniiglio censorio".  — nella iniportwii* della iiuapa per la civUU. — UtlliU della  signoria indivlH p« riRmnata gli siali. — Si esortai» I prineipi  ilaliani a toDdare l'amona d' Italia.— Del dirello delle rìibnne  nriii lane a leniate in Italia , dorante il secolo scorso. — Decli-   ii.ii e siitcessiva del genio iiaiiunale della penisola. — Iliscre-   iiiiiiii: 111 uiieslo genio da quello dei Francesi. — Critica del galli-  canìsmo. — Di Benigna Bassuel : censura riverente dell' ing^u  e itelle opere di qncslo gran teologo. —1 II sacardoiia primflivo  eUw dna poteri, l'ODO reHgloM e l'alln drile. — Pormola so-  ciale : La («roonui* erta MÌl gli ordini civili, — U ncerdoiio  è il Primo politico. — Ciisto rinnovA a compimenlo il sacerdoiio  primigenio. — Necessità del potere civile nel sacerdoiio cria-  liiino. — ( Lode dei Gesuiti del Paiaguai. — Il polerc civile della  Chiesa non toglie la dislùuione, che corre rra lo «lato civile e il  lacerdoiio. — Dea toma, par mi pam il poleniàTile dal Mce^  doxio, cioè la dillaliaa e failiitralo, canispondenli ai due cfcU  civili delle nazioni. — Legittimiti della dittatura ejerdiala dai  Poniclici del medio evo. — Il ciclo dittatorio Gniscc quando c   |jerioilo della dtilti'i lefulare il'lulia <■ crKiirops, — Dell'arbì-  tr.ilo, iraliiiso ilal sacerdoitn. — Il l'.ipa c l'unico [iiiocip io dell'   guerra. — La dittatura pontiScale non lurna inulìle in alcun     TAVOLA E SOMMARIO     Icinpo ; MU applicaiiane presenle e foUin. — 11 I^pa è U prin-  cipio dell' anioDe d' lUlia. — Il polcn civile del Mnrdouo non  è contrario ali* ipirìlualiU e HnUU dclb rai indole e del suo  ■nìtuslerìD. -I Del (HtiiHiiùnm. — Crilict de'snoi prÌDcipii in-  tono tU* cotUluiiom della Cb'ma e al dogma caUolico. — Dei  doveri delle varie ciani dei dUadini, in ordine all'aoioDe d'IU'  lia, -/Danni cbe nascono dalle dottrine esagerate di libertii. —  Esortaiioneagli esuli ilalìaiii. —- Del dcbilo che linririu gl'llnliani   gli adalatoridei pririi'ipi. — l>i^i wihili, -- M ji.il ri/Min i' i!i[licil-  menle srilabilc nelle soeiclà civili. — Due specie iJi palriilalo;  fendala t civile. — U primo è im^nevole, Oioesto e vitupe-  ralo. — 0 secondo pnì euer lodevole e ntik, quando venga ac-  compagnalo da eerte condiuoni. — I cattivi nobili tono la rovina  delle nontrcbie. — Dei chierici secolari. — In che modo essi  pouano partecipare alle cose politiche. — I^i del chicrieala  Italiano. — Perch6 l' episcopato dì alcune province cattoliche sia  stalo Ulvolla per l'addielro men ragguardevole degli altri ordini  derieali. —(Del frati. — Apologia del m(MMchÌ«no. — Suoi  benefiri rÌq)«llo alla drilU etirqiei. — Quando traligna ai miri  rìfonnare, non abolire. — Dd moMchlinwwientalee delPocci-  dcntale. — Como ijueila si poiH rendere fmtluoio al nodro inri-  vilimento. — Danni che nascono dai diìoiirì degeneri. — In cbs  modo irrati possano influire salutarmeate nella politica ecotqM  rare ai progresai civili. — Essi debbono mettere ndl' opinione il  precipuo fondamento della loro vHa. — D colto ddle iciauie e  dèlie lettere in generale, ma i^edalinenie della aiosoBa, ddia po-  litica e dell'istoria si addice al loro minislerìo. — La scienia  ideale i inoiiaslìca [ter ecccllcnia. — Esurlaiionc ai venerandi  alunni dei chiu;lru ilaliaiio. — Della digniu'i clericale. — Gli ec-  ctcsiaslici debbunu guardarsi cautamenle dall' impicciolire o avvi-  lire le co» della rclìgiuiic. — Si uLbiclla che Ì popoli moderni  sono men grandi degli antichi. — Risposta. — Ddla lollerann  cristiana. — Perche nei tempi addietro violala In alcuni paeii-  — Tali viotaiioDÌ non si possono imputare alla Cbieta cattolica. —     TAVOLA E tìOMMAniO     Delk àoleeiia, |)ru(1enia e risi:rva clericali: nel dtspularr a nei  conversare. — Si rancluitc moslrando che il risorgimento d'ilalia  I non pai iver luogo , sa non ri rimetlono in onora gl'ingegni pri-  I vileglati, e non «i soUrae rindiiiuo delle cose ri TOlgo degli  j nomini oiediocrì.     nn HL TONO PIIMO.   S&SlOSS   La riflessione ontologica ferma, circoscrive, determina , chia- rifica l’Idea, cioè Dio: ma nella parola si rannicchia, s'incarna, si compie l’ Idea : la parola porge l’idea cosi rannicchiata ed incorni- ciata ed incarnata e compiuta alla riflessione. Qui covano , pare , molte contraddizioni. Se la riflessione, che chiarifica e ferma l'Idea; qual bisogno ch’essa Idea si rannicchi c si restringa nella parola? qual bisogno che la parola compia l’Idea, se la riflessione arreca distinzione, chiarezza, delineazione nella medesima? Se quel che fa la parola, fa la riflessione altresì, una delle due è superflua: am- metter l’una c l'altra, è metter luna in contraddizione dell’altra : supporre cioè che l’una non basti, senza l'altra, a ciò a che basta veramente. Mavia: prendiamol’una e l’altra perdelerminalricidel- l'Idea, cioè di Dio. 11 Gioberti diceva che nell'intuito l’uomo è as- sorbito dall’Idea, non la conosce neppure. Siccome dall'altra parte diceva eziandio, che « lo spirito trova se stesso in Dio e il mon- do in se medesimo »; ne viene che anche la riflessione è in Dio as- sorbita collo spirito : che il mondo lo è pure: e col mondo la pa- rola, parte di esso. In cotale assorbimento dell'uomo, della rifles- sione, della parola ; assorbimento che toglie ogni cognizione , non è assurdo c contraddittorio il dire che la riflessione e la parola , o tulle due insieme, servano a svegliare lo spirito assopito , esse assopite; servano a chiarire e determinare, esse confuse e indeter- minate nella universale confusione ed indeterminazione del Ciclo e della terra, del Creatore c delle creature ? n) Inlrod. li. p. 136-137. b) lìti pillilo rhe li'ga. e) Errori l. p. 201. Digitized by Google  )  55 Cosa sarebbe l'intuito Gioberliano ? a) la visione -di I)io crean- te; cioè della natura divina, dell’atto creativo, de’ termini di code- sto atto. Cos'è la parola? un segno creato b). L’intuito dunque do- vrebbe pure vedere la parola: la parola sarebbe parte della formu- la, intuita per natura da tutti gli uomini; chi* l'Ente creante non può essere veduto senza gli effetti del suo operare. Ma se nell’og- getto dell’intuito è la parola, è la riflessione altresì, come cosa creata anch’essa; se l’Idea col creare illustra c), e quindi deter- mina; illustra la parola altresì e la riflessione. Ecco nuova contrad- dizione e circolo nel dire che la riflessione e la parola servono a delincare all’intuito ciò ch’egli ha ad oggetto delincalo dalla natu- ra: illustrare ciò onde vengono esse illustrate. La quale contraddizione o circolo risulta da molte altre sen- tenze del Giebcrli applicabili al proposito presente. Sentenza sua è. di frequente, che i sensibili sono per sè inconoscibili; e solo per l’intelligibile, cioè per l’Idea, siano conosciuti. « L’apprensione sen- si sitiva non è un elemento intellettivo » </). 11 sensibile non può « essere pensalo altrimenti, che nell’intelligibile » r) « L’intelli- « gibile rischiara appunto i sensibili, perché li produce, come l’En- « te e i sensibili sono illustrali dall' Intelligibile, perché ne deri- « vano, come esistenze » Avca detto prima « l’Eute è altresì « l’Intelligibile, c le esistenze sono i sensibili ». Le creature so- no per sè inintelligibili, nè s’intendono che « in virtù dcU’intcl- g Errori i. p. 56. h) Errori li. p. 141. v) Ivi p. 163. l) Ivi p. 159-160. m) lntrod. ii. p. 14. n) Errori n. p. 45. un vero sensibile >. Errori i. p. 257. g) « Il sensibile è subbiedivo è inconosci- f). « ligibililà assoluta » n bile di sua natura » A): « è per se stesso inconoscibile e sub- ii bieltivo, non intellettuale, nè obbiettivo,. è rispetto alla nostra co- se gnizione un pretto nulla » i). « L'intelligibile (l’Idea, l’Ente) ii inonda lo spirito di un continuo chiarore, e gli rende conosci- li bili tutte le cose » l). Ora « La parola come ogni segno, è un , <i sensibile » m). Dunque per sé inconoscibile-, inintelligibile. Solo l’Idea, l’Intelligibile la rischiara, la illustra, la Ja intelligibile all’uomo. « Tanto è lungi, che la parola provi l'Idea razionale, che anzi que- ll sta dimostra l'autorità di quella. » n). « Questa (la parola) e la a) Dico sarebbe, perché il Gioberti stesso Io distrugge in mille maniere, come vedemmo, e vediamo rontimitinenle. t) Siccome it sensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e queste pro- cedono dall'atto creativo, la parola b di tua natura un effetto della c reazione. L’idea -« crea «I segno che l’esprime . Primato, il. p. 15. e) Errori li. p. 352-353. ri) lntrod. n. p, 165. e) Ivi p. 166. f) Ivi p. 562. Qui de» esserci corso errore di stampa, o nella sostituzione deila voce Iati ad esistenti; o nella punteggiatura. Perche l'Eulc non deriva dall'Intelligi- bile come esistenza. Dovrà leggersi, crrdo, il periodo: « I.’ Intelligibile rischiara ap- « punto i sensibili, perché li produce, come l’Ènte; e i sensibili ccc. » Digitized by Google   56 « riflessione stessa ripugnano, se non sono antivenute o guidate da « un lume intellettivo, da cui, (e non dalla parola che per se stcs- « sa 6 un mero sensibile) l’evidenza e la certezza provengono » a). Come pertanto può dirsi che la parola « si richiede per ripensare « l’Idea »; che « il sensibile è necessario per poter riflettere, e « conoscere distintamente l'intelligibile »? b). Una cosa inconosci- bile per sé, non conoscibile che per l’Idea; come potrà servire ad illustrare, a chinrirc l’Idea, da cui riceve lutto il chiarore che pos- siede? L'idea illumina la parola; la parola illumina l’Idea? Non v’ha circolo qui c contraddizione? Che se amiamo trarne Inora qualciin'aitra, il modo non man- ca. Il Gioberti scrive talora, che « l’idea, incarnandosi in una for- * ma sensata, scade sempre dalla propria altezza » c). L’idea dun- que, se s'incarnasse nella parola, veramente scadrebbe secondo quel testo; perderebbe di sua perfezione. Come può stare pertanto che la parola, determini, illustri l'Idea, la compia, cioè la perfezioni? come può stare che l’Idea per compiersi c perfezionarsi s'incarni in un sensibile, che la guasta e la rende imperfetta ? La parola ch’è detta in un luogo dal Gioberti « un sensibile in « cui s'incarna Vintelligihile »; diventa in un altro « una copia mon- « diale, contingente e linita del modello divino, necessario e infi- « nilo, c un individuamenlo dell’idea eterna » d). Siccome questo modello c idea eterna è l'Intelligibile stesso, Dio; quindi la parola è una copia, un individuamenlo di Dio nel quale s’incarna Dio. E notate, che « tante sorti di parole create si trovano, quante sono « le specie della esistenza »; una parola matematica meccanica ed idraulica, che sono i numeri , le figure, i movimenti; una parola fisica, cioè i fenomeni di natura; una parola estetica c sono i ti- pi fantastici; una parola storica, c sono i fatti transitori o perma- nenti degli uomini, gli eventi ed i monumenti; una parola sovran- naturale, e sono gli avvenimenti ffrodigiosi e sensibili; una parola liturgica « ordita di emblemi e simboli; c infine una parola grani- li malicale, parlata c scritta, ma per se stessa arbitraria , c però « diversa dalle specie anteriori, che sono tutte naturali e) la (piale « serve ad esprimere i concetti dell’animo e quindi a tradurre ogni « altro genere di favella » /). Di tutte pertanto le cose create dee dirsi ciò che della parola grammaticale: sono sensibili in cui s'in- carna Iddio; sono altrettanti individuamenti di lui; che lo compio- no, lo determinano, lo fermano, lo circoscrivono, lo illustrano: quan- tunque siffatta incarnazione lo umilii veramente , sconci. a) Errori i. p. 208. b) Inlvofl. u. ii. li. e) Ges. Moti, tv: p. li. d) Prima!-» li. p. 10. e) Anche la parola sovrtwnnfurtile ? fi Ivi. lo abbassi , lo r Digitized by Google   57 Nasce però curiosità di sapere, perchè mai nella parola s’in» carni l'Intelligibile; ina nou « in quanto rispleude aU’intuilo ><: *ib- bene « in quanto riverbera (cioè ridette) sulla riflessione » in quel punto famoso di contatto che lega Dio coll’uomo ? La riflessione, si è detto, che mediante la parola circoscriveva , compiva l’idea o) ; quindi la parola preceder dovrebbe la riflessione. Ma se la parola contiene l’Idea in quanto riflette mila riflessione dell'uomo ; la ri- flessione sarà preceduta alla parola: così la riflessione va innanzi alla parola; e la parola va innauzi alla riflessione nella stesso tem- po. Eccoci di nuovo ucU’uno via uno. Se la dottrina della riflessione determinatrice e illustratrice deU'iuluito fosse vera, dovrebbe dirsi che la riflessione guida per mano l'intuito, lo signoreggia. Or bene di ciò fa le risa il Gio- berti contro i psicologisti: « lo aveva credulo finora che la cecità « sia la causa principale per cui non si scorgouo gli oggetti: ora « siccome l'intuito, non che esser cieco, è la fonte della risiane, e v la riflessione non cede, se non in quanto partecipa alla luce intui- « tira, dovremmo dire, alla stregua dei psicologisti, che tocca al « cieco il guidar per mano, non mica gli altri ciechi, (il che sa- « rebbe già degno di considerazione), ma chi 6 veggente in mo- ie do perfetto; cosa per vero singolarissima ». h) Bene slà. Ma quel- li l’Ontologo, che pone per una parte l'intuito del Sole stesso Eter- no Divino; e immagina dall’altra una riflessione e un inondo di pa- role che sono necessarie a determinare, fermare, ed illustrare il so- le, da che sono esse creale ed illustrate; quegli è che s'introniBtte di far guidare i veggenti perfettissimamcnle da’ ciechi; che si pensa di accendere il sole di mezzogiorno colle tenebre della mezzanotte. 11 Gioberti consuona al Rosmini nel riconoscere la necessità della parola per la riflessione. Differisce però dal medesimo nel- l’asscgnarne la ragione : per dir meglio: il Rosmini ne dà ragione, ('impossibilità di spiegar altrimenti la formazione delle idee astrai- le: il Gioberti non ne porge nessuna, c). Imperocché non sembra- mi prova quel dire che « il punto indivisibile , di cui abbiamo « discorso di sopra, » (il punto che lega Dio e l’uomo combacian- tisi), « non può esser termine del ripiegamento riflessivo, se non ve- « stendo una forma sensibile. E siccome non è sensibile per se stes- ti so, siccome versa in una mera relazione intelligibile, l’unico mo- ti ilo, con cui possa rendersi sensato, consiste nell'incorporazione « mentale d) di un segno, cioè della parola » e). Ma perchè quel o) I.a rbiama perciò . un semplice insinimentn necessario per mettere la ri- flessione in commercio colf intuito »; Errori i. p. 200, « Strumento riflessilo * p. 215. « Semplice segno insidine male » p. 2t9. » stimolo per mi rumineia «I al- « luorsi (l'iiniiiio umano), e il polline ette lo feconda »; Primato, II. p. 15: « occs- • sione, cagione, inslrnnirntale del lero ». Necessità della parola. Bello p. 137. 6) Introd. il. p. 134. e) Rosmini, S. Saggio, sezione V. p. 2. e. 4. a. I. Filo». Polii. Voi. p. 151-153. d) Incorporazione spirituale. c) Errori i. p. 201. Digitized by Google  58 punto, rhY' puro relaziono intelligibile, ohe anzi è la cagnizinne, ro- llio vedemmo , perché « non può esser termine del ripiegamento « riflessivo, se non vestendo una forma sensibile, se non renden- ti dosi sensato, se non incorporandosi in un segno »? Il Gioberti noi dice. Altri osserverà nondimeno che non solo noi dice ma nem- meno può dirlo nel suo sistema: che perciò é impossibile al Gio- berti di provare la necessità della parola. Egli afferma, che « l’uo- « ino nou può meglio nel suo stalo attuale riflettere senza parola, « che favellar senza lingua, vedere senz’occhi, c pensare senza cor- « vello. Senza il linguaggio l'uomo ha ragione; ma non uso di ra- ti gione, ha la riflessione in potenza, non in atto » a). Il che dice essere « applicazione speciale ili una legge generale dello spirito. La qual legge si è, che la riflessione universalmente non si può cser- « citare, se non mediante il concorso del sensibile coirintelligibile » l). Ora di quale dell»* due riflessioni, già distinte da lui, parla il no- stro autore? Dell’ontologica: perchè dell’altra confessa che « il sen- sibile è l’oggetto medesimo dell'alto riflesso, onde la parola non en- ti Ira necessariamente nel suo esercizio, se non in quanto tal ri- ti flessione si connette colla riflessione ontologica; imperocché il sen- " sibilo per essere pensato non ha d’uopo di un altro sensibile, che « lo vesta e lo rappresenti » c). lo nè ammetto nè ripudio tale ra- gione: ma l'ammette il Gioberti certamente. Dunque a sola la ri- flessione ontologica è la parola necessaria. Perché? perchè « in os- ti sa il sensibile non è somministrato daH'oggello dell’operazione « il quale è il stdo intelligibile i d). Sla codesto e falso: è falso che oggetto dell’ ontologica riflessione sia il solo intelligibile, se- condo il Gioberti. Non ci ha egli appreso che « la riflessione on- « tologica, tramezzando fra le due altre operazioni (intuito e rides- ti sione psicologica), abbraccia congiuntamente il soggetto e l 'oggetto « c li contempla con un allo unico? » c); che nella riflessione Oli- ti tologica lo spirito si ripiega sovra di sé in quel punto indivisi- « bile, in cui il soggetto tocca l’oggetto , c abbraccia quindi l’og- « getto medesimo , come intuito dal soggetto? » f). Dunque non è l'intelligibile solo, l’oggetto della riflessione ontologica; ma è il soggetto eziandio, cioè il sensibile, oggetto della psicologica. Ma se questo non ha ili bisogno di sensibile, di parola, per essere ripen- salo; se non n'ha bisogno l’ intelligibile, Dio, intelligibile per se stes- so: come n'avrà bisogno il punto in che si congiungono si legano si toccano si combaciano Dio e l’uomo ? l’nione di due termini, l’uno intelligibile per sé, l’altro per l'intelligibile, unione di' è relazione intelligibile', perchè avrà d'uopo di sensibili, di segni, ad esser og- getto di riflessione ? n’ Krrnri i. p. '20 fi. JThi|I. 201). r\ hi p. ini. di Iti. e Krrori t. p. 136, [) Iti p. 201. ,.  Digitized by Google   59 Che se « prima di credere alla parola, bisogna intenderla » a); la parola a nulla servirà se non in quanto sia già in quel punto, unione, unità, eh e la cognizione. £ se altronde la cognizione dovrà esser vestila della parola , per diventar riflessione ; la veste dovrà insieme essere il vestito, perché riflessione si ottenga, cioè cogni- zione vera , come la chiama il Gioberti. Questa è una di quelle « soluzioni ed avvertenze » di cui non v’ ha « il menomo vesti- li gio » in altri sistemi prima del Giobcrliano li). Il che niuno vorrà negareDella unicertalilà ecientifica dellafarmolu ideale. Aimcoio punto. Prtamiolo. — L* formolo roiionale dee contenere I* organismo degli eie- menti ideali.—Per conoscere questa organizzazione, bisogna riscontrare essa forinola 1 coll albero enciclopedico.^-L’enciclopedia si compone di tre parti , filosofia, fisica e matematica, cko corrispondono alle tre membra della iormola.—Della filosofia in ispe- cicr si stende per tutta la formolo.—Dell* ontologia, psicologia , logica, etica e ma- tematica ; come si connettano coi rari termini di quella. — Tavola rappresentativa deiralbero enciclopedico, conforme alC organismo ideale.—Spiegazione generica del- la tavola. —Dello scienza ideale. —Della teologia rivelata e della filosofia.—Princi- pato universale della prima.—Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Primato dell'ontologia fra le varie discipline filosofiche ; necessario, acciò queste siano in fio- re. —Della teologia universale. . 7 Digitized by Google   Articolo secondo. Delia matematica. — La matematica tiene un lnogo mezzano tra la fi- losofìa e |a fìsica —Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddi- sfacente del tempo c dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell* oggetto loro, mediante la forinola ideale. 14 Articolo terzo. Della logica e (Iella morale. —Queste due scienze hanno ciò di comu- ne, che appartengono al termine medio della formolo. —Della logica in particolare, c delle varie sue parti — Dell* etica in ispccicr. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. — Convenienze, che corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell* impe- rativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre momenti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal fisico, che ne conseguita. —Della pena eterna. 17 Articolo quarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della formolo. — Dei duo cicli generativi. —- Varie sintesi, di Cui si compongono. — Dell' ordine dell* universo. — Del concetto teleologico. — L* idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 26 Articolo quinto. DelCestetica. —Del sublime e del bello, t-Delle varie loro specie, e del modo in cui si connettono colla formolo. —Del inaraviglioso. 29 Articolo sesto. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesia- no. — Quindi i suoi tizi. — Gli stateti odierni, non hanno veri principii, perché man- cano della cognizione ideale. — 1 difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. —La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei bassi tempi. —Dell* apof- tegma del Machiavelli, che le instituzioni si debbono filirare veto i loro principii. —In che senso sia vero..—Benefici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni.— Di Cesare, institufore della tirannide imperiale. — Connessila della licenza colle dottrine di Lutero e del Descartes. — Della idealità delle nazioni. — L* Idea é fonte del diritto. —Attinenze del dovere col diritto, c delle varie specie loro. —Della sovranità. — La sovranità assoluta è 1* Idea. — Della sovranità relativa c ministeriale. — Non si trova in separato nel governo o nel popolo. —La società non è d’ instituzione umana, ma divina. —Cosi anche il potere sovrano. —Due doti essenziali di questo potere , intorno al modo, con cui si tramanda e perpetua di generazione in generazione. — For- inola della politica. —Assurdità del suffragio universale. —La capacità dee,accompa- gnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indi- pendente dai sudditi. —La perfezione della sovranità consisto nell* unioqe del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. — Il sovrano non può mai farsi da sé in nessun ca- so. — Ogni potere sovrano è divino. — Inviolabilità del potere sovrano. — Delle rivolu- zioni, e dello con’rarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto questi nomi. —Laverà rivoluzione, essendo 1* attentato contro una sovranità legittima, è sempre, illecita. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi c anticati. —La mo- narchia é necessaria al di d* oggi alla libortà europea. — L' investitura della sovranità in una famiglia é inviolabile, corno il dominio privato. — Il potere ereditario, c la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all* inviolabilità del potere sovrano. —1 fautori del- la licenza invertono la formula politica. 31 Asticolo settimo. Epilogo. —L* idea divina ó la suprema forinola enciclopedica'. — Universalità dell’ idea divina. — L* ontologismo non é un metodo ipotetico, corno quello dei psicologisti. — Iddio è 1* Intelligibile: é 1* alfa e 1* omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filosofìa. Si Digitized by Google   CAPITOLO SESTO. Dtll'a conservazione dellaforinola ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Definizione di questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocquc in ogni tempo ab- la scienza ideale. —Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi —Del razionali- amo teologico fiorente al di d’oggi. — Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La cri- tica storica dei ra/ionalisti pecca per difetto di canonica. —Il razionalismo confondo insieme i rari ordini di fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il raziona- lismo è un vero naturalismo, i— Del sovrannaturale : sua definizione. — Necessità di esso, per l’ integrità dell’ Idea. — Possibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordino sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l'Idea della ragione. — Nullità sintetica o filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesi- mo é la religione universale. — Non si può mettere in ischicra cogli altri culti. — Sua singolarità. —Le false religioni non distruggono l’ universalità del Cristianesimo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. -—Si confuta una sentenza del- lo Strausse. — Le false religioni sono lo sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cristianesimo sovrasta, e non Sottostà alla coltura più squisita. — La civiltà moder- na, che lo combatte, è una barbarie attillata Delle prove interne della .rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione dell' Idea, chfe vi è rappresentata. — O- scurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai la- vori sincrctici dell' ingegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspirazione dei libri sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionali- sti. — L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individuile dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapctici : loro divario dai Semiti. — Delle na- zioni madri. — Degl’Israeliti; conservatori dell’Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati -del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed essoterica. — Fondamento natu- rale, o universalità di questa distinzione. — Della ordinazione civile e religiosa degl' Israe- liti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica c tra- dizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa 'distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese essoterica la scienza acroamatica degl' Israeliti. — L’alternativa dcl- racroaraatismo c dclf essoterismo èia sola variazione, che si trovi nella storia dell' Idea rivelata. — Perchè Mosé non abbia insegnata espressamente i’ immortalità degli animi umani. — Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti.’— Falsità del loro metodo nel cer- care 1’ origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina esso- terica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti c i Gentili. — Del fìguralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle iustituzioni mosaichc. — La furinola idea- le e il telegramma , erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl* Israeliti. Gl • 203 Digitized by Google  CAPITOLO SETTIMO. Dell' alterazione dellaformolo ideale. La barbarie non fu lo stato primitivo dogli uomini.*—La storia delle religioni tion comincia dal sensismo, — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. —Vicende civili delle nazioni. —Del patriarcato. —- Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto 1’ imperio ieratico. —'I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. —Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. —Il sacerdozio conservò le reliquie dell’ antica dottrina acroamatica ; fondò 1* essoterica. — In che modo la mitologia .é la simbolica potessero esser- opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della fi- losofìa gentilesca.—Riscontri . dell’antico c del nuovo paganesimo. —Vari gradi, per cui passò l' alterazione della forinola ideale', oscurità, confusione, dimezzamento e disorga- nazione.— Cagioni dell’ alteramente : predominio del senso e della fantasia; influenza del linguaggio sull’idea, e dell’ essoterismo sull’ acroamatismo ; dispersione dei popoli, perdita dell’unità universale. — Del culto dei fetissi. Di un doppio moto contrario, re- gressivo e progressivo, delle instituzioni religiose.—Esempi.—Quattro epoche della co- gnizione ideale: intuitiva, immaginativa, sensitiva e oslrattiva.-»-Se nel vario e succes- sivo alterarsi della forinola, si mantengano i suoi tre membri, e come? Tavola delle trasformazioniontologichedellafòrmolaideale, corrispondentiaivaristatipsicolo- gici dello spirito umano. —Dichiarazione della tavola. —Dell’ epoca intuitiva; corno 1' uomo ne sia scaduto. —Il mal morale consisto nella negazione del secondo ciclo crea- tivo.— Dei mezzi sovrannaturali per conservare lo stato intuitivo. —L'essoterismo fu l’oc- casione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fanta- stico c dell’ cinanatismo propri di questa epoca. — Indole poco scientifica dell’ ema- natismo. — Sua forinola. —w Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli cmanatisti. — Della loro dualità primordiale, e delle dualità successive. — Dell’ androginismo , e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanati- smo. I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del Kincrctisino emanatistico. — Dei due cicli di tal dottrina: 1’ emanazione. *— Del ciclo remanativo: sua natura. —Corrompe la morale, c introduce il pessimismo. —Delle varie età cosmiche, secondo i miti di molti popoli Gentili. — come 1’ ottimismo c il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli em&ftatisti. —Degli aratori, della teofanie o logofanie permanenti e successive, e delle apoteosi. —Come il sovrintelli- gibile si trovi alterato fra queste favole. —Del politeismo; nato dall’ emanatismo. Sua indole, e sue varie forine. —Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscen- za della unità ideale. — Dell’ idolatria : sua natura. — Del panteismo: ò una riforma ieratica dell’ emanatismo. —Il panteismo scientifico non potè essere il primo sistema nella via dell’ errore. — 1/ emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una mede- sima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. —Proprietà speciali del panteismo. —Universalità del panteismo nel re* gnu dell’ errore. —Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. —Qual sorta di progresso possa avero Terrore. —Varie forme del panteismo* —Della condizione del sacerdozio i ——  201 Digitized by Google   dopo la rovina dello stato castale. —Dei Misteri, da cui uscì la filosofia laicale.— Dell’ateismo. —Questo sistema non potò essere anteriore al secondo periodo della fi- losofia secolaresca. —Si rigetta l! opinione di un ateismo indico antichissimo —Del sovrintelligibile. —Serbato in parte dai sacerdoti, o perduto affatto da' laici filosofan- ti, salvoclié dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia e della Grecia. —Dei tentati- vi antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile. —Si conchiude, accomando brevemente il tenia del secondo libro NOTE. IQS Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell* Io e del Me. 159 , 160 16.1 164 I6l> & Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. 166 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. IL IL ÌL L IL Del tempo e dello spazio, secondo il processo ontologico. Passi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli attributi divini ontologicamente considerati. 7j IL £. liL LL 14. 15. Ifii 12. 18. liL 11L 2Qi 2 1 . 22. 23. 24. 25. 26. 22. 21L Influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell'aziono umana. 172. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. IL Sull*infinità del mondo. 173 Sugli assiomi di finalità o di causalità. 174 Se l'abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristia- nesimo? Sull’origine della sovranità in alcuni casi particolari. Dell'orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L'idea di Dio non è solamente negativa. I7(i 112 178 179 IL 180 18J bit. Sulla voce rivelazione. Di varie spezie del razionalismo teologico. Dei miracoli posteriori allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malebranche sull’idealità del Cristianesimo. Passo del Leibniz sulla rivelazione. . Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella risurrezione dei morti. Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esi- stenza degli angeli. I razionalisti confondono la dottrina acroamatica colla essoterica. Sul fatto di Babele. . Del sincretismo dei falsi culli, doma, mito e simbolo zendico, ISci culti barbari l’ Idea è esclusa dalla religione, c non dalla scienza umana. 19^ Gioberti. Iniroduz. Voi. III. ‘Hi * « IL 1112 IL IL * 182 184- Jb. 18J Digitized by Google   206 29. 30. 31. 32. 33. 1/antropomorfismo e il psicologismo essoterico. 194 Del panteismo di Ulrico Zuinglio. 195 Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del razionalismo teologico. 19ti Sul psicologismo degli eretici. Ib. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fa- talismo.DELLA DECLIAAZIOSE DAGLI SITUI SPECl'LATIV I, I* OHUISE ALL' UGGETTO. Della Idea. — È primitiva, indimostrabile, evidente, e certa per sé stessa. — Necessità della parola . per determinare c ripensare l'Idea. — 1 progressi della cognizione ideale rispondono alla per- fezione dello strumento, con cui si lavora, cioè della parola. — Il linguaggio fu inventato dall' Idea, clic parlò sè stessa. — 1/ evi- denza c la certezza riflessiva abbisognano della parola. — Il sen- sibile è necessario per poter ripensare l’intelligibile. — L'Idea è l’unità organica, la forza motrice, e la legge governatriec del genere umano. — L'Idea è l’anima delle anime, l'anima della società universale. — Ella può oscurarsi, ma non ispegnersi affatto. — Del suo primo oscuramento, e degli effetti, clic ne seguirono. — Perdita dell’ unità ideale , c morte morale del genere umano. — Diversità delle stirpi. — Dell’ instaurazione sovrannaturale dell’ unità primitiva. — Del genere umano secondo l'elezione, sostituito al genere umano, secondo la natura. — La Chiesa è la riordinazionc elettiva c successiva del genere umano. — Vicende storiche della Chiesa. — Colla perdita dell’ unità ideale venne meno al genere umano la sua infallibilità,chepassònellaChiesa.—Quandoil genereumano riacquisterà questo privilegio. — Chi è fuori della Chiesa, è fuori del genere umano. — Composizione organica della Chiesa. — La , Digitized by Google   474 TAVOLA E SOMMARIO. Chiesa c conservatrice e propagalrice dell’ Idea : unisce il prin- cipio della quiete a quello del molo. — Delle forinole definitive della Chiesa. — Della scienza ideale, razionale e rivelata. — Attinenze reciproche di queste due parti. — La scienza razio- nale, o sia la filosofia, si distingue in due grandi epoche, ciascuna delle quali corrisponde a una rivelazione. — Il nesso fra la rivelazione e la filosofia è la tradizione. — I.’ alteramente della tradizione, e quindi della verità, fu nella sua origine una confusione delle lingue. — L* effetto di questa confusione fu il gentilesimo. — L’organizzazione ecclesiastica è la sola via, con cui si possa conservare intatta la tradizione. — Della Chiesa giudaica, c della sua diversità dalla cristiana. — La filosofia gentilesca avea colla rivelazione primitiva una relazione diversa da quella, che corre tra la filosofia cristiana c la rivelazione evan- gelica. — Due tradizioni, religiosa c scientifica. — Due classi di sistemi filosofici; gli uni tradizionali e ortodossi; gli altri anli- tradizionali ed eterodossi. — I primi suddividonsi in progressivi, cregressivi.—Qualitàprincipali,percuii sistemieterodossisi distinguono dagli ortodossi. — La filosofia ortodossa è perpetua. — Vari modi, con cui i sistemi eterodossi possono rompere il filo della tradizione. —Tre.età della filosofia cristiana. —Dell’età moderna.—Delpsicologismo: definizionediesso,edell'onto- logismo, che gli è contrario. — Il psicologismo è l'eterodos- sia moderna delle scienze filosofiche. — Renato Descartes è il suo fondatore ; gran matematico , meschinissimo filosofo. — Paralogismi puerili del suo metodo. — Presunzione intollerabile del suo assunto e delle sue promesse. — Cagioni, per cui il Car- tesianismo invalse, ed ebbe una certa voga. — Due dottrine c due letterature in cospetto P una dell’altra, tra il secolo decimoquiuto c il sedicesimo. — Abusi e disordini, che allora regnavano. — Necessità di una riforma’ cattolica. — Tre riforme eterodosse ; due religiose, la terza filosofica. — Il tedesco Lutero, e l'italiano ocino, autori delle due prime; il francese Descartes, della terza. — Vizi della Scolastica, che prepararono gli errori più moderni. — Analogia del metodo protestante col metodo cartesiano. — Il Descartes non liberò la filosofìa, come oggi si crede, ma la ridusse Digitized by Google  TAVOLA E SOMMARIO. WS in scrvilu. —Contraddizioni ridicole della sua dottrina. —Il Descartes non somiglia a Socrate pel metodo, ne a Platone per la teoricadelleideeinnate.—Vizidelpronunziatocartesiano: io pento, dunque tono. — Il sensismo nc è la conseguenza. — Assur- dità del sensismo. — Il predominio del sensismo ha impicciolita — la filosofia moderna. — Danni recati da esso agli studi storici. — La religione è la chiave della storia. — La filosofia nata dal ('.ar- tesianismo si divide in cinque scuole. — Del razionalismo psico- logico diverso dall’ ontologico. — Due classi di filosofi francesi. — Di alcuni eclettici francesi in particolare. — Si annoverano i diversi vizi e inconvenienti dell' eclettismo, e quelli del psicolo- gismo. — Obbiezioni dei psicologisti : risposta. — Del senso ontologico. — L'ontologismo è conforme all’ indole e al processo del Cristianesimo. — llicpilogazioue delle cose dette in questo capitolo. CAPITOLO QUARTO. (IELLA FOIJIOLA IDEALI. I Che cosa s’intende per forinola ideale. — Metodo, che l’autore si propone di tenere in questa ricerca. — Del Primo psicologico ontologico c filosofico. Il Primo filosofico abbraccia i due altri. — Varie dottrine sul Primo psicologico e ontologico. — Teorica di Antonio Rosmini intorno al concetto dell’ente consideralo, come Primo psicologico : si riduce a quattro capi. — Critica del sistema rosminiano : il Primo filosofico è l’Ente reale. — L'Ente reale è astratto e concreto, generale e particolare, individuale e universale nello stesso tempo. — La filosofia moderna erra spesso, mutando il concreto in astratto. — Vari generi di astrazione c di compo- — sizione. — Il Primo filosofico contiene un giudizio. — Doti spe- ciali di questo giudizio : 1° consta di un solo concetto, che si replica su se stesso ; 2° è obbiettivo, autonomo e divino, vale a dire, che il giudicante è identico al giudicalo. — Il giudizio di- ,-   476 TAVOLA E SOMMARIO, vino essendo il primo anello della filosofia, questa è una scienza divina e non umana nel suo principio. — Il giudizio divino, con- tenuto nel Primo filosofico , non basta a costituire la forinola ideale. — Ricerca di un altro concetto per compiere la formola. — Della nozione di esistenza : analisi del concetto e della parola. — Egli è impossibile il salire logicamente dal concetto dell’ esis- tenza a quello dell' Ente. — Bisogna adunque discendere dal con- cetto dell' Ente a quello di esistenza.— Necessità di un concetto in- termedio per effettuar questo transito nel processo discensivo. — L’idea di creazione è il legame tra le due altre. — Obbiezioni controdiessa: risposta.—IIprocessopsicologicocorrispondeall’ ^ontologico. — Lo spirito umano è spettatore continuo, diretto e immediato della creazione. — L'idea di creazione contiene un fatto primitivo c divino, che è il primo anello delle scienze fisiche e psicologiche; quindi tutta l’ umana enciclopedia è divina nel suo principio. — Compimento della formola ideale. —- Altro giudizio contenuto in essa formola. — Distinzione c inseparabilità psico- logica dell’Ente e dell’esistente. — Del vero ideale e del fatto ideale.—Obbiezionecontroil nostroprocessoideale:risposta. — Dell’ organismo ideale. — Problemi metafisici, che non si pos- sono risolvere , se non colla nostra formola , e ne confermano la verità. — 1° Del necessario c del contingente. — 2“ Dell’ intelli- gibile. — 3° Dell’ esistenza dei corpi. — Cattivo metodo di molti filosofi nel combattere l’idealismo. — 1° Dell’ individuazione. — !i° Dell’ evidenza c della certezza. — Possibilità del miracolo provata a priori. — Nuove obbiezioni contro la formula ideale : risposta. — 6° Dell’ origine delle idee. — Vari sistemi dei filosofi su questo punto. — Critica della dottrina rosiniuiana, che tulle le idee nascano da quella dell’Ente, per via di generazione. Esposizione sommaria della nostra dottrina sull’origine delle idee : si riduce a tre capi. — Convenienza della nostra dottrina con un pronunzialo del Vico. — 7° Dei giudizi analitici c sinte- tici. — Esposizione della nostra dottrina sulle varie classi di giu- dizi sintetici. — 8° Della natura del raziocinio. — Cenni su altre quislioni, che si attengono alla nostra formola. — L’aver dis- messa o trascurata l’idea di creazione è la causa principale degli ^ —  Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 477 orrori filosofici. — Vane promesse ilei moderni eclettici, c flebo- — lezza della filosofia presente. — Per ristorarla, bisogna abolire il psicologismo. — Il Cristianesimo rinnovò la forinola ideale. — Ili santo Agostino : sue lodi : fondò la scienza ideale. — Della scienza ideale cattolica : sue prerogative. — Degli Scolastici : loro difetti. — Del nominalismo e sua influenza sinistra nel rea- lismo. — In che consista il perfetto realismo. — Si critica il principio fondamentale di Cartesio colla scorta della formola ideale. — Di Benedetto Spinoza. — Tre epoche della filosofia te- desca. — L’ontologismo dei panteisti tedeschi è solo apparente. — Critica del loro sistema. — Vizi del panteismo in generale. — Convenienze del panteismo coll' eterodossia religiosa, e in ispecie colle opinioni ilei protestanti, c con quelle degli Ebrei, dopo la divina abrogazione del loro culto. 1 44» prima.. II. 4. 9. 0. 7. 8. 9. 10. 11 . 12. 13. 11 . 19. 10. Le sensazioni sono segni delle cose. Passo del Leibniz sul nesso del pensiero colla parola. 279 Sulla base ontologica della veracità. 281 Indivisibilità morale ilei Papa c della Chiesa. 282 Sullamutabilitàdelvero,secondoi panteisti. 283 Sulla universalità logica dell’errore. 285 Passo dello Spinoza sull’ ontologismo. 283 Passo del sig. Cousin sul psicologismo del Descartes. 28(1 Giudizio del Leibniz su Cartesio c sulla sua dottrina. 287 Del valore del Descartes nelle scienze fisiche. 28S Parere di Cartesio sulla speculativa dei matematici. 292 Passo del Mcujot su Cartesio. Ih. Dei furti letterari del Descartes. 293 Esame dello scetticismo cartesiano. 293 Passo dell' Aucillon sullo stile del Descartes. 29!) Della presunzione e dell’ arroganza del Descartes. 300 NOTE. 277 Digitized by Google   478 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 23. 26. 27- 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 33. 36. 37. 38. 39. 40. 41. TAVOLA E SOMMARIO. ^ Sopra una sentenza del Vico. .706 A che e (Trito i capi della Riforma scemassero il sovrin- telligibile rivelalo. 307 Che gl’italiani hanno l’ingegno scultorio. Ib. Divario tra i Sociniani e i moderni razionalisti. Ib. Esamedell’opinionediCartesiointornoalsuorogito. 308 Sul IVo di Lutero. 328 Sul circolo vizioso del Descartes. 329 Esame dell’opinione cartesiana, che Iddio possa mu- tare le essenze delle cose. 333 Vera idea della filosofia socratica c platonica. 314 Sulle idee innate del Descartes. 343 Sopra una sentenza del Thomas. 316 Passo del Leibniz sul Cogito di Cartesio. 317 Il secolo attuale continua il precedente. Ib. Passo dello Stewart sulle sciocchezze dei filosofi. 348 Passo del sig. Cousin sugli studi forti. Ib. Sulla religione di Napoleone. 349 Critica di due opinioni del sig. Jouffroy. 331 Il sig. Cousin non conosce il sistema del Malebranche. 361 Quando nacque la filosofia moderna , secondo il sig. Cousin. 366 Dell’ ontologismo cristiano. 367 Vari passi del Malebranche sulla visione ideale. 369 Si esamina la dottrina del Rosmini sulla visione ideale. 377 Capitolo primo. L’ente ideale del Rosmini è insussis- tente, benché non sia subbiellivo. Capitolo secondo. L’ente ideale del Rosmini è obbiet- tivo c assoluto, benché si distingua da Dio. Tassi di san Bonaventura c di Gersonc sulla visione ideale. 444 Medesimezza del concreto c dell’astratto, dell'indivi- dualeedelgeneralenell’ordinedellecoseassolute. 132 Passi del Malebranche e ilei Leibniz sull’ eloquio ideale. •* 433 Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 479 42. Sulla confusione dell’ essere coll’ esistere. 4556 13. / l’asso del Vico sul divario, che corre fra le voci 44. 43. 16. 47. 48. 49. 30. 31. 32. 33. I I essere ed esistere, e sull’ uso improprio, che ne fa il Descartes. tb. Passi del Descartes, in cui questo filosofo sinonimo l ’ essere coll’ esistere. 437 Sulla voce esistenze adoperata nella formula. 439 Sulle nozioni del necessario, del possibile, del con- tingente, e sui principii, che ne derivano. Ib. Della dualità ideale. 462 Passo del Malebranche sulla impossibilità di di- mostrare l’esistenza dei corpi. 463 Sulle convenienze del sistema cartesiano collo Spi- nozisrno. 464 Passo del Leibniz sullo stesso proposito. 468 Sopra due obbiezioni del Paulus contro il sistema dello Spinoza. Ib. Cenno sulle tradizioni panteistiche dei Rabbini. 471 Di una opinione dell' Hegel tolta dal Leibniz.DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. Articolo primo. Preambolo. — La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della filosofia. — Principato universale della prima. — Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. — Della teologia universale. I Articolo secondo. Della malemalica. — La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo- sofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. — Queste due scienze hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella Digifeed by Google   400 TAVOLA E SOMMARIO. forinola. — Della logica in particolare, e delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. — Della pena eterna. 23 Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell' estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. —Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. — Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. — Della sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 461 c perpetua di generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui,nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. — La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56 Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. — Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filo- sofia. 144 Digitized by Google   r 402 TAVOLA E SOMMARIO. CAPITOLO SESTO. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos- sibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. — Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. — L’ ermeneutica Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 463 di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. 1ì>5 CAPITOLO SETTIMO. OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- Digitìzed by Google  404 TAVOLA E SOMMARIO. luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. — Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. — Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. — Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. — Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — ;  Digitized by Google   TAVOLA F. SOMMARIO. 16S Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. — Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popolipoliteisticonservanounareminiscenzadellaunitàideale. — Dell' idolatria : sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. — L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. — Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. — Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. — Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE. Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. 30 380 Digitized by Google   ICO 4. 8. G. 7. 8. 9. 10. 11. 13. 13. 14. 18. 16. r* i* p £ 2L. 22. 23. 24. 28. 2G. 37. 28. TAVOLA E SOMMARIO. Della importanza, che la religione dà alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430 Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 467 L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4SI 4SS AMDELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. Articolo primo. Preambolo. — La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della filosofia. — Principato universale della prima. — Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. — Della teologia universale. I Articolo secondo. Della malemalica. — La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo- sofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. — Queste due scienze hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella Digifeed by Google   400 TAVOLA E SOMMARIO. forinola. — Della logica in particolare, e delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. — Della pena eterna. 23 Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell' estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. —Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. — Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. — Della sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 461 c perpetua di generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui,nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. — La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56 Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. — Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filo- sofia. 144 Digitized by Google   r 402 TAVOLA E SOMMARIO. CAPITOLO SESTO. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos- sibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. — Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. — L’ ermeneutica Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 463 di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. 1ì>5 CAPITOLO SETTIMO. OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- Digitìzed by Google  404 TAVOLA E SOMMARIO. luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. — Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. — Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. — Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. — Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — ;  Digitized by Google   TAVOLA F. SOMMARIO. 16S Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. — Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popolipoliteisticonservanounareminiscenzadellaunitàideale. — Dell' idolatria : sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. — L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. — Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. — Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. — Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE. Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. 30 380 Digitized by Google   ICO 4. 8. G. 7. 8. 9. 10. 11. 13. 13. 14. 18. 16. r* i* p £ 2L. 22. 23. 24. 28. 2G. 37. 28. TAVOLA E SOMMARIO. Della importanza, che la religione dà alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430 Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 467 L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4SI 4SS AMDELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. Articolo primo. Preambolo. — La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della filosofia. — Principato universale della prima. — Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. — Della teologia universale. I Articolo secondo. Della malemalica. — La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo- sofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. — Queste due scienze hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella Digifeed by Google   400 TAVOLA E SOMMARIO. forinola. — Della logica in particolare, e delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. — Della pena eterna. 23 Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell' estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. —Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. — Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. — Della sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 461 c perpetua di generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui,nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. — La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56 Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. — Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filo- sofia. 144 Digitized by Google   r 402 TAVOLA E SOMMARIO. CAPITOLO SESTO. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos- sibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. — Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. — L’ ermeneutica Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 463 di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. 1ì>5 CAPITOLO SETTIMO. OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- Digitìzed by Google  404 TAVOLA E SOMMARIO. luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. — Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. — Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. — Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. — Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — ;  Digitized by Google   TAVOLA F. SOMMARIO. 16S Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. — Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popolipoliteisticonservanounareminiscenzadellaunitàideale. — Dell' idolatria : sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. — L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. — Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. — Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. — Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE. Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. 30 380 Digitized by Google   ICO 4. 8. G. 7. 8. 9. 10. 11. 13. 13. 14. 18. 16. r* i* p £ 2L. 22. 23. 24. 28. 2G. 37. 28. TAVOLA E SOMMARIO. Della importanza, che la religione dà alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430 Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 467 L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4SI 4SS AMDELLE CONVENIENZE DELLA FORIOLA IDEALE COLLA RELIGIONE RIVELATA. Scusa dell’ autore. — Il sovrintelligibile e il sovrannaturale sono i due perni della religione. — Analisi del primo. — Si escludono le false origini, che si possono assegnare al concetto, che Io rap- presenta. — Della sovrintelligenza. — In che consista la natura speciale di questa facolti. — Sua analogia coll’istinto. — Del sen- timento, che l’uomo ha delle sue potenze non esplicate. — Defi- nizione delia sovrintelligenza. — Come il concetto negativo del sovrintelligibile nasca da questa facoltà. — Obbiettività del so- vrintelligibile ; adombrata dalla filosofia orientale. — Analogia del sovrintelligibile col numeno di Emanuele Kant : sbaglio del criticismo. — Dei sovrintelligibili naturali. — Attinenze del so- vrintelligibile cogl’ intelligibili. — Come il sovrintelligibile debba essere riconosciuto e rispettato dalla filosofia. — Dei sovrintelli- gibili rivelati. — Loro importanza, e armonia coi dogmi razio- nali. — I sovrintelligibili della rivelazione hanno un margine indeterminato. — Del sovrannaturale. — In che consista, e sue attinenze colla formula. — Connessione del suo concetto colla magia dei popoli pagani. — Varie spezie di sovrannaturale. — Necessità dell’ idea di sovrannaturale per la filosofia della storia : sua importanza per la filosofia in genere. — Il sovrannaturale appartiene al secondo ciclo creativo : sue relazioni con esso. — Dimostrazione a priori della realtà dell' ordine sovrannaturale. — L’ alterazione di quest' ordine costituisce il regresso. — Della   484 TAVOLA E SOMMARIO. forinola sovrannaturale : sua corrispondenza colla razionale. — Del ciclo cristiano : sua risoluzione. — Della Chiesa ; com' ella sia il perno dell’ incivilimento. — Del sincretismo delle sette cris- tiane eterodosse, e della idolatria rinnovala per opera loro. — Confutazione di un passo del sig. Guizot sull’ unità religiosa. — Della superstizione : in che consista. — Del processo a priori della fede cattolica. — Due cicli rivelativi corrispondenti ai due cicli creativi. — Necessità della fede per ben filosofare. — La fede sola colloca l’uomo nel suo stato naturale. —Ragionevolezza della disciplina cattolica. — L’ educazione ideale è impossibile fuori di essa. — Lo scetticismo esclude la vera grandezza, anche umana, dell’ ingegno. — La fede è libera, e in ciò consiste il suo merito.—Tredotidellafedecattolica, utilissimeall'uomoeal filosofo. — Efficacia di questa virtù, per avvalorare l' ingegno on- tologico. — Quanto all’ abito ontologico conferisca la credenza del sovrannaturale. — Tutte le virtù teologali influiscono profit- tevolmente nell’ uomo pensante e operatore. — Della vera misti- cità, e sue differenze dalla falsa. — Empietà dell’ autonomia razionale. — Necessità della fede per la conservazione dei princi- pii ideali. — L’ incredulità moderna è la cagione precipua della debolezza degli animi c degl’ingegni. — Utilità dei misteri in genere per l’abito filosofico. — Si considerano, per questo ris- petto, alcuni misteri in particolare. — Della predestinazione, e della eternità delle pene. — Della inviolabilità scientifica della teologia. — Di certi novellini teologi, e della temerità loro. — L’invenzione nelle cose ideali è impossibile. — Della giovinezza perpetua del Cristianesimo cattolico. — Di una certa classe di gementi, che credono morta o moriente la religione : si combat- tono i loro timori. — Della larghezza dell’ Idea cattolica : sua utilità per le scienze in generale. — Necessità della filosofia per far fiorire la teologia, come scienza — La teologia e la filosofia hanno bisogno l’una dell’altra. — Delle cagioni, per cui la teo- logia cattolica c scaduta dal suo antico splendore. — Il clero cat- tolico dee essere un concilio di sapienti. — Dee coltivare special- mente le scienze filosofiche. — Dell’ acroamatismo ieratico, ch'egli si dee proporre. — I laici, che coltivano la filosofia, debbono Digitized by Google   TAVOLA E SOMMARIO. 435 incominciare una nuova era razionale, sotto la sovranità intellet- tiva della Chiesa. — La filosofia eterodossa, che regnò finora, è morta per sempre. — Si concbiude il capitolo e il primo libro, esortando gl' Italiani a intraprendere l’ instaurazione delle scienze speculative. 2. 5. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 1S. 13. Sulla voce essenza. 15I Del sovrintelligibile presso i filosofi eterodossi. 161 Attinenze del sovrannaturale col sovrintelligibile. 16£ Del sovrannaturale iniziale c finale del Cristianesimo. 16i Del sovrannaturale transitorio o continuo. 1615 Su alcuni passi del sig. Guizot. 166 Sopra un cenno teologico del sig. Nisard. 175 Sul fatto morale della giustificazione. 174 Sulle varie epoche filosofiche della storia. 176 Delle idee pure. 178 Sul valore teologico dei razionalisti tedeschi. 179 Il decadimento della filosofia prova la verità del cat- tolicismo.Grice: “Italians find it harder than the Germans to conceal their nationalism. Hegel is studied everywhere, but Gioberti is felt to be TOO Italian, and he is. There are not two sentences in Gioberti that do not mention Italy! Hegel could philosophise on being (the absolute being is the King of Prussia) – but philosophers elsewhere took his remarks in a generalized way, not a German way. Unlike with Gioberti, who cannot hide his ‘italianita’. The fact that Mussolini wrote on him did not help. And that, along with Gentile, and the Italian mainstream intelligentsia, the Italian risorgimento is only a stone’s throw away from Fascism!” Grice: “Lorenzo Giusso, whom I like, wrote a bio of Gioberti which I thought the best, it’s in Vita e Pensiero, and in the series, “UOMINI DEL RISORGIMENTO” Gives him sense!” -- Vincenzo Gioberti. Gioberti. Keywords: del bello, estetico, il bello, metessi, implicatura metessica – mimesi – Plato on mimesis and metexis, protologia, ontologismo, statua all’aperto, Milano – nella serie uomini del risorgimento, bruno, gentile. -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Gioberti," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757919514/in/datetaken/

 

Grice e Gioia – filosofia ad uso de’ giovanetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Piacenza). Filosofo. Grice: “I joked with the maxim, ‘be polite’ – surely it’s difficult to make that universalisable into the conversational categoric imperative (‘be helpful conversationally) – but apparently Italians are less Kantian than I thought!” -- Grice: “I love Gioia; he is like me, an economist when it comes to pragmatics – see my principle of ECONOMY of rational effort; I studied thoroughly his fascinating account about the origin of language, before I ventured with my pritological progressions!” Dopo gli studi nel Collegio Alberoni veste l'abito talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero tutt'altro che ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo di JBentham, dell'empirismo di  Locke e del sensismo di Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di Giansenio.  Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni politiche. Vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d'Italia", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua dissertazione, in cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni democratiche e basata su comuni elementi geografici, linguistici, storici e culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle presentate, l'unità italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che in quel periodo occupano il nord Italia. La notizia del premio ricevuto gli giunge però in carcere. Nel frattempo è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Viene scarcerato grazie, forse, alle pressioni di Bonaparte, e ripara a Milano. Il Trattato di Campoformio, con la cessione di Venezia ad Austria da parte della Francia in cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina, lo spinge però ben presto a diventare oppositore della Francia.  Dopo aver rinunciato al sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fonda "Il Giornale filosofico politico", stroncato dalla rigida censura austriaca per le posizioni sempre più apertamente patriottiche che Gioja vi sostiene. Dalle colonne del "Giornale Filosofico Politico" scrive una lettera aperta al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui denuncia i danni patiti in carcere. Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi Ligure e Gioia viene arrestato nuovamente dagli austriaci, per essere scarcerato in seguito alla vittoria francese a Marengo. Viene nominato storiografo della Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica "Sul commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto", ispirato dai tumulti per il rincaro del pane, e "Il Nuovo Galateo". Viene rimosso dalla carica per le polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo trattato "Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause, nuova maniera d'organizzarla"  L'apprezzamento per i suoi solidi e realistici studi di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente rivolti il suo interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina alla direzione del nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una febbrile attività fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici, raffronti demografici, causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione dall'incarico. Tale attività gli rese uno dei primi studiosi ad applicare i concetti di Statistica alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio per le tasse, gabelle, e così via). Grazie alle sue conoscenze statistiche ed economiche elabora concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno il precursore del moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del danno alla persona con una concezione che supera la questione patrimoniale.  Notissima in medicina legale la sua regola del calzolaio, che anticipa il concetto di riduzione della capacità lavorativa specifica:  "...un calzolaio, per esempio, eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli restano di vita, meno i giorni festivi..".  E ancora, seppur meno noti, concetti come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze industri, considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere riguardata come Mezzo di sussistenza Mezzo di godimento Mezzo di bellezza Mezzo di difesa   Filosofia della Statistica (libro originale) “Rendendo paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi".  Si tratta di principi rivoluzionari per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che deriva dalla sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni rivoluzionarie; è il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una sorta di macchina che produce reddito, ma anche un soggetto che attraverso il lavoro realizza la propria personalità. In Italia oltre un secolo e mezzo dopo, negli anni ’80 del novecento, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento del risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico. Sul filone di queste tematiche gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e assicuratori.  Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella storia dei Galatei, il "Nuovo Galateo" di Gioja fu scritto per contribuire alla civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo conosce ben tre edizioni. La prima si sofferma in particolar modo sulla definizione laica di "pulitezza" – cf. Grice, ‘be polite’ -- intesa come ramo della civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi. È divisa in tre parti: "Pulitezza dell'uomo privato", "Pulitezza dell'uomo cittadino", "Pulitezza dell'uomo di mondo".  Nella seconda edizione, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza" come l'arte di modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da procurarsi l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è sostituita da: "Pulitezza Generale", "Pulitezza Particolare", "Pulitezza Speciale". Nella terza edizione risale, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del concetto di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento etico del galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone maniere. Fu membro della Loggia massonica "Reale Amalia Agusta" di Brescia, che prese il nome dalla moglie del principe Eugenio di Beauharnais, primo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia. A lui è intestata la loggia N. 1114 di Piacenza all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Crollato il dominio napoleonica, Gioja produce le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze economiche”; il trattato "Del Merito e delle Ricompense"; "Sulle manifatture nazionali"; "L'ideologia". Gli ultimi tre libri vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è interrotto da un nuovo arresto per aver cospirato contro l'Austria partecipando alla setta carbonara dei "Federati".  Dopo quest'ultima peripezia, nonostante i sospetti da parte del governo austriaco, ha finalmente davanti a sé qualche anno di serenità e compone la sua ultima opera, "La filosofia della statistica.” Nel cimitero della Mojazza fra tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre Gioia. Prende il suo nome il Liceo Classico di Piacenza. Rosmini, suo avversario in politica come in religione, lo accusò di pretendere di proporre un codice morale, fondato su principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura richiedeva sussidi e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le benemerenze nelle proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiara pubblicamente un "ciarlatano". Altre opera: Del merito e delle ricompense,  2, Filadelfia, s.n., Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici, Nuovo Galateo, Il Nuovo prospetto delle scienze economiche, Distribuzione delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, Melchiorre Gioia, Produzione delle ricchezze,  2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, Melchiorre Gioia, Azione governativa sulla produzione, distribuzione, consumo delle ricchezze,  2, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, Sulle manifatture nazionali,  Dell'ingiuria, dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili. L’Ideologia. Filosofia della statistica. Note: Francesca Sofia nel Dizionario Biografico degli Italiani.  Ettore Rota nella Enciclopedia Italiana, Cfr. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di Napoleone in Rassegna storica del Risorgimento, Fonte: Francesca Sofia, Dizionario Biografico degli Italiani, rTreccani L'Enciclopedia Italiana, riferimenti in.  Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori,Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche, Antonio Saltini, Maria Teresa Salomoni, Stefano Rossi, Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica strada consolare, Il Sole, Barucci, Il pensiero economico di Gioia, Milano, Giuffre, Manlio Paganella, Alle origini dell'unità d'Italia: il progetto politico-costituzionale di Gioia, Milano, Ares,Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Nicola Pionetti, Melchiorre Gioia: il progetto politico per un'Italia unita e repubblicana, Piacenza, EdizioniLir,. Luisa Tasca, Galatei. Buone maniere e cultura borghese nell'Italia dell'Ottocento, Firenze, Le Lettere, Gioia (metropolitana di Milano). Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  MEnciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.  Melchiorre Gioia, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  fare alcun cangiamentosenza indebolirla. Egli previene così i suoi lettori contro ogni idea di riforma, e svolge nel loro avimo un timor macchinale cootro ogoi innovazione delle leggi. In generale tutte le metafore, i paragoni, le parziali analogie,lesomiglianze superficiali non possono far breccia che nell'animo del volgo;agli occhi del filosofo i paragoni non sono ragioni; essi possono schiarire una proposizione , provarla mai. CAPO VII. Parlare. Abbiamo veduto che le macchine sono utili e necessarie al chimico, i telescopiall'astronomo, i disegni al meccanico, le figure al geometra. Le parole sono forse egualmente utili, egualmente necessarie all'esercizio del pensiero? Tre oggetti simili mi si presentano facilmente allo spi rito, dice Condillac; se passo al quarto, sono obbligato, per maggior facilità, d'immaginare due oggetti da una parte, due dall'altra ; se voglio fissarne sei, fa duopo che li distribuisca due a due, o tre a tre; crescendo questi oggetti, la mia vista si confonde, io non posso più numerarli.Al contrario, se dopo d'averne considerato uno gli unisco un altro, e a questa unione appongo il nome due; se a questi aggiungo un terzo,ed allanuova unione appongo ilnome tre,ecosi di seguito, caratterizzando con parole distinte ogni aumento progressivo d'unità, arriverò ad annoverare moltissimi oggetti facilmente. Alla stessa maniera,se ogoi volta che voglio pensare ad una persona,sono costretto a richiamarmi ad una ad una tutte le sue qualità, onde non confonderla con un'altra ,  Le note tracciate sulle carte di musica rappresentano i suoni che si eseguiscono daglistrumenti; le parole pronun ciate o scritte rappresentano le idee che si piagono bel l'animo. 1   mi troverò nel massimo imbarazzo.Siano,a cagione d'esem pio,come segue,lequalitàd'una persona: Fisiche= Sessomaschile,anni20,capellibiondi, fronte alta, cigli biondi, occhi neri, naso lungo, bocca grande, meoto prominente,marca nera sulla guancia destra, mano sinistra storpia,piede destro zoppo,linguaggio balbettante, accento francese. Morali= Melanconia,dissolutezza,mancanzaallepro messe, viltà,abitudine alla menzogoa, jocostanza .... Civili= Patria,Rodez inFrancia,condizione,awmo gliato, professione, possidente... Se la mia attenzione deve afferrare tutte queste idee alla volta, si troverà insufficiente al bisogno; molto maggiore si farà la difficoltà, se per pensare nel tempo stesso ad altra persona , sono costretto a schierarmi avanti alla mente con egual melodo tutte le qualità che la caratterizzano. Se al contrario chiamo la prima Pietro, la seconda Paolo , potrò facilmente richiamarmi l'una e l'altra, distinguerle tra di loro, paragonar!e insieme.... Queste parole sono poi ancora più necessarie,allorchè si vogliono esprimere le qualità comuni a molti oggetti, a cagiode d'esempio, le qualità che si trovano in tutti gli u o miniod intuttiglianimali,ilchecostituisceleideeastratte, come sidissedisopra,ovveroallorchèsivoglionoesprimere gli oggetti creati dalla nostra mente, come le idee di gloria, d'iofamia , di virtù, di vizio ... Sebbene quando pronuncio le parole uomo , animale. non mi si schiarino alla mente tutte le idee elementari che bo unito a queste parole , cionnonostante ne veggo il  140 TEORIA DELLA SENSAZIONE porto, ne seolo le differenze, ne scorgo le somiglianze, alla stessa'maniera che sebbene pronunciando i numeri 100,000 e 10,000 non vegga le unità che li compongono , so però che l'uoo sta all'altro come 100 a 10, ovvero come to a 1, e conoscendo la maniera con cui questi dumeri sono stati formali,posso,ogni voltache voglio,separarne lemaggiori masse , scendere alle minori , per arrivare alle minime e fi. palmente agli elementi.Supponete che per isbaglio qualcuno invece di dire che 1000 è decuplo di100 ,dica che 100 ė decuplo di 1000 ; ben tosto l'abitudine chenoi abbiamo acquistata d'attribuire a queste parole certe relazioni tra di esse,agisce sulloro suono, e cifa scorgere all'istante l'as surdità dell'accennata proposizione. Il linguaggio si è per rap   141 noi come quelle traccie che il piede del viaggiatore imprime sull'arena di un vasto deserto, le quali lo guidano, quand'egli voglia,al punto doode parti. Le parole che nella loro origine eranonomi propri, diveonero insensibimente nomi appellativi. Può in conse guenza accadere in forza delle associazioni ideali e sentimen taliche uo nome generalerichiami uno degli individui ai quali s'applica. Ma lungi che ciò sia necessario alla forza del raziocinio, è sempre una circostanza che tende ad illu derci.Si può paragonare uno spirito che ragiooa ad un giu d i c e c h e d e v e d e c i d e r e t r a c o n t e n d e n t i. S e i l g i u d i c e n o n conosce se non le loro relazioni al processo,s' egli ignora i loro pomi , s'egli li designa per lettere dell'alfabeto o pe’no mi fittizidiTizio,Cajo,Sempronio,eglièquasinecessaria mente imparziale.Cosi in una serie di ragiopanenti noi cor riamo medo rischio diviolare le regole della logica,allorchè la nostra attenzione si fissa sui semplici segni,e quando l'im maginazione, presentandoci oggetti individuali, non esercita sulnostro giudizio la sua influenza e non viene a sedurci con accidentali associaziooi. Le parole facilitano vie maggiormente l'esercizio del pen siero, 1.° Quando il loro suono imita il suono della cosa espressa , come sono le parole belato, cigolio,scricchiolare. Anche le parole tracotante, orgoglioso, baldanzoso .... colle vocali piese rinfiancate dalle acconce consonanti,e colla moltiplicità delle sillabe spirano una cerla audacia di suono analoga all'indole dell'oggelto che esprimono ; 2.° Quando accennano l'uso o la proprietà della cosa indicata; cosi Fieberrinde o scorza della febbre nel linguag gio tedesco, che accenna l'uso e laproprielà di questo ve getabile , é preferibile alla parola Quin-quina. Per la stessa r a g i o n e l e p a r o l e c u i il n u o v o s t i l e i n d i c a v a i m e s i n e l l ' a n n o , avevano più pregi che quelle dell'antico: fiorile ossia il mese d e ' f i o r i, v e n d e m m i a t o r e o s s i a il m e s e d e l l a v e n d e m m i a , e r a n o nomi ben più espressivi che maggio e oltobre.... ATTENZIONE ERAZIOCINIO.  Al contrario, allorchè si dà il nome di Pino del Nord al'alberoprezioso chetuttelenazionimarittimeriguardano come migliore per le alberature , si fa supporre che questi bei pininon possono crescere s e donne'climi glaciali, mentre trovansi nella Lituania,in altre provincie più meri dionali, in quelle stesse i cui fiumi corrono verso il Mar Nero.   La parola Gallo d'India rammentando che questo ani male è natio d'America, fu ignolo ai Romani , venne uel l'Europa oel 16.° secolo, è per più titoli preferibile all'insi gnificante parola pollo. Coquetterie infrancese(civetteria)rappresentaalvivo ilcarattere d'una donna galante, che tiene a bada mille amanti,a guisa d’no gallo che vezzeggia cento galline ad un tempo (1). Al contrario allorchè gli antichi chimici ci parlavano del fegalo di zolfo, del butirro d antimonio dei fiori di zinco .... spingevano il pensiero sopra immagini non applicabili agli oggettiche volevano iudicare; 3.° Quando le parole serbano tra di esse un cerlo rap porto costante,come leparole quaranta,cinquanta, sessan ta,sellanta,Ollanta,novanta,ciascuna dellequaliavendo la stessa desinenza , è formata dalla moltiplicazione del fat. comune dieci, ne'numeri naturali quattro, cinque, sei....dello stesso ordine progressivo de numeri nalurali. Siano i nomi delle nuove misure Myriametro uoilà di Kilometro unità di Ectometro unità di (2) L'influenza del linguaggio sulle operazioni del pensiero si scorge sulla nazione chinese ; la quale , a fronte delle altre incivilite,  142 TEORIA DELLA SENSAZIONE 0.01 di metro Centimetro unità di 0.001 di metro Si vede che dalla massima alla minima misura v'è una pro. gressione decrescente che segue la stessa legge, di modo che essendo data una di esse, si possooo ritrovare le prece deotie lesusseguenti.Alcontrarioleantichemisuredipo sla,lega,lesa,pertica,passogeometrico,passo ordinario, braccio,auna,piede,pollice,linea,punto....non es sendocrescentio decrescentinellastessaproporzione,D00 aveodo tra di esse rapportocomune, confondono la m e m o ria ( V. p. 80 , 81 ), e colla notizia d'una di esse non si può giungere alla cognizione d'alcun'altra;dicasi lo stesso dellealtremisure ede'pesi puovi ed antichi,calcolati iprimi in ragione decupla e costante, i secondi senza nessuna ra gione graduata e regolare (2). (1) Cesarolti. tore Decimetro unità di 0.1 di metro Metro upità di 10 metri 10,000 metri 1,000 metri Decametro 100 metri unità di   ATTENZIONE E RAZIOCINIO. 143 diritla,ne avrò ildoppio in questa.Dimando qual è il u nunero de'gettoni che avevo da principio in ciascuoa 6 mano? « Qui si banno due condizioni note, o , per parlare « come i malematici, due dati; l'uno, che se fo passare 6 un gellone dalla diritta alla sinistra , ne avrò egual o u u mero in ambe le mani ; l'altro che se lo fo passare dalla « sinistra alla diritta, ne avrò il doppio in questa. Ora roi «vedete,che,s'eglièpossibiletrovareilnumero ch'iovi u dimando , ciò non può farsi, se non osservando le rela « zioni che haono i dati fra loro; e comprendete che tali « relazioni saranno più o meno sensibili, secondo che i dali « saranno espressi in un modo più o meno semplice. quan u do le si toglie un gellone , è eguale a quello che avete u nella sinistra, quando a lei se ne aggiunge uno , esprime « reste il primo dato con molte parole. Dite dunque più ubrevemente:ilnumero dellavostradestra,scemalod'una unità,è uguale a quello della sinistrapiù un'unilà;ov « vero:ilnumero della destra meno un'unità è uguale a si può dire quasi barbara, sottomessa ai pregiudizi più assurdi, sta zionaria da più secoli,altesa l'imperfezione della sua lingua.Mentre le nostre liogue d'occidente e le più belle d'oriente riproducono lulle leparole con un solo numero di lettere diversamente combinate , nella lingua chinese, quasi ciascuna parola ha il suo segno partico lare; lo studio della scrittura esige quindi un tempo infinito. L'in certezza e l'indeterminazione del senso delle parole passando a vi cenda dal linguaggio orale alla scrittura,dalla scrittura al linguaggio orale, producono una confusione da cui i più dotii possono appena schermirsi colla più grande fatica.Egli è evidente che siffattalingua non è buona che a perpetuare l'infanzia d'un popolo , desaligando seoza 'frutto le forze degli spiriti più distinti, ed offuscando nella loro sorgente ipriini Jampi della ragione. Gioja. Elein, di filosofia. « Se voi diceste : il numero che avete nella destra  4. Acciò il discorso faciliti l'esempio del pensiero,è necessario che sia minimo il numero delle parole,invariabile l'oggetto indicato,precisata, ovunque è possibile, la quantità · trarrò l'esempio da Condillac: isAvendode'gelloninellemiemani,senefo passar « uno dalla mano dirilla alla sinistra, ne avrò tanti nell'una « quanti nell'altra; e se nefo passar uno dalla sinistra alla « Non si tratta d’indovinare codesto qumero , facendo « delle supposizioni ; bisogna trovarlo ragionando e passando « dal cognito all'incognito per uoa serie di giudizi. 11   quello della sinistra più un'unità ; o infine ancor più bre «vemevle:ladestraweno unoegualeallasinistrapiùuno. pio in questa. Dunque il numero della mia sinistra sce malo d'una unità è la metà di quello della destra accre « sciuto d'una unità; e per conseguenza esprimerete il se « condo dato dicendo : il numero della vostra mano diritta « accresciuto d'una unità è uguale a due volte quello della 6 vostra sioistra scemato d'una unità. « Tradurrete questa espressione in un'altra più sem “ plice , se direte : la destra accresciuta d'un'unità è uguale « a due sinistre scemate ciascuna d'uu’unità ; e giungerele “ a questa espressione la più semplice di tutte : la dirilla « più uno uguale a due sinistre meno due. Ecco dunque le « espressioni, alle quali abbiamo ridotti i dati : u Questa sorta d'espressioni chiamasi equazioni in m a «tematica.Sono compostediduemembriuguali.Ladirilla u m e n o u n o è il p r i m o m e m b r o d e l l a p r i m a e q u a z i o n e : l a « sinistra più uno, il secondo. « Le quantità incognite sono inescolate alle cognite in 6 ciascuno di questi membri. Le cogoite sono meno uno più uno , meno due : le incognite sono la diritla e la sini “ sira, coo cui espriaiete idue numeri che andate cercando. « Finchè le cognite e le incognite sono cosi mescolate w in ogni membro delle equazioni,non è possibile risolvere u ilproblema.Ma nou v'è bisogno d'un grande sforzo du « riflessione per osservare, che se vba un mezzo di traspor “ tare lequantità d'un membro all'altro, senza alterare « l'eguaglianza che passa tra loro, possiano , bon lasciando « in un membro che una sola delle due incogaite; sepa “ l'arla dalle cognite, colle quali è mescolala. Questo mezzo si preseula da sè stesso; perchè se la « diritlameno uno è uguale alla sinistra più uno, duoque  144 TEORIA DELLA SENSAZIONE « Per tal guisa di traduzione in traduzione arriviamo « alla più semplice espressione del primo dato. Ora quanto « più abbreviarete il vostro discorso, più si ravvicioeranno « le vostre idee,e quanto più saraono vicine, più vi sarà « facile di conoscere tutte le loro relazioni. Ci resla a tral * tare il secondo dato come il primo , e bisogna tradurlo u nella più semplice espressione. « Per la seconda condizione del problema, s’io fo pas “ sare un geltone dalla sioistra alla diritta, ne avrò il dop « La diritta meno uno uguale alla sinistra più uno. « La dirilta più uno uguale a due sioislre meno due.   ATTENZIONE E 'RAZIOCINIO. 145 « La diritta uguale alla sinistra più due. « La diritta uguale a due sinistre meno tre. « li primo membro di queste due equazioni è laslessa quantità; la dirilta; e vedete che conoscerete questa quan lità, quando conoscerete il valore del secondo membro e dell'altra equazione. Ma ilsecoodo membro « della prima è uguale al secondo della seconda , poiché « sono uguali l'uno é o altro alla stessa quantità espressa “ dalla dritta; duoque potete formare questa terza equa u ziove: « La sinistra più due uguale a due sinistre meno tre. « Due più tre uguale a due sinistre meno una sinistra. « Due più treuguale ad una sinistra. “ Cinque ugualead una sinistra. « Il problema è sciolto. Avete scoperto che il numero de'geltooi che ho nella mano sinistraè cioque.Nelle equa u zioni , la diritta uguale alla sinistra più due , la diritla uguale a due sinistre meno tre, troverete che sette è il nu 6 Inero chc ho vella diritta. Ora questi due numeri cioque 6 e sette,soddisfanno alle coodizioni del problema. quando un problema è così facile,come quello scioltopur 6 ora, essa ne abbisogna maggiormeote, quando iproblemi  66 65 56 dell'una « la diritla jolera sarà uguale alla sinistra più due: e se la “dirittapiùunoèugualeadue sinistremeno due,dun « que la diritta sola sarà uguale a due sinistre meno tre: « Sostituirete dunque alle due prime le due seguenti equa zioni. 6.Allora non vi resta che una incognita, la sinistra, e a ne conoscerele il valore , quando l'avrete separata, vale a » dire,falte passare tutte lecogoite dalla stessa parte. Di - rete dunque Voi vedete sensibilmente in queslo esempio come la asemplicitàdelle espressionifacilitailraciocinio,ecom ú prevdele che se l'analisi ha bisogno di tal linguaggio sono complicati. Così il vantaggio dell'analisi nelle male 6 m a t i c h e n a s c e u n i c a m e n t e d a l p a r l a r e s s e il l i n g u a g g i o p i ù “ semplice.Una leggiera idea dell'algebra basterà per farlo 6 ipleadere » (1). (1) « In questa lingua non si ha bisogno di parole. Il più si «esprimecolseguoto,ilmeno cou--;iuguaglianzacon « siindicaou le quantitá con lellere o citre:Ý , per es.,sarà ilnu 6 mero de'geltoni che ho nella destra, e Y quello della sinistra. e   Non sarà fuoridi proposito l'osservare che non alla sola semplicità del linguaggio, come pretende Coodillac , sonodebitricidellaloroperfezionelematematiche,ma anche 1.o alla prudenza de'loro seguaci, la quale consiste nel rite nersi nei limiti delle sensazioni e loro rapporti; 2. all'inva riabilitàde’rapportitraglioggettidaessichiamatiad esa m e ; 3.o alla possibilità di sottomettere le loro conclusioni alle verificazioni de'sepsi e degli strumenti. Cominciamo dal 1.°:esistono degli oggetti estesi;ecco la sensazione: glioggetti estesi possono misurarsi gli uni per gli altri; ecco l'osservazione che produce la geometria. L'es. senza dell'estensione, gli elementi che la compongono, s o n o indagini che i matematici abbandonano agli oziosi metafisici, e quindi non si espongono ai loro errori. Dite lo stesso delle altre quantità esaminate dai matematici. a « Cosi X – 1 = Y to 1, significa che il numero de'gettoni che ho « nella destra, scemato d'un'unità è uguale a quelloche ho nella asinistra,accresciutod'un'unità,e X41 =2Y -2,significache « ilnumero della mia destra accresciuto d'un'unità è uguale due volte a quello della mia sinistra diminuito di due vuità.Ï due dati « del nostro ploblema sono dunque rinchiusi in queste equazioni: 5Y •FinalmentedaX = Y+ 2,caviamoX = 5 to 2= X = 2 Y - capiamo egnalıneote X = 10  146 TEORIA DELLA SENSAZIONE 2. « X fo 1 = 2 Y - 2 che diventano, separando l'incogoitadel primo membro “Y +2= 2Y - 3 a che diventano successivamente 9 6X uX 2.Y -3 « De'due ultimi menibri di queste equazioni facciamo 662 2Y "2*3=2Y-Y “2of3= Y lamatematicanonvisonocircolipiùomeno ro tondi, linee più o meno perpendicolari,superficie più o meno quadrate , la misura di tutti i triangoli è uguale alla base moltiplicata per la metà dell'altezza....E quando un rapporto come quello del diametro alla circonferenza, cagiond'esempio,nonpuòessereespressoconesattezza i matematici continuano ad essereesatii,additando la quan tità relativa all'uso che se ne debbe fare, e che i seosi più 6X – 1 = Y to 1 66 Y+2 0 7;cda 3   ATTENZIONE E RAZIOCINIO. 147 fini non potrebbero additare con precisione maggiore.I m a tematici non dicono,ilcircolo sirassomiglia al triangolo come un oratore dirà, l'uomo si rassomiglia al lione, e sarà costretto a lunga circonlocuzione per fissare la specie di ras somiglianza ch'egli annunzia, CAPO VIII. Allasorpresadeve succedereinciascunolapersuasione divedereun essereinteramentesimilealui,essendosimili le forme e i moti esteriori (pag. 25 , 26 ). Infatti meolre it selvaggio A,acagioned'esempio,staccaun frattodalvi cino albero, il selvaggio B , che si ricorda d'avere fatto più vollelostesso,spintodallafame,conchiudecheA èmosso (1) I tre antecedenti riflessi dimostrano falsal'asserzionedi Con dillac, cioè che « le matematiche non bando sulle altre scienze altro «'vantaggio che di possedere una migliore lingua,e che si procure “ rebbe a queste uguale simplicità e certezza , se si sapesse dar loro « de'segnisimili».Languedu Calcul,pag 7,8,218.  Continuazione dello stesso argomento. 3.° Le ideematematiche possono essere rese esteriori, cioè visibili, palpabili, misurabili, in una parola sono suscel tibilid'esseregiudicatedai sensiedaglistrumenti.Coll'ajuto delle cifre e delle figure tracciale sulla tavolta,o rappre sentate da corpi solidi,iconcetti matematici compariscono rivestiti di forme visibili per chi ha gli occhi , tangibili per chi ne è privo. L'espressione dei rapporti di quantità è sol tomessa ad una verificazione sensibile, facile, immediata ; n i s s u n o h a f i n o r a o s a t o r i g e t t a r e il g i u d i z i o d ' u n a b i l a n c i a , o sospettare l'imparzialità d'una tesa, o la veracità del gra fomeiro ... (1). 9 1. Cenno sull'origine delle lingue. Colla scorta de'principii esposti nell'antecedente sezione, ci sarà agevole cosa il seguire i filosofi nelle congetture con cui spiegarono l'origine delle lingue. Si suppongano due selvaggi A e B che s'incontrano la prima volta. Il primo sentimento che si svolgerà oel loro animo,sarà lasorpresa sempre figliadella novilà. !   Queste conclusioni si rinforzano in ragione de'movimenti e delle azioni che ciascuno eseguisce, perchè a queste azioni sono associate idee e sentimenti uguali. B inteude dunque le azioni di A , leggeodo nel proprio animo e consultando la propria memoria. A intende le azioni di B per gli stessi motivi ; si può dire che l'uno è specchio all'altro. B accorgendosi che comprende le azioni di A ,conchiude che A comprende le sue. B compresii sentimenti di A ,vedeodogli eseguire certe azioni;eglicercherà di far comprendere isuoi,ripetendo le azionistesse:ecco illinguaggio de'gesti. I sentimenti da comunicarsi o riguardano oggetti esterni presenti o lontani, ovvero riguardano gli interni sensi del l'animo. Allorchè l'oggetto è presente, gli occhi direlti verso di esso,ildito che loaccenna,labacchettachelolocca,il corpo che si slancia verso di esso o se ne allontana , for mano tutto ildizionario della lingua:questi segni possono essere chiamati indicatori. Allorchè si tratta d'oggetti lontani , per esempio , d'un animale che si riuscì ad uccidere, o d'un altro da cui si fu morsi,ilselvaggio ne ripete l'accento,l'urlo,ilgrido,e ne esprime cogli atteggiamenti delle mani, delle braccia, della testa le forme piùrimarchevoli. Questi segni possono essere chiamati imitatori. Il rumore prodotto da un torrente che precipita, da un monte che scoscende, dal vento che fischia,  148 TEORIA DELLA SENSAZIONE da uguale sentimento. A porta alla bocca il frutto e lo m a stica; B rammentando ilpiacere che provò mangiandolo, con chiude che A lo prova ugualmente. Ad improvviso rumore A sospende l'operazione del mangiare, alza il capo immota col guardo fisso dal lato donde proviene il romore ed in attodi chi tende l'orecchio; B colpilo dallo stesso rumore e dagli atti di A , sente sorpresa e timore , e conchiude che A è sorpreso e intimorito.Cessato il rumore, A riprende tranquillamente l'operazione del mangiare; la calma che suc cede nell'animo di B gli dice che A si è calinato. Dopo questa scoperta il bisogno reciproco di comuni. carsi a vicenda i propri sentimenti sembra naturale , perchè è naturale la reciproca debolezza e comuni i pericoli. I due selvaggi intendendosi reciprocamente, possono sperareun ajuto ne'loro bisogni, un sollievo de loro dolori, una difesa contro gli assalti delle beslie feroci,   ATTENZIONE E RAZIOCINIO. 149 I segni indicatori, imitatori, figurati, divengono triplice canale dicomunicazione pe'sentimenti e leidee in forza delle leggi d'associazione. Classificando gli elementi di questo linguaggio secondo la natura de materiali che servono a formarlo, se ne distin gueranno tre specie, i gesti, le parole, la scrittura sim bolica. (1) La storia antica ricorda spesso l'uso de'simboli anche presso nazioni già uscite dalla barbarie e sopratutto pressole nazioni orien tali. Dario essendosi inoltrato nel territorio della Scizia colla sua ar mata,ricevettedalredegliSciti un messo che,senza parlare,gli  daltuonochescoppia. ilcantodegliuccelli,gliaccenti delle passioni sono altretanti suoni che il selvaggio ripete per farneiolendere l'oggetlo ad ogni momento di bisogno,ac compagnandoliperlopiùcoigesti. Se91 Allorché sitratta di esprimere i propri bisogni, i pro pri timori,in somma le affezioni che von simostrano ai sensi, il selvaggio ripete dapprima quelle attitudini del corpo c h e le a c c o m p a g n a n o ; p e r e s e m p i o , B v e d e o d o il l u o g o o v e rimase spaventato , ripeterà i gridi e i moti dello spavento , accidA nonsiespoogaaldaonocuifuespostoeglistesso. Un sordo e muto volendo indicarci,che fu calpestato da un cavallo, esprime dapprima con ambe le mani,il moto preci pitoso de'piedi del cavallo, quindi accenna ilproprio corpo c h e c a d e s u l s u o l o ; p o s c i a r i p e t e il m o t o d e l c a v a l l o , e s c o r r e colle mani le varie parti del corpo nelle quali fu calpestato. Dopo i segni esterni che accompaguano gli affetti, il sel vaggio,aguisade'sordie muti,coglielasomiglianzache scorge tra i sentimeoti dell'animo e le qualità de'corpi esterni, e si serve di queste per indicare quelli; per es., le passioni vive s'assomigliano alla fiamma, il loro contrasto allatempesta,la loro calma a cielo sereno,l'animo dubbioso a due mani che pesano due corpi...; ecco i gesti simbo lici e figurati. La prima specie comprende le azioni e le attitudini del corpo impiegate per imitare le forme e i moti degli oggetti esteriori;la seconda , gli accenti della voce con cui si ripe tono i gridi degli animali, e i suoni che accompagnano il moto degli esseri inanimati ; la terza, la pittura che si farà soventi sulla sabbia , sulla corteccia degli alberi, od altro , sia degli oggetti che si vuole indicare ,sia delle azioni che vi si riferiscono (1).   I suoni della voce altrondee le articolazioni che gli ac compagnano , possono, sia per sè stessi, sia per la loro c o m binazione, presentare colleidee molteanalogie che non col piscono a prima vista, ma che sono facilmente sentite ed avidamente accolte dalle società che si pregiano di dire molte cose nel ininimo tempo, e colla minima fatica possi bile. Il linguaggio articolato dovette dunque arricchirsi di giorno in giorno. L'invenzione delle parole indicatrici de generi e delle specie,impossibile aspiegarsi agiudizio di Rousseau, sem bra facilissima, giacchè se un albero particolare A in dato luogoe tempo fu iodicato colla parola albero, è cosa natu. rale che la stessa parola venisse applicata ad un albero sia m i l e , q u i n d i a d u n t e r z o , a d u n q u a r t o . . . . C o s i c c h è si per mancanza d'altra parola che io forza della legge d'aoa. logia (pag. 24 e 25)il nome proprio dovette divenire no me appellativo. Si giunse finalmente a far uso di segoi affatto arbitrari e vi si giunse in due maniere; dapprima per la degenera zione successiva del linguaggio primitivo e imitatore, poscia per convenzioni espresse. dodicipezziilcadavere,e glispedi alle dodici tribù di I s r a e l e , i n t e n d e n d o c o s i d i r e n d e r e c o m u n e a d e s s e il s u o d o l o r e , e chiamarle alla vendetta. Il suo linguaggio fu inteso e il suo desiderio soddisfatto:la tribù di Beniamino fu sterminata.  150 TEORIA DELLA SENSAZIONR De'gesti non si può fare grande uso nelle tenebre de con persone alquanto distavti;la scritlura simbolica,benchè più perfetta de'gesti e permanente, soggiace agli stessi in convenienti, oltre di essere più difficile: al contrario gli accentidella voce,pronti,facili,variabiliintuttelemaniere, pon tolgono dall'occupazione chi ne fa uso, e lasciano il potere di parlare e diagire; queste ragioni fecero prevalere i suoni articolati. De'dotti laboriosi hanno spiegato come la lingua pri mitiva alterata dal tempo, dallamischianza del popolo, e da diverse altre cause, si trasformò nelle nostre liogue moderne ; presentóun uccello, un sorcio, una rana e cinque freccie; col quale simbolo il re voleva dire che se i Persiani non fuggivano come gli uccelli,nonsinascondevanointerracomeisorci,nonsisommer. gevano nell'acqua come lerane,cadrebberovittimedellefrecciedegli Scili Il Levila d'Efraim volendo vendicare la morte della sua sposa , ne fece   ATTENZIONE E RAZIOCINIO. 151 e come questa alterazione seguendo un corso differente nei differenti paesi, rese le lingue sì dissimili tra di loro. Quanto alle convenzioni che furono fatte,non è neces sario molto schiarimento. Si osservò che le parole non erano segni d'idee e di sentimenti, se non perchè gli uomini ac consentivano a prestar loro lo stesso senso. Allorchè dunque conveone esprimere delle idee nuove, pulla si trovò di più semplice che d'intendersi per scerre loro una parola. Questa convenzione, formata dapprima tra di quelli che avevano più pressante bisogno di designare questa idea, divenne in seguito comune agli altri. Ciascuna arte, ciascuna scieoza presentò le sue parole alla società , e lingue particolari. I segni arbitrari dovettero laloro forzasolamente alla doppia abitudine di quelli che gli impiegano e di quelli a cui si dirigono. S 2. Cause de'diversi sensi associati alle stesse parole. II Queste azioni,questi segni esteriori,che il ragazzo imita, sono uniti (nella mente di quelli che gli servono di m o dello)a deisentimenti;questi sentimentilosonoadalcune idee ; i sentimenti e le idee a suoni articolati. Il ragazzo imita dapprima i movimenti, ripete poscia i suoniarticolatio leparole,acagione d'esempio,padre, madre, vizio, virtù, religione, demonio ....  Il ragazzo non ha bisogno d'inventare i segni artificiali delle idee; egli gli impara soltanto; ciò che per gli antichi fu un lungo sforzodi genio, non è per lui che un esercizio meccanico della memoria . Bentosto il ragazzo deve provare un principio disenti mento , ridendo all'altrui riso, piangendo all'altrui pianto, fremendo all'altrui fremilo ... benchè ne igoori la causa. Ma l'idea,s'ellaesiste,essendosemprelapiùdiffi cile, la più lontana, la meno interessante a conoscersi, il ragazzo èimitatore come lascimia (pag.41).Gli a l t r u i m o t i , i g e s t i , l ' a c c e n t o , P a r i a , il t o n o , t u t t i g l i a t t esteriori lo colpiscono nei primi anni della sua vita e d o c cupano la sua attenzione;egli è spinto ad imitare ed arió petere tutto ciò che vede, ed isuoi organi mobili cootrag. gonol'abitudinedimolte azioni,priache ilpensierosia capace di penetrarne lo scopo e d'osservarne ilmotivo (ins ginocchiarsi,fareilsegnodella croce,piegarela fronte, giungere le mani , levarsi il cappello, fuggire nelle tenebre, baciar l'altrui mano , fare inchini.... )   La ripetizione frequente diquesti suoni,gesti,sentimenti gli unisce con stretti nodi e taliche quando i suoni vengono a colpirel'orecchio o sipresentano alla memoria,spingono gli organi motori ai gestirelativi, e il sistema sensibile agli associati sentimenti.Questa è la cagione per cui esempi ripe tuti, antiche abitudini forzano la maggior parte degli uomini ad ammirare , fremere, tremare,sdegnarsi, passionarsi in tutti imodi al suono delleparole le più insignificanti,le più va ghe , le più vuote d'idee, e che appunto per la violenza dei sentimenti associati si sottraggono alla apalisi. Conviene a n che osservare che più le parole sono confuse ed oscure, più piacciono e soddisfanno il gusto degli ignoranti (1). Queste ragioni ci spiegano il motivo per cui le stesse cose fanno impressioni diverse, secondo che sono pronunciate in una lingua o in un'altra. Si osservò , dice Rayoal , che i Giudei stabiliti in gran numero alla Giamaica si facevano giuoco d'ingannare itribunali di giustizia.Un magstrato so spettò che tale disordine potesse provenire d a ciò che la B i b bia,su'dicuidovevanogiurare,eratradottainidioma in glese;fu quindi decretato che per l'avenire iGiudeigiure. rebbero sul testo ebraico.Dopo questaprecauzione glisper giuri divendero infinitamente più rari.Per simile motivo A u gustolasciòsussislereeademmagistratuum vocabula,acciò ilpopolo conchiudesse che sussisteva ancora la repubblica, s u s s i s t e n d o i n o m i d e l l e s u e m a g i s t r a t u r e , e il r i s p e t t o m a c chioale eccitato neglianimi popolari dalle parole si,fis sasse sulle nuove cariche che ritenevano le antiche denomi nazioni. (1) Nel 1666 trovandosi Leibnizio a Nuremberg seppe che ri era in quella città,una compagnia di chimici , che col più profondo se greto travagliavano alla ricerca dellapietrafilosofica.'Ildesideriod'en t r a r v i, g l i s u g g e r i o y ' i d e a c h e p r o d u s s e l ' e f f e t t o b r a m a t o ; e g l i e s t r a s s e dagli antichi alchimisti una serie di frasi oscure , la cui unione for mava una lettera più oscura ancora e non intesada luistesso.Questa lettera divenne un titolo peressere accolto: Leibnizio, tanto più a m mirato quanto meno inteso, fu riconosciuto addetto esegretariodella società.Bailly, Éloge de Leibnitz.  152 TEORIA DELLA SENSAZIONE ragazzo o non la verifica che tardi, come l'idea di padre, o non la verifica che in parte, come quella di vizio, o,non la verifica mai nè può verificarla, come l'idea di demonio , magia,angelo,fortuna esimili.   Per eguale ragione, allorchè le idee più belle e più su blimi vengono tradotte in lingua usuale,bassa, plebea, per dono parte di quel pregio che conservano in una lingua an tica o straniera. Quella specie di spregio che si attacca agli usi volgari e quella specie di rispetto che va unito alle lin gue morte od estere, sembra comunicarsi all'idea e degra darla a'nostri occhi o sublimarla. L'indeterminazione del linguaggio più in morale e legi slazione ha luogo,cbe nelle arti e nella storia naturale:gli oggetti di queste sono verificabili e misurabili coi sepsie cogli strumenti , quindi le stesse parole risvegliano in tutti presso a poco lestesse idee:al contrario gli oggetti morali non essendo verificabili con eguale precisione, restano nella nebbia della fantasia; le parole, da cui vengono indicati, partecipano della loro oscurità ed incostanza,eper lopiù risvegliano idee diverse nelle diverse teste in ragione delle circostanze in cui furonoapprese (V.pag.27-29).Pre tendere che le slesse parole ( principalmente se trattasi di cose morali)risveglinointuttele stesseidee,eglièpre tendere che quando è mezzo giorno a Milano sia mezzo giorno dappertutto. Nei giardini d'Epicuro la parola virtù risvegliava idee ridenti e piacevoli; sotto i portici di Zenone, idee fosche e melanconiche. Legge significava la volontà di lutti per un Greco , la volontà d'un solo per un Persiano. le indicava per l'addietro un despota sciolto da ogni legge, attualmente quest'idea è più limitata , ed ha diversi signifi, cati a L o n d r a , A m s t e r d a m , C o p e n h a g u e. Libertà nella m e n t e del filosofo indica la somma delle azioni non vincolate dalla Jegge;nellamentedel volgo,lafacoltàd'invadereibeni de'ricchi e di far nulla. Il massimo danno dall'indetermina zione delle parole si fa sentire ne'trattati tra,le nazioni, in cui la loro ambiguità diviene,causa o pretesto di guerre, nei codici criminali in cui l'oscurità d'una frase estende Barbi. trio del giudice a danno dell'innocente ( ),ne?contratti, nei codici civili, nelle tariffe daziarie, in cui l'incertezza d'un'e spressiooe è fonte di mille liti tra i cittadini, e vessazioni al (1) Havvi alla China noa legge che condanna a morte quegli che non mostra sufficiente rispetto alsovrano. Comparve un giorno nella gazzetta della Corte un aneddoto non raccontato con perfetta esaltezza : il redattore fu arrestato, e i tribunali décisero'che mentire nelle gaz zelte della corte era non mostrare sufficiente rispetto al sovrano , quindi il redattore fu messo a morte,  ATTENZIONE E AAZIOCINIO.“ 153   commercio. La divisione uniforme del regno in dipartimenti, distretti, cantoni,comuni, l'uniformità de'pesi, inisure, monete , gli stessi libri nelle università , la stessa educazione ne'licei.... lendono a dare alle parole la stessa significa zione, a diminuire le dispute, e quindi una somma noo de. finibile di coilisioni sociali. Oltre l'indeterminazione del linguaggio proveniente dal modo con cui l'impariamo e dalla natura dell'oggello che esprime,bisogna dire che in ogni lingua non v'baquasi una parola che rappreseoti sola una idea chiaro-distinla da se stessa;lutte prendono sensidiversi dal posto che occupano nel discorso,dalle parole che le seguono o le precedono, dall'accento, dal gesto, dagli atti che le accompagnano. La medesima parola unita ad alcune ti mostra un dato espelto d'idee,uo altro,sesicollegaconaltre;piùavanti,piùin dietro le ne farà vedere dei diversi; detta con un tuono as severante, ha un senso; con un tuono di meraviglia, un allro; con irrisione, un terzo; con inlerrogazione, un quar to. ..cosicchèsipotrebbeassomigliareleparoleaicolori delle peone d'un colombo, che variano secondo ilmoto del s o l e , d e l c o l o m b o , 'd e l l ' o s s e r v a l o r e . Sono quindi quovi,footi d'errori i diversi sensi che le stesse parole esprimono passando da un ordine di cose ad un altro. Un oratore, dopo avere esaltato i nomi di molti personaggi illustri dell'antichità, si dirige così a'suoi udi iori:ingrati chenoisiamo!noi cilngniamo della brevita della vita, mentreiè innostro polere di renderci immortali. Egli è evidente che questa argomentazione confonde due m a niere di vivere che sono distiolissime e diverse. : Lo stesso difetto sifa vedere nella seguente massima di Rousseau :.... se la natura ci ha destinati ad essere sani, l'uomo che medita è un'animale depravato. Perchè questa sentenza fosse'vera,converrebbe provare che il primo ed unico destino dell'uomo è di essere sano ; che la virtù consiste nella sanità, e che la meditazione è in compatibile coi buoni costumi. Allora un dollo sarà un es sere depravato come ilsoldato che espone la sua sanità e la sua vita in difesa della patria : si potrà dire che ogni a m malato è uno scellerato,un mostro; che un monco è un  154 TEORIA DELLA SENSAZIONE Sano è qui'addiettivo del corpo,e significa uno stato fisico; depravalo è addiettivo dell'auimo,e significa uno stalo morale.   ATTENZIONE ERAZIOCINIO. 157 animale depravalo, avendoci la natura destinati ad essere sani come ci ha destinati ad avere due braccia ... Aliro esempio. Bernardin de Saint Pierre vuole che as. solutamente sibandisca l'emulazione dallescuolepubbliche; e per provarech'ella è inutile,argomenta così: Analizziamo questo argomento: l'emulazione per im parare la lezione, per fare dei temi, per studiare le scienze è inutile ugualmente che per giocare, bere, mangiare. L'e mulazione è dunque da una parte e dell'altra la ripetizione della stessa inutilità, e per conseguenza si devono ritrovare pelll'un caso e nell'altro le medesime cause di questa dop pia inutilità. Le funzioni dell'animo non son esse egualmente natu r a l i, e g u a l m e n t e a g g r a d e v o l i c h e q u e l l e d e l c o r p o ? - - E g u a l mente naturali? lo rispondo di no , se per naturali inten desi necessarie ed imperiose. Egualmente aggradevoli ? Q u e stoèpossibile,ma lacausasirifondenelpiacered'essere applaudito, ammirato, ricompensato; quindi l'autore non s'accorge che coi buoni effetti dell'emulazione lepla di pro varne l'inutilità. Finalmente l'interesse, la mala fede, le passioni lulle a b u s a n o d e l l e p a r o l e , p e r c i ò , a l d i r e d i P a r i n i , il m e r c a n t e è « Pronto inventor di lusinghicre fole 6 E liberal di forastieri nomi 6'A merci che non mnaivarcaro imonti.  уоро campagna,come sono necessarie talvolta per farli stu diare? Questa piccolapopolazione ha forse immaginato delle astuzie, e inventati degli artifizi per allungare gli studi, e per ottenere un tema più difficile? 1 Ho io avulo bisogno nell'infanzia di sorpassare i miei compagni nel bere, mangiare, passeggiare, e per corvi pia cere?E perchèèeglislatonecessariocheimparassiasor passarline'mieistudi,pertrovarcidilello?Non hoiopo. tulo instruirmi a parlare e ragionare senza emulazioni ? Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, «gual mente aggradevoli che quelle nel corpo? Ora l'emulazione è inutile oel bere e nel mangiare , per che queste operazioni sono comandate dal più pressante,dal più imperioso de'bisogoi,l'awore della vita;ma quantivi e conciliano la santità e la grassezza coll'inerzia e l'ignoranza ? Gli scolari temono forse tanto le ricreazioni quanto temono la dieta? Sono mai state necessarie le mi nacce ed i castighi per condurli al refettorio o farli partire per la   Cromwel, per coprire le sue viste atobiziose col manto della religione,aveva dato alla maggior parte de'suoi reg. gimentiinomi deisantidelTestamentoVecchio.Cromwel, dice uno scrittoreanonimo di quel tempo,ha ballulo illam buro in tutto ilVecchio Testamento; sipuò imparare la ge nealogia del nostro Salvatore dai nomi de'suoi reggimenti. Il commissario di guerra non aveva altra lista che ilprimo ca pitolo di S. Matteo. In tutti itempi, in tutte le religioni,in tuttiipartili,ilfanatismo,ilquale non sipiccò mai diequità, diede a quelli che voleva perdere, non i nowi che merita vano,ma inoai che potevano loro nuocere.Socrate,che depurando le idee superstiziose, le conduceva all'unità di D i o , r i c e v e t t e il t i t o l o d ' a l e o d a i s a c e r d o t i d i C e r e r e : e m p i o chiamavasi presso gli Egiziani chi von adorava un gatto,un bueourcoccodrillo;sidava daiCartaginesilostessoti toloachiabborrivailsacrifiziodelleumane vittime.Ne'pri mi secoli della chiesa i Pagani davano a lutti i Cristiani il nome di Giudei, sforzandosi direuderli odiosi non potendo dimostrarlı irragionevoli. Alla China i nostri missionari che diffondeodo lareligione di Cristo diminuiscono ilconcorso ai tempii de'falsi idoli, e quindi i proventi de'sacerdoti, ven gono da questi dipinti come ribelli ed accusati di congiura coutro loStato.Le espressioni odiose sono uo'arma troppo favorevolealla calunnia perchè ella non s'affretti a farne uso. Egli è sempre un vantaggio l'avere pronta una parola di sprezzo per caralterizzare i torti che si riaproverano ai propri avversari. Con una di queste parole si prova lutto, si risponde a tutto, si difende la propria opinione, si distrugge l'altrui....APascal,che contantasagacitàsvelònellesue lettere provinciali la corruzione della morale gesuitica, fu ri sposto ch'egli era quattordici volte eretico. Gli uomini saggi si guarderaono sempre dalle espressioni dipartito ed esclu sive, e che traggono seco idee accessorie infinitamente varia bili e talvolta cootrarie. Essi dirapoo, a cagione d'esempio, questa legge è conforme all'interesse pubblico,elo prove r'anno svolgendo la somma de'beni di cui è feconda , ma non diranno , per es., questa legge è conforme al principio della monarchia o della democrazia, giacchè se vi sono delle persone nelle cui teste queste parole risvegliano idee d'appro vazione, ve ne sono altre nelle quali succede tulto l'opposto ; quindi se i due partiti si mettono alle prese, la disputa non finirà che colla stanchezza de'combattenti, e per cominciare  156 TEORIA DELLA SENSAZIONE   ATTENZIONE E RAZIOCINIO. 157 CAPO IX. Combinare od inventare. La ninfa della tignuola d'acqua che si trova ne'nostri fiumi, dice Darwin , e la quale s’involge in cerle casucce di paglia, di sabbia, di gusci,s a ben far si che questa sua abi lazione sia alla ad equilibrarsi coll'acqua ; e perciò quando èsoverchiamentepesante,viaggiungeun bocconcellodipa 'gliaodilegno,equando troppoleggiere,unpezzellodi grossa rena.  il vero esame, converrà rinunciare a queste parole appas sionate ed esclusive, per calcolare gli effetti della legge in bene e in male. Osservano gli storici che nel corso della guerra del P e loponneso successe taletrambusto nelleidee e ne'priocipii, che le parole più usuali cambiarono di senso; si diede il nome didabbenaggineallabuonafede,didestrezzaalladu plicità, di debolezza alla prudenza, di pusillanimità alla m o derazione, mentre i tratti d'audacia e di violenza passavano per slaoci d'animo forte e di zelo ardente per la causa pub. blica. Una tale coofusione del linguaggio è forse uno de'sin tomi più caratteristicidella depravazione d'un popolo.Jo altri tempi si può offendere lavirtù; ciò non ostante se ne riconosceancoralasua autorità,quando lesiassegnano de'limiti; ma quando si giunge sido a spogliarla del suo nome, ella perde i suoi diritti al trono, e il vizio se ne im. padronisce e vi si asside tranquillamente. Per capire ciò che succede allora in una nazione, basterà osservare ciò che succede nelle società de'viziosi e scellerati. I ladri, gli ag. gressori , i monetari falsi, i contrabandieri si formano un linguaggio o uo gergo tutto proprio che confonde tutte le idee di vizio e di virtù. Uniti da sentimenti uniformi, volendo vendicarsi dell'opinione pubblica che li rispioge da sè, si compiacciono ad affrontarla; quindi nel loro dizionario sono escluse tutte le impressioni del rossore, alterati i sentimenti del giusto e dell'ingiusto, associate idee scherzevoli ad atti criminosi e nefandi. Una vespa, continua lo stesso scrittore, aveva colla una mosca grossa quasi com'era ella medesima. Posi le ginocchia a terraper meglio osservare,evidiche ellaseparòlacoda e la tesla da quella parle del corpo a cui sono annesse le   ale. Prese ella quindinelle zampe questa porzione di mosca, e s'alzò con essa dal terreno circa due piedi, ma un venti cello leggiere scuotendo le ale della mosca,fece capovolgere l'animale nell'aria, ed egli scese ancora colla sua preda a lerra. Osservai allora distintamenle che colla bocca letagliò primieramente un'ala, e poi l'altra, e quindifuggi via non più molestata dal vento. Questi due animalelti,che sanno disporre le cose in modo , ossia ritrovare mezzi tali da oltenere il fine bramalo, ci danno le prime idee dell'arte di combinare o invenlare. Duhamel osservò che il felore delle sale degli spedali cresceva, avvicinandosi al soffitto; egli immaginò quindi uo ventilatore che facendo comunicarequesta parte delle sale con l'aria esteriore, caccia laria guasta. La combinazione di Dubamel oon suppone nella disposizione dei mezzi più cognizionidiquelledellatigauolaedellavespa:ma ilfine ottenuto essendo molto vantaggioso all'umanità, la combi nazione è più pregevole ; il pregio di questa combinazione cresce, se siriflette ch'ella è applicabile ad altri oggetli, a cagione d'esempio,ai vascelli in mare. lo fatti vi sono delle combinazioni saggissime profondis, sime , e che suppongono infinita destrezza nell'esecuzione; ma siccome non arrecano alcun vantaggio,non hanno alcun pregio agli occhi del saggio. Boverick,meccanico d'uva de, strezza e d’upa perseveranza prodigiosa, fabbricò una catena di duecento anelli che col suo catenaccio e la sua chiave pesava circa un terzo di grano. Questa calena era destinata ad iocatenare una pulce.Egli fece una carrozza che s'apriva e si chiudeva a inolla, era tratla da sei cavalli, portava quattro persone e due lacchè,era condolia da un cocchiere, ai piedi del quale stava assiso un cane, e il lutto veniva strascioato da una pulce esercitata a questo travaglio.L'in. venzione e l'esecuzione di questa macchina puerile fanno desiderare che Boverick avesse impiegalo meglio i suoi la- lenti.Grice: “”Si suppongano due selvaggi” – exactly my way of proceeding. Gioia has a lot of sense. An engraving’s caption has it: ‘statistico e filosofo’ – And I like the fact that like Socrates he did ‘elementi di filosofia ad uso de’ giovanetti’!” -- Melchiorre Gioia, Melchiorre Gioja. Gioia. Keywords: filosofia ad uso de’ giovanetti, galateo, pulitezza, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gioia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51758072475/in/dateposted-public/

 

Grice e Giorello – il libertino – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo.  – Grice: “I like Giorello: he philosophises on evil and good – the devil wrestles with the angel – but also on Mickey Mouse that he calls ‘topolino’ – “la filosofia del topolino” – and perhaps ore exotically for us Oxonians, on ‘la filosofia di Tex,’ a ‘fiumetto’ of 1948!” –Si laurea a Milano sotto Geymonat). Insegna a Milano. Membro de la Società Italiana di Logica” e de la Societa Italiana di Filosofia della Scienza. Giorello divise i suoi interessi tra lo studio di critica e crescita della conoscenza con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche e l'analisi dei vari modelli di convivenza politica. Dalle sue prime ricerche in filosofia e storia della matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati verso le tematiche del cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza, etica e politica. La sua visione politica e di stampo liberal democratico e si ispira, tra gli altri, a Mill.  Si occupa anche di storia della scienza in particolare le dispute novecentesche sul "metodo"e di storia delle matematiche (“Lo spettro e il libertino”). Cura “Sulla libertà” di Mill. Ateo, filosofa in “Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo.” Altre opere: Opere  Filosofia della matematica, Milano, L’nfinito, Milano, UNICOPLI, Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori,  Le ragioni della scienza, Roma-Bari, Laterza,Filosofia della scienza, Milano, Jaca Book, Le stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa universitas. sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, La filosofia della scienza, Milano, R.C.S. libri & grandi opere, Quale Dio per la sinistra? Note su democrazia e violenza, Milano, UNICOPLI, La filosofia della scienza, Roma-Bari, Laterza, “Lo specchio del reame: riflessioni sulla comunicazione: Longo, Epistemologia applicata. Percorsi filosofici, e Milano, CUEM,  I volti del tempo, e Milano, Bompiani, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito, Milano, Cortina,  Di nessuna chiesa. La libertà del laico, Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con Bruno Forte, Cinisello Balsamo, San Paolo, La libertà della vita, Milano, Cortina,  Il decalogo. I dieci comandamenti commentati dai filosofi, II, Non nominare il nome di Dio invano, Milano, Albo Versorio, Giulio Giorello relatore al convegno internazionale "Science for Peace", Milano, La scienza tra le nuvole. Da Pippo Newton a Mr Fantastic, Milano, Cortina, Kos. Rivista di medicina, cultura e scienze umane,  4: Dio, Patria e Famiglia, Milano, Editrice San Raffaele, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani,  Il peso politico della Chiesa, Cinisello Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione, Mascella, Zikkurat Edizioni & Lab, Harsanyi visto da Giorello, Milano, Luiss University press, Lo scimmione intelligente. Dio, natura e libertà, Milano, Rizzoli, Ricerca e carità. Due voci a confronto su scienza e solidarietà, Milano, Editrice San Raffaele,  Introduzione a Apostolos Doxiadis e Christos H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda,  Lussuria. La passione della conoscenza, Bologna, Il Mulino,. Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,. Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi,. Premio Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, Parma, Guanda,.  Noi che abbiamo l'animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra, Milano, Longanesi, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   CULTURAAddio a Giulio Giorello, filosofo della scienza e difensore della libertàBy Vincenzo VillarosaPosted on 16 Giugno 2020 È morto all’età di 75 anni il filosofo Giulio Giorello, per le conseguenze dell’influenza da COVID-19, dopo aver trascorso due mesi di degenza in ospedale ed essere stato dimesso alla metà di maggio. Successore del maestro Ludovico Geymonat alla cattedra di Filosofia della Scienza dell’Università Statale di Milano, il 12 giugno scorso il filosofo aveva sposato la compagna Roberta Pelachin. Il Premier Giuseppe Conte lo ha ricordato, in un messaggio sui social, come un pensatore che ha saputo riflettere sui rapporti tra etica, politica e religione.  Nato a Milano nel 1945, Giorello si laureò in Filosofia alla fine degli anni Sessanta e in Matematica, qualche anno dopo, seguendo la tradizione antifascista e marxista del maestro Geymonat e il difficile tentativo di contrastare le divisioni tra pensiero scientifico e umanistico. In seguito, fu docente di Meccanica razionale all’Università di Pavia e poi alla Facoltà di Scienze presso l’Università di Catania, a quella di Scienze naturali all’Università dell’Insubria e, infine, al Politecnico di Milano.  L’accademico milanese fu presidente della SILFS (Società italiana di Logica e Filosofia della scienza), ma i suoi studi spaziavano dalla mitologia all’antropologia e alla psicologia evolutiva fino alla bioetica e alle neuroscienze. Uno tra i più bravi epistemologi italiani, insomma, capace di unire il rigore per gli studi sul metodo della scienza alle riflessioni sull’ambiente sociale e politico nel quale si muove la ricerca scientifica.  Accanto all’attenzione per le discipline fisico-matematiche e all’accrescimento della conoscenza scientifica, Giulio Giorello analizzava le modalità complesse e contraddittorie della convivenza sociale e politica. Sulla scia del pensiero del filosofo John Stuart Mill – di cui aveva curato l’edizione italiana dell’opera Sulla libertà, nel 1981 –, scrisse, in particolare, pagine illuminanti sulla natura, i limiti e la possibile difesa della libertà umana.  La sua instancabile attività di saggista era basata su un’approfondita conoscenza della produzione saggistica e del dibattito internazionale intorno al discorso scientifico. La testimonianza di questa ricchezza culturale è rintracciabile nella preziosa direzione editoriale della collana Scienza e idee per Raffaello Cortina Editore e nella capacità di divulgazione espressa, tra l’altro, nella collaborazione alle pagine culturali del giornale Corriere della Sera.  Tra le opere di saggistica, ricordiamo Filosofia della scienza (Jaca Book, 1992) e due contributi recenti di divulgazione scientifica come La filosofia della scienza nel XX secolo (con Donald Gillies, Laterza, 2010) e La matematica della natura (con Vincenzo Barone, Il Mulino, 2016). Nelle opere Di nessuna chiesa. La libertà del laico (Cortina, 2005) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi, 2010), infine, Giorello parlò del valore della laicità in maniera antidogmatica e rispettosa della visione del mondo dei credenti.  La curiosità intellettuale e la personalità liberale del filosofo e matematico milanese si espresse anche nell’interesse sul rapporto tra la cultura definita alta e quella popolare presente, ad esempio, nel mondo dei fumetti. Il suo saggio pop su La filosofia di Topolino (con Ilaria Cozzaglio, Guanda, 2013) ne è una divertente ma non banale rappresentazione.  La perdita di Giorello toglie alla scena italiana e internazionale uno dei più attenti conoscitori dell’articolato cammino della filosofia e del sapere scientifico e, allo stesso tempo, un difensore delle libertà individuali e collettive, senza le quali non è possibile alcun accrescimento e consolidamento del patrimonio culturale dell’umanità.  RELATED TOPICS:FILOSOFIA, LETTERATURA, PRIMA-PAGINA, SOCIETÀIndice 0. Introduzione... p.7 1. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo... p.11 1.1. Il settenario... p.11 1.2. Il vizio della lussuria... p.12 1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo... p.12 1.2.2. Vizio del corpo... p.13 1.2.3. Vizio dell anima... p.15 1.2.4. I coniugati e la lussuria. «Se non riescono a contenersi si sposino, meglio sposarsi che ardere (I Cor. 7,9)»... p.17 2. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno... p.19 3. La lussuria come potere nel Canto V dell Inferno... p.31 4. La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell Inferno... p.44 5. La lussuria come filosofia nel Canto V dell Inferno... p.52 6. La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell Inferno... p.61 7. La lussuria nel Canto V dell Inferno: conclusione... p.66 Bibliografia... p.70  0. Introduzione Non v è dubbio che fra gli insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo millennio ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di tutta un esistenza, persistente anche oltre la soglia della morte, capace di rinnovare la vita di una persona, di orientarla al meglio. Come afferma Emilio Pasquini nel suo libro Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, la lettura della Divina Commedia dantesca si mostra rilevante anche nel terzo millennio. Ovviamente, un opera di qualche secolo fa rischia di non essere più adatta alle generazioni contemporanee. Ogni epoca conosce tendenze critiche differenti per quanto riguarda la Commedia, ogni generazione [ ] legge il suo Dante 2, e quindi, come lo pone Renzi, siamo prigionieri anche noi del nostro tempo 3. Pasquini segnala che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto quello di Paolo e Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi 4. L amore-passione che forma il nucleo della storia continua a intrigare. Rappresenta una delle idee riguardanti l uomo tra cui Dante, in un modo meraviglioso, stabilisce legami nei suoi versi. Quelle connessioni creano la celebre feconda ricchezza di Dante, la quale fa sì che tanto all epoca (quando si trattava della fede, della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi (ormai importa la nostra coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e chiarificatrici nell opera 5. Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi illustra pure la persuasione [di Dante] della presenza, nella vita di ognuno, di un gesto decisivo che sanziona la sorte eterna dell uomo [ ]. Oggi, asserisce Pasquini, una simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro), su un piano totalmente terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un esistenza, le svolte cruciali che imprimono alla vita di un individuo una precisa e irreversibile direzione, decidendo del suo destino in terra 6. 2 Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Paravia, Bruno Mondadori Editori, 2001, pp.257. 3 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.12. 4 Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 5 Ibidem, pp.269. 6 Ibidem, pp.275. 7  Introduzione Si può aggiungere che, in generale, la ricerca della sapientia mundis del giovane Dante s inserisce perfettamente nella visione contemporanea del mondo, la quale è completamente fissata sull acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo personale completo. Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l avvertimento di Dante adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando rischia di condurre non alla magnanimità ma alla folia. 7 D altronde, Inglese segnala che il carattere realistico del poema, dei suoi personaggi e delle sue scene illustra che Dante utilizza il mondo terreno come una metafora dell oltremondo, l altro mondo è reso sensibile e leggibile con le forme del nostro mondo 8. Anche questo aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi possono capire abbastanza facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta. La conoscenza del mondo, inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini e quello del filosofo Giulio Giorello, la cui teoria riguardante la lussuria non concorda con la visione cristiana del fenomeno, esposta nel primo capitolo della presente tesi. Ne risulta che la lussuria, dal punto di vista cristiano, si presenta come un fenomeno disprezzabile. Si tratta di una caratteristica umana da combattere e da eliminare. Il filosofo, invece, adotta un punto di vista molto differente nella sua recente monografia Lussuria. La passione della conoscenza 9. Propone un analisi molto originale del vizio, mirata a provocare, nel ventunesimo secolo, una sensazione di liberazione nel lettore della letteratura d ispirazione cristiana sul soggetto. Giorello considera la lussuria non solo come un peccato, ma anche, e in primo luogo, come una libertà: E per ciò [la lussuria] può costituire il nucleo di una società aperta e libertaria, insofferente di qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti 10. Anche se il concetto centrale della tesi vi è inquadrato in un contesto quotidiano, universale e laico, non viene trascurato il significato cristiano del termine. L autore approfondisce il concetto di lussuria descrivendo come il desiderio lussurioso può manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come potere, come filosofia, come inganno Andando al fondo della nozione di lussuria, stabilisce delle relazioni significative tra vari testi, autori e concetti. 7 Ibidem, pp.271-273. 8 Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007, pp.9. 9 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, 2010. 10 Ibidem, risvolto della sopraccoperta. 8  Introduzione A mio giudizio la lettura del Canto V dell Inferno dantesco nell ottica proposta da Giorello può offrirmi, e con me a tutti i lettori del capolavoro di Dante Alighieri, una lettura fresca e interessante di questi versi già ampiamente commentati. Vorrei dimostrare che le sue idee nuove permettono di attualizzare questa parte del testo dantesco anzi, tutta la Commedia- e di agganciarlo alla società del ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf. supra). Tutte le manifestazioni della lussuria contemplate dal filosofo verranno applicate al Canto V, poiché i suoi ragionamenti permettono di gettare nuova luce sul testo dantesco e di presentarlo a una società diventata quasi completamente laica, nella quale la religione cristiana è diventata un vago ricordo di altri tempi, un fenomeno soltanto latente (cf. supra). Anche nel libro di Giorello l aspetto religioso della lussuria non è quello più importante, ma è sempre presente in modo velato. Ciò significa che predomina la ricchezza rappresentata dalle varie manifestazioni del concetto denominato lussuria, a scapito della visione cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo vizio. Tutto ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in combinazione con commenti da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore per redigere la presente tesi. L accostamento evidenzierà paralleli e complementi interessanti. Dato che il mio scopo è l elaborazione di una nuova analisi della lussuria nel celebre Canto V prendendo come guide alcuni studiosi contemporanei, l aggiunta di pensieri e di ragionamenti provenienti dal libro Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante di Lorenzo Renzi arricchirà ancora l esposizione, tra l altro la parte nella quale si tratta della colpevolezza o dell innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo libro, vuole reagire sia alla retrocessione di Francesca in generale, sia all interesse privilegiato mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca 11. L autore specifica che l episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia della Commedia, cioè la parte per il tutto: [ ] drammatizza e presenta in exemplo la palinodia di Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del mondo dell amore terreno e della sua poesia (lo Stil novo), per cominciare l ascensione. Riferendosi a Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio di Francesca si rivela tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare il suo contrario, una palinodia della 11 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.12. 9  Introduzione palinodia: una nuova esaltazione dell amore terreno 12. Accanto al riferimento a Valesi il testo di Renzi offre ancora molte informazioni sorprendenti riguardanti altri autori e commentatori. Giorgio Inglese, poi, è il quarto critico principale che sarà evocato. Il suo commento all Inferno mi ha procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella Commedia, una struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull importanza, nel Canto V, di contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una dantistica del terzo millennio. La maturità della disciplina ( la quantità [dei studi] è ormai misurabile solo con i mezzi dell elettronica ) non implica però stagnazione, e lo dimostra bene, per quanto riguarda la Commedia, proprio la vitalità del genere commento 13. In ogni capitolo della presente tesi, una nozione filosofica evidenziata nel libro già citato di Giorello si trova alla base delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei ragionamenti s intrecciano varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni altri commentatori. 12 Ibidem, pp.7-8. 13 Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante A lighieri, cit., pp.12. 10  1. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Come capitolo introduttivo presenterò un resoconto generale del paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo, incluso un attenzione particolare per la storia del vizio della lussuria. Baserò questa visione d insieme sul volume I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo di Carla Casagrande e Silvana Vecchio, pubblicato dalle Edizioni Einaudi nel 2000. 1.1. Il settenario Anzitutto si deve segnalare che il sistema dei vizi capitali non è un invenzione di un individuo. Si tratta piuttosto di una raccolta di idee che si è sviluppata attraverso secoli, continenti e persone diversi; di un enorme enciclopedia nella quale si trova di tutto, un efficace schema classificatorio per parlare [...] del mondo 14. Un topos, per così dire. Una volta che il paradigma aveva ottenuto la sua forma definitiva, ben circoscritta, ha avuto un successo immenso, tanto presso i chierici quanto presso i laici. Si potrebbe dire che, per quanto riguarda l Occidente, la storia medievale di questi sette vizi inizia con gli scritti di tre ecclesiastici: Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano e Gregorio Magno. Cassiano (V secolo), avendo delineato nelle sue opere l insieme delle teorie del suo maestro Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più significative per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Fino al XV secolo, il settenario dei vizi capitali, al quale Cassiano ed Pontico attraverso gli scritti del suo allievo- ha contribuito, ha avuto grande successo. Dante, quindi, ha vissuto in un epoca che accordava molto importanza all idea dei sette vizi capitali. Si deve specificare che tanto Pontico quanto Cassiano distinguono otto vizi capitali, al posto di sette: gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria e superbia (elenco tratto dall opera di Casagrande e Vecchio). Magno, nella sua opera Moralia in Job (fine VI secolo), ne distingue sette; non menziona più l invidia come vizio capitale. Anche Moralia in Job costituisce un opera di notevole importanza per la cultura medievale: è molto più di un 14 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Torino, Einaudi, 2000, pp.xvi. 11  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo commento: esegesi, teologia, etica si mescolano a comporre un disegno di larghissimo respiro 15. Il paradigma dei vizi capitali porta, naturalmente, l impronta dell ambito nel quale è stato lavorato, cioè l impronta della società monastica non solo quella occidentale. Infatti, Cassiano aveva apportato all Occidente conoscenze orientali egiziane, siriane-, adottate dalla cultura monastica orientale, raccolta nell Egitto. Anche il suo maestro, Pontico, aveva imparato molto sui vizi capitali in quel crogiolo culturale che fu Alessandria d Egitto alla fine del IV secolo 16, e nelle sue riflessioni, idee della filosofia occidentale si sono confuse con questa sapienza proveniente dall Oriente. Di più, le idee rappresentate dai sette vizi capitali risalgono, infatti, alle difficoltà proprie alla vita nel monastero: Per i monaci essi rappresentano gli ostacoli da superare lungo il cammino di perfezione al quale si sono votati, in una continua battaglia contro se stessi e contro quel mondo che si sono lasciati alle spalle 17. Detto questo, si può inquadrare la nascita e lo sviluppo del settenario, almeno per quanto riguarda il Medioevo. In quello che segue tratterò più in dettaglio la storia medievale di uno dei vizi capitali, cioè di quello che costituisce il nucleo centrale della mia tesi: la lussuria. 1.2. Il vizio della lussuria 1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo Non solo il cristianesimo ha trattato il desiderio sessuale con diffidenza. Già nella cultura pagana, gli individui si sfidavano da persone che riconoscevano apertamente di sentire tali voglie. La religione cristiana si è adeguata molto abilmente a queste preoccupazioni, riunendole in un vizio capitale chiamato lussuria. Denominando così sentimenti vari e irrequieti, la fede calma, crea ordine nel mondo, nella società, nella vita particolare di ogni persona che si riallaccia alla tradizione cristiana. Diventa molto attraente in questo modo. Lo sviluppo di paradigmi simili contribuisce alla popolarità di una concezione di vita, tanto di visioni di tipo religioso come di concezioni pagani. 15 Ibidem, pp.xi. 16 Ibidem, pp.xii. 17 Ibidem, pp.xv. 12  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Cassiano descrive la lussuria, situandola nell ambito della natura propria agli uomini, come un vizio intrinseco, come un aspetto essenziale della specie umana. Magno monaco e papa-, anzi, pone che essa sarebbe un attività tutto naturale del corpo, che, per di più, sarebbe intento da Dio. Da un punto di vista laico (nel senso di ateistico), si vede apparire, in questo discorso, una concezione molto moderna della sessualità umana. Rimanendo nel contesto cristiano, il papa, sviluppando una tale visione, crea infatti un idea che spiana la via per la lussuria: se forma un desiderio proprio all uomo tanto naturale quanto il bisogno di mangiare e di bere, non si può evocare più niente per intimargli l alt. Ma, a dire il vero, la visione della lussuria divisa in modo più ampio durante i secoli medievali è quella ideata da Agostino. Secondo lui, l elemento chiave che trasforma la sessualità dell uomo in un attività peccaminosa, sarebbe stato il peccato originale. Prima della ribellione di Eva e Adamo contro Dio, i due primi esseri umani sarebbero stati i padroni assoluti dei loro organi sessuali, presenti per rassicurare la procreazione della specie umana. Dopo, invece, come punizione reciproca per la loro disubbidienza a Dio, queste parti dei loro corpi diventano insubordinati, non li possono più controllare. Anzi, sono quegli organi del corpo a poter dominare l anima dell essere umano. Lì si ritrova il primo vero aspetto della pena imposta ad Adamo ed Eva. La seconda è rappresentata da una conseguenza irrimediabile del fatto che si sta parlando dell attività responsabile per la generazione: l uomo trasmette quel peccato di padre in figlio, per l eternità. Per forza, i figli nascono peccatori. Nonostante il fatto che la visione agostiniana della lussuria era molto diffusa durante il Medioevo, si comincia già a rivederla nel XII secolo. Si osserva infatti un processo di desessualizzazione del peccato originale 18. Implica l accettazione della concupiscenza come una delle conseguenze del peccato originale, non come l effetto principale di questo. Tuttavia, la sessualità non viene tolta dall ambito peccaminoso nel quale era stata introdotta: La natura era ormai inevitabilmente corrotta 19. 1.2.2. Vizio del corpo Cassiano attribuisce alla lussuria (denominata, in un primo momento, la fornicazione), tutto come alla gola, lo statuto di vizio carnale, un vizio cioè che implica 18 Ibidem, pp.151. 19 Ivi. 13  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo necessariamente la partecipazione del corpo 20. Rivendica non solo la cooperazione degli organi sessuali, ma pure quella di tutti gli organi legati alle esperienze sensoriali: gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca e le mani. La lussuria, infatti, si presenta come il solo vizio capitale che coinvolge ognuno dei cinque sensi. Nel Medioevo, la collaborazione tanto versatile del corpo umano alla fornicazione approda all idea che questo corpo non solo partecipa allo svolgimento del vizio, ma ne subisce anche le conseguenze. Quelle, naturalmente si tratta di conseguenze di atti peccatori-, non appaiono sotto forme agrevoli: terribili mali di testa che i medici non sanno come curare, progressiva perdita delle forze, vita breve e, su tutto, l immonda malattia che attraverso piaghe ripugnanti e maleodoranti consuma lentamente ma inesorabilmente il corpo, la lebbra 21. Per di più, il debole corpo umano è inestricabilmente connesso con il vizio della fornicazione: senza la presenza di un corpo, non si può manifestare la lussuria. Il vizio rivendica la sussistenza della carne umana per poter apparire. Si tratta quindi di un peccato intrinseco al fisico umano. A dire il vero, la lussuria non tocca a qualsiasi corpo. Si ritrova essenzialmente in fisici maschili. Questo aspetto della fisionomia della fornicazione non deve sorprendere: si parla di un peccato il quale carattere ed essenza sono stati messi a punto negli monasteri abitati da ecclesiastici maschili (fra le altre i padri fondatori del settenario dei vizi 22 : Pontico, Cassiano e Magno). A lungo, le donne non entravano nel discorso sulla fornicazione, tranne come oggetti degli impulsi lussuriosi maschili. Non vengono mai considerate capaci di intervenire come iniziatrici per quanto riguarda questo peccato. La femmina, invece, ritenuta un essere più debole che il maschio, era creduta molto suscettibile delle avance peccatori esibite dal suo corrispondente maschile. Inoltre, l insieme di gioielli, profumi, tenute ecc. (l ornatus, come scrivono Casagrande e Vecchio) che mette l accento sull eleganza femminile si considerava un tutto che serviva essenzialmente a rendere i corpi delle donne ancora più attraenti e, di conseguenza, più sensibili ai suggerimenti lussuriosi dalla parte dei maschi. Peraldo descrive le donne che si vestono e si truccano per andare a ballare tramite una metafora memorabile: [sono 20 Ibidem, pp.152. 21 Ibidem, pp.153. 22 Ibidem, pp.155. 14  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo come] un esercito di soldatesse del Diavolo che si prepara a dare battaglia per strappare a Dio l anima degli uomini 23. Quindi, nonostante il fatto che le donne non possono esibirsi come istigatrici del vizio della lussuria, sono consapevoli degli effetti che hanno i loro fisici sui loro complementi, si avvalgono di queste loro qualità, e così, inconsapevolmente, incitano negli uomini gli impulsi che li portarono ad atti lussuriosi. 1.2.3. Vizio dell anima Fin qui, la lussuria è stata dipinta come un vizio essenzialmente corporale. A dire il vero, la sua origine non è soltanto carnale, ma si trova nell interiorità più profonda dell anima umana. Proprio i monaci abitanti dell ambito nel quale è cresciuta l idea del vizio capitale abbordata- hanno (tra l altro) riconosciuto che il nucleo della fornicazione sarebbe di natura spirituale. Nel vangelo secondo Matteo si può leggere una frase che non lascia adito ad alcun dubbio: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt. 5, 28) 24. Ma questa idea non implica che il corpo non potesse essere lussurioso. Inserisce piuttosto una fase intermedia nell insieme di fasi propri all azione peccaminosa. In primo luogo nascono le idee lussuriose nell anima dell uomo; in seguito si osserva che, da questi pensieri, sorge una specie di corpo virtuale (questa costituisce quindi la tappa alla quale si riferisce nella sentenza evangelica); infine l atto adultero si svolge per quanto riguarda il corpo reale, di carne e ossa. A proposito della nozione di carne, si dovrebbe ancora specificare la differenza, quanto al peccato della lussuria, tra carne e corpo, vale a dire: quando l anima cessa di pensare, immaginare, ricordare, assecondare, ascoltare, in una parola servire il corpo, il corpo cessa di essere carne, oggetto e strumento di quel desiderio eccessivo e disordinato che ha colpito l uomo dopo il peccato originale, per tornare a essere solo corpo, un aggregato di materia che garantisce la vita dell individuo 25. 23 Ibidem, pp.157. 24 Il nuovo testamento, a cura di Giuliano Vigini, revisione di Rinaldo Fabris, Milano, Paoline Editoriale Libri, 2000, pp.47. 25 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.160. 15  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Si potrebbe dire, dunque, che, riguardo alla fornicazione, non ci entra il corpo umano vero e proprio, ma un suo equivalente virtuale, come l hanno formulato Casagrande e Vecchio. In effetti, già nell ottica agostiniana della lussuria è inclusa l idea che gli impulsi concupiscenti corporali, da soli, non costituiscono sensazioni peccaminose. È precisamente la condiscendenza dell anima alle pulsioni carnali che trasforma queste ultime in impulsi peccatori. In seguito, si deve segnalare, in questo capitolo, il punto di vista piuttosto sorprendente di Pietro Abelardo (XII secolo) sul vizio capitale della lussuria, soprattutto per quanto riguarda la relazione tra anima e corpo. Abelardo sosteneva che tanto la concupiscenza quanto l atto sessuale e i compiacimenti che lo accompagnano avevano fatto parte della natura dell uomo a partire dal peccato originale. Affermava che l elemento vizioso stava solamente nella transigenza dell anima umana al corpo (carne, infatti) corrispondente. Con questa teoria, Abelardo sviluppa, a dire il vero, una concezione molto moderna della sessualità umana. Non per niente le sue asserzioni hanno provocato moltissime reazioni alla sua epoca. La notevole importanza dell anima in quest ambito viene confermata dalle conseguenze che ha il vizio della lussuria non solo per il fisico dell uomo ma anche, e specialmente, per la sua anima immortale. La fornicazione corrompe il corpo umano, lo rende impuro e infangato; ma è ancora molto più dannosa all anima: una volta imbrattata da questo peccato, lo spirito dell essere umano, debilitato e confuso, incoerente, è sull orlo della rovina. Si tratta di un vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e strati dello spirito; si espande in tutti gli angoli della mente. Il danneggiamento dell anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più grave nell indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello spirito umano. Mina il potere della capacità più eccezionale dell uomo, cioè la potenza di dominare tutti i suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello alla ragione. In effetti, non solo la Chiesa si preoccupava dalla decadenza della ragione sotto l influsso di attività sessuali. Prima della tradizione cristiana, un ampia tradizione pagana aveva cercato di offrire uno sfogo a simili preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere, fra le altre prima in ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l idea che l intelligenza concetto concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l uomo nella 16  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo possibilità di controllare gli impulsi carnali concepiti come negativi. Dato che gli ultimi avvicinavano l essere umano dall animale, il contrasto tra questi di una parte, e la nobiltà incontestabile della ragione umana d altra parte, si rivelava grandissimo. Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in contesto scientifico, per dirlo così intellettuale, filosofico ecc.-, la sua importanza per la vita quotidiana dell uomo medio è inequivocabile, visto la funzione [della ragione] di garantire la misura, la compostezza, l equilibrio nella vita di ciascun individuo 26. Trasposto in ambito letterario, il dualismo fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in particolare, la follia nella quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione, s impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il culmine assoluto dell incostanza confusa che può essere provocata in varie misure dalla lussuria. 1.2.4. I coniugati e la lussuria. Se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere (I Cor. 7,9) 27 Tra tutte le persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, non elimina la lussuria, ma nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli coniugali [a quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari per soddisfare le sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo modo, che commettono il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce 28. La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della lussuria, si rivela alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che la ragione per la quale certi cristiani propendevano per la castità e non per il matrimonio consisteva nel fatto che il matrimonio limitava solamente la lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo, questo fatto veniva anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria: il matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio. Poi, Agostino aggiunge che considera l unione coniugale un bene, certamente inferiore a quello della castità, ma comunque un bene, e questo non solo per la procreazione dei figli 26 Ibidem, pp.167. 27 Il nuovo testamento, cit., pp.603. 28 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.172. 17  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo ma anche per la società naturale che l unione tra i due sessi comporta 29. Di più, pone che Dio avrebbe previsto l unione carnale tra gli uomini e i loro complementi femminili prima del peccato originale, visto che entrambi i sessi erano già dotati di organi sessuali chiaramente visibili e differenti prima che Eva ed Adamo disubbidivano a Dio. Il peccato non sta dunque nel coito [...] ma nell uso che gli uomini [...] ne fanno. 30 Queste idee agostiniane sono state molto diffuse durante tutto il Medioevo. Finalmente, si deve ancora segnalare che il legame stabilito tra il vizio della lussuria e il matrimonio fa sì che il peccato si estende dall essere umano individuale alla comunità intera. Può corrompere tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e all anima di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie umana. Da questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare, anzi unica nel settenario dei vizi capitali. 29 Ibidem, pp.173. 30 Ivi. 18  2. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Nella sua esposizione sulla lussuria come potenza (o impotenza) Giorello asserisce che la lussuria [ ] è mescolanza di tutte le cose del mondo, rotture d ordine, spezzatura 31. Nel caso di Paolo e Francesca, di certo, la lussuria è stata responsabile di una rottura dell ordine quotidiano, anzi, dell ordine del mondo come i due innamorati lo conoscevano. La spezzatura della loro realtà viene causata direttamente dalla potenza (cioè, dalla potenza nel senso filosofico della parola: potenza come volontà) che costituisce una parte essenziale del desiderio lussurioso che sperimentano. Dal momento in cui cedono alla loro volontà lussuriosa, Francesca, consapevolmente, abbandona suo marito, pone fine al suo matrimonio. Nel v. 107 Caìn attende chi a vita ci spense 32 il nome di Gianciotto è taciuto per disprezzo, non certo per femminile riserbo 33. Neanche Paolo può più tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è irrimediabilmente danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio chiave nella loro storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione, è arrivato il momento in cui decidono di rinunciare a tutto quello che è familiare, e di perdersi in un avventura della quale sanno che gli porterà sia la felicità assoluta sia la perdizione. La tragica combinazione di tenerezza e di rovina è illustrata dal v. 106 Amor condusse noi ad una morte 34 : la prima e l ultima parola del verso si rispondono fonicamente AMOR condusse noi ad una MORte. Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso s iscrive nella lunga tradizione di una diffusa paretimologia (Federigo dall Ambra, son. Amor che tutte cose: Amor da savi quasi A! mor si spone ). Per di più, la parola morte, nel Canto V dell Inferno, conclude la serie di proposizioni principali il cui soggetto è Amore 35. In questo senso, la lussuria si presenta come una mescolanza di tutte le cose del mondo: ogni diritto ha il suo rovescio. Di rado, la realtà nella quale vivono gli esseri umani offre una gioia senza che, contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo sentimento. È un dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni 31 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.23. 32 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio Inglese, Roma, Carocci editore, 2007, pp.90. 33 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007, pp.90. 34 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.90. 35 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.90. 19  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno lussuriose. Paolo e Francesca propendono non solo per la felicità (lussuriosa) ma anche per l aspetto penoso che essa implica. Da quanto appena enunciato risulta che la dimensione della lussuria identificata come la volontà forma una caratteristica fondamentale del fenomeno. Se manca una forte volontà, non si può parlare di lussuria. È appunto dalla volontà umana che procede il desiderio di qualcosa. Dal testo di Giorello emerge che il desiderio an sich deve, infatti, considerarsi come essenzialmente lussurioso. Nel caso di Paolo e Francesca, si tratta del desiderio dell altro. Dante presta molta attenzione all espressione di tale potenza. È probabilmente una delle più belle manifestazioni dello spirito umano: unica, forte, ma anche tragica. Forse la bellezza risiede, appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può realizzare grazie alla volontà commuove solo quando si mescola con altre caratteristiche come, in questo caso, il tragico. Il desiderio umano, giudicato lussurioso per definizione, è presente nel Canto V non solo nella decisione presa da Paolo e Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell Inferno, cioè all inizio del viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla, infatti, di ognuno di noi, ci troviamo all inizio del viaggio che ogni peccatore potrebbe desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte desiderio. Si trova sulla via della perdizione, e vuole ritrovare la retta via. Vuole andare verso la luce divina, è in cerca di una direzione nella sua vita. Questa aspirazione predomina su tutto il suo essere, come il desiderio di Francesca domina su Paolo e vice versa. Inoltre, Giorello pone che la laicizzazione è la lussuria dell emancipazione dalla soggezione alla natura e/o alla divinità emancipazione che costituisce la premessa di una società politica matura 36. Secondo me, l autore suggerisce che l assunto che la laicizzazione sia un processo lussurioso sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana della lussuria che la considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra le varie forme in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto di un azione peccaminosa. L idea principale che vuol esprimere il filosofo in questa frase, però, è che il desiderio umano di venir liberati dall assoggettamento a un potere superiore si rivela lussurioso, poiché si tratta di un desiderio. Dante personaggio, tuttavia, desidera di esser assorbito completamente dalla luce divina del Dio cristiano. E aspira alla stessa sorte per tutti i suoi contemporanei. L opposizione 36 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.26. 20  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno tra la volontà evocata da Giorello e quella di Dante personaggio illustra il punto di vista del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un fenomeno sia o non sia lussurioso non dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno degli aspetti essenziali della lussuria è la forza immensa della potenza umana che fa sì che la lussuria può esistere. Oltre a ciò, l autore menziona che la lussuria istituisce il nesso tra conoscenza e oblio 37. L aspetto della lussuria che è analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza, costituisce la forza che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare risposte alle proprie domande. In questo senso, forma, infatti, l anello che lega l ignoranza e la conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo sotterraneo, e desidera sapere se e come si può salvare. Dalla sua curiosità, quindi dalla sua volontà, sorgerà la comprensione dei fenomeni che vuole capire. Si può pure trasformare la conoscenza in oblio per il tramite della lussuria. Una volta che la conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi l oblio di altri fatti conosciuti nell essere umano che la ottiene, com è illustrato dall epopea mesopotamica la Saga di Gilgames alla quale si riferisce Giorello. Nel Canto V, tuttavia, si osserva il contrario. Quello che era conosciuto nel passato non è dimenticato, come pone appunto Francesca dopo che Dante le ha chiesto di raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i sentimenti amorosi reciproci: E quella a me: Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella miseria: e ciò sa l tuo dottore. Chiaramente, i due lussuriosi si ricordano benissimo quello che sapevano prima del momento in cui la loro volontà di conoscere li ha messi sulla via della perdizione, cioè, prima del momento in cui si baciavano e s appropriavano la conoscenza dell altro. Anzi, in questo passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo conoscere: Ma, s a conoscer la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto affetto/dirò come colui che piange e dice 38. Ciò illustra l importanza ardente del significato del termine. Per di più, Giorello pone che la potenza della dea [Venere] è quotidiana [ ], non solo eccezionale 39. Si potrebbe sostenere, quindi, che la caratteristica della lussuria rappresentata da questa volontà incredibilmente potente non si manifesta unicamente in situazioni o momenti eccezionali. Costituisce una forza sempre presente nell essere 37 Ibidem, pp.28. 38 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91-92. 39 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.35. 21  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno umano, gli appartiene. Non sarebbe capace di liberarsi da essa, se lo volesse. Questo, però, gli è connaturale: si tratta di una parte dello spirito umano troppo essenziale. Senza di essa non sarebbe più un uomo. Per di più, rappresenta un impulso troppo gradevole. All uomo piace infinitamente provare una tale energia dentro di se. Gli dà l idea che potrebbe, infatti, realizzare il progetto che ha in mente, che potrebbe trovare la risposta alla sua domanda. Gli dà il coraggio necessario per dare ascolto ai sentimenti che lo sopraffanno e per arrischiarsi in una ricerca o una situazione che possibilmente finirà male. È questo il momento in cui la volontà lussuriosa, quotidiana, alleggiando, diventa eccezionale. Questo momento speciale si osserva pure nella storia di Paolo e Francesca. Dopo un lungo tempo di voler esser insieme (da solo), arriva quel punto in cui il desiderio di Paolo di sapere come sarebbe di trovarsi nelle braccia della donna amata, diventa troppo forte. La bacia. Un momento riempito in modo molto eccezionale di volontà lussuriosa. Giorello menziona anche che la dea Venere (e quindi la lussuria) può rivelarsi maestra di inganno 40. Certo, nel Canto V, si osservano delle azioni ingannevoli: Francesca tradisce suo marito, Paolo suo fratello. All aspetto ingannevole della lussuria, però, sarà dedicato un altro capitolo della presente tesi. Ciò che colpisce nelle pagine sulla lussuria come potenza in Lussuria. Passione della conoscenza, e che potrebbe dar luogo a una riflessione interessante, è un idea che deduce da un testo di Agostino, Città di Dio. Secondo Giorello si può capire da quest opera che, secondo Agostino, la fiacchezza della nostra volontà (contrapposta alla forza di quella divina) sia ben peggio [ ] di qualsiasi fisica impotentia coeundi 41 perché nell ordine naturale l anima è anteposta al corpo. Agostino descrive la lotta della passione [il corpo] e della volontà [l anima] parlando della lussuria, affermando che esiste almeno l imperfezione della passione nei confronti della pienezza della volontà 42. Ciò pone l accento sul valore più grande della forza mentale che è la volontà dell uomo a paragone del suo corpo fisico. Rileva la preziosità e la versatilità della potenza, la quale è valutata non solo dai fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe sostenere, quindi, che si tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza, unificatore. L unione d idee 40 Ibidem, pp.36. 41 Ibidem, pp.39-40. 42 Agostino, Città di Dio, Introduzione, traduzione, note e apparati di Luigi Alici, Milano, Bompiani, 2001, pp.684-685. 22  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli antichi) si ritrova, appunto, nella Commedia dantesca. A mio giudizio questa fusione è una delle caratteristiche più meravigliose dell opera. Si rivela in modo splendido nel passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V proviene, tra l altro, dall enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra, Tristano, e di tutti gli altri personaggi lussuriosi della mitologia classica menzionati dalla guida di Dante, Virgilio. Inglese spiega che sono donne antiche e cavalieri (v. 71): insomma, l intero mondo del romanzo epico-amoroso, che aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico Troianorum Romanorumque gesta et Arturi regis ambages [ avventure ] pulcerrime (Dve I x 2) 43. La loro apparizione conferisce un atmosfera unica all Inferno cristiano. Evocano la grandezza delle storie antiche di alcune coppie famosissime. Risulta dai versi quanto sono care a Dante, tutto come la sua fede. Il ricordo della disperazione, dell amore e della perdizione caratteristico di queste storie si mescola, nel Canto V, ai sentimenti (simili) di Paolo, Francesca e Dante. Per quanto riguarda quella relazione emotiva triangolare tra Dante, Paolo e Francesca, si può segnalare che la sua forza emozionale è ancora aumentata dal fatto che, per Francesca, la visita del pellegrino forma un opportunità unica per confessarsi (dal punto di vista dei colpevolisti di Renzi) o per comunicare e quindi rendere immortale la sua tragica storia d amore (secondo la visione dei giustificazionisti di Renzi, cf. infra). Inglese afferma che gli incontri fra il P. [Dante personaggio] e i dannati si presentano come un momento affatto eccezionale nello svolgersi (che non ha però vero svolgimento) della pena di questi ultimi [ ]: per un motivo superiore ossia, per l edificazione del P. e poi dei viventi che leggeranno il resoconto del viaggio la Provvidenza suscita in alcuni dannati un estremo atto di personalità (v. 84) [ vegnon per l aere, dal voler portate 44 ]. Sul piano poetico, ciò si traduce in una forte drammatizzazione degli episodi: Francesca, per esempio, non avrà mai un altra occasione di confessarsi, di dare forma verbale al proprio tormento 45. 43 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 44 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.88. 45 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89. 23  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Da quello che precede, risulta che un estremo atto di personalità implica una volontà potente, dato che la volontà costituisce una parte essenziale dell essere umano. Si potrebbe dire che, con l ultima frase, Inglese si presenta come un colpevolista, poiché dare forma verbale al proprio tormento può significare dare forma verbale al suo peccato e al modo in cui lo strazio della punizione infernale la tortura. La seconda parte della frase di Inglese, però, potrebbe anche essere interpretata come dare forma verbale al modo in cui entrambi il ricordo del tempo d i dolci sospiri 46 e quello della fine tragica della sua storia d amore la tormentano. Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si presenterebbe non solo come un colpevolista, ma anche come un giustificazionista. Ritornando alle donne antiche e cavalieri, Renzi asserisce quanto segue: Se ci sarà ancora una critica letteraria dedita a leggere con attenzione i testi, qualcuno noterà, per esempio, che la pietà di Dante per Francesca, primo segno della sua partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita poi dallo svenimento, era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle donne antiche e cavalieri, dunque a tutti quei fantasmi letterari che prima sono definiti peccator carnali. Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca. 47 Mentre Virgilio annovera nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo cuore, cresce la compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più commosso, triste e silenzioso per tutto quell amore disperato, perso. Anche lui ha amato e perso la persona amata. Pasquini pone che non si ha soltanto il dramma cruento dei due giovani amanti riminesi; c è anche il dramma interiore di Dante che si sente personalmente coinvolto in quella tragedia 48. Questo dramma interiore che sperimenta il pellegrino di fronte alla tragedia romagnola si spiega, secondo Pasquini, dall atto d accusa di Beatrice nel Purgatorio (cf. infra). Qualcosa di Francesca ritorna in Dante e nel suo personale traviamento, sotto la spinta del rigoroso atto d accusa cui lo sottopone Beatrice; il che spiega con chiarezza, quasi completandolo, il suo turbamento che non è solo pietà di fronte alla tragedia romagnola. 49 46 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91. 47 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.11-12. 48 Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 49 Ibidem, pp.262. 24  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Secondo Pierre-Louis Ginguené (1748-1815), autore di Histoire littéraire d Italie, non è stato il Dante filosofo e teologo che si rivela in altri passi della Commedia che ha scritto l episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante innamorato di Beatrice. 50 In questo senso, il Canto V parla da Enea e Didone, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, e pure di Dante stesso. Di conseguenza, tratta anche di ognuno di noi, poiché il passaggio di Dante personaggio attraverso l inferno, il purgatorio e il paradiso celeste rappresenta il viaggio simbolico di ogni peccatore che desidera ritrovare la retta via. Ginguené, per di più, non evidenzia la pietà di Dante, ma nota che la pena in fondo, se non è mite, è la più piccola fra tutte quelle previste dal poeta 51. Renzi spiega come questo non sembra una grande osservazione, ma la riprenderanno, in genere senza conoscersi l uno con l altro, molti critici, da Foscolo [Discorso sul testo della Commedia 52 ] a Teodolinda Barolini [Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context 53 ]. E ci aggiunge: Bruno Nardi [Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri 54 ], che era l unico che di queste cose se ne intendeva davvero, ha notato che, tra i peccatori nella carne, Dante ha punito i golosi più gravemente dei lussuriosi, invertendo l ordine di San Tommaso 55. Forma un argomento che sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l unico vero autore dell episodio di Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e certamente non il Dante teologo. Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca da Rimini 56 ) e per Benedetto Croce (La poesia di Dante 57 ), segnala Renzi, Dante, come teologo e come cristiano, disapprova i peccati dei lussuriosi. Inglese definisce la pietà di Dante ( pietà mi giunse e fu quasi 50 Pierre-Louis Ginguené, Histoire littéraire d Italie, citato da Lorenzo Renzi in Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.134. 51 Ibidem, pp.135. 52 Ugo Foscolo, Discorso sul testo della Commedia, in Id., Studi su Dante, a cura di Giovanni Da Pozzo, Firenze, Le Monnier, 1979, pp.175-573. 53 Teodolinda Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context, in Dante studies, 116, 1998, pp.31-63. 54 Bruno Nardi, Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza, 1929, pp.1-88, il passo che interessa con i riferimenti a san Tommaso è alle pp.81-82. 55 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.135. 56 Francesco De Sanctis, Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi su Dante, a cura di Sergio Romagnoli, Torino, Einaudi, 1967, pp.633-652. 57 Benedetto Croce, La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1966, pp.73-75. 25  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno smarrito 58 ) un profondo turbamento in cui sono fusi l orrore per il peccato e il dolore per l umanità peccatrice giustamente punita 59. Per De Sanctis e per Croce, da un punto di vista emozionale, invece, Dante non condanna i lussuriosi. Croce sottolinea pure il potere estasiante che ha avuto il libro narrando la storia di Lancillotto e Ginevra sui due peccatori. Asserisce però che Dante, al contrario di altri poeti, riesce a rompere e a superare l incantesimo dolce dell amore. Così, afferma Renzi, il critico italiano è riuscito a ottenere un momento di sovrano equilibrio nella storia della critica [della Commedia], e in particolare dello scontro tra colpevolisti [quelli che considerano Francesca una peccatrice integralmente responsabile delle vicende] e giustificazionisti [quelli che si fanno paladino della donna] 60. D altronde, per quanto riguarda la colpevolezza o l innocenza di Francesca, Inglese segnala che la donna, affermando che Amor, ch al cor gentil ratto s apprende 61, da un punto di vista psicologico si rivela sincera, ma che, nella prospettiva etica del poema, [è] obiettivamente falsa poiché Amore [è] sempre soggetto delle azioni determinanti [ prese costui della bella persona/che mi fu tolta: e l modo ancor m offende./amor, ch a nullo amato amar perdona/mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non m abandona./amor condusse noi ad una morte ] 62. Da quest angolatura, infatti, tutte le due ipotesi (tanto quello della colpevolezza quanto quello dell innocenza di Francesca) rientrano nelle possibilità. Si può considerare Amore come il vero colpevole, o giudicare che la donna si è arresa a lui, caso in cui lei si rivela responsabile per le vicende. Secondo Inglese, l aggettivo leggieri che si trova nel v. 75 e paion sì al vento esser leggieri 63 farebbe parte di un idea esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che vuole dimostrare, al lettore, il peso carnale del peccato d amore. Tutto come questo formerebbe un suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive come anima tormentata dalla passione d amore, mentre dalla struttura è dannata per adulterio incestuoso 64. Quindi, quello che De Sanctis e Croce attribuiscono a Dante teologo e 58 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 59 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 60 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.144. 61 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.89. 62 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89. 63 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 64 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 26La storia di Giulio Giorello  In Articoli04-08-2020di Marco Ciardi Dopo la scomparsa di Giulio Giorello, ho letto molti ricordi a lui dedicati. Uno dei migliori è senz’altro quello di Vincenzo Barone, che compare nelle pagine di questo numero di Query . Ringrazio sentitamente Enzo per avere accettato di scriverlo.   image Io vorrei contribuire alla memoria del nostro grande studioso (e amico) sottolineando soltanto uno tra i molti suoi meriti. Giulio era anche un ottimo storico della scienza e delle idee.   Tale merito gli è stato riconosciuto da uno dei maestri del Novecento in questo settore, Paolo Rossi Monti (il cui nome ricorre spesso in questa rubrica e al quale è stato dedicato il primo numero di “Parastoria”, su Query n. 9, ormai otto anni fa). Recensendo uno dei tanti bellissimi libri di Giorello, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del Mito (2004), Rossi scriveva: «Giorello è stato, da giovane, allievo di Ludovico Geymonat. Insegna (e si è prevalentemente occupato di) filosofia della scienza. Attualmente è anche Presidente della Società Italiana di logica e filosofia delle scienze. Come il suo libro dimostra, non solo utilizza una grandissima quantità e varietà di testi, ma anche conosce come pochi (e minutamente) la storia e i luoghi dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda. Giorello è del tutto consapevole del fatto che il suo libro è una sorta di labirinto. Dentro quel labirinto (che ha una struttura geometrica) egli conduce (a volte trascina) il lettore. Le avventure di idee hanno la strana (per alcuni insopportabile) caratteristica di essere un po’ avventurose: di portare molto lontano dall’idea che la filosofia abbia il compito di mettere ordine nel mondo, di trasformarlo (come diceva il mio antico maestro Antonio Banfi) in “una linda casetta”. Una parte consistente della filosofia italiana sembra impegnata a confrontare accuratamente fra loro i testi di cinque o sei rispettabili filosofi di lingua inglese, a commentarli, a commentare i risultati del confronto, a polemizzare con gli altri commentatori tentando, nel più dei casi, arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di una cosa non mi pare lecito dubitare: Giulio Giorello non fa parte della vasta, soporifera e innocua schiera degli oscuri e instancabili “roditori accademici”».[1]   L’espressione “roditori accademici” era un rimando a quanto scritto sul tema da Paul K. Feyerabend,[2] un pensatore con cui Rossi ha spesso polemizzato, ma per il quale nutriva profonda stima.[3] E che anche Giorello, non a caso, come ha ricordato Barone, ben conosceva. Sua la prefazione all’edizione italiana di Against method. Outline of an anarchistic theory of knowledge, edito in originale nel 1975, e pubblicato da Feltrinelli nel 1979.[4]   Rossi citava spesso, con orgoglio, che il suo libro che compendiava decenni di ricerche sui rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità (2006), fosse uscito nella collana “Scienza e idee” diretta da Giorello per Raffello Cortina.[5] Perché sapeva quanto Giulio avesse chiaro cosa significasse fare storia della scienza, come ricordava nell’analisi del libro di Enrico Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione culturale (2008): «La parola chiave del processo storico – come nota Giulio Giorello nella brillante prefazione che ha scritto per questo libro – è imprevedibilità. Accade infatti spesso nel presente (ed è accaduto spesso nel passato) che gli scienziati siano stati costretti a “vedere” cose diverse da quelle che avrebbero invece dovuto scorgere sulla base delle proprie credenze personali».[6]   Come ci ha ricordato Barone, Giulio Giorello era laureato sia in filosofia che in matematica. Per questo motivo, come aveva presente Paolo Rossi, Giorello non ha mai pensato che il semplice fatto di essere scienziati equivalga, per coloro che svolgono tale professione, ad una autorizzazione «a parlare di testi che non hanno letto, a prendere posizioni su questioni che non conoscono, ad esprimere opinioni su problemi che non hanno mai avvicinato».[7] Del resto, già oltre un secolo fa il matematico Paul Tannery, uno dei padri fondatori della storia della scienza come disciplina specifica, affermava che «per essere un buono storico non basta essere scienziato. Bisogna prima di tutto volersi dedicare alla storia, cioè averne il gusto; bisogna sviluppare in sé il senso storico che è essenzialmente differente da quello scientifico; bisogna infine acquisire una serie di conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo storico, che sono invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa solo al progresso della scienza».[8] Anche per questo, Giorello era un fautore delle collaborazioni. Come quella (tra le innumervoli) con il fisico Elio Sindoni, che ha portato alla realizzazione dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell’Universo(2016), dove Giulio, nella parte storica di sua competenza, mostra (anche in questo caso) una conoscenza approfondita e raffinata degli argomenti trattati. Mostrando, ad esempio, in nome di quella “imprevedibilità” alla quale si accennava poco fa, come il “romanziere” Jules Verne avesse, sul tema dell'abitabilità dei mondi, idee molto più chiare e precise dello “scienziato” Camille Flammarion.[9]   Del rapporto tra “le due culture” Giorello ha sempre preso il meglio (non dimentichiamo che il celebre testo di Charles P. Snow sull’argomento fu introdotto in Italia dalla prefazione di Ludovico Geymonat). Ed era consapevole del ruolo decisivo della scuola nello sviluppare un processo di apprendimento diverso rispetto a quello tradizionale: «C’è soprattutto da vincere la scommessa circa “l’avvenire delle nostre scuole”, come direbbe Friedrich Nietzsche. Chi guarda attentamente alle grandi svolte del pensiero scientifico e alla stessa innovazione tecnologica non può non constatare come gli aspetti più creativi abbiano travolto qualsiasi steccato disciplinare. Valeva ieri per le dottrine di Copernico o per quelle di Darwin, vale oggi per le frontiere della cosmologia o per quelle della biologia, per non dire dell’informatica e dell’alta tecnologia. Potremmo dilungarci su non pochi esempi di virtuose contaminazioni nelle scienze come nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a ricordare che la separazione delle culture è l’effetto più deplorevole dell’atteggiamento che concepisce le acquisizioni dell’avventura umana come entità fisse, sospese nel cielo platonico delle idee.»[10] Perciò Giulio (sempre utilizzando le parole di Paolo Rossi) provava «una invincibile ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di ritrovamenti tecnici, per le sfilate di risultati eternamente veri e di errori eternamente falsi».[11] Ancora Giorello: «Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come è appunto quello scientifico), in cui in linea di principio nessuna opinione è immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi “straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo. Non c’è miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto».[12] Grazie di tutto, Giulio   Note   1) P. Rossi. 2018. A mio non modesto parere. Le recensioni sul “Sole-24 ore”, a cura di R. Bondì e M. Rossi Monti. Bologna: Il Mulino, pp. 224-225. 2) P.K. Feyerabend. 1981. La scienza in una società libera. Feltrinelli: Milano, p. 213. 3) P. Rossi. 1999. Paul K. Feyerabend: un ricordo e una riflessione, in Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia.Bologna: Il Mulino, pp. 161-167. 4) P.K. Feyerabend. 1979. Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza (1975). Prefazione di G. Giorello. Milano: Feltrinelli. 5) Cfr. ad esempio, P. Rossi. 2018. A mio non modesto parere, cit., p. 259. 6) Ivi, p. 389. 7) P. Rossi. 1999. Ci sono molti Galilei?in Un altro presente, cit. p. 134. 8) P. Tannery. 1904. De l'histoire générale des sciences, in “Revue de Synthèse”, 7, n. 12, p. 3. 9) G. Giorello. 2016. Flammarion, lo “scienziato”, sconfitto da Verne, il romanziere, in Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell'Universo. Milano: Raffaello Cortina Editore, pp. 62-68. 10) G. Giorello. 2005. Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere, in Le due culture, a cura di A. Lanni. Venezia: Marsilio, pp. 116-117. 11) P. Rossi. 1967. Considerazioni conclusive, in Atti del Convegno sui problemi metodologici di storia della scienza. Firenze: Barbera, p. 182. 12) G. Giorello. 2005. Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere, cit., p. 118.Grice: “The etymology of libertine ruins it! – or ruins the concept. A slave liberated, being of a low class condition, would be criticized for his excesses of freedom!” Giulio Giorello. Giorello. Keywords: il libertino, implicatura speculativa – specchio e il reame: la communicazione -- “il fantasma e il desiderio” “lo spettro e il libertino” “lo specchio del reame” – “il libertino” “lo scimmione intelligente” lo specchio di Narciso, Bruno, Leopardi-- -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorello” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756347867/in/dateposted-public/

 

Grice e Giorgi – l’implicatura di Bacco – filosofia italiana – filosofia leccese -- Luigi Speranza (Cavallino). Filosofo. Si laurea a Perugia con Givone con “L’estetico” --. studia con Seppilli e Arcangeli Studia etnomusicologia della “Grecìa salentina”, rivalutando i brani in "grico". Altre opere: “Pizzica e rinascita”, La Gazzetta del Mezzogiorno”. Cura “La danza delle spade e la tarantella. Insegna a Lecce. “Le strade che portano al Subasio passando dal Salento” (Ed. Del Grifo, Lecce), “Tarantismo e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della tarantella” (Lecce, Argo); “La danza delle spade e la tarantella: saggio musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina” (Argo, Lecce). “Pizzica-Pizzica, la musica della rinascita. La tarantella del tarantismo e la sua resurrezione: struttura musicale, stato dell'arte e neotarantismo” (Lecce, Pensa MultiMedia); “L'estetica della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina); “Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia all'estetica musicale, Galatina, Edit Santoro); “Il tarantismo come mito: dagli errori di De Martino alla rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo); “Il mito del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita, Galatina, Congedo); “I poeti del vino, Galatina, Congedo); “La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico, Galatina, Congedo, “La rinascita della pizzica, Galatina, Congedo);  Husserl e la Krisis, 3ª in “Segni e comprensione”, Milano); Il francescanesimo tra idealità e storicità, 3ª in “Segni e comprensione”, Porzincula (S.Maria degli Angeli); “Il canto popolare salentino, in Convegno Di Studi Demologici Salentini, Copertino. F. Noviello e D. Severino, Capone, Cavallino Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo secondo Schneider: nuove prospettive di ricerca, in, Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti del Convegno, Galatina, La iatromusica carne del mito: la pizzica pizzica tra etnomusicologia ed estetica musicale, in, Mito e tarantismo Pellegrino, Pensa MultiMedia, Lecce, La pizzica pizzica immensa risorsa culturale del Sud, in, Terra salentina: i Sud e le loro arti, materiali del Convegno di Arnesano, La Stamperia, Leverano, Pierpaolo De Giorgi, “Il ritorno di Dioniso” a proposito di un libro diPellegrino, in “Segni e comprensione”, Fra aborigeni e tarantismo, in, Settimana di promozione culturale pugliese C. Minichiello, Pensa MultiMedia, Lecce, Le tradizioni popolari nei disegni di Nino Severino, greco, Copertino, Diario di bordo, in, La czarda e il vento: antologia di autori salentini, G. Conte, Congedo Pierpaolo De Giorgi, Poesia sintetica, in, Il cuore di Amleto: testi, grafiche e fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém, Pierpaolo De Giorgi, I fogli, in “L'Immaginazione”; Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte dell'incontro e Maestà delle volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina, In marcia di pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare, in  Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf, Galatina, Fantastica pizzica, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza, Gallipoli, Conte, Lecce, Gheriglio in disegno e preghiera, in, Salentopoesia,  festival nazionale di poesia con musica e danza, Lecce, 5Conte, Lecce,  Isola nel Trasimeno, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni, Conte, Lecce, Pierpaolo De Giorgi, S'è cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere, in Luigi Marzo: mostra di pittura, Spello, catalogo, Spello, Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di pittura, Città della Pieve, Tipografia Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia Album Fantastica Pizzica (MCDiscoexpress) Pizzica e Trance (MCDiscoexpress) Pizzica e Rinascita (CDSorriso) Il tempo della taranta: pizzica d'autore (CDDrim) 5Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet Music Studio) Pizzica e RinascitaRistampa (CDC&M) Taranta Taranta (CDIrma records). La pizzica la taranta e il vino. Il pensiero armonico – Pierpaolo De Giorgi  4 Gennaio 2022   G.B.  Il libro è stato pubblicato la prima volta nel corso del 2010 e dopo undici anni riteniamo particolarmente ricordarlo per la sua attualità culturale. Pierpaolo De Giorgi, peraltro, è socio della nostra ASSOCIAZIONE APSEC e collaboratore di questa nostra rivista.  “La ricerca innovativa e serrata compiuta da Pierpaolo De Giorgi, in tanti anni di impegno nelle acque agitate dell’etnomusicologia e dell’estetica, approda finalmente al porto sicuro dello studio La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico.    Accade allora che scoperte e sorprese, esposte con cura e rigore scientifico, si susseguano qui continuamente e senza soluzione di continuità, offrendo una concezione finalmente reale del tarantismo e della sua musica terapeutica, la pizzica pizzica, come pure del decisivo ruolo simbolico e religioso del vino nella civiltà mediterranea. Sono esperienze direttamente connesse con quelle antecedenti del dio Dioniso, il nume più significativo della Magna Grecia e dei territori da essa influenzati, archetipo dell’adesione entusiastica alla vita, della reciprocità e del dialogo.   Tramite Dioniso, nella musica e nella danza, come pure nel vino e nell’ebbrezza, l’uomo recupera il contatto con le radici più profonde dell’essere, che si manifestano armoniche, duali e complementari. Per questo i simboli della taranta, della pizzica pizzica e del vino sono rimedi psicologici che restituiscono l’armonia perduta e che si pongono come un’efficace risorsa anche oggi, per costruire un nuovo umanesimo. Sono simboli mitici, che collaborano con quelli della festa e del rito, e vengono prodotti da un soggetto collettivo. Devono essere considerati come arte tradizionale, alla stessa stregua dell’arte individuale. Nel delineare i confini di queste concezioni, De Giorgi rimedita il brillante ma non del tutto sufficiente “pensiero meridiano” di Nietzsche, di Camus e di Cassano.   In Puglia, come in gran parte del mediterraneo, “il pensiero armonico” è il pensiero della rinascita e della misura, valori indispensabili anche oggi per un corretto cammino della coscienza verso la comprensione di se stessa e dell’uomo verso la propria natura divina.”  Indice CAPITOLO I IL PENSIERO ARMONICO E LA RICERCA IN PUGLIA La Puglia e il pensiero armonico Il mare, l’armonia degli opposti e la luce mediterranea Il pensiero armonico come incontro di mythos e di logos Le radici elleniche della tradizione pugliese Archeologia e storia. Etnomusicologia ed estetica della tarantella La ricerca comparativa sui brindisi e le analogie con la pizzica pizzica Il mito e il pensiero armonico del Mediterraneo nella contemporaneità L’ambivalenza del mito e la misura armonica La misura armonica e il cristianesimo Monoteismo e panteismo Noi e i miti del tarantismo e del labirinto. Verso un nuovo umanesimo  CAPITOLO II I BRINDISI E LA PIZZICA PIZZICA COME SIMBOLI DI RINASCITA I brindisi e la pizzica pizzica come simboli di rinascita in Puglia La festa e il pensiero mitico della rinascita La forza estetica di un’arte speciale del leccese, la pizzica pizzica Pizzica pizzica, tarantella e bellezza L’umanesimo mediterraneo e la bellezza mitica della pizzica pizzica e della tarantella Le civiltà del vino e l’ambiente poetico tradizionale della Puglia I brindisi, la tradizione popolare e il soggetto collettivo La ricerca etnomusicologica ed estetica e i brindisi tradizionali Il ritmo armonico della pizzica pizzica e la gestione delle contraddizioni  – La cumbersazione e i brindisi  CAPITOLO III IL TEMPO CICLICO, LA RIVOLTA COLLETTIVA E IL PENSIERO ARMONICO TRA ARTE E MITO Il tarantismo come rito di rinascita e il tempo ciclico come attività psichica collettiva di rivolta Nietzsche, l’eterno ritorno e il recupero del pensiero arcaico del Mediterraneo  – Le analogie dello Zarathustra con il tarantismo La vita come conoscenza: grandezza e miseria di Nietzsche.  – L’eterno ritorno dell’identico e l’eterno ritorno dell’analogo Gli errori di De Martino e le intuizioni di Camus. La rivolta come lotta contro il negativo e come affermazione dell’essere e della vita I brindisi, la pizzica pizzica e il rito del tarantismo come affermazioni della vita  – La ierogamia e la rinascita I simboli della rivolta e dell’inversione terapeutica Il ruolo di inversione della pizzica tarantata: mito, ritmo e analogia La pizzica scherma di Torrepaduli e la rivolta mitica I risultati dell’analisi etnomusicologica: la biritmìa simbolica. La pizzica pizzica come analogon della dynamis armonica universale  CAPITOLO IV PENSIERO ARMONICO E SOGGETTO COLLETTIVO Il ritorno al cielo del Sud e i fraintendimenti di Nietzsche. Dioniso e il pensiero armonico L’aióresis dionisiaca e la Processione dei Misteri di Taranto.  – Il mare come simbolo armonico e come terapia L’intenzionalità collettiva: il teatro tragico del tarantismo e la tragedia greca Il tempo ciclico e la Magna Mater: l’evoluzione della coscienza La Grecia e il governo rituale degli archetipi. Pizzica pizzica e labirinto I brindisi tradizionali e la pizzica pizzica come arte tradizionale collettiva L’arte collettiva tradizionale come arte del mito. L’umanesimo della misura  CAPITOLO V IL SIMPOSIO, I BRINDISI E L’UMANESIMO DELLA MISURA La tradizione pugliese e il simposio greco e magnogreco Il brindisi e il simposio L’ethos del vino come armonia degli opposti La sperimentazione del divino e l’etica della misura Il pensiero armonico, l’agape e il rischio della dismisura La sublimazione del simposio La dismisura e la degenerazione del simposio  CAPITOLO VI L’EMERSIONE DEL PENSIERO ARMONICO DALLA RICERCA E DALLA COMPARAZIONE La danza, le uova e le corna come simboli simposiali di rinascita Il gesto dionisiaco delle corna nelle musiche e nelle danze della rinascita I saperi tradizionali dell’equilibrio mensurale del pensiero armonico: il ritmo e la benedizione La città di Brindisi, l’origine del nome brindisi e il Bacco in Toscana La cena della spillazione Il porto di Brindisi e le corna rituali come simbolo di rinascita. Il brindisi di Dioniso e di Semole come benedizione Indice dei nomi Iconografìa comparativa  Lecce Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Incontri culturaliINCONTRI CULTURALI Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Da Ernesto De Martino ad oggi la Pizzica Salentina, la Taranta e tutto quel mondo che attorno ad essa ruota in maniera spettacolare e folklorico, in realtà nasconde studi e tradizioni che affondano le loro radici in un passato lontano. In una prospettiva più ampia si può dire che in Europa c'è un luogo che da qualche tempo a questa parte ha espresso una incredibile sequenza di suoni, stili, artisti, esperimenti e contaminazioni culturali. Questo luogo è il Salento. La Terra del Rimorso - come la definì Ernesto de Martino - si è trasformata nella Terra dello spettacolo delle tradizioni. Riportando con forza la cultura popolare, l'attenzione per le radici, al centro dell'immaginario giovanile e del consumo pop, il Salento si è rivelata una meta a cui non si può rinunciare. A cinquanta anni dal viaggio della troupe di Ernesto de Martino nel Salento, quei luoghi si sono trasformati in altro, dimenticando l’Oltre. Negli ultimi vent'anni il Salento è stato spettatore della nascita delle dance hall del Sud Sound System, e dell'irruzione sulla scena della pizzica, sottratta da un lato al folklore, dall'altro all'accademia sino poi al più grande world music festival del mondo, la Notte della Taranta. Degli aspetti antropologici dell’argomento e di quelli iniziatici, simbolici ed esoterici se ne occuperanno Maurizio Nocera e Pierpaolo De Giorgi in un incontro dibattito senza precedenti  Mail Presidente Ass. Thorah – piscopo.grazia@libero.it    Biografie relatori   Pierpaolo De Giorgi, laureato in Filosofia, è etnomusicologo, filosofo, musicista e poeta. Ha fondato e guida “I Tamburellisti di Torrepaduli”, con i quali ha suonato in Italia e in tutto il mondo, provocando la nascita-rinascita del genere musicale pizzica. Ha inciso sette dischi, che hanno venduto più di centomila copie, scrivendone i testi poetici e le musiche. Sue liriche sono state tradotte in greco e in ungherese. Assieme al pittore Luigi Marzo, ha pubblicato il noto volume Le strade che portano al Subasio passando dal Salento (Del Grifo 1991). Ha tradotto in italiano La danza delle spade e la tarantella di Marius Schneider (Argo, 1999) e ha pubblicato numerosi volumi di ricerca, tra i quali Tarantismo e rinascita (Argo, 1999), L’estetica della tarantella (Congedo 2004), Pizzica e tarantismo (Edit Santoro, 2005), I poeti del vino (Congedo 2007), Il mito del tarantismo (Congedo, 2008), La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico (Congedo 2010), La rinascita della pizzica: testi, poesia e storia dei Tamburellisti di Torrepaduli. La via della Taranta (Congedo 2012) che riformulano radicalmente le indagini sul tarantismo e sulla tarantella iatromusicale.  Maurizio Nocera - “Maurizio Nocera (classe 1947) … è un eccellente rappresentante di quella genia … di intellettuali militanti, che sono sempre di meno, oggi, in giro. “Impegnato” dalla punta delle (consumate) scarpe fino alla radice dei (pochi) capelli, infaticabile viaggiatore, talent scout, esploratore di mondi diversi, inguaribile sognatore, gran parlatore, insegnante, politologo, promoter culturale, contastorie, indefesso ricercatore e divulgatore di patrie memorie, bibliofilo, collezionista, scrittore, salentino al cento per cento eppure cittadino del mondo, giornalista, poeta, saggista, storico, critico letterario, editore.” (Paolo Vincenti, Io e Maurizio Nocera, in http://spigolaturesalentine.wordpress.co m/2010/07/03/spigolautori-maurizio-nocer a/). Maurizio Nocera è segretario provinciale dell'ANPI di Lecce.Grice: “Giorgi is not an Italian philosopher; he is a Leccese philosopher. You have to be Leccese to be a Leccese philosopher, and only a Leccese philosopher will NOT appropriate TARANTA – as Martino did – misunderstanding it – The idea of Nietzsche on Bacco is all very well, but Giorgi notes that you have to have the Leccese experience to understand all this”. Pierpaolo De Giorgi. Giorgi. Keywords: l’implicatura di Bacco, il ritorno di Dioniso; mito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756207767/in/datetaken/

 

Grice e Giorgi – fiducia nella fiducia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vernole). Filosofo.  Grice: “Giorgi discovered a phenomenon I often overlooked: meta-trust: ‘la fiducia nella fiducia e, alla Parsons, la fiducia di ego con alter, e alter con ego. Grice: “I love Giorgi, for various reasons; unlike Sir Geoffrey Warnock, or me, who base our Kantian-type morality on trust, Giorgi recognises a very apt distinction between trust and ‘meta-trust’ – fiduccia nella fiduccia: fiduccia nell’altro!” Insegna a Salento. Si laurea a Roma con “il giuridico e il deontico” – Fonda il Centro Studi sul Rischio a Lecce. Studia i sistemi sociali. Altre opera: “Sociologia del diritto” Manuale di diritto del lavoro e legislazione sociale” “Azione e imputazione” “La società”; “Diritto e legittimazione” “Mondi della società” o, con Stefano Magnolo” “Filosofia del diritto” “Futuri passati”  Fiducia è un meccanismo, un dispositivo di riduzione della complessità. Fiducia non è un valore positivo dell'agire o dell'esperienza; non rappresenta una preferenza rispetto al suo opposto, non ha valore morale di preferibilità. Fiducia e sfiducia sono grandezze non convertibili. Dare fiducia ad altri o suscitare fiducia in altri non sono qualità morali, disposizioni buone, né preferibili o migliori in assoluto. Il riscontro della loro preferibilità è la situazione, la conferma della validità dell'orientamento alla fiducia può essere reperita solo nella dimensione temporale, l'accertamento dell'opportunità può essere dato solo dal futuro. La funzione della fiducia, infatti, si dispiega nella tensione fra presente e futuro. In questa tensione si proietta nel presente il dramma dell'incertezza e il rischio del non sapere. Il sapere, infatti, esclude il rischio e rende inutile la fiducia. Il non sapere, invece, impone al singolo, al sistema personale o sociale, la necessità di reperire un dispositivo di assorbimento dell'incertezza che rischia di paralizzare l'agire. Il problema, allora, è il tempo; lo spazio di questo tempo è il presente, una estensione temporale della cui durata ci si rende conto soltanto quando è finita, cioè quando è già diventata un passato. Lo spazio della fiducia è questo. Solo in questo spazio si può avere fiducia. In esso cioè si può costruire, sviluppare, mettere alla prova quella inevitabile avventura che è l'anticipazione delle aspettative dell'altro. Fiducia non è altro che questa anticipazione che orienta l'agire e l'esperire. Ma è un'avventura del presente che anticipa il futuro nella rappresentazione di colui che ha fiducia, perché si serve solo delle risorse di una propria prestazione effettuata in anticipo e costruita su una propria rappresentazione del mondo. Una risorsa esterna, una certezza, renderebbe inutile dare fiducia [...]. La fiducia costituisce una mediazione tra la complessità del mondo e l'attualità dell'esperienza. Una mediazione drammatica, rischiosa, che si sostiene sul sapere di non sapere, che produce da sé le risorse che investe e con le quali si espone al futuro anticipandolo e all'altro rappresentandosi le sue aspettative [...]. Fiducia non è affidamento all'altro. Fiducia non è il racconto dell'altro. Non ci sarebbe il dramma, non ci sarebbe neppure la possibilità di raccontare l'altro, se fiducia avesse a che fare immediatamente con l'altro. Fiducia ha a che fare con la propria rappresentazione dell'altro; essa è affidamento alle proprie aspettative dell'altro. Fiducia è esposizione del sé. Fiducia è abbandono al sé, per questo c'è il rischio, il dramma, la tensione. (R. De Giorgi, Presentazione dell'edizione italiana, in N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino, Riferimenti Bibliografici  - P. Berger, T. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Bologna, 1969;* - N. Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, 1983;* - A. Schütz, La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, 1974.*La semantica del rischio Decisione razionale e azione sociale  Raffaele De Giorgi Docente di Filosofia del diritto - Università di Lecce  venerdì 22 gennaio 1999 - 17,30 Centro Culturale. Sulla situazione delle scienze sociali  Se si osserva il panorama delle scienze sociali oggi, si può affermare che esse sono alla ricerca di temi attuali riferiti alla società, ma che per questo non dispongono ancora di una struttura teorica adeguata, in particolare non sono pervenute ancora a una adeguata descrizione della società moderna. Le discussioni teoriche vengono effettuate in relazione ad autori, in particolare in relazione a classici. Questo comporta, nel modo di porre i problemi, la presenza di un sovraccarico di vecchie prospettive e l’implicito orientamento ad una società che in virtù del suo ottimismo sul progresso aveva raggiunto i suoi limiti, ma poteva tener presente solo in misura limitata le conseguenze della società moderna e le poteva trattare solo come problemi della distribuzione del benessere. Le acquisizioni alle quali si è pervenuti sono date da un atteggiamento scettico verso l’organizzazione e la razionalità (M. Weber) o da una critica della struttura di classe della società moderna. Di queste acquisizioni vive ancora oggi la discussione teorica.  La società moderna ha reso urgenti problemi completamente diversi: il problema dell’ecologia, il problema delle conseguenze che derivano dalle nuove tecnologie, dalla ricerca biologica e genetica: ma anche il problema delle conseguenze legate a determinate politiche di investimento o quello relativo al rapporto tra uso del denaro per fini speculativi o per fini produttivi. Si tratta solo di alcuni indici degli ambiti problematici con i quali continuamente si confronta la società contemporanea e rispetto ai quali la soglia di attenzione, e quindi di preoccupazione, sembra essere più alta.  Negli anni più recenti è sembrato che la scienza sociale riuscisse ad andare oltre la discussione sui classici: si è elaborato così un orientamento problematico che può essere descritto mediante concetti quali complessità, problemi del controllo e guida, possibilità dell’azione ed altri ancora. Così la società viene descritta dalla prospettiva dell’agire politico e quindi dalla prospettiva della pianificazione, la quale ha davanti a sé campi di realtà altamente complessi, in cui tutte le azioni scatenano “conseguenze perverse” e producono problemi che danno motivo a nuove forme dell’agire. Tuttavia anche questa discussione ha raggiunto in modo incontestabile i suoi limiti, non dispone di potenziale esplicativo dell’agire reale e ripropone ormai solo l’originaria formulazione dei problemi. All’ottimismo del progresso si è sostituita la paura del futuro, all’ansia della pianificazione e del controllo, la rassegnazione verso le conseguenze perverse dell’agire che, non potendo essere previste, vengono rese oggetto di analisi empirica: un motivo ulteriore per considerare il presente con disappunto e per tentare di risolvere mediante il ricorso alla morale ciò che sembrava impossibile risolvere mediante la razionalità.   Non si può affatto prevedere che nel prossimo futuro la scienza sociale riuscirà a colmare il deficit teorico che la caratterizza e a pervenire ad una convincente descrizione della società moderna. E’ possibile però isolare temi speciali, che in questa direzione sono fruttuosi e possono essere utilizzati perché le ricerche si concentrino su di essi. Il tema rischio può costituire un tema cosiffatto. Esso è un tema nuovo rispetto alla discussione sui classici e mantiene considerevole distanza rispetto alle teorie sulla decisione razionale o sulla pianificazione razionale. Esso attualizza la dimensione del tempo, una dimensione centrale per la società moderna da tutte le prospettive. Esso altresì ha particolare riferimento rispetto ai temi che nell’opinione pubblica hanno acquistato un significato considerevole e che, gradualmente, diventano dominanti. Esso ha quindi tutte le chances di fornire un contributo rilevante alla comprensione delle condizioni sociali nelle quali oggi inevitabilmente viviamo e delle quali in un qualunque modo dobbiamo tener conto.  2. Stato della ricerca.  Negli ultimi vent’anni il tema rischio ha stimolato una mole immensa di ricerche ed ha raccolto una letteratura che ormai non è più possibile controllare. Nella letteratura meno recente il tema si è sviluppato prevalentemente sotto la voce: insicurezza. La ricerca però si è concentrata su alcuni punti cruciali e non è pervenuta all’elaborazione di una chiara concettualità teoretica.   Da una parte è dato di trovare ricerche sulla valutazione delle conseguenze prodotte dalle nuove tecnologie; queste ricerche presentano ramificazioni molto concrete: ad esempio la valutazione degli effetti cancerogeni che derivano da alcuni prodotti chimici o la valutazione delle possibilità che si verifichino eventi particolarmente improbabili ed insieme altamente catastrofici. Questa letteratura è orientata nel senso delle teorie della casualità o nel senso della statistica: essa ha prodotto a sua volta altra letteratura che si occupa della posizione e del ruolo degli esperti rispetto alla politica e che di conseguenza individua una perdita di prestigio e di credibilità della scienza e degli esperti nelle diverse tecnologie, qualora questi, sotto la pressione e l’urgenza delle decisioni siano costretti a rendere manifeste le loro insicurezze o le controversie interne alla scienza stessa.   Si tratta di una letteratura e di un insieme di ricerche che tematizzano i problemi della sicurezza rispetto a situazioni di pericolo oggettivo, ma che non riguardano la prospettiva di chi, nell’agire concreto, deve decidere se rischiare o non rischiare e a quali costi.   Accanto a queste ricerche è dato di trovarne altre che sono orientate in misura crescente in senso psicologico e che indagano i modi in cui i singoli si comportano in situazioni di rischio. Risultato di queste ricerche è una distinzione di variabili che influenzano il comportamento, come ad esempio l’influsso della fiducia di sé o del controllo di sé sulla disponibilità di colui che agisce verso il rischio.   Un altro orientamento di ricerca si occupa dei deficit di razionalità e degli “errori” statistici che è possibile individuare nel comportamento decisionale quotidiano. La disponibilità al rischio dipende, secondo queste ricerche, non da ultimo dal modo in cui colui che decide pone il problema col quale deve misurarsi.  Questi orientamenti ai quali si sostiene la ricerca sul rischio permettono di comprendere perché gli esperti che si occupano della percezione e valutazione del rischio e delle strategie del suo trattamento, siano essenzialmente studiosi di scienze naturali, di statistica, di economia (in particolare per i settori relativi alle teorie della scelta razionale, del calcolo dell’utilità, ecc.) o di psicologia. Persino il tema “comunicazione sul rischio” viene trattato da specialisti che hanno questa formazione.  La sociologia si è occupata fino ad ora prevalentemente degli aspetti limitati dei nuovi movimenti che si formano nella società a seguito della accresciuta percezione del rischio. La scienza politica ha manifestato scarsa attenzione per i problemi che derivano dal fatto che le questioni legate al rischio sovraccaricano gli interessi politici. Accanto alla medicina si è stabilizzata un’etica che si occupa dei modi in cui la morale dovrebbe affrontare questioni che sembrano sottrarsi al calcolo razionale.  Nonostante la sua ampiezza, l’attuale ricerca sul rischio non riesce a pervenire a risultati utili sia alla descrizione dell’agire decisionale che alla determinazione di possibilità ulteriori degli stessi ambiti decisionali, perché è legata da vincoli che derivano dal modo stesso in cui il problema del rischio viene tematizzato. Questi vincoli sono definiti dai modelli derivati dalle teorie della decisione razionale e dalle teorie psicologico-individualistiche.   3. Integrazione teorica.  Tanto dal panorama delle ricerche quanto dall’eterogeneità dei diversi approcci scaturisce un considerevole bisogno di integrazione teorica. Le prestazioni innovative che è possibile effettuare in rapporto allo stato attuale della ricerca dipendono dal fatto che si riesca ad elaborare e a rendere disponibile una concettualità teorica capace di rendere possibili questi riferimenti.  Il concetto di rischio è stato definito essenzialmente in relazione agli ambiti della relazione razionale, per così dire, come concetto per la elaborazione dei problemi del calcolo razionale. Da qui derivano considerevoli difficoltà di delimitarne significato e contenuto. Nella letteratura si scambiano e si utilizzano come equivalenti e fungibili con il concetto di rischio formulazioni quali pericolo, danger, hazard, insicurezza e simili. Proprio per questo, sul piano metodologico è necessario mettere in chiaro nel contesto di quali distinzioni il rischio acquista il suo contenuto e significato proprio.  La distinzione tra rischio e sicurezza sembra inutilizzabile. Sicurezza in quanto opposta a rischio, indica solo un posto vuoto che non può certo essere riempito empiricamente. Sicurezza, nello schema rischio-sicurezza, indica solo un concetto riflessivo: esso esibisce solo la posizione dalla quale tutte le decisioni possono essere analizzate dal punto di vista del loro rischio. Sicurezza, in questo senso, universalizza solo la coscienza del rischio; d’altra parte non è un caso se, a partire dal XVII secolo, tematiche della sicurezza e tematiche del rischio si sviluppano insieme.   Per questo sarebbe necessario provare se sia possibile intendere il concetto di rischio utilizzando le prospettive fornite dalla teoria attributiva. Nel generale contesto di una insicurezza rispetto al futuro e di un danno possibile, si potrebbe parlare di rischio quando un qualche danno venga imputato ad una decisione, cioè quando questo danno debba essere trattato come conseguenza di una decisione (o da colui che decide o da altri). Il concetto opposto sarebbe allora il concetto di pericolo, che è applicabile quando danni possibili vengano imputati all’esterno. Una tale concettualizzazione permetterebbe di utilizzare la problematica dell’attribuzione che si è rivelata fruttuosa e saldamente sperimentata. La concettualizzazione proposta dà insieme plausibilità al fatto che nella società moderna la maggiore coscienza del rischio sia correlata all’accrescimento delle possibilità di decisione.  Riferimenti Bibliografici   - Ulrich Beck, Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a.M., 1986;* - Ulrich Beck (Ed.), Politik in der Risikogesellschaft. Essays und Analysen, Frankfurt a.M., 1991; - Vincent T. Covello, J. Mumpower, Environmental Impact Assessment, Technology Assessment, and Risk Analysis, NATO ASI Series, Berlin-Heidelberg, 1985; - Mary Douglas, Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Milano, 1992;* - Mary Douglas, Aaron Wildavsky, Risk and Culture. An Essay on the Selection of Technological and Environmental Dangers, California UP, 1983;* - Adalbert Evers, Helga Nowotny (Eds), Über den Umgang mit Unsicherheit. Die Entdeckung der Gestaltbarkeit von Gesellschaft, Frankfurt a.M., 1987; - Anthony Giddens, The Consequences of Modernity, Stanford UP, 1990;* - Alois Hahn, Willy H. Eirmbter, Rüdiger Jacob, Le Sida: savoir ordinaire et insécurité, «Actes de la recherche en sciences sociales», 104, pp. 81-89, 1994; - Toru Hijikata, Armin Nassehi (Eds), Riskante Strategien. Beiträge zur Soziologie des Risikos, Opladen, 1997; - B.B. Johnson, Vincent A. Covello (Eds), The Social and Cultural Construction of Risk, Dordrecht, 1987; - Franz-Xaver Kaufmann, Sicherheit als soziologisches und sozialpolitisches Problem. Eine Untersuchung zu einer Wertidee hochdifferenzierter Gesellschaften, Stuttgart, 1970; - Roswita Königswieser, Matthias Haller, Peter Maas, Heinz Jarmai (Eds), Risiko-Dialog, Köln, 1996; - Georg Krücken, Risikotransformation. Die politische Regulierung technisch-ökologischer Gefahren in der Risikogesellschaft, Opladen, 1997; - Niklas Luhmann, Sociologia del rischio, Milano, 1996;* - Charles Perrow, Normal Accidents. Living with High-Risk Technologies, New York, 1984; - Aaron Wildavsky, Searching for Safety, New Brunswick-London, 1988. (*) I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca della Fondazione Collegio San Carlo (lun.-ven. 9-19)  Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione.Grice: “Giorgi understands trustworthiness perfectly. However, he does not seem to care to provide a moral background for it, which is okay with me, since being trustworthy and expecting others to be trustworthy is what an honest chap does! It’s different with PERJURY, and Giorgi has shed light on the notion of legitimacy – an oath of trustworthiness becomes a LEGAL BOND – not just moral. It is however better to consider the moral trustworthiness as PRIOR conceptually to the legal trustworthiness – even if conceptual priority can go both ways. EPISTEMICALLY, to have a law that condemns perjury may be the best way NOT to have faith in faith (fiducia nella fiducia) but PRESUPPOSE that the other has a moral-legal bond to be trustworthy. The perjury figure in Roman law has to be considered historically, since if there was something the Italians are good at is Roman law!” -- Raffaele De Giorgi. Giorgi. Keywords: fiducia nella fiducia, il giuridico, il deontico, imputazione, azione, fiduzia nella fiducia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757844030/in/dateposted-public/

 

Grice e Giovanni – la civetta di Minerva – filosofia italiana – Luigi Speranza Napoli). Filosofo.  Grice: “The Italians love ‘divenire’ as in ‘being and becoming’ – but if I say Mary is becoming a princess, ain’t Mary being?” Grice: “I like Giovanni; only in Italy, you write an essay on Marx on cooperation and on Kelsen; and then of course an Italian philosopher HAS to philosophise on Vico: ‘divvenire della ragione,’ Giovanni calls what I would call a critique of conversational reason!” Ha aderito successivamente alla Rosa nel Pugno.  Simpatizzò per la monarchia e l'11 giugno 1946 fu tra coloro che presero parte agli scontri che causarono la strage di via Medina; in seguito avrebbe spiegato la sua partecipazione con queste parole: “Già leggevo Hegel ero monarchico perché credevo all'unita dello Stato.” “Scappai quando la situazione s'incanaglì». Si laurea a Napoli con la tesi “Vico: natura e ius.” Insegna a Bari.  Direttore di “Il Centauro. Rivista di filosofia". Altre saggi: “L'esperienza come oggettivazione: alle origini della scienza”; “Il concetto di classe sociale in Cicerone”; “La borghesia italiana”; “Il concetto di prassi”; “Marx dopo Marx”  (cf. Luigi Speranza, “Grice dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! --; “La nottola di Minerva”; -- il guffo di Minerva – la civetta di Minerva -- “Dopo il comunismo”; il comune -- “L'ambigua potenza dell'Europa”; “Da un secolo all'altro: politica e istituzioni” – istituzione istituzionalismo istituismo “La filosofia e l'Europa”; “Sul partito democratico. Aristocrazia, democrazia crazia cratos concetto di potere -- -- Opinioni a confronto”; “A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?” “Elogio della sovranità politica, -- il sovrano – lo stato sovrano – Machiavelli --  Editoriale scientifica, “Le Forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni, Napoli, Bibliopolis,  La parabola di Giovanni.  Il dibattito Un saggio di de Giovanni paragona Severino al filosofo del fascismo. Ma a tutte le sue obiezioni è possibile rispondere È Gentile il profeta della civiltà tecnica Ne rende possibile il dominio planetario. Eppure la legge del divenire è eterna di EMANUELE SEVERINO Giovanni Gentile fu assassinato per- ché era la voce più autorevole e con- vincente del fascismo. Ep- pure la sua filosofia è la ne- gazione più radicale di ciò che il fascismo ha inteso essere. Non solo. Essa è tra le forme più potenti — non è esagerato dire la più potente — del pen- siero del nostro tempo. Di tale potenza lo stesso Lenin si era accorto — forse gli assassini di Gen- tile non lo sapevano neppure. Tanto meno lo sa la cultura filosofica oggi dominante, che mai rico- noscerebbe a un italiano un così alto rilievo. Non solo. Contrariamente agli stereotipi che vedono in Gentile un avversario della scienza, l’attuali- smo gentiliano è l’autentica filosofia della civiltà della tecnica: rende possibile il dominio planeta- rio della tecno-scienza, ancora frenato dai valori della tradizione. Altrove ho mostrato il fonda- mento di queste affermazioni. Il recente libro di Biagio de Giovanni Disputa sul divenire. Gentile e Severino (Editoriale Scientifica, 2013) è un grande e suggestivo contributo al loro approfon- dimento — come d’altronde c’era da attendersi dalla statura culturale e sociale dell’autore. Va facendosi largo nel mondo la convinzione che l’uomo non possa mai raggiungere una verità assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni verità siffatta resti travolta da altri modi di pensa- re, da altri costumi, cioè si trasformi, muoia: di- venga. Travolta, anche la certezza che esistano le cose che ci stanno attorno; essa è innegabile solo fino a che esse non vanno distrutte: era innegabi- le solo provvisoriamente. Esser convinti dell’ine- sistenza di ogni verità assoluta è quindi, insieme, esser convinti dell’inesistenza di ogni Essere im- mutabile ed eterno. «Dio è morto», si dice. La negazione di ogni verità assoluta e innega- bile non investe dunque l’esistenza del divenire del mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la convinzione che il divenire di ogni cosa e di ogni stato sia assolutamente innegabile (ed eterno), proprio per questo è inevitabile che ci si convinca dell’impossibilità di ogni altro innegabile e di ogni altro eterno. Gentile lo mostra nel modo più rigoroso (mentre il fascismo, come ogni assoluti- smo politico, intendeva essere la configurazione inamovibile dello Stato). Ma è appunto per quell’estremo rigore che de Giovanni rileva, a ragione, l’incolmabile contra- sto tra il pensiero di Gentile e il tema centrale dei miei scritti, l’affermazione cioè che la verità asso- lutamente innegabile esiste e che tutto ciò che esiste (nel presente, nel passato, nel futuro) è eterno, ossia non esiste alcunché che esca dal proprio esser stato nulla e che sia travolto nel nulla. Certo, la più sconcertante delle affermazio- ni. Che però de Giovanni considera fondata con altrettanto rigore. Infatti, mi sembra, egli è inte-ressato al contrasto Gentile-Severino perché vede in ogni forma di contrasto una conferma della propria prospettiva di fondo, per la quale l’esi- stenza umana è, da ultimo, un contrasto insana- bile tra il desiderio dell’uomo, finito, di esser sal- vato dall’Infinito e la problematicità del rapporto finito-Infinito. Quindi, a suo avviso, per quanto rigorose possano essere la posizione filosofica di Gentile e la mia, ci dev’essere in entrambe un vi- zio o più vizi di fondo che non possono venir estirpati. Attraverso una finissima procedura in- terpretativa de Giovanni lo fa capire rivolgendo domande, obiezioni sotto forma di domande. So- prattutto a me. Provo a rispondere ad una soltan- to. In modo adeguato risponderò in altra sede. Ma prima rivolgo anch’io una domanda a de Giovanni. La sua prospettiva — qui sopra richia- mata in modo molto sommario — intende essere una verità assolutamente innegabile o una pro- posta dove non si esclude che la verità innegabile esista da qualche parte? Propendo per la prima alternativa. Mi sembra infatti che anche per de Giovanni l’unica verità indiscutibile sia la «stori- cità» del reale, cioè il divenire che travolge ogni altra presunta verità. La sua distanza da Gentile tende così a vanificarsi nonostante le obiezioni, che a questo punto hanno un carattere subordi- nato. E infatti de Giovanni mi chiede se non ci sia «qualcosa di ineluttabile» «nella condizione mortale dell’uomo», se la morte non sia «la prova inconfutabile», l’«irrefutabile cogenza» che «l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla» — e anzi, lasciando da parte il domandare, afferma che il mio discorso «si scontra con il fatto che l’uomo muore» (pp. 83-84, corsivo mio). Il conte- sto in cui de Giovanni avanza queste domande- affermazioni è incommensurabilmente lontano dall’ingenuità con cui a volte queste domande mi vengono rivolte. Ma in questa sede può essere opportuno richiamare — ancora una volta — che i miei scritti, ovviamente, non hanno mai negato che l’uomo muoia e come muoia e resti il suo ca- davere, ma hanno sempre negato che la nascita dell’uomo e delle cose sia un venire dal nulla e che la morte sia un andare nel nulla; e lo negano perché mostrano che questo andirivieni non è un «fatto». Provo a chiarire. Che il dolore, l’agonia, la morte dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia un «fatto» si- gnifica che se ne fa esperienza. Certo: si fa espe- rienza dell’orrore della morte — che è sempre la morte altrui. Ma chi crede che la morte sia un an- dare nel nulla non crede (è impossibile che cre- da) che l’uomo vada nel nulla ma, insieme, conti- nui ad essere un «fatto» che appartiene al conte- nuto dell’esperienza: gli appartenga nello stesso modo in cui gli apparteneva prima di annientar- si. Nell’esperienza rimane il ricordo di coloro che sono andati nel nulla, e il ricordo è un «fatto»; ma non rimane il fatto in cui consisteva il loro es- ser vivi, non si fa più esperienza del loro esser stati vivi. Chi, dunque, crede che la morte sia an nientamento crede che — pur avendo avuto espe- rienza dell’agonia e del cadavere — ciò che è di- ventato niente sia diventato anche qualcosa che non appartiene più all’esperienza, che non è un fatto. Ma allora è impossibile che l’esperienza mostri che sorte abbia avuto ciò che è uscito dall’espe- rienza, e quindi mostri che esso è diventato nien- te. Di questa sorte l’esperienza non può che tace- re. Cioè l’annientamento non può essere un «fat- to». (E se il cadavere viene bruciato e, come si di- ce, «diventa cenere»; allora anch’esso, come tutta la vita passata di chi è morto, esce dall’esperienza —anche se ne rimane il ricordo. Daccapo: che es- so, diventando cenere, sia diventato niente non può essere l’esperienza ad attestarlo). Ci si convince dunque che la morte è annienta- mento non sulla base dell’esperienza, ma sulla ba- se di teorie più o meno consistenti. All’inizio i vivi si fermano atterriti di fronte alle configurazioni orrende della morte dei loro simili e restano col- piti dalla loro assenza; i morti non ritornano, vivi, come invece il sole torna a risplendere al mattino. Anche su questa base, quando si fa avanti la rifles- sione filosofica sul nulla, si pensa che ciò che non ritorna sia diventato niente e si crede di sperimen-tarne l’annientamento. Gentile sta al culmine di tale fede e, con la propria «teoria generale dello spirito», dimostra nel modo più radicale l’impos- sibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel niente. Ma, appunto, si tratta di una dimostra- zione, di una «teoria», non della constatazione di un fatto. Dunque, la sconcertante affermazione, al cen- tro dei miei scritti, che tutto ciò che esiste è eter- no, non è un «paradosso» che «si scontra» con l’esperienza, cioè «con il fatto che l’uomo muo- re». All’opposto, a scontrasi con l’esperienza sono coloro che — affermando la sua capacità di atte- stare l’annientamento degli uomini e delle cose — vedono in essa ciò che in essa non c’è e non può esserci. Sono molti, moltissimi? Non importa. An- che quando qualcuno ebbe a mostrare che è la Terra a girare attorno al sole e non viceversa, tutti gli altri lo negavano, sconcertati. A questo punto de Giovanni deve mostrare per- ché (una volta escluso lo «scontro con il fatto») non accetta la fondazione che di quella sconcer- tante affermazione ho indicato nei miei scritti. At- tendo. Ma anche tutte le altre sue domande atten- dono la mia risposta.Il tramonto del principe: "Fin dall'inizio della sua attività Biagio de Giovanni ha accompagnato al suo discorso teorico e politico una notevole attività di carattere storico-filosofico. Si può dire, anzi, che per certi versi questi sono tre aspetti di una medesima ricerca che, secondo una tipica 'tradizione' italiana, ha intrecciato, in modo consapevole, filosofia, storiografia e politica. Ma questa è una considerazione preliminare, di carattere generale. Ciò che distingue la posizione di de Giovanni è il modo con cui ha istituito questo intreccio - il suo 'punto di vista' - e i risultati che è riuscito a conseguire." (dalla prefazione di Michele Ciliberto). Con una postfazione sulla storia de "Il centauro" di Dario GentiliBiagio di Giovanni. Giovanni. Keywords: essere/divenire – dall’essere al divenire -- divenire della ragione conversazionale: Vico, Hegel, Marx, nottola di Minerva; monarchia – stato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giovanni: il divennire della ragione conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Giraldi – filosofia italiana – filosofia ligure -- Luigi Speranza (Ventimiglia). Filosofo. Grice: “Only a Ligurian philosopher would philosophise on Hegel’s real logic and lobsters!” -- Grice: Grice: “One good thing about Giraldi is that he is from Ventimiglia and moved to Noli – the most charming corners of Italy!” – Grice: “Giraldi calls his position ‘romatnic essentialism;’ having born in Ventmiglia he would, wouldn’t he?”“I like Giraldi; nobody in England would dare write “The son of Peter Pan,” but Giraldi, otherwise known as the author of ‘Essenzialismo,’ did write ‘Il figlio di Pinocchio’”! Il padre di Giovanni Giraldi, originario di Dolceacqua e di estrazione contadina, dopo il servizio militare riuscì la scalata del successo al Casinò di Monte Carlo, affermandosi anche come uomo di grande saggezza e religiosità. La madre invece era originaria di Ventimiglia, dove Giraldi stesso nacque e trascorse la sua infanzia. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli soffriva per la grande conflittualità interna, continuamente vessato dalla sorella maggiore che non esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre la madre non faceva parola con il padre di quanto assisteva. Racconta che in questo periodo riusciva a trovare pace solo in chiesa.  Con una bugia astuta riuscì a scappare di casa, entrando in un collegio, dunque l'anno successivo si trasferì in un altro collegio di Roma, ove tuttavia non riuscì a trovare la tranquillità sperata. Riuscì a compiere studi classici a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Non frequenta le lezioni delle materie filosofiche curricolari, ma studia per conto proprio. Tuttavia sigue abbastanza regolarmente le lezioni di Ponzo, anche se non era materia d'esame. Si laurea e presta servizio militare durante la seconda guerra mondiale. Si laurea in filosofia discutendo molto animatamente la tesi con  Spirito, il quale ironizzò sulle sue pretese di "fare una nuova filosofia". Insegna a Milano. Partendo dalla teoria gentiliana, che vede in tutto una “mediazione”, e da quella di Consentino, che sostiene al contrario la totale "immediatezza", afferma che anche l'atto puro, in quanto nuovo e spontaneo, non può che nascere senza alcuna mediazione, quindi è l'equivalente dell'immediatezza, o del sentire puro. Pertanto prova a risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi hegeliana che possa superare sia il “divenirismo,” sia il coscienzialismo antidivenirista. La soluzione è che l'immediatezza sarebbe sostanziata di mediazione, e viceversa.L'immediatezza è così colma di mediazione, perché senza di essa sarebbe cieca e una mediazione senza una immediatezza sarebbe nulla. Inoltre, per avere una identità distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di sé quanto necessario per identificarsi e per distinguersi.  In Etica del sentiment, ancorando il principio morale proprio alla sfera sentimentale, si focalizza sul sentimento di libertà e propone nuove argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del sentirsi responsabili, pur entro un tutto già dato. In Gnoseologia del Sentimento,  parte proprio dalla posizione del Consentino per ripercorrere gli itinerari di una filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli aspetti dinamici e volontaristici dell'Io. In Filosofia giuridica espone la concezione di diritto naturale quale sentimento fondamentale giuridico, condizione trascendentale di ogni diritto positive. Pertanto il diritto naturale non sarebbe un codice sovrapponibile ad altri codici, ma la precondizione che permette alle leggi positive di essere leggi e non atti religiosi, estetici, scientifici o di altro tipo. Si occupa anche della riflessione su temi politici. L'opera Storiografia come rettorica tende ad inquadrare l'unitarietà artistica e scientifica della ricostruzione storica, coerentemente con la tesi di Cicerone della historia opus oratorum maxime e con quella aristotelica dell'entimema, in altre parole quel sillogismo retorico che si differenzia da quello della necessità. In Epistemologia invoca una "demitizzazione" anche delle teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate (l'evoluzionismo, la teoria del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché tenderebbero pure esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli apprezzabili sforzi a riferirsi alla filosofia da parte di alcuni notevoli scienziati. Ad esempio nota che anche i migliori epistemologi che irridono il concetto di sostanza, di fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una sottintesa sostanza soggiacente. In numerose opere dedicate alla religione, analizzata nelle molteplici forme di spiritualità, avanza la tesi che il proprium della religione sia la soteriologia, quindi non tanto il contenuto di una dottrina, ma la speranza di salvazione dal negativo della vita e della morte. Il principio cardine diventa dunque la speranza, e non più la fede, che viene ricondotta ad un ruolo funzionale alla realizzazione della salvezza.  L'analisi della religiosità tenta perciò di emanciparsi dagli usuali preconcetti filosofici: se alla religione è stato assegnato per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia Dio si dà immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in Immortalità dell'anima mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del Pensiero con la determinazione individualizzata della persona. Il Dizionario di Estetica e Linguistica generale, con alcune integrazioni filologiche presenti in alcune successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per l'attenzione dedicata all'estetica e sulle concezioni dei primitivi "di ieri e di oggi".  La proposta avanzata per una filosofia della scelta e decisione si apre con una riflessione sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole prendere le distanza. Non si considera dogmatico, perché il suo metodo gli consente di aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni riserva, ma ciò non lo porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né agnostica, in quanto la non possibilità di dimostrare (ad esempio l'immortalità, la vita ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare la loro non esistenza.  Tra le numerose acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse incrociate di scetticismo e agnosticismo enumera la consapevolezza di un patrimonio di verità circa le possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto di conoscenza anche nelle forme meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione del conoscere in intuizioni e concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità di coloro che esigono una purezza del conoscere senza inquinamenti sentimentali; le aporie di una scienza oggettivante e insieme soggettivante al massimo e dell'arte che, mentre il mondo odierno nega il reale, si riferisce continuamente ad essa, particolarmente nella negazione.  Non potendosi dare una irruzione nel trascendente, è tuttavia possibile affermare la vasta pregnanza del trascendentale, in altre parole di un terreno comune per l'esperienza e il pensiero. Si considera pertanto idealista, nel senso che non esiste pensiero senza pensiero, spirito senza spirito, “ideato” (significato) senza “ideante” (significans). Tuttavia, differentemente dalle posizioni di Gentili, non crede che affatto il pensiero sia liquido, tutt'altro; proprio perché l'idea diventa comune, e in essa il Pensiero trova la sua pace, occorre una verità fondamentalmente ferma, non mobilizzabile. Da questi presupposti sorge così una debita attenzione per la scelta e la decisione.  Distinguendo le scelte apparenti, che sono totalmente arbitrarie, da quelle reali, quando al termine dell'analisi si opera con un atto di buona volontà, una decisione autentica ci si trova di fronte ad un bivio metafisico: impossibilità di afferrare la realtà dei tre nominati reali (Dio, Anima e Mondo) e impossibilità di negarli. Sorge appunto la decisione autentica, cui si arriva solamente secondo una corretta formulazione di intenti e seguendo una fine immanente ad ogni forma di scelta. Aristotelicamente e anche kantianamente la causa finale riveste una primaria importanza. Se ogni uomo sceglie per sé, nessuna scelta avrebbe una portata teoretica di cogenza, ma aprirebbe le vie della libertà vera, dalla quale ne derivano conseguenze radicali e speculazioni abissali a partire da una decisione, che può essere quella dell'anima unica immortale, o quella del pensiero che viene ad essere dopo la materia, o la non esistenza di Dio. Ciò permetterebbe anche di evitare il depauperamento culturale, con una rivitalizzazione delle esperienze antiche.  La decisione personale propende per una concezione dell'anima unitaria, di stampo aristotelico. Se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui considerata "la più materialistica, e più grezza", preferisce pensare ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso un residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentale sulla scia di Kant e Galluppi oltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la validità delle dimostrazioni, pur scorgendo in esse una bella prova della potenza della mente umana. La conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non dimostrazione della sua esistenza.  Chi ammette l'esistenza di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale affermazione "guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo etsi deus non daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per sempre e rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà, definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di una autocoscienza morale.  Bàrel Dal punto di vista poetico, l'opera principale di Giovanni Giraldi è il Bàrel, iniziato negli anni trenta e sorto dall'ispirazione di un progetto di Papini esposto nell'autobiografia Un uomo finito per un poema apocalittico, mai scritto. Altri spunti furono la lettura di Lord of the World di Robert Hugh Benson e dell'Apocalisse.  Il primo dei tre volumi di cui si compone il Bàrel, terminato in versi nel 1937, fu presentato a Eugenio Giovannetti de Il Giornale d'Italia, che propose come titolo Il Dio Eroico. Gli anni seguenti, segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono l'occasione per trasporlo in prosa. Questa versione, appena terminata la guerra, fu proposta a vari editori ma che per una serie di sfortunate coincidenzeMondadori non disponeva della carta, e dopo alcuni anni, quando la carta è disponibile, cambia idea sulla pubblicazione; la casa editrice Api di Mazzucchelli nel frattempo fallìl'idea di pubblicazione venne temporaneamente accantonata. Nel frattempo alcuni versi furono pubblicati frammentariamente. Il 1964 fu l'anno del riordino delle due versioni in un unico libro che contenesse sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo sperimentale. La pubblicazione avverrà, in tre libri, tra gli anni sessanta e gli anni settanta sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in raccolte unitarie successive.  Il tema è insolito e il contenuto, con riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo, non è di semplice accessibilità. Se il primo libro può essere collocato in un momento simbolico dell'arte, il secondo è classico e il terzo romantico, nei canoni dell'estetica hegeliana. Nel primo, Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le passioni alle idee; nel secondo, La cerca di Barel, ritorna in proporzioni umane e nel terzo, La morte degli dèi, scende negli abissi vertiginosi del Pensiero, che la poesia tenta di inseguire. È stato tradotto anche in lingua francese dalla poetessa e latinista Geneviève Immè dell'Pau. Saggi: “Organon Philosophicum”, Ironia, morale, educazione, Gheroni, Torino, “Etica del sentimento”  Filosofia dell'Unicità, Gnoseologia del sentimento, Pergamena, La filosofia giuridica, Filosofia dell'Unicità, Milano “Filosofia della religione”. Filosofia dell'Unicità, Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana, Pergamena, La Metafisica. Pergamena, Iesous Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera sistematica ai miei figli, Pergamena Dizionario di Estetica, Pergamena Studi successivi anel periodico Sistematica. Res Publica. Educazione civica, Pergamena Res Publica. Teoria dell'Ineguaglianza, Pergamena Nel Pleròma. Da Dio alla Materia, Pergamena Storiografia come rettorica. Autobiografia come filosofia, Pergamena Memoriale Ambrosiano e Memoriale Italico, Pergamena Dio, Pergamena  Estetica della Musica, Pergamena scon Colloquia Edizioni. Meditazioni Hegeliane, Editrice, Meditazioni Platoniche, Pergamena Capitoli sulla Scienza Moderna, Pergamena L'immortalità dell'anima, Pergamena Ricerche filosofiche La filosofia del sentimento di A. Consentino, in Quaderni, Milano, Rabelais e l'educazione del principe, Viola, Milano; ora in Paideia grande. Un mistico bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, Amiel Morale, Saggiatore, Torino, L'educazione dei ciechi, Armando Roma, Società e Stato da Spedalieri a Marx, Pergamena L'estetica italiana nella prima metà del secolo XX: figure e problemi., Nistri-Lischi, Pisa, Storia della pedagogia, Armando Roma  "le edizioni successive alla X sono state scempiate da interventi dell'Editoreriporta Giraldi in Sistematica). Il pensiero politico tra Ottocento e Novecento, Pergamena, Adolfo Ferrière. Psicologia, attivismo, religione, Armando Roma, Giuseppe Lomabardo Radice tra poesia e pedagogia, Armando Roma, Gentile. Filosofo dell'educazione Pensatore politico Riformatore della Scuola, Armando Roma Raffaello Lambruschini. Armando Roma, Silvio Tissi filosofo dell'ironia, Pergamena Moralistica francese, Pergamena Saggi su Francesco di Sales, il Quietismo, La Rochefoucault, Prevost. Filosofi teoretici e Morali, Pergamena saggi su Condillac, Senancour, Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli, Lazzarini, Castelli, Capitini. Gramsci e altri miti, Pergamena Storia della filosofia, Trevisini Milano L'Italia nella dittatura e nella non democrazia, Pergamena Paideia Grande, Pergamena Rabelais, Rosmini, Boncompagni, Gentile. Storia del Liberalismo nel sec. XX, Pergamena Riviste Moltissimi saggi e studi di politica, religione, filosofia, filologia e critica sono stati pubblicati nelle seguenti riviste fondate da Giraldi stesso:  L'Idea Liberale, Sistematica, attiva sino al. Filologia Giovanni Michele Alberto Carrara, De fato et fortuna. Tipografia A. Ronda, Milano,  Studi sul Rinascimento, Pergamena Saggi su: Seneca e la filologia; Petrarca viaggiatore; Leonardo da Vinci scrittore; Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di Dante Alighieri in un poema umanistico inedito; Il Rinaldo di T. Tasso; Il T. Tasso corregge il Floridante; Rime inedite di Cecco d'Ascoli. G. M. A. Carrara,  Pergamena, G. M. A. Carrara, Armiranda. Inedito umanistico, Pergamena Commedia inedita, testo latino e traduzione G. M. A. Carrara,  III, De choreis Musarum, Pergamena Testo sistematico latino. Segue un Saggio monografico sull'umanista. G. M. A. Carrara, Sermones objurgatorii, Pergamena Sui tragici greci. Da mio diario filologico, Pergamena Filologia. Teoria e saggi, Pergamena Su Dante con verità, Pergamena Il Manzoni, in Sistematica, Pergamena Gesù, Pergamena Poesia e prosa d'arte Collana dei "Tredici". La Scala, novelle e poesie; Mutarsio, Torino Bàrel. I. Apocalisse grande, La cerca di Bàrel, La morte degli dèi; Pergamena Hendecasyllabi aliaque scripta, Pergamena L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena Il figlio di Pinocchio, Pergamena Fratelli Frilli,  Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena Quadri Intemelii, Pergamena Miniature. Codex aureus, Codex recens. Codex quadraticus, Pergamena Cento tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in Hendecasyllabi. Il Codex recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è a soggetto libero e vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli scacchi. Con rubriche annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene Musa latina, Pergamena Il ramo d'oro, Pergamena Scritti in Italiano, Latino, Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel mio tempo, Pergamena Splendido novellare, Pergamena Cento racconti e novelle. Musis amicus, Pergamena Versi e prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Sorridono i gigli. Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamena Tevere amico, Pergamena, Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un popolano di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, Faust mediterraneo, Pergamena Editrice, Atlantidos persis, Pergamena Editrice, François Villon, Il Testamento, traduzione e saggio critico Giovanni Giraldi, Pergamena Editrice, Amitiés françaises, Pergamena Editrice, Nel Sublime, Pergamena Il mio Ponente, Pergamena Letture belle, Pergamena Piero Pastorino, Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La Repubblica, sez. Genova. Docente universitario a Milano di Storia generale della filosofia, è stato ripetutamente consulente all'Accademia di Svezia per il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al suo attivo un dizionario di estetica e linguistica, una storia della pedagogia e ha scritto novelle raccolte in due volumi. Vive a Noli, di cui è cittadino onorario. Piotr Zygulski, Filosofo liberale, in Termometro Politico. Giraldi4. Pierre-Philippe Druet, Silvio Tissi, filosofo dell'ironia, Revue Philosophique de Louvain,  John Dudley, Sui tragici greci. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain, Da "Autobiografia come filosofia" (Milano) e pagine integrative in Sistematica, Milano, Pergamena, Angelo Grimaldi, Illuministi inglesi e francesi, in Disegno storico del costituzionalismo moderno, Roma, Armando, Giancarlo Ottaviani, La scuola del Risorgimento. la scuola italiana Roma, Armando, G. Semerano, La favola dell'indo-europeo, Milano, Paravia Bruno Mondadori. Grice: “Giraldi is obsessed with ‘essenza’, which is a coinage by Cicero – essentia, meaning essentially nothing!”  Grice: “Giraldi, who defended Gentile, rightly, as a ‘pensatore politico’ – was obsessed with idealism – his essentialism was supposed to supersede it, but he spends some time analysing the situation in Italy with idealism, ‘a la catedra – but is dead – he refers to Croce, Gentile, and the roots of  idealism in Vico, Sanctis, and Spaventa --.” Giovanni Battista Giraldi. Giovanni Giraldi. Giraldi. Keywords. essenzialismo, essenzialismo romantico, storia della filosofia romana, etica del sentimento, autobiografia come filosofia, mio ponente, filosofia ligure, ‘l’aragosta’ – romanzo ligure -- Riviera di ponente, nel pleroma: da dio alla materia,  gentile, filosofo politico -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giraldi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757510024/in/dateposted-public/

 

Grice e Girgenti – la metrica del filosofo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo. Grice: Ritter thinks Girgenti is related to the Velia – and Pareto to the Crotone – so it’s amazing that Bruto never liked those three Greeks of the Athenian embassy seeing that most pre-Platonic philosophy came from Magna Grecia, that is, Italy! Some must have remained in the genes!” -- Grice: “I like Girgenti; obviously Mussolini didn’t!” Grice: “I love Girgenti – he philosophised in verse, not prosa – rhyme being unexistant, it was all about the metre – he talks of ‘amicizia,’ which is none other than Love that unites all things! And then he fell in the Etna!” “Mussolini thought it was rude of the Girgentians to call their land ‘Girgenti,’ so he formulated a self-referential ‘decretto’: “From now on, Girgentians shall be called Agrigentians.’” Peano objected: “Your decree is self-contradictory or invokes a vicious regressus ad infiniutum!” -- filosofo italiano. Siceliota. Nacque da una famiglia antica, nobile e ricca di Girgenti.Come suo padre Metone, che ebbe un ruolo importante nell'allontanamento del tiranno Trasideo, egli partecipò alla vita politica della città, schierandosi dalla parte dei democratici e contribuendo al rovesciamento dell'oligarchia formatasi all'indomani della fine della tirannide, un governo chiamato dei "Mille".  La tradizione gli attribuisce uno spirito severo verso gli aristocratici. Dai suoi nemici fu poi esiliato nel Peloponneso. Tra i suoi discepoli vi fu anche Gorgia.  Successivamente Empedocle abolì anche l'assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici.  Anche Timeo nell'undicesimo e nel dodicesimo libro - spesso infatti fa menzione di lui - dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti: 'Salve: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro'. Etc. Nel tempo in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di Empedocle. In un tempo posteriore, quando Girgenti era in balìa delle contese civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì. Si iscrisse alla Scuola di Crotone, divenendo allievo di Telauge, il figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e rifiutò i sacrifici cruenti. Secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per attenersi all'usanza secondo cui il vincitore doveva sacrificare un bue, ne fece fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo distribuì secondo la tradizione. Secondo altri seguì gli insegnamenti di Brontino e di Epicarpo.  La sua oratoria brillante, la sua conoscenza approfondita della natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra cui la guarigione delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno prodotto molti miti e storie che circondano il suo nome. coppiata una pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, pensò allora di portare in quel luogo a proprie spese le acque di altri due fiumi di quelli vicini. Con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessa la pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle poi confermare quest'opinione di sé e si lanciò nel fuoco. Si diceva che fosse un mago e capace di controllare le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa poesia Le purificazioni sembra avesse affermato di avere miracolosi poteri, compresa la distruzione del male, e il controllo di vento e pioggia.  I sicelioti lo veneravano come profeta e gli attribuivano numerosi miracoli.  Le numerose testimonianze che riguardano la sua biografia sono alquanto discordanti e non consentono di attribuire un'identità precisa alla sua figura. A conferma di ciò sono le numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e discepoli raccontano ad esempio che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu assunto in cielo. Mentre Eraclide Pontico, Luciano di Samosata e Diogene Laerzio sostengono che si suicidò gettandosi nel cratere dell'Etna. Il vulcano avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno dei suoi famosi sandali di bronzo.In realtà non sappiamo neanche se sia morto in patria o forse nel Peloponneso. Si afferma che visse fino all'età di 109. Una biografia di Empedocle scritta da Xanto, suo contemporaneo, è andata perduta. A Empedocle la tradizione attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni trattati – sulla medicina, sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie. A noi sono giunti però solo frammenti dei due poemi: “Sulla natura” e “Purificazioni”. Di “Sulla natura”, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa 400 frammenti. Delle “Purificazione”, di carattere teologico e mistico, abbiamo poco meno di un centinaio. Il timore di Girgenti appare fin dalle prime righe di “Sulla natura”.  “O dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti, e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente, e a te, musa agognata, o vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo. Ciò che spetta agli effimeri ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto. Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera alla vetta della saggezza. La filosofia di Empedocle si presenta come un tentativo di combinazione sintetica delle precedenti dottrine ioniche, pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Distingue la realtà che ci circonda, mutevole, dagli Quattro elementi primi, immutabili, che la compongono. Chiama tali elementi "radici", non nate ed eternamente uguali  e afferma che sono in tutto solo quattro, associando ognuno di essi a un particolare dio, sulla base di concezioni orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso presso la Sicilia. I quattro elementi (e i rispettivi dèi associati) dunque sono:  fuoco (Giove), aria (sua moglie, Era), terra (Edoneo), ed acqua (Nesti). L'unione delle quattro radici (Giove-Era-Edoneo-Nesti) determina la nascita di una cosa. Si tratta perciò dell’ *apparente* nascita di una cosa, dal momento che l'Essere (le quattro radici) non si crea. “Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna cosa. Solo c'è mescolanza.”  In questo modo, i primi principi si empiono così dell'essenza e del soffio vitale del potere divino. In Empedocle, Amore (Φιλότης) e la «natura divina che tutto unisce e genera la vita. Are, o Marte, e il dio del conflitto. Per Empedocle, l'uomo, essendo di origine divina, raggiunge la vera felicità che quando si riune alla compagnia di Deo. Accanto alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici cose della realtà, si pongono due ulteriori principi: Amore ed Odio (Discordia, Contesa). Amore ha la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" («Amore che avvince.” L’Odio ha la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa".   Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero, immobile, uguale a se stesso e infinito. Amore è Dio e le quattro "radici" le sue "membra", e quando Odio distrugge lo Sfero, tutte, l'una dopo l'altra, fremevano le membra del dio. Infatti sotto l'azione dell'Odio, presente alla periferia dello Sfero, le quattro radici si separano dallo Sfero perfetto e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi. Prima bi-sessuate e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in maschi e non-maschi, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate. Alla fine di questo ciclo, Amore riprende l'iniziativa e dalle membra isolate, nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e non-maschi, poi esseri bi-sessuati che finiscono per riunirsi, con le quattro radici che li compongono, nello Sfero. Nelle Purificazioni, sostiene la metempsicosi, affermando l'esistenza di una legge di natura che fa scontare agli uomini le proprie colpe attraverso una serie continua di nascite, tramite cui l'anima, di origine divina, trasmigra da un essere vivente all'altro. In questo poema gli esseri viventi, parti costitutive dello Sfero di Amore divengono dèmoni errando nel cosmo.  “È vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un delitto o se qualcuno per la Contes abbia peccato giurando un falso giuramento, i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L'impeto dell'etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici dell'etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch'io sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente Contesa.” L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del demone decaduto? Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento. L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se andiamo più a fondo, l'Amore. I demoni esiliati lontano dagli dèi saranno allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la Discordia. Quando le parti dell'Amore che sono i demoni si riuniscono nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente.  Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si trasforma in dio. Questa concezione conduce al rifiuto assoluto dei sacrifici, poiché in ogni essere vivente vi è un'anima umana, che sta compiendo il suo ciclo di reincarnazione. Se nel corso di questo ciclo l'anima si è comportata secondo giustizia, al termine potrà tornare nella sua condizione divina. Dal che, come Pitagora, anche a Empedocle ripugnano i sacrifici animali e l'alimentazione carnea. “Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni, commetteremo ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di qui la loro esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro affermazione che commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare con il caldo sangue dei beati», ed Empedocle dice in qualche luogo: Non cesserete dall'uccisione che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità della mente?” “Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano l'implorante; ma quello sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara l'infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli la madre dopo averne strappata la vita mangiano le loro carni.” Rispetto alla sua precedente opera vi sono delle contraddizioni che è stato difficile per i suoi esegeti conciliare. Ad esempio, ad una visione naturalistica del poema Sulla natura si contrappone la teoria della reincarnazione delle Purificazioni: nel primo scritto l'anima è anche detta mortale, mentre è definita immortale nel secondo. C'è chi ha spiegato tali incongruenze con la versatilità di Empedocle, scienziato e profeta al tempo stesso, medico e taumaturgo. C'è invece chi ha ipotizzato una paternità diversa delle due opera. Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri a Ercolano, identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con Empedocle. Lo stile di Empedocle viene lodato dagli antichi. “Dicantur ei quos physikoús Graeci nominant eidem poetae, quoniam Empedocles physicus egregium poema fecerit» «Siano pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il fisico Empedocle scrisse un poema egregio»  (Cicerone, De Oratore 1, 217) «padre della retorica»  (Aristotele fr. 1, 9, 65) Lucrezio (De rerum natura 727 ss.) lo prende addirittura come modello.  Renan lo definisce «uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton e mezzo Cagliostro» Gli viene intitolato il Regio Liceo Classico di Girgenti, dove studiarono, fra gli altri, Pirandello e Camilleri.  Secondo le discordanti fonti sulla vita di Empedocle la cronologia andrebbe fissata tra il 484-1 e il 424-1.Cfr. Gabriele Giannantoni, I presocratici. Roma-Bari). Secondo Bignone (“Empedocle”, Torino) Empedocle sarebbe vissuto tra il 492 a.C. e il 432 a.C. Anche Robin ritiene che la sua vita sembra sia scorsa tra il primo decennio del secolo V e il 430 circa. Schiefsky ritiene che Empedocle sia nato nel 490 a.C. e morto nel 430 a.C. Platone, Parmenide, 127 B  Platone, Parmenide, 127 C.  Diogene Laerzio, VIII. 51  Diogene Laerzio, VIII. 73.  Timeo, ap. Diogene Laerzio, VIII. 64, comp. 65, 66.  Aristotele ap. Diogene Laerzio, VIII. 63; cfr. Timeo, ap. Diogene Laerzio, 66, 76.  Diogene Laerzio, VIII, 66, 67.  Mannucci, La cena di Pitagora, Carocci editore. Satiro, ap. Diogene Laerzio, VIII. 78; Timeo, ap. Diogene Laerzio, 67.  Diogene Laerzio, VIII. 60, 70, 69.  Plutarco, de Curios. Princ., Adv. Colote, Plinio, HN XXXVI. 27, e altri.  Così nella letteratura antica, come riferisce Bertrand Russel nella sua Storia della filosofia occidentale, citando un poeta anonimo: «Grande Empedocle che, l'anima ardente, saltò in Etna, ed è stato arrostito intero».  Diogene Laerzio, VIII. 67, 69, 70, 71; Orazio, ad Pison. 464, ecc. Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse all'Etna e, giunto ai crateri di fuoco, vi si lanciò e scomparve, volendo confermare la fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente fu riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari fu rilanciato in alto. Infatti, egli era solito usare calzari di bronzo.”  (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, 8.68-69). Cfr. anche Eraclide Pontico, fr. 83 Wehrli. “E questo tutto abbrustolito chi è? - Empedocle. Si può sapere perché ti gettasti nel cratere dell'Etna? Per un eccesso di malinconia. No: per orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere un dio. Ma il fuoco rigettò una scarpa e il trucco fu scoperto. (Luciano di Samosata, I dialoghi). Timeo ci attesta esser lui finito di morte naturale. Dicono alcuni che trovandosi egli in Messina a cagion di una festa sia ivi caduto da un carro, e rottasi la coscia, sia morto. Credono altri che in mare naufragasse: altri che si fosse strangolato da sé. Scinà, Memorie sulla vita e filosofia d'Empedocle gergentino, GERENTI – no GIRGENTI -- ed. Lo Bianco, Palermo – empedocle gergentino -- Apollonio, ap. Diogene Laerzio, VIII. 52, comp. 74, 73.  Wolfgang Haase, 2, Principat; 36, Philosophie, Wissenschaften, Technik 6, Philosophie (Doxographica [Forts.]), ed. Walter de Gruyter, Franco Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Bruno Mondadori). Jori, Empedocle in Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori. Avverte infatti il Jaeger. Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica l'espressione della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i predecessori troppo sicuri di sé.” Cardin, Empedocle, in Enciclopedia filosofica, Milano, Bompiani, Reale, Storia della filosofia greca e romana, vol.1 p.213  D-K 31 B 7.  D-K 31 B 17  Kingsley, Misteri e magia nella filosofia antica. Empedocle e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore, In corrispondenza con le quattro primarie anti-tesi del caldo (fuoco), del freddo (aria), dell'asciutto (terra), e dell'umido (acqua). Le quattro radici di Empedocle risultano essere poi i quattro elementi di Aristotele e Tolomeo.  Edoneo  è un appellativo proprio del dio degli inferi Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia, 913; o anche inno omerico A Demetra.  Forse si riferisce a Persefone; per una dotta riflessione su questo nome, certamente un teonimo poco conosciuto, si rimanda a Gallavotti in Empedocle, Poema fisico e lustrale, Milano, Mondadori/Lorenzo Valla. Secondo Empedocle (B 62; 63) i due sessi (maschi, non-maschi) furono determinati dalla separazione di creature "di natura integra", che si erano a loro volta evolute da forma di vita più primitive. Un papiro di recente ritrovamento, contenente aforismi di Empedocle, ha consentito tuttavia di integrare le due versioni, portando a ritenerle complementari. Le due opere, quindi, farebbero forse parte di uno stesso trattato o poema filosofico. In tempi più recenti, è stata avanzata l'ipotesi che si tratti di Empedocle gergentino. Tale proposta trova conforto sia nella notizia di Diogene Laerzio in merito alla folta chioma del personaggio sia alla specifica collocazione del bronzo all'interno della villa dove faceva pendant con il bronzo raffigurante Pitagora (inv. 5607), che fu suo maestro» (Museo archeologico Nazionale di Napoli.  “Sulle origini”. Ne conservavamo trecentocinquanta versi.”Martin ha consegnato complessivi settantaquattro esametri dei quali venticinque coincidono con quelli già posseduti.  “Ma da ogni parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che gioisce di avvolgente solitudine.»  (Empedocle, D-K 31 B 28, Poema fisico e Lustrale, Milano, Mondadori, 1975.  Tonelli,  Empedocle di Agrigento. Frammenti e testimonianze. “Origini,” “Purificazioni,” con i frammenti del papiro di Strasburgo” (Milano: Bompiani). Bignone, Empedocle. Studio critico, traduzione e commento delle Testimonianze e dei Frammenti, ristampa, Roma, L'Erma di Bretschneider, [Torino: Bocca]. Colli, Empedocle, Pisa, La Goliardica, Traglia, “Studi sulla lingua di Empedocle” Bari, Adriatica, Bodrero, “Il principio dell’amore nella filosofia d’ Empedocle” Roma, G. Bretschneider, La lingua di Empedocle, Bari, Levante, Volpi, Empedocle: i suoi misteri rivelati in una biblioteca, 13 novembre 1996.  Empedocle di Agrigento (PDF), su Università di Milano,1.  Filosofi: Empedocle, scoperto papiro a Strasburgo. Per gli studiosi è l'unica testimonianza diretta, Strasburgo, Adnkronos,  Pigliando il nostro Empedocle a trattar le cose naturali, cui sopra d'oga ' altro in tendea, ebbe egli a sdegno di seguir set ta e maestro. E come egli era franco di animo, e grande d'ingegno; così immagi nò giusta la moda de' tempi, e l' usanza de' filosofi un sistema novello. Questo di vulgato gli acquistò tal fama, ch'emulo ei divenne per gloria e per sapere de' fisici più famosi di sua età Democrito e Anassa gora. I Greci di fatto accolsero con ammi razione i suoi belli poemi; e chi vennero poi ricordarono con onore Empedocle e i pensamenti di lui. Incerta fra tanto, manca, é corrotta è venuta la sua dottrina sino a noi. Man cate per l'ingiuria de' tempi le opere del nostro Gergentino, chi ha voluto conoscer ne lo spirito, è stato costretto di rintrac 6 ciarlo presso gli storici dell'antica filosofia. I quali non ebbero affatto cura di notare il vincolo, con cui destramente iva quegli legando i suoi pensieri. Anzi costoro così disparati li rapportano, che si possan te nere non altrimenti che rottami, da' quali non si pud il disegno ricavar dell'edifizio, cui prima apparteneano. Però eglino non che han male e tortamente fatto conoscere Ja fisica d'Empedocle; ma nè pur bene e dirittamente apprezzare la forza e la virtir della sua mente. Giacchè l'eccellenza de' sistemi è riposta nell' union delle parti, che si rispondon tra loro; e da questo le. game si misura l'ingegno di chi l'hanno inventato. Empedocle inoltre scrisse in versi, e ‘abbellì le sue idee, come fanno i poeti. Per lo che pigliando alcuni letteralmente le finzioni della sua fantasia gli apposero o pinioni assurde e grossolane. Illusi altri dal le immagini poetiche, che per lo più sono equivoche, travidero; e più presto ci tra mandarono le loro illusioni, che i pensa - 7 menti del nostro filosofo. Varie di fatto so. no le forme, sotto cui ci presentano Em pedocle gli antichi e i moderni scrittori. Ora egli è dualista, e ora è scettico: ora pla tonizza ', e or favoleggia: e non ha gnari fu, non so come, anche gridato qual pre cursore di Newton (1 ). Sicchè Empedocle, tra biasimato, lodato, e sfigurato, è stato sempre mal conosciuto, e sempre calunniato. Volendo adunque richiamare in luce la filosofia di lui, ho cercato e raccolto i frammenti de' suoi poemi, che per avvene. tura ci restano, e sparsi qua e là si leg gono presso diversi scrittori. Coll ' ajuto di questi, che sono gli onorati avanzi della sua vera fisica, son ito raccapezzando pri e poi restituendo la sua filosofia, Per chè tra le opinioni, che gli storici appon gono ad Empedocle, ho quelle scelto, che ben s'adattano, e naturalmente si legano colle idee, le quali si traggono da? fram menti di lui, e le altre rigettato, che a queste si disdicono, o ne sono contrarie. Ho fatto in somma ciò, che suol praticara ma 8 si da chi 'voglioso di restaurare un'antica statua o colonna raccoglie e mette insieme que' pezzi,, che tra loro s' incastrano, e ben si connettono. Questo metodo che stimerà diritto chiunque non è privo di senno, deve specialmente poter convenire ad Empedocle. Poichè Aristotile ci atte sta: colui più che altro fisico della sua età, aver detto delle cose, ch' eran tra loro ben legate e concordi (2 ). Ho quin di fatto ogni sforzo per richiamare alla sua purezza e integrità la dottrina del nostro filosofo quando da lui stesso, quando dall' autorità degli antichi scrittori, sempre met. tendo in accordo le idee, che si traggono da questi e da quello. Però non è da ma ravigliare, se con sì fatto accorgimento, ab. bia liberato il nostro fisico di non poche assurdità, e se mi sia venuto fatto d'ab bozzare almeno il vero sistema di lui. La prima origine, e i primi elementi delle cose, sono, per quanto pare, fuori la sfera del nostro intelletto, perchè oltre: passano la sfera de' nostri sentimenti. Pure. i Greci, cominciando da Talete, s' occupa ron tutti in si fatta vana ricerca, e tutti si smarrirono. Alcuni degli Jonici coll'acqua, altri coll' aria, altri col fuoco formaron le cose, e fabbricarono presto l'universo. Non così piacque a Parmenide, e a Pittagora. Costoro, lasciato il mondo materiale, come indegno delle loro meditazioni, si misero per strade diverse in un mondo astratto ed intellettuale. Parmenide spiritualizzò l'u nico elemento degli Jonici; e pose unica, e terna, immutabile sostanza. Uno è tutto, dicea egli, e tutto è uno; sicchè le mu tazioni della materia non altro eran per lui', che modi e semplici apparenze. Pit tagora dal mondo materiale rifuggi alla Geo metria. E se bene questa scienza non fos che un parto della nostra mente; pú re l’ehbe quegli, non si sa come, per lo modello, e 'l vero esemplar dell'universo. Però nella Geometria leggeya i rapporti e le proporzioni, che debbono aver le co se, ch'eran materiali; e vide nell'unità i primi e veri principj de' corpi. Furon gli se 8 b 10 ingegni presi da prima di maraviglia così pel filosofo di Flea, come per quello di Samos; e corsero tutti a ' loro insegnamen ti. Ma stanchi di poi di contemplare un mondo o metafisico, o geometrico, ritor narono naturalmente alla materia; e nac que la filosofia corpuscolare. I primi a far questo ritorno furono Empedocle; Anassagora; Leucippo e Demo crito. Costoro calando dal mondo di Pit tagora alla materia materializzarono le u nità di costui. Atomi chiamarono Leucip po e Democrito i principj delle cose (3 ); particelle simili Anassagora; ed Empedocle col nome li distinse di elementi degli ele menti (4). Ma in verità i loro principi altro non erano, che le unità di Pittago ra fatte materiali, espresse e indicate con vocaboli diversi. Democrito lasciò a suoi atomi l'indi visibilità, di cui le unità di Pittagora eran fornite nello stato suo intellettuale. Questa stessa indivisibilità secondo alcuni, negd al le parti simili Anassagora. Differente dall' uno e dall'altro fu per Aristotile l'opinio. ne d’Empedocle (5 ). Costui cercò nella materia le sue unità, e dividendo e sud dividendo i corpi giunse a quelle moleco le, che più non si potean dividere. Ma dove i sensi mancarono, suppli colla ra gione, e proseguendo la division delle mo. lecole col suo pensiero, s'accorse potersi queste sempre pit di nuovo dividere. Ven ne però affermando che i suoi elementi de gli elementi eran divisibili; ma solo colla mente non gia col fatto. Distinse, così di cendo, le unità di Pittagora dalle sue, ch'eran materiali; e provvida in bel mo do alla durata della natura '. Perchè essen do i principi delle cose incapaci, secondo lui, d'ogni fisica alterazione, quelle deb bono sempre durare come al presente sono: Tennero tutti tre que' fisici non che per cosa assurda, ma impossibile, la crea: zione dal nulla. Ne venne loro in mente, come ad alcuni indi piacque, di supporre la materia nuda d'ogni qualità. Chiama vano essi la materia senza forma, e senza 3 b 2 12 qualità ciò che non è (6): Ciò ch'è, dicea Empedocle, è impossibile venire da quello, che non è (7 ). Ma diverse furon le quali tà, ch ' attribuiron costoro alle loro unità secondo che diversamente riguardò ciascun di essi i corpi e la natura. Anagsagora ebbe le sue particelle non altrimenti che briccioli minutissimi, ma simili in propieta a corpi, ch'eran destinati a formare. E come varj sono i corpi e differenti le lor propietà; così yarie e differenti pose in corrispondenza le qualità delle sue particelle. Per lo che tras portò egli le qualità delle masse a' fram menti di esse, e,e ristandosi alle apparenze ricayò, come suol dirsi, da grande in pic colo. Gli atomi per Democrito erano al contrario tutti della stessa natura; e solo differiyan tra loro per sito, ordine, e fi gura. Idea, che ben si conviene alla sem plicità della natura; la quale con pochi mezzi suol produrre fenomeni, che sono pressochè infiniti, attesa la lor varietà, la lor moltitudine. Empedocle, ciò non o stante, rigettò il pensier di Democrito; e 13 or 1 volendo spiegare la varietà materiale, de? corpi, piglio, com ' egli dovea, e genno consiglio dall'esperienza.. Gli Jonici addensando o rarefacendo acqua, or l'aria, or l'aria insieme e ' l fuoco, diedero forma e qualità a ' cor pi dell'universo. Da questi e dal loro me: todo si dilungo il nostro fisico. Studiava egli i corpi, e separandone le particelle cer cava prima, e raccoglieva poi i loro com. ponenti. Però in luogo di fingere, ritro vava ne' corpi i loro elementi; nè i corpi a capriccio componea alla maniera degli Jo nici, na li analizzava come fanno i chi. niici. Le sue esperienze, furono egli è ve. ro, incerte e imperfette, come si leggono ne' versi di lui. Perchè dirizzandosi per una via non ancora usata nelle fisiche ri. cerche, mancava d'ajuti e di stromenti; massime che la fisica era allora metafisica e bambina. Ma ciò non pertanto que' pri mi e rozzi saggi del nostro Empedocle so no da stimarsi un chiaro testimonio del suo metodo, ch'era tutto pratico e sperimen. 14 tale. Coll'ajuto in fatti delle sue esperien ze agginnse, a giudizio d' Aristotile ', la terra all' aria, all' acqua, al fuoco, e ' l primo stabilì la dottrina de' quattro ele menti (8 ). Quattro, dicea egli, son le radici di ogni cosa: Giove, Giunone, Plu tone e, Nesti, figurando, sotto questi sim, boli il fuoco, la terra, l ' aria,, ee l'acqua '. Per lo che nella sua fisica le unità mate riali eran le parti, che diconsi integranti de quattro elementi; e questi le costituen ti di tutti i corpi, che si trovano in na tura, Sebbene il fisico di Gergenti avesse di stinto l' aria, l'acqua e la terra per le diverse lor qualità '; pure in riguardo al fuoco l'ebbe e' tutte tre, come se state fossero d' unica e medesima natura. Le particelle dell'aria e dell'acqua tendono, secondo lui ', a condensarsi, come fa la terra. E al contrario credea Empedocle es sere propietà del fuoco d'assottigliare, se parare, e levare ogni solidezza alle parti celle dell' aria e dell' acqua. Di fatto fu C 1 15 sua opinione che la luna si condensò a ca gione del fuoco, che da essa si partì, non altrimenti che avviene nell'acqua, quando si riduce in gelo (9 ). E se il fuoco indu. ra i corpi umidi, e vetrifica talvolta i so lidi, ciò accade per Empedocle, perchè scioglie e separa l'aria e l' acqua in quel li dimoranti (10 ). Gli elementi dunque aria e acqua sarebbero stati solidi, se la forza dissolvente del calore portato non l' avesse alla liquidità, che lor si conviene Non conobbe, egli è vero, così pensando, qualunque corpo per via del fuoco poter pigliare, passare, ritornare allo stato soli do, o liquido, o aerifornie; ma giunse a comprendere l'aria e l'acqua dovere al fuoco la loro fluidità. Questa verità, che in tempi più felici avrebbe potuto gene rarne tant' altre, fu allor qual baleno in notte huja, che illumina in un attimo, poi l' oscurità lascia più grande. Tal veri ta o affatto non fu avvertita, o punto non fu ben compresa da’ filosofi d' allora. Ari stotile si lagna d’Empedocle, come di chi e 16 avesse usato de quattro elementi, non al trimenti che fossero stati due; contando quegli per uno i tre, che questi avea real. mente diviso aria, terra, é acqua (11 ). Anzi chi furon dopo (quasi Empedocle non già quattro, nia un solo elemento avesse stabilito nella sua filosofia ) si diedero fal samente a credere il fuoco essere stato te nuto dal nostro fisico per lo principio, da cui ogni cosa veniva, e in cui ogni cosa doveasi risolvere (12 ). Ma comunque ciò, sia, egli è certo, da che. Empedocle manifestò quattro po ter essere gli elementi delle cose, tutti abbracciarono la sua opinione. Di leggieri ciascun' s'avvide l'aria, l'acqua, la terra il fuoco aver gran parte nella composizio ne de' corpi, e ne' cangiamenti più notabi li, che avvengono nel nostro globo e nel la nostra atmosfera '. Di fatto non più a capriccio come prima si solea, s' accrebbe o diminui il numero degli elementi, e tol ta ogn'instabilità tra le scuole, comune fu, e ferma rimase la sentenza de' quattro ele 17 Conta area la dem fial menti. Sicchè su questa dottrina, qual ferma base, venendo assai dopo a posare la moderna fisica; questa Empedocle ricono scere deve', e lui onorare qual suo capo e fondatore. Hanno le scienze, come ogni cosa umana i lor giri, e le loro vicende, che si distinguono da' metodi, dalle opi. nioni, dalle verità, ed eziandio dagli er rori che son dominanti. La fisica nella sua infanzia nise tra gli elementi l' aria, l' acqua, il fuoco, la terra. Questi, non ha guari, ha gia scomposto la chimica. Altri ne sostituiranno i nostri posteri, ch' al presente non si conoscon da noi. Ma niuno negherà la debita lode al nostro fi losofo, che fondo il primo periodo della fisica colla dottrina de' quattro elementi, e regoló i primi debolissimi passi dello spiri to umano nello studio non che vasto ma difficile delle cose naturali. - Più alto senno, e più forza d'in, gogno mostrò Empedocle, quando si mise a cercar le forze, che mettono in movie mento la materia e gli elementi. Si fatta 2, D i leta plaža matukio ered ܐܐ F Table tol fue ele 8 1 ricerca, siccome molto ardua, non era sta. ta sin allora impresa d'alcuno. Anassago ra, attese le sue particelle prive di moto e di vita, non sapendo altro che specola re, ricorse a Dio; e colla forza onnipoten te di lui agitò e sospinse le sue parti si mili, o loro impresse quel moto, che que. ste naturalmente non aveano. Fece costui, come chi a muover la macchina, in luogo di peso, o di molla, cerca la man dell' artefice. Però Aristotilo contro lui si sde gna, e giustamente il rampogna (13 ). Ba sto a Democrito di fornire il moto a' suoi atomi, nè curò di saper come e d'onde quello venisse. Al più facilitò il movimen to immaginando un voto, ove ogni sorta d'atomi avesse potuto agevolmente dime narsi; e particolarmente attribuendo agli atomi del fuoco la figura sferica, come quella, che avesse questi potuto render atti a scorrere e sdrucciolare. Ma Empe docle fu il primo al dir d' Aristotile, che con molto senno in natura conobbe due come cagioni del moto degli ele St & © S forze C 19 menti (14). Una di quelle chiamò amo. re, amicizia, concordia, o l'altra come contraria o lio, inimicizia, lite. L'amore d'Empedocle non è quel del la favola, di Parmenide, d' Esiodo, o d ' altri fabbri di cosmogonia. Era forse per costoro un principio attivo che vivificava 1 universo. Ma questa era un'idea, vaga, generale, e nulla utile alla fisica. Non è così l'amicizia d'Empedocle. La quale è una forza, fornita di particolari propietà, e tanto intriseca alla materia, quanto si stima da noi la sua gravità. In virtù di sì fatto amore le particelle simili tendono a unirsi tra loro, e congiungendosi forma no a mano a mano le masse. Masse che vie più van sempre crescendo; perchè la maggiore sempre ne trae a se la minore, e l'una all'altra infallibilmente s' unisce. Aria, diceva Einpedocle, si aggiunge ud aria, etere a etere, fuoco a fuoco in mo do che il minore al maggiore s’ accoppia. Sospinte del pari dall ' amore le particelle di natura diversa tendono a unirsi tra lo C 2 E ro, e compongono gli aggregati colla loro unione. L'amore in somma unisce la ma teria si fattamente, che se in natura si gnoreggiasse la sua sola forza diverrebbe l' universo unica męssa, unica sfera (15 ). Perchè è propietà peculiare dell ' amicizia di ridurre le cose, che son più, a una so la. La forza quindi per Empedocle simbo leggiata dall' amore, amicizia, e concordia non è se non quella stessa, che oggi da' Chimici si chiama affinità. L'odio, non altrimenti che l'amore, è parimente intriseco agli elementi de' cor pi, ma le qualità d'uno son del tutto op poste a quelle dell'altro. Tende l'inimis cizia a disunir le particelle congiunte; scio gliendo le masse, e scomponendo gli ag gregati. E' singolar propietà di quella ri durre l ' uno in più: tal che se l'universo fosse una sola massa e unica sfera, que sio in forza dell'odio si dovrebbe tutto quan: to sciogliere in minutissimi briccioli. Odio in somma, inimicizia, lite per Empedocle son e valgono forza dissolvente, o 1 tutt'uno 21 repulsiva. Di fatto chiamava egli anche il fuoco inimicizia; perchè questa come quel lo distrugge e separa ogni cosa (16 ). Dą ambidue queste forze tra loro op poste, d'ailinità una, e dissolvente l' al tra, significate dall' amore e dall'odio, il nostro Empedocle ne ricava il moto ne' cor pi. L'amicizia sollecita gli elementi all' u nione tra lor l' avvicina, e nell' avvicinarli tra loro parimente li muove. L'inimicizia all'incontro cospinge le molecole unite, so spintele a poco a poco le stacca, staccate le del pari le muove. Forze adunque so no l'amore, e l'odio del nostro fisico; co me quelle che avvicinando o respingendo gli elementi cagionano lor movimento. Fors ze ch'egualmente son chimiche, conie quel le, che uniscono e separano; compongono e scompongono i corpi in natura. Ma co me furono esse adombrate sotto le forme morali d'amore e odio, di lite e concora dia; sono state mal comprese e capriccio samente interpetrate. Alcuni videro in quel. le due forze la divinità e la materia (17): 22 altri: l'ordine e'l disordine; il bene e ' l male (13 ): chi la luce e le tenebre; chi l' Oromaze e l'Arimanio de' Persiani, o altre cose simili (19). Tanto egli è vero, che il suo linguaggio, come poetico, ha recato ingiu ria a' suoi pensamenti e alla sua filosofia. L'amore e l' odio, siccome dice il no stro fisico, han que signorie; ma alternan ti e separate tra loro. Comincia l'impero dell'odio, quando finisce quiel dell'amore, e declinando la signoria dell' inimicizia, l' amicizia ritorna a' suoi primieri onori. E come una sifatta vicenda non ha mai fi ne; così costante si mantiene il movimen to in natura, e gli elementi in eterno s' uniscono e separano. Esprime egli tal con tin: io e scambievole impero dell'odio e dell' aniore coll'immagine, e somiglianza d'un cerchio, che si revolve. Perché il cerchio la periodi finiti, che all'infinito si posso no rinovare. Ma tolte le voci d'impero e signoria, che son propie della poetica, si potrebbe il pensiero d'Empedocle raſfigura re nella vicenda delle forze, mercè la qua. 23 bene i ebre; chi ni, oabe ero, chei ell'aur Onn '. le i pianeti si'movono. In questi or preva le la forza centripeta e viene a farsi mag. gior la centrifuga; or prevale la centrifu ga, e viene a farsi maggior la centripeta. Sicchè alternativamente prevalendo le due forze centrali, i pianeti s' accostano e dis costano dal sole, e costantemente si mo vono nelle loro orbite ellittiche. Tale dellº amicizia, e inimicizia d'Empedocle. Come gli elementi s' uniscono; comincia a preva ler l' inimicizia, che tende a separar le cose unite. E come gli elementi dividonsi; principia a superar l'amicizia, che tende a unir le separate. Per lo che ambidue sempre operano, e si a vicenda prevalgono, che gli estremi dell'odio occupa l'amore, e l' inimicizia que' dell' amicizia. Giusta questa legge Empedocle fa e ternaniente operar l'amore e l'odio. Così, e ' dice, comanda o il füto, o la necessi tà, o l'antico giuramento degli Dei. Ma il fato del nostro filosofo non è quello de. gli Stoici, o degli Eleatici. Egli null’ al tro indica colla parola necessità, che l'ins etarr Itale ம் care PA umpert 2.  la que 24 tima natura di quelle due forze. Siccome eterna ei reputava la materia, ed eterne le forze, da cui essa era animata; così l ' amore e l'odio volea dover sempre e ne cessariamente operare. Gli elementi secon do lui o son separati, e ſrettolosa corre l ' amicizia a unirli; o sono uniti, e impa ziente va l'inimicizia a separarli. Se per poco lascerebbe l' una o l ' altra di congiun gere le cose separate, o segregar le con giunte, l'amore e l'odio, mutata natura, non sarebbero più nè odio, nè amore. E' quindi pel nostro fisico così necessaria l'e terna vicenda delle due forze, come invin cibile si stima il decreto del fato e della necessità. Il fato adunque nel dizionaria del nostro filosofo altro non significa, che l' intima indole, e l'immutabile natura delle due forze senza più. Però a torto Aristotile riprende lui, come chi avesse introdotto nela la fisica il fato é la necessità (20 ). Posti questi principj va Empedocle squa dernando il suo sistema, qual poeta, qua si collocato su d'un eminenza, di la con 25 ta; ON ie. Sasa templando la natura dichiara agli uomini le sublimi lezioni di sua filosofia. Nulla, egli dice, manca, nulla ridonda nell'us niverso; perchè la quantità della materia nè cresce nè manca. Tutto nasce, tutto muore, tutto in altra forma trasformato ri sorge, L'accozzamento di parti, che son disgiunte, n'è la nascita; e la separazion di quelle, che sono accozzate, n'è la morte, La natura quindi null altro è, che ” se parazione e miscuglio. Essa è eterna; per che l'amore e l'odio sempre fa e disfà, strugge e compone. Mancherà il presente ordine di cose, sorgerà subito un altro. Questo distrutto, di nuovo, e sotto altra, guisa si verrà a formare. Così senz' alcuna fer posa uno in un altro ordine successivamena te, e sempre sarà permutato. Nè per que: sti continui giri si cangia la natura, ne ha od te luogo o confusione, o simmetria. La materia non è stata, nè sarà mai senza moto. La natura è stata sempre qual sempre sarà: cioè amore e odio, separazione e union d' elementi. Cosi parlava Empedocle nel suo d ali 200 € c). och eta, Jade 26 poema sulla natura, o per dir meglio cosi egli smentì anzi tempo chi dopo lui dovean supporre aver lui voluto il caos immagina to sol da' poeti (21 ). Lo stato di confu sione e di caos pel nostro fisico, o non è stato, nè sarà mai, o sempre egli è stato e sarà. La natura quella è ora, ch'è sta ta, e sempre sarà: miscuglio e separazio ne: amicizia e inimicizia: nascita e morte. Passando Empedocle d'una in un ' al tra idea strettamente legava i suoi pensie ri. Siccome la materia è tutta divisa ne' quattro elementi; così i corpi per lui eran composti presso a poco de'medesimi. Ma perchè ciò nulla ostante quelli tra lor son tutti diversi; quindi andava ricercando in che, e.come si differisser tra loro. Tal difie renza ei rinvenne con gran perspicacia nella njaniera diversa, con cui gli elementi com binansi. Però non è nè l'aria, nè l'acqua, nè la terra, nè ' l fuoco che distingue le co se; ma la misurata lor mescolanza; in bre. ve, la proporzione in cui trovansi due o piti di quelli componenti. Rappresentando da € st CL T 1 C 27 c2003 de poeta le sue idee ch'eran fisiche, dicea: i dipintori mischiano colori diversi, e col mi schio di questi van figurando uomini, pian te, fabbriche, uccelli, e anche gli stessi Dei. Non altrimenti fa la natura. Ha el la, come quattro colori, che sono i quat tro elementi, e va coll ' accozzare un poco di questo, di quello, e quell' altro forman do uomini, piante, animali, donne leg giadre, e chiarissimi Dei. Tutto lo studio d'Empedocle era quel di scomporre i corpi, e scomponendoli cercava la ragione, in cui stavan tra loro le parti componenti. Per chè era persuaso, che la loro varietà veni va, ed era tutta riposta nella varia pro porzion degli elementi. Aristotile che am mira un sì bel pensamento da ad Empedo cle il vanto d'aver lui il primo conosciuto una tal verità (22 ). Non si può quindi negare il metodo d’Empedocle, come quel lo, che volea l'analisi de' corpi, esser chi mico; chimiche esser le forze amore e os dio, che inprimean moto alla materia; e chimica esser tutta la sua fisica; perchè tra lai arch nemt 22 نماز کی P.; Det ue opad ando de d 2 28 P ch for pa me pre me an CO fondata sulla proporzion delle parti, che compongono i corpi pressochè infiniti della natura. Può ora essere a chiunque manifesto Empedocle il primo aver delineato il siste. ma dinamico, che oggidi leva tanto rumo re in Alemagna. Pone questo sistema al cune sostanze semplici e primitive, che col le loro diverse combinazioni producono la varietà de'corpi. Questo stesso fece Empe docle ammettendo i primi elementi, e com binandoli in varia e differente lor propor zione, Forze attrattive e repulsive vogliono i Dinamici; ed Empedocle immaginò affini tà e forza dissolvente, o sia odio e amo re. Che se quegli a spiegare gli stati e i volumi de' corpi si fondano sul contrasto e rapporto, in cui si tiene la forza attratti va colla repulsiva; anche Empedocle dicea, che l'inimicizia sta appiattata nelle parti de' corpi pronta a vincer l'amicizia nel tem po opportuno. Ma io non mi maraviglio punto di tal corrispondenza tra Dinamici e il nostro fisico. Gli uomini gireranno sem at c ) in D gi ti 29 pre nella stessa orbita, e torneranno sem pre a riunirsi nelle medesime ipotesi ogni qual volta, che si aggireranno sì oggetti, che illustrar non si possono con osservazio. ni, e co' fatti. Perchè limitate essendo le forze del nostro spirito, limitato sarà del pari il numero delle sue combinazioni. ' I metafisici di fatto sogliono ricondurre sem. pre in iscena più o meno vaghe, più o meno adornate le opinioni medesime. Gli antichi vollero rappresentar l'essenza de' corpi. Però Democrito immagind il sistema atomistico; Empedocle il dinamico. Oggi, che alcuni han pensato di tentar lo stesso, in Francia è risalito in alto il sistema di Democrito, e quel d'Empedocle in Aloma gna. Dobbiamo persuaderci una volta che le scienze s' accrescono non già colle nostre opinioni, che sono semplici fantasmi della nostra mente, ma coll' esservare, ed espri mere co' nostri pensieri i fatti e le consue. tudini della natura. Questo metodo per avventura non era ignoto in quella stagione in Gergenti. An 30 [ a crone l'amico d'Empiedocle, poste giù le ipotesi, fondava la medicina sull'esperien za, e fu capo della setta empirica. Il no stro fisico cercava e stabiliva la varietà de' corpi cercando e stabilendo la proporzion de' lor componenti. Ma i tempi imprimono nel nostro spirito la lor forma, il lor caratte re, le loro opinioni; operando su noi non altrimenti dell' aria la qual si respira. Non è quindi da maravigliare se Empedo cle s'occupò, come allor si facea, su i principi delle cose, e sulla generazion dell' universo. Il romanzo della nascita del mondo era in que' tempi un'introduzione, che si stimava necessaria alla fisica. Niuno affat to potea meritare il titolo di sapiente, se non prima avesse ordito la sua cosmogonia. Quindi i filosofi cominciavano allora i lor poemi dalla creazione del mondo; molto più, che a ciò fare non dovean perdere gran tempo, nè durar molta fatica. Le loro cosmogonie erano un lavoro più di fan tasia, che di ragione. Si fatti lavori me 31. glio che cosmogonie potevan chiamarsi ro manzi, in cui i paragoni tenendo luogo di raziocini affermiare è lo stesso che dimostra re; e le capricciose finzioni si scambiano come opere della natura. Empedocle dun que al par degli altri intese alla formazion dell' universo; svolgendo e dichiarando l' impero della sua inventata amicizia. Diede prima nascita all'etere, indi al fuoco, poi alla terra. Da questa trasse l'acqua, l'a ria, l'atmosfera; indi le piante, gli uomi, ni, e gli animali (23 ). Pose più diligen za e più tempo a formar dalla terra; ma per opera dell'amore il genere umano. Rimescolando gli uomini colle piante, e co gli animali, tenne costoro come unica ma teria, in cui tutti si fossero contenuti qua si in ischizzo, ma senza che distinta aves ser presentato la irma, leggiadria, e ata titudine delle loro membra. Queste a po co a poco ideò egli essersi sviluppate, ed esserne venute fuori delle immagini, prive di noto e di vita, simili alle pitture, ale le statue. Nella terza generazione di poi 32 furon distinti i maschi dalle femmine. Nel. la quarta s' ebbero degli uomini, che na. scono gli uni dagli altri; perché, distinto il sesso, si mosse il carnale appetito (24). Le piante secondo lui fitte restarono in ter ra per trarne l'alimento; e gli animali qua e la si divisero per cercare un abituro con veniente alla loro natura (25 ). Queste co se sconce, incredibili, e simiglianti sognò il nostro fisico, che dovrebbero passarsi sot to silenzio, se non giovasse d'accennarle per dare șin' utile lezione allo spirito uma no. Il quale ardito, com ' egli è, malgrado gli assai folgoranti brillantissimi lumi non che della religione, ma della moderna de parata filosofia, a dì nostri va sempre fi sicando geogonie e cosmogonie. Darwin di fatto adottò gli errori del nostro Empedocle, e certamente da lui ebbe a trarre l'idea della successiva perfezione, e a grado a grado del regno animale. L'uno e l'altro fece nascere i vegetabili prima degli anima li nel tempo e nello stato, che le cose e rano imperfette. Entrambi del pari segna 33 # rono gli animali essersi a poco a poco svie luppati, e aver tratto tratto acquistato quel. la perfezione, di cui oggidi son forniti. Vogliono tutti due, che dal principio i ses si fossero stati confusi si negli animali che negli uomini. Ambidue affermano che l ' universo giunse al grado di sua perfezione, allorchè separati i sessi nacquero gli ani mali gli uni dagli altri. Darwin in somma dice unica essere stata la specie dei fila menti', che diede origine a tutti i corpi, che sono organizzati (26). E parimente fu opinione d'Empedocle, che unica fu la pasta, da cui vennero vegetabili, animac li, uomini, e Dei (27). Tanto egli è ve ro, che i nostri pensatori sempre, o al men per lo più copiano, e s ' arrogano le speculazioni degli antichi. Nella cosmogonia d'Empedocle sicco me a chiunque è maniſesto, non intervie ne, ne opera alcuna cosa la Divinità. Ma così pensando, intendea egli di recarle 0 nore più presto che ingiuria. Avendo egli ' la materia, come allor si pensava, per co 34 I sa vilissima, temeva che la sapienza si fos se bruttata, se avessé preso a ordinare co se, che son del tutto materiali. Per lo che a intendere la formazione dell'universo, lasciata la mente divina, invocò il caso, e commise gli elementi in poter della for: tuna. In sì fatti grossolani sciocchissimi er rori s' imbatte chi stoltamente, e senza una precedente saggia e matura riflessio ne, vuol togliere il supremo artefice dal la fabbrica del mondo. Il caso, fantasti cano essi, siccome racchiude in se tutte le combinazioni possibili ad avvenire; così tra le molte, e assai e infinite, che son mo struose, quelle poche ancora contiene, che son regolari. Infinite, dicea Empedocle, sono state le forme, che ha preso teria ', e senza numero le combinazioni de. gli elementi. Ma queste si son succedute senz' alcuna. posa sin dall'eternità, e forse non han potuto durare perchè prive so no state di regola e simmetria. Dopo tan. te é tante strane vicende, gli elementi in fine, conchiude egli, essersi disposti in la ma 35 quell'ordine, che il mondo ritiene, e da tutti con ragione, s ' ammira. Dal caso a dunque Empedocle formò l'universo. Al caso attribui egli quel, che privativamente è sol propio della sapienza, e dell'infinito potere d'un esser supremo. Da un acci dente sogna egli essersi condotto il presen te ordine, ma dopo lungo, vario, e suc cessivo disordine. Queste idee và Empedocle adornandh colla sua fantasia vivace, e poetica. Figir ra egli mani, piedi, gambe, busti, oc chi, braccia, spalle, teste di animali, di uomini, che tra lor misti é confusi si por tan qua e là únendosi- senza regola, e sen za misura. Ora egli vede petti senza spalı le; teste senza cervici; e fronti prive d' occhi. Or egli osserva piedi congiunti a colli, occhi a spalle, teste å gambe, di ta a fronti, e altre irregolari unioni. Quando immagina egli de' tori in volto u e uomini colla testa di bue; e quando nota nell'uomo l'impronta della pecora ', e in questa quella dell'uomo. Em mano e 2 36 1 1 a i pedocle in somma finge, trasfornia, è com pone mille e mille specie di mostri, che per lui una volta furono, e di quando in quando appariscono. Ma dopo forme si sconce é fuor di natura dispone egli ca guialmente quelle membra nelle proporzio ni, e misure che al presente veggiamo. Che maraviglia è dunque, ei conchiude, che dopo tanta varietà di mostri sieno a sorte venute le belle e ben disposte mac chine degli uomini e degli animali? In tal modo si sforzava il nostro fisico di render credibile ciò ch'è falsissimo; facendo come chi gli occhi s'acceca per meglio e più chiaramente vedere, Ma i suoi sforzi tutti quanti gli tornarono vani. Non cape ne capirà in intelletto umano, che il mondo il quale spira ordine, sapienza, e nia, sia l'opera del cieco, e dello stolto accidente. Ciascuna parte d'un essere forma un sistema; un sistema formano tutte le sue parti; un sistema tutti gli esseri, che tra loro legati corrispondono tutti al gran di fi armo 37 c scuna, segno dell'universo. I moti varj e multi plici de corpi celesti son regolati da poche e semplicissime leggi; le quali nascono e de rivano da unica propietà della materia. Se dunque ogni sistema indica combinazione, e questa suppone disegno e architetto; chi contemplando la fabbrica dell'universo, ch ' è un grande e maraviglioso sistema in cia. e in tutte le sue parti, potrà non ammirar la mente di chi seppe non che idearlo, má farlo? Se il mondo è così per fetto, qual dovrebbe essere, se fosse l'o pera d'un supremo fattore; se l'universo non mostra in ciascuna sua parte, avvegna chè minima, alcun segno o piccolo o lon. tano di casualità; chi senza empietà o stol. tezza, potrà riconoscerlo per opera del ca. so e non della mente d'un Dio? Ma senza più travagliarci a dimostrar cid ch'è chiarissimo; l'esistenza d'un som. mo fattore, oltre all'essere scritta nell' ani. mo nostro, si.legge ne' cieli, e a noi per viene da ogn'angolo della terra. Da che Anassagora disse agli uomini la mente di l 38 SO vina con singolar magistero è giusta leggi invariabili, áver ordinato la materia, niu. no vi fu, che nol consentisse. Il popolo d'Atene alzò allora un tempio a Dio, qual supremo fabbro degli esseri, e onorò quel filosofo del soprannome di mente. Anzi la ragione del volgo ha vinto in cið, e vincerà sempre i lunghi ragionamen ti di qualunque filosofo. Il volgo non lo rigetta con orrore le cavillazioni degli atei, che tentano invano negar l'esistenza d'un eterno fattore, ma poco o nulla cura altresì le speculazioni di que' sapienti, che vogliono dimostrarla. E in vero tal verità alla classe appartiene, attesa la somma evi denza, di quelle che sdegnan le pruove, e che si possono guastar più tosto che ras sodare co' lunghi e sottili raziocinj d'una filosofia illuminata. Empedocle e Democrito sebbene fossero stati superati da Anassagora, perchè non già una mente divina, ma il caso avesser posto, come autor dell'universo; pure son degnissimi d'onore per i loro metodi, o bel 39 osta k.. ** dias li pensamenti nelle fisiche discipline. Poté Democrito per sua particolar virtù concepi re egli il primo un sistema meccanico del mondo, fondato sulle propietà de' corpi, o sulle leggi del niovimento. Valse Empedo. cle per forza di sua mente a immaginare anch'egli il primo un sistema chimico dell' universo, che posando su i quattro elemen ti, è regolato da forze, e sottoposto alle leg. gi dell'affinità. Ambidue tennero in onor l'esperienza, che certo e naturalmente con duce alla scoperta della verità. Se chi do po lor filosofarono, fossero stati poco più sensati; avrebber dovuto mettersi dietro la loro scorta, e collegare insienre i modi chi mici d'Empedocle e i meccanici di Demo: crito. Si sarebbe allora abbreviato il corso degli errori, e anticipato il principio di quella filosofia naturale, che fa tant' onore a ' nioderni. Ma le sette smarrirono i filoso fanti d' allora, e costrinser costoro tanto più a errare, quanto più essi s' attennero alla metafisica, e si scostarono dall'esperi. mentare e asservare. Dovettero scorrer piů Dice? 17 bile su 40 secoli, perchè venisse in grande stato lo studio della natura. S'apparteneva veramen te a'nostri tempi, che congiunte chimica e meccanica avesser portato la fisica a quel grado d'altezza, in cui oggi si trova. Ma è sempre da confessarsi Empedocle e De. mocrito aver gettato i primi semi di que' vantaggi, che cal favore del tenipe la fi. sica ha oggi ottenuto. Le opinioni d’Empedocle sų gli ele menti, e sull'origine delle cose, se non son vere, almeno non sono ingiuriose nè al la sua mente, nè alla sua filosofia. Splen dono tra gli abbacinamenti chiari i lampi d'ingegno, e un metodo sopra ogn' altro riluce, che l'avrebbe guidato alle più bel, se gli errori de' tempi non gliel' avessero contrastato. Ma non è così, quando il nostro filosofo alle cose si rivol ge, che trattan d'Astronomia. I suoi sen timenti su gli astri sono altrettanti assurdi. Empedocle il fisico pare altr' uomo, e tut. to diverso da Empedocle astronomo. Tal differenza, che veramente è notabile, se 1 le scoperte, 41 non m'inganno, nasce da ciò, che la sua fisica si trae in gran parte da' frammenti de' poemi di lui; là dove le sue opinioni astronomiche ci vengon quasi tutte dagli Storici degli antichi filosofi. ' Non senza ra gione quindi si può sospettare, che i suoi pensieri non sono strani e deformi, quan do egli stesso l'annunzia; e al contrario pajono sconci ee mostruosi,, allorchè altri parlano in vece di lui. E ' maggiore tal congettura, qualor si considera que com pilatori essere stati grossissimi delle cose a stronomiche. Costoro affastellano in confu 90 le opinioni de ' filosofi, e o abbreviando le mozzano, o interpolando le allungano, o pure in qualunque altra manieria, senz' alcuno intendimento, ogni cosa deformando's le alterano. Non è quindi duro a com prendersi, gli storici del nostro filosofo, tra per l'imperizia delle cose del cielo, e per l'espressioni di lui, ch'eran tutte fi gurate e poetiche, averne contraffatto la sua astronomia. Non si negan con ciò gli errori, in cui egli per avventura avesse po f 42. tuto cadere. So benissimo l' astronomia dei Greci, sfornita.com'era in que' tempi d ' osservazioni, ridursi, tolto il nascere o trae montar d' alcune stelle, a una raccolta d' antiche tradizioni, o di opinioni bizzarre. Si conviene pure Empedocle aver potuto di: re il movimento del Sole essere stato da prima più lento, che a' suoi tempi non e. ra. Si concede altresi aver lui potuto opi nare l'asse della terra aver pigliato una po sizione all' Eclittica inclinata, che prima non avea: (usanza de' cosmogoni acconciare a lor talento le parti dell'universo, e condur le allo stato, in cui ne' suoi tempi si trora no ). Ma non si può affatto credere, Empe docle aver tenuto i tropici quasi due mura glie, cui giunto il Sole, essere stato stretto a torcere il suo cammino; e aver segnato și fatti circoli non altrimenti che due confi. ni, che impediscono il Sole camminando verso i poli d'oltrepassare il suo termine. Chiamò egli que circoli con linguaggio fi. gurato i confini del Sole; perchè a quel li il Sole giungendo par che il suo cam, 1 43 mino rivolga. In breve intese egli indica re l'obbliquità dell'eclittica, e segnar lo spazio in cui il Sole fornisce l'anquo ap parente suo corso. Giacchè l'anno si com putava allora da’ solstizj, i quali dall'om bre osservar comodamente si possono coll? ajuto dell'ago. Con tali e simili sconcezze si è guastata l ' astronomia d’Empedocle; Però se tra per difetto di memorie di lui, e per ignoranza degli storici, ė, ben diff cile d' indagar ciò ch' Empedocle penso sul. le cose del cielo; è assai più difficile sa per, ciò ch'egli non disse, e a torto a lui appongon gli storici, Temendo gli Ateniesi, che la terra fosse stata un'abitazione mal soda, furon solleciti della sua stabilità. Provvidero e glino alla propią sicurezza, e a quella del genere umano: ma colla sola fantasia a modo del volgo. S'appresentarono la ter ra in forma d'un monte, le cui barbe vanno a profondare e perdersi negli ultimi lontani confini dello spazio. Assegnarono ina sieme alla terra già divenuta nionte il suo f 2 44 co vertice di forma rotonda; e quivi loc:arono ferma sicura l'abitazione degli uomini. A mente dunque di quel popolo il Sole e gli astri non givan mai sotto la terra, che nol poteano; ma spuntavano e tramonta vano girando intorno intorno a quel verti. ce. Questa opinione, che in Atene era un pubblico dogma, non si potea contra star da filosofi senza grave lor danno. Il popolo pigliava alto sdegno di chi osava sen tirne in contrario, e contro lui si scaglia va, come contro chi avesse tentato di som. muover la terra é perdere a capriccio.il genere umano. I filosofi d'allora tra per che adularan la plebe, come chi più che gli altri soglion fuggire i pericoli; o per ehe su ' ciò nulla dissimili dal volgo crede van lo stesso; non mai vi fu alcuno, che avesse ardito negare il monte, le radici, il vertice, e la finta figura della terra. Non cosi fece il nostro filosofo, che molto perito nelle cose naturali, anche da Sici lia si scaglid contro sì fatta sentenza. Ri dea egli del monte, delle radici, del ver 45 tice.e aspramente ripiglio, Xenofane, che avea per immensa la profondità della ter ra (28 ). Chi, dicea Empedocle, tali co se divulgano, o poco veggono, o nulla san. no dell'universo.; Altri e lontani da quelli del volgo fu. rono i sentimenti d' Empedocle intorno al la terra. Fu opinione di lui, che fuoco bruciasse nel centro di questa. I sassi i dirupi, gli scogli, ei riguardò come sco rie, che la virtù di quel fuoco avea in alto levato. L'acque, che sorgon terma li, quelle sono, a suo credere, che sotter ra scorrendo piglian calore dal quel mede simo fuoco (29 ). Empedocle in somma im maginò sin d'allora l'ipotesi del fuoco cen. brale, che Buffon, non è guari, più bel la e vistosa ha richiamato alla luce. Pensavano gli Jonici, che la terra sospinta dal vortice che occupava tutta la sfera, era stata condotta nel centro di ques sta. Ma non sapeano essi comprendere, come quella, sfornita d' appoggio, ben li brata si stesse nel punto di mezzo. Timi 1 46 di quindi i filosofi al par del volgo, ne dilatavan la base, e tormentando i loro ingegni si sforzavan di sostenerla colle ipo: tesi. Talete avvisò la terra restar sospesa nell'aria, non altrimenti che un galleggian te sull'acqua, Democrito e Anassagora ne fecero la base non che larga, ma conca va; aifinchè l' aria quivi sotto racchiusa la potesse sostentar con sodezza. Parmenide credette sostenerla col principio della ra gion sufficiente. La terra a suo pensare stava nel centro, perchè non avea ragio ne, che la portasse per questo più tosto, che per quel verso, Ma il nostro fisico si dilung) da co storo, e con altri principj prese a spiegar sie la stabilita. L'acqua nella cosmogonia di lui s' era separata dalla terra per l'im peto del giro, che questa facea (30 ). Pe. rò la terra nel suo sistema rotaya. Rota va del pari secondo lui il cielo; è altra differenza non pose nella rotazion dell' una e dell' altro, che nella velocità, Minore la yolea nella terra, che stava nel centro; 47 1 rola, ando il cla colo come star galo raal Po maggiore nel cielo, che in giri smisurati si volgea. Da cid appunto egli ne trasse e perchè quella stesse in aria sen za cadere. Se girate, egli dicea, con pre stezza una secchia; l'acqua non cadrà, ancorchè nel girarsi si tenga capovolta (31 ). Tal è nella sfera i La conversion celerissi ma del cielo vince ogni peso e ritiene la terra. Al moto dunque del cielo egli in catenava la posizion della terra nel cen. tro, il suo rotare, e lo starne, Si sihar rì, egli è vero, in quella spiegazione al par degli altri; perchè allor s'ignorava la gravità della terra esser diretta al suo cen. tro. Ma il suo metodo di ridurre più fe nomeni a un solo, e ripescare ne' fatti la ragione di quelli, è molto degno di lode. Dall'esperienza della secchia, che pre stamente si volge, han preso argomento chi son portati per l'antichità, aver co nosciuto il nostro filosofo la forza centrifu. ga, Ma a pensar giusto, ignorandosi allos ra le leggi del moto, niuno ebbe, nè as ver potea l'idea vera e matematica di quel, 1 ajd a $ permas 30, ho murah ento: 48 d he Te la forza. Egli è vero essersi saputo in que' tempi, e da Empedocle essersi ben dimo strato la velocità del girare impedir la ca duta de' gravi. Ma questo era fatto, non forza, e più esempio, che principio. Eran sì lontani Empedocle e gli antichi di cono scer quella forza, che presso loro fu fer ma e costante opinione, i corpi a cagion di circolazione avvicinarsi al centro se pe santi, fuggir dal centro se leggieri (32 ). Ma se'a lui si può contrastare la co gnizion della forza centrifuga, gli si deve certamente quella concedere della rotazion della terra. Opinione era questa comune presso noi ne' tempi greci, e propia in ve rità della nostra Sicilia · Giacchè Ecfanto e Iceta la divulgarono in Siracusa; ma sin da tempi antichissimi Empedocle l' insegno nella nostra Gergenti. Avea il nostro Astronomo il Sole e le Stelle, come se fossero della stessa natura. Opinava egli quello e queste esser di fuo co (33 ). Ma non perciò è da credere, ch ' ei tenesse la luce per eguale o simile al R te te e 1 49 1 fuoco terrestré. Non sapendo egli qual fose se la natura della luce, che per altro è ignota anche a noi, tenea il Sole come una massa ignita, che lanciava nella sua sfera le sottili sue particelle (34). Queste ei credea, che dal Sole si moveano, e pro gressivamente propagandosi giungeano agli occhi. La luce, dicea, va prima nel mez zo, e poi perviene sino a noi (35 ). An ticipava così la scoperta bellissima della pro pagazione della luce, che i Satelliti di Gio ve doveano in tempi avvenire rivelare a Roemero. La vide, egli è vero, coll' in telletto, e senza ridurla a fatto, la lascið nel posto di semplice opinione. Ma nel tempo de' sogni e dell'ipotesi è degna cer to d'ammirazione quella opinione, che coll' andar de' tempi è stata condotta al grado eminente di fisica verità. L'emission della luce fu l'ipotesi, ch' allor tenne Empedocle', e cui oggi s' acco stano chi non vogliono vaneggiar per no velle bizzarie. Questa a dì nostri d ' alcu ni è rigettata, e in que' tempi era ancor مه 50: contrastata. L'ipotesi che il Sole quanti raggi manda, altrettanti ne perde, fece al lora, e ha fatto oggi credere a parecchi, ch ' egli raggi mandando, e raggi perden do sì gradatamente impoverirà di luce, che collo scorrer de' secoli giungerà sino a spe. gnersi. Newton all'incontro dimostra in sensibile essere stata la perdita della luce solare dal principio delle cose sino a noi. Anzi egli quasi sforzandosi d'assicurar la luce alle future generazioni, cerca di sup plir la massa solare con quella delle co mete. Le quali attratte dal Sole, quan do nel suo giro sono vicinissime a lui, e su lui cadendo, colla loro materia vanno a risarcire la perdita diurna delle particel. le solari. Ma Empedocle in un modo, che se non sarà forse il più vero, è certamente assai più ingegnoso, s' industrið provedero alla durata del Sole. Siccome i raggi lan. ciati dal Sole son poi riflessi dalla terra; cosà egli pensd, che quelli dopo la rifles, sion concentrandosi, ritornano al Sole (36). 51 Però questi per riflessione acquista quel, che per enuission perde; e atteso un sì fat to circolo durerà sempre lo splendore del Sole. Empedocle quindi potė ben dire la luce essere al presente una riflessione di quella che fu una volta lanciata dal Sole: Ma i compilatori dell'antica filosofia non capirono i sensi del nostro filosofo. Credette ro essi due essere i Soli d'Empedocle, uno invisibile, visibile l' altro, che collocati in due opposti emisferi si guardavan tra lo ro. La terra, eglino dissero, riflette al se condo i raggi invisibili lanciati dal primo; e quello poi in forma di luce li rimanda alla terra (37). Ecco con quali sconcez ze quegli storici guastarono i divisamenti del nostro filosofo sull' emission della luce. Non meno speziosa fu la difficoltà, che s'oppose a Empedocle ne' suoi tempi contro la succesiva propagazion della luce. Siccome nel tempo che la luce viene a noi, il Sole si move; così l'occhio astretto a seguire la direzion della luce, vedrà il Sole in un punto, in cui fu, e poi non g 52 è più. Empedocle a rispondere, non prese scampo nella prodigiosa velocità della luce, o in qualche sottigliezza, cui i fabbri di si stemi soglion rifuggire. Non è il Sole, ei di cea, ma la terra che in ventiquattro ore si volge: La terra' dunque nel rotare s’im hatte ne' raggi solari, ed essa prolungan doli va a trovare il Sole nel punto, in cui egli sta. Non si potrebbe di certo a di nostri in miglior forma rispondere a chi in quel modo vclesse attaccar l ' emissione e successiva propagazion della luce (38 ). • Empedocle ebbe la Luna come opaca, perchè frapponendosi tra il Sole e la ter ra cagiona l' ecclisse. Plutarco a lui so lo (39), mettendo in non cale tutti gli altri, da il vanto d' aver divolgato la Lu. na essere un corpo privo affatto di luce, che riflette i soli raggi solari. La chiarez za della Luna' ei chiamava non che dolce e bénigna, ma insieme straniera. Una lu ce straniera, dicea Empedocle qual poeta, circola intorno alla 'terra (40). Ma Empe docle ebbe la disgrazia d' aver avuto gua 53 stato ogni suo sentimento. Achille Tazio dall' epiteto di straniera dato alla luce lunare da Empedocle, ricavo, non so come, il medesi mo aver tenuto la Luna qual pezzo svelto dal Sole. Ma buon per noi che ci sia re stato il verso d'Empedocle, che smentisca l'interpetrazione di Tazio (41 ): Anassagora per dare una misura del So le riferì la grandezza di quest' astro al solo Peloponneso. Il nostro filosofo fu il primo, cui venne in pensiero di comparar Sole e Luna tra loro. Egli credea che il Sole fosse stato più della Luna distante dalla terra so pra due volte (42). Ciò non ostante affermo quello essere stato assai più grande di que sta; sebbene ambidue fossero appariti dello stesso diametro (43 ). In somma l'ineguale distanza fu per lui certo argomento della lo ro diversa grandezza. Parrà ad alcuno ciò essere stata cosa di lieve momento; e pure fu un passo, e un avanzamento che allora fece la scienza del cielo. Giacchè niun altro prima d'Empedocle, ed egli fu e il solo e il primo, che insegnò gli astri lontani 54. doverci comparire piccoli più de' vicini. E gli pure fu il primo che pose in confronto tra lor gli astri non solo, ma i loro diame tri. Dopo hui in fatti prima Eudosso misu rò i diametri apparenti della Luna e del Sole; e poi cominciarono i Greci a stabili re i periodi lunisolari, da cui nacque, e s’ avanzò l'astronomia de' medesimi. Si potrebbe quì aggiungere a formar tutto il quadro dell'astronomia del nostro fi losofo, aver lui forse conosciuto che la Luna rotando intorno a se stessa si mova circa la terra. Ma punto non conviene dar a Empe docle una gloria o dubbia o sospetta (44). Basta aver levato a suoi pensieri astronomici quella ruggine, di cui li bruttò l'imperi zia di quegli storici. Appresso l' onorano al cuni qual autore d'un poema sulla sfera in cui si descrive, secondo l'uso de' tem pi il nascere e ' l tramontar d' alcune stel le. Ma i critici illuminati han quello come opera d'ignoto autore e non di lui (45 ). Io non discordo da loro; anzi confesso non essere stato Empedocle intento a osservare, 1 55 1 come si conviene nell' astronomia. In quell' età si costruiva il cielo da' filosofi non si osservava. Era quella la stagione della fan tasia, delle opinioni, e dell'ipotesi, che suol sempre precedere l' altra, che porta seco il raziocinio, l'osservazione, la veri tà. Però non è poca la gloria d’Empedo cle nell' aver conosciuto la ' successiva pro pagazion della luce, la rotazion della ter ra, l'opacità della Luna, è scostandosi dalle volgari stravaganze nell' aver compa rato il primo le masse tra loro della Lu na e del Sole. Se non può egli quindi emulare Timocari e Aristillo, Ipparco e Tolomeo, che nella Greca astronomia fu ron chiarissimi; pure non è da negare lui aver saputo delle cose del cielo assai più che la sua età non portava. Vennero quel. li assai dopo, e in tempi assai più illu minati e felici; e non è maraviglia, che questi fossero stati di quello migliori. Una fiaccola più o meno brilla, quanto più o meno pura è l ' aria, in cui brucia. Dal cielo tornando alla terra non più 56 & troviamo il nostro filosofo, che immagina l' origin delle cose; ma che studia e in terpetra con senno la natura. La prima verità, che c'insegna, non già ragionando ma coll'esperienza, è il peso e la molla dell' aria. Mette egli in opera in difetto di macchine e di strumenti la clessidra, che s'usava allora da' nostri come orolo gio a misurare il tempo. Avea questa la sua figura conica; la base forata a guisa di minutissimo vaglio; e il collo lungo che stringendosi sempre più andava a fi nire in un sottil bucolino. Si tenea allora la clessidra col collo all'ingiù; e l'acqua, di cui era piena, lentamente gocciolando misurava le ore. Questa appunto fu la macchina d'Empedocle, che nelle sue ma ini diventò indice e misura di fisiche verità. Introduce ei da poeta una donzella, che trastullando colla clessidra la vuol en piere d'acqua. Ne tura essa l'orifizio col le dita, e postane la base all' ingiù, cala quella verticalmente in un fonte. Entra allora l'acqua per la base forata; ma per SC ay is ce 9 in C 57 quanto la donzella prema, e travagli, la clessidra non si può mai empiere tutta. Stanca finalmente la verginella, alza le di ta, con cui chiudea quell'orifizio; ed ec co l'acqua che sale, e giunge alla cima. Proposta l' esperienza, Empedocle ne' suoi versi ne soggiunge lo spiegamento. L' aria, dice egli, che sta racchiusa nella cavità della clessidra, colla sua molla, resiste all' acqua, e la ripara di venire all'in su. Ma appena la donzella alza, le dita, l'aria e sce, e però l'acqua non più impedita dall' aria sale, e tutta empie la clessidra. In altro modo ci presenta ei la don zella. Finge egli che questa volti la cles sidra; e allora un altra prova egli ci reca del peso e della molla dell' aria. Chiude es. sa colla mano il bucolin della clessidra, questa piena d'acqua volge colla base all' in giù; affinchè l'acqua tutta fuori si ver si. Ma non senza sua sorpresa s' accorge che l'acqua, lungi di cadere da ’ forellini della base, si ferma: Alza ella quindi la mano con fretta; ed ecco l'acqua goccio h 58 re il a lare, e a poco a poco cadendo tutta fuori versarsi. Dichiarato il primo, ſu agevole a Em pedocle spiegare il secondo esperimento. L' acqua, dicea egli, si sforza d' uscire da' fo. rami della base. Ma l'aria sottoposta si resiste colla sua molla, che venga a vince peso dell' acqua. Subito che la don zella alza la mano, l'aria di sopra preme l'acqua sottoposta; e questa, ajutata dall' aria soprastante, vince ogni restistenza, o vien fuori. Con tali esperienze, delle propietà dell' aria mostrava egli e il peso, e la molla. Ciò nulla ostante furon quelle nell'età d'ap presso poste ingiuriosamente in obblio. Se noti fossero stati al rinascer delle scienze gli esperimenti d ' Empedocle, non si sareb be certo levato tanto grido per l'invenzion del barometro. Ivi il mercurio sta sospeso dalla forza dell'aria, come l'acqua sta so spesa entro la clessidra dalla forza egual. mente dell'aria. Si fatte esperienze, che oggi son volgari, allora erano rade e uti € 59 lissime alla fisica. Smarriti i Greci in que? tempi o dalla lor fantasia, o dalla lor me tafisica, non pigliavan cura nè d ' esperien. ze, nè d'osservazioni; e privi di fatti, co storo eran pur privi di scienza · Ne' versi d'Empedocle quindi il principio si trova, e la nascita dirò così della fisica; perchè ivi si trovano i primi esperimenti. Democrito al par d'Empedocle piglia va anch'egli allora la via de' fatti: sebene ambidue ne fossero stati presto raggiunti dal divino Ippocrate. Sicché questi tre som mi uomini cercarono allor di fondare un epoca novella nella Greca filosofia, sfor zandosi di condurre gl'ingegni a studiar la natura coll' esperienza, e colla osservazio ne. Ma tal metodo, ch'è lento, ostenta to, non potea esser gradito a Greci, che impazienti erano e caldi; e però da pochi fu pregiato ed impreso. Sebbene Empedocle avesse posto ogni studio nello sperimentare; pure fu solo in Sicilia, senza stromenti, nell'infanzia dela la fisica. Ne si creda Democrito, e Ippo h 2 60 crate avergli potuto giovare, essendo e co lui di region lontanissima e questi de tempi d'appresso. Pochi eran quindi i fat, ti, che potea egli raccogliere. I medesimi non gli eran mica bastevoli all' uopo, ch' era assai vasto, e che giusta l'usanza de tempi abbracciava tutta la natura. Di che veniva, ch'egli spesso era costretto a suppli re il difetto de' fatti; e ciò il fece con assai sagacità e senno: cui nercè l'arte inventò del congetturare. Questa non gia che fosse stata da lui ridotta in canoni come si svol presso noi, che in ogni cosa abbondiamo di regole; ma intriseca si tro va, e quasi nascosta ne' suoi ragionamen ti. Anzi io credo non potersi in miglior modo rilevar l'artifizio del suo metodo, che descrivendo l'andamento del suo spi rito; allor quando pigliò ei a comparare i vegetabili agli animali. Furon tanti, e di tal momento i rapporti, con cui egli quel li a questi lego, che giunse a scoprir del, le verita, che son degne non che di ricor, F S a 8 danza, ma di stupore. 62 Il seme, il sesso, la generazione, la nutrizione, la traspirazion de’ vegetabili fu. rono i varii sorprendenti oggetti su cui fil filo s'applicò la sua mente. Da prima avverte. Empedocle comune essere il fine assegnato dalla natura 'e agli animali e a ' vegetabili. Un animale, o una pianta, egli dioe, voglion produrre animali, o piante simili a se (46). Questo fu messo da lui come base delle sue illazioni, e co nie fermo segnale d'un punto, da cui egli partendosi non s' avesse potuto mica smarri re nel proceder più oltre nelle sue nuove scoperte. Soggiunge egli appresso: come l' animale viene dall'uovo, così la pianta dal seme (47). Attesi questi fatti comincia o ' specolando a filosofarvi, e da quelli guidato va con franchezza formando le sue conget ture. Se l'uovo e il seme, egli prosegue, comune hanno il fine, ch' è la produzio ne; debbono l'uno e l'altro colla stessa attitudine, e col medesimo impeto tendere al medesimo fine (48 ). Da sì fatto fine ad ambi comune egli argomenta, come da 62 un indice, comune dover essere la natura del seme e dell' uovo. Ma Empedocle forse à tal indizio si ferma? Nullameno. Egli torna di nuovo a fatti, mette in opera da capo osservazioni; e si sforza rintracciar co. sì la natura dell' uno e dell'altro. Empedocle tirando avanti la sua stes sa traccia, trova e distingue sì nell' uovo che nel seme, non che germe, ma materia che il germe nutrisce. L'animaletto fin, chè non nasce, o la pianticella finchè non abbarbica ', traggono alimento da quella, Non è già, aver lui conosciuto le foglie seminali; o aver lui detto la placenta u terina portar nutrimento all' embrione per via del funicolo umbilicare. Egli non al tro conobbe, che due esser debbano nell' uovo e nel senię le parti principali e muni: il germe e i cotiledoni, che l'ali mento preparano alla pianticella, o all’em. brione, o nel seme, o nell' uovo. Il nostro fisico quindi più non distinse dirò così ani mali da piante. Ebhe egli il seme qual uovo de vegetabili; e chiamò le piante col CO 63 soprannome d ' ovipare (49 ). Ecco avere Em. pedocle svelato agli uomini assai prima d’Ar véo tutto ciò, che nasce', non d ' altro pro venir che dall'uovo. Teofrasto infatti, e A ristotile (50 ) a Empedocle solo attribuiscon la gloria della scoperta di tal verità, e gliela dan come propria. La fatica d ' Arvéo, fu egli è vero, utilissima all'avanzamento del le scienze, e degna di tutta la lode. Ma egli pubblicando di nuovo lo stesso ritrova mento d' Empedocle, null' altro fece che as sodar vie più colle prove ogni cosa nascer dall'uovo. Chi adesso non giudicherà mag. gior l'eccellenza dell'ingegno di chi colla mente va congetturando ciò, che del tutto s’ è ignorato in preterito, e prevede ciò che sarà da scoprirsi in futuro? Il nostro fisico, guidato com' egli era dall' induzione, spinse più oltre i suoi ra gionamenti'. Affermd le piante al par de gli animali dover essere tutte fornite di ses so. Conosciutosi da lui il seme null' altro esser che uovo, come l'uovo si feconda per l' union del maschio colla femina; co $ 64 sì argomentò egli del pari il seme per la mescolanza di que' sessi doversi fecondare. Franco ' quindi e sagace stabili egli il pri mo, ed egli il primo distinse il sesso ma schile e feminile in ogni vegetabile. Non si dubita prima di lui essersi conosciuti ma schi e femine tra ' vegetabili: ma ciò soltan to attribuivasi a palme, fichi, canape, pi stacchi. Però dal nostro fisico prende ori gine il sistema, su cui oggi posa tutta la Botanica. Egli è vero non aver lui allora ne cercato, nè mostrato gli organi genita li nelle piante, come poi han fatto con grande studio i moderni; ma ciò facea e gli sempre col ragionare, e quelli vedea dirò così, coll' intelletto. Nella testa de' grand' uomini, come dotati d'una specie di tatto pella verità, la forza delle con getture si sostituisce talvolta all' evidenza de ' fatti. Facea Empedocle a guisa d'un gran dipintore, che solo abbozza il quadro con poche, ma pennellate maestre; e la scia poi agli altri la cura di compirne il disegno, di colorirlo, e abbellirlo. Arveo 65 definì tutto nascer dall'uovo: Zalunziaski, Millington, Camerario, Vaillant prima, e poi Linnéo mostrarono il sesso nelle piante. Ma costoro tutti quanti assodaron la dottri na, e compiron l'idea tracciata dal nostro Gergentino. In verità non è poca la glo ria che a costui torna nell' aver lui il pri mo schizzato degli originali, che di mano in mano col favore del tempo si van tro vando in natura. Contemplare Empedocle, che conget tura è uno spettacolo degno d'un filosofo. Ora egli scorto dall'analogia supera tutti i suoi contemporanei', e più oltre proce dendo va diritto a trovare altre belle ve rità. Ora privo di fatti, non ostante il vi. gor di sua mente, tentoni cammina incer to tra verità, ed errore. Conobbe egli il sesso sol nelle piante. Ma altro non pote va egli conoscere, attese le poche anzi le rade verità solamente allor note. Quante altre osservazioni, quante altre verita gli mancarono? Ignoto era allora l'antere, e gli stigmi esser gli organi genitali delle pian i 06 cer te, e questi trovarsi ne' fiori. Niun sapea il polline portato da venti aderire allo sti gma per via dell'umore, che in questo si stà. Chi aveva allora osservato la Passiflo ra, la Graziola; e ' l Tulipano, che come agitati d'estro venereo, erranti van cando la polvere, che loro fecondi? Chi s'era accorto, in que' tempi la Valisneria, e l'altre piante acquatiche sul punto de’ loro amori alzar lo stigma dall? acque, per accoglier cupide, e aperte la polvere de' loro maschi? Non è però da recar mara viglia, se nell'ignoranza di tali fatti non seppe Empedocle comprendere, come le pian. te, che fitte stan sulla terra, si potesser congiungere per far la lor generazione a guisa degli animali. Ma tenne egli come cosa non che non dubbia, ma certissima, e l'induzione già gliel' aveva indicato, che il seme per l'unione si feconda della fe mina col maschio. Però egli, posti in cia scuna pianta, come sullo stesso talamo, quasi marito, e moglie, disse tutte le pian. te dover essere ermafrodite (51). Fil que: 67 sto, egli è vero, un errore; perchè in al cune piante i due sessi son del tutto se parati, e distinti. Ma altresì, egli è vero, la più parte delle piante alla classe ap partenersi dell'ermafrodite; oltr'a quelle, che sono androgine, e poligame. Empedocle appresso, il mistero passo a indagare della generazion de’ vegetabili, con quella confrontandola degli animali. Gran cose in prima osò egli dire sul la generazione animalesca. ' Immaginò egli starsi divise ne' liquor seminali de’due ses si particelle analoghe al corpo d'ogni ani male. S'ideò egli queste nella unirsi, e l'embrion formare del corpo or ganizzato (52 ). Il carnale appetito egli ri pose in quelle particelle, che, separato trovandosi nel maschio e nella femina, ten. dono naturalmente a unirsi. Ad abbondan za de' due semi la cagione ei riferisce del parto o doppio, o triplo; e a scarsezza o disordine degli stessi la nascita d'ogni sor ta di mostri. La prole secondo lui al pa dre o alla madre somiglia in proporzione generazione i 2. 68 del più o men prevalere del liquor semi nale quando della femina, quando del ma schio. La ragione inoltre crede lui dare della sterilità delle mule, che all' angustia attribuisce e obbliquita de canali della loro figura (53 ). Varie spiegazioni va in com ma egli fantasticando, che io piglierei ros sore di chiamar sogni, se chi han tratta to della generazione, non avessero sinora sognato al pari di lui. Le molecole orga niche di Buffon, i vermi spermatici di Le wenoek, l'uova di Bonnet e,di Haller, il filamento nervoso di Darwin, non sono clie ipotesi più o meno, false o tutte immagi narie. La fantasia inoltre, che tutte domi le umane, s' avvide Empedocle, poter avere anch'essa una parte nella ge nerazione. Ricordava ei delle donne, che aveaito dato in luce bainbini simili a sta. tue o pitture, cui quelle, essendo gravi. de, aveano a caso fisamente guardato (54 ). Opinò egli quindi la fantasia della femin na, non altrimenti del tornitore sul legro, na cose 69 2oho da ede lidt? po 12.06 maa Potere dar forma, e simiglianza al feto. Non inancan.oggi, chi credono poter più operare l' immaginazione del padre che alle quella della madre. Ma niun disconviene, ato quasi secondo il linguaggio d ' Empedoc!e, che la fantasia o della femmina o del nia schio, giunge talvolta a tratteggiar, dirò cosi, le membra, e la fisonomia della pro le nel ventre della madre. Da si fatte cose, stabilitasi. anzi tem po da Empedocle la famosa analogia tra' vegetabili, e animali, trasse egli, e cona chiuse del tutto eguale a questi duver es sere la generaztone di quelli. Ne men dissimigliante tra loro, disse Empedocle, dover essere la nutrizione de gli uni e degli altri. I vegetabili e gli a nimali dicea il nostro filosofo, gli alimenti scompongono, e quel traggon da éssi, ch' è conveniente e accomodato alla loro na turá (55 ). Ciò egli credea farsi in ambi due per via dell'affinità insieme e de' pori. Dell'affinità cosi egli parlava. Siccome le cose amare all'amare si uniscono, le dol UD Eury 7 Pizze,the is on sullink 70 ei de 1 dis Tec cer ci alle dolci; ogni sinile in somma al suo simile: cosi gli esseri organizzati quel pren dono dagli alimenti, che lor si confa, e può nutrire ciascuna delle propie parti. Chiaro fu eziandio il suo parlare de' po ri. La nutrizione, egli è certo, separarsi e dividersi negli animali, e ne' vegetabili per mezzo de' pori, che son differenti in dia metro (56). Le particelle, dette nutribi li, è certo altresì non potere indistinta mente entrare per qualunque di quelli: ma ciascuna insinuarsi nell' orifizio di que' bucolini, ch'è analogo alla propia gran dezza. Un vino, egli dice, è diverso da un altro, attesa la differenza non che del terreno ma della stirpe (57 ). Ecco come par, che il nostro filosofo avesse voluto vie più assodar la sua opinione della forza dell' affinità, e de' pori, massime su i vegeta bili (ch'è poi propietà d'ogni corpo orga nizzato ) i quali giusta la propia organiz zazione han da quelli preparato gli ali menti, e si rendon capaci di saporé diver so. A senno dunque d'Empedocle la nu se su red nog Ila ti co re со ali 71 Fari trizione si opera tra per l'affinità, e la ti que varia ampiezza de ' pori per canali diversi, ce e va svariatamente, ma sempre in pari re preciproco modo, vigore é aumento porgendo agli organi diversi sien de' vegetabili, sien degli animali Empedocle frattanto, il modo volendo indicare, con cui la nutrizione si sparge e dividesi fra gli organi diversi, abbiam noi veduto essersi rifuggito all' affinità, ch'è certamene un'ipotesi. Ma che maraviglia; se dopo la serie di tanti secoli da questo suo pensare non sono mica iti lontani pa recchi pur tra’ moderni? Grande in verità e diligentissima è stata oggidì la fatica de nostri fisiologi nell'indagare i fenomeni del la nutrizione, Gli hanno essi ridotto a ' fat, ti, o a leggi generali, che son propie e comuni a tutti i corpi organizzati. Nè pu re eglino han trascurato di trovare nella contrattilità organica la forza, con cui gli alimenti son trasportati in canali opportuni non sol negli animali, ma eziandio ne've getabili sino all'alto delle propie foglie. Ma TX, ام د ገን muito 73 con tutto cið o nulla o poco si sono essi avanzati nell'additar la maniera, con cui si fa la nutrizione per gli organi diversi. Non si nega oggi darsi da' più a varii organi, una specie di gusto, cui mercè quel suc chino, e tirino, che a ciascuno in partico lar si conviene. Ma poi tal fatto pensa mento mostra forse esser del tutto falso il ritrovato d'Empedocle? E' troppo vero, cho la natura yince in molte cose, e vincera sempre ogni nostra speculazione e fatica e da filosofi per lo più non si recano, cho sole congetture, ed ipotesi, Fattisi vedere eguali da Empedocle i rapporti degli animali co' vegetabili nel se nie e sesso, nel generarsi e nutrirsi, non re. stava altro a lui che applicarsi sulla tra spirazione comune ad entrambi. Conobbe egli, che gli uni e gli altri per via de' pori similmente traspirano, e quella parte degli alimenti tramandano che loro è su perflua. Alla traspirazione di fatto attribuì costui o il perdersi dagli alberi nella fred da stagione, o il serbarsi quelle foglie, che 1 73 1 dalla natura, non a caso, ma particolar mente sono ordinate al traspirare e al nu trir delle piante. I primi, ei disse, tra spiran molto in estate, e spossati levan le foglie in autunno. I secondi traspiran po co in estate, e robusti ritengon le foglie in inverno. Fondava egli la copia o scarsez za del lor traspirare sull' ineguale diame tro, e contraria posizion de' lor pori. Gli uni a suo giudizio hanno larghi i pori del le radici, angústi quelli de' rami. Gli al tri all'opposto angusti i pori delle radici, larghi quelli de' rami. Però i primi più, succhiando, e men traspirando non levan le foglie. I secondi men succhiando e più traspirando perdon le foglie (58 ). Se una si fatta posizione di pori, che immagind il nostro fisico, fosse stata confermata dalle osservazioni, avrebbe sin d'allora egli sciola to un problema, che non poco fastidio grandissimo stento ha recato a ' moderni. Era rizio comune a quell' età organizzare ad arbitrio gli esseri della natura a fin di. poterne presto dichiarare i fenomeni. Egli k e. 0 1 è vero non esser mancati a di nostri, chi abbian conosciuto e distinto ne' vegetabili non meno di quattro specie di pori (59 ); Ma chi ha potuto, o con qual microscopio potrà mai rinvenire, che a ' pori o larghi o stretti delle radici corrispondano a rove scio quelli de' rami? Pur tuttavia a Empe. docle in parte siam noi debitori della ragio. ne, che mostra il come dagli alberi cadan le foglie. La famosa traspirazione ne' vege tabili, da lui allora scoperta, scioglie og gi a noi con somma nostra ammirazione o senza nostra molta fatica un sì bel pro blema. Ognun vede le foglie cader più pre sto, quando la state è più calda. Ognun pur vede gli alberi robusti più de' deboli più tardi svestirsi di foglie. Anzi ognun vede altresì quegli alberi in inverno rite ner le foglie, che poco traspirano. I 100 derni al più han distinto le foglie, che cadono in pezzi da quelle, che intere si staccano, secondo che l'une o l'altre sono al tronco diversamente attaccate. Costoro 75 di più son giunti a conoscere, che alcuno foglie cadono intere, prima che le nuovo dalle lor gemme si svolgano, e altre ristan no finchè non ispuntin le nuove (60). Da ciò essi han tratto, che quegli alberi, i quali gettan le foglie dopo lo spuntar del le gemme, debbon mostrarsi verdeggianti in inverno. E che all'incontro quegli altri, i quali gettan le foglie pria dello spuntar delle gemme, debbon vedersi nudi nella stege sa stagione (61 ): Che perciò? i nostri fisiologi forse san. no oggi della caduta delle foglie dagli al beri assai più di quel, che ne seppe al. lora il nostro filosofo? Abbian quanto si vo glia convenuto oggi i moderni le foglie tra. spirar più quanto più abbondano di pori. Abbiano quanto si voglia pure costoro af fermata la copia o della traspirazione o de' succhi si travagliar le foglie, e i lor vasi ostruire, che finiscan di vegetare, muoja no, e cadano. Eziandio ne abbiano essi inferito tutti gli alberi dovere perder le fos glie, chi in Autunno, chi in Primavera. Ma k 2 26 de 60 fu NI tal differenza non è se non perchè le fo glie di quelli più, e le foglie di questi meno' traspirano, e l'une servon più, l' altre meno alla nutrizion delle piante? E non è questa la grande scoperta appunto d' Empedocle, e che forma uno de' suoi gran di elogi? Il pigliare i vegetabili e gli animali au mento dal calore, il goder di gioventù, il cadere in malattia, il giungere alla vecchiez za, sono altresì que' tratti di simiglianza perfetta, che il nostro fisico andava a quel. li aggiungendo. Nè lascid ei di notare, che i vegetabili al par degli animali si muv vano, resistano, si raddrizzino (62 ). Gran de com' egli era di mente, e degno d' in. terpetrar la natura, talmente s’ ingegna va di legare il primo con poche o comu ni leggi i due regni, che paion tanto di stanti e discordi tra loro, il vegetabile e l' animale. Gli antichi presero maraviglia di questo specolazioni di lui, e si ne restaron convinti, che si sforzarono aggiungervi qual che cosa del loro, Empedocle aveva già 0 PE C te 77 detto, che il seme senza più è nella ter ra ciò, che il feto nell'utero (63 ) ed egli no procedendo più oltre' non ebbero a schi fo affermare la pianta essere un animale fitto in terra per le radici, e l'animale una pianta, che cammina. I moderni poi non han tralasciato punto di assai profittar de pensamenti d' Empedocle, cui mercè tira ta avanti la traccia e allungati, diciam.co sì, i suoi stessi passi, sono iti scoprendo nuovi rapporti, che agli attimali legan le piante. Le piante dormire come gli anima li; respirare coni'essi; avere i lor muli; pro. pagarsi i polpi al par delle piante; esservi animali (che son quei, che vivono attacca ti alle pietre ) che cercano la luce e vergo essa rivolgonsi, come appunto fanno le pian te: questi e simiglianti sono i grandi ogo getti, su cui i moderni profittando d' Em pedocle si sono fissati. Ciò non ostante 90 no tante, e di tal momento le differen ze, che separano gli animali da' vegetabili, che non è stato possibile di ridurli in tut. to giusta la pretesa d'Empedocle alle me 78 desime leggi. Pare soltanto che nel presen te stato delle nostre cognizioni tutto con corra a dimostrare aver la natura espresso e racchiuso dirò così quasi sotto unica fore mola il gran fenomeno della nuova produ. zione de' corpi organizzati. Questa appun to cercò, e questa rinvenne il nostro fisi co. Perchè distinse il sesso nelle piante, e conobbe il seme non esser altro che uovo: e affermò apertamente le piante, come gli animali, dover essere ovipare. Tali meditazioni d'Empedocle su gli esseri organizzati', in difetto d'oga' altra pruova, basterebbero sole a indicare la for, za, e l'eccellenza del suo intendimento. Dovea egli supplir la mancanza de'  fatti, inventar de' metodi per non ismarrirsi, ras. sodare i suoi pensieri incatenandoli, anti veder congetturando, Operazioni, che vo gliono tutte ostinazione, sagacità; avvedi mento. Tal è la condizione dell' umana natnra, che la nostra mente non può senza stento riflettere, ragionare, scorrer le dub bie vie delle fisiche ricerche. No creda al 7.9 cuno, ch ' ei qual poeta, o cosmogono aves se ravvisato quelle somiglianze tra i vege tabili e gli animali più colla fantasia che colla ragione. La fantasia crea non isco pre; finge non ragiona; abbellisce non in catena; e se talora connette, i suoi lega mi sono immaginari e non reali. Molti fu rono i cosmogoni tra gli antichi, Ma Em. pedocle solamente s' addita come chi com prese in egual modo operarsi la generazio ne negli animali e ne' vegetabili. Fu egli è vero intento a legare questi a quegli esse ri, come suol farsi dalla fantasia, che cor ca e ritrova più le somiglianze delle cose che le lor differenze. Ma ciò avvenne dal metodo, con cui il nostro Gergentino aju tava la sua mente, ch' altro non era, nè esser poteą nella sua età, che quel dell' analogia. La quale, siccome essa suole, argomentando da cose simili, potea soltana to condurlo, a veder somiglianze. Se dun que Empedocle col favor dell' analogia pro pose congetture, che poi si son trovate ve re dalle nostre osservazioni, e ben da dir 80 si ch' egli fu nobile di monte, robusto ne suoi raziocinj, e di gran sentimento nelle cose naturali., Un altro e più vasto teatro s' apre o rą di altre e nuove specolazioni, Empedo cle, posti da parte e vegetabili e bruti, staccò l’ Uomo dagli esseri organizzati, con cui l'avea egli sin allora confuso. Prese costui a considerar l’ Uomo solo e isolato non che in metafisica e morale, ma in pa recchie fisiche scienze. Rivolse ei le sue prime indagini alla fisica dell'Uomo, cui i corpuscolisti con gran cura in quel tema po attendeano. Empedocle, Anagsagora, De mocrito scrissero sulla natura; ebbero tutti tre il soprannome di fisici: e tutti tre ten tarono di svolgere l'economia, giusta cui vive, si muove, si regola la macchina u mana. Fu forse un tale studio sull' uomo che sopra ogn'altro lor distinse dagli altri filosofi. I quali, senza più, aveano fino allora quello riguardato come un soggetto soltanto metafisico, o morale, o politico. Ma ' le fisiche ricerche d'Empedocle 81 sull’ Uomo trapassarono di gran lunga quel le di Democrito e d’Anassagora. Perchè, sagace, com'egli era, si mise in investigazio ni non prima tentate d'altri, e utilissime. Tanti furono i punti di vista, sotto cui e' prese a contemplare il corpo umano; e al trettante può dirsi essere state le scienze, cui diede principio il vigor di sua mente. Egli il primo applicò la chimica ', e sie a nalisi al corpo umano; segnd le prime li nee d'anatomia: fece sforzi se non sempre efficaci, sempre almen generosi a gettare i fondamenti della fisiologia dell' Uomo:: Il sistema d'Empedocle sulla natura fu chimico; così chimiche del pari furono le sue prime ricerche sull'uomo. Comincio egli a esaminar questo nelle sue parti, e quanto più allor si potèa, ne imprese an cora l'analisi. La carne, ei dicea è coma posta di parti eguali di ciascun de' quattro elementi. Di due parti eguali di fuoco e di terra sono formati i nervi, e le unghie son similmente nervi raffreddati dall'aria (64). Otto furon le parti, ch'ei distinse nelle os 1 82 sa: due di terra, altrettante di acqua, e quattro di fuoco (65). Se non si corresse un qualche pericolo di travedere, chi non direbbe aver lui trovato l'ossa abbondare di fuoco, perchè abbondan di fosforo? Ma che che ne sia, non v'ha dubbio, aver lui dato principio con sì fatte analisi a un novello rano di chimica · Ramo, che dopo Empedocle fu del tutto posto in non cale: ma che oggi, attesa la sua grand' utiltà con ardor si coltiva, e che va sempre più smisuratamente crescendo sotto il nome di chimica de corpi organizzati: Erasistrato, Herofilo, Serapione fu ron tra ' Greci, che s ' applicarono con som mo studio all' Anatomia. Ma innanzi a co storo, vinti gli errori della religione e de' tempi, aveano cominciato a coltivarla De mocrito in Abdera, ed Empedocle in Ger genti. Descrive quest'ultimo la spina del dorso, e tienla, come di fatto è, non ' altri menti che la carena del corpo umano (66 ). Distingue egli di più inspirazione da espi razione mostra i canali per cui si re r 83 spira dalle narici (67 ). Ricerca egli inti ne l'organo del sentire, e trapassando il neato uditorio, discopre quella parte dell' udito, che attesa la sua forma torta e spi rale, chiamò egli allora, e chiamasi anco ra la chiocciola (68 ). Questo è il poco a vanzo delle sue cognizioni anatomiche, che per sorte sono arrivate sino a noi. Ma que sto stesso poco mostra il suo gran sapere in questa scienza. Un gran pezzo di capi tello o di bảse', il rottape d ' una colon na, o pilastro, bastan sovente a indicar e la magnificenza di un edificio, e la perizia di un architetto. La sola scoverta della chiocciola dimostra assai meglio, che non fecero ' gli antichi scrittori', essersi il nostro filosofo molto avanzato nelle cose anatomi che. Questa situata in luogo riposto dell' udito non si potea discoprir certamente se non da chi fosse stato molto prima versa - to e perito nelle materie anatomiche. M eno scarse son le notizie delle fun. zioni della vita e de' sensi dell’ Uomo: e che per fortuna ci restano della fisiologia d'Empedocle. 1 84:; Il sangue umano, come ciascun sa, sempre alto, e sempre allo stesso modo co stanțe mantiene il calore. Ippocrate pien di maraviglia l'attribuì a cagione sovrana turale e divina. Empedocle all'opposto eb be il calore, come cosa ingenita e conna turale al sangue medesimo. In cid a lui s'accostarono ne' tempi d'appresso Aristoti le, Galeno, e tanti altri, Ma egli fu il primo, che a formare un sistema, trasse dal calore del sangue, come da prima ca gione, una spiegazione non già vera, ma certo artificiosa, delle funzioni della vita. Le regolate, pulsazioni delle arterie a véano gia indicato al nostro filosofo, che il muove nelle vene. Ma igno ta era a lui ', come ignota fu all'antichi tà,, la circolazione del sangue. Però in ve ce di questa suppose egli in quel fluido un movimento d'oscillazione. Il sangue, ei dicea, occupa parte, e non tutta la ca vità delle vene, e in queste va quello giul $ u continuatamente oscillando (69). La for: che lo stesso agita, era secondo lui il sangue si za 85 calore:. e questo essendo ingenito al san. gue costante ne mantiene e l'oscillazione e il moto. A tal movimento legò il nostro filoso fo la respirazione, altra operazion della vi ta. Quando il sangue, ei dicea, va giù verso il fondo de' vasi, l'aria tosto s ' insi nua ne' sottili prominenti meati delle vene, ed entrando occupa quel vano, che nell' andare si lascia in queste da quello. Ne perciò egli aggiungea l' aria quivị restarsi: perchè il sangue, secondo Empedocle, spin to dal calore, e su tornando, preme dolce mente quella, e fuori la caccia col suo ri tornare (70). Accade, seguiva egli a dire, ciò che nella clessidra si osserva (71 ).." Ivi l' aria respinge l'acqua, o da questa quella è re spinta. Non altrimenti nella respirazione l' aria esce o entra secondo che il sangue si porta o giù o su nelle vene. Però all'an dare o venire del sangue risponde alter nando il venire o andare dell'aria. Ques sta forma, entrando, l ' inspirazione; ilscen. 86. do 'l' espirazione e nell’unal e nell' altra è riposto giusta il suo sistema il respirare d'ognuno. L'aria, che nella respirazione esce ed entra nelle vene toglie al sangue a giu dizio d'Empedocle una porzion di calore. Ciò indusse gli antichi medici, che abbrac ciarono tal sua opinjone, a curar coll'aria fresca e matutina i ' morbi d'eccesivo 'calo re. Il respirar dunque cagionava secondo il nostro filosofo diminuzion di calore. Da ciò anch'egli iuferiva la necessità, che strin. ge gli animali a dormire. Il sonno in fat ti egli diceva; null' altro essere, che dimi nuzion di calore. (72 ). In quella parte quindi di fisiologia d ' Empedocle che riguarda le funzioni vitali, il sonno vien dal respirare, e questo dall' oscillazione del sangue. Sicchè sonno, spirazion, movimento di sangue tra lor son connessi, e tutti quanti a un tempo dal calore provengono. Nel calore in somma e' pose la cagione di vita e di moto. La morte (73 ), egli dicea, è privazion di ca re 87 lore però riguardava sonno come.egli il principio di morte. Giacchè questa, a suo credere, è privazione, e quello diminu zion di calore. Tali principj di medicina, ch'eran teorici, guidavano lui eziandio nel la pratica. A quel piccol' calore., da noi già osservato, che ritenea la donna Ger gentina caduta in asfissia (24) conobbe Empedocle, ch'ella era ancor capace dell' aiuto della medicina. Tanto egli è vero, che la sua pratica era alla sua teorica con corde, e questa per l'andamento naturale del suo spirito era legata tutta e formava un sistema. Ecco in qual povero stato erano allo ra l' anatomia, e la fisiologia, la fisica in breve del corpo umano. Nuda era questa di fatti, e piena d'errori, e d'ipotesi. Ma tale è la condizione delle fisiche discipline: Nascono esse imbecilli, a stento s'accresco no, e vanno non di rado alla verità per la via degli errori. A chi allor poteva vee nire in mente, che l'aria nel respirare' in luogo di toglier calore, ñe porga al san 88 ana? gue e ne porga gran copia? Come potea Empedocle anticipar specolando in que di tante yerità, che suppongono la cognizion di tante altre, e d'un immenso numero di fatti, che allora ignoravansi? Segnd e gli quindi, non v'ha alcun dubbio, po che e imperfette linee di chimica, d' tomia; di fisiologia del corpo umano. Ma tali schizzi, avvegnachè informi, ma co me primi, e originali, son titoli degnissimi di sua gloria, e gli concedono un sublime posto d'onore nella storia delle scienze. Appartiene a nobilissimi ingegni (i quali sono ben pochi ), di mostrare almen da lon tano quelle scienze, ch'al dir di Bacone son da supplirsi, e che del tutto s'igno rano. Empedocle fece ancor di più. Dino to egli la chiniica del corpo umano, analiz zando gli ossi e la carne; accennò l'ana tomia discoprendo la chiocciola; indicò la fisiologia legando al calore, come a un sol fatto, le principali funzioni della vita. Su periore e' quindi al suo secolo non avrebbe certamente lasciato ad altri la gloria d' ac 8 89 crescere queste utili scienze. Ma nol poté, come chi privo fu di stromenti, e di tut. ti que' mezzi non solo opportuni ma ancor necessari a ridurre in effetto i nuovi e và. sti disegni, che a ora a ora a lui sugge riva il suo genio, Ma se non ebbe Empe docle la fortuna di accrescerlo tutte, ebbe quella di stabilir meglio la fisiologia e get tare lui il primo le basi di quell' altra parto d' essa, che riguarda i sensi dell' uomo, Andavano i Corpuscolisti indagando 80 pra d'ogn'altro nella lor fisiologia come i nostri organi avessero potuto sentir gli oga getti che, son fuori di noi. Credevan co storo tutti i corpi venire in ogn’ istante in alterazione, cangiare, ed esalare particel le sottili, e invisibili. Eran queste, sécon do loro, trasportate dall'aria, dall' acqua, dal fuoco su nostri organi, e ivi adatta te eccitavan le sensazioni di que'corpi, da quali esse spiccavansi. Piacque quindi a costoro le sensazioni null' altro essere, che impressioni eccitate negli organi da particel m go le, che si parton dagli oggetti, di cui quel le son, come quasi le immagini. Empedocle intanto non dissenti mica da loro. Ma il suo spirito, come quello che non erane certo, non se ne mostrava del tutto convinto. Messosi costui quindi a esaminare i sensi a uno a uno, adatto a ciascun di loro la sua propia e particolare spiegazione. Fece egli così un'analisi de' sensi e sensazioni più profonda, che sin ' al lora non s'era punto fatta d'alcuno. Ma quel ch'è più aperto egli dimostrò non es ser lui punto ne' suoi pensamenti nè se. guace, nè schiavo delle comuni e dominan ti opinioni. Giacchè egli nel chiarir questo o quel senso ora abbandona i corpuscoli, or recali innanzi, o ora aggiunge agli stes si qualche nuovo argomento. Trattando Empedocle dell' odorato, e del gusto non altro mette in opera, ch'e salazioni, e corpuscoli. Questi, agli dice, trasportati dall'aria s ' acconciano a ' pori del naso, e muovono il sentir dell' odorato. I cani, ei soggiunge, cosi e non altrimenti 91 indagan futando l'orme della fiera, Che se il catarro, dice egli di più, irrigidisce le narici; allora i pori di questo tosto s ' alterano, si respira a stento, e l'odor non si sente (75 ). Tratta egli appresso dell'udito, e la sciati e pori, e corpuscoli, piglia dall'ana tomia il suo nuovo argomento. L'udito, ei dice, nasce dalla battitura dell' aria nel la parte dell'orecchia, la quale a guisa di chiocciola è torta in giro, stando essa so spesa dentro, e come un sonaglio percossa. L'anatomia, ch'era allor grossolana piccol conforto a lui porse nel dichiarare la vista. Conobbe Empedocle un de' tre umori, ch'è l' aqueo, e qualche membra na, senza più, di quelle, che coprono il globo visivo. Però sfornito dell' ajuto dell' anatomia era egli dubbio e incerto. Em pedocle nondimeno giunse a comprendere dover la luce avere gran parte nella visio ne degli occhi. Ma come, e perchè, per quanto si fosse ei travagliato, nol potè af fatto conoscere. 1 m 2 92 Suppone il nostro filosofo entro dell' occhio, non che, acqua, ma luce, che chia ma fuoco nativo. L'una, e l'altra a suo credere, ivi stanno in tal quantità, che per lo più sono ineguali. Così egli distingue gli occhi azzurri da' neri. Iprimi egli af ferma abbondar di fuoco, scarseggiare d ' acqua; là dove i secondi esser poveri di fuoco s ricchissimi d’aequa (76). Però ei soggiunge gli uni mal veggon di notte per difetto di acqua; e gli altri veggon male di giorno per iscarsezza di fuoco (77). Ma sía o poca, ó molta la luce che stanzia nell'occhio, ei la riguarda qual lu me dentro una lanterna. Lo splendore del lume, ei dice., fuori della lanterna si span de, e nella notte ci guida. Così i raggi di luce fuori dell' occhio si spargono,.e ci di mostran gli oggetti. Empedocle talora aga giunge a raggi della luce i corpuscoli. I raggi secondo lui, che dall'occhio si lancia no, prima s' imbattono nelle particelle, che si spiccan da corpi. Poi raggi e corpusco li si congiungono giusta il medesimo: e 93 insiene congiunti si portano all'occhio, e muovono il senso visivo (78). Aristotile disapprova tali pensamenti d'Empedocle. La visione degli ocohi, egli dice, è da riſerirsi solamente all'acqua, e niente al fuoco (79 ). Nella storia dello spirito umano accade sovente, che un er rore un altro ne " caccia, e ' l falso al falso di mano in mano succeda. Aristotile oltrº a ciò rimprovera il nostro filosofo, che dub. bio egli e incerto abbia, fatto cagion del vedere ora i raggi uniti a' corpuscoli, e.o ra i soli corpuscoli (80). Ma in ciò sem bra Aristotile a torto riprendere Empedocle. Non sapea persuadersi il nostro Gergen tino, che totalmente passiva fosse la se de del senso visivo. Non potea egli inol tre comprendere, che niuna parte avesse la luce nel gran magistero del nostro vedere. Incerto restò quindi di se, di sue idee, e delle spiegazioni volgari; ma tale incertez. za o quanto onore a lui reca ! Dubitar del le opinioni, che son false, e in voga, è il primo ma più difficil passo, che si può fare verso del vero. 94 La fisiologia, che va a di nostri spa ziando per tutte le scienze, comunica ezian. dio colla metafisica e colla morale. Quest' unione, ch'è il frutto naturale dell'avan zamento delle scienze, fu dirò così presen tita dal nostro Gergentino. E di fatto sul la sodissima base della fisiologia cercò egli stabilire si l'una, che l' altra. Da che Pittagora, e Parmenide ab bandonarono i priini la testimonianza de' sensi, come ingannevole, i Greci tenzona chi contro la ragione, chi contro i sensi. Questi, è quella vennero quindi in discredito: 6 sorsero intanto i sofisti, e gli scettici. Socrate, Ippocrate', e altri di si mil sorte tentaron conciliar la ragione co ' sensi. Ma vani furono i loro sforzi. Duro la gran lite durante la Greca filosofia. La stessa rinacque al rinascer tra noi delle scienze. Di nuovo si pugnò allor quando contro i sensi, quando contro la ragione; e di nuovo si giunse allo scetticismo. Ma nggi simili dispute sono già state bandite da noi; e si terran lontane, finchè lo studio rono, 95 delle fisiche, e delle Matematiche avrà in Europa stato, e onore. Ne' tempi d'Empedocle la scuola d ' Eléa orgogliosa facea ogni sforzo ad atter rare i sensi, e a inalzar la ragione. Cid ch'è, dicevan gli Eleatici, è unico, eter no, immutabile. E come i sensi ci mostra no il multiplo, il mortale, il mutabile; co sì essi c' ingannano. Però conchiudean co storo la ragione poter sola conoscere cid, che è, ed essa solamente decidere della realtà delle cose. Contro i medesimi entrarono in lizza i corpuscolisti. Questi disdegnando lo sotti. gliezze di quella scuola, fisici com'erano, difesero i sensi, senza annullar la ragione. Anagsagora con sottile avvedimento distinse le particelle simili da ' loro composti; Demo crito gli atomi da' loro aggregati: ed Enia pedocle gli elementi dalle lor combinazioni. Particelle simili, atomi, elementi, dicean costoro, sono eterni, immutabili. Non son tali le combinazioni, gli aggregati, i com posti, che mancano, e cangiano. Questi 96 si conoscon da’sēnsi, quelli dalla ragione. Eglino quindi tolsero ogni contrasto tra' sen si, e ragione: assegnando a questa, e a quelli due provincie del tutto separate, e distinte. I corpi, come composti, operano a senno d'Empedocle, e di Democrito su i nostri organi, che sono del pari composti. Eccitano quelli le nostre sensazioni; ma queste a parer d' entrambi non son tali, che i corpi, La'scuola di Jonia avea tal mente confuso le sensazioni cogli oggetti, che scambiava questi con quelle, e tenea le" une, non altrimenti, che immagini fe delissime degli altri. Non così pensarono i Corpuscolisti. Questi separarono, dirò co si, le sensazioni dagli oggetti, che le ca gionano; è muovono, ed ebbero quelle, come soli, e semplici modi, quali di fatto sono, del nostro sentire. Il bianco o il ne ro, il caldo o il freddo, l'amaro o il dol ce esistono, diceano essi, ne' nostri organi, nelle nostre sensazioni, e non già negli ogo getti. Costoro quindi solean chiamare co 1 97 1. eglia gnizioni, di apparenza, e di opinione, e non gia di verità, e di realtà quelle, che si traggon da' sensi. Ma non perciò credea Empedocle, co me alcuni vogliono, le nostre sensazioni es sere immaginarie. Cangiano queste, vero, secondo che a lui piaeque, come can gia lo stato de' corpi, o come s’ înmuta la disposizione degli organi. Ma vero, e reale è altresì il sentimento, che si desta da' cor pi. Tal' è della sua dottrina, al pari di quella di Newton intorno a colori. Vege giamo ne' corpi o rosso, o giallo. Ma ne i raggi di luce, che percuoton l'occhio, sono o rossi o gialli; ne' rossi ne' gialli so no i corpi, che que' raggi colorano. Il ros ò il giallo è in somma nell'occhio, e nell'impressione, che in esso fanno i rag gi di luce: Così a creder d'Empedocle le sensazioni sono reali. Ma le medesime non rappresentan mai le qualità, che ne' corpi appariscono; null'altro essendo, che altret tanti modi del nostro sentire, Diversa da quella de sensi, credeano SO, n 98. E 1. i corpuscolisti, esser la via, con cui s'ac quista da noi la conoscenza degli elemen ti, o degli atomi. Questi non si poteano secondo loro, come semplici, conoscer da' sensi, che sono composti. Ogni simile, era antico assioma, non si può conoscere, non col suo simile. Però Democrito ed Empedocle, tolta a' sensi la cognizione de' sempliei, la riservarono all'anima. Per questo l'anima, giusta Democrito, era for mata d'atomi; e secondo Empedocle degli elementi, ma uniti alle due forze di amo. re, e di odio. Colla terra, dicea il Ger gentino, veggiamo la terra, r acqua coll' acqua, l ' aria coll' dria, il fuoco col fuo co; e coll' odio e l'amore altresì l' odio, e l'amore: Empedocle portava, dove potea, l'oc chio alla fisica costruzione del corpo uma mo, e dava alle sue opinioni una veduta anatomica. Credetto ei di veder nel cuo. re umano un centro, diciam così, di siste ma; e ivi egli pose la sede dell'anima. Ma come Empedocle in tutto, e sempre 99 era concorde a sestesso, cosi loco quella particolarmente nel sangue, che asperger e bagna il cuore dell' uomo (81 ). Perchè ripostosi da lui il principio e di moto, e di vita nel calore del sangue, li ancor e gli dovea ripor l’anima; Era questa dota ta, a suo credere, di sentimento al pari de' sensi. Ma ambidue ricevevano le loro impressioni: l'anima dagli elementi i sen si dalle combinazioni. L' una acquistava la cognizione delle cose eterne, e immutabili, e gli altri la notizia delle mortali, e mu tabili. I corpi esterni in somma oporavan sulla macchina dell' uomo in due modi di versi: come elementi sull'anima, come com binazioni su i sensi: e quella & questi e ran passivi. Nacque da ciò, che Protagora, lo scoo ' lar di Democrito, portð opinione: l'intel letto altro non esser che la facoltà di sen è nelle sensazioni stare ogni cogni zione, e scienza: Per questo Crizia, qua si accostandosi al nostro filosofo, affermo, pensare esser lo stesso che il sentire tire, e 1 ni 2.' 100 anima stanziarsi nel sangue. Ma Empedo. çle non si fermè quì al par di costoro: passò molto innanzi. A parte dell' anima, che conosce gli elementi, un altra ne sup pose egli entro noi, che è destinata a ver sarsi nella contemplazion delle cose intellet. tuali e divine. Iddio secondo lui, non è una combi nazione a guisa de corpi; ne un unità ma teriale cone son gli elementi. Dio, egli dice, non ha forma nè membra umane; non si può veder cogli occhi, nè toccar col. le mani. Iddio è santa mente, Costui non si può render colle parole, e muove l'uni verso co' suoi veloci pensieri. Iddio in sostan za per lus è mente, e la sua vita è il pensare. Così il nostro filosofo abbandona va la compagnia di Domocrito, e le cose materiali: per tornare a Pittagora, e alle cose, intellettuali. ins. L'anima dunque, destinata da Em. pedocle a conoscer cose spirituali, e divine, dovea essere, e fu per lui altresì senza dubbio spirituale, e divina. Questa proce. 101 dea, secondo che dicevano Empedocle, e i Pittagorici, da Dio, ed era particella del la sostanza divina. Se ne appresentavano essi la ġenerazione sotto varie immagini: or di fiaccola, che tante altre ne accende; or d'idea che tante altre no genera; or di parola, che trasmette à chi ascolta, la ragion di chi parla: o di cose simili, che sarebbe lungo il ridirle: Però paghi que' filosofi di esse agevolmente popolarono il mondo d' innumerabili spiriti, che tutti e. ran partecipi della natura divina. Di questa classe prese dirò così il nos,. stro filosofo le anime spirituali. Le due a: nime, quindi annesse da lui nel corpo dell' uomo forman la primaria base di sua me tafisica dottriną. Una egli sostenne essero immateriale, materiale l' altra, ' quella ese sere immortale ed eterna, e questa mori re insieme col corpo: la primą versarsi in contemplazion di cose intellettuali, e astrat te; e la seconda in cognizione di elemen ti, e di due forze odio, e amore.. Ma non mancherà çerto, cui si fatta 102 opinion di dire anime in ciascun corpo di o gn' uomo semibri del tutto strana, e inde gna della gravità d'un filosofo: Ma chi al tresì avea ' manifestato allora, é chi fin' og. gi ci ha detto cose più vere, o più sapien. ti sull' union dell'anima col corpo, e sul reciproco loro influsso, e commercio? Chi presi di boria, annullato lo spirito, tutto riducono a macchina. Protagora volea, che giudicare, e ragionare fosse la stessa facol. tà del sentire. Ma questa è un'empietà; una mattezza. Tal la dimostrano l' unità del pensiero, e l'attività del ragionare dell' uomo. Taglián costoro, come suol dirsi, non isciolgono il nodo. Chi presi d' entusias mo, annullato dirò così il sistema organi co, tutto l' uomo riducono a spirito. Stahl volea, che l'anima sola operava tutte quan te le funzioni del corpo. Ma questa è u• na falsità, e una follia. Talla dimostra: no i movimenti involontarj, e organici. Vo glion costoro, como suol dirsi, occultare il sol colla rete. Chi poco più 'ragionevoli, pigliata una via di mozzo, vollero.combi. 103 nare ambidue le forze dell'anima, e del corpo. Leibnitz volea un'armonia prestabi lita, cui mercè lo spirito segua ne' pensie ri, voleri i moti del corpo, cui quegli è congiunto: Ma questa è una ciancia, è una fola più complicata della cosa stessa, che si vuole spiegare.. Lo spirito umano in somma ha immaginato tante ipotesi su ciò, tanto più, o meno bizzarre, quanto più o meno son le. teste scaldate di tutti filosofi. Nè vi è inoltre mai stata ipotesi, che tosto non sia stata accolta, e non ab hia avuto assai partigiani: tanto vale quel la specie di prestigio, che la novità ope ra sull’intendimento dell'uomo ! Qual ma raviglia dunque, ch’ Empedocle abbia sup posto in ogni corpo due anime? Non fu egli certo nè tanto delirante, quanto Pro tagora, tutto macchina; nè tanto immagi nario quanto Ştahl, tutto spirito; nè cost fantastico qual Leibnitz tutto armonia pri initiva. Dichiarò egli a. rincontro della falsa dottrina di Protagora, che le idee spirituali non procedono dal sentire. Svi 104 luppò anzi tempo contro Stahl le funzioni de' nostri organi, e quelle della vita con fisiologiche ipotesi non di rado fondate sull' anatomia.. Prevenne Empedocle alla fine l' erroneo sisteina di Leibnitz, e i sensi, dis se, e le sensazioni esser capaci di eccitar nell'anima la ricordanza di ciò, che prinia el!a sa, e poscia., atteso il contatto colla materia, la stessa del tutto dimentica. Non è quindi Empedocle colla ipotesi delle due anime o men ragionevole, o più strano di tutti i filosofanti, che sono stati finora. E ' da confessare che il problema intorno alla reciproca azion dell'anima sul corpo forse appartenga alla classe di quelli, che vincono qualunque intendimento dell' uo-. mo. Però non si sono recate da noi, ne' si recheran per lo innanzi, che ipotesi, e sogni, che il tempo, il quale suol confer mare i soli, e veri giudizi della natura andrà a mano a mano struggendo. Non è già, che queste due anime', che noi leggiamo presso molti degli antichi, e sopra ogn'altro' de' Pittagorici, sieno da 105 na, prendersi secondo la lettera. Intendean co storo distinguere il sensibile e l'intellettuale: due maniere di facoltà, che sono entro l' uomo. Ma adombrarono essi, come ' era u sanza d'allora, sotto vive impagini quelle facoltà, o, diciam cosi, fecero le medesime divenire persona. Empedocle di fatto secon do la testimonianza di Sesto Empirico d ' ambidue quelle facoltà compose la sola ra. gione. Questa, egli dice; è in parte uma in parte divina, e porta il nome di retta ragione (82 ). Perchè questa corrego ge gli errori de'sensi, e può sola discer nere il vero dal falso. Tanto egli è vero che le due anime d'Empedocle, non rape presentavano, che la facoltà sensibile e la facoltà intellettuale, e ambidue faceano u. na cosa sola. Chi potrà or tolerare Empedocle cole locato tra la classe de' filosofi scettici (83). Egli non mai affermd essere inutile, o va« na la testimonianza de' sensi. Apzi i sensi, egli disse, mostrarci i rapporti, che han. no i corpi, e tra loro, e coll' individuo d'. 106 ognuno. I sensi, egli disse del pari, sve. gliare nelle intellettuali facoltà le idee spi rituali, e, astratte. Al più al più diffida va Empedocle de' giudizi de' sensi, che so vente sogliono esser fallaci, o ingannevoli. Però egli volle, che i medesimi fossero sta. ti guidati unicamente dalla retta ragione. Questa potea solo a sentimento di lui discer nére il falso dal vero. Forse, dicea ai suoi tempi Cicerone parlando d'Empedocle, costui ci acceca, e ci priva de' sensi; allor quan do egli crede, che non fosse in essi gran forza per giudicar di cose, che sieno sot toposte agli stessi (84)? Par, egli è vero, Empedocle degli e lementi trattando, quali esseri semplici, ga gliardamente scatenarsi contro de'sensi. Par lui scatenarsi altresi contro gli stessi, allor ehé, dirizzandosi al suo amico Pausania, e con lui trattando dell'amore e dell' odio, ambidue forze immutabili, gli avverte a non fidarsi.de' sensi, e a guardar le cose non già cogli occhi del corpo, ma con que' della mente. Pare eziandio finalmente, giue 107 sta cid, che., Cicerone ine dice, lui andare in furia, contro i medesimi gridando: niuna cosa poter noi nè veder, nè sentir, ne.co noscere (85 ): Ma altri, che questi 'argomenti ci vo gliono a definire come scettico il nostro fi losofo. Chi è intento a esperienze e ad a nalisi; chi cerca con somina cura de' fat ti; chi da questi tenta d'investigare l'ope razioni della natura sotto la guida dell' a nalogia: certamente non sa, nè può esse re scettico. I fisici potranno non prender cura di cose spirituali, e astratte; ma non mai l'esistenza negar di que' corpi, le cui propietà con ardore cercano, e la cui in dole con diligenza studiano. L' espres sioni quindi di quelle parole, non v'è dubbio ' dover valutarsi secondo e il pen sare, e il parlare di quella stagione. Si chiamava allora pero, e ciò che è; quel ch' è eterno, e immutabile, o sia quello, che sotto i sensi non cade: Però Empedo cle a ragione parlando di elementi, e di farze, come quelli, che sono eterni e im 0 2. 108 1 mutabili, rigettd affatto i sensi: @ niuna cosa noi, disse, mercè loro potere o ve dere, o sentire, o conoscere. Fra tanto, chi il crederebbe? che nel volersi definire il carattere, o la dottrina d'uno stesso soggetto, si passi anche da' gran filosofi da uno all' altro estremo del tutto contrario. Anche i grandi uomini tal. volta precipitano i loro giudizi, e nel pre: cipitarli ·traveggono. E' cosa da farci stor: dire il sapere, che la dove alcuni filosofi dichiaravano scettico Empedocle; altri all! opposto avessero lui materialista definito, Aristotile, e altri con lui tacciano di ma: terialismo il nostro Gergentino. Nel siste ma d'Empedocle il pensare, dico Aristoti le, lo stesso val che il sentire; ogni nostra cogaizione viene dalle sensazioni: e con que: ste quella s' accresce (86). Ma questo stesso è altresì una calunnia. Passivi sono, 4. senno d'Empedocle, i nostri sepsi; pas siva è parimenté una di quelle due ani me, ch'egli suppone materiale entro noi. Pero la nostra scienza, disse egli, accre. 109 scersi colle nostre sensazioni. Ma dall' una anima e dall'altra, dalle facoltà cioè sen. sibile, e intellettuale, si forma, come a lui piacque, quella ragiono, che noi già abbiamo osservato. Questa, secondo 'lui, pesa, compara, giudica: in breve ragiona. Due sono i principj, giusta gli avanzi di sua filosofia, cui mercè la ragione rettifica i giudizi de' sensi. Primo: il nulla viene unicamente dal nulla. Secondo: il simile si può solamente conoscer col simile. La ra gione quindi secondo lui, riferisce le sens sazioni a tali, e ad altri principj (se pur altri ne avesse ammesso costui ), o coll' ajuto di questi quella ci mostra il roro. @ il falso. Poteva, cio posto, tal essere lui, qual co lo dipinge Aristotile, un materia. lista? Chi ammette principi di conoscere; di giudicare, assoluti, non ricavati da' sen. si, eterni, immutabili non può affatto cre dere, che il pensare lo stesso sia che il sentire, nè punto può essere imputato co stui di materialismo. Non v'è uomo, quanto si voglia grana. de, che non abbia i suoi nei; e anche i gran genj sono soggetti sovente a censure. Si dice d’Empedocle in metafisica non essere stato lui originale. Convien forse ora smen tire tal voce? Nulla meno. Si bisogna esse re ingenuo; nè l'amor di colui, ehe si loda dee sì impaniarci, che ci debba far supera: re l'amore del.vero. Si confessi pure Em. pedocle, al par de' corpuscolisti, in metafi sica non essere stato mai originale. Empe docle qnal allievo de' pitta gorici, e degli e leatici non seppe abbandonar punto le idee da lui apprese in ambidue quelle scuole. La stessa venerazione egli ritenne, che ave van costoro verso i principj astratti, Si diparti egli sol da' medesimi (e co si avvicinossi alle scuole contrarie ' ) nel non aver lui rigettato del tutto la testimonian za de sensi. Egli in que' dì si sforzo di sedare colla sua nuova dottrina l'accesa pu gna di que', che litigavano chi contro del, la ragione, chi contro de' sensi. Combind egli, e mirabilmente congiunse i sensi cola la ragione, a questa, e a quelli assegno 111 - uffizj, e diritti separati e distinti: e sen za nulla scemare dalla realtà di nostre sen sazioni, gran forza, e autorità diede a prin. cipj generali; e astratti: Tutti i corpusco listi furono in quella stagione eziandio, chi più, chi meno concordi al nostro filosofo; e tutti egualmente in metafica tennero le parti di conciliatori tra i due partiti allor dominanti. Tal'è la natura dello spirito u mano. Fatica egli senza stancarsi, e riflet te anche sino al cavillo, quando è sospin to dall'ardor del partito, e dall' amor del sistema ! Ma poi stanco ei di meditare, o pugnare, cerca la quiete, e 'l riposo; e componendo insieme le opinioni contrarie si lusinga d'aver trovato gia il vero. Avven ne allora in somma ciò, che la storia filo sofica ci presenta a ogni passo. Sempre dall'urto. di due opposti sistemi n' è il ter zo spuntato, che li ha conciliato, giunto. Anzi quando molti in contrasto so no i sistemi; allora è appunto, che sorgon gli ecclettici, che scegliendo opinioni, or da un partigiano, orda un altro, tutti con accozzano i partiti tra loro, e li riducono & uno. Sarebbe tempo ora mai di volgerci dalla metafisica alla morale d'Empedocle. Ma portatesi assai più avanti da lui le sue ricerche, e le sue vedute sull'anima, di storna noi pure per ora d'imprender tal via. La fisica (abbiam noi osservato espo nendo la dottrina d’Empedocle ), essere stata quella scienza, in cui ei sopra ognº altro si distinse, e cui mercè alto ha so nato, e sonerà eternamente il nome di lui. Mà nello studio della natura quello, che più l'allettava, e cui principalmente egli intendeva, era la contemplazione de' corpi organizzati. Riferi egli da prima (sic. come abbiam noi pure os servato ), gli a. nimali a ' vegetabili, e da questi portando le sue specolazioni sull' uomo giunse sino alla metafisica. Dall' uomo poi tornò Em pedocle ad ambidue quegli oggetti quasi al le sue considerazioni primjere,e domesti che · Ando egli indagando, se i vegetabili fossero stati provveduti di gentimento, e se 113 gli animali e vegetabili fossero stati tutti due al par dell'uomo forniti di anima. Si fatta investigazione non fu punto difficile al nostro filosofo, come chi piglia va l'analogia per sua guida. I corpi non organizzati, egli dicea, nulla hañ di comu ne co' vegetabili; perd se quelli son privi di senso, questi all'incontro nę debbono esser partecipi. I vegetabili all'opposto, ei sogglungea, molto aver di comune cogli a nimali (87 ). Ambidue han tra loro comu. ni le primarie funzioni vitali: son dotati di sesso, si nutriscono, crescono, traspira ban gioventù, han yeochiezza, han no indozzamenti, malattie, sanità, nasco no, muojono. Però se gli animali son for niti di sentimento, anche i vegetabili in ciò debbono essere a quelli compagni. Fu quindi sua opinione essere gli alberi, 6 le piante capaci di tristezza, di gaudio, di voluttà, di dolore, di desiderio, di sde gno; e di ogn'altro animalesco appetito (88). Anzi spingendo egli più oltre la forza di sua analogia, posti eguali i fisici rapporti > P 114 1 tra l'uomo, e gli animali, e tra questi e i vegetabili, fu di parere, che l' avere un'anima materiale non fosse un privilegio sol conceduto all' umana natura, ma comu ne eziandio a tutti quanti i corpi organiz zati. Anima quindi, e sentimento egli die de, non che agli animali; ma anima e sentimento altresì a ' vegetabili, e a ogni sorte d'erbe, e di piante (89 ). Anima e sentimento diede Empedocle a ' vegetabili ! fiori che si rattristano; erbe che si adirano; pianto, che ' o si rallegra no o piangono ! Quanti, non che qual fan. tastico piglieranno il nostro filosofo, ma ne rideranno ancora al sentirlo? Ma non rideranno certo, chi più sag. gi e più istrutti, non ignorano punto, che anche i Democriti, gli Anassagori, i Pla toni abbracciaron si fatta sentenza (90 ). La quale non è già, che faccia a lui ono re, perchè, abbia in cið avuto e compagni, e seguaci così solenni filosofi. Ciò sarebbe un argomento d'autorità, che nulla, o po co conchiuderebbe in suo pro: perchè filo-, 115 sofi ' ancor di gran nome stan sottoposti a errori grossolani, e massicci. E' che la co sa non è in se stessa sì strana; come a pri ma vista apparisce. L'anima materiale da que' gran filosofi negli animali, e vegetabi li ammesza, in sostanza altro non era, che la fisica sensibilità de' moderni. Questa vole van costoro, che fosse ne' vegetabili tal qua le tra gli animali si trova: In virtù di que sta ', credevan gli stessi, i vegetabili al par degli animali ésser capaci d'amore, odio, e d'ogn' altro animalesco appetito. Empe docle in breve, e que gran filosofi ebbero e uomini, e bruti, e vegetabili come do tati di senso, e la fisica lor sensibilità chia marono anima. Chi adesso potrà dirittaa mente riprendere Empedocle? Di poi non vi sono a di nostri de ' fi siologisti famosi, che nelle piante trovano senso d' umido, di secco, di caldo, di fred do, di luce, di tenebre; perchè non po che di quelle chiudono o aprono i loro pe tali atteso il freddo o il caldo, il secco o l' umido, il lune o lo scuro? Non vi soa P 2 116 no del pari quelli, che veggon nelle pian. te, chi il senso del tatto, come nella sen sitiva; chi quel dell' amore, come nella valisneria, chi una specie di gusto nell'e. stremità d'ogni radice, cui mercè questa sceglio, e trae quella nutrizione, che si con. viene a ciascuna? Non son finalmente o Darwin e le Metherie, che van cercando, é credono d'aver già trovato ne' vegetabili e senso, o sensorio? Qual assurdo egli è dunque, se Empedocle, che ne' suoi con cetti abbracciava tutta la natura, abbia u. nito insieme tutti i corpi organizzati per via della fisica sensibilità, che credea essere a quelli comtine? La natura, non v'è dub bio, aver distinto, e separato il vegetabile dall' anirnale con differenze, e caratteri ben contrassegnati, e rivissimi. Ma l' estendere la sensibilità dagli animali sino alle piante è una idea grande, bella, e degna di un sommo filosofo. Non v'è, chi a prima vi sta non ne debba restar preso, e non bra mi trovar vera quella, che vera sin ora non è. 117 Ma comunque ciò sia, una cosa ' solit è verissima, Empedocle aver riguardato i corpi organici in un aspetto diverso di quel, che fece Pittagora, o i filosofi prima di lui. Costoro non ebbero nè pure in pen siero di considerar le piante, di bruti, come dotati di sentimento, e di anima, Empedocle fu il primo, almen tra pittagori ci, a pensare in tal modo. Egli fu, cho ebbe e uomini, e bruti, e piante, quali esseri congiunti tra loro dalla sensibilità, come quasi comune strettissimo vincolo, o che suppose in tutti un' anima materiala egualmente. Però egli fu anche il primo, che strinse l'uomo colle piante, o co ' brus ti ad alquanti sognati doveri, che nasco Ro da quella ideata parentela, con cui e gli legò quello con questi. Ecco ora come chiaro si vede su qual base vada a poggiar la morale d'Empedo cle. Sulla fisica fondo ei la sua, metafisia ca, e su quella fondd egli ancora gran parte di quest'altra scienza. Con si fatte vedute costui pubblico due gran poemi sul. Ii8 la natura il primo, e gulle purgazioni il secondo. In questo Empedocle stabilì la sua etiça; in quello la fisica: ma fece precede re il primo al secondo, come argomento pri mario della sua raffinata morale. La morale d'Empedocle fu in verità nel suo fondo la stessa di Pittagora. Pu re lni citano gli antichi scrittori, come chi. avesse alterato la prima antica dottrina di quel sommo filosofo, e i tempi di lui ad ditano come la seconda epoca del pittago ricisino. Ma ciò avvenne, perchè Empedo cle, aggiustata la morale di Pittagora a suo modo, e conforme al suo fisico pensa rė gi scostò al quanto dagl' insegnamenti di lui. La colpa degli spiriti; una diversa maniera di metémpsicosi: l'astinenza di qualche sorta di cibo, furono in tutto le gran novità, ch'egli introdusse nel corpo della morale di quello. Tra queste come principale, e primaria è da reputarsi l'o pinion della colpa degli spiriti. Non d ' al tra fonte, che da questa, qual prima ca. il.119 gione, il nostro filosofo fece dipendere la metempsicosi e le purificazioni, che sono i due çardini della morale pittagorica. Fu opinione d'Empedocle, che varj spiriti, mentre menavano yita beata, avesser pec: cato. Però a cagion di delitto, si credet te da lui, quelli, scacciati dal cielo, e pri vi degli onori divini, essere stati così astret ti ad espiare i lor falli. Esuli, erranti, ra minghi, egli diceva, vanno lungi dal cie lo per trenta mila anni, e pagan vagando il fio meritato del propio loro delitto. L' etere quindi, e' soggiungea, precipita gli spiriti nel mare, il mare sulla terra gli sbalza, la terra gli sospinge nell'aria, l ' aria sino all' etere gl' inalza. A quelli sų giù sospinti perciò, e quà e la circolando risospinti, oyunque era d'uopo in mare, in aria, in terra vivere in miseria e in lutto. Tali spiriti, secondo che piacque a costui, andavan successivamente informan do varj corpi, e questi appunto erano le infelici anime degli uomini. Queste quindi 120 ta stavano in pena delle lor colpe racchius e ne' corpi; i corpi eran le prigioni delle ani me, e la matempsicosi, di cui Empedocle formo il primo cardine di sua morale, giu ata il parer del medesimo, era una pena delle stesse, ch'aveano prima fallato. Di si fatta reità delle anime che ragion fa della metempsicosi, non si trova vestigio alcuno presso que' filosofi, che furono in nanti d ' Empedocle. Questa per la prima volta si legge ne' versi di lui. Ai suoi tem pi fu, che la medesima divenne comune, o volgare: e Platono dopo fu quello, che l' abbelli sopra ogn' altro. Pero da Empe docle comincia una nuova età del pittago ricismo; perchè da lui comincia l'opinione della fallenza delle anime, qual base e ra gione della trasmigrazion delle stesse. Egli è vero, la metempsicosi, comu ne a pittagorici, essere stata antichissima presso gli Egizi (91 ). Non si dubita ne anche aver costoro diviso in più periodi il tempo della trasmigrazion dalle anime, assegnato a ciascuno la durata di tre mila 121 anni. In ogni periodo, credeano i medesi mi ogni anima, informato prima solamen te il corpo di un uomo, andar poi tratto tratto passando non più ne' corpi d' altri uomini, ma di qualunque animale,. che abita o l' aria, o il mare, o la terra. E' vero altresì tal dottrina essere stata dall' Egitto portata da Pittagora presso de' Gre ci (92 ). Non si dubita nè pure i Greci filosofi coll' andar del tempo averla molto alterata. Altri restrinsero la metempsicosi ai soli corpi umani, altri pari agli Egizj ľ1°. estesero dagli uomini ai bruti. Vi fu pa. rimente, chi disse que periodi esseri tre, chi dieci, chi nove. Nè mancavan di quei, che ridussėro la durata d'ogni periodo da tre mila a soli mille anni. Empedocle fra tanto afferind il nume ro di que' periodi esser dieci, e la durata di ciascuno di tre mila anni. Ma l ' anime secondo lui migravano in ognuno di que' periodi in ogni sola volta nel corpo d'un uomo, e in tutto il resto a ' finire il cir colo di ciascun degli stessi, andavano mion 122 1 che ne' bruti, ma eziandio nelle piante. Fui fanciullo, dicea Empedocle, fui don zella, augello, albero, pesce. Chi è or, che non vegga esser questa un altra delle alterazioni recate da costui alla metempsi cosi di Pittagora, e degli Egiziani? Questi la voleano solamente negli uomini, o ne' bruti. Empedocle agli uomini, e a ' bruti aggiunse la trasmigrazione ancor nelle pian te (93 ): Ma non si creda mica, che tale ag giunta d'Empedocle alla dottrina della me tempsicosi di Pittagora, e degli Egiziani, fosse stata in lui l'opera del capriccio, o del caso. Sarebbe cid indegno di un nuo vo, ' e original pensatore. Chi si risovviene del fisico sistema del primo, conosce che si dovea far certamente quest' alterazione notabile alla metempsicosi del secondo, Gia si sa aver avuto Empedocle le piante, al par degli animali, dotate di sentimento, o d'anima materiale. Ma non così aveano pensato nè Pittagora, nè gli Egiziani. Pero quegli fece passar le anime e dagli uomi 1 123 ni, e da bruti alle piante, e questi cre dean, che le anime migrassero dagli uo mini nel corpo solamente de' bruti. Le a mirne in somma in forza del sistema d ' Em. pedocle, dovean circolare informando tutti que' corpi, che in qualunque maniera fos. sero stati organizzati. Ecco le due novità recate dal nostro filosofo alla morale di Pittagora, ma novi tà ben legate tra loro qual cagione ad ef fetto. Alla colpa delle anime aggiunse Em. pedocle la metempsicosi, come al delitto va compagna la pena. Ma quel ch'è più, a questa e a quella unite insieme andò egli pure legando la demonologia: articolo fon damentale della teologia de' pagani. i Vedea egli quasi ingeniti all' uomo i semi si della virtù, che del vizio. Allor si pensava lo spirito ' tendere naturalmente à cose spirituali ed eterne, e la materia al le materiali e caduche. Credette ei quin di i semi della virtù nascer nell' uomo dall' anima, e gli altri del vizio nascere in lui della materia. Ma l'anima, a suo pre q 2 12-1 dere, chiusa nel corpo, restava contamina. ta dalla materia, e. però era sospinta assai più verso il male, che il bene. Oimè, di cea egli, come è misero, come. è infelice il genere umano. A quali guai, a qua li pianti non è ei sottoposto Queste due tendenze dell'uonio al be: ne, e, al mal fare raffigurò Empedocle, giu. sta il costume di quell'età, sotto le imma gini di due opposti genj. Due, egli disse, sono i genj, che quali direttori delle azio ni degli uomini, accompagnano ciascun uo « mo in tutto il corso della vita d ' ognuno di loro. Buono è l'uno, l'altro è malva gio. Il primo guida, o conforta lui alla virtù; il secondo spinge e conduce il me desimo al vizio (94). Ma ambidue questi genj non indicavano, che questa stessa dop pia tendenza. Pure tutto il volgo allora venne nel credere, che ciascun uomo dal nascere al morire fosse' stato realmente as. sistito da un genio buono, e da un altro malvagio. Tanto egli è vero, che le im magini, sotto cui adombravano gli antichi 125 > filosofi le loro specolazioni, fossero state ca gioni di superstizione, e di errori. L'uomo non solo ha tendenze al be ne e al male, ma è capace altresì d' ope. rar l' uno, o l'altro. Quante virtù, e quanti vizi di fatto ei mette in pratica ! Ma questi stessi ebbe la bizzaria Empedoc cle di designare sotto la figura di genj. Singolari, non cho speciosi furono i nomi, con cui egli distinse i demoni, che rap presentavano i vizi, ' e le sfrenate passioni degli uomini, De nomi di Chtonia, d' He liope, d ' Asafia, di Nemerte, o di parec shi altri ne sjamo debitori a Plutarco (95). Singolari eziandio, non che speciosi, esser dovettero i nomi, con cui distinse lo stesso l'opposta classe di genj, che rappresenta vano le virtù, e le passioni imbrigliate de gli uomini, Mą il tempo, che rode ogni cosa, non ha fatto quelli pervenir sino a noi. Pure è sfuggita da sifatta ingiuria la nominazione, con cui Empedocle appel 10. le virtù, felice prodotto, delle regolate passioni. I pittagorici furono usi chiamare 126 il mondo spelonca, ed Empedocle, qual pittagorico, chiamò le virtù, e passioni virtuose ' potestà conducitrici delle anime: quasi giunte nel mondo, come in un an tro (96 ). Il popolo, che in ogni cosa vede portenti, e finge de' genj, accolse quasi revelazione venuta dal cielo, la de monologia del nostro filosofo. Gli antichi scrittori, pari al volgo, non compresero nè pure il vero intentimento di lui. Que sti però dipinsero Empedocle, come chi avesse popilato l'intero universo di demo nj, e attribuito a virtù de' genj ogni ope razion di natura. Ma questa stessa dottrina de' genj fu il fondamento della magia, e teurgia fa mosa d'Empeclocle. Questa, in que' tempi cra un metodo di purificar le anime col favore degli Dei benefici, che dovean con dir quelle all'unione con Dio. Gli Dei bendici non eran che virtù astratte deifi. cate da lui: è nella pratica delle sante o pere era riposto tutto il culto di quelli. Credea egli, non poter le anime ritornare 1 27 agli onori divini, da cui erat cadute, che coll' ajuto di quegli Dei, perchè credeva altreşi non potersi quelle inalzare a Dio, che coll' esercizio delle sante virtù. La teur gia in somma d'Empedocle fu un retto, e diritto nietodo di purificar le anime colle opere buone. Sembra cosa veramente incredibile che uomini abbandonati al debile filo della pro pia imbecille ragione, e privi di qualunque superior lume di rivelazione divina, avessero potuto architettare un piano di quasi per fetta morale. Non fu gia la metempsicosi quella, che giusta i pittagorici avesse po tuto purificar le anime. Questa non era purificazione e virtù, ma pena dovuta al. delitto. Questa non si poteva in alcuna an corchè menomisssima parte, o abbreviare, o alterare. Esser questa un decreto divis no, essere un santo giuramento si spaccia va a tutti da Empedocle. Ciascun anima avvegnachè virtuosa, e purissima (così és. si pensavano ) non potea unirsi a Dio, se non compiti i periodi, e il tempo tutto di esilin. 128 Le purificazioni altro cardine della mo rale d’Empedocle eran propiamente, secon do tutti i Pittagorici, le sule, che a poco a poco lavavan le anime, e toglievan loro in quel tempo, che informavano i corpi umani, ogni macchia, di cui le medesime potevano essere dalla materia bruttate. Pur gate poi le sozzure, e finiti i periodi tut ti del bando, allora era, che le anime già nette, secondo che allar si credeva, fos sero agli antichi onori tornate, e alla vita divina... I sagri riti poi, lo studio delle scien ze, la pratica della virtù erano i tre mo di di purificazione inventati all' uopo da que' sommi filosofi. Sembra à prima vista o superfluo o inutile essere stato il primo di questi mo di, e tutti gli augusti riti, e quelle ceri-, monie solenni, che si metteano in opera al lor da Teurgici. Ma si poteva scuotere, e infiammare altrimenti l'immaginazione de gli uomini, affinchè questa si fosse resa docile agl' insegnamenti della virtù? L'110 { 129 - mo materiale si solleva dal mondo materia le merce cose eziandio materiali. Le ceri. monie, ei riti sono i soli, che colle san. te immagini níuovono i sensi, e astraendo li dalle cose impure alle pure gli inalza no. I riti sono il verace linguaggio de sen si, che efficacemente parlando destano la fantasia. A questa è sol conceduto ' creare tra il mondo materiale l'altro spirituale: Disadatto pure si crederà forse essere stato lo studio delle scienze a purificar le anime. Ma non è egli questo, che aliena lo spirito: dai vizi, che l'introduce alle co se intelligibili; e che sveglia in lui le idee immateriali e celesti? Non è egli vero al tresì l'anima, esercitata nelle cose dell' in telletto, districarsi da' fantasmi del corpo, e. dalle false opinioni del volgo? Era certa mente un ridicolo sogno quello de pittago rici, che collo studio delle severe discipli ne fosse tornata alle nostr' anime la mé. moria delle cose divine. Ma certamente all' opposto è un dogma incontrastabile,. che tanto più la nostra mente si allontana dal r 130 > la materia e dagli appetiti carnali, quan to più la medesima s' aggira sulla contem. plazione o de' principj delle cose, o delle matematiche, o elogn'altra scienza. Ma in verità e uso di riti, e studio di scienze, e ogni qualunque altra cosa, che avessero potuto specolare gli antichi, sa rebbe lor tornata inutile, ne sarebbe mai giunta a purificar nè meno da lungi le a nime, se a tutto ciò non avessero costoro accoppiato del pari la pratica della virtù. Questo in fine dovea essere il bersaglio, cui dovean dirizzarsi que' grandi filosofi: o questo l'ultimo e principal metodo di pu rificazione. Non si può infatti ne pure ideare quanto studio avessero posto costoro ad astenersi da ogni ancorchè minimo fal lo. Tutti quanti (tranne il loro raffinato orgoglio, e la loro squisita 'boria e super bia ) furono del tutto.virtuosi. Di e nota te si recavan essi sopra se stessi, scrupo losamente ogni lor fatto esaminando, e c gni movimento del propio loro cuore. In estimabile era la diligenza, ch' essi adope 131 rzano a nettar d'ogni ruggine l'animo lo ro, e a far bene ogni cosa. Tutta la vita į medesimi spendevano in contemplare oggetti spirituali, e. in praticar virtù, e que pre cetti, che si leggono scritti ne' versi dorati. Si crederebbe quì finito il lavoro della loro morale, Pure come eglino avevano que sta diviso in due parti, così alla purifica zione aggiunsero altresì la perfezione (97 ). Non bastò a Pittagora l' essersi lusingato, che l'anima, mercè la prima si fosse e mondata da vizi, e separata dalla materia, e liberata quasi dal vincolo, che la ren deva prigione. Volle di più immaginarsi, che l' anima, mercè la seconda già prima purificata, si fosse poi inalzata a Dio, o ripigliati gli antichi abiti, e forma, si fos se confusa colla divinità medesima. Le ar nine in somma, che secondo Pittagora ed Empedocle, erano di loro natura divi ne, ma contaminate dalla colpa e mate ria ', dovean prima purificarsi, e poi sì per fezionarsi, che fossero state degne di tor nare a Dio, e agli onori primieri. Però l' 132 immacolato, e innocente viver d'Empedo cle obbligo lui a spacciarsi qual Dio, e a promettere ai puri, e perfetti la Divinità come premio. Sin quì Empedocle, e Pittagora furon d'accordo, e quegli fece uno con questo. L' essere stata comune l ' opinione tra loro nel principio, da cui la purificazione, e perfezione avesse avuto sua origine, non fece punto discrepar l'uno dall'altro, Cre deano ambidue le anime tutte degli uomi ni, e tutti gli spiriti altresì formare uni ca, e sola famiglia con Dio. Là poi, ove i sistemi loro non furon punto d'accordo si fatti filosofi furon del tutto discordi. Em. pedocle, altrimenti che Pittagora, riguardo uomini, bruti, piante come unica famiglia. Non è più quindi da far sorpresa, se si ve de ora entrare in iscena una terza novità d'Empedocle, come riforma alla moral di Pittagora. Se si vuol prestar fede ad Aristotile ad Aristosseno, e Teofrasto, Pittagora e i Pittagorici della prima età uccidevano, ec. 133 cettine i bovi destinati ai lavori, ogni sor ta d'animali, e tranne i loro cuori e ma trici ne mangiavan le carni: s ' astenevan solamente da' pesci. Empedocle all'incontro fu il primo che proibì affatto qualunque uso di carne; e riputò sacrilegio l'uccidere quale che si fosse animale. Non veggo, dicea egli, perchè alcuni animali debbano serbarsi in vita, e altri all'incontro si pog sano uccidere. Una è la legge per tutti, é questa è pubblica per tutta la terra. Vedeva costui in tutti gli esseri organiz zati, facendone un sol corpo morale, quasi unica é sola farniglia, Perd non sapeva egli scorgere differenza notabile tra uomini, e bruti. Smanioso egli quindi si scaglia con tro chi avesse sagrificato in que' tempi vit. time agli Dei, che' attesa la metempsicosi, potevano per lo più esser uomini sottom bra di bruti. Cessate, gridava Empedocle, o crudeli, di fare strage, e lordarvi di san gue: Pazzo il padre, che sotto altra sem. bianza scanna il propio figliuolo, e vane preghiere disperge all'aria e al vento. Stol i 134 ti non veggono, che divorando le fumanti sanguinose carni di animali le menbra pa. rimente divorano de' lor padri, figliuoli, o congiunti. Si riderebbe oggi la presente età del: la severità d'Empedocle, e si reputerà cer tamente stravagante la sua pietà verso i bruti. Ma ad altro, e più nobil fine ten devan le idee del nostro filosofo. L'uomo è in mezzo a' suoi simili, e l' amore è il principale anello, che dee le garlo cogli altri. L'amor verso i simili è il principale dovere di un uomo di società: e la pieta n'è la base. Ma questa non si potrà avere giammai, se non campeggia e dilatasi sopra tutti gli oggetti, che circon dano lui. Se l'uomo deve avere pietà ver 80 gli uomini, uop' è non che estenderla, mia cominciarla da' bruti. Qualor ' si eser-: citasse ferocia contro i medesimi, agevol mente il reo costume l'andrebbe portando ancor contro gli uomini. Anche tra noi, se non può recarsi a effetto sì fatta proibizio. ne di scannar gli animali, sempre egli 1 135 vero, che debbasi tener come parte di e ducazione gentile, quella d'insinuare ne gli animi ancor teneri de' giovani la pietà verso i bruti. Non son dunque da ripren, dersi, così tentoni, gli antichi filosofi per quegli insegnamenti, che oggi, mutate le usa nze, ci sembrano stolti. La proibizio. ne ch' Empedocle diede a' suoi scolari d ' uccidere gli animali, e cibarsene, ebbe in mira non sol di non essere crudeli, e feroci cogli altri; ma di dispor loro ad amarsi l ' un l'altro a vicenda, e nelle disgrazie scam. bievolmente aiutarsi. Egli non senza sotti le avvedimento si sforzò così in persona de? suoi compatriotti svegliare allora in tutta la generazione degli uomini quell'attitudine, che porta loro a prender parte nell' altrui traversie: attitudine, che di sua natura è debole, languida, spesso sopita, e quasi sempre soffogata, ed estinta. Però Empc docle a ingentilir gli animi umani, e rasla dolcire i costumi degli uomini, volle che questi non si avessero bruttato le mani del sangue, né avessero mangiato le carni de' 136 bruti. Chi è beniguo co ' bruti non può certo negare agli uoinini amore, pietà, cor tesia, frattellanza. Pittagora nulla conse guente a' suoi stabiliti principj della metem psicosi, trascurando quasi tutti gli anima li, ſecesi soltanto scrupolo, e proibi, che si fosse recata alcuna ingiuria alle piante, che non fossero state nocevoli. Ma Empe docle fece molto più, e' meglio assai di Pittagora. Egli dotate prima quelle di sen timento, proibi poi che si fosse fatto loro del male: ailinchè non si fossero avvezza ti gli uomini ad offendere esseri forniti di sensi e di organi. Fu in somma intendi mento di lui in tutte le maniere, quasi tirando tutte le linee a un centro, stabili re tra gli uomini fratellanza e amicizia Però fu, sollecito ei d ' ordinare, che oltre agli animali, si avesse avuto compassione sin anche alle stesse piante.. Sarebbe stata finalmente non che man. chevole, ma mulla la morale d'Empedocle, s' egli non avesse presentato o un premio, una pena agli osservanti, o violatori de' 737 ciò, precetti da lui stabiliti. La speranza del premio, e il timor della pena, interni po. tentissimi stimoli dell'animo umano, inco raggiano i buoni a operar la. virtù, spa ventano i mali a praticare il vizio. E' ben ragionevole quindi, ch ' Empe docle avesse pigliato una via come stabili re e premio', e pena, sì alla virtù, che al vizio: e il fece appunto combinando al par de pittagorici, colla dottrina della metempsicosi. Il tempo di tre mila anni di ciascuno de' dieci periodi di essa non era destinato da Empedocle a far cir colare sempre le anime da un corpo in un altro. Le anime in ogni giro di tre mila anni informavano secondo lui e vegetabili, e bruti. Di poi andavano esse in ultimo E luogo ad avvivare il corpo di un uomo. questo finalmente morto, passavan quelle ad abitare un luogo o di gaudio o di lutto secondochè le medesime avessero o bene, o male operato. Quivi doveano esse restare, finchè finito avessero il primo periodo di tre mila anni. Dovean le medesime torna. S 138 To appresso a cominciare il secondo di al tri tre mila anni, passando tratto tratto ne corpi: d' altri bruti, di altre piante, o finalmente di altri uomini. Così successiva mente doveano esse fare in tutto il corso degli interi dieci periodi: e cosi le medesi mo doveano essere o premiato, o punite in ciascuno di essi. Ma al finire di tutti i dieci circoli quelle anime, ch'eran tenaci ne' vizi, giusta Empedocle, bandite dal cie. lo, eran dannate in mezzo alle tenebre, e in un continuo lutto, o un eterno suppli zio. Le altre poi, che virtuose al compir di quo' circoli si fossero trovate belle e det. te secondo lui, si portavano all'etere puro, e collocate in mezzo alla luce, sedcano in vi a mensa coi forti Danai, in eterno go dimiento, nell' unione con Dio. Tutto ciò si raccoglie da ' versi d ' Empedocle. Così pur si pensava da' pittagorici di Sicilia; nè al trimenti si canto da Pindaro nelle sue odi dirette a Gerone, e Terone (98 ). Ecco tutto, il quadro compito della intera mora le d'Empedocle. 139 Egli è senz' alcun dubbio, essere stata questa assai raffinata, e, molto diversa da quella del volgo. E ' cosa da recar mara. viglia l'osservare, com ' essa in tempi assai caliginosi, fosse stata tanto bene architetta ta, cosi brillante, e del tutto diretta a ri. pulire il costume, a liberar l'uonio, quan to più s' avesse potuto dai vizi, e a nobi litar l'anima e la mente di lui. Cid nulla ostante ella ha eziandio i suoi gran difetti. L'essere stata la stessa riservata ai soli sapienti, e ai soli iniziati ne fu il principale. Quel sistema d'Etica, che non è fatto per tutti gli uomini, non può esser giusto, santo, verace. Tutti quan. ti gli uomini sono astretti agli stessi doveri, e a una sola virtù, Si può considerare, & gli è certo, la scuola pittagorica, qual.ce nobio, é i pittagorici quali religiosi dell' antica Grecia. Ma l'orgoglio guastava le loro azioni, rendea yane le loro fatiche, avvelenava ogni loro virtù. Pure è sem pre da reputarsi degno di lode il nostro filosofo, che osservantissimo de' precetti pit § 2 110 tagorici non ebbe difficoltà di manifestarli, e divolgarli nel suo poema delle parilica zioni per solo e semplice amore di onestà, e di virtù, Empedocle, tranne la super bia, radice infetta dell' operare d'ogni an tico filosofo, è da celebrarsi, come quel lo, che ornato di cortesia, amante degli uomini, e virtuoso, avesse aspirato sempre a perfezionar molto se stesso. Ma gli onori, che si rendono a' tra passati; le lodi, di cui s' onora la memo ria de gran genj, non possono nè recar loro diletto, che più non sono, nè tocca re il lor cenere, che affatto è privo di senso. Tutti i loro elogi, come quelli, che eccitano l'orgoglio e la vanità de' viventi, noi guardano e a noi son diretti. Siam noi, che dagli omaggi, che si tributano a quelli, prendiamo speranza di poter forse nieritare la stessa gloria, e acquistar la fa na stessa presso le generazioni avvenire. Del nome d'Empedocle fu una volta ne è oggi, e ne sarà sempre piena la ter,. La filosofia di lui fu tenuta assai in 141 pregio presso tutta l'antichità tra Greci e Latini (99). Quella occupa tal sublime posto di onore nella storia delle scienze, ch' Empedocle si può dir, che appartenga a tutte le più colte nazioni. La Sicilia fra tanto è la sola che a giusta ragione lui vanta: qual suo. Felice quel suolo, beato quel clima, cho dà il natale a' grandi uomini ! La memoria e la fama loro è un fecondissimo germe, che in ogni età ne desta l' emulazione, e ne riproduce il sapere. Tal dovrebbe essere a noi il dolce nome d'Empedocle, caro alla yirtù, caro alle lettere. Anatomia, fisiologia, chimica de cor pi organizzati possono lui chiamare padre inventore. L' essersi ridotta la materia a quattro elementi; l' essersi trovate due for ze in natura di repulsione, di affinità; 1" essersi intrapreso il metodo di fisiche espe. rienze, la terra n'è a lui debitrice. La scoperta della chiocciola; della successiva propagazion della luce; del peso e della molla dell' aria; del nutrirsi, del traspira* e 142 re, dell'essere ovipare le pianto al par de gli animali son cose tutte propie di lui. Divolgati appena sì fatti suoi ritrovamenti, tosto si rese celebre il suo nome in tutta la Grecia, ed egli uno de' concorrenti di venne tra Anassagora e Democrito, La gloria d'Empedocle, che in gran parte è ancor nostra, ci dee infiammare a battere lo stesso sentiero. La Sicilia è la stessa oggi, ch'era allora ai tempi d'Em pedocle. Ella in ogn'angolo, e in tutta quanta la sua superficie presenta a' nostri occhi oggetti sempre degni di nostre filoso fiche ricerche. Piante d'ogni sorte, acque d'ogni specie ', minerali d'ogni genere, e i più distinti volcani esistono nel nostro suolo. Il Fisico, il Chinico, il Botanico lo storico naturale trova ovunque ampia materia d'appagar le sue brame. E ' no stra somma vergogna il vedere oggi, che vengan tra noi gli stranieri a insegnare a noi le cose nostre. Si saran forse cam. biati il cielo, il clima, la terra, che un di furono ne' tempi de' nostri antichi filo 1 143 sofi? 0 pur saran venuti meno gli inge gni tra noi? Non sono eglino i Siciliani dotati ancora o d' acume nello specolare, e di prontezza nel riflettere, e di pre stezza nell' eseguire, che loro hanno in o gni tempo distinto? La Sicilia una volta e. mula della Grecia in ogni genere di colo tura non potrà anche a di ‘ nostri con correre e gareggiar nelle scienze colle più polite nazioni? Si pigli dunque orgoglio dell' aggiustata idea di nostra antica grandezza. Questo, scossa l'inerzia, ci sarà di stimo. lo ad una nuova carriera da imprendere. La fatica è l'unica via, che conduce al sa pere, e questa ci porta, certamente alla fama. Si desti quindi in ciascuno di noi la virtuosa imitazione d’Empedocle, e si co minci la grand'opera con ardore e franchez za. Un felice evento coronerà allora ogni nostro travaglio: la posterità ricorderà noi collo stesso onore, con cui pieni d'ammi razione noi ricordiamo Empedocle. Empedocle non che fu eccellente filo sofo: ma fu del pari profondo politico. Si 144 ciliani, non andate quà là ad apprender ta pini da questo e da quello ordini civili, e fogge di governo. Guardate i maestosi avanzi delle nostre antiche città;specchia. tevi su li nostri passati famosi legislatori; richiamate alla memoria i fatti chiarissimi, non che della nostra Greca Sicilia, ma del la vita d'Empedocle. Così tratto tratto di verrete atti a maneggiar le cose pubbliche, e ben presto vi sarà tra voi politica non cabala, libertà non licenza '. Empedocle, convinti un dì i nobili di Gergenti di peculato, atterrò ivi la lor si gnoria: Non è disdicevole quindi l'imma ginarcelo, ch'egli colla stessa voce gli ota timati così riprenda di nostra età. Finito è il tempo, in cui usurpata un ingiusta franchigia de' pubblici dazj, generosi offri vate al Re il denaro del popolo, a fine e di ottener da quello nuove insopportabi li prerogative, e di stringer questo vie più nuove insoffribili catene. Finito è il tempo in cui macchinando l'esenzion delle taglie, scaricavate gran parte del pubblico con 145 peso sulle città immediatamente al Re sotto poste a fine di disertar qrieste, e di rau nare schiavi in gran copia nelle terre a voi immediatamente soggette. Finito è il tem po, in cui voi assumendo la voce e qualità di nazione, che non avevate, minacciosi vi rivolgevate contro del trono per non paga re, e taglieggiare il popolo ogni tre anni. Già il Principe si è congiunto col popolo. ' Gia la voce del Re, ch'è quella dell'ins tera nazione, è divenuta oggi più imperio, sa insieme e sicura. Essa ha già rivelato il grande arcano del vostro tirannico impe ro essere stato riposto nell'aver voi voluto fin'ora poco o nulla soffrire de’ dazj, e far li tutti a carico andare della povera gen te. Chi di voi potrà or tolerare con ani mo tranquillo tra vecchi debitori dello sta to non altri nonni leggersi che i vostri, e de' vostri antenati? Chi sarà tanto scelleras to, che rivelando il falso, voglia occulta re l'immensa estensione de' suoi ricchi fon di; affinchè a danno del meschino e del povero, pagasse egli quanto meno si possa 2 t 140 Chi sarà cosi ribaldo, che voglia sgravar d ' imposta la terra, unica e sola sorgente di ricchezza in Sicilia, per istrappare con mano rapace qualche misero tozzo dalla bocca faa melica dello stanco e affannato agricoltore? Şe cið han fatto i vostri maggiori, sono essi stati i più tristi nemici, anzi i più crudeli tiranni dell' infelice Sicilia. Si appartiene ora a voi lavar le macchie di quelli, e onorar voi stessi, contribuendo alla pubblica feli cità col pagarsi prontamente da voi a pro porzione della vostra opulenza, Ma Empedocle dovrebbero avere ezian dio qual modello non che i nobili, chi presi del fantasma di democrazia vo lessero condurre a sfrenatezza la plebe. Quante altre cose possiamo noi idearci a ver potuto lui dire, a costoro ! Egli poten do in Gergenti stabilire un governo collo cato tutto nella potestà del popolo, af fatto nol volle. A' popolari uni costui gli ottimati in quella città; e teniperò così gli uni cogli altri. L'equilibrio de' poteri, con cui s'amministrano le cose pubbliche, è la ma 147 solida base, su cui dee riposare, volendo si e florido e durevole, il presente gover no. L'equilibrio morale, non altrimenti che il fisico, viene da contrarietà ed egua glianza di forze. Il popolo ' non deve mai essere. -oppresso, ma all'incontro non dee ne pure essere costui un oppressore. Se la sua forza sbilancia, lo stato andrà tutto a soqquadro, e ruinerà senza meno. La ven detta piglierà allora il nome di forza, di senno il delirio, di libertà la licenza. I poteri legislativo, giudiziario, esecutivo si debbono a vicenda venerazione e rispetto; tutti debbono riunirsi, e cospirare a un sol centro: e se per caso ne sia uno avvalla dee tosto corrersi con mano presta a rialzarlo. Quanto è difficile mantenere og gi in Sicilia un sl fatto equilibrio ! Appe na vi basterebbe un Empedocle. Egli ad assodar vie più la novella for ma di governo stabilita da lui nella sua patria, ebbe in fin l' accorgimento di pian. tarla sulla pubblica coltura, e sul pub blico civile costume. Qual sublime lezio to, t 2 148 è un sogno, zione ella è questa da adottarsi da' nostri legislatori d'oggidi, se vogliono eternare, più che si può, il presente governo stabi lito di fresco. Un impero assoluto si può fondare tra selvaggi e tra barbari, e vien prosperando in mezzo a gente corrotta. Ma è un delirio il pretender fer mo un governo costituzionale senza nè col tura nè costume per base. Nello stato, in cui è il nostro suolo, non potrà certamente portare la novella libera costituzione senza che fosse prima quello preparato e divelto. Voglia Iddio che i nostri, posti giù l'e goismo, le false massime, gl ' impeti, glodj imprendessero a imitare Empedocle, e i nostri antichi felicissimi tempi. Ma se i Siciliani tutti debbon trarre qualche utile insegnamento dal nostro filo sofo; i Gergentini massime ne dovrebbero emular la virtù. La patria de' grand ' uomi ni è quella su cui sfolgora, riflette e va a concentrarsi, la gloria di loro. Si dovreb bero ricordare i Gergentini, ch ' essi prin cipalmente a Empedocle son debitori d'esa 149 ser tanto chiari, e così famosi nella nostra sicola storia. Si dovrebbero eglino pur ri cordare, che vicino a que' tempi, che vis sita oggi lo straniero, e sopra lo stesso suo. lo, che calcano i Gergentini 'medesimi, det tò allora Empedocle a Gorgia l'eleganti, avvegnachè prime lezioni di Rettorica. Gli stessi quindi a ripigliare in loro l'antico u sato splendore dovrebbero richiamare tra loro e le fisiche e le matematiche discipli ne, e ogn'altra amena e polita lettera tura. Allor si potranno i Gergentini glo riare a ragione d' aver prodotto, e dato la culla a Empedocle. Così eglino saran vera mente degni concittadini di lui. Ne altri menti si potranno lusingare gli stessi di far risorger tra loro il verace spirito d' Empe docle, e di poter quivi dire allo straniero. Dell' eccelsa sua mente i sacri versi Cantansi d'ogn'intorno, e vi s'impara Si dotte invenzioni, e si preclare Che credibil non par, ch'egli d'umana Progenie fosse. 1 PRUOVE E ANNOTAZIONI A L LA TERZA MEMORIA.  153 PRUOVE E ANNOTAZIONI A L I A TERZA MEMORIA. > Il n'est pas ) Freret raffigura l'attrazione e re pulsione di Newton nell'amore e odio d ' Empedocle. E però dice besoin d'un long discours pour montrer que le fond du systeme Newtonien, dé pouillé de l'appareil et du détail de ses cal. culs se réduit a celui d ' Empedocle, Hi stoire de l'Académie Royale Des Inscripti ons et belles lettres T. 18 Memoires p. 102. (2 ) Και γαρ ονπερ οιηθαη λεγειν αν τις μα. λιστα ομολογουμένως αυτω. Εμπεδοκλης και TYTO TAUTO TETOVIE „ Empedocle, di cui al cuno potrebbe portare opinione aver, detto sopra di ogn'altro cose tra loro e a se stes so concordi; egli cadde nel medesimo in 60veniente Arist. Metaph. 1. 3 cap. 4 il • 54 πος και 8το! O (3 ) Arist. de Coelo 1.3 cap. 4 Λευκίπι και Δημοκρίτος Αβδερίτης φασι είναι τα πρωτα μεγεθη πληθ. μεν απαρα και μεγεθα δε αδιαιρετα τροπον γαρ τινα παντα τα οντα ποικσιν αριθμους και εξ αριθ. μων • και γαρ ει μη σαφως δηλεσιν ομως τετο βελονται λεγαν, Leucippo e Democri to dicono le prime grandezze essere infini te di numero, ma indivisibili. Essi in cer to modo fanno gli esseri o numeri, o da' numeri. E se ben non lo mostrano chiu ro; pure questo vogliono dire. » (4) Εμπεδοκλης περι ελαχιστα εφη προ των τεσσαρων στοιχειων θραυσματα ελαχιστα οιονα στοιχεία προ των στοιχεων ομοιομερη και Empe docle prima de' quattro elementi supponeva de minimi bricioli, ch'erano non altrimen ti che gli elementi degli elementi, e par ti simili Stob. Εcl. Phys. 1. 1 p. 33. Ε più chiaramente Plutarco de Pl. Ph. dice οιονα στοιχεια των στοιχείων »και elementi degli elementi. (5 ) Ει δε στήσεται που διαλυσις ητοι ατος μον εσται το σωμα εν ω ισταται η διαίρετον μεν ι 155 8 μεν του διαι εθησομενον εδε ποτε καθαπερ εoικεν Εμπεδοκλης βελεσθαι λέγειν. » Se lo scioglinzento delle parti si fermerà in qual che luogo, domando: o il corpo in củi ri starà è indivisibile, o è divisibile; ma in alcun tempo mai non si potrà dividere, co me pare ch ' Empedocle abbia voluto dire, Arist. de Coelo l. 3. cap. 6. Sicchè Empe docle ammettea la divisibilità col pensiero non già col fatto. (6) Era un assioma presso gli antichi εκ τε μη οντος μηδεν γινεσθαι nulla farse da ciò che non è, Presso i Greci dev significava ciò ch ' esiste e il under ciò che non è. Epicuro talvolta piglia il des per corpo e il under per yoto. Ma diverso era il significato dell' del ov. Empedocle ed Anassago ra chiamavano Oy la materia dotata di qualità sensibili. E Democrito ed Epicuro la materia fornita di figura. Al contrario i primi due indicavano col un oy la mate ria priva di qualità, e i secondi la mates. ria senza figura. Di fatto Aristotile de GV e 156 gener. et corrupt. 1. 1 cap. 3 dice εστι γη το ον, το δε μη ον υλη της γης και πυρος ωσαύτως. L Latini tradussero il δεν per res o corpus il jend Ev per nihil o vacuum. E come non aveano parole corrisponden ti all' oy e' un or; cosi l'indicarono colle stesse parole res et nihil. E ' nato da ciò un equivoco nell' intendere i Greci. Questi non solo dissero nulla farsi da nulla; ia tal volta alcuni di loro pensarono niuna cosa, che ha qualità, poter venire dalla materia priva di qualità. (8) Απαντα γαρ κακείνος (Σμκεδοκλής ) ταυτα ομολογήσας, ότι εκ τε μη ιοντος αμηχα • γον εστι γενεσθαι και Concedendo Empedocle tutte le cose medesime,.e che sia impossi bile venire un essere fornito di qualità de ciò, che ne è privo je Arist. de Xenophane Zenone et Gorgia. (8) Εμπεδοκλης δε τα τετταρα προς τους ειρημενοις γην προσθας τεταρτον και Empedoclc disse esser quattro gli elementi, aggiungen do la terra per quarto a’tre già detti Aristot. Metaph. 1. 1 cap. 3. 157 (9 ) Σεληνην δε φησι συστηναι καθ' εαυτην εκ τα απολειφθεντος αερος υπο τα πυρος • τατον γαρ παγηναι καθαπερ την χαλαζαν. La lu πα, dice Empedocle, essersi condensata da se a cagione dall'aria, che fu abbando nata dal fuoco; perciocchè questa 'si con densò a guisa di grandine Euseb. Praep. Evang. I. 1. cap. 5. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph. Origen. Phylosoph. etc. (10) I sassi e gli scogli sulla terra so no stati giusta Empedocle formati dalla forza del fuoco. Plut. de primo frigid. Ne per altra ragione credea il nostro filosofo, chę i cieli siensi formati in guisa di çri stallo, che per l'azione del fuoco. Plut. de Plac. Philos. (11 ) Ως εν υλης « δ λεγομενα στοιχα τετταρα πρωτος (Εμπεδοκλης ), απεν. και μεν χρηται γε τετταρσιν αλλ ως δυσιν ουσι μονοις. πυρι μεν καθ' αυτο τοις δε αντικειμένοις ως Em. μια φυσα γη τε και αερι και υδατι, pedocle fu il prinio che affermò quattro ese ser gli elementi nella materia. Nondime no di questi non fu egli uso come se fos 158 } νω sero ' quattro, ma due soli. Mette il fuoco per se ', e' come al fuoco opposte l'acqua, ' la terra, l'aria, quasi avessero. queste uni ca natura.,, Aristot. Metaph. 1. 1 cap. 4. (12 ) Origen. Phylosoph. cap. 3. Clem. Alex. Strom. (13 ) Αναξαγορας μηχανη χρηται τω προς την κοσμοπίλαν » Anassagora usa della mente nella sua cosmogonia non altrimen ti che d'una macchina Arist. Metaph. 1. 1 Cap. 4. (14 ) Πολλαχου γουν αυτω (Εκπεδοκλα ) η μεν φιλια διακρινει το δε νεικος συγκρινα • μεν γαρ ε ! ς τα στοιχεία διαστήται το παν υπο τ8 14κας τότε το πυρ «ς συγκρίνεται και των αλλων στοιχων εκαστον, οταν δε παντα υπο της φιλιας συνιωσιν ας το εν αναγκαίον εξ εκαστε τα μορια διακρίνεσθαι παλιν. Εμπεδοκλης μεν 89 παρα τ8ς προτερον πρωτος ταυτην την ατίας διελων εισενεγκεν ου μιαν ποιήσας την της κινη σεως αρχη, αλλ' έτερας τε και εναντιας. Non di rado presso d'Empedocle l'amicizia sepa ra; e l'inimicizia unisce. Imperocchè quan. do per l'inimicizia l'universo si scioglie ne • OTULY 159 gli elementi; allora il fuoco si unisce, e al par del fuoco, ciascuno degli altri elemen ii. Quando poi per via dell ' amicizia tutti gli elementi si uniscono; allora è di ne cessità che le parti di ciascun elemento si separino. Però Empedocle fu il primo, che superiore agli altri più antichi di lui, divi dendo questa causa, intro lusse non un solo, ma piii e contrarj principj di movimento: l'anticizia cioè e l' inimicizia Arist. Me taph, I. i cap. 4. L ' vero che qui Aristo tile cerca di cogliere in assurdo il nostro Empedocle"; perchè cerca di mostrare che l' amicizia talvolta separa, e l'inimicizia ta lora unisce. Ma ciò non di meno confes sa che giusta Empedocle l'amicizia e l'ini. micizia eran due principj di moto. E in ciò loda il n'ostro filosofo, e l ' inalza so pra tutti que' ch'erano stati prima di lui. (15 ) Molti sono i versi d' Empedocle che lo pruovano, che noi rapporteremo ne' fram menti di lui. Ma Aristotile lo dice chia. rissimo. Es un evný to vemos ev Tols peyuceo σιν, εν αν ην απαντα ως φησιν (Εμπεδοκλης ) 160,, Se non fosse l ' inimicizia inerente alle cose, tutte queste non farebbero che uno come dice lo stesso Empedocle,, Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4. Simplicio inoltre de Coelo l. 1 Com. 29,, rapporta che giusta Empedocle è propietà dell'amicizia ridurre tutto in una sfera lovely o zipov (16 ) (Εμπεδοκλης ) το μεν πυρ κκκος καιλο. μενον προσαγορευων και Empedocle chiamo il fuoco lité perniciosa Plut. de primo fri gido. E lo stesso Plutarco ne soggiunge la ragione: Giacchè il fuoco ha la facoltà di dividere e separare. (17 ) Clem. Alexand. ad gentes cap. 5. (18 ) Aristot. Metaphys. 1. 1 cap. 4. (19) Plut. de Isid. et Osirid. Wolf. de Manich. ante Man. S. 30 Bayle Dict. Art. Xenoph. (20 ) Aristotile" riferendo l. 3 taph. l'opinione d'Empedocle sul circolo pe renne delle cose in virtù delle due forze amicizia e inimicizia si lagna del nostro filosofo, che introduce la necessità senza recare alcima cagione della necessità ws ay. 1 cap. 4 Me. 161 αγκαιον μεν ον μεταβαλλεινκαι αιτίαν δ ' εξ ενο αγκής εδεμιαν δηλοι. (21 ) Brukero T. 1 p. 2 1. 2 cap. 10 Sect. 2. de discipulis Pythagorae. Moshem. nelle note a Cudwort. (22) Αρχη η φυσις μαλλον της υλης. εγί άχου δηπου αυτη και Εμπεδοκλης περίπιπτα αγομενος υπ' αυτης της αληθεας, και την εσι. αν, και την φυσιν αναγκαζεται φαναι τον λογον ειναι: οιον οστουν αποδιδους τι εστιν. ετε γάρ εν τι των στοιχεων λεγει αυτο ατε δυο ή τρια ατε παντα αλλα λογος της μιξεως αυτων etc. Il principio delle cose è più presto la nä tura che la materia delle cose.. Empedocle tirato dalla forza stessa della verità spesso è costretto di confessare che la sostanza e la natura altro non sia che la ragione o proporzione: ' come fa allorchè ei dice coså šia.l osso. Poichè dice che l'osso non cen ga da questo o du quel elemento', nè da due elementi, nè da tre, nè da tutti, ma dalla ragione in cui questi nell' osso si stan. no ec. is Arist. de par. Animae l. 1. cap. E poi lo stesso Aristotile soggiunge che 1 362 2 i filosofi prima d Empedocle non fecerd lo stesso perchè non soleano definire ciò che fosse la cosa astion de to. pen en San τ8ς προγενέστερες επί τον τροπον τέτον, το τι ην αναι, και το ορισασθαι την ασιαν εκ OTI My •:- (23) Plut. de Plac. 1. ì cap. 6 Gal. Hist. Ph. (24) Plut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 19 Gal. ibid. (25) Plut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 19 Arist. de Resp. cap. 14 etc. Credea Em pedocle che gli animali, subito che nacque ro dalla terra, si divisero e portarono in luoghi convenienti al loro temperamento. Que' che abbondavan di fuoco o nell' ac qua o nell'aria. Gli altri ch'erano più gravi, abitarono la terra ec. (26) Darwin Zoonomia. Vol. 3 Sez, 39 cap. 4 ediz. di Milano, (27) La massa tutta del seme, che noz mostrava alcuna forma, o figura chiama va Empedocle. 8ioques che potrebbe significa. re tutta la natura organica secondo Simpl. 163 1 de Phy. aud. 1, 2. Com. 68 pag. 134 ediz. di Aldo: (28 ) Aristotile l. 2 de Coelo cap. 8 par lando dell opinione di Xenofane che credea la terra infinita estendere sino alſ infinito le sue radici, soggiunge do xakt.Eptidoxing ετως επεπλήξεν Per lo che Empedoche co si lo sferzò, e soggiunge i versi d' Empe docle, che noi rapporteremo 'ne' frammenti di lui. (29) Ταυτι δε τα εμφανη κρημνες και σκο: πελες και πετρας και Εμπεδοκλης μεν υπο τα πυ ρος οιεται το εν βαθει της γης εσταται και ανε χεσθαι. Empedocle è d'opinione che que sti sassi, questi scogli, questi dirupi, che sono agli occhi di tutti, sieno stati inalza ti dal fuoco che sta nelle profondità dela la terra „ Plut. de primo frigido, Quare quaedam aquae caleant", quae dam etiam ferveant in tantum, ut non pog sint esse usui nisi aut in aperto evanuere, aut mixtura frigidae intepuere, plures causae redduntur. Empedocles existimat ignibus, quos multis locis terrà opertos tegit, aquam ! X 2 164 calescere, si subjecti sunt solo per quod aquis transcursus est. Facere solemus dracones et miliaria, et complures formas, in quibus gere tenui fistulas struimus per declive cir. cumdatas; ut saepe eundem ignem ambiens aqua per tantum fluat spatii quantum ef. ficiendo calori sat est. Frigida itaque in trat, effluit calida. Idem sub terra Em. pedocles existimat fieri. Seneca Quest. Nat. i. 3. (3ο) Την γην εξ ης αγαν περίσφεγγομενης τη ρυμη της περιφοράς αναβλυσαι το υδωρ la terra, da cui, come fu condensata, per l'impeto della girazione spicciò l' ac qμα 15 Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 2 cap. 6. (31 ). Οτι δε μενα (γη ) ζητεσι την αιτίαν και λέγεσιν οι μεν τυτον τον τρόπον, οτι το πλα τος και το μεγεθος αυτης αιτιον, οι δε ωσ: περ Εμπεδοκλης την τε κραγε φοραν κυκλω περιθεασαν και θαττον φερομενην την της γης φοραν κωλυειν καθαπερ το εν τοις κυαθοις υ δωρ και και γαρ τατο κυκλω το κυαθε φερομείς πολλάκις κατω τα χαλκά γινομενον ομως ου φερεται κατω πεφυκος φερεσθαι δια την αυτην 165 Citidy, 99 Alcuni cercano il perchè la ter ra stia ferma nel mezzo, e dicono esserne cagione la sua grandezza e larghezza, Al tri poi, siccome Empedocle, son di pare re, che il cielo girando più velocemente del. la terra sia la cagione, per cui la terra non cada nello stesso modo, che avviene allac qua nel calice. Poichè seben questo si giri e stia col fondo su, e il labro all' in giù; pure l' acqua, che di sua natura tende al basso, non cache per la ragione medesima della girazione,, Arist. de Coelo l. 2 cap. 13. (32 ) Plut. de fac. in orbe Lunae, (33 ) Plut. de Pl. Ph. 1, 2. cap. 13 Laert. in Emp. (34 ) Arist. de anima 1, 2 cap. 2. (35) Καθαπερ Εμπεδοκλής φησιν, αφικνειο σθαι προτερον το απο τα ηλιο φως ας το μετα ξυ πριν προς την οψιν, η επί την γην, δοξα δ ' ευλογως συμβαινειν Empedocle dice che la luce, la quale viene dal Sole prinra giunge nel mezzo, e poi all'occhio ed aļla terra. Il che pare che accada con buona ragio ne » s. Arist. de sensų et sensili cap. 6. 166 tor. (36 ) Empedocle in prima avea il Sole per una gran massa ignita' non già per una rijlessione di un altro sole šíecome attesta Laerz, in Emp. Era in secondo opinione di Empedocle che il simile si va sempre ad u nire al suo simile. Però venne a lui na turale il dire che la luce lanciata dal So. le, dopo d' essersi riflettuta sulla terra, nasse di nuovo ad unirsi al Sole, e poi di nuovo movendosi da quest' astro, tornasse a risplendere. Per altro Plutarco stesso aper. tamente dice de Pyth. orac.. che la luce del Sole secondo Empedocle risplende di nuovo αυθις ανταυγαν • (37 ) Plut. de Pl. Ph. Gal. Hist. Ph. Stobeo Ecl. Phys. e tunti altri, appongono ad Empedocle l' opinione di due Soli, che si riguardavano, de quali l'uno mandava rag gi invisibili e l'altra visibili ec. (38) Empédocle, sans recourir á l’in stanatneité de cette émission ou á sa pro digieuse velocité disoit que cette objection se roit vraie, si le soleil lui même étoit en mouvement; mais que la terre tournant au 167 tour de son axe, venoit au devant, du ra yon, et voyoit l'astre dans sa prolonga tion. On ne répondroit pas mieux aujourd hui a cette objection, si quelqu'un la pro posoit contre la propagation successive de la lumière et son emission. Montucla. Hist. des Mathematiques Tom. 1 P. i lib. 3 pag. 142. (39) Απολείπεται τοινυν το τα Εμπεδοκλεος ανακλάσει τιγί τα ηλια προς την σεληνην γεγες; σθαι τον ενταύθα φωτος οιον απ' αυτης οθεν 80's. Jequor de deep porn Resta dunque co me vera la sentenza d'Empedocle. Però la luce lunare non è nè calda nè assai splen. Plut. de fac in orb. Lunae. (40 ) Est - il rien de plus juste que ce vers, dont voici la traduction litterale de Greg en latin circulare circa terram yolvitur a lienum lumen dit- il en parlant de lo lu ne? Achille Tatius en tire une preuve qu' Empedocle a regardé cette planéte comme un morceau détaché du soleil. Il n'a pas conçu que cet alienum lumen vouloit dire lumière empruntée, ce qui est très-confor me a la verité. Montucla Hist. des Math. dida,, 168 Tom. 1 p. 1 1. 3 pag. 111. (41 ) Isag. in Arat. (42 ). Empedocles plus duplo lunam dia stare censet a terra quam a sole. Galen. Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. (4.3 ) Και τον μεν ήλιον φησι πυρος αθροισο μα μεγα και σεληνης μαζω » Empedocle di. ce il Sole essere una gran massa di fuoco più grande della Luna Laert. in Emp. (44) Plutarco de ' fac. in orbe Lunae, afferma che la Luna al dir d'Empedocle giraya a simiglianza d'una ruota: Ora in que' tempi si esprimea la rùvoluzione d'un corpo intorno al propio asse sotto la figura ra d'una rủota, Cosi di fatto indicarono Seleuco d'Eritrea, Heraclide di Ponto, Eco fanto di Siracusa, il movimento della tere ra intorno al propio asse. Per altro i Pit tagorici sapeano che la Luna girando in torno alla terra çi presenta sempre lo stes so emisfero. Il che come ciascun sa non può aver luogo, se la Luna girando intor no la terra ſon rotasse intorno al propio asse: Sicché è da credersi cl’Empedocle non 169 ou esse ignorato questo movimento della Lu na. Ma come Plutarco non ne fa che un sol cenno, che può essere equivoco; cosi io non ho creduto di doverlo affermare come sicura opinione d'Empedocle. (45) Fabricio Bibl. Graeca T. (46) Arist. de plant. 1. cap. (47 ) Arist. nel med. luogo. (48) Arist. nel med, luogo. (49 ) Τα δε σπερματα παντων εχ τινα τροφην εν αυτός και συναποτίκτεται τη αρχή καθαπερ εν τοις ωοίς. η και κακως Εμπεδοκλης αρήκε φασκων ωοτοκαν μακρα δενδρα Ogni semè contiene in sè qualche cosa d' alimen to uñitaniente al principio che genera, sic come è nell' uovo. Per lo che Empedocle disse bene che gli eccelsi alberi sono ovipa ri Theofrasto 1. i cap. ' 7 de Caus. Plant. Και τατο καλως λεγει Εμπεδοκλης ποιησάς: Ούτω δ ' ωοτοκεί μικρα δενδρα πρωτον ελαίας •. Το τε γαρ ωον κυημα εστι, και εκ τινος αυτα γίγνεται το ζωον, το δε λοιπον, τροφη τα σπερ ματος, και εκ μερες γιγνεται το φύομενον, το δε λοιπον τροφη γιγνεται το βλαστω και τη y 170 pión en xpern » Questo ben disse Emperor cle affermando, che i piccoli alberi ezian dio sono ovipari. Poichè da una parte dell' uovo nasce l'animale, e dal resto si fa la nutrizione di questo. Nello stesso modo ac cade nel seme. Da una parte si formá la pianticella, ed il resto serve per nutrirla Arist. de Gen. anim. l. i cap. 23. (50) Arist, de Gen. anim. I. 1 cap. 18 & lib. cap. 6. Theofrasto 1. i cap. z de Caus. Plant. Indi è che Malpighi aper: tamente dice Plantarum ova esse semina vetus est Empedoclis dogma. Anat. Plant. pag. 92 * 93. In questi ultimi tempi Young è stato il primo a dire che le piante ven gono, dal seme. Rozier journ. de Phys. Auril. 1789 p. 241 e Bonnet Deur. v. 5 p. 256 ha dimostrato l'analogia del seme coll' uovo. (51) ο δε μαλιστα και κυρίως εστι ζη = τητεoν εν ταυτη τη επίσημη τετο οστιν » όπερ ειπεν Εμπεδοκλής ηγουν α ευρίσκεται εν τοις φύτοις γενος θηλυ και γένος αρρεν και ει εστιν ειδος κεκραμενον εκ τετων των δυο γενών και Cio 171 she in questa scienza sia sopra d'ogn' al tro, e propiamente da ricercare, lo disse Em pedocle: cioè se nelle piante si ritrovi il sesso maschile e feminile, e se questi due sessi sien in quelle mischiati ed uniti,, Arist. de Pl. 1. cap. 2. Per lo che è da ripu. ţarsi particolar opinione d'Empedocle, quel, la del sesso nelle piante, e che queste fos sero state ermafrodite. Si legga lo stesso Aristotile de Pl. I. i cap. 1. Haaly 005 - λομεν ζητειν πότερον ευρισκονται ταυτα τα δυο γενή κεκραμενα εν τοις φυτοις ως απεν Εμπε doxninis:,, Dobbiamo ricercare se i dųe ses si nelle piante sien mischiati, come vuole Empedocle. » (52) Empedocles quidem divulsa esse so bolis membra aiebat, ut in faeminae alia alia in maris semine continerentur, atquo inde oriri animalibus venerei complexus ap.. petentiam, dum partes illae inter se di stractae conjungi atque uniri concupiscunt. Galen. de semine 1., 2. cap. 3. Si legga parimente Aristot. de Gener, ànim. l, i cap. 18, 172 (53) Plutarco de plac. Ph. 1. 5 cap. & 10 12 Arist. de Gener. anim. 1. 2 cap. 8. (54) Εμπεδοκλης τη κατα συλληψιν φαντα. σια της γυναικος μορφουσθαι τα βρεφη και πολ: λακις γαρ εικονων και αδριαντων ηρασθησαν γυναίκες και ομοία τετοις απετέκον. » Empe docle dice che dalla fantasia della donna piglia forma îl feto. Poichè spesso le don ne hanno la lor prole partorito simile a statue o. a immagini, che hanno amato Plut. de Pl. Ph. I. 5 ' cap. 12, (55 ) Plut. de Pl. Ph. 1. 5. cap. 27. (56 ) Tutta la dottrina d Empedocle, siccome in appresso diremo, era fondata su i pori, e sugli effluvj, che si spiccano secondo lui da' corpi, o per quelli s'intro ducono, (57 ) Plut. de Pl. Ph. I. 5. cap. 26. (58) Frondes amittere quibus aestatis ca. lor humorem ahsumpserit; semper fronde re quae majorem succi copiain habent, ut laurum, oleam, palmam 4 Hist. Ph. Gal. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph. l. 5 cap. 26. 173 Plutarco Symp. 1. 2. Si propone la questione, perchè l' ellera conserva le fo glie, e gli altri alberi le perdono. Ei ri sponde con Empedocle per la disposizione de* pori. Perche τοις δε φυλλoφoυσιν εκ έστι για μανοτητα των αγω και στενότητα των κάτω πι:,, ρων, οταν οι μεν επίπεμπωσιν οι δε φυλαττω σιν, αλλ' ολίγον αθρουν λαβόντες εκχέωσιν ωσ. περ εν αγδηροις τισιν ουχ ομαλοις » » A quel le piante, le cui foglie cadono į alimen to on basta a cagion della rarità de? pori superiori, e della strettezza degl inferiori. Poichè per questi pori s’ introduce poco ali mento, e per quelli molto se ne dissipa. Indi è che quel poco che hanno ritratto tosto lo perdono. Avyiene ciò che suole ac cadere negli attignitoi, che sono inegual mente forați. (59) Flore française troisieme edition par MM. de La Marck et Decandolle T. pag. 67. (60 ) Floré française ibid. pag. 86. (61 ) Flore francaise ibid. pag. 108 (62) Plut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 26 Gal. Hist. Ph. 3 174 (63) Galeno Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 26. (64) Ρlut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 22 Gal. Hist. Ph. (65) Plut. ' nel med. luogo. (66) Gal. Hist. Ph. Plat. de Pl. Ph. (67 ) Ρlut. de ΡΙ.. Ρh. 1. 4 cap. 22. (68 ) Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 16 Gal. Hist. Ph. (69 ) Arist. de Respirat. cap. z (70 ) Arist. 'de Respirat. cap. 7 Gal. Hist. Ph. (71) Arist, de, Resp. cap. 7 Plut. de PI. Ph. 1. 4 cap. 22. (72 ) Pluit. de ΡΙ. Ρh. 1. 5 cap. 24. (73 ) Plut. nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. (74) Si vegga la niemoria seconda sulla Vita d ' Eimpedocle T. 1 pag. 132. (75) Ρlut. de Pl. Ph. 1. 4 Cap. 17 • (76) Τα μεν γλαυκα πυρωδη καθαπερ Εμ. πεδοκλής φησι τα δε μελανoμματα πλεον υδατος εχιν η πυρος. » Che gli occhi az zurri, come dice Empedocle, abbondano di fuoco, ed i rieri abbiano più d ' acqua che 175 di fuoco, Arist. de gener. An 1. 5 cap. i. (77 ) Τα μεν ημερας εκ οξυ βλεπεις τα γλαυκα. δι ενδιαν υδατος. θατερα δε νυκτωρ δι ενδααν πυρός και che gli occhi azzurri non veggano bene di giorno per difetto d' ac qua, ed i neri di notte per difetto di fuo: εο, Arist. de Gen. an. 1. 5 cap. 1. (78) Gal. Ηist. Ph. Ρlut. de P. Ph. 1. 4 Cap, 13. (79 ) Ειπερ μη πυρος την οψιν θετεον αλλ' υδατος πασαν,, Perclie la visione non e d ' attribuirsi al fuoco, ma tutta all'acqua » Arist. de Gen. anim. 1..5. cap. (80 ) Arist. de sensu et sénsili l. 1.cap. 2. (81 ) Empedocles animum esse censet cor di suffusum sanguinem. ' Cic. Tusc. quaest. 1. 1 cap. 9 e Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 5. Εν τη τα αιματος συστασε. (82 ) Αλλοι δε ήσαν οι λεγοντες κατα Εμ " πεδοκλεα πριτηριον αγαι της αληθεας και τας αισθησεις αλλα τον ορθον λογον και τα δε ορθα λογα τον μεν τίνα θαον υπαρχειν τον δε αν - θρωπινον. ων τον μεν θαον ανεξοισθον ειναι. τον δε ανθρωπινον εξοισθαν. Ci sono stao 1 O 176 ti alcuni, che han dettò con Empedocle esé sere il criterio della verità non già i sensi, ma la retta ragione. Questa poi essere in parte umana e in parte divina: la prima potersi da noi manifestare, e l'altra nòi, Sext: Emp. adv. Log. 1. 7 p. 396. (83 ) Hụezio Debolezza dello spiritous mano.. (84) Furere tibi Empedocles videtur: at mihi dignissimum rebus iis ', de quibus lo quitur sonum fundere. Num. ergo is ex. caecat nos, aut orbat sensibus, si parum magnam vim censet in iis esse ad ea, quae sub eos subjecta sunt, judicanda? Cic. Lu cullus c. 23. (85) Empedocles quidem, ut interdum mi hi furere videatur, abstrusa esse omnia, ni hil nos sentire, nihil cernere, nihil omni quale sit, posse reperire. Cic. Lucullus c. 5, (86 ) Αρχαίοι το φρονων και το αισθανεσθαι ταυτον αναι φασιν ωσπερ και Εμπεδοκλης (δη 01.,, Gli antichi, come disse Empedocle, vogliono che sia lo stesso sentire, che ra 177 € 2. gionare. Arist. de anima, l. 3. cap. 3. (87 ) Arist. de Plant...1. 11. cap. 1 (88 ) Αναξαγορας μεν και Εμπεδοκλης επί θυμια ταυτα κινεισθαι λεγουσιν αισθανεσθαι τε και λυπεισθαι » Anassagora ed Empedo cle dicono che le piante sien mosse da de. siderio, da tristezza, e da voluttà, Arist, de P1. 1. 1 Cap 1. (89 ) Αναξαγοράς δε και ο Δημοκρίτος και ο Εμπεδοκλής και νουν και γνωσιν εχεις απον τα φυτα Anässagora, Democrito, ed Em pedocle dissero le piante esser fornite di men te e di cognizione », Arist. de Pl. l. 1 cap. 1. Ρlut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 26. (90) Arist. de.ΡΙ. 1. 1 cap. 1 Ρlut. de P. Ph. 1. 5 cap. 26. (91) Πρωτοι δε και τονδε τον λογον Αιγυ πτιοι ασι αποντές, ως ανθρωπα ψυχη αθα γατος εστι. τα σωματος δε καταφθινοντος ες αλλο ζωον αια γενομενον εσδυεται. επεαν δε περιελθη παντα τα χερσαια και τα θαλασσια και τα πτηνα, αυτις ες ανθρωπό σωμα γινομες γον εσβυνειν. την περιαλησιν δε αυτή γίνεσθαι εν τρισχιλίοισι ετεσι. Sono gli Egizi i pri Z 178 ηι. mi che dicono l'anima essere immortale; ma che 'morto il corpo va questa sempre informando un altro animale; dimodochè dopo d' esser passata per tutti gli animali o terrestri, o marini, o aerei torna di nuo ro ad informare il corpo d'un uomo. Que sto giro compie l anima in tre mila an Herod. Euterp. 1. 2 cap. 123. (92 ) Τατω λογω ασι οι Ελληνων εχρησαντο οι μεν προτερον οι δε υστερον, ως ιδιω εωυτων εοντι. των εγω αδως τα ονοματα και γραφω. Tra Greci alcuni prima alcuni dopo han divulgato' la metempsicosi degli Egizi come opinione propria. E di quelli non vo. glio scrivere i nomi; ancorche mi sieno, co Herod. 1. 2 cap. 123. (93 ) Sext. Emp. adν.. Math. 1. 8. (94) Ου γαρ ωσ. ο Μεγανδρος φησιν απαντι δαιμων ανδρι συμπαράστατα ' ευθυς γενομεγω μυσταγωγος τα βιε αγαθος, αλλα μαλλον ως Εμπεδοκλης διτται τιγες εκαστον ημων γενομες γον παραλαμβαγεσι και καταρχoνται μοίραι κα! d'alluoves.,, Non è da credere come dice Menandro, che a ciascun di noi, come ea gniti, 170 gli nasce, assista un genio buono condut tor di tutta la vita, ma piuttosto è da te nersi l'opinione d'Empedocle, il quale di che ciascuno di noi dal punto della na scita è preso e governato da due genj e da due. fati Plut. de anim. tranquill. E sog giunge lo stesso Plutarco che co' nomi de gen; si esprimono σπερματα των παθων i se mi, delle passioni. (95 ) Plut. de animi tranq. (96) Αφ ων οίμαι ορμώμενοι και οι πυθα: γορεοι και μετα τατος Πλατων αντρον και στην λαιον τον κοσμον απεφηναντο. παρα τε γαρ Εμπεδοκλα αι ψυχοπομποι δυναμας λεγεσιν Ηλυθομεν τοδ ' υπ' αντρον υποστεγον E da queste cose, siccome io stino i Pittagorici, e Platone dopo costoro, pre sero occasione di chiamar questo mondo an tro e spelonca. Poichè presso Empedocle le potestà conducitrici delle anime dicono: che siano finalmente giunte sotto quest' aniro coperto; Porph. de Ant. Nymph. p. 9 ed. Van - Goens. (97 ) Clem, Αlex. Strom. 1. 2. Stob. Εcl. 180 Eth. cap. 3. Jambl. Portrep. cap. g Hierocl. in Com. Scheffer de Secta Italica. (98) Pindaro nella prima ode olimpica dirizzata a Gerone; dopo: d' aver descritto il supplizio di Tantalo, che chiama atau λαμον βιον εμποσομοχθον vita priva do gni ajuto e perpetuamente laboriosa » 'sog giunge „ questo supplizio forma il quarto dopo d' averne sofferto altri tre » Mesta Tpl. ων τεταρτον πονον. Non si puo comprendere a prima vista, come questo quarto suppli zio fosse stato perpetuo. Ma ciò è intera mente dichiarato nella seconda ode. olim pica diretta a Terone Gergentino. Quivi e gli dice: que', che dopo d'esser dimorati tre volte nella terra e nell'inferno ocou do ετολμησαν ες τρις εκατερωθι μειγαντες: seppero contener ľanimo loro nella pratica della virtil, arriveranno per la via di Giove al la regia di Saturno, dove laure dell' O. ceano spirano dolcemente attorno le isole fortunate, e splendono i fiori d'oro. vede quindi dal confronto di queste due o. di, che la metempsicosi giusta Pindaro con Si 181 sisteva in tre articoli: iº che l'anima del lo stesso uomo informava tre volte corpi u mani, che ' v'era un intervallo tra la morte e'l rinascimento in cui i giusti go deano di felicità, e i malvagi eran puni ti, 3º che le anime perseveranti nella giu stizia per tutto il corso delle tre vite umia ne, andavano poi. cogli eroi nell'impero di Saturno; e quelle, che s' erano mac chiate di colpe in quello stesso tempo, an davano in fine a soffrire un supplizio eter πο: απαλαμον βιον εμπεδoμοχθον. Gli sco liasti stessi di Pindaro, non altriinenti che noi abbiamo fatto ', lo dichiarano: uno di essi dice υπεραγαν μεχρι τριτης μετεμψυχοσέως Ev 8 %a740015 Tols peeport „ sostennero (le a nime ) sino alla terza metempsicosi nell' uno e nell'altro luogo cioè a dire nel la terra e nell' inferno. Ora trina di Pindaro pare che allora fosse sta ta conosciuta da' soli sapienti. Poichè dopo che il poeir avea esposta la triplice trasmi grazione soggiunge lo tengo sotto il mio gomito e dentro la faretra delle sette vo: questa dot 182 lanti, il cui fischio si sente dal solo sa piente. Ma la moltitudine ha lisogno d' interpetri ες δε το παν ερμηνεων χατιζα. Η saggio è colui che conosce la natura, gli altri, che įmparano da lui, sono loquaci nxo Root Taivajaworick e come i corvi inutilmente gracchiano. Per lo che pare, che Pindaro s'astenea di parlar chiaramente per non ri velare al volgo il dogma pittagorico della metempsicosi, ed opponea la furgawcola o loquacità del profano al silenzio del pit tagorico. (99) Tutti gli antichi fanno onorata men zione della filosofia d'Empedocle. Lascian do stare Aristotile e Teofrasto, noi sappia. mo da Laerzio l. 10 Sect. 25 ch' Herma co l'epicureo la espose in 24 libri moto - λικων περι Εμπεδοκλεας: Τra Iatini poί α parte di Lucrezio e di Cicerone, che ne fan sommi elogi, siano avvertiti da Cicerone me. desinio che si era stato un Sallustio, il quale area trattato la filosofia d'Empedocle nel la stessa guisa, che avea fatto Lucrezio per quella di Epicuro. Tria per quanto si rac 183 coglie dalle parole di Cicerone quell' auto re non era riuscito cosi bene, come Lucre. zio. Lucretii poemata, ut scribis, ita sunt multis luminibus ingenii: multae tamen ar. tis. Sed cum veneris, virum te putabo, si Sallustji Empedoclea legeris; hominem non putabo, cioè a dire se potrai sostener ne la lettura ti 'stimerò invitto e paziente. ma privo di senso. Cic. Ep. ad Q.fr. 1. 2. Non che Plutarco ne' tempi d'appres. 80, ma tutti gli scrittori ecclesiastici ricor dano con lode Empedocle ed i suoi pensu. menti. Vi ha un luogo di Temistio nell orazione 12 all' Imperator Gioviano, in cui egli loda quest' imperadore per la lege ge da esso lui stabilita circa la libertà del la religione. In questo luogo ei dice agar σθαι μεν εν και τις αλλες το νομο προσηκ4 τον θαοτατον Αυτοκρατορα και μαλιστα δε οίς ουκ εφιασι μονον την ελευθερίαν, αλλα και τις θεσμες εξηγείται και φαυλοτερον Εμπεδοκλεας και Ma All Excave te Teals. Varia è stata l' interpetrazione di piu autori intorno a que ste parole, e principalmente per l'Empe 184 parere che docle, di cui fa menzione Temistio. Al cuni hanno sognato un altro Empedocle di verso e posteriore al nostro. Petavio, non si sa come, crede, che sotto il nome d' Empeclocle abbia quegli voluto significare G. C. Petit è di per Empedocle s'inten la un cinico chiamato Peregrino. Nè marican di quei, che credono essere stato rcfurrito in quel luogo S. Policarpo marti re. Iru biti gl'inteipetri Casaubono in not. ad M. Anton, pas 87 è stato a giudizio di Fabricio Bibl. Graec. T. 8 p. 56, corui che meglio l'hi interpetrato. AgarIsi Mesy XV x2. Toń andy (ita malo quam tos are 285, quod tamen ferri potest, nec' senten tiae, quam volumus, repugnat ), 78 roles.po: σηκ ή τον θιοτατον Αυτοκρατορα μαλιστα δε οίς (idest τετων vel εκεινων οις ) εκ εφιησι porgy etc., Degnissimo è l ' imperadore di ammirazione e di venerazione non che per le cose, che in quella legge si contengono, ma sopra di ogn'altro e per la libertà del la religione, e perchè spiega quelle leggi, che sono state da Dio dettate, con perizia 185 non minore di quella, per · Giove, che non fece quell'antico Empedocle., Di che si vede, ch'era tanta e tale la stima, in cui allora si tenea il nostro filosofo, che ad esso si comparava l ' Imperadore Gioviniano, allorchè si volea lodare. Abulfarage presso gli Arabi, secondo che dice Fabric. Bibl. Graec. T. 1 p. 474 loda Empedocle, come chi avea ottimamen te conosciuto gli attributi divini. Finalmente la filosofia d'Empedocle è stata vinovata da Campanella, da Magna. no o Maignano. Fahr. Bib. Graec. nel me desimo luogo. Per lo che si vede chiarissimo quanto male Orazio conoscea il nostro filosofo; allorchè disse. Ep. 12 !. 1 v. 20. Empedocles; an Stertinii deliret acumen. a a  187 MEMORIA QUARTA Su i Franmenti delle opere di Empedocle Gergentino. ROM nico è l' oggetto di questa ultima mes moria: presentare a un colpo d'occhio tute ti accozzati gli avanzi delle opere d'Empe. docle. Egli ne detò molte, e quasi tutte, com'era usanza in que' di, le scrisse in versi.. Pure niun poema di lui è venuto sino à noi, e pochi sono i frammenti, che di questi ci restano L'inno ad Apollo, e 'l poema de' Persiani, furono, lui morto, bruciati. Il poema sulla sfera si reputa oggi opera d'incerto autore, Del suo discorso sulla medicina non ce n ' è restato nè anche vestigio: anzi ignorasi, se questo fosse stato scritto in versi secon do Laerzio, o pure in prosa secondo Sui da. I frammenti in somma delle opere d' Empedocle, che da noi si conoscono, ri guardano e fan parte di due famosi poe e non sia. a, a 2 188 ni: l' uno sulle purgazioni, l'altro sulla natura. Il primo fu intitolato a Gergen tini; il secondo a Pausania il medico el amico di lui. La raccolta quindi de' fram menti de' versi d' Empedocle, di cui qui si parla, appartiene soltanto a questi due gran poemi. Piü Eruditi, e tuti di gran nome assai prima, e in varj tempi praticaron lo stesso. Errico Stefano no pubblicò il pri mo non pochi nel suo Ibro della poesia fi. losofica. Giovanni Alberto Fabricio prese appresso il pensiero d'ampliar la raccolta di Stefano; e giusta il Mosenio quegli mol to l'accrebbe. Ma ogni fatica di lui, co me attesta il Reimaro, tornò vana; perchè morto Fabricio si perderono i suoi origina li,, e il pubblico non potè coglierne il frut. to. Van - Goens di poi nell'edizione, ch ' ei fece del libro della Groita delle Ninfe di Porfirio, manifestò aver già raunato più di trecento versi d'Empedocle, e promiso al più presto di recarli in luce. Avea, se condo ch' attesta egli stesso, tratto gran pro 189 1 da' manoscritti che si conservano nella libre ria di Leyden, e invitato tutti i dotti ad aiutarlo in si fatio travaglio. Ma punto non si sa, se abbia o nò costui pubblica to la raccolta de' versi del nostro filosofo, giusta la promessa di lui nel 1765 sotto titolo di raccolta Empedoclea. E' sempre una singolar disgrazia il non potere profittar delle fatiche degli uomini grandi. Le nostre librerie een prive non che di manoscritti, ma scarseggiano ancora di libri. Non ci è venuto fatto di ritroe' vare in esse nè pure lo stesso Errico Ste fano della poesia filosofica. Però, mancan. ti gli aiuti, si è ito sù giù rifrustando an tichi scrittori per cogliere or uno or due e di rado o sei, o dieci' o più versi di Emperlocle, che sparsi si leggono in que sto, e in quell'altro. Fatica assai penosa, e ' tanto più dura, quanto ha obbligato a durar quello stento, che farebbe chi il pri mo si mettesse ad imprenderla, senza la spe. ranza di poter acquistare la gloria debita a chi il primo l'avesse intrapreso. Unico 190 > conforto ne fu un Simplicio dell'edizione d' Aldo, trovato nella libreria de' PP. Tea tini di Palermo (giacchè questi ne' suoi co. mentari d ' Aristotile rapporta molti versi d ' Empedocle ). Da questo libro furon tratti non pochi de' versi d ' Empedocle, che si tro van messi insieme. in quest'ultima parte. Ma il medesimo disgraziatamente fu ruba. to in quella libreria. Però non fu conco duto di potersi più riscontrare i versi rac colti col testo; e si è dovuto, congetturan, do quasi tentoni, quando supplir qualche parola a caso tralasciata, quando correg gere alcuni versi, che per la prima volta erano stati o male lètti, o falsamente scrit ti. Si è detto tutto ciò non perchè s' am. bisca lode di questa qualunque siesi fati ca; ma perchè se ne abbia anticipato come patimento. In altri paesi d'Europa la race colta de' versi d' Empedocle o gia è stata egregiamente recata in pubblico; o se non è stata ancor fatta, si potrà certamente fare e più abbondante, e più corretta, e più dotta, che non è questa. Non è quin 191 di la stessa da considerarsi come un ope. ra perfetta, o degna degli sguardi de' Dot ti. Si desidera soltanto, che si tenga la medesima, come un annotazione, con cui si provano i pensamenti d' Empedocle espo sti nella terza Memoria. Ma comunque ciò sia egli è certo, che i versi d'Empedocle smentiscono coloro, che portano opinione lui essere stato o di niú no o di poco valore in poetica. Si fondan costoro sopra Plutarco (1 ), il quale dice Empedocle avere ornato col metro i suoi discorsi per evitare l'umiltà della prosa. Ma non si accorgono aver loro o mal inte so o sinistramente interpetrato Plutarco, il quale pretese sol definire, che sia stata di dascalica la maniera poetica del nostro fie losofo. Questa, come quella, ehe tratta e di filosofia, e di precetti sdegna le finzio. ni e l'invenzione, in cui il pregio, il bel lo, e la natura consiste d'ogni poesia. Per rò quegli disse, ch'Empedocle avea preso (1 ) De Aud. Poet. 192 dalla poesia, senza più, e la pompa, e il meiro. Questo stesso avea già gran tempo prima annunziato Aristotilo, che fu non che savio ma di gran sentimento nelle co se poetiche. Egli, a distinguer la poesia d' Omero da quella d'Empedocle, affermò i uno e l'altro, tranne il metro, nulla tra loro aver di comune. Perché Omero era un Poeta, com’ei diee, ed Empedocle un fisiologo (1 ). Ma se Empedocle, qual didascalico, non merita é nome e lode, che si convie ne a poeta, non si pao negare aver lui necupato in que' dì il primo luogo tra di dascalici, Aristotile di fatto non seppe in miglior modo contrassegnare la differenza tra la vera poesia e la didascalica, che comparando tra loro il più gran poeta e il più eccellente didascalico; Omero ed Em pedocle. Nè altrimenti si pensò ne ' tempi d' appresso. Cicerone chiama egregio il poe (1 ) De Poet. cap. 1. 793 ma d'Empedocle sulla natura (1 ). Anzi mettendo egli a confronto i versi di Par menide, di Xenofane, e d' Empedocle, che furon tutti tre poeti didascalici, dice aper tamente, che più belli ed eleganti erano i versi del nostro filosofo (2 ). Che se poi mancasse ogn'altro argomento ad apprez zare il merito di lui, sarebbe certamente bastevole il sapere i poemi d'Empedocle es sersi cantati ne' pubblici giuochi di Grecia. Ognun sa, che questa, piena allora di gu sto, e severa nel gindicare, non concedea tali onori se non a soli grandiuomini. Nel resto ciascuno su cið, o del raffinamento del la poetica d'Empedocle, ne può da ise giu dicare. Il solo leggere i frammenti, che ci sono restati, basta a far che chiunque ne resti persuaso e convinto. Il dialetto de' Siciliani e de' Pittagorici era comune; e questo appunto era il Dori co. Pure Empedocle avvegnache fosse stato (1 ) Lib. 1 de Orat. (2 ) Acad. Quaest. l. 4. Ъь 194 o Siciliano e Pittagorico, non mise in opera, che il dialetto Jonico, coine quello, ch'era tra Greci poeti il più polito e gentile. Fu inoltre la musa d? Empedocle dolcissima. E. gli ne' suoi versi non sol si servì di quel dialetto, ma nel farli scelse le parole più dolci e sonore. Platone, parlando d ' Era clito, d'Empedocle, dice che le muse di quello eran più dure, e le altre di questo più molli (1 ) ancorchè l' uno e l'altro aves sero usato il dialetto medesimo degli Jonj Plutarco stesso poi non lascia di notare, che gli epiteti apposti da Empedocle non erano, come per lo più esser ' sogliono ne' poeti, di puro ornamento, ma esprimeano la natura delle cose (2 ). Ne cita egli di fatto l'aggiunto dato da Empedocle a Ve. nere qual datrice di vita; il sempre verdeg: giante dato all'alloro; l'abbondante di san gue adattato al fegato: e altri simiglianti. Anzi il medesimo Plutarco da a Empedocle (1 ) Plut. in Sophista. (2 ) Plut. Sympos. l. 6 Erotic. 195 il vanto d' aver meglio e più: destramento usato d'aleuni epiteti d'Omero (1): Ne reca ' egli in pruova l'aggiunto d'agglome rator di nubi, che questi attribuisce a Gio ve, e quegli all' aria, e l'altro di difena SOF del corpo, che Omero dà allo seudo, ed Empedocle all'anima. Ma perchè più dilungarci in rapporta: re antichi testimonj su cið? I franımenti stessi d ' Empedocle chiaro ci mostrano l' éc cellenza della sua poesia. Basta dirsi aver lui tenuto Omero per modello nelle sue o pere poetiche. Le voci, le frasi, le me taforé, la giacitura delle parole, le desi nenze de' versi son le medesime in quello, che in questo. Si può quindi dir con ra gione l'apparenza de' suoi versi, e la sein bianza de' suoi poemi essere stata tutta di Omero. Oltre che riluce in lui una viva cità nelle immagini, e una novità sin" nel le stesse parole. Moltissimi sugi epitéti ed espressivi e leggiadri non si trovano in al (1 ) Plut. Symp, l. 6. bb 2 196 cun altro poeta: 1. pesci, per tacer d i tant altri, " sono chiamati da lui quando nutriti, quando abitatori dell'acqua; gli uccelli cimbe volanti; gli Dei ' di lunghissi. mi secoli. Anzi Aristotile nella sua poeti ca indica come una metafora assai bella, e allora nuova, quella con cui Empedocle esprime la vecchiaja; chiamandola l'occa. so della vita. Chiunque poi legge nelle sue opere la descrizione della natura; " che qual pittore con quattro colori, fa tutte le co se con quattro elementi; o l' altra della visione, che comparata a una lucerna, fa le sue funzioni; o quella della clessidra, o cose simiglianti ', non gli potrà certo ne gare il pregio, che si conviene a vaga e bella fantasia. Per lo che da' framinenti d' Empedocle si prende quel diletto, che pigliar si suole guardando i rottami d'una qualche nostra Greca Sicola anticaglia. Nel mettersi insieme si fatti frammen, ti si sono in prima distinti i versi, che appartengono al poema della natura, da. quelli, che fan parte dell'altro sulle pur 197 1 lande prezi Foce cck que nal elle gazioni. Ciò non è riuscito punto difficile, Perchè il primo tratta di cose fisiche, e 'l secondo di cose morali. In quello d'ordi nario, perchè diretto al colo Pausania i verbi si trovano in singolare. In questo all'oppesto perchè indirizzato ' a Gergenti ni, i verbi si leggono in plurale. Perd e dalla sintassi e dalla materia è stato age vole il se parare i frammenti d'un poema da quelli dell'altro. Si sa oltr'a ciò il poema d'Empedo cle sulla natura esser. diviso in tre libri. Molti stenti ha costato il congetturare qua li sieno stati trà versi, che ci restano, quel li che appartengono o al primo, o al se condo, o al terzo, In çiò fare è stato di mestieri ricercare se per avventura gli scrit tori, che ne riferiscono i frammenti, aba biano citato il libro. Talora d' alcuni ver si, che certamente si sa dalla testimonian za degli scrittori doversi collocare in uno de' tre libri, si è rilevata la materia, che in ciascuno di essi trattavasi dal no stro Gergentino, Stabilita poi la materia la ni che ung en. he da ur. 198 stato ben facile il riferire allo stesso li bro tutti que' frammenti, che si versano sullo stesso soggetto. Ma non di rado con frontando i frammenti tra loro si è trova to, che alcuni finiscono con versi, che son principio di altri. Con tale studio quindi e simigliante artifizio si è cercato di collo care o prima, o dopo alcuni frammenti, che sono dello stesso libro. Nel resto sarà meglio il tutto giustificato nelle note, e l' ordine con cui sono rapportati i frammen ti, e l'autore, da cui sono stati ricavati e l'intelligenza, con cui sono stati interpe trati '. Fra tanto se questo qualunque siesi lavoro non sarà stimato degno di lode, po trà almeno, meritare, nell' emenda de dete ti il perdono del pubblico. RACCOLTA D E FRAMM ENTI. 200 ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ βιβλ. α. Παυσανία συ δε κλυθι δαίφρονος Αγχίτου υιε (1 ). Εστί αναγκης χρημα θεων σφραγισμα παλαιον Αϊδιον πλατεεσσι κατεσφραγισμενον ορκοις (2 ) Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακους Ζευς αργής, ηρητε φερεσβιος η αίσθωγευς Νηστις θ' ' δακρυοις τεγγα κρενωμα βρoταον Των δε συνερχομενων εξ εσχατων ιστατο νακος (3 ) Διπλ' ερεω: τοτε γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ ' αυ διεφυ πλέον εξ ενος ειναι Δοιη δε θνητων γενεσις δοιη και απολαψις Την μεν γαρ παντων συνοδος τικτατ’ ολεκτιτε Ηδε παλιν διαφυαμενών θρυφθασα γε δρυπτα Και ταυτ αλλασσοντα διαμπερες εποτε λήγα 201 DELLA NATURA Lib. I. Pausania figliuol del saggio Anchito Tu ciò, ch ' io dico, attentamente ascolta E' volere del Fato, è degli Dei Decreto antico, che ab eterno fue Segnato con solenni giuramenti. Il bianco Giove, la vital Giunone, E Pluto, e Nesti, che piangendo irriga I canali dell'uom, son d'ogni cosa, Odimi in prima, le quattro radici. Ma come quelli tra di lor s'accozzano Dall' ultimo confin sorge la lite. Dųe son le cose, ch' a narrarti io prendo: Ora l'uno dal più risulta, ed ora Nasce dall' uno il più: cosa mortale Doppio ha nascimento, e doppia ha morte. Genera, e strugge l ' union del tutto; E questa sciolta, torna pur di nuovo CC 20 2 Αλλοτε μεν φιλοτητί συνερχομεν ’ ας εν απαντα Αλλοτε αυ διχα παντα φορεμενα νακεος εχθα Εισοκες αν συμφωντα το παν υπενερθε γενητα. Ουτως η μεν εν εκ πλεογων μεμαθηκε φυέσθαι Η δε παλιν διαφυγτος ενος πλεον εκτελεθεσ: Τη μεν γίγνονται τε και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε διαλλασσονται διαμπερες αποτε ληγει Ταυτη α εν εασσιν ακινητα κατα κυκλoν. Αλλ' αγέ μυθον κλυθι - μεθη γαρ τοι φρεγας αυξ Ως γαρ και πριν ειπα πιφασκων πειρατα μυθων Διπλ’ ερεω: τοτε μεν γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ' αυ διεφυ πλεον εξ ενος αναι Πυρ και υδωρ και γαια και κερος απλετον υψος Νικοστ' αλομενον διχα των αταλαντον εκαστον Και φιλοτης εν τοισιν ιση μηκοστε πλατοστε Την συν νω δερκε μη δ ' ομμασιν ησο τεθηπως Ητις και θνητοισι νομιζεται εμφυτος αρθροίς Tητε φιλαφρονεας ιδ ' ομοιϊα εργα τελεσι Γιθοσυνην καλεοντες επωνυμον ιδ " αφροδιτην Την στις μετ ' οτοίσιν ελίσσομενην δεδαηκε. Θνητος ανηρ συ δ' ακ8ε λογων στoλoν εκ απατηλον Ταυτα γαρ ισα τε παντα και ηλικα γενναν εατσι Τιμης δ' αλλης αλλο μεδα παρα δ ' ήθος εκαστω Εν δε μερά κρατεεσι περίπλομενοιο χρονοιο. Και προς τους ατ' αρ' επιγιγεται δ ' απολήγα 203 Ogni cosa, ch' è nata, a separarsi. Tutto alterna cosť, e così dura Eternamente: ed ora in un si accozza Per la virtù dell' amicizia, ed ora Per l'odio della lite si sparpaglia, Standosi in aria, finchè non si unisca, Cosi l'uno dal più nascer costuma. Cosi dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han vita; ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l' uno e l'altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra di un cerchio eternamente gira. Ma tu il mio parlare attento ascolta, Che lo spesso sentire, e risentire La mente aguzza. Come pria ti dissi Raccogliendo la somma del discorso Due son le cose, ch'a 'narrarti io prendo. Ora l'uno dal più si forma, ed ora Nasce dall' uno il piii; ch'è terra, e fuoco, και ed aria d'un'immensa altezza, Oltre di questi, che tra lor son pari, Havi lite dannosa, ed amicizia, Ch'ha per lungo, e per largo egual misura.?' u colla mente la contempla. Invano Ed acqua, CC 2 304 Η Ειτε γαρ εφθαροντο διαμπερες εκετ ’ αν καισαν. Τατο δ ' επαυξησε το παν τι κε; και ποθεν ελθον; Πη δε κεν απολοιτο επει των δ ' δεν ερημον; Αλλ ' αυτ ’ εστιν ταυτα διαλληλων δε θεοντα Γινεται αλλοτε αλλα διηνεκες αιεν ομοια (4). 205 Stupidi gli occhi sopra dessa fisi. Questa d'ogni mortal nelle giunture Si vuole innata, e chi n'han senso in mente Fanno, comº essa fa, opre leggiadre. Di Venere col nome o d'allegrezza La chiamano, sebben finor niuno Seppe indicare dentro a quali cose Si aggirasse involuta. O tu niortale, Ascolta i detti, che non son fallaci: L'amicizia, e la lite sono eguali, Hanno la stessa età, l' origin stessa Sol con diverso onor l ' una sull'altra Impera, e piglia, com'è lor costume, Il comando a vicenda al fin del tempo, Scritto a ciascuna dal voler del fato. Nulla viene oltr' a ciò, ch' ancor non è Nulla di quel, che è, desser finisce; Se pur finisse., riaver non mai Potrebbe in alcun tempo l'esistenza. Doy ' andrebbe a perir, se non v'ha luogo Di ciò solingo, ch'al presente esiste? E se quel', che non è, ora venisse D ' onde verrebbe? e che? come potrebbe Accrescer questo tutto, s' egli è tutto?? 206 ! 3. • Επι νεικος μεν ενερτατον ικετο βενθος Δινης εν δε μεση φιλοτης στροφαλιγγα γένηται Εν τη δη ταδε παντα συνερχεται εν μονον είναι Ουκ αφαρ αλλα θελυμμα συνισταμεν αλλοθεν αλλο Των δε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρια θνητων Πολλα δ' αμικτ ’ εστηκε κερασσαμένoίσιν εναλλαξ Οσσ ' ετι νεικος ερυκς μεταρσίον • 8 γαρ αμεμτώς Το παν εξέστηκεν επ ' εσχατα τερματα κυκλα Αλλα τα μεν τ ' εμιμνε μελεων τα δε τ ’ εξεβεβηκεν Οσσον δ ' αιεν υπεκπροθεει τοσον αιεν επηει Η επιφρων φιλοτης αμεμπτως αμβροτος ορμη Αιψα δε θνητ’ εφυοντο τα πριν μαθον αθανατ’ είναι Ζωρα δε τα πριν ακρητα διαλλαξαντα κελευθες Των δε τε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρία θνητων EΠαγτ οιαις ιδεησιν αρηροτα θαυμα ιδεθαι (5) 207 Sempre dunque le cose son le stesse, Si mischian, si separano, a vicenda Movendosi tra lor, e nascon sempre Novelle forme, ma tra lor simili. Avea la lite già toccato il fine Ultimo del girar, quando amicizia Del cerchio, in cui si volge, al centro arriva. Tutte le cose allor vanno ad unirsi Per fare l'un; ma a poco a poco il fanno, Base a base di quà di là giungendo. Dagli elementi, che tra lor si mischiano Razza infinita di mortali nasce. Ma in mezzo a que', che s'accozzar, vi furo Altri, che ' ncontro senzı alcun miscuglio Restaron puri; perchè lite ancora In alto li tenea Piena di colpa Ella com'è, voleva il tutto scisso Sull' estremo confin del cerchio trarre. Però de' membri, alcuni fuor spuntaro, Ed altri nò. Ma quanto innanzi corre Sempre la lite, tanto sempre è pronta L ' amicizia a venir saggia, divina, Nuda di colpe, d' immortale forza > 208 Σ Η δε χθων τατοισιν ιση συνεχυρσε μαλιστα Ηφαιστω τ ' ομβρωτε και αθερι παμφανοωντι Κυπριδος ορμησθεισα τελειοις εν λιμενεσσιν Ειτ ' ολίγον μειζων ειτα πλεον εστιν ελασσων Ίων αιματ’ εγένοντο και αλλης ειδεα σαρκος (6). Η δε χθων επικαιρος εν ευτυκτοις χοανοισι Τα δυο των οκτω μερεων λαχε νηστιδος αιγλης Τεσσαρα δ ' ηφαιστοιο. Τα δ ' οστεα λευκα γένοντο Αρμογιης κολλησιν αρηροτα θεσπεσιηθεν (7 ). 209 E nascer ecco, e divenir nascendo Della morte alla falee sottoposti Que', che prima sapean esserne immuni, E mutando sentier trovarsi misti Que', che puri eran pria senza miscuglio. Formasi in somma dalle cose miste Un numero infinito di mortali, Che d'ogni specie son, d'ogni figura, Si, ch'a vederli è certo maraviglia. Ne'porti estremi della bella Dea Giunse la Terra là dov' ogni cosa Or di massa crescendo, ed or mancando Il più meno si fa, e 'l meno più. Ivi la Terra in parte egual s'avvenne All' aria trasparente, al fuoco, all'acqua, E da tale union indi formossi Qualunque specie di carne, e di sangue. Quando la terra era d'amor sospinta In pevere ben salde a sorte trasse Dell'otto parti, d' acqua chiara due, Quattro di fuoco: e per divin volere Col glutin d'armonia tutte s'uniro: dd διο Βελιον μεν θερμoν οραν και λαμπρον απαντη Αμβροτα γ οσσ ' εδεται και αργέτι δευεται αυγη Ομβρον δ ' εν πασι νιφρεντα τε ριγηλοντε Εν δ ' αιης προρεεσι θελυμγα τε και στερεωμα. Εν δε κοτω διαμορφα και αν διχα παντα πελονται Συν δ εβη εν φιλοτητι και αλληλοισι ποθκται. Εκ τετων γαρ παντ' ην οσσα τε εστι και εσται Δενδρατο βεβλαστηκε και ανερες ηδε γυναικες Θηρεστ’ οιωνοίτε και υδατο θρεμμονες ιχθυς Και τι θεοι δολιχαιωνες τιμησι Φεριστοι και Αυτα γαρ εστι ταυτα δι αλληλων θεοντα Γινεται αλλείωτα (8 ), 1 911 E l'ossa bianche furon tosto fatte. Da per tutto si vede il Sol, che desta Calore, e lancia della luce i raggi, E quegli ancor, che senza morte sono, Quasi da fame o pur da sete spinti, L'aria ricercar bianco splendente. Puossi ovunque veder l'acqua; che in neve: Talòr si muta, e facilmente gela: o pur la terra, da cui vengon fuori Le salde cose. Quando impera lira Tutto è biforme, ed ogni cosa è scissa, Ma regnando amicizia il tutto corre Pronto ad unirsi, e l'una all' altra cosa Per interno desir s'abbraccia, e stringe. Tutto viene da quelli, e per l'amore, Ciò, che fu, cid, che è, ciò che sard, Germogliaro cosi alberi, e piante Nacquero maschi, e donne, e fiere, e uccelli, E pesci ancor, che son d'acqua nutriti; O pur gli Dei di secoli lunghissimi Chiari per gl' inni, e per gli onor prestanti. Sempre in somma le cose soil le stesse, Sempre tra loro han moto, e cangian forma. d d 2 212 Ως δ ' oπoταν γραφεες αναθηματα ποικιλλωσιν Ανερεσ αμφί τεχνης υπο μη τινος δεδαωτες Οιτ ' επει καιν μαρψωσι πολυχροα φαρμακα χερσι Αρμονια μιξαντε τα μιν πλεω αλλα και ελασσω. Εκ των αδεα πασ' εναλίγκιά πορσυνέσι Δενδρεάτε κτιζοντες και ανερας nde γυναίκας Θηρας τ’ οιωνες τε και υδατο θρέμμονες ιχθυς Και τε θεες δολιχαιωνας τιμησι φεριςτες Ουτω μη σ ' απατα φρενα ως νυ κεν αλλοθεν «να Θνητων οσσα γε δηλα γεγαασιν εσπετα πηγήν. ταυτ ' ισθί θεα παρα μυθον ακουσας (9 Αλλα τορώς Εν δε μερα κρατεεσι περίπλομενοίο κυκλοίο Χα, φθιγει ας αλληλα και αυξεται εν μέρει αισης Αυτα γαρ εστι ταυτα οι αλληλων δε θεοντα Γιγοντα ανθρωποιτε και αλλων εθνέα θνητων: Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν ασ ενα κοσμου 213 Qual dipintor nell'arte sua perito Sa' i quadri variar, che la pietate Del tempio alle colonne, appende in dono A santi numi. Egli con man piglian do Ora più, ora men di questo, è quello Colore, insiem con ' armonia li vmischia, E poi con essi va pingendo immagini Che son del tutto simili agli oggetti: Uomini, donne, fiere, uccelli, e piante;. Ed i pesci, che son đ 0 pur gli Dii di secoli lunghissimi Chiari per glinni, e per gli onor prestanti; Cosi la mente certo non s'inganna Dº ogni nato mortal qualora dice Esserne fonte sol quegli elementi. Tu.ciò, che ho detto, tieni pur per fermo. Di tutto il nascer sai, fuorchè di Dio, Sul quale il mio parlar non è diretto. acqua nutriti Or l'amicizia, ed or la lite impera Del cerchio intorno rivolgendo i passi, E luña e l'altra, come vuole il fatoo Manca a vicenda, ed a vicenda sorge. Sempre le stesse son, sempre alternando 214 Αλλοτε δ ' αυ διχ' εκάστα φορεμενα νικεος εχθα Εισοκεν αν συμφωντα το παν υπεγερθα γενηται. Ουτως η μεν εν εκ πλεονων μεμαθηκε φνεσθαι Η δε πάλιν διαφωντος ενος πλεον εκτελεθεσι. Τη μεν γίνονται και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε τα διαλλάσσοντα διαμπερές δαμα λογια Ταυτη αιεν εασσιν ακινητα κατα κυκλος (1ο). Σ Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακα! Πυρ και υδωρ και γαιαν η αιθερος απλετον υψος Εκ γαρ των οσατ' ην οσατ ' εσσεται οσσα τ ' εσσι(11 Αυταρ επε μεγα νεικος ενι μελεεσσιν ετρέφθασε Ες τίμαστ' ανορεσε τελιoμενοιο χρονοιο Ο σφιν αμοιβαιος πλατεος παρεληλατο ορκα (12 ) 15 Si muovono. Deil' uom la razza nasce, Tant' altre razze di mortali han vita. Talor per amicizia in ordin bello Tutto si unisce; ma talor per stizza Di lite il tutto si separa, è stassi Sospeso in alto, finchè non s'unisca. Cosi l'uno dal più nascer costuma. Così dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han vita, ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l'uno, e l' altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra d'un cerchio eternamente gira. Quattro, figliuol d'Anchito, in prima ascolta Son radici di tutto: il fuoco, e l'acqua, La terra, e l ' aer d'un immensa altezza; Perchè da questi sol viene, e deriva Ciò, che fu ', ciò, che è, ciò, che sard. Dopo, che lite, la gran lite ascosa Era stata ne' membri, il tempo scorso, Agli onori salt. Perchè l'impero Alternar si dovea, com'era scritto Con solenne, ed eterno giuramento. 256 Αρτια μεν γαρ αυτα εαυτων παντα μερέσσιν Ηλεκτωρτε Χθωντε και κρανος ηδε θαλασσα Οσσα Φιν εν θνητοίσιν αποπλ.αχθεκτα πεφυκέν. Ως δ ' αυτως οσα κρασιν' επαρκεα μαλλον εασσιν Αλληλοις εστερνται ομοιωθεντ' αφροδιτη. Εχθρα πλειστον επ', αλληλων διεχεσι μαλιστα Γεννητε κρασατε και αδεσιν εκμακτρισι Παντη συγγίγεσθαι αηθεα και μαλα λυγρα Νακεσ γεννηθεντα οτι σφισι γεννας οργα (13 ),. Αλλο δε τοι ερεω • φυσις αδενος εστιν απαντων Θνητων εδε τις ολομενα θανατοιο τελευτη Αλλα μογον μιξις τε διαλλαξις τε μιγεντων Εστι. φυσις δε βρoτοις ονομαζεται ανθρωποισι (14) Οι δ ' οτε δε κατα φωτα μιγεν φως αιθερι κυρα Η κατα θηρων αγροτέρων γενος και κατα θαμνων Ηε κατα οιωνων τοτε μεν τα δε φασι γενεσθαι 217 Tutto è perfetto, perchè tutto ha pari Íl numer delle parti, che il compone. Tal è la Terra, il Sole, il Cielo, il Marc E tutto quel, che tra mortali errando Miste ha le parti giusta sua natura. Ciò, che ridonda poi al lor miscuglio Da Venere s ' unisce al suo simile, Giacchè le cose simiglianti forte S'aman tra lor. Na spesso le divide L'inimicizia. Nascon quindi mostri Strani assai per la stirpe., e per la tempra, E per le forme, ch' hanno in loro impresse; Perchè la lite li produce allora Ch' appetiscon le cose il generare. Un altra cosa a dichiararti io prendo: Nulla ha natura, nè mortale ha morte, Che danno arrechi. Perch' è sol miscuglio, E delle cose miste è scioglimento Ciò, che natura gli uomini chiamaro. Quando a caso nell'aria s'imbatte Il miscuglio, che fa dell' uom la razza, O quella degli uccelli, o delle piante, 218 Ευτε ο αποκριθωσι τα δ ' αυ δυσδαιμονα ποτμαν Ειναι καλεσιν (15 ). Βιβλ. β. Νυν δ ' αγε πως ανδρωντε πολυκλαυτωντε γυναικων Εννυχιες ορπηκας ανήγαγε κρίνομενον πυρ Των δε κλυθ'.8 γαρ μυθος αποσκοπος εδ' αδας μων Ουλοφυες μεν πρωτα τυποι χθονος εξανατελλον Αμφοτερων υδατοστε και αδεος αι σαν εχοντες τετ' ανέπεμπε θελον προς ομοίον ευεσθα Ουτε τυπω μελεων ερατον δεμας εμφαινοντες Ουτ’ ενοπην ετ ' αυ επιχωριον ανδρασι, ηουν (16 ) Πυρ μεν Πολλα μεν αμφιπροσωπα και αμφιστερνα φυέσθαι Βεγενη ανδροπρωρα τα δ ' εμπαλιν εξανατέλλας Ανδροφυη βεκρανα μεμιγμεγα τη μεν υπ ανδρων Τη γυναικοφυη σκιεροις ήσκημενα γυιοις (17). 219 O de' bruti selvaggi, allor si dice Che nascon essi; e quando si discioglie Il miscuglio di lor, ch' han trista morte, Lib. II. Come nel separarsi il fuoco trasse De' maschi i germi oscuri, e delle donne, Che piungon molto, odimi, che 'l dire Rozzo non è, nè fuor sen va del segno. Perfetti in prima dalla terra i tipi Spuntaron tutti. Ma siccome il fuoco Su n'esulò il suo simil -bramando, Restaron quelli sol umide forme, e l'immago per lor parti aventi. Però nel tipo de' lor membri ancora Non mostravan ľamabili fattezze Del corpo, non ancor l'organ di voce, Nè la natia degli uomini favella. L'acqua, Nascon de' mostri con due facce, o petti.. Bovi son questi con umano volto, Comini quelli con bovina testa, D'opachi membri son forniti, e tutti e e 2 2 20 Η μεν πολλαι κορσαι αγαυχενες εβλαστησαν Οφθαλμοι δε επλασθησαν γαρ πτωχοί μετωπων (18 Βραχιονες γυμνοι χωρίς μορφονται γε. ωμων (19). Τατον μεν βρoτεων μελεων αριδαιαστον ογκον • Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν' ας εν απαντα Για το σωμα λελογχε βια θαλέθοντος εν ακμή. Αλλοτε δ ' αυτε κακησι διατμηθοντ ’ εριδεσσιν Πλαζεται ανδιχο εκαστα περι ρηγμινι βιοιο. Ως αυτως θαμνοισι και ιχθυσιν, υδρομελαθροις Θηρσιτ’ οραμελεεσσιν ιδε πτεροβασμισι κυμβας (20 Σδε δ αναπνα παντα και εκπγ: πασι λιφαιμο ! Σαρμων συριγγες πυματον κατα σωμα τετανται Και σφιν επιστομίοις πυκνοις τετρηντα αλοξι Ριγων εσχατα τερθρα διαμπερες. ωστε φαγον μεν Σ 221 L'han di maschio, e di donna insiem confusi Sorsero teste senz' aver cervici. Privi di fronte furon fatti gli occhi. Nude le braccia senza spalle fatte, I membri umani giaccion tutti in massa Bella, e vistosa. Per anior talvolta S' uniscono tra loro, e corpo a caso Nel fior si forma della verde etate. All'opposto talor spiccansi i membri Per trista lite, e quà e là d' intorno Alla spiaggia di vita erran divisi. Apvien ciò pure agli alberi, alle fiere Che montanine son, a pesci ancora Abitator dell acqua, ed agli uccelli Che solcan l ' aria coll ' alate cimbe Ecco nel respirar come da tutti L' aer dentro si tira, é fuor si manda, Delle vene i canali si propagano Agli estremi del corpo, e metton capo Delle nari ne' solchi, in cui le punte 2 2 2 Σ Kευθαν αιθερι δ ευπορίαν διο οισι τετμησθαι Ενδεν επαθ οποτ.ν μεν επαίζη τερεν αμα Αιθαρ παφλαζων καταϊσσεται οίδματι μαργω. Ευτε δ ' αναθρησκ 4 πμλιν εκπν: 1. ωσπερ οταν πας Κλεψυδρας παιζοσα δι ευποτρος καλκoιο Ευτε μεν αυλα πορθμον επ' ευκαδα χερι θισα Εις υ2τος βαπτητι τερεν δεις αργυφεοιο Ουδε γ' ες αγγος ετ’ ομβρος εσέρχεται αλλα μιν εργ ! Αερος όγκος εσωθι πεσων επί τρηματα πυκνα Σισοκ α τ οστεγασι πυκνον ρέον. αυταρ επάτα Πνευματος ελλειποντος εσέρχεται αισιμων υδωρ. Ως γ' αυτως οθ' υδωρ μεν εχω κατα βενθεα καλκα Πορθμα χωσθέντος βρoτεί » χροι ηδε πορο! ο Αιθήρ δ' εκτος εσω λελιημενος ομβρον ερυκα Αμφι πυλας ισθμοιο δυσηχεος ακρα κρατύνων Εισοκε χέρι μεθ, τοτε δ' αυ παλιν εμπαλιν και πριν Πνεύματος εμπίπτοντος υπεκθι αισιμον υδωρ - Ως δ' αυτως τερέν αιμα κλαδισσομενον δια γυιων Οπποτέ μεν παλινoρσον επαιν5 μυχονδε Θατερον ευθυ, ρεμα κατερχεται οι ματι θυον Ευτε δ' αναθρων Α4 παλίν ειπν.4 ισον οπισσα (21). 223 Hanno sturate, Ma di sangue in parte Sono que tubi, e non del tutto pienii. Però calando giù s'occulta il sangue, E lascia all ' aer libera ed apertit Dell'entrata lu vir per le bouciucce. Avvien cosi, che quando il sangue molle In gil si lancii nell'interno, tosto L'aria, che ferve, con sue vacue bolle Entra con furia. E quando poi balzando Ritorna il sangue, torna fuor di nuovo Uscendo l'aria. Guarda quà donzella Intenta a trastullare colla clessidra Di facil bronzo, ch'al martello regge. Empier d'acqua la vuol: perciò ne tura Colla sua bella man prima la bocca Dell'orifizio, e quindi per la base Di spessi forellin tutta bucata L'immerge in mezzo della limpid' acqua. in questa intanto dentro non penétra Perché l'aria racchiusa nella clessidra Sovrastando a' forami con la molla L ' acqua preme, sospinge, ed allontana. Che se appena riapre la donzella Il già chiuso orifizio, di repente Ως δ ' οτε τις προοδον νοεων ωπλίσσάτο λυχνον Χειμεριην δια νυκτα πυρος σέλας αιθομελοιο 225 L'aria sen fugge; e come questa manca L'acqua fatale, che presiede all' ore, Ch'entrar pria non potea, entra nel vaso. La clessidra è già piena: or la donzella In altra guisa guarda là, che gioca. Ella con man turandone la bocca Dalla base forata vuol che cada L' acqua fatale, di cui quella è zeppa. Ma cupido d ' entrar laer di fuori Quasi forte confin l ' acqua ritiene Intorno á forellini gorgogliante. Se quella poi leva la mano, allora All'opposto di pria laer di sopra Cadendo all ' acqua ý giù la manda, è questa Per gli forami della base gronda. Tal è del sangue, che colante scorre Per le membra. Se presto si ritira Affollandosi in dentro, allor di colpo Schiumosa l' aria con vigor rientra. Poi quel ratto s' avanza, e questa fuori Esce coil passo egual retrocedendo. Come d'inwerno per l'oscura notte Chi prende a viaggiar prima prepara - ff 226 Αγας παντοίων ανεμων λαμπτηρας αμοργός Οιτ ' ανεμων μεν πνευμα διασκιανασι αεντων Φως δ ' εξω διαθρωσκον οσον ταγαωτερον ηεν Λαμπεσκεν κατα βηλον αταρεσι ακτινεσσιν. Ως δε τον εν μηνιγξιν εεργμενον ωγυγίον πυρ Λεπτησιν οθονησιν εχευατο κακλοπα κερης Αι δ ' υδατος μεν βενθος απεστεγον αμφινααντος Πυρ δ ' εξω διαθρωσκον οσον τανάωτερον Μεν (22) U Βιβλ. και Ου τοσε τι θεος εστιν και τοτε και τοδε Ουκ έστιν πελασθαι εν οφθαλμοίσιν εφικτος Ημετέροις η χέρσι λαβαν υπερτε μέγιστη Πειθες ανθρώποισιν αμαξιτος ας φρεγα πιπτα. Ου μεν γαρ βροτεη κεφαλη κατα γυια κεκασθα Οι μεν απαι γωτων γε δυο κλαδοι ασσεσιν (227 Lampade,.e lume di un ardente fiamma, E poi li mette dentro una lanterna, Che da venti difenda la fiammella; Perchè di questi come van spirando Disperge il soffio. Ma di fuor si lancia La luce, intanto, e quanto più si estende, Tanto illumina più presso la struda Corai di notte vincitor non vinti; Cosi il naturale antico fuoco, Che la pupilla circolure irradia, Stassi dell' occhio in le membrane chiuso Sottili al par di vel, che dall ' umore, Il quale in copia dall' intorno scorre Tutto il difendon. Ma di là movendo Quanto più lungi puà fuori sį spande. Lib. III: 1 Nè questo, o quello, nè quell' altro è Dio, A noi cogli occhi non è mai concesso Di poterlo veder, nè colle mani Di poterlo trattar: che della mente Esser suole la via grande, e comune, Per cui persuasion entra nell' uomo. 228 Οι ποσες και θοα γουνα παι μηδεα λαχνηεντα Αλλα Φρην ιερη και αθεσφατος επλετο μενον, Φροντισι κοσμον άπαντα καταϊσσεσα θοησιν (23 ) ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ. Ει δ ' αγε νυν λεξω πρωθ ηλιον αρχην Εξ ων δη εγενοντο τα νυν εσoρωμεγα παντα Ταράτε και ποντος πολυκυμων ηδ' υγρος αηρ Τιταν η δ αθηρ σφιγγων περί κυκλoν απαντα (24) 229 Iddio non è di mortal capo ornato, Che su membri s'estolle. A lui sul dorso Non spiegansi i due rami. Egli non have Ginocchia, che al cammin ci fan veloci. Egli piedi non ha, nè quelle parti Che vergogna, e lanugine ricopre. E mente sol, è sacra mente Iddio, Ch'esprimer non si può da nostra lingua: In un istante tutta la natura Col veloce pensier ricerca, e scorre. DELLA NATURA. V B R SI Che non si sa a quale de tre Libri appartengono. Dirotti in prima co' mięi versi d' onde Ebbe origine il Sole, e d'onde ogn'altro Che noi veggiam; l ' ondoso mar, la terra L'aria, che nel suo sen chiude, e raccoglie Ogni umido vapor, la luce, e letere Che tutto cinge, e tutto intorno avvolge. 23ο Πως και δενδρεα μακρα και ειναλιοί καμασκνες (25 ) Ειπερ, απαρονα γης τε βαθη και δαψιλος αθηρ Ως δια πολλων δη γλωσσης ρηθεντα ματαιως Εκκέχυται στοματων ολιγον τε παντος ιδόντων (26) Ουδε τι τα παντος κεγεον πελα ουδε περισσον (27 ) Ως γλυκυ μεν γλυκυ μαρπτε πικρον δ ' επι πικρον Ορέσες οξυ ο επ ' οξυ εβη θερμον δ εποχευετο θερμος (28): Γνους οτι παντων « σιν απορροια οσσ ' εγένοντο (29) Kευθεα θηριων μελεων μυκτηρσιν ερευνων (3ο) Ούτω γαρ συνεχυρσε θεων τοτε πολλακι δ ' αλ λος (31). 23 In qual maniera furon pria formati E gli arbor alti, ed į marini pesci. Per la lingua di molti invan discorre La terra, e l ' Eter non dver con fine Quella nelle radici e questo in alto. Ciò la bocca di color si sparge per Che nulla, o poco sanno, e guardan lungi Colla veduta corta d'una spanna » Vacuo non c'è, e nulla pur ridonda; U Dolce a dolce s' unisce, ed all' amaro Corre l'amaro, e l'aspro all aspro vanne, E verso il caldo si conduce il caldo. Ogni corpo, ch ' esiste, il dei sapere, Vibra lungi da se parti vaganti, Fiutando indaga le ferine tane, Tale in quel punto s’intoppò correndo Ma in altra guisa per lo più s' avviene 233 οπη συγεκυρσεν απαντα (35). Η δ ' αυ φλοξ ιλααρα μινυνθαδικαις τυχε γαιης (33 ) Κυπρίοδος εν παλαμης πλασέως τοιηστε τυχοντα (34 ) Τη δε μεν ιοτητι τυχης πεφρονήκεν απαντα (35 ) (Και καθ' οσον μεν αρμοτατα συγκυρσε πεσοντα(36) Αλλα οπως αν τυχη (37 ) ΓIαντα γαρ εξακης πελειζετο γυια θεσιο (38) Και δα παρ’ ο δη καλαν έστιν ακουσαι (39) Ενθ' ουτ' ηελιοιο διειδετο ωκεα γυια (40) Αρμογιης πυκίγως κρυφα εστηρικτα (41 ) Σφαιρος κυκλοτερης μοί1 περίγ 19 εκων (42 ) 237 Dove ogni cosa s' imbatte i Fiamma lunare s' incont Insiem con Terra, che Nelle man di Ciprigna cost Col parer di fortuna al tutto intese In quanto a caso s'accordar tra loro Nell'incontrarsi Ma come sorte volle Tutte di mano in man le membra scosse Furon del Dio Ciò, che è bello convien, che si ripeta Le pronte membra non vedeano il Sole Salde in occulto d' armonia fur fatte In tonda sfera stretto quasi il tuttó 234 Αυξα δε χθων μεν σφετέρος γενος αθερα δ ', αι: θηρ (43 ). Κατα το μαζων εμιγνυτο δαιμονι δαμων (44). Αιθηρ μακρησι κατα χθονα δυετο ριζας (45 ). Οινος απο φλοιου πελεται σαπεν εν ξυλω υδωρ (46) Αλλα διεσπασθαι μελεως φυσις ή μεν εν ανδρος Η γ ' εν γυναικος (47 ). Μηνος εν ογδοατα δεκάτη που επλετο λευκον (48) Ως δ ' οτ’ οπος γαλα λευκών εγομφώσει και εδη - σεν (49). Ουτω δε ωοτοκει μικρα δενδρα πρωτον ελαιας (5ο ) Νυκτα δε γαια τιθησιν υφισταμενη φαεισσι (51 ) 235 Lieto dell'unità solingo gode: > Aria ad aria s ' aggiunge, e terra a terra; Il minore al maggior spirto s' unisce: Della terra le barbe aer penetra; L'acqua scomposta sotto la corteccia Vino diventa, Della prole le membra stan dis ise Parte nel maschio, e parte nella femina, Al giorno dieci dell' ottaro mese Nelle poppe si forma il bianco latte. Come gaglio rappiglia il bianco latte, Cosi da prima partoriscon l'uovo Gli arbor non alti della verde uliva Luce impedendo fa la terra notte. an 2 236 Ήλιος οξυβελης ηδε ιλαϊρα σεληνη (52 ). απέσκεδασε.αυγας Ες γαμαν καθυπερθεν απεσκιφωσε δε γαιης Τοσσον οσοντ ’ ευρος γλαυκωσιδος επλετο μηνης (53. Гщи ру тар уцау апожариву детi * Uдор Ηερι δε ηερα διον ατάρ πυρι πυρ αιδηλον Στοργην δε,στοργη κακος δε τε νεικεί λυγρω (54). Παντα γαρ ισθι φρονησιν εχαν και σωματος αισαν(53 Λιματος εν πελαγεσι τετραμμενα αντιθρωντος Τη τε νοημα μαλιστα κικλεσκεται ανθρωποισιν Αιμα γαρ ανθρωπους περι καρδιον εστι νοημα (56). Προς παρεον γαρ μητες αεξεται ανθρωποισι (57 ). οθεν σφισιν ας Και το φρογαν αλλοια παριστατα (58 ). 1. 237 Dolce è la Luna, e durdeggiante il Sole. Disperge i raggi sulla Terra, e sopra Tant è la luce, che le fura, quanto Il disco è largo della glauca Luna. Terra veggiam con terra, acqua con acqua, Aer divin con aere, e lucente Fuoco con fuoco, e con amore ' amore, E veggian lite con dannosa lite. Uomini, bruti e piante ben lo sai Han tutii mente, e parte di ragione, Stassi la mente dove più ridonda II sangue, che su giù sempre si muove, Perchè dal sangue, che circonda il core Il pensiero nell' uom sua forza prende; Il pensare dell' uom cresce e al presente Però il pensare sempre a lui diverse Mostra le cose. 238 Ενδ ' εχυθη καθαροισι τα δε τελετουσι γυναικες Ψυχεος αντιασαντα (59 ). Νηπιοι και γαρ σφιν δολιχοφρονες ασι μεριμνα Οι δε γενεσθαι παρος εκ εον ελπιζασιν Ητοι καταθνησκαν τε και εξολλυσθαι απαντη (6ο ), Αλλα κακοίς μεν καρτα πελ4 κρατ€8 σιν απιστών, Ως δε παρ' η ιετερης κελεται πιστωματα μεσης Γναθη διατμεζεντα ενι σπλαγχνοισι λογοιο (61 ) Ταυτα τριχες και φυλλα και οιωνων πτερα πυκνα Και λεπίδες γιγνονται επί στιβαροισι μελεσσιν (62 ) αυταρ ελικος οξυβελας νωτοισι δ ' ακανθι επιπεφρικασι (63 ). Της δαφνης των φυλλων απο παμπαν εχεσθαι (64) 239 Col solito calor si forma il maschio Ma se l'utero poi s'affredda a caso La famina ne vien. Stolti non lungi col pensier veggendo Prendon lusinga di poter esistere Ciò, che innanzi non fu, o quel, ch'esiste Potersi in tutto struggere, e perire. Il malvagio non crede, e non cedendo Alla forza del ver, trionfo meni, Ma cosi detta, e vuole, che tu creda La nostra musa. Tu dentro l'interno I detti scissi, ne penétra il senso. Della stessa natura sono i peli, Degli arbori le frondi, e degli uugelli Le fulte piume, o pur le squame sparse De' pesci sopra la ben soda carne. Ed il riccio marin, a cui le spine Acute gli si arricciano sul dorso, Dalle foglie d' allor la man ritieni 240 Τετο μεν εν κογχασι θαλασσονομοις βαρυνωτοις Και μην κηρυκαντε λιθορρινων χελυωντε Ενθ οψε χθονα χρωτος υπερτατα ναιεταεσαν (65) Βυσσω δε γλαυκης κροκο καταμισγεται (66). Φυλος αμουσον άγουσα πολυστερεων καμασκηνων(67 κορυφας ετεράς ετεραισι προσαπτων Μυθων μητε λεγαν ατραπον μιαν (68). Νυκτος ερκμαιης αλαωπιδος (69). Αλφιτον υδατι κολλησας (7ο). θαλλαν Καρπων αφθονιισι κατ ηερα παντ εγιαυτον (71 ). Ουδε τις ην κανοισιν Αρης θεος, ουδε Κυδοιμος Ουδε Ζευς Βασιλευς, ονδε Κρονος, ουδε Ποσειδων Αλλα Κπρις Βασιλαα. 241 Del mar le conche di pesante dorso, Il murice riguarda, e le testuggini Che son coperte di petrose scaglie: Bene in questi aninai veder tu puoi Come del corpo sta la terrợ in cima. Si mischia al bisso il fior del croco azzurro. La goffa turba de' fecondi pesci Guidando Somma a sonima giungendo del discorso Per diversi sentier prender cammino Della solinga tenebrosa notte Coll acqua unendo la farina d'orzo. Germoglian ricchi di lor frutta in tutte Le stagioni dell'anno in mezzo all' aria. Marte non han qual Nume, nè Minerva Del tumulto guerriero eccitatrice: A Nettuno, a Saturno, Giove il rege hh ) 242 Την οιν' ευσεβεεσσιν αγαλμασιν ιλασκονται Γραπτοις δε ζωοισι, μυροισι τε δαδαλεοδμοις, Σμυρνης τ' ακρητου θυσιαις λιβανου τε θυωσους Ξουθων τε σπονδας μελιτων ριπτοντες ες ουδας (72 Στανωποι μεν γαρ παλαμαι κατα για κέχυνται Πολλα δε σαλεμπη α τατ ’ αμβλυνεσι μεριμνας Παυρον δε ζωησι βια μερος αθροισαντος Ωκυμοροι καπνοίo δικην αρθεντες απεπταν. Αυτο μονον πασθεντες οτω προσεκυρσεν εκαστος Παντος ελαυνομενοι και το δε ολον ευχεται ευρειν Ουτως ατ’ επιδερκτα τα δ' ανδρασιν ετ ' επακιστα Ουτε νοω περιληπτα (73). ή και συ 80 επα ωο " ελιασθης Πευσεαι.ε πλεον γε βροτάη μητις ορωρε (74). 243 Negano omaggio; e prestan solo il culto A Venere Regina, che sdegnata Placan con santi simulacri, e pinti Animali, e con mille odor, che l'arte Ingegnosa travaglia, o co' profumi Di pura mirra, e d'incenso spirante Soave odore, e fanle sagrifizio Sopra la terra il biondo miel spargendo. In parte angusta delle membra è sparsa La nostra mente. Abbonda pur la cispa Ch' ottenebra il pensier, e ne' viventi Poch'è la porzioni di vital forza, Che qual fumo sen fugge, allorchè morte Di repente ei fura. E quindi ognuno, D' ogni parte sospinto, sol di quello, Cui per sorte s' avvien, resta sicuro. Altero intanto di trovar presume Tutto, e saper ciò, che non puossi ancora Nè veder, nè sentir, nè colla mente Comprendere dall ' uom. Giacchè vagando in guisa tal ti scosti Prendi consiglio da ragion; che l'uomo hh 2 244 Αλλα θεοι των μεν μανιην αποτρεψατε γλωσσης Εκ δ ' οσιων στοματων, καθαρην οχετευσατε πηγην Και σε πολυμνηστη λευκο λενε παρθενε μεσα Αντομαι ων θεμις εστιν εφημερoισιν ακ84ν Πεμπε παρ' ευσεβιης ελασσ' ευημιoν αρμα Μηδε σεγ ευδοξοιο βιησεται ανθεα τιμης Προς θνατων αγελεσθαι εφ ω ' οσιη πλεον απον Θαρσα και τοτε δη σοφιης επ ακροισι θοαζη Αλλα γαρ αθρεα πας παλαμη πη δηλον εκαστον Μητε τιν οψιν εχων πιστει πλεον η κατ’ ακτην Η ακοην εριδαπών υπερ τρανωματα γλωσσης Μητε τι των αλλων οποση πορος εστι νοησαι Γυιων πιστην ερυκε γορα θ ' η δηλον εκαστον (75). 245 Col suo saper più oltre non s'inalza. Dalla lor lingua, santi numi, tale Furor cacciate, e dalle vostre bocche La purissima vena in lor sgorgate. Te Verginella bianchibraccia musa, Cui più corteggian disiosi amanti, Te prego attente a porgermi l'orecchie A fin di quello udir, che lice all ' uomo, E come te non pungerà la gloria Fiori a coglier d'onor presso i mortali, Perciò più cose ti potrò svelare. Ma agitando i destrier docili al freno Porta da Religion lontano il carro. Prendi fidanzı: andrai ratta a sedere Di sapienza allor sull’ alta cima. Colla ragion contempla il tutto, e vedi Ciascuna cosa chiarų si, che certa Ti si dimostri. Ne maggior la fede Presta al senso di vista, che all' udito; Nè all'orecchio, che raccoglie i suoni Credi più della lingua, che discopre Le cose. Nè all'una più, ch' all'altra Credi di quelle vie, per cui ci viene 246 Πεση Φαρμακα και οσσα γεγασι κακών και γηραος αλκας ετα μενω σοι εγω κρανεω ταδε παντα. Παυσις δ ' ακαματων ανεμων μενος οιτ' επι γαιαν Ορνόμενοι πνοιαισι καταφθινυθουσιν αρουραν Και παλιν ην και εθελησθα παλιντονα πνευματ' επαξές Θησεις δ ' εξ ομβροια κελαινα καιριον αυχμον Ανθρωποις θησας δε εξ αυχι8οίο θεραου Ρευματα δενδρεοθρεπτα τα δ' εν θερι αησαντα Αξας δ ' εξ αΐδαο καταφθίμενου μενος ανδρος (76). 247 La notizia de' corpi, ed il pensare. De' sensi in somma poni giù la fede: Ti sia guida ragion, onde discerna In ogni cosa chiaramente il vero. Quanti i rimedi fugator de' morbi, Come vecchiezza si conforti, udrai. Che tutto a te io solamente suelo, De' venti infaticabili frenare L'ira saprai; che con furor piombando Sopra la terra, col soffiare, i campi Guastano tutti; o pur se n'hai piacere Concitar li potrai, se son tranquilli. Saprai d'inverno tra procelle scure Produr di state il lucido sereno, O pur nel fitto della secca state Produr le piogge, che nutriscon gli alberi, E del caldo l'ardor tempran movendo Aure soavi. Giungerà tua forza Sin dall'inferno a richiamar gli estinti. 248 ΠΕΡΙ ΚΑΘΑΡΜΩΝ. Ω Φιλοι οι μεγα αστυ κατα ζανθου Ακραγαντος Ναιετ ακρην πολεως αγαθων μεληδεμονες εργων χαιρετ. εγω δ υμιν θεος αμβροτος ουκ ετι θνητος ΓΙωλευμα μετα πασι τετιμένος ωσπερ εοικε Ταινίας τε περιστεπτος στεφεσιν τε θαλαιης Τοισιν αμ’ ευτ ’ αν ικωμα ες αστεα τηλεθοωντα Ανδρασι ηδε γυναιξι σεβιζομαι. οι δ ' αμ' εποντα Μυριοί εξερεοντες σπη προς κερδος αναρπος Οι μεν μαντοσυνεών κεχρημενοι οι δε τι νουσων Παντοίων επυθοντο κλύειν ευηκέα βαξιν (77). Αλλα τι τοις δ ' επικειμ' ωσει μέγα χρημα τι πραση σών Ει θνητων περιειμι πολυφθορεων ανθρωπων; (78 ). 249. DELLE PURGAZIONI. Salvete, o miei diletti, abitatori Dell' alta rocca, e della gran cittate, Che del biondo Acragante bagnan l’acque. Salvete, o cari, cui virtute è cura. Immortale sori Dio, nè qual mortale Sto più tra voi, d'onor, siccom'è giusto, Pieno fra tutti. Allorchè cinto il capo Di larghe bende, e di festanti serti Io porto il piè sulle città fiorenti, Corrono, e maschi, e donne a darmi culto. E mille, e mille, che là van col passo Dove dritto il sentier li mena al lucro, Ali s'affollan d'intorno nel cammino: E mi seguono ancor quelli, che intenti Stansi a svelar dell'avvenir gli arcani, Ed altri, che saper bramano l'arte Sagace di guarir qualunque morbo. Ma perchè mi dilungo tali cose Nel riferire, quasichè d'eccelse Gesta pur si trattasse, se vincendo Ogni mortal, sopra di lor m’inalzo? ii 25ο Σ Εστι δε αναγκης χρημα θεων ψηφισμα παλαιον Ευτε τις αμπλακιησι φονω φιλα γυια μιανη Δαιμονες οιτε μακραιωνος λελογχασι βιοιο Τρις μιν μυριας ωρας απο μακαρων αλαλησθαι Την και εγω νυν αμι φυγας θεοθεν και αλήτις Νακεί μαινομεγω πισυνoς (79). Αιθεριων μεν γαρ σφε μενος ποντον δε διωκεα Ποντος δ ' ες χθονος ουδας ανεπτυσε γαιαδες αυ γας Ηελία ακαμαντος οδ ' αιθερος εμβαλε δινας Αλλος δ ' εξ αλλε δεχεται στυγερσι δε παντες (8ο αγα λοιμωγατε και σκοτος ηλεσκέσις (81). 251 be E ' volere del fato, è degli Dei Decreto antico, che s'alcun peccando Di quegli spirti, che sortiron vita Lunghissima, lordò le proprie mini Quasi di sangue, sia costui cacciato Lungi dall' alte sedi, in cui beata Vivon, vita gli Dei, e vada errante In репа del fallir tapino in terra, Finché ritorni primavera ai campi Tre volte dieci mila; ed un di questi Io son, ch' ora dal Ciel men vo lontano Vagando quà, e là esul ramigo, Solo in poter di furibonda lite. } L'aria gli spirti, che falliro, caccia In mar con forza, il mar li getta in terra, La terra li rigetta su lanciando Del sole infaticabile ne' raggi, D ' aria nel turbo il sole infin gli scaglia. L'un dopo l'altro van cosi girando, E tutti traggan pien di duolo i giorni. Van per gli prati, e per lo scuro erranti ii 2 252 Ενθα φόνoστε κοτοστε και αλλων εθνεα κηρων (82 ) Κλαυσα τε και κοκυσα ιδων ασυγηθεα χωρον (83 ) Ω πoπoι η δειλον θνητων γενος ω δυσανολβον Οιων εξ εριδων εκ τε στoναγων εγεγεσθε (84). Εξ οιης τιμης και οι μηκεος ολβα (85). Εκ μεν γαρ ζωων ετιθεα νεκρα «δε' αμκβων (86) Σαρκων αλλογνωτί περιστελλασα χιτωνε Και μεταμπεχασα τας ψυχας (87). Ηλυθομεν του ' νπ ' αντρον υποστεγον (88). Ηδη γαρ ποτ' εγω γενομενην κεροστε κορητε Θαμνοστ’ οιωνοστε και εν αλι ελλοπος ιχθυς (89). Εν θηρσι δε λεοντες οραλεχεες χαμαιεύναι Γιγονται σαν ναι εγι δενδρεσιν ηύκομοισιν (go ). 253 Ivi la stragge, e l'ira, ivi tant' altri Mali hanno sede. Insolito abitar vedendo piansi. Ah ! La razza mortal quant' è meschina ! Quanto infelice ! Quali affanni, e liti Siete nati a soffrir ! Da quale onor son misero caduto, Da qual grandezza di felicitate, Da vita a morte son, forma mutando L'alme involgendo, e quasi ricoprendo Della straniera veste delle carni. inIn quest'antro coperto al fin siam giunti. Fanciullo io fui un di, donzella, uccello, Albero, e senza voce in mar fui pesce, Qual sopra ogn'animal s'alza il Leone Giacente in terra, abitator de monti 254 Εν9 ' ησαν χθονιητε και Ηλιοπη ταναίτις Δηρίς θ ' αιματοεσσα και αρμονίη ιμερωπις Καλλιστω τ’ αισχρητε θοωσατε Δαναητε Νημερτης τεροεσσα. μελαγκαρπος Ασαφια (91 ) Ξεινων αιδοιοι λίμενες κακοτητος απαροι (92). 2 φιλοι οιδα μεν εν οτ ' αληθαη παρα μυθους, Oυς εγω εξερεω, μαλα δ' αργαλειτε τετυκται Ανδρωση και δυσζηλος επι φρενα πιστέος ορμη (93) Ουκ αν ανηρ τοιαυτα σοφος Φρεσι μαιτεύσατο Ως όφρα μεν τε βιωσι το δε βιοτον καλεσιν Τοφρα μεν εν εστι και σφι παρα δειγα και εσθλα Πριν δε παγασαι βροτοι λυθεντες τ ’ εδεν αρ' εισιν(94 Αλλα το μεν παντων νομημον δια τ’ ευρυμέδοντος 255 Tal su gli arbor fronduti il lauro eccelle. Chtonia gº era là con Eliope Di larghi occhi, e la cruenta Deri Con armonia, piena d'amor, nel volto. Vera del par Thoòsa, e Deinèa E la turpe Callisto, e insiem l'amabile Nemerte, ed Asafia, che il tutto oscura O Gergentini di mal fürè ignari Degno porto d'onor degli stranieri. Io, mici cari, so ben ', che nel mio dire Stassi la verità dentro nascosa, Ala della fe la forza l'uom travaglia E pena, e dispiacer gli reca in mente. Saggio non v'è, che possa con sua mente Pensar, che l'uomo mentre vive questa, Che chiaman vita, esista solo, e colga E beni, e mali; si che l'uomo nulla Sia prima il nascimento, e dopo morte. Ma questa legge pubblicata a tutti 156 '. Αιθερος ηνεκεός τετατα δια τ ' απλέτε αυγης (95). Ου παυσεσθε Φονοιο δυσηχεος'; 8κ εσoρατε Αλληλες δαπτόντες ακηδεμησι νοοιο;. Μορφήν δ ' αλλαξαντα πατηρ φιλον υιόν αερας Σφαζα επευχομενος μεγα νηπιος και οι δε πορευντα Λισσομενοι θυοντες οδ ' ανηκοστος ομοκλεων Σφαξας εν μεγαροισι κακης αλεγυνατο δαχτα Ως δ ' αυτως πατερ' υιος ελων και μητερα παιδες Θυμoν απορραισαγτα. φιλας κατα σαρκας εδεσι (96) 4. Oιμοι οτ’ και προσθεν με διωλεσε νηλεές ημας Πριν σχετλι’ εργα περι χειλεσι μητισασθα ! (97 ) 257 Dell' aria si distende per l'immenso Splendore, e l'alta region dell Etere Che per lunghezza, e per larghezza è vasto.? Ancor si sparge per le vostre mani IL sangue gorgogliante degli animai? Ah non vedete colla mente piena Di sprezzo, che sbranandovi, a vicenda Vi diorate? E che mutata forma Il padre alzando il suo caro figliuolo Lo scanna, e pazzo grandi cose prega Tutti color, che sacrifizj fanno, Sen van supplici orando; ma quest'altro Nell'atto di scannar gridi mandando D' udirsi indegni, in segno di minaccia Malvagio in casa desinar prepara. Cosi talora avvien, che danno morte Il figlio al padre, ed alla madre i figli, E questa, e quel fucendo privi d'anima Le care in cibo ne trangugian carni. Perchè crudele il di ah non mi spense Prima, ch'avessi fatto il gran peccato D' appor tal cibo sopra le mie labbra ! kk 558 Ταυρων δ ' ακρίτοισι φονοις και δευετο βωμος Αλλα μυσος τετ ' εσκεν εν ανθρωποισι μεγιστον Θυμoν απορρασαντας εεδμεναι ηϊα γυια (98 ). Τοι γαρ τοι χαλεπησιν αλυοντες καιστησιν Ου ποτε δαλαιων αγιων λεωφησετε θυμον (99). Ολβιος ος θαων πραπιδων εκτησατο πλετον Διαλος δω σκοτοεσσα θεων περι δοξα μεμπλε (ιοο) Εις δε τελος μαντάστε και να τοπολοι και 1ητροι Και προμοι ανθρωποισιν επιχθονίοισι πίλονται Ενθεν αναβλαστασιν θεοι τιμηση φεριστοι (101 ). Αθανατους αλλοισιν ομεστιοι αυτοτραπεζοι Ανδρομεων αχεων αποκληροι εοντες απειροι (102). 259 Non macchiava l'altar sangue innocente De’ tori un di. Ma sommo allor misfatto Dagli uomin si credea privar dell' anima Gli animai, e divorarne i membri in cibo. Chi dalla colpa, che da se molesta, E ' tormentato, non avrà nell' animo Mai requie al suo misero dolore. Felice è quegli, che possiede i beni Della mente divina, ed infelice E' quel, che male degli Di pensando Ne porta tenebrosa opinione. 7 I vati infine, ed i cantor degl' inni I medici, ed i forti capitani, Che de' terrestri uomini son guida Ivi rinascon Dü d'onor prestanti. Nella stessa magion, a mensa stessa Stando cogli altri Dii, d'ogni vicenda D'ogni umarło dolor futti già privi. kk 2 16ο Ην δε τις.ν κανοισιν ανηρ περιωσια αθως Ος δη μηκιστον τραπιδων έκτησατο πλετον Παντοίων τε μάλιστα σοφων επικράνος έργων Οπποτε γαρ πασησι ορεξατο πραπιδεσσι Ραγε των οντων παντων λευσεσκεν εκαστα Και τε δεκ ' ανθρωπων και τ' ακoσιν αιωνεσσι (103) ΕΠΙΓΡΑΜΜΑΤΑ Περι Ακρωνος • Ακρον ιατρον Ακρων ακραγαντινον πατρος ακρου Κρυπτα κρημνος ακρος πατριδος ακροτατης Τιγες δε το δευτερον στιχον ουτω προφέρονται Ακροτατης κορυφής τυμβως ακρος κατεχα (104) 261 5 Tra quelli o'era l' uom sopra d'ogn ' altro Eccelso nel saper, che della mente L' altissimo tesor chiudea.nel seno. Egli pieno d'amor tutti indagava De' sapienti i fatti, e le scoperte Dotte di lor. E quando del suo spirto Ogni forza intendeva, ad una ad una Tutte schierate le cose reali In dieci o venti secoli abbracciando Rapidamente col pensier vedea. EPIGRAMMI INTORNO AD ACRONE. L'alto di gran saper medico Acrone, Nato dun alto padre in Agrigento Alta, rupe tien alta per sepolcro Della sua patria posto in alta cima. Alcuni leggono così il secondo verso Alta tomba ritien sull' alta cima аба. Περι Παυσαγικς Παυσαγι: ιητρον επωνυμον Αγχίτου υιον Φωτ’ Ασκλεπιαδης πατρις εθρεψε Γελα Ος πολλούς μογεροίσι μαρανομένους κεματοισι Φωτας ατέστρεψαν Φερσεφονης αδυτων (1ο5).. Δειλοί πανδειλοι κυαμας απο χειρος, εχεσθαι, Ισον τοι κυαμες τρωγειν κεφαλασθα τοκων (106 ) Ναν μα τον αμετερας σοφίας ευρoντα τετρακτην Παγον αεγνας φυσεως ριζωμα τ' εχεσαν (107). 263 Di Pausania. Il medico che nomasi Pausania E' d' Anchito figliuol', è discendente Degli Asclepiadi, ed ha per patria Gela, Che lo nutri. Costui molti languenti I'er penosi malor dalle segrete Di Persefone stanze a forza trasse. Versi d' incerto Autore attribuiti da alcuni ad Empedocle. Scostate, o miseri, del tutto in felici Dalle fave la mun: mangiar di queste Egli è privare i genitor del capo. Giuro per quel, che nella nostra scuola Scoperse il qucttro, che racchiude il forte, E la radice eterna di natura. ANNOTAZIONI ALLA R A O COITA D E FRAMMENTI. ANNOTAZIONI ALLA RACCOLTA D E FRA MM EN TI. (1 ) Questo verso si trova presso Laerz. 1. 8 in Emp. Egli dice ny de o lavraylas spwjeevas αυτε, ω δη και τα περι φυσεως προσπεφωνηκεν Pausania era amato da Empedocle, e que sti gli intitolò il suo poema sulla ' natura E siccome questo verso forma la dedica; cosi si è collocato il primo. La frase per quanto pare è Omerica come si può vedere Iliad. 11 V. 450 Iliad. 1: V. 451. (2 ) Presso Simplicio de Phys. aud. l. 8 p. 272 ediz. d'Aldo. Perchè questi due ver si si suppongono dagli altri, che li seguono, si son collocati prima. Per altro Plut. de exil. afferma che cosi cominciava la filosofia d'Empedocle. (3 ) IL 2. 3 verso son rapportati da Laerz. 11 2 263 che se 1. 8 in Emp. I primi tre da Sext. Emp. adv: Phys. 1. ģ, da Plut. de Pl. Ph. l. 1 cap. Tutti quattro poi da Stobeo Ecl. Phys. 1. i p. 26. Questi si sono premessi per la ragio ne ch'esprimono i quattro elementi, che sono base di tutta la filosofia d'Empedocle. Si conviene da tutti che sotto Giove è in: dicato il fuoco, e da Nesti l'acqua, condo Vossio de Idol. 1. 2. cap. 7 e Fabricio nelle note à Sesto Empirico deriva da yalay fluere. Vi è solo un disparere tra gli Scitiori per gli due simboli. Giunone e Plutone. Pois chè secondo Cic. de Nat. Deor. l. 2.cap. 26 Plut. l. 1. cap. 3. de Pl. Ph. Macrob. Satur. l i cap. 15, da Giunone è espressa l'aria; ed al contrario giusta Athen. Apol. 22. Achill. Tazio in Arat. Laert. I. 8 in Emp. Stobeo Ecl. Phys. 1. i Heracl. Allegaz, Omeriche,p. 443., -sotto il simbolo di Giunone è indicata la terra. E però per questi Plutone era la• ria, e per quelli la terra. Aïd oyeus in luogo di aïdris Om. 11. 20 V. 61. Esiod. Theog. v. 913. Hpn epoßios Omer. Hyinn. in matr. o. mnium '. Nella traduzione si è formato GIOTATO 2 per tmesi. 269 9 col. (4 ) Di questi versi il 7 e l'8 sono riferi ti da Laerz. in Emp. I. 8. Stobeo Ecl. Phys. 1. 1 p: 26. Dal 10 sino al 15 si trovano presso · Arist. Natur. Auscult. l. 8 cap. 1. Il. 22 presso Ciem. Alex. Strom. I. 5., ed il 21 e 22 presso Plut. Amat. Tutti poi eccetto il g e'l 10 sono rapportati da Simplicio de Phys. Aud. I. 1 p. 34 ediz. d'Aldo. Siccliè si è supplito il 10 con Aristotile, e'l lo stesso Simplicio come si vedrà alla (10 ). Questi versi che sono al numero di 36 fan parte del primo libro della natura. Poichè lo stesso Simplicio dice chiaramente sy 7pUTW TO φυσικών.99 και nel primo libro delle cose fisiche I versi 3, 4, 5 pajono d ' essere un'imi, täzione d'Omero. II. 6.v., 146, e 149. Il 5 portá P&T Th, ma si è cangiato in.dpuntu come più confacente al senso. Nel 6 in luo go di xdcepecei dinge si è posto 8T0T€ anges.co me Omero. Il. -10. V. 164. Nel z la paro la Qiaotati amicizia non significa in verità che ainore, siccome fa Omero. Il. 6 v. 161 c in quasi tutta l'ariade che dice QLXOTNTO felgympia rab. Dal 7 al 12 sembra di essere una sem 270 * plice imitazione d' Esiodo nella Theog. Poichè Empedocle mette in contrasto l'amore e lo dio come Esiodo fa colla notte e'l giorno. Ne’ versi 6, 13 e 32 si trova la parola ' deau Trepes. collocata nello stesso modo che suol fa re Opiero. Il. 10 v. 325 e 331. II. 12 v. 398. II. 19 v. 272. Odys. 4 V. 209. Odys. 7. v. 96. Odys. 10 v. 38. Odys.. 14 v. 11. Sicchè pare che l'orecchio d Empedocle era educato al suono de' versi Omerici, Nel verso 14 aloy Euroly alla maniera d'Omero. Il. 1 v. 290. Nel 16 reipata pewIwon siccome 0. mero παρατα τεχνης. Nel 20 1 ’ αταλαντον co me Il. 15 v. 302. Nel 21 è da dirsi che intanto, l'amicizia sia di lunghezza e larghez za eguale, in quanto i corpi possono risulta re da parti eguali de quattro elementi. Al meno questa interpetrazione pare più confa cente al suo sistema; se non si vuole abbrac ciare quella, che deriva dal pittagoricismo, per cui il numero quattro era il più perfetto. Nel 22 100. TEINTWS per attonito e Omerico. II. 4 v. 246. Nel 24 cina poves's dovrebbe esser nominativo giusta la Grammatica. Na si v. 271 lasciato in accusativo; perchè gli Attici alcuna, volta, coře si vede presso Aristof. in avibus, sogliono usare l'accusativo in luogo del nomi nativo. L'epye texti si trova spesso in Omero e in Esiodo: cosi Odys. 7 V. 272.Esiod. Theog. V, 89. Il 25 è simile a quello dell' Iliad. 9 v. 558, e pile d'ogni altro ad Esiod. Theog. v. 595. Nel 27 laratnaon è d ' Omero. II. 1 v. 526. Nel 30 il Trepiadojevolo è pari mente adattato al tempo e all'anno presso Omero'. Odys. iv. 16 ed Esiod. Opera v. ' 384. Nel 31 si osserva l'id atoange in fi. ne del verso come in Omero. Il. 6 v. 149. (5) I versi 12 e 13 si trovano presso Arist, Poet. cap. 25, e Ateneo lib. 10 p. 424. Tutti poi sono rapportati da Simplicio de Phys. aud. 1. i'p. 7 d' Aldo. Essi sono stati posti nel primo libro del poema; perchè Simplicio li riferice come quelli che precedeano altri, che da lui sono notati per versi del primo lix bro προ τετων των επων • Nel verso 7 è 11 si è scritto a Jey.TTW5 in luogo di queuent Ews come si legge in Sims plicio. Nel 10 si trova vtsupper feri ch'è d' 272 Omero II. 9 V. 502, Nell'ultimo, si ha l espressione Jaunese idiogui ch ' è comune presso Omero ed Esiodo: cosi Il. 18 v. 83. Odys. 13 v. 108. De scụto Herc. v. 140 ', ed in tanti altri lunghi dell' uno e dell'altro poe ta. Teocrito nell' Idyl.. 17 v. 77. non è dif ficile che avesse imitato Empedocle, dicendo egli εθνεα μυρια φωτων α εinmiglianzα di quel che dice il nostro poeta nel 8 verso e nel 14, (6 ).Simplic. de. Phys. aud. I. 1 p. 7. Quer sti versi sono quegli stessi innanzi a' quali di ce Simplicio ch' erun collocati quelli della na: ta (5 )..... L' epiteto Truji Payowymi è Omerico. II. 8 v. 320 e 435. Orfeo nell'inno all' etere, chiama l ' etere dotepo@ eyzes (7 ) I primi tre' versi sono presso Arist. de anima li i càp. 7, e tutti presso Simp. de Phys. aud. I. 2 p. 66 Aldo. Simplicio af ferma che appartengano al primo libro d' Em. pedocle λεγει εν πρωτω. Ε come sono dello stesso tenore della nota (6); cosi si sono si tuati vicino a quelli. Nel 1 verso επικαιρος in luogo di επίκρανος 273 è d'Omero. II. 1 v. 572, e il v. 572, e il xoayolai é ' Esiod. Theog. v. 865. Nel 3 l’ oGTEL deuxa è parimente d ' Esiod. Theog. v. 540, e 557 e d'Omero. Il. 24 v. 793. (8 ) I primi due versi si trovano presso Plut. de primo frigid., e il 7, 8, 9 presso Arist. de gen. et corrupt. Tutti presso Simpl. de Phys aud. l. 1 p. 8, e nella pag. 34 sono pre ceduti da due seguenti versi. 1 እእእ. αγε των δ * οαρων προτερων επί μαρτυρα δερκεί Ει τι και εν προτερoισι λιποξυλον επλετο μορφη • 1 Di questi due versi non si sa che voglia dire quel Altofurov legno pingue: Perchè pa-. re ch? Empedocle voglia rapportarsi a' prece: denti colloquj dove forse v'era qualche for. ma Altrotuloy. Si è cercato di sostituire Action Yugov, ma neppure s intende. Però si sono trascurati nel testo questi due versi. Nel 3 verso si legge presso Plut. Svopa EVTA xep ply a negyté, ch? è spiegato tenebroso, ed crribile. Ma come non si sa ď' onde poss m m 274 sa derivare played soy si è sostituito plyndor, che più si conviene all'acqua. Indi è che si è scritto VIOOEYTA,xoh pigns.ovte. E' vero che il vero so diventa spondaico; ma gli epiteti dell' ac qua sono più confacenti alla sua natura, e corrispondono più all'intendimento d'Empedo cle, che in questi versi vuol dare i caratteri di ciascuno dei quattro elementi, siccome at testa Simplicio de Phys. aud. - p. 7. Nel 4 προρε8σι θελυμνα τη luogo di προθελυμνα. It' 9 vi 537. Il 5 verso è simile a quello d. Omero. Il. 18 v. 511, ilil 7 al v. 70. Il. e al. v. 38 d' Esiod. Theog., e l'8 al v. 163 Odys. 15. Nel 9, e 10 l ' epiteto de' pesci υδατοθρεμμονες, e quello degli Dei δο. arxay wres sono tutti due propj d'Empedocle; giacchè non si leggono presso altro poeta. Il Tlpenoi Ospirtoi pare che sia preso dal v. 494 1 11. 9 • (9 ) Simplic. de Phys. aud. 1. 1 p. 34. Egli li rapporta dopo quelli della nota (8) e dice, che Empedocle li soggiunge in esempio. Non v'è quindi dubbio, che debbono essere collocati nel primo libro, e dopo di quelli. Vi 275 si trovano alcuni versi ripetuti alla maniera Omerica, e nel g versa ľws YÜ XEV come nel v. 749 Il. 11, e nel v. 11 della Theog. d' Esiod. Nel 10 si e mutato l'acheta in fore, e nell' 11 vi si troνα μυθον ακεσας nel miodo stesso d'Omero II. 7 v. 54. Odys. 2 z v: 560, (19 ) Simplic. de Phys. aud. l. 1. Costui, dopo d' avere rapportato i versi delle note (8) • (9 ) 80ggiunge και ολιγον δε προελθων αυθις Çnti. Però si son collocati dopo, e come ap partenenti al primo libro. Il 7 di questi ver si è quello stesso, ch ' è stato inserito da 9 nes versi della notą (4). (11) Il 2 verso si trova presso Plut. net lib. de adulat. et amici discrimine: il terzo presso Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4.- Tutti tre presso Clem. Alex. Strom. I. 6. Il secondo verso, si rapporta d'alcuni ne: pos nilov ufos, ma Empedocle nel 19 della nota (4) dice c7 NETOV, e per altro pare più armonioso ed Omerico. Questi versi, come quel li, che indicano i quattro clementi ', non si possono collocare che nel primo libro. m m 2 276 ! (12 ) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4. Simplic. de Phys. ' aud. 1. 6 p. 272. Plutaroo nel lib. de Reip. geć. praecept. vi allude dicen da τιμας ονομαζω κατ' Εμπεδοκλεα. Questi ver si non possono appartenere, che al primo li bro; perchè in esso dichiara Empedocle le due forze amicizia e lite. (13 ) Simp. 1. i de Phys. aud. p. 34. La parola aprice del primo versa può significare pari di numero, perfetto, ed adatto. Si è tradotta pari; perciocchè si è trovato che i corpi, di cui Empedocle enumera le parti de gli elementi, da cui quelli son composti, non sono che di numero pari. Cosi l'ossa di oi to parti nota (7 ), la carne di parti eguali de quattro elementi nota (6 ) et.. (14 ) Arist. de Gen. et Corrupt. l. i cap. 1, e De Xenoph. Gorg., at Zenon. Plut. de Pl. Ph. l. 1 e adv. Golot. Si sono collocati nel primo libro perchè Plutarco dice chiaramente de Pl. Ph. l. i λεγα δε ετως και των πρώτων φυσικών και Anno de Tol spaced è modo turto ď Omero II. 1 v. 797. Odys. 11 V. 453. Odys. 10 2: 7 V. 495 ec. L'a.JavaTolo TEMBUTn è d' Esiod. in Scuto Herc., ' e nell'ultimo verso Bpomois "QvIpomolol è maniera greca che spesso si tra, va presso Omero ed Esiodo che dicono Bpotox ardpa. Il Duris nel principio come opposto a 76 deutn pare che indicasse la nascita. Ma co me in fine significa natura si è lasciato cob. la sua propia significazione di natura. (15 ) Plut. adv. Colot. Questi versi, come si vede dalla materia, sono una continuazio ne di que' della nota antecedente. Si sospetta che questi versi fossero sta ti alterati da qualche copista. Vi si osserva ows per uomo in genere neutro, che suol esa sere presso i Greci di genere maschile. (16 ) Simpl. de Phys. aud. 1, 2, pag. 85 Aldo. E siccome queg!i dice « TOTO'S AS T8 Εμπεδοκλεας εν τω δευτερη των φυσικών προ της ανδριων και γυναικιων σωμάτων διαρθρωσεως TAUTU TC ETn, Empedocle nel secondo libro delle cose fisiche canta questi versi prima di parlare della formazione e articolazione de' corpi de maschi e delle femine Non vi ha 278 quindi alcun dubbio, che questi versi fan par te del secondo libro, e che il soggetto di que. sto libro si versa sulla nascita degli uomini, e de' corpi de' maschi e delle femine. Però è, che tutti i versi che riguardano la formazio ne degli uomini, e de' loro membri, e delle parti del corpo umano e loro funzioni sono stati da noi posti nel secondo libro. IL 3 verso è un'imitazione d'Omero nel v. 157 dell' Iliad. 4, 810Quais secondo Simpli cio esprime la massa tutta, del seme, che an cora' non indicava la forma de' membri. (17 ) Aeliano de Nat. anim. I. 16 cap. 29. Le forme descritte in questi versi sono ricor date da tutti gli antichi scrittori come singo lari. Cosi Arist. Nat. ausc. l. 2. cap. 8. Es se non poterono durare, perchè non eran tra loro convenienti. Di quando in quando ne na. sconto de' simili, e questi sono i mostri.: (18) Simpl. de coelo 1. 2. Arist. de coel. 1. 3 cap. 2. De Gen. I. i cap. i8. Isaac. Tzetze in Comm. ad Lycophr. Epi vax65 • (19 ) Simpl. de coelo l. 2. (20 ) Simpl. de Phys. aud. 1. 8 p. 258 279 Aldo. Nel terzo verso si è spiegato pngjely! al la maniera d'Omero Il. 1. v. 437. Nel 6 e nel 7 - sono da notarsi ud poplene Opols, opsta μελεσσι, € πτεροβαμμoσι κυμβας clie sono ma niere originali d' Empedocle. (21 ) Aristot. de respir. cap. 7. Questo è il più bel frammento d'Empedocle, e forse l ' avanzo più, venerando dell'antica fisica, in cui non solo si spiegà da Empedocle il modo a suo credere del nostro respirare, ma si di mostra eziandio il peso, e la molla dell' a. ria. Egli è stato tradotto per quanto si può letteralmente, e solamente si è ito aggiungen. do talora la forma della clessidra, senza di che non si avrebbe potuto chiaramente com prendere Il coros del 4 verso corrisponde al cruor de’latini. Il. 16 y. 162. Chi si conosce – Omero può accorgersi come va adattando Em. pedocle tutte le parole e frasi d'Omero nel 5. sino all ': 8 verso. Lo stesso WTTEL OTAY Trays è ď Omero nel v. 362 Il. 15.. L'EPOMBAEOS, che Omero applica ail' acqua'. Ili 16 v. 174, Empedocle l'adatta alla duttilità del bronzo 200 Verso. It all'acqua, nel 9 TEPEY Ejedes dell' 11 è d' 0. mero Il. 14 v. 406. L'autap ETHTU nel 15 è forma parimente Omerica Il. 11 V. 304 Odys. l. 9 v. 371 ec. L'ayrilor ud wp nel 16 si trova applicato al giorno in Oniero, e qui che non può esser fatale se non per che nella clessidra è destinata a notare le ore che scorrono. Nel 18 verso Bpotew Xpor presso Esiod. Opera è preso per umano corpo, qui per la mano. Nel 20 ilil duonysos è applica to alla guerra. Il. v. 395 ec. Da Empedocle si acconcia al gorgogliamento dell'acqua (22 ) Arist. de sensu et sensili lib. i cap. Nel 2 verso σελας πυρος αθομενοιo e d ' Omero. Il. 9 v. 559. Il. 10 v.. 246. II. 11 v. 219. II. 6 v. 282 ec. Il 24uepiny νυκτα e simile all' αμβροσιην δια νυκτα d' O mero. Il. 2. v. 57. Nel 3 si trova apopg85 ch'e' una metafora, quasi che le lanterne di fendendo il lume da venti se li succhiassero; giacchè quopges vuol dire succhianti. Il mayo Town dyepewr Odys. 5 v. 293 e 304. Nel 4 verso il divanid ve si aeyrwy si trova in Omero Il. 5 v. 526. Nel 5 ci ha un epiteto de' 2. Nel dia 282 indomiti; per raggi ch ' è molto ardito UTCpert chè non sono vinti dalla notte. La stessa pa rola walioruto nel i verso per preparare è Omerica. Il. il v. 86 '. In quanto poi alla costruzione delle lanterne è da dirsi, che for se allora erano di corno trasparente. (23 ) Il i e gli ultimi due versi presso Giov. Tzetze Chil. 5 p. 382. Il 2 presso Theod. de Curat. Graec. l. 1. IlIl 22,, 3, e 4 pres SO Clem. Aless. Strom. 1. 5. Dal 5 sino all ' ultimo presso lo stesso Giov. Tzetze Chil. 13 p. 476. Gli ultimi due versi sono anche rap portati da Chalcid. in Tim. Pl. Essi sono sta ti tutti disposti nell' ordine, in cui sono no tati, che sembra non esser disconveniente, e fanno certamente parte del lib. 3. Poichè Tzetze nella Chil. 7 p. 382 nel rapportarli soggiunge Εμπεδοκλης τω τιτω των φυσικων δεικ: VUOY TIS ' N. sold togey το θεα κατ' επ'ος ετω λεγων. 9, Empedocle nel terzo libro delle cose fisiche. volendo indicare quale sia la sostanza di Dio dice cosi Il pendea nel senso in cui qui lo pigliu Empedocle è comune ad Omero nell' Odissea n n. 282 o ad Esiodo nella Theng. (24) Clem. Alex. Strom. 1. 5. Il. 1 ver so manca d'un piede, e si potrebbe compiere leggenda Ει ο αγε τοι μεν εγω λεξω. Vi si os serva poi la stessa maniera d Oniero nell ' ap porre degli epiteti al mare, all'aria, aile tere. (25) Athen. Dipnosoph. 1. 8 p. 334. Il devd pece pecupce è d'Omero. Il. 9 v. 537. Lo stesso Athen. nel medesimo luogo attesta che tutti i pesci da Empedocle furon chiamati zce paglves. (26 ) Aristot. 1. 2 de coelo cap. 8 e De Xenoph. Zenon, et Gorg. Gli ultimi due versi presso Clem. Aless. Strom. 1. 6. (27 ) Plut. de Pl. Ph. I. i cap. 18. Theo dort. de mater. et mundo Serm. 4 p. 1080. (28) Plut. Symp. l. 4 quaest. 1. Macro bio Saturn. l. 7 p. 521. E siccome in Plut. si leggono alterati; cosi sono stati correlti con Macrobio. (29 ) Plut. quaest. Nat. p. 916. (30 ) Plut. quaest. Nat. p. 917, et de Curiosit. Alcuni leggono Keuuata, altri rappese. (283 ra, ma si è sostituito xeu-ged, che pare più acconcio al senso dell'autore (31 ) Arist. Nat. Auscult. 1.? cap. 4, e De Part, Anim. I. i cap. 1, Simpl. I. Phys. (32 ) Simpl. de Phys. and. I. 2 p. 73. (33 ) Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 23. L' epiteto de incepa come dice ' Hesichio' è propio d' Empedocle.; ed il polyurgadins d'Omero II. 1 v. 352, (34) Simpl. l. 2 de Phys. aud. p. 74 Aldo. (35) Simpl. 1. 2 nel med. luog. (36) Simpl. 1., nel med. luog. (37) Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 73. (38 ) Simpl. l. 8 de Ph. aud. p. 272. (39 ) Plut. in l. non posse suaviter vivi jut. xta epicuri decreta. (40 ) Simpl. de Ph. aud. l. 8 p. 272. (41 ) Simpl. nel med. luog. (42 ) Simpl. nel med. luog. (43) Arist. de Gen. et Corrupt. l. i cap. 6. (44) Simpl. de coelo Com. 21. p. 88. (45 ) Arist. de Gener. et Corrupt. 1. i cap. 6. La frase zgova dupsyo, presso Omero Il. 6 y. 411. nn 2 284 (46) Plut. quaest. Nat. p. 916. (47 ) Arist. de Gener. anim. 1..1 cap. 18. (48) Arist. de Gener. anim. I. 4 cap. 1. (49) Plut. nel lib. de Amic. multitud. (50) Arist. de Gener. anim. 1. i cap. 23. Alcuni leggono μακρα δενδρεα. (51 ) Plut. quaest. Platon. p. 1006.4. (52 ) Plut. de fac. in orbe lunae dove in luogo d' ožupeans è da leggersi očußeans e in vece di naiyo Iraupe come si è rapportato nel. la nota (35). (53) Plut. de fac. in orbe lunae. Questi versi sono stati corretti da Xilandro. (54) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4 de anim, 1. i cap. 2. Sesto Emp. adv. Gram. l. i cap. 13 e adv. Log. l. 7 Chalc. in Tim. cap. 21 p. 131. Pare che in questi versi Empedocle abbia imitato Omera Il. 13 v. 31, e Il. 16 v. 215. Il tip apo ndoy Omerico. Il. 2 v. 455. L'epiteto della lite rugpw, che da Omero si adatta alla vecchiaja, e talora alla ferita ec. è situato in fine del verso come in Omero II. 5 v. 153, e Il. 10. v. 79. Il. 16 v. 393 ec. 285 3. (55 ) Sext. Emp. adv. logic. l. - 8 p. 512. (56) Stobéo Ecl. Plys. l. 1 p. 131. L' última verso è anche rapportato da Chalcid. in Tim. Pl. p. 29,, ed è un imitazione di quello d' Esiodo nella Theog. 7 spe pezy 750" T δες, περι δε εστι νοημα • (57 ) Aristot. de anima 1. 3 сар. (58) Aristot. de anima" nel med. luog. (59 ) Aristot. de Gener. 1. i cap. 13. (60) Plut. adv. Colot. (61 ) Clem. Alex. Strom. l. 5 Theodor. de curat. aegritud. Ethnic. Acciaolus Theod, interpres I. i contra Graecos. (62 ) Arist. Meteorol. l. 4 cap. 9, atspao TURVO è d ' Omero. Il. 11 y. 454, e otißola pous pedeerol è d ' Esiodo opera v. 148. (63 ) Plut. Symp. 1. i cap. 3. Deve lege gersi andyl. (64 ) Plut. Symp. 1. 3. quaest. 1. (65) Plut. Symp. I.,1 quaest. 2, e nel lib. de fac. in orbe lunae. (66) Put. de Orac defectu. Per finire il verso si è supplito nella traduzione artos. (67 ) Plut. Simp. I.? quaest. 10, 286. (68) Plut. de Orac. defect: (69) Plut. Simp. 1. 8 quaest. 3. (70) Arist. Poet. cap. 25 c Meteor. l. 4. 71) Theophr. de Caus. Plant. 1. i cap. 14. (72 ) Athen. Dipnosoph. l. 8 p. 365. Que sti versi si son collocati come appartenenti al poema 'della natura; perchè parlano di Ve nere, che indica l'amicizia. Vi si trova il Soydan codpots parola composta da Empedocle, che non si legge in altro poeta. Si dee lege gere Κυπρις nel testo, e non Kπρις. (73 ) Sesto Emp. adv. Log. 1.? Gli ul. timi due versi sono anche rapportati da Plut. nel 1. de áud. Peet. Nel 2 yerso Scalig. legge suve ETEITA, ed Erric. Stef. dely ETECL; ma ne' MSS. si trova SaneM.T, Si è quindi conservata, come sta ne' MSS., e si è ritratta da dep @ os che più s' adatta al senso dell'autore. Questi versi unitamente agli altri delle note (24) e (75 ) sono riferiti da Sesto Emp. come quelli, che con poche interruzioni si suc vedono. E come Empedocle si dirizza ad un solo, ch'è Pausania;' cosi tutti fan parte del 287 Chil. 1, pra poema sulla natura, (74) Sesto Emp. adv. Log. l. 2 (75 ) Sesto Emp. nel med. luog. (70) Laerz. in Emp. 1. 8. Joan. Tzetze I versi 3, 4, 5 sono anche pres. so Clen). Alex. Strom. 1. 6. Nel 5 si legge d' alcuni παλιγτιτα c d' altri παλιντινα; mα da Casaub. si vuole raditova, e fondasi so Suida. Nell'ultimo verso è da notare che il sanare gl' infermi si esprime, presso gli an tichi avastne dall'inferno. Plut. in amat. Horaz. l. 2 Sat. 1 V. 82. (77 ) Laerz. l. 8 in Emp. I versi 3 € 4 si trovano presso Sesto Emp. adv. Gramm. 1. i cap. 13, e presso Philost. Vit. Apoll. Se condo Laerzio cosi Empedocle avea dato prin. cipio al suo poema delle purgazioni cvcpzopese νός των καθαρμων φησίν. (78) Sesto Emp. adv. Gram. I. 1 e Laerz. in Emp. 1. ' 8. Sesto Empirico mette questi due versi dopo quelli della nota (77 ) e soge. giunge nas nary. Sicchè icon c'è dubbio che appartengano alle purgazioni. (79) Plut. de exil. I. 2, e l'ultimo meza 288 zo verso è presso Hierocle in aur. carm., il quale lo ' rapporta unitamente al penultimo ως Εμπεδοκλης Φυσι ο Πυθαγοραος • (80) I primi tre versi presso Plut. nel lib. de vit. aere alieno, e tutti quattro presso lo stesso Plut. de Isid. et Osir., e presso Eusebio. (81 ) Hierocl. in aur. carm. (82) Hierocl. in aur. carm. (83 ) Clem. Alex. Strom. 1. 3. (84) Clem. Alex. Strom. I. 3 0 70xO1 peegee herdos Il. 1 v. 254. (85) Clem. ' Alex, Strom. I. 3. (86) Clem. Alex. nel med. luog. (87 ) Stob. Ecl. Phys. 1. i. (88 ) Porph. de Antr. Nymph. Ediz. di Van - Gcens p. 9. (89 ) Clem. " Alex. Strom. 1. 5 Origen, Phy losophumera. Phil. in V. Apoll. Athen. Dipn. In luogo di do7Os, che è un epiteto dato da Esiodo e da Poeti Greci al pesce, presso d' al.cuni si legge eurupos. A prima vista pare che l' epiteto ignito non abbia luogo; mu ove si voglia riflettere che giusta Empedocle, gli ani mali molto caldi cercarono l'acqua, ed ivi 289 soggiornarono, si può comprendere in qual senso abbia potuto adattare al pesce l ' epiteto Europos. (90) Eliano de Nat. anim. I. 12 cap. 7. Questi versi appartengono al poema delle pur gazioni. Perchè Eliano nel rapportarli soggiun ge λεγει δε και Εμπεδοκλης την αριστην αναι με: τοικησιν την τα ανθρωπου ει μεν ας ζωον η ληξις αυτην μεταγαγα λεοντα γινεσθαι και δε ας φυτον dadyny. » Empedocle dice che ottima sia da stimarsi la trasmigrazione dell'uomo, se do vendo passare in un bruto la sorte lo porta nel corpo del leone, e se in una pianta lo porta nell' alloro L' epiteto ηύκομοισιν Ο. mnerico. (91 ) Plut. de animi tranquill. L'epiteto έροέσσα e d' Esiodo che dice Θαλιη εροεσσα και ma non s' intende quello di μελαγκαρπος che vuol dire produttrice di frutti neri che Empe docle adatta ad Asafia o sia al genio dell' oscurità. Giovanni Tzetze Chil. 12 dice Ecco πεδοκλης προ παντωντε φιλοσοφος ο μέγας • γα γαρ την ασαφα αν μελαγκορον υπαρχαν ως κελαινωπας τον θυμον ο Σοφοκλης που λεγα 25 * Ο Ο 290 SO • Empedocle filosofo, grande sopra d'ogn'al tro, chiama Asafia o sia l'oscurità di nera pupilla conie Sofocle dice l'animo di nero via In sostanza poi vuol qui indicare Em pedocle quello che noi diciamo animo cupo, che tutto è coperto, e tutto fa con riserva. (92 ) Diod. Sic. Bibl. Hist. 1. 13 p. 204. (93) Clem. Alex. Strom. 1. 5. (94) Plut. adv. Colot. L'ultimo verso è stato corretto da Giov. Clerc. Bibl. Choisie Tom. 1. (95) Arist. Rhet. l. i cap. 13. Si son collocati in questo poema delle purgazioni; perchè Aristotile dice che riguardano la proi bizione d uccidere gli animali. xoy ws EyeTedo κλης λεγα περι τε μη κτιγαν το εμψυχσν. τετο γαρ τισι μεν δικαιον τισι δε και δικαιον. » Co me dice Empedocle parlando della proibizione d' uccidere qualunque animale. Poichè que sto non può essere giusto per alcuni e per al tri nò L' epiteto supurtedortos é d' Omero e quello d'atletoy è d ' Esiodo. (98 ) Sesto Empir. adv. Phys. I. 9 p. 580. Plut. de Superst. Nel 5 verso l'entBTT05 si 291 è tradotto per indegno d'essere udito come půs letterale. Na potrebbe avere due altri sensi cioè: da non essere compreso, o pure come colui, che è pieno di Qyaxer 116 che vuol dire contumacia, o inobbedienza; perchè senza di ciò non si ritrae un senso che sembra ragio nevole. Nel 6 a legurato d'apra è d' Omero nell' Odys. 13 v. 23. (97 ) Porphyr. de non necandis ad epulan dum animalibus l. 2 pag. 137 ediz. di Lio ne 0285dic epga per scelleraggini è d'Omero Odys. 14 v. 83. (98 ) Porphyr. de non necandis ad epul. anim. I. 2 pag. 131. Il primo verso somiglia a quello ď Omero Il. 24 v. 69. Alcuni leg, gono appatolor in luogo d ' cxpitolob. (99 ) Clem. Alex. exhortat. ad gentes. Awe Q10ste Odys. 11 v. 460. (100 ) Clem. Alex. Strom. I. 5. (101 ) Clem. Alex. Strom. I. 4 Bpotol o pu. re ardpes sain horlon. Il. 1 v. 266, e 273. (102 ) Clem. Alex, Strom. 1. 5. Questi due versi sono stati corrotti. Nel primo verso Sca. ligero legge fyte TPUDEGcus in luogo d' AUTOTA. OO 2 292 che non FIG. In verità questa seconda maniera cor risponde meglio all'opertio. Nel secondo leg ge Ευγιες ανδρειων αχεων αποκηροι ατειρεις. dla ad altri è piaciuto all' aydpelwy di sostituire l' and pouleur ch'è più adatto e pie Omerico; all' електро! ľ Anouampor ch'è anche più ragione vole; ed in fine all ατειρείς I'' ατηρείς si sa donde possa derivare. Si potrebbe dire più presto artelpon. Vi sono poi di quei che in luogo di amewn leggong amoywy; dimodochè spiegano coi forti achivi. (103 ) I primi due versi sono presso Laerz. 1. 8 in Emp., e tutti si leggono presso Janibl. de Vit. Pyth. p. 54. Questi versi si sono col locati nel poenia delle purgazioni; perchè in questo poema Empedocle dichiara la morale pittagorica. (104) Presso Suida voce Axpwr e Laerz. I. 8. in Emp. Questo epigramma, come dicono e Suida e Laerzio, è diretto a punzecchiare Acrone, che domanda a la grazia di ergere un gran monumento a suo padre in un luo. go alto della città di Gergenti. Empedocle va scherzando.col nome di Acrone e la parola 293 acron che in Greco significa alto e altezza. Ma questo scherzo non si può rendere nel no stro linguaggio. (105) Laerz. in Emp. I. 8 & Towvoploy indi ca nome conveniente alla cosa. Perchè liquo gavin in greco può significare che fa cessar i mali, e i dolori. Perciò Empedocle scherza col nome del suo amico. (106) Questi due versi s' attribuiscono dit Aulo Gellio Noct. Att. 1. 4 cap. 11 ad Em pedocle, e da altri ad Orfeo. Ma in verità so no della scuola pittagorica. Si legga Didym. 1. 2. Geoponicon cap. 35. Varii sono i sen timenti degli Scrittori sulla proibizione, che facea la scuola Pittagorica, di mangiar del le fuve. Secondo alcuni, perchè non sono sa lutari, e secondo altri perchè sono simili agli organi della generazione. Di fatto Gellio dice che l'astinenza delle fave era un simbolo, eon cui si volea indicare da Empedocle l'a ' stinenza delle cose veneree. (107 ) Questi versi esprimono il giuramen to che si facea nella scuola Pittagorica. Si leggono presso Jambl, de vit. Pyth. p. 125, 294 Ma non semhrano d'esser d'Empedocle cosi perchè non corrispondono allo stile del nostro poeta, come ancora perchè vi si osserva il dia. letto dor ico, che non mai egii usò ne' suoi poemi. ROMA BIBLIOTECA 295 Note mancanti nel Tomo I. pag. 67. MEMORIA SECONDA. (121 ) Απηρεν ασ Κροτωνα της Ιταλίας και κακοι τομές θες τοις Ιταλιωταις εδοξασθη συν τοις μας θεματας και οι περι τας τριακοσίες οντες ωκoνoμαν αριστα τα πολιτικα ωστε σχεδον αριστοκρατίας αναι την πολιτααν και Pittagora si porto in Cro tona d'Italia; ed ivi dando leggi agľ Italias ni fu egli in onore unitamente a' suoi disce poli. Trecento de' quali amministravano otti mamente le cose politiche, si che quella re pubblica era di posta a governo di ottimati, Laerz. in Pythag. (122 ) La persecuzione della scuola pitta gorica nacque da ciò, giusta Jamblico nella Vita di Pittagora cap. 35, che i pittagorici allontanavano il popolo dalle magistrature, e da' pubblici consigli, e voleano essi soli, come sapienti, regolar le cose pubbliche.Grice: “If people call William of Ockham, Surrey, Occam, I shall call Empedocles of Agrigentum Agrigentum, or Agrigento simpliciter in the vulgar.” Vide “Italic Griceians”While in the New World, ‘Grecian philosophy’ is believed to have happened ‘in Greece,’ Grice was amused that ‘most happened in Italy!’ Empedocle da Girgenti – Keywords: Girgenti -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Empedocle," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675742458/in/photolist-2mKFrQ6-2mLGZ47-2mKzDys-2mKucE2-2mKCPCw-2mKfijf-2mJrUpx-2mJpEUu-2mJorPw-2mJjky4-2mJorPB-2mJpFM6-2mJpFT8-2mJpFSS-2mJorQD-2mJpFN8-2mJorMs-2mJorSc-2mJrUsP-2mJjku6-2mJjkwA-2mJjkwk-2mJrUok-2mJsW8r-2mJjkyK-2mJrUqu-2mJorRW-2mJpFQn-2mJpFNP-2mJorQi-2mJpFTZ-2mJrUso-2mJpFPv-2mJjkub-2mJpFM1-2mJrUqK-2mJrUr6-2mJjkvJ-2mJpFSM-2mJrUqz-2mJrUqE-2mJsWcj-2mJrUsU-2mJrUoa-2mJpFLK-2mJrUn3-2mJjkvt-2mJorKZ-2mJpFNt-2mJq2uE

 

Grice e Girgenti – la parola che non s’incatena – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Palermo). Filosofo. Grice: “I love Girgenti for many reasons! For one, he has edited Boezio ‘as he is’! – then he has elaborated on Socratic irony, a concept that needs some elucidation, if ever one did! Also, he has edited the ‘logica retorica’ of Cicero, which is welcome!”Frequenta gli studi classici a Palermo, sotto Brighina, Franchina, Armetta, Mirabelli e Puglisi) e poi si è trasferito a Milano sotto Bontadini, Bausola, Melchiorre e Giussani. Si laurea sotto Reale con “Platonismo e Cristianesimo in San Giustino Martire” – Studia “Porfirio tra henologia e ontologia riproponendo la questione degli universali come origine del "pensiero forte". Insegna a Milano I suoi studi sono concentrati sul rapporto tra filosofia greco-romana e Cristianesimo, e in particolare nell'influenza che il platonismo ha esercitato sui Padri della Chiesa. Per analizzare questo tema, applica due categorie ermeneutiche: la "storia del’effetto" e la "fusione dell’orizzonte”. Secondo la storia dell’effeto, la Patristica latina deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo antico, che fa da tramite rispetto alla filosofia medioevale. Secondo la fusione dell’orizzonte, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo deve essere analizzato superando due opposte posizioni: la "praeparatio evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la filosofia pre-cristiana sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la "Ellenizzazione del cristianesimo" di Adolf von Harnack, secondo cui nell'incontro con la filosofia, il Cristianesimo avrebbe smarrito la vocazione originaria (e dovrebbe pertanto “de-“ellenizzarsi, de-filosofarsi). Una posizione mediana potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo cattolico e le chiusure del cristianesimo protestante non-cattolico. Saggi: “Porfirio: catalogo ragionato” (Vita e Pensiero, Milano); “Giustino Martire, il primo cristiano platonico” Vita e Pensiero, Milano); “Porfirio, Vita e Pensiero, Milano); Porfirio, Laterza, Roma-Bari; “Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano, Incontri con Gadamer, G. Girgenti, Bompiani, Milano “Platone” G. Girgenti, Bompiani, Milano; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato, Padova; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista con Sossio Giametta, Mursia, Milano. G. Giorello, Corriere della Sera, 1ºScheda biografica, curriculum e  nel sito dell'Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Selezione di pubblicazioni  Porfirio negli ultimi cinquant’anni. Bibliografia sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, presentazione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano, Porfirio, Isagoge, prefazione, introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, versione latina di Severino Boezio in appendice, Rusconi, Milano, nuova edizione Bompiani, Giustino Martire, il primo cristiano platonico. Con in appendice “Atti del Martirio di San Giustino”. Presentazione di C. Moreschini, Vita e Pensiero, Milano, Giustino, Apologie. Prima Apologia per i Cristiani ad Antonino il Pio. Seconda Apologia per i Cristiani al Senato Romano. Prologo al “Dialogo con Trifone”, introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano, Aristotele, Poetica, introduzione, traduzione, note e sommari analitici di D. Pesce, revisione del testo, aggiornamento bibliografico, parole chiave e indici di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano, Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, prefazione, introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, con in appendice la versione latina di Marsilio Ficino, Rusconi, Milano. G. Girgenti, Il pensiero forte di Porfirio. Mediazione tra henologia platonica e ontologia aristotelica, introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano,  Porfirio, Storia della Filosofia (frammenti), a cura di A. R. Sodano e G. Girgenti, Rusconi, Milano, Introduzione a Porfirio, “I filosofi”, Laterza, Roma-Bari, La nuova interpretazione di Platone. Un dialogo di Hans-Georg Gadamer con la Scuola di Tubinga e Milano e altri studiosi (Tubinga), introduzione di H.G. Gadamer, prefazione, traduzione e note di G. Girgenti, Rusconi, Milano, nuova edizione ampliata: Platone tra oralità e scrittura, Bompiani, Milano, Porfirio, Vita di Pitagora, monografia introduttiva e analisi filologica, traduzione e note di A. R. Sodano, saggio preliminare e interpretazione filosofica, notizia biografica, parole chiave e indici di G. Girgenti, in appendice la versione araba di Ibn Abi Usabi’a, testo greco e arabo a fronte, Rusconi, Milano, J. Patocka, Socrate. Lezioni di filosofia antica, introduzione, apparati e bibliografia di G. Girgenti, traduzione di M. Cajtham l, testo ceco a fronte, Rusconi, Milano,  nuova edizione: Bompiani, Milano, K. Wojtyla, Persona e Atto, a cura di G. Reale e T. Styczen, revisione della traduzione italiana e apparati a cura di G. Girgenti e P. Mikulska, testo polacco a fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Struttura dell’anima dell’anima secondo Agostino e presupposti neoplatonici, in: Autori vari, Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, Donzelli, Roma, Der Begriff der Verantwortung in der Welt der Antike und des Christentums, in K. Götz – J. Seifert (Hg.), Verantwortung in Wirtschaft und Gesellschaft, Rainer Hampp Verlag, München;   J. Seifert, Ritornare a Platone. La fenomenologia realista come riforma critica della dottrina platonica delle idee, in appendice un testo inedito su Platone di A. Reinach, prefazione e traduzione di G. Girgenti, Vita e Pensiero, Milano, Autori vari, Incontri con Hans-Georg Gadamer, edizione italiana a cura di G. Girgenti, Bompiani, Milano, Porfirio nel vegetarianesimo antico, “Bollettino Filosofico: Dipartimento di Filosofia dell’Università della Calabria”, Due fonti neoplatoniche indirette di Cusano: Porfirio e Giamblico, in AA. VV., Nicolaus Cusanus zwischen Deutschland und Italien Beiträge eines deutsch-italienischen Symposions in der Villa Vigoni vom (Veröffentlichungen des Grabmann-Instituts, Bd. 48), hrsg von Martin Thurner, Akademie Verlag Berlin, Plotino, Enneadi, traduzione di R. Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di G. Reale. Porfirio, Vita di Plotino, a cura di G. Girgenti, “I Meridiani. Classici dello Spirito”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano  K. Wojtyla, Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, a cura di G. Reale e T. Styczen, apparati e indici di G. Girgenti, Bompiani, Milano 2003.    Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi.    Commentaria in Porphyrium a se translatum (editio secunda). Boethius   Georg Schepps Samuel Brandt   University of Leipzig   European Social Fund Saxony   Gregory Crane   Jouve OCR-ed, corrected and encoded the text   Greta Franzini   Project Manager (University of Leipzig)   Simona Stoyanova   Project Assistant (University of Leipzig)   Bruce Robertson Technical Advisor (Mount Allison University)   Uvius Fonticola   Technical Advisor (Ludwig Maximilians University Munich)   University of Leipzig   stoa0058.stoa007.opp-lat3.xml Available under a Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International License   2014 University of Leipzig   Germany   Georg Schepps   Samuel Brandt   Boethius    Vienna   Leipzig   Tempsky   Freytag    1906     48    Internet Archive    The following text is encoded in accordance with EpiDoc standards and with the CTS/CITE Architecture.   Latin     p. 46     Secundus hic arreptae expositionis labor nostrae seriem translationis expediet, in qua quidem uereor ne subierim fidi interpretis culpam, cum uerhum uerbo expressum comparatum- que reddiderim, cuius incepti ratio est quod in his scriptis in quibus rerum cognitio quaeritur, non luculentae orationis  lepos, sed incorrupta ueritas exprimenda est. quocirca mul- tum profecisse uideor, si philosophiae libris Latina oratione compositis per integerrimae translationis sinceritatem nihil in Graecorum litteris amplius desideretur, et quoniam humanis animis excellentissimum bonum philosophiae comparatum est,  ANICII. MALLII. SEVERINI. BOECII. IN YSAGOGAS PORPHIRII. A SE TRANSLATA EDITIONIS SECVNDĘ LIBER PRIMVS INCIPIT-  P; BOETII EXPOSITIO SCDA IN YSAGOG. E; BOETII COMMENTA IN ISAGOGAS  G; INCIP COMENTV BOETII, in isagogis porphirii; Expos Scda  L;  COMENTV BOECII IN ISAGOGAS  R;   inscriptione carent CFHNS (nisi quod in FH recens quaedam est), item e codd. Isagogen tantum a Boethio translatam continentibus   ΛΣ ; ISAGOGAE PORPHYRII TRANSLATAE DE GRECO IN LATINVM A VICTORINO ORATORE  (sic)   ΓΦ ; INCIP LIBER YSAGOGARVM (HΥS-  \ ) POR- PHYRII (I  pro  Y  Π )  AII ,- Icipidt isagoge porphyrii  (m. poster.)   Ψ;   de titulo operis cf. Prolegomena   6 fidi—reddiderim] cf. Horat. Ars poet. 133. 11—13] cf. Cic. Acad. post. I 3,12.   6 fędi  C  foedi  Hm1N  infidi  FGm1  7 uerbo] e uerbo  N  8 incoepti  CEGHPRS  10 corrupta  Em1Sm1  incorruptae  Em2  (e  in mg. add. sed del .)  Lm1  11 uidebor  brm  13 graecis  Lm2   ut uia et filo quodam procedat oratio, ex animae ipsius effi- cientiis ordiendum est. triplex omnino animae uis in uegetandis corporibus deprehenditur, quarum una quidem uitam corpori subministrat, ut nascendo crescat alendoque subsistat, alia uero sentiendi iudicium praebet, tertia ui mentis et ratione  subnixa est. quarum quidem primae id officium est, ut creandis, nutriendis alendisque corporibus praesto sit, nullum uero rati- onis praestet sensusue iudicium. haec autem est herbarum atque arborum et quicquid terrae radicitus adfixum tenetur, secunda uero composita atque coniuncta est ac primam sibi  sumens et in partem constituens uarium de rebus capere potest ac multiforme iudicium. omne enim animal quod sensu uiget, idem et nascitur et nutritur et alitur, sensus uero diuersi sunt et usque ad quinarium numerum crescunt, itaque quicquid tantum alitur, non etiam sentit, quicquid uero sentire  potest, ei prima quoque animae uis, nascendi scilicet atque nutriendi, probatur esse subiecta. quibus uero sensus adest, non tantum eas rerum capiunt formas quibus sensibili corpore feriuntur praesente, sed abscedente quoque sensu sensibili- busque sepositis cognitarum sensu formarum imagines tenent  memoriamque conficiunt, et prout quodque animal ualet, lon- gius breuiusque custodit, sed eas imaginationes confusas atque ineuidentes sumunt, ut nihil ex earum coniunctione ac compo-  1 uia et filo quodam]  CEm2H  (uia  fort. ras. ex  uiae), uiae et filo quodam  N  uiae  (s. l. R)  ex filo quodam  EmIGPR edd . uiae ( ex  uia  S ) ex quodam filo  LS  uiae ( s. l . filo  m1 ) quodam  F  ratio  CEmIGLRS  ex] ab  Hm1NP  efficienti  Em1 efficientis  Fa. c . 3 post uitam  add . solum  CFHP  solam  N  corporis  GNRL a.r.Sa.r . 5 rationis  FGRS  6 procreandis  CHNP  7 nutriendisque ( om . alendis)  EL  sit  s. l. Gm2Nm2  9 terra  CN  10 ac] ad  FSm1  at  LSm2  et  G  11 rebus] quibus  GRS  de rebus de quibus  L  12 poterit  E post iudicium  add . capit  E (sed del.) L, s. l. m2 in HRS  13 et nutritur om.  CHP, s. l . nutritur  (om. et) Lm2  14 ita  CHR  16 poterit  E  quoque prima  FGm2H  19 praesente ante feriuntur  FHN praesentes  CHm1N  abscedente]  Em2FGHmINESa.r . absente  CEm1Hm2LPSp.r . 20 re- positis  GR  22 imagines  FHN  23  ante  sumunt add. sic  brm   sitione efficere possint, atque idcirco meminisse quidem possunt, nec aeque omnia, admissa uero obliuione memoriam recolli- gere ac reuocare non possunt, futuri uero his nulla cognitio est. sed uis animae tertia, quae secum priores alendi ac sen-  tiendi trahit hisque uelut famulis atque oboedientibus utitur, eadem tota in ratione constituta est eaque uel in rerum prae- sentium firmissima conceptione uel in absentium intellegentia uel in ignotarum inquisitione uersatur. haec tantum humano generi praesto est, quae non solum sensus iraaginationesque  perfectas et non inconditas capit, sed etiam pleno actu intel- legentiae quod imaginatio suggessit, explicat atque confirmat, itaque, ut dictum est, huic diuinae naturae non ea tantum cognitione sufficiunt quae subiecta sensibus comprehendit, uerum etiam et insensibilibus imaginatione concepta et absen-  tibus rebus nomina indere potest et quod intellegentiae ratione comprehendit, uocabulorura quoque positionibus aperit, illud quoque ei naturae proprium est, ut per ea quae sibi nota sunt ignota uestiget et non solum unum quodque an sit, sed quid sit etiam et quale sit nec non cur sit, optet agnoscere, quam  triplicis animae uim sola, ut dictum est, hominum natura sor- tita est. cuius animae uis intellegentiae motibus non caret, quia in his quattuor propriae uim rationis exercet, aut enim aliquid an sit inquirit aut si esse constiterit, quid sit addubitat, quodsi etiam utriusque scientiam ratione possidet, quale sit  2 admissa]  CR  amissa  EFGm1NP  amissam  Gm2LS, ras. et s. l. ex  admissam  H  memoriam  om. FGR, s. l. Sm2 , memoria  H  3 hiis  F ,  sic saepe  cogitatio  CNm2  4 animae uis  CEL  5 ante trahit  add . uires  brm  6 ea  CHm1N  est  ante constituta  CEGS , om. R 7 con- tentione  EGm1Sm1  contemplatione  R, m2 in GLS  8 in  s. l. Gm1PmS ,  del. Lm2  ignotorum  Hm1N  9 imaginationes  EN  11 conformat  Gm2Pm2  13 cognitione] in cognitione  FHNP  14 et] ex  Em1HN  sensibilibus  CEm1Hp. c. Nm2  sensibus  Ha. c. Nm1   ante  imaginatione  add . sibi  E (del. m2) NPSm2  imaginatione] in agnitione  Gm1Sm1  agnitione  Gm2R  post concepta add. nomina  Hm1, idem post  rebus  s. l. m2  17 sint  E  19 optat  LR  22 quia] qua  Gm1  atque  EHm1Pm1  24 scientiam  post  ratione  E  sententiam  Hm1  pos- sedit  FRS   unum quodque uestigat atque in eo cetera accidentium momenta perquirit, quibus cognitis cur ita sit quaeritur et ratione nihilo minus uestigatur.   Cum igitur hic actus sit humani animi, ut semper aut in <rerum> praesentium comprehensione aut in absentium intel-  p. 47  legentia aut in ignotarum inquisitione | atque inuentione uer- setur, duo sunt in quibus omnem operam uis animae ratio- cinantis inpendit, unum quidem, ut rerum naturas certa inqui- sitionis ratione cognoscat, alterum uero, ut ad scientiam prius ueniat quod post grauitas moralis exerceat, quibus inquirendis  permulta esse necesse est, quae uestigantem animum a recti itinere non minimum progressione deducant, ut in multis euenit Epicuro, qui atomis mundum consistere putat et honestum uoluptate metitur, hoc autem idcirco huic atque aliis accidisse manifestum est, quoniam per imperitiam disputandi quicquid  ratiocinatione comprehenderant, hoc in res quoque ipsas euenire arbitrabantur, hic uero magnus est error; neque enim sese ut in numeris, ita etiam in ratiocinationibus habet, in numeris enim quicquid in digitis recte computantis euenerit, id sine dubio in res quoque ipsas necesse est euenire, ut si ex calculo  centum esse contigerit, centum quoque res illi numero sub- iectas esse necesse est. hoc uero non aeque in disputatione seruatur; neque enim quicquid sermonum decursus inuenerit,  4 aut  om. CNR, s. l. Gm2Sm2  5 rerum  add. edd. post  praesentium,  ante Brandt; cf. p. 137, 6  6 ignotorum  Gm2Hm1Lm2N ante  in- uentione  s. l. in Hm2  8 inpendat  FPSa.c . naturam  FHm1N  certa inquisitionis]  Gm2H  certae inquisitionis  FNP  inquisitionis certa CELm2 , om. certa  Gm1Lm1RS (fort. recte)  10 quod] eius quod r exer- cet  Hm1  12 minimum ante non  E  minime  FSm1  diducant  FGm2  13 atbomis  plerique codd . consistere in  mg. Hm2 constare  CFP, post er . ł consistere  C  honestam  Em1P  honestatem  F  14 uoluptate om.  F uoluptatera  CEHm2  (te* m1)  LNR, add . corporis  L (del. m2) R, s. l. Gm2, ante  uol.  edd . mentitur  CEGHPRSm1  hoc] haec  H  16 racione  CN  comprehenderent  m1   in EHN  17 nero] ergo  H  maximus  E  error est  CFHNP post  sese  add .  res FR ,  s. l. Pm2  19 digitos  CEFN   id natura quoque fixura tenetur, quare necesse erat eos falli qui abiecta scientia disputandi de rerum natura perquirerent, nisi enim prius ad scientiam uenerit quae ratiocinatio ueram teneat disputandi semitam, quae ueri similem, et agnoscere quae  fida, quae possit esse suspecta, rerum incorrupta ueritas ex ratiocinatione non potest inueniri. cum igitur ueteres saepe multis lapsi erroribus falsa quaedam et sibimet contraria in disputatione colligerent atque id fieri inpossibile uideretur, ut de eadem re contraria conclusione facta utraque essent uera quae  sibi dissentiens ratiocinatio conclusisset, cuique ratiocinationi credi oporteret, esset ambiguum, uisum est prius disputationis ipsius ueram atque integram considerare naturam, qua cognita tum illud quoque quod per disputationem inueniretur, an uere comprehensum esset, posset intellegi, hinc igitur profecta est  logicae peritia disciplinae, quae disputandi modos atque ipsas ratiocinationes internoscendi uias parat, ut quae ratiocinatio nunc quidem falsa, nunc autem uera sit, quae uero semper falsa, quae numquam falsa, possit agnosci, huius autem uis duplex esse perpenditur, una quidem in inueniendo, altera in  iudicando. quod Marcus etiam Tullius in eo libro cui Topica titulus est, euidenter expressit dicens; Cum omnis ratio diligens disserendi duas habeat partes, unam inue- niendi, alteram iudicandi, utriusque princeps, ut mihi quidem uidetur, Aristoteles fuit. Stoici  20 Tullius] Top. 2, 6 s.   1  ante  natura  add . in  HLSpr, s. l. Pm2  3 post nisi  add . quis  r  prius enim  E  4 disputandi  om. GRS ad ueri  similem  s. l . ał que ueri se similem agnouerit  Hm2  et agnoscere]  FSm1  ( om . et) et agnouerit  EGLPRSm2 ( om . et) edd. ut ex hoc delectia rationum que- amus agnoscere  Hm1, s. l . ał et agnouerint quae fida et reliqua  m2  ut ex diligentia rationum queamus ( ex  quaeramus  C ) agnoscere  CN  7 et sibimet] sibimet  C  sibi et  EGRS  9  post re s. l . si  Cm1?  10 cuique)  CHm1N  cuiue  cett . 13 tunc  FHNPm1R post  an  add . id R,  s. l. Gm2Lm2, 2 litt. er. C  15 ipsis ratiotinationibus  Hm2  16 ante internoscendi add. et  brm  uiam  CFHN  19 inneniendi et iudicandi ( om . in)  Hm2  24 quidem uidetur]  FHNPCic . uidetur quidem GRS quidem  om. CEL   autem in altera elaborauerunt; iudicandi enim uias diligenter persecuti sunt ea scientia quam  διαλεκτικήν appellant, inueniendi artem, quae  τοπική  dicitur quaeque ad usum potior erat et ordine naturae certe prior, totam reliquerunt, nos autem  quoniam in utraque summa utilitas est et utram- que, si erit otium, persequi cogitamus, ab ea quae prima est, ordiemur, cum igitur tantus huius considera- tionis fructus sit, danda est huic tam sollertissimae disci- plinae tota mentis intentio, ut primis firmati in disputandi  ueritate uestigiis facile ad rerum ipsarum certam comprehen- sionem uenire possimus.   Et quoniam qui sit ortus logicae disciplinae praediximus, reliquum uidetur adiungere, an omnino pars quaedam sit philosophiae an ut quibusdam placet, supellex atque instru-  mentum, per quod philosophia cognitionem rerum naturamque deprehendat, cuius quidem rei has e contrario uideo esse sen- tentias. hi enim qui partem philosophiae putant logicam con- siderationem, his fere argumentis utuntur, dicentes philoso- phiam indubitanter habere partes speculatiuam atque actiuam.  de hac tertia rationali quaeritur an sit in parte ponenda, sed eam quoque partem esse philosophiae non potest dubitari, nam sicut de naturalibus ceterisque sub speculatiua positis solius philosophiae uestigatio est itemque de moralibus ac  2 uias]  ENPCic.p, om. cett. codd ., uiam  brm  ea scientia]  Pm1Cic . eam scientiam  EPm2  edd. eam scilicet scientiam  CN  artem et scientiam FSm2  scientiam  GHLRSm1  3  διαλεκτικήν ] Cic. dialecticen  CFGHL- NPm2RS  dialecticam  E dialectica  Pm1   τοπική ]  Cic . topice  Gm2LNS  topica  CEFGm1HPR  4 quaeque] quae et  Cic . 5 prior] prior est  GLa.c.RS  6 in—est et]  CN Cic., s. l. Pm2, om. cett. codd., Boethius etiam in comment. in Cic. Top. lib. I p. 1047 D haec uerba respicit  8 prima] prior  Cic . ordiemur]  EHm1NCic . ordiamur  CGHm2LPRS  ordinamus  F  13 quid  FHm1NPp.c . quod  a.c . 14  ante reliquum  add . esse  GHP  pars sit quaedam  GN  quaedam pars sit  L  18 hii  EHL  20  ante  habere  add . duas  L m 1860  21  post  rationali  add . uel orationali  EFGH (del. m2) RS (del. mS)  id est logica  L  ( s. l. m2) edd. ad  an  s. l . si  Cm2  24 inuestigatio  L   reliquis quae sub actiuam partem cadunt, sola philosophia perpendit, ita quoque de hac parte tractatus, id est de his quae logicae subiecta sunt, sola philosophia iudicat. quodsi speculatiua atque actiua idcirco philosophiae partes sunt, quia  de his philosophia sola pertractat, propter eandem causam erit logica philosophiae pars, quoniam philosophiae soli haec dis- putandi materia subiecta est. iam uero inquiunt : cum in his tribus philosophia uersetur cumque actiuam et speculatiuam consideratio|nem subiecta discernant, quod illa de rerum naturis,  p. 48   haec de moribus quaerit, non dubium est quin logica disci- plina a naturali atque morali suae materiae proprietate di- stincta sit. est enim logicae tractatus de propositionibus atque syllogismis et ceteris huiusmodi, quod neque ea quae non de oratione, sed de rebus speculatur neque actiua pars, quae de  moribus inuigilat, aeque praestare potest, quodsi in his tribus, id est speculatiua, actiua atque rationali, philosophia consistit, quae proprio triplicique a se fine disiuncta sunt, cum specula- tiua et actiua philosophia partes esse dicuntur, non dubium est quin rationalis quoque philosophia pars esse conuincatur.  qui uero non partem, sed philosophiae instrumentum putant, haec fere afferant argumenta, non esse inquiunt similem logicae finem speculatiuae atque actiuae partis extremo, utraque enim illarum ad suum proprium terminum spectat, ut speculatiua  2 tractat  Ep.r.FR, m2 in GLP  3 diiudicat  CHm2  5 sola philo- sophia  CFN  pertractet  Em1  tractat  Hm1  7 iam] tam  R  ita  FL  9 sublectas discernat  Em2  10 dubium non est  CEL  non est dubium  F  11 a  om. LS, s. l. Gm2Pm2, postea add. R  disiuncta (iunc  in ras. m1? )  R  12 est enim] etenim  GLRS post  tractatus add. est  LR, s. l. Pm2  14 orationibus  E ratione  Lm1, add . est  L  17 sint  Rm1, ex  sit  Sm2  cumque  H  (q.  er .)  Lm2N  18 et] atque  EFNP philosophiae  pbr  dicantur  Lm2N  non est dubium  EFHNP  21 haec—argumenta  del. G  asserunt ( ss in ras. m1? )  C  similem  om. GR, post  finem  s. l. Sm2, ad  similem  s. l.  ł proprium  Pm2  22  ante  speculatiuae  add . sed  R, s. l. Gm2Lm2  extremum E (u  ex a uel  o  m2 )  GL  (um  ex am m2 )  Pm2RSm1  23 proprium suum  C  ut] ita ut  brm   quidem rerum cognitionem, actiua uero mores atque instituta perficiat, neque altera refertur ad alteram, logicae uero finis esse non potest absolutus, sed quodammodo cum reliquis duabus partibus colligatus atque constrictus est. quid enim est in logica disciplina quod suo merito debeat optari, nisi  quod propter inuestigationem rerum huius effectio artis inuenta est? scire enim quemadmodum argumentatio concludatur uel quae uera sit, quae ueri similis, ad hoc scilicet tendit, ut uel ad rerum cognitionem referatur haec scientia rationum uel ad inuenienda ea quae in exercitium moralitatis adducta beatitu-  dinem pariunt. atque ideo quoniam speculatiuae atque actiuae suus certusque finis est, logicae autem ad duas reliquas partes refertur extremum, manifestum est non eam esse philosophiae partem, sed potius instrumentum, sunt uero plura quae ex alterutra parte dicantur, quorum nos ea quae dicta sunt  strictim notasse sufficiat. Hanc litem uero tali ratione dis- cernimus. nihil quippe dicimus impedire, ut eadem logica partis uice simul instrumentique fungatur officio, quoniam enim ipsa suum retinet finem isque finis a sola philosophia, consideratur, pars philosophiae esse ponenda est, quoniam uero finis ille  logicae quem sola speculatur philosophia, ad alias eius partes suam operam pollicetur, instrumentum esse philosophiae non negamus; est autem finis logicae inuentio iudiciumque rati- onum. quod scilicet non esse mirum uidebitur, quod eadem pars, eadem quoddam ponitur instrumentum, si ad partes  corporis animum reducamus, quibus et fit aliquid, ut his quasi quibusdam instrumentis utamur, et in toto tamen corpore par- tium obtinent locum, manus enim ad tractandum, oculi ad  1 rerum]  Em2H(in mg. m1?) Lm2 edd., post  cognitionem  add . rerum  s. l. Pm2Sm2, add . naturalium rerum  F, s. l. Gm2, om. cett . 2ad alteram] de altera  Em2 3 non potest esse  FGN  4 est  om. C  5 aptari  FGm1Hm1Pm2R  6 affectio  EFHLm2Pm1Bm1  8 intendit  F  9 rationum scientia  CLP  10 mortalitatis  bm  11 parant  Ea.c . pariant  Hm1  15 alterutra] utraque  EP, add. post  alterutra  H, del. m2 ante  dicta  add . supra  EP, s. l. Lm2  18 enim] nero  CFHN  21 ei  F  24 uidetur  Em1FGm2LNPm2  28 optineant  Fp.c.S   uidendum, ceteraeque corporis partes proprium quoddam uidentur habere officium, quod tamen si ad totius utilitatem corporis referatur, instrumenta quaedam corporis esse deprehenduntur quae etiam partes esse nullus abnuerit, ita quoque logica  disciplina pars quidem philosophiae est, quoniam eius philo- sophia sola magistra est, supellex uero, quod per eam inqui- sita philosophiae ueritas uestigatur.   Sed quoniam, quantum mihi quoque breuitas succincta largita est, ortum logicae et quid ipsa logica esset explicui,  nunc de eo nobis libro pauca dicenda sunt quem in praesens sumpsimus exponendum, titulo enim proponit Porphyrius intro- ductionem se in Aristotelis Praedicamenta conscribere, quid uero ualeat haec introductio uel ad quid lectoris animum praeparet, breuiter explicabo. Aristoteles enim librum qui De  decem praedicamentis inscribitur hac intentione composuit, ut infinitas rerum diuersitates quae sub scientiam cadere non possent, paucitate generum comprehenderet, atque ita quod per incomprehensibilem multitudinem sub disciplinam uenire non poterat, per generum, ut dictum est, paucitatem animo  fieret scientiaeque subiectum. decem igitur genera rerum esse omnium considerauit, id est unam substantiam et accidentia nouem, quae sunt qualitas, quantitas, relatio, ubi, quando, facere et pati, situs, habere, quae quoniam genera essent su- prema et quibus nullum aliud superponi genus posset, omnem  necesse est multitudinem rerum horum decem generum spe-  1 quoddam] quod  Em1  (aliquod  m2 )  G  2 utilitatem  post  corporis EG, ante  totius  L  4 quas  FSm2  5 quidem post philosophiae  H  quaedam  L  6 uero] uero est  L  8 quoque  om. L  quidem  edd . ueritas  Cm1N  succincta]  CNPSm2  sua mora  EFGHR  sua mota  Sm1  succincta suam moram  L  9 ortum  om . L et de ortu CNF quod  CF  est  G  explicaui  CELm2PRS  11 titulum  CHm1N  13 lectoris  s. l. Gm2, post  animum  CN, post  praeparet  H. om. E  14 paret  EFGNRS  15 scribitur  EGRSm1  17 ita quod  s. l. Gm2  (itaque m1)  Rm2  quod ( om . ita)  s. l. Sm2  20 decem] in decem  C  23 et  om. FLNP  situm habere  CRa.c . situm esse habere  Gm1S  24 genus superponi  H  possit  Ea.c.FGm1NPRS  25 ante horum add. per  s, l. Pm2, ante  species  CFLR. s. l. Gm2Sm2   cies inueniri. quae quidem genera a se omnibus differentiis distributa sunt nec quicquam uidentur habere commune nisi  p 49  tantum nomen, quoniam omnia | esse praedicantur. quippe sub- stantia est, qualitas est, quantitas est, et de aliis omnibus ‘est’ uerbum communiter praedicatur, sed non est eorum  communis una substantia uel natura, sed tantum nomen. itaque decem genera ab Aristotele reperta omnibus a se differentiis distributa sunt. sed quae aliquibus differentiis disiunguntur, necesse est ut habeant proprium quiddam quod ea in singu- larem solitariamque uindicet formam. non est autem idem  proprium quod accidens. accidentia enim et uenire et abesse possunt, propria ita sunt insita, ut absque his quorum sunt propria, esse non possint. quae cum ita sint cumque Aristo- teles decem rerum genera repperisset, quae uel intellegendo mens caperet uel loquendo disputator efferret - quicquid  enim intellectu capimus, id ad alterum sermone uulgamus —, euenit ut ad horum decem praedicamentorum intellegentiam quinque harum rerum tractatus incurreret, scilicet generis, speciei, differentiae, proprii, accidentis. generis quidem, quoniam oportet ante praediscere quid sit genus, ut decem illa quae  Aristoteles ceteris anteposuit rebus, genera esse possimus agnoscere, speciei uero cognitio plurimum ualet, ut quae cuiusque generis sit species, possit agnosci. si enim quid sit species intellegimus, nihil impediti errore turbamur. fieri enim potest, ut per speciei inscientiam saepe quantitatis species in  relatione ponamus et cuiuslibet primi generis species alteri cui-  4 omnibus aliis  FHLN  9 quoddam  S  10 uendicet  HLP  uindicent  ( ent  in ras.) S  constituat CN 11 euenire  FGm2R  (om. et) abire  NP  12 propria ita] propria enim ita  H  proprietates  EGm1S propria uero ita  edd . insitae  EGm1S  14 uel  om. FP  16 cupimus  E  alterutrum  FPm2S  19  ante accidentis  add . atque  FHNP  et  L  21 inter- posuit  m1 in EGS  superposuit  Em2NP  praeposuit  FGm2  possemus  FN  22 cognitio  post  ualet  LP  24 impedito  (uel  in- ) Ca.c.EGm1HNS  impedit  R  turbari  CS  25 inscitiam  F  26 cuilibet] cuiuslibet  Gm1N,a.r. in EFS   libet generi subdamus atque ita fiat permixta rerum atque indiscreta confusio; quod ne accidat, quae sit natura speciei ante noscendum est. nec uero in hoc tantum prodest speciei cognoscenda natura, ne priorum generum species inuicem per-  mutemus, uerum etiam ut in eodem quolibet genere proximas species generi nouerimus eligere, ut ne substantiae mox animal dicamus esse speciem potius quam corpus aut corporis homi- nem potius quam animatum corpus, at uero differentiarum scientia in his maximum retinet locum, qui enim omnino  qualitatem a substantia uel cetera a se genera distare cogno- scimus, nisi eorum differentias uiderimus? quomodo autem discernere eorum differentias possumus, si quid ipsa sit diffe- rentia nesciamus? nec hunc solum nobis inscientia differentiae offundit errorem, uerum etiam specierum quoque tollit omne  iudicium. nam omnes species differentiae informant, ignorata differentia species quoque necesse est ignorari, quomodo uero fieri potest, ut quamlibet differentiam possimus agnoscere, si omnino quae sit nominis huius significatio nesciamus? iam nero proprii tantus usus est, ut Aristoteles quoque singulorum  praedicamentorum propria perquisiuerit. quae propria esse quis deprehenderit, antequam quid omnino sit proprium discat? nec in his tantum propriis haec cognitio ualet quae singulis nomi- nibus efferuntur, ut hominis risibile, uerum etiam in his quae in locum definitionis adhibentur, omnia enim propria rem subrectam  quodam termino descriptionis includunt, quod suo quoque loco  25 suo loco] lib. IV c. 15 s.   1 generis  Gm1REa.r.Sa.r . fiet  CH  fit  N  permixtio  FHm2LNP  4 primorum  FNP  5 in om.  CERS, s. l. Gm2  6  ante  generi  add . cuilibet  brm  7 aut—corpus om.  E, s. l. Gm2Sm2  8 corpus  om. FP ,  del. Hm2  9 qui] quomodo  Ep.c.HPp.c.R  11 nouerimus  R  quo- modo—ignorari  (16) in inf. mg. Em2  autem] nero  E(m2)  14 offundit]  E (m2) Pm1  obfundit  Hm2  diffundit  Gm1  effundit  cett.; cf. p. 159,16  15 informant differentiae  brm  16 quomodo] qui  FNP  uero om.  G  18 huius nominis  FNP  20 perquisierit  R  quis esse  FR  21 deprehen- derit in  ras. E  deprehenderet  Np.c . deprehendet ( ex  -it)  P  22 proprii  Gm2N post  singulis  add . tantum  FHLNP  24 subiecto  EGm1RS   oportunius commemorabo, accidentis quoque cognitio quantum afferat, quis dubitare queat, cum uideat inter decem praedica- menta nouem accidentis naturas? quae quomodo accidentia esse putabimus, si omnino quid sit accidens ignoremus, cum praesertim nec differentiarum nec proprii scientia nota sit, nisi  accidentis naturam firmissima consideratione teneamus? fieri enim potest, ut differentiae loco uel proprii per inscientiam accidens apponatur, quod esse uitiosissimum etiam definitiones probant, quae cum ipsae ex differentiis constent et fiant unius cuiusque definitiones propriae, accidens tamen non uidentur  admittere. Cum igitur Aristoteles rerum genera collegisset, quae nimirum diuersas sub se species continerent, quae species nuraquam diuersae forent, nisi differentiis segregarentur, cum- que omnia in substantiam atque accidens, accidens uero in alia nouem praedicamenta soluisset cumque aliquorum praedi-  camentorum fere sit propria persecutus, de his ipsis quidem praedicamentis docuit, quid uero esset genus, quid species, quid differentia, quid illud accidens, de quo nunc dicendum est, uel quid proprium, uelut nota praeteriit, ne igitur ad Praedicamenta Aristotelis uenientes, quid significaret unum  p. 50  quodque eorum quae superius dicta sunt ignora|rent, hunc librum Porphyrius de earum quinque rerum cognitione per- scripsit, quo perspecto et considerato quid unum quodque eorum quae supra praeposuit designaret, facilior intellectus ea quae ab Aristotele proponerentur addisceret.   Haec quidem intentio est huius libri, quem Porphyrius ad introductionem Praedicamentorum se conscripsisse ipsa, ut  1 opportunius  NR post  accidentis  add . teneri  L ,  post  naturas  (3) tenere  HN  3 quonam modo  FHLNP  5 tota  EN, m1 in GPS  6 te- nemus  C  7 insciciarn  FN  11  ante  rerum  add . decem  cod. Monac. 4621 brm, recte?  15 nouem om.  S edd., s. l. Em2Gm2  16 fere  om. EFGS, er. H  18 nunc  om. GRS  est dicendum  CL  21. 24 eo- rum  delendum esse coni. Engelhrecht  23 quo] ut  CHLNP  inspecto  FNP perfecto EGm1  24 eorum]  cod. Monac. 4621 ( om . quae),  om. codd. nostri  proposuit FP proposui  H  posuit  NR  25 ab  om. ENR praeponerentur  CHm2NR  27 ipse  L  ita  F   dictum est, tituli inscriptione signauit, sed licet ad hoc unum huius libri referatur intentio, non tamen simplex eius utilitas est, uerum multiplex et in maxima quaeque diffusa est. quam idem Porphyrius in principio huius libri commemorat dicens;    Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamentorum doctri- nam, nosse quid genus sit et quid differentia quid- que species et quid proprium et quid apcidens, et ad definitionum adsignationem et omnino ad ea  quae in diuisione uel demonstratione sunt, utili hac istarum rerum speculatione, compendiosam tibi traditionem faciens temptabo breuiter uelut introductionis modo ea quae ab antiquis dicta sunt adgredi altioribus quidem quaestionibus  abstinens, simpliciores uero mediocriter coniec- tan s.    Utilitas huius libri quadrifariam spargitur, namque ad illud etiam ad quod eius dirigitur intentio, magno legentibus usui  5—16] Porph. p. 1, 3—9 (Boeth. p. 25, 2—9 Busse).   2 eius utilitas est]  FGm2 (in mg. add.) HP  utilitas eius est  in mg. add. Em2  est eius utilitas  s. l. add. Lm2  eius est utilitas  N, om, RS;  est tamen simplex eius utilitas  C  3 uerum  in mg. Em2  sed  GLS  sed et  R  multiplex et  in mg. Em2, s. l. Sm2  est  er. uid. E  5  ante  Cura  add . PROLOGVS  RS, de inscript. codicum Isagogen tantum con- tinent. cf. ad initium libri  Chrysaori]  G chrisaori  EHNPa.c .  Γ  ( s. l . menanti)  Ώμ2ΣΦ  chrysaoni S chrisarori ( uel  cris-  uel  chriss-,1  CFLPp.c .  R lATl m1 *!  (-oui) ante et add. te  C (er.)   FLNA (del.)   Σ ,  s. l . scil, te  E  6  ante praedicamentorum  add . X  Δ  7 sit genus  L A  et  om .  Φ  quidue  N  8  pr .  et s. l. E, om .  A  9 diffinitionem  Em1 \ m2 ,  in  -nes,  hoc in  -num  mut. F  10 in] ad  FHP ,  ante  in  er . ad  uid. C diuisionem  Ca.r.FHNP T a.r . A a.r . Q  uel] et  N  et ad  FHP  uel in  ΔΣΦ  demonstrationem  Ca.r . (-ne  ras. ex  -ne  ut uid .)  FHNP F a.r. A a.r .(b  utili]  edd . utilia  codd . 11 hac]  HP ,  s. l. Sm2  hanc  CLNΤ ΛΙIΣΦ ,  del .  Δ ,  om .  EFGRS  speculationem  CEa.r.Hm2L A a.r .  ΑΦ ,  in  -num corr.  Σ compendiosa  ras. ex  -sa  C A  12 traditione ( uel  -cione)  CLΝ Φ ,  ras. ex  -nem  HT A  14 altioribus] ab altioribus  A  17 quadrifaria  S ante  ad  add . et  EGP ,  s. l. L  18 etiam  om . G   est et ad cetera, quae cum extra intentionem sint, non tamen minor ex his legentibus utilitas comparatur, est enim per hoc corpusculum et praedicamentorum facilis cognitio et defini- tionum integra adsignatio et diuisionum recta perspectio et demonstrationum ueracissima conclusio, quae res quanto diffi-  ciles atque arduae sunt, tanto perspicaciorem studiosioremque animum lectoris expectant. dicendum uero est quod in omni- bus libris euenit. nam primum si quae sit intentio cognoscatur, quanta quoque utilitas inde prouenire possit expenditur et licet extra multa, ut fit, huiusmodi librum sequantur, tamen  illam proxime utilitatem uidetur habere, ad quod eius refertur intentio, ipso libro quem sumpsimus exponente, cum eius intentio sit ad Praedicamenta intellectum facilem comparandi, non dubium quin haec eius principalis probetur utilitas, licet non minores sint comites definitio, diuisio ac demonstratio,  quorum nobis quaedam hic principia suggeruntur, sensus uero totus huiusmodi est : ‘cum sit, inquit, utilis generis, speciei, differentiae, proprii accidentisque cognitio ad Praedicamenta Aristotelis eiusque doctrinam, ad definitionum etiam adsigna- tionem, ad diuisionem et demonstrationem, quae sit harum  rerum utilis überrimaque cognitio, compendiosam, inquit, tra-  2 utilitas legentibus  FHP  3 opusculum  CEp.r.FGm2HLN, recte ? cf. p. 149, 3  4 integra  om. ER, s. l. Gm2Sm2  recta] perfecta  CFGm2- Hm1N  8  post  libris  add . his  HNP  hoc  R ,  s. l ,  sed exters. G  sit] est  H  9 id est  (add. Lm2)  perpenditur  Em2Lm2  10  ante huius- modi  add . in  CE (del.) G (del. m2) N  librum]  LPm2RSm2, om. Hm1 , libros  FGm1Sm1, s. l. Hm2 , libro  CE (del.) Gm2NPm1  sequntur ( uel  sec-)  R, m1 in EGS  11 uidentur  FH  ad quod] aliquod  Cm1  ad quam  FGm2Pm2  eius] eorum  FGm2HPm1  12  ante ipso  add . ut  (s. l. est Lm2)  in hoc  CFHLNP, s. l . ut in  Em2  hoc  Gm2  ex- ponendum  CE (dum  in er . te?)  FHLNP  ( ex  -dus  m1  exponere  m2 )  Sm1 post  cum  s. l . enim  Hm2  13 praeparandi  H 14  ante  dubium  add . est  FHNP ,  s. l. Gm2, post s. l. L  15 minoris  CGm1N  16 nobis  om. C  hic quaedam  C  principalia  NSm1  17 huiusmodi totus  EG  19 eamque  Hm1Sm1  20 ad  om. C, s. l. Gm2 , et  FHN  et ad  P  et] ac  H, om. CFNP , et ad  edd . demonstrationemque CN demonstrationum- que  FP  quae] quia  Lm2R, om. CFNP  21 traditione  ras. ex  -nē  H   ditionem faciens ea quae ab antiquis large ac diffuse dicta sunt, temptabo breuiter aperire’, neque enim esset compendiosa, nisi totum opus breuitate constringeret et quoniam intro- ductionem scribebat, ‘altiores, inquit, quaestiones sponte refn-  giam, simpliciores uero mediocriter coniectabo’, id est sim- pliciorum quaestionum obscuritates habita in eis quadam coniecturae ratiocinatione tractabo. Tota quidem sententia huiusce prooemii talis est, quae et utilitate überrima et facilitate incipientis animo blandiatur, sed dicendum uidetur  quidnam celet amplius altitudo sermonum, necessarium in Latino sermone, sicut in Graeco  άναγκαΐον , plura significat, diuersa enim significatione Marcus Tullius dicit necessarium suum esse aliquem atque nos, cum nobis necessarium esse dicimus ad forum descendere, qua in uoce quaedam utilitas  significatur. alia quoque significatio est qua dicimus solem necessarium esse moueri, id est necesse esse, et illa quidem prima significatio praetermittenda est, omnino enim ab eo necessario quod hic Porphyrius ponit aliena est. hae uero duae huiusmodi sunt, ut inter se certare uideantur quae huius loci  obtineat significationem, in quo dicit Porphyrius; Cum sit necessarium, Chrysaori; namque, ut dictum est, neces-  12 Marcus Tullius] cf. infra apparatum.   2 enim  om. E  3 corpus  HNPm1  4 refugio  EGR  5 simplicium  Gm2LPm2  6 eas  EFGm1HNSm1  7  ad  quidem  s. l.  autem  Gm2  8 prohemii  EPS  uberrima <sit>  Brandt  9 animum  EGLm2Pm2R  uidetur  om. ERS, s. l. Gm2  11 ΑΝΑ Γ ΑΙΟΝ  uel  ANAKAION  uel sim. codd . ANA IT CION ł ANAKAION  C  12 etenim F  ad  Marcus Tullius  in mg . Marcus enim tullius pro fundanio inquit descripsistine eius neces- sarium id est adiutorem danium ( leg . fundanium)  add. Hm2, ex Mario Victorino De defin., Boeth. p. 906 B, haustum, Cic. IV 3 p. 236 frg. 6 Mueller  13 aliquod  C  aliquid  Hm1NPm2  nos]  Hm1Pp.e.Sm1  nostrum  cett.; an nostrum est  scribendum ? ante cum  add . ut  EG (del. m2) HLm2P  uel  F  nos  Hm2  14 dicamus  L 16  post , esse] esset  F  est  Hm1LNP  18 uero  om .  N  ergo  F  21 Chrysaori]  CEm1  chrisaori  uel eris-  uel  crys-  uel  crisar-  uel sim. cett . necessarium] harum  E  ( s. l . duarum necessitatum  m2 )  Gm1S  necessarium harum  F   sarium et utilitatem significat et necessitatem, uidentur autem huic loco utraque congruere, nam et summe utile est ad ea  p. 51  quae superius dicta sunt, de genere et specie | et ceteris disputare, et summa est necessitas, quia nisi sint haec ante praecognita, illa ad quae ista praeparantur, non possunt cognosci, nam  neque praeter generis uel speciei cognitionem praedicamenta discuntur nec definitio genus relinquit et differentiam, et in ceteris quam sit utilis iste tractatus, cum de diuisione et demonstratione disputabitur, apparebit, sed quamquam necesse sit haec quinque de quibus hic disputandum est, prius ad  cognitionem uenire quam ea quibus illa praeparantur, non tamen ea significatione hic a Porphyrio positum est qua neces- sitatem significari uellet ac non potius utilitatem, ipsa enim oratio contextusque sermonum id clarissima intellegentiae ratione significat, neque enim quisquam ita utitur ratione, ut  aliquam necessitatem referri dicat ad aliud, necessitas enim per se est, utilitas uero semper ad id quod utile est refertur, ut hic quoque, ait enim Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamen- torum doctrinam, si igitur hoc necessarium utile intel-  legamus et id nomine ipso uertamus dicentes : cum sit utile. Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamen-  1 et  om. R, del. CGm2 significans  R ante  necessitatem  add . altera  R, s. l. Gm2  4 necessitas est  E  quia  om. NS  sint  post  haec  F, post  praecognita  H  5 agnosci  CN  post cognosci  add . quae  (om. E)  praedicamenta dicuntur  CEGL (in sup. mg. m2)  PR cognitiones  (del. et s. l . quae  add. m2) praedicamentarum (rum  del. m2 ) dicuntur  S  nam—discuntur  om. GRS, in sup. mg. Lm2  nam—cognitionem  in mg. Em1?, reliqua om . 7 nec] sed istis cognitis nec  C  sed nec  S  neque  N  10 sit] erit  Em2GLm1RS  13 significare  FN  15 utatur  Sm1  oratione  CHm1N  16 aliud] aliquid  CHm1N  17  post  se  add . quiddam  CFHPN, s. l. Em2Lm2 , quidem  edd . quod] ad quod  NP defertur  Gm1Lm1RS  18 enim  om . C Chrysaori]  eaedem fere quae   p. 147, set 149, 21 in codd. scripturae  19 et] te et  L  20  post   doctrinam add . nosse quid genus sit  C  nosse quid sit genus et cetera  in mg. Lm2  22 Chrysaori]  ut 18  et  om .  EFGS  te et  L  doctri- nam praedicamentorum  C   torum doctrinam, nosse quid genus sit et cetera, recte se habebit ordo sermonum; sin uero id ad ‘necesse’ permutetur atque dicamus : cum sit necesse, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamentorum doctrinam, nosse quid  genus sit et cetera, rectae intellegentiae sermonum ordo non conuenit. quocirca hic diutius immorandum non est. quamquam enim sit summa necessitas his ignoratis non posse ad ea ad quae hic tractatus intenditur perueniri, non tamen de necessi- tate hic dictum est necessarium, sed potius de utilitate.    Nunc uero, licet idem superius dictum sit, tamen breuiter  quid ad praedicamenta generis, speciei, differentiae, proprii atque accidentis prosit agnitio, disputemus. Aristoteles enim in Praedicamentis decem genera constituit rerum quae de cunctis aliis praedicarentur, ut quicquid ad significationem  uenire posset, id si integram significationem teneret, cuilibet eorum subiceretur generi de quibus Aristoteles tractat in eo libro qui De decem praedicamentis inscribitur, hoc ipsum uero referri ad aliquid uelut ad genus tale est, quale si quis spe- ciem supponat generi, hoc uero neque praeter cognitionem  speciei ullo modo fieri potest nec uero ipsae species quid sint uel cuius magis sint possunt perspici nisi earum differentiae cognoscantur, sed differentiarum natura incognita, quae unius  1 recte—sermonum] recte intellegentiae sermonum ordo conuenit  CLP   (ex 5)  2 uero] autem  C  3 atque] itaque  FN  ut  CLH (in ras.)  Chry- saori]  ut p .  150, 18  4 est] sit  GLRS  nosse—sit om.  EH  5 ordo  ante  sermonum  E  7  post  his  s. l.  quinque  Lm2   pr. (sic)  ad  om. G ,  in mg. Em1?  8 tractatus hic  H  intendit  L  peruenire  Lm1S  9  ante  hic  add . solummodo  F  10 nunc] nam  F  11 quod  EN  12 possit  Lm2  cognitio  R  15 possit  Fa.c.LS 16 Aristoteles  delend. esse coni. Brandt  eo  om. E  17 De  om. NS , de  s. l. Lm2  uero  s. l. Gm2 18  post , ad  om. GRS, s. l. Em2Lm2P  qui  S  19 neque  er .  L  nec  N   post  cognitionem  add. generis neque praeter cognitio- nem  CFHP   (in mg. m2)  generis nec  E   (s. l. m1?)N, s. l. generis et  Lm2  20 nullo  Lm2  neque  F  21 magis] modi  CEm2  (in aliis m1)  Hm1Pp.c. (corr. m1?)  modo  N  possint  S  possumus  Gm1Lm2  possemus  m1  possimus  E  perspici] scire  EGm1 (sciri  m2 )  L  agnosci  RS   cuiusque speciei sint differentiae, modis omnibus ignorabitur, quare sciendum est quoniam, si de generibus Aristoteles tractat in Praedicamentis, et generum natura cognoscenda est, cuius cognitionem speciei quoque comitatur agnitio, sed hoc cognito, quid sit differentia non potest ignorari, quamquam  in eodem libro plura sint ad quae nisi maximam peritiam et generis et speciei et differentiae lector attulerit, nullus omnino intellectus patebit, ut cum ipse Aristoteles dicit : diuersorum generum et non subalternatim positorum diuersae secundum species et differentiae sunt, quod his ignoratis  intellegi inpossibile est. sed idem Aristoteles proprium unius cuiusque praedicamenti diligentissima inquisitione uestigat, ut cum substantiae proprium post multa dicit esse quod idem numero contrariorum susceptibile sit, uel rursus quantitatis, quod in ea sola aequale atque inaequale  dicatur, qualitatis etiam, quod per eam simile et dis- simile aliud alii esse proponimus, et in ceteris eodem modo, ut quae sit proprietas contrarii, quae secundum relationem oppositionis, quae priuationis et habitus, quae affirmationis et  8—10] Aristot. Categ. c. 3, p. l b , 16 s. 13 s.] ibid. c. 5, p. 4 a , 10 s. 15 s. (dicatur)] ibid. c. 6, p. 6 a , 26 s. 16 s.] ibid. c. 8, p. 11 a , 15—19. 18 (quae sit)—153, 1 (negationis)] ibid. c. 10.   1 sit differentia  S  5 non potest  s. l. Gm2 quamquam] cum  F  6 et generis—differentiae post attulerit  E  8 pateat  EGLRS  dicit]  Brandt dicat  codd. edd.; cf. 13. p. 154, 14. 21. 153, 2. 6  10  post  secundum  add . se  EGL (del.) ES, er. uid. H  et om.  CN, del. Lm2, er. uid. H; cf. Aristot. Cat. c. 3   τών Ιτέρων γενών καί μή ΰπ’ αλληλα   τεταγμένων ετεροι τω εΤδεε κο· αϊ διαοοραί   et Boethii interpretat. In Categ. Arist. p. 177 A (om. se)  quid  GRS  11 possibile  EG  ( post  est  signum interrogat.) RS  propria  FHNP  14  ante  numero  s. l.  cum  E  15 aequum  Em1FGLm1RS; cf. p. 153, 17  atque] aut N 16 dicitur FHLm2P  et dissimile]  F  uel dissimile  s. l. Em2  aut dissimile  s. l .  Gm2Pm1? ,  om. cett.; cf. Aristot. Cat. c . 9 Τ ών μέν ouv είρημένων  — τό  ομοιον χα) άνο'μοιον  —  αοτήν   et Boethii interpretat, p. 259 A  (simile et dissimile,) 17 aliis  DGPm1RS ( s  in ras); cf. Aristot, ibid .  έτέρω ,  Boeth. ibid . alteri 18  post  relationem  add . contrarii  Em1, del. et s. l . ut sapientia stulticiae  m2   negationis, in quibus ita tractat tamquam iam peritis scienti- busque quae sit proprietatis natura; quam si quis ignorat, frustra ea quae de his disputantur adgreditur. iam uero illud manifestum est, quod accidens maximum praedicamentorum  obtineat locum, quod proprio nomine nouem praedicamenta circumdat.   Et ad praedicamenta quidem quanta sit huius libri utilitas ex his manifestum est. quod uero ait et ad definitionum adsignationem, facile cognosci potest, si prius substantiae  rationum diuisio fiat, substantiae ratio alia quidem in descrip- tione ponitur, alia uero in definitione, sed ea quae in descrip- tione est, pro|prietatem quandam colligit eius rei cuius sub-  p. 52  stantiae rationem prodit, ac non modo proprietate id quod monstrat informat, uerum etiam ipsa fit proprium, quod in  definitionem quoque uenire necesse est; si quis enim quan- titatis rationem reddere uelit, dicat licebit; quantitas est secundum quam aequale atque inaequale dicitur, sicut igitur proprietatem quidem quantitatis in ratione posuit quantitatis et ipsa tota ratio ipsius quantitatis propria est, ita descriptio et  proprietatem colligit et propria fit ipsa descriptio, definitio uero ipsa quidem propria non colligit, sed ipsa quoque fit propria, definitio namque substantiam monstrat, genus differen- tiis iungit et ea quae per se sunt communia atque multorum in unum redigens uni speciei quam definit reddit aequalia.  ita igitur ad descriptionem utilis est proprii cognitio, quoniam sola proprietas in descriptione colligitur et ipsa fit propria sicut definitio quoque, ad definitionem uero genus, quod primum  1 ita  om. RS, s. l. m2 in EGL  tamquam iam] quasi  C  5 optinet  FHm1LmSN  obtineat  ante  praedicamentorum  E  7 libri huius  CGLRS ;  cf. p. 155, 14. 17. 156, 8  utilitas]  brm  intentio  codd . 10  post  substantiae  add . uero  F, s. l . enim  Lm2  16  ante dicat  s. l . sc. ut  Lm2  20 proprietates  CFHNP  ipsa] ita  G  22 nam qui  Gm2Lm1  (namque qui  m2 )  S  26 proprietas sola  CLP  sola proprietas sola  FGm1S  27 ad sicut  s. l . ł sic  Em2  uero  s. l .  Hm2  quod  om .  F  quidem  R   ponitur, et species, ad quam genus illud aptatur, et differentiae, quibus iunctis cum genere species definitur, sed si cui haec pressiora quam expositionis modus postulat uidebuntur, eum hoc scire conuenit, nos, ut in prima editione dictum est, hanc expositionem nostro reseruasse iudicio, ut ad intellegentiam  simplicem huius libri editio prima sufficiat, ad interiorem uero speculationem confirmatis paene iam scientia nec in singulis uocabulis rerum haerentibus haec posterior colloquatur.   Ad diuisionem uero faciendam tam hic liber est utilis, ut praeter earum scientiam rerum de quibus in hac libri serie  disputatur, casu fiat potius quam ratione partitio, hoc autem manifestum erit, si diuisionem ipsam diuidamus, id est si nomen ipsum diuisionis in ea quae significat partiamur, est namque diuisio generis in species, ut cum dicimus ‘coloris aliud est album, aliud nigrum, aliud uero medium’, rursus diuisio est,  quotiens uox plura significans aperitur et quam multa sint quae ab ea significantur ostenditur, ut si quis dicat ‘nomen canis plura significat, et hunc, latrabilem quadrupedem que et caeleste sidus et marinam bestiam’, quae omnia a se definitione disiuncta sunt, diuidi autem dicitur et quotiens totum in  partes proprias separatur, ut cum dicimus ‘domus aliud sunt fundamenta, aliud parietes, aliud tectum’, et haec quidem triplex diuisio secundum se partitio nuncupatur, est autem  4] in prima editione nihil eiusmodi. 1  post  ponitur  add . utile est  CN, post  species  s. l . utilis est  Lm2  et species—aptatur  in mg. Em2Gm2  illud genus  C  3 eum  om. E ,  s. l. Gm2 , ei  R  4 uti  FGLRSm1  5 reseruasse]  CPm2 edd . reser- uare  E ( -re  in ras .)  FGm2HNPm1 (ante  reseruare  add .  se m1, del. m2)  reseruantes  Gm1S  seruantes  Lm1  seruare  m2  reseruantes sumus  R  8 colloquatur]  m1 in GLS  eloquatur  CEm2 (in ras.) HN  collocatur  Em1R ,  m2 in GLS edd . loquatur  FP  9 utilis est  LP  10 rerum  om. E  12  post . si  om. EG, s. l. Sm2  13  ante  partiamur  s. l . si  E  partia- tur  Gm1  14 aliud est]  CEp.c.R edd . aliud esse  Ea.c.GHLPS  esse aliud  FN  15 rursum  CEGNPm1R  est  s. l. Sm2 , ante diuisio  FHNP ,  et ante  rursus  et post  diuisio  R  16 quam] quod  EG a.c . (quae  p.c .)  LRS  sunt  CFLNPa.c . 18 quadripedemque  Sm1  20 distincta  FHm1NP  23 partitio] separatio  EGLm1Pm1RS   alia quae secundum accidens dicitur, ea quoque fit tripliciter, aut cum accidens in subiecta diuidimus, ut cum dico ‘bonorum alia sunt in animo, alia in corpore’, uel rursus cum subiectum in accidentia, ut ‘corporum alia sunt alba, alia nigra, alia  medii coloris’, rursus cum accidens in accidentia separamus, ut cum dicimus ‘liquentium alia sunt alba, alia nigra, alia medii coloris’, et rursus ‘alborum alia sunt dura, alia liquentia, quaedam mollia’, cum igitur ita omnis sit diuisio aut secundum se aut per accidens, utraque uero partitio tripliciter fiat cum-  que in superiore secundum se triplici partitione sit una diui- sionis forma genus in species separare, id neque praeter generum scientiam fieri ullo modo potest neque uero praeter differentiarum, quas necesse est in specierum diuisione sumi, manifestum est igitur, quanta utilitas huius libri ad hanc  diuisionem sit quae primo aditu genus ac species et differentias tractat, secunda uero ea diuisio quae est secundum se in uocis significantias, nec haec quidem ab huius libri utilitate discreta est. uno enim modo cognosci poterit, utrum uox cuius diui- sionem facere quaerimus, aequiuoca esse uideatur an genus,  si ea quae significat definiantur, et si ea quae sub communi nomine sunt, definitione clauduntur, species esse necesse est, et illud commune eorum genus, quodsi illa quae proposita  3 sunt alia  H  uel] aut  brm  rursum  FS  4 corporalium  Ca.c.Hm1N  5 rursum  F  6 liquentia  Ea.c.Gm1  8 fit  G  sit  ante omnis  F ,  post  diuisio N 9 accidentia  S  10 superiori  Sm2  11 sepa- rare  om. EN  12 possit  Em2 uero  om. C post   praeter s. l . scientiam  Sm2  16 ea  del. L, er. uid. P ante  quae  add . est  N   (om. post  quae]  P (er. uid.)  secundum—significantias]  FHN  uocis  post  significantias  C  se  et  in  om cett . 18 uno] nullo  F  quo  m2 in HLP  enim] quidem  N  20 si] nisi  FLm2Pm2  significant  CNPm2  et  (om.  si, ) in ros. Hm2  si et  RS  (et  s. l. m2 ) si  om. EL, s. l. Gm2Pm2 , etenim  L (ex et m2) Pm1  communi nomine]  CEm2 (in ras.) FHNP  (nomine  s. l. m2 ) communione cett. 21 sunt del. L, s. l.  Pm2 ante  definitione  add . una  FHL (del. m2) R, s. l. Em2Pm2  diffinitione  s. l. Gm2  claudantur  EGLRS  22 earum  ES post  genus  s. l . necesse est  Gm2  praeposita  EGPS   uox designat, non possunt una definitione concludi, nemo dubitat quin illa uox sit aequiuoca neque ita sit communis his de quibus praedicatur ut genus, quandoquidem ea quae sub se posita significat, secundum commune nomen non possunt una definitione comprehendi, si igitur ex definitione manifestum  fit quid genus sit, quid uero nomen aequiuocum, definitio uero per genera differentiasque discurrit, quisquamne dubitare potest aeque in hac diuisionis forma plurimum huius libri auctoritatem ualere? illa uero secundum se diuisio quae est totius in partes, quemadmodum discernitur ac non potius  p. 53  generis in species diuisio esse putabitur, nisi sint genus |et species et differentiae earumque uis ante disciplinae ratione tractata? cur enim non quisquam dicat domus species potius esse quam partes fundamenta, parietes et tectum? sed cum occurrit generis nomen in una quaque specie totum posse con-  gruere, totius uero in una quaque parte sua nomen conuenire non posse, manifestum fit aliam diuisionem esse generis in species, aliam totius in partes, conuenire autem nomen generis singulis speciebus ostenditur per id, quod et homo et equus singuli animalia nuncupantur, neque tectum uero neque parietes aut  fundamenta singillatim domus nomine appellari solent, sed  1 concludi  om ., nemo—comprehendi  (5)   in inf. mg. Gm1?  nemo—ita sit  in ras. Em2  2 uox—communis] uox non (non  er. L, om. S ) sit communis  Gm1 uel 2 Lm1Sm1, post  uox  add . sit aequiuoca neque (non,  sed del. G ) ita ( om. G  etiam  S )  s. l. Gm2 uel alia Sm2, in mg. Lm2  3  ante  his  add . de  E (er.) G (del. m2) ES his s. l. Lm2  4  post  posita  s. l. sunt Hm2  non possunt] definiri ( uel  diff-j (-ri  ex  -re  Cm2 ) non possunt ( add . neq.  Cm1, er. et  una  add. m2 ) nec  CFN  6 fit]  H  est  C  sit  cett . 8 aeque] etiam  CFHm1NPSm1  9 auctorem  GR  utilitatem  Lm2 10 discernetur  Hm2 (fort. recte)  discernatur  N  ac] et  FHNP  11 esse  om. R, ante  diuisio  FN  sit  FSm1  sunt  G  et] ac  R  12 earum quauis  ELR, m2 in GHPS , earum quis  Fm1  quamuis ( om . earum,)  m2 ;  cf. p. 157, 3  13 quisque  CFHR  esse potius  FNR  14 dum  F  15 quaque  om. FN  17 sit  ELRm1  (est  m2 )  S  19 id  om .  RS, s. l. Em2Gm2  singula  CEa.r. (ut uid.) GLPm1  singularis  Sa.c . singu- laque  R  20 aut] ac  FHLNP  neque  S  21 singulatim  CNR  appel- lari] nuncupari  FHLNP   cum fuerint iunctae partes, tunc recte totius nomen excipiunt, de ea uero diuisione quae secundum accidens fit, nullus ignorat quin incognito accidenti incognitaque ui generis ac differen- tiarum facile euenire possit, ut accidens ita in subiecta soluatur  quasi genus in species, et postremo omnem hunc ordinem partitionis foedissime permiscebit inscientia.   Et quoniam quid hic liber ad diuisionem prosit osten- dimus, nunc.de demonstratione dicemus, ne per ardua atque difficilia haereat qui in tanta hac disciplina uigilantissimo in-  genio et sollertissimo labore sudauerit. fit enim demonstratio, id est alicuius quaesitae rei certa rationis collectio, ex ante cognitis naturaliter, ex conuenientibus, ex primis, ex causa, ex neces- sariis, ex per se inhaerentibus, sed genera speciebus propriis priora naturaliter sunt; ex generibus enim species fluunt, item  species sub se positis uel speciebus uel indiuiduis priores naturaliter esse manifestum est. quae uero priora sunt, ea et praenoscuntur et notiora sunt sequentibus naturaliter, duobus enim modis primum aliquid et notum dicitur, secundum nos scilicet et secundum naturam, nobis enim illa magis cognita  sunt quae sunt proxima, ut indiuidua, dehinc species, postremo genera, at uero natura conuerso modo ea sunt magis cognita quae nobis minime proxima, atque ideo quamlibet se longius  1 tunc  er. C  accipiunt  F  3 incognita  m1 in GRS  accidente  CN  accidentia,  del . a  EGm2Rm2  accidenti—differentiarum  in mg .,  ante facile  add . ea accidentia,  sed del. E  incognitaque—differentia- rum  om. GR  cognitaque  (sic) ut generis ac differentiarum  Sm1, del. m2  4 soluamus  FHNP  5 postremum  HP  hunc  ante omnem  L, post  ordinem  R  6 inscitia  FHN  7 quid hic liber)  FGm1NP  quid liber hic  Em2HL hic quid liber  Gm2  liber quid hic  Em1R  liber hic quid S; quid ad diuisionem hic liber  C  8 ne—haereat] rem perarduam atque difficilem illi etiam  FN ; ne  et  - in  in difficil ** ia  et  hereat  in ras. C  9 hereat  s. l. Sm2  etiam  m1  tota  CFN  11 alicuius  om. CL  13 priora propriis  C  15  pr . uel  om. L, del. Pm2  19 enim] uero  N  21 natura]  Ea.c.GR  naturae  Ep.c.FHLPS  secundum naturam  CN; cf. Boeth .  Post. Analyt. Aristot. interpret. lib. I c. II p. 714 B  non enim idem est natura prius et ad nos prius neque notius natura et nobis notius. 22 quantumlibet  Em2  quantolibet  Pm2   a nobis genera protulerint, tanto magis erunt lucida et natura- liter nota, differentiae uero substantiales illae sunt quas per se inesse his rebus quae demonstrantur agnoscimus, praecedere autem debet generum ac differentiarum cognitio, ut in una quaque disciplina quae sint eius rei quae demonstratur con-  uenientia principia, possit intellegi, necessaria uero esse ea ipsa quae genera et differentias dicimus, nullus dubitat qui speciem sine genere et differentia intellegit essq non posse, genera uero et differentiae sunt causae specierum. idcirco enim species sunt, quia genera earum et differentiae sunt quae in  syllogismis posita demonstratiuis non rei solum, uerum con- clusionis etiam causae sunt, quod postremi Resolutorii locu- pletius dicent.    Cum igitur perutile sit et definitione quodlibet illud circum- scribere et diuisione dissoluere et demonstrationibus comprobare,  haec autem praeter earum rerum scientiam de quibus in hoc libro disputabitur, neque intellegi neque exerceri ualeant, quis umquam poterit dubitare quin hic liber maximum totius logicae adiumentum sit, praeter quem cetera quae in ea magnam uim tenent, nullum doctrinae aditum praebent?   Sed meminit Porphyrina introductionem aese conscribere neque ultra quam institutionis modus est, formam tractatus egreditur, ait enim ‘se altiorum quaestionum nodis abstinere,  1 protulerunt  FLR  praetulerint  N  2 substantiales] substantiae uel  E  3 inesse  post  rebus  C  esse,  del . in  E  4 in  om. C, s. l. Sm2  6 possint  Hm1P  7  ante  genera add. et  LP  8 intellegit  in mg .  Cm2, post  esse  in ras. N  9 causae sunt  FHL  sunt  om. R  causa  G  11 demonstrantibus  EFGLPm1RS; cf. Boeth. ibid. c. VI p. 718 D  de- monstratiuus syllogismus 12 postremis  L  in ( s. l .) postremis  Pm2 postremo  EFGPm1RS  resolutoriis  L  resolutarii  F  resoluturi  RS  resoluituri  G  resolutius ac  E 13 dicemus  EGLPm1RS  15 demon- stratione  N  16 in  om. FGPR, s. l. Hm2S  17 ualeant]  m2 in EHLS  ualent  CEm1F  (n  del .)  GHm1NP  (n  in ras .)  RSm1  22 nec  N  23 egre- ditur]  CF (aegr-)  HNPm1  aggreditur  L  egredi  EGRS  aggredi  Pm2  altioribus  FN  nodis  om .  Cm1Sm1 modis  FNRa.c., s. l. Cm2, in mg. Sm2   simplices uero mediocri coniectura perstringere’, quae uero sint altiores quaestiones quas se differre promittit, ita proponit : Mox, inquit, de generibus ac speciebus illud quidem, siue subsistunt siue in solis nudisque intellectibus  posita sunt siue subsistentia corporalia sunt an incor- poralia et utrum separata a sensibilibus an in sensi- bilibus posita et circa ea constantia, dicere recusabo, altissimum enim est huiusmodi negotium et maioris egens inquisitionis.    Altiores,. inquit, quaestiones praetereo, ne eis intempestiue lectoris animo ingestis initia eius priraitiasque perturbem, sed ne omnino faceret neglegentem, ut nihil praeterquam quod ipse dixisset, lector amplius putaret occultum, id ipsum cuius exequi quaestionem se differre promisit, addidit, ut de his  minime obscure penitusque tractando nec le|ctori quicquam  p. 54  obscuritatis offunderet et tamen scientia roboratus quid quaeri iure posset agnosceret, sunt autem quaestiones quas sese reti-  3—9] Porph. p. 1, 9—14 (Boeth, p. 25, 10—14). 8 altissimum— negotium] Abaelardus, Epistolae, Opp. I p. 5 ed. Cousin.   1 simpliciores  L  praestringere  G  perscribere  CFN  2 sunt  N  3 inquit  om .  Ω  ac] et  ΗΝ Ω   post  quidem  add . quod  EG (del.) Sm2  quae  m1  4 subsistant  L  nudisque] nudis purisqne  Ω ;  Porph. p. 1, 10   έν μο'να'.ς ψιλοΐς έπινοίαϊς  5 substantia  Em1  sunt  ante corporalia  Σ ,  post  incorporalia  Δ  sint  LR A m2 ,  ras .  ex  sunt II 6 separat  R  a sensibilibus  om. Gm1 (s. l. m2) Sm1 (cf. proxima), ras. ex  ab insensi- bilibus  \ m2; om .  Porph. p. 1,12  ab  CEa.r . A m1 A m1  an in sensibilibus posita et]  FG  (posita  s. l. m2 )  LR Ψ  an in sensibilibus (a sensibilibus  m2 ) et  S  an ipsis sensibilibus (posita  om .) iuncta  (in mg.)  et ( om . II)  Γ ,  s. l .  Π m2 et ( cetera om .)  CEHPm1 h m1  (s. l. an et in sensi- bilibus posita  m2 )  A m1  ( in mg . an sensibilibus iuncta  m2 )  Φ  an  (cet. om.)   NPm2   Σ  7 consistentia  CHF A m1  8 enim—negotium]  FHLP Q  ( sed  est enim  A )  Abaelard . negotium  ante  est  CEGRS  enim est negotium huius modo  (sic)   N; Porph. p. 1, 13   βαθύτατης οϊοης τής τοιοΰτης   πραγματείας  10  ante  eis  add . in,  sed del. E  11 primitiaque  R  per- turbent  FN  12 neglegentiam  Gm1P  praeter  (s. l.)  quam  C  praeter id quam  L  13 putasset  C  14 exequi quaestionem] exeeutionem ( uel  eis-)  EGHm1LRS  15 penitus  Em1FG  ne  L  16 effunderet  Ca.c.EGLNR  infunderet  Cp.c.FS ;  cf. p. 145, 14  17 possit  C a.c. Fa.c . se  N   cere promittit, et perutiles et secretae et temptatae quidem a doctis uiris nec a pluribus dissolutae, quarum prima est huius- modi. omne quod intellegit animus aut id quod est in rerum natura constitutum, intellectu concipit et sibimet ratione de- scribit aut id quod non est, uacua sibi imaginatione depingit.  ergo intellectus generis et ceterorum cuiusmodi sit quaeritur, utrumne ita intellegamus species et genera ut ea quae sunt et ex quibus uerum capimus intellectum, an nosmet ipsi nos ludimus, cum ea quae non sunt, animi nobis cassa cogitatione formamus, quod si esse quidem constiterit et ab his quae  sunt, intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior ac diffi- cilior quaestio dubitationem parit, cum discernendi atque intel- legendi generis ipsius naturam summa difficultas ostenditur, nam quoniam omne quod est, aut corporeum aut incorporeum esse necesse est, genus et species in aliquo horum esse opor-  tebit. quale erit igitur id quod genus dicitur, utrumne cor- poreum an uero incorporeum? neque enim quid sit diligenter intenditur, nisi in quo horum poni debeat agnoscatur, sed neque cura haec soluta fuerit quaestio, omne excludetur ambi- guum. subest enim aliquid quod, si incorporalia esse genus  ac species dicantur, obsideat intellegentiam atque detineat exsolui postulans, utrum circa corpora ipsa subsistant an et praeter corpora subsistentiae incorporales esse uideantur. duae quippe incorporeorum formae sunt, ut alia praeter corpora esse  1 promisit  C  2 doctissimis  P  4 statutum  L  discribit  E  5 id  s. l. C  8 capiamus  C  ipsi nos] ipsos  FR  ipsos **  (-os  ex  i  m2 )  S  ipsi  Hm1  nos  s. l. m2  9 eludimus  Hm2  cogitatione] imaginatione  F  11 intellectu  ras. ex  -tu  E  ac] et  R  12 parat  FHm1PRS  discer- nendae atque intellegendae.. naturae  EFGHNRS  13 natura  L  osten- datur  N  16 utrum  FHm1NP  17 an] aut  ex  ut  F  uero  om. N  19 excluditur  Cm2GHp.c.LPRS  20 aliquid quod] alia quae (que  N )  FN  aliud ( ex  aliquid] quod  E  esse  post  species  FHL ,  om. N  21 ac] et  H  intellegentiam atque] animum intelligentiamqne  F  intellegen- tiamque  N  22 ipsa corpora  EFGHN  et om.  CFHLN (fort. recte) ,  del. Pm2  23 subsistentia  Ca.c.Gm2L  substantiae  Cp.c.FN (s. l . ł subsistentes) incorporalia  Gm2L   possint et separata a corporibus in sua incorporalitate perdurent, ut deus, mens, anima, alia uero cum sint incorporea, tamen praeter corpora esse non possint, ut linea nel superficies uel numerus uel singulae qualitates, quas tametsi incorporeas esse  pronuntiamus, quod tribus spatiis minime distendantur, tamen ita in corporibus sunt, ut ab his diuelli nequeant aut separari aut, si a corporibus separata sint, nullo modo permaneant, quas licet quaestiones arduum sit ipso interim Porphyrio renuente dissoluere, tamen adgrediar, ut nec anxium lectoris  animum relinquam nec ipse in his quae praeter muneris sus- cepti seriem sunt, tempus operamque consumam, primum quidem pauca sub quaestionis ambiguitate proponam, post uero eundem dubitationis nodum absoluere atque explicare temptabo. Genera et species aut sunt atque subsistunt aut  intellectu et sola cogitatione formantur, sed genera et species esse non possunt, hoc autem ex his intellegitur, omne enim quod commune est uno tempore pluribus, id unum esse non poterit; multorum enim est quod commune est, praesertim cum una eademque res in multis uno tempore tota sit.  quantaecumque enim sunt species, in omnibus genus unum est, non quod de eo singulae species quasi partes aliquas carpant, sed singulae uno tempore totum genus habent, quo fit ut totum genus in pluribus singulis uno tempore positum unum esse non possit; neque enim fieri potest ut, cum in  pluribus totum uno sit tempore, in semet ipso sit unum  1 a  om. CS, s. l. Em2  corporalitate  ELS  3 possunt  ELNPR  4 tamenetsi  Ca.c . (tam  ras. ex  tam)  L  tam si  Em1  tamensi  GRS  5 quod] eo quod  L  tamen  om. G tam N  6 uti  EGLPa.r.RS  ante diuelli add. aut  Hm1, del. m2  7 a  om. ERS ,  s. l. Gm2  separatae  ex  -ta  H  8 quaestiones licet  FHLPN  9 rennuente  Ca.r.Ga.c.LNS ut] ita ut  R  13 dubietatis  L  exsoluere  CF  14 atque] et  EGLPRS  15 solo ( s. l. Pm2 ) et  FHNP  17 uno tempore pluribus] multorum uno tempore  N  18 est ( s. l. m2 ) enim  G  19 tota sit] transit  F 20 est unum  Fm2H  21 non,  s. l . quod  S , ut non  CHm1N  22 carpunt  RS  capiant  F  participant  Nm1  habeant  Hm2Lm2P  24 possunt  F  possint  S  enim  om. FN. del. L  25 unoque  Gm2  sit uno  FHN  tempore  in mg. Gm2   numero, quod si ita est, unum quiddam genus esse non poterit, quo fit ut omnino nihil sit; omne enim quod est, idcirco est, quia unum est. et de specie idem conuenit dici, quodsi est quidem genus ac species, sed multiplex neque unum numero, non erit ultimum genus, sed habebit aliud super-  positum genus, quod illam multiplicitatem unius sui nominis uocabulo includat, ut enim plura animalia, quoniam habent quiddam simile, eadem tamen non sunt, idcirco eorum genera perquiruntur, ita quoque quoniam genus, quod in pluribus est atque ideo multiplex, habet sui similitudinem, quod genus est,  non est uero unum, quoniam in pluribus est, eius generis quoque genus aliud quaerendum est, cumque fuerit inuentum, eadem ratione quae superius dicta est, rursus genus tertium uestigatur. itaque in infinitum ratio procedat necesse est, cum nullus disciplinae terminus occurrat, quodsi unum quiddam  numero genus est, commune multorum esse non poterit, una enim res si communis est, aut partibus communis est et non iam tota communis, sed partes eius propriae singulorum, aut in usus habentium etiam per tempora transit, ut sit commune  p. 55  ut seruus communis uel equus, aut uno ] tempore omnibus  commune fit, non tamen ut eorum quibus commune est, sub- stantiam constituat, ut est theatrum uel spectaculum aliquod, quod spectantibus omnibus commune est. genus uero secundum nullum horum modum commune esse speciebus potest; nara  1 numero] in numero  NR  quoddam  FS  quodque  N  quidem  R  5  ad  ultimum  s. l . maximum  E  super se (se  s. l. G ) positum  GR  6 sui]  LP edd . ui  cett . ( post  nominis  F ) hominis  R  7 uocabulo]  HLP edd., om. cett . concludat  H  concludit  Lm1  includat  m2  includit  R  12 requirendum  F  perquirendum  N  13 ratio  Hm1N  tertium genus  CL  14 nestigabitur  FH nestigabit  N  15 quodsi] quod  NR  quiddam] quoddem  (sic) R  17 si communis] sic omnis  F quae com- munis  CN  si  om. R   post post , communis est  add . ut puteus et (uel  H ) fons  CHNP (del. m2) ,  in mg. E, s. l. Lm2  18 proprie  CFLNR   post  singulorum  add . sunt  HP ,  s. l. Lm2 ,  post  sunt  s. l . ut puteus et fons  Pm2  19 habent  G  etiam om.  FNP  iam  LS  21 sit  NP  ( ras. ex  fit) est  R   ita commune esse debet, ut et totum sit in singulis et uno tempore et eorum quorum commune est, constituere ualeat et formare substantiam, quocirca si neque unum est, quoniam commune est, neque multa, quoniam eius quoque multitudinis  genus aliud inquirendum est, uidebitur genus omnino non esse, idemque de ceteris intellegendum est. quodsi tantum intel- lectibus genera et species ceteraque capiuntur, cum omnis intellectus aut ex re fiat subiecta, ut sese res habet aut ut sese res non habet nam ex nullo subiecto fieri intellectus  non potest —, si generis et speciei ceterorumque intellectus ex re subiecta ueniat, ita ut sese res ipsa habet quae intel- legitur, iam non tantum in intellectu posita sunt, sed in rerum etiam ueritate consistunt, et rursus quaerendum est quae sit eorum natura, quod superior quaestio uestigabat. quodsi ex re  quidem generis ceterorumque sumitur intellectus neque ita ut sese res habet quae intellectui subiecta est, uanum necesse est esse intellectum qui ex re quidem sumitur, non tamen ita ut sese res habet; id est enim falsum quod aliter atque res est intellegitur, sic igitur, quoniam genus ac species nec sunt  nec cum intelleguntur, uerus eorum est intellectus, non est ambiguum quin omnis haec sit deponenda de his quinque pro- positis disputandi cura, quandoquidem neque de ea re quae sit  1 sit]  s. l. Lm1? brm, om. cett . 2  post  tempore add. sit  Np, s. l .  Em2  3 conformare  N  substantias  FHNP   ante  si add. et  Hm1 ,  del. m2 ad  quoniam  s. l . quod  Hm2  4 multiplex  m2 in CEGP,Lm1  8 habeat  N  aut—habet  in mg. Gm2  ut  s. l. Lm2Sm2 9 habeat  N ,  post add . nanus est intellectus (Intellectus otn.  brm ) qui de nullo subiecto capitur  in mg. Lm2, s. l. Rm1?   brm  intellectus  post  potest  C  11 ipsa res  HLN  12  pr . in  om. ENR ,  s. l. F  13 etiam  om. CL  14 uestigabit  Lm2  inuestigabat  F  17 esse  post  intellectum  F ,  post  uanniu  N ,  om .  R  18 enim falsum est  CKNP  est  om .  H ,  er .  L  enim  om. R  19 si  CNPS, m1 in   GHL , nec  R  igitur—intelleguntur  om . R quoniam om.  CN  ac] et  S  neque  FHN  quae  Sm1  20 neque  FH  cum  om. GLPS s. l. add. E, sed del . uerus] nec uerus  GLR  earum  HN  est eorum  CL  non] neque  N  22 fit  Lm2   neque de ea de qua uerum aliquid intellegi proferriue possit, inquiritur.  Haec quidem est ad praesens de propositis quaestio; quam nos Alexandro consentientes hac ratiocinatione soluemus. non enim necesse esse dicimus omnem intellectum qui ex  subiecto quidem fit, non tamen ut sese ipsum subiectum habet, falsum et uacuum uideri. in his enim solis falsa opinio ac non potius intellegentia est quae per compositionem fiunt. si enim quis componat atque coniungat intellectu id quod natura iungi non patitur, illud falsum esse nullus ignorat, ut si quis  equum atque hominem iungat imaginatione atque effigiet Cen- taurum. quodsi hoc per diuisionem et per abstractionem fiat, non quidem ita res sese habet, ut intellectus est, intellectus tamen ille minime falsus est; sunt enim plura quae in aliis esse suum habent, ex quibus aut omnino separari non possunt  aut, si separata fuerint, nulla ratione subsistunt. atque ut hoc nobis in peruagato exemplo manifestum sit, linea in corpore quidem est aliquid et id quod est, corpori debet, hoc est esse suum per corpus retinet, quod docetur ita : si enim separata sit a corpore, non subsistit; quis enim umquam sensu ullo  separatam a corpore lineam cepit? sed animus cum confusas res permixtasque in se a sensibus cepit, eas propria ui et  4 Alexandro] testimonia Simplicii in Categ. Aristot. p. 50 a , 45 ss., Dexippi p. 50 b  15—31 (= p. 45, 12—28 Busse), Dauidis p. 51 b , 10 ss. (Brandis) adfert Prantl,  Gesch. d. Logik im Abendlande  I 623 n. 24.   6 sit  CEFH (ex  fit ) NPR ante  ut  add . ita  FN ,  s. l. Gm2Pm2 habeat  FHm1NP  7  post  uideri  add . ut si quis dicat lineam esse cum longitudine sine latitudine non est omnino falsum  F  8 compositionem] conjunctionem  EGLPRS, recte?  9 quisquam  HP quisque  N  ponat  H  intellectu] in intellectu  F  id  om. N  10 patiatur  NR  11  pr . atque] aut  N efficiet  L ( c  ex  g  m2)  efficiat  CF  effigiat  Sa.c . 12 haec  E   ad  abstractionera  s. l . ł (??)positionem  Lm2  ł abscisionem  Pm2  fit  R  13 ita  post  res  C, om. R  14 ille] ipse  R  16 ut  s. l. Cm2, del. Lm2 ,  post  hoc  F  17  ad  peruagato  s. l . ł uulgato  Pm2  18 hoc  om. F  est  om. ELS, s. l. Gm2 , et  F  19  ante  docetur  add . et  CHNP, in mg. Lm2  20 a  om. ERS, s. l. Gm2  21 anima  Em1Gm1Pm2Sm1  22  post  permixtasque  add . corporibus  brm  capit  C  eas  in mg. Hm2   cogitatione distinguit, omnes enim huiusmodi res incorporeas in corporibus esse suum habentes sensus cum ipsis nobis corporibus tradit, at nero animus, cui potestas est et disiuncta componere et composita resoluere, quae a sensibus confusa et  corporibus coniuncta traduntur, ita distinguit, ut incorpoream naturam per se ac sine corporibus in quibus est concreta, specnletur et uideat. diuersae enim proprietates sunt incorpo- reorum corporibus permixtorum, etsi separentur a corpore, genera ergo et species ceteraque uel in incorporeis rebus uel  in his quae sunt corporea, reperiuntur. et si ea in rebus incor- poreis inuenit animus, habet ilico incorporeum generis intel- lectum, si uero corporalium rerum genera speciesque perspexerit, aufert, ut solet, a corporibus incorporeorum naturam et solam puramque ut in se ipsa forma est contuetur, ita haec cum  accipit animus permixta corporibus, incorporalia diuidens spe- culatur atque considerat, nemo ergo dicat falso nos lineam cogitare, quoniam ita eam mente capimus quasi praeter corpora sit, cum praeter corpora esse non possit, non enim omnis qui ex subiectis rebus capitur intellectus aliter quam sese ipsae  res habent, falsas esse putandus est, sed, ut superius dictum  20 superius] p. 164, 8.   2 corpore  EGLRS  3 at nero  om. C  animi ( om . cui)  R  et  om. GRS, s. l. Lm2 post  disiuncta  add . ut equum et hominem quae iungi non patitur natura,  post  composita  add . ut corpus et lineam et  (sic)  disiungi natura non patitur R 4 a  s.l. m2 in EGLS  5  ante  incorpoream  add . in  FLNS  7 et] ut  S  sunt proprietates  CLR , add. ut equum et cetera R 8  ante  corporibus add. et C etiamsi  R  et,  s. l. si Cm2F separarentur  F (ra s. l.) R  separantur  Lm1N  9 ergo  om. FN, del. Lm2 , uero  H, s. l. Lm2 corporeis  Cm1GHLPa.c.R  10 incorporeis] corporeis  Cm1  11 animus inuenit  FHNP  post ilico add . ibi  F, s. l. Gm2 ,  add . quo  E, sed del . 12 incorporalium  Em1  speciesque] et species esse  F prospexerit  HR  14  ante  haec  add . et  H (del. m2) N, s. l. Cm2  animus cum accipit  F  15 accepit  Pm1S  animus  accipit C  post incorporalia  add . ea  CHm2LPN  diuisa  Gm2  16 desiderat  Em1Ga.c . falso  ante  dicat F  falsam   CGm1Lm1  ( post  nosl  NRS  17 capiamus  Cm2N  19 sese om.  F  ipsae  om .  H ,  s. l. Em2 , ipsa  F   est, ille quidem qui hoc in compositione facit falsus est, ut cum  p. 56  hominem atque equum | iungens putat esse Centaurum, qui uero id in diuisionibus et abstractionibus assumptionibusque ab his rebus in quibus sunt efficit, non modo falsus non est, uerura etiam solus id quod in proprietate uerum est inuenire potest.  sunt igitur huiusmodi res in corporalibus atque in sensibilibus, intelleguntur autem praeter sensibilia, ut eorum natura per- spici et proprietas ualeat comprehendi, quocirca cum genera et species cogitantur, tunc ex singulis in quibus sunt eorum similitudo colligitur ut ex singulis hominibus inter se dissi-  milibus humanitatis similitudo, quae similitudo cogitata animo ueraciterque perspecta fit species; quarum specierum rursus diuersarum similitudo considerata, quae nisi in ipsis speciebus aut in earum indiuiduis esse non potest, efficit genus, itaque haec sunt quidem in singularibus, cogitantur uero uniuersalia  nihilque aliud species esse putanda est nisi cogitatio collecta ex indiuiduorum dissimilium numero substantiali similitudine, genus uero cogitatio collecta ex specierum similitudine, sed haec similitudo cum in singularibus est, fit sensibilis, cum in uniuersalibus, fit intellegibilis, eodemque modo cum sensibilis  est, in singularibus permanet, cum intellegitur, fit uniuersalis. subsistunt ergo circa sensibilia, intelleguntur autem praeter corpora, neque enim interclusum est ut duae res eodem in subiecto sint ratione diuersae, ut linea curua atque caua, quae  1 cõpositionem  GHR  facit  post  hoc  H  2 quia  Gm1R  quod  Sm2  3 id  om. N, s. l. Em2H ,  post  diuisionibus  F assumptionibus  Em1Gm1P  atque assumptionibus  CL  5  post  solus  add . intellectus  F , scil, intellectas  s. l. Lm2  6 corporibus  FHN   post  sensibilibus  add . rebus  CHLNP  8  ante  genera  add . et  CFS ; et species et genera  R  11  post pr . simili- tudo  add . colligitur  N , scil, colligitur  s. l. Hm2Sm2  cognita  Cm1F  cognita uel cogitata  N  12 ueraciter  Lm2N  perfecta  Em1NP  sit  FN  13 in  om. C  14 earum]  Pp.c. (corr. m1?)  eorum  cett . 17 substantiarum  R  18 collecta cogitatio  Cm1LP  22 autem] tamen  R  23 eadem  Em1Gm1Ha.c . eidem  Gm2Lm1  fin eodem  m2 )  PR e * dem  (sic) S  in  ante  subiecto  s. l., post  eodem  er. uid. C, om. EGLPRS  24 sint  om. L concaua Cm2N  cauata  Lm1   res cum diuersis definitionibus terminentur diuersusque earum intellectus sit, semper tamen in eodem subiecto reperiuntur; eadem enim linea caua, eadem curua est. ita quoque generibus et speciebus, id est singularitati et uniuersalitati, unum quidem  subiectum est, sed alio modo uniuersale est, cum cogitatur, alio singulare, cum sentitur in rebus his in quibus esse suum habet. His igitur terminatis omnis, ut arbitror, quaestio dissoluta est. ipsa enim genera et species subsistunt quidem alio modo, intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed  sensibilibus iuncta subsistunt in sensibilibus, intelleguntur uero ut per semet ipsa subsistentia ac non in aliis esse suum habentia, sed Plato genera et species ceteraque non modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque praeter corpora subsistere putat, Aristoteles uero intellegi quidem incorporalia  atque uniuersalia, sed subsistere in sensibilibus putat; quorum diiudicare sententias aptum esse non duxi, altioris enim est philosophiae, idcirco uero studiosius Aristotelis sententiam executi sumus, non quod eam maxime probaremus, sed quod hic liber ad Praedicamenta conscriptus est, quorum Aristoteles  est auctor.   Illud uero quemadmodum de his ac de propo- sitis probabiliter antiqui tractauerunt et horum ma- xime Peripatetici, tibi nunc temptabo monstrare.    Praetermissis his quaestionibus quas altiores esse praedixit,  21—23] Porph. p. 1, 14—16 (Boeth. p. 25, 14—16).   1 earum]  HPp.c.(corr. m1?)  eorum  cett . 3 enim  om. LP  quippe  P, s. l. Lm2  concaua  Cm2N  eadcmque  FLRS  6  post  singulare  add . est  R, s. l. Sm2  9  post , alio] alio modo  LR  10  post  uero  s. l . praeter corpora  Pm2  11 subsistentia  in ras. E  substantia  GSm1  13  ante  esse  s. l . ea  E  praeter  s. l. Cm2  15  ante  sensibilibus  add . ipsis  G  16 dixi  Lp.c.Sa.c . 17 uero  s. l. Cm2  20 auctor est  CLP  est  om. G  21  ante lemma  ISTORIA  add. S, sic  ( uel  HIST-)  ante omnia paene lemmata uero] autem  Σ  post, de  om. E  22 pro- babiliter]  λογιχώτίρον   Porph. p. 1, 15  tractauerint  Cp c . GH X m1  23 monstrare (demonstrare  N ) temptabo  FLN  24  ante  Praetermissis  add . EXPOSITIO S,  sic paene ubique ante explicat, lemmatum  Missis  Sm1   exoptat mediocrem introductorii operis tractatum, sed ne haec ipsa sibi harum quaestionum omissio uitio daretur, apposuit quemadmodum de propositis tractaturus est, ex quorumque hoc opus auctoritate subnixus adgrediatur, ante denuntiat, cum mediocritatem quidem tractatus promittit detracta obscuri-  tatis difficultate, animum lectoris inuitat, ut uero adquiescat ac sileat ad id quod dicturus est, Peripateticorum auctoritate confirmat, atque ideo ait de his, id est de generibus et spe- ciebus, de quibus superiores intulerat quaestiones, ac de pro- positis, id est de differentiis, propriis atque accidentibus,  sese probabiliter disputaturum, probabiliter autem ait ‘ueri similiter’, quod Graeci  λογικώς  uel  Ινδόξως  dicunt, saepe enim et apud Aristotelem  λογικώς  ‘ueri similiter’ ac ‘probabi- liter’ dictum inuenimus et apud Boethum et apud Alexan- drum. Porphyrius quoque ipse in multis hac significatione hoc  usus est uerbo, quod nos scilicet in translatione, quod ait  λογικώς , ita interpretari ut ‘rationabiliter’ diceremus omisimus, longe enim melior ac uerior significatio ea uisa est, ut pro- babiliter sese dicere promitteret, id est non praeter opini- onem ingredientium atque lectorum, quod introductionis est  proprium, nam cum ab imperitorum hominum mentibus doc- trinae secretum altioris abhorreat, talis esse introductio debet,  p. 57  ut praeter opinionem ingredijentium non sit. atque ideo melius  1 haec  om. S  2 harum que  LS  horumque  Gm1  quaestionum] insti- tutionum  Gm1Lm1RS  omissi  Em1  omisso Lm1Sm1 amissio  F  3 est  s. l. Em2 , esset  Gm1  ex] et  FHN ,  s. l. (om . ex)  Em2  quo- rum  FHN  4 subnisus  EGm1Sm1  aggreditur  EGLPRS  8 et] ac  R  10 de]  R, om. cett . 11  post  ait  add . id est  C  12  λογιχώς  uel  ένδόξως ]  edd., ante   λογιχώς   add . uel  CGLPR ;  ΛΟΓ ΙΚΟΟ  uel  ΛΩΓΙ-  ΚΩΟ   uel alia sim. codd .; ΕΝ ΔΩ ΧΟΝ  C, sim. Η  endo ΧΩ Ο  E ΕΝ ΑΟΓΩ Ο  S, alia uarie cett . 13 et  om. GR  est  S   λογιχώς ]  S ,  in cett. eadem   fere quae 12  14 Boethum]  b  boetum  p  boethon  Em2GNS   (recte?)  boeton  CEm1PR  boethion  F  bethon  H boetoton  Lm1  boeten  m2  Boethum (-tium  m)rm  16 uerbo usus est  CEGLRS  17  λογιχώς ]  item ut   13 ,  λογικώτερον   edd . 19 se  L  *mitteret,  s. l . pro  Cm2  23 ingredientium opinionem  C  non  ante  praeter  CEG  ( corr. m2 )  L  atque ideo] ergo  Gm1  (atque ita  m2 )  LPm1RS  melius probabiliter quam om.  R, s. l. Gm2Sm2   probabiliter quam rationabiliter, ut nobis uidetur, inter- pretati sumus, antiquos autem ait de eisdem disputasse rebus, sed <se< eorum illum maxime tractatum insequi quem Peri- patetici Aristotele duce reliquerint, ut tota disputatio ad  Praedicamenta conneniat.    2 eisdem]  E  (eis  in ras .) hisdem  cett . disputasse  post  rebus  C ,  ante de eisdem  L , disputare  N  3 se  post  illum  add .  brm ,  post  sed  Brandt  sequi  CEm2HN  4 reliquerint]  Gm1HPp.r . relinquerint  FSm1P a.r . relinquerent.  R a. r.Sm2  reliquerunt  CEGmSLNRp.r . EXPLICIT (CΟΜ- MENTARIORV  add .  C , COMENTORVM  add. F , COMTV PLOLOGI,  sic, add . S) LIB. I. INCIPIT (LIB.  add. F ) II.(INCIPIT.  om. R ) CEFGPRS  ( uariis cum scripturis compendiisque), subscriptio deest in HLN     Quaeri in expositionum principiis solet, cur unum quodque ceteris in disputationis ordine praeponatur, uelut nunc in genere dubitari potest, cur genus speciei, differentiae, pro- prio accidentique praetulerit; de eo enim primitus tractat,  respondebimus itaque iure factum uideri; omne enim quod uniuersale est, intra semet ipsum cetera concludit, ipsum uero non clauditur, maioris itaque meriti est ac principalis naturae quod ita cetera cohercet, ut ipsum naturae magnitudine nequeat ab aliis contineri, genus igitur et species intra se  positas habet et earum differentias propriaque, nihilo minus etiam accidentia, atque ita de genere inchoandum fuit, quod cetera naturae suae magnitudine cohercet et continet, praeterea illa semper priora putanda sunt quae si auferat quis, cetera perimuntur, illa posteriora quibus positis ea quae ceterorum  substantiam perficiunt, consequuntur, ut in genere et ceteris, nam si animal auferas, quod est hominis genus, homo quoque, quod species est, et rationale, quod differentia, et risibile, quod proprium, et grammaticum, quod accidens, non manebit et  2 ante Quaeri  codd. et p exhibent idem lemma (sine inscript.) quod p. 171,10 habent, om. brm expositione  CGm1L  expositionis  S  prin- cipii  CGm1L  3 dispositionis  N  5 praetulerat  C tractat  in ras .,  s. l . scil, conamur  Em2  tractare  Em1Sm1  6 respondemus  F  8 clu- ditur (i  ex  e  m2 )  S  naturae] naturae suae  F  10 igitur] itaque  C  et  om .  CN  11 etiam minus  HS  12 etiam  om. R  etiam et  C  ita] idcirco  CE (in ras.) HLm2NP  ideo  F  inchoandum fuit] erat incho- andum  FHNP  13  ante cetera add . et  L  natura suae magnitudinis  FHN  coerceat et contineat  Lm2  14 priora] propria  LS  aufert  Ca.c . 19  ante  proprium  add . est  P, s. l. Lm2   post  gram- maticum  add . esse  FHP, s. l. Em2 post  accidens add.  est FP ,  ante N   interemptum genus cuncta consumit, si uero hominem esse constituas uel grammaticum uel rationale uel risibile, animal quoque esse necesse est. siue enim homo est, animal est, siue rationale, siue risibile, siue grammaticum, ab animalis  substantia non recedit, sublato igitur genere et cetera con- sumuntur, positis ceteris sequitur genus; prior est igitur natura generis, posterior ceterorum, iure est igitur in dispu- tatione praepositura.   Sed quoniam generis nomen multa significat hoc - est  enim quod ait : Videtur autem neque genus neque spe- cies simpliciter dici; ubi enim non est simplex dictio, illic multiplex significatio est —, prius huius nominis significationes discernit ac separat, ut de qua significatione generis tractaturus est, sub oculis ponat, sed cum neque genus neque species  neque differentia nec proprium nec accidens significatione simplici sint, cur de his tantum duobus, genere inquam ac specie, dixit non simpliciter dici, cum proprium, differentia atque accidens ipsa quoque sint significatione multiplici? dicen- dum est quoniam longitudinem uitans tantum speciem nomi-  nauit eamque idcirco, ne solum genus significationis esse multi- plicis putaretur, enumerat autem primam quidem generis signi- ficationem hoc modo;    Genus enim dicitur et aliquorum quodammodo se habentium ad unum aliquid et ad seinuicem collectio,  10 s.] Porph. p. 1, 18 (Boeth. p. 26, 1). 23—p. 172. 5] Porph. p. 1, 18—23 (Boeth. p. 26, 1—8).   1 esse  om. P  2  post  grammaticum  add . esse  FHP ,  s. l. Em2  3 esse  post est Gm2L ,  om. EGmIRS, post  esse  add . constituas  EP ,  s. l. Lm2 alt . est] sit  FHNP  5 et om.  FHNR  consummantur  S  9 enim est  L  10 ante Videtur  add . INCIPIT  Δ  DE GENERE  ΓΔΛΠ2Φ  Incipit diffinicio generis  Ψ   m. post., om. cett . autem  om. HN  12 est significatio  C  13 tractatus  R  14 est] sit  P  oculos  HN  neque genus  om. C  15  pr . nec  FHP  neque proprium neque  N  16 simplicia  G (a  add. m1 uel 2) LSm2  ac] et C 17 non] nec  G  18 atque om. C  19 est om.  G  20 solem  Gm1  21 quidem  om. C  24 ad] et ad  S  aliquod  EN P IIS  aliquem  in ras .  Cm2 ,  fort . aliquid  m1   secundum quam significationem Romanorum dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem Romuli, et multitudinis habentium aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est cognationem secundum diuisio- nem ab aliis generibus dictae.|   p. 58  Una, inquit, generis significatio est quae in multitudinem uenit a quolibet uno principium trahens, ad quem scilicet ita illa multitudo coniuncta est, ut ad se inuicem per eiusdem unius principium copulata sit, ut cum Romanorum dicitur genus; multitudo enim Romanorum ab uno Romulo uocabulum  trahens et ipsi Romulo et ad se inuicem quasi quadam nominis hereditate coniuncta est. eadem enim quae a Romulo societas descendit, Romanos inter se omnes uno generis nomine deuin- cit et colligat, uidetur autem secuisse hanc generis signifi- cationem in duas partes, cum copulatiuam coniunctionem  admiscuit dicens; genus dicitur et aliquorum quodam- modo se habentium ad unum aliquid et ad se inuicem collectio, tamquam et illud genus dicatur ad unum se aliquo modo habere et hoc rursus genus dicatur, quod ad se inuicem unius generis significatione coniuncti sint. hoc uero minime;  eadem enim a quolibet uno propagata societas et ad illum qui princeps est generis, totam multitudinem refert et ipsam  1 significationem] diffinitionem  Φ  romanura  Cm1G  2 scilicet  om. Porph. p. 1, 20  3  ante  inuicem  add . se  L   (s. l. m2) brm Busse; cf. p. 173, 12  4 eam quae] eamque  CR  5 dictae]  Hm1Lm2R \ m2 W  dictam  cett.; cf. p. 173, 14 et Porph. p. 1, 23 ( τού πλήθοος_ )  κεκλιμένοι»  7 uno  om. FGRS, s. l. Em2 , unum  H; cf. 21 ad  quem  s. l . ał quod  Lm2  8 est coniuncta  F  9 dicitur—Romanorum  in mg. E, s. l. Gm2, uerba  multitudo enim Romanorum  del. Lm2  11  post  trahens  add . sit  E (del.) G (del. m2), s. l. Lm2  12 ea  E (ras. ex eadem ) FHN  ab  CEH  14 colligit  CFPm2RS  alligat  L  16 genus  om .  H, s. l. N  dicitur]  edd., om. H  dici  cett. (s. l. N)  17 ad] et ad  S  aliquod  N  18 collectionem  FH  aliquo modo  om. EGRS 19 rursus  post  genus  C  rursum  S  dicatur—generis  om. GRSm1  dicatur unius generis  s. l. m2 20 coniunctiua  EGR  coniuncta  Sm2  sint]  NS  sunt  CFHLP ,  om. EGR post  minime  add . est  LPm2  22 refert—multitudinem  om. EGSm1, s. l. m2 (sed  praefert )   inter se multitudinem uno generis nomine conectit et continet. quocirca non est putandus diuisionem fecisse, sed omne quic- quid in hac generis significatione intellegendum fuit, aperuisse. ordo autem uerborum ita sese habet — qui est hyperbaton  intellegendus —: ‘genus enim dicitur et aliquorum ad unum se aliquo modo habentium collectio et ad se inuicem aliquo modo habentium’ — rursus ‘collectio’ subaudienda; est enim zeugma —, cuius significationis adiecit exemplum : secundum quam significationem Romanorum dicitur genus ab  unius scilicet habitudine, dico autem Romuli, et multitudinis rursus habitudine habentium aliquo modo ad inuicem cognationem, eam scilicet quae ab illo est, id est Romulo, secundum diuisionem ab aliis generibus dictae, scilicet multitudinis. haec enim multitudo aliquo  modo ad unum et ad se inuicem habens genus dicta est, ut ab aliis discerneretur, ut Romanorum genus ab Atheniensium ceterorumque separatur, ut sit integer uerborum ordo : ‘genus enim dicitur et aliquorum collectio ad unum se quodammodo habentium et ad se inuicem, secundum quam significationem  Romanorum dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem Romuli, et multitudinis secundum diuisionem ab aliis generibus dictae, habentium scilicet hominum aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est, id est Romulo, cognatio-  1 nomine]  EGLRS uinculo  CFHN  nomine uel uinculo P 4 se  FHNP  qui  om. ER, s. l. Gm2Sm2  6  pr . sese  L  7  ante collectio  s. l . et ( ut uid .)  C  subaudiendo  N ,  post  sub.  add . est  LR, ante s. l. Pm2  8 zeuma EFGHPS  14 dictam  EGm1Lm1PSm2  haec enim multitudo  om .  ERS, s. l. Gm2  aliquo modo  om .  FP, ante add . et  C, post add . se  P (del. m1?), s. l. Gm2H  15  post  unum  s. l . aliquid  Gm2 post  habens  add . cognationem  Pm2 edd . 17 separetur  Fa.c.N  separaretur  CFp.c.HLm1  sit] sic  H  (sit  post  uerborum,)  P  (sit  post  ordo,) sic sit  F ; integer sit  C ; ordo uerborum,  post repet . sit  N  18 collectio  om. E  20 ab] ad  F  habitudinem  F ,  post repetit uerba post . aliquo— exemplum  (6—8) G  22 dictam  CEGm1Lm1Sm2 post  habentium  add . se  Lm2P  23 id est  om. S, in quo post  cognationem locus p. 172, 4—13 secundum—deuincit et collegit  (sic) repetitus (5  dicta est,  12  ea  script.)   nem.’ Atque haec hactenus; nunc de secunda generis signi- ficatione dicendum est.   Dicitur autem et aliter rursus genus, quod est unius cuiusque generationis principium uel ab eo qui genuit uel a loco in quo quis genitus est. sic enim  Orestem quidem dicimus a Tantalo habere genus, Hyllum autem ab Hercule, et rursus Pindarum qui- dem Thebanum esse genere, Platonem uero Athenien- sem; etenim patria principium est unius cuiusque generationis, quemadmodum et pater. haec autem uide-  tur promptissima esse significatio; Romani enim sunt qui ex genere descendunt Romuli, et Cecropidae, qui a Cecrope, et horum proximi.    Quattuor omnino sunt principia quae unum quodque prin- cipaliter efficiunt. est enim una causa quae effectiua dicitur,  uelut pater filii, est alia quae materialis, uelut lapides domus, tertia forma, uelut hominis rationabilitas, quarta, quam ob rem, uelut pugnae uictoria. duae uero sunt quae per accidens unius  3—13] Porph. p. 1, 23—2, 7 (Boeth. p. 26, 8—16).   4 generationis  om .  A ,  in ras. C  quae  Gm1 ll m1  5 a loco] ab eo loco  CEGLRS;   Porph. p. 2, 1   άπ6 τού τόποα  sic  ex  si  Cm2  enim  in ras. Cm2  6 oresthē  C  oresten  LN ΣΝΑΣΦ  horestem  FH T  dicemus S genus habere  F  7 Hyllum]  Gm1  yllum  m2  illum ( ad quod  s. l . tan- talum  A m2 )  cett . autem  om. G  8  ante  Thebanum  add . dicimus  2  9 principium]  Porph. p. 2,4   αρχή τις ;  cf. infra p. 178, 17  10 et]  Ν Ψ   (er. uid.) brm, s. l .  Δ ,  om. cett. Busse; Porph. p. 2, 5   καί   om. codd. quidam (habet M) ;  cf. p. 176, 1  11 esse  om. H  sunt  om. EFG- ΗΝS ΑΑΣ ,  s. l. Lm2 ,  in mg .  U m2  dicuntur  edd.; Porph. p. 2, 6   λέγονται ;  cf. p. 176, 7  12 cecropides  Σ  13 a Cecrope] cecropis  Ea.c . (a cecropis  p.c .)  G  (cae-  m1  ci-  m2 )  R  ex genere descendunt cecropis  LS ΑΑΣ ,  s. l. Em2  ( om . cecropis),  fort. ex p. 176, 8 ;  Porph. Κ εκροπίδαι ol άπό Κέκροπος  eorum  HL A ,  in ras .  2  14 efficiunt principaliter  H  16 filii] et filius  Em1FGLPRS post  materialis  add . dicitur  FPR  17  ante  forma  add . a  R, s. l. Sm2, ras. in   E uelut *  (i  er .)  C  quam]  NS, om. R , quae  cett., fort. recte  ob rem  s. l. Rm2  18 pugnae uictoria]  N  pugna uictoriae  cett . duo  CNP  accidentes  Ea.c.GHm1  ( in mg . ał accidentialiter  m2 )  Lm1RSm2  accidentis  m1   cuiusque dicuntur esse principia, locus scilicet ac tempus. quoniam enim omne quod nascitur uel fit, in loco ac tempore est, quicquid loco uel tempore natum factumue fuerit, eum locum uel id tempus accidenter dicitur habere principium.  horum omnium in hac secunda generis significatione duo quae- dam ex alterutris assumit, quae ad significationem generis uidebuntur accommoda, ex his quidem quae principalia sunt, effectiuum, | ex his uero quae accidentia, locum. ait enim ‘genus  p. 59  dicitur et a quo quis genitus est’, quod est effectiua princi-  palium causa, ‘et in quo quis loco est procreatus’, quae est accidens causa principii. itaque haec secunda significatio duo continet, eum a quo quis procreatus est, et locum in quo quis editus, ut exempla quoque demonstrant. Orestem enim dicimus a Tantalo genus ducere; Tantalus quippe Pelopem,  Pelops Atreum, Atreus Agamemnonem, Agamemnon genuit Orestem. itaque a procreatione genus hoc dictum est. at uero Pindarum dicimus esse Thebanum, scilicet quoniam Thebis editus tale generis nomen accepit. sed quoniam diuersum est illud, a quo quis procreatus est, locusque in quo quis editus,  uidetur diuersa esse generis significatio procreantis et loci, quam in secunda scilicet parte enumerans unam fecit. sed ne uideretur duplex, per similitudinem coniunxit dicens : etenim patria principium est unius cuiusque generationis,  2 uel  in ras. E  et  C  3 quicquid  ex quo quid  Cm2, ante add . et  F, post add . enim  L  4 accidentaliter  CLN  accidentialiter  EGPSm2; cf. indicem Meiseri  5 ex alterutris duo quaedam  FP  6 consumit  S  sunt  Cm1H  sumit  Cm2, s. l. N  generis significationem  H  7 uidebantur  LPRS  uideantur  EG  accommodata  R  post quidem  add . causis  codd., om. unus F, del. Hm2  8  ante  effectiuum  add . sumit  H  accidentalia  N  9 dici CFNP  et  om. C, s. l. Lm2  quisque  CGRS  10 loco procreatus est  L  procreatus est loco  N  quod  GKS  13 editus] editus est  FHNP post  quoque  add . ipsa  FHP, s. l. Lm2  oresten  LN ,  item 16  14 pelopen  E  15 agamemnonen  EG  (-men) 17 quoniam] quia  FHN ante  Thebis  s. l. a Hm2?  18 editus] editus est  CL  accipit  C  est  om. G  19  pr.  quisque  R  editus] editus est  NP  (est  s. l. m2 ) 22  post  uideretur  add . tamen  EP, s. l. Lm2  adiunxit  FN  23 patria  s. l. Cm2, in mg. F  generati  Em1  generis  RSm1   quemadmodum et pater. sed quoniam in significationibus euenit fere, ut sit aliquid quod intellectui significatae rei pro- pinquius esse uideatur, quoniam duas generis apposuit signi- ficationes, multitudinis scilicet et procreantis, cui generis nomen conuenientius aptetur, iudicat atque discernit dicens  hanc esse promptissimam generis significationem quae a procreante deducta sit; hi enim maxime Cecropidae sunt qui a Cecrope descendunt, hi Romani, qui a Romulo. quae cum ita sint, confundi rursus generis significationes uidentur. si enim hi sunt maxime Romani qui a Romulo originem trahunt,  et haec significatio illa est quae a procreante deducitur, ubi est reliqua, quam primam quoque enumerauit, quae est ‘mul- titudinis ad unum et ad se inuicem quodammodo se habentium collectio’? sed acutius intuentibus plurimae admodum diffe- rentiae sunt. aliud est enim a quolibet primo procreante genus  ducere, aliud unum genus esse plurimorum. illud enim et per rectam sanguinis lineam fieri potest et non in multa diffundi, ut si per unicos familia descendat, huic enim aptabitur secunda illa generis significatio, quae a procreante deducitur; prima uero illa non nisi in multitudine consistit. illud quoque  est, quod prima procreationis principium non requirit, sed, ut ipse ait, sufficit aliquo modo se habere ad id unde huiusmodi generis principium sumitur, secunda uero significatio nullam uim nisi procreante sortitur. item in illa primae significationis multitudine huius secundae particularitas continetur, ut in  2 fere] saepe  C (ante  euenit ) LNPm2S  intellectu  G  signi- ficandae  FRSm2  propinquis  F  propinquus  Gm1PR  propinquum  N  3 quoniamque  Em2HLm2P, post  quoniam  add . qui  Sm1, del. m2  4 generi  EGH  (s  er .) 6 esse  om. G  7 ducta  R  cecropides  R  8 Cecrope] cecropede  FR  (-ide)  post Romulo  add . descendunt  N  9 significationes generis  C  11 ducitur  Lm1  15 est  s. l. F, post  enim  CL  enim  om. N  aliquolibet ( om . a)  G  16 deducere  CLm1  et  om. N  18 si  s. l. Lm2, del. Sm2 per—descendat] puer unicus familiam distendat  Cm1FHN  aptatur  N  21 est] est intellegendum C  primae  Hm2  24 <a> procreante  Engelbrecht  prima  EGHLm1RS   Romanorum genere Scipiadarum genus; nam cum sint Romani, Scipiadae sunt. quoniam enim ad Romulum et ad ceteros Romanos secundum Romuli habitudinem iuncti sunt, Romani sunt, Scipiadae uero dicuntur ad secundam generis significa-  tionem, quia eorum familiae Scipio et sanguinis principium fuit.    Et prius quidem appellatum est genus unius cuius- que generationis principium, dehinc etiam multitudo eorum qui sunt ab uno principio, ut a Romulo; namque  diuidentes et ab aliis separantes dicebamus omnem illam collectionem esse Romanorum genus.    Sensus facilis et expeditus, si tamen ambiguitas una sol- uatur. cum enim prius multitudinis significationem retulerit ad generis nomen, post autem ad procreationis initium, nunc  contrario modo illam prius a se enumeratam significationem dicere uidetur quae est procreationis, illam uero posteriorem quae est multitudinis; quod contrarium uideri potest, si quis ad ordinem superius digestae disputationis aspexerit. sed hic non de se loquitur, sed de humani consuetudine sermonis, in  quo prius eam significationem generis fuisse dicit quae a procreante sit tracta, accedente uero aetate loquendi usu nomen generis etiam ad multitudinem habentem se quodam- modo ad aliquem fuisse translatum, hoc uero idcirco, quoniam  7—11] Porph. p. 2, 7—10 (Boeth. p. 26, 16—19).   1 nam] natura  CFL  2 scipiades  HNP ante pr.  ad  add . et  FHNP ,  s. l. Em2Lm2 post, ad om. L  4 scipiades  N  5 quia] quod  E  et  om. NP, s. l. Cm2  8 generationis  in ras. Cm2  generis  PR  9 nam- que ( sic etiam B Bussii )]  om .  ΛΦ , add.  Hm2 \ m2  nam  2  quam  edd. Busse; Porph. p. 2, 8   το πλήθ-ος—δ  10  post  aliis  add . generibus  F ,  s. l. Lm2  11 collationem  Λ  collectionem  post  esse  HP ; romanorum esse collectionem  F  12  post  facilis  s. l . est  Lm2Pm2  facile ( om . et)  FN  expeditur  FNPa.c . 13 retulerat  F  retulit  R  14  post , ad  om. FHNR, s. l. Sm2  post nunc  s. l . autem  Lm2  15 prius] posterius  CLm2NP  numeratam  N  16  post  uidetur  add . priorem  CGLNP  18 perspexerit  C  21 loquendique  CN  et  (s. l. m1?)  loquendi  H  23  ante  hoc  s. l . dicit  Lm1?, post  idcirco  in mg . dixit  Pm2   superius dixerat : haec enim uidetur promptissima esse significatio, ut ab hac, id est secunda, quam promptissimam significationem esse dixit, illa quoque nuncupata uideretur, quae est multitudinis. prius enim genus inter homines appel- latum est quod quis a generante deduceret, post autem factum  est, ut per loquendi usum etiam multitudinis ad aliquem  p. 60 quodammo|do se habentis genus diceretur propter diuisionem scilicet gentium, ut esset inter eas nominis societatisque discretio.   His igitur expletis uenit ad tertium genus quod inter philosophos tractatur cuiusque ad dialecticam facultatem multus  usus est. horum quippe generum historia magis uel poesis tractat exordium, tertium uero genus apud philosophos con- sideratur. de quo hoc modo loquitur :    Aliter autem rursus genus dicitur cui supponitur species, ad horum fortasse similitudinem dictum. et-  enim principium quoddam est huiusmodi genus earum quae sub ipso sunt specierum, uidetur etiam multi- tudinem continere omnem quae sub eo est.    Duplicem significationem generis supra posuit, nunc tertiam monstrare contendit, hanc autem ad superiorum similitudinem  1 superius] p. 174, 10. 14—18] Porph. p. 2, 10—13 (Boeth. p. 26, 19—23).   1 enim] autem  p. 174 , 10 2 secundum  GR  a  (s. l.)  secunda  E  5 quis  Cm2  prius  m1  7 duceretur  Cm1  diuisiones  EFHLm2NP  8 esset] est  (s. l.)  et  E  has  FH  9 expeditis  N  ad  om. F  10 cuius  CF  multus  post  usus  Lm1R , multum  G  11 poesi  Cm1  13 hoc]  2 litt. er. C  14 genus  ante  rursus  Λ ,  post  dicitur  Φ  cui—genus  (16) om. N, quod indicatur uoce  usque  addita  (dicitur usque earum);  sic  ( saepe etiam  usque ad)  paene constanter in N aliisque codd. ubi mediae lemmatum partes omissae sunt  15 ab.. similitudine  GL \ m2 \Z  16 eorum  A m2 A  earum—specierum]  Porph. p. 2, 12   τών δφ’ lauto  17 ipso  om .  h m1  se  m2Lp.c. \HA>  sunt add.  Gm2 \ m2  uideturque  brm Busse; Porph .  xai SoxeT xai  etiam] enim  F autem  Δ  18 omnem]  2  ( h m1 ß m1 ) omnium  CEGLPRS h m2 U m2  earum  FHN, s. l. post omnium  Lm2  sub eo est]  PA m1 AU m1 ST  est  Φ  sub eo (ipso  F \ m2  se  Lm2 ) sunt (est  E, s. l. G ) specierum  EFGHLNPp.c . (sunt eo sub  a.c .)  RS \ m2 U m2  sunt sub eo specierum  C; cf. Porph. p. 2,12 s . 19 pro- posuit  edd . 20 superiorem  FLm1Pm1   dictam esse arbitratur. superius autem dictae significationes sunt una quidem, cum nomen generis quadam principii anti- quitate ad se iunctam multitudinem contineret, alia uero, cum genus ab uno quoque procreante duceretur, quod eorum  quae procreantur principium est. cum igitur sint superius duae generis propositae significationes, tertium nunc addit de quo inter philosophos sermo est, illud scilicet cui sup- ponitur species, quod idcirco genus uocatum esse sub opinionis credit ambiguo, quoniam habet aliquam similitudinem supe-  riorum. nam sicut illud genus quod ad multitudinem dicitur, uno suo nomine multitudinem claudit, ita etiam genus plurimas species cohercet et continet. item ut genus illud quod secun- dum procreationem dicitur, principium quoddam est eorum quae ab ipso procreantur, ita genus speciebus suis est prin-  cipium. ergo quoniam utrisque est simile, idcirco nomen quoque generis etiam in hac significatione a superioribus mutuatum esse ueri simile est.    Tripliciter igitur cum genus dicatur, de tertio apud philosophos sermo est; quod etiam describentes adsi-  18—p. 180, 3] Porph. p. 2, 14—17 (Boeth. p. 26, 24—27, 2).   1 dictam esse arbitratur] ut dictum est  GRS  autem  om. C, s. l. Lm2, del. Pm2  dictae] duae  Lm1, ante  sunt  s. l . dictae  m2 , duae  ex  dictae  H (ras.) Sm2, ante  dictae  s. l. Pm2, ante  sunt  edd., post R  2 quidem  om. C  cum  in mg. Cm2  quae  m1N  quadam  om. EFG  quandam  H  qua  RSm1  antiquitatem  H  3 ad se iunctam]  CLm2  ad se et adiunctam  HN  ad se iniunctam  Sm1  ab uno quoque iniunctam  R  adiunctam  cett.; cf. p. 177, 2  continet  Cm1 (corr. in mg. m2) Nm2  aliam  G  4 deduceretur  E  5 qui  P  6 tertiam  et  qua  F  7  post  scilicet  add . genus  F, s. l. Sm2  8  ante  opinionis  add . suae  N, post CHLP, s. l. Em1?, in mg. Sm2  se  m1  9 creditur  Ca.r.FR  10 a multitudine  Ep.c.FHN  11 suo] sub  C  (nomine sub uno)  FHNPm2 ,  ex suo  EL  ita  in mg. Cm2, s. l. Nm2  13 est] esse  EGLm2RS  14  post  suis  add . constat  FHN, post genus  s. l. Em2  est]  CLm1P  esse  cett . 15 idcirco] id  C  nomen  post  generis  FHNP, post  quoque  L  16 in hac etiam  FHN  hanc significationem  CP  18 cum genus—sit  (p. 180, 2) om. N  dicitur  S A m1 /AS  19 etiam] etiam et  R   gnauerunt genus esse dicentes quod de pluribus et differentibus specie in eo quod quid sit praedicatur, ut animal.    Iure tertium genus philosophi ad disputationem sumunt; hoc enim solum est quod substantiam monstrat, cetera uero  aut unde quid existat aut quemadmodum a ceteris hominibus in unam quasi populi formam diuidatur ostendunt. nam illud quod multitudinem continet genus, illius multitudinis quam continet substantiam non demonstrat, sed tantum uno nomine collectionem populi facit, ut ab alterius generis populo segre-  getur. item illud quod secundum procreationem dictum est, non rei procreatae substantiam monstrat, sed tantum quod eius fuerit procreationis initium. at uero genus id cui sup- ponitur species, ad speciem accommodatum speciei substantiam informat. et quia inter philosophos haec maxima est quaestio,  quid unum quodque sit — tunc enim unum quodque scire uidemur, quando quid sit agnoscimus —, idcirco reiectis ceteris de hoc genere quam maxime apud philosophos sermo est, quod etiam describentes adsignauerunt ea descrip- tione quam subter annexuit. diligenter uero ait describentes,  non definientes; definitio enim fit ex genere, genus autem aliud genus habere non poterit. idque obscurius est quam ut primo aditu dictum pateat. fieri autem potest ut res quae  1 esse  ante  genus  Pm1, post  dicentes  Σ  et  om. F  2 differentiis  R  quid]  iterum  quod  P  praedicetur  Γ  3 ut animal  om .  ΑΣ  5 est solum enim  CN  enim est solum  FP  6 existit  E  (it  in ras .)  GLPS  existet  Sm1  extitit  HN  <multitudo> a  Brandt  7 una... forma  EGRS  diuidantur  G  ostendit  EGLPm1S  8 multitudinis] multi- tudinem  G  12 procreantis  Nm1  13 atque  G  14 ad speciem  om. N  ad differentiam  Cm2FLm1Pm2 edd . 15 quaestio est  FHN  16 unum  om. EGRS  enim] etenim  FN  quodque unum  G  17 uidemur] debemus  E (in ras.) GPm1RS, post  uidemur  add . uel debemus  Hm1   del. m2 post  reiectis  add . quia non demonstrant substantiam  L  temptatis temporum  Sm1, del. m2  19  post  quod  add . genus  EPm1, del. m2  20 ait  ex  aut  Em1  addit  m2NP  addidit  F  21 ex] de  H  23 dictum  om. FH dictu  GLS  autem] enim  FNP   alii genus sit, alii generi supponatur, non quasi genus, sed tamquam species sub alio collocata. unde non in eo quod genus est, supponi alicui potest, sed cum supponitur, ilico species fit. quae cum ita sint, ostenditur genus ipsum in eo  quod genus est, genus habere non posse. si igitur uoluisset genus definitione concludere, nullo modo potuisset; genus enim aliud quod ei posset praeponere, non haberet, atque idcirco descriptionem ait esse factam, non definitionem. descriptio uero est, ut in priore uolumine dictum est, ex proprietatibus infor-  matio quaedam rei et tamquam coloribus quibusdam depictio, cum enim plu|ra in unum conuenerint, ita ut omnia simul rei  p. 61  cui applicantur aequentur, nisi ex genere uel differentiis haec collectio fiat, descriptio nuncupatur. est igitur descriptio generis haec : genus est quod de pluribus et differen-  tibus specie in eo quod quid sit praedicatur. tria haec requiruntur in genere, ut de pluribus praedicetur, ut de specie differentibus, ut in eo quod quid sit. de qua re quoniam ipse posterius latius disputat, nos breuiter huius rei intellegentiam significemus exemplo. sit enim nobis in forma generis animal.  id de aliquibus sine dubio praedicatur, homine scilicet, equo, boue et ceteris. sed haec plura sunt. animal igitur de pluribus praedicatur, homo uero, equus atque bos talia sunt, ut a se discrepent, nec qualibet mediocri re, sed tota specie, id est tota forma suae substantiae. de quibus dicitur animal; homo  enim et equus et bos animalia nuncupantur. praedicatur ergo animal de pluribus specie differentibus. sed quonam modo fit  9 in priore uolumine] cf. p. 42, 8—43, 6 potius quam p. 153, 10 ss.; cf. Proleg. adn. 7.   1 genere  G post  supponatur  add . sed cum (alii  add. P ) subponi- tur ( uel  sup-)  CFHN, s. l. Pm2  non—potest  (3) del. E  2 col- locatur  CFHNPm2  non] enim  EF  7 ei (eius  HN ) aliud quod  HNPm1RS  possit  EGS  9 priori  LN  ex  om. GHS, s. l. Em2Lm2  11 plurima  L  plura  post  unum  C  16  post . ut  om. FG  18 late  E (in ras.) FHP, ecte ? 19 exemplo] hoc modo  CLP  20 prae- dicetur  CEGPm1RS ante  equo  add . et  FHLN, er. P  21 boue] et boue  L  et  er. uid. C  22 a] ad  Lm1S  23 mediocri re] medio- critate  H 24 forma tota  E (del. tota) G  26 fit  om. G   haec praedicatio? non enim quicquid interrogaueris, mox ani- mal respondetur : non enim si quantus sit homo interrogaueris, ‘animal’ respondebitur, ut opinor; hoc enim ad quantitatem pertinet, non ad substantiam. item si ‘qualis’ interroges, ne huic quidem responsio conuenit animalis, ceterisque omnibus inter-  rogationibus hanc animalis responsionem ineptam atque inu- tilem semper esse reperies, nisi ei tantum apta est quae quid sit interroget. interrogantibus enim nobis quid sit homo, quid sit equus, quid sit bos, ‘animalia’ respondebitur. ita nomen animalis ad interrogationem ‘quid sit’ de homine, equo atque  boue ac de ceteris praedicatur, unde fit ut animal praedicetur de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit. et quo- niam generis haec definitio est, animal hominis, equi, bouis genus esse necesse est. omne autem genus aliud est quod in semet ipso atque in re intellegitur, aliud quod alterius prae-  dicatione. sua enim proprietas ipsum esse constituit, ad alte- rum relatio genus facit, ut ipsum animal, si eius substantiam quaeras, dicam substantiam esse animatam atque sensibilem. haec igitur definitio rem monstrat per se sicut est, non tam- quam referatur ad aliud. at uero cum dicimus animal genus  esse, non, ut arbitror, tunc de re ipsa hoc dicimus, sed de ea relatione qua potest animal ad ceterorum quae sibi subiecta  2 non] num  FHN  rogaueris  Cm1GS  3  ante  animal  add . mox  F respondetur  F  ut] non  FHN  4  post  qualis  add . sit  FHNP, s. l. Em2, s. l . homo sit  Lm2 interroges]  Em1Lm1P  roges  cett . nec  CG  haec  CSm2  id  m1  hic  FN  5 interrogantibus  EG  6 ineptam]  CFHNPp.c.Lm2  idiotam  E (s. l. i . inertem  m2) GLm1 (s. l.  inpro- priam  m1?) Pa.c.S Hilgard  idiotam uel ineptam  R  idiotae  Engelbrecht  7 nisi] ni  C  8 interrogat  Em2HN  enim] autem  F post . quid] quidque  R  9 sit  om. E  animal  C  item  EGLm1PRS  11 ac] et  R  13  ante bouis  add . atque  FHNP  14 genus autem  C  15  ante  alterius  add . ad  CEm2HN  praedicationem  Em1PSm1 edd., post add . refertur  Pm2 edd . 18 dicas  Lm2  21 esse  om. EGRS, s. l. Lm2  re  om. EGR, s. l. Sm2 post  hoc  add . nomen  C, s. l .  Em2Pm2, ante FHNS  de  del. L, s. l. Pm2  22 relatione  in ras .  E  ratione  GLPm1R   sunt praedicationem referri. itaque character est quidam ac forma generis in eo quod referri praedicatione ad eas res potest, quae cum sint plures et specie differentes, in earum tamen substantia praedicatur.    Huius autem definitionis rationem per exempla subiecit dicens :    Eorum enim quae praedicantur, alia quidem de uno dicuntur solo, sicut indiuidua ut Socrates et hic et hoc, alia uero de pluribus, quemadmodum genera et  species et differentiae et propria et accidentia com- muniter, sed non proprie alicui. est autem genus qui- dem ut animal, species uero ut homo, differentia autem ut rationale, proprium ut risibile, accidens ut album, nigrum, sedere.    Omnium quae praedicantur quolibet modo, facit Porphyrius diuisionem idcirco, ut ab reliquis omnibus praedicationem generis seiungat ac separet, hoc modo. omnium, inquit, quae praedicantur, alia de singularitate, alia de pluralitate dicuntur.  7—14] Porph. p. 2, 17—22 (Boeth. p. 27, 2—7).   1  post  itaque  add . ut  P, s. l. Lm2 est  om. R, post  generis  F  quiddam  Ea.r.G  quidem  CNPm1  2 praedicatione  post  res  C  3 eo- rum  CGNS, m1 in ELP  4 tantum  E  substantiam  NR , -a  ex  -a  CS; cf. p. 187, 11. 18  5 autem  om. C, in mg. Lm2  8 indiuiduum  C  indibus ( s. l . indiuidua  Em2 ) diabus (a,  ex  e  E )  EG  ut Socrates— hoc  om. CLNP ,—risibile  (13) om. E (in mg . sicut socrates et hic et hoc)  GH  ut] sicut  Em2 (in mg.) RS ΑΣ  et hic et hec et hoc  F  9 uero  om. CFLNPR  autem  Σ  quemadmodum—risibile  (13) om. CL  ( sed uerba  est autem  11 —sedere 14  exhibet p. 184 , 14)  NP  ut genera, om. reliqua usque  accidens (13)  F  10 differentia  Sm1   m1  pro- prium  Γ  11 sed] et  ΛΣ  proprie]  L (p. 184, 14) R Ψ  propria  ΓΑΑΠ  ( ras. ex  -ae)  2  (a  in ras .)  Φ  ( post  alicui);  Porph. p. 2, 20   ιδίως est— risibile  om. R  est—sedere  (14) om. S  12 uero  s. l .  Δ m2 Φ m2  13  ante  accidens  add . ut  CL  ut] id est  CLm2P  uel  E  et  R; Porph. 2,22   otov  14  ante  nigrum  add.  et  R  16 a  LPS  17  post separet  add . et  (F)  id facit  FHN, s. l. Em2  18  pr . alia] alia quidem  FHN  alia de singularitate  om. G, s. l. Em2, post  pluralitate  CLm1 post . alia] alia uero  FHNS  dicuntur] praedicantur  post singularitate  FHN   de singularitate uero, inquit, praedicantur quaecumque unum quodlibet habent subiectum de quo dici possint, ut ea quibus singula subiecta sunt indiuidua, ut Socrates, Plato, ut hoc album quod in hac proposita niue est, ut hoc scamnum in quo nunc sedemus, non omne scamnum – hoc enim uniuersale  est —, sed hoc quod nunc suppositum est, nec album quod in niue est — uniuersale est enim album et nix —, sed hoc album quod in hac niue nunc esse conspicitur; hoc enim non potest de quolibet alio albo praedicari quod in hac niue est, quia ad singularitatem deductum est atque ad indiuiduam  formam constrictum est indiuidui participatione. alia uero sunt quae de pluribus praedicantur, ut genera, species, differentiae et propria et accidentia communiter,  p. 62  sed non proprie alicui. | genera quidem de pluribus praedi- cantur speciebus suis, species uero de pluribus praedicantur  indiuiduis; homo enim, quod est animalis species, plures sub se homines habet de quibus appellari possit. item equus, qui sub animali est loco speciei, plurimos habet indiuiduos equos de quibus praedicetur. differentia uero ipsa quoque de pluri- bus speciebus dici potest, ut rationale de homine ac de deo  corporibusque caelestibus, quae, sicut Platoni placet, animata sunt et ratione uigentia. proprium item etsi de una specie praedicatur, de multis tamen indiuiduis dicitur, quae sub conuenienti specie collocantur, ut risibile de Platone, Socrate et ceteris indiuiduis quae homini supponuntur. accidens etiam  1 uero  om. FHN  2 possunt  CLm1  3  ante Plato  add . ut  FH, s. l. Lm2  et  N edd . 4 quod] ut  F  ut] et  N  6 sed] sed et  F  7 niui  Gm2Sm1 enim est  FL  8 niui  Sm1, item 9  9 hac] alia  EFGR (a.c.ut uid.  ac  p.c.) Sm1  10  post , ad  om. GHLR, s. l. Em2Nm2 , in  FSm2  14 propriae  FGa.c.Sm1  propria  CHLN post  alicui  uerba lemmatis p. 183, 11—14  est autem—sedere  add. L  15 plurimis  FN  16  post  indiuiduis  add . suis  CFHP  17 qui] quod  FHN  19 praedicatur  FHN  20 potest dici  E  21 quae  om. R, s. l. Sm2 q.  er. N  22 item] autem  Lm2P  specie  om. C  23 tamen  ante  de  H  25  post  indiuiduis  add . dicitur  CLP, s. l. Hm2  hominibus  EG  homini *   ( b. ? er.) L  supponantur  Em1GS  supponuntur  ante homini  C   de multis dicitur; album enim et nigrum de multis omnino dici potest quae a se genere specieque seiuncta sunt. sedere etiam de multis dicitur; homo enim sedet, simia sedet, aues quoque, quorum species longe diuersae sunt. accidens autem  quoniam communiter accidens esse potest et proprie alicui, idcirco determinauit dicens et accidentia communiter, sed non proprie alicui. quae enim proprie alicui accidunt, indi- uidua fiunt et de uno tantum ualentia praedicari, ea quae communiter accipiuntur, de pluribus dici queunt. ut enim de  niue dictum est, illud album quod in hac subiecta niue est, non est communiter accidens, sed proprie huic niui quae oculis ostensionique subiecta est. itaque ex eo quod commu- niter praedicari poterat — de multis enim album dici potest, ut albus homo, albus equus, alba nix —, factum est, ut de  una tantum niue praedicari illud album possit cuius partici- patione ipsum quoque factum est singulare. omnino autem omnia genera uel species uel differentiae uel propria uel acci- dentia, si per semet ipsa speculemur in eo quod genera uel species uel differentiae uel propria uel accidentia sunt, mani-  festum est quoniam de pluribus praedicantur. at si ea in his speculemur in quibus sunt, ut secundum subiecta eorum formam et substantiam metiamur, euenit ut ex pluralitate praedicationis ad singularitatem uideantur adduci. animal enim,  3 enim  om. C  et  (s. l. m2)  enim  L  sedit  CN  simia]  post  sedet  FH  et simia  R  aues] auis  N  set et aues  F  sedet auis  H  4 quo- que  om. FN , uero  L  quarum  Lm1 post  sunt  s. l . sedent  Pm2  scil, sedent  Sm2  5  ante  communiter  add . et  FHN, s. l. Em2Pm2  7 propria  HN pr . alicui  om. GLR  quae  s. l. Sm2  cum  E (s. l. m2)FH  enim proprie  s. l. Em2Sm2  propria  N accidunt ali- cui  E  8 ea quae] et quae  E  ea quidem quae  N  eademque cum  P  et cum  F  cum  H  9 queunt  om. Em1G, s. l. Sm2  possunt  E m2 Pm1  (potest  m2 )  R  10 niui  Sm1  niue est subiecta  HL  niui  Sm1  nunc  G  12 ostensione  GRS  ita *  (q.  er .)  C  ita quoque  Sm2, ad  itaque  s. l . quoque  Hm2  15 niui  GSm1  17 differentias  CE  (s  in er . e?)  GL  20 quoniam] quod  G  21 ut] et  FN subiectam  CEGH a.r.Lm1PSm2  22 substantiamque ( om . et)  FHNP  metiantur  E  mentiamur  Ca.r.Sa.c . eueniet  HN  pluritate  Gm1P   quod genus est, de pluribus praedicatur, sed cum hoc animal in Socrate consideramus — Socrates enim animal est —, ipsum animal fit indiuiduum, quoniam Socrates est indiuiduus ac singularis. item homo de pluribus quidem hominibus praedi- catur, sed si illam humanitatem quae in Socrate est indiuiduo  consideremus, fit indiuidua, quoniam Socrates ipse indiuiduus est ac singularis. item differentia ut rationale de pluribus dici potest, sed in Socrate indiuidua est. risibile etiam cum de pluribus hominibus praedicetur, in Socrate fit unicum. communiter quoque accidens, ut album, cum de pluribus  dici possit, in uno quoque singulari perspectum indiuiduum est. Fieri autem potuit commodior diuisio hoc modo. eorum quae dicuntur, alia quidem ad singularitatem praedicantur, alia ad pluralitatem, eorum uero quae de pluribus praedicantur, alia secundum substantiam praedicantur, alia secundum acci-  dens. eorum quae secundum substantiam praedicantur, alia in eo quod quid sit dicuntur, alia in eo quod quale sit, in eo quod quid sit quidem, genus ac species, in eo quod quale sit, differentia. item eorum quae in eo quod quid sit praedi- cantur, alia de speciebus praedicantur pluribus, alia minime;  de speciebus pluribus praedicantur genera, de nullis uero species. eorum autem quae secundum accidens praedicantur, alia quidem sunt quae de pluribus praedicantur, ut accidentia,  1 plurimis  R  5 si  s. l. Lm2Sm2  quae  et  est  om. F  est— indiuidua  in mg. Cm2  7 est  post  singularis  E  9 hominibus  om. FN praedicatur  CEGL (ante  hominibus) Pm1RS dici possit  N  in Socrate  om. ER  unica  Em1GS unicam  Lm1  unita  R  10 cum  s. l. Em2Sm2  11 possit dici  E  singulari] singulari corpore  CFHN perspectum]  CE (in ras.) FH, m2 in LPS  perspecta  Lm1 a.c . (perfecta  m1p.c .) R  perfectam  Pm1Sm1  profecto ( alt . o  in ras .)  N  profecto perfecta  G  in- diuidua  EGLm1RS  12  ante  eorum  add . ut  GRS, del. EL  13 dicun- tur] praedicantur  Pm2  praedicantur] dicuntur  L  ( ex  dicantur  m2 )  P  14 plurimis  R  praedicantur] dicuntur  N  17  pr . quod—differentia  (19) in ras. Em2 post , in eo—differentia  (19) om. GR  19 iterum  FN  20 pluribus (plurimis  H ) praedicantur  FHN  21  post  speciebus  add . quidem  FHNP  pluribus  om. GRS, s. l. Lm2, post  praedicantur  Em1Fm1 23  post  pluribus  add . speciebus  CFHN, s. l. Em2   alia quae de uno tantum, ut propria. Posset autem fieri etiam huiusmodi diuisio. eorum quae praedicantur, alia de singulis praedicantur, alia de pluribus. eorum quae de plu- ribus, alia in eo quod quid sit, alia in eo quod quale sit  praedicantur. eorum quae in eo quod quid sit, alia de diffe- rentibus specie dicuntur, ut genera, alia minime, ut species, eorum autem quae in eo quod quale sit de pluribus prae- dicantur, alia quidem de differentibus specie praedicantur, ut differentiae et accidentia, alia de una tantum specie, ut propria.  eorum uero quae de differentibus specie in eo quod quale sit praedicantur, alia quidem in substantia praedicantur, ut diffe- rentiae, alia in communiter euenientibus, ut accidentia. et per hanc diuisionem quinque harum rerum definitiones colligi possunt hoc modo. genus est quod | de pluribus specie differen-  p. 63   tibus in eo quod quid sit praedicatur. species est quod de pluribus minime specie differentibus in eo quod quid sit praedicatur. differentia est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit in substantia praedicatur. proprium est quod de una tantum specie in eo quod quale sit non in sub-  stantia praedicatur. accidens est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit non in substantia praedicatur.  1 quae  om. FN  una  C (s. l. add . specie ) FHN  possit  FRS  potest  N  2 etiam  om. LP  4  post pr . sit  add . praedicantur  CFHNP, s.l. Lm2  6 specie] speciebus  Ea.r.FLNPS  7 autem  in mg. E, s. l. Lm2  9 accidentia et differentiae  C post  accidentia  add . communiter  Pm2   edd . 10 uero  om. GRS, in mg. Em2Lm2  quae  in mg. Em2  de differentibus specie  om. GLRS, in mg . de specie differentibus  Em2  de  om . C 11 substantiam  RSa.r . 12 conuenientibus  Pm2  13 de- finitiones] diuisiones  FHm1  14 specie differentibus  hic F, post quid sit  (15) cett.; cf. proxima et p. 193, 1  15 est] autem  E  18 substan- tiam  R  proprium—praedicatur  (20)] om. GR, in mg. Em2  proprium (uero  s. l. add. Lm2 ) est quod de pluribus minime specie differentibus in eo quod quale ait (sit  s. l. Lm2 ) non in substantia praedicatur  LPm2  non in substantiam praedicatur  Sm1, del. m2, in sup. mg . ( ante  non  inse- renda )  haec proprium est quod de pluribus specie minime differentibus,  deinde pauca uerba, quorum extremum  <praedi>cat<ur>,  cum mg. abscisa, sequuntur uerba  accidens est  (20) —praedicatur  (21) ,  m2  20  ante  specie  add . et  CE (del.) GLP    Et nos quidem has diuisiones fecimus, ut omnia a semet ipsis separaremus, Porphyrio uero alia fuit intentio. non enim omnia nunc a semet ipsis disiungere festinabat, sed tantum ut cetera a generis forma et proprietate separaret. idcirco diuisit quidem omnia quae praedicantur aut in ea quae de  singulis praedicantur, aut in ea quae de pluribus, ea uero quae de pluribus praedicantur, aut genera esse dixit aut species aut cetera, horumque exempla subiciens adiungit :    Ab his ergo quae de uno solo praedicantur, diffe- runt genera eo quod de pluribus adsignata praedi-  centur, ab his autem quae de pluribus, ab speciebus quidem, quoniam species etsi de pluribus praedican- tur, sed non de differentibus specie, sed numero; homo enim cum sit species, de Socrate et Platone praedicatur, qui non specie differunt a se inuicem,  sed numero, animal uero cum genus sit, de homine et boue et equo praedicatur, qui differunt a se inui- cem et specie quoque, non numero solo. a proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem de una sola specie, cuius est proprium, praedicatur et de his  quae sub una specie sunt indiuiduis, quemadmodum  9—p. 189, 16] Porph. p. 2, 22—3, 14 (Boeth. p. 27, 8—28, 7).   2 separemus  GNRm1Sm1  porphirii  Lm1  fuit alia  CN  4 forma generis  H  separet  NPa.c.Sm1 ante  idcirco  add . hic  FRS  5 diuisit  s. l. Em2  separauit  m1  quidem  s. l. R, ante  diuisit  L  6 praedicarentur  FHLm2Pm2  plurimis  Em1Lm2  uero] autem  C  7 plurimis  FGm2N  praedicarentur  FHLm2  8 horum  F  9 Ab  om. GHP, s. l. ER  ergo] uero  H  praedicarentur  N  10 prae- dicantur  Em1GLm2PRSm2 Busse  11 ab his—accidens  (p. 189, 14) ]  Ω ,  om. cett., sed in S particulae lemmatis plerumque  HISTORIA  (cf. ad p. 167, 21) inscriptae uariis locis expositionis p. 189, 17—193, 16 insertae sunt, item particulae quaedam in L; quorum locorum lectiones hic pro- ponentur post . ab]  Ω   (etiam B Bussii)  a  edd. Busse  12  post  quidem  add . differunt genera  Γ  praedicatur  ΛΣ  13 sed non] sed  om .  Σ  non tamen  H m2 ‘i’  14 Platone] de platone  A  16 sit genus  Σ  17 boue] de boue  Γ  18 et om.  ΓΦ  non]  Porph. p. 3, 1   aX\’ οΰχί  solum  edd. cum Porph .  τώ άριθ·μώ μόνον  20 hiis  Φ  21 una  om. Porph. p. 3, 3   risibile de homine solo et de particularibus homini- bus, genus autem non de una specie praedicatur, sed de pluribus et differentibus specie. a differentia uero et ab his quae communiter sunt accidentibus differt  genus, quoniam etsi de pluribus et differentibus spe- cie praedicantur differentiae et communiter acciden- tia, sed non in eo quod quid sit praedicantur, sed in eo quod quale quid sit. interrogantibus enim nobis illud de quo praedicantur haec, non in eo quod quid  sit dicimus praedicari, sed magis in eo quod quale sit. interroganti enim qualis est homo, dicimus ratio- nalis, et in eo quod qualis est coruus, dicimus quo- niam niger. est autem rationale quidem differentia, nigrum uero accidens. quando autem quid est homo  interrogamur, animal respondemus; erat autem homi- nis genus animal.    Nunc genus a ceteris omnibus quae quolibet modo praedi-  3 specie  s. l .  Γ ,  om. optimi codd. Porph. p. 3,5, delend. uid. Bussio  5  locum  quoniam—animal  (16) post  genus  p. 193, 18 add. LS  etiamsi  LS sΠ*ΙΓ  specie differentibus  ΛΣ ;  Porph. p. 3, 6   διαφερόντων τψ ειόει  6 differentia  Lm2S  7 sed non]  Δ  ( ad  sed  s. l . id est tamen  m1? )  Π  ( ad  sed  s. l . uel tamen  m1? )  A Busse  tamen non  LS ΤΣΦ  non tamen  Ψ   edd.; Porph. p. 3, 8   άλλ’ οόκ ,  cf. supra p. 188, 13, infra 190, 12  7 sit  om. L  sed in eo quod quale quid sit]  codd. cum Porph. p. 3, 8 codicib. Lm2Mm2   άλλ’ έν τψ όποιον τ£ έστιν ,  delend. uid. Bussio  8 quid  om. S Φ  interrogantibus—sit  (11) om .  Φ  ad interrogantibus  s. l . uel interrogati  Δ  nobis]  LS A m2 Ii   (del. m2) Busse  nos  A m1 (enim  post  nos,)  Ψ ,  om .  ΓΔ2  ( decst   Φ );  Porph. p. 3, 8   έρωτησάντων γάρ ήμών  uel  τινών   codd . 9  post  illud  s. l . quomodo  (m1?)  uel de quo  (m2)   Δ  haec  s. l. Lm2  10  post  quale  add . quid  Π (del. m2)   Ψ m Busse, om .  LS VM pbr, om. etiam p. 194, 7 (cf. p. 195, 4. 196, 8. 15) , aliquid  s. l .  Λ  ( deest   Φ );  Porph. p. 3, 10   έν τψ ποιόν τί έατιν  11 interroganti]  ΑΣ a.r . Ψ  interrogantibus  S interrogati  cett.; Porph. p, 3, 10   έν γάρ τψ έρωταν  12. dicimus]  Π m2 ΣΨ ,  om .  Φ , dicitur  cett.; Porph. p. 3, 11   οομέν  14 autem  om. N  quid est] quidem  FN  qui  Gm1, s. l . est  m2  quod est  L 15 interrogamus  P A ,  m1 in   EGR Z  interrogemus  S  erat]  RS, m1 in Ρ ΔΛ , est  1  erit  cett.; Porph. p. 3, 13   vjv  genus ho- minis  Σ   cantur separare contendit hoc modo. quoniam enim genus de pluribus praedicatur, statim differt ab his quidem quae de uno tantum praedicantur quaeque unum quodlibet habent indiui- duum ac singulare sublectum; sed haec differentia generis ab his quae de uno praedicantur, communis ei est cum ceteris,  id est specie, differentia, proprio atque accidenti idcirco, quo- niam ipsa quoque de pluribus praedicantur. horum igitur sin- gulorum differentias a genere colligit, ut solum intellegendum genus quale sit sub animi deducat aspectum, dicens : ab his autem quae de pluribus praedicantur, differt genus,  ab speciebus quidem primum, quoniam species etsi de pluribus praedicantur, non tamen de differentibus specie, sed numero. species enim sub se plurimas species habere non poterit, alioquin genus, non species appellaretur.  p. 64  si enim genus est quod de pluribus specie | differentibus in eo  quod quid sit praedicatur, cum species de pluribus dicatur et in eo quod quid sit, huic si adiciatur ut de specie differenti- bus praedicetur, speciei forma transit in generis; id quoque exemplo intellegi fas est. homo enim praedicatur de Socrate, Platone et ceteris quae a se non specie disiuncta  sunt, sicut homo atque equus, sed numero : quod quidem habet dubitationem quid sit hoc quod dicitur numero differre. numero enim differre aliquid uidebitur quotiens numerus a  2 quidem  om. CHN  qui  G, ex  quae  Lm2  3  post praedicantur  add . ut socrates et hic et hoc  H  quae  CN  5 uno] uno solo  LS  est ei  L  est  om. CEHN  6  post  specie  add . et  FHP, s. l. Lm2  accidente  Lm2Pm1N  9 aspectum deducat  E  ab]  CL (s. l.) NSm2, om. cett . 10 autem] enim  P post  pluribus  add . id est ( add . specie,  sed   del. E ) ab his quae ( haec s. l. E ) de pluribus  Em2GPRS  11 a  R  primum  om. S, s. l. Lm2; deest p. 188, 12  12 praedicatur  S  non tamen] sed non  S  de  om. FHNP  15 plurimis  Em2GPRS  16 plurimis EGR  dicatur] praedicetur  C  praedicatur  edd . 19 fas est] placet  HNPm1 post  enim  s. l . cum sit species  Em2Pm2 (ex p. 188,14)  quod est species  Lm2  20 et ceteris  del. E  qui  Ep. c . disiuncta ( ad quod s. l . differunt)—equus  del. E  21  post  equus  add . uel bos  LP  23 differre  (in mg. H) post  aliquid  FHLN  aliquis  GS  quoties (-cies)  EPRS   numero differt, ut grex boum qui fortasse continet triginta boues, differt numero ab alio boum grege, si centum in se contineat boues; in eo enim quod grex est, non differunt, in eo quod boues, ne eo quidem : numero igitur differunt,  quod illi plures, illi uero sunt pauciores. quomodo igitur So- crates et Plato specie non differunt, sed numero, cum et So- crates unus sit et Plato unus, unitas uero numero ab unitate non differat? sed ita intellegendum quod dictum est numero differentibus, id est in numerando differentibus, hoc est  dum numerantur differentibus. cum enim dicimus ‘hic Socrates est, hic Plato’, duas fecimus unitates, ac si digito tangamus dicentes ‘hic unus est’ de Socrate, rursus de Platone ‘hic unus est’, non eadem unitas in Socrate numerata est quae in Pla- tone. alioquin posset fieri ut secundo tacto Socrate Plato  etiam monstraretur. quod non fit. nisi enim tetigeris Socratem uel mente uel digito itemque tetigeris Platonem, non facies duos, dum numerantur. ergo differunt quae sunt numero dif- ferentia. cum igitur species de numero differentibus, non de specie praedicetur, genus de pluribus et differentibus specie  dicitur, ut de boue, de equo et de ceteris quae a se specie inuicem differunt, non numero solo. tribus enim modis unum quodque uel differre ab aliquo dicitur uel alicui idem esse,  3 continet  EGLRS  differt  C, add . neque  CP, s. l. Hm2, s. l . nec  Lm2  4 ne—differunt]  H  ( post  quidem  del . haec  m2 )  N  igitur  om. EG  nec in eo  (recte?)  quidem differunt. Igitur numero differunt  L non nisi quidem numero. Igitur differunt numero  F  non nisi (eo  add. S, sed del .) quidem numero differunt  RS  Numero igitur (Igitur numero  C ) differunt,  cet .  om. CP  5 quomodo] quo  R  igitur] uero  C  6 specie—Plato  om. F  7  pr . unum  PS  8 differt  CEm2NPR post  intellegendum  add . est  CL  10 dum] cum  F  12  ante  rursus  s. l . et  S  14 possit  FLRS  posset fieri  in mg. Cm2 ut] in  Cm2Em2G  tactu socrates  Em1G  15  ante  etiam  add . et ( sed  et  in  etiam  del. uid. E )  EG demonstraretur  LP  19 speciebus  CFHN post  genus  s. l . quoque  Lm2  et  om. Em1  ( s. l . et de  m2 )  R  specie differentibus  EF  20  pr . de  om. CL  et  om. FH  de  s. l. Em2Lm2  ceterisque quae  F inuicem specie  FN   genere, specie, numero. quaecumque igitur genere eadem sunt, non necesse est eadem esse specie, ut si eadem sint genere, differant specie. si uero eadem sint specie, genere quoque eadem esse necesse est, ut cum homo atque equus idem sint genere — uterque enim animal nuncupatur —, differunt specie,  quoniam alia est hominis species, alia equi. Socrates uero atque Plato cum idem sint specie, idem quoque sunt genere; utrique enim et sub hominis et sub animalis praedicatione ponuntur. si quid uero uel genere uel specie idem sit, non necesse est idem esse numero, quod si idem sit numero, idem et specie  et genere esse necesse est; ut Socrates et Plato, cum et genere animalis et specie hominis idem sint, numero tamen reperiun- tur esse disiuncti. gladius uero atque ensis idem sunt numero, nihil enim omnino aliud est ensis quam gladius, sed nec specie diuersi sunt, utrumque enim gladius est, nec genere,  utrumque enim instrumentum est, quod est gladii genus. quoniam igitur homo, bos atque equus, de quibus animal praedicatur, specie differunt, numero ergo etiam eos differre necesse est. idcirco hoc plus habet genus ab specie, quod de specie differentibus praedicatur. nam si integram generis defi-  nitionem demus, dabimus hoc modo : genus est quod de plu-  1  ante  genere  add . id est  P, s. l. Hm2Lm2  genere—esse specie  om. EGRS numero] et numero  C  2 esse  post  specie  C, ante  eadem  FH  ut si—differant specie  om. FHNPm1 ,  in mg. add., sed del. m2  genere—eadem sint  om. C  3 sunt  F  4 est] esse ( idem ante necesse )  GSm1  sunt  EFGKHm1NRSm1  5 animalia  FHN  nuncupantur  FHNS  differentia  Hm1N  6 species  om. FG, ante  est  C  7 uterqne  EGLPRS, recte?  8 et  om. CP  sub hominis et  om. GLRS, s. l. Em2Pm2 post , sub  om. C  ponitur  Lm2Sm2  9 sit] sint  S  sunt  Fm1 (in mg . est m2) Nm1  10 quod si—necesse est  post  disiuncti  (13) transpos. et 13  enim  pro  uero  scr. brm 12 tamen] tantum  CLm1  15 diuersi *   (s er.) ,  om , sunt  C  est gladius  FN  16  ad  instrumentum  s. l . bellicum  Em2  17 bos  ante  homo  EG  atque bos  post  equus  FN  18 ergo  om. FHNP, del. Cm1? Lm1? Sm2  etiam  s. l. Lm1?  19  ante  id- circo  add . et  F, s. l. Sm2  ab specie  om. EGLS  a  R  de] a  R  ab  CEGLS  20  post  specie  s. l . quidem  L  definitionem ( uel  diff-) generis  FHNP  21 dabimus  om. EG  ( add . dicimus  post  modo)  RS, s. l. Lm2, post  modo  C   ribus specie et numero differentibus in eo quod quid sit prae- dicatur, at uero speciei sic : species est quod de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur. A proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem  de una sola specie, cuius est proprium, praedicatur et de his quae sub una specie sunt indiuiduis. proprium semper uni speciei adesse potest neque eam relinquit nec transit ad aliam, atque idcirco proprium nuncupatum est, ut risibile hominis; itaque et de ea specie cuius est proprium  praedicatur et de his indiuiduis quae sub illa sunt specie, ut risibile de homine dicitur et de Socrate et Platone et ceteris quae sub hominis nomine continentur. genus uero non de una tantum specie, ut dictum est, sed de pluribus. differt igitur genus a proprio eo quod de pluribus speciebus praedi-  catur, cum proprium de una tantum de qua dicitur appelletur et de his quae sub illa sunt indiuiduis. A differentia uero et ab his quae communiter sunt accidentibus differt genus. differentiae atque accidentis discrepantiam a genere una separatione concludit. omnino enim quia haec in  eo quod quid sit minime praedicantur, eo ipso segregantur a genere; nam in ceteris quidem propinqua sunt generi, nam et  1 specie—differentibus] specie non (non  Lm2 s. l. et R  et  cum cett. P ) numero solo (solo  s. l. Lm2, om. P ) differentibus  LPR  2 plurimis  S  3 in—sit  om. HN  4 proprium] prius  S  proprium—praedicatur] pro- prium praedicatur et de una sola specie  C  quidem—est proprium  om .  G, s. l. Em2  quidem  om. etiam S  6  post  proprium  add . uero  N  enim  brm  7 uni  om. GS, post speciei  E (s. l. m2) HR  9  post  hominis  add . est  edd . 11 et] ut  RS  de  om. FN, s. l. Pm2  Platone] de platone  G  et ceteris] ceterisque  FHNP  12 qui  Em2  13 ut  s. l. Hm2Pm2  de  om. N  plurimis  CEm1GNR, add . et differentibus specie  S, in mg. Pm2  ( om . specie) 14 praedicetur  Lm2P  15  post  tantum  s. l . specie  Lm2  appellatur  FHm1NR  17 sunt accidentibus] accidunt  HN  18 genus]  cf. ad p. 189, 5; post locum p. 189, 5—16   uerba  Quare—praedicantur  p. 194, 20 s. add. L  discrepantia  FL  19 separatione  del. et s. l . diffinitione  Em2, post  separatione  add . uel definitione  Hm1, del. m2  20 sint  Em2HN  21 in]  CL (s. l. m2) N, om. cett .   de pluribus praedicantur et de specie differentibus, sed non  p. 65  in eo quod quid sit. si quis enim | interroget : qualis est homo? respondetur rationalis, quod est differentia; si quis : qualis est coruus? dicitur niger, quod est accidens. si autem interroges : quid est homo? animal respondebitur, quod est genus. quod  uero ait : haec non in eo quod quid sit dicimus praedi- cari, sed magis in eo quod quale sit, hoc magis quaesti- oni occurrit huiusmodi. Aristoteles enim differentias in sub- stantia putat oportere praedicari. quod autem in substantia praedicatur, hoc rem de qua praedicatur, non quale sit, sed  quid sit ostendit. unde non uidetur differentia in eo quod quale sit praedicari, sed potius in eo quod quid sit. sed sol- uitur hoc modo. differentia enim ita substantiam demonstrat, ut circa substantiam qualitatem determinet, id est substanti- alem proferat qualitatem. quod ergo dictum est magis, tale  est tamquam si diceret : uidetur quidem substantiam significare atque idcirco in eo quod quid sit praedicari, sed magis illud est uerius, quia tametsi substantiam monstret, tamen in eo quod quale sit praedicatur.   Quare de pluribus praedicari diuidit genus ab his  quae de uno solo eorum quae sunt indiuidua praedi- cantur, differentibus uero specie separat ab his quae  20—p. 195, 5| Porph. p. 3, 14—19 (Boeth. p. 28, 7—13).   1 plurimis  FH  3 respondebitur  R rationabilis  N  quis  om. R, post s. l . scil.  (om. brm)  interroget  Hm2brm post , est  om. HN  4 dicetur  FHN  interrogetis  N  9 autem] uero  FHN  10 qualis  Cm2FHP  16 tamquam] ac  F  20  uerba  Quare—praedicantur  (21) et p. 193, 18 et hic  ( hic om . praedicatur)  habet L, eadem iam ante lemma add. S  predicari  ex  preditur  Pm2  genus diuidit  hic L  hiis  F  21 sola  F  eorum—accidentibus ( p.195, 3 )]  Ω ,  in sup. mg . non sunt indiuidua  (21) — accidentibus  add. Lm2? dicuntur ut indiuidua quae de una solummodo substantia dicuntur  R, om. cett. codd . eorum quae sunt indiuidua  om. p. 193, 18 L  eorum  om. L (hic)   A  22  ante  differentibus  add . de  ΓΛΦ ; differentibus—quibus praedicantur  (195, 5) post  colligamus  p. 196,1 inseruit S, itaque uerba quae  (195, 3) —quibus praedicantur  (195, 5) et illic et hic  habet separatur  Φ ,  in mg . genus  add .  Γ   sicut species praedicantur uel sicut propria; in eo autem quod quid sit praedicari diuidit a differentiis et communiter accidentibus, quae non in eo quod quid sit, sed in eo quod quale sit uel quodammodo se  habens praedicantur de quibus praedicantur.    Tria esse diximus quae significationem hanc tertiam generis informarent, id est de pluribus praedicari, de specie differenti- bus et in eo quod quid sit. quae singulae partes genus a ceteris quae quomodolibet praedicantur distribuunt ac secer-  nunt, quod ipse breuiter colligens dicit; id enim quod de pluribus praedicatur, genus ab his diuidit quae de uno tan- tum praedicantur indiuiduo. indiuiduum autem pluribus dici- tur modis. dicitur indiuiduum quod omnino secari non potest, ut unitas uel mens; dicitur indiuiduum quod ob soliditatem  diuidi nequit, ut adamans; dicitur indiuiduum cuius praedicatio in reliqua similia non conuenit, ut Socrates : nam cum illi sint ceteri homines similes, non conuenit proprietas et praedi- catio Socratis in ceteris. ergo ab his quae de uno tantum praedicantur, genus differt eo quod de pluribus praedicatur.  restant igitur quattuor, species et proprium, differentia et acci-  6 diximus] p. 181, 15.   2 diuiditur  Φ ,  s. l . genus  add. Lm2  differentibus  S  3  ante  quae  add . et  CEGP  quae  om. R  non  om. S (hic)  quod] quia  R  4  post . sit]  Σ  est  cett; cf. p. 196, 8  quodammodo  in ras. Em2  quod ad modum  CG  quemadmodum  LP  quod a modo  R  quomodo  Ψ   edd. Busse ;  Porph. p. 3, 19   πώς ;  cf. supra p. 128, 10  5 praedicantur  om .  ΓΦ   ante  de quibus  add . de his  S  ( ad p. 194, 22 ) ab his  Σ  his  A  hiis  Φ  de quibus praedicantur]  S (ad p. 194, 22)   ΓΛ  (de  s. l .)  2Φ ,  om. cett . 7 informant  FHm1N post,  de]  Hm2LPm2, om, CEGNRS , sed  FHm1Pm1; cf. p. 181, 16  8 et  om. R  9 quolibet modo  CL  (modo  s. l. m2 ) N quo *** libet (libe  er. uid .)  F  praedicatur  GPm1  10 col- ligens breuiter  EGS  12 dicitur pluribus  C  13 non potest secari  CFN  14 indiuiduum—dicitur  (15) om. G  15 adamas  HLm1P  (-as  ras. ex  -ans), amans  R  18 ceteros  NP  20 igitur] ergo  FP dif- ferentiae  EHa.c.NP, ante add . et  H, s. l. Lm2   dens, quorum a genere differentias colligamus. singulis igitur differentiis ab his rebus segregabitur genus. ea quidem dif- ferentia qua de specie differentibus genus dicitur, separat ab his quae sicut species praedicantur uel sicut propria. species enim omnino de nulla specie dicitur, proprium uero de una  tantum specie praedicatur atque ideo non de specie differenti- bus. item genus a differentia et accidenti differt, quod in eo quod quid sit praedicatur; illa enim in eo quod quale sit appellantur, ut dictum est. itaque genus quidem ab his quae de uno praedicantur differt in quantitate praedicationis, ab  speciebus uero et proprio in subiectorum natura, quoniam genus de specie differentibus dicitur, proprium uero et species minime. item genus in qualitate praedicationis a differentia accidentique diuiditur. qualitas enim praedicationis quaedam est uel in eo quod quid sit uel in eo quod quale sit praedicari.   Nihil igitur neque superfluum neque minus con- tinet generis dicta descriptio.    Omnis descriptio uel definitio debet ei quod definitur aequari. si enim definitio definito non sit aequalis et si quidem maior sit, etiam quaedam alia continebit et non necesse est ut semper  definiti substantiam monstret; si minor, ad omnem definitionem  16 s.] Porph. p. 3, 19 s. (Boeth. p. 28, 13 s.)   1 quarum  Cm1Lm1 colligamus  ante  differentias  C  colligemus (e  ex  i)  H; cf. ad p. 194, 22  2 ea quidem—dicitur  om. S  3  post  differentibus  add . praedicari  edd . separat ab his]  FLm1R  dum separat ab his  S differt ab his  CN  differt  (s. l. Em2)  ab (a  L ) specie et proprio  HP ,  s. l. Lm2 (seperat—propria  [4] del. Lm2, om. P), s. l . et ab his  add .  Hm2, om. EG  separatur ab his  edd.; cf. p. 194, 20  4 praedicantur  post  propria  H  5 nulla] nulla alia  LS  8 enim] uero  FHN  10 a  LNR  13 ab  FHP  (b  er .) 15 praedicare  GR  16 Nihil  ex  Nil  Pm1? pr . neque  om .  ΛΛΠΣΨ   Porph. p. 3, 19 Busse, del .  Γ m2  17 genus  F  dicta  om. E, s. l .  Σ ,  post  descriptio  G locus Porph. p. 3, 19 s. plenior est (cf .  τής έννοιας ,  quod deest ap. Boeth.)  18 Omnis descriptio  in mg. Em2 (in contextu ras.), om. GR, s. l. Sm2 post  Omnis  add . enim  L, s. l. Sm2, post  debet  C (er.) EGR  19 definito  om. FPS  et  om. CFN  21 definitio ( uel  diff)  Ca.r.N post  si  s. l . sit  L  definitio  C  definiti ( uel  diff-)  Em2HN   substantiae non peruenit. omnia enim quae maiora sunt, de minoribus praedicantur, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime; nemo enim uere dicere potest ‘omne animal homo est’. atque idcirco si sibi praedicatio conuertenda est,  aequalis oportebit sit. id autem fieri potest, si neque super- fluum quicquam habet neque di|minutum, ut in ea ipsa generis  p. 66  descriptione. dictum est enim esse genus quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit praedicetur, quae descriptio cum genere conuerti potest, ut dicamus quicquid  de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit praedicetur, id esse genus. quodsi conuerti potest, ut ait, nec plus neque minus continet generis facta descriptio.    1 substantiam  CEm2  4  pr . est  om. C  5 oporteat  EGHL  ( a del .)  PRS ante  sit  add . ut  E (in ras. m2) FLNPR, s. l. Cm2Hm2  6 habeat  R  diminutiuum  Em1  7 enim est  G  esse  s. l. Em2L, post  genus  Pm2  8 praedicatur  Em2FNa.c . 9  post  ut  s. l . si  Lm2  quicquid] quod  EGLm1RS  10 praedicatur  Em2 11 conuerti potest] * (ñ  er .) con- uertitur  C  conuertitur. est  F  conuerti (non  del .) potest  S neque— neque  FLm2P  nec—nec  HLm1  neque—nec  N  12 continet  s. l. Nm2   Sm2, om. F, post  generis  CEGL  facta] dicta  p. 196, 17  ANICII MANLII (MALLII  G ) SEVERINI BOETII V. C. ET I LL  EXCONS. ORD. PATRICII IN ISAGOGAS (YSAGOG.  E ) PORPHYRII ID EST INTRODVCTIONEM (introductiones  C ) A SE TRANSLATAS EDITI- ONIS SECVNDAE COMMENTARIVS SECVNDVS EXPLIC. (commen- tum in secdo lib. explic.  C, post  PORPHYRII  add . SCDE EXPOSITIO- NIS LIB. II. EXPLICIT  E ) INCIPIT LIBER TERTIVS  C  ( pleraque litt. minusc. scr .)  GE  ( uariis cum scripturis compendiisque ); sede trans- lationis comtarius expł incip lib IΙI.  L ; EXPL COMMENTARIVS. II. INCIPIT LIB TERTIVS. S; EXPLIC COMENTORV LIBER SCDS. INCIPIT TERTIVS N·, EXPLICIT LIBER SECDS. INCIPIT LIBER TERTIVS (TERCIVS LIBER  P )  FP ; INCIPIT LIBER TERTIVS  R ;  subscriptio deest in H     Superior de genere disputatio uideatur forsitan omnem etiam speciei consumpsisse tractatum. nam cum genus ad aliquid praedicetur, id est ad speciem, cognosci natura generis non potest, si speciei quae sit intellegentia nesciatur. sed  quoniam diuersa est in suis naturis eorum consideratio atque discretio, diuersa in permixtis, idcirco sicut singula in prooemio proposuit, ita diuidere cuncta persequitur. ac primum post generis disputationem de specie tractat. de qua quidem dubitari potest. si enim haec fuit ratio praeponendi generis  reliquis omnibus, quod naturae suae magnitudine cetera con- tineret, non aequum erat speciem differentiae in ordine trac- tatus anteponere, quod differentia speciem contineret, cura praesertim differentiae ipsas species informent. prius autem est quod informat quam id quod eius informatione perficitur.  posterior igitur est species a differentia, prius igitur de dif- ferentia tractandum fuit. etenim prooemio etiam consentiret, in quo eum ordinem collocauit quem naturalis ordo suggessit, dicens utile esse nosse quid genus sit et quid differentia. huic respondendum est quaestioni, quoniam omnia quaecumque  19 dicens] p. 147, 5. 7. 148, 17.   2 uidetur  CGHL, ras. ex  uideatur  PS  3 sumpsisse  CHN  5 ne- scitur  FHm1  7 mixtis  Fa.c.Lm1  8 posuit  H  diuidere  ante  ita  G, post  cuncta  CLP , diuise  HNa.c . prosequitur  Gm1PR  10 pro- ponendi  CFNR  genus  R  12 nonne  Em2FHPSm2 ante aequum  add . et  HP, s. l. Em2  speciei differentiam  EFHLm2P; cf. p. 239, 9  13 obtineret  CLm1 14 ipsae  CNP  est  s. l. Gm2Lm2  15 informet  E  16 post  Em1GLm1RS  igitur] ergo  C  a  om. CRS, er. L  17 ut enim  N  ut  CH  etiam  om. CF  18  post  quo  add . prius  CN  eam ordine  CFN quam  CFN  19  post  dicens  add . ubi ait  E  20  ante  huic  add . sed  E   ad aliquid praedicantur, substantiam semper ex oppositis sumunt. ut igitur non potest esse pater, nisi sit filius, nec filius, nisi praecedat pater, alteriusque nomen pendet ex altero, ita etiam in genere ac specie uidere licet. species quippe nisi  generis non est rursusque genus esse non potest, nisi referatur ad speciem; nec uero substantiae quaedam aut res absolutae esse putandae sunt genus ac species, ut superius quoque dictum est, sed quicquid illud est quod in naturae proprietate consistat, id tunc fit genus ac species, cum uel ad inferiora  uel ad superiora referatur. quorum ergo relatio alterutrum constituit, eorum continens factus est iure tractatus :   De specie igitur inchoans ait hoc modo.    Species autem dicitur quidem et de unius cuiusque forma, secundum quam dictum est : ‘primum quidem  species digna imperio’. dicitur autem species et ea quae est sub adsignato genere, secundum quam sole- mus dicere hominem quidem speciem animalis, cum sit genus animal, album autem coloris speciem, trian- gulum uero figurae speciem.    Sicut generis supra significationes distinxit aequiuocas, ita idem in specie facit dicens non esse speciei simplicem signi- ficationem. et ponit quidem duas, longe autem plures esse  7 superius] cf. p. 158, 3 ss. 180, 23 ss. 13—19] Porph. p. 3, 21— 4,4 (Boeth. p. 28, 15—21). 20 supra] p. 171, 9 ss.   1 positis  Gm1Sm1  3 nomen] non  Ea.c.Ga.c . 4 uideri  EP  8 in  om. R 9 consistit  CLNPSm2  constat  Em1  tum  R  ac] et  H  10 referuntur  FLm1  referantur  NS  refertur  Pm2R  11 continuus  CN  12  ante  De  add . sed  CH ,  m1 in LRS , si  E  de  ex  sed  Sm2  sed  del. Lm2Rm2  13  ante  Species  inscriptio  DE SPECIE (EXPLICIT DE GENERE. INCIPIT DE SPECIE  Ψ )  additur in   11  et  om. L  14 primum]  G edd . primi  L  primis  Sm1  priami  cett. Busse; Porph. p. 4, 1   πρώτον piv είδος άξιον τυραννίδος   (Eurip. Aeol. frg. 15, 2 N.) ;  cf . quemlibet illum  infra p. 200, 22  15  post  digna  add . est  HNPR AAΦ ,  s. l. LSm2, edd. Busse; om. Porph. post et ras., s. l . etiam  Γ  17 qui- dem  om. N, post add . esse  FR, s. l. L , esse  post  speciem  s. l. Pm2  cum—animal  om. S  18 autem  om. Ε   ΑΣ  20 ita  om. HN   manifestum est, quas idcirco praeteriit, ne lectoris animum prolixitate confunderet. dicit autem primum quidem speciem uocari unius cuiusque formam, quae ex accidentium congre-  p. 67  gatione perficitur. cautissime autem dictum est unius|cuius- que, hoc enim secundum accidens dicitur. quae enim uni  cuique indiuiduo forma est, ea non ex substantiali quadam forma species, sed ex accidentibus uenit. alia est enim sub- stantialis formae species quae humanitas nuncupatur, eaque non est quasi supposita animali, sed tamquam ipsa qualitas substantiam monstrans; haec enim et ab hac diuersa est quae  unius cuiusque corpori accidenter insita est, et ab ea quae genus deducit in partes. postremumque plura sunt quae cum eadem sint, diuersis tamen modis ad aliud atque aliud relata intelleguntur, ut hanc ipsam humanitatem in eo quod ipsa est si perspexeris, species est eaque substantialem determinat  qualitatem; si sub animali eam intellegendo locaueris, deducit animalis in sese participationem separaturque a ceteris ani- malibus ac fit generis species. quodsi unius cuiusque proprie- tatem consideres, id est quam uirilis uultus, quam firmus incessus ceteraque quibus indiuidua conformantur et quodam-  modo depinguntur, haec est accidens species secundum quam dicimus quemlibet illum imperio esse aptum propter formae  1 praeterit  CEGLPR  2 primo  FHNP  3 formam]  CN figuram  cett  5 haec  GL  ( s. l. add . species  m2 )  RSm1  uni  om. EGRS  6 ea  om. HN  7  ante species (specie  H )  add . ac  CHN  ex  om. CH  8 forma,  s. l . species  (m. 2) E pr . quae] sed quae  E  eaque] ea quae  EFGH   Lm1Sm2  9  post  sed  add . est  brm, post  qualitas  S  11 unius cuiusque corpori]  CNPm2R  in  (s. l. Lm2)  unius cuiusque (in  add. Lm1, del. m2 ) corpore ( ex  -ri  Lm2 )  FHLPm1  unius cuiusque (in  s. l. Sm2 ) corpore  EGS  accidentaliter  CLm2P  sita  FHLm1  si ita  Na.c . ea] hac  F  12 postremoque  CNPm2 (recte?)  postremo quoque  Rm1  postremum quae Rm2S  postremum  H  13 sunt  FH post  atque  add . ad  CHR  14 in- telligantur  LRm1  15 si  post humanitatem  FHN  respexeris  N  eaque]  Cm1N  ea quae  cett . determinet  R  16 eam  om. GPRS (recte?) ,  s. l. Em2  17 se  Lm1N  18 species generis  C  20 informantur  LPm2  21 accidentalis  Lm2Pm2  22 quamlibet  FLm1  quodlibet  Sm2  illum  om. CHLNP  illud  RS   eximiam dignitatem. huic aliam adiungit speciei significationem, id est eam quam supponimus generi. nos uero triplicem speciei significationem esse subicimus, unam quidem substantiae quali- tatem, aliam cuiuslibet indiuidui propriam formam, tertiam  de qua nunc loquitur, quae sub genere collocatur. creden- dum uero est propter obscuritatem eius quam nos adie- cimus, quia nimirum altiorem atque eruditiorem quaereret intellectum, ea tacita praetermissaque ceteras edidisse. cuius quidem speciei haec exempla subiecit, ut hominem quidem  animalis speciem, album autem coloris, triangulum uero figurae; haec enim omnia species nuncupantur eorum quae sunt genera, animal quidem hominis, albi autem color, trianguli figura.    Quodsi etiam genus adsignantes speciei meminimus dicentes quod de pluribus et differentibus specie in  eo quod quid sit praedicatur, et speciem dicimus id quod sub genere est.    Dudum cum generis descriptionem adsignaret, in generis definitione speciei nomen iniecit dicens id esse genus quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid ait prae-  dicaretur, ut scilicet per speciei nomen definiret genus. nunc uero cum speciem definire contendat, generis utitur nuncupatione dicens speciem esse quae sub genere ponatur.  13—16] Porph. p. 4, 4—7 (Boeth. p. 28, 21—23). 18 (dicens)—20] p. 180, 1 s.   3 subiecimus  CLN  substantialem  FLm2Bm2  4 indiuiduam  G  5 collocatur (-catur  in ras. m2) E  colligatur  GLm2  (colligitur  m1 ) Rm1s  6 est] est quod  EPRS  7 quia] quae  CN  quaerit  C  quaeret  Hm1N  8 praetermissa quae  Em1Sa.c . praetermissa  Rm1  dedisse  Gm1  edidisset  R, ante  edid.  add . ipsum  r  9 ut] et  EGLm1Ra.c.S  11 eorum quae]  CFHN  earum quae  EGR  earumque  LPS  12 trianguli figura]  Lm1  figura trianguli  Pm2  forma trianguli  HNPm1  trianguli forma  cett.; fort , trianguli >uero>;  cf. 10. 199, 19  13 Quodsi] Quid sit  FPm1  (Quod sit  m2 ) Quod  CL  Sic  Λ2  signantes  F  14 et  om. F, s. l. R  15 sit  om. ERS  praedicatur—quid sit  (19) om. N  id  s. l. Hm2  16 quod sub assignato genere ponitur (est  p )  edd., Porph. p. 4, 6   το όπό τό άποοοθ-έν γένος  19 et differentibus  p. 180, 1  20 genus definiret  C  21 nunc] nam  Cm1   cui quidem dicto illa quaestio iure uidetur opponi. omnis enim definitio rem declarare debet quam definitio concludit, eamque apertiorem reddere quam suo nomine monstrabatur. ex notioribus igitur fieri oportet definitionem quam res illa sit quae definitur. cum igitur per speciei nomen describeret  uel definiret genus, abusus est uocabulo speciei uelut notiore quam generis atque ita ex notioribus descripsit genus. nunc uero cum speciem uellet termino descriptionis includere, generis utitur nomine rerumque conuertit notionem, ut in generis quidem sit notius speciei uocabulum, in speciei autem descrip-  tione sit notius generis, quod fieri nequit. si enim generis uocabulum notius est quam speciei, in definitione generis speciei nomine uti non debuit. quodsi speciei nomen facilius intellegitur quam generis, in definitione speciei nomen generis non fuit apponendum. cui quaestioni occurrit dicens :   Nosse autem oportet <quod>, quoniam et genus ali- cuius est genus et species alicuius est species, idcirco necesse est et in utrorumque rationibus ntrisque uti.    Omnia quaecumque ad aliquid praedicantur, ex his de quibus praedicantur, substantiam sortiuntur; quodsi definitio unius  cuiusque substantiae proprietatem debet ostendere, iure ex alterutro fit descriptio in his quae inuicem referuntur. ergo quoniam genus speciei genus est et substantiam suam et  16—18] Porph. p. 4, 7—9 (Boeth. p. 28, 23—29, 1).   2  post , definitione ( uel  diff-)  CHNPm2  claudit  C  nec concludit  F  3 monstrabat  E  (-bat  ex  -batur?  m2 )  R  5 sit] est  FHN  6 notiorem  FR  8 uelit  FHNPm1  9 conuertit] uidetur conuertere  CHLm2P  genere  R  10  post  quidem  add . descriptione  CFHLN, in mg. Em2, fort. recte  autem] quidem  C  uero  FHNP  11 sit  om. G pr . genus  FH  16 autem  om. Porph . quod  add. edd.; Porph. p. 4, 7   είϊέναι χρή   ότι, έπεί χτλ . 17  pr . est  om. FN, s. l .  Λ ,  ante  alicuius  Σ  idcirco in utrisque necesse est utrorumque rationibus uti  Σ  18 et] hoc  N om .  FPSA S  neutrorumque  Em1  utrasque  Em1  utriusque  Λ  20  post  definitio  add . uel descriptio  CFHNP, s. l. Em2Lm2  22  ante  inuicem  add . ad  CL, s. l. Pm2 , ad se  F, s. l. Rm2  23  ante  substantiam  add . in  FHm1, del. m2 post , et  om. F, s. l. Hm2Sm2   uocabulum genus ab specie sumit, in definitione generis speciei nomen est aduocandum, quoniam uero species id quod est sumit ex genere, nomen generis in speciei descriptione non fuit relinquendum. quoniam uero diuersae sunt specierum  qualitates — aliae enim sunt species, quae et genera esse possunt, aliae, quae in sola speciei | permanent proprietate neque  p. 68  in naturam generis transeunt —, idcirco multiplicem speciei definitionem dedit dicens :    Adsignant ergo et sic speciem : species est quod  ponitur sub genere et de quo genus in eo quod quid sit praedicatur. amplius autem sic quoque : species est quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. sed haec quidem adsignatio specialissimae est et quae solum species est, aliae  uero erunt etiam non specialissimarum.    Tribus speciem definitionibus informauit, quarum quidem duae omni speciei conueniunt omnesque quae quolibet modo species appellantur, sua conclusione determinant, tertia uero non ita. cum enim duae sint specierum formae, una quidem,  cum species alicuius aliquando etiam alterius genus esse potest, altera, cum tantum species est neque in formam generis  9—15] Porph. p. 4, 9—14 (Boeth. p. 29, 2—7).   1 genus  om. H generis  FLS  ab  om. F a NR, s. l. Hm2  specie  s. l .  Hm2  species  F  definitionem ( uel  diff-)  FGHP  2  pr . est] fuit  Lm2  ( post  aduocandum)  Pm2  3 descriptione] definitione ( uel  diff-)  CFHLm2N  diffinicione uel descripcione  P  4 relinquendum] omittendum  FHN  uero  post  sunt  H  8 reddit  FN  9 ergo] uero  PLm2  autem  Σ  et er.  Λ  speciem sic  F  quae  CNR h m1  (quo  m2 )  ΛΣ 10 quo]  EGHLm2Pm1   >  qua  cett . 11 amplius—praedicatur  (13) om. L  12 et  om .  S  ac  EGRS 13  post  praedicatur  add . ut homo equs  (sic)  bos et asinus et cetera  C  14 specialissimae]  ΧΨρ (-me) specialissima  cett. codd. brm ;  Porph. p. 4, 12   aΰτη μέν ή άπόδοσις τού εΐδιχωχάτου άν εΐη  et  om .  FHR, s. l. Pm2, del. Sm2  sola  C  17 omnis  G  18 determinan- tur  Hm2  19  post  ita  s. l . est  Hm2  sint  om. Em1  sunt  CEm2GR   ante  specierum  add . species  Cm1, del. m2  20  post cum  s. l . sit  Lm2 ,  post  aliquando  EP   (del. m1?), post  species  s. l . scil. sit  N   transit, priores quidem duae, illa scilicet in qua dictum est id esse speciem quod sub genere ponitur, et rursus in qua dictum est id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur, omni speciei conueniunt. id enim tantum hae definitiones monstrant quod sub genere ponitur. nam et ea  quae dicit id esse speciem quod sub genere ponitur. eam uim significat speciei qua refertur ad genus, et ea quae dicit id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur, eam rursus significat speciei formam quam retinet ex generis praedicatione. idem est autem et poni sub genere et de eo  praedicari genus, sicut idem est supponi generi et ei genus praeponi. quodsi omnis species sub genere collocatur, mani- festum est omnem speciem hoc ambitu descriptionis includi. sed tertia definitio de ea tantum specie loquitur quae numquam genus est et quae solum species restat. haec autem species ea  est quae de differentibus specie minime praedicatur. nam si id habet genus plus ab specie, quod de differentibus specie praedicatur, si qua species praedicetur quidem de subiectis, sed non de specie differentibus, ea solum erit superioris generis species, subiectorum uero non erit genus. igitur praedicatio  ea quam species habet ad subiecta, si talis sit, ut de differen- tibus specie non praedicetur, distinguit eam ab his speciebus  2 ponitur—genere  (5) om. N  rursum  CR  3 quo]  Schepss  qua codd. et edd.; cf. p. 203, 10  4 praedicaretur  EGLRS  praedicetur  edd . 5 ponuntur  Cm2HN  6 speciem  om. Sm1  species  m2G post  eam  add . tantum  FHNP, s. l. Lm2  7 qua]  CNP  quae  cett . 8 quo]  p Schepss  qua  codd. brm; cf. 3  genus  s. l. Em2, ante add . species  G  praedicetur  FHLm2NP  praedicaretur  S  9 speciei  om. C  10 est  post  autem  E (s. l. m2) R  supponi EFGHLRS 11 generi] genere  CGm1  12 omnes  (sed  collocatur ) ELN  13  post  est  add . autem  CEGL (del. m2) S (del. m2)  15 est  om. EGS, ante  genus  ΗR , fit  L  per- stat  E ( pers  in ras.) HNa.c . 17 habet  ante  plus  FH, post N,  plus  post  habet  L  a  RS  18 si qua species  om. N praedicetur  om. N  praedicatur  Em1HSm2 post  subiectis  add . Species uero differentibus numero  N  19 de  om. N  21 de—non] non differentibus specie  N  22  ante  distinguit  add . sed hanc terciam,  sed del. E, post add . enim,  sed del. RS   quae genera esse possunt et monstrat eam solum speciem esse nec generis praedicationem tenere. illa igitur tertia de- scriptio speciei quae magis species ac specialissima dicitur, definitur hoc modo : species est quod de pluribus numero  differentibus in eo quod quid sit praedicatur, ut homo; praedicatur enim de Cicerone ac Demosthene et ceteris qui a se, ut dictum est, non specie, sed numero discrepant.  Ex tribus igitur definitionibus duae quidem et specialis- simis et non specialissimis aptae sunt, haec uero tertia solam  ultimam speciem claudit. ut autem id apertius liqueat, rem paulo altius orditur eamque congruis inlustrat exemplis :    Planum autem erit quod dicitur hoc modo. in uno quoque praedicamento sunt quaedam generalissima et rursus alia specialissima et inter generalissima et  specialissima sunt alia. est autem generalissimum quidem super quod nullum ultra aliud sit superueniens genus, specialissimum autem, post quod non erit alia inferior species, inter generalissimum autem et spe- cialissimum et genera et species sunt eadem, ad aliud  7 ut dictum est] p. 188, 13 ss. 12—p. 206, 18] Porph. p. 4, 14— 5,1 (Boeth. p. 29, 7—30, 2).   1 et  (s. l. m2)  monstrabat  S  monstratque  FHNP  solam  Sm2  3 speciei] solum species est  N  speciei—species ac] quae  (s. l. m2)  solum * species magisque  (in ras.)  species  H  4 hoc modo  in mg. Hm2   ante  species  add . Dicitur enim  FHP  et differentibus numero  p. 203, 12  6 Cicerone] socrate  N post  ac  add . de  R  8 duae—claudit]  C (om. pr . et)  E (in ras. m2) FH (solum)  LNP  duabus quidem et specialis- simas et non specialissimas species claudit  GR  una quidem et specialis- simam et non specialis ultimam speciem claudit  Sm1, del. et in mg. corr. m2  (apte sunt  post  duae quidem,) 10 id  om. LR  rem  om. EGS, s. l. Pm2, post  orditur  Lm2  12 in uno quoque—solum species  (p. 206, 17) ]  RS Q ,  om. cett . 14 rursum  Γ  et inter—alia  om. RS 15 sunt  om .  T m1, in mg.  scil. sunt ut corpus  m2 , est  ut uid .  Δ  16 super— ultra] ultra quod nullum  RS  ultra nullum  ΓΦ  17 specialissima  R  quod] quam  RS  18 autem  om .  Γ  19  ante  et genera  add . alia  p  alia sunt quae  brm; Porph. p. 4, 19   άλλα, α ν,α'ι  γένη   quidem et ad aliud sumpta. Sit autem in uno prae- dicamento manifestum quod dicitur. substantia est quidem et ipsa genus. sub hac autem est corpus, sub corpore uero animatum corpus, sub quo animal, sub animali uero rationale animal, sub quo homo, sub ho-  p. 69  mine uero Socrates et Plato et qui|sunt particulares homines. sed horum substantia quidem generalissi- mum est et quod genus sit solum, homo uero specia- lissimum et quod species solum sit, corpus uero species quidem est substantiae. genus uero corporis animati;  et animatum corpus species quidem est corporis, genus uero animalis. animal autem species quidem est cor- poris animati, genus uero animalis rationalis, sed rationale animal species quidem est animalis, genus autem hominis, homo uero species quidem est rationalis  animalis, non autem etiam genus particularium homi- num, sed solum species. et omne quod ante indiuidua proximum est, species erit solum, non etiam genus.    Praediximus ab Aristotele decem praedicamenta esse dis-  19 Praediximus] p. 151, 12.   1 quidem  post  eadem  R 5  ad  om .  Λ ,  s. l. R T  uno] uno quoque  R A  (quoque  er .)  Φ ,  ad uno  s. l . isto  A m2  2 est quidem]  R ΓΦ  est quiddam ( repet , est  S )  cett . 3 est  post  corpus  S, om .  Φ  5 uero]  RST iI   (s. l. m2)   Φ ,  om .  ΛΛΣΊ   Busse; Porph. p. 4. 23   δέ  6 uero]  codd. nostri, om. Busse; Porph. p. 4, 24   δέ   post , et  om. RS  7 eorum  RS  generalissimum]  codd. PQ (non L) Bussii edd . genera- lissima  codd. nostri; Porph. p. 4, 25   τό γινικώτατον  8 uero  om. R  9  ante  et  add . est  2   pr . specie  R  10 est  om .  2 ,  s. l .  Δ  11 et] sed et  brm, recte ut uid.; Porph. p. 4, 27   αλλά καί  est  om. R  12 animal autem] rursus animal  brm; Porph. p. 4, 28   κάλιν δέ to ζώον  13 uero] ΓΔ   (s. l. m2)   Π*!' ,  om. cett . animalis]  Δ   (s. l. m2)   ΣΊ ’ ( post  ratio- nalis).  om. cett.; Porph. p. 4, 29   γένος δέ τού λογικού ζώου  14 animal— est  om. R  15 autem] uero  RS  16 autem  del .  h m2 genus etiam  R  17 et  om. CEGP  indiuiduum  F  18 est  s. l. E  erit  CGR  solum species erit  LS  erit solum species  E  solum species est  CR  solum speciem non etiam genus esse liquet  G  19 Praedicimus  R, add.  etiam  L   posita, quae idcirco praedicamenta uocauerit, quoniam de ceteris omnibus praedicantur. quicquid uero de alio praedicatur, si non potuerit praedicatio conuerti, maior est res illa quae praedicatur ab ea de qua praedicatur. itaque haec praedicamenta  maxima rerum omnium, quoniam de omnibus praedicantur, ostensa sunt. in uno quoque igitur horum praedicamentorum quaedam generalissima sunt genera et est longa series spe- cierum atque a maximo decursus ad minima. et illa quidem quae de ceteris praedicantur ut genera neque ullis aliis sup-  ponuntur ut species, generalissima genera nuncupantur, idcirco quia his nullum aliud superponitur genus, infima uero quae de nullis speciebus dicuntur, specialissimae species appellantur, idcirco quoniam integrum cuiuslibet rei uocabulum illa sus- cipiunt quae pura inmixtaque in ea de qua quaeritur proprie-  tate sunt constituta. at quoniam species id quod species est ex eo habet nomen, quia supponitur generi, ipsa erit simplex species, si ita generi supponatur, ut nullis aliis differentiis praeponatur ut genus. species enim quae sic supponitur alii, ut alii praeponatur, non est simplex species, sed habet quan-  dam generis admixtionem, illa uero species quae ita supponitur generi, ut minime speciebus aliis praeponatur, illa solum spe- cies simplexque est species atque idcirco et maxime species et specialissima nuncupatur. inter genera igitur quae sunt generalissima et species quae specialissimae sunt, in medio  1 uocauit  Lp.c.P  dicuntur  N  3 poterit  CNSm1  res  om. E, sed   ras ., ratio  R  4  post , praedicatur] dicitur  HNP  5 maxime  Em1G a.c . 7 quaedam] quae  CFHN  genera  om. CN, ante  sunt  F  et  om .  CHN  8 maximis  CFHNPm2  11 quia] quoniam  HN  14 inper- mixtaque  Em2HPm2  intermixtaque  NPm1  de qua  s. l. Sm2  de quo  R  quae  E (ex alia uoce) N  15 at] ut  CFN  quod] quoniam  E  16 nomen  om. FN  quia] quoniam  F  17 aliis  om. C  18  ante  alii  add . generi  CL (del. m2), post s. l. P  19 simplex  om. GRS, s. l .  Em2Lm2  22 atque idcirco maxime (-ma  H ) species est (est  om. H )  in mg. Hm1?, s. l. Lm2 ante  species  add . est  P, post C, s. l. Lm2  24 specialissima  EGSm1  sunt  om. EG, s. l. Pm2, post  quae  L   sunt quaedam quae superioribus quidem collata species sunt, inferioribus uero genera. haec subalterna genera nuncupantur, quod ita sunt genera, ut alterum sub altero collocetur. quod igitur genus solum est, id dicitur generalissimum genus, quae uero ita sunt genera, ut esse species possint, uel ita species,  ut sint genera nonnumquam, subalterna genera uel species appellantur. quod uero ita est species, ut alii genus esse non possit, specialissima species dicitur.   His igitur cognitis sumamus praedicamenti unius exem- plum, ut ab eo in ceteris quoque praedicamentis atque in  ceteris speciebus in uno filo atque ordine quid eueniat possit agnosci. substantia igitur generalissimum genus est; haec enim de cunctis aliis praedicatur. ac primum huius species duae, corporeum, incorporeum; nam et quod corporeum est, substantia dicitur et item quod incorporeum est, substantia  praedicatur. sub corporeo uero animatum atque inanimatum corpus ponitur, sub animato corpore animal ponitur; nam si sensibile adicias animato corpori, animal facis, reliqua uero pars, id est species, continet animatum insensibile corpus. sub animali autem rationale atque inrationale, sub rationali homo  atque deus; nam si rationali mortale subieceris, hominem feceris, si inmortale, deum, deum uero corporeum; hunc enim mundum ueteres deum uocabant et Iouis eum appellatione  1 quidem  om. EG  collata]  FHm1NPm2  collatae  Cm2EGHm2  ( add . e,  sed exters .)  Lm2  collocata  Pm1 collocatae  Cm1Lm1RS (in ras.)  sunt species  CLR  2 haec] et  C  nominantur  FHNP  3 alterutrum  Ea.r.Pm1  alterutro  Pm2  5 ita  s. l. Em2Lm2, ante  ut  C  6 ut sint—est species  (7) s. l. Em2  9 igitur] ergo  E  11  ante  in  add . ut  Lm2Pm2  uno quoque  Em2H  (quoq.  del. m1 ?)  PRS quod  Ea.c .  GLm2Pm1R  14 duae  om. HN  sunt  add. C,s.l. Pm2, ante  duae  L post pr . corporeum  add . et  C, s. l. Pm2 , atque  FHN  15  ante post . substantia  add . et  ES (del) , ex  R  17 sub animato—ponitur  om. R post . poni- tur] collocatur  FHNP  18 adicies  RS  19 inanimatum  Cm1Lm2NPm2S  (in  s. l. minus cert .),  post add . et  s. l. Pm2  20  post  rationali  add . autem  L  22 feceris  om. GRS, s. l. Em2 , scil. fecisti ( ante  hominem)  s. l. Sm2  constituis  L post  uero  s. l . dico  Lm2, post  corporeum  Sm2  23 deum ueteres  LN   dignati sunt deumque solem ceteraque caelestia corpora, quae animata esse cum Plato, tum plurimus doctorum chorus arbitratus est. sub homine uero indiuidui singularesque homines ut Plato, Cato, Cicero et ceteri, quorum numerum pluralitas  infinita non recipit. cuius rei subiecta descriptio sub oculos ponat exemplum. |    substantia  p. 70  corporea | incorporea corpus animatum | inanimatum animatum corpus sensibile | insensibile animal rationale | inrationale rationale animal mortale | inmortale homo Plato | Cicero Cato    Superius posita descriptio omnem ordinem a generalissimo us- que ad indiuidua praedicationis ostendit. in qua quidem substantia generalissimum dicitur genus, quoniam praeposita est omnibus,  nulli uero ipsa supponitur, et solum genus propter eandem scilicet causam, homo autem species solum, quoniam Plato,  1 dignati sunt] designauerunt  Em2  deum quoque  HLm2P  2 cum] tum  Em2F  platone  Lm2PSm1  tunc  CGLSm1  4 cato  om. C, ante  plato  L , tito  N  5 oculis  CFP  6 ponit  Lm1 figuram supra de- pictam exhibent P (est altera de duabus ipsa quoque a m1 facta, prior minus dilucida est), nisi quod ad pr . animal  add . sensibile  et  rationale  post post . animal  pos., et E, in quo ordo nominum  cato plato cicero  est, simillima est in G, sed extrema pars  homo—Cicero  deest, et in H, nomina tamen  socrates plato cicero  sunt; in S uoces mediae tantum  substantia—homo  extant, sub uoce homo unum nomen est  FVLCO GONCŁ,  (explicare non potuimus); figura deest in CFLNR, in F post ponat exemplum  est  SVBSTANTIA 8 ad  om. H, s. l. Em2  indiuiduum  FLN  in qua] et  E  10 uero] ergo  H   Cato et Cicero, quibus est ipsa praeposita, non differunt specie, sed numero tantum. corporeum uero, quod secundum a sub- stantia collocatur, et species esse probatur et genus, substantiae species, genus animati. at uero animatum genus est animalis, corporei species. est enim animatum genus sensibilis, animatum  uero sensibile animal est; ipsum igitur animatum propter pro- priam differentiam, quod est sensibile, recte genus esse dicitur animalis. animal uero rationalis genus est et rationale mor- talis. cumque rationale mortale nihil sit aliud nisi homo, rationale fit animalis species, hominis genus. homo uero ipse  Platonis, Catonis, Ciceronis non erit, ut dictum est, genus, sed est solum species. nec solum differentiae rationalis species est homo, uerum etiam Platonis et Catonis ceterorumque species appellatur, propter diuersam scilicet causam. nam rationalis idcirco est species, quoniam rationale per mortale  atque inmortale diuiditur, cum sit homo mortale. idem nero homo species est Platonis atque ceterorum; forma enim eorum omnium homo erit substantialis atque ultima similitudo. est autem communis omnium regula eas esse species specialis- simas quae supra sola indiuidua collocantur, ut homo, equus,  coruus — sed non auis; auium enim multae sunt species, sed hae tantum species esse dicuntur —, quorum subiecta ita sibi sunt consimilia, ut substantialem differentiam habere non possint. in omni autem hac dispositione priora genera cum inferioribus coniunguntur, ut posteriores efficiant species; nam  1 Cato] tito  N  et  om. P, s. l. Lm2  5 corporis  FN  enim] autem  CLSm2  6 ipsum  post  igitur  FL (s. l. m2), om. EGRS  propter] praeter  H  7 quae  ER  8  post  rationale  add . est genus  R, s. l . scil. genus  L  11 Catonis  om. CLN  titonis  N ante  Ciceronis  add . et  CFHP  12 species est solum  C  13 catonis et platonis  CL  platonis titonis  N  15  post  rationalis  add . homo  G  16 homo  om. EGLS  17 atque] et  C  eorum enim  E  18 erit] est  FHNP  19  ante  om- nium  add . et  R post  regula  add . est  EG  esse  ante  eas  FNS   (s. l. m2), om. EGR  21 enim] uero  CEGLRS 22 haec  Gm1NR  hee  P  species  om. E  quarum  Em2FSm2  sibi  om. R  24 dis- putatione  F  25 iunguntur  CLm1  coniungantur  m2  efficiunt  Fa.c.Sm1  efficiat  m2   ut sit corpus substantia, cum corporalitate coniungitur et est substantia corporea corpus. item ut sit animatum, corporeum atque substantia animato copulatur et est animatum substantia corporea habens animam. item ut sit sensibile, eidem tria illa  superiora iunguntur. nam quod est sensibile, tantum est, quantum substantia corporea animata retinens sensum, quod totum animal est. item superiora omnia rationi iuncta effi- ciunt rationale postremumque hominem superiora omnia nihilo minus terminant; est enim homo substantia corporea, animata,  sensibilis, rationalis, mortalis. nos uero definitionem hominis reddimus dicentes animal rationale, mortale, in animali scilicet includentes et substantiam et corporeum et animatum atque sensibile. et in ceteris quidem speciebus atque generibus ad hunc modum uel genera diuiduntur uel species describuntur.  Quemadmodum igitur substantia, cum suprema sit, eo quod nihil sit supra eam, genus erat generalis- simum, sic et homo, cum sit species post quam non sit alia species neque aliquid eorum quae possunt diuidi, sed solum indiuiduorum| — indiuiduum enim est  p. 71   Socrates et Plato —, species erit sola et ultima species  15—p. 212, 18] Porph. p. 5, 1—16 (Boeth. p. 30, 2—20).   4 eadem  H  idem  ex  eidem  Lm2  6 retinet  CN  habens  L  7 ratio- nali  Pm2  coniuncta  HL  efficiuntur  Ea.r.GS  8 postremoque  CHNP (recte?)  postremum (-mo  L ) uero  LS  11  inter mortale  et  in animali  add . quia animal includit[ur] in se et substantiam et corporeum et animatum atque sensibile  R  12 atque] et  H  14 describuntur] dis- tribuuntur  FN  15 cum]  R (sed ante breuis ras.)   fi  quae cum  cett . (quae  del. et in mg. scr . parentesis  5 m2 ); an quae  scribend .? suprema  om. S  summa  G  16 eo quod] et  A a.c . nihil] nullum  N SA  sit  om. F, s. l .  Λ , est  post  eam  Λ2  erat]  RSm1  erit  m2F  sit  P  est  cett. codd .  edd. Busse; Porph. p. 5, 2   ήν  17 sic et—species dicitur  (p. 212, 15) ]  RS Q ,  om. cett . et] etiam  RS ΤΦ ,  glossa ut uid. ad  et  in   Π  18 alia] aliqua  RS; add . inferior  ΔΛΠΣ*Ρ   Busse, post  species  Γ ,  om. RS Φ   edd. Porph. p. 5, 3 aliud  R  19  post  diuidi  add . in species  edd., recte ut uid., etiam Bussio placet; Porph. p. 5, 3 χών χέμνεοΟαι ουναμένων εις είδη   post  indiuiduorum  add . species  R  20  post  Plato  add . et hoc album  brm, fort. recte; Porph. p. 5, 4   xat χοοχι χό λεοχόν  solum  R  solam  S   et, ut dictum est, specialissima. quae uero sunt in medio, eorum quidem quae supra ipsa sunt, erunt species, eorum uero quae post ipsa sunt, genera. quare haec quidem habent duas habitudines, eam quae est ad superiora, secundum quam species ipsorum esse  dicuntur, et eam quae est ad posteriora, secundum quam genera ipsorum esse dicuntur. extrema uero unam habent habitudinem. nam et generalissimum ad ea quidem quae posteriora sunt, habet habitudinem, cum genus sit omnium id quod est supremum, eam  uero quae est ad superiora, non habet, cum sit supre- mum et primum principium, specialissimum autem unam habet habitudinem, eam quae est ad superiora, quorum est species, eam uero quae est ad posteriora, non diuersam habet, sed etiam indiuiduorum species  dicitur, sed species quidem indiuiduorum uelut ea continens, species autem superiorum, uelut quae ab eis contineatur.    2 ipsa  om. R, post  sunt  Γ species erunt  RS; Porph. p. 5, 6   είη αν εϊδη  3 uero—sunt  om. S, s. l . autem quae sunt sub se erunt  m2  uero] autem  RSm2 V<]?}   fort. recte  post ipsa] sub ipsis  R  4 duas habent  ΔΛ2   Busse; Porph. p. 5, 7   έχει Sio σχέσεις  habentes  S  7 dicuntur esse  R  extremae (-me)  Sm1 h m1 A2 m2 b 8 habent unam  Δ  et generalissimum] id quod generalissimum est  RS; Porph. p. 5, 9   το τε γάρ γενιχώτατον  9 habet] habet unam  Δ  10 genus  post  omnium  R, post  sit  S Σ  id] hic  R  ea  R  11  post  uero  add . habitudi- nem  Γ  non habet  hic om., post  principium  add . non habet habitudi- nem  R, add . et (ut diximus) supra quod non est aliud superueniens genus  edd. cum Porph. p. 5,12  12  ante  specialissimum  add . et  brm   Busse, fort. recte, om. codd. (etiam LPQ Bussii); Porph. p. 5, 12   «ύ τί> είδιχώτατον δέ  specialissimam  R T m1  specialissima  S  autem] etiam  brm  13 eam  om. RS  14 posteriora] inferiora  RS 511 ,  recte ? 15 non diuersam]  Sm1 edd . quorum diuersam  A m1  non ( del. uel om . diuersam,)  Sm2 A m2   et cett. Busse; Porph. p. 5, 14 oi% άλλοίαν  species dicitur—indiuiduorum  om. FHN , sed—indiuiduorum  om. CT  16 qui- dem  om .  Σ ,  post add . dicitur  edd.; codd. quidam Porph. p. 5,15   λέγεται  eam  N  17  post continens  add . est  Σ  autem] uero  L  18 his  NR  illis  F  contineantur  CEm2H  continetur  N Ω  ( sed corr .  K m2 ,  ex  -entur  II m2 )   Ex proportione speciei nomen et generis ostendit. nam ut genus, quoniam non habet genus supra se, generalissimum genus dicitur, ut substantia, ita species, quoniam non habet sub se speciem, sed indiuidua, specialissima species dicitur,  ut homo. quid est autem species non habere? his praeesse quae neque in dissimilia diuidi possunt, ut genera diuiduntur, neque in similia secantur, ut species. quae uero inter genera generalissima speciesque specialissimas constituta sunt, ea et species et genera nuncupantur, quoniam et ipsa aliis suppo-  nuntur et his alia subiciuntur, quorum uel in dissimilia uel in similia possit esse partitio. cumque duae sint habitudines et quasi comparationes oppositae, quae in omnibus generibus speciebusque uersentur, una quidem quae ad superiora respi- ciat, ut specierum, quae suis generibus supponuntur, alia  uero quae ad inferiora, ut generum, cum speciebus propriis praeponuntur, generalissima quidem genera unam tantum reti- nent habitudinem, eam scilicet quae inferiora complectitur, illam uero quae ad praeposita comparatur, non habent. gene- ralissimum enim genus nulli supponitur. item species specia-  lissima unam possidet habitudinem, per quam scilicet ad sola genera comparatur, illam uero quae ad inferiora committitur, non habet; nullis enim speciebus ipsa praeponitur. at uero quae subalterna sunt genera, utraque habitudine funguntur.  1 propositione  FPm1  et  om. N, del. Sm2 , etiam  FL  2 super  F  se  om. CN, s, l. Lm2  4 species specialissima  FHN  5 speciem  Lm2 post  habere  add . nisi ( ex 2 al. litt. m2 )  L  hoc est  N  id est  R, inseruit   Pm1?  6 possint  ESm2  7  ante  neque  add . sed  P, del. m1?, s. l· Lm2  quae—constituta] specialissimae constitutae,  cet. om. EGRS  8 ea et] illae (illa  L ) uero  EGLRS  9 et  om. FP  quoniam] quae  EGLm1R subponantur  S  10 subiciantur  S pr . uel  om. EGR, s. l. Lm2  uel in similia  om. EGRS  11 possint  EGLm1S  possunt  R  paratio  Cm1  partitiones  EGLa.r.RS  cumque—comparationes  om. EGRS, in mg. Lm2  duo  Cm1  sunt  NPa.c . 12 subpositae  CHm1Lm1N, om. F  13 uersantur  EGL  16 una  Cm1  retinent  ante  tantum  H  retinet  R  habent  N  18 illam—comparatur  (21) om. S habet  G, m1 in CEH  19 genus enim  H  nullis  F  23 quae] illa quae  F  utramque habitudinem  G   nam et illam possident quae ad superiora respicit, quoniam quae subalterna sunt, habent superpositum genus, et illam quae de inferioribus praedicatur; habent enim subalterna genera suppositas species, ut corporeum ad substantiam quidem eam retinet habitudinem qua potest poni sub genere, ad ani-  matum uero eam qua potest de specie praedicari. specialis- simae uero species licet ipsae indiuiduis praeponantur, tamen praepositi habitudinem non habebunt, idcirco quoniam illa quae speciei ultimae supponuntur, talia sunt, ut quantum ad substantiam unum quiddam sint non habentia substantialem  differentiam, sed accidentibus efficitur, ut numero saltem distare uideantur, ut paene dici possit et pluribus praeesse speciem et quodammodo nulli omnino esse praepositam. nam cum species substantiam monstret unam, quae omnium indi- uiduorum sub specie positorum substantia sit, quodammodo  nulli praeposita est, si ad substantiam quis uelit aspicere. at si accidentia quis consideret, plures de quibus praedicetur species fiunt, non substantiae diuersitate, sed accidentium multitudine. itaque fit ut genus quidem semper plurimas sub  1  ad  illam  et  quae  s. l . ał illud  et  ał quod  L  ad  om. CGHLPS  quoniam quae] quantum que  S  2  post  sunt  add . genera  P, s. l. Lm2  3 praedicantur  Hm1Sm1  4 superpositas  Hm1  5 qu * a (i  er .)  C  poni potest  E  6 quae  EHm1LPN specie] speciebus  R  7 prae- ponuntur  Hm1Pm1  8 subpositi  E  habent  EP  habebit  Gm2  9 ul- tima  EGLm1S  ad substantiam] substantia  F  10 quidem  GLm2S  non] nec  FHLm2NP habentia]  Em2  habentes  CEm1GL  (es  ex al. litt. m2 )  PS  habentem  R  habent  FHN  11  post  sed  s. l . scii, ex  Hm1?  accidentibus  del. et s. l . ał accidentalem  Hm2 uel al ., acci- dentalem,  s. l . ał accidentibus  Lm1, s. l . Nam accidentibus  m2  saltim  Lm2NPR  12 possint  EFGLRS  et] nec  F, m1 in HLN  13 species  EGL  ( es in er . em?  m2 )  Pm1RS  esse  om. FHN  praepositae  EGLRSm2 (-tum  m1 ) nam cum—praeposita est  (16) in sup. mg. Lm2  14 monstraret  HPm1  monstrat  RS unam, quae]  S  unaque  CFHNP  ( ras. ex  -que) unam quamque  EGR  unam *  L 15 substantiae  GLR  sit  s. l. ante  substantia  Pm2, om. EGLR , est  S ante  quodammodo add.  fit HN, post  nulli  C, om . est (16)  CHN  16 ad  om. EGPRS  17 ac  GR  praedicatur  EGLRS   se habeat species; de differentibus enim specie praedicatur, differentia uero nisi pluralitati non conuenit. at uero species etiam uni aliquando indiuiduo praeesse potest. si enim unus, ut perhibetur, est phoenix, phoenicis species de uno tantum  indiuiduo praedicatur; solis etiam species unum solem intel- legitur habere subiectum. ita nullam multitudinem | species  p. 72  per se continet, cum etiam si unum sit tantum indiuiduum, speciei tamen non pereat intellectus; quibusdam enim suis quasi similibus partibus praeest. ut si aeris uirgulam diuidas,  secundum id quod aes dicitur, idem et partes esse intellegitur et totum. idcirco dictum est speciem, licet sit indiuiduis praeposita, unam tamen habitudinem possidere, unam scilicet qua species est. quoniam enim praepositis subditur, species nuncupatur, et est superiorum species tamquam subiecta  inferiorum quoque species, idcirco quoniam eorum substantiam monstrat. speciem uero substantiam nuncupamus, nec ita est species substantia indiuiduorum, quemadmodum speciei genus; illud enim pars substantiae est, ut animalis homo. reliquae enim partes rationale sunt atque mortale, homo uero Socratis  atque Ciceronis tota substantia est; nulla enim additur dif- ferentia substantialis ad hominem, ut Socrates fiat aut Cicero,  1 de differentibus enim] quod de differentibus  CL  2 ni  C  4 est  post  unus  FHP, post  phoenix  N  5 solem]  EGPpr  solum  cett. codd .  bm; cf. p. 218. 3. 219, 17 . 7 cum  om. S  ut  CFN  tantum  om .  ENRS; cf.p. 219,11 post indiuiduum  add . unius generis  G  8 tamen  om. C  perit  Sm2, add . sensus et  F  9  post  uirgulam  add . in partes suas (suas partes  P ) id est (id est  om. F ) aeneas particulas (particulas  om. F , aeneas uirgulas,  sed del. L )  CFHLN, in mg. Pm2  10 in- telliguntur  H  12 possidet  FN  unam] illam  L  eam unam  F  13  ante  qua  s. l . in  Sm2  14 nuncupatur] nominatur  FHN  16 demonstrat CEGLP  est  om. S, post  species  in ras. N , esset  F  17 substantia (ia  ex  ie  F )  ante  species  FNa.c.RS, post  indiuiduorum  C  18 ani- malis homo]  EGLm1  homo animalis  Sm2P  animal hominis  CLm2Sm1  hominis animal  FH  (inis  in ras. m2 et post  animal  2 litt. er .)  NR  19 etenim  R  sunt  om. EGR post  mortale  add . adduntur ( om. N ) animali ad diffiniendam substantiam hominis  N edd . uero  om. CFGLRS   sicut additur animali rationale atque mortale, ut homo integra definitione claudatur. idcirco igitur species specialissima tantum species est atque hanc solam possidet habitudinem ad superiora quidem, quoniam ab his continetur, ad inferiora uero, quoniam eorum substantiam format et continet.   Determinant ergo generalissimum ita, quod cum genus sit, non est species, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens genus, specialissimum uero, quod cum sit species, non est genus et quod cum sit species, numquam diuiditur in species et quod de  pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. ea uero quae in medio sunt extremorum, subalterna uocant genera et species, et unum quodque ipsorum speciem esse et genus ponunt, ad aliud qui- dem et ad aliud sumpta. ea uero quae sunt ante spe-  cialissima usque ad generalissimum ascendentia, et genera dicuntur et species et subalterna genera, ut Agamemnon Atrides et Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis.    Posteaquam naturam generum ac specierum diuersitatemque  monstrauit, eorum ordinem definitionis descriptionisque com- memorat. ac primum quidem generalissimi generis terminum  6-19] Porph. p. 5, 17—6, 3 (Boeth. p. 30, 21—31, 7).   1 rationalis atque mortalis  N  3 possidet] optinet  P  6  post  deter- minant  add . philosophi  C  ergo  om. CN  enim  EGLm1 <t> p.c.;   Porph. p. 5, 17   τοίνον  ita  om. CGHP, s. l. Em2 A m2  quod] quoniam  S  7 sit genus  NR  et rursus—genera ut  (17) ]  LRS ii ,  om. cett . rursum  S  8 erit]  LRS T est  cett.; Porph. p. 5, 18   οΰχ αν ειη  9  pr . quod] quae  S h a.c . post. quod—et quod  (10) om. L  10 diuidatur  S  11 et] et de  L  13 uocant]  Λ2Φ  uocantur  cett. edd. Busse; Porph. p. 5, 21   χολοΰσι 14 ipso eorum  S  speciem]  Brandt  species  codd. Busse  ponunt]  A m2 U m2 ,  e coni. scr. Busse , ponuntur  T m1  possunt  m2   cum   cett .; species esse potest et genus  edd.; Porph. p. 5, 22   xal έχαοτον αδτών είδος είναι xal γένος τίθενται  17  post , et  om. R  ut  om. FS  18 et  om. CEG pelides  F post . et  om. C  19 ultimo  F  20 Post ** quam  CL  diuersitatem  GLm1R , -que  in ras. E, er. P   inducit, id esse generalissimum genus quod cum ipsum genus sit, non habet superpositum genus, hoc est speciem non esse, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens genus. si enim haberet aliud genus, minime ipsum generalissimum  uocaretur. specialissima uero species hoc modo : quod cum sit species, non est genus, ex opposito, quoniam opposita ex oppo- sitis describuntur interdum. nam quoniam praepositio opposita est suppositioni, genus autem praeponitur, species uero sup- ponitur, si idcirco erit primum genus, quia ita superponitur,  ut minime supponatur, idcirco erit ultima species, quia ita supponitur, ut praeponi non possit, oppositorum igitur recte ex oppositis facta est definitio. Est alia rursus descriptio : quod cum sit species, numquam diuidatur in species, id est genus esse non possit. si enim omne genus specierum  genus est, si quid non diuiditur in species, genus esse non poterit. Est rursus alia definitio : quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. de qua definitione saepe est superius demonstratum. nunc  18 saepe superius] p. 188, 12. 190, 11 ss. 203, 11. 205, 4.   1 inducit]  RSm1  indicit  Em1  indicat  GLa.c.  dicit  CEm2FHLp.c.   NPSm2  inducit dicens  brm  indicat dicens  p  id  om. EGRS, s. l. Lm2  3 non  om. EGRS, s. l. Lm2  superueniens  om. EGRS, s. l. Lm2  si—genus  om. EGRS, in mg. sup. Lm2  5 uocetur  EGLm1Sm2; post   inlatus est locus p. 219,14—220, 3  quoniam ridere—exemplam  in EGL,  quoniam irridere  (sic) —praedicatur  p. 219, 15 (qui locus tamen infra quoque extat) in S  specialissima—idcirco erit  (10) in ras. C post  modo  add.  describitur  edd.  6 opposito] opposita  F  opposito est  H; post   add.  Quia sicut genus (genus  in mg. F ) generalissimum est cui non aliud genus superponitur, ita et species specialissima nuncupatur, cui alia species non subponitur (superponitur  F ) et utrumque ex opposito dicitur alterius sicut pater ex opposito dicitur filii  F, in inf, mg. cum nota  d(esunt) h(aec)  Hm1?  opposita  om. EGR, s. l. Sm2  7 quoniam  om. EN  9 si  er. E  sed  La.c, Pm2  11  ante  ut  add.  rursus  RS  ut praeponi non possit] ut minime praeponatur  CFHN (in mg. add. m2)  oppositorum  om. EGLRS  recte  om. C  13 quod]  Lm1 edd.  quae  cett.   ante  numquam  add.  quae  CGHm1, del. m2  diuiditur  CLRSm1  14 est  om. C  possit] posse  CFN  potest  edd . 16 potest  EGLRS  Est] et  FHNS  et  om. N   illud attendendum est. si, ut paulo superius dictum est, speciei unum indiuiduum potest esse subiectum, ut phoenici atomum suum, ut soli corpus hoc lucidum, ut mundo uel lunae, quorum species singulis suis indiuiduis superponuntur, qui conuenit dicere speciem esse quae de pluribus numero differentibus in  eo quod quid sit praedicatur? sunt enim quaedam quae de numero differentibus minime dicuntur, ut phoenix, sol, luna, mundus. sed de his illa ratio est de qua etiam superius pauca reddidimus, quae paululum inflexa commodissime nodum quae- p. 73  stionis absoluit. | omnia enim quae sub speciebus specialissimis  sunt, siue infinita sint siue finito numero constituta siue ad singularitatem deducantur, dum est aliquod indiuiduum, semper species permanebit neque indiuiduorum deminutione, dum quodlibet unum maneat, species consumitur. ut enim dictum est, tametsi plura sint indiuidua, substantiales differentias non  habebunt. id uero in genere dici non conuenit, quod his praeest quae substantiali a se differentia disgregata sunt; praeest enim speciebus quae diuersis differentiis informantur.  1 paulo superius. 8 superius] p. 215, 2 ss.   1 est  om. G, s. l. Lm1  si, ut] sicut  FGPSm1  sic  La.c. supra  RS  3 suam  S  solis  F  mundi  FR, add.  hoc inane spacium  s. l.   Lm2, post  lunae  in mg.  et hoc immane spacium quod uidemus  P  quo- rum] quae  Lm1  4 indiuiduis  om. EGRS post superponuntur  add . quod si ita est ut species de uno quolibet indiuiduo praedicetur (praedicatur  P ) ut de phoenice (phe-  P )  P edd.  qui] quomodo  Hm2LP  6 praedicetur  L  8 mundus  om. EGRS, s. l. Lm2  illa his  EG  ratio est  om. EG  9 paulum  N  inplexa ( uel  im-) EHm1LP  nodum  ras. ex  modum  EN  10 sub] suis  EGS  in suis  R  specialissima  GPm1RS  11 sint] sunt  CHa.c.Lm1R  finita  CHm2N  12 deducuntur  Lm2R  adducuntur  P, add.  ut fenix uel sol  R  aliquid  FL  semper—deminutione  om. EGRS, in mg. Lm2  semper s. l.  Pm1?, post species  N, om. L (m2)  13 deminutione]  C  diminutione  cett.  dum  om. S  si  EGLm1R  14  ante consumitur  add.  non  EGL   (del. m2) RS  ut] quod  EGLRS  15 tamenetsi  G  tamen si  RS  sunt  F ante  substantiales  add.  si  G, s. l. Sm2, ras. in E  16 id uero  om. EG  quod  L  idcirco id  R  id circo  Sm1 , circo  del. m2  18  ante  speciebus  s. l.  genus  E   si igitur earum una perierit et ad unitatem speciei reducta sit ratio, genus esse non poterit, quia de differentibus specie praedicatur. non ita in speciebus. si enim omnium indiuidu- orum natura consumpta sit et ad unius singularitatem indi-  uidui superpositae speciei praedicatio peruenerit, est tamen species ac permanet. talia enim sunt illa quae pereunt ac desunt, quale est id quod permansit et subiacet. quod uero dicimus de pluribus numero differentibus speciem praedicari, duobus id recte explicabitur modis, uno quidem, quia multo  plures sunt species quae de numerosis indiuiduis praedicantur, quam hae quibus unum tantum indiuiduum uidetur esse sup- positum, dehinc hoc, quia multa secundum potestatem dicuntur, cum actu non semper ita sint, ut risibilis homo dicitur, etiamsi minime rideat, quoniam ridere potest. ita igitur species  de numero differentibus praedicatur; nihilo enim minus phoenix de pluribus phoenicibus praedicaretur, si plures essent, quam nunc, quando unus esse perhibetur. item solis species de hoc uno sole quem nouimus, nunc dicitur, at si animo plures soles et cogitatione fingantur, nihilo minus de pluribus solibus  indiuiduis nomen solis quam de hoc uno praedicabitur. idcirco igitur species de pluribus numero differentibus dicitur praedicari, cum sint aliquae quae de singulis indiuiduis appellentur. Illa uero quae subalterna uocantur ita definiri queunt : subalternum  1 eorum  EFGLm1RS  redacta  EGLPm2RS edd.  2 de  om. E  3 si enim] nam si  EGLRS  5 suppositae  LNR  superposita  S  uene- rit  EGLRS  6 alia  EGLa.c.RS ante  sunt  s. l.  non  E  7 quale] quam  EGLa.c.RS  et] ac  CFHNP  8 de numero pluribus  Ca.c.  numero de pluribus  p.c.  9 excusatur  EGLRS  quidem uno  EG  multo  om. FN, s. l. H  11 hae  om. ER  hee  C  eae  H  ea  N ante  qui- bus  add.  e  CR, er. uid. E  tantum  om. S  suppositum esse  RS  12 dehinc] deinde  EGLRS  hoc  om. FHNS  13 semper  om. CFH  14 etiamsi—praedicatur  om. F de loco  quoniam ridere  eqs. in EGLS   cf. ad p. 217 , 5 igitur] etiam  E  15 nihil  EGLPRS  16 phoenicibus  om. F 17 ita (a  in ras. m2) E  hoc  om. S, post  uno  F  18 ac  EGR ante  animo  s. l.  in  Pm2  19 cogitationes  Ca.c.F ante  de  add.  enim  EG  20 praedicatur  EGLRS  22 appellantur  FHN   genus est quod et genus esse poterit et species, ad eumque modum est ut in familiis, quae procreant et procreantur, ut etiam subiectum monstrat exemplum : ut Agamemnon Atri- des et Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis. Atreus enim Pelopis filius tamquam eiusdem species quasi  Agamemnonis genus est. item Agamemnon Pelopides et Tan- talides, cum Pelops ad Tantalum comparatus Tantalusque ad Iouem quasi species itemque Tantalus ad Pelopem, Pelops ad Atreum tamquam genera esse uideantur, cum Iuppiter ueluti sit horum generalissimum genus.   Sed in familiis quidem plerumque ad unum redu- cuntur principium, uerbi gratia ad Iouem, in generibus autem et speciebus non se sic habet. neque enim est commune unum genus omnium ens nec omnia eiusdem generis sunt secundum unum supremum genus, quem-  admodum dicit Aristoteles. sed sint posita, quemad-  11-221, 7] Porph. p. 6, 3—11 (Boeth. p. 31, 7—17). 16 Ari- stoteles] Metaph. II, 3, p. 998 b , 22.   1 et  om. RS  et genus  om. EG  ad—ut]  CG ( ut  om.) Hm2  ad eumque  ( et ad eum  N)  modum sunt ut  Hm1N  ad eumque  ( eum que *   L  eundem  Pm2 ) modum qui  (s. l. Lm2, part. in ras. Pm2)  est  (s. l. Pm2)   LP  ad eum modum qui est  EFR  ad eum  ( eum  del. m2, post  que eu  er.)  modum,  in ras. quae est  m2 S  4 et Tantalides—Iouis]  Lm2Pm2   (om.  et Tantalides ) R edd., post  species  (5) Lm1S, om. cett.  5 quasi] quae si  Sm1, del. m2, ante add.  et  F, s. l. Pm2 , est  R  6 Agamem- nonis] tamen his  ( is  R) EGLm1R  tamen non his  Sm1, del. m2  genus est  del. Sm2  est  om. P ante  Pelopides  add.  non  E  atrides non  ( non  del. m2) L  7 comparatus]  ( s  in ras. m2) H comparatur  ( cõ- ) cett  Tantalusque] ut tantalus quae  G  8 idemque  CP  idem  N  9 Atreum] creontum  EG  creontem  Lm1  tareontum  S  tamquam] quasi  EGLR  quae  S  uelut  HP  11 reducuntur  ante  ad  N, post  reducuntur  add.  omnes  L, s. l. Pm2;  reducunt  coni. Busse; cf. p. 224, 19  reduci;  Porph.   p. 6, 3   άναγουοι  12 ad  om. EGRS A  13 speciebus] in speciebus  R  sic se  ΝΣ  habetur  EG  neque—dicerentur  (p. 221, 5) ]  RS Q ,  om.   cett.  enim  om. R  14 neque  Busse  15 sunt generis  Γ  16 sunt  \ m2 2 ;  Porph. p. 6, 6   χείοθ·ω  quemadmodum  om. S, add.  dictum est  edd., idem post  Praedicamentis  h m2 W m2   (cf. p. 224, 19); om. Porph. p. 6, 7   modum in Praedicamentis, prima decem genera quasi prima decem principia; uel si omnia quis entia uocet, aequiuoce, inquit, nuncupabit, non uniuoce. si enim unum esset commune omnium genus ens, uniuoce  entia dicerentur; cum uero decem sint prima, com- munio secundum nomen est solum, non etiam secun- dum rationem, quae secundum nomen est.    Cum de subalternis generibus diceret, familiae cuiusdam posuit exemplum, quae ab Agamemnone peruenit ad Iouem,  quem quidem pro numinis reuerentia ultimum posuit. quantum enim ad ueteres theologos, refertur Iuppiter ad Saturnum, Saturnus ad Caelum, Caelus uero ad antiquissimum Ophionem ducitur, cuius Ophionis nullum principium est. ne igitur quod in familiis est, id in rebus quoque esse credatur, ut res omnes  possint ad unum sui nominis redire principium, idcirco deter- minat hoc in generibus ac speciebus esse non posse; neque enim sicut familiae cuiuslibet, ita etiam omnium rerum unum esse principium potest. fuere enim qui hac opinione tenerentur, ut rerum omnium quae sunt unum putarent esse genus quod  ens nuncupant, | tractum ab eo quod dicimus ‘est’; omnia enim  p. 74   3 inquit] sententia, non uerba Aristotelis.   1 quasi  in ras.   Σ  sic  A m1  sicut  Ψ  2 prima  om.   Γ ,  post  decem  Π  2 uocat  A m1 II  3 nuncupauit  S, in ras. ex  -bit  Γ  4 genus omnium  Busse  entia uniuoce  R post  uniuoce  add.  omnia  edd. cum Porph.   p. 6, 9   πάντα  5 uero] autem  Γ  enim  ΔΔΣΦ ;  Porph. p. 6, 10   δέ sunt  FH  prima] principia  Lm1  prima genera  m2P  (genera  s. l. m2 ), prima principia  N ΓΣ  7  ante  rationem ( ante  nomen  E )  add.  definitionis ( uel  diff-)  ELRS Q ,  om. Porph. p. 6, 11  quam  E post  est  add . solum  CHN  8 Cum] Quoniam  CLm1NS  Quoniam  (del. m2)  cum  H  di- cens  CLm1N  dicit  in ras. S  cuius  Pm1  cuiusque  F  eiusdem  R  9 ponit  Sm2  ab  om. F, s. l. Gm2  10 nominis  EGLS  nomini  R  11 ad ueteres] aduertere  Sm1  aduertisse  CEFGLm2P  aduertit se  R referantur  Hm1N  12 caelium ( uel  ce-)  LPm2RS  zethum  F  zechum  N  Caelus] Hm2  caelius ( uel ce-)  LPm2Sm2  celium  R  caelum  CEGHm1Pm1Sm1  zetus  F  zehus  N  othionem  F  ( sed ophionis) 14 esse ( Pm2  est  m1 ) quoque  FHNP  15  ante  sui  exters. uid.  proprii  E  17 familia  H 19 ut] et  Fa.c.S  ut et  N  20 est] esse  S   sunt et de omnibus esse praedicatur. itaque et substantia est et qualitas est itemque quantitas ceteraque esse dicuntur; nec de his aliquid tractaretur, nisi haec quae praedicamenta dicun- tur, esse constaret. quae cum ita sint, ultimum omnium genus ens esse posuerunt, scilicet quod de omnibus praedicaretur.  ab eo autem quod dicimus ‘est’ participium inflectentes Graeco quidem sermone  Sv  Latine ens appellauerunt. sed Aristoteles sapientissimus rerum cognitor reclamat huic sententiae nec ad unum res omnes putat duci posse primordium, sed decem esse genera in rebus, quae cum a semet ipsis diuersa sint,  tum ad nullum commune principium reducantur. haec autem decem genera statuit substantiam, qualitatem, quantitatem, ad aliquid, ubi, quando, situm, facere, pati, habere. quod uero occurrebat quoniam de his omnibus esse praedicaretur — omnia enim quae superius enumerata sunt genera, esse dicuntur —,  ita discussit ac reppulit dicens non omne commune nomen communem etiam formare substantiam nec ex eo debere genus esse commune arbitrari, quod de aliquibus nomen commune praedicaretur. quibus enim definitio communis nominis con- uenit, illa communis nominis iure species iudicabuntur et  communi illo uocabulo uniuoce praedicantur, quibus uero non conuenit, uox his communis tantum est, nulla uero substantia. id autem manifestius declaratur exemplis hoc modo. animal hominis atque equi genus esse praedicamus; demus igitur  1  post.  et  om. EGRS, s. l. Lm2  2 cetera  C  3 de] in  GLm1RS  5 esse  om. EGRS, s. l. Lm2  6 autem  s. l. L  enim  C  est] esse  FS  principium  EG, m1 in LPS  inflectentes  post  quidem  N  7 quidem  ante  Graeco  R ante  sermone  add.  de  P, s. l. L post  Latine add. autem  FHN, s. l. Pm2  8 prudentissimus  FNP  rerum] principiorum EGLm1Pm1RS  9 omnes  ante  res  C, om. EGRS, s. l. Lm2  dici  FGm1Pm2  10 ad  FHNRm1 ipso  Em1GPm1S  ipsa  FHN  ipsos  Rm1  sunt  CLm1R edd.  11 reducuntur  EFGLm2RPm1S  15 nu- merata  CEGL  innumerata  S  16 repulit  CEFHRP  17 eo debere] eodem uere (e re  add. S )  EGSm1  18  post  arbitrari  add.  debet  E  19 praedicatur  E  praedicetur  FHNP  nominis communis  FN  22 his uox  FHNP  23 manifestis  FLp.c.  24 praedicatur  S  dicamus  CHN   animalis definitionem, quae est substantia animata sensibilis; hanc si ad hominem reducamus, erit homo substantia animata sensibilis, nec ulla falsitate definitio maculatur. rursus si ad equum, erit equus substantia animata sensibilis; id quoque  uerum est. conuenit igitur haec definitio et animali, quod commune est homini atque equo, et eidem equo atque homini, quae species ponuntur animalis. ex quo fit ut homo atque equus utraque animalia uniuoce nuncupentur. at si quis hominem pictum hominemque uiuum communi animalis nomine nuncu-  pauerit, definiat si libet animal hoc modo, substantiam ani- matam esse atque sensibilem. sed haec definitio ei quidem homini qui uiuus est conuenit, ei uero qui pictus est, minime; neque enim est animata substantia. igitur homini uiuo atque picto, quibus communis nominis definitio, id est animalis,  non potest conuenire, non est animal commune genus, sed tantum commune uocabulum diciturque hoc nomen animalis in uiuo homine atque picto non genus, sed uox plura signi- ficans; uox autem plura significans aequiuoca nuncupatur, sicut uox ea quae genus ostendit, uniuoca dicitur. itaque id quod  dicitur ens, etsi de omnibus dicitur praedicamentis, quoniam tamen nulla eius definitio inueniri potest quae omnibus prae- dicamentis possit aptari, idcirco non dicitur uniuoce de prae- dicamentis, id est ut genus, sed aequiuoce, id est ut uox plura significans. Conuincitur etiam hac quoque ratione id  quod dicimus, ens praedicamentorum genus esse non posse.  2 hanc] uel hanc  E  3 facultate  Em1  4 equus] equi  CFPm2  5 definitio ( uel  diff-) haec  FHN  6 homini] et homini  CNP  atque] et,  FHNPR  eidem]  CEm2FH a.r.NPR  idem  Em1GHp.r.Lm1S  eadem  Lm2brm  ea eidem  p  8 animalis  EGLa.c.  una uoce  E  nun- cupantur  C  nominentur  FHN  9 uiuum] uerum  EGLm1PRS 10 si libet] scilicet  CHm1N  animal  om. E  12 uero]  FHP, om. S , quidem  cett.  13 est  post substantia  LP  16 dicitur quae  Em1Sm1  dicitur quod  LSm2  dicitur quia  CFN  17 genus] genus est  FN  uox—significans  om.   CEGP, s. l. Lm2Sm2  18 autem] enim  RS ante  aequiuoca  add. quae  CEGP  nuncupantur  GS  19 ita  ELm1  23 id est  om. CFN  ut genus  om. F  24 quoque  om. N   unius enim rei duo genera esse non possunt, nisi alterum alteri subiciatur, ut hominis genus est animal atque animatum, cum animal animato uelut species supponatur. at si duo sint sibimet ita aequalia, ut numquam alterum alteri supponatur, haec utraque eiusdem speciei genera esse non possunt. ens  igitur atque unum neutrum neutri supponitur; neque enim unius dicere possumus genus ens nec eius quod dicimus ens, unum. nam quod dicimus ens, unum est et quod unum dicitur, ens est; genus autem et species sibi minime conuertuntur. si igitur praedicatur ens de omnibus praedicamentis, praedicatur  etiam unum. nam substantia unum est, qualitas unum est, quantitas unum est ceteraque ad hunc modum. si igitur, quoniam esse de omnibus praedicatur, omnium genus erit, et unum, quoniam de omnibus praedicatur, erit omnium genus. sed unum atque ens, ut demonstratum est, minime alterum  alteri praeponitur; duo igitur aequalia singulorum praedica- mentorum genera sunt, quod fieri non potest. cum haec igitur ita sint, id Porphyrius determinauit dicens non ita in rebus, ut in familiis omnia ad unum principium posse reduci nec omnium rerum commune esse genus posse, ut Aristoteli pla-  cet; sed sint posita, inquit, quemadmodum in Praedi-  p. 75  camentis dictum est, prima decem ge|nera quasi decem prima principia, scilicet ut nulla interim ratio perquiratur, sed auctoritati Aristotelis concedentes haec decem genera nulli  3 ac  R  sint  post  aequalia  pos. RS, repet. FL (s. l. m2) P  4 sibi- metque  ( quae  F) FLm2Pm1  ita  s. l. Lm2  5  ante  haec  add . aequa  C ,  sed del . eidem  Pm2  eius  S  6 neutris  Em1  8  pr . unum  post  nec,  om .  post  ens  H  dicitur  om. S dicimus  Rbrm  13 esse] ens  Lm2P   post  omnibus  add . his  CP, in mg. Hm2, add . praedicamentis  (s. l. m2)  his  L post  erit  add . ens  CHN  et unum—omnium genus  om. R  15 sed] si  in ras. Em2 ut  om. FH  16 praeponi  FH  17 hoc  Ea.c. edd . 18 sit  edd . 19 deduci  LS  duci  Em1  20 genus  ante esse  CFN, post  posse  S  poterit  F  21 sint]  FHm1  sunt  cett . 23 prima  om. N, post  principia  R  ut  om. EGS  24 auctoritate  Em1Hm1  ad auctoritatem  FN  accedentes  CFNS   alii generi esse credamus subiecta, quae si quis entia nuncupat, aequiuoce nuncupabit, non uniuoce; neque enim una eorum omnium secundum commune nomen definitio poterit adhiberi. quae res facit, ut non uniuoce de his aliquid praedicetur. si  enim uniuoce praedicaretur, genus esset eorum commune nomen quod de omnibus praedicaretur; at si genus esset, definitio generis conueniret in species. quod quia non fit, com- mune his id quod dicimus ens, uocabulum est uocis signi- ficatione, non ratione substantiae.    Decem quidem generalissima sunt, specialissima uero in numero quidem quodam sunt, non tamen infi- nito, indiuidua autem quae sunt post specialissima, infinita sunt. quapropter usque ad specialissima a generalissimis descendentem iubet Plato quiescere,  descendere autem per media diuidentem specificis differentiis; infinita, inquit, relinquenda sunt; neque enim horum posse fieri disciplinam.    10—17] Porph. p. 6, 11—16 (Boeth. p. 31, 17—32, 1). 14 Plato] Phileb. p. 16 C. Polit, p. 262 A—C. Sophist. p. 266 A. B adfert Busse.   1 entia nuncupat]  ERS  (-pet), etiam entia nuncupat  N  ab ens entia nuncupat (-pet  Lm2 )  CGL  etiam nuncupat (nuncupat  post  ens  P ) ab ens entia  HP entia nuncupat ens  F  2 nuncupabit (-uit  FHN )  post  uniuoce  FHNP , nuntiauit  S  unam—definitionem ( uel  diff-) poterit adhibere  FHN  3 nomen  ex  non  Em2G  5 esse  Hm1, add . ens  s. l .  L, ante  esset  P  eorum  om. CN, post  commune  L  6 nomen  in   mg. Hm2, del. Lm2  ens  CH(in mg.) Lm2  ( s. l. ante  eorum)  N  7 con- uenerit  Em1  8 his  om. GS  10 sunt  om. S  11 in numero  om .  Δ  quodam] quaedam  Pm1  sunt  om., post  indiuidua  add . est  S  tam  C  infinito]  Fp. c . (finito  a.c .)  Hm2S TNtt p.c . Φ  in infinito  Hm1N W a.c . indefinito  C  ( ras. ex  -tio) EGL a.c . (in indefinito  et  ał definito  corr. m1 )  PR kIPV  (in  er .) 12 indiuidua—quiescere)  LRS Q ,  om. cett . 13 sunt infinita  LRS Busse; cf. p. 226, 22  a  om. R  15  ante  descendere  post  usque  (cf. ad p. 178, 14) add.  ad id  CHP  diuidentem per me- dia  Γ  16  ante  infinita  add . indiuidua uero  Δ ,  sed del., post add . uero  ΓΦ  17 enim  s. l. L, del .  Γ  horum]  N ii  ( ante add . et  ΛΦ ,  er. uid .  Γ ,  post add . indiuiduorum  Γ ) eorum  cett.; Porph. p. 6, 16   τούτων  disciplina  Cm1   Quoniam specierum nosse naturam ad sectionem generum pertinet quoniamque scientia infinita esse non potest — nullus enim intellectus infinita circumdat —, idcirco de multitudine generum, specierum atque indiuiduorum rectissima ratione persequitur dicens supremorum generum numerum notum —  decem enim praedicamenta ab Aristotele esse reperta quae rebus omnibus generis loco praeferenda sint —, species uero multo plures esse quam genera. nam cum decem suprema sint genera cumque uni generi non una, sed multae species supponantur proximaeque species supremis generibus subalterna  sint genera usque dum ad ultimas species descendatur, nimirum unius generis multas species esse necesse est utrobique dif- fusas, specialissimas uero multo plures esse quam subalterna, quoniam per multitudinem generum subalternorum ad specia- lissimas descenditur species. quas multo plures esse quam  genera subalterna hoc maxime ostenditur, quod inferiores sunt; semper enim genera in plura subiecta diuiduntur. decem uero generum species multo plures quam unius existere manifestum est, uerum tamen etsi plures sunt, certo tamen numero con- tinentur; quem facile si quis discutiat omniumque generum  species persequatur, possit agnoscere. indiuidua uero quae sub una quaque sunt specie, infinita sunt uel quod tam multa  1 generis  EGLRS, recte?  2 scienti  GRS scienti alicui  Lm2  5 su- premorum] supra horum  EG, m1 in LPS ante  numerum  add . esse FHNP, post  notum  L  6  post  reperta  s. l . commemorat  Em2  7 gene- ris  om. R, post  loco  L , generum  S  sunt  CFH   (ras. corr.) NPRSm2  8 nam cum—genera  om. EGRS  9 sunt  FLP (ras. corr.)  11 sint  post  genera  C  sunt  F  13 subalternas  FH (s in ras. m2) N, ante  sub.  add . genera  PS, s. l. Lm2  16 hoc] in hoc  F  inferiora  FHm1Lm2NP  17 semper enim genera]  FHN  semper si genera  Cm1  semper enim sub- alterna (genera subalterna  P )  Cm2 (part. in mg.) P  et semper subalterna genera  RS  et  (om. G)  semper subalterna  EGL  plurima  N  18 ge- neris  G  unius] generis unius  R  species unius generis  Lm1  19 sint  L  compraehenduntur  L  21 prosequatur  NR 22 species  G  specie  ante  sunt  FHLNR  tam]  FHN  ea  EGLPRS  tam ea  C   sunt diuersisque locis posita, ut scientia numeroque includi comprehendique non possint, uel quod in generatione et cor- ruptione posita nunc quidem incipiunt esse, nunc uero desinunt. atque idcirco suprema quidem genera et subalterna et species  eas quae specialissimae nuncupantur, quoniam finitae sunt numero, potest scientiae terminus includere, indiuidua uero nullo modo. idcirco igitur Plato a magis generibus usque ad magis species id est specialissimas praecipiebat facere secti- onem; per ea enim quae finita essent numero, iubebat descen-  dere diuidentem, ubi autem ad indiuidua ueniretur, standum esse suadebat, ne, quod natura non ferret, infinita colligeret. ita uero genera in species diuidi comprobabat, ut specificis differentiis soluerentur. de specificis autem differentiis melius in eo titulo ubi de differentia disputatur, ac largius disseremus.  hic enim hoc tantum dixisse sufficiat, eas esse specificas dif- ferentias quibus species informantur, ut rationale uel mortale hominis. cum igitur diuidimus animal, rationali atque inratio- nali, mortali inmortalique separamus. <hoc ergo> ceteraque genera talibus differentiis quae subiectas species informent,  Plato censuit esse diuidenda usque dum ad specialissima  13 de specificis—disputatur] lib. IV c. 8.   1 sint  EFGHp.r . ( ex  sunt)  LPRS  numeroque]  FHN  in unum  EGLm1  (numero  m2 )  RS  numeroque in unum  CP  concludi  LS  3 uero)  ex  quidem uero  P recepit Brandt , quidem  CEGLRS, om. FHN; cf. p. 223, 12  5 easque ( om . quae,)  LR specialissime  GS  7 igitur  om. C  magis a  EGLPRS  usque ad magis species]  FHN  magis  om. C quam a speciebus  cett . 8 id est] e  ut uid. er. C  specialissimas]  CFHN  a ( add. L ) specialissimis  cett.; cf. p. 225, 13  9 essent] sunt  FN  10 diuidentem] diuisionem  EGHm1  (diuisorem  m2 )  Lm1PRS  11 nec  HN  12 comprobat  ELm1  (probabat  m2 )  R  ut  et  soluerentur  om .  EGPm1 (s. l. m2) RS post  ut  add . in  edd . 13 autem  om. EGLPm1  (uero  m2 )  RS  14 de  om. FG  differentiis  CS a.c . 16 rationabile  E  uel  om. ERS  et  Lm1  17  ante  rationali  et  inrationali  add . in  Em2 rationale atque inrationale ( uel  irr-)  EGN p.c.RS  18 mortali  om .  N  mortale  EGLPS inmortaleque  EGNp.c.PRS ; mortale  (sic)  ac  (s. l.)  inmortali  L  18 hoc ergo  add. Brandt , cetera <quo>que  Engelbrecht  separabimus  FHN  separauimus  R  19 informant  Fa.c.Lm1NR   ueniretur, dehinc consistere nec infinita sequi, quoniam indi- uiduorum numquam esset nec disciplina nec numerus.    Descendentibus igitur ad specialissima necesse est diuidentem per multitudinem ire, ascendentibus uero ad generalissima necesse est colligere multi-   p. 76 tu|dinem. collectiuum enim multorum in unam natu- ram species est et magis id quod genus est, particularia uero et singularia e contrario in multitudinem semper diuidunt quod unum est; participatione enim speciei plures homines unus, particularibus autem unus et  communis plures; diuisiuum est enim semper quod singulare est, collectiuum autem et adunatiuum quod commune est.    Diuidere est in multitudinem quod unum fuerat ante dis- soluere, omnisque diuisio e contrario compositionem coniunc-  tionemque meditatur. quod enim, cum sit unum, dispertiendo diuiditur, id ipsum ex pluribus rursus partibus adunando componitur. ut igitur superius dictum est, indiuiduorum qui- dem similitudinem species colligunt, specierum uero genera : similitudo uero nihil est aliud nisi quaedam unitas qualitatis.  ergo substantialem similitudinem indiuiduorum species colli- gere manifestum est, substantialem uero similitudinem spe- cierum genera contrahunt et ad se ipsa reducunt. rursus  3—13] Porph. p. 6, 16—23 (Boeth. p. 32, 1—8). 9 participa- tione—11 plures] Abaelardus, Theolog. christ., II p. 486 ed. Cousin. 18 superius] p. 166, 8 ss.   3  ante  igitur  add . illis  L  necesse—singulare est  (12) om. N  4 ire  ante  per  L T  ascendentibus—plures  (11) ]  Ω ,  om. cett . 6  post  multitudinem  excidisse  in unum  coni. Busse  ( cum Porph. p. 6, 18   e’:; εν ),  add. edd . 8 e contrario—semper]  Γ   edd. cum Porph. p. 6, 20  semper in multitudinem e contrario  cett. codd. Busse  9 est unum  Φ 10 unus, unus autem et communis particularibus plures  Abaelard . 11 commune  P a.c . communes  Φ  enim post  est FS Φ ,  om. CELR ,  ante  est  cett . 12 est  om. E  14 est] enim  C  est enim  L  in  om. G ,  s. l. Lm2  15  post  dissoluere  add . est  C  17 plurimis  F  19 uero] ergo  CEGLm1RS  20 nisi] ni  C   generis adunationem differentiae in species distribuunt, spe- cieique adunationem in singulares indiuiduasque personas accidentia partiuntur. cum igitur haec ita sint, necesse est semper cum a genere descendis ad speciem, diuidendo semper  facere multitudinem, cum uero ab speciebus ascendis ad genera, componendo colligere et plura quae in specierum differentiis fuerant similitudine qualitatis adunare. in speciebus etiam idem considerari potest. ut enim ipsae indiuidua, quae sunt infinita, una similitudine substantiali colligunt. ita indiuidua  speciem propria infinitate distribuunt. omnia enim indi- uidua disgregatiua sunt et diuisiua, species uero et genera collectiua, species quidem indiuiduorum collectiua atque adu- natiua, specierum uero genera, ut ita dicendum sit : genus quidem species distribuunt et species ab indiuiduis in multi-  tudinem deducuntur, rursus autem genus quidem multas species colligit, species autem particularem singularemque multitudinem ad singularitatis deducit unitatem. igitur plus genus adunatiuum est quam species. species namque sola indiuidua colligit, genus uero tam species quam ipsarum quo-  que specierum indiuiduas contrahit singularesque personas. sed in hoc conuenienti utitur exemplo dicens quoniam partici- patione speciei, id est hominis, Cato, Plato et Cicero pluresque reliqui homines unus, id est milia hominum  1  post  generis  s. l . ergo  E  species] specie  G  speciem  Lm1  2  ante  indiuiduasque  s. l . in  Hm2  3 haec igitur  LNP  4 species  ELm2R  5 a  ELS  ad ( tamen  speciebus)  G  6 et  om .  EGLPRS  plures  EFGLPm1RS  quae  ante  fuerant  EGLPRS  7 fuerint  S  simili- tudinum (-nem  Pm2 ) qualitates ( ex  -tis  Pm2) EFGLPRS ante  adunare  add . et  EGLPR  8 poterit  Lm2 ante  ipsae  add . species  N, post in mg. Cm1?  ipsae]  Cm2H  ipsa  cett . 9 unam similitudinem substantialem  EFGLRS  10 propriam infinite ( uel  -tae, -tate  H ) EGHLPRS  12  post  adunatiua  add . est  CGH   (in mg. m1?) Lm2 NPm2  13 specierum uero genera  s. l. Hm2  14 distribuit  EGRS  15 ducuntur  EGHN  17 ducit  HN  19 cum species tum  N 20 indiuidua  EGHLPRS  21 participationi  G  23  post  unus  add . est  Hm2   in eo quod sunt homines, unus homo est; at uero unus homo, qui specialis est, si ad hominum multitudinem qui sub ipso sunt consideretur, plures fiunt. ita et plures homines in spe- ciali homine unus est et specialis unus in pluribus infinitus. sic igitur quod singulare quidem est, diuisiuum est, quod  uero commune, quoniam multorum unum est, ut genus ac species, collectiuum atque adunatiuum.   Adsignato autem genere et specie, quid est utrumque, et genere quidem uno, speciebus uero pluribus — semper enim in plures species diuisio  generisest —, genus quidem semper de specie prae- dicatur et omnia superiora de inferioribus, species autem neque de proximo sibi genere neque de supe- rioribus; neque enim conuertitur. oportet autem aut aequa de aequis praedicari, ut hinnibile de  equo, aut maiora de minoribus, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime; neque enim ani- mal dices esse hominem, quemadmodum hominem dices esse animal. de quibus autem species prae-  8-231, 19] Porph. p. 6, 24—7, 21 (Boeth. p. 32, 9—33, 4).   1 est. ut  et 3  fiunt, ita  r  2  pr . qui] quamuis  FNm1 post . quae  EPR  3 et] ut  Cm1  4 unus est] unum est ał  (haec del. m2)  unus est  C post . unus] unus est  LS  infinitis  CLm1  diffinitus  R  5 quidem  om. FN  diuisum  Em1  diuisuum  N  quod] quia quod,  s. l . est  G  6 uero commune]  FS  commune uero  Cm1  ( post  uero  add . est  m2 )  HN  commune est uero  LPm2R  commune est numero  EGPm1  ac] et  R  ad  Em2GLPm1  8 Assignati  Pm1  quid est]  FHPm2 \ m1  quide  CNRS  quid sit  Π m2 xV   edd . quod est  cett. Busse; cf . sunt  p. 236, 14  9 utrum- que—uno]  CEGHPm1  (quidem  ex  quodem)  RS h m2 W m2 xP  utrumqae quodque sit genus unum (unum genus  N )  FN & m1 AZΦ  utrumque et (et  om .  L Π ) cum (cumque  Π ) sit genus unum  LPm2 il m1  utrumque unum  Γ  species uero plurimae  FLNPm2 TΔ m1 Λ2Φ ;  ad utrumque— pluribus  cf. Porph. p. 7, 1  11 genus—indiuiduis  (p. 231, 16) ]  RS Q ,  om. cett . speciebus  R  14 autem]  Porph. p. 7, 4   γάρ  15 aut]  RS  edd.,  om .  Ω   Busse; Porph. p. 7, 4   ή aequis] aequo  R  ignibile  R  17 uero] autem  S post  minime  add . praedicantur  Γ  18. 19  utroque loco  dices]  RS  dicis  Ω   edd. Busse; Porph. p. 7, 7   ειποις άν   dicatur, de his necessario et speciei genus prae- dicabitur et generis genus usque ad generalissi- mum; si enim uerum est Socratem hominem dicere, hominem autem animal, animal uero substantiam,|  uerum est et Socratem animal dicere atque sub-  p. 77  stantiam. semper igitur superioribus de infe- rioribus praedicatis species quidem de indiuiduo praedicabitur, genus autem et de specie et de indi- uiduo, generalissimum autem et de genere et de  generibus, si plura sint media et subalterna, et de specie et de indiuiduo. dicitur enim generalis- simum quidem de omnibus sub se generibus spe- ciebusque et de indiuiduis, genus autem quod ante specialissimum est, de omnibus specialissimis et  de indiuiduis, solum autem species de omnibus indiuiduis, indiuiduum autem de uno solo parti- culari. indiuiduum autem dicitur Socrates et hoc album et hic ueniens, ut Sophronisci filius, si solus ei sit Socrates filius.    Breuiter quaecumque superius dicta sunt commemorat hoc modo. cum, inquit, adsignauerimus quid sit genus et quid species, cumque suis ea definitionibus comprehenderimus docuerimusque unum genus semper in plurimas species solui,  2 generalissima  Sm2  (specialissimum  m1 )  ΓΛΛ  3 enim] autem  S  4 autem] uero  Λ  uero] autem  Δ  5 et Socratem animal]  A m2 A m2  ( om . et,)  Ψ  hominem et (et  om ,  AA ) animal  Α m1 Α m1 Φ  et hominem ani- mal  RS Σ  et ( om .  II ) socratem et (et  om .  Γ ) hominem ( del .  Γ m2 ) et ( om .  T ) animal  ΓΠ ;  cf. Porph. p. 7, 11 6  igitur]  RS  enim  Ω ;  Porph. p. 7, 12   οΰν superioribus] superiora  RS TA a.c . 7 praedicantur  RS VA a.c . species] et species  R  indiuiduo]  cod. Q. Bussii brm  indiuiduis  RS Q  ( ante add.  eius  Σ );  Porph,. p. 7, 13   τοΰ άτο’μοο  10 sunt  RS m2   p.c  subalterna] de subalternis  A  11 enim] autem  S  13 et de  om. R  de  om. S  14 de]  Ω   cum Porph. p. 7, 17  et de  RS  15  pr . de  om. S post . de] et de  R  17 autem] enim  N TAΛΣ ;  Porph. p. 7, 19   ie  18 album] aliud  T m1  (et illud  m2 )  A m1  ut] et  Ν ΤΑ m2 ΑΣ  19 socrates sit  CEGLPRS; Porph. p. 7, 21   εΤη Σινγ,ράτης  20 quae  FHN  21 et  om. R   illud, inquit, adiungimus quoniam omnia superiora de inferio- ribus praedicantur, inferiora uero de superioribus minime. et ea quae sunt utilia de praedicationis modo rite pertractat. ostendit autem genus in plurimas species semper solui ad- signata generis definitione. quod enim de pluribus rebus specie  iffdiertenbus in eo quod quid sit praedicaretur, esse definiuit genus. nihil autem sunt plurimae res specie differentes nisi plurimae species; de quibus autem praedicatur genus, in ea ipsa dissoluitur. ostensum est igitur ex definitionis adsigna- tione unius generis esse species plures. quae cum ita sint,  genus quidem de specie praedicatur, species uero de indiuiduis omniaque superiora de inferioribus, inferiora de superioribus nullo modo. id quare eueniat paucis absoluam. quae superiora sunt, substantialiter ea genera esse praediximus, qua uero sunt genera, ampliora sunt quam una quaeque species. neque enim  in plurima diuideretur genus, nisi ab una quaque specie maius existeret. id cum ita sit, nomen generis toti conuenit speciei; non enim coaequatur solum speciei generis magnitudo, uerum etiam speciem superuadit. idcirco igitur omnis homo animal est, quoniam intra animalis uocabulum et homo et  cetera continentur. at uero nullus dixerit : omne animal homo est; non enim peruenit ad totum animal hominis nomen, quia, cum sit minus, nullo modo generis uocabulo coaequatur. itaque quae maiora sunt, de minoribus praedicantur, quae minora, non conuertuntur, ut de maioribus praedicentur. at uero si  qua sint aequalia, ea secundum naturae parilitatem conuerti necesse est, ut hinnibile atque equus, quoniam ita sibimet  1 quoniam] quod  S  2 uero  om. ES  4  ante genus  add . unum  FHNPR, in mg. Cm2, recte?  5 definitio ( uel  diff-)  Ea.c.GLPm1S  6 esse] et esse  R  definiuit] designauit  Sm1  10  ante  esse  add . semper  FHNP  13 id cur  HN  idcirco  F  14 ea  add. Em2  quae  L  ( s. l.  illa)  PS  15 quaque  E  quoque  S  17 toti] totum non  R  18  post  enim  repet . non  R  21 cetera] cicero  F  cetera animalia  G  23 itemque  Lm1S  24  post post . quae  s. l . uero  Hm2  26 sunt  FHLN  pari- tatem  EGLp.c.RS  27 ignibile  R  ita] si  ita H   coaequantur, ut neque equus non sit hinnibilis neque quod sit hinnibile, non sit equus. fit ergo ut omne hinnibile equus sit et omnis equus hinnibilis. quae cum ita sint, ea quae superiora sunt, non modo de sibi proximis inferioribus prae-  dicantur, uerum etiam de inferiorum inferioribus. nam si illud recipitur, ut ea quae superiora sunt, de inferioribus praedi- centur, inferiorum inferiora superioribus multo magis infe- riora sunt, uelut substantia praedicatur de animali, quod est inferius; sed animali inferius est homo, praedicabitur  igitur etiam substantia de homine. rursus Socrates inferius est homine, praedicabitur igitur substantia de Socrate. ita- que species quidem de indiuiduis praedicantur, genera uero et de speciebus et de indiuiduis. quod conuerti non po- test; nam neque indiuidua de speciebus aut generibus prae-  dicantur nec species de generibus. ita fit ut genus quod est generalissimum, de omnibus subalternis generibus praedi- cari et de speciebus et de indiuiduis possit. de ipso nihil. ultimum uero genus id est quod ante specialissimas species collocatur et de solis speciebus specialissimis dici potest,  species uero de indiuiduis, ut dictum est, indiuidua autem de singulis praedicantur, ut Socrates et Plato, eaque maxime sunt  1 non  om. brm post  sit (si  R )  add . nisi  CH (s. l. m2) LNPS  ni  R inhinnibilis  EG  nec  FN  quid  CF  2  pr . sit  om. S post . sit] est  CEGLm1RS ; non sit  om. brm; post add . nisi  CLNPRS ,  s. l. Hm2  ergo  om. H  enim  F  sit equus  FHNP  3 hinnibile  N, post hinn.  add . sit  L, ante P  4 sunt  om. S, ante  superiora  EGP  sibi  om. H  5 si  om. S, s. l. Hm1?  8 uelut  om. LS  ut  C  9  pr .  est s. l. Lm2   post . est  s. l. Gm2  praedicatur  CELm2RS  10 etiam  om. FG  11  ante  de  add . et  EGLR  ita  R  13 de speciebus]  hic desinit cod. F  14 aut] ac  R  15 itaque  CHNP  quod est] quidem  CP  quidem est  R  16  post  praedicari  add . potest  L (s. l.) m1  possit  m2 N  17 possit  om. N  potest  L post  ipso  add . uero  HNPR, s. l. Cm2Lm2  18 uero] autem  L  id est]  CHm2NS  id est autem est  Hm1  id autem est  EGLa.c . (id est autem  ut uid. p.c .)  RP  ante  om. EGR, s. l. Pm1?  19 collocat  EGR  et  om. HN  20  post  uero  add . quae  post  indiuiduis  add . dici potest  R  autem] enim  Lm1  21 ea quae maximae  G   p. 78  indiuidua quae sub ostensionem | indicationemque digiti cadunt, ut hoc scamnum, hic ueniens atque quae ex aliqua proprie accidentium designantur nota, ut, si quis Socratem significa- tione uelit ostendere, non dicat ‘Socrates’, ne sit alius qui forte hoc nomine nuncupetur, sed dicat ‘Sophronisci filius’,  si unicus Sophronisco fuit. indiuidua enim maxime ostendi queunt, si uel tacito nomine sensui ipsi oculorum digito tac- tuue monstrentur, uel ex aliquo accidenti significentur uel nomine proprio, si solus illud adeptus est nomen, uel ex parentibus, si illorum est unicus filius, uel ex quolibet alio  accidenti singularitas demonstratur, eo quod ad esse unam praedicationem habeat eiusque dictio non transeat ad alterum, sicut generis quidem ad species, specierum uero ad indiuidua.   Indiuidua ergo dicuntur huiusmodi, quoniam ex proprietatibus consistit unum quodque eorum,  quarum collectio numquam in alio eadem erit. Socratis enim proprietates numquam in alio quolibet erunt  14—p. 235, 4] Porph. p. 7, 21—27 (Boeth. p. 33, 4—10).   1 ostensione  EGPS  ostentationem  HN  indicationeque  EGPS  indaga- tionemque  N  2  ante  hic (is  ex  hic  E )  add . ut  CEGR  et  L  atque quae]  Hm2LNP  atque  EGHm1  atque ea quae  S eaque quae  CR  propria  CH  proprietate  R  4 qui  post  forte  HP  5 forte  ante  alius  N  6 Sophronisci  LNRS; cf . ei  p. 231, 19  7 quaeant  R  si uel  ex  siue  Lm2  sensu  GL  ( ante add . siue)  P  ( ras. ex  -sui)  R  ipso  Cm1LPm1R  tactuque  H  tactu uel  R  8 monstrantur  R  accidenti significentur uel  om. EGR  accidente  N ante  uel  add . id est  CH   (del. m2) Lm2NP  9 nomine  om. EGR ,  post  proprio  S  illud  om .  S, del. Lm2  10  post  uel  add . si  HR, s. l. Lm2  11 demonstretur  S  eo quod  in ras. Cm2  eaque  H  (que  add. m2, post er . quod)  N  ea quae  P; post quod  add . accidentia  in mg. Cm2  de  (s. l.)  accidenti  in con -  textu , ał eo quod accidentia  in mg. L  ad esse unam] unam ad sese  C  ad sese unam  HN  ad se unam  L (s. l. et in mg . de se  a.c.) P  12 habeat]  EGHm2Lp.c.PRS  habet  Cm1Hm1La.c.N  habeant  Cm2L   in mg . dictio] praedicatio  CNSp.c . transit  CHNR  13 species]  m2 in CH (in mg.) P, La.c . specierum  cett . 16 quarum—pluribus  (p. 235, 3) ]  R il ,  om. cett . quarum]  Π m2 Ψ  quorum  cett . in alio  post  eadem  s. l .  \ m2  in alium  R, post  alio  add . quolibet  2   particularium, hae uero quae sunt hominis, dico autem eius qui est communis, proprietates erunt eaedem in pluribus, magis autem in omnibus particu- laribus hominibus in eo quod homines sunt.    Quoniam superius indiuiduum appellauit, huius nominis rationem conatur ostendere. ea enim sola diuiduntur quae pluribus communia sunt; his enim unum quodque diuiditur quorum est commune quorumque naturam ac similitudinem continet. illa uero in quae commune diuiditur, communi  natura participant proprietasque communis rei his quibus com- munis est conuenit. at uero indiuiduorum proprietas nulli communis est. Socratis enim proprietas, si fuit caluus, simus, propenso aluo ceterisque corporis lineamentis aut morum institutione aut forma uocis, non conueniebat in alterum; hae  enim proprietates quae ex accidentibus ei obuenerant eiusque formam figuramque coniunxerant, in nullum alium conueniebant. cuius autem proprietates in nullum alium conueniunt, eius proprietates nulli poterunt esse communes, cuius autem pro- prietas nulli communis est, nihil est quod eius proprietate  participet. quod uero tale est, ut proprietate eius nihil parti-  1  post  particularium  add . eaedem  edd .  cum Porph. p. 7, 24  haec  Δ  eae  Φ   post hominis  s. l . proprietates  Δ  dico—communis  om. R  2 proprietates  er .  Λ  proprietatis  Γ  3 eadem  Δ m1 2   pr . in] et in  Γ   post . in] et in  ΓΛ m2 Φ  omnibus  om. S  4 in  om .  Φ   post  sunt  add . continentur  (ex p. 236, 7) R  6 ostendere conatur  C  7 <in> his  brm  quodque unum  Cm1  quibus  EGLPRS edd . 10 participan- tur  R post . communi ( om . est)  Gm1  11 proprietas  om. E proprietates  Gm1  12 caluus, simus] caluissimus  EGHm1  (caluus uel simus  m2 )  Lm1PR  13 perpenso  ESp.c . albo  Em1  (caluitio  m2 )  G  uentre  N  cor- poris  linea del., sed lin. er., s. l . corruptus  Hm2  liniamentis  CEG   LNPm2S  14  post  institutione  add . probatus  EP, s. l. Lm2 uocis]  Cm1EGPRS  uocisue sono  Cm2HLm2  (uocis uel sonus  m1 )  N  con- ueniebant  EGm1Hm1P  haec  G  16 in nullo alio  EGHLm1PS  17 cuius—conueniunt  om. EGLRS  cuius] eius  P  autem] uero  N  ita- que  P  in nullum—eius  om. P post  eius  add . itaque  N  igitur  L  18 poterant  EGL  potuerunt  ex  poterunt  P  potuerant  R  autem  om. LS  19 proprietatem  EGLRS proprietate *  (s  er .)  H  20 proprietatem  EGH   LPRS  nihil] nulli  Lm2P  participat  ER   cipet, diuidi in ea quae non participant, non potest; recte igitur haec quorum proprietas in alium non conuenit, indi- uidua nuncupantur. at uero hominis proprietas, id est spe- cialis, conuenit et in Socratem et in Platonem et in ceteros, quorum proprietates ex accidentibus uenientes in quemlibet  alium singularem nulla ratione conueniunt.   Continetur igitur indiuiduum quidem sub spe- cie, species autem sub genere. totum enim quiddam est genus, indiuiduum autem pars, species uero et totum et pars, sed pars quidem alterius, totum autem non alterius, sed aliis; partibus enim totum est.   De genere quidem et specie et quid generalissimum et quid specialissimum et quae genera eadem et spe- cies sunt, quae etiam indiuidua, et quot modis genus et species dicitur, sufficienter dictum est.   Hic retractat omnia breuiter quae supra latius absoluit dicens indiuiduum ab specie contineri, species uero ipsas a genere, huiusque causam reddens ait : omne enim genus totum est, indiuiduum pars. totum enim genus in eo quod genus est, continet, tametsi species esse potest; totum enim non  ut genus species est, sed ut ea quae supponitur generi. genus igitur in eo quod genus est, totum est speciebus, semper enim continet eas. at uero indiuiduum pars semper est, num-  7—15] Porph. p. 7, 27—8, 6 (Boeth. p. 33, 10—17).   2 proprietates  Em1NR  conueniunt  N  4  pr . et  om. C secund . in  om. S tert . in  om. HNP  5 uenientes ex accidentibus  C  ex accidente  (om . uenientes ) EGLm1RS  7 Continetur  om. R (cf. ad p. 235, 4)  con- tinentur  A m2 K m1 Z  quidem  om .  Φ  est quidem  Δ  8 totum—indi- uidua  (14) ]  R Q ,  om. cett . 9 pars—uero] pars est species autem  Δ  10  pr . totum] totum est  ΛΦ 11 sed in aliis, in partibus  edd. cum Porph. p. 8, 2  12 quod  ΛΣ  13 et quid specialissimum  om .  A  quod  A2  14 sint. R ΓΛΙIΣ;   cf. p. 237, 15  quod  GS  tot  Pm1  modis  om. S  15 dicatur  N ΥΔΛΠΦΨ ,  s. l. add .  Σ ;  cf. p. 237, 19  16 Hic  om. NR, s. l. Hm2  17 teneri  C  ipsas  om. E  ipsa  Cm1  18 huiusce  Lm2  19 pars  om. E  genus enim  Cm1 (ante  genus  s. l . totum  m2) HN  20 totum] tum  Hm1  tunc  Ν  enim] autem  S  23 est  ante  semper  CN  pars  post  est  LS   quam enim ipsum aliquid sua proprietate concludit. species uero et totum est et pars, pars quidem generis, totum uero indiuiduis. et cum pars est, ad singularitatem refertur, cum totum, ad pluralitatem. quoniam enim unum genus pluribus  5 speciebus superest, una quaelibet species pars est generis, id est unius, quoniam autem species pluribus indiuiduis | praeest,  p. 79  non est uni indiuiduo totum, sed plurimis. idcirco enim totum dicitur, quia plura continet et cohercet. nam ut pars sit ali- quid, una ipsa unius pars esse poterit, ut uero totum sit,  unum ipsum unius totum esse non poterit. idcirco alterius quidem pars est species, aliis uero totum.    Et de genere quidem et specie dictum est et quid sit gene- ralissimum genus, quoniam id cui nullum aliud superponitur genus, et quid specialissima species, quoniam ea cui species  nulla supponitur, et quae genera eadem sunt, eadem et species, scilicet subalterna quibus aliquid superponitur, aliquid uero supponitur, quae etiam indiuidua, ea scilicet quorum pro- prietates alteri nequeunt conuenire, et quot modis genus uel species dicitur, genus quidem aut in multitudine aut in pro-  creatione aut in participatione substantiae, species uero aut ex figura aut ex generis suppositione, sufficienter dictum est. quibus absolutis modum uoluminis terminabo, ut quarti area libri differentiae reseruetur.    2  ante post . pars  add . et  C ,  post er . que  L  totum  in mg. Cm2 uero  om. HN  autem  C (in mg. add. m2) L  quidem  S  3 indiuidui  Cm1NS  et] sed  CHN post post . cum  add . uero  R  4 quoniam] quod  L  7 plu- ribus  HLm2NS  9 unum ipsum  brm  12 Et] sed  in er . et  Lm2  specie] de specie  EG  13  post  id  add . est  P, s. l. Em2  14 quod  C specialissimum ( om . species,]  HN  nulla species  NR  15 superponitur  (ras. corr. E)  nulla  EG eadem  s. l. Lm2  16 supponitur  HR  aliquid uero supponitur  om. ENR, in mg. Cm2  17 ea om.  EGLPRS  18 non queunt  G  quod  Em1GN  quod quot  R  20 aut in partici- patione  s. l. Gm2 post substantiae  add . aut ex figura  S  consistit  edd . uero aut] autem  N  21 figura] genere  S  ex  om. E est  om. S  22  post  area  s. l . ubi discutiamus ea  Em2  23  ante subscriptionem initium libri IV usque ad p. 239, 6  iniecta  scriptum, post subscrip -  tionem E  ANICII MANLII (MALLII  G ) SEVERINI BOETII (BOECII  G ) V. C. ET I LL . EXCONS (EXC.  E ) ORD. PATRICII IN ISAGOGEN (YSAGOGAS  E ) PORPHYRII (PORPHIRII  E ) ID EST INTRODVCTIONE A SE TRANSLATAE (ID  eqs. om ., SCDAE  E ) EDITIONIS LIB. III. EXPL. INCIP. LIB. IIII.  EG ; EXPLICIT LIBER TERTIVS. (LIB. IIII. EXPLICIT  L ) INCIPIT (LIBER  add. LS ) QVAR- TVS  L   (add. mS)   NPRS (uariis cum. compendiis) ; LIBER QVARTVS  C; subscriptio deest in H     De differentia disputanti non aeque illud debet occur- rere quod in generis specieique tractatu de collocationis ordine quaerebatur. illic enim meminimus inquisitum, cur esset omni-  bus praepositum genus, ut id primum ad disputationem ueniret, cur post genus species esset iniecta, nunc uero superuacuum est dicere, cur post speciem differentia sumpta sit, cum illud iam fuerit inquisitum, cur non ante speciem collocata sit. quodsi mirum uidebatur speciem differentiae in disputationis  loco fuisse praepositam, quod differentia continentior et magis amplior esset specie, quid est quod possit quisque mirari, si eandem differentiam ante proprium atque accidens collocauerit, cum proprium unius semper sit speciei, ut posterius demon- strabitur, accidens uero exteriorem quandam ostendat naturam  nec omnino in substantia praedicetur, differentia uero utrumque contineat, et de pluribus speciebus et in substantia praedicari? sed haec hactenus, nunc ad ipsa Porphyrii uerba ueniamus.    Differentia nero communiter et proprie et magis  3 quod—inquisitum] p. 170, 2 ss. 198, 10 ss. 18—p. 240, 13] Porph. p. 8, 8—17 (Boeth. p. 33, 18—34, 7).   2 De differentia] Differentiae  E  Differentia  G  Differentiam  La.c . disputanti] in disputando  CEGLm1N  non aeque illud] non illud quoque  C  3 quod] ut  HN  collationis  Cm1HN  4 quaerebatur]  hic desinit cod. S  11  ante  specie  add . ea  EG  ab  HL  est quod  om. GR  ( post  quid  add .interrgatiue)  s. l. Lm2 , sit  Em1  sit quod  m2 an  quisquam?  ad  quisque  add . iure possit  Em2  12  post  eandem  add . iure  E, s. l. Lm2  13 sit unius speciei semper  C  unius sit semper speciei  R  unius semper speciei sit  N  15 substantiam  NR  16 substantiam  Em1  18  ante  Differentia  inscriptio  DE ( om .  Ψ ) DIF- FERENTIA  additur in   2  et magis proprie  in mg. Cm2?   proprie dicitur. communiter quidem differre alterum ab altero dicitur, quod alteritate quadam differt quo- cumque modo uel a se ipso uel ab alio. differt enim Socrates a Platone alteritate et ipse a se uel puero uel iam uiro et faciente aliquid uel quiescente et  semper in aliquo modo habendi alteritatibus. proprie autem differre alterum ab altero dicitur, quando inse- parabili accidenti ab altero differt. inseparabile uero accidens est ut nasi curuitas, caecitas oculorum, cicatrix, cum ex uulnere obcalluerit. magis proprie  differre alterum ab altero dicitur, quando specifica differentia distiterit, quemadmodum homo ab equo  p. 80  specifica differentia differt rationali qualitate. |    Tribus modis aliud ab alio distare praediximus, genere. specie, numero, in quibus omnibus aut secundum substantiales  quasdam differentias alia res distat ab alia aut secundum accidentes. nam quae genere uel specie distant, substantia- libus quibusdam differentiis disgregata sunt, idcirco quoniam genera et species quibusdam differentiis informantur. nam quod homo ab arbore genere distat, animalis sensibilis qua-  litas in eo differentiam facit. addita enim sensibilis qualitas  14 praediximus] p. 191, 21.   1 dicitur]  λεγέσ&ω   Porph. p. 8, 8; cf . nuncupatur  infra p. 241, 18  communiter—distiterit  (12) ]  R Q ,  om. cett . 2 ab  om .  A , s. l .  Γ  3 ipso  om. R  4  pr . a  om. R X  puero] a puero  ΣΦ  5 uiro] a uiro  Φ  et]  R T  uel  cett.; Porph. p. 8, 11 χοιί  aliquod  S  6 habendi] habendi se  Φ ;  Porph. p. 8, 12   τού πώς εχειν  7 ab  om .  ΔΛΣ  quandam  R  8 accidente  R ;  post add . alterum  edd. cum Porph. p. 8, 13  ab  om .  Σ  10 coaluerit  Σ m2 post proprie  add . autem  ΓΔ   (fort. recte)  uero  Φ ;  Porph. p. 8, 15   hi  11 ab  om .  ΛΣ  12 destiterit  TX m1 AZ  quem- admodum—differt  del. Lm1?  13 differentia  om. Ν Σ   ante  rationali  add . id est  CEGL, s. l .  Hm2 A m1?  rationabili  CEGLPR  14 ab]  LP, om. cett . 17 accidens  CEm2 accidentales  Lm2  18 disgregata— quibusdam  om. N, s. l. R  19  post  quibusdam  add . substantialibus  Hm2 edd.,recte? ad  informantur  s. l.  disregantur  N  21 ea  Hm1Lm2NP   animato animal facit, eidem detracta facit animatum atque insensibile, quod uirgulta sunt. igitur homo atque arbor genere differunt — utraque enim sub animalis genere poni non possunt —, differentia sensibili secundum genus discrepant, quae unius ex  propositis tantum genus, id est hominis informat, ut dictum est. illa uero quae specie distant manifestum est quod ipsa quoque differentiis substantialibus discrepant, ut homo atque equus differentiis substantialibus discrepant, rationabilitate atque inrationabilitate. ea uero quae indiuidua sunt et solo  numero discrepant, solis accidentibus distant. haec autem sunt uel separabilia uel inseparabilia, separabilia quidem, ut moueri, dormire; distat enim alius ab alio, quod ille somno prematur, bic uigilet. distat item inseparabilibus accidentibus, quod hic staturae sit longioris, hic minimae. Quae cum ita sint, in ter-  narium numerum has differentiarum diuersitates Porphyrius colligit hisque ipse nomina quibus post utatur, apponit dicens : omnis differentia uel communiter uel proprie uel magis proprie nuncupatur, communiter quidem eam dif- ferentiam sumens quae quodlibet accidens monstret, quae in  quadam alteritate consistit, ut si Plato a Socrate differat, quod ille sedeat, hic ambulet, uel quod ille sit senex, hic  5 ut dictnm est] p. 208, 17 ss.   1 eiusdem  E  et idem  G  eadem  L  inanimatum  L , in-  er. EP; cf. p. 208, 14 ss . 2  post  arbor  add . quae  H   (linea del., sed lin. er.) L (del. m1) N  3 animali ( om . genere)  N  4  ante  differentia  add . sed ex  E  nam  brm, post s. l . igitur  Pm2  5 praepositis  CLm1N positis  Em1, s. l . homine et arbore  Lm2Em2  6 distant specie  C  quod  om. CHN  7 dis- crepare  CHN  ut—discrepant  om. EGL, s. l. R  8 discrepant  om. C  9  post  inrationabilitate  add . distant  L  10 sunt  add. Lm2, in mg. Pm2  13 distant  Hm1Pm2  distet  L  distat enim  E  14 sit  om. R, ante staturae  HN  staturae sit  post  longioris  L  minimae]  Ppr  minime  cett. codd. bm  16 isque  EG ipsis  C  post utatur] postulatur  EGR  17 propria  Ca.c.L  18 propria  L  differentiam eam  HNP  a differentia  (om. eam) E  19  ad  sumens  s. l . exordium  Em2  monstraret  EGLm1  (demonstraret  m2 )  R  20 ut si] uti  EGLm1  (uti si  m2 )  R  a  om. CGR, s. l. Lm1?Pm2  differt  ex  -rat  E  21 sit  om. C  est  EGL (s. l.) R   iuuenis. a se ipso etiam saepe aliquis differre potest, ut si nunc quidem faciat aliquid, cum ante quieuerit, uel si nunc adulescens iam factus sit, cum prius tenera uixisset infantia. communes autem differentiae nuncupatae sunt, quoniam nullius propriae esse possunt differentiae, sed separabilia accidentia  sola significant. nam et stare et sedere et facere aliquid ac non facere multorum atque adeo omnium et separabilia esse accidentia manifestum est. quibus si qui differunt, communibus differentiis distare dicuntur. praeterea puerum esse atque adule- scentem uel senem, ea quoque separabilia sunt accidentia. nam  ex pueritia ad adulescentiam atque hinc ad senectutem, ab hac denique ad decrepitam usque aetatem naturae ipsius necessitate progredimur. illud forsitan sit dubitabile de unius cuiusque forma corporis, an ullo modo separari queat. sed ea quoque est separabilis, nullius enim diuturna ac stabilis forma per-  durat. idcirco nec peregrinus pater relictum domi puerum, si adulescentem redux uiderit, possit agnoscere; forma enim semper quae ante fuerat, permutatur atque ipsa alteritas qua distamus ab altero, semper diuersa est. Constat igitur hanc communem differentiam separabilibus maxime accidentibus  applicari, propria uero est quae inseparabilia significat acci- dentia. ea huiusmodi sunt, ut si quis caecis nascatur oculis, si quis incuruo naso; dum enim adest nasus atque oculi, ille caecus, ille erit semper incuruus. atque haec per naturam. sunt uero alia quae per accidens corporibus fiunt, ut si cui uulnus  1  post  differre  add . quidem  L  2 cum ante  in mg. Cm2  nunc si  C  3 iam  er. L, post  nunc  N  5 proprie  CL  sed]  CLm2NP ,  om. EG , et  R  quae  HLm1  separabiles  E, post add . enim  Lm1, del. m2  6  pr . et  om. P  ac] et  HNP  7 ideo  EGL post  omnium  add-  sunt  edd . et  om. H  esse  om. G, post  accidentia  EL ; separabilium esse accidentium  N  8 si  om . N quid  EG  qua  R  9 discuntur  E 10  ante  separabilia  add . ueraciter  R  14 eo  Lm1  15 est separabilis] est separabilis forma  PR separabilis forma est  EGL  nullius—per- durat  om. GR, in mg. Cm2, s. l. Pm2  ac stabilis] et stabilis  C  ( ut uid .)  N  ac stabili  P  estimabilis  E  18 alteritas ipsa  EG  19 altera  EGLm2R  22 nascetur  Em1  24  ante  erit  add . etiam  R  semper  om. C   inflictum cicatrice fuerit obductum, haec si obcalluerit, pro- priam differentiam facit; distabit enim alter ab altero, quod hic cicatricem habeat, ille uero minime. postremoque in his omnibus uel separabilibus accidentibus uel inseparabilibus alia  sunt naturaliter accidentia, alia extrinsecus, naturaliter quidem ut pueritia uel iuuentus et totius conformatio corporis, sic caeci oculi et curuitas nasi. et superiora quidem exempla separabilis accidentis per naturam sunt, posteriora uero inse- parabilis. item extrinsecus uel ambulare uel currere; id enim  non natura, sed sola affert uoluntas, natura uero posse tan- tum dedit, non etiam facere. atque haec sunt separabilis acci- dentis extrinsecus uenientis exempla, illa uero inseparabilis, ut si qua cicatrix obducta uulneri obcalluerit. Magis propriae autem differentiae praedicantur, quae non accidens, sed sub-  stantiam formant, ut hominis rationabilitas; differt enim homo a ceteris, quod rationalis est uel quod mortalis. | hae sunt  p. 81  igitur magis propriae, quae monstrant unius cuiusque sub- stantiam. nam si illae quidem idcirco communes dicuntur, quia separabiles atque omnium sunt, aliae autem propriae,  quoniam separari non possunt, quamuis sint in accidentium numero, illae iuro magis propriae praedicantur, quae non modo a subiecto separari non possunt, uerum subiecti ipsius speciem substantiamque perficiunt. ex his igitur tribus differentiarum diuersitatibus, id est communibus, propriis ac magis propriis,  fiunt secundum genus uel speciem uel numerum discrepantiae. nam ex communibus et propriis secundum numerum distantiae nascuntur, ex magis propriis uero secundum genus ac speciem.  1  ante cicatrice  add . si  H  6 uel  om. C  formatio  HNPm2  sic]  HPm1  (et si  m2 )  Rm1  (sieque  m2 ) si  EGLm1  (sique  m2 ) tum  CN  9  post  currere  add . sunt  E  10 uoluptas  L  11 at  Em1  atqui  m2 separabilis sunt  C  13 uulneris  Lm2P  autem propriae  La.c.R  14 substantia  Cm1  15 informant  Pm2, recte?  16 a  om. HN  rationa- bilis  EGLPR post  mortalis  add . est  C  hae]  Hp.r.L  haec  cett . sunt igitur] enim sunt  H  20 quoniam] quod  R  22 ab  G post  ipsius  add . suis  Em1, del. m2  23 tribus igitur  CG  24 ac  s. l. Em2 , et  CR    Uniuersaliter ergo omnis differentia alteratum facit cuilibet adueniens, sed ea quae est communiter et proprie, alteratum facit, illa autem quae est magis proprie, aliud. differentiarum enim aliae quidem alte- ratum faciunt, aliae uero aliud. illae quidem quae  faciunt aliud, specificae uocantur, illae uero quae alteratum, simpliciter differentiae. animali enim dif- ferentia adueniens rationalis aliud fecit et speciem animalis fecit, illa uero quae est mouendi, alteratum solum a quiescente fecit; quare haec quidem aliud,  illa uero alteratum solum fecit.    Omnis differentia alterius ab altero distantiam facit. sed haec uel est communis et continens uel cum quodam proprio et magis proprio differentiarum modo. quare quicquid qualibet ratione ab alio diuersum est, alteratum esse dicitur. si uero  accesserit illi diuersitati ut etiam specifica quadam differentia sit diuersum, non alteratum solum, uerum etiam aliud esse praedicatur. alteratio igitur continens est, aliud uero intra alterationis spatium continetur; nam et quod aliud est, alte- ratum est, sed non omne quod alteratum est, aliud dici potest.  itaque si accidentibus aliquibus fuerit facta diuersitas, alteratum  1—11] Porph. p. 8, 17—9, 2 (Boeth. p. 34, 7—15).   1 ergo] uero  CEGR; Porph. p. 8, 17   osv  alterum  E h m2 A  2 sed ea—quiescente fecit  (10) ]  Ω ,  om. cett . ea quae est  eqs. ]  cum cod. A Porph. p. 8, 18, cett.   α: μέν—κοιοϋσιν, a: 81 άλλο  3 alterum  Δ ,  item 4  autem] uero  ΔΣΦ  7 altera  Φ*  enim] autem  A a.c . 8 ratio- nale  2  facit  ΓΣΦ   item 9; Porph. p. 9, 1   ίποίησεν  et speciem animalis fecit  om. codd. quidam Porph., deleri uult Busse  10 faci(??)  ΓΔ m2 ΣΦ  qua * ( (??)  ? er.)  re *   C  qua in re (si  add. GLm1, s. l . siqui- dem  m2 )  EGL  11 ille  Gm1  illae  Δ  solum  om. EG, s. l. Cm2 , solum modo  P  fecit]  ΔΛ ,  om. P,  facit  cett.; Porph. p. 9, 2   έποίηοιν  13 uel est]  L  uel ex  EG  est uel  N, om . est  CR, om . uel  HP   (ante  est  add . quidem )  communi  EG continenti  E ( -ti * ) G  cum  om. N, s. l. Em2  eo  m1  14 proprio] proximo  GR, post  proprio  add . uel ma- ximo  P  18 inter  Gm1  19 nam et]  Hm1NR  igitur et  EG  igitur omne  ( et  add. C) CHm2L  21 erit  HN   quidem effectum est, quoniam quidem quolibet modo uel ex quibuslibet differentiis considerata diuersitas alterationem facit intellegi, aliud uero non fit, nisi substantiali differentia alterum ab altero fuerit dissociatum. itaque communes et propriae  differentiae, quoniam accidentium, ut dictum est, sunt, solum efficiunt alteratum, aliud uero minime, magis propriae autem, quoniam substantiam tenent et in subiecti forma praedicantur, non modo alteratum, quod est commune uel substantiali uel accidenti differentiae, sed etiam aliud faciunt, quod ea sola  retinet differentia quae substantiam continet formamque sub- iecti. atque hae quidem differentiae quae faciunt aliud, speci- ficae nuncupantur idcirco, quod ipsae efficiunt speciem; quam cum substantialibus differentiis informauerint, faciunt ab aliis ita esse diuersam, ut non alterata solum sit, uerum etiam  tota alia praedicetur. itaque fit huiusmodi diuisio, differentiarum ut aliae alteratum faciant, aliae nero aliud. et illae quidem quae faciunt alteratum, simpliciter puro nomine differentiae nuncupantur, illae uero quae aliud, specificae differentiae prae- dicantur. atque ut planius liqueat quid sit alteratum, quid  aliud, tali describuntur termino uel declarantur exemplo : aliud est quod tota speciei ratione diuersum est, ut equus ab homine, quoniam rationalis differentia animali adueniens hominem fecit aliudque eum quam equum esse constituit. item si unus homo sedeat, alter assistat, non efficietur homo diuersus ab homine,  sed eos alteratio sola disiungit, ut eum qui assistit ab eo qui  5 ut dictum est] p. 242, 4 ss. 19 ss.   1  post , quidem  om. HNP, del. Lm2  uel ex quibuslibet  om. H  2  ad  differentiis  s. l . uel diuersitatibus  Rm1 ? 7 formam  N  9 accidentali  Hm2NPm2 facit  EGLP  10 quae  er. C  11 hee  P  12 ipsae  om. EGLR  14 alteratum  E (in ras. m2) P  alterum  GLR  15 aliud  R  sit  E  16 ut  om. EH  faciunt  HNR  facient  Em2  facie  m1  20 describantur  Em1 21 ratione specie  (sic) E  ab  om. EGL, s. l. HP  22 facit  HLNPm1  23 esse] est  Em1  ita  R  itaque  N  24 effi- citur  N  efficiatur (ur  add. m2 )  P   sedet faciat alteratum. item si ille sit nigris oculis, ille caesiis, nihil, quantum ad formam humanitatis attinet, permutatum est. ita secundum has differentias alteratio sola consistit. at si equus quidem iaceat, homo uero ambulet, et aliud est equus ab homine et alteratum, dupliciter quidem alteratum, semel  uero aliud. alteratum est enim, uel quod omnino specie diuer- sum est — et est aliud; omne enim aliud, ut dictum est, etiam alteratum est —, uel quod accidentibus distat, quod ille iaceat, hic ambulet, semel uero est aliud, quod rationabili  p, 82  atque inrationabili differentiis dis|gregatur, quae specificae sunt  et substantiales dicuntur. est igitur alteratum quod ab alio qualibet ratione diuersum est.  Secundum igitur aliud facientes diuisiones fiunt a generibus in species et definitiones adsignantur, quae sunt ex genere et huiusmodi differentiis, secundum  autem eas quae solum alteratum faciunt, alteratio sola consistit et aliquo modo se habendi permutationes.    Quoniam in principio operis huius generis, speciei, differen-  13—17] Porph. p. 9, 2—6 (Boeth. p. 34, 15—19). 18 in prin- cipio o. h.] p. 147, 5.   1 facit  Em1G  item  om. EGR, in mg. Hm2, s. l. Lm2 si  om. EGL, post  ille  R, in mg. Hm2 post . ille] iste  N  caesius  La.c . (ce-)  Pm1  caecis  N  cecus  C  3 item  in ras. L post  has  add . quo- que  HNP, s. l. Lm2  sola  s. l. Em2  ut  GN  4 uero  om. E  5 ab] de  P pr . alterum  GLm1  6  post  uero  add . est  C  enim  om .  H  (quidem  add. post est )  N, ante est  CGPR  7 enim  om. G  8 distet  R  9 iacet  HLm1N  ambulat  H  rationali atque inrationali  HLm2R  10 differentia  N  segregatur  CR  specificae sunt] differentiae specificae  C  13  post facientes  add . differentias  edd., om. codd. cum cod. C Porph. p. 9,3 et Dauide commentatore p. 177, 23 (Busse); post add . et  edd. cum Porph .  τέ  14 quae—faciunt  (16) ]  L Q ,  om. cett . 15  ante  sunt  add . definitiones  Γ  definitiones scilicet  Δ  et] ex  Δ m2  16  ante  alteratio  add . at  CG alteratio sola consistit]  ai έτερότητες μο'νον συνί- ατανται   Porph. p. 9, 5  17 et] in  CEGLR  ad  Δ ;  Porph.   v.at  aliquo modo] aliquando  Γ  se  add. Em2  habentis  R  habentibus  EGLm1 permutatione  R  permutationibus  CEGLm2  18 huius  om. EGR, ante  operis  s. l. Lm2 specieique  EGLNPR; cf. p. 148, 17   tiae, proprii accidentisque notitiam ad diuisionem atque ad definitionem utilem esse praedixit, idcirco nunc differentiarum ipsarum facta diuisione easdem partitur et segregat, quaenam differentiae diuisionibus ac definitionibus accommodentur, quae  uero minime. quoniam igitur diuisio generis ita in species facienda est, ut illae a se species omni substantiae ratione diuersae sint, idcirco non probat assumendas esse eas ad diui- sionem differentias quae uel separabilis uel inseparabilis acci- dentis significationem tenent, idcirco quoniam, ut dictum est,  solum faciunt alteratum, aliud uero perficere et informare non possunt. inutiles igitur sunt ad diuisionem hae differentiae quae faciunt alteratum. segregandae igitur sunt communes et propriae a generis diuisione, illae assumendae tantum quae sunt magis propriae. illae enim faciunt aliud, quod generis  diuisio uidetur exposcere. ad definitionem quoque eaedem magis propriae plurimum ualent, communes et propriae uelut inutiles segregantur; communes enim et propriae, quo- niam accidens diuersi generis ferunt, nihil substantiae ratione conformant, definitio uero omnis substantiam conatur ostendere.  specificae uero differentiae illae sunt quae, ut superius dictum est, speciem informant substantiamque perficiunt; hae sunt magis propriae. eaedem igitur sicut in diuisionem, ita etiam in definitionem assumuntur. ut enim dictum est, eaedem diffe-  9 ut dictum est] cf. p. 244, 2. 245, 4 (et p. 242, 19—21). 20 supe- rius] p. 245, 11. 23 ut enim dictum est] infra p. 253, 12 ss. 258, 9 ss. 260, 6 ss.   2 definitionem] defensionem  G  utile  E  4 ac definitionibus  om .  EG  5 diuisio igitur  E  7 eas  ante  assumendas  P, ante  esse  HN  diuisiones  NRm1  8 uel inseparabilis  om. EGR  9 idcirco—faciunt] uel eas differentias quae faciunt (faciant  R )  EGL (del. m2) R  10 aliud— alteratum  (12) om. EGR  14 aliud faciunt  C  15 definitionem] diui- sionem  Cm1EGLm1  eadem  Em1G  16 plurimum  om. EG post  ualent  add . nam  EGL (del. m2) P  17 uelut—propriae  om. EGR  enim  om. CH  18 proferunt  Lm2Pm2 procedent  m1  praecedunt  N a.c . 19 informant  N  21 hee  CP  haec  E  22 eaedemque  C  eadem  Em1GL  diuisione  GN, add . generis  GL  etiam  om. HN  et  P  23 diffinitione  N  ut enim—sumuntur  om. edd .   rentiae nunc quidem constitutiuae ad definitionem specierum sumuntur, nunc diuisiuae ad partitionem generis accommodantur. ita igitur cum diuisiuae sunt generis, aliud constituunt, in substantiae uero definitione speciei informationem faciunt, cumque magis propriae et aliud faciant et specificae sint, eo  quidem quo aliud faciunt, diuisionibus aptae sunt, eo uero quo speciem informant, definitionibus accommodatae sunt. communes autem et propriae quoniam neque aliud faciunt, sed alteratum, neque omnino substantiam monstrant, aeque a diuisione ut a definitione disiunctae sunt.   A superioribus ergo rursus inchoanti dicendum est differentiarum alias quidem esse separabiles, alias uero inseparabiles. moueri enim et quiescere et sanum esse et aegrum et quaecumque his proxima sunt, separabilia sunt, at uero aquilum esse uel  simum uel rationale uel inrationale inseparabilia. inseparabilium autem aliae quidem sunt per se, aliae  11—249, 4] Porph. p. 9, 7—14 (Boeth. p. 34, 20—35, 6).   2 assumuntur  Ea.c . partitionem] coparationem  N  3 ita—faciunt  (4) in mg. sup. Hm2  Ita igitur cum diuisio generis aliud quaerat. substantia uero speciei informationem  Hm1, eadem uerba loco  ita—faciunt  adiungit N  Ita igitur cum ad diuisionem generis aliud querant. aliud uero ad speciei informacionem faciunt  Hm3  3 diuisiuae]  CHm2LN   (priore loco) Pm1  diuisione  EG  ad diuisionem  Hm3R  diuisio  Hm1N (post. l) Pm1  sunt]  CHm2LN (pr. l.), om. EGHm1 et 3 N (post. l.) R, s. l. Pm2  constituunt]  CHm2N (pr. l.) Pm2  quaerat  Hm1N (post. l.) Pm1  quaerant ( uel  que-,)  Hm3R  quam erat  EG  constituunt quam erat  L  in substantiae uero definitione]  CHm2LN (pr. l.) Pm2  in substantia uero  Pm1R  substantia uero  EGHm1N (post. l.)  aliud uero  Hm3  4  post  uero  add . ad  Hm3  faciunt  om. EHm1N (post. l.)  5  pr.  et  om. HN, s. l. Pm2  faciunt  Lm1Pm1  et] ac  C  eo] in eo  N  6 quidem  om. L  quod  HLm1NP (d  er .) uero] modo  N  7 quod  HRm1  9 sed] sub  G  monstrat  CGm1  11 ergo  om .  H  uero  N 2 ;  Porph. p. 9, 7   ouv  rursus  om. H  12 aliae... aliae  h m1  separabiles esse  Φ  13 alias uero—perceptibile  (p. 249, 2) om. C  moueri—perceptibile]  R Ω ,  om. cett . 14  ante  quaecumque  s. l . omnia  Λ  15 at—inseparabilia  in sup. mg .  h m2  acylum  ΓΦ  acilum  ΛΣ ,  sim. p. 249, 3.250, 20. al . 16  post  inseparabilia  add . sunt PAS<P   edd. Busse, om.R h   cum Porph. p. 9,10   uero per accidens; nam rationale per se inest homini et mortale et disciplinae esse perceptibile, at nero aquilum esse uel simum secundum accidens et non per se.    Superius differentias triplici diuisione partitus est dicens aut communes esse aut proprias aut magis proprias, dehinc easdem alia diuisione in duas secuit partes dicens has quidem aliud facere, illas uero alteratum. nunc tertiam earum quidem facit diuisionem dicens alias esse separabiles, alias inse-  parabiles, posse autem de uno quoque cuius multae sunt dif- ferentiae, plurimas fieri diuisiones ex ipsa differentiarum natura manifestum est. nam si omnis diuisio differentiis distribuitur, quorum multae sunt differentiae, multas etiam diuisiones esse necesse est. fit autem ut animal diuidatur quidem hoc modo :  animalis alia quidem sunt rationabilia, alia inrationabilia, item alia mortalia, alia inmortalia; item alia pedes habentia, alia minime; rursus alia herbis uescentia, alia carnibus, alia semi- nibus. ita nihil mirum uideri debet, si multiplex differentiae est facta partitio. ac primum quidem cum in ternarium nume-  rum differentiae membra secuisset, communes et proprias et magis proprias nuncupauit. secunda uero diuisio communes et proprias intra nomen alteratum | facientis inclusit, magis proprias  p. 83  uero intra aliud facientis. haec nero tertia diuisio, quae ait dif- ferentiarum alias esse separabiles, alias inseparabil es,  5 Superius... dicens aut eqs.] p. 239, 18. 7 dicens has eqs.| p. 244, 2.   2 perceptibile]  ΦΨ  perceptibilem  cett . ( in mg . capacem  T ) 3 uel] et  Γ  simium  P post  accidens  add . est  Γ ,  s. l. Lm2, ras. in E  et  om. Ν ΑΣ  4  post  se  add.  est  P  5 differentia  R  7 dicens  in mg. Hm2  8 earum quid  R  earundem  CN  quidem  post pr . alias  C  9  post post , alias  add . uero  C  14 animal] in animali quod  H  diuiditur  H  quidem  ante  diuidatur  Lp, om. brm  15 animalium  N edd . quidem  post  sunt  NP, om. H  rationalia alia inrationalia  H  18 item  P  20  post  secuisset  add . ait  HP  aut  CN  et magis—et proprias  om. EG  21 nun- cupari  H  nuncupauerit  LPR  22 facientes  CNPm1  propria  R  proprium  Em1GLp.c . 23 facientes  CN  qua  CLNRm1   unam quidem ex alteratum facientibus separabilibus differentiis adiungit, ceteras uero intra inseparabilis differentiae uocabulum claudit. una quidem ex alteratum facientibus. id est propria differentia, et reliqua quae aliud facere demonstrata est, id est magis propria, inseparabiles differentiae esse dicuntur.  quarum subdiuisio fit. inseparabilium differentiarum aliae sunt per se, aliae secundum accidens, per se quidem magis pro- priae, secundum accidens uero propriae. per se autem aliquid inesse dicitur quod alicuius substantiam informat. si enim idcirco quaelibet species est, quoniam substantiali differentia  constituitur, illa differentia per se subiecto adest neque per accidens aut per quodlibet aliud medium, sed sui praesentia speciem quam tuetur informat, ut hominem rationabilitas. homini enim huiusmodi differentia per se inest, idcirco enim homo est, quia ei rationabilitas adest; quae si discesserit,  species hominis non manebit. et has quidem quae substanti- ales sunt, inseparabiles esse nullus ignorat; separari enim a subiecto non poterunt, nisi interempta sit natura subiecti. secundum accidens nero inseparabiles differentiae sunt hae quae propriae nuncupantur, ut aquilum esse uel simum; quae  idcirco per accidens nuncupantur, quoniam iam constitutae speciei extrinsecus accidunt nihil subiecti substantiae commo- dantes.   Illae igitur quae per se sunt, in substantiae  24—p. 251, 14] Porph. p. 9, 14—23 (Boeth. p. 35, 6—17).   1 ex  om. EG, in inf. mg. L  alteratum  post  facientibus  R, om. G post  facientibus  add . id est communem  L (in inf. mg.) P  2 adiungit] ponit  La.c . cetera  R  ceterasque  Lm2  alteram  C  3 una  ras. ex  una  C  quidem] quidem fit  G  quippe  HN  4 et  om. G, s. l. E  5 inseparabilis  E  esse  om. G  6  post  quarum  add . quidem  Lp  ita  brm post  aliae  add . enim  EGL  8 inesse aliud ( ex  aliquid  m2 )  L  11 neque] non  Lm2R, ante  neque  add . quae  Hm2  12  post  medium  add . quae sunt propria  Hm1, del. m2  13 rationalitas  H, item 15  15 ei  s. l. Hm2  16 quidem eas  (sic) C  17 nullus esse  C  18 nisi] ni  EG 20 proprie  CN  aquilum]  cf. p. 248, 15  22 accedunt  Hm1N  subiecto  Hm1  subiectae  Lm1N   (-te)  24 Igitur illae  C  in  om .  N   ratione accipiuntur et faciunt aliud, illae uero quae secundum accidens, nec in substantiae ratione dicuntur nec faciunt aliud, sed alteratum. et illae quidem quae per se sunt, non suscipiunt magis et  minus, illae uero quae per accidens, uel si inse- parabiles sint, intentionem recipiunt et remissi- onem; nam neque genus magis aut minus praedi- catur de eo cuius fuerit genus, neque generis dif- ferentiae, secundum quas diuiditur; ipsae enim  sunt quae unius cuiusque rationem complent, esse autem uni cuique unum et idem neque intentionem neque remissionem suscipiens est, aquilum autem esse uel simum uel coloratum aliquo modo et intenditur et remittitur.    Differentiis rite partitis earum inter se distantiam monstrat atque unam quidem repetit quam superius dixit. cum enim tres esse dixisset differentias, communes, proprias, magis pro- prias, alteratum facere dixit proprias, sicut etiam communes, aliud minime, sed hoc solis magis propriis reseruauit. nunc  igitur idem repetit dicens quoniam inseparabiles differentiae quae substantiam monstrant, id est quae per se subiectis speciebus insunt easque perficiunt, aliud faciunt, illae uero  16. 252, 3 superius] p. 244, 1 ss.   1 rationem  GR h  suscipiuntur  Lm2  percipiuntur  Φ  aliud] illud  E  illae—suscipiens est  (12) ]  Ω ,  om. cett . 3 dicuntur] accipiuntur  Φ   (ex 1); Porph. p. 9, 16   λαμβάνονχαι   uel παραλαμβάνοντα   codd .,  λέγονται   Dauid comment. p. 184, 16  alteratum] alterum  W- m1  et  om .  Γ  4 quidem  om .  Λ  uero  Γ  5 uero quae] quidem  Γ  si  om .  Φ  6 sunt  ΔΣΦ brm Busse; Porph. p. 9, 18   v.dv—Jaw  7 aut]  Λ   Busse  et  cett. codd. edd. (cf. 4); Porph. p. 9, 19   ή   cod. M   m;   cett . 9 ipsae]  otuxat   Porph. p. 9, 20  10  post  rationem  add . id est diffinitionem  Φ  11 neque—remissionem  cum Porph. p. 9, 21 cod. Μ ,  ooxe ανεσιν οντε έπίχασιν   cett . 12 aquilum]  cf. ad p. 248, 15  autem  om. P  13  pr . uel] et  Γ  colorari  Em1  et  om. CLR  14 et] uel  R  17 esse  post dixisset  HNP, ante  tres  P  18 alteratum—proprias] proprias alte- ratum facere dixit  HNP  19  post  aliud  add . uero  HNPR, s. l. Lm2   quae sunt propriae, id est secundum accidens inseparabiles differentiae, neque in substantia insunt nec aliud faciunt, sed tantum, ut superius dictum est, alteratum. item alia distantia est earum differentiarum quae secundum substantiam sunt, ab his quae secundum accidens, quoniam quae substantiam mon-  strant, intendi aut remitti non possunt, quae uero sunt secun- dum accidens, et intentione crescunt et remissione decrescunt. id autem probatur hoc modo. uni cuique rei esse suum neque crescere neque deminui potest; nam qui homo est, humanitatis suae nec crementa potest nec detrimenta suscipere. nam neque  ipse a se plus aut minus hodie uel quolibet alio tempore homo esse potest nec homo rursus ab alio homine plus homo potest esse uel animal. utrique enim aequaliter animalia, aequaliter homines esse dicuntur. quodsi uni cuique esse suum nec cremento ampliari potest nec inminutione decrescere,  quod per id facile monstrari potest, quoniam quae genera sunt uel species, nulla intentione uel remissione uariantur, non est dubium quin differentiae quoque, quae unius cuiusque speciei substantiam formant, nec remissionis detrimenta suscipiant nec intentionis augmenta. itaque substantiales differentiae  neque intentionem neque remissionem suscipiunt. huius causa haec est. quoniam esse uni cuique unum et idem est, et  p. 84  intentionem re|missionemue non suscipit huius exemplum. genus  2 nec  N  substantiam  N  sunt  EN  neque  edd . 4 est]  L   (s. l. m2) P edd., om. cett . sunt  om. E  5 secundum accidens quo- niam quae  om. EGP  6  ante  intendi  add . quae  EGP post  pos- sunt  add . secundum  (s. l. E)  accidens  EGP  sunt  om. CHL  7 in- tentione] intensione  Pm2 edd., item 17—p. 253, 6  9 deminui]  Pm1  minui  L (ex  diminui  m2) N  diminui  cett . quia  C  10 decrementa Em1G edd . 11 uel] aut  L  12 neque  N  13 uterque  P  aequa- liter—dicuntur] aequaliter corporales. aequaliter animati. aequaliter ho- mines esse dicuntur  H, eadem uerba loco aequaliter—dicuntur  adiungit sic  utrique enim aequaliter  eqs. N  15 ampliorari  EGLPm1  17  ante  non  s. l . et ob hoc  Em2  19 informant  Pm2  21 suscipient  N  cuius  HNP  22  post  unum  add . est  L  23 remissionemque  N post  exemplum  add.  sit  Lm1 edd. (ante  huius  distinctio) , est  Lm2, s. l. Hm2   enim dici non potest plus minusue cuilibet genus; omnibus enim genus aequaliter superponitur. differentiae quoque quae diuidunt genus et informant speciem, quoniam speciei essentiam complent, nec intentionem recipiunt nec remissionem. quae  uero secundum accidens differentiae sunt inseparabiles, ut aquilum esse uel simum uel coloratum aliquo modo, et inten- tionem suscipiunt et remissionem. fieri enim potest ut hic paulo sit nigrior, hic uero amplius simus, ille minus aquilus, at uero quod non omnes homines aequaliter rationales mor-  talesque sint, nec specierum nec differentiarum natura uidetur admittere.   Cum igitur tres species differentiae consi- derentur et cum hae quidem sint separabiles, illae uero inseparabiles, et rursus inseparabilium cum  hae quidem sint per se, illae uero per accidens, rursus earum quae sunt per se differentiarum aliae quidem sunt secundum quas diuidimus ge- nera in species, aliae uero secundum quas ea quae diuisa sunt specificantur, ut cum per se differen-  tiae omnes huiusmodi sint, animati et inanimati,  12—p. 254, 8] Porph. p. 9, 24-10, 8 (Boeth. p. 35, 18—36, 6). 16 differentiarum—19 specificantur] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II p. 94.   1  post  cuilibet  add . esse  L edd . 2 quae  om. GPR, del. Hm1?  3 formant  CEGLm1R  species  Lm2NP  3  ante  quoniam  add . quae  EGHLPR  essentiam] substantiam  N  4  ante  quae  add.  ill<a>e  G  6 aquilum]  cf. ad p. 248, 15  colorari  EG  8 nigrior sit  HNP  hic— aquilus] hic uero minus hic magis acilus ille autem minus hic amplius simus illo uero minus  E amplius simus] amplissimus  G, add . sit  L  aquilus]  ut  6 9 non quod  R  ut non  HNPm1  quoniam non  m2  ratio- nabiles  ELm2P  12 considerantur  Λ m2  ( in er . -entur)  2  13 haec  EG  illae—sensibilis  (p. 254, 5) om. CEG  14 et—sensibilis  (ibid.) om. HLNP  16 rursus—sensibilis  (ibid.) om. R  per se sunt  Λ2Φ  17 quidem  om .  Λ2  18 ea]  ΓΔΨΨ   edd . haec  ΛII2  20 animatum et inanimatum sensibile et insensibile rationale et inrationale mortale et inmortale  h m1 animati—insensibilis]  Porph. p. 10, 4   εμψύχου και αίαβητικου   ante  sint  add . animalis  edd. cum Porph .  τοϋ ζώου   quattuor  et  (20—p. 254, 2) om .  2   sensibilis et insensibilis, rationalis et inrationalis, mortalis et inmortalis, ea quidem quae est animati et sensibilis differentia. constitutiua est substan- tiae animalis — est enim animal substantia ani- mata sensibilis —, ea uero quae est mortalis et  inmortalis differentia et rationalis et inrationalis, diuisiuae sunt animalis differentiae; per eas enim genera in species diuidimus.    Fit nunc differentiarum plena et suprema diuisio, quae est huiusmodi. differentiarum aliae sunt separabiles, aliae inse-  parabiles, inseparabilium aliae sunt secundum accidens, aliae substantiales. substantialium aliae sunt diuisibiles generis, aliae coustitutiuae specierum. quod uero ait : cum igitur tres species differentiae considerentur, ad hoc retulit, quod in prima differentiarum diuisione partim eas communes esse,  partim proprias, partim magis proprias dixit, quas rursus tres differentias alias separabiles esse monstrauit, alias inseparabiles, separabiles quidem communes, inseparabiles uero proprias ac magis proprias. inseparabilium uero fecit diuisionem dicens alias esse secundum accidens, quae propriae nuncupantur, magis  proprias uero secundum substantiam considerari. earum uero quae secundum substantiam sunt, subdiuisionem facit, quod  3 constituta  T m1  4  post  animata  add . et  ΓΛ   Busse, om .  ΔΠΣΦΨ Porph. (p. 10, 6) edd . 5 ea] he  ex  e  Rm2  est] sunt  R  6 diffe- rentia  om .  CEGPR  et  om .  CLR \\ rationabilis et inrationabilis (rac-  et  irrac-  P )  Lm2P  7 diuisi  Em1  diuisae  GPm1  has  HP; Porph. p. 10, 8   St’ αΰτών  8 genera in]  L (s. l. m2)   ΓΔΠ .  (in mg. m2)   Ψ   Porph., om. cett . 11  post  inseparabilium  add.  uero  C  12 generis  om. EGR, in mg. Lm2  15  post  esse  add . dixit  HNP  dicit  R  16 dixit  om. HPR, s. l. Em2  rursum  H  17 alias insepa- rabiles esse (esse  om. N ) monstrauit  HNP  18 ac] et  HN  20 acci- dens] se  EG(er.), s. l. Pm2, add . substantiam  Em1  alias (alia  E ) se- cundum substantiam considerari  G edd., in mg. Em2, s. l . alias secun- dum  Pm2, post  considerari  add . et illas esse secundum accidens  edd.  quae—considerari  om. E post  quae  s. l . uero secundum accidens  Pm2  propria  C  proprias  Pm2  nuncupari  Pm2  21 eorum  (sic)  uero quae secundum substantiam  s. l. add. Em2  22  post  quae  add.  et  C   aliae earum genus diuidant, aliae speciem informent. ad cuius rei facilem cognitionem illa tertii libri specierum generumque dispositio transcribatur. sitque primum substantia, sub hac corporeum atque incorporeum, sub corporeo animatum atque  inanimatum, sub animato sensibile atque insensibile, sub quo animal, sub animali rationale atque inrationale, sub rationali mor- tale atque inmortale et sub mortali species hominis, quae solis deinceps indiuiduis praeponatur. in hac igitur diuisione omnes hae differentiae specificae nuncupantur, generum enim specierum-  que differentiae sunt, sed generum quidem diuisiuae, specierum autem constitutiuae. id autem probatur hoc modo. substantiam quippe corporei atque incorporei differentiae partiuntur, cor- poreum uero animati atque inanimati, animatum sensibilis atque insensibilis. ita igitur genera substantiales differentiae  partiuntur et dicuntur generum diuisiuae. at uero si eaedem differentiae quae a genere descendentes genus diuidunt, colli- gantur et in unum quae possunt iungi copulentur, species informatur. nam cum animal species sit substantiae — omnia enim superiora de inferioribus praedicantur et quicquid inferius  fuerit, species erit etiam superioris —, animatum tamen atque  2 illa tertii libri.. dispositio] p. 208, 12 ss.   1 diuidunt  N  diuident  R informant  CNR, add . atque construant  H  atque constituunt (-ant  ex  -ent  P )  NP, s. l. Lm2   (ex p. 256, 3)  at  E  2 facilitatem  G  cognitionem  om. EG  illa  s. l. Hm2  3 trans- feratur  Hm1N; post transcribatur  spatium ad inscribendam figuram ut uid. relictum in EG  sub] ubi  E  hoc  Em1GLm1R  4 atque incorporeum  in mg. Em2  sub corporeo  om. GR, in mg Em2, s. l. Lm2  6 animal sub  om. E  sub animali  om. GR  6 rationabile  E  7 et  om. HN, del. Em2  12 patiuntur  Em1G  corporeum—partiun- tur  (15) om. Em1, in mg . corporeum ( ex  corpore  m3 )—inanimati (ani- matum autem  s. l. add. m3 ) sensibilis—partiuntur  add. m2  13 ani- matum  om. G, post add . autem  Em3  enim  Lm1, del. m2 , et  er. N  14  post  insensibilis  add . partiuntur  CL substantialis  Gm1Pm2  15 si  del. Lm2, post  si  del . et  R  heaedem  P  (dem  er .)  R  (h  del .) hae  HN 16 quae  post  descendentes L 17 in  ex al. litt. Em2  18 informantur  EHN  informant  part. ras. ex informatur  Lm2  fit  E   sensibile quae sunt differentiae, si referantur ad genera, diui- siuae sunt, constitutiuae uero fiunt animalis eiusque sub- stantiam formant atque constituunt definitionemque conformant, ut sit animal substantia animata sensibilis, substantia quidem genus, animatum uero atque sensibile eiusdem differentiae consti-  p. 85  tutiuae. | item animal rationabilitas atque inrationabilitas diuidit, mortali etiam atque inmortali diuiditur, sed iuncta rationabilitas atque mortalitas, quae animalis diuisiuae fuerant, fiunt homi- nis constitutiuae eiusque perficiunt speciem atque omnem eius rationem definitionis informant atque perficiunt. at si  inrationabilitas cum mortalitate iungatur, fiet equus aut quod- libet animal, quod ratione non utitur, rationabilitas uero atque inmortalitas copulatae del substantiam informant. ita eaedem differentiae cum referuntur ad genera, diuisiuae generum fiunt, si uero ad inferiores species considerentur, informant species  earumque substantiam conuenienti copulatione constituunt. In hoc quaesitum est, quemadmodum dicerentur esse hae diffe-  1  post  sunt  add . eiusdem  P (s. l. m2) edd . diuisiua  Em1G  2  post  sunt  s. l . si ad speciem  Lm2Pm2  uero  om. N, del. Pm1?, s. l. Hm2Rm2  fiunt  s. l. Rm2  3 definitionemque] diuisionemque  EG  formant  Hm1  4 quidem] uero  N  5 ante genus add. eiusdem  CN ,  post add . est  s. l. LPm2 ante  differentiae  add . generis  GP, post add . diuisiuae  R post  constitutiuae  add . animalis  R, s. l . speciei animalis  Lm2  6 rationabilitas—diuiditur]  P  rationalitas atque inrationalitas diuidit mortalitas ( ex  inmortali  m2 ) etiam atque inmortalitas ( ex  inmor- tali  m2 ) diuidit ** ·  H  rationabilitas atque irrationabilitas mortale atque inmortale diuidit  C  rationale atque inrationale (diuidunt  add. N ) mortale atque (et  N ) inmortale diuidit (diuidit  om. N )  NR inrationabile (inratio- nale  L ) atque inmortale diuiditur  EGLm1, in mg. ante  atque  add . irracionale. mortale etiam atque  m2  rationabilitas atque irrationabilitas, mortalitas atque immortalitas diuidit  brm  7 rationalitas  E  8 diuisiua  Em1GLm1R  9 constitutiua  GLm1R eiusque] hominisque  HNP  nominis  (del. Lm2)  eiusque  EGL  10 atque perficiunt  s. l. Rm2  11 irrationalitas  EP  mortali  Lm2Pm1  fiat  G  aut] atque  L  12 rationalitas  HP  13 inmortalitas] inrationabilitas  R  dei  om. G ,  post  substantiam  E (s. l. m2) L  formant  HN  item  HL  14 di- uisae  E  17 esse  om. C  eae  EGR  heae  P   rentiae specierum constitutiuae, cum inrationabilis differentia atque inmortalis nullam speciem uideantur efficere. respondemus primum quidem placere Aristoteli caelestia corpora animata non esse; quod uero animatum non sit, animal esse non posse;  5 quod uero non sit animal, nec rationale esse concedi. sed eadem corpora propter simplicitatem et perpetuitatem motus aeterna esse confirmat. est igitur aliquid quod ex duabus his diffe- rentiis conficiatur, inrationabili scilicet atque inmortali. quodsi magis cedendum Platoni est et caelestia corpora animata  esse credendum, nullum quidem his differentiis potest esse subiectum — quicquid enim inrationabile est corruptioni sub- iacens et generationi, inmortale esse non poterit —, sed tamen hae differentiae, quoniam substantialium differentiarum in numero sunt, si iungi ullo modo potuissent, earum naturam  et speciem quoque possent efficere. atque ut intellegatur, quae sit haec potentia efficiendae substantiae specieique formandae, respiciamus ad proprias atque communes, quae tametsi iun- gantur, speciem substantiam que nulla ratione constituunt. si quis enim loquatur ambulans, quae sunt duae communes dif-  ferentiae, uel si albus ac longus, num idcirco isdem eius sub- stantia constituitur? minime. cur? quia non eiusdem sunt generis, quae alicuius possint constituere et conformare sub-  3—7 Aristoteli] cf. De caelo II 12, p. 292 a , 18 ss.; ed. Didot IV part. II p. 38 a , frg. 24 (Cic. de nat. deor. II 15, 42 cum locis ab Heitzio adlatis). 9 Platoni] Tim. p. 38 E. 39 E ss.; cf. supra p. 209, 2.   1 species  G  inrationalis  CEGP  differentiae  E  5 concedit  Lm1N  7 est] esse  CN, ad  est  s. l . ał esset  L  aliud  G  8 con- ficeretur  H, s. l.  ( add . ał)  ad  conficiatur  L  irrationali  Lm2P  9 ac- cedendum  CN  (ac  er .)  H  (ac  in ras. m2 ), concedendum  edd . est platoni  CN  et  om. C  10 credendum  om. CN  11 inrationale (irr-  P )  HP 13  ante  substantialium  add . in  CHN, post  diff.  om. CHNR  16 efficientiae  G  17 tametsi] etsi  C etiam (si  er. H ) etsi  H  ( in mg . ł tametsi  m2 )  NP  19 loquitur  HN  20 sit  H  num  ex  non  Rm2 isdem]  NP  eisdem (ei  in ras. m2 )  L  hisdem  cett., post s. l . differentiis  add. Em2  21  ante  cur  add . id  HNP, s. l. Lm2  eius  EG  sunt  ante  eiusdem  N, post  generis  L  22 possunt  NP  con- firmare  Em1GRm1   stantiam. ita igitur hae, id est inrationale atque inmortale, etiamsi subiectum aliquod habere non possunt, possent tamen substantiam efficere, si ullo modo iungi copularique potuissent, praeterea inrationale iunctum cum mortali substantiam pecudis facit : est igitur constitutiua inrationalis differentia, item inmor-  tale ac rationale coniuncta efficiunt deum : est igitur inmortale quod speciem formet, quodsi inter se iungi nequeunt, non idcirco quod in natura earum est, abrogatur.   Sed hae quidem quae diuisiuae sunt differentiae generum, completiuae fiunt et constitutiuae speci-  erum; diuiditur enim animal rationali et inrationali differentia et rursus mortali et inmortali differentia, sed ea quae est rationalis differentia et mortalis, con- stitutiuae fiunt hominis, rationalis uero et inmor- talis del, illae uero quae sunt inrationalis et mor-  talis, inrationabilium animalium, sic etiam et supremae substantiae cum diuisiua sit animati et inanimati dif- ferentia et sensibilis et insensibilis, animata et sen- sibilis congregatae ad substantiam animal perfecerunt.    9—19] Porph. p. 10, 9—17 (Boeth. p. 36, 7—15).   2 aliquod  om. C  aliquid  LP  possunt—substantiam] possent tamen substantiam possent  C  4 mortale  EGPm1  5 irrationabilis  NP  ita R 6 coniunctae  HN  8 eorum  edd . 9 haec  CL  heae  P  10 generum  om. EG  fiant  Cm1Em1G  sunt  Σ  11 diuiditur—insensibilis  (18) ]  2 ,  om. cett . 12  pr . et—differentia  om.   2 ,  add.   X m2  13 ea... differentia]  Porph. p. 10, 12 ai... διαοοραί  rationalis.. mortalis  cum cod .  M Porph., cett .  τοΰ 6-νητοδ καί τού λογικού  14 fiunt] definiunt  Δ m1 ΙΛΣ  hominem  Δ m1 ΑΣ  15 dni in ras.  2 ,  add . sunt et angeli  Δ ,  sed del., ante  dei  add.  angeli et  Π m2 ,  sed del.; codd. Porph. p. 10,13 aut   θεού   aut   άγγέλοο  quae sunt  add .  X m2   post  mortalis  add . constitutiuae sunt  Γ  16 inratio- nalium  X m2 \ m1 ,  add . sunt  Φ etiam] enim  Φ  supremae substan- tiae]  T m2  (suae substantiae  m1 )  X m 2 (superna substantia  m1 ) suprema substantia  cett. codd. edd. Busse; cf. Porph. p. 36, 12 et infra p. 259, 23  18 animatum  EGR  sensibile  E  (le  in ras .)  R  19 congregata  ER  perficerent  G  perficiunt  in ras .  2 post  perfecerunt  add . animata uero et insensibilis perfecerunt plantam  edd. cum Porph. p. 10, 17, om .  Boethius etiam in commentario   Geminum differentiarum usum esse demonstrat, unum qui- dem quo genera diuiduntur, alium uero quo species infor- mantur; neque enim hoc solum differentiae faciunt, ut genera partiantur, uerum etiam dum genera diuidunt, species in quas  genera deducuntur efficiunt, itaque quae diuisiuae sunt gene- rum, fiunt constitutiuae specierum, huiusque rei illud exemplum est quod ipse subiecit; animalis quippe differentiae sunt diui- siuae rationale atque inrationale, mortale atque inmortale; his enim praedicatio diuiditur animalis, omne enim quod animal  est, aut rationale aut inrationale aut mortale aut inmortale est. sed istae differentiae quae diuidunt genus quod est animal, speciei substantiam formamqne constituunt, nam cum sit homo animal, efficitur rationali mortalique differentiis, quae dudum animal partiebantur, item cum sit equus animal, inrationali  mortalique differentiis constitui|tur, quae dudum animal diui-  p. 86  debant. deus autem cum sit animal, ut de sole dicamus, ratio- nali inmortalique efficitur differentiis, quas diuidere genus habita partitio paulo ante monstrauit. sed hic, ut diximus, deum corporeum intellegi oportet, ut solem et caelum ceteraque  huiusmodi, quae cum animata et rationabilia Plato esse con- firmat, tum in deorum uocabulum antiquitatis ueneratione probantur assumpta, de primo quoque genere, id est substantia demonstrantur uenire. nam cum eius diuisiuae sint differentiae  18 ut diximus] p. 208, 22 ss. 20 Plato] cf. p. 257, 9.   2 aliud  EHm1Rm2  alio  m1  uero  om. R  4 partiuntur  GPm1  diuidendo  N  5 deducantur  HN  dicuntur  R  diuiduntur C (uid  in er . duc?  m2 ) diuisae  Em1Gm2HR  6 huius C rei  om. EGR s. l. Lm2  7 ipse] ille  R  diuisae  Em1Gm2  8 mortale atque inmortale  om. EGR, in mg. Lm2  9 quod animal est] animal  HNR  10  pr . aut  om. R post  rationale  add . est  HN  11 est  om. HR  quod] hoc  C  13  post  efficitur add. ab his  EPm1, del. m2, s. l. Lm2  post differentiis  add . constituitur  Cm1, del. m2  14 partiebantur] diuidebant Lm1R  15 diuidebant] parciebantur  R  16 ut] si  CH, in ros. N, recte?; cf.p. 208, 22  20 confirmet  C  (et  in ras. m2 ) HLm2N  22 substantiam  Em1  23 demonstrantur] idem monstratur  HN  idem  (super ras. Cm2, s. l. Pm2)  demonstrantur  Cm1Pm1, alt . n  del. Cm2Pm2  euenire  HNPm2, add. s. l . differentiae  Lm2  diuisae  Em1Pm1  sunt  EHm1   animatum atque inanimatum, sensibile atque insensibile, iunctae differentiae sensibilis atque animati efficiunt substantiam ani- matam atque sensibilem, quod est animal, iure igitur dictum est, quae diuisiuae sunt differentiae generum, easdem esse con- stitutiuas specierum.   Quoniam ergo eaedem aliquo modo quidem accep- tae fiunt constitutiuae, aliquo modo autem diuisiuae, specificae omnes uocantur. et his maxime opus est ad diuisiones generum et definitiones, sed non his quae secundum accidens inseparabiles sunt, nec magis his  quae sunt separabiles.  Omnes a genere differentias procedentes genus ipsum a quo procedunt, diuidere nullus ignorat, ipsae autem quae diuidunt genus, si ad posteriores species applicentur, informant substantias easque perficiunt, eaedem igitur sunt constitutiuae  specierum, eaedem diuisibiles generum, alio tamen modo atque alio consideratae, ut si ad genus relatae quidem in contrariam diuisionem spectentur, diuisibiles generis inueniuntur, si uero iunctae aliquid efficere possint, specierum constitutiuae sunt, quae cum ita sint, hae differentiae quae genus diuidunt, rectis-  sime diuisiuae nominantur - quae enim constituunt speciem, specificae sunt, sed constituunt speciem hae differentiae quae  6—11] Porph. p. 10, 18—21 (Boeth. p. 36, 15—19).   4  post  constitutiuas  add . et completiuas  C  completinasque  HNP   (ex p. 258,10)  6 ergo] igitur  P  needem  uel  heedem  hic et 15. 16. p. 261, 1 codd. quidam  alio  P  ( ras. ex  aliquo,)  Γ  (o  in ras .) quidem]  ΓΔΛΙIΨ ,  om. cett.; Porph. p. 10, 18   μεν  7 aliquo—inseparabiles sunt  (10) ]  Ω ,  om. cett . alio  ras. ex  aliquo  ut uid .  Γ  autem modo  Φ  autem  add .  5 m2  10 sunt inseparabiles  Γ his  om .  Γ  12  post  Omnes  add . enim  R  13 quo] quibus  EGR  procedent  Em1  15  post  sub- stantias  s. l . earum  L  eas substantiasque (quae  N )  HNR  sunt igitur  HL  16  post  eaedem  add . sunt  LR  19 sint  CHPRm1  21 diui- siuae] specificae  Lm2  nominantur] nuncupantur  HΡΝ  enim  om. C   post  speciem  add . eaedem speciem faciunt, quae uero speciem faciunt  CHN   sunt generis diuisiuae - eaedemque sunt specierum constitu- tiuae. quare iure quae generum diuisiuae sunt et quae spe- cierum constitutiuae, specificae nuncupantur, has igitur in diuisione generis et in definitione specierum accipi oportere  manifestum est. quoniam enim diuisiuae sunt, per eas diuidi oportet genus, quoniam autem constitutiuae, per eas species definiri; quibus enim unum quodque constituitur, isdem etiam definitur, constituitur autem species per differentias generis diuisiuas, quae sunt specificae, iure igitur specificae solae et  in generis diuisione et in specierum definitione ponuntur, et de specificis quidem haec ratio est, de his autem quae uel separabilia uel inseparabilia continent accidentia, nihil in generum diuisione uel definitione specierum poterit assumi, idcirco quoniam quae diuisibiles sunt, substantiam generis  diuidunt, et quae constitutiuae sunt, substantiam speciei con- stituunt. quae uero sunt inseparabilia accidentia, nullius sub- stantiam informant, unde fit ut multo minus separabilia acci- dentia ad diuisiones generum uel specierum definitiones accommodentur; omnino enim dissimiles sunt substantialibus  differentiis, nam inseparabilia accidentia hoc fortasse habent commune cum specificis, hoc est substantialibus differentiis, quod aeque subiectum non relinquunt, sicut nec specificae differentiae, separabilia autem accidentia ne hoc quidem; sepa-  1 diuisae  Gm1  eaedemque]  H  (hee-)  NP  eaedem  C  igitur eaedem (eaedem  s. l. Lm2 ) quae (que  E ) sunt  EGLR  constitutiuae specie- rum  C  2 quare—constitutiuae  om. EGLR  quare iure] iure igitur  P  4 diuisionem  HLm2P  et] uel  R  definitionem (uel diff-)  HL  ( s. l . ał constitutione]  P  diuisione  Em1  6 eius  Em1  7  post  definiri  add . oportet CN, s. l . (scil.  add. E )  EL  quibus—definitur  om. EGLR, in mg. Pm2  hisdem  CHN  9 solae  s. l. Em2  10  post , in  om. HN  12 continent] concedunt  EG, s. l . uel faciunt  Gm1?  13  post  uel  add . in  L  16 sub- stantiam]  HN, om. Em1 , speciem  CGLm1R  (post informant)  s. l. Em2 , speciei substantiam  Lm2P edd . 17 formant  H  multo  om. C  18 ad diuisiones—accidentia  (20) in inf. mg. Gm2  definitiones] diuisiones  Em1G  19  ante  substantialibus  add . a  HN, recte?  22  ante quod  add. id H   (linea del., sed linea er. uid.) N ad  quod aeque  s. l. ał  quod hae similiter  L  sic  G  (ut  er .)  L (ut del. m2)  23 ne] nec  LN   rari enim possunt, nec tantum potestate et mentis ratiocinatione, sed actus etiam praesentia, et omnino ueniendi uel discedendi uarietatibus permutantur.   Quas etiam determinantes dicunt : differentia est qua abundat species a genere, homo enim ab animali  plus habet rationale et mortale : animal enim neque ipsum nihil horum est nam unde habebunt species differentias? neque enim omnes oppositas habet - nam in eodem simul habebunt opposita —. sed, quemadmodum probant, potestate quidem omnes  habet sub se differentias, actu uero nullam, ac sic neque ex his quae non sunt, aliquid fit neque opposita circa idem sunt.    Specificas differentias definitione concludit dicens substan-  p. 87  tiales differentias a quibusdam tali descriptionis ratione finiri :  differentia specifica est qua abundat species a genere, sit enim genus animal, species homo : habet igitur homo dif- ferentias in se, quae eum constituunt, rationale atque mortale; omnis enim species constitutiuas formae suae differentias in se retinet nec praeter illas esse potest, quarum congregatione  perfecta est. si igitur animal quidem solum genus est, homo uero est animal rationale mortale, plus habet homo ab animali id quod rationale est atque mortale, quo igitur abundat species  4—13] Porph. p. 10, 22—11, 6 (Boeth. p. 36, 20—37, 5).   1 nec] non  brm  4 Quae  h m1  dicuntur  A m1  est  add .  \ m2  5 que  Em1  quae  Ga.c . abundant (ha-  G )  Em1G  a  om. N ho- mo—-nullam  (11) ]  R Q ,  om. cett . ab  om .  ΓΦ  6 enim] enim tamen  R  autem  A  7 horum nihil  Γ  8 enim  om .  Φ ,  add .  & m2 , autem  er .  T  :  Porph. p. 11, 3   ούτε ίί ; enim  pro  autem;  cf. ad p. 16, 15; an  autem ( cf.   T )  Boethius scripsit ? opposita  R  habet]   habent  cett .  codd. et edd . 9 nam] nec  R  habebit  Φ  ( post  opposita), non habe- bunt  Δ  11 habet]  P p.c .  Φ*Γ  habent  cett . ac sic  om. N  sic  ex  si  Em2G  12 hiis  Φ  sint  Sa.c . opposita] ex oppositis quae  R h m1  13 circa idem sunt]  Porph. p. 11, 6   &pa περί τό αΰτο εσται  15 diffiniri  Pm2R  19 constitutiuae  Em1GLp.c.Rm1  in se  om. C  22 est uero  E  23 id] id est  EGP   a genere, id est quo superat genus et quo plus habet a genere, hoc est specifica differentia, sed huic definitioni quae- dam quaestio uidetur occurrere habens principium ex duabus per se propositionibus notis, una quidem, quoniam duo con-  traria in eodem esse non possunt, alia uero, quoniam ex nihilo nihil fit. nam neque contraria pati sese possunt, ut in eodem simul sint, nec aliquid ex nihilo fieri potest; omne enim quod fit, habet aliquid unde effici possit atque formari, quae pro- positiones talem faciunt quaestionem, dictum est differentiam  esse id qua plus haberet species a genere, quid igitur? dicen- dum est genus eas differentias quas habent species, non habere? et unde habebit species differentias quas genus non habet? nisi enim sit unde ueniant, differentiae in speciem uenire non possunt, quodsi genus quidem has differentias non habet,  species autem habet, uidentur ex nihilo differentiae in speciem conuenisse et factum esse aliquid ex nihilo, quod fieri non posse superius dicta propositio monstrauit. quod si differentias omnes genus continet, differentiae autem in contraria dissol- uuntur, fiet ut rationabilitatem atque inrationabilitatem, mor-  talitatem atque inmortalitatem simul habeat animal, quod est genus, et erunt in eodem bina contraria, quod fieri non potest, neque enim sicut in corpore solet esse alia pars alba, alia nigra, ita fieri in genere potest; genus enim per se conside- ratum partes non habet, nisi ad species referatur, quicquid  igitur habet, non partibus, sed tota sui magnitudine retinebit, nec illud dubium est, quin in partibus suis genus habeat  1  post , quo] quod  Em1  (quid  m2 )  GHm1R  a  om. H  2 hoc—dif- ferentia  om. C  huic] hunc  Em1N  4 per se  ante  notis  brm  unam  GHa.r. 5  aliam  C (sic) Ha.r. post  quoniam  add . quidem  C  6 sit  C  nec  N  10 id  om. R  qua] quod  GHLm1P; cf. p. 270, 12  dicen- dumne  Lm2  11 genus  ante  non habere  HNP  habent] habet  Lm2  12 habet] habebit  CEGLm1, in mg. Rm2 (om. m1)  13 ueniunt  R  15 uidetur  GLm1P  differentia  EGL  ( ex  -tiasj P 16 esse] est  CLP  aliquando  Em1  18 contrarium  HLm2NPm1  contrario  R  19 mortali- tatem atque inmortalitatem]  CNP, s. l. Lm2, om. cett . 22 esse  post  alba  N, post  alia  P  25 detinebit  N  26 in]  HNP, s. l. Lm2, om. cett .   contrarietates, ut animal in homine rationabilitatem, in boue contrarium. sed nunc non de speciebus quaerimus, de quibus constat, sed an ipsum per se genus eas differentias quas habent species, habere possit atque intra suae substantiae ambitum continere, hanc igitur quaestionem tali ratione dis-  soluimus. potest quaelibet illa res id quod est non esse, sed alio modo esse, alio uero non esse, ut Socrates cum stat, et sedet et non sedet, sedet quidem potestate, actu uero non sedet. cum enim stat, manifestum est eum non agere sessi- onem, sed potius standi inmobilitatem. sed rursus cum stat,  sedet, non quia iam sedet, sed quia sedere potest; ita actu quidem non sedet, potestate uero sedet. et ouum animal est et non est animal. non est quidem animal actu, adhuc namque ouum est nec ad animalis processit uiuificationem, sed idem tamen est animal potestate, quia potest effici animal, cum  formam ac spiritum uiuificationis acceperit. ita igitur genus et habet has differentias et non habet, non habet quidem actu, sed habet potestate. si enim ipsum per se animal consideretur, differentias non habebit, si autem ad species reducatur, habere potest, sed distributim atque ut eius speciebus separarim nihil  possit euenire contrarium. ita ipsum genus si per se consi-  1  post homine  s. l . habet  E, post  rationabilitatem  Lm2  2 nunc  om. EGR, s. l. Lm2  4 suae intra  C  6 quaelibet illa res]  HLm2NPm1  quaelibet res  ( res  s. l. E) CEPm2  quidlibet  Lm1R  quodlibet  G 7 alio uero non esse  om. Hm1, s. l . alio non esse  m2  8  secund . sedet  om. CEGR  9 enim  om. CEGLPm1 (s. l . autem  m2) R  sessione  G  10 mobilita- tem  CEGLm1P  mobilitate  N  cum stat  in  constat  mut .  ERm2  13 actu  om. EG  14 neque  CL  ad  om. E  animal  G  animalis quidem  L  16 spiritum] speciem  CHR  genus et]  ELm2NP  et genus et  H  genus  CGLm1R  17 non habet quidem—potestate] habet quidem potestate sed non habet  ( habet  om. C)  actu  CEm2P  habet quidem actu sed non habet potestate  Em1G  18 consideretur] quis  (s. l.)  consideret  E  19 autem] enim  R  reducat  E  20 distributim]  HLm2PRm2  distri- butum  CN  distribute  EGLm1 distributam  Rm1  atque—contrarium] atque in species separatum  ( separatim  H)  ut nihil possit esse  ( euenire  H)  contrarium  CHN, add. locum  atque ut eius—contrarium  C  nihil] et nihil  G 21 si ipsum genus  HN   deretur, differentiis caret; quod si ad species referatur, per distributas species uel in partibus suis contraria retinebit, atque ita nec ex nihilo uenerunt differentiae quas genus retinet potestate nec utraque contraria in eodem sunt, cum contrarias  differentias in eo quod dicitur genus, actu non habet, inpos- sibilitas enim eius propositionis quae dicit contraria in eodem esse non posse, in eo consistit quod contraria actu in eodem esse non possunt, nam potestate et non actu duo contraria in eodem esse nihil impedit, quae uero nos contraria diximus,  Porphyrius opposita nuncupauit. est enim genus contrarii oppositum : omnia enim contraria, si sibimet ipsis considerantur, opposita sunt.   Definiunt autem eam et hoc modo : differentia est quod de pluribus et differentibus specie in eo quod  quale sit praedicatur; rationale enim et mortale de homine | praedicatum in eo quod quale quiddam est p. 88  homo dicitur, sed non in eo quod quid est. quid est enim homo interrogatis nobis conueniens est dicere animal, quale autem animal inquisiti, quoniam ratio-  nale et mortale est, conuenienter adsignabimus.    Tres sunt interrogationes ad quas genus, species, differentia, proprium atque accidens respondetur, haec autem sunt : quid  13—20] Porph. p. 11, 7—12 (Boeth. p. 37, 6-12).   1 species] differentias  H  2 uel  om. Lm1  uelut  HLm2  sin eo] id  HN  quot  E  7 actu  ante  contraria  H, post  eodem  CLN  in eodem esse—in eodem  om. EG  8  post  non possunt  add . quantum ad genus potestate solum, quantum ad species actu et potestate  Rm2  9 nil  L  contraria nos  C  11 si  om. HN, s. l. Cm2  si in semet  Lm2P  considerentur  CLm2  12 sunt  om. HN  13 autem  om. H  enim  C  et om.  CEGHNP 2 ,  ante  eam  4 ;  Porph. p. 11, 7   xo; όντως  14 quae  EP  de  om. C  et om.  CEGLIR; Porph.   xat ;  cf. infra p. 267, 1  15 ra- tionale—animal  (19) ]  R Q ,  om. cett . 16 praedicatur  T a.c.   m1  quid- dam  om.   ΓΦ  18 homo om.  R ΔΦ ,  s. l . scil, homo  \ m2 ; Porph.  p. 11, 10   6 άνθρωπος  19  post post , animal  add . sit  C, ante EG  inquisiti]  Porph. p. 11, 11   πυνθανομενων  20 et  om. CEGLR; Porph. p. 11, 12   xac  est om.  HNR, s. l .  2 m2 assignauimus  E  assignamus  G  22 hae  Hp.r.LR edd . heede  m P   sit, quale sit, quomodo se habeat, nam si quis interroget : quid est Socrates? responderi per genus ac speciem conuenit aut animal aut homo, si quis quomodo se habeat Socrates interroget, iure accidens respondebitur, id est aut sedet aut legit aut cetera, si quis uero qualis sit Socrates interroget,  aut differentia aut proprium aut accidens respondebitur, id est uel rationalis uel risibilis uel caluus. sed in proprio quidem illa est obseruatio, quod illud proprium dici potest quod de una specie praedicatur, accidens uero tale est quod qualitatem designet quae non substantiam significet, differentia uero talis  est quae substantiam demonstret, interrogati igitur qualis una quaeque res sit, si uolumus reddere substantiae qualitatem, differentiam praedicamus, quae differentia numquam de una tantum specie praedicatur, ut mortale uel rationale, sed de pluribus, quod igitur de pluribus speciebus inter se differen-  tibus praedicatur ad eam interrogationem, quae quale sit id de quo quaeritur interrogat, ea est differentia cuius talem posuit definitionem : differentia est quod de pluribus  1 se  om. G, s. l. E  habet  CEGLR  2 per  om. H  ac  N  3  pr . aut] ut  CHm1N post , aut] ut  Hm1N  habet  R, post  habeat  del . se habet  G  4 iure—legit] differentia aut legit  G  aut differentiam  * ut (a er.) legit  E  differentia respondetur (respondetur  etiam R ) id est aut sedet aut legit  Lm1  5 aut] et  HLm1NP  quale  H  6 proprio aut accidenti  EGR  respondebitur]  CLm2P  respondebit  EGR  respondetur  HLm1N  7  pr . uel  om. LN  uel risibilis uel caluus]  Lm1 edd . uel mortalis uel caluus  CHLmSN  uel mortalis uel alicuius  EGR  uel mor- talis uel saluus uel caluus  Pm1  uel mortalis uel risibilis uel caluus  m2 10 quae non—demonstret] Differentia uero talis est  (haec om. L)  quae (que  ELm1  atque  m2 ) non substantiam significet (-cat  Lm1, add. m1  Differentia uero talis est quae substantiam significat, del.  m2 ). Differentia uero talis est quae (non  add., sed del. E ) substantiam demonstret (at  Lm1 )  EGL  post significet  in mg.  Proprium uero est quod non sub- standam significat  H  11 quae] quia  R  demonstrat  CLm1  inter- roganti  R  ( ex  -tis] quale  R  12 constantiae  G  13 numquam] non  C  tantum de una  C  14 sed  om. EG, s. l. Lm2  15 quod] quod- si  R  16  ad  praedicatur  in mg . respondetur  E  18 pluribus—differen- tibus]  cf. p. 265, 14   specie differentibus in eo quod quale sit praltdicatur; cuius definitionis causam rationemque pertractans ait;   Rebus enim ex materia et forma constantibus uel ad similitudinem rtfateriae et formae constituti-  onem habentibus, quemadmodum statua ex materia est aeris, forma autem figura, sic et homo communis et specialis ex materia quidem similiter consistit genere, ex forma autem differentia, totum autem hoc animal rationale mortale homo est, quemadmodum  illic statua.    Dixit superius differentias esse quae in qualitate speciei praedicarentur, nunc autem causas exequitur, cur speciei qua- litas differentia sit. omnes, inquit, res uel ex materia formaque consistunt uel ad similitudinem materiae atque formae sub-  stantiam sortiuntur, ex materia quidem formaque subsistunt  3—10] Porph. p. 11, 12—17 (Boeth. p. 37, 12-17).   1  post  quale  add . quid  Lm2(in ras.) E (sed er.) Rm1, del. m2, add . quid  post  sit  s. l. Hm2  4  post similitudinem  add . proportionemque  LNRQ  ( in mg . nempe communionem  Γ );  om. Porph. p. 11, 13  et) ac  ΓΔΙΙΨ- ,  om .  L Α2Φ  formae]  A m2 HI!1-  speciei  CEGHNPR h m1  specieique L Λ2Φ  formae speciei  er. uid .  Γ ;  cf. Porph. et infra 13 ss . 5 quem- admodum—differentia  (8) ]  LR Q ,  om. cett. post  materia  add . quidem  edd., recte ut uid.; Porph. p. 11, 14   μέν  6 aeris] et  (s. l. m2)  aere  (in ras. m2)   Ψ  forma] ex ( in al. litt.   xV m2 ) forma  L xV brm   Busse;   Porph .  εΐϊοος post figura haec Proportionale autem (enim  Φ ) dicitur (est  Σ ) quod proportionem omnium specierum teneat (tenet  Σ ) id est communionem omnium partium uel (et  T ) specierum quae diuidi (diui- dendo Rhm1 diuidendae  Th m2 \l m1 2'l> ) ex ea (eo  ΣΣ ) contingunt (con- tingant  R ) per (del.  Σ ) differentiam figuras  ΓΠ m2  diffe- rentiam figuras  \ )  add .  LR T m1 h m1 ΑΠΣΦ ,  om .  Ψ ,  del .  T m2 \ m2  7 simi- liter]  Busse  similiter proportionaliter  LR ll m1  similiter proportionaliterquc  ΓΔΙ m2 Φ'Ρρ  proportionaliter  2 brm; cf. Porph. p. 11, 15  8 ante genere  add . in  Γ m2  (ex  m1 )  L Σ  toto  Ga.c . 9 ratione  E ante  mortale  add . et  CEGHLPR, om .  N Q   cum Porph. p. 11, 16  homo est om.  N ,  ex  homine  Δ m2  11 differentiam  HN  12 praedicaretur  HN causis  Em1 post  cur  add . autem  Hm1, del. m2  qualitas speciei  H  13 omnis  ELm2N  uel  om. EGR  14 consistit  Ea.c.HLm2  subsistit  N  15 sortitur  HLm2N  ex  om. CEGR  formaque] et forma  P   omnia quaecumque sunt corporalia; nisi enim sit subiectum corpus quod suscipiat formam, nihil omnino esse potest, si enim lapides non fuissent, muri parietesque non essent, si lignum non fuisset, omnino nec mensa quidem, quae ex ligni materia est, esse potuisset, igitur supposita materia ac prae-  iacente cum in ipsam figura superuenerit, fit quaelibet illa res corporea ex materia formaque subsistens, ut Achillis statua ex aeris materia et ipsius Achillis figura perficitur, atque ea quidem quae corporea sunt, manifestum est ex materia for- maque subsistere, ea uero quae sunt incorporalia, ad simili-  tudinem materiae atque formae habent suppositas priores antiquioresque naturas, super quas differentiae uenientes effi- ciunt aliquid quod eodem modo sicut corpus tamquam ex materia ac figura consistere uideatur, ut in genere ac specie additis generi differentiis species effecta est. ut igitur est in  Achillis statua aes quidem materia, forma uero Achillis qua- litas et quaedam figura, ex quibus efficitur Achillis statua, quae subiecta sensibus capitur, ita etiam in specie, quod est homo, materia quidem eius genus est, quod est animal, cui superueniens qualitas rationalis animal rationale, id est speciem  fecit, igitur speciei materia quaedam est genus, forma uero et quasi qualitas differentia, quod est igitur in statua aes, hoc est in specie genus, quod in statua figura conformans, id in specie differentia, quod in statua ipsa statua, quae ex aere  2 potest] putem  G putemus  R  4 nec  om. Gm1  ne  EGm2L  5 ma- teria est] fit materia  HNP ante  igitur  add . si  E ,  sed del . 6 in  om. R  ipsa  ER  figuram  Hm1La.r . peruenerit  HN  9 corpo- ralia  HNP  ex  om. C  11 prioris  Em1G  12 antiquiorisque  G  13 tamquam  om. CLP, del. Hm2  ex] ea  GL (in ras. m2) R 14 materia ac figura]  brm  materia  (in ras. Lm2)  forma ac figura (ac figura  del. Lm2 )  LP forma ac figura  CEGHRp  figura ac forma  N  15 generi] generis  EG  16 aes—statua  (17) om. N materiae  G  17 et quae- dam—statua]  CH, om. Lm1  ( in mg . et quaedam figura  m2 )  P  statua (cet. om.) EGR  18 quod] quae  edd . 22 et  om. EGR, s. l. Lm2  quali- tatis  R  igitur est (est  s. l. Pm2 )  HNP  23 figura] forma  N  24  post  quod  add . est igitur  Pm2   figuraque conformatur, id in specie ipsa species, quae ex genere differentiaque coniungitur. quodsi materia quidem speciei genus est, forma autem differentia, omnis uero forma qualitas est, iure omnis differentia qualitas appellatur, quae cum ita  sint, iure in eo quod quale sit interrogantibus respondetur.  Describunt autem huiusmodi differentias et hoc modo: differentia est quod) aptum natum est diuidere  p. 89  quae sub eodem sunt genere; rationale enim et in- rationale hominem et equum, quae sub eodem sunt  genere, quod est animal, diuidunt.    Haec quidem definitio cum sit usitata atque ante oculos exposita, eam tamen plenius dilucideque declarauit. omnes enim differentiae idcirco differentiae nuncupantur, quia species a se differre faciunt, quas unum genus includit, ut homo atque  equus propriis discrepant differentiis; nam sicut homo animal est, ita etiam equus, ergo secundum genus nullo modo distant.  6—10] Porph. p. 11, 18—20 (Boeth. p. 37, 18—38, 1).   1 formatur  CHNP  2 quidem] quaedam  CHLm2PR  3 autem] nero  N uero] ergo  Lm1  autem  N  qualitas]  HNPm1  qualia  CEGLR  uel qualis  s. l. Pm2  5  ante respondetur  excidisse  differentia  coni. Brandt  6  post  autem  add . et  L (del.) R; Porph. p. 11, 18 post   8e   add . *αί   cod. B  differentias]  Em2GHPm1 xV  differentiam  CLPm2   ΓΛΑΙIΣΦ differentia  Em1NR; Porph ,.  τάς τοιούτας διαφοράς  et]  LPR i ,  om. cett.; Porph. *a\ οοτως  7 qua  CG  actum  R  natura]  HL   (del. m2)   ΓΑΛΠΦ   om. cett.; Porph. p. 11, 19   πεφοχος;   cf. infra p. 272, 5—9. 275, 12  8 ante quae add. ea  Γ2 ,  s. l.   A m2 ,  del. m. al. , illa  s. l.   Δ m2  genere sunt  ΣΑΨ  rationale—sunt genere  om. EG  9 et equum] equnmque  C  10 diuidit  L  11 cum—oculos  in mg. E  sit usitata] sita sit situr  (sic) Em1  ita sit  m2  situ sit sita  G  ante  om. HNR, s. l. Lm2 oculis  HN  12 post exposita add. superius  R  ea  GNR  plenius dilucideque declarauit] (claruit  Em1Gm1 )  CEm2Gm2  plenius dilucideque declarauit  L  plenius lucidinsque declarauit  Hm2 plenius dilucidiusque claruit  R  exempli insuper luce declarauit ( ex  decla- ruit  N )  NP  plenius dilucideque exempli insuper luce declarauit  Hm1  exempli insuper luce reserauit  edd . 13 species ase differre] specie ( ex  specierum,  sequ. rasura ) differentiam  E  species in aere differentiam  G  species ase differentiae  Lm1  14 a] ad  R  concludit  N  15 nam  in ras. Lm2  sed  EG   quae igitur secundum genus minime discrepant, ea differentiis distribuuntur, additum enim rationale quidem homini, inratio- nale uero equo equus atque homo, quae sub eodem fuerant genere, distribuuntur et discrepant, additis scilicet differentiis.   Adsignant autem etiam hoc modo : differentia  est qua differunt a se singula; nam secundum genus non differunt, sumus enim mortalia animalia et nos et inrationabilia, sed additum rationabile separauit nos ab illis, et rationabiles sumus et nos et dii, sed mortale adpositum disiunxit nos ab illis.   Vitiosa ratione et non sana quod uult explicat definitio quorundam. id enim esse dicunt differentiam qua una quaeque res ab alia distet, in qua definitione nihil interest quod ita dixit an ita concluserit : differentia est id quod est differentia, etenim differentiae nomine in eiusdem differentiae usus est  5—10] Porph. p. 11, 21—12, 1 (Boeth. p. 38, 1—5).   2 describuntur  EG  3  post  equo  distinguunt edd., post  equus  expec- tatur  igitur’  Schepps , additum  eqs. nominatiuum absolut .  (cf. indicem Meiseri) interpretatur Brandt  qui  Lm2P  5 autem  om .  \,   del. Lm2 A. m2  etiam  om. H  etiam et  Λ  eam et  Ν Σ ;  Porph. p. 11, 21   St καί  6 qua]  Porph.   διαφορά έσχιν δχψ διαφέρει έκασχα;  ‘an quo?’  Busse, sed cf. infra p. 271, 1.7. 18. 272, 17 . 6 nam—ab illis  (9) ]  LR Q ,  om. cett. post  nam  add . homo et equus  cum Porph. edd. (cf. etiam infra p. 271, 9. 12, sed etiam supra p. 269, 9) ,  etiam Bussio  homo atque equus  addendum uid . 7 enim] autem  Γ  8 inrationalia ( uel  irr-)  R ?ΓΠ   (in ras.)  ros.  ex  -bilia  Δ  sed—illis  (9)   om. R  ratio- nabile]  p.r   rationale  \ a.r. et cett . separauit] disiunxit  ΓΦ  9 et]  CHP, s. l. er. uid.   Δ ,  om. cett . rationabiles]  L \ m1 2  rationale  CP  rationales  cett., add . enim  ΕGΗ ΑίΙΦΨ ;  codd. Porph. aut   λογικοί  aut  λογικά  sumus  om. CEGHP; Porph .  έσμέν  et nos  om. E  et  om. N di  C  dei  ut uid   . 2 sed—ab illis  om. EG  11  ante  Vitiosa  in ras.  Haec  E  ratione]  L edd., om. cett. (recte?), in ras . est  E  et  om. G  sane  E (in ras.) NP  explicans  HNP  non  (s. l. m2)  explicat  L  12 id]  cf. p. 263, 10  13 aliis  R  distat  HN  differt  P  14 dixerit  Lm2P  an] utrum  R  concluderit  L  concludat  EGR  id quod est  om. E ante  differentia  add . ipsa  ER  differentia  om. G  15 etenim om. EGR  differentiae nomine] qua differt una res ab alia, id est id quod est differentia est differentia. Differentiae nomine fid est—nomine  in ras. m2) E  in—definitione] usus in eius diffinitione  N   definitione dicens : differentia est qua differunt a se singula, quodsi adhuc differentia nescitur, nisi definitione clarescat, differre quoque quid sit qui poterimus agnoscere? ita nihil amplius attulit ad agnitionem qui differentiae nomine  in eiusdem usus est definitione, est autem communis et uaga nec includens substantiales differentias, sed quaslibet etiam accidentes hoc modo : differentia est qua a se differunt singula; quae enim genere eadem sunt, differentia discrepant, ut cum homo atque equus idem sint in animalis genere,  quoniam utraque sunt animalia, differunt tamen differentia rationali, et cum dii atque homines sub rationalitate sint positi, differunt mortalitate, rationale igitur hominis ad equum differentia est, mortale hominis ad deum, atque hoc quidem modo substantiales differentiae colliguntur, quodsi Socrates  sedeat, Plato uero ambulet, erit differentia ambulatio uel sessio, quae substantialis non est. namque istam quoque dif- ferentiam definitio uidetur includere, cum dicit : differentia est qua differunt singula; quocumque enim Socrates a Platone distiterit nullo autem alio distare nisi accidentibus  potest —, id erit differentia secundum superioris terminum definitionis, quam rem scilicet uiderunt etiam hi qui definitionis huius uagum communemque finem reprehendentes certae con- clusionis terminum subiecerunt.  2 nesciatur  Lm2  (non noscitur  m1) P  definitione] in definitione  N  3 qui]  LN  quomodo CEGPR qui *  (d  er.) H  possemus  EG  possi- mus  R  4 ita  om. EGR  cognitionem  NPm2, post  agnitionem  add.  a cogitatione  Hm1, del. m2, s. l.  uel cognitione  m2, del. m. al.  set  om. EG  7 accidentales  Lm2Pm2  9 sunt  EGHLm1R  in  om. GNR  11 et  om. EGR  rationabilitate  CGLm1  rationale  N sunt  CEGLm1R  12 positi] post  EG  post differunt  add.  tamen  L  rationabile  L  13 est  om. C  15 ambulatio uel  om. EG, s. l. Lm2  16 nam  HLm1  ista  E  18 quo  EGHm1 post  differunt  add.  a se  R  cumque  EG  quoque  Rm1  quocumque modo  P post  enim  s. l.  modo  Lm2  19 de- stiterit  CEm1HPRm2  distauerit  m1 post  alio  s. l.  modo  Em2  ac- cidentibus] ex accidentibus  P    Interius autem perscrutantes de differentia dicunt, non quodlibet eorum quae sub eodem sunt genere diuidentium esse differentiam, sed quod ad esse conducit et quod eius quod est esse rei pars est; neque enim quod aptum natum est nauigare erit homi-  nis differentia, etsi proprium sit hominis, dicimus enim ‘animalium haec quidem apta nata sunt ad naui- gandum, illa uero minime’, diuidentes ab aliis, sed aptum natum esse ad nauigandum non erat comple- tiuum substantiae nec eius pars, sed aptitudo quae-  dam eius est, idcirco, quoniam non est talis quales sunt quae specificae dicuntur differentiae, erunt igitur specificae differentiae quaecumque alteram faciunt speciem et quaecumque in eo quod quale est acci- piuntur. — Et de differentiis quidem ista sufficiunt.   Sensus propositionis huiusmodi est. quoniam superius dixit determinasse quosdam differentiam esse qua a se singula dis-  p. 90  creparent, ait alios diligentius de differentia | perscrutantes non  1—15] Porph. p. 12, 1-11 (Boeth. p. 38, 6—17). 1 perscrutantes]  EGHP  perscrutantes et speculantes  cett.; Porph.   p. 12, 1   προσεξεργοζόμενοι de differentia]  CH (linea del., sed lin. er.)   Σ  differentiam  cett. edd. Busse; Porph. p. 12, 1   τά περί τής διαφοράς  2 non] non solum  R , quodlibet] quod habet  ELm1 h m1 X ,  post  quod- libet  er.  habet  23  diuidentium esse  om.   X ,  s. l. Lm2  sed quod— dicuntur differentiae  (12) ]  LR Q ,  om. cett.  5 aptum] actu  R  natum  om. LR; Porph. p. 12, 4   τδ πεφοχέναι πλεΐν  6 dicimus]  Porph. p. 12,  5  εΐποιμεν γάρ dv ,  unde  dicemus  coni. Brandt, cf. supra p. 230, 18. 19;   infra 12 erunt  ειεν άν ;  p. 234, 16.  (erit). 17.  235, 2  (erunt) 7 ani- malia  A  acta  Rm1  nata  om. LR  8 aliis] illis  A  9 actum  Rm1  natum  om. R  est  R  erit  h m2  10 neque  Busse  11 est  om. R  quoniam  om. LR  12 quae  om.   Φ  igitur] ergo  L  13 alteram— quaecumque  om. H  14 et] ea  EG  quale  in er.  quid  ut uid.  Hm2 quid  EG post est add.  esse  EG  accipiunt  EG  15 Et—sufficiunt  om. N  Et  om. CEGP; Porph. 12,11   Καί  de  om. EG A  diffe- rentiis]  Porph.   περί μίν διαφοράς  quidem  om. H  sufficiant  CL X m2;   Porph.   άρχει  18 alios] ilico  EGLa.c.  ilico alios  P  de differentia] differentiam  CLm1P   fuisse arbitratos recte esse superius propositam definitionem, neque enim omnia quaecumque sub eodem posita genere dif- ferre faciunt, differentiae hae de quibus nunc tractatur, id est specificae, numerari queunt, plura enim sunt quae ita diuidunt  species sub uno genere positas, ut tamen eorum substantiam minime conforment, quia non uidentur esse differentiae speci- ficae nisi illae tantum quae ad id quod est esse proficiunt et quae in definitionis alicuius parte ponuntur, hae autem sunt ut rationale hominis, nam et substantiam hominis conformat  et ad esse hominis proficit et definitionis eius pars est. ergo nisi ad id quod est esse conducit et eius quod est esse rei pars sit, specifica differentia nullo modo poterit nuncupari, quid est autem esse rei? nihil est aliud nisi definitio, uni cuique enim rei interrogatae ‘quid est?’ si quis quod est esse  monstrare uoluierit, definitionem dicit, ergo si qua definitionis pars fuerit, eius erit pars quae unius cuiusque rei quid esse sit designet, definitio est quidem quae quid una quaeque res  1 positam  EG  2 posita] posita sunt  EGL post genere add.  quae  Lm1, del. m2  3 differentiae—id est  om. CN  hae  om. H  id est  om. R, er. uid. H, s. l. Lm2  4 nominari HLm2NR 5 earum  H  6 quia] quae  CH  specificae  ante  esse  H, post N 7 proficiant  R  et quae] eaeque  G  eae quae  Em1, del. m2, etiam proxima  in—ponuntur  del. m2 8 in  del. Lm2, om. P  diffinitiones  N  definitionibus  EGLm1  aliqua  N  partes  EGLP post ponuntur  add.  ut mortalis rationalis  Em1, del. m2  hae] ea  EGLm2P  9 et  s. l. Lm2  et ad  G  con- format—hominis  om. EG  11 conducat  EHm2Lm2N  et eius—pars sit]  N  et eius quod ( add. quid  Rm1, del. m2 , quidem  ex  quid  Hm2 ,  del. m3 ) est esse rei pars sit (est  Hm1) HR  et eius rei quod est (est  del. Lm2 ) esse pars est (est  om. Lm1, s. l.  sit  m2) CL  et eius quod quidem esse rei pars est  P  eius rei quod quidem (aliquid  add. E) EG  13 esse  om. G, ante  autem  H  nihil  del. Em2  est  s. l. Lm2Rm2  esse  E (del. m2) G  unius cuiusque  R  14 interrogatae] ad inter- rogationem  CHN  quis] quid  Lm2  quod] id quod  CHNP  15 qua] quid  CHN  16  post  eius  s. l. rei  Lm2  quae] quod  HLm1N  quid] quod  N  sit esse  L  esse fit  G  est esse  Hm1N  17 designat Lm2P  significet  Hm1N  est quidem] enim est  HN  quae quid] quia  N   sit, ostendit ac profert, demonstraturque quid uni cuique rei sit esse per definitionis adsignationem. illae uero differentiae quae non ad substantiam conducunt, sed quoddam quasi extrin- secus accidens afferunt, specificae non dicuntur, licet sub eodem genere positas species faciant discrepare, ut si quis hominis  atque equi hanc differentiam dicat, aptum esse ad nauigandum. homo enim aptus est ad nauigandum, equus uero minime, et cum sit equus atque homo sub eodem genere animalis, addita differentia ‘aptum esse ad nauigandum’ equum distinxit ab homine, sed aptum esse ad nauigandum non est huiusmodi,  quale quod possit hominis formare substantiam, sed tantum quandam quodammodo aptitudinem monstrat et ad faciendum aliquid uel non faciendum oportunitatem. idcirco ergo speci- fica differentia esse non dicitur, quo fit ut non omnis diffe- rentia quae sub eodem genere positas species distribuit, spe-  cifica esse possit, sed ea tantum quae ad substantiam speciei proficit et quae in parte definitionis accipitur, concludit igitur esse specificas differentias quae alteras a se species faciunt per differentias substantiales, nam si uni cuique id est esse quodcumque substantialiter fuerit, quaecumque differentiae  substantialiter diuersae sunt, illas species quibus adsunt, omni substantia faciunt alteras ac discrepantes, atque hae in defini- tionis parte sumuntur, nam si definitio substantiam monstrat  1 ostendit  om. E  ostenditur  N  ac  er. E, om. N  profert  om. N demonstratque  CLm1  quid] quod  Lm1Pm1R  quidem quid  N  2 per  om. EGR, in mg. Lm2 assignatione  EG  3 ad  om. EΡ  quasi  om. EGPR  5 faciant  om. EG  facient  CLm1Rm1  7 homo enim (autem  LR )—equus]  HLNR  hominem equum  (cet, om.) CEGP  10 esse ad—sed tantum  (11) om. EG  11 quale  om. EGR, del. Lm2 ante  quod (quid  P )  add.  per  L   (del. m2), s. l. Pm2 post  substantiam  add.  sicut rationale quae est substantialis qualitas  C  12 habitudinem  Hm1  13 opportunitatem  CR  differentia specifica  C  18  ante  esse  add.  eas  HΝΡ, s. l. Lm2  quae—differentias  om. EGR ad  faciunt  s. l.   1  informant  Lm2  19 differentias  ex  distantias  Lm2  idem est ( in   ras. m2 ) esse  H  idem esse est  R  21 sint  Hm1  omnes  EGP  22 substantias  P  substantiae  Hm1  substantiae ratione  N   et substantiales differentiae species efficiunt, substantiales dif- ferentiae erunt partes definitionum.      Proprium uero quadrifariam diuidunt. nam et id  quod soli alicui speciei accidit, etsi non omni, ut ho- mini medicum esse uel geometrem, et quod omni accidit, etsi non soli, quemadmodum homini esse bipedem, et quod soli et omni et aliquando, ut homini in senectute canescere, quartum uero, in quo concur-  rit et soli et omni et semper, quemadmodum homini esse risibile, nam etsi non semper rideat, tamen risi- bile dicitur, non quod iam rideat, sed quod aptus natus sit; hoc autem ei semper est naturale et equo hinnibile, haec autem proprie propria perhibent esse,  3—p. 276, 2] Porph. p. 12, 12—22 (Boeth. p. 38, 18—39, 9).   1 et  om. EG, s. l. Pm2  2 erunt  post  partes  Lm2  sunt  m1  sunt  post definitionum  CGR, s. l. Em2  3 DE PROPRIO  om. H, add. Lm2  EXPLICIT DE DIFFEREN. (DIFFERENTIIS  Ψ ) INCIPIT DE PRO- PRIO  2<F  4 et  s. l. C  5 hominem  R h m1 A  6 uelut  H geo- metram  CEm1G edd. Busse  et quod—perhibent esse  (14) ]  LR  ( locum   hic om., p. 277, 7 post  adest  inserit )  Ω ,  om. cett.  omni]  Porph.   p. 12, 14   παντί—τφ εϊδει  7 etsij et  R T m1   ante homini  add.  et  R  8 homini]  Porph. p. 12, 16   όνΟ-ρώπψ παντί ,  unde  homini omni  coni.   Busse 9  post  uero add. est  Φ  in quo concurrit et  del., in mg.  conuenit  T m2  10 hominem  R Σ  11 risibilem  R ΓΣΦ ;  Porph. p. 12, 17   ώς τψ άνθρώπψ τό γελαστιχόν  non semper rideat]  L Σ  non rideat  ΓΑ  non ridet ( hic ut uid. s. l.  semper  add., sed er.   \ )  R AIIΨΨ  semper non rideat  Busse non rideat semper  edd.; Porph. p. 12, 18   χαν γάρ μή γελά αεί  risibile tamen  L Λ   edd. Busse; Porph.   άλλα γελαστιχο'ν  12 iam] semper  Σ   edd.; Porph. p. 12, 19   άεί ,  cod. Mm2   ί)Bη  rideat—natus sit  om.   Φ  13 sit natus  R, add.  ad ridendum  R ΓΑ  ridere  Σ ,  ante  sed  add.  ridendum  Φ ;  om. Porph.  semper ei est naturale  L  semper est ei naturale  Γ  ei semper naturale est  Σ   ante  et  add. ut  (om. etiam B Bussii) edd. Busse ;  Porph. p. 12, 20   ώς ,  om. cod. A  14 autem]  Porph.   81 xai ,  om.   xai   cod. A  proprie—esse]  L Λ  (esse  s. l. m2 )  Σ  (esse  om. ), proprie domi- nanterque (nominantur  T m2 ) propria perhibentur (perhibentur  del.   Γ m2 )  ΓΦ  proprie nominantur (nominant  Π ) propria  R ΔΙΙ  uere dicuntur propria  Ψ ;  Porph.   χυρίως ΐßιά φασιν   quoniam etiam conuertuntur. quicquid enim equus, hinnibile, et quicquid hinnibile, equus.    Superius dictum est omnia propria ex accidentium genere descendere, quicquid enim de aliquo praedicatur, aut substan- tiam informat aut secundum accidens inest. nihil uero est  quod cuiuslibet rei substantiam monstret nisi genus, species et differentia, genus quidem et differentia speciei, species uero indiuiduorum. quicquid ergo reliquum est, in accidentium numero ponitur, sed quoniam ipsa accidentia habent inter se aliquam differentiam, idcirco alia quidem propria, alia priore  p. 91  atque antiquiore nomine accidentia nun|cupantur. et de acci- dentibus paulo post, nunc de propriis, quae quadrifariam diui- duntur, non tamquam genus aliquod proprium in quattuor species diuidi secarique possit, sed hoc quod ait diuidunt, ita intellegendum est, tamquam si diceret ‘nuncupant’, id est  propria quadrifariam dicunt, cuius quadrifariae appellationis significationes enumerat, ut quae sit conueniens et congrua nuncupatio proprietatis ostendat, dicit ergo proprium accidens quod ita uni speciei adest, ut tamen nullo modo coaequetur ei, sed infra subsistat ac maneat, ut hominis dicitur pro-  prium medicum esse, idcirco quoniam nulli alii inesse ani-  3 superius eqs.] fort. p. 186, 12—187, 1.   1 enim equus  om. N  equus—equus]  CEGHNP U  ( sed add.  et si homo, risibile, si risibile, homo est]  cum Porph. p. 12, 21, post pr.  equus  add.  et  R A  est et  L  est etiam est et  (sic)   Φ  equus est et hinnibile est (est  s. l.   F\ m2 ) et quicquid hinnibile equus est  ΓΔ  est equus est hinni- bile et quicquid est hinnibile est equus ( quattuor  est  s. l. m2 )  Ψ  equus est hinnibile et quicquid hinnibile est equus est et si homo est risibile est et risibile homo est  2  4 alio  N  6  ante  species  add.  et  Lm1, del. m2  7 et  om. R  genus—diiferentia  om. EGR, s. l. Hm2  11  ante  antiquiore add.  in  ER  12 nunc  ex  nam  Hm2  quadrifarie  N  in quadrifariam (-um  GP )  EGP  diuidunt  H  (ur  er. )  P  (ur  del. m2 ) 13 aliquid  CPm1  14 ait  om. E  ( in mg.  dicitur  m2 )  G  est  R  diuiduntur  EG  15 nuncu- pantur  EGR  16 proprie  CEm1G  propriam  ut uid. Pm1  propriam  m2  dicuntur  EGHm1La.c.NR  quadrifariam  C  18 proprietas  Ea.c.  (proprii  p.c. )  G  dicitur  CEHLa.c. (corr. m1 et 2) P  ergo  om. C  proprium  s. l. Cm2  primum  m1  20 ei  ante  nullo  HN  ac] et  HNP dicimus  HN   malium potest, nec illud adtendimus, an hoc de omni homine praedicari possit, sed illud tantum, quod de nullo alio nisi de homine dici potest medicum esse, et haec quidem signifi- catio proprii dicitur inesse soli, etsi non omni; soli enim  speciei, etsi non omni coaequatur, ut medicina soli quidem inest homini, sed non omnibus hominibus ad scientiam ad- est. Aliud proprium est quod huic e contrario dicitur omni, etsi non soli; quod huiusmodi est, ut omnem quidem speciem contineat eamque transcendat, et quoniam quidem nihil  est sublectae speciei quod illo proprio non utatur, dicimus omni, quoniam uero transcendit in alias, dicimus non soli : hoc huiusmodi est quale homini esse bipedem, proprium est enim homini esse bipedem, omnis enim homo bipes est etiamsi non solus, aues enim bipedes sunt, geminae igitur  significationes proprii quae superius dictae sunt, habent aliquid minus, prima quidem quia non omni, secunda uero quia non soli, quas si iungimus, facimus omni et soli, sed demimus aliquid secundum tempus, si ei adiciatur aliquando, ut sit haec tertia proprii nuncupatio ‘omni et soli, sed aliquando’,  ut est in senectute canescere uel in iuuentute pubescere; omni enim homini adest in iuuentute pubescere, in senectute canescere, et soli, pubescere enim solius hominis est, sed ali-  1 hoc  om. EG  homini  EN  2 quod] quia  HN  nisi de homine  post  esse  N  3 medicus  Hm1N  4 inesse]  CP, s. l. Hm2Lm2, om.   EGR  inest  N  etiamsi  Em2  (et  m1 )  Hm1LR  5 etiamsi  EHm1L  ( repet, post  inest)  PR  coaequetur  Em2Hm1 ante medicina  add.  homini  H   (del. m2) LNR  6 homini  om.   NR, s. l. Hm2  adest] adesse potest  CLN potest esse  H; de R cf. ad p. 275, 6  7 est  ante  aliud  HN, post   CG, om. E  8 etiamsi  HLNR  quid  HN  10 quod illo—non soli  in   inf. mg. Em2 post  dicimus  add.  enim  C  11 aliis  Em2G  12 hoc] id  N   post  quale  add.  est  s. l. Hm2, post  homini  CG  13 hominis  R, post  homini  add.  proprium  Em2  enim  in mg. Em2  14 etiamsi—geminae  om.   EGR  17 sed  Hm2  si  m1  demimus]  HN deminus  Cm1   i  demimus  ί  deest minus  m2  dempsimus  R  dedimus  Em1  (addimus  m2 )  G  deest minus  LP  18 eis  HLP  ei  post  adiciatur  N  19 omni et soli] et soli et omni  C  sed] si  G  21  post. in] et in  HN  22 est hominis  HN   quando, neque enim omni tempore, sed in sola tantum iuuen- tute. haec igitur determinatio proprii in eo quidem modo quod omni et soli inest, absoluta est, sed ex eo minuit aliquid uel contrahit, cum dicimus aliquando, quod si auferamus, fit pro- prii integra simplexque significatio hoc modo : proprium est  quod omni et soli et semper adest, omni autem et soli speciei et semper intellegendum est ut homini risibile, equo hinnibile; omnis enim et solus homo risibilis est et semper. neque illud nos ulla dubitatione perturbet, quod semper homo non rideat; non enim ridere est proprium hominis, sed esse  risibile, quod non in actu, sed in potestate consistit, ergo etiamsi non rideat, quia ridere tamen posse soli et omni homini semper adesse dicitur, conuenienter proprium nuncupatur, nam si actus separatur ab specie, potestas nulla ratione disiungitur.   Quattuor igitur significationes proprii dixit, nam prima  quidem, quando accidens ita subiectae speciei adest, ut soli ei adsit, etiamsi non omni, ut homini medicina; secunda uero,  1 in  om. EGR, s. l. L, post  tantnm  P  tamen  L post iunentnte  add.  pubescit  N  2  post  proprii  add.  integra simplexque significatio  GHP (del. m1? ex 5)  in eo—fit proprii  (4) om. R  modo  om.   N, del. Lm2  3 inest  om. EG  est  Lm1  minus  La.c. minui  N  minuens  P  aliquid uel] atque significationem  in ras. Em2  uel]  CNP  et  GL, om. ΕH  4 quod] quam  N  5 simplexque] et simplex  HLNR  proprii  R  6 soli et omni  N secund.  et  om. GLR,   s. l. Pm2  omni autem—intellegendum est  om. Rbrm  7 et semper  om. EGR, del. Lm2, s. l. Hm2Pm2  intellegendum est  del. et s. l.  adest  scr. Hm2, in mg.  quod soli et omni adest  m. al. 8  post.  et  om. EGPR   post  semper  add.  similiter et equus hinnibile  brm  9 illud  Hm2  enim Hm1N  10 proprium est  NPR  sed] si est  R  esse  del. Lm2  est  R  11 sed] si  R  12 si non rideat etiam  C  quia  om. N, s. l. Hm2  tamen  om. R  autem  HN  possit  La.c.N  potest  Em2 post  omni  add.  adsit  H (del. m2)  adest  N  13  ante  semper  s. l. et Hm2  semper  om. R ante  conuenienter  add.  et  H (er.) L (del. m2) NP  14 si] etsi  Hm1Lm1N  separetur  Em2  a  C  15 proprii  om. EG nam prima] unam  CHm1  (primam  m2) N  nam  (s. l.)  primam  P  17 homini medicina] hominem esse medicum  C  secundam  CHN; in mg . ał. se- cunda autem cum omni accidit etsi non soli ut homini esse bipedem  add. L  uero] autem  CL (in mg.)   cum soli quidem non adest, omni uero semper adiungitur, ut homini esse bipedem; tertia uero, cum omni et soli, sed ali- quando, ut omni homini in iuuentute pubescere; quarta, cum omni et soli et semper adest, ut esse risibile, atque ideo  cetera quidem conuerti non possunt : neque enim coaequatur quod soli, sed non omni speciei adest, species quidem de ipso dici potest, ipsum uero de specie minime, qui enim medicus est, potest dici homo, homo uero qui est, medicus esse non dicitur, rursus quod ita est alii proprium, ut omni adsit  etiamsi non soli, ipsum quidem de specie praedicari potest, species uero de eo minime, nam bipes praedicari de homine potest, homo uero de bipede nullo modo, rursus quod ita adest, ut omni et soli, sed aliquando adsit, quoniam de tem- pore habet aliquid deminutum nec simpliciter semper adest,  reciprocari non poterit, possumus enim dicere ‘omnis qui pubescit homo est’, non ‘omnis homo pubescit’: potest enim minime ad iuuentutem uenire atque ideo nec pubescere; nisi forte non sit pubescere hominis proprium, sed in iuuentute pubescere, aut, etiam cum nondum est in iuuentute aut etiam praeteriit, tamen  sit ei proprium non tale quale tunc fieri possit, cum praeter iuuen- tutem est, sed quale cum in iuuentute consistit, atque ideo hoc  1 cum] quae  N  soli—adiungitur  del. Hm2 omni accidit etsi non soli  CHm2L  semper  s. l. Hm2  2 hominem  C  tertiam  CHN  soli et omni  N  3 omnio  m. LNR  homini  om. N  quartam  CG (sic) HN  4  post.  et  om. EG, add. Pm2  inest  CHm1N  ideo  om. E  adeo  HLR  5 coaequantur  HN  6 quodj quia cum  Hm1N  non omni sed soli  N  sed] si  R  7 qui enim—dici homo  om. EGR  8 homo dici  C  9  ad  alii  s. l.  a t  illud  L, post add. una pars  R  11 de homine praedicari  C  13 adest  ex  est  Em2  distat  Hm1  assit  ex  sit  Hm2  14 diminutum  EN  nec] et  Hm1  16 non] non tamen dicimus  L  homo] qui est homo  L  qui homo est (qui  et  est  s. l. m2) H  18  ante  sed  add.  solummodo  Hm2, ante  in  CN, post post.  pubescere  L  aut]  Hm2La.c.Pm2  ut  EGHm1Lp.c.Pm1R  autem  CN  19 cum]  Hm1NR  quod  CEGHm2LP etiam  s. l. Hm2  iam  Em1  20 sit] adsit  CHN  ei  om. G  fieri  om. C, in ras. Lm2  fieri possit  del., est  s. l. scr.   Hm2  potest  L   (in ras. m2) P  est  C  21  post  quale  add.  tunc fieri potest (posset  CHLm1N) CH (s. l. m2) LNP   quod non in omne tempus tenditur, etiamsi tale est, ut omni  p. 92  speciei adsit, quod ta|men in tempus aliquod differatur, integrum atque absolutum proprium esse non dicitur, quartum est quod ita alicui adest, ut et solam teneat speciem et omni adsit et absolutum sit a temporis condicione, ut risibile quod a supe-  riore plurimum distat; nam qui risibilis est, semper ridere potest, rursus qui potest in iuuentute pubescere, cum ipsa iuuentus non sit semper, non ei adest semper ut in iuuentute pubescat, haec autem quarta proprii significatio quoniam nulla temporis definitione constringitur, absoluta est atque ideo  etiam conuertitur et de se inuicem proprium atque species praedicantur; homo enim risibilis est et risibile homo.      Accidens uero est quod adest et abest praeter sub- iecti corruptionem, diuiditur autem in duo, in separa-  bile et in inseparabile, namque dormire est separabile accidens, nigrum uero esse inseparabiliter coruo et Aethiopi accidit, potest autem subintellegi et coruus albus et Aethiops amittens colorem praeter subiecti corruptionem, definitur autem sic quoque; accidens est  13—p. 281, 7] Porph. p. 12, 23—13, 8 (Boeth. p. 39, 10—21).   1 quod] quia  HN  2 speciei] tempori  EGR  aliquid  C  4 alicui  om. EG, del. Hm2  ali  R  alii  Lm1 pr.  et  om. EGLR post.  et] ut  La.c.R  5  post.  a  s. l. Hm2  6 qui  ex  quod  Lm2  7  ante  cum  add.  sed  CH (del. m2) NP, s. l. Lm2  8 adest] est  EGR  in iuuentute  deleri uult Hilgard  9 quoniam] quam  EGLm2P  10 definitio ( uel  difd–)  EGLm2R  constringit  EG  11 et de se] et ideo de se  P  de se  om. R  De specie  EG  12 risibile  C  et  om. EGHR  13  inscript.   om. HL K ACCIDENTE  ΝR ΔΣ  14 uero  om.   A  15 diuiditur—sub- sistens  (p. 281, 3) ]  LR Q ,  om. cett. duobus  L  16 in  om.   Φ  nam  A   Busse  19 amittens colorem]  A m1 T"  nitens colore c ett. edd. Busse;   Porph. p. 13, 2   άποβαλών τήν χροιάν;   cf. supra p. 101, 13  corruptionem subiecti  LR ϋίΓΦ ;  codd. Porph.   φθοράς   aut ante   τοΰ υποκειμένου   aut post;   cf. infra p. 281, 17. 282, 3. 8  20 definitur]  Porph. p. 13, 3   ορίζονται   quod contingit eidem esse et non esse, uel quod neque genus neque differentia neque species neque pro- prium, semper autem est in subiecto subsistens.    Omnibus igitur determinatis quae proposita sunt,  dico autem genere, specie, differentia, proprio, acci- denti, dicendum est quae eis communia adsint et quae propria.  Quouiam, ut superius dictum est, quae de aliquo praedi- cantur, uel substantialiter uel accidentaliter dicuntur cumque  ea quae substantialiter praedicantur, eius de quo dicuntur substantiam definitionemque contineant et sint eo antiquiora atque maiora, quod ex substantialibus praedicatis efficiuntur, cum ea quae substantialiter dicuntur pereunt, necesse est ut simul etiam ea interimantur quorum naturam substantiamque  formabant, quae cum ita sint, necesse est ut quae accidenter dicuntur, quoniam substantiam minime informant, et adesse et abesse possint praeter subiecti corruptionem, ea enim tan- tum cum absunt subiectum corrumpere poterunt, quae effi- ciunt atque conformant quae sunt substantialia, quae uero  8 superius] p. 276, 4.   1 contigit - R A   ante pr. esse add. et R, s. l.   \ m2; om. Porph.   p. 13, 4 post.  et] uel  L  ( post  uel  littera er. )  edd.; Porph.   η ,  codd. CM   nat  2  post  genus  s. l. est A m2  neque species neque differentia  ΔΔΣ  edd.  Busse; Porph.   οοτε διαφορά οϋτε είδος   post proprium  add.  sit  LR  3 consistens  Λ  4 praeposita  Δ m1  5 dico—accidenti  om.   Γ  propria  Φ proprio et  L ΔΑΣ  accidente  H  et accidenti  L A m2  (et accidente  m1 )  ΛΣ  de accidenti  EG  6 eis] his  CHP  hiis  Φ  uel his  R ,  om. EG;   Porph. p. 13, 7   αΰτοϊς  adsint] sint  R  sunt  L Λ m1 ηιΙΧΣ ;  Porph.   πρδσεοτιν  et  om. G  7  post  propria  add.  EXPLICIT DE GENERE SPECIE DIF- FERENTIA PROPRIO ACCIDENTE  Σ  8 ut  om. EG  alio  CEGR  9 accidentialiter  CP accidenter  HR  dicuntur] praedicantur  R  cum  EG  11 definitione  EG  maiora atque antiquiora  C 12 quod] quia  R  substantialiter  CN  efficitur  CHm2LN  13 cumque  N ,  post  cum  s. l.  accidenter  E  intireunt  P  15  an  informabant? acci- dentaliter  Lm2  16 et  om. EGR, s. l. Lm2  abesse et adesse  H  17 possunt  N  tantum enim  C  18 perrumpere  E  potuerunt  LR  19 informant  HN   non efficiunt substantiam, ut accidentia, ea cum adsunt uel absunt, nec informant substantiam nec corrumpunt, est igitur accidens quod adest et abest praeter subiecti corruptionem, id autem diuiditur in duas partes, accidentis enim aliud est separabile, aliud inseparabile, separabile quidem dormire, sedere,  inseparabile uero ut Aethiopi atque coruo color niger. in qua re talis oritur dubitatio. ita enim est definitum : accidens est quod adesse et abesse possit praeter subiecti corruptionem. idem tamen accidens aliquando inseparabile dicitur; quod si inseparabile est, abesse non poterit, frustra igitur positum est  accidens esse quod adesse et abesse possit, cum sint quaedam accidentia quae a subiecto non ualeant separari, sed fit saepe ut quae actu disiungi non ualeant, mente et cogitatione sepa- rentur. sed si animi ratione disiunctae qualitates a subiectis non ea perimunt, sed in sua substantia permanent atque per-  durant, accidentes esse intelleguntur, age igitur, quoniam Aethiopi color niger auferri non potest, animo eum atque cogitatione separemus, erit igitur color albus Aethiopi, num idcirco species consumpta sit? minime, item etiam coruus, si ab eo colorem nigrum imaginatione separemus, permanet tamen  auis nec interit species, ergo quod dictum est et adesse et abesse, non re, sed animo intellegendum est. alioquin et sub- stantialia, quae omnino separari non possunt, si animo et cogi- tatione disiungimus, ut si ab homine rationabilitatem auferamus  1 cum—absunt] uel cum adsunt uel cum absunt  H  uel cum absunt uel cum adsunt  N  cum uel (uel  s. l. m2 ) absunt uel adsunt  L; ante  assunt  (sic) add.  uel  P  3  ante  adest  add.  et  P  4 dinidunt  EGLR  accidens  edd.  aliud est enim  H  5  ante  dormire  add.  ut  brm  6 ut  om. HR edd.  7 dubietas  CEG (recte?) post.  est  add. Hm2  8 et] uel  N  potest  CL  9 dicit  EG  11 abesse-et adesse  E  12 ab  CRm1  14 animi] hac  C  15 eas  EGN  permaneant  G  ac  R  16 acciden- ter  CG  intellegantur  Em1 igitur] enim  HN  17 eum  om. G, ante  separemus  C , uero  E  atque] et  HLNPR  18 num  ex  non  Rm2  19 consumptae (consumpta  R ) sunt  EGLR edd.  ita  CEP  20 imagine  EGR  21 interiit  Lm1PR pr. et om. EGR, s. l. Lm2  22 et  om. CEG  23 si] saepe  Hm1LNP  2t rationalitatem  P   — quam licet actu separare non possumus, tamen animi imaginatione disiungimus —, statim perit hominis species, quod idem in accidentibus non fit: sublato enim accidenti cogitatione species manet. Est alia quoque accidentis defi-  ni|tio ceterorum omnium priuatione, ut id dicatur esse acci-  p. 93  dens quod neque genus sit neque species nec differentia nec proprium; quae definitio plurimum uaga est ualdeque communis. sic enim etiam genus definiri potest, quod neque species neque differentia nec proprium sit nec accidens, eodemque modo  species ac differentia et proprium, cum autem eadem simili- tudine definitionis plura definiri queant, non est terminans et circumclusa descriptio, praesertim cum longe sit a definitionis integritate seiunctum quod cuiuslibet rei formam aliarum rerum negatione demonstrat.    Quibus omnibus expeditis, id est genere, specie, differentia. proprio atque accidenti, descriptisque eorum terminis quantum postulabat institutionis breuitas, ea ipsa communiter pertrac- tanda persequitur, ut quas inter se habeant differentias haec quinque, de quibus superius disputatum est, quas uero com-  muniones, mediocri consideratione demonstret, ut non solum  1 separari  EG  possimus  EL post  tamen  add.  si  L, s. l. Hm2Pm2  2 imaginatione] cogitatione  N  statimque  C  (q.  er. )  H  (q.  del. m2) N  periit  PR  3 item  CHm1  sit  EN (ut uid.)  sublata  EGR  enim  s. l. Cm2 accidenti  om. EGR, post  cogitatione  N  4  ante  cogitatione  er.  et  C  quoque  om. EGP (sic) accidentis  om. C, post  definitio  R  5  ad  priuatione  s. l.  quae fit per priuantiam  Em2  id  om. EG dicat  EGR  6 fit  C  neque differentia neque proprium  LNR  8 enim  om. NR  nec ( ante differentia)  CH  9 neque  NR  sit  om. L,   post  accidens  R  neque  N  10 proprio  HPm1  11 plurima  L  queunt  EGLm1R  termino  Ep.c.R  et  om. EGR  12 ab  LR  ac  G  13 negatione rerum  E  14 demonstret  N  15  post  genere  add.  quidem  CP  16  ante  proprio  add.  et  H ante  quantum  add.  et  PR, s. l. Lm2  17  post  breuitas  repet.  expeditis  PR,   s. l. Em2  pertractanda  om. C  retractanda  HNP  18  ante  quas  s. l.  quia  Em2  19 de quibus  om. E  disputandum  G  quas nero] quasue  CL   quid ipsa sint, uerum etiam quemadmodum inter se compa- rentur, appareat.    1 quid]  H, m2 in CLP  quod  NPm1  quae  Cm1EGLm1R  compa- rantur  E  2 ANICII MALLII SEVERINI BOETII  ( BOETI  E)  V. C.ET I LL . (EXINI  sic E ) EXCONS. ORDINAR. PATRICII IN ISAGOGAS PORPHYRII  ( Y  ex  I  Gm2)  ID EST INTRODVCTIONEM IN CATE- GORIAS A SE TRANSLA.  (sic EG)  EDITIONIS SECVNDAE LIBER IIII. EXPL.  ( EXPLICIT’  E) . INCIPIT LIBER V.  EG ; EXPLICIT LIBER  ( LIBER  om. C)  QVARTVS. INCIPIT LIBER  ( LIBER  om. HN)  QVINTVS  CHLNP, add.  DE COMMVNIBVS GENRIS. DIFFER. SPEC. ACCID. ET PROPI  N ; EXPLICIT LIBER QVARTVS  R     Expeditis per se omnibus quae proposuit et quantum in unius cuiusque consideratione poterat, ad scientiae terminum breuiter adductis nunc iam non de singulorum natura, id est  uel generis uel differentiae uel speciei uel proprii uel acci- dentis, sed de ad se inuicem relatione pertractat, nam qui communiones ac differentias rerum colligit, non ut sunt per se res illae considerat, sed ut ad alias comparentur, id autem duplici modo, uel similitudine, dum communitates sectatur,  uel dissimilitudine, dum differentias, quae cum ita sint, nos quoque, ut adhuc fecimus, propter planiorem intellectum philosophi uestigia persequentes ordiemur de his communio- nibus quae adsunt generi et speciei et differentiae uel proprio et accidenti.    Commune quidem omnibus est de pluribus praedi-  15—p. 286, 18] Porph. p. 13, 9-21 (Boeth. p. 40, 1—16).   3 cuiuscumqne  C  considerationem  Ea.r.G  4 id est  om. N, add.   Rm2  5  pr . uel  om. P secund.  uel] et  P  6 nam quia  R  namque  Hm1N  7 sunt. om. C  8 ille  GLNP, post  illae  s. l. sint  Cm2  ut  om. R  ad  s. l. LRm2 post  alias  add.  qualiter  CHPR, s. l. Lm2  comparantur  EGHm2, recte? cf.p. 284, 1 post  autem  s. l.  fit  Cm2L,   in mg. Em2, post  duplici  s. l. Pm2  9 dum—dum  om. EG  sectatur] retractat  R  retractantur  L  (n  del., s. l. a i  sectatur]  P  10 differentiae  La.c.P  uel differentia  EG  11  ad  adhuc  s. l.  id est (uel  G ) hac tenus  EGm2  12 his] his omnibus  R  communibus  EGR  13  utrumque  et  om.   EGLR  uel  om. R  et  NP  14 et] uel  EGL atque  R  15  ante  Commune  add. inscriptionem  DE COMMVNIBVS GENERIS (ET  add.   ΔΠ ] SPECIEI DIFFERENTIAE PROPRII ET ACCIDENTIS  ΛΠ   Busse,   N in subscript. libri IV cum alio ordine uerborum,  DE HIS (HIIS  Φ ) COMMVNIBVS QVAE ASSVNT (sunt  A ) GENERI ET SPECIEI (ET SPECIEI  om.   T ) ET DIFFERENTIAE ET PROPRIO ET ACCIDENTI (accidenti proprio et differentiae  A )  ΓΑ   (litt. minusc.)   Φ , INCIP. DE EORV COMVNIBVS  2  DE COMMVNITATIB; OMNIVM.  *i' ,  inscript.   om. CEGHLPR   cari, sed genus quidem de speciebus et de indiuiduis, et differentia similiter, species autem de his quae sub ipsa sunt indiuiduis, at uero proprium et de specie cuius est proprium et de his quae sub specie sunt indiuiduis, accidens autem et de speciebus et de indi-  uiduis. namque animal de equis et bobus [et canibus] praedicatur, quae sunt species, et de hoc equo et de hoc boue, quae sunt indiuidua, inrationale uero et de equis et de bobus praedicatur et de his qui sunt par- ticulares, species autem, ut homo, solum de his qui  sunt particulares praedicatur, proprium autem, quod est risibile, et de homine et de his qui sunt particu- lares, nigrum autem et de specie coruorum et de his qui sunt particulares, quod est accidens inseparabile, et moueri de homine et de equo, quod est accidens  separabile, sed principaliter quidem de indiuiduis, secundum posteriorem uero rationem de his quae continent indiuidua.    Antequam singulorum ad unum quodque habitudinem tractet, illam prius respicit quam omnes ad se inuicem habere uide-  1 sed—separabile  (16) om. HNP post.  de  om. R  2 autem] quidem  Δ  hiis  Φ ,  item 4  3  post  indiuiduis  s. l.  praedicatur  Em2  at uero —separabile  (16) om. CEG  at uero—indiuiduis  (5) om.   Σ · 4 de his  om.R  5  post.  de  om. R  6 bubus  Lm1 A  bobis  R, ante add.  de  L T  de bobus Busse  et canibus  cum Porph. p. 13, 14 om. edd., delend. uid. Bussio  7 praedicatur  post species  R pr. (sic)  de  om. R  8 inrationabile  L  et  om. Porph. p. 13, 15; ante  et  add.  similiter  R  9 de  om. R  bubus  RLm1 A  praedicatur  s. l.   \ m2  (dicitur  m1 ),  post  particulares  Λ2  quae  L TA  10 quae  R ΓΑ  11 particularia  R, add.  homines  L 4ΛΦ ;  om. Porph.   p. 13, 16  proprium—particulares  (12) om. R  quod est]  otov   Porph.   p. 13, 17  12  pr.  et  om.   L ΆΣ   Busse (casu ut uid., cf. eius adnot. ad   Porph. p. 13, 17   v-ai ),  add.   \ m2  13  pr.  et  om. Busse; Porph. p. 13, 18   τοΰ τε εΐδοος  14 qui] quae  R  15 de homine—equo  post  separabile  R  16 sed  om.   Π Σ   post principaliter  add.  accidens praedicatur  Φ ,  s. l.  accidens  Lm2  17 secundum—rationem] secundo uero  (cet. om.)   N ΛΣΦ ; secundo  etiam   T m1 ; uero  post  secundum  C  posteriore  E ratione  E  orationem  Λ   ante  de  add.  et  edd. cum Porph. p. 13, 21  18  post  indiuidua  add. speciebus  N Σ  20 uidentur  RG   antur. haec est autem una communio quae pro|positarum  p. 94 quinque rerum numerum pluralitate praedicationis includit; omnia enim de pluribus praedicantur, in hoc ergo sibi cuncta communicant, nam et genus de pluribus praedicatur, itemque  species ac differentia et proprium et accidens, quae cum ita sint, est eorum una atque indiscreta communio de pluribus praedicari, disgregat autem ipsam de pluribus praedicationem, quemadmodum in singulis fiat, quod unum quodque proposi- torum de quibus pluribus praedicetur ostendit, ait enim genus  quidem de pluribus praedicari, id est speciebus ac specierum indiuiduis, ut animal praedicatur de homine atque equo ac de his indiuiduis quae sub homine sunt atque sub equo, item genus praedicatur de differentiis specierum atque id iure. quoniam enim species differentiae informant, cum genus de  speciebus praedicetur, consequens est ut etiam de his dicatur quae specierum substantiam formamque efficiunt, quo fit ut genus etiam de differentiis praedicetur ac non de una, sed de pluribus; dicitur enim quod rationabile est, esse animal et rursus quod inrationabile est, esse animal, ita genus de spe-  ciebus ac differentiis praedicatur ac de his quae sub ipsis sunt indiuiduis. differentia uero de speciebus dicitur pluribus ac de earum indiuiduis, ut inrationabile et de equo praedicatur ac boue, quae sunt plures species, et de his quae sub ipsis sunt indiuiduis eodem modo dicitur; nam quod de uniuersali  praedicatur, praedicatur et de indiuiduo. quodsi differentia de speciebus dicitur, praedicabitur etiam de eiusdem speciei sub- 1 praepositarum  HN  5  post.  et] atque  R  7 autem] ut est  E  8 quod] ut  Em2P  et quod  La.c.  et ut  p.c., ante  quod  s. l.  in eo  Hm2  praepositorum  HN  9 ostendat  ELm2P  10 id est  om. HNR, er. G 11 atque] et  CL  equo ac de  om. EG  ac] atque  CL  et  R  12 de  om. L, s. l. Cm2  qui  EGP post. sub  om. LNP  14 enim  del. E  15 praedicatur  HN  16 perliciunt  HNP  18 rationale  EGHNP  19 quod  om. R, in ras. E,  quoniam  GLm1  inrationale  HNP  est  om. R  21 differentiae... dicuntur  R 22 inrationale ( uel  irr-)  Em2  (rationabile  m1) HLm2NP  23 bouej de boue  N  et de] deque  EG 25 et  ante  praedicatur  C  26 praedicatur  C  etiam  om. EN   iectis. species uero de suis tantum indiuiduis praedicatur; neque enim fieri potest, ut quae species est ultima quaeque uere species ac magis species nuncupatur, haec alias deducatur in species, quod si ita est, sola post speciem indiuidua restant, iure igitur species de suis tantum indiuiduis praedicantur, ut  homo de Socrate, Platone, Cicerone et ceteris, proprium item de specie praedicatur cuius est proprium, neque enim esset proprium alicuius, si de alio diceretur; de quo enim una quaeque res ‘et soli et omni et semper’ dicitur, eiusdem pro- prium esse monstratur. quae cum ita sint, proprium de specie  dicitur, ut risibile de homine; omnis enim homo risibilis est. dicitur etiam de indiuiduis speciei de qua praedicatur; est enim Socrates, Plato et Cicero risibilis, accidens uero et de speciebus pluribus dicitur et de diuersarum specierum indi- uiduis. dicuntur enim coruus atque Aethiops nigri et hic cor-  uus et hic Aethiops, qui sunt indiuidui, nigri secundum nigre- dinis qualitatem uocantur. atque hoc quidem est accidens inseparabile, sed multo magis separabilia accidentia pluribus inhaerescunt, ut moueri homini et boui — uterque enim moue- tur —, et rursus ea quae sub homine sunt atque boue indiuidua,  moueri saepe praedicantur. sed aduertendum est auctore Por- phyrio quod ea quae accidentia sunt, principaliter quidem de his dicuntur in quibus sunt indiuiduis, secundo uero loco ad uniuersalia indiuiduorum referuntur, atque ita praedicatio  1 praedicabitur  CLP  3 uero  C  5 praedicatur  Cm1EGLRm2  7 esse  E  8 nisi  HPR, ex  si  CLm2  aliquo  CHP ante  diceretur  add.  non  R, s. l. Lm2  9  pr.  et  om. EGHN secund.  et  om. G tert.  et  om. EG, del. Lm2, s. l. Pm2; ad  et—semper  cf. p. 275,10  12 etiam] autem  HPm1  13 Plato] et piato  N  et  om. CEG  risibiles  CH  et  om. EGLP  14 pluribus  om. CN  dicitur  om. H, post  indiuiduis  s. l.  scil, praedicatur  m2  specierum  om. HN  15 dicuntur  in ras.   Hm2  dicitur  GNR  niger  NR  et  om. EGHN  16 et  om. EG   post  nigri  add.  autem  R, s. l. Lm2  19 et  om. EG  20 et  om.   CEGP  21 mouere  Ea.c.Gm2  actore  Ea.c.R  23  post  dicuntur  add. nam non subsistunt praeter haec quibus adsunt et nulli prius acci- dunt quam indiuiduis  R  24  post  uniuersalia  add.  ad speciem  G   superiorum redditur, ut quoniam nigredo singulis coruis adest, dicitur adesse coruo. nam quia omnia particularia qualitas ista accidentis nigredinis inficit, idcirco eam de specie quoque praedicamus dicentes coruum, ipsam speciem, nigrum esse.    In quibus omnibus mirum uideri potest, cur genus de proprio praedicari non dixerit nec uero speciem de eodem proprio nec differentiam de proprio, sed tantum genus quidem de speciebus ac differentiis, differentiam uero de speciebus atque indiuiduis, speciem de indiuiduis, proprium de specie atque indiuiduis,  accidens de speciebus atque indiuiduis. fieri enim potest ut quae maioris praedicationis sint, ea de cunctis minoribus praedi- centur, et quae aequalia sunt, sibimet conuertuntur, eoque fit ut genus de differentiis, de speciebus, de propriis, de acci- dentibus praedicetur, ut cum dicimus ‘quod rationale est,  animal est’, genus de differentia, ‘quod homo est, animal est’, genus de specie, ‘quod risibile est, animal est,’ genus de proprio, ‘quod nigrum est’, si forte coruum uel Aethiopem demonstremus, ‘animal est,’ genus de accidenti praedicamus, rursus ‘quod homo est, rationale est’, differentia de specie,  1 superiorum]  E  ( s. l.  id est specierum)  GP  superioribus  cett.  sub- teriorura superioribus  brm  ut—dicitur  om. EG  2  post  coruo  s. l.  speciali  Lm2  3 nigredinis accidentis  C infecit  HLm1  eam] eamdem  Lm2Pm2  (it eadem  m1 ) eadem  EG  eo  Rm1  ea  m2  de  om. P  4 ipsum specie  EGPRm2 post  ipsam  add.  scilicet  C  nigram  C  5 omnibus  s. l. Cm2  6  utroque loco  neque  R  7 differentias  R  8 atque  Rbrm  et de  p  differentiis] indiuiduis  pr cum p. 286, 1, differentiis <atque indiuiduis>  coni. Brandt; cf. p. 287,12—21  differentias  HLPR  9 proprium de specie atque indiuiduis  om. H  11 maiores praedicationes  EGR  sunt  Ca.c. (ras.  i  ex  u)  Pm2R  ea  s. l. L  eadem  C  eaedem ( om.  de  G ) eae  Pm1  hae  ER  cunctis] dictis  EGR  12 et  om. EG   conuertuntur ]  Em1GLm1Rm2  (conuertentur  m1 ) conuertantur  CEm2HL   m2NP ad  eoque  s. l.   i  ideo  G  fit] quale sit  EG  13  pr.  de] et de  HNP   secund.  de  om. R  et de  HLNP tert.  de  om. E  et  HNPR  et de  L   quart.  de] et  NP  et de  HL  atque  R  14 praedicatur  EG  rationabile CEGLm1NR  15 animal est] sit animal  E  ( ad  sit  s. l.  pro est)  GLR  de  s. l. EGm2L post differentia  add.  praedicatur  GP (del. m1?),   s. l. Lm2, s. l.  praedicari  Em2  16 eat genus  om. G 18 accidente  R  19 rationabile  Em1G post  specie  add.  praedicatur  G   ‘quod risibile est, rationale est,’ differentia de proprio, ‘quod nigrum est, rationale est’, si Aethiopem demonstremus, dif- ferentia de accidenti; item ‘quod risibile est, homo est’, spe-  p. 95  cies de proprio, ‘quod nigrum est, homo|est,’ si Aethiopem designemus, species de accidenti, qua in re etiam ‘quod nigrum  est, risibile est’ in Aethiopis demonstratione ut proprium de accidenti praedicatur. conuerti autem ad totum accidens potest, ut quoniam in indiuiduis singulorum esse proponitur, idcirco de superioribus etiam praedicetur, ut quoniam Socrates animal est, rationalis est, risibilis est et homo est, cumque in Socrate  sit caluitium, quod est accidens, praedicetur idem accidens de animali, de rationali, de risibili, de homine, ut accidens de quattuor reliquis praedicetur. sed horum profundior quaestio est nec ad soluendum satis est temporis, hoc tantum ingredi- entium intellegentia expectet, quod alia quidem recto ordine  praedicantur, alia uero obliquo, quoniam moueri hominem rectum est, id quod mouetur hominem esse conuersa locutione proponitur, quocirca rectam Porphyrius in omnibus propositi- onem sumpsit, quodsi quis uim praedicationis et solutionis adtenderit in singulis praedicationibus comparans, eas quidem  1 differentiam  HR  3 accidentia  G post  item  add. quod rationale est homo est species de differentia  Hm1, del. m2  speciem  ELm2PR,   item 5  6 ut  om. R, del. ELm2 post  proprium  s. l.  etiam  Pm2,   post  accidenti  N, s. l. Cm2  7 praedicetur  CHLm1NPm2  ad  om.   N, s. l. Cm2  8 ut  ex  et  Hm2  in]  N, s. l. m2 in EHP, om. cett. praeponitur  Ca.c.EGHLNR  9 praedicatur  CHLNR ante  animal  add.  et  HN  10  ante  rationalis  add.  et  HNP, s. l. Cm1?  rationabile  Lm1 ante  risibilis  add.  et  HNPR, s. l. Cm1? Lm2  risibile Cm1EGLm1  et  (s. l. m1?)  homo est  post  rationalis est  C  et  om.   EG  11 praedicatur  CHLm2NP 12  secund.  de  om. CEGR tert.  de  om. R quart.  de  om. C  ut] et  CHN  13 praedicatur  CHN  14 dis- soluendum  N  15 expectet  idem quod  spectet 16 quoniam] nam  HLm2NP  moueri  post hominem  Cm2Pm2  17 moneatur  N  18  ante  proponitur  s.l.  non  Hm2  proportionem  EL  19 uim quis  EGLR  uim  om. Hm1, ante  adtenderit  s. l. m2  praedicatae  H  praedictae  Lm2Pm2  et solutionis]  CN  solutionisque  L  solutionis  Gm1Hm2  (locutionis  m1 ),  s. l. add. Pm2  so- lutione  Gm2R  solue  (sic) E  20 attenderit  in ras. Em2  ostenderit  R   prolationes quae rectae sunt, inueniet a Porphyrio esse enu- meratas, eas uero quae conuerso ordine praedicantur, fuisse sepositas.      Commune est autem generi et differentiae con-  tinentia specierum. continet enim et differentia species, etsi non omnes quot genera, rationale enim etiamsi non continet ea quae sunt inratio· nabilia quemadmodum animal, sed continet homi-  nem et deum, quae sunt species, et quaecumque praedicantur de genere ut genera, et de his quae sub ipso sunt speciebus praedicantur, et quae- cumque de differentia praedicantur ut differen- tiae, et de ea quae ex ipsa est specie praedicabun-  tur. nam cum sit genus animal, non solum de eo praedicantur ut genera substantia et animatum, sed etiam de his quae sunt sub animali speciebus  4—p. 292, 10] Porph. p. 13, 22—14, 12 (Boeth. p. 40, 17—41, 12).   1 esse  om. GN, add. Hm2  enumeratas] N numeratas  cett.  2 prae- dicantur] proferuntur  HN  3 positas  Gm1Hm1  suppositas  Pm2  4  de   Porph. cf. ad p. 103, 7  5 Communis  Σ ,  m1 in EH \  est  om. E   Porph. (p. 13, 33) Busse, post  autem  N  6 continet—sunt  (p. 292, 8)] LR Q ,  om. cett.  7 etiamsi  ΔΣ  quod  i m1  quas  A m2R  8 enim  om. R,   8. l.   Δ inrationalia  2Φ ,  add.  ut genus  codd. praeter R Σ ,  om. etiam   Porph. p. 14,2, delend. uid. Bussio 9 sed] tamen  brm  10 deum] angelum  R  angelum et deum  L; Porph. cod. A   θεόν ,  cett.   άγγελον 11 genera]  Σ  genus  cett. Busse (sed  genera  probare uid.); cf.  ut genera  16. p. 293, 20 , ut differentiae  13; Porph. p. 14,3   όσα τε ν,ατηγορεΐται του   γένους ώς γένους  et] eadem  in ras. A m2  12 et]  Z p, s. l.   A m2,   om. cett.  (aliter  er.   T )  Busse  item  brm; cf. ad 13  quaecumque]  Lm2R Z  quaeque  cett.  13 de differentia] differentiae  Lm1 A  differentia  R ΓΦ ;  cf.  ut differentiae  p. 294, 1; Porph. p. 14,4   όσα τε τής διαφοράς ώς   διαφοράς  14 ex] sub  L \  et  R; Porph.   έξ praedicantur  Γ  15 genus sit  ΔΛΣ  16 praedicatur  R  ut  om. edd.  genera]  L Z   Busse  genus  cett. codd., om. edd.; cf. p. 394, 3—5; Porph. p. 14,5   γένους... ώς   γένους αατηγορεΐται ή ουσία  17 sunt  om. L  animalis  Δ   omnibus praedicantur haec usque ad indiuidua. cumque sit differentia rationalis, praedicatur de ea ut differentia id quod est ratione uti, non solum autem de eo quod est rationale, sed etiam de his quae sunt sub rationali speciebus praedicabitur  ratione uti. commune autem est et perempto ge- nere uel differentia simul perimi quae sub ipsis sunt; quemadmodum enim si non sit animal, non est equus neque homo, ita si non sit rationale, nullum erit animal quod utatur ratione.   Post eam quae cunctis adesse uisa est communitatem, sin- gulorum ad se similitudines ac dissimilitudines quaerit, et quoniam inter quinque proposita genus ac differentia uniuer- salioris praedicationis sunt, siquidem genus species continet ac differentias, differentiae uero species continent neque ab his  ullo modo continentur, primum generis ac differentiarum similitudines colligit, ac primam quidem ponit hanc, dicit enim commune esse generi ac differentiae, ut species claudant;  1 praedicatur  LR ante  haec  add.  et  s. l. Lm2, in mg.   Γ ,  post  haec  Λ  haec  del.   \ m2  2 rationalis]  codd. (etiam Bussii LQ  rational,  in P uox paene tota euanuit ) rationale  edd. Busse; Porph. p. 14,7   διαφοράς τε οόσης τής τοΰ λογιχοΰ ;  cf. infra p. 293, 14  rationalis diffe- rentia;  295, 11  sub rationali differentia,  unde  rationalis  nominatiuum   potius intellegas quam cum Porph. genetiuum praedicantur  Φ  3 eo  coni. Busse  non] et non  L *l>  4 autem]  ΓΦ ,  s. l. Km2, om. cett.;   Porph. p. 14, 8   δε  5  ante  sunt  s. l.  sub ipsa  \ m2  sub rationabili- bus  h m1, del. m2 post  rationali  add. animali  ΠΦ ,  s. l. Lm2  praedi- catur  ΓΔΛΣΦ   a.c.; Porph. p. 14, 9   χατηγορηθήσετοι  6  ante ratione  add.  id quod est  s. l.   & m2 W m2 Busse  id quod potest  LR post  com- mune  s. l.  illis  Γ est autem  Φ   ante  perempto  add.  hoc  Λ  genere]  Porph. p. 14, 10   ή τοΰ γένους ,  om.   η   cod. Μ  8 enim]  Σ ,  s. l.   Ψ m2 ,  om. cett.; Porph. p. 14,11   γάρ  sit] est  CEGHP  9 ita] sic  L  ac  b m1 \  12 ad se] ad esse  EGP  et  om. CEG, s. l. Pm2, del. Lm2  13 generis ac differentiae  CN  uniuersaliores praedicationes  CEGNP  14  ante  species  add.  et  LR  15 nec  N  16 ac] et  N  17 primum  LNP hanc] hanc communionem  H  18 commune] hoc commune  H  communionem  LR  ac] et  CGLP concludant  HN   nam sicut genus sub se habet species, ita etiam differentia, tametsi non tantas quot habet genus, etenim genus quoniam differentiam etiam claudit et non unam tantum sub se diffe- rentiam cohercet ac retinet, plures necesse est habeat sub se  species, quam quaelibet una earum differentiarum quas claudit, ut animal praedicatur de rationabili et inrationabili. quodsi ita est, praedicabitur et de his quae sub rationali sunt positae speciebus et de his quae sub inrationali. est ergo commune animali et rationali, id est generi et differentiae, quod sicut  genus de homine et de deo praedicatur, ita etiam rationale, quod est differentia, de deo ac de homine dicitur, sed non in tantum haec praedicatio funditur quantum animalis, id est generis, animal enim non de deo solum atque homine, sed de equo et boue praedicatur, ad quae rationalis differentia non  peruenit. sed quandocumque deum supponimus animali, secun- dum eam opinionem facimus quae solem stellasque atque hunc totum mundum animatum esse confirmat, quos etiam deorum nomine, ut saepe dictum est, appellauerunt. Secunda item communio est generis ac differentiae, quoniam quaecumque  praedicantur de | genere ut genera, eadem de his quae sub  p. 96  ipso sunt speciebus praedicantur; ad hanc similitudinem 15 quandocumque — 18 appellauerunt] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II 34. 376. 18 saepe] p. 208, 22. 259, 19.   1 habeat  Lm2  differentiae  EGR  2  post.  genus  om. EGR, post quoniam  Cm1, corr. m2  3 differentias  CHm1L  etiam  del. Lm2, om. N  et  om. EG, s. l. Lm2 tantum  om. H, s. l. Lm2  4  ante  plures  add.  sed  EGL  adhibeat  R  ut habeat  L  5 quas  om. L quam  EGHPm1R  6 rationali  CHLN  inrationali ( uel  irt-)  HLN  7 ra- tionabili  Cm1EGm2P  8 inrationabili ( uel  irr-,)  CEGNP  commune est,  post s. l.  ergo  C ; ergo  om. EG, add. Pm2  10 et de deo  om. EG  rationabile  CEGR  11 in  om. LN  12 haec  om. EG  14 rationabilis  R  16 opinionem]  CHNPm2 Abaelard.  propositionem  EGLPm1R  qua  EGLm1P  solem] coelum  Abaelard.  17 confirmant  EGLm1  confirmet  N  20 de genere praedicantur  C post  eadem  add.  et  L  21 ipso] genere  H  ad hanc similitudinem  om. EGR; ante  ad  s. l.  et  Pm2   quaecumque de differentia praedicantur ut differentiae, et de his quae sub differentia sunt ut differentiae praedicantur, cuius sententiae talis est expositio, sunt plura quae de generibus praedicantur ut genera, ut de animali dicitur animatum, dicitur substantia, atque haec ut genera, haec igitur praedicantur et  de his quae sub animali sunt, ut genera rursus; nam hominis et animatum et substantia genus est, sicut ante fuerat ani- malis. item in ipsis differentiis quaedam differentiae inueniun- tur quae de ipsis differentiis praedicantur, ut de rationali duae differentiae dicuntur, quod enim rationale est, utitur ratione  uel habet rationem, aliud est autem uti ratione, aliud habere rationem, ut aliud est habere sensum, aliud uti sensu, habet quippe sensum et dormiens, sed minime utitur, ita quoque dormiens habet rationem, sed minime utitur, ergo ipsius ratio- nabilitatis quaedam differentia est ratione uti, sed sub ratio-  nabilitate homo positus est; praedicatur igitur de homine ratione uti ut quaedam differentia, differt enim a ceteris animalibus homo, quia ratione utitur, demonstratum igitur est quia sicut ea quae de genere praedicantur, dicuntur de generi subiectis, ita etiam ea quae de differentia praedicantur, dicuntur de his  quae differentiae supponuntur. Tertium commune est quod  1  ante  quaecumque  add.  et  EGL(del. m2), er. uid. C  quaeque  GPR  praedicantur  om. EGR, post ut differentiae  H  ut differentiae  om. EG post  differentiae  add.  eadem quoque  L, post  de his  P (om.  et), eadem  s. l. Nm2  2  post  sub  add.  ipsa  NR  sunt  ante  sub  H  ut differentiae  om. H, s. l. Nm2  ut differentia  EG  4  post.  dicitur  om. L 5 ante  substantia  add.  et  LPm2  6 rursus  ante  ut  GR, post L  7 antea fuerat  H  ante fuerant (n  s. l. m2) L  fuerant ante  R  8 quae- dam  s. l. Cm2  9 praedicentur  Cm2  ut  om. HN  11 autem habere rationem aliud uti ratione  NR.  12 ut  om. H sicut  N  est  om. H  13 sed minime utitur  om. N  sed—dormiens  om. EGPE, del. Lm2  ita—rationem  in sup. mg. Nm2  15 sed  om. EG, s. l. Pm2  16 positus est homo  R  esse ( om.  est  EGP est  ex  esse  Lm2  esse  del. Pm2 ) praedicatur. Igitur  EGLP  17 ut  om. EG, s. l. Cm2 post  diffe- rentia  add.  est  EGP  a]  L, om. cett.  18 homo  ante  ceteris  H  est igitur  HLN  quia] quod  CL  19  post.  generum  EGLm2P  20 post  his  add.  quoque  HN  21  post  Tertium  add.  uero  P, s. l. Lm2 quod] quia  C   sicut absumptis generibus species interimuntur, ita absumptis differentiis species de quibus differentiae praedicantur, intereunt, commune enim est hoc, uniuersalium in substantia pereuntium perire subiecta. sed prima communio demonstrauit genera de  speciebus praedicari, sicut etiam differentias, propter hanc igitur similitudinem si auferantur genera, species pereunt, sicut etiam species perire necesse est quae sub differentiis sunt, si uniuersales earum differentiae consumantur, cuius exemplum est : si enim auferas animal, hominem atque equum sustuleris,  quae sunt species positae sub animali, si auferas rationale, hominem deumque sustuleris, qui sunt sub rationali diffe- rentia collecti. Et de communitatibus quidem hactenus, nunc de generis et differentiae dissimilitudine perpendit.      Proprium autem generis est de pluribus prae- dicari quam differentia et species et proprium et accidens; animal enim de homine et equo et aue et serpente, quadrupes uero de solis quattuor pedes habentibus, homo uero de solis indiuiduis et hin-  nibile de equo et de his qui sunt particulares, et  14—297, 2] Porph. p. 14, 13—15, 8 (Boeth. p. 41, 13—42, 14).   1 sicut—ita  om. EG  consumptis ( post  ita)  Pm2  6 igitur] qui- dem  E  sicut] sic  GHm2LN  7 species etiam  HNP  10 quae] quia  H  qui  ex  quia  Nm2  12 collocati  HNP, recte? cf. 10. p. 300, 18  Et  om. CEGP, del. Lm2  13 perpendet  G  14 PROPRIO  C  PRO- PRIIS  post DIFFERENTIAE  L  GENERI  R  DE PROPRIIS EORVM (EORVNDEM  Ψ )  Ρ Ψ ;  de Porph. cf. ad p. 105, 16  15 autem  om ·.  ΓΦ  generi  LNR A ;  cf. infra p. 297, 15. 16 s. 299, 17. 300, 23. 301,10. (13) 302,11  est  ante  generis  s. l.   A ,  om .  Σ ,  om. Porph. p. 14,14  16  ante  quam  add . magis  L (er.)   A   (del. m2)  differentiae  EGHLPm1R ;  Porph. p. 14, 15   ή διαφορά  et species—differentia  (p. 296, 21) ]  LR ii ,  om. cett . et proprium] propriumque  A  17 de equo et (de  add.   \ ) homine  ΔΑ  18  post  uero  add . uidetur  ΓΦ ,  m1 in L ΔΑ ,  del. m2; om. Porph. p. 14, 17  solis  om. R  20  ante  equo  add . solo  edd. cum Porph. p. 14, 18   μόνον ,  fort. recte post , de  om. R, s. l. Lm2   accidens similiter de paucioribus, oportet autem differentias accipere quibus diuiditur genus, non eas quae complent substantiam generis, amplius genus continet differentiam potestate; animalis enim hoc quidem rationale est, illud uero inratio-  nale. amplius genera quidem priora sunt his quae sunt sub se positae differentiis, propter quod simul quidem eas auferunt, non autem simul aufe- runtur; sublato enim animali aufertur rationale et inrationale. differentiae uero non auferunt  genus; nam si omnes interimantur, tamen substan- tia animata sensibilis subintellegitur, quae est animal, amplius genus quidem in eo quod quid est, differentia uero in eo quod quale quiddam est, quemadmodum dictum est, praedicatur, amplius  genus quidem unum est secundum unam quamque speciem, ut hominis id quod est animal, differen- tiae uero plurimae, ut rationale, mortale, mentis et disciplinae perceptibile, quibus ab aliis differt, et genus quidem consimile est materiae, formae  uero differentia, cum autem sint et alia communia  1 autem  om .  Σ  enim  Lm1  4 continet genus  LR; Porph. p. 14, 20   τό γένος περιέχει 5 enim  om.   2  uero  A m1  est  in mq. Lm2  6 quidem genera  Lm1R  priora  om. L  7 sub se  ante sunt  L, post  positae  R  positis  ΓΛΦ ,  m1 in L Λ2  8 quidem  om. L, ante  simul  R  auferunt]  h m1 V aufert  cett.; Porph. p. 14, 22  ( τα γέν-r )  σοναναιρεΐ οΰτός  aufe- runtur]  A m1 W  aufertur  cett.; Porph. p. 14, 23   σοναναιρεϊται  9 aufertur rationale—aufernnt genus  om. R  11 si] etiamsi  brm cum Porph. p. 15, 1   καν ; fort. etsi  scribendum  tamen  om .  Σ ,  s. l.   A m2 A m2  12 sensi- bili  R subintellegitur]  Φ  subintellegitur potest  R  subintellegi  potest   cett.; Porph. p. 15, 2   επινοείται quod  Δ   Busse; Porph .  οϋσια...ήτις ήν τό ζψον  14 uero  om. L  quiddam  om. R  quid  edd . est  om.   LR TΛΦ  15 quemadmodum] sicut  LR  est dictum  Λ   Busse  16 quidem genus  hA m1 Z  est unum  LR  17  ante  hominis  add. est   edd. Busse; om. Porph. p. 15, 4  18 plures  brm cum Porph. p. 15, 5   πλείοος ;  cf. infra p. 301, 21; post  plurimae  add . sunt  ΑΣ   Busse; om. Porph. p. 15, 5 mentis  5 m2  risus  m1  20 cum simile  R  21 autem  Cp.c . haec  a.c . et  om. G   et propria generis et differentiae, nunc ista suf- ficiant.    | Proprium quidem quid sit, conuenienti atque integro uoca- p. 97  bulo definitum est. sed per abusionem illa etiam propria  quorumlibet dicuntur quae in una quaque re ab aliis continent differentiam, licet cum aliis sint ea ipsa communia, per se quippe proprium est homini quod ei omni et soli et semper adest, ut risibilitas, per usurpatam uero locutionem etiam proprium hominis rationabilitas dicitur non per se proprium,  quippe quod ei cum deorum est natura commune, sed homini rationabilitas proprium dicitur ad discretionem pecudis, quod rationale non est; id uero propter hanc causam, quoniam id proprium unius cuiusque dicitur quod habet suum, quo igitur quis ab alio differt, proprium eius non absurda usurpatione  praedicatur, sed nunc quod dicit proprium generis esse de pluribus praedicari quam cetera quattuor, id ipsum generis tale proprium est, quale per se proprium dici solet, id est quod semper <et> omni et soli adsit generi, generi enim soli adest, ut differentia, specie, proprio, accidenti überius atque  affluentius praedicetur, sed de his differentiis, speciebus, pro- priis atque accidentibus id dici potest quae sub quolibet  1 proprii  P  et] ac  EGP  nunc  om. Porph. p. 15, 8  suf- ficiunt  Λ m1 2 ;  Porph .  άρκείτω ταϋτα ,  cod. B   apxet τοααδτα  3 quidem] autem  C  quod  R  5 in una quaque re]  CLP  re  om. N  una quaque  E  una quaeque  G  unam quamque  HR  6 differenda  EGLm1  7 omni et soli] et soli et omni  C   pr.  et  s. l. Lm2 post , et  om. EG  10  post  ei  add . quoque  HNP  12 rationabile  HR post  uero add. fit  L ,  s. l. Pm2  14 aliquo  Lm2  differat  Cm2Hm1N  15 nunc  om. EG ,  post  quod  C  17 tale  ante  quale  P est proprium  LP post , est  om. CN  18 et  add. brm  adest  C  generi enim  in mg. Hm2  enim] uero  C  autem  L  19  post  ut  add . et  H   (del. m2) N  et specie  HLN  et proprio  HLR  et (atque  R ) accidente  HLm1  (-ti  m2 )  NR  20 affluentius]  CHNPm2  fluentius  Lm1 ,  s. l . ł lucidius  m2 cluentius  E  ( s. l . habundantius]  Pm1  licentius  G  luculentius  R  de] e  R  speciebus  post differentiis  pos. Brandt, ante codd. pr, om. bm  et propriis  CHLN  21 atque  om. P   genere sunt, id est differentiae quidem quae quodlibet diuidunt genus, species uero quae diuisibilibus generis differentiis infor- matur, proprium autem illius speciei quae sub illo genere est quod differentiis est diuisum, accidentiaque quae his hae- reant indiuiduis quae sub ea specie sunt quam designatum  genus includit, hoc facilius exempla declarant, sit enim genus animal, quadrupes ac bipes differentiae sub animalis positae continentia, homo atque equus species sub eodem genere constitutae, risibile atque hinnibile propria earundem spe- cierum, uelox uero uel bellator accidentia quae his indiuiduis  accidunt quae sub speciebus equi atque hominis continentur : animal igitur, quod est genus, praedicatur et de quadrupede et bipede, quae sunt differentiae, quadrupes uero de bipede non dicitur, sed tantum de his animalibus quae quattuor pedes habent; plus igitur praedicatur genus quam differentia, rursus  homo de Platone ac Socrate praedicatur, animal uero non modo de hominibus indiuiduis, uerum etiam de ceteris inratio- nabilibus indiuiduis dicitur; plus igitur genus quam species praedicatur, sed cum sit proprium hinnibile equi speciei cum-  1 differentiae]  CNp  differentias  EG, m1 in HLP de  (om. HPR)  dif- ferentiis  m2 in HLP, Rbrm  quidem  om. B, ante add . sunt  C, post N  genus diuidunt  HN  2 speciebus  Hm2Lm2  specie  Pm2brm  diuisi- bilis  Hm1Pm1R  ( add . est), dissimilis  E  ( add . est)  G, ad  diuisibilibus  in mg.  ał quae diuisiuis  Lm2, sed cf. p. 254, 12 ante generis  add  est  ERm2, add . sunt,  post  et  (del. m2) P  informantur  CLm2  3 pro- prio  m2 in HLP (ante s. l. de add.) brm post  autem  add . quod est  EGP (del. m2)  illi  Lm1  4 diuisiuum  Lm1  diuiditur ( om . est;  N  accidentiaque]  CEGHm1Lm1  accidentia quoque  Pm1  (de accidentibus quoque  m2 ) accidentia  Rp  accidensque  N  accidentibusque  Hm2Lm2brm  quae] quod  N  hereat  N  haerent  Pm2 edd . 5 sint  G  10 uelox— bellator]  HNP  (uel  om. , et  s. l. m2 ), uelox uero dux uel bellator  C  uelox uero uel bellator dux  L  uelox uero bellator dux  EG  ferax uerox  (sic)  ( s. l . equus  m2 ) bellator dux  R  11 accidant  H  accidencia  Pm1  12 et  om. EGP  13 et bipede]  HNP, om. R  bipede  C  de bipede  EGLm1  et de bipede  m2  quadrupedes  G  14 his  om. GR, s. l. Cm2Lm2  16 ac] et  P post  praedicatur  add . et ceteris  HNP  17 hominis  C  (s  in er. b.? m2 )  GHm1N  19 sed—praedicetur  om. EG  hinnibile  ante  proprium  N, om. LR  simile  H  equi  om. H   que genus quam species überius praedicetur, praedicatio quo- que generis proprii supergreditur praedicationem, accidens quoque etsi pluribus inesse potest, tamen saepe genere con- tractius inuenitur, ut bellator non proprie nisi homo dicitur,  ut uelocitas in paucis animalibus inuenitur. quo fit, ut genus differentia, specie, proprio et accidentibus amplius praedice- tur. Atque haec est una proprietas generis quae genus ab aliis omnibus disiungat ac separet, oportet autem, inquit, nunc eas differentias intellegere quibus diuiditur genus, non quibus  informatur, illae enim quibus informatur genus, plus quam ipsum genus sine dubio praedicantur, ut animatum et corpo- reum ultra animal tenditur, cum sint differentiae animalis, sed non diuisiuae, sed potius constitutiuae; omnia enim superiora de inferioribus praedicantur, quae uero de inferioribus praedi-  cantur neque conuerti possunt, haec ab eis quae inferiora sunt amplius praedicantur.   Post hoc aliud proprium generis ostendit quo ab his differentiis quae sub eodem sunt positae, segregatur, omne enim genus continet differentias potestate, differentia uero  genus non potest continere, animal enim rationale atque inra- tionale continet potestate; neque enim inrationabilitas neque rationabilitas animal poterit continere, potestate autem ait continere animal differentias quia, ut superius dictum est,  23 superius] p. 264, 16.   1 praedicatur  Cm1R  3 inesse] inest  C  ante saepe  add . semper uel  Hm1, del. m2  contractius genere  H  inneniri  C  5  pr.  ut  er. uid. C, om. HPm1  et  LN, s. l. Pm2  6  ante  differentia  add . et  Hm2LN ante  specie  add . et  HL  et de  N ante  proprio  add. et HL  et de  N  et  om. E  accidente  R  8 inquit  om. N, del. Hm2  10  post  informatur  add . genus  C  illae—informatur  om. EGLR, post praedicantur  (11) add . Ipsae enim diffe- rentiae a quibus informatur genus  Lm1, ante  plus quam  transpos. m2  illae enim] nam illae  P ante  plus  add . nam  GR  11 sine dubio  om. HN  et  om. EG  12 tendit  EG ? tenduntur  R  sunt  H  15 ab  om. H  18 eodem] eo  HN  eodem genere  C segregetur  HN  20 rationabile  ELm2P  atque  om. EGR, s. l. Pm2  inrationale  om. EGPm1R inrationabile  Lm2, s. l. Pm2  21 inrationalitas neque rationalitas  HN  22 poterunt  CHLP  23  post  differentias  add . proprias  CL (del. m2), ante HNP   genus quidem omnes sub se habet differentias potestate, actu uero minime, ex quo fit ut alia proprietas oriatur, sublato enim genere perit differentia, ueluti sublato animali interimitur rationabilitas, quod est differentia, at si rationale interimas, inrationale animal manet, sed obici potest : quid? si utrasque  differentias simul abstulero, num poterit remanere genus? dicimus : potest, unum quodque enim non ex his de quibus praedicatur, sed ex his ex quibus efficitur, substantiam sumit, itaque fit ut genus sublatis diuisiuis differentiis permanere possit, dum tamen maneant illae quae ipsius generis formam  substantiamque constituunt, quoniam enim animal animata  p. 98 atque sensibilis differentiae constijtuunt, hae si maneant atque iungantur, perire animal non potest, licet ea pereant de quibus animal praedicatur, rationale scilicet atque inrationale. unum quodque enim, ut dictum est, ex his substantiae proprietatem  sumit ex quibus efficitur, non ab his de quibus praedicatur, amplius si utrasque differentias genus potestate continet, ipsum per se neutram earum intra se positam collocatamque con- cludit. quodsi actu quidem eas non continet, sed potestate, actu etiam ab his poterit separari; hoc ipsum enim, potestate  eas continere, id erat actu non continere, genus uero, quod quaslibet differentias actu non continet, actu ab eisdem etiam separatur. Kursus aliud est proprium generis, quod ex pro-  1 omne  GR  2 alia ut  EGP  4 rationalitas  HN  at  om. EGR  rationabile  CLm1R  5 inrationale  om. EG  inrationabile  Lm1R  quod  CEGLP  qui  R  6  post  abstulero add. rationales et inrationales  E num] non  EGLm1P  7 dicimus] sed dici  EP  de quibus—his  in mg.   Hm2  8  post , ex] de  P  9 itaque] atque  GR  atque  ita C  atque ideo  EP  10  post  tamen  add . earum  P  illa  C  ( a. in er . ae  m2 )  N  quod  E  11 quoniam—constituunt  in mg. inf. Em2  animati  Cm2LR  12 differentia  HN differendis  Pm1  haec  C (c er.)   EGHN  manent  E  15 dictam est] diximus  C  17  ante  ipsum  s. l. tunc  Hm2  18 neutra  G  neutrum  R  positum collocatumque  LPm1R  20 etiam] quidem  E post poterit  add . genus  EG   post  enim  add . quod est  R, s. l. Pm2  21 erit  Lm2R  quod] quae  E  23 eat om. ENR   prietate praedicationis agnoscitur, omne enim genus ad inter- rogationem ‘quid est unum quodque?’ responderi conuenit, ut animal in eo quod quid est de homine praedicatur, differentia uero minime, sed in eo quod quale sit; omnis enim differentia  in qualitate consistit, sed hoc proprium tale est quale supe- rius diximus, non per se, sed secundum alicuius differentiam dictum, alioquin commune est hoc generi cum specie, ut in eo quod quid sit praedicetur, sed quia hoc genus a differentia discrepat, quoniam differentia quidem in eo quod quale est,  genus uero in eo quod quid est praedicatur, generis proprium dicitur non per se, sed ad differentiae comparationem, et in omnibus reliquis eandem rationem conueniet speculari; quod- cumque enim ita generi proprium dicitur, ut nulli sit alii commune, sed tantum hoc habeat genus ut omne genus et  semper, id secundum se proprium nuncupatur, quicquid uero cum quolibet alio commune est, id non per se, sed ad alterius differentiam proprium dicitur. Alia rursus generis et diffe- rentiae separatio est, quod genus quidem speciei unum semper adest, scilicet proximum plura - enim possunt esse superiora,  uelut hominis animal atque substantia, sed proximum eiusdem hominis animal tantum —, differentiae uero plures uni speciei  5 superius] p. 297, 9.   1  post  agnoscitur  add . Omne enim genus ei proprietate cognoscitur praedicationis  P, in inf. mg. Lm2  generis  E  2 quid est] quidem  E  quidem quid est  HN  unum  om. E  respondere  CLR  4 sit] est  HN  7 hoc  ex  huic  Em2  8 ac G 9 est] sit  N  11 et  om. EG  12 conuenit  CHNP  13 generis  Pm2  alii sit  C  14 tamen  E  habeat—semper]  Cm2Hm1N  habeat genus et omne genus et (et  om .  Lm2R ) semper  Cm1Hm2Lm2R  habeat omne genus semper  EG  habeat genus omne semper  Lm1  genus hoc  (del. m2)  haheat omne genus (genus omne  m2 ) et  (s. l. m2)  semper  P  15 se  om. CN , illud  Cm2   (s. l.)  id  H post proprium  add . dicitur quod per se proprium  CHN  16 ad  om. C, in mg. Hm2  17  pr . differentia  C  18 est  om. HNR ,  s. l. E  uni  R  19 proximum  Cp. c . proprium  a. c . ad plura  in   mg.  genera  Lm2 , enim genera  P  20 ante animal  s. l . sed genus  Cm2  21  post  speciei  add.  semper adsunt  E   adesse poterunt, ut rationale atque mortale homini, itaque fit definitio ex uno quidem genere, sed pluribus differentiis, ut hominis animal rationale mortale. Rursus alia discretio est, quod genus quidem quasi subiecti locum tenet, differentia uero formae, ita ut illud sit materia quaedam quae figuram  suscipiat, haec uero sit forma quae superueniens speciei sub- stantiam rationemque perficiat. Idcirco uero pluribus diffe- rentiis a genere differentiam segregauit, quia haec maxime generis quandam similitudinem contineat, quia est uniuersalis et praeter genus inter ceteras maxima, sed cum alia plura  communia pluraque propria generis inter se ac differentiae ualeant inueniri, nunc, inquit, ista sufficiant, satis est enim ad discretionem quaslibet differentias assumere, etiamsi non quae dici possunt omnia colligantur.      Genus autem et species commune quidem ha- bent de pluribus, quemadmodum dictum est, prae- dicari. sumatur autem species ut species et non etiam ut genus, si fuerit idem et species et genus.  15—303, 3] Porph. p. 15, 9—13 (Boeth. p. 42, 15—20).   1 adesse—mortale  om. EGR  ut  om. HN  ut homini  C  Hominis itaque  C  hominis, itaque  P  2  ante  pluribus  add . de  Lm2  3  post  rationale  add.  atque  edd . est  om. HNR  4 quidem  om. C  5 ita ut om.  EGLm1  ut  m2  quaedam  om. EG, s. l. Lm2, ante  materia  P  quae  om. R, s. 1. Cm1?  quod  Em1  6 suscipiens  Lm1R  7 uero  om. EGLR  8 differentias  CEGHm1Pm1  9 continet  EGLPR  10 et  om. N  praeter] post  HPm1  maxima inter ceteras  H  in  N  cetera Lm1Pm2 edd . maximi  G  maximae  Pm1  12 nunc—sufficiant]  HLNR   (recte? an ex p. 297, 1?) ista inquit sufficiunt  GP  sufficiunt inquit ista  C  ista quidem sufficiunt  E  14 non  post  omnia  E (s. l.) p, ante brm  colliguntur  Hm1R  15 ET SPECIEI] SPECIEIQVE  C; de Porph. cf. ad p. 102, 7  17 de pluribus  om. G  18 sumatur—prae- dicantur  (p. 303, 2)] LR Q ,  om. cett . autem] autem et  L ΛΛΦ ;  Porph. p. 15, 11   11  et  om .  ΓΔ  sed  RΣ  19 ut  add .  \ m2 pr . et]  L cum Porph. p. 15,12, om. codd. cett. edd. Busse  genus et species  Ε Σ   commune autem his est et priora esse eorum de quibus praedicantur, et totum quiddam esse utrum que.    Generis et speciei enumerat tria communia, unum quidem,  de pluribus praedicari; genus enim et species de pluribus praedicantur, sed genus de speciebus, ut dictum est, species uero de indiuiduis. sed nunc de illa specie loquitur quae tantum species est. id est quae non etiam genus est, sed ultima species, quodsi talem speciem ponamus quae etiam  genus esse potest, ac de ea dicamus quoniam commune habet cum genere de pluribus praedicari, nihil interest an ita dica- mus, ipsum genus id secum habere commune de pluribus praedicari, talis enim species quae non est solum species, ea etiam genus est. Est autem commune his quoque quod utra-  que priora sunt his de quibus praedicantur, omne enim quod de aliquibus praedicatur, si recto, ut dictum est superius, ordine dicatur, prius est his de quibus praedicatur. Praeterea est illis hoc etiam commune, quod genus ac species totum sunt eorum quae intra suum ambitum continent et cohercent;  omnium enim specierum totum est genus et omnium indi- ui|duorum totum species, aeque enim genus et species aduna-  p. 99  tiua sunt plurimorum, quod uero multorum adunatiuum est, id eorum quae ad unitatis formam reducit, recte dicitur totum.    16 superius] p. 290, 15 ss.   1 est  om. L  priora] propria  La.c. Tk a.c A m1  2 esse] est  C  5  ante  genus  add. et H (er.) N  6  post  genus  add . quidem  L  8 est, sed] est ut est  H  ut est  N  12 secum]  H  (cum  in ras. m2 )  LR  secundo  CEGNPm2  (-da  m1 ) de pluribus—commune  (14)   post  praedicantur  (15) E 13 quod  E  14 his commune  HN  15 omne—-praedicatur  (16) in mg. Hm2  17 dicatur] praedicatur  CN  his] de his  G  18 etiam hoc  N  eorum sunt  C  20 genus est  NR  et] ut  Hm1  21  ante  species  add. est CNP, post E (in ras.) H  23 quod  E  re- ducuntur  Ca.c.N     Differt autem eo quod genus quidem continet spe- cies sub se, species uero continentur et non continent genera; in pluribus enim genus quam species est. genera enim praeiacere oportet et formata specificis  differentiis perficere species; unde et priora sunt naturaliter genera et simul interimentia, sed quae non simul interimantur. et species quidem cum sit, est et genus, genus uero cum sit, non omnino erit et species. et genera quidem uniuoce de speciebus praedi-  cantur, species uero de generibus minime, amplius genera quidem abundant earum quae sub ipsis sunt specierum continentia, species uero a generibus abun- dant propriis differentiis. amplius neque species fiet umquam generalissimum neque genus specialissimum.   Expeditis communibus generis ac speciei nunc de eorum discretione pertractat. differre enim dicit genus ab specie, quoniam genus continet species, ut animal hominem, species  1—15] Porph. p. 15, 14—24 (Boeth. p. 42, 21—43, 10). 1 PROPRIO  H  DIFFERENTIIS  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  2 Differunt  ENR edd.; Porph. p. 15, 15   διαφέρει   post  autem  add . genus  a  specie  Φ  continet quidem  N  3 sub se  er. uid .  5 ,  s. l. 2 m2, ante  species  (2)   ΓΦ ;  Porph. p. 15, 15   περιέχει τά είδη  species  s. l. Gm2  continetur  C A continetur a genere  Γ ;  Porph .  τα δέ είδη περιέχεται  et  om. EG  continet  C ΑΦ  4 in pluribus—differentiis  (14) ]  LR Q ,  om. cett . enim] quidem  S ;  Porph. p. 15, 16   ετι τά γένη  5  ante  oportet  s. l . et  5 m2  et  s. l .  5 m2 ,  hic om., sed ante  perficere  pos. LR h m1   (del. m2)   A ;  Porph. p. 15, 17 ν.α'ι διαμορφωθ-έντα  7 sed] si  R  9 est]  Porph. p. 15, 19   πάντως εστι;   exciditne  omnino ?   pr . et  om .  LR I ,  s. l .  A m2 ;  Porph. p. 15, 19   εστι και γένος   post . et]  A   (del. m2)   Φ   cum Porph. p. 15, 20, om. cett. edd. Busse  10 uniuoce quidem  AAS ;  Porph.   τά μέν γένη  de speciebus]  Porph. p. 15, 21   των δφ’ έοοτά ειδών  12 quidem genera  L s m2 i\Y .  Busse; Porph.   τά μέν γένη  sunt  (s. l. L)  sub ipsis  LR; Porph. p. 15, 22   των όπ’ αΰτά ειδών  13 a  om .  ΓΦ  ab  A m1 ,  del. m2  14 fiet  post  umquam  C  fit  HN  15 neque genus specialissimum  om. H   post  genus  add . fiet  CEGR  fiet umquam  ΑΑΣ  fiet species  L; Porph. 15, 24   ούτε τδ γένος ειδικάιτατον  16 ac] et  CE  17 differt  GR  a  HLNR  18  pr . speciem  HN   uero non continet genera; neque enim homo de animali prae- dicatur. itaque fit ut species quidem contineantur a generibus, numquam uero contineant genera, omne enim quod amplius praedicatur, illius est continens quod minus dicitur, quodsi  genus amplius praedicatur quam species, necesse est ut spe- cies quidem contineatur a genere, genus uero speciei nullo ambitu praedicationis includatur, huius autem ratio est quo- niam genus semper suscipiens differentiam speciem facit, hoc est, genus quod habebat latissimam praedicationem, coartatum  differentia et contractum speciem facit; omnino enim generi iuncta differentia speciem reddit et ex uniuersalitate atque latissima praedicatione in angustum speciei terminum con- trahit. animal enim, cuius praedicatio per se longe lateque diffusa est, si arripiat rationalis differentiam, si etiam mortalis,  deminuit atque contrahit in unum hominis speciem, unde fit ut minor sit semper species quam genus atque ideo conti- neatur, sed non contineat, sublatoque genere auferatur et spe- cies; si enim totum auferas, pars non erit, quodsi species auferatur, genus manet, ueluti cum animal sustuleris, interi-  mitur etiam homo, si hominem auferas, animal restat, haec etiam causa est, ut genus de specie uniuoce praedicetur, id est ut species suscipiat definitionem generis et nomen, sed  1 continent  HN enim  om. C  6 contineantur  NR  speciei  om. R  specie  Cm1  in specie  Lp.c . species  N  post nullo  add . modo  EGHPR, s. l. Lm2  7 includitur  EGLm1P  includat  N   post  autem  s. l.  rei  Cm2  8 semper  om. HN  species  N  hoc—facit  (10) om. EG  9 est  s. l. C, om. HN, del. Pm2  habet  Lm2Pm2  coartatum  ex  coapta- tum  Lm2, in mg . ał coaptata ipsa diffinitio et contracta speciem facit  m1  coaptata  Hm2P  apta  Cm1  (aptata  m2 )  Hm1N  10 et]  LR, s. l. Pm2 , om. CHN (de EG cf. ad S) contracta Lm2 omni Hm2Lm2 11 et om. G, s. l. ELm2 atque] et EHNPR 12 post praedicatione add. generis CNP, s. l. Lm2 speciem EG contrahitur Hm2 14 differen- tia  C ( ras. ex  -ã)  R  etsi etiam E et s. l., del. si etiam Lm2, et  R  15 diminuit  EHLPR ; diminuitur atque contrahitur  N  unam  C  (am  in ras. m2 )  Hm2NR  16 continentur sed non continent  N  17 et  om. EGR  19 remanet  C  cum] si  P  21 est causa  C  22 generis et nomen] et generis nomen  E et nomen generis  N  generis nomen  R   non e conuerso. definitionem quippe speciei genus suscipere non uidetur; substantiam enim priorum inferiora suscipiunt, si enim definias animal et dicas substantiam esse animatam atque sensibilem aut si praedices de homine ‘animal’, uerum dixeris, si etiam animalis definitionem de homine praedicaueris  dicasque hominem esse substantiam animatam atque sensi- bilem, nihil fuerit in propositione falsi, sed si hominis defini- tionem reddas ‘animal rationale mortale’, ea animali non con- ueniunt; neque enim quod animal est, id dici poterit animal rationale mortale, fit igitur, ut sicut species generis nomen  suscipit, ita etiam capiat definitionem, et sicut genus nomen speciei non suscipit, ita nec eiusdem definitione monstretur, sed cuius nomen et definitio de aliquo praedicatur, id uniuoce dicitur, cum igitur generis et nomen et definitio de specie praedicetur, genus de specie uniuoce dicitur, quoniam uero  speciei de genere. neque nomen neque definitio praedicatur, non conuertitur uniuoca praedicatio. Differunt genera <ab> speciebus hoc quoque modo, quod genera superuadunt species suas aliarum continentia specierum, species uero genera dif- ferentiarum pluralitate, animal enim, quod est genus, superuadit  hominem, quod est species, quia non hominem solum continet, uerum etiam bouem, equum aliasque species, quas suae spatio praedicationis includit, species uero, ut homo, superuadit genus, ut animal, multitudine differentiarum, nam quod actu genus  1 e conuerso] est  (om. R)  conuersio  EGLPR 2 non  er. H  sub- stantiae  EGLm2  (-tia  m1 )  PR  enim priorum] enim proprium  EGP diffinitionem ( om . en.  pr .)  R  3 et  om. CHNP  4 aut]  brm  at  CHLNP, om. EGR  5 definitione  E 7 nil  C  fuerat  Cm1  fueris  HN  falsi] mentitus  HN  sed] quod  CHN  hominis definitionem  om. EGR  hominis rationem  L  8 addas  EGR, post  si ( om . reddas,)  add. P , reddas addas  L pr . animali  Ea.c.LR  animal est G conuenit  CNPa.c.  9  ante  quod add.  id HNPR, s. l. Lm2  id dici] EGLa.r.P dici  Lp.r.R  idcirco dici  HN  id circo id dici  C  11 et  om. EG  12 defini- tionem ( uel diff-) monstret  EGR  14  pr . et  om. CEG, s. l. Lm2  15 praedicatur  E  uniuoce de specie  C  17 a  add. brm , ab  Brandt  18 modo  om. NR  19 continentia aliarum  C  21 quod] quae  N  non  s. l Cm2 22 equum bouem  HN  24 namque quod  Lp.c .   non habet rationale uel mortale — nullas quippe actu genus retinet | differentias —, easdem species suae substantiae inhae-  p .100  rentes atque insitas tenet, homo enim rationalis est atque mortalis, quod genus minime est; animal enim neque mortale  est per se neque rationale, quodsi genus quidem plus unam continet speciem, at uero species multis differentiis infor mantur, superat quidem genus speciem continentia specierum species uero uincit genus differentiarum pluralitate. Illa quoque est differentia, quod genus quoniam omnium primum  est, numquam in tantum descendere poterit, ut fiat ultimum, species uero, quae cunctis est inferior, in tantum ascendere non poterit, ut suprema omnium fiat; numquam igitur nec species generalissimum fiet nec genus specialissimum. Sed ex his quae dictae sunt differentiae aliae sunt quae genus ab  specie propriae coniunctaeque disterminant, aliae uero quae non solum genus ab specie, uerum etiam a ceteris diducunt ac disterminant, neque in his tantum differentiae quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerentur oportet, si proprie normam quaerimus discretionis agnoscere.    1 uel  om. R  4 mortale] rationale  CHN  5 rationale]  R  inratio- nale  CHN  per se rationale  EGLP  unam continet speciem]  EG  (unam  s. l. m2 )  Lm1  quam unam continet speciem  Lm2R  una continet (continet una  C ) specie  CHNP  6 species uero ( om . at)  C  informa- tur  Lm1Pm1  7 species  G  9 quoniam] quod  Hm2  11 in tantum ascendere non] numquam in tantum ascendere  LNR  12 nec... nec] et... et  Hm1N  et... nec  C, pr . nec  om. P  14 ex his  om. EG, s. l. Lm2  sunt  om. E differentiarum  CN  differentiis  R  genus  s. l. Cm2  a  R  15 proprie coniuncteque ( ras. ex  -teque  Η )  HΝR (recte?)  propriaeque  G  coniunctaeque  om. EG  16 ab] a  R  diducunt]  Em2R  deducunt cett. distinguunt ac deducunt ( om . disterminant]  HN  17 neque (et quae non  CHN, s. l . ał quae  L ) in his tantum differentiis quae sunt dictae ( L  quae sunt dicta  G  quae dictae sunt  CHNP quid sint  in ras. E ) uerum etiam in ceteris (add. quoque  HLm1N, del. Lm2 ) considerentur oportet  CEGHLNP  neque in his tantum oportet considerare differentias quae sunt dicta uerum etiam in ceteris oportet  R ; differentiae  scr. Brandt ; neque enim in (de  bm ) his tantum oportet (oportet  om. p ) differentiis quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerare (considerari oportet  p )  edd.  18 propriae  CEGLP  19 discretionis quaerimus  HR     Generis autem et proprii commune quidem est sequi species - nam si homo est, animal est, et si homo est, risibile est et - aequaliter praedicari genus de specie- bus et proprium de his quae illo participant; aequaliter  enim et homo et bos animal et Cato et Cicero risibile, commune autem et uniuoce praedicari genus de pro- priis speciebus et proprium quorum est proprium.    Tria interim generis ac proprii dicit esse communia, quorum primum illud est, - quoniam ita genus sequitur species ut  proprium, posita enim specie necesse est intellegi genus ac proprium; neutrum enim species proprias derelinquit, nam si homo est, animal est, si homo est, risibile est; ita quemad- modum genus, sic proprium ab ea specie cuius est proprium, non recedit. Illud quoque, quod aequalis est generis partici-  patio, sicut etiam proprii, omne enim genus aequaliter specie- bus participatur, proprium uero indiuiduis omnibus aequaliter adhaerescit, manifestum uero est participationem e?se generis aequalem; neque enim plus homo animal est quam equos  1—8] Porph. p. 16, 1-7 (Boeth. p. 43, 11—17).   1 COMMVNITATIBVS  Ψ ;  de Porph. cf. ad p. 102, 7  2 Genus  Em1Gm1 consequi  Pm1  3 nam—risibile  (6) ]  LR Q ,  om. cett. pr . est  s. l.   h m2  5 illo] sub illo  R participant] continentur  R ,  add.  indiuiduis  edd. cum plerisque codd. Porph. p. 16, 4  6  post animal add. est  ΓΦ ,  om. Porph. p. 16, 5  et Cato et Cicero]  Porph .  xat Άνοτος και Μέληχος post  risibile add. est  Φ  7 autem et] autem  CEGP  autem est (est  s. l .  h m2 ) et  (om. R)   R h  autem his  Ψ  autem hiis et  Φ  his  (s. l. m2)  autem et  Γ ;  Porph. p. 16, 6   δέ καί  speciebus propriis  R  8  post pr . proprium  add . de his  Ν Σ ,  s. l.  de propriis  Gm2  10 illud est primum  R  11  post proprium add. quoque  CH   (del. m2)   N  ac] et  C  13 si] et si  HN  risibilis  EGHNP  15  post quoque add. est commune  R, s. l. Lm2 ,  s. l . scil, commune est  Hm2  a genere (generis  Hm2 ) participatio est  HN  16 proprii] a proprio  Hm1N   ante  speciebus  add . a  H  ab  L (del. m2) NB, post add . suis  R  17 parti- cipat **  (ur  er .)  E  18 adheret  N  participatione  EGR  generi  E  ( ex genere  m2 )  R  19 aequale  EG  aequale proprium  R, post  aequa- lem  add. s. l . et proprii  Lm2, in mg . et proprium  Pm2   atque bos, sed in eo quod sunt animalia, aequaliter animalis, id est generis ad se uocabulum trahunt. Cato etiam et Cicero aequaliter risibiles sunt, etiamsi aequaliter non rideant; in eo enim quod apti ad ridendum sunt, dici risibiles possunt, non  quod iam rideant, aequaliter ergo ea quae sub genere sunt, suscipiunt genus, sicut ea quae sub propriis, propria. Tertium illud, quod sicut genus de speciebus propriis uniuoce praedi- catur, ita etiam proprium de sua specie uniuoce dicitur, genus enim quoniam substantiam speciei continet, non modo eius  nomen de specie, uerum etiam definitio praedicatur, pro- prium uero quia speciem non relinquit eamque semper sequitur nec in aliam speciem transgreditur nec infra subsistit, defi- nitionem quoque propriam speciebus tradit; cuius enim nomen uni tantum conuenit speciei cui coaequatur, dubitari non  potest quin eius quoque definitio speciei conueniat. quo fit ut sicut genus de speciebus, ita proprium de sua specie uniuoce praedicetur.    Differt autem, quoniam genus quidem prius est, posterius uero proprium; oportet enim esse animal,  dehinc diuidi differentiis et propriis, et genus qui-  18—p. 310, 13] Porph. p. 16, 8—18 (Boeth. p. 43, 18—44, 11).   1 eo] eodem  HLm2NR  2 ad se  om. EGR, s. l. Lm2  etiam  om. H  et  om. R  3  pr . aequaliter  om. C  6 suscipiant  Em1Lm1  genera  EGLPm2  gen.  ante  suscipiunt  HNP  7 illud] illud commune est  G quid  Cm1  9 enim  om. E  nomen eius  C  11 quia  om. EGLP  derelinquit  Lm2P  eamque] eique  HN  ei quae  R  ea quae  Pm1  ae- quatur  Pm2  12 definitio (diff-)  ELm2  (diffinitione  m1 )  Pm1 definitio enim  R  13 proprium  Ea.r.R  proprii  Ep.r.L  ( ras. ex  propriis,)  P  traditur  EGLm2Pm1 14 cui] uel ei  C  eique  HNPm2  (cuique  m1 ), et  (del. m2)  cui  L  aequatur  L  18 De proprietatibus  Δ ;  de Porph. cf. ad p. 105, 16  GENERIS ET PROPRII] EORVM P PROPRII] SPECIEI  L  19 Differunt  C edd . autem om. N autem genus et proprium  LR Δ2 ;  Porph. p. 16, 9 Διαφέρει δέ δτι τό μίν γένος  quidem om.  HNR  est  om. H  20 oportet—interimunt genera  (p. 310, 10) ]  LR Q ,  om. cett . 21  pr . et  om. L   dem de pluribus speciebus praedicatur, proprium uero de una sola specie cuius est proprium, et proprium qui- dem conuersim praedicatur de eo cuius est proprium, genus uero de nullo conuersim praedicatur, nam neque si animal est, homo est, neque si animal est, risi-  bile est; sin uero homo est, risibile est, et e conuerso amplius proprium omni speciei inest cuius est pro- prium, et soli et semper, genus uero omni quidem speciei cuius fuerit genus, et semper, non autem soli, amplius species quidem interemptae non simul inter-  p.101  imunt|genera, propria uero interempta simul in- terimunt ea quorum sunt propria, et bis quorum sunt propria interemptis et ipsa simul interimuntur.  Rursus tale proprium sumit, quod ad alterius comparationem proprium nuncupetur, dicit enim proprium esse generis prius  esse quam propria, oportet enim prius esse genus, quod ueluti materia differentiis supponatur, uenientibusque differentiis fieri speciem, cum quibus propria nascuntur, si igitur prius est  1 praedicatur]  R A m2 n   edd . praedicari  cett. codd. Busse  (propriis, et genus  distinguit, sed cf. 16  oportet  et p. 311, 9  Rursus differt);  Porph- p. 16, 11 κατηγορεΐται  2 una sola]  Porph.   ενός ,  cod. C add .  μόνοο  est  om.   Φ  6 si  R  homo est] homo et  ΔΑΠΨ  (et  er .), homo, et  Busse  homo est (est  s. l. m2 ) et  L; Porph. p. 16, 13  et  δέ άνθρωπος  et e conuerso] et conuerso  L h m1  et conuersim si risibile est homo est  R  si risibile est homo est  2 ;  Porph. p. 16, 14   καί εμπαλιν , add. ei  γελαστικόν, άνθρωπος   cod. C  8 et soli]  TA m2  et uni  Δ m1 ΑΣ  et uni et soli  LR ΠΦΨ ;  Porph. p. 16, 15   καί μόνψ  speciei quidem  2  9  post  speciei  add . inest  LR TA  ( s. l .)  ΠΦΦ-   (in mg. m2) edd. Busse, om .  Δ2   cum Porph . soli]  Porph. p. 16,16   και μόνω  10 species  s. l. L  propria  brm cum Porph . interempta  Φ  interimuntur  HL  11  post  genera  add.  quorum sunt species  A  propria] genera  brm Busse (in adn.) cum Porph. p. 16, 17 interimuntur  HΡ  12 ea  om .  Η ΤΦ  species  brm cum Porph . quarum  brm  et his— interemptis  om. EG  et] quare  edd., Porph. p. 16, 18   ώστε καί  13 in- teremptis  ante  et his  CP  et ipsa] et ipsa etiam propria  Φ  ipsa propria  2  interimuntur simul  CGLR ad 10—13 cf. p. 312, 13 ss . 14 Rursus  om. EG, s. l. Pm2 , sed  R  ad  om. H, s. l. Pm2  comparatione  HPm1  15 nuncupatur  Cm2Em2Ga.c.N  16  pr . esse  om. N, s. l. Pm2  uelut  N  18 species  Lm2  nascantur  N   genus quam differentiae, prius etiam differentiae quam species et speciebus propria coaequantur, non est dubium quin pro- pria generibus posteriora sint, ac per hoc quod dictum est, proprium esse generis prius esse quam propria, commune est hoc  generi cum differentia, differentiae enim species conformantes priores considerantur esse quam propria, siquidem speciebus ipsis priores sunt, quas propria ratione determinant, sed ut dictum est, hoc proprium ad differentiam proprii intellegendum est, non quale superius per se proprium constitutum est. Rursus  differt genus a proprio, quod genus quidem de pluribus praedicatur speciebus, proprium uero minime; nam neque genus est, nisi plures ex se species proferat, nec proprium, si alteri cuilibet speciei possit esse commune, fit igitur ut genus quidem plurimas sub se species habeat, ut animal  hominem atque equum, proprium uero unam tantum, sicut risibile hominem. Quo fit ut illa quoque differentia nascatur : genus enim praedicatur quidem de speciebus, ipsum uero in nulla praedicatione supponitur, proprium uero et species alterna praedicatione mutantur, fit enim praedicatio aut a maioribus  ad minora aut ab aequalibus ad aequalia, genus igitur, quod maius est, de speciebus omnibus praedicatur, species uero, quoniam minores sunt, de generibus non dicuntur, ut animal de homine dicitur, homo uero de animali nullo modo praedi- catur. at uero proprium, quoniam speciei aequale est, aeque  1 etiam] enim  Lm2  2et  om. EG  et si  H  4 est hoc]  HL  (hoc  del. m2 )  N  est et hoc  C  esse  Pm1  et hoc est  m2  est  EGR  5 diffe- rentia] differentiis  CHN  differentiae  om. EG  enim  s. l. Cm2, post species  EG  informantes prius  N  6 considerentur  Hm1R  esse  s. l .  Cm2  7 quam  G  8 hoc  om. EGR  10 a  om. NR  quod] quo- niam  L  de] a  C  12 proferet  Lm2  14 species sub se  C  16 quoque del. Em2, post add . proprietas  (s. l. Lm2)  ex  GL, s. l. Pm2  nascan- tur  Ep.c . 17 de speeiebus quidem  C  ipsis  CN  in  om. CN  19 mutuantur  La.c.Pm2  praedicatio  om. EGR, s. l. Lm2  20 quod] quoniam  E (in ros.) Gm2  21 est  s. l. Em2  praedicabitur  N  22 minora  CEGLm2P   praedicatur atque supponitur, ut risibile de homine dicitur - omnis enim homo risibilis est —, eodemque conuertitur modo; omne enim risibile homo est. Differt etiam proprium a genere, quod proprium uni et omni et semper speciei adest, genus uero ex his duo quidem retinet, in uno uero diuersum  est. nam speciebus suis et semper adest et omnibus, non uero solis; hoc enim haeret propriis, quod singulas tantum species continent, hoc generibus, quod plures. igitur propria quidem singulas optinent species, genera uero non singulas, adest igitur proprium uni soli speciei et semper et omni, genus uero omni  quidem et semper, sed non soli, ut risibile homini soli, ani- mal uero eidem homini, - sed non soli; praeest enim ceteris, quae inrationabilia nuncupamus. Praeterea si auferatur genus, species interimuntur nam si non sit animal, non erit homo —, si auferas species, non interimitur genus; nam si non  sit homo, animal non peribit, species uero et propria quoniam sunt aequalia, alterna sese uice consumunt; nam si non sit risibile, homo non erit, si homo non sit, risibile non manebit, consumunt igitur genera sub se positas species, non uero ab his inuicem consumuntur, species uero et proprium inuicem  perimuntur et perimunt.    1 supponitur] (sub-  HP )  CHm2Lp.c.P praeponitur  cett., recte?  2 enim  om. C locus  risibilis est—quidem speciebus  (p. 315, 7) bis in E scriptus, pag. 229—231 (E I ), ubi deletus est, et p. 232—234 (E II )  3 etiam  om. R, del. Lm1 , enim  m2  autem etiam  H  a genere pro- prium  C  a  om. R  4 speciei  s. l. Hm2  5 uero] quidem  E I qui- dem duo  CNB ,  om . quidem  E I  7 haeret propriis]  E III   GL  haeret (ł inerit  m2 ) tantum propriis  P  erat (erit  R ) tantum propriis (proprii  N ) esse  CNR  heret propriis uel aliter hoc enim erat tantum  H; ad  haeret  cf. p. 298, 4  tantum species—quidem singulas  om. E I  tan- tum  del. Lm2, s. l. Pm2 ,  post  species  NR  8 continerent  CHm2  con- tineret  N  contineant  Pm2  10 soli/////  E I  solius  E II G  11 sed] et  HN  soli homini  NP  13 inrationalia  H  auferamus  EGLPR  14 interi- mantur  L  erit] est  N  19 sub se positas] sibi  (om. H)  suppositas  HN  21 perimuntur] consumuntur  Lm2  perimunt] perimuntur  Lm2  pereunt  HNPm2     Generis uero et accidentis commune est de pluri- bus, quemadmodum dictum est, praedicari, siue separa- bilium sit siue inseparabilium; etenim moueri de  pluribus et nigrum de coruis et de hominibus Aethio- pibus et aliquibus inanimatis.  Nihil est quod inter cetera ita sit a generis ratione dis- iunctum, sicut est accidens, nam cum genus cuiuslibet sub- stantiam monstret, accidens uero a substantia longe disiunctum  sit et extrinsecus ueniens, nihil fere notius commune potest habere cum genere quam de pluribus praedicari, genus enim de pluribus praedicatur speciebus, accidens uero de pluribus non modo speciebus, uerum etiam generibus animatis atque inanimatis, ut nigrum dicitur de rationabili homine, de inra-  tionabili coruo et de inanijmato hebeno, album etiam de cygnoj  p. 102  et marmore, moneri de homine, de equo et de stellis ac de sagitta, quae sunt separabilis accidentis exempla.    1—6] Porph. p. 16, 19—17, 2 (Boeth. p. 44, 12—16).   1 GENERIBVS ACCIDENTIBVS  E I   E II   m1  ACCIDENTI  R de Porph. cf. ad p. 102, 7  2 Commune uero est generis et accidentis  2  Generi  N  Generibus  E I  accidentibus  E I   m1  3 praedicari  ante quemadmodum L siue—pluribus et]  LR Q ,  om. cett . separabile  2 m1  4 sit] sit accidens  2 inseparabile  2 m1  5  post  et  om. R  de  om .  E II HNR ΑΦ ,  recte?  homine  E III  omnibus  L A  ( ras. ex hominibus) hominibus  om. brm, delend. uid. Bussio; cf. p. 116, 5. 123, 22. 131, 2  homine Aethiope; Porph. p. 17, 1 κατά κοράκων καί Αίθ·ιοπων aethiopus EIII et (et de  G, del. m2 ) aethiopibus  GPm2 T2  6 ante aliquibus add. de  Gm2  in animis  E I ,  ante  inanimatis  add . naturis  H (del. m2), post CN , praedicari  Γ  ( in mg . praedicatur)  Φ ;  Porph.   καί tivmv άψΰχων  7 in ceteris  E III   GLm1P  9 a  om. R  10 uere  GR  uero ha- bere potest  C  11 enim] uero  C  14 rationabile  E III   a. c. Gm1  rationali  HNP post  homine  add . et  N  irrationali  HNP  15 ebeno  E III 16 marmore] de marmore  P   post  homine  add . et  N  17 sagitta]  CHLm1NPm1  (sagittis  m2 ) agitatis  E III   GR edd . ał de agitatis scil, rebus id est mobilibus  Lm2     Differt autem genus ab accidenti, quoniam genus ante species est, accidentia uero speciebus posteriora sunt; nam si etiam inseparabile sumatur accidens, sed tamen prius est illud cui accidit quam accidens, et  genere quidem quae participant, aequaliter partici- pant, accidenti uero non aequaliter; intentionem enim et remissionem suscipit accidentium participatio, generum uero minime, et accidentia quidem in indi- uiduis principaliter subsistunt, genera uero et species  naturaliter priora sunt indiuiduis substantiis, et genera quidem in eo quod quid sit praedicantur de bis quae sub ipsis sunt, accidentia uero in eo quod quale aliquid sit uel quomodo se habeat unum quod- que; qualis est enim Aethiops interrogatus dices  ‘niger’, et quemadmodum se Socrates habeat, dices quoniam sedet uel ambulat.    1—17] Porph. p. 17, 3-13 (Boeth. p. 44, 17—45, 9).   1 PROPRIIS] DIFFERENTIA  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  QVID INTER GENVS ET ACCIDENS SIT  Φ   (ex p. 116, 10)  2 genus  s. l. Hm2  ab  om .  HRE III   Δ  accidenti]  Δ  accidente  cett . 3 speciem  ΧΦ  posteriora  ante speciebus  C  inferiora  XA m1 AS  4 nam—unum quodque  (14) ]  LR Q ,  om. cett . si etiam] etsi etiam  ΓΦ  sed  om .  Γ  si  Σ  5 prius] plus  S  6 genere]  A m2   Busse  genera  cett. codd. edd . quae] quibus  A m1  aeque  Δ  7 accidenti]  p Busse  accidentia  codd. brm; ad 5  et— 7 cf. Porph. p. 17, 6 s. et infra p. 315, 12—14  enim  om. L in mg: figuram quandam habet   Δ ,  aliam (cf. ad p. 320,17)   Γ  9 uero  om. R  in  om .  Γ   Busse, s. l .  Rm2 A m2 K ;  cf. p. 315, 21; Porph. p. 17, 9   έπΐ τών άτομων  10 nero  om .  Δ  11  post  naturaliter  add.  non principaliter  LR AΑΦ ;  om. Porph. p. 17, 9  12 sit] est  LR A   ante  de  add.  et,  sed del.   ΓΔ  13 hiis  Φ  14  ante  quale  add.  et  R  sit]  cod. Q Bussii edd . est  cett. codd . quomodo  om. R  quodammodo  A m2  se  s. l.   A m2  habet  A m1  15 eat  ante  aethiops  ΔΑ , post  HΝ ΤΣΦ  enim  om. L  interrogatur  Φ  dices]  LRT  dicis  cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 15  respondebimus;  Porph. p. 17, 12   έρεΐς  16 quo- modo  Δ  habeat  ante socrates  A  habet  ΗR Φ  dices]  K m2  dicis  cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 16  dicemus;  Porph .  έρείς  17 ambulet  La.c.N   Differentiam generis et accidentis hanc primam proponit, quod genus quidem ante species sit, quippe quod materiae loco est et differentiis informatum species gignit, at uero accidens post species inuenitur. oportet enim prius esse cui  aliquid accidat, post uero ipsum accidens superuenire; nam si subiectum non sit quod suscipiat, accidens esse non poterit, quodsi genus quidem speciebus subiectum est nec possunt esse species, nisi eis genus ueluti materia supponatur, acci- dentia uero esse non possunt, nisi eis species supponantur.  manifestum est genus quidem esse ante species, accidentia uero post species. Rursus alia differentia, quoniam genus neque intentionem neque remissionem suscipere potest, quo fit ut quae participant genere, aequaliter eius nomen defini- tionemque suscipiant; omnes enim homines aequaliter animalia  sunt eodemque modo equi, nec non inter se homo atque equus et cetera animalia comparata aeque animalia praedicantur, accidentis uero participatio et intenditur et remittitur, inuenies enim quemlibet paulo diutius ambulantem, paulo amplius nigrum et in ipsis Aethiopibus considerabis omnes non aeque  nigro colore obductos. Alia quoque differentia est, quoniam omne accidens in indiuiduis principaliter subsistit, genera uero et species indiuiduis priora sunt; nisi enim singuli corui  1 et accidentis] ab accidentibus  HN  ponit  C  2  pr.  quod] quid  C  quoniam  (del. m2)  quod  E II  4  post  esse  add . aliquid  P, s. l. Lm2  5 si—sit] nisi sit subiectum  HN  nisi subiectum sit  R  6 quid  Cm1  potest  H  7 speciei  HN est] sit  N  nec] non  CEGLP  8 uelut  CEGLP  uel  R  supponitur  C  9 supponatur ( uel  subp-)  EGH 10  ante  manifestum  add . nam  EGLP  11  post  Rursus  add . uero  C post  alia  add . est  CGP  13 generi  CEGP  15 eodem  EHLR  18 paulo amplius nigrum paulo diutius ambulantem  HN post ambulantem  add . et  LR  19 et] et si (si  s. l, Lm2 )  LR  si  EGP  omnis  GLm2R  aequa nigredine coloris (coloris  del. Lm2 )  HLNP  20 obductus  EGLm1R ,  post  obd.  add . esse  C  est  EGLR  est  om. HN  21 in  om. CG  genera—priora sunt]  C  species uero et genera indiuiduis priora sunt HLm1N  genera uero speciebus et indiuiduis priora sunt  GP  genera nero et speciebus et indiuiduis posteriora sunt  Lm2  genera indiuiduis priora sunt  E  et indiuiduis posteriora sunt  R 22 singulariter  EGPR   nigredine infecti essent, comi species nigra esse minime dicere- tur. ita fit ut accidentia post indiuidua esse uideantur. nam si prius est id cui aliquid accidit quam illud quod accidit, nop est dubium prius esse indiuidua, posterius uero accidens, genera uero et species supra indiuidua considerantur; hoc  idcirco, quoniam de his omnibus praedicantur eorumque sub- stantiam propria praedicatione constituunt, sed dici potest genera quoque ipsa et species posteriora indiuiduis inueniri; nam nisi sint singuli homines singulique equi, hominis atque equi species esse non possunt, et nisi singulae species sint,  eorum genus animal esse non poterit, sed meminisse debemus superius dictum esse genus non ex his sumere substantiam de quibus praedicatur, sed de eo potius, quod differentiis con- stitutiuis eorum substantia formaque perficitur, itaque si genus quidem diuisiuis differentiis interemptis non perimitur, sed  manet in his quae eius constitutiuae sunt eiusque formam definitionemque perficiunt, cumque differentiae diuisiuae generis speciebus sint priores — ipsae enim species conformant atque constituunt —, non est dubium quin genus etiam pereuntibus speciebus possit in propria manere substantia, idem de spe-  ciebus dictum sit; species enim superioribus differentiis, non posterioribus indiuiduis informantur, quae cum ita sint, species quoque ante indiuidua subsistunt, accidentia uero nisi sint  12 superius] p. 300, 7—16.   1 essent  in ras. Lm2 , sunt  N  sint  R  2 esse  om. EGR  4 indiui- duum  CHN  5 super  CN  8 genera] de genere  R  quoque  om. R  quaeque  EGP  ipsa  om. EGPR  et species] atque species (specie  R )  LR  specieaque  N  9 nam nisi] nisi enim  EGR  nara nisi enim (enim  del. m2 )  C  homines—nisi singulae  (10) in mg. Em2  homi- nes  EN  10 et  om. EG  singulis  E  singuli  G  singulares  Lm2R  11 eorumque  Lm2 earum  brm  12 ex  del .,  his om. E  13 de eo] eo  Hm1N  ex eis  Hm2  de eis  Lm2  quod  del. Hm2, er. L , quo  GPR  14 eorum  om. Lm1  eius  R edd . quae eius  Hm2  de quibus eius  Lm2 substantiam formamque perficiunt  Hm2  normaque  N  15 diuisiuae ( post  differentiae  N ) differentiae interemptae non perimunt  HLN  16 eius- que] quae eius  C  quaeque eius  EGP  17 speciebus generis  LNR  20 permanere  Lm2R  23 quaeque  EG   quibus accidant, esse non possunt, nullis uero prius accidunt quam indiuiduis; haec enim generationi et corru|ptioni sup- p, 103·  posita uariis semper accidentibus permutantur. Illam quoque adnumerat differentiam quae est superius dicta, quod genus  quidem, quia rem demonstrat et de substantia praedicatur, in eo quod quid est dicitur, accidens uero in eo quod quale est aut in eo quod quomodo sese habet res. nam si qualitatem interroges, accidens respondebitur, ut si qualis est coruus, ‘niger’, si quomodo sese habeat, aliud rursus accidens, aut  ‘sedet’ aut ‘uolat’ aut ‘crocitat’. nam cum accidens in nouem praedicamenta diuidatur, qualitatem, quantitatem, ad aliquid, ubi, quando, situm, habitum, facere, pati, cetera quidem omnia in ‘quomodo se habeat’ interrogatione ponuntur, qualitas uero in qualitatis sciscitatione responderi solet. nam si interrogemur  qualis est Aethiops, respondebimus accidens, id est ‘niger’, si quomodo se habeat Socrates, tunc dicemus aut ‘sedet’ aut ‘ambulat’ aut superiorum aliquid accidentium.  Genus uero quo ab aliis quattuor differat, dictum  4 superius] p. 189, 4 ss. 195, 1 ss. 18—p. 319, 14] Porph. p. 17, 14—18, 9 (Boeth. p. 45, 10—46, 9).   1  pr.  accidunt  Lm1  accident  N prius  post  accidunt  C  2 post indi- uiduis  add.  quia indiuidna prima sunt quantum ad praedicationem  P, in mg. Lm2  4 adnumera  ( ann-  G) EG  annumerant  Hm1  dicta est superius  R est sepius  (corr. m2)  dicta  C  sepius  (corr. Hm2)  dicta est  HN  5 quidem  om. EGR  6 dicitur  om. N, s. l. Hm2 post  uero  add.  aut P 7se  H post  habet  add.  res  CLm1, del. m2  9se  EGHN  habet  Clm1  aliud rursus accidens] aliud uero accidens rursus  C  aut uolat aut sedet  HLN  10 croccit  Hm1  groccitat  N, post add . egrotat  P  nam] at  EGLm1  ac  (ut uid.) R  12 quanto  Em1  quan- tum  G  situm habitum quando  C post  omnia  add.  id est VIIII  Hm1, del. m2  13 habeant  Ep.c. Lm2P interrogationem  EGR  14 inter- rogemur]  C edd. (cf.p. 314, 15)  interrogemus  cett., recte? cf.p. 58, ss. 99, 23  15 respondemus  HNR  16 dicimus  EHLRbrm  17 aliquod  ELa.c.N  18 uero] uerus  Pa.c.  ergo  CHL (in ras. m2)   R Φ  enim  A ;  Porph. p. 17, 14   uiv ουν  quod  EGPm1Rm1 T<l>  ab]  ΔΣΨ ,  s. l.   Il m2, om. cett.  quattuor  om. G, s. l.   Δ m2   est. contingit autem etiam unum quodque aliorum differre ab aliis quattuor, ut cum quinque quidem sint, unum quodque autem ab aliis quattuor differat, quater quinque, uiginti fiant omnes differentiae, sed semper posterioribus enumeratis et secundis quidem  una differentia superatis, prop(??)terea quia iam sumpta est, tertiis uero duabus, quartis uero tribus, quintis uero quattuor, decem omnes fiunt, quattuor, tres, duae, una. genus enim differt a differentia et specie et pro- prio et accidenti; quattuor igitur sunt omnes diffe-  rentiae. differentia uero quo differat a genere dictum est, quando quo differret genus ab ea dicebatur; relinquitur igitur quo differat ab specie et proprio et accidenti dicere, et fiunt tres. rursus species quo  1 contingit—ad accidens  (p. 319,12) ]  LR Q , om. cett. contigit  R A m1 Y m1  2 aliis  om. Porph. p. 17, 15  quidem  om. L K   Busse; Porph.   μεν  3  post  sint  add.  res  L  unum quodque autem]  il m2 xP p  Busse  unum autem  Β ΤΜΙ m1 Σ  una autem  L ΑΦ  et unumquodque  brm; Porph. p. 17, 16   ίνος ϊέ εκάοτοο  aliis  om. Porph.  differt  Δ  4 uiginti  del.   A ,  pos t XX  add.  uel quinquies quattuor  Rm1  quater V. XX uel  del. et post  fiant  add.  uiginti  m2 fient  ΑΑ m1 Φ  fuerint  Γ   post  differentiae  add.  sed non sic se res  ( res  om. p)  habet  edd. cum Porph. p. 17, 17   άλλ’ οοχ οδτως εχει  set  om.   Γ  6 superatis] subtractis  ΓΦ   (ex  substr- )  quia] quoniam  L A  Busse  sumpta] subtracta  Γ  7 uero] autem  LR T<l'  duobus  R  8 omnes  om. L post fiunt  add.  differentiae  Γ   (s. l.)   Π m2 edd. Busse (sed om. etiam eius codd. LP) cum Porph. p. 17, 20  9 enim] autem  Γ  a  om.  Σ , s. l.  A m2  et specie et proprio] a specie a pro- prio  R  specie proprio  Σ  10 et  om.   Σ  accidente  R Σ  igitur quatuor  R  differentiae omnes  La.c.  generis differentiae  R; Porph. p. 17, 22   at διοφοραί  11 quo  om. R  differat]  La.c. ( a  del.)   Σ  differret  R differt  cett.  a  om. R  12 quo] quid  L A  Busse  quod  m1,   om.  A ; ubi  quo  est (hic et 11. 13. 14. 319, 1. 2. 3. 5. 7 bis), Porphyrius   π-j   scripsit (p. 17, 23 et 22. 24. 25. 26 bis. 18, 1. 2. 3. 4) differret]  LR Ψ  (alt. r s. l.)  differre  Λ  differt  ΓΙIΣΦ  13 igitur] ergo  2  quod  R A  differt  A a.c.  ab  Brandt  a  LR il , s. l.  A m2, om. cett.  et  om. Β ΤΑΣ  a  L  14 accidente  R ΓΔ2Φ  post  tres  add. differentiae  Λ   ( ei fiunt tres differentiae. rursus  in mg. m2)   11 m2 ( species  m1)   Γ   ( rursus differentiae  pos.) Busse (cum duobus suis codd.), om. cett. codd. edd. Porph. p. 17, 25 quidem quo  ΓΔ2Φ ;  Porph.   π-jj έν   quidem differat a differentia dictum est, quando quo differret differentia ab specie, dicebatur; quo autem differat species a genere, dictum est, quando quo differret genus ab specie dicebatur; reliquum est  igitur, ut quo differat a proprio et accidenti dicatur. duae igitur etiam istae sunt differentiae. proprium autem quo differat ab accidenti relinquitur; nam quo ab specie et differentia et genere differat, praedictum est in illorum ad ipsum differentia. quattuor igitur  sumptis generis ad alia differentiis, tribus uero dif- ferentiae, duabus autem speciei, una autem proprii ad accidens, decem erunt omnes, quarum quattuor, quae erant generis ad reliqua, superius demonstraui- mus.    Quoniam differentias atque communitates generis ad diffe- rentiam, ad speciem, ad proprium atque accidens persecutus est, idem quoque ad ceteras facere contendens praedicit, quot omnes differentiae possint esse quae inter se comparatis com-  1 differt  R A  quo] quid  A   Russe  quod  Lm1 \  2 differret]  Lm2 Rm2 Aß p.c. tfl p.c.  differet  Lm1Rm Uα a. c. ΦΨ a.c.  differt  Δ2  differtur  Γ differentia ab specie]  ΓΦΨ   ( sed  a,  scr.  ab  Brandt),  a  (s. l.  A m2)  specie  (s. l.  et  add.  Δ m2) differentia  ΔΔΣ   edd. Busse  species a  ( et  Ώ )  differen- tia  L H  differentia ab ea  R; Porph. p. 17, 26   ή διαφορά τού είδους  quod  A m1  3 differat]  L  differt  cett. (ex  differet  V )  a  om. R ϋϊ  quo] quid  Δ   Busse  quod  A  4 differret]  L yAIW  differet  R Φ  differt  ΓΑ2  4 ab specie]  Γ  a specie  L ΔIΙΔΦΦ  specie  2  ab ea  R  5 differt  R, add.  species  ΓΑΠΨΨ ,  s. l. Lm2; om. Porph. p. 18, 2  a  om.   2  accidenti]  L  acci- dente  cett.  dicitur  R  6 igitur  om.   2  7 autem  om. R, s. l.  h m2  ab  om.   Σ accidenti]  edd.  accidente  codd. fort.  relinquetur;  cf. Porph. p. 18, 3   χαταλειφθήσεται  8 ab  Brandt  a  ΓΦ ,  om. cett. pr.  et  om. R  differet  Λ m1  differret  m2  differt  A m1 2 , s. l.  proprium  add. Lm2  dic- tum  Σ  9 differentia  ante  ad ipsum  Σ  differentiis  Β ΓΑΦ ; Porph. p. 18, 5 ... διαφορά  11  pr.  autem] uero  A  ad accidens] et accidentis  ΓΔ«ι7ΠΦ ;  Porph. p. 18, 7   πρός τδ σορβεβηχος  13 erant] erunt  N  reliqua]  N Λm1ίΣΦΨ  reliquas  cett. (in mg.  ad aliquas  T m2); Porph. p. 18, 8 πρός τά άλλα  16  utrumque  ad  om. NR  17 idem quoque] idemque  Lm1NR  ad cetera  C  de ceteris  HLN  praedicit  om. R  nunc dicit  H  18 possunt  CHLm1N  commissisque  N   mixtisque rebus his quae supra propositae sunt efficiantur. sunt autem uiginti. nam cum quinque sint res, una quaeque res earum si a quattuor aliis differat, quinquies quater, uiginti differentiae fiunt, quod appositarum litterarum manifestatur exemplo. sint quinque res ueluti quinque litterae A B C D E.  differat igitur A quidem ab aliis quattuor, id est B C D E, fient quattuor differentiae. rursus B differat ab aliis quattuor, id est A C D E, erunt rursus quattuor; quae superioribus iunctae octo coniungunt. C uero tertia ab reliquis differt quattuor, scilicet A B D E; quae quattuor differentiae supe-  rioribus octo copulatae duodecim reddunt. quarta D reliquis quattuor comparetur differatque ab eisdem, id est A B C E, fient igitur rursus quattuor; quae superioribus duodecim ap- positae sedecim copulant. quodsi ultima E ab aliis quattuor differat, scilicet A B C D, fient aliae quattuor differentiae;  quae compositae prioribus uiginti perficiunt. et sit quidem  p.104]  huiusmodi descriptio : |    1 positae  EHLNP  efficiuntur  HN  2  ante  una  add.  et  HLNPR  res  om. HN  3 si  om. HN  a  om. R  uiginti  om. E  4 fiant  Rm2  5 uel  E  6 aliis] reliquis  HN  7 fiant  R  differt  Ha.c.LN  aliis] reliquis  L  8 id est  om. HN  9 ab]  codd. reliquis] aliis  L  11  ante  reliquis  add.  si  L, s. l. Pm2  12 differatque] differat aeque  EGP ( differt  m2) R  eis  GHNPm1R  13 fiunt  N  fiant  R  igitur  om. HN post  quattuor  add.  differentiae  HN  15 fiant  R  faciat  L  faciet  HN  aliae  om. H  alias  LN  differentias  HLN  16 superi- oribus  C  et sit quidem]  CGP  et quidem sit  R  et sic  (ex  si )  quidem est  E  quarum  ( quorum  LN)  quidem sit  HLN  17 discriptio  C figu- ram om. G (duae lineae uacuae) Hm1N, supra depictam dedimus ex E, eandem uarie exornatam habent R (post uerba  quattuor differentiae  supra 7)   Γ   (in mg ad locum p. 314, 7 ss.), litteras tantum omissis lineis   Quae cum ita sint, in generibus quoque et speciebus et ceteris idem considerabitur. erunt ergo quattuor differentiae, quibus genus a differentia, specie, proprio accidentique dis- iungitur; aliae rursus quattuor, quibus differentia a genere,  specie, proprio atque accidenti discrepat; rursus quattuor spe- ciei ad genus ac differentiam, proprium atque accidens; quat- tuor etiam proprii ad genus, differentiam, speciem atque acci- dens; quattuor insuper accidentis ad genus, differentiam, spe- ciem atque proprium. quae coniunctae omnes uiginti explicant  diflferentias. sed hoc, si ad numeri referatur naturam compara- tionisque alternationem; nam si ad ipsas differentiarum naturas uigilans lector aspiciat, easdem saepe differentias inueniet sumptas. quo enim genus differt a differentia, eodem differentia distat a genere, et quo differentia distat ab specie, eodem  species a differentia disgregatur, et in ceteris eodem modo. in hac igitur dispositione differentiarum, quam supra disposui, easdem saepius adnumeraui. atque si differentiarum similitudines detrahamus, decem fiunt omnino differentiae, quas ad prae- sentem tractatum uelut diuersas atque dissimiles oportet assu-  mere. age enim differat genus a differentia, specie, proprio  in mg. sup. add. Hm2, quaternas litteras ( B C D E  cett.) infra singulis litteris  A  cett. positas quadratis inclusas exhibet L; in C in mg. (litt. minusc.) hae duae figurae sunt, quarum posterior spectat ad p. 321, 20 ss. 323, 9 ss:   in P figura est per quinque ob- longa deorsum continuata, quorum primum hic proponitur  :  3 ab  CEGHP  accidentique] atque accidenti  ( -te  N) HN  4 dif- ferentiae  G  ab  CEGHNP  6 ac  om. N  ad  LP  10  post  hoc  add.  fiet  E (s. l. m2)  fit  H (s. l. m2)  niget  L (in mg.) R  13 adsumptas  R  differat  C  14 ab] a  R  17 saepius  om. EGPR, s. l. Cm2, post  ad- numeraui  L  adnumerauit  Cm2GP  atque)  EGP  at  CR  itaque  HLN  si  om. N  multitudines,  s. l.  ał similitudines  L  18 fient  edd.   atque accidenti, quattuor differentiis, quas supra iam diximus. item sumamus differentiam, distabit haec a genere primum, dehinc ab specie, proprio atque accident. sed quo discrepet a genere, iam superius explicatum est, cum diceremus quo  genus a differentia discreparet. detracta igitur hac comparatione, quoniam supra commemorata est, relinquuntur tres distantiae quibus differentia ab specie, proprio accidentique disiungitur; quae iunctae cum superioribus quattuor septem differentias reddunt. post hanc species si sumatur, quattuor quidem eius  essent differentiae secundum numeri diuersitatem, cum ad genus, differentiam, proprium atque accidens comparatur, sed priores duae comparationes iam dictae sunt. nam quo species differat a genere tunc dictum est, cum quid genus differret ab specie dicebamus, quid uero species a differentia distet commemo-  ratum est, cum differentiae ab specie dissimilitudines redde- remus. quibus detractis duae supersunt integrae atque intactae speciei ad proprium atque accidens discrepantiae; quae iunctae cum septem nouem differentias copulant. proprii uero si ad numerum differentiae considerentur, quattuor erunt, scilicet ad  genus, differentiam, speciem atque accidens comparati, quarum quidem tres superiores differentiae iam dictae sunt. nam quid proprium distet a genere, tunc dictum est, cum quid genus a proprio distaret ostendimus, rursus quid proprium a differentia discrepet, in colligenda distantia differentiae propriique superius  1 accidente  N  3 ab]  HN  a  cett.  accidente  HN  quod  L  dis- crepet] distet  HN  5 hac igitur  C  6 distantiae] differentiae  L  7 a  LN  accidenti  C  accidenteque  H  disiungitur  ante  ab specie  C  8 reddunt differentiae  C  9 sumatur] mutatur  E  11  ante  differentiam  add.  et HLNP ante  proprium  add.  et  P  cõpararetur  C  cõparantur  N  12 differat  post  genere  EN  13 a  om. EGHNP  differret]  GLm2Pm2R  differet  ΕLm1  differat  HNPm1  differt  C  ad speciem  R  ad specie  C  15 ab specie]  CG  a specie  EHLm2NP  ad speciem  Lm1R  17  post  speciei  add.  id est  EGP  18 differentias copulant] complent differen- tias  C  20 comparatae  Ep.c. (ex-ti) GHm2PR quorum  EGLm1R  21 quod  C  22 proprium—cum quid  om. EGR  distaret a pro- prio  H   demonstratum est, quid uero proprium distet ab specie, tunc expositura est, cum quid species distaret a proprio dicebatur. restat igitur una differentia proprii ad accidens, quae superio- ribus iuncta decem differentias claudit. accidentis nero ad  cetera possent quidem esse quattuor, nisi iam omnes proba- rentur esse consumptae. nam quid differat uel genus uel dif- ferentia uel species uel proprium ab accidenti, supra mon- stratum est, nec sunt diuersae differentiae accidentis ad cetera quam ceterorum ad accidens. itaque fit, ut cum sit quinque  rerum numerus, si prima assumatur, quattuor fiant differentiae, si secunda, tres, uincanturque secundae rei ad ceteras difte– rentiae a prima ad ceteras una tantum distantia; nam cum prima habuerit quattuor, secunda retinet tres. tertia uero si sumatur, duas habebit differentias, quae uincantur a primis  quattuor differentiis duabus; quarta si sumatur, unam habebit differentiam, quae uincitur a primis quattuor differentiis tribus, quinta uero quoniam nullam omnino habebit differentiam nouam, totis quattuor a prima differentiis superatur. atque hoc nume- rorum gradu quidem usque ad denarium numerum tenditur :  quattuor, tres, duae, una, ut generis quidem quattuor, diffe- rentiae uero tres, speciei duae, proprii una, | accidentis nullap p. 105  sit. et primae quidem generis comparationes quattuor nouas tenent differentias, secundae uero differentiae comparationes  1 uero  om. EGR  a  EGLR  2 cum] quando  R  5 cetera] extera  Cm1  6 differret  H  differet  N  7 accidente  CHN  monstrauimus  H  8  ante  diuersae  add.  plus  R, s. l. Lm2  10  ad  prima  s. l.  ł una res  Hm2  sumatur  HN  fient  C  11 uincanturque]  C (pr.  n  om.) Lm1  (iungantur  m2) N, m2 in HPR ( iungenturque  Rm1) , uincantur  EGHm1Pm1 12 primis  L  13 habuerat  C  habeat  Lm2NP  retineat  Lm2  14 diffe- rentias habebit  C  uincuntur  Lm1R  15 duabus  (s. l. E)  differentiis  EHN post  duabus  add.  distantiis  GR post  quarta  add. nero  R, s. l.  autem  Pm2  16  post  tribus  add.  subdistantiis  E  distantiis  G  17 habet  HL  18 primis  brm  hoc] ex hoc  HLN  numeri  HN  19 gradus  HLm1N  quidam  HN  20  post post.  quattuor  add. sint  CHm2L (del. m2) P  sunt  Hm1N  22 sit]  Rbrm  est  CEGLP, om. HN  et  om. EGR  quidem  s. l. Em2L, post  generis  C  23 teneant  HLm1NR   tres nouas tenent; una enim superius adnumerata est, uincitur autem a primis quattuor nouis differentiis una tantum. speciei uero tertia comparatio duas tantum habet differentias nouas, duas quippe superius adnumeratas agnoscimus, et uincitur a  quattuor primis duabus tantum differentiis nouis. proprium uero unam retineat nouam, quoniam tres habet superius ad- numeratas, uincaturque a prima nouis tribus differentiis, quinti uero accidentis comparationes quoniam nullam retinent nouam differentiam, totis quattuor a primis generis transcendantur.  atque ad hunc modum ex uiginti differentiis secundum numerum decem secundum dissimilitudinem contrahuntur. ut tamen has secundum dissimilitudinem differentias non in quinario tan- tum numero, uerum in ceteris notas habere possimus, talis dabitur regula quae plenam differentiarum dissimilitudinem in  qualibet numeri pluralitate reperiat. propositarum enim rerum numero si unum dempseris atque id quod dempto uno relin- quitur, in totam summam numeri multiplicaueris, eius quod ex multiplicatione factum est dimidium coaequabitur ei plura- litati quam propositarum rerum differentiae continebunt. sint  igitur res quattuor A B C D; his aufero unum, fiunt tres; has igitur quater multiplico, fient duodecim; horum dimidium  1 teneant  HLm1NR  ten.  post  nouas  CR  adnumera  (tamen  eat ) C  uincitur autem] et uincatur  HLm1 ( et  del.,  uincitur  m2) N  2 nouis quattuor primis  HN  4 adnumeratas  om., in mg.  enumeratas  G  uin- catur  Lm1  uincantur  HN uincuntur  C  6  ante  unam  add.  tantum  L, post EGPR  retinet  Lm2Pm2 edd.  7 uincanturque  N uincatur qua re  EG  uincitur haec  R  uinciturque  edd.  quinta  N  8 comparatio  Lm2N  retinet  HLN, post  nouam  HN  9 primis]  CLPH a.r.  primi  EGHp.r.NR  transcendentur  Lm2 transcendatur  N  transgrediantur  C  transcenduntur  edd.  11 tamen  er. uid. E  non  G (etiam post diffe- rentias  est  non )  13 uerum] uerum etiam  C  ceteris quoque  brm  notas]  Lm1N  notis  CEGHm2 ( totas  m1) Lm2PR  15 reperiat] pariat  Cm2Hm1N  17  post  numeri  add.  si  CHP simul  EG  18 ei  om. EGN  19 sunt  Lm1R  20 igitur] ergo  CEN  fiant  LR  21 hos  EGLPR post igitur  add.  si  N  tres  H  per totam summam  R  multiplica  C  multipli- cato  E  fiunt  HN  fiant  R post  horum  add.  si  L   teneo, sex erunt. tot igitur erunt differentiae inter se rebus quattuor comparatis : A quippe ad B et C et D tres retinet differentias, rursus B ad C et D duas, C uero ad D unam; quae iunctae senarium numerum complent. atque hanc quidem  regulam simpliciter ac sine demonstratione nunc dedisse suffi- ciat, in Praedicamentorum uero expositione ratio quoque cur ita sit explicabitur.      Commune ergo differentiae et speciei est aequaliter  participari; homine enim aequaliter participant par- ticulares homines et rationali differentia. commune uero est et semper adesse his quae participant; sem- per enim Socrates rationalis et semper Socrates homo.    Dictum est saepius ea quae substantiam formant, nec  remissione contrahi nec intentione produci; uni cuique enim id quod est, unum atque idem est. quodsi differentia spe- cierum substantiam monstret, species uero indiuiduorum, aequa- liter utraque ab intentione et remissione seiuncta sunt; quo  6 in Praedicamentorum expositione] p. 272 C. B—l3] Porph. p. 18, 10—14 (Boeth. p. 46, 10—14). 14 saepius] cf. infra.   1 teneo] sumo  N  sumo tenens  ( tenens  del. m2) H  si  (ex  sumo  m2)  teneo  L pr.  erunt  ante  sex  N, s. l. Hm2 post.  erunt  ante igitur  ( ergo  H) HL  2 detinet  HN  4 complent numerum  H  5 dedisse nunc  HN  8 DIFFERENTIAE ET SPECIEI]  plerique codd. fort. ex 9 sumptum, om.   Δ , SPECIEI ET DIFFERENTIAE  Γ2Φ , r ecte ut aid.; Porph. p. 18, 10   Περί τής κοινωνίας τής διαφοράς καί τοΰ είδοος ,  cod. Μ   Περί κοινών είδους καί διαφοράς  9 est  add. Hm2  10 homine—parti- cipant  (12) ]  LR Q , om. cett.  homini  R T a.c.  hominem  L \  11 ratio- nalem differentiam  L \ , post differentia  add.  nam omnes homines aequa- liter homines sunt et aequaliter rationales  Σ  12 et  del. uid.  Δ , om.  Ψ  his adesse  LR <t>  post  quae  add.  eorum  ΓΔΠΦ  13 enim  om. R  rationabilis  CEGPR U  Busse, add.  est  ΓΔΦ ,  s. l.  A m2  14 saepius  i. e. p. 250, 24 ss. 314, 5 ss. ; saepe  de duobus locis etiam p. 293, 18 dictum;  superius  P, fort. recte, cf. ad p. 317, 4. 337, 8  17 monstrat  HLNP  18 utraeque  CP  seiunctae  CGPR   fit ut aequaliter participentur. omnes enim indiuidui mortales aeque sunt atque rationales sicut homines. nam si idem est ‘esse’ homini quod est ‘esse rationale’, cum omnes homines aeque sint homines, necesse est ut sint aequaliter rationales. Aliud quoque commune habent quoniam ita differentiae sui partici-  pantia non relinquunt ut species. semper enim Socrates rationalis est—Socrates enim rationabilitate participat —, semper homo est, quia scilicet humanitate participat. ut igitur differentiae sui participantia non relinquunt, ita species his quae ea parti- cipant, semper adiuncta est.     Proprium autem differentiae quidem est in eo quod quale sit praedicari, speciei uero in eo quod quid est : nam et si homo uelut qualitas accipiatur, non sim-  11— p. 327, 16] Porph. p. 18, 15—19, 3 (Boeth. p. 46, 15-47, 11).   1 mortales—sicut homines]  ( sunt  ex  sint  Lm2, add.  homines  Lm1, del. m2,  sunt  del. Pm2;  atque Lm1Pm2  et  HLm2Pm1;  sicut  del. et  sunt  scr. Pm2) HLP  aeque mortales atque rationabiles sunt ut homines  C  aeque  (s. l. m2)  mortales  (ex  -lis  m2)  sunt atque rationabilis  (sic)  sunt  (part. ras. ex  sicut  m2)  homines  E  mortales sunt atque  ( atque sint  N)  rationales sicut homines  NR  mortalis atque rationabilis sicut homines  G  2 nam—homines  (4) om. N  idem est]  E ( est  in mg.) HR  idẽ  CL  id est  ( ẽ  G) GP  est  del. Lm2  3 esse  post  ration.  EL, repetit. post ration.  P, om. CH  rationali  R  rationalis  Lm1  rationabile  G  rationa- bili  E  rationabilis  Lm2P  5  ante  commune  add.  est  H  habent  om. HR, s. l. EL ( n  del. m2)  differentia  R  6 relinquit  R relinquent  Pm1  derelinquunt  Lm1  rationabilis  EG  7 rationabilitati  CGP  rationalitate  HN post semper  add.  enim  G  8 quia  ex  qua  Em2  humanitati  EGLP  differentia  HLNR  9 relinquit  HLNR  par- ticipent  E  11 SPECIEI ET DIFFERENTIAE  ( DIFFERENTIIS  E) ΕG ΤΖΦ , recte ut uid. , DE PROPRIIS EORVM  ( EORYNDEM  Ψ ) Ρ Ψ ;  Porph. p. 18, 15   Περί τής διαφοράς τού εϊδοος και τής διαφοράς ,  cod. Μ   Περί τών ιδίων ειδοος και διαφοράς  12 autem  om. Η uero  C Q  quod  ex  quid  C  13 species  EGHNP  uero  om. H  autem  Busse  eo quod] quo  Γ  est] sit  R  14 nam—generationem  (p. 327, 15) ]  LR Q ,  om. cett.  accipitur  A m1  non]  R ΓΔΈ  cum Porph. p. 18, 17  hic non  L  non hic  A m2 H  Busse  non sic  Λ m1 Σ  non homo  Φ   pliciter erit qualitas, sed secundum id quod generi aduenientes differentiae eam constituerunt. amplius differentia quidem in pluribus saepe speciebus con- sideratur, quemadmodum quadrupes in pluribus ani-  malibus specie differentibus, species uero in solis his quae sub specie sunt indiuiduis est. amplius diffe- rentia prima eat ab ea specie quae est secundum ipsam; simul enim ablatura rationale interimit homi- nem, homo uero interemptus non aufert rationale, cum  sit deus. amplius differentia quidem componitur cum alia differentia — rationale enim et mortale compositum est in substantia hominis —, species uero speciei non componitur, ut gignat aliam aliquam speciem; qui- dam enim | equus cuidam asino permiscetur ad muli  p. 106   generationem, equus autem simpliciter asino num- quam conueniens perficiet mulum.  Expositis communitatibus quantum ad institutionem per- tinebat differentiae et speciei, eorundem nunc dissimilitudines colligit dicens quoniam differunt, quod species in eo quod  quid sit praedicatur, differentia uero in eo quod quale sit. huic differentiae poterat occurri. nam si humanitas ipsa, quae species est, qualitas quaedam est, cur dicatur species in eo quod quid sit praedicari, cum propter quandam suae naturae  1 sed] id  (del.) R  3 considerantur  Δ  4 pluribus]  Porph. p. 18, 20   πλείστων ,  cod. B   πλειόνων  6 specie] una specie  R Γ  ( sunt  ante specie )   ΛΨ ;  Porph. p. 18, 21   άκο το είδος  7 prima  ante  differentia  Δ  prior  edd.fort· recte cum Porph.   κροτέρα;   cf. p. 328, 32  superioris ab ea] et  Γ  ab ea—ipsam] ab ea quae est secundum se specie  2  8  post  ipsam  add.  differentiam  Δ   (del. m2)   Λ  10 deus] angelus  LR  ponitur  Δ  12 sub- stantiam  edd. cum Porph. p. 19, 1   εις οπδστοσιν  speciei] specie  R  13 aliquam  ante  aliam  T\A ,  post  speciem  2  14 equus] asinus  Σ  asinae  Φ  equae  Σ  15 equus] asinus  2  autem  om. N enim  C ΔΛ2  asinae  Pm2  conueniens numquam  2  16 mulum perficiet  CEG  perfici ad mulum  R 17 Positis  N  instructionem  H  18 eorum  L  earundem  edd.; cf. indicem Meiseri s.  neutrum 20 differentiae  C  uero  om. CGP  autem  R post  sit  add.  qua inter se differunt differentia et species  Hm1, del. m2  21 huic] nunc  G  differentia  G  22 dicitur  CLm2  praedicatur  GR   proprietatem quaedam qualitas esse uideatur? huic respondemus, quia differentia solum qualitas est, humanitas uero non est solum qualitas, sed tantum qualitate perficitur. differentia enim superueniens generi speciem fecit; ergo genus quadam differentiae qualitate formatum est, ut procederet in speciem,  species uero ipsa, qualis quidem est, secundum differentiam illius quae est pura ac simplex qualitas, qua scilicet perficitur et conformatur, qualitas uero ipsa pura simplexque nullo modo est, sed ex qualitatibus effecta substantia. itaque iure diffe- rentia, quae pure ac simpliciter qualitas est, in eo quod quale  est sciscitantibus respondetur, species uero in eo quod quid sit, licet ipsa quoque quaedam qualitas sit non simplex, sed aliis qualitatibus informata. Rursus illa quoque differentia est, quia plures sub se species differentia continet, species uero tantum indiuiduis praesunt. rationabilitas enim et hominem  claudit et deum, quadrupes equum, bouem, canem et cetera, homo uero solos indiuiduos. atque in aliis speciebus eadem ratio est. idcirco enim definitiones quoque secutae sunt, ut differentia uocaretur quod in pluribus specie differentibus in eo quod quale sit praedicatur, species uero quod de pluribus  numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur. Ideo etiam superioris naturae sunt differentiae, quoniam continentes sunt specierum. nam si quis auferat differentiam, speciem  1 respondebimus  G  3 tantum  om. EG  solum,  s. l.  ał tantum  L  4 facit  CLN  5 formatum est  s. l. Gm2  6  ad  qualis  s. l.  ł quali- tas  Hm2 post  quidem  add.  non  EGP (del. m2), in mg. Hm2  9  post  sed  s. l.  hec  L  iure itaque  C  11 species—quid sit  in mg. Gm2  12 sit] est  HN, add.  iure respondetur  CG (in mg. m2) LP  13 rursum  E, add.  differentiae et speciei  C  illa  om. E  ipsa  CGP post  quoque  add.  his  HN  differentia est] differunt  in ras. E est om. P  in hoc a specie distat  G  15 uero  om. CEGP  rationalitas  HΝ  16  post  quadrupes  add.  enim  P, s. l. Lm2  canem  om. C  camelum  R  17 sola indiuidua  Lm2R  19  pr.  in] de  Pm2  20 praedicetur  HLN species—praedicatur  om. E  21 praedicatur] dicatur  GHLPm1  22  post  differentiae  add.  quam species  CLP  speciebus  N post  quoniam  add.  enim  HLN  23 sunt  ( erunt  L) post  specierum  EGL, ante  conti- nentes  R  nam  om. LR, post  quis  s. l.  enim  Lm2   quoque sustulerit, ut si quis auferat rationabilitatem, hominem deumque consumpserit, si uero hominem tollat, rationabilitas manet in speciebus reliquis constituta. est igitur differentiae specieique distantia quod una differentia plures species con-  tinere potest, species uero nullo modo. Alia rursus est differentia, quoniam ex pluribus differentiis una saepe species iungitur, ex pluribus speciobus nulla speciei substantia copu- latur. iunctis enim differentiis mortali ac rationali factus est homo, iunctis uero speciebus nulla umquam species infor-  matur. quodsi quis occurrat dicens quoniam permixtus asino- equus efficit mulum, non recte dixerit. indiuidua enim indi- uiduis iuncta indiuidua rursus alia fortasse perficiunt, ipse uero equus simpliciter, id est uniuersaliter, et asinus uniuer- saliter neque permisceri possunt neque aliquid, si cogitatione  misceantur, efficiunt, constat igitur differentias quidem plurimas ad unius speciei substantiam conuenire, species uero in alterius speciei naturam nullo modo posse congruere.      Differentia uero et proprium commune quidem  habent aequaliter participari ab his quae eorum par- ticipant; aequaliter enim rationalia rationalia sunt et risibilia risibilia. et semper et omni adesse com-  18—p. 330, 4] Porph. p. 19, 4—9 (Boeth. p. 47, 12—19).   1 rationalitatem  HN  2 aero] quis  R  rationalitas  HLa.c.N  3 est  om. CEGP  4 specieqne  R  et species  C  distant  C  distantia est  EGP  species] significationes  Em1  5 differentia est  C  6 saepe  om. EGR post  pluribus  add.  uero  R  8 enim] etiam  Lm1  igitur  Lm2Pm1  10 asinae  HLm2  11 perficit  GP  12 perficiant  Lm1R  14 nec.. nec  C  neque permisceri possunt  om. EGR  neque aliquid] non aliquid  EGR  cogi- tatione si  HN  18 COMMVNIBVS] d e Porph. cf. ad p. 102, 7  20 par- ticipari] praedicari  L  ab his—dicitur  (p. 330, 2) ]  LR Q , om. cett.  ab  om.  Σ , del.  A m2  21 post enim  s. l.  quae  T m2  rationalia rationalia]  Tk m2 <t>W m2 edd. rationalia rationabilia  Π  rationalia  A2<V m1  rationabilia  LR & m1  rationabilia rationabilia  Busse  sunt  om. R, s. l.  h m2  22 et  er. uid.  Δ  post.  risibilia  om. LR \2 , post add.  sunt  codd., om. L cum Porph. p. 19, 6   mune utriusque est. si enim curtetur qui est bipes, sed ad id quod natum est semper dicitur; nam et risibile in eo quod natum est habet id quod est semper, sed non in eo quod semper rideat.    Nunc differentiae propriique communia continua ratione per-  -sequitur. commune enim dicit esse proprio ac differentiae quod aequaliter participantur — aeque enim omnes homines rationa- biles sunt, aeque risibiles —, illud, quia substantiam monstrat, istud, quia est aequum proprium speciei et subiectam speciem non relinquit. Aliud etiam his commune subiungit : aequa-  liter enim semper differentia subiectis adest ut proprium; semper enim homines rationabiles sunt, ut semper quoque risibiles. sed obici poterat non semper esse bipedem hominem, cum sit bipes differentia, si unius pedis perfectione curtetur. quam tali modo soluimus quaestionem. propria et differentiae  non in eo quod semper habeantur, sed in eo quod semper naturaliter haberi possunt, semper dicuntur adesse subiectis.  1 utrisque  ΓΛΣΦ  si] sine  R ΓΦ  qui est] quies  R  quidem  L A  post  bipes  add. non substantiam  ( substantia  ΑΦ )  perimit  ( perimitur  Ψ ) L ΑΨ  Busse (in adn. deleri mauult) , non substantia perit  ( peribit  Σ )   ΓΠΣΦ p ,  om. Rbrm, Porph. p. 19, 8, Boeth. in comment.  2 sed] ta- men  R  ad id quod] ad quod  L AΠ  (post  est  repet.  ad id )   Σ   Busse  ad id ad quod  Ψ , ad id  post est  h m1 post  est  add.  habet et id quod est  L A  (del. m2)  2 , ‘fortasse  id quod est  recipiendum’ Russe : Porph. p. 19, 8   αλλά πρός το πεοοχένοι το   ( το  om. Μ)   άει λέγεται  nam  -om. R  3 in eo] eo  EGLR A m1  ad  C 72  id  Ρ Π  ad id  *F  aliquod  N  habet id quod est semper]  C ( id  s. l. m1?) L hA  ( "habet—est  del. m2), pro  id  exhib.  hoc  H  et id  Σ , est  om. N  habet semper  Ρ Π  habet  EG semper dicitur  ΓΦΨ ,  om. R  4 sed—rideat] in  om. C, in mg. Hm2,  in quod semper rideat  EG non quod semper rideat  R Ψ ; Porph.   έπε'ι ναι τό γελαστικόν τώ πεφυχέναι έχει τό αεί, άλλ' ο όχι τώ γελάν άει  6 enim] autem  Lm2P  dicitur  CEGR  proprii  C  7 rationales  Cm2ELm2P  8 atque  NR  9 istud] illud  EGHN (add.  risibilis ) P  aequum  om. H  aeque  EG, recte?  propriae  EGLPR  et  om. EG  ac  N  subiectam  om. C  subiectum  EGPm1  10 reliquit  ELa.c.  etiam his] hic etiam  HN  11 subiectis  s. l. Gm2  12 rationales  Cm2HN  15  ante  propria  add.  et  HNP (del. m2), s. l. Lm2  propriae  CEGPm2  proprii  R  et  om. CE, del. Pm2  16  post  in] ex  HN   si enim quis curtetur pede, nihil attinet ad naturam, sicut nihil ad detrahendum proprium ualet, si homo non rideat. haec enim non in eo quod adsint, sed in eo quod per naturam adesse possint, semper adesse | dicuntur. ipsum enim semper;  p. 107   non actu esse dicimus, sed natura. numquam enim fieri potest, ut per naturae ipsius proprietatem non semper homo bipes sit, etiamsi potest fieri, ut pede curtetur, etiam si deminuto pede sit natus; in his enim non speciei atque substantiae, sed nascenti indiuiduo derogatur.      Proprium autem differentiae est quoniam haec qui- dem de pluribus speciebus dicitur saepe, ut rationale de homine et de deo, proprium uero de una sola spe- cie, cuius est proprium. et differentia quidem illis  est consequens quorum est differentia, sed non con- uertitur, propria uero conuersim praedicantur quorum sunt propria, idcirco quoniam conuertuntur.    Distat a proprio differentia, quia differentia plurimas species  10—17] Porph. p. 19, 10—15 (Boeth. p. 48, 1—7).   1 curtetur quis  N  nil  C  attinet  s. l. Lm2, post  naturam  R  2 ad  om. EG  ualet  om. EGR  3  pr.  in  om. CEH, s. l. Lm2Pm2 , ab  Gm1, del. m2 post.  in  om. EGNP, s. l. Lm2  4 possunt  HN  dicuntur semper adesse  R  5 actum... naturam  E  umquam  Ea.c.G  7 potest  om. EG, post  fieri  L , postea  (om.  fieri ut ) HN  pede]  HLm1N  ambo pede  Em1GR utroque pede  Em2Lm2P;  ambobus curtetur pedi- bus  C ante  etiam  (om. C) add.  uel  CL (s. l. m2) R  diminuto  CEGLPR  8 pede  om. C  sit natus] nascatur  C  10  de inscript. ap. Porphyr. cf. ad p. 105, 16  11 autem] uero  Δ  quoniam] quod  ΓΦ  12 saepe— conuertitur  (15) ]  LR Q , om. cett.  saepe  om. Lm1R, ante  dicitur  Lm22 ;  Porph. p. 19, 11   λέγεται πολλά*ις  rationabile  R  13  post , de]  A ,  om. cett.; cf. Porph. p. 19, 12 et infra p. 332, 3  deo]  ii  angelo  R  deo et angelo  L; cf. Porph. p. 19, 12 adn. ante  proprium  add.  et  Δ  uero  om. R  de una]  L 4 m2 4'  in una  R ΓΔ m1 ΠΣ  una  Φ ;  Porph.   έφ’ ένός   post  specie  add.  dicitur  Δ  16  post  praedicantur  add.  de his  Δ   (s. l. m2) edd.  ex his  Σ  hiis  Φ ,  om. Porph. p. 19, 14  18  post.  diffe- rentia  om. C  plurimis  R plures  L  pluribus  EG  speciebus  Em2GR   claudit ac de his omnibus praedicatur, proprium uero uni tantum speciei cui iungitur adaequatur. rationale enim de homine atque de deo, quadrupes de equo et ceteris animalibus, risibile uero unam tantum tenet speciem, id est hominem. unde fit ut differentia semper speciem consequatur, species  uero differentiam minime. proprium uero ac species alternis sese uicibus aequa praedicatione comitantur. sequi uero dicitur, quotiens quolibet prius nominato posterius reliquum conuenit nuncupari, ut si dicam ‘omnis homo rationabilis est’, prius hominem, posterius apposui differentiam; sequitur ergo dif-  ferentia speciem. at si conuertam nomina dicamque ‘omne rationabile homo est’, propositio non tenet ueritatem; igitur species differentiam nulla ratione comitatur. proprium uero et species quia conuerti possunt, mutuo se secuntur : omnis homo risibilis est et omne risibile homo est.     Differentiae autem et accidenti commune quidem est de pluribus dici, commune uero ad ea quae sunt  16—p. 333, 3] Porph. p. 19, 16—19 (Boeth. p. 48, 8—12).   1 clauditur  EGRm2  claude his  (sic) ml  2 cui iungitur] coniungitur  Lm1N, add.  et  L  rationabile  CGLPR  3  pr.  de  om. CH, er. L post  deo  add.  praedicatur  R, s. l. Lm2 post  quadrupes  add.  uero  R  et ceteris] ceteris  E  ceterisqne  GP  6 ac] et  E  7 aeque G R ( -(??)e )  comitentur  HN  comitatur  ex  commitetur  Rm2  sequi] si quid EGPm1  8 quotiens  om. EG, s. 1. Pm2  qualibet re  ( re  s. l. Pm2)  prius nominata  HLNPm2R reliquam  HLm2NPm2  reliqua  Lm1Rm2  uero qua  m1  9 rationalis  Cm2HN  est  om. N  10 posterius  ex  prius  Em2  opposui  EG  posui  Lm1R  ergo] enim  E  11 at] et  Hm1  nomina] ut  (in ras. Lm2)  prius differentiam nominem  HNP, in mg. Lm2  12 rationale  HN  propositi  CG proposita oratio  in ras. E  13 nulla ratione differentiam  C  proprium—secantur  in mg. sup. Hm2  14 sequuntur  PRm2  sequntur  E ante  omnis  add.  ut  L, post add.  enim  HNP  15 et  om. EG, s. l. Lm2  est  om. R  16 ACCI- DENTIS ET DIFFERENTIAE  E  ΕΤ] uel  P  ACCIDENTI  C de in- script. ap. Porphyr. cf. ad p. 102, 7  17 accidentis  Cm2 il  commune— adesse  om. N  18  post uero  add.  est  Ρ ΑΠ  Busse, om. Porph. p. 19, 18   inseparabilia accidentia, semper et omnibus adesse; bipes enim semper adest omnibus coruis et nigrum esse similiter.    Duo quidem differentiae et accidentis communia proponit,  quorum unum separabilibus et inseparabilibus accidentibus cum differentia commune est, ab altero uero separabile acci- dens segregatur. tantum uero inseparabile secundo communi concluditur. est enim commune differentiae cum omnibus acci- dentibus de pluribus praedicari; nam et separabilia et inse-  parabilia accidentia sicut differentia de pluribus speciebus et indiuiduis praedicantur, ut bipes de coruo atque cygno et de his indiuiduis quae sub coruo et cygno sunt, nuncupatur. item de eodem coruo atque cygno album et nigrum, quae sunt inseparabilia accidentia, praedicantur. ambulare enim uel  stare, dormire ac uigilare de eisdem dicimus, quae sunt acci- dentia separabilia, reliqua uero communitas ea tantum acci- dentia uidetur includere quae sunt inseparabilia. nam sicut differentia somper subiectis speciebus adhaerescit, ita etiam inseparabilia accidentia numquam uidentur deserere subiectum.  ut enim bipes, quod est differentia, numquam coruorum spe- ciem derelinquit, ita nec nigrum, quod accidens inseparabile est. differentia enim idcirco non relinquit subiectum, quoniam eius substantiam complet ac perficit, accidens uero huiusmodi,  1  post  semper  add.  in eodem genere  P  omni  R; Porph. p. 19, 18   παντί   post omnibus  add.  hominibus et  L  hominibus  Λ   (del. m2)  2 nigrum esse]  ΓΛ»ηίΨ  nigris  ( nigros  Hm2)  esse  EGHm1  nigredo esse  L  nigrum adest  \A m2  nigrum  CNΡR ΙΙΣΦ  Russe; Porph. p. 19, 19   τότε μέλαν είναι   (sic Μ,  μέλασιν είναι  Βm2  μέλαν  eett.)  4 quaedam  HΝ  et] atque  ΗΝ  5 sepa- rabilibus  om. G, s. l. Em2  6 uero] autem  E  7 uero] enim  R, recte? post  inseparabile  add. accidens  L  accidens cum inseparabilibus differentiis  in mg. Hm2  secunda communione  HLP 10 differentiae  CEGLm2P  11 et de his—cygno  om. H, —cygno sunt  om. EGR  12 nuncupantur  G  praedicatur uel nuncupatur  C  14 praedicantur—separabilia  (16) om. N  enim  s. l. C  etiam  H 15 isdem  CPm2  hisdem  ER  dicitur  LP  17  post  inseparabilia  add.  accidentia  C  19 accidentia inseparabilia  HN  de- serere uidentur  C  20 corui  N  21 est inseparabile  C  22 subiectum non relinquit  C  derelinquit  Lm1  23  post  huiusmodi  add.  est  edd.   quia non potest separari; neque enim possit esse accidens inseparabile, si subiectum aliquando relinquit.      Differunt autem quoniam differentia quidem con- tinet et non continetur — continet enim rationabi-  litas hominem —, accidentia uero quodam quidem modo continent eo quod in pluribus sunt, quodam uero modo continentur eo quod non unius accidentis sus- ceptibilia sunt subiecta, sed plurimorum, et differen- tia quidem inintentibilis est et inremissibilis, acci-  dentia uero magis et minus recipiunt. et inpermixtae quidem sunt contrariae differentiae, mixta uero con- traria accidentia.    Huiusmodi quidem communiones et proprietates dif- ferentiae et ceterorum sunt, species uero quo quidem  p. 108 differat a genere et differen|tia, dictum est in eo quod dicebamus, quo genus differret a ceteris et quo dif- ferentia differret a ceteris.    Post differentiae et accidentis redditas communitates nunc de eorum differentiis tractat. ac primum quidem talem proponit.  3—18] Porph. p. 19, 20—20, 10 (Boeth. p. 48, 13—49, 4).   1  post.  posset  Lm1  potest  HLm2NPR post  accidens  repet. esse  G , 3  uel  4  litt. er. L  2 reliquerit  H  relinqueret  N  3 ACCIDENTIS ET DIFFERENTIAE  Γ EARVNDEM  C  EORYNDEM  E de inscript. ap. Poiphyr. ef. ad p. 105, 16  4 Different  Cm1 Differt  L ΣΐΑηιΐ m1 Φ  post  autem  add.  differentia ab accidenti  Γ  5 et  om. GHP  continet— sunt  (15) ]  LR il , om. cett.  enim] autem  L  rationalitas  ΓΑ a.c. Π2ΦΨ  6 quidem  om.   Δ2  7 sint  L ΓΔΛΠΦ»ιί m1 | ·uero  post  modo  Ψ ,  del.   ΓΦ   (ut uid.)  9 sint  A  10 intentibilis  ΓΣ   Busse inintensibilis  edd.; Porph. p. 20, 4   άνεπίτατος;   ef. Roensch, Collect. phil. p. 299 12 post  uero  add.  sunt  ΛΦ  14 Huiuscemodi  Δ  15 quod  EGR  quidem  om.   2  quidam  Em2G  16 a  om. EGH 2 differentiae  E  est  om. C  17 quo] quod  R A m1  differet  R  differt  CEGP 2  a  om. ΕGΗΡR ΤΠ,ΣΦ quod  EGR is m1  18 differet  R  differat  L A  differt  G 2  a  om. EGHR TWZ  19 reddit has  E communicantes  Rm1  communiones  m2  20 primam  HN  quidem  om. HN  tale  C   differentia, inquit, omnis speciem continet. rationabilitas enim continet hominem, quoniam plus rationabilitas quam species, id est homo, praedicatur : supergressa enim substantiam hominis in deum usque diffunditur. accidentia uero aliquando  quidem continent, aliquando continentur. continent quidem, quia quodlibet unum accidens speciebus adesse pluribus con- sueuit, ut album cygno et lapidi, nigrum coruo, Aethiopi atque hebeno, continentur uero, quoniam plura accidentia uni accidunt speciei, ut uideatur illa species plurima accidentia continere.  cum enim Aethiopi accidit ut sit niger, accidit ut sit simus, ut crispus, quae cuncta sunt accidentia Aethiopis, species, quod est homo, omnia quae habet intra se plurima accidentia uidetur includere. huic occurri potest : quoniam differentiae quoque aliquo modo continentur, aliquo modo continent, ut  rationabilitas continet hominem—plus enim quam de homine praedicatur —, continetur quoque ab homine, quia non solum hanc differentiam homo continet, uerum etiam mortalem. re- spondebimus : omnia quaecumque substantialiter de pluribus praedicantur, ab his de quibus dicuntur non poterunt conti-  neri; quo fit ut differentiae quidem non contineantur ab specie, etsi sint differentiae plures quae speciem forment. accidentia uero continentur, quoniam accidentia speciei substantiam nulla praedicatione constituunt; nam nec proprie uniuersalia dicuntur  1 omnis speciem] species  R rationalitas  HNP  2 rationalitas  HNP  3 substantia  N  4 aliquando—aliquando] aliquo modo quid  N  7  ante  lapidi  s. l.  pario  Em2 post  nigrum  add.  ut  CEGLP, ante edd. ante  Aethiopi  add. et  E  8 continentur uero]  HLm2NP  continentur- que  cett.  9 plura  HN  10 enim] etenim  N ad simus  s. l.  naribus pressis  E  12  ex  quod  part. ras.  quae  Cm2  quod est] quidẽ  G ante  intra  add. et  E  plurima  om. EGH  13 occurri] opponi  HN  14  pr.  aliquo modo] aliquando  EGLm2P post. aliquo modo  om. N  aliquando  Em2Lm2P  15 rationalitas  H  17 homo] nomen hominis  HN mortale  edd.  respondemus  HN  respondebimus contra haec  GLPR  18 praedicantur de pluribus  C  20 a  R  21 sunt  H  differentiae  om. HN  speciem forment]  CEGP  speciem formant  Lm(??) ( informent  m2 hrm) N  formant speciem  H  informant speciem  R  22 con- tineantur  HN  23  ad constituunt  in mg.  ał subsistunt  Hm2   accidentia, cum de speciebus pluribus dicuntur, differentiae uero maxime. quae enim quorumlibet uniuersalia sunt, ea neoesee est eorum quorum sunt uniuersalia, etiam substantiam continere. qno fit ut quia differentiae substantiam monstrant, intentione ac remissione careant — una enim quaeque substantia  neque contrahi neque remitti potest —, at uero accidentia quoniam nullam constitutionem substantiae profitentur, intentione cre- scunt et remissione decrescunt. Illa quoque eorum est dif- ferentia, quod differentiae contrariae permisceri, ut ex his fiat aliquid, non queunt, accidentia uero contraria miscentur et  quaedam medietas ex alterutra contrarietate coniungitur. ex rationabili enim et inrationabili nihil in unum iungi potest, ex albo uero et nigro coniunctis fit aliquis medius color.    Expositis igitur distantiis differentiae ad cetera restat de specie dicere, cuius quidem differentias ad genus ante colle-  gimus, cum generis ad speciem differentias dicebamus. eiusdem etiam speciei distantias ad differentiam diximus, cum differentiae ad species dissimilitudines monstrabamus. restat igitur speciem proprii et accidentium communioni coniungere, tum differentia segregare.     Speciei autem et proprii commune est de se intri- cem praedicari; nam si homo, risibile est, et si risi-  21—p. 337, 4] Porph. p. 20, 11—15 (Boeth. p. 49, 5—10).   1 pluribus speciebus  HN  2 maximae  EH, add.  dicuntur uniuersalia et  ( et  om. R)  proprie  Lm2 (in mg.) R 4 ut  om. CG, s. l. Lm2  5 una quaeque enim  HNR  6 quoniam] quia  E  7 profitentur] monstrant  R ante  intentione  add.  et  HN  9 his] se  C  10 misceantur  N  permiscen- tur  R  et] ut  C  11 coniunguntur  LN  fiat  C  12 rationali  C ( bi  s. l. er.) HN  inrationali  HN  in unum]  L  in  om. cett.; cf. indicem Meiseri s.  unus 13  post color s. l.  ut uenetns  Pm2  15 ad genus— differentias  om. EG  16 dicebamus] diximus  EGP  17 diximus] dice- bamus  C  19 proprio  HLm1NP  accidenti  Lm1  accidenti tum  HPm2  accidentique  (om.  et ) N  communione  HLm1NP  tunc  R  20 disgre- gare  N  21  de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7  23 nam—dictum est  (p. 337, 4) ]  LR Q , om. cett. post  homo  add.  est  ΔΣ ,  s. l.  A m2  et si]  ΔΕΈ  et  L ΓΛΠΦ  ita et  R post  risibile  add.  est  ΔΣΨ   bile, homo est – risibile uero quoniam secundum id quod natum est sumi oportet, saepe iam dictum est —; aequaliter enim sunt species his quae eorum partici- pant et propria quorum sunt propria.    Commune, inquit, habent propria atque species ad se ipsa praedicationes habere conuersas. nam sicut species de proprio, ita proprium de specie praedicatur; namque ut est homo risi- bilis, ita risibile homo est; idque iam saepius dictum esse commemorat. cuius communitatis rationem subdidit, eam scilicet,  quia aequaliter species indiuiduis participantur, sicut eadem propria his quorum sunt propria. quae ratio non uidetur ad conuersionem praedicationis accommoda, sed potius ad illam aliam similitudinem, quia sicut species aequaliter indiuiduis participantur, ita etiam propria; aeque enim Socrates et Plato  homines sunt, sicut etiam risibiles. itaque tamquam aliam communionem debemus accipere quod est additum : aequaliter enim sunt species his quae eorum participant et pro- pria quorum sunt propria. an magis intellegendum est hoc modo dictum, tamquam si diceret ‘aequalia enim sunt species  et propria’? nam quia species eorum sunt species quae spe- ciebus ipsis participant, et propria eorum propria quae|pro-  p.109  priis participant, proprium atque species aequaliter utrisque sunt, id est neque species superuadit ea quae specie parti-  8 saepius] cf. infra.   1 est  om. R ante  secundum  add.  et  A   (s. l.) Busse, om. Porph. p. 20, 13  id  om.   J!  2 natum]  Porph. p. 20, 14   κατά τό πεοοχέναι γελάν  sumi oportet]  LR  dicitur  Q ;  Porph.   ληπτεον 3 sunt  om.   Φ ,  post  spe- cies  P  earum  R, ex  eorum  ut uid.  5 m2  7 ita—est homo  in mg. Hm2 praedicamus  EGHm2P p.c.R  namque  om. N  nam  R  8 ita homo risibile est  E  ita est risibile homo  R  iam] etiam  C  saepius]  HN  superius  cett. (recte?); cf.  saepe  2, et ad p. 317, 4. 325, 14 10 qua  CGLP  eadem] eodem modo  E  11 ratio] puto  Em2  12 accommo- data  edd.  13 qua  CGEm1P ante  indiuiduis  add.  ab  HNR, s. l. Lm2  14 participatur  H  18 ac  Lp,c.Pm2  est  om. C 19 aequa- liter  N  20  post  propria  add.  quorum sunt propria  C  21 et propria— atque species] atque proprium species  N  23  post.  speciei  EGLP   cipant, neque propria superuadunt ea quae propriis participant. cumque haec propria specierum sint. propria, species ac pro- pria aequalia esse necesse est atque inuicem praedicari.    Differt autem species a proprio, quoniam species  quidem potest et aliis genus esse, proprium uero et aliarum specierum esse inpossibile est. et species quidem ante subsistit quam proprium, proprium uero postea fit in specie; oportet enim hominem esse, ut sit risibile. amplius species quidem semper actu adest  subiecto, proprium uero aliquando potestate; homo enim semper actu est Socrates, non uero semper ridet, quamuis sit natus semper risibilis. amplius quorum termini differentes, et ipsa sunt differentia; est autem speciei quidem sub genere esse et de plu-  4—p. 339, 3] Porph. p. 20, 16—21, 3 (Boeth. p. 49, 11—50, 2). 14 quorum—differentia] Abaelardus II, Introduct. ad theolog. p. 94; Theo- log. christ. p. 488; De unit, et trinit. diuina p. 58 Stoelzle.   1 nec  CELN  2 haec  om. LN, del. uid. E  sunt  EHa.c.N, add.  et  CE (del.) GH (del.) P (del. m2)  propriis  (post  sint ) E (del.) G  proprii  Ha.c.  4 DE PROPRIETATIBVS  Δ  DE DIFFERENTIA  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  5 a  om. GHLNR, s. l. Pm2 il m2  6 et  om R SΣ ; Porph. p. 20, 17 cod. BM   χαί  proprium—praedicari  (p. 339, 2) ]  LR Q , om. cett.  et  om. Porph.  9 post  R Σ  post  enim  add.  ante  L  ut]  Porph. p. 20, 20   Ινα xai ( Voti   om. cod. M)  ut sit  s. l.  \ m2  11 potestate]  Porph. p. 20, 21   xol δονάμε:  12 enim] uero  L est  om. R  non uero semper]  ΔΛΠΨ   edd. Busse  non semper autem  Γ2Φ  semper autem non  LR; Porph. p. 20, 22   γελά δέ oix αεί ;  cf. infra p. 340, 4  13 quamquam  (uel  quan- )   L ΓΦ  natura  in ras.  A m2  14 termini] definitiones  (uel  diff- ) LR ΓΦ , ad  termini  s. l.  ł diffinitiones  \ m2 differentes]  ΓΑ  differentes sunt  Δ»ιίΠ2Φ  differunt  LR s m2 ii} ; Porph. p. 20, 23   ων οί οροί διάφοροι ; quo- rum termini, id est diffinitiones  ( id est diff.  om. p. 94)  sunt differentes  ( sunt differentiae  p. 488) , ipsa quoque sunt differentia  Abaelard.  15 spe- cies  R, post  speciei  s. l. diffinicio  A m2  quidem]  R T\ m2 (in ras.)  Ψ brm Busse in adn.,  semper  \ m1 (ut uid.)  All/ p Busse in contextu , esse semper  L  quidam terminus  Σ ; quidem sub genere semper esse  Φ   ante sub  add.  et  L A  Busse; Porph.   εατιν δέ ειδοος uev το οπδ τό γένος είνα:   ribus et differentibus numero in eo quod quid est praedicari et cetera huiusmodi, proprii uero quod est soli et semper et omni adesse.    Primam proprii et speciei differentiam dicit quoniam species  potest aliquando in alias species deriuari, id est potest esse genus, ut animal, cum sit species animati, potest esse hominis genus. sed nunc non de his speciebus loquitur quae sunt specialissimae, atque hunc confundere uidetur errorem, quod cum de his speciebus dicere proposuerit quae essent ultimae,  nunc de his quae sunt subalternae et saepe locum generis optineant disserit. propria uero nullo modo esse genera possunt, quoniam specialissimis adaequantur; quae quoniam genera esse non queunt, nec propria quae sibi sunt aequalia, genera esse permittuntur. Rursus species semper ante subsistit  quam proprium—nisi enim sit homo, risibile esse non poterit —, et cum ista simul sint, tamen substantiae cogitatio praecedit proprii rationem. omne enim proprium in accidentis genere collocatur, eo uero differt ab accidenti, quia circa omnem solam quamlibet unam speciem uim propriae praedicationis  continet. quodsi pviores sunt substantiae quam accidentia, species uero substantia est, proprium uero accidens, non est dubium quin prior sit species, proprium uero posterius. Dis- 1 est] sit  2   edd.; cf. p. 340, 13. 341, 22  2 praedicari]  Porph. p. 21, 2   ■κατηγορούμενον είναι post  huiusmodi  add.  praedicari  I m1, del. m2  pro- prium  R  quod est  om.   ΓΦΨ ,  del.  \ m2;Porph. τό μονω προοείνα;.  3 soli et omni et semper  Λ  semper et soli et omni  2  scilicet semper et omni  Gm1, ante  scilicet  in mg.  sali et semper  m2  4  ad  dicit  s. l.  dicunt  Έ  5 diriuari  EGNPR  7 specialissimae sunt  H  8 hunc  s. l. L  nunc  N  hinc  C  hic  Em2  uidetur confundere  C  9 essent] sunt  L  11 genera  s. l. Lm2, ante  esse  HRS  13 non queunt] nequeunt  L  non pos- sunt  NR  14 permiitunt  C ( ur  er.) N  species—subsistit] species est semper ante  C  15 homo sit  LPR  16 ista] ita  CLa.c.  18 uero]  Brandt  enim  codd. edd.  accidente  CNR  quia] quod  L  19 speciem  om. H propriae  del. Lm2  20  post  continet  add.  accidens autem quando continet, ad multas species potest diffundi  EL. (in mg. inf. m2) Pbrm  21 accidens—proprium uero  om. R  22 uero  om. EG, s. l. Pm2  Decernuntur  GHLP  Disterminantur  E   cernuntur etiam species a propriis actus potestatisque natura; species enim actu semper indiuiduis adest, propria uero ali- quotiens actu, potestate autem semper. Socrates enim et Plato actu sunt homines, non uero semper actu rident, sed risibiles esse dicuntur, quia tametsi non rideant, ridere tamen poterunt.  natura itaque species et proprium semper subiectis adest, sed actu species, proprium uero non semper actu, uelut dictum est. At rursus quoniam definitio substantiam monstrat, quorum diuersae sunt definitiones, diuersas necesse est esse substantias; speciei uero et proprii diuersae sunt definitio-  nes, diuersae sunt igitur substantiae. est autem speciei definitio esse sub genere et de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicari; quam superius frequenter expositam nunc iterare non opus est. proprium uero non ita : definitur : proprium est quod uni et omni et semper speciei  adest. quodsi definitiones diuersae sunt, non est dubium spe- ciem ac proprium secundum naturae suae terminos discrepare.      Speciei uero et accidentis commune quidem est de pluribus praedicari; rarae uero aliae sunt communi-20  18—p. 341, 2] Porph. p. 21, 4-7 (Boeth. p. 50, 3—6).   1 species  om. EHP, s. l. Lm2, ante  etiam  G  a propriis  in ras. Lm2,  a  (om. R)  proprio  Pm2R  actu  CHLm1N  2  post  uero  add.  non semper  ( actu  s. l. add. Lm2)  sed  EGLPR  3 actu  om. EG, del. R, s. l. Lm2  autem semper  om. EGR  4  ante  sunt  add.  semper  N  5 quia  om. HN, s. l. Lm2  tametsi] etiamsi  C  potuerunt  N  pos- sunt  R  non  (del. E)  poterunt  EG  6  ante  species  add.  e(??)  R, ras. L  ad- est] adsunt  H  7 uelut] ut  NR  9 diuersas—definitiones  (10) om. N  11 igitur—speciei] substantiae igitur. est speciei autem  H  substantiae— de pluribus  in mg. inf. Gm2  speciei definitio] diffinitio speciei spe- cies  C  12 sub genere esse  HΝ  14 opus non  H  ita definitur,  om.  non  Hbrm, er. E;  ita, <sed> definitur  Brandt, cf. p. 347, 4  15 spe- ciei  om. H  18  de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7  19 uero] autem  H  est quidem  C  20 sunt aliae  HRT   tates propterea, quoniam quam plurimum a se distant accidens et id cui accidit.    Speciei atque accidentis similitudinem communem dicit de pluribus praedicari; de pluribus enim dicitur species, sicut et  accidens. raras uero dicit esse alias eorum communiones idcirco, quoniam longe diuersum est id quod accidit et cui accidit. cui enim accidit, subiectum est atque suppositum, quod uero accidit, superpositum est atque aduenientis naturae. item quod supponitur substantia est, quod uero uelut accidens  praedicatur, extrinsecus uenit. quae omnia multam eius quod est subiectum et eius quod est accidens differentiam faciunt. tamen inueniri etiam aliae possunt speciei et accidentis inse- parabilis communitates, ut semper adesse subiectis — aeque enim homo singulis hominibus | semper adest et inseparabilia  p. 110   accidentia singulis indiuiduis praesto sunt —, et quod sicut spe- cies de his quae indiuidua continet, aeque de pluribus accidentia indiuiduis praedicantur; nam homo de Socrate et Platone, nigrum uero atque album de pluribus coruis et cygnis quibus accidit nuncupatur.      Propria uero utriusque sunt, speciei quidem in eo quod quid est praedicari de his quorum est species,  20—p. 342, 15] Porph. p. 21, 8—19 (Boeth. p. 50, 7—20).   1 quam  om. ΗL ΣΑΛ'Ψ  (recte?), s. l.   Π m2 , quem  R  qui  (ut uid.) N; Porph. p. 21, 6   itXststov  distant  ante  a se  Δ   (s. l. m2)   A , a se  om. N  2  ante  accidens  add.  et  Γ id  om.   12 ,  s. l. Pm2 , hoc  Σ ;  Porph. p. 21, 7   *a\ το m οομβέβηχβν  accidunt  Em1P  3 atque] et  HL  accidens  Έ  dicit  om. E, s. l. Lm2Pm2  de  s. l. Lm2  5 dicit alias,  post er.  esse  uid. C  7 atque] et  H  8 est  om. EGHP  adueniens  EPm1  accidentis  N  11 et eius] eius est  E  12 possunt) sunt  E  insepa- rabiles  Cm1GP  13 subiectis semper adesse  HN post  adesse  add.  possunt  E  15 sicut]  L (s. l. m2) Rbrm, om. cett. codd. p  16 conti- nent  H ante  accidentia  add.  ut  CH  17 praedicatur  G  et  om. EGHPR  20 ET  om. R de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 105, 16  21 in] et  C 22 est] sunt  Hm1  sit  Σ  praedicare  EGm1P , praedi- catur  2  de his  om.   Σ  hiis  Φ  quorum—in eo] in eo accidentis autem quorum est species  Φ   accidentis autem in eo quod quale quiddam est uel aliquo modo se habens; et unam quamque substantiam una quidem specie participare, pluribus autem acci- dentibus et separabilibus et inseparabilibus; et spe- cies quidem ante subintellegi quam accidentia, uel si  sint inseparabilia — oportet enim esse subiectum, ut illi aliquid accidat —, accidentia uero posterioris generis sunt et aduenticiae naturae. et speciei quidem participatio aequaliter est, accidentis uero, uel si inseparabile sit, non aequaliter; Aethiops enim alio  Aethiope habebit colorem uel intentum amplius uel remissum secundum nigredinem.    Restat igitur de proprio et accidenti dicere; quo enim proprium ab specie et differentia et genere differt, dictum est.   Quod nunc proprium speciei et accidentis se exequi polli- cetur, tale proprium intellegendum est quod, ut superius dictum est, ad comparationem dicitur differentium rerum. species enim in eo quod quid est praedicatur, accidens uero in eo quod quale est. qua differentia non ab accidentibus solis species  2 unam quamque—4 inseparabilibus] Abaelardns II, Introduci. ad theolog. p. 89; Theolog. christ. p. 479. 17 superius] p. 297, 9. 301, 5.   1 quale] quale est  N  quidem  CEm1  quidam  m2  uel—habens  om. CEGHN  2 aliquo modo] quomodo  ΓΦ ;  Porph. p. 21, 10   πώς ;  cf. supra p.128, 10 adn.  et—nigredinem  (12) ]  LR Q , om. cett.  3 unam  R  qui- dem  om. Abaelard.  participari  L ΓΔΣ a.c. Φ praedicari  \ m1  autem] uero  L Abaelard.  4  tert. et om.   Γ  5  post  quidem  add.  sane  L ΓΛ  (s. l. m2)  ΙIΣΦ  Busse, om. R ΛΨ  cum Porph. p. 21, 12 post  subintel- legi  add.  potest  Lpr  possunt  bm; Porph.   w\ τά piv είδη προεπινοεΐται  uel  om.   Φ   ad  uel si  s. l.  etiamsi  K m2  6 inseparabilibus  R  8 generis  om. R  aduentiuae  R  9 aequalis  Λ  accidens  L T m1 A m1  10 alio Aethiope]  Porph. p. 21, 16   ΑίίΚοπος  13 accidente  HNR ΔΣ , ante er.  de  P  14 enim] etiam  H  a]  cod. Q Bussii (om. cett.) edd. (cf.p. 344, 9),  ab  scr. Brandt  speciei  Ca.r.EGR  et  om. CEGHPR differen- tiae  GR  15 differt  om. L  differat  ΦΣ  distat  R  est dictum  H, add.  in illorum differentiis ad ipsum  2  18 dicatur  R  20 est  om. GP, post add.  praedicatur  H   discernitur, uerum etiam a differentiis ac propriis, nec solum species ab eisdem, uerum etiam genus. praeterea quod species in eo quod quid est praedicatur, accidens uero in eo quod quomodo sese habeat, id quoque commune est cum genere;  genus quippe ab accidenti in eo quod quid est et quomodo se habeat praedicatione diuiditur. Item unam quamque substantiam una uidetur species continere, ut Socratem homo, atque ideo Socrati una tantum propinquitas est species hominis. rursus indiuiduo equo una species equi est proxima, itemque  in ceteris; uni cuique enim substantiae una species praeest. at uero uni cuique substantiae non unum accidens iungitur; uni cuique enim substantiae plura semper accidentia super- ueniunt, ut Socrati quod caluus, quod simus, quod glaucus, quod propenso uentre, et in aliis quidem substantiis de numero  accidentium idem conuenit. Dehinc semper ante accidentia species intelleguntur. nisi enim sit homo cui accidat aliquid, accidens esse non poterit, et nisi sit quaelibet substantia cui accidens possit adiungi, accidens non erit. omnis autem sub- stantia propria specie continetur. recte igitur prius species,  accidentia uero posterius intelleguntur; posterioris enim sunt, ut ait, generis et aduenticiae naturae. nam quae substantiam non informant, recte aduenticiae naturae esse dicuntur et posterioris generis; his enim substantiis adsunt quae ante dif- ferentiis informatae sunt. Rursus quoniam species substantiam  1 decernitur  Rm2  ac  s. l. Lm2  a  EGH  et a  P  3 praedicatur  post  species  H  quod  om. E, s. l. Gm2  4 se  EP  habet  LR  id—habeat  (6) om. R  est commune  H post  est  add.  speciei  L   (s. l. m2) brm  5 accidenti]  edd.  accidente  codd.  quod  om. E  8 propinquitate  EPm1  propinqua  L  species est  LR  9 est equi  H  item  H  10 una—substantiae  in mg. Hm2  13 quod simus  om. C  15 accidentium  ex  accommodantium  Hm2 post conuenit  add.  dicere  R  ante  om. C  16 accidit  CHLNPR, recte?  18 autem  del. Lm2  enim  P  20 uero  om. R, in mg. Lm2  posterius] postremo  R  enim] uero  CE  21 generis ut ait  CR  nam quae] nam  Rm1  namque  EG  nam quia  CN  22  ante  recte  add.  ideo  EGL (s. l. m2) P (del. m2)  esse  om. H   monstrat, substantia uero, ut dictum est, intentione ac remis- sione caret, speciei participatio intentionem remissionemque non suscipit. accidens uero uel si inseparabile sit, potest inten- tionis remissionisque cremento et detrimento uariari, ut ipsum inseparabile accidens quod Aethiopibus inest, nigredo. potest  enim quibusdam talis adesse, ut sit fuscis proxima, aliis uero talis, ut sit nigerrima.    Restat nunc proprii communiones ac differentias persequi. sed quo proprium differat a genere uel specie uel differentia. superius demonstratum est, cum quid genus uel species uel  differentia a proprio distaret ostendimus. nunc reliqua ad com- munitatem uel differentiam consideratio est, quid proprium accidentibus aut iungat aut segreget.      Commune autem proprii et inseparabilis accidentis  est quod praeter ea numquam constant illa in quibus considerantur; quemadmodum enim praeter risibile non subsistit homo, ita nec praeter nigredinem sub-  14—p. 345, 2] Porph. p. 21, 20-22, 3 (Boeth. p, 51. 1—6).   1 demonstrat  H  ac] et  H  2 remissionemque] ac remissionem  H  3 si  s. l. CLm2  4 in  (del. m2)  incremento  H  decremento  R edd.  uti  R  ita  E  5  ante  nigredo  add.  ut  Hm1N  id est  s. l. Hm2  6 fu- scis]  La.c. edd.  fuscus  Lp.c. et cett.  aliis uero]  edd.  uero aliis  codd. ( uero  s. l. Lm2)  8  post  proprii  add.  et accidentis  N  ac] ad  EGLm1  9 quo]  Cm2 (part. ras. corr.)  quod  Cm1EGLm1NPR  quid  HLm2; cf. p. 342, 13  10 quid] quod  N  quicquid  E  uel differentia uel species  H  11 a  s. l. Lm2  12 uel] et  N  quod  E  quae  Hm2LR  13 iungit  EGHm1LPm1R  segregat  LPR  separet  N  14 ACCIDEN- TIS]  Porph. p. 21, 20 cod. Μ   σομβεβηχοτος ,  cett.   τοδ άχωρίστοο σομβεβη- αότος ;  de Porph. cf. etiam ad p. 102, 7  16 est  post  commune  L, ante  accidentis  AA m1  accidentis inseparabilis est  m2  praeter ea] prop- terea  Φ  constant]  CH Busse (coll. p. 159, 7)  consistant  EGNPR h m1 A p.c. W   edd.  consistunt  L A a. c.   112Φ  consistent  r\ m2  illa  post  quibus  N  17 quemadmodum—Aethiops  (p. 345, 1) ]  LR Q ,  om. cett.  18 ita  om.   2 ,  s. l.   A m2  subsistit] non subsistit  A m2; Porph. p. 22, 1   ΰποσταίη dv   sistit Aethiops, et quemadmodum semper et omni adest proprium, sic et inseparabile accidens.    Quoniam proprium semper adest speciebus nec eas ullo  p. 111  modo relinquit quoniamque inseparabile accidens a subiecto  non potest segregari, hoc illis inter se uidetur esse commune, quod ea in quibus insunt, praeter propria uel inseparabilia accidentia esse non possint. inseparabilia uero accidentia com- parat, quoniam, ut in specie dictum est, rarissimae sunt speciei atque accidentis similitudines. quocirca multo magis proprii  atque accidentis communitates difficile reperiuntur. accidens enim in contrarium diuidi solet, in separabile accidens atque in inseparabile, quae uero sub genere in contrarium diuiduntur, ea nullo alio nisi tantum generis praedicatione participant. quodsi proprium inseparabile quoddam accidens est, a separabili  accidenti plurimum differt, atque ideo nullas proprii et separa- bilis accidentis similitudines quaerit. sed quia ipsum proprium certis quibusdam causis ab inseparabilibus accidentibus differt, horum et communitates inueniri possunt et inter se differentiae. quarum una quidem ea est quam superius exposuimus, secunda  uero quoniam sicut proprium semper et omni speciei adest, ita etiam inseparabile accidens; nam sicut risibile omni homini et semper adest, ita etiam nigredo omni coruo et semper adiuncta est.    8 ut in specie dictum est] p, 340. 20.   1 et omni  om. H  et  om. R; Porph. p. 22, 2   παντι και άεί  2 sic  om. P  sicut  C  et  om. R  3 semper  om. H  4 quodque  Hm1  5 inter se  post  commune  H  6 ea in] eam (m  del. m2) H  insunt] sunt  R, add.  ipsa propria et inseparabilia accidentia sunt  E (del. et s. l.  glosa est  scr. m2) L (in mg. m2, om.  sunt)  P (om.  sunt) uel] et  LNR  7 possunt  EHLm2NP  uero  s. l. Cm2 ante  comparat  s. l.  proprio  Cm2, post s. l.  scil. proprio  L  8 sunt  post  accidentis  H  10  ante  accidens  add.  scilicet  E  11 enim] uero  R  12 sub genere  om HΝΡ, del. Lm2  14 quiddam  CL  quoddam  post  est  H  16 simili- tudines—accidentibus  in mg. Em2  17 causis  om. EG  rationibus  Lm2PR  18 differentiae] dissentiae uel differentiae  H  19 est ea  H  21  post  accidens  add.  est  H  22 et semper  om. H  et semper adest  s. l. Gm2 post.  et]  N edd., om. cett.     Differt autem quoniam proprium uni soli speciei adest, quemadmodum risibile homini, inseparabile uero accidens, ut nigrum, non solum Aethiopi, sed etiam coruo adest et carboni et hebeno et quibusdam  aliis. quare proprium conuersim praedicatur de eo cuius est proprium et est aequaliter, inseparabile autem accidens conuersim non praedicatur. et pro- priorum quidem aequaliter est participatio, acciden- tium uero haec quidem magis, illa uero minus.    Sunt quidem etiam aliae communitates uel proprie- tates eorum quae dicta sunt, sed sufficiunt etiam haec ad discretionem eorum communitatisque traditionem.    Proprii atque accidentis prima quidem differentia est quia proprium semper de una tantum specie dicitur, accidens uero  minime, sed eius praedicatio in plurimas diuersi generis sub- stantias speciesque diffunditur. risibile enim de nullo alio nisi de homine praedicatur, nigrum uero, quod est inseparabile quibusdam accidens, tam coruo quam Aethiopi, quae diuersa sunt specie, tum coruo atque hebeno, quae differunt generi-  bus, non tantum specie, praesto est. quo fit ut propriis quidem  1—13] Porph. p. 22, 4—13 (Boeth. p. 51, 7—17).   1 PROPRII ET ACCIDENTIS]  CP W ,  item Porph. p. 22, 4 cod. M  ( των αυτών   plerique cett. ), ACCIDENTIS ET PROPRII  cett., nisi quod  EORV II EORVNDEM  Ψ ;  de Porph. cf. etiam ad p. 105, 16  2 Dif- ferunt  CG ΔΣΦ ;  Porph. p. 22, 5   διενήνοχεν  proprium  om.   Σ  3 risi- bili  N  inseparabile—minus  (10) ]  LR Q ,  om. cett.  4 soli  L A‘l>  5 etiam] aeque  R  hebeno  plerique codd., item 20. p. 347, 7  6 proprium est  ΓΦ  7  post.  est]  ΓΔ   (del. uid.)   ΙΙΣΦΨ   cum Porph. p. 22, 8, om. LR A Busse  8 autem] uero  ΔΛ   Busse  conuersim non] nec conuersim  A  proprii  R A m2 2  proprium uero  Φ  9 aequaliter]  R 2 ,  coni. Busse , aequalis  cett.; Porph. p. 22, 9   και τών μέν ιδίων έπίτης ή μετοχή  10 hae  Δ  11 uel]  Porph. p. 22, 11   τέ καί  12 earum  C  dictae  CEGHP  hae  N  et  R  13 traditionem  ex  distractionem  E  contradictionem  Gm1  14 est  om. H  16 praedicatio eius  H  17 species  Cm1  19 diuersae  HLNPm2  diuisae  m1  20 speciei  H (ante  sunt)  N  tunc  R  nec non  Lm1  sed tum  m2  21 tantum specie] uni tantum speciei  P   conuersio aequa seruetur, in accidentibus uero minime. quoniam enim propria in singulis esse possunt atque omnes continent, species conuerso ordine praedicantur; nam quod risibile est. homo est, et quod homo, risibile. nigrum uero non ita, sed  ipsum quidem de his praedicari potest quibus inest, illa uero ad huius praedicationem conuerti retrahique non possunt; nigrum enim de carbone. hebeno, homine atque coruo prae- dicatur, haec uero de nigro minime, nam quae plurima con- tinent, de his quae continent praedicari possunt, ea uero quae  continentur, de sese continentibus nullo modo nuncupantur. Rur- sus proprium quidem aequaliter participatur, accidens remis- sionibus atque intentionibus permutatur. omnis enim homo aeque risibilis est, Aethiops uero non aequaliter niger est, sed, ut dictum est. alius quidem paulo minus alius uero  taeterrimus inuenitur.    Et de proprii quidem atque accidentis differentiis satis dictum est. restabat uero accidentis ad cetera communiones proprie- tatesque explicare, sed iam superius adnumeratae sunt, cum generis, differentiae, speciei et proprii ad accidens similitudines  ac differentias adsignauimus. fortasse autem his institutus animus et sollertior factus alias praeter eas quas nunc diximus com- munitates uel differentias quinque rerum quae superius sunt positae reperiet, sed ad discretionem atque eorum similitudines comparandas ea fere quae sunt dicta sufficiunt. nos etiam,  quoniam promissi operis portum tenemus atque huius libri seriem primo quidem ab rhetore Victorino, post uero a nobis  1 conseruetur (con  s. l. m2 ) aequa conuersio  H  2 esse presunt (pre- sunt  del. m2) H  esse  Lm1  esse habent  Lm2R  4  post post.  homo  add.  est  CLR post  risibile  add.  est  LPR  5 quibus] in quibus  R  7  ante  hebeno  add. de  H, er. uid. L  9 continentur  HN  11 proprium  post  quidem  H (s. l. m2)  quidem  om. G  12 permittatur  E  15 deter- rimus  CLN  16 proprii *  (s  er.) HL  differentiis  om. G  proprietate  E  17 accidens  G  18 replicare  EGLPR  iam] etiam  EG  enumeratae  La.c.  19 speciei] et speciei  NR  ad accidens] et accidentis  Em1La.c.R  20 his  om. NR  23  ante  eorum  add.  ad  EGLPR  24 sufficiant  HR  26 ab  in a mut. ut uid. C   Latina oratione conuersam gemina expositione patefecimus, hic terminum longo statuimus operi continenti quinque rerum dis- putationem et ad Praedicamenta seruanti.    1 conuersa  ELm1  2 continenti  om. C  quinque] V  L (in ras. m1?) edd., om. cett.  3 et  om. C  seruienti  brm  ANICII MALLII SEVERINI BOETII LIBER QVINTVS EXPLICIT SECVNDI SVPER YSAGOGAS COMMENTI  P ; FINIT. EXPLICIT EDITIONIS SECVNDAE COMMENTARIORV LIBER QVINTVS FELICITER. AMEN  (er. uid.)  DEO GRATIAS  C ; ANICII MANLII SEVERINI POETII  (sic)  ILLV- STRIS CONSVLIS EXPLICIT LIBER  L ; ANICII. MANLII. SEVERINI. BOETII. (A. M. S. B.  N ) V. C. ET ILL. (I LL S.  N ) EXCONS. (EXCS  N ) ORD. PATRICII. (ΈΧC.—PATR.  om. G)  IN ISAGOGAS (YS-  EG)  PORPHYRII (I  pro  Y  N)  IDE. INTRODVCTIONES (-NE  E)  IN CATE- GORIAS (KATH-  N)  A SE  (om. N)  TRANSLATAS. (-TĘ  E , IDE— TRANSL.  om. G)  EDITIONIS (EDΙCΤ-  E , AED-  N)  SCDĘ LIBER V (QVINTVS  N)  EXPLICIT  EGN, add. TIBI PAX. AMEN.  E ; QVINQVAE  (sic)  FIT OPTATVS HIC FINIS ISAGOGARV  R; subscriptione caret H, item e codd. Isagogen tantum a Boethio translatam continentibus ΓΛΣΦΊ’   (nisi quod in   Φ   recens quaedam est); post  traditionem  p. 346, 13   habent  EXPLIC. LIB. HISAGOGARV PORPHIRII  Δ , EXPLICIT  Π.  gradatimfoliacontrahit.Videturhæcnonminusdilatatio ne,contra ionesfoliorumhonoraresolem,quamhominesgenarumgestu,moru labiorum.No folumuero'inplantis,quæueftigiumhabentuitæ,fedetiaminlapidibusaspicerelicet,imitations, & participationemquandamluminumsupernorum,quemadmodumhelicislapisradijsaureisso laresradiosimitatur.lapisautem ,quiuocaturcælioculus,uelsolisoculus,figuram habetfimilēpu pillæoculi,atqsexmediapupillaemicatradius.lapisquoqueselenitus,idestlunaris,figuralung cornicularisimilis,quadamsuimutationelunaremfequiturmotum.Lapisdeindeheliofelenus,id estsolaris,lunarisózimitaturquodãmodocongreffum folis,&lunæ,figuratcscolore.Sicdiuinornm omniaplenafunt, terrenaquidemcælestium, cæleftiauerosupercælestium p,roceditæquilibetor d o r e r u m u s o a d u l t i m u m . Q u æ e n i m s u p e r o r d i n e m r e r ü c o l l i g ū c u r i n u n o , h æ c d e i n c e p s dilatan turindescendendo,ubialiæanimæsubnuminibusalñsordinantur.Deinde& animaliafuntsolana multa,uelutleones,& galli, numiniscuiusdamsolarisprofuanaturaparticipes, undemirum est,quantum inferioraineodem ordinecedantsuperioribus,quamuismagnitudine,potentias n o n c e d a n t. h i n c f e r u n t g a l l u m t i m e r i å l e o n e q u a m p l u r i m u m , & q u a f i c o l i . c u i u s r e i c a u s a m a m a tería, sensuueassignarenonpossumus,sedsolumabordinissupernicontemplatione. quoni amuidelicetpræsentiafolarisuirtutisconuenitgaltomagisquamleoni:quod& indeappare  1928 Marfil. Ficin.in InterpreteMarsilioFicinoFlorentino. Vemadmodum amatoresabipsapulchritudine,quæcircasensumapparet,addiuinam paulatimpulchritudinemrationeprogrediuntur:fic& sacerdotesantiqui,cùmconli, derarentinrebusnaturalibuscognacionemquandamcompassionemç;aliorumadalia &manifestorum aduiresoccultas,& omniainomnibusinuenirent,facrameorumscien quicquidest,pulchrumeft,&bonum eft.etiamsiindecorporissequaturincommodum.Corpus enim nonparshominis, fedinftrumentum:instrumentiuero'malumnonpertinetadutentem. Quomododifferantduohæc,fcilicetfecundumfeipfum,& quaipsum. Ietioneseiusmodi,fcilicetsecundum feipsum,& quaipsum ,etiamapudAristotelemdistin, D g u u n t u r . Q u o d e n i m s e c u n d u m s e i p s u m a l i c u i c o m p e t i t , p o t e s t e i n o n c o m p e t e r e p r i m o. Quodautemquaipsumconuenispræterid,quodconuenit,secundumseipfumeciam primo competitei,atqueadæquatur.Pulchrumigitur,ficommensurationisanimæcausaest,atq;obhoc ipsumdiciturpulchrum,efficito,utmeliusinanimadomineturdeceriori,perficitąnos,& animæ deformitatempurgat:hacipfarationebonum est, nonquidemperaccidens,fedquarationepul. chrum .fienim qua pulchrum estcommensuratum ,eft& bonum.Bonãenim estmensura cercéquá pulchrum est,exiftit& bonum.Similiter turpe,qua turpe,malum est.N a m qua curpe eft,informe est qui 1   quiagallus,quafiquibufdáhymnisapplauditfurgentisoli,& quafiaduocat,quãdoexantipodum mediocæloadnosdeflectitur,& quando nonnullisolaresangeliapparueruntformiseiusmodi p r æ d i c i , a r c f, c u m i p f i i n s e f i n e f o r m a e s s e n t, n o b i s t a m e n , q u i f o r m a t i s u m u s , o c c u r r e r e f o r m a t i. N o nunquam tione. Quæfecundumfefuntincorporea,nonlocalicerpræsentiacorporibus,adsunt eis,quotiescunqueuolunt, adillauergentia, atquedeclinantià,quatenusuidelicetnaturaliteradea uergunt,arqueinclinantur. Sed enim cum nonadfintlocaliaconditionecorporibus,habitudine quadam eisadfunt.Quæfecundumsesuntincorporea,certenonpersubstantiam,&peressentiam corporibusadsunt.Non enim corporibuscómifcentur.ueruntamenexipsainclinatione,quasimo mentouisquædamsubfiftitindecomunicataiam propinquacorporibus.Ipsanamqinclinatiose. cundamquandamuimsubstituítcorporibusiampropinquam. mæ,fecundữcorporafuntdiuisibiles.Nonomne,quodagitinaliudappropinquatione,&ta &ufacit,quodfacit,fedetiam qupæropinquarido,& tangendofaciuntaliquidfecundumaccidens, nonutunturpropinquirate.Animacorporialligaturconuersionequadam adpassionesprouenien resacorpore.Rursum foluiturquatenusacorporenihilpatitur.Quodnaturaligauit,hoc&ipsa naturasoluit.Rursusquodconciliauitanima,hoc& animadirimit.Naturaquidem corpusinanimadeuincit,animaueroseipsamincorpore.Quamobrem natura corpusab anima separaczanimaueroseipsam àcorporesegregat,  saclia usmodi .Qui 1 Proc.De Sacrif.& Magia. 1929 ICOR bada mler : in: no.N enlos ur,but aliano compiz quider Locum siuecausisadintelligibilianosducentibus. MARSILIO FICINO INTERPRETE. Denatura,e alligatione,o solutioneanime. Nimaquidemmediüquiddameftintereffentiam indiuiduam,arqueessentiamueracorpora A diuisibilem.Intellectusautem essentiaest,indiuiduafolum .Sedqualitates,materialesqfor lael,ea 703 ncense garia 1,fiu ucent oxd zateni XOM etiam dæmones nisisuntsolares leoninafronte.quibuscum gallusoböceretur,repente disparuerunt.Quodquidemindeprocedit,semperquæineodem ordineconstitutainferiorafunt, reuerentursuperiora:quemadmodum plerişintuentesuirorumimaginesdiuinorum,hocipsoas. pe&uuererisolentturpealiquidperpretare.Vtautemsummatimdicam,aliaadreuolucionessolis correuoluuntur,ficutplantæ,quasdiximus:aliafiguramsolariumradiorumquodammodoimitan tur, utpalma,dactylus:aliaigneamsolisnaturam,utlaurus:aliaaliudquiddam uideresanelicetpro prietates,quxcolligunturinsole,passimdistribucasinsequentib.insolariordineconstitutis,scilicet angelis,dæmonibus,animis,animalibus,plantisatque lapidibus.Quocircasacerdotijueterisautho resàrebusapparentibussuperiorum uiriumcultumadinuenerunt,dum aliamiscerent,aliapurifi c a r e n t. M i s c e b a n t a u t e m p l u r a i n u i c e m , q u i a u i d e b a n t f i m p l i c i a n o n n u l l a m h a b e r e n u m i n i s p r o prieratem,nontamenfingulatim,sufficientemadnuminisiliusaduocationem.Quamobrem ipfa multorum comixtioneattrahebantsupernosinfluxus: acßquodipficomponendounumexmul tisconficiebant,assimilabantipfiuni,quodestsupermulta,constituebantæftatuasexmaterñismul tispermixtas:odoresquoqcompositoscolligentes:arceinunum diuinafymbola,reddentesísun um tale,qualediuinumexiftitsecundum effentiam,comprehendens,uidelicetuiresquamplurimas. Quorum quidemdiuisiounamquamg debilitauit,mixtiouerorestituitinexemplarisideam.Non nunquam ueroherbauna,uellapisunus,addiuinumsufficitopus.SufficicenimCnebison,ideftcar duus,ad fubitam numinis alicuius aparacionem ,ad custodiam uerò laurus.Raccinum ,ideftgenus uirgultispinosum,cepa,squilla,corallus,adamas,laspis,fedadpræsagiumcortalpæ,adpurificatio. nem uerosulfur,&atosmarina.Ergosacerdotespermutuam rerumcognationem,compassionem'. conducebant inunum,perrepugnantiam expellebantpurificantes,cum oportebat,sulfure,atque asphalto,idestbitumine,aquaaspergentesmarina,purificatenimsulfurquidempropterodorisa cumen,aquaueromarinapropterigneamportionem,& animaliadrjsindeorum cultucongruaad hibebant,cxtera'tsimiliter.Quamobrem abës,atoßsimilibusrecipientesprimumpotentiasdemo num ,cognouerunt,uideliceceasesseproximasrebus.actionibus naturalibus:atq;perhæcnatura lia,quibus propinquantinpræsentiamconuocarunt.Deindeàdæmonibusadipfasdeorumuires actiones&processerunt,partimquidemdocentibusdæmonibusaddiscentes,partim ueroindustria propriainterpretantesconuenienciafymbola,inpropriam deorumintelligentiamascendentes, a c d e n i q p o f t h a b i t i s n a t u r a l i b u s r e b u s, a c t i o n i b u s q u e , a c m a g n a e x p a r t e d æ m o n i b u s in d e o r u m feconfortium receperunt. PORPHYRIVS DE OCCASIONIBVS, Denaturacorporeorum,atqueincorporeorum. Mnecorpuseftinloco,nullumuerocorum ,quæfecundūsesuntincorporea,uelaliquid tale, estinloco.Quæ secundumsesuntincorporea,eoipso, quodpræstantiusestomni corpore,atqueloco,ubiquesunt,nondistantiquidem,sedindiuiduaquadam condi USCE inuss sdina labor Pt,imi adns aberi is,fip liol Sicdi liatiei ,unto 10,p Omnia MMM $   Omniaquodammodosuntinomnibusproconditionecorum,quibusinfunt. On fimiliteromniainomnibusintelligimus,sedpropriesehabetadomniauniuscuíused sentia:intellectuquidem intelle&ualiter,inanimauero'rationaliter:inplantisseminarie,in corporibusimaginariè:ineodem (quodhisomnibussuperiuseft,modoquodamfuper intellectuali,atquesuperessentiali. essentiæ,aliatandem naturx supe rioris,aliaanimæ,aliaintele&ualis:uiuuntenim& ila:etfinullumeorum,quæabiplisexi ftunt,uirameisfimilemsorciatur. aliaueropartimquidemfle&tunturadila,partimetiamnonflestuntur.aliacandem folumde flectunturadgenituras,neqzinterimadsereflectuntur. p e r , e d u c e r e. A n i m a q u i d é h a b e t o m n i u m r a t i o n e s . A g i t a u t ē s e c u n d ã e a s ,u e l a b a l i o a d e x peditionemeiusmodiprouocata,uelipfafeipfamintusconuertensadrationes,& cum abaliopro uocatur,tanquamadexternacommititintroducerefensus:cum uero'ingredicurinseipsam,adintel ligentiasperuenit:necigitursensusextraimaginationemfunt,necß,utdixeritaliquis,intelligence quatenus competuntanimali Animaeftimmortalis. ANimaeftessenciainextensa,immaterialis,immortalis,in'yitahabenteaseipsauiuere,arosese fimiliterpossidente. Passioanimæ,atquecorporisestlongediuersa. Liudestpaticorpora,aliudincorporea.passioenim corporụm cum transmutationecötingit passiouero'animęestaccommodatioquædam,'&affe&ioadremipfam,&a&ioquædã,nullo modofimiliscalefationi,frigefactioniącorporum,quamobrem sipassiocorporū,cũtrans mutatione fit,dicendum eftomnia incorporea essepassionisexpertia.Quæ enim a'materia,corporf busipfeparatasuntadu,eadempermanent:quæueromateriæcorporibus propinquant,ipsaqui d e m n o ns u n t p a s s i u a , s e d i l l a , i n q u i b u s h æ c a p p a r e n t , p a t i u n t u r , q u á d o e n i m a n i m a l s e n d t , a n i m a quidam fimilis esseuideturharmoniæ cuidam separatæ ex seipsam chordas mouenti cötemperatas Corpusaữrsimileharmonię,quæ inseparabilisinestchordis,fedcausamouendieffeuideturanimal proptereaquodfitanimatū, quodquidemsimileeftmufico,exeoquodfitcõcinnum ,corporaueros quæperpassionesensualempulfantur,fimiliacontemperatischordisapparent.Etenim ibinonhar m o n i c a q u i d é s e p a r a t a p a t i t u r , f e d c h o r d a . & m o u e t f a n e m u f i c u s p i p f a m , q u æ s i b i i n e f t ,h a r m o n i ā: newtamenchordarationemusicamouereturetiam ,fiuelletmusicus,nifiharmoniaipsaiddixit. nataestquemadmodum corpora,sed fecundum nudam ad corporapriuationem .Quãobrenihil prohibetinterila,aliaquidemesseessentia,aliauerònonessentia:& aliarursusantecorpora,alia ueròunacumcorporibus:itemaliaacorporibusseparata,aliauerònonseparata.Prætereaaliasecun dum sesubfiftentia,aliaueroalijs,utsintindigentia:aliadeniqa&tionibus,uitisfexfemobilibuse adem ,sedaliauitis,&qualibusa&tionibusquodammodo permutata,nempefecundumnegatione corum ,quæ ipfanon sunt,non secundum assistentiameorum ,quæ sunt, appellatur. PussionesmaterieprimeassignatesimiliteràPlotino. Ateriaepropriaapudantiquoshæcfuntincorporeaquidem,diuerfaenimeftàcorporibus, prætereauitæexpers,negintelle&tus,neckanima,nequealiquidfecundum seuiuens.Itêin, formis,permutabilis,infinita,impotens.Quapropternec ens,feduerum nõens,imagomol lisapparens, quoniãqd primo estinmole,eftipfum impotens,itéappetitio fubfiftentia.& ftansno instacuprætereafempinseapparens,tum paruum,rum magnữ,tūminus,tūmagis,tūdeficiens,cī excedens,quoduefiatfemp,maneatuerònunquã,nec tamen aufugere potens,quippecútotius entisfitdefectus.Quamobrēquicqd pmittat,mentitur:aciimagnūappareant,interimeuadirparo uũ,quafienimludusquidãeftinnõensaufugiés,Fugaenimeiusnófitloco,seddūabencedeficis, Quamobren M  1930 Marsil. Ficin.in infummiseftunitascumuirtute:ininfimismultitudocumdebilitate. Ncorporeæfubftantiædescendentesquidemdijudicentur,atqßinsingulapotentiædefe&umul tiplicantur, adscendentesautemutuntur,atæfimulrecurruntinunumcopiapoteftatis. Quegenerant,partimconuertunturadgenita,partimminimè. Mne,quodsuaessentiagenerat,aliquidsedeteriusgenerat,atqomnegenitüadgenitorina O curaconuertitur,eorumuero,quægenerant,aliaquidēnullomodoconuertunturadgenitas Sensus,imaginatio,memoria intelligentia. Emorianonestimaginationüconferuatio quædã,ámdtāmpastwintorspobaristalevias'spoluéwata, sedeftipfaspropofitiones,fiueproductionesina&um corū,quæmedicatuseftanimusnu :nec rurfusabsq inftrumentorum sensualium passionesuntfenfus, lic& intelligentiænon abfqimaginatione,nisianalogaconditiofit:quemadmodumfiguraconse quensquiddam estadanimalsensuale,ficphantasmaaliquidconsequensadintelligentiamanima intelligentisinanimali. 1 N Despeciebusuite. On solumincorporib.æquiuocaconditioest,sedipsaetiãuitamultipliciterprædicatur eftenimuitaplantæ,animalisalia:aliarursusintellectualis Alia IN N > M Dedifferentijsincorporeorum. Pfaincorporeorīappellationõfecundumcommunicatēunius,eiusdemişgeneris,siccognomi.   quamobremquæineasuntimagines,insuntindeteriorirursusimagine,quemadmodüinspeculo idquodalibilitumeft,apparetalibi,&ipsumspeculumplenumeseuidetur,nihilqzhabet,dumom nia uidetur habere. funt,autnonfunt,quappternullacorūpaticur:quodempatienseft,nonoportetitafehabere, fedefetale,ütalterariqueat,atointeriminqualitatibus eorī,quaeingrediuntur,ficásinferuntpas fionem.Eiñamos quodinestalterationonaqualibecaccidit,nexigicurimaceriapacítur.Nāsecun dum feipfam qualitatisestexpers,nesprorsusformx,quaefuntinca,ingrediences;uicissim'sexe, untes,fedpassioficcircacompofitum,&uniuselseincomposicioneconfiftit,hocenim incontrarijs uiribus& qualitatib.ingredientiữzinferentiumąpassioneperfeuerareinfubfiftendouidetur.Quá o b r e m e a q u o r u um i u e r e e f t a b e x t e r n i s , n e c a s c i p l i s , n i m i r u m & u i u e r e , & n o n u i u e r e p a t i p o f l u n t. S e d e a , q u o r u m e s s e i n u i t a c o n f i f t i t, p a s s i o n i s e x p e r t e , n e c e f f a r i u m e f t p e r m a n e r e s e c u n d u um i t a m , quemadmodūuitäuacuitaticonuenit& non pac,quarenus& uitæuacuicas.Icaqficutpermutari, acpaticöpofitoexmateria,forma côtingit,ideftcorpori,neqstamenidmateriæ accidic,ficujuere, areinterire,patiofecundumhocipfum incompofitum exanima,corporeæperspicitur,neqstamé animæidcontingit,quoniam animanoneftaliquidexuita,& nonuitaconflatum,seduicafolum constatquippe,cumfimplexessenciafit,ipfaqsanimæ ratiofitnaturaipfasemouens. Omnisintellectuseftomniformis. Ntelle&ualisesentiaficinpartibuseftconfimilis,ut& inparticulariquolibetintelle&u,uniuer soosintelle&ufintentia:fedintele&u quidem uniuerfaliendaeciam particulariauniuersalifint ratione:inparticulariautčincellectueciāmiuniuersaliafimulacosparticulariasintconditionequa dam particulari: Omnisuitaincorporeaquocunq;mütetur,permanetimmortalis. Nuicisincorporeispcessusmanentibusprioribusinsefirmisefficiuntur,dūnihilfuiõdunt,neos pmutantadsubstantiâinferiorib.exhibendam,quappternedquæindesubfiftūccũaliquagdi tioneueltráfmutationesubsistûr,nechoc qdēefficitur,ficutgeneratiointeritus,gmutationisą particeps,ingéciaigitur,&incorruptibiliafuntaroingčitæ,incorrupcx'ssecīdūhocipfumeffecta. Quomodointelligaturquodeftfuperiusintelectus uigilantiãmultadicatur,fedperfomnūipsum cognitioeius,peritia'oshabetur,fimilinãque f i m i l e c o g n o s c i f o l e t, q u o n i ã o m n i s c o g n i t i o , a s s i m i l a t i o q u æ d á e f t a d h o c i p f u m, q d c o g n o f c i t u r. ens uelutfalsamconcipimuspassionecă, ingentemuidelicetili,quidigrediturextraseipsum,ipfeenimquisquequemadmodumexistenter deftuere,atokperseipfumpoteftreduciadipfumnonensentesuperius,ficabence,sepsipfodigres diensiam traducituradnonens,quodentisipfiuseftcasusatqzruinia. Substantiaincorporeaestubicunqueuult. Aturacorporisnihilimpedit,quinquodfecundum feincorporeum eft,ficubicung,&quò modocunque.Sicucenimcorporiincomprehensibileest,quodmoliseftexpers, nihilą adip  Porphyr de Occasionib. 1931 Quidpatiatur,quidnon. Afsionescircaidfuntomnes,circaqdaccidit&interitus.Víaenim adinteritãeftadmissiopas fionis,acohuiusestinterirecuiuseftpaci.Incerireaūcincorporeūnullű,sedquædãinterilaaur Animaquiapereffentiameftuita,nonmoritur. yIrcaessentiam,cuiusefeconfifticinuita,& cuiuspassionesuitaquædãfunt,nimirum& morg inqualialiquauitauersatur,noninpriuationeuitæfimultota.Quoniamneqspassio,seuuita est omnino, illicadnon uiuendum ,iplaqzillicacciditorbitas. . Silloquodeftmentesuperius,perintelligentiamquidem multa dicuntur:considerantur D temuacuitatequadăintelligentiæ intelligentiameliore;quemadmodum dedormienteper NonensauteftfuperiusenteutDeus,aütinferiuscummateria. Vodnonensdicitur,auciplínosmachinamurab ipsoentealiquandoseparaci,autsuperin telligimus,dum enspossidemus.quapropterfiseparamurabente,ensipsumnon superine telligimusnon enssuperensipsum,fediamnon N sumpertiner:sicincorporeoipsum,quodmollediftenditur,nonficobftaculum & quafinon acec,nequeenim quod incorporeum eftlocalicondicionequo uulc discurritlocusenim cum mole simulexiftit,neqsrurfuscorporumlimitibuscoercecur,quodenimquomodocūqiiacetinmole,in angustumcohiberipoteft,& conditionelocalitransmutacionemagere, quodaucemestamole,mag nitudine prorsusexemptū,hocabójs,quæfuntinmole.continerinonpoteft,a'motuşilocaliper manetliberum.Igiturqualiquadam,certaquedisposicionereperituribi,ubicunquedisponitur,lo. cointereatumubique,tumnusquam simulexiftens,quapropterqualiquadamcertaqueaffe&ione uelsupercælum ,uelinpartemundiquadam apprehenditur:quandoueroinaliquamundipàřecte n e t u r ,n o n o c u l i s q u i d e m a f p i c i t u r, s e d e x o p e r i b u s e i u s p r æ s e n c i a s u a fit h o m i n i b u s m a n i f e s t a s Substantiaincorporeinullocorporecohibetur,fedproducitescamincorporeperquamse corporiapplicát. Vodeftincorpóreū,liquandoincorporecomprehendatur,nonopuseftutitaconcludatur, Q quemadmoduminparcoferæclauduntur,nullumnamquecorpuspoteftipsumficinfeco -hibere,nequeficutüterliquoremaliquemtrahit,& cohibet,autfacum,fedoportetipsum ia nd C TO MmM 4 13. fubftituere cavite   Vniaersalescausenonconuertunturadefe&tus,fedeosadfeconuertunt. V l l a s u b s t a n t i a r u m , q u æ u n i u e r f æ s u n t, a t æ p e r f e c t æ a d f u a m c o n u e r t i t u r g e n i c u r ă . O m n e s autéperfe&tæsubftantiæadgenerantiarediguntur, & idquidemadcorpusufo mundanum. 1. Quomododifferenterestubiq;DeusintelleĀus,animas Euseftubiq ,quianusquamintelle&usest:ubiq etiã,quianufquam anima.deníqueubiqet EX PORPHYRIO DE AB ftinentiaanimalium. . quinetiamcognoscitipsum,quod in feest,naturaliterperpetuo uigilans, atquefom/ num,quohicopprimitur,deprehendit. Cuinonsaneeducationem,nutritionemque trademus consentancã,tūhuius locinaturæ ,tum suiipsiuscognitioni conuenientem, Beatitudononeftdiuinorumcognitio,feduitadiuina. Eatanobiscontemplationonestuerborum accumulatio,disciplinarūquemultitudo,quemad Bmodum aliquisforteputauerit:nequeenim iracomponitur,nequeproquantitaterationūac  quare perfectioquidêaprioribusfecundafubftituitcõferuanseadeadprioraconuersa, defectusautempri oraetiam adpofterioradefledit,eficitqzuthæcipfadiligantasuperioreinterim differentia 1932 Marsil. Ficin -in substitucreuiresabipsainseipsumunioneextramanantes,quibusdescendenscorporiaplícatur,co pulaitaßeiusad corpusperineffabilēquandāsuiipsiusimpleturextenfioné,quamobrénõaliud adem ultūipfuamlligat,fedipfumcerteseipfum,nec igiturefoluitipsum corpusquãdofrangitur autinterit,fèdipsum pociusfemetipsumcnodat,quádoafamiliariergasubiectâaffectionediuercio Quodquidemcūsitperfe&umadanimāestreda&um,animam inquãintellectualem,ideoas círculouoluitur, animaueromundiadintellectumattollitur,intelle&usauteerigituradprincipio Omniaitaqperueniuntadhocipsumab extremisexordientia,quatenus facultassuppecitunicuic perueniūtinquam eleuationeadprimū, illucusą perducta:quæ quidēautexpropinquo,autex.lon ginquoeficifolet.HæcitasnonsolumappetereDeūdicipossunt,sedetiam prouiribusafequizin lubstancijsueroparticularibus,&admultalabipotentibusineftprocliuitasdeflectēsadgenicuras: ideoiginhisdeli&um dicituraccidissezinhisinfidelitaseftdamnata.Hasigiturcontaminatiplama teria,proptereaquodadhácdefledipossint,cũtamenintereaaddiuinūseualeantcôuertisse: quoniãeft&nufquā:fedDeus quidem ubique& nusquãeftcorum omnium ,quæ funtpoft ipsum.Suiueròipfiuseftfolum,ficutest,atqueuult.Intelle&usautem inDeoquidemubica eft,fedineis, quæfuntpoftipsum ,existirnusquapariter, &ubiqueanimatandeminincele&tu,acor Deo ,fimilitereftubiq ,incorporeuero'ubiqeftfimul & nusquá.Corpusaūt& inanima,& inintels lectu , & in D e o , omnia profe & o cūentia,t u m non entia ex D e o sunt,& ideonec tamēipfeDeus eft,cum entia,tum nonentia,necexistitineis.Sienimessetduntaxatubiq ipfequidéomnia,& in o m n i b u s e s s e t. A t q u o n i a m e f t , & n u s q u ã , o m n i a s a n e p e r i p s u m f i u n c f i u n t á ž r u r s u s i n i p f o , q n i a m ipfeexistitubios:diuersarursusabipfo,quoniãipsenusqua.Similiterintele&usubicexistens,atqs n u s q u ã , c a u s a e f t a n i m a r ã , a n i m a s æ s e q u e n t i ū :n e q s i p s e a n i m a e f t , n e g q u æ p o f t a n i m a m , n e q u e i n cisexistic:quoniamuidelicetnon folum ubiqueest,eorumque,quæfuntpoftipsum,sed&nusquã. Rursusanimanequecorpuseft,nequeestincorpore,fedcausacorporis,quoniam dum ubiq eftper corpussimuleft,&incorporenusquam ,processusdeniquniuersiinilluddefinit,quodnec ubiqfi mui, nequenusquamesseualet,sedalternisquibusdamuicibusutriusquefitparticeps. Giustino (filosofo) filosofo e martire cristiano Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – "Giustino martire" rimanda qui. Se stai cercando altri martiri con questo nome, vedi San Giustino. San Giustino Justin filozof.jpg Icona russa di san Giustino   Padre della Chiesa e martire    Nascita       Flavia Neapolis, 100 MorteRoma, 163/167 Venerato daTutte le Chiese che ammettono il culto dei santi Santuario principaleCollegiata di San Silvestro Papa, Fabrica di Roma (VT) Ricorrenza1º giugno, 14 aprile (1882–1968) Attributi                                                palma, libro Patrono difilosofi Giustino, conosciuto come Giustino martire o Giustino filosofo (Flavia Neapolis, 100 – Roma, 163/167), è stato un martire cristiano, filosofo e apologeta di lingua greca e latina, autore del Dialogo con Trifone, della Prima apologia dei cristiani e della Seconda apologia dei cristiani. A lui dobbiamo anche la più antica descrizione del rito eucaristico.   Iustini Philosophi et martyris Opera, 1636 Fu uno dei primi filosofi cristiani, e venerato come santo e Padre della Chiesa dai cattolici e dagli ortodossi. La memoria si celebra il 1º giugno.   La Chiesa Cattolica lo considera anche santo patronodei filosofi insieme a Caterina d'Alessandria, pur non essendo nessuno dei due nel novero dei Dottori della Chiesa.  BiografiaModifica Giustino, che spesso si dichiarava in verità samaritano, visto il suo nome e il nome di suo padre - Bacheio - sembra piuttosto di origini latine o greche. La sua famiglia probabilmente si era stabilita da poco in Palestina, al seguito degli eserciti romani che qualche anno prima avevano sconfitto gli Ebrei e distrutto il Tempio di Gerusalemme.   Come riferisce Giustino stesso nel Dialogo con Trifone, venne educato nel paganesimo ed ebbe un'ottima educazione che lo portò ad approfondire i problemi che gli stavano più a cuore, quelli riguardanti la filosofia. Racconta che la sua smania di verità lo portò a frequentare molte scuole filosofiche. Presso gli stoicinon trovò giovamento, in quanto il problema di Dio, per questa filosofia, non era essenziale. Poi frequentò la scuola peripatetica, ma anche presso questi filosofi non trovò quanto cercava. Si recò presso un filosofo pitagorico che lo sollecitò dunque ad approfondire le arti della musica, dell'astronomia e della geometria. Ma Giustino, troppo concentrato nel voler raggiungere la "verità" e la "conoscenza di Dio", reputava tempo sprecato il soffermarsi su tali materie.   Approdo al platonismoModifica Da ultimo frequentò una scuola platonica; un maestro di questa filosofia era da poco giunto nel suo paese e presso questa corrente filosofica trovò quanto credeva di cercare. «Le conoscenze delle realtà incorporee e la contemplazione delle Idee eccitava la mia mente...», dice Giustino. Si convinse che questo lo avrebbe portato presto alla "visione di Dio", che considerava essere lo scopo della filosofia. Decise di ritirarsi in solitudine lontano dalla città, ma in questo luogo appartato, secondo quanto racconta nel prologo del Dialogo con Trifone, incontra un anziano, con cui inizia un serrato dialogo, incentrato su Dio e su cosa fare della propria vita. Dopo aver dichiarato all'anziano la sua idea di Dio «Ciò che è sempre uguale a sé stesso e che è causa di esistenza per tutte le altre realtà, questo è Dio», l'anziano lo porta a ragionare su di un aspetto che forse a Giustino era sfuggito: come possono i filosofi elaborare da soli un pensiero corretto su Dio se non l'hanno né visto né udito? E porta il giovane a meditare sulle persone considerate "gradite a Dio" e dallo stesso "illuminate", i Profeti, che nel tempo avevano parlato di Dio e "profetizzato in Suo nome", in particolare la "venuta del Figlio nel mondo" e la possibilità "attraverso di Lui" di avere una "vera conoscenza del divino".[1]  Conversione al cristianesimoModifica Dopo questa esperienza, Giustino si converte al Cristianesimo e per tutto il resto della sua vita educherà i discepoli, utilizzando gli stessi schemi usati dalle altre scuole filosofiche. Oltre a questo incontro, che fu decisivo per la sua conversione, Giustino indica anche un altro fatto che lo rinfrancava nella fede: «Infatti io stesso, che mi ritenevo soddisfatto delle dottrine di Platone, sentendo che i cristiani erano accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti ritenuti terribili, mi convincevo che era impossibile che essi vivessero nel vizio e nella concupiscenza».   Giustino viaggiò molto, andò a Roma una prima volta e quando ritornò vi aprì una scuola filosofica a impronta cristiana, i suoi insegnamenti insistevano molto sui fondamenti razionali della fede cristiana. Questo approccio, molto diverso da quelli tradizionali, suscitò numerose controversie sia con gli stessi cristiani sia con alcuni filosofi, specialmente con Crescenzio il cinico.   La sua fede lo porterà a subire una morte violenta. Fu condannato a morte da Giunio Rustico che era prefetto di Roma e amico dell'imperatore Marco Aurelio, fra il 163 e il 167, con queste parole:   «Coloro che si sono rifiutati di sacrificare agli dèi e di sottomettersi all'editto dell'imperatore, siano flagellati e condotti al supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi.»  Di questo processo esiste ancora il verbale: Martyrium SS.Justini et sociorum VI. Giustino venne decapitato assieme a sei dei suoi discepoli, Caritone e sua sorella Carito, Evelpisto di Cappadocia, Gerace di Frigia (schiavo della corte imperiale), Peone e Liberiano.   Le sue reliquie furono traslate da Roma il 22 settembre 1791, e si trovano attualmente sotto l'altare maggiore della Collegiata di San Silvestro Papa a Fabrica di Roma, in provincia di Viterbo.[2]  Giustino fu il primo di una serie di autori cristiani che intravide in Eraclito, Socrate, Platone e negli stoicidegli autori precristiani, precursori del Cristo e da esso ispirati.[3] Anche lo Spirito Santo è identificato con Dio stesso. A suo avviso, la nozione trinitaria fu introdotta già dal platonismo.[4]  A Giustino si deve la più antica descrizione della liturgia eucaristica. Egli fu il primo ad utilizzare la terminologia filosofica nel pensiero cristiano ed a tentare di conciliare fede e ragione. Si schierò duramente contro la religione pagana ed i suoi miti mentre privilegiò l'incontro con il pensiero filosofico.   La figura di Giustino attrasse l'attenzione di Lev Tolstojil quale nel 1874 dedicò al santo cristiano una breve agiografia, Vita e passione di Giustino filosofo martire[5].   OpereModifica Dialogo con Trifone, Edizioni Paoline, Milano 1988. Le due apologie, Edizioni Paoline, Milano 2004. ( LA ) [Opere], Parisiis, apud Carolum Morellum typographum regium, via Iacobaea ad insigne Fontis, 1636. Il Dialogo con Trifone, la Prima apologia dei cristiani e la Seconda apologia dei cristiani, ci sono pervenute in un manoscritto del 1364, conservato a Parigi.[6]  La Prima apologia dei cristianiModifica «Io, Giustino, di Prisco, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapoli, città della Siria di Palestina, ho composto questo discorso e questa supplica, in difesa degli uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di loro.»  (Apologia Prima, I, 2) La Prima apologia dei cristiani è indirizzata all'imperatore Antonino Pio e al Senato romano. In essa compare un tema che sarà ampiamente sviluppato dall'apologetica cristiana, cioè la critica della prassi diffusa presso i tribunali romani, per la quale il solo fatto di appartenere alla religione cristiana era motivo sufficiente di condanna.   Giustino inoltre polemizza con i pagani riguardo ad alcune contraddizioni interne alla società romana, per esempio fa notare come, mentre i cristiani sono condannati a morte perché ritenuti atei, vari filosofi greci e latini sostengono apertamente l'ateismo senza conseguenze.   Interessante, poi, è il fatto che Giustino citi abbondantemente vari brani dei vangeli sinottici per esporre le dottrine cristiane; ancor più notevoli sono i tentativi dell'apologeta per convincere i pagani della verità del Cristianesimo attraverso le citazioni di autori classici sia di filosofia (come Socrate e Platone) che di mitologia (come Omero e la Sibilla) che vengono accostati a brani dei vangeli o dell'Antico Testamento.   «Sia la Sibilla sia Istaspe profetarono la distruzione, attraverso il fuoco, di ciò che è corruttibile.   I filosofi chiamati Stoici insegnano che anche Dio stesso si dissolve nel fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una trasformazione, risorgerà. [...]   Se dunque noi sosteniamo alcune teorie simili ai poeti ed ai filosofi da voi onorati [...] perché siamo ingiustamente odiati più di tutti?   Quando diciamo che tutto è stato ordinato e prodotto da Dio, sembreremo sostenere una dottrina di Platone; quando parliamo di distruzione nel fuoco, quella degli Stoici; quando diciamo che le anime degli iniqui sono punitemantenendo la sensibilità anche dopo la morte, e che le anime dei buoni, liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo sostenere le stesse teorie di poeti e di filosofi [...]   Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio,[7] Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus.   Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino gli scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos [...]; Asclepio, che [...] ascese al cielo; Dioniso, che fu dilaniato; Eracle, che si gettò nel fuoco [...] e Bellerofonte, che di tra gli uomini ascese con il cavallo Pegaso.   Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero di Zeus.   Se poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche questo è comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono soggetti a sofferenze. [...]   Se poi diciamo che è stato generato da una vergine, anche questo sia per voi un elemento comune con Perseo.   Quando affermiamo che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che ha resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo concordare con le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio.»  (Apologia Prima, XX-XXII) L'opera si conclude con una petizione che contiene una lettera dell'imperatore Adriano,[8] la quale serve a Giustino per mostrare come anche un'autorità imperiale era del parere di giudicare i cristiani in base alle loro azioni e non in base a dei pregiudizi; ed una lettera dell'Imperatore Marco Aurelio e del "Miracolo della pioggia" durante le guerre marcomanniche.[9]  Il Dialogo con TrifoneModifica «La filosofia in effetti è il più grande dei beni e il più prezioso agli occhi di Dio, l'unico che a lui ci conduce e a lui ci unisce, e sono davvero uomini di Dio coloro che han volto l'animo alla filosofia [...]»  (Dialogo con Trifone[10]) Oltre alle già citate Prima apologia dei cristiani (grecoἈπολογία πρώτη ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον τὸν Εὐσεβῆ; latino Apologia prima pro Christianis ad Antoninum Pium) e Seconda apologia dei cristiani(greco Ἀπολογία δευτέρα ὑπὲρ τῶν Χριστιανῶν πρὸς τὴν Ρωμαίων σύγκλητον, latino Apologia secunda pro Christianis ad Senatum Romanum), Giustino scrisse il Dialogo con Trifone (greco Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον διάλογος, latino Cum Tryphone Judueo Dialogus), opera dedicata a un certo Marco Pompeo. Il tema è il confronto con il giudaismo, con il quale i cristiani avevano in comune l'Antico Testamento, un terreno utile per un dialogo. Si tratta di un dibattito che si svolge ad Efeso nell'arco di due giorni e vede protagonisti Giustino e Trifone, nel quale è stata individuata da alcuni storici la personalità di un rabbino realmente esistito. Lo scopo di questo dialogo è mostrare la verità del cristianesimo, rispondendo alle principali obiezioni mosse dagli ambienti giudaici. In particolare, Giustino vuole dimostrare che il culto di Gesù non mette in discussione il monoteismo e che le profezie descritte nell'Antico Testamento si siano avverate con l'avvento di Cristo. Il dialogo assume toni sempre rispettosi e amichevoli e non si conclude, com'era consuetudine per gli scritti cristiani, con la richiesta da parte del giudeo del battesimo. A tal proposito, alcuni studiosi si sono chiesti se effettivamente le motivazioni portate avanti da Giustino in questo dialogo fossero valide a convertire un giudeo. Sembra piuttosto verosimile, invece, che quest'opera sia una risposta di Giustino ai dubbi che i cristiani stessi del tempo nutrivano verso la loro fede.   L'opera presenta anche un prologo, in cui Giustino racconta di un suo incontro con un vecchio saggio che lo introdusse al cristianesimo.[11] Giustino lo interroga tra l'altro sulla dottrina, da lui professata, della trasmigrazione delle anime anche dentro corpi animali, esposta nel Timeo platonico. L'interlocutore gli risponde che una tale possibilità non avrebbe senso, perché non darebbe nessuna reminiscenza delle colpe passate e quindi neppure la capacità di pentirsi.[12] In secondo luogo, il vegliardo passa a confutare la dottrina dell'immortalità dell'anima.[13]  Note                                   Modifica ^ Philippe Bobichon, "Filiation divine du Christ et filiation divine des chrétiens dans les écrits de Justin Martyr" in P. de Navascués Benlloch, M. Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez (dir.), Filiación. Cultura pagana, religión de Israel, orígenes del cristianismo, vol. III, Madrid, 2011, pp. 337-378 online ^ La reliquia di San Giustino Martire ( PDF ), su parrocchiafabrica.it. ^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR saggi, p.17, OCLC 1088865057 ^ Giuseppe Girgenti, Giustino Martire: il primo cristiano platonico : con in appendice "Atti del martirio di San Giustino", Pubblicazioni del Centro di Ricerche di Metafisica, Platonismo e filosofia patristica, n. 7, Milano, Vita e pensiero, 1995, p. 108, OCLC 1014519733. URL consultato il 19 novembre 2020. ^ Lev Tolstoj, «Vita e passione di Giustino filosofo martire». In: Lev Tolstòj, Tutti i racconti, a cura di Igor Sibaldi, Milano: Mondadori, Vol. I, pp. 808-810, Collana I Meridiani, III ed., aprile 1998, ISBN 88-04-34454-7 ^ Philippe Bobichon, "Œuvres de Justin Martyr : Le manuscrit de Londres (Musei Britannici Loan 36/13) apographon du manuscrit de Paris (Parisinus Graecus 450)", Scriptorium 57/2 (2004), pp. 157-172 art. online ^ Francesco Barbaro, Apologia seconda di S. Giustino filosofo e martire in favor de' Cristiani al Senato romano traduzione dal greco nell'italiano pubblicata in occasione che mette fine alla sua quaresimale predicazione l'anno 1814., Treviso, Tipografia Trento, 1812, p. 29. URL consultato il 19 novembre 2020. Citazione. Essendo manifesto da tutte l'opere di san Giustino, ch'egli ben sapeva e confessava l'equalità del Verbo col Padre... ^ ( EN ) Lettera di Adriano. ^ ( EN ) Lettera di Marco Aurelio al Senato. ^ Cit. in Jacques Liébaert, Michel Spanneut, Antonio Zani, Introduzione generale allo studio dei Padri della Chiesa, Queriniana, Brescia 1998, p. 47. ISBN 88-399-0101-9. ^ Giuseppe Visonà, introduzione a Saint Justin, Dialogo con Trifone, Paoline, 1988. ^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR Rizzoli.Saggi, n. 5, 6ª edizione, Milano, BUR Rizzoli, marzo 2019, pp. 14,12, OCLC 1088865057. ^ Giuseppe Girgenti, Giustino Martire: il primo cristiano platonico, Vita e Pensiero, 1995, p. 124. BibliografiaModifica Mario Niccoli, GIUSTINO, santo, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1933.  Modifica su Wikidata Arthur J. Bellinzoni, The Sayings of Jesus in the Writings of Justin Martyr, Leiden, Brill, 1967. Philippe Bobichon, Dialogue avec Tryphon, édition critique. Editions universitaires de Fribourg, 2003, Vol. I: Introduction, Texte grec, Traduction ; Vol. II: Commentaires, Appendices, Indices Étienne Gilson, La Philosophie au Moyen Âge. Des origines patristiques a la fin du XIV siècle, Payot, Paris 1952 (trad. it. La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, La Nuova Italia, Scandicci 1997). Johannes Quasten. Patrologia, Marietti, 1987, vol. I, pagine 175-194. Altri progettiModifica Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Giustino Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su Giustino Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Giustino Collegamenti esterniModifica Giustino, santo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giustino, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Giustino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Opere di Giustino / Giustino (altra versione) / Giustino (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di Giustino, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata ( EN ) Audiolibri di Giustino / Giustino (altra versione) / Giustino (altra versione), su LibriVox. Modifica su Wikidata ( EN ) Giustino, su Goodreads. Modifica su Wikidata ( EN ) Giustino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Giustino, su Santi, beati e testimoni, santiebeati.it. Modifica su Wikidata Apologia Prima, su monasterovirtuale.it. URL consultato il 14 agosto 2017 (archiviato dall' url originale  il 14 agosto 2017). Apologia Seconda, su monasterovirtuale.it. URL consultato il 14 agosto 2017 (archiviato dall' url originale  il 14 agosto 2017). Santi Caritone e compagni, discepoli di san Giustino, in Santi, beati e testimoni - Enciclopedia dei santi, santiebeati.it. Catechesi, su w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Giustino tenuta durante l'Udienza generale di mercoledì 21 marzo 2007 Opera Omnia dal Migne Patrologia Graeca con indici analitici e traduzioni (EN, IT, PT), su documentacatholicaomnia.eu. Controllo di autorità                                            VIAF ( EN ) 88878069 · ISNI ( EN ) 0000 0000 6170 7238 · BAV 495/15226 · CERLcnp01317578 · LCCN ( EN ) n80089626 ·GND ( DE ) 118714341 · BNE ( ES ) XX1056724(data) · BNF ( FR ) cb11909273s (data) ·J9U ( EN ,  HE ) 987007300044605171(topic) · NSK ( HR ) 000219284 · CONOR.SI ( SL ) 120480867 · WorldCat Identities( EN ) lccn-n80089626   Portale Biografie   Portale Cristianesimo   Portale Filosofia Ultima modifica 4 mesi fa di 134.0.1.147 PAGINE CORRELATE Patristica studio dei Padri della Chiesa  Taziano il Siro teologo e filosofo siro  Filosofia cristiana WikipediaGiuseppe Girgenti. Girgenti. Keywords: la parola che non s’incatena, Giustino martire, la traduzione di Boezio delle Categorie di Porfirio, traduzione di Marsilio Ficino delle sentenze sugl’intelligibili di Porfirio, henologia platonica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girgenti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51757051548/in/dateposted-public/

 

Grice e Girotti – la curva – la filosofia nella storia d’Italia – il caso Gentile -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Adria). Filosofo. Grice: “I like Girotti; for one, he has explored the idea of ‘beauty,’ which Sibley should, but did not!” Si laurea a Padova, sotto Santinello e Berti. Pubblica “Filosofia” (La Scuola, Brescia). Pubblica: “Gouhier e la sua storia storica della filosofia” (Unipress, Padova). “Comunicazione filosofica” “Società Filosofica Italiana.” Altre saggi: “Aristotele, dal platonismo all’autonomi” (Polaris, Faenza); “Modelli di razionalità nella filosofia”, Sapere, Padova; Discorso sui metodi, Pensa, Lecce; Medioevo vs oggi: tra tabula rasa e innatismo, Sapere, Padova; Riforma Gelmini e filosofia Sapere, Padova; Essere e volere, Pensa multimedia, Lecce; Siamo completamente liberi di volere ciò che vogliamo?, Il Giardino dei Pensieri, Bologna); Bellezza e responsabilità, Diogene Multimedia, Bologna; Cercasi anima disperatamente, Diogene Multimedia, Bologna; Giovanni Gentile; Diogene Multimedia, Bologna); “Il fico proibito dell’Eden e la giustificazione del male, Diogene Bologna; Un viaggio intorno all’io: Da Atene a Delfi dialogando, Diogene, Bologna; Sul permesso di morire, Diogene Bologna; Comunità di ricerca, Gouhier in Enciclopedia Filosofica Bompiani,  La collana si chiama Briciole di Filosofia “una storia storica che si fermi all’esibizione dei dati diventa semplice una ‘cronaca’; infatti, nel momento in cui si espone la filosofia di Grice, per poter abbracciare l'oggettività si dovrebbe rimanere all’interno di un'asettica descrizione, quella che Girotti definisce como “fenomenologia dello spirito metafisico.”Girotti distingue “la fenomenologia” (come metodo) e “lo spirito metafisico” (come oggetto). Seguendo il metodo della fenomenologia, il filosofo-storiografo sarebbe invitato a fermarsi alla lettura del dato per descrivere ciò che esso mostra. Seguendo “lo spirito metafisico”, il filosofo- storiografo ritroverebbe l'”oggetto” (topico) della sua ricerca, cioè il “fatto spirituale.”  È su questo “fatto spirituale” che Girotti refina Gouhier in quanto trova che Gouhier, quando ha messo le vesti dello “storico” della “storia storica” della filosofia, sia scivolato in una loro descrizione bergsoniana, ammessa anche da Gouhier. Cf. Grice on the longitudinal history of philosophy. “We should treat those who are dead and great as if they were great and living – it’s a matter of introjecting into his shoes, or sandals!” -- “La distillazione filosofica”  GENTILE , Giovanni.  - Nacque a Castelvetrano, provincia di Trapani, il 29 maggio 1875, ottavo di dieci fratelli, due dei quali erano già morti quando egli vide la luce. Suo padre, che si chiamava anche lui Giovanni, era farmacista; sua madre, Teresa Curti, maestra elementare.  Da quel poco, o non molto, di autobiografico che, sempre restio alla confidenza e all'effusione dell'animo, pur si deduce dagli scritti e, in particolare, dai carteggi con i suoi maestri pisani, Donato Jaja e Alessandro D'Ancona, risulta che il rapporto con i genitori fu intenso, nutrito di forti affetti; sebbene, per altro verso, travagliato, a causa soprattutto, oltre che della morte del fratello Gaetano, delle disavventure professionali del padre. Le quali derivarono dal forte e alquanto anarchico convincimento di non dover sottostare, nella gestione della farmacia di cui era proprietario e titolare, alle nuove regole introdotte dalla legge sanitaria emanata dal governo di F. Crispi; e dalla sua decisione di chiudere perciò la farmacia, che si trovava a Campobello, e ritirarsi con la famiglia nella vicina Castelvetrano, quindi di riaprirla, nel 1897, tornando da solo là dove quella si trovava e subendo un nuovo processo per il reiterato suo rifiuto di sottostare alle nuove regole.  È probabile che nell'animo sensibile, e più impressionabile forse di quanto il G. fosse disposto ad ammettere, del giovinetto che intanto attendeva agli studi scolastici, si formassero, nei confronti della terra siciliana, ossia di un luogo così fortemente segnato da dolori e umiliazioni, sentimenti contrastanti. Non che per le sofferenze che involontariamente aveva inflitto al padre, egli prendesse allora a odiare, o anche soltanto a disistimare, il siciliano Crispi, al quale sempre invece guardò come a un grande personaggio, l'unico degno di rappresentare sul serio, nella decadente Italia di fine secolo, lo spirito autentico del Risorgimento, nelle cui battaglie era stato protagonista.  Ma nei confronti della piccola, e pur amata, patria siciliana, i suoi sentimenti furono in effetti misti; e abbastanza presto si sublimarono, assumendo forma intellettuale, in quelli che, se lo si legge con attenzione, si colgono al fondo del libro che, quando era professore a Pisa e insegnava dalla cattedra che era stata del suo maestro Jaja, egli dedicò a Il tramonto della cultura siciliana (Bologna 1918). Libro singolare, in effetti; che, riboccante di passione e di affetti, concerne un "tramonto" atteso e auspicato di "cose" che, profondamente radicate nella storia e nelle tradizioni dell'isola, meritavano, a suo giudizio, di "tramontare" per sempre risolvendosi in assai più ampio e comprensivo orizzonte di pensieri e di cultura. Nella Sicilia "moderna", con poche eccezioni, il G. non coglieva infatti se non materialismo, illuminismo astratto, anticlericalismo estrinseco, e niente romanticismo, niente idealismo, nessun serio sentimento della vita vissuta nel segno di più alte idealità. E con questi "caratteri" spiegava le difficoltà che l'isola aveva opposto al Risorgimento nazionale e, quindi, alla vera cultura idealistica. Quando perciò, divenuto nel 1906 professore di storia della filosofia nell'Università di Palermo, il G. dette inizio all'insegnamento che doveva condurlo alla prima sistemazione del suo pensiero nell'idealismo attuale, c'era nel suo impegno filosofico qualcosa di missionario, quasi che nel fondo di sé sentisse di operare in partibus infidelium e il suo compito consistesse nel riscattare nel suo idealismo gli assai diversi principî ai quali la Sicilia era rimasta ferma.  Nell'isola il G. non rimase se non il tempo necessario al conseguimento dei primi traguardi scolastici; e quando, finalmente, ottenuta, nel 1893, un anno prima della naturale scadenza, la licenza liceale presso il liceo Ximenes di Trapani, fu ammesso, avendo vinto il relativo concorso, a frequentare la Scuola normale superiore di Pisa, era uno studente critico bensì di molti aspetti della cultura siciliana quello che approdava alla sponda toscana, ma recante tuttavia in sé non pochi segni di quella. Il positivismo che, colorandosi sotto l'influsso di R. Schiattarella di materialismo e anticlericalismo, largamente dominava la cultura siciliana non era passato sul suo animo e sulla sua mente senza lasciare qualche traccia; e se non vi era passato intero, in parte almeno vi era passato: il che spiega l'intransigenza con la quale, compiuta la sua più autentica formazione alla scuola pisana dello Jaja, egli si impegnò a cancellarne, nel suo pensiero, ogni possibile traccia.  Nel componimento scolastico consacrato a U. Foscolo con il quale ottenne la licenza liceale colpiscono in effetti le due tonalità che lo caratterizzano: quella civile, che sarebbe poi rimasta, attraverso la trasfigurazione risorgimentale, al centro dei suoi sentimenti e interessi, e l'altra, antiromantica, appresa alla scuola del suo professore di italiano, V. Pappalardo, e ribadita attraverso lo studio della Storia della letteratura italiana di P. Emiliani Giudici. E si può e si deve, del resto, andare anche oltre. Fu forse allora, infatti, negli anni in cui fu studente in Sicilia, che il G. venne positivamente in contatto con la questione del "fatto"; che certo, nel corso del suo pensiero, subì, rispetto al punto di partenza, trasformazioni così profonde da rendere questo quasi irriconoscibile nel risultato conseguito. Quasi, tuttavia, e non del tutto: perché, assunto nella prospettiva dell'atto, il "fatto" è bensì l'astratto che quello, l'atto, perennemente supera conseguendo e conquistando la sua concretezza, ma, oltre a esser anche la sua "determinatezza", si rivela altresì, nel processo costitutivo dell'atto, indispensabile e necessario: con la conseguenza che, nell'idealismo attuale, la sua è bensì una morte, caratterizzata tuttavia nel senso, piuttosto, della "trasfigurazione".  Non s'insisterà mai abbastanza sull'importanza che, proprio per queste ragioni, la Scuola normale ebbe, con i professori che vi insegnavano, lo Jaja e il D'Ancona, in primo luogo, ma anche A. Crivellucci, nella formazione del giovane allievo siciliano. E ai professori debbono aggiungersi i compagni che egli allora v'incontrò, G. Volpe e F. Pintor, U. Congedo, A. Salza, G. Lombardo Radice.  Anche qui, per altro, avrebbe torto chi semplicemente ritenesse che al fuoco dell'idealismo professato dallo Jaja il G. bruciasse ogni scoria positivista e rapidamente acquistasse la fisionomia che in seguito sarebbe stata la sua. È vero invece che la dicotomia determinatasi in lui quando, in Sicilia, per un verso si accendeva di entusiasmo per il Foscolo e i valori civili da lui rappresentati e per un altro si piegava al culto reverente dei fatti, in qualche modo si ripropose anche a Pisa. Ed egli dovette subirla anche qui perché alla filosofia senza storia né arte che gli veniva insegnata da Jaja corrispondevano la storia e la letteratura senza filosofia che gli provenivano dall'esempio di D'Ancona e di Crivellucci. Il che, naturalmente, non deve sorprendere, perché a predominare, anche a Pisa, era allora il positivismo con il congiunto metodo storico; e con il suo idealismo di derivazione spaventiana Jaja costituiva, in quell'ambiente, piuttosto l'eccezione che non la regola.  La produzione scientifica in cui, senza abbandonare la rivista Helios, che si pubblicava in Sicilia, a Castelvetrano, e alla quale seguitò infatti a non far mancare la sua collaborazione, allora si impegnò appare nettamente scissa fra l'erudizione pura, da una parte, e la filosofia, altrettanto pura, da un'altra (anche se, nel ricercare e commentare i testi di quest'ultima, il giovane G. mostrava chiari i segni del metodo che aveva appreso dal D'Ancona e dal Crivellucci, e che dette del resto chiara prova di sé nella dissertazione accademica Delle commedie di Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca, pubblicata negli Annali della Scuola normale superiore di Pisa, XII [1897]). Le cose più notevoli uscite tuttavia dalla sua penna a conclusione del suo periodo pisano sono, com'è noto, la tesi su Rosmini e Gioberti (1898), discussa con Jaja e quindi, discussa anch'essa con quest'ultimo, la più breve indagine su La filosofia di Marx (1899).  Di questi due libri, il primo costituisce il documento, altrettanto precoce che maturo, di un'indagine condotta nel segno di Bertrando Spaventa e della sua idea relativa alla relazione intercorrente fra il pensiero italiano e quello europeo, fra A. Rosmini e V. Gioberti, da una parte, I. Kant e G.W.F. Hegel da un'altra. Il secondo è invece il documento della capacità dimostrata dal giovane studioso di cogliere il carattere, che a lui sembrava nel fondo idealistico, della filosofia di K. Marx, e altresì di entrare con autorevolezza in uno dei dibattiti - quello concernente la "crisi" del marxismo - fra i più vivi che allora si accendessero nella cultura dell'Europa contemporanea.  Lo studio dedicato a Rosmini e Gioberti, e alla loro polemica fu steso per il conseguimento della laurea in filosofia, che il G. ottenne nel luglio del 1897 con il massimo dei voti e il diritto alla stampa. Quello dedicato a Marx fu composto per la tesi di abilitazione all'insegnamento che egli conseguì l'anno successivo e gli dette la possibilità di un ulteriore periodo di perfezionamento da trascorrere presso l'Istituto di studi superiori di Firenze, dove fu per un anno e dove ebbe modo di entrare in contatto con gli illustri professori che allora vi insegnavano e che, fra gli altri, si chiamavano P. Villari, G. Vitelli, P. Rajna. Fra questi era anche il professore di filosofia, il neokantiano F. Tocco, con il quale i rapporti non furono né semplici né facili, ma con il quale comunque conseguì un nuovo titolo, discutendo una tesi sulla filosofia italiana del periodo che da A. Genovesi va fino a P. Galluppi, e che poi divenne un volume, pubblicato, nelle edizioni de La Critica, da Benedetto Croce (Dal Genovesi al Galluppi: ricerche storiche, Napoli 1903).  Fu, anche quello trascorso a Firenze, un periodo importante; e se il rapporto con il Tocco fu, malgrado asprezze e incomprensioni, proficuo perché lo mise comunque in contatto con un Kant diverso da quello di Bertrando Spaventa mediatogli dall'insegnamento di Jaja; se quello con Villari fu alquanto burrascoso, dei grandi filologi, classico il primo, romanzo il secondo, Vitelli e Rajna dovette conservare per sempre un grato ricordo, se è vero che ancora negli ultimi anni progettò di ristampare, del secondo, il libro su Le fonti dell'Orlando furioso, ossia uno dei monumenti più insigni della vecchia scuola del metodo storico.  Con l'anno trascorso a Firenze, nell'estate 1898 i suoi Lehrjahre avevano termine; e gli anni che seguirono furono non facili; anzi decisamente difficili, perché l'esigenza per lui imperiosa di trovare un lavoro, e perciò un posto nell'insegnamento medio, era pari a quella che egli avvertiva non meno viva e urgente di non interrompere gli studi filosofici, nei quali aveva già realizzato un'impresa notevole, con quei tre lavori, così ricchi di dottrina e di idee. Ma l'esigenza di proseguire senza nocive interruzioni la intrapresa carriera dello studioso implicava l'altra che l'eventuale sede non fosse dispersa nella lontana provincia meridionale e lontana perciò dai centri vivi della cultura nazionale, dalle università e dalla biblioteche. E la preoccupazione principale del G. fu allora, in particolar modo, di non essere costretto a far ritorno nell'isola dalla quale era partito anni innanzi: sì che quando, nell'ottobre 1898, ebbe la sede di Campobasso, con l'incarico di filosofia al liceo Mario Pagano, non poté dirsene del tutto scontento, perché di lì poteva raggiungere di tanto in tanto Napoli, dove la frequentazione del filosofo hegeliano S. Maturi, professore al liceo Umberto e, sopra tutto, di Benedetto Croce, con il quale era entrato in contatto quando ancora era studente del terz'anno, largamente lo compensavano dalla solitudine alla quale era invece, per il resto del tempo, costretto.  Del resto, non fu quello di Campobasso un periodo che si protrasse nel tempo. E già nel novembre 1900 la fortuna girò in suo favore, perché il G. poté ottenere un posto presso il liceo Vittorio Emanuele di Napoli: il che gli dette la possibilità di rendere veramente intrinseci i legami intellettuali con Croce, ossia con il già illustre studioso che, in quello stesso anno, concluso il periodo degli studi soltanto eruditi, giunto al termine della discussione intrapresa con i testi di Marx e dei marxisti, era tornato alla filosofia e aveva dato all'estetica la sua prima sistemazione.  A ragione, e del resto non è un'osservazione peregrina, è stato detto che, se senza Croce non s'intende il G., altrettanto è vero per l'inverso. Ma ancor meglio potrebbe dirsi e ripetersi che, se si prescindesse dalla collaborazione, stretta, intensa e anche conflittuale, che subito si stabilì fra il libero studioso Benedetto Croce e il giovane ex normalista siciliano, poco o niente si capirebbe della cultura italiana che nel bene (secondo alcuni), nel male (secondo altri) per circa mezzo secolo fu dominata dalle loro personalità e dalle loro opere, spesso intrecciate le une alle altre nel segno prima della concordia discors e poi dell'aperta polemica. È difficile decidere chi fra i due, se il più vecchio o il più giovane, giovasse all'altro nella forma più decisiva. E forse, posta così, la questione è posta male, perché, se è vero che dal G. Croce ricevette impulsi a cogliere nel pensiero che si veniva formando in lui le difficoltà che ne nascevano e ad affrontarle nel segno dell'unità, se è vero, d'altra parte, che la collaborazione prestata dal giovane studioso alla formazione della "filosofia dello spirito" non avvenne senza che egli ne traesse grande giovamento per le tante idee con le quali veniva in contatto e la non comune dottrina storica e letteraria con il cui carattere venivano al mondo, anche è vero che in questi "bilanci" del dare e dell'avere c'è sempre qualcosa di angusto, di gretto, di meschino: e conviene perciò, dalle parole "generali", passare di volta in volta ai "fatti" determinati.  Sta comunque di fatto che, mentre il carteggio fra i due si faceva tanto intenso e frequente che non c'era, si può dire, giorno senza che uno scambio intervenisse a proporre osservazioni, suggerimenti, informazioni e, magari, contrasti; mentre l'amicizia si approfondiva nella collaborazione, la diversa indole dei due ingegni ne riusciva non soffocata, ma in qualche modo persino potenziata. E, come si è detto, c'erano, meno infrequenti di quanto non si pensi, anche i contrasti, anche le polemiche, garbate, amichevoli, ma ferme.  Se, per esempio, nella questione concernente il materialismo storico (una filosofia, per il G., e non, come per Croce, un semplice "canone empirico": una filosofia della storia, fondata per altro sullo scambio del trascendentale e dell'empirico), il dissenso rimase senza soluzione, la discussione, che in buona parte si svolse per lettera, su "forma" e "contenuto" nell'estetica condusse i due filosofi a un accordo sempre più stretto; e anche qui è, non solo alquanto meschino, ma sopra tutto difficile chiedersi, e quindi rispondere al quesito, se a condurre il gioco fosse piuttosto il G., o se invece fosse Croce che, via via che veniva impadronendosi dell'intero territorio dell'estetica, suggeriva il tema e controllava lo svolgimento.  Intanto, nel 1903, la realizzazione del progetto di una rivista letteraria, storica e filosofica, che si chiamò La Critica (il primo numero uscì il 20 gennaio), dette a Croce, e al G., lo strumento attraverso il quale la loro collaborazione potesse rendersi visibile e concreta in risultati specifici, attraendo altresì su di sé, fra consensi e dissensi, l'attenzione del mondo culturale italiano e non soltanto italiano, perché l'anno precedente era uscita la prima edizione dell'Estetica crociana e il successo travolgente del libro, andato al di là di ogni previsione, non poteva non ripercuotere sulla rivista appena agli inizi la sua positività.  La Critica divenne così, velocemente, un severo luogo di ricerche, di studi, e anche, spesso, di impietosi esami critici; e, con il diverso accento caratterizzante lo stile del direttore e del suo principale collaboratore, svolse un'opera della quale sarebbe vano voler disconoscere l'importanza. L'oggetto della "critica" era costituito dalla cultura positivistica, che era bensì in declino quando la rivista iniziò la sua battaglia, ma non tanto, tuttavia, che se quell'urto violento e sistematico non si fosse prodotto, avrebbe trovato così presto la via della sua risoluzione. Al contrario, si direbbe: perché, malgrado la non eccelsa qualità dei suoi pensatori, e certa loro tendenza a dividersi fra un alquanto volgare materialismo e vacue accensioni mistiche e "spiritualistiche", il positivismo aveva, nella sua forma di "metodo storico", non soltanto prodotto alcune opere egregie e importanti, ma era penetrato in profondità nella cultura e nel costume dei professori e della classe dirigente del paese. E "positivista" era in sostanza il pensiero democratico e altresì, malgrado il marxismo, quello socialista; positivisti altresì, con maggiore o minore intensità, erano stati, e per qualche tratto ancora erano, gli stessi Croce e G., che in quella tradizione, e non in un'altra, avevano compiuto i primi passi. Con la conseguenza che quella loro battaglia antipositivistica, esaltata, enfatizzata e mitizzata da alcuni, deprezzata e magari deplorata da altri, fu, con le sue luci e le sue ombre, anche una battaglia che giorno dopo giorno i due filosofi amici condussero contro quel loro "sé stesso" che di essere emendato nel senso della nuova filosofia avesse avuto necessità. E molte cose della vecchia "fede" certamente furono lasciate cadere, che qui non occorre elencare. Ma alcune no; e, per fare qualche esempio, certo si deve anche alla severa disciplina erudita appresa alla scuola dei maestri del metodo storico se, come nessun altro ai suoi tempi, Croce esplorò gli angoli più riposti della "regione" seicentesca, e, nel 1911, scrisse il saggio su La novella di Andreuccio da Perugia (Bari), e il G. non disdegnò le minute ricerche rinascimentali che sottese e affiancò ai grandi quadri d'insieme, e rievocò le ombre dei suoi maestri toscani per scrivere il bel libro dedicato a Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono (1922).  Il soggiorno a Napoli fu, nel rapporto con Croce, quale non poteva non essere: importante, fondamentale perché ebbe per conseguenza di renderlo sempre più stretto, sempre più profondo e, perciò, più stimolante. Il che, trattandosi del rapporto di due pensatori che in quello impegnavano la parte più delicata del loro essere, significa altresì che, per ciò stesso che toccava il profondo, scopriva le differenze mentre celebrava le affinità e persino le identità, e potenzialmente conteneva in sé il germe del suo rovesciamento nell'inimicizia. La polemica sul marxismo contribuì a far meglio conoscere a entrambi le rispettive, e diverse, fisionomie intellettuali; e i due ne uscirono, sebbene avessero ciascuno mantenuto il proprio punto di vista, rafforzati nell'amicizia. Ma nel 1907 la polemica epistolare, e rimasta perciò privata, sulla questione della filosofia e della storia della filosofia, aveva già, sotterraneamente, impresso qualche preoccupante vibrazione alla struttura portante dell'edificio; perché a Croce, sebbene avesse alla fine dato il suo consenso alla tesi del G., era anche sembrato di cogliervi qualche tratto di vecchio hegelismo, il cui Idealtypus era rappresentato allora a Napoli da S. Maturi; e questo il G. non l'aveva gradito.  L'amicizia per allora rimase salda, e anzi, via via, si approfondì, perché in realtà non solo la filosofia e la scienza riguardava, ma anche le cose dell'anima e dell'esistenza, che nella battaglia culturale non potevano, del resto, non essere coinvolte. E poiché nella Critica il G. sistematicamente svolgeva il compito che si era assunto di ricostruire le origini della filosofia contemporanea in Italia e intanto, al margine, scriveva note e recensioni per lo più molto polemiche nell'atto stesso in cui, su un altro fronte, conduceva la sua aspra battaglia, in nome della filosofia che non può non essere immanentismo assoluto, contro quello che perciò sembrava a lui l'equivoco del modernismo cattolico: delle eventuali dispute che intanto i due filosofi svolgessero in privato la rivista non risentì e non mostrò il segno.  La collaborazione che essi vi svolgevano e realizzavano fu perciò, per anni e anni, vista e avvertita come se i due fossero quasi una sola persona che, di volta in volta, faceva prevalere il rigore filosofico e l'eleganza letteraria, nutrita anch'essa di rigore. Si aggiunga che allora, fra il 1902 e il 1909, Croce fu impegnato, fuori della Critica, nella costruzione della Filosofia come scienza dello spirito; e che, per parte sua, mentre svolgeva il suo lavoro e si impegnava a seguire i progressi filosofici del suo amico, sul piano teoretico il G. mostrò in quei primi anni la tendenza a restare in disparte.  Avvertiva, e in una lettera del 1908 inviata al Maturi lo scrisse anche in modo esplicito, che se avesse dovuto esprimere intero il pensiero che intanto gli urgeva dentro con Croce sarebbe giunto allo scontro, e avrebbe dovuto combatterlo. Sapeva, o riteneva di sapere, che, svolto con rigore, il tratto spaventiano del suo pensiero avrebbe dato luogo a conseguenze diverse da quelle che Croce stava allora ricavando dalle sue premesse, e sistemando nei suoi libri; e della migliore qualità filosofica di quelle era altrettanto convinto come della necessità che per allora non convenisse mettere in crisi una collaborazione dalla quale frutti copiosi la cultura italiana poteva ancora attendersi. Del resto, la cautela del G. e la sua decisione di lavorare per, e non contro, l'alleanza con Croce non potevano esser tali da impedire che, talvolta anche in pubblico, sebbene non dichiarate, le differenze emergessero; e fu quel che puntualmente avvenne già nel 1903, quando il G. scrisse (e per allora non pubblicò) la prolusione al suo corso libero di filosofia teoretica nell'Università di Napoli.  Da Napoli, dove nell'insieme trascorse un sereno periodo (il 9 maggio 1901 aveva sposato Erminia Nudi, una giovane maestra conosciuta a Campobasso), quasi per intero consacrato all'insegnamento - nel 1902 aveva ottenuto la libera docenza che esercitava nel corso libero di filosofia teoretica presso l'Università e dal 1904 aveva assunto anche un incarico di filosofia e pedagogia presso l'Istituto superiore di magistero Suor Orsola Benincasa -, alla riflessione filosofica, allo studio, nel 1906 il G. passò a Palermo, perché nel frattempo - dopo che un primo concorso per la filosofia teoretica lo aveva visto soccombere per l'ostilità dimostratagli da Tocco, e anche a causa della debole difesa fattane da A. Labriola, gravemente ammalato e quasi impossibilitato a parlare - aveva vinto la cattedra di storia della filosofia per quella Università. Così, senza averlo sul serio desiderato, era di nuovo approdato alla sponda siciliana; e meno che mai lo aveva desiderato Croce, che non solo vedeva interrotta una consuetudine di vita, di collaborazione e di lavoro che doveva a ogni costo essere difesa, ma anche temeva che il nuovo ambiente potesse distrarre in vario modo l'amico e, sotto diversi punti di vista, allontanarlo da lui.  Il timore di Croce non aveva allora nessun altro fondamento che sé stesso e l'intuizione di cui si alimentava. Era infatti qualcosa come una congettura, una supposizione. Ma la congettura, la supposizione, e il timore, non si rivelarono tuttavia per intero infondati; perché, come forse era inevitabile, nel nuovo ambiente il G. non poteva non ottenere la posizione preminente e da protagonista che non solo il prestigio di cui godeva, ma anche e sopra tutto la forte personalità della quale era dotato, non potevano non assicurargli. La sua posizione divenne preminente nell'Università e, quindi, nella Biblioteca filosofica che, per le iniziative di G. Amato Pojero che ne aveva la cura principale, divenne un centro vivo di dibattiti, nel quale l'idealismo attuale definì per la prima volta sé stesso e vide la luce. Anticipato in modo più che parziale con il breve saggio che nel 1909 il G. dedicò a Le forme assolute dello spirito e, senza presentarlo in altra sede, incluse nel volume su Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia (1909) come sua ideale premessa (e conclusione), l'idealismo attuale trovò la sua prima espressione nella memoria, letta presso la Biblioteca filosofica nel dicembre del 1911, su L'atto del pensare come atto puro (Palermo 1912), quindi nell'altra su Il metodo dell'immanenza, e ancora nelle pagine consacrate a La riforma della dialettica hegeliana (1913) e a Bertrando Spaventa che l'aveva avviata, nonché nel Sommario di pedagogia come scienza filosofica, il cui primo volume (1913) contiene in effetti una sorta di teoria generale dello spirito sotto specie pedagogica.  Un volume, questo, che quando lo lesse in bozze Croce giudicò con qualche severità, perché gli parve che non solo il G. si fosse espresso con nettezza contro la possibilità che tra le forme dello spirito potesse darsi la "distinzione", ma anche che, senza nominarlo e perciò con tanta maggiore asprezza, avesse polemizzato proprio con lui che nella distinzione aveva fatto e stava facendo consistere il criterio supremo dell'intelligenza della realtà. Da queste dichiarazioni di autonomia e di indipendenza, che, implicitamente (ma in modo per altro trasparente), contenevano qualcosa come una sfida, Croce non poteva non essere preoccupato; e tanto più in quanto il senso di indipendenza e di autonomia era confermato da quel che scrivevano gli allievi siciliani del G.: V. Fazio-Allmayer e A. Omodeo, A. Saitta e F. Albeggiani; e anche G. De Ruggiero, che siciliano e residente in Sicilia non era, ma attualista sì, anzi ultrattualista, come ci teneva a dichiararsi e come aveva del resto dimostrato con la memoria, pubblicata anch'essa nell'Annuario della Biblioteca filosofica, su La scienza come esperienza assoluta (1913).  La pubblicazione degli scritti attualisti del G. e le varie manifestazioni che allora innegabilmente si ebbero del formarsi di una "scuola" che in quella forma d'idealismo riconosceva l'unica rigorosa e, perciò, possibile, non potevano non provocare prima o poi la reazione di Croce. Il quale aveva bensì, fra il 1908 e il 1909, fatto il possibile perché il G. tornasse a Napoli come professore nell'Università, convinto che in tal modo la collaborazione sarebbe tornata alle vecchie forme senza le perturbazioni provocate dalla "scuola" e dagli spiriti non sempre positivi che, in effetti, vi si formano o tendono a formarvisi. Ma il suo tentativo non ebbe, com'è noto, successo, perché forti e insormontabili furono le resistenze che l'ambiente accademico napoletano dimostrò all'accettazione della sua proposta. E così accadde che, persa quella battaglia nella quale aveva speso molto del suo prestigio e delle sue energie, quando una grave sciagura privata gli dette il senso che tutto ormai, nella sua vita dovesse giungere all'estremo chiarimento, Croce decidesse di rendere pubblico il "dissidio" filosofico che lo divideva dall'idealismo attuale; e scrisse, per la Voce di G. Prezzolini, un articolo in forma di lettera (ottobre 1913), nel quale i termini del dissenso erano definiti con amichevole fermezza. La scelta della Voce significava, nelle intenzioni crociane, che la disputa non riguardava LaCritica, ossia il luogo della loro comune opera culturale; e si svolgeva, per così dire, al margine di questa. Ma la decisione di mettere in piazza il loro dissenso ferì in modo particolare il G.: anche se, decisa nella sostanza e orientata non a sanare, bensì a ulteriormente precisare, il dissenso, la replica che anche lui affidò alla Voce, si presentasse come la risposta amichevole a un'amichevole richiesta di chiarimenti teoretici. Il dissenso era comunque stato dichiarato; e non mancò di suscitare molta impressione: tanto più che, replicando a sua volta (dicembre 1913), con fermezza, Croce prese atto di un divario che concerneva non la periferia, ma il centro stesso delle loro filosofie.  Il periodo siciliano fu comunque fecondo di molto lavoro. E oltre ad aver gettato le basi dell'idealismo attuale, il G. svolse infatti e approfondì alcuni essenziali aspetti della scolastica e del Rinascimento; e scrisse di G. Bruno, di Bernardino Telesio, di G. Vico, mentre la collaborazione alla Criticacontinuava con il consueto ritmo e, dopo la tempesta teoretica del 1913, nei rapporti con Croce era tornata la calma. Deve anzi dirsi che, malgrado varie traversie di natura familiare e qualche apprensione per la sua salute, fu quello un periodo nella sostanza sereno, sebbene non possa escludersi che egli lo considerasse provvisorio e in cuor suo non desiderasse una sede diversa e migliore. Quando infatti, nel 1913, a Napoli e a Roma si liberarono due cattedre, la prima università fu subito scartata, perché vivo era ancora il ricordo della sconfitta patitavi quattro anni prima, ma la seconda no; e fu invece presa in seria considerazione. Il G. riteneva infatti che l'opposizione di G. Barzellotti, titolare della cattedra di storia della filosofia, potesse essere in qualche modo aggirata e vinta. Ma il calcolo risultò errato: a Roma per allora non fu chiamato; e dopo un tentativo, esperito senza troppa convinzione, di essere chiamato a Torino, città molto amata da Croce, che non avrebbe visto male un suo trasferimento colà, ma assai meno da lui, che la considerava lontana, fredda ed estranea ai suoi gusti e alle sue abitudini, scelse infine di andare a Pisa, dove sarebbe succeduto a D. Jaja e, con l'atmosfera della giovinezza, anche avrebbe ritrovato la Scuola normale, luogo e fonte inesausta di cari e intensi ricordi.  A Pisa tornò con un piglio e una convinzione ben diversi da quelli con i quali vi era approdato, giovane e sperduto studente siciliano, tanti anni prima. Vi approdò con il piglio del pensatore che, ormai sicuro di sé e delle sue forze, sente di dover svolgere una missione non solo filosofica, ma anche, lato sensu, civile e politica. La forte accentuazione teoretica che nei precedenti anni aveva conferito alle sue pagine, anche di storia della filosofia, non aveva mai spento in lui, se mai aveva rafforzata, la convinzione spaventiana che ricostruire la filosofia italiana nella sua storia significasse in realtà contribuire, con le armi della cultura, alla prosecuzione del Risorgimento, riaccenderne negli animi la consapevolezza, battersi contro la corruzione letteraria che in Italia si era per secoli fatalmente intrecciata con lo splendore delle arti. Egli faceva insomma vibrare e risuonare un corda che a Jaja era rimasta sostanzialmente estranea, ma non a D'Ancona, ebreo e fervente patriota risorgimentale, e nemmeno, nei suoi modi particolari, al Crivellucci. Del resto, la prolusione pisana è del 1914; e con gli avvenimenti che lo caratterizzarono e con quelli che ne sarebbero seguiti, quell'anno fatale avrebbe ben presto provveduto a trasformare dal di dentro atteggiamenti, abitudini, costumi, ad accelerare il ritmo delle passioni, talvolta in superficie, altre volte in profondità, a rendere esplicito e visibile quel che per l'innanzi fosse rimasto chiuso nel segreto delle coscienze.  A Pisa, per altro, il G. non stette a lungo, perché già nel 1918 egli passava all'Università di Roma per ricoprirvi la cattedra di storia della filosofia, dalla quale, sempre nella stessa Università, sarebbe passato, nel 1925, a quella di filosofia teoretica, lasciata libera da Bernardino Varisco.  Ma, a parte le passioni e anche le incertezze e le angosce politiche che li caratterizzarono, quelli pisani furono anni importanti: per i risultati filosofici innanzi tutto, che il G. vi conseguì. Fu allora, infatti, che, dopo averne offerto un primo saggio nel Sommario di pedagogia, e quindi nelle memorie palermitane, egli procedette senz'altro a tracciare le linee della Teoria generale dello spirito come atto puro, nata dalla scuola nel 1916 e pubblicata la prima volta quello stesso anno: così come dalla scuola nacquero in quel medesimo tempo i Fondamenti della filosofia del diritto, nei quali, espressione suprema dell'unità, e unità esso stesso, l'atto era indagato nella sua dimensione, oltre che teoretica, pratica, senza che fra l'una e l'altra potesse operarsi la distinzione per la quale, in Croce, i distinti erano i distinti. Ma a Pisa il G. avviò anche la composizione del Sistema di logica come teoria del conoscere, la sua opera in ogni senso più rilevante: della quale scrisse il primo volume che, nato anch'esso dalla scuola, vide la luce nel 1917 e dovette attendere fino al 1923 per avere il suo compimento nel secondo volume, dedicato alla logica del concreto.  Agli anni di Pisa appartiene anche, con sicurezza, Il tramonto della cultura siciliana, un libro del quale si è già avuto modo di accennare come presenti un duplice carattere, di condanna della cultura siciliana positivistica, materialistica e, deteriori sensu, illuministica; e di speranza: la speranza che nel segno dell'idealismo attuale, nato nell'isola per virtù di un siciliano, quella si riscattasse ed entrasse a pieno titolo nella civiltà moderna.  Gli anni pisani furono quelli del primo conflitto mondiale, di quel dramma, anzi di quella tragedia, dopo la cui conclusione niente sarebbe più stato come prima. Il G. li visse con passione, fra esaltazioni e depressioni, come ogni altro italiano del suo ceto, della sua condizione e della sua cultura; ma anche con il sempre più netto convincimento che, all'inizio, non era stato scevro di dubbi anche forti, che quella di entrare in guerra a fianco della Francia e della Gran Bretagna contro gli Imperi centrali fosse stata una giusta decisione, una sorta di chiamata del destino risorgimentale della nazione. Il G. non era nazionalista, e meno che mai era disposto a vedere nell'evento bellico la manifestazione delle forze sanamente irrazionali che spezzano l'ordine stabilito dalla logica, sconvolgendo i suoi concetti. Dalle deteriori manifestazioni di misticismo e vario sensualismo, così frequenti allora nella "cultura" italiana e non soltanto italiana, si tenne sempre discosto. Ma quando gli indugi diplomatici furono rotti e la guerra fu dichiarata, egli scoprì in sé l'interventista che all'inizio non era stato, e progressivamente venne intensificando e attualizzando le critiche che nei confronti dell'Italia e dell'assetto politico e morale che si era dato dopo la conclusione del Risorgimento erano già in lui, allo stato potenziale e, in qualche caso, più che potenziale. Le essenzializzò e attualizzò perché, senza con ciò diventare nazionalista e seguitando anzi a oppugnare ogni idea della nazione che attingesse a concezioni naturalistiche o, peggio, razzistiche, il suo principio, gli parve tuttavia che la prova terribile alla quale l'Italia aveva deciso di sottoporsi richiedeva che di lì in avanti i piccoli pensieri cedessero a pensieri grandi e che quel che s'era ottenuto sui campi di battaglia non fosse poi amministrato dai politici di sempre, maestri non di drammi, ma di mediocri commedie.  Di qui, anche in questo campo così pericolosamente esposto ai venti violenti delle passioni, delle "cupidigie", per dirla con il poeta, e dei "brividi", la ragione profonda dell'ulteriore distacco che allora, giorno dopo giorno, si venne compiendo da Croce. Il quale, come si sa, non solo era stato contrario alla guerra, condividendo le realistiche preoccupazioni di G. Giolitti e di quanti, come lui, erano persuasi che, vinta o persa, la guerra avrebbe comunque rappresentato per l'Italia un troppo grave rischio. Ma anche aveva dichiarato che avrebbe considerato una grave onta per il popolo italiano se all'improvviso i suoi governanti avessero stracciati i trattati e si fossero schierati dalla parte di coloro contro i quali avrebbero, semmai, dovuto combattere. Anche nei confronti della guerra che, quando fu dichiarata, li vide entrambi consapevoli che il loro posto non potesse essere se non quello che l'Italia aveva scelto per sé, l'atteggiamento dei due filosofi fu, nella sostanza, assai diverso. E Croce considerava la guerra alla stregua di un evento irresistibile della natura, ne vedeva la trama violentemente economica e utilitaria, così che sempre il suo monito fu che non si sottomettesse alla sua particolare logica la logica dei superiori valori della verità e della cultura, del pensiero e dell'arte.  Diverso fu, invece l'atteggiamento del Gentile. Senza che perciò si inducesse a passare il segno e a "farsi", come Croce diceva, "l'animo di guerra", egli la considerò tuttavia come una grande occasione rigeneratrice, come un evento assoluto, recante in sé il segno di una tal quale superiore provvidenzialità. Mentre Croce confidava, o quanto meno sperava, che nell'Europa di domani il meglio dell'Europa di ieri fosse conservato e potenziato, e nella religione degli studi, nella civiltà dei rapporti intellettuali, nell'universalità delle idee, gli odi nazionali si placassero e depurassero, il G. inclinava viceversa, lui che nazionalista non era mai stato e nemmeno a rigore era diventato, verso i toni dell'esaltazione nazionale. E fu allora che, per la forza di queste sue convinzioni e passioni, si preparò la sua futura adesione al fascismo, nel quale, mettendo come fra parentesi le molte cose che certo non appartenevano al suo costume, egli credette di scorgere, e in questo convincimento fu poi irremovibile, lo strumento del riscatto "risorgimentale" dell'Italia.  Il sistema filosofico che fino a quel punto il G. aveva elaborato negli scritti dei quali qui sopra si è detto era per intero incentrato su questo concetto: che, come la filosofia antica e quella medievale e moderna (che non riusciva perciò a esser tale), era rimasta ferma, anche nelle sue dimensioni idealistiche, a un concetto intellettualistico e soltanto descrittivo del concetto, del soggetto e della sua attività, con la conseguenza che il concetto non era autoconcetto, e cioè la sua eterna autogenerazione e autoproduzione, nell'idealismo invece, che per questa ragione meritava di essere definito "attuale", questo proprio avveniva. E il concetto era autoconcetto, il soggetto, soggetto, e non concetto (astratto) del soggetto: non era una sorta di res naturalis che il concetto appunto si limiti a contemplare, a descrivere nel suo astratto organismo logico, e non a produrre nell'atto del suo atto. Di qui la tesi, caratteristica di questo idealismo, che nella sua concretezza e attualità, l'atto non può trascendere il suo atto, questa trascendenza dell'atto non potendo essere se non, essa stessa, atto; e l'altra tesi secondo cui la teoria che dell'atto intendesse darsi è perciò una teoria vera (secondo il G.) ma astratta: una teoria astratta del concreto (vero anch'esso, naturalmente: e a fortiori). E di qui l'interna, forte tensione di questa filosofia; che, per un verso (e sopra tutto nelle sue prime formulazioni) era orientata a svalutare e criticare ogni teoria che, in quanto soltanto contemplativa e descrittiva, fosse perciò incapace di cogliere l'atto se non come un "fatto", e dunque come il suo opposto, falsità ed errore, se l'atto era viceversa verità e concretezza. Ma per un verso (e questo accade sopra tutto nel secondo volume del Sistema di logica, non senza che per tale via il G. provasse a rispondere al rilievo di ineffabilità e misticismo rivoltogli da Croce fin dal 1913) la questione dell'astratto e del fatto assumeva un altro volto, e l'atto era bensì celebrato nella sua non obiettivabile attualità, ma il fatto e l'astratto gli si rivelavano a loro volta indispensabili, erano (per dirla in modo tecnico) il suo opposto, ma anche il suo diverso, un grado attraverso il quale, sia pure dissolvendolo, il concreto era, nel e per il suo costituirsi, costretto a idealmente passare. Il punto critico di questa filosofia sta qui: nel suo essere, non, come tante volte si è detto, misticismo e indistinzione, ma nel porsi come una sintesi, attuale e intrascendibile, di opposti, senza poter rinunziare - donde l'ambiguità - a trattare gli opposti come "gradi", e cioè come "diversi" o "distinti": nell'essere insomma una teoria dell'unità che in eterno supera la distinzione, e della distinzione che, proprio perché è in eterno superata, non può veramente uscire dal quadro e si rivela come la condizione insostituibile della sua possibilità.  Verità del concreto, dunque: ma anche dell'astratto; che nelle opere del secondo attualismo, e cioè nel Sistema di logica e oltre, si rivela non, quale all'inizio era, come natura, immobilità, impenetrabile assenza di coscienza, ma come circolo e mediazione, punto semovente che parte da sé e per fare ritorno a sé: come circolo, e perché no, dunque, come esso stesso logo concreto? Come logo concreto; e perché no, dunque, come logo astratto, se questo è mediazione e coscienza, e niente più di questo il logo concreto può essere?  A Pisa, negli anni della Grande Guerra, il G. rivelò a sé stesso la passione politica che gli stava dentro come assopita; e assunse perciò una dimensione che non era più soltanto quella del professore che parla dalla cattedra e magari fa conferenze, ma era bensì quella dell'"intellettuale" militante, che si rivela al grande pubblico attraverso i giornali quotidiani. Ai quali in effetti, assumendo una consuetudine che avrebbe, con diversa intensità (nel tempo), mantenuta fino alla fine della sua vita, il G. allora prese a collaborare: tanto che quando, a guerra finita, raccolse in un volume che intitolò Guerra e fede (Napoli 1919) quanto aveva scritto durante il suo corso, il libro risultò tutt'altro che smilzo, e comunque più consistente di quello che lo seguì, e nel quale, con il titolo Dopo la vittoria (Roma 1920), sistemò gli articoli composti nei due anni iniziali dell'agitato, inquieto, drammatico dopoguerra. Un periodo, quest'ultimo, nel quale sempre più decisamente il G. cercò la sua parte e venne via via inasprendo la sua posizione, perché l'idea natagli nei passati anni, durante le sue meditazioni sulla storia d'Italia e sulla fatale dicotomia che nell'età del Rinascimento si era prodotta fra lo splendore artistico e la decadenza politica e morale, quest'idea doveva ora essere messa alla prova della realtà, doveva diventare uno strumento forte e tagliente di lotta e di azione politica. Il che implicava che, pur seguitando a dichiararsi liberale, sempre più egli sentiva di doversi opporre al liberalismo quale si era riflesso nel costume politico italiano, nella degenerazione dei metodi parlamentari, nell'arte del compromesso e del perenne rinvio delle decisioni: un'arte nella quale maestro insuperabile gli sembrava fosse il Giolitti, che per lui fu allora non il ministro, come G. Salvemini l'aveva in precedenza definito, della "malavita", ma l'artista di ogni cosa che fosse mediocre, si contentasse della mediocrità e rinunziasse a volare alto nei cieli della grande politica.  Furono, questi, mesi drammatici, che egli visse in uno stato d'animo teso e agitato, e nel segno di un'attività senza soste, che dette a tratti l'impressione di essersi risolta in frenetico attivismo. Che certo non si placò quando nel 1920 Croce fu chiamato da Giolitti a ricoprire nel governo la carica di ministro dell'Istruzione pubblica e dette la sua opera alla riforma della scuola media e introdusse sia l'esame di Stato, sia l'insegnamento della religione. Alle cose della scuola il G. aveva, per parte sua, cominciato a interessarsi da molto tempo: ossia fin da quando, giovane professore nel liceo di Campobasso, s'era reso conto di quante manchevolezze l'affliggessero. E poi nel 1913 aveva pubblicato il Sommario di pedagogia, così che a giusto titolo era, in quel campo, considerato un'autorità; che, divenuto ministro, Croce non tardò a riconoscere, chiamandolo a presiedere "la commissione per lo studio dell'autonomia universitaria e dell'esame di Stato", nonché "a far parte di quella per la riforma dei programmi presieduta da Vitelli", nominandolo commissario dell'Istituto femminile superiore di magistero di Roma e confermandolo, nel 1921, nel Consiglio superiore dell'istruzione pubblica (Turi, p. 294).  A Croce, del resto, il G. non fece mancare il suo appoggio, pieno e incondizionato. Almeno nei risultati da raggiungere, e nelle conseguenze che occorreva trarre da alcune generali premesse, i due filosofi amici concordavano senza riserve. E nel sostenere, per esempio, la tesi che la religione dovesse costituire materia d'insegnamento, il suo pensiero non differiva da quello di Croce se non per il "modo" e per la diversa posizione che alla religione egli riserva nel sistema dello spirito. La sua idea era insomma che, come per pervenire alla pienezza del suo sé nella filosofia, lo spirito passa attraverso le fasi ideali, e contrapposte, dell'arte (soggetto) e della religione (oggetto), così anche nella scuola questo ritmo dovesse trovare una sorta di trascrizione temporale o fenomenologica, quasi che, per giungere alla filosofia, anche lì si dovesse percorrere la regione del mito di cui le religioni s'interessano. Ma la religione della quale il progetto ministeriale prevedeva l'insegnamento era quella cristiana e cattolica, la più perfetta, per il G., di tutte le religioni quando, appunto, proprio nella forma assunta dal cattolicesimo la si fosse considerata. Era, questa, della perfezione cattolica, un'idea che il G. aveva sostenuto quando, nei primi anni del secolo vigorosamente aveva polemizzato con i modernisti cattolici. E, per questo riguardo (oltre che per quello concernente la struttura dello spirito), il suo accordo con Croce era piuttosto sulle conclusioni che non sul "metodo". Che è poi quello stesso che si dà a vedere nell'idea che presiedette all'introduzione dell'esame di Stato, perché se, nel propugnarlo, il G. vi implicava il concetto secondo cui in esso lo Stato realizzava una delle dimensioni della sua "eticità", Croce non vi vedeva se non uno strumento di controllo e a questa luce ne interpretava la necessità.  La cosa più singolare fu allora che, nell'atto in cui più stretto si rivelava il legame dei due filosofi impegnati in una importante impresa pratica, il loro dissenso filosofico tornò invece a farsi acuto e a complicarsi con quello politico generale, perché nei confronti del fascismo la reazione di Croce fu bensì, agli inizi, cauta e anche esitante, ma certo in quel movimento egli non vide nemmeno una piccola parte delle idealità che il G. riteneva gli fossero intrinseche e immanenti.  Del resto, nel 1920, dopo due anni che era salito sulla cattedra romana, il G. fondò, assumendone la direzione, il Giornale critico della filosofia italiana: una rivista di sola filosofia che anche per questo suo carattere non si contrapponeva in ogni senso alla Critica, ma in un certo senso sì, anche perché nella nuova rivista gli scolari che subito si erano stretti intorno al nuovo professore, e in lui vedevano il sole della filosofia mondiale, riconobbero l'organo della scuola. E questo, come si sa, era il punto che Croce meno apprezzava ed era disposto a perdonare.  Il momento decisivo della vita del G. venne quando, caduto il governo del Giolitti nel quale Croce aveva ricoperto l'incarico di ministro, e succedutogli uno presieduto da I. Bonomi con O.M. Corbino all'Istruzione pubblica, egli ebbe modo di riflettere sulle mille difficoltà che dal mondo politico e parlamentare sempre sarebbero state opposte a ogni tentativo che si fosse fatto d'introdurre nella scuola una seria riforma. La disistima che, in linea generale, già da molto tempo il G. nutriva nei confronti della classe dirigente italiana trovava così, nella recente esperienza fatta quando Croce era al governo con Giolitti, nuovo alimento. E può ben darsi che anche da questo egli fosse indotto a guardare con sempre più grande favore al movimento fascista e a considerare con politica indulgenza la violenza e le illegalità di cui nutriva la sua azione.  I documenti necessari a rendere certezza questa, che è solo una congettura, mancano, che si sappia. Ma non è improbabile che, appunto, riflettendo sulle recenti esperienze, il G. allora si persuadesse che, nella questione della scuola come, in generale, in quella concernente il governo del paese, il regime parlamentare dovesse cedere il campo a un sistema politico diverso, fondato sulla rapidità delle decisioni e sulla forza necessaria a tradurle nella realtà. E altresì deve aggiungersi che, nel pensare così e nell'orientare in questa direzione le sue scelte politiche, come molti altri egli fu forse tratto in inganno dalla scarsa esperienza che, nel complesso, aveva non solo della politica, ma anche della storia; che, se gli fosse stata meglio nota, gli avrebbe con ogni probabilità in segnato che la politica è un'arte difficile, complessa e insidiosa, non in quanto si svolga in un Parlamento e da questo attenda il consenso, ma perché è politica, e ha a che fare con le passioni e gli interessi, nonché con il loro governo.  Come che sia, l'occasione di mettere alla prova i convincimenti che via via gli si erano formati dentro venne quando, avendo ricevuto dal sovrano l'incarico di formare il suo governo, che succedeva così a quello per breve tempo presieduto da L. Facta, Benito Mussolini scelse infine come ministro della Pubblica Istruzione proprio il Gentile. È stato detto da taluni che, entrando in quel governo come indipendente e soltanto per le sue competenze non politiche ma tecniche, il G. accettava da Mussolini quel che avrebbe benissimo potuto accettare da Giolitti e da chiunque gli avesse offerto un'analoga occasione. Ma, sebbene egli non avesse ancora dichiarato il suo consenso esplicito al fascismo, e fascista ancora non potesse perciò essere detto, è pur vero che quel che pensava di Giolitti e della tradizionale classe politica italiana non gli avrebbe forse consentito di collaborare nel governo con uomini per i quali nutriva disprezzo, e non stima. Nel governo in cui entrava il G. poteva infatti contare sugli ampi poteri che, nel dargli fiducia, il Parlamento aveva concesso a Mussolini, che governò infatti soprattutto con i decreti legge e con facilità poteva aggirare le opposizioni; e di questo, che considerava un vantaggio, egli si giovò con larghezza e altrettanta fermezza, perché, appunto, al governo era andato con l'idea di realizzare comunque la riforma; e a realizzarla era deciso.  Non è possibile, in poco spazio, raccontare le vicende complesse e intricate alle quali il progetto gentiliano della riforma dette luogo. E basteranno due rilievi: uno rivolto a ricordare la struttura a cui la riforma tendeva e alla quale infine mise capo, l'altro diretto a rievocare le fiere critiche che essa suscitò, non solo nel mondo politico, ma anche in quello della scuola. La struttura della scuola riformata prevedeva una scuola elementare obbligatoria per tutti, nella quale il senso della tradizione nazionale, della religione e della letteratura tenessero il centro e costituissero il criterio per la formazione del giovane, al quale certo non sarebbero mancate le nozioni elementari dell'aritmetica e della scienza. Accanto al ginnasio-liceo, destinato a formare le future élites dirigenti e, comunque, gli strati più alti della popolazione, la scuola riformata prevedeva quattro indirizzi fondamentali a cui, come ha scritto S. Romano, corrispondevano "quattro distinti ruoli sociali" (p. 174); e altresì prevedeva che l'educazione impartita nelle elementari sarebbe stata completata, per i figli del popolo, con tre anni di complementare, mentre una scuola industriale e tecnico-commerciale, integrata da un istituto tecnico per chi avesse inteso proseguire nello studio, avrebbe corrisposto alle esigenze formative di queste professioni, insieme con una scuola magistrale, proseguibile in un magistero universitario, per certe parti analogo alla facoltà di lettere e filosofia.  Le critiche che a questo modello di scuola, qui sommariamente descritto, furono rivolte posero subito in rilievo il carattere conservatore, statico e anche classista di una struttura a cui faceva in effetti riscontro l'idea di una società immodificabile nei suoi equilibri politici ed economici. E forti furono subito, da parte di non pochi, le riserve avanzate circa il ruolo riservato al ginnasio-liceo, nel quale lo studio delle due lingue classiche, il latino e il greco, prevaleva su quello delle lingue moderne e, nel complesso, la parte riservata alle lettere appariva rispetto a quella fatta alle scienze naturali, predominante. Si aggiungano le critiche rivolte all'abbinamento, nel liceo, della filosofia e della storia, e anche della matematica e della fisica; e sopra tutto al primo, che sconvolgeva antiche abitudini sia degli storici, sia dei filosofi, alquanto astrattamente dedotto da una teoria e che in concreto non aveva, e non ebbe, il potere di rendere filosofi gli storici, e storici i filosofi. E infine non si dimentichi che la riforma non piacque a molti cattolici, scontenti del potere che lo Stato veniva a esercitare sulle scuole private, e a non pochi laici, scontenti essi pure che la religione cattolica fosse diventata materia obbligatoria per tutti i giovani cittadini dello Stato italiano.  Accanto alle molte critiche, occorre tuttavia anche ricordare e sottolineare che la riforma gentiliana nasceva da una visione coerentemente unitaria, e certo non era la veste di Arlecchino che altrimenti (e come poi è accaduto) avrebbe rischiato di essere: tante idee di diversa provenienza mal combinate e peggio tenute insieme dallo spirito deteriore del compromesso politico. Per quanto concerne il rilievo (certo non infondato) di elitismo e persino di classismo, conviene dimenticare il "nodo" che, per parafrasare Dante, tiene al di qua di ogni ragionevole traguardo chi, ripugnando all'idea di fare delle classi economiche più forti le vere destinatarie dell'alta cultura, intesa perciò come strumento di conservazione e di trasmissione del potere, con alquanta semplicità di spirito ritenga che la difficile questione si risolva col "democratizzare" la cultura, ossia con l'estenderne l'ambito e abbassarne il livello. L'esigenza che il G. (e questo non può essere negato) cercava di realizzare, e che per alcuni versi si traduceva in istituti didattici inadeguati, era diretta a far entrare nelle menti che "cultura" significa, in primo luogo, la grande difficoltà che s'incontra nel tentativo che si faccia di conseguirla: un tentativo che va a buon segno soltanto se ci si impegna nell'acquisizione degli strumenti tecnici, storici, linguistici, filosofici, scientifici, senza i quali il mondo del sapere non dischiude i suoi tesori. Ma qui, su questo difficile problema, che tende a tornare insoluto dinanzi a chi pur lavori nel tentativo di risolverlo, occorre non insistere.  Nel maggio 1923, all'apparenza con una decisione improvvisa, che non fu comunicata se non a Mussolini, che doveva essere informato, e della quale nemmeno Croce fu messo al corrente, il G. si iscriveva al Partito nazionale fascista. E sulle ragioni che lo indussero, mentre era ministro, a compiere questo passo, che certo non era privo di gravi conseguenze, si è molto discusso; e da alcuni si è avanzata l'ipotesi che a prendere questa decisione, che rese contenti i suoi allievi romani, ma non altri che ne rimasero invece alquanto sgomenti, egli fosse indotto da due diverse, ma convergenti, persuasioni.   La prima, che quello fosse l'esito necessario non tanto dell'idealismo attuale, che con il fascismo in quanto tale poco aveva in comune, quanto piuttosto della riflessione da lui condotta nei passati anni sulla storia d'Italia e sulla possibilità che ora il fascismo aveva nelle mani di reintegrarne in unità le secolari scissioni e lacerazioni, la politica imbelle e la letteratura vuota, compiendo il Risorgimento. L'altra, immediatamente pratica e politica, che la riforma sarebbe stata meglio difesa, e altrimenti non potesse esserlo, se il liberale che egli era, ed era considerato, avesse mostrato di condividere senza riserve la convinzione mussoliniana e fascista e avesse così posto termine, o almeno un freno, alle critiche che gli si muovevano e alle diffidenze da cui era circondato.  In ogni caso, il passo che doveva decidere il destino del G. era compiuto. Ed è quanto meno dubbio che, se lo compì anche per salvare la riforma dalle forze che l'avversavano e minacciavano di impedirne l'attuazione, quel passo servisse veramente allo scopo. I mesi che precedettero l'assassinio di G. Matteotti, avvenuto il 10 giugno 1924 e che videro quattro giorni dopo le sue dimissioni dal governo, furono drammaticamente segnati da gravi difficoltà, a superare le quali non bastarono né il tattico appoggio datogli dal capo del governo, né gli inviti alla resistenza provenienti dai suoi scolari e amici romani, né il sostegno deciso di Croce che, malgrado il sempre più netto incrinarsi dei loro rapporti e la frattura che entrambi sapevano, in cuor loro, inevitabile, non glielo fece mancare e, nella sua impresa di ministro, lo sostenne. Le dimissioni dal governo non furono un atto di autonomia, di distacco dal fascismo che si era macchiato di un gravissimo delitto, di opposizione alla sua politica. Furono, infatti, da lui motivate con pure ragioni di opportunità politica e nell'interesse sia del governo, sia di colui che lo presiedeva: ossia con l'argomento secondo cui le opposizioni delle quali la sua riforma era da tempo l'oggetto potessero diventare un pretesto per colpire Mussolini o avessero comunque, pretesto o no, a indebolire la posizione politica di lui che, all'improvviso, era venuto a trovarsi in una situazione obiettivamente molto difficile.  Accusato apertamente dalle opposizioni di essere il responsabile e il materiale mandante del delitto, Mussolini era allora non solo in pericolo, ma sembrava altresì aver perduto la sicurezza e la spregiudicatezza che, in momenti non altrettanto gravi, erano sembrate la dote precipua del suo essere un politico nuovo, estraneo alle astuzie deteriori e alle infinite mediazioni della prassi parlamentare. E, proprio perché sull'indecisione dimostrata da Mussolini egli ebbe allora, in lettere private, a formulare critiche precise - nonché il timore che quello smarrisse la via e naufragasse -, proprio per questo il proposito di rendergli il più possibile sgombro di ostacoli il cammino dovette sembrargli l'unico che un seguace fedele dovesse preoccuparsi di tradurre in comportamenti conseguenti.  Al fascismo, dunque, con quel gesto il G. non tolse il suo consenso, ma piuttosto lo rinnovò in un momento in cui non mancarono, fra i suoi allievi, quelli che, delusi dall'indecisione mussoliniana, lo esortavano a prender lui la guida effettiva, e cioè politica, del fascismo in crisi. Furono quelle settimane drammatiche, perché, oltre gli elementi obiettivi che rendevano tale la crisi, a coloro che, nel campo fascista, lo spingevano verso posizioni estreme si contrapponevano gli amici che, o antifascisti o in via di diventar tali, gli davano il consiglio opposto: non di rimanere nel partito di Mussolini, ma, decisamente, di uscirne, mettendo in salvo una volta per tutte il suo "nome onorato". Drammatiche sono, in questo senso, le lettere che allora gli scrissero G. Lombardo Radice, collaboratore fedele e amico fraterno, e A. Omodeo, uno degli allievi prediletti della scuola palermitana. Furono giorni, settimane, mesi molto difficili anche perché il dissidio con Croce, che, come si è detto, mai si era sul serio ricomposto e, come il fuoco la cenere, sempre aveva seguitato a sottendere i loro rapporti, giunse allora, finalmente, alla sua definitiva espressione. E quali, a determinare la rottura che in sostanza si consumò alla fine dell'ottobre 1924, possano essere stati gli episodi e le circostanze specifiche, sta di fatto che era la logica delle cose a rendere grave ogni episodio, ogni circostanza che, se tale logica non fosse appunto stata così forte e imperiosa, avrebbero, con ogni probabilità, potuto avere un esito diverso.  Sulle ragioni profonde che la determinarono e misero fine a un sodalizio durato quasi trent'anni, molte cose si dissero allora, molte sono state dette poi, quando parve che il distacco cronologico consentisse la serenità necessaria alla formulazione del giudizio. E questa non è la sede dove la questione possa essere analizzata in ciascuno dei suoi aspetti, filosofici, politici, psicologici; e si può ben dire che, per quanto attiene al suo concreto e determinato delinearsi e decidersi nel tardo autunno del 1924, essa risulti definita dalle due lettere che il G. e Croce si scambiarono: essendo tuttavia quest'ultimo che, di fronte alla dolorosa meraviglia espressa dall'altro nell'apprendere che certi suoi comportamenti avevano seriamente messo in pericolo la prosecuzione, non solo del loro sodalizio scientifico, ma, addirittura, della loro amicizia, obiettò che al dissidio mentale nel quale da tempo si trovavano se n'era aggiunto un altro, di natura pratica e politica; e che le cose dovevano perciò fare il loro corso necessario, fino alle estreme conseguenze.  Le dimissioni che il G. presentò e che Mussolini accettò, nominando al suo posto il liberale, e grande amico di Croce, A. Casati, segnarono nella sua vita una svolta importante. Nella sua vita, s'intende dire, pubblica e politica; e non nei suoi sentimenti e convincimenti politici che, a quanto risulta, fino all'ultimo dei suoi giorni rimasero quelli che nel 1923 lo avevano indotto a chiedere la tessera del partito fascista. Non nei sentimenti e nei convincimenti, dunque. Ma nella vita pubblica e politica, sì. Al governo infatti il G. non tornò più. E alla politica del paese partecipò bensì, nei primi tempi, come presidente della Commissione dei quindici (divenuta poi dei diciotto), il cui compito fu di svolgere una revisione costituzionale in senso autoritario dello Stato. Partecipò bensì come vicepresidente del Consiglio superiore della pubblica istruzione: una carica importante, questa, che gli consentiva di vegliare sull'integrità della riforma, proteggendola da quanti avevano interesse a intervenirvi per alterarla e stravolgerla. Ma, intesa in senso stretto, dalla politica, in sostanza, egli allora uscì. E la sua partecipazione alla vita del regime fascista si realizzò nelle istituzioni culturali (per esempio, l'Istituto nazionale fascista di cultura, poi di cultura fascista) delle quali ebbe la cura e che presiedette; e se nei giornali e nelle riviste politiche alle quali normalmente collaborava non perse occasione per dire il suo parere su ciò che più da vicino lo toccava, l'argomento prescelto fu quasi sempre culturale, anche se mai egli mancò di collocarlo nel quadro costituito della sua fede fascista e della sua fedeltà al regime mussoliniano.  Almeno su due episodi occorre tuttavia, non essendo possibile in questa sede un più largo discorso, soffermarsi. E di questi uno era bensì di natura anche filosofica e culturale, perché implicava in modo preminente l'idea che da anni ormai egli aveva elaborato della filosofia e dello Stato che, identico alla filosofia, rappresenta il vertice stesso dell'autocoscienza; ma anche era di natura politica, e persino diplomatica, coinvolgendo direttamente l'azione del governo e del suo capo. Si allude al concordato con la S. Sede dell'11 febbr. 1929. E il G. lo avversò in un pubblico discorso, che non ebbe conseguenze pratiche perché sulla via concordataria Mussolini era deciso ad andare fino in fondo, e l'opposizione del filosofo formalmente rientrò: sebbene quell'episodio dovesse seguitare ad agire dentro di lui che, forse anche per questo, quasi volesse rinverdire dentro di sé quel gesto di autonomia non andato a segno, per tutta la vita polemizzò con i filosofi cattolici e, in modo particolare, con gli ambienti dell'Università cattolica del S. Cuore di Milano, in primis con padre A. Gemelli, che egli trattò con la mano rude che riservava a certe sue battaglie culturali e filosofiche.  L'altro episodio è costituito dalla battaglia che egli sostenne perché ai professori universitari fosse imposto il giuramento di fedeltà al regime fascista. E a parte le modalità con le quali e attraverso le quali si svolse; a parte il nesso con le vicende della replica che, per iniziativa di G. Amendola, e a nome di tanti e tanti intellettuali, Croce dette al Manifesto degli intellettuali fascisti redatto dal G.; a parte le tragiche ferite che questa imposizione apriva nella coscienza di tanti che innanzi a sé videro o la prospettiva della miseria o quella dell'abdicazione ai dettami dell'etica, c'è qualcosa che a questo riguardo merita di essere notato. E questo è il singolare concetto della "concordia" a cui, com'era accaduto persino nei giorni cupi della crisi aperta dell'assassinio Matteotti (e come ancora sarebbe accaduto vent'anni dopo nei mesi della Repubblica sociale), anche in quel caso il G. si appellò per sostenere che, se l'opposizione resa evidente e, anzi, drammatizzata dal conflitto dei due manifesti, il suo e quello di Croce, fosse stata superata da un formale atto di fedeltà al regime, l'unità sarebbe stata ristabilita e nessuna discriminazione avrebbe più avuto alcuna ragione d'essere nei confronti di dissenzienti che non erano, ormai, più tali. E la cosa singolare è che, nell'argomentare così, non solo egli mostrava di credere che, se il giuramento fosse stato dato, le ragioni del dissidio politico che ai suoi occhi lo aveva reso necessario sarebbero venute meno; ma addirittura riteneva che potesse essere e definirsi unità autentica quella che fosse stata conseguita per la via della coercizione e non per quella, da lui tante volte definita come l'unica possibile, della libertà, mediante la quale lo spirito costituisce sé stesso.  Quella dell'Enciclopedia Italiana fu l'impresa alla quale, fra il 1925 e il 1943, il G. dedicò la parte più viva della sua energia di grande organizzatore culturale. La parte più viva, e anche la più grande, la più impegnata e costante, quella con la quale il suo "tutto" quasi per intero giunse a coincidere. Quasi per intero; perché, accanto all'opera dell'Enciclopedia, occorre non dimenticare l'altro grande suo impegno, che fu costituito dalla Scuola normale superiore di Pisa, della quale fu, dal 1928, commissario, quindi, dal 1932, direttore, e che nella sua stessa persona difese, nel 1935, dall'attacco mosso da C.M. De Vecchi di Val Cismon che, divenuto ministro dell'Educazione nazionale (gennaio 1935), gli mostrò intera la sua ostilità, giungendo anche a destituirlo (giugno 1936). Il provvedimento del ministro fu presto ritirato perché, sollecitato dal G., nella controversia intervenne direttamente il capo del governo, che rimise al suo posto il filosofo; che poté così continuare la sua opera di potenziamento e di ammodernamento della Scuola, e rendere assai più agevole il soggiorno, e migliori le condizioni di studio, agli studenti interni. Dai quali, sopra tutto negli anni Trenta e Quaranta, dovette sopportare non poche manifestazioni di antifascismo, perché, fra La Sapienza e la Normale, per opera di alcuni giovani professori, e in primo luogo di G. Calogero, Pisa era diventata un centro assai vivo di opposizione al regime fascista.  Il consenso del quale questo aveva goduto fin verso la metà degli anni Trenta era andato impallidendo quando, con la guerra di Spagna e poi, nel 1938, con le leggi razziali, si ebbe netta l'impressione che l'allineamento alla Germania nazionalsocialista avrebbe avuto per conseguenza la tragedia di una seconda guerra europea e mondiale. E, ancora una volta, il G. si trovò a dover affrontare un conflitto, difficile e penoso, con i giovani che, direttamente o no, erano anche suoi allievi e non poco, comunque, avevano ricevuto da lui. Le testimonianze, scritte e anche orali, che rimangono di quegli anni pisani dicono di un suo atteggiamento incerto fra paternalismo e autoritarismo, fra benevole indulgenze e improvvise durezze. Un atteggiamento, questo, tipico di un uomo generoso e, nello stesso tempo, incapace di comprendere le ragioni del dissenso; e che, su un piano di ben altra drammaticità, si ripeté quando, avendo accolto e cercato di "sistemare" alcuni intellettuali tedeschi che, dopo il 1933, avevano dovuto lasciare la loro terra perché ebrei (P.O. Kristeller, K. Löwith, N. Rubinstein, per citarne solo tre), la medesima questione gli si presentò, per gli ebrei italiani, in seguito alla promulgazione delle già ricordate leggi razziali del 1938. Anche in questo caso, infatti, quanto fu benevolo e comprensivo nei confronti dei perseguitati, altrettanto il suo atteggiamento fu debole nei confronti di chi di quella persecuzione si era reso responsabile. E se niente egli disse in quegli anni in difesa di provvedimenti che non potevano non ripugnargli profondamente, in pubblico non se ne dissociò.  Ma si diceva dell'Enciclopedia, nell'organizzare la quale, nel dirigerla, nell'avviarla alla sua realizzazione, il G. seppe altresì formare, nella sede romana di piazza Paganica, un luogo di lavoro affatto particolare, segnato in profondità dalla sua energia, ma anche dal suo vivo senso della libertà della scienza, che in sostanza, tenendosi in difficile equilibrio fra il censore ecclesiastico e quello politico, egli seppe per lo più garantire agli studiosi che vi collaboravano e che, se non certo in maggioranza, in buon numero erano antifascisti o non fascisti.  Si pensi, per fare qualche nome, a G. De Sanctis, che all'Enciclopedia seguitò a collaborare anche dopo che, per non aver voluto prestare il giuramento di fedeltà al regime, aveva dovuto rinunziare alla cattedra romana. Si pensi a G. Calogero, a W. Giusti, a U. La Malfa, a C. Antoni, e ad altri che, se, come si è detto, non erano propriamente ostili al fascismo, nemmeno gli erano amici incondizionati; e qui si possono, per esempio, fare i nomi di F. Chabod, di E. Sestan, di W. Maturi.  A proposito dell'Enciclopedia sono state poste, tra le altre, due questioni: se il G. la concepisse come un grande monumento, fascista, da innalzare al fascismo, o se da questa idea si tenesse tanto lontano quanto per contro era convinto che quello dovesse essere un monumento italiano, frutto e documento dell'unica, ossia della più alta, cultura italiana; e, inoltre, se l'Enciclopedia, quale il G. la concepì e disegnò, abbia patito la conseguenza della chiusura e dell'angustia della cultura idealistica e fosse perciò poco disposta a concedere alle scienze naturali, fisiche e matematiche, lo spazio che queste avrebbero richiesto e, beninteso, meritato. Alla prima deve rispondersi che, certo, nata in quegli anni e resa possibile dal fascismo, l'Enciclopedia appartiene al numero delle opere che allora si produssero. Ma "fascista" non fu nella concezione, perché esplicitamente il G. sostenne il suo carattere in primo luogo scientifico, culturale e non politico. E "fascista" non fu nel contenuto, perché, oltre a essere "scritta" da molti che fascisti non erano, e anzi al regime erano avversi, anche gli studiosi che aderivano al regime vi scrissero per lo più da studiosi e non da fascisti. Sì che, al riguardo, occorre distinguere e mantenere le distinzioni: aggiungendo (e con questo si passa all'altra questione) che, come non fu fascista nella concezione, così nemmeno fu "idealistica" nel senso vulgato, per il quale si dice "idealismo" e s'intende qualcosa come un oltraggio recato alla scienza. In realtà, come accanto a studiosi idealisti tanti altri vi scrissero che idealisti non erano affatto, così non sarebbe giusto dire che in generale le scienze vi fossero depresse, e che le relative voci non fossero affidate a studiosi di provato e, spesso, di grande valore.  Il lavoro svolto nelle Università di Roma e di Pisa, l'Enciclopedia, e quindi l'Università Bocconi di Milano, l'Istituto per il Medio e l'Estremo Oriente, il Centro nazionale di studi manzoniani (di cui il G. era stato nominato commissario nel 1937, e che fu affidato alle cure sapienti di M. Barbi e del suo collaboratore F. Ghisalberti) non resero però meno intensa la sua attività di studioso. Certo, dopo il 1920-21, venne meno nel G. la possibilità e, con questa, anche l'interesse, di coltivare la ricerca storica nelle forme che questa aveva assunto, presso di lui, negli anni precedenti. Ma nel 1931, rielaborazione di un corso tenuto nel 1927-28 nell'Università di Roma, dove (come già si è ricordato) era succeduto al Varisco sulla cattedra di filosofia teoretica, il G. pubblicava La filosofia dell'arte, documento di aspra polemica anticrociana, ma anche, nello stesso tempo, rielaborazione dell'idealismo attuale dal punto di vista del sentimento, interpretato ora come una sorta di grande Grundakkord, presentante tratti di essenzialità e precategorialità della stessa vita spirituale. E quindi pubblicava l'Introduzione alla filosofia (1933), raccolta di scritti concernenti l'esame dei concetti fondamentali della filosofia, studiati e prospettati dal punto di vista conseguito dall'idealismo attuale. E senza la pretesa di ricordare tutti i tanti scritti, spesso di varia occasione, che egli allora compose e con i quali fu presente nel dibattito e nella vita culturale del paese, converrà tuttavia far menzione degli scritti dedicati ai poeti, e cioè, in pratica, a Dante (La profezia di Dante, Roma 1933; Il canto VI del Purgatorio, Firenze 1940), a Manzoni e infine a Leopardi, il più amato, e quello altresì al quale dette forse il contributo, in questo campo della critica letteraria, più notevole (Manzoni e Leopardi, Milano 1928; Commemorazione di G. Leopardi, Roma 1937; Poesia e filosofia di G. Leopardi, Firenze 1939).  Se la si osserva dall'alto, e la si scruta nel non breve periodo seguito alle battaglie per la riforma della scuola, contro il concordato, per l'istituzione del giuramento da imporre ai professori delle università, la vita del G. sembra, come si è detto, svolgersi prevalentemente all'interno delle istituzioni culturali delle quali ebbe la cura. E qui, fra le luci e le ombre di queste molteplici attività, che lo condussero anche all'acquisto nel 1936 della casa editrice Sansoni, si ha quasi l'impressione che il personaggio sfugga a una definizione; che, malgrado la sua spesso ingombrante presenza, ci fosse in lui qualcosa di segreto, di irriducibile, con il quale egli era forse il primo a non voler prendere, fino in fondo, contatto.  L'uomo era orgoglioso, sicuro di sé: tollerante, come si è detto, ma anche deciso e prepotente. E non avrebbe mai consentito che qualcuno spingesse, o provasse a spingere, lo sguardo per andare al di là di quella spessa corazza attivistica, dietro la quale si muovevano forse più cose di quante amici, nemici, egli stesso supponessero. Mentre impediva che altri penetrasse nel suo animo, non era certo lui quello che fosse disposto ad aprirlo perché egli stesso vi guardasse dentro. Un contributo gentiliano alla "critica" di sé stesso sembra, francamente inconcepibile. Non senza perciò che un moto di stupore si determinasse nell'ambito di chi vi conduceva qualche ricerca, dal suo archivio sono emersi alcuni inediti dedicati alla questione della morte, ossia a un tema, per il teorico dell'idealismo attuale, insidioso fin quasi al limite dello "scandalo" (filosofico).  Da qualche altro indizio documentario può desumersi che se la fedeltà che lo legava al fascismo non venne meno e intatta rimase l'ammirazione per Mussolini e inconcussa la fiducia in lui, nei confronti del razzistico nazionalsocialismo il G. mostrò tutt'altro che inclinazione o simpatia. Il che peraltro non gli impedì di accettare senza discussione alcuna la guerra che, scoppiata nel settembre 1939, coinvolse tragicamente, nel giugno del successivo anno, anche l'Italia. Nei tre anni successivi, dal 10 giugno 1940 all'8 sett. 1943 - in quei tre anni così gravi di disastri, di distruzioni, di sconfitte, e anche di dolorosi lutti familiari, mentre il nesso che aveva unito le coscienze alla patria si spezzava, perché la difesa di questa non s'identificava più, per molti, con la difesa della libertà, da vent'anni perduta -, in questi tre anni il G. scelse il silenzio; che fu rotto solo in poche occasioni: nel 1942, quando esaltò in un articolo il Giappone guerriero, che, nei modi noti era entrato in guerra attaccando gli Stati Uniti d'America; e quindi con il famoso discorso agli Italiani del 24 giugno 1943.  È difficile dire come, dentro di sé, il G. valutasse il dissenso politico sempre più vivo nei confronti del regime, e che egli non poteva non cogliere nei giovani con i quali, a Roma e a Pisa, aveva frequente contatto: anche se è indiscutibile che di quel dissenso, di quell'avversione, del progressivo distacco dal fascismo di molti che pure in questo avevano creduto e riposto speranze, egli non partecipò, chiuso nel suo sentimento di fedeltà come in una fortezza della quale convenisse non abbassare, bensì, piuttosto, tenere ben alzati i ponti levatoi.  Fu questa, come si sa, la ragione per la quale egli accettò l'invito rivoltogli dal segretario del partito fascista, C. Scorza, di pronunziare dal Campidoglio un discorso che si rivolgesse agli Italiani, impegnati nella terribile prova della guerra e che, da qualche settimana avevano ormai il nemico in casa, fortemente attestato nella terra siciliana. Accettò l'invito che altri, interpellati prima di lui, avevano declinato. Salì sul Campidoglio, e pronunziò il suo discorso, che alcuni lodarono per il coraggio che aveva dimostrato e per il rischio al quale aveva in tal modo esposto la sua persona, e altri invece fortemente deplorarono e criticarono, cogliendovi come il segno della sua perdizione, del suo ribadito essersi reso estraneo a quel suo più profondo "sé stesso" dal quale non pochi avevano tratto una lezione di libertà. Certo, con quel suo discorso, così teso, così eloquente e così, politicamente, ingenuo, il G. mostrò intero il dramma, anzi rivelò la tragedia nella quale, forse al di là della sua stessa consapevolezza, si dibatteva.  Poi vennero il 25 luglio, la caduta di Mussolini e del fascismo, le umiliazioni che egli dovette subire quando il suo antico segretario al ministero della Pubblica Istruzione, L. Severi, divenuto a sua volta ministro nel governo formato da P. Badoglio, rese, senza alcuna seria ragione, pubbliche tre lettere che gli erano state da lui privatamente indirizzate a proposito, sopra tutto, di questioni concernenti la Scuola normale superiore di Pisa. Il che provocò giudizi aspri su di lui sia da parte dei fascisti che lo ritennero pronto a mettersi al servizio dei nuovi governanti, sia da parte di non pochi antifascisti uniti ai primi, in questo caso, da un non diverso giudizio.  Poi venne l'8 settembre, la cui notizia il G. apprese mentre si trovava a Roma, dove si era recato uno o due giorni prima, per affari personali, da Troghi, un piccolo paese sito a pochi chilometri da Firenze, nel quale, in una casa di campagna messa a disposizione sua e della sua famiglia dall'amico G. Casoni, aveva trascorso i mesi estivi, occupato a scrivere Genesi e struttura della società, il suo ultimo libro, estremo frutto di un corso di lezioni tenute all'Università di Roma. E le settimane successive furono quelle in cui, liberato Mussolini, e formatosi, con la proclamazione della Repubblica sociale, un governo fascista con sede a Salò, egli ricevette, tramite C.A. Biggini, divenuto ministro dell'Educazione nazionale, l'invito a recarsi al Nord per un incontro con il capo del governo, il "vecchio amico" al quale, ancora una volta, non poté non concedere quel che quello gli chiedeva. Così fu nominato presidente dell'Accademia d'Italia, trasferita da Roma a Firenze, dove fu sistemata a palazzo Serristori. E qui, dopo che il "commovente" incontro con il "vecchio amico" Mussolini aveva come riacceso in lui il desiderio di non starsene in disparte e, invece, di combattere la sua ultima battaglia, egli riprese il lavoro, cercando di riorganizzare l'Accademia e lavorando con i pochi soci che vi si recavano, assumendo la direzione della Nuova Antologia, cercando di riprendere contatti, e rapporti, per avviare nuove imprese. Ridette vita e autonomia, e questa è una circostanza singolare, la cui genesi richiederebbe qualche studio e attenzione, all'Accademia dei Lincei che infine era stata in parte assorbita nell'Accademia d'Italia, e quindi soppressa. E riprese ancora a collaborare ai giornali, perché, mentre gli eserciti alleati risalivano la penisola e alla guerra che investiva le città e le campagne un'altra si aggiungeva, di Italiani contro Italiani, gli sembrò che non si potesse non far di nuovo risuonare il tema della concordia e dell'unità.  Era un suo vecchio tema, una sua convinzione tenace che, nel livido e tragico teatro che era allora l'Italia, fu qual era stata durante la crisi seguita all'assassinio di Matteotti, e quindi al tempo del giuramento fascista imposto ai professori universitari, anche se, risuonando nella solitudine e nel gelo che circondavano la sua persona, il suo accento risultasse ancora più livido, ancora più tragico. Il G. riprese quel tema nel fosco crepuscolo dell'Italia fascista, forte lui della convinzione che gli Italiani sarebbero tornati a esistere come soggetti politici solo se fossero retroceduti al di qua delle ideologie e qui, in questo luogo ideale, avessero ritrovato la loro unità e identità di Italiani. Era una convinzione nutrita di illusione; e che fosse tale, si comprende non solo se le sue parole siano ripensate nel clima di quel tragico inverno, ma anche se si riflette sullo scambio logico sul quale, ancora una volta, si fondavano, e che si rivela non appena si consideri che per un verso sembrava che la conciliazione, la concordia, la ritrovata unità e identità dovessero realizzarsi in un luogo ideale, irraggiungibile dalle ideologie, dal fascismo, dunque, e dall'antifascismo, mentre per un altro era la Repubblica sociale a rappresentare, nel segno dell'italianità, quel luogo ideale.  Ancora una volta le diverse componenti della sua anima, quelle che, nel loro contrasto, conferiscono alla sua personalità un'inconfondibile dimensione tragica, urtarono violentemente l'una contro l'altra. E la fedeltà mantenuta usque ad mortem al fascismo si accompagnò alla protesta che egli più volte elevò contro le atrocità alle quali intanto si dava luogo, da parte dei fascisti, con torture, uccisioni, gravi violenze.  La sua morte, avvenuta per mano di un commando partigiano comunista, che lo attese nei pressi della Villa Montalto al Salviatino, sulle colline di Firenze dalla parte di Fiesole, nella tarda mattina del 15 apr. 1944, al suo ritorno a casa dopo la mattina trascorsa al lavoro a palazzo Serristori, fu perciò anch'essa una morte violenta. E suscitò molta emozione, anche fra coloro che lo avevano combattuto e mai avevano perdonato a lui, filosofo dell'atto e della sua assoluta libertà, la scelta fascista, cui era rimasto fedele.  Due domande, semplici, ovvie e altrettanto inevitabili, si pongono, e sono state poste, a proposito della sua ultima scelta politica e sulle ragioni che determinarono la decisione di ucciderlo. E la risposta non è, per quanto concerne la seconda, altrettanto semplice di quella che può e deve darsi alla prima. Alla Repubblica sociale il G. aderì per le ragioni da lui stesso addotte; perché si trattava non di scegliere di nuovo, ma di ribadire, nel momento del supremo pericolo, la scelta fatta vent'anni innanzi. E non c'era calcolo politico che bastasse a mettere in crisi questa decisione, perché l'intero universo si concentra e vive nell'atto puro, e quel che resta fuori non è se non calcolo, astuzia: ossia, a rigore, niente. Alla seconda domanda rispondere si potrà in modo adeguato quando nuovi documenti interverranno a far luce nelle molte zone oscure che tuttora impediscono di vedere tutta la verità; che emergerà quando e se emergerà: e allora si vedrà fino a che punto nella decisione di uccidere il G. che aveva rinnovato il suo legame con il fascismo e con Mussolini siano entrate anche valutazioni politiche non direttamente note a quanti, sulla collina fiorentina, spezzarono il filo della sua vita. Qui basterà ricordare che nella chiesa di S. Croce, in Firenze, il nome del G. indica, sul pavimento, il luogo della sua sepoltura.  Opere. Le opere complete del G., raccolte via via durante la vita dell'autore, prima da Laterza (Bari), poi da Treves-Tumminelli (Milano e Roma), quindi da Sansoni (Firenze), furono riprogettate e stampate dopo la morte del G. e la fine della guerra mondiale da questo medesimo editore, al quale subentrò negli ultimi anni, ma senza alcuna mutazione di veste tipografica e di caratteri, l'editrice Le Lettere, sempre di Firenze. L'edizione definitiva rispetta fondamentalmente le partizioni già previste dal G., e cioè: I, Opere sistematiche; II, Opere storiche; III, Opere varie alle quali due si aggiungono, una IV, Frammenti, e una V, Epistolari. A queste cinque partizioni si è unita di recente, una VI di Scritti inediti e vari, nella quale sono apparsi fin qui Eraclito. Vita e frammenti (con il facsimile del manoscritto della traduzione di H. Diels), a cura di H.A. Cavallera, premessa di F. Adorno, Firenze 1996, e La filosofia della storia. Saggi e inediti, a cura di A. Schinaia, premessa di E. Garin, ibid. 1996. A parte questi due ultimi, i volumi fin qui pubblicati delle Opere complete sono quarantanove, perché ancora in preparazione risulta il XXIX, dedicato a B. Spaventa; e aumenteranno, negli anni a venire, nella sezione comprendente i Carteggi, alcuni dei quali sono già in lavorazione, come quello con G. Calogero, a cura di C. Farnetti, e l'altro con G. Chiavacci, a cura di M. Simoncelli.   Qui converrà ricordare in quanto inserite nel testo della voce le principali opere del G.: Rosmini e Gioberti, Pisa 1898; La filosofia di Marx, ibid. 1899; Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari 1909; I problemi della scolastica e il pensiero italiano, ibid. 1913; La riforma della dialettica hegeliana, Messina 1913; Sommario di pedagogia come scienza filosofica, I, Pedagogia generale, Bari 1913; II, Didattica, ibid. 1914; Teoria generale dello spirito come atto puro, Pisa 1916; I fondamenti della filosofia del diritto, ibid. 1916; Sistema di logica come teoria del conoscere, I, La logica dell'astratto, ibid. 1917; II, La logica del concreto, Bari 1923; Le origini della filosofia contemporanea in Italia, I-IV, Messina 1917-23; Gino Capponi e la cultura toscana nel secolo decimonono, Firenze 1922; La filosofia dell'arte, Milano 1931; Introduzione alla filosofia, ibid. 1933; Genesi e struttura della società, Firenze 1944.   Fra i carteggi, quello con Croce, comprendente le sole lettere del G., è raccolto in Lettere a B. Croce, I-V, a cura di S. Giannantoni, Firenze 1972-90 (il testo di riferimento è B. Croce, Lettere a Giovanni Gentile, a cura di A. Croce, con introd. di G. Sasso, Milano 1980). Ma sono anche usciti: G. Gentile - D. Jaja, Carteggio, a cura di M. Sandirocco, I-II, Firenze 1969; G. Gentile - A. Omodeo, Carteggio, a cura di S. Giannantoni, ibid. 1974; G. Gentile - S. Maturi, Carteggio, a cura di A. Schinaia, ibid. 1987; G. Gentile - F. Pintor, Carteggio, a cura di E. Campochiaro, ibid. 1993.  Fonti e Bibl.: Tre sono le biografie fin qui dedicate al G.: M. Di Lalla, Vita di G. G., Firenze 1975; S. Romano, G. G.: la filosofia al potere, Milano 1984; G. Turi, G. G.: una biografia, Firenze 1995. Si aggiungano i ricordi e le testimonianze di B. Gentile: G. G.: dal Discorso agli Italiani alla morte (24 giugno 1943 - 15 aprile 1944), Firenze 1954; Ricordi e affetti, Firenze 1988. Sulla uccisione del G., v. L. Canfora, La sentenza. C. Marchesi e G. G., Palermo 1985, dove si troverà l'indicazione della precedente bibliografia relativa a questa pagina non ancora definitivamente scritta. Cfr. anche G. Sasso, La fedeltà e l'esperimento, Bologna 1993, pp. 73-117. La bibliografia sul G. è assai ampia: per gli scritti del G. ci si deve ancora servire della Bibliografia degli scritti di G. G., a cura di V.A. Bellezza, in G. G.: la vita e il pensiero, III, Firenze 1950, e anche di Il pensiero di G. Gentile. Atti del Convegno 1976-1977, Roma 1977, II, pp. 903-1011. Per gli scritti dal 1980 al 1993, si veda: S. Bonechi, B. Croce - G. G.: bibliografia 1980-1993, in Giornale critico della filosofia italiana, LXXV (1994), pp. 632-660. In questo ambito per un primo orientamento si può innanzi tutto cercar di distinguere fra quanto di e sul G. è stato scritto dai principali discepoli delle sue due scuole, la palermitana e la romana, e cioè da V. Fazio-Allmayer, da A. Omodeo, F. Albeggiani, il giovane G. De Ruggiero, e quindi U. Spirito, A. e L. Volpicelli, G. Calogero, G. Chiavacci, lo stesso A. Carlini, ecc. in ciascuna delle loro opere, e quanto invece al pensatore siciliano è stato dedicato con esplicita intenzione storiografica. Non sempre agevole da rispettare, la distinzione può tuttavia essere di qualche utilità; e qui si indicheranno gli scritti appartenenti alla seconda classe (mentre per la storia "filosofica" dell'attualismo, può vedersi A. Negri, G. G., I-II, Firenze 1975; cfr. anche A. Lo Schiavo, Introduzione a G., Bari 1974). Sono, innanzi tutto, da tener presenti gli studi raccolti nei quattordici volumi della serie G. G.: la vita e il pensiero, Firenze 1948-72. Si veda quindi: G. De Ruggiero, La filosofia contemporanea, Bari 1912; U. Spirito, Il nuovo idealismo italiano, Roma 1923; Id., L'idealismo italiano e i suoi critici, Firenze 1930; V. La Via, L'idealismo attuale di G. G., Trani 1925; F. De Sarlo, G. e Croce. Lettere filosofiche di un superato, Firenze 1925; G. Calogero, Il neohegelismo nel pensiero contemporaneo, in Nuova Antologia, 16 ag. 1930, pp. 3-20; R.W. Holmes, The idealism of G. G., New York 1937; P. Carabellese, L'idealismo italiano, Roma 1938; A. Guzzo, Sguardi sulla filosofia contemporanea, Roma 1940; M. Ciardo, Un fallito tentativo di riforma dello hegelismo: l'idealismo attuale, Bari 1949; E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Bari 1955; H.S. Harris, The special philosophy of G. G., Urbana, IL, 1960; A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienza idealistica in Italia, Padova 1964; U. Spirito, G. G., Firenze 1969; A. Del Noce, Il suicidio della rivoluzione, Milano 1978; V.A. Bellezza, La problematica gentiliana della storia, Roma 1983; A. Del Noce, G. G.: per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna 1990; A. Negri, L'inquietudine del divenire. G. G., Firenze 1992; G. Sasso, Filosofia e idealismo, II, G. G., Napoli 1995.Armando Girotti. Girotti. Keywords: la curva, la curva della bellezza, la linea, la linea della bellezza, storia storica, non filosofica – unita longitudinale – longamiranza, distillizione filosofica – Gentile, il Gentile di Girotti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755915192/in/dateposted-public/

 

Grice e Giudice – l’implicatura di Bruno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: Grice: “Giudice amply proves my trust in the worth of the longitudinal unity of philosophy, for Giudice has unearthed some philosophical minutiae in Bruno – like his tract to Sir Philip Sidney on ‘Atteone,’ which are jewels of implicature!” -- “For Italian philosophy, Bruno is interesting: it’s not all saints like Aquinas; they had hereetics, too – and usually the heretics had a better philosophical background – into what the Italians called the lovely ‘hermetic tradition’ – we used to have one at Oxford in pre-lib days!” -- Grice: “If I am a Griceian, Giudice is a Brunoian – the Italians prefer ‘brunista’ or ‘bruniano,’ but I follow Katz is respecting the full surname – if it is ‘bruno,’ you add things, you don’t substract things!” Essential Italian philosopherwho has studied in depth the origin of philosophy in the Eleatic school. Guido del Giudice (Napoli), filosofo. Si laurea a Napoli e studia Bruno e la filosofia del rinascimento. Fonda la Societa Giordano Bruno. Altre opera: “Bruno” (Marotta e Cafiero Editori, Napoli); “La coincidenza degli opposti” (Di Renzo Editore, Roma); “Bruno, Rabelais e Apollonio di Tiana, Di Renzo Editore, Roma); “Due Orazioni. Oratio Valedictoria e Oratio Consolatoria, Di Renzo Editore, Roma, “La disputa di Cambrai. Camoeracensis acrotismus, Di Renzo Editore, Roma); “Il Dio dei Geometri” quattro dialoghi, Di Renzo Editore, Roma); “Somma dei termini metafisici”; “Tra alchimisti e Rosacroce, Di Renzo Editore,Roma, “Io dirò la verità. Intervista a Giordano Bruno, Di Renzo Editore, Roma, “Contro i matematici, Di Renzo Editore, Roma, “Il profeta dell'universo finite” – “Epistole latine, Fondazione Mario Luzi,. Scintille d'infinito” (Di Renzo Editore).  BRUNO, Giordano (Philippus Brunus Nolanus; Iordanus Brunus Nolanus, il Nolano). - Nacque a Nola, nel Regno di Napoli, nel gennaio o febbraio 1548, figlio di Giovanni Bruno, uomo d'arme, e di Fraulisa Savolino: fu battezzato con il nome Filippo. Della città natale, dove trascorse l'infanzia e iniziò i primi studi, conservò poi sempre un ricordo nostalgico. Nel 1562 si recò a Napoli per studiare lettere, logica e dialettica: in quello Studio ebbe come maestri il Sarnese (Giovan Vincenzo Colle), filosofo di tendenze averroiste, e fra' Teofilo da Vairano, agostiniano, da lui ricordato in seguito con sincera ammirazione. La lettura di uno scritto di Pietro Ravennate suscitò fin da allora in lui l'interesse per la mnemotecnica.  Il 15 luglio 1565, a diciassette anni compiuti e con una incipiente formazione laica, entrò come chierico nel convento napoletano di S. Domenico Maggiore, dove assunse il nome Giordano (forse in onore del domenicano fra' Giordano Crispo, maestro allo Studio) e quel nome ritenne poi sempre, salvo che per una breve parentesi. Mal compatibile, per carattere e prima formazione, con la regola conventuale, tra il 1566 e il 1567 incorse nelle prime infrazioni per aver spregiato il culto di Maria, nonché quello dei santi (una denuncia contro di lui venne allora stracciata dal maestro dei novizi).  Con cautela va accolta la notizia da lui in seguito fornita (Doc. parigini, V) di un invito a Roma per mostrare la propria abilità mnemonica a Pio V (viaggio che lo Spampanato pone tra il 1568 e il 1569):va però notato che allo stesso pontefice il B. dichiarò di aver dedicato L'arca di Noè,operetta smarrita di argomento morale (Dialoghi italiani, p. 842).  Ordinato suddiacono (principio del 1570) e poi diacono (principio del 1571), venne consacrato sacerdote dopo aver compiuto i ventiquattro anni, e celebrò la prima messa nella chiesa del convento domenicano di S. Bartolomeo a Campagna, presso Salerno. Nella seconda metà del 1572, dopo aver soggiornato in altri conventi del Napoletano, fece ritorno allo Studio di S. Domenico Maggiore in Napoli come studente formale di teologia: il curriculum quadriennale comprendeva un corso speculativo (prima e terza parte della Summa tomista) e un corso morale (seconda parte della Summa,alternabile con il quarto libro delle Sentenze di Pietro Lombardo esposte da fra' Giovanni Capreolo). È da ritenere che il B. abbia superato gli esami annuali, e nel luglio 1575 quelli di licenza, per cui sostenne le tesi "Verum est quicquid dicit D. Thomas in Summa contra Gentiles" e "Verum est quicquid dicit Magister Sententiarum" (Doc.parigini, II).  Tali studi, se da una parte suscitarono in lui una non mai smentita ammirazione per l'opera di s. Tommaso, d'altra parte dovettero ingenerargli quel fastidio per "les subtilitez des scholastiques, des Sacrements et mesmement de l'Eucharistie" (Doc. parigini,II), con il conseguente disinteresse per la problematica teologica manifestato in seguito nelle proprie opere come pure, più tardi, in sede processuale. Fin dagli anni conventuali mostrò per contro interesse per opere estranee al curriculum, nonché decisamente vietate, quali i "libri delle opere di S. Grisostomo e di S. Ieronimo con li scolii di Erasmo" (Doc. veneti, XIII).Ciò che, unitamente all'espressione dei propri dubbi circa il dogma della Trinità durante una discussione sulla eresia ariana, portò all'istruzione di un processo a suo carico da parte del padre provinciale (con l'occasione venne ricostruito anche il precedente atto d'accusa già distrutto): in una scrittura smarrita inviata a Roma egli doveva figurare come sospetto di eresia.  Mentre il processo veniva iniziato, il B. non esitò ad abbandonare il convento e la città, probabilmente nel febbraio 1576, e nello stesso mese dové giungere a Roma, dove prese alloggio nel convento di S. Maria sopra Minerva, confidando forse che il proprio caso passasse ignorato tra i disordini che turbavano la città. Egli stesso venne però coinvolto in tali disordini e imputato di "aver gettato in Tevere chi l'accusò, o chi credette lui che l'avesse accusato a l'inquisizione" (Doc. veneti, I): imputazione infondata (come è mostrato dal mancato riferimento ad essa nelle successive vicende processuali), con tutto che un secondo processo contro di lui venne istruito nel 1576 dall'Ordine dei predicatori. Dopo i primi mesi di quell'anno, saputo che i propri libri erasmiani erano stati rintracciati a Napoli, il B., deposto l'abito, abbandonò Roma, raggiunse Genova (circa 15 aprile) e si trattenne a Noli fino al principio del 1577 "insegnando la grammatica a figliuoli e leggendo la Sfera a certi gentilomini" (Doc. veneti, IX). Da Noli passò a Savona e quindi a Torino; di lì, non avendovi trovato "trattenimento a sua satisfazione", si recò a Venezia, dove si trattenne non più di due mesi, facendovi stampare, allo scopo di guadagnare qualcosa, "un certo libretto intitolato De' segni de' tempi", da lui fatto esaminare dal domenicano Remigio Nannini: opera pur questa smarrita. A Padova fu persuaso da alcuni domenicani a indossare l'abito pur quando non avesse voluto rientrare nell'Ordine: ciò che il B. fece dopo essersi recato, per Brescia, a Bergamo. Toccata Milano, nel 1578 lasciò l'Italia attraverso la Savoia, diretto a Lione: giunto a Chambéry e avvertito dai domenicani locali dell'ostilità che avrebbe incontrato nella regione, si trasferì a Ginevra, dove fin dal 1552 una comunità evangelica italiana era stata fondata dal marchese Gian Galeazzo Caracciolo di Vico.  A Ginevra, dimesso nuovamente l'abito, il B. si guadagnò da vivere come correttore di bozze tipografiche. Risulta tuttavia che egli aderì formalmente al calvinismo, come provato non tanto dalla immatricolazione universitaria autografa del 20 maggio 1579, quanto da un processo per diffamazione ai danni del titolare di filosofia Antoine de la Faye, istruito contro di lui dal concistoro nell'agosto 1579: il giorno 13 il B. venne riconosciuto colpevole e virtualmente scomunicato. Dopo un debole tentativo di difesa, egli si riconobbe colpevole, pregò di essere riammesso alla cena, e il giorno 27 venne prosciolto dalla scomunica. Tale episodio (che avrebbe lasciato tracce durevoli nelle sue opere mediante la propria polemica anticalvinista) determinò la sua partenza da Ginevra.  Recatosi questa volta a Lione, non avendovi trovato modo di sostentarsi, vi si trattenne solo un mese (forse tra il settembre e l'ottobre 1579) e si recò quindi a Tolosa, che era proprio in quel tempo uno dei baluardi della ortodossia cattolica: ciò che dimostra la portata della sua reazione anticalvinista, confermata anche dal tentativo che allora fece di ottenere l'assoluzione da un padre gesuita. La mancata assoluzione, "per esser apostata" (Doc. veneti, XII), non gli impedì di essere invitato "a legger a diversi scolari la Sfera, la qual lesse con altre lezioni de filosofia forse sei mesi" (Doc. veneti, IX), nonché di conseguire il titolo di magister artium: ed ottenere per concorso il posto allora vacante di lettore ordinario di filosofia: onde lesse, "doi anni continui, il testo de Aristotele De anima ed altre lezioni de filosofia". Da accenni fatti più tardi dallo stesso B., è dato inferire che il suo insegnamento incluse lezioni di fisica, matematica e lulliane. Risale a quest'epoca la composizione della Clavis magna, trattato mnemotecnico-lulliano rimasto inedito e smarrito.  Nell'estate del 1581 si delineò una ripresa della lotta tra cattolici e ugonotti, e il B. dové lasciare Tolosa "a causa delle guerre civili" (Doc. veneti, IX). Trasferitosi a Parigi, vi intraprese "una lezion straordinaria", cioè un corso di trenta lezioni su altrettanti "attributi divini, tolti da S. Tommaso dalla prima parte", che alcuni vogliono costituisse l'operetta inedita e smarrita "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati universali" (Doc. veneti, I). A Parigi non poté accettare un lettorato ordinario per l'obbligo - che, come apostata, non volle assumersi - di frequentare la messa; tuttavia conseguì tale rinomanza mediante il lettorato straordinario, che, come ebbe a dichiarare egli stesso, "il re Enrico terzo mi fece chiamare un giorno, ricercandomi se la memoria che avevo e che professava, era naturale o pur per arte magica; al qual diedi sodisfazione; e con quello che li dissi e feci provare a lui medesimo, conobbe che non era per arte magica ma per scienza" (Doc. veneti, IX): episodio che ben si comprende tenendo conto del fatto che la corte francese era frequentata da intellettuali come J. D. du Perron e Pontus de Tyard di cui sono noti gli interessi per il sapere enciclopedico e l'arte della memoria come strumenti per un piano di riforma culturale. Tuttavia i rapporti del B. con la corte - che sarebbero durati, direttamente o indirettamente, per circa un quinquennio - si spiegano altresì sul piano ideologico-politico, ove si tenga conto dell'analogia tra l'equidistanza bruniana dal rigorismo cattolico e da quello protestante, e la posizione mediana dei politiques, che controllavano la corte, tra l'estremismo cattolico dei ligueurs e quello protestante degli ugonotti.  Durante questo primo soggiorno parigino apparvero a stampa le prime operette bruniane a noi pervenute: il Deumbris idearumcon raggiunta dell'Arsmemoriae, opera mnemotecnica e lulliana stampata da E. Gourbin nel 1582, dal B. dedicata ad Enrico III, il quale "con questa occasione lo fece lettor straordinario e provisionato" (Doc. veneti, IX: egli venne cioè a far parte del gruppo dei lecteurs royaux, tendenzialmente contrari al conformismo aristotelico della Sorbonne); seguì, nello stesso anno, il Cantus circaeus, operetta mnemotecnica stampata da E. Gilles e dedicata, per conto del B., da J. Regnault a Henri d'Angoulême, fratello naturale del re, essendo il B. stesso "gravioribus negociis intentus" (Opera, II, 1, p. 182); quindi il De compendiosa architectura et complemento Artis Lullii (Gourbin, 1582) dedicata dal B. all'ambasciatore veneto Giovanni Moro.  La prima parte del De umbris rielabora materiale lulliano e mnemotecnico ai fini di una ricerca gnoseologica che presuppone, platonicamente, una corrispondenza tra mondo fisico e mondo ideale; la seconda e terza parte costituiscono un manuale mnemotecnico per cui il B. attinge in particolare al ravennate (l'impostazione didascalica è ripresa nell'Ars memoriae, in cui elementi della tradizione astrologico-ermetica si inseriscono nella elaborazione lulliana e mnemotecnica, fermo restando l'intento gnoseologico). Il Cantus circaeus, in due dialoghi, presenta un'applicazione concreta dell'ars esposta nel De umbris, non senza un'intenzione satirica che sarà poi sviluppata nello Spaccio. Il De compendiosa architecturarielabora gli elementi tecnici del lullismo allo scopo di offrire uno strumento gnoseologico per cui l'ordine universale risulta riflesso nello schema simbolico.  Nell'agosto del 1582 il B. terminava la composizione dell'unica sua commedia, il Candelaio, stampata prima della fine dell'anno (anteriormente forse al De compendiosaarchitectura) da Guillaume Julien figlio. Sul frontespizio l'autore si definiva "Academico di nulla Academia, detto il Fastidito, in tristitia hilaris, in hilaritate tristis.  Il Candelaio, scritto in un volgare popolaresco ricco di napoletanismi plebei, ma non senza echi della tradizione burlesca rinascimentale (Aretino, Berni, ecc.) accanto a moduli parodici della retorica classica, riflette sul piano morale il momento di rottura con l'Ordine, né è da escludere che la composizione ne fosse stata iniziata prima dell'allontanamento dall'Italia. Dedicata Alla signora Morgana B., personaggio napoletano di non sicura identificazione, la commedia, di ambientazione appunto napoletana - la cui azione si svolge nel 1576, "vicino al seggio di Nilo" - investe satiricamente "tre materie principali" e "l'amor di Bonifacio, l'alchimia di Bartolomeo e la pedanteria di Manfurio", in una sorta di applicazione alla vita morale del principio bruniano della corrispondenza e identificazione dei distinti nell'uno. Fin dalle pagine preliminari si notano del resto motivi che, riallacciandosi alla base teoretica dell'elaborazione lulliana e mnemotecnica delle operette latine, anticipano alcuni presupposti dei più tardi dialoghi filosofici ("Il tempo tutto toglie e tutto dà; ogni cosa si muta, nulla s'annichila; è un solo che non può mutarsi...").  Dalla dedica del Candelaio si sono desunti due titoli di presunte opere smarrite del B. (Gli pensier gai e Il troncod'acqua viva), mentre nell'atto I, scena II, si trova citata un'ottava ("Don'a' rapidi fiumi in su ritorno") di un "poema" inedito e smarrito, cui appartiene forse anche l'ottava "Convien ch'il sol, donde parte, raggiri" citata tre anni dopo negli Eroici furori.  Il 28 marzo 1583 l'ambasciatore inglese a Parigi, H. Cobham, inviava un preoccupato messaggio al primo segretario del Regno d'Inghilterra, F. Walsingham, informandolo dell'intenzione del B. di passare in Inghilterra: la preoccupazione concerneva l'ambigua posizione bruniana in fatto di religione. L'arrivo del B. in Inghilterra, con lettere di raccomandazione di Enrico III per il proprio ambasciatore presso Elisabetta - il tollerante Michel de Castelnau (cui era affidato il compito delicato di sostenere la causa di Maria di Scozia presso la regina) -, è da porre nell'aprile. Da una parte il B. poté essere indotto a lasciare Parigi "per li tumulti che nacquero" (Doc. veneti, IX) - o più esattamente per il delinearsi di quella reazione cattolica che due anni più tardi avrebbe indotto il re a revocare gli editti di pacificazione con i protestanti -; d'altra parte non è da escludere che il suo viaggio in Inghilterra potesse rientrare in un piano dei moderati francesi inteso a mobilitare la corrente politique inglese ai fini di una distensione politico-religiosa in Europa. Ma non è certo da trascurare la personale urgenza bruniana per una sua affermazione sul piano accademico-speculativo dopo i tentativi compiuti a Tolosa e a Parigi.  Al suo arrivo in Inghilterra il B. prese dimora nella casa del Castelnau, a Butcher Row, dove "non faceva altro, se non che stava per suo gentilomo" (Doc.veneti, IX). Tra il 10 e il 13 giugno 1583 fece una prima visita a Oxford, al seguito del conte palatino polacco Alberto Laski: in tale occasione, pur non facendo parte degli oratori designati, sostenne un pubblico dibattito con i dottori oxoniensi, in particolare con il teologo John Underhill, richiamandosi alla logica aristotelica in polemica con le posizioni ramiste. Rientrato a Londra, è da ritenere che indirizzasse allora la sua pomposa lettera Ad excellentissimum Oxoniensis Academiae Procancellarium,clarissimos doctores atque celeberrimos magistros (allegata ad alcuni esemplari della Explicatio triginta sigillorum), con la quale faceva istanza per l'ottenimento di una lettura a Oxford. Sebbene dai registri universitari non risulti che il B. abbia tenuto un corso formale in quella sede, la sua stessa testimonianza di avervi tenuto "pubbliche letture, e quelle de immortalitate animae, e quelle de quintuplici sphaera" (Dialoghi italiani, p. 134: vedi Doc. parigini, I, e Opera, II, 2, p. 232), risulta confermata dalla pur ostile testimonianza di George Abbot (cfr. McNulty), il futuro arcivescovo di Canterbury, allora membro del Balliol College, da cui si apprende che, dopo la prima visita a Oxford, il B. vi tornò nel corso della stessa estate e vi iniziò un corso in latino sostenendo, tra l'altro, la teoria copernicana del movimento della Terra e della immobilità dei cieli: anticipando quindi pubblicamente quanto da lui elaborato nei dialoghi londinesi stampati l'anno seguente. Così il B. come l'Abbot concordano nell'affermare che tale corso venne interrotto per pressioni esterne (stando all'Abbot, il medico Martin Culpepper, guardiano di New College, e Tobie Matthew, decano di Christ Church, avrebbero rilevato un plagio bruniano nei confronti del ficiniano De vita coelitus comparanda: ciò che può essere inteso con riferimento ai prestiti ficiniani nella terminologia bruniana). Interrotto il corso dopo la terza lezione, rientrò a Londra, presso il Castelnau, ribadendo il proprio atteggiamento antiaccademico, in direzione quindi antiaristotelica e insieme antiumanistica.  A Londra il B. condusse la propria polemica culturale e speculativa sia in discussioni nell'ambito dei circoli paraccademici di corte, sia mediante la divulgazione a stampa delle proprie teorie già respinte dal pubblico universitario inglese. La prima opera pubblicata a Londra, nel 1583, è un volumetto contenente l'Ars reminiscendi, l'Explicatio triginta sigillorum (preceduta in alcuni esemplari dalla già citata lettera agli Oxoniensi) e il Sigillus sigillorum. Solo per l'Explicatio e per la lettera è possibile precisare l'officina tipografica, che è quella di John Charlewood, dalla quale sarebbero uscite tutte le rimanenti opere londinesi.  L'Ars reminiscendi è, con lievi varianti, una riproduzione dell'ultima parte del Cantus circaeus. Gli scritti che seguono portano la dedica all'ambasciatore francese, con parole di riconoscenza per la familiare ospitalità. L'elencazione dei "triginta sigilli" mostra che questi rappresentano la sintesi formale dei segni ovvero ombre delle cose e delle idee. Dalla Triginta sigillorum explicatio appare manifesto il presupposto gnoseologico del complesso simbolismo mnemotecnico bruniano. Nel Sigillus sigillorum si manifesta la fede del B. nell'unità del processo conoscitivo, cui corrisponde, sul piano ontologico, la fondamentale unità dell'universo. Alla innegabile utilizzazione di elementi propri alla tradizione platonico-alchimistica, fa qui riscontro l'assenza di preoccupazioni e tendenze d'ordine mistico-religioso: il carattere "speculativo" del Sigillusfa di quest'opera il legittimo antecedente della serie dialogica italiana.  Il 14 febbraio del 1584, mercoledì delle Ceneri, il B. venne invitato a illustrare la propria teoria sul moto della Terra nella "onorata stanza" di sir Fulke Greville, a Whitehall, in compagnia di Giovanni Florio e del medico gallese Matthew Gwinne, essendo presenti due dottori oxoniensi sostenitori del sistema geocentrico e un cavaliere di nome Brown (in sede processuale tale riunione venne dichiarata come avvenuta invece in casa del Castelnau). La conversazione degenerò presto in un diverbio causato dalla intolleranza dei due dottori oxoniensi: sdegnato, il B. si licenziò dall'ospite e di lì a qualche giorno iniziò la stesura della Cena de le Ceneri (stampata nello stesso anno).  Tramite il resoconto della sfortunata discussione, il B. enuncia in questi dialoghi la propria cosmografia: movendo dall'eliocentrismo copernicano, egli approda intuitivamente a una concezione originale dell'universo che per molti rispetti sembra anticipare i postulati della scienza moderna. Già prima dell'arrivo del B. in Inghilterra, la corrente scientifica distaccatasi dalle università e sostenuta dalla corte elisabettiana (Robert Recorde, John Dee, John Field, Thomas Digges) aveva mostrato un certo interesse per le teorie copernicane: è in questa corrente appunto che si inserisce ormai l'attività inglese del B., sia per le istanze "scientifiche" (elaborazione di una moderna teoria astronomica), sia per quelle letterarie (ripudio del latino e adozione del volgare per trattazioni scientifico-speculative) e perfino politiche (adesione alla moderata fazione puritana capeggiata da Robert Dudley, conte di Leicester, nei contrasti tra questo e il tesoriere elisabettiano William Cecil: ciò che ci è rivelato dal confronto tra la prima e la seconda redazione del dialogo II della Cena).  Suddivisa in cinque dialoghi, dedicati all'ambasciatore francese, la Cena è in sostanza un'opera cosmografica che, se da una parte contrasta il geocentrismo aristotelico e tolemaico, d'altra parte trascende l'eliocentrismo copernicano con l'affermazione della pluralità dei mondi nell'universo infinito (non senza la suggestione implicita della definizione ermetica di Dio, come sfera infinita il cui centro è ovunque e la cui circonferenza non si trova in alcun luogo): sul piano teologico ne deriva l'affermazione dell'infinito effetto della causa infinita, nonché l'interpretazione prammatica di quei passi delle Scritture che concordano con la concezione vulgata dell'universo.  L'impostazione polemica dell'opera investe, nel dialogo II, tutti gli strati della contemporanea società inglese mediante una rappresentazione vivacemente realistica. Il B., pur adottando la forma dialogica della tradizione speculativa rinascimentale, la piega alle esigenze della propria polemica, accostandosi non di rado alla maniera parodica della tradizione aretiniana: onde non manca la satira della pedanteria grammaticale oltre che di quella peripatetica.  Gli attacchi contenuti nella Cena alla università di Oxford e alla società inglese suscitarono una forte reazione negli ambienti accademici e cittadini: reazione che coincise con una serie di offese, anche materiali, del pubblico londinese contro gli addetti all'ambasciata francese e contro, la stessa sede diplomatica. Nell'emozione del momento il B. poté ritenersi oggetto diretto di quella reazione anticattolica: è certo tuttavia che la pubblicazione della Cena gli fece perdere molte di quelle simpatie che era riuscito ad accattivarsi a Londra. Di qui l'esigenza di premettere ai già composti quattro dialoghi speculativi De la causa, principio et uno, un dialogo "apologetico" che si risolse però, caratteristicamente, in un ribadimento della propria polemica, salvo un riconoscimento esplicito della validità della tradizione speculativa oxoniense anteriore alla Riforma e la lode di alcuni personaggi conosciuti a Oxford (in particolare Martin Culpepper e Tobie Matthew). La pubblicazione dei nuovi dialoghi, dedicati anch'essi al Castelnau, seguì di poco quella della Cena.  Il primo dialogo della Causa si distingue dai rimanenti quattro anche per i diversi interlocutori (tra questi "Elitropio" è G. Florio, mentre "Armesso" sembra identificabile con M. Gwinne); notevole, tra gli interlocutori dei rimanenti dialoghi, lo scozzese Alexander Dicson "Arelio" (nativo di Errol), discepolo londinese del B. e autore di un'opera mnemotecnica, De umbra rationis et iudicii (1584) ispirata al De umbris bruniano: l'opera era stata attaccata da William Perkins, ramista di Cambridge, il quale non mancò di accomunare i nomi del B. e del Dicson nella sua riprovazione del metodo mnemonico classico considerato in opposizione a quello ramista. La presenza di questo interlocutore, insieme con l'attacco frontale a Ramo nel dialogo III, può valere a farci considerare la Causa come opera di letteratura militante nell'ambito della contemporanea polemica ramista (per l'aspetto politico non va dimenticato che l'attività del Dicson era in linea con il programma politique).  I quattro dialoghi più propriamente speculativi della Causa concernono la definizione dei tre termini enunciati nel titolo: "causa" e "principio" sono intesi, rispettivamente, come la "forma" e la "materia" che, indissolubilmente unite, costituiscono l'"uno", cioè il "tutto". Movendo dalla critica dei postulati della tradizione aristotelica, e non senza ricorso alle formulazioni di stampo neoplatonico ed ermetico, il B. giunge in tal modo a fornire una originale base teoretica alla propria cosmologia già in parte enunciata nella Cena e di lì a poco elaborata nei dialoghi De l'infinito.  Il motivo della satira antipedantesca si accentua nella Causa con una aderenza polemica alle posizioni culturali delle due università inglesi.  Il ritmo serrato con cui alla pubblicazione della Cena e della Causa seguì, sempre nel 1584, quella dei dialoghi De l'infinito, universo e mondi e dello Spaccio de la bestia trionfante si spiega tenendo conto del fatto che già nell'estate del 1583 il B. doveva aver elaborato buona parte del materiale confluito poi nei tre dialoghi cosmologici. Anche l'Infinito porta la dedica al Castelnau, mentre lo Spaccio è dedicato a sir Philip Sidney, nipote del Leicester, mostrandoci in tal modo la portata dei contatti letterari, oltre che politici, dal B. avuti in Inghilterra.  Nei cinque dialoghi De l'infinito, in polemica con la fisica aristotelica, il B. rigetta la teoria della divisibilità all'infinito e ribadisce la propria teoria della infinità dell'universo e della pluralità dei mondi. In questa opera risulta enunciato il pensiero bruniano sul rapporto tra filosofia e religione conforme alla teoria averroista esposta dal Pomponazzi. Tra gli interlocutori figura Girolamo Fracastoro, tracce delle cui dottrine sono reperibili nel dialogo III; discutibile rimane l'identificazione di "Albertino" con Alberigo Gentili (dal B. certamente incontrato a Oxford): potrebbe trattarsi invece di personaggio nolano.  La nuova concezione dell'universo esposta nei tre dialoghi cosmologici si riflette sul piano etico con la trilogia dei dialoghi tradizionalmente definiti "morali", a cominciare dallo Spaccio, il cui tono satirico ravviva un'invenzione che risale, letterariamente, ai dialoghi "piacevoli" di Niccolò Franco.  Lo Spaccio espone un piano di riforma morale che implica la critica all'etica cristiana delle Chiese riformate non meno che di quella cattolica, in nome di un attivismo umanistico contrapposto al tradizionale umanesimo misticheggiante e retorico. L'ispirazione acristiana dell'etica bruniana sembra trovare conferma nella critica - metaforicamente condotta - della duplice natura della persona del Cristo. Non è escluso che questa opera sia da identificare con il Purgatorio de l'inferno,titolo fornito dal B. nella Cena.  Le allusioni politiche contenute nello Spaccio sono compatibili con l'orientamento brumano favorevole ai politiques e che risale al suo soggiorno parigino: c'è chi pur oggi continua a ritenere che la "bestia trionfante" spodestata nello Spaccio sia da identificare con l'intransigente Sisto V. Ma, a parte la cronologia, sembrerebbe contrastare all'interpretazione il quadro tracciato nella Cabala del cavallo pegaseo, con l'aggiunta dell'Asino cillenico (pubbl. 1585), in cui l'"asino", identificabile con la "bestia" dello Spaccio, riassume il suo posto nel cielo: né sembra possibile supporre che la Cabala sia posteriore al 21 sett. 1585, data della bolla con cui Sisto V scomunicò il re di Navarra.  Al di là del possibile significato politico-religioso, la Cabala interessa sia per l'accentuata satira morale rispetto allo Spaccio,sia per gli spunti speculativi (quali il problema del rapporto tra le anime individuali e l'anima universale, risolventesi nella negazione dell'assoluta individualità delle anime) che valgono a meglio illuminare questa fase del pensiero bruniano.  L'operetta è scherzosamente dedicata a un personaggio nolano, don Sabatino Savolino, della stessa famiglia materna del B. cui pure appartiene l'interlocutore "Saulino" presente già nello Spaccio. Il B.ebbe a dichiarare in seguito, di aver soppresso questa opera in quanto non piacque al volgo e ai sapienti "propter sinistrum sensum": essa è infatti la più rara tra le superstiti opere a stampa di Bruno.  Il soggiorno inglese del B. non poteva concludersi in maniera più degna che con la pubblicazione dei dialoghi De gli eroici furori (1585), dedicati al Sidney, in cui risultano poeticamente esaltati i principî fondamentali della filosofia bruniana esposti nei tre dialoghi cosmologici, mentre vi si sviluppa e precisa la portata della satira morale contenuta nei due dialoghi etici.  I dieci dialoghi De gli eroici furori hanno come tema il conseguimento della consapevolezza dell'unione con l'Uno infinito da parte dell'anima umana. La terminologia di estrazione ficiniana (risalente a Platone, Plotino, Dionigi l'Areopagita, lamblico, Proclo, ecc.) rischia di far perdere di vista il carattere "naturale e fisico" del discorso bruniano, quale dall'autore stesso enunciato nella dedicatoria. La stessa adozione dei moduli platonici ("ente, vero e buono son presi per medesimo significante circa medesima cosa significata") va in realtà ricondotta a una sfera etica in cui si risolve ogni apparente residuo di trascendenza: infatti "le cause e principii motivi" sono "intrinseci" e la "divina luce è sempre presente"; "ogni contrarietà si riduce a l'amicizia", "le cose alte si fanno basse, e le basse dovegnono alte".  Notevole nei Furori l'esposizione della poetica bruniana che, movendo dalla critica delle poetiche rinascimentali nella loro interpretazione normativa della poetica aristotelica, approda a una concezione della poesia come letteratura applicata: di qui il ripudio della tradizione lirica petrarchesca, pur nell'adozione prammatica di rime intonate al gusto del tardo petrarchismo (ivi inclusi prestiti dal Tansillo e dalla Cecaria di M. A. Epicuro).  Gli interlocutori sono tutti nolani, ovvero, come il Tansillo, amici della famiglia del Bruno. Notevole, come dato biografico dell'infanzia, la presenza di due figure femminili: Laodamia e Giulia.  Nell'ottobre del 1585 il B. rientrava in Francia al seguito dell'ambasciatore Castelnau: il quale ai primi di novembre si trovava già a Parigi; durante il viaggio la comitiva era stata vittima di una grassazione. Al suo rientro a Parigi il B. veniva a trovare un clima politico mutato (nel luglio Enrico III aveva revocato gli editti di pacificazione e nel settembre era stata pubblicata la bolla contro il re di Navarra): di qui forse il suo tentativo infruttuoso "de ritornar nella religione" (Doc. veneti, XII) tramite il nunzio apostolico Girolamo Ragazzoni. Dedicò al filonavarrese P. Del Bene, abate di Belleville, la Figuratio Aristotelici physici auditus (1586), esposizione mnemonico-mitologica del pensiero aristotelico; entrò in contatto con gli italiani di Parigi, tra i quali Giovanni Botero, stringendo amicizia con Iacopo Corbinelli che lo definì "piacevol compagnietto, epicuro per la vita" (cfr. Yates), e dal 6 dic. 1585 prese a frequentare l'abbazia di St. Victor, dove quel giorno prese a prestito l'edizione di Lucrezio curata da H. van Giffen e confidò al bibliotecario Guillaume Cotin (il cui diario ci conserva le notizie fornitegli dal B.) l'intenzione di pubblicare l'Arbor philosophorum, del quale nulla sappiamo a parte il titolo lulliano.  Due episodi clamorosi neutralizzarono in quel tempo il residuo d'appoggio in cui il B. poteva ancora sperare presso il partito politique. Dopo aver assistito a una pubblica dimostrazione del compasso di riduzione inventato dal geometra salernitano Fabrizio Mordente, uomo senza lettere, il B. acconsentì a divulgare in latino la scoperta - parendogli atta a dimostrare il limite fisico della divisibilità, conforme alla propria incipiente monadologia -: pubblicò infatti, prima del 14 apr. 1586, i Dialogi duo de Fabricii Mordentis Salernitani prope divina adinventione (seguiti dall'Insomnium), presso P. Chevillot: opera ambiguamente laudatoria che irritò il Mordente, alla cui polemica verbale il B. rispose con i sarcastici dialoghi Idiota triumphans e De somnii interpretatione,dedicati al Del Bene e fatti stampare prima del 6 giugno insieme con i due precedenti dialoghi mordentiani. Il B. veniva così ad attaccare apertamente un cattolico fautore dei Guisa, reclamando per sé l'ormai vacillante protezione politique. Atale imprudenza si aggiunse una disputa dal B. tenuta il 28 maggio al Collège de Cambrai, in presenza dei lecteurs royaux, sulla base di Centum et viginti articuli de naturaet mundo adversus peripateticos: programma da lui fatto stampare sotto il nome del discepolo J. Hennequin. Secondo il Cotin il B. non avrebbe preso la parola, neppur dopo che allo Hennequin ebbe risposto R. Callier, giovane avvocato politique (il B. venne dunque sconfessato dal suo stesso partito), e, riconosciutosi battuto, avrebbe abbandonato Parigi. Secondo Corbinelli, il B. "s'andò con Dio per paura di qualche affronto, tanto haveva lavato il capo al povero Aristotele", mentre il Mordente decideva di ricorrere al Guisa.  Lasciata Parigi, il B. giunse in Germania nel giugno 1586;toccata Magonza e Wiesbaden, il 25 luglio veniva immatricolato all'università di Marburgo come "theologiae doctor romanensis" (Doc. tedeschi, I). L'insegnamento bruniano si dovette mostrare incompatibile con l'aristotelismo ramista di quella università: gli fu infatti negato il permesso di leggere pubblicamente; a una protesta formale il B. fece seguire le proprie dimissioni. Nella stessa estate passò a Wittenberg, nella cui università venne introdotto da A. Gentili e immatricolato (20 agosto) come "doctor italus" (Doc. tedeschi,II).Per circa due anni poté insegnare indisturbato (lesse, tra l'altro, l'Organon di Aristotele) e fece stampare il De lampade combinatoria lulliana (1587) - commentario dell'Arsmagna - cui premise una lettera alle autorità accademiche mostrandosi riconoscente per la liberale accoglienza. Seguì la pubblicazione del De progressu et lampade venatoria logicorum, sorta di compendio della Topica aristotelica, dedicato a G. Mylins, cancelliere dell'università. Allo stesso anno risale il suo corso privato sulla Rhetorica adAlexandrum (pubbl. post. da H. Alstedt: Artificium perorandi, Francofurti 1612), come il frammento delle Animadversiones circa lampadem lullianam e la Lampas triginta statuarum, amplificazione dell'Arsmagna lulliana (post.: negli Opera: 1890, 1891), con cui si conclude la trilogia delle "lampade". L'anno seguente, per i tipi di Zaccaria Cratone, uscì nella stessa città una seconda edizione dei Centum et viginti articuli (ridotti a ottanta, con le relative rationes), con un discorso apologetico di J. Hennequin: Iordani Bruni Nolani Camoeracensis Acrotismus. Allostesso periodo, sembra, risalgono i commentari aristotelici ai primi cinque libri della Fisica, al De generatione et corruptione e al quarto libro Meteorologicon (pubblicati negli Opera postumi: Libri physicorum Aristotelis explanati, 1891). L'8 marzo 1588 ilB. si accomiatava dall'università con una Oratio valedictoria stampata dal Cratone: va notato che il vecchio duca Augusto era morto prima dell'arrivo del B., e che il successore Cristiano I favorì progressivamente il calvinismo, giungendo a proibire, nel 1588, ogni polemica a questo contraria; di qui la rinnovata precarietà della posizione di Bruno.  Partito da Wittenberg, il B. giunse a Praga nella primavera del 1588e vi si trattenne fino al principio dell'autunno, attrattovi forse dal mecenatismo dell'imperatore Rodolfo II, il cui cattolicesimo moderato poté sembrargli incoraggiante; non sappiamo comunque se fu registrato all'università. A Praga il B. ripubblicò, presso G. Nigrinus, il De lampade combinatoria R. Lullii preceduto dal De lulliano specierum scrutinio: nuovo commentario dell'Arsmagna dedicato all'ambasciatore spagnolo don Guglielmo de Haro; con dedica all'imperatore, presso G. Daczicenus, gli Articuli centum et sexaginta adversus huius tempestatis mathematicos atque philosophos, in cui riprendeva la propria polemica contro l'interpretazione meccanica della natura (già anticipata nei dialoghi mordentiani e poi svolta nel De minimo):notevole, nella dedicatoria, la dichiarazione della religio bruniana, interpretabile come teoria della tolleranza religiosa e speculativa.  Ricevuta in dono dall'imperatore la somma di "trecento talari" (Doc. veneti, IX), al principio d'autunno del 1588 ilB. si recò a Helmstedt, attrattovi dalla "Academia Iulia" (fondata dal duca protestante Giulio di Brunswick), dove fu registrato il 13 genn. 1589, e dove il 1º luglio lesse l'Oratio consolatoria (stampata da Iacobus Lucius) per la morte del duca avvenuta il 3 maggio. Il B. fu remunerato dal nuovo duca, Enrico Giulio, con "ottanta scudi de quelle parti" (Doc. veneti, IX), ma non gli mancarono seri fastidi: fu infatti scomunicato dal sovrintendente della locale Chiesa luterana, Gilbert Voët, per motivi che il B. definì di natura privata in una sua lettera di protesta alle autorità accademiche, ma che avranno avuto giustificazione formale per sospetto filocalvinismo (è comunque significativo che alla originaria scomunica cattolica e a quella calvinista ginevrina si aggiungesse ora la scomunica luterana). Il B. rimase tuttavia nella città fino almeno all'aprile 1590. Durante l'anno e mezzo ivi trascorso lavorò alle opere poi stampate a Francoforte e compose il gruppo di opere "magiche" stampate postume negli Opera (1891), De magia e Theses de magia (concernenti la magia naturale), De magia mathematica (parzialmente tuttora inedita nel "codice di Mosca"), De rerum principiis et elementis et causis;trattati tutti che tendono a dimostrare la possibilità dell'utilizzazione pratica delle forze naturali occulte. Il 10 aprile intervenne a una disputa tenuta dal dottor Heidenreich e il 13 - avendo riscossi a Wolfenbüttel 50 fiorini assegnatigli dal duca - si accomiatò dall'università con l'intenzione di passare per Magdeburgo (dove risiedeva W. Zeileisen, zio del discepolo norimberghese Girolamo Besler, di cui si era servito come copista) allo scopo di farvi stampare qualcosa di suo in onore del duca. La partenza fu ritardata fin oltre il 22: ed è probabile che il B. si recasse direttamente a Francoforte sul Meno (allo scopo di farvi stampare la trilogia poetica latina, sua opera di maggior rilievo dopo i dialoghi londinesi), dove giunse al più tardi nel giugno. Il 2 luglio il Senato della città rigettò una sua richiesta di poter alloggiare presso lo stampatore J. Wechel, il quale tuttavia gli procurò alloggio presso il convento dei carmelitani. Il B. attese soprattutto alla pubblicazione dei tre poemi: i Detriplici minimo et mensura... libri V e il De monade, numero et figura liber unito ai De innumerabilibus, immenso et infigurabili... libri octo, opere dedicate al duca di Brunswick, per le quali il B. curò la stampa e intagliò i legni, salvo che per l'ultimo foglio del De minimo a causa di un repentino allontanamento dalla città (per cui la dedica relativa fu composta dal Wechel). Stampati con la data del 1591, ilDe minimo fu posto in vendita nella primavera; il De monade con il De immenso,nell'autunno.  Nei poemi francofortesi - composti alla maniera di Lucrezio - il B. sviluppa in senso decisamente atomistico la propria concezione della materia già esposta nei dialoghi londinesi. Nel De minimo sicontiene la definizione dell'atomo bruniano: pars ultimadella materia, minimum fisico assoluto, sostrato di tutti i corpi, impenetrabile. La discontinuità degli atomi lascia aperto il problema dello spazio tramezzante (con tutto che il B. riconosce l'esigenza di una materia che "agglutina" gli atomi). Se l'"atomo" è l'elemento materiale insecabile, il "minimo" è l'essere o la figura minima in un dato genere, mentre la "monade" è l'unità di un genere determinato: l'atomo, che è di forma sferica, è anche minimo e monade. Gli atomi sono infiniti essendo infinita la materia. In tale concezione non v'è posto per una forza esteriore che regoli o determini le combinazioni materiali. Nel De monade il B. dà una spiegazione aritmologica delle diverse qualità degli oggetti sensibili, i cui elementi vengono mossi - come già sostenuto nella Causa rispetto alla materia infinita - da un principio intrinseco. Così l'atomismo dei poemi francofortesi si riallaccia all'animismo dei dialoghi londinesi, dei quali il De immenso riprende esplicitamente l'esposizione cosmologica, con una aderenza a tratti letterale (tanto che il Fiorentino fu indotto a riportare al periodo inglese l'inizio della composizione del poema). In quest'ultimo il B. ripercorre il cammino della propria speculazione, rinnovandone la polemica contro la fisica aristotelica e ribadendone il superamento intuitivo dell'eliocentrismo copernicano.  Applicato l'ordine di estradizione del Senato francofortese poco prima del 13 febbr. 1591, il B. riparò a Zurigo, dove tenne lezioni di filosofia scolastica raccolte e pubblicate poi da Raphael Egli (la Summa terminorum metaphysicorum a Zurigo nel 1595; la Summa con la Praxis descensus seu applicatio entis a Marburgo nel 1609). Ritornato per breve tempo a Francoforte, il B. pubblicò presso il Wechel i De imaginum,signorum,et idearum compositione ad omnia inventionum,dispositionum et memoriae genera libri tres (1591), dedicati a J. H. Heinzel, patrizio di Augusta da lui conosciuto a Zurigo. Durante il secondo soggiorno francofortese il B. fu raggiunto da lettere del patrizio veneziano Giovanni Mocenigo, il quale, letto il De minimo, lo invitava a Venezia affinché gli "insegnasse l'arte della memoria ed inventiva" (Doc. veneti VIII).  Il B. giunse a Venezia prima della fine d'agosto del 1591.  I motivi soggettivi dell'imprudente rientro in Italia sono stati variamente definiti: imponderabile è la componente nostalgica, mentre è ormai da escludere il proposito di una azione di riforma religiosa con l'ausilio delle proprie nozioni magiche (con tutto che l'accessione del Borbone al trono di Francia e la presenza del mite Gregorio XIV sul soglio pontificio ravvivavano allora le speranze conciliatrici in Europa); sul piano contingente, più che dell'occasionale invito del Mocenigo, va tenuto conto delle aspirazioni magistrali dal B. non mai dimesse nel corso dei suoi soggiorni francesi, inglese e tedesco.  Infatti, soffermatosi qualche giorno a Venezia "a camera locanda" (Doc. veneti, VII), il B. proseguì per Padova, dove già si trovava al principio di settembre e dove si trattenne, con brevi interruzioni, per almeno tre mesi. Qui impartì lezioni "a certi scolari tedeschi", tra i quali sarà da includere Girolamo Besler, che era allora procuratore degli studenti tedeschi (il Besler gli trascrisse, tra il 1º settembre e il 21 ottobre, la Lampas triginta statuarum composta nel 1587, il De vinculis in genere, abbozzato l'anno precedente, e il non bruniano De sigillis Hermetis, inedito e smarrito). All'insegnamento patavino vanno riferite le Praelectiones geometricae e l'Ars deformationum, lezioni, rinvenute solo nel 1962, in cui il B. illustra geometricamente postulati ed enunciazioni del De minimo. L'attività del B. a Padova induce a ritenere che, con l'appoggio del Besler, egli mirasse alla vacante cattedra di matematica, che fu assegnata l'anno seguente a Galileo.  Rivelatosi infruttuoso l'insegnamento padovano, al principio dell'inverno il B. si trasferì a Venezia, prendendo dimora, almeno dal marzo 1592, in contrada S. Samuele, presso il Mocenigo. Incominciò a frequentare il "ridotto" Morosini, sul Canal Grande, dove, in un clima di "civile e libera creanza", si disputava di cose che avevano "per fine la cognizione della verità" (F. Micanzio, Vita di Paolo Sarpi, Leida 1646). Verso la metà di maggio 1592, nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, confidò al domenicano fra' Domenico da Nocera il proprio desiderio di "quetarsi" e di comporre un libro da offrire al neoeletto Clemente VIII, con lo scopo ultimo di trasferirsi a Roma, ed ivi "accapare forsi alcuna lettura" (Doc. veneti, X): programma illusorio, suggeritogli forse dalla politica papale e dalla contemporanea esperienza di Francesco Patrizi. Il 21 maggio, allo scopo di far stampare a Francoforte alcune sue opere, inedite e smarrite, "delle sette arte liberali e sette altre inventive, e dedicar queste... al Papa" (Doc. veneti, XVII), il B. chiese licenza al Mocenigo. Costui, deluso dall'insegnamento ricevuto, la notte del 22lo fece arrestare dai suoi e il giorn 23 presentò una denuncia per eresia (allegando tre libri a stampa del B. e l'autografo della smarrita operetta "di Dio, per la deduzion di certi suoi predicati universali", nonché i nomi di due contesti: i librai G. B. Ciotti e G. Britano) all'inquisitore veneto fra' Gabriele da Saluzzo: la sera stessa il B. veniva prelevato dagli sbirri e condotto alle carceri di S. Domenico di Castello. Si apriva così la fase veneta del processo, che si doveva concludere nove mesi dopo con la sua estradizione a Roma.  Gli episodi principali del processo veneto sono i seguenti: 25 maggio 1592: seconda denuncia del Mocenigo; 29 maggio: terza denuncia (il B. era complessivamente accusato di disprezzare le religioni, di non ammettere la "distinzione in Dio di persone", di avere opinioni blasfeme sul Cristo, di non credere alla transustanziazione, di sostenere che il mondo è eterno e che vi sono mondi infiniti, di credere alla metempsicosi, di attendere all'arte divinatoria e magica, di negare la verginità di Maria, di disprezzare i dottori della Chiesa, di ritenere che i peccati non vengano puniti, di essere già stato processato a Roma, di indulgere al peccato della carne); 26maggio: interrogatorio dei contesti (favorevoli al B.) e primo costituto del B.; 30 maggio: secondo costituto e ulteriore accusa (di aver soggiornato in paesi di eretici vivendo alla loro maniera); 2, 3 e 4 giugno: interrogatorio sui capi d'accusa (a proposito dei propri libri il B. dichiarò: "io ho sempre diffinito filosoficamente e secondo li principii e lume naturale, non avendo riguardo principal a quel che secondo la fede deve essere tenuto...", Doc. veneti, XI); 23 giugno: interrogatorio di Andrea Morosini e seconda deposizione del Ciotti (favorevoli al B.); 30 luglio: ultimo costituto veneto del B. (ammissione di dubbi marginali già dichiarati e sottomissione al tribunale) e trasmissione del processo al card. di Santa Severina, inquisitore supremo in Roma (il quale già prima dell'ultimo costituto interferiva nella causa); 12settembre: richiesta formale di avocazione della causa a Roma; 17 settembre: consenso del tribunale veneto; 28settembre: trasmissione della richiesta romana al Collegio presieduto dal doge; 3 ottobre: parere sfavorevole del Collegio trasmesso al Senato; comunicata a Roma la risposta negativa; 22 dicembre: rinnovata richiesta al Collegio motivata con precedenti; 9 genn. 1593: comunicazione a Roma dell'approvazione del Senato.Il 19 febbr. 1593 il B. usciva dal carcere veneziano e, fatto salpare per Ancona, il giorno 27 faceva ingresso nel carcere del S . Uffizio di Roma da cui, dopo lungo e intermittente processo, sarebbe uscito sette anni più tardi per subire l'orrendo supplizio.  Gli episodi noti e salienti del processo romano sono così riassumibili: estate 1593: nuova grave denuncia da parte di fra' Celestino da Verona, concarcerato a Venezia (imputazione di aver sostenuto che Cristo peccò mortalmente, che l'inferno non esiste, che Caino fu migliore di Abele, che Mosè era un mago e inventò la legge, che i profeti furono uomini astuti e ben meritarono la morte, che i dogmi della Chiesa sono infondati, che il culto dei santi è riprovevole, che il breviario è opera indegna; di aver bestemmiato; di aver intenzioni sovversive ove fosse costretto a rientrare nell'Ordine); interrogagatorio a Venezia dei contesti fra' Giulio da Salò, Francesco Vaia, Matteo de Silvestris (attenuazione delle responsabilità bruniane e nuova accusa: l'avere in spregio le sante reliquie); interrogatorio del conteste Francesco Graziano (ribadimento della credenza bruniana nella pluralità dei mondi e nuova accusa: riprovazione del culto delle immagini). Prima della fine del 1593:otto costituti bruniani (dall'ottavo al quindicesimo dell'intero processo) e conclusione del processo offensivo.  Il B. mantenne la linea difensiva già adottata a Venezia (attenuò la portata dei dubbi circa la Trinità, disponendosi ad accettare il dogma; negò le accuse circa l'inferno, Cristo, i propositi sovversivi, l'ateismo, le manifestazioni blasfeme; precisò il significato di "magia" con riferimento a Mosè, e la propria opinione, ritenuta "filosoficamente" e ipoteticamente, circa la metempsicosi; negò l'opinione attribuitagli circa Caino, e precisò quella relativa alla pluralità dei mondi; negò le pratiche superstiziose, precisando il proprio interesse per l'astrologia). Gennaio-marzo 1594: a Venezia, esami ripetitivi dei testi (Mocenigo, Ciotti, Graziano, De Silvestris): confermate nel complesso le precedenti deposizioni, solo la sospetta integrità dei testi poté far differire la conclusione del processo; giugno: supplemento di denuncia da parte del Mocenigo (accusa di aver irriso il papa nel Cantus circaeus); estate 1594: sedicesimo costituto (il B. si difese sull'ultima accusa, su quella relativa ai Magi, e forse anche sull'altra relativa alla verginità di Maria; sporse denunce contro il Graziano e Francesco Maria Vialardi concarcerato a Roma); 20 dicembre: il B. presentò una difesa scritta, non pervenutaci. Il 16 febbraio 1595si stabilì che una lista dei libri bruniani fosse presentata al papa.  Tra il maggio 1594 e i primi del 1595 il B. fu raggiunto nel carcere da Francesco Pucci, Tommaso Campanella e Cola Antonio Stigliola. Il 18 sett. 1596 la Congregazione stabilì una commissione con lo scopo di censurare le proposizioni eretiche contenute nei libri. Il 24 marzo 1597 il B. fu ammonito di abbandonare la sua teoria della pluralità dei mondi; si stabilì inoltre che egli fosse interrogato stricte (forse con applicazione della tortura): ciò che avvenne con il diciassettesimo costituto, circa la Trinità e l'incarnazione (il B. precisò il carattere speculativo dei dubbi passati), nonché la pluralità dei mondi (che il B. persistette a sostenere). Nel corso del 1597 ebbe luogo, forse oralmente, la risposta del B. alle censure, otto delle quali sono rilevabili dal Sommario del processo: "circa rerum generationem"; circa il principio che a causa infinita debba corrispondere effetto infinito; circa il rapporto tra anima universale e anima individuale; circa il principio che nulla si genera e nulla si corrompe; circa il moto della terra; circa la definizione degli astri come angeli; circa l'attribuzione di un'anima sensitiva e razionale alla terra; circa l'affermazione che l'anima non è forma del corpo umano (due altre censure, rilevabili da una lettera di K. Schopp [Doc. romani, XXX], concernono l'identificazione dello Spirito Santo con l'animamundi, e la credenza nei preadamiti). Il 18 gennaio del 1599, a istanza di Roberto Bellarmino, venivano sottoposte al B., per la sua dichiarazione di abiura, otto proposizioni eretiche (ci è nota la prima, "de haeresi Novatiana", e la settima, estratta dal De la causa, "ubi tractat an anima sit in corpore sicut nauta in navi"). Il 15 febbraio (ventesimo costituto) il B. si dichiarò disposto all'abiura incondizionata; ma il 24agosto tornò a manifestare esitazioni sulla prima e la settima. Il 9 settembre, in mancanza della prova giuridica della colpevolezza, i consultori si dichiararono in favore dell'applicazione della tortura, che tuttavia non fu approvata da Clemente VIII. Il 10 settembre il B. si dichiarò disposto all'abiura (21º costituto), ma il 16, con un memoriale al papa, rimetteva in discussione le proposizioni incriminate. Intanto al S. Uffizio di Vercelli perveniva una terza delazione (dovuta, sembra, a un reduce dall'Inghilterra) con cui il B. era di nuovo accusato di irriverenza verso il papa (lo Spaccio) e di aver lasciato fama di ateo in Inghilterra. Settembre-ottobre 1599: il tribunale ordinò il termine di quaranta giorni per il riconoscimento degli errori. Il 21 dicembre (ventiduesimo costituto) il B. rifiutava la ritrattazione: vano fu l'intervento del generale e del procuratore dei domenicani. Il 20 genn. 1600il papa ordinò che il B. fosse sentenziato come eretico formale, impenitente e pertinace, e consegnato al braccio secolare. Un estremo memoriale del B. al pontefice venne aperto ma non letto dal tribunale.  L'8 febbr. 1600 il B. veniva condotto dal carcere del S. Uffizio al palazzo del cardinale Madruzzi, in piazza Navona, dove la sentenza gli fu letta pubblicamente. Delle trenta o più imputazioni contenute nella sentenza, risultano accertate quelle concernenti la transustanziazione, la verginità di Maria, la vita eretica, lo Spaccio, la pluralità dei mondi, la metempsicosi, l'anima umana, l'eternità del mondo, Mosè, le Sacre Scritture, i preadamiti, Cristo, i profeti e gli apostoli.  Riconosciuto "eretico impenitente pertinace ed ostinato" (Doc. romani, XXVI), il B. era condannato alla degradazione dagli ordini, all'espulsione dal foro ecclesiastico e a essere consegnato alla corte secolare per la debita punizione; i suoi libri dovevano essere bruciati in piazza S. Pietro e le opere tutte incluse nell'Indice. Il B. ascoltò in ginocchio la sentenza; quindi, levatosi in piedi, esclamò rivolto ai giudici: "Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam" (Doc. romani, XXX). Trasferito al carcere di Tor di Nona, e visitato ancora nei giorni seguenti da teologi e confortatori, la mattina del giovedì 17 febbraio fu condotto a Campo di Fiori, dove, "spogliato nudo e legato a un palo, fu bruciato vivo (Doc. romani, XXIX).  La portata speculativa della vicenda bruniana è implicita nella storia del moderno pensiero europeo; per il lato culturale e biografico, pur dopo ricerche secolari, quella vicenda è tuttora al vaglio della filologia contemporanea.  Fonti e Bibl.: Per la biografia bruniana le fonti sono costituite dalle opere e da una serie di documenti coevi. Edizioni complete delle opere: Iordani Bruni Nolani Opera Latine Conscripta: Facsimile - Neudruck der Ausgabe von Fiorentino,Tocco und anderen,Neapel und Florenz,1879-1891. Drei Bände in acht Teilen,Stuttgart-Bad Cannstatt 1962 (da integrare con le seguenti pubblicazioni: V. P. Zubov, Rukopisnoe nasledie Džordano Bruno,"MoskovskijKodeks" Gosudarstvennoj Biblioteki SSSR im. V. I. Lenina, in Zapiski Otdela rukopisej, Moskva 1950, n. II, pp. 164-182; G. Bruno, Due dialoghi sconosciuti e due dialoghi noti: "Idiota triumphans", "De somnii interpretatione", "Mordentiu", "De Mordentii circino", a cura di G. Aquilecchia, Roma 1957, con Errata-corrige stampate a parte; Id., "Praelectiones geometricae" e "Ars deformationum": Testi inediti, a cura di G. Aquilecchia, Roma 1964); Le opere italiane di G. B., a cura di P. de Lagarde, Gottinga 1888 (ma 1889), edizione paradiplomatica, per le opere italiane in edizione moderna: G. Bruno, Candelaio: commedia, a cura di V. Spampanato, Bari 1923; Id., Dialoghi italiani: "Dialoghi metafisici" e "Dialoghi morali" nuovamente ristampati con note da G. Gentile, a cura di G. Aquilecchia, Firenze 1958; Id., Lacena de le ceneri, a cura di G. Aquilecchia, Torino 1955 (da tenere presente R. Tissoni, Sulla redazione definitiva della "Cena de le ceneri", in Giorn. stor. della letter. ital., CXXXVI [1959], pp. 558-563). Pregevoli le sillogi antologiche in Opere di G. B. e di Tommaso Campanella, a cura di A. Guzzo e R. Amerio, Milano - Napoli 1956, e in Scritti scelti di G. B. e di T. Campanella, a cura di L. Firpo, Torino 1968.  I documenti coevi in V. Spampanato, Documenti della vita di G. B., Firenze 1933, suddivisi in sei sezioni: I. Documenti napoletani, II. Documenti ginevrini, III.Documenti parigini, IV. Documenti tedeschi, V.Documenti veneti, VI, Documenti romani (da integrare con O. Elton, Modern Studies,London 1907, p. 334; G. Harvey, Marginalia, a cura di G. G. Moore Smith, Stratford-upon-Avon 1913, p. 156; Chr. Sigwart, Kleine Schriften, I, Freiburg i. B. 1899, p. 120; A. Mercati, Ilsommario del processo di G. B., Città del Vaticano 1942; L. Firpo, Ilprocesso di G. B., Napoli 1949; F. A. Yates, G. B.: some new documents, in Revue internationale de philosophie, XVI [1951], 2, pp. 174-199; G. Aquilecchia, Un autografo sconosciuto di G. B., in Giorn. stor. della letter. ital., CXXXIV [1957], pp. 333-338; Id., Un nuovo documento del processo di G. B., ibid., CXXXVI [1959], pp. 91-96; R. McNulty, B. at Oxford, in Renaissance News, XIII[1960], pp. 300-305; A. Nowicki, Un autografo inedito di G. B. in Polonia, in Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche... in Napoli, LXXVII [1967], pp. 262-268; Id., Una poesia "Ad Iordanum: Brunum", in La Ragione, LII [1970], 4, p. 2; J. Korzan, Praski Kra̢g humanistów wokóù Giordana Bruna, in Euhemer, LXXI-LXXII [1969], 1-2, pp. 81-93).  La biografia più estesa, sebbene in parte invecchiata, rimane quella di V. Spampanato, Vita di G. B. con documenti editi e inediti,Messina 1921. Biografie sintetiche recenti sono dovute a E. Garin, B., Roma-Milano 1966, e a G. Aquilecchia, G. B., Roma 1971, da cui dipende la presente "voce".  La bibliografia bruniana è vastissima: fino al 1950 va fatto riferimento a V. Salvestrini, Bibliografia di G. B. (1582-1950), a cura di L. Firpo, Firenze 1958: opera monumentale di inestimabile utilità, aggiornata poi essenzialmente, Quanto ai titoli, fino ai primi mesi del 1970 con l'appendice bibliografica alla citata monografia di G. Aquilecchia. A questi due strumenti si fa qui riferimento, rispettivamente, per opere critiche di tradizionale autorità (F. Tocco, E. Troilo, G. Gentile, E. Namer, E. Garin, A. Corsano, ecc.), e per studi più recenti, che propongono un ridimensionamento della problematica bruniana conforme a diverse metodologie (N. Badaloni, P.-H. Michel, F. A. Yates, A. K. Gorfunkel', A. Nowicki, F. Papi, ecc.).Guido del Giudice. Giudice. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, del Giudice, e la filosofia greco-romana," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Keywords: l’implicatura di Giudice, universe finite, infinito, geometrici, alchimisti, matematici – rinascimento – scintilla d’infinito” --  Refs: Luigi Speranza, “Grice e Giudice: implicatura e scintilla” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685227726/in/photolist-2mRmv36-2mRfyWo-2mQHwBB-2mQ81kz-2mPyn68-2mPoRfW-2mN35cA-2mLKtaD-2mPu6xB-2mLH24C-2mPYoE5-2mKfivY-2mJqjKS-2mJq2uE-2mGnP2f-E4u3XA-Bq6mau-Bq5PrV

 

Grice e Giudice – l’implicatura di Telesio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucera). Filosofo. Grice: “Riccardo del Giudice is a philosopher; he wrote an essay on Telesio.”  Allievo e collaboratore di Gentile, si laurea in filosofia, rivelando i suoi vasti e solidi interessi culturali, che, insieme ad una rara volontà di studio e ad una seria attività politica formarono il suo principale merito. Apprezzato per le doti oratorie e l'accuratezza nella scrittura, fu parlamentare di chiara fama nella  Camera dei Deputati. Di profonda ed esemplare preparazione filosofica. Insegna a Roma. Del Giudice Riccardo Lucera (Foggia) 1900 lug. 16 - Roma 1985 feb. 16  Intestazioni: Del Giudice, Riccardo, filosofo, sindacalista, politico, SIUSA. Iscrittosi al movimento nazionalista mentre frequenta nell'ateneo romano i corsi di Gentile. Si tessera al Partito fascista, del quale apprezza l'interesse per le questioni sindacali. E' appunto nell'organizzazione fascista dei lavoratori, diretta da Rossoni, che muove i primi passi nella politica militante. Nominato responsabile dei sindacati in provincia di Foggia, distinguendosi per la dura opposizione nei confronti dell'apparato del Pnf guidato dal conservatore Giuseppe Caradonna. Espulso dal partito viene nominato da Rossoni Segretario della Federazione sindacale di Torino. Passato nella Federazione di Bari si oppone allo "sbloccamento" dei sindacati. Si occupa di studi sulla legislazione del lavoro e sul corporativismo, partecipando attivamente alle riunioni del Consiglio nazionale delle corporazioni e viene nominato Presidente della Confederazione fascista dei lavoratori del commercio. Dopo una intensa attività nel settore sindacale - celebri le sue polemiche con Spirito sul rapporto tra sindacato e corporazione - è nominato Sottosegretario al Ministero dell'educazione nazionale, allora retto da Giuseppe Bottai. Si occupa soprattutto di sviluppare i rapporti tra la scuola e il mondo del lavoro, seguendo le indicazioni contenute nella Carta della scuola di Bottai. Lasciato il ministero in seguito alla sostituzione del ministro Bottai con Biggini, è nominato Presidente dell'Ente Nazionale per l'Oganizzazione Scientifica del lavoro (Enios). Non aderisce alla Rsi e viene arrestato dagl’alleati e inviato nel campo di concentramento di Padula dove scrive le "Memorie". Epurato dall'insegnamento universitario, vi ritorna come docente prima di Diritto della navigazione, poi di Diritto del lavoro, presso l'ateneo romano.  Complessi archivistici prodotti: Del Giudice Riccardo (fondo)   Bibliografia: G. PARLATO, Il sindacalismo fascista. IDalla "grande crisi" alla caduta del regime, Roma, Bonacci. 1989 G. PARLATO, Riccardo Del Giudice: dal sindacato al governo, Roma, Fondazione Ugo Spirito, G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Bologna, Il Mulino.  Wikipedia Ricerca Sindacalismo fascista Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni La neutralità di questa voce o sezione sugli argomenti fascismo e politica è stata messa in dubbio. Con sindacalismo fascista si intende quel settore del sindacalismo improntato sui principi della dottrina fascista del lavoro.  Storia  Modifica  Filippo Corridoni con Benito Mussolini durante una manifestazione interventista del 1915 a Milano. I primordiModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sindacalismo rivoluzionario.  Fontana sulla cui lapide marmorea era scolpito il discorso che Benito Mussolini pronunciò il 20 marzo 1919 presso lo stabilimento di Dalmine, in occasione dell'autogestione operaia. Il sindacalismo fascista ha i suoi primordi nel magma del movimentismo sindacale dei primi due decenni del XX secolo: in particolare esso trova i suoi riferimenti culturali prima nella componente rivoluzionaria del sindacalismo socialista, che portò alla dirigenza del partito diversi esponenti e Benito Mussolini alla direzione dell'Avanti!, poi nelle sezioni più agguerrite del sindacalismo interventista, in particolare l'attivissima sezione milanese retta da Filippo Corridoni, nate in seno all'Unione Sindacale Italiana[1]ma da cui saranno espulse già nel 1915, per incompatibilità con i principi antimilitaristi e antistatalisti dell'USI[2]. Numerosi, pur con alcuni bassi, sono gli scioperi, le manifestazioni di piazza, gli scontri ed i comizi cui parteciparono Mussolini ed i dirigenti del fascismo a fianco, o anche in qualità stessa, di sindacalisti rivoluzionari.[3]  «In Italia non sarà possibile nessuna forma di sindacalismo fino a quando il Partito Socialistanon sarà abbattuto.»  (Filippo Corridoni a Curzio Malaparte a Milano poco prima di partire per il Carso, giugno 1915[4]) Un altro forte legame fu, dal 1915-1916 e fino al 1919-1920, quello con la Unione Italiana del Lavoro (UIL)[5], da essi creata e di ispirazione sindacalista rivoluzionaria, diretta inizialmente da Edmondo Rossoni.[6] La nuova formazione sindacale, nel fermento dell'interventismo nei confronti della Grande Guerra, tentò di operare una prima sintesi all'interno dell'immenso magma rivoluzionario italiano, combattuto ormai da anni tra le esigenze sociali e quelle nazionaliste del popolo. In particolare si verificò una congiunzione con le teorie di imperialismo operaiodi Enrico Corradini (Associazione Nazionalista Italiana) e lo sviluppo del produttivismo nazionale, grazie anche al Popolo d'Italia di Benito Mussolini[7], pervenendo all'idea non tanto di negare la lotta di classe per difendere gli interessi di categoria, quanto di ricomporli tutti all'interno del comune interesse superiore nazionale. Al suo interno la UIL portava però già i sintomi di quella che fu una battaglia destinata a concludersi più tardi, durante il sindacalismo fascista vero e proprio: quella tra la visione di un sindacalismo legato all'azione politica, appoggiata principalmente da Edmondo Rossoni, e quella "indipendentista" di Alceste De Ambris.[6][8]  Primo sfogo di queste evoluzioni avvenne il 16 marzo 1919 al Dalmine, dove si verificò la prima occupazionecon autogestione operaia della storia italiana, organizzata dai sindacalisti rivoluzionari. Il fatto eclatante che destò scalpore fu però soprattutto la continuazione della produzione, d'accordo con l'ottica produttivista che aveva acquisito il movimento: gli operai autorganizzati continuarono infatti il lavoro, issando sulla fabbrica il tricolore nazionale.[9][10] Due giorni dopo lo stesso Mussolini fu in visita agli stabilimenti:  «Voi oscuri lavoratori del Dalmine, avete aperto l'orizzonte. È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa intollerante, anche se rossa, è il lavoro che ha consacrato nelle trincee il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione, perché deve diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande oltre i confini»  (Benito Mussolini, Discorso del Dalmine, 20 marzo 1919, in "Tutti i discorsi - anno 1919") In un primo momento la posizione di De Ambris e della sua UIL fu la più apprezzata da Mussolini, aprendo nel periodo 1919-1920 una forte convergenza tra i due, con il secondo che sostenne apertamente la UIL dalle colonne de Il Popolo d'Italia[11] ed il primo che dette un apporto considerevole al programma dei Fasci Italiani di Combattimento, costituiti il 23 marzo 1919 e dai quali prenderà spunto il fascismo durante la fase governativa.[12]  Il nucleo iniziale     Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg                            Lo stesso argomento in dettaglio: Sansepolcrismoe Squadrismo.  Benito Mussolini a Dalmine con gli operai dello stabilimento autogestito.  Dino Grandi. È da questo connubio che, infatti, si costituisce in maniera strutturata il sindacalismo fascista, i cui protagonisti, dapprima immersi nei movimenti sindacalisti di varia estrazione sopra descritti, andarono a creare l'ossatura del nuovo movimento insieme agli interventisti futuristi, ad Arditi e reduci di guerra, nazionalisti e squadristi.[12]  Fra i maggiori esponenti di questo "sindacalismo squadrista", che affiancò i sindacalisti "puri", a cavallo tra gli anni dieci e venti Italo Balbo, Michele Bianchi, Gino Baroncini ma, soprattutto, Dino Grandi e lo squadrismo bolognese vicino agli ambienti de "L'Assalto", portatori di uno dei più genuini tratti del fascismo di sinistra, basato particolarmente (a Bologna) sulle rivendicazioni contadine, l'allargamento della piccola proprietà agricola ed al concetto de "la terra a chi la lavora".[13]  Alla fine del 1920 l'armonia tra sindacalismo rivoluzionario e fascismo sansepolcrista si spezzò quando, in conseguenza della grave sconfitta elettorale della fine del 1919, Mussolini operò la strategia della virata a destra per aprirsi maggiori spazi politici e, staccandoli dalla UIL, creò i Sindacati economici, che nel gennaio 1922 diventeranno poi la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacalifasciste dirette da Rossoni.[14]  La crisi tra i due movimenti si attuò essenzialmente sul nodo della concezione del rapporto tra economia e politica. Da una parte il fascismo, che riteneva fondamentale che ogni dinamica attraverso la nazione sia controllata dallo Stato, dall'altra i sindacalisti rivoluzionari, che vedevano questa posizione come antitetica ai propri canoni libertari ed autonomisti[15], concependo la nazione come identità e sostanza storica di un popolo, ma lo Stato come sistema di potere di una classe esclusiva.[16]  «Il sindacalismo rivoluzionario, portando il suo contributo decisivo alla determinazione dell'Italia per l'intervento nella guerra, salvò l'onore dei lavoratori italiani e gettò le premesse in virtù delle quali l'organizzazione del lavoro è oggi, su piede di uguaglianza con tutte le altre forze economiche, elemento fondamentale dello Stato Corporativo. In questo senso soltanto può essere affermata la derivazione del movimento sindacale fascista dal vecchio sindacalismo rivoluzionario.»  (Tullio Masotti[17]) Rossoni e la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali fasciste                                         Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg                         Lo stesso argomento in dettaglio: Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali.  Edmondo Rossoni.  I quadrumviri e Benito Mussolini(da sinistra a destra: Emilio De Bono, Michele Bianchi, Mussolini, Cesare Maria De Vecchi e Italo Balbo). Il primo, il terzo ed il quinto furono sindacalisti. Nel gennaio 1922 si tenne il  I Convegno sindacale di Bologna, in cui si scontrarono le due visioni principali, già emerse in passato, riguardanti il grado di dipendenza dei sindacati nei confronti della politica e, in questo caso, del neocostituito Partito Nazionale Fascista (PNF). Si scontrarono quindi la visione "autonomista" di Edmondo Rossoni e di Dino Grandi e quella "politica" di Massimo Rocca e Michele Bianchi, tra le quali sarà vincente la seconda[18].  A Bologna vennero inoltre affermati i principi basilari della politica corporativa, con la conferma del superamento della lotta di classe nei confronti della collaborazione e dell'interesse nazionale su quello individuale o di settore, e la nascita della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali[1], una nuova formazione antisocialista ed anticattolica, costituita nella forma di sindacati autonomi formati da cinque Corporazioni suddivise per categorie lavorative e non ancora (lo saranno nel 1934) sindacati misti lavoratori-datori di lavoro. Come nel sindacalismo rivoluzionario, inoltre, le corporazioni dovevano riunire tutte le attività professionali che identificavano la loro "elevazione morale e economica (...) con il dovere imprescindibile del cittadino verso la Nazione".[11]  «La nazione, sintesi superiore di tutti i valori materiali e spirituali della razza, è al di sopra degli individui, dei gruppi e delle classi. Individui, gruppi e classi sono gli strumenti di cui la nazione si serve per migliorare le proprie condizioni. Gli interessi individuali e di gruppo acquistano legittimità a condizione che si realizzino nell'ambito dei superiori interessi nazionali.»  (Articolo 4 della Carta dei principi delle corporazioni[19]) Sulla Confederazione si svilupparono polemiche anche negli ambienti del sindacalismo internazionale: la sinistra operaia internazionale, in sede di Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), contestava il titolo alla rappresentanza operaia alle corporazioni fasciste e, quindi, la possibilità di partecipare all'assemblea. La polemica non venne però accettata, e l'ILO permise alle Corporazioni di partecipare alle sedute senza interruzioni nel rinnovo del mandato.[20]  In sede congressuale Rossoni dichiarò l'esistenza di una linea di continuità tra il sindacalismo rivoluzionario, il sindacalismo fascista ed il corporativismo: per il sindacalismo fascista, infatti, l'ultimo era legato al primo sia per il comune intendimento del concetto di "rivoluzione" che, al di là dell'aspetto della rivolta popolare, in ambito lavorativo ritenevano rivestisse il significato di "sopravvento di superiori capacità produttive"; inoltre, ugualmente, avevano l'obbiettivo di innalzare il "proletario" (nell'accezione negativa del termine) al rango di "lavoratore" inserito a pieno titolo nella vita nazionale.[21]  «Il sindacalismo deve essere nazionale ma non può essere nazionale per metà: esso deve comprendere capitale e lavoro (...) e sostituire al vecchio termine proletariato, quello di lavoratore ed all'altro, di padrone, la parola dirigente, che più alta, più intellettuale, più grande.»  (Edmondo Rossoni, 18 gennaio 1926, Congresso dei Sindacati intellettuali fascisti.[22]) Nei mesi successivi, in concomitanza con il termine del biennio rosso e l'avanzata dell'offensiva militare del fascismo imperniata sulle squadre d'azione, ebbe luogo lo sfondamento politico in campo sindacale, con il passaggio di interi settori operai dalle strutture del Partito Socialista Italiano e della CGdL al fascismo. Tanto che, nell'estate del 1922, la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali contava 800.000 iscritti.[23] Ciò evidenziava il successo dei progetti di Rossoni, che aveva pensato di creare da una parte una base contadina potente ed affidabile che appoggiasse e facesse da riserva strategica allo squadrismo, dall'altra di fare del sindacalismo una delle pietre angolari dello Stato fascista.[24]  Con la Marcia su Roma, l'affermazione del sindacalismo fascista fu quasi definitiva[25] e l'inizio della costruzione del nuovo Stato portò quindi una relativa tranquillità nell'ambiente del sindacalismo stesso che, con il termine degli scontri e delle tensioni politiche, poté incentrarsi sul proprio sviluppo culturale e la propria evoluzione politica.[1] Emondo Rossoni così ne spiega definizione e scopo principale:  «(...) la salvaguardia della salute spirituale del popolo (...) Sindacato vuol dire: unione di interessi omogenei. Sindacalismo: azione che deve disciplinare e tutelare gli interessi omogenei (...) Noi rivendichiamo la concezione italiana del Sindacalismo alle corporazioni italianissime che sono nate ancor prima che la parola 'sindacalismo' fosse pronunciata.»  (Edmondo Rossoni, La Marcia su Roma e il compito dei sindacati, Napoli, 1922[26]) Caratteristiche principali, che evidenziavano la differenza del sindacalismo fascista rispetto a quello socialista, furono anche la mancanza di dogmatismo, teologismo e perseguimento di finalità remote, come ad esempio il prefiggersi in anticipo un determinato tipo di obbiettivo finale, come il tipo di economia da instaurare, ma tentando sempre di adeguarsi alla realtà del mondo.[27]  Questo clima non portò fine al dibattito interno, che anzi aumentò decisamente, tanto che gli stessi vecchi sindacalisti rivoluzionari come Edmondo Rossoni, Agostino Lanzillo, Sergio Panunzio e Angelo Oliviero Olivetti, discutevano e si dividevano spesso e volentieri tra loro.[28] In tutti però[29] un'evoluzione era avvenuta: il sindacalismo non era più considerato propulsore del libero mercato ma, aderendo al concetto di nazione come unità organica d'intenti, ritenevano che il sindacato - come gli imprenditori - dovesse trovare il suo limite nel superiore interesse della patria, rigettando il concetto di libero mercato stesso e giungendo al tal punto da definire che "la nazione è il più grande sindacato".[30]  Le prime forti tensioni con i conservatori ed il padronatoModifica  Roberto Farinacci nel 1925.  Renato Ricci con la sua squadra d'azione carrarese impegnata a S. Terenzio nello sgombero delle macerie del forte di Falconara 1922 Immediatamente dopo l'apice della Marcia su Roma si accese però lo scontro tra il fascismo di sinistra ed i settori più conservatori dello Stato. Tra il 1921 ed il 1923 avvennero alcuni episodi chiave:  la creazione dei gruppi di competenza,[31] da parte di Massimo Rocca, limitanti lo spazio sindacale della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali[32]; il tentativo di bloccare il corporativismo da parte di Confindustria e Confagricoltura, contrapposti alla minaccia di Rossoni di assalti, scontri ed occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori fascisti[32]; l'appoggio diretto al sindacalismo fascista da parte di tutta la sinistra fascista nazionale, compresi Michele Bianchi e Roberto Farinacci[33]; il lancio del sindacalismo integrale (1923) da parte di Rossoni, che puntava ad inglobare nelle corporazioni Confindustria e Confagricoltura (ossia le rappresentanze sindacali dei datori di lavoro)[34]; la creazione della Federazione italiana dei sindacati agricoltori (FISA) e della Corporazione dell'Industria e del Commercio da parte di Rossoni; i primi tentativi di trasformare le organizzazioni sindacali da associazioni di fatto in organi di diritto pubblico da parte di Armando Casalini[35]; il patto siglato tra Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e Confindustria nel dicembre del 1923 a Palazzo Chigi, in ottica di limitazione dei conflitti di classe[13]. «(Sia il Capitale sia il Lavoro, ndr) devono essere disciplinati. L'appetito all'infinito è malefico e assurdo. Per queste ragioni il sindacalismo fascista è per la collaborazione (...) ma con gli industriali che si impuntano e dicono comandiamo noi, occorre lottare decisamente per dare ai lavoratori il posto degno nella vita della nazione»  (Edmondo Rossoni, adunata al Teatro Regio di Torino, 16 gennaio 1926[36]) In questo periodo di tensioni tra industriali e sindacati fascisti, difficile per l'attecchimento della collaborazione di classe vagheggiata dal fascismo per il mondo del lavoro, assurgono agli onori del sindacalismo fascista le personalità di Mario Gianpaoli, sindacalista e federale del PNF di Milano, e di Domenico Bagnasco, segretario dei sindacati fascisti di Torino. Organizzatore e combattente di piazza, Bagnasco fu deciso a prendere di petto gli industriali, accusando il padronato di "spietata intransigenza antioperaia". Spesso i sindacalisti fascisti di questo periodo pagarono con la fine della propria carriera politica l'attivismo sfrenato, a causa di un fascismo ancora non abbastanza forte da poter far fronte ad uno scontro con la grande industria, appoggiata dai molti uomini del precedente regime ancora posizionati nelle istituzioni dello Stato. Essi ebbero però il merito di infondere risolutezza in molti sindacalisti di periferia.[37]  La seconda fase del sindacalismo fascistaModifica  Monumento a Luigi Razza.  Enrico Corradini. Si entra quindi in quella che viene chiamata "la seconda fase del sindacalismo fascista"[38], durante la quale il sindacalismo e tutte le componenti della sinistra fascista tornarono all'attivismo ed alla tensione del periodo rivoluzionario. Sergio Panunzio ricominciò a tuonare a favore della ripresa dell'anima rivoluzionaria del fascismo e del recupero del programma del '19[39], esprimendosi per la creazione di una Camera sindacale e del lavoro e di un Senato politico.[40]  Nel febbraio 1924 cadde la Confagricoltura, inglobata dalla fascista Federazione italiana sindacati agricoli, riunendo in un'unica corporazione i lavoratori con i grandi e piccoli proprietari agricoli.[34]  Il nuovo spostamento a sinistra dello schieramento fascista, questa volta apertamente appoggiato da Mussolini stesso, portò ad un conseguente irrigidimento degli industriali sulle tradizionali posizioni reazionarie, decretando l'inizio di un'escalation. Si verificò quindi anche la ripresa militante dello squadrismo in appoggio all'azione sindacale fascista, dando luogo ad un'ondata di scioperi su tutto il territorio nazionale, i più infuocati dei quali in Valdarno, Lunigiana e ad Orbetello. In Valdarno lo sciopero venne organizzato dal dirigente Bramante Cucini, seguace di Sergio Panunzio, e finanziato direttamente dai Comuni amministrati dal Partito Nazionale Fascistae da uno stanziamento apposito del Direttorio generale del PNF, con la pubblica approvazione di Mussolini.[41] Al termine dello sciopero si ebbe perfino la nomina statale di una commissione straordinaria di lavoratori per gestire le miniere, destando comprensibile spavento tra il padronato.[42]  Nel novembre del 1924 si tenne a Roma il II Congresso nazionale delle corporazioni. Qui venne messa momentaneamente da parte la strada della collaborazione di classe, per riprendere quella della lotta in difesa dell'unità dei lavoratori e dell'istituzionalizzazione delle corporazioni, quest'ultimo aspetto chiesto a gran voce durante tutto il congresso dalla maggioranza degli esponenti, soprattutto quelli rappresentanti i sindacati agricoli provinciali, come Mario Racheli.[32]  «Nei riflessi della politica economica non v'è chi non afferri l'utilità nazionale di rendere responsabili le organizzazioni sindacali e di creare discipline contrattuali garantite dalla legge.»  (Edmondo Rossoni, intervento al II Congresso nazionale delle corporazioni.[43]) In questo quadro ha luogo, come in altri casi era avvenuto, un'avversione crescente nei confronti dell'inerzia e dell'inattivismo di Mussolini verso la situazione generale, legato alla fase ed alle operazioni di consolidamento del potere del fascismo all'interno della formazione statale. Ciò generò, in diversi casi, il concepimento e la presa di decisioni autonome da parte dei capisquadra, dei leader sindacali e dell'ala movimentista[44][45] e la messa in evidenza della natura anticapitalista che permeava il fascismo provinciale nei confronti di quello cittadino, dove il movimentismo si scontrava coi circoli conservatori. Questa natura emerse visibilmente e prepotentemente con lo sciopero carrarese organizzato da Renato Ricci, capo delle squadre d'azione della Lunigiana. In tale frangente lo sciopero fascista (autunno-inverno del 1924) portò ad una radicalizzazione estrema dello scontro con "i baroni del marmo", imperanti nel carrarese, da portare all'occupazione ed all'autogestione delle cave e delle industrie di lavorazione, ma soprattutto (dato che lo sciopero non si risolse con una vera e propria vittoria) a divenire una delle cause fondamentali della nascita di una corrente di dissidenti all'interno del fascismo "ufficiale".[46][47]  Il 3 gennaio 1925 ha luogo il discorso alla Camera con cui Mussolini si prende carico della responsabilità politica della vicenda Matteotti.  L'8 gennaio il Direttorio delle corporazioni e quello del Partito Nazionale Fascista si riuniscono congiuntamente studiando una serie di problemi da risolvere per valorizzare il ruolo delle classi lavoratrici ed il loro inserimento a pieno titolo nella vita nazionale, producendo poi un ordine del giorno in cui si autorizzavano i sindacati fascisti a ricorrere alla "lotta economica" contro industriali e capitalisti, rei di "colpevole incomprensione" dei fini e della prospettiva sociale e nazionale del fascismo. Ciò determina, insieme all'entusiasmo per l'intransigenza insita nel discorso di Mussolini, l'instaurazione di un clima da "seconda ondata", rimettendo nuovamente in moto la rivoluzione da sinistra e accendendo nuovamente l'entusiasmo del fascismo movimentista.[32]  Nel marzo del 1925 avviene quindi l'ultima grande azione di forza della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, che scavalcò le vertenze sindacali in corso tra la O.M. di Brescia e la FIOMindicendo uno sciopero a sorpresa, scatenato da una serie di multe e licenziamenti inflitti agli operai fascisti che, per protesta, abbandonarono i posti di lavoro. Le agitazioni ottennero l'appoggio di Roberto Farinacci, in quel periodo segretario nazionale del Partito, e, di contrasto, gli appelli alla moderazione di Mussolini, che consigliò cautela a Rossoni per non ripetere le vittorie di Pirro degli scioperi valdarnesi e carraresi.[32]Le agitazioni dei metallurgici riuscirono però ad allargarsi fino a Milano, dove gli operai socialisti e comunisti vennero invitati ad aderire; le attività di contestazione cominciarono poi ad interessare anche carovita ed altri argomenti, estendendosi a tutta la Lombardia ed assumendo, soprattutto con il sindacalfascista Luigi Razza caratteri indipendenti dal governo e di aperta minaccia e violenza nei confronti degli industriali, terrorizzati dalla possibilità di combinazioni politiche unitarie impreviste.[48] Dopo lunghe trattative le agitazioni rientrarono, decretando un grosso insuccesso per gli industriali, che dovettero fare buone concessioni, sebbene non totali, agli operai tramite i sindacati fascisti, e l'emarginazione completa della FIOM, i cui rappresentati si spostarono in massa nelle Corporazioni.[1]  «Per ben tre anni l'esistenza di un sindacalismo fascista, cioè di un movimento sindacale guidato da fascisti e orientato verso le idee del fascismo, fu ostinatamente negata. Ci voleva, per dissuggellare gli occhi dei ciechi volontari e fanatici, il fatto clamoroso: lo sciopero che mettesse in campo le forze sindacali del fascismo e che desse in pari tempo allo stesso sindacalismo fascista una più risoluta nozione della sua forza e delle sue possibilità di azione.»  (Benito Mussolini, Fascismo e sindacalismo, a seguito degli scioperi metallurgici organizzati dai sindacati fascisti in Nord Italia[27][49]) Altro commento che rivela il momento infuocato fu quello di Corradini, sindacalista nazionale:  «Il superamento del socialismo, non la dispersione, non la distruzione dell'opera socialista. Questo è buono affermare, in occasione dello sciopero dei sindacati fascisti (...) Vi è fra socialismo e fascismo un nesso storico, oso dire una continuazione storica (...) Il fascismo supera il socialismo, ma raccoglie i buoni frutti dell'opera socialista e secondo la sua propria legge, quando occorra, tale opera continua»  (Enrico Corradini, su Il Popolo d'Italia[41]) La trasformazione in organi di diritto pubblicoModifica  Edmondo Rossoni in Piazza del Popolo (Roma) annuncia la promulgazione della Carta del Lavoro.  Ugo Spirito. La conseguenza principale di questi avvenimenti furono però gli accordi di Palazzo Vidoni (2 ottobre 1925), in cui venne riconosciuto dalla Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali e da Confindustria la reciproca esclusività di rappresentanza di lavoratori e datori di lavoro, con l'impegno al conseguimento prioritario dell'interesse nazionale.[1]  Va però evidenziata soprattutto la legge del 3 aprile 1926: con questa legge vennero infatti, tra l'altro, realizzata l'istituzionalizzazione dei sindacati fascisti e legalizzato il loro monopolio per la rappresentanza dei lavoratori con la nascita della contrattazione collettiva del lavoro. Ciò andava a significare che le Corporazioni divennero organi di diritto pubblico dell'amministrazione statale, con "funzioni di conciliazione, di coordinamento ed organizzazione della produzione". All'interno di questa legge era inoltre presente l'articolo 42, che prevedeva una direzione comune tra le associazioni di categoria delle due parti, contenendo in nuce il progetto corporativo a sindacato misto che verrà realizzato negli anni trenta.[50]  Dopo questa vittoria, per Rossoni si ebbe la redazione della Carta del Lavoro (1927), testo fondamentale della politica sociale fascista in ottica di eliminazione della dicotomia tra le classi sociali[51] ma, dall'anno successivo, con Farinacci non più alla segreteria nazionale del PNF, ebbero sfogo gli attacchi alla Conferenza nazionale delle corporazioni sindacali, che venne smembrata dai circoli conservatori (novembre 1928), capeggiati da Giuseppe Bottai (sottosegretario al Ministero delle corporazioni) ed Augusto Turati(nuovo segretario del partito), in sei separate confederazioni di sindacati, facendo diminuire il potere contrattuale dell'organismo, disperdendolo in strutture più piccole e limitate.[52]  Il secondo Convegno di Studi sindacali e corporativiModifica Nel periodo che intercorse da questo momento alla legge del 5 febbraio 1934, istitutiva delle corporazioni, si ebbe uno blocco totale dell'azione nel settore, in cui intervenne positivamente soltanto il II Convegno di Studi sindacali e corporativi, tenutosi a Ferrara nel maggio del 1932, nel quale emerse il concetto di corporazione proprietaria proposta da Ugo Spirito[53], nei confronti della quale il sindacalismo fascista si trovò su posizioni contrastanti a causa di un arroccamento di tipo ideologico: rimasti su posizioni classiste nel passaggio dal socialismo eterodosso al fascismo, molti degli esponenti pre-rivoluzionari del sindacalismo fascista (Lanzillo, Giampaoli, Bagnasco, ecc.) videro il progetto di annullare il sindacalismo nel corporativismo come un progetto reazionario, rimanendo ancorati alla concezione della lotta di classe come uno scontro benefico per gli interessi individuali e nazionali.[54]  L'incapacità di accettare la proposta di Spirito da parte dei primi sindacalisti fascisti, ma anche i "nuovi" come Luigi Razza e Pietro Capoferri, fu dovuta quindi essenzialmente al rigetto totale della visione statalista che andava formandosi nel fascismo ed al cui finalismo erano sempre stati avversi: per loro "la corporazione è il sindacato, e dire Stato corporativo è come dire Stato sindacale"[54][55]  L'esaurimento del sindacalismo fascista nelle CorporazioniModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Corporativismo.  Sede dell'Opera Nazionale Dopolavoro. Nel 1934 viene approvata la creazione dello Stato corporativo che, con le nomine dall'alto al posto delle cariche elettive e l'abolizione (fino al 1939) del fiduciario di fabbrica, aveva dato tra l'altro alle corporazioni, divenute veri e propri sindacati formati dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro ed istituzionalizzati nello Stato, la facoltà di stipulare i contratti collettivi di lavoro.[27][56]  In ogni caso il cambiamento di assetto istituzionale e la rivoluzione nel mondo del lavoro, non pregiudicarono i risultati effettivi che il sindacalismo fascista aveva ottenuto negli anni. Tra le più importanti si possono elencare:  ferie pagate; indennità di licenziamento; conservazione del posto in caso di malattia; divieto di licenziamento in caso di maternità; assegni familiari; diffusione delle casse mutue aziendali; assistenza sociale dell'Opera Nazionale Dopolavoro(ad es. centri ricreativi, viaggi collettivi a prezzo simbolico, manifestazioni teatrali, etc).[50] Il 21 aprile 1930 fu Mussolini stesso a rivendicare alle corporazioni la funzione di esaurire in sé il compito del sindacalismo fascista, superando ed andando oltre al sindacalismo stesso, inserendosi nel solco della Rivoluzione continua:  «È nella corporazione che il sindacalismo fascista trova infatti la sua meta. Il sindacalismo, di ogni scuola, ha un decorso che potrebbe dirsi comune, salvo i metodi: s'incomincia con l'educazione dei singoli alla vita associativa; si continua con la stipulazione dei contratti collettivi; si attua la solidarietà assistenziale o mutualistica; si perfeziona l'abilità professionale. Ma mentre il sindacalismo socialista, per la strada della lotta di classe, sfocia sul terreno politico, avente a programma finale la soppressione della proprietà privata e dell'iniziativa individuale, il sindacalismo fascista, attraverso la collaborazione di classe, sbocca nella corporazione, che tale collaborazione deve rendere sistematica e armonica, salvaguardando la proprietà, ma elevandola a funzione sociale, rispettando l'iniziativa individuale, ma nell'ambito della vita e dell'economia della Nazione. Il sindacalismo non può essere fine a sé stesso: o si esaurisce nel socialismo politico o nella corporazione fascista. È solo nella corporazione che si realizza l'unità economica nei suoi diversi elementi: capitale, lavoro, tecnica; è solo attraverso la corporazione, cioè attraverso la collaborazione di tutte le forze convergenti a un solo fine, che la vitalità del sindacalismo è assicurata.»  (Benito Mussolini, discorso inaugurale del Consiglio Nazionale delle corporazioni[57]) Maggiori esponenti ed ispiratori                                               Modifica Filippo Corridoni Enrico Corradini Alceste De Ambris Sergio Panunzio Angelo Oliviero Olivetti Ottavio Dinale Agostino Lanzillo Dino Grandi Luigi Fontanelli Riccardo Del Giudice Michele Bianchi Gino Baroncini Tullio Cianetti Edmondo Rossoni Luigi Razza Mario Racheli Domenico Bagnasco Bramante Cucini Pietro Capoferri Giuseppe Landi Alcide Aimi RivisteModifica La Stirpe Il Lavoro Fascista (poi organo ufficiale del Partito Fascista Repubblicano) Il Lavoro d'Italia Cultura Sindacale Rivista del Lavoro L'Idea Sindacalista Il Lavoro I Problemi del Lavoro NoteModifica ^ a b c d e Francesco Perfetti, Il sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo (1919-1930), vol. 1, Bonacci, Roma, 1988. ^ Breve storia dell'Usi di Ugo Fedeli ^ Ivano Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari, 1981. ^ Curzio Malaparte e Edda Ronchi Suckert, Malaparte, vol. 1, Ponte delle Grazie, 1991. ^ operante tra il 1918 ed il 1925 e senza legami con la UIL attuale. ^ a b Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Roma e Bari, 1974; ristampa Firenze, La Nuova Italia, 1990. ISBN 88-221-0774-8 ^ Nel cui sottotitolo cambiava, in questo periodo, la dicitura da quotidiano socialista in quotidiano dei produttori ^ Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, 1984. ^ Renzo de Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 2005. ^ Filippo Corridoni (a cura di Andrea Benzi), ...come per andare più avanti ancora - gli scritti, Milano, Seb, 2001 ^ a b Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino, Roma, 2003. ^ a b Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 2005. ^ a b Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, Torino, Einaudi, 2005. ^ Italo Mario Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, 1947. ^ Angelo Olivero Olivetti Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, op. cit., p. 72-73 ^ Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Roma, Bonacci, 1984. ^ in Corridoni, Casa editrice Carnaro, Milano, 1932, pag. 76 ^ Anche per via del cambiamento di schieramento di Grandi: Renzo De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere. 1921-1925, Torino, Einaudi, 2005. ^ Carmen Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New York, 1930. ^ R. Allio, La polemica Joubaux-Rossoni e la rappresentanza delle corporazioni fasciste nell'ILO, "Storia contemporanea", Bologna, 1973, anno IV, n. 3 ^ Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale (1870-1925), Feltrinelli, Milano, 2001 ^ "Il Giornale d'Italia", 19 gennaio 1926; "Il Mondo", 19 gennaio 1926. ^ Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario, Torino, Einaudi, 2005. ^ Ferdinando Cordova, Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, 1980. ^ Ancora forti rimanevano i sindacati socialisti (CGdL) e comunisti soprattutto tra metallurgici e metalmeccanici del nord-ovest e lo rimarranno fino allo sciopero fascista della OM di Brescia, espansosi poi in tutto il nord Italia, del 1925. In Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1989. ^ Le idee della ricostruzione. Discorsi sul sindacalismo fascista, Bemporad, Firenze, 1924. ^ a b c Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze. ^ Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla vigilia dello Stato corporativo (1930-1943), Bonacci, Roma, 1989. ^ Con l'eccezione di Lanzillo, che continuò pericolosamente a portare avanti idee liberiste anche durante il regime. ^ Angelo Oliviero Olivetti, Bolscevismo, comunismo e sindacalismo, Editrice Rivista Nazionale, Milano, 1919. ^ Deliberazione congiunta del 6 luglio 1922 del PNF e del Gruppo parlamentare del partito ^ a b c d e Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, 1974. ^ Espressosi esplicitamente, in particolare, nella seduta del Gran Consiglio del Fascismo del 15 marzo 1923, occupatasi dell'analisi dei problemi sindacali. In questo ambito Michele Bianchi definì "dittatoriale" la "procedura introdotta dal sindacalismo fascista", mentre il sindacalista nazionale Maraviglia ribadì che "la doppia organizzazione, cioè quella dei datori di lavoro e quella dei lavoratori, allontana ogni pericolo che anche il Fascismo, per le pressioni e l'influenza delle organizzazioni sindacali, possa diventare un partito di classe". In Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, 1972. ^ a b Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, 2000. ^ Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1989 ^ Corriere della Sera, 18 gennaio 1926 ^ AA. VV., Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, 1980. ^ "(...) contrassegnata da un parziale ritorno alla teoria e alla pratica del conflitto di classe", in Adrian Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Laterza, Bari, 1974 ^ "Il fascismo è una dottrina, una fede, una civiltà nuova. Riemerge ora l'anima rivoluzionaria del Fascismo. Il Fascismo deve immediatamente tornare, non per opportunismo, ma per necessità storica, al programma del '19 (...) L'anima del Fascismo è, ricordiamolo sempre, il Sindacalismo Nazionale, la cui formula Mussolini lanciò prima del 1918, prima di Vittorio Veneto". In Sergio Panunzio, La méta del Fascismo, in Il Popolo d'Italia, 22 giugno 1924 ^ Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, 1953. ^ a b Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, 1972. ^ Il Mondo, 1924 ^ Rossoni stava, nel suo intervento, illustrando le future battaglie del sindacalismo fascista sui contratti collettivi di lavoro. In Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, 1974. ^ "In questo periodo - fine '24 - continuarono ad affiorare, in seno al sindacalismo fascista, tendenze centrifughe verso Mussolini e il partito, la cui sorte pareva a molti gravemente compromessa" in Alberto Acquarone, La politica sindacale del fascismo ^ Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa, Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, 1974. ^ Che rientrò poi in breve tempo nell'alveo della sinistra fascista ufficiale. ^ Sandro Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986. ^ Bruno Uva, La nascita dello stato corporativo e sindacale fascista, Carucci, Assisi-Roma, 1974. ^ Gerarchia n° 5, maggio 1925 ^ a b Alberto Acquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario, Einaudi, Torino, 1965. ^ R. Arata, Decennale della Carta del Lavoro - Sul piano dell'Impero, su "L'Italia", Milano, 21 aprile 1937 ^ Renzo De Felice, Mussolini il fascista. Vol. 2: L'organizzazione dello Stato fascista (1925-1929), Einaudi, 2008. ^ Ugo Spirito, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano, 1977. ^ a b Silvio Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Ugo Spirito, Firenze, in Belfagor, anno XXVI, 1971 ^ Giuseppe Parlato, Ugo Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il pensiero di Ugo Spirito, vol. 1, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1988. ^ Luca Leonello Rimbotti, Il Fascismo di sinistra, Edizioni Settimo Sigillo, Roma, 1989. ^ Edoardo e Duilio Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze. BibliografiaModifica Testi in lingua italianaModifica AA. VV., Uomini e volti del fascismo, Bulzoni, Roma, 1980. Critica Fascista, antologia a cura di De Rosa e Malgeri, Landi, San Giovanni Valdarno, 1980. Alberto Aquarone, La politica sindacale del fascismo. Alberto Aquarone e Maurizio Vernassa (a cura di), Il regime fascista, Il Mulino, Bologna, 1974. 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Antologia di testi fascisti, 1919-1945, Bergamo, Minerva italica, 1978. Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Laterza, Bari. 1975. Ivano Granata, La nascita del sindacato fascista. L'esperienza di Milano, De Donato, Bari, 1981. Silvio Lanaro, Appunti sul fascismo di sinistra - La dottrina corporativa di Ugo Spirito, Firenze, in Belfagor, anno XXVI, 1971. Adrian Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Laterza, Bari, 1974. Giuseppe Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, 2008. Giuseppe Parlato, Ugo Spirito e il sindacalismo fascista, in AA. VV., Il pensiero di Ugo Spirito, vol. 1, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1988. Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista. Dalla grande crisi alla caduta del regime (1930-1943), vol. 2, Bonacci, Roma, 1989. Francesco Perfetti, Il sindacalismo fascista. Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo (1919-1930), vol. 1, Bonacci, Roma, 1988. Francesco Perfetti, Dal sindacalismo rivoluzionario al corporativismo, Bonacci, Roma, 1984. Italo Mario Sacco, Storia del sindacalismo, Torino, 1947. Gaetano Salvemini, Scritti sul fascismo, Vol. 3, Feltrinelli, 1961. Claudio Schwarzenberg, Il sindacalismo fascista, Mursia, Milano, 1972. Sandro Setta, Renato Ricci: dallo squadrismo alla Repubblica sociale italiana, Il Mulino, 1986. Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze. Francesca Tacchi, Storia illustrata del fascismo, Giunti, Firenze, 2000. Attilio Tamaro, Venti anni di storia, Editrice Tiber, Roma, 1953. Simonetta Falasca Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino, Roma, 2003. Testi in lingua stranieraModifica (EN) Carmen Haider, Capital and Labour under Fascism, Columbia University Press, New York, 1930. (EN) G. Lowell Field, The Syndacal and Corporative Institutions of Italian Fascism, Columbia University Press, New York, 1938. (EN) David D. Roberts, The Syndacalist Tradition and Italian Fascism, University of North Carolina Press, Chapel Hill, 1979. Voci correlateModifica Camera dei fasci e delle corporazioni Carta del Lavoro Corporativismo Corporazione proprietaria Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali Collaborazione di classe Fasci Italiani di Combattimento Interventismo Leggi fascistissime Politica economica fascista Politica sociale (fascismo) Dalmine Rivoluzione fascista Squadrismo Sindacalismo rivoluzionario Sindacato fascista dei giornalisti Controllo di autoritàThesaurusBNCF 36490   Portale Fascismo   Portale Politica   Portale Storia d'Italia Ultima modifica 2 mesi fa di Tytire PAGINE CORRELATE Edmondo Rossoni sindacalista, giornalista e politico italiano  Angelo Oliviero Olivetti politico, politologo e giornalista italiano  Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali WikipediaRiccardo Del Giudice. Giudice. Keywords: l’implicatura di Telesio, Telesio, polemica con Spirito su la distinzione tra sindacato e corporazione, le corporazione nell aroma papale, I diritti dello stato pontificio, il diritto della navegazione, contratto, gentile, la scuola al lavoro – ‘dottrina e prassi corporativa” --  – la tesi di telesio – consiglio nazionale delle corporazioni.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giudice: l’implicatura di Telesio” -- The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755870847/in/dateposted-public/

 

Grice e Giudice – corpi ed espressioni – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Antillo). Filosofo.  Grice: “Giudice has written an essay that poses a conceptual query for Austin’s conceptual query. It’s “Sull pudore” – “But do we have that in ordinary language?”” – Grice: “Giudice has also written on more standard forms of philosophy of language, and Nietzsche.” Dopo aver espletato studi classici si laurea con la tesi “Ideologia e Sociologia” -- Ricercatore all'Istituto di Filosofia di Messina. Direttore della collana "Filosofia Teoretica". Altre saggi: “La Nuova Filosofia, Messina, Sortino “Il discorso filosofico” “Gli echi del corpo” Verona,Paniere, “Il lessico di Nietzsche” Roma, Armando, Nietzscheana. Esercizi di lettura, Messina, Alfa, “Il tribunale filosofico” I simboli delle cose più alte, Fedeltà alla terra, Profili della contemporaneità, Cosenza, Pellegrini, “Stare insieme” Cosenza, Pellegrini, La filosofia del finito, Cosenza, Pellegrini, Gl’echi, Cosenza, Pellegrini Editore, Il corpo e l'espressione, Cosenza, Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Emozioni e cognitività: Un approccio fisiologico, Cosenza, Pellegrini Sul pudore -- Sul pudore e sull'osceno, Cosenza, Pellegrini Breve documento sulla "nuova filosofia", Cosenza, Pellegrini, Scritti di filosofia ed etica, Cosenza, Pellegrini, Su Messina e altri scritti, Cosenza, Pellegrini, Morelli, Puoi fidarti di te, Milano, Mondadori, Battaglia, Storia e cultura in Popper, Cosenza, L. Pellegrino, Battaglia, Guicciardini tra scienza etica e politica, Cosenza, L. Pellegrino,,  varie Giovanni Coglitore, Kant: cristianesimo come impegno morale, in Il contributo,  L'Espresso, Studi etno-antropologici e sociologici,.  Fisiologia branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi viventi Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – "Fisiologo" rimanda qui. Se stai cercando l'omonimo trattato antico, vedi Il Fisiologo. La fisiologia (dal greco φύσις, physis, 'natura', e λόγος, logos, 'discorso', quindi 'studio dei fenomeni naturali') è la branca della biologia che studia il funzionamento degli organismi viventi[1], analizzando i principi chimico-fisici del funzionamento degli esseri viventi, siano essi mono o pluricellulari, animali o vegetali.    L'Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, un'importante prima tappa nello studio della fisiologia. È detta "condizione fisiologica" lo stato in cui si verificano le normali funzioni corporee, mentre una condizione patologica è caratterizzata da anomalie che si traducono in malattie.[2]. Data l'estensione del campo di studi, la fisiologia si divide, fra gli altri, in fisiologia animale, fisiologia vegetale, fisiologia cellulare, fisiologia microbica, batterica e virale.[3] Il Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina è assegnato dall'Accademia reale svedese delle scienzea coloro che raggiungono risultati significativi in questa disciplina.  StoriaModifica  Claude Bernard e i suoi aiutanti. Olio su tela di Leon-Augus Wellcome. I primi studi fisiologici risalgono alle antiche civiltà dell'India e all'Egitto,[4][5] dove venivano condotti insieme agli studi anatomici, senza l'utilizzo della dissezione o della vivisezione.[6]  Lo studio della fisiologia umana come campo medico risale almeno al 420 a.C. ai tempi di Ippocrate, noto come il padre della medicina.[7] Ippocrate incorpora questa scienza alla sua teoria degli umori, che si basa su quattro sostanze fondamentali: terra, acqua, aria e fuoco; associate ad un corrispondente humor (bile nera, flegma, sangue e bile gialla, rispettivamente). Ippocrate nota alcune connessioni emotive ai quattro umori, che Claudio Galeno avrebbe poi ripreso nei suoi studi. Il pensiero criticodi Aristotele e la sua teoria sulla correlazione tra struttura e funzione ha segnato l'inizio dello studio della fisiologia nella Grecia antica. Come Ippocrate, Aristotele riprende la teoria umorale, che per lui consisteva in quattro qualità primarie: caldo, freddo, umido e secco.[8] Claudio Galeno è stato il primo ad utilizzare degli esperimenti per sondare le funzioni del corpo. A differenza di Ippocrate, però, Galeno sostiene che gli squilibri umorali siano situati in organi specifici, o nell'intero corpo.[9] Galeno ha poi introdotto la nozione di temperamento: sanguigno corrisponde al sangue; il flemmatico è legato al catarro; la bile gialla è collegata alla collera; e la bile nera corrisponde alla malinconia. Galeno afferma che il corpo umano è composto da tre sistemi collegati: il cervello e i nervi, responsabili dei pensieri e sensazioni; il cuore e le arterie, che danno la vita; e il fegato con le vene, che sono collegati alla nutrizione e la crescita.[9] Galeno è anche il fondatore della fisiologia sperimentale.[10] Per i successivi 1.400 anni, la fisiologia galenica influenza l'intera medicina.[9]  Jean Fernel (1497-1558), un medico francese, ha introdotto per primo il termine "fisiologia".[11]  Nel 1820, il fisiologo francese Henri Milne-Edwardsintroduce il concetto di divisione fisiologica del lavoro, che ha permesso di "confrontare e studiare le cose viventi come se fossero macchine create dall'industria dell'uomo". Ispirato dal lavoro di Adam Smith, Milne-Edwards ha scritto che il "corpo di tutti gli esseri viventi, animali o piante, assomiglia ad una fabbrica ... in cui gli organi, paragonabili ai lavoratori, lavorano incessantemente per produrre i fenomeni che costituiscono la vita dell'individuo." Negli organismi più differenziati, il lavoro può essere ripartito tra diversi strumenti o sistemi (chiamati da lui appareils).[12]  Nel 1858, Joseph Lister studia le cause della coagulazione del sangue e l'infiammazione. Le sue scoperte portano all'implemento di antisettici in sala operatoria, con conseguente diminuzione del tasso di mortalità degli interventi chirurgici.[2][13]  Nel XIX secolo, la conoscenza fisiologica ha iniziato a crescere ad un ritmo rapido, in particolare nel 1838, grazie alla teoria cellulare di Matthias Schleiden e Theodor Schwann, nella quale si afferma per la prima volta che gli organismi sono costituiti da unità chiamate celle. Le scoperte di Claude Bernard (1813-1878) hanno portato al concetto di milieu interieur(ambiente interno), che sarà poi ripreso e definito "omeostasi" dal fisiologo americano Walter B. Cannonnel 1929. Con omeostasi, Cannon intendeva "il mantenimento di stati stazionari nel corpo e i processi fisiologici con cui sono regolati."[14] In altre parole, la capacità dell'organismo di regolare l'ambiente interno. Va notato che, William Beaumont è stato il primo americano ad utilizzare l'applicazione pratica della fisiologia.  I fisiologi del XIX secolo come Michael Foster, Max Verworn, e Alfred Binet, sulla base delle idee di Haeckel, elaborano il concetto di fisiologia generale, una scienza unificata che studia le cellule,[15]ribattezzata biologia cellulare nel 900. Nel XX secolo, i biologi iniziano ad interessarsi agli organismi diversi dagli esseri umani, e nascono i campi della fisiologia comparata ed ecofisiologia.[16] Più di recente, la fisiologia evolutiva è diventata un sotto-disciplina distinta.[17]  DescrizioneModifica La fisiologia opera su diversi livelli, occupandosi sia dei meccanismi di base a livello molecolare sia di funzioni di cellule e organi, come pure dell'integrazione delle funzioni d'organo negli organismi complessi.   A seconda dell'ambito specialistico, la fisiologia si avvale delle conoscenze di numerose discipline, oltre alle già citate chimica e fisica, alcune branche della biologia quali: biochimica, biologia molecolare, anatomia, citologia e istologia e costituisce anche la base fondamentale per numerose discipline mediche quali la patologia, la farmacologia e la tossicologia.  Esistono diversi metodi per classificare la fisiologia[18]  In base al taxon: Fisiologia animale: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni degli animali. Fisiologia vegetale: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni dei vegetali. Fisiologia umana: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni degli esseri umani Fisiologia microbica e virale. In base al livello di organizzazione: Fisiologia cellulare: studia i meccanismi associati al funzionamento delle cellule e le loro interazioni con l'ambiente. Fisiologia molecolare: studia i fenomeni e i meccanismi associati alle funzioni delle molecole Neurofisiologia: studia il funzionamento del sistema nervoso sia a livello cellulare che sistemico Fisiologia sistemica Fisiologia ecologica Fisiologia integrativa In base ai processi che causano variazioni fisiologiche: Fisiologia ambientale: studia le reazioni e l'adattamento dell'organismo sottoposto a differenti ambienti (temperatura, altitudine, inquinamento, ecc..). Fisiologia patologica: studia le modificazioni delle funzioni in seguito ad una patologia. Fisiologia dello sviluppo: studia i meccanismi e le fasi che conducono un organismo alla maturità riproduttiva. In base agli obiettivi finali della ricerca: Fisiologia applicata: studia la capacità umana d'interagire con l'ambiente esterno. Fisiologia comparata: studia le somiglianze e le differenze delle diverse specie animali. Fisiologia dell'esercizio: studia i meccanismi che interessano l'attività motoria e sportiva e come migliorare le prestazioni con l'allenamento. NoteModifica ^ Prosser, C. Ladd (1991).Comparative Animal Physiology, ambientale Environmental and Metabolic Animal Physiology(4 ° ed.).Hoboken, NJ: Wiley-Liss.pp. 1-12.ISBN 0-471-85767-X ^ a b ( EN ) Introduction to Physiology: History And Scope, in Medical News Today. URL consultato il 26 maggio 2017. ^ Hall, John (2011).Guyton e Hall Manuale di fisiologia medica(12 ° ed.).Philadelphia, Pa .: Saunders / Elsevier.p.3. ISBN 978-1-4160-4574-8. ^ D. P. Burma; Maharani Chakravorty. 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URL consultato il 26 maggio 2017. ^ Wilbur Applebaum. Encyclopedia of the Scientific Revolution: From Copernicus to Newton. Routledge. p. 344. ^ R. M. cervello. The Pulse del modernismo: fisiologici Estetica a Fin-de-siècle Europa . Seattle: University of Washington Press, 2015. 384 pp.  ^ Milestones in Physiology (1822-2013)"Archiviato il 20 maggio 2017 in Internet Archive. (PDF). 1 October 2013. Retrieved 2015-07-25. ^ Theodore M. Brown e Elizabeth Fee, Walter Bradford Cannon, in American Journal of Public Health, vol. 92, n. 10, 27 maggio 2017, pp. 1594–1595. URL consultato il 27 maggio 2017. ^ ( EN ) Robert Michael Brain, The Pulse of Modernism: Physiological Aesthetics in Fin-de-Sicle Europe, University of Washington Press, 1º maggio 2015, ISBN 978-0-295-80578-8. URL consultato il 27 maggio 2017. ^ Feder, ME; Bennett, AF; WW, Burggren; Huey, RB (1987). New directions in ecological physiology. New York: Cambridge University Press. ISBN 978-0-521-34938-3. ^ ( EN ) Jr T Garland, P. 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Modifica su Wikidata Fisiologia, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Controllo di autoritàThesaurus BNCF 2513 · LCCN( EN ) sh85062884 · GND ( DE ) 4045981-0 ·BNF ( FR ) cb120659591 (data) · J9U( EN ,  HE ) 987007531200405171 (topic) · NDL( EN ,  JA ) 00570362   Portale Biologia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di biologia Ultima modifica 7 giorni fa di Zoro1996 PAGINE CORRELATE Biologia scienza che studia la vita  Storia della biologia Equilibrio idro-salino WikipediaSanti Lo Giudice. Giudice. Keywords: corpi ed espressioni, corpo, espressione, pudore, osceno, l’osceno nella Roma antica, l’osceno nella italia antica, fisiologia, fisiologico, natura --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giudice: corpi ed espressioni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756657916/in/dateposted-public/

 

Grice e Giuliano – filosofia italiana – Luigi Speranza – Grice: “When I think Giuliano, I think Donizetti – and Poliuto’s lions!” -- Flavio Claudio Giuliano (in latino: Flavius Claudius Iulianus; Costantinopoli), filosofo. L’ultimo sovrano dichiaratamente pagano, che tenta, senza successo, di riformare e di restaurare la religione romana dopo che essa era caduta in decadenza di fronte alla diffusione del cristianesimo. Giuliano. Keywords: pagano, ennico, prima Roma, terza Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giuliano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/23245055244/in/photolist-2mQzBiv-2mQxzwE-2mQjVch-2mPQGvz-2mPC6Zb-2mN36eA-2mLLZRD-2mLNi1Z-2mLznXk-2mKC3nj-2mKk6t5-2mKgN49-2mJ4GHU-Bq5Z5y-CfbuaM-Bm5FTy-BUPaNy-B24BWv-nup62f-ncSD5f-mMFu8i-mPMvEo-mMFf9t-mMFixn-mMFtDV-mMFsxp-mMH8r5-mMQAmK-mPMhv7-mMFmrM-my8CQ1-mwcBH4-mwc4Gc-mwc6XV-mwcxz4-mwctYM-mwdQhS

 

 

Grice e Giussani – dell’amicizia – il comune,  fraternita, liberazione -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Desio). Filosofo. Grice: “I like Giussiani; of course at Oxford he would be a no-no, being a Catholic; but he understands the pragmatics of conversation!” Ricevette la prima introduzione dalla madre Angelina Gelosa, operaia tessile; il padre Beniamino, disegnatore e intagliatore, era un socialista. Entra nel seminario diocesano San Pietro Martire di Seveso dove frequenta i primi quattro anni di ginnasio. Si trasferì a Venegono Inferiore, nella sede principale del seminario dove frequenta l'ultimo anno di ginnasio, i tre anni del liceo e dove svolse i successivi studi di filosofia.  Ebbe come docenti, fra gli altri, Colombo, Corti, Carlo, e Figini. In quella sede conobbe i compagni di studio Manfredini e Biffi. Si interessò di Leopardi e delle chiese ortodosse.  Il 26 maggio 1945 Giussani, ventitreenne, ricevette l'ordinazione sacerdotale dal cardinale Ildefonso Schuster.  Dopo l'ordinazione, rimase nel seminario di Venegono come insegnante e si specializzò nello studio della teologia orientale (specie sugli slavofili), della teologia protestante e della motivazione razionale dell'adesione alla Chiesa. Lascia l'insegnamento in seminario per quello nelle scuole superiori. Inizia l'insegnamento della religione nelle scuole superiori a Milano dove fu suo alunno Giorello. Le riunioni di suoi studenti si tennero con il nome di Gioventù Studentesca (GS), che fonda insieme a Ricci e che fece parte dell'Azione Cattolica.  Inizia anche un'attività pubblicistica volta a porre attenzione sulla questione educativa. Redasse la voce "Educazione" per l'Enciclopedia Cattolica.  Sotto  Colombo continuò gli studi di teologia protestante per i quali soggiornò per cinque mesi negli Stati Uniti. Ottenne la cattedra di Introduzione alla Teologia a Milano.:Lo Spirito Santo ha suscitato nella Chiesa, attraverso di lui, un Movimento, il vostro, che testimoniasse la bellezza di essere cristiani in un'epoca in cui andava diffondendosi l'opinione che il cristianesimo fosse qualcosa di faticoso e di opprimente da vivere. Giussani s'impegnò allora a ridestare nei giovani l'amore verso Cristo "Via, Verità e Vita", ripetendo che solo Lui è la strada verso la realizzazione dei desideri più profondi del cuore dell'uomo, e che Cristo non ci salva a dispetto della nostra umanità, ma attraverso di essa. Il movimento da lui creato prese il nome di Comunione e Liberazione; ne assunse la guida presiedendone il consiglio generale.  Il Pontificio Consiglio per i Laici riconobbe la Fraternità di Comunione e Liberazione e Giussani ne guidò la Diaconia Centrale. Contribuì alla costituzione della Fondazione Banco Alimentare. Fra le sue numerose opere vi è la trilogia del Per Corso, redatta a partire dagli appunti delle lezioni di religione che aveva tenuto negli anni cinquanta al liceo Berchet e in seguito all'Università Cattolica. L'opera, pubblicata in successive edizioni prima da Jaca e poi da Rizzoli, è composta da “Il senso religioso, All'origine della pretesa cristiana e Perché la Chiesa. Propone la concezione della fede e dell'esperienza cristiana come incontro con Cristo attraverso la Chiesa cattolica. La fede è un «riconoscere una Presenza» ed occupa ogni singolo spazio della vita individuale (i rapporti umani, l'esperienza lavorativa, la vita sociale e politica). Da ciò nasce anche una critica alla ragione illuminista. L'idea della ragione come principale strumento offerto all'uomo nel rapporto con la realtà e della fede come metodo di conoscenza sono le premesse metodologiche per un'analisi dell'esperienza religiosa.  Dopo la morte, sono stati dedicati a Giussani:  Desio: nel paese natale di Giussani, la piazza retrostante il municipio e un monumento opera di Cristina Mariani a Milano: parcoGiussani, in predenza parco Solari Trivolzio: il piazzale adibito all'accoglienza delle auto dei pellegrini alla chiesa parrocchiale che ospita le spoglie di San Riccardo Pampuri. Finale Ligure: l'ultimo tratto del sentiero che porta all'antica chiesa di San Lorenzo di Varigotti: lì si tennero alcuni dei primi incontri di Comunione e Liberazione, che ancora si chiamava Gioventù Studentesca Castronno (VA): un largo presso la rotatoria all'uscita dell'Autostrada dei laghi. Ascoli Piceno: la scuola primaria e dell'infanzia "Giussani". Portofino: la piazzetta del faro Kampala (Uganda): la scuola secondaria Giussani Pozzolengo: il parco comunale adiacente al castello San Leo: un basso-rilievo in bronzo, opera dell'artista riminese Ceccarellia, sulla facciata del convento di Sant'Igne Rimini: la rotonda davanti al Palacongressi, nei pressi dell'area della demolita Fiera dove si sono svolte le prime edizioni del Meeting per l'amicizia fra i popoli Chiavari: un tratto del lungoporto Verona: i giardini presso ponte Garibaldi a Borgo Trento Cinisello Balsamo: un largo urbano nei pressi del comune Segrate: il centro sportivo della frazione di Redecesio Strade comunali sono state intitolate a don Giussani a Cagliari, Morrovalle, Rapallo, Treviglio, Mestre, ecc. La maggior parte delle opere deriva dalla trascrizione di dialoghi, conversazioni e lezioni svolte in pubblico durante raduni, convegni, esercizi spirituali. I suoi libri sono stati pubblicati dall'editore milanese Jaca. Rizzoli ha iniziato a rieditare i testi di Giussani in nuove edizioni aggiornate dotate spesso di un nuovo apparato di note e di nuovi contenuti editoriali e a volte con titoli diversi. Rizzoli ha anche pubblicato le opere inedited e volumi antologici di conversazioni precedentemente disponibili sotto forma di fascicoli pro manuscripto o di redazionali per varie riviste. Volumi di inediti o di riedizioni di  testi sono poi usciti anche per altri editori, tra i quali Marietti,  San Paolo, SEI, Piemme e Messaggero di Sant'Antonio. Trascrizioni di conversazioni e lezioni nel corso di incontri con i responsabili di Comunione e Liberazione, di esercizi spirituali e di incontri con appartenenti ai Memores Domini sono state di norma pubblicate come inserti redazionali o allegate come fascicoletti nelle riviste Tracce (precedentemente nota come CL-Littere Communionis, organo ufficiale del movimento), Il Sabato e 30 giorni nella Chiesa e nel mondo. Un gran numero di questi testi è stato poi pubblicato in volumi antologici.  -- è iniziata la catalogazione sistematica dei testi e degli scritti di Giussani. Giussani Scritti, curato dalla Fraternità di Comunione e Liberazione, inizia la pubblicazione di schede riassuntive dei testi. Ha diretto la collana editoriale I libri dello spirito cristiano per la Biblioteca Universale Rizzoli. La collana e poi sostituita da un'analoga iniziativa sotto il nome di Biblioteca della spirito cristiano, ha pubblicato titoli scelti fra quelli che più hanno segnato l'esperienza di Giussani e di Comunione e Liberazione. Ha diretto la collana discografica Spirto gentil, CD musicali di «introduzione alla musica» con allegato un booklet di norma contenente una nota introduttiva di Giussani, una scheda storica sui compositori o sui musicisti e una guida all'ascolto. Saggi: “Il senso religioso: all'origine della pretesa cristiana, Perché la Chiesa e Il rischio educativo. “Il senso religioso, Jaca, Reinhold Niebuhr, Jaca Teologia protestante, La Scuola Cattolica, Jaca Marietti, “L'impegno del cristiano nel mondo, Jaca, Tracce di esperienza e appunti di metodo cristiano, Jaca Dalla liturgia vissuta: una testimonianza, Jaca, San Paolo, Il rischio educativo, Jaca, SEI, Rizzoli, Tracce d'esperienza cristiana, Jaca Decisione per l'esistenza, Jaca L'alleanza, Jaca Il senso della nascita, colloquio con Testori, BUR Rizzoli, Moralità: memoria e desiderio, Jaca, Alla ricerca del volto umano, Jaca  Rizzoli, Pregare, illustrazioni di Marina Molino, Jaca La fede e le sue immagini, illustrazioni di Marina Molino, Jaca La coscienza religiosa nell'uomo moderno, Jaca,  Il senso religioso, PerCorso, Jaca Rizzoli, All'origine della pretesa Cristiana, Jaca Rizzoli, Perché la Chiesa, Jaca, Rizzoli, Un avvenimento di vita, cioè una storia, EDITIl Sabato L'avvenimento cristiano, BUR Rizzoli, Il senso di Dio e l'uomo moderno, BUR Rizzoli, Si può vivere così?, BUR Rizzoli, Rizzoli Il PerCorso, Jaca, Opere: Jaca Book, Il tempo e il tempio, BUR Rizzoli, Realtà e giovinezza: la sfida, SEI; Rizzoli, Il cammino al vero è un'esperienza, SEI, Rizzoli, Le mie letture, Rizzoli, Si può (veramente?!) vivere così?, BUR Rizzoli, Porta la speranza, Marietti Riconoscere una presenza, San Paolo, Lettere di fede e di amicizia a Majo, San Paolo, Generare tracce nella storia del mondo, con Alberto e Prades, Rizzoli, L'uomo e il suo destino, Marietti Scuola di Religione, SEI, L'io, il potere, le opere, Marietti Tutta la terra desidera il Tuo volto, San Paolo, Che cos'è l'uomo perché te ne curi?, San Paolo, Avvenimento di libertà, Marietti L'opera del movimento. La Fraternità di Comunione e Liberazione, San Paolo, Il miracolo dell'ospitalità, Piemme,Il Santo Rosario, San Paolo, Egli solo è. Via Crucis, San Paolo, La libertà di Dio, Marietti, Come si diventa cristiani, Marietti La familiarità con Cristo, San Paolo, Vivere intensamente il reale, La Scuola,. Spirto gentil, BUR Rizzoli,. Cristo compagnia di Dio all'uomo, EMessaggero Padova, Collana Quasi Tischreden "Tu" (o dell'amicizia), BUR Rizzoli, Vivendo nella carne, BUR Rizzoli, L'attrattiva Gesù, BUR Rizzoli, L'auto-coscienza del cosmo, BUR Rizzoli, Affezione e dimora, BUR Rizzoli, Dal temperamento un metodo, BUR Rizzoli, Una presenza che cambia, BUR Rizzoli, Collana L'Equipe Dall'utopia alla presenza  BUR Rizzoli, Certi di alcune grandi cose, BUR Rizzoli, Uomini senza patria BUR Rizzoli, Qui e ora BUR Rizzoli, “L'io rinasce in un incontro” BUR Rizzoli, Ciò che abbiamo di più caro, BUR Rizzoli, Un evento reale nella vita dell'uomo BUR Rizzoli, In cammino BUR Rizzoli, Collana Cristianesimo alla prova Una strana compagnia, BUR Rizzoli, La convenienza umana della fede, BUR Rizzoli, La verità nasce dalla carne, BUR Rizzoli, Un avvenimento nella vita dell'uomo, BUR Rizzoli,  Interviste Comunione e Liberazione. Interviste Robi Ronza, Milano, Jaca Book, Un caffè in compagnia. Conversazioni sul presente e sul destino, colloqui conFarina, Milano, Rizzoli. Il fondatore: Comunione e Liberazione. Camisasca "C’altro Sessantotto", da "L'Osservatore Romano" ORIGINE, in Banco Alimentare, Elemedia S.p.A.Area Internet, Il mistero di don Giussani. Rivelato dai suoi scritti, su chiesa.espresso.repubblica. Oggi l'addio a don Giussani Il Tirreno, in ArchivioIl Tirreno. Società Coop. Edit. Nuovo Mondo Via Porpora, Milano Tracce , «Cristo è veramente tutto, è il compiersi dell’umano», su tracce. Repubblica » politica » Milano, i funerali di Don Giussani, su repubblica Milano, profanata la tomba di don Giussani, Corriere della Sera su corriere. Chiesta l'apertura della causa di beatificazione e canonizzazione, in Tracce, Società Coop. Edit. Nuovo Mondo, Passo avanti verso la beatificazione di don Giussani, in Tempi, Società Coop. Edit. Nuovo Mondo, Savorana, Don Luigi Giussani, fondatore di CL, nominato monsignore, in Avvenire, Don Giussani: vince il premio della cultura cattolica, in Adnkronos, Mia giovinezza, in Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, Premio Isimbardi Città metropolitana di Milano.Tettamanzi, La famiglia a scuola, in Tracce, Coop. Editoriale Nuovo Mondo, La Festa dello StatutoEdizione Sigilli longobardi, su Consiglio Regionale della Lombardia. Desio, rinasce il monumento per don Giussani a dieci anni dalla scomparsa, in Il Cottadino,  Il parco Solari sarà dedicato a Giussani, in Il Giornale, Tornielli, Don Giussani nel solco di San Pampuri, in La Provincia Pavese, Finale: intitolazione strada a Giussani, in Savona  News, Castronno, intitolata a Don Giussani la nuova rotonda, in Varese News, Emidio Cagnucci, al musicista ascolano intitolata una scuola, in il Quotidiano,Francesca Nacini, Don Giussani «faro» di Portofino, in Il Giornale, Uganda. La Luigi Giussani High School inaugurata a Kampala tra i canti delle donne del Meeting Point, su AVSI, 1Pozzolengo, raid vandalici nei parchi, in qui Brescia, Un bassorilievo per don Giussani a San Leo, in Rimini Today, Rotatoria del Palacongressi dedicata a Don Luigi Giussani, in Altarimini, Chiavari, lungoporto don Giussani per il fondatore di Cl, in Il Secolo XIX, In Borgo Trento giardini intitolati al fondatore di CL, in Verona Notte, Melati, Jaca Santa editrice della rivoluzione, in Il Venerdì di Repubblica, Gruppo Editoriale L'Espresso SpA, Le opere  di Comunione e Liberazione. Chi siamo, su Giussani Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione.  Collana I libri dello spirito cristiano, Comunione e Liberazione. Collana musicale Spirto gentil, di Comunione e Liberazione. Bosco, Giussani, Torino, Elledici, Guy Bedouelle; Graziano Borgonovo; Olivier Clément; Antonio Olinto; Julien Ries, Gli uomini vivi si incontrano: scritti per Giussani, Milanok, Camisasca, Comunione e Liberazione: Le origini Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, Massimo Camisasca, Comunione e Liberazione: La ripresa, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo,Elisa Buzzi, Scola, Un pensiero sorgivo, Marietti DPerillo, Caro Giussani. Dieci anni di lettere a un padre, Piemme, Camisasca, Comunione e Liberazione: Il riconoscimento, Appendice, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, Farina, Giussani. Vita di un amico, Piemme,  Farina, Maestri. Incontri e dialoghi sul senso della vita, Piemme, Ceglie, Giussani. Una religione per l'uomo, 1ª ed., Cantagalli, AGamba, Allargare la ragione, Vita e Pensiero, Massimo Camisasca, Giussani. La sua esperienza dell'uomo e di Dio,Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo,Savorana, Vita di don Giussani, Milano, Rizzoli Editore, Savorana, Un'attrattiva che muove, 1ª ed., Milano, BUR Saggi, Scholz-Zappa, Giussani e Guardini. Una lettura originale, Milano, Jaca Book, Marta Busani, Gioventù studentesca. Storia di un movimento cattolico dalla ricostruzione alla contestazione, Roma, Edizioni Studium, Massimo Camisasca, L'avventura di Gioventù Studentesca, fotografie di Elio Ciol, Milano, Mondadori Electa, G. Paximadi, E. Prato, R. Roux e A. Tombolini, Giussani. Il percorso teologico e l'apertura ecumenica, Siena, Cantagalli Eupress FTL. Scritti di  Giussani, su Giussani Scritti, Fraternità di Comunione e Liberazione. Giussani su Comunione e Liberazione, Fraternità di Comunione e Liberazione. Luigi Giovanni Giussani. Giussiani. Keywords: dell’amicizia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giussani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756555485/in/photolist-2mRxSLV-2mJe9QJ

 

Grice e Giusso – gl’eroi – filosofia fascista --  il mistico dell’azione -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Giusso: he has explored philosophers from his country like Leopardi and Bruno, and tdhe whole ‘tradizione ermetica nella filosofia italiana,’ but also French – Bergson – and especially “Dutch,” i. e. Deutsche or tedesca – Spengler, and Nietsche – All very Italian!” Nato in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio Giusso e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, uno dei fondatori del quartiere Bagnoli, ne era stato sindaco). Si laurea in filosofia a Napoli sotto Aliotta. Seguì con passione l'attualismo gentiliano e proprio il suo carattere passionale lo portò anche nel campo filosofico ad un tipo di critica "scenografica", così come fu definita. Le sue "frizioni" con Croce, inizialmente orientate su temi politici, presero più tardi una forma "sotterranea", genericamente orientata contro l'idealism. Giusso si richiamava al fatalismo di Leopardi, al demiurgo di Nietzsche, allo storicismo di Dilthey, al nichilismo dello Spengler: e a causa di quest'ultimo, oltre che per la sua interpretazione della Scienza nuova vichiana (che si attirò una severa recensione dello stesso Croce, Giusso fu criticato dall'ambiente crociano. Giusso critico e storico delle idee s'identificava con la visione della vita di autori che sentiva a lui vicini per temperamento ed interessi come Bruno, Vico (dall'analisi degli scritti del quale nacque l'infastidita reazione di Croce), Giacomo, Bacchelli, Barilli, Papini, Soffici, Palazzeschi, Borgese, Gozzano, che molto ispirò la sua composizione poetica Don Giovanni ammalato. I suoi Tafferugli a Montecavallo meriterebbero forse di essere più conosciuti. Tra le due guerre, egli partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di Croce, da cui molto presto si distaccò (comeTilgher, che egli difese e mostrò di apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto a un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare in una fase iniziale, Spengler e Nietzsche.  Intelligenza precoce, prima di intraprendere l'insegnamento universitario che lo avrebbe allontanato da Napoli portandolo ad insegnare Filosofia a Bologna, Pisa, e Cagliari, Giusso avviò una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi quotidiani icome Il Popolo d'Italia, Il Secolo, Il Mattino, Il Resto del Carlino, ed ancora il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La Stampa ed altri ancora.  Giornali questi dove fu autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto scrittori. Nel dopoguerra, superati i miti dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica, si riavvicinò alla fede Cristiana. Era sua intenzione realizzare una revisione del pensiero italiano dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico volto a ravvicinare la filosofia della Roma antica e quello cristiano.  In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla figura di Bruno. Di ritorno da un viaggio nella sua adorata Spagna morì a A Napoli gli venne intitolata una strada.  Saggi: “Le dittature democratiche dell'Italia” (Milano, Alpes); “Leopardi” (Napoli, Guida); “Idealismo e prospettivismo” (Napoli, Guida); “Leopardi e le sue due ideologie” (Firenze, Sansoni); Spengler, Roma, società anonima La nuova antologia, Cadenze di Sigismondo nella Torre, Modena, Guanda); “Vico fra l'Umanesimo e l'Occasionalismo” (Roma, Perrella); “La visione della vita” (Napoli, R. Ricciardi); “Elegie del torso della saggezza mutilata, Milano, Corbaccio); “Il viandante e le statue: saggi sulla letteratura contemporanea, Roma, Cremonese); “Lo storicismo, Milano, Bocca, Gioberti, Milano, A. Garzanti, L'anima e il cosmo, Milano, Bocca,  “La tradizione ermetica nella filosofia italiana” (Milano, Bocca); Due scritti sul nazionalsocialismo, Roma, Settimo Sigillo, Quaderno, Napoli, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa,. Tafferugli a Montecavallo, La Finestra, Lavis, Il fascismo e Benedetto Croce, "Gerarchia",  "La Critica", rist. in Nuove pagine sparse, Panteismo e magia in Bruno (Sassari, Scienze e filosofia in Bruno, Napoli Roma,Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Corriere della sera, La Fiera letteraria, Giornale di metafisica, F. Bruno,Italia che scrive, Filiasi Carcano, in Logos, IE. Falqui, Di noi contemporanei, Firenze 1940, ad indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e di oggi, Bologna, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo 1954, ad indicem; G. Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, R. Maran, L. G. e la ricerca d'un sistema, in Sophia, A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero, 1° febbr. 1960; G. Toffanin, Nuova Antologia, Boni Fellini, L'Osservatore politico letterario, Diz. della letteratura mondiale, Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiano.  L’Illuminismo oscuro  Lorenzo Giusso, autore e studioso multidisciplinare, ha lasciato ai posteri una sterminata produzione intellettuale, tenuta tuttavia troppo poco in considerazione dal mondo accademico contemporaneo.  Stefano Chemelli  10 articoli  Lorenzo Giusso fu studioso di filosofia. Recinto riduttivo si dirà, ma per lui invece parco multiforme. Ispanista, germanista, francesista. Nato a Napoli il 25 giugno 1900, allievo di Aliotta e Battaglia è precoce critico letterario, si laurea nel 1924, ottiene la libera docenza in Filosofia teoretica e morale ma insegna anche letteratura italiana e francese, storia delle religioni, lingua e letteratura spagnola in diversificate sedi europee. “Tafferugli a Montecavallo” pubblicato da Cappelli nel 1955, uno studio sul barocco romano e il Bernini, “La tradizione ermetica nella filosofia italiana”, le straordinarie conversazioni radiofoniche di “Autoritratto spagnolo” sono appena un accenno a una sterminata produzione redatta nel breve arco di cinquantasette anni.  Sodale di Unamuno e Ortega con i quali ha condiviso amabili conversari, Giusso si è occupato a fondo di Goethe, Leopardi, Stendhal, Nietzsche, Dostoevskij, Freud, Dilthey, Simmel, Bergson Gioberti, Vico, Bruno. Inoltre fu di Spengler uno dei primissimi esegeti italiani. Dotato di una conversazione che incantava anche il grande Edoardo, complice in gustosi siparietti nei quali De Filippo si trasformava in spettatore, basterebbero le pagine dedicate al Bernini per intuire la rabdomantica agilità di scrittura sempre corroborata da una cultura che poteva reggere l’impulso filologico di un Croce. Nel 1927 dona un’analisi storica poderosa in “Le dittature democratiche dell’Italia”, dal 1876 all’ascesa del fascismo, seguito dalla prima raccolta di scritti letterari che ne connotano le capacità di “viandante” nei diversi giardini del sapere; “Il ritorno di Faust” è del 1929, “Figure di Capri” del 1931, a ruota seguono le pagine sopra Freud, Ortega, Dostoevskij, e soprattutto lo studio su Leopardi.  Copia de "La tradizione ermetica nella filosofia italiana"Copia de “La tradizione ermetica nella filosofia italiana” Stendhal e Nietzsche non escludono l’impegno anche poetico che troverà sfogo in tre raccolte che molto dicono del Giusso più segreto (“Musica in piazza”, “Cadenze di Sigismondo nella torre”, “Elegie del torso della saggezza mutilata”). “Spengler e la dottrina degli universali formali” restituisce in forma autonoma un approfondimento più volte ripreso da Giusso nel decennio dei trenta che costituisce la decade dell’approfondimento filosofico più intenso (Dilthey e Ortega tra gli altri…) e preparatorio al grande volume “Filosofia e immagine cosmica” del 1942 dedicato a Gentile. Due traduzioni spagnole coinvolgeranno gli studi di Giusso rivolte a Vico ma sarebbe urgente dare attenzione alla tradizione ermetica, magari per scoprire che Eugenio Garin l’ha sicuramente letta e ripresa molto più tardi.  “Kulturkritiker universale” lo definì il giovane Piero Buscaroli, allievo devoto a Bologna quando Giusso strabiliava un manipolo di arditi fuoricorso in Estetica e Letteratura spagnola, che mai avrebbero rinunciato alle sue esibizioni in diretta presso l’Alma Mater bolognese, fugacemente ospitati.  Un grande romantico della ispecie dei Kleist, degli Hoederlin, dei Novalis però, poeta dei talami dissacrati che trova negli articoli, nelle corrispondenze, nei taccuini di viaggio infinite suggestioni, il tono di un Giusso confidenziale e descrittivo vicino al lettore non specialista ma disposto a calarsi nell’ambiente e nell’aria, nella luce chiara e tersa di un respiro curioso sino al dettaglio minuto.  Filosofia ed imagine cosmica (1942)Filosofia ed immagine cosmica (1942) Pubblicati recentemente i quaderni spagnoli dalla Università Benincasa, sono ancora inedite le pagine tedesche e austriache, ma esistono anche reportage francesi, nei quali uomini e cose sbalzano con la modestia e la versatilità del carattere e la magnificenza della scrittura. La vita di ognuno non elide né la circostanza né l’astrazione, Giusso è uno dei protagonisti del teatro del mondo che abbiamo ignorato, noi italiani, lui, molto napoletano, ma già europeo, ben oltre l’amatissima Spagna. Un europeo immerso nella musica delle lingue (francese, spagnolo, tedesco…), in Vico e Spengler. Adriano Tilgher, Corrado Alvaro, Giuseppe Toffanin, furono amici veri, fidati, ammirati di un uomo al quale era sconosciuta l’invidia e al contrario era profferta a piene mani una generosa e prodiga liberalità in nome di una poetica propensione al dialogo di un sapere trasversale, comunicativo e incantato nella magia della parola libera, circostanziata, esatta.  Una studiosa di letteratura italiana ha affermato che il più bel libro di Giusso è il quaderno spagnolo, ed ha pure aggiunto che quaderno spagnolo e autoritratto spagnolo coincidono. Alberto Spaini, ma pure Piero Buscaroli che con Maria Giulia Rispoli del Galdo Giusso sono stati tra i conoscitori più profondi di Lorenzo Giusso, difficilmente concorderebbero. Le pagine spagnole, tedesche, austriache servono a entrare nel mondo giussiano, consentono di accedere a una dimensione della cultura che non conosce omologazioni di sorta, schieramenti, posizionamenti di rendita. Permettono di sorridere a fronte di un esteta armato solo di una generosità speciale: cogliendo l’anima dell’umanità in una minuzia necessaria a ritrovare un sentiero precario, attraverso il quale condurre a una visione più ampia, senza dimenticare la poesia della vita. Gioberti come uomo del risorgimento – serie: Uomini del risorgimento. “U=Il fascismo di Benedetto Croce” Gerarchia – “Croce contro Croce” – da Critica fascista – “Gentile, mistico dell’azione, tratto da “Il lavoro d’Italia” – “Gentile, “La Nazione” .   GIUSSO, Lorenzo. - Nacque a Napoli, il 25 giugno 1899, in una famiglia aristocratica, dal conte Antonio e da Maria Imperiali d'Afflitto. La sua maturazione culturale avvenne in un terreno fertile, costituito da un ambiente familiare che aveva contribuito allo sviluppo non solo culturale della città (il nonno, Girolamo Giusso, ne era stato sindaco).  Tra il 1917 e il 1924 gli studi del G. presso l'Università di Napoli (dove fu allievo, fra gli altri, di A. Aliotta), coronati dalla laurea in lettere e filosofia, si svilupparono in molteplici direzioni.  Pur destinato a diventare prevalentemente filosofo e storico della filosofia, i suoi non dilettanteschi interessi spaziarono dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla filosofia, secondo un percorso eclettico ed estroso, fondato sull'istinto piuttosto che sul metodo, che lo portò a una conoscenza approfondita ed estesissima nei settori più diversi.  Tra le due guerre, egli partecipò all'atmosfera culturale della Napoli segnata dal cenacolo di B. Croce, da cui molto presto si distaccò (come A. Tilgher, che egli mostrò di apprezzare) assumendo posizioni "eretiche" e ispirandosi piuttosto a un ideale di vitalismo romantico che risulta evidente dai numerosi autori e dalle molte opere cui dedicò la sua attenzione: in particolare, in una fase iniziale, O. Spengler e F. Nietzsche.  Intelligenza precoce, prima di intraprendere l'insegnamento universitario, che lo avrebbe allontanato da Napoli, il G. avviò una copiosa pubblicazione di articoli, collaborando con numerosi quotidiani italiani come autore di elzeviri, volti alla diffusione dei più diversi aspetti della cultura europea e alla conoscenza dei suoi principali esponenti, soprattutto scrittori.  L'attività giornalistica si sviluppò particolarmente negli anni Venti, quando il G., ancora molto giovane, iniziò a collaborare con L'Idea nazionale, Il Popolo d'Italia e Il Secolo, quindi con Il Mattino, come critico letterario; fu poi autore di articoli di viaggio, per il Corriere della sera, e tenne un "Diario critico" per Il Resto del Carlino, pubblicando nel corso degli anni sulla terza pagina di molti quotidiani italiani (Il Giornale, Il Tempo, Il Messaggero, La Gazzetta di Sicilia, La Stampa e altri ancora), anche se il lavoro propriamente giornalistico rallentò quando prevalse quello universitario.  Nel 1936 ottenne la libera docenza in filosofia teoretica a Napoli, dove l'anno successivo insegnò filosofia morale; le principali tappe del suo percorso universitario - molteplice anche per le numerose discipline di cui si occupò - furono: Cagliari, dove dal 1938 al 1943 insegnò come professore incaricato, ricoprendo, secondo un percorso abbastanza inconsueto e irregolare, le cattedre di filosofia teoretica, letteratura italiana e francese, storia delle religioni; quindi, Bologna, dove, sempre come incaricato, insegnò lingua e letteratura spagnola, infine Pisa. La carriera universitaria del G. non si limitò, comunque, all'Italia: insegnò letteratura italiana a Monaco, a Nizza, a Breslavia, a Debreczen in Ungheria, a Madrid, dove fu "accademico d'onore", e a Barcellona.  Proprio al ritorno da un viaggio in terra spagnola venne colpito dalla malattia che lo avrebbe condotto alla morte.  Il G. morì a Roma l'11 apr. 1957.  Oltre all'attività come giornalista e saggista, il G. aveva pubblicato anche alcune raccolte di poesie: Musica in piazza (Napoli 1930) e Don Giovanni ammalato (ibid. 1932), una rifusione, accresciuta, del primo volume; Cadenze di Sigismondo nella torre, Modena 1939; e, infine, Elegie del torso della saggezza mutilata, Milano 1941: d'intonazione prossima ai crepuscolari le prime, percorse dal senso di una discrepanza tra la piattezza della vita quale ci è data e il desiderio di viverla in modo più libero e pieno; maggiormente legate all'estetismo dannunziano, e insieme non dimentiche del clima d'avanguardia in cui era avvenuta la prima formazione del G., le ultime due.  Saggista acuto, ottimo conversatore, spirito brillante e fortemente antiaccademico, caratterizzato da un sapere enciclopedico, il G. non si legò ad alcuna scelta politica, non appartenne a nessuna scuola di pensiero e non ebbe maestri diretti né discepoli. Dal suo asistematico sforzo di interpretazione della cultura moderna non si può trarre una dottrina unitaria ma soltanto il profilo di un cammino variegato e intenso, che trae origine dalla ricerca di una visione totale dell'esistenza nel fondamentale intento di realizzare un ideale di vita, problema con cui il G. non smise mai di misurarsi, secondo una prospettiva antirazionalista (e implicitamente antidealista).  Allontanatosi molto presto, come si è detto, dal crocianesimo imperante nell'ambiente napoletano, il primo interesse del giovane G. fu per i protagonisti dell'irrazionalismo e del vitalismo eroico, e per il pessimismo cosmico di G. Leopardi (Il ritorno di Faust, Napoli 1929; Leopardi, Stendhal, Nietzsche, ibid. 1933; Tre profili: Dostoevskij, Freud, Ortega y Gasset, ibid. 1933; Leopardi e le sue due ideologie, Firenze 1935); in tempi diversi riunì in raccolte i ritratti degli autori e dei personaggi che più lo avevano interessato (Il viandante e le statue. Saggi sulla letteratura contemporanea, s. 1, Milano 1929; s. 2, Roma 1942).  Nell'ambito di una ricerca più propriamente filosofica, i principali autori di riferimento del G. - che costituirono anche l'oggetto dei suoi studi - furono W. Dilthey (Dilthey e la filosofia come visione della vita, Napoli 1940; Dilthey, Simmel, Spengler, Milano 1944); i già ricordati Nietzsche (Nietzsche, Napoli 1936), Spengler (Spengler e la dottrina degli universali formali, Napoli 1935), e J. Ortega y Gasset.  Il rapporto tra razionalismo e irrazionalismo (e il superamento della loro opposizione) e quello tra scienza e filosofia e vita sono il tema di fondo di quella che probabilmente rimane una delle sue opere più significative, Filosofia ed imagine cosmica (Roma 1940), in cui, in diretto riferimento a G. Vico (si veda anche: G.B. Vico tra umanesimo e occasionalismo, Roma 1940; La filosofia di G.B. Vico e l'età barocca, ibid. 1943), egli delinea una genealogia della filosofia, e in generale dell'attività razionale, a partire dalle istanze vitali e concrete dell'uomo. In Vico, secondo il G., non c'è una filosofia intesa come ontologia e come organo di un conoscere razionale perché i sistemi filosofici riflettono il tentativo di appropriazione verbale del mondo in rapporto a un'originaria intuizione cosmica, così come le scienze e le tecniche non procedono da una razionalità astratta ma dai bisogni dell'uomo sociale, rimandando a un sentimento che è espressione del primitivo legame, non specificamente conoscitivo, che unisce uomo e mondo.  Nel dopoguerra, approfondendo questa tematica e superati i miti dell'irrazionalismo e dell'energia vitalistica, il G. si riavvicinò alla fede cristiana; era sua intenzione realizzare una revisione della storia del pensiero italiano dal Rinascimento all'età barocca, approfondendo in particolare lo studio e l'interpretazione dell'umanesimo, inteso come vasto tentativo sincretistico volto a ravvicinare il pensiero dell'antichità greco-romana e quello cristiano. In chiave revisionista rispetto alla tradizione laica si era avvicinato anche alla figura di G. Bruno (Scienza e filosofia in Giordano Bruno, Napoli-Roma 1955).  Tra le opere del G., oltre a quelle già citate, si ricordano: Le dittature democratiche d'Italia, Milano 1927; Idealismo e prospettivismo, Napoli 1934; Lo storicismo tedesco: l'anima e il cosmo, Roma 1947; Bergson, Milano 1948; Vincenzo Gioberti, ibid. 1948; Spagna e antispagna: saggisti e moralisti spagnoli, Mazara del Vallo 1952; La tradizione ermetica nella filosofia italiana, Trapani 1955; Tafferugli a Montecavallo, Bologna, 1955; Origene e il Rinascimento, Roma 1957; postumo: Autoritratto spagnolo, a cura di A. Spaini, Torino 1959.  Fonti e Bibl.: Necr. in Corriere della sera, 12 apr. 1957; La Fiera letteraria, 21 apr. 1957; Giornale di metafisica, XI (1957), 5, p. 634; F. Bruno, L. G., in Italia che scrive, IV (1934); P. Filiasi Carcano, in Logos, II (1940); E. Falqui, Di noi contemporanei, Firenze 1940, ad indicem; G. Villaroel, Gente di ieri e di oggi, Bologna 1954, ad indicem; L. Fiumi, Giunta a Parnaso, Bergamo 1954, ad indicem; G. Artieri, Romantico napoletano, in Il Tempo, 11 maggio 1957; R. Maran, L. G. e la ricerca d'un sistema, in Sophia, XXV (1958), 3-4, pp. 265-267; A. Spaini, Ricordo di L. G., in Il Messaggero, 1° febbr. 1960; G. Toffanin, G. e Ortega, in Nuova Antologia, ottobre 1960, pp. 262 ss.; P. Boni Fellini, G. dieci anni dopo, in L'Osservatore politico letterario, giugno 1967; Diz. della letteratura mondiale del '900, sub voce.  Panteismo tipo di teismo Lingua Segui Modifica Il panteismo (πάν (pán) = tutto e θεός (theós) = Dio, vuol dire letteralmente "Dio è Tutto" e "Tutto è Dio") è una visione del reale per cui ogni cosa è permeata da un Dio immanente o per cui l'Universo o la natura sono equivalenti a Dio (Deus sive Natura).  Definizioni più dettagliate tendono ad enfatizzare l'idea che la legge naturale, l'esistenza e l'universo (la somma di tutto ciò che è e che sarà) siano rappresentati nel principio teologico di un 'dio' astratto piuttosto che una o più divinità personificate di qualsiasi tipo. Questa è la caratteristica chiave che distingue il panteismo dal panenteismo e dal pandeismo. Ne deriva che molte religioni, pur reclamando elementi panteistici, sono in realtà per natura più panenteiste e pandeiste.  Michael Levine, nel suo libro Panteismo, lo definisce «una concezione non-teistica della divinità».[1] In senso lato, con "panteismo" si intende ogni dottrina filosofica che identifichi Dio con il mondo o con il principio che lo regge. Per l'esattezza, il concetto di Dio-Uno-Tutto si presenta in due versioni: quella "cosmistica", la quale afferma "Dio è nel Tutto", e quella "acosmistica" (il termine è di Hegel), la quale afferma "Il Tutto è in Dio". Nel primo caso, come nello stoicismo, Dio impregna e pervade l'universo in ogni sua parte; nel secondo caso, come nello spinozismo, l'universo in ogni sua parte rifluisce e si scioglie in Dio, quale Uno-Tutto.  Storia del panteismoModifica Il termine "panteista" (dal quale la parola "panteismo" è derivata) fu usato propriamente per la prima volta dal filosofo irlandese John Toland nella sua opera Socinianism Truly Stated, by a pantheist, del 1705. Comunque, il concetto era stato discusso già al tempo dei filosofi della Grecia antica, da Talete, Parmenide ed Eraclito. I presupposti ebraici del panteismo possono essere ricercati nella Torah stessa, nel racconto della Genesi e nei suoi primi materiali profetici, nei quali chiaramente gli "atti di natura" (come inondazioni, tempeste, vulcani, etc.) sono tutti identificati come "la mano di Dio" attraverso idiomi di personificazione, così spiegando gli aperti riferimenti al concetto, sia nel Nuovo Testamento, che nella letteratura cabalistica.  Nel 1785 sorse una consistente controversia tra Friedrich Heinrich Jacobi e Moses Mendelssohn, che infine coinvolse molte importanti persone del tempo. Jacobi affermava che il panteismo di Lessing era materialistico, per il fatto che considerava tutta la natura e Dio come una sola sostanza estesa. Per Jacobi, esso non era altro che il risultato della devozione alla ragione, tipicamente illuminista, che avrebbe condotto all'ateismo. Mendelssohn espresse il suo disaccordo, asserendo che il panteismo era teistico.  Il Panteismo di EraclitoModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Eraclito. Il panteismo è un componente della dottrina del filosofo greco Eraclito, secondo cui il divino è in tutte le cose ed è identico al mondo nella sua interezza. Questa concezione porta a identificare il divino con l'Universo, facendolo divenire quindi l'Unità di tutti i contrari, il Fuoco generatore.  Il Dio-tutto di Eraclito ha in sé tutte le cose ed è una realtà eterna. Eraclito sembra rifarsi alla teoria della cosmologia ciclica, poiché la sua concezione della realtà è simile a un insieme di fasi alterne: un ciclo distruttivo-produttivo, che verrà sviluppato in seguito dagli Stoici.  Il Panteismo degli StoiciModifica Magnifying glass icon mgx2.svg                                  Lo stesso argomento in dettaglio: Stoicismo. Il panteismo stoico è una delle più compiute espressioni di esso, dove Dio è la ragione e l'intelligenza che lo determina e lo permea. Il Dio stoico, quindi, non si identifica con l'universo, ma lo permea come suo fondamento e ragion d'essere.  Il Panteismo di PlotinoModifica Si è parlato spesso impropriamente di panteismo in Plotino. In realtà, secondo Plotino, Dio non è solo immanente, ma anche trascendente. Come ha evidenziato anche Giovanni Reale, l'Uno, il Dio plotiniano, pur permeando di sé ogni realtà, ne è superiore. Plotino dice infatti chiaramente che l'Uno, «in quanto principio di tutto, non è il tutto». Con questa affermazione egli sembra prendere in contropiede, quasi le prevedesse, le interpretazioni immanentistiche e panteiste del suo pensiero.  Il Panteismo di BrunoModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Giordano Bruno. La visione di Bruno può essere considerata un panteismo del Dio-Infinità ed ha alcuni caratteri del panpsichismo. Nella filosofia di Giordano Bruno, i cinque dialoghi del De la causa, principio et uno intendono stabilire i princìpi della realtà naturale.  Forma universale del mondo è l'anima del mondo, la cui prima e principale facoltà è l'intelletto universale, il quale «empie il tutto, illumina l'universo e indirizza la natura a produrre le sue specie».  La materia è il secondo principio della natura, dalla quale ogni cosa è formata: «come nell'arte, variandosi in infinito le forme, è sempre una materia medesima che persevera sotto quella, come la forma dell'albore è una forma di tronco, poi di trave, poi di tavolo, poi di sgabello, e così via discorrendo, tuttavolta l'esser legno sempre persevera; non altrimenti nella natura, variandosi in infinito e succedendo l'una all'altra le forme, è sempre una medesma la materia».  Discende da questa considerazione l'elemento fondamentale della filosofia bruniana: tutta la vita è materia, materia infinita. Nella sua concezione, anche la Terra è dotata di anima.  Egli in De l'infinito, universo e mondi scrive:   «Io dico Dio tutto infinito, perché da sé esclude ogni termine ed ogni suo attributo è uno ed infinito; e dico Dio totalmente infinito, perché tutto lui è in tutto il mondo, ed in ciascuna sua parte infinitamente e totalmente: al contrario dell'infinità dell'universo, la quale è totalmente in tutto, e non in queste parti (se pur, referendosi all'infinito, possono esser chiamate parti) che noi possiamo comprendere in quello.»  (G. Bruno, Dialoghi metafisici, Firenze, Sansoni 1985, p. 382) Il Panteismo di SpinozaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Baruch Spinozae Monismo panteistico. La tesi centrale del pensiero di Baruch Spinoza è l'identificazione panteistica o, meglio, immanentistica di Dio con la Natura (Deus sive Natura) ed in essa convergono i temi ed i motivi appartenenti alle tradizioni culturali più disparate, la teologia giudaica, la filosofia ellenistica, la filosofia neoplatonica-naturalistica del Rinascimento, il razionalismocartesiano ed il pensiero arabo, ed infine le sfumature di Thomas Hobbes.  Spinoza concepisce un Dio coniugato con l'unità e la necessità e perciò:   «Dio, ossia la sostanza che consta di infiniti attributi, ciascuno dei quali esprime un'essenza eterna ed infinita, esiste necessariamente. Se lo neghi, concepisci, se è possibile, che Dio non esista. Dunque (per l'As.7) la sua essenza non implica l'esistenza. Ma questo (per la Prop.7) è assurdo: dunque Dio esiste necessariamente.»  (B. Spinoza, Etica, Roma, Editori Riuniti 2004, p.94) Ne consegue la dimostrazione di ciò che Dio è:   «Tutto ciò che è, è in Dio: Dio però non si può dire cosa contingente. Infatti esiste necessariamente, e non in modo contingente. Inoltre, i modi della divina natura sono seguiti da essa anche necessariamente e non in modo contingente e ciò o in quanto si considera la divina natura assolutamente oppure in quanto la si considera determinata ad agire in un certo modo. Inoltre, di questi modi Dio è causa non soltanto perché semplicemente esistono in quanto li si considera determinati a fare qualcosa. Poiché se non sono determinati da Dio, è impossibile e non contingente che determinino se stessi; e al contrario se sono determinati da Dio, è impossibile, e non contingente, che rendano se stessi indeterminati. Per cui tutte le cose sono determinate dalla necessità della divina natura non soltanto ad esistere, ma anche ad esistere e agire in un certo modo, e non si dà nulla di contingente.»  (B. Spinoza, Etica, cit., p. 110) Questa concezione fa sì che il Dio di Spinoza (ma non meno quello degli Stoici), per qualche filosofo contemporaneo, risulti essenzialmente un impersonale Dio-Necessità, contrapponibile al Dio-Volontà come persona divina tipica dei monoteismi.  DescrizioneModifica Tipi di panteismoModifica Si possono distinguere tre gruppi di panteisti:  panteismo classico, che si esprime attraverso l'immanente Dio del Giudaismo, Induismo, Monismo, neopaganesimo e delle dottrine New Age, generalmente considerando Dio come personificazione o manifestazione cosmica; panteismo biblico, che è espresso negli scritti della Bibbia; panteismo naturalistico, basato sulle, relativamente recenti, visioni di Baruch Spinoza (che potrebbe essere stato influenzato dal panteismo biblico) e John Toland (che coniò il termine "panteismo"), così come sulle influenze contemporanee. La maggioranza delle persone che possono identificarsi come "panteiste" appartengono al tipo classico (come gli Indù, i Sufi, gli Unitaristi, i neopagani, i seguaci della New Age, etc), mentre molte persone che identificano se stesse come panteiste (non essendo membri di un'altra religione) appartengono al tipo naturalista. La divisione tra le tre branche del panteismo non sono completamente chiare in tutte le situazioni, rimanendo dei punti di controversia nei circoli panteisti. I panteisti classici generalmente accettano la dottrina religiosa secondo cui ci sarebbe una base spirituale per tutta la realtà; mentre i panteisti naturalisti generalmente non concordano, piuttosto intendendo il mondo in termini più naturalistici. La confusione tra i concetti di panteismo e ateismo è un problema antico in linguistica. Gli antichi romani si riferivano ai primi cristiani come atei e le spiegazioni di questo fenomeno semantico possono variare.  Metodi di spiegazioneModifica Una caratteristica spesso citata del panteismo è che ogni essere umano, essendo parte dell'universo o della natura, è parte di Dio. Uno dei problemi discussi dai panteisti è come possa esistere il libero arbitrio in un contesto simile. In risposta, qualche volta è data la seguente analogia (particolarmente dai panteisti classici): "stai a Dio come una tua singola cellula sta a te".  L'analogia sostiene anche che, sebbene una cellula possa essere cosciente del suo ambiente e abbia persino qualche scelta (libero arbitrio) tra giusto e sbagliato (uccidere un batterio, divenire cancerogena o non fare semplicemente niente), ha presumibilmente una comprensione limitata dell'essere più grande, di cui fa parte. Un altro modo di comprendere questo tipo di relazione è tramite la frase indù tat tvam asi - "quello che sei", in cui l'anima/essenza umana o Ātmanè intesa medesima di Dio o Brahman. Nel contesto indù, si crede che il singolo debba essere liberato attraverso l'illuminazione (moksha), in modo da sperimentare e capire pienamente questa relazione: la parte diventa non dissimile dal tutto.  Non tutti i panteisti accettano l'idea del libero arbitrio, dato che il determinismo è largamente diffuso, particolarmente presso i panteisti naturalistici. Sebbene le interpretazioni individuali del panteismo possano suggerire certe implicazioni per la natura e l'esistenza del libero arbitrio e/o determinismo, il panteismo non implica il requisito di credere in entrambi. Comunque, il problema è largamente discusso ed è presente in molte altre religioni e filosofie.  DibattitoModifica Alcuni sostengono che il panteismo è poco più che una ridefinizione della parola "Dio" per definire "esistenza", "vita" o "realtà". Molti panteisti direbbero che, se fosse così, un tale cambiamento nel modo in cui pensiamo a queste idee servirebbe a creare una nuova e potenzialmente più perspicace concezione sia dell'esistenza, che di Dio.  Forse il più significativo dibattito all'interno della comunità panteistica è quello riguardante la natura di Dio. Il panteismo classico crede in un Dio personale, cosciente e onnisciente e vede questo Dio come unificante di tutte le vere religioni. Il panteismo naturalistico crede invece in un Universo non cosciente e non senziente che, sebbene sacro e meraviglioso, è visto come un Dio in senso non tradizionale e non personale.  I punti di vista compresi all'interno della comunità panteista sono necessariamente diversi, ma l'idea centrale, che vede l'Universo come un'unità onnicomprensiva e la sacralità sia della natura che delle sue leggi, è comune. Alcuni panteisti sostengono, inoltre, un fine comune di natura e uomo, sebbene altri rifiutino l'idea di un fine e vedano l'esistenza come esistente di per sé.  Concetti panteistici nella religioneModifica InduismoModifica È generalmente riconosciuto che i testi religiosi indù sono i più antichi conosciuti in letteratura contenenti idee panteistiche.[2] Nella teologia indù, Brahman è la realtà infinita, immutabile, immanente e trascendente che è il Divino Terreno di tutte le cose nell'Universo e che è anche la somma totale di tutte le cose che sono, sono state e saranno. Questa idea di panteismo è rintracciabile in alcuni testi più antichi come i Veda e gli Upanishad e nella più tarda filosofia Advaita. Tutti i Mahāvākya degli Upanishad, in un modo o nell'altro, sembrano indicare l'unità del modo con Brahman.  Chāndogya Upanishad dice "Tutto in questo Universo in realtà è Brahman; da lui esso procede; all'interno di lui è dissolto; in lui respira, così lasciate che ognuno lo adori tranquillamente". Inoltre dice: "Tutto l'Universo è Brahman, da Brahman a una zolla di terra. Brahman è la causa efficiente e materiale del mondo. Egli è il vasaio da cui si forma il vaso; egli è la creta con il quale è fabbricato. Tutto proviene da Lui, senza perdita o diminuzione della fonte, come la luce irradiata dal sole. Ogni cosa è unita entro Lui ancora, come le bolle che esplodono si uniscono all'aria, come i fiumi sfociano negli oceani. Tutto proviene e ritorna a Lui, come la tela di un ragno è fabbricata e ritratta dal ragno stesso."[3] Negli inni del Rig Veda, una traccia di pensiero panteista può essere riconosciuta nel libro decimo (10-121).  Questa concezione di Dio lo vede come l'unità, con gli dei personali e individuali aspetto dell'Unico, sebbene differenti divinità siano viste da diversi fedeli come particolarmente adatte alle loro preghiere. Come il sole emana raggi di luce che provengono dalla stessa fonte, lo stesso avviene dagli sfaccettati aspetti di Dio emanati da Brahman, come più colori dallo stesso prisma. Il Vedānta, specificatamente l'Advaita, è una branca della filosofia indù che pone grande accento su questa materia. Molti aderente vedantici sono monistio "non-dualisti, vedendo le molteplici manifestazioni di un solo Dio o della fonte dell'essere, una visione che è spesso considerata dai non induisti come politeista.  Il panteismo è la componente chiave della filosofia Advaita. Altre suddivisione dei Vedanta non sostengono in maniera peculiare le stesse istanze. Per esempio, la scuola Dvaita di Madhvacharya ritiene che Brahman sia il Dio esterno personale Vishnu, laddove invece le scuole Rāmānuja sposano il Panenteismo.  EbraismoModifica Il senso radicalmente immanente del divino nella mistica ebraica (Kabbalah) si ritiene abbia ispirato la formulazione del panteismo da parte di Spinoza. Nonostante ciò, la teoria di Spinoza non è stata recepita dall'Ebraismo ortodosso. D'altro canto, Schopenhauer sosteneva che il panteismo spinoziano fosse una conseguenza della lettura di Nicolas Malebranche da parte del filosofo olandese: Malebranche insegna che tutto ciò che osserviamo è in Dio stesso. Ciò equivale a voler spiegare qualcosa di ignoto mediante qualcosa di ancor più oscuro. Inoltre, secondo Malebranche noi non solo vediamo tutto in Dio, ma Dio è anche l'unica attività, sicché le cause fisiche sono mere occasionalità (Ricerca della verità, Libro VI, seconda parte, cap. 3.). E così qui rinveniamo essenzialmente il panteismo di Spinoza che pare abbia appreso più da Malebranche che da Descartes. (Schopenhauer, Parerga e paralipomena, Vol. I, "Schizzo di una storia della teoria dell'ideale e del reale"). Inoltre, Israel ben Eliezer, fondatore dello Chassidismo, aveva un senso mistico del divino che può essere definito come Panenteismo.  Secondo l'ebraismo biblico l'origine dell'Universo si è basata sulla Torah (legge) della natura. Pertanto la Torah originale non è rinvenibile negli scritti di Mosè, bensì nella natura stessa. "Interpretare" la Torah della natura equivale ad "interpretare" la Torah della rivelazione e teoricamente alla fin fine coincideranno l'una con l'altra [come si dimostra ad esempio con la scoperta del Big Bang nel 1965]. L'ortodossia rabbinica considerando questa posizione come una discrepanza, allo scopo di porre la Torah scritta al di sopra di quella data per prima in natura, ha sostenuto che la Torah scritta precedette la creazione, infatti a partire dalla Torah scritta che Dio "ha parlato" nella creazione. Questa posizione non è accolta dai panteisti biblici.  Maimonide, benché Ortodosso, nei suoi scritti sulla riconciliazione fra le sacre scritture e la scienza, accolse l'opinione dell'equivalenza fra la Torah della natura e la Torah delle scritture e trovò la sua logica come inevitabile. Queste tesi, senza dubbio, servirono da sfondo per lo sviluppo delle teorie di Baruch Spinoza.  CristianesimoModifica Vi è un certo numero di tradizioni minori nell'ambito della storia del Cristianesimo secondo le quali le origini del loro credo panteistico sono da rintracciare nel Nuovo Testamento ed in altre correlate tradizioni ecclesiastiche. La diversità di questo punto di vista è rintracciabile a partire dai primi Quaccheri sino ai successivi Unitaristi e fino ad arrivare alle stesse principali denominazioni del cattolicesimo tradizionale e del protestantesimo liberale.  Altre fonti includono la  Teologia del processo, la Spiritualità della Creazione, i Fratelli del libero spirito, altri ancora ne sostengono la presenza fra gli Gnostici. Tale idea ha avuto, per qualche tempo, aderenti in vari segmenti del Cristianesimo.  Alcuni Cristiani considerano la Trinità in questo significato: lo Spirito Santo tiene insieme l'Universo e personifica se stesso come il Padre, che a sua volta personifica se stesso come il Figlio dentro questo Universo (ciò significa che il Padre è al di fuori dell'Universo, del Tempo e dello Spazio). Secondo altri, lo Spirito Santo è consapevole e utilizzabile e per questo è usato da Dio per benedire la gente con i Doni dello Spirito Santo. Tutti i poteri sovrannaturali si ritiene che siano possibili anche dal binomio Universo/Spirito Santo.  I panteisti di religione cristiana asseriscono che l'origine del loro credo è rintracciabile nelle Sacre Scritture, nel Vecchio Testamento come nel Nuovo ed attenuano le difficoltà che i teologi della Chiesa Apostolica Romana hanno sempre cercato di "risolvere" nei concili sul tema della Trinità e della Natura di Cristo come il Verbo (solo il panteismo fornisce una formulazione per il Cristo come "Verbo" di Dio e per l'unità del Monoteismo).  Il parificare nella Bibbia Dio agli atti della natura e la definizione di Dio data nello stesso Nuovo Testamento forniscono un persuasivo richiamo verso questo sistema di credenze.  I panteisti cristiani sostengono che la definizione cattolica di Dio fu pesantemente influenzata da fonti non bibliche, tra queste in particolar modo il Neo-Platonismo, che consideravano Dio come qualcosa che "esiste" fuori dalla "esistenza", pertanto la definizione di "Dio" si riferiva ad un qualcosa "che non esiste", cioè, ad un Dio non-esistente. È proprio questa basilare definizione neo-platonica di non-esistenza che i panteisti cristiani ritengono biasimevole e contraria alle scritture.  Agostino rigettò il panteismo per i seguenti motivi:  Ma c'è un motivo che, al di là di ogni passione polemica, deve indurre uomini intelligenti o comunque siano, perché all'occorrenza non si richiede un'alta intelligenza, a fare una riflessione. Se Dio è la mente del mondo e se il mondo è come un corpo a questa mente, sicché è un solo vivente composto di mente e di corpo ed esso è Dio che contiene in se stesso tutte le cose come in un grembo della natura; se inoltre dalla sua anima, da cui ha vita tutto l'universo sensibile, vengono derivate la vita e l'anima di tutti i viventi secondo le varie specie, non rimane nulla che non sia parte di Dio. Ma se questa è la loro tesi, tutti possono capire l'empietà e la irreligiosità che ne conseguono. Qualsiasi cosa si pesti, si pesterebbe una parte di Dio; nell'uccidere qualsiasi animale, si ucciderebbe una parte di Dio. Non voglio dir tutte le cose che possono balzare al pensiero. Non è possibile dirle senza vergogna.[4] come pure:  Riguardo allo stesso animale ragionevole, cioè l'uomo, la cosa più banale è ritenere che una parte divina prende le botte quando le prende un fanciullo. E soltanto un pazzo può sopportare che le parti divine divengano dissolute, ingiuste, empie e in definitiva degne di condanna. Infine perché il dio si arrabbierebbe con coloro che non lo onorano se sono le sue parti a non onorarlo?[5] Nel Vangelo secondo Tommaso (considerato apocrifodai Cristiani), Gesù disse:  Io sono la Luce: quella che sta sopra ogni cosa; io sono il Tutto: il Tutto è uscito da me e il Tutto è ritornato in me. Fendi il legno, e io sono là; solleva la pietra e là mi troverai.[6] Tuttavia questa è un'affermazione dell'onnipresenza di Dio, non in senso panteistico, ma in armonia con l'insegnamento che ogni apparenza fenomenica è riflesso della luce divina.  Islam                                                        Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento religione non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. La maggioranza dei Musulmani condanna il concetto di panteismo e lo considera come un insegnamento non-Islamico. Tuttavia, il Sufismo è ritenuto dai musulmani contenere insegnamenti panteistici.  Il Sufismo può essere suddiviso nelle seguenti categorie:  Sufismo originario - Sincretico: Mescola insieme dottrine e concetti dell'Islam con credenze e pratiche religiose locali dei paesi Orientali e Occidentali. Lo si pratica in paesi non-Islamici. Sufismo ḥadīth - Tradizionale: è l'Islam con un'enfasi sulle forme ortodosse della spiritualità e del misticismo Islamico. Essenzialmente ortodosso e considerato prevalentemente come una subcultura nei paesi Islamici. Sunniti o Sciiti. Sufismo Coranico - Coranico: Si attiene strettamente a quanto scritto nel Corano compreso il profetismo e non accetta i più recenti ḥadīth come altrettanto ispirati dalla tradizione. È considerato non-ortodosso o come una forma di neo-ortodossia ed è praticato soprattutto nell'occidente islamico. Ha subito influenze dal concetto di riforma e restaurazione del Protestantesimo. Né il Sunnismoné il Sciismo sono da considerare come forme di ḥadīth. Il concetto di Panteismo si può rinvenire in ciascuno dei suddetti tipi di Sufismo, a differenza della maggioranza ortodossa dell'Islam, esso è molto diverso ed accentua l'esperienza e la conoscenza spirituale personale ed individuale. Le fonti dell'interpretazione panteistica differirebbero a seconda della tradizione cui fanno capo. Il Sufismo originario risentirebbe ovviamente dei testi orientali, il Sufismo ḥadīth sarebbe influenzato dagli studiosi Islamici del regno del Solimano, il Sufismo Coranico vedrebbe lo stesso Corano come la continua rivelazione e la personificazione linguistica è interpretata in modo coerente con i profeti biblici. La maggioranza dei Musulmani Ismailiti è panteista, o per essere più precisi, Panenteista.  Gli scritti di Seth e il PanteismoModifica Il concetto di Panteismo è parte integrante di molte delle credenze religiose e delle filosofie della New Age; la sua differenza rispetto al panenteismo è sostenuta in modo specifico negli scritti di Seth come presentati dalla medium Jane Roberts (1929-1984). Seth, l'"entità" cui da voce la Roberts, diceva che Dio è formato di energia mentale, e questa energia mentale è la sostanza che dà vita a tutti gli esseri e a tutte le cose; la coscienza di Dio è veicolata da questa energia, per cui la coscienza di Dio è onnipresente. Seth spesso si riferiva a Dio come a "Tutto ciò che è" e diceva che "Tutte le facce appartengono a Dio". Seth descriveva Dio come una forma contenente tutti gli individui al suo interno; inoltre aggiungeva che Dio si conosce come è, ma anche si conosce come ciascun individuo. Tuttavia, questo insegnamento ha molto in comune con il correlato concetto di panenteismo, dato che pone in risalto la personificazione di Dio e quindi si trasforma in un teismo.  Altre religioniModifica Molti elementi panteistici sono presenti in alcune forme di Buddismo, Neopaganesimo, e Teosofiainsieme a molte variabili denominazioni. Si veda anche la Neopagana Gaia e la Church of All Worlds.  Molti Universalisti si considerano panteisti.  Il filosofo Paul Carus si definiva "un ateista che ama Dio". Egli criticò ogni forma di monismo che cercava l'unità del mondo non nell'unità della verità bensì nella unicità di una logica supposizione di idee. Carus definiva tali concetti come "henismo". Il Taoismo propugna una visione panteistica. Il "Tao" potrebbe essere paragonato al "Deus-sive-Natura" di Spinoza.  Concetti connessiModifica PanenteismoModifica Il Panteismo e il panenteismo presentano aspetti comuni ma non coincidono: il primo vede l'universo pieno di Dio il secondo lo vede come parte di Dio. Filosoficamente, però, i due concetti sono ben distinti. Mentre per il panteismo Dio è sinonimo della natura, per il panenteismo, invece, Dio è superiore alla natura e la include. È la ragione per cui Hegel definiva quello spinoziano un panteismo acosmistico (senza mondo).  Per alcuni tale distinzione è inutile, mentre altri la considerano un significativo punto di divisione. Molte delle maggiori fedi descritte come panteistiche potrebbero essere descritte anche come panenteistiche, al contrario ciò non è possibile per il panteismo naturalistico (perché non considera Dio come superiore alla sola natura). Per esempio, elementi appartenenti al panenteismo ed al panteismo si rinvengono nell'Induismo. Certe interpretazioni dei testi Bhagavad Gita e Shri Rudram Chamakam sostengono questo punto di vista.  Cosmismo          Modifica Magnifying glass icon mgx2.svg                                                            Lo stesso argomento in dettaglio: Cosmismo e World Brain. Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento filosofia è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Mentre questo termine è raramente usato, e molto spesso è solo un sinonimo di Panteismo, l'insolita filosofia da esso indicata è stata utilizzata in modo piuttosto differente, ma in ogni caso con essa si vuole esprimere il concetto che Dio è un qualcosa creato dalla mente umana, forse rappresenta uno stadio finale della evoluzione dell'uomo, raggiunto attraverso la pianificazione sociale, l'eugenetica e altre forme di ingegneria genetica.  H. G. Wells diede vita a una forma di cosmismo, che denominò World Brain ("Cervello mondiale"), rifacendosi a un saggio da lui pubblicato nel 1937, in cui viene tra l'altro descritta la creazione di una biblioteca-enciclopedia. Tale idea venne ripresa nel libro God the Invisible King,[7] in cui l'autore consiglia all'umanità di istituire un sistema socialista, strutturandolo sui dati statistici sociali ed eugenetici, sull'istruzione e l'eugenetica, in modo che un giorno idealmente possa essere alla pari e possibilmente anche fondersi con la stessa divinità panteista, e anche in alcuni paragrafi di Outline of History, che richiamavano tali credenze dell'autore e le sue ricerche sull'insegnamento di Gesù e di Buddha. Queste idee vengono riprese nel suo libro Shape of Things to Come e nel film da esso tratto nel 1936 Things to Come; in essi viene descritta l'umanità che, sopravvivendo ad una guerra apocalittica e a un prolungato periodo Feudale, si unisce per dar vita ad una utopia collettivista.  In Israele, il Cosmismo è stato oggetto di studio da parte di Mordekhay Nesiyahu, uno dei primi ideologi del Movimento Laburista Israeliano e docente presso l'Università di Beit Berl. Secondo questo autore Dio è qualcosa che non esisteva prima dell'uomo, ma era una entità secolare. Infatti fu la ricostruzione del Tempio di Gerusalemme ad avere un ruolo nell'"invenzione" di questa entità.  Nel XX secolo, lo statunitense  William Luther Pierce, un nazionalista bianco iscritto nel Partito Nazista Americano e, a sua volta, fondatore del movimento Alleanza Nazionale, utilizzò il termine "Cosmismo". Per Pierce (così come per Wells), Dio sarebbe il risultato finale dell'eugenetica e dell'igiene razziale (Si veda: Nazismo, Francis Galton e Teosofia).  La "Noosfera" descritta da Vladimir Vernadsky e da Pierre Teilhard de Chardin potrebbe essere considerata come la descrizione di una divinità Cosmistica, come anche la coscienza collettiva di Émile Durkheim e l'inconscio collettivo di Carl Gustav Jung.  Arthur C. Clarke fa un possibile riferimento alla Noosfera Cosmista nel suo libro del 1953 Childhood's End (tradotto in italiano con il titolo Le guide del tramonto), riferendosi ad essa come la "Overmind", una mente alveare interstellare.   PandeismoModifica Il Pandeismo è una specie di Panteismo che include una forma di Deismo, sostenendo che l'Universo è identico a Dio, ma anche che Dio precedentemente fu una forza cosciente e senziente ovvero una entità che progettò e creò l'Universo. Diventando l'Universo, Dio divenne inconscio e non senziente. A parte questa distinzione (e la possibilità che l'Universo un giorno ritornerà ad essere Dio), le credenze Pandeistiche sono identiche a quelle del Panteismo.  EticaModifica Secondo Schopenhauer, nel panteismo non vi è etica. Il panteismo, nel suo complesso, naufragherebbe a fronte delle inevitabili esigenze etiche e quindi non avrebbe risposte sul male e sulle sofferenze del mondo. Se il mondo è una teofania, allora ogni cosa fatta dagli uomini, ed anche dagli animali, è da considerarsi parimenti divina ed eccellente; niente può essere giudicato più censurabile e più meritevole rispetto ad ogni altra cosa; quindi non vi è etica. (Il mondo come volontà e rappresentazione, Vol. II, Cap. XLVII)  Tuttavia, alcuni panteisti sostengono che il punto di vista panteista è molto più etico, evidenziando che ogni danno arrecato all'altro è come fare male a se stessi, perché arrecare danno ad uno è come arrecare danno a tutti. Ciò che è bene e ciò che è male non dipende da qualcosa al di fuori di noi, ma è il risultato di come ci rapportiamo gli uni con gli altri. Il fare bene non si deve basare sulla paura di una punizione da parte di Dio, bensì deve scaturire da un reciproco di tutti verso tutto.  Le forme tradizionali e le varie definizioni di panteismo, comunque, rinviano ai loro testi sacri e ai loro maestri per le definizioni di ordine etico.  NoteModifica ^ ( EN ) Michael P. Levine, Pantheism: A Non-Theistic Concept of Deity, Londra e New York, Routledge, 1994. Trad. italiana Il Panteismo. Una concezione non-teistica della divinità, Genova, ECIG, 1995, ISBN 88-7545-671-2. ^ Constance E. Plumptre, General Sketch of the History of Pantheism, Londra, W. W. Gibbings, 1878, vol. 1, p. 29. ^ Chandogya Upanishad 3-14 traduzione di Monier-Williams ^ La Città di Dio, Libro 4, Cap. 12. ^ La Città di Dio, Libro 4, Cap. 13. ^ Testo del Vangelo secondo Tommaso ^ God the Invisible King Voci correlateModifica Dio Monismo Monoteismo Teismo Deismo Pandeismo Panenteismo Naturalismo (filosofia) Panpsichismo Panteismo naturalistico Panteismo classico Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni di o su panteismo Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su panteismo Collegamenti esterniModifica panteismo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Panteismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata ( EN ) Panteismo, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata ( EN ) William Mander, Pantheism, in Edward N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Giuseppe Tanzella-Nitti, Panteismo del Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, su disf.org. Controllo di autoritàThesaurus BNCF 29848 · LCCN( EN ) sh85097492 · GND ( DE ) 4173188-8 ·J9U ( EN ,  HE ) 987007560641905171 (topic) ·NDL ( EN ,  JA ) 00562946   Portale Filosofia   Portale Mitologia   Portale Religioni Ultima modifica 4 mesi fa di Luca M PAGINE CORRELATE Monismo (religione) Panenteismo scuola filosofica  Panteismo naturalistico Wikipedia Lorenzo Giusso. Giusso. Keywords: gl’eroi, il vico di giusso, la tradizione ermetica nella filosofia italiana, nazionalsocialismo, bruno, panteismo, leopardi, occasionalismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giusso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756533855/in/dateposted-public/

 

Grice e Givone – fanes – filosofia italiana – Luigi Speranza -- Givone (Buronzo). Filosofo.  Grice: “I like Givone, especially his two essays on ‘eros’: ‘eros and ethos’ and the more controversial, ‘eros and knowledge.’ Si laurea Torino sotto Pareyson. Insegnato a Perugia, Torino e Firenze. Alcuni suoi lavori riguardano la poetica e l’estetica all’ombra del nichilismo. Da questa riflessione nasce anche la sua ricerca sulla “Storia naturale del nulla” --  e sulle implicazioni sullo tragico. In sua estetica e forte è ancora il richiamo filosofico. Il malinconico, ‘l’ibrido – Saggi: “La storia della filosofia secondo Kant” (Milano, Mursia); “Hybris e malinconia: Studi sulle poetiche del Novecento” (Milano, Mursia); “William Blake. Arte e religione, Milano, Mursia, “Ermeneutica e romanticismo, Milano, Mursia, Dostoevskij e la filosofia, Roma, Laterza, Storia dell'estetica, Roma, Laterza, Disincanto del mondo e il tragico, Milano, Il Saggiatore,  La questione romantica, Roma, Laterza, Storia del nulla, Roma, Laterza, Favola delle cose ultime, Torino, Einaudi, Eros/ethos, Torino, Einaudi, Nel nome di un dio barbaro, Torino, Einaudi,  Prima lezione di estetica, Roma, Laterza, Il bibliotecario di Leibniz. Torino, Einaudi,  Non c'è più tempo, Torino, Einaudi, Metafisica della peste. Colpa e destino, Torino, Einaudi, Luce d'addio. Dialoghi dell'amore ferito, Firenze, Olschki,  Sull'infinito, il Mulino, Pantragismo. Treccani. Grice: “I like Givone; he philosophises on ‘eros,’ but fails to notice that for Butler there’s self-love and other love; instead, Givone prefers to contrast ‘eros’ with ‘ethos’!” “His ramblings on Phanes are fun, though!” – Grice: “Not satisfied with metaphysics, Givone goes to criticize Marinetti’s hybris, or superbia, i. e. lack of moderation. His ottimismo notably contrasts with the decadentismo of the croposcolaristi.  Futurismo movimento artistico, culturale, musicale e letterario italiano Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Futurismo (disambigua). Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento arte è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Il Futurismo è stato un movimento letterario, culturale, artistico e musicale italiano dell'inizio del XX secolo[1], nonché una delle prime avanguardieeuropee. Ebbe influenza su movimenti affini che si svilupparono in altri paesi d'Europa, in Russia, Francia, negli Stati Uniti d'America e in Asia. I futuristi esplorarono ogni forma di espressione: la pittura, la scultura, la letteratura (poesia) al teatro, la musica, l'architettura, la danza, la fotografia, il cinema e persino la gastronomia. La denominazione del movimento si deve al poeta italiano Filippo Tommaso Marinetti[1].   Umberto Boccioni La città che sale, bozzetto, 1910 Museum of Modern Art, New York OriginiIl manifesto del Futurismo pubblicato su Le Figaro del 20 febbraio 1909 (qui evidenziato in giallo) Il Futurismo nasce in Italia, in un periodo di notevole fase evolutiva dove tutto il mondo dell'arte e della cultura era stimolato da numerosi fattori determinanti: le guerre, la trasformazione sociale dei popoli, i grandi cambiamenti politici e le nuove scoperte tecnologichee di comunicazione, come il telegrafo senza fili, la radio, gli aeroplani e le prime cineprese; tutti fattori che arrivarono a cambiare completamente la percezione delle distanze e del tempo, "avvicinando" fra loro i continenti, creando nuove connessioni.  Il XX secolo era quindi invaso da un nuovo vento, che portava una nuova realtà: la velocità. I futuristi intendevano idealmente "bruciare i musei e le biblioteche" in modo da non avere più rapporti con il passato per concentrarsi così sul dinamico presente; tutto questo, come è ovvio, in senso ideologico. Le catene di montaggio abbattevano i tempi di produzione, le automobili aumentavano ogni giorno, le strade iniziarono a riempirsi di luci artificiali, si avvertiva questa nuova sensazione di futuro[1] e velocità sia nel tempo impiegato per produrre o arrivare a una destinazione, sia nei nuovi spazi che potevano essere percorsi, sia nelle nuove possibilità di comunicazione.[2]    Gino Severini racconta che quando venne in contatto con Marinetti per decidere se aderire o meno al Futurismo parlò anche con Amedeo Modigliani, che egli avrebbe voluto nel gruppo, ma il pittore declinò l'offerta perché come scrisse:   «Queste manifestazioni non gli andavano, il complementarismo congenito lo fece ridere, e con ragione, perciò invece di aderire mi sconsigliò di mettermi in quelle storie; ma io avevo troppa affezione fraterna per Boccioni, inoltre ero, e sono sempre stato pronto ad accettare l'avventura […]»  (Gino Severini, Vita di un pittore) Primo Futurismo «Compagni! Noi vi dichiariamo che il trionfante progresso delle scienze ha determinato nell'umanità mutamenti tanto profondi, da scavare un abisso fra i docili schiavi del passato e noi liberi, noi sicuri della radiosa magnificenza del futuro…»  (dal Manifesto dei pittori futuristi, febbraio 1910) Una scazzottata futurista A seguito di una serie di articoli critici di Ardengo Sofficisu La Voce vi fu una reazione violenta dei futuristi: Marinetti, Boccioni e Carrà raggiunsero Soffici a Firenze e lo aggredirono mentre sedeva al caffè delle "Giubbe Rosse" in compagnia dell'amico Medardo Rosso. Ne nacque una grande pubblicità e un grande tumulto rinnovatosi alla sera, alla stazione di Santa Maria Novella, quando Soffici, accompagnato dagli amici Giuseppe Prezzolini, Scipio Slataper e Alberto Spaini, volle rendere la contropartita.   «Fu una vera spedizione punitiva, che mi fu raccontata da Boccioni e, più tardi, da Soffici. I futuristi appena arrivati a Firenze vanno al Caffè delle Giubbe Rosse, dove sapevano di trovare Soffici, Papini, Prezzolini, Slataper, e tutti redattori della Voce. Boccioni domanda ad un cameriere: «Chi è Soffici?»; sull'indicazione ottenuta si avvicina Soffici e senza spiegazioni gli appioppa un paio di schiaffoni; Soffici per niente smontato si alza risponde con una scarica di pugni. Parapiglia generale, tavole seggiole per terra, bicchieri rotti e questurini che portano tutti al commissariato. Per fortuna caddero in un commissario intelligente che capisce con chi aveva a che fare; visto che Soffici e quelli della Voce non volevano far querela d'aggressione, li rimandò tutti fuori come se niente fosse stato. I futuristi, vendicate le ingiurie, andarono alla stazione dove un treno, pressappoco a quell'ora, doveva riportarli a Milano. Ma quelli della Voce, malgrado si fossero ben difesi, non erano contenti affatto, perciò si recarono in fretta anch'essi alla stazione. Mentre il treno stava per arrivare ebbe luogo un altro incontro, e un altro violento pugilato, che, per poco, faceva restare a piedi futuristi. Ma fecero in tempo a prendere il treno, un po' ammaccati, ma soddisfatti.»  (Gino Severini, Vita di un pittore) Nel Manifesto Futurista (1909), pubblicato inizialmente in vari giornali italiani (la Tavola Rotonda di Napoli, la Gazzetta dell'Emilia di Bologna, la Gazzetta di Mantovae L'Arena di Verona) e, definitivamente, due settimane dopo sul quotidiano francese Le Figaro il 20 febbraio 1909[3], Filippo Tommaso Marinetti espose i principi-base del movimento. Poco tempo dopo a Milano nel febbraio 1910 i pittori Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Giacomo Balla, Gino Severini e Luigi Russolo firmarono il Manifesto dei pittori futuristi e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto tecnico della pittura futurista[4]. Nei manifesti si esaltava la tecnica e si dichiarava una fiducia illimitata nel progresso, si decretava la fine delle vecchie ideologie (bollate con l'etichetta di "passatismo", tra cui figura anche il Parsifal di Wagner, che a partire dal 1914 cominciò a essere rappresentato nei teatri d'Europa). Si esaltavano inoltre il dinamismo, la velocità, l'industria, il militarismo, il nazionalismo e la guerra, che veniva definita come "sola igiene del mondo".   Russolo, Carrà, Marinetti, Boccioni e Severini a Parigi per l'inaugurazione della prima mostra del 1912 La prima importante esposizione futurista si tenne a Parigi presso la galleria Bernheim-Jeune dal 5 al 24 febbraio 1912. All'inaugurazione della mostra erano presenti Marinetti, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo. L'accoglienza iniziale fu fredda, ma nelle settimane successive il movimento suscitò un certo interesse divenendo presto oggetto di attenzioni internazionali tanto da favorire la riproposizione della mostra anche in altre città europee come Berlino[5].  La riconciliazione con i futuristi avvenne in seguito, grazie alla mediazione dell'amico Aldo Palazzeschi. Nel 1913 infatti, Soffici e Papini uscendo da La Vocedecisero di fondare la rivista Lacerba appoggiando così il movimento futurista[6].  Alla morte di Umberto Boccioni nel 1916, Carrà e Severini si ritrovarono in una fase di evoluzione verso la pittura cubista, di conseguenza il gruppo milanese si sciolse spostando la sede del movimento da Milano a Roma, con la conseguente nascita del "secondo Futurismo".  Secondo FuturismoIn prima fila Depero, Marinetti e Cangiullo nel 1924 con panciotti "futuristi" Il secondo Futurismo fu sostanzialmente diviso in due fasi. La prima andava dal 1918, due anni dopo la morte di Umberto Boccioni, al 1928 e fu caratterizzata da un forte legame con la cultura post-cubista e costruttivista; la seconda invece, dal 1929 al 1939, fu molto più legata alle idee del surrealismo. Di questa corrente - che si concluse attraverso il cosiddetto "terzo Futurismo", portando anche all'epilogo del Futurismo stesso - fecero parte molti pittori fra cui Fillia (Luigi Colombo), Enrico Prampolini, Filiberto Sbardella[7], Nicolay Diulgheroff, Wladimiro Tulli ma anche Mario Sironi, Ardengo Soffici, Ottone Rosai, Carlo Vittorio Testi e la moglie Fides Stagni.[8]  Se la prima fase del Futurismo fu caratterizzata da un'ideologia guerrafondaia e fanatica (in pieno contrasto con altre avanguardie) ma spesso anche anarchica, la seconda stagione ebbe un effettivo legame con il regime fascista, nel senso che abbracciò gli stilemi della comunicazione governativa dell'epoca e si valse di speciali favori.  I futuristi di sinistra, generalmente meno noti nel panorama culturale italiano dell'epoca, comunque, costituirono quella parte del Futurismo collocata politicamente su posizioni vicine all'anarchismo e al bolscevismo anche quando il movimento con i suoi fondatori e personaggi ritenuti principali fu fagocitato dal fascismo.  Anche se la gerarchia fascista riservò ai futuristi coevi una sottovalutazione talvolta sprezzante, l'osservazione dei principi autoritaristici e la poetica interventista del Futurismo furono quasi sempre presenti negli artisti del gruppo, fino a che alcuni di questi non abbracciarono altri movimenti e presero le distanze dall'ideologia fascista (Carlo Carrà, ad esempio, abbracciò la metafisica). Altri ancora, come il giovane pittore maceratese Wladimiro Tulli, mantennero costantemente un approccio giocoso e libertario, che poco aveva a che fare con l'estetica fascista, anche nelle successive esperienze di pittura informale.[9]  Futurismo russoNatalia Goncharova Il ciclista, 1913 Museo russo, San Pietroburgo Manifesto futurista di Marinetti era stato pubblicato a San Pietroburgo appena un mese dopo l'uscita su Le Figaro, e già negli anni 1911 e 1912 Natal'ja Sergeevna Gončarova e Michail Fëdorovič Larionov, che in patria verrà definito il "padre del Futurismo russo", furono i concreti iniziatori del movimento in Russia.  Nel 1913 il pittore Kazimir Severinovič Malevič, il compositore Michail Matjušin e lo scrittore Aleksej Eliseevič Kručënych redassero il manifesto del Primo congresso Futurista russo. Al movimento, conosciuto anche come Cubofuturismo o Raggismo, aderirono personalità come il poeta e drammaturgo Vladimir Vladimirovič Majakovskij.  Nel gennaio 1914 Marinetti stesso si recò a Mosca. Dal movimento d'avanguardia futurista nacquero negli anni immediatamente precedenti la rivoluzione del 1917 due importanti avanguardie artistiche, il Costruttivismo e il Suprematismo. L'attenzione che i giornali e il pubblico dedicarono a Marinetti fu enorme, ma non ci fu la stessa attenzione da parte dei futuristi russi, alcuni dei quali tentarono anche di ostacolare la visita di Marinetti. Altri invece, come Sersenevič, furono più ospitali e cordiali. Il temperamento e le declamazioni di Marinetti riscossero successo ovunque; ma Marinetti tentò invano di chiamare i futuristi russi ad unire le forze con i futuristi italiani, perché i maggiori poeti russi, Chlebnikov, Livsič, Majakovskij e anche il regista Larionov criticarono Marinetti.[senza fonte] L'ultima "mostra futurista" si tenne nel 1915 a Pietrogrado.  In Russia il movimento non fu caratterizzato dal bellicismo come quello dei futuristi italiani, criticato da Majakovskij, ma fu accompagnato da un'utopica idea di pace e libertà, sia individuale (dell'artista), sia collettiva (del mondo), che si sarebbe concluso con l'adesione di una parte del gruppo al bolscevismo. Dopo la rivoluzione d'ottobre molti futuristi confluirono nel cubismo e nell'astrattismo.  Futurismo francese In Francia il Futurismo non si organizzò mai come movimento, ma ebbe almeno due nomi degni di nota: Guillaume Apollinaire e Valentine de Saint-Point.  Apollinaire scrisse il manifesto L'antitradition futuriste(29 giugno 1913), pubblicato su Lacerba solo il 25 settembre dopo le aggiunte e le correzioni di Marinetti. I successivi Calligrammes (1918) rivelano la chiara influenza del paroliberismo futurista sul poeta francese.  Valentine de Saint Point, nipote di Lamartine, scrisse il Manifesto della donna futurista, (1912) con il sottotitolo “Risposta a F. T. Marinetti”, in un volantino pubblicato simultaneamente a Parigi e a Milano. Del 1913 è il Manifesto futurista della lussuria.  Orientamenti artistici Nelle opere futuriste è quasi sempre costante la ricerca del dinamismo; cioè il soggetto non appare mai fermo, ma in movimento: ad esempio, per loro un cavallo in movimento non ha quattro gambe, ne ha venti. Così la simultaneità della visione diventa il tratto principale dei quadri futuristi; lo spettatore non guarda passivamente l'oggetto statico, ma ne è come avvolto, testimone di un'azione rappresentata durante il suo svolgimento.  Per rendere l'idea del moto nelle arti visive tradizionali, immobili per costituzione, il Futurismo si serve, nella pittura e nella scultura, principalmente delle “linee-forza”; poiché la linea agisce psicologicamente sull'osservatore con significato direzionale, essa, collocandosi in varie posizioni, supera la sua essenza di semplice segmento e diventa “forza” centrifuga e centripeta, mentre oggetti, colori e piani si sospingono in una catena di “contrasti simultanei”, determinando la resa del “dinamismo universale”.  PitturaJoseph Stella Battle of Lights, Coney Island, Mardi Gras, 1913-14 Yale University Art Gallery Nel 1910 a Milano i giovani artisti d'Italia avevano pubblicato i manifesti sulla pittura futurista. Boccioni si occupò principalmente del dinamismo plastico e sintetico e del superamento del cubismo, mentre Balla passò dallo studio delle vibrazioni luminose (divisionismo) alla rappresentazione sintetica del moto[10]. Nel 1912 Boccioni, Carrà e Russolo esposero a Milano le prime opere futuriste alla "Mostra d'arte libera" nella fabbrica Ricordi.  Il Futurismo diede il meglio di sé nelle espressioni artistiche legate alla pittura, al mosaico e alla scultura, mentre le opere letterarie e teatrali, ma anche architettoniche, non ebbero la stessa immediata capacità espressiva.  Le radici del fermento che portò alla declinazione del Futurismo nell'arte si possono riconoscere, artisticamente parlando, già nella Scapigliatura - corrente tipicamente milanese e borghese della seconda metà dell'Ottocento - laddove il Futurismo distoglie con disprezzo l'attenzione dalla raffinata borghesia per concentrarsi sulla rivoluzione industriale, sulle fabbriche.  Dal punto di vista stilistico il Futurismo - in particolare quello boccioniano - si basa sui concetti del divisionismo che però riesce ad adattare per esprimere al meglio gli amati concetti di velocità e di simultaneità: è grazie ad artisti come Giovanni Segantini e Pellizza da Volpedo che, pochi anni dopo, il futurista Umberto Boccioni poté realizzare dipinti come La città che sale.   Opera futurista di Emma Marpillero Corradi Dal punto di vista concettuale, il Futurismo naturalmente non ignora i principi cubisti di scomposizione della forma secondo piani visivi e rappresentazione di essi sulla tela. Cubista è senz'altro la tecnica che prevede di suddividere la superficie pittorica in tanti piani che registrino ognuno una diversa prospettiva spaziale. Tuttavia, mentre per il cubismo la scomposizione rende possibile una visione del soggetto fermo lungo una quarta dimensione esclusivamente spaziale (il pittore ruota intorno al soggetto fermo cogliendone ogni aspetto), il Futurismo utilizza la scomposizione per rendere la dimensione temporale, il movimento.  Altrettanto interessanti sono i rapporti stilistici tra il Futurismo boccioniano e il cubismo orfico di Robert Delaunay.  Non mancarono relazioni complesse tra i futuristi italiani e i più importanti esponenti delle avanguardie russe e tedesche.[11]  Equiparare, infine, la ricerca futurista dell'attimo con quella impressionista, come è stato fatto in passato, è ormai considerato profondamente errato. Se è vero infatti che gli impressionisti fecero dell'"attimalità" il nucleo della loro ricerca - loro scopo era fermare sulla tela un istante luminoso, unico e irripetibile - la ricerca futurista si muoveva in senso quasi opposto: suo scopo era rappresentare sulla tela non un istante di movimento ma il movimento stesso, nel suo svolgersi nello spazio e nel suo impatto emozionale.  Come conseguenza dell'"estetica della velocità", nelle opere futuriste a prevalere è l'elemento dinamico: il movimento coinvolge infatti l'oggetto e lo spazio in cui esso si muove. Il dinamismo dei treni, degli aeroplani (Aeropittura), delle masse multicolori e polifoniche e delle azioni quotidiane (del cane che scodinzola andando a spasso con la padrona, della bimba che corre sul terrazzo, delle ballerine) è sottolineato da colori e pennellate che mettano in evidenza le spinte propulsive delle forme. La costruzione può essere composta da linee spezzate, spigolose e veloci, ma anche da pennellate lineari, intense e fluide se il moto è più armonioso.  Tra gli epigoni più interessanti del Futurismo, l'avanguardia russa del raggismo e del costruttivismo. Le tecniche pittoriche futuriste sono state riassunte nei due manifesti sulla pittura dei primi mesi del 1912.  Due tra i principali esponenti del movimento pittorico, Umberto Boccioni e Giacomo Balla, furono presenti anche nella scultura. La pittura di Boccioni è stata definita "simbolica": il dipinto La città che sale (1910), per esempio, è una chiara metafora del progresso, dettato dal titolo e dalle scene di cantiere edile sullo sfondo, esemplificate nella loro vorticosa crescita dalla potenza del cavallo imbizzarrito, un vortice di materia che si scompone per piani. Se Boccioni è simbolico, Balla è fotografico e analitico. Ancora legato a principi cubisti, non è raro che realizzi sequenze fotogrammetriche di una scena, per rendere il movimento, piuttosto che affidarsi a impetuosi vortici di pittura: è il caso del posato Bambina che corre al balcone (1912).  SculturaUmberto Boccioni Forme uniche della continuità nello spazio, 1913 New York, Museum of Modern Art L'artista futurista più attivo nel campo della scultura è Umberto Boccioni, la cui ricerca pittorica corre sempre parallela a quella plastica.  Nel 1912, lo stesso Boccioni pubblica il Manifesto tecnico della scultura futurista. Punto di arrivo di questa ricerca può essere considerato Forme uniche della continuità nello spazio, del 1913: l'immagine, applicando le dichiarazioni poetiche di Boccioni stesso, è tutt'uno con lo spazio circostante, dilatandosi, contraendosi, frammentandosi e accogliendolo in sé stessa.  Anche in L'Antigrazioso o La madre, immediatamente precedente, sono presenti parametri scultorei simili a Forme uniche nella continuità dello spazio, ma con ancora non risolti alcuni problemi di plasticità derivanti da influssi naturalistici.  MosaicLa tecnica del mosaico, basata sull'utilizzo di tessere ceramiche e vitree, si è prestata molto bene a esprimere i modi e il dinamismo intesi dall'arte futurista.  Enrico Prampolini e Fillia eseguono l'importante mosaico dedicato al tema delle Comunicazioniall'interno della torre del Palazzo delle Poste di La Spezia (1933).  Alcuni anni più tardi Gino Severini esegue altri mosaici per le Poste di Alessandria. La tradizione musiva di Ravenna continua con mosaici futuristi di autori vari (Palazzo del Mutilato, fine anni quaranta).  ArchitetturaMagnifying glass icon mgx2.svg. Lo stesso argomento in dettaglio: Architettura futurista. «Il problema dell'architettura moderna non è un problema di rimaneggiamento lineare. Non si tratta di dover trovare nuove sagome, nuove marginature di finestre e di porte, di sostituire colonne, pilastri, mensole con cariatidi, mosconi, rane (…): ma di creare di sana pianta la casanuova, costruita tesoreggiando ogni risorsa della scienza e della tecnica…»  (Antonio Sant'Elia, dal Messaggio posto a prefazione della mostra del gruppo Nuove Tendenze del 1914)  Antonio Sant'Elia, una veduta prospettica della Città Nuova. 1914  Sant'Elia, Casa a Gradinate la Città Nuova. 1914  Arnaldo Dell'Ira lampada "a grattacielo", 1929  Giuseppe Pettazzi  Stazione di servizio "Fiat Tagliero", 1938 Asmara Nel 1912 Antonio Sant'Elia, che divenne l'architetto più rappresentativo del movimento, era ancora distante dai futuristi ed era piuttosto legato nel movimento del cosiddetto Stile floreale. In quegli stessi anni a Milanoera attivo Giuseppe Sommaruga e questi sembra che avesse esercitato una grande influenza sulla formazione del Sant'Elia, infatti, per esempio, molti elementi dinamici del futurista furono anticipati nel Grand Hotel Campo dei Fiori di Varese[12].  All'inizio del 1914 Sant'Elia pubblicò il Manifesto dell'Architettura futurista, dove esponeva i principi di questa corrente. Al centro dell'attenzione c'è la città, vista come simbolo della dinamicità e della modernità. Tutti i progetti creati da Sant'Elia si riferiscono a città del futuro: in contrapposizione all'architettura tradizionale, vista come inadeguata, le città idealizzatedagli architetti futuristi hanno come caratteristica fondamentale il movimento, i trasporti e le grandi strutture. I futuristi, infatti, compresero immediatamente il ruolo centrale che i trasporti avrebbero assunto successivamente nella vita delle città. Nei progetti di questo periodo si cercavano sviluppi e scopi di questa novità. L'utopia futurista è una città in perenne mutamento, agile e mobile in ogni sua parte, un continuo cantiere in costruzione, e la casa futurista allo stesso modo è impregnata di dinamicità.  Anche l'utilizzo di linee ellittiche e oblique simboleggia questo rifiuto della staticità per una maggior dinamicità dei progetti futuristi, privi di una simmetriaclassicamente intesa.  Le teorie futuriste sull'architettura erano principalmente ideologiche ed erano espressione di un atteggiamento intellettualistico ma senza riferimenti a metodi formali e tecnici, tuttavia anticiparono i grandi temi e le visioni dell'architettura e della città che saranno proprie del Movimento Moderno[13].  A causa della guerra e dopo la morte di Boccioni e Sant'Elia il movimento futurista in Italia perse il suo slancio. Dopo il 1919 l'originaria proposta futurista dei primi tempi fu raccolta piuttosto dai costruttivisti russi. Il movimento razionalista italiano cercherà di proporre gli scenari della Città Nuova delle utopie futuriste ma il regime fascista smorzerà questi tentativi privilegiando un monumentalismo legato alla tradizione classicista. Lo stesso avvenne in Unione Sovietica con il sopravvento del regime totalitario.  Tra i grandi esponenti dell'architettura da ricordare Mario Chiattone, che visse con Sant'Elia a Milano, condividendone le linee teoriche e sviluppando straordinarie visioni di città del futuro, prima di trasferirsi in Svizzera e abbandonare la militanza. E infine Virgilio Marchi, che operò anche come scenografo.  Al Secondo Futurismo appartengono le architetture di Angiolo Mazzoni, autore di notevoli edifici postali e ferroviari, ancora oggi validamente in funzione in diverse città italiane.  CeramicaPer le sue possibilità espressive, anche la ceramica interessa il movimento futurista. In particolare i ceramisti dell'ISIA espressero lavori in sintonia con il nuovo movimento. Il 7 settembre 1938 sulla Gazzetta del Popolo a firma Filippo Tommaso Marinetti e di Tullio d'Albisola viene pubblicato il Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica. Fin dal 1925 il centro propulsore della ceramica futurista italiana fu Albissola Marina.  Musica Modifica In campo musicale gli unici rappresentanti di rilievo furono Francesco Balilla Pratella e Luigi Russolo, pittore, musicista e scrittore, autore del saggio L'arte dei rumori pubblicato nel 1916. L'arte dei rumori è considerata da alcuni autori uno dei testi più importanti e influenti nell'estetica musicale del XX secolo.[14] A Russolo si deve l'invenzione dell'Intonarumori, uno strumento che usava per mettere in pratica la sua teoria del rumorismo, ovvero di una musica nella quale ai suoni dovevano essere sostituiti i rumori. Essi erano formati da generatori di suoni acustici che permettevano di controllare la dinamica e il volume.  Letteratura Modifica  Da sinistra: Aldo Palazzeschi, Carlo Carrà, Giovanni Papini, Umberto Boccioni, Filippo Tommaso Marinetti, 1914 Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Letteratura futurista e Filippo Tommaso Marinetti. A fine gennaio 1909 Filippo Tommaso Marinetti inviava il Manifesto del Futurismo ai principali giornali italiani, ma è la pubblicazione su Le Figaro il 20 febbraio 1909a garantirgli risonanza europea. Nel 1912, sulla rivista fiorentina "Lacerba", comparve il "Manifesto tecnico della letteratura futurista"[15]. Del 1914 è il volume Zang Tumb Tumb, miglior esempio delle futuriste Parole in libertà.  Poesia. I poeti futuristi si riuniranno attorno alla rivista Poesiafondata da Marinetti qualche anno prima. Nei componimenti si trova generalmente l'esaltazione del futuro e delle sensazioni forti associate alla velocità e alla guerra. Gli esponenti più noti, oltre al Marinetti, sono: Aldo Palazzeschi, autore della raccolta poetica L'incendiario[16] (che include "La fontana malata", "E lasciatemi divertire" e "La passeggiata"); Ardengo Soffici, autore di Bif& ZF + 18 = Simultaneità – Chimismi lirici; Paolo Buzzi, autore di Aeroplani. Canti alati. Anche Salvatore Quasimodo aderì, in gioventù, al Futurismo (ricordiamo la sua poesia "Sera d'estate")[17]. A un successivo momento del Futurismo marinettiano appartiene l'Aeropoesia.  TeatroModifica Magnifying glass icon mgx2.svLo stesso argomento in dettaglio: Teatro futurista. I futuristi perseguirono la rifondazione del concetto stesso di comunicazione teatrale. Promossero un teatro «sintetico, atecnico, dinamico, simultaneo, autonomo, alogico e irreale», dove « è stupido» non ribellarsi al pregiudizio della teatralità, soddisfare la primitività delle folle, curarsi della verosimiglianza, voler spiegare con una logica minuziosa tutto ciò che si rappresenta, sottostare alle imposizioni del crescendo, della preparazione e del massimo effetto alla fine, lasciare imporre alla propria genialità il peso di una tecnica che tutti possono acquisire, rinunciare «al dinamico salto nel vuoto della creazione totale».  I futuristi, infatti, possedettero una «invincibile ripugnanza» per il lavoro studiato a tavolino, a priori, sostenendo l'improvvisazione, il teatro come «serbatoio inesauribile di ispirazioni».  «Tutto è teatrale quando ha valore»  (Il teatro futurista sintetico di Marinetti, Settimelli e Corra[18]) Il teatro futurista promosse anche la commedia e la farsa, anziché la tragedia, o il dramma borghese. Tuttavia, nelle serate futuriste, non era inusuale vedere il pubblico adirato a causa di spettacoli fatti di azioni deliranti. Le cronache dell'epoca riportano notizie relative agli attori futuristi che sfuggono all'ira degli spettatori, spesso provocata ad arte secondo gli intenti espressi nel Manifesto futurista del teatro di varietà.  CinemaMagnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cinema futurista. Nel 1916 venne pubblicato il Manifesto della Cinematografia futurista, firmato da Filippo Marinetti, Bruno Corra, Arnaldo Ginna, Giacomo Balla, Remo Chiti ed Emilio Settimelli, che sosteneva come il cinema fosse "per natura" arte futurista, grazie alla mancanza di un passato e di tradizioni. Essi non apprezzavano il cinema narrativo "passatissimo", cercando invece un cinema fatto di "viaggi, cacce e guerre", all'insegna di uno spettacolo "antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero". Nelle loro parole c'è tutto un entusiasmo verso la ricerca di un linguaggio nuovo slegato dall'estetica tradizionale, che era percepita come un retaggio vecchio.  I futuristi, per allontanare il cinema dal passato, ripudiavano tutto ciò che era convenzionalmente accettato come affascinante e bellissimo dalla borghesia, usando quindi come soggetti figure distorte (che verranno riprese anche dall'espressionismo tedesco come manifestazione della perdita di speranza della popolazione dopo la prima guerra mondiale), colori forti ecc. Molte opere cinematografiche futuriste sono andate perdute durante la guerra, tra cui Vita futurista, pellicola nella quale alcuni uomini disturbavano e poi scappavano velocemente alcuni turisti nei bar di Firenze.  Tra le opere rinvenute di questo movimento, ci è pervenuta la tragedia Tahïs del 1916 di Bargaglia e la romantica Amor pedestre del 1914 del comico Marcel Fabre, nel quale viene proposta una relazione non corrisposta tutta raccontata inquadrando i protagonisti dal ginocchio in giù (cortometraggi rintracciabili su YouTube).  Gastronomia Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Cucina futurista. Grazie alla completezza di questo movimento, ne venne influenzata anche la gastronomia. Nel 1914 il cuoco francese Jules Maincave aderì al Futurismo, proponendo quindi l'accostamento di nuovi sapori ed elementi fino ad allora "separati senza serio fondamento". Questo comprendeva accostamenti come filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatinadi fragola.  Il 20 gennaio 1931 Marinetti pubblicò il Manifesto della cucina futurista sulla rivista Comoedia. Secondo Marinetti bisognava eliminare la pastasciutta, così come forchetta e coltello e condimenti tradizionali, e incoraggiare l'accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi.  Scrive Marinetti:  «(...) vi annuncio il prossimo lanciamento della cucina futurista per il rinnovamento totale del sistema alimentare italiano, da rendere al più presto adatto alle necessità dei nuovi sforzi eroici e dinamici imposti dalla razza. La cucina futurista sarà liberata dalla vecchia ossessione del volume e del peso e avrà, per uno dei suoi principi, l'abolizione della pastasciutta. La pastasciutta, per quanto gradita al palato, è una vivanda passatista perché appesantisce, abbrutisce, illude sulla sua capacità nutritiva, rende scettici, lenti, pessimisti. È d'altra parte patriottico favorire in sostituzione il riso.»  Nel suo tempo È normale che il Futurismo, nascendo in un'epoca di transizione, abbia avuto molteplici contraddizioni. All'immobilismo scolastico e accademico ereditato dalle "tre corone" della poesia decadente (Carducci, Pascoli e D'Annunzio) i futuristi oppongono la dinamicità, la demolizione all'armonia, e alla raffinatezza contrappongono il disordine delle parole. Gli elementi suddetti richiamano alle caratteristiche del Futurismo più importanti[19]: esse rientrano appieno nello spirito culturale della belle époque che precedette lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.  Secondo i futuristi, questi poeti devono essere completamente rinnegati perché incarnano esattamente i quattro ingredienti intellettuali che il Futurismo vuole abolire:  la poesia morbosa e nostalgica; il sentimento romantico; l'ossessione della lussuria; la passione per il passato. In contraddizione con il Futurismo è stata anche la corrente crepuscolare. Infatti il crepuscolarismo, nonostante condivida con il Futurismo l'idea di interartisticità, ha però una concezione della vita completamente diversa:  i futuristi inneggiano alle innovazioni, i crepuscolari sono avversi a una modernità che aliena l'individuo i futuristi sono prepotenti, dinamici, chiassosi, i crepuscolari assumono toni dimessi, pacifici e malinconici i futuristi esaltano il caos e le attività delle grandi città, i crepuscolari amano l'intimità, le "piccole cose di pessimo gusto", gli affetti familiari e una vita tranquilla i futuristi sono sempre protesi verso un "domani" esaltante, i crepuscolari guardano al passato e alle piccole cose quotidiane.  Scultura futurista  esposta a Milano in Piazzetta Reale per il centenario del movimento Nelle arti figurative invece si presenta il confronto con le altre avanguardie, Cubismo, Astrattismo, Dada, Surrealismo, Metafisica, ognuna delle quali caratterizzata da propri temi e propri linguaggi espressivi. L'opera futurista è in evidente contrasto per alcuni temi con molte delle altre avanguardie sebbene condividano tutte l'intuizione di trasmettere attraverso l'arte un impulso di trasformazione della società e di rinnovamento. Aspetto specifico del Futurismo è quello di non limitare la propria azione alle espressioni artistiche (come il Cubismo o la Metafisica), ma di prospettare la re-invenzione dell'intera vita, in ogni suo aspetto (e uno dei manifesti maggiormente rilevanti fu infatti "Ricostruzione futurista dell'universo" di Balla e Depero).  Tra i contemporanei dei futuristi che criticarono il movimento ricordiamo Giandante X, che nel 1929, a Milano, all'apertura dei festeggiamenti per il ventennale del Futurismo, contestò apertamente Filippo Tommaso Marinetti, sostenendo che "l’uomo si deve affrancare dalla macchina ed è un errore lasciare sussistere lo scombinato movimento artistico"[20].  Nella critica del dopoguerra Il Futurismo ha influenzato tutta l'arte d'avanguardia del Novecento. Gli artisti futuristi che sopravvissero alla morte di Marinetti (21 dicembre del 1944) e alla seconda guerra mondiale caddero in disgrazia come tutto il Futurismo, con l'accusa di aver fiancheggiato il fascismo.  Nel secondo Novecento nuovi studi di Luciano De Maria, Mario Verdone, Enrico Crispolti, Maurizio Calvesi, Claudia Salaris, Giordano Bruno Guerri hanno parzialmente corretto l'accusa di collusione fascista, rilanciando l'interesse artistico-sociale verso il futurismo. Studi sul futurismo di sinistra (i contatti con gli ambienti anarchici, e persino comunisti) mostravano contemporaneamente che l'avanguardia futurista italiana era stata troppo sommariamente giudicata.  Nel corso del tempo diverse sono state le esposizioni riguardanti il Futurismo. Di indubbia rilevanza è stata quella del 2009 presso il Palazzo Reale di Milano per il centenario del movimento. La mostra si intitolava Futurismo 1909-2009 Velocità+Arte+Azione[21]. Nel 2014, il Futurismo italiano, con una grande esposizione retrospettiva fino al 1944 al Guggenheim Museum di New York a cura di Vivien Greene[22], è tornato alla ribalta internazionale. Il centenario del Futurismo ha anche contribuito al rilancio internazionale degli studi sulle artiste del Futurismo e sulla visione della donna nel Movimento.  Nel 2018 è stato pubblicato il Manifesto del Fumetto Futurista redatto da Massimo Bonura e uno dei primi, se non il primo, fumetti futuristi programmatici, cioè seguente esplicitamente uno schema scritto e definito, dal titolo "Il brutto anatroccolo. Ma che Wow!!" di Claudio S. Gnoffo, a significare l'importanza che il movimento futurista ha avuto come influenza nel delineare nuovi stili d'arte di rottura e sperimentali.[23]  Principali esponenti del futurisModifica Futuristi italiani Filippo Tommaso Marinetti Enrico Allimandi Adone Asinari Franco Asinari Antonio Asturi Fedele Azari Roberto Iras Baldessari Giacomo Balla Enzo Benedetto Umberto Boccioni Vittorio Bodini Uberto Bonetti Oswaldo Bot, pseudonimo di Osvaldo Barbieri Anton Giulio Bragaglia Alessandro Bruschetti Paolo Buzzi Francesco Cangiullo Benedetta Cappa Mario Carli Enrico Carmassi Sebastiano Carta Carlo Carrà Gianni Carramusa Giuseppe Caselli Riccardo Castagnedi Enrico Cavacchioli Arturo Ciacelli Remo Chiti Primo Conti Vittorio Corona Bruno Corra, pseudonimo di Bruno Ginanni Corradini Tullio Crali Auro D'Alba, pseudonimo di Umberto Bottone Giulio D'Anna Luigi De Giudici Mino Delle Site Fortunato Depero Gerardo Dottori Leonardo Dudreville Carlo Erba Julius Evola Farfa, pseudonimo di Vittorio Osvaldo Tommasini Fillia, pseudonimo di Luigi Enrico Colombo Luciano Folgore Gesualdo Manzella Frontini Achille Funi Ivanhoe Gambini Giacomo Giardina Arnaldo Ginna, pseudonimo di Arnaldo Ginanni Corradini Giovanni Governato Corrado Govoni Guglielmo Jannelli Giovanni Korompay Krimer Mimì Maria Lazzaro Escodamè, pseudonimo di Michele Leskovic Osvaldo Licini Gian Pietro Lucini Alberto Magnelli Vincenzo Mai Enzo Mainardi Giorgio Michetti Antonio Marasco Oreste Marchesi Emma Marpillero Pino Masnata Silvio Mix Sante Monachesi Marisa Mori Bruno Munari Benito Mussolini Emilio Notte Renzo Novatore, pseudonimo di Abele Ricieri Ferrari Nello Voltolina Pippo Oriani Nino Oxilia Ivo Pannaggi Giovanni Papini Luigi Pepe Diaz Osvaldo Peruzzi Vittorio Piscopo Enrico Prampolini Francesco Balilla Pratella Giuseppe Preziosi Salvatore Quasimodo Renato Righetti Romolo Romani Ottone Rosai Pippo Rizzo Angelo Rognoni Umberto Luigi Ronco Mino Rosso Luigi Russolo Bruno Giordano Sanzin Alberto Sartoris Antonio Sant'Elia Filiberto Sbardella Gino Severini Ardengo Soffici Fides Stagni Tato (Guglielmo Sansoni) Mario Sironi Fides Stagni Joseph Stella Mario Sturani Italo Tavolato Geppo Tedeschi Thayaht, pseudonimo di Ernesto Michahelles Wladimiro Tulli Giuseppe Ungaretti Vann'Antò Ruggero Vasari Lucio Venna, pseudonimo di Giuseppe Landsmann Mario Mirko Vucetich Futuristi russi Makov Černichov Velimir Chlebnikov Natal'ja Sergeevna Gončarova Michail Larionov Vladimir Majakovskij Kazimir Severinovič Malevič Aleksandr Rodčenko Aleksej Kručënych Futuristi ucraini Davyd, Mykola, Volodymyr Burljuk Futuristi francesi Robert Delaunay Marcel Duchamp Paul Fort Fernand Léger Jules Maincave Georges Bernanos Guillaume Apollinaire Futuristi cechi Růžena Zátková Futuristi ungheresi  Béla Kádár Lajos Kassák Hugó Scheiber Futuristi portoghesi Fernando Pessoa, divulgò aspetti del movimento attraverso le riviste Orpheu (1915) e Portugal Futurista (1917) Guilherme de Santa-Rita, pittore, ideatore della rivista Portugal Futurista (1917) Futuristi spagnoli Joan Salvat-Papasseit Futuristi brasiliani Oswald de Andrade Futuristi argentini Alberto Hidalgo Emilio Pettoruti Principali manifesti Manifesto del futurismo, (Pubblicato da "Le Figaro" il 20 febbraio 1909), Marinetti Uccidiamo il Chiaro di luna, (aprile 1909), Marinetti Manifesto dei Pittori futuristi, (11 febbraio 1910), Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini La pittura futurista - Manifesto tecnico, (11 aprile 1910), Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini Contro Venezia passatista, (27 aprile 1910), Marinetti, Boccioni, Carrà, Russolo Manifesto dei drammaturghi futuristi, (11 gennaio 1911), Marinetti Manifesto dei Musicisti futuristi, (11 gennaio 1911), Pratella La musica futurista-Manifesto tecnico, (29 marzo 1911), Pratella Manifesto della Donna futurista, (25 marzo 1912), Valentine de Saint-Point Manifesto della Scultura futurista, (11 aprile 1912), Boccioni Manifesto tecnico della letteratura futurista, (11 maggio 1912), Marinetti L'arte dei Rumori, (11 marzo 1913), Russolo Distruzione della sintassi. L'immaginazione senza fili e le Parole in libertà, (11 maggio 1913), Marinetti L'Antitradizione futurista, (29 giugno 1913), Guillaume Apollinaire La pittura dei suoni, rumori e odori, (11 agosto 1913), Carrà Il Teatro di Varietà, (1º ottobre 1913), Marinetti Il controdolore, (29 dicembre 1913), Palazzeschi Pittura e scultura futuriste, (1914), Boccioni Manifesto dell'Architettura futurista, (1914), Sant'Elia Il teatro futurista sintetico, (1915), Corra, Settimelli, Marinetti La ricostruzione futurista dell'universo, (1915), Balla, Depero La Scenografia futurista, (1915), Prampolini Manifesto del cinema futurista, (1916), Marinetti, Corra, Settimelli Manifesto della danza futurista, (1917), Marinetti Manifesto dell'Aeropittura futurista, (1929) Manifesto della Fotografia futurista, (16 aprile 1930, Tato (pseudonimo di Guglielmo Sansoni), Filippo Tommaso Marinetti Manifesto della cucina futurista, (1931), Marinetti. Manifesto futurista della Ceramica e Aereoceramica(1938), Filippo Tommaso Marinetti e Tullio d'Albisola Opere principali Pittura Umberto Boccioni, Tre donne (1909-1910); Umberto Boccioni, La città che sale (1910-1911); Carlo Carrà, Notturno a Piazza Beccaria (1910); Umberto Boccioni, La risata (1911); Umberto Boccioni, Stati d'animo, gli addii (1911); Carlo Carrà, I funerali dell'anarchico Galli (1911); Umberto Boccioni, Materia (1912); Giacomo Balla, Ragazza che corre al balcone (1912); Giacomo Balla, Dinamismo di un cane al guinzaglio(1912); Giacomo Balla, Lampada ad arco (1911); Umberto Boccioni, Elasticità (1912); Gino Severini, La chahuteause (1912); Luigi Russolo, Dinamismo di un'automobile (1912-1913); Carlo Carrà, Cavaliere rosso (1913); Giacomo Balla, Automobile + velocità + luce (1913). Gino Severini, Ballerina in blu (1913); Fortunato Depero, I Cavalieri.  ^ a b c Futurismo, in Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. 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Modifica su Wikidata futurismo, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010. Modifica su Wikidata futurismo, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata ( EN ) Futurismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Il portale sul Futurismo, futurismo.org LA VERA STORIA DEL FUTURISMO, la parola a Gesualdo Manzella Frontini Il "Discorso contro i Veneziani" di Marinetti, su paginadelleidee.net. URL consultato l'8 aprile 2009(archiviato dall' url originale  il 7 ottobre 2007). Il Cerchio: Rivista di Cultura con particolari approfondimenti sul Futurismo, su cerchionapoli.it. "Luigi Russolo: Frammenti di un discorso rumoroso - La rivoluzione musicale futurista": monografia sul sito Sentireascoltare Recensioni delle mostre del centenario futurista a Roma e a Milano avanguardie russe, su chimera.roma1.infn.it. Viva il Futurismo! Iniziativa culturale e artistica per il centenario del Futurismo, su kulturserver-nrw.de. 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Ma, effettivamente, questi temi fanno da sfondo, perché “ Eros ethos”, questo nesso su cui dobbiamo riflettere, riguarda piuttosto le cose prossime che non le cose ultime come la domanda di senso, la domanda che appunto ruota interamente intorno a ciò che era al principio. Che cos’era il principio? Era il senso, era il logos, o non era piuttosto come Nice, in modo sprezzante, ma anche polemico e profondo, ebbe a dire: “ in principio era il non senso”? Ecco, cos’ hanno a che fare queste domande sulle cose ultime con le cose prossime? Eros ethos: che cosa c’è di più prossimo alle esperienze che noi facciamo, che questa? Esperienza erotica ed esperienza etica. Questo è il quadro, questo è l’orizzonte problematico dentro il quale vorrei insieme con voi procedere per alcuni passi, e allora incomincerei col dire che, davvero, la domanda da cui partire è la domanda sull’origine: una domanda che ai non filosofi può sembrare di scarsa rilevanza. Perché la domanda sull’origine? E che cosa vuol dire domanda sull’origine? Vuol dire, se la vogliamo tradurre, interrogarsi sul da dove veniamo, da dove il male, la violenza che patiamo. “Unde malum?” questa è la domanda sull’origine. Ma a questa domanda sull’origine, così perentoria e così grave di implicazioni, come risponde il pensiero contemporaneo? Il pensiero contemporaneo risponde rimovendola, come se non esistesse, meglio come se non la potessimo, né la dovessimo porre. E questo perché? Perché alla domanda ha già risposto la scienza. Sappiamo da dove veniamo, di chi siamo figli: siamo figli del caos, e se è vero che leggi che possono essere accertate scientificamente governano questo caos, del caos noi siamo figli, o, se non del caos, di quel suo riflesso che è il caso. Siamo figli del caso. La violenza è un fatto. Certo che c’è violenza nel mondo, ma c’è come c’è quell’ultimo orizzonte che non possiamo trascendere. Ci appartiene la violenza, è in noi, sempre di nuovo la evochiamo, basta un niente ed ecco esplode, come se un fondo sub umano ci abitasse, come se da questa brutalità naturale noi provenissimo, come se appunto questo fondo sub umano, questa brutalità naturale, sempre pronta ad esplodere, costituisse un orizzonte intrascendibile. Non è forse vero che veniamo di lì, non ci dice la scienza che veniamo dalla “selva antiqua?” Dallo stato di natura? E che cos’è lo stato di natura se non lo stato in cui la violenza ci fa simili, anzi identici, a quegli esseri che abitano la natura e l’abitano inconsapevolmente, producendo la violenza appunto come produzione inconsapevole di quella volontà di vivere che abita tutti gli esseri naturali? Sembra essere questa la grande parola della filosofia moderna e poi contemporanea, perchè troviamo in essa quasi un vero e proprio ritornello: il risalimento all’origine è precluso, la filosofia pensa a partire da una situazione, da un trovarsi ad essere in un certo modo, a partire da cui soltanto il pensiero è pensiero. Che cosa significa risalire alle origini, ipotizzare fondamenti ultimi? Tutto questo appartiene all’ontoteologia cioè alla pretesa appunto di ragionare ricostruendo il fondamento, la ragione ultima di tutte le cose, in una parola l’origine, quell’origine che non è, o meglio non è se non nella forma che ci è data, e di cui noi facciamo esperienza sapendo di essere quello che siamo, ossia esseri naturali che dallo stato di natura provengono e che nello stato di natura trovano una sorta di ultimo orizzonte, di estremo confine intrascendibile, assolutamente intrascendibile. Da questo punto di vista abbiamo la parola di Hobbes da una parte( lo stato di natura), e la parola di Rousseau dall’altra( lo stato di natura come 1   stato di pura violenza che si tratta di controllare attraverso un patto, i cui contraenti autolimitano la propria libertà in nome del controllo di ciò che è dato: lo stato di natura). Da una parte Hobbes( il Leviatano), e dall’altra Rousseau dicono la stessa cosa anche se sembrerebbero dire due cose completamente diverse. Che cosa dice Rousseau? Dice che lo stato di natura non è il regno del Leviatano, il regno della violenza, è il regno della gioia, è il regno della libertà, è il regno della giustizia. Eppure dicono la stessa cosa. Che cosa? Dicono che quello, lo stato di natura, è un orizzonte che non possiamo trascendere. Lì ci troviamo a vivere. Che questo stato di natura sia uno stato di violenza, o che questo stato di natura sia uno stato tornando nel quale noi ci liberiamo dalla violenza stessa, in definitiva è la stessa cosa, perché è questo stato, questa condizione intrascendibile, e non possiamo affacciarci, per così dire, sulla soglia, su questo stesso orizzonte, e guardare al di là e chiederci: “ Ma noi da dove veniamo? Chi ci ha gettati qui?” O nella lotta o nella gioia edenica: domanda senza senso. Risalire non è possibile. L’orizzonte è chiuso. La violenza non è nient’altro che questo, quella violenza di cui ci parlano anche le cronache, ma che noi conosciamo anzitutto in noi stessi, perciò della violenza non resta che prendere atto come qualche cosa che è connaturato, stato di natura appunto, e che non ci resta che controllare. Sempre di nuovo l’uomo ricade nella violenza, sempre di nuovo l’uomo deve, se non liberarsene totalmente, elaborare delle strategie di controllo. Auschwitz non deve più accadere e invece è accaduto e probabilmente sempre di nuovo accadrà. Questo lo sappiamo, lo sappiamo nei nostri giorni violentissimi, crudelissimi. Su questo non possiamo chiudere gli occhi: sul fatto che Auschwitz sempre di nuovo accade, che sempre di nuovo l’uomo cade dentro quello stato di natura dal quale proviene e dal quale non può evadere. E’ la parola più dura della filosofia contemporanea, nascosta spesso dentro strategie di pensiero molto sofisticate, molto raffinate, ma che questo dicono: l’intrascendibilità della nostra provenienza, dell’orizzonte dal quale proveniamo, tanto è vero che sempre di nuovo cadiamo dentro a questo orizzonte. Difficile immaginare, appunto, una risposta più cupamente ateistica e nichilistica di questa, ma anche più vera, con una sua verità che sembrerebbe difficilmente controvertibile. Non è forse vero che la violenza è in noi, che veniamo di lì? Non ci dice la scienza che in noi ci sono forze che se non teniamo sotto controllo fanno di noi, di chiunque di noi, il peggiore dei delinquenti, e che ciascuno ha in sé questa virtualità negativa e terribile? Ciascuno di noi. Lo vediamo, non solo per le guerre, ma per i casi che la vita ci mette sotto gli occhi: gli adolescenti che uccidono i genitori, il mobbing tra le persone, questo bisogno di farsi reciprocamente male, che cos’è questo se non una radice? Maligna, ma nello stesso tempo naturale, maligna, ma in questa prospettiva senza nessuna ascendenza teologica, perché appunto è lo stato di natura dal quale proveniamo, dentro il quale sempre di nuovo ricadiamo in quanto l’orizzonte è intrascendibile. Che questo sia detto nei termini di Hobbes, o sia detto nei termini di Rousseau, che a partire da Hobbes si elaborino teorie dello stato come strumento, il solo che l’uomo ha per tenere sotto controllo la violenza, che a partire da Rousseau si elaborino invece teorie della emancipazione, della liberazione, del ritorno alla natura, però questo ci dice l’intrascendibilità dello stato di natura. E’ una tesi che ha mille sfaccettature naturalmente, ma molto forte. A questa tesi della intrascendibilità radicale dello stato di natura io credo ci sia una sola obiezione, ma forte, altrettanto forte che la tesi stessa. E questa obiezione è che la violenza dell’uomo sull’uomo, quella violenza che fa dell’uomo un bruto, che lo ricaccia sempre di nuovo nella brutalità dello stato di natura, questa violenza è sempre qualche cosa di più, è sempre qualche cosa di meno che espressione dello stato di natura. Questa è la vera obiezione. E cioè, che cos’è? E’ cosa umana. La violenza fatta dall’uomo non è infatti assolutamente assimilabile alla violenza fatta dall’animale, da una tigre, da un leone feroce. La ferocia che emerge, che affiora, e che trasforma un essere umano in un animale 2   è altra cosa, non è vero che trasforma l’essere umano in animale ( questo è un modo di dire assolutamente sviante, falsificante, anche se sembra corrispondere all’esperienza che ciascuno di noi fa ), questa violenza è altra cosa, perché la violenza dell’uomo ha, per così dire, un segno, una segnatura, quella signatura rerum di cui parlavano gli alchimisti che la vedevano nelle cose stesse, quasi le cose fossero portatrici di simboli entrando in contatto con l’uomo. Ecco, la stessa cosa vale per la violenza umana: essa ha una segnatura che ne fa qualcosa di altro rispetto alla violenza dell’animale, di radicalmente altro, di ontologicamente altro. Perché la violenza dell’uomo non è assimilabile a quella dell’animale? Perché la violenza dell’uomo ha qualcosa come un valore aggiunto, e il valore aggiunto è quello che ci mette l’uomo stesso. Pensate all’uomo, al soldato che uccide, deve farlo, lo fa per difendersi, pensate alla violenza che esplode in una situazione apparentemente normale: sempre c’è qualche cosa di più e di diverso che l’espressione di una aggressività volta a raggiungere uno scopo, raggiunto il quale la stessa violenza, per così dire, ritorna in una quiete, in una pace, la pace del leone che ha divorato la gazzella e si ritrova in pace con sé stesso e con la natura. La violenza dell’uomo, quale che sia, giustificata o non giustificata, ( ma appunto la parola giustificazione è povera) , sempre ha questo valore aggiunto: e il soldato sente il bisogno, ahimè, spesso di sottolineare questo valore aggiunto , irridendo il nemico. Questo è nell’Iliade, come nella cronaca di oggi, di ieri e dell’altro ieri. Nell’Iliade, quando Achille strazia il cadavere di Ettore, sente il bisogno di straziarlo sotto le mura di Ilio, sotto gli occhi delle persone care: ecco quel di più, ecco ciò che fa della violenza umana qualche cosa di radicalmente umano. Nel soldato che aggredisce e umilia l’aggredito, il vinto, il nemico vinto, stuprando la sua donna, per esempio, non c’è mai una pura e semplice espressione pulsionale di qualche cosa, come un bisogno bestiale o animalesco, c’è invece il desiderio di segnare ( parlavo prima di segnatura, di valore simbolico) , c’è il bisogno di umiliare, c’è, in altre parole, l’impossibilità di ricadere nella quiete della violenza che ha raggiunto il suo scopo. Allora, se la violenza dell’uomo non è assimilabile alla violenza della natura, se questo valore aggiunto fa sì che la violenza dell’uomo riveli una sua irriducibilità all’ordine naturale delle cose, allora non è vero che lo stato di natura non può essere trasceso, non è vero che non è possibile affacciarsi sull’ultimo orizzonte e chiedersi: “ Ma da dove vengo io?” Allora non basta dire: “ Io vengo da lì, cioè dalla natura e dalla sua brutalità, io vengo da un altrove”. E’ una contraddizione, perché, se vogliamo dirla con una formula filosofica, la intrascendibilità dello stato di natura chiede di essere trascesa. Il riconoscimento che di lì vengo, che sono impastato di quella pasta, che sono fatto di quel fango, che in me agiscono forze brutali, bestiali, non basta. Non basta perché quelle forze dicono non soltanto la mia provenienza dallo stato di natura, ma da un al di là, che non so che cosa sia, che la filosofia non può dire naturalmente, ma deve cercare. Non mi basta riconoscermi parte della natura, perché questo mio riconoscimento fa cenno, sia pure nella forma della contraddizione, ad un altrove, come se io fossi caduto, come se io di là venissi, e come se soltanto questo movimento potesse spiegare il valore aggiunto che è nella violenza. Ho fatto due esempi, di due grandi filosofi della modernità, Hobbes e Rousseau, i teorici della intrascendibilità dello stato di natura. Farò altri due esempi di grandi filosofi della modernità i quali sostengono quello verso cui sto cercando di condurvi e cioè che l’intrascendibilità dello stato di natura è contraddittoria. Certo l’uomo, con le sue categorie, con i suoi concetti, con ciò di cui dispone, non può uscire dall’orizzonte in cui è venuto a trovarsi, ma patisce, soffre, vive questo suo trovarsi in un orizzonte che è come un carcere per lui, appunto come un essere cacciato lì dentro. Diceva Pascal: “ Io mi guardo intorno, e tutto è confusione, un orribile caos, cerco Dio, ma Dio tace ( il silenzio di Dio), e non solo Dio tace, ma tutto è terribilmente silenzioso, e il silenzio degli spazi infiniti è eterno. Che cosa mi resta, se voglio in questo orribile 3   caos muovermi e sopravvivere? Che cosa mi resta da fare? Prendere atto che le cose stanno così, seguire le leggi del mio paese. Già, ma le leggi del tuo paese sono esattamente l’opposto delle leggi del paese accanto. Che fare? Questa è appunto la prova del caos in cui versiamo. Ma il mio sovrano mi ha ordinato di uccidere quello che sta al di là del fiume. E perché? Perché sta al di là del fiume. Ma è una ragione questa? Eppure lo devo fare, perché, se non mi attenessi alle leggi del mio paese, cadrei in un disordine ancora più grande, non vivrei più”. L’abbiamo visto: l’unica forma di sopravvivenza è quella garantita dall’accettazione dello status quo. Dice: “ Ma io mi guardo intorno. Questo è giusto, che cosa è sbagliato? Nulla è giusto, nulla è sbagliato, tutto lo è. E infatti non c’è atto, non c’è gesto, non c’è comportamento umano, anche il più abietto, che non abbia trovato il suo altare. Sull’altare è stato messo l’incesto, sull’altare è stato messo l’omicidio, sull’altare è stato messo il furto, e così via. Un orribile caos, è quello nel quale l’uomo naturaliter viene a trovarsi: intrascendibilità dello stato di natura”. Ecco allora la contraddizione, ecco il passo in più che fa Pascal: l’intrascendibilità dello stato di natura è inaccettabile, l’intrascendibilità dello stato di natura non può essere vissuta se non come una condanna, e quale maggiore condanna che quella di chi vede che ogni atto, anche il più nefasto, il più delittuoso, ha trovato il suo altare? Quale condanna peggiore di chi constata che è costretto a compiere atti profondamente ingiusti e tuttavia giustificati? “ Vai, uccidi”. “ Perché?” “Perché il tuo sovrano te lo ordina”. Ed è giusto così, o meglio giustificato così, pena un disordine ancora maggiore. Questa è una realtà che non si può non accettare, una realtà che ci dice il nostro essere vincolati ad essa, l’intrascendibilità dello stato di natura, ma una realtà nello stesso tempo vissuta come iniqua, come inaccettabile: non la posso che accettare, ma è inaccettabile. Ecco la contraddizione, e se volessimo dirla filosoficamente, dovremmo dire: “l’intrascendibilità dello stato di natura impone il suo trascendimento”. Da dove vengo io? Da quale paradiso perduto, se soffro così tanto all’interno di una situazione per la quale non vedo via d’uscita? L’intrascendibilità chiede di essere trascesa. Qui la filosofia deve tacere, la filosofia non può che aprirsi ad una dimensione altra. E’ una risposta, come vedete, ben diversa da quella di Hobbes, ed anche da quella di Rousseau. Nasce da Pascal una filosofia religiosa, laddove da Hobbes e da Rousseau nasce una filosofia irreligiosa. Le fedi private dell’uno e dell’altro non sono più in questione, ma è profondamente irreligiosa una filosofia che dice: “ La violenza c’è e non resta che tenerla sotto controllo. Noi non possiamo guardare al di là”. E’ una filosofia profondamente irreligiosa quella che dice che la violenza c’è perché c’è la società. Togliamo questo elemento storico sociale, che inquina, con gli apparati repressivi che la società mette in atto, liberiamoci da tutto ciò, e ritroviamo quella gioia che è lo stato originario dell’uomo: filosofia, in entrambi i casi, con tutte le loro propaggini, da Rousseau a Marcuse, oppure da Hobbes a Smith, filosofia profondamente irreligiosa quella dell’intrascendibilità dello stato di natura, laddove è filosofia profondamente religiosa quella di un Pascal che dalla stessa intrascendibilità ricava, attraverso la contraddizione, l’idea di non poter non trascendere. Anche Vico, che viene spesso interpretato, e giustamente, come il padre dello storicismo, ma è anzitutto teologo cristiano, dice la stessa cosa, cent’anni dopo Pascal, e la dice attraverso l’idea che la menzogna in cui l’uomo si trova a vivere sia l’illusione che “ omnia Iovis plena” , che gli alberi siano dei, che tutto gli parli, che l’universo sia animato da presenze. Se un fulmine cade nella selva antiqua e apre la radura e l’ uomo si illude che un dio gli abbia parlato, non è vero, è un’illusione, è pura idolatria credere che lì si sia avuta una epifania, e tuttavia questa che è la condizione idolatrica che l’uomo non può trascendere. Vico dice: “ Cos’è più vero? Lo stato di natura, dove l’uomo è e non è se non cacciatore e preda? Oppure lo stato di cultura?” Quello stato di cultura che l’uomo costruisce in base ad una simulazione, cioè in base ad una menzogna, illudendosi che gli dei gli abbiano parlato e 4   sulla base di questo messaggio, di questa rivelazione, costruisce appunto le istituzioni, le famiglie, gli stati, la cultura, insomma. Che cos’è più vero? E’ il puro e semplice abitare la natura come l’abitano i bruti, brutalità dello stato di natura, oppure è, attraverso la finzione, diventare uomini? Accedere ad una verità propriamente umana? Anche lì, attraverso la contraddizione, l’uomo è costretto a vedere nella natura una sorta di deiezione, di caduta. Da dove? La filosofia non lo dice, lo dice la rivelazione. Come vedete queste sono ipotesi molto diverse, opzioni filosofiche che sono alla radice del mondo moderno. Voi vi chiederete: “ Tutto questo che cosa c’entra con Eros ethos?” C’entra perché c’entra la contraddizione. E’ la contraddizione che dobbiamo cercare, che dobbiamo interrogare, per capire appunto se noi siamo consegnati ad un destino umano e soltanto umano o se invece questa stessa umanità del nostro destino impone un trascendimento della condizione nella quale ci troviamo: dobbiamo cercare l’origine, ciò che è in principio ma anche ciò che è, per dirla con sant’Agostino, “intimior intimo meo”, più intimo a me stesso di quanto non lo sia io a me. Come sappiamo, Agostino identificava Dio con questo movimento, con l’intimior intimo meo: è Dio che è più intimo a me di quanto io non lo sia a me stesso. Potremmo, parafrasando Agostino, vedere precisamente nel nodo di contraddizione che nello stesso tempo lega e separa eros ethos qualche cosa che può essere definito negli stessi termini. Che eros ed ethos si contraddicano, o meglio si oppongano( l’opposizione e la contraddizione sono due cose diverse) lo so bene, che eros ed ethos si oppongano è cosa abbastanza ovvia. Che cosa indica eros se non l’immediatezza, diciamo pure la gioia di vivere, quella gioia di vivere che non ammette ostacoli di nessun tipo, che chiede soltanto di essere espressa? Eros i Greci, e non soltanto i Greci, lo presentavano come un fanciullo, la divina innocenza, eros come espansione vitale, o per dirla con Kierkegaard come vita immediata, vita che non dà ragione di sé, e noi diremmo oggi ( figli volenti o nolenti, tutti figli di Freud ) “vita pulsionale”, e le pulsioni sono le pulsioni, il bene e il male appartengono ad un altro ordine, ad un’altra dimensione. Ethos è il contrario. Ethos è il “Tu devi”. Ethos è la serietà della vita. Ethos è il dover rispondere di tutto nei confronti di tutti, o quanto meno di sé nei confronti di coloro coi quali si è stretto un patto. Quale opposizione maggiore che quella tra eros ed ethos? Tra l’immediatezza e la mediazione? Tra la libera e gioiosa espansione di sé che non dà ragione, perché è quello che è, è vita immediata, tra la gioia, se vogliamo dire così, e la serietà della vita, ossia il “Tu devi”, questo sì e questo no, perché tu devi rispondere di te nei confronti di tutti gli altri? Ma appunto siamo ancora sul piano dell’opposizione, non ancora della contraddizione. Per scorgere la contraddizione dobbiamo renderci conto che c’è dissidio, cioè c’è intima opposizione sia in eros, sia in ethos. Ed è solo a partire da un’analisi separata delle due forme di esperienza, esperienza erotica ed esperienza etica, che capiremo come l’opposizione diventi una vera e propria contraddizione e capiremo come la contraddizione che abita in ciò che è “intimior intimo meo”, così prossimo a noi da costituire davvero la nostra anima, la nostra carne ( e che cosa se non eros ed ethos? ), come la contraddizione sia proprio in questa prossimità. Ma lo scopriremo appunto esaminando separatamente le due forme. Perché c’è opposizione in eros? L’abbiamo definito come gioioso, libero, come espressione di una vitalità che non conosce ostacoli. Non è forse vero che eros è trasgressione? Ma non carichiamo subito questa parola di un significato morale: no, siamo prima, siamo al di qua della morale. Parliamo dunque di trasgressione nel senso letterale del termine, nel senso di una spinta, di un movimento teso a rompere tutti i vincoli. Quindi siamo ancora sul piano di una fenomenologia che non chiama in causa la morale. Eros è questo transgredior, questo superare il limite che eros stesso pone a sé stesso per essere quello che è. Cosa c’entra la morale con eros, se eros è questo? Come è pensabile un intimo dissidio di eros con eros? I Greci lo hanno pensato. Quando ci troviamo di fronte a queste difficoltà, definita filosoficamente la categoria, 5   sembrerebbe non si dovesse più procedere oltre, invece sappiamo che l’esperienza erotica è molto più complessa, che non è questa pura e semplice, come qualcuno vorrebbe, espressione pulsionale di sé che non dà ragione di sé, bensì un’esperienza terribilmente complessa. E allora come la mettiamo? La filosofia ci dice che è trasgressione, movimento libero verso la liberazione da tutti i vincoli. Il mito, e di nuovo la religione, ci dice che è cosa molto, molto più complessa. E come avevano rappresentato questa complessità i Greci? Attraverso i miti, come sappiamo. I miti sono questo: servono a dire delle cose che la filosofia non riesce a dire, o che il linguaggio comune non riesce a dire. Ci sono tanti miti nella cultura greca che parlano di eros, infiniti, ma non soltanto nella cultura greca, anche in quella indiana, anche in tante altre. Ma alcuni in particolare: intanto quello che identifica eros con Fanes Protogono. Chi è Fanes Protogono? Fanes Protogono è qualcuno, qualche cosa che viene prima della stessa formazione del mondo, e quindi del costituirsi di figure archetipiche nel mondo che sono gli dei; Fanes ( “ fainetai”) è questa accensione originale che fa sì che il mondo, che era, secondo il mito di Fanes Protogono, tutto raccolto in un nucleo simile ad un punto ( pensate a quale profondità di intuizione erano arrivati i Greci), per questa improvvisa accensione si spacchi, si scinda come sotto una spinta, una forza assolutamente sorgiva, che non è governata da figure archetipiche, dagli dei, ma che è assolutamente iniziale. Questa realtà tutta compressa, tutta compresa in un unico punto, per così dire a seguito di questa cosiddetta accensione, esplode, e questa esplosione dà luogo alla terra e al cielo, perciò la terra e il cielo, a partire da questa esplosione, non potranno che sempre di nuovo cercare di ricongiungersi. Urano e Gea, il cielo e la terra, originariamente uniti, a seguito della esplosione cercano di ricongiungersi, grazie a eros, Fanes Protogono, cioè il principio primo, il principio originariamente generatore, che è la luce. Eros è questa accensione, questa forza ricongiungente dei due. Dentro questo mito che cosa scopriamo? Il carattere assolutamente non morale di eros. Eros è quello che è, non è neppure un dio, è luce, è manifestazione, è pura forza esondante, quella pura forza esondante che ciascuno di noi prova in sé, nelle varie forme in cui eros si manifesta, che, come sapevano i Greci, sono infinite. Basta leggere il Simposio per capire come Platone sapesse delle varie forme di eros. Ma che cosa accade? Accade qualche cosa di tremendo, il tremendo che è in eros: accade che nel momento in cui la terra e il cielo si scindono in due, in una sorta di mattino del mondo nasce Afrodite che è la dea dell’amore, che è la dea, a seguito di questa vicenda, chiamata a incarnare, a personificare, la forza originariamente creatrice. Ma chi è Afrodite? E’ la dea della doppiezza, e i poeti greci così l’ hanno descritta: è la dea della felicità, della gioia, della gioia di vivere che non dà ragioni di sé, è la dea al di là del bene e del male, è la dea al di qua del bene e del male. Ma Afrodite è anche la dea che nasconde il tremendo da cui proviene, tanto è vero che lo stesso mito greco ci parla di questo mattino del mondo: e cosa c’è di più bello che il sorgere di Afrodite dalla spuma del mare, che cosa c’è di più innocente, di più incantevole? E tuttavia quella spuma del mare è memoria di un atto di sangue: la spuma del mare è il sangue stilato, e anzi sangue- liquido seminale, stilato dal sesso di Urano, castrato dal suo stesso figlio. Capite che cosa dicono i Greci? Che cosa tiene insieme nell’idea di eros l’uomo greco? Gli opposti: l’innocenza, la perfezione in quanto è l’emergere della vita da sé stessa, la vita che non dà ragione di sé, la vita che è quello che è, al di là del bene e del male, tuttavia su uno sfondo cupo di sangue. Il fanciullo innocente è nello stesso tempo colui che ha memoria del tremendum, con buona pace dei teorici, quanti sono oggi, delle emancipazioni a buon mercato: “Liberatevi dai tabù, abbandonatevi!” Tutte cose belle, per carità, non voglio dire che non ci si debba anche liberare dai tabù, però le cose sono un po’ più complicate: la liberazione( tesi) è necessaria, e tuttavia sta a fronte( antitesi) di qualche cosa come gli orrori delle origini. Quando ci si interroga sul fatto, sul rapporto eros e violenza, per esempio, perché chiudere gli occhi di fronte a 6   questa che è realtà umana, più che umana? Bisogna pensare come hanno pensato i Greci, o come hanno pensato gli Indiani in modo forse meno cupo, in modo meno metafisico, ma altrettanto espressivo, con la figura della donna che volge lo sguardo, dell’amante che raggiunge l’amato ( che è un tema iconografico di molta arte indiana, di molta arte erotica dell’India ), della donna che si butta nel fiume per raggiungere l’amato, ma volge lo sguardo, e questo sguardo è pieno di malinconia per tutto ciò che lascia: siamo fatti di una irriducibile doppiezza, ci dice il mito. Certo che è necessario gettarsi, raggiungere l’amato, ma non ci è dato di farlo ( è la dinamica della trasgressione ), se non volgendo lo sguardo verso tutto ciò che abbiamo perso, che stiamo perdendo, che potrebbe essere la rottura del patto. E questo che cosa vuol dire? Vuol dire che eros, l’innocenza stessa, in modo del tutto contraddittorio, si lega al suo contrario, a qualcosa come la colpa: ecco come eros è portatore di una contraddizione. Ma lo stesso vale per ethos. Ethos è in sé stesso contraddittorio, e sono ancora una volta i Greci che ci dicono questo. Della profondità del mito greco si era accorto Aristotele, per primo, che io sappia, quando, guardando al mito, ha scoperto che la parola greca ethos ( da cui etica, naturalmente, ) si dice in due modi, o meglio si dice in un modo solo ma si scrive in due ( è una anomalia del Greco che forse non ha altri esempi così clamorosi ): ethos in greco si scrive con la ipsilon, e con la eta, e se scritta con la ipsilon vuol dire una cosa, se scritta con la eta vuol dire un’altra cosa, o meglio, vuol dire la stessa cosa , ma un po’ diversa . Se scritta con la eta , ethos fa riferimento alla dimora, alla casa. E allora che cos’è ethos? Ethos è la convenzione, sono gli usi, i costumi, le abitudini, da cui abitus, le virtù, come abiti che indossiamo che ci portano a compiere certe cose, a comportarci in un certo modo. Ma perché ci comportiamo in un certo modo? Perché siamo stati educati, perché abbiamo accolto in noi, essendo stati accolti da una comunità e cioè dalla casa anzitutto, quelle leggi, quei comportamenti, quel modo di vedere, che è proprio di ethos con la eta. Qui a essere privilegiato è il riferimento al sentire comune, alla comunità: ethos come appartenenza ad una comunità, che mi impone di non pensare tanto a me stesso quanto agli altri, di riconoscermi all’interno di una tradizione e così via. Ma se io lo scrivo con la ipsilon, allora vuol dire carattere, che appartiene a me, è solo mio : l’ethos è il mio demone, è qualche cosa che mi dice: “ Tu devi fare questo”. “No”. “ Ma sei contraddetto da tutti, non è accettabile che tu non faccia questo, la società ti condanna”. “ Che mi importa, lo devo fare, perché so, ma in base a quale sapere?” “In base ad un sapere demonico, cioè che non dà ragioni di sé. Sapere di cui io mi faccio carico, costi quello che costi”. Guai se ethos fosse solo sapere demonico, se fosse solo carattere, perché allora l’etica sarebbe una cosa terribile, sarebbe cosa tragica, darebbe luogo a scontri senza fine, senza un terzo che faccia da medio, se è giusto quello che io sento giusto. L’io, la coscienza: se ethos fosse solo questo sarebbe terribile. Ma guai se ethos fosse soltanto quell’altro: abitudine, tradizione, leggi e così via. Facciamo il caso che la società alla quale appartengo, nella quale mi riconosco, mi condanni legalmente e in base a dei principi riconosciuti come giusti, mi condanni per esempio a essere deportato. Immaginate un’ etica che sia soltanto etica pubblica, un’ etica della tradizione condivisa, immaginate di togliere a me o a chi per me il diritto di dire no, anche se la società alla quale appartengo mi condanna, di rivolgermi al mio Dio, per invocarlo, o per bestemmiarlo, dicendo:” Non è giusto”. Non dimentichiamo mai Auschwitz, ma non dimentichiamo mai che tutto quello che è accaduto in quegli anni è accaduto legalmente: le deportazioni erano leggi dello stato tedesco, non si tratta di qualcosa avvenuto nascostamente, bensì di leggi dello stato tedesco. L’etica che fosse soltanto l’etica, la casa della comunità di appartenenza, della polis, dello stato, potrebbe non essere un’etica a sua volta monca, terribilmente manchevole? Già, ma come fanno a stare insieme ethos ed ethos, ethos con la eta e ethos con la ipsilon? Come far stare insieme le leggi della pietà, per esempio, come sa bene Antigone, e le leggi 7   della città? Le leggi di coloro che stanno sotto la luce del sole e le leggi sotterranee, degli dei, che stanno sotto? Contraddizione, la contraddizione di ethos. Voi direte, ma che cosa c’entra questo discorso con la violenza? E’ lo stesso discorso. In che senso? Abbiamo visto, e mi avvio alla conclusione, come la violenza sia un dato di natura, anzi, è la natura che è in noi, è uno stato, tanto è vero che si parla di stato di natura: è quell’emergere di forze oscure, che ci riportano al luogo da cui proveniamo, che è la selva. E’ la linea maestra del pensiero moderno e contemporaneo, e abbiamo visto che non basta dire questo. Le cose non stanno così, perché qui c’è una contraddizione . La contraddizione è sollevata dalla affermazione che la violenza dell’uomo sull’uomo è sì qualche cosa che lo accomuna alla bestia feroce, ma nello stesso tempo è qualche cosa che lo rende irriducibilmente diverso dalla bestia feroce. La violenza è sì cosa che implica la non trascendibilità dello stato di natura, ma questa non può che essere vissuta come condanna che implica il trascendimento. Lo stato di natura è uno stato che io posso pensare solo come stato di gettatezza, avrebbe detto Heidegger. Senonché per Heidegger la gettatezza, la deiezione, il mio trovarmi come gettato in questo mondo, non ha più né capo né coda, non ha più un da dove sono gettato e un verso dove vado. E in questo senso Heidegger in fondo resta all’interno della tradizione tipicamente moderna che ritiene intrascendibile questo stato. Non così là dove questo stato venga vissuto, venga letto, nel suo valore simbolico. Lo dice bene Pascal: “ Tutto è simbolo, quella natura caotica, così confusa, non fa che ricordarmi che questo non può essere il mio mondo, è il mio mondo e per viverci lo devo accettare, e tra questo mondo, e l’infinito, e l’assoluto, un abisso mi separa: non c’è verso, filosoficamente, di costruire un ponte tra il qui e ora, il qui di leggi contraddittorie, e l’origine. Tuttavia, in questo mondo io vivo come uno straniero, come uno che è stato gettato da un altrove, la cui chiave la possiede non la filosofia ma la religione: la caduta, il peccato originale.” Lo stesso discorso vale per la contraddizione, il rapporto contraddittorio di eros ed ethos. Noi vorremmo potere riferirci, così come nel caso della violenza ci siamo riferiti, a qualche cosa di ultimo, qui riferirci a qualche cosa di primo, eros ethos, di prossimo, di propriamente nostro a cui ancorarci, vorremmo poterlo fare. E che cosa se non ancorarci a eros, se non ancorarci a ethos? E’ esperienza che tutti fanno, se pure in forme molto diverse: l’esperienza che vorremmo gioiosa di eros e seria di ethos, e lì restare, restare in questa prossimità, in questa intimità di noi con noi stessi, in definitiva rassicurante. Eros è la gioia: “ Abbandonati”; ethos è il dovere: “ Rispetta”. Già, ma questa intimità, di noi con noi stessi, è contraddittoria, ovvero “intimior intimo meo”. Nel punto in cui noi ci troviamo più intimi con noi stessi, noi siamo per così dire scavalcati, trascesi da un movimento che fa cenno a qualche cosa che è assolutamente altro rispetto a questa pretesa di raccoglierci in una certezza, la certezza di eros e la certezza di ethos. Tanto è vero che non solo eros ed ethos stanno tra loro in opposizione, ma è una opposizione contraddittoria perché il dissidio è sia nella forma dell’esperienza erotica, sia nella forma dell’esperienza etica. “Intimior intimo meo”: qui davvero varrebbe la pena di parafrasare Agostino, e ricordare che nel momento in cui io sono più prossimo a me stesso in realtà sono infinitamente lontano, sono per così dire costretto a trascendere, trascendere me stesso.Sergio Givone. Givone. Keywords: phanes, eros/ethos; phanes protogono, convito di platone, pareyson. storia naturale dell nulla, unelongated history of negation;  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Givone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755894963/in/dateposted-public/

 

Grice e Gobetti – il partito liberale italiano – il partito socialista italiano – filosofi contro il regime --  (Torino). Filosofo. Grice: “Italian philosophy is political in a way pinko Oxonian one ain’t: Gobetti is the exception that DISproves the rule!” -- “Lo Stato non professa un'etica, ma esercita un'azione politica.” (La Rivoluzione Liberale.)  Considerato un degno erede della tradizione filosofico-politica post-illuminista e liberale che aveva guidato molte delle migliori menti dell'Italia dal Risorgimento fino a poco tempo prima, purtuttavia di stampo profondamente sociale e sensibile alle istanze del socialismo e di conseguenza alle rivendicazioni del movimento operaio, fondò e diresse le riviste Energie Nove, La Rivoluzione liberale e Il Baretti, dando fondamentali contributi alla vita politica e culturale, prima che le sue condizioni di salute, aggravate dalle aggressioni subite, ne provocassero la morte prematura a nemmeno 25 anni durante l'esilio francese. Gaetano Salvemini «Era alto e sottile, disdegnava l'eleganza della persona, portava occhiali a stanghetta, da modesto studioso: i lunghi capelli arruffati dai riflessi rossi gli ombreggiavano la fronte. (Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Gobetti»,). Figlio unico di Giovanni Battista, commerciante, e di Angela Canuto, una «piccola donna bruna e tonda, gentile e modesta, capace tuttavia non solo di grande abnegazione per il figlio unico che adorava, ma anche di strenuo lavoro e di sagace giudizio». I suoi genitori, originari entrambi di Andezeno, avevano aperto nel capoluogo piemontese una drogheria nella centrale via XX Settembre. “Mio padre e mia madre avevano un piccolo commercio. Lavoravano diciotto ore al giorno. Il mio avvenire era il loro pensiero dominante. L'impegno del loro lavoro era di arricchire permettersi e permettermi una vita dignitosa. In quanto a me pensavano di dovermi dare un'istruzione, quella che essi non avevano potuto avere.” Dopo gli studi elementari presso la scuola Giacinto Pacchiotti, s'iscrive al ginnasio Cesare Balbo: scrive di sé di quegli anni, in terza persona, che «gli pesava un'amarezza, uno sconforto, che nei ragazzi di dodici anni segnano inquietudini fruttuose. Si vedeva troppo poco stimato, troppo solo, troppo malsicuro del domani. Aveva dei dubbi strani sulle sue stesse attitudini. Un'adolescenza che s'ispirava a motivi così integrali doveva dargli una tragica forza. Trasferitosi poi presso il liceo classicoVincenzo Gioberti, dove conosce Prospero, sua futura moglie, ha per professori Cosmo e Giuliano, un gentiliano che collabora alla rivista L'Unità  Salvemini. Questi gli ispira quei sentimenti di patriottismo e di interventismo democratico che sono propri del Salvemini, spingendolo ad anticipare di un anno l'esame di maturità per poter così andare, libero da impegni, volontario nella prima guerra mondiale. Luigi Einaudi La guerra è ormai conclusa s'iscrive a Torino, la stessa che egli aveva già frequentato, ancora liceale, per seguirvi alcuni corsi di filosofia. Tra i suoi insegnanti vi sono Einaudi, da cui «rafforza il suo primitivo, spontaneo anti-statalismo, in cui s'incontrano liberalismo, liberismo e quello stesso libertarismo che gli è congeniale --, Farinelli, Mosca, Prato, Ruffini e Solari, con il quale sosterrà la tesi di laurea, “La filosofia politica di VAlfieri.  Non solo: a settembre aveva scritto all'amica Ada di aver deciso di fondare un periodico che s'occuperà di filosofia, questioni sociali è fatto di soli giovani si tratta di opera di intensificazione di cultura e di azione e tutti i giovani devono aiutarla. Esce il primo numero del quindicinale “Energie Nove” nel quale scrive di voler «ortare una fresca onda di spiritualità nella gretta cultura di oggi non c'è mai momento inopportuno per lavorare seriamente.  Ispirata alle idee liberali di Einaudi, è vicina all'Unità di Salvemini, del quale riporta, nel secondo numero, l'aspra critica alla classe dirigente. L'Italia ha vinto. Ma se avesse avuto una classe dirigente meno incolta, più consapevole delle sue tradizioni e dei suoi doveri, meno avida moralmente, l'Italia avrebbe vinto assai prima e assai meglio. È finita o sta per finire una guerra. Ne comincia un'altra. Più lunga, più aspra, più spietata. L'altra «guerra più lunga e spietata è quella della riforma del Paese, una riforma che dev'essere, nelle sue intenzioni Gobetti, innanzi tutto culturale e morale, e per la quale occorre serietà e intensità al lavoro secondo i motivi di quellidealismo militante che ha animato La Voce di Prezzolini, altro nume ispiratorei.  Era doveroso partecipare in prima persona al dibattito politico e intellettuale contemporaneo. Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Piero Gobetti. Sospende la pubblicazione della rivista per poter partecipare, a Firenze, al I Congresso degli Unitari, i sostenitori della rivista di Salvemini, della quale egli è fondatore e rappresentante del Gruppo torinese. Può così conoscere di persona l'intellettuale pugliese e ne è entusiasta. “Salvemini è un genio.” “Me lo immaginavo proprio così. L'uomo che sviscerale questioni, che la fa smettere agli importuni e ti presenta tutte le soluzioni in due minuti, definitive.” “Un'altra persona di cui sono entusiasta è Prezzolini, franco, semplice, pratico.” “Editore propriamente come lo pensavo io.” “L'editore più intelligente d'Italia.” A seguito del Congresso, gli Unitari fondano la Lega democratica per il rinnovamento della politica nazionale, una formazione politica che non riuscirà nemmeno a presentarsi alle elezioni e avrà vita breve. Alle elezioni politiche dell'anno seguente, Salvemini si candiderà con successoin una formazione di ex-combattenti.  Salvemini deve aver compreso le qualità di Gobetti se arriva a offrirgli la direzione de L'Unità, una proposta che però, lascia cadere. Non si sente pronto per tanto impegno, come scrive nel suo diario: “Com'è vasta la cultura che devo conquistare!” E non basta conquistare il vecchio. Sono giovane e devo anche produrre, creare quel po' che si può creare. Ho tutta la vita davanti per sedermi in campagna, davanti al camino, a mangiare pane e noci. Ho una responsabilità. Devo espormi in prima persona. Perciò faccio la rivista. Voglio impormi nel lavoro». E s'impone un piano di studi. “Gentile, ciò che non conosco ancora, rileggerò Croce avvierò lo studio del Marxismo. Per ora non mi preme. Basta che mi formi un'idea generale di Marx e della critica marxista (Sorel, Labriola, ecc.). “D'altra parte studio il bolscevismo, minutamente». Un suo grande ispiratore fu certamente il socialista Jaurès.   Il primo numero di Energie Nove Queste note sembrano riflettere anche la polemica che, appena riprese le pubblicazioni, Energie Nove aveva avuto con L'Ordine Nuovo al tempo sprezzantemente definito dallo stesso Gobetti un «giornaletto torinese di propaganda» di Togliatti, che aveva accusato Gobetti di idealismo astratto, e di Gramsci, che aveva definito velleitaria la Lega democratica, un ricettario per cucinare la lepre alla cacciatora senza la leper. Ora ivi è il segno di un'inquietudine nuova, provocatagli dall'esperienza della rivoluzione russa e dallo sviluppo del movimento operaio, molto attivo a Torino. Pubblica due numeri unici sul socialismo, conosce personalmente Gramsci, stimandolo e venendone apprezzato, del quale pubblica un articolo, studia il russo con la fidanzata Ada insieme curano “Il figlio dell'uomo” di Andreev, pubblicato dall'editore Sonzogno ed scrive, criticando la politica sviluppata da d'Annunzio in forma di retorica, che la politica oggi deve essere realizzata come forma di educazione. La simpatia che io provo per Trotzchi [sic] e Lenin sta nel fatto che essi in un certo modo sono riusciti a realizzare questo valore. Sebbene restio a sposarla (emblematica fu la risposta «Grazie, non fumo…»), nella considerazione del rapporto con la fidanzata si rivela anche la sua profonda maturità e serietà morale: Ho dovuto rifarmi un senso morale, un senso della vita forte a sedici anni, in gran parte a diciassette, e siccome me lo son fatto pensando a lei, gliene sarò grato sempre. Una fanciulla come io la sognavo sola poteva darmi un senso immediato di elevazione. Ho creduto in lei e la amo tanto perché mi fa credere ancora adesso. La rivista Energie Nove cessa le pubblicazioni. Sentivo bisogno di maggiore raccoglimento e pensavo una elaborazione politica assolutamente nuova, le cui linee mi apparvero di fatto nel settembre al tempo dell'occupazione delle fabbriche. Devo la mia rinnovazione dell'esperienza salveminiana al movimento dei comunisti torinesi da una parte (vivi di un concreto spirito marxista) e dall'altra agli studi sul Risorgimento e sulla rivoluzione russa che ero venuto compiendo in quel tempo», e in giugno si consuma anche il distacco con la Lega democratica degli amici di Salvemini. Continua le traduzioni dal russo ed intraprende quelle dal francese dei modernisti Blondel e Laberthonnière lo studio sulla filosofia di quest'ultimo gli è suggerito da Solarie cerca di rintracciare le radici del Risorgimento italiano studiando la cultura piemontese del Sette-Ottocento. Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un ordine nuovo. Non sento in me la forza di seguirli nell'opera loro, almeno per ora. Ma mi par di vedere che a poco a poco si chiarisca e si imposti la più grande battaglia del secolo. Allora il mio posto sarebbe dalla parte che ha più religiosità e spirito di sacrificio. (Piero Gobetti, lettera ad Ada Prospero). Quando, ai primi di settembre, la FIAT e le altre maggiori fabbriche torinesi sono occupate dagli operai, Gobetti scrive: Qui siamo in piena rivoluzione. Io seguo con simpatia gli sforzi degli operai che realmente costruiscono un mondo nuovo il mio posto sarebbe necessariamente dalla parte che ha più religiosità e volontà di sacrificio. La rivoluzione si pone oggi in tutto il suo carattere religioso. Si tratta di un vero e proprio grande tentativo di realizzare non il collettivismo ma una organizzazione del lavoro in cui gli operai o almeno i migliori di essi siano quel che sono oggi gli industriali». Si tratta, a suo avviso, di una rivoluzione che se non rinnoverà gli uomini, e perciò neanche la nazione, potrà almeno rinnovare lo Stato, creando una nuova classe dirigente: «si può rinnovare lo Stato solo se la nazione ha in sé certe energie (come ora appunto accade) che improvvisamente da oscure si fanno chiare e acquistano possibilità e volontà di espansione».  La presa di distanza dall'azione politica di Salveminila sua ammirazione personale nei suoi confronti resterà comunque intattaè ora piena: gli rimprovera, come scriverà pochi anni dopo, diintendere l'azione politica unicamente come «una questione di morale e di educazione»: il suo «moralismo solenne, mentre costituisce il suo più intimo fascino, appare il segreto delle sue debolezze, La sua concezione razionalista si risolve in un'azione di illuminismo e di propagandismo, che può riuscire utile a una società di cultura, non a un partito».  Prosegue i suoi studi sul Risorgimento e sulla Russia, terminando in ottobre La Russia dei Soviet: è la volontà di comprendere funzioni e limiti di due esperienze rivoluzionarie, al cui centro è sempre il problema della formazione della classe politica che diriga un Paese e dei suoi rapporti con la popolazione. Ne conclude che il Risorgimento non può considerarsi un'esperienza rivoluzionaria, dal momento che i dirigenti politici che espresse rimasero estranei rispetto al popolo, diversamente dalla rivoluzione sovietica che, a suo avviso, ha espresso dirigenti come Lenin e Trotskij, che non sono soltanto dei bolscevichi, ma «uomini d'azioni che hanno destato un popolo e gli vanno ricreando un'anima» e, del resto, la creazione dal basso di un nuovo Stato, nel quale il popolo abbia fiducia proprio in quanto avvertito come opera propria, «è essenzialmente un'affermazione di liberalismo»  Sono concetti ripresi in un articolo pubblicato su L'Educazione nazionale, il Discorso ai collaboratori di Energie Nove, nel quale individua nel movimento operaio un «valore nazionale»: la novità, venuta dalla Russia e che sembra farsi strada anche in Italia, consiste nel fatto che «il popolo diventa Stato. Nessun pregiudizio del nostro passato ci può impedire la visione del miracolo. Questo non avrebbero fatto i liberali, questo non possono fare dei marxisti. Il movimento operaio è un'affermazione che ha trasceso tutte le premesse. È il primo movimento laico d'Italia. È la libertà che s'instaura».  Il suo avvicinamento alle posizioni dei giovani comunisti dell'Ordine Nuovo ha anche il concreto effetto di una collaborazione e Gobetti diventa il critico teatrale della rivista. A luglio, a Torino, deve assolvere gli obblighi di leva: «la vita militare è la consacrazione di tutti gli egoismi e di tutte le meschinità la meccanicità pervade ogni forma di vita; tutto si riduce a elemento, a vegetazione. La caserma è l'antitesi del pensiero. Esce il primo numero della sua nuova rivista settimanale, La Rivoluzione liberale, in cui collaboreranno spesso anche Fortunato, Gramsci e Sturzo: l'obiettivo, come indicato nell'Avviso ai lettori, è pur sempre quello di Energie Nove, ossia di formare una classe politica nuova ma, ora si aggiunge, che sia cosciente delle esigenze sociali nascenti dalla partecipazione del popolo alla vita dello Stato. E poiché l'Unità di Salvemini ha cessato le pubblicazioni, La Rivoluzione Liberale intende proseguire quegli sforzi di riorganizzazione morale che nell'Unità si avvertirono. E nel Manifesto inaugurale espone il programma della rivista. La Rivoluzione Liberale pone come base storica di giudizio una visione integrale e rigorosa del nostro Risorgimento; contro l'astrattismo dei demagoghi e dei falsi realisti esamina i problemi presenti nella loro genesi e nelle loro relazioni con gli elementi tradizionali della vita italiana; e inverando le formule empirico-tradizionaliste del liberismo classico all'inglese, afferma una coscienza moderna dello Stato, che prenda in considerazione anche i più sottili, ma non di certo trascurabili, trapassamenti dialettici della storia. Vi pubblica la Storia dei comunisti torinesi scritta da un liberale e a maggio dedica un numero intero all'emergente movimento fascista. Il mese successivo consegue la laurea e, l'anno seguente, pubblicherà la sua tesi sull'Alfieri. E vivamente colpito dagli scritti del patriota e federalista italiano Cattaneo, del quale è uscita in quei giorni un'antologia curata da Salvemini, che egli incontra a Torino. Su Cattaneo ci siamo intesi, egli è assai vicino alle idee che gli ho espresso. Su Cattaneo scrive un articolo sull'Ordine Nuovo sono i giorni della devastazione fascista della sede della rivista comunista firmandosi Giuseppe Baretti: rappresentante della critica del processo unitario risorgimentale, Cattaneo fu emarginato dalla classe dirigente moderata. Eppure Cattaneo avversò non l'unità, ma l'illusione di risolvere con il mito dell'unità tutti i problemi che invece si potevano intendere soltanto nella loro specifica realtà autonoma, regionale senza atteggiarsi a profeta, senza l'enfasi dell'apostolo, capì che il fondare una nazione non era impresa di letterati entusiasti, cercò nelle tradizioni un linguaggio di serietà, un ammaestramento di cautela. E lo condannarono alla solitudine e all'impopolarità, e diedero a lui, uomo positivo e realista, un ufficio di Cassandra, predicante al deserto. Favorito dall'inerzia dei Savoia e dalla complicità dei dirigenti liberali, il fascismo procede alla conquista del potere e Gobetti non s'illude che con esso si possa venire a compromessi e lo si possa acquistare alla causa democratica. Scrive L'elogio della ghigliottina: bisogna sperare «che i tiranni siano tiranni, che la reazione sia reazione, che ci sia chi abbia il coraggio di levare la ghigliottina, che si mantengano le posizioni fino in fondo. Chiediamo le frustate, perché qualcuno si svegli, chiediamo il boia, perché si possa veder chiaro» e che «noi siamo come la dura scorza di una noce: proteggeremo i nostri ideali dalla sopraffazione con tutte le nostre forze e fin quando possibile».  Sposa Prospero: vanno ad abitare nella sua casa natale di via XX Settembre 60, che diviene anche la sede della casa editrice che egli fonda, col suo nome: la Gobetti editore, che pubblicherà, in poco più di due anni, oltre cento titoli. In qualità d'editore, Gobetti porta in Italia, traducendoli, alcuni dei libri e degli autori simbolo del pensiero liberale classico, come  Mill. È tra i primi a pubblicare i libri di Einaudi ed è lui a pubblicare la prima edizione di Ossi di seppia, una delle più famose raccolte di poesia di Montale. I libri editi furono in molti casi dati alle fiamme o comunque distrutti sotto il fascismo e, per questo motivo, sono in molti casi introvabili, come il volume dedicato al socialista Matteotti, di cui esistono pochissime copie.  Tutti i suoi libri riportano in copertina un motto liberale, scritto in greco antico in modo circolare, che recita testualmente "Cosa ho a che fare io con gli schiavi?". Gobetti e Prospero si trasferiranno poi in via Fabro 6, attuale sede del Centro di studi a lui intitolato. E arrestato perché sospetto di appartenenza a gruppi sovversivi che complottano contro lo Stato. Rilasciato cinque giorni dopo, subisce un nuovo arresto, provocando un'interrogazione parlamentare alla quale il governo risponde che era stato redattore dell'Ordine Nuovo di Torino, giornale anti-nazionale; la rivista che egli dirige, conduce da tempo una campagna contro le istituzioni e il governo fascista; il prefetto si è perciò sentito in diritto di far operare una perquisizione e il fermo di Gobetti per misure di ordine pubblico».  Gobetti replica con una lettera ai giornali, ribadendo la sua funzione di oppositore del fascismo, e aggiunge, nei libri stampati dalle sue edizioni, il motto «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Dopo aver preso le distanze dal Prezzolini, che ha scelto il disimpegno di fronte al fascismo, rinnega anche il suo originario gentilismo. Gentile è incapace di dar ragione di ogni fatto politico, nel suo semplicismo pratico la filosofia gentiliana mostra caratteristicamente i suoi limiti e la nessuna aderenza al reale. Le tematiche liberali maggiormente sentite trovano una prima e ultima sistemazione in La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, frutto maturo delle esperienze giornalistiche precedenti, dato alle stampe. L'opera è divisa in quattro parti: L'eredità del Risorgimento, La lotta politica in Italia, La critica liberale, Il fascismo. La fretta con cui vuol dare alle stampe questo saggio di lucida analisi politica gli impedisce di curare bene le parti marginali.  Così succede che "L'eredità del Risorgimento" venga solo abbozzata: «Il problema italiano non è di autorità, ma di autonomia: l'assenza di una vita libera fu attraverso i secoli l'ostacolo fondamentale per la creazione di una classe dirigente, per il formarsi di un'attività economica moderna e di una classe tecnica progredita. Un Risorgimento calato dall'alto, che di popolare non aveva nulla. La sfida era riempire di liberalità le istituzioni liberali formalmente create. Nel primo dopoguerra assiste a qualcosa di assolutamente nuovo: la nascita dei partiti di massa (Partito Popolare Italiano e Partito Comunista d’Italia saranno una prima versione dei due partiti più importanti della cosiddetta Prima Repubblica. Ma questo non basta. Per anni la lotta politica non riuscì a dare la misura della lotta sociale. Una cosa erano le questioni politiche, un'altra le esigenze sociali, ma queste «non possono essere separate dalla politica al pari di come un felino astuto non si ciberà del formaggio ma ne farà da esca per il topo». La seconda parte si divide in sei capitoli. Ciascun capitolo è un fattore della lotta politica: sono presenti liberali e democratici, popolari (sviluppate le figure di Toniolo, Meda e Sturzo), socialisti, comunisti (grande spazio dato a Antonio Gramsci), nazionalisti (emblematico il pensiero di Alfredo Rocco) e repubblicani. La terza parte è il cuore pulsante del saggio: una proposta concreta per fare politica senza dimenticare la società. La lotta di classe è per Gobetti strumento di formazione di una nuova élite, una via di rinnovamento popolare. Insomma, la lotta politica deve essere lotta sociale. In politica ecclesiastica, si rifà alla pregiudiziale cavouriana della laicità, come necessità da mantenere (cosa che verrà invece negata dai Patti Lateranensi). Per la discussione sulle modalità d'elezione,  è convinto fautore della proporzionale. Il collegio uni-nominale aveva corrotto il rappresentante in tribuno.  Solo con la proporzionale gli interessi si organizzano, così che l'economia venga elaborata dalla politica. Di grandissima attualità è la parte dedicata al problema dei contribuenti. Il contribuente italiano paga bestemmiando lo Stato. Non ha coscienza di esercitare, pagando, una vera e propria funzione sovrana. L'imposta gli è imposta. Una rivoluzione di contribuenti in Italia in queste condizioni non è possibile per la semplice ragione che non esistono contribuenti. Era quindi necessario per lui raggiungere una maggiore maturità economica e sociale. Il popolo doveva comprendere l'importanza di contribuire nello Stato, e imparare il valore dell'onestà. Per questo richiama attenzione sul problema scolastico. In un mondo fatto per grossa parte da analfabeti o semi--analfabeti, la questione era fondamentale. Manca un numero sufficiente di maestri, perciò si sarebbe dovuto mobilitare chiunque in grado di saper insegnare (anche preti, massoni, bolscevichi e così via).  La questione non evita di trattare l'aspetto economico. Contro il parassitismo pensa che fosse utile tagliare stipendi e investimenti, così da distinguere la vocazione all'insegnamento dalla vocazione al parassitare. In politica estera prospetta un ruolo importante per l'Italia a Versailles. E convinto della possibilità di ottenere un buon accordo attraverso una mediazione. Nella quarta ed ultima parte vi è una rapida esposizione del perché si oppone con ogni mezzo al fascismo. Si è detto che per l'autore la lotta sociale deve essere portata in Parlamento e dar vita a una lotta politica efficiente ed efficace. Mussolini invece fece in modo da soffocare la lotta politica, quando questa più di ogni altra cosa era necessaria all'Italia. Così il Duce e «l'eroe rappresentativo di questa stanchezza e di questa aspirazione di riposo» che si esplicava nel tacito consenso della popolazione allo sradicamento di ogni lotta politica nella nazione. In modo profetico, da esperto conoscitore del pensiero di Hegel qual era, prevede e mette in guardia delle conseguenze della concessione del potere a Mussolini secondo le dinamiche della dialettica “servo-signore” ipotizzando una guerra civile imminente. Il saggio è fortemente militante. Nella nota a conclusion, è chiaro: cerca collaboratori, non lettori. vuole la "rivoluzione liberale", cioè un nuovo liberalismo; nutre una forte avversione per il fascismo, anche perché non è qualcosa di nuovo ma, anzi, il risultato ottenuto da coloro che hanno governato l'Italia: è quindi una condanna della vecchia classe dirigente liberale.  Il fascismo nasce dall'invadenza del cattolicesimo e dalla demagogia dell'Italia liberale: Fascismo come autobiografia della nazione, il fascismo è, insomma, solo l'incancrenirsi dei mali tradizionali della società italiana. La società tradizionale italiana re-agisce sostenendo una forza conservatrice come quella del fascismo, anche se in realtà qualcosa di buono nell'Italia del primo dopo-guerra vi era stato: il proletariato (soprattutto quello torinese) che tenta di assumere su di sé la responsabilità di mutare lo stato delle cose. La borghesia ha perso ogni funzione propositiva. La borghersia è una classe parassitaria che si è adagiata e aspetta tutto dallo Stato. Si blocca così ogni istanza di rinnovamento. La funzione liberale e libertaria è assunta dal proletariato. Le considerazioni politiche di risentono della sua opinione sulla storia italiana, in “Risorgimento senza eroi” Gobetti descrive questo periodo come un'epopea patriottarda di cui simbolo è Mazzini (tante parole, pochi fatti): al Risorgimento sono mancati il pragmatismo e il realismo.  Ci sono due eroi nel Risorgimento e sono Cattaneo e Cavour, due figure assai distanti tra loro ma accomunabili per il loro pragmatismo: Cattaneo gli piace a per la sua volontà di operare, per la capacità di propugnare istanze pragmatiche e vuote di retorica. Cavour è uomo che media per raggiungere degli obiettivi, ha mire di lungo periodo. Il Risorgimento di Cattaneo è sconfitto, ma non quello di Cavour. Entrambi, però, hanno instillato nella società italiana lo spirito della competizione e l'ideale di assunzione di responsabilità. La società italiana si regge su ruoli e cariche già predefiniti, è statica e stagnante: il proletariato, però, si ribella a ciò, rifugge situazioni già prestabilite per costruire una società nuova in cui ciascuno sarà libero di esprimersi.  La persecuzione, l'esilio e la morte. Si reca in Francia, a Parigi e poi a Palermo, per incontrare alcuni amici conosciuti durante il recente viaggio di nozze. I suoi spostamenti sono seguiti dalla polizia italiana e, Mussolini telegrafa al prefetto di Torino, Palmieri: “Mi si riferisce che noto Gobetti sia stato recentemente a Parigi e che oggi sia a Palermo. Prego informarmi e vigilare per rendere nuovamente difficile vita questo insulso oppositore di governo.” Il prefetto obbedisce. Viene percosso, la sua abitazione perquisita e le sue carte sequestrate. Come scrive a Lussu, la polizia sospetta che egli intrattenga rapporti in Italia e all'estero per organizzare le forze antif-asciste.  È il giorno che precede la scomparsa di Matteotti, il cui corpo verrà ritrovato solo in agosto, ma subito si ha la certezza che si tratti di un omicidio perpetrato da sicari fascisti. Ne traccia un profile. Non ostenta presunzioni teoriche: dichiara candidamente di non aver tempo per risolvere i problemi filosofici perché doveva studiare i bilanci e rivedere i conti degli amministratori socialisti vide nascere nel Polesine il movimento fascista come schiavismo agrario, come cortigianeria servile degli spostati verso chi li paga; come medievale crudeltà e torbido oscurantismo  Sente che per combattere utilmente il fascismo nel campo politico occorre opporgli esempi di dignità con resistenza tenace. Farne una questione di carattere, di intransigenza, di rigorismo. Auspica, dalle colonne della sua rivista, la formazione di "Gruppi della Rivoluzione Liberale", formati da uomini di tutti i partiti anti-fascisti, che combattano il fascismo, questo fenomeno politico che trae i motivi del suo successo e della sua conservazione dalla creazione di «un esercito di parassiti dello Stato». Occorre, a questo scopo, formare un'economia moderna con un'industria libera da ogni protezionism e da ogni paternalismo di Stato e con una classe proletaria politicamente intransigente aiutare i partiti seri e moderni a liberarsi dei costumi giolittiani. La guerra al fascismo è questione di maturità storica, politica, economica. Questi articoli e quello in cui accusa il deputato fascista, grande invalido di guerra, Delcroix, di manovre parlamentari definite aborti morali, provocano il sequestro della rivista ed una violenta aggressione da parte di uno squadrone fascista. Persino un articolo di Fiore contro il criminale fascista Dumini, apparso su La Rivoluzione Liberale, fornisce il pretesto al prefetto di Torino di sequestrare la rivista. Con Fiore e conDorso pubblica un Appello ai meridionali e con il Saluto all'altro Parlamento appoggia l'iniziativa aventiniana, dalla quale si aspetta un'opposizione intransigente e un esempio di rinnovamento dei costumi parlamentari italiani.  Fonda una nuova rivista, Il Baretti, alla quale collaborano, tra gli altri, Monti, Sapegno, Croce e Montale. Come La Rivoluzione Liberale è dedicata a temi storico-politici, così la nuova rivista vuole essere riservata alla critica letteraria e all'estetica. Il riferimento a Baretti, letterato italiano vissuto a lungo all'estero, e alla sua Frusta letteraria, esempio di polemica vivace e irriverente, sottintende, scrive nel numero d'esordio, «una volontà di coerenza con le tradizioni di battaglia contro culture e letterature costrette nei limiti della provincia, chiuse dalle frontiere di dogmi angusti e di piccole patrie».  In ossequio alle direttive mussoliniane, proseguono i sequestri della sua rivista. Rimedieremo ai sequestri rifacendo l'edizione, scrive Gobetti e anche quel numero viene sequestrato con il pretesto di scritti diffamatori dei poteri dello Stato e tendenti a screditare le forze nazionali. Cura La Libertà di Mill, con la prefazione di Einaudi, il quale scrive che quando, per fiaccare la voce dei ribelli, si assevera dai dominatori la unanimità del consenso, giova rileggere i grandi libri sulla libertà. Anche produrre citazioni di scrittori del passato che non collimino col pensiero del Regime può essere tendenzioso e perciò provocare il sequestro della rivista. E arrestato Salvemini, che ha pubblicato sul foglio clandestino Non Mollare l'articolo Mussolini il mandante. Altri sequestri de La Rivoluzione Liberale avvengono. Un periodo di serenità per Piero e la moglie Ada che aspetta un bambino è rappresentato da un viaggio a Parigi e a Londra. A Parigi pensa di stabilire una sua casa editrice: «Credo che solo da Parigi, solo in francese, solo con la solidarietà dello spirito francese un italiano possa fare con utilità un'opera pratica di intelligenza europea. S'intende senza chauvinisme francese. D'altra parte, intende ancora rimanere in Italia. Rimarrò in Italia fino all'ultimo. Sono deciso a non fare l'esule.  A metà agosto fanno ritorno a Torino e è nuovamente vittima dei pestaggi squadristi, ma è ancora intenzionato a rimanere in Italia. Bisogna amare l'Italia con orgoglio di europei e con l'austera passione dell'esule in patria, scrive nell'articolo Lettera a Parigi, per capire con quale serena tristezza e inesorabile volontà di sacrificio noi viviamo nella presente realtà fascista. Le nostre malattie e le nostre crisi di coscienza non possiamo curarle che noi. Dobbiamo trovare da soli la nostra giustizia. E questa è la nostra dignità di anti-fascisti. Per essere europei dobbiamo su questo argomento sembrare, comunque la parola ci disgusti, nazionalisti.  Poiché i ripetuti sequestri a nulla hanno valso, e che il periodico in parola, sotto l'aspetto di critiche e di discussioni politiche, economiche, morali e religiose, che vorrebbero assurgere ad affermazioni e sviluppi di principi dottrinari, mira in realtà, con irriverenti richiami, alla menomazione delle Istituzioni Monarchiche, della Chiesa, dei Poteri dello Stato, danneggiando il prestigio nazionale, e nel complesso può dar motivo a reazioni pericolose per l'ordine pubblico, persistendo in violazioni sempre più gravi ai vigenti decreti sulla stampa», il prefetto d'Adamo diffida «il Direttore responsabile del periodico La Rivoluzione Liberale,  ai sensi e per gli effetti di cui all'art.” ad adeguarsi alle direttive del Regime e poiché l'8 novembre la rivista disattende l'ordine, il prefetto ingiunge la cessazione definitiva delle pubblicazioni e la soppressione della stessa casa editrice per attività nettamente anti-nazionale. D'ora in avanti sarò palesatamente costretto all'infelice dissenso. La libertà d'opinione è stata soppressa come una rete che viene sradicata: senza possibilità di dialogare sono destinato ad essere sopraffatto. A cosa serve più, ora, fare finta? Gobetti, che ora soffre anche di scompensi cardiaci, provocati o aggravati dalle violenze subite, pensa di lasciare l'Italia per proseguire in Francia l'attività editoriale. Nasce a Torino il figlio Paolo, che durante la seconda guerra mondiale diventerà partigiano e poi giornalista per l'Unità, oltreché storico del cinema. Scrive una lettera a Fortunato. Parto per Parigi dove farò l'editore francese, ossia il mio mestiere che in Italia mi è interdetto. A Parigi non intendo fare del libellismo, o della polemica spicciola come i granduchi spodestati di Russia; vorrei fare un'opera di cultura, nel senso del liberalismo europeo e della democrazia moderna. Parte da solo per Parigi. Alla stazione di Genova viene a salutarlo  Montale. Si ammala di una bronchite, che esacerba gravemente i suoi problemi cardiaci. Trasportato in una clinica di Neuilly-sur-Seine, vi muore assistito da Fausto, Nitti, Prezzolini e Emery. È sepolto nel cimitero parigino di Père-Lachaise.  Saggi:“La filosofia politica di Alfieri” (Torino, Gobetti); “La frusta teatrale, Milano, Corbaccio, Felice Casorati. Pittore, Torino, Gobetti, “Dal bolscevismo al fascismo: note di cultura politica” (Torino, Gobetti); Il teatro di Enrico Pea, in Enrico Pea, Rosa di Sion, Torino, Gobetti, Matteotti, Torino, Gobetti, Postfazione di M. Scavino, Edizioni di Storia e Letteratura, col titolo Per Matteotti. Un ritratto, Il Melangolo, Genova, “La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Bologna, Cappelli,  Opere edite e inedited; “Risorgimento senza eroi” “Piemonte nel Risorgimento, Torino, Baretti, Paradosso dello spirito russo, Torino, Baretti, Opera critica “Arte, religione, filosofia, Torino, Baretti, Teatro, letteratura, storia, Torino, Baretti,  Scritti attuali, Roma, Capriotti, Coscienza liberale e classe operaia, P. Spriano, Torino, Einaudi, Opere complete, Scritti politici, P. Spriano, Torino, Einaudi,  Scritti storici, letterari e filosofici, Spriano, Torino, Einaudi, Critica teatrale, Guazzotti e Gobetti, Torino, Einaudi, L'editore ideale. Frammenti autobiografici con iconografia, F. Antonicelli, Milano, All'insegna del pesce d'oro, Energie nove, Torino, Bottega d'Erasmo, Baretti, Torino, Bottega d'Erasmo, Lettere dalla Sicilia, nota di G. Chimirri, introduzione di N. Sapegno, Palermo, Nuova editrice meridionale,  Nella tua breve esistenza. Lettere on Ada Gobetti, E. Perona, Collana NUE Torino, Einaudi, Collana Piccola Biblioteca. Nuova serie, Einaudi, Con animo di liberale. Gobetti e i popolari. Carteggi Bartolo Gariglio, Milano, F. Angeli, Dizionario delle idee, Bucchi, Roma, Riuniti, Antifascismo etico. Elogio dell'intransigenza, M. Gervasoni, Milano, M&B Publishing, Carteggio Ersilia Alessandrone Perona, Torino, Einaudi, Che ho a che fare io con i servi? Zibaldone politico, Reggio Emilia, Aliberti,  Il giornalista arido Articoli Collana Classici idel giornalismo, Torino, Aragno,  Carteggio Ersilia Alessandrone Perona, Torino, Einaudi,,  Biografia di Gobetti  M. Brosio, Riflessioni su Gobetti, Gobetti, L'editore ideale, P. Gobetti, L'editore ideale, c N. Bobbio, Italia fedele. Il mondo di Gobetti, Nella tua breve esistenza. Lettere Gobetti, Energie Nove,  Lettera ad Ada Prospero, Nella tua breve esistenza,  Diario, L'editore ideale, Carlo Levi, in «Introduzione agli Scritti politici Togliatti, I parassiti della cultura, in «L'Ordine Nuovo», Gramsci, Contributi a una nuova dottrina dello stato e del colpo di stato, in «L'Ordine Nuovo», Nella tua breve esistenza, cAlberto Cabella, Elogio della libertà. Torino, Il Punto, L'editore ideale, Gobetti, Rivoluzione liberale, Nella tua breve esistenza, Gobetti, La Rivoluzione liberale, in «Scritti politici», Scritti politici,  Nella tua breve esistenza, Manifesto della Rivoluzione Liberale,  Nella tua breve esistenza, La rivoluzione Liberale, Elogio della Ghigliottina,  Dizionario Biografico degli Italiani  La Rivoluzione Liberale, I miei conti con l'idealismo attuale, Gobetti, La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, C. Levi, in «Introduzione agli Scritti politici di Gobetti», La Rivoluzione Liberale, Gruppi della Rivoluzione Liberale, La Rivoluzione Liberale, Come combattere il fascismo, A. Colombo, Hutchings, Gobetti, GOBETTI AND MATTEOTTI, Il Politico,  In, La cultura francese nelle riviste e nelle iniziative editoriali di Gobetti, Lettera ad Prospero, Basso, Anderlini, Le riviste di Gobetti, Feltrinelli, Prezzolini, Gobetti e «La Voce», Firenze, Sansoni, M. Brosio, Riflessioni su Piero Gobetti, Quaderni della Gioventù liberale italiana di Torino, G. Bergami, Guida bibliografica degli scritti, Collana Opere diGobetti, Torino, Einaudi, P. Spriano, Gramsci e Gobetti, Torino, Einaudi, A. Carlino, Politica e dialettica in Gobetti, Lecce, Milella, P. Bagnoli,  Gobetti. Cultura e politica di un liberale del Novecento, Firenze, Passigli, U. Morra di Lavriano, Vita,  pref. di N. Bobbio, Torino, Tipografico, Gobetti e la Francia, Milano, Franco Angeli, Luigi Anderlini, Gobetti critico, in Letteratura italiana. I critici, Milano, Marzorati, Gobetti e gl’intellettuali del Sud, Napoli, Bibliopolis, G. De Marzi, Gobetti e Croce, Urbino, Quattroventi,  A. Cabella, Elogio della libertà. Torino, Il Punto, Marco Gervasoni, L'intellettuale come eroe. Piero Gobetti e le culture del Novecento, Firenze, La Nuova Italia, Bagnoli, Il metodo della libertà.  tra eresia e rivoluzione, Reggio Emilia, Diabasis, Gariglio, Progettare il postfascismo. Gobetti e i cattolici, Milano, Franco Angeli, Virgilio, Gobetti. La cultura etico-politica del primo Novecento tra consonanze e concordanze leopardiane, Manduria-Bari-Roma, Lacaita, Angelo Fabrizi, «Che ho a che fare io con gli schiavi?». Gobetti e Alfieri, Firenze, Società Editrice Fiorentina, Flavio Aliquò Mazzei, Piero Gobetti. Profilo di un rivoluzionario liberale, Firenze, Pugliese,  B. Gariglio, L'autunno delle libertà Lettere ad Ada in morte di Gobetti, Torino, Bollati, Erba, Piero Gobetti, in Intellettuali laici nel '900 italiano, Padova, Grasso, Ciampanella, Senza illusioni e senza ottimismi. Prospettive e limiti di una rivoluzione liberale, Roma, Aracne, Socialismo liberale Liberalismo socialeSalvemini Amendola Croce AlfieriMatteotti Il Baretti La Rivoluzione liberale. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Centro Studi Piero Gobetti, su centrogobetti. «La Rivoluzione Liberale» Gobetti, Il liberalismo in Italia, G. Iacchini, Quando la libertà è rivoluzionaria: Piero Gobetti, su radicalsocialismo. La casa di Gobetti in via XX Settembre a Torino, su multimedia lastampa. Piero Gobetti. Gobetti. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gobetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51700266277/in/photolist-2mQBLt7-2mPGkBm-2mPvJmk-2mLznXk-2mLDpWX-2mKNNqN-2mKDGhr-2mKk6t5-2mPHbXQ

 

Gobbo  -- Federico Gobbo – esperantista -- He has collaborated with philosophers.

 

Grice e Gonnella – filosofia del diritto romano – filosofia romana – Luigi Speranza (Bari). Grice: “Like Foucault, and a few English philosophers who explored the conceptual intricacies of the ‘justification’ of punishment, Gonnella’s oeuvre is brilliant!” Saggi: “Il diritto (non) ci salverà, Il Manifesto,  Detenuti stranieri in Italia. Norme, numeri e diritti, Scientifica,. Carceri. I confini della dignità, Jaca, La tortura in Italia, Derive Approdi,. Jailhouse Rock, cento musicisti dietro le sbarre, Arcana,. Il carcere spiegato ai ragazzi, Il Manifesto, Patrie galere, Carocci, Sviluppo urbano e criminale, a Roma, Sinnos,  Il collasso delle carceri italiane. Sotto la lente degli ispettori europei, Sapere Consiglio d'Europa, Bisogna aver visto. Il carcere nella riflessione degl’anti-fascisti, Edizioni dell’Asino,. I paradossi del diritto. Scritti in omaggio a Resta, Roma TrE-Press,  Giustizia e carceri secondo papa Francesco, Jaca,. Onorare gli impegni. L'Italia e le norme contro la tortura, Sinnos, Inchiesta sulle carceri italiane, Carocci, Il Carcere trasparente. Primo rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, Castelvecchi. Patrizio Gonnella. Gonnella. Keywords: filosofia del diritto romano, sanction, punishment. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gonella” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756498175/in/dateposted-public/

 

Grice e Goretti – la coazione istituzionale – filosofia fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Si laurea a Torino sotto Solari. Fequenta Milano, dove incontra Martinetti. Segretario delCongresso Nazionale di Filosofia, organizzato dalla Società filosofica italiana. Il Congresso è sciolto dalle autorità dopo appena due giorni. Firmano la lettera di protesta indirizzata al rettore Luigi Mangiagalli, nel quale si "protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione italiana contro un atto di violenza che impedisce l'esercizio della discussione filosofica.” Al momento del giuramento di fedeltà, necessario per entrare nella carriera universitaria o per proseguirla, si rifiuta e resta così al di fuori della carriera accademica; svolge attività professionale a Milano, e collabora alla "Rivista di filosofia" (anche quale componente del comitato direttivo). Frequenta Palazzo Fossati in Via Ciro Menotti a Milano. In prossimità della morte, Martinetti lascia la sua biblioteca privata in legato a Ruffini, Solari e Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica " di Torino; oggi nel palazzo presso la Biblioteca della Facoltà di Filosofia. Goretti è riammesso nel mondo universitario e assume per concorso la cattedra di Filosofia del diritto; insegna all'Ferrara fino alla morte.  Il Comune di Ferrara ha intitolato una via a Cesare Goretti, "filosofopatriota".  L'animale come soggetto di diritto Prolifico filosofo del diritto, autore di scritti su Kant, Sorel, Bradley, cura Špir, Bradley, Green), a Goretti si deve il primo intervento che qualifica l'animale come “soggetto di diritto”. Martinetti pubblica “L’animo del animale” in cui aveva sottolineato che il animale possede intelletto e coscienza e, in generale, un animo, come emergeva dagli  lo studio dello “atteggiamento, gesto, la fisionomia.” Questo animo e vita animale è “forse estremamente diversa e lontana” da quella del homo sapiens” ma “ha anch'essa la carattere della coscienza e non può essere ridotta ad un semplice meccanismo fisiologico. Goretti va oltre, fino ad affermare che l’ animalee vero e proprio un “*soggetto* (“soggetoodi diritto” e che l'animale ha una “coscienza giuridica” e una percezione del giuridico. In tal modo, anticipa tematiche proprie della bioetica e dell'etologia. Nonostante l'originalità e l'innovatività delle posizioni assunte, il suo manifesto non ha avuto fortuna ed è stato del tutto trascurato dal dibattito animalista e negli studi di etologia. Come non possiamo negare all'animale in modo sia pure crepuscolare l'uso della categoria della causalità, così non possiamo escludere che l'animale partecipando al nostro mondo non abbia un senso di quello che può essere la proprietà e l'obbligazione. Casi innumerevoli dimostrano come un cane e custode geloso della proprietà del suo padrone e come ne compartecipa all'uso. Dve operare in esso questa visione della realtà esteriore come cosa propria, che nell’homo sapinens arriva alle costruzioni raffinate dei giuristi. È assurdo pensare che l'animale che rende un servizio al suo padrone che lo mantiene agisca soltanto istintivamente. Deve pure sentire in sé in modo sensibile questo rapporto di servizi resi e scambiati – cf. Grice, lo scambio conversazionale --. Naturalmente l'animale non potrà arrivare al concetto di ciò che è la proprietà e l'obbligazione. Basta che dimostri di fare uso di questi principî che in lui operano ancora in modo osensibile.»  (“ L’animale quale soggetto – e soggeto di diritto”). Nella filosofia del diritto si individuano tre teorie dell'"istituzionalità nel giuridico": istitutismo: teoria del diritto quale insieme di istitutito e concepito come una sorta di azione co-ordinata, costituente un equilibrio tipico e costante di finalità che si fissa in un complesso di mezzi, una costruzione. Per l istituzionalismo la istituzione (Romano, Hauriou). neo-istituzionalismo: il diritto è rappresentato da un “fatto” istituzionale (McCormick, Weinberger). Saggi: “La forma giuridica” (Isis, Milano); “Il sentimento giuridico” (Solco", Città di Castello); “I fondamenti del diritto” (Lombarda, Milano); “Liberalismo” (Pirola, Milano); “Norma giuridica, atto giuridico” (Bianciardi, Lodi); “Istituto giuridico” (Bianciardi, Lodi); “Norma giuridica” (Milani, Padova); "Rivista di filosofia", L'animale, soggetto, e soggeto di diritto, "Rivista di filosofia", Recensione di Schmitt, Die Diktatur. Von den Anfängen des modernen Souveränitätsgedankens bis zum proletarischen Klassenkampf, Duncher & Humblot, München-Leipzig, "Rivista di Filosofia",  Recensione di R. Smend, Verfassung und Verfassungsrecht, "Rivista di Filosofia", Introduzione a A. Spir, La giustizia, Lombarda, Milano, Il saggio politico sulla costituzione del Württenberg, "Rivista di filosofia", “Legge e norma, "Rivista di filosofia", La filosofia pratica W. Schuppe, "Rivista di filosofia",  “F. H. Bradley, "Rivista di filosofia", “La conoscenza etica, "Rivista di filosofia", “L'idea di patria”, "Rivista di filosofia", L'idealismo rappresentativo”, "Rivista di filosofia", Recensione di Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, in "Rivista di filosofia", La metafisica della conoscenza, "Rivista di filosofia",  Il dolore nel pessimismo di A. Spir, "Rivista di filosofia", L’individualità, "Rivista di filosofia", Il saintsimonismo, "Rivista di filosofia", Diritti e doveri giuridici in relazione alla norma giuridica, "Archivio della Cultura italiana", L'istituzione dell'eforato in Sparta, "Archivio della Cultura italiana", “La valutazione tecnica della realtà, "Archivio della Cultura italiana", Martinetti, "Archivio della Cultura italiana", L'impiego delle categorie o dei concetti puri ed il valore della co-azione e inter-azione -- e dei postulati nella filosofia giuridica” "Annali della Ferrara",  Recensione di Candian, Avvocatura, Milano, in "Annali della Ferrara",   Il liberalismo, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", L’istituzione in senso tecnico ed l’istituto giuridico nel realismo"Annali della Ferrara",  “Equità, "Scritti giuridici in onore di Carnelutti",  Filosofia e teoria generale del diritto, Milani, Padova, L'umanesimo critico di France, "Rivista di filosofia del diritto", Recensione di Erzbach, "Rivista trimestrale di diritto e procedura civile", Rileggendo il Filomusi Guelfi, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", La filosofia di Martinetti, "Memorie dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali", Bologna, Considerazioni critiche sul diritto sociale, "Annali della Ferrara", Scienze Giuridiche.  L’acquisto ideale nella filosofia giuridica di Kant, "Rivista di filosofia del diritto", Sulla sociologia della diada e del gruppo sociale”. "Scritti di sociologia e politica in onore di Sturzo", Zanichelli, Bologna,  Isu luigisturzo, Scritti su Cesare Goretti Gioele Solari, Recensione, "Rivista di filosofia", N. 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Brutti, Alcuni usi del concetto di struttura nella conoscenza giuridica, "Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico", McCormick/Weinberger, Il diritto come istituzione, M. La Torre, Milano, M. Torre, “Norma, l’istituzionale, il valore: Per una teoria istituzionalistica del diritto, Bari. Il pensiero filosofico di Cesare Goretti non è comprensibile se ricondotto solamente al suo aspetto giuridico1, brillantemente espresso all’interno dei suoi Fondamenti del diritto (Goretti 1930), ma necessita di un approfondimento che tocchi ogni ambito speculativo della filosofia. Questo lavoro, quindi, pur mantenendo fermo il fine di una delucidazione dei principi filosofici posti alla base della sua concezione del diritto, fornirà un excursus preliminare sugli aspetti più importanti del suo pensiero, conducendo il lettore all'interno del formalismo gnoseologico kantiano, del volontarismo di Schopenhauer e dell’idealismo di matrice britannica, esortando ulteriori approfondimenti su un autore il quale, attraverso il proprio rigore morale (Goretti, così come il suo maestro Piero Martinetti, risulta tra i non firmatari del 1 Un richiamo in nota al contesto storico nel quale la filosofia del diritto di Goretti si sviluppa risulta tuttavia necessario. Essa si inserisce all'interno di quell’indirizzo, chiamato ‘istituzionalismo’, che identifica nell’istituzione il fulcro attorno al quale si crea e si espande la vita associata. Inaugurato con gli studi di Maurice Hauriou in Francia e Santi Romano in Italia, esso si pone in netta contrapposizione con la teoria normativista di Kelsen. Il particolare interesse di Goretti per l’idealismo di matrice anglosassone conferisce però al suo giuridicismo filosofico un taglio innovativo rispetto, ad esempio, al più celebre istituzionalismo di Santi Romano, tanto da poterlo considerare come ‘istitutismo’.       160 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 giuramento di fedeltà al fascismo del ‘31) ha dimostrato l’autonomia dello spirito rispetto alla contingenza degli avvenimenti storici. Nella trattazione delle sue opere non verrà seguito un ordine cronologico, ma una sistematica ricostruzione della sua dottrina. Questo è il motivo per il quale La metafisica della conoscenza in Thomas Hill Green (Goretti 1936) e l’Introduzione alla sua Etica (Goretti 1925) rappresentano un punto di partenza necessario per la successiva analisi del suo pensiero. È dunque dalle origini, dall’aspetto gnoseologico, che questo lavoro prenderà le mosse, ed è proprio da uno spunto, fornito dall’incompletezza della soluzione alla Ding an sich kantiana fornita da Green, che Goretti elaborerà il suo impianto filosofico. L’esigenza di ricongiungere forma e materia, di collegare il fenomeno con il noumeno, ha condotto la filosofia, da Kant in poi, verso la strada di un idealismo monistico. Quello che Goretti compie, invece, consiste in un’elegante risoluzione del problema, la quale, pur non rinunciando al principio monistico, mette al sicuro il formalismo kantiano da eventuali ricadute metafisiche. Per fare ciò, egli si avvale del concetto di volontà elaborato da Schopenhauer, evitando le sue derive pessimistiche e avvalorando il principio morale delineato da Green. Quanto fin qui solamente accennato mette dunque in luce l’aspetto poliedrico del pensiero di Goretti, in grado di spaziare tra gli autori e i campi della filosofia più disparati, mantenendo comunque quel rigore logico ed espositivo che lo rendono un autore unico nel suo genere. 1. Fenomeno e relazione: da Kant a Green La filosofia di Green, come sottolinea Goretti, rappresenta una fusione del pensiero critico di Kant e di Fichte (Goretti 1936, 97), una sintesi degli studi portati avanti a partire dalla sua Introduction to Hume’s Treatise of Human Nature, contenuta all’interno dei Collected Works (Green 1885-1888). Anche se i suoi Prolegomena to Ethics (1883), tradotti in italiano dallo stesso Goretti (Green 1925), vengono di frequente considerati come la «concezione definitiva dell’autore» (Goretti 1936, 98), portando spesso ed erroneamente a giudicare la sua gnoseologia prettamente metafisica, la sua capacità di analisi è riuscita ad andare ben oltre l’empirismo e il razionalismo precedenti. È per questa ragione, dunque, che Goretti tornerà, molto tempo dopo aver tradotto l’opera del Green, a dedicare ulteriori studi volti a precisare e confutare alcune delle conclusioni avanzate dal filosofo britannico. Attraverso un’accurata scomposizione del suo apparato epistemologico, Goretti riesce a salvare l’apparente e vuoto formalismo kantiano, che il Green aveva così ardentemente tentato di eliminare. La teoria della conoscenza di Green si fonda sulle osservazioni kantiane inerenti l’esistenza di una coscienza, in grado di unificare e sistematizzare i dati dell’esperienza, considerati, fino ad allora, come unica realtà possibile. Per Kant, ribadisce Goretti, è  La volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare Goretti solo grazie alla natura del nostro spirito che l’esigenza unificatrice, chiamata con il nome di appercezione trascendentale, si manifesta (Goretti 1936, 99). L’esperienza, dunque, rappresenta il complesso di unificazioni che il nostro spirito pone in essere sulla molteplicità del sensibile. Da ciò, la celebre distinzione kantiana tra prodotto della natura e prodotto dell’intelletto, che porta la filosofia verso un «Umänderung der Denkart» (Kant 1919, 24). Tutto ciò che possiamo conoscere è derivabile dalla nostra esperienza, mentre la realtà, ciò che è posto al di fuori del mondo sensibile, non può essere conosciuto, il che equivale ad affermarne il suo carattere a priori, in quanto strumento inconoscibile atto a conoscere. È proprio su questo punto, tuttavia, che Kant incontra le maggiori difficoltà. Tentando di superare le aporie humeane, pone in essere quella distinzione tra fenomeno e cosa in sé che occuperà gran parte della speculazione filosofica successiva. Nel tentativo di fornire una risposta adeguata a questo dilemma, senza rientrare all’interno delle conclusioni delineate dall’idealismo tedesco, si inserisce l’opera di Green. Come sottolineato da Goretti, Green adopera un linguaggio differente rispetto a quello utilizzato da Kant, il quale, secondo Green stesso, gli permetterebbe di eludere il problema relativo alla cosa in sé. Egli sostituisce, continua Goretti, la locuzione kantiana phenomena con quella di relations. Per mezzo di questa distinzione, Green è convinto di poter esprimere in maniera più marcata la facoltà unificatrice dello spirito, evitando così di cadere all’interno delle problematiche del razionalismo kantiano. L’errore di Kant, sottolinea Green, è rinvenibile proprio nella separazione che egli opera tra natura formaliter spectata e natura materialiter spectata. Questo errore non è altro che un refuso dell’empirismo lockeano, rinvenibile in Kant attraverso l’espressione «Macht zwar der Verstand die Natur, aber er schafft sie nicht» (Selsam 1930, 2). Come sostiene Green: If phenomena, as materialiter spectata, have such another nature, it will follow [...] that there is no ground for that conviction of there being some unity and totality in things, from which the quest for knowledge proceeds. The cosmos of our experience, and the order of things-in-themselves, will be two wholly unrelated worlds (Green 1883, § 39). Se si vuole considerare la materia, continua Green, dobbiamo prendere in considerazione l’esistenza di forze che generano il loro movimento comprese nella rappresentazione del fenomeno stesso (Goretti 1936, 100-101). Il divenire, dunque, diventa veicolo attraverso il quale la realtà spirituale si manifesta, una molteplicità con la quale il nostro spirito limitato coglie l’unità. Esso rappresenta, per Green, il processo causale della molteplicità stessa e non un prodotto della realtà assoluta. Alessandro Dividus 161  162 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 La posizione di Green è molto particolare. Egli rinnega l’esistenza di due elementi distinti, forma e materia, ma al tempo stesso, non ricade nella sintesi degli opposti sviluppata da Hegel. Le cose che noi osserviamo non sono scisse e frammentarie, ma rivelano l’esistenza di un assoluto che non si muove seguendo un movimento dialettico. La realtà, secondo Green, è una progressione di gradi di relazione e per questo motivo non può in alcun modo trovarsi fuori dallo spazio e dal tempo. La molteplicità delle relazioni, dunque, assume per Green il significato di qualità dello spirito, che il nostro Io attribuisce alle cose, ma che non si trova nelle cose stesse (Goretti 1936, 108). Queste conclusioni, sottolinea Goretti, sono per Green il modo di superare il dibattito intorno alla distinzione lockeana tra qualità primarie e qualità secondarie. Mentre, per i sostenitori dell’empirismo, la differenza tra qualità sussiste su di un piano sostanziale, cioè appartenente alla natura delle cose, per Green, invece, essa è puramente graduale. L’unica diversità che le caratterizza consiste nell’apparente priorità temporale che le prime dimostrano nel manifestarsi. Questo evento è dovuto, spiega Green, alla predominanza dell’elemento formale rispetto a quello empirico. Ogni relazione, dunque, è per Green una qualità. Il centro della realtà rimane sempre l’Io, ma l’elemento formale che Kant non era riuscito ad eliminare viene sostituito da gradi di relazione. Queste affermazioni sono avvalorate ancor più da Green attraverso la distinzione tra giudizi sintetici e giudizi analitici. Utilizzando l’enunciato kantiano “ogni corpo è esteso”, non ci troviamo di fronte ad un giudizio analitico, come Kant suppone, data la presenza del predicato all’interno del soggetto, ma come per il secondo enunciato “ogni corpo è pesante”, stiamo attribuendo al soggetto un grado di relazione meno complesso rispetto al secondo (Green 1886, §§ 69-72). La mera intuizione delle categorie di spazio e tempo non è sufficiente per cogliere la distinzione tra diversi giudizi. Lo spazio offre solamente la concezione di una figura, ma non di un corpo. Secondo Green, dunque, Kant confonde il concetto di corpo con quello di figura. La conclusione di Green, riporta Goretti, «è che ogni giudizio presuppone una sintesi che si può scomporre in una analisi di relazioni, analisi che può portare ad ulteriori sintesi» (Goretti 1936, 112). Ogni relazione è dunque un grado di realtà maggiore o minore rispetto all’unità che essa contribuisce a formare all'interno della nostra conoscenza. Quanto finora brevemente riportato mette in luce l’atteggiamento critico di Green rispetto alle problematiche formali espresse dalla filosofia kantiana. Naturalmente, quanto emerso rispecchia solo una minima parte del pensiero greeniano, in questa sede appositamente riassunto, ma fornisce gli strumenti necessari per comprendere il punto di partenza attraverso il quale Goretti ripartirà per formulare la sua teoria. Come sostiene Goretti «Non si può certo affermare che Green abbia sempre esattamente compreso la filosofia di Kant» (Goretti 1936, 113). Le critiche che Goretti muove nei  La volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare Goretti confronti del filosofo britannico riguardano proprio il suo tentativo di eliminare, senza risolvere, il formalismo kantiano, ricadendo in quella struttura monistica della quale già Fichte aveva tracciato le linee. Secondo Goretti, la concezione metafisica di Green è prettamente religiosa (Goretti 1936, 115; cfr. Seth 1887), in quanto ogni fenomeno, o relazione, è per lui un riverbero dell’assoluto che non si esaurisce nella sua apparenza. Così facendo, continua Goretti, Green non si accorge di aver identificato l’assoluto stesso con la molteplicità delle sue relazioni, senza mettere in conto la possibilità che un grado di realtà inferiore, rispetto ad uno superiore, possa rappresentare solamente una negazione, un’apparenza dell’assoluto (Goretti 1936, 115). Il dibattito sull’aspetto monistico, o meno, della filosofia di Green è ovviamente molto ampio (vedi Tyler 2003) e le teorie le più disparate. Il percorso tracciato dalle sue tesi trova il suo naturale sviluppo nelle dottrine del Bradley, il quale riduce le relazioni stesse a provvisorie apparenze riproponendo, ancora una volta, l’ombra di una realtà intellegibile (Goretti 1933). Ma Goretti percorre una strada diversa, in qualche modo innovativa rispetto al senso comune. Egli si serve di Schopenhauer per liberarsi del rapporto dualistico tra realtà assoluta e materia, senza però rinunciare alla categoria formale elaborata da Kant2. 2. Il concetto di volontà in Cesare Goretti Secondo Goretti, l’unico ad aver intuito veramente cosa la materia rappresenti è Schopenhauer (Goretti 1936, 105). Nella sua opera più famosa, Die Welt als Wille und Vorstellung (1819), Schopenhauer definisce la materia come apparenza sensibile della volontà. Questa volontà non è altro che una forza che tende ad affermarsi e realizzarsi. Essa non è più semplice materia inerte, come in Aristotele, ma forza, voluntas. Questa forza si oppone alla conoscenza tanto da tramutarsi in una noluntas, mettendo in moto quel processo che ci permette di conoscere le vere fattezze del reale, pur non rinunciando al dualismo tra realtà fenomenica e realtà assoluta. La volontà di conoscere, quindi, rischiara l’oscurità della materia e rende il mondo reale accessibile all’uomo. Green aveva intuito questo principio attraverso la definizione di dover essere e il suo concetto di moral will, ma non era riuscito, sostiene Goretti, a renderlo completo. È con Schopenhauer, quindi, che la concezione volontaristica acquista finalmente forma. 2 La strada percorsa da Goretti risulta alquanto particolare poiché, pur rimanendo all’interno dei canoni dell'idealismo (una sorta di idealismo religioso ispirato in Goretti dallo studio delle opere del filosofo russo Afrikan Spir e del suo amico a maestro Piero Martinetti), non ne segue la normale evoluzione tracciata da Fichte e conclusasi con Hegel, della quale Croce e Gentile sono stati, in Italia, i due massimi, seppur sotto molti aspetti critici, rappresentanti. Alessandro Dividus 163   164 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 Tuttavia, Goretti diverge dalla definizione di voluntas fornita da Schopenhauer. Per il filosofo tedesco la volontà si manifesta come impulso, energia, pura forza cieca, in quanto posseduta anche dalla materia, che sussiste al di fuori della forma dello spazio e del tempo ed è, quindi, indistruttibile ed eterna. Essa è energia senza causa (Abbagnano 1923). La sua ragione può essere ricercata solo nella sua manifestazione fenomenica, ma non nella volontà in sé. Per Goretti, invece, la volontà non è energia senza un fine, ma è un collegamento tra mezzi e fini. Essa ubbidisce alla categoria della finalità, mira a fini prescelti, segue degli schemi prestabiliti (Roccia 1955, 6). La realtà esteriore, secondo Goretti, rappresenta il complesso dei mezzi, gli oggetti e la materia che la volontà utilizza per realizzarsi, per liberarsi e, quindi, per perseguire il suo fine. La realtà limita il nostro egoismo, nel senso che pone al nostro volere dei punti di orientamento comuni. Quando l’uomo cerca di prendere possesso della realtà che lo circonda, non sorge in lui la visione di una realtà trascendente, ma lo schema di un’esigenza unitaria, che è la stessa limitazione del nostro egoismo (Goretti 1930, 75). La volontà, dunque, segue degli schemi prestabiliti, creando una sintesi tra il nostro volere e una parte della realtà esteriore. Nel volere del singolo si manifesta la sua propensione verso l’assoluto. Al principio del divenire, dunque, Goretti riabilita e sostituisce quel dualismo tra fenomeno e realtà che aveva messo in crisi la filosofia di Kant. Con la sua concezione di volontà, inoltre, Goretti non solo si allontana dal pensiero di Schopenhauer, ma trova anche il modo per rendere possibile l’esistenza di una categoria formale della conoscenza. Come nel collegamento tra mezzi e fini, la volontà guida la relazione immediata tra il soggetto e l’oggetto, tentando di far prevalere il suo dominio sulle cose e mettendo in mostra l’aspetto egoistico del suo movimento. Ma la volontà è prerogativa di ciascuno e non si esplica solamente attraverso un individuo determinato. Essa, dunque, incontra sul suo cammino gli atti volitivi di altri soggetti. È grazie al contatto della volontà individuale con la realtà esterna che l’egoismo nasce e scopre la sua ragion d’essere. La realtà pone dei limiti all’assoluto tendere della volontà, alla sua brama unitaria, e circoscrive i limiti delle differenti personalità individuali. La limitazione dell’egoismo è dovuta proprio all’esigenza unitaria della volontà ed esso non è altro che il prodotto della volontà stessa. In questo modo, Goretti è adesso in grado di giustificare l’aspetto formale della volontà. Essa non è più forza cieca che tende verso l’assoluto, ma, data la sua propensione unitaria, è forza costretta a percorrere determinate direzioni: l’una conduce al dominio delle cose (l’aspetto finalistico della volontà, cioè l’appropriazione del tutto), l’altra, invece, porta al godimento delle cose che dipendono dalla volontà degli altri (ciò che pone un freno alla categoria egoistica). Come riporta il Roccia:  La volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare Goretti Questi schemi, queste direzioni sono preordinate: non derivano cioè dalla nostra esperienza, bensì sono esse medesime condizioni dell’esperienza: o noi consideriamo il mondo esterno come un complesso di cose capaci di un possesso immediato o noi lo consideriamo come un complesso di cose il cui godimento dipende dall’attività di un altro soggetto (Roccia 1955, 7). L’aspetto formale della volontà, per Goretti, non solo è in grado di riconciliare forma e materia, fenomeno e realtà, ma è anche capace di fornire una risposta alla problematica morale riguardante la finalità dell’azione. Se per i sostenitori di una morale comune, come Kant o Green, l’azione del singolo deve essere orientata verso un bene collettivo, un fine cioè che non tenga solamente conto del concreto sviluppo del singolo, ma che rispetti l’insieme nel suo complesso, per la corrente dell’utilitarismo, invece, l’azione morale deve prediligere l’aspetto individuale, in primis, e solo in seguito condurre ad un accrescimento del benessere comune. Quello che Goretti mette in risalto, invece, è l’aspetto etico dell’egoismo. La sua è una posizione che si concilia perfettamente con entrambe e richiama alla memoria le parole di Spinoza. Per lui, così come per Goretti, il principio dell’utilità aveva un grande valore. Esso costituiva il primo grado della ragione, in quanto essa opera sulla natura empirica dell’uomo e ne mette in luce il suo carattere finito. L’utilità costringe il singolo a ripiegare su se stesso e «a sentire tutta l’ostilità della nostra limitatezza» (Goretti 1927, 238). È per questo motivo che la volontà, avendo fini egoistici ma mezzi comuni, è costretta a limitare la sua azione sulla base di un accordo sociale. La volontà, dunque, genera e limita l’egoismo, rendendo di fatto l’utile come un primo passo verso l’etico. L’essere ragionevoli, quindi, il perseguire la propria volontà, non rappresenta altro che una manifestazione del fine ultimo dell’uomo, il quale, a sua volta, si caratterizza come aspetto formale non solo della conoscenza, ma anche dell’appropriazione del reale. Date queste premesse, è adesso possibile per Goretti enunciare la sua personale interpretazione del diritto. Le condizioni a priori della conoscenza, riabilitate del loro carattere formale, vengono trasposte da Goretti all’interno della costituzione del diritto, nel campo cioè delle relazioni umane. Quello di Goretti, quindi, si presenta come un idealismo volontaristico, che non pretende «dedurre dalla volontà il diritto e tutto il diritto, intende solo cercare nella volontà stessa le condizioni che rendono possibile il diritto» (Roccia 1955, 7). Ci troviamo, dunque, di fronte a una tipologia di diritto differente rispetto a quella di matrice kantiana, poiché non rende la giuridicità stessa un elemento formale, ma identifica solamente alcuni schemi preordinati verso i quali la volontà deve dirigersi e attraverso i quali, grazie alla facoltà giuridica del reale, riesce a concretizzarsi. Solo il Green era riuscito a intuire il principio fondante del diritto, cioè la sua capacità strumentale di permettere una completa realizzazione Alessandro Dividus 165  166 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 dell’individuo nella società. Ma egli aveva eliminato ogni residuo di carattere formale all’interno della sua teoria, svilendo così la prerogativa finalistica della volontà. Quella di Goretti, quindi, rappresenta una perfetta sintesi dei due autori, che gli permetterà non solo di fornire una più completa riflessione sull’aspetto filosofico della norma, ma anche di ampliare il diritto stesso ad un gruppo sempre più ampio. 3. Il carattere strumentale del diritto La volontà deve realizzare fini dettati dalla ragione e non dati della sensibilità. Solo l’essere ragionevole è fine a se stesso. Ma per raggiungere un fine bisogna possedere un mezzo, uno strumento. Questo strumento è il diritto, l’unico in grado di ricongiungere il dover essere con la realtà fenomenica e fornire i mezzi esterni per la realizzazione morale (Goretti 1922, 16-17). Il diritto è quindi un mezzo, ciò che rende l’azione conforme al dovere. Esso è preordinato da fini. Kant derivava il diritto dal dovere, mentre Green sottolineava come l’uno non potesse esistere senza l’altro. In entrambi, però, il dovere ricopriva un ruolo primario, qualcosa che, una volta realizzato nella sua totalità, avrebbe reso vacuo il significato stesso del diritto. Per Goretti, invece, il diritto è sì uno strumento, ma uno strumento che non nasce con lo scopo di servire il dover essere, bensì è prodotto della realtà stessa che il dover essere riscopre. Mezzi e fini sono presenti nel mondo reale e offerti a chiunque possieda le capacità necessarie per farli propri. Queste possibilità di possesso, come le chiama Goretti, non forniscono alcun contenuto storico e mutabile, ma indicano solamente le linee guida attraverso le quali il nostro volere si esplica (Goretti 1930). È grazie al tentativo di dominio del reale, che gli schemi giuridici si manifestano. Essi rappresentano il collegamento diretto tra volontà ed esteriorità, regolando aprioristicamente lo spazio giuridico nel quale l’individuo si muove. Anche i Romani, sottolinea Goretti, avevano intuito la realtà empirica degli schemi giuridici. Quando essi distinguevano le res in mobiles, immobiles e semoventes non facevano altro che prendere coscienza della distinzione esistente tra diritti reali, diritti di obbligazione e diritti di asservimento (Goretti 1930, 90-91; cfr. Goretti 1922). La volontà, d’altronde, non può che realizzarsi attraverso un rapporto tra il proprio volere e l’oggetto desiderato (diritto reale), tra il proprio volere e l’attività di un terzo dal quale si pretende una certa prestazione (diritto di obbligazione) e, infine, tra il proprio volere e l’asservimento di tutta, o parte, della personalità esteriore altrui (diritto di asservimento). Questa triplice ripartizione, continua Goretti, esaurisce tutte le potenzialità «di sfruttamento e di dominio della realtà esteriore» (Goretti 1930, 89). Come per Kant, nella teoria della conoscenza, lo schematismo aveva reso possibile unificare le intuizioni sensibili all’interno delle categorie, così per Goretti, in campo giuridico, esso permette di riconoscere le tappe obbligate che la realtà empirica  La volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare Goretti fornisce al nostro volere. Si potrebbe obbiettare una presunta arbitrarietà nella tripartizione schematica effettuata dal Goretti, chiedendo come mai la volontà si esaurisca solamente attraverso questi schemi e non altri. Ma al perché questi schemi siano solamente tre, Goretti risponde: «L’uomo fin ad ora non ha altri modi di sfruttamento della realtà esteriore; altra prova del valore intuitivo degli schemi. [...] La realtà intuitiva non me ne fornisce altri allo stato attuale del nostro sviluppo organico» (Goretti 1930, 104). La nostra stessa esperienza e storia degli istituti giuridici, continua Goretti, dimostra il ruolo che i concetti di proprietà e obbligazione rivestono. Essi sono generici, originari, intuitivi e solo in seguito acquistano una valutazione razionale della realtà alla quale l’uomo fornisce un contenuto etico e, quindi, arbitrario. Essi, tende ancora a sottolineare Goretti, possiedono una natura puramente intuitiva e ciò non esclude che la logica giuridica possa trarne concetti giuridici corrispondenti, come la compravendita, il mandato, la proprietà ecc. (Goretti 1930, 95). Non bisogna confondere il concetto della proprietà e dell’obbligazione, che hanno un proprio contenuto storico e concreto, con lo schema dell’impossessamento e dell’obbligazione, che rappresenta il loro carattere intuitivo. Come afferma Goretti: Si dice: è il concetto di proprietà il prius logico, l’antecedente che rende possibile allo spirito l’impossessarsi della realtà. Al contrario è questo impossessarsi che permette l’elaborazione del concetto di proprietà. In questo impossessarsi vi è un atto che deve spiegarsi; e la spiegazione consiste nel fatto che il nostro egoismo, il nostro volere si muove diversamente a seconda dello spazio. Il volere ubbidisce alla categoria della finalità come l’intelletto a quella della causalità (Goretti 1930, 95-96). La nostra esigenza razionale, quindi, prende forma sensibile attraverso questi schemi giuridici, condizione dei rispettivi istituti giuridici. Per mezzo di questo atto intuitivo della realtà esteriore, il nostro egoismo viene limitato e obbligato a prendere determinate direzioni comuni, facendo trapelare una prima forma di unificazione dei voleri, di volontà comune. Essa appare inizialmente come complesso di mezzi per le nostre volizioni personali, ma lascia intuire la portata limitata di tali mezzi e, dunque, la loro comune origine. Questo passaggio, dice Goretti, è una normale conseguenza della visione unitaria della realtà da parte dei singoli, i quali tendono a polarizzare la propria volontà intorno a un ideale condiviso, acquisendo la consapevolezza della necessaria condivisione dei mezzi esteriori (Goretti 1930, 113). Si sviluppa così la coscienza di quell’elemento costituente il diritto: il principio di uguaglianza. Non si tratta, sostiene Goretti, di un’uguaglianza di diritti e doveri, di un livellamento dei valori individuali, ma di un’uguaglianza della nostra personalità di fronte alla realtà esteriore: «È la posizione del nostro volere di fronte alle direzioni che la realtà esteriore ci offre» (Goretti 1930, 113). L’umanità, dunque, non è il risultato della somma di tutti gli individui, ma è l’idea Alessandro Dividus 167  168 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 alla quale il singolo, in quanto essere razionale, partecipa. Così, ad esempio, l’idea della proprietà originaria non rappresenta il complesso delle singole proprietà, ma è il riconoscimento del diritto che l’umanità intera ha di impossessarsi della realtà esteriore (Goretti 1930, 116). Senza il riconoscimento di questo diritto, comune a tutti, non sarebbe possibile il conseguente riconoscimento dei diritti dell’individualità, dell’egoismo. 4. Gli istituti giuridici e lo Stato Quanto fino ad ora esposto mostra solamente la necessità degli schemi giuridici per la creazione di un ponte tra realtà spirituale e realtà fenomenica, mettendo in luce un’esigenza di volontà comune dettata dalla comunione dei mezzi e dei fini. Gli schemi giuridici, tuttavia, non sono che la base razionale, a priori, grazie alla quale poter dedurre l’esistenza dei diversi istituti giuridici. Gli schemi rappresentano quindi le condizioni formali che ne costituiscono la loro possibilità. Mentre il carattere strumentale del diritto aveva sottolineato la necessità di una comunione di mezzi, la storia del diritto stesso, e quindi la sua rappresentazione empirica formalizzata nell’istituto giuridico, fa emergere le caratteristiche costanti delle finalità umane. Gli istituti giuridici non sono che il riverbero di una comunione di mezzi, i quali contengono, però, vere e proprie finalità concrete (Goretti 1930, 204). Del resto, se non esistesse una comunione di mezzi, non sarebbe possibile parlare di finalità condivise. Queste finalità, ovviamente, non sono identiche in ciascuno, in quanto l’istituto giuridico non fa altro che porre in essere scopi immediati coordinati gli uni con gli altri, ma convergono tutte, sostiene Goretti, verso un punto di equilibrio: I moventi di ogni singola persona che partecipa ad un atto, ad un negozio giuridico rimangono sempre qualche cosa di irriducibilmente soggettivo, ma lo scopo dell’uno diventa una funzione di quello dell’altro, i due scopi devono farsi equilibrio intorno ad un punto comune (Goretti 1930, 204). Il fatto che una finalità presupponga un movente individuale, non esclude la possibilità che la finalità di un singolo possa incrociarsi con quella di un altro. Questo equilibrio di finalità dà vita a differenti figure giuridiche, non deducibili a priori dai nostri schemi, ma lasciate in balìa degli eventi storico-sociali. Ma il carattere formale dei nostri schemi, e quindi dei nostri mezzi, giustifica la creazione uniforme e costante degli istituti, e dunque dei nostri equilibri finali. Pertanto, dalle diverse finalità umane è possibile derivare aprioristicamente la figura giuridica della compravendita, che si richiama allo schema giuridico dell’obbligazione. Non è, dunque, il lavoro speculativo del giurista che crea le forme degli istituti giuridici, ma è la realtà sociale stessa. Essi  La volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare Goretti non sono altro che realtà fenomenica, svelata dalla volontà individuale che si muove nel mondo empirico attraverso le sue forme schematiche. Le istituzioni sociali, di conseguenza, sono il risultato di un punto comune di equilibrio formatosi e consolidatosi, nel tempo, intorno a un complesso di finalità umane. L’ineludibilità di simili conclusioni, sostiene Goretti, può essere ulteriormente avvalorata attraverso un esempio. Se esaminassimo il caso della compravendita, ci troveremmo di fronte a due differenti finalità: quelle del venditore, da una parte, e quelle del compratore, dall’altra. Naturalmente, continua Goretti, queste finalità appaiono inizialmente diverse, ma il loro punto di equilibrio è riscontrabile proprio negli asservimenti reciproci esistenti nel fatto di vendere e di comprare, nei quali le finalità dell’uno si incrociano con quelle dell’altro. Questo elemento comune è derivabile dallo schema dell’obbligazione, per mezzo del quale le caratteristiche comuni delle finalità tendono a convergere. Nel caso dei diritti reali, ad esempio, è la fruizione della cosa da parte di un singolo, e dunque la sua finalità, che tende a escludere l’uso del medesimo oggetto da parte di un terzo, facendo arrestare la sua finalità di fronte al possesso del soggetto iniziale. Questo arresto, continua Goretti, mostra già di per sé l’esistenza di un equilibrio dei fini, ed è proprio questo equilibrio che rende possibile la formazione degli istituti giuridici. Ciò che rende dunque costante nel tempo l’esistenza di determinati istituti è proprio l’uniformità delle nostre forme e dei nostri bisogni. Ecco come, quindi, da un accenno di volontà comune e di unificazione di finalità, espresse nella forma dei singoli istituti giuridici, si assiste a un progressivo ampliamento del principio di solidarietà sociale, che limita automaticamente il nostro originario egoismo. Si passa, gradualmente, da un’unificazione di finalità e bisogni elementari a un’unificazione più elevata di natura spirituale. Questo è un fenomeno, dice Goretti, «storicamente accertabile e inoppugnabile» (Goretti 1930, 218). L’egoismo si asserve così, senza negarsi, a un criterio di uniformità, dando vita a unità sempre più grandi e mostrando all’umanità il cammino della giustizia. Si potrebbe sottolineare l’incoerenza pratica di tali affermazioni, mostrando le derive violente ed ingiuste che molte istituzioni hanno posto in essere, ma simili mostruosità sono solamente deformazioni storiche di suddette istituzioni, le quali, in sé, non posseggono nessun concetto di giusto ed ingiusto, ma rappresentano solamente un grado di realizzazione della volontà comune, ad uopo strumentalizzata da egoismi irrazionali. Ma in che forma empirica si realizza questa volontà comune, secondo il Goretti? La sua risposta è molto chiara: «Il diritto come tale non può culminare nello Stato» (Goretti 1930, 228). Quella che ad Hegel appare come la rappresentazione e lo stadio più completo della volontà individuale, è invece per Goretti un’indebita ingerenza dell’egoismo collettivo nei confronti di quello soggettivo, una volontà di potenza che non ubbidisce a esigenze razionali, ma ad un mero potenziamento di se stessa, tradendo quell’esigenza prettamente unitaria tipica della dialettica hegeliana. Come Alessandro Dividus 169  170 Politics. Rivista di Studi Politici n. 10, 2/2018 all’interno della società civile si manifestano una molteplicità di individualità e gruppi in contrasto tra loro, così anche lo Stato, non essendo altro che un gruppo più ampio, non potrà rappresentare la realizzazione della volontà comune, poiché anch’esso tenderà al conflitto con Stati terzi. Il suo ruolo è, così per Goretti come lo era stato per il Green, puramente pratico, nel senso di garante del rispetto del diritto e della potenzialità di sviluppo della volontà comune. Lo Stato appare come la rappresentazione finale della sovranità, politica e giuridica, ma essa è pura illusione. In ogni sovranità vi è sempre un riverbero di ordinamento giuridico ideale, che non si esaurisce nella sua forma storico-sociale, ma è assoluta spontaneità dei rapporti che l’uomo instaura tra schemi e istituti. Lo Stato, nel suo processo evolutivo, non rappresenta altro che un irrigidimento della volontà comune nel suo percorso fenomenologico. Conclusioni Quanto esposto rappresenta una parte dell’importantissimo contributo del Goretti nel campo della filosofia, che tocca aspetti gnoseologici, giuridici e politici, mostrando il suo carattere poliedrico e critico, senza però rinunciare al suo rigore logico. Le sue intuizioni sono rimaste purtroppo vittime degli sfortunati eventi storici che hanno accompagnato tutta la sua esistenza, lasciando ai più sconosciuta la sua eredità intellettuale. Di non minore importanza, inoltre, è l’impegno che egli ha dedicato in difesa dei diritti degli animali, per il quale si rimanda all’articolo L'animale quale soggetto di diritto (Goretti 1928), che si concilia perfettamente con la sua personale concezione del diritto e che anticipa, in gran parte, molte delle speculazioni attuali sul tema. Ma lo scopo di questo lavoro, data la limitatezza del contributo, non è stato quello di approfondire ogni aspetto del suo pensiero, bensì di mostrare la profonda capacità argomentativa di questo autore, il quale offre numerosi spunti in altrettanto numerosi ambiti della filosofia. Oltre ad essere stato, in Italia, il primo vero studioso e l’unico traduttore dell’opera del Green, Goretti ne ha saputo cogliere la vera intuizione, proponendo una propria visione della volontà, la quale rappresenta una geniale sintesi tra idealismo e razionalismo, quasi come un proseguo degli studi, involontariamente interrotti, ai quali il Green aveva dato origine. La riabilitazione, poi, del formalismo kantiano, segnata da una propria interpretazione della volontà di Schopenhauer, mette in evidenza un percorso innovativo rispetto al naturale interesse degli studiosi successivi, il che conferma ulteriormente la necessità di riscoprire un autore tanto grande quanto sfortunato.  Bibliografia La volontà formale e il valore della norma giuridica in Cesare Goretti Abbagnano, Nicola. 1923. Le sorgenti razionali del pensiero. Napoli: Perrella. Bradley, Andrew Cecil. 1906. Prolegomena to Ethics by the late Thomas Hill Green. Oxford: Oxford Clarendon Press. Goretti, Cesare. 1922. Il carattere formale della filosofia giuridica kantiana. Milano: Casa Editrice Isis. Goretti, Cesare. 1927. “Il trattato politico di Spinoza.” Rivista di Filosofia XVIII, 3: 235- 247. Goretti, Cesare. 1928. “L’animale quale soggetto di diritto.” Rivista di Filosofia XIX, 4: 348-369. Goretti, Cesare. 1930. I fondamenti del diritto. Milano: Libreria Editrice Lombarda. Goretti, Cesare. 1932. “Sulla distinzione fra legge e norma.” Rivista di Filosofia XXIII, 2: 125-135. Goretti, Cesare. 1933. “Il valore della filosofia di F. H. Bradley. Apparenza e Realtà.” Rivista di Filosofia XXIV, 4: 332-352. Goretti, Cesare. 1935. “L'idea di patria.” Rivista di Filosofia XXVI, 1: 66-82. Goretti, Cesare. 1936. “La metafisica della conoscenza in Thomas Hill Green.” Rivista di Filosofia XVIII, 2: 97-117. Goretti, Cesare. 1941. “L’istituzione dell’eforato.” Archivio della cultura italiana III, 4: 251-264. Goretti, Cesare. 1951. Il pensiero filosofico di Piero Martinetti. Bologna: Cooperativa Tipografica Azzoguidi. Green, Thomas Hill. 1925. Etica. “L’istituzionale e una co-struzione, una sorta di inter-azione, o co-azione co-ordinata, co-stitutente un equilibrio tipico o co-stante di finalita che si fissa in un com-plesso di mezzi”. “Casi innumerevoli dimostrano come il cane (o altro uomo) sia custde geloso della proprieta del suo padrone e come ne compartecipi all’uso. Oscuramente deve operare in esso questa visione della realta esteriore come cosa PROPRIA, che nell’uomo civile U1 arriva alle costruzione raffinate dei giuristi. E assurdo pensare che l’animale o l’uomo O2 che rende un servizio al suo padrene che lo mantiene agisca soltanto istintivamente. Deve pure sentire in se per quantto oscuramente e in modo sensible questo rapport di servizi resi e SCAMBIATI. Naturalmente l’U2 o l’animale non potra arrivare al concetto di ci oche e la proprieta, l’obbligazione. Basta cche dimostri esterioremente di fare uso di questi principi che in lui operano ancora in modo oscuro e sensibile.” Cesare Goretti. Grice: “I like Goretti: I rather casually referred to ‘the institution of a decision’ as the end of a conversational exchange – notably involving buletic conversational moves; Goretti makes a whole system out of this. His example is his conversation with his dog: ‘Surely my dog knows that he is providing me a service – guarding my territory – and he is rightly deemed as a ‘subject’ in my exchange with him – as we ‘institute a decision’ that there is a reciprocity involved.” Goretti. Keywords: “the institution of decisions” -- l’istituzionale, A. C. Bradley, La massima d’equita; “segni e comprensione” il concetto di patria, eforato—co-azione, co-operazione -- diada. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Goretti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755508026/in/dateposted-public/

 

Grice e Gori – la filosofia di cabaret -- l’eroe e la falce – filosofia italiana – filosofia futurista -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo.  Grice: “My favourite Gori are “L’eroe e la falce” and “Il mantello d’Arlecchino” – nothing can be italianita with that!”. Saggi: “Il mantello di Arlecchino (Roma); “Il libbro rosso de la guerra” (Roma); “Le bruttezze della Divina Commedia” (Alatri); “Le bellezze della Divina Commedia” (Milano); “Estetica dell'irrazionale” (Milano); “Il mulino della luna (Milano) “L'irrazionale”; “Filosofia ed estetica”, “Sistema di una nuova scienza del bello; “Il bello” – “L'eroe e la falce” -- Scorcio architettonico di letteratura europea dalle origini ai nostri giorni, Cagliostro (Milano); Il teatro contemporaneo e le sue correnti caratteristiche di pensiero e di vita nelle varie nazioni (Torino); L'oca azzurra (Roma); Il grande amore (Firenze); Scenografia. La tradizione e la rivoluzione contemporanea (Roma); Il grottesco (Milano).  P.D. Giovanelli, Gino Gori. L'irrazionale e il teatro, Roma, Bulzoni, U. Piscopo, Gino Gori, in E. Godoli, Dizionario del futurismo, Firenze); Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Rassegna della produzione teatrale e delle nuove tendenze del teatro italiano e mondiale a cavallo tra il finire dell'800 e i primi decenni del '900. Partendo dalla riforma dell'opera lirica di Wagner e dalla sua teoria dell'opera d'arte totale, Gori passa a discorrere di Maeterlinck, Andreev, del teatro dell'Anima di Schuré e Claudel, del teatro dell'esteriorismo (D'Annunzio, Wilde, Péladan, Erdös), del teatro cinese e giapponese, di Tagore, Tolstoj, Gorkij, dell'Espressionismo, di Shaw, di Ibsen, del teatro borghese, del teatro dialettale italiano, del teatro delle nazioni europee minori (discorre anche del teatro dell'Islanda o della Lituania o della Bulgaria), delle forme rudimentarie del teatro presso i popoli selvaggi. Gino Gori (Roma, 1876-Sant'Ilario Ligure, 1952), poeta, drammaturgo e critico letterario romano fiancheggiatore del Futurismo, aprì a Roma il famoso Cabaret del Diavolo, realizzato da Fortunato Depero. "Nel gennaio del 1921 Depero è protagonista con una grande mostra personale tenuta a Palazzo Cova di Milano, che in seguito viene trasferita da Bragaglia a Roma, dove nel settembre dello stesso anno, su incarico di Gino Gori, inizia i lavori di allestimento del Cabaret del Diavolo, una sorta di bolgia dantesca frequentata da futuristi, dadaisti, anarchici ed artisti in genere. Per il cabaret, strutturato lungo un percorso discendente (a ritroso) Paradiso-Purgatorio-Inferno, Depero realizzò tutto l'arredo e le decorazioni murali. L'inaugurazione avvenne nell'aprile del 1922 ma, passato il primo momento di gloria, i tempi si fecero difficili e il locale fu chiuso, e con esso distrutto anche tutto il lavoro di Depero". (cfr. Catalogo mostra Fortunato Depero, Fondazione Palazzo Bricherasio). Letterature moderne. Studi diretti da Arturo Farinelli. Cammarota, Futurismo,  Il Futurismo applicato ai cabaret»  «C’è stato in questi giorni, qui a Roma, un improvviso e molteplice sboccio d’arte futurista: il futurismo applicato al cabaret»,[26] annotava all’inizio degli anni Venti Massimo Bontempelli, che in quel periodo simpatizzava con il Futurismo e da poco aveva rifiutato le opere scritte prima della guerra. Fra il 1921 e il 1923, venivano infatti inaugurati nella capitale diversi locali decorati dai futuristi, tutti situati nel centro della città. Iniziava la serie, nel ’21, il Bal Tic Tac, situato in via Milano, i cui ambienti considerati distrutti per oltre mezzo secolo, sono stati recentemente ritrovati durante il restauro del palazzo. Alle sale, arredi e lampade del cabaret aveva lavorato Balla: era «un grandioso locale per balli notturni futuristicamente decorato», nel quale «per la prima volta, apparve realizzata la nuova arte decorativa futurista. Forza, dinamismo, giocondità, italianità, originalità» commentava il periodico Il Futurismo.[27] Per il lavoro, ha ricordato la figlia dell’artista, Elica, Balla era stato contattato da Vinicio Paladini, altro avanguardista della cerchia romana, in quegli anni in procinto di lanciare con Ivo Pannaggi il movimento Immaginista.[28] Nel 1922, nei sotterranei dell’Hotel Élite et des Etrangers in Via Basilicata 13, era stato aperto il Cabaret del Diavolo, uno dei più stravaganti ritrovi romani di proprietà di Gino Gori, il quale intendeva farne il punto di incontro di scrittori, pittori e intellettuali e aveva puntato sulla creatività di Depero, chiamandolo a decorarne e ad arredarne gli interni. Le tre sale, denominate Inferno, Purgatorio e Paradiso, avevano ognuna una specificità cromatica e tipologica: i mobili del Paradiso, ad esempio, erano azzurri, quelli del Purgatorio verdi e quelli dell’Inferno rossi. L’illuminazione era bianco-rosa-azzurrina con immagini di angeli e cherubini nel Paradiso, bianco-verde con una coorte di anime verdi nel Purgatorio, e rossa con diavoli e dannati avvolti dalle fiamme nell’Inferno. Il locale era sede della Brigata degli Indiavolati, composta da poeti e artisti.  Nello stesso anno Balla, che aveva anche decorato la sua celebre casa-galleria aperta al pubblico di Via Nicolò Porpora 2 (poi seguita dall’altrettanto celebre abitazione di Via Oslavia 34 b), realizzava il soffitto luminoso della sala futurista della nuova sede allestita da Virgilio Marchi della Casa d’Arte di Bragaglia, trasferitasi da Via Condotti 18 in Via degli Avignonesi 8. Nei locali ricavati nei sotterranei dei Palazzi Tittoni e Vassalli che conservavano le terme pubbliche romane di Settimio Severo, nel 1923 Bragaglia affiancava alla galleria anche il Teatro degli Indipendenti per il quale Virgilio Marchi aveva realizzato il ridotto e il bar: qui, per otto dense stagioni, Anton Giulio sperimentò la sua ‘riforma teatrale’ e le sue idee di rinnovamento delle tecnica scenica mediante l’introduzione di nuovi elementi quali una regia sperimentale, una recitazione innovativa e una scenografia ‘cromatica’. Nel teatro vennero messi in scena gran parte dei testi d’avanguardia italiani e stranieri prodotti in quegli anni dagli artisti più vari, da Jarry ad Apollinaire, dai Futuristi agli Immaginisti: nel 1921, la vecchia sede della Casa d’Arte aveva ospitato anche la mostra di opere dadaiste facente parte della Grande Stagione Dada Romana che aveva messo in programma esposizioni, declamazioni, esecuzioni di musiche dadaiste e una conferenza di Evola su Tzara nell’Aula Magna dell’Università.  l testo di Braibanti è precedente rispetto a quelli di Kaiser e Bachtin, risale al 1951, non può quindi giovarsi delle ricerche dei due autori ma, per le sue finalità, la sorte del grottesco nella storia dell’arte è di importanza relativa. Conosceva e cita altrove il testo di Gino Gori sul grottesco nell’arte, ne apprezza l’impresa ma coglie i limiti della riduzione dello spirito del grottesco all’ambito dell’artistico. Il luogo privilegiato del grottesco è la vita, lo spazio interindividuale è dove si dispiegano le sue epifanie. GORI GINO. Il teatro contemporaneo e le sue correnti caratteristiche di pensiero e di vita nelle varie nazioni. Torino, Fratelli Bocca, 1924. In-8°, pp. (4), 282, (2), brossura editoriale con titolo in rosso e nero entro bordura ornamentale anch'essa in bicromia. Gore al dorso. Una piccola mancanza al margine superiore del piatto posteriore. Bella copia in barbe e a fogli chiusi. Prima edizione. Rassegna della produzione teatrale e delle nuove tendenze del teatro italiano e mondiale a cavallo tra il finire dell'800 e i primi decenni del '900. Partendo dalla riforma dell'opera   lirica di Wagner e dalla sua teoria dell'opera d'arte totale, Gori passa a discorrere di Maeterlinck, Andreev, del "teatro dell'Anima" di Schuré e Claudel, del teatro dell'"esteriorismo" (D'Annunzio, Wilde, Péladan, Erdös), del teatro cinese e giapponese, di Tagore, Tolstoj, Gorkij, dell'Espressionismo, di Shaw, di Ibsen, del teatro borghese, del teatro dialettale italiano, del teatro delle nazioni europee minori (discorre anche del teatro dell'Islanda o della Lituania o della Bulgaria), delle "forme rudimentarie" del teatro presso i popoli selvaggi. Gino Gori (Roma, 1876-Sant'Ilario Ligure, 1952), poeta, drammaturgo e critico letterario romano fiancheggiatore del Futurismo, aprì a Roma il famoso Cabaret del Diavolo, realizzato da Fortunato Depero. (cfr. Catalogo mostra Fortunato Depero, Fondazione Palazzo Bricherasio). Letterature moderne. Studi diretti da Arturo Farinelli. Cammarota, Futurismo, 248.2 GORI GINO. L'irrazionale. Volume primo. Filosofia ed estetica. Sistema di una nuova scienza del bello. Volume secondo. L'eroe e la falce. Scorcio architettonico di letteratura europea dalle origini ai nostri giorni. Foligno, Campitelli, 1924. 2 voll. in-8° (200135mm), pp. XI; 182, (2); 183-550, (4) [paginazione continua]; brossure editoriali. Bell'esemplare in parte intonso. Prima edizione e primo migliaio di questo importante saggio di estetica suggestionato dalla poetica futurista GORI, Gino. - Nacque a Roma, il 7 luglio 1876, da Vincenzo Guglielmo e Giovanna Santi. Terminato il liceo, si laureò dapprima in giurisprudenza, iscrivendosi poi a medicina, senza tuttavia nutrire particolare interesse neppure per questo indirizzo di studi. Egli si sentiva piuttosto attratto dalla letteratura, dalla filosofia e, in particolare, dal teatro, di cui prese a scrivere fin dai primi anni del nuovo secolo.  Collaboratore di vari giornali e riviste - tra cui il Don Chisciotte, il Capitan Fracassa, La Vita, La Patria, il Don Marzio, L'Ora, Il Tirso, di cui fu redattore capo nel 1912-13, Aprutium di Teramo, Noi e il mondo, mensile illustrato de La Tribuna di Roma -, si fece presto la fama di critico militante severo e intransigente. Amico di Trilussa e suo ammiratore, compose poesie e canovacci teatrali in romanesco.  Anticlericale e massone, allo scoppio della Grande Guerra fu interventista e irredentista. Nel primo dopoguerra e negli anni successivi prese a sostenere la cultura modernista e il teatro sperimentale, gestendo il cabaret dell'hôtel Majestic, di cui era proprietario. Viaggiò molto sia in Europa (Francia, Spagna, Germania, Russia) sia in America (Messico, California). Il 30 nov. 1929 sposò Giulia Massobrio, vedova di G. Volante. Dopo il matrimonio il G. lasciò Roma, interrompendo l'intensa attività letteraria cui si era dedicato, e si trasferì a Chianciano, dove comprò e gestì l'albergo Excelsior. Sempre a Chianciano fondò e diresse il periodico Il Giornale dell'albergatore.  Intellettuale e poligrafo - fu infatti poeta, romanziere, filosofo con particolare attenzione all'estetica, saggista, critico militante, studioso di teatro - il G., finché si dedicò ad attività culturali, si adoperò principalmente a sostenere e diffondere, nell'Italia del primo Novecento, un clima e un gusto più avanzati e moderni; i suoi maggiori e più significativi contributi, tutti concentrati nel corso degli anni Venti, riguardano le teorie e le pratiche poste a fondamento del processo di rinnovamento del teatro contemporaneo.  Dopo gli studi giuridici e di medicina, il G. aveva provveduto a darsi una solida e rigorosa preparazione letteraria e filosofica, coniugando l'educazione sui classici con un'informazione puntuale e aggiornata sugli orientamenti e sugli esiti più attuali della poesia, della critica, della narrativa, dell'editoria a livello nazionale ed europeo. Insofferente, come molti suoi coetanei, nei confronti dei contenuti e dei metodi del positivismo e degli indirizzi storico-filologici, fu convinto seguace dell'idealismo di B. Croce e della rinascita dell'interesse per la critica di F. De Sanctis; la sua attenzione si estese, da Croce e dai crociani, anche agli intellettuali che dialogavano con Croce dall'esterno dell'idealismo.  Di questa sua posizione egli rende conto in Il mantello di Arlecchino (Roma 1914 [ma 1913]), sostanziosa silloge ricca di indicazioni e di suggestioni critiche, in cui traccia il panorama della letteratura italiana della belle époque.  Se De Sanctis e Croce forniscono modelli e suggerimenti, tuttavia il lavoro critico del G. non è inteso come applicazione pedissequa della dottrina dei maestri: egli integra, rilegge, propone nuove osservazioni. A complemento di questo lavoro è poi allegato un esaustivo tracciato dell'attività editoriale in Italia.  Di umori nazionalisti e interventisti è intrisa la sua prima raccolta di versi in dialetto romanesco, Er libbro rosso de la guera (Roma 1915; che contiene anche il canovaccio teatrale in dialetto Le maschere de la guera, pp. 3-21) mentre, per Trieste italiana e contro il mondo tedesco, il G. pubblicò in Aprutium(IV [1915], f. 8), una canzone, Sorella nostra!, celebrativa della latinità assunta a valore contro la barbarie del "duro settentrione". Fu, comunque, la Grande Guerra a far maturare in lui un processo di piena conversione al moderno, inteso quale gusto, mimesi linguistica, diegesi e strumentazione di idee e di stili fondati sul nuovo.  Si avvicinò a F.T. Marinetti, di cui tra i primi aveva dato un profilo essenziale e pertinente (ne Il mantello di Arlecchino, pp. 193-211), e ne divenne amico, ma corresse anche il giudizio nei confronti dei futuristi, che nell'anteguerra egli aveva adeguato, sulla scorta di G. Papini, a "marinettiani" (ibid., pp. 213-223), tra i quali, invece, venne distinguendo posizioni diverse, sostenendo soprattutto alcuni di essi, come R. Vasari, L. Folgore ed E. Prampolini. Meditò attentamente sul teatro di L. Pirandello, si entusiasmò per il teatro del colore di A. Ricciardi, strinse amicizia con i Bragaglia, con V. Orazi, con M. Bontempelli.  Fu soprattutto l'ispirazione poetica a farsi nel G. più avvolgente e convinta: la parola, che nelle sue composizioni d'anteguerra si risolveva in veicolo di denunzia, di argomentazione e di persuasione, o di descrizioni realistiche (vedi Er libbro rosso de la guera), acquistò nuove sfumature, più allusive, e si dispose su tramature in cui si riscontrano riflessi di G. Pascoli, di G. Gozzano, di C. Govoni, di A. Palazzeschi, raggiungendo talora esito felice, come nelle tre liriche Alla stazione, Ogni giorno così e Limbo, apparse in Le foglie dell'orologio (Roma s.d.), poi riproposte con diverso titolo in Il grande amore (Firenze 1926).  In quest'ultima silloge, accanto alle tre citate, figurano nuove composizioni, ispirate al realismo magico di Bontempelli (Sembra una favola!, A teatro, Le tre vecchine, Orgoglio); e, di fatto, l'avvicinamento a Bontempelli, sia sul versante saggistico-estetologico sia su quello poetico, era iniziato da tempo: già la raccolta Il mulino della luna (Milano 1924; di cui si ricordano in particolare Come un cipresso notturno, L'oca azzurra, L'isola lontana, Pierrots, Si parte, Con la rete dei pensieri, È passato il re, L'automa nella pioggia, Annunciazione, Epilogo), posta cronologicamente fra le due summenzionate, poggiava sostanzialmente su una griglia di suggerimenti metafisico-surreali ascrivibili all'ambito ideale di Bontempelli e ai suoi immediati dintorni.  Non altrettanto positivo e più scontato l'esito raggiunto dal G. nel romanzo e nella novella (per lo più inediti) con l'eccezione di L'oca azzurra (Roma 1925) - che riprende titolo e immagini della lirica de Il mulino della luna, intrisa di un umorismo alla Folgore e di un magismo che rinvia nuovamente a Bontempelli - e di Coriandoli, una raccolta, appunto inedita, di novelle.  Ma gli interventi più interessanti del G. sono quelli legati al discorso critico sul teatro, riguardo al quale egli concordava con avanguardisti e sperimentali sull'ineludibilità del rinnovamento delle sue pratiche, delle sue strategie e dell'idea stessa su cui esso si costituisce. A tal fine, si impegnò innanzitutto concretamente, fondando e gestendo in proprio un laboratorio teatrale posto sotto il segno di un "antigrazioso" irritante e provocatorio; infatti, nel 1921, a Roma, con un anno di anticipo sul teatro degli Indipendenti di A.G. Bragaglia, egli aveva fondato e preso a dirigere quel cabaret, La Bottega del diavolo, sito all'interno dell'hôtel Élite et des étrangers, poi Majestic, di sua proprietà.  Dell'albergo erano frequentatori e gratuitamente ospiti numerosi futuristi, tra cui Marinetti, giornalisti e scrittori; negli scantinati, detti l'"inferno", arredati con mobili e manufatti realizzati da F. Depero, da Prampolini e da altri, e decorati con immagini di diavoli danzanti, armati di forconi e pronti a scaraventare nelle fiamme i dannati, si davano ogni sabato spettacoli futuristi e modernisti. Ai programmi, e alla loro realizzazione, presiedeva una commissione di esperti e primi attori, tra cui erano lo stesso G., nel ruolo di Minosse, Trilussa quale Lucifero, Folgore come Cerbero, e Bontempelli come Barbariccia (per una dettagliata testimonianza sul cabaret, che andò avanti fino al 1927, si veda Un covo di diavoli nella Roma di 40 anni fa, in Il Tempo, 19 apr. 1967). Dietro la facciata di questo underground ante litteram, il G. andava maturando la sua riflessione sul rapporto tra teatro e corporeità, dionisismo, vitalismo, e sulla necessità di accelerare il processo di rivitalizzazione e risignificazione del teatro stesso e delle attività collegate. A monte di tale riflessione specificamente orientata sul teatro, si collocavano i due volumi del saggio L'irrazionale (I, Filosofia ed estetica. Sistema di una nuova scienza del bello; II, L'eroe e la falce. Scorcio architettonico di letteratura europea dalle origini ai nostri giorni, Foligno 1924), che s'inseriscono, con ogni evidenza, nel quadro generale dell'avanguardia internazionale, impegnata a riconsiderare i fondamenti dell'arte e dell'estetica nella chiave del notturno, dell'inquietante, dell'anamorfico.  Viceversa il discorso specifico sul teatro s'innerva in tre opere successive: Il teatro contemporaneo e le sue correnti caratteristiche di pensiero e di vita nelle varie nazioni (Torino-Milano-Roma 1924), che si propone di indagare sui nuovi linguaggi del teatro nelle sue varie manifestazioni nazionali; Scenografia. La tradizione e la rivoluzione contemporanea (Roma 1926), in cui il G. esamina, tramite lo specifico della scenografia, le vie attraverso le quali si possa raggiungere e comunicare la realtà "che si trova di là dall'apparenza" (p. 210), e come si possa darne una rappresentazione, interrogandosi su intuizioni e tentativi di alcuni tra i nomi più significativi della storia del teatro moderno - a partire da R. Wagner e proseguendo con G. Craig, A. Appia, V. Mejerchol´d - ma soprattutto dando conto delle esperienze del "teatro della sorpresa" futurista - di Vasari in particolare (L'angoscia delle macchine, Milano 1925), ma anche di Prampolini, V. Marchi, Folgore, oltre che del "teatro del colore" di A. Ricciardi e del laboratorio di A.G. Bragaglia -, e studiando le esperienze futuriste del dinamismo plastico, della simultaneità e della sintesi. Seguì infine Il grottesco nell'arte e nella letteratura (ibid. 1927), in cui, riproponendo anche alcuni studi di prima della guerra (sul grottesco nell'Inferno di Dante, sulla maschera turca di Karagöz), il G. approfondisce soprattutto lo studio sul teatro futurista italiano nella chiave del grottesco e del fantastico (in particolare, E. Cavacchioli, L. Chiarelli, L. Antonelli).  Al termine dell'intensa stagione intellettuale degli anni Venti, convinto di essere stato sfruttato e trascurato dalla cultura ufficiale, il G. si appartò, allontanandosi da Roma, senza tuttavia smettere di studiare e di scrivere: lasciò quindi numerosi scritti inediti conservati presso gli eredi.  Nel secondo dopoguerra, il G. si stabilì in una località di mare, Sant'Ilario Ligure (Genova), dove morì il 24 dic. 1952.  Tra le opere del G., oltre a quelle citate nel testo, si ricordano: per la narrativa: Cagliostro(Milano 1925); per la saggistica: Le bruttezze della Divina Commedia (Alatri 1920); Le bellezze della Divina Commedia (Milano s.d. [ma 1921]); Studi di estetica dell'irrazionale(ibid. s.d. [ma 1921]).  Fonti e Bibl.: M. Verdone, Teatro del tempo futurista, Roma 1969, pp. 274-276 e passim; Id., Prosa e critica futurista, Milano 1973, pp. 314-317, 339; P.D. Giovanelli, G. G.: l'irrazionale e il teatro, Roma 1978; U. Piscopo, G. G., in Dizionario del futurismo, a cura di E. Godoli, Firenze 2001, sub voce.Gino Gori. Keywords: l’eroe e la falce, bello, eroe, falce, irrazionale, mantello dell’arlecchino  – bellezza, futurismo – Refs: Luigi Speranza, “Grice e Gori” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701334178/in/photolist-2mR9Kz4-2mPAWP1-2mN35cA-2mLKeCe-2mLP3hz-2mLERpq-2mKMuu9-2mKC3nj-2mKCMei-2mJ3q6x-FNptwK-ESZ2oh-ESYzUw-ETfeER-FGy1TZ-ETbJX6-ETbpBn-FEfv5Y-FGxVqp-ETe2Ut-FGCKMg-ETbawt-FohZR5-FNqpZT-FNpoR2-jkKjmQ-jrB3iu-nFTbv2-nHuSHb

 

Grice e Gramsci – contro Croce – partito socialista italiano – il comune – l’elite – Mosca -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ales). Filosofo.  Grice: “Some Italians don’t consider Gramsci Italian on account of the fact that Gramsci is not an Italian last name!” Fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia, divenendone esponente di primo piano e segretario, ma venne ristretto dal regime fascista nel carcere di Turi. In seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove trascorse gli ultimi anni di vita. Considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo, nei suoi scritti, tra i più originali della tradizione filosofica marxista, analizza la struttura culturale e politica di Italia. Elaborò in particolare il concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle subalterne. Gli antenati paterni derano originari della città di Gramshi in Albania, e potrebbero essere giunti in Italia durante la diaspora albanese causata dall'invasione turca. Documenti d'archivio attestano che nel Settecento il trisavolo Gennaro Gramsci, sposato con Domenica Blajotta, possedeva a Plataci, comunità ‘’arbëreshë’’ del distretto di Castrovillari, delle terre poi ereditate da Nicola Gramsci. Questi sposò Maria Francesca Fabbricatore, e dal loro matrimonio nacque a Plataci Gennaro Gramsci, che intraprese la carriera militare nella gendarmeria del Regno di Napoli e, quando era di stanza a Gaeta, sposò Teresa Gonzales, figlia di un avvocato napoletano. Il loro secondo figlio fu Francesco, il padre di Antonio Gramsci.  Le origini albanesi erano conosciute dallo stesso Gramsci, che tuttavia le immaginava più recenti, come scriverà alla cognata Tatiana Schucht dal carcere di Turi: «o stesso non ho alcuna razza; mio padre è di origine albanese (la famiglia scappò dall'Epiro durante la guerra del 1821, ma si italianizzò rapidamente). Tuttavia la mia cultura è italiana, fondamentalmente questo è il mio mondo; non mi sono mai accorto di essere dilaniato tra due mondi. L'essere io oriundo albanese non fu messo in giuoco perché anche Crispi era albanese, educato in un collegio albanese.” Ghilarza: casa museo Antonio Gramsci Francesco era studente in legge quando morì il padre; dovendo trovare subito un lavoro, partì per la Sardegna per impiegarsi nell'Ufficio del registro di Ghilarza. In questo paese, che allora contava circa 2.200 abitanti, conobbe Marcias, figlia di un esattore delle imposte e proprietario di alcune terre. La sposò malgrado l'opposizione dei familiari, rimasti in Campania, che consideravano i Marcias una famiglia di rango inferiore alla propria dal punto di vista sociale e culturale: Giuseppina aveva studiato fino alla terza elementare. Dal matrimonio nascerà Gennaro e, dopo che Francesco Gramsci fu trasferito da Ghilarza ad Ales, Grazietta ed Emma. Gramsci nasce secondo il registro delle nascite dello stato civile del comune e registrato con i nomi di Antonio, Francesco. Scondo il registro dei battesimi della parrocchia di San Pietro nasce il giorno dopo,  e viene registrato con i nomi di Antonio, Sebastiano, Francesco. Il padre fu trasferito, come gerente dell'Ufficio del Registro, a Sorgono e qui nacquero gli altri figli, Mario, Teresina, e Carlo. Antonio si ammala del morbo di Pott, una tubercolosi ossea che in pochi anni gli deformò la colonna vertebrale e gli impedì una normale crescita: adulto, non supererà il metro e mezzo di altezza; i genitori pensavano che la sua deformità fosse la conseguenza di una caduta e anche Antonio rimase convinto di quella spiegazione. Ebbe sempre una salute delicate. Soffrendo di emorragie e convulsioni, fu dato per spacciato dai medici, tanto che la madre comprò la bara e il vestito per la sepoltura.  Il padre Francesco fu arrestato, con l'accusa di peculato, concussione e falsità in atti, e venne condannato al minimo della pena con l'attenuante del «lieve valore»: 5 anni, 8 mesi e 22 giorni di carcere, da scontare a Gaeta. Priva del sostegno dello stipendio del padre, la famiglia trascorse anni di estrema miseria, che la madre affrontò vendendo la sua parte di eredità, tenendo a pensione il veterinario del paese e guadagnando qualche soldo cucendo camicie. Proprio per le sue delicate condizioni di salute Gramsci comincia a frequentare la scuola elementare soltanto a sette anni: la concluse ncon il massimo dei voti, ma la situazione familiare non gli permise di iscriversi al ginnasio. Già dall'estate precedente aveva iniziato a dare il suo contributo all'economia domestica lavorando 10 ore al giorno nell'Ufficio del catasto di Ghilarza per 9 lire al mese l'equivalente di un chilo di pane al giornos muovendo «registri che pesavano più di me e molte notti piangevo di nascosto perché mi doleva tutto il corpo». Grazie a un'amnistia, il padre anticipò di tre mesi la fine della sua pena: inizialmente guadagnò qualcosa come segretario in un'assicurazione agricola, poi, riabilitato, fece il patrocinante in conciliatura e infine fu riassunto come scrivano nel vecchio Ufficio del catasto, dove lavorò per il resto della sua vita. Così, pur affrontando gli abituali sacrifici, i genitori poterono iscrivere il quindicenne Antonio nel Ginnasio cdi Santu Lussurgiu, «un piccolo ginnasio in cui tre sedicenti professori sbrigavano, con molta faccia tosta, tutto l'insegnamento delle cinque classi».  Con tale preparazione un poco avventurosa, riuscì tuttavia a prendere la licenza ginnasiale a Oristano e a iscriversi al Liceo classico Giovanni Maria Dettori di Cagliari, stando a pensione, prima in un appartamento in via Principe Amedeo 24, poi, l'anno dopo, in corso Vittorio Emanuele 149, insieme con il fratello Gennaro, il quale, terminato il servizio di leva a Torino, lavorava per cento lire al mese in una fabbrica di ghiaccio del capoluogo sardo.  La modesta preparazione ricevuta nel ginnasio si fece sentire, perché inizialmente Gramsci nelle diverse materie ottenne appena la sufficienza, ma riuscì a recuperare in fretta: del resto, leggere e studiare erano i suoi impegni costanti. Non si concedeva distrazioni, non soltanto perché avrebbe potuto permettersele solo con grandi sacrifici, ma anche perché l'unico vestito che possedeva, per lo più liso, non lo incoraggiava a frequentare né gli amici, né i locali pubblici. A scuola, mostrò uno spiccato interesse per le discipline umanistiche e per lo studio della storia, anche perché il cattivo insegnamento ricevuto in matematica gli fece perdere l'interesse per la materia.  Nel frattempo, il giovane Gramsci, iniziò a seguire le vicende politiche. Il fratello Gennaro, che era tornato in Sardegna militante socialista, divenne cassiere della Camera del lavoro e segretario della sezione socialista di Cagliari: «Una grande quantità di materiale propagandistico, libri, giornali, opuscoli, finiva a casa. Nino, che il più delle volte passava le sere chiuso in casa senza neanche un'uscita di pochi momenti, ci metteva poco a leggere quei libri e quei giornali». Leggeva anche i romanzi popolari di Carolina Invernizio, di Barrili e quelli di Deledda, ma questi ultimi non li apprezzava, considerando folkloristica la visione che della Sardegna aveva la scrittrice sarda; leggeva Il Marzocco e La Voce di  Prezzolini, Papini, Emilio Cecchi «ma in cima alle sue raccomandazioni, quando mi chiedeva di ritagliare gli articoli e di custodirli nella cartella, stavano sempre Croce e Salvemini».  Alla fine della seconda classe liceale, alla cattedra di lettere italiane del Liceo salì Garzia, radicale e anticlericale, direttore de L'Unione Sarda, quotidiano legato alle istanze sarde, rappresentate, in Parlamento da Cocco-Ortu, allora impegnato in una dura opposizione al ministero di Luigi Luzzatti. Gramsci instaurò con il Garzia un buon rapporto, che andava oltre il naturale discepolato: invitato ogni tanto a visitare la redazione del giornale, ricevette la tessera di giornalista, con l'invito a «inviare tutte le notizie di pubblico interesse. Ebbe la soddisfazione di vedersi stampato il suo primo scritto pubblico, venticinque righe di cronaca ironica su un fatto avvenuto nel paese di Aidomaggiore.  In un tema dell'ultimo anno di liceo, che ci è conservato, Gramsci scriveva, tra l'altro, che «Le guerre sono fatte per il commercio, non per la civiltà la Rivoluzione francese ha abbattuto molti privilegi, ha sollevato molti oppressi; ma non ha fatto che sostituire una classe all'altra nel dominio. Però ha lasciato un grande ammaestramento: che i privilegi e le differenze sociali, essendo prodotto della società e non della natura, possono essere sorpassate». La sua concezione socialista, qui chiaramente espressa, va unita, in questo periodo, all'adesione all'indipendentismo sardo, nel quale egli esprimeva, insieme con la denuncia delle condizioni di arretratezza dell'isola e delle disuguaglianze sociali, l'ostilità verso le classi privilegiate del continente, fra le quali venivano compresi, secondo una polemica mentalità di origine contadina, gli stessi operai, concepiti come una corporazione elitaria fra i lavoratori salariati.  Poco dopo Gramsci conoscerà da vicino la realtà operaia di una grande città del Nord:  il conseguimento della licenza liceale con una buona votazione tutti otto e un nove in italianogli prospetta la possibilità di continuare gli studi all'Università. Il Collegio Carlo Alberto di Torino bandì un concorso, riservato a tutti gli studenti poveri licenziati dai Licei del Regno, offrendo 39 borse di studio, ciascuna equivalente a 70 lire al mese per 10 mesi, per poter frequentare Torino. Fu uno dei due studenti di Cagliari ammessi a sostenere gli esami a Torino. «Partii per Torino come se fossi in stato di sonnambulismo. Avevo 55 lire in tasca; avevo speso 45 lire per il viaggio in terza classe delle 100 avute da casa». Conclude gli esami: li supera classificandosi nono; al secondo posto è uno studente genovese venuto da Sassari, Palmiro Togliatti.  Si iscrive alla Facoltà di Lettere, ma le settanta lire al mese non bastano nemmeno per le spese di prima necessità: oltre alle tasse universitarie, deve pagare venticinque lire al mese per l'affitto della stanza di Lungo Dora Firenze 57, nel popolare quartiere di Porta Palazzo, e il costo della luce, della pulizia della biancheria, della carta e dell'inchiostro, e ci sono i pasti«non meno di due lire alla più modesta trattoria»e la legna e il carbone per il riscaldamento: privo anche di un cappotto, «la preoccupazione del freddo non mi permette di studiare, perché o passeggio nella camera per scaldarmi i piedi oppure devo stare imbacuccato perché non riesco a sostenere la prima gelata». Sono frequenti le richieste di denaro alla famiglia che però, da parte sua, non se la passava di certo molto meglio.  L'Università degli Studi di Torino vantava professori di alto livello e di diversa formazione: Luigi Einaudi, Ruffini, Manzini, Toesca, Loria, Solari e poi Bartoli, che si legò di amicizia con Gramsci, come fece anche l'incaricato di letteratura italiana  Cosmo, contro il quale indirizzò però un articolo violentemente polemico. Anni dopo, durante la dura esperienza in carcere, continuò comunque a ricordarlo con simpatia«serbo del Cosmo un ricordo pieno di affetto e direi di venerazione era e credo sia tuttora di una grande sincerità e dirittura morale con molte striature di quella ingenuità nativa che è propria dei grandi eruditi e studiosi»ricordando anche che, con questi e con molti altri intellettuali dei primi quindici anni del secolo, malgrado divergenze di varia natura, egli avesse questo in comune: «partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce, il cui primo punto era questo, che l'uomo moderno può e deve vivere senza religione rivelata o positiva o mitologica o come altro si vuol dire. Questo punto anche oggi mi pare il maggior contributo alla cultura mondiale che abbiano dato gli intellettuali moderni italiani. Si ritrovò a casa per le elezioni politiche, dopo la fine della guerra italo-turca contro l'Impero ottomano per la conquista della Libia; votavano per la prima volta anche gli analfabeti, ma la corruzione e le intimidazioni erano le stesse delle elezioni precedenti. In Sardegna, il timore che l'allargamento della base elettorale favorisse i socialisti portò al blocco delle candidature di tutte le forze politiche contro i candidati socialisti, indicati come il comune nemico da battere. In quest'obiettivo, "sardisti" e "non-sardisti" si trovarono d'accordo e deposero le vecchie polemiche. Gramsci scrisse di quest'esperienza elettorale al compagno di studi Tasca, dirigente socialista torinese, il quale affermò che Gramsci «era stato molto colpito dalla trasformazione prodotta in quell'ambiente dalla partecipazione delle masse contadine alle elezioni, benché non sapessero e non potessero ancora servirsi per conto loro della nuova arma. Fu questo spettacolo, e la meditazione su di esso, che fece definitivamente di Gramsci un socialista».  Tornò a Torino, andando ad affittare una stanza all'ultimo piano del palazzo di via San Massimo 14, oggi Monumento nazionale; dovrebbe datarsi a questo periodo la sua iscrizione al Partito socialista. Si trovò in ritardo con gli esami, con il rischio di perdere il contributo della borsa di studio, a causa di «una forma di anemia cerebrale che mi toglie la memoria, che mi devasta il cervello, che mi fa impazzire ora per ora, senza che mi riesca di trovare requie né passeggiando, né disteso sul letto, né disteso per terra a rotolarmi in certi momenti come un furibondo». Riconosciuto «afflitto da grave nevrosi» gli fu concesso di recuperare gli esami nella sessione di primavera. Prese anche lezioni di filosofia da Pastore, il quale scrisse poi che «il suo orientamento era originalmente crociano ma già mordeva il freno e non sapeva ancora come e perché staccarsi voleva rendersi conto del processo formativo della cultura agli scopi della rivoluzione come fa il pensare a far agire come le idee diventano forze pratiche». Gramsci stesso scriverà di aver sentito anche la necessità di «superare un modo di vivere e di pensare arretrato, come quello che era proprio di un sardo del principio del secolo, per appropriarsi un modo di vivere e di pensare non più regionale e da villaggio, ma nazionale» ma anche «di provocare nella classe operaia il superamento di quel provincialismo alla rovescia della palla di piombo come il Sud Italia e generalmente considerato nel Nord che aveva le sue profonde radici nella tradizione riformistica e corporativa del movimento socialista». L'iscrizione al partito gli permise di superare in parte un lungo periodo di solitudine: ora frequentava i giovani compagni di partito, fra i quali erano Tasca, Togliatti, Terracini. “Uscivamo spesso dalle riunioni di partito mentre gli ultimi nottambuli si fermavano a sogguardarci continuavamo le nostre discussioni, intramezzandole di propositi feroci, di scroscianti risate, di galoppate nel regno dell'impossibile e del sogno». Nell'Italia che ha dichiarato la propria neutralità nella Prima guerra mondiale in corsoneutralità affermata anche dal Partito socialistascrive per la prima volta sul settimanale socialista torinese Il Grido del Popolo l'articolo Neutralità attiva e operante in risposta a quello apparso il 18 ottobre sull'Avanti! di Mussolini Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva e operante, senza però poter comprendere quale svolta politica stesse preparando l'allora importante e popolare esponente socialista.  Sostenne  quello che sarà, senza che lo sapesse ancora, il suo ultimo esame all'Università; il suo impegno politico si fece crescente con l'entrata in guerra dell'Italia e con il suo ingresso nella redazione torinese dell'Avanti!. Trascorse gran parte delle sue giornate all'ultimo piano nel palazzo dell'Alleanza Cooperativa Torinese al numero 12 di corso Siccardi (oggi Galileo Ferraris), dove, in tre stanze, erano situate la sezione giovanile del partito socialista e le redazioni de Il Grido del Popolo e del foglio piemontese dell'Avanti!, che comprendeva la rubrica della cronaca torinese, Sotto la Mole; in entrambi i giornali Gramsci pubblicava di tutto, dai commenti sulla situazione interna ed estera agli interventi sulla vita di partito, dagli articoli di polemica politica alle note di costume, dalle recensioni dei libri alla critica teatrale. Dirà più tardi di aver scritto in dieci anni di giornalismo «tante righe da poter costituire quindici o venti volumi di quattrocento pagine, ma esse erano scritte alla giornata e dovevano morire dopo la giornata» e di aver contribuito «molto prima di Tilgher» a rendere popolare il teatro di Pirandello: «ho scritto sul Pirandello tanto da mettere insieme un volumetto di duecento pagine e allora le mie affermazioni erano originali e senza esempio: Pirandello era o sopportato amabilmente o apertamente deriso». Della commedia di Pirandello Pensaci, Giacomino! scrisse che «è tutto uno sfogo di virtuosismo, di abilità letteraria, di luccichii discorsivi. I tre atti corrono su un solo binario. I personaggi sono oggetto di fotografia piuttosto che di approfondimento psicologico: sono ritratti nella loro esteriorità più che in una intima ricreazione del loro essere morale. È questa del resto la caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello, che coglie della vita la smorfia, più che il sorriso, il ridicolo, più che il comico: che osserva la vita con l'occhio fisico del letterato, più che con l'occhio simpatico dell'uomo artista e la deforma per un'abitudine ironica che è l'abitudine professionale più che visione sincera e spontanea», mentre considerò Liolà  «il prodotto migliore dell'energia letteraria di Luigi Pirandello. In esso il Pirandello è riuscito a spogliarsi delle sue abitudini retoriche. Il Pirandello è un umorista per partito preso troppo spesso la prima intuizione dei suoi lavori viene a sommergersi in una palude retorica di una moralità inconsciamente predicatoria, e di molta verbosità inutile».  Il fu Mattia Pascal, secondo Gramsci, è una sorta di prima stesura del Liolà che, liberato dalla zavorra moralistica della vita, si è rinnovato diventando una pura rappresentazione, «una farsa che si riattacca ai drammi satireschi della Grecia antica, e che ha il suo corrispondente pittorico nell'arte figurativa vascolare  è una vita ingenua, rudemente sincera una efflorescenza di paganesimo naturalistico, per il quale la vita, tutta la vita è bella, il lavoro è un'opera lieta, e la fecondità irresistibile prorompe da tutta la materia organica».  Severo fu invece il giudizio sul Così è (se vi pare): dalla tesi pseudo-logistica che la verità in sé non esista, Pirandello «non ha saputo trarre dramma e neppure motivo a rappresentazione viva e artistica di caratteri, di persone vive che abbiano un significato fantastico, se non logico. I tre atti di Pirandello sono un semplice fatto di letteratura [puro e semplice aggregato di parole che non creano né una verità né un'immagine il vero dramma l'autore l'ha solo adombrato, l'ha accennato: è nei due pseudopazzi che non rappresentano però la loro vera vita, l'intima necessità dei loro atteggiamenti esteriori, ma sono presentati come pedine della dimostrazione logica». Rivolgendosi ai giovani, scrisse da solo il numero unico del giornale dei giovani socialisti La Città future. Qui mostra la sua intransigenza politica, la sua ironia, anche contro i socialisti riformisti, il fastidio verso ogni espressione retorica ma anche la sua formazione idealistica, i suoi debiti culturali nei confronti di Croce, superiori perfino a quelli dovuti a Marx: «in quel tempo»scriverà«il concetto di unità di teoria e pratica, di filosofia e politica, non era chiaro in me e io ero tendenzialmente crociano». Lo zar di Russia Nicola II è facilmente rovesciato da pochi giorni di manifestazioni popolari, per lo più spontanee, che chiedono pane e la fine dell'autocrazia: viene instaurato un moderato governo liberale e, insieme, si ricostituiscono i Soviet, forme di rappresentanza su base popolare già creati nella precedente Rivoluzione russa del 1905; le notizie giungono in Italia parziali e confuse: i quotidiani «borghesi» sostengono che si tratta dell'avviamento di un processo di democratizzazione in Russia, sull'esempio della grande Rivoluzione francese, mentre Gramsci è convinto che «la rivoluzione russa è un atto proletario ed essa naturalmente deve sfociare nel regime socialista  i rivoluzionari socialisti non possono essere giacobini: essi in Russia hanno solo attualmente il compito di controllare che gli organismi borghesi non facciano essi del giacobinismo». Con il ritorno in Russia di Lenin, che pone subito il problema della pace immediata e della consegna del potere ai Soviet, la lotta politica si radicalizza. Gramsci è convinto che Lenin abbia «suscitato energie che più non morranno. Egli e i suoi compagni bolscevichi sono persuasi che sia possibile in ogni momento realizzare il socialismo». Gramsci nega esplicitamente la necessità dell'esistenza di condizioni obiettive affinché una rivoluzione trionfi, quando scrive che i bolscevichi «sono nutriti di pensiero marxista. Sono rivoluzionari, non evoluzionisti. E il pensiero rivoluzionario nega il tempo come fattore di progresso. Nega che tutte le esperienze intermedie tra la concezione del socialismo e la sua realizzazione debbano avere nel tempo e nello spazio una riprova assoluta e integrale». È l'anticipazione dell'articolo, più famoso, che scriverà subito dopo la notizia del successo della Rivoluzione d'ottobre.  Anche in Italia la guerra interminabile, costata già centinaia di migliaia di morti e di mutilati, la penuria dei generi alimentari, la sconfitta di Caporetto e la stessa eco provocata dalla rivoluzione russa portarono a insofferenze che a Torino sfociarono in un'autentica sommossa spontanea duramente repressa dal governo: oltre 50 morti, più di duecento feriti, la città dichiarata zona di guerra con la conseguente applicazione della legge marziale, arresti a catena che colpirono non solo i diretti responsabili ma, indiscriminatamente, anche gli elementi politici d'opposizione e segnatamente l'intero nucleo della sezione socialista, con l'accusa di istigazione alla rivoluzione. In conseguenza dell'emergenza venutasi a creare, la direzione della Sezione socialista torinese venne assunta da un comitato di dodici persone, del quale fece parte anche Gramsci, il quale rimane l'unico redattore de Il Grido del Popolo che cesserà le pubblicazioni. I bolscevichi avevano preso il potere in Russia ma per settimane in Europa giunsero solo notizie deformate, confuse e censurate, finché l'edizione nazionale dell'Avanti! uscì con un editoriale dal titolo La rivoluzione contro il Capitale, firmato da Gramsci: «La rivoluzione dei bolscevichi è materiata di ideologia più che di fatti essa è la rivoluzione contro il Capitale di Marx. Il Capitale di Marx era, in Russia, il libro dei borghesi, più che dei proletari. Era la dimostrazione critica della fatale necessità che in Russia si formasse una borghesia, si iniziasse un'era capitalistica, si instaurasse una civiltà di tipo occidentale prima che il proletariato potesse neppure pensare alla sua riscossa, alle sue rivendicazioni di classe, alla sua rivoluzione. I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico  se i bolscevichi rinnegano alcune affermazioni del Capitale, non ne rinnegano il pensiero immanente, vivificatore. Essi non sono «marxisti», ecco tutto; non hanno compilato sulle opere del Maestro una dottrina esteriore di affermazioni dogmatiche e indiscutibili. Vivono il pensiero marxista, quello che non muore mai, che è la continuazione del pensiero idealistico italiano e tedesco, che in Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche». In realtà Marx, almeno negli ultimi anni, non aveva escluso che un Paese arretrato potesse giungere al socialismo saltando fasi di sviluppo capitalistico: ma qui interessa rilevare tanto la visione di Gramsci ancora idealistica, volontaristica, dell'azione politica, quanto la critica che di fatto Gramsci rivolgeva ai dirigenti socialisti europei, e italiani in particolare, di concepire lo sviluppo storico in modo meccanicistico.  Finita la guerra e usciti dal carcere i dirigenti torinesi del partito, Gramsci lavorò unicamente all'edizione piemontese dell'Avanti!, che allora si stampava in via Arcivescovado 3, insieme con alcuni giovani colleghi: Giuseppe Amoretti, Alfonso Leonetti, Mario Montagnana, Felice Platone; ma egli e altri giovani socialisti torinesi, come Tasca, Togliatti e Terracini, intendevano ormai esprimere, dopo l'esperienza della rivoluzione russa, esigenze nuove nell'attività politica, che non sentivano rappresentate dalla Direzione nazionale del partito: «L'unico sentimento che ci unisse, in quelle nostre riunioni, era quello suscitato da una vaga passione di una vaga cultura proletaria; volevamo fare, fare, fare; ci sentivamo angustiati, senza un orientamento, tuffati nell'ardente vita di quei mesi dopo l'armistizio, quando pareva immediato il cataclisma della società italiana». Uscì il primo numero dell'Ordine nuovo con Gramsci segretario di redazione e animatore della rivista. La rivista ebbe un avvio incerto: all'inizio «il programma fu l'assenza di un programma concreto, per una vana e vaga aspirazione ai problemi concreti nessuna idea centrale, nessuna organizzazione intima del materiale letterario pubblicato» Tasca intendeva farne una pubblicazione culturale: «per "cultura" intendeva "ricordare", non intendeva "pensare", e intendeva "ricordare" cose fruste, cose logore, la paccottiglia del pensiero operaio fu una rassegna di cultura astratta, di informazione astratta, con la tendenza a pubblicare novelline orripilanti e xilografie bene intenzionate; ecco cosa fu l'Ordine nuovo nei suoi primi numeri». Gramsci intendeva invece definirlo su posizioni nettamente operaistiche, ponendo all'ordine del giorno la necessità d'introdurre nelle fabbriche italiane nuove forme di potere operaio, i consigli di fabbrica, sull'esempio dei Soviet russi: «Ordimmo, io e Togliatti, un colpo di Stato redazionale; il problema delle commissioni interne fu impostato esplicitamente nel n. 7 della rassegna il problema dello sviluppo della commissione interna divenne problema centrale, divenne l'idea dell'Ordine nuovo; era esso posto come problema fondamentale della rivoluzione operaia, era il problema della "libertà" proletaria. L'Ordine nuovo divenne, per noi e per quanti ci seguivano, "il giornale dei Consigli di fabbrica"; gli operai amarono l'Ordine nuovo perché negli articoli del giornale ritrovavano una parte di se stessi, la parte migliore di se stessi; perché sentivano gli articoli dell'Ordine nuovo pervasi dallo stesso loro spirito di ricerca interiore: "Come possiamo diventar liberi? Come possiamo diventare noi stessi?". Perché gli articoli dell'Ordine nuovo non erano fredde architetture intellettuali, ma sgorgavano dalla discussione nostra con gli operai migliori, elaboravano sentimenti, volontà, passioni reali». Diversamente dalle Commissioni interne, già esistenti all'interno dalle fabbriche, che venivano elette soltanto dagli operai iscritti ai diversi sindacati, i Consigli dovevano essere eletti indistintamente da tutti gli operai e avrebbero dovuto, nel progetto degli ordinovisti, non tanto occuparsi dei consueti problemi sindacali, ma porsi problemi politici, fino al problema della stessa organizzazione, della gestione operaia della fabbrica, sostituendosi al capitalista: nel s, alla FIAT furono eletti i primi Consigli.  La Confindustria, nella sua Conferenza nazionale, espresse chiaramente «la necessità che la borghesia del lavoro attinga in se stessa il mezzo per un'energica azione contro deviazioni e illusioni» e il 20 marzo i tre maggiori industriali torinesi, Olivetti, De Benedetti e Agnelli fecero presente al prefetto Taddei la loro volontà di ricorrere all'arma della serrata delle fabbriche contro «l'indisciplina e le continue esorbitanti pretese degli operai». Così quando in occasione di una controversia sindacale nelle Industrie Metallurgiche tre membri delle commissioni interne furono licenziati e gli operai protestarono con lo sciopero, l'Associazione degli industriali metalmeccanici rispose il 29 marzo con la serrata di tutte le fabbriche torinesi. La lotta si estese fino allo sciopero generale proclamato a Torino  e in alcune province piemontesi, mentre il governo presidiava il capoluogo con migliaia di soldati. I tentativi degli ordinovisti di allargare la protesta, se non in tutta l'Italia, almeno nei maggiori centri industriali del paese, fallì e alla fine d'aprile gli operai furono costretti a riprendere il lavoro senza avere ottenuto nulla.  Lo sciopero fallì per la resistenza degli industriali ma anche per l'isolamento in cui la Camera del Lavoro, controllata dai socialisti riformisti, contrari alla costituzione dei Consigli operai, e lo stesso Partito socialista lasciarono i lavoratori torinesi; l'8 maggio Gramsci pubblicò sull'Ordine Nuovo una sua relazione, approvata dalla Federazione torinese, che denunciava l'inefficienza e l'inerzia del Partito. Dopo aver sostenuto che era matura la trasformazione dell'«ordine attuale di produzione e di distribuzione» in un nuovo ordine che desse «alla classe degli operai industriali e agricoli il potere di iniziativa nella produzione», alla quale si opponevano gli industriali e i proprietari terrieri, appoggiati dallo Stato, Gramsci rilevava che «le forze operaie e contadine mancano di coordinamento e di concentrazione rivoluzionaria perché gli organismi direttivi del Partito socialista hanno rivelato di non comprendere assolutamente nulla della fase di sviluppo che la storia nazionale e internazionale attraversa nell'attuale periodo il Partito socialista assiste da spettatore allo svolgersi degli eventi, non ha mai un'opinione sua da esprimere non lancia parole d'ordine che possano essere raccolte dalle masse, dare un indirizzo generale, unificare e concentrare l'azione rivoluzionaria il Partito socialista è rimasto, anche dopo il Congresso di Bologna, un mero partito parlamentare, che si mantiene immobile entro i limiti angusti della democrazia borghese».   Il numero dell'11 dicembre 1920 Rilevò la mancanza di omogeneità nella composizione del partito, in cui continuavano a essere presenti riformisti e «opportunisti», contrari agli indirizzi della III Internazionale. Non solo: «mentre la maggioranza rivoluzionaria del partito non ha avuto una espressione del suo pensiero e un esecutore della sua volontà nella direzione e nel giornale, gli elementi opportunisti invece si sono fortemente organizzati e hanno sfruttato il prestigio e l'autorità del Partito per consolidare le loro posizioni parlamentari e sindacali se il Partito non realizza l'unità e la simultaneità degli sforzi, se il Partito si rivela un mero organismo burocratico, senza anima e senza volontà, la classe operaia istintivamente tende a costituirsi un altro partito e si sposta verso tendenze anarchiche ».  Il Partito socialista non svolge alcuna funzione di educazione e di spiegazione di quanto sta avvenendo nella scena internazionale, dalla quale esso è assente, non partecipando nemmeno alle riunioni dell'Internazionale comunista, le cui tesi non sono riportate nell'Avanti!. Analogamente, le edizioni socialiste non stampano le pubblicazioni comuniste: «valga per tutte il volume di Lenin Stato e rivoluzione». Occorre pertanto, secondo Gramsci, che il Partito socialista acquisti «una sua figura precisa e distinta: da partito parlamentare piccolo borghese deve diventare il partito del proletariato rivoluzionario che lotta per l'avvenire della società comunista i non comunisti rivoluzionari devono essere eliminati dal Partito ogni avvenimento della vita proletaria nazionale e internazionale deve essere immediatamente commentata per trarne argomenti di propaganda comunista e di educazione delle coscienze rivoluzionarie le sezioni devono promuovere in tutte le fabbriche, nei sindacati, nelle cooperative, nelle caserme la costituzione di gruppi comunisti l'esistenza di un Partito comunista coeso e fortemente disciplinato [.è la condizione fondamentale e indispensabile per tentare qualsiasi esperimento di Soviet il Partito deve lanciare un manifesto nel quale la conquista rivoluzionaria del potere politico sia posta in modo esplicito ». La risoluzione dell'Internazionale comunista che chiedeva ai partiti socialisti l'allontanamento dei riformisti, venne disattesa dal Partito Socialista Italiano. Infatti, a dispetto dell'approvazione e dell'avallo ottenuto dagli ordinovisti da parte di Lenin nel corso del II Congresso dell'Internazionale, alla quale il PSI aveva aderito con il congresso di Bologna tenuto nell'ottobre del 1919, i vecchi dirigenti del partito erano riluttanti di fronte alla svolta politica e sociale realizzatasi nel dopoguerra.  In Italia, le rivendicazioni salariali, rese necessarie dall'elevato indice d'inflazione, non trovavano accoglienza presso gli industriali. Il 30 agosto 1920, a Milano, a seguito della serrata dell'Alfa Romeo, 300 fabbriche furono occupate dagli operai: la FIOM appoggiò l'iniziativa, ordinando l'occupazione di tutte le fabbriche metalmeccaniche d'Italia, con la speranza che una tale, estrema iniziativa provocasse l'intervento del governo a favore di una soluzione delle trattative. All'inizio di settembre tutte le maggiori fabbriche d'Italia erano occupate da mezzo milione di operai, parte dei quali armati, sia pure in modo rudimentale; alla FIAT di Torino, tuttavia, ci fu una novità: dell'ufficio di Giovanni Agnelli prese possesso l'operaio comunista Giovanni Parodi e i Consigli di fabbrica decisero di continuare la produzione, per dimostrare che una grande fabbrica poteva funzionare anche in assenza del proprietario.   Giovanni Giolitti Di fronte alla neutralità del governo Giolitti e alla decisione della Confindustria di non cedere, il 10 settembre, nell'assemblea milanese che vide riuniti i dirigenti del Partito socialista e della Camera del Lavoro, questi ultimi si dimisero lasciando la gestione della difficile situazione al Partito, che tuttavia non aveva alcuna intenzione di prolungare l'agitazione: la proposta estrema dell'allargamento delle occupazioni a tutte le fabbriche del paese e alle campagne fu respinta dalla maggioranza dei rappresentanti. Un accordo salariale raggiunto con la mediazione di Giolitti pose termine, alla fine di settembre, alle occupazioni delle fabbriche.  Quell'esperienza dimostrò tanto la mancanza di una strategia dei dirigenti socialisti quanto l'impreparazione degli stessi operai a iniziative rivoluzionarie, per le quali occorrevano organizzazione e disciplina. In previsione del prossimo XVII Congresso del Partito socialista, Gramsci scrisse che «la costituzione del Partito comunista crea le condizioni per intensificare e approfondire l'opera nostra: liberati dal peso morto degli scettici, dei chiacchieroni, degli irresponsabili, liberati dall'assillo di dover continuamente, nel seno del Partito, lottare contro i riformisti e gli opportunisti, di dover sventare le loro insidie, di dover analizzare e criticare i loro atteggiamenti equivoci e la loro fraseologia pseudo-rivoluzionaria, noi potremo dedicarci interamente al lavoro positivo, all'espansione del nostro programma di rinnovamento, di organizzazione, di risveglio delle coscienze e delle volontà».  NSi riunì a Milano il gruppo favorevole alla costituzione di un partito comunista e Amadeo Bordiga, Luigi Repossi, Bruno Fortichiari, Gramsci, Nicola Bombacci, Francesco Misiano e Umberto Terracini costituirono il Comitato provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista.  La fondazione del Partito comunista  Il congresso di Livorno La scissione si realizzò, nel Teatro San Marco di Livorno, con la nascita del «Partito Comunista d'Italia, sezione italiana dell'Internazionale». Il comitato centrale fu composto dagli astensionisti (Amadeo Bordiga, Ruggero Grieco, Giovanni Parodi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia e Bruno Fortichiari), dagli ex-massimalisti (Nicola Bombacci, Ambrogio Belloni, Egidio Gennari, Francesco Misiano, Anselmo Marabini, Luigi Repossi e Luigi Polano) e dagli ordinovisti Gramsci e Terracini. Diresse l'Ordine nuovo, divenuto ora uno dei quotidiani comunisti insieme con Il Lavoratore di Trieste e Il Comunista di Roma, quest'ultimo diretto da Togliatti. Non venne eletto deputato alle elezioni: Gramsci non ha capacità oratorie, è ancora giovane e anche la sua conformazione fisica non lo agevola nell'apprezzamento di molti elettori.  Alla fine di maggio partì per Mosca, designato a rappresentare il Partito italiano nell'esecutivo dell'Internazionale comunista. Vi arrivò già malato e nell'estate fu ricoverato in un sanatorio per malattie nervose di Mosca. Qui conobbe una degente russa, Eugenia Schucht, membro del Partito, figlia di Apollon Schucht, dirigente del Pcus e amico personale di Lenin, che aveva vissuto alcuni anni in Italia e, attraverso di lei, la sorella Giulia (Julka)  che, violinista, aveva abitato diversi anni a Roma diplomandosi al Conservatorio Santa Cecilia.  Giulia, ventiseienne, è bella, alta, ha un aspetto romantico; Gramsci ne è conquistato: ricorderà «il primo giorno che non osavo entrare nella tua stanza perché mi avevi intimidito al giorno che sei partita a piedi e io ti ho accompagnato fino alla grande strada attraverso la foresta e sono rimasto tanto tempo fermo per vederti allontanare tutta sola, col tuo carico da viandante, per la grande strada, verso il mondo grande e terribile ho molto pensato a te, che sei entrata nella mia vita e mi hai dato l'amore e mi hai dato ciò che mi era sempre mancato e mi faceva spesso cattivo e torbido.  E quell'immagine di lei, viandante in un mondo grande e terribile, con il suo senso doloroso di distacco, ritornerà ancora dal carcere: «Ricordi quando sei ripartita dal bosco d'argento ti ho accompagnata fino all'orlo della strada maestra e sono rimasto a lungo a vederti allontanare così ti vedo sempre mentre ti allontani a passi brevi, col violino in una mano e nell'altra la tua borsa da viaggio, così pittoresca». Si sposano e avranno due figli, Delio e Giuliano. Il figlio di quest'ultimo porta il nome del nonno, vive a Mosca e pratica la musica medievale. Giulia membro della OGPU, il servizio di Sicurezza sovietico. La moglie di Gramsci e i figli Delio e Giuliano A differenza di Bordiga, tutto inteso a salvaguardare la «purezza» programmatica del partito, e perciò contrario a qualunque iniziativa al di fuori della dittatura del proletariato, Gramsci guardava anche a obiettivi democratici, intermedi, raggiungibili utilizzando le contraddizioni presenti negli strati sociali e le forze che potevano rappresentare elementi di rottura, come il movimento sindacale cattolico di Guido Miglioli e l'intellettualità progressista liberale di cui Piero Gobetti è allora tra i maggiori rappresentanti. Tuttavia nei suoi scritti fino al 1926 ribadisce che l'obiettivo finale era la eliminazione dello stato borghese e la dittatura del proletariato e anche nei suoi scritti successivi non si riscontrano critiche al regime sovietico.  Nel III Congresso dell'Internazionale comunista, di fronte al riflusso dell'ondata rivoluzionaria rappresentata dalle sconfitte delle esperienze comuniste in Germania e in Ungheria, si decise la tattica del fronte unito con la socialdemocrazia. Bordiga e la maggioranza dei dirigenti comunisti italiani si oppose, elaborando le Tesi di Roma, base programmatica del II Congresso del Partito, tenuto a Roma. Gramsci vi aderì ma scrisse di aver «accettato le tesi di Amadeo perché esse erano presentate come una opinione per il Quarto Congresso [dell'Internazionale comunista] e non come un indirizzo di azione. Ritenevamo di mantenere così unito il partito attorno al suo nucleo fondamentale, pensavamo che si potesse fare ad Amadeo questa concessione senza nuove crisi e nuove minacce di scissione nel seno del nostro movimento». Nel IV Congresso dell'Internazionale, di fronte all'avvento al potere di Mussolini, ai delegati comunisti italiani fu posta con ancora maggior forza la necessità di fondersi con corrente socialista degli internazionalisti, capeggiata da Giacinto Menotti Serrati, e di costituire un nuovo Esecutivo, mettendo in minoranza Bordiga, sempre contrario a ogni accordo. Lo stesso Bordiga fu arrestato al suo rientro in Italia nel febbraio 1923 e, in settembre, a Milano, furono incarcerati anche i rappresentanti del nuovo Esecutivo: Gramsci restò così il massimo dirigente del Partito e si trasferì a Vienna per seguire più da vicino la situazione italiana. Fu allora che egli ritenne necessario rompere con la politica di Bordiga: «Il suo stesso carattere inflessibile e tenace fino all'assurdo ci obbliga a prospettarci il problema di costruire il partito ed il centro di esso anche senza di lui e contro di lui. Penso che sulle quistioni di principio non dobbiamo più fare compromessi come nel passato: vale meglio la polemica chiara, leale, fino in fondo, che giova al partito e lo prepara ad ogni evenienza». Uscì a Milano il primo numero del nuovo quotidiano comunista l'Unità e dal primo marzo la nuova serie del quindicinale l'Ordine nuovo. Il titolo del giornale, da lui scelto, venne giustificato dalla necessità dell'«unità di tutta la classe operaia intorno al partito, unità degli operai e dei contadini, unità del Nord e del Mezzogiorno, unità di tutto il popolo italiano nella lotta contro il fascismo».Alle elezioni venne eletto deputato al parlamento, potendo così rientrare a Roma, protetto dall'immunità parlamentare. Quello stesso mese, nei dintorni di Como, si tenne un convegno illegale dei dirigenti delle Federazioni comuniste italiane: pubblicamente, si fingevano dipendenti di un'azienda milanese in gita turistica, con tanto di pubblici discorsi fascisti e inni a Mussolini, mentre, a parte, discutevano dei problemi del partito.  Nel convegno si affrontò il «caso Bordiga», il quale aveva rifiutato la candidatura al Parlamento, era in rotta con la maggioranza dell'Internazionale e rifiutava ogni azione politica comune con le altre forze politiche di sinistra. Delle tre mozioni presentate, che rispecchiavano le tre correnti in seno al Partito, la corrente di destra di Tasca, di centro di Gramsci e Togliatti, e di sinistra di Bordiga, questa raccolse l'adesione della grande maggioranza dei delegati, confermando la notevole importanza di cui il rivoluzionario napoletano godeva nel Partito.  Il 10 giugno un gruppo di fascisti rapì e uccise il deputato socialista Giacomo Matteotti; sembrò allora che il fascismo stesse per crollare per l'indignazione morale che in quei giorni percorse il Paese, ma non fu così; l'opposizione parlamentare scelse la linea sterile di abbandonare il Parlamento, dando luogo alla cosiddetta Secessione dell'Aventino: i liberali speravano in un appoggio della Monarchia, che non venne, i cattolici erano ostili tanto ai fascisti che ai socialisti e questi ultimi erano ostili a tutti, comunisti compresi. Gramsci avanzò al «Comitato dei sedici»il nucleo dirigente dei gruppi aventinianila proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta; i comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione». Giacomo Matteotti Malgrado le divisioni dell'opposizione antifascista, Gramsci credeva che la caduta del regime fosse imminente: «Il regime fascista muore perché non solo non è riuscito ad arrestare, ma anzi ha contribuito ad accelerare la crisi delle classi medie iniziatasi dopo la guerra. L'aspetto economico di questa crisi consiste nella rovina della piccola e media azienda il monopolio del credito, il regime fiscale, la legislazione sugli affitti hanno stritolato la piccola impresa commerciale e industriale: un vero e proprio passaggio di ricchezza si è verificato dalla piccola e media alla grande borghesia. L'apparato industriale ristretto ha potuto salvarsi dal completo sfacelo solo per un abbassamento del livello di vita della classe operaia premuta dalla diminuzione dei salari, dall'aumento della giornata di lavoro. La disgregazione sociale e politica del regime fascista ha avuto la sua piena manifestazione di massa nelle elezioni del 6 aprile. Il fascismo è stato messo nettamente in minoranza nella zona industrial. Le elezioni del 6 aprile segnarono l'inizio di quella ondata democratica che culminò nei giorni immediatamente successivi all'assassinio dell'on. Matteotti le opposizioni avevano acquistato dopo le elezioni un'importanza politica enorme; l'agitazione da esse condotta nei giornali e nel Parlamento per discutere e negare la legittimità del governo fascista si ripercuoteva nel seno dello stesso Partito nazionale fascista, incrinava la maggioranza parlamentare. Di qui l'inaudita campagna di minacce contro le opposizioni e l'assassinio del deputato unitario”. “Il delitto Matteotti dette la prova provata che il Partito fascista non riuscirà mai a diventare un normale partito di governo, che Mussolini non possiede dello statista e del dittatore altro che alcune pittoresche pose esteriori; egli non è un elemento della vita nazionale, è un fenomeno di folklore paesano, destinato a passare alla storia nell'ordine delle diverse maschere provinciali italiane, più che nell'ordine dei Cromwell, dei Bolívar, dei Garibaldi». S'ingannava, perché l'inerzia dell'opposizione non riuscì a dare alternative del blocco sociale in cui la piccola borghesia teme il «salto nel buio» della caduta del regime e i fascisti riprendono coraggio e ricominciano le violenze squadriste: in una delle tante viene aggredito anche Gobetti. E dopo il 12 settembre, quando il militante comunista Giovanni Corvi uccide in un tram il deputato fascista Armando Casalini, per vendicare la morte di Matteotti, la repressione s'inasprisce. Il 20 ottobre Gramsci propose vanamente che l'opposizione aventiniana si costituisca in «Antiparlamento», in modo da segnare nettamente la distanza e svuotare di significato un Parlamento di soli fascisti; ipartì per la Sardegna, per intervenire al Congresso regionale del partito e per rivedere i famigliari. Il 6 novembre si congedò dalla madre, che non avrebbe più rivisto. Il deputato comunista Repossi rientrò in Parlamento, dove sedevano solo i deputati fascisti e i loro alleati, per commemorare Matteotti a nome di tutto il suo partito; il 26 vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare comunista, a segnare l'inutilità dell'esperienza aventiniana. Il quotidiano di Giovanni Amendola Il Mondo pubblicò le dichiarazioni di Cesare Rossi, già capo ufficio stampa di Mussolini, a proposito del delitto Matteotti: «Tutto quanto è successo è avvenuto sempre per la volontà diretta o per l'approvazione o per la complicità del duce» e Mussolini, in un discorso rimasto famoso, a confermare quella testimonianza, dichiara alla Camera dei deputati di assumersi «la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto», dando il via a una nuova azione repressiva.  In febbraio Gramsci andò a Mosca, per stare con la moglie e conoscere finalmente il figlio Delio. Tornato in Italia a maggio, il 16 tenne il suo primoe unicodiscorso in Parlamento, davanti all'ex compagno di partito Mussolini, ora Primo ministro, che aveva descritto l'anno prima come un capo che «è divinizzato, è dichiarato infallibile, è preconizzato organizzatore e ispiratore di un rinato Sacro Romano Impero. Conosciamo quel viso: conosciamo quel roteare degli occhi nelle orbite che nel passato dovevano, con la loro ferocia meccanica, far venire i vermi alla borghesia e oggi al proletariato. Conosciamo quel pugno sempre chiuso alla minaccia. Mussolini è il tipo concentrato del piccolo-borghese italiano, rabbioso, feroce impasto di tutti i detriti lasciati sul suolo nazionale da vari secoli di dominazione degli stranieri e dei preti: non poteva essere il capo del proletariato; divenne il dittatore della borghesia, che ama le facce feroci quando ridiventa borbonica». Con il pretesto di colpire la Massoneria, il governo aveva predisposto un disegno di legge per disciplinare l'attività di associazioni, enti e istituti: continuamente interrotto, Gramsci respinse il pretesto che il governo si era dato, «perché la Massoneria passerà in massa al Partito fascista e ne costituirà una tendenza, è chiaro che con questa legge voi sperate di impedire lo sviluppo di grandi organizzazioni operaie e contadine».  E ironizzando: «Qualche fascista ricorda ancora nebulosamente gli insegnamenti dei suoi vecchi maestri, di quando era rivoluzionario e socialista, e crede che una classe non possa rimanere tale permanentemente e svilupparsi fino alla conquista del potere, senza che essa abbia un partito e un'organizzazione che ne riassuma la parte migliore e più cosciente. C'è qualcosa di vero, in questa torbida perversione degli insegnamenti marxisti».  Concluse: «Voi potete conquistare lo Stato, potete modificare i codici, potete cercar di impedire alle organizzazioni di esistere nella forma in cui sono esistite fino adesso ma non potete prevalere sulle condizioni obbiettive in cui siete costretti a muovervi. Voi non farete che costringere il proletariato a ricercare un indirizzo diverso da quello fin oggi più diffuso nel campo dell'organizzazione di massa. Ciò noi vogliamo dire al proletariato e alle masse contadine italiane, da questa tribuna: che le forze rivoluzionarie italiane non si lasceranno schiantare, il vostro torbido sogno non riuscirà a realizzarsi». Si svolse clandestinamente a Lione il III Congresso del Partito. Vi parteciparono 70 delegati, con tutti i maggiori responsabili, Bordiga, Gramsci, Tasca, Togliatti, Grieco, Leonetti, Scoccimarro: vi era anche Serrati, che aveva lasciato da poco il Partito socialista di cui era stato a lungo dirigente di primo piano. Assisteva, a nome dell'Internazionale, Jules Humbert-Droz. Gramsci presentò le Tesi congressuali elaborate insieme con Togliatti. Con un capitalismo debole e l'agricoltura base dell'economia nazionale, in Italia si assiste al compromesso fra industriali del Nord e proprietari fondiari del Sud, ai danni degli interessi generali della maggioranza della popolazione. Il proletariato, in quanto forza sociale omogenea e organizzata rispetto alla piccola borghesia urbana e rurale, che ha interessi differenziati, viene visto, nelle Tesi, «come l'unico elemento che per la sua natura ha una funzione unificatrice e coordinatrice di tutta la società.» Secondo Gramsci il fascismo non è, come invece ritiene Bordiga, l'espressione di tutta la classe dominante, ma è il frutto politico della piccola borghesia urbana e della reazione degli agrari che ha consegnato il potere alla grande borghesia, e la sua tendenza imperialistica è l'espressione della necessità, da parte delle classi industriali e agrarie, «di trovare fuori del campo nazionale gli elementi per la risoluzione della crisi della società italiana» che tuttavia permette, per la sua natura oppressiva e reazionaria, una soluzione rivoluzionaria delle contraddizioni sociali e politiche; le due forze sociali idonee a dar luogo a questa soluzione sono il proletariato del Nord e i contadini del Mezzogiorno. A questo scopo, il Partito andrà bolscevizzato, ossia organizzato per cellule di fabbrica caratterizzate da una "disciplina di ferro" negando al suo interno la possibilità dell'esistenza delle frazioni.  Il Congresso approvò le Tesi a grande maggioranza (oltre il 90%) ed elesse il Comitato centrale con Gramsci segretario del Partito. Da allora, la sinistra comunista di Bordiga non ebbe più un ruolo influente nel Partito. Le Tesi di Lione, realizzate da Gramsci, ribadirono con una certa durezza le posizioni del Pcd’I «la socialdemocrazia sebbene abbia ancora la sua base sociale, per gran parte, nel proletariato per quanto riguarda la sua ideologia e la sua funzione politica cui adempie, deve essere considerata non come un'ala destra del movimento operaio, ma come un'ala sinistra della borghesia e come tale deve essere smascherata». In questa relazione venne sviluppata la cosiddetta bolscevizzazione del partito: «spetti al partito russo una funzione predominante e direttiva nella costruzione di una Internazionale communista. La organizzazione di un partito bolscevico deve essere, in ogni momento della vita del partito, una organizzazione centralizzata, diretta dal Comitato centrale non solo a parole, ma nei fatti. Una disciplina proletaria di ferro deve regnare nelle sue file. La centralizzazione e la compattezza del partito esigono che non esistano nel suo seno gruppi organizzati i quali assumano carattere di frazione. Un partito bolscevico si differenzia per questo profondamente dai partiti socialdemocratici».Tornato a Romada via Vesalio si era trasferito in via Morgagniebbe il tempo di passare alcuni mesi con la famigliala moglie Giulia e il piccolo Delio, oltre alle cognate Eugenia e Tatianache abitano tuttavia in un altro appartamento, in via Trapani: le squadre fasciste, superato da tempo lo smarrimento provocato dal delitto Matteotti, avevano piena libertà d'azione e non era prudente coinvolgere i familiari in loro possibili aggressioni; a Firenze, era stato ucciso l'ex-deputato socialista Gaetano Pilati, la stessa casa di Gramsci era stata messa a soqquadro dalla polizia il 20 ottobre. Mentre gli esponenti dell'opposizione antifascista prendevano la via dell'emigrazione Gobetti, che muore ia Parigi, in conseguenza delle bastonate squadriste, Amendola, Salveminiun processo farsa condannava a una pena simbolica gli assassini di Matteotti, difesi dal capo-squadrista Roberto Farinacci.  La moglie Giulia, che aspettava il secondo figlio Giuliano, lasciò l'Italia e il mese dopo fu la volta della cognata Eugenia a tornare a Mosca con il figlio Delio: Gramsci non l'avrebbe più rivisto.   Giustino Fortunato Elaborando temi già affrontati nelle Tesi di Lione, in settembre Gramsci iniziò a scrivere un saggio sulla questione meridionale, intitolato Alcuni temi sulla quistione meridionale, in cui analizzò il periodo dello sviluppo politico italiano dal 1894, anno dei moti dei contadini siciliani, seguito nel 1898 dall'insurrezione di Milano repressa a cannonate dal governo Di Rudinì. Secondo Gramsci, la borghesia italiana, impersonata politicamente da Giovanni Giolitti, di fronte all'insofferenza delle classi emarginate dei contadini meridionali e degli operai del Nord, piuttosto che allearsi con le forze agrarie, cosa che avrebbe dovuto comportare una politica di libero scambio e di bassi prezzi industriali, scelse di favorire il blocco industriale-operaio, con la conseguente scelta del protezionismo doganale, unita a concessione di libertà sindacali.  Di fronte alla persistenza dell'opposizione operaia, manifestatasi anche contro i dirigenti socialisti riformisti, Giolitti cercò un accordo con i contadini cattolici del Centro-Nord. Il problema è allora di perseguire una politica di opposizione che rompa l'alleanza borghesia-contadini, facendo convergere questi ultimi in un'alleanza con la classe operaia.  La società meridionale, secondo Gramsci, è costituita da tre classi fondamentali: braccianti e contadini poveri, politicamente inconsapevoli; piccoli e medi contadini, che non lavorano la terra ma dalla quale ricavano un reddito che permette loro di vivere in città, spesso come impiegati statali: costoro disprezzano e temono il lavoratore della terra, e fanno da intermediari al consenso fra i contadini poveri e la terza classe, costituita dai grandi proprietari terrieri, i quali a loro volta contribuiscono alla formazione dell'intellettualità nazionale, con personalità del valore di Croce e di Fortunato e sono, con quelli, i principali e più raffinati sostenitori della conservazione di questo blocco agrario. Croce e Fortunato sono, per Gramsci, «i reazionari più operosi della penisola», «le chiavi di volta del sistema meridionale e, in un certo senso, sono le due più grandi figure della reazione italiana». Per poter spezzare questo blocco occorrerebbe la formazione di un ceto di intellettuali medi che interrompa il flusso del consenso fra le due classi estreme, favorendo così l'alleanza dei contadini poveri con il proletariato urbano. Tuttavia Gramsci non aveva un'opinione positiva sui contadini, scrisse: «Il solo organizzatore possibile della massa contadina meridionale è l'operaio industriale, rappresentato dal nostro partito» «Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini»  (Antonio Gramsci, Lettera alla madre) In Unione Sovietica è in corso la lotta fra la maggioranza di Stalin e Bucharin e la minoranza di sinistra del Partito comunista, guidata da Trotskij, Zinov'ev e Kamenev, che critica la politica della NEP, la quale favorisce i contadini ricchi a svantaggio degli operai, e la rinuncia alla rivoluzione socialista mondiale attraverso la costruzione del «socialismo in un solo paese» che porterebbe all'involuzione del movimento rivoluzionario. Il dissidio, che porta all'esclusione di Zinov'ev dall'Ufficio politico del Partito sovietico, si era fatto sempre più aspro con la costituzione in frazione della minoranza e si era esteso anche all'interno del Partito comunista tedesco, provocando una scissione. Il New York Times, forse su ispirazione di Trotsky, pubblicava il testamento di Lenin, con i suoi noti rilievi sul carattere di Stalin e sul pericolo rappresentato dal troppo potere che la carica di segretario del Partito gli concedeva. Su incarico dell'Ufficio politico, Gramsci scrisse a metà ottobre una lettera al Comitato centrale del Partito sovietico. Egli si mostra preoccupato per l'acutezza delle polemiche che potrebbero portare a una scissione che «può avere le più gravi ripercussioni, non solo se la minoranza di opposizione non accetta con la massima lealtà i principi fondamentali della disciplina rivoluzionaria di Partito, ma anche se essa, nel condurre la sua lotta, oltrepassa certi limiti che sono superiori a tutte le democrazie formali». Riconosciuto ai dirigenti sovietici il merito di essere stati «l'elemento organizzatore e propulsore delle forze rivoluzionarie di tutti i paesi», li rimprovera di star «distruggendo l'opera vostra, voi degradate e correte il rischio di annullare la funzione dirigente che il partito comunista dell'URSS aveva conquistato per l'impulso di Lenin: ci pare che la passione violenta delle quistioni russe vi faccia perdere di vista gli aspetti internazionali delle quistioni russe stesse, vi faccia dimenticare che i vostri doveri di militanti russi possono e debbono essere adempiuti solo nel quadro degli interessi del proletariato internazionale. Nel merito del fondamento del contrastola contraddizione di un proletariato formalmente «dominante» in URSS, ma in condizioni economiche molto inferiori alla classe «dominata»Gramsci appoggia la posizione della maggioranza, rilevando che «è facile fare della demagogia su questo terreno ed è difficile non farla quando la quistione è stata messa nei termini dello spirito corporativo e non in quelli del leninismo, della dottrina dell'egemonia del proletariato è in questo elemento la radice degli errori del blocco delle opposizioni e l'origine dei pericoli latenti che nella sua attività sono contenuti. Nella ideologia e nella pratica del blocco delle opposizioni rinasce in pieno tutta la tradizione della socialdemocrazia e del sindacalismo che ha impedito finora al proletariato occidentale di organizzarsi in classe dirigente».  Gramsci concludeva esortando all'unità: «I compagni Zinov'ev, Trockij, Kamenev hanno contribuito potentemente a educarci per la rivoluzione sono stati tra i nostri maestri. A loro specialmente ci rivolgiamo come ai maggiori responsabili dell'attuale situazione perché vogliamo essere sicuri che la maggioranza del comitato centrale del partito comunista dell'URSS non intenda stravincere nella lotta e sia disposta a evitare le misure eccessive. L'untà del nostro partito fratello di Russia è necessaria per lo sviluppo e il trionfo delle forze rivoluzionarie mondiali; a questa necessità ogni comunista e internazionalista deve essere disposto a fare maggiori sacrifizi. I danni di un errore compiuto dal partito unito sono facilmente superabili; i danni di una scissione o di una prolungata condizione di scissione latente possono essere irreparabili e mortali». Togliatti, allora a Mosca quale rappresentante italiano all'Internazionale, criticò le ultime considerazioni che ripartivano, seppure in modo diseguale, le responsabilità delle due fazioni, credendo ancora nella illusoria possibilità di una compattezza del gruppo dirigente sovietico: a suo avviso, invece, «d'ora in poi l'unità della vecchia guardia leninista non sarà più o sarà assai difficilmente realizzata in modo continuo». Non ci sarà tempo e occasione per approfondire la questione: lo stesso giorno in cui il Comitato centrale comunista doveva riunirsi clandestinamente a Genova, Mussolini subì a Bologna un attentato senza conseguenze personali, che provoca una tale pressione poliziesca da far fallire il convegno. L'attentato Zamboni costituì il pretesto per l'eliminazione degli ultimi, minimi residui di democrazia: il governo sciolse i partiti politici di opposizione e soppresse la libertà di stampa. L'8 novembre, in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci venne arrestato nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Il giorno successivo fu dichiarato decaduto, insieme agli altri deputati aventiniani. Dopo un periodo di confino a Ustica, dove ritrovò, tra gli altri, Bordiga, fu detenuto nel carcere milanese di San Vittore. Qui ricevette, in agosto, la visita del fratello Mario, le cui scelte politiche erano state opposte alle suegià federale di Varese, ora si occupava di commercioe, soprattutto, quella della cognata Tatiana, la persona che si manterrà sempre, per quanto possibile, in contatto con lui. L'istruttoria andò per le lunghe, perché vi erano difficoltà a montare su di lui accuse credibili: fu anche fatto avvicinare da due agenti provocatoriprima un tale Dante Romani e poi un certo Corrado Melanima senza successo. Il processo a ventidue imputati comunisti, fra i quali Umberto Terracini, Mauro Scoccimarro e Giovanni Roveda, iniziò finalmente a Roma; Mussolini aveva istituito il Tribunale Speciale Fascista. Presidente è un generale, Saporiti, giurati sono cinque consoli della milizia fascista, relatore l'avvocato Buccafurri e accusatore l'avvocato Isgrò, tutti in uniforme; intorno all'aula, «un doppio cordone di militi in elmetto nero, il pugnale sul fianco ed i moschetti con la baionetta in canna» Gramsci è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all'odio di classe. Il pubblico ministero Isgrò concluse la sua requisitoria con una frase rimasta famosa: «Bisogna impedire a questo cervello di funzionare per venti anni»; e infatti Gramsci venne condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione. Raggiunse il carcere di Turi, in provincia di Bari. Fin da quando si trovava in carcere a Milano, era intenzionato a occuparsi «intensamente e sistematicamente di qualche soggetto» che lo «assorbisse e centralizzasse la sua vita interiore». Il detenuto 7.047 ottenne finalmente l'occorrente per scrivere e iniziò la stesura dei suoi Quaderni del carcere. Il primo quaderno si apre proprio con una bozza di 16 argomenti, alcuni dei quali saranno abbandonati, altri inseriti e altri ancora svolti solo in parte. Caratteristico era il suo modo di lavorare. Quasi tutti i giorni, per alcune ore, camminando all'interno della cella, rifletteva sulle frasi da scrivere e poi si chinava sul tavolino, scrivendo senza sedersi, un ginocchio appoggiato sullo sgabello, per riprendere a camminare e a pensare. A fare da tramite tra Gramsci e il mondo esterno, e in particolare con Sraffa e tramite questi col Pcus e il PCd'I, fu la cognata Tatiana Schucht, essendo la moglie di Gramsci tornata in Unione Sovietica.  Intanto, il Congresso dell'Internazionale comunista, tenutosi a Mosca aveva stabilito l'impossibilità di accordi con la social-democrazia, che veniva anzi assimilata allo stesso fascismo. Era la tesi di Stalin il quale, liquidata l'opposizione di Trockij, eliminava anche l'influenza di Bucharin che, già suo alleato contro la sinistra di Trockij, era rimasto il suo principale oppositore da destra. Al nuovo orientamento dell'Internazionale, riaffermato nel X Plenum del Comitato esecutivo ndovevano adeguarsi i Partiti nazionali, espellendo, se necessario, i dissidenti. Il Partito comunista d'Italia si adeguò alle scelte dell'Internazionale, espellendo Angelo Tasca in settembre e in successione, ma con l'accusa di trotskismo, prima, iBordiga, poi, ifu la volta di Leonetti, Tresso e Ravazzoli. Teneva, durante l'ora d'aria, dei "colloqui-lezioni" con i compagni di partito: non esistono dirette testimonianze delle opinioni espresse da Gramsci riguardo alla «svolta» politica del movimento comunista, ma può costituire un indiretto riferimento un rapporto che un suo compagno di carcere, Athos Lisa, amnistiato, inviò subito al Centro estero comunista. Secondo quella relazione, riferì la teoria della necessità dell'alleanza fra operai del Nord e contadini meridionali che già stava elaborando nei suoi Quaderni: «L'azione per la conquista degli alleati diviene per il proletariato cosa estremamente delicata e difficile. D'altra parte, senza la conquista di questi alleati, è precluso al proletariato ogni serio movimento rivoluzionario». Qui s'intende che il proletariatola classe operaiadebba allearsi con i contadini e la piccola borghesia: «Se si tiene conto delle particolari condizioni nei limiti delle quali va visto il grado di sviluppo politico degli strati contadini e piccoli borghesi in Italia, è facile comprendere come la conquista di questi strati sociali comporti per il partito una particolare azione. La lotta per la conquista diretta del potere è un passo al quale questi strati sociali potranno solo accedere per gradi il primo passo attraverso il quale bisogna condurre questi strati sociali è quello che li porti a pronunciarsi sul problema istituzionale e costituzionale. L'inutilità della Monarchia è ormai compresa da tutti i lavoratori a questo obiettivo deve improntarsi la tattica del partito senza tema di apparire poco rivoluzionario. Deve fare sua prima degli altri partiti in lotta contro il fascismo la parola d'ordine della Costituente». Ma l'azione del partito «deve essere intesa a svalutare tutti i programmi di riforma pacifica dimostrando alla classe lavoratrice come la sola soluzione possibile in Italia risieda nella rivoluzione proletaria».  La richiesta di una Costituente, e dunque di un'iniziativa politica che si ponesse obiettivi intermedi, avrebbe comportato necessariamente una convergenza, per quanto temporanea, con altre forze antifasciste, e se è difficile considerare tale linea politica come «social-democratica», durante le discussioni nel cortile del carcere qualche suo compagno arrivò a sostenere che egli era ormai fuori del Partito comunista. Probabilmente le reazioni di alcuni erano esasperate dal clima di detenzione» ma certo le posizioni dovevano apparire in contrasto con la linea politica indicata in quegli anni dal Partito comunista. È in questo periodo chevenne a contatto con Pertini, esponente del PSI e detenuto anch'egli alla Casa Penale di Turi. I due, nonostante i pensieri politici differenti, divennero grandi amici e Pertini, anche dopo la scarcerazione, ricordò spesso nei suoi discorsi il compagno di prigionia e le tristi condizioni di salute che lo stroncavano. Gramsci, oltre al morbo di Pott di cui soffriva fin dall'infanzia, fu colpito da arteriosclerosi e poté così ottenere una cella individuale; cercò di reagire alla detenzione studiando ed elaborando le proprie riflessioni politiche, filosofiche e storiche, tuttavia le condizioni di salute continuarono a peggiorare e in agosto ebbe un'improvvisa e grave emorragia. Anche la moglie, in Russia, era sofferente di una seria forma di depressione e rare erano le sue lettere al marito che, all'oscuro dei motivi dei suoi lunghi silenzi, sentiva crescere intorno a sé il senso di un opprimente isolamento. Scriveva alla cognata: Non credere che il sentimento di essere personalmente isolato mi getti nella disperazione io non ho mai sentito il bisogno di un apporto esteriore di forze morali per vivere fortemente la mia vita tanto meno oggi, quando sento che le mie forze volitive hanno acquistato un più alto grado di concretezza e di validità. Ma mentre nel passato mi sentivo quasi orgoglioso di sentirmi isolato, ora invece sento tutta la meschinità, l'aridità, la grettezza di una vita che sia esclusivamente volontà. Quando la madre morì, i familiari preferirono non informarlo. Ebbe una seconda grave crisi, con allucinazioni e deliri. Si riprese a fatica, senza farsi illusioni sul suo immediato futuro. Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, pessimista con l'intelligenza e ottimista con la volontà. Oggi non penso più così. Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma significa che non vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su nessuna riserva di forze». Eppure lo stesso codice penale dell'epoca, all'art. 176, prevedeva la concessione della libertà condizionata ai carcerati in gravi condizioni di salute. A Parigi si costituì un comitato, di cui fecero parte, fra gli altri, Rolland e Barbusse, per ottenere la liberazione sua e di altri detenuti politici, ma venne trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi nella clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato in camera e all'esterno. Mussolini accolse finalmente la richiesta di libertà condizionata, ma Gramsci non rimase libero nei suoi movimenti, tanto che gli fu impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo temeva una sua fuga all'estero; solo il poté essere trasferito nella clinica "Quisisana" di Roma, dove giunse in gravi condizioni, poiché oltre al morbo di Pott e all'arteriosclerosi soffriva di ipertensione e di gotta. Passò dalla libertà condizionata alla piena libertà, ma era ormai in gravissime condizioni: morì di emorragia cerebrale, nella stessa clinica Quisisana. Il giorno seguente la cremazione si svolsero i funerali, cui parteciparono soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana. Le ceneri, inumate nel cimitero del Verano, furono trasferite nel Cimitero acattolico di Roma, nel Campo Cestio. I 33 Quaderni del carcere, non destinati da Gramsci alla pubblicazione, contengono riflessioni e appunti elaborati durante la reclusione. Furono definitivamente interrotti a causa della gravità delle sue condizioni di salute. Furono numerati, senza tener conto della loro cronologia, dalla cognata Schucht, che li affidò all'Ambasciata sovietica a Roma da dove furono inviati a Mosca e, successivamente, conseg Palmiro Togliatti. Dopo la fine della guerra i Quaderni, curati dal dirigente comunista Platone sotto la supervisione di Togliatti, furono pubblicati dall'editore Einaudi unitamente alle sue Lettere dal carcere indirizzate ai familiarii n sei volumi, ordinati per argomenti omogenei, con i titoli “Il materialismo storico e la filosofia di Croce”;  “Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura”; “Il Risorgimento”; “Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno”; “Letteratura e vita nazionale”; “Passato e presente”.  I Quaderni furono pubblicati Valentino Gerratana secondo l'ordine cronologico della loro elaborazione. Sono stati raccolti in volume anche tutti gli articoli scritti da Gramsci nell'Avanti!, ne Il Grido del Popolo e ne L'Ordine Nuovo.  Conquistare la maggioranza politica di un Paese vuol dire che le forze sociali, che di tale maggioranza sono espressione, dirigono la politica di quel determinato paese e dominano le forze sociali che a tale politica si oppongono: significa ottenere l'egemonia.  Vi è distinzione fra direzione egemonia intellettuale e morale e dominio esercizio della forza repressive. Un gruppo sociale è dominante dei gruppi avversari che tende a liquidare o a sottomettere anche con la forza armata, ed è dirigente dei gruppi affini e alleati. Un gruppo sociale può e anzi deve essere dirigente già prima di conquistare il potere governativo (è questa una delle condizioni principali per la stessa conquista del potere. Dopo, quando esercita il potere ed anche se lo tiene fortemente in pugno, diventa dominante ma deve continuare ad essere anche dirigente. La crisi dell'egemonia si manifesta quando, anche mantenendo il proprio dominio, le classi sociali politicamente dominanti non riescono più a essere dirigenti di tutte le classi sociali, non riuscendo più a risolvere i problemi di tutta la collettività e a imporre la propria concezione del mondo. A quel punto, la classe sociale sub-alterna, se riesce a indicare concrete soluzioni ai problemi lasciati irrisolti dalla classe dominante, può diventare dirigente e, allargando la propria concezione del mondo anche ad altri strati sociali, può creare un nuovo «blocco sociale», cioè una nuova alleanza di forze sociali, divenendo “egemone.” Il cambiamento dell'esercizio dell'egemonia è un momento rivoluzionario che inizialmente avviene a livello della sovra-struttura in senso marxiano, ossia politico, culturale, ideale, morale –, ma poi trapassa nella società nel suo complesso investendo anche la struttura economica, e dunque tutto il «blocco storico», termine che indica l'insieme della struttura e della sovra-struttura, ossia i rapporti sociali di produzione e i loro riflessi ideologici. Analizzando la storia di Italia e il Risorgimento in particolare, rileva che la classe popolare non trova un proprio spazio politico e una propria identità, poiché la politica dei liberali di Cavour concepì l'unità nazionale come un allargamento dello Stato piemontese e del patrimonio della dinastia, non come movimento nazionale dal basso, ma come conquista regia. Rritiene che l'azione della borghesia avrebbe potuto assumere un carattere rivoluzionario se avesse acquisito l'appoggio di vaste masse popolari, in particolare dei contadini, che costituivano la maggioranza della popolazione. Il limite della rivoluzione borghese in Italia consistette nel non essere capeggiata da un partito giacobino, come in Francia, dove le campagne, appoggiando la Rivoluzione, furono decisive per la sconfitta delle forze della reazione aristocratica.  Il partito politico italiano allora più avanzato fu il “Partito d'Azione” di Mazzini e Garibaldi, che non seppe impostare il problema dell'alleanza delle forze borghesi progressive con la classe contadina. Garibaldi in Sicilia distribuì le terre demaniali ai contadini, ma gli stessi garibaldini repressero le rivolte contadine contro i baroni latifondisti. Per conquistare l'egemonia contro i moderati guidati dal liberale Cavour, il “Partito d'Azione” avrebbe dovuto legarsi alle masse rurali, specialmente meridionali, essere giacobino specialmente per il contenuto economico-sociale. Il collegamento delle diverse classi rurali che si realizza in un blocco reazionario attraverso i diversi ceti intellettuali legittimisti-clericali poteva essere dissolto per addivenire ad una nuova formazione liberale-nazionale solo se si faceva forza in due direzioni: sui contadini di base, accettandone le rivendicazione di base e sugli intellettuali degli strati medi e inferiori». Al contrario, i cavourriani liberali seppero mettersi alla testa della rivoluzione borghese, assorbendo tanto i radicali che una parte dei loro stessi avversari. Questo avvenne perché i moderati cavourriani ebbero un rapporto organico con i loro intellettuali che erano proprietari terrieri e dirigenti industriali come i politici che essi rappresentavano. Le masse popolari restarono passive nel raggiunto compromesso fra i capitalisti del Nord e i latifondisti del Sud.  Il Piemonte assunse la funzione di classe dirigente, anche se esistevano altri nuclei di classe dirigente favorevoli all'unificazione. Questi nuclei non volevano dirigere nessuno, cioè non volevano accordare i loro interessi e aspirazioni con gli interessi e aspirazioni di altri gruppi. Volevano dominare, non dirigere e ancora. Volevano che dominassero i loro interessi, non le loro persone, cioè volevano che una forza nuova, indipendente da ogni compromesso e condizione, divenisse arbitra della Nazione: questa forza fu il Piemonte, che ebbe una funzione paragonabile a quella di un partito. Questo fatto è della massima importanza per il concetto di “rivoluzione passive”, che cioè non un gruppo sociale sia il dirigente di altri gruppi, ma che uno stato, sia pure limitato come potenza, sia il dirigente del gruppo che di esso dovrebbe essere dirigente e possa porre a disposizione di questo un esercito e una forza politica-diplomatica. Che uno Stato si sostituisca ai gruppi sociali locali nel dirigere la lotta di rinnovamento è uno dei casi in cui si ha la funzione di “dominio” e non di dirigenza di questi gruppi: dittatura senza egemonia. Il concetto di “egemonia” si distingue da quello di “dittatura”. La dittatura uesta è solo dominio, quella è capacità di direzione. Non prese mai posizione contro la “dittatura del proletariato” né espresse critiche significative al regime sovietico in Russia.  Le classi subalterne  Gustave Courbet, Lo spaccapietre Le classi subaltern esotto proletariato, proletariato urbano, rurale e anche parte della piccola borghesianon sono unificate e la loro unificazione avviene solo quando giungono a dirigere lo stato, altrimenti svolgono una funzione discontinua e disgregata nella storia della società civile dei singoli stati, subendo l'iniziativa dei gruppi dominanti anche quando ad essi si ribellano.  Il "blocco sociale", l'alleanza politica di classi sociali diverse, formato, in Italia, da industriali, proprietari terrieri, classi medie, parte della piccola borghesia, non è omogeneo, essendo attraversato da interessi divergenti, ma una politica opportuna, una cultura e un'ideologia o un sistema di ideologie impediscono che quei contrasti di interessi, permanenti anche quando siano latenti, esplodano provocando la crisi dell'ideologia dominante e la conseguente crisi politica dell'intero sistema di potere.  In Italia, l'esercizio dell'egemonia delle classi dominanti è ed è stata parziale. Tra le forze che contribuiscono alla conservazione di tale blocco sociale è la Chiesa, che si batte per mantenere l'unione dottrinale tra fedeli colti e incolti, tra intellettuali e semplici, tra dominanti e dominati, in modo da evitare fratture irrimediabili che tuttavia esistono e che essa non è in realtà in grado di sanare, ma solo di controllare. La Chiesa è sempre stata la più tenace nella lotta per impedire che ufficialmente si formino due religioni, quella degli intellettuali e quella delle anime semplici, una lotta che ha fatto risaltare la capacità organizzatrice nella sfera della cultura del clero che ha dato derte soddisfazioni alle esigenze della scienza e della filosofia, ma con un ritmo così lento e metodico che le mutazioni non sono percepite dalla massa dei semplici, sebbene esse appaiano "rivoluzionarie" e demagogiche agli "integralisti" ».Anche la dominante cultura d'impronta idealistica, esercitata dalle scuole filosofiche di Croce e Gentile, non ha «saputo creare una unità ideologica tra il basso e l'alto, tra i semplici e gli intellettuali, tanto che essa, anche se ha sempre considerato la religione una mitologia, non ha nemmeno «entato di costruire una concezione che potesse sostituire la religione nell'educazione infantile, e questi pedagogisti, pur essendo non religiosi, non confessionali e atei, concedono l'insegnamento della religione perché la religione è la filosofia dell'infanzia dell'umanità, che si rinnova in ogni infanzia non metaforica. La cultura laica dominante utilizza la religione proprio perché non si pone il problema di elevare le classi popolari al livello di quelle dominanti ma, al contrario, intende mantenerle in una posizione di sub-alternità.  Le classi dominanti hanno derubricato a “folklore” la cultura della classe sub-alterna.  Annota nel I Quaderno, che il “folklore” non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza, una cosa ridicola, una cosa tutt'al più pittoresca; ma deve essere concepito come una cosa molto seria e da prendere sul serio, e va studiato in quanto «oncezione del mondo e della vita di certi strati della società determi tempo e nello spazio, cioè del popolo inteso come l'insieme della classi strumentale e sub-alterna di ogni forma di società finora esistita». È dunque necessario mutare lo spirito delle ricerche folkloriche, oltre che approfondirle ed estenderle. La frattura tra gli intellettuali e i semplici può essere sanata da quella politica che non tende a mantenere i semplici nella loro filosofia primitiva del senso comune, ma invece a condurli a una concezione superiore della vita. L'azione politica realizzata dalla «filosofia della prassi» così chiama il marxismo, non solo per l'esigenza di celare quanto scrive alla repressiva censura carceraria opponendosi alle culture dominanti della Chiesa e dell'idealismo, può condurre i subalterni a una superiore concezione della vita. Se afferma l'esigenza del contatto tra intellettuali e semplici non è per limitare l'attività scientifica e per mantenere una unità al basso livello delle masse, ma appunto per costruire un blocco intellettuale e morale che renda politicamente possibile un progresso intellettuale di massa e non solo di scarsi gruppi intellettuali. La via che conduce all'egemonia del proletariato passa dunque per una riforma culturale e morale della società.  Tuttavia l'uomo attivo di massa, cioè la classe operaia, non è, in generale, consapevole né della funzione che può svolgere né della sua condizione reale di sub-ordinazione, Il proletariat non ha una chiara coscienza di questo suo operare che pure è un conoscere il mondo in quanto lo trasforma. La sua coscienza anzi può essere in contrasto col suo operare. Esso opera praticamente e nello stesso tempo ha una coscienza ereditata dal passato, accolta per lo più in modo acritico. La reale comprensione di sé avviene attraverso una lotta di egemonie politiche, di direzioni contrastanti, prima nel campo dell'etica, poi della politica per giungere a una elaborazione superiore della propria concezione del reale. La coscienza politica, cioè l'essere parte di una determinata forza egemonica, è la prima fase per una ulteriore e progressiva auto-coscienza dove teoria e pratica finalmente si unificano. Ma auto-coscienza significa creazione di un gruppo di intellettuali, organici alla classe, perché per distinguersi e rendersi indipendenti occorre organizzarsi, e non esiste organizzazione senza intellettuali, uno strato di persone specializzate nell'elaborazione concettuale e filosofica. Già Machiavelli indica nei moderni Stati unitari europei l'esperienza che l'Italia avrebbe dovuto far propria per superare la drammatica crisi emersa nelle guerre che devastarono la penisola dalla fine del Quattrocento. “Il Principe” di Machiavelli non esisteva nella realtà storica, non si presentava al popolo italiano con caratteri di immediatezza obiettiva. E una pura astrazione dottrinaria, il simbolo del capo, del condottiero ideale. Ma gli elementi passionali, mitici si riassumono e diventano vivi nella conclusione, nell'invocazione di un principe realmente esistente. In Italia non si ebbe una monarchia assoluta che unificasse la nazione perché dalla dissoluzione della borghesia comunale si creò una situazione interna economico-corporativa, politicamente la peggiore delle forme di società feudale, la forma meno progressiva e più stagnante. Mancò sempre, e non poteva costituirsi, una forza giacobina efficiente, la forza appunto che a Francia ha suscitato e organizzato la volontà collettiva nazional-popolare e ha fondato lo stato moderno. A questa forza progressiva si oppose in Italia la «borghesia rurale, eredità di parassitismo lasciata ai tempi moderni dallo sfacelo, come classe, della borghesia comunale. Forze progressive sono i gruppi sociali urbani con un determinato livello di cultura politica, ma non sarà possibile la formazione di una volontà collettiva nazionale-popolare, se le grandi masse dei contadini lavoratori non irrompono simultaneamente nella vita politica. Ciò intendeva Machiavelli attraverso la riforma della milizia, ciò fecero i giacobini nella Rivoluzione francese. In questa comprensione è da identificare un giacobinismo precoce del Machiavelli, il germe, più o meno fecondo, della sua concezione della rivoluzione nazionale. Modernamente, il Principe invocato dal Machiavelli non può essere un individuo reale, concreto, ma un organismo e questo organismo è già dato dallo sviluppo storico ed è il partito politico: la prima cellula in cui si riassumono dei germi di volontà collettiva che tendono a divenire universali e totali. Il partito è l'organizzatore di una riforma intellettuale e morale, che concretamente si manifesta con un programma di riforma economica, divenendo così la base di un laicismo moderno e di una completa laicizzazione di tutta la vita e di tutti i rapporti di costume. Perché un partito esista, e diventi storicamente necessario, devono confluire in esso tre elementi fondamentali. Primo, un elemento diffuso, di uomini comuni, medi, la cui partecipazione è offerta dalla disciplina e dalla fedeltà, non dallo spirito creativo ed altamente organizzativo essi sono una forza in quanto c'è chi li centralizza, organizza, disciplina, ma in assenza di questa forza coesiva si sparpaglierebbero e si annullerebbero in un pulviscolo impotente. Secondo, L'elemento coesivo principale dotato di forza altamente coesiva, centralizzatrice e disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, inventiva da solo questo elemento non formerebbe un partito, tuttavia lo formerebbe più che il primo elemento considerato. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più facile formare un esercito che formare dei capitani». Terzo, Un elemento medio, che articoli il primo col secondo elemento, che li metta a contatto, non solo fisico, ma morale e intellettuale. Gramsci negli scritti compresi ribadì i principi espressi dalla Terza Internazionale, insistendo sulla disciplina ferrea del partito e contestando qualsiasi forma di frazionismo. Socialisti e sindacalisti venivano pesantemente criticati e messi sullo stesso piano del regime fascista. Tutti gli uomini sono intellettuali, dal momento che non c'è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale. Nn si può separare l'homo faber dall'homo sapiens, in quanto, indipendentemente della sua professione specifica, ognuno è a suo modo un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, ma non tutti gli uomini hanno nella società la funzione dell’ intellettuale.  Storicamente si formano particolari categorie di intellettuali, specialmente in connessione coi gruppi sociali più importanti e subiscono elaborazioni più estese e complesse in connessione col gruppo sociale dominante. Un gruppo sociale che tende all'egemonia lotta per l'assimilazione e la conquista ideologica degli intellettuali tradizionali tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici. L'intellettuale tradizionale è il letterato, il filosofo, l'artista e perciò i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i veri intellettuali, mentre modernamente è la formazione tecnica a formare la base del nuovo tipo di intellettuale, un costruttore, organizzatore, persuasorema non assolutamente il vecchio oratore, formatosi sullo studio dell'eloquenza motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni il quale deve giungere dalla tecnica-lavoro alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane specialista e non si diventa dirigente. Il gruppo sociale emergente, che lotta per conquistare l'egemonia politica, tende a conquistare alla propria ideologia l'intellettuale tradizionale mentre, nello stesso tempo, forma i propri intellettuali organici. L'organicità degli intellettuali si misura con la maggiore o minore connessione con il gruppo sociale cui essi fanno riferimento. Essi operano tanto nella società civilel'insieme degli organismi privati in cui si dibattono e si diffondono le ideologie necessarie all'acquisizione del consenso, apparentemente dato spontaneamente dalle grandi masse della popolazione alle scelte del gruppo sociale dominante quanto nella società politica, dove si esercita il dominio diretto o di comando che si esprime nello Stato e nel governo giuridico. Gli intellettuali sono così i commessi del gruppo dominante per l'esercizio delle funzioni sub-alterne dell'egemonia sociale e del governo politico, cioè, primo, del consenso spontaneo dato dalle grandi masse della popolazione all'indirizzo impresso alla vita sociale dal gruppo fondamentale dominante; secondo, dell'apparato di coercizione statale che assicura legalmente la disciplina di quei gruppi che non consentono. Come lo Stato, nella società politica, tende a unificare gli intellettuali tradizionali con quelli organici, così nella società civile il partito politico, ancor più compiutamente e organicamente dello Stato, elabora i propri componenti, elementi di un gruppo sociale nato e sviluppatosi come economico, fino a farli diventare intellettuali politici qualificati, dirigenti, organizzatori di tutte le attività e le funzioni inerenti all'organico sviluppo di una società integrale, civile e politica. Il compito della riforma intellettuale e morale non potrà che essere ancora degli intellettuali organici, non cristallizzati, che la determineranno e organizzeranno, adeguando la cultura anche alle sue funzioni pratiche, addivenendo a una nuova organizzazione della cultura. Il partito comunista si pone come sintesi attiva di questo processo: intellettuale collettivo di avanguardia, la direzione politica di classe lotterà per l'egemonia. Il partito comunista, per Gramsci, è intellettuale collettivo; e l'intellettuale comunista è organico alla classe e dunque a questo collettivo perché fa parte del blocco storico-sociale che deve costruire il nuovo mondo. Pur essendo sempre stati legati alle classi dominanti, ottenendone spesso onori e prestigio, gli intellettuali italiani non si sono mai sentiti organici, hanno sempre rifiutato, in nome di un loro astratto cosmopolitismo, ogni legame con il popolo, del quale non hanno mai voluto riconoscere le esigenze né interpretare i bisogni culturali.  In molte linguein russo, in tedesco, in franceseil significato dei termini «nazionale» e «popolare» coincidono: «in Italia, il termine nazionale ha un significato molto ristretto ideologicamente e in ogni caso non coincide con popolare, perché in Italia gli intellettuali sono lontani dal popolo, cioè dalla nazione e sono invece legati a una tradizione di casta, che non è mai stata rotta da un forte movimento popolare o nazionale dal basso: la tradizione è libresca e astratta e l'intellettuale tipico moderno si sente più legato ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che a un contadino pugliese o siciliano. Si è assistito a un fiorire della letteratura popolare, dai romanzi di appendice del Sue o di Ponson du Terrail, ad Alexandre Dumas, ai racconti polizieschi inglesi e americani; con maggior dignità artistica, alle opere del Chesterton e di Dickens, a quelle di Victor Hugo, di Émile Zola e di Honoré de Balzac, fino ai capolavori di Dostoevskij e di Tolstoj. Nulla di tutto questo in Italia. In Italia, la letteratura non si è diffusa e non è stata popolare, per la mancanza di un blocco nazionale intellettuale e morale tanto che l'elemento intellettuale italiano è avvertito come “più straniero degli stranieri stessi”.  Fa eccezione, per Gramsci, il melodrama verista (“Cavalleria rusticana”, “Pagliacci”), che ha tenuto in qualche modo in Italia il ruolo nazionale-popolare sostenuto altrove dalla letteratura. Il pubblico icerca la sua letteratura all'estero perché la sente più sua di quella italiana: è questa la dimostrazione del distacco, in Italia, fra pubblico e scrittori. Ogni popolo ha la sua letteratura, ma essa può venirgli da un altro popolo può essere subordinato all'egemonia intellettuale e morale di altri popoli. È questo spesso il paradosso più stridente per molte tendenze monopolistiche di carattere nazionalistico e repressivo: che mentre si costruiscono piani grandiosi di egemonia, non ci si accorge di essere oggetto di una egemonia straniera. Così come, mentre si fanno piani imperialistici, in realtà si è oggetto di altri imperialism.. Hanno fallito nel compito di elaborare la coscienza morale del popolo, non diffondendo in esso un moderno umanesimo. La insufficienza dell’intelletuale è «uno degli indizi più espressivi dell'intima rottura che esiste tra la religione e il popolo. Questo si trova in uno stato miserrimo di indifferentismo e di assenza di una vivace vita spirituale. La religione è rimasta allo stato di superstizione l'Italia popolare è ancora nelle condizioni create immediatamente dalla Contro-Riforma. La religione, tutt'al più, si è combinata col folclore pagano ed è rimasta in questo stadio. Sono rimaste famose le note di Gramsci sul Manzoni: lo scrittore più autorevole, più studiato nelle scuole e probabilmente il più popolare, è una dimostrazione del carattere elitista della letteratura italiana. Ecco le parole dai Quaderni del carcere, confrontandolo con Tolstoj. Il carattere aristocratico di Manzoni appare dal compatimento scherzoso verso le figure di uomini del popolo (ciò che non appare in Tolstoj), come fra Galdino (in confronto di frate Cristoforo), il sarto, Renzo, Agnese, Perpetua, la stessa Lucia i popolani, per Manzoni, non hanno vita interiore, non hanno personalità morale profonda; essi sono animali. Manzoni è benevolo verso di loro proprio della benevolenza di una società di protezione di animali niente dello spirito popolare di Tolstoi, cioè dello spirito evangelico del cristianesimo primitivo. L'atteggiamento di Manzoni verso i suoi popolani è l'atteggiamento della Chiesa Cattolica verso il popolo: di condiscendente benevolenza, non di immediatezza umana vede con occhio severo tutto il popolo, mentre vede con occhio severo i più di coloro che non sono popolo; egli trova magnanimità, alti pensieri, grandi sentimenti, solo in alcuni della classe alta, in nessuno del popolo non c'è popolano che non venga preso in giro e canzonato. Vita interiore hanno solo i signori: fra Cristoforo, il Borromeo, l'Innominato, lo stesso don Rodrigo il suo atteggiamento verso il popolo e elitista ed aristocratico. Una classe che muova alla conquista dell'egemonia non può non creare una nuova cultura, che è essa stessa espressione di una nuova vita morale, un nuovo modo di vedere e rappresentare la realtà; naturalmente, non si possono creare artificialmente artisti che interpretino questo nuovo mondo culturale, ma «un nuovo gruppo sociale che entra nella vita storica con atteggiamento egemonico, con una sicurezza di sé che prima non aveva, non può non suscitare dal suo seno personalità che prima non avrebbero trovato una forza sufficiente per esprimersi compiutamente. Intanto, nella creazione di una nuova cultura, è parte la critica della civiltà letteraria presente, e vede nella critica svolta da Sanctis un esempio privilegiato. La critica di Sanctis è militante, non frigidamente estetica, è la critica di un periodo di lotte culturali, di contrasti tra concezioni della vita antagonistiche. Le analisi del contenuto, la critica della struttura delle opere, cioè della coerenza logica e storica-attuale delle masse di sentimenti rappresentati artisticamente, sono legate a questa lotta culturale: proprio in ciò pare consista la profonda umanità e l'umanesimo di Sanctis. Piace sentire in lui il fervore appassionato dell'uomo di parte che ha saldi convincimenti morali e politici e non li nasconde. Sanctis opera nel periodo risorgimentale, in cui si lotta per creare una nuova cultura: di qui la differenza con Croce, che vive sì gli stessi motivi culturali, ma nel periodo della loro affermazione, per cui la passione e il fervore romantico si sono composti nella serenità superiore e nell'indulgenza piena di bonomia. Quando poi quei valori culturali, così affermatisi, sono messi in discussione, allora in Croce sub-entra una fase in cui la serenità e l'indulgenza s'incrinano e affiora l'acrimonia e la collera a stento repressa: fase difensiva non aggressiva e fervida, e pertanto non confrontabile con quella di Sanctis. Una critica letteraria marxistica può avere nel critico campano un esempio, dal momento che essa deve fondere, come Sanctis fece, la critica estetica con la lotta per una cultura nuova, criticando il costume, i sentimenti e le ideologie espresse nella storia della letteratura, individuandone le radici nella società in cui quegli scrittori si trovavano a operare.  Non a caso, progettava nei suoi Quaderni un saggio che intendeva intitolare «I nipotini di padre Bresciani», dal nome di Bresciani, tra i fondatori e direttore della rivista La Civiltà Cattolica e scrittore di romanzi popolari d'impronta reazionaria; uno di essi, L'ebreo di Verona, fu stroncato in un famoso saggio di  Sanctis. I nipotini di padre Bresciani sono gli intellettuali e i letterati contemporanei portatori di una ideologia reazionaria con un «carattere tendenzioso e propagandistico apertamente confessato». Fra i «nipotini»individua, oltre a molti scrittori ormai dimenticati, Antonio Beltramelli, Ugo Ojetti, la codardia intellettuale dell'uomo supera ogni misura normale, Panzini, Bellonci, Bontempelli, Fracchia, Baratono -- l'agnosticismo del Baratono non è altro che vigliaccheria morale e civile -- teorizza solo la propria impotenza estetica e filosofica e la propria coniglieria – Bacchelli -- nel Bacchelli c'è molto brescianesimo, non solo politico-sociale, ma anche letterario: la Ronda fu una manifestazione di gesuitismo artistico -- Salvator Gotta --di Salvator Gotta si può dire ciò che il Carducci scrisse del Rapisardi: Oremus sull'altare e flatulenze in sagrestia; tutta la sua produzione letteraria è brescianesca», Ungaretti.  La vecchia generazione degli intellettuali è fallita (Papini, Prezzolini, Soffici, ecc.) ma ha avuto una giovinezza. La generazione attuale non ha neanche questa età delle brillanti promesse, Rosa, Angioletti, Malaparte, ecc.). Asini brutti anche da piccoletti. Croce, il più autorevole intellettuale dell'epoca, da alla borghesia italiana gli strumenti culturali più raffinati per delimitare i confini fra gli intellettuali e la cultura italiana, da una parte, e il movimento operaio e socialista dall'altra; è allora necessario mostrare e combattere la sua funzione di maggior rappresentante dell'egemonia culturale che il blocco sociale dominante esercita nei confronti del movimento operaio italiano. Come tale, Croce combatte il marxismo, cercando di negarne validità nell'elemento che egli individua come decisivo: quello dell'economia. Il Capitale di Marx sarebbe per Croce un'opera di morale e non di scienza, un tentativo di dimostrare che la società capitalistica è immorale, diversamente dalla comunista, in cui si realizzerebbe la piena moralità umana e sociale. La non-scientificità dell'opera maggiore di Marx sarebbe dimostrata dal concetto del “plusvalore.” Per Croce, solo da un punto di vista morale si può parlare di “plusvalore” rispetto al “valore”, legittimo concetto economico. Questa critica del Croce è in realtà un semplice sofisma. Il “plusvalore” è esso stesso valore, è la differenza tra il valore delle merci prodotte dal lavoratore e il valore della forza-lavoro del lavoratore stesso. Del resto, la teoria del valore di Marx deriva direttamente da quella dell'economista liberale Ricardo la cui teoria del valore-lavoro non sollevò nessuno scandalo quando fu espressa, perché allora non rappresentava nessun pericolo, appariva solo, come era, una constatazione puramente oggettiva e scientifica. Il valore polemico e di educazione morale e politica, pur senza perdere la sua oggettività, dove acquistarla solo con la Economia critica. La filosofia crociana si qualifica come storicismo, ossia, seguendo Vico, la realtà è storia e tutto ciò che esiste è necessariamente storico ma, conformemente alla natura idealistica della sua filosofia, la storia è storia dello Spirito, dunque storia speculativa, di astrazionistoria della libertà, della cultura, del progresso non è la storia concreta delle nazioni e delle classi. La storia speculativa può essere considerata come un ritorno, in forme letterarie rese più scaltre e meno ingenue dallo sviluppo della capacità critica, a modi di storia già caduti in discredito come vuoti e retorici e registrati in diversi libri dello stesso Croce. La storia etico-politica, in quanto prescinde dal concetto di blocco storico, in cui contenuto economico-sociale e forma etico-politica si identificano concretamente nella ricostruzione dei vari periodi storici, è niente altro che una presentazione polemica di filosofemi più o meno interessanti, ma non è storia la storia di Croce rappresenta figure disossate, senza scheletro, dalle carni flaccide e cascanti anche sotto il belletto delle veneri letterarie dello scrittore. L'operazione conservatrice di Croce storico fa il paio con quella di Croce filosofo. Se la dialettica dell'idealista Hegel era una dialettica dei contrariuno svolgimento della storia che procede per contraddizioni la dialettica crociana è una dialettica dei distinti: commutare la contraddizione in distinzione significa operare un'attenuazione, se non un annullamento dei contrasti che nella storia, e dunque nelle società, si presentano. Tale operazione si manifesta nelle opere storiche di Croce. La sua Storia d'Europa, iniziando e tagliando fuori il periodo della Rivoluzione francese e quello napoleonico, non è altro che un frammento di storia, l'aspetto passivo della grande rivoluzione che si iniziò in Francia nel 1789, traboccò nel resto d'Europa con le armate repubblicane e napoleoniche, dando una potente spallata ai vecchi regimi e determinandone non il crollo immediato come in Francia, ma la corrosione riformistica che durò fino al 1870. Analoga è l'operazione operata dal Croce nella sua Storia d'Italia la quale affronta unicamente il periodo del consolidamento del regime dell'Italia unita e si «prescinde dal momento della lotta, dal momento in cui si elaborano e radunano e schierano le forze in contrasto in cui un sistema etico-politico si dissolve e un altro si elabora in cui un sistema di rapporti sociali si sconnette e decade e un altro sistema sorge e si afferma, e invece Croce assume placidamente come storia il momento dell'espansione culturale o etico-politico. Gramsci, fin dagli anni universitari, fu un deciso oppositore di quella concezione fatalistica e positivistica del marxismo, presente nel vecchio partito socialista, per la quale il capitalismo necessariamente era destinato a crollare da sé, facendo posto a una società socialista. Questa concezione mascherava l'impotenza politica del partito della classe subalterna, incapace di prendere l'iniziativa per la conquista dell'egemonia.  Anche il manuale del bolscevico russo Nikolaj Bucharin, eLa teoria del materialismo storico manuale popolare di sociologia, si colloca nel filone positivistico. La sociologia è stata un tentativo di creare un metodo della scienza storico-politica, in dipendenza di un sistema filosofico già elaborato, il positivismo evoluzionistico è diventata la filosofia dei non filosofi, un tentativo di descrivere e classificare schematicamente i fatti storici, secondo criteri costruiti sul modello delle scienze naturali. La sociologia è dunque un tentativo di ricavare sperimentalmente le leggi di evoluzione della società umana in modo da prevedere l'avvenire con la stessa certezza con cui si prevede che da una ghianda si svilupperà una quercia. L'evoluzionismo volgare è alla base della sociologia che non può conoscere il principio dialettico col passaggio dalla quantità alla qualità, passaggio che turba ogni evoluzione e ogni legge di uniformità intesa in senso volgarmente evoluzionistico. La comprensione della realtà come sviluppo della storia umana è solo possibile utilizzando la dialettica marxiana della quale non vi è traccia nel Manuale del Bucharin perché essa coglie tanto il senso delle vicende umane quanto la loro provvisorietà, la loro storicità determinata dalla prassi, dall'azione politica che trasforma le società. Le società non si trasformano da sé. Già Marx aveva rilevato come nessuna società si ponga compiti per la cui soluzione non esistano già le condizioni almeno in via di apparizione né essa si dissolve, se prima non ha svolto tutte le forme di vita che le sono implicite. Il rivoluzionario si pone il problema di individuare esattamente i rapporti tra struttura e sovrastruttura per giungere a una corretta analisi delle forze che operano nella storia di un determinato periodo. L'azione politica rivoluzionaria, la prassi, è anche catarsi che segna l passaggio dal momento meramente economico (o egoistico-passionale) al momento etico-politico cioè l'elaborazione superiore della struttura in super-struttura nella coscienza degli uomini. Ciò significa anche il passaggio dall'oggettivo al soggettivo e dalla necessità alla libertà. La struttura, da forza esteriore che schiaccia l'uomo, lo assimila a sé, lo rende passivo, si trasforma in mezzo di libertà, in strumento per creare una nuova forma etico-politica, in origine di nuove iniziative. La fissazione del momento catartico diventa così  il punto di partenza di tutta la filosofia della prassi; il processo catartico coincide con la catena di sintesi che sono risultate dallo svolgimento dialettico. La dialettica è dunque strumento di indagine storica, che supera la visione naturalistica e meccanicistica della realtà, è unione di teoria e prassi, di conoscenza e azione. La dialettica è dottrina della conoscenza e sostanza midollare della storiografia e della scienza della politica e può essere compresa solo concependo il marxismo come una filosofia integrale e originale che inizia una nuova fase nella storia e nello sviluppo mondiale in quanto supera (e superando ne include in sé gli elementi vitali) sia l'idealismo che il materialismo tradizionali espressione delle vecchie società. Se la filosofia della prassi [il marxismo] non è pensata che subordinatamente a un'altra filosofia, non si può concepire la nuova dialettica, nella quale appunto quel superamento si effettua e si esprime. Il vecchio materialismo è metafisica; per il senso comune la realtà oggettiva, esistente indipendentemente dall'uomo, è un ovvio assioma, confortato dall'affermazione della religione per la quale il mondo, creato da Dio, si trova già dato di fronte a noi. Ma va rifiutata «la concezione della realtà oggettiva del mondo esterno nella sua forma più triviale e acritica» dal momento che «a questa può essere mossa l'obbiezione di misticismo». Se noi conosciamo la realtà in quanto uomini, ed essendo noi stessi un divenire storico, anche la conoscenza e la realtà stessa sono un divenire.  Come potrebbe esistere un'oggettività extrastorica ed extraumana e chi giudicherà di tale oggettività? La formulazione di Engels che l'unità del mondo consiste nella sua materialità dimostrata dal lungo e laborioso sviluppo della filosofia e delle scienze naturali contiene appunto il germe della concezione giusta, perché si ricorre alla storia e all'uomo per dimostrare la realtà oggettiva. Oggettivo significa sempre umanamente oggettivo, ciò che può corrispondere esattamente a storicamente soggettivo. L'uomo conosce oggettivamente in quanto la conoscenza è reale per tutto il genere umano storicamente unificato in un sistema culturale unitario; ma questo processo di unificazione storica avviene con la sparizione delle contraddizioni interne che dilaniano la società umana, contraddizioni che sono la condizione della formazione dei gruppi e della nascita delle ideologie. C'è dunque una lotta per l'oggettività (per liberarsi dalle ideologie parziali e fallaci) e questa lotta è la stessa lotta per l'unificazione culturale del genere umano. Ciò che gli idealisti chiamano spirito non è un punto di partenza ma di arrivo, l'insieme delle soprastrutture in divenire verso l'unificazione concreta e oggettivamente universale e non già un presupposto unitario». La formazione linguistica di Antonio Gramsci inizia durante gli anni universitari a Torino con la frequentazione delle lezioni di Bartoli. Gramsci apprende che la lingua è un prodotto “sociale" e che non può essere studiata senza tenere conto della storia generale: ciò vuol dire che non è possibile comprendere i mutamenti di una lingua senza riflettere sui mutamenti sociali, culturali e politici della popolazione che la parla. È stato notato che fece aderire le teorie apprese da Bartoli alle letture filosofiche che lo formarono politicamente; in primo luogo all'Ideologia Tedesca di Marx, dove Marx afferma che il tessco, come la coscienza dei tedesci, appartiene alla sfera degli istituti sovra-strutturali, cioè al mondo dell'organizzazione politica e giuridica della società. Le più interessanti riflessioni linguistiche gramsciane sono contenute nei Quaderni del carcere e riguardano da una parte la questione delle lingue in Italia, ovvero lo studio delle ragioni che hanno reso difficile la diffusione di una lingua per la nazione o tutta la poppolazione, dall'altra il tema dell'insegnamento linguistico nelle scuole primarie. Soprattutto il secondo tema è di fondamentale importanza per Gramsci, perché riguarda direttamente il riscatto culturale delle grandi masse popolari e la creazione di uno spirito nazionale in grado di superare ogni forma di particolarismo regionale. I Quaderni del carcere sono costellati in maniera asistematica di molte note dedicate a problemi di caratteri linguistico; queste note tracciano una vera e propria storia della lingua italiana e racchiudono le riflessioni di Gramsci in merito alla cosiddetta questione della lingua in Italia. Questo tipo di argomento si riallaccia a un altro importante tema dei Quaderni ovvero lo studio delle responsabilità degli intellettuali italiani per la formazione di uno spirito nazionale unitario. A tal proposito Gramsci scrive: «mi pare che, intesa la lingua come elemento della cultura e quindi della storia generale e come manifestazione precipua della nazionalità e popolarità degli intellettuali, questo studio non sia ozioso e puramente erudito». Nell'affrontare una ricostruzione storica delle vicende linguistiche italiane Gramsci cerca dei termini di confronto con altri paesi europei come la Francia: mentre in Francia il volgare viene usato per la prima volta nella storia per redigere un documento ufficiale di carattere politico-istituzionale, in Italia il volgare appare per la registrazione di documenti privati legati al commercio o a questioni giuridiche:  «l'origine della differenziazione storica tra Italia e Francia si può trovare testimoniata nel giuramento di Strasburgo, cioè nel fatto che il popolo partecipa attivamente alla storia (il popolo-esercito) diventando il garante dell'osservanza dei trattati tra i discendenti di Carlo Magno; il popolo-esercito garantisce giurando in volgare, cioè introduce nella storia nazionale la sua lingua, assumendo una funzione politica di primo piano, presentandosi come volontà collettiva, come elemento di una democrazia nazionale. Questo fatto demagogico dei Carolingi di appellarsi al popolo nella loro politica estera è molto significativo per comprendere lo sviluppo della storia francese e la funzione che vi ebbe la monarchia come fattore nazionale. In Italia i primi documenti di volgare sono dei giuramenti individuali per fissare la proprietà su certe terre dei conventi, o hanno un carattere antipopolare («Traite, traite, fili de le putte»).»  (Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi) In Francia i gruppi dirigenti si rendono conto dell'importanza del popolo negli affari di Stato: la demagogia di cui parla Gramsci è da intendere, oltre che come strumento di propaganda, anche come un nuovo atteggiamento politico in grado di crearsi «una propria civiltà statale integrale», in cui si stabilisce un rapporto diretto tra governati e governanti: il popolo diventa testimone di un fatto storico legittimato dal suo giuramento. Ricorda nei suoi appunti come in Italia l'uso del volgare si diffonda con l'avvento dell'età comunale, non solo per la redazione di documenti privati, tipo atti notarili o giuramenti, ma anche per la creazione di opere letterarie: in particolare, il volgare toscano, lingua della borghesia, ottiene un certo successo anche nelle altre regioni. Firenze esercita una egemonia culturale, connessa alla sua egemonia commerciale e finanziaria. Bonifazio VIII dice che i fiorentini sono il quinto elemento del mondo. C'è uno sviluppo linguistico unitario dal basso, dal popolo alle persone colte, rinforzato dai grandi scrittori fiorentini e toscani. Dopo la decadenza di Firenze, l'italiano diventa sempre più la lingua di una casta chiusa, senza contatto vivo con una parlata storica.” Da questo momento si verifica una cristallizzazione della lingua. I promotori del nuovo volgare, provenienti dalla borghesia, non scrivono più nella lingua della loro classe d'origine perché con essa non intrattengono più nessun rapporto, nella visione di Gramsci essi “vengono assorbiti dalle classi reazionarie, dalle corti, non sono letterati borghesi, ma aulici.” In questo senso, vede sciupata l'occasione di una diffusione graduale del volgare toscano su scala nazionale, occasione compromessa soprattutto dalla frammentazione politica della penisola e dal carattere “elitario” del ceto intellettuale italianio. Affronta con maggior vigore la questione delle lingue in relazione al periodo post-unitario. Nella seconda metà dell'Ottocento, lo stato e per gran parte “dialettofono”, mentre la lingua della nazione venne usata solo a livello letterario e come lingua delle istituzioni. La scarsa diffusione di una lingua per la nazione testimonia la frammentazione politica e culturale della popolazione italiana. Questo fenomeno venne avvertito come un problema politico, soprattutto da molti intellettuali di tendenze democratiche come Manzoni.  Nella sua ricostruzione storica Gramsci scrive che “anche la questione delle lingue posta da  Manzoni riflette questo problema, il problema della unità intellettuale e morale della nazione e dello stato, ricercato nell'unità della lingua.” Eppure, sebbene Gramsci riconosca al Manzoni di aver compreso la questione linguistica italiana come una questione politica e sociale, si distingue da lui nel modo di interpretare la risoluzione del problema. Durante il suo apprendistato glottologico presso Bartoli a Torino ha modo di confrontare le posizioni del Manzoni con quelle di Ascoli, del “Archivio Glottologico.” Mentre Manzoni prevede la diffusione di una lingua per la nazione sul modello fiorentino imposta per decreto statale e per mezzo di maestri di scuola di origine toscana, Ascoli concepiva la nascita di una lingua nazionale come il frutto di un'unificazione culturale prima ancora che linguistica.  Secondo Ascoli l'unità culturale e linguistica, prima di tutto, deve avere un centro irradiante, cioè un determinato 'municipio' in cui si concentrano e da cui provengono gli elementi essenziali della vita nazionale: beni di consumo, stimoli culturali, mode, ritrovati della tecnica, istituti statali e giuridici, ecc. Se quel dato municipio riuscirà a stabilire un primato politico, economico e culturale su tutta la nazione, riuscirà anche a diffondere, per conseguenza, il suo particolare idioma. Per Ascoli, una lingua nazionale altro non può e non deve essere, se non l'idioma vivo di una data città. Deve cioè per ogni parte coincidere con l'idioma spontaneamente parlato dagli abitatori contemporanei di quel dato municipio, che per questo capo viene a farsi principe, o quasi stromento livellatore, dell'intiera nazione. Ascoli, nel suo Proemio, prende la Francia come esempio per avvalorare la sua tesi. Infatti, l'unità linguistica di Francia corrisponde all'egemonia politico-culturale di Parigi. La Francia attinge da Parigi la unità della sua favella, perché Parigi è il gran crogiuolo in cui si è fusa e si fonde l'intelligenza della Francia intera. Dal vertiginoso movimento del municipio parigino parte ogni impulso dell'universa civiltà francese. Viene da Parigi il nome, perché da Parigi vien la cosa. E la Francia avendo in questo municipio l'unità assorbente del suo pensiero, vi ha naturalmente pur quella dell'animo suo; e non solo studia e lavora, ma si commuove, e in pianto e in riso, così come la metropoli vuole. E quindi è necessariamente dell'intiera Francia l'intiera favella di Parigi. Gramsci ricalca la lezione ascoliana nei suoi Quaderni. Poiché il processo di formazione, di diffusione, e di sviluppo di una lingua nazionale unitaria avviene attraverso tutto un complesso di processi molecolari, è utile avere consapevolezza di tutto il processo nel suo complesso, per essere in grado di intervenire attivamente in esso col massimo di risultato. Questo intervento non bisogna considerarlo come decisivo e immaginare che i fini proposti saranno tutti raggiunti nei loro particolari, che cioè si otterrà una determinata lingua unitaria. Si otterrà una lingua unitaria, se essa è una necessità e l'intervento organizzato accelera i tempi del processo già esistente. Quale sia per essere questa lingua non si può prevedere e stabilire. Alla nota Focolai di irradiazione linguistiche nella tradizione e di un conformismo nazionale linguistico nelle grandi masse, compila un elenco di tutti gli strumenti utili alla diffusione di una lingua unitaria. Primo, La scuola. Secondo, i giornali. Terzo,  gli scrittori d'arte e quelli popolari. Quarto, il teatro e il cinematografo sonoro. Quinto, la radio. Sesto, le riunioni pubbliche di ogni genere, comprese quelle religiose. Settimo, I rapporti di ‘conversazione’ tra i vari strati della popolazione più colti e meno colti. Ottavo, i dialetti locali, intesi in sensi diversi (dai dialetti più localizzati a quelli che abbracciano complessi regionali più o meno vasti: così il napoletano per l'Italia meridionale, il palermitano o il catanese per la Sicilia ecc. Al primo posto di questo elenco troviamo la scuola. Per tradizione, a scuola, gli insegnanti introducono gli alunni allo studio di una lingua attraverso la grammatica “normativa”. Gramsci definisce la grammatica normativa come una fase esemplare, come la sola degna di diventare, organicamente e totalitarmente, la lingua comune di una nazione, in lotta e in concorrenza con le altre fasi e tipi o schemi che esistono già. Le riflessioni gramsciane in materia di grammatica si pongono in netto contrasto con la riforma della scuola realizzata da Gentile, di basi griceiana. La riforma, in linea con l'impianto idealista gentiliano, prevede che l'apprendimento della lingua della nazione nelle classi elementari si basasse su quello chi Gentile chiama la “espressione” viva o parlata e non sulla grammatical normativa, considerata questa come una disciplina “astratta” e meccanica. Nell'ottica di Gramsci il metodo apparentemente liberale di Gentile-Grice, racchiude uno spiccato carattere “classista” o elitist, in quanto gli scolari appartenenti alle classi sociali più alte sono avvantaggiati dal fatto che apprendono l'italiano in famiglia, mentre gli scolari del basso popolo possono contare su una comunicazione familiare realizzata esclusivamente in “dialetto” --. In questo senso la grammatica normativa si presenta come uno strumento in grado di livellare le differenze sociali permettendo a tutti la conoscenza della lingua della nazione.  Secondo Gramsci la conoscenza della lingua della nazione presso le classi sub-alterne è fondamentale per la loro organizzazione politica. Un proletariato “dialettofono” non può partecipare alla vita politica di una nazione e non può sperare di crearsi un ceto intellettuale in grado di competere con i ceti intellettuali tradizionali. Il dialetto non deve sparire, ma restare funzionali a un tipo di comunicazione familiare o locale che non può garantire, per cause interne al suo sistema, «la comunicazione di un contenuto culturale ‘universale’, caratteristico della nuova cultura esercitata dal proletariato. Gramsci prestò attenzione anche alla lingua dell’impero romano. Espresse in più occasioni che lo studio del latino fosse particolarmente utile nella formazione filosofica, in quanto abituare il filosofo allo studio rigoroso e a pensare storicamente. Contesta il “nazionalismo” degli studi e criticò ripetutamente gli intellettuali che, durante la prima guerra mondiale, chiedevano che fossero messe al bando le edizioni dei testi romani e la grammatica latina compilate da autori tedeschi! Anche nei Quaderni del carcere si sofferma sulla questione e ribadì l'utilità intrinseca della antica lingua romana, osservando che e uno strumento importante nella fase della formazione filosofica nella quale è necessario un insegnamento "disinteressato", cioè non legato a questioni pratiche. Però, sottolineò anche che in futuro lo studio delle lingue morte avrebbe dovuto essere sostituito da altre materie: era un cambiamento difficile, ma necessario, per promuovere la formazione di un nuovo tipo di intellettuale.Scrisse nel Quaderno 12:  Bisognerà sostituire il latino e il greco come fulcro della scuola formativa e lo si sostituirà, ma non sarà agevole disporre la nuova materia o la nuova serie di materie in un ordine didattico che dia risultati equivalenti di educazione e formazione generale della personalità, partendo dal fanciullo fino alla soglia della scelta professionale. In questo periodo infatti lo studio o la parte maggiore dello studio deve essere (e apparire ai discenti) disinteressato, non avere cioè scopi pratici immediati o troppo immediati, deve essere formativo, anche se «istruttivo», cioè ricco di nozioni concrete.  Machiavelli influenzò fortemente la teoria dello Stato di Gramsci. Marx, filosofo, storico, critico dell'economia politica e fondatore del materialismo storico Engels Lenin, Labriola, primo notevole teorico marxista italiano, riteneva che la principale caratteristica del marxismo fosse quella di aver creato uno stretto nesso fra la storia e la filosofia. Sorel — sindacalista che ha respinto il principio dell'inevitabilità del progresso storico. Pareto — economista e sociologo italiano (nato a Parigi di madre francese), noto per la sua teoria sull'interazione fra masse ed élite. Croce — liberale italiano, filosofo anti-marxista e idealista il cui pensiero fu sottoposto da Gramsci a critica attenta e approfondita. Pensatori influenzati da Gramsci. Gramscianesimo. Zackie Achmat Eqbal Ahmad Jalal Al-e-Ahmad, Althusser Perry Anderson, Giulio Angioni Michael Apple Giovanni Arrighi Zygmunt Bauman Homi K. Bhabha, Gordon Brown Alberto Burgio, Butler Alex Callinicos Partha Chatterjee Marilena Chauí, Chomsky Alberto Mario Cirese Hugo Costa Robert W. Cox Alain de Benoist Biagio de Giovanni Ernesto de Martino, Eco John Fiske, Foucault Paulo Freire, Garin Eugene D. Genovese Stephen Gill Paul Gottfried Stuart Hall Michael Hardt Chris Harman David Harvey Hamish Henderson Eric Hobsbawm Samuel Huntington Alfredo Jaar Bob Jessop, Laclau, Mariátegui, Mouffe, Negri, Nono, Omi, Pasolini, Pigliaru, Pira, Portantiero, Poulantzas Gyan Prakash William I. Robinson Edward Saïd Ato Sekyi-Otu Gayatri Chakravorty Spivak, Sraffa Edward Palmer Thompson Giuseppe Vacca Paolo Virno Cornel West Raymond Williams Howard Winant, Wittgenstein Eric Wolf Howard Zinn. Gramsci al cinema e in televisione Il delitto Matteotti, regia di Vancini, Antonio GramsciI giorni del carcere, regia di Fra, Gramsci, regia di Maielloserie TV, Gramsci, film in forma di rosa, regia di Gabriele Morleocortometraggio, Gramsci, regia di Emiliano Barbucci, Nel mondo grande e terribile, regia di Daniele Maggioni, Maria Grazia Perria e Laura Perini. Gramsci nel teatro Compagno Gramsci, di Maricla Boggio e Franco Cuomo, regia di Maricla Boggio, Gramsci nella musica Quello lì (compagno Gramsci), canzone di Claudio Lolli contenuta nell'album Un uomo in crisi. Canzoni di morte. Canzoni di vita, Piazza Fontana, canzone dei Yu Kung contenuta nell'album Pietre della mia gente Nino, canzone dei Gang contenuta nell'album Sangue e Cenere () Gramsci, il teatro e la musica È nota la passione di Gramsci per il teatro e per la musica, che si può leggere nelle lettere scritte a Tania. Egli ha scritto circa il melodrama “verdiano” che per lui segnava l’apertura dei teatri al pubblico, svolgendo una funzione conoscitiva, pedagogica e politica in senso generale. Per Gramsci l’opera diviene l’arte più popolare e i teatri aperti i luoghi dove si esercitava parte del conflitto politico.  Una frase quasi ironica di Gramsci da citare, per quanto riguarda l’importanza dell’opera per l’Italia: “siccome il popolo non è letterato e di letteratura conosce solo il libretto d'opera ottocentesco, avviene che gli uomini del popolo melodrammatizzino”. Nelle sue lettere si può leggere anche riguardo alla moda europea del jazz; egli sostiene che questa musica aveva conquistato uno strato dell’Europa colta e aveva creato un vero fanatismo: Opere: “Alcuni temi della questione meridionale, in Lo Stato Operaio, Opere,  Lettere dal carcere, Torino, Einaudi, premio Viareggio, con centodiciannove lettere inedite, I quaderni dal carcere, Il materialismo storico e la filosofia di Croce” (Torino, Einaudi); “Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura” Torino, Einaudi, Il Risorgimento, Torino, Einaudi, Note sul Machiavelli sulla politica e sullo stato moderno, Torino, Einaudi, Letteratura e vita nazionale, Torino, Einaudi,Passato e presente, Torino, Einaudi, L'Ordine Nuovo. Torino, Einaudi, Scritti giovanili. Torino, Einaudi, Sotto la mole. Torino, Einaudi, Socialismo e fascismo. L'Ordine Nuovo, Torino, Einaudi, La costruzione del Partito comunista. Torino, Einaudi, L'albero del riccio, Milano, Milano-sera, 1Americanismo e fordismo, Milano, Ed. cooperativa Libro popolare, Ultimo discorso alla Camera. Padova, R. Guerrini, Antologia popolare degli scritti e delle lettere di Antonio Gramsci, Roma, Editori Riuniti, Il Vaticano e l'Italia, Roma, Editori Riuniti, Note sulla situazione italiana, Milano, Rivista storica del socialismo, 2000 pagine di Gramsci Nel tempo della lotta. Milano, Il Saggiatore, Lettere edite e inedite. Milano, Il Saggiatore, Elementi di politica, Roma, Editori Riuniti, La formazione dell'uomo. Scritti di pedagogia, Roma, Editori Riuniti, Scritti politici La guerra, la rivoluzione russa e i nuovi problemi del socialismo italiano, Roma, Editori Riuniti, Il Biennio rosso, la crisi del socialismo e la nascita del Partito comunista, Roma, Editori Riuniti, Il nuovo partito della classe operaia e il suo programma. La lotta contro il fascismo, Roma, Editori Riuniti, Scritti Milano, I quaderni de Il corpo, Dibattito sui Consigli di fabbrica, Roma, La nuova sinistra, Paolo Spriano, Scritti politici, Roma, Editori Riuniti, L'alternativa pedagogica, Firenze, La nuova Italia, I consigli e la critica operaia alla produzione, Milano, Servire il popolo, La lotta per l'edificazione del Partito comunista, Milano, Servire il popolo, Il pensiero di Gramsci, Roma, Editori Riuniti, Il pensiero filosofico e storiografico di Antonio Gramsci, Palermo, Palumbo, Resoconto dei lavori del III congresso del P.C.D.I. (Lione), Milano, Cooperativa editrice distributrice proletaria, Scritti sul sindacato, Milano, Sapere, Aul fascismo, Roma, Editori Riuniti, Quaderni del carcere Quaderni, Torino, Einaudi, Quaderni, Torino, Einaudi, 1975. Quaderni, Torino, Einaudi, Apparato critico, Torino, Einaudi, La rivoluzione italiana, Roma, Newton Compton, Arte e folclore, Roma, Newton Compton, Scritti Inediti da Il Grido del Popolo e dall'Avanti. Con una antologia da Il Grido del Popolo, Milano, Moizzi, Ricordi politici e civili, Pavia,Scritti nella lotta. Dai consigli di fabbrica, alla fondazione del partito, al Congresso di Lione, Livorno, Edizioni Gramsci, Scritti sul sindacato, Roma, Nuove edizioni operaie, A Delio e Giuliano, Milano, N. Milano,  I consigli di fabbrica, Milano, Amici della casa Gramsci di Ghilarza, Centro milanese, Favole di libertà, Firenze, Vallecchi, Scritti, Cronache torinesi. Torino, Einaudi, La città futura. Torino, Einaudi, Il nostro Marx. Torino, Einaudi, L'Ordine nuovo, Torino, Einaudi, Nuove lettere di Antonio Gramsci. Con altre lettere di Piero Sraffa, Roma, Editori Riuniti, Forse rimarrai lontana.... Lettere a Iulca, Roma, Editori Riuniti,  Gramsci al confino di Ustica. Nelle lettere di Gramsci, di Berti e di Bordiga, Roma, Editori Riuniti, Le sue idee nel nostro tempo, Milano, l'Unità, Lettere dal carcere, con nuove lettere in parte inedite, Roma, l'Unità, Il rivoluzionario qualificato. Scritti, Roma, Delotti, Il giornalismo, Roma, Editori Riuniti, Lettere, Torino, Einaudi, Per una preparazione ideologica di massa: introduzione al primo corso della scuola interna di partito, aNapoli, Laboratorio politico, Scritti di economia politica, Bollati Boringhieri, Torino, Vita attraverso le lettere, Torino, Einaudi,  Disgregazione sociale e rivoluzione. Scritti sul Mezzogiorno, Napoli, Liguori, Piove, Governo ladro. Satire e polemiche sul costume degli italiani, Roma, Editori Riuniti, Contro la legge sulle associazioni segrete, Roma, Manifestolibri, Lettere, Torino, Einaudi, Le opere, Roma, Editori Riuniti, Critica letteraria e linguistica, Roma, Lithos, Il lettore in catene. La critica letteraria nei Quaderni, Roma, Carocci, La nostra città futura. Scritti torinesi,Roma, Carocci, Pensare l'Italia, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Scritti sulla Sardegna. La memoria familiare, l'analisi della questione sarda, Nuoro, Ilisso, Scritti rivoluzionari. Dal biennio rosso al Congresso di Lione, O. Micucci, Camerano, Gwynplaine, Quaderni del carcere. Edizione anastatica dei manoscritti,  Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana-Cagliari-L'Unione Sarda, Epistolario, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Epistolario, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Antologia, Antonio A. Santucci, prefazione di Guido Liguori, Roma, Editori Riuniti university press,. Il teatro lancia bombe nei cervelli. Articoli, critiche, recensioni, F. Francione, Mimesis Edizioni. La taglia della storia. Idea e prassi della rivoluzione, NovaEuropa Edizioni,.Note  Luigi Manias, Antonio Sebastiano Francesco Gramsci, Marmilla Cultura, International Gramsci Society, su international gramsci society.org.  Genealogia dei Gramsci (JPG), su albanianews.  Luigi Manias, Ma quando è nato Gramsci?, Marmilla Cultura,  Manias, Ales. La sua storia. I suoi problemi, Marmilla Cultura, Così Gramsci ricordava con ironia l'episodio, nella lettera dal carcere alla cognata Tatiana, aggiungendo che «una zia sosteneva che ero risuscitato quando lei mi unse i piedini con l'olio di una lampada dedicata a una Madonna e perciò, quando mi rifiutavo di compiere gli atti religiosi, mi rimproverava aspramente, ricordando che alla Madonna dovevo la vita»  «Noi eravamo tutti molto piccoli. Lei dunque doveva anche accudire alla casa. Trovava il tempo per i lavori di cucito rinunziando al sonno». Così ricordava quegli anni la sorella Teresina Gramsci, in Fiori, Lettera a Tatiana Schucht, così scriveva per invitare la cognata a non eccedere nelle sue preoccupazioni sulla sua vita di carcerato. La lettera prosegue infatti: «Ho conosciuto quasi sempre solo l'aspetto più brutale della vita e me la sono sempre cavata, bene o male»  Lettera a Tatiana Schucht, Numerose sono le richieste di denaro al padre:  gli scrive di essere «proprio indecente con questa giacca che ha già due anni ed è spelacchiata e lucida [oggi non sono andato a scuola perché mi son dovuto risuolare le scarpe» e, il 16 febbraio, che «per non farvi vergognare non sono uscito di casa per dieci giorni interi»  Fonzo, Testimonianza in Fiori, Testimonianza della sorella Teresina in Fiori, Fiori, L'articolo è riportato in Fiori, Riportato in A. Gramsci, Scritti politici  Antonio Gramsci, Dizionario di Storia, Treccani  [«io pensavo allora che bisognava lottare per l'indipendenza nazionale della regione: "Al mare i continentali". Poi ho conosciuto la classe operaia di una città industriale e ho capito ciò che realmente significavano le cose di Marx che avevo letto prima per curiosità intellettuale». Cfr. A. Gramsci, lettera a Giulia Schucht, in A. Gramsci, Lettere. Gramsci e l'isola laboratorio, La Nuova Sardegna  A. Gramsci. Lettere. Progettando, in carcere, uno studio di linguistica comparata, mai realizzato, in una lettera dal carcere dalla cognata Tatiana, ricorda come «uno dei maggiori "rimorsi" intellettuali della mia vita è il dolore profondo che ho procurato al mio buon professor Bartoli dell'Torino, il quale era persuaso essere io l'arcangelo destinato a profligare definitivamente i "neogrammatici"» della linguistica. Tuttavia già l'economista Amartya Sen aveva avanzato l'ipotesi che il passaggio ai giochi linguistici di Ludwig Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche fosse stato ispirato dai Quaderni dal carcere. Nel suo recente studio Gramsci and Wittgenstein: an intriguing connection, Pipero ha aggiunto nuovi elementi che dimostrano il collegamento fra Gramsci e Wittgenstein tramite Sraffa. Infatti il filosofo viennese venne a conoscenza del Quaderno 29, grazie proprio al suo amico Sraffa che aveva conosciuto a Cambridge. Lettera dal carcere: in essa Gramsci ricorda ancora un simpatico e patetico episodio. Dopo la rottura avvenuta a causa di quell'articolo che fece «piangere come un bambino e stette chiuso in casa il Cosmo per alcuni giorni», essi s'incontrarono nel nell'Ambasciata d'Italia a Berlino, dove il professore era segretario: «il Cosmo mi si precipitò addosso, inondandomi di lacrime e di barba e dicendo a ogni momento: Tu capisci perché! Tu capisci perché! Era in preda a una commozione che mi sbalordì, ma mi fece capire quanto dolore gli avessi procurato nel 1920 e come egli intendesse l'amicizia per i suoi allievi di scuola»  Lettera dal carcere a TSchucht  In Fiori, In A. Gramsci, Scritti politici, I56-59  Davico12.  Lettera dal carcere a Tatiana Schucht Lettera dal carcere a Tatiana Schucht, Recensione Recensione Recensione Spriano, Note sulla rivoluzione russa, ne Il Grido del Popolo, in Gramsci,  I massimalisti russi, ne Il Grido del Popolo, iSpriano, La rivoluzione contro il «Capitale», nell'Avanti!, Nella lettera Marx scriveva a Vera Zasulič che la tipica proprietà comune agricola russa poteva essere salvata dalla distruzione minacciata dallo sviluppo dei rapporti capitalistici: «Per salvare la comune russa, occorre una rivoluzione russa. Se la rivoluzione scoppierà a tempo opportuno, se l'intelligencija concentrerà tutte le forze «vive del paese» nell'assicurare alla comune agricola un libero spiegamento, allora la comune ben presto evolverà come elemento di rigenerazione della società russa e, insieme, di superiorità sui paesi ancora asserviti dal regime capitalistico». Inoltre, nella prefazione all'edizione russa del Manifesto,Marx ed Engels avevano scritto che «l'odierna proprietà comune potrà servire di partenza per una evoluzione comunista». È anche vero, tuttavia, almeno nel caso della lettera alla Zasulič, che Gramsci all'epoca non poteva conoscerne il contenuto. (Cfr. Cinella, L'altro Marx, Della Porta Editori, Pisa-Genova, A. Gramsci, Ordine Nuovo, A. Gramsci, ibidem  Corriere della Sera, Archivio Centrale dello Stato, Min. Int., Dir. Gen. PS, Ordine Nuovo, 8 maggio 1920, in Scritti politici, IConcluso con un ordine del giorno che prospettava la conquista violenta del potere e la dittatura del proletariato  Per un rinnovamento del Partito socialista, ne L’ordine Nuovo, in Gramsci, Lenin, nel suo discorso all'Internazionale Comunista, invitando a espellere dal partito socialista l'ala destra riformista, disse che «all'indirizzo dell'Internazionale Comunista corrisponde l'indirizzo dei militanti dell'Ordine Nuovo e non l'indirizzo dell'attuale maggioranza dei dirigenti del partito socialista e del loro gruppo parlamentare». Lenin, Opere, Ordine Nuovo, in Scritti politici, GRAMSCI La sposa mandata da Lenin  Lettera, in A. Gramsci, Lettere Lettera dal carcere. Un profilo di Antonio Gramsci junior, su channelingstudio.ru.  Su alcune note di uno sconosciuto bolscevico Vladimir Diogotche sosteneva, fra l'altro, di essere a conoscenza di un tentativo di rovesciamento della monarchia italiana da parte di Nitti in accordo con i socialistilo storico Jaroslav Leontiev ha sostenuto nche la conoscenza tra Gramsci e la Schucht sia stata "pilotata" da Lenin in persona: cfr. Link archivio del Corriere  Amendola,  In Togliatti, In Togliatti, Lettera di Gramsci a Giulia Schucht,  Lettera a Giulia Schucht, La crisi italiana, ne L’Ordine Nuovo, 1º settembre 1924, in Gramsci, Camera dei Deputati, XXVII legislatura del Regno d'Italia, "Capo", in L'Ordine Nuovo, pubblicato successivamente col titolo di Lenin capo rivoluzionario, in l'Unità, «Capo», ne L’ordine Nuovo, in Gramsci, Anche alle autorità francesi fu nascosto lo svolgimento del Congresso. Sul III CongressoSpriano, Storia del Partito comunista italiano, Spriano, Spriano,  Spriano, Spriano, Antonio Gramsci, Tesi di Lione, Lione, Antonio Gramsci, La questione meridionale, Editori Riuniti,  «Alcuni temi della quistione meridionale». Stato operaio,  Citato in Rosario Villari, Il Sud nella Storia d'Italia. Antologia della Questione meridionale, Roma-Bari, Laterza, Antonio Gramsci, Cinque anni di vita del partito, L'Unità,  Fiori, Spriano, Aurelio Lepre, Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci, Editori Laterza, Bari, La lettera, non datata, si ritiene sfu pubblicata per la prima volta in Francia da Tasca. Su tutta la questione della lotta interna nel partito comunista sovietico di questo periodoSpriano, cit., II, ca 3 e 5  A. Gramsci, Lettere Lettera di Togliatti a Gramsci, Commissione di assegnazione al confino di Roma, ordinanza dcontro Antonio Gramsci (“Dirigenti e deputati del PCd'I dichiarati decaduti”). In Pont, Carolini, L'Italia al confino, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali (ANPPIA/La Pietra), Tornata Camera dei deputati Fiori,  In Fiori, Sentenza contro Antonio Gramsci e altri (“Ricostituzione di partito disciolto, propaganda, cospirazione, istigazione alla lotta armata ecc.”). In Pont, Carolini, L'Italia dissidente e antifascista. Le ordinanze, le Sentenze istruttorie e le Sentenze in Camera di consiglio emesse dal Tribunale speciale fascista contro gli imputati di antifascismo, Milano (ANPPIA/La Pietra),  Amendola142.  Spriano, Lettera a Tatiana Schucht, Fiori, Fiori,  Fiori, Risoluzione per l'espulsione di Amedeo Bordiga  Fiori, Pubblicato in «Rinascita», In «Rinascita», cit.  Dalla biografia di Pertini pubblicata nel sito web del Circolo Sandro Pertini di Genova: «Chiesi al maresciallo dei carabinieri che comandava la scorta se poteva dirmi dove mi portavano. Quando questi fece il nome di Turi me ne rallegrai. Ero contento perché sapevo che là avrei incontrato Antonio Gramsci, un uomo che avevo sempre ammirato per il suo coraggio». A Turi incontrai Gramsci in un angolo del cortile dove coltivava un'aiuola di fiori; era piccolo di statura e con due gobbe: una davanti ed una di dietro. Mi avvicinai a lui, mi presentai, gli affermai che venivo da Santo Stefano e che ero onorato di fare la sua conoscenza. Gli davo del lei e lo chiamavo Onorevole Gramsci. Lui si mise a ridere, dicendomi: "Perché mi dai del lei? Siamo antifascisti, vittime del Tribunale speciale tutti e due. Io gli ricordai che per loro, i comunisti, noi eravamo dei social-traditori. Disse di lasciar stare quella polemica penosa. Ci vedemmo dopo qualche giorno e parlò di Turati e Treves in maniera che mi sembrò offensiva ed io risposi con durezza. Il giorno dopo si scusò, dicendo che il suo era un giudizio politico, non aveva avuto intenzione di offendere le persone, e capiva la mia reazione in favore di due compagni che si trovavano in Francia. Da allora diventammo buoni amici. Parlavamo a lungo insieme anche perché era stato isolato dai suoi. Per certi versi costoro lo consideravano un traditore e chiedevano la sua espulsione dal partito, come poi fecero anche con Ravera. In cella Gramsci era perseguitato dai carcerieri. L’ordine di non lasciarlo dormire arrivasse direttamente da Roma. Io andai dal direttore del carcere a protestare perché i carcerieri, ogni volta che Gramsci si addormentava, lo svegliavano facendo scorrere sulle sbarre della finestra dei bastoni, con la scusa di controllare che le sbarre non fossero state segate per un'evasione. Dissi al direttore che se la situazione non fosse cambiata, avrei scritto una lettera al ministero. Il risultato fu che Gramsci, già gravemente malato di tubercolosi poté dormire tranquillo. Le mie proteste costrinsero il direttore del carcere di Turi a concedere a Gramsci anche alcuni quaderni, delle matite, un tavolino ed una sedia. Così poterono nascere i quaderni dal carcere. La mia amicizia mi mise in contrasto con il direttore del carcere e forse non fu estraneo al mio trasferimento a Pianosa. Lettera a Tatiana Schucht, Lettera a Tatiana Schucht,  Alla fine degli anni settanta cominciò a circolare la voce secondo la quale Gramsci in punto di morte si sarebbe convertito alla fede cattolica. Tale affermazione venne però ritrattata dallo stesso religioso che l’aveva inavvertitamente messa in circolazione, chiamando a supporto della smentita l’allora cappellano della clinica Quisisana. Nonostante le chiare argomentazioni della rettifica, trent’anni dopo la medesima tesi fu riproposta da un altro sacerdote. Essendo priva di riscontri documentali e di prove testimoniali, la teoria della conversione di Gramsci non è mai stata avvalorata dagli storici. Cfr. S.Fio., Gramsci e il sacerdote pentito, La Repubblica, Il Vaticano: «Gramsci trovò la fede», Il Corriere della Sera, C. Daniele, Togliatti editore di Gramsci, Carocci, Quaderni del carcere, Il Risorgimento, Einaudi, Torino, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce Quaderni del carcere, Quaderni del carcere, ed. Gerratana,  Cirese, Baratta, Giulio Angioni, Gramsci e il folklore come cosa seria, in Fare, dire, sentire. L'identico e il diverso nelle culture, Il Maestrale, Note sul Machiavelli,  Gli intellettuali e l'organizzazione della cultura, Quaderni del carcere, cLetteratura e vita nazionale, Il materialismo storico e la filosofia di Croce, L. Rosiello, Problemi e orientamenti linguistici negli scritti di Antonio Gramsci, Quaderni dell'Istituto di glottologia di Bologna,A. Gramsci, V. Gerratana, Torino, Einaudi, A. Gramsci, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, V. Gerratana, Torino, Einaudi, V. Gerratana, Torino, Einaudi, Gramsci, Gerratana, Torino, Einaudi, G. I. Ascoli, Proemio, AGI, Gramsci, 'Quaderni del carcere', V. Gerratana, Torino, Einaudi, Quaderni del carcere, V. Gerratana, Torino, Einaudi, 'Quaderni del carcere', V. Gerratana, Torino, Einaudi, L. Rosiello, Lingua nazione egemonia, Rinascita Il Contemporaneo, Rapone, Leonardo, Cinque anni che paiono secoli: Gramsci dal socialismo al comunismo, 1a ed, Carocci,,  Fonzo,  Maria Luisa Bosi, Antonio Gramsci, su scuolalo divecchio. giovannicarpinelli, Gramsci e la musica, su Palomar, La passione sconosciuta di Gramsci per la musica, in L’Huffington Post. Premio letterario Viareggio-Rèpaci, Amendola, Storia del Partito comunista italiano Roma, Editori Riuniti, Perry Anderson, Ambiguità di Gramsci, Bari, Laterza, Giulio Angioni, Gramsci e il folklore come cosa seria, in Fare, dire, sentire. L'identico e il diverso nelle culture, Il Maestrale, Francesco Aqueci, Il Gramsci di un nuovo inizio, Quaderno, Supplemento al n. 19  di «AGON», Rivista Internazionale di Studi Culturali, Linguistici e Letterari, Francesco Aqueci, Ancora Gramsci, Roma, Aracne,. Nicola Auciello, Socialismo ed egemonia in Gramsci e Togliatti, Bari, De Donato, Nicola Badaloni e altri, Attualità di Gramsci, Milano, Il Saggiatore, Baratta, Antonio Gramsci in contrappunto. Dialoghi col presente, Roma, Carocci, Bobbio, Saggi su Gramsci, Milano, Feltrinelli, Calamandrei e Calogero, La conoscenza di Gramsci in Inghilterra. Una lettera di Guido Calogero e una nota di Franco Calamandrei, in «L'Unità» Mauro Canali, Il tradimento. Gramsci, Togliatti e la verità negata, Venezia, Marsilio,. Antonio Carrannante, Sull'uso di 'galantuomo' in Gramsci, in "Studi novecenteschi",  Antonio Carrannante, Antonio Gramsci e i problemi della lingua italiana, in "Belfagor",  Iain Chambers, Esercizi di potere. Gramsci, Said e il postcoloniale, Roma, Meltemi editore, Cirese, Intellettuali, folklore, istinto di classe, Torino, Einaudi, Marco Clementi, Le ceneri di Gramsci in Stalinismo e Grande Terrore, Roma, Odradek, Guido Davico Bonino, Gramsci e il teatro, Torino, Einaudi, Biagio De Giovanni e altri, Egemonia Stato partito in Gramsci, Roma, Editori Riuniti, D'Orsi, Gramsci. Una nuova biografia, Torino, Einaudi,. Dubla,Giusto (a cura), Il Gramsci di Turi, Testimonianze dal carcere, Chimienti editore, Michele Filippini, Gramsci globale. Guida pratica agli usi di Gramsci nel mondo, Bologna, Odoya,.Giuseppe Fiori, Vita di Gramsci, Bari, Laterza, Fiori, Gramsci Togliatti Stalin, Roma-Bari, Laterza, Erminio Fonzo, Il mondo antico negli scritti di Gramsci, Salerno, Paguro, Eugenio Garin, Con Gramsci, Roma, Editori Riuniti, Valentino Gerratana, Gramsci. Problemi di metodo, Roma, Editori Riuniti, Noemi Ghetti, Gramsci nel cieco carcere degli eretici, Roma, L'Asino d'Oro Edizioni, Gramsci jr., La storia di una famiglia rivoluzionaria, Roma, Editori Riuniti-University Press. Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, Roma, Editori Riuniti, Hobsbawm, Gramsci in Europa e in America, Roma-Bari, Laterza,Aurelio Lepre, Il prigioniero. Vita di Antonio Gramsci, Bari, Laterza, Liguori e Voza, Dizionario Gramsciano, Roma, Carocci, Piparo, “I due carceri di Gramsci”, Donzelli, Roma, Losurdo,Gramsci. Dal liberalismo al comunismo critico, Roma, Gamberetti editrice, Mario Alighiero Manacorda, Il principio educativo in Gramsci. Americanismo e conformismo, Roma, Editori Riuniti, Michele Martelli, Gramsci filosofo della politica, Milano, Unicopli, Mondolfo, Da Ardigò a Gramsci, Milano, Nuova Accademia, Raul Mordenti, Gramsci e la rivoluzione necessaria, Roma, Editori Riuniti University Press, Omar Onnis e Manuelle Mureddu, Illustres. Vita, morte e miracoli di quaranta personalità sarde, Sestu, Domus de Janas, Paggi, Gramsci e il moderno principe, Roma, Editori Riuniti, Pastore, Gramsci. Questione sociale e questione sociologica, Livorno, Belforte, Portelli, Gramsci e il blocco storico, Bari, Laterza,Rapone, Cinque anni che paiono secoli. Antonio Gramsci dal socialismo al comunismo, Carocci, Roma, Rossi, Vacca, Gramsci tra Mussolini e Stalin, Roma, Fazi editore, Angelo Rossi, Gramsci da eretico a icona. Storia di un "cazzotto nell'occhio", Napoli, Guida editore,. Angelo Rossi, Gramsci in carcere. L'itinerario dei Quaderni, Napoli, Guida editore, Santhià, Con Gramsci all'Ordine Nuovo, Roma, Editori Riuniti, Santucci, Gramsci. Palermo, Sellerio, Spriano, Storia di Torino operaia e socialista, Torino, Einaudi, Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano,I, Torino, Einaudi, Spriano, Storia del Partito comunista italiano,II, Torino, Einaudi, Spriano, Gramsci e Gobetti. Introduzione alla vita e alle opere, Torino, Einaudi, Paolo Spriano, Gramsci in carcere e il partito, Roma, Editori Riuniti, Elettra Stamboulis, Gianluca Costantini, Cena con Gramsci, Padova, Becco Giallo,. Giuseppe Tamburrano, Gramsci: la vita, il pensiero e l'azione, Bari-Perugia, Lacaita, 1963. Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del Partito comunista italiano Roma, Editori Riuniti, Togliatti, Scritti su Gramsci, Roma, Editori Riuniti, Vacca, Gramsci e Togliatti, Roma, Editori Riuniti. Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Casa museo Gramsci a Ghilarza, Fondazione Istituto Gramsci. Antonio Sebastiano Francesco Gramsci. Antonio Gramsci. Grice: “When Austin speaks of ‘ordinary language,’ he knows what he is talking about; when Gentile, Gramsci, and Ascoli, do, they don’t!” -- Grice: “Elites are so relative; when I came to Oxford, I was regarded as a ‘Midlands scholarship boy’ and thus assigned Corpus; there was no way I would socialise with Hampshire, Austin, and the others who were philososophising at All Souls on Thursday evenings – I had just been born on the wrong side of the track. So it was particularly obtuse for me when Gellner started to criticise me as elitist! Perhaps he had read too much Gramsci!?” Gramsci. Keywords: “Grice, elite” – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gramsci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686162750/in/photolist-2mRi7qi-2mQCrJc-2mQerAd-2mPTNKh-2mPY4jk-2mPTYES-2mPPzb6-2mPWrv4-2mPKvMM-2mN8nen-2mMQbzj-2mLP4Rj-2mLQdrQ-2mKNNqN-2mPsfT9-2mKyErQ-2mKjqrr-2mKk6t5-2mKfNvB-2mKjVho-2mKbfaU

 

Grice e Gregorio – l’arte grammatica degl’angeli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Da roma -- il grande: Grice: “For one, he is the punning Pope!”  Grice: “What WAS Gregorio’s implicatura? A complex one, since he uses the counterfactual: “si angeli fuessent.” Grice: “In The Sellars/Yeatman rewrite, the meta-implicata is that you must have read Bede!” Grice: “Poor Gregorio Magno had to fight with the Lonbards, and the sad thing is he lost!” --  Grice takes inspiration on Shropshire’s argument for the immortality of the soul from Gregorio Magno (Dialogo, IV). Figlio di Gordiano, appartenente all'aristocrazia senatoriale, la classe dominante dell'antica Roma che mantene prestigio economico e sociale, nonostante la caduta dell'Impero, e di Silvia, appartenente a una ricca famiglia siciliana. La sua "ars grammatica" fu limitata e lo stile che denota i suoi scritti è in linea con quello degli scrittori tardo-antichi. Di questi imita, in particolare, solo poche figure retoriche come l'anafora ed il gusto dell'esempio e dell'aneddoto moralizzante. La sua conoscenza del diritto si centra in Cicerone, da cui riprende anche definizioni e nozioni filosofiche del stoicismo. Insegna su colle Celio. Secondo la tradizione, mentre Gregorio attraversava, alla testa della processione, il ponte che collegava l'area del Vaticano con il resto della città (chiamato allora "Ponte Elio" o "Ponte di Adriano", oggi Ponte Sant'Angelo), ebbe la visione dell'Arcangelo Michele che, in cima alla Mole Adriana, rinfoderava la sua spada. La visione (che secondo alcune fonti fu condivisa da tutti i partecipanti alla processione) venne interpretata come un “segno” celeste pre-annunciante l'imminente fine dell'epidemia, cosa che effettivamente avvenne. Da allora i romani cominciarono a chiamare la Mole Adriana "Castel Sant'Angelo" e, a ricordo del prodigio, posero più tardi sullo spalto più alto la statua di un angelo in atto di rinfoderare la spada. Ancora oggi nel Campidoglio è conservata una pietra circolare con impronte dei piedi che, secondo la tradizione, sarebbero quelle lasciate da Michele quando si fermò per annunciare la fine della peste.  Vede alcuni giovani schiavi britannici esposti per la vendita, bellissimi di aspetto e pagani, tanto da aver esclamato, rammaricato: "Non Angli, ma Angeli dovrebbero esser chiamati…".  Comunque in meno di due anni diecimila Angli, compreso il re del Kent Ethelbert – e la famiglia di Grice -- si convertirono.Obiettò invece sulla proibizione ai soldati imperiali di diventare «soldati di Cristo», ovvero di entrare a far parte del clero. Gregorio avrebbe dettato i suoi canti a un monaco, alternando la dettatura a lunghe pause; il monaco, incuriosito, avrebbe scostato un lembo del paravento di stoffa che lo separava dal pontefice, per vedere cosa egli facesse durante i lunghi silenzi, assistendo così al miracolo di una colomba (che rappresenta naturalmente lo Spirito Santo), posata su una spalla del papa, che gli dettava a sua volta i canti all'orecchio. Opere: “Expositio super Cantica canticorum – “Cantico dei cantici”; “Moralia in Job (Giobbe); “Homiliae in Evangelia”, omelie sui Vangeli; Homiliae in Hiezechihelem prophetam, oomelie su Ezechiele; A Sacramentarium Gregorianum con cui riformò il canone della messa, rendendola più semplice ma più solenne; Antiphonarius centola nuova redazione del libro dei canti liturgici; Dialoghi; Libro su santi italiani a lui coevi; “San Benedetto da Norcia” “Sul destino dell'anima” “Su alcune profezie”; “Regula Pastoralisun manuale per la vita e l'opera dei vescovi e in generale di coloro che ricoprono il ministero pastorale; Le Epistolaeun registrum,«12 marzoA Roma presso san Pietro, deposizione di san Gregorio I, papa, detto il grande, la cui memoria si celebra il 3 settembre, giorno della sua ordinazione.»  «3 settembreMemoria di san Gregorio Magno, papa e dottore della Chiesa: dopo avere intrapreso la vita monastica, svolse l'incarico di legato apostolico a Costantinopoli; eletto poi in questo giorno alla Sede Romana, sistemò le questioni terrene e come servo dei servi si prese cura di quelle sacre.”“Si mostrò vero pastore nel governare la Chiesa, nel soccorrere in ogni modo i bisognosi, nel favorire la vita monastica e nel consolidare e propagare ovunque la fede, scrivendo a tal fine celebri libri di morale e di pastorale.”Il Proprio del santo in rito romano contiene la seguente colletta:[ «Deus, qui pópulis tuis indulgéntia cónsulis et amóre domináris, da spíritum sapiéntiae, intercedénte beáto Gregório papa, quibus dedísti régimen disciplínae, ut de proféctu sanctárum óvium fiant gáudia aetérna pastórum. Per Dominum nostrum Iesum Christum»  La Chiesa di Manduria custodisce un frammento d'osso del suo braccio destro. La Chiesa di Casola custodita un frammento d'osso della sua mano destra. G. Pepe, Il Medio Evo barbarico d'Italia,  Dizionario Biografico degli ItalianiVolume 59, Roma, Claudio Mareschini, Gregorio Magno e la cultura classica” Gregorio scrisse di sé «ego quoque tunc urbanam praeturam gerens pariter subscripsi», ma poiché in una variante del testo praeturam è sostituita da praefecturam, dalle sue epistole non è possibile sapere con esattezza se fu "prefetto dell'Urbe" o piuttosto "pretore dell'Urbe".  S. Gasperri, Italia longobarda, Laterza, Dialogi, Roma, Tipografia del Senato, Dizionario biografico degli italiani, Opera Omnia dal Migne patrologia Latina con indici analitici. Gregorio da Roma – Grice: “Gregory did not know what those were: ‘angeli,’ his companion answered. Adamant, Gregory corrected him: “No. They are Anglicans, they are not angels!” -- The grammatical structure of Latin of the seventh to eighth centuries had changed in comparison with the Latinitas of the fourth century. Although Bede builds his argument on the Grammar textbooks of Antiquity, he adopts Gregory the Great’s directive to subject the grammar rules to the language of the Scriptures and not to ancient Grammar textbooks. GREGORY THE GREAT, Moralia in Iob, PL 75, col. 516: ‘quia indignum uehementur existimo, ut uerba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati’ (‘I consider it strongly unworthy to restrict the words of divine revelation to the rules of Donatus’). Gregory did NOT write an ‘ars grammatica’ – Bonifacio did! – Gregorio does mention the ‘sub regulis Donati’ – which is worth transcribing: “sed tam pueriliter istum labi non indignum fortasse fuit, qui litteras fastidit et pro nugis habet, iisque studere episcopum, impium et profanum putat – et alibi pene gloriatur se artem loquendi, quam magisterial disciplinae exterioris insinuant, servare despexisse, non barbarism confusionem devitare, situs motusque praepositionum, casusque servare contemnere, quia indignum (inquit) vehementur existimo ut verba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati – quasi vero humani divinique sermonis leges addiscere et observare, id sit caelestia oracular subiiere. —Non metacismi collisionem fugio, non barbarism confusionem devito, situs motusque et praepositionum casus servare contemno, quia indignum vehementer exisitimo ut verba caelestis oraculi restringam sub regulis Donati – Non rifuggo dalla collisione del metacismo, non evito la mescolanza di barbarism, non tengo conto della posizione, degli spostamenti e delle preposizioni con I casi che esse reggono, perche repute cossa assai indegna coartare le parole del celeste oracolo entro le regole di Donato – Ep. Miss. C. 5 PL LXXXV, 516 B – Cio che a Gregorio sembra indegno non e l’obbedire alle regole della grammatica – anche in questo e uomo di disciplina – ma la retorica di Donato, che teoreizza e prescribe, contro la LIBERTA dell’espresione originale, il capriccio del maestro – Ructat corde bonum sine lege Donati verbum – la parola buona erompe dal cuore senza le leggi di Donato. – sommamente disdicevole assogettare le parole dell’oracolo celeste alle regole di Donato. L’esegeta del libro di Giobbe non trascura di continuo le norme grammaticali. Gregorio sa scegliere tra due letture di un medesimo vesetto, indicare I tropi di paragone e di metonimia, il valore della congiunzione di coordinarzione, l’etimologia di una parola. Insomma, Gregorio non esclude dall sua esegesi il iicorso ai metodoi di I spegazione grammaticale classica. Facendo mostra di una conosenza ostentata della tecnologia grammatical Gregorio si preoccupa evidentemente di far comprendere che il suo NON-VOLERE non e un NON-Sapere. It was said a pigeon dictated his Gregorian chants. Not only did he see the angel land on ponte sant’angelo, but was able to retrieve the stone and give it to the Campidoglio – he joked on the anglii being potentially angels, should they were Roman!” – I limite dei arti liberali in Gregorio. Grice: “It was a good thing for Western civilization that Gregorio could care less about Greek!” --  Gregorio il Grande, Gregorio I – Gregorio Magno. Gregorio. Keywords: angeli, ars grammatica – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gregorio: implicatura e grammatica” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755718418/in/dateposted-public/

 

Grice e Grandi – il progresso all’infinito della rosa di Grandi -- implicatura infinita – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo.  Grice: “I like Grandi – and Grandy – for one, Grandi (if not Grandy) proves that geometry is a branch of mathematics with his rose curve – a geniality!” – Figlio di Piero Martire,  ricamatore, e Caterina Legati, compì i suoi primi studi di grammatica sotto la guida di Canneti e poi nel locale Collegio dei Gesuiti, dove ebbe come maestro Saccheri. Entra nel monastero camaldolese di Classe in Ravenna, assumendo il nome Guido in sostituzione degli originari Francesco Lodovico, e qui ritrovò il maestro Canneti.  Proseguiti gli studi a Roma e Firenze, insegna a Firenze. Pubblica “La quadratura del cerchio” “La quadrature dell'iperbole” al cui interno scopre il paradosso: la somma parziale di una serie (“serie di Grandi) a segni alterni di numeri può non convergere (serie di Grandi). Divenne membro della corte presso il granduca di Toscana. Insegna a Pisa. Studia la curva algebrica da lui chiamata "rodonea" per la forma che ricorda il rosone delle chiese e fu autore degli Elementi di Geometria di Euclide (Venezia, Savioni). Fu il primo l’analisi degli infiniti. Saggi: “De infinitis infinitorum”; “Trattato delle resistenze” (Firenze); “Geometrica demonstratio vivianeorum problematum” (Firenze, Guiducci); “De infinitis infinitorum, et infinite parvorum ordinibus disquisitio geometrica” (Pisa, Bindi); “Epistola mathematica de momento gravium in planis inclinatis” (Lucca, Frediani); “Dialoghi circa la controversia eccitatagli contro Marchetti” (Lucca, Gaddi); “Prostasis ad exceptiones clari varignonii libro de infinitis infinitorum ordinibus oppositas circa magnitudinum plusquam-infinitarum vallisii defensionem et anguli contactus” (Pisa, Bindi); “Del movimento dell'acque trattato geometrico” (Firenze); “Relazione delle operazioni fatte circa il padule di Fucecchio” (Lucca, Venturini); “Trattato delle resistenze” (Firenze, Tartini); “Compendio delle Sezioni coniche d'Apollonio con aggiunta di nuove proprietà delle medesime sezioni” (Firenze, Tartini); “Instituzioni Meccaniche” (Firenze, Tartini); “Istituzioni di aritmetica pratica” (Firenze, Tartini); “Sectionum conicarum synopsis” (Firenze, Giovannelli); “Idraulici italiani."Rodonea" deriva dal greco Ροδή, rosa. La curva rodonea è anche chiamata "rosa di Grandi" in suo onore. G. Ortes, Vita del abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano, Venezia,  Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rodonea Sofisma algebrico Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. Carteggi del padre camaldolese matematico. Francesco Lodovico Grandi – Grice: “I like Grandi: I have two ways to deal with ‘mean’: ‘no sneaky intention allowed, including this – (o) all intentions are open ones, including this one – self-reference; or ‘optimal infinite’ potential infinite/actual infinite – titular versus de facto. In any case, both are better than pseudo-Schiffer!” Grice: “While I say, “Schiffer and others,” it should be pointed out that the first to show this was, of all people, my tutee Strawson – Stampe and Patton came close! (I love them guys! Patton is a gentleman, and Stampe, too! Both brilliant philosophical gentlemen, too!” --  In geometria è detta rodonea la curva algebrica o trascendente il cui grafico è caratterizzato da una serie di avvolgimenti attorno ad un punto centrale. Nei casi più noti tali avvolgimenti producono figure a forma di rosone, da cui deriva alla curva il nome rodonea (dal greco rhódon, ròsa). La curva rodonea è chiamata anche rosa di Grandi da Luigi Guido Grandi, il matematico che la battezzò e studiò intorno al 1725.   Rodonee ottenute per valori diversi del parametro {\displaystyle \omega ={\frac {n}{d}}} Tartapelago rosaGrandi 04.gif  Vari modi per la costruzione di Rose di Grandi. Animazioni realizzate in MSWLogo[1] La rodonea si può considerare un caso particolare di ipocicloide.  Equazione della curvaL'equazione delle rodonea in coordinate polari {\displaystyle (\rho ,\theta )}è:  {\displaystyle \rho =R\sin \omega \theta }, dove R è un numero reale positivo che rappresenta la massima distanza della curva dal centro degli avvolgimenti, e \omega  è un numero reale positivo che determina la forma della curva. È possibile anche scrivere la rodonea come {\displaystyle \rho =R\cos \omega \theta }, che produce una figura analoga, ma ruotata di un angolo pari a {\displaystyle {\frac {\pi }{2\omega }}}radianti.  Proprietà Se \omega  è un numero intero, la curva ha un numero finito di avvolgimenti, tutti passanti per l'origine degli assi, che generano una serie di "petali" componenti la figura a forma di rosone; il numero dei petali è pari a:  \omega , se \omega  è dispari; {\displaystyle 2\omega }, se \omega  è pari. Osserviamo che non è possibile ottenere rose con un numero di petali pari a {\displaystyle 4n+2}. Per {\displaystyle \omega =1} si ottiene un unico petalo, ovvero una circonferenza non centrata nell'origine.  L'area della superficie racchiusa dalla curva è pari a {\displaystyle {\frac {\pi R^{2}}{2}}} per k pari, a {\displaystyle {\frac {\pi R^{2}}{4}}} per k dispari.  Se \omega  è un numero razionale {\displaystyle {\frac {n}{d}}}, la curva ha un numero finito di avvolgimenti, che si intersecano in più punti creando una serie di petali parzialmente sovrapposti; nella figura a fianco sono visualizzate le rodonee ottenute per alcuni valori di n e d. Come caso particolare, per {\displaystyle \omega ={\frac {1}{2}}}, si ottiene il folium di Dürer.  In entrambi i casi precedenti, la curva ottenuta è algebrica; se invece \omega  è un numero irrazionale, la curva è trascendente ed ha un numero infinito di avvolgimenti che non si chiudono e formano un insieme denso, passando arbitrariamente vicino a ogni punto del cerchio di raggio R.  Note Giorgio Pietrocola, Curve storiche, Rose di Grandi, su Tartapelago, Maecla, 2005. URL consultato il 26 aprile 2021. BibliografiaRhodonea Curves, in The MacTutor History of Mathematics archive, School of Mathematics and Statistics, University of St Andrews, Scotland. URL consultato il 16-07-2008. Voci correlate Ipocicloide Figura di Lissajous PAGINE CORRELATE Sistema di coordinate polari sistema di coordinate bidimensionale  Atomo di idrogeno atomo dell'elemento idrogeno  Metodo simbolico  Il progressus in infinitum (in italiano «progresso all’infinito») o regressus in infinitum («regresso all'infinito») [1], è un'espressione della filosofia scolastica che indica un modo di argomentare logicamente, quando, per spiegare qualcosa, si ricorre a un termine, il quale però rende necessario il rinvio a un nuovo termine, e questo a un ulteriore termine; e cosi via senza che si possa mai giungere a un punto di spiegazione ultimo e definitivo. Questo procedimento logico, usato largamente da Aristotele e dagli scettici, vuole quindi dimostrare l'insufficienza di un'argomentazione. La differenza tra le due espressioni consiste nel ricercare la causa prima (ad esempio: causalità ideale platonica) o spiegazione definitiva di una cosa (ad esempio: causalità naturale aristotelica) procedendo logicamente in avanti (progressus) o all'indietro (regressus). [2]. Un esempio di un procedimento logico basato sul regressus in infinitum si ritrova nell'"Argomento del terzo uomo" di Aristotele.  Immanuel Kant (1724-1804) nella settima sezione della sua Critica della Ragion Pura (1781) chiamava «progressus in indefinitum» questo "infinito per addizione" che «non ammette nessuna limitazione se non quella provvisoria che gli può essere assegnata ad ogni suo passo, prima di procedere al passo successivo». Si tratta di un infinito irraggiungibile, non potendosi contare effettivamente infiniti numeri naturali.   Per questo motivo Aristotele (384-322 a.C.), affermava che «il numero è infinito in potenza, ma non in atto». [3] come appare chiaro se si rappresentano i numeri naturali con una serie di punti equidistanti, che si susseguono senza fine lungo la retta in una successione infinita discreta nel senso che tra due elementi consecutivi c'è uno spazio vuoto, da intendersi come assenza di elementi. Si parla anche di un'infinità numerabile, giacché di questi infiniti elementi è possibile dire qual è il primo, il secondo, il terzo, e così via.  L’infinito potenziale è perciò un infinito ottenuto per divisione; «la caratteristica di tale infinito, che Kant chiamava “regressus in infinitum”, è che esso è interamente contenuto in una totalità limitata: dividendo all’infinito un segmento in parti sempre più piccole, risulta evidente che tutti gli elementi della divisione sono in realtà già assegnati e presenti, prima ancora che la stessa divisione abbia inizio; appartenendo ad una forma limitata essi non possono sfuggire e non possono che essere ritrovati durante un processo all’infinito che inevitabilmente li raggiunge tutti.   La differenza tra “progressus in infinitum” e “regressus in infinitum” secondo Kant sta proprio in questo: nel primo caso gli elementi vanno cercati al di fuori della totalità parziale, sempre finita, che non si cessa mai di ottenere; nel secondo essi vanno trovati in un tutto preesistente.» [4]  Note Dizionario internazionale.it ^ Enciclopedia Treccani alla voce "Regressus in infinitum" ^ Bocconi - Aristotele e l'infinito ^ Mathesis   Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di FilosofiaLuigi Guido Grandi. Grandi. Keywords: infinite implicature – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grandi: implicatura infinita” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685536958/in/photolist-2mKAsyK-2mKCfz1-2mKEPJE-2mKAiSV-2mPvmTf-2mKAuZM-2mKjqrr-2mKiPND-2mKbkhx-2mKiNkD-2mJqjKS-2mJq2uE-2mJd7nN-2mJe9QJ-2mJ4GHU-2mJ3q6x-2mGT6p1-2mGnP2f-FXFiS4-E58e4H-Dw1w1R-DhRHD2-DvhhWW-Bq5Mgn-BDuNmW-2mKgTry-2mEd2LM-G7oMm2-G55xdb-G3tvCn-F7umuM-Ecrffr-CRAGiK-CkaHMd-Ckaz7s-CntuMM-CntseF-CdAEaL-CdDizG-CfWKjF-BFQviK-hSTpSd-mwahJ7-mwao2S-myDwnk-mw96Mi-mw8xSD-mw94r6-mwapBq-jkN2VC

 

Grice e Grassi – D’Ovidio a VIco: la metafora inaudita e il concetto di stato in Machiavelli – filosofia fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Grassi. He philosophised, like I did, on the metaphysics of Plato.” Grice: “Grassi has the gift of the gab: ‘metafora inaudita,’ ‘potenza dell’imagine,’ –“ Grice: “Grassi has mainly explored Heidegger.” – Grice: “I like Grassi’s general use of ‘imago’ to re-approach rhetoric!” -- Si laurea a Milano sotto Martinetti. Opere: “Metafisica platonica” (Laterza, Bari) – cf. A. D. Code on H. P. Grice on the axioms of metaphysical Platonism --. “Apparire ed essere” (Nuova Italia, Firenze). “Il bello e l’antico” (Paravia, Torino).“Heidegger e umano – Mann in Heidegger” (Guida, Napoli). “La preminenza della metafora” (Mucchi, Modena). “La filosofia dell'umanesimo. Un problema epocale” (Tempi, Napoli). “La follia -- Umanesimo e retorica” (Mucchi, Modena) “Potenza dell'immagine -- ivalutazione della retorica” (Guerini, Milano) “La metafora inaudita, -- cf. la lingua inaudita -- Massimo Marassi, Aestetica, Palermo “Potenza della fantasia” Guida, Napoli Filosofare noetico non metafisico (Congedo, Galatina); “Vico e l'umanesimo” Guerini, Milano Il dramma della metafora. Ovidio, Massimo Marassi, Tipografica, Roma,“Arte e mito”La Città del Sole, Napoli, “Retorica come filosofia. La tradizione umanistica”, Massimo Marassi, La Città del Sole, Napoli; “Tra antropologia, logica e ontologia”; “l'incidenza di Vico nell'antropologia di Grassi”; “Platone nell’onto-antropo-logia di Grassi Dizionario Biografico degli Italiani.  “La risposta (Antwort) del pensiero è l’origine della parola (Wort) umana”, M. Heidegger, Poscritto a Che cos’è metafisica?“L’espressione metaforica è in sé e per sé una risposta all’appello dell’Essere che si impone qui ed ora, e con il suo carattere immaginifico raggiunge la struttura patetica dell’esistenza”, E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocaleAccostandoci ai lavori di Ernesto Grassi possiamo avere, non senza qualche fondamento, l’impressione di trovarci di fronte ad un grande erudito la cui ricchezza e minuziosità di esposizione non rende sempre agevole l’attraversamento di tutte le tappe culturali, oltreché concettuali, toccate. Uno dei motivi di quello stile grassiano, che si snoda tra meditazione e saggio, come testimoniano gli ibridi stilistici contenuti in molti suoi contributi, da Assenza di Mondo a Arte e Mito e Viaggiare ed Errare, può essere rintracciato nella volontà di portare alla luce le diverse zone dell’umano senza tralasciarne alcuna. Il movimento di “anabasi” e “catabasi”, dalla superficie al fondale, dal suolo al sottosuolo, ci restituisce la complessità dei fenomeni culturali che riguardano l’uomo nella sua interezza e non solo una sua parte più o meno preponderante. Nella nostra analisi del pensiero di Grassi abbiamo seguito come filo conduttore il tema dell’onto-antropo-logia che ci appare come una chiave di lettura adeguata per comprendere la sua proposta umanistica-retorica e l’idea di ganzer Mensch che la sottende. La nostra scelta interpretativa non avrà come scopo una ricostruzione storiografica delle diverse tappe del pensiero e della vita.  “La risposta (Antwort) del pensiero è l’origine della parola (Wort) umana”, M. Heidegger, Poscritto a Che cos’è metafisica? “L’espressione metaforica è in sé e per sé una risposta all’appello dell’Essere che si impone qui ed ora, e con il suo carattere immaginifico raggiunge la struttura patetica dell’esistenza”, E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale Accostandoci ai lavori di Ernesto Grassi possiamo avere, non senza qualche fondamento, l’impressione di trovarci di fronte ad un grande erudito la cui ricchezza e minuziosità di esposizione non rende sempre agevole l’attraversamento di tutte le tappe culturali, oltreché concettuali, toccate. Uno dei motivi di quello stile grassiano, che si snoda tra meditazione e saggio, come testimoniano gli ibridi stilistici contenuti in molti suoi contributi, da Assenza di Mondo a Arte e Mito e Viaggiare ed Errare, può essere rintracciato nella volontà di portare alla luce le diverse zone dell’umano senza tralasciarne alcuna. Il movimento di “anabasi” e “catabasi”, dalla superficie al fondale, dal suolo al sottosuolo, ci restituisce la complessità dei fenomeni culturali che riguardano l’uomo nella sua interezza e non solo una sua parte più o meno preponderante. Nella nostra analisi del pensiero di Grassi abbiamo seguito come filo conduttore il tema dell’onto-antropo-logia che ci appare come una chiave di lettura adeguata per comprendere la sua proposta umanistica-retorica e l’idea di ganzer Mensch che la sottende. La nostra scelta interpretativa non avrà come scopo una ricostruzione storiografica delle diverse tappe del pensiero e della vita dell’autore su cui autorevoli interpreti si sono diffusamente espressi1. Il coacervo di autori, prospettive e tematiche, pone in luce i numerosi ambiti toccati dal filosofo: !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 1 Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e umanesimo nel pensiero di Ernesto Grassi, Palermo, Centro Internazionale di studi di estetica, 2001; G. Civati, Un dialogo sull’umanesimo. Hans-Georg Gadamer e Ernesto Grassi, l’Eubage, Aosta 2003; R. J. Kozljanic, Ernesto Grassi. Leben und Denken, München, Fink, 2003; W. Büttmeyer, Rettifiche. Laurea, libera docenza e Studia Humanitatis di Ernesto Grassi, in “Giornale critico della filosofia italiana”, LXXXIX, 2010, fasc. I, pp. 148-176; Id., Ernesto Grassi. Humanismus zwischen Faschismus und Nationalsozialismus, München, Alber 2009; J. Sànchez Espillaque, Ernesto Grassi y la filosofìa del humanismo, Sevilla, Biblioteca Viquiana- Fenix Editora, 2010; S. Limongelli, Il problema dell’umano nella filosofia di Ernesto Grassi, Vaprio d’Adda, GDS, 2008; Id., La svolta metaforica dell’ontologia fondamentale, Vaprio d’Adda, GDS, 2009; M. Marassi, Introduzione a E. Grassi, I primi scritti 1922-1946, La città del Sole, Napoli 2011.  ! 4!  mitico/metaforologico, antropologico, filosofico, storia delle idee e storia della cultura. In questo contesto teorico emerge la centralità del concetto di Lichtung, il quale consente di comprendere la direzione metaforologica del pensiero grassiano che nei saggi giovanili si era concentrato maggiormente su una tematizzazione dell’ontologia fenomenologica. Si tratta di una Lichtung di evidente sapore heideggeriano che allarga il suo raggio di incidenza sulla cultura e sulla società trasformandosi nelle vichiane luci della Scienza Nuova. La nostra attenzione si concentrerà sui temi che accompagnano l’iter grassiano dall’ontologia alla metaforologia. In questo percorso ovviamente alcuni temi o spunti resteranno sullo sfondo – come l’agire delle condizioni storico-politiche (magistralmente ricostruite da Büttemeyer) – e si privilegeranno quegli autori e quei temi che più ci appaiono attinenti con l’argomento grassiano che vogliamo mettere in risalto. Dal nostro punto di vista la prospettiva grassiana va interpretata come il tentativo di approntare una nuova filosofia, nell’epoca in cui se ne è decretata la morte, che sia innanzitutto esperienza del mondo e non solamente conoscenza. O meglio: di conoscenza pur sempre si tratta, il punto di riferimento è pur sempre la ragione, ma una ragione non classica: una “ragione fantastica”. La svolta grassiana è verso la fantasia e la metafora2, da una teoria del concetto a una teoria dell’inconcettualità per usare una ben nota espressione blumenberghiana. Il filosofo italo-tedesco accoglie in tutta la sua problematicità l’eredità di quel discorso posto a partire dal Settecento in modo sistematico all’interrogazione filosofica: il conflitto tra ragione e sentimento che agita le pagine degli empiristi, dei poeti, della critica kantiana fino alla tematizzazione husserliana. La questione è ancora una volta quella di riattivare un rapporto uomo-mondo non intrappolato nella rete di una soggettività cogitativa o di un’oggettività alla quale adeguarci, attingendo a un mondo pre-categoriale in cui gli orizzonti della sensibilità e della razionalità, dell’immediatezza dell’atto e della riflessione che lo struttura si intersecano. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 2 Sulla svolta metaforica dell’ontologia fondamentale di Grassi cfr., S. Limongelli, La svolta metaforica dell’ontologia fondamentale, cit.  ! 5!  In questo orizzonte di ricerca dobbiamo compiere atti continui di demitizzazione: una delle mitologie da sfatare per il filosofo è quella della ratio e dell’atto dell’io penso di Cartesio, padre del pensiero moderno. Ma tale operazione decostruttiva, tale filosofia col martello, per usare una ben nota metafora nietzscheana, non si risolve in una mitizzazione, di segno opposto, della crisi della ragione, del tramonto della civiltà in cui cultura e civilizzazione si sono definitivamente separate, con la conseguenza di una dilagante inautenticità dell’esperienza. Non ritroviamo mai in Grassi una rassegnazione al declino dell’Occidente, un compiacimento quasi edonistico della dissoluzione delle categorie, ma sempre una ricerca costante di un Altro inizio del pensiero. Un inizio che è strettamente correlato alla potenza delle immagini. Il significato attribuito all’immagine, alla forma, all’eidos3, esemplarmente condensato nell’aneddoto di Poliziano sulle streghe nelle selve, raccontato agli studenti in apertura del corso sull’Organon aristotelico4 e ricordato da Grassi in Potenza dell’immagine, va contestualizzato all’interno della questione più generale del rapporto tra filosofia e retorica, tra linguaggio dimostrativo e indicativo già avvertito in maniera problematica dalla riflessione sofistica gorgiana e di conseguenza platonica. E procedendo a ritroso, i termini della questione ci conducono sulla strada di un’esatta definizione della teoria della visione a cui l’eidos rimanda per sua stessa definizione: “se infatti la forma dimostrativa, come pure quella indicativa, del discorso hanno le loro radici nella teoria, nella vista, si deve allora riconoscere che il vedere, la visione, oltrepassa l’ambito del linguaggio e che l’immagine, l’eidos, giunge in primo piano. Dobbiamo dunque affermare tanto l’inadeguatezza del linguaggio razionale quanto di quello indicativo, dato che essi si basano sul vedere quale atto più originario dello stesso linguaggio?”5. L’immagine si riferisce non solo all’oggetto di cui essa è immagine ma anche al senso che diviene rappresentazione, una forza di sintesi con caratterizzazioni qualitative proprie. Husserl ha parlato non !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 3 Grassi usa il termine immagine nella sua identità con l’eidos come forma, schema e tipo. Cfr. E. Grassi, Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, Guerini, Milano 1989, p. 17. 4 Ivi, pp. 15-16. 5 Ivi, p. 17.  ! 6!  a caso di sintesi passiva come genesi del simbolico, lezione che Grassi accoglie nel suo tentativo di ricostruire un intero, una realtà dotata di sensi molteplici e stratificati, senza il sacrificio di alcuna dimensione dell’esperienza. La concettualizzazione messa a punto da Grassi dei grandi temi della filosofia, dell’arte e della letteratura, mostra l’attenzione verso le dimensioni del mondo storico, delle passioni dell’uomo, delle tradizioni drammatiche, teatrali e metaforiche dell’Occidente. La luce gettata su questi campi di esperienza spesso è offuscata dal tono della polemica e della rivendicazione degli ideali del passato, che spiegano anche l’andamento della pagina grassiana: si tratta di uno stile sempre mosso da un’inquietudine esistenziale, che si traduce in un’espressione non sempre pacata e in un linguaggio lineare, ma in una parola che ora è invettiva, ora icastico assioma. Il linguaggio non raggiunge mai la trasparenza della deduzione sillogistica o della spiegazione logica, configurandosi piuttosto come un linguaggio assiomatico e arcaico, che forse trova una spiegazione nella critica grassiana al deduttivismo logico e ad un sapere schiavo della mathesis universalis. Il discorso non può prendere che una piega allusiva e indicativa, propria di un altro modo di relazionarsi alla realtà. Grassi in qualità di cultore attento delle scienze umane, mostra quella partecipazione esistenziale ed emotiva ai temi cruciali per l’esistenza dell’uomo tipica di coloro che esperiscono la filosofia come bios pratico e teorico, e solo secondariamente come gnoseologia e epistemologia. Dalla sua prospettiva la ricerca logico-deduttiva urta definitivamente contro l’indimostrabilità dei principi, tema, questo, che ricorre in gran parte dei suoi saggi. Ma, allora, qual è la via di accesso a ciò che ci sovrasta e ci governa? Come esperire l’archè originaria? Non attraverso la ratio si accederà ai principi, ma attraverso il pathos: un sapere arcaico, un theorein che non si limita ad usare i principi, ma a rifletterci sopra nel modo giusto. L’essere si rivela attraverso un vedere che è patire poiché “la passione svela la realtà del nulla che chiama a decidere, a violare il silenzio dell’abisso svelando il senso segreto che in esso ci parla”6. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 6 S. Limongelli, La svolta metaforica dell’ontologia fondamentale, cit., p. 4. ! 7!   A una pars destruens, a cui è dedicato parte del pensiero del filosofo, si accompagna anche una pars construens, che si concretizza nell’ipotesi metodologica ed epistemologica del sapere arcaico – che coinvolge tutta la riflessione riguardo il mito, il pensiero topico, la metaforologia, l’ingenium e la phantasia. L’apogeo della critica alla deriva razionalistica del pensiero si colloca nell’individuazione della intima correlazione delle nozioni aristoteliche di pistis e di episteme. Il filosofo afferma in Significare Arcaico che “la pistis, intesa come fondamento dell’inspiegabile, perché fondamento di ogni spiegazione, è propria del mondo originario e, come tale, solo il mondo della fede è fecondo”7. Per pistis Grassi intende non un’opinione o una forma di persuasione ma “il modo di realizzarsi in noi dell’originario che comanda”8. La pistis diviene il fondamento della retorica originaria che ha carattere ingegnoso e arcaico. Il collegamento istituito tra nous/ingenium e archè mette in luce la stessa matrice originaria dell’episteme: l’urgenza, l’impellenza e l’appello dell’essere si svelano attraverso segni indicativi colti attraverso la passione. Secondo Grassi “ogni discorso dimostrativo razionale si radica nel discorso arcaico puramente semantico, il quale scaturisce nella sua immediatezza nell’ambito del nous, dell’ingenium, della facoltà che realizza la visione dei segni originari che presiedono al mondo umano”9. Quella che Grassi definisce come noetica è la forma originaria della filosofia e si configura come a priori trascendentale di ogni dimensione deduttiva e storica. Il fondamento del reale, del mondo storico e del mondo umano, è quell’abissale fondamento di ogni fondamento, che, sulla scia heideggeriana, il pensatore individua sia in Il dramma della metafora, quando la riflessione si concentra sull’abissale nous passionale, sia in Das Reale als Leidenschaft. L’aspra critica al deduttivismo, al riduzionismo logico del pensiero, e alla matematizzazione di ogni discorso, non compromettono tuttavia lo spessore speculativo della proposta di Grassi che resta !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 7 E. Grassi, Significare arcaico, in “Archivio di filosofia”, Roma, 1966, p. 490. 8 Ivi, p. 489. 9 Ivi, p. 491.  ! 8!  filosofica proprio nell’insistenza della ricerca sul perché, su una, per quanto miope, visione dell’origine, su un primum esperibile attraverso segni, indicazioni. La sua prospettiva, che abbiamo scelto di definire onto-antropo-logica, può essere annoverata all’interno del più ampio dibattito che anima la filosofia del ‘900: quello che vede incrociarsi i temi dell’antropologia filosofica con quelli della riflessione sulla retorica. Sullo sfondo agisce il paradigma dell’incompletezza: l’uomo come animale carente. Il filosofo, sensibile alla riflessione dei biologi teoretici e degli antropologi a lui coevi, è convinto che l’uomo sia di fronte ad un paradosso: è caratterizzato dal punto di vista morfologico, dal punto di vista della sua dotazione organica, da primitivismi, inadattamenti e non specializzazioni, a cui fa da contraltare un’apertura al mondo che non lo vincola, come nel caso degli animali, ad un ambiente preciso; da qui il suo disorientamento e condizione di estraneità. Per il pensatore “la differenza essenziale tra vita animale e umana sta nella razionalità di quest’ultima che (contrariamente a quanto siamo soliti credere) in un primo tempo non segnala una superiorità, bensì una certa inferiorità dell’uomo di fronte all’animale”10. Tale inferiorità – il paradigma della carenza – appare in tutta la sua evidenza se si tiene in considerazione che nell’animale la “regia dei sensi”11 restituisce il significato immediato dei fenomeni. Il disancoraggio umano da un ambiente dai contorni definiti e fissi rende l’umo compito a se medesimo, lo sottopone ad un onere che si concretizza nella riconversione di una condizione deficitaria in una progettazione di possibilità di conservazione della vita. Nascono la techne, che “ordina i fenomeni in funzione a fini da realizzare”12, e l’episteme, che “delimita i fenomeni in funzione a principi, a ragioni”13. La prassi, l’azione, l’energheia e l’ergon, come compensazione alla struttura morfologica deficitaria, si configura come trasformazione della natura in mondo culturale, come umanizzazione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 10 Ivi, p. 489. 11 Ibidem. 12 Ivi, p. 490. 13 Ibidem.  ! 9!  dell’ambiente che solo così diviene mondo. In tale processo antropogenetico per Grassi la retorica occupa un posto tutto particolare. La retorica diviene la faticosa produzione di quelle concordanze che subentrano al posto dei codici mancanti. Essa avrà un doppio ruolo: quello di mostrare come la pistis sia al centro dell’agire umano e di porre in luce come l’uomo sia contraddistinto da una carenza originaria che per una sorta di eterogenesi dei fini si rivela essere all’origine di quel meccanismo antropogenetico che è la fondazione della comunità umana. All’interno di questa prospettiva la riflessione retorica diviene teoria dei segni (semata), semiotica, e teoria del senso, semantica arcaica, ben lontana dalla semiotica formale. Una teoria del segno e del senso per il filosofo “dovrebbe essere in grado di elevarsi al livello di filosofia in quanto dottrina dei segni sulla base dei quali si manifesta il lavoro specificamente umano (ergon anthropinon)”14. La questione linguistica si intreccia con quella antropologica dell’origine del mondo umano come reazione all’agorafobia primordiale della Lichtung, la semiosfera da cui si dipartono mondi possibili dell’umano. Su questo sfondo teorico denso e complesso nella sua ricchezza tematica si staglia la questione della rivalutazione dell’umanesimo, connessa alla tematizzazione della co-originarietà di logos e pathos (dove il trascendentale dell’esperienza è il sostrato patico che va a fondare la stessa vita cogitativa), e alla critica del moderno. L’interpretazione grassiana dell’Umanesimo è lontana dai presupposti teorici e metodologici a lui coevi che privilegiavano il contributo ficiniano nel superamento del pensiero immaginifico e retorico: lo scopo di Grassi è quello di mostrare come l’attività filosofica non corrisponda sic et simpliciter con l’attività razionale e concettuale ma comprenda anche l’attività della fantasia e della parola figurata. Oltre alle posizioni di Spaventa e Gentile ad essere messa in discussione è anche la via epistemologica cassireriana15. Si tratta di spostare i termini della questione sul versante ontologico- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 14 Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, La città del Sole, Napoli 1997, p. 194. 15 Id., La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale, Tempi Moderni, Napoli 1988, pp. 17-36.  ! 10!  ermeneutico che si concreta nella retrodatazione dell’inizio del moderno all’Umanesimo e al Rinascimento – contro la tesi che individua in Cartesio l’inizio della modernità – in cui emerge la questione della connessione tra soggetto e oggetto nell’espressione linguistica. A partire dalla messa in discussione del pregiudizio heideggeriano nei confronti dell’umanesimo, sia esso considerato come epoca storica ben determinata o piuttosto come Weltanschauung inautentica, Grassi porta avanti la direzione della Humanistische Bibliotek per l’editore Fink contribuendo alla pubblicazione di cinquanta volumi a tema umanistico, come le opere di Petrarca, Salutati, Valla, Pico. La questione dell’Umanesimo non è ristretta nei confini della paideia che ha a cuore la rivalutazione della dignità dell’uomo ma ha una vocazione metafisica e ontologica in quanto aperta al problema dello svelamento. Come è stato messo in luce dagli interpreti l’attenzione è spostata verso l’Umanesimo problematico anziché verso quello sistematico, verso la ricchezza del possibile e non verso l’unilateralità del vero16. Gli autori prediletti da Grassi mostrano tutti una critica verso gli schemi astratti ed aprioristici e un’apertura verso la giurisprudenza, la retorica, la religione dei miti e la politica. La dimensione retorica va considerata secondo il filosofo non come elocutio ma come inventio: non si tratta di un ornamento edonistico del discorso, o di una celebrazione epidittica, ma di una vis creatrice che attinge al polimorfismo del reale: la Weltanschauung “umanistica tutt’altro che tranquilla, trascura l’ontologia a vantaggio della metamorfosi, che opportunamente si salda in Grassi alla centralità della metafora, stabilendo con la topica una tassonomia mobile e con l’ingegno legami dal mandato sempre provvisorio”17. Il magistero degli umanisti e di Vico, quale ultimo interprete degli ideali di storicità, della funzione conoscitiva ma anche esistenziale della fantasia, dell’ingegno e della metafora, consente a Grassi di porre l’attenzione al momento genetico, aurorale del pensiero, più che alla sua fase declinante, al suo tramonto. Vichianamente attento alla natura delle cose, che altro non è che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 16 Cfr., A. Battistini, Vico e l’umanesimo inquieto di Ernesto Grassi, pp. 385-404, in AA. VV, Studi in memoria di Ernesto Grassi, La Città del Sole, Napoli 1996, p. 387. 17 Ivi, p. 390.  ! 11!  “nascimento in certi tempi e in certe guise” (Scienza Nuova, Degnità XIV), Grassi rifugge dagli ideali cartesiani di chiarezza e distinzione optando per l’opacità dei tropi. In Vico e L’umanesimo il dualismo di pathos e ragione si concretizza nella dicotomia tra Cartesio e Vico che divengono le due allegorie del danno e del rimedio per la filosofia autentica. Cartesio compare quale bersaglio polemico di un discoro che vuole scardinare l’impostazione razionalista del pensiero. Riconosciamo in questa impostazione l’agire delle categorie interpretative del maestro degli “anni mitici”, Heidegger, il quale sottopone l’autore delle Meditazioni all’affilata mannaia della distruzione ontologica, valutando l’operazione metodica di separazione tra io e mondo18, tra res cogitans e res extensa un’assurdità. Se si postula una separazione non ci sarà alcuna possibilità di ricomposizione della frattura come è possibile leggere in Essere e Tempo ai paragrafi 19-21. Secondo Heidegger, a partire da Cartesio19avviene nella metafisica un importante passaggio, quello dalla domanda che chiede che cosa sia l’ente, a quello della domanda che si pone il problema del fondamento che rende possibile la comprensione dell’ente. A tale fondamento poi si riconduce – ad esempio , nelle suggestive pagine di Il nichilismo europeo – lo sviluppo della tecnica come estrema propaggine del pensare metafisico, come essenza stessa della metafisica che è nichilismo. Nella tesi cartesiana ego cogito, ergo sum20, infatti, Heidegger vede espresso un primato dell’io umano ed una nuova posizione dell’uomo21, poiché l’uomo diventa subiectum22, il fondamento e la misura di ogni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 18 Sull’interpretazione heideggeriana dell’ontologia cartesiana del mondo cfr. M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi, Milano, §§ 19-21. 19 Sull’interpretazione heideggeriana del pensiero di Cartesio cfr., J. F. Courtine, Les meditations cartèsiennes de Martin Heidegger, Les ètudes philosophiques 2009/1, n ̊ 88, p. 103-115. 20 È fin troppo nota la tesi cartesiana espressa a mo’ di slogan nel Discorso sul metodo (CARTESIO, Discorso sul metodo, Paravia, Torino 1990, p. 72). Tale espressione indica la scoperta del soggetto, scoperta che nonostante l’ergo non ha la caratteristica di un ragionamento discorsivo, bensì quella di una certezza intuitiva. Il cogito è infatti innanzitutto una esperienza incontrovertibile, poiché indubitabile e inaggirabile, e poi il principio più importante della filosofia, come è possibile leggere in Id., I principi della filosofia, parte I, § 7. Per un approfondimento circa la questione del cogito cfr. G. Mori, Cartesio, Carocci, Roma 2010, pp. 116-122. 21M. Heidegger, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano, p. 158. 22 Ivi, p. 168.  ! 12!  certezza e verità. “La tradizionale domanda guida della metafisica – che cos’è l’ente – si trasforma all’inizio della metafisica moderna nella domanda del metodo, della via per la quale, [...] è cercato qualcosa di assolutamente certo e sicuro”23. Tale metodo è il cogito e le sue strutture. Grassi fa sua l’impostazione heideggeriana e afferma che occorre abbandonare l’ipotesi di un inizio cartesiano del pensiero moderno poiché il vero inizio è quello che include il pathos all’interno del logos. Egli sostiene che “all’inizio della filosofia moderna Descartes escluse scientemente la retorica – e le altre materie proprie dell’educazione umanistica – dalla filosofia come pura ricerca della verità”24. Il dualismo di dimensione patica e dimensione razionale ha come conseguenza sul piano teorico una contrapposizione tra il piano individuale, storico e temporale della retorica e il piano generale, astorico, e svincolato dall’hic et nunc. Il problema della connessione di pathos e logos, di filosofia critica e topica, è posto per la prima volta secondo il pensatore in modo teoricamente articolato nella filosofia vichiana soprattutto nel testo De ratione studiorum del 1709 del quale Grassi ricostruisce in Vico e l’umanesimo minuziosamente le tappe della critica del napoletano al razionalismo cartesiano: la pretesa di partire da un primo vero attraverso il dubbio metodico; esclusione delle verità seconde; esclusione del verisimile25. Se il primo vero riguarda l’essere e la catena deduttiva della dottrina della scienza atta a conoscerlo, le verità seconde pertengono all’ambito delle necessitates umane che spingono l’uomo a ricercare quei mezzi per sopravvivere essenzialmente tecnico-poietici. Il metodo critico di impostazione cartesiana trascura in questo modo la sfera retorica, immaginativa, fantastica, ma anche politica, della vita umana, ridotta al suo puro aspetto cogitativo. Sebbene il rapporto di Vico con il cartesianesimo si presenti come un problema storiografico e filosofico complesso26 si può senz’altro convenire con Grassi sull’opposizione vichiana alla critica !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 23 Ivi, p. 169. 24 E. Grassi, Vico e l’Umanesimo, Guerini, Milano 1996, p. 25. 25 Ivi. 26 Cfr. N. Badaloni, Introduzione a G. B. Vico, Feltrinelli, Milano 1961.  ! 13!  cartesiana nel contesto della rivendicazione della priorità della topica: “giacchè, come l’invenzione degli argomenti precede per natura la valutazione della loro veridicità, così la dottrina topica dev’essere preposta a quella critica”27. Non è la deduzione che precede l’inventio, ma al contrario ogni catena di ragionamento è possibile unicamente sulla base di un ritrovamento di luoghi28. Si tratta dell’arte “topica che si chiarisce così come una dottrina dell’invenzione”29 di cui Cicerone e Quintiliano ci hanno parlato e su cui già Aristotele si pronuncia in Topica in cui a quest’arte è riconosciuta la capacità di individuare a “quanti e quali oggetti si rivolgono i discorsi, da quali elementi derivano, e come sia possibile avere tali discorsi facilmente a disposizione”30. La questione è ancora una volta quella di tenersi lontani da una visione unilaterale della realtà tenendo conto delle innumerevoli forme dell’apparire del reale, da interpretare in tutta la sua ricchezza. La ricerca del vero particolare, circostanziale, storicamente determinato ci spinge a concordare con Bons riguardo alla centralità dell’idea di agire situativo31, sullo sfondo del quale si comprende la proposta retorica grassiana. Si tratta di un agire situativo che alla formula cogito ergo sum sostituisce la formula coactus sum ergo ago32: non “penso, dunque sono”, ma “sono costretto, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 27 G. B. Vico, Sul metodo degli studi del nostro tempo, a cura di A. Suggi, Postfazione di M. Sanna, ETS, Pisa 2010, cap. III, p. 39. 28 Sulla figura di Vico in Grassi Cfr. G. Cantillo, Ratio e inventio nell’interpretazione dell’umanesimo, pp. 371-378, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit. ivi, A. Verri, Ernesto Grassi: Linguaggio e civiltà in Vico, pp. 405- 423; ivi, S. Roic, Vico, Grassi e la metafora, pp. 425-435; A. Battistini, Vico e l’umanesimo inquieto di E. Grassi, cit.; ivi, A. Pons, Vico e la tradizione dell’umanesimo retorico nell’interpretazione di Grassi, pp. 437-446; ivi, L. Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica, pp. 447-470; ivi, J. Vincenzo, La ripresa grassiana di Vico, l’unità di pietà e sapienza, pp. 471-491. Cfr., sull’incidenza dell’interpretazione grassiana di Vico nel panorama degli studi vichiani contemporanei G. Cacciatore, In dialogo con Vico, Edizioni di Storia e letteratura, Roma 2015, soprattutto p. 38 nota 5; Id., Verità e filologia. Prolegomeni ad una teoria critico-storicistica del neoumanesimo, in “Noema”, n. 2, 2011, pp.1-15, http://riviste.unimi.it/index.php/noema; J. M. Sevilla, Prolegòmenos para una crìtica de la razòn problemàtica. Motivos in Vico y Ortega, soprattutto il III capitolo, Retòrica como filosofìa. Vico, Heidegger, Grassi y el problema del humanismo retòrico, pp. 146-227. 29 E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit., p. 34. 30 Aristotele, Topica, 101 b 3. 31 E. Bons, Il pensiero di Ernesto Grassi. Una breve sintesi, pp. 75-98, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit., p. 81. 32 R. Wisser, Ricordo di Ernesto Grassi. Arte e mondo, pp. 159-191, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit., p. 188.   ! 14!  quindi agisco”. Proprio la ricchezza del reale viene salvaguardata in un pensiero topico, ingegnoso capace di apprendere maggiormente rispetto al pensiero critico tutto confinato all’interno della catena delle deduzioni. Il nucleo teorico fondamentale è quello di saper ritrovare le archai, le premesse indeducibili razionalmente, ma a partire dalle quali soltanto è possibile dare inizio ad una catena di ragionamento esatto. Si comprende allora l’accostamento ai temi metaforologici che per il filosofo sono la base del discorso retorico e filosofico33. La metafora è il luogo, lo spazio-di-tempo- in cui si dà la manifestatività dell’essere e il suo appello. Poiché l’essere è un Altro di cui l’ente nel suo significato è trasposizione la parola metaforica sarà l’unica in grado di accogliere l’appello dell’essere34. Al filosofo non interessa dunque il meccanismo strettamente semiotico di singole espressioni metaforiche, ma ciò che questo trasferimento nasconde, ciò a cui supplisce. Su questo sfondo si può comprendere la declinazione antropologica della retorica in base alla quale quest’ultima si costituisce come “pensiero che è aperto alla chiamata della concreta situazione di vita”35 in cui la metafora riveste un ruolo particolare. Essa si configura come un fenomeno cognitivo, un medium attraverso cui il pensiero non solo si articola, ma su cui si fonda. Seguendo le tappe fondamentali della sua ricerca teoretica riscontriamo che l’elemento riflessivo – sia esso orientato verso l’attualismo, sia esso ispirato dalla “metafisica immanente” di Heidegger, sia, infine, caratterizzato dalla propria originale prospettiva del filosofare noetico non metafisico – è tutto spostato verso la pratica filosofica nel suo farsi e compiersi e non verso un astratto razionalismo. Accompagnandosi costantemente ad una filosofia attenta alla correlazione uomo-essere, mai chiusa in una dimensione esclusivamente ontologica, Grassi si misura con una continua operazione di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 33 E. Grassi, Retorica come filosofia, cit., p. 75. 34 Id., La metafora inaudita, Aesthetica, Palermo 1990, p. 62. Sul tema della metafora in Grassi cfr., D. Di Cesare, Metafora e differenza ontologica. Grassi versus Heidegger, pp. 25-48, in AA. VV., Un filosofo europeo: Ernesto Grassi, Aesthetica, Palermo 1996. 35 W. Veit., Critica radicale della ragione o l’altro rispetto alla ragione: la sfida della retorica, pp. 99-126, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit., p. 113.  ! 15!  storicizzazione delle strutture del mondo storico umano: il bello, il buono, il vero, la triade concettuale alla quale il filosofo riconduce la totalità del mondo storico. L’avventura filosofica di Grassi mette al centro il soggetto umano e la sua coscienza – la coscienza temporale umanistica – senza cadere nell’idealismo vecchio e nuovo, né in un soggettivismo di cartesiana memoria, proprio perché la coscienza per il pensatore è un compito, uno sforzo e un impegno. Concetti, questi, che scandiscono i momenti della vita pratica e politica del mondo umano e vanno ad intrecciarsi con le idee di disancoramento, oggettività e coscienza temporale umanistica. Il compito, lo sforzo e l’impegno, trattati in forma estesa in Il reale come passione. L’esperienza della filosofia36 hanno una connotazione ermeneutica, non solo pratico-politica, poiché permeano anche il processo dell’interpretazione. La formazione umana – il cuore della retorica grassiana37 – fondata sull’interpretazione, ha carattere esistenziale per il filosofo. Egli sostiene che tra formazione, interpretazione ed esistenza c’è un’intima co-appartenenza, come emerge dalle pagine in cui il filosofo afferma che: “l’interpretazione è il risultato di un ipotetico progetto in cui viene in seguito verificato se contiene e chiarisce effettivamente tutti gli aspetti e tutti gli elementi; questo procedimento è l’essenza dell’atto dell’intelligenza. Poiché l’uomo è un essere aperto al mondo e non dispone di schemi già pronti, la sua formazione acquista un carattere esistenziale. Esistere significa sopportare la problematicità del rapporto dell’uomo con se stesso e con il mondo senza evitare la decisione che è sempre richiesta”38. L’esistenza interpretante secondo Grassi ha carattere trascendente, dove la trascendenza è sempre intra-mondana poiché “si fonda sulla necessità di formare, di portare ad uno schema, ad una forma [...] la teoria della formazione diventa qui la dottrina della struttura dell’accadere umano alla luce dell’origine del nostro divenire; !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 36 E. Grassi, I primi scritti, cit., pp. 995-1029, soprattutto pp. 1022-1024, e Id., Prefazione a Der tod des Sokrates di Guardini, ivi, pp. 985-989, soprattutto p. 986 37 Id., Retorica come filosofia, cit., p. 192. 38 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 73.  ! 16!  diventa una ricerca arcaica, nella misura in cui si riferisce agli schemi fondamentali (archai) dell’autorealizzazione umana”39. L’analisi grassiana mira a proporre un’idea di “totalità del fatto umano” il cui pieno sviluppo è obiettivo dichiarato della sua proposta neo-umanistica. Grassi sostiene che “il fine degli studi umanistici è il pieno sviluppo di tutte le capacità dell’uomo, dell’!"#$% &%'"()*%$%”40. Se la coeva concezione del sapere si concentra solo sul suo aspetto di utilità all’uomo, misconoscendo la diversità delle fonti dell’esistenza umana (il vero, il buono, il bello) per il filosofo occorre svoltare verso una scienza che “riconosce che ci sono capacità differenti, autonome l’una rispetto all’altra e nondimeno appartenenti tutte quante all’essenza e all’interezza dell’uomo, e che dal loro pieno sviluppo sorgono le diverse opere dell’uomo”41. Per il filosofo bisogna ammettere che il sapere, il bello, il buono, non dipendono dall’applicabilità e che “solo liberando le fonti della vita e rispettando la loro autonomia, sia può realizzare l’opera complessiva dell’uomo, quella totalità che era anche l’antico ideale della comunità politica, ossia della comunità umana”42. L’intima connessione strutturale di pensiero, volontà e passione – in cui riecheggia la lezione diltheyana appresa durante lo stage tedesco degli anni giovanili – e la relazione dialettica di continuo scambio tra uomo e mondo circostante caratterizzano una nuova visione del tempo che non trova più il suo fondamento nell’a-priori formale della ragione ma nelle concrete e sempre nuove connessioni che l’uomo istituisce attraverso le espressioni linguistiche, artistiche, civili, politiche. Tutti i contributi grassiani muovono dal rifiuto di assolutizzare un’essenza universale dell’umano e dal proposito di rendere ragione della condizione umana attraverso l’indagine dei possibili punti di mediazione di ragione e passione, logos e pathos, tramite una ricerca che potremmo definire !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 39 ivi, p. 74. 40!Id., Prefazione a Die Totenrede des Perikles di Tucidide, pp. 975-983, in Id., I primi scritti, cit., p. 979.! 41!Ibidem.! 42 Ibidem.  ! 17!  fenomenologia storico-ermeneutica – almeno per quanto riguarda gli scritti tardi come La potenza della fantasia, La potenza dell’immagine, Heidegger e il problema dell’umanesimo, Retorica come filosofia, La filosofia dell’umanesimo, Vico e l’umanesimo, La metafora inaudita, Il dramma della metafora – che fa capo ad un concetto sintetico-trascendentale della fantasia che si costituisce come strumento indispensabile di mediazione tra l’esperienza storica e pratica finita e la generalizzazione dei miti, delle metafore. Lungo questo processo complesso e ricco di articolazioni nel campo della psicoanalisi (Freud), della letteratura (Eschilo, Sofocle, Euripide, Ovidio, Dante, Petrarca, Boccaccio, Leopardi, Ungaretti, Poe, Mallarmè, Proust, Wagner, Hölderlin), dell’antropologia e della biologia teoretica (Scheler, Plessner, Gehlen, Driesch, Von Uexküll padre e figlio), della retorica (Cicerone, Quintiliano, Tesauro, Graciàn) e naturalmente della filosofia, avviene quello slittamento verso una “teoria dell’atto metaforico” che è l’esito della sua filosofia. La ricerca sulla metafora non si configura semplicemente come una fenomenologia metaforologica che si limita alla descrizione delle metafore che ha prodotto la storia umana, ma come una teoria che indaga il plesso azione-metafora. Si tratta di una teoria che guarda all’energheia metaforica e al processo del metapherein segnando una distanza netta dall’astrazione concettuale. Quest’ultima fissa il reale bloccandone il flusso e la vita in una staticità, cristallizzazione e immobilità, mentre la teoria grassiana pone in luce l’aspetto arcaico, nel senso di fondativo, dell’atto metaforico che genera il mondo umano proprio attraverso un atto di trasposizione che agisce su due livelli: linguistico (linguaggio metaforico); pratico-politico (fondazione della comunità umana a partire dalla umanizzazione della natura tramite pratiche di trasposizione di significato). L’accento della riflessione si sposta dalla ricerca sul perché e sul che cosa alla domanda sul come il reale si impone alla nostra percezione. Il reale, l’originario, l’essere si impongono nell’urgenza dell’appello ermeneutico in cui l’ente svela la propria mutevolezza e l’uomo la propria risposta agli appelli dell’essere. Nel corrispondere all’appello dell’essere si impone all’attenzione il pathos e la sua funzione manifestativa:la passione ha infatti carattere di apertura mondana e il logos, la parola, emergono come “rottura del sacro”, destino della Menschwerdung. Logos come risposta al silenzio primordiale, quello della ingens sylva, che dice del fondamento il suo ! 18!  essere al contempo puro apparire e progetto creativo. Il pathos arcaico, luogo del manifestarsi dell’abissale potere dell’essere, non può che trovare espressione in un logos lontano dall’astrattismo intellettualistico ma piuttosto vicino all’orizzonte poetico, che più che essere interpretato come orizzonte letterario è ricompreso all’interno della filosofia come meditazione esistenziale, pratica concreta di ricerca del senso. É nel rapporto tra poesia e filosofia che si apre l’orizzonte di comprensione dell’essere. In Grassi si ravvisa la traccia di un pensiero “integrale o integrativo”, sottratto alle rigide categorie della ragione metafisica ma aperto all’irruzione del novum. La ricerca filosofica si costituisce allora come indagine dei punti di mediazione, di unità e distinzione delle forme dell’essere. La questione suprema è la domanda sul luogo e le modalità originarie in cui accade la nostra apprensione della realtà. Il logos metaforico si scopre come linguaggio originario dell’essere, come espressione della dualità creativa e patica dell’esperienza dell’originario. Un’esperienza in cui “la poiesis diventa un momento della praxis”43, e non un gioco effimero del dire, e la metafora si tramuta nella “serietà del pensare filosofico”44. “La metafora con il suo carattere immaginifico e non causale, non concettuale ma ingegnoso, supera il divario che corre tra la teoria, il concetto universale, e la pratica sempre connessa con il caso particolare”45. Solo attraverso il dire metaforico si apre, nel silenzio tragico dell’aperto, quello spazio abitabile dall’uomo. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 43 E. Grassi, La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, in “Quaderni di italianistica”, Vol. IX, N. 1, 1988, p. 19. 44 Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 178. 45 Ibidem.  ! 19!  CAPITOLO I ERNESTO GRASSI: UN BRILLANTE INTERVISTATORE A CACCIA DI FILOSOFI? I. I. Grassi nel giudizio dei filosofi È il 14 gennaio del 1928 e Karl Jaspers in una lettera indirizzata a Heidegger scrive: “il messo di questa lettera, il dottor Grassi di Milano, desidera parlarle di persona. Studia filosofia tedesca, ha letto il suo libro e ne ha una conoscenza sorprendente – naturalmente con tutti i fraintendimenti dovuti alle interferenze della tradizione, ma tuttavia con una buona, stupefacente approssimazione. Credo che il suo vivace interesse le farà piacere”46. Il 10 febbraio Heidegger risponde: “Il dottor Grassi mi ha fatto in un primo momento una grande impressione per via della sua intensità e di una particolare sensibilità. Ma mi è poi venuto il dubbio che si tratti di una natura giornalistica”47. Anche Jaspers, poi, si pronuncerà in un modo altrettanto poco benevolo definendo Grassi un brillante intervistatore ma non di certo un filosofo. Oltre questi giudizi, in fondo sbrigativi, possiamo ricordare quelli di Guido Calogero, il quale in riferimento al primo libro di Grassi, Il problema della metafisica platonica del 1932, pubblicato dall’editore Laterza grazie all’interessamento di Croce, e dedicato a Heidegger, afferma che egli avrebbe fatto meglio a scrivere un libro su Heidegger dopo aver studiato Platone invece che scrivere un libro su Platone dopo aver studiato Heidegger48. Croce scrisse: “insegnante in Germania, il Grassi si propone il problema di avvicinare e indurre a concorde collaborazione la filosofia italiana e quella tedesca. I1 problema non ha consistenza, perché non c’è né la filosofia tedesca né quella italiana, ma solo la filosofia senza aggettivi, nel cui nome unicamente giova parlare a italiani, a tedeschi e a ogni altro popolo e individuo”49. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 46 M. Heidegger-K. Jaspers, Lettere 1920-1963, tr. It. Di A. Iadicicco, Milano Cortina 2009, p. 73. 47 Ivi, pp. 73-74. 48 G. Calogero, Recensione a E. Grassi, Il problema della metafisica platonica, Bari, 1992, in “Giornale critico della filosofia italiana”, 1932, 4, XIII, pp. 304-308, p. 308. 49 B. Croce, Pagine sparse, Vol. III, Laterza, Bari 1960, p. 406. ! 20!   E così De Ruggiero, Vanni-Rovighi, Ottaviano50. Insomma, negli anni in cui il filosofo milanese ambiziosamente cerca di ritagliarsi un posto nella cerchia degli intellettuali più prestigiosi dell’epoca i giudizi sulle sue idee non furono troppo favorevoli: Grassi appare un brillante intervistatore a caccia di filosofi, la cui opera è da considerare al massimo come “prova cattiva di un ingegno ottimo”. Ma stanno proprio così le cose? Quanto di vero c’è in queste affermazioni e quanto, invece, di approssimativo? Un breve ripercorrimento dell’itinerario speculativo di Grassi almeno fino alla metà degli anni ’40 consentirà di comprendere la plausibilità o meno dei giudizi critici ora ricordati. I.! II. Le tappe della formazione di Grassi Scrive Grassi in La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale: “nell’anno 1928 – dopo aver brevemente assistito ai corsi di M. Scheler e di K. Jaspers – andai a Marburgo da Heidegger che si dichiarò disposto a seguire il mio lavoro di libera docenza [...] i luminari dell’università di Friburgo erano Husserl (che teneva il suo ultimo corso come professore emerito), Heidegger (che aveva assunto la cattedra di filosofia)”51. È il 1986 e Grassi, ripercorrendo le tappe salienti della propria autobiografia intellettuale, pensa a quegli anni friburghesi definiti mitici. Si tratta, infatti, degli anni mitici e indimenticabili delle lezioni di colui al quale Grassi guarda sempre – nonostante le prese di distanza di natura politica – come ad un autentico maestro: Heidegger. L’arrivo a Friburgo del giovane Grassi era stato preceduto da un lungo periplo intellettuale, oltreché geografico, che ha indotto alcuni interpreti, come Cacciatore a definire quella di Grassi “filosofia del viaggio”52. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 50 Cfr., G. De Ruggiero, G., Recensione a E. Grassi, Il problema della metafisica platonica, Bari 1932, in “La Critica”, 1932, 5, XXX, pp. 375-376. Ottaviano C., Recensione a E. Grassi, Vom Vorrang des Logos, München 1939, in «Sophia», Napoli 1938, III, pp. 397-399. Vanni-Rovighi S., Recensione a E. Grassi, Vom Vorrang des Logos, München 1939, in «Rivista di filosofia neo-scolastica», Milano 1940, 4, XXXII, pp. 309-314. 51 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 20. 52 Sul tema del viaggio e del resoconto di viaggio in Grassi come fenomeno non meramente odeporico ma innanzitutto cognitivo cfr., G. Cacciatore, América latina y pensamiento europeo en la “filosofìa del viaje”de Ernesto Grassi, pp. 79- 91, in Id., El bùho y el còndor. Ensayos entorno a la filosofia hispanoamericana, ed. e trad. di M. L. Mollo, Planeta Bogotà 2011. “Serìa entonces un error garrafal esperarse del libro de Grassi [...] elementos meramente descriptivos o ! 21!   Grassi, nativo di Milano (1902-1991), dopo aver conseguito la laurea in filosofia con Piero Martinetti il 30 giugno del 1925, discutendo una tesi dal titolo L’unità formale della vita e l’impostazione del problema teologico, trae orientamento decisivo nel suo iter filosofico dall’incontro con il padre francescano Emilio Chiocchetti, uno dei primi maestri della neoscolastica milanese aperto al confronto con i temi della modernità. Autore di un importante volume, La filosofia di Benedetto Croce del 1915, frutto di studi compiuti tra il 1912 e il 1914, Chiocchetti porta avanti ricerche sui temi del modernismo, del pragmatismo e della gnoseologia e su autori come Gentile e Vico che affascinano molto il giovane Grassi, i cui primi lavori apparsi tra il 1922 e il 1925 sulla rivista Rassegna Nazionale, di stampo nazionalista, conservatore e cattolico53, mostrano idee ispirate al pensiero del “carissimo ed onorato padre Chiocchetti”54 e a valori liberali e cattolico-attivisti, come si evince soprattutto dai saggi A proposito di un cinquantenario, del 1922, dedicato alla figura di Mazzini; Germania, un resoconto di un viaggio “alla ricerca di idee che affratellino la gioventù tedesca e italiana”55; I giovani e il partito popolare italiano. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! momentos narrativos de situaciones, paisajes, modelos de vida, costumbres, mentalidades [...] hay que leer las pàginas grassianas ante todo como una experiencia personal que enterpreta el viaje (y la secuencia de sus movimientos: la preparaciòn, la espera, el acercamiento, el estar y el retornar) como un sìmbolo, como una metàfora del pensamiento occidental en busca de sus orìgines. Y se trata de una bùsqueda que se afina y se perfecciona voluntariamente, con la adeguadeza de la reflexiòn y con la dilataciòn de la perceptiòn, precisamente en la situaciòn lìmite de una experienza espacio-temporal distinta, de una apropriaciòn continua de imàgenes inèditas de naturalezas diversas, de olores que nunca se han sentido, de sensaciones visuales y tàctiles que nunca han sido experimentadas”, p. 81. Mi permetto di rinviare al mio saggio La hora de Pan en Reisen ohne Anzukommen. Eine Konfrontation mit Sudamerika de Ernesto Grassi, pp. 323-336, in A. Scocozza-G. D’Angelo (a cura di), Magister et discipuli: filosofìa, historia, polìtica y cultura, Penguin Random Hause, Bogotà 2016; Ead., Meditazioni sudamericane: la tappa sudamericana dell’onto-antropo-logia di Ernesto Grassi in cds in “Studi Interculturali”, Trieste, 1, 2017. 53 Proposito della rivista era quello di collocarsi a metà strada tra i contributi dedicati unicamente ai settori storici e scientifici e quelli di carattere politico-religioso: “Cattolici e italiani, pur rispettando sempre le convinzioni e le credenze altrui, noi coopereremo, per la nostra parte, a conservare le istituzioni religiose, morali, sociali, civili e politiche dell’Italia. Le istituzioni religiose, poiché noi cattolici e sincerissimamente devoti alla Chiesa cattolica, quando sorgano questioni di attinenza tra la religione e lo stato, pur riconoscendo la necessità che lo stato mantenga i diritti propri, ci proponiamo di insistere e raccomandare la sacra necessità di rispettare i diritti della chiesa e delle coscienze: non rispettati i quali, si offendono o prima o poi anche i diritti della civile società”, La rassegna nazionale, I, 1879, vol. I, p. 5. 54 E. Grassi, L’impatto con Heidegger, p. 75 in M. M. Olivetti (a cura di), La recezione italiana di Heidegger, pp. 73-82, Cedam Padova 1989. 55 Id., Germania, in “Rassegna Nazionale”, XLIV, novembre 1922, seconda serie, vol. XXXIX, pp. 100-109 ora contenuta in E. Grassi, I Primi scritti, cit., p. 18.  ! 22!  I successivi lavori grassiani, a partire da Il tragico del 1923 – che espone in nuce nodi concettuali che il filosofo avrebbe più estesamente tematizzato negli ultimi lavori: La metafora inaudita e Il dramma della metafora – per proseguire con Scolastica e storia dello stesso anno e Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di Stato del 1924, mostrano uno slittamento da una concezione negativa del principio di immanenza ad una considerazione molto positiva del contesto politico, quale nuovo luogo di emancipazione umana dopo la crisi del primato della trascendenza. Soprattutto dopo la stesura del saggio su Machiavelli possiamo riscontrare una “prima svolta” grassiana dovuta con molta probabilità ad un’analisi dettagliata del pensiero di Croce, Gentile e degli umanisti, primo fra tutti Dante. Ci sembra convincente l’ipotesi di Messori56 secondo la quale a partire da questo momento, ossia dal saggio del 1924, l’Umanesimo diviene il terreno privilegiato della riflessione grassiana, la quale, grazie al pensiero politico di Machiavelli, riscopre un altro inizio del pensiero moderno, un altro ingresso alla filosofia, non gnoseologico e teologico, ma unicamente antropologico. Si tratta di un risultato di grande importanza poiché tra gli anni Trenta e Quaranta il filosofo milanese mette a tema quell’endiadi concettuale – il nesso logos-pathos, in cui il pathos appare come a priori dell’esperienza umana nella sua totalità, e dunque anche del momento cogitativo – che ritroveremo costantemente espressa e concettualizzata nella successiva produzione, da Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica del 1970, a Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale del 1979, a Retorica come filosofia. La tradizione umanistica del 1980, fino ai testi degli anni Ottanta, Heidegger e il problema dell’umanesimo (1983), Umanesimo e retorica. Il problema della follia (1986), La filosofia dell’Umanesimo: un problema epocale (1986), Vico e l’umanesimo, che raccoglie una serie di saggi pubblicati singolarmente dal 1969 al 1990. Almeno in questa fase, tuttavia, occorre sottolineare che la considerazione dell’antropologica umanistica si pone ancora fortemente come una visione antropocentrica, mentre solo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 56 R. Messori, Le forme dell’apparire, cit., soprattutto I cap. ! 23!   successivamente all’incontro con Heidegger e alla scelta del concetto di Lichtung quale filo conduttore del nuovo approccio all’umanesimo, approccio da noi definibile onto-antropo-logico, tale visione sarà più orientata verso una tematizzazione del nesso uomo-essere. In questo periodo Grassi collabora anche con l’informatore bibliografico del Circolo Filologico milanese, la Rassegna di coltura, fondato nel 1872 e sul quale pubblica tra il 1925 e il 1927 una serie di contributi dai quali traspare uno studio di Croce e dell’attualismo gentiliano. Conseguita la laurea nel 1925, incomincia per il pensatore l’ambiziosa avventura europea57, in Francia e in Germania, alla ricerca di un proprio accesso alla filosofia. In seguito al soggiorno a Aix en Provence, durante il quale conosce Blondel58, scrive La più recente attività della filosofia dell’azione in Francia del 1928, in cui la filosofia dell’azione è considerata come filosofia della trascendenza che non nega i valori dell’immanenza, ponendosi, piuttosto, come condizione di possibilità della processuale manifestazione dei valori immanenti, e Il platonismo cristiano di M. Blondel del 1932, il cui merito sarebbe stato quello di liberare la metafisica dal presupposto gnoseologistico. È a partire da questo saggio che si profila quell’avvicinamento all’attualismo che successivamente si sarebbe coniugato con la questione filosofica heideggeriana59 e che spinge Grassi ad approfondire la cultura filosofica tedesca. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 57 Ad un peccato di ambizione si deve, con buona dose di probabilità, l’adesione di Grassi al partito fascista il 3 maggio del 1933. Secondo la documentata ricostruzione di Büttemeyer, l’iscrizione al fascio fu fatta per ottenere la tessera senza la quale non era possibile partecipare ai concorsi in Italia. Cfr., Büttemeyer, Ernesto Grassi. Humanismus zwischen Faschismus und Nationalsozialismus, cit. 58 Sui rapporti Grassi-Blondel cfr., il lavoro di S. D’Agostino, La metafisica di Ernesto Grassi tra Platone e Blondel, pp. 275-295, in P. Pagani- S- D’Agostino- P. Bettineschi (a cura di), La metafisica in Italia tra le due guerre, Istituto della Enciclopedia italiana, Roma 2012. 59 Cfr., W. Büttmeyer, Rettifiche. Laurea, libera docenza e “Studia Humanitatis” di Ernesto Grassi, cit., p. 159: “La prima formazione filosofica di Ernesto Grassi è dovuta a Emilio Chiocchetti, la cui concezione di una neoscolastica moderata si mostra negli scritti dell’allievo dal 1922 fin verso il 1925. Mediata da Chiocchetti, vi si aggiunge la conoscenza dell’estetica di Benedetto Croce (1923) e della sua gnoseologia (1925) nonché del modello dialettico della storia della filosofia che si concretizza nell’interpretazione gentiliana del Rinascimento (1923-1924). Grassi mostra momentaneamente simpatie per Miguel de Unamuno (1924-1925), per il concetto martinettiano dell’Unità assoluta (1924-1925) e per la filosofia di Bernardino Varisco (1925-1926), che gli era stato anche maestro con i suoi lavori; ma essi non esercitano se non un’influenza marginale. Rimane invece escluso l’attualismo e immanentismo di Giovanni Gentile: pur avendolo conosciuto nei seminari di Chiocchetti e poi sulle opere, lo recepisce positivamente soltanto a partire dal 1926, dopo aver già presentato una ventina di pubblicazioni”.  ! 24!  Dopo aver affannosamente girovagato per la penisola italiana in cerca di una propria via al filosofare Grassi approda finalmente nella terra materna e lì, nella riflessione heideggeriana, trova un punto di partenza per una Weltanschauung più ampia rispetto a quella giovanile, ancora troppo influenzata dall’ambiente neoscolastico. In questi anni pubblica numerosi saggi apparsi sulla “Rivista di filosofia”: Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea del 1929; Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea dello stesso anno, in cui Grassi rimprovera a Husserl la mancanza di una solida base storico-filosofica, in particolare una superficiale interpretazione dell’idealismo tedesco e un’assenza di conoscenza della filosofia italiana, da Spaventa a Gentile, pur riconoscendo alla fenomenologia il merito di aver trovato uno spazio di riflessione oltre la linea psicologista e naturalista e storicista. Secondo Grassi “da un canto la scuola neo-kantiana si era isterilita sui problemi della scienza e sui rapporti astrattamente concepiti e quindi insolubili, della conoscenza filosofica e scientifica, naturalizzando le categorie e risolvendole parzialmente nelle leggi naturali. D’altro canto lo storicismo e la superficiale conoscenza del pensiero di Dilthey non aveva portato nessun nuovo contributo, cosicché nella generale crisi e disorientamento, tutti si rifecero a Husserl”60. Insomma, il filosofo di Prossnitz, in quello che per Grassi è quasi un deserto filosofico – psicologismo, neokantismo e storicismo –, costituisce un’oasi intellettuale che, tuttavia, ha molti limiti e non solo di natura storico-filosofica: l’astrattismo, e la disattenzione per il pensiero pensante a favore del pensiero pensato, l’incomprensione del pensiero concreto. Per Grassi gli aspetti negativi sono tali da rendere la filosofia husserliana attiva solo per lo spazio di vent’anni e cieca a quella concretezza del pensiero e dell’esistenza che solo Heidegger avrebbe portato alla luce con Essere e Tempo “realizzando per primo in Germania la critica della fenomenologia di Husserl”61. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 60 E. Grassi, Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea, in “Rivista di filosofia”, Milano XX, aprile-giugno 1929, n. 2, pp. 129-151, ora in Id., Primi scritti, cit., pp. 186-187. 61 Ivi, p. 187.  ! 25!  In questo periodo Grassi opera quella collocazione della proposta filosofica heideggeriana all’interno della propria formazione intellettuale, formulando l’ipotesi del possibile incontro tra la teoria gentiliana dell’atto e la questione del Dasein, quale luogo storico del disvelamento dell’essere di stampo heideggeriano, che aveva proprio lo scopo di destrutturare quella categoria di coscienza rappresentativa che dal cogito cartesiano era rifluita nelle teorie di Kant, Hegel e Husserl. Heidegger diviene il perno principale attorno al quale gravita l’attenzione filosofica di Grassi che si concretizza nella stesura del saggio del 1930 Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger e de Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger del 1937. Il merito del filosofo di Messkirch sarebbe stato quello di proporre una visione dell’uomo come Dasein, come esistente, atto immanente, metafisico e autorealizzantesi62 che amplifica l’interesse per la concretezza e la fatticità dell’esistenza contro ogni razionalismo e astrattismo, superando la contrapposizione tra soggetto e oggetto. Intanto appaiono tra il 1932 e il 1935 i saggi Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico e Paideia e neoumanesimo che riprendono tematiche trattate in Il problema della metafisica platonica e che mostrano una coniugazione della proposta filologica di Jaeger con il ripercorrimento teoretico heideggeriano del pensiero greco nel contesto più generale di un progetto paideutico e umanistico che recuperasse il senso autentico dell’humanitas attraverso l’esperienza filosofica della grecità, per Jaeger e Heidegger, e della latinità, per Grassi. L’incontro tra la proposta jaegeriana e heideggeriana circa il tema del neoumanesimo si affianca all’altro intreccio, quello tra l’ontologia fenomenologica ermeneutica di Heidegger e l’attualismo di Gentile. In Dell’Apparire e dell’essere. Seguito da Linee della filosofia tedesca contemporanea del 1933, sullo sfondo dell’incontro Heidegger-Gentile sono espressi alcuni nuclei teorici che avrebbero accompagnato Grassi in tutto il suo cammino di pensiero: il carattere elenchico del principio di non !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 62 Id., Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, in “Giornale critico della filosofia italiana”, Milano- Roma, XI, luglio-agosto 1930, fasc. IV, pp. 288-314, ora in Id., Primi scritti, cit., p. 209.  ! 26!  contraddizione, fondamento di ogni dimostrazione ma a sua volta non dimostrabile; metodo e cogito in Cartesio; concetto di apparenza, manifestatività ed essere; idea di fondamento. Come abbiamo ricordato all’inizio, la prima formazione di Grassi fu di carattere neoscolastico, con un’attenzione particolare alle questioni riguardanti la trascendenza, come emerge dal saggio La dialettica dell’amore in cui il filosofo milanese afferma che “il pensiero umano, la filosofia, è condotta dalla propria immanenza verso la necessità della trascendenza che appunto perciò non può conoscere, realizzare, creare, ma solo ricevere come una “grazia” proprio nel senso teologico della parola”63. Un’impostazione di questo tipo spiega anche una originaria critica dell’immanentismo gentiliano, e della sua scoperta fondamentale, l’autocoscienza come pura forma, che induce Grassi a porsi come un fiero oppositore di tutta la filosofia dell’immanenza64. Ma la difesa della trascendenza messa in campo dalla neoscolastica è avvertita da Grassi come insufficiente: in questo spazio si innesta la figura di Heidegger che diviene quasi un antidoto alle carenze della neoscolastica, ma dello stesso attualismo, che lascia non tematizzata la differenza ontologica tra essere e ente, nonostante l’acquisizione dell’originario come atto del cogitare nel suo stesso compiersi o come autorealizzantesi processo esistenziale e non come oggetto del pensiero. Secondo l’interpretazione di Grassi il superamento gentiliano della dicotomia soggetto-oggetto attraverso la radicalizzazione dell’esperienza approda allo stesso risultato husserliano e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 63 Id., La dialettica dell’amore. Il dolore di Tristano, in “assegna Nazionale”, Roma, XLVI, dicembre 1924, seconda serie, vol. XLVII, parte I, La richiesta dell’amore, pp. 137-148, parte II, La sofferenza del Tristano, pp. 148-162; XLVII, febbraio 1925, seconda serie, vol. XLVIII, parte III, La dialettica del dolore, pp. 101-109, parte IV, La gioia può spingere alla vita, pp. 109-114 ora in Id., Primi scritti, cit., p. 122. 64 Ivi, p. 120: “Il concetto di forma pura, inobiettivabile, è proprio caratteristico della realtà infinita eterna, in qualsiasi concezione immanente o trascendente del reale, ed è quindi naturale che il processo di immanenza del pensiero moderno abbia voluto ad esse ridurre la realtà del divenire umano. Infatti se la realtà nella sua immanenza è pura forma, fuori di essa non esiste più nulla e quindi è tutta, l’unica realtà fuori dello spazio e del tempo di ogni concetto di limite perché come pensiero attuale, concreto, pone esso stesso il tempo e lo spazio e il limite, rimanendo esso stesso l’unico illimitato. L’autocoscienza come pura forma è certo la più grande scoperta di tutta la filosofia dell’immanenza e lo è proprio, merito di Giovanni Gentile. In ogni modo ci teniamo però a definire e a dichiarare a tutti gli oppositori del sistema immanentista del reale, e quindi a noi stessi, che questo è proprio il punto di capitale importanza da discutere e da controbattere”. Per una ricostruzione della presenza di Gentile in Grassi cfr. R. Messori, Le forme dell’apparire, cit.  ! 27!  heideggeriano: quello dell’intenzionalità, della relazione originaria di io e mondo. Una relazione che non può essere messa da parte o a tema attraverso un processo di epochè65: l’esperienza dell’oggetto non consente un’oggettivazione dell’esperienza. Lo spazio di relazione e compromissione tra io e mondo resta uno spazio di indeterminazione e di esperienza che rende l’atto gentiliano simile alla nozione di aletheia di Heidegger e che è merito di Grassi aver sottolineato. Volendo suddividere per comodità, e con tutte le riserve del caso, l’unità di pensiero di Grassi in tre fasi principali, otteniamo lo schema seguente: la fase giovanile formativa, dominata dai temi della scolastica cattolica emergenti nei saggi degli anni Venti66; la fase metafisico-immanente, in cui abbiamo la correlazione dell’attualismo gentiliano con il contributo blondeliano della filosofia dell’azione, con quello crociano dell’estetica e dell’autonomia delle forme dello spirito, e con la metafisica esistenziale heideggeriana67; la fase matura neo-umanistica68 – i cui nuclei teorici già !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 65 Sottolinea molto bene questo aspetto Natoli, in S. Natoli, Giovanni Gentile filosofo europeo, Bollati Boringhiei, Torino, 1989, pp. 27-28: “Gentile attraverso la radicalizzazione dell’immanenza supera l’opposizione e la separazione astratta di soggetto e oggetto e attinge a pienamente quel piano dell’intenzionalità che per altre vie viene guadagnato dalla fenomenologia di Husserl. Ma Gentile si porta oltre l’orizzonte della fenomenologia. La relazione intenzionale di impianto fenomenologico, se da un lato supera l’astratta separazione tra soggetto e oggetto, dall’altro lato ne tiene tuttavia ferma la polarità [...], lo sforzo della fenomenologia è quello è quello di svuotare l’io dal mondo perché il mondo appaia nella sua purezza, di svincolare la coscienza dal flusso della vita per far sì che i contenuti d’esperienza appaiano nella loro pura e semplice datità. Questo vuol dire andare alle cose. Non così in Gentile. Alle cose non si va, con esse si è da sempre compromessi. L’attualismo che pure rigorosamente guadagna il piano dell’intenzionalità si rende tuttavia conto che essa non è suscettibile di nessuna epochè”. 66 Cfr., E. Grassi, A proposito di un cinquantenario, pp. 3-8, in Id., I primi scritti, cit.; Id., Germania, ivi, pp. 9-18; Il tragico, ivi, pp. 27-48; Scolastica e storia, ivi, pp. 49-54; La dialettica dell’amore, ivi, pp. 89-128; Tilgher e La visione greca della vita, ivi, pp. 19-22. 67 Cfr., Id., Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di Stato, ivi, pp. 55-86; La più recente attività della filosofia dell’azione in Francia, ivi, pp. 137-162; Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, ivi, pp. 163- 179; Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea, ivi, pp. 181-202; Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, ivi, pp. 203-233; Il platonismo cristiano di M. Blondel, ivi, pp. 235-254; Dell’apparire e dell’essere, ivi, pp. 273-298; Linee della filosofia tedesca contemporanea, ivi, pp. 299-332; Il problema del logo, ivi, pp. 371-406; Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, ivi, pp. 419-435; La filosofia tedesca e la tradizione speculativa italiana, ivi, pp. 553-575; I rapporti tra filosofia tedesca e filosofia italiana, cit., pp. 753-776; Pensieri sul poetico e sul politico. Due conferenze per determinare la tradizione spirituale italiana, ivi, pp. 777- 809; L’inizio del pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza dell’originario, ivi, pp. 811-850; Teoria della politica nella tradizione del rinascimento, ivi, pp. 967-974; Il reale come passione e l’esperienza della filosofia, ivi, pp. 995-1029; Vom Vorrang des Logos. Das Problem der Antike in der Auseinandersetzung zwischen italienischer und deutscher Philosophie, Munchen, Verlag C.H. Beck, 1939. 68 Id., Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico, ivi, pp. 255-271; Paideia e neo-umanesimo, ivi, pp. 357-369; Filosofia tedesca, filosofia italiana e l’antichità. Il problema di una tradizione filosofica, ivi, pp. 851-864; Sul problema ! 28!   ritroviamo in alcuni saggi giovanili69 – che declina la metafisica immanente in una ricerca ricostruttiva dei temi dell’essere, del logos, del pathos attraverso la lettura dei contributi letterari e filosofici dell’Umanesimo e del Rinascimento con un’attenzione particolare ai temi della retorica, della fantasia e dell’ingegno, e della metafora. In tutto il percorso speculativo emerge la radice dell’avventura speculativa del filosofo: la “passione per la vita” in cui l’esercizio intellettuale della filosofia diviene una funzione vitale, un prolungamento della vita stessa, dell’esistenza in situazione. Il pensare diviene metamorfosi esistenziale, impegno nella circostanza, ricerca affannosa del senso. Possiamo dare per acquisito, dunque, che tra gli anni Trenta e Quaranta matura nella riflessione di Grassi un’ipotesi di accostamento tra attualismo e fenomenologia70 che incide profondamente sulla successiva analisi dell’apparire dell’originario e della manifestatività nelle sue diverse forme e che coglie un aspetto critico paradigmatico che rende i numerosi contributi grassiani non una collezione di posizioni filosofiche eterogenee, un coacervo di notizie dell’ultima moda filosofica71, come i giudizi di Jaspers e Heidegger riportati all’inizio sembravano voler asserire. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana, ivi, pp. 901-915; Il problema del sublime, ivi, pp. 917-943; Studia humanitatis come essenza della tradizione spirituale italiana, ivi, pp. 945-950; Del vero e del verosimile in Vico, ivi, pp. 951-966; 69 Come tenteremo di spiegare nel secondo capitolo, per l’impostazione del problema neo-umanistico risultano fondamentali le osservazioni espresse da Grassi nel saggio su Machiavelli del 1924. 70 R. Messori così riassume l’incrocio grassiano di attualismo e fenomenologia: “le due filosofie si intersecano su almeno tre punti essenziali [...] rifiutano di attribuire l’originarietà all’ente, al pensato, di qualsiasi rango esso sia; in secondo luogo entrambi avvertono la necessità di identificare l’originario con un processo che, divenendo, si determina. Il primato del logos come atto, che lo si intenda in senso gnoseologico o ontologico, comporta, in terzo luogo, il superamento della logica tradizionale e quindi del principio di identità e di quello correlato di non contraddizione.”, R. Messori, Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e umanesimo nel pensiero di Ernesto Grassi, cit., p. 34. 71 Si sofferma su questo “merito” grassiano Marassi nelle pagine introduttive a I Primi scritti: “così l’atto è da una parte intrascendibile e dall’altra inogettivabile, ossia riassume in sé i tratti distintivi della soggettività kantiano-idealistica e anche quel movimento, non certo conciliabile con la trascendentalità del soggetto, di donazione-sottrazione assimilabile piuttosto alla nozione heideggeriana di aletheia. L’atto è questa complessa dinamica che piega il soggetto al confine del mondo e del suo apparire, lo conduce allo svelamento dell’origine. Qui mi pare che si inserisca il contributo specifico di Grassi dopo l’intuizione della convergenza tra l’atto immanente di Gentile e la trascendenza del Dasein radicata nell’ontologia dell’essere. In altri termini si potrebbe dire che la sua interpretazione non fosse una semplice sommatoria di posizioni eterogenee, bensì cogliesse un aspetto critico paradigmatico”, M. Marassi, Introduzione a E. Grassi, I Primi scritti, cit., p. 44.  ! 29!  Si impone all’attenzione teorica di Grassi la tematica della multiformità del reale (metamorphein) e della sua costitutiva polidimensionalità che affannosamente il filosofo cerca per tutta la vita di interrogare al di fuori dei parametri tradizionali. La questione “urgente” diventa quella di cogliere l’essere nell’atto del suo manifestarsi, nell’attimo arcaico, iniziale e, pertanto, mitico, del puro apparire attraverso un logos adatto (la metafora). Da un lato il pensiero pensante gentiliano72, dall’altro la manifestatività dell’essere heideggeriana, consentono a Grassi di guardare all’idea di fondamento come a quell’originario indeducibile razionalmente che può essere patito e vissuto nell’esperienza della parola più autenticamente che in quella del pensiero tradizionalmente inteso. Secondo Grassi “l’originario non può venire inteso come la svelatezza di un oggetto, ma solo come quella di un processo; questo processo a sua volta non si rivela che come un manifestarsi, un distinguere se stesso”73 e proprio per questa identità di manifestazione e processo, di essere e divenire, è possibile radicare la trascendenza nell’immanenza, il fondamento nel reale e non in un oltre, ciò che non è manifesto in ciò che invece lo è. Secondo il filosofo “il processo deve quindi esser inteso come un auto manifestarsi. È importante notare che la nostra ricerca dell’essenza della svelatezza non ci permette alcuna distinzione tra manifestazione ed essere”74. Il punto di partenza è quell’indeducibile originario che si mostra e si rivela in un metamorfismo e polimorfismo della realtà che non è un dato semplicemente presente, bensì un divenire storico che continuamente si distingue, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 72 Occorre sottolineare che il pensiero gentiliano dell’atto è a metà strada tra una una impostazione soggettivo- trascendentale e un’idea di soggetto come Dasein, come puro evenire, spazio di esperienza, cfr., sul tema S. Natoli, op., cit., p. 90: “l’attualismo gentiliano si tiene a mezzo tra il soggetto trascendentale e il Dasein, tra la determinazione positiva e costituente del pensiero e l’atto come esperienza del puro accadere. In questo tenere il mezzo, l’attualismo finisce per non occupare né una posizione né l’altra e di fatto viene a trovarsi in uno spazio di indeterminazione. L’atto infatti se da un lato è ancora inscritto nei termini della soggettività, sia pure interpretata come attività o come prassi, dall’altro non può essere mai colto come un fatto, non può mai darsi a modo di una semplice presenza”. 73 E. Grassi, Il problema del logo, in “Archivio di filosofia”, Roma, anno VI, aprile-giugno 1936, fascicolo II, pp. 151- 183, ora in Id., I Primi scritti, cit., p. 376. 74 Ibidem.  ! 30!  si differenzia e si scompone in un divenire metamorfico che trova unità nell’esperire patico ed estatico del Dasein. Appare evidente come sullo sfondo di tale posizione teorica resta una domanda cruciale: in che modo occorre ripensare il logos per non ridurre l’essere e la manifestatività ad una realtà monolitica e cosale? Come superare una concezione oggettivistica e soggettivistica? Si tratta delle domande che agitano le pagine teoreticamente dense di Il problema del logo apparso in Archivio di filosofia nel 1936 e in cui Grassi si chiede: “Se ciò che si manifesta si identifica con l’essere, e se la manifestazione può solo essere intesa come uno scindersi e distinguersi di sé – giacchè ogni apparire immediato, oggettivistico è stato già escluso – come deve essere inteso questo processo? Scindere, distinguere, portare ad unità, sono i vari termini con cui traduciamo λέγειν, logo. Ma possiamo dire che il logo sia effettivamente il primo, la ragione e il fondamento di ogni manifestazione, oppure presuppone esso un momento prelogico? Questo è il problema contro il quale urtiamo definitivamente”75. L’operazione di accostamento tra l’ontologia heideggeriana e l’idealismo gentiliano, che ad alcuni interpreti parve una mossa teorica insostenibile76, è per Grassi la condizione di possibilità per sviluppare una riflessione intorno all’umanesimo italiano. Proprio l’approccio a Gentile e a Heidegger, originalmente interpretati attraverso il filtro di una visione del logos molto ampia e ricca, che sembra talvolta porsi come polarità antitetica al pathos, talaltra come macrocategoria che ricomprende in sé la stessa dimensione patica – oscillazione che viene sottolineata con vigore da alcuni interpreti77 che parlano di un irrisolto dualismo nel pensiero grassiano, ma che, come vedremo in seguito, si giustifica tenendo conto proprio della visione complessa e ampia che Grassi ha del reale – offre a Grassi l’opportunità di delineare un percorso teoretico che guarda al reale, all’essere e alla manifestatività senza la mediazione gnoseologistica ed oggettivistica, bensì tramite una pre- !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 75 Ivi, pp. 376-377. 76 Nella Recensione all’articolo di Grassi Il problema del logo afferma Ottaviano: “dirò subito che la tesi, che cerca di fondare una interpretazione idealistica del pensiero sostanzialmente realistico di heidegger, è, in linea assoluta, per mio conto insostenibile”, C. Ottaviano, Recensione a E. Grassi, Il problema del logo, cit., p. 398. 77 Cfr., la posizione di M. Marassi in Ernesto Grassi e l’esperienza del fine, in AA. VV, Un filosofo europeo. Ernesto Grassi, cit., pp. 7-24.  ! 31!  intelligenza pre-categoriale fortemente radicata nella dimensione dell’affettività, del patico e della Stimmung. Emerge così un programma filosofico ambizioso che giungerà ad una riqualificazione della Romanitas e della cultura umanistico-rinascimentale non solo italiana, ma mediterranea e latina in senso lato. Grassi si chiede: “in che senso possiamo affermare che il logo come atto, come λέγειν, ci schiude la molteplicità degli enti in mezzo ai quali ci troviamo – e la cui totalità costituisce ciò che chiamiamo mondo – e in che relazione sta con il sentimento (Stimmung)? È necessario riporre sotto un nuovo punto di vista tutto il problema della originaria svelatezza dell’essere. Finora abbiamo dimostrata l’insufficienza della concezione oggettivistica nel suo aspetto empiristico; ci si impone ora una più precisa e approfondita determinazione dei vari aspetti e momenti metafisici del logo”78. Tale precisa e più approfondita determinazione dei molteplici significati del logos avviene nella metà degli anni Trenta, anni cruciali per la storia d’Europa e per le vicende personali dello stesso Grassi che, come abbiamo detto sopra, si iscrive il 3 maggio 1933 al partito fascista79 più per motivi di “opportunismo” accademico che per convinzione, e in un clima di generale espansione europea delle ideologie fasciste. Ricordiamo che soltanto dodici professori in quegli anni rifiutarono di prestare giuramento e che l’esplicito e dichiarato antifascismo di Croce restava isolato e chiuso nelle mura di palazzo Filomarino, mentre Gentile raccoglieva intorno a sé il meglio della cultura storica e filosofica delle nuove generazioni80. In tale contesto bisogna inquadrare il compito teoretico e culturale che Grassi dava alla sua ricerca di una rivalutazione della filosofia italiana. Così ritroviamo Grassi a Berlino, dove dal 1 aprile del 1938 assume il ruolo di professore incaricato di “filosofia italiana nei suoi rapporti con la filosofia tedesca”. Nei saggi scritti in questo periodo, da I rapporti tra filosofia tedesca e italiana del 1939 fino a Del Vero e del verosimile in Vico !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 78 E. Grassi, Il Problema del logo, cit., p. 387. 79 Cfr. la dettagliata ricostruzione di Büttmeyer in op., cit. 80 Sul rapporto Croce-Gentile sul ruolo della cultura cfr., G. Cacciatore, Croce e Gentile: la funzione degli intellettuali e l’uso della storia italiana, pp. 477-492, in A. d’Orsi-F. Chiarotto (a cura di), Intellettuali. Preistoria, storia e destino di una categoria, Aragno, Torino 2010.  ! 32!  del 1943, passando per i contributi sul poetico e sul politico nella riflessione italiana dell’Umanesimo e del Rinascimento, sale in superficie la questione della parola, indagata, secondo Grassi, dagli umanisti non con uno spirito antiquario, erudito, storico-filologico, storiografico, bensì con lo spirito di una lotta per una visione e una costruzione del mondo storico-sociale, che non è un mondo di pura contemplazione, ma è innanzitutto una vita activa, in cui i valori del passato greco, che gli umanisti sostenevano di aver scoperto contro le interpretazioni medievali, potevano contribuire all’educazione e alla formazione della civiltà. Come ha sottolineato Cesare Vasoli nell’Introduzione italiana all’opera grassiana Heidegger e il problema dell’umanesimo: “Grassi considera vero problema centrale dell’umanesimo italiano non tanto la riscoperta dell’uomo e dei suoi valori immanenti, quanto piuttosto l’illuminazione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo mondo [...] dalle analisi del Grassi, svolte in un ampio arco, da Dante al Boccaccio e al Salutati, dal Bruni al Vico, emerge un tema costante: la poesia come fondazione della comunità umana e della storia, svelamento luminoso dell’essere, e – soprattutto in Vico – principio e ragione della stessa humanitas, con la sua inquietante presenza storica”81. L’umanesimo è, dunque, interpretato alla luce dell’esperienza linguistica che caratterizza il mondo umano e della individuazione dell’apertura primitiva, arcaica e originaria che Grassi rielabora sulla scorta di quanto Heidegger esprime sul concetto di Lichtung: si tratta di un neoumanesimo onto- antropo-logico, che, come sarà esplicitato in seguito, non è un approccio antropologico antropocentrato, poiché la relazione primaria èquella di uomo e mondo, Dasein e Sein. Lo slittamento dell’interpretazione dell’umanesimo da un piano gnoseologico-epistemologico ad uno ermeneutico- ontologico spinge Grassi ad un più serrato confronto con Heidegger e la sua inappellabile condanna dell’umanesimo. Heidegger afferma, infatti che “ogni umanismo rimane metafisico. Nel determinare l’umanità dell’uomo, l’umanismo non solo non si pone la questione del riferimento dell’essere all’essere umano, ma impedisce persino che si ponga una simile questione, perché a causa della sua provenienza metafisica, l’umanismo non la conosce e non la comprende”82. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 81 C. Vasoli, Introduzione a E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, Napoli, Guida 1985, pp. 10-11. 82 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, in Id., Segnavia, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1987, p. 275.  ! 33!  Tale critica in Heidegger si collega ad una precisazione della sua filosofia che non ha mai avuto l’intenzione di essere un esistenzialismo o un umanismo, ma un pensiero che con uno Schritt zurück, con un passo indietro, rispetto all’umanesimo e alla metafisica, cerca di proporre il problema dell’essere. Tenendo in considerazione il tema dell’ultra-metafisica heideggeriana Grassi ha dato una caratterizzazione per così dire non umanistica (in senso heideggeriano) dell’umanesimo individuando in esso numerose analogie con il pensiero di Heidegger. In questo modo, tra un approccio apologetico della modernità ed uno decostruttivo, quale è quello di Heidegger, secondo il filosofo milanese l’umanesimo resta schiacciato in un limitato settore storiografico senza anima propria ma interpretato solo in riferimento ad altre epoche. Grassi si chiede se sia plausibile una simile posizione o se non si tratti, forse, come già accaduto per Cassirer, Kristeller, Spaventa, Hegel e altri, di un errore di prospettiva83. Per tentare di rispondere a queste domande, emerse con vigore negli anni Quaranta, Grassi impiegherà tutta la sua esistenza. In un importante testo, apparso in Geistige Überlieferung – l’annuario frutto della collaborazione con W. F. Otto e K. Reinhardt – L’inizio del pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza dell’originario del 1940, Grassi porta avanti una vigorosa critica del cogito cartesiano che non tiene conto di quella passione a partire dalla quale soltanto avviene il theorein che è proprio della filosofia. Un theorein che non ha una costituzione razionalistica ma è “una visione puramente indicativa, schematica, immaginifica, che, come tale, opera opera anche pateticamente e quindi retoricamente”84. A fondamento del pensiero c’è una necessità esistenziale che non può che rivelarsi e apparire attraverso l’esperienza della parola poetica e metaforica: unicamente quest’ultima può rendere conto del polimorfismo ontologico, che non è un fatto85, ma un continuo divenire, all’appello del quale !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 83 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., soprattutto il primo capitolo, Il problema della parola poetica, pp. 31-36. 84 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., pp. 17-18. 85 “L’essenza della presenzialità immediata – che dovrebbe essere l’essenza della svelatezza empiristica – non è dunque ciò che è diventato e che si è cristallizzato come fatto, oggetto, bensì il divenire, il manifestarsi [...] il dato originario, come immediata presenza di alcunchè, è il divenire, il processo, cioè ciò che non è ancora diventato, fatto, e in quanto già ! 34!   l’uomo è chiamato a rispondere in modo plurale e non univoco. Grassi afferma che “poiché il vedere, la visione, insiti nella teoria come fondamento di ogni procedimento razionale si attuano attraverso [...] una metafora. Allora la metafora, che ricorre per lo più alle immagini” non va considerata un mezzo solo letterario ma “è indispensabile per esprimere l’Originario?”86. Oltre alla collaborazione all’annuario, occorre segnalare anche la progettazione dell’Istituto Studia Humanitatis in cui la partecipazione degli esponenti della cultura italiana e tedesca è inquadrata anche alla luce di un intento politico-culturale: quello di affermare la specificità della Romanitas nei confronti degli ideali del mondo tedesco privilegiando soprattutto tre ambiti problematici: “in primo luogo l’antichità nel suo particolare significato per la tradizione italiana. Inoltre il rinascimento e l’umanesimo [...] infine, una terza questione riguarda il modo in cui il XIX secolo ha compreso e giudicato l’umanesimo e il rinascimento”87. Per Grassi fin dall’inizio gli studia humanitatis hanno un legame con l’agire creativo dell’uomo, che si realizza soprattutto nella comunità politico-sociale88. A partire dal 1945 Grassi si reca in Svizzera in cui progetta con Szilasi la collana Überlieferung und Auftrag presso l’editore Francke di Berna e l’anno successivo incomincia la sua lunga attività di insegnamento a Monaco e di direzione del Centro Italiano di Studi Umanistici e Filosofici. In conclusione di questa breve introduzione alle idee dell’“emigrante con la vocazione per la filosofia”, basti dire che negli anni densi e intensi dell’apprendistato filosofico tra il 1922 e il 1946 si gettano le basi di quei grandi temi che percorrono i decenni successivi: la rivalutazione dell’umanesimo e della latinità come luoghi di riflessione sulla questione onto-antropo-logica, sul nesso uomo-essere; la centralità del linguaggio e della parola poetica, del dire metaforico e della !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! svanito, non più presente. Il dato come oggetto, e quindi come qualcosa di già fatto, non è il dato, bensì una falsa interpretazione del dato”, E. Grassi, Il Problema del logo, cit., p. 375. 86 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 18. 87 Id., Studia humanitatis come essenza della tradizione spirituale italiana, in Studia Humanitatis. Festschrift zur Eröffnung des Institutes, Veröffentlichungen des Institutes Studia Humanitatis, Berlin, verlag Helmut Küpper, 1942, pp. 19-32, ora in Id., I Primi scritti, cit., p. 949. 88 Del periodo berlinese ricordiamo anche l’attività editoriale realizzata con l’appoggio di Helmut Küpper.! ! 35!   retorica. La questione è, ancora una volta, quella di riattivare un rapporto uomo-mondo non intrappolato nella rete di una soggettività cogitativa o di un’oggettività alla quale adeguarci, ma di attingere a un mondo pre-categoriale in cui gli orizzonti della sensibilità e della razionalità, dell’immediatezza dell’atto e della riflessione che lo struttura si intersecano. Il “neoumanesimo della complessità” offerto da Grassi può essere concepito come un atto di demitizzazione: una delle mitologie da sfatare è quella della preminenza della ratio. Ma tale operazione decostruttiva non si risolve in una mitizzazione, di segno opposto, della crisi della ragione; del tramonto della civiltà, in cui cultura e civilizzazione si sono definitivamente separate; del tramonto dell’uomo che da animale pregnante, passa ad animale carente, diventando, infine, animale obsoleto e antiquato o, addirittura, come testimoniato dagli attuali studi post-umanisti, segmento di un processo ibridativo con la techne. Nei prossimi capitoli cercheremo di ripercorrere le tappe grassiane del discorso sull’umanesimo che viene a configurarsi come un itinerario onto-antropo-logico in cui il discorso sull’uomo si intreccia indissolubilmente con la questione ontologica. Sarà concesso spazio a quegli scritti del periodo giovanile nella convinzione che solo dall’analisi di quei contributi è possibile comprendere la ricostruzione storica e speculativa di un umanesimo gravitante attorno al concetto di Lichtung. Le questioni sollevate da Grassi costituiscono un contributo fondamentale alla filosofia del Novecento e non possiamo pensare alle sue riflessioni come a temi da “vagabondaggio filosofico”, come dai giudizi dei filosofi ricordati all’inizio di questo capitolo sembrava emergere, ma come l’ennesimo tentativo di ripensare l’uomo a partire dalle proprie strutture immanenti e dal proprio essere-nel- mondo. ! 36!  CAPITOLO II L PROBLEMA DELL’UOMO TRA UMANESIMO E ANTIUMANESIMO: L’UMANESIMO CRITICO DI ERNESTO GRASSI. II.! I. Il momento machiavelliano della genesi del problema dell’umanesimo Uno dei risultati più importanti della indagine filosofica grassiana portata avanti tra gli anni Trenta e Quaranta è la scoperta della co-originarietà tra logos e pathos: la dimensione patica dell’esperienza umana si pone come un a priori dello stesso ambito cogitativo89. Possiamo rintracciare un doppio binario della ricerca: la critica al pensiero moderno è condotta, da un lato, attraverso l’individuazione degli effetti negativi di un divorzio tra logos e pathos, dall’altro, tramite la ricerca di un certo “luogo” della tradizione culturale umanistico-rinascimentale che il dibattito storiografico ha sempre ritenuto privo di spessore filosofico, o almeno non carico di una serie di motivazioni teoriche che Grassi rintraccia. Secondo il pensatore milanese il “grande rimosso” del pensiero moderno è, di fatto, un momento epocale: la tradizione ha obliato il valore filosofico e storico del linguaggio poetico, nel quale egli rintraccia la possibilità di uscire dal conflitto tra ratio e pathos. Solo fuoriuscendo dal circolo vizioso di ragione e passione è possibile esperire una dimensione dell’umano nuova ed autentica. Ma come nasce per Grassi l’esigenza di rinnovare la questione dell’uomo e del suo rapporto con il mondo? Sappiamo quanto vivo e vigoroso fosse il problema: lo dimostra la tenacia speculativa che, in qualità di direttore della Humanistische Bibliothek dell’editore Fink, mostra patrocinando la pubblicazione di una cinquantina di volumi intorno a temi umanistici, nella speranza che la conoscenza diretta di Petrarca, Salutati, Valla, Pontano, Gianfrancesco Pico potessero rendere giustizia ad un’immagine dell’umanesimo lontana dalle interpretazioni tradizionali. Inoltre, nel 1938 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 89 Affronteremo la questione del nesso pathos-logos in maniera analitica nel terzo capitolo. ! 37!   il nostro autore, sotto il patronato dell’Accademia d’Italia, ha l’incarico di fondare e dirigere l’Istituto Studia Humanitatis a Berlino, anche grazie all’interessamento di Enrico Castelli. Accanto a questa opera di edizione e direzione c’è il percorso di ricerca teorica portato avanti per tutta una vita e che pone Grassi in un confronto serrato con i più noti interpreti dell’Umanesimo e del Rinascimento e con due autori in particolare secondo la convinzione di gran parte degli interpreti: Vico e Heidegger, ma noi vorremmo aggiungere anche Cartesio, Aristotele e Leopardi. Da un lato Cartesio ha avuto un ruolo centrale nell’analisi grassiana del logos attraverso la fecondità individuata nei concetti di dubbio e cogito che rivestono un’importanza fondamentale nell’analisi della Leidenschaft. Dall’altro Aristotele ha espresso concetti, quali quelli di archè e pistis, che secondo Grassi gettano luce su un altro percorso possibile per il pensiero: il filosofare noetico non-metafisico in cui si condensa la proposta retorica del filosofo tutta gravitante intorno al nesso phantasia-ingenium-metafora che costituiscono la triade della retorica del significare arcaico. Poi c’è Vico che appare come l’erede della tradizione umanistica: il De antiquissima e la Scienza Nuova ci guiderebbero verso un mondo la cui nota dominante è costituita dalla fantasia e dall’ingegno, che con spirito anti-cartesiano Vico avrebbe contrapposto alla ratio calcolante e al deduzionismo matematico di Cartesio, in difesa delle humanae litterae. Lopardi con il concetto di illusione avrebbe teorizzato una filosofia dell’esistenza in cui il pathos avrebbe raggiunto le vette di una tematizzazione poetico-filosofica che guida la riflessione verso il tema del fondamento e dell’antropogenesi. Infine Heidegger si mostra come il più fiero oppositore dell’Umanesimo e del Rinascimento, trattati alla stregua di espressioni di una mera antropologia ontica che ha come centro della riflessione l’ente e non l’essere. Eppure le riflessioni di Heidegger sul linguaggio e sulla parola poetica, sull’opera d’arte come evento del disvelamento dell’essere, sono richiamate all’attenzione da Grassi che con Heidegger va oltre Heidegger compiendo un vero e proprio iter di oltrepassamento, nel duplice senso di Verwindung (accettazione-approfondimento) e Überwindung (superamento). Secondo l’interpretazione grassiana, quella di Heidegger sarebbe una prospettiva che, nonostante la messa in mora della modernità e l’opera decostruttiva condotta nei riguardi dell’impostazione ! 38!  soggettocentrica, cade preda di quel pregiudizio hegeliano e di tutta la concezione idealistica dell’umanesimo. Leggiamo in Heidegger e il problema dell’umanesimo che “Heidegger sottolinea che il termine umanesimo si affermò per la prima volta al tempo della repubblica romana come equivalente del termine greco paideia. Per Heidegger è un dato di fatto che ogni umanesimo principia col definire l’essenza dell’uomo, quindi con una filosofia antropologica”90. L’umanesimo come mera antropologia è l’equazione posta da Heidegger che Grassi mette in discussione attraverso un’analisi storico-filosofica che rintraccia nelle riflessioni sul linguaggio un altro inizio del pensiero. Benché Heidegger avesse sviluppato una concezione del linguaggio e della poesia come luoghi del disvelamento dell’essere, la tradizione poetica degli autori italiani del Quattrocento non era ritenuta funzionale al discorso relativo alle “circostanze della manifestatività” ma frettolosamente liquidata in quanto proseguimento della Romanitas, posta da Heidegger in contrapposizione con l’esperienza greca presocratica. Grassi tenta di ricostruire con spirito critico-problematico, più che filologico91 in senso tecnico, la tradizione di quegli autori come Salutati, Valla, Poliziano e Landino che mostrano una ricchezza del possibile in alternativa all’unilateralità del vero. Nelle sue analisi, infatti, emerge quella volontà di far parlare direttamente i testi senza diaframmi, mettendo in evidenza quella mutevolezza del particolare e del contingente senza prescindere dalla situazione data. Denunciando i gravi limiti di ogni inerte visione aprioristica e razionalistica, quegli autori costituiscono per Grassi il polo ineludibile di una riflessione che è attenta a tutte le dimensioni del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 90 E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 58. 91 Del resto le forzature storiografiche che talvolta sono presenti nelle riflessioni grassiane sono state sottolineate da Cesare Vasoli nell’Introduzione all’edizione italiana di E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo: “Grassi è infatti convinto – e lo ripete nel modo più esplicito – che la svolta platoneggiante segnata dal Ficino e la forte ripresa della tradizione aristotelica, nel corso della prima metà del Cinquecento, siano sostanzialmente estranee alla vera filosofia umanistica o, almeno, alle sue ragioni e interessi più vitali. Ciò pone, naturalmente, molti problemi di natura storiografica [...] anche se non può tacersi che anche il giudizio umanistico sul valore fondante della poesia deve non poco a tipici loci platonici e che il tema del furor proprio del Ficino (si pensi soltanto ad alcune notissime pagine del De Amore) ha svolto un ruolo dominante nell’interpretazione sapienziale della poesia e del suo ruolo di theologia originaria”, C. Vasoli, Introduzione, pp. 7-16, in E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 12; titolo originale Heidegger and the question of Renaissance Humanism, Center for Medieval and Early Renaissance Studies, Binghamton, New York 1983.  ! 39!  pensiero: non solo la logica e la teologia, ma la giurisprudenza, la mitologia, la politica, la retorica, la poesia divengono oggetti teorici degni di una riflessione sulle molteplici forme dell’apparire dell’essere. In tale percorso di rivisitazione delle tematiche umanistiche Grassi segue itinerari poetici e teatrali, generi, quali il poema cavalleresco, la lettera familiare, l’elogio, che pongono in luce un senso della parola poetica lontano da ogni velleità di giungere ad un significato definitivo, ad una definizione che chiuda la res in un verbum univoco. Anzi, secondo Grassi è nelle parole, nei verba, nella ricchezza e complessità di un universo linguistico non chiuso nei ristretti limiti della logica formale che possiamo attingere la res e i suoi modi di datità, che sono infiniti, molteplici, contingenti, transeunti. Da ciò deriva che il principale compito della nuova filosofia umanistica narrata dal filosofo è l’apprensione del reale non a mezzo “del processo razionale del pensiero che col concetto (horos) e la definizione (horismos) coglie l’essenza (ousia) degli enti, ed astraendo dal tempo e dal luogo, ne stabilisce il significato”92; ma attraverso la parola storica-poetica-metaforica che “è una eikasia (una somiglianza e un apparire) del significato degli enti come risposta alle esigenze esistenziali che sorgono nelle diverse situazioni”93. L’attenzione alla polidimensionalità del reale che si rivela nella polidimensionalità linguistica rende la stessa opera grassiana non suscettibile di sistematicità: leggere Grassi tentando di rintracciare nelle sue pagine un’opera sistematica è un approccio inadeguato, occorre piuttosto seguirlo nelle tracce, nelle indicazioni, nelle pieghe della meditazione94. Del resto questo è un risultato, più che un !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 92 Id., La filosofia dell’umanesimo un problema epocale, cit., p. 37. 93 Ivi, p. 146. 94 Secondo l’interpretazione di D. Pietropaolo l’assenza di sistematicità nella filosofia di Grassi costituisce un limite, uno “svantaggio considerevole”, ma secondo il nostro punto di vista si tratta di un riflesso dell’impianto fenomenologico del metodo seguito da Grassi. Se la realtà è multiforme e sfaccettata anche il modo di dire tale realtà procederà per aspetti, frammenti segmenti tutti tesi a mostrare la ricchezza dell’essere. D. Pietropaolo, Grassi, Vico, and the defense of the Humanist Tradition, in “New Vico Studies”, 1992, X, p. 5. Opposto il giudizio di A. Battistini secondo il quale quello di Grassi è un metodo che “rispecchia una ricerca sempre in progress, inappagata, dinamica”, A. Battistini, Vico e l’umanesimo inquieto di Ernesto Grassi, p. 391, in E. Hidalgo-Serna-M. Marassi (a cura di), Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit., pp. 385-404.  ! 40!  limite, raggiunto dal filosofo in ossequio all’insegnamento degli umanisti che con la riflessione sulla storicità dell’esperienza umana che parte da bisogni concreti elaborano quella che è una rivoluzione epocale ben più importante di altre rivoluzioni culturali: attraverso la teoria dell’ingegno, che interviene nelle diverse e varie situazioni, in funzione delle necessitates e dell’hic et nunc, tramite l’attività analogica, che assurge a meccanismo catalizzatore del sistema antropo-poietico. Leggiamo in La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale che “l’umanesimo, non muovendo più dal problema della definizione razionale del reale, realizza un rovesciamento dei procedimenti del pensiero filosofico ben più radicale della così detta moderna “rivoluzione copernicana” del pensiero cartesiano e idealistico”95 e ciò è espresso, dal nostro punto di vista, in conformità alla generale impostazione onto-antropo-logica del pensiero di Grassi, che vede nella indagine linguistica e poetica la possibilità di scorgere quell’appello dell’essere che spinge l’uomo a rispondergli creativamente in base alle molteplici circostanze esistenziali. In tale contesto l’agire umano per Grassi “implica la necessità di realizzare non cognizioni astratte di una metafisica ragionata ma una metafisica metaforica, fantastica ma non arbitraria perché risposta oggettiva alle urgenze vissute differentemente nelle varie situazioni”96. Ma torniamo al problema dal quale siamo partiti: come giunge Grassi alla domanda sull’uomo e sulla correlazione uomo-mondo? Decisivo è stato l’incontro con il maestro degli “anni mitici di Friburgo”? Oppure dobbiamo attendere quella che, secondo alcuni interpreti, è la svolta vichiana? Domandarsi della genesi del problema onto-antropo-logico in Grassi è una operazione teorica non semplice, poiché si tratta di percorrere un iter in absentia: il filosofo non usa esplicitamente l’espressione “onto-antropo-logia” per qualificare la propria riflessione, ma, a dispetto di quest’assenza terminologica, possiamo riscontrare le tracce – non tanto nascoste – di tale ambito problematico che si costituisce come l’orizzonte di pre-comprensione imprescindibile per accedere ai settori teorici toccati dal filosofo di Milano: retorica, metaforologia, umanesimo. Riferirsi al !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 95 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 96. 96 E. Grassi, Vico e Ovidio. Il problema della preminenza della metafora, in “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, 1992-1993, XXII-XXIII, p. 174.  ! 41!  contesto onto-antropo-logico ci consentirà agevolmente di sfatare anche un’ipoteca storiografica che pesa sul suo pensiero, talvolta preda di un’interpretazione che lo ritiene mera espressione eclettica o privo di una adeguata articolazione teoretica97. Grassi affronta i temi dell’Umanesimo e del Rinascimento italiani già nel 1924 nel saggio Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di Stato apparso sulla rivista Rassegna Nazionale. Ben prima dell’incontro con Heidegger, ben prima dell’incontro con Vico dunque. In questo saggio Grassi offre un’interpretazione degli scritti machiavelliani puntando l’attenzione sui concetti di uomo e umanità, riconoscendo l’importanza decisiva che nella sua prospettiva onto-antropo-logica assumono le questioni di stato e patria. L’impostazione teorica che emerge è di stampo idealistico98 e tende a dare credito ad alcune interpretazioni correnti, quali l’affermazione della dignità umana come valore immanente; l’incapacità di inquadrare in un sistema concettuale il pathos della ricerca; la collocazione entro la cornice teorica della modernità dell’Umanesimo e del Rinascimento. Secondo il filosofo di Milano ciò che emerge dalle riflessioni di Machiavelli è un principio di immanenza che permea tutta la riflessione moderna. Grassi afferma che “il medioevo e il rinascimento - secondo una distinzione larga – nascono come espressione di due pensieri fondamentalmente distinti: mentre il pensiero antico, medioevale cercava la razionalità del reale – ossia il principio di ogni realtà in un principio trascendente, che ci supera – il pensiero moderno – di cui il rinascimento e l’umanesimo sono la prima affermazione – cerca la razionalità del reale in un principio immanente, che è in noi”99. Pur accogliendo tale distinzione tra Medioevo e Rinascimento il filosofo riconosce tuttavia il limite di un’impostazione di questo genere poiché la realtà storica e filosofica risulta pur sempre più ricca e complessa di rigidi schemi che non tengono conto delle mille sfaccettature di correnti di pensiero e di singoli intellettuali. Emblematico è il caso di Dante che in questo scritto appare essere !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 97 Cfr., l’interpretazione di G. Modica, Oltre Heidegger e Vico. Sulla prospettiva filosofica di Ernesto Grassi, pp. 77-88, in AA. VV, Un filosofo europeo. Ernesto Grassi, cit. 98 Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire, cit., in particolare il terzo capitolo, Umanesimo e modernità, pp. 89-125. 99 E. Grassi, Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di Stato, in Id., Primi Scritti, cit., p. 55.  ! 42!  un Giano bifronte, proteso sia verso l’impostazione classica e medioevale, che rintraccia nell’“essere per essenza – o per seguire la loro denominazione – Dio – l’essere da cui tutto proviene e in funzione del quale tutto si distingue e supera il soggetto di cui è origine e causa”100; sia verso un aspetto proto- moderno che troverà nell’epoca successiva un dispiegamento considerevole. Secondo Grassi nella concezione politica di Dante abbiamo un primo embrione della modernità: “la nuova epoca non si – può – far nascere dal secolo XV, ma molto prima, come ci rivela l’espressione volgare della Divina Commedia, del Convivio, e il ghibellinismo di Dante”101. La riflessione della modernità matura sarà contraddistinta da una serie di elementi che metteranno in crisi l’impostazione medievale ma anche classica. Contro l’idea che proprio gli umanisti proporranno nell’auto-interpretazione della propria epoca, secondo Grassi lo stesso classicismo del Quattrocento e del Cinquecento non è che “semplice scorza con cui la nuova epoca inviluppava le sue tendenze...fredda cenere sotto cui troviamo il primo fuoco dello spirito moderno, l’uomo che ricerca e trova se stesso”102. Nel nuovo contesto culturale la figura di Machiavelli è assunta come baluardo della costruzione del Rinascimento: nel clima generale della critica verso i “barbari medievali” alla vis destruens degli umanisti Machiavelli sa contrapporre una vis construens che si concretizza nella messa a tema del concetto di patria, del valore dell’individuo e della verità effettuale che, secondo Grassi, riveste un’importanza massima: “l’affermazione della verità effettuale è della massima importanza, egli giungerà logicamente col suo metodo induttivo alla concezione della storia come creazione umana”103. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 100 Ivi, p. 56. 101 Ivi, p. 58. 102 Ivi, p. 62. 103 Ivi, p. 66.  ! 43!  La centralità della nozione machiavelliana di verità effettuale viene posta in correlazione con la teoria vichiana del verum ipsum factum, secondo cui il verum storico è conoscibile solo ed unicamente nel factum umano. Il criterio della convertibilità, che ha una tradizione antica, di ascendenze giudaico-cristiane104, e che è possibile definire come il vero assioma di Vico, viene esplicitamente espresso nel De nostri temporis studiorum ratione del 1708. Qui il criterio del verum-factum viene legato all’ambito geometrico: “pertanto queste cose della fisica, che in forza del procedimento geometrico si presentano come vere, non sono se non verisimili, e dalla geometria ricevono sì il procedimento, non la dimostrazione: dimostriamo la geometria perché la facciamo; se potessimo dimostrare la fisica, la faremmo”105. Vorremmo sottolineare che il “vichismo” di Machiavelli individuato da Grassi in questo saggio risente fortemente dell’impostazione crociana. L’inconsapevole vichismo di Machiavelli o il non voluto machiavellismo di Vico compare in numerose opere del filosofo di Pescasseroli. U no dei primi riferimenti crociani al Segretario fiorentino risale a Filosofia della pratica del 1908 in cui Croce, trattando della categoria dell’utile, e quindi della politica, riconosce Machiavelli come il capostipite delle dottrine che hanno considerato la politica come attività indipendente dalla morale e che hanno stabilito dei precetti “empirici” della “ragion di Stato”. Ma allo stesso tempo osserva che la questione “se codesti due termini potessero mai tenersi immediatamente identici”106 è stata indagata da Machiavelli anche se, su tale aspetto, il suo pensiero è stato lungamente non compreso “non essendosi inteso il valore spirituale della volontà utilitaria, considerata per sé senza interferenza della ulteriore determinazione morale”107. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 104 Per una sintesi ben documentata della storia della teoria del verum-factum prima e dopo Vico cfr., M. Martirano, Vero- Fatto, Guida, Napoli, 2007, in particolare i capp., Il criterio del vero e del fatto prima di Vico, pp. 41-101; e Il criterio del vero e del fatto dopo Vico, pp. 105-172. 105 G. Vico, Sul metodo degli studi del nostro tempo, a cura di A. Suggi, Ets, Pisa 2010, pp. 49-51. 106 Croce, Filosofia della pratica. Economia ed etica, Laterza Editori, Bari, 1945, p. 266. 107 ivi, p. 267. Secondo Croce solo a partire dall’analisi critica di Francesco De Sanctis si è cominciato a comprendere il carattere complesso della tesi di Machiavelli e quindi a valorizzare il pensiero del Principe giustificandolo a dispetto delle condanne provenienti da correnti moraliste. Nella recensione dell’edizione del Principe curata da Federico Chabod nel 1924, Croce precisa come sia necessario non tanto affermare che la politica si identifica con la forza bensì “insistere e mettere bene in chiaro che cosa sia veramente la forza, e come quella forza, che è la virtus politica, rappresenti un aspetto, necessario bensì ed eterno, ma un aspetto solo della totalità ed integralità umana” – B. Croce, “La Critica”, giugno 1924, p. 314. In seguito nel 1932 in Storia d’Europa nel secolo decimonono ad integrazione la necessità della virtù nella politica ! 44!   Su questo sfondo crociano l’interpretazione di Grassi pone in luce il nesso di verità effettuale108 e verum ipsum factum che dischiude una nuova visione del mondo: dire che “coll’affermazione della verità effettuale, abbiamo veramente l’affermazione che precorre e già contiene implicitamente il verum ipsum factum di Vico”109, significa porre nella realtà l’unico valore, identificando valore e realtà, essere e valore, e ha come conseguenza anche l’adozione di un metodo innovativo di indagine del reale. L’importanza di questo saggio giovanile è degna di nota se consideriamo che proprio qui emergono alcune dicotomie concettuali che ritroveremo nella produzione successiva e che sottolineano quanto già a partire dagli anni Venti la questione onto-antropologica fosse viva nella riflessione del filosofo. Risulta evidente allora che la questione onto-antropo-logica, il problema dell’umanesimo, della correlazione Da-sein e Sein nell’orizzonte della Lichtung non compare in Grassi solo ed unicamente a partire dall’incontro con Heidegger o dalla svolta vichiana di un fantomatico “secondo Grassi” ma affiora già nelle riflessioni sulla “scienza nuova” machiavelliana. La “scienza nuova” offerta da Machiavelli secondo il pensatore milanese è innanzitutto una scienza induttiva e non deduttiva, è una intelligenza dei fatti che può realizzarsi solo abdicando al principio di autorità e all’a-priorismo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! e la denuncia della mera attività politica senza responsabilità è lampante: “se alla libertà si toglie la sua anima morale...si toglie la purezza del fine; se alla disciplina interna alla quale essa si sottomette spontanea si sostituisce quella della eterna guida e del comando non rimane se non il fare per fare, il distruggere per il distruggere...ne vien fuori l’attivismo. Il quale è dunque in questa traduzione riduzione e triste parodia che in termini materialistici compie di un ideale etico, sostanzialmente una perversione dell’amore per la libertà” – B. Croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono, Laterza Editori, Bari 1972, p. 300. Croce risolve in maniera definitiva la questione posta da Machiavelli saldando assieme l’etica alla politica sia nella sua concezione della storia, sia nella sua filosofia politica tanto da unire nell’unica opera Etica e politica (1931) i precetti morali alle riflessioni sulla politica. In questo testo egli cita Vico come il solo ed autentico successore dell’impostazione di Machiavelli, ritenendo che i suoi veri prosecutori non sono né coloro che elaborano una precettistica della “ragion di stato”, né coloro che escludono qualsiasi commistione tra politica e etica e predicano l’avvento di un regime basato sulla pura bontà e giustizia, né chi non cerca di risolvere l’antinomia tra politica e morale ma la relativizza a carattere meramente accidentale della storia. Vico è ai suoi occhi colui che più di tutti è “pieno del suo spirito, che egli chiarifica e purifica, integrando il suo concetto della politica e della storia, componendo le sue aporie, rasserenando il suo pessimismo” – B. Croce, Etica e politica, Laterza Editori, Bari, 1931, p. 254. 108 L’espressione verità effettuale compare nel XV capitolo del Principe: “ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi l’intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla immaginazione di essa”, N. Machiavelli, Principe, XV, 280 A. Cfr., su questo aspetto V. Raspa, Della verità effettuale della cosa e del riscontrare le cose. Riflessioni intorno al XV capitolo del Principe, pp. 152-184, in AA. VV, Machiavelli: immaginazione e contingenza, a cura di F. Del Lucchese-L. Sartorello-S. Sartorello, Ets, Pisa 2006. 109 E. Grassi, Il pensiero di Machiavelli e l’origine del concetto di Stato, in Id., Primi scritti 1922-1946, p. 66. ! 45!   logico. La grandezza del segretario fiorentino risiede nella ricostruzione politica del Rinascimento, che è allo stesso tempo una restituzione alla storia di una razionalità intrinseca. Ma in che modo è possibile offrire al dominio di Dio o del caso – la storia – una propria razionalità? La domanda che secondo Grassi Machiavelli si pone trova nelle pagine del Principe una risposta, l’unica possibile. Assodato che con il Rinascimento registriamo una rottura, un crollo dell’impalcatura teorica e pratica del Medioevo, la dissoluzione dei valori religiosi e l’affermazione della forza dell’individuo, come garantire l’integrità della vita activa, come riparare la nuova idea di azione umana dal pericolo di una dispersione irrazionale di energia? Secondo Grassi la stessa affermazione del soggetto empirico va superata e si supera con Machiavelli: “l’affermazione del soggetto empirico andava superata e condotta a un concetto di unità di individualità superiore, ma il problema doveva essere posto negli unici termini possibili: superare l’individualità empirica per mezzo dell’affermazione dell’individualità stessa”110. Il problema dell’individualità si pone come un dato di importanza considerevole per due ordini di ragioni: innanzitutto l’ascesa del soggetto è individuata come un tratto distintivo della modernità, sebbene in questo contesto l’autoaffermazione assuma una valutazione positiva che in seguito perderà, a fronte di una impostazione teorica che vede nella compagine soggettocentrica della filosofia un aspetto negativo; poi mostra l’aporia aperta dalla figura di Machiavelli e che rifluisce nella tematizzazione grassiana successiva: l’aporia tra la componente irrazionale, quella che successivamente sarà definita patica, e l’esigenza di un inquadramento razionale e logico. Il Principe ha un valore emblematico e attesta un tentativo di coniugazione estremamente importante: “l’affermazione del Principe di Machiavelli è così il passaggio dal concetto dell’Umanesimo, dell’individualità empirica, a quello di nazione”111. Passaggio, questo, che fa emergere quanto Machiavelli percepisse “l’irrazionalità in cui si dibatte il Rinascimento: il contrasto delle varie affermazioni di tirannidi”112 e che rende la sua opera una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 110 Ivi, p. 73. 111 Ivi, p. 74. 112 Ivi, p. 76.  ! 46!  sorta di “fisica delle forze umane”113. Si tratta di un’aporia che nel Principe si struttura come tensione tra le antinomie etico-psicologiche e unità del principe-centauro; e nei Discorsi trova espressione nel contrasto tra il conflitto socio-politico e l’unità istituzionale. Una contesa che è connotata positivamente da Machiavelli per il quale le “dissensioni”, i conflitti, non sono elementi esiziali per la salvaguardia della res publica, ma necessarie e proficue114. Alla figura di Machiavelli, all’importanza della sua teoria politica nella ridefinizione dei parametri della modernità umanistica, e all’impronta innovativa offerta dal suo concetto di verità effettuale al “cambiamento di paradigma” del Cinquecento, per usare una fortunata espressione kuhniana, Grassi dedica molta attenzione tra gli anni Venti e Quaranta. Ciò è testimoniato dalle pagine conclusive del saggio Pensieri sul poetico e sul politico del 1939, in cui si asserisce che “l’essenza politica di Machiavelli consiste quindi nell’aver riconosciuto l’urgenza della politica (necessità), il suo imporsi, come una forma autonoma e in sé indipendente da ogni altra forma del dischiudersi della realtà [...] questo inarrestabile realizzarsi del politico è ciò che Machiavelli chiama fortuna, la quale non significa sorte, bensì la concreta situazione politica in cui sempre ci troviamo”115. Qui viene espresso quel concetto di costrizione, necessità e coercizione che il reale esercita sull’essere umano e che è importante richiamare all’attenzione poiché quello di Nötigung sarà un concetto che ritroveremo in seguito e che andrà a costituire una delle caratteristiche della onto- antropo-logia di Grassi, la quale ha di mira l’individuazione dei meccanismi arcaici di antropo-poiesi, dei dispositivi che sono fortemente radicati nella situazione particolare, nell’Appello dell’essere e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 113 Ibidem. 114 Cfr., G. M. Barbuto, Il pensiero politico del Rinascimento, Carocci, Roma 2008, in particolare le pp. 39-75 dedicate a Machiavelli. 115 E. Grassi, Pensieri sul poetico e sul politico, in Id., Primi scritti, cit., p. 793. Il saggio appare originariamente in tedesco con il titolo Gedanken zum Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zur Bestimmung der geistigen Tradition Italiens nel 1939 in Schriften für die geistige Überlieferung, Erstes Heft, herausgegeben von Ernesto Grassi, Berlin, Verlag Helmut Küpper, 1939. Nel saggio rifluiscono due conferenze, Deutsche Dichtung und die italienische Tradition des Humanismus, e Politisches und begrifflisches Denken in der Italienischen Tradition.  ! 47!  del reale, la cui carica di estraneità è oltrepassabile solo tramite l’azione concreta e storica che ha struttura metaforica. L’attività metaforologica ha infatti una connotazione onto-antropo-logica in Grassi: riguarda l’uomo, riguarda la realtà e costituisce il modo di darsi delle cose, il nostro modo di essere affetti dal mondo circostante. Non un orpello linguistico, una fictio retorica, la metafora è per Grassi un dispositivo antropo-poietico. Come si afferma in Retorica come filosofia. La tradizione umanistica: “alcuni limitano la funzione della metafora alla trasposizione di parole, cioè di una parola dal suo proprio campo ad un altro. Tuttavia, tale trasposizione non può essere compiuta senza un’intuizione immediata delle somiglianze che appaiono nei diversi campi [...] la sua funzione è quella di rendere visibile una proprietà comune ai vari campi. Essa presuppone la visione di qualcosa ancora nascosto [...] ma dobbiamo andare più a fondo del piano letterario. La metafora sta alla base del nostro mondo umano. Poiché essa si radica nell’analogia tra cose differenti e fa immediatamente balzare agli occhi tale analogia, essa contribuisce in modo fondamentale alla struttura del nostro mondo”116. In conclusione possiamo dare per acquisito che la lettura di Machiavelli e i saggi dedicati al Segretario fiorentino e alla politica pongono in luce la fondamentale importanza che in tale ricostruzione di un nuovo paradigma assume la conoscenza storica del passato117, il tema della fortuna – la concreta situazione storica – e quello della virtù – come abilità di commisurarsi alla fatticità dell’esistenza118, quello dell’autonomia dell’agire politico119. Questi elementi ci dicono che “non !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 116 Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 76. 117 Id., Francesco Guicciardini e il concetto della politica nel Rinascimento italiano. Prologo alla prima edizione tedesca dei Ricordi, pp. 887-900, in Id., Primi scritti, cit., p. 891. Il saggio appare nel 1942 con il titolo Francesco Guicciardini und der Begriff der Politik in der italienischen Renaissance. Prolog zur ersten deutschen Ausgabe der “Ricordi”, in “Europäische Revue”, Stuttgart-Berlin, XVIII, 1942, n. 3. 118 Id., Teoria della politica nella tradizione del rinascimento, pp. 967-974, in Id., Primi scritti, cit., p. 971. Il saggio appare nel 1945 con il titolo Theorie der Politik in der Ueberlieferung der Renaissance, in “Neue Zürcher Zeitung”, Jahrgang 166, nr. 1016, 30. Juni, 1945, Morgenausgabe, Blatt 4. 119 Id., Pensieri sul poetico e sul politico. Due conferenze per determinare la tradizione spirituale italiana, in Id., Primi scritti, cit., p. 786.  ! 48!  possiamo sottrarci di fronte all’occasione, alla circostanza, alla necessità impellente di prendere posizione nei confronti di ciò che accade. Perciò la nostra situazione si trova sempre nel mezzo di un aut-aut”120. L’essere in mezzo ad un aut-aut ci costringe a decidere, a scegliere, ad affrontare il reale come impegno e compito come Grassi afferma nel 1942 in una lettera-saggio indirizzata allo “stimatissimo amico” W. F. Otto, Sul problema della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana, che mostra un metodo “inattuale” di fare filosofia: si tratta di esercitare la riflessione con “lettere aperte, denunciando così il carattere particolare di questo impegno comune, per il quale esso si distingue e deve distinguersi rispetto alle occupazioni scientifiche”121. Si tratta di quel metodo inattuale, difeso anche da Husserl, che solo i filosofi autentici possono realizzare nella consapevolezza di essere “funzionari dell’umanità”, orientati verso un telos che può trovare concretezza solo nell’esercizio dell’atto filosofico122. Umanesimo e pseudo-umanesimi: la pars destruens del discorso grassiano. La riflessione sull’Umanesimo e sul Rinascimento e sul loro spessore filosofico elaborata da Grassi a metà degli anni Venti e Trenta si concretizza, come abbiamo visto, nel saggio su Machiavelli proseguendo nelle produzioni saggistiche successive al 1924. In queste ultime è presente anche un intento di chiarificazione storiografica e di presa di distanza dalle coeve interpretazioni della “tradizione epocale”. Riferirsi ad un’epoca storico-culturale, come quella al centro della riflessione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 120 Id., Sul problema della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana. A Walter F. Otto, pp. 901-915, in Id., Primi scritti, cit., p. 912. Il saggio appare in tedesco nel 1942 con il titolo Über das Problem des Wortes und des individuellen Lebens. Erwägungen aus der italienischen Überlieferung. An Walter F. Otto, in Geistige Überlieferung. Das zweite Jahrbuch, in Verbindung mit Walter F. Otto und Karl Reinhardt, herausgegeben von Ernesto Grassi, Berlin, Verlag Helmut Küpper, 1942. 121 Ivi, p. 902. 122 E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. a cura di Filippini, il Saggiatore, Milano 1960, p. 46, “Noi siamo dunque, e come potremmo dimenticarlo, nel nostro filosofare, funzionari dell’umanità. La nostra responsabilità personale per il nostro vero essere di filosofi, nella nostra vocazione interiore personale, include anche le responsabilità per il vero essere dell’umanità, che è tale soltanto in quanto orientato verso un telos, e che se può essere realizzato lo può soltanto attraverso la filosofia. È possibile di fronte a questo sè esistenziale sfuggire?”.  ! 49!  di Grassi, significa innanzitutto prendere in considerazione un “mito storiografico”123. Inoltre, il concetto grassiano di umanesimo è bivalente: accanto all’idea di Umanesimo come categoria storiografica limitata ad un periodo storico circoscritto e ad autori precisi troviamo un concetto di umanesimo come macro-categoria che comprende una riflessione generale sull’humanitas. A partire dal grande affresco burckhardtiano del 1860 Die Kultur der Renaissance in Italien e dal saggio di Jules Michelet del 1855 Histoire de France au sezième siècle, il mondo moderno e i suoi tratti distintivi sono stati legati alla riscoperta dell’uomo e del mondo e dei valori immanenti i cui prodromi erano già presenti nella civiltà italiana del Trecento e del Quattrocento. Del resto questo era il punto di vista degli stessi umanisti che per primi parlano di una rinascita della civiltà contro i “barbari medievali”, che erano barbari non “per avere ignorato i classici, ma per non averli compresi nella verità della loro situazione storica”124. Posizione, questa, che importanti cultori di studi medievali contemporanei hanno messo profondamente in crisi propugnando una rinnovata idea di Medioevo come età della sperimentazione125 e dimostrando l’alto grado di sviluppo intellettuale raggiunto dalla cultura filosofica e letteraria del Medioevo126, contro un atteggiamento che si è consolidato anche nell’immaginario collettivo, oltreché in quello filosofico e storico-culturale: quello che vede nel Medioevo un altrove – sia esso negativo (la prospettiva umanistica) o positivo (la prospettiva romantica) – o una premessa. Come ricorda Sergi “nell’altrove negativo ci sono povertà, fame, pestilenze, disordine politico, soperchierie dei latifondisti sui contadini, superstizioni del popolo e corruzione del clero. Nell’altrove !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 123 Cfr., per una discussione particolareggiata delle molteplici interpretazioni dell’umanesimo e del rinascimento C. Vasoli, Il Rinascimento tra mito e realtà storica, pp. 3-25, in AA. VV, Le filosofie del Rinascimento, a cura di P. C. Pissavino, Mondadori, Milano, 2002. Cfr., E. Garin, L’umanesimo italiano, Laterza, Roma- Bari 1964. 124 E. Garin, L’umanesimo italiano, cit., p. 21. 125 Cfr., G. Sergi, L’idea di medioevo, pp. 3-41, in AA. VV, Storia medievale, Roma 1998; C. Azzara, Le civiltà del Medioevo, Introduzione, pp. 7-12, Il Muligno, Bologna, 2004. 126 Per un’analisi dettagliata delle interpretazioni dell’antirinascimento della rivolta dei medievisti, cfr., C. Vasoli, Il rinascimento tra mito e realtà storica, cit., soprattutto le pp. 18-22. ! 50!   positivo ci sono i tornei, la vita di corte, elfi e fate, cavalieri fedeli e principi magnanimi. Ma è anche discutibile l’uso del medioevo come generica premessa”127. Per introdurre il discorso decostruttivo grassiano faremo riferimento innanzitutto alle interpretazioni messe in discussione dal pensatore milanese, soffermandoci in particolare sulla figura di Cartesio e infine sul capo di imputazione principe – Heidegger – e sul significato che la riflessione sull’umanesimo riveste nell’ambito dell’onto-antropo-logia grassiana. II. II. Che cos’è l’umanesimo? Grassi parte dal quesito: “che cosa significa umanesimo?” e risponde individuando la genesi del termine nell’ambito politico: “questo termine nasce per la prima volta in Italia nel XIV secolo e lo troviamo negli scritti politici di Coluccio Salutati, il primo segretario politico di Firenze”128. La domanda è il punto di partenza di un saggio scritto in occasione di una conferenza tenuta nel 1938 durante la seduta della Klopstock Gesellschaft a Quedlinburg, Deutsche Dichtung und die italienische Tradition des Humanismus, rifluito insieme ad un altro saggio, Politisches und begrifflisches Denken in der Italienischen Tradition, in Gedanken zum Dichterischen und Politischen. Zwei Vorträge zur Bestimmung der geistigen Tradition Italiens. Per Grassi durante l’epoca umanistica si esprime per la prima volta un nuovo atteggiamento dell’uomo verso il mondo, si tratta del passaggio dall’“uomo greco”, a quello medievale”, per finire con l’“uomo del Rinascimento”. Una linea evolutiva che può essere condensata nelle note ed efficaci immagini proposte da Vernant, Le Goff e Garin: la transizione dall’uomo guerriero di Omero all’uomo politico di Aristotele129, all’homo viator e penitente130 e all’uomo moderno131. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 127 Cfr., G. Sergi, op., cit., p. 5. 128 E. Grassi, Pensieri sul poetico e sul politico. Due conferenze per determinare la tradizione spirituale italiana, pp. 777- 802, in Id., Primi Scritti 1922-1946, cit., p. 780. 129 Cfr., J. P. Vernant, Introduzione, in Id., (a cura di), L’uomo greco, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 3-23. 130 Cfr., J. Le Goff, L’uomo medievale, in Id., (a cura di), L’uomo medievale, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 1-38. 131 Cfr., E. Garin, L’uomo del Rinascimento, in Id., (a cura di), L’uomo del Rinascimento, Laterza, Roma-Bari, 2005, pp. 1-12.  ! 51!  Per quanto sia discutibile l’ipotesi grassiana di una frattura così radicale tra due visioni del mondo occorre sottolineare che egli riproporrà in tutti i suoi scritti tale dicotomia non tematizzando estesamente la plausibilità del presunto iato storico-culturale: ovviamente Medioevo e Rinascimento non sono entità metafisiche e monolitiche chiuse e incomunicabili, ma soprattutto Medioevo e Antichità greco-romana, spesso da Grassi accomunate in un disegno sintetico, non sono sovrapponibili nella difesa del principio di trascendenza. Eppure è lo stesso pensatore a riconoscere lo stato quantomeno problematico di un’impostazione di questo tipo come è possibile leggere nel saggio su Machiavelli del 1924, e nelle pagine di Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico del 1932 in cui si afferma: “Il fondamentale schema che domina il nostro concetto di filosofia antica – e che vive in un modo più o meno indiscusso anche in Germania – è la contrapposizione del pensiero antico al pensiero moderno. Pensiero antico, cioè pensiero oggettivistico, pensiero moderno – come siamo soliti dire – pensiero del soggetto. Sono veramente valide queste contrapposizioni e il concetto della storia della filosofia che si radica in esse? La storia della filosofia è veramente un lento progresso nel quale noi abbiamo un’indiscutibile superiorità sul pensiero antico, oppure non va essa piuttosto concepita come la realizzazione di un’unica verità che si attua nella rinnovata posizione delle medesime domande?”132. Tali riserve espresse con convinzione tuttavia non impediranno a Grassi di assumere una prospettiva teorica di forte impianto idealistico che pone la questione in termini di slittamento dall’ipotesi trascendente a quella immanente. Secondo il filosofo ciò che è in gioco con l’Umanesimo è una questione che da una visione contraddistinta dall’astrattezza e dall’universalità passa ad una concezione della finitezza umana in cui il telos è avvertito come un aspetto positivo e non come una mancanza: “pertanto, in Italia, l’umanesimo doveva nascere anzitutto come concezione e affermazione politica; perché tutta la storia, l’arte, la filosofia e la lingua dell’antichità spingevano qui alla realizzazione di un nuovo mondo storico”133. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 132 “Il fondamentale schema che domina il nostro concetto di filosofia antica – e che vive in un modo più o meno indiscusso anche in Germania – è la contrapposizione del pensiero antico al pensiero moderno. Pensiero antico, cioè pensiero oggettivistico, pensiero moderno – come siamo soliti dire – pensiero del soggetto. Sono veramente valide queste contrapposizioni e il concetto della storia della filosofia che si radica in esse? La storia della filosofia è veramente un lento progresso nel quale noi abbiamo un’indiscutibile superiorità sul pensiero antico, oppure non va essa piuttosto concepita come la realizzazione di un’unica verità che si attua nella rinnovata posizione delle medesime domande?”, Id., Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico, pp. 255-271, in Id., Primi scritti, cit., p. 259. 133 Ivi, p. 781.  ! 52!  Infatti, per Grassi lo sviluppo dell’uomo nelle sue estreme possibilità accade innanzitutto nel contesto, nell’apertura originaria, che è un’apertura comunitaria, nella quale soltanto l’essere umano può istituire nessi e relazioni con il contesto circostante, può stare al mondo in una relazione che è innanzitutto comprendente: si tratta di comprendere e di cogliere le molteplici forme dell’essere e del suo apparire che ritroviamo soprattutto nella parola poetica, prima che nella parola logica. La valutazione autentica dell’Umanesimo sarà possibile allora solo tenendo conto dell’aporia ineludibile che il problema dell’umano ci pone dinanzi e consentirà di elaborare quel filosofare noetico non metafisico che tenta di tenere insieme l’ontologia e l’antropologia senza chiuderle in un orizzonte logico ma immettendole nel mondo metaforologico: si tratta della coniugazione “inaudita” che Grassi cerca di realizzare lungo tutto il suo percorso filosofico, dalle riflessioni sulla manifestatività in Dell’apparire e dell’essere e Il problema del logo degli anni Trenta, a quelle sulla dimensione patica dell’esperienza dell’originario in L’inizio del pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza dell’originario e Il reale come passione e l’esperienza della filosofia degli anni Quaranta, per finire con gli scritti sul valore della metafora e del pensiero noetico non metafisico. Lo scopo dell’interrogazione sull’umanesimo come epoca storica determinata e come proposta di una rinnovata visione del mondo è dominata dall’esigenza di “un indicare a partire dal destino, dalla necessità entro la quale appaiono gli enti, e non da una loro astratta definizione. Ora lo studio di questa problematica compete a un sapere particolare che dobbiamo chiamare ontologia, distinguendola dalla metafisica tradizionale e intendendo con questo termine il rapporto che lega gli enti in situazione all’origine comune che li attraversa e perciò insieme li unifica e differenzia: ontologia non logica ma situazionale”134, ontologia noetica e non metafisica, e pertanto metaforologica, in cui l’ente appare solo nella parola umana che costruisce universi di senso. La critica di Grassi si appunta innanzitutto contro l’assolutizzazione di un aspetto particolare della filosofia quattro-cinquescentesca: il precorrimento di quegli elementi della modernità che nell’Umanesimo troverebbero una infanzia primitiva. Tale posizione se, da un lato, può sembrare a !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 134 Id., Il problema della morte: l’Alcesti di Euripide. Filosofare noetico non metafisico. Vico, in E. Grassi-E. Hidalgo- Serna, Filosofare noetico non metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte, Congedo Editore, 1991, Galatina, p. 30.  ! 53!  prima vista contraddittoria rispetto all’ipotesi interpretativa esposta nel saggio del 1924 – in cui la centralità di Machiavelli è ribadita proprio all’insegna della veste moderna che le riflessioni del fiorentino assumono – dall’altro, trova una spiegazione se la critica che va conducendo Grassi a certi luoghi del moderno viene inserita nel contesto più generale di una messa in questione della supremazia che l’ambito logico-gnoseologico assume nelle opzioni storiografiche analizzate. Si tratta di una messa in discussione dello stesso concetto di ragione e di logos, che non enuncia un congedo dalla ricerca filosofica – che cerca di istituire una relazione comprendente tra uomo e mondo – per mettersi sulla china dell’irrazionalismo, ma palesa, al contrario, l’esigenza di costruire o ritrovare una ragione complessa e ampia nella quale momento patico e logico trovano una ricomposizione nell’unità dell’esperienza individuale e vissuta. In Filosofia dell’umanesimo: un problema epocale Grassi passa in rassegna diverse tappe interpretative rifiutate per una sostanziale misinterpretazione dell’Umanesimo. Il testo, che si pone in linea di continuità con il saggio L’inizio del pensiero moderno, ha un primo scoglio da superare. Il macigno che pesa, intollerabile, sul cuore del filosofo è Heidegger e liberarsi da questo fardello è il compito verso cui il pensiero di Grassi sarà rivolto sviluppando le problematiche degli scritti onto- antropo-logici di Grassi: Macht der Phantasie 1979; Macht des Bildes 1970; Rhetoric as Philosofy 1980; Heidegger and the question of renaissance Humanismus 1983 e in ultimo aggiungiamo, sebbene nell’elenco stilato direttamente da Grassi non fosse annoverato135, Vico e l’Umanesimo136. Quale è l’idea di Umanesimo che Heidegger offre all’attenzione del suo allievo eterodosso? Prima di rispondere a questa domanda, analizzeremo di seguito le nove posizioni “inautentiche” proposte da Grassi in La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale. Sullo sfondo della polemica diretta contro precisi personaggi abbiamo anche la censura al pensiero della filosofia analitica di cui, almeno in questo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 135 La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 29. 136 Ovviamente Grassi non poteva annoverare questa opera perché essa vedrà la pubblicazione nel 1990 in lingua inglese. Si tratta di una raccolta di saggi che coprono circa due decadi di riflessione filosofica, dal 1969 al 1985 e che comprendono i testi americani di Grassi. Cfr, D. P. Verene, Prefazione a E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit., pp. 19-24. Il testo è pubblicato in lingua inglese due anni prima con il titolo Vico and Humanism. Essays on Vico, Heidegger and Rhetoric, Peter Lang publishing, New York, 1990.  ! 54!  luogo, Grassi non esplicita i rappresentati. Più chiarezza è rintracciabile in altri testi, come Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, in cui è esplicito il riferimento polemico a Wittgenstein, portavoce dell’impostazione scientifica del pensiero e autore di quel Tractatus logico-philosophicus che riduce il mondo alla triade: dire, mostrare, tacere137. Come è noto i sette Sätze del Tractatus si chiudono con la nota proposizione: “ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”138. Affermazione, questa, da cui traspare per il pensatore italiano un’attenzione esclusiva al piano denotativo del linguaggio che riduce il logos a tecnica di formalizzazione, a calcolo scientifico in cui l’uomo e la sua storia travagliata scompaiono. Afferma Grassi che “è considerato scientifico quel pensiero che procede nella struttura di un processo razionale, cioè nella sfera della dimostrazione. Nella teoria logica moderna questa tesi è portata avanti in modo significativo nel Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein [...] al di fuori del mondo simbolico del sistema abbiamo solo silenzio e mistero”139. Dalla prospettiva grassiana nell’orizzonte wittgensteiniano della filosofia l’unico linguaggio accettabile è quello del calcolo, della formalizzazione, della logica che esclude dall’orizzonte di significatività la dimensione retorica del logos ordinario – che esprime il sensus communis – e del logos patetico della poesia. Eppure Wittgenstein riabilita in qualche modo il livello connotativo del linguaggio, quella dimensione del mistico e dell’etico, relegati nel Tractatus nell’ambito del silenzio, attraverso la riflessione che si condensa nelle Ricerche filosofiche. Grassi non prende in considerazione la riflessione wittgensteiniana contenuta in questo testo, che possiamo definire come una sorta di drammatizzazione di una lotta, quella di Wittgenstein contro se stesso, contro il se stesso di un tempo, quello del Tractatus. Afferma Wittgenstein che “questo chiedere [il nome degli oggetti] e il suo correlato, la definizione ostensiva, costituiscono, potremmo dire, un gioco linguistico a sé. Ciò !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 137 Cfr., L. Perissinotto, Wittgenstein, Feltrinelli, Milano 2003. 138 L. Wittgen stein, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, tr. it. di A. G. Conte, Einaudi, Torino 2009, proposizione 7. 139 E. Grassi, Retorica come filosofia, cit., p. 35.  ! 55!  vuol dire propriamente: veniamo educati, addestrati a chiedere “come si chiama questo?” – e a ciò segue la denominazione dell’oggetto”140. La definizione allora appare come un particolare gioco linguistico che non si identifica sic et simpliciter con l’atto originariamente istitutivo del linguaggio. L’origine del gioco linguistico è una “reazione” sulla base della quale possono innestarsi le forme più raffinate di linguaggio. Esso inoltre non si origina dalla riflessione ma è una porzione141 del gioco linguistico. Colpevole142 di aver escluso “dall’ambito della filosofia le discipline umanistiche (filologia, storia, poesia e retorica)”143, che non consentono di rendere chiaro e distinto il linguaggio filosofico ma al contrario lo oscurano, il Cartesio di Grassi diviene un altro bersaglio polemico. La critica è diretta alle affermazioni contenute negli scritti cartesiani Regulae ad directionem ingenii (Regola III) pubblicate postume nel 1701144 e al Discorso sul metodo (I libro) del 1637. La III regola cartesiana delle Regulae recita: “riguardo agli oggetti da trattare si deve fare ricerca non di ciò che altri ne abbiano opinato o di ciò che noi stessi congetturiamo, bensì di ciò che da noi stessi si possa intuire con chiarezza ed evidenza, e dedurre con certezza; poiché solo così si acquista scienza”145. Secondo Grassi in questo passo si afferma che il ricorso all’esempio degli Antiqui è un escamotage del tutto empirico, mnemonico, che produce storia, mai scienza. Questa si costituisce a un livello differente, nella trasparenza dell’intrinseca dinamica dei nostri processi cognitivi, come emerge dalla riflessione matematica. Secondo Grassi l’emarginazione dell’esperienza, lo svuotamento di senso scientifico della tradizione proposti da Cartesio sono riconducibili alla generale impostazione che muove dal paradigma matematico. In questo orizzonte di ricerca è esclusa ogni forma di congettura probabile, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 140 Id., Ricerche filosofiche, tr. it. di R. Piovesan e M. Trinchero, Einaudi, Torino 1974, I, § 27. 141 Id., Zettel. Lo spazio segregato della psicologia, tr. it. di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1986, § 391. 142 E. Grassi, La filosofia dell’Umanesimo: un problema epocale, cit., pp. 31-32. 143 Ivi, p. 31. 144 La stesura delle Regulae risale agli anni compresi tra il 1625 e il 1629. Sulla questione della datazione delle Regulae cfr., G. Mori, Cartesio, Roma 2010, pp. 37-38. 145 Cartesio, Regole per la guida dell’intelligenza, tr. it. di G. Galli, in Cartesio, Opere filosofiche, Vol. I, a cura di E. Garin, Laterza, Roma-Bari, p. 21.  ! 56!  che pretenda di mescolarsi e assimilarsi sulla base dell’abitudine a conoscenze certe e evidenti. La stessa valutazione dei saperi umanistici compare in I principi della filosofia. Qui il filosofo afferma che “se desideriamo consacrarci seriamente allo studio della filosofia e alla ricerca di tutte le verità che siamo capaci di conoscere, ci libereremo in primo luogo di tutti i pregiudizi, e faremo conto di respingere tutte le opinioni da noi un tempo accolte in nostra credenza, finché non le abbiamo esaminate da capo. Faremo in seguito una rassegna delle nozioni che sono in noi, e non raccoglieremo per vere se non quelle che si presenteranno chiaramente e distintamente al nostro intelletto”146. La scienza, così, è in ultima analisi tale nella misura in cui si concentra rigorosamente su ciò che non può essere intaccato dal dubbio. Inoltre, nel primo libro del Discorso, nell’ambito dell’esposizione del proprio iter autobiografico, Cartesio rende manifesta l’insoddisfazione verso quei saperi, gli studia humanitatis ai quali si era tanto dedicato durante gli anni della formazione a La Flèche, insofferenza dovuta agli inestirpabili dubbi ed errori che quelle discipline per il loro oggetto e metodo intrinseco non potevano non contenere. La critica a quei saperi, che spinge Cartesio a dire che leggere i libri antichi è come viaggiare e conversare con uomini di altri secoli147, dimenticando ciò che caratterizza il tempo presente, trova il suo esito più compiuto nella difesa della mathesis universalis, del nuovo metodo, della scienza nuova che unisce matematica, logica, geometria seguendo lo schema tetravalente di evidenza, divisione, ordine ed enumerazione. Da questo tipo di impostazione del discorso filosofico, matematizzante e logicizzante, occorre liberarsi per Grassi che afferma, con tono polemico in riferimento a Cartesio, che “egli rinfaccia alla retorica – disciplina fondamentale per gli umanisti – di turbare, influenzando l’emotività degli uditori, la chiarezza e la coerenza del pensiero razionale, deduttivo. Egli rifiuta pure la validità del senso comune, giacchè solo il rigore logico è garanzia del filosofare”148. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 146 Cartesio, I principi dellafilosofia, p. 64, in Id., Opere, Vol. III, tr. it. a cura di A. Tilgher e M. Garin, Laterza, Roma- Bari 2005. 147Id., Discorso sul metodo, tr. it. di M. Garin, in Cartesio, Opere filosofiche, Vol. I, cit., p. 295, “Conversare con gli uomini di altri tempi è quasi come viaggiare [...] ma se si passa troppo tempo a viaggiare, si finisce col diventare stranieri nel proprio paese; e quando si è troppo curiosi delle cose che avvenivano nei secoli passati, si resta per lo più molto all’oscuro di quel che si fa al giorno d’oggi”. 148 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit., p. 32. ! 57!   Vorremmo sottolineare tuttavia che il filosofo italiano non tiene conto di una certa riabilitazione da parte di Cartesio dei concetti di verosimile, tradizione e pregiudizio nell’ambito della riflessione morale, come si evince dal Discorso, dai Principi e dalle Passioni dell’anima, oltre che dalla corrispondenza. Secondo la nostra interpretazione ciò accade per diversi ordini di ragioni: innanzitutto incide l’impostazione idealistica che Grassi riceve negli anni di apprendistato alla Cattolica, per cui l’inizio del moderno e la nascita del soggetto avrebbero in Cartesio un punto di partenza fuori discussione149; inoltre, l’impostazione heideggeriana che, come è noto, si concentra molto sulla critica a Cartesio, interpretato come colui che avrebbe compiutamente formalizzato un passaggio cruciale nella storia della metafisica, quello dalla domanda che chiede che cosa sia l’ente, a quello della domanda che si pone il problema del fondamento che rende possibile la comprensione dell’ente. Nella tesi cartesiana ego cogito, ergo sum, infatti, Heidegger vede espresso un primato dell’io umano ed una nuova posizione dell’uomo150, poiché l’uomo diventa subiectum151, il fondamento e la misura di ogni certezza e verità. In Il nichilismo europeo si asserisce che “la tradizionale domanda guida della metafisica – che cos’è l’ente – si trasforma all’inizio della metafisica moderna nella domanda del metodo, della via per la quale, [...] è cercato qualcosa di assolutamente certo e sicuro”152: tale metodo è il cogito e le sue strutture. Infine la forzatura grassiana della contrapposizione Cartesio/Vico è finalizzata a delineare una nuova via d’accesso alla filosofia le cui radici storico-culturali egli rintraccia nell’Umanesimo di matrice latina e mediterranea in senso lato. Ritornando a Cartesio e agli aspetti meno teoreticisti del suo pensiero, tralasciati da Grassi, possiamo prendere come riferimento il significato della nota metafora della casa153 del Discorso che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 149 “Devo richiamare alla mente la situazione filosofica della filosofia italiana negli anni ’20, periodo in cui compii i miei studi. A quell’epoca la filosofia hegeliana predominava in Italia grazie a Croce e Gentile ed era stata introdotta fin dalla fine del XIX secolo da Bertrando Spaventa”, E. Grassi, Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 31. 150 M. Heidegger, Il nichilismo europeo, tr. it. di F. Volpi, Adelphi, Milano 2003, p. 158. 151 Ivi, p. 168. 152 Ivi, p. 169. 153 “Prima di cominciare a ricostruire la casa da abitare, non basta demolirla e provvedersi di materiali e architetti, o impegnarsi personalmente nell’architettura, e averne tracciato inoltre un accurato progetto; bisogna essersi procurati un altro alloggio dove si possa dove si possa stare comodi nel corso dei lavori; allo stesso modo, per non restare indeciso ! 58!   vuole comunicarci la necessità di prendere delle posizioni in ambito morale: ciò che assolutamente era precluso in sede di conoscenza, ossia il fare affidamento ai pregiudizi e a ciò che sembra ragionevole e sensato, seppure privo di certezza assoluta, è consentito in ambito morale: “tuttavia si deve notare che io non intendo che noi ci serviamo d’una maniera di dubitare così generale, se non quando cominciamo ad applicarci alla contemplazione della verità. Poiché è certo che, in quel che riguarda la condotta della nostra vita, noi siamo obbligati a seguire bene spesso delle opinioni che non sono che verosimili [...] la ragione vuole che ne scegliamo una, e che, dopo averla scelta, la seguiamo costantemente, come se l’avessimo giudicata certissima”154. Il concetto cartesiano di sagesse humaine è bivalente: ha una valenza teoretica e pratica, e la nozione di bona mens, cui fanno capo tutte le scienze, è quel sapere del vero e del falso grazie al quale l’uomo riesce ad orientarsi nella vita. Inoltre già nel cogito abbiamo una co-determinazione da parte del volere, fattore costituente dell’atto di giudizio: “con la parola pensiero, io intendo tutto quel che accade in noi [...] non solo intendere, volere, immaginare, ma anche sentire è qui lo stesso che pensare”155. Del resto lo stesso Grassi riconosce la portata più ampia del cogito cartesiano nel contesto dell’analisi del metodo portata avanti nel saggio Dell’apparire e dell’essere. Il pensatore milanese afferma che “la metafisica di Cartesio appare in tutta la sua decisiva importanza quando si tenga presente che cosa egli concretamente intenda con “cogitare”. Pensiero, cogito, come tutti sappiamo, non è per lui solo atto di distinzione logica, ma è ogni atto e modificazione del soggetto, di cui l’attività logica non è che un momento”156. Se l’atto del cogito non è solo un atto logico, ma anche di sensazione, immaginazione, volontà, per Grassi si profila il problema del rapporto e della distinzione che passa tra queste forme nel processo di manifestazione dell’essere157. Ancora più discordante rispetto all’interpretazione di Cartesio esposta negli scritti maturi è l’affermazione presente in L’inizio del pensiero moderno. Della passione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! nelle mie azioni mentre la ragione mi obbligava ad esserlo nei miei giudizi, e per non smettere perciò di vivere quanto più felicemente potevo, mi costruii una morale provvisoria, riconducibile a tre o quattro massime sole”, Cartesio, Discorso, cit., pp. 305-306. 154 Id., I principi della filosofia, cit., p. 22. I corsivi sono nostri. 155 Ivi, p. 25. 156 E. Grassi, Dell’apparire e dell’essere, cit., p. 289. 157 Ivi.  ! 59!  e dell’esperienza dell’originario in cui il cogito – a cui precedentemente già era stato riconosciuto quel carattere elenchico-costrittivo158 che successivamente andrà a connotare il concetto di principio del filosofare noetico-non metafisico – è concepito nella sua intima connessione con il dubbio come espressione dell’urgenza e dell’impellenza dell’essere. Asserisce il filosofo che il cogito inteso come mentis inspectio non “significa qui rivolgere lo sguardo a qualcosa di oggettuale; piuttosto il vedere dell’inspectio coincide con questo soggiacere al dubbio e seguirlo fino al punto in cui si rivela l’urgenza che in esso si annuncia e che lo rende possibile [...] di conseguenza anche il cogito, quando si intenda con esso il compiersi di un dubitare, è espressione di un’urgenza originaria, che si mostra come il vero fondamento del sapere”159. La posta in gioco che emerge è quella del riconoscimento della priorità della manifestatività dell’essere quale fulcro tematico della filosofia. Il reale come punto di partenza della riflessione comporta una ricerca sul metodo, sulle vie di accesso, che per Grassi – questa volta non in opposizione ma in linea con Cartesio – ci pone di fronte ad una molteplicità di forme che sono in un rapporto di intima co-appartenenza. Nelle riflessioni appena ricordate traspare un’immagine di Cartesio più articolata rispetto alla semplicistica riduzione caratterizzante gli scritti tardi che si condensa nella opposizione Vico /Cartesio (pensiero topico e pensiero critico) e che sorregge anche l’idea grassiana della presenza di un cartesianesimo razionalistico nella prospettiva hegeliana. Hegel160 avrebbe riproposto una visione dell’umanesimo sostanzialmente negativa e l’opera che Grassi prende in considerazione è Lezioni di storia della filosofia in cui l’Umanesimo appare come una filosofia volgarizzatrice e non speculativa, che non realizza in modo adeguato l’idea ma si ferma all’ambito della fantasia e dell’arte, e le cui radici ciceroniane, sono fortemente criticate. Secondo il pensatore milanese “Hegel accusa la filosofia degli autori latini, ai quali fa riferimento l’Umanesimo, di essere !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 158 Ivi, pp. 286-287. 159 Id., L’inizio del pensiero moderno, in Id., I Primi scritti, cit., pp. 817-818. 160 Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., pp. 32-33.  ! 60!  volgarizzatrice (eine Populärphilosophie) o non speculativa. Egli rifiuta la tesi che lo sviluppo del diritto romano abbia un valore filosofico”161. Nell’ambito della definizione del concetto di filosofia e delle due sfere affini ad essa, la scienza e la religione, Hegel fa riferimento alla filosofia popolare: “sembra che vi sia un terzo momento che congiunge i due suddetti – momento soggettivo e formale della scienza e momento oggettivo in forma figurata o storica della religione –: cioè la filosofia popolare. Essa si occupa di argomenti universali, filosofeggia su Dio e sul mondo [...] però anche questa filosofia dobbiamo lasciarla da parte. Ad essa si devono ascrivere gli scritti di Cicerone”162. Lo stesso Cicerone, al quale Montesquieu avrebbe voluto assomigliare163, recentemente definito come l’esponente dell’umanesimo universalista164 è al centro anche delle riflessioni dello storico Mommsen – come ricorda Grassi nel catalogo delle interpretazioni inautentiche dell’umanesimo165 – che lo valuta come “l’impiastricciafogli dallo stile giornalistico”166. Altra “vittima” degli strali di Grassi è il romanista Curtius, annoverato tra coloro che riducono il caso della filosofia umanistica a mero esempio di “esercitazione stilistica”167. Nell’elenco compaiono anche Cassirer, Apel, Kristeller e Jaeger. Dell’interpretazione di Cassirer per Grassi è inaccettabile o perlomeno fuorviante il punto di partenza: ricondurre il pensiero filosofico sotto l’egida del problema della conoscenza non consente di rintracciare nell’età dell’umanesimo alcuna innovazione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 161 Ivi, p. 32. 162 G. W. F. Hegel, Introduzione alla storia della filosofia, introduzione di L. Pareyson, tr. it. di A. Plebe, Laterza, Roma- Bari 1987, p. 132. 163 Montesquieu, Discorso su Cicerone, in P. Ciaravolo (a cura di), La personalità filosofica di Marco Tullio Cicerone, Aracne, Roma 2007, pp. 7-8: “il primo, presso i romani, che ha tolto la filosofia dalle mani dei dotti e l’abbia liberata dall’intralcio di una lingua straniera. Egli l’ha resa comune a tutti gli uomini, come la ragione, e nel plauso che ne ha ricevuto i letterati si sono trovati d’accordo con la gente comune. Io non sono in grado di ammirare abbastanza la profondità dei suoi ragionamenti in un tempo in cui i saggi non si distinguevano che per bizzarria dei loro vestiti. Vorrei soltanto che fosse venuto in un secolo più illuminato e che avesse aiutato a scoprire la verità”. 164 Uso l’espressione di L. Battaglia contenuta in Le virtù moderne di Cicerone. Appunti sulle Tusculanae disputationes, pp. 157-169, in P. Ciaravolo, op., cit., p. 157. 165 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 34. 166 T. Mommsen, Storia antica di Roma antica, Sansoni, Firenze, 1963, p. 1275. 167 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit., p. 34.  ! 61!  significativa168. I testi citati polemicamente da Grassi sono Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento e Storia della filosofia moderna. Il filosofo tedesco, di formazione neokantiana, si occupò intensamente dei problemi matematici e fisici della modernità, e la predilezione per alcuni autori, quali Galilei, Keplero, Newton, Cartesio, Spinoza e Leibniz, ci fa comprendere quanto potesse valere nel tragitto filosofico tracciato da Cassirer il ruolo affidato all’umanesimo. Secondo Grassi per Cassirer “laddove nell’Umanesimo filologia e filosofia si congiungono, non si giunge nella filosofia a nessuna vera innovazione nel metodo”169. Se prendiamo in considerazione il testo Dall’Umanesimo all’Illuminismo, che fu pubblicato postumo nel 1967 e che raccoglie i contributi cassireriani sulla storia del pensiero occidentale dall’Umanesimo all’Illuminismo, ci troveremo di fronte a pagine di considerazione scarsa circa lo spessore filosofico dell’Umanesimo. Nel saggio La posizione del Ficino nella storia del pensiero – recensione al libro di Kristeller La filosofia di Marsilio Ficino – Cassirer afferma: “alle sue origini e per il suo scopo principale l’umanesimo non può dirsi un movimento filosofico. Tra gli umanisti più noti non troviamo grandi pensatori veramente indipendenti. Il loro interesse era l’erudizione e la letteratura, non la filosofia”170. L’unica importanza dell’Umanesimo e del Rinascimento sarebbe la mutazione della dinamica delle idee171 e lo slittamento dal particolare all’universale172. In questa fase la riflessione sui principi della conoscenza non ha trovato ancora un motivo cosciente173 e la filosofia sembra avere una efficacia limitata174. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 168 E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento, La Nuova Italia, Firenze 1963. 169 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 34. 170 E. Cassirer, Il Ficino nella storia del pensiero, in Id., Dall’Umanesimo all’Illuminismo, a cura di P. O. Kristeller, tr. it. a cura di f. Federici, La Nuova Italia, Firenze 1995, p. 36. 171 Id., L’originalità del Rinascimento, in Id., Dall’Umanesimo all’Illuminismo, cit., p. 11. 172 Ivi, p. 8. 173 Id., Storia della filosofia moderna, Vol. I, Dall’umanesimo alla scuola cartesiana, Tomo I, La rinascita del problema della conoscenza, tr. it. di E. Arnaud, Einaudi, Torino 1978, p. 100. 174 Ivi, pp. 97-98.  ! 62!  Sembra trovare una parziale giustificazione allora la critica grassiana rivolta al pensatore tedesco: Cassirer “preoccupato di rintracciare nella tradizione umanistica ciò che per lui costituisce l’essenza della filosofia – ovvero il problema della conoscenza – dovette ammettere di rilevarne solo poche tracce”175 nell’Umanesimo. Ma si tratta di una critica solo in parte condivisibile poiché Grassi e Cassirer non sembrano tanto lontani nella comune attenzione rivolta verso il mondo del simbolico. Nonostante questo punto di contatto Grassi pone una netta differenza tra la sua teoria di una logica della fantasia e quella cassireriana delle forme simboliche176. Afferma Grassi che “sarebbe un errore e un fraintendimento molto grave interpretare Vico come se la logica della fantasia fosse limitata a una pura logica di forme simboliche, per esempio nel senso di Ernesto Cassirer”177. Il filosofo tedesco, in particolare all’interno dell’opera Filosofia delle forme simboliche (1923-29), analizza la funzione del mito, inteso come originaria “forma di vita”, essenziale per la scoperta e la comprensione del mondo storico. Le produzioni mitiche prendono evidentemente origine dall’immaginazione, anche se il filosofo non si sofferma sulla relazione specifica tra mito e immaginazione, bensì insiste sulla relazione tra mito e immagine. Quest’ultima ha una funzione più importante del mero segno in quanto, secondo il filosofo, l’immagine conterrebbe l’essenza stessa delle cose: “l’immagine, espressione di un fenomeno, non ha un semplice carattere di rappresentazione, che indica qualcosa di oggettivo al di là di essa, ma in essa si dà per noi qualcosa di reale, in essa qualcosa di demonicamente vivente viene colto e posto dinanzi a noi in piena presenza”178. Dal passo sopra citato emerge la ricerca di una struttura originaria che permetta la rielaborazione dei processi storici dell’uomo dei tempi antichi, a partire dalle sue creazioni mitico-simboliche. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 175 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit., p. 35. 176 Id., La priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 56 177 Ivi, pp. 56-57. 178 Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, Arnaud, La nuova Italia, Firenze 1967, p. 30.  ! 63!  Queste strutture non hanno una funzione solamente comunicativa ma agiscono da mezzo col quale si determina la compiutezza dei loro contenuti. A partire da questa premessa dobbiamo considerare il mito, la religione, il linguaggio non come forme di dominio sul mondo, bensì come forme essenziali per la scoperta del mondo storico dell’uomo. La formazione simbolica costituisce così il medium tra l’elemento trascendentale e il mondo storico-reale. La funzione di sintesi, affidata alla formazione simbolica, diviene fondamentale strumento di concezione della storia che vuole liberarsi da una visione assolutistica e assoluta o da qualsiasi riduzionismo empirico- descrittivo. Scrive Cassirer in Saggio sull’uomo: “per semplice che esso possa sembrare, ogni fatto storico può venire determinato solamente in base ad una preliminare analisi di simboli. La prima e più immediata materia della conoscenza storica non è costituita da cose e da avvenimenti, bensì da documenti e monumenti. Soltanto grazie alla mediazione e con l’introduzione di questi dati simbolici si può avere una idea della realtà storica, degli avvenimenti e degli uomini del passato”179. Riprendendo la teoria vichiana del mondo storico come creazione dell’uomo, aggiunge: “in nessun altro campo, la mente dell’uomo è più vicina a se stessa che nella storia. Non il mondo fisico, ma il mondo storico è creato dall’uomo, e dipende dalle sue facoltà [...] Il campo di studio elettivo dell’uomo non è dunque il mondo matematico né quello fisico, ma il mondo storico, la società civile. Quel che Vico chiede è una filosofia della civiltà: una filosofia la quale sveli e spieghi le leggi fondamentali che governano il corso generale della storia e lo sviluppo della cultura umana”180. Se non sapessimo che è Cassirer l’autore potremmo pensare che questo passo esce direttamente dalla penna del Grassi autore di Vico e l’umanesimo. Per entrambi i filosofi i linguaggi del mito e della fantasia permettono agli studiosi moderni di comprendere la coscienza storica dell’umanità. Il mito è una forma comunicativa, espressiva e esplicativa di eventi e fenomeni e va ben oltre una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 179 Id., Saggio sull’uomo. Una introduzione alla filosofia della cultura umna, a cura di Carlo d’Altavilla, Armando, Roma 2009, pp. 296-297. 180 Id., Desartes, Leibniz e Vico, in Id., Simbolo, mito e cultura, a cura di D. P. Verene, tr. it. di G. Ferrara, Laterza, Roma- Bari 1981, p. 111-112  ! 64! rappresentazione illusoria che nasconde il vero stato delle cose. Il Cassirer lettore di Vico mostra non pochi punti di contatto con Grassi che del filosofo napoletano sottolinea proprio la priorità di quegli ambiti mitici, poetici, simbolici, fantastici su cui il filosofo delle forme simboliche a lungo si è soffermato. Se Grassi esplicitamente menziona la presenza di una logica della fantasia in Vico – in cui “il concetto fantastico e immaginativo [...] cristallizza un essere attraverso l’atto dell’ingegno, con una visione diretta di una totalità pittorica”181 –, Cassirer si riferisce a Vico indicandolo come il creatore di una logica dell’immaginazione: “l’umanità, secondo lui, non poteva cominciare con il pensiero astratto e il linguaggio razionale. Dovette passare per lo stato del linguaggio simbolico, del mito e della poesia. I primi popoli non avrebbero pensato in concetti ma in immagini poetiche [...] in realtà il mondo in cui vive sia il poeta che il foggiatore di miti sembra essere lo stesso. L’uno e l’altro sono dotati dello stesso potere fondamentale, del potere di personificare. Non possono contemplare nessun oggetto senza dargli una vita interiore e una forma personalizzata”182. La breve sosta sulla filosofia cassireriana ci ha consentito di istituire un interessante confronto Grassi-Cassirer che ha come scopo quello di mettere in luce un comune terreno di ricerca filosofica sugli ambiti del simbolico, del mitico, del poetico e del fantastico. Altri due autori inseriti dal filosofo milanese nell’elenco delle interpretazioni inautentiche dell’umanesimo sono Apel e Jaeger, entrambi colpevoli di aver misconosciuto l’essenza autentica dell’Umanesimo183. Per il pensatore italiano Apel “sostiene la tesi che gli umanisti nella loro disamina della logica scolastica usano un armamentario filosofico poverissimo sostituendo agli argomenti razionali asserzioni patetiche”184. Infatti Apel afferma che “da questa programmatica polemica d’un nuovo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 181 Grassi, Vico e l’umanesimo, cit., p. 54. 182 Saggio sull’uomo, cit., pp. 266-267. 183 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale, cit., p. 35; Id., Il problema della metafisica platonica, Laterza, Roma-Bari 1932, p. 209; Id., Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico, in Id., Primi scritti, cit., 255- 271; Id., Paideia e neoumanesimo, in Id., Primi scritti, cit., 357-369. 184 Id., La filosofia dell’umanesimo, cit., p. 35. ! 65!   metodo gnoseologico, così come essa è caratteristica dell’epoca umanistica di passaggio fra scolastica e scienza moderna, non si potrà trarre una profonda intelligenza della logica formale (una sensibilità per il formalismo dell’astrazione logica, e quindi per le autentiche acquisizioni della logica da Aristotele in poi, fece difetto a tutti gli umanisti)”185. Dal suo canto Jaeger riconduce lo spessore dell’approccio umanista a mera prosecuzione degli ideali greco-romani186: secondo Jaeger le origini dell’umanesimo non sono rintracciabili nel pensiero degli umanisti italiani del Quattrocento. Leggiamo in La filosofia dell’umanesimo che “Jaeger dichiara che l’Umanesimo è solo la manifestazione di un particolare ideale culturale che ha per meta la formazione dell’uomo”187. Jaeger, infatti, asserisce in Paideia che “sin dalle prime tracce che abbiamo dei Greci, troviamo l’uomo al centro del loro pensiero. Gli dei antropomorfi, il predominio assoluto del problema della figura umana nella plastica greca e nella pittura stessa; il procedere conseguente della filosofia dal problema del cosmo a quello dell’uomo, nel quale culmina con Socrate, Platone ed Aristotele; la poesia, il cui tema inesauribile, da Omero in poi e per tutti i secoli seguenti, è l’uomo in tutta la estensione del termine; infine lo Stato greco, di cui comprende la natura solo chi lo intenda quale plasmatore dell’uomo e di tutta la sua esistenza: tutti questi sono raggi di un medesimo lume”. E aggiunge che si tratta di “manifestazioni di un sentimento umanistico della vita, che non trova ulteriori derivazioni o spiegazioni, e che compenetra ogni creazione dello spirito greco. I Greci furono così il popolo antropoplasta per eccellenza [...]. Siamo ora in grado di enunciare più precisamente che cosa costituisca l’originalità dei Greci [...]. La loro scoperta dell’uomo non è la scoperta dell’Io soggettivo, ma l’acquisita coscienza della legge universale della natura umana. Il principio spirituale dei Greci non è l’individualismo, bensì l’umanesimo”188. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 185 K. O. Apel, L’idea di lingua nella tradizione dell’Umanesimo da Dante a Vico, il Mulino, Bologna 1963, p. 292. 186 W. Jaeger, Paideia. La formazione dell’uomo greco, tr. it. di L. Emery e A. Setti, Bompiani, Milano 2003. La concezione di Jaeger la paideia ha un ruolo prepolitico, intendendo l’attività educativa come punto di incontro tra antichità e presente. Secondo l’esponente del cosiddetto “terzo umanesimo”: “per l’età moderna, il concetto di umanesimo è legato alla relazione consapevole della nostra cultura con l’antichità. Ma questa non si fonda, a sua volta, se non sul fatto che la nostra idea della cultura universale dell’uomo ha colà, appunto, la sua origine storica. L’umanesimo, in questo senso, è sostanzialmente una creazione dei Greci”, ivi, p. 517. La paideia greca ha in effetti caratterizzato, per Jaeger, sia il Cristianesimo che il Rinascimento, in quanto il fine della stessa era la formazione di una umanità superiore. 187 Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit., p. 35. 188 Ivi, p. 14. I corsivi sono nostri.  ! 66!  Infine, nel catalogo grassiano degli pseudo-umanesimi compare la figura di Kristeller che secondo il pensatore italiano non avrebbe avuto attenzione per quell’umanesimo non platonico che al contrario egli cerca in gran parte della sua produzione di mettere in luce. Afferma Kristeller in Retorica e filosofia dall’antichità al Rinascimento che “gli umanisti non erano filosofi di professione, e i loro scritti su diversi argomenti mancano della precisione terminologica e della consistenza logica che abbiamo il diritto di aspettarci da filosofi di professione [...] in altre parole, anche se potessimo ricostruire una filosofia coerente per un determinato umanista, non possiamo trovare una filosofia comune a tutti gli umanisti, e quindi non è possibile definire il loro contributo in termini di dottrine specificatamente filosofiche”189. Secondo Grassi Kristeller “al quale dobbiamo uno studio su Ficino e molte ricerche erudite sull’Umanesimo [...] valorizza il pensiero umanistico soprattutto nel ripensamento della tradizione platonica e neoplatonica”190. II. III. Il maestro degli anni mitici di Friburgo Il confronto grassiano con l’umanesimo non poteva non relazionarsi alla filosofia di Heidegger che contro l’umanismo si era espresso molte volte. Il testo La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale è significativamente dedicato alla memoria di Heidegger eletto da Grassi a suo maestro. Eppure Heidegger, come ricorda Grassi stesso, “ha negato radicalmente qualsiasi valore alla filosofia dell’umanesimo. Egli riconosce in tale tradizione l’ideale romano dell’affermazione dell’homo humanus, nobilitato grazie al concetto di paideia [...] afferma che la concezione umanistica non coglie l’essenza dell’uomo”191. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 189 P. O. Kristeller, Retorica e filosofia dall’antichità al Rinascimento, tr. it. di A. Gargano, Bibliopolis, Napoli 1991, p. 90. Afferma Kristeller: “Diversamente dalle arti liberali del primo Medioevo gli Studia humanitatis non includevano la logica o il Quadrivium (aritmetica, geometria, astronomia e musica), e diversamente dalle Belle Arti del Settecento gli Studia humanitatis non comprendevano le arti figurative o la musica, la danza o l’arte dei giardini. Non comprendevano neppure le materie principali che si insegnavano alle università del tempo, cioè la teologia, la giurisprudenza o la medicina, o le materie filosofiche all’infuori dell’etica, cioè la logica, la filosofia naturale o la metafisica. In altre parole, diversamente da ciò che si è pensato molte volte, l’umanesimo non costituisce il sapere e pensare intero o completo del Rinascimento, ma soltanto un suo settore parziale, ben limitato, per quanto importante. L’umanesimo aveva il suo centro e la sua base negli Studia humanitatis. Le altre materie del sapere, compresa la filosofia (con l’eccezione della filosofia morale) avevano un loro sviluppo separato, che era in parte determinato dalla tradizione medievale, ma che fu poi lentamente trasformato da osservazioni, problemi e teorie nuove, trasformazione in cui anche l’umanesimo ebbe la sua parte, ma agendo piú che altro dall’esterno e indirettamente”, Id., L’umanesimo italiano del Rinascimento e il suo significato, tr. it. di A. Gargano, Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli 2005, p. 16. 190 E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo, cit. p. 35. 191 Ivi, pp. 35-36.  ! 67!  Dedicare un testo sull’umanesimo ad un anti-umanista sembra un’operazione quantomeno ardita poiché effettivamente Heidegger appare molto duro nei confronti di una tradizione culturale che avrebbe meritato, se non un giudizio differente, perlomeno una più attenta riflessione e analisi. Leggiamo in La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale: “il presente lavoro è dedicato alla memoria di Heidegger che è stato il mio maestro: anche il mio primo lavoro scientifico, iniziato negli anni 1929-1930 sotto la sua direzione e pubblicato nel 1932 (Il problema della metafisica platonica) fu dedicato proprio a lui”192. Il magistero filosofico di Heidegger e la sua negazione dell’importanza speculativa dell’umanesimo sollecitano nel giovane Grassi tematiche speculative che renderanno possibile la problematica sviluppata in “Macht der Phantasie (1979), in Macht des Bildes (1970), e nel volume Rhetoric as Philosophy (1980), ma anzitutto in Heidegger and the Question of Renaissance Humanismus (1983)”193. In Lettera sull’Umanismo Heidegger tende a precisare più volte l’aspetto non-umanistico del suo pensiero, che si configura come un’ontologia fenomenologica ed ermeneutica in cui l’uomo e il discorso sull’uomo sono funzionali alla ricerca ontologica. Egli si domanda se si possa qualificare il suo pensiero come umanismo, ma la risposta è negativa; e non può essere altrimenti se per umanismo si intende qualcosa di metafisico e di esistenziale. “L’umanismo pensa metafisicamente [...] esso è esistenzialismo e sostiene la tesi espressa da Sartre: prècisèment nous sommes sur un plan où il y a seulment des hommes. Se invece si pensa come in Sein und Zeit, si dovrebbe dire: prècisèment nous sommes sur un plan où il y a principalement l’Etre”194. La tesi alla quale Heidegger fa riferimento, come è noto, è espressa dal filosofo francese in L’esistenzialismo è un umanismo195, ed è inserita nel contesto della metafisica dell’umanismo che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 192 Ivi, p. 17. 193 Ivi, p. 29. 194 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, tr. it. A cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2008, p. 61. 195J. P. Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, Mursia, Milano 1996, p. 40.  ! 68!  “non pone l’humanitas dell’uomo ad un livello abbastanza elevato”196. Una metafisica di questo tipo, che eleva l’uomo a soggetto despota dell’essere e dell’ente, non riesce, secondo Heidegger, a comprendere il legame dell’uomo e dell’essere, quell’ηθος che è il soggiorno dell’uomo197, la radura- Lichtung del mondo. C’è da dire che, stando all’auto-interpretazione heideggeriana, il suo pensiero non è né umanistico né inumano. Non è umanistico perché la questione fondamentale del suo pensiero è l’essere, la Lichtung, l’Ereignis. L’uomo, allora, verrebbe ridotto ad accidente periferico dell’essere? Umano e inumano sono concetti inadeguati per un pensiero che vuole andare oltre l’alternativa tra scienza e filosofia. Queste ultime sono per Heidegger sostanzialmente la stessa cosa. Dopo l’incontro di Grassi con Heidegger a Todtnauberg, nella Foresta nera si profila quella tormentata e difficile rottura con il maestro destinata a non ricomporsi. La connessione istituita da Heidegger tra l’uomo greco e l’uomo tedesco tralascia l’umanesimo in quanto interpolazione romana- latina tra l’uomo greco e l’uomo tedesco, erede del greco; valutando negativamente anche il Rinascimento come renascentia romanitatis. Le radici di questa profonda avversione sono rintracciabili nel contesto più generale della critica alla metafisica che Heidegger conduce: “ogni umanismo o si fonda su una metafisica o pone se stesso a fondamento di una metafisica. È metafisica ogni determinazione dell’essenza dell’uomo che presuppone già, sia consapevolmente sia inconsapevolmente, l’interpretazione dell’ente, senza porre la questione della verità dell’essere [...] nel determinare l’umanità dell’uomo, l’umanismo non solo non si pone la questione del riferimento dell’essere all’essere umano, ma impedisce persino che si ponga una simile questione”198. Ogni umanismo in quanto tale è un’antropologia ontica che muove da un ente senza tenere conto del riferimento all’essere – il grande impensato della tradizione metafisica occidentale, rea di un doppio occultamento: il ritrarsi dell’essere (oblio come κρύπτεσθαι); oblio della ritrazione dell’essere (con l’imporsi della verità dell’ente e solo dell’ente). Pensare all’umanesimo antropocentrico e non attento !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 196 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, cit., p. 56. 197 Ivi, p. 90. 198 M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, cit., p. 43.  ! 69!  al nesso essere-uomo significa pensare innanzitutto a quell’uomo oggetto dell’orazione pichiana che accende un dibattito filosofico nel 1487, promosso proprio da Pico della Mirandola199, e che è dominata dalla centralità dell’uomo all’interno della realtà, peculiarità riconducibile all’essenza particolare del suo status ontologico. A differenza degli altri enti l’uomo è quell’ente che non ha una essenza specifica, una natura propria e definita, chiusa e circoscritta: “l’uomo si fa agendo; l’uomo è padre a se stesso. L’uomo non ha che una condizione: l’assenza di condizioni, la libertà”200. Il problema posto da Heidegger circa lo statuto dell’umanesimo/umanismo non poteva lasciare indifferente Grassi che ritiene inaccettabili quelle affermazioni e che trova in Heidegger se non proprio un momento di svolta201, uno spunto teorico importante per il tentativo di risemantizzazione del concetto di umanesimo. Leggiamo in Heidegger e il problema dell’umanesimo che “storicamente dobbiamo osservare che la definizione che Heidegger dà del pensiero occidentale (una metafisica razionale deduttiva che sorge e si sviluppa esclusivamente dal rapporto tra gli enti e il pensiero, cioè nel quadro della verità logica) non regge. Nella tradizione umanistica c’è sempre stata una preoccupazione cruciale circa il problema del disvelamento, dell’apertura, dove il Da-sein storico può fare la sua apparizione. Per questa ragione noi dobbiamo rivedere e rivalutare le categorie storiche che ancora guidano il nostro pensare”202. Occorre precisare, secondo Grassi, che accanto all’umanesimo ci sono gli pseudo umanesimi: la prospettiva onto-antropo-logica grassiana ha come scopo teorico proprio la chiarificazione del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 199 Cfr., E. Garin, L’umanesimo italiano, cit., p. 135. 200 Ivi, p. 136. 201 Parla di svolta riguardo all’incidenza di Lettera sull’umanismo di Heidegger nel pensiero di Grassi D. Di Cesare in Metafora e differenza ontologica. Grassi versus Heidegger?, in AA. VV., Un filosofo europeo. Ernesto Grassi, cit., p. 25: “la Lettera rappresenta pure, di riflesso, una svolta per Grassi, non solo nel confronto con Heidegger, ma anche nel proprio itinerario. La sua attesa è rimasta delusa: non vi è traccia, nella Lettera, di un ripensamento critico, o meglio autocritico, sul valore filosofico della tradizione latina e italiana, di quel che Grassi chiama Umanesimo [...] per Grassi si produce allora una difficile e tormentata rottura con Heidegger. Destinata a non ricomporsi, questa rottura costituirà però il vero e proprio avvio non solo e non tanto della sua originale interpretazione dell’Umanesimo, quanto di un’autonoma riflessione filosofica che ha al suo centro la metafora”. Dal nostro punto di vista, l’incontro a Todtnauberg tra Grassi eHeidegger, sebbene significativo, non costituisce una svolta. La prospettiva della studiosa non tiene conto delle affermazioni sull’umanesimo espresse da Grassi nella produzione giovanile. Infatti, la questione dell’umanesimo si pone già a partire dal saggio su Machiavelli del 1924, come abbiamo cercato di chiarire nel primo capitolo e nel ventennio che intercorre tra il 1924 e il 1946 Grassi ha già maturato le coordinate fondamentali del suo itinerario speculativo, in cui certamente Heidegger riveste un ruolo centrale ma tuttavia non esclusivo. 202 E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 38. ! 70!   significato filosofico dell’umanesimo. Non l’umanesimo storico, né quello politico sono al centro della sua riflessione, ma unicamente lo statuto speculativo di esso. In Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne lo studioso afferma: “sia dunque ben chiaro che ogni affermazione umanistica è un problema anzitutto filosofico e non storico [...] che significato può dunque oggi avere un umanesimo?”203. Cercare di dare una risposta a questa domanda spinge Grassi a misurarsi con le questioni della tecnica, del metodo e dell’oggettività. Si tratta di accenni polemici che egli non discuterà a fondo e dettagliatamente ma che ci consentono di comprendere quanto fosse viva in lui la consapevolezza del declino di una visione globale dell’uomo e dell’emergere del disancoramento dalla realtà che le scienze naturali cercano di ridurre ma che al contrario contribuiscono ad espandere a dismisura: “qui nelle scienze singole naturali, nelle quali l’uomo crede di raggiungere l’obiettività, appare più chiaro che altrove il disancoramento dell’uomo”204. L’approccio scientifico è per Grassi responsabile di quella trasmutazione del mondo vero in favola, di una de-realizzazione del reale, in seguito alla quale la realtà, la dimensione dell’oggettivo svaniscono, divenendo un’astratta costruzione: “la realtà che invece mediano le scienze naturali è un’astratta costruzione in quanto il risultato di un interrogare la realtà fenomenica in funzione a principi presupposti”205. Accanto a questa ricerca tecnico-scientifica dei principi c’è la ricerca filosofica che dischiude il tempo umano, il suo mondo storico, in cui motivi etici, politici ed etico religiosi si intrecciano indissolubilmente in quel contesto originario, nella dimensione pre-teoretica e pre-categoriale che l’analisi sulla Lichtung mette in luce. II.! IV. La pars construens del discorso grassiano: il lascito heideggeriano A questo punto abbiamo messo insieme una serie premesse teoriche che ci consentono di uscire dall’impasse in cui il coacervo delle interpretazioni analizzate da Grassi ci aveva condotti: esaminate !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 203 Id., Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, in AA. VV, Umanesimo e scienza politica. Atti del convegno internazionale di studi umanistici, a cura di E. Castelli, Roma- Firenze 1949, p. 202. 204 Ibidem. 205 Ibidem.  ! 71!  tutte le posizioni critiche rispetto alla tradizione storica dell’umanesimo italiano ci è consentito ora di individuare il nucleo attorno al quale la ricostruzione del suo senso autentico diviene possibile. Il percorso onto-antropo-logico di Grassi staziona a lungo presso il concetto di Lichtung, e non si tratta di un semplice omaggio al maestro dei “mitici anni friburghesi”. La co-appartenenza di umanesimo e Lichtung è fondativa della prospettiva onto-antropo-logica e costituisce, secondo il nostro punto di vista, il plesso teorico cardine su cui si innestano le riflessioni che successivamente avremo modo di analizzare: quella sull’ingegno e la fantasia; quella sulla metafora e la retorica. Prima di sciogliere i nodi del pensiero grassiano della Lichtung ripercorriamo brevemente la storia heideggeriana di questo concetto, ciò ci consentirà di mettere a fuoco lo sfondo su cui si staglia la particolare declinazione che della Lichtung offre Grassi. II. V La Lichtung in Heidegger Come ha sottolineato Amoroso quello della Lichtung heideggeriana è un esempio di etimologia per antifrasi come il latino lucus a non lucendo, dove il lucus, il boschetto sacro, viene fatto derivare per antifrasi da lucere, perché esso ha poca luce. La Lichtung ha tre rimandi principali: al luminoso (Licht e lux), all’oscuro (lucus), e al leggero (Leicht). Con il termine Lichtung non ci riferiamo ad una espressione metaforica per indicare ciò che si sottrae all’espressione razionale: siamo di fronte ad un fenomeno di base di cui fanno parte i domini spaziali e temporali dell’uomo e la sua capacità di creare corrispondenze ontologiche. Nel pensiero di Heidegger la concettualizzazione filosofica della Lichtung206 si dipana nell’arco di più di 35 anni di speculazione filosofica: dal ’27, anno di pubblicazione di Essere e Tempo al ’62, anno di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 206 Resta ancora aperta tra i critici la questione di una possibile traduzione efficace del termine che conservi il senso filosofico originario senza andarne a ledere le relazioni morfologiche e foniche. Sono note le riserve etimologiche addotte da Cicero circa la traduzione di Lichtung con radura, che non renderebbe né l’affinità fonica e verbale con lux e Licht, né quella speculativa di orizzonte inapparente di ogni apparenza ontica. Altri modi di traduzione italiana come è noto sono quelli di Chiodi che traduce con illuminazione; di Caracciolo che rende con radura-luminosa; la traduzione di Vattimo è apertura-slargo; quella di Mazzarella e Volpi è radura; Amoroso traduce con luco; Marini con chiarita; Cicero usa il verbo lucare. Cfr., per una ricostruzione dei molteplici significati del termine Lichtung il fondamentale studio di L. Amoroso, Lichtung. Leggere Heidegger, Rosenberg&Sellier, Torino 1993. Per una ricostruzione etimologica dettagliata rimando a V. Cicero, Parole fondamentali di Heidegger ricorrenti in pensare e poetare, pp. 195-230, in M. Heidegger, Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare, tr. it. di V. Cicero, Bompiani, Milano 2010. Mi permetto di rinviare al mio Saggio sulla Lichtungsgeschichte in M. Heidegger, pp. 33-67, in “Atti dell’Accademia di scienze morali e politiche”, Giannini, Napoli 2015.  ! 72!  pubblicazione di Tempo ed Essere, e oltre. Le sue molteplici “apparizioni testuali” hanno sensi e significati di volta in volta diversi, ma sempre interconnessi e riferiti alla problematica della ostensione della correlazione e coestensione di Da-Sein, Sein, e aletheia. Tale correlazione se nella prima fase di pensiero del filosofo è pensata più a partire dall’esserci e dall’analitica esistenziale, nella fase tarda, invece, è tematizzata a partire dal legame stesso, da quel plan di cui si asserisce l’identità con l’essere, come possiamo leggere a partire da Lettera sull’umanismo207. La Lichtung heideggeriana ha una articolazione pentavalente: (i) Da- sein, (ii) arte, (iii) mondo-spazio, (iv) verità e (v) nulla sono i poli con i quali la Lichtung si converte di volta in volta. (i) Nell’opera del ‘27 la Lichtung appare come Da-sein nel senso di Erschlossenheit208 con evidente correlazione all’immagine classica del lumen naturale, dunque alla luce. La caratteristica della non-chiusura o dell’apertura è correlata all’esserci e alle sue note distintive: la spazialità propria dell’esserci e la sua gettatezza intramondana – benchè si tratti di un’intramondanità trascendente in quanto l’uomo non sta mai al modo dell’ente semplicemente-presente ma esiste, è esposto alla radura dell’essere. Inoltre, l’Erschlossenheit è convertibile con l’ἀληθεύειν, perché ha una connotazione duale: aprente e aperta, distinguendosi, pertanto, dalla Entdecktheit, che contrassegna l’ente difforme dall’esserci. La semplice presenza ha come nota caratteristica quella di essere uno svelato che non può aprire un mondo di significati ma che si trova già sempre immerso in una totalità di appagatività. L’esserci, invece, ha una capacità di apertura che lo rende quell’essere che può scoprire, mentre la semplice-presenza è l’ente che può essere scoperto. Si tratta di comprendere il denso senso del Da-sein, che esprime sia il riferimento dell’essere all’essenza dell’uomo, sia il rapporto essenziale dell’uomo con l’apertura (il ci) dell’essere come tale. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 207 “Se invece si pensa come in Sein und Zeit, si dovrebbe dire: prècisèment nous sommes sur un plan où il ya principalment l’Etre. Ma da dove proviene e che cos’è le plan? L’Etre e le plan sono lo stesso”, M. Heidegger, Lettera sull’umanismo, cit., pp. 61-62. 208 L’Erschlossenheit fa la sua comparsa al § 28: “qui e là sono possibili solo in un “Ci”, cioè solo se esiste un ente che, in quanto essere del Ci, ha aperto la spazialità. Nel suo essere più proprio questo ente ha il carattere della non chiusura. L’espressione “Ci” significa appunto questa apertura essenziale. Attraverso essa, questo ente (l’Esserci) “Ci” è per se stesso in una con l’esser-ci del mondo [...] che esso sia illuminato significa che è in se stesso aperto nella radura in quanto essere-nel-mondo, cioè non mediante un altro ente, ma in modo che esso stesso è la radura”, M. Heidegger, Essere e Tempo, tr. it., a cura di, Longanesi, Milano, p. 165.  ! 73!  (ii) La relazione tra Lichtung e arte emerge in L’origine dell’opera d’arte. Qui il termine radura è declinato come Offenheit209, come luogo aperto e possibilità stessa dei fenomeni. In quanto apertura essa è quell’accadere non solo del diradarsi ma anche del trattenere, dello svelamento e del nascondimento come si evince dalle pagine sulla lotta tra Welt e Erde o tra luogo e contrada in L’arte e lo spazio. L’arte ci conduce sul sentiero della verità, essa anzi è la messa in opera della verità dell’ente, il suo accadere e stanziarsi. Così viene declinata l’innovazione ontologica di cui è foriera l’opera d’arte: “l’opera d’arte, nel modo che le è proprio, fa insorger l’essere dell’ente. Nell’opera accade questo far insorgere, ossia: la verità [...] l’arte è il mettersi in opera della verità”210. Ciò che insorge è la dimensione ontologica della Lichtung quale contesto originario di senso. (iii) L’idea di Lichtung come mondo si collega al principio di manifestatività, ed è frutto della coniugazione della problematica trascendentale e della dottrina del mondo. L’io trascendentale e il soggetto mondano risultano coincidenti. Tale sovrapposizione tenta di superare l’incapsulamento del mondo nella coscienza e di dare risalto ad una idea di mondo come vero e proprio donatore di senso, come originaria dimensione costituente. Ciò che consente agli enti di manifestarsi va rintracciato nelle strutture della mondità e non in quelle del soggetto. Afferma il filosofo tedesco che “in Essere e Tempo la “cosa” non ha più il suo luogo nella coscienza, ma nel mondo”211, e ciò perché il mondo è la condizione di possibilità dell’esperienza, cioè, del rapportarsi dell’esserci all’ente212, costituendo l’accessibilità dell’ente. Sappiamo dall’analitica esistenziale che la spazialità dell’esserci è possibile solo sul fondamento dell’in-essere, insomma non è riconducibile all’ordinaria nozione dello spazio !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 209 Il termine Offenheit è impiegato soprattutto in riferimento al mondo e alla Lichtung. L’essere aperto e al contempo aprente contraddistingue la Welt come welten, come farsi-mondo. Il mondo, infatti, come l’opera d’arte è innanzitutto Stiftung: istituzione, donazione e fondazione le quali aprono alla dimensione dell’apparire dell’ente, facendo sì che l’ente “insorga” in quanto essente, assurgendo a dimensione della donazione di senso. 210 Id., L’origine dell’opera d’arte, p. 51. 211 Id., Seminari, tr. it. Di M. Bonola, a cura di F. Volpi, Milano, Adelphi, 1992, p. 158. 212 Cfr., V. Vitiello, Heidegger: il nulla e la fondazione della storicità. Dalla Überwindung der Metaphysik alla Daseinsanalyse, Urbino, Argalia, 1976.  ! 74!  omogeneo naturale213. Inoltre, risulta impraticabile la deduzione dello spazio dal tempo, poiché spazio e tempo sono fenomeni originari, anzi, cooriginari. Essi costituiscono quello Zeit-Raum di cui si parla in Tempo e Essere in relazione all’evento, all’eventuarsi dell’essere, al suo destinarsi storicamente, al suo essenziarsi aletico. Il concetto di spazio come lasciare e concedere spazio, mondo e soggiorno è strettamente connesso al concetto di Lichtung che dirada il luogo di ogni manifestatività e presenza, ma anche il luogo di ogni assenza e oscurità, l’aperto per tutto ciò che è presente o assente. (iv) Il legame di Lichtung e verità si pone con forza in un suggestivo paragrafo di Essere e Tempo, che reca il significativo titolo di Esserci, apertura e verità214. Qui Heidegger afferma che un’asserzione è vera innanzitutto perché è apofantica, ossia è manifestazione dell’ente215. Nell’ambito dell’analitica esistenziale la verità è connessa ad un concetto di Lichtung da intendere, sia, come Offenstandigkeit (come uno stare aperto da parte dell’uomo), sia, come Offenbarkeit (esser- manifesto da parte dell’ente). La grande sfida che si apre alla riflessione del filosofo tedesco è quella di portare al linguaggio quello sfondo sul quale si staglia la stessa manifestatività come tale. Si tratta di quel fondo nascosto e oscuro su cui si pone la luminosità del manifesto e a partire dal quale possiamo comprendere il discorso sulla non-essenza della verità. Preminente secondo Heidegger nella dottrina del vero è l’Anwesung, l’atto del presentarsi della cosa, e non il Wassein, il contenuto essenziale. E proprio tale separazione tra il contenuto dell’apparire e l’orizzonte dello stesso ha generato per il filosofo tedesco quel “riferimento al vedere, all’apprensione, al pensare e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 213 Ma soprattutto dall’analitica sappiamo che la spazialità è possibile solo sul fondamento della temporalità. Nel noto § 70 di Essere e Tempo lo spazio sembra emergere in netta subordinazione al tempo, alla temporalità estatico-orizzontale, che sola rende possibile l’entrata dell’esserci nello spazio. Successivamente, è lo stesso Heidegger ad avvertire l’impossibilità di continuare a sostenere la posizione espressa in Essere e Tempo: “il tentativo di ricondurre la spazialità dell’esserci alla temporalità compiuto nel § 70 di Essere e Tempo non è più sostenibile”, M. Heidegger, Tempo e essere, cit., p. 30. Anche nelle dieci conferenze tenute a Kassel del 1925 Heidegger afferma nel contesto della disamina di “ciò che è vivo e ciò che è morto” del pensiero diltheyano che «lo spazio del mondo ambiente non è quello della della geometria. Esso è essenzialmente determinato dai momenti usuali della vicinanza e della lontananza [...] non ha dunque la struttura omogenea dello spazio geometrico», Id., Il lavoro di ricerca di Wilhelm Dilthey e l’attuale lotta per una visione storica del mondo, cit., pp. 34-35. 214 Il riferimento è al § 44 di Essere e Tempo. 215 Ivi, pp. 264-265.  ! 75!  all’asserire”216 della verità che è caduta sotto il giogo dell’idea, con il conseguente mutamento della verità in orthotes. (v) L’altro concetto fondamentale intrinsecamente connesso a quello di Lichtung è quello di nulla, di cui Heidegger parla soprattutto in Che cos’è metafisica?. Qui il nihil è contraddistinto da una peculiare relatività e rivelatività. Lichtung e Nichtung divengono sinonimi perché la peculiare funzione di diradamento della prima, e il ruolo di annientamento della seconda, vigono entrambi nell’ente e nella sua luminosità, consentendo ad esso di apparire. Lichtung e Nichtung costituiscono quella “notte chiara” in cui l’ente appare e il mondo diviene mondo. Nondimeno, radura e nulla non vengono alla luce alla stregua dell’ente, ma si annunciano in quella differenza nei confronti dell’ente che appare217. In conclusione di questa incursione nella teoria della Lichtung heideggeriana possiamo dare per acquisito che essa si pone come l’inapparente fonte di ogni apparenza ontica. Si tratta del mero “che c’è”, del fatto, dell’evento. Ma un pensiero così originario, che nel suo regressus verso l’inizio retrocede verso un indisponibile e pre-teoretico darsi può ancora edificare? Su quali fondamenta e a quale scopo? Quale telos l’“uomo della radura” può porsi e come può orientarsi? !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 216 Id., La dottrina platonica della verità, in Id., Segnavia, a cura di F. W. Von Hermann e F. Volpi, Milano, Adelphi, p. 192 217 Se in Essere e Tempo il discorso si dipana su un piano che è più strettamente analitico-esistenziale, nella prolusione Che cos’è metafisica (1929) la questione si pone sul terreno ontologico. Qui il discorso sull’angoscia si inserisce nella cornice tematica del rapporto tra essere e nulla. In questo caso ad attirare l’attenzione non è tanto l’Unheimlichkeit – l’esperienza dello spaesamento – propria dell’angoscia, quanto l’esperienza di Seinsoffenheit – di apertura dell’essere – della stessa: «solo nella notte chiara del niente dell’angoscia sorge quell’originaria apertura dell’ente come tale [...] il niente è ciò che rende possibile l’evidenza dell’ente come tale per l’esserci umano”, M. Heidegger, Che cos’è metafisica, in Id., Segnavia, cit., pp. 70-71.  ! 76!  II. VI. Lichtung, umanesimo, metafisica: la proposta grassiana Queste sono le sfide che il pensiero heideggeriano pone e che Grassi rimedita in modo originale coniugando Lichtung e umanesimo. In quell’umanesimo in cui Heidegger intravedeva un pericolo per l’esperienza autentica dell’originario Grassi individua una possibilità, anzi la possibilità, la scommessa del filosofare noetico-non metafisico da sempre bandito dalla riflessione formale e razionalistica. Afferma il filoso italiano in La metafora inaudita, nel contesto dell’analisi del linguaggio e del pensiero razionalmente intesi, che “qualsiasi umanesimo – nel contesto suddetto – che tenti di trascendere il pensiero formale tenendo conto dei problemi della vita e dell’uomo, deve essere escluso e con esso ogni elemento patetico, proprio del linguaggio poetico o retorico. Il linguaggio razionale e scientifico deve necessariamente prescindere dalle passioni dell’uomo; il suo ideale è quello matematico e il legame del mondo umano con la razionalità genera il terrore di cadere nel soggettivismo, nell’arbitrarietà”218. Per il filosofo italiano occorre compiere un movimento inverso a questa prospettiva e la riflessione sul tema heideggeriano della Lichtung, connesso all’articolazione umanistica e vichiana del concetto, rappresenta un tentativo di costruire un nuovo accesso al mondo umano. Per Grassi quello compiuto da Heidegger è un regressus, un movimento di retrocessione dal dato al darsi, che tuttavia si arresta all’Es gibt, all’evento in cui l’esserci è gettato. Nella Lichtung riecheggia quel φύειν greco, quel generarsi, prodursi, sbocciare, portare a manifestazione, quell’essere che l’uomo può contemplare, al cospetto del quale sente la meraviglia e su cui non ha potere. Si tratta del mondo nel quale ci si sente situati, immersi in una tradizione e in una pre-comprensione, forme, queste, di mediazione che ci immettono immediatamente nel mondo, in quella modalità linguistica che induce il filosofo a parlare del linguaggio come casa dell’essere. Urge tuttavia ripensare l’idea ereditata dal maestro intraprendendo una analisi teoretica e storica delle prospettive degli antesignani della teoria della Lichtung che infine approda ad una prospettiva metaforologica originale che coniuga l’analisi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 218 E. Grassi, La metafora inaudita, cit., p. 11. ! 77!   della metafora come espressione metaforica con quella della metafora come fenomeno globale di tipo cognitivo innanzitutto e secondariamente linguistico. Nel contesto della Lichtungsgeschichte di Grassi emergono in primo piano i temi del non- nascondimento – la verità come aletheia – e della physis. In Heidegger e il Problema dell’umanesimo219 dopo aver affrontato l’analisi del concetto heideggeriano di Lichtung, di Unverborgenheit e di φαινεσθαι, Grassi afferma che “uno dei problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì la questione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo mondo [...] questi problemi non sono trattati dal pensiero umanistico mediante un confronto logico speculativo con la metafisica tradizionale, ma piuttosto in termini di analisi e di interpretazione del linguaggio”220. Da questo passo emerge la precisa declinazione che Grassi conferisce a tale idea: si tratta di una declinazione ontologica perché il problema che la Lichtung heideggeriana pone è, come abbiamo visto, quello del fenomeno di base dell’evento, della manifestatività, dell’esistenza e dell’appello dell’essere al quale è chiamato l’uomo. Ma allo stesso tempo emerge anche una nota linguistica perché l’appello dell’essere che avviene nella dimensione della Lichtung coinvolge innanzitutto il mondo linguistico dell’uomo. Inoltre, Grassi rimarca più volte la retrodatazione della concettualizzazione della Lichtung: interpretata come riflessione sull’evento originario del rapporto uomo-essere la Lichtung compare già nelle riflessioni umanistiche, soprattutto in quelle che riguardano il linguaggio. L’idea di Lichtung che Ortega y Gasset, il collega di corso di Grassi durante gli “anni mitici di Friburgo”221 faceva risalire al 1914222, in realtà è molto più antica per Grassi: precede Heidegger e Ortega di secoli. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 219 Id., Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., pp. 20-21. 220 Ivi, p. 26. I corsivi sono nostri. 221 Id., La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale, cit., p. 21. 222 Ortega ha sempre rivendicato la priorità, rispetto a Heidegger, di alcune intuizioni filosofiche fondamentali: “Ci sono appena uno o due concetti importanti di Heidegger che non siano preesistenti, talvolta con un’anteriorità di tredici anni, nei miei libri”, Ortega y Gasset, Lettera a un tedesco (1932), in Id., Goethe, tr. it. di A. Benvenuti, Medusa, Milano 2003, pp. 15-48: p. 47, nota 2. I concetti sui quali Ortega, stando alla sua autointerpretazione, si sarebbe espresso con anticipo rispetto ad Heidegger sono quelli di essere, verità, cura e lingua. Per una analisi approfondita dei concetti ora ricordati rimando a G. D’acunto, Ortega critico di Heidegger, pp. 67-78, in “Studi interculturali”, 1/2015 Trieste. Vorremmo richiamare all’attenzione i passi orteghiani del 1914 in cui si dice sia prefigurato il concetto heideggeriano di Lichtung, ! 78!   Secondo il filosofo milanese, infatti, il problema della radura risale alle riflessioni dell’umanesimo italiano: “già dagli inizi degli studi umanistici un secolo fa, con Burckhardt e Voigt, fino a Cassirer, Gentile e Garin, gli studiosi hanno costantemente individuato l’essenza dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e dei suoi valori immanenti. Questa interpretazione, largamente diffusa, è la ragione per cui Heidegger [...] si è insistentemente impegnato in polemiche contro l’umanesimo, considerato alla stregua di un ingenuo antropomorfismo. E tuttavia uno dei !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! reso con la metafora della radura nel bosco, e che esprime al contempo l’idea di verità come αληθεια e non nascondimento. Ortega, già nel 1914, affermava che: “la verità è caratterizzata da una pura illuminazione subitanea che possiede, però, solo nell’istante in cui viene scoperta. Per questo il suo nome greco, aletheia – che in origine ebbe lo stesso significato della parola più tarda apocalipsis –, vuol dire scoperta, rivelazione, o meglio, svelamento, toglimento di un velo”, J. Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte e altri saggi, tr. it. a cura di G. Cacciatore e M. L. Mollo, Guida, Napoli 2016, p. 68. In Ortega, dunque, sarebbe presente quella metaforica presente anche in Heidegger: la radura nel bosco (Lichtung), intesa come il luogo in cui si apre lo spazio che lascia entrare la luce e la fa giocare con l’oscurità. Secondo Ortega “il bosco è una natura invisibile – per questo in tutte le lingue il suo nome conserva un alone di mistero [...] il bosco sfugge allo sguardo [...] il bosco è sempre un po’ più in là del luogo in cui siamo [...] Ciò che del bosco si trova davanti a noi in modo immediato è solo un pretesto affinché il resto rimanga nascosto e distante”, ivi, p. 62-63. Vorremmo sottolineare come l’importanza della metafora in Ortega non sia legata solo alla sua notevole capacità di espressione letteraria, a quella volontà di stile mai disgiunta da una chiara coscienza linguistica, ma abbia una radice filosofica molto forte nell’estetica del pensatore. In Ortega y Gasset bisogna guardare tra le pieghe di testi quali Renàn, Ensayo de estètica a manera de pròlogo, Las dos grandes metàforas, La deshumanizaciòn dela rte per rintracciare un’analisi della metafora che travalichi l’ambito pittorico e letterario e mostri una componente filosofico-conoscitiva e una costante preoccupazione antropologica e non solo estetico-ornamentale della metafora. Questa preoccupazione antropologica si materializza come è noto nella bella immagine del naufrago a cui la cultura viene in soccorso come una “zattera”: “la vita è in se stessa e sempre un naufragio. Naufragare non è affogare. Il povero essere umano, accorgendosi di affogare negli abissi, agita le braccia per mantenersi a galla. Questo agitare le braccia, con cui egli reagisce al suo smarrimento, è la cultura: un movimento natatorio. Quando la cultura è soltanto questo, essa compie la sua funzione e l’essere umano riemerge dal suo stesso abisso”, J. Ortega y Gasset, Goethe dal di dentro, in Id., Meditazioni sulla felicità, tr. it., di C. Rocco e A. Lozano Maneiro, Sugarco, Gallarate, 1994, p. 193. Spostandoci da una “pragmatica metaforica” orteghiana ad una “teoria sulla metafora” sarà possibile constatare che il tema della metafora svolge una funzione fondamentale nell’economia del pensiero orteghiano e umano in generale, poiché tenta di ancorare il linguaggio alle radici che lo generano. Come leggiamo nelle pagine di La disumanizzazione dell’arte “ecco così un “tropo” di azione, una metafora elementare anteriore all’immagine verbale e che si genera nell’ansia di evitare o eludere la realtà. [...] Ecco l’elusione metaforica”. J. Ortega y Gasset, La disumanizzazione dell’arte, tr. it. di S. Battaglia, Sossella, Roma 2005, p. 45. Per il filosofo spagnolo il logos stesso è un’operazione metaforica: “il logos stesso è un’espressione metaforica [...] così, se quanto diciamo non coincide esattamente con quanto pensiamo, si deve intendere che perlomeno lo suggerisce. E tale dire che è suggerire è la metafora”, J. Ortega y Gasset, La disumanizzazione dell’arte, cit., p. 46. Cfr., G. Cacciatore, Sulla filosofia spagnola. Saggi e ricerche, Mulino, Bologna 2013 soprattutto il saggio “La zattera della cultura. Filosofia e crisi in Ortega y Gasset”, pp. 47-77; G. Cacciatore-A. Mascolo (a cura di), La vocazione dell’arciere. Prospettive critiche sul pensiero di J. Ortega y Gasset, Moretti e Vitali, Bergamo 2012; F. J. Martìn, Teoria del linguaggio e linguaggio ingegnoso in Ortega y Gasset, pp. 313-327, in F. Ratto-G. Patella (a cura di), Simbolo, metafora e linguaggio nella elaborazione filosofico- scientifica e giuridico-politica, Sestante 2000; G. D’Acunto, Ortega y Gasset: La metafora come parola esecutiva, pp. 39-51, in “Studi interculturali”, n. 2, 2014; F. Cambi, La pedagogia e la Bildung in Ortega, in F. Cambi, A. Bugliani, A. Mariani, Ortega y Gasset e la Bildung. Studi critici, Unicopli, Milano 2007, pp. 13-66; G. Cacciatore-C. Cantillo (a cura di) Omaggio a Ortega, Guida, Napoli 2016; mi permetto di rinviare al mio Un intellettuale di vocazione. A proposito di La vocazione dell’arciere. Prospettive critiche sul pensiero di Ortega y Gasset, pp. 230-243 in “Studi interculturali”, Trieste 2014; G. Ferracuti, Il punto di vista crea il panorama: molteplicità di sguardi e interpretazioni in Ortega y Gasset, pp. 96-118, in “Studi Interculturali”, Trieste 2015.  ! 79!  problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo bensì la questione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo mondo”223. L’apertura originaria, definita altrove come l’ursprünglich Rahmen224, al centro delle speculazioni umanistiche coinvolge i temi del linguaggio, della correlazione tra cosa e pensiero. Oltre all’approccio logico al nesso tra cosa e pensiero per Grassi abbiamo una tradizione che si preoccupa del manifestarsi storico dell’ente attraverso il linguaggio, dell’eventuarsi dell’essere in quel rapporto di co-estensione ineludibile di essere-pensiero-linguaggio. Ma che cos’è il logos per Grassi? Può ridursi sic et simpliciter all’ambito della razionalità, del concettuale, del deducibile? Si tratta unicamente di una polarità irrimediabilmente antitetica al pathos? Ma soprattutto in che relazione è l’idea di logos con quella di Lichtung? Come vedremo nel prossimo capitolo in maniera più dettagliata occorre analizzare i molteplici significati di logos offerti da Grassi e connetterli con le questioni dell’apparire e della passione dell’originario per meglio comprendere il significato della Lichtung nel pensiero del filosofo italiano al di là dell’ipotesi dualista225. Vorremmo anticipare che nel saggio del 1936 Il problema del logo il filosofo milanese sembra proporre un’idea di logos completamente opposta alle tesi mature. Ma si tratta di una contraddizione solo apparente come vedremo poiché l’idea di logos è inteso in maniera complessa. Ad apparire problematiche sono le affermazioni del periodo a difficilmente compatibili con quelle del periodo b. -! a: “l’originario atto della differenza ontologica non è la distinzione di enti precedentemente dati, bensì l’originario rendere possibile la manifestazione di una molteplicità in cui concretamente ci si trova e nella quale ci si delimita. Così il fondamentale carattere della concretezza, cioè il trovarsi in mezzo ad una molteplicità [...] !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 223 E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 26. 224 Ibidem. Cfr., anche la versione tedesca Die Macht der Phantasie. Zur Geschichte abendländlichen Denkens, Athenäum, Königstein, 1979, p. 240. 225 Parla di ipotesi dualista M. Marassi, Ernesto Grassi e l’esperienza del fine, in AA. VV., Un filosofo europeo. Ernesto Grassi, cit., p. 10. Completamente opposto è il giudizio di Rita Messori che sostiene con fondamento la coappartenenza di logos e pathos. Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e umanesimo nel pensiero di E. Grassi, cit., soprattutto le pp. 66-84.  ! 80!  è radicato nella differenza ontologica, col che si conferma la nostra originaria tesi della precedenza del logo. La Stimmung, il sentimento, si fonda dunque nella trascendenza, nella differenza ontologica. Il sentimento non è un momento alogico o prelogico, bensì un particolare modo del leghein”226. -! b: “il termine retorico” – che in Grassi indica l’ambito di progettazione del pathos – “assume un significato essenzialmente nuovo; retorica non è, né può essere l’arte, la tecnica di una persuasione estrinseca; è piuttosto il discorso che costituisce la base del pensiero razionale”227. Come conciliare allora il periodo a -! “si conferma la nostra originaria tesi della precedenza del logo [...] il sentimento non è un momento alogico o prelogico, bensì un particolare modo del leghein” con il periodo b? -! “retorica è piuttosto il discorso che costituisce la base del pensiero razionale” Grassi stesso avverte durante tutto il suo iter di pensiero la necessità di una ricomposizione di queste due vie del filosofare tanto che giunge ad affermare che le analisi svolte sull’umanesimo sono da concepire come “uno sforzo per gettare un ponte tra logos e pathos”228. A questo punto si impongono una serie di osservazioni: Grassi non parla in maniera univoca di logos – così come non parlerà in maniera univoca di retorica – anzi, individua due logoi differenti, o meglio due forme di logos: una disgiunta dal pathos, l’altra radicata nel pathos. Ed è proprio sull’opposizione tra un logo inteso secondo una modalità logico-formale e un logo intrinsecamente legato alla dimensione patica che si può comprendere il suo pensiero. Abbiamo un significato di logos da interpretare come “processo del manifestarsi”, in cui si sperimenta un nuovo rapporto di essere e nulla, un nuovo concetto di identità che non si fonda sulla logica del pensato ma sulla logica del pensare, dell’atto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 226 E. Grassi., Il problema del logo, cit., p. 403. I corsivi sono nostri. 227 Id., Retorica e filosofia, pubblicato in “Philosophy and Rhetoric, IX, 1976, The Pennsylvania State University Press, ora in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 97. I corsivi sono nostri. 228 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 170.  ! 81!  pensante, che porta a manifestazione. La lezione heideggeriana di L’essenza del fondamento e di Che cos’è metafisica coniugata a quella gentiliana della Logica è evidente. Grassi intuisce la convergenza tra l’atto immanente di Gentile e la trascendenza del Dasein radicata nell’ontologia dell’essere e forte di questo connubio è in grado di porre il vero problema che potremmo definire autenticamente fenomenologico229. La questione che la Lichtung e il nesso logos-pathos pongono in primo piano è quella dell’individuazione delle vie di accesso all’originario, all’atto fondativo del reale. Come poter dire e vedere l’inizio, il primo in cui accade la differenza ontologica tra essere ed ente, tra il puro apparire e ciò che appare? Come esperire la Lichtung, il coappartenersi di uomo-essere-linguaggio? Se da un punto di vista teorico l’approccio al tema della Lichtung risulta connesso strettamente ai temi della manifestatività e dell’essere, al nesso logos-pathos (poiché l’analisi della Lichtung significa una analisi della manifestatività dell’essere), da un punto di vista storico-filosofico una connessione molto interessante risulta essere quella istituita d Grassi tra la Lichtung heideggeriana e le luci vichiane. Si profila allora una questione ben più complessa della secca alternativa tra logos e pathos. L’intima coappartenenza del momento patico e di quello logico determina la forma della manifestatività. Il tema dell’apparire su cui ci concentreremo nel terzo capitolo è fondamentale per Grassi e mostra quanto la problematica della Lichtung (espressa in modo esplicito negli anni della maturità), sia già presente nella produzione giovanile riguardante i temi dell’essere, dell’apparire, della manifestatività e dell’esperienza patica dell’originario. II. VII. Lichtung e lucus Come abbiamo sottolineato in precedenza Heidegger rappresenta un punto di riferimento centrale all’interno della prospettiva grassiana, sia per quanto riguarda il valore della parola poetica !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 229 Analizzeremo in modo approfondito questo aspetto nel prossimo capitolo.  ! 82!  come linguaggio originario, sia per il parallelismo istituito tra la Lichtung e le luci vichiane230. Contro l’impostazione heideggeriana dell’umanismo come metafisica dell’ente uomo Grassi – a sua volta con categorie ermeneutiche mutuate dal maestro – individua un’anti-metafisica nelle riflessioni retoriche degli umanisti. In questo percorso di riabilitazione del pensiero retorico231 latino Vico risulta essere una tappa fondamentale. Leggiamo in Heidegger e il problema dell’umanesimo che “il problema della verità logica [...] deve essere sostituito dal problema molto più originario del disvelamento, dal problema della schiarita (aletheia) nella quale primariamente appare ciò che è, l’essente. Ciò assegna un nuovo compito alla filosofia: quello di sostenere il primato e l’originarietà del linguaggio poetico rispetto al linguaggio razionale; rammentiamo a questo proposito la spiegazione heideggeriana della Lichtung. La tesi di Heidegger ci riporta a quel pensatore del XVIII secolo con il quale la tradizione umanistica raggiunge la sua più profonda espressione e significanza filosofica: Giambattista Vico”232. In Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, la questione dell’apparire, della fantasia, del lavoro e della Lichtung è esplicitamente connessa con la figura dell’“ultimo umanista”: Vico. Grassi pone il seguente problema: “quando, come e dove compare per Vico l’esistenza umana come una nuova realtà rispetto alla natura biologica e vegetativa?”233. La risposta è individuata nella Lichtung. Il divenire uomo dell’uomo (e la conseguente comparsa del mondo, del cosmo dal caos originario) è un processo che parte dalla originaria estraneazione dell’uomo, intesa da Grassi come “angoscia originaria dello smarrirsi nella foresta primordiale”234 e, passando per le varie tappe storiche dello sviluppo antropologico, approda all’istituzione della comunità umana mediante la parola. Questa più che configurarsi come rispecchiamento dell’ente – in tal caso saremmo di fronte ad una teoria adeguativa della verità e del linguaggio ad essa connesso !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 230 Cfr., L. Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica, pp. 447-470, in AA. VV., Scritti in memoria di Ernesto Grassi, cit.; Id., Lichtung: leggere Heidegger, it.; J. M. Sevilla, Prolegòmenos para una crìtica de la razòn problemàtica. Motivos en Vico y Ortega, cit., pp. 146-173. 231 Cfr., Espillaque, op., cit. 232 Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 35. 233 E. Grassi, Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 251. 234 Ivi, p. 253.  ! 83!  – assurge ad atto istitutivo del reale, del mondo umano, mostrando una virtù onto-poietica. “Nella libera decisione di far luce nella foresta primordiale per fondare il primo luogo umano”235 Grassi rintraccia l’autentica caratura onto-antropo-logica del discorso vichiano. Infatti per Grassi la Scienza Nuova vichiana delinea il problema del disvelamento in cui appare l’uomo e il suo mondo e solo secondariamente affronta la questione della storicità e dell’antropologia. Soffermiamoci sul confronto tra la dottrina heideggeriana della Lichtung e la teoria vichiana delle luci. Nella Scienza Nuova appare la problematica principale del filosofo napoletano: quella del disvelamento del modo in cui sorgono l’uomo e il suo mondo attraverso l’interrelazione della parola poetica con lo spazio storico che tramite l’atto linguistico stesso si istituisce. L’affermazione grassiana fa perno sul passo vichiano della Scienza nuova in cui la teoria pre-heideggeriana della Lichtung comparirebbe. In Vico e l’umanesimo il tema della Lichtung è correlato a quello vichiano della “schiarita della foresta primordiale”236. Mettere insieme Vico e Heidegger segnatamente al tema della Lichtung è per Grassi un’operazione che ha come esito un esame della metafisica in generale e non solo di una metafora, per quanto importante, della filosofia occidentale. Si tratta di un aspetto di non secondaria importanza. Il gioco delle analogie tra Vico e Heidegger che possiamo ricostruire – come di fatto è stato ricostruito magistralmente da Amoroso237 –, per quanto interessante, rischia di rimanere molto generico se non calato in un orizzonte teorico più ampio che fa interagire i due autori sul terreno della metafisica. Conscio della grande distanza che corre tra il tentativo vichiano di una riforma della metafisica e di quello heideggeriano di un suo superamento, ma nondimeno consapevole della contrapposizione di entrambi alla “barbarie della riflessione” e ai trionfi della ratio, Grassi pone l’accento sul tema della Lichtung quale terreno di confronto tra due autori che alla ritematizzazione di un rapporto autentico-essere-uomo-linguaggio hanno dedicato gran parte delle proprie opere. La metafora che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 235 Ivi, p. 251. 236 Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 127. 237 Cfr., L. Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica, pp. 447-470, in AA. VV., Studi in memoria di E. Grassi, parzialmente modificato in Id., Nastri vichiani, ETS, Pisa 1997, pp. 99-122.  ! 84!  Grassi eredita dal maestro degli anni mitici di Friburgo, come abbiamo visto, declina la dimensione della luce con quella dell’oscurità e la stessa coappartenenza viene rintracciata in Vico. Ovviamente la metafisica della luce, che è a fondamento della scienza nuova, va intesa nel senso di un neoplatonismo cristianizzato. Nella metafisica del suo De Antiquissima Italorum sapientia Vico afferma che la chiarezza del vero è come quella della luce. Qui la luce vale come metafora della verità metafisica di Dio e delle sue idee, le forme che l’uomo può vedere solo nel contrasto. “Il vero metafisico è sommamente luminoso, non è racchiuso da alcun limite, e pertanto non lo si discerne con nessuna forma: e ciò perché è il principio infinito di tutte le forme, mentre le cose fisiche, opache, cioè formate e finite, son quelle in cui vediamo la luce del vero metafisico”238. L’alternanza di luminosità e opacità va quindi letta nel senso di un neoplatonismo cristianizzato e non come l’esempio di quell’impensato della tradizione occidentale contraddistinta da quell’oblio dell’essere di sapore heideggeriano. Perché dunque Grassi mette insieme Vico e Heidegger – che avrebbe definito Vico un appartenente alla costituzione onto-teo-logica della metafisica – su un tema che sembra segnare, invece, una distanza tra loro? La risposta è nel linguaggio poetico. Per entrambi gli autori – l’uno attento alla Provvidenza; l’altro al Geschick, quel destino che genera la storia, la Geschichte; l’uno sensibile al ruolo fondativo della poesia; l’altro alla valutazione del linguaggio poetico quale casa dell’essere – è significativo il tema della intima co-appartenenza di luce e oscurità nella analisi della genealogia del mondo umano. Secondo Grassi “l’unico pensatore che [...] avrebbe potuto aprire la comprensione per il pensiero di Vico sarebbe stato Heidegger”239 poiché la Lichtung heideggeriana è molto affine al tema del lucus vichiano. Entrambe le nozioni rientrano in un pensiero dell’origine storica del mondo dell’uomo che ha natura innanzitutto linguistica e poetica. Come leggiamo nella Scienza Nuova “le prime città, quali tutte si fondarono in campi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 238 G. B. Vico, p. 84, La metafisica del 1710, Introduzione, trad. commento di A. Corsano, Adriatica Editrice Bari 1966. Si tenga conto della funzione del raggio di luce della Dipintura che dall’occhio divino discende sulla figura femminile della metafisica e si rifrange su Omero, simbolo della poesia e della scoperta dei caratteri poetici, della sapienza poetica, la vera chiave maestra per intendere la nuova scienza quella antropologia delle origini del mondo umano e civile. Cfr., L. Amoroso, Vico, Heidegger e la metafisica cit., p. 115. 239 Grassi, Vico e l’umanesimo, p. 194.  ! 85!  colti, sursero con lo stare le famiglie lunga età ben ritirate e nascoste tra’ sagri orrori de’ boschi religiosi, i quali si truovano appo tutte le nazioni gentili antiche e, conl’idea comune a tutte, si dissero dalle genti latine “luci”, ch’erano “terre bruciate dentro il chiuso de’ boschi”240. Mosso dal convincimento di tale sorprendente convergenza di temi Grassi sottolinea come la dimensione di apertura del lucus vichiano analoga a quella della Lichtung heideggeriana mette in questione il tema dell’origine della storia, del linguaggio, della poesia e del sacro. Il Vico di Grassi, antropologo delle origini, avrebbe attribuito una centralità a quella dimensione linguistica, che oggi è divenuta quasi un luogo comune241. La ricerca antropologica che si diparte dalla analisi del contesto originario – la Lichtung/lucus – coinvolge la trattazione delle problematiche linguistiche che in Heidegger si modulano come riflessione sulla poesia e sull’etimologia e in Vico come etnologia e filologia. La poesia vichiana secondo Grassi è una mitopoiesi spontanea, nasce come risposta da parte dei primi uomini allo stato di necessità in cui si trovano e con essa assistiamo alla genesi del linguaggio, del mito, della religione, del diritto e della storia. La questione della Lichtung accomuna non solo Vico e Heidegger242, ma diversi umanisti che si sono interessati alla questione della radura, del contesto originario all’interno della disamina del valore della parola poetica. Se la questione della Lichtung aperta da Heidegger rimanda al problema dell’individuazione e dell’espressione del contesto primordiale e del fenomeno originario dell’antropo-poiesi allora la suggestione grassiana circa la possibilità di retrodatare la problematica della Lichtung all’epoca umanistica non sembra tanto peregrina. Secondo Grassi con Vico abbiamo un distacco dalla metafisica tradizionale razionalistica e la Scienza Nuova viene a costituire non una nuova teoria della storia o una scienza antropologica tout court ma la scienza “del disvelamento originario nel quale appare l’uomo”243. Chi volesse interpretare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 240 G. B. Vico, La Scienza Nuova, a cura di M. Sanna-V. Vitiello, Bompiani, Milano 2012, p. 795. 241 J. Trabant, La scienza nuova dei segni antichi. La sematologia in Vico, Laterza, Roma-Bari 1996. 242 E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit., pp. 115-117. 243 Ibidem.  ! 86!  il pensiero del napoletano come un’antropologia o una riflessione sulla storia sbaglierebbe poiché “il problema di Vico è quello del campo in cui l’uomo appare”244. La questione del contesto originario si declina in Vico come ricerca arcaica del “disvelamento della foresta primordiale” che altro non è che il problema del fondamento del mondo umano, identificato nei principi “universali ed eterni” che soggiacciono al divenire della storia. Nel passo vichiano prima ricordato il filosofo milanese individua numerosi punti di contatto con la teoria heideggeriana della Lichtung: l’utilizzo del termine luce; la spaesatezza e l’angoscia originaria dell’uomo primitivo; l’atto pratico di umanizzazione della natura. In questo “atto di disboscamento” viene collocato il punto di origine dell’umano e la fine del “divagamento ferino dentro la gran selva di questa terra”245. Il passaggio dal ferino all’umano, la transizione dall’uomo all’animale, mette in moto una potenza straordinaria che viene interiorizzata dalle menti primitive – i bestioni – che in tal modo umanizzati si avviano verso un percorso faticoso che va dalla barbarie agli ordini civili. Il significato della luce vichiana è infatti innanzitutto civile, politico e comunitario. Come sottolinea Carillo “il lucus diventa in Vico il primo locus, il primo luogo sottratto all’indeterminatezza dello spazio originario”246. Del termine vichiano luce Grassi mette in rilievo soprattutto la valenza di interruzione nella frequenza della selva. Come possiamo leggere in Vico, Marx e Heidegger (1983) “nel terrore che coglie l’uomo, nell’esperienza della sua alienazione dalla natura, questi crea e fonda il primo luogo umano nella storicità, il regno della fantasia e dell’ingegno”247. Nel bosco primordiale – in cui si fa esperienza dell’alterità della natura – l’uomo crea il luogo della storicità. Appare il tema del disvelamento e del disoccultamento come punto di partenza per una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 244 Id., Vico, Marx e Heidegger, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 182. 245 G. B. Vico, La Scienza Nuova, cit., p. 793. 246 G. Carillo, Vico. Origine e genealogia dell’ordine, Editoriale scientifica, 2000, p. 284. 247 E. Grassi, Vico, Marx e Heidegger, pp. 173-191, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 181.  ! 87!  ricerca dell’umanità delle origini che non ha solo il significato di indagine archeologica-filologica ma il senso di una ricerca fenomenologica sui presupposti del pensiero e sulla possibilità di uscire dalla metafisica. Il nesso Vico-Heidegger tematizzato da Grassi pone in luce che il concetto heideggeriano della schiarita, dell’apertura originale in cui gli esseri appaiono “coincideva con quello di Vico nella Scienza Nuova, in cui appare sorprendentemente il termine luce, come apertura nella foresta (schiarita nel bosco), il solo campo in cui gli esseri, la città, il tempio e l’uomo nella sua umanità, possono apparire”248. Proprio il riferimento al tema dell’apparire e del disvelamento mostrano la valenza fenomenologica dell’ipotesi interpretativa grassiana: il tema della Lichtung non è altro che la metafora pretesto per dare avvio ad un’indagine sulle forme del rivelarsi e dell’apparire della realtà. Al problema del reale, dell’apparire e della manifestatività, su cui ci soffermeremo nel prossimo capitolo, egli dedica il già citato Dell’apparire e dell’essere del 1933 in cui la manifestatività si costituisce non nella modalità della pura apparenza negativa, ma come luogo in cui l’uomo è colpito dal reale, ne risulta affetto, ne patisce la presenza non in una condizione di pura passività, bensì nell’ambito della sua capacità di progettazione e umanizzazione. L’originario pensiero vichiano del lucus diviene per Grassi un pensiero epocale poiché “la tesi fondamentale di Vico è che la metafisica non deve partire né da principi razionali né dal problema degli enti ma dalla parola che svela la storicità umana”249. L’epocalità della sua filosofia risiede nel suo carattere anti-razionalistico e fenomenologico. Il filosofo milanese afferma in G. B. Vico filosofo epocale che “la sua opera – quella di Vico – è una vera fenomenologia, una descrizione di come a poco a poco appaia (phainesthai) il reale umano”250. Pur non analizzando le numerose sfaccettature del termine lucus in Vico – luce civile; senso teologico del termine; nesso lux-lucus (luce/oscurità); lucus-delucare; Latium/latere251 – Grassi si !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 248 Ivi, p. 177. 249 Id., G. B. Vico filosofo epocale, pp. 193-211, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., pp. 194-195. 250 Ivi, p. 195. 251 Molto interessante risulta la ricostruzione etimologica di Latium da litibula. Leggiamo in De Constantia philologiae “donde il nome Latium (Latium unde dictum)? I Romani custodirono queste altre vestigia di una siffatta antichità. Dai ! 88!   sofferma sul senso ontologico-trascendentale del termine vichiano coniugando in maniera originale i temi heideggeriani e vichiani in una prospettiva che vuole essere l’occasione per un ripensamento della filosofia che riconosce la propria matrice fantastica, ingegnosa, mitica, poetica. Si tratta di un pensiero che passa “dalla metafisica degli enti a quella dell’agire, della prassi umana”252: per Grassi occorre partire dalla tematizzazione delle necessitates come fonti naturali dei mondi umani. Egli definisce l’ingegno – che non esclude mai il processo razionale – come teoria che “scopre ora e qui similitudini, connessioni, apre la premessa per un processo razionale, che deduce dalla scoperta inventiva le conseguenze e quindi costruisce un mondo”253. L’ingenium è allora l’originaria capacità di vedere il simile ed è la prima risposta a quelle necessità naturali alle quali l’uomo deve far fronte nel faticoso percorso di sopravvivenza e di civilizzazione. L’ingegno può essere comparato per la sua struttura dinamica e multifunzionale a quel processo che gli attuali studi sull’apprendimento !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! celati accoppiamenti degli eroi, per cui essi andavano in cerca di nascondigli (latibula) che offrivano i boschi venne la parola Lazio: perché di lì ebbe la sua prima origine quella gente”, G. B. Vico, Il diritto universale, in Opere giuridiche, introd. Di N. Badaloni, a cura di P. Cristofolini, Sansoni, Firenze 1974, p. 524. Un’altra connessione degna di nota è quella tra il termine lucus e l’occhio di Polifemo. Leggiamo in Dissertazioni che i giganti come Polifemo che “abitavano in spelonche sulle montagne [...] avevano un occhio solo. Ciò fu inventato da lucus. Infatti per osservare nei boschi da qualche parte il cielo al fine di prendere auspici, in qualche parte essi diedero la luce ai boschi e così è vero quello che insegnano i filologi che lucus è detto del luogo in cui non c’è luce; e tuttavia lucus fu chiamato così da lux, ossia da quella parte dove c’era la luce”, G. B. Vico, Dissertazioni, in Id., Opere giuridiche, cit., p. 830. Per ulteriori approfondimenti sui diversi significati etimologici del termine vichiano rimando a Gennaro Carillo in Vico. Origine e genealogia dell’ordine, cit., p. 284 e sgg. L’autore sottolinea come in relazione al termine lucus “la valenza privilegiata è quella di bosco sacro. Tuttavia in Vico questa valenza presuppone un lungo percorso disseminato, al solito, di suggestioni etimologizzanti. Esito di lucere, emettere luce, o di lucesco, venire alla luce, sorgere, il lucus vichiano è definibile come un’interruzione nella frequenza della selva. Aprire un lucus equivale ad aprire una falla, uno slargo, in un viluppo fittissimo che preclude la vista del cielo. É evidente il senso teologico-civile di questo diradare la selva per poter contemplare, attraverso uno spiraglio, il cielo onde interpretare i segni divini, ossia trarne gli auspici. In questo modo il lucus diventa in Vico il primo locus, il primo luogo sottratto all’indeterminatezza dello spazio originario [...] nel De Costantia philologiae il nesso tra lucus e lucere sortisce anche un effetto semantico opposto, denotando assenza di chiarore e visibilità [...] In quest’accezione in cui la derivazione di lucus dalla luce si ottiene per antifrasi la sacertà del bosco sacro deriva dal suo essere nascosto [...] di qui la possibilità di ricondurre il nome Latium alla latenza offerta dai boschi sacri ai primi abitatori della regione [...] nelle Dissertationes il lucus si combina alla descrizione dei Ciclopi omerici [...] l’occhio dei Ciclopi non è che la trasfigurazione poetica del delucare lucos, del far luce nel bosco diradandolo”. 252 Id., G. B. Vico filosofo epocale, cit., p. 204. 253 Ivi, p. 203.  ! 89!  definiscono come problem solving254: si parte da una condizione inizialmente critica: il problema, la necessitas; si approntano strategie di risoluzione: la risposta alle necessitates; si elabora un pensiero creativo che scalza la rigidità degli schemi cognitivi classici e mette in moto la creatività: fantasia/ingegno come facoltà intuitive e ricettive ma allo stesso tempo attive e creative. L’ingegno – altrove inteso da Grassi nella sua identità con il nous aristotelico255 – ha come suo primo prodotto il mito che, come vedremo nell’ultimo capitolo, “costituisce di volta in volta la storicità delle varie epoche”256. Il mito nel suo carattere sacrale e esemplare, come universale in funzione del quale “si determina il particolare sotto l’urgenza che segna il tempo”257, non è inteso solo come praxeos mimesis – racconto mitologico – ma come origine di un ordine linguistico che non ha natura razionale: si tratta del linguaggio fantastico che si condensa nella metafora. La struttura topica dell’ingenium, vichianamente concepito come arte “d’inventare, di trovare, di invenire”258, produce il mito e allo stesso tempo quella “locuzione poetica che nasce da necessità di natura”. Grassi sostiene che “se la poesia come attività ingegnosa è originaria forma per adeguare le necessità naturali scoprendo similitudini, è essa che trasforma il reale”259. Emerge da questo passo la vis plastica del logos che per Grassi non è astorico, razionale, ma sempre attento alle circumstantiae storiche. Allora si comprende come tale logos include al suo interno tutta una serie di elementi che non hanno mai trovato spazio all’interno della filosofia. Come possiamo leggere in La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale: “suoni, segni, atteggiamenti indicativi, semantici, anche il tacere, acquistano !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 254 Per un’analisi del problem solving cfr. il classico G. Polya, Come risolvere i problemi di matematica. Logica ed euristica nel metodo matematico, Feltrinelli, 1983. 255 Cfr., Significare arcaico, cit. 256 Id., G. B. Vico filosofo epocale, cit., p. 199. 257 Ibidem. 258 Ivi, p. 203. 259 Ivi, p. 206. Il corsivo è nostro.  ! 90!  significato esclusivamente nell’originario ambito dell’abissale che ci riguarda: fuori dell’appello tutto è silenzioso, indeterminato, oscuro come nella selva senza schiarita, senza radura, senza il palcoscenico per la storia”260. Solo attraverso la prassi – sia essa linguistico-metaforica; mitico- politica; pratico-poietica – sorge il mondo, l’Umwelt diviene Welt e si compie quella Menschwerdung faticosa e incidentata che dall’indeterminato della ingens sylva trae fuori spazi e tempi di determinazione. II. VIII- L’essere dalla Gelassenheit all’Arbeit Proprio lo slittamento dalla passività all’attività insita nell’esperienza umana dell’essere e del contesto originario – la Lichtung – spinge Grassi a definire tale apprensione del reale non nei termini di una Gelassenheit dal sapore heideggeriano, di un abbandono agli “invii dell’essere”, ma in termini di Arbeit, di lavoro – come “mediazione specifica dell’umano dotata di scopo” – e fondazione etico- politica della comunità sociale261. All’atto linguistico per eccellenza – la prassi metaforica – corrisponde dal punto di vista pratico l’atto pratico dell’umanizzazione del reale che si realizza nel lavoro. Il doppio significato di lavoro (come prassi e come fondazione politica) mette in luce il processo di umanizzazione del reale attraverso la prassi lavorativa che si riversa anche nella istituzione del linguaggio. Per il filosofo l’uomo dispiega la sua essenza nella formazione (Bildung), nelle risposte “umane, troppo umane” alle urgenze patite del reale e di un’oggettività individualmente esperita: conseguentemente l’affectio non viene espulsa dal logos ma si immette nel processo del leghein. Egli affronta il tema dell’Arbeit nel suo significato politico e poietico in maniera esplicita confrontando le figure di Vico e Marx. La connessione tra Vico e Marx si profila come analisi comparativa dei concetti di Arbeit e Phantasie. Si chiede Grassi se le pratiche umanistiche di opposizione alla filosofia !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 260 Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 197. 261 Cfr., S. Limongelli, Il problema dell’umano nella filosofia di Ernesto Grassi, cit., pp. 278-281; G. Petrovic, Marx, lavoro e abbandono. Lettera a Ernesto Grassi, pp. 127-157, in AA. VV, Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit. ! 91!   aprioristica scolastica – con la conseguente attenzione alla giurisprudenza, alla grammatica e alla retorica – possano essere in definitiva considerate valide e concrete o ricadano dell’astrattismo medievale: “Tutti questi canoni, che gli umanisti oppongono alla filosofia aprioristica della scolastica, soddisfano realmente la loro pretesa di essere concreti? Qui è pertinente l’obiezione del marxismo. La sorgente originaria del divenire umano si trova nella trasformazione originaria, e perciò, nella umanizzazione della natura mediante il lavoro. La giurisprudenza, il linguaggio, la retorica, sono concrete solo in quanto manifestazioni della storia di classe [...] la storia del lavoro è la storia dell’evoluzione dell’uomo”262. Grassi analizza dettagliatamente l’idea del lavoro in Marx, esposta sia nel Capitale sia nei Manoscritti economico-filosofici, sottolineando quattro aspetti importanti del lavoro: 1-) il lavoro umano è distinto da quello degli animali poiché è espressione di una volontà intenzionale e spezza la relazione di immediatezza che secondo Marx l’animale ha rispetto al mondo circostante: “la sua relazione con ciò che produce è immediata”263. Per Marx “l’animale fa immediatamente uno con la sua attività vitale, non si distingue da essa, è essa stessa”264. 2-) La seconda definizione del lavoro “consiste nel riconoscere che esso rappresenta il superamento dell’immediatezza, attraverso l’attività creativa. Il processo del lavoro è un passaggio da ciò che esiste ancora, ed è solo possibile, a ciò che diviene realtà [...] il lavoro come processo di metabolismo significa l’appropriazione della natura a favore dell’uomo”265. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 262 E. Grassi, Marxismo, Umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, pp. 69-94, in Vico e l’umanesimo, cit., p. 83. 263 ivi p. 84. 264 K. Marx-F- Engels, Opere, Editori Riuniti, Roma 1976, Vol. III, p. 303 265 E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit., p. 84.  ! 92!  3-) Il lavoro è possibile solo se l’uomo è concepito come essere libero: “il lavoro può esistere solo a condizione che l’uomo sia libero. Bisogna intendere la libertà [...] come la facoltà di trasformare la natura in nuovi sistemi di interrelazione non prefissati per l’uomo”266. 4-) Il lavoro ha una funzione sociale. Secondo Grassi l’importanza del lavoro come fattore di umanizzazione e di distanziamento dall’orizzonte dell’animalità è rintracciabile anche negli umanisti – come l’attenzione agli ambiti della giurisprudenza, della filologia e della retorica testimoniano – e in Vico, il cui problema della storia altro non è che il problema del lavoro e della fantasia. Per il filosofo italiano “il problema che ora sorge è: che cosa Vico considera come la concreta radice del divenire umano? La risposta indica due fattori principali e tra loro correlati: il lavoro e la fantasia”267. Il pensatore milanese analizza le figure di Ercole e Cadmo, entrambi simbolo della fondazione della società umana, ricordate da Vico nella Scienza Nuova, e la triplice funzione della fantasia: nella fantasia l’uomo “sperimenta la propria libertà ed esce dal chiuso mondo della foresta naturale”268; attraverso la fantasia l’uomo argina la paura e il terrore dell’Aperto e “procede a costruirsi il proprio ordine, o un adattamento della natura”269 (infatti per il filosofo la fantasia crea le prime analogie tra i fenomeni, e produce le prime connessioni e definizioni); l’ultima funzione della fantasia è quella di dare un significato al lavoro. La costituzione trivalente della fantasia consente di concepire l’affinità e la distanza tra la critica di Marx all’apriorismo della filosofia e la critica umanistica all’astrattismo medievale: da un lato emerge una convergenza degli intenti decostruttivi di entrambi gli approcci, dall’altro Grassi sottolinea come una teoria del lavoro priva di una teorizzazione antropologica e filosofica dell’umano !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 266 ivi, p. 85 267 ivi, p. 86 268 ivi, p. 89 269 Ibidem.  ! 93!  sia concettualmente monca e praticamente inutilizzabile. Afferma Grassi che “Marx considera il lavoro – come il superamento dell’immediato impatto con la natura, come l’adattamento di essa – l’origine della storia. Se però, tale adattamento nell’interesse dell’uomo differisce da quello degli animali per il fatto che l’animale lavora solo per il proprio nutrimento e la conservazione della specie, e in accordo con i suoi modelli congeniti, allora il problema circa il significato dell’adattamento della natura da parte dell’uomo non può essere risolto col dire semplicemente che l’uomo è un essere che media e accomoda, né col riferimento alla sua attività lavorativa, ma solo chiarendo e definendo lo scopo specifico di questa mediazione. A meno che non ammettiamo l’urgenza di questo problema, ci troviamo ridotti a dire che l’animale è un essere molto più alto dell’uomo”270. In quest’ultimo passo Grassi esprime l’idea secondo la quale se è vero che il lavoro è il primo atto di umanizzazione ciò è possibile nella misura in cui non si riduca il lavoro a semplice atto di mediazione – il metabolismo della natura, il lavoro come fatica, ponos – ma lo si consideri come atto di mediazione guidato da scopi – il lavoro come ergon, opera. Nel concetto di lavoro più che della prassi lavorativa occorre tenere conto del telos che la sorregge: qui si inserisce il discrimine tra uomo e animale. Secondo il filosofo il lavoro, inteso come adattamento della natura, è solo un mezzo in vista di uno scopo, la realizzazione umana del mondo in cui la fantasia rivela il suo ruolo fondativo rispetto al lavoro stesso: solo grazie alla facoltà di visione delle somiglianze è possibile trasformare ed umanizzare la natura implementando ordini di realtà e progettando mondi dotati di senso. L’intima coappartenenze della componente tecnica (lavoro come fatica) e di quella fondativa-civile (lavoro come opera) risulta decisiva nella concezione grassiana del labor tutta gravitante attorno al tema della produzione del mondo storico sociale e dell’umanizzazione della natura: l’uomo, con il suo ingenium e la sua phantasia “per mezzo del labor – lavoro e fatica – determina il reale nel suo significato !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 270 Ivi, p. 93.  ! 94!  umano facendolo assurgere ad opera; solo in tal modo il reale diventa storico, si umanizza quale opera dell’ingegno”271. Se, da un lato, allora, il presentarsi della manifestatività rende affetto l’uomo, e, colpendolo, ne rivela la componente di passività, il suo essere soggetto-a, tale che l’uomo non può non patire, non può sottrarsi, dall’altro, l’uomo è quell’ente capace di rispondere, di offrire una risposta attiva mediante il lavoro. Per Grassi infatti ciò che ci circonda, l’oggettivo, la natura, l’essere “appare solo nei limiti da noi progettati – e tuttavia – è altrettanto vero che non dipende da noi come essa appare: essa ha una propria oggettività. La constatazione di questa oggettività [...] è la risposta che la natura dà entro i nostri diastema”272. Entro i limiti della nostra progettazione, del nostro lavoro, della nostra opera – che per Grassi non è un’operazione soggettivistica e arbitraria, ma rispondente alle circum-stantiae di volta in volta mutevoli, alle necessitates nelle quali è già da sempre immerso l’uomo – significa entro i limiti dell’orizzonte della fantasia quale attività ordinatrice della materia primordiale che per Grassi “ci impedisce di trovare una qualsiasi unità; essa è materia della facoltà ordinatrice del pensiero”273. Il tema della determinazione concreta del reale risulta strettamente intrecciata a quello del lavoro umano nel suo significato ontologico trascendentale e a quello della fantasia come “attività originaria che scopre le relazioni sulla base della visione delle somiglianze”274 e non come “attività che ci presenta qualcosa di irreale”275, come “rappresentazione dell’irreale, come pura facoltà della finzione, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 271 E. Grassi, Politica e religione. La riscoperta della tradizione latina, pp. 33-43, in “Archivio di filosofia”, Padova 1978, p. 43. Le riflessioni grassiane sul lavoro mostrano molti punti di contatto con la distinzione arendtiana tra lavoro come ergon e come ponos presente in Vita activa. 272 Id., L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, Discorso letto alla seduta inaugurale del Congresso per il IV Centenario della fondazione dell’Università di Lima, in “Archivio di filosofia”, 1952, p. 68. 273Id., Dell’apparire e dell’essere, cit., p. 279. In relazione all’attività ordinatrice della selva originaria Grassi in questo saggio parla di un’attività fantastica in modo duplice: sia come facoltà sensibile – il significato secondario – sia come attività del lasciar apparire – significato ontologico-primario in cui si dà la coapparteneza di aisthesis e leghein. 274 Id., Potenza della fantasia, cit., p. 190. 275 Ivi, p. 276.  ! 95!  come capacità di mostrare qualcosa di fantastico”276. In questo caso essa è una ritenzione semplice che si fonda su una dimensione conservativa e combinatoria delle immagini, senza avere come punto di riferimento il referente reale delle immagini, ma la libertà e l’arbitrio soggettivo277. La fantasia ontologicamente intesa, base del linguaggio poetico, insieme al lavoro è capace di istituire il mondo storico. Per Grassi “la trasformazione della natura, che l’uomo realizza con lo scopo di liberarsi dai propri bisogni, nasce dunque dall’attività fantastica ingegnosa”278 che, insieme al senso comune, si ritrova nella teoria vichiana del lavoro. Il filosofo asserisce in La priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi che “il senso comune, secondo la definizione vichiana, ha lo scopo di fornire all’uomo ciò che gli è utile e di cui ha bisogno”279 e prosegue chiedendosi “se e come l’ingegno e la fantasia contribuiscano al senso comune e quale relazione esista fra di loro”280 visto che per Vico sono a fondamento dell’emergere del mondo umano e dei suoi bisogni. L’atto di risposta umana ai bisogni originari è il lavoro, catalizzatore del processo di civilizzazione come le fatiche di Ercole ricordate nella Scienza Nuova esemplifica. “Le fatiche di Ercole presuppongono una interpretazione della natura come essa fu prima della sua umanizzazione, cioè come realtà asservibile all’uomo e presuppongono anche una visione del successo ottenibile con tale agire. Il lavoro quindi dev’essere concepito come la funzione di conferire un significato e di far uso del medesimo, mai come un’attività puramente meccanica o una trasformazione puramente tecnica della natura, estranea al contesto generale delle funzioni umane”281. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 276 Ivi, p. 191. 277 Cfr., M. Ferraris, L’immaginazione, Il Mulino, Bologna 1996. 278 E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 241. 279 La priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi, pubblicato in Vico and Contemporary Thought, Humanities Oress, New Jersey 1976, ora in Vico e l’umanesimo, cit., p. 51. 280 Ibidem. 281 Ivi, pp. 51-52.  ! 96!  Il labor appare strutturato metaforicamente poiché è un atto di trasposizione di significato al mondo circostante, la “funzione mediante cui i bisogni umani vengono soddisfatti”282. La struttura metaforica operante all’interno del linguaggio poetico secondo Grassi soggiace anche nel lavoro nel quale si intrecciano il sensus communis – che non “consiste, quindi, in un modo di pensare popolare o comune”283 – l’ingenium e la phantasia. La connotazione storico- esistenziale284, più che etica o politica, del lavoro emerge laddove si presta attenzione al labor come risposta ad un bisogno di decifrazione della situazione umana e delle sue strutture di esistenza. Secondo l’interpretazione del filosofo occorre ricostruire una storia pre-marxiana del lavoro attraversando le tappe della filosofia umanistica. Si chiede il pensatore: “è possibile trovare nell’umanesimo italiano una teoria del lavoro come fonte della storia, una teoria del lavoro che simultaneamente comprenda l’importanza filosofica della giurisprudenza, della filologia e della retorica?”285. Proprio questa apertura disciplinare che contraddistingue la teoria del lavoro umanista costituisce per Grassi la dimostrazione che “il problema concernente il significato del lavoro comporta una rinnovata giustificazione della filosofia”, che in qualità di meditatio de homini dignitate non può essere ridotta a “semplice sovrastruttura di una temporanea e storica struttura sociale”286. Volendo trarre una prima conclusione dalle osservazioni precedenti si può asserire che nella prospettiva onto- antropo-logica di Grassi assume un ruolo centrale la relazione fondante dell’Arbeit/labor nella lettura comparativa di Vico e Marx. Vico, Marx e gli umanisti – ai quali si aggiungerà Heidegger qualche !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 282 Ivi, p. 51. 283 Ivi, p. 52. 284 Parla di connotazione etica del lavoro in Grassi S. Limongelli in Il problema dell’umano, cit., p. 277 e sgg. 285 Marxismo, umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, pubblicato originariamente in Giambattista Vico’s Science of Humanity, the John Hopkins University Press, Baltimore (Maryland) 1976, ora in Vico e l’umanesimo, cit., p. 85. 286 Ivi, p. 93.  ! 97!  anno dopo287 – concordano nella critica alla filosofia a priori e al pensiero teoretico contemplativo: il problema vero della filosofia è quello “delle origini del divenire umano e, conseguentemente, della sua realtà storica”288. La critica all’impostazione metafisica del pensiero operata da Marx tuttavia per il filosofo non riesce a superare lo schema del pensiero tradizionale. Leggiamo in Vico, Marx e Heidegger che “il rovesciamento della filosofia, che Marx riteneva di aver compiuto con la sua critica di Hegel, non supera lo schema del pensiero tradizionale [...], la sfera di un antropologismo”289. Pur ritenendo fondamentale la teoria dell’alienazione – che “indica l’assenza di radici dell’uomo occidentale”290 – per delineare una via di accesso autentica all’umano Grassi – sulla scia di Heidegger –considera poco sostenibile l’identificazione di umanità e socialità operata da Marx291. Tale identificazione avrebbe come conseguenza la “riduzione del materialismo a pensiero della tecnica”292. E sappiamo che Grassi accoglie la lezione heideggeriana per la quale la tecnica è estrema propaggine della metafisica. Ma occorre andare oltre la “barbarie della riflessione” e qui interviene Vico che di volta in volta supera, secondo Grassi, i limiti delle prospettive toriche degli autori – in questo caso Marx e Heidegger – in una sintesi filosofica che coniuga giurisprudenza, poesia e retorica con le tematiche del lavoro e della Lichtung. Asserisce il filosofo milanese che “il lavoro per Vico è un adattamento dell’impatto diretto e immediato con la natura, un adattamento mediante il quale l’uomo esce dalla natura; e qui egli sceglie le figure di Ercole e Cadmo come simboli di essa”293. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 287 Cfr., Id., Vico, Marx e Heidegger, apparso in origine in Vico and Marx. Affinities and contrasts, Humanities Press, Atlantic Highlands (New Jersey) 1983, ora in Vico e l’umanesimo, cit., pp. 173-191. 288 Id., Marxismo, umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, cit., p. 92. 289 Id., Vico, Marx e Heidegger, cit., p. 190. 290 Ivi, p. 189. 291 Ivi, p. 190. 292 Ibidem. 293 Id., Marxismo, umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, cit., p. 86.  ! 98!  L’uso vichiano dell’universale fantastico294 di Ercole – vera e propria tipologia poetico-simbolica utilizzata ai fini della comprensione delle origini mitiche della storia dell’umanità –, o meglio degli Ercoli295, è finalizzato alla rappresentazione della faticosa impresa umana della costruzione della società il cui mito, narrato nella Scienza nuova, non appare a Grassi come una concessione al gusto antiquario della ricostruzione erudita dell’antichità ma come il simbolo “dell’assoggettamento della natura [...] che porta all’autoaffermazione dell’uomo”296. Secondo Grassi “Vico costruisce la sua teoria dei generi e degli universali fantastici non mediante l’astrazione, ma creando, secondo i suoi termini, i ritratti ideali, i caratteri esemplari [...] così il concetto fantastico cristallizza un essere attraverso un atto dell’ingegno con una visione diretta di una totalità pittorica. Esso rappresenta una figura contemporaneamente esemplare e allegorica”297. Tale logica della fantasia fondata sui generi universali e fantastici assume il ruolo di primo coordinamento delle idee che ha carattere arcaico, poiché è fondante rispetto alla razionalità, e immediato, indicativo, semantico. Sullo sfondo degli universali fantastici si staglia la figura di Ercole che ha non solo il ruolo di carattere poetico ma quello di fondatore della comunità storica dell’uomo. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 294 Come osserva lo studioso di Vico Giuseppe Cacciatore “il ricorso vichiano al genere fantastico aiuta, dunque, a comprendere quella costitutiva procedura del pensiero che riduce a generi e a caratteri la molteplicità dispersa delle cose naturali”, Vico: narrazione storica e narrazione fantastica, pp. 53-70, in Id., In dialogo con Vico, cit., p. 65. Recita la Degnità XLIX “queste tre Degnità ne danno il Principio de’ Caratteri Poetici; i quali costituiscono l’essenza delle Favole: e la prima dimostra la natural’inclinazione del volgo di fingerle, e fingerle con decoro: la seconda dimostra, ch’i primi uomini, come fanciulli del Gener’umano, non essendo capaci di formar’ i generi intelligibili delle cose, ebbero naturale necessità di fingersi i caratteri poetici, che sono generi, o universali fantastici da ridurvi, come a certi Modelli, o pure ritratti ideali tutte le spezie particolari a ciascun suo genere simiglianti”, in Sn 44, in G. B. Vico, la Scienza Nuova, cit., p. 872. 295 Vico, infatti, nella sua ricostruzione della complessa trama della cronologia dela storia universale menziona gli Ercoli, i Bacchi, i Sesostri quali prototipi dei fondatori delle città che hanno avuto sempre un eroe nella loro genesi. Afferma Vico in SN ’44 che “questa stessa Degnità con l’antecedente, che ne danno prima tanti Giovi, dappoi tanti Ercoli tralle Nazioni Gentili, oltrechè ne dimostrano, che non si poterono fondare senza religione, né ingrandire senza virtù: essendono elle ne’ lor’ incominciamenti selvagge, e chiuse”, Sn 44, ivi, p. 871, Degnità XLIII. Cfr. sul tema dell’Oriente in Vico le condivisibili osservazioni di G. Cacciatore esposte in Il posto dell’oriente nel pensiero di Vico, pp. 169-178, in Id., In dialogo con Vico, cit. 296 E. Grassi, Marxismo, umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, cit., p. 86. 297 Id., La priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza filosofica di Vico oggi, cit., p. 54.  ! 99!  Ercole effettua la trasformazione della natura piegandola attraverso il lavoro – l’uccisione del leone nemeo – al mondo umano. L’uccisione del leone nemeo – simbolo della ingens sylva primordiale nella quale l’uomo erra nel terrore dell’aperto – simboleggia il primo atto di fondazione della civiltà. Lo stesso Vico nella Spiegazione della Dipintura afferma che “questa scienza ne’ suoi Principj contempla primieramente Ercole [...] il quale si truova essere stato il carattere degli Eroi politici”298. Attraverso la lettura del mito di Ercole Grassi rintraccia in Vico una prima teorizzazione del tema del lavoro nella sua connessione con l’ingegno, la fantasia, e il senso comune, da un lato, e con il concetto di Lichtung e con l’analisi delle strutture dell’esistenza umana, dall’altro. Si chiede il pensatore: “quando, come e dove compare per Vico l’esistenza umana come una nuova realtà rispetto alla natura biologica e vegetativa? Nella libera decisione di far luce nella foresta primordiale per fondare il primo luogo umano”299. Quale importanza Grassi annetta al ruolo, al contempo storico e filosofico-speculativo, che svolge, nel complesso del suo itinerario onto-antropolo-logico, la questione dell’origine dei processi storici dell’umanità è testimoniato dalla collocazione del tema della Lichtung – che accomuna Vico e Hiedegger – accanto a quello del lavoro – che vede fianco a fianco Vico e Marx. Sostiene il filosofo in Vico e l’umanesimo che “secondo l’opinione di Vico, grazie alla radura aperta nella foresta originaria”, attraverso il lavoro, “divengono possibili non solo lo spazio o il luogo umani, ma anche la possibilità di computare il tempo”300. Si intrecciano indissolubilmente le questioni del disvelamento/Lichtung – la vera “chiave maestra” della lettura grassiana degli umanisti – quella del lavoro nel suo significato esistenziale e quella delle strutture dell’esistenza umana. Nella prospettiva del pensatore milanese è attraverso il lavoro, l’atto di umanizzazione della natura – il disboscamento !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 298 G. Vico, Sn 44, cit., p. 786. 299 E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 251. 300 Ibidem.  ! 100!  della selva primordiale – che si apre quello spazio-di-tempo in cui sorge la storia umana che ha “origini favolose” dicibili solo attraverso un linguaggio poetico. ! 101!  CAPITOLO III LA QUESTIONE DELLA METAFISICA IMMANENTE IN ERNESTO GRASSI III. I. La struttura onto-antropo-logica del pensiero di Grassi Come è emerso dalle precedenti riflessioni sulla rivalutazione dell’umanesimo a partire dal tema della Lichtung, dell’ursprünglich Rahmen, a venire in primo piano è una densa concettualizzazione dei temi dell’essere, dell’apparire e della manifestatività, coniugati ad un’analisi delle strutture dell’esistenza umana. Nelle considerazioni seguenti intendo richiamare l’attenzione sui concetti ora ricordati focalizzandomi sulla costituzione onto-antropo-logica della metafisica immanente o ontologia situazionale301 grassiana e sul nesso essere-uomo-linguaggio su cui essa si costruisce. Secondo la nostra ipotesi di ricerca Grassi enuncia importanti riflessioni sparse in diversi saggi che contribuiscono a corroborare l’idea della presenza di un’analitica dell’esistenza umana a fondamento delle ricerche svolte sui pensatori umanisti – e non solo – all’interno del progetto di rivalutazione dell’umanesimo e di critica alla filosofia intesa come scienza. La questione dell’umanesimo in Grassi è analizzata da due punti di vista: storico e teoret  ico. Egli afferma l’esigenza di porre la questione dell’essenza della nostra umanità sia sul terreno speculativo sia su quello storico in un articolo del 1932 su Jaeger Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico. Secondo Grassi “questa essenza della natura umana è un problema filosofico e non esiste né può venire concepita come qualcosa di dato. Ne viene che l’umanesimo [...] può avere il suo fondamento [...] solo nella rigorosa ricerca filosofica. Il vero umanesimo deve essere oggi filosofia. Ciò vale non solo speculativamente, ma anche storicamente”302. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 301 E. Grassi, Filosofare noetico non metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte, Congedo Editore, Lecce, 1991, p. 30. 302 Id., Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico, pp. 255-271, in Id., I primi scritti, cit., p. 258.  ! 102!  La ricerca grassiana si configura, da un lato, come riflessione storica sull’umanesimo, in cui la lettura dei testi degli umanisti ha l’aspetto di una re-interpretazione filologico-speculativa di quel nucleo essenziale – la Lichtung – venuto ad espressione consapevole con Heidegger. L’attenzione accordata alla filologia, che per Grassi non si riduce a “una mediazione delle opere antiche”303 ma è una “scienza sperimentale”, una meditazione sull’essenza dell’uomo e sulla sua Bildung a partire dal problema della parola304, conduce verso una dilatazione del periodo storico dell’umanesimo sia in direzione del passato sia in direzione delle epoche successive. Entrano così a far parte della tradizione umanistica anche gli autori della latinità quali Cicerone e Quintiliano; quelli barocchi come Graciàn, Peregrini e Tesauro; Vico, Leopardi e, in ultimo, lo stesso Heidegger, il quale ha concettualizzato in forma teoretica densa ed esplicita il tema della connessione Da-sein/Sein. Dall’altro lato, accanto alla lettura testuale, affiora un’indagine teoretica sui temi dell’essere, dell’apparire e della manifestatività e sulle strutture d’essere dell’uomo. Proprio su questi aspetti ci concentreremo maggiormente in questo capitolo prendendo in considerazione due gruppi di saggi. La selezione di questi saggi – tutti risalenti al periodo compreso tra gli anni Trenta e la fine degli anni Cinquanta – è stata guidata dall’idea di una presenza nel filosofo di un’attenzione alle strutture dell’esistenza umana, connesse alla questione di quella che potremmo definire “ontologia !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 303 Id., Il confronto con la filosofia tedesca in Italia, in Id., I primi scritti, cit., pp. 871-886, p. 883. 304 Per Grassi occorre distinguere una pseudo-filologia, priva di pensiero, ridotta a sterile culto classicista della parola, e una filologia autentica, che si connota come meditazione sull’uomo e sulla sua formazione: “come è noto, la tradizione filosofica italiana ha inizio proprio con l’umanesimo e il rinascimento. Come ho già accennato altrove, il filosofare italiano non comincia con il problema della verità o del sapere, ma con il problema della parola in relazione al compito umanistico di mediare la parola antica, gli scritti antichi, il mondo antico [...] ricordo solo che il compito umanistico della mediazione della parola antica si realizzò essenzialmente su un piano estetico, letterario, ossia in relazione alla scoperta e al rinnovato rapporto con i testi letterari antichi. A ciò, però, si legava al contempo l’impegno di una formazione dell’uomo tramite la parola, e con il problema della formazione si affrontava un problema essenzialmente filosofico. Si stabilì che il significato delle parole che troviamo in un testo non può essere dedotto dall’esperienza quotidiana o dal nostro sapere, bensì dall’unità del testo [...] conformemente all’antichità, si riconosceva nella parola l’essenza dell’uomo, così il formarsi in base alla parola non significava, come oggi per lo più crediamo, praticare la filologia, bensì sviluppare l’essenza dell’uomo”, ivi, p. 881. Cfr., anche Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, p. 72: “Il processo interpretativo, prima di divenire il metodo delle moderne scienze scienze naturali, era già da lungo tempo abituale nell’ambito delle scienze dello spirito. Anche qui si dimostra che il presupposto della formazione non è tanto la mediazione delle conoscenze, quanto piuttosto lo sviluppo della capacità interpretativa. Nel dialogo interpretativo con i testi tramandatici stabiliamo la relazione con la comunità umana del passato e soltanto in questa e con questa relazione possiamo giungere al nostro proprium, in quanto siamo esseri storici”.  ! 103!  fenomenologica semantica” di Grassi, in cui il tema dell’essere, identificato con quello della manifestazione e delle forme dell’apparire, è indissolubilmente legato a quello semantico, come campo dell’esperienza costrittiva dei principi indicato nel fondamentale saggio Significare Arcaico (1966) in cui è condensato tutto il valore della proposta retorica grassiana. Solo partendo dall’analisi del contenuto tematico di questi contributi è possibile una più profonda comprensione delle indagini grassiane sull’Umanesimo e sul Rinascimento storici su cui la bibliografia si è concentrata maggiormente. Del gruppo comprendente Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger (1930), Dell’apparire e dell’essere (1933), Il problema del logo (1936), Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger (1937), L’inizio del pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza dell’originario (1940), Il reale come passione e l’esperienza della filosofia (1945), saranno selezionati i temi dell’essere, dell’apparire e della manifestatività, i quali mostrano la volontà grassiana di recuperare un’esperienza dell’essere che non presupponga la preminenza di una forma rispetto ad un’altra, e in particolar modo di un a priori gnoseologico, ma che sia capace di restituire la complessità fenomenologica delle forme dell’apparire. In questo tentativo Grassi coniuga il tema attualistico gentiliano con l’estetica crociana e la teoria heideggeriana della differenza ontologica,305 rielaborando tutto alla luce di una rivalutazione della Stimmung, della Leidenschaft e dell’ambito estetico in generale non come esempio di gnoseologia inferior o teoria dell’arte ma come fondamento dell’esperienza della manifestatività dell’essere. Dell’altro gruppo fanno parte i seguenti saggi: Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne (1949), L’uomo e l’esperienza dell’oggettività (1952), Apocalisse e storia (1954), L’esperienza dell’assenza di mondo (1955), Mito e arte (1956), Assenza di mondo (1959). In quest’ultimo gruppo di articoli emergono alcuni concetti fondamentali che trovano un’articolazione in una analitica !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 305 Per una ricostruzione dettagliata delle tracce gentiliane, crociane e heideggeriane nella filosofia di Grassi cfr., Rita Messori, Le forme dell’apparire, cit., soprattutto il primo capitolo, Tra filosofia italiana e filosofia tedesca: l’emergere della questione estetica, pp. 23-61. Cfr., anche M. Marassi, Introduzione a E. Grassi, I primi scritti, cit., pp. IX-LXXXVII.  ! 104!  esistenziale che mira a svelare le “strutture esistenziali del mondo del Da-sein”306. Le osservazioni che seguono si focalizzeranno maggiormente sul fondamento teorico – l’analitica dell’esistenza – che soggiace alla rivalutazione di Grassi dell’umanesimo. Credo sia plausibile poter collocare la riflessione grassiana sull’umanesimo sullo sfondo ontologico e fenomenologico dei saggi giovanili dedicati ai concetti di apparire, essere, manifestatività e delle idee connesse di disancoramento, angoscia, coscienza temporale umanistica, oggettività, dismondanizzazione e assenza di mondo. Com’è noto, Grassi mostra nella sua disamina degli pseudo-umanesimi una insofferenza nei confronti delle letture storiografiche e teoretiche a lui coeve, a suo avviso gravate dal pregiudizio idealistico ed hegeliano, rivendicando l’esigenza di una collocazione del tema onto-antropo-logico sul terreno strettamente speculativo, teoretico. Nella prospettiva del filosofo “il termine umanesimo è diventato più che mai polisenso. Si parla di un umanesimo da un punto di vista storico, si parla di un umanesimo da un punto di vista filosofico, si parla di un umanesimo da un punto di vista politico [...] sia dunque ben chiaro che ogni affermazione umanistica è un problema anzitutto filosofico e non storico: si tratta dunque di delimitare una concezione speculativa dell’uomo che prenda chiara posizione di fronte ai differenti motivi speculativi nei quali si rispecchia la nostra attuale coscienza filosofica. Che significato speculativo può oggi avere un umanesimo?”307. Indagare questo significato speculativo dell’umano, al di là della polisemia che inevitabilmente lo connota, per Grassi significa affrontare il problema della reinterpretazione antitradizionale della filosofia umanistica nella convinzione che la filosofia umanistica abbia costituito il fulcro e la svolta del pensiero filosofico occidentale, la vera “rivoluzione copernicana”308. Il compito di questo progetto neoumanistico che già dalla metà degli anni Venti emerge – a partire dal saggio su Machiavelli analizzato in precedenza – per rifluire nelle riflessioni filosofiche successive, si articola come ricerca dell’unità di senso della realtà, come compito preliminare nel processo di determinazione di una teoria dell’uomo che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 306!E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 243 e sgg.! 307 Id., Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, cit., pp. 202-206. I corsivi sono nostri. 308 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 261, “Il rovesciamento della filosofia, la rivoluzione copernicana, non ha avuto luogo né con Descartes né con Kant, ma con l’Umanesimo italiano. Ma le conseguenze che derivano dalla nuova valutazione della fantasia, dell’ingenium, della preminenza dell’immagine, possono essere discusse solo sulla base di un’ulteriore ricerca sull’essenza della tradizione umanistica italiana”.  ! 105!  mantenga l’originaria integrità e unità delle sue strutture fondamentali. Negli stessi anni in cui i maggiori esponenti dell’antropologia filosofica del Novecento – Scheler309, Plessner310, Gehlen311 – !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 309 Max Scheler in La posizione dell’uomo nel cosmo esprime l’idea di uomo attraverso una ricerca antropologica come scienza fondamentale dell’essenza e delle strutture essenziali dell’uomo. Esplorare la dimensione umana e la sua posizione nel cosmo comporta un confronto con le dimensioni della spiritualità del conoscere, dell’amare, del volere. Per Scheler l’indagine sull’uomo della nuova antropologia prende le mosse da ciò che è esterno all’uomo per poi indagare e definire la sua essenza: “è compito di un’antropologia filosofica mostrare esattamente in che modo scaturiscano dalla struttura fondamentale dell’uomo, tutti i monopoli, le funzioni e le opere specificamente umani: come la lingua, la coscienza morale, lo strumento, l’arma, il concetto di giusto e ingiusto, lo Stato, l’azione di guida, le funzioni espressive delle arti, il mito, la religione, la scienza, la storicità, la socialità”, M. Scheler, La posizione dell’uomo nel cosmo, a cura di M. T. Pansera, Roma 1999, p. 186. Scheler analizza l’impulso affettivo “privo di coscienza, di sensazione e rappresentazione” che è presente nelle piante e nei gradi più bassi del mondo organico; l’istinto che è un comportamento teleologico; la memoria associativa il cui fondamento è il processo del riflesso condizionato, basato sul principio del successo e dell’errore per cui l’animale compie movimenti di prova in maniera spontanea ripetendo solo quelli utili; infine l’intelligenza pratica caratterizzante la facoltà di libera scelta dell’uomo. Il fattore discriminante fondamentale tra l’uomo e il resto del mondo è costituito dal concetto di spirito, il Geist che rappresenta la possibilità dell’essere aperto al mondo da parte dell’uomo e lo svincolarsi dal legame con quanto è organico: “la caratteristica principale di un essere spirituale consiste nella sua emancipazione esistenziale da ciò che è organico, nella sua libertà, nella capacità che esso, o meglio il centro della sua esistenza, ha di svincolarsi dal potere, dalla pressione, dal legame con quanto è organico, dal legame con la vita [...] un essere spirituale non più legato alla tendenza e all’ambiente, ne è libero, e perciò aperto al mondo”, ivi, p. 144. 310 Per Plessner occorre partire dal concetto di vita che costituisce la “parola chiave di un’intera epoca”, H. Plessner, I gradi dell’organico, a cura di V. Rasini, Bollati Boringhieri, Torino 2006, pp. 27-28. All’interno della impostazione plessneriana l’uomo è contraddistinto dalla sua posizione eccentrica: l’eccentricità è la disposizione dell’uomo rispetto al mondo nei confronti del quale si trova de-situato. Plessner, a conclusione di I gradi dell’organico. Introduzione all’antropologia filosofica, passa in rassegna tre leggi antropologiche fondamentali: la legge dell’artificialità naturale secondo cui l’uomo non vive in modo rassicurante nel suo ambiente immediato ma in modo artificiale, costruendo a partire da una natura una cultura; la legge dell’immediatezza mediata secondo cui l’uomo si appropria di ciò che gli è dato in precedenza in modo immediato attraverso forme di mediazioni quali invenzioni, scoperte, conoscenze; la legge del luogo utopico che afferma che l’uomo prende le distanze dall’immediatezza e volge il suo sguardo verso un fondamento assoluto del mondo che in sé non ha alcun fondamento. Egli afferma che “la sua forma eccentrica spinge l’uomo al perfezionamento, stimola bisogni che possono essere soddisfatti soltanto mediante un sistema di oggetti artificiali e insieme imprime loro il marchio della caducità”, ivi, p. 363. 311 Arnold Gehlen si pone sulla linea di ricerca scheleriana elaborando una idea di uomo nell’opera L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, partendo dai risultati multidisciplinari delle scienze positive. L’antropologia “elementare” gehleniana, partendo dagli aspetti più semplici che accomunano l’essere umano all’animale sottolinea allo stesso tempo la specificità dell’umano che consiste paradossalmente nella sua indeterminatezza costitutiva: se gli altri viventi sono contraddistinti da un indice di specializzazione alto come testimoniato dallo sviluppo della percezione e dall’istinto l’uomo presenta una indigenza che però stimola latenze di potenzialità più alte, superiori, che rendono l’uomo autodeterminabile proprio perché indeterminato. Per Gehlen prima di tutto l’uomo è l’essere determinato all’azione: l’azione sarà il tema chiave per poter comprendere un essere che agisce sulla natura per trasformarla al fine di assicurare la sua sopravvivenza. L’uomo è poi distinto dall’animale per una serie di caratteristiche: la “primitività” del suo corredo organico e istintuale; la sua “incompiutezza”; la sua “non-specializzazione” organica. Già Herder aveva tracciato una distinzione tra l’uomo e l’animale che guardava all’uomo come ad un “essere biologicamente carente”, un “essere manchevole”, un essere privo persino di un ambiente proprio (Umwelt). Per Gehlen “la “deficienza organica” e le peculiarità organiche dell’uomo vanno perciò considerate alla luce dell’idea cardine della “non-specializzazione”: [...] primitivo è = non specializzato = originario, o in senso ontogenetico (embrionale) o in quello filogenetico (arcaico). Per specializzazione è da intendersi la perdita della pienezza delle possibilità esistenti in un organo non specializzato, a vantaggio del grande sviluppo di alcune di queste possibilità a spese di altre, cfr., A. Gehlen, L’uomo. La sua natura e il suo posto nel mondo, Mimesis, Milano 2010, pp. 127-128. Accettando il paradigma interpretativo della carenza si pone il problema di coniugare questa non specializzazione umana con il suo esser collocata all’interno di una catena biologica evolutiva. La dotazione organica non specializzata dell’uomo e i suoi primitivismi rendono problematica la sua esistenza che solo grazie all’azione e alla costitutiva apertura al mondo continua e progredisce. Categoria fondamentale all’interno ! 106!   elaborano le note teorie sull’uomo, Grassi, forte della sua formazione culturale a metà strada tra filosofia italiana, filosofia tedesca e francese, sente l’esigenza di indicare l’insufficienza sia di un approccio scientifico all’uomo sia i limiti di una impostazione speculativa classica mediata soprattutto dalle letture heideggeriane di cui abbiamo già detto. Attraverso l’analisi delle teorie degli esponenti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! dell’antropologia gehleniana è quella dell’esonero Entlastung che indica la capacità umana di distaccarsi dagli oneri del mondo esterno. L’esonero costituisce il primo atto per spezzare il cerchio dell’immediatezza e per liberarsi dalla pressione dell’hic et nunc: l’uomo deve allontanarsi dalla pressione dell’immediato interponendo tra lui e il mondo una distanza sempre maggiore, solo in questo modo può trasformare l’Umwelt, l’ambiente, in un mondo abitabile, la Welt.  ! 107!  della biologia teoretica quali Driesch312, Plessner313, Jacob Von Uexküll314 e Gehlen315, Grassi cerca di porre in luce gli aspetti negativi che derivano dalla confusione del “contributo delle scienze con quello della filosofia”316 . Accogliendo la critica crociana alla perdita di autonomia del filosofo che !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 312 Hans Driesch (1867-1941) fu un biologo e filosofo tedesco. Egli lavorò a Napoli presso la stazione zoologica dal 1891 al 1900 e successivamente insegnò a Heidelberg tra il 1909 e il 1920 Filosofia della natura, in seguito anche a Colonia e Lipsia. Fu convinto assertore del vitalismo contro la teoria meccanicistica di matrice darwiniana. Il suo pensiero è diretto verso la valorizzazione del finalismo della natura e verso il riconoscimento dell’importanza dell’entelechia, concetto ripreso da Aristotele, interpretata come principio immanente superindividuale. Tra le opere più importanti ricordiamo Storia del vitalismo (1905), Filosofia dell’organismo (1909), Corpo e anima (1916), Il problema della libertà (1917), Metafisica (1924). Di Driesch Grassi mette in luce il neo-vitalismo presente nelle osservazioni sulla vita organica e l’importanza del concetto di entelechia esposto dal Driesch in Philosophie des Organischen. Grassi, in Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, sostiene che “in molti ambienti la filosofia rimane concepita sul fondamento delle scienze, cioè sintesi e classificazione di fatti, ed è perciò stesso incapace di raggiungere in questa forma un reale valore conoscitivo e metafisico. L’influenza di concezioni simili si scorge oggi in tutta quella corrente speculativa della filosofia tedesca contemporanea che ha vivo l’ideale empiristico di una scienza naturale elaborata in filosofia, filosofia della natura, che in realtà non diventa che un prospetto empirico di scienze naturali e di arbitrarie ipotesi naturalistiche. Appartengono a questa corrente di idee il Driesch, o zoologi come il Plessner – che con osservazioni scientifiche e biologiche tentano di raggiungere una costruzione metafisica [...] nella sua Philosophie des Organischen a mezzo dell’analisi dello sviluppo delle forme dell’organismo e mettendo in luce con osservazioni biologiche l’originalità della vita organica, egli giunge ad una concezione neovitalistica. Le sue osservazioni biologiche, la sua teoria dei sistemi equipotenziali, assumono un’importanza scientifica ed egli concluse che accanto ai fattori fisici e chimici, per spiegare un organismo, è necessario ammettere un nuovo fattore, che egli chiama entelechia”, in Id., I primi scritti, cit., pp. 165- 166. Cfr., anche Linee di filosofia tedesca contemporanea, in Id., I primi scritti, cit., pp. 299-332, in particolare il primo paragrafo dedicato a Driesch, pp. 299-305. 313 Di Plessner Grassi evidenzia i limiti strutturali che l’approccio scientifico all’umano inevitabilmente porta con sé. Egli afferma che “una concezione di una filosofia fondata sulla scienza la troviamo anche in altri pensatori come Plessner, scolaro di Driesch e originariamente zoologo, autore di Die Einheit der Sinne. Grundlinien einer Aistesiologie des Geistes e più recentemente di un altro volume Die Stufen des Organischen un der Mensch. Einleitung in die philosophische Antropologie, volumi ai quali l’acuta raccolta di fatti e le osservazioni scientifiche conferiscono pregio, ma che non raggiungono una concezione speculativa. Una antropologia non diventa speculazione e affermazione filosofica se non si nega ogni aspetto ontologico ai gradini della realtà naturale, rifiutando di considerarli come assolute gerarchie del reale e risolvendoli nella nuova affermazione della realtà come atto dello spirito, ivi, p. 168. In questo passo emerge la convinzione grassiana – di evidente ascendenza gentiliana – del limite strutturale delle coeve antropologie filosofiche che per diventare autentiche meditazioni sull’uomo devono collocarsi su uno sfondo filosofico che indaghi la realtà a partire dall’idea di atto e non di dato. 314 Grassi richiama l’attenzione sul concetto uexkülliano di cerchio funzionale simbolico e fa riferimento alle sue teorie sia nel saggio Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger (cit., p. 205) sia più diffusamente in La filosofia como obra humana, pp. 1573-1578 in Actas del Primer Congreso Nacional de Filosofia, Universidad Nacional de Cuyo, Buenos Aires, 1950, Tomo III; in Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., pp. 62-66 e 151-152; infine in Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., pp. 181-182. 315 Cfr., Id., La potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., pp. 67-69. Grassi sottolinea la connessione istituita da Gehlen tra apertura di mondo e cultura. 316 Id., Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, In Id., I primi scritti, cit., p. 204. ! 108!   si è messo a servizio della scienza espressa in Logica317 Grassi asserisce che la concezione bio- metafisica su cui l’empirismo si basa “si traveste oggi assumendo nuove forme in veste anti- positivistica”318. L’empirismo va messo da parte, così come gli altri modi di accedere all’umano che la coeva filosofia tedesca aveva prodotto, poiché non supera “gli schemi del procedere naturalistico”319 che si avviluppa in “pseudo-concetti che sulle generalità scientifiche vorrebbero fondare distinzioni filosofiche”320. Il riferimento polemico è alle correnti neokantiane, allo storicismo diltheyano, alla fenomenologia husserliana321 incapaci di elevarsi a quella metafisica esistenziale che solo Heidegger ha portato ad espressione. A questo punto appare indispensabile soffermarsi, seppur brevemente, sulle figure di Dilthey e Husserl, la cui conoscenza costituisce una tappa importante per la comprensione dell’atteggiamento speculativo grassiano. In Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger Grassi mette insieme storicismo, fenomenologia, metafisica esistenziale e attualismo. Egli afferma che il filosofo di Messkirch “presenta una speculazione metafisica originale, inverando il tentativo di due pensatori, l’Husserl e il Dilthey, che alla fine del sec. XIX e al principio del XX iniziarono il primo tentativo di liberazione dall’empirismo”322. In che senso si parla di inveramento delle filosofie di Dilthey e Husserl nella metafisica immanente di Heidegger e come quest’ultima a sua volta radicalizza l’attualismo323? !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 317 B. Croce, Logica, Laterza, Bari 1920, p. 264: “perché quando non si tratta d’altro che di classificare e di sistemare quei risultati, lo scienziato sente a ragione di non aver bisogno del soccorso dei filosofi”. 318!E. Grassi, Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, cit., p. 205.! 319!Ibidem. 320 Ibidem. 321 Cfr. sulla critica a neokantismo, storicismo e fenomenologia gli articoli di indole informativa generale che seguono: Id., Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, cit., e Id., Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea, in Id., I primi scritti, cit., 181-202. 322 Id., Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, cit., p. 209. Cfr., anche le pagine grassiane su Heidegger del saggio Was ist Existentialismus?, pp. 75-124, in N. Abbagnano, Philosophie des menschlichen Konflikts. Eine Einführung in den Existentialismus, Rowohlt, Hamburg 1957, soprattutto pp. 91-97 e 106-114. 323 Già nel saggio del 1929 Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea (in Id., Primi scritti, cit., pp. 181-202) Grassi, sviluppando in forma più articolata le poche battute su Heidegger contenute in Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea (p. 174), afferma quell’identità di problemi tra attualismo ! 109!   La “meditazione diltheyana” di Grassi si focalizza soprattutto sui concetti di Lebenzusammenhang, di Weltanschauung e di psicologia324. Secondo il pensatore milanese Dilthey fu il primo a intravedere il problema della realtà e della storia come problema della realtà vivente, rivendicando l’importanza dei sui scritti speculativi e tralasciando quella dei testi a carattere maggiormente storico325. In Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea (1929) leggiamo che il problema dal quale muove Dilthey, quello della distinzione tra Geisteswissenschaften e Naturwissenschaften, di scarsa importanza in sé rileva Grassi, va ricondotto alla più generale operazione teoretica di ricerca intorno al fondamento spirituale delle scienze dello spirito individuato in “una scienza di carattere psicologico. Gli elementi del mondo storico sono gli individui, quindi lo studio di essi e la descrizione dei vari tipi di vita spirituale diventa la base della comprensione storica [...] l’esame della struttura della vita dello spirito cerca di conquistare nella molteplicità di situazioni coesistenti la sua caratteristica unità”326. La psicologia diltheyana per Grassi ha il merito di ricondurre ogni concreta realtà storica alla concatenazione vitale dell’atto di coscienza in cui si realizza il rapporto tra io e mondo. Tuttavia il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! e ontologia immanentistica heideggeriana che in Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger del 1930 troverà una articolazione teoretica più approfondita. Infatti, in Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea leggiamo che “Heidegger realizzò una delle più importanti speculazioni metafisiche immanentistiche ed una delle più rigorose critiche del tentativo di Husserl. L’interpretazione e o sviluppo attualistico del pensiero fenomenologico assume un significato storico e teoretico tutto particolare”, p. 198. 324 Per una analisi dettagliata di questi temi diltheyani rimando alle osservazioni di G. Cacciatore in Scienza e filosofia in Dilthey, 2 Voll., Guida, Napoli 1976; Id., Dilthey: connessione psichica e connessione storica, pp. 211-223, in AA. VV, Una logica per la psicologia, Il Poligrafo, Padova 2003; Id., Vico e Dilthey. La storia dell’esperienza umana come relazione fondante di conoscere e fare, pp. 17-58, In Id., Storicismo problematico e metodo critico, Guida, Napoli 1993; cfr., ivi anche Id., Spirito oggettivo e oggettivazione della vita: Dilthey e Hegel, pp. 105-125; Id., La tipologia delle visioni del mondo tra critica storica della ragione ed essenza della filosofia, pp. 153-172; Id., Il fondamento dell’intersoggettività tra Dilthey e Husserl, pp. 249-287; Id., Ortega y Gasset e Dilthey, pp. 289-318; Id., Vita e storia tra Zubiri e Dilthey, pp. 177-187, in Id., Saggi di filosofia spagnola. Saggi e ricerche, Il Mulino, Bologna 2013; Id., Dilthey tra universalismo e relativismo, pp. 213-230, in Id., Dallo storicismo allo storicismo, ETS, Pisa 2015. 325 “Durante la sua vita i suoi sforzi teoretici passarono quasi inosservati e anche dopo la sua morte, avvenuta nel 1911, Dilthey rimase per alcuni anni completamente dimenticato come filosofo, mentre i suoi lavori storici venivano molto apprezzati [...] i primi suoi lavori sono tra i più notevoli della storia e della filosofia dei suoi tempi: l’acutezza delle indagini, la facoltà ricostruttiva di un’epoca o di una personalità danno ai suoi saggi grandissimo valore e molti lo considerano come il più grande “Geistesgeschichtsschreiber” dopo Hegel [...] ma l’importanza e l’interesse che Dilthey desta in seno alla filosofia tedesca – per cui dobbiamo fermarci in modo particolare sulla sua figura – è dato non dai suoi lavori storici, ma dai suoi scritti di carattere speculativo e polemico”, E. Grassi, Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, cit., pp. 171-172. 326 Ivi, pp. 172-173.  ! 110!  passaggio auspicato dal pensatore milanese da una “teoria dell’atto di comprensione” ad una “metafisica immanente” rimane incompiuto nel filosofo tedesco che “non giunse alla chiara coscienza che una volta riconosciuto il tratto fondamentale del reale nell’atto completo di comprensione, se ne coglie al tempo stesso il carattere assoluto che impedisce ogni relativismo”327. Così per il filosofo italiano Dilthey ricade nell’astrattismo di una “tipologia che prese il posto della filosofia”328, la quale riduce la fondamentale categoria della Lebenzusammenhang a forme astratte, a classi e tipi e al relativismo329. Se le riflessioni su Dilthey pongono in luce l’attenzione verso l’esistenza concreta e le strutture psicologiche che soggiacciono alla costruzione del mondo storico umano, quelle su Husserl mettono in risalto il tentativo di riconquistare il rigore alla filosofia – il progetto di una filosofia come scienza rigorosa – un rigore metodologico, che invera “la psicologia fenomenale di F. Brentano”330. In Linee della filosofia tedesca contemporanea Grassi sostiene che “la meta di Husserl fu la conquista di un fondamento assoluto e universale su cui costruire con sicurezza la ricerca filosofica [...] egli scorse con chiarezza l’impossibilità di fondare la filosofia sulle scienze”331. Una critica radicale in questo senso è costituita dalle Ricerche logiche che tentano di “raggiungere il concetto della logica, della filosofia come scienza a priori, libera da ogni empirismo”332. Per il filosofo milanese, Husserl individua il fondamento del reale attraverso la riduzione fenomenologica, la quale, sospendendo ogni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 327 Ivi, p. 174. 328 Ibidem. 329 Cfr. sulla critica grassiana al concetto di tipologia anche, E. Grassi, Linee della filosofia tedesca contemporanea (1933), pp. 299-332 in Id., I primi scritti, cit., soprattutto le pp. 307-311 e ivi Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, cit., soprattutto pp. 420-421. 330 Cfr., Id., Sviluppo e significato della scuola fenomenologica nella filosofia tedesca contemporanea, pp. 181-202, in Id., I primi scritti, cit., p. 182. 331 Id., Linee della filosofia tedesca contemporanea, cit., pp. 313-314. 332 Ibidem.  ! 111!  giudizio di esistenza333 – epochè –, guadagna una certezza indubitabile: “il mondo della coscienza pura coi suoi vari momenti e significati [...]. Non c’è più il mondo dommaticamente affermato e poi la sua rappresentazione, ma solo l’immediato essere del mondo come oggetto ideale della nostra coscienza”334. Questo mondo trascendentale è il Vorurteil, il quale condiziona ogni nostro giudizio di esistenza e rende possibile quella scienza fenomenologica che coniuga la ricerca sulle proposizioni formali della logica con i temi etici ed estetici. Il cuore della fenomenologia è colto da Grassi nell’andare zu den Sachen selbst tramite la Wesenschauung. Infatti, sempre in Linee della filosofia tedesca contemporanea, il filosofo sottolinea come la fenomenologia non sia una metafisica ma “un metodo a mezzo del quale si isolano degli elementi assoluti, trascendentali, coi quali ciascuno può e deve costruirsi con rigore scientifico un concetto della realtà [...] le essenze logiche non possono venirci dimostrate, ma possono solo mostrarsi per se stesse a mezzo della loro evidenza, chiarezza e distinzione, immediatezza ultima. La fenomenologia non vuole essere una costruzione, ma semplicemente un esame intuitivo, uno “schauen” dei concetti [...] coglie così l’essenza delle cose e pretende di andare direttamente zu den Sachen selbst”335. I concetti husserliani su cui egli si sofferma maggiormente sono quelli di epochè, riduzione fenomenologica, Vorurteil, evidenza336. L’analisi di questi temi, da un lato, sottolinea l’importanza e la fecondità speculativa della fenomenologia husserliana – poiché seppe con maggior forza contrapporsi all’empirismo e al naturalismo rispetto allo storicismo diltheyano337 – ma, dall’altro, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 333 Grassi riesce a cogliere in poche battute tutto il senso della riflessione husserliana: “se noi ci manteniamo in un fondamentale e metodico atteggiamento critico rispetto al reale e cerchiamo di raggiungere un ultimo fondamento sul quale non sia più possibile esercitare il nostro dubbio, (e che come tale costituisce la base sicura su cui poggiare ogni altra affermazione o costruzione), giungiamo al riconoscimento del carattere trascendentale, assoluto, del pensiero in quanto puro pensato. Sospendendo ogni giudizio di esistenza, (!)$+,), ci troviamo infatti di fronte ad un mondo di molteplici significati ideali che hanno un senso solo in quanto sono dati così o così nella nostra coscienza. Il mondo del pensato come pensato, dell’inteso come inteso, è l’elemento ed il residuo ultimo su cui non si può più esercitare il nostro dubbio, come già aveva intravisto Cartesio”, ibidem. 334 Ivi, p. 315. 335 Ivi, p. 316 336 Cfr., V. Costa- E. Franzini- P. Spinicci, La fenomenologia, Einaudi, Torino 2002. 337 “La posizione di Husserl, come abbiamo visto, è caratterizzata da una chiara coscienza delle necessità di pensare gli universali nella loro purezza, sciogliendoli dalle contingenze sociali, storiche, psicologiche. Sotto questo aspetto il suo ! 112!   getta luce sui limiti intrinseci di ciò che Grassi definisce “positivismo razionalistico”. La fenomenologia è un positivismo razionalistico poiché riduce il “dato empirico al suo significato logico razionale, sostituendo al dato di fatto dell’empirismo il dato del mondo razionale”338. Da qui la definizione di positivismo razionalistico”339. Sia Dilthey che Husserl – i maggiori esponenti della filosofia tedesca coeva secondo Grassi – non hanno declinato queste ricerche in direzione di una metafisica dell’essere come “concreto sviluppo storico, processo di autorealizzazione immanente”340. Questo inveramento si ha con Heidegger la cui originalità storica è ricondotta all’interno dell’orizzonte metafisico e non solo fenomenologico. In Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger Grassi afferma che nel lavoro del pensatore di Messkirch “confluiscono così in un fecondo superamento gli sforzi di Husserl e Dilthey: la medesima analisi del Dasein come fondamentale atto di rapporto e il suo dettagliato sviluppo seguito piano per piano, attraverso le varie forme di esistenza, non è che un riprendere il tentativo di Dilthey [...] la ricerca del significato d’essere attraverso la concreta analisi del Dasein è sufficiente a mostrare un nuovo orientamento della sua fenomenologia”341 che non ha una componente intuizionistica – sia essa intesa come l’intuizione eidetica husserliana o nel senso generale irrazionalistico e vitalistico –, ma si pone come ricerca della concreta storicità dell’esistente: la fenomenologia diviene Hermeneutik der Faktizität. Solo sulla base di un’analitica dell’esistenza è possibile porre la questione ontologica e fenomenologica – dove per fenomenologia dobbiamo intendere l’analisi di stampo hegeliano dei vari momenti e sviluppi della realtà storica. Grassi afferma che il pensiero di Heidegger assume una particolare rilevanza per quanto riguarda il problema metafisico mostrando una certa affinità con i !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! pensiero segnò un momento fondamentale in seno alla filosofia tedesca contemporanea contrapponendosi con maggiore chiarezza di Dilthey all’empirismo ed al naturalismo nelle sue più varie forme”, E. Grassi, Linee della filosofia tedesca contemporanea, cit., p. 323. Cfr., anche le pagine dedicate a Husserl in E. Grassi, Was ist Existentialismus?, cit., soprattutto le pp. 80-91. 338!Id., Linee della filosofia tedesca contemporanea, cit., p. 323.! 339 Ibidem. 340Id., Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, cit., p. 209. 341 Ivi, p. 223.  ! 113!  temi dell’attualismo. Il filosofo italiano sostiene in Il problema della metafisica immanente che “pur essendo nato da problemi e posizioni speculative completamente lontane dalle premesse del pensiero immanentistico italiano esso giunge a delle conclusioni che rivelano un’aspirazione metafisica”342. Il significato e l’importanza di quella originaria “attualità esistenziale – per cui l’essere si dà precedentemente a qualsiasi riflessione – il suo superamento ed inveramento della logica astratta nella logica concreta, e a sua volta la posizione che questa logica concreta ha in seno ad una metafisica esistenziale” 343 ha un’importanza tutta particolare per Grassi ed implica una serie di problemi decisivi: proprio in relazione alla questione della metafisica esistenziale “comincia a delinearsi la precisa posizione di Heidegger rispetto all’idealismo hegeliano e all’attualismo idealistico di Gentile”344. Sullo sfondo di quanto appena detto, possiamo comprendere come nelle analisi grassiane degli anni Trenta siano molto vivi i temi dell’essere, dell’apparire e della manifestatività, coniugati a quelli dell’evidenza del fondamento e della ricerca delle strutture esistenziali umane che si modulano come indagine sui rapporti tra la filosofia attualistica di Gentile e la metafisica immanente di Heidegger. La coappartenenza di queste problematiche mette in luce una triplice costituzione del pensiero grassiano: ontologica, antropologica, logica. Come tenteremo di esporre nel corso della trattazione, il pensiero di Grassi si configura come riflessione ontologica perché si muove nell’orizzonte dell’essere e della ricerca del suo senso: l’essere è inteso alla luce della differenza ontologica (concetto mutuato da Heidegger) come manifestatività e allo stesso tempo trascendenza, per cui il piano ontologico che si manifesta in quello ontico – l’ente come ciò che appare nella sua differenza dall’essere – si sottrae all’orizzonte di pura luminosità dell’apparire proprio nel suo differire. Attraverso la lezione heideggeriana Grassi coniuga il problema !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 342 Ivi, pp. 226-227. 343!Ibidem.! 344 Ibidem.  ! 114!  della trascendenza, così vivo nella sua formazione iniziale, con quello dell’immanenza presente nella fase gentiliana della sua riflessione. La centralità di questi temi, in cui immanenza e trascendenza si co-appartengono, permane anche nelle riflessioni sulla Lichtung caratterizzanti gli scritti successivi, dove la Lichtung altro non è che la parola che dice del costitutivo rimandare l’una all’altra di immanenza e trascendenza, di piano ontico e ontologico. In Heidegger e il problema dell’umanesimo, ponendo una netta demarcazione tra il proprio modo di intendere l’umanesimo e l’approccio storiografico consolidato, il filosofo afferma che “gli studiosi hanno costantemente individuato l’essenza dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e dei suoi valori immanenti [...] e tuttavia uno dei problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì la questione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo mondo”345. Il problema fondamentale dell’umanesimo, che non va concepito come una forma più o meno larvata di antropologia tout court, è la problematizzazione del tema della Lichtung, ossia del tema del contesto originario dell’apparire del mondo, dell’uomo e degli enti, che si declina come ricerca delle strutture del mondo umano. In questa ricerca grassiana, accanto all’attenzione all’ambito ontologico, lasciatogli in eredità da Heidegger, ritroviamo una centralità della dimensione ontica – le concrete Lichtungen – che dal suo maestro degli “anni mitici” sembra essere stata accantonata a favore di una concentrazione più sugli aspetti di oblio dell’essere della filosofia occidentale che non su quelli in cui l’essere si dà in maniera autentica: se in Heidegger a dominare è l’idea dell’oblio dell’essere, in Grassi riscontriamo il tentativo di ricostruire una storia dell’evento autentico dell’essere – da qui l’indagine storico-filosofica sui temi umanistici. La riflessione di Grassi è poi antropologica perché attenta all’orizzonte umano a partire dal quale si pone la domanda sul senso dell’essere: l’universo linguistico e artistico del mondo umano in cui accade la verità dell’essere. In Heidegger e il problema dell’umanesimo leggiamo che l’analisi del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 345 Id., Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 26. I corsivi sono nostri. ! 115!   contesto originario si declina innanzitutto come ricerca linguistica: “la cosa sorprendente, alla quale di solito non si presta attenzione, è che questi problemi – contesto originario, orizzonte, Lichtung – non sono trattati nel pensiero umanistico mediante un confronto logico speculativo con la metafisica tradizionale, ma piuttosto in termini di analisi e di interpretazione del linguaggio [...] il problema del linguaggio solleva la questione fondamentale del rapporto tra parola e oggetto, tra verbum e res. Oltre a ciò, si fa strada l’idea che solo nella parola e a mezzo della parola (verbum) la cosa (res) rivela il suo significato”346. Con l’umanesimo, secondo il filosofo, non ci si interroga più circa la verità logica e il rapporto logico tra cosa e pensiero, ma a proposito del comparire storico della res a mezzo del verbum: la questione fondamentale è quella di accedere ad un linguaggio che sia casa dell’essere e non una sua prigione. Grassi, infatti, distingue la cosa dall’ente, pone la differenza tra res ed ens: se la metafisica tradizionale si interroga sulla cosa ridotta ad ente – e per il pensatore occorre abbandonare l’idea di una metafisica astratta degli enti – per cui l’unico linguaggio possibile per enunciare i predicati dell’ente è quello del razionalismo che delimita l’ente entro il perimetro logico dell’identità, la ricerca linguistica dell’umanesimo, al contrario, è capace di restituire la ricchezza fenomenologica della cosa, della res, del pragma, proprio attraverso un linguaggio che ne rispecchi le infinite e variegate sfaccettature. Secondo l’interpretazione del filosofo italiano non esistono “cose separate dalle nostre azioni, dai nostri tentativi di trattarle [...] l’essere-in-sé delle cose ci si manifesta solo nella e attraverso l’azione umana”347. Occorre quindi riconoscere che “l’oggettività delle cose si rivela nell’azione, nella e con la praxis”348. Infatti, per il pensatore milanese, la forma sostantivata pragma esprime l’originario rapporto tra l’oggetto e il suo manifestarsi come cosa attraverso la praxis umana. Il senso classico dell’ontologia come logos intorno all’on si tramuta in Grassi in ricerca dell’unità di logos e on, come discorso sul nesso ontologico. La delucidazione del nesso logos-on o, per usare i termini !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 346 Ibidem. I corsivi sono nostri. 347 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 80. 348 Ibidem.  ! 116!  grassiani, della correlazione di verbum e res, induce il filosofo ad approfondire i temi della retorica, della metafora, della fantasia e dell’ingegno, i quali mettono in luce come l’ontologia grassiana sia un’ontologia dinamica e non statica, nella quale il processo di manifestazione nel suo stesso apparire storico si mostra per gradi, scorci, campi, forme dicibili solo attraverso il linguaggio metaforico: poiché il metapherein – la trasposizione – è la struttura stessa della nostra facoltà di apprensione della realtà o, per usare un termine caro a Grassi, del nostro atteggiamento verso il reale. La metafora è l’espressione fluida e mobile del reale poiché mentre dice rimanda ad altro e in questo modo esprime la perenne metamorfosi dell’essere. Come possiamo leggere in uno degli ultimi testi del filosofo, ossia in Il dramma della metafora, “la parola metaforica esprime a un tempo la struttura fondamentale del continuo mutarsi di ciò che appare e l’unico modo per identificarla. Essa è anche espressione di un’acutezza, di una rapidità intimamente collegata con il kairòs, l’istante giusto”349 in cui possiamo cogliere il carattere metamorfico dell’apparire attraverso la traslazione del significato. La metafora è proprio questo: “annotazione dei segni indicativi”350 provenienti dal “colloquio con l’abissale che urge, che per pochi istanti ci vivifica e che poi ci fa cadere silenti su una sabbiosa spiaggia [...] senza significato, dalla quale sale l’angoscia perché vivremo l’indeterminato”351. Attraverso la metafora godiamo “la visione di una momentanea radura (Lichtung)”352 che mette in campo una riforma della filosofia non ridotta ad astratta ontologia, ma che “riconosca l’importanza dell’esperienza storica”353. La riflessione sulla metafora è per Grassi un modo di superare le falle dell’hòros, del concetto, che è incapace di dire la natura temporale e metamorfica degli enti che si esprimono nei sempre diversi significati vitali emergenti nello sforzo interpretativo o semantico. Infatti, per il pensatore italiano l’interpretazione è possibile solo sulla base di un’indicazione, da qui !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 349 Id., Il dramma della metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, L’Officina tipografica, Napoli 1992, p. 165. 350 Ivi, p. 14. 351 Ibidem. 352 Ibidem. I corsivi sono nostri. 353 Ivi, p. 15.  ! 117!  la preminenza della semantica rispetto all’ermeneutica, come emerge in Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, su cui ci soffermeremo nell’ultimo capitolo. Egli asserisce che “l’indicazione (semainein) precede, dunque, l’interpretazione (hermeneuein), poiché forma la cornice entro la quale possono sorgere delle dimostrazioni”354; essa è la condizione trascendentale del linguaggio, quel fondo mitico che appartiene al mondo del sacro e del religioso che non dimostra ma indica. Il linguaggio semantico è un logos che ostende il fondamento e rompe quel silenzio primordiale delle cose mute che ci circondano nell’Aperto della ingens sylva. Accanto a questo logos semantico, che è contraddistinto da una “chiarezza che non è il risultato di un chiarimento”355, abbiamo il logos ermeneutico, quello dell’interpretazione che si fonda sul processo della dimostrazione. Ritornando al nesso metafora-concetto Grassi afferma che a quest’ultimo “spetta come compito quello di afferrare, comprendere un fenomeno in riferimento al suo fondamento universale. Il significato di hòros può essere colto nella sua portata originaria soltanto mediante il verbo orìzo (determino) che sta alla base di questa parola, la cui radice hor- è identica a quella di horào (io vedo): io “vedo” qualcosa nella luce del fondamento. La definizione (horismòs) esprime in tal caso proprio questa visione, ciò che è, ciò che esiste: in questo modo sfugge a essa per forza di cose ciò che muta in se stesso, il singolo”356, che è compito della retorica autentica illuminare, in quanto scienza del particolare e dello storico. Accanto ad una teoria della metafora, non “più gioco letterario ma originaria, prima forma dell’ingegno”357, grazie alla quale è possibile porre “la domanda sull’origine della storicità umana, e dunque sull’essenza dell’uomo”358, si affiancano nella filosofia grassiana la fantasia e l’ingegno identificati con il nous aristotelico interpretato alla stregua di “unica espressione delle archai nel loro !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 354Id., La potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 84. 355 Ibidem. 356Id., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 222. 357Id., Significare arcaico, in Archivio di filosofia, Roma 1966, pp. 479-495, p. 494. 358Id., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 202.  ! 118!  carattere palesante e immediatamente indicativo”359, profondamente influenzate dall’analisi heideggeriana della Einbildungkraft kantiana come “facoltà di darsi le vedute”360. Del resto, sebbene Grassi non citi nella sua analisi più sistematica della fantasia, ossia nel testo La potenza della fantasia, la teoria kantiana della Einbildungskraft, egli conosceva benissimo la lettura offerta da Heidegger della facoltà di immaginazione kantiana, come emerge dalla citazione di Kant e il problema della metafisica definito in uno dei primi saggi come il lavoro che più “sembra atto ad introdurre nel suo pensiero chi non ha famigliarità con la sua terminologia”361. Possiamo ipotizzare che il mancato riferimento alla teoria kantiana da parte di Grassi sia dovuto a un’interpretazione del kantismo sostanzialmente mediata dal filtro neokantiano su cui Grassi si sofferma a più riprese soprattutto nei primi lavori stesi durante il soggiorno tedesco362. Tra i neokantiani, dei quali non può che criticare l’impostazione matematizzante, intellettualistica ed astratta, Grassi riconosce l’importanza di Cassirer che “ha [...] il merito di essere il più importante storico della filosofia che questa scuola abbia dato”.363 Oltre al tema linguistico, nell’analisi del mondo umano, emergono i concetti di disancoramento e angoscia, dalla temporalità cairologica come struttura di temporalizzazione fondamentale dell’esserci in cui i tre momenti del tempo si co-appartengono e rendono possibile il raggiungimento del secondo livello di oggettività: quello della coscienza temporale umanistica (l’oggettività di primo livello è quella della physis in quanto diastema), in cui gioca un ruolo fondamentale la decisione come espressione della storicità del mondo umano e della sua formazione (Bildung), che in questo modo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 359Id., Significare arcaico, cit., p. 494. 360 Cfr., M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Laterza, Roma- Bari, 2004. 361 Cfr., E. Grassi, Heidegger e il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, cit., p. 209. 362 Cfr., le riflessioni sul “ritorno a Kant” contenute in Empirismo e naturalismo nella filosofia tedesca contemporanea, cit., soprattutto pp. 164-165; Id., Linee della filosofia tedesca contemporanea, cit., pp. 301-302. 363 Ivi, p. 165.  ! 119!  acquista un carattere esistenziale. Infatti “esistere significa sopportare la problematicità del rapporto dell’uomo con se stesso e con il mondo, senza evitare la decisione richiesta”364. Sul terreno ontologico dinamico in cui il discorso sull’essere è imprescindibile da un discorso sulle forme dell’apparire dell’essere – fenomenologia – e sul suo senso nell’orizzonte umano di esistenza – semantica – si comprende la critica grassiana alla struttura soggettocentrica e logicista della filosofia. Per il filosofo “si manifesta sempre la preminenza dell’urgere della passionalità, in quanto continuamente affiora nell’ambito della contraddizione logica dell’esperienza che l’essere non si rivela mai completamente nel divenire degli istanti. È in questo divenire del metaforico traslarsi del reale che viene passionalmente vissuta la contraddittorietà della logica astratta. Questo ritmo arcaico del palesarsi e dell’occultarsi non cessa mai, è esso che ordina – nei limiti di storiche, differenti radure – che appaiono in istanti – i tumulti che incombono”365. Solo attraverso un’esperienza originaria della filosofia secondo il pensatore – esperienza preclusa alla logica astratta che è solo un determinato atteggiamento filosofico e non l’unico – è possibile erigere mura per difenderci dal “vento del tempo che distrugge la stessa temporalità”366. La filosofia di Grassi tuttavia non va interpretata come una forma illogica di irrazionalismo. Anzi ciò che, a nostro avviso, va sottolineato è il valore logico della sua ricerca che tenta di proporre un concetto complesso di logos che non esclude il pathos, ma che si rivela nella sua coappartenenza costitutiva al pathos nell’orizzonte unitario del reale e della sua esperienza. Sorretta da una simile struttura onto-antropo-logica, la ricerca grassiana mira a sondare “la legittimità di tutti quegli pseudo-umanesimi che credono di poter dedurre secondo i canoni delle scienze naturali la realtà dell’uomo”.367 La messa in discussione dell’impostazione scientifico- naturale del problema dell’uomo avviene attraverso alcuni concetti fondamentali: disancoramento e oggettività, angoscia e nulla che, come vedremo, sono strettamente connessi a quelli di logos, pathos !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 364Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 73. 365Id., Il dramma della metafora, cit., p. 15. I corsivi sono nostri. 366 Ibidem. 367 Id., Heidegger e il problema della metafisica, cit., p. 203.  ! 120!  e manifestatività. Nelle analisi che seguono, cercheremo di ridurre ai suoi nodi teoretici essenziali il tragitto onto-antropo-logico del pensiero grassiano. III. II. Essere, apparire e manifestatività tra logos e pathos. La fallacia dell’accusa di dualismo Secondo Grassi è possibile fare esperienza dell’essere non solo attraverso il linguaggio razionale ma soprattutto tramite la contraddizione. In La preminenza della parola metaforica egli riprende il tema già affrontato in Heidegger e il problema dell’umanesimo e analizza il problema dell’essere come fenomeno linguistico e espressione della contraddizione originaria che caratterizza il mondo. Egli sostiene che “l’ambito dell’Essere – in funzione del quale parliamo – non è quello della razionalità nel quale vige il principio di identità ed esclusione della contraddittorietà: il suo ambito è quello della contraddizione [...] siamo dunque obbligati a riconoscere che l’Essere preme, si impone, urge originariamente in un linguaggio non logico”368. Il campo in cui esperiamo l’essere come evento della contraddizione, ossia come evento della differenza ontologica, non è quello di una logica che espelle la contraddizione, ma quello di un logos che include anche il pathos. Occorre soffermarci su quest’ultimo tema e farlo interagire con quello del logos per mostrare la complessità di questi due concetti che non attestano un presunto dualismo369 nel filosofo o una kehre370 tra un “primo Grassi”, dominato dalla questione del logos in pieno clima !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 368Id., La preminenza della parola metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis, Mucchi, Modena, p. 18. 369 Mi riferisco alla posizione di Massimo Marassi del quale condivido l’interpretazione complessiva del pensiero di Grassi e dal quale tuttavia mi allontano a proposito del tema del presunto dualismo. Egli afferma in Ernesto Grassi e l’esperienza del fine che “ancora nei primi scritti la conoscenza concettuale, accanto a quella patetica, costituiva una forma particolare di ordinamento della realtà che manteneva una dignità peculiare. È invece nell’ultima produzione che emerge un’insistenza quasi ossessiva sulla preminenza del pathos. Ma così, bisogna riconoscerlo, Grassi non tiene fede al tentativo di superare il dualismo logos-pathos. In effetti egli avrebbe dovuto ricercare uno sbocco unitario del problema, il solo capace di elidere le difficoltà del dualismo. Invece è semplicemente passato dalla preminenza della concettualità a quella del pathos, invertendo il segno del dualismo, ma restandone prigioniero”, M. Marassi, Ernesto Grassi e l’esperienza del fine, cit., p. 10. 370 Cfr. la posizione di Limongelli secondo la quale il pensiero di Grassi va inteso come un vitalismo o esistenzialismo o ontologia dell’agire storico situativo. Pur accettando parte della ricostruzione del cammino di pensiero di Grassi – soprattutto le sezioni che mettono in rilievo la presenza di Nietzsche e Heidegger – non condividiamo la tesi secondo cui in Grassi è riscontrabile una svolta. Scrive Limongelli in riferimento a Vom Vorrang des Logos che “tale scritto del Grassi ! 121!   attualistico, e un “secondo Grassi”, sensibile alla tematica linguistico-retorica. Secondo la nostra analisi, che coniuga la disamina storica delle opere grassiane con l’indagine teoretica sul tema onto- antropo-logico, nel pensatore milanese il filo conduttore della ricerca si identifica con l’analisi del mondo umano in tutte le sue manifestazioni. In questo percorso l’esperienza filosofica, non ridotta a scienza concettuale, ma vissuta ed esperita come metamorfosi esistenziale e impegno mondano, si caratterizza come indagine fenomenologica sul “come” il reale e l’essere ci appaiono nell’orizzonte umano del mondo storico. In questa ricerca più che il dualismo a emergere è una volontà di ricomporre e non di riproporre quei dualismi che la tradizione filosofica ha lasciato in eredità alla riflessione novecentesca come problemi ineludibili: teoria e prassi, natura e spirito, ragione e passione, immagine e concetto. Nella prospettiva grassiana “se si parte dal dualismo di immagine e concetto, è impossibile trovare successivamente un ponte tra i due [...] ora si tratta di riconoscere una radice comune dell’attività fantastica, metaforica, e di quella razionale – una radice che fonda in ultima analisi la realtà dell’individuo”371. La questione grassiana di delineare uno spazio espressivo per dire l’esperienza dell’originario, del fondamento – la Lichtung – si concretizza nella ricerca di un’unità complessa che salvaguarda il senso del reale senza chiuderlo nelle morse della definizione. Proprio per questo non condividiamo la prospettiva di coloro che leggono il pensiero di Grassi come un passaggio da una preminenza del logos a una del pathos e, quindi, riconducibile sotto il segno del dualismo. La “questione uomo”, intrecciandosi strettamente con quella dell’essere, non può che collocarsi su uno sfondo fenomenologico in cui le forme dell’apparire dell’uomo e del mondo sono indagate in una sostanziale unità, quella del reale372. L’ipotesi che muove queste pagine guarda alla caratterizzazione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! rappresenta non solo il punto di svolta nel suo pensiero, ma al tempo stesso si presenta come il manifesto teoretico del suo progetto filosofico futuro”, S. Limongelli, Il problema dell’umano nella filosofia di Ernesto Grassi, cit., p. 95. 371 E. Grassi, Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 66. 372 Sottolinea con forza questo aspetto unitario e non dualistico Rita Messori in Le forme dell’apparire. Estetica, ermeneutica e umanesimo nel pensiero di Ernesto Grassi, cit. Afferma la studiosa che Grassi lega “pensiero e passione ! 122!   complessa di logos e pathos in Grassi. Ma prima di trattare di questo argomento è necessario soffermarci sul tema dell’essere e della manifestatività seguendo le tappe del discorso grassiano al fine di mostrare come nella teoria ontologica, che fa da sfondo a quella del logos e del pathos, siano da rintracciare i motivi di una inconsistenza del presunto dualismo grassiano. III. III. Essere e apparire Secondo l’interpretazione di Grassi l’essere si converte con l’apparire, con la manifestatività, e non va identificato, come accade nella prospettiva oggettivistica, con un dato. L’essere si dà solo e unicamente come processo della manifestazione e per gradi di evidenza e forme distinte. La necessità di riformulare la questione dell’essere è avvertita dal pensatore a partire dagli anni di confronto con Gentile, al quale Grassi fa riferimento già nel saggio La dialettica dell’amore (1924) in cui traspare una posizione anti-immanentista che poco dopo sarà soppiantata dall’accoglimento della filosofia di Gentile coniugata all’esistenzialismo heideggeriano. La dialettica dell’amore insieme al saggio Il tragico, dell’anno precedente, pongono in luce, da un lato, la centralità dei temi esistenziali del dolore e del tragico come contrassegni dell’esistenza umana373 – centralità rifluita nei testi degli ultimi anni come La metafora inaudita e Il dramma della !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! con un duplice nodo: ciò che fa essere il pensiero è una fondazione di tipo estetico; ciò che fa essere l’estetico è il suo fondarsi nel logos. Tra logos e pathos vi è dunque un rapporto di reciproca appartenenza”, ivi, p. 66. 373 In questo saggio Grassi si autodefinisce ancora come oppositore dell’immanentismo (E. Grassi, La dialettica dell’amore, pp. 89-128, in Id., I primi scritti, cit, p. 120) e tale opposizione viene collocata dal pensatore milanese proprio sul terreno esistenziale. La questione del dolore in questo periodo ancora anti-immanentista gioca allora un ruolo importante. Essa attesta da un lato l’attenzione verso la dimensione concreta dell’esistenza che in Grassi emerge già in questi anni attraverso le letture di autori quali Unamuno, Ibsen, Shakespeare, Eschilo, Giobbe, dall’altro un primo confronto con l’immanentismo avvertito ancora come distante dal proprio orizzonte speculativo. Afferma Grassi in La dialettica dell’amore: “Il dolore assurge a un’importanza senza pari, è esso l’anima di tutto il divenire della Realtà in quanto ci permette questo essere una personalità, ossia coscienti e coscienza, che è l’essenza della nostra umanità in quanto in ciò si innesta la possibilità della libertà [...]ora al moderno pensiero immanentista che afferma la realtà, considerata come processo di coscienza, risolve ogni antinomia ed irrazionalità, noi dobbiamo chiedere che esso risolva anche il problema del dolore”, ivi, pp. 118-119. Il dolore si pone come nota distintiva dell’orizzonte umano e come limite per ogni filosofia immanentista attestando una trascendenza che ci sovrasta e che non può essere risolta nell’autocoscienza come forma pura e sintesi delle opposizioni.  ! 123!  metafora – tanto che Grassi giunge ad affermare che “il dolore è in realtà l’anima di tutta la dialettica del Reale”374. Dall’altro, sottolineano il legame ancora profondo di Grassi con il concetto di trascendenza, che andrà dapprima sfumandosi con il saggio del 1924 su Machiavelli per poi essere completamente sostituito nei contributi successivi dall’emergere della questione dell’immanenza. Il mutamento di prospettiva consumatosi in questo periodo – caratterizzato dalla presenza delle idee di Chiocchetti, da un avvicinamento a Croce, da un primo confronto con l’attualismo, che in questa fase appare, in modo evidente, incapace di risolvere quelle questioni esistenziali già ricordate e di garantire uno spazio di operatività del trascendente – è evidente se raffrontiamo due passi grassiani scritti a distanza di pochi anni l’uno dall’altro. Leggiamo in La dialettica dell’amore che “se la realtà nella sua immanenza è pura forma, fuori di essa non esiste più nulla e quindi è tutta, l’unica realtà fuori dello spazio e del tempo di ogni concetto di limite perché come pensiero attuale, concreto, pone esso stesso il tempo e lo spazio e il limite, rimanendo esso l’unico illimitato”375. In polemica con l’idea di un’autocoscienza come pura forma (interpretata dal filosofo come la più grande scoperta di tutta la filosofia d’immanenza di Giovanni Gentile) Grassi asserisce poco dopo che “in ogni modo ci teniamo però a definire e a dichiarare a tutti gli oppositori del sistema immanentista del reale, e quindi a noi stessi, che questo è proprio il punto di capitale importanza da discutere e da controbattere, che esso proprio costituisce lo sbocco e l’affermazione alla quale tutto il pensiero moderno [...] doveva per interna necessità logica giungere, posta la sua premessa”376. Qui il pensatore si pone in opposizione all’attualismo gentiliano, all’immanentismo e alla riduzione della realtà alla forma pura dell’autocoscienza, sottolineando i limiti di una teoria che risolva il dato empirico-individuale, come quello del dolore e del tragico, nella trasparenza del pensiero che dissolve ogni contraddizione. Nel novembre del 1928, appena quattro anni dopo le affermazioni appena ricordate, egli asserisce in una lettera inviata all’amico Enrico Castelli Gattinara !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 374Ivi, p. 118. 375!Ivi, pp. 120.121.! 376 Ibidem.  ! 124!  di Zubiena che la sua posizione speculativa va senz’altro ricondotta nell’alveo dell’attualismo italiano gentiliano coniugato all’ontologia di Heidegger, pur riconoscendo il punto di partenza cattolico della propria formazione filosofica. Scrive Grassi all’amico: “Durante le mie peregrinazioni germaniche nell’anno scorso ho trovato in M. Heidegger uno dei più interessanti pensatori contemporanei [...] il mio filosofare è partito e parte da un desiderio di ripensare il pensiero cattolico, ma siccome in campo filosofico non valgono le intenzioni ma solo la conquista realizzata, non posso dare quello che oggi non ho ancora [...] la mia posizione attuale è il riconoscimento storico dell’attualismo come la forma più coerente e matura del pensiero moderno. Attraverso lo studio dei classici spero di giungere a nuovi orizzonti. Di qui ne consegue che anche il mio lavoro sulla filosofia tedesca è animato da quel riconoscimento dell’attualismo italiano e concretamente dall’ontologia immanentistica di Heidegger. Eccoti riassunta la mia posizione”377. Abbiamo posto l’attenzione su questi due passi per far emergere un aspetto di non secondaria importanza per una comprensione della questione onto-antropo-logica in Grassi. Durante gli anni della formazione giovanile la questione ontologica è contraddistinta dalla compresenza della componente della trascendenza, della realtà del dolore e del tragico, dell’ontologia heideggeriana e dell’attualismo gentiliano in cui la questione dell’essere, della Realtà, dell’apparire nella molteplicità delle forme distinte si intreccia con la dimensione umana, troppo umana dell’esistenza, tutta votata all’interpretazione del mondo circostante, all’elaborazione di categorie ermeneutiche che strutturano lo stesso essere del Da-Sein. Si tratta degli anni in cui il periodo di studio presso Husserl e Heidegger dà i suoi frutti: il problema grassiano della coniugazione di immanenza e trascendenza si incontra con quello fenomenologico (declinato in senso heideggeriano) nel tentativo di guadagnare un concetto di a-priori non gravato dal teoreticismo. Sebbene Grassi non si autodefinisca mai come fenomenologo, secondo la nostra interpretazione dei saggi del primo gruppo su di lui agiscono non solo le esplicitate fonti heideggeriane !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 377 Cfr., l’epistolario raccolto da M. Simonetta in Un inquieto scolaro di Gentile: Ernesto Grassi, pp. 287-299, in “Idee”, 28/29, Lecce 1995, pp. 292-293.  ! 125!  e gentiliane, ma anche la questione fenomenologica husserliana letta attraverso la versione eretica heideggeriana378. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 378 Di “eresia heideggeriana in seno alla galassia fenomenologica” parla Vincenzo Costa in La fenomenologia, cit., in cui si afferma che “la storia del movimento fenomenologico è senza dubbio segnata dalla rottura che si venne a creare tra Husserl e Martin Heidegger all’apparizione di Essere e Tempo”, ivi, p. 264. Nel corso del semestre estivo Prolegomeni alla storia del concetto di tempo (1925) Heidegger passa in rassegna quelli che a suo avviso sono i concetti fondamentali della corrente fenomenologica e che, a suo dire, Husserl non avrebbe radicalizzato, rimanendo impigliato, nonostante l’intenzionalità, nella dialettica di soggetto-oggetto. Il filosofo di Messkirch sente, infatti, l’esigenza di una presa di distanza da quella impostazione husserliana che egli vede come “lacunosa”. L’intenzionalità è una struttura dei vissuti psichici e non “una teoria della relazione tra psichico e fisico”, M. Heidegger, Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, § 5-B, P. 44. Il concetto di intenzionalità indica una relazione tra intentio e intentum, tra l’atto e il contenuto intenzionale. Tale nozione non indica una relazione intenzionale tra un soggetto e un oggetto, ma tra una intentio e un intentum, ossia tra un atto che si dirige verso e un ente nel come del suo essere inteso o intenzionato. Tra loro, per Heidegger, non c’è iato, né diffrazione. Essi sono distinti ma non eterogenei dal momento che sorgono da un’unica fonte. L’individuazione di questa fonte unica e comune di atto noetico e contenuto noematico è il luogo in cui Husserl e Heidegger separano i loro percorsi. Abbiamo detto, infatti, che l’intenzionalità indica una relazione della coscienza con qualcosa; la coscienza è sempre un dirigersi verso... su questo punto Heidegger e il suo maestro Husserl concordano. Ma qual è la radice dell’intenzionalità? Sappiamo dalle Idee che per il filosofo di Prossnitz dall’epochè fenomenologica, ossia dalla riduzione, la coscienza risulta quale residuo fenomenologico, come possiamo leggere al § 33: “Se il mondo intero, inclusi noi stessi con tutto il nostro cogitare, viene posto fuori circuito, che cosa può ancora rimanere? [...] la coscienza in se stessa ha un suo essere proprio che non viene toccato nella sua propria assoluta essenza dalla fenomenologica messa fuori circuito. Essa quindi rimane come residuo fenomenologico, come una regione dell’essere per principio peculiare, che può di fatto diventare il campo di una nuova scienza – della fenomenologia”, E. Husserl, Idee, § 33, PP. 74-76. Da questo passo emerge con chiarezza che attraverso l’epochè la coscienza emerge in tutta la sua intenzionalità fungente, per riprendere un’espressione di Crisi, un’intenzionalità che rende la soggettività trascendentale un’attività costitutiva e funzionale. La coscienza indica la condizione di possibilità del mondo e non un pezzo di esso. Per Husserl, secondo Heidegger, “la coscienza, l’essere immanente, dato in modo assoluto, è ciò in cui si sostituisce ogni altro ente possibile, in cui esso è autenticamente ciò che è. Assoluto è l’essere costitutivo. Ogni altro essere in quanto realtà è soltanto in relazione alla coscienza, cioè relativo ad essa”, M. Heidegger, Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, cit., § 11 C, P. 131. Heidegger tenta di riguadagnare il terreno dell’intenzionale tramite un’operazione opposta all’epochè husserliana e cioè attraverso l’analisi del mondo come dimensione originaria di ogni possibile intentio e intentum, di ogni loro possibile rapporto. Il mondo non è un correlato di coscienza e l’intenzionalità mette in luce proprio questo. La seconda scoperta fondamentale della fenomenologia è l’intuizione categoriale, interpretata da Heidegger come il radicarsi dell’intenzionalità nell’essere-nel-mondo. Essa consente di pensare la categoria come dato, come oggetto in carne e ossa. Si afferma, infatti, al § 6 dei Prolegomeni che “la scoperta dell’intuizione categoriale è la prova, in primo luogo, che c’è un semplice coglimento del categoriale, di quelle entità nell’ente che si delineano tradizionalmente come categorie [...] in secondo luogo è soprattutto la prova che questo cogliere è investito nella percezione quotidiana in ogni esperienza”, ivi, p. 61. L’intuizione categoriale è presente, cioè, in ogni percezione concreta; inoltre, quest’ultima non è sufficiente a mostrare in che modo noi ci rapportiamo agli enti in quanto “l’ente percepito si mostra sempre soltanto in un determinato adombramento”, p. 62. La percezione non è mai adeguata a conoscere completamente l’ente, il quale si dà solo parzialmente. In altri termini, l’intuizione categoriale permette di gettare luce sul dato, attraverso la categoria, in un atto unico che ci permette di identificare un oggetto. Infatti, le sensazioni non permettono all’ente di apparire nella sua identità oggettuale, esso si presenta come oggetto unicamente tramite un’eccedenza, costituita appunto dall’intuizione categoriale. É possibile istituire un parallelo tra il senso dell’intuizione categoriale di cui si parla nei Prolegomeni e quello dell’intuizione pura affrontata in Kant e il problema della metafisica se si pensa al fatto che l’intuizione categoriale, come quella pura, consentono quel darsi dell’oggetto che secondo Heidegger è reso possibile dalla sintesi a-priori dell’immaginazione e che ritroveremo in Grassi nei termini di fantasia e ingegno come modalità di apprensione del reale. La terza scoperta fondamentale della fenomenologia è il concetto di a-priori. Rispetto all’impostazione classica che lega l’a-priori alla sfera del soggetto “la fenomenologia – avverte Heidegger – ha mostrato che l’a-priori non è limitato alla soggettività”, ivi, pp. 92-93, ma è un titolo dell’essere. Esso non è solo qualcosa di “immanente che appartiene primariamente alla sfera del soggetto”, ibidem, e nemmeno qualcosa di “trascendente, che inerisce specificamente alla realtà”, ibidem. In quanto tale, l’a-priori “diventa esibibile in se stesso in una semplice intuizione”, ibidem. Questa esibizione intuitiva dell’a-priori, ossia l’intuizione categoriale/pura e la connessa intenzionalità mettono in luce come il vero “trascendens puro e semplice” non sia il soggetto, nè l’oggetto, ma la relazione stessa, l’intenzionalità che è possibile solo in quella Lichtung che è il mondo. ! 126!   Sarebbe un’operazione forzata includere in seno alla “galassia fenomenologica”, sia pure nella sua variante eterodossa, anche Grassi. Tuttavia ci pare doveroso sottolineare, al di là degli esiti e dei metodi di ricerca certamente differenti, una comunanza di tematiche e di interessi di innegabile evidenza: i temi della manifestatività, delle forme e dei gradi dell’apparire, dell’immanenza e dell’evidenza, della critica all’obiettivismo. Infatti, è in questo periodo fecondo che si impone il ripensamento del tema della manifestatività nella sua identità con la questione ontologica. In Il problema del logo si afferma che la ricerca della manifestatività si identifica con la questione dell’essere: “L’originario vero non può venire inteso come la svelatezza di un oggetto, ma solo come quella di un processo; questo processo a sua volta non si rivela che come un manifestarsi, un distinguere se stesso. Se il processo di distinzione non fosse il primo, non sarebbe possibile passare dal non manifesto a ciò che è manifesto [...] il processo deve quindi essere inteso come un auto-manifestarsi. É importante notare che la nostra ricerca dell’essenza della svelatezza non ci permette alcuna distinzione tra manifestazione ed essere”379. In questo passo si profila un’idea di essere come processo e automanifestazione lontana dall’ontologia oggettivistica che riduce l’essere al dato. Comprendere l’essere è possibile soltanto se lo si identifica con il processo di manifestazione. L’originario, il fondamento a cui l’antropogenesi è indissolubilmente correlata, si presenta non come dato ma come processo, atto della manifestazione. Ciò comporta un’analisi ontologica che Grassi fa partire da una messa in discussione del concetto oggettivistico dell’essere in quanto dato inteso come presenzialità immediata. Se la ricerca del vero della prospettiva empiristica si fonda su una riduzione dell’essere al dato, allora questa concezione sottintende un’aporia che Grassi prontamente mette in evidenza: “l’empirismo rinvia all’immediata presenza quando deve legittimare la propria verità. Soltanto dobbiamo domandarci se il “fatto” come tale, ci porga veramente l’immediata presenza: ove ciò non avvenisse, ove l’immediata presenza non fosse racchiusa nel fatto, quella verità, cui l’empirismo si richiama, sarebbe proprio per esso irraggiungibile”380. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 379 E. Grassi, Il problema del logo, in Id., I primi Scritti, cit., p. 376. 380 Ivi, p. 374.  ! 127!  La contraddittorietà del dato in qualità di immediata presenza mostra come l’originario non possa mai darsi come un dato – poiché in questo caso sarebbe qualcosa che è già diventato, realizzato – non indicando ciò che è diventato e che si è cristallizzato come fatto, oggetto, bensì il divenire, il manifestarsi, ciò che “sta essendo”. L’immediata presenza a cui l’empirismo si richiama non può essere un fatto o un dato ma il divenire, il manifestarsi poiché “il presente, l’attuale, non può mai assumere la forma di un fatto, di qualcosa che è solo in quanto diventato, finito. Il dato, il fatto presente, nel senso naturalistico- empiristico è una contraddizione in sé, perché vorrebbe affermare che qualcosa, che è già diventato, sia attualmente presente [...] l’essenza della presenzialità immediata – che dovrebbe essere l’essenza della svelatezza empiristica – non è dunque ciò che è diventato e che si è cristallizzato come fatto, oggetto, bensì il divenire, il manifestarsi”381. Dalle tesi grassiane sull’essere emerge la presenza di una teoria metafisica immanente dell’esistente, del Da-sein come attualità concreta, che coglie l’essere attraverso una facoltà che è sia logica che patica. Abbiamo visto che l’essere per Grassi non è più un dato empirico o un concetto trascendente, ma è fondato nell’esistente come attualità, autorealizzazione originaria e trascendentale, dove l’hic et nunc, il qui e l’ora dell’autorealizzazione del Da-Sein, rivela la sua intrinseca storicità. L’essere indica per Grassi “ciò che sta essendo”, quindi un divenire, un processo che dice della dynamis insita nell’essere. Si tratta, quindi, di un’ontologia dinamica e non statica, che comporta anche una riforma del sapere, del linguaggio e del metodo. Pertanto afferma Grassi che “il metodo per il conseguimento del sapere non può più essere razionale, fondante, in quanto esso può essere determinato soltanto sul fondamento della risposta alla domanda su come e attraverso cosa viene originariamente esperito. Un tale pensiero non può più essere formale, perché si tratta di questo, di rispondere all’appello dell’essere che ci riguarda, cioè si tratta della domanda in quale non-nascondimento (Unverborgenheit), in quale schiarita (Klärung) – (le luci, le radure (Lichtungen) nel bosco di cui parla G. B. Vico) – l’ente – al quale l’uomo appartiene – appare certamente”382. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 381 Ivi, p. 375. 382 Id., Il colloquio come evento, tr. it. di R. Messori, La Città del Sole, Napoli 2002, p. 81.  ! 128!  III. IV. Metodo statico e metodo aporetico Al metodo statico della tradizione filosofica tradizionale, quello che per Grassi mira alla definizione del concetto che dice della cosa unicamente il suo essere ente e non la sua polisemia costitutiva, il filosofo contrappone una via di ricerca, un metodo aporetico, che pone in luce come la verità non sia la verità di un oggetto, sia esso empiristico o razionalistico, ma quella di un processo. Su questo aspetto Grassi si sofferma soprattutto in Il problema della metafisica platonica del 1932. Le “meditazioni platoniche” grassiane sono dominate dai temi della verità, dell’essere, della manifestatività e della pluralità delle forme, che qui trovano una prima esplicazione sistematica correlata anche alla questione dell’umanesimo. Il tema di Il problema della metafisica platonica è individuato da Grassi nell’ambito della problematizzazione del concetto di forma. Il tema dell’eidos è coestensivo a quello della ricerca del ti esti e si viene configurando secondo il filosofo milanese come risposta da parte di Platone all’oggettivismo sofistico. La ricerca sulla forma è in generale la ricerca dei modi della manifestazione del reale come modi di determinabilità383. Scritto nel 1931, il testo è pubblicato grazie a Benedetto Croce nel 1932 presso l’editore Laterza ed è dedicato a Heidegger, il filosofo al quale Grassi si sentirà legato per tutta la sua esistenza e che insieme a Gentile ha maggiormente influenzato il suo pensiero. In questo testo Grassi analizza il dialogo platonico Menone in polemica con le interpretazioni tradizionali che guardano a Platone come il rappresentante di un astratto razionalismo. Egli si chiede se sia legittima una interpretazione oggettivistico- razionalistica del pensiero platonico o se, invece, non si debbano gettare le basi per un discorso su Platone partendo dalla teoria della reminiscenza ed enucleando il significato teoretico del dialogo. Il filosofo sostiene che lo scopo di Il problema della metafisica platonica “è di porre solo in discussione il problema della legittimità della tradizionale interpretazione della metafisica platonica. Ricorre veramente Platone a un oggettivismo razionalistico – che egli contrappone a quello empiristico della sofistica – per fondare quella conoscenza oggettiva e certa, quella metafisica, la cui possibilità negavano i sofisti? Non è forse lecito avere alcun dubbio riguardo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 383 Id., l problema della metafisica platonica, Laterza, Roma-Bari 1932, p. 60. ! 129!   all’affermazione che egli come filosofo, ha cercato di superare l’obiezione sofistica [...] fondando una teoria del sapere come reminiscenza?”384. Il pensatore sottolinea l’attenzione di Socrate verso l’anamnesi385 come tentativo di arginare la carica distruttiva dell’ipotesi eristica di Menone, per il quale non è possibile indagare né ciò che non si conosce, né ciò che si conosce, perché nel primo caso non si saprebbe cosa cercare, mentre nel secondo la ricerca è inutile386, e legge la tesi platonica attraverso un filtro attualistico-esistenziale. Scrive Grassi che “se il processo di reminiscenza non ha inizio, la verità non è affatto al di là del processo di ricerca, ma coincide con esso. Ciò che noi chiamiamo verità, ciò che si manifesta, è contenuto nel processo dell’atto filosofico, è anzi quell’atto medesimo”387. La verità non è al di là del percorso di ricerca, ma si identifica con il suo stesso formarsi, con il processo; inoltre il tema del vero si incrocia con quello dell’apparire, del manifestarsi mostrando come entrambi – il vero e l’essere – non siano alcunché di trascendente, ma al contrario si identifichino con il domandare stesso: il domandare, il ricercare in cui si alternano in un ritmo incessante certezza e dubbio. L’oggettività del vero e dell’essere trova il suo fondamento nel comune terreno del dialogo e non in ciò che è esterno a noi. “Se il determinarsi della realtà si realizza nel logo, il dia-logo è la concreta forma della manifestazione dell’essere; in questo caso nel dialogo la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 384 Ivi, p. 8. 385 “SOCR. Poiché dunque l’anima è immortale ed è rinata più volte, e ha visto tutte le cose, sia quelle di qui sia quelle dell’Ade, non c’è nulla che non abbia appreso. Perciò non deve meravigliare che essa, sia sulla virtù sia sulle altre cose, possa ricordare ciò che conosceva già prima. Dal momento che tutta quanta la natura è affine e che l’anima ha appreso tutte quante le cose, nulla impedisce che, ricordandosi di una cosa soltanto – ciò che gli uomini chiamano appunto apprendimento – riscopra tutte le altre, sempre che si tratti di qualcuno coraggioso e che non desista dal ricercare. Infatti ricercare e apprendere sono in generale reminiscenza”, Platone, Menone, a cura di F. Ferrari, Milano 2016, 81 c 8- d 6, pp. 201-203. 386 “MEN. Ma in quale modo cercherai, Socrate, ciò che non sai affatto che cosa è? Quale delle cose che non conosci proporrai come oggetto della ricerca? E nel caso in cui ti imbattessi veramente in essa, come farai a sapere che è proprio quella che non conoscevi? SOCR. Capisco che cosa intendi dire, Menone. Bada che stai richiamando l’argomento eristico in base al quale per l’uomo non è possibile ricercare né ciò che conosce né ciò che non conosce: infatti non cercherebbe ciò che conosce – perché lo conosce e non ha bisogno di una simile ricerca – , e neppure cercherebbe ciò che non conosce – perché non saprebbe che cosa dovrà cercare”, ivi, 80 d 5- e 7, pp. 193-195. 387 E. Grassi, Il problema della metafisica platonica, cit., p. 116. ! 130!   contesa, !"*-, diventa ed è essenzialmente ricerca”388. Vorremmo sottolineare – a sostegno della nostra ipotesi interpretativa che nega una svolta retorica-patica di un “secondo Grassi” rispetto ad un “primo Grassi” dominato dal problema del logos – che già in questo testo del 1932 la problematica retorica appare centrale come discussione intorno al valore del dia-logo come metodo di ricerca della verità in opposizione all’arte eristica e sofistica come “forme spurie di retorica”389. Qui il pensatore mostra di aver fatto proprio il motto platonico esposto nel Cratilo secondo cui la quintessenza dell’umano riposa nella ricerca390, come possiamo leggere anche in un saggio del 1932, Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico, nel quale l’essenza di ànthropos, fatta derivare dall’etimologia del termine, riposa proprio nello sforzo interpretativo, nella fatica costante del pensare la realtà, il mondo oggettivo. In tale sforzo, in tale compito, in tale impegno, risiede l’essenza del neoumanesimo grassiano: “Se con atteggiamento umanistico si intende un ritorno alle radici della nostra umanità, e se questa non sta in una realtà storica esteriore ma in noi, allora quel ritorno non può essere fecondo che portando alla luce la nostra umanità nell’atto filosofico educato allo sforzo interpretativo”391. Ritornando al tema della funzione del dialogo e della sua capacità di aprire l’ambito dell’oggettività e della determinazione possiamo rilevare come in Grassi “la determinatezza dell’oggetto da cui parte una domanda, non è solo il fondamento della sua oggettività, ma anche il fondamento dell’oggettività di un dialogo, e quel ti esti è l’unica base di una ricerca comune !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 388 Ivi, p. 87. 389 Ibidem. 390 “Questo nome, ànthropos, significa che, mentre gli altri animali sulle cose che vedono non indagano nulla, non congetturano e non anathrèi (osservano attentamente), l’ànthropos nel momento stesso che vede – e cioè òpope (ha visto) – anathrèi e ragiona su ciò che òpope. Di qui perciò all’uomo, unico fra gli animali, è stato dato correttamente nome ànthropos, in quanto anathròn hà òpope (osserva attentamente ciò che ha visto)”, Platone, Cratilo, 399 c, tr. it. a cura di F. Aronadio, Laterza, Roma- Bari 1996, p. 43. 391 E. Grassi, Il problema filosofico del ritorno al pensiero antico, “Rivista di filosofia”, Milano XXVIII, aprile-giugno 1932, n. 2, pp. 136-154 ora in Id., I primi scritti, cit., p. 271. Corsivo nostro.  ! 131!  positiva”392. La determinatezza della cosa si fonda allora non nella cosa stessa, ma nella nostra ricerca che ha origine nell’atto aporetico con il quale ha inizio il ricercare. “L’aporia come ricerca (.,/,μ&)”393 ha fatto emergere la co-appartenenza dell’aporia con il tema della visione dell’!*'$-. Secondo il pensatore milanese il punto di partenza della ricerca è la situazione di dubbio in cui si trova colui che ricerca e afferma che “se la determinazione si dà attraverso l’attualità aporetica [...] questa attualità aporetica, è il fondamento delle determinazioni”394. L’attualità aporetica, il dubbio, è il fondamento reale della manifestazione, dell’essere ed è l’essenza di ogni possibilità di discriminazione e comprensione395: qui risiede il valore metafisico-esistenziale delle teorie platoniche, le quali non vanno interpretate alla luce di un dualismo che fa capo alla dottrina dei due mondi ma come metafisica della finitezza396. Viene in primo piano in questo testo anche la centralità del tema del dialogo che, per Grassi, non gioca solo il ruolo di una forma espressiva tra le tante possibili, ma va a costituire la struttura e l’architettura del pensiero platonico che è intrinsecamente aporetico. Anzi solo come aporia il filosofare dispiega la sua essenza autentica: il filosofare “è nella sua essenza approfondire, essere capaci di domandare sempre più radicalmente, il filosofare è essenzialmente una )!%*&, una fatica, e solo in essa ci si conquista la realtà”397. La fatica del ricercare non ha solo una connotazione psicologica ma è l’“elemento caratteristico e veramente intrinseco alla struttura dell’atto speculativo”398. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 392 Id., Il problema della metafisica platonica, cit., p. 21. 393 Ivi, p. 86. 394!Ivi, p. 71.! 395 Ibidem. 396 “In funzione del chiedere si dà l’essere, la sua manifestazione e in quanto il chiedere è sempre determinato, quest’essere che appare è sempre finito, e l’affermazione metafisica che a suo riguardo si può fare, è l’affermazione metafisica di un essere finito. Con questa finitezza dell’essere non s’intende di fare né un’affermazione scettica o relativistica, né un’affermazione che limiti la filosofia. In quanto l’essere – così come esso di dà – è sempre finito, la metafisica è nella sua essenza, metafisica del finito”, ivi, p. 72. 397 Ibidem. 398 Ivi, p. 74.  ! 132!  La fecondità teoretica dell’aporia platonica nell’iter di pensiero grassiano va di pari passo con la sua costante critica alla concezione oggettivistica della filosofia che caratterizza non solo lo scritto platonico del ’32, ma tutti i contributi che, a partire dagli anni Trenta fino alla metà degli anni Quaranta, sono improntati alla definizione di un’idea di logos complesso al di fuori dei cardini dell’obiettivismo tradizionale e più aperto alla dimensione patica. In un testo tardo, Il colloquio come evento, frutto degli incontri zurighesi a carattere seminariale avvenuti a partire dal 1977 con colleghi appartenenti a diversi settori disciplinari, emerge in modo esplicito il senso che la pluralità delle forme espressive in generale e il dialeghesthai in particolare riveste per Grassi399. I dialoghi platonici offrono l’occasione di pensare all’atto linguistico in modo nuovo: nel dialogo si realizza un colloquio. Il filosofo è mosso dal convincimento che occorre distinguere il dialogo dal colloquio, al fine di ritrovare il senso autentico di un dialogo non ridotto a monologo scientifico: “se alla fin fine il dialogo scientifico si radica in un monologo, emerge la questione circa il luogo in cui trova posto il colloquio. Quali sono l’essenza e la struttura del colloquio? Noi distinguiamo ora il dialogo dal colloquio perché abbiamo visto che il dialogo razionale viene condotto come un monologo, mentre un colloquio presuppone una situazione storica come punto di partenza e come misura”400. Il concetto di situazione acquista per il filosofo un significato prioritario poiché rappresenta la forma originaria in cui l’uomo agisce, pensa e vive; e proprio il legame tra il dialogo-colloquio e la situazione mette in luce il valore metafisico del dia-leghestai come de-limitarsi dell’essere all’interno del domandare stesso. Si tratta di un evento semiotico in cui i dialoganti, attraverso l’Erfahrung linguistica, esperiscono la possibilità che sorge dal linguaggio in atto di accedere alla verità, ai recessi dell’essere, attraverso l’esercizio della parola e del domandare. È l’atto del domandare l’atto di nascita del filosofare, del tendere continuo al sapere nell’esercizio vivo della domanda. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 399 Cfr., R. Messori, L’affettività del colloquio, pp. in E. Grassi, Il colloquio come evento, cit., e V. Mathieu, I temi di Grassi nei “Colloqui Zurighesi”, in AA. VV, Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit., pp. 305-314 e H. Schmale, Lo spirito dei colloqui di Zurigo, ibidem, pp. 315-323. 400 E. Grassi, Il colloquio come evento, cit., p. 61. Corsivo nostro. ! 133!   L’unico metodo per il filosofare nasce dall’aporia, dall’assenza di certezze e nella insistenza nel ricercare da parte del dialogante che tenta di arginare l’ambiguità del dire e il dinamismo intrinseco della realtà e dell’essere nello spazio interumano di costruzione del senso. Il senso autentico della metafisica immanente di Grassi emerge proprio nel dia-legesthai, ossia nel “dire attraverso il logos” il divenire dell’essere, che grazie al logos guadagna paradossalmente una permanenza: questo è il senso della riflessione sulla metafora che è la modalità logica di portare ad espressione l’essere del divenire. La metafora, pur non sostituendosi al concetto, rappresenta lo stile linguistico entro cui e a partire da cui si dispiega la teoresi. Infatti, Grassi afferma che “la forma originaria del colloquio nella sua funzione storica è metaforica.”401 L’importanza della tesi di libera docenza del 1932 è emersa in tutti i suoi aspetti teoretici fondamentali facendo venire in superficie temi centrali in tutto il cammino di pensiero di Grassi. In questo testo l’essenza della verità è ricondotta alla struttura del dialogo. Grassi tenta quell’accordo tra apofansis e poiesis, tra manifestazione e creazione, tra enunciazione della verità e la condizione che la rende possibile, tra verità e significatività attraverso l’analisi della questione metodica da cui risulta un’idea di verità extra-metodica: nel vero siamo già da sempre immersi poiché il vero è il processo stesso della ricerca. La fecondità teoretica dell’aporia, che non è una strada sbarrata per il pensiero ma l’unica percorribile, consente a Grassi anche di pensare all’idea di un rinnovamento linguistico che può esserci solo se si riconosce l’origine metaforica del linguaggio. La volontà di sottolineare l’arcaicità della metafora come a priori del linguaggio, fondamento e Grund, fa emergere come la metafora non sia intesa come tropo – o non solo come tropo, parola – ma come energheia, atto traspositivo. La riflessione grassiana su metafora e retorica, come vedremo nell’ultimo capitolo, è guidata proprio da questa idea di una teoria dell’atto metaforico che agisce come trascendentale del linguaggio. In Il problema della metafisica platonica il tema della determinazione del ti esti, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 401 Ivi, p. 71.  ! 134!  incrociandosi inevitabilmente con quello della ',0(1*-, della manifestazione della realtà, pone anche il tema della verità e del sapere. Se il vero non è mai un dato, ma è raggiunto nel processo di ricerca, il sapere ad esso adeguato non sarà un sapere concettuale che fossilizza e rende statico ogni elemento della ricerca, ma un sapere noetico che, per Grassi, è arcaico e indicativo. Qui risiede il valore semantico dell’ontologia fenomenologica di Grassi che gravita intorno al concetto di nous, sinonimo di ingegno e di fantasia. Il nous ha l’aspetto di una “intelligenza senziente” o di una sensazione intelligente per dirla con Zubiri, il quale, insieme a Grassi e Ortega, è uno degli allievi “latini” di Heidegger, come ricorda Grassi in La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale402. L’essere si presenta originariamente non nella forma di essenza concettuale ma come atto, in un’attualità che sta prima di ogni riflessione teoretica. L’essere come oggetto di ulteriori atti di riflessione è, infatti, dipendente dall’attualità del Da-Sein in cui l’essere si dà, si determina. La determinazione ante-predicativa è resa possibile solo perché l’essere in qualche modo ci è già manifesto prima di ogni possibile rapporto di predicazione. Tale pre-intelligenza dell’essere è da intendersi come il logos originario che dice non il factum – l’essere ridotto al datum – ma il fieri – il processo di manifestazione. In questo discorso si inserisce anche il tema del nulla. III. V. La funzione metafisica di nulla e angoscia Grassi, in Il problema del logo, sostiene che “se la svelatezza dell’essere si chiude in un processo, allora esso [...] deve contenere in sé il nulla e l’essere, giacché ogni processo, ed anzitutto quello metafisico, realizza sempre un passaggio dal nulla all’essere. Ne deriva che a loro volta i concetti del nulla e dell’essere determinano il nostro concetto di processo”403. L’importanza della questione del nulla come co-fattore, insieme all’essere, nella !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 402 Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 31. 403 Id., Il problema del logo, cit., p. 377.  ! 135!  determinazione del divenire è centrale nella definizione di un’idea di logos capace di dire il processo di manifestazione. Se ciò che si manifesta si identifica con l’essere, e se la manifestazione va intesa come uno scindersi e distinguersi di sé, “come deve essere inteso questo processo? Scindere, distinguere, portare ad unità, sono i vari termini con cui traduciamo 0!#!*%, logo”404. La centralità del logos, quale modalità in cui l’essere accade in quanto processo, potrebbe essere confusa con un’ennesima concessione alla logica tradizionale. Tuttavia Grassi distingue un significato inautentico di logos da uno autentico come modalità di svelamento dell’essere. “Il logo come oggetto della logica tradizionale è il logo in quanto pensato, oggettivato. Il logo non viene da essa studiato come un atto concreto, come un auto-distinguersi realizzantesi, bensì come verità di giudizio [...] in quanto il manifestare logico, come verità di giudizio, si fonda in una verità più originaria, sorge la necessità e la legittimità di distinguere due differenti concetti del manifestare: la verità del giudizio (come verità logica nel senso tradizionale) e la svelatezza originaria degli enti”405. É precisamente in questa direzione che il filosofo conduce la propria ricerca, collimante con la filosofia italiana a lui coeva e il pensiero heideggeriano, con l’intento di guadagnare un concetto di logica al di fuori dell’orizzonte obiettivante che riduce l’essere al dato, all’ob-jectum senza riguardo verso il processo di manifestazione, verso quel divenire che è passaggio dall’essere al nulla. Un logos adeguato all’espressione del divenire è un logos che riesce a pensare il nulla senza oggettivarlo, quindi senza cadere in contraddizione. La tradizione filosofica pensa il logos come 0$#$- /*%$-, dove il /*%$- è un $% rispetto a cui il logos è adaequatio. Il problema è quello di guadagnare un “nuovo significato di logo, libero da ogni dialettica formale”406 che riesca a relazionarsi al nulla e a farlo oggetto di domanda e di esperienza. Si chiede Grassi: “in che rapporto stanno il Nulla e l’Essere? L’Essere sorge dal nulla? Ma in che modo è il nulla? Si può dire senza contraddizione che il Nulla sia?”407. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 404 Ibidem. 405 Ivi, p. 378. 406 Ivi, p. 379. 407 Ivi, p. 380.  ! 136!  L’importanza del nihil all’interno dell’indagine ontologica è direttamente conseguente all’assimilazione del processo di manifestazione all’auto-distinzione, dove lo svelamento contiene in sé già l’essere e il nulla, la possibilità di mostrarsi ed occultarsi, come quella dell’errore e della verità. Ora se la logica tradizionale rifiuta ogni tipo di trattazione scientifica del nulla per i motivi già espressi dobbiamo cercare un altro modo in cui il nulla si manifesta. Una simile ricerca consente anche di porre la questione dell’essere al di fuori del circuito oggettivistico – sia esso empiristico o razionalistico – e secondo Grassi in questo tentativo di ripensamento di una via di accesso al nulla giunge in aiuto la proposta heideggeriana della priorità della Stimmung dell’angoscia/ansia408, che viene ad incontrarsi con quella attualistica del logo come atto. Si chiede Grassi: “esiste dunque il nulla, e qual è il suo rapporto con l’essere? L’angoscia che ci rivela il nulla è il presupposto dell’atto logico?”409. Sorge il tema della funzione metafisica dell’angoscia che sollecita un approfondimento del rapporto tra angoscia, logos e manifestatività, ossia della correlazione problematica e non dualistica di logos e pathos. L’essere originario, dunque, se non è un dato, un oggetto trascendente, ma un divenire, un processo, esso comprenderà al suo interno anche la questione del nulla. Il nulla non è ma esiste e il suo urgere per Grassi si rivela nell’angoscia esistenziale costitutiva dell’uomo: “il nulla sorge [...] esclusivamente nell’esistente come il vanificarsi dell’esistente medesimo nella sua totalità. Questo vanificarsi della realtà nello stato dell’angoscia esistenziale manifesta pure per la prima volta l’esistente come un completamente altro da esso e come tale lascerebbe sorgere di fronte a noi la realtà dell’essere come essere nella sua originaria alterità e possibilità di determinazione”410. Il nulla come vanificarsi dell’esistente appare nel sentimento dell’angoscia in cui l’essere si manifesta nella sua assoluta alterità, nella sua convertibilità con il nulla. L’angoscia è il fenomeno !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 408 I termini angoscia e ansia sono usati indistintamente da Grassi, tuttavia egli usa il termine ansia in riferimento all’Angst heideggeriana solo nel saggio del 1929 Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, cit., p. 220, in Id., I primi scritti, cit., pp. 203-228. Nei saggi successivi il termine ansia viene sostituito da angoscia. 409 Ivi, p. 385. 410 Id., Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, cit., pp. 328-329.  ! 137!  stesso del fondamento, è la modalità in cui il processo di manifestazione dell’essere nella sua differenza accade: “l’angoscia quindi in cui il nulla si mostra come il vanificarsi della totalità dell’esistente, è la fonte della possibilità di pensare [...] è allora proprio che l’esistente si manifesta e può diventare oggetto di domanda nella sua totalità”411. Il nulla che appare nell’angoscia nella sua convertibilità con l’essere, e che connota l’intero atto di manifestazione e auto-distinzione dell’originario, è la condizione trascendentale del logos. Il logos è il modo umano del darsi della co-estensione e coappartenenza di essere e nulla. Quest’ultimo non va quindi inteso nel suo valore logico di negazione ma nel suo valore di annientamento dell’esistente e di pura possibilità. Solo attraverso il nulla l’essere appare come realizzazione delle pure possibilità umane e quindi come compito, sforzo e atto, concetti, questi, davvero fondamentali nella filosofia di Grassi che mostrano, da un lato, la presenza di una componente etica del sui pensiero nel senso generale di ethos come “orientamento della vita al telos”, dall’altro il radicamento di tale orientamento nella struttura temporale della coscienza umanistica, che, come vedremo, è caratterizzata da una componente cairologica che fa convergere tutta l’attenzione verso il kairòs, il “tempo opportuno”, e quindi verso la scelta, la decisione. In Grassi più che agire una temporalità contrassegnata dall’eschaton di heideggeriana memoria è presente l’attenzione verso il kairòs, il “tempo opportuno” che va a strutturare la nostra relazione con il mondo circostante. Come abbiamo tentato di dire in queste pagine il reale, l’essere, il suo apparire si manifestano nel perimetro antropico in molteplici modi, tutti interrelati, in cui una delle molteplici forme dell’apparire non può essere dedotta da un a priori logico. A giudizio del filosofo alla logica del pensato non può spettare l’ultima parola sulla vita e un’intelligenza ante-predicativa, pre-teoretica del reale è possibile solo se si getta luce su un’esperienza originaria del reale, dell’essere, di cui la logica è solo una forma di apparire derivata e secondaria. Come si relazionano il logos e il pathos in questo orizzonte di ricerca? !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 411 Ivi, p. 329.  ! 138!  III. VI. Logos et pathos convertuntur Grassi distingue un doppio significato per entrambi i concetti: uno autentico e uno inautentico. Da una parte abbiamo il logos inautentico, quello della logica astratta, del razionalismo deduttivistico, dell’a priorismo gnoseologico e il pathos inautentico, quello ridotto a fenomeno psicologico e privato, a esperienza chiusa nella singolarità. Dall’altra ci sono il logos autentico proprio del pensiero pensante e concreto, che sperimenta la manifestatività dell’essere nell’autodistinzione, e il pathos autentico che va inteso in senso metafisico. L’angoscia costituisce appunto questo pathos autentico. Per Grassi il pathos è sempre già connotato ontologicamente e non si riduce all’affectio o all’emozione. Solo ed unicamente sul suo fondamento facciamo esperienza della nostra apertura mondana, della Lichtung e dell’evento della differenza ontologica: secondo il filosofo nel pathos “l’inaudito appare sul palcoscenico della storia”412. Esso è “passione abissale”413 in cui accade il fenomeno dell’essere e allo stesso tempo il suo sottrarsi: il pathos metafisico indica il nostro lasciarci afferrare dalla realtà, dall’essere che si impone e contro cui urtiamo senza possibilità di sottrarci al suo appello. Nell’esperienza patica l’uomo si trova di fronte al proprio disancoramento e alla propria angoscia in cui “questo vanificarsi della realtà nello stato dell’angoscia esistenziale manifesta pure per la prima volta l’esistente come un completamente altro da esso e come tale lascerebbe sorgere di fronte a noi la realtà dell’essere come essere nella sua originaria alterità e possibilità di determinazione. L’angoscia quindi in cui il nulla si mostra come vanificarsi della totalità dell’esistente è la fonte della possibilità di pensare (come pensare l’essere) e di filosofare e in esso sorge la possibilità di trascendere l’esistente nella sua totalità rendendolo possibile termine di domanda”414. Nel pathos dell’angoscia noi esperiamo l’assenza di mondo e la possibilità allo stesso tempo di implementare ordini di realtà, progettazioni e creazioni, per arginare l’“assenza di mondo” in cui l’uomo è gettato proprio perché privo di orientamenti precostituiti. L’esperienza della dismondanizzazione e di assenza di mondo, su cui ci soffermeremo a breve, sono il regno dell’Aperto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 412 Id., La metafora inaudita, cit., p. 92. 413 Ivi, p. 40. 414 Id., Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, in Id., I primi scritti, cit., p. 329.  ! 139!  in cui è assente ogni direzione, ogni coordinata, ogni orientamento. Il filosofo asserisce che “in quest’esperienza siamo di fronte all’Offenheit, a quella apertura che, non essendo la nostra dimensione, ci paralizza [...] qui gli oggetti diventano trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti puoi più aggrappare a loro, non puoi più tenerli in mano per costruire con loro un mondo, e comincia la sensazione del precipizio”415. A caratterizzare maggiormente l’esperienza patica è quindi la sua componente metafisica e non psicologica: nel pathos facciamo esperienza dell’originario. La passione ha anche un significato arcaico nel senso di fondativo: “si è costretti a riconoscere che la passione agisce come archè, potenza elenchica, che ci espone perché non possiamo liberarci da essa, incombe come destino e nella sua luce fa apparire il significato di ogni ente”416. Essa consente di prendere coscienza dell’eventualità dell’essere, dell’apertura dei mondi, dell’aletheia come schiudersi, aprirsi e darsi della concreta situazione storica: in questo contesto ontologico si installa la visione antropologica di Grassi. L’esperienza dell’oggettivo, dell’essere ai cui appelli dobbiamo corrispondere rende possibile la costruzione del secondo livello di oggettività, quella dell’umano. Il corrispondentismo, che permea quell’ambito gnoseologico messo da parte dal filosofo, viene recuperato sul piano ontologico: l’adeguazione dell’oggettività dell’essere, dell’originario, il nostro corrispondere all’evento va di pari passo con l’antropogenesi. Solo grazie a ciò l’uomo diventa uomo e l’Umwelt diviene Welt attraverso le pratiche di umanizzazione della natura. A parere del filosofo “noi ci troviamo di fronte al compito di un ordinamento solo perché circondati e sommersi in un mare di fenomeni nei quali dobbiamo riconoscere di non saperci orientare: esperimentiamo l’angoscia primordiale dell’assenza di mondo. Questa esperienza della negatività, della mancanza di mondo è il primo ed originario aspetto della necessità della trascendenza, in funzione alla quale solo incontriamo un materiale per la formazione del nostro mondo”417. Sulla base di quanto detto è emersa una prospettiva che lega indissolubilmente la tematica dell’essere e quella del nulla alla Stimmung dell’angoscia generando una rinnovata idea di logos. Se !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 415 Id., Assenza di mondo, cit., p. 226. 416 Id., Il dramma della metafora, cit., p. 131. 417 Id., Mito e arte, cit., p. 147. I corsivi sono nostri.  ! 140!  il reale è processo di manifestazione, divenire e passaggio dall’essere al nulla, allora il logos capace di dire questo processo, questo apparire, questa manifestatività autodistinta, non può essere il logos logico inteso in senso tradizionale. Occorre ripensare il logos al di là dei cardini di un riduzionismo logico, tenendo conto della co-originarietà delle forme del manifestarsi del reale. La funzione del logos in Grassi ha destato non pochi problemi per gli interpreti, come abbiamo visto. Se nei saggi giovanili come Il problema del logo del 1936 il logos è considerato nella sua preminenza rispetto alla Stimmung, nei saggi successivi come Il reale come passione e L’inizio del pensiero moderno abbiamo un capovolgimento di questa posizione soprattutto sulla scorta dell’analisi del dubbio. Di seguito riporto le affermazioni che possono aver suscitato l’idea di dualismo. In Il problema del logo il filosofo afferma che “la Stimmung, il sentimento, si fonda dunque nella trascendenza, nella differenza ontologica. Il sentimento non è un momento alogico o prelogico, bensì un particolare modo del legein”418. Da questo passo pare emergere la riconduzione della questione del patico all’interno dell’orizzonte logico: il pathos viene visto quale modalità del logos. Qualche anno dopo Grassi sembra cadere in contraddizione affermando l’esatto opposto di quanto asserito in Il problema del logo. In L’inizio del pensiero moderno si sostiene che “nel dubbio qualcosa è per noi originariamente non indifferente [...] in questo orientamento del filosofare, il pensiero viene riconosciuto nella sua essenza come una passione, nel senso metafisico del termine [...] qui si mostra appunto il carattere patetico e passionale del pensiero”419. La difficoltà per l’interprete sorge allorché si tenta una conciliazione delle tesi appena citate e apparentemente contrapposte: una vede nel pathos una modalità del logos, un’altra rintraccia nel logos un carattere passionale. È possibile uscire dall’impasse? È nel pathos o nel logos che facciamo esperienza dell’originario? La complessità di una loro possibile connessione viene esplicitata e avvertita dallo stesso Grassi che già in Il problema del logo si chiede: “possiamo dire che il logo sia !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 418 Id., Il problema del logo, in Id., I Primi scritti, cit., p. 403. I corsivi sono nostri. 419 Id., L’inizio del pensiero moderno, in Id., I primi scritti, cit., p. 824. I corsivi sono nostri.  ! 141!  effettivamente il Primo, la Ragione e il fondamento di ogni manifestazione, oppure presuppone esso un momento pre-logico? Questo è il problema contro il quale urtiamo definitivamente”420. Infatti egli interpreta il logos come legein, cioè come atto del portare a manifestazione sia l’essere che il nulla. Solo sulla base di questa manifestatività originaria, di questa svelatezza originaria degli enti (aletheia ) si può porre il tema della verità logica tradizionalmente intesa come connessione di soggetto e predicato. Il pensatore riconosce nella svelatezza originaria l’essenza della propria ricerca filosofica ed è mosso dal convincimento che ogni vero logico, il vero del giudizio che si esprime sull’on, sia già sempre radicato in un vero più originario: quello appunto della svelatezza o manifestatività. Per Grassi “la logica tradizionale vorrebbe essere proprio una logica dell’identico in senso oggettivistico, in quanto l’essenza del logo non sta nel legein – cioè nel processo di distinzione (e così nel divenire, nell’essere e non essere) – bensì nell’identità dell’oggetto razionale od empirico. Ma questa identità non viene affatto raggiunta, né può venir dimostrata. Se quindi questo originario legein va concepito come un manifestarsi, e se questo nuovo concetto del logo, come logica del pensare, va contrapposta alla logica del pensato, allora non dobbiamo concepire questa logica come una logica della non identità, bensì come una logica che raggiunge un nuovo ed approfondito concetto dell’identità”421. La questione di primaria importanza non è concepire il logos, l’atto di intellezione, come totalmente altro dal pathos, il sentire. É appunto questa l’accusa che Grassi rivolge a gran parte della filosofia occidentale: la considerazione di logos e pathos, di intellezione e sentire, come atti di due facoltà, decreta inevitabilmente la superiorità dell’intelligenza rispetto al sentire, che per quanto sia il primo modo di apprendere il reale è votato all’inautenticità. Grassi ha in mente piuttosto un’intellezione senziente o un’apprensione intelligente del reale che però non troverà mai una formalizzazione teoreticamente compiuta nel suo pensiero, restando sullo sfondo della sua rivalutazione dell’umanesimo interpretato all’insegna del concetto di Lichtung. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 420 Id., Il problema del logo, in Id., I primi scritti, cit., p. 377. 421 Ivi, p. 378.  ! 142!  Si chiede Grassi in Vom Vorrang des Logos (1939): “questa tonalità affettiva (Stimmung) deve essere dunque intesa come momento determinante del processo che abbiamo riconosciuto come fondamento della svelatezza (Unverborgenheit)?”422 La questione è comprendere se la passione possa essere considerata come esperienza dell’originario, nelle sue molteplici forme. Il tema della Stimmung in Grassi più che intrecciarsi alla Befindlichkeit – al sentirsi situati – si coniuga con la metafisica del leghein come risulta evidente dal testo del ’39 nel contesto dell’analisi della disposizione d’animo e della differenza ontologica heideggeriane423. Qui Grassi individua la possibilità di una corretta interpretazione del pensiero di Heidegger solo nell’operazione di collegamento del concetto di Stimmung all’atto processuale del leghein. Si tratta di un aspetto di non secondaria importanza poiché mette in luce come in Grassi la questione della Stimmung non abbia una connotazione psicologico-individuale ma un carattere ontologico-metafisico. Leggiamo in Vom Vorrang des Logos che “con tonalità affettiva (Stimmung) non va inteso qualcosa che precede il processo originario della svelatezza e nemmeno qualcosa che presuppone il processo e si differenzia da esso; non è nulla di immediato ma bensì appartenente originariamente al fondamento della svelatezza come processo. Se la svelatezza è processuale allora, come affermato in precedenza, lo è per mezzo di un divenire, di un essere, di un non- essere, e dunque ad essa appartiene insieme alla trascendenza e la tonalità affettiva anche il perché”424. La co-appartenenza di Transzendenz, Stimmung e Warum rende palese come il discorso sulla Stimmung travalichi il confine psicologico e si installi direttamente sul terreno dell’ontologia e della !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 422 “Muss nun diese ursprüngliche Stimmung also in wesentliches Moment des Prozesses, den wir als Grund der Unverborgenheit erkannt haben, aufgefasst werden?”, Id., Vom Vorrang des Logos, Beck, Munchen 1939, p. 52. La traduzione è nostra. 423 Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire, cit., pp. 66-67. 424 “Damit bedeutet die Stimmung nicht etwas, das dem ursprünglichen Prozess der Unverborenheit vorhergeht, und auch nicht etwas, das den Prozess bedingt, und von ihm unterscheiden ist; es ist nichts Unmittelbares, sondern zum Grund der Unverborgenheit als Prozess ursprünglich gehörend. Wenn die Unverborgenheit prozesshaft geschieht, so ist die – wie früher schon gesagt – auf Grund eines Werdens, eines Seins und Nichtseins, und so gehört ihr wesenhaft, mit Transzendenz und Stimmung das Warum an, dritte Weise, in der der Grund der Unverborgenheit – wie Heidegger sagt – gestreut ist”, E. Grassi, Vom Vorrang des Logos, cit., pp. 57-58. Traduzione nostra.  ! 143!  manifestatività. L’analisi della Stimmung pone in luce l’azione delle riflessioni heideggeriane di Von Wesen des Grundes più che quella di Sein und Zeit, mostrando una netta differenza di interpretazione rispetto a quella seguita dagli studiosi della analitica del Dasein degli anni ‘40425. L’articolazione del nesso logos-pathos trova una prima via d’uscita nella riflessione sulla fantasia, reciprocabile con l’intuizione e con l’intelletto, in quanto “facoltà di darsi le vedute” e forma di organizzazione a priori dell’esperibile: essa mette insieme il logos e il pathos. La questione della correlazione di pathos e logos comporta per Grassi anche un ripensamento dell’identità (un’identità !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 425 Ha sottolineato acutamente questo aspetto Messori in Le forme dell’apparire, cit. (p. 86 nota 20) ponendo un parallelo tra le interpretazioni di Grassi e di Henry Maldiney circa la questione della Stimmung come momento patico a-priori del pensiero, e sottolineando anche la distanza tra le teorie di Grassi e quella di Bollnow e Biswanger che negli anni Quaranta si confrontano in modo critico rispetto al tema della Stimmung heideggeriana. Circa il tema della distanza di vedute tra Bollnow e Grassi occorre mettere in evidenza come Bollnow in Das Wesen der Stimmungen del 1941 pone la ricerca antropologica sotto il segno della critica al concetto di fondamento heideggeriano, insistendo sull’infondatezza del dualismo autentico-inautentico insito, secondo Heidegger, nella dimensione della quotidianità. Nonostante la messa a distanza del tema ontologico nella “antropologia pedagogica ermeneutica” di Bollnow è riscontrabile un punto di contatto, su cui Messori non si è soffermata, ossia il comune riferimento, di Bollnow e Grassi, alla storicità come fondamento di ogni antropologia filosofica che guarda all’umano come continua produzione di forme. Nel filosofo tedesco ritroviamo “l’idea che la storicità della vita significa creatività, produzione di forme che portano a espressione la vita in manifestazioni specifiche” – (S. Giammusso, La forma aperta. L’ermeneutica della vita nell’opera di O. F. Bollnow, Franco Angeli, Milano 2008, p. 93) – che converge con l’impostazione generale del pensiero di Grassi che punta ad un rinnovamento del problema antropologico seguendo il filo conduttore delle espressioni storiche del fondamento – le Lichtungen. Altro punto di sinergia teorica di entrambi è il tema pedagogico umanistico. In Bollnow la pedagogia, influenzata dallo storicismo diltheyano e dal contesto generale della Lebensphilosophie, “non muove da principi astratti [...] ma considera ipoteticamente i fenomeni della sfera educativa come parti dotate di senso in una connessione più generale e rintraccia tale senso nella originaria relazione attraverso cui l’uomo come produttore della cultura esprime se tesso” (ivi, p. 137). Bollnow, in Die Macht des Worts, afferma che la questione antropologica è connessa al potere formativo della parola e “la questione circa l’essenza del linguaggio diventa in una maniera fondamentale la questione circa l’essenza dell’uomo in generale”, O. F. Bollnow, Die Macht des Worts. Sprachphilosophische Überlegungen aus pädagogischer Perspektive, Essen, Neue Deutsche Schule Verlaggesellschaft, 1964 (terza edizione 1971), p. 16, citato in S. Giammusso, op., cit., p. 154. Anche in Grassi il tema pedagogico è correlato alla questione della via di accesso alla “totalità umana” e alla individuazione dell’essenza del neoumanesimo e, ancora, al tema filosofico dell’amicizia che permea sia il sapere sia il linguaggio. Grassi, nella prefazione alla traduzione tedesca del Discorso di Pericle di Tucidide ad opera di G. P. Landmann, sostiene che “questa forza dell’amicizia è confluita nelle parole, da cui siamo legati, filologia e filosofia. L’amicizia sospende il rapporto tra maestro e allievo, fa del maestro un discente anch’egli e libera l’allievo dall’asservita ristrettezza dell’epigono, del seguace. Così, la corrente che tutti ci trascina si mantiene ininterrotta, e nessuno sa più dove nello scambio abbiano inizio i pensieri, dove essi nella continua riproduzione abbiano fine. Questo accadere autentico, questo modo del discorrere e del pensare che riesce a penetrare ogni isolamento, la dia-lettica – il venire a svelatezza attraverso il logos, attraverso la parola –, tutto ciò Platone l’ha scoperto nel nobile sentimento dell’amicizia [...] questo concetto non relativo e non soggettivo dell’amicizia si lega a quello della tradizione e dell’impegno”, E. Grassi, Prefazione a Die Totenrede des Perikles di Tucidide, pp. 975-983, in Id., I primi Scritti, cit., p. 977. Grassi enuncia in poche battute un’idea di pedagogia legata ai temi della fiducia (Vertrauen), del reciproco affidarsi (Anvertrauen) e del dialogo che mostrano molte affinità tematiche – pur nella diversità degli approcci – con Bollnow, più numerose delle pur evidenti differenze sottolineate da Messori.  ! 144!  che contenga in sé l’elemento della differenza e della non-identità) e una ricerca sulla costitutiva co- appartenenza di essere e nulla nel processo di manifestatività. Secondo la prospettiva tradizionale: “il nulla non può diventare oggetto del pensiero, perché il nulla esclude in sé una interpretazione oggettivistica. Un oggetto che non è, è una contraddizione”426. Invece per il filosofo occorre aprire un varco nell’esperienza del nulla al di fuori delle coordinate oggettivanti del pensiero proprio perchè il nulla ci pone di fronte all’impossibilità di renderlo ob- jectum. C’è un’altra modalità di accesso al nulla: la sua esperienza attraverso l’angoscia. Così come lo Heidegger di Che cos’è metafisica anche Grassi crede che “il nulla non si rivela dunque come un oggetto, come un pensato, bensì come ciò che si manifesta in un fondamentale stato d’animo (Grundstimmung) che incalzandoci ci toglie ogni punto d’appoggio”427. Da quanto detto in precedenza è possibile comprendere come il filosofo già a partire dal saggio Il problema del logo ponga in questione, con la discussione sul nulla e sull’angoscia, la priorità del logos. Egli si chiede se a partire dall’esperienza dell’angoscia sia ancora possibile mantenere la priorità dell’atto logico: “esiste dunque il nulla e qual è il suo rapporto con l’essere? L’angoscia che ci rivela il nulla è il presupposto dell’atto logico? In che modo l’atto logico sarebbe condizionato dall’angoscia, tanto che l’originarietà del logos sarebbe infranta? Se il nulla è, e non come un oggetto, ma come una realtà che ci si manifesta nell’angoscia sorge il problema dell’angoscia, della sua funzione metafisica [...] è dunque nell’angoscia che si radica la possibilità di manifestazione degli enti e noi stessi li trascendiamo in quanto fin dall’inizio siamo sospesi nel nulla”428. Il legame tra angoscia, nulla e manifestazione dell’essere mette in crisi quella che in un primo momento sembrava essere una posizione apparentemente dualistica: il dualismo è solo apparente se guardiamo all’idea grassiana di logos che si distingue da quello della logica obiettivante tradizionale. Nel leghein per Grassi accade quella scissione, quell’auto-distinzione della manifestatività, che consente di pensare la coappartenenza di logos e pathos. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 426 E. Grassi, Il problema del logo, cit., p. 382. 427 Ivi, p. 383. 428 Ivi, pp. 383-384.  ! 145!  Un ulteriore chiarimento riguardo il presunto dualismo logos-pathos o Kehre tra un primo e un secondo Grassi ci giunge dalle analisi grassiane di Cartesio. Nel saggio L’inizio del pensiero moderno Grassi porta avanti le sue analisi delle “meditaizoni cartesiane” incominciate in Dell’apparire e dell’essere del 1933, constatando come l’importanza di Cartesio vada rintracciata nella fecondità dell’idea di dubbio. Solo attraverso l’analisi del dubbio è possibile guardare al cogito cartesiano come ad una realtà complessa che va identificata come atto, attività del cogitare. In quanto atto il cogito è il luogo in cui la manifestatività, l’apparire e l’essere, che in Grassi sono sinonimi come abbiamo visto, si dànno: “il cogito è l’unico primo ed originario essere che incontriamo e fondandosi sul quale solo si può ricostruire e ricavare tutta la ricchezza dell’esistenza. La metafisica di Cartesio appare in tutta la sua decisiva importanza quando si tenga presente che cosa egli concretamente intenda con cogitare. Pensiero, cogito, come tutti sappiamo, non è per lui solo atto di distinzione logica, ma è ogni atto e modificazione del soggetto, di cui l’attività logica non è che un momento [...] l’atto del cogito – come originaria unità, monade – contiene in sé già tutto”429. Appare qui evidente la funzione ontologica del dubbio come “apertura esistenziale” della questione della manifestatività. La suprema attività del cogitare, il cogito in quanto atto, non è altro che il dubbio, il dubitare che nel momento in cui dubita, in cui attua l’attività del dubitare, porta in superficie “l’urgenza che in esso si annuncia e che lo rende possibile”430. Nell’atto del dubitare si compie un’urgenza: quella del reale che non ci è indifferente ma che ci affetta, ci riguarda e nel quale siamo da sempre immersi e compromessi in quanto esseri gettati nel mondo e “di conseguenza anche il cogito, quando si intenda con esso il compiersi di un dubitare, è espressione di un’urgenza originaria, che si mostra così come il vero fondamento del sapere”431. Pertanto il pensare (logos) si rivela nella sua identità costitutiva con il patire (pathos) in quanto forme di espressione dell’originario nella sua urgenza e nella costrittività dei suoi appelli. Per il filosofo italiano “il pensiero è una forma di esperienza dell’originario, e non si può pensare ogni volta !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 429 Id., Dell’apparire e dell’essere, cit., pp. 289-290. 430 Id., L’inizio del pensiero moderno, in Id., I primi scritti, cit., p. 818. 431 Ibidem.  ! 146!  che lo si desidera o lo si vuole. Perché l’originario, sempre e in ogni forma, si mostra a noi solo al modo di una urgenza”432. Il soggiacere a tale costrizione e urgenza rende il logos convertibile con il pathos quali modalità di apprensione dell’originario. Se “solo questa costrizione, questa urgenza è l’evidenza dell’originario”433 allora noi ci troviamo in una situazione di pura passività rispetto al reale? In che modo è possibile coniugare questo essere soggetti a con il concetto di atto? L’atto, come abbiamo visto, cerca di rendere conto del rapporto dinamico tra piano ontologico e piano ontico, i quali rifluiscono continuamente l’uno nell’altro. A tale dinamica processuale prende parte anche la tonalità affettiva che appare come il luogo in cui accade la manifestazione dell’essere nella molteplicità delle sue forme. La Stimmung che consente l’esperienza dell’originario si rivela una Leidenschaft. Un altro termine con cui Grassi si riferisce alla passione è, infatti, Leidenschaft, di cui è importante sottolineare il leiden, il patire nel senso di soffrire e penare. Usando tale traduzione l’accento è tutto posto sulla dimensione della gettatezza e passività originaria che contraddistinguono il Dasein, l’uomo che è tale nella misura in cui si riconosce esposto all’apertura dell’essere, all’assenza di codici interpretativi precostituiti e innati e pertanto intimamente legato alla ricerca di chiavi di lettura del reale possibili e mai date. La Leidenschaft è quindi l’essere-affetti dal reale, che ci afferra e ci trascina nell’aperto delle pure possibilità, senza che noi possiamo sottrarci allo Zwang e alla Nötigung, da Grassi interpretati come due fenomeni dell’originario. La Leidenschaft è originaria e metafisica, da essa non possiamo liberarci e riconoscere la sua centralità è la condizione di possibilità per il nuovo inizio del pensiero auspicato da Grassi. Per il filosofo “in questo orientamento del filosofare, il pensiero viene riconosciuto nella sua essenza come una passione, nel senso metafisico del termine [...] qui si mostra il carattere patetico e passionale del pensiero”434. Tale pathos metafisico e originario è un’urgenza che non può essere !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 432 Id., Il problema del sublime, pp. 917-943, in Id, I primi scritti, cit., p. 935. 433 Ibidem. 434 Id., L’inizio del pensiero moderno, cit., p. 824. I corsivi sono nostri.  ! 147!  dedotta né mediata poiché ci sopraggiunge così come l’aporia platonica, che abbiamo ritrovato in Il problema della metafisica platonica, e il dubbio cartesiano di Dell’apparire e dell’essere e di L’inizio del pensiero moderno. Per Grassi Cartesio, tanto criticato dal filosofo negli ultimi scritti, ha il merito di aver portato ad espressione un significato patico-esistenziale del dubbio, che dall’interpretazione tradizionale è stato unicamente ridotto ad epochè del giudizio, e quindi a stallo conoscitivo. Il dubbio cartesiano, invece, si mostra come la condizione di possibilità affinché si dia il sapere in tutte le sue forme. Tuttavia Cartesio per Grassi non ha portato fino in fondo il suo discorso, inclinando piuttosto verso una impostazione gnoseologistica del sapere, non traendo quelle conclusioni a cui erano pervenuti gli Umanisti. Le riflessioni grassiane hanno messo in luce il pathos come esperienza di ciò che è primo e indeducibile razionalmente perché fondamento di ogni deduzione: “l’essenza della forma del rivelarsi di qualcosa di originario e di primo, o anche del pensiero, risulta essere la passione, e precisamente non la passione in senso psicologico ma in senso metafisico”435. La Leidenschaft consente di ripensare l’idea di soggettività: il soggetto non ha un carattere soggettivo o individualistico, esso “è essenzialmente ciò che soggiace al primo, all’originario”436. In quanto upokeimenon o sub-jectum il soggetto patisce il reale, che si mostra nel suo carattere di istantaneità (Augenblick):attraverso il pathos facciamo esperienza della realtà nell’istante, in quella visione istantanea a cui dobbiamo corrispondere implementando progettazioni di mondi umani dalle forme molteplici (l’arte, la poesia, il sapere, la prassi, la politica sono le forme in cui l’uomo risponde agli appelli dell’essere). In ogni momento della vita l’uomo si trova a dover portare avanti il suo impegno, il suo sforzo di esistenza, la sua diligentia (termine mutuato da Leonardo Bruni), che rendono palese il suo essere irrevocabilmente compromesso con il mondo circostante. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 435 Ivi, p. 846. 436 Ivi, p. 847.  ! 148!  Secondo Grassi “in ogni atteggiamento originario non possiamo mai scegliere la nostra occupazione, perché la nostra scelta sta già sotto il segno di ciò che ci occupa. Non siamo noi ad occuparci delle cose, ma sono le cose stesse – in virtù della loro distinzione – a tenerci occupati”437. Il filosofo pone come indeducibili forme del manifestarsi del reale il vero, il buono e il bello: il sapere, l’azione e l’arte sono i modi in cui si mostra, in cui appare il mondo e non c’è priorità di un momento sull’altro ma nesso dei distinti. Occorre ripensare l’autonomia delle forme del rivelarsi del reale, pur tenendo in considerazione la fondamentale unità che le contraddistingue: esse sono modi autonomi, distinti, di manifestazione dell’essere, sono Lichtungen del reale, aperture di contesti significativi, tutti accomunati dall’azione di ordinamento conferito al mondo. Il pathos è l’avvertimento della non- indifferenza del mondo circostante, è l’esperienza della costrizione e del vincolo, del legame indissolubile uomo-mondo: “per il fatto che veniamo strappati, nell’esperienza del dubbio, all’indifferenza verso la totalità dell’ente, si presenta anche una separazione del nulla dall’essere, e tuttavia il nulla non è affatto prima dell’essere bensì entrambi vengono partoriti come gemelli nel medesimo istante. Perciò i Greci parlavano dell’aletheia, del non latente [Un-Verborgene], come del vero, perché tutto ciò che si mostra viene sottratto alla latenza solo dall’esperienza del dubbio, che lascia rilucere gli opposti”438. Nella Leidenschaft, nel patire il dubbio a cui non possiamo sottrarci, rintracciamo l’essenza del sapere: il sapere nasce dalla messa in questione del mondo circostante per ricercarne il fondamento, si tratta di una ricerca a cui ci sentiamo costretti, che incombe su di noi. Tale carattere costrittivo e urgente del fondamento è ciò che Grassi trova teorizzato nel concetto aristotelico di archè o assioma: “questa dottrina è ciò che esprime Aristotele quando dice che i principi originari o assiomi, come lui li chiama, che sono il fondamento di ogni dimostrazione, non hanno un carattere apodittico, bensì elenchico, cioè non possono venire dimostrati [...] ma si mostrano da se stessi in quanto anche colui che li nega, deve presupporli e impiegarli. Così questi principi fondamentali dimostrano se stessi nella misura in cui non ci lasciano liberi”439. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 437 Ibidem. 438 Id., Il reale come passione e l’esperienza della filosofia, pp. 995-1029, in Id., I primi scritti, cit., p. 1003. 439 Ivi, p. 1005.  ! 149!  Possiamo dare per acquisito che in Grassi non c’è un rapporto dualistico logos-pathos, per cui da una priorità giovanile del logos si passerebbe alla matura posizione della preminenza del pathos. I due momenti sono sempre interrelati tanto da confondersi in una paradossale unità che è al tempo stesso dualità. É lo stesso pensatore a domandarselo e a individuare il problema di una connessione dinamica tra logos e pathos: “ora esiste un’unità che sia al contempo dualità? Ogni differenziale, cioè il compiersi di un atto unitario, fa apparire ciò che è differenziato nella misura in cui quest’ultimo si determina [...] quest’atto del separare rivela dunque essenzialmente una realtà fantastica, dove l’espressione fantastico non viene tratta dalla fantasia come attività distinta dall’intelletto, bensì dalla fantasia secondo l’espressione greca phainesthai, mostrarsi”440. Secondo Grassi l’accadere, l’apparire, la manifestatività vanno interpretati al di fuori dell’opposizione logos-pathos, tale dualità è solo secondaria e derivata, poiché primario e originario è l’atto in cui si mostra l’essere nella sua processualità dinamica: in tale processualità dinamica le coppie oppositive “in sé-per noi”, “uno-molti”, “logos-pathos” perdono i contorni netti e definiti di polarità antitetiche, tra cui non è possibile gettare un ponte, per divenire realtà mobili e fluide. La struttura dinamica e processuale della realtà è resa dal filosofo attraverso l’immagine della scena/accadere scenico/allestimento (Schau-Stuck): “soltanto in questo accadere si radica il singolo soggetto concreto, il quale possiede un oggetto correlativo, perché la scena, l’allestimento, prescrive a entrambi dei ruoli determinati [...] l’allestimento è dunque l’originario, in cui i singoli elementi del molteplice risultano visibili in virtù del ruolo che la scena prescrive loro”441. Tale scena originaria regge il fondamento della vita: è la sua condizione trascendentale. Essa è definita anche scena fantastica proprio perché scena e fantasia si configurano come un tutto unitario, a priori e sintetico. La scena forma in via primaria relazioni, atti di collegamento, è l’orizzonte di ogni veduta possibile, così come la fantasia è la facoltà di apprensione di questa scena. La fantasia in Grassi va intesa come la facoltà di formazione della veduta/scena (schau) che ha la funzione di schema trascendentale: “l’elemento originario dell’esperienza sensibile – come in generale di ogni forma dell’apparire dell’ente non è quindi una dualità di oggetto e soggetto né una !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 440 Ivi, p. 1012. 441 Ivi, p. 1013.  ! 150!  molteplicità di esperienze sensibili, bensì una unità che si compie, che rivela se stessa nel discernere e nel separare [...] la scena fantastica, il mostrarsi, non vale soltanto per la determinazione filosofica dell’ente o per quella dell’ente sensibile, bensì per l’ente nella sua totalità”442. Interpretata in questo modo la fantasia appare come facoltà del lasciar apparire, dell’Erscheinenlassen che è al contempo il Sich-Offenbaren, l’automanifestazione, dell’oggettività. Lo svelarsi originario dell’essere ha carattere eidetico e immediato, esso si manifesta nell’istante indeducibile perché arcaico-fondativo della “visione pato-logica. La realtà nella sua automanifestatività si impone nella sua Nötigung, nell’accadere dell’attimo della visione il cui fenomenizzarsi è il dubbio. III. VII. L’analitica esistenziale: dismondanizzazione, assenza di mondo e coscienza temporale umanistica Per comprendere meglio le categorie dell’analitica esistenziale elaborata da Grassi vorremmo concentrarci sull’esperienza sudamericana del filosofo mossi dal convincimento che essa costituisca una tappa fondamentale nell’elaborazione di alcune categorie concettuali elaborate dal filosofo: dismondanizzazione e assenza di mondo; coscienza temporale umanistica; natura. Tali plessi concettuali, presenti soprattutto nei saggi Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne (1949), L’uomo e l’esperienza dell’oggettività (1952), Apocalisse e storia (1954), L’esperienza dell’assenza di mondo (1955), Mito e arte (1956), Assenza di mondo (1959)443, sono correlati al tema della manifestatività dell’essere, emergente nei primi scritti, quali Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger (1930), Dell’apparire e dell’essere (1933), Il problema del logo (1936), Il problema !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 442 Ivi, p. 1014. 443 Cfr., Id., Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, cit., pp. 201-206; L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, cit., pp. 65-72; Apocalisse e storia, cit., pp. 7-20, L’esperienza dell’assenza di mondo, in “Aut-Aut”, 1955, 2, XXVI, pp. 97-119; Mito e arte, in “Rivista di filosofia”, Torino, 1956, 2, XXVII, pp. 140-164; Assenza di mondo, in “Archivio di filosofia”, Roma 1959, pp. 217-147.  ! 151!  del nulla nella filosofia di M. Heidegger (1937), L’inizio del pensiero moderno. Della passione e dell’esperienza dell’originario (1940), Il reale come passione e l’esperienza della filosofia (1945)444. Come abbiamo visto in precedenza in questi saggi vengono in luce le questioni dell’essere, dell’apparire e della manifestatività, che testimoniano la volontà grassiana di recuperare un’esperienza dell’essere che non presupponga la preminenza di una forma rispetto ad un’altra, e in particolar modo di un a priori gnoseologico, ma che sia capace di restituire la complessità fenomenologica delle forme dell’apparire. Come è noto, in questo tentativo Grassi coniuga il tema attualistico gentiliano con l’estetica crociana e la teoria heideggeriana della differenza ontologica,445 rielaborando tutto alla luce di una rivalutazione della Stimmung, della Leidenschaft e dell’ambito estetico in generale, non come esempio di gnoseologia inferior o teoria dell’arte, ma come fondamento dell’esperienza della manifestatività dell’essere. Nel suo percorso onto-antropo-logico si segnalano alcuni testi per la curiosa correlazione che si viene ad istituire tra gli innumerevoli riferimenti all’esperienza di viaggio sudamericana e l’analitica dell’esistenza: mi riferisco ad Arte e mito e Viaggiare ed errare, oltre che, naturalmente, ai saggi prima citati Assenza di mondo, L’esperienza dell’assenza di mondo, Mito e arte, i quali costituiscono i maggiori contributi che Grassi ha dedicato al tema “Sudamerica”. III. VIII. L’importanza del viaggio in Sudamerica Aveva asserito Kant nella Prefazione a Antropologia pragmatica che “ai mezzi per l’ampliamento dell’antropologia appartiene il viaggiare”446 e Grassi non sembra sia stato insensibile !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 444 I saggi sono raccolti in E. Grassi, I primi scritti 1922-1946, cit. 445 Per una ricostruzione dettagliata delle tracce gentiliane, crociane e heideggeriane nella filosofia di Grassi cfr., Rita Messori, Le forme dell’apparire, cit., soprattutto il primo capitolo, Tra filosofia italiana e filosofia tedesca: l’emergere della questione estetica, pp. 23-61. Cfr., anche M. Marassi, Introduzione a E. Grassi, I primi scritti, cit., pp. IX-LXXXVII. 446 I. Kant, Antropologia pragmatica, tr. it. di G. Vidari, Laterza, Roma-Bari 2009, p. 4. ! 152!   a questa affermazione kantiana: lo attestano i numerosi viaggi che per tutta la vita ha condotto in giro per il mondo alla ricerca di occasioni di riflessione sul “tema uomo”. Viaggio e riflessione antropologica: l’accostamento non risulterà peregrino se si accantona – come fa il filosofo italiano– un’idea di natura umana fissa e immutabile, chiusa nei confini di una razionalità auto-riferita, per accogliere l’idea di una condizione umana, tema di un neo-umanesimo attento alla multilateralità della vita, alla polidimensionalità del reale, e, dunque, alle molteplici forme di apprensione dell’essere e di dizione dell’essere. Il legame tra il viaggio e l’elaborazione di categorie esistenziali volte ad un rinnovamento neo-umanistico della filosofia è del resto esplicitato dallo stesso filosofo che nella Prefazione a Viaggiare ed errare afferma che le “annotazioni sull’incontro con il continente sudamericano sono sorte dalla verifica costante di categorie e concetti fondamentali europei: non sono quindi né espressioni di rinuncia al nostro mondo europeo né una descrizione esteriore della realtà sudamericana. Spazio, tempo, parola, arte, tutto acquisisce laggiù nuovamente un significato originario che in Europa abbiamo spesso dimenticato”447. Corredato da una fitta trama di descrizioni paesaggistiche, di situazioni emotive, di relazioni, presenze e assenze che il viaggio in Sudamerica aveva suscitato nel filosofo il testo Viaggiare ed errare presenta, accanto alla narrazione di esperienze comuni, una interpretazione prospettica di una realtà nuova, fatta di rovine antiche, foreste sterminate, indigeni e animali che non costituiscono solo allegorie di ciò che sfugge alla comprensione filosofica, ma sono l’occasione di esperire il “totalmente altro”. Per Grassi il viaggio può avere questo significato solo se lo si correla al luogo preciso in cui è avvenuto: il Sudamerica. Perché? Come abbiamo visto in precedenza quello in Sudamerica non è il primo viaggio né l’ultimo di Grassi, eppure in questo territorio si realizza una presa di coscienza molto forte dei limiti e delle possibilità della filosofia occidentale. Su questi limiti e possibilità il pensatore ha ragionato una vita intera, ma !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 447 Le citazioni riportate di seguito fanno riferimento all’edizione italiana del testo di Grassi: E. Grassi, Viaggiare ed errare. Un confronto con il Sudamerica, tr. it. di C. De Santis, a cura di M. Marassi, La Città del Sole, Napoli, 1999, p. 27. Il testo ha avuto tre edizioni Reisen ohne anzukommen. Südamerikanische Meditationen, Hamburg, Rowohlt, 1955; Reisen ohne anzukommen. Eine Konfrontation mit Südamerika, Munchen-Gutersloh-Wien, Bertelsmann, 1974; Reisen ohne anzukommen. Eine Konfrontation mit Südamerika, Chur, Ruegger, 1982.  ! 153!  lì, in Cile e in Brasile, nella fitta vegetazione della foresta, sulla catena delle Ande, ciò che il filosofo milanese sperimenta non è un ragionamento. Lì patisce e vive una situazione contraddittoria: storicità e astoricità; natura e techne. Il Sudamerica è il luogo in cui si consuma la dissoluzione delle categorie storiche e si dà la possibilità di riflettere sulla condizione umana. Leggiamo in Viaggiare ed errare: “una volta si sapeva dove si era di casa; ci si sentiva protetti nel mondo sicuro della tradizione, ci si poteva recare in paesi stranieri con il proprio blasone e si ritornava a casa senza turbamenti. Ma noi? Dove siamo di casa?”448. Il testo, allora, non è un esempio, l’ennesimo, di letteratura odeporica, solo un resoconto autobiografico, un diario di impressioni del viaggio da Madrid a Barcellona, fino in Brasile e Cile. In esso si raccolgono le idee più interessanti circa il viaggio come evento semiotico: oltre a Reisen ohne anzukommen degne di nota sono le osservazioni sparse in Kunst und Mythos449. In questi testi il viaggio è inteso come la metafora in cui viviamo, come condizione, situazione, e circum-stantia e le descrizioni narrate “non vogliono essere semplici descrizioni; vogliono piuttosto far luce su tutte quelle seduzioni che turbano l’uomo moderno occidentale quando viene a contatto con mondi nuovi”450. Ha sottolineato acutamente questo aspetto Giuseppe Cacciatore che ha dedicato al tema grassiano del viaggio un saggio: América latina y pensamiento europeo en la “filosofia del viaje”451 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 448 Ivi, p. 33. 449 Il testo, edito per la prima volta in tedesco nel 1957 con il titolo Kunst und Mythos, Hamburg, Rowohlt 1957, e ristampato nel 1990 in un’edizione riveduta e ampliata dall’autore, costituisce la rielaborazione di un articolo che Grassi pubblica nel 1956 sulla “Rivista di filosofia”, in lingua italiana dal titolo Mito e Arte, cit., pp. 140-164. 450 E. Grassi, Viaggiare ed errare, cit., p. 34. 451 G. Cacciatore, América latina y pensamiento europeo en la “filosofia del viaje”, cit. Pubblicato precedentemente in italiano con il titolo America latina e pensiero europeo nella filosofia del viaggio di Ernesto Grassi, in “Cultura latinoamericana”, Annali 1999-2000, nr. 1-2, pp. 367-381. Come è noto, nella vastissima e variegata produzione saggistica di Cacciatore il riferimento alla figura di Ernesto Grassi compare soprattutto nei lavori vichiani dello studioso in cui l’accento verso i temi della rivalutazione vichiana della sapienza poetica, del ruolo antropogenetico della fantasia, di quello arcaico-fondativo del mito e dell’ingeniosa ratio trova non poche affinità con le analisi svolte da Grassi. Al riguardo cfr., soprattutto G. Cacciatore-G. Cantillo, Studi vichiani in Germania 1980-1990, in G. Cacciatore-G. Cantillo (a cura di), Vico in Italia e in Germania, Bibliopolis, Napoli 1993, p. 37; Id., Poesia e storia in Vico, in F. Ratto (a cura di), Il mondo di Vico. Vico nel mondo, Guerra, Perugia 2000, p. 144, nota 5; G. Cacciatore, Vico: narrazione storica e narrazione fantastica, in G. Cacciatore-V. Gessa Kurotschka-E. Nuzzo-M. Sanna (a cura di), Il sapere poetico e gli universali fantastici, Guida, Napoli 2004, p. 120, nota 10; Id., Le facoltà della mente ‘rintuzzata dentro il corpo’, in Il corpo e le sue facoltà. G.B. Vico, in G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna e A. Scognamiglio (a cura di) in «Laboratorio dell’ISPF» (www.ispf.cnr.it/ispf-lab), I, 2005, ISSN 1824-9817, p. 104, nota 41; Id., L’ingeniosa ratio ! 154!   de Ernesto Grassi, concentrandosi in particolar modo sul testo Reisen ohne anzukommen. Lo studioso mette in luce uno spettro semantico ampio del viaggio: è possibile individuare un significato ontologico; teorico-storico; cognitivo; simbolico-metaforico. Vorremmo soffermarci sui quattro sensi del viaggio in Grassi individuati dallo studioso, con lo scopo di mostrare che l’esperienza del viaggio sudamericano non è marginale nella riflessione del filosofo poiché si inserisce nel cuore della sua prospettiva onto-antropo-logica e diviene decisiva nella messa a fuoco dei concetti di dismondanizzazione e assenza di mondo452, che insieme a quelli di coscienza temporale umanistica e oggettività, costituiscono le categorie dell’analitica esistenziale grassiana. Cacciatore afferma che il senso ontologico del viaggiare è rintracciabile nello stesso titolo tedesco: Reisen ohne annzukommen indica il “viajar humano sin arribos, sin metas prefiguradas”. El viajero [...] llega a un nuevo mundo cargado de bagajes conceptuales, orgulloso y seguro de su patrimonio cultural y de su tradiciòn històrica”453. E tuttavia al cospetto di un mondo totalmente estraneo Grassi sente di non poter più fare affidamento sul proprio corredo categoriale. Occorre un mutamento di prospettiva, una svolta. In quanto viaggiatore in terra straniera Grassi si sente anche viaggiatore nell’interiorità, e il malessere vissuto dal filosofo per l’opposizione tra un’idea di Europa da cui ritiene di doversi congedare e la volontà di ricostruire un neoumanesimo all’insegna di un rinnovamento dei concetti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! di Vico tra sapienza e prudenza, in C. Cantillo (a cura di), Forme e figure del pensiero, La Città del Sole, Napoli 2007, p. 225, nota 1; Id., Il mare metafora del limite e del confine, in S. Amendola- P. Volpe (a cura di), Il mare e il mito, M. D’Auria editore, Napoli 2010, p. 49; Id., In dialogo con Vico, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2015. 452 Ovviamente le categorie ora menzionate risentono della trattazione heideggeriana di Welt e Umwelt e in generale della riflessione degli esponenti dell’antropologia filosofica e della biologia teoretica coeve, che Grassi conosceva molto bene: Scheler, Plessner, Gehlen, Uexküll, Driesch. Cfr., E. Grassi, Linee di filosofia tedesca contemporanea, in Id., I primi scritti 1922-1946, cit., pp. 299-332, Il problema della metafisica immanente di M. Heidegger, ivi, pp. 203-228, La filosofia como obra humana, pp. 1573-1578 in “Actas del Primer Congreso Nacional de Filosofia”, Universidad Nacional de Cuyo, Buenos Aires, 1950, Tomo III; Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., pp. 62-66 e 151-152; Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., pp. 181-182. 453 G. Cacciatore, America latina y pensamiento europeo, cit., p. 80. ! 155!   fondamentali del pensiero occidentale, si palesa soprattutto nelle pagine dedicate al concetto di “dismondanizzazione”. III. IX. Dismondanizzazione e assenza di mondo Egli sostiene che “le molteplici ragioni della dismondanizzazione ci sopraffanno e possono condurre all’immobilità, alla completa apatia. Ogni processo di dismondanizzazione incomincia dal terrore avvertito per la scomparsa del consueto”454. Una spaesatezza, una solitudine esistenziale che sorge non solo in terra straniera ma anche nella propria patria. Si tratta del terrore primordiale della selva di cui ci parla Vico secondo il quale “grazie alla radura aperta nella foresta originaria divengono possibili non solo lo spazio o il luogo umani, ma anche la possibilità di computare il tempo”455. Il filosofo ritiene che “anche in Europa si prende congedo dal proprio mondo. La speranza di liberarci in qualche modo, in chissà quali paesi lontani, dai nostri dubbi, è solo espressione del fatto che non ci sentiamo più a casa negli spazi della nostra storia”456. Nel pathos dell’angoscia e della noia per Grassi noi esperiamo la dismondanizzazione e la possibilità allo stesso tempo di generare ordini di realtà, progettazioni e creazioni, per arginare quell’“assenza di mondo” in cui l’uomo è gettato proprio perché privo di orientamenti precostituiti. I due concetti – dismondanizzazione e assenza di mondo – indicano due fenomeni diversi, ma connessi, che possono essere compresi meglio ricorrendo ad una metafora molto cara a Grassi, quella della luce: “assenza di mondo” come aurora e “dismondanizzazione” come tramonto dell’uomo. La condizione di assenza di mondo (aurora) è quella dell’uomo primitivo o delle origini, immerso nella realtà circostante che è astorica, mitica, ripetitiva e di cui Grassi crede di poter fare esperienza nell’ingens sylva sudamericana, che in realtà !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 454 Id., Viaggiare ed errare, cit., p. 126. Corsivo nostro. 455 Id., Potenza della fantasia, cit., p. 251. 456 Id., Viaggiare ed errare, cit., Ivi, p. 49.  ! 156!  si rivela essere solo una selva ideale. Il pensatore ritiene che “la condizione di assenza di mondo inizia, infatti, ogniqualvolta una cultura si trova a una svolta decisiva”457. L’esperienza della realtà nella condizione di assenza di mondo si caratterizza per l’incapacità umana di orientamento: infatti “non appena quest’ordine comincia a vacillare, l’uomo esperisce improvvisamente che le direttive consuete non sono più valide”458. In questo momento di svolta inizia la storia dell’uomo come “storia del suo accadimento”. Secondo Grassi “la storia dell’uomo è quindi espressione di ciò che lo costringe continuamente [...] a stare su una soglia, a partire dalla quale egli traccia linee di confine tra scelto e non scelto, tra ricordato e dimenticato, tra ordinato e non ordinato. A partire da questa soglia si aprono i confini del mondo in cui viviamo. Il progetto, attraverso il quale di volta in volta aderiamo sempre a ciò che ci riguarda e ci mette in tensione, costituisce il nuovo spazio spirituale in cui ci muoviamo”459. Nella condizione di assenza di mondo l’uomo, come l’animale, è totalmente immerso in un cerchio funzionale simbolico che ad un certo punto si disintegra e lo getta in una condizione di spaesatezza che lo costringe a trovare codici di interpretazione del reale: “poiché l’uomo esce dalla natura e in essa non è più al sicuro, egli progetta criteri sulla base dei quali costruire il suo mondo”460. La condizione di dismondanizzazione (tramonto) è quella che caratterizza l’uomo occidentale che cerca nuovi strumenti per abitare il mondo, avendo sperimentato l’inutilità e il danno delle proprie categorie filosofiche. Essa è ben distinta da “una rinuncia volontaria al mondo: è anzi il contrario. Questa esperienza di dismondanizzazione nasce dallo sgomento che tutto quello che di solito ci circonda, e che con gli anni abbiamo costruito come un nostro ambito, viene a mancare”461. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 457 Ivi, p. 132. 458 Ibidem. 459 Ivi, p. 146. 460 Ibidem. 461 Id., Assenza di mondo, cit., p. 222. ! 157!   Nel primo caso si tratta di una situazione di privazione originaria che dice della gettatezza dell’uomo nell’aperto – la Lichtung – della propria esistenza, privazione che al contempo è condizione di possibilità affinchè l’uomo divenga uomo e l’ambiente naturale divenga mondo. Nel secondo caso siamo di fronte ad una dimensione di perdita delle coordinate categoriali classiche del pensiero occidentale. L’esperienza della dismondanizzazione e di assenza di mondo non sono nient’altro che il regno dell’Aperto in cui è assente ogni direzione, ogni coordinata, ogni orientamento ma in cui Angst e Langweile agiscono quali operatori metafisici nel contesto della Lichtung che, come ci ricorda Agamben, “è veramente in questo senso, un lucus a non lucendo: l’apertura che in essa è in gioco è l’apertura a una chiusura e colui che guarda nell’aperto vede solo un richiudersi, solo un non-vedere”462. Grassi asserisce che “in quest’esperienza siamo di fronte all’Offenheit, a quella apertura che, non essendo la nostra dimensione, ci paralizza [...] qui gli oggetti diventano trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti puoi più aggrappare a loro, non puoi più tenerli in mano per costruire con loro un mondo, e comincia la sensazione del precipizio”463. Nel viaggio in generale e in quello sudamericano in particolare noi facciamo esperienza di una epochè dell’abituale e del consueto e constatiamo il vacillare dell’esistenza, il nostro non poterci tenere a niente. Emerge in aggiunta al tema dell’esperienza dell’eventualità/Lichtung dell’essere, che l’alterità radicale del mondo sudamericano rappresenta in maniera esemplare, la questione non marginale del pathos: per Grassi esso ha una componente metafisica e non psicologica, dal momento che grazie ad esso facciamo esperienza dell’originario. Come è noto, la passione per il filosofo ha anche un significato arcaico nel senso di fondativo poiché consente di prendere coscienza dell’eventualità dell’essere, dell’apertura dei mondi, dell’aletheia come schiudersi, aprirsi e darsi della concreta situazione storica. Afferma Grassi che “si è costretti a riconoscere che la passione agisce come archè, potenza elenchica, che ci espone perché non possiamo liberarci da essa, incombe !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 462 G. Agamben, L’aperto. L’uomo e l’animale, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 71. 463 E. Grassi, Assenza di mondo, cit., p. 226.  ! 158!  come destino e nella sua luce fa apparire il significato di ogni ente”464. La Stimmung che consente l’esperienza dell’originario si rivela una Leidenschaft. Possiamo rintracciare un secondo senso del viaggio sudamericano: teorico-storico. Come ricorda Cacciatore “en uno de los ùltimos capìtulos del libro, el filòsofo traza la lineas de una autèntica, aunque breve, teorìa e historia del viaje, centrada en la significativa diferencia que caracteriza las relaciones y las descripciones de los viajeros de la edad moderna y las de los contemporaneos”465. Differenza che testimonia anche il profondo mutamento storico tra un’epoca, quella moderna, in cui le categorie filosofiche erano forti e la ragione non aveva ancora perso la propria terraferma; e l’epoca contemporanea che vive i tormenti della propria debolezza categoriale sgretolandosi pian piano. La Conclusione di Reisen ohne anzukommen, che reca il suggestivo titolo di Filosofia e Paesaggio, in cui è narrata questa breve storia del viaggio, mette in luce, inoltre, la correlazione del viaggiare con l’idea di paesaggio. Grassi si pone un interrogativo sul paesaggio e sul suo paradossale nesso con la filosofia. La domanda si sviluppa in una breve storia in cui entrano in scena personaggi – Platone, Petrarca, gli umanisti, Herder, Melville – che sul paesaggio si sono espressi. Il filosofo si chiede: “che cos’è il paesaggio? Che cosa può produrre insieme alla filosofia? [...] il paesaggio può offrire lo spunto per riflessioni teoretiche, dal momento che il piacere che esso suscita si avvicina alla sfera dell’arte?”466. Rispondere a questa domanda significa porre in atto una vera e propria rivoluzione filosofica, una Kehre: abbandonare le categorie della razionalità astratta e fare posto agli elementi mitici e poetici, alla dimensione del pathos che schiudono una modalità di esistenza autentica in cui la potenza delle immagini, a cui è inevitabilmente associato il paesaggio, diviene la linfa vitale della filosofia. Secondo il pensatore il paesaggio “non ha nulla di ovvio, anche se tutti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 464 Id., Il dramma della metafora, cit., p. 131. 465 G. Cacciatore, Amèrica latina y pensamiento europeo, cit., p. 80. 466 Id., Viaggiare ed errare, cit., p. 173.  ! 159!  credono che esso sia immediatamente accessibile dal momento che lo si vede; il goderne non richiede alcuna riflessione, ma è impossibile esprimere la sua essenza senza riflettere”467. Esso mostra e indica la contraddizione tra ciò che ci sovrasta nella sua immensità, riluttante a qualsiasi espressione univoca e definitiva, e la volontà umana di comprensione. Il paesaggio ci mette di fronte alla nostra incapacità di interrogare in modo nuovo ciò che ci circonda: l’essere. Quelle che sono annotazioni di viaggio, riflessioni e considerazioni si rivelano come i punti di partenza di interrogativi filosofici ineludibili e pressanti. Ineludibilità e necessità che contraddistinguono anche il paesaggio: “qui il paesaggio sembra una realtà alla quale non possiamo sottrarci”468. Un ulteriore significato del viaggio è quello cognitivo. L’esperienza di viaggio si carica di una valenza cognitiva poiché consente quella relazione del sé stesso con l’altro che è fonte di ricchezza quanto più profonda risulta la distanza, la cesura, lo iato. Come afferma Cacciatore in America latina “en esta experiencia cognitiva [...] el viaje y la partida misma tienen sentido en la medida en que remiten immediatamente al retorno, a la estaciòn originaria. Por ello la confrontatiòn de Grassi con Sudamérica es un relacionarse del Sì mismo con el Otro, però tambièn un hallarse el Otro en las raìces històricas y culturales del Sì mismo”469. In questo contesto di relazioni con l’alterità in tutte le sue forme – l’altro uomo, l’altra cultura, e la suprema alterità rispetto al nostro mondo storico, la natura – la distanza assume un ruolo fondamentale quale esperienza catalizzatrice della cognizione che nel viaggiare si realizza. Secondo il filosofo milanese, che menziona in modo innovativo un tema che nella filosofia sicuramente è inusuale, l’organo di misurazione delle distanze è l’olfatto, che meglio del tatto e della vista riesce a restituire tutta la “potenza della distanza”. Egli afferma in Viaggiare ed errare che “a Casablanca, la tappa successiva del nostro viaggio, viene in primo piano ciò che a Madrid era solo annunciato in modo vago. Il mondo chiuso della tecnica, che nel frattempo si era ridotto a una cabina d’aereo, si riapre: una realtà completamente nuova, che ancora non si vede, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 467 Ivi, 179. 468 Ivi, p. 184. 469 G. Cacciatore, América latina y pensamiento europeo...cit., p. 81.  ! 160!  che non si può nemmeno cogliere con l’udito [...] anche il tatto non può far altro che occuparsi della cartella che d’abitudine ci si porta appresso. Ma improvvisamente all’olfatto spetta un inatteso primato [...] è attraverso l’olfatto che sorprendentemente si percepisce la distanza”470. L’esperienza cognitiva del viaggio in Sudamerica si configura come un movimento verso l’ignoto e l’abissale i cui effetti sono incerti: l’incontro con l’altro può avere un esito liberatorio o distruttivo471, può indurre l’uomo a rinunciare alla sua storia particolare, ma può anche sollecitarlo a dubitare del tutto della realtà storica. Quest’ultimo aspetto è particolarmente problematico: l’insistere del filosofo milanese sull’opposizione tra natura e storia, tra Sudamerica e mondo europeo, appare poco argomentato e poco incline a mediazioni, tracciando una cesura ontologica tra l’uomo sudamericano e quello europeo. Occorre prendere “la expresiòn grassiana naturaleza no historica con mucha cautela”472. Nonostante le dovute cautele rispetto a quelle espressioni che cristallizzano le opposizioni tra una presunta temporalità ontologica e immobile – quella sudamericana – e una temporalità storica – quella europeaa –, bisogna riconoscere il merito del filosofo per aver eletto il viaggio sudamericano a occasione per ripensare e rinnovare i termini e i limiti dello strumentario concettuale dell’Occidente. La posizione di Grassi che guarda all’Europa nei termini di un “relitto di una vita inattuale” e al Sudamerica come natura astorica non passa inosservata: i colleghi universitari, primo fra tutti Carlos Astrada, ma anche Juan Rivano, in La Amèrica ahìstorica y sin mundo del humanista Ernesto Grassi, e Humberto Giannini, in Experiencia y Filosofìa473, non potevano accettare le affermazioni del filosofo italiano senza qualche riserva. Tuttavia Grassi intende questa assenza di storia in modo più complesso e articolato: essa dice della possibilità del nuovo474. Se l’Europa ha esaurito tutte le sue possibilità il Sudamerica, per il primitivismo che la contraddistingue, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 470 E. Grassi, Viaggiare ed errare, cit., p. 55. 471 Ivi, p. 50. 472 G. Cacciatore, América latina y pensamiento europeo...cit., p. 86. 473 Per una ricostruzione dell’intera vicenda cfr., J. Barcelò, op., cit., pp. 252-253. 474 E. Grassi, Viaggiare ed errare, cit., p. 24.  ! 161!  non è ancora stata sopraffatta dall’asfissia storia: “abbandonata una vita carica di storia, aspiriamo all’altro mondo in cui speriamo di trovare soprattutto l’astorico. Tuttavia non troviamo questo, ma una storia che inizia, una storia completamente estranea a noi europei d’oggi [...] laggiù la vita respira completamente nell’atmosfera di fine secolo e ci appare come un passato che non è ancora riuscito a diventare definitivamente passato. Esso continua a vivere nel nostro presente, ma sembra estraneo e superato”475. Un ultimo aspetto del viaggio è quello simbolico-metaforico. Nel percorso di ampliamento dei propri orientamenti conoscitivi ed esperienziali traspare il motivo della ricerca delle proprie origini. In questa ricerca delle origini e degli inizi dell’umanità si fa esperienza di immagini inedite e di un accesso alla realtà notevolmente diverso. Quando Grassi descrive il passaggio per la grande catena montuosa delle Ande sta narrando una storia che emblematicamente ci ricorda il vichiano “divagamento ferino per la gran selva della terra” della Scienza Nuova. Ma non si tratta semplicemente di una reminiscenza filosofica: in quel momento Grassi non cita Vico, ma descrive, vedendolo, quello che Vico aveva ipotizzato: “vagando in questo territorio, si aprono continuamente nuove prospettive. É l’accesso a un mondo inquietante: come potrebbe infatti un essere vivente storico ritrovare il proprio orientamento in questo silenzio, in queste ombre, in queste fosse? [...] ma questo non è il caos stesso? Anzi è il caos inteso non nel senso di disordine, ma nel senso che a qualsiasi forma può essere impresso un ordine [...] qui nelle Ande esperiamo la realtà di un mondo di pure possibilità”476. La natura, l’ingens sylva, appare, allora, come la metafora di quello spazio edificabile nel quale si apre all’uomo lo spettro di possibilità inedite di instaurare il mondo umano, quel mondo storico che solo con cautela possiamo opporre alla natura. Un mondo in cui la questione onto-antropo-logica viaggia sul doppio binario dell’oggettività data – la natura, il mitico, l’astorico, l’essere – e dell’operazione di determinazione di tale oggettività – la progettualità umana, la genealogia dell’ordine e della storia, quella che Grassi definisce “coscienza temporale umanistica”. Da questo percorso di transizione, che è il viaggio, verranno in superficie, contro la ragione totalitaria, la ragione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 475 Ivi, p. 69. 476 Ivi, pp. 80-81.  ! 162!  frammentaria, inquieta, balbettante, critica e discontinua, da sempre trattenuta nei silenzi e nelle pieghe nascoste del logos, ma presente nel mito e nella tragedia, nella metafora e nella fantasia. Il viaggio inteso come la metafora in cui viviamo, come condizione, situazione, e circum-stantia, è motivo centrale della riflessione filosofica di Ernesto Grassi e pone in luce il legame indissolubile e non estrinseco tra il luogo geografico di elaborazione di questi innumerevoli significati del viaggio, il Sudamerica, e l’idea di filosofia del pensatore milanese. Un’idea che si costruisce intorno ad un progetto di riattualizzazione della problematica umanistica e dei concetti di retorica, metafora e ingegno, ripercorrendo itinerari poetici, teatrali, filosofici, artistici, che pongono in luce un senso della parola poetica lontano da ogni velleità di giungere ad un significato definitivo, ad una definizione che chiuda la res in un verbum univoco. Anzi, secondo Grassi è nella pluralità delle parole, nei verba che possiamo attingere la res e i suoi modi di datità, che sono infiniti, molteplici, contingenti, transeunti. L’attenzione alla multilateralità del reale, che si rivela nella polidimensionalità linguistica, si colloca nel contesto più generale della domanda sull’uomo e sulla correlazione uomo-mondo. Si tratta del problema onto-antropo-logico a cui gli scritti grassiani di retorica, metaforologia, umanesimo477 tentano di dare delle risposte. Il Sudamerica diventa l’occasione per un ripensamento del proprio passato filosofico e per gettare luce su un presente avvertito come estraneo. Grassi ha voluto confrontare la sua esperienza di europeo con il modo di vivere sudamericano, assillato dal dubbio intorno alla validità universale delle categorie della storicità e della tecnica dominanti in Europa, scoprendo una serie di aspetti inediti della cultura americana: innanzitutto l’esperienza dei sensi, che non è la pura e semplice empeiria, ma il luogo visibile del dissidio e della contraddizione, come testimoniano gli scorci descrittivi delle località cilene. Il filosofo asserisce in riferimento al soggiorno cileno di trovarsi in una realtà che è al contempo unità e molteplicità senza relazione: “ci troviamo nel nord del Cile, nella contrada delle grandi miniere di rame, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 477 Cfr., soprattutto E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit.; Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit.; Id., Umanesimo e retorica. Il problema della follia, tr. it., di E. Valenziani e G. Barbantini, Mucchi, Modena 1988; Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit.; Id., La metafora inaudita, cit.; Id., Vico e l’umanesimo, cit.; Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit.  ! 163!  in prossimità del confine peruviano a 3800 metri di quota [...] mi confonde il fatto di essere abituato a costruire la realtà mediante una combinazione di diverse esperienze sensibili, e per la prima volta apprendo che i sensi, abbandonati a se stessi e non ordinati dall’intelletto, rivelano il contraddittorio nella sua essenza: la realtà è contemporaneamente un’unità e una molteplicità senza relazione”478. Oltre all’esperienza dei sensi, un altro concetto importante che emerge dai resoconti del viaggio sudamericano, è quello di oggettività: i sensi non rivelano solo qualcosa di soggettivo e di transeunte, ma l’oggettivo. I concetti di natura e oggettività si legano profondamente a quelli di mito, di cominciamento, di originario che solo la poesia può dire e non la filosofia, che si muove nell’ambito del deduttivo e dunque del non-originario. Per Grassi “non basta il sapere, cioè giungere al riconoscimento di quei principii nei quali ancorare tutti i nostri progetti”479 ma bisogna tentare di ricostruire le tappe di una “sapienza arcaica”, o di una “sapienza poetica”, per usare un binomio vichiano, in cui si rinnovano i significati di teoria e prassi e si fa spazio ad un concetto di pistis che esula dai limiti definiti della religione per rivelarsi come il fondamento della retorica originaria: “questo riconoscimento capovolge diametralmente il rapporto tra pistis e logos. La pistis, intesa come fondamento dell’inspiegabile perché fondamento di ogni spiegazione, è propria del mondo originario”480. Nell’esperienza sudamericana l’oggettivo appare come una natura che non è più umanizzata e soggiogata, ma che domina l’uomo. Essa diviene smisurata, infinita, sconfinata, apocalittica e si sottrae ad ogni orientamento, criterio e progetto, in una ripetizione ciclica, in un eterno presente. Asserisce il filosofo che “lo spazio astorico della natura può quindi suscitare nell’uomo europeo un terrore sconcertante. Una volta spezzata la coercizione delle passioni, quando gli oggetti non si distinguono più come momenti conformi al fine degli istinti, improvvisamente si precipita nello smisurato”481. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 478 Id., Arte e mito, cit., p. 83. 479 Id., L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, cit., p. 72. 480 Id., Significare arcaico, cit., p. 490. 481 Id., Viaggiare ed errare, cit., p. 116.  ! 164!  Entriamo nello spazio del mito dove la differenza tra uomo e mondo svanisce e tutto rientra improvvisamente in un’unità che domina ovunque e che Grassi sente appartenergli nel modo più profondo. Afferma il filosofo che in questa unità “ha luogo un rovesciamento sconcertante: non si tratta ora più di comprendere qualcosa, perché ogni cosa viene compresa nel tutto”482; si tratta di un ordine “di una pienezza che si chiude armonicamente nella quale il nascere e il trapassare non sono che momenti di un duraturo presente”483. Grassi si sta riferendo ad una realtà eterna che sembra avvolgerci: “è’ l’ora di Pan”484. Il Sudamerica è il simbolo dell’ora di Pan, che a sua volta è allegoria di un’esperienza che, prendendo in prestito le parole di Vico, “è affatto impossibile immaginare, e a gran pena ci è permesso di intendere”: qui è possibile guardare autenticamente al mito non alla luce della demitizzazione, non come “prestazione arcaica della ragione”, per dirla con Blumenberg485, ma come “realtà in cui viviamo”. É ancora consentito vivere il mito in quel dissidio, in quella transizione, in quel viaggio dal vecchio continente della cattiva metafisica verso il mare aperto dell’autenticità, dell’altro inizio del pensiero. Un inizio che è principio arcaico nel senso aristotelico del termine: perché governa e dà inizio come leggiamo in Significare arcaico. Il filosofo, reinterpretando lo Stagirita, sostiene che “il principio deve invece avere veramente il carattere di archè, cioè deve mandare, comandare”486 e, non avendo carattere apodittico, bensì elenchico, “non possiamo sottrarci alla – sua – imposizione perché ogni tentativo di sottrarsi ad – esso lo – presuppone”487. L’atto fondativo e mitico del reale è secondo Grassi indicibile dal logos metafisico e la narrazione di quell’azione primordiale può essere affidata unicamente al potere generativo trasformazionale della metafora, che non è un gioco letterario ma la prima forma dell’ingegno, del nous “e come tale !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 482 Id., Arte e mito, p. 153. 483 Ibidem. 484 Ibidem. 485 Cfr., H. Blumenberg, Il futuro del mito, tr. it. di G. Leghissa, Medusa, Milano 2002. 486 E. Grassi, Significare arcaico, cit., p. 486. 487 Ibidem.  ! 165!  unica espressione delle archai nel loro carattere palesante e immediatamente indicativo”488. Perché come diceva Vico, uno degli autori prediletti da Grassi: “di questa logica poetica sono corollari tutti i primi tropi, de’ quali la più luminosa, e perché più luminosa, più necessaria, e più spessa è la metafora [...] – che – vien’ ad essere una picciola favoletta”489. L’analisi delle “meditazioni sudamericane” di Grassi ha messo in luce l’intima correlazione dei temi del viaggio, inteso come evento semiotico, con le categorie dell’analitica esistenziale grassiana: dismondanizzazione e assenza di mondo, oggettività, natura, coscienza temporale umanistica. Abbiamo cercato di porre in luce quanto il significato del viaggio in generale e di quello sudamericano in particolare sia fondamentale per comprendere il senso della proposta neo-umanistica grassiana: essa si struttura come ricerca costante di un nuovo strumentario categoriale per l’uomo europeo che ha sperimentato la miseria, la precarietà e il declino della propria storia ma non si rassegna al deserto del nichilismo dilagante ma al contrario, come il viaggiatore, l’emigrante, va alla ricerca di un’umanità perduta, più radicata nella vita. L’esperienza sudamericana si carica allora di un’importanza che occorre sottolineare con vigore: essa è un percorso nell’interiorità prima che essere un itinerario geografico perché “in quanto viaggiatori in terra straniera siamo anche e soprattutto viaggiatori nell’interiorità [...] oggi, viaggiando, non andiamo in cerca di scoperte esteriori, sottoponiamo piuttosto a un esame il mondo della nostra lingua, dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti”490. La meditazione su Sudamerica diviene allora una meditazione sull’Europa. III. X. L’uomo e l’esperienza dell’oggettività: la nascita della coscienza temporale L’analisi del viaggio nel suo significato tetravalente e la focalizzazione sui temi della dismondanizzazione e dell’assenza di mondo ci consente di inquadrare meglio le altre due idee !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 488 Ivi, p. 494. 489 G. B. Vico, La Scienza nuova, a cura di M. Sanna-V. Vitiello, Bompiani, Milano 2012, ed. 1744, II libro, p. 932. 490 E. Grassi, Viaggiare ed errare, cit., p. 124.  ! 166!  centrali nell’analitica esistenziale grassiana: i concetti di coscienza temporale umanistica e di oggettività. Secondo il pensatore milanese l’esperienza del disancoramento originario dalla realtà è l’elemento principale che caratterizza la “situazione umana”. L’angoscia e il terrore della foresta primordiale, l’agorafobia originaria che genera la paura dell’aperto, spingono l’uomo a cercare di volta in volta i codici di decifrazione della realtà come è emerso dalle precedenti considerazioni sull’incidenza dell’idea uexkülliana di cerchio funzionale simbolico e sulla distinzione tra mondo animale e mondo umano a partire dalla funzione di apertura mondana dell’Angst. Leggiamo in Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne che “la situazione umana è caratterizzata dal fatto che l’uomo ha la esperienza originaria di essere disancorato dalla realtà. Il problema del metodo nasce da questa profonda esperienza, giacchè esso consiste nella ricerca della via per giungere un dato fine. Le prime forme di metodo, cioè di ricerca di un orientamento nella realtà nascono dall’esperienza del carattere ingannevole e relativo e mutevole di ciò che mediano i sensi”491. La situazione in cui l’uomo è gettato è caratterizzata dal nesso disancoramento-metodo- orientamento. Convinto che proprio l’insufficienza dei sensi, che provoca il disancoramento, ci obbliga all’elaborazione del metodo, Grassi individua la nascita delle scienze naturali nell’originaria perdita del rapporto immediato con la natura. Emerge un elemento concettuale di non secondaria importanza: il tema della nascita della coscienza e delle scienze si intreccia indissolubilmente alla questione dell’oggettività e alla ricerca della sua determinazione. Sostiene il filosofo che “nelle scienze singole naturali, nelle quali l’uomo crede di raggiungere l’obiettività, appare più chiaro che altrove il disancoramento dell’uomo. Infatti di fronte al bisogno di un metodo, di un’oggettività, appare il caratteristico capovolgimento che avviene nella nostra concezione del reale”492. Si tratta di quel capovolgimento che caratterizza le scienze naturali che mettono da parte l’esperienza originaria della natura – quella immediata dei sensi – in direzione della ricerca di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 491 Id., Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, cit., p. 202. I corsivi sono nostri. 492 Ibidem.  ! 167!  un’oggettività “stabilita dai principi in funzione ai quali si delimita e circoscrive, facendola oggetto di domanda, la realtà fenomenica”493. L’assenza di coordinate e orientamento mette l’uomo in una condizione di Notwendigkeit che segna anche il discrimine tra mondo animale e mondo umano. La fecondità del tema del disancoramento si pone nel contesto dell’onto-antropo-logia grassiana quale condizione di possibilità della nascita del mondo umano nella Lichtung primordiale. Per il filosofo “la storia umana comincia nell’istante stesso nel quale l’uomo sorge dalla natura in quanto l’immediatezza di quest’ultima non lo soddisfa: l’esperienza della non indifferenza di ciò che gli si presenta fenomenalmente a mezzo dei sensi è espressione di legami che non si identificano con quelli dei sensi”494. L’elevarsi dell’uomo dall’immediatezza dei sensi mette in moto il secondo livello di oggettività e la storia umana. Ma che cosa intende il pensatore per oggettività e in che relazione essa si trova con la storia? III. XI. I gradi dell’oggettività Il filosofo distingue due gradi dell’oggettivo. In L’uomo e l’esperienza dell’oggettività il punto di partenza dell’indagine è ancora una volta quello della “condizione umana” che “si distingue nettamente dalla condizione degli altri esseri viventi per la necessità di ricercare e progettare le unità di misura e di principi in funzione ai quali delimitare il mondo delle apparenze nelle quali ci troviamo”495. L’indagine sulla situazione del Da-sein e sulle sue strutture di esistenza ha come primo risultato l’individuazione di due livelli di oggettività. “Per giungere alla soluzione della realtà umana, e con ciò della sua oggettività, dobbiamo innanzitutto partire dal problema di quali siano i caratteri di ciò che ci si manifesta”496. Tali caratteri possono essere contraddistinti in due modi: -! dipendono dai nostri parametri e dai “limiti da noi progettati”497 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 493 Ibidem. 494 Ivi, p. 203. 495 Id., L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, cit., p. 65. 496 Ivi, p. 68. 497 Ibidem.  ! 168!  -! dipendono “dal fenomeno stesso nel ritmo del proprio divenire”498 Da un lato constatiamo che nella vita vegetativa e organica la natura appare nel costante ritmo temporale dell’identico, in un diastema, ossia in “ciò che sta (istemi) tra limiti (dià)”499, dettato dal fenomeno stesso della vita e non da modalità molteplici di ordinare i fenomeni naturali. Dall’altro riscontriamo nel mondo umano infinite unità di misura di questa natura. Per il filosofo “della natura possiamo solo parlare in quanto essa appare entro i diastema stessi, cioè entro determinati limiti”500 e tuttavia dobbiamo riconoscere che si danno alcuni fenomeni “il cui apparire non dipende dalla nostra proiezione di diastema”501. Grassi riporta l’esempio dei molteplici stati di un corpo502: un corpo può apparire in una forma solida o liquida ma la modalità in cui esso appare non dipende da noi: la nostra proiezione di diastema non è l’unica via di accesso all’oggettivo, all’essere, alla natura. “Se è vero che la natura appare solo entro i limiti da noi progettati, è altrettanto vero che non dipende da noi come essa appare: essa ha una propria oggettività. La constatazione di questa oggettività dei fenomeni naturali è la condizione dell’esperimento, è la risposta che la natura dà entro i nostri diastema”503. Non a caso il filosofo ricorre a Leonardo per porre in luce il concetto di natura entro i diastema. Nello scienziato Grassi individua un via di accesso alla natura mediata dall’esperimento che mostra il senso autentico del concetto di diastema. Nel Trattato sulla pittura e Sull’anatomia dell’uomo “l’esperimento è l’interrogazione della natura tenendo conto di una teoria stabilita anticipatamente, al fine di verificare se questa attraverso l’esperimento viene confermata o confutata. Il punto di partenza per un’indagine sulla natura diventa quindi la teoria dell’uomo ad essa soggiacente. Perciò per Leonardo non è possibile conoscere la natura nella sua interezza !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 498 Ivi, p. 69. 499 Ivi, p. 68. 500 Ibidem. 501 Ibidem. 502 Ibidem. 503 Ibidem.  ! 169!  ma solo quelle parti che si danno nel contesto della teoria e delle domande poste dall’uomo. La natura è dunque correlata all’uomo e alle sue capacità”504. La natura di Leonardo rimane nondimeno “un mistero che viene svelato in funzione della domanda impellente”505, quindi mantiene una zona di opacità residua. Essa ha una propria oggettività che non può essere colta in maniera esaustiva e definitiva. Il tema della doppia oggettività della natura mette insieme l’idea dell’oggettività della natura, quale fondo oscuro e inaggirabile, e l’idea della natura come banco di prova dell’esperienza umana che risulta essere un progetto gettato. Ecco allora che si profila l’intreccio indissolubile tra il tema ontologico della oggettività, della natura, dell’essere e quello etico-pratico della storia umana dei tentativi, dei progetti, dell’esistenza, del caso particolare, delle circostanze. In questo percorso di superamento dell’oggettività della natura, di trascendimento della sua alterità e di ricerca di principi di determinazione, l’uomo elabora le proprie strategie di contenimento del diverso: inizia la storia del sapere. Per il pensatore italiano “la storia del divenire per giungere alla conoscenza di quei principi primi è la storia del sapere. Ma non basta sapere, cioè giungere al riconoscimento di quei principi nei quali ancorare tutti i nostri progetti, ma bisogna anche saper realizzare in funzione ad essi i nostri diastema, i nostri progetti: sorge così una nuova esperienza del tempo [...]: il tempo umano”506. La coscienza dell’autotemporalità trova la propria genesi nell’angoscia esistenziale che ha per il pensatore una funzione catartica: “quella di guidare l’uomo [...] alla coscienza del carattere perturbante della propria situazione”507. L’autotemporalità della coscienza umanistica si fonda sull’idea del tempo come “distinzione fondamentale fra ciò che non è più e ciò che non è ancora, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 505 Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., 165. 506 Id., L’uomo e l’esperienza dell’oggettività, cit., p. 71. 507 Id., Potenza della fantasia, cit., p. 259.  504 Id., Introduzione a Heisenberg, Das Naturbild der heutigen Physik, Hamburg Rowohlt, 1955, pp. 133-138, traduzione nostra.  ! 170!  passato e futuro”508 in funzione di un presente. Tale presenzialità tuttavia non ha carattere puntuale, “non ha a che fare con un atomo temporale fuggitivo”509. III. XII. Essere e Tempo Il presente al quale si riferisce il filosofo va connesso con l’idea di appello dell’essere. Tempo ed essere sono strettamente correlati nella concezione grassiana del tempo. Come leggiamo in Apocalisse e storia “i momenti del tempo sono il NON-ancora, il NON-più e l’ora. Tutti e tre questi momenti manifestano all’analisi un caratteristico aspetto negativo”510. Il passato e il futuro mostrano un carattere di nullità e sarebbe più corretto parlare di “presente del passato, presente del futuro, presente del presente”511 che si danno nel ricordo e nell’attesa. Una concezione del tempo di questo tipo fa dipendere la nostra capacità di percepire il tempo dalla nostra capacità di essere affetti (affectio animi). Osserva Grassi che una simile concezione della temporalità presuppone l’essere: non nel senso di ciò “che esteriormente ci è dato”512 ma nel senso di ciò che rende possibile le nostre esperienze. L’a-priori di ogni esperienza temporale umana – quella dell’attesa e del ricordo – è l’attenzione: “il termine latino corrispondente ci chiarisce in che accezione appare qui il termine attenzione: attentio significa tendere ad, e quindi attendere. L’attenzione è quindi possibile nell’ambito di una tensione, di una tensio che, come fondamento dell’aspettativa, dell’attesa, è la radice medesima della nostra capacità di intus-legere, dell’intelligenza con la quale costruiamo e ordiniamo i fenomeni in un modo”513. Solo nel contesto di questa attentio/tensio originaria sorgono il presente, il passato e il futuro. La struttura temporale della coscienza è a !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 508 Id., Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, cit., p. 205. 509 Ibidem. 510 Id., Apocalisse e storia, cit., p. 13. 511 Ivi, p. 14. 512 Ivi, p. 15. 513 Ivi, p. 14.  ! 171!  fondamento del potere umano di progettare, mondi, cosmi, ordini, unità di misura come strategie di risposta agli appelli dell’essere che urgono e ai quali dobbiamo corrispondere. All’origine dell’autotemporalità storica514 della coscienza umana abbiamo un Dasein che si dibatte tra angoscia e paura, la potenza delle quali irrompe, creando uno strappo nell’unità simbolica di soggetto e oggetto. La ricostruzione di tale unità simbolica, di tale symplokè tra soggetto e oggetto mediante la parola, il linguaggio, è il compito che Grassi si propone di portare avanti attraverso riflessioni che assurgono a prolegomena per una “semiotica antropologica” che indaga il “problema del nuovo potere originario che strappa l’esistenza umana dalla sfera della consapevolezza del semplice segno biologico e la colloca in una situazione di esistenza e di possibilità umane”515. La coscienza umana nasce compensazione di quel disancoramento primordiale, che è a fondamento del mondo umano, e come produzione tecnico-poietica. Se la storia dell’uomo è la storia del suo divenire e del suo superamento dell’immediatezza della natura allora il suo compito fondamentale – il compito del vero umanesimo – sarà quello di riscostruire la storia “di quella realtà originaria che l’ha strappato dalla immediatezza della natura”516. Un sapere che si pone questo obiettivo si costituisce come archeologia dei mezzi umani di ricomposizione della frattura originaria (la rottura del cerchio funzionale simbolico): scienze naturali, tecnica, filosofia, arte517. Per Grassi “di qui sorge la necessità di ricostruire – con i frammenti del mondo sensibile – un mondo nuovo, quello umano. L’uomo può realizzare tale compito solo se chiarisce ciò che lo riguarda originariamente e se conforma la realtà sensibile a questa nuova urgenza [...]: sorge per l’uomo il caso particolare, presupposto alla realizzazione del mondo umano”518. Proprio l’elemento circostanziale, particolare, limitato di ogni singola esperienza individuale ci restituisce la qualità cairologica, più che escatologica della temporalità grassiana, attenta all’istante !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 514 Cfr., sul tema dell’autotemporalità come nota distintiva dell’uomo distinta dalla temporalizzazione biologica Id., Vico contro Freud: creatività e inconscio, pp. 133-153, in Id., Vico e l’Umanesimo, cit. pp. 142-145. 515 Ivi, p. 152. 516 Id., Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, cit., p. 203. 517 Ibidem. 518 Id., Apocalisse e storia, cit., p. 12.  ! 172!  giusto, al tempo opportuno: poiché la nuova esperienza di fronte alla quale si trova l’uomo non è solo la conoscenza dell’universale ma innanzitutto quella del caso particolare e singolo. “Bisogna sapere quando, come, dove, di fronte a chi”519. La mancanza di tale conoscenza sarebbe “mancanza di misura, di discrezione, di prudenza, di phronesis”, le uniche capaci di mostrare l’intima correlazione tra vita etica e politica come realizzazioni dell’opera umana, come risposte alla scomparsa del mondo olistico, intatto, della vita organica. Per Grassi resta sullo sfondo un grande interrogativo: c’è da chiedersi “in virtù di che cosa può originarsi il mondo umano, se all’uomo non appartiene alcun ambiente immediato, se quest’ultimo dev’essere sempre costruito da ogni singolo individuo; qual è la radice dell’umanizzazione della natura?”520. Legato al tema antropologico delle origini della storia umana emerge quello del linguaggio e della funzione della retorica grassiana come ricerca sul significare arcaico o semantica antropologica. Siamo così giunti ad un’altra domanda legata connessa ai problemi precedentemente posti a tema: “a quale funzione adempiono la parola, il linguaggio, nel sorgere del mondo umano?”521. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 519 Id., Il tempo umano. L’umanesimo contro la techne, cit., p. 205. 520 Id., Potenza della fantasia, cit., p. 256. 521 Ivi, p. 254.  ! 173!  CAPITOLO IV PALAIÀ DIAPHORÀ: PENSARE E POETARE IV. I. Il significato della proposta retorica Nei capitoli precedenti abbiamo cercato di ricostruire le tappe del pensiero di Grassi seguendo come filo conduttore quello dell’onto-antropo-logia che si è rivelata una chiave di lettura ampia e integrativa. Seguendo le riflessioni sui temi dell’essere, dell’apparire e della manifestatività abbiamo rintracciato a fondamento della proposta neoumanistica un’analitica dell’esistenza che tocca i temi della coscienza temporale, della dismondanizzazione e dell’assenza di mondo. La focalizzazione su queste problematiche fa emergere un’idea di umanesimo che viaggia sul doppio binario della rivalutazione storica – come dimostra l’analisi dei testi umanisti dedicati al tema della Lichtung, del linguaggio e della poesia – e della chiarificazione teoretica delle categorie dell’esistenza. In questo ultimo capitolo prenderemo in considerazione i temi del filosofare noetico-non metafisico e quelli della retorica ingegnosa come critica delle devastazioni dell’intelletto, di quei “razionalismi stretti e assoluti del positivismo logico, cui Grassi contrappone una logica del discorso diretto, del pensiero come comunicazione discorsiva, fondato sulla metafora non come luogo del falso, ma come spazio del vero concesso all’uomo”522. Sullo sfondo della prospettiva retorica grassiana emerge il paradigma dell’incompletezza e della carenza. L’uomo è di fronte ad un paradosso: è caratterizzato dal punto di vista morfologico, dal punto di vista della sua dotazione organica, da primitivismi, inadattamenti e non specializzazioni, a cui fa da contraltare un’apertura al mondo che non lo vincola, come nel caso degli animali, ad un ambiente preciso. Il disancoraggio da un ambiente dai contorni definiti e fissi rende l’uomo compito a se medesimo, lo sottopone ad un onere che si concretizza nella riconversione di una condizione deficitaria in una progettazione di possibilità di conservazione della vita. L’azione, come !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 522 E. Raimondi, La retorica d’oggi, il Mulino, Bologna 2002, p. 77. ! 174!   compensazione alla struttura morfologica deficitaria, si configura come trasformazione della natura in mondo culturale, come umanizzazione dell’ambiente che solo così diviene mondo. In tale processo antropogenetico la retorica occupa un posto tutto particolare. La retorica diviene la faticosa produzione di quelle concordanze che subentrano al posto dei codici mancanti. Il codice di cui parla il filosofo è “non soggettivo, non è scelto liberamente, ma sofferto attraverso i sensi, in quanto essi si manifestano nella sfera del piacere e del dolore [...] noi non abbiamo così il dualismo di codice e realtà da decifrare, abbiamo invece il significato continuo, immediato e rivelato di ciò che noi soffriamo con pathos”523. Ad agire sullo sfondo del discorso c’è la riflessione antropologica novecentesca menzionata in precedenza: il concetto di povertà, il paradigma dell’incompletezza, secondo cui l’uomo è concepito come animale carente, che si intreccia saldamente con la rivalutazione della retorica come luogo privilegiato dell’umano. La retorica avrà un doppio ruolo: quello di mostrare come la pistis sia al centro dell’agire umano e di porre in luce come l’uomo sia contraddistinto da una carenza originaria che per una sorta di eterogenesi dei fini si rivela essere all’origine di quel meccanismo antropogenetico che è la fondazione della comunità umana. Ad emergere è un significato antropologico di retorica che si configura come la compensazione dell’indeterminatezza dell’essere umano: essa può essere definita come la tecnica di adattamento provvisorio che precede ogni morale e ogni verità. La retorica allora costituirebbe una situazione di emergenza, una strategia dell’esonero, uno strumento di azione in mancanza di evidenza. Tale funzione compensativa della tecnica retorica guida il discorso di Grassi relativo anche alle istituzioni: la vis retorica crea istituzioni: “la società umana ha origine nel poeta come oratore e nel lavoro”524. All’interno di questa prospettiva la riflessione retorica diviene teoria dei segni (semata), semiotica, e teoria del senso, semantica arcaica, ben lontana dalla semiotica formale. Una teoria del segno e del senso per il filosofo “dovrebbe essere in grado di elevarsi al livello !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 523 E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit., p. 242. 524 E. Grassi, Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 135.  ! 175!  di filosofia in quanto dottrina dei segni sulla base dei quali si manifesta il lavoro specificamente umano (ergon anthropinon)”525. La questione linguistica si intreccia con quella antropologica dell’origine del mondo umano come reazione all’agorafobia primordiale della Lichtung, semiosfera da cui si dipartono i mondi possibili dell’umano. La declinazione antropologica della retorica in base alla quale quest’ultima si costituisce come “pensiero che è aperto alla chiamata della concreta situazione di vita”526 pone in luce come la retorica “assume un significato essenzialmente nuovo; retorica non è, né può essere l’arte, la tecnica di una persuasione estrinseca; è piuttosto il discorso che costituisce la base del pensiero razionale”527. Essa è la base di quel theorein che è proprio della filosofia: un theorein che non ha una costituzione razionalistica ma è “una visione puramente indicativa, schematica, immaginifica, che, come tale, opera opera anche pateticamente e quindi retoricamente”528. IV. II. La retorica come critica del paradigma scientifico Il nucleo singolare dell’opera di Grassi si rivela come una nuova e specifica prospettiva sull’umanesimo retorico quasi sempre obliato dagli storici della filosofia del Rinascimento tra i quali Kristeller e Cassirer529. Come dimostrato dalla sua intensa attività all’Istituto Studia Humanitatis (inaugurato il 6 dicembre del 1942 nell’università di Berlino), presso il Centro italiano di studi umanistici e filosofici a Monaco (1948) e soprattutto dall’attività editoriale della Humanistische Bibliothek, la collana Tradiciòn y Tarea, Grassi propone un’idea diversa del pensiero umanista. Egli !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 525 Id., Retorica come filosofia, cit., p. 194. 526 W. Veit., Critica radicale della ragione o l’altro rispetto alla ragione: la sfida della retorica, pp. 99-126, in AA. VV., Studi in memoria di Ernesto Grassi, cit., p. 113. 527 Id., Retorica e filosofia, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 97. I corsivi sono nostri. 528 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., pp. 17-18. 529 Cfr. le osservazioni esposte nel II capitolo.  ! 176!  non riduce tutto l’umanesimo al recupero del platonismo – ricordiamo l’opposizione tra umanesimo platonico e non platonico530 di cui spesso parla il filosofo – ma mette in risalto l’importanza dell’altra corrente dell’umanesimo che rivendica il valore della parola poetica, come parola donatrice di senso, e della prassi vitale e storica. Lo studio dell’umanesimo allora non appare come il frutto di una curiosità storiografica o erudita ma come uno sforzo, un impegno, per immettere la questione dell’uomo sul terreno della correlazione di teoria e prassi che riscrive anche il tema dell’utilità della filosofia e degli studia humanitatis. Come leggiamo in La potenza dell’immagine “solo in base al chiarimento di una concreta tradizione storica – cioè di quella umanistica – può sorgere a una nuova considerazione il problema attuale de “a che cosa serve la filosofia”, e quindi il problema del rapporto tra teoria e prassi [...] la problematica dell’umanesimo italiano – proprio in relazione alla preminenza accordata alla prassi, alla negazione della parola astratta, razionale – presuppone il superamento della dualità di una realtà esistente, sperimentata, e di un mondo corrispondente alla ragione, una dualità che conduce all’insuperabile divaricazione di teoria e prassi”531. Il recupero del passato filosofico – la tradizione umanistica – fa tutt’uno con l’idea di un’utilità pratica della filosofia che per Grassi nasce proprio come naecessitas, come risposta all’appello dell’Abissale, poiché “conservare un passato (è indifferente che si tratti di pensieri, monumenti o avvenimenti), non considerato in relazione a un compito da assolvere nel presente, è il segno di una cultura divenuta sterile. Ogni cultura, ogni tradizione, nella quale il passato perde questa promettente considerazione, decade, avvizzisce. La tradizione si radica solo nella comprensione del presente”532. All’interno di questa prospettiva il filosofo milanese afferma che il vero umanesimo è quello che incomincia con Dante e Boccaccio. Contro l’indirizzo “platonico” costituito dal versante ficiniano dell’umanesimo per Grassi permane attraverso i contributi di Vives, Nozolio, Peregrini, Tesauro, Graciàn, Vico, Muratori, Leopardi, una tradizione non-platonica ma retorica, che resiste a quello !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 530 Cfr., E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, capitolo VI “Antiplatonismo e platonismo”, cit., pp. 175-197. 531 Id., La potenza dell’immagine, cit., pp. 259-260. 532 Ivi, p. 133.  ! 177!  spirito razionalista che la relega nell’ambito della letteratura, dissolvendo l’unione di retorica e filosofia. Il punto di vista grassiano sull’umanesimo italiano emerge in netto contrasto all’enfasi sulla ragione e sulla logica privilegiate dal paradigma scientifico. Quest’ultimo si fonda sul presupposto che la conoscenza oggettiva sia l’unico modo per comprendere la realtà. Questo tipo di impostazione logico-analitica, caratterizzata dall’utilizzo del metodo scientifico, non è attenta all’hic et nunc della situazione concreta ma crede di trovare assiomi autoevidenti universalmente validi: rispetto al discorso retorico “il discorso razionale invece è fondato sulla capacità una di trarre deduzioni e quindi di legare delle conclusioni a delle premesse. Il discorso razionale raggiunge la sua funzione dimostrativa e la sua stringenza mediante la dimostrazione logica”533. Ne deriva che il discorso retorico non può avere alcuno spessore filosofico all’interno del paradigma scientifico. Il discrimine fondamentale tra l’approccio scientifico e quello retorico al reale risiede nella ricerca dei principi. La retorica vuole indagare l’origine dei primi principi e la scienza si arresta alla constatazione delle premesse. Se il discorso dimostrativo è quello che lega la definizione di un fenomeno riportandolo ai principi ultimi, alle archai, “è chiaro che le prime archai di qualsiasi prova, e quindi conoscenza, non possono essere esse stesse essere provate, in quanto non possono essere oggetto di un discorso apodittico, dimostrativo e logico”534. Da qui sorge il problema dell’individuazione del tipo di logos adatto ad una ricerca sui primi principi, sulle premesse indimostrabili. La risposta grassiana è nota: “l’uso di tali espressioni, che appartengono all’originario, al non-deducibile, non possono avere carattere e struttura apodittica e dimostrativa, ma solo indicativa. É solo il carattere indicativo delle archai che rende davvero possibile la dimostrazione”535. La ricerca sul metodo adeguato per accedere al reale conduce Grassi a tematizzare l’infondatezza di quella opposizione tra filosofia topica e critica. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 533 Id., Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e ragione, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., pp. 25-26. 534 Id., Retorica e filosofia, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 96. 535 Ivi, p. 97.  ! 178!  IV. III. Retorica tra filosofia critica e filosofia topica La dimensione retorica va considerata secondo Grassi non come elocutio ma come inventio536: non si tratta di un ornamento edonistico del discorso, o di una celebrazione epidittica, ma di una vis creatrice che attinge al polimorfismo del reale: la Weltanschauung “umanistica tutt’altro che tranquilla, trascura l’ontologia a vantaggio della metamorfosi, che opportunamente si salda in Grassi alla centralità della metafora, stabilendo con la topica una tassonomia mobile e con l’ingegno legami dal mandato sempre provvisorio”537. Il magistero degli umanisti e di Vico, quale ultimo interprete degli ideali di storicità, della funzione conoscitiva ma anche esistenziale della fantasia, dell’ingegno e della metafora, consente a Grassi di porre l’attenzione al momento genetico, aurorale del pensiero più che alla sua fase declinante, al suo tramonto. Vichianamente attento alla natura delle cose che altro non è che “nascimento in certi tempi e in certe guise” (Scienza Nuova, Degnità XIV) Grassi rifugge dagli ideali cartesiani di chiarezza e distinzione optando per l’opacità dei tropi. In Vico e L’umanesimo il dualismo di pathos e ragione si concretizza nella dicotomia tra Cartesio e Vico, tra un filosofare critico e un filosofare topico, che divengono le due allegorie del danno e del rimedio per la filosofia autentica. Cartesio compare quale bersaglio polemico di un discorso che vuole scardinare l’impostazione razionalista del pensiero. Grassi fa sua la posizione heideggeriana che sottopone l’autore delle Meditazioni all’affilata mannaia della distruzione ontologica valutando l’operazione metodica di separazione tra io e mondo538, tra res cogitans e res extensa un’assurdità. Se si postula una separazione non ci sarà alcuna possibilità di ricomposizione della frattura come è possibile !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 536 Cfr., sulle parti della retorica dalle origini alle nuove retoriche di Perelman-Tytheca, Gruppo di Liegi, retorica del silenzio di Valesio B. Mortara-Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, Milano 2012. 537 Ivi, p. 390. 538 Sull’interpretazione heideggeriana dell’ontologia cartesiana del mondo cfr., M. Heidegger, Essere e Tempo, cit., §§ 19-21.  ! 179!  leggere in Essere e Tempo ai paragrafi 19-21. Secondo Heidegger, a partire da Cartesio avviene nella metafisica un importante passaggio, quello dalla domanda che chiede che cosa sia l’ente, a quello della domanda che si pone il problema del fondamento che rende possibile la comprensione dell’ente. A tale fondamento poi si riconduce – ad esempio, nelle suggestive pagine di Il nichilismo europeo – lo sviluppo della tecnica come estrema propaggine del pensare metafisico, come essenza stessa della metafisica che è nichilismo. Nella tesi cartesiana ego cogito, ergo sum, infatti, Heidegger vede espresso un primato dell’io umano ed una nuova posizione dell’uomo539, poiché l’uomo diventa subiectum540, il fondamento e la misura di ogni certezza e verità. Asserisce il pensatore tedesco che “la tradizionale domanda guida della metafisica – che cos’è l’ente – si trasforma all’inizio della metafisica moderna nella domanda del metodo, della via per la quale, [...] è cercato qualcosa di assolutamente certo e sicuro”541. Tale metodo è il cogito e le sue strutture. Grassi fa sua l’impostazione heideggeriana e afferma che occorre abbandonare l’ipotesi di un inizio cartesiano del pensiero moderno poiché il vero inizio è quello che include il pathos all’interno del logos. Egli sostiene che “all’inizio della filosofia moderna Descartes escluse scientemente la retorica – e le altre materie proprie dell’educazione umanistica – dalla filosofia come pura ricerca della verità”542. Il dualismo di dimensione patica e dimensione razionale ha come conseguenza sul piano teorico una contrapposizione tra il piano individuale, storico e temporale della retorica e il piano generale, astorico, e svincolato dall’hic et nunc. Il problema della connessione di pathos e logos, di filosofia critica e topica, viene posto per la prima volta secondo Grassi in modo teoricamente articolato nella filosofia vichiana del De ratione studiorum di cui egli ricostruisce minuziosamente le tappe della critica al razionalismo cartesiano nel saggio Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 539 M. Heidegger, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano, p. 158. 540 Ivi, p. 168. 541 Ivi, p. 169. 542 E. Grassi, Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e ragione, cit., in Id., Vico e l’Umanesimo, cit., p. 25.  ! 180!  e ragione. Le questioni poste sul tavolo della discussione sono molteplici: la pretesa di partire da un primo vero attraverso il dubbio metodico; esclusione delle verità seconde; esclusione del verisimile543. Se il primo vero riguarda l’essere e la catena deduttiva della dottrina della scienza atta a conoscerlo, le verità seconde pertengono all’ambito delle necessitates umane che spingono l’uomo a ricercare quei mezzi per sopravvivere essenzialmente tecnico-poietici. Il metodo critico di impostazione cartesiana trascura in questo modo la sfera retorica, immaginativa, fantastica, ma anche politica della vita umana, ridotta al suo puro aspetto cogitativo. Grassi pone l’attenzione sul passo vichiano del De Ratione in cui è enunciata la priorità della topica sulla critica: “giacchè, come l’invenzione degli argomenti precede per natura la valutazione della loro veridicità, così la dottrina topica dev’essere preposta a quella critica”544. Si chiede il filosofo milanese: “chi ci assicura che le premesse dalle quali parte il processo critico non rispecchino solo un singolo aspetto della realtà, limitando di conseguenza le conclusioni che ne derivano? Non ha il metodo critico trascurato la retorica, la politica, la fantasia dimostrando così la sua unilateralità razionalistica?”545. Non è la deduzione che precede l’inventio, ma al contrario ogni catena di ragionamento è possibile unicamente sulla base di un “ritrovamento di luoghi”. Si tratta dell’arte topica, ossia l’arte dell’invenzione di cui Cicerone e Quintiliano ci hanno parlato e su cui già Aristotele si pronuncia in Topica in cui a quest’arte è riconosciuta la capacità di individuare a “quanti e quali oggetti si rivolgono i discorsi, da quali elementi derivano, e come sia possibile avere tali discorsi facilmente a disposizione”546. La questione è ancora una volte quella di tenersi lontani da una visione unilaterale della realtà tenendo conto piuttosto delle innumerevoli forme dell’apparire del reale, da interpretare in tutta la sua ricchezza. La radicalizzazione dell’opposizione tra logos e pathos in realtà è spia di un’esigenza !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 543 Ivi, p. 35 e sgg. 544 G. B. Vico, Sul metodo degli studi nel nostro tempo, cit., p. 39. 545 E. Grassi, Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e ragione, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 36. 546 Aristotele, Topica, 101 b 3. ! 181!   di unità nel quadro di una prospettiva onto-antropo-logica che mira a gettare un ponte tra logos e pathos, tra pensiero retorico e scientifico. Leggiamo in Retorica e filosofia che “la tesi che l’essenza della filosofia si riduca esclusivamente al processo razionale non regge. Anzitutto perché esso presuppone inevitabilmente un’altra attività, quella dell’invenire, che lo precede”547. Lo scopo del filosofo è quello di trovare il fondamento comune di retorica e filosofia, e la sua prospettiva non-riduzionista è capace di tenere conto di quella torsione che avviene nell’uomo con il sopravvenire del linguaggio, come mediazione tra gli istinti e gli impulsi da un lato e gli scopi dall’altro. Il linguaggio segna e delimita i diversi aspetti dell’umano che esprime il proprio senso della realtà primariamente attraverso un logos metaforico e non tramite la definizione, il concetto, il linguaggio razionale. Di conseguenza la soggettività che traspare dalle riflessioni grassiane non è dotata di una identità monolitica e infrangibile, non è compatta e unitaria ma è una soggettività frammentata e consegnata alla contingenza, alla circostanza, costretta a ridefinirsi continuamente. Il Da-sein è allora atto di ricomposizione, attraverso la “ragione fantasticante”548 (che tiene insieme come compossibili e non come contraddittori logos-pathos), dei cocci dell’esistenza tra i quali ci muoviamo, consapevoli dell’instabilità e della mutevolezza, del divenire che necessita di un logos adeguato alla sua espressione: la metafora. Nell’onto-antropo-logia grassiana ritroviamo un Da-sein che riconosce l’inesistenza di un fondamento ma non rinuncia ad esporsi alla motilità dell’esistenza e a costruire un senso tra le pieghe e le piaghe che caratterizzano il movimento della vita. In questo percorso di fondazione e di costruzione l’idea di retorica si pone in una posizione innovativa. Come sottolinea Gabin nella recensione del 1983 a Retorica e filosofia Grassi può essere collocato di fatto nel contesto della retorica contemporanea che mette in luce uno slittamento dalla teoria della corrispondenza a quella !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 547 E. Grassi, Filosofia critica o filosofia topica? Il dualismo di pathos e ragione, cit., Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 33. 548 Id., Viaggiare ed errare, cit., p. 180.  ! 182!  della coerenza549. Afferma lo studioso che “gli echi di Richards, Burke, Barthes, Derrida, Ijsseling e molti altri circolano nelle pagine di Grassi, ragione per la quale egli scrive nella tradizione di coloro che credono nella natura circostanziale del pensiero e nella implicita unità di idea e immagine”550. Tale slittamento mette in luce, attraverso il ripercorrimento della lunga storia della retorica, da Aristotele a Cicerone e Quintiliano, da Dante a Bruni e Valla, da Vico a Nietzsche e Ungaretti, uno scopo ambizioso: capire meglio le ragioni profonde di quella storia e, ripercorrendole, tornare all’universo contemporaneo per cercare di enucleare alcune direzioni di ricerca e suggerire nuovi approcci. La teoria retorica grassiana mette in luce una dimensione pragmatica della coerenza per dirla con McPhail551 che si fonda su una riconsiderazione del tema della credenza/pistis. Il magistero umanistico conduce il filosofo a riscoprire il mondo della storicità umana, il valore conoscitivo della fantasia-ingegno, della metafora, il ruolo civilizzatore e coesivo della retorica, la funzione politico-economica dei miti, il potere metamorfico del lavoro, capace di convertire la natura in cultura. Il filosofo predilige nella sua indagine retorica il momento aurorale, arcaico: i punti di partenza, i presupposti dell’agire, il momento genetico, còlto nelle sue implicazioni gnoseologico- pratiche e antropologiche. Privilegiando la dimensione pre-teoretica, il mondo della vita, il momento che precede quello razionale, le archai originarie, di natura topica e non critica, indicativa e non !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 549 Mette in luce l’ipotesi dello slittamento dalla teoria della corrispondenza a quella della coerenza in Grassi M. L. McPhail, in Coherence as Rapresentative Anecdote in the Rhetorics of Kenneth Burke and Ernesto Grassi, pp. 76-118 in AA. VV, Kenneth Burke and contemporary European thought: rhetoric in transition, Tuscaloosa, University of Alabama Press, 1995. Sull’importanza di Grassi nella retorica contemporanea cfr., S. K. Foss-K. A. Foss-R. Trapp, Contemporary Perspectives on Rhetoric, Waveland, Long Groove Illinois, capitolo III pp. 54-74. Per un approfondimento dei temi della coerenza e della corrispondenza nelle teorie della verità cfr., M. Dell’Utri, Il falso specchio. Teorie della verità nella filosofia analitica, ETS, Pisa 1996. Cfr., E. Raimondi, La retorica d’oggi, cit., pp. 77-78. 550 R. J. Gabin, Review of Rhetoric and Philosophy: the Humanist Tradition, Quarterly Journal of Speech 69, n. 2 (May 1983), pp. 220-221, p. 221: “Echoes of Richards, Burke, Barthes, Derrida, Ijsseling and many others ring through Grassi’s pages, for he writes in the tradition of those who believe in the circumstantial nature of thought and the underlying unity of idea and image”, p. 221. Traduzione nostra. 551 Cf., M. L. McPhail, op. cit., p. 77. “A comparison of the rhetorics of Burke and Grassi shows that both writers’ conceptualizations of language exemplify the evolution from correspondence to coherence in contemporary rhetorical theory”. “Una comparazione delle retoriche di Burke e Grassi mostra che le riflessioni sul linguaggio di entrambi gli autori esemplificano l’evoluzione dalla teoria della corrispondenza alla teoria della coerenza nella teoria retorica contemporanea”. Traduzione nostra.  ! 183!  dimostrativa, ingegnosa e non razionale, retorica e non logica, egli dedica attenzione particolare ad autori, quali Aristotele, Vico e Leopardi, le cui riflessioni si concentrano sulla dimensione aurorale della fondazione della civiltà. Se con Vico e Leopardi siamo di fronte ad una idea di humanitas all’insegna del pathos, secondo i quali la priorità non è affidata al procedimento razionale, anonimo e astorico, al linguaggio denotativo, chiaro e distinto, ma alla retorica e all’immagine, alla ricchezza e all’opacità dei tropi, con Aristotele possiamo guadagnare un concetto di logica affidata alla pistis, un’idea di sapere non fondata sulla deduzione – il filosofare noetico-non metafisico. Sono in gioco tre aspetti fondamentali: -! la focalizzazione sull’aspetto fondativo del linguaggio -! l’analisi dei principi epistemici fondati sulla dimensione simbolica del pensiero e dell’azione umani -! l’articolazione dell’aspetto ontologico che caratterizza l’esistenza umana in termini di metafora drammatica, che ha una natura affermativa e positiva in quanto forza propulsiva nella Menschwerdung Grassi vede “l’esistenza umana come essenzialmente retorica ed esplora la metafora come l’aneddoto rappresentativo dell’esistenza”552 che ha potere generativo. La concettualizzazione dei grandi temi della filosofia, ma anche dell’arte e della letteratura, sposta l’attenzione sul mondo storico, sulle passioni dell’uomo, sulle tradizioni drammatiche, teatrali e metaforiche dell’occidente. La particolare considerazione grassiana dell’umanesimo e della retorica che lo contraddistingue emerge proprio in contrasto con l’enfasi posta dal paradigma scientifico sulla ragione e sulla logica. Il pensiero scientifico e filosofico tradizionale si basa sulla presupposizione che la conoscenza razionale sia la via da preferire per accedere al reale. La critica grassiana al deduttivismo logico e ad un sapere schiavo della mathesis universalis lo conduce verso l’individuazione del momento critico del pensiero razionale nell’indimostrabilità dei principi. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 552 Ivi, p. 79. “Grassi similarly sees human existence as essentially rhetorical, and explores metaphor as his representative anecdote”. Traduzione nostra.  ! 184!  IV. IV. La struttura della presupposizione Come leggiamo in La priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza di Vico oggi “la logica tradizionale distingue tra due modi per fondare la conoscenza. Il metodo deduttivo comincia da premesse e deriva le inferenze già presenti in esse. Qui è indispensabile che le premesse risultino universalmente valide e necessarie [...] ma le premesse sono necessariamente presupposte nella deduzione”553. A fare problema è la struttura della pre-supposizione, dell’upothesis. Secondo il filosofo “quando si tratta di protasi, di indicazioni di indole arcaica – cioè originaria, dominante – siamo obbligati a riconoscere che essa non ha e non può avere un carattere dimostrativo, discorsivo bensì – come si esprime Aristotele – noetico”554. I primi principi hanno carattere svelante e manifestativo: si tratta del mitologema originario della filosofia, l’aporia contro cui urta il soggetto parlante. Nella struttura della presupposizione, dell’ipotesi, o, nei termini grassiani, dei “principi indeducibili”, si articola l’intreccio di essere e linguaggio, di mondo e parola di ontologia e logica555. Per il filosofo i principi non possono essere dimostrati perché essi sono alla base di ogni dimostrazione. Non attraverso la ratio si accederà ad essi, ma attraverso il pathos, che non è il contrario del sapere ma un’altra forma di sapere, un sapere arcaico. Dalla prospettiva del filosofo dobbiamo chiederci “se le asserzioni originarie non sono dimostrabili, qual è il carattere del discorso con cui le esprimiamo? [...] qui ci si pone di fronte al problema fondamentale del carattere che ha e deve avere la formulazione delle premesse, ossia delle basi”556. Il discorso apodittico, quello che prova e dimostra (apo-deiknymi), pone la definizione di un !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 553 E. Grassi, La priorità del senso comune e e della fantasia: l’importanza di Vico oggi, pubblicato in AA. VV., Vico and Contemporary Thought, Vol. I, Humanities Press International, New Jersey 1976, ora in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 43. Corsivo nostro. 554 Id., Filosofare noetico non metafisico, cit., p. 17. 555 Sul problema della presupposizione come mitologema originario della filosofia cfr., G. Agamben, Che cos’è la filosofia, Quodlibet, Macerata 2016. 556 Cfr., E. Grassi, Retorica e filosofia, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., 97.  ! 185!  fenomeno riportandolo ai principi ultimi o archai. Ed è chiaro che le prime “archai di qualsiasi prova, e quindi della conoscenza, non possono esse stesse essere provate”557. Tale sapere arcaico coinvolge anche una riflessione sul mito – come “principio instauratore originario di una comunità”558 – sulla dottrina topica-inventiva – interpretata come “dottrina della visione originaria”559 – , sulla metaforologia – come “prassi linguistica e biologica”560 –, sull’ingenium –come “proprietà comprensiva più che deduttiva dell’uomo”561 – e sulla phantasia intesa nella sua funzione ontologica come “attività originaria che scopre le relazioni sulla base delle visioni delle somiglianze”562. L’apogeo della critica contro la deriva razionalistica del pensiero si colloca nell’individuazione dell’opposizione delle nozioni aristoteliche di nous e di episteme. Grassi infatti istituisce un collegamento tra nous e archè, mettendo in luce la stessa matrice originaria dell’episteme: l’urgenza, l’impellenza e l’appello dell’essere si svelano attraverso segni indicativi, colti attraverso la passione. Quella che Grassi definisce come noetica è la forma originaria della filosofia e si configura come a priori trascendentale di ogni dimensione deduttiva e storica. Leggiamo in Significare arcaico che nella sfera dell’originario non esiste dualismo di pathos e logos e nell’ambito dei segni indicativi noi esperiamo l’aletheia arcaica “sacrale e con ciò estatica, patetica, manica”563. Per il filosofo se “il dualismo di sapere e di pathos non ha luogo nella sfera !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 557 Ivi, p. 96. 558 Id., Mito ed arte, cit., p. 162. Cfr., anche Id., Arte e mito, cit. 559 Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 93. 560 Cfr., Id., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 192. “La facoltà del trasferimento di senso, il metapherein, è fin dall’inizio essenziale alla vita”. Cfr., Id., La filosofia dell’umanesimo. In problema epocale, cit., p. 179. “La metafora con il suo carattere immaginifico e non causale, non concettuale ma ingegnoso, supera il divario che corre tra la teoria, il concetto universale, e la pratica sempre connessa con il caso particolare [...] l’espressione metaforica è in sé e per sé una risposta all’appello dell’Essere che si impone qui ed ora”. 561 Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 94. 562 Id., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 190. 563!Id., Significare arcaico, cit., p. 491.!  ! 186!  dell’originario”564 – palesandosi solo nell’ambito, razionale, dedotto – allora dobbiamo constatare che “ogni discorso razionale si radica nel discorso arcaico puramente semantico, il quale scaturisce nella sua immediatezza nell’ambito del nous, dell’ingenium, della facoltà che realizza la visione dei segni originari che presiedono al mondo umano”565. L’aspra critica al deduttivismo, al riduzionismo logico del pensiero, e alla matematizzazione di ogni discorso non compromettono tuttavia lo spessore filosofico della filosofia di Grassi che resta integro proprio nell’insistenza della ricerca sul perché, su una, per quanto miope, visione dell’origine, su un primum esperibile attraverso segni, indicazioni. Le indagini sulla retorica si inseriscono all’interno del contesto ermeneutico di riabilitazione della retorica che, come è noto, ha inizio con le riflessioni di Perelman. La riflessione condotta a partire da una prospettiva di teoria dell’argomentazione e dell’eloquenza genera un’aporia: l’alternativa teorica che si pone è tra un eccesso di retorica e una chiusura nei confronti della retorica. La questione che Grassi pone travalica l’alternativa tra rifiuto o accettazione566 e ha come fuoco di ricerca l’indagine di quello spazio di sapere collocato tra retorica e filosofia. La domanda che il filosofo si pone è: esiste questo e tra retorica e filosofia? L’opposizione tra retorica e filosofia che è oggetto di Retorica e filosofia del 1980 già si profila a partire da L’inizio del pensiero moderno in cui il linguaggio vive la contrapposizione tra la sua veste scientifico-dimostrativa e quella metaforico-indicativa. Nella nostra analisi prenderemo in considerazione le diverse definizioni di retorica offerte dal filosofo, che corrispondono a funzioni differenti a seconda del contesto nel quale l’argomento retorico è trattato, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 564!Ibidem.! 565!Ibidem.! 566 Sulla concezione della retorica in Grassi cfr. M. Marassi, Retorica, storicità ed umanesimo, pp. 199-216, in E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit.; M. Marassi, Introduzione, pp. 11-27, in E. Grassi, Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit. P. R. Blum, Rhetoric is the home of trascendent: Ernesto Grassi’s response to Heidegger’s attack on humanism, Intellectual History Review, 22:2, pp. 261-287; M. L. McPhail, Coherence as rapresentative anecdote in rethorics of Kenneth Burke and Ernesto Grassi, pp. 76-118, in B. L. Brock, Kenneth Burke and contemporary european thought, University of Alabama Press, 1995.  ! 187!  allo scopo di mettere in luce non la compromessa unità del concetto di retorica quanto piuttosto l’intrinseca capacità di generare significati e contesti. IV. V. Il logos retorico: la tripartizione del discorso Nel contesto dell’analisi delle molteplici forme di discorso Grassi parte dalla messa in discussione della riduzione del discorso retorico a semplice tecnica di persuasione. Secondo il filosofo il problema retorico può essere affrontato da due punti di vista: si può considerare la retorica in senso tradizionale, “quindi come arte, come tecnica di persuasione”567 o da una prospettiva più generale di interazione con il sapere teoretico. Per comprendere il senso autentico della concezione retorica dovremo prendere le distanze dall’approccio speculativo che la riduce ad arte della persuasione, privandola della componente filosofica. A tal proposito Grassi individua tre tipi di discorso: -! il discorso retorico esteriore -! il discorso razionale -! il vero discorso retorico. Il primo discorso “si riferisce solo alle immagini perché influenzano le passioni”568 ed è il discorso retorico in senso classico. La seconda forma è il classico discorso razionale a carattere dimostrativo. Infine c’è il vero discorso retorico che “scaturisce dalle archai”569: esso non è deducibile ma è indicativo. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 567 E. Grassi, Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, cit., p. 55. 568 Ivi, p. 75. 569 Ibidem.  ! 188!  Tralasciando il secondo tipo di discorso, quello razionale – di cui si è già detto sopra – vorremmo soffermarci sul duplice senso del discorso retorico: come tecnica della persuasione e come discorso semantico. Lo scopo dell’analisi del filosofo è quello di rintracciare le caratteristiche del discorso semantico sulla base del quale è possibile comprendere sia la retorica come tecnica di persuasione sia il discorso razionale-scientifico. L’indagine sulla retorica allora allarga il proprio raggio di azione ben al di là delle classiche tematiche oggetto della retorica classica per divenire occasione per un ripensamento dei fondamenti del sapere scientifico-filosofico e della tecnica oratoria classicamente intesa. Quella di Grassi è non è l’ennesima sistemazione tassonomica del materiale discorsivo ma una retorica come teoria che assurge a filosofia generale e che ha come oggetto di riflessione i fondamenti pre-teoretici, pre-categoriali, ante-predicativi del sapere. Il filosofo parla non a caso di significare arcaico. Leggiamo in Retorica e filosofia che “il discorso indicativo o allusivo (semeinein) fornisce la struttura in cui può nascere la prova. Inoltre se la razionalità è identificata con il processo di chiarificazione, noi siamo costretti ad ammettere che la primitiva chiarezza dei principi non è razionale, e a riconoscere che il linguaggio corrispondente, nella sua struttura indicativa, ha un carattere evangelico”570. Secondo il pensatore milanese tale tipologia di discorso – quello semantico-arcaico – è una Darstellung, una esposizione fantastica-teoretica. In questa esposizione fantasia e teoria si identificano in quanto facoltà della visione: “in tal modo il discorso che realizza tale esposizione pone dinanzi agli occhi (phainesthai) un significato”571. Il sistema retorico grassiano mira a costruire il ponte tra retorica e filosofia e proprio in questa operazione di integrazione possiamo individuare l’unità del discorso contro l’ipotesi dualista su cui ci siamo già soffermati572. Afferma il filosofo che “la filosofia non è una sintesi posteriore di pathos e logos, ma l’unità originaria di entrambi sotto il potere delle archai originarie [...] quindi la vera filosofia è la retorica e la vera retorica è la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 570 Id., Retorica e filosofia, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 97. 571 Ibidem. 572 Cfr. III capitolo.  ! 189!  filosofia”573. Contro la tradizione occidentale razionalista Grassi non pensa che la retorica non sia fonte di conoscenza vera, anzi la retorica nasce dall’“insufficienza del pensiero razionale”574. Così il termine retorica assume un significato essenzialmente nuovo: “retorica non è, né può essere l’arte, la tecnica di una persuasione estrinseca; è piuttosto il discorso che costituisce la base del pensiero razionale”575. Si tratta della tragedia del pensiero razionalistico che si trova a fare i conti con la matrice stessa del suo procedimento. La genesi della struttura del linguaggio razionale, dialettico, dimostrativo è il linguaggio semantico, immediato, illuminante, indicativo. Se il logos indicativo o allusivo fornisce la cornice in cui può nascere la prova, la cui primitiva chiarezza non è razionale, dobbiamo riconoscere che il linguaggio corrispondente ha un carattere indicativo ed evangelico “nel primitivo significato greco di questa parola, cioè di osservare”576. La retorica come punto di partenza della scienza e della razionalità è contrassegnata da una nota antropologica che si configura come compensazione dell’indeterminatezza dell’essere umano. Essa allora costituirebbe una situazione di emergenza, una strategia dell’esonero, uno strumento di azione in mancanza di codici prestabiliti. Come avrebbe detto Blumenberg “assioma di ogni retorica è il principio di ragione insufficiente”577 e ciò vale anche per Grassi che conosceva bene Blumenberg578 e che asserisce, con una sorprendente consonanza teorica, che la retorica nasce dall’insufficienza del pensiero razionale. La retorica allora mostra l’imbarazzante luogo in cui si trova: certifica da un lato l’insufficienza e dall’altro pone in luce quelle prassi che si dipartono da quell’insufficienza originaria e che non possono essere messe da parte in nome di una scienza della verità e dell’evidenza. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 573 E. Grassi, Retorica come filosofia, cit., p. 74. Corsivi nostri. 574 Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 156. 575 Id., Retorica e filosofia, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 97. 576 Ibidem. 577 H. Blumenberg, La realtà in cui viviamo, Feltrinelli 1987, p. 103. 578 Cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire, cit. Cfr., E. Grassi-H. Blumenberg, Correspondenz, consultabile presso il Deutsches Literatur Archiv di Marbach.  ! 190!  Se in Blumenberg abbiamo una distinzione tra retorica dell’ornatus579 e retorica come prestazione metaforica580, tale che la retorica come compensazione di una mancanza non si articola anche come compensazione di una mancanza di verità e di evidenza – il che conferisce in ultima istanza una piega antiretorica al discorso di Blumenberg – in Grassi la compensazione entra in gioco proprio per l’esatto opposto: per eccesso di evidenza, per eccesso di verità. Il reale contro cui urtiamo definitivamente, che ci incalza e ci chiama – l’Appello dell’Essere – appare nella sua evidenza abbagliante che possiamo solo patire. Come possiamo leggere in La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora “ciò che patiamo non sono gli enti ma ciò che in funzione dei sensi – entro i limiti di piacere e dolore – si impone sempre carico di significato. L’uomo vive esclusivamente sotto l’impeto di “segni indicativi”, cioè dell’Abissale di cui i sensi sono strumenti”581. Das Reale als Leidenschaft: il reale va inteso come passione. Secondo Grassi è il reale, il mondo, con tutto il suo carico di estraneità e di alterità, che fa scattare il meccanismo retorico, la risposta umana alla multilateralità della vita che è evidente, si pone sotto agli occhi, ma allo stesso tempo è caratterizzata da un’opacità che ci costringe al lavoro dell’interpretazione esistenziale – sia essa del testo, della lingua, del concetto. Del resto in Grassi retorica e filosofia, pathos e logos non sono che due approcci metodologicamente distinti ma che hanno una medesima origine: il reale che genera angoscia, la quale indica la “fondamentale esperienza esistenziale dell’inadeguatezza del codice biologico”582. Essa “spezza il cerchio funzionale puramente biologico e [...] a mezzo della parola, porta l’uomo alla conoscenza di tale potenza, cioè alla consapevolezza della propria condizione strana e non addomesticata”583. La proposta retorica e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 579 Quella dell’uomo ricco che possiede la verità. 580 Quella dell’uomo povero che non possiede la verità e che fa della retorica una tecnica compensativa. 581 E. Grassi, La metafora “inaudita”: originarietà e paradossia della metafora, pp. 5-20, in Quaderni di italianistica Volume IX, No. 1, 1988, p. 15. 582 Id., Retorica come filosofia, cit., p. 189. 583 Ivi. I corsivi sono nostri.  ! 191!  linguistica del filosofo si pone in antitesi alla coeva retorica di Perelman-Tyteca almeno per quanto concerne la teoria dell’evidenza. In Trattato dell’argomentazione abbiamo una definizione del discorso proprio in relazione al suo rapporto con l’evidenza: “la natura stessa dell’argomentazione e della deliberazione s’oppone alla necessità e all’evidenza, perché non si delibera dove la soluzione è necessaria, né s’argomenta contro l’evidenza. Il campo dell’argomentazione è quello del verosimile, del probabile, nella misura in cui questo sfugge alle certezze del calcolo”584. Secondo questa concezione il campo dell’argomentazione è la prassi, l’attività umana, e un inaggirabile carattere è quello dell’incertezza. In quest’area dell’indefinibile una volta per tutte rientrano tutte quelle opinioni, giudizi di valore, inquietudini, incertezze che non si qualificano come errori, non si oppongono in modo irrevocabile ad una verità (che risponde solo ai criteri della scienza) ma che rientrano a pieno titolo in quell’idea di ragione integrale in cui il vero si declina come verisimile. Emerge il tema dell’eikos concettualizzato anche da Grassi nella sua lettura di Vico e che mostra il progetto di una nuova retorica che fa appello ad una idea di ragione e verità che non si misura solo con il criterio dell’evidenza ma che salvaguardia il valore di verità delle questioni morali, sociali, politiche e religiose. Afferma il filosofo in Retorica come filosofia che il logos della nuova retorica è quello capace di dire “il fondamento del mondo umano, il mondo come espressione di disperazione nella situazione specificamente umana”585. Tale logos in quanto onoma e rhema, in quanto nome e verbo, dice non solo l’oggetto (objectum) ma la totalità di significatività nella quale è inserito l’oggetto. Sostiene il filosofo che “questa distinzione – quella di onoma e rhema – acquista un significato fondamentale. La parola in quanto nome designa ciò che chiamiamo oggetto (objectum). Ma un oggetto non esiste mai isolato, poiché appare sempre solo nella dinamica di un compito da adempiere rispetto a certi bisogni”586. La parola allora non definisce e non isola i fenomeni sensibili ma è lo spazio in cui accade la loro relazione reciproca e la connessione con !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 584 C. Perelman-L. Olbrechts-Tytheca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, Torino 2001, p. 3. 585 E. Grassi, Retorica come filosofia, cit., p. 191. 586 Ivi, p. 192. I corsivi sono nostri.  ! 192!  l’essenza umana. “La parola in quanto presupposto e annuncio [...] viene perciò espressa nel linguaggio retorico, in quel linguaggio che si impone nel nostro impegno disperato e patetico, dal momento che la preoccupazione principale è quella di formare l’esistenza umana”587. Proprio perché massimamente evidente nella sua poliedricità il reale trova la sua dicibilità nella multiformità linguistica: attraverso il dire metaforico. Secondo il filosofo la “metafora agisce come una luce perché presuppone un’intuizione di relazioni”588. L’essenza della parola risposa nella sua struttura analogica e traspositiva. L’unica parola capace di indicare il trasferimento, il potere di mutazione e trasposizione è la metafora. Grassi sottolinea come “il traslare (metapherein) non ha originariamente un significato linguistico e tanto meno letterario: il termine metapherein indica il tra-sferire un oggetto da un luogo ad un altro – dualità – il che presuppone un passaggio, un transito, un ponte che l’uomo deve progettare, cioè gettare da un luogo ad un altro luogo, da un qui ad un là”589. La questione non è tanto quella di congedarsi dalla verità ma quella di abbozzare i prolegomeni per una riflessione metodologica sui fondamenti del discorso, sui presupposti dell’argomentazione. La nuova retorica grassiana prende congedo da un’idea di evidenza di tipo matematico-scientifico, e fa perno su un’idea di evidenza come certezza: lo sfondo antropologico della retorica sottolinea come il nostro sapere sia basato sulla fiducia, sulla pistis che ha la stessa radice di persuadere. La certezza è una sorta di fiducia originaria. Come il filosofo asserisce in Il ripudio del razionale la pistis “non è opinione né conoscenza [...] poiché non ha le radici nell’indicazione di una ragione, ma è il risultato di un’esperienza fondamentale che porta a un atteggiamento. Tale atteggiamento scaturisce dall’esperienza di un compito (Auf-gabe) nel duplice senso della parola: l’esperienza di una domanda (An-spruch), una dichiarazione nei riguardi dell’essere”590. Il rapporto fiduciario costituisce allora uno dei tratti antropo-biologici fondamentali che solo successivamente si tramuta in techne retorica – la retorica come arte della persuasione. Attraverso la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 587 Ibidem. I corsivi sono nostri. 588 Ivi, p. 167. 589 Id., La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, cit., p. 10. 590 Id., Il ripudio del razionale, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, p. 165.  ! 193!  lunga “preistoria” umanistica dell’antropologia filosofica per Grassi possiamo comprendere il fondamentale incrocio fra la questione della natura umana e quella retorica della funzione della trasmissione del sapere e della costruzione. La retorica diviene una tecnica per condurre la vita, elaborata da parte di un essere, l’uomo, che si scopre povero di mondo, e, dunque, costitutivamente bisognoso di strategie indirette di sopravvivenza per la costruzione di un universo culturale. Il discorso more rhetorico ingloba anche quella categoria del politico all’interno del processo linguistico che rende possibile la fondazione della comunità. L’apertura è verso una considerazione della retorica come meccanismo antropogenetico – la fondazione politico-civile – e come riflessione metodologica sui presupposti del discorso. Accostarsi alla retorica da un punto di vista antropologico, come fa Grassi, significa rintracciare il fondamento tecnico dell’autoaffermazione nella costruzione di un mondo culturale e di un sistema di istituzioni in quanto strategia di sopravvivenza in assenza di una Umwelt naturale che assicuri l’esistenza umana. In questa prospettiva ermeneutica vanno inquadrate le interpretazioni grassiane dell’umanesimo. Come si afferma in Retorica come filosofia la negazione umanistica del primato della logica “rompe con l’ideale matematico della conoscenza”591 e per comprendere questa tradizione umanistica occorre prendere in considerazione quelle teorie che “trattano del problema dell’origine della comunità umana e della funzione politica della poesia”592. La tecnica retorica si configura come forma paradigmatica di quella relazione indiretta, esonerante, con la realtà, che è costitutiva della natura umana. L’idea guida è quella di un agire umano inteso come compensazione dell’“indeterminatezza” cui risulterà coordinata una retorica intesa come faticosa produzione di quelle concordanze che debbono subentrare al posto del fondo “sostanziale” dei codici affinché l’agire diventi possibile. Tale funzione compensativa della tecnica retorica guida il discorso di Grassi relativo anche alle istituzioni: la vis retorica crea istituzioni. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 591 Id., Retorica come filosofia, cit., p. 133. 592 Ibidem. Corsivi nostri.  ! 194!  La radicalizzazione antropologica dell’idea di retorica mette in risalto un aspetto fondamentale dell’interpretazione di Grassi: il comportamento tecnico dell’uomo che genera la retorica, in qualità di prestazione sostitutiva/esonerante, non esce dalla logica compensativa. La retorica rimane per Grassi – proprio per la sua valenza antropologica – una prestazione compensativa/sostitutiva, e la stessa funzione finisce con l’essere attribuita retrospettivamente alla metaforologia e in prospettiva alla creazione di istituzioni. La declinazione antropologica operata da Grassi comporta che il fenomeno storico “retorica” sia privato della sua storia concettuale e delle sue funzioni effettuali nella storia della cultura e della società, e sia eletto a metafora assoluta della conditio humana. Tocchiamo qui uno dei nervi scoperti del discorso di Grassi, che rimane chiuso in un’interpretazione che in ultima analisi lo costringe a considerare il comportamento tecnico dell’uomo come una prestazione sostitutiva/esonerante, non uscendo dalla logica compensativa, e non fornendo in alcun modo una lettura adeguata della natura tecnica dell’uomo, cioè di quella stessa interazione natura/ars da cui pure muoveva l’interesse antropologico per la retorica. La salvaguardia delle molteplici forme di apparire dell’essere – il vero, il buono, il bello – , della metamorphè costitutiva del reale, induce Grassi a ricercare la forma linguistica adeguata a dire tale metamorphè. Il filosofo si pone i seguenti quesiti: -! “attraverso che cosa sorge il mondo umano se l’uomo, a differenza degli animali, non ha un ambiente immediato, se questo deve essere costruito ogni volta dall’individuo? In altre parole, qual è la causa dell’umanizzazione della natura?” 593 -! “come si rapporta questa costruzione del mondo umano al fenomeno del linguaggio, del logos?”594 -! “è possibile superare la concezione puramente formale della conoscenza?”595 !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 593 Ivi, p. 183. Corsivi nostri. 594 Ibidem. 595 Ibidem.Corsivo nostro.  ! 195!  Le domande che vengono poste riguardano tre livelli della riflessione: il livello antropogenetico della fondazione della civiltà; il piano linguistico dell’espressione del rapporto uomo-mondo; il tema epistemologico della natura della conoscenza. Cercare di risolvere questi problemi comporta per Grassi un’analisi della storia dell’umanesimo che propone una rinnovata idea di logos. Il logos non può essere ridotto al suo aspetto formalizzato, logicista, scientifico. Una questione fondamentale è quella del passaggio dall’Umwelt alla Welt, dal mondo ambiente contraddistinto dall’immediatezza non-verbale del codice biologico al mondo umano. Secondo il filosofo esiste un’area in cui possiamo trovare segni indicativi e costrittivi senza la mediazione della razionalità e del linguaggio: si tratta del mondo organico. IV. VI. Il mondo organico L’analisi del mondo organico mostra degli aspetti che “possono essere ritrovati nel mondo sacrale”596 e retorico. Nell’ambito dell’organico “ogni genere e specie vivente sta sotto i propri segni determinati e indicativi”597. Tali codici/diastema mostrano che “la realtà appare alla creatura vivente esclusivamente entro selezioni”598. Le selezioni (codici/diastema) si inseriscono all’interno del “cerchio funzionale simbolico della vita” – nozione mutuata da J. Von Uexküll – che indica “un’unità intatta di segni che sono significativi per la vita”599. Secondo il filosofo l’analisi del mondo animale e biologico consente di rintracciare delle analogie con le strutture del mondo sacrale, religioso, retorico che getta luce su un’idea di filosofia rinnovata in senso non intellettualistico. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 596 Ivi, p. 182. 597 Ivi, p. 180. 598 Ivi, pp. 180-181. I corsivi sono nostri. 599 Ivi, p. 181.  ! 196!  Dal punto di vista grassiano i semata che ritroviamo nel mondo biologico mostrano un’intrinseca forza induttiva (epagein-inducere)600, essi hanno un carattere di guida (arcaico) che costringe l’animale a creare il proprio ambiente nei limiti del proprio cerchio funzionale simbolico finalizzato all’autoconservazione. “Questi segni possiedono una funzione metaforica perché trasferiscono un significato a ciò che gli organi manifestano. Attraverso questo trasferimento di significati appare all’organismo il suo ambiente specifico che costituisce la sua sola realtà. I segni hanno un carattere induttivo di guida. L’originarsi di questi ambienti, di questi kosmoi – nel doppio significato del termine greco come ordine e ornamento – avviene a livello organico”601 per l’autoconservazione. L’unità dell’ambiente intatto e olistico dell’animale in cui la comunicazione avviene per voci significative (psophos semantikos) viene meno nell’uomo. La rottura del codice non verbale immediato che porta alla genesi del mondo umano implica anche il superamento del livello della “comunicazione fonetica immediata”602 e la nascita del logos. Con il linguaggio si profila un compito per l’uomo: “il compito di costruire il mondo in cui vivere”603 che spetta all’essere umano come singolo e “non ai segni indicativi immediati del mondo olistico e non problematico”604. L’esperienza della frattura – la disintegrazione del mondo intatto e olistico del biologico – mette l’uomo di fronte alla propria Angst: “gli uomini patiscono l’angoscia che si presenta nell’esperienza fondamentale di non avere a disposizione un codice immediatamente efficace”605. Ma come avviene questa frattura nel mondo animale? Il logos è causa della disintegrazione del cerchio funzionale simbolico o prestazione compensativa per riunire ciò che si era spezzato? !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 600 Ibidem. 601 Ivi, p. 182. 602 Ivi, p. 183. 603 Ivi, p. 184 604 Ibidem. 605 Ibidem.  ! 197!  IV. VII. Il logos umano: suono, voce, parola Secondo Grassi occorre rifiutare la tesi secondo la quale “il linguaggio stesso è la causa per eccellenza della dissoluzione dell’unità dell’organico poiché astrae e isola gli oggetti della vita da quel ritmo vitale in cui essi emergono e ricevono il loro significato”606. Al contrario il linguaggio sorge nel momento in cui la dissoluzione è già avvenuta. Infatti perché l’uomo dovrebbe cercare un logos – un codice completamente diverso dalla comunicazione fonetica pre- verbale – se l’unità non fosse già scomparsa a favore di una separazione tra soggetto e oggetto? Sostiene il filosofo che “la funzione significativa del linguaggio può essere spiegata solo come superamento di un isolamento o di una astrazione già sopraggiunti precedentemente e come separazione di soggetto e e oggetto. Perciò si impone la necessità di una definizione verbale una volta che si sia indebolita la comunicazione pre- verble”607. Il linguaggio non è la causa della separazione, del dualismo soggetto e oggetto, ma una prestazione compensativa con la funzione di ricostruire un legame. L’inadeguatezza del codice pre-verbale che genera il logos attesta l’assenza nel mondo umano di un codice immediato. “Compito del linguaggio è quello di trovare e formare una symplokè, un congiungimento di soggetto e oggetto”608. Il logos nasce sullo sfondo di un’esperienza: quella dell’angoscia che testimonia la natura “non addomesticata”609 dell’uomo. Per comprendere l’analisi del linguaggio svolta da Grassi dobbiamo prendere in considerazione le sue riflessioni sul suono, sulla voce e sulla parola esposte in particolare nei saggi Prolegomena ad una concezione della retorica. La phonè come elemento indeducibile del !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 606 Ivi, p. 185. Il riferimento polemico grassiano è alla tesi di R. Thom esposte in Modelli matematici della morfogenesi, Einaudi, Torino 1985. 607 Ivi, pp. 187-188. 608 Ivi, p. 188. 609 Ivi, p. 189.  ! 198!  linguaggio, in La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora e nel testo La metafora inaudita. Sostiene il filosofo che per delineare i “prolegomena”610 al problema del linguaggio occorre analizzare i concetti di psophos e phoné. Prendendo in considerazione le affermazioni aristoteliche contenute nel II libro del De anima circa la natura delle voci come suoni semantici costitutivi del linguaggio611 il filosofo italiano pone in evidenza l’intima struttura metaforica della voce – il suono semantico – che va a costituire il linguaggio. “Aristotele distingue fondamentalmente [...] il suono (psophos) dalla voce (phoné) per poi [...] definire la voce come suono indicativo (psophos semantikos). Da ciò dovremmo dedurre che la voce costituisce qualcosa di completamente nuovo in confronto al suono, non solo, ma che la voce è una metafora, cioè nasce dal trasferire (metapherein) un significato, un segno indicativo (sema) al suono (psophos)”612. La dualità tra suono e voce –la voce è ciò che assegna al suono un significato – è fortemente criticata da Grassi che invece ha come scopo quello di superare il dualismo mettendo in discussione l’idea che il suono non abbia un intrinseco significato. Si chiede il filosofo “è dunque valida la concezione tradizionale dualistica di suono senza significato e voce, suono semantico indicativo, phoné?”613. Grassi dispprova la spiegazione aristotelica tecnico-meccanica del suono per tre ragioni: tale spiegazione non tiene conto che il suono appare attraverso uno strumento che nel caso dell’uomo è “l’organo uditivo”614; occorre, al contrario, tenere presente che il suono “ci appare solo entro l’ambito di un codice che si impone”615; bisogna considerare la mutevolezza del codice616. Come !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 610!Id., La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, cit., p. 9. 611!Aristotele, De anima II, 420 b 29.! 612!E. Grassi, La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, cit., p. 9. 613!Id., Prolegomena, cit., p. 42.! 614!Ivi, p. 43. 615 Ibidem. 616 Ibidem.  ! 199!  è noto Aristotele definisce il suono come ciò che è “sempre prodotto dall’urto di qualcosa contro qualcosa e in qualcosa, perché ciò che lo produce è una percussione. É pertanto impossibile che si abbia un suono in presenza di un solo oggetto, giacchè il percuziente e il percosso sono distinti”617. Affinchè il suono si trasformi in voce occorre tenere in considerazione l’elemento della vita618. Solo l’essere animato può produrre il suono semantico, la voce, la phonè. Se gli elementi determinanti della voce sono la vita (la voce è il suono dell’essere animato) e il suo carattere interpretativo (il suo essere hermeneia tinos) per Grassi occorre risalire all’ambito originario del suono: quello della vita. Proprio l’operazione di radicamento dell’origine del suono nel mondo della vita induce al filosofo ad affermare che “per l’essere organico, cioè per quello che manifesta il mondo attraverso i propri organi, non esiste un suono che non sia voce”619, ossia non esiste un suono di natura puramente meccanica ma solo un suono dotato di un significato. Infatti per il filosofo i suoni semantici schiudono “il teatro, nel significato originario di questo termine, cioè il luogo del vedere, del theorein”620. Ma come e dove si rivela l’ambito significativo testimoniato dal suono? Per Grassi innanzitutto nei sensi. Riprendendo le teorie del fisiologo J. Müller621 sull’energia sensoriale specifica – ossia quella legge secondo la quale ogni senso produce solo il tipo di sensazione che ad esso è specificamente pertinente indipendentemente dal tipo di stimolazione a cui è sottoposto – Grassi individua la possibilità di rintracciare innanzitutto nei sensi la genesi della significazione. Egli afferma che “ogni sensazione è carica di significato”622 e la significatività della voce (che traspone un significato al suono) si radica !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 617!Aristotele, De anima, II libro, 419 b 10-14.! 618!Ivi, 420 b 7-9. “Quanto alla voce, essa è un suono dell’essere animato. In effetti nessuno degli esseri inanimati emette una voce, ma per somiglianza si dice che ce l’hanno, come il flauto”. 619!E. Grassi, La metafora inaudita, cit., p. 31.! 620!Id., La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, cit., p. 19.! 621!Il testo al quale Grassi fa riferimento è Ueber die phantastischen Gesichtserscheinuungen, Koblenz, 1826, pp. 4-5. 622!E. Grassi, Prolegomena, cit., p. 45.  ! 200!  originariamente nella significatività già presente nei sensi. Questi ultimi dotati di un’energia specifica e carica di significato pongono in luce l’ambito originario di formazione del senso: la Lichtung/Rahmen. “Ciò che rivelano i sensi, entro i limiti di piacere e dolore, non è un’opera, un ergon, estraneo ai sensi, non è un’opera meccanica, né un’opera poietica, ma praxis, intesa come parousia”623. Ma quel è la struttura di questa parousia? Tale ambito originario ha una struttura metaforica. Per il filosofo occorre scorgere la metaforicità del reale attraverso la passione che si rivela come l’ambito in cui l’uomo fa esperienza dell’appello dell’essere. Si chiede il pensatore: “in cosa consiste il carattere metaforico dei segni sensibili? Esso si rivela nella passione, nell’ambito della quale l’ente organico – tra i limiti di piacere e dolore – fa l’esperienza dell’oggettività di corrispondere o non corrispondere a ciò di cui è un’indicazione”624. Il problema dal quale partire è quello di corrispondere all’appello dell’essere, alle necessitates che di volta in volta si presentano all’uomo: emerge il tema del superamento della “insercuritas esistenziale”625, del bisogno esistenziale che va soddisfatto attraverso il proprium dell’uomo, ossia la parola. Si chiede il filosofo: “come definire ciò che ci è consueto, ciò che ci è proprio, ciò in cui siamo a casa, ciò in cui ci sentiamo a nostro agio, al riparo, difesi? É forse il linguaggio, la parola? Ma quale linguaggio, quello razionale oppure quello poetico? Che funzione ha la parola nell’affrontare il desueto, la realtà che ci è estranea, sconosciuta, aliena?”626. Il tentativo di superare l’insicurezza esistenziale, la spaesatezza dell’Aperto conduce l’uomo al linguaggio: la dimora che custodisce quella relazione essenziale tra il Dasein e il Sein. A fare problema per Grassi è l’individuazione di un linguaggio che sia casa dell’essere: da qui l’analisi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 623!Ivi, pp. 49-50.! 624!Ivi, p. 50. 625!E. Grassi, Ermeneutica dell’estraneità. Originarietà della parola poetica (Heidegger, Ungaretti, Neruda), in “Studi di estetica”, Bologna, pp. 21-33. 626!Ivi, p. 21.  ! 201!  della metafora nella sua priorità rispetto al concetto, e della poesia come espressione della storicità dell’esistenza. IV. VIII. Metafora e concetto Afferma il filosofo che “il vedere, la visione, insiti nella teoria come fondamento di ogni procedimento razionale si attuano attraverso [...] una metafora”627 e si chiede se la metafora “che ricorre per lo più alle immagini, va considerata un mezzo solo letterario [...] o è indispensabile per esprimere l’Originario”628. La Frage che sorregge la sua indagine metaforologica mostra una componente onto-antropo-logica poichè riguarda l’uomo, riguarda la realtà e costituisce il modo di darsi delle cose, il nostro modo di essere affetti dal mondo circostante: non un orpello linguistico, una fictio retorica, la metafora è per Grassi un dispositivo antropo-poietico. Sostiene il pensatore italiano che “alcuni limitano la funzione della metafora alla trasposizione di parole, cioè di una parola dal suo proprio campo ad un altro. Tuttavia, tale trasposizione non può essere compiuta senza un’intuizione immediata delle somiglianze che appaiono nei diversi campi [...] la sua funzione è quella di rendere visibile una proprietà comune ai vari campi. Essa presuppone la visione di qualcosa ancora nascosto [...] ma dobbiamo andare più a fondo del piano letterario. La metafora sta alla base del nostro mondo umano. Poiché essa si radica nell’analogia tra cose differenti e fa immediatamente balzare agli occhi tale analogia, essa contribuisce in modo fondamentale alla struttura del nostro mondo”629. Siamo al cospetto di una teoria della metafora che coniuga l’analisi della metafora come espressione metaforica con quella della metafora come fenomeno globale di tipo cognitivo ed esistenziale. Attraverso la metafora godiamo “la visione di una momentanea radura (Lichtung)”630 che mette in campo una riforma della filosofia non ridotta ad astratta ontologia, ma che “riconosca !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 627 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 18. 628 Ibidem. 629 Id., Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, p. 76. Corsivo nostro. 630 Id., Il dramma della metafora, cit., p. 14  ! 202!  l’importanza dell’esperienza storica”631. La riflessione sulla metafora è per Grassi un modo di superare le falle dell’hòros, del concetto, che non è in grado di dire la natura temporale, storica e metamorfica degli enti, che si esprimono nei sempre diversi significati vitali emergenti nello sforzo interpretativo o semantico. Infatti, per il pensatore italiano l’interpretazione è possibile solo sulla base di un’indicazione, da qui la preminenza della semantica rispetto all’ermeneutica, come emerge in Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica. Egli asserisce che “l’indicazione (semainein) precede, dunque, l’interpretazione (hermeneuein), poiché forma la cornice entro la quale possono sorgere delle dimostrazioni”632; essa è la condizione trascendentale del linguaggio, quel fondo mitico che appartiene al mondo del sacro e del religioso che non dimostra ma indica. Il linguaggio semantico è un logos che ostende il fondamento e rompe quel silenzio primordiale delle cose mute che ci circondano nell’Aperto della ingens sylva. Accanto a questo logos semantico, che è contraddistinto da una “chiarezza che non è il risultato di un chiarimento”633, abbiamo il logos ermeneutico, quello dell’interpretazione che si fonda sul processo della dimostrazione. Secondo il filosofo “il termine metafora è esso stesso una metafora; deriva dal verbo metapherein, trasferire, che originariamente descriveva un’attività concreta. Alcuni autori limitano la funzione della metafora alla trasposizione di parole, cioè di una parola dal suo proprio campo a un altro. Tuttavia, tale trasposizione non può essere compiuta senza un’intuizione immediata delle somiglianze”634. Alla metafora fa da contraltare il concetto al quale spetta come compito quello di afferrare, comprendere un fenomeno in riferimento al suo fondamento universale. Nella ricostruzione etimologica grassiana il significato di hòros può essere colto nella sua portata originaria mediante il riferimento “al verbo orìzo (determino) che sta alla base di questa parola, la cui radice hor- è identica a quella di horào (io vedo): io “vedo” qualcosa nella luce del fondamento. La definizione (horismòs) !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 631 Ivi, p. 15. 632 Id., La potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, cit., p. 84. 633 Ibidem. Corsivi nostri. 634 Id., Retorica come filosofia, Ivi, p. 76. Cfr., sull’analisi della metafora in Grassi M. Marassi, E. Grassi e il primato della parola metaforica, pp. 264-291, in I. Pozzoni, Voci di filosofi italiani del Novecento, IF Press, 2011.  ! 203!  esprime in tal caso proprio questa visione, ciò che è, ciò che esiste: in questo modo sfugge a essa per forza di cose ciò che muta in se stesso, il singolo”635, che è compito della retorica autentica illuminare, in quanto scienza del particolare e dello storico. Accanto ad una teoria della metafora non “più gioco letterario ma originaria, prima forma dell’ingegno”636, grazie alla quale è possibile porre “la domanda sull’origine della storicità umana, e dunque sull’essenza dell’uomo”637, si affiancano nella filosofia grassiana la fantasia e l’ingegno che con il nous aristotelico, interpretato alla stregua di “unica espressione delle archai nel loro carattere palesante e immediatamente indicativo” 638, costituiscono la triade del significare arcaico. Il senso autentico della metafisica immanente di Grassi emerge proprio nel dia-legesthai, ossia nel “dire attraverso il logos” il divenire dell’essere, che grazie al logos guadagna paradossalmente una permanenza: questo è il senso della riflessione sulla metafora che è la modalità logica di portare ad espressione l’essere del divenire. La metafora, pur non sostituendosi al concetto, rappresenta lo stile linguistico entro cui e a partire da cui si dispiega la teoresi. Infatti, Grassi afferma che “la forma originaria del colloquio nella sua funzione storica è metaforica”639. IV.IX. La prassi metaforica: metafora e metapherein La volontà di sottolineare l’arcaicità della metafora come a priori del linguaggio, fondamento e Grund, fa emergere come la metafora non sia intesa come tropo – o non solo come tropo, parola – ma come energheia, atto traspositivo. La riflessione grassiana su metafora e retorica è guidata proprio da questa idea di una teoria dell’atto metaforico che agisce come trascendentale del linguaggio. Come !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 635Id., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 222. 636Id., Significare arcaico, cit., pp. 479-495, p. 494. 637Id., Potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit., p. 202. 638Id., Significare arcaico, cit., p. 494. 639 Id., Il colloquio come evento, cit., p. 71. ! 204!   emerge già a partire da Il problema della metafisica platonica il tema della determinazione del ti esti, incrociandosi inevitabilmente con quello della ',0(1*-, della manifestazione della realtà, pone anche il tema della fondazione metaforologica. L’atto fondativo e mitico del reale è secondo Grassi indicibile dal logos metafisico e la narrazione di quell’azione primordiale può essere affidata unicamente al potere generativo trasformazionale della metafora, che per Grassi non è un gioco letterario ma la prima forma dell’ingegno, del nous “e come tale unica espressione delle archai nel loro carattere palesante e immediatamente indicativo”640. Il polimorfismo ontologico viene maggiormente salvaguardato attraverso il pensiero topico, ingegnoso, in grado di apprendere e rintracciare i loci dell’argomentazione; capacità, questa, di cui il pensiero critico, tutto confinato all’interno della catena delle deduzioni, sembra essere privo. Il nucleo teorico fondamentale è quello di saper ritrovare le archai, le premesse indeducibili razionalmente, ma a partire dalle quali soltanto è possibile dare inizio ad una catena di ragionamento esatto. Al filosofo non interessa dunque il meccanismo strettamente semiotico di singole espressioni metaforiche: come possa essere descritto il trasferimento semantico ad esse sotteso, quali componenti riguardi, se proprietà atomiche o interi nodi di storie. Interessa invece ciò che questo trasferimento nasconde, ciò a cui supplisce, che cosa raccontino del modo attraverso cui l’uomo ha cercato di esprimere il proprio rapporto con la “realtà”. Per Grassi la metafora si configura come un fenomeno cognitivo, un medium attraverso cui il pensiero non solo si articola, ma su cui si fonda: essa è ed è stata una componente essenziale dei processi attraverso cui le culture interpretano e strutturano il mondo che le circonda. Il filosofo afferma in Prolegomena ad una concezione della retorica. La phonè come elemento indeducibile del linguaggio che “non va dimenticato che il traslare (metapherein) non ha originariamente un significato linguistico e tanto meno letterario; il termine metapherein indica il trasferire da un luogo ad un altro luogo e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 640 Id., Significare arcaico, cit., p. 494. ! 205!   ciò presuppone un passaggio, un transito, un ponte. L’uomo deve progettare questo passaggio, gettare un ponte da un luogo ad un altro”641. L’approccio antropologico-filosofico descrive e ripercorre una modalità di accesso al senso attraverso la metafora, e allo stesso tempo tenta di ricostruire la storia della fondazione del mondo della vita e della comunità umana individuando nei processi di metaforizzazione e di concettualizzazione i congegni antropogenetici e i fenomeni di base dell’umanizzazione. Nella semantica metaforica di Grassi non trova posto l’usuale contrapposizione del senso traslato con il senso letterale di un’espressione. Infatti “il termine metafora indica originariamente presso i Greci un’azione concreta e per la precisione il trasferimento di un oggetto da un luogo ad un altro; soltanto più tardi il termine compare anche nell’ambito del linguaggio”642. Se l’idea che riduce la metafora ad orpello linguistico – senza tenere conto della sua matrice pratica – va messa da parte occorre anche rifiutare la prospettiva che tenta di sostituire la metafora al concetto. Per Grassi la metafora non si trova a supplire momentaneamente l’insufficienza del concetto, fornendo un significato di passaggio, un senso provvisorio in attesa di esser sostituito da quello proprio dei termini logici. La particolarità dei termini logici – l’esattezza – determina allo stesso tempo una perdita di polisemia, potremmo dire una riduzione delle loro potenziali connessioni di senso. Essi sono contraddistinti da una cristallizzazione del significato in un unico percorso interpretativo, da una pauperizzazione semantica inversamente proporzionale alla chiarezza e distinzione logica: è il fio che occorre pagare per una filosofia pura. Per il filosofo “interrogarsi sul ruolo della metafora equivale perciò a chiedersi se la metafora rappresenti nel linguaggio filosofico soltanto un residuo di rappresentazioni che dev’essere superato allorchè ci si mette sulla via del logos”643. Nella prospettiva tradizionale la metafora sembra peccare di imprecisione, ragione per cui è sempre stata estromessa dalla filosofia, per essere ricompresa nella retorica o nella poetica. Ma a ben !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 641 Id., Prolegomena ad una concezione della retorica, cit., p. 40. 642!Id., Potenza della fantasia, cit., p. 72. 643!Id., Potenza della fantasia, cit., p. 72. Corsivi nostri.!  ! 206!  guardare quella che per il pensiero logico è una imprecisione, “uno scandalo per la logica [...] un elemento distraente che non ha nulla a che fare con la realtà”644, in realtà è dotata di una precisione intrinseca dettata dalla necessità di natura. Il tratto di precisione della metafora emerge all’interno del discorso su Vico il cui carattere di epocalità è rintracciato proprio in quella divaricazione della metafisica in ragionata e fantasticata. Ricorrendo al principio vichiano dell’homo non intelligendo fit omnia Grassi asserisce che “se con la metafora [...] si risponde alle varie necessità, il linguaggio metaforico, ricco di elementi fantastici è originale, preciso, a differenza di quello astratto che si allontana”645 dal reale. L’analisi della metafora fa emergere l’idea di una metafora drammatica e inaudita646, nel senso di assoluta, riprendendo una feconda espressione di Blumenberg. Essa si rivela uno strumento ermeneutico e va a strutturare i codici interpretativi che regolano e dirigono il nostro giudizio sulle cose. Del resto già Kant, nel famoso paragrafo 59 della Critica del giudizio (1790), trattando il procedimento della “traslazione della riflessione”, definisce il simbolo647 in maniera del tutto simile alla metafora grassiana. Essa determina un comportamento, un tipo di orientamento nel mondo che si trova a esser strutturato dalla metafora. Attraverso la metafora un’epoca esprime le proprie certezze, ma anche i propri dubbi, le proprie aspirazioni, le aspettative, le azioni e gli interessi. Essa assume la !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 644 Id., Prolegomena, cit., p. 41 645 Id., G. B. Vico: un filosofo epocale, in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 202. I corsivi sono nostri. 646 Id., La metafora inaudita, cit.; Id., Il dramma della metafora, cit.; Id., Ermeneutica dell’estraneità. Originarietà della parola poetica (Heidegger, Ungaretti, Neruda), cit., pp. 21-33; La metafora inaudita: originarietà e paradossia della metafora, cit., pp. 5-20. 647 I. Kant, Critica del Giudizio, tr. i. di A. Gargiulo, Introduzione di P. D’Angelo, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 183- 385. “A torto e con uno stravolgimento di senso i logici moderni accolgono l’uso della parola simbolico per designare un modo di rappresentazione opposto a quello intuitivo. Questo (l’intuitivo) si può dividere cioè in modo di rappresentazione schematico e simbolico. Entrambi sono ipotiposi, cioè esibizioni (Darstellungen- exhibitiones) [...] tutte le intuizioni che sono sottoposte a concetti a priori sono dunque o schemi o simboli, e le prime contengono esibizioni dirette del concetto, le seconde indirette. Le prime procedono dimostrativamente, le seconde per mezzo di una analogia [...] in cui il Giudizio compie un doppio ufficio, in primo luogo di applicare il concetto all’oggetto di una intuizione sensibile, e poi, in secondo luogo, di applicare la semplice regola della riflessione su quella intuizione ad un oggetto del tutto diverso, di cui il primo non è che il simbolo [...]. La nostra lingua è piena di queste esibizioni indirette, fondate sull’analogia, in cui l’espressione non contiene lo schema proprio del concetto, ma soltanto un simbolo per la riflessione”.  ! 207!  funzione del codice. Per il filosofo occorre “sollevare la questione, di solito trascurata, della relazione tra codice e metafora”648. Sostiene il pensatore che l’atto di leggere e interpretare la realtà con un codice specifico – ossia con “un sistema di segni, gli elementi dei quali ricevono un significato entro il sistema”649 – “costituisce una sorta di attività metaforica”650. L’attività metaforica mostra un’analogia con il codice poiché rende possibile la visione degli enti e soprattutto la similitudo, ciò che è comune a più enti. Riprendendo la teoria aristotelica esposta nella Poetica secondo cui “l’usare bene la metafora significa percepire con la mente l’oggetto affine”651 Grassi pone strettamente in relazione l’eu metapherein e il to omoi on theorein. La metaforizzazione va identificata da un lato con la visione delle somiglianze ma dall’altro libera la sua vis generativa nella scoperta del novum: il me phaneròn. Ciò che è nuovo nella scoperta metaforica è ciò che non era evidente in precedenza. “La metafora scopre ciò che non era stato visto in precedenza, lo porta alla luce, in quanto essa nasce dalla necessità della chiarezza”652. Proprio qui risiede la differenza tra codice e metafora: accomunati dal bisogno di decifrazione653 codice e metafora si separano sul terreno della scoperta del novum. Sostiene Grassi che “nessun codice è capace di adempiere questa funzione, perché un codice non fa che stabilire il sistema ordinatore di relazioni già date, e sulla base delle quali qualcosa viene interpretato. Non esiste un codice che conduca a un nuovo codice [...] funzione della metafora è l’invenzione, scoprire nuove relazioni. É la metafora che produce ogni nuovo codice”654. Risulta evidente che l’apertura metaforologica del discorso di Grassi è paradigmatica e non classificatoria, nel senso che essa si propone come un metodo che risale verso archetipi, i quali !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 648!E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 76.! 649!Ivi, p. 75.! 650!Ibidem. 651!Aristotele, Poetica, 1459 a 7.! 652 E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 74. 653!Id., Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 77.! 654!Ivi, pp. 76-77. Corsivi nostri.  ! 208!  fungono da paradigmi esplicativi dei comportamenti e degli atteggiamenti cognitivi propri della storia della cultura occidentale. Ogni metafora crea una Lichtung, un Rahmen originario di riferimento, una zona virtuale entro cui si muovono e si espandono i concetti e i confini dei campi semantici, stabilendo nuove connessioni di senso, soprattutto tracciandone i percorsi che poi ogni epoca e ogni autore attualizzano secondo una specifica declinazione del paradigma fornito dalla metafora stessa. La produttività antropologica della metafora viene quindi portata oltre l’antitesi con il concetto, allontanata dalla contrapposizione tra un senso deviante e figurato e un senso proprio, che a sua volta nasconde l’opposizione apparenza/essenza. Occorre risalire dalla domanda che chiede “come è distinguibile il proprium di una parola dalla sua trasposizione?”655 alla domanda che indaga sul terreno di formazione di un senso traslato o proprio della parola e della metafora. Occorre analizzare la struttura di “visione delle somiglianze della metafora”656. In contrasto con una concezione del linguaggio che tende all’univocità oggettiva, la metaforologia grassiana indica un’inconcettualità basica: ciò che interessa non è dunque l’esistenza di un correlato di cui si asserisce l’assenza di formalizzazione linguistica o l’impossibilità di predicazione, ma lo sforzo di esporre linguisticamente l’ineffabilità stessa: la storicità del Da-sein. Grassi elabora una semantica metaforica che affonda le sue radici in un orizzonte di inconcettualità e sposta l’attenzione su quella dimensione di gettatezza, sul nostro essere calati in un mondo di immagini che chiedono di essere interpretate. In uno dei suoi ultimi testi, La metafora inaudita, Grassi si mostra meno interessato al percorso di nominalizzazione che porta la metafora verso il concetto, come accadeva invece nei precedenti lavori sull’umanesimo. La sua ricerca si orienta sempre di più verso il terreno in cui si formano le metafore, e cioè il mondo della vita, la Lebenswelt che mostra tutto il suo assolutismo, che viene contrastato proprio attraverso le prestazioni della distanza nelle forme del mito e delle metafore assolute, e quindi delle diverse pratiche metaforiche che traducono queste !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 655 Id., Potenza dell’immagine, cit., p. 195. 656 Ibidem.  ! 209!  prestazioni, la cui funzione principale risulta allora compensatoria ed esonerante. Leggiamo in Il dramma della metafora che “la parola metaforica esprime a un tempo la struttura fondamentale del continuo mutarsi di ciò che appare e l’unico modo per identificarla. Essa è anche espressione di un’acutezza, di una rapidità intimamente collegata con il kairòs, l’istante giusto”657. I processi di metaforizzazione e di simbolizzazione della realtà sono in altre parole lo strumento con cui l’uomo riesce ad allontanare l’assolutismo della realtà e a rendere meno violenta la sua percezione. L’analisi della prassi metaforica parte dalla domanda “dove, come patiamo l’oggettività dell’essere?”658 che sorge laddove si fa esperienza dell’incapacità di restituire la ricchezza della res – il mondo oggettivo – attraverso l’univocità della definizione. Se “l’essenza della parola consiste nella sua tropicità, cioè nell’essere sempre un traslato, necessariamente il problema della verità sempre e ovunque valida deve venir sostituito dal problema di ciò che di volta in volta si svela nella storia”659. La retorica è la scienza storica per eccellenza: indaga ciò che di volta in volta viene all’espressione e cala la dimensione dell’aletheia in quella dell’Ereignis. Secondo il pensiero tradizionale gli enti vanno definiti mediante un processo razionale che astrae dall’hic et nunc, dalla storicità. È questo il prezzo da pagare per una conoscenza vera e immutabile: porre a distanza tutti quegli elementi legati al qui ed ora: le immagini, le passioni. Sostiene Grassi in Retorica come filosofia che “le teorie cartesiane continuano a determinare ancora oggi l’atteggiamento nei confronti dell’ideale culturale dell’Umanesimo e della supremazia della parola. Opponendomi alle idee di Cartesio desidero esplorare la tradizione dell’Umanesimo italiano”660. Grassi è mosso dal convincimento che Cartesio esamina e valuta le discipline umanistiche del sapere solo per stabilire se e in che misura esse possano trasmettere verità e certezza. Tutta la questione umanistica si riduce ad un problema di erudizione filologica che ha a che fare con la sfera delle !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 657Id., Il dramma della metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, L’Officina tipografica, Napoli 1992, p. 165. 658Id., Prolegomena ad una concesìzione della retorica (la phonè come elemento indeducibile del linguaggio, cit., p. 48. 659 Id., La filosofia dell’umanesimo: un problema epocale, cit., p. 156. Corsivi nostri. 660 Id., Retorica come filosofia, cit., p. 80.  ! 210!  passioni e delle immagini. La vera filosofia è quella critica a cui Grassi vuole opporre una priorità trascendentale della topica e per farlo ricorre a Vico e a Aristotele. Contro una simile impostazione che separa scienza e vita Grassi vuole proporre un’idea unitaria di logos e pathos in cui la retorica assuma un ruolo preponderante. Tradizionalmente la retorica – e i suoi elementi fondamentali: le immagini, le metafore – viene considerata come ciò che va respinto in quanto “ragione non ancora realizzata”661, come priva di chiarezza razionale e verità rigorosa generando “l’ideale cartesiano [di] una filosofia disadorna, impersonale, senza tempo e senza luogo”662. Tenendo in considerazione l’importanza che l’umanesimo retorico attribuisce alla parola, come ciò che apre il mondo, la filologia assurge a una posizione fondamentale all’interno degli studia humanitatis. Secondo il filosofo “la parola deve essere considerata un fenomeno originario, non solo espressione del pensiero”663. Nelle analisi svolte abbiamo rintracciato una riabilitazione del pensiero umanista che parte dal convincimento della preminenza del problema della parola su quello degli enti. Secondo il filosofo il legame tra parole e cose non va inteso come semplice corrispondenza delle une alle altre – poiché la parola non designa univocamente la cosa – poiché il significato di una cosa dipende dal contesto concreto in cui la parola viene utilizzata. La riflessione retorica stabilisce un nuovo modo di filosofare noetico non metafisico che parte dalla parola e non dall’ente. In questo percorso Vico riveste un ruolo particolare. IV. X. Phantasia, ingenium, sensus communis: le fonti del mondo storico individuate da Vico La proposta grassiana di ripensamento della retorica nella sua identità con la filosofia viene sempre più a svelare il suo senso esistenziale e intersoggettivo. La secca alternativa tra un filosofare ridotto a ricerca delle verità eterne – condotta attraverso un argomentare poggiante su basi deduttive ed un linguaggio razionale e formalizzato – e una retorica intesa come argomentazione debole o !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 661 Id., Viaggiare ed errare, cit., p. 180. 662 Ivi, p. 181. 663 Id., Potenza dell’immagine, cit., p. 242.  ! 211!  tecnica del bel parlare – induce il filosofo a ripensare la correlazione retorica-filosofia a partire dal nesso vero-verisimile. Il tema è al centro di un saggio su Vico degli anni ’40, Del vero e del verosimile in Vico664, che mostra come la figura del filosofo napoletano sia una presenza costante all’interno dell’iter di pensiero grassiano665 – e non uno sbocco finale della filosofia di Grassi – e costituisca l’occasione di determinare il significato autentico di retorica. In Vico Grassi rintraccia l’originaria funzione ermeneutica del linguaggio retorico, che ha il proprio fulcro nella figura della metafora, prodotto dell’ingenium. Riproponendo una dicotomia – quella di Vico/Cartesio – ritornante in maniera fortemente radicalizzata nei lavori successivi su Vico, Grassi sottolinea come a differenza della filosofia critica poggiante sulla ratio la filosofia topica vichiana si fonda sulle facoltà dell’ingenium e della fantasia che sono facoltà di apprensione del reale immediate e intuitive e non deduttive. Asserisce il filosofo italiano che la fantasia vichiana “è l’espressione dello spirito umano in quell’istante del ciclo storico, che esso deve sempre nuovamente percorrere, quando l’ente originario si rivela all’uomo solo in immagini, simboli, miti. A riguardo si deve notare che anche il mondo della fantasia, come prima fase dello sviluppo dello spirito umano, non è un mondo primitivo in senso negativo; è essenzialmente e perfettamente formato in sé, per certi aspetti è ancora più vicino all’ente originario di quanto non lo sia il mondo della ragione”666. A differenza del pensiero critico il pensiero topico ha come suo oggetto tematico il verosimile che appartiene alla sfera del possibile e non del necessario ed è legato al tempo e allo spazio della situazione. Leggiamo in Retorica e filosofia che “solo l’intuizione delle caratteristiche comuni o condivise nel senso summenzionato rende possibile il conferimento di significati che consentono alle cose di apparire (phainesthai) in modo umano. Poiché tale capacità è tipica della fantasia, è proprio quest’ultima a permettere al mondo umano di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 664!Id., Del vero e del verosimile in Vico, pp. 951-966, in Id., I primi scritti, cit.!! 665 Sulla presenza di Vico in Grassi cfr., R. Messori, Le forme dell’apparire, cit.; S. Limongelli, Il problema dell’umano nella filosofia di E. Grassi, cit.; J. Sanchez-Esquillace, E. Grassi y la filosofìa del Humanismo, cit., J. M. Sevilla, Critica de la razon problematica, cit.; G. Cacciatore, In dialogo con Vico, cit. 666!E. Grassi, Del vero e del verosimile in Vico, cit., p. 963. ! 212!   apparire”667. Conseguentemente la fantasia si esprime originariamente nelle metafore “cioè nel conferimento figurato dei significati [...]. La metafora è quindi la forma originaria dell’atto interpretativo stesso che assurge dal particolare all’universale attraverso la rappresentazione di un’immagine, ma naturalmente sempre riguardo alla sua importanza per gli esseri umani. L’atto erculeo è sempre un atto metaforico e ogni atto metaforico e ogni metafora autentica è in tal senso lavoro erculeo”668. É evidente che l’attenzione posta sulla prassi metaforica669 va oltre il piano linguistico. La metafora non è solo rappresentazione immediata di un’immagine poiché per la sua struttura traspositiva assume un ruolo storico-politico: quello della formazione del mondo umano come traspare dalla correlazione atto metaforico-atto erculeo. Il riferimento ad Ercole – come abbiamo visto nel secondo capitolo – cela il riferimento alla dimensione politica della fondazione della civiltà e si staglia sullo sfondo di una prospettiva che si basa sulla priorità della topica e dell’ars inveniendi sull’ars iudicandi. Una impostazione di questo tipo consente al pensatore di guadagnare una concezione integrativa della sapientia come ars vitae in cui filosofia e retorica si identificano nell’orizzonte ampio e più alto di formazione civile670. Il sapere noetico-non metafisico è uno strumento di formazione dell’essere umano nell’interezza delle sue esperienze storiche. In questo contesto si comprende come la poesia per Grassi – sulla scia di Heidegger e Vico671 – rivesta un ruolo fondamentale: essa non ha solo la funzione storico-filologica ma anche un compito etico-politico. Abbiamo visto come il concetto vichiano di fantasia assuma per Grassi una funzione decisiva. Vico afferma in Le orazioni inaugurali che la fantasia “immaginò le divinità maggiori e le minori, essa immaginò gli eroi, essa ora svolge le sue idee, ora le collega, ora le distingue; essa pone sotto i nostri occhi terre infinitamente lontane, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 667 Id., Retorica come filosofia, cit., pp. 38-39. 668 Ibidem. 669 Cfr., Id., Prolegomena ad una concezione della retorica. La phonè come elemento indeducibile del linguaggio, cit., p. 48. 670 Come abbiamo visto nei capitoli precedenti Grassi distingue la Bildung dalla Erziehung, la formazione dalla educazione. 671 Cfr. su questo aspetto fondativo e politico della poesia in Vico G. Cacciatore, Passioni e ragione nella filosofia civile di Vico, pp. 3-20, in Id., In dialogo con Vico, cit., p. 18.  ! 213!  abbraccia quelle distinte fra loro, valica quelle inaccessibili scopre quelle inesplorate, apre strade per quelle impervie”672. L’importanza della fantasia nella teoria della conoscenza vichiana è sottolineata da Grassi nell’ambito di una proposta ermeneutica di analisi della fantasia e delle sue forme di funzionamento come paradigmi per delineare una storia del pensiero occidentale673. La rivalutazione della fantasia mira a sottolineare quella straordinaria forza formatrice che la mente umana riesce ad attivare tramite le sue azioni simbolizzatrici messa in luce anche dal Cassirer filosofo delle forme simboliche. Quest’ultimo sostiene che i diversi campi della creatività spirituale sono capaci di costruire “uno specifico libero mondo di immagini: un mondo che per la sua natura immediata porta tuttavia in sé il colore del sensibile, ma che rappresenta una sensibilità già formata e quindi dominata dallo spirito. Qui non si tratta di un sensibile semplicemente dato e trovato, ma di un sistema di molteplicità sensibili prodotte in una qualche forma del libero immaginare”674. Secondo Grassi nella tradizione umanistica la vis plastica e cosmica della fantasia e la relativa attività metaforica vengono interpretate come fonti originarie dell’esistenza e del mondo storico. La domanda dalla quale partire è: “qual è l’ambito originario della fantasia, la cui essenza è – come abbiamo visto – il metapherein?”675. Nel tentativo di risolvere la questione Grassi ricorre a Vico, considerato l’ultima “vetta”676 dell’umanesimo. Egli offre con le sue riflessioni sulla fantasia e sull’ingegno, sul senso comune, l’occasione fortunata per un ripensamento della storia del pensiero occidentale al di fuori dei cardini dell’intelletto calcolante e della metafisica astratta. L’autore della Scienza Nuova ha avuto il merito di sviluppare “la tesi di una logica della fantasia al fine di trovare l’accesso all’umano – nella sua singolarità e concretezza –, un accesso che la logica tradizionale, con !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 672 G. Vico, Le Orazioni inaugurali, I-VX, a cura di G. G. Visconti, il Mulino, Bologna 1982, p. 83. 673 E. Grassi, La potenza della fantasia. Per una storia del pensiero occidentale, cit. 674 E. Cassirer, Filosofia delle forme simboliche, I, La Nuova Italia, Firenze, 1967, p. 22. Cfr. per una correlazione tra la riflessione vichiana sulla facoltà mitico-simbolizzatrice della fantasia e la filosofia delle forme simboliche cassireriana G. Cacciatore, Simbolo e storia tra Vico e Cassirer, pp. 85-104, in Id., Cassirer interprete di Kant e altri saggi, Armando Siciliano, Messina 2005. 675 E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 239. Corsivo nostro. 676 Ibidem.  ! 214!  la sua ricerca rivolta esclusivamente all’universale, non aveva ottenuto”677. Secondo il pesatore milanese con Vico siamo di fronte ad un logos phantastikòs in grado di penetrare la realtà del mondo storico umano e individuale con maggior successo di quanto non faccia la logica tradizionale678. In tale logica è rintracciato il centro speculativo della Scienza Nuova che non è solo scienza della storia ma antropologia innanzitutto. Il confronto dell’uomo con la natura che rende possibile la nascita del mondo storico avviene sul terreno della ricerca delle attività che liberano l’uomo dai bisogni materiali. Per Grassi il problema fondamentala di Vico “consiste nell’identificare l’ambito originario all’interno del quale soltanto può in generale manifestarsi la storicità, ossia il mondo umano come tale. Si tratta in ultima analisi di scoprire la struttura dell’esistenza umana”679. Questo passo è davvero illuminante poiché da un lato ci consente di apprezzare la specificità della lettura offerta di Vico – un Vico antropologo delle origini del mondo umano storico-politico- linguistico – e dall’altro di cogliere la questione fondamentale che sorregge la Frage onto-antropo- logica grassiana: l’analisi del mondo umano attraverso l’attenzione all’ursprünglich Rahmen680 – la Lichtung – e alla Struktur des menschlichen Daseins681 – l’analitica dell’esistenza di cui abbiamo detto nei precedente capitoli. La questione del cominciamento del mondo umano è intimamente legata a quella dell’origine della storia e dunque alla socialità a cui Vico assegna il ruolo di elemento fondativo delle istituzioni politiche. Grassi punta a sottolineare non tanto l’aspetto metodologico e !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 677 Ivi, pp. 239-240. 678 Cfr., su questo aspetto della logica della fantasia D. P. Verene, La scienza della fantasia, Armando, Roma 1984 e Vico’s Humanity, “Humannitas. Journal of the Institute of Formative Spirituality”, XV (1979). Qui lo studioso sostiene che la comprensione vichiana dell’umano è mediata non dal concetto e dall’attività razionale ma dall’attività mitopoietica della fantasia, dalle immagini e dalla forza creativa del linguaggio. Cfr., anche G. Costa, Genesi del concetto vichiano di fantasia, in AA. VV., Phantasia/Imaginatio, V Colloquio Internazionale, a cura di M. Fattori, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1988; M. Sanna, La fantasia che è l’occhio dell’ingegno. La questione della verità e della sua rappresentazione in Vico, Guida, Napoli 2001; G. Cacciatore, In dialogo con Vico, cit. 679 E. Grassi, Potenza della fantasia, cit., p. 240. 680 Ibidem. Cfr., anche la versione tedesca Die Macht der Phantasie. Zur Geschichte abendländlichen Denkens, Athenäum, Königstein, 1979, p. 240. 681 Ibidem.  ! 215!  storico-ricostruttivo, pur presente in maniera preponderante nella Scienza Nuova, quanto l’elemento di ricerca dei principi filosofici che sono all’origine del graduale processo di umanizzazione e antropologizzazione del mondo e della natura682 in cui la fantasia assume una funzione chiave e talvolta presentata dal filosofo milanese in maniera troppo antitetica rispetto alla ragione. Ricordiamo che secondo Vico la fantasia è per l’uomo un mezzo di produzione di immagini che rappresentano una griglia interpretativa della realtà, costituendosi come condizione trascendentale della crescita e dell’apertura mentale dell’uomo, del percorso di costruzione ed elaborazione del suo cammino storico. La fantasia consente all’individuo di comprendere il suo essere nel mondo, la sua circumstantia, di persistere nel suo spazio vitale683, sebbene attraverso una comprensione della realtà non adeguata, ma pur sempre vera, dovuta alla impossibilità umana di giungere alla piena conoscenza di fenomeni che sono stati creati da una identità superiore all’uomo. Pur accogliendo la prospettiva grassiana della rivalutazione del tema della fantasia in Vico vorremmo sottolineare come per il filosofo napoletano il mezzo di controllo della fantasia resti in ultima istanza la ragione, la sola capace di regolare il ragionamento fantastico in modo da renderlo attinente al mondo reale – viene salvaguardato in questo modo l’aspetto adeguativo del vero. Qui si inserisce anche il proposito pedagogico presente nel Vico del De ratione, per cui gli uomini, già dall’età della fanciullezza, hanno bisogno di educare il loro modo di ragionare, che per Vico – come per Cartesio – comporta l’utilizzo del metodo matematico. Il filosofo napoletano, come è noto, distingue due fasi della vita di un uomo in cui, a seconda dell’età e dell’esperienza acquisita, queste due capacità intellettive hanno una valenza specifica e una preminenza nei confronti dell’altra: nei giovani prevale la fantasia, negli adulti prevale la ragione. Sostiene Vico che “come nella vecchiaia prevale la razionalità, così nell’adolescenza prevale la fantasia: e davvero non è in alcun modo opportuno nei giovinetti offuscare !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 682 Per una lettura antropologia della Scienza Nuova cfr. L. Amoroso, Introduzione alla scienza nuova, cit. 683!E. Grassi, Vico e l’umanesimo, cit., p. 53 e sgg.!!  ! 216!  quella che è sempre stata considerata l’indizio più felice dell’indole futura”684. La condizione mentale dei fanciulli li agevola a sviluppare la loro capacità immaginativa, componente fondamentale in questo determinato periodo della formazione della personalità umana. Con l’età adulta l’uomo inizia invece a inquadrare razionalmente gli enti, a far prevalere la ragione sulla fantasia, ad uscire dallo stato di minorità. Vico accetta entrambi i momenti della formazione dell’individuo, senza porre un antagonismo delle facoltà, un manicheismo gnoseologico, sottolineando con forza come non debba essere oppressa e trascurata la fase originaria dell’essere- nel-mondo umano, quella immaginativa, che è fondamentale per la crescita di una persona. Infatti Vico riconduce la fantasia sotto la categoria della memoria, che a sua volta si suddivide in tre distinte fasi: memoria come attività dell’intelletto umano che “rimembra le cose”; fantasia come attività che “altera e contraffà” il ricordo originario; ingegno come attività che “pone in acconcezza e assestamento” ciò che è stato precedentemente modificato. Come sottolinea Cristofolini occorre tenere presente la duplice valenza della fantasia in Vico: da un lato essa costituisce la capacità “primitiva” di creare un impero della fantasia e del mito; dall’altro necessita di essere limitata e sottomessa alle strutture della ragione685. A differenza di un’ipotesi che ricomprende il concetto di fantasia all’interno di uno sviluppo razionale graduale e progressivo Grassi propende per l’idea che “la fantasia, basata sull’esperienza delle molteplici interpretazioni che si possono dare ai fenomeni sensibili, crea le prime analogie fra tali fenomeni e con essi le prime connessioni e infine le definizioni”686. Secondo il filosofo milanese si tratta del primo adattamento della natura: attraverso la fantasia l’uomo mette in atto quella domesticazione dell’essere che costituisce l’essenza dell’attività mentale. Grassi individua tre significati fondamentali della fantasia !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 684 G. B. Vico, Sul metodo degli studi del nostro tempo, a cura di A. Suggi, Ets, Pisa 2010, p. 37. 685 P. Cristofolini, La Scienza Nuova di Vico. Introduzione alla lettura, Nis, Roma 1995, p. 84. 686 E. Grassi, Marxismo, umanesimo e problema della fantasia nelle opere di Vico, in Id., Vico e l’umanesimo, p. 89.  ! 217!  vichiana: -! “nella fantasia e mediante la fantasia si mostra che l’essere umano, a differenza dell’animale, non soggiace a modelli dominanti che danno alle percezioni sensibili un significato inequivocabile”687 -! “la seconda funzione della fantasia fu di costringere l’uomo a farsi dominare dalla paura, dal terrore di fronte alle cose”688 -! “la terza funzione della fantasia è quella di essere il primo originario fattore che dà un significato al lavoro”689 Secondo Grassi la fantasia intesa nel primo significato è strettamente correlata alla nascita della poesia; nel secondo senso è legata alla nascita della religione come prima forma di adattamento della natura e di genesi dell’ordine; infine essa va concepita in relazione alla fondazione sociale e politica che è innescata dal lavoro che allarga il proprio raggio di incidenza ben oltre i confini dell’autoconservazione: la fantasia è la facoltà della visione per eccellenza, essa è l’occhio dell’ingegno. Ingegno e fantasia: entrambe facoltà che insieme al senso comune costituiscono la triade ermeneutica per una corretta comprensione di Vico e della Scienza Nuova. Secondo Grassi Vico ricostruisce la storia del mondo storico umano attraverso il ricorso al senso comune. Leggiamo in La priorità del senso comune e della fantasia. L’importanza di Vico oggi che “secondo l’approccio vichiano il mondo storico sorge dall’interdipendenza delle esigenze umane, dagli elementi di cui abbisogna l’uomo. Da esso deriva la necessità di intervenire nella natura umanizzandola e anche la necessità di stabilire istituzioni umane, comunità sociali, organizzazioni politiche”690. Alla base di questa struttura ritroviamo il senso comune !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 687 Ivi, pp. 88-89. 688 Ivi, p. 89. 689 Ivi, p. 90. 690 Id., La priorità del senso comune, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., p. 43.  ! 218!  che è guidato dall’ingegno. Per Grassi l’ingenium è la facoltà di scoprire le somiglianze e basata sulla facoltà dell’ingegno “la fantasia [...] conferisce significati alle percezioni sensibili. Mediante tale trasferimento la fantasia costituisce la facoltà originaria del far vedere (phainesthai)”691. Si tratta delle facoltà che appartengono sin dall’inizio alla formazione del mondo umano. Come afferma Vico nella Metafisica del 1710 “i latini dissero facultas quasi dicendo faculitas da cui poi anche facilitates come fosse una spedita, rapida solerzia nel fare. Pertanto è facoltà quella che conduce la virtualità all’atto [...]: senso, fantasia, memoria e intelletto sono facoltà dell’anima”692. Poco oltre il filosofo napoletano sancisce definitivamente il legame tra memoria, fantasia e ingegno, così come tra geometria e fantasia. In questo testo, Vico tenta di definire le tre facoltà dell’intelletto e i distinti ruoli (come anche le affinità) che esse svolgono nell’azione conoscitiva dell’uomo. L’interpretazione grassiana della fantasia, anche definita “l’occhio dell’ingegno”, si focalizza sulla sua funzione di mezzo attraverso il quale l’ingegno umano riesce a riformulare i vari concetti, mediante una rielaborazione delle immagini mentali, e a stabilire un nesso plausibile tra essi, che permette di avvicinarsi il più possibile alla conoscenza della verità. Se per Vico è vero che “la fantasia è una facoltà certissima, poiché usandola, noi foggiamo le immagini delle cose”693, e che l’ingegno è “la facoltà del congiungere in unità cose distanti, diverse”,694 è altrettanto indiscutibile che nel momento in cui l’uomo incomincia ad affinare il suo intelletto e tende ad essere più razionale (in quella fase storica che Vico fa corrispondere all’età degli uomini), incomincia a limitare l’utilizzo della sua capacità immaginativa e a diventare più “mentale”. Più l’uomo esce dal suo “stato di ignoranza”, dunque, più cambia anche il ruolo e l’intensità della fantasia all’interno della esistenza. La fantasia, allora, si trasformerà in un’affinata facoltà poetica, in !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 691!Ivi, pp. 49-50.! 692 G. B. Vico, La metafisica del 1710, a cura di A. Corsano, Adriatica, Bari 1966, p. 111. 693 Ibidem. 694 Ivi, p. 114.  ! 219!  una forza creativa che aiuta l’immaginazione dei poeti e la loro capacità inventiva. La fantasia come qualità dei poeti, la trasformazione dell’uso della metafora dalla sua precedente valenza filosofica a quella prettamente artistica. Lo studio della sapienza poetica volta da una vivida fantasia, segno di passionalità e sublimità del linguaggio della poesia che, tuttavia, deve essere ben distinta da quel tipo di sapienza che invece caratterizza il pensiero filosofico. Grassi avverte la possibilità di interpretare attraverso la lente del progresso razionale l’ingegno e la fantasia ma sposta l’attenzione verso l’ambito più originario della formazione del mondo umano. Egli asserisce che “si potrebbe sostenere che Vico attribuisca al discorso fantastico e metaforico solo il significato di un parlare improprio, che diventa appropriato solo attraverso la logica, poichè egli restringe l’uso del parlare metaforico e fantastico a un primo periodo della storia. Noi possiamo rispondere a questa osservazione guardando ai fatti, cioè chiarendo la relazione tra l’attività ingegnosa e immaginativa e senso comune, o esaminando più profondamente il concreto dominio in cui l’ingegno e la fantasia sono capaci di costruire il mondo umano”695. Con la fantasia, l’ingegno e il senso comune è in gioco il tema della fondazione della civiltà che tocca anche l’ambito del mito. IV. XI. L’ora di Pan e la morte di Pan: mito e arte come genesi del mondo umano L’analisi del linguaggio poetico come fondazione della comunità politico sociale ci consente di comprendere l’estensione del discorso grassiano sul mito. In linea con l’interpretazione di Gentili dobbiamo interpretare il ruolo politico che il mito riveste in Grassi alla luce della relazione tra mito e poesia. Nella Introduzione al testo di Grassi Arte e Mito edito per la prima volta in tedesco nel 1957696, ristampato nel 1990, frutto di una rielaborazione di un articolo che Grassi pubblica nel 1956 con il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 695 E. Grassi, La priorità del senso comune e della fantasia: l’importanza di Vico oggi, cit., in Id., Vico e l’umanesimo, cit., pp. 50-51. 696 Id., Kunst und Mythos, Hamburg, Rowholt, 1957; seconda edizione riveduta e ampliata E. Grassi, Kunst und Mythos, Frankfurt a. m. Suhrkamp, 1990.  ! 220!  titolo Mito e arte in “Rivista di filosofia”, Gentili affronta il problema del mito in Grassi quale evento originario che fonda una catena di relazioni, che dà inizio ad una serie. Il lavoro condotto da Grassi sul mito è inquadrabile all’interno di una prospettiva di demitizzazione che non è omogenea a quella di razionalizzazione. “Nella misura in cui – Grassi – legge il mito alla luce delle sue relazioni, porta allo scoperto il nesso intrinseco tra mito e demitizzazione”697. Come interpretare allora la relazione complessa e articolata tra il mito e i suoi prodotti alla luce del nesso mito-demitizzazione? Grassi analizza il mito quale atto di fondazione originario, arcaico, indeducibile, attraverso le relazioni che lo stesso mito fonda: relazioni retoriche e poetiche, religiose e anche filosofiche. Tuttavia la filosofia interpretata come sapere dedotto e non originario non può avere il ruolo di fondazione che solo la poesia riveste. Per Grassi il “mito fonda (begründet) il logos, quindi il mondo indicativo quello dimostrativo”698. Nella ricostruzione grassiana il mito ha una duplice valenza: esso è il racconto che è alla base delle arti imitative: non solo della tragedia o della commedia, ma persino della musica, della danza – ma è anche l’unità del significato di mito come storia sacra e di mito come fabula. Leggiamo in Arte e mito che “il mito esige di sottomettere la molteplicità dei fenomeni naturali in un’unità ultima, originaria ed onnicomprensiva, costituendo in questo modo un kosmos in sé compiuto. Mito è ciò che dà ordine”699. L’essenza del mito va collocata nell’ambito della formazione umana di un mondo dotato di un’unità strutturale e ciò che esso rivela è la temporalità dell’esistenza umana. Si tratta della prima formazione culturale in cui si dispiega la coscienza temporale umanistica poiché nel mito “domina il tempo che costantemente ritorna”700. Il filosofo italiano, anche sulla scorta dello studio di Malinowsky, Kerényi, W. F. Otto, individua due significati fondamentali del mito701: !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 697 Id., Arte e mito, tr. it. a cura di C. Gentili, La città del Sole, Napoli 1996, p. 27. 698 Id., Potenza dell’immagine, cit., p. 85. 699 Id., Arte e mito, cit., p. 150. Corsivi nostri. 700 Ivi, p. 166. 701 Id., Mito e arte, cit., p. 162. ! 221!   -! il mito come favola e creazione artistica -! il mito come realtà religiosa esemplare Nel primo significato – il mito come favola e creazione artistica – Grassi si rifà ad Aristotele e all’analisi condotta nella Poetica sul mito come “sintesi delle azioni” in cui è sovrapponibile la sua valenza di fatto con quella di composizione di fatti. Accanto all’idea di mito come realtà vivente, sacrale, in cui la temporalità infinita è sospesa in un orizzonte chiuso e circolare compare il tema dell’arte come favola, racconto, mito, composizione dei fatti. Qui occorre sottolineare un aspetto di non secondaria importanza. L’arte si pone come demitizzazione poiché “nasce nell’istante in cui l’ordine assoluto – espresso dalla realtà religiosa – viene infranto. Nel momento in cui ci si distoglie dall’ordine eterno e in sua vece si manifesta l’ordine possibile, sorgono i progetti umani, individuali”702. L’arte si pone come articolazione specifica di una possibilità intrinseca al mito – il suo divenire possibilità umana – e non come razionalizzazione della dimensione mitico-sacrale originaria. L’arte prorompe laddove si crea uno strappo, una lacerazione, una rottura: la temporalità e la spazialità sacre dell’universo mitico si disintegrano, facendo spazio a quelle profane del mondo artistico. Nel secondo significato il mito appare come realtà sacrale, religiosa ed esemplare. Per Grassi “questo mondo mitico è sostanzialmente distinto da quello profano, in quanto il profano presuppone una temporalità, una caducità, un essere-sempre-diversamente [...] perciò lo spazio profano non è neppure mai chiuso, ma si perde in una dimensione sterminata e senza confini”703. Tra il mito e l’arte dunque ritroviamo una differenza che si situa innanzitutto nei due tipi di temporalità e spazialità vissute. Eppure mito e arte hanno in comune l’esigenza di riunificazione della molteplicità dei fenomeni sensibili sotto un ordine, una legge, un kosmos. Scrive Grassi che “il mito esige di sottomettere la molteplicità dei fenomeni naturali in un’unità ultima, originaria, onnicomprensiva, costituendo in questo modo un !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 702 Ivi, p. 158. 703 Id., Arte e mito, cit., p. 159.  ! 222!  kosmos in sé compiuto. Mito è ciò che dà ordine. Stando a questa concezione, il mito racchiude gli elementi eternamente esistenti dell’esistenza umana e li rappresenta: ciò che esso rivela è l’eternamente presente”704. Nel mito viviamo quella connessione con il mondo circostante – l’ora di Pan di cui abbiamo già parlato in relazione all’esperienza sudamericana di Grassi – che appare a Grassi come “l’ora in cui la realtà frammentaria quotidiana si trasforma in una unità ed attualità terribile, fuori del tempo. Nel mito domina la pienezza di una realtà che incombe sul singolo e non lo lascia più sfuggire”705. Se il mito in cui l’uomo si trova, come l’animale immerso nel cerchio funzionale simbolico, è esemplificato con la metafora dell’ora di Pan, l’arte è rappresentata invece come la morte di Pan, come “l’infrangersi del mito”706. Di fronte alla disintegrazione del mondo mitico-sacrale per il pensatore “l’uomo ricorre ai ritrovati tecnici” – l’arte come poiesis e come techne – “quando ha perso di vista i riferimenti a una realtà fuori dal tempo. Propriamente in questo istante sorge l’empeiria, la necessità di trovare un guado attraverso il fiume delle impressioni sensibili che si sono staccate dall’ordine originario”707. L’emepiria va interpretata come una realizzazione del logos (non inteso come ragione o intelletto) e non in senso materialistico. Secondo il filosofo si tratta della prima fase di ordinamento dei fenomeni sensibili. “L’empeiria è il primo passo nell’ordinamento dei dati sensoriali, non è passività, non è impressione”708. Nell’azione di conferimento di unità, di selezione e ordinamento dell’empeiria possiamo rintracciare i caratteri dell’arte. Infatti il filosofo giunge a chiedersi se l’arte e l’empeiria non si identifichino in questo aspetto ordinatore. Tuttavia la differenza fondamentale risiede nel carattere di produzione insito dell’arte. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 704 Ivi, p. 150. 705 Id., Mito e arte, cit., p. 150. 706 Ivi, p. 151. 707 Ibidem. 708 Id., Arte e mito, cit., p. 92.  ! 223!  Se con l’emepeiria siamo di fronte ad una constatazione, per quanto ordinata, dei fenomeni – il termine usato da Grassi è fest-stellen in riferimento all’empeiria709 – con l’arte siamo di fronte alla produzione di un modo umano a partire dal mondo frantumato resoci accessibile attraverso l’empeiria. “L’empeiria sembra avere la sua radice nella necessità di ordinare i fenomeni sensibili, ma non è in grado di conferire ordine complessivo. Essa comunica di volta in volta un mondo frantumato, nei cui frammenti noi vediamo rispecchiato un kosmos in mille parti rilucenti”710. La potenza dell’arte invece risiede nella sua capacità di produrre un cosmo, un mondo ordinato dotato di un’unità significativa. L’arte come il mito è “il progetto universale delle possibilità umane”711 e soprattutto la poesia assurge per Grassi a evento privilegiato della relazione uomo-essere. Ma è possibile attraverso la poesia esprimere e dire in modo immediato il mito? Oppure la dimensione poetica in Grassi è una forma della ricezione mitica, una forma demitizzata del mito? Per comprendere l’essenza e il valore di fondazione del mito non dobbiamo prestare attenzione al passaggio dal mito al logos – dove il mito appare come una prestazione arcaica della ragione e il logos come un mito razionalizzato – ma al nesso tra mito e demitizzazione. Si tratta di un movimento tutto interno al mito e che si intreccia al tema della fondazione. Il mito in quanto “topos atopos” è premessa, origine che non può essere conosciuta ma detta attraverso la poesia. Grassi parte da una idea di mito come fondazione origine e inizio, come prestazione fondativa (Begründung). “In questo senso il mito – sia come realtà religiosa esemplare, sia come creazione artistica e quindi come favola – può venir considerato come il principio instauratore originario di una comunità [...] con l’ordine – che pone una molteplicità di movimenti entro un’unità – si preannuncia la realizzazione dell’aspetto sociale”712. L’interpretazione grassiana della Poetica di Aristotele pone in luce l’aspetto di !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 709 Ivi, p. 90. 710 Ivi, p. 94. 711 Ivi, p. 168. 712 Id., Mito e arte, cit., p. 162.  ! 224!  secolarizzazione insito nel mito: il mito disvelando “l’ampia scala delle possibilità umane”713 corre il rischio di generare un’arte secolarizzata: l’estetica714. Come sottolinea Amoroso, in Grassi l’individuazione di una via di accesso al mito, alla poesia e all’arte “in rapporto al concreto operare della storia”715 avviene attraverso il ripercorrimento della filosofia dell’umanesimo che nell’arte avrebbe espresso uno svelamento, una Lichtung dell’essere. IV. XII. La funzione trascendentale dei concetti di Wahn e Langweile nelle meditazioni leopardiane Nel corso della trattazione sono emersi due concetti chiave: quello della fondazione della civiltà e quello del disvelamento: si tratta delle questioni supreme a cui Grassi dedica gran parte della sua indagine storico-filosofica sui temi dell’Umanesimo. In questo orizzonte teorico due figure capeggiano sulla scena filosofica descritta da Grassi: Vico – come abbiamo già visto – e Leopardi, su cui la critica poco si è soffermata. Entrambi appaiono in veste di filosofi delle origini del mondo umano attenti alla ricerca dei fattori primi di umanizzazione e di fondazione politico-civile i cui plessi teorici si inseriscono a pieno titolo nel percorso grassiano di ricostruzione dell’antropologia delle origini, della fondazione civile e del disvelamento. La fondazione fantastica e il disvelamento vichiani e la funzione trascendentale dell’illusione e il ruolo metafisico del pathos della noia come sentimento dell’apertura originaria in Leopardi rappresentano le tappe fondamentali di una ricerca onto-antropo- logica che in Grassi si concretizza come formazione del cosmo umano attraverso la fondazione mitica. Nel corso della sua lunga ed operosa esistenza filosofica Grassi si è spesso misurato con le riflessioni e la personalità di Leopardi. Tenendo presente la centralità che il concetto di pathos assume all’interno del pensiero di Grassi è possibile comprendere come il filosofo dedichi pagine concettualmente dense al poeta di Recanati, istituendo confronti prima con Freud ed Epicuro (sugli !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 713 Id., Arte e mito, cit., p. 183. 714 L. Amoroso, Da Aristotele a Vico. A proposito di Grassi e il mito, in AA. VV., Un filosofo europeo. Ernesto Grassi, cit., pp. 61-76, p. 62. 715 Ivi, p. 64.  ! 225!  argomenti del piacere e del dispiacere; del principio di realtà e del principio di illusione; dell’edonè) poi con Schopenhauer (sui concetti di realtà e illusione, di noia e dolore). In questa sede si è ritenuto di non soffermarsi sulle relazioni interessanti con il padre della psicoanalisi e con i filosofi greco e tedesco poste a tema dal Grassi, quanto piuttosto di prendere in considerazione le suggestioni teoriche che il poeta sollecita nel cammino di pensiero del filosofo nella consapevolezza dell’originalità e discutibilità delle tesi grassiane su Leopardi che, come vedremo, non seguono i dettami del “filologicamente corretto” ma piuttosto fanno interagire Leopardi con i concetti chiave del suo sistema onto-antropo-logico. Quale ruolo può avere Leopardi all’interno dell’iter di pensiero grassiano e qual è il valore della teoria dell’illusione a cui il pensatore conferisce tanta importanza da giungere a definire il poeta italiano teoreta dell’illusione716? Il filosofo sottolinea quanto l’approccio leopardiano sia distante dal razionalismo della metafisica astratta del “secol superbo e sciocco” insistendo soprattutto su quei concetti, quali illusione e noia, piacere e dolore, natura e passione in cui Leopardi assume un atteggiamento critico verso l’ottimismo razionalistico e il tema della civilizzazione. Il Leopardi grassiano come critico del tempo moderno e delle devastazioni dell’intelletto segue un percorso nuovo e inesplorato, che si iscrive nel solco della tradizione umanistica di cui il poeta e Vico costituiscono gli “ultimi rappresentanti”. Accanto all’operazione ermeneutica di analisi dell’idea di illusione si situa anche il convincimento che Leopardi può essere considerato come una delle ultime manifestazioni dell’umanesimo. Si tratta di due temi – il “Leopardi umanista” e il “Leopardi teoreta dell’illusione” – strettamente connessi perché consentono di fugare l’idea che la lettura grassiana possa essere considerata come un tributo, l’ennesimo, al grande genio poetico del recanatese e fanno emergere una interessante prospettiva esistenzialistica sul Leopardi critico del moderno. Se prendiamo in considerazione i passi in cui è presente il poeta di Recanati constatiamo che egli appare in forma sparsa e asistematica già a partire da I primi scritti 1922-1946. La lettura dei saggi risalenti !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 716 E. Grassi, La metafora inaudita, cit., p. 46. ! 226!   al periodo compreso tra gli anni ‘30 e ‘40 mette in luce la presenza di Leopardi e delle tematiche dello Zibaldone, che resta il preponderante testo di riferimento delle note grassiane sul poeta. Confrontando le citazioni di Leopardi e i contesti teorici di riferimento registriamo che esse compaiono sempre in relazione all’analisi dei concetti di formazione (Bildung), di noia, di illusione: idee centrali se consideriamo quanto essenziale sia la formazione nel nuovo ideale di umanesimo, la noia e l’angoscia nella sua analitica esistenziale, e l’illusione come fattore antropogenetico insieme al mito e al linguaggio nell’analisi antropologica grassiana. In Il confronto con la filosofia tedesca in Italia del 1941 si fa cenno a Leopardi nell’ambito della tematizzazione della Bildung degli studia humanitatis che coinvolge una questione ben più ampia della mera educazione filologica717. Per il filosofo infatti occorre distinguere una pseudo-filologia, priva di pensiero, ridotta a sterile culto classicista della parola, e una filologia autentica, che si connota come meditazione sull’uomo e sulla sua formazione. Egli afferma che “il filosofare italiano non comincia con il problema della verità o del sapere, ma con il problema della parola in relazione al compito umanistico di mediare la parola antica, gli scritti antichi, il mondo antico [...]. Ricordo solo che il compito umanistico della mediazione della parola antica si realizzò essenzialmente su un piano estetico, letterario, ossia in relazione alla scoperta e al rinnovato rapporto con i testi letterari antichi. A ciò, però, si legava al contempo l’impegno di una formazione dell’uomo tramite la parola, e con il problema della formazione si affrontava un problema essenzialmente filosofico. Si stabilì che il significato delle parole che troviamo in un testo non può essere dedotto dall’esperienza quotidiana o dal nostro sapere, bensì dall’unità del testo [...] conformemente all’antichità, si riconosceva nella parola l’essenza dell’uomo, così il formarsi in base alla parola non significava, come oggi per lo più crediamo, praticare la filologia, bensì sviluppare l’essenza dell’uomo”718. La distinzione tra Bildung e Erziehung mostra come la posta in gioco nella nuova idea di umanesimo sia la messa in discussione dell’essenza dell’uomo, della sua condizione, che accomuna, secondo il filosofo, le figure di Bruno, Vico e Leopardi. Così come per Bruno “ogni rapportarsi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 717 Id., Il confronto con la filosofia tedesca in Italia, pp. 871-886, in Id., I Primi scritti 1922-1946, La Città del Sole, Napoli 2011, p. 882. 718 Ivi, p. 881. ! 227!   originario nei confronti della realtà, sia nel senso politico come in quello concettuale o poetico, scaturisce dall’esperire, dal patire qualcosa di originario e indeducibile, che riveli mondi differenti”719 anche per Vico e Leopardi720 la funzione trascendentale del pathos consente un rinnovamento del concetto di filologia. Il co-estendersi dei temi filologici e antropologici implica una rivalutazione del concetto di pathos da parte di Grassi che tuttavia non indulge ad una forma più o meno celata di irrazionalismo illogico. Anzi il valore logico della sua ricerca emerge laddove egli tenta di proporre un concetto complesso di logos che non esclude il pathos, ma che si rivela nella sua coappartenenza costitutiva al pathos nell’orizzonte unitario del reale e della sua esperienza. Nella sua prospettiva il pathos è sempre già connotato ontologicamente e non si riduce all’affectio o all’emozione. Solo ed unicamente sul suo fondamento facciamo esperienza della nostra apertura mondana, della Lichtung e dell’evento della differenza ontologica. Secondo il filosofo nel pathos “l’inaudito appare sul palcoscenico della storia”721: esso è “passione abissale”722 in cui accade il fenomeno dell’essere e allo stesso tempo il suo sottrarsi. Nella prospettiva grassiana il pathos metafisico è ciò che Leopardi chiama illusione e natura. “Le passioni hanno un carattere trascendentale, esse sono cioè condizione delle esperienze e da esse non deducibili”723 e per il poeta indicano il nostro lasciarci afferrare dalla realtà, dall’essere che si impone e contro cui urtiamo senza possibilità di sottrarci al suo appello. Grassi afferma che “l’espressione illusione, che Leopardi usa in questo senso, ha, rispetto alla terminologia tradizionale !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 719Ivi, p. 882. 720 Ivi, p. 883. 721 Id., La metafora inaudita, cit., p. 92. 722 Ivi, p. 40. 723 Id., Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, pp. 156-175, in AA. VV, Tradizioni della poesia italiana contemporanea, Edizioni Theoria, Roma 1988, p. 166.  ! 228!  che si serve della espressione a-priori, il grande vantaggio di esprimere il carattere esistenziale del trascendentale”724. Nell’esperienza patica rintracciata dal filosofo nello Zibaldone l’uomo si trova di fronte al proprio disancoramento e alla propria angoscia – che nelle “meditazioni leopardiane” è sostituita dalla noia – in cui “questo vanificarsi della realtà nello stato dell’angoscia esistenziale manifesta pure per la prima volta l’esistente come un completamente altro da esso e come tale lascerebbe sorgere di fronte a noi la realtà dell’essere come essere nella sua originaria alterità e possibilità di determinazione. L’angoscia quindi in cui il nulla si mostra come vanificarsi della totalità dell’esistente è la fonte della possibilità di pensare (come pensare l’essere) e di filosofare e in esso sorge la possibilità di trascendere l’ esistente nella sua totalità rendendolo possibile termine di domanda”725. Nel pathos dell’angoscia noi esperiamo l’assenza di mondo e la possibilità allo stesso tempo di realizzare ordini di realtà, progettazioni e creazioni, per arginare l’“assenza di mondo” in cui l’uomo è gettato proprio perché privo di orientamenti precostituiti. L’esperienza della dismondanizzazione e di assenza di mondo a cui il filosofo fa riferimento sono il regno dell’Aperto in cui è assente ogni direzione, ogni coordinata, ogni orientamento. Egli asserisce che “in quest’esperienza siamo di fronte all’Offenheit, a quella apertura che, non essendo la nostra dimensione, ci paralizza”726 e ancora che “qui gli oggetti diventano trasparenti, quasi fluorescenti, tu non ti puoi più aggrappare a loro, non puoi più tenerli in mano per costruire con loro un mondo, e comincia la sensazione del precipizio”727. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 724 Ivi, p. 168. 725 Id., Il problema del nulla nella filosofia di M. Heidegger, in Id., I primi scritti, cit., p. 329. 726 Id., Assenza di mondo, in “Archivio di filosofia”, Roma, pp. 217-247, p. 226 727 Ibidem.  ! 229!  A caratterizzare maggiormente l’esperienza patica è quindi la sua componente metafisica e non psicologica: nel pathos facciamo esperienza dell’originario. La passione ha anche un significato arcaico nel senso di fondativo: “si è costretti a riconoscere che la passione agisce come archè, potenza elenchica, che ci espone perché non possiamo liberarci da essa, incombe come destino e nella sua luce fa apparire il significato di ogni ente”728. Essa consente di prendere coscienza dell’eventualità dell’essere, dell’apertura dei mondi, dell’aletheia come schiudersi, aprirsi e darsi della concreta situazione storica. É proprio questo concetto metafisico di pathos che Grassi ritrova nel tema leopardiano dell’illusione a cui si accosta per la prima volta nel saggio Sul problema della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana del 1942. Si tratta di una lettera scritta all’amico Walter Otto il cui centro teorico è la domanda circa il rapporto sussistente tra il singolo (l’individuo) e il comune (l’oggettivo) che secondo Grassi trova una risposta nella tradizione umanistica italiana attraverso la disamina del problema della parola come massima espressione della vita individuale, la quale però “non ha proprio nulla a che fare con l’individualismo [...] – ma – conduce alla questione sistematica dell’essenza del comune”729. La ricerca grassiana sulle modalità di configurazione del problema della parola nella tradizione italiana e sulla sua correlazione al tema dell’essenza dell’uomo, “non irrigidendosi in una teoria individualistica ma – al contrario – rischiarando il problema di ciò che è comune”730 ha come esito la convinzione che l’individuale sia un concetto molto distante dal soggettivo e dal relativo, da ciò che è “riferito all’io”731, ma sia invece legato all’oggettivo, a “ciò che dischiude il comune”732. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 728 Id., Il dramma della metafora, cit., p. 131. 729 Id., Sul problema della parola e della vita individuale. Riflessioni a partire dalla tradizione italiana, in Id., I primi scritti, cit., p. 903. 730 Ivi, p. 907. 731 Ivi, p. 909. 732 Ibidem.  ! 230!  L’insistenza sul tema dell’oggettivo, l’autenticamente originario che si fa incontro all’uomo e non giace davanti in qualità di objectum, conduce Grassi verso la teoria leopardiana dell’illusione come l’a-priori, il trascendentale che conferisce ordine – infatti Grassi parla di bella illusione – e che come la meraviglia, all’origine del nostro impulso a sapere, si impone come necessaria, essenziale e comune prassi umana di trasformazione del reale733. Anche Il reale come passione e l’esperienza della filosofia del 1945 dedica una sezione molto significativa al poeta in riferimento al concetto di noia e passione. Afferma il pensatore che per Leopardi “la noia si rivela inaspettatamente come passione [...] poiché la vita è sempre nella sua essenza impulso alla compiutezza e alla felicità [...] così l’uomo non può mai sprofondare nell’assoluta insensibilità e indifferenza”734. La noia come morte della vita, vita non vita, vita dell’indistinto e dell’indifferente tuttavia è pur sempre passione, sia pure nel senso del più basso gradino dell’esistenza. Siamo venuti ai temi principali che animano la lettura grassiana di Leopardi presente nei saggi più sistematici dedicati al poeta: Wahn, Natur und die Kritik der modernen Verstandeswelt (1949), Introduzione a Giacomo Leopardi, Theorie des schönen Wahns und Kritik der modernen Zeit735; Passione e illusione. Il principio freudiano del piacere e la teoria leopardiana delle illusioni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 733 Ivi, p. 914. 734 Id., Il reale come passione e l’esperienza della filosofia, in Id., I Primi scritti, cit., p. 1027. 735 Id., Wahn, Natur und die Kritik der modernen Verstandeswelt. Si tratta di una introduzione a Giacomo Leopardi, Theorie des schönen Wahns und Kritik der modernen Zeit, Verlag, Bern, 1949, pp. 9-34. Tradotto in italiano da R. Copioli con il titolo, Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, cit.  ! 231!  (1987)736; Der italienische Schopenhauer (1987)737; Leopardi e Freud. Attività metaforica o schizofrenica? (1989)738. Il testo del ’49 è una scelta di passi tratti dallo Zibaldone, considerato da Grassi come lo strumento per gettare uno sguardo “all’officina poetica di Leopardi”. Fu pubblicato per la collana Überlieferung und Auftrag che nasce dall’intenzione di porre a tema determinati problemi della tradizione umanistica, che, come è noto, per Grassi sono quelli della rivalutazione della poesia e della retorica, della fantasia e dell’ingenium. Nel saggio introduttivo a Theorie des schönen Wahns und Kritik der modernen Zeit tradotto in tedesco da Joseph Partsch Grassi prende le distanze dall’impostazione crociana della interpretazione di Leopardi, accolta anche dal Vossler 739. Contro la negazione del Croce del valore filosofico del poeta di Recanati Grassi ha come scopo dichiarato quello di rivalutare l’aspetto teoretico contenuto nell’opera, al di là dei limiti del pessimismo leopardiano che, sulla scia di De Sanctis740, si è imposto all’attenzione critica. L’idea centrale che ha ispirato la scelta editoriale di selezionare i passi zibaldonici non tenendo conto del loro effettivo ordine cronologico è quella di restituire la genuina antropologia leopardiana attraverso la focalizzazione sul concetto di illusione. Secondo Grassi “generalmente le tesi pessimistiche del Leopardi, !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 736 Id., Passione e illusione. Il principio freudiano del piacere e la teoria leopardiana delle illusioni in “Nuovi Annali della Facoltà di magistero dell’università di Messina”, 5 (1987), pp. 69-82, presentato in redazione differente al Congresso su Leopardi a Roma nel 1988. pp. 37-47, contenuto ora in E. Grassi, La metafora inaudita, Aesthetica, Palermo 1990. 737 Id., Der italienische Schopenhauer, pp. 125-138, in AA. VV., Schopenhauer im Denken der Gegenwart, Piper Munchen 1987 a cura di Volker Spierling. 738 Id., Leopardi e Freud. Attività metaforica o schizofrenica? In AA. VV, Leopardi e il pensiero moderno, a cura di C. Ferrucci, Milano, Feltrinelli, 1989, pp. 23-36. 739 Cfr., Id., Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, cit., pp. 158-159. Cfr., le affermazioni crociane contenute in B. Croce, Poesia e non poesia. Note sulla letteratura europea del secolo decimonono, Laterza, Bari 1946. Croce dopo aver asserito che “la filosofia, in quanto pessimistica od ottimistica, è sempre intrinsecamente pseudofilosofia, filosofia ad uso privato”, ivi, p. 99, afferma che “Leopardi non offre se non sparse osservazioni, non approfondite, non sistemate”, ibidem. 740 Cfr. F. De Sanctis, Leopardi, a cura di C. Muscetta e A. Perna, Einaudi, Torino 1960. Per la storia delle interpretazioni del pensiero di Leopardi e delle sue immagini in qualità di ottimista (critica fascista), pessimista, e progressivo (critica marxista) cfr. S. Lanfranchi, Dal Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della critica marxista, pp. 247-262, in “Laboratoire italien”, 2012, Lione.  ! 232!  così come esse, per esempio, hanno ricevuto la loro formulazione nelle cosiddette Operette morali, sono note: il nostro compito non potrebbe essere quello di elaborare questo lato del pensiero leopardiano, ma soprattutto quello di delimitare il concetto filosofico dell’illusione nel suo significato sistematico, etico, sociale e storico”741. Lo scopo è esplicitato con tutta chiarezza: Grassi si propone di rendere oggetto di discussione non il Leopardi pessimista, non il Leopardi letterato, ma il Leopardi “antropologo”. Il legame tra antropologia e illusione è al centro dei saggi Passione e Illusione, Lo Schopenhauer italiano, e Leopardi e Freud. Legare antropologia e illusione non sembrerà una mossa azzardata se colleghiamo il tema del Wahn (illusione, mania, pazzia) con quello della Leidenschaft (passione). Nei due saggi dell’‘87, Lo Schopenhauer italiano – che qui proponiamo in traduzione italiana – e Passione e illusione, si analizza l’idea di schönen Wahn – anche definito illusione ingegnosa742. La caratura antropologica dell’illusione è del tutto evidente se si prendono in considerazione le affermazioni grassiane sui concetti di ordine, di costruzione del mondo etico-politico, e di scena. Egli afferma in Lo Schopenhauer italiano: “il misterioso da cui si forma il teatro del mondo, la scena della storia, offre solo l’illusione, l’ossessione di un gioco inquietante nel quale noi stessi siamo solo attori o spettatori ammessi. Dal momento che l’originario è indeducibile, e perciò non è spiegabile in fondo attraverso il ragionamento analitico, esso deve essere così riconosciuto come illusione, come ossessione. Sicuramente l’illusione è generatrice di ordine, poiché è la ragione di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storica”743. La teoria dell’illusione è in netta contrapposizione alla ragione. Per il filosofo “Leopardi si oppone al predominio della ragione ed esplicitamente alla filosofia tedesca razionale astratta”744. Il riferimento è al passo zibaldonico sulla povertà di immaginazione dei tedeschi745, in cui Grassi crede di trovare traccia del proprio filosofare noetico-non metafisico, che si identifica con una teoria del nous o dell’ingenium in cui “la priorità della natura [...] si esprime attraverso la passionalità come !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 741 E. Grassi, Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, p. 157. I corsivi sono nostri. 742 Id., Leopardi e Freud. Attività metaforica o schizofrenica?, cit., p. 33. 743 Id., Der italienische Schopenhauer, cit., p. 134. Traduzione nostra. 744 Id., Leopardi e Freud, cit., p. 31. 745 G. Leopardi, Zibaldone, 5-6 ottobre 1821. ! 233!   illusione”746. Dall’angolo teorico dal quale il filosofo guarda allo Zibaldone “il mondo umano non è una costruzione della ragione, del logo, ma è il prodotto di ciò che Leopardi chiama – in antitesi alla ragione – ingegnosa illusione, cioè la sofferenza dell’abissale appello della natura [...] Leopardi contrappone così non solo alla ragione ciò che egli chiama illusione – perché razionalmente non deducibile– ma identifica questa con l’attività ingegnosa”747. Attraverso l’illusione la physis originaria, l’Abissale, realizza la storia, accade il mondo, avviene la parousia della realtà, il suo phainesthai. Altre riflessioni teoriche degne di nota presenti nella lettura di Leopardi sono quelle relative ai concetti di natura e vita. Il filosofo giunge ad affermare che “i concetti di vita, natura, passione e illusione coincidono”748 . La vita – che sin dagli esordi greci della filosofia è stata interpretata come energia ed entelechia, come ciò che ha in sé il lavoro, il limite e il fine, l’ergon e il telos – in Leopardi diviene qualcosa di intimamente connesso al vuoto, al nulla. Questi ultimi concetti non hanno carattere negativo ma sono contraddistinti da una positività originaria generatrice di ordine, di mondo: il nulla prima di generare disperazione e dolore749 entra in contatto con la noia. Nei saggi “leopardiani” di Grassi la Langeweile assume quel ruolo liminare che l’Angst ha nei Primi Scritti: quello di chiusura mondana in cui l’uomo è gettato – il suo fondo animale – e allo stesso tempo di apertura mondana possibile solo su quella chiusura. La noia è l’aperto, la Lichtung nella quale l’uomo fa esperienza della propria vita che è innanzitutto temporalità. La noia in quanto esperienza dell’uniforme e dell’indistinto, è il contrario della vita. La vita invece è esperienza della distinzione e della singolarità. L’esperienza della noia in Leopardi secondo Grassi è caratterizzata da una positività originaria che la rende ben più profonda di una semplice tonalità emotiva. Del resto che il pathos avesse una costituzione metafisico-trascendentale ben più profonda rispetto alla componente soggettivistica appare evidente già dalle riflessioni su Stimmung e sulla !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 746 E. Grassi, Leopardi e Freud, cit., p. 32. 747 Ivi, p. 33. 748 Id., Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, cit., p. 165. 749 Ivi, p. 160.  ! 234!  Leidenschaft. La noia nel suo carattere esperienziale assurge a “facoltà di patire”. Afferma Grassi che “l’indifferente, l’uniforme, li possiamo cogliere e di essi possiamo avere esperienza, solo se si manifestano in modo finito, e la noia – nella misura in cui noi la sopportiamo – ci evidenzia come noi non possiamo vivere nel non limitato e nell’indifferente. In altre parole: se tutto ciò che è e di cui parliamo può presentarsi solamente a condizione che si mostri entro certi limiti – cioè come qualcosa di definito e distinto – allora anche la noia può essere colta solamente in quanto impossibilità di esistere nel non-limitato, nel non-dipendente”750. Nella prospettiva che abbiamo cercato di delineare emerge che nella noia è coinvolto lo stesso tema della léthe e dell’illatenza: il gioco di svelamento e nascondimento, insito nel cuore della manifestatività, che decide dell’umano. La noia leopardiana come facoltà di patire allora diviene un principio storico-culturale che solo secondariamente scade a povertà di azione e pigrizia ma si erge a condizione trascendentale del mondo storico dell’uomo. Essa è la Lichtung, il nome kat’exochèn dell’essere e del mondo, in cui l’avvento dell’umano accade innanzitutto linguisticamente. Qui si installa un altro tema centrale della lettura grassiana: la critica del mondo moderno presente nelle annotazioni zibaldoniche che mette in luce anche la qualità umanistica del poeta. Come leggiamo in Heidegger e il problema dell’umanesimo, Grassi afferma, ponendo una netta demarcazione tra il proprio modo di intendere l’umanesimo e l’approccio storiografico consolidato, che “gli studiosi hanno costantemente individuato l’essenza dell’umanesimo nella riscoperta dell’uomo e dei suoi valori immanenti [...] e tuttavia uno dei problemi centrali dell’umanesimo non è l’uomo, bensì la questione del contesto originario, dell’orizzonte o apertura in cui appaiono l’uomo e il suo mondo”751. Il problema fondamentale dell’umanesimo, che non va concepito come una forma più o meno larvata di antropocentrismo tout court, è la problematizzazione del tema della Lichtung, ossia del tema dell’Aperto, del contesto originario dell’apparire del mondo, dell’uomo e degli enti, che si declina come ricerca sulle strutture del mondo umano. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 750 Ivi, p. 161. 751 Id., Heidegger e il problema dell’umanesimo, Guida, Napoli 1985, p. 26.  ! 235!  Alla metafora fotica nell’accezione heideggeriano-grassiana sopra delineata fu sensibile già Leopardi, che fin da Memorie del primo amore e poi via via nel Discorso di un Italiano intorno alla poesia romantica, nello Zibaldone, nelle Operette morali e nei Canti mostra un timore irrequieto nei confronti della luce diretta e accecante – sia essa lunare o solare – che genera un guardare piacevole e sublime. Grassi non sottolinea l’importanza della metaforica della luce né l’attenzione alla connessione vita-apertura752 pur presente nello Zibaldone, privilegiando il tema dell’illusione nelle sue molteplici sfaccettature storiche e fondative, nel convincimento che in quel concetto sia esplicato un accesso alla filosofia non pregiudicato da una metafisica razionalistica latente. Leggiamo nello Zibaldone che “per lo contrario la vista del sole e della luna in una campagna vasta e aprica e in un cielo aperto ec. è piacevole per la vastità della sensazione”753; e ancora : “per lo contrario una vasta e tutta uguale pianura dove la luce si spazi e diffonda senza diversità, né ostacolo; dove l’occhio si perda ec. è pure piacevolissima”754. La priorità trascendentale della radura sulla luce che si offre, si dà in un atto di donazione (l’Es gibt) in cui si co-estendono luce ed essere, è viva anche in Leopardi, il quale usa dei termini molto cari a Grassi – e al suo maestro Heidegger – ma anche a Vico: sylva755, luce756, critica della metafisica757, rivalutazione della poesia. Temi !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 752 G. Leopardi, Zibaldone, “Io credo che tutti questi tali verbi sieno originariamente fatti da altri verbi ignoti, come vivesco dal noto vivo, hisco dal noto hio, e altri tali di questa desinenza in sco. E lo credo perché, come vivesco significa divenir vivo, cioè divenir quello che dal verbo vivo è significato essere, cioè esser vivo, e come hisco significa aprirsi, cioè divenir aperto, mentre hio significa essere o stare aperto, ec.; così tutti i detti verbi nosco, nascor, adipiscor, sinesco, adolesco, cresco ec. di cui non si conoscono gli originali, significano però divenire, incominciare a essere o a fare quella tal cosa o azione”, 14 ottobre 1823 [3689]. 753 Ivi, 20 settembre 1821 [1745]. 754 Ivi, [1746]. 755 Ivi, 2-5 luglio 1821 [1276 e segg.]. 756 Ivi, 20 settembre 1821 [1745]. 757 “Perché la mancanza delle vive e grandi illusioni spegnendo l’immaginazione lieta aerea brillante e insomma naturale come l’antica, introduce la considerazione del vero, la cognizione della realtà delle cose, la meditazione ec. e dà anche luogo all’immaginazione tetra astratta metafisica, e derivante più dalla verità, dalla filosofia, dalla ragione, che dalla natura, e dalle vaghe idee proprie naturalmente della immaginazione primitiva. Come è quella dei settentrionali, massime oggidì, fra’ quali la poca vita della natura, dà luogo all’immaginativa fondata sul pensiero, sulla metafisica, sulle astrazioni, sulla filosofia, sulle scienze, sulla cognizione delle cose, sui dati esatti ec. Immaginativa che ha piuttosto che fare colla matematica sublime che colla poesia”, Ivi, 14 ottobre 1820 [276]  ! 236!  fondamentali, questi, che corroborano l’idea, in altro modo proposta da Grassi, di un Leopardi filosofo dell’esistenza umana interpretata come oltrepassamento dell’immediatezza e allo stesso tempo come natura che si apre alla storia. Come abbiamo visto, l’indagine grassiana, accanto all’attenzione all’ambito ontologico, si concentra sulla dimensione ontica delle concrete Lichtungen, che si converte in analisi del linguaggio. Per il pensatore “la cosa sorprendente, alla quale di solito non si presta attenzione, è che questi problemi – contesto originario, orizzonte, Lichtung – non sono trattati nel pensiero umanistico mediante un confronto logico speculativo con la metafisica tradizionale, ma piuttosto in termini di analisi e di interpretazione del linguaggio [...]. Il problema del linguaggio solleva la questione fondamentale del rapporto tra parola e oggetto, tra verbum e res. Oltre a ciò, si fa strada l’idea che solo nella parola e a mezzo della parola (verbum) la cosa (res) rivela il suo significato”758. Con l’umanesimo, secondo il filosofo non ci si interroga più circa la verità logica e il rapporto logico tra cosa e pensiero, ma a proposito del comparire storico della res a mezzo del verbum: la questione fondamentale è quella di accedere ad un linguaggio che sia casa dell’essere e non una sua prigione. Egli, infatti, distingue la cosa dall’ente, pone la differenza tra res ed ens: se la metafisica tradizionale si interroga sulla cosa ridotta ad ente – e per Grassi occorre abbandonare l’idea di una metafisica astratta degli enti – per cui l’unico linguaggio possibile per enunciare i predicati dell’ente è quello del razionalismo che delimita l’ente entro il perimetro logico dell’identità, la ricerca linguistica dell’umanesimo, di cui Leopardi fa parte secondo Grassi, è capace di restituire la ricchezza fenomenologica della cosa, della res, del pragma, proprio attraverso un linguaggio che ne rispecchi le infinite e variegate sfaccettature. Secondo l’interpretazione del filosofo italiano non esistono “cose separate dalle nostre azioni, dai nostri tentativi di trattarle [...] l’essere-in-sé delle cose ci si manifesta solo nella e attraverso l’azione umana”759. Occorre quindi riconoscere che “l’oggettività delle cose si rivela nell’azione, nella e con la praxis”760. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 758 E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, cit., p. 26. 759 Id., Potenza dell’immagine. Rivalutazione della retorica, Guerini e Associati, Milano 1998, p. 80 760 Ibidem.  ! 237!  Infatti, per il filosofo milanese, la forma sostantivata pragma esprime l’originario rapporto tra l’oggetto e il suo manifestarsi come cosa attraverso la praxis umana. Entra sulla scena assieme al concetto di prassi e di parola quello di situazione. Eccoci giunti ad un nodo concettuale di grande spessore che coinvolge la figura di Leopardi: la co-estensione del mondo (l’oggettivo) e dell’uomo – che si consuma in un rapporto pratico (la fondazione politico-culturale) e linguistico che eccede i limiti dell’omologhia e dell’adaeguatio e sconfina verso la polisemia – si ritrova nel poeta di Recanati e nella sua teoria dell’illusione che si apre ai temi centrali per Grassi della situazione, della circostanza e dell’occasione. Per Leopardi “attraverso la priorità dell’occasione, della circostanza, della situazione, noi dobbiamo corrispondere all’appello riconoscendo il significato sempre differente degli enti”761. Qui entra in gioco l’illusione nella sua identità con l’ingenium. Per Grassi con la teoria dell’illusione “di cui con estrema lucidità ha riconosciuto la necessità e la vanità, [Leopardi] ha compreso che il problema dell’uomo è quello di essere sempre gettato in una situazione concreta, quello di trovarsi sempre sospeso sul precipizio del qui e dell’ora, che gli pongono domande a cui non è possibile dare una risposta razionale, universalmente astratta, ma solo passionale”762. Con il poeta italiano abbiamo una riconfigurazione del tema antropologico che implica una svolta linguistica e ontologica. Siamo di fronte ad una Kehre verso un logos polisemico che restituisca la multilateralità e polidimensionalità di un reale che si dà fenomenologicamente per scorci, occasioni, circostanze. Siamo di fronte ad una Kehre verso un’ontologia dinamica e non statica, nella quale il processo di manifestazione nel suo stesso apparire storico si mostra per gradi e forme dicibili solo attraverso il linguaggio metaforico, poiché il metapherein, la trasposizione, è la struttura stessa della nostra facoltà di apprensione della realtà o, per usare un termine caro a Grassi, del nostro atteggiamento verso il reale. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 761 Id., Leopardi e Freud. Attività metaforica o schizofrenica?, cit., p. 33. 762 Id., La metafora inaudita, cit., pp. 45-46.  ! 238!  La metafora è l’espressione fluida e mobile del reale poiché mentre dice rimanda ad altro e in questo modo esprime la perenne metamorfosi dell’essere. Come possiamo leggere in uno degli ultimi testi del filosofo, Il dramma della metafora, “la parola metaforica esprime a un tempo la struttura fondamentale del continuo mutarsi di ciò che appare e l’unico modo per identificarla. Essa è anche espressione di un’acutezza, di una rapidità intimamente collegata con il kairòs, l’istante giusto”763 in cui possiamo cogliere il carattere metamorfico dell’apparire attraverso la traslazione del significato. La metafora è proprio questo: “annotazione dei segni indicativi”764 provenienti dal “colloquio con l’ abissale che urge, che per pochi istanti ci vivifica e che poi ci fa cadere silenti su una sabbiosa spiaggia [...] senza significato, dalla quale sale l’angoscia perché vivremo l’indeterminato”765. Anche in Leopardi Grassi intravede le tracce di un colloquio mai interrotto con l’Abissale, l’Originario, l’Essere in cui si gioca la nostra esistenza: è il senso stesso dell’illusione come ingresso nel ludus dell’esistenza, come reazione all’agorafobia primordiale. “Nel gioco giocato dell’esistenza (e del linguaggio in cui quel gioco viene parlato) si liberano molteplici possibilità, ognora rinnovate, imprevedibili, e dunque tali da frustare qualsiasi tentativo di prevederne razionalmente il senso. Ma che cos’è l’illusione di Leopardi se non, appunto, un in-ludersi, un entrare nel ludus, uno stare al gioco dell’esistenza?”766. Come è emerso da queste considerazioni il “Leopardi di Grassi”, teoreta dell’illusione, è il Leopardi portavoce di una filosofia umanistica che si traduce nell’idea di una antropologia che contiene in sé i temi del linguaggio e dell’essere. Afferma Grassi in La metafora inaudita che “Leopardi insegna [...] che l’unica filosofia in grado di tentare questa spiegazione”767, il gioco dell’esistenza, “è una filosofia dell’esistenza; una filosofia cioè che, senza pretendere di risolvere il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 763 Id., Il dramma della metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, L’Officina Tipografica, Napoli 1992, p. 165. 764 Ivi, p. 14. 765 Ibidem. 766 Id., La metafora inaudita, cit., p. 46. 767 Ibidem.  ! 239!  problema razionalmente, prenda atto dell’abisso su cui ogni passione ci sospende”768. La focalizzazione sui temi dell’illusione e della natura, della noia e della passione, che solo marginalmente toccano l’ambito del pessimismo, ha svelato il legame con il grande tema antropologico della costruzione del mondo umano. Che cos’è l’uomo e quale sia il suo posto nel mondo: sono questi i quesiti che agitano l’onto- antropo-logia grassiana e l’interpretazione dello Zibaldone di Leopardi che diviene ulteriore occasione fortunata – insieme a Cicerone, Quintiliano, Ovidio, Bruni, Valla, Graciàn, Vico, Ungaretti – per una meditatio sull’uomo che permea la sua prospettiva neo-umanistica. Il Leopardi grassiano può essere interpretato, allora, come pretesto per ribadire ancora una volta che l’umanesimo autentico come pensiero poetante, come meditazione noetica e non metafisica, ha ancora una possibilità di essere esperito a partire da una tradizione a cui non è stata conferita la dovuta importanza. La traccia leopardiana nell’iter grassiano ha fatto emergere, attraverso il concetto di ingegnosa e bella illusione, che l’antropogenesi fa tutt’uno con l’antropo-poiesi: la nascita dell’uomo avviene con le produzioni umane della civiltà, della storia, della cultura. Solo illudendoci sperimentiamo la nostra forza, la nostra umanità, come insegna Leopardi, e diveniamo artefici del nostro mondo. La filosofia dell’esistenza proposta da Leopardi diviene un experimentum vocis, una poesia pensante o un pensiero poetante. La )&0&*& '*&2o"& descritta da Platone nella Repubblica769, l’antico dissidio tra poesia e filosofia, viene ripensato da Grassi da un angolo prospettico differente: non da quello di una epistemologia o gnoseologia – in cui il poetico per sua stessa natura incline al vago ed indefinito, come insegna Leopardi, è votato irrimediabilmente al fallimento – ma da quello di una antropologia delle origini del mondo umano in cui la connessione poetico-fantastico-ingegnoso fonda la correlazione umano-civile-politico. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 768 Ibidem. 769 Platone, Repubblica, 607 b.  ! 240!  Come è noto il plesso disegnato da Grassi di metafora-fantasia-ingegno ha un valore teoretico- conoscitivo e solo secondariamente poetico-letterario. Si tratta di facoltà che appartengono a quella topica che sempre precede nella storia del mondo, come in quella dell’individuo, l’operazione mentale della critica, l’arte del giudicare. Memore delle riflessioni vichiane della Scienza Nuova e delle teorie barocche dell’ingenium di Graciàn e Peregrini, Grassi affida all’ingegno la capacità di sintesi e connessione del molteplice empirico fino al punto di farne la caratteristica specifica dell’uomo. E non poteva mancare di sottolinearne l’importanza teorica e pratica presente in Leopardi770. Ingenium come capacità di ritrovare; fantasia come facoltà di visione delle somiglianze; metafora come atto di trasferimento del significato e quindi creazione di una pertinenza semantica – e non come tropo linguistico, sia esso di sostituzione o di comparazione – concorrono a delineare i prolegomeni per un’idea di neo-umanesimo in cui la storicità dell’umano si dispiega tra razionalità e fantasia. Quest’ultima si rivela come facoltà di attivazione di procedure di formalizzazione concettuale, vera e propria facoltà di apprensione del reale attraverso una struttura pato-logica, o un’intelligenza senziente – per usare un’espressione di Zubiri, collega di corso in Germania di Grassi. Essa è il catalizzatore dell’umanizzazione del mondo. Concentrandosi sugli aspetti figurativi, simbolici e semantici del logos Grassi non rinuncia mai tuttavia alla filosofia: la filosofia deve mutare le sue vesti e divenire noetica non più metafisica. “Se l’aspirazione profonda del filosofare tradizionale è di giungere a una chiarificazione logica razionale, oggettiva che parte da un’ontologia che culmina in una metafisica”771, quella di Grassi ha come scopo l’elaborazione di un’idea di nous – dove nous si identifica con ingenium772 – che ha come oggetto il !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 770 G. Leopardi, Zibaldone, 1 luglio 1821 [1254]. 771 E. Grassi- E. Hidalgo, Filosofare noetico non metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte, Congedo, Lecce 1991, p. 15. 772 Ivi, p. 20.  ! 241!  reale, “l’ontologia non logica ma situazionale”773 in cui la metamorfosi del mondo non può che trovare espressione in un orizzonte di dicibilità che è metaforico. L’antica lotta tra poeti e filosofi supera la secca alternativa tra un tentativo di purificare la lingua da ogni ridondanza poetica e l’impresa di epurare la theoria dal concetto. Nella prospettiva grassiana l’opposizione può trovare una soluzione attraverso una rinnovata idea di umanesimo contrassegnato da un filosofare che sia pratica esistenziale, non sterile sapere erudito privo di vitalità e utilità. In questa ricerca di un’idea autentica di umanesimo Leopardi riveste un’importanza fondamentale poco sottolineata, a nostro avviso, dalla critica, che si è maggiormente concentrata sul Grassi lettore di Vico e Heidegger. La svolta verso un filosofare noetico non metafisico si poggia su un ripensamento, da un lato, della filosofia – sostituzione della metafisica con l’ontologia non statica ma dinamica, non logica ma situazionale; ripensamento del tema della verità connessa alle sue espressioni storiche – dall’altro, della filologia, che non si riduce a “una mediazione delle opere antiche” ma è una “scienza sperimentale”, una meditazione sull’ essenza dell’uomo e sulla sua Bildung a partire dal problema della parola. La ricostruzione di un’essenza dell’uomo è al centro anche delle riflessioni del Leopardi grassiano teoreta dell’illusione, il cui significato sociale etico e politico viene ribadito contro un’“Europa tutta civilizzata”774 in cui “la civiltà, la scienza e l’impotenza sono compagne inseparabili”775. Viene in mente il mondo vichiano dominato dalla “boria dei dotti” in cui le forze autentiche dell’uomo, la natura e le illusioni, hanno perduto la loro virtualità politico- fondativa per lasciare spazio ad un sapere chiuso nei limiti del mos geometricus. Siamo di fronte all’idea di tenere insieme linguaggio poetico e linguaggio filosofico come due tensioni inseparabili e irriducibili all’interno dell’unico campo del linguaggio umano che tenta di dire non l’indicibile – !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 773 Ivi, p. 30. 774 G. Leopardi, Zibaldone, 24 marzo 1821. 775 Ibidem.  ! 242!  l’indicibile non è altro che una presupposizione del linguaggio – ma il dicibile con cui di volta in volta ci si misura. L’attenzione grassiana verso il poetico, che restituisce le circum-stantiae della res attraverso la molteplicità dei verba, va interpretata come l’ennesimo tentativo di dire la cosa stessa della filosofia, l’autò tò pragma, ciò che è in questione nella parola e nel pensiero, la res che, attraverso la parola e il pensiero, è in gioco fra l’uomo e il mondo. “Così poesia e filosofia stanno l’una accanto all’altra: chi non ha immaginazione, sensibilità, capacità di entusiasmarsi o facilità a vivere belle rappresentazioni illusorie, non conoscerà mai la verità, perché ogni analisi può essere portata avanti solo dove la materia della vita è riccamente delineata. Non si tratta di riconoscere il mondo a posteriori ma di giungere a conoscenza dei principi agenti, dai quali innanzitutto può avere origine ogni mondo, anche quello della filosofia”776. E Leopardi con le sue riflessioni ha insegnato, contro le devastazioni dell’intelletto, questa filosofia dell’esistenza che guarda al phainesthai, all’apparire nel quale viviamo, non con l’occhio della metafisica ma con quello dell’ingegno, l’unico in grado di cogliere “l’appello che ci chiama da questo abisso”777. L’appello dell’origine. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 776 E. Grassi, Illusione, natura e critica del mondo intellettuale moderno, cit., p. 172. 777 Id., La metafora inaudita, cit., p. 46.  ! 243!  APPENDICE I Traduzione di E. Grassi Natur, introduzione a W. Heisenberg, Das Naturbild der heutigen Physik, Hamburg, Rowohlt, 1955, pp. 133-138. Il nostro concetto di natura deriva dal termine greco 341*1.!Questa parola proviene dalla radice phy (latino fio, fui, tedesco bin), di cui indica lo sviluppo. La! 341*1 racchiude tutto ciò che nasce e diviene, e così comprende il cosmo nella sua totalità. Noi traduciamo!341*1 con il termine “natura”, dalla espressione latina natura, il cui significato esprime quello della parola greca (nasci, esser nato, crescere, affine a gignere). Secondo l’originario concetto greco ciò che è immediato in quanto cresce è visto come una realtà eccellente; tuttavia occorre ricordare che per i Greci il crescere naturalmente realizza sempre la legge insita ad ogni sostanza. Pertanto sotto il termine natura, come principio del divenire, sarà compresa molto spesso l’essenza di una cosa. Il concetto di natura, la rappresentazione quindi che lo spirito umano si costruisce attraversa una lunga e movimentata storia. La conoscenza dei fenomeni naturali muta e di conseguenza cambia anche la concezione della natura. L’età pre- filosofica della Cosmogonia (sei secoli prima della nascita di Cristo) – cioè l’epoca del dibattito sull’origine del cosmo, del Tutto, è pervasa da rappresentazioni mitiche, in cui già sempre la relazione dell’uomo con la natura gioca un ruolo centrale. Un primo inquadramento non più mitico, ma filosofico del concetto di 341*1, di natura, si ha nell’età antica con la Sofistica (Protagora; Gorgia; Ippia e Prodico, i più giovani contemporanei di Protagora) e la filosofia socratica. Non più l’intera realtà è inclusa in questo concetto ma ora solo un suo settore specifico. Per prima cosa i Sofisti hanno messo in gioco la 341*1 contro il!%$μ$1 (legge), hanno posto il “naturale” solo in ciò che è fissato e posto dall’uomo in sua contrapposizione.!Socrate nel porsi domande di natura etica professa una bassa considerazione per una scienza della natura e vi contrappone l’idea di una scienza dell’uomo. Da una parte c’è dunque la natura, dall’altra l’uomo con la sua cultura: così di conseguenza agli albori del pensiero occidentale si pone già il problema se sia più importante conoscere la natura o l’essenza dell’uomo. Dopo un’importante fase iniziale con gli Atomisti e Platone si arriva al grande progetto ! 244!  finale della filosofia della natura greca con Aristotele. Non posso ora soffermarmi sull’analisi del contenuto di questa dottrina a cui si è fatto cenno. Va però ricordato che le scuole peripatetiche come gli epicurei, gli stoici, i neopitagorici, i neoplatonici, apportarono variazioni che per noi non sono determinanti. La divisione tra Natura e Spirito e quindi l’abisso tra la Fisica, da un lato, e l’Etica e la Logica, dall’altro, si è mantenuta nello Stoicismo e nell’Epicureismo, per quanto lo Stoicismo abbia costituito l’ultimo e unico tentativo di riconciliazione universale di entrambi i regni: una lotta gigantesca ma alla fine inutile. Nel Neoplatonismo alla fine la 341*1 perde del tutto la sua importanza e viene considerata come una realtà irrazionale fondamentalmente nulla. Il pensiero cristiano dei primi Padri della Chiesa adotta parzialmente l’originario concetto platonico aristotelico di natura, per quanto questo suo preciso significato cambi e si perda giacchè la natura intera non viene più concepita in modo classico ma come creazione di Dio a partir dal nulla. Anche se nel Medioevo non c’è uno studio autonomo della natura, tuttavia questa epoca conosce una scienza della natura caratterizzata dalla volontà di conservare l’antica tradizione, soprattutto quella aristotelica. Custodi dell’antica tradizione furono in primo luogo i filosofi e gli scienziati naturalisti dell’Islam. L’apice della scienza della natura medievale in Occidente è rappresentato da Alberto Magno, il quale partendo dal pensiero aristotelico propone un quadro della natura completo ed esauriente. Con l’età dell’Umanesimo e del Rinascimento sorge una nuova concezione della natura, che per noi è della massima importanza. L’accesso alla natura è cercato soprattutto attraverso l’esperimento – un concetto specificamente moderno che per la prima volta con Leonardo Da Vinci assume una chiara forma teoretica (i suoi scritti più noti sono il Trattato sulla pittura e Sull’anatomia dell’uomo). L’esperimento è l’interrogazione della natura tenendo conto di una teoria stabilita anticipatamente, al fine di verificare se questa attraverso l’esperimento viene confermata o confutata. Il punto di partenza per un’indagine sulla natura diventa quindi la teoria dell’uomo ad essa soggiacente. Perciò per Leonardo non è possibile conoscere la natura nella sua interezza ma solo quelle parti che si danno nel contesto della teoria e delle domande poste dall’uomo. La natura è dunque correlata all’uomo e alle sue capacità. Al concetto dell’esperimento fondato sulla teoria di Leonardo corrisponde anche la nuova ! 245!  fondamentale teoria di Bacone. Attraverso il suo pensiero emerge un secondo tratto decisivo per la moderna conoscenza della natura. Conoscenza della natura significa soprattutto il suo dominio. Sapere è potere. Quindi si impone un aspetto fondamentale della moderna conoscenza della natura che l’Antichità non conosceva: la tecnica, la sua azione non nel senso di un sapere teoretico ma nel senso di lavoro. Il concetto di esperimento si perfeziona con Galileo Galilei e grazie a lui e a Keplero noi facciamo esperienza del capovolgimento del concetto antico di Universo. Il grande difensore di questo nuovo concetto di natura e di universo fu Giordano Bruno. Con lui si assiste ad un ulteriore allontanamento dal concetto copernicano di mondo: perciò non si tratta solo di contrapporre il nuovo sistema solare al vecchio sistema geocentrico ma di riconoscere che si dà non un solo mondo ma infiniti molti. Nonostante la dovuta brevità (di questa trattazione) qui appare doveroso soffermarmi. Fino all’età moderna il sistema del mondo vigente traeva origine dalla cosmologia aristotelica, era diffuso dagli eruditi alessandrini, da Ipparco e infine rappresentato da Tolomeo. Questo sistema aristotelico-tolemaico vedeva il mondo con approssimazione: la terra cioè giaceva immobile al centro del cosmo. La terra e l’universo hanno una forma sferica. I movimenti del globo sono spiegati ipotizzando l’esistenza di dieci sfere fisse, immateriali e concentriche in cui si trovano le stelle. La più lontana tra queste sfere regge le stelle fisse, le altre i pianeti. Ogni pianeta appartiene ad una sfera particolare: queste gravitano intorno alla terra con i suoi annessi corpi celesti. In contrapposizione a questa immagine del mondo Copernico sostiene nel suo scritto De revolutionibus orbium coelestium libro VI che sia il Sole a trovarsi al centro dell’universo e che la Terra farebbe parte dei pianeti e che questi girano completamente intorno al Sole fisso, muovendosi da ovest verso est. Ha parteggiato per questa visione anche Giordano Bruno non limitandosi solo a considerazioni astronomiche ma soprattutto giungendo alla convinzione filosofica che il mondo non può essere finito. Nella sua opera De la causa, che si confronta con la filosofia tradizionale, Bruno insegna che il tutto non ha né centro né confini. Il mondo che l’uomo conosce diviene così solo uno tra molti altri. Ricordiamo infine solo il decisivo cambiamento del concetto di natura in Kant. Andando avanti il problema della natura si risolve nel problema della sua conoscenza. I fenomeni sensibili, attraverso cui noi facciamo ! 246!  esperienza della natura, si riordinano in noi attraverso le visioni personali dell’uomo (spazio e tempo; categorie). In questo modo poi si dà un sistema della natura che sottostà necessariamente alle pure leggi matematiche e fisiche: l’uomo è il legislatore della natura. Ma di nuovo si presenta il problema dell’uomo e della sua libertà. Essa si autodetermina in opposizione alla natura nella misura in cui oltrepassa la necessità causale. Così la natura si limita alle forme di esperienza dell’uomo e la sua esistenza umana e morale in realtà non rientra più nel suo campo. Lo sviluppo del concetto di natura nella filosofia post-kantiana non potrà essere seguito qui in modo approfondito. Certamente il modo di intendere la conoscenza della natura di Hegel come uno stadio iniziale della filosofia dimostrabile a priori ha contribuito a sollevare in Occidente una reazione da parte del naturalismo empirico con il Positivismo e il materialismo. Tuttavia queste eccessive semplificazioni non hanno avuto lunga durata. In ambito fisico dall’inizio del ventesimo secolo il mondo va di pari passo con la matematica o perlomeno può essere descritto solamente attraverso di essa in maniera appropriata. Ciò rappresenta un fatto determinante. Da un punto di vista prescientifico e immediato la natura quindi si erge nella forma in cui l’uomo la coglie attraverso i suoi organi sensoriali. I sensi dunque restano il meccanismo di osservazione principale ma ora l’uomo nella sua ricerca non se la cava più senza la tecnica. Così a poco a poco il mondo dei fisici si allontana necessariamente dal mondo quotidiano dell’uomo. Appena qualche secolo prima si è guardato alla realtà, a come essa è, al sorgere del sole. In seguito ciò è apparso come un inganno e non possiamo fidarci più dei nostri occhi. Siamo arrivati ad un punto tale che il mondo intero a rigor del vero si è trasformato in un mare di inganni. Scenario dopo scenario noi siamo arrivati a credere di stare davanti ad un ultimo passo dalla realtà su cui scorrono solo ombre di elettroni spettrali e inafferrabili. L’intelletto calcolante ha qui l’ultima parola; il mondo passa dal primo piano della percezione verso lo sfondo del pensiero. L’opera di Heisenberg richiama l’attenzione su questo processo, sulla realtà e sul pericolo in cui l’uomo si trova quando egli risolve la natura nelle strutture del suo pensare e la domina in modo smisurato. Come all’inizio del pensiero occidentale anche oggi per noi permane l’ammonimento di riflettere sull’essenza dell’uomo. ! 247!  APPENDICE II Traduzione di Der italienische Schopenhauer, in Schopenhauer im Denken der Gegenwart, a cura di V. Spierling, München-Zürich, Piper, 1987, pp. 125-138. I. Il Problema Ha un senso, in un volume su Schopenhauer, occuparsi di un altro autore, e precisamente di uno che proviene da una tradizione e da una lingua completamente diverse rispetto a quelle tedesche? Non solo: quest’altro autore è uno dei più grandi poeti del diciannovesimo secolo in Italia, nemmeno è stato filosofo. D’altra parte, quando si ha il coraggio di affrontare un lavoro come questo, non dovrebbe esso essere strutturato nella forma tradizionale, in modo tale che si pongano in luce, da una prospettiva scientifica, i parallelismi e le differenze tra i due autori – e perché no, in maniera strettamente meticolosa – che allo stesso tempo implichi una interpretazione di Schopenhauer? C’è una questione ulteriore: il poeta al quale faccio riferimento qui è particolarmente noto in Germania per le sue affermazioni poetiche e per questo è diventato oggetto di indagine e trattazione prevalentemente nel campo della storia della letteratura. Tuttavia ciò accade non solo in Germania: si tratta di Giacomo Leopardi. Anche in Italia gli viene negato un significato filosofico generale, e Benedetto Croce ha affermato in uno studio su Leopardi che dovremmo rinunciare a vedere in Leopardi “un sommo pensatore, le cui argomentazioni e dottrine trovino luogo nella storia della filosofia [...] ma per questa parte, che è quella filosoficamente fattiva, il Leopardi non offre se non sparse osservazioni, non approfondite e non sistemate: a lui mancava disposizione e preparazione speculativa”778. Karl Vossler nel suo libro su Leopardi si è riallacciato a questo giudizio779. Questa reazione di Croce non è fortuita: Hegel quasi con le medesime parole si era espresso negativamente sugli umanisti in quanto filosofi, e precisamente con la motivazione che gli umanisti italiani si sono !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 778 B. Croce, Poesia e non poesia, Bari 1942, p. 98. [B. Croce, Poesia e non poesia. Note sulla letteratura europea del secolo decimonono, Laterza, Bari 1946, pp. 98-99]. 779 [Grassi si riferisce al testo di K. Vossler, Leopardi (1923), tr. it. di T. Gnoli, Ricciardi, Napoli 1925]. ! 248!   arenati in un pensiero simbolico e non sono giunti fino all’altezza del concetto. Letteralmente vuol dire: “se si spogliano i concetti fondamentali dei sistemi che si presentano all’interno della storia della filosofia di quel tanto che concerne la loro configurazione esteriore, la loro applicazione a ciò che è particolare e simili, allora si perviene ai diversi gradi della determinazione dell’idea entro il suo concetto logico”780. Secondo la concezione di Hegel l’Umanesimo non si accorda in modo adeguato alla coscienza dell’idea, esso permane molto nel mondo della fantasia, dell’arte, conficcato nel mondo della metafora: l’arte è per Hegel, come è noto, una forma insufficiente per rappresentare l’Idea. Qui l’Idea permane nel suo legame concreto sensoriale, ossia si comporta ora solo come Ideale. A causa dell’“incapacità di rappresentare il pensiero in quanto pensiero, l’Umanesimo si avvale di aiuti per esprimersi in forma sensibile”781. Così la filosofia umanistica, secondo Hegel, appartiene a manifestazioni superflue “che offrono alla filosofia poco beneficio”782. Perciò sia in Italia, dove per molto tempo l’idealismo tedesco con Croce e Gentile è stato determinante, sia in Germania, la concezione poetica come espressione del pensiero filosofico è stata condannata nel modo più critico. In un lavoro apparso recentemente783 e in una pubblicazione uscita negli Stati Uniti784 io ho trattato l’intera problematica della tradizione umanistica, alla quale Leopardi appartiene, e ho motivato e sviluppato la valutazione completamente errata della tradizione umanistica – che non parte da una metafisica razionalistica ma dal problema della parola, e precisamente dalla parola metaforica e di conseguenza poetica. Questa discussione verrebbe ad essere la giusta premessa per giungere ad una comprensione filosofica di Leopardi nel suo valore generale. Ma qui si tratta proprio della relazione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 780 Hegel, Vorlesungen über die Geschichte der Philosophie, a cura di H. Glockner, Suttgart 1928, p. 59 [G. W. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, a cura di R. Bordoli, Laterza, Roma-Bari 2013, pp. 568-569]. 781 Ivi p. 121. 782 Ivi, p. 149. 783 E. Grassi, Einleitung in philosophische Probleme des Humanismus, Wissenschaftlische Buchgesellschaft, Darmstadt 1986 [E. Grassi, La filosofia dell’umanesimo. Un problema epocale, a cura di L. Rossi, Tempi moderni, Napoli 1988]. 784 E. Grassi, Heidegger and the question of Renaissance Humanism, Medieval Renaissance Texts and Studies, Binghamton, N. Y. 1983 [E. Grassi, Heidegger e il problema dell’umanesimo, a cura di C. Vasoli, Guida, Npoli 1985].  ! 249!  tra Schopenhauer e Leopardi. Io farò riferimento alle tesi di Leopardi senza discutere il parallelismo e la differenza con Schopenhauer. Gli schopenhaueriani possono prendere i testi di Leopardi come motivo per un confronto tra entrambi. A giustificazione di un metodo di analisi di questo tipo sarebbe determinante una parola di Schopenhauer. Nella scorsa metà del secolo scorso Francesco De Sanctis ha notato per primo in un saggio785 su Schopenhauer e Leopardi la rilevanza filosofica del poeta, ma soprattutto ha contribuito a mettere in circolazione quell’immagine del pessimismo leopardiano, come noi oggi ancora comunemente pensiamo. Schopenhauer si espresse sul saggio di De Sanctis nel modo seguente con il suo amico Lindner: “mi devo stupire molto nel vedere quanto questo italiano (De Sanctis) si sia impossessato della mia filosofia e come l’abbia capita bene. Non fa come i Professori tedeschi, specialmente Erdmann, sunterelli ed estratti dei miei scritti, senza vera comprensione e secondo il numero delle pagine. No, egli li ha convertiti in succum et sanguinem, e li ha sulle punte delle dita per adoperarli dove occorre”786. Io qui strutturerò i livelli di pensiero di Leopardi in modo che gli specialisti di Schopenhauer possano discutere la questione delle affinità e diversità tra i due autori. Innanzitutto perché è possibile accostarsi a Schopenhauer anche da un’altra prospettiva, diversa rispetto a quella tradizionale che si trasmette con Kant e l’idealismo tedesco. I temi di Leopardi – il rigetto della priorità della ragione, la natura, l’analisi della noia, il significato filosofico delle passioni, l’illusione, la mania – sono gli stessi di Schopenhauer. II. La ragione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 785 Grassi si riferisce al saggio desanctisiano in forma di dialogo Schopenhauer e Leopardi che trae origine dalla lettura da parte di Francesco De Sanctis dell’opera di Schopenhauer all’inizio del 1858. Il saggio di De Sanctis appare in “Rivista contemporanea”, VI (1858), Vol. XV, pp. 369-408 e confluisce in Saggi critici (1874). Cfr., F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, pp. 417-467, in Id., Leopardi, a cura di C. Muscetta-A. Perna, Einaudi, Torino 1983. 786 GBr, Nr. 454, p. 447 [Lettera di Schopenhauer a Lindner del 23 febbraio 1859, in A. Schopenhauer, Colloqui, a cura di A. Verrecchia, Bur, Milano 2010, p. 267, nota 220].  ! 250!  I passi di prosa che ora prenderò in esame provengono dal cosiddetto Zibaldone, una raccolta di pensieri e annotazioni. Esso non era destinato alla pubblicazione nella forma in cui oggi si presenta il testo originale, nonostante Leopardi lo avesse progettato, per quanto ne sappiamo, per pubblicarlo in dieci volumi. Lo Zibaldone è un’opera molto voluminosa: consta di un manoscritto di 4526 pagine. Le annotazioni cominciano a luglio o agosto del 1817 e terminano il 4 dicembre del 1832. La prima edizione apparve nel 1898 e fu pubblicata da Giosuè Carducci con commento critico e filologico con il titolo di “Pensieri di varia filosofia e letteratura” (un titolo che era tratto da un’indicazione di Leopardi). La seconda versione migliorata, che si accorda a questa traduzione787, appare negli anni Trenta: G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di F. Flora, 2 volumi, Milano 1938. Io cito dalla traduzione tedesca di K. J. Partsch. Il punto di partenza della riflessione di Leopardi è il contrasto tra la ragione e ciò che egli ha chiamato natura, criticando in tale contesto ogni filosofia che creda di decifrare la realtà sulla base di principi razionali e perciò tutto ciò che ha a che fare con i sensi e le passioni, tutto ciò che è metaforico, lo rifiuta nel suo significato filosofico. In generale questa tradizione concede solo ciò che noi possiamo dimostrare e dimostrare significa mostrare e determinare qualcosa sulla base di un fondamento, di un assioma, di un principio. “E qui voglio notare come la ragione umana di cui facciamo tanta pompa sopra gli altri animali, e nel di cui perfezionamento facciamo consistere quello dell’uomo, sia miserabile e incapace di farci non dico felici ma meno infelici, anzi di condurci alla stessa saviezza che par tutta consistere nell’uso intero della ragione”788. Ogni vita umana ordinata e fruttuosa sembra realizzarsi solo sulla base di fondamento e dimostrazione. Soltanto in questo modo si ritiene di poter prevedere anche l’avvenire in generale per poterlo deviare e per potersi mettere a riparo da esso. Da questo punto di vista l’imprevisto, l’improvviso, il sorprendente, non solo non vengono presi in considerazione ma cancellati, allorché !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 787 Grassi fa riferimento alla traduzione di Partsch Theorie des schönen Wahns und Kritik der modernen Zeit, Ausgewahlt, geordnet und eingeleitet von E. Grassi, aus dem italienischen übertragen von K. J. Partsch, Bern, Francke 1949. 788 G. Leopardi, Zibaldone, 20 gennaio 1820. ! 251!   si manifestano, e giudicati alla stregua di un fallimento delle nostre forze umane e razionali, delle nostre conoscenze, dei nostri desideri di sicurezza e certezza. Ora da questo emerge che l’esistenza umana deve scaturire solo attraverso una certezza sicura e razionale e che tutti i momenti della vita sociale, politica e spirituale devono derivare da un fondamento di tal sorta: perciò poi anche l’insegnamento e l’educazione devono non solo chiarire i fondamenti originari dai quali noi deriviamo le nostre azioni, ma anche prestabilire tutte le possibilità. Invece Leopardi adduce come argomento (il seguente): “e pure è certissimo che tutto quello che noi facciamo lo facciamo in forza di una distrazione e di una dimenticanza, la quale è contraria direttamente alla ragione. E tuttavia quella sarebbe una verissima pazzia, ma la pazzia la più ragionevole della terra, anzi la sola cosa ragionevole, e la sola intera e continua saviezza, dove le altre non sono se non per intervalli”789. “ Ella rende piccoli e vili e da nulla tutti gli oggetti sopra i quali ella si esercita, annulla il grande, il bello, e per così dire la stessa esistenza, è vera madre e cagione del nulla, e le cose tanto più impiccoliscono quanto ella cresce”790. Partendo dalla tesi della priorità del pensiero razionale, ogni passione, ogni impulso, viene considerato in realtà come un momento da oltrepassare, come un momento che deve essere corretto o annientato. Di conseguenza la conclusione dell’importanza del prevedibile, del sicuro, del giudizio divengono gli ideali a cui poi ci si abbandona: la stessa vita politica, lo Stato, se assicura la vita umana e vuole contribuire al suo sviluppo, deve partire da un’impostazione del genere e attuarla. Una simile concezione della vita, che si prova a dedurre more geometrico, corrisponde a una tradizione razionalistica contro cui Leopardi assume una posizione, che analizza progressivamente per mostrarla come causa delle rovine del mondo occidentale. Ma una concezione di questo tipo non è apparsa e si è realizzata proprio in precise forme di Stato, di insegnamento, di sapere quando ci si è allontanati !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 789 Ibidem. 790 Ivi, 11 luglio 1823.  ! 252!  già dall’originaria fonte della vita? Come è considerato l’esito della priorità della ragione da un punto di vista sociale, politico? “Anche nell’interiore quasi tutti gli uomini oggidì sono uguali nei principi, nei costumi, nel vizio, nell’egoismo etc...Sono tutti uguali e tutti separati, laddove autenticamente erano tutti diversi e tutti uniti, e perciò atti alle grandi cose, alle quali noi siamo inettissimi trovandoci tutti soli”791. In un mondo razionalizzato ogni elemento nuovo, originario, indeducibile e non anticipatamente dimostrabile e sicuro non ha nessuna possibilità. In ogni forma già razionalizzata di vita sociale, politica o culturale nulla di imprevisto può irrompere senza far saltare il contesto esistente. Ma dunque cosa bisogna opporre alla ragione? La natura forse, l’affermazione delle passioni? “La superiorità della natura sulla ragione si dimostra anche in questo che non si fa mai cosa con calore che si faccia per ragione e non per passione”792. Per Leopardi i concetti di natura e passione collimano: di che natura è il loro rapporto profondo e da ciò come emerge una comprensione della loro essenza? “ La ragione è nemica di ogni grandezza: la ragione è nemica della natura”793. “ Qual cosa è più potente nell’uomo, la natura o la ragione? Il filosofo non vive mai né pensa giornalmente, e intorno a ciò che lo riguarda né vive con se stesso (se anche vivesse con gli altri) da vero filosofo”794. III. Natura e Passione !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 791 Ivi, 4 luglio 1820. 792 Ivi, 7 giugno 1820. 793 Ibidem. 794 Ivi, 8 settembre 1821.  ! 253!  In che cosa risiede la potenza, la capacità della natura con cui possiamo riconoscerla con certezza? A questa domanda noi riceviamo da Leopardi soprattutto una risposta negativa. Da cosa scaturisce l’esperienza profonda del nulla, di cui l’autore italiano si occupa così sistematicamente, e in che misura essa getta luce sui concetti di natura, vita, che egli pone contro la ragione? La profonda esperienza del nulla appare, secondo Leopardi, non nel dolore, non nella disperazione, momenti, questi, che mantengono tutti ancora viva la testimonianza dei valori, ma nella noia. Essa è il contrario della vita, pertanto ad essa non possiamo abituarci. Così afferma Leopardi che la noia è l’esperienza del monotono, dell’indifferente, dell’apatico, che quindi sopraggiunge quando si attenua la capacità di distinguere qualcosa “Amando il vivente quasi sopra ogni cosa la vita, non è meraviglia che odi quasi sopra ogni cosa la noia, la quale è il contrario della vita vitale [...] del resto l’odio della noia è uno di quei tanti effetti dell’amor della vita [...] e l’uomo odia la noia per la stesa ragione per cui odia la morte, cioè la non esistenza”795. Così la noia scopre dalla sua essenza un’insolita, fenomenologica, molto importante incomprensibilità: nel suo patire deve determinarsi come una passione. Noi possiamo vivere e esperire l’indifferente, l’apatico, il monotono solo se si manifesta in modo limitato e la noia, se ne facciamo esperienza, ci rivela che non possiamo esistere nello sconfinato e nell’indifferenziato. “La noia corre sempre e immediatamente a riempire tutti i vuoti che lasciano negli anni dei viventi il piacere e il dispiacere; il vuoto cioè lo stato di indifferenza e senza passione non si dà in esso animo, come non si dava in natura [...] o vogliamo dire che il vuoto stesso dell’animo umano e l’indifferenza e la mancanza d’ogni passione è noia, la quale è pure passione”796. La noia fa parte di quei sentimenti deprimenti attraverso i quali si manifesta il declino della vita così silenziosamente e senza emozione. Essa non ha nulla di eroico, è come uno stato d’animo opposto !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 795 Ivi, 8 maggio 1822. 796 Ivi, 17 ottobre 1823.  ! 254!  alla natura, poiché in essa ogni disperazione è già apatica. Secondo l’opinione di Leopardi in ciò risiede l’essenza della moderna esperienza del dolore che non ha nulla più di vitale. Si tratta di un’autodistruzione in una perdita di suoni e parole che si muovono in un silenzio disumano, in cui né odio né speranza, né tantomeno interesse e partecipazione sono presenti: è l’ultimo stato in cui si manifesta il naufragio di una cultura, di una classe sociale. Al suo posto la natura si mostra nella potenza della passione: affermazione, dunque, della passione contro la priorità del razionale? Prima di rispondere insieme a Leopardi a questa domanda occorre discutere la funzione e il potere della passione: “le sventure o d’immaginazione o reali, potranno anche indurre il desiderio della morte, o anche far morire, ma qual dolore ha più della vita, anzi massimamente se proviene da immaginazione e passione, è pieno di vita, e quest’altro dolore ch’io dico è tutto morte; e quella medesima morte prodotta immediatamente dalle sventure è cosa più viva, laddove quest’altra è sepolcrale, senz’azione, senza movimento, senza calore e quasi senza dolore, ma piuttosto come un’oppressione smisurata e un accoramento”797. “Ma gli antichi sempre più grandi, magnanimi e forti di noi nell’eccesso delle sventure, e nella considerazione della necessità di esse e della forza invincibile che li rendeva infelici, e gli stringeva e legava alla loro miseria senza che potessero rimediarvi e sottrarsene, concepivano odio e furore contro il fato”798. Secondo l’interpretazione di Leopardi gli antichi soffrivano, poiché credevano nella vita, perché la sentivano come un valore; quanto meno ci rinunciavano tanto più l’affermavano nella disperazione. Si tratta del dolore di Niobe, per il quale non si danno nessun sollievo, nessuna assuefazione. E dal momento che per gli antichi la disperazione è allo stesso tempo un’affermazione della vita, così nel loro animo nasceva l’odio, si accresceva attraverso il dolore la loro immaginazione, traducendosi in azione, presentandosi nei miti, i quali non hanno conosciuto ancora nessun sentimentalismo. “Così importanti stimavano gli antichi le cose nostre, che non davano ai desideri divini, o alle divine operazioni altri fini che i nostri, mettevano i !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 797 Ivi, 7 giugno 1820. 798 Ivi, 5 gennaio 1821.  ! 255!  dei in comunione della nostra via e dei nostri beni, e quindi gli stimavano gelosi delle nostre felicità ed imprese, come i nostri simili, non dubitando che elle non fossero degne della invidia degl’immortali”799. Da questo punto di vista la vita in ogni suo stadio, sia sensibile che spirituale, non attinge a ciò che è sicuro, sperimentato, calcolabile, non attinge alla certezza razionale e dimostrabile, bensì all’ambito del creativo, dell’imprevedibile, dell’abissale: la prima possibilità dell’esperienza sorge da qui. Se noi oscilliamo continuamente tra successo e fallimento, se inoltre siamo disposti alla realizzazione delle nostre capacità, allora qui si radica la nostra autoaffermazione, che nuovamente richiama l’attenzione all’appello oggettivo e trascendentale a cui dobbiamo corrispondere. Leopardi pone l’attenzione sul fatto che tutte le grandi imprese oltrepassano l’ordine esistente e consueto, infatti dal momento che istituiscono qualcosa di nuovo non possono essere dedotte dal già noto. Già nella vita quotidiana appare impossibile vivere in modo puramente razionale e prevedibile. Gli stessi sentimenti più naturali si mostrano come qualcosa di infondato. Ogni cosa feconda non è mai deducibile e calcolabile: da ciò proviene la priorità storica che i popoli naturalmente rivestono, poiché su di essi agiscono le passioni, ciò che è originario, solamente essi, per questo motivo, trionfano sempre su quei popoli che sono dominati dal razionale. La natura, nel suo significato già spiegato, vive e si fa largo. Solo essa suscita tutte le passioni possibili, solo essa desta i sentimenti naturali che mostrano l’inaspettato. Così Leopardi passa alla descrizione e approvazione delle passioni del mondo antico. Allora quelle forze imperanti fanno tutte parte dell’imprevedibile, di ciò che non è razionalmente deducibile. Si tratta di quelle capacità di mostrare il nuovo sotto forma di immagine, di linguaggio, di azioni, di miti. Quegli stessi esercizi fisici, le lotte, le competizioni sportive e le cerimonie favoriscono la fantasia, destano i miti che non sono il “vero” ma celano in sé il significato dell’esistenza. “Gli esercizi con cui gli antichi si procacciavano il vigore del corpo non erano solamente utili alla guerra, o a eccitare l’amor della gloria ma contribuivano, anzi erano necessari a mantenere il vigor dell’animo, il coraggio, le illusioni, l’entusiasmo che non saranno mai in un corpo !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 799 Ivi, 23 dicembre 1820.  ! 256!  debole, insomma quelle cose che cagionano la grandezza e l’eroismo delle nazioni”800. “Che bel tempo era quello nel quale ogni cosa era viva secondo l’immaginazione umana e vive umanamente cioè abitate o formate di essere uguali a noi, quando nei boschi desertissimi si giudicava per certo che abitassero le belle Amadriadi e i fauni, e i silvani e Pane etc..., entrandoci e vedendoci tutto solitudine, pur credevi tutto abitato”801. IV. L’Illusione Allora dobbiamo dedurre che il Reale sia la natura, le passioni? Da parte di Leopardi la risposta a questa domanda è categorica: No. Il misterioso da cui si forma il teatro del mondo, la “scena” della storia, offre solo l’illusione, l’ossessione di un gioco inquietante nel quale noi stessi siamo solo attori o spettatori accettati. Dal momento che l’originario è indeducibile e perciò non è spiegabile in fondo attraverso il ragionamento analitico esso deve così essere riconosciuto come illusione, come ossessione. Sicuramente l’Illusione è generatrice di ordine, poiché è la ragione di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storica, ma quello che si apre di fronte ai nostri occhi è tragico, poiché questa illusione senza fondamento non mostra nessun interesse per la sorte dei singoli, ma solo per il compiersi della storia dei drammi umani. L’illusione è generatrice di ordine e l’Appello al quale corrispondere, motivo di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storia. Con questa tesi viene ad essere rappresentata una concezione irrazionale, pragmatica? No, perché l’Illusione è ciò che è a fondamento dell’infondato, è il sistemare e distinguere, è ciò che è determinante, e per questo l’affermazione dell’Illusione non è alcuna negazione del legame e della legalità, ma al contrario è il rendersi palese di ciò che ordina e lega e svela il pezzo di “scena” in cui noi viviamo e agiamo. Forza misteriosa, che evoca l’illusione della storia, nella cui orbita facciamo la nostra comparsa per interpretare un ruolo: ma l’illusione della storia non mostra rispetto per la storia dei singoli. “La più grande nemica della barbarie non è la ragione ma la natura: (seguita però a !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 800 Ivi, 7 giugno 1820. 801 Ivi, p. 100.  ! 257!  dovere) essa ci somministra le illusioni che quando sono nel loro punto fanno un popolo veramente civile [...] le illusioni sono in natura inerenti al sistema del mondo, tolta via affatto o quasi affatto, l’uomo è snaturato”802. La potenza dell’illusione colpisce pertanto sempre di nuovo, e dal nuovo tira fuori sempre la sua perla nascosta: poiché anche nei momenti in cui l’esperienza del nulla irrompe, sia sotto forma di dolore, sia sotto quella di fallimento, sia sotto forma di disperazione, ciascuno dei nostri respiri è portato dalla fede verso l’imprevedibile, verso la vita. Anzi, noi più intensamente proviamo la nullità dell’illusione, più la consideriamo qualcosa di nullo, poiché è tutta un’illusione, tanto più noi rendiamo palese il teatro del mondo. L’illusione è la natura più propria dell’uomo. In questo contesto emerge sempre di più come la realtà si presenta in una duplice forma: da un lato come il mondo delle passioni, dell’ispirazione, dell’improvviso, dell’inaspettato, dell’illusione che incalza (che assale uno) si origina da nuove domande, nuove azioni, nuove storie. Dall’altro la realtà appare in quanto concreta, in cui la maggior parte di noi vive e in cui ogni cosa è dimostrabile, deducibile, monotona. Ciò che è molto noto, ciò che è sempre uguale evoca la noia e l’irrigidirsi della vita dalla cui descrizione Leopardi parte in qualità di critico del mondo moderno. “ E’ pure una bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque quel giorno non abbia niente più a che fare col passato che qualunque altro, noi diciamo, come oggi accade il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza, fui tanto sconsolato etc..e ci par veramente che quelle tali cose che son morte per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci (l’idea della distruzione e dell’annullamento che tanto ci ripugna e illudendoci sulla presenza di quelle cose che vorremmo presenti effettivamente o di cui ci piace ricordarci con qualche speciale circostanza, come chi va sul luogo ove sia accaduto qualche fatto memorabile, e dice qui è successo, gli pare in certo modo di vedere qualche cosa di più che altrove nonostante che il luogo sia per esempio mutato affatto da quel che era allora”803. Con la sua teoria dell’illusione Leopardi non !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 802 Ivi, p. 34. 803 Ivi, p. 96.  ! 258!  mette in piedi una indeterminata dottrina dell’entusiasmo, bensì una teoria del fondante, di ciò che rende possibile l’ordine, la fonte di ogni vita originaria nel profondo. Egli perciò in alcun modo nega la necessità dei sistemi, il ruolo della ragione, l’importanza della filosofia, poiché le cose stesse hanno un sistema e sono ordinate secondo un piano e uno scopo. Ma la filosofia non può esaurirsi in una deduzione razionale pura né permettersi di celare il mistero della noia che evoca la storia. Ecco qui una profonda tesi umanistica originaria. Perciò non si tratta di costruire a priori il mondo, bensì di esperire l’abissale che agisce, l’abissale da cui ogni mondo innanzitutto può trarre origine, di esprimere cioè la potenza dell’inspiegabile, di ciò che Leopardi chiama illusione. Da ciò nascono le più tetre profezie leopardiane nei confronti dell’età razionalistica dominante. “L’Europa, tutta civilizzata, sarà preda di quei mezzi barbari che la minacciano dai fondi del settentrione; e quando questi di conquistatori diverranno inciviliti, il mondo si tornerà ad equilibrare. Ma fintanto però che resteranno barbari al mondo, o nazioni nutrite di forti e piene e persuasive, e costanti e non ragionate, e grandi illusioni, i popoli civili saranno lor preda”804. “Le quali cose se ridurranno finalmente gli uomini a perdere tutte le illusioni, e le dimenticanze, a perderle per sempre, ed avere davanti agli occhi continuamente e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno altro che le ossa, come gli altri animali di cui si parlò nel secolo addietro. Tanto è possibile che l’uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale sempre più ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice fiorisca e fruttifichi. Sogni e visioni. A riparlarci di qui a cent’anni. Non abbiamo ancora Allora dobbiamo dedurre che il Reale sia la natura, le passioni? Da parte di Leopardi la risposta a questa domanda è categorica: No. Il misterioso da cui si forma il teatro del mondo, la “scena” della storia, offre solo l’illusione, l’ossessione di un gioco inquietante nel quale noi stessi siamo solo attori o spettatori accettati. Dal momento che l’originario è indeducibile e perciò non è spiegabile in fondo attraverso il ragionamento analitico esso deve così essere riconosciuto come illusione, come ossessione. Sicuramente l’Illusione è generatrice di ordine, poiché è la ragione di ogni !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 804 Ivi, 24 marzo 1821.  ! 259!  grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storica, ma quello che si apre di fronte ai nostri occhi è tragico, poiché questa illusione senza fondamento non mostra nessun interesse per la sorte dei singoli, ma solo per il compiersi della storia dei drammi umani. L’illusione è generatrice di ordine e l’Appello al quale corrispondere, motivo di ogni grande azione, di ogni grande epoca, di ogni creazione storia. Con questa tesi viene ad essere rappresentata una concezione irrazionale, pragmatica? No, perché l’Illusione è ciò che è a fondamento dell’infondato, è il sistemare e distinguere, è ciò che è determinante, e per questo l’affermazione dell’Illusione non è alcuna negazione del legame e della legalità, ma al contrario è il rendersi palese di ciò che ordina e lega e svela il pezzo di “scena” in cui noi viviamo e agiamo. Forza misteriosa, che evoca l’illusione della storia, nella cui orbita facciamo la nostra comparsa per interpretare un ruolo: ma l’illusione della storia non mostra rispetto per la storia dei singoli. “La più grande nemica della barbarie non è la ragione ma la natura: (seguita però a dovere) essa ci somministra le illusioni che quando sono nel loro punto fanno un popolo veramente civile [...] le illusioni sono in natura inerenti al sistema del mondo, tolta via affatto o quasi affatto, l’uomo è snaturato”805. La potenza dell’illusione colpisce pertanto sempre di nuovo, e dal nuovo tira fuori sempre la sua perla nascosta: poiché anche nei momenti in cui l’esperienza del nulla irrompe, sia sotto forma di dolore, sia sotto quella di fallimento, sia sotto forma di disperazione, ciascuno dei nostri respiri è portato dalla fede verso l’imprevedibile, verso la vita. Anzi, noi più intensamente proviamo la nullità dell’illusione, più la consideriamo qualcosa di nullo, poiché è tutta un’illusione, tanto più noi rendiamo palese il teatro del mondo. L’illusione è la natura più propria dell’uomo. In questo contesto emerge sempre di più come la realtà si presenta in una duplice forma: da un lato come il mondo delle passioni, dell’ispirazione, dell’improvviso, dell’inaspettato, dell’illusione che incalza (che assale uno) si origina da nuove domande, nuove azioni, nuove storie. Dall’altro la realtà appare in quanto concreta, in cui la maggior parte di noi vive e in cui ogni cosa è dimostrabile, deducibile, monotona. Ciò che è molto noto, ciò !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 805 Ivi, p. 34.  ! 260!  che è sempre uguale evoca la noia e l’irrigidirsi della vita dalla cui descrizione Leopardi parte in qualità di critico del mondo moderno. “ E’ pure una bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque quel giorno non abbia niente più a che fare col passato che qualunque altro, noi diciamo, come oggi accade il tal fatto, come oggi ebbi la tal contentezza, fui tanto sconsolato etc..e ci par veramente che quelle tali cose che son morte per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano e sieno presenti come in ombra, cosa che ci consola infinitamente allontanandoci (l’idea della distruzione e dell’annullamento che tanto ci ripugna e illudendoci sulla presenza di quelle cose che vorremmo presenti effettivamente o di cui ci piace ricordarci con qualche speciale circostanza, come chi va sul luogo ove sia accaduto qualche fatto memorabile, e dice qui è successo, gli pare in certo modo di vedere qualche cosa di più che altrove nonostante che il luogo sia per esempio mutato affatto da quel che era allora”806. Con la sua teoria dell’illusione Leopardi non mette in piedi una indeterminata dottrina dell’entusiasmo, bensì una teoria del fondante, di ciò che rende possibile l’ordine, la fonte di ogni vita originaria nel profondo. Egli perciò in alcun modo nega la necessità dei sistemi, il ruolo della ragione, l’importanza della filosofia, poiché le cose stesse hanno un sistema e sono ordinate secondo un piano e uno scopo. Ma la filosofia non può esaurirsi in una deduzione razionale pura né permettersi di celare il mistero della noia che evoca la storia. Ecco qui una profonda tesi umanistica originaria. Perciò non si tratta di costruire a priori il mondo, bensì di esperire l’abissale che agisce, l’abissale da cui ogni mondo innanzitutto può trarre origine, di esprimere cioè la potenza dell’inspiegabile, di ciò che Leopardi chiama illusione. Da ciò nascono le più tetre profezie leopardiane nei confronti dell’età razionalistica dominante. “L’Europa, tutta civilizzata, sarà preda di quei mezzi barbari che la minacciano dai fondi del settentrione; e quando questi di conquistatori diverranno inciviliti, il mondo si tornerà ad equilibrare. Ma fintanto però che resteranno barbari al mondo, o nazioni nutrite di forti e piene e persuasive, e costanti e non ragionate, e grandi illusioni, i !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 806 Ivi, p. 96.  ! 261!  popoli civili saranno lor preda”807. “Le quali cose se ridurranno finalmente gli uomini a perdere tutte le illusioni, e le dimenticanze, a perderle per sempre, ed avere davanti agli occhi continuamente e senza intervallo la pura e nuda verità, di questa razza umana non resteranno altro che le ossa, come gli altri animali di cui si parlò nel secolo addietro. Tanto è possibile che l’uomo viva staccato affatto dalla natura, dalla quale sempre più ci andiamo allontanando, quanto che un albero tagliato dalla radice fiorisca e fruttifichi. Sogni e visioni. A riparlarci di qui a cent’anni. Non abbiamo ancora esempio nella passata età, dei progressi di un incivilimento smisurato, e di uno snaturamento senza limiti. Ma se non torniamo indietro, i nostri discendenti lasceranno questo esempio ai loro posteri, se avranno posteri”808. Attraverso la lettura dei passi leopardiani da me indicati sorge una serie di domande riguardo al problema del pessimismo di Schopenhauer: la conoscenza dell’illusione, dell’ossessione, quale fonte della storia umana, è tragica dal momento che questa potenza, che fonda l’accadere storico dell’uomo, non si può definire razionalmente, cioè conoscere in quanto abissale? Oppure: la conoscenza dell’illusione è tragica per questo, poiché è l’illusione e non la razionalità, secondo la tesi di Leopardi, quella potenza che lascia apparire e scomparire il mondo, e perché questa forza trainante misteriosa ha solo riguardo per lo svolgersi delle più diverse storie, ma nessun interesse per il destino dell’individuo, quando egli gioca e soffre il suo ruolo in questo dramma? Dunque l’illusione è solo un’astuzia con cui l’Abissale conduce l’uomo verso il teatro del mondo? Dove risiede allora l’essenziale identità o differenza tra la teoria dell’illusione di uno Schopenhauer e quella di Leopardi? La formulazione e la risposta a queste domande si discostano radicalmente dall’analisi del pensiero di Schopenhauer, così come tradizionalmente viene eseguita, quando si parte da Kant e dall’Idealismo tedesco per intendere Schopenhauer. Per me era profondamente importante qui mostrare il significato della teoria dell’illusione – che gioca un ruolo così profondo in Schopenhauer – alla luce di una prospettiva completamente diversa e poterne discutere. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! 807 Ivi, 24 marzo 1821. 808 Ivi, 18-20 agosto 1820.  ! 262!  APPENDICE III Traduzione di Vom Vorrang des Logos. Das Problem der Antike in der Auseinandersetzung zwischen italienischer und deutscher Philosophie, München, Beck, 1939, pp. 218. La ricerca della verità: il fondamento oggettivistico della verità, pp. 37-43. Oggetto di indagine filosofica è la questione relativa alla preminenza del Logos. L’inquadramento del problema e una definizione più veritiera possibile dell’essenza del Logos sono questioni che vanno però inevitabilmente rimandate ad un momento successivo. Ogni indagine filosofica rappresenta in sé una ricerca della verità che parte da un qualcosa di preesistente che in quanto tale presuppone già un determinato concetto di verità. Dal momento che però la filosofia non può presupporre nulla a priori, diventa necessario definire in maniera univoca il concetto di verità. Ma com’è possibile intraprendere un’indagine filosofica partendo da un determinato concetto di verità, se evidentemente questo non può che essere il risultato di una lunga e complessa ricerca? E se la filosofia non può presupporre nulla come sarà mai possibile verificare se il concetto di verità così com’è concepito corrisponde al vero? All’inizio di ogni indagine filosofica ci si ritrova sempre a dover affrontare quella che si rivela essere la difficoltà principale ossia la ricerca della verità presuppone che si conosca già la verità altrimenti come sarebbe possibile riconoscerla? In un suo dialogo Platone enuncia in maniera precisa questa aporia sottolineandone i tre momenti principali ovvero la possibilità dell’indagine, la possibilità del prefiggersi un qualcosa e la possibilità del riconoscere la verità che presuppongono già di per sé una conoscenza della verità. “Come potrai mai cercare una cosa che non conosci e cosa di ciò che non conosci ti prefiggerai di ricercare? E nel caso dovessi imbatterti in esso come riuscirai ad accorgerti che si tratta proprio di ciò che non conosci?”. Tuttavia ammettendo che la ricerca della verità presupponga, per poter aspirare ad essa, già una conoscenza, ciò ci conduce inevitabilmente di fronte a una seconda difficoltà ossia l’indagine filosofica appare superflua. Per quale motivo si dovrebbe cercare qualcosa che già si conosce? Questa riflessione sembra frenare sin dall'inizio qualsiasi indagine. Ma andando ad analizzare la questione più nel dettaglio ci si accorge ! 263!  immediatamente che essa in realtà fornisce già una prima indicazione utile (nell’individuazione del) concetto di verità al quale riferirsi nella ricerca: a quello che rende possibile l’indagine come punto di partenza e giusto approccio filosofico. L’aporia non riguarda la verità in sé ma solo una determinata concezione di essa. Quale? All’essenza dell’indagine appartiene tutto ciò che ricerchiamo e che in un certo senso è già esistente e non esistente. L’impossibilità che qualcosa allo stesso tempo sia e non sia è valida però per tutto ciò che è Ente e che ricade sotto il principio dell’identità: questo principio è applicabile sono ad un determinato ambito dell’Ente ovvero laddove esso in quanto oggetto dell’indagine venga concepito in maniera oggettivistica. Il principio dell’Identità non è applicabile al Divenire poiché in quanto tale esso ha già la caratteristica di poter essere e non essere. Da ciò si evince dunque che se il fondamento della verità viene identificato con l’immediata e concreta semplice-presenza di un qualcosa, la possibilità della ricerca viene meno. L’oggetto ha dunque solo due possibilità: la semplice-presenza e la non-presenza. Un tale fondamento della verità non ammette indagine e l’aporia si rivela come un qualcosa che non va ad interessare tutte le definizioni di verità ma bensì solo una determinata concezione di essa. Ma qual è da un punto di vista storico in generale la concezione di verità che nell’immediatezza della semplice-presenza di un oggetto ne vede il proprio fondamento? È quella concezione di verità che tradizionalmente per analogia accettiamo come valida in quanto afferma che la verità è verità logica essenziale e che in quanto tale appartiene solo al pensiero inteso come pensiero dell’Essere sia nella forma di oggetto razionale, come le idee di Platone, che in quella di oggetto sensoriale come nell’espressione dei sensi (secondo l’interpretazione di Aristotele). Il congiungere, l’atto di unire del pensiero, che si esprime nella concezione di unità come connexio di soggetto e predicato, il giudicare, sono veri nel momento in cui uniscono o separano ciò che si appartiene o non si appartiene, così com’è nell'Essere. In primo luogo è doveroso sottolineare che sulla base di una tale concezione il fondamento della verità appare innanzitutto come l’immediato manifestarsi dell'Essere in quanto oggetto; in secondo luogo che il fondamento della verità del pensiero non si trova nel pensiero stesso ma al di fuori di esso e che per questo la preminenza del Logos come pensiero viene negata; in terzo luogo che la definizione del fondamento della verità ! 264!  in una tale concezione deve essere necessariamente caratterizzata in maniera oggettivistica, indipendentemente dal fatto che si tratti di un fondamento empiristico o razionalistico. L’interrogativo circa il dove storicamente questa concezione si presenti realmente, sotto questa forma, resta dunque ancora da sciogliere. La semplice-presenza come verità dell'Oggettivismo Analizziamo ora in maniera più approfondita la concezione oggettivistica del fondamento della verità (così come della conoscenza) per verificare se essa effettivamente ha ciò che rivendica. La concezione oggettivistica del fondamento della verità (così come della conoscenza) si richiama all’immediato manifestarsi di un qualcosa, alla sua semplice-presenza. Il fondamento del rivelarsi nel presente di un qualcosa non si cela però, in una tale concezione, dietro il concetto di semplice-presenza in sé ma consegue da esso, è l’oggetto, il Faktum empiristico o razionale. La contraddizione tipica di questa asserzione è che l’essenziale non viene identificato con il manifestarsi dell’oggetto ma bensì con l’Essere-per-sé, che viene prima dell’apparire, ma allo stesso tempo si richiama alla sua immediata semplice-presenza per poter affermare il suo Essere. Se per poter superare questa difficoltà si identifica il fondamento concreto della verità con la semplice-presenza del manifestarsi di un qualcosa, con il quale esso dovrebbe essere raggiungibile (volendo comunque mantenere ancora l’Essere-per-sè dell’oggetto), l’Essere-per-sè dell’oggetto diventa in questo modo irraggiungibile e indefinibile. Dal momento che in questo caso considereremmo l’oggetto solo fino a che esso continui a rivelarsi in e attraverso una qualsiasi semplice-presenza, non avremmo più alcuna possibilità di fare riferimento al suo Essere-per-sé, e ciò che appariva solo come un processo di appropriazione, ossia mediazione intenzionale della semplice-presenza, diviene il fondamento per il quale un qualcosa può rivelarsi in quanto tale. Hegel respinge questo concetto dualistico tra l’oggetto e il processo dell’apparire inteso come mediazione intenzionale affermando, con la terminologia che gli è propria e che deriva dalla questione al superamento del dualismo teorico-conoscitivo dell’Essere-per-sé e dell’Essere-per-noi, che: “se il conoscere è lo strumento per potersi impossessare dell’essenza assoluta allora è altrettanto evidente come l’utilizzo di uno strumento su un oggetto non lo lasci ! 265!  inalterato ovvero così come esso è per sé stesso ma bensì porti con sé una forma e dei cambiamenti. Altrimenti il conoscere non sarebbe più strumento della nostra attività ma bensì, per così dire, un mezzo passivo attraverso il quale la luce della verità può arrivare a noi, non così com’è in sé stessa ma così com’è attraverso e in un mezzo. Appare dunque chiaro che solo mediante la conoscenza del funzionamento dello strumento si può porre rimedio a questi inconvenienti; poiché tale conoscenza rende possibile escludere da ciò che si ottiene quella parte di definizione che a partire dall’assoluto deriva dall’uso dello strumento e conservarne così solo il Vero puro. Basterebbe questo miglioramento a riportarci nella condizione in cui ci trovavamo in precedenza. Se a una cosa già formata togliamo di nuovo l’effetto che su di essa ha avuto lo strumento, quella cosa, qui l’Assoluto, tornerà a noi così com’era prima di tale superflua premura”. Il fondamento oggettivistico della verità appare dunque falso. Ma se esso non è in grado di spiegare la verità può almeno spiegare la possibilità dell’errore? Come può però un oggetto, così come è stata considerata anche la sua essenza, essere preso per un altro se esso si manifesta solo nell’immediatezza? Questo vale sia per una concezione empiristico-oggettivistica del fondamento del manifestarsi sia per una razionalistico-oggettivistica. In effetti se un qualunque manifestarsi di un qualcosa viene considerato immediato sarà altrettanto necessario considerare immediata, e dunque come un qualcosa di non-presente, la sua velatezza. Per questo motivo non può esserci un passaggio intermedio tra velatezza e manifestazione, e per velatezza va intesa solamente quella di un oggetto, come quella di un qualcosa di immediato che supera la nostra ricerca della verità. Non si può superare questa difficoltà nemmeno affermando di voler passare dalla non-conoscenza alla conoscenza, basandosi solo sulla porzione di verità che si conosce e che può far cadere in errore dal momento che si può confondere ciò che si conosce con ciò che non si conosce. Per questo per la “restante” porzione di verità che non si conosce resta valida l’originaria aporia che riguarda il ricercare. Non possiamo né ricercare ciò che non conosciamo né cadere in errore confondendo ciò che non conosciamo con qualcosa che conosciamo o con qualcos’altro che non conosciamo. L’aspirazione al raggiungimento della verità e l’errore vengono considerati attraverso la concezione del fondamento della conoscenza come un qualcosa di immediato, ! 266!  oggettuale, simile a un’illusione e ridotto ad un niente. In quest’ottica appare anche impossibile un passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza. Il processo come fondamento del manifestarsi di qualcosa È necessario dunque sottolineare che due momenti, quello della possibilità della ricerca della verità e quello della possibilità dell’errore, sono da considerare come i criteri in base ai quali poter riconoscere quella verità che cerchiamo. L’interrogativo circa il fondamento della verità può essere genericamente definito come l’interrogativo sul fondamento del manifestarsi di un qualcosa e che in quanto tale sin dall’inizio non può essere considerato come immediato e oggettuale in quanto una qualsiasi immediatezza oggettivistica non consentirebbe la definizione di un tale rivelarsi che invece qui deve essere oggetto di indagine filosofica: quel manifestarsi che rende possibile la ricerca. La questione della verità resta dunque identificata con l’interrogativo circa l’essenza del manifestarsi di qualcosa. Attraverso ciò appare subito chiaro come il ricercato fondamento del concetto più veritiero possibile di verità sia da trovare mediante un processo assoluto: questo processo deve coincidere in origine con il rivelarsi di qualcosa, di ciò a cui aspiriamo. Se tale processo del manifestarsi si basasse su qualcos’altro al di fuori di esso si verificherebbero nuovamente le difficoltà già esposte in maniera esauriente. Nel caso in cui il fondamento del manifestarsi di qualcosa mettesse radici in un processo, in un divenire, in un avere e non avere, bisognerebbe ammettere che ciò che ci appare ci appartiene dalle origini e allo stesso tempo è celato in noi. Il processo del manifestarsi deve quindi contemplare anche la possibilità del celarsi e dello scoprirsi: il processo del manifestarsi, e dunque qualcosa di non ancora divenuto ma in divenire, è il primo originario. Dal momento che però il manifestarsi di qualcosa non è un qualcosa che va al di là del processo ma è contenuto in esso, il processo stesso e quindi il fondamento del manifestarsi non sono che una lotta per quello che si cela in noi, un ritorno a ciò che abbiamo già, un tentativo di scoprire ciò che è celato. Solo attraverso la vittoria in questa lotta e la conquista di un qualcosa che già ci apparteneva si genera la possibilità della conoscenza, del riconoscere qualcosa da un qualcos’altro, che può diventare la prima ragione di qualsiasi ulteriore affermazione della verità. Da notare che nella logica tradizionale l’essenza della ! 267!  verità è stata ricercata nel Logos, nel pensiero come pensato e dunque oggetto, e analizzata nelle sue forme e nelle sue manifestazioni. L’oggettivismo di una tale concezione si mostra qui in una doppia veste: il fondamento della verità viene visto come l’oggettivistico e immediato manifestarsi di un qualcosa e la verità stessa ricercata nel pensiero come oggetto e nelle forme del pensato. Appare dunque evidente che qualsiasi tentativo di ricercare in qualcosa di oggettuale, anche se è soltanto nel pensiero come pensato, il fondamento e le forme della verità fallirebbe nel suo obiettivo sin dall’inizio dal momento che tutto ciò che è oggettuale non potrà mai essere il fondamento originario del rivelarsi di un qualcosa rispetto a qualcos’altro. Allo stesso modo ogni tentativo di trovare una logica del pensato che consideri il pensiero solo come oggetto si rivelerà fallimentare in quanto tale logica non va a ricercare l’essenza della verità nell’ambito originario di un processo o di un atto, nel quale soltanto qualcosa può apparire in quanto tale e dal quale può prendere origine la verità oggettuale. Avendo così la logica tradizionale studiato la verità nel pensiero inteso come pensato, come oggetto nelle sue svariate forme, ed essendo partita da un tale presupposto per la definizione del problema teoretico-conoscitivo, motivo per il quale si è potuto identificare il pensiero come momento di conoscenza dall’Essere, non ci si è più interrogati circa la forma originaria della verità. L’interrogativo iniziale su come un qualcosa possa essere fondamento della verità di qualcos’altro viene sostituito dall’interrogativo sulle forme del pensiero. Per ciò che riguarda in particolare la definizione del problema da un punto di vista teoretico-conoscitivo, dal confronto tra due pensati, l’Essere-per-sé e l’Essere-per-noi, per i quali resta valido sempre e soltanto l’identità come principio dell’Ente oggettuale, appare evidente che mai si potrà ottenere la verità come processo del passaggio dall’uno all’altro. ! Differenza ontologica e disposizione d’animo, pp. 52-58 Non dobbiamo perdere di vista il filo conduttore della nostra indagine. Siamo venuti a conoscenza di un elemento fondamentale ossia che il problema della verità può essere inteso solamente come ricerca del fondamento del manifestarsi e che ciò non deve essere inteso come strettamente oggettuale. ! 268!  Attraverso ciò siamo poi giunti alla definizione del problema del Logos: il fondamento del manifestarsi può essere interpretato unicamente come un processo o un atto che non è altro che unità, congiunzione, leghein come veniva definito dai greci sulla base del significato originario del termine. La questione circa la preminenza del Logos deve essere impostata in modo che né il manifestarsi in sé né le sue forme, così come l’atto originario dell’unire, del congiungere, del completare, possano essere predeterminati. Va verificato se il concetto di svelatezza di Heidegger si celi in una tale concezione del Logos o se, come sembra, il processo originario, per mezzo del quale l’Essere si manifesta e dal quale deriva il problema metafisico, affondi le proprie radici nell’irrazionale, nell’illogico, nell’immediato. Così dicendo si potrebbe pensare che Heidegger neghi la preminenza del Logos soprattutto se in tale contesto si richiama alla mente il suo tanto auspicato tentativo di superamento della preminenza della logica così come le sue asserzioni circa la derivazione del problema metafisico dalla disposizione d’animo. Per giungere alla corretta interpretazione del pensiero di Heidegger bisogna innanzitutto chiedersi cosa si intenda con il fenomeno della disposizione d’animo e se esso sia qualcosa di illogico o se abbia origine in un atto, in un processo del leghein (come unità, legame originario). Nella disposizione d’animo, nella paura si genera, secondo Heidegger, il manifestarsi dell’Essere rispetto all’Ente. Ciascun Ente per poter essere riconosciuto come tale e dunque nel suo Essere, deve già essere manifesto in tale Essere. Questa svelatezza dell’Essere, secondo Heidegger, non è che un separarsi dal nulla e ciò si compie nella disposizione d’animo. Questa primordiale disposizione d’animo deve essere dunque intesa come momento determinante del processo che abbiamo riconosciuto come fondamento della svelatezza? Tale processo è fondamentalmente trascendenza, elevazione dell’Ente a totalità che attraverso di esso giunge a palesarsi, alla svelatezza: il dispiegarsi di questa radice originaria come processo contiene in sé già la possibilità dell’interrogarsi, del perché: poiché la svelatezza è processuale ed è possibile per mezzo di un Divenire, di un Essere e di un Non-Essere essa procede per interrogativi. Così si delinea il problema seguente: su che cosa si fondano la trascendenza, la disposizione d’animo e la possibilità del perché? Heidegger prende come punto di partenza per affrontare questo problema ! 269!  innanzitutto la definizione tradizionale di verità che si orienta alla proposizione, alla connexio tra soggetto e predicato. Questa a sua volta rimanda al fondamento e alla ragione. Per tale motivo il problema della verità è strettamente legato a quello della ragione. La verità della proposizione (anche verità ontologica) non consente però la comprensione dell’Essere dall’Ente ed essa stessa è possibile unicamente sulla base di una svelatezza originaria, definita come verità ontica, una verità sulla base della quale l’Identità o la Non-Identità di soggetto e predicato possono essere riconosciute. La stessa verità ontica si fonda nell’affettività istintiva che è legata dunque alla disposizione d’animo, nell’agire intenzionale che aspira all’Ente; questa non può però essere mai originariamente accessibile all’Ente se prima non c’è stata una comprensione dell’Essere dall’Ente. La verità ontologica e la verità ontica affondano dunque le loro radici in una verità pre-ontologica la cui natura resta ancora da definire. Heidegger sottolinea come tra la comprensione dell’Essere pre-ontologica e l’espressa problematica dell’afferrare la concezione di Essere vi siano diversi passaggi che possono già fornirci un esempio di una qualsiasi precomprensione dell’Essere originaria. Ad esempio i principi basilari delle singole scienze, come ad esempio il fondamento del domandarsi che è proprio ad ognuna di esse, indicano e delimitano un determinato campo come ambito di una possibile oggettivazione attraverso la conoscenza scientifica, senza essere loro stessi oggetto di indagine scientifica. Questo concepire, che è proprio dei principi basilari delle singole scienze, per la prima volta apre il cammino verso l’indagine e dal momento che esso stesso non è oggetto di indagine presuppone una determinata precomprensione dell’essere rispetto all’Ente. Una domanda sorge quindi spontanea: come va intesa l’originaria comprensione dell’Essere rispetto all'Ente, che è ciò che rende possibile ogni comportamento all’Ente (e quindi l’originaria pre-comprensione)? Questo interrogativo assume un’importanza fondamentale dal momento che se la disposizione d’animo dipende da un modo di riferirsi all’Ente ed è un ritrovarsi-nel mezzo-dell’Ente, allora con la risposta all’interrogativo sull’essenza di una qualsiasi pre-comprensione, che è ciò che consente qualsiasi comportamento all’Ente, dobbiamo necessariamente ottenere anche lo scioglimento della questione dell’essenza della disposizione d’animo e dunque dell’origine pre-ontologica della svelatezza rispetto all’Ente. ! 270!  Heidegger afferma che la svelatezza dell’Essere è sempre verità dell’Essere rispetto all’Ente e che la svelatezza dall’Ente è sempre tale del suo Essere; per questo motivo né l’Essere né l’Ente sono separabili l’uno dall’altro in quanto l’Ente può manifestarsi tale solo grazie al manifestarsi dell’Essere e viceversa. Questo legame intrinseco tra unità (dell’essere) e molteplicità (dell’ente) può essere concepito solo come processo, come atto e per questo come realizzarsi dell’unità attraverso la congiunzione e la separazione. Tale atto inteso come fondamento della svelatezza è la differenza ontologica, laddove essa non si determina precedentemente o successivamente al manifestarsi di un qualsiasi atto ma bensì nel suo compimento. Heidegger dichiara che “la così definita e necessaria sdoppiata essenza ontico-ontologica della verità è possibile solo in unione con l’affermarsi di tale distinzione”. Da ciò si evince innanzitutto che il fondamento della svelatezza si presenta come atto e poi che Heidegger definisce tale atto come Logos, come leghein in senso più ampio, poiché afferma, facendo riferimento alla pre-comprensione originaria dell’Essere dell’Ente, che esso è “tutto l’agire come processo illuminante della comprensione dell’Essere in senso ampio”. Il fondamento della svelatezza, che dunque rende possibile ogni comportamento all’Ente (verità pre-ontologica che è così fondamento della verità ontica e ontologica e disposizione d’animo laddove essa è intesa come ritrovarsi-nel mezzo-dell’Ente) è Logos ma non inteso in senso tradizionale come atto del pensiero che si deve necessariamente basare su un’originaria semplice-presenza dell’Ente; nemmeno come definizione di una verità logica che deriva da un’indagine del pensiero come oggetto, bensì come processo del ricongiungere e del separare, processo del distinguere come un venire-alla-luce. Il manifestarsi di un qualcosa rispetto a qualcos’altro affonda dunque le proprie radici in un qualsiasi atto originario. Il fondamento della verità può essere realmente inteso come “svelatezza” e tale termine mantiene il suo significato metafisico e logico e si contrappone a una concezione della verità (“come equivalenza”), il cui fondamento è un qualcosa di imminente e oggettuale. Come si pone questa concezione rispetto alla precedente convinzione secondo cui la svelatezza dell’Essere dall’Ente trovava origine nella disposizione d’animo e come si collega ciò alla differenza ontologica? Abbiamo osservato come la differenza ontologica quale fondamento della svelatezza dell’Essere ! 271!  rispetto all’Ente non sia che trascendenza: ma cosa dobbiamo intendere qui con trascendenza? Se si verifica lo svelarsi di un qualcosa in seguito a un processo, a un atto del distinguere, tra la differenza ontologica dell’Essere e dell’Ente, l'essenza di un qualsiasi atto deve essere necessariamente trascendenza in quanto in esso prevale già ciò che si svela. Per questa ragione anche una qualsiasi trascendenza è in origine fondazione e fondamento di tutto l’apparire che non può essere considerato separatamente da esso ma che è bensì ciò che lo rende possibile. L’atto della differenza ontologica, che a seconda della sua essenza porta l’Ente alla svelatezza, è svelatezza di una molteplicità (dell’ente) contenuta in un’unità, in un mondo, in un ordine, in un cosmo. L’Esserci trascende, ovvero è nell’essenza del suo Essere di formare il mondo. Il mondo, come sottolinea Heidegger, non è dunque inteso come totalità degli Enti esistenti, ai quali tra l’altro appartiene anche l’Esserci, ma bensì come la totalità degli Enti in cui e per cui anche l’Esserci è comprensibile. Dal momento che se ciò che si manifesta non precede o segue immediatamente un atto originario allora una qualsiasi svelatezza non risulterà altro che quella dell’atto stesso. Ciò permette di comprendere lo stretto legame esistente tra trascendenza e disposizione d’animo. Trascendere ovvero Esserci in senso metafisico è così fondamentalmente un Essere-nel-mezzo-dell’Ente e dunque trovarsi. Da ciò ne deriva che l’Esserci stesso nella sua essenza e attraverso la totalità degli Enti ad esso appartenenti è un Essere mediato dalla disposizione d’animo. L’Esserci si afferma così realmente nell’Ente in questo modo, laddove si realizza il secondo modo del fondamento. Con disposizione d’animo non va inteso qualcosa che precede il processo originario della svelatezza e nemmeno qualcosa che presuppone il processo e si differenzia da esso; non è nulla di immediato ma bensì appartenente originariamente al fondamento della svelatezza come processo. Se la svelatezza è processuale allora, come affermato in precedenza, lo è per mezzo di un Divenire, di un Essere e di un Non-essere, e dunque ad essa appartiene insieme alla trascendenza e la disposizione d’animo anche il perché, terzo modo del fondamento della svelatezza così come lo definisce Heidegger. Dunque nell'ottica di un'interpretazione della differenza ontologica come processo o atto originario, unitario che si compie da sé ne deriva la comprensione ! 272!  della necessità dei tre modi nei quali è insito il fondamento, e della definizione heideggeriana di verità come svelatezza. La possibilità dell’errore e la definizione di logos come processo assoluto, pp. 110-111. L’episteme come doxa alethes. Da un’approfondita critica dell’oggettivismo naturalistico si è approdati a una prima definizione di leghein in cui compare l’Essere. Nella necessità di una definizione ossia di un’affermazione generale (giudicare, pensare) si è giunti al superamento del relativismo e attraverso di essa a una prima comparsa dell’Essere. Tuttavia ciò non risolve né il problema teoretico del Logos né la questione interpretativa del testo di Platone. Come dobbiamo considerare dunque nel dettaglio questo atto inteso come pensiero, come giudizio? E come lo definisce Platone? Ma soprattutto com’è da considerare una qualsiasi necessità? Come una ricerca di soddisfacimento al di fuori di essa stessa? È dunque il pensiero solo una forma esteriore per impossessarsi dell’Essere come suo contenuto e la verità il risultato dell’equivalenza del pensiero con un Essere ad esso esteriore? Questa è la questione che partendo da un punto di vista storico e sistematico dovrebbe portare con la sua risoluzione ad un’ulteriore interpretazione del pensiero di Platone. Che l’anima abbia un’originaria aspirazione all’Essere che riesce ad appagare unicamente aspirando per essa stessa all’Essere, non definisce ancora modi e modalità di alcun processo. Platone dimostra come un atto, un processo del leghein, che si fonda su un qualcosa di oggettivo, non riesca a spiegare il fenomeno dell’errore. Fondamentalmente l’errore è strettamente connesso alla verità; poiché la necessità di affermazione del generale si rivela in modo tale da rendere la tesi relativistica erronea. L’indagine filosofica così come dovrebbe essere interpretato il processo, l’atto del leghein, si cela, come vedremo, dietro il quesito se un fondamento oggettuale del leghein possa spiegare o meno l’errore. La risposta a questo interrogativo la troviamo nel Teeteto: il processo del leghein è completo? Ha una fondamento oggettuale? Abbiamo visto l’Essere ergersi a leghein in una condizione di necessità: leghein significa essenzialmente portare qualcosa alla sua unità e ciò viene a compiersi in una condizione di necessità del pensiero e del giudizio. Si tratta quindi di un rigetto dell’estetica e del presentarsi di un nuovo ! 273!  fondamentale processo. Considerare qualcosa per qualcos’altro sulla base del giudizio, del pensiero è ciò che il filosofo greco distingueva dall’apparizione immediata e che dunque deve essere oggetto dell’indagine filosofica. Questa è la ragione per cui la doxa diventa l’oggetto per Teetèto. Ma a quali doxa, a quale pensiero ci si riferisce qui? Abbiamo dimostrato in precedenza come la stessa teoria relativistica sia già un pensiero, un’affermazione generale: dunque questo nuovo fenomeno è il pensiero. Ma dal momento che non tutti i pensieri sono veri solo per il fatto di essere tali, la doxa dunque può essere sia falsa che veritiera. La doxa può essere identificata genericamente con il pensiero ma non ancora necessariamente veritiero: da ciò ne deriva che il significato generale di doxa come pensiero non è che quello di un’opinione e non di una conoscenza motivata, non un pensiero che abbia in sé la garanzia della verità. Da qui nasce la necessità, dopo aver dimostrato che non si tratta di estetica o fantasia, di riconoscere una nuova definizione di episteme come “opinione vera”. “Di’ ancora una volta cos’è la conoscenza. Dire che tutte le doxai, le opinioni lo siano non è possibile, o Socrate, in quanto ve ne sono anche di false. Di sicuro però l’opinione vera è conoscenza”. Il problema della lingua e il suo significato ontologico, pp. 179-189. Legame tra ricerca del fondamento del manifestarsi e quella del fondamento delle parole e dell’arte. In precedenza abbiamo definito il fondamento dell’apparire di un qualcosa come tale un atto o processo del leghein, il cui carattere resta però ancora piuttosto generico: con esso andrebbe inteso unicamente il congiungere, il riunire, il circoscrivere attraverso cui un qualcosa può manifestarsi come tale. Abbiamo elaborato questa tesi in relazione alla concezione heideggeriana della differenza ontologica intesa come atto del trascendere, origine dei tre modi del fondare, “Logos in senso più ampio”. Alla luce di ciò abbiamo rigettato un’interpretazione illogica del fondamento della verità facendo riferimento alla disposizione d’animo. Quest’ultima non è da intendersi però come un qualcosa di pre-logico che precede un qualunque processo quale fondamento originario del rivelarsi di un qualcosa: ciò conferma anche l’interpretazione dell’affettività. Quando abbiamo però definito la disposizione d’animo come momento logico in senso ampio non era stato detto ancora nulla circa ! 274!  il suo rapporto con il Logos inteso come pensiero: non sapevamo ancora come definire il fondamento del manifestarsi. Solo attraverso l’interpretazione del pensiero di Teeteto e la discussione su quei problemi sistematici in esso contenuti siamo giunti a un’ulteriore definizione del Logos come necessità originaria, che si autoimpone, di affermazione del generale e dunque del giudicare, del pensare. Il processo dell’originario del leghein assume così un primo e determinante significato. Diversamente da quanto si ritrova nel pensiero di Heidegger, esso non è inteso qui come ricongiungere, radunare, riunire ossia riportare a quell’unità originaria nella quale l’Ente può apparire come tale, in senso generale, ma bensì come un ben determinato ricongiungere e riunire: quello del pensiero che si manifesta nella necessità di affermazione del generale. Come abbiamo visto nel Teeteto, nella necessità di affermazione del generale si manifesta per la prima volta l’Essere, ciò che esiste. Il fondamento del manifestarsi è stato da noi riconosciuto nella parola, nella lingua come un lasciar apparire metafisico di un qualcosa attraverso il legame con la necessità di affermazione del generale. Questa necessità originaria si manifesta in una ben determinata forma di problematicità dell’Ente ogni qualvolta non si sa come intendere una determinata cosa. Dell’origine di tale atto, dell’impossibilità di dedurlo dal pensato, così come è inteso da Hegel, abbiamo già discusso nel capitolo precedente, riassumendo a tal proposito la critica di Gentile al pensiero del filosofo tedesco. Per quanto riguarda il pensiero di Heidegger, va sottolineato che fino a quando non riusciremo a stabilire se egli ha assegnato all'atto della trascendenza (intesa come “Logos in senso ampio) una determinata forma (quella del pensiero pensante) o se ha lasciato la questione irrisolta, anche la nostra interpretazione non potrà essere completa. Se però Heidegger nei suoi scritti avesse in qualche modo iniziato un’implicita dissertazione sulle diverse forme di svelatezza, senza fattivamente distinguerle, ad esempio in “Hölderlin e l’essenza della poesia” in cui egli parla della funzione della parola poetica nel suo carattere di manifestazione, questa non dovrebbe essere assolutamente trascurata. Tale questione non può essere discussa se prima non si definisce il carattere fondante della svelatezza. Ci troviamo così di fronte ad un interrogativo rilevante: il processo originario che si manifesta nella necessità di affermazione del generale è l’unica forma della svelatezza? Dobbiamo attribuire al Logos, ! 275!  alla parola, alla lingua unicamente la necessità di affermazione del generale? A questo punto è necessario far notare che in nessun caso le forme della svelatezza posso essere classificate sulla base di ciò che appare per mezzo del pensiero pensante. Questo perché nel momento in cui dovesse emergere una distinzione nelle forme della svelatezza ciò dovrebbe essere presentato mostrando che oltre alla necessità di affermazione del generale esistono altre forme del fondamento originario del manifestarsi e dunque dell’interrogarsi, dell’aspirare all’Ente. Dobbiamo quindi chiederci se il leghein si impone a noi solo come pensiero pensante e dunque necessità di affermazione del generale o anche sotto altre forme: ovvero se la parola, il Logos abbiano solo un significato “logico”. È evidente come un tale problema si ponga solo se, come nel nostro caso, in precedenza si è definita in maniera chiara una prima manifestazione della forma del Logos ad esempio come necessità di affermazione del generale. Ma come possiamo sviluppare tutti questi differenti quesiti in maniera unitaria ricollegandoli alla precedente indagine? È necessario chiarire tutte le questioni che si presentano anche attraverso la presa di posizione di Heidegger chiedendoci se il Logos come necessità di affermazione del generale costituisca l’essenza delle parole o se esso si manifesti anche sotto altre forme. Per determinare l’essenza delle parole dovremmo innanzitutto capire se nel discutere di ciò Heidegger fosse consapevole del problema; in questo modo potremo determinare definitivamente la nostra interpretazione del pensiero di Heidegger e la nostra posizione in merito. Successivamente andremo a verificare le tesi proposte nella Fenomenologia di Hegel, che si celano in maniera particolare dietro gli assunti del Teeteto, per discutere del legame tra il problema della parola e il problema dell’arte. Va notato come la questione se la parola abbia o meno solamente un significato logico è l’essenza della seconda corrente critica di Hegel in Italia la quale lega strettamente tale questione con l’interrogativo se la parola ad esempio in poesia non abbia una propria forma del manifestarsi dell’Ente. Nella discussione e nel tentativo di risolvere la questione, nella contrapposizione al pensiero di Hegel, si ritorna di nuovo in Italia al piano ontologico. Questo dal momento che se la parola, la poesia e dunque l’arte hanno un proprio manifestarsi dell’Ente rispetto alla parola così come per la filosofia quale necessità di affermazione del generale ciò ha un doppio ! 276!  significato: innanzitutto che tra l’arte come forma del manifestarsi dell’Ente e la filosofia, contrariamente a quanto afferma Hegel, non vi è alcuna relazione dialettica. Su questa scia la filosofia italiana si oppone alla caratteristica tesi heideggeriana sulla morte dell’arte nell’era della filosofia in quanto tale tesi sarebbe espressione della relazione dialettica tra arte e filosofia laddove l’arte appare come un momento che va scomparendo e che si conserva nella filosofia. La seconda cosa che emerge è che questo quesito non è una domanda di estetica ma bensì una metafisica, ontologica in quanto essa rappresenta il rifiuto della concezione dialettica del fondamento del manifestarsi dell’Ente: dunque un quesito molto importante. Il problema ontologico della lingua in Heidegger. Sulla base di una precisa interpretazione dello scritto heideggeriano “Hölderlin e l’essenza della poesia” andremo a discutere dell’imporsi del problema della forma del manifestarsi. La domanda se il Logos come parola, come lingua debba essere inteso solo come unione così com’è nel pensiero, si pone in questo scritto congiuntamente al problema del fondamento del manifestarsi dall’Ente. Heidegger afferma: “La lingua per prima accoglie la possibilità di trovarsi nel mezzo della manifestazione dall’Ente”; “Solo dove vi è lingua vi è mondo”. Poi ancora aggiunge: “La lingua ha il compito di permettere all’Ente di manifestarsi come tale nell’opera e di custodirlo”. Come dobbiamo intendere ciò? Alla parola deve essere attribuita unicamente la determinazione dell’espressione del generale? Già nello scritto “Dell’Essenza del fondamento” Heidegger aveva identificato il manifestarsi dell’Ente come differenza ontologica e dunque trascendenza. È dunque la differenza ontologica essenzialmente parola e l’essenza della parola nient’altro che il manifestarsi della verità? Se la parola, la lingua, così come inteso da Heidegger, sono strettamente legate alla poesia, dobbiamo dunque ritenere che l'essenza della poesia sia solo verità? E di che verità si tratta? Quella “logica”? Appare evidente che solo sollevando queste questioni nello sviluppo del nostro problema nel tentativo di definire il Logos potremmo prendere una posizione rispetto a quanto asserito da Heidegger. Per questo è innanzitutto necessario capire se l'intera questione della lingua è stata spostata da Heidegger su un piano ontologico. Considereremo il suo scritto proprio da questo punto ! 277!  di vista. Dal momento che la discussione heideggeriana sull’essenza della poesia si sviluppa come interpretazione di un poeta, in un primo momento la questione appare essere considerata da un punto di vista che è al di fuori da qualsiasi piano metafisico e ontologico. Che l’ambito non sia estetico o storico-letterario ma principalmente metafisico si evince però dalla scelta dei versi di Hölderlin che Heidegger pone alla base della sua interpretazione. Le posizioni di Hölderlin a cui Heidegger fa riferimento considerano l’essenza della lingua in congiunzione con l’essenza dell’uomo. Nella sua interpretazione Heidegger afferma che l’uomo nella sua essenza “è colui il quale deve dimostrare ciò che è. Con questa affermazione non si vuole qui intendere un’espressione supplementare e a sé stante di umanità ma bensì la determinazione dell’Esserci dell'uomo”. Cosa deve testimoniare l’uomo? “La sua appartenenza alla terra”. Anche questa asserzione risulta difficile da comprendere in quanto nella nostra comune concezione di uomo la sua appartenenza alla terra è l’unica cosa che non deve essere dimostrata dal momento che non dipende dall’uomo stesso. Appare dunque inspiegabile come essa possa essere considerata un suo compito, un’attività da compiere che si impone costantemente all’uomo, e come essa si leghi alla questione della parola. Da ciò si evince però un punto fondamentale: se per Heidegger l’uomo è tale solo in quanto lo testimonia, ciò significa che la sua essenza non si manifesta nella semplice-presenza ma bensì in un atto da compiere e realizzarsi. Tale atto viene definito da Hördelin come testimonianza “dell’intimità” con la terra. Secondo Heidegger con il termine di Hörderlin “intimità” è da intendersi ciò che pone in conflitto e allo stesso tempo riunisce le cose. La “testimonianza dell’appartenenza a tale intimità avviene attraverso la creazione di un mondo [...] la testimonianza dell’essere uomo e dunque il suo compimento avviene attraverso la libertà della decisione. Questa coglie il necessario e si lega ad un ordine superiore”. Come dobbiamo però intendere l’asserzione secondo la quale l’uomo crea il mondo e in che modo questa creazione ha a che fare con la poesia, la parola e la sua essenza? Heidegger afferma che “l’essenza dell’uomo, il suo vissuto è comprensibile solo come storia e che la storia è possibile solo attraverso la parola.” In ciò ritroviamo una possibile interpretazione della concezione heideggeriana di una qualsiasi creazione del mondo in cui vi sia l’essenza dell’uomo (creare che si lega alla parola). Il ! 278!  mondo che appartiene all’uomo è solo il mondo della parola dal momento che effettivamente si evince che l’uomo si appropria della realtà esistente così come percepita considerandola il proprio mondo solo attraverso il “denominarlo”: solo il “mondo denominato” è il suo mondo, il suo cosmo. Questa appropriazione rappresenta la storia del formarsi dell’uomo. Interpretare in questa maniera il pensiero di Heidegger sarebbe sbagliato in quanto come egli stesso afferma che la lingua non ha il compito di denominare qualcosa che è già esistente per creare un mondo supplementare del significato, ma bensì è nella parola stessa che si rivela per la prima volta l’Ente e lo fa solo nella parola. “La lingua non è solo uno strumento che l’uomo possiede insieme a tanti altri ma bensì la lingua concede innanzitutto la possibilità di stare nel mezzo del manifestarsi dall’Ente. Solo dove c’è lingua può esserci mondo”. “La lingua ha il compito di permettere all’Ente di manifestarsi nell’opera e di conservarlo tale”. In questo modo la parola acquisisce un nuovo e determinato significato: essa non è più la parola pronunciata, il mondo che esprime la fonetica e che ha molte altre possibilità di espressione ma bensì parola significa qui prima manifestazione dell’Ente: parola, Logos come fantasia, come apparizione nel senso più originario del termine. Heidegger aggiunge poi: “La poesia è fondazione attraverso la parola e nella parola”. Ma cosa significa qui fondazione? Se provassimo a tradurlo in termini filosofici (termini legati a una determinata problematica teoretico-conoscitiva e proprio per questo qui evitati da Heidegger) significherebbe qualcosa che non presuppone l’esperienza, la percezione e che non può essere dedotta da essa a posteriori ma bensì a priori. Attraverso il denominare dei poeti “l’Ente viene per la prima volta chiamato e conosciuto come tale [...] ma dato che l’Essere così come l’essenza delle cose non può essere mai né determinato né dedotto dal presente, essi devono essere creati liberamente, fissati e donati. Tale libera donazione è fondazione”. Da ciò si evince che se la poesia fonda l’originaria manifestazione dell’Ente in essa l’uomo raggiunge il proprio fondamento. Così come afferma Heidegger: “Il dire dei poeti è fondazione non solo intesa come libera donazione ma bensì anche come solida istituzione dell’Esserci umano sul suo fondamento”. La definitiva determinazione dell’essenza della poesia è da intendersi come ciò che si realizza nella parola, nella lingua nel discorrere, nel parlare, nell’ascoltarsi e nel comprendersi: il discorrere è possibile però solo ! 279!  sulla base di un qualcosa di condiviso, attraverso il quale possiamo comprenderci poiché altrimenti ognuno resterebbe bloccato nella propria lingua, nel proprio mondo. Ogni parola fondamentale manifesta, come afferma Heidegger, l’uno e lo stesso, qualcosa di duraturo ed esistente e dunque sempre presente. In questo modo però la lingua si manifesta solo nell’ambito del tempo. Se però solo in poesia la manifestazione dell’Ente si realizza originariamente nella parola per poter definire l’intera problematica dell’essenza della poesia è necessario sottolineare che non è quest’ultima che deve essere separata dalla parola, dalla lingua ma bensì al contrario l'essenza della lingua, della parola, dalla poesia: solo così la poesia ottiene il suo primo centrale significato ontologico. Le nostre riflessioni ci portano a riconoscere quanto segue: la parola, la lingua, la poesia mantengono negli scritti di Heidegger una determinazione ontologica ma tuttavia non vi ritroviamo in essi né una definizione della caratteristica della poesia né argomentazioni in merito al fatto che ad essa spetti o meno una manifestazione particolare. La differenza ontologica in sé è valida per qualsiasi manifestarsi: non vi è però discussione in Heidegger su un problema determinante ovvero se e come ad esempio il manifestarsi nella sua forma logica e dunque nella necessità di affermazione del generale così come nel Teeteto, si differenzi dalla forma poetica del manifestarsi. Ciò è tuttavia di fondamentale importanza quando si parla di essenza della poesia così come fa Heidegger nel suo sopracitato scritto. Solo attraverso la risposta a questa domanda la poesia potrà acquisire una propria forma e necessità e dunque una propria definizione. Ciò appare evidente nel momento in cui confrontiamo le due opere “Dell’Essenza del fondamento” e “Hölderlin e l’essenza della poesia”. Nella prima si tratta essenzialmente della definizione di fondamento della verità ontologica (del Logos), laddove la differenza ontologica viene intesa come Logos in senso ampio. Heidegger afferma che la svelatezza dell’Essere “è sempre verità dell’Essere rispetto all’Ente e che la svelatezza dell’Ente e sempre in un certo senso anche quella dell’Essere” (“Dell’Essenza del fondamento” pag. 78), per cui il fondamento della svelatezza si trova nell'atto come differenza ontologica laddove esso è tutto l’agire come processo illuminante della comprensione dell’Essere, del Logos in senso ampio” (pag.77). Questo svelamento si realizza solo per via di tale originario atto del distinguere, così che la ! 280!  sua essenza sia trascendenza e fondazione (pag. 102) e dunque fondamento di tutto l’apparire che non può essere dedotto da esso ma che bensì lo rende possibile (pag. 81). In questo modo, come abbiamo già fatto notare in precedenza, resta però aperta la questione relativa all’ultimo significato di un qualsiasi atto. Per questo motivo nella nostra indagine abbiamo anche sciolto la questione heideggeriana giungendo autonomamente a una definizione il più veritiera possibile di un qualunque processo sulla base del pensiero di Teeteto. Nella sua ricerca sulla poesia Heidegger attribuisce dunque alle parole la manifestazione dell’Essere. Ci è consentito quindi riferirci a questa identità delle definizioni che egli attribuisce alla parola così come accade in poesia e nella differenza ontologica. Egli afferma che la lingua “innanzitutto consente la possibilità di trovarsi nel mezzo della manifestazione dell’Ente” (pag.7) e che la poesia “è fondazione attraverso la parola e nella parola” (“Hölderlin e l'essenza della poesia” pag. 8-10). Così come per la differenza ontologica (origine dei tre modi del fondamento) anche per la poesia si afferma qui che “essa è nella sua essenza fondazione e dunque istituzione determinata” (pag.14). Heidegger afferma ancora che: “Solo dove vi è lingua vi è mondo” (pag.7) e ciò è possibile attraverso la parola, attraverso il denominare l’Ente come “Ente così conosciuto” (pag. 11). Se dunque la differenza ontologica nella sua essenza è comprensione illuminante dell’Essere (“Dell’Essenza del fondamento”, pag.77), fondazione “di un qualunque Ente il quale è svelato all’Esserci e dunque possibile” (pag.81), e se in conclusione l’atto della differenza ontologica (il quale svela la sua essenza nell’Ente) “ è nella sua essenza creatore di mondo” (pag.98) qual è la differenza tra fondazione, mondo, manifestazione dell'Ente (che è proprio della differenza ontologica come fondamento della verità ontologica nella sua generica concezione esistenziale) e poesia come determinato modo di esistere e di manifestarsi? Non vi è forse alcuna differenza? Fin qui siamo stati autorizzati nella determinazione della verità ontologica a limitarci alla definizione di Logos in senso ampio. Ora appare però necessario per poter attribuire alla poesia un significato ontologico trarre la sua definizione da quella verità ontologica generale lasciata irrisolta da Heidegger: solo allora potrà essere chiarito anche il significato di fondazione, mondo, istituzione, manifestazione. Tale problema relativo alle forme della realtà si è manifestato nel corso della nostra ! 281!  indagine laddove siamo stati costretti a decidere se attribuire o meno alla parola solo il significato dell’asserzione generale o anche altri. Gli equivoci che sono venuti fuori nell’interpretazione dei concetti heideggeriano di affettività, disposizione d’animo, Essere-nel-mondo e così via sono dovuti in parte al fatto che la determinazione della realtà come svelatezza non deriva da una considerazione generale antioggettivistica del fondamento del manifestarsi. Non troviamo in Heidegger il problema delle diverse forme della svelatezza nonostante il fatto che egli discuta dell’essenza della poesia. Questo problema sorge solo nel momento in cui si attribuisce alla svelatezza una determinata forma poiché solo in quel momento ci si chiede se questa è l’unica o se ve siano di altre. Già con la definizione di verità come processo del leghein che nell’asserzione del generale si impone come pensiero pensante, si realizza il presupposto per sollevare la questione circa le forme. Con questa affermazione non ci vogliamo porre in maniera critica nei confronti del pensiero di Heidegger ma solo sottolineare la necessità che la discussione nelle sue affermazioni tenga conto anche di tali questioni. Il problema delle forme del Logos, pp. 204-209. Sulla scia del pensiero filosofico italiano, che prende le mosse da De Sanctis, come si evince anche in Heidegger, abbiamo attribuito alla parola un significato essenzialmente metafisico ovvero come manifestazione dell’Ente. Non dobbiamo però dimenticare che già nel pensiero filosofico italiano contemporaneo, che si oppone alla visione di Croce, Gentile nega l’esistenza di diverse forme del manifestarsi poiché ne riconosce una sola: quella del pensiero pensante. Egli afferma che tutto ciò che può essere definito, differenziato, circoscritto attraverso l’atto del pensiero, a cui egli attribuisce un significato ontologico originario, dunque appare. Se ammettessimo diverse forme del manifestarsi senza riconoscerne la loro unità d’appartenenza ci ritroveremmo con un insieme di forme diverse considerabili unicamente da un punto di vista empiristico. Una differenziazione è possibile solo sulla base di un atto originario nel quale e per mezzo del quale la distinzione appaia come atto del pensiero. Dimostrazione di ciò è che ad esempio il processo nel quale l’Ente si rivela all’artista coincide con quello dell’esistere dal momento che per egli la realtà è ciò che gli si manifesta. Unicamente nel ! 282!  momento in cui egli esce dalla sfera artistica e fa di un qualsiasi mondo l’oggetto del giudizio solo allora la realtà gli apparirà come un qualcosa di ottenuto, di soggettivo, come arte e non realtà. “Questa stessa irrealtà e idealità (dell’arte) diviene realtà viva e presente se la si considera così come la fantasia la proietta...questa è dunque la realtà che vaga nella fantasia dell’artista, la realtà assoluta che non può essere separata da quella a cui si fa riferimento nella vita pratica. Per cui tale è per l’artista, fin tanto che si tratta di un artista, la vita stessa”. Secondo Gentile l’arte si cela dietro il sentimento, il soggettivo, è un momento ideale che si ripropone sempre del pensiero pensante. Non possiamo però approfondire la questione. L’argomentazione principale con la quale Gentile nega l’esistenza di diverse forme del manifestarsi è che esse possono essere determinate solo attraverso un atto che le riunisca: il pensiero pensante. Gentile giunge a tale conclusione opponendosi al pensiero di Hegel. È innegabile che ogni distinzione sia possibile unicamente sulla base di un atto nel quale la molteplicità appaia come una e ben determinata. Va sottolineato che questa conclusione è anche il senso fondamentale dell’assunto heideggeriano secondo cui il processo del manifestarsi affonda le sue radici nell’atto, nella differenza ontologica la cui forma non può essere predeterminata. Allo stesso modo abbiamo poi ritrovato queste concezioni nella filosofia antica che per prima ha sollevato la questione metafisica analizzando nel dettaglio il pensiero di Teeteto. Il problema dell’Essere dell’Ente si ricollegava allora espressamente a quello dell’unità e della molteplicità. È stato dimostrato che se si considera l’unità separatamente dalla molteplicità non sarà possibile spiegare l’affermarsi, il rivelarsi della molteplicità. Abbiamo chiarito che l’unità, come fondamento dell’apparire, è un processo che si compie da sé, un atto che nel momento in cui è ben circoscritto non ammette l’errore. Il fondamento della svelatezza (ciò che Heidegger definisce differenza ontologica) affonda le sue radici, così come abbiamo visto nel Teeteto, nella necessità di affermazione del generale. Laddove la svelatezza dell’Essere viene intesa come conoscenza e questa conoscenza come pensiero vero dante fondazione. Alla verità dell’Essere, così come Platone la identifica con il Logos, appartiene essenzialmente la svelatezza del proprio fondamento. Questa avviene nella trascendenza filosofica, nella conoscenza dell'essere come conoscenza del proprio fondamento: ! 283!  l’ineluttabile necessità di affermazione del generale. Da questo generale e dalla conoscenza che ne deriva non è stata ancora mai creata poesia. Nella conoscenza del fondamento c’è l’essenza dell’atto filosofico. Questa conoscenza riguarda anche la creazione dell’arte ma da essa non deriva alcun tipo di arte: questa conoscenza del fondamento non appartiene all’arte in quanto tale tantomeno si riscontra in essa un inizio di ciò. Questa necessità, che ci costringe alla conoscenza del fondamento e quindi alla conoscenza come asserzione generale, è fondamentalmente un qualcosa di diverso da una qualsiasi necessità che spinge l’artista alla creazione della sua opera. Con l’affermazione di Gentile secondo cui qualsiasi differenziazione si fonda nell’atto del pensiero non si va ancora a toccare il nocciolo della questione che ci riguarda. Il problema delle diverse forme del manifestarsi può essere sollevato o negato solo se non ci si limita a considerare ogni distinzione come atto del pensiero: se ogni differenziazione si realizza per mezzo di un atto, il quale per via della sua origine non può essere né dedotto né motivato (dal momento che esso stesso è il presupposto di ogni motivazione, domanda o risposta), allora dobbiamo chiederci se la necessità nella quale si manifesta l’Essere logico come aspirazione all’affermazione del generale è la stessa necessità per la quale ad esempio si compie la differenziazione poetica. Ogni atto come fondamento del manifestarsi di qualcosa è necessariamente fondazione, trascendenza e dunque possibilità di apparire di una molteplicità, di una differenziazione che non presuppone l’atto; attraverso ogni atto ci troviamo in una molteplicità ordinata, in un mondo (Essere-nel-mondo); in ogni atto c’è la manifestazione di un qualcosa nella forma dell’aspirare, del domandarsi. Si ottiene dunque attraverso il dubbio, dalla necessità di affermazione del generale una differenziazione poetica? Si raggiunge il suo mondo? Il poeta “si trova” in un mondo delle differenze e delle determinazioni che è identico a quel mondo che deriva dal pensiero? Abbiamo definito l’Essere che si manifesta nel pensiero pensante essenzialmente come necessità di affermazione del generale. Da ciò possiamo dedurre che la questione circa la molteplicità delle forme del manifestarsi non può essere sollevata o risolta se si afferma che ogni differenziazione non è altro che la realizzazione di un atto del pensiero ma bensì solo domandandosi se la differenziazione poetica, la determinazione siano da ricondurre alla necessità di affermazione del generale. Rispetto a che cosa ! 284!  misura il poeta la parola, l'espressione? Non da qualcosa che è all’esterno altrimenti come sarebbe possibile farlo da un oggetto? Ma bensì da ciò che in esso si manifesta. Da ciò che è in sé confrontare, scegliere, differenziare, decidere ed è possibile solo sulla base di una necessità, attraverso la quale il poeta capisce se l’espressione è adeguata o meno. Solo ciò che è necessario, fisso ed esistente può essere misurato. Questa necessità che si cela nell’oggetto poetico si manifesta nell’immediatezza dell’originario, del primo che per questo deve essere sempre qualcosa di istantaneo e per questo essa si rivela in un attimo presente e unico. Solo grazie all’attimo, al presente il poeta vede ciò che è già e ciò che ancora non è. Nell’attimo si schiude la temporalità che è sempre temporalità di un determinato manifestarsi. Per tale motivo il processo poetico e il suo paragonare “interiore” per poter trovare l’adeguato vocabolo poetico non deve essere considerato come “interiorità” psicologica e romantica ma bensì come qualcosa in cui si realizza una determinata forma di manifestazione nella quale all’arte, al bello spetta un significato ontologico. Anche l’uomo pensante non misura la verità delle proprie definizioni da qualcosa che si trova al di fuori della necessità di affermazione del generale dato che l’Essere logico è e appare solo in una qualsiasi necessità. Il pensiero vero è solamente quello che riesce a resistere a qualsiasi necessità e mai fugge da essa poiché ricorre a una determinazione che in sé non può giustificarla. In ciò consiste il profondo carattere etico che ogni verità possiede. Già il riconoscere di non sapere è una risposta all’originaria necessità. Allo stesso modo in cui l'uomo pensante guarda solo a una qualsiasi necessità che possa fargli riconoscere la verità della propria determinazione, verità che si cela con la forza attraverso la quale la necessità si manifesta, così il poeta paragona e sceglie la parola poetica non paragonandola all’Ente esteriore ma bensì alla necessità che si manifesta in esso: questo non è però mai un momento di conoscenza del fondamento. Solo rispondendo alla domanda che ci siamo posti sulle forme della necessità, sulla base della quale può essere distinta una molteplicità, si evince, contrariamente a quanto affermato da Heidegger, che i tre modi del fondamento che egli ha indicato come motivo del manifestarsi, fondazione (trascendenza), Essere-nel-mondo (affettività) e possibilità del perché, solo in questo contesto possano essere definiti chiaramente. È importante precisare che attraverso il carattere originario e ! 285!  immediato della necessità dell’Essere dall’Ente, il problema delle forme dell’Essere si cela dietro quello dei diversi attimi per l’ambiguità della parola tedesca Augenblick che può essere intesa sia come visione e dunque manifestazione dell’Ente sia come espressione temporale di attimo, momento. Infatti l’Essere oggetto della nostra indagine che nel dubbio si manifesta originariamente come necessità di espressione del generale ci offre una ben determinata visione di svariati Enti. Questa molteplicità in quanto tale è solamente un momento del compiersi di una qualsiasi necessità. Da ciò si evince anche un ben determinato arco temporale: poiché sulla base dell'imporsi di una qualunque necessità si manifesta un determinato “prima” e “dopo”, una visuale di ciò che vediamo “già” e di ciò che non vediamo “ancora”, un passato e un futuro. Saggi: “Il problema della metafisica platonica” (Bari, Laterza); “Dell’apparire e dell’essere”; “Linee della filosofia” (Firenze, Nuova Italia);“Viaggiare ed errare -- un confronto” (Napoli, Sole);“Arte e Mito” (Napoli, Sole);“Arte come anti-arte. – il bello nell’eta antica” (Torino, Paravia); “Potenza dell’immagine – ri-valutazione della retorica, Milano, Guerini);“Potenza della fantasia” – “Per una storia del pensiero occidentale, Napoli, Guida, “Retorica come filosofia. La tradizione umanistica, Napoli, Sole, Heidegger e il problema dell’Umanesimo, Napoli, Guida, Umanesimo e retorica. Il problema della follia, Modena, Mucchi, La filosofia dell’umanesimo. un problema epocale, Napoli, Tempi Moderni, La preminenza della parola metaforica. Heidegger, Meister Eckhart, Novalis, Modena, Mucchi, La metafora inaudita, a cura di M. Marassi, Palermo, Aesthetica, Vico e l’umanesimo, Milano, Guerini, Filosofare noetico, non metafisico. L’Alcesti e il Don Chisciotte” (Lecce, Congedo, “Il dramma della metafora. Euripide, Eschilo, Sofocle, Ovidio, Roma, L’officina tipografica, A proposito di un Cinquantenario, in «Rassegna Nazionale», Roma; Germania, in «Rassegna Nazionale», Roma, I giovani e il Partito Popolare Italiano, in «Rassegna Nazionale», Roma,  Il Tragico, in «Rassegna Nazionale», Roma Scolastica e storia. A proposito di due articoli di Saitta, in «Rassegna Nazionale», Roma Machiavelli e lo stato, in «Rassegna nazionale», Roma La dialettica dell’amore. Il dolore di Tristano, in «Rassegna Nazionale», Roma La filosofia dell’azione «Rivista di filosofia», Milano Empirismo e naturalismo «Rivista di filosofia», Milano Sviluppo della fenomenologia «Rivista di filosofia», Milano Metafisica immanente  «Giornale critico della filosofia italiana», Milano L’equilibrio come ideale di vita «Rivista di filosofia», Milano Platonismo «Rivista di filosofia», Milano La filosofia in eta antica in «Rivista di filosofia», Milano La reminiscenza «Giornale critico della filosofia italiana», Firenze “Paideia ed umanesimo”, in «Sophia», Napoli L’eterno ritorno «Sophia», Napoli Logo, in «Archivio di filosofia», Roma La nulla «Giornale critico della filosofia italiana», Firenze La tradizione speculativa in «Giornale critico della filosofia italiana», Firenze Esistenzialismo e marxismo, in Atti del Congresso di Filosofia (Roma),  Il materialismo storico, a cura di E. 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Keywords: la metafora inaudita, metafora, Vico, Ovidio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grassi e Grice: il Vico di Grassi: metafora come implicatura” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51756306250/in/dateposted-public/

 

Grice e Grassi – dove fiorisce il limone – filosofia italiana – la giovinezza e il fascismo – parole ai giovane – al senato --  filosofia fascista – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Mascali). Filosofo.  Grice: “I like Grassi; he wrote on Faust!” Inizia gli studi ginnasiali presso il seminario di Acireale fino alla terza ginnasiale, proseguendoli poi a Catania, presso il liceo "Nicola Spedalieri".  Assiduo frequentatore della sala di lettura dell'Catania, conobbe Rapisardi, cui lo legò una profonda stima ed affinità.  Si laurea a Napoli con “La memoria delle immagini acustica e visiva della parola in rapporto specialmente al tempo di "fissazione", suggeritagli da Bianchi (Rivista di Freniatria). Si trasferì a Messina dove divenne assistente di Weiss. Comincia a provare le prime grosse delusioni per l'inconciliabile contrasto fra le esigenze pratiche della professione, che rischiavano di piegarlo a umilianti compromessi, e le alte aspirazioni della sua anima.  Muta bruscamente indirizzo, iscrivendosi alla facoltà di scienze naturali, conseguendo così la laurea con Mingazzini sostenendo una tesi intorno ai pesci di Ganzirri e Faro, che poi fu pubblicata su una rivista veneziana. Mingazzini, chiamato a Bologna, era felice di averlo come assistente. Il suo spirito inquieto cerca altre vie ed altri sbocchi, e così intraprese a frequentare le lezioni che si tenevano nella facoltà di filosofia a Catania, nel Palazzo Grassi, a Via Firenze. Prrofondamente influenzato dalle precedenti frequentazioni messinesi dove campeggiavano figure come Pascoli, col quale strinse amicizia, Cesca, Barbi, Mancini, Ardigò, Dandolo e Salvemini. Si laurea in filosofia presso l'ateneo catanese, con “L'unità dei fatti psichici fondamentali” (Muglia, Muggia, Messina). Insegna a Caltagirone e Catania. Inizia un'intensa attività che vide tra i suoi maggiori corrispondenti Gentile eSturzocon i quali intrattenne un copioso carteggio oltre al letterato Villaroel, Farinelli, Varisco, Majelli, Carabellese e Fassò.  Fonda Prisma a cui collabora, tra gli altri, anche M. Sgalambro.  Altre saggi: “Preludi a un commento alla vita del Faust” (Catania, Studio Moderno); “Commento alla vita di Faust” (Torino, Bocca); “Preludi storico-attualistici alla Critica della ragion pratica” (Catania, Crisafulli); “Medico mancato” (Catania, Legione); “L’assoluto”, Roma, Enciclopedia Treccani); “L’assoluto” Roma, Enciclopedia De Carlo. “Giornale critico della filosofia italiana” “Logica e metafisica”, “Goethe in Italia”, “La musica e le idee” – “Esegesi del Fausto” “tramonto di Occidente”; “REminiscenze e visione paesane”;  “La giovinezza e il fascismo – parole ai giovani” (Senato). “Mazzini”;  “Il faust e il tramonto dell’occidente o di una nuova corrente esegetica del Fuasto in Germania”; “Goethe in Italia”; Membro della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici. Un filosofo dall'anima di poeta, Teoresi Rivista di cultura Filosofica. Da Herbart in poi la psicologi concepisce una unità al fondo di tutte le manifestazioni della vita psichica; ma visono tre modi principali di concepirla: l'intellettualismo (rappresentato specialmente perl'appunto da Herbart), il sentimentalismo (Horwicz,Regalia), e il volontarismo (Schopenhauer, Wundt, Fouillée ecc.). Questo terzo, è pare, all'ultima moda. Lo vediamo informare anche il neo-idealismo, che non si accorge di restringere ancora più la intui rione dal mondo in un piccolo cerchio antropomorfico. Il Grassi esamina le teorie metafisiche dello spirito e le critica tutte e tre, con Egli conclude per il monismo psicologico: ossia contrariamente ai riduttori favorevoli all'uno o all'altro elemento fra i tre fondamentali, si pronuncia per una unità primordiale di tutta la psiche, la quale unità consta ad un tempo di rappresentazioni, di sentimenti e di tendenze integrate in maniera indissolubile, ma capaci di assumere per evoluzione sempre più chiarezza e sempre più distinzione.Cosi Grassi si connette a due psicologi italiani insegnanti nello stesso Ateneo Patavino , ma purtanto dissimili: Bonatelli e Ardigò, due valori anche disugualmente conosciuti e apprezzati in Italia. Un'osservazione critica. Grassi inserisce molte citazioni originali in tedesco, il che (oltre a dar luogo a gravi errori di stampa) induce fatica inutile nell'animo del lettore. Non si è obbligati, tutti, di sapere il tedesco, massime quello dei filosofi e metafisici. Il Trieb, il Drang, il Lust, l’Unlust, il Selbsterhaltung, e simili parolear restano penosa mente. È upa ostentazione di coltura erudita che a scapito della intelligibilità della lettura. Qualche insolente potrebbe supporre che l'autore, messo di fronte ai testi, imbarazzato di tradurre in verbo e nerbo italiani i pensieri, si levi d'impiccio col cominciare periodi e frasi in italiano e col finirle in tedesco. No : si citi pure l'originale, ma in nota e nel testo si metta l'equivalente italiano: la chiarezza non deve essere uccisa dalla pedantesca precisione. RENDAA.,Ladissociazionepsicologica. Torino,F.lliBocca,1905. La dissociazione,dice l'Autore, è un processo normale dell'attività mentale:questa non soltanto associa,ma pur dissocia,poichè «distin  gabile competenza una inne non si può dire per ciò che faccia fica italiana;tutt'altro!L'argomento , ma molto utile filoso è di cosi alta portata che riesce in materia ; egli era stato preceduto dal Faggi opera inutile nella letteratura guardarlo da varie parti e con occhi differenti. E poi , oltre ai tre indirizzi principali, il Grassi parla anche di alcuni scrittori darii,fra cui Ward,Ebbinghaus secon giovane , Brentano, Lipps, Masci ecc. Questo scrittore ha coltura estesa anche nel campo biologico possiamo garantire che darà altri frutii, e succosi e forti, al ,e noi pari del presente volume. Va Uu op.in-8.°,di pag.200.   598 RASSEGNA DI FILOS. “Goethe in Italia”  L'opera fu scritta in tre momenti successivi:  l'Urfaust, scritto tra il 1773 e il 1775, influenzato dalle rappresentazioni del Faust di Christopher Marlowe a cui il giovane Goethe aveva assistito sotto forma di teatro delle marionette (vedi Dottor Faustper il personaggio storico). L'Urfaust appartiene culturalmente alla corrente letteraria tedesca dello Sturm und Drang e venne pubblicato, con alcune aggiunte, nel 1790 sotto il nome di "Faust. Ein Fragment". Più tardi (1808) pubblicò un ulteriore seguito, che già ricade nella corrente letteraria del classicismo, "Faust. Erster Teil" (Faust. Prima parte): viene aggiunto il Prologo in cielo e sono apportate modifiche significative all'Urfaust. Così Mefistofele appare a Faust promettendogli di fargli vivere un attimo di piacere tale da fargli desiderare che quell'attimo non trascorra mai. In cambio avrebbe avuto la sua anima. Faust è sicuro di sé: tale è la sua brama di piacere, azione e conoscenza, che è convinto che nulla mai al mondo lo sazierà tanto da fargli desiderare di fermare quell'attimo. Mefistofele gli fa conoscere la giovane Margarete (Margherita) - detta Gretelchen (Margheritina) e Gretchen (Greta) - la quale si innamora perdutamente di Faust, inconsapevole del fatto che lo slancio (in tedesco Streben) che ispira Faust è nient'altro che il dominio della materia e la ricerca del piacere. La sorte di Margherita sarà tragica. In Faust. Zweiter Teil (Faust. Seconda parte, 1832) la scena si allarga per celebrare l'unione tra letteratura classicistica e mondo classico: Faust seduce e viene sedotto da Elena di Troia. L'opera nel suo complesso risulta di 12.111 versi.   Fausto. Tragedia di Volfango Goethe, trad. di Giovita Scalvini e Giuseppe Gazzino, Le Monnier, Firenze, 1857; Fausto, trad. Giovita Scalvini, 2 voll., Sonzogno, Milano 1882-83 e 1905-06; come Faust, Einaudi, Torino 1953 Fausto. Tragedia di W. Goethe, trad. di F. Persico, Stamperia del Fibreno, Napoli, 1861 Fausto. Tragedia di Wolfgango Goethe, trad. di Andrea Maffei, 2 voll., Le Monnier, Firenze, 1869 Fausto. Parte Prima. Erminio e Dorotea di Wolfgango Goethe, trad. di Anselmo Guerrieri Gonzaga, Le Monnier, Firenze, 1873 Fausto. Tragedia del Goethe, trad. di G. Biagi, Sansoni, Firenze, 1900 Johan Wilhelm von Goethe, Faust. Prima parte, trad. di G. E. Vellani, Cogliati, Milano, 1927 Johann Wolfgang Goethe, Il Faust, 2 voll.: vol. I Versione, pp. 326 + vol. II Commento, pp. 423, versione integra dell'edizione critica di Weimar, Introduzione e trad. e commento di Guido Manacorda, Mondadori, Milano, 1932-45; Collana I Classici Contemporanei, pp. 774, Mondadori, Milano, 1949; ora in Faust, con un saggio introduttivo di Thomas Mann, testo tedesco a fronte, nota al testo di Giulio Schiavoni, Collana Classici, BUR, Milano, 2005-2013, ISBN 978-88-17-06698-3. Volfango Goethe, Faust. Tragedia, trad. di Cristina Baseggio, Facchi, Milano, 1923; Urfaust. Il "Faust" nella sua forma originaria, Introduzione e trad. e commento a cura di C. Baseggio, Collana I Grandi Scrittori Stranieri n.20, pp. 224, UTET, Torino, 1932-1944 Faust. Parte I, trad. di Liliana Scalero, P. Maglione, Roma, 1933; come Il primo Faust, BUR nn. 39-40, Milano, Rizzoli, 1949, pp.190; Il secondo Faust, ivi (BUR n. 339-341), 1951, pp.371. Faust, trad. di Vincenzo Errante, 2 voll.: vol. I pp. 310 + vol. II pp. 476., Sansoni, Firenze, 1941-1942 Faust, trad. di Enzio Cetrangolo, pp. 278, Federici Editore, Pesaro, 1942 [scelta] Faust, introduzioni di Mario Apollonio, note di Renato Maggi, Milano, Bietti. Il Faust. Versione d'arte con testo critico di Weimar a fronte, introduzione e commento a cura di Guido Manacorda. Vol. I, Collana Sansoniana Straniera, pp. 424, Sansoni, Firenze, 1949 Volfango Goethe, Faust, trad. e prefazione e note di Barbara Allason, pp. 450, Francesco De Silva, Torino, 1950, poi Faust, Introduzione di Cesare Cases, Collana NUE n.53, pp. 377, Einaudi, Torino, 1965, ISBN 88-06-00331-3 Faust, trad. di Giovita Scalvini, Collana Universale n.16, Einaudi, Torino, I ed. 1953 - II ed. riveduta su nuovi documenti, pp. 179, 1960; Giovita Scalvini. La traduzione del Faust di Goethe, a cura di B. Mirisola, Collana Biblioteca morcelliana, Brescia, Morcelliana, 2012 Faust. Urfaust, versione integrale, 2 voll., Introduzione e note a cura di Giovanni Vittorio Amoretti, Collana I Grandi Scrittori Stranieri, pp. 459, UTET, Torino, 1950 - pp. 532, 1959 - pp. 588, 1975; in Faust e Urfaust, Collana UEFn.500-501, Milano, Feltrinelli, 1965; ora in Collana Universale Economica. I Classici n.2018-2019, 2001-2014, Feltrinelli, ISBN 978-88-07-90068-6. Faust. Seconda parte, trad. di A. Buoso, Longo e Zoppelli, Treviso, 1962 Faust, Introduzione, trad. e note a cura di Franco Fortini, testo tedesco a fronte, pp. 1180, Collana I Meridiani, Mondadori, Milano, 1970-2009 ISBN 978-88-04-08800-4; Collana Biblioteca n.18, 2 voll., Mondadori, Milano, 1980-1987; Collana Grandi Classici, Oscar Mondadori, Milano, 1992-1997 - Collana Nuovi Classici, Oscar Mondadori, Milano, 2012 ISBN 978-88-04-52011-5 Faust, a cura di M. Cometa, Collana Idola, Novecento, Faust, trad. di M. Veneziani, pp. 592, Schena Editore, 1984 Faust, trad. di R. Hausbrandt, 2 voll., Dedolibri, 1987 Faust. Urfaust, trad. e cura di Andrea Casalegno, introduzione di Gert Mattenklott, prefazione di Erich Trunz, Collana I Libri della Spiga, pp. 1462, Garzanti Libri, Milano, 1990-1995 ISBN 978-88-11-58648-7; prefazione di Italo Alighiero Chiusano, Collana i grandi libri n.545-546, Garzanti Libri, Milano, 1994-2012 Faust. Testo tedesco, traduzione a fronte e commento di Vittorio Santoli. 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Grice e Grataroli – sulla memoria – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bergamo). Filosofo. Grice: “I like Grataoroli, the Pope called him ‘infamous heretic,” which is a good start! He wrote a book on ‘semiotics’ of the times, but it got lost – you cannot understand Bruno unless you do Grataroli – he philosophised on many subjects, including dreams and alchemy!” –Di una famiglia benestante dedita al commercio di tessuti di lana con la città di Venezia. Questa, originaria del borgo di Oneta, frazione di San Giovanni Bianco in val Brembana, oltre a possedere gran parte della contrada e dei terreni circostanti (tra cui anche l'edificio che attualmente ospita la casa di Arlecchino), annoverava tra i suoi membri una folta schiera di "phisici", tra i quali si segnalarono il nonno di Grataroli, fondatore del collegio dei fisici di Bergamo, e il padre di Grataroli, Pellegrino, fisico presso la città orobica. Publica una dispensa inerente osservazioni sul mondo della natura. Straparla de le cose pertinenti a la fede et di essa fede et de la autorità del papa, nega il purgatorio, le indulgenze, i suffragi per i defunti, la venerazione dei santi, la presenza del corpo di Cristo nell'eucaristia. Eeretico pertinace et scandaloso et infame, peste contra la fede. Insegna a Basilea. Presso l'ingresso dello studio aè presente un suo busto. Noti sono i suoi trattati sul potenziamento e il mantenimento della memoria, sulle epidemie di peste, sulle proprietà del vino, su erboristeria e veterinaria. Vi sono anche alcuni scritti inerenti all'alchimia. Si segnala per la teoria fisiognomica. Argomenta su Pomponazzi e da indicazioni sia per il mantenimento della salute che per l'utilizzo dei bagni termali, nonché un saggio in cui vengono raccontati i suoi viaggi e forniti consigli ai viaggiatori di quel tempo. Saggi: “De memoria reparanda, augenda ser-vandaque. De salute tuenda. De regimine iter argentium, vel aequitum, vel peditum, vel navi, vel curru, seu rheda”; “Turba Philosophorum”; “De literatorum et eorum qui magistratibus funguntur conservanda praeservandaeque valetitudine compendium” (Perna, Basilea); “Veræ alchemiæ artisque metallicae, citra aenigmata, doctrina, certusque” (Perna, Basilea); “De fato, libero arbitrio et providentia Dei” (Perna, Basilea); “Alchemiae, quam vocant, artisque metallicae, doctrina, certusque modus” (Perna, Basilea); “De balneis” (Bergamo). Quaderni brembani, Storia di Milano  Flavio Caroli, Storia della fisiognomica Arte e psicologia da Leonardo a Freud  M. Meriggi e A.Pastore, Le regole dei mestieri e delle professioni: A. Castoldi, Bergamo ed il suo territorio. Bergamo, Bolis, G. Gallizioli, Della vita degli studi e degli scritti di Gulielmo Grataroli filosofo (Bergamo, Locatelli); M. Meriggi, Le regole dei mestieri e delle professioni: C. Vasoli, Le filosofie.  del Rinascimento, T. Bottani e W. Taufer, Storie del Brembo. Fatti e personaggi dal Medioevo al Novecento, Ferrari, G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Napoli, Classici. Fisiognomica Mnemotecnica Peste. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. “Prognostica naturalia de temporum omnimoda mtuatione, perpetua & cer-  ùjjìma Jigna rerum, quoe in Aere, Terra, aia Aqua sunt, aut Jìunt , krevìter, &  dare, ordine que alphabetico de scripta per Gulielmum Gratarohun Medicum P/iy/i-  cum y cuni Addinone undcam fìgnorum Motus Terra, ex Antonio Mi^aldo . Basilea?  apud Jacobum Pareum  in 8. Ibi-  dem apud Nicolaum Episcopium in 8. Tiguri in 8. Argentorati in 8. apud Iacobum Ofemianum .   V opera indicata , con le altre due  » De Memoria reparanda t e » De Prje-  diclione morum » > si trovano unite tiell*  accennata edizione di Argentina alli Trat-  tati di Chiromanzia , e di Astrologia natu-  rale di Giovanni Indagine , o sia Giovalini Hagen dotto Certosino del decimoquin-  to secolo ? ed al libro » De Sculptura »  di Pompeo Gauricio Matematico Napolita-  no . Perchè il Grataroli non venga taccia-  to di superstizione o di puerile credulità  a motivo delle cose da esso scritte parlan-  do dei Pronostici naturali e della Predi-  zione dei costumi , credo cosa necessaria  fedelmente trascrivere la Protesta , o sia  Avvertimento al Lettore, che si trova nel-  la edizione di Argentina Devi poi  » avvertire , che generalmente parlando le  » cose dette si verificano nella gente gros-  » solana y vale a dire di coloro , i quali  » non sono rigenerati dallo spirito e dalla  » grazia di Dio , perchè di questi è vero  » ciò che dicesi della depravata natura in  » Adamo , che » Naturce fequitur femina  quifque fucc » : Ma air opposto i rigenerati  » dallo Spirito Santo mortificano la pro-  « pria carne con i suoi vizj , e con le  » sue concupiscenze , sebbene la concu-  » piscenza ed il fomite del peccato vi re-  » stino sempre , e da moltissimi , o Dio ,  anche pur troppo si riducano alla pra-  » tica », A gloria di Gulielmo riporterò  anche la sua opinione sopra la causa del  flusso e riflusso del mare r avendo preco-     6 A   Aizzato più di due secoli prima quasi in-  tieramente il sistema del rinomatissimo Ca-  valiere Isacco Neuton circa lo stesso feno-  meno : opinione approvata ed insegnata  da quasi tutti i Filosofi posteriori a quel  subitine Geometra » : Il moto periodico del-  ia Luna ha grande predominio sopra li  corpi fluidi , quindi fa che il mare s in-  nalzi e si abbassi ^ singolarmente per una  particolare di lei influenza , e ne segua il  flusso , ed il riflusso secondo i differenti  aspetti relativi alla medesima , e secondo  che questi accadono nella maggiore -> o  minore forza della sua influenza : Accade  ciò perchè la Luna ha bensì certa in-  fluenza coir Oceano , ma non già coi la-  ghi e coi mari di poco estesa superficie .  Per la qual cosa mentre quel Pianeta si  muove dall' Oriente verso il mezzo gior-  no , fa che la superficie del mare s' innal-  zi , e che conseguentemente ne segua il  riflusso medesimo . Quando poi si muove  dal mezzo giorno verso Y occidente fa che  il mare si abbassi , e però ne nasce il ri-  flusso . Similmente allorché la Luna si  muove dall' occidente verso V angolo della  notte , o sia da settentrione verso V o-  i icnte , ne segue nuovamente il riflusso r>     II. » Guliclmi Grataroli Bergomatis  Artium > & Mediani? Docloris de Memo-  ria reparanda , augenda > fervandaque ,  Liber omnimoda Remedia > & Pnzceptio-  nes continens cujufivis facultans jhuliofis  apprime utilis «, immo maxime necejjlvius ,  Tiguri ? apud Andream Gesneruni  in 8. , Basilea apud Nicolaum Episcopium  in 8., Lugduni , apud Gabrielem  Coterium in 8., Francofurti apud  Joannem Vichelium in 12. Ibidem  apud Viduam Petri Fischeri 1596. in 12.,  Argentorati in 8. » Nel frontespi-  zio dell'accennata edizione di Argentina si  trovano queste parole : » Omnia ab An-  afore correcla P ancia finis > 6' ultimo edita «. La stessa Opera » De Memoria re-  paranda » è stata stampata unitamente all'  altro libro del Grataroli » De confervanda  Valetudine » da Enrico Rantzovio .   De Prcediclione morum naturaque hominum, cum ex infipeclione par*  tìum corporis > tutu aids modis «> Anelare  Gulielmo Gratarolo Medico , & Philojopho B ergo mate • Basilea 1554» in 8., Ti-  guri apud Andream Gesnerum in  8. , Lugduni apud Gabrielem Coterium ,  &* Argentorati 1 6*5 3» Li tre accennati libri De Memoria reparanda: De Temporum  omnimoda mutatìone Prognofìica: De Prce*  diclione morum » furono dati alla luce per  la prima vo ? ta dal Grataroli in Basilea , e  dedicati ad Edoardo VI. Re d'Inghilterra;  siccome pure la seconda edizione di tali  Opuscoli fatta nella medesima Città nell*  anno 1554. fu consagrata a Massimiliano  II. Re di Boemia lutto questo evidente-  mente si rileva dal primo periodo della  Dedicatoria medesima al secondo dei com-  mendati Sovrani , la quale cosi incomincia Nello scorso anno, ottimo Re,  per le pressanti istanze degli amici e del-  io stampatore > sono stato costretto a dare  alle stampe assai più presto di quello che  averei desiderato tre miei libretti intorno  ai quali erano già molti mesi che affatica-  va , e perchè essendo assente , molti er-  rori corsero nello stamparli, però riveduta  di nuovo queir opera , non solo ne cor-  ressi i difetti , ma in oltre impiegando  ogni possibile diligenza ed applicazione , e  prestandovi , come si suol dire , V ultima  mano , F ho accresciuta di parecchie belle  aggiunte a segno, che la presente edizio-  ne è superiore alla prima siccome lo è un  parto di nove mesi a quello di soli sette ,     *7  o pure Toro fino ali* argento • Avevo de-  dicata la prima ad Edoardo VI. Re d' In-  ghilterra , il quale innanzi anche di aver-  ne notizia , non che di averla potuta ve-  dere, fu costretto infelicemente a cambiare  la vita con la morte ». Tale Dedicatoria  fu scritta in- Basilea nel mese di Febbrajo  deiranno 1554. Nondimeno non posso  accertare in quale città siano stati stampa-  ti li sopradetti Opuscoli la prima volta che  dal Grataroli furono indirizzati alli due già  nominati Sovrani .  Pejlis Defcrìptio , Caujjoe > Si-  gnu omnigena > & Proefervatio . Anelare  Guliclmo Gratarolo Medico . Basilea? ; per  Ludovicum Lucium Anno Salutis Humana? Mense Augusto; Lugduni, apud  Gabrielem Coterium 1555. • La prima  edizione di tale veramente aureo Trattato  fu dedicata ad Ascanio Marzo Ambascia-  tore Cesareo presso i sette Cantoni della  Svizzera. Personaggio di molte cognizioni e  virtù fornito ed amico di Gulielmo ; e  questi appunto furono i motivi , che lo  spinsero a sceglierlo per Mecenate con  scrivergli :  La vostra conosciuta  virtù , e la non volgare vostra mansue-  tudine , non meno che il vostro amore per tutte le sane dottrine , e per la pie-  tà , mi hanno costretto a dedicarvi quest'  opera » . Perchè si veda quanto amava le  massime di pietà e di religione conviene  notare , che dopo di aver egli prescritti  neir indicata sua opera li rimedj fisici con-  tro la Peste , raccomanda con fervore li  spirituali con queste parole (81) » Ma  per brevemente indicare li remedj più for-  ti , più giovevoli e generali , prima di  tutto allontanate da voi la paura della  morte , ma non già il santo timore di  Dio . Non perciò doverete amare il peri-  colo , né incorrervi temerariamente , se  non sarete sforzati o dalla carità cri-  stiana del prossimo , o dalla gloria di no-  stro Signore Gesù Cristo > il quale devesi  anteporre a tutte le cose De Litteratorum > & eorurn qui  Magijlratibus funguntur confermando, proe-  fervandaque valetudine , illorum prcecipue  qui oetate confiftentìoe vel non lunge ab  ca ab funt > curn ex probatioribus Auctoribus 3 tum ex ratione , & fideli praxi >  & experientìa concinnatum . Basilea apud  Henricum Petri in 8., Francofurti in 12. apud Ioanncm Vchel ; Ibi-  dem apud Nicolaum Hofmannum \6 17.     ($9  in 8. » La stessa opera è stata tradotta  nella lingua Inglese da Tommaso Neuton P  e stampata in Londra Tanno in  1 2 . Questa dottissima opera è riferita dal  rinomatissimo Medico Ermanno Roerhave  nel suo » Methodus (ludii Medicorum » .   De Confervanda valetudine .  Francofurti apud Henricum Randzov .  Questa opera fu stampata unitamente all'  ultima registrata dallo stesso Randzov •Re girne n omnium iter agentium . Basilea? apud Hemicum Petri \66\.  Argentorati per Vendelinum Rihelium 1 s6%.  in 12. Colonia? apud Petrum Hofmannum  15/1. in 8. V edizione fatta di tale uti-  lissima opera in Argentina fu dedicata dal  Grataroli » alla vera pietà, (82) e nobil-  tà del chiarissimo Egenolfo Barone , e Si-  gnore in Rapolstein Hochen Ack e Ge-  rolzeck in Vassichin » e nel frontispizio  della medesima vi si leggono i seguenti la-  tini versi .   Ut peregrìnands vita ejl jubjecla procellis  Aeris , & varìis undique prejja malis ;   No/ira procelle* fi vario jìc turbine mundi  Volpi tur incertis anxia vita rnodis.     7°   Hoc bene pericolo Jervans prò tempore litro   Tutìor utque voles carpe Vìator iter.   VIII # De Laudibuj Medicina ejus  origine > progrejju ? militate . Argentora-  ti i 5 £3. in 8.   IX. De Pefle Thefes. Basilea in 8. Apud Henricum Petri .   De Vini natura , Artificio , &  Ufu , deque omni re potabili . Basilea ,  Apud Henricum Petri .   XI. Equorum P & Domejlicorum quo-  rundam Ànimalium remedia $ senza data  in tutti i Cataloghi da me veduti Lapidis Philojbphici nomendaturoe . Basilea La medesima opera trovasi inserita nel  Volume in foglio stampato in Colonia Tan-  no 1571. da Pietro Orstio , con il titolo  Veroe Alchimia? Scriptores .   XIII. De janitate menda . Argento-  rati 15 6 5. Trovo quest* opera citata dal  Mercklino nel suo Lindenius renovatus.   XIV. De Thermis Rhoctias , & Val-  lis Tranjc/ierìi Agri Bergomenjis . Si trova  stampata tale opera per la prima volta da  Tommaso Giunti in Venezia Tanno 1553.  nella sua copiosa raccolta di tutti quelli y     fi   che sino alla detta epoca avevano scritto   sopra i Bagni , ed è riportata alla pagina   192. , con questo titolo Guìlhdmus Gra-   tarolus ad Corradum Gefnerum Medicum   Tis'urimim de Thermìs Jxhoetìcìs Tutti  o   quelli i quali a mia cognizione hanno par-  lato di questo trattato di Guliclmo , sia  neir occasione di dare il Catalogo delle  sue opere , o • sia per semplice erudizione ,  e perfino il nostro Padre Donato Calvi ,  non hanno citata nessun' altra edizione  della stessa opera , che quella dei Giunti %  e tutti ne fecero sempre autore il Grataroli , senza mai mettere in dubbio questo  punto d' Istoria letteraria . Ciò nondimeno  non deve recare maraviglia , particolar-  mente delli scrittori oltramontani , e spe-  cialmente di quelli del decimosesto secolo :  ma fa bensì stupore , che siasi continuato  ad attribuire al Grataroli un simile tratta-  to , dopo la nitida e ben corretta edizio-  ne fatta dal valoroso Cornino Ventura X  anno 1582. in 4. di tutti i dotti Medici  Bergamaschi , che avevano scritto sopra i  Bagni di Tres^ore ; poiché apparisce , ed  è anche evidentemente provato da quel  diligente stampatore , e dagli eruditi e  perspicaci fratelli Licini suoi direttori, che     il trattato , che porta quel titolo , appar-  tiene sicuramente a Bartolommeo Albani  Medico Collegiato della Città di Bergamo.,  scritto dal medesimo sino dall'anno 1470.,  vale a dire quasi un secolo prima della  indicata edizione Veneta di Tommaso Giun-  ti • Di fatti T Opuscolo dell' Albani termi-  na precisamente con questa data : anno  mìllejìmo quadrigentefimo y & feptuagefimo  de menje Julii die vìge fimo Ceptimo . Per  ExeelL Artìum & Me dicince Dociorcm  Bartholomceum de Albano. Si fa ancora as-  sai ' più manifesta tale verità da quanto  afferma il Cornino alla decimaquarta pagi-  na della sua edizione degli Scrittori Berga-  maschi circa li Bagni Trescoriani , nella  annotazione seguente posta in fine dell* Q-  puscolo del sopracitato Bartolommeo Albani  per maggiore sua giustificazione » Da un  antichissimo esemplare manoscritto (83) ri-  trovato nella libreria de" Padri Domenica-  ni , il quale si vede eziandio trasportato  nella lingua Italiana , sotto il nome dello  stesso Bartolommeo Albani, nelieCase di Bar-  tolommeo Colleoni , lasciato al Luogo de Ha Pie-  tà, conservato sino a questo tempo ». Non  si deve adunque più dubitare , che il ve-  ro Autore di quel trattato non sia Bariolommeo Albani , mentre anche il Padre Cal-  vi così ha lasciato scritto nella sua Scena  Letteraria (84) >> Bartolommeo Albano della  Medicina celebre Professore fiorì verso la  metà del passato secolo -> e fu il primo y  che scrivesse sopra i nostri Bagni di Tre-  score j leggendosi le sue degne fatiche con  quelle d 5 altri Autori nel libro » De Bal-  neis Tranfchcrii Oppiai Bergomatis . Ber-  gomi Questa è T accennata edi-  zione di Cornino Ventura. Si noti in que-  sto luogo , che lo stesso Bibliografo indi-  cando l'opera del Grataroli (85) sopra io  stesso argomento , dopo di avere scritto  De Thermìs Rhoeticis, & Vallìs Tranfche-  rii agri ìSergomatis » aggiunge » Questo  si trova nell' opeia Veneta De Balneis » »  Adunque al Calvi era nota tanto V edi-  zione dei Giunti , quanto quella del Co-  rnino : dopo tutto questo, in quale manie-  ra si potrà difendere il Grataroli dalla tac-  cia di plagiario y e di un plagio domestico Ma niente dì più facile , Ricercato  Gulielmo da Corrado Gesnero suo grande  amico , che si chiamava il Plinio dell* Ale-  magna , perchè gli facesse avere delle no-  tizie circa le Terme , o Bagni della Re-  zia , e della Provincia Bergamasca , egli ^per fare cosa grata ad un amico di tanta  rinomanza , prese in mano il manoscritto  dell' Albani , vi aggiunse qualche cosa del  proprio , ed ancora molte cose di quelle  che aveva scritto sopra i Bagni di Tresco-  re il dotto Medico Lodovico Zimalia , le-  vando alcune cose che gli sembravano su-  perflue , o inesatte , con purgato stile la-  ^inò , e con veri termini tecnici rifuse il  manoscritto dell' Albani , e cosi riformato  ed ordinato lo spedì all' amico, unitamen-  te ad una erudita lettera relativa alle Ter-  me della Rezia : e siccome in quei giorni  il Gesnero si trovava in Venezia per de-  scrivere i Pesci , ed i Crostacei del mare  Adriatico , averà consegnato questo scritto  a Tommaso Giunti s che in quel tempo  era occupato a pubblicare la sua grande  edizione di tutti li Scrittori sopra i Bagni  e le aque Termali n siccome ho già di so-  pra notato . Indubitata cosa ella è che il  Grataroli chiude il suo scritto con queste  parole (86) » Ho raccolte brevemente, e  con chiarezza tutte le soprascritte cose a  benefizio , e sollievo del mio prossimo^ io  Gulielmo Grataroli Dottore di Medicina :  frutto tutto questo delle mie oculari osser-  vazioni , e della lettura di parecchi amichi Medici della mia patria » . Appunto   questa sua protesta dalle persone oneste  e giudiziose deve essere considerata una  confessione del fatto , ed ancora del di-  ritto che aveva acquistato di appropriarsi  quello scritto ; tanto più che il Grataroli  nello spedirlo al Gesnero , lo previene con  la seguente onorata e sincera dichiarazio-ne Vi spedisco l'intiera Descrizio-  ne delie Terme Bergamasche , le quali non  sono lontane dalla Rezia più di due gior-  nate di cammino • Di queste niente sino  al presente trovasi pubblicato con i tor-  eh) ; onde mi giova sperare , che diver-  ranno celebri anche in avvenire , siccome  lo furono in passato , dopo che Y occul-  ta, e quasi intieramente ignorata loro vir-  tù sarà fatta nota con le stampe ; purché  non vi rincresca accoppiare le erudizioni  Italiane alle Tedesche » . Poteva qui espri-  mersi Gulielmo con più candida , ed one-  sta sincerità ? Confessa di essere semplice  raccoglitore d^gli altrui scritti, mentre  dice » Ho raccolto dagli scritti di altri  antichi Medici Bergamaschi » Non chiama  sua quella fatica , ma dice semplicemen-  te (89) » Vi spedisco T intiera descrizione  delle Terme Bergamasche > delle quali  niente sin ad ora è stato pubblicato » Non  si deve dunque condannare di plagiario il  Grataroli $ e certamente non conviene , che  egli abbia avuto rimorso di avere commes-  so una cosi vile, e detestabile impostura ,  mentre essendo sopravissuto quasi quindici  anni dopo l'edizione Veneta di queir opu-  scolo , sicuramente non averebbe mancato  di giustificarsi presso il mondo erudito circa il preteso plagiato . Ecco tutto quello ,  si può dire in difesa di questo Medico Fi-  losofo sopra tale inssusistente accusa , né  altro posso aggiungere «> se non che far  noto al mio Leggitore , che per quante  diligenze abbia usate «> non mi è giammai  riuscito di ritrovare i due citati mano-  scritti , e che in oltre il Padre Donato  Calvi , a cui era nota Y edizione di Co-  rnino Ventura , non ha nella sua Scena  Letteraria dimostrato di sospettare dell' o-  nestà letteraria di Gulielmo Grataroli . Pri-  ma di terminare il presente articolo dei  Bagni di Trescore, riferirò il zelante uma-  nissimo Voto, con il quale Gulielmo chiu-  de la sua opera stampata dal Giunti Faccia Iddio , che la Bergamasca Re-  pubblica abbia diligente cura di rimettere  nel primiero loro stato questi saluberrimi  Bagni , che certamente lo può , e lo de-  ve fare » . Faccio io pure fervidi e sin-  ceri voti , perchè abbia effetto tutto ciò  che caldamente raccomanda il Grataroli ;  e per maggiormente incoraggire la mia  Città , ed i miei Cittadini a procurare al-  la patria un vantaggio così rimarcabile ,  vivamente li supplico a leggere T erudita  ed elegante latina lettera di Lodovico Zi-  malia , premessa al suo dottissimo Trattato  dei Bagni di Trescore , dedicato al suo  magnanimo Mecenate Bartolommeo Colleoni  Capitano Generale degli Eserciti della Serenissima Veneta Repubblica , (91) nella  quale prova con una evidenza che sorprende, e che deve intenerire chiunque  senta amore per la sua patria , che quello  famosissimo Eroe deve senza alcun dubbio  essere ugualmente ammirato , e commen-  dato sì per le sue azioni militari , che per  le sue virtù politiche , a benefizio «> ed  eterno vantaggio , e decoro di tutta la  sua amata nazione Bergamasca .   De Notis Antichrìsti, senza data, senza luogo, e senza nome dello stampatore . Tuttavia nominerò ancor io tra  le opere di Gulielmo un libro con tale ti-  tolo , ritrovandolo registrato dal Calvi , e   dal Papadopoli suo copiatore , ma non  dal Frehero , non dal Bayle , non dai  Maizeaux suo illustratore , non dal Mer-  ci: lino , non dall' Eloy , mentre tutti que-  sti si suppone avessero molto interesse di  far autore di un libro Anticattolico  Romano un erudito e dotto Italiano - sic-  come era da tutti considerato il Grataro-  li. Non però verun altro Letterato ha po-  sto nel Catalogo delle sue opere V accennato libro • D' altronde è cosa più che cer-  ta , che si può scrivere dei caratteri dell'  Anticristo anche dalla più religiosa e ze-  lante penna cattolica : ed è certo di più ,  che il Calvi , o non averebbe registrato  un così fatto libro , o non averebbe man-  cato di scriverne qualche parola in dete-  stazione del medesimo . Ma di più anco-  ra quanto al Papadopoli , probabilmente  questi non averà nemmeno veduta quest*  opera , essendosi intieramente riportato al  Padre Calvi , siccome egli stesso scrive  nella sua storia dell' Università di Padova  parlando di Gulielmo Grataroli . Avendo  in oltre riportati i titoli delle altre sue  opere senza data , alterati , e confasi no-  tabilmente, non sarebbe stato egli il primo  a giudicare di un libro mai veduto , nò   letto • A me stesso è accaduta la medesi-  ma sorte y non solo di poterlo trovare >  ma neppure di averne fondata contezza ,  per quante ricerche abbia usate non sola  in Italia , ma altresì nella Germania e nell*  Olanda . Sostengo finalmente , che se que-  st* opera esiste , che io non credo , o se  fu composta da Gulielmo Grataroli -, non  doveva essere tanto malvagia e perversa ,  quanto alcuni senza ragione sospettano ;  mentre che tutte le opere del Grataroli è  vero che sono poste nell* indice de' Libri  proibiti ? ma con la semplice cautela ;  Quandiu emendata non prodieri nt (92) «  Dal che si è da presumere che se que-  sto fosse stato un libro veramente Etero-  dosso , Santa Romana Chiesa lo avrebbe  posto nella classe dei libri empj e mal-  vagi di prima classe •   XV I. Confilium de Proe fervanone a  Vcnenis . Gulielmo Gratarolo Aucìore .  Hamburgi in 8.   Ecco registrate tutte quelle opere che  mi è riuscito di raccogliere, le quali furo-  no composte da questo dottissimo Medico  e Filosofo : ora passerò alla seconda classe  delle opere tradotte e fatte stampare dal  medesimo .    J. Joannis Braccfchi de Alchimia ,  cum propofìtionibus 29. Idem argume ri-  rum compendiofa brevitatc compleclens ex  Italico Aucloris Autographo in latinum  verni -> & edidit Gulìelmiù Gratarolas .  Basilea 156*1. in folio. Apud Henricum  Petri .   Non mi è noto dove sia stata stam-  pata la prima volta questa traduzione; ma  solo ne ho trovata un' altra ed zione fat-  ta in Amburgo neir anno 1^7 3. in 8.   II. Chirurgico rum quorundam Auclo-  rum Libros Gali ice fcriptos latine reddidit ?  & in cap'-ta difiribuit Gulielmus Grataro-  las • Lugduni in 8. Apud Gabrie-  lem Coterium ,   Classe terza delle opere d* altri Scrit-  tori fatte stampare con prefazioni , note y  e commenti da Gulielmo Grataroli .   I. Ve ree Àlchymìce Scriptores aliquota  cum Praefationibus 9 & D celar ationibus col-  Ifgit y & una edidit Gulielmus Gratarolas.  Basilea? , apud Henricum Pctri in  folio .   II. Vetri Apone njls de Vene ni s eo-  rumane Remediis , cum Additionibus Gu-  Udini Grataroli . Francofurti , apud Joan-  n ìm Velici in 8.     8i   III. Hermannl a Ncunare de no-  vo haclenufque inaudito Germanice morbo  ^pompar* idcft judatoria febre , quern vulgo   fudorem Britannicum vócant, libellus a Gu-  lielmo Gratarolo editus. Colonia in  4. Ermanno Ncunare era Conte e Pre-  vosto della Cattedrale di Colonia .   Simeonis Riquinii Judicium do~  clijjimum duabus epijìolis contentimi de  fiutato r ice Febris cura t ione editum a Gu~  lielmo Gratarolo Medico > & Philofopìio  B ergo mate . Colonia in j 6.   V. Joackini Schdlerii ^ o come altri  scrivono Sckilfeni de Pejìe Britannica  Commentariolus aureus a Gulielmo Grata-  rolo Medico & Philofopko editus . Basilea?  1 5 c> 3. Apud Henricum Petri in 12.   VI. Alexandri Benedicii de Pejlilen*  tioe Caujjls s Proe fervanone > & auxiliorum  Materia Liber Jingularis : Omnia ex ma-  nufcriptis exemplaribus auxit y & illujìravit  Gulielmus Gratarolus Medicus 9 & Pialo-  fophus . Basilea? 1559. in 4. Ibidem 1572.  in folio apud Henricum Petri .   VII. Correcliones , & Additiones ad  librum Italicum , falfo tributum Fallopio 7  infcriptum , Secreta Fallopii . Francofurti  irfoò. in folio , e i6"o£. cum operimi   6 1     82   Appendice Guliehni Grataroli Medici Bcr-  gomatis. Girolamo Mercuriali da Forlì coe-  taneo del Grataroli , soprannomato Mercu-  rio e Trimegisto per la vastissima sua  medica scienza , nell' erudita opera : De  ratione dijcendi Mediana/?! , edizione di  Argentina dell' anno 16*07. > m proposito  dei libri falsamente attribuiti a Gabriele  Fallopio , racconta che vi furono alcuni ,  i quali o per malignità , o per sordido  lucro cacciarono fuori opere sotto il nome  del Fallopio , che affatto non sono sue ,  come il libro dei Secreti . Opere indegne  del suo maestro , e soltanto capaci a to-  glierli quella vera , e soda gloria , la qua-  le si era acquistata presso i dotti •   Vili. Cenjura & Additiones in Li*-  bruni Alexii Pedemontani , ubi de Quinta  effentia funplici . Per Gulielmum Grataro-  lum . Venetiis apud Jun£hs in 12.  Conjìha , & Curationes variorum  doclijfimorum Medicorum de Sudore An-  glico a Guliehno Gratarolo edita . Colo-  nia apud Franciscum Hofmannum 1602.  in folio .   X. Thaduei F/orenini , che 1' Alido-  sio chiama Taddeo Aledrotto^ & Guliclnù  a Brixia Conjìlia • Colonia* i^c^. Apud     Iranciscum Hofmannum in 4. Per Gidid-  mum Gratarolum .   XI. Johannis de Kupecijja de Extra-  tione Quinte? ejfentioe omnium rerum prò  u fu Medico . Venetiis apud Juntìas 156*1.  in 1 2.   XII. Theatrum G aleni > hoc eft uni-  verjlv medicince a Galeno diffupz *> fpar-   f inique traduce Promptuarium completimi  & in meliorem ordinem redaclum per Lu->  dovicum Luride llum a Gulielmo Gratarolo  Medico } & Philojbpho editimi . Basilea?  15 68. Apud Henricum Petri in folio «>  Hamburgi apud Joanneni Neumannum >  & Georgium Volfium \6j2. in foiio.  Petri Pomponacii de Incanta*  tionibus libri in quibus dijficilUma Ca-  pita > & Quefliones Theologicoe , & Philosophicoe ex jana Orthodoxoe /idei doclrina  explicantur > & multis rarìs Hijìoriis > &  Glojfulis illujlrantur . Per Gulielmum Gra-  tarolum Medicum , & Philojbpkum Bergo-  matem > qui fé in omnibus Canonica^ Scriptum et Janclorum Dociorum Judicio fubmittit . Basilea? Kalendis Martii ex Offi-  cina Henripetrina in 8. cum Csesa-  rea Majestatis gratia & privilegio. Quesra  edizione del trattato deeli Incantesimi di     &4   Pofnponacio tu consagrata dal Grataroli a  Federico Conte Palatino con una nobilissi-  ma , e giudiziosissima dedicatoria impiega-  ta parte in encomj della virtù e meriti di  quel Principe, e parte in difendere Y ope-  ra di quel Filosofo Mantovano , del quale  afferma e sostiene , che fu a torto impu-  gnato , e perseguitato ; e che se fosse sta-  dio con prudenza e carità Cristiana tratta-  to , sarebbe riuscito uno dei più zelanti e  forti Apologisti della Chiesa Cattolica, come riferisce essere avvenuto a Giustino  Martire , al grande Agostino , ed a mol-  tissimi altri difensori della nostra santissima  religione • Di fatti Pomponacio per atte-  stato di tutti gli Scrittori della sua vita  mori cattolicamente (93) : » Voglio spera-  re , che Pomponacio prima di mandare  fuori T ultimo suo spirito , siasi per singolare grazia delia divina providenza e misericordia ravveduto e pentito , e che non  abbia perseverato neir ateismo . Imperoc-  ché tale essere stato il Pomponacio Y ho  udito spesse fiate a rammentare da Elideo  Medico di Forli chiarissimo ornamento del-  la medica scienza , ed uno de suoi più  cari discepoli » . Ho ricopiato questo sen-  timento dui Grataroli acciocché si conosca quanto grande fosse Sa sincerità e Tat-  , taccamento verso la Chiesa Cattolica. Gis-  berto Voet , o Voezio ^ dotto Professore  di Teologia -, e delle lingue Orientali neìl'  Università di Utrecht , inimico capitale  della Filosofia e di Cartesio , ha parlato  con molta lode della suddetta edizione, dicendo Gulielmo Grataroli Medico  Italiano , li di cui scritti vengono coiti*  mendaci per lo zelo di pietà e di religio-  ne che vi traspirano, e per li encomj de*  quali lo ricolma Teodoro Beza nelle sue  lettere , e per li suffragj di molti altri uo-  mini dotti, che lo trattarono nelle sue ope-  re stampate in Basilea difende Pomponacio  contro li suoi caluniatori, ed afferma, che  abbia terminati i suoi giorni assai piamente. Dalla medesima dedicatoria di Gulielmo da  esso scritta un anno solo prima del suo pae-  saggio all'altra vita si rileva, che già die-  ci anni innanzi egli aveva fatto stampare r  senza che mi sia riuscito di sapere in qua!  parte ^ il Trattato De ìncantationibus di  Pomponacio , perchè così scrive al Princi-  pe suo Mecenate * (9$) » La parte di  questo libro , che tratta delle cause , e  degli effetti naturali, o sia degli Incantesi-     u   mi fatta da me stampare sono già più di  dieci anni , T avevo dedicata e spedita  air Illustrissimo Principe Ottone Enrico  Elettore di felice memoria , e S. A, non  sdegnò di ringraziarmi con lettere di suo  proprio pugno » . Mi è piacciuto di nuo-  vamente riportare quanto Gulielmo Grata-  roli scrisse in quella sua elegante Dedica-  toria , perchè dalla premura e zelo da es-  so dimostrato sino agli ultimi periodi del-  la sua vita , e dalla universale estimazio-  ne , che hanno sempre costantemente fat-  ta palese in faccia di tutto il mondo tanti  letterati del primo ordine , d* ogni nazio-  ne , e d' ogni religione , della dottrina ,  della probità, e dell' amore del vero , e  del giusto , che ha conservato in tutte le  sue operazioni , possa invogliarsi qualche  valente ed erudita penna della sua , e  mia patria a tessere , ed in assai miglior  modo ordinare una più compiuta istoria  scevra dai difetti , dei quali questa mia  pur troppo è ripiena , di un Filosofo e  Medico j che ha impiegati e consagrati  tutti i suoi talenti , e tutti i momenti de'  tuoi giorni a benefizio e vantaggio della  languente umanità , ammaestrando ed illuminando il mondo tutto con le numerose produzioni del sublime suo ingegno, trasportando nella lingua più universale moltissime opere in diversi altri idiomi composte da più dotti e famosi scrittori ed in fine illustrando ed arricchindo di uti-  lissimi riflessi e profittevoli commenti un  numero immenso di interessanti volumi i quali contengono ogni genere di scienze e di cognizioni, siccome ne forma  una evidentissima prova il copioso catalogo delle sue opere da me coordinato ed esteso. Guglielmo Grataroli. Grataroli. Keywords: sulla memoria, de balneis, turba philosophorum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grataroli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689900199/in/photolist-2mKAsyK-2mKEftR

 

Grice e Grazia – il principio di benevolenza conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mesoraca). Filosofo. Grice: “Grazia is important to understand Galileo, whom Italians consider a philosopher!” Grice: “Grazia also wrote about architecture – a truly Renaissance man!”. Studia a Napoli dove venne condotto, dalla natia Calabria, da uno zio dell'ordine dei Teatini. Si laurea a Napoli. Studia filosofia. Si oppose al Criticismo kantiano e all'Idealismo hegeliano in nome dell'esperienza. Saggi: “Discorso sull'architettura del teatro” (Napoli: Giordano); “La scienza umana” (Napoli: Flautina); “Logica speculativa” (Napoli: Gemelli); “Filosofia: eterodossa ed ortodossa” (Napoli: Poliorama); “Considerazioni sopra 'l discorso di Galileo Galilei intorno alle cose che stanno su l'acqua, e che in quella si muouono. All'Illustriss. ed Eccellentiss. Sig. don Carlo Medici (Firenze, Pignonj). “Della vita e delle opera: Dizionario Biografico degli Italiani. Classe- Appetito;Volere.Condizionediogni appetito è l'andarsi rinvigorendo con lareiterazione degli atti fino a rendersi dominante su gli altri appe titi. Condizione della volontà è l'andar con l'esercizio acquistando maggior potere su imoti del corpo sog   3.Classe- Moloriprimitividellavolontà:Ten denzaistintivadellenostreforze all'azione;appetito istintivo del piacere nella sua triplice forma, e a v versione al dolore ; amor di sè stesso co'tre carat teri di concentrazione, di reazione, di espansione spontanea. 4.Classe- Oggetti dell'amor-proprio diconcen nale, onore esterno. Reazione dell'amor-proprio: Emo sentimento. Espansione spontanea : Benevolenza. Ilbenessereè certamente oggetto dell'amor proprio; ma nella3.classevadistinto dall'amor proprio l'appetito istintivo del piacere, e l'avversionealdo l o r e . N o n è p e r c h è a m i a m o n o i s t e s s i, c h e d e s i d e r i a m o il piacere e fuggiamo il dolore. L'amor proprio si pronunzia nel cercare imezzi per procurarci l'uno, e per sottrarci all'altro, fino a contrastare a tale uopo altriappetiti.L'appetito quindi del benessere, una delleesigenzedell'amor proprio,éprecisamentequel principio, in cui lo Stewart ha fatto consistere tutto il nostro amor proprio. Un tale appetito abituale non è  getti al suo comando, come anche su l'attenzione ri. flessiva. Seconda condizione dell'appetito è l'essere accompagnato da piacere , quando è soddisfatto ; e da dolore, quandoessendoistigato nonèsoddisfatto. È questo esclusivamente il piacere e il dolore morale. trazione:Benessere,dignità.perso IL METODO. Classe Slati diversi dell'appetito:Desiderio, o contento ; godimento , o afflizione, o rammarico ; speranza,o timore;pentiinento;disperazione. zione benevola di riconoscenza; ri   invero irreducibile. Ammettendosi in un essere dolori epiaceri ,eragionee volontà,essoprevedendolecon seguenze delle sue azioni, non mancherà di formarsi u n p i a n o d i c o n d o t t a p e r e v i t a r e il dolore, p e r p r o cacciarsi il piacere; e la repressione di altri appetiti entrerà come mezzo in questo piano. Noi intanto a b biamo notato tra fenomeni irreducibili l'appetito del benessere a sola mira di esibire intero nella 4. classe ildominiodell'amorproprio. E lapresenteosserva zione basta a far riguardare con tutto rigore l'addotto esempio di classificazione. Abbiam già completato il quadro de'fenomeni pri mitivi del pensiero , distinguendolo in tre categorie corrispondenti a' fenomeni, Sensazione, Giudizio, V o lontà ; e tenendo conto delle condizioni loro comuni . Pria di progredire nel nostro divisamento, daremo fine a questo articolo con la seguente generale osser vazione. La semplicità di una classificazione di feno meni primitivi non si dee giudicare su laclassesu prema.Ilnumero de'principjignotièegualealnu mero de'fenomeni distintinellatotalità della classifica zione. Può quindi avvenire,che due classificazioni sieno nel fondo identiche, mentre si offrono sotto aspetti a s saidiversi.Se,peresempio,allaprima classe,che comprende i tre fenomeni , Sensazione, Giudizio, V o lere,sifosseanche ascrittalamemoria,esifossedi stinta nella riproduzione degli atti mentali , e nel ri. conosciinento;non sisarebbe nullacangiatouelnu Inero de'fenomeniirreducibili. Ciò nondimeno un tal cangiamento non sarebbe del tutto indifferente.Nella classificazione da noi preferita i fenomeni della prima  124 PARTE PRIMA,   IL METODO. 125 classe sono i più differenti di natura ; m a ciò che si riproduce nella memoria non perde la sua natura primitiva. Le idee astratte si riproducono nella loro perfettaintegrità. Lesensazioniperdonoestremarnente di vivacità al riprodursi nella immaginazione:niente altrocangianodilorocondizioneprimitiva.E lostesso avviene nella riproduzione delle affezioni morali. La memoriaquindi,presanelsuopiùampio significato, non reca fenomeni di natura differente da que'della sensibilità , dell'intelletto, e della volontà : queste u l time facoltà somministrano materiali fra loro diffe renti , e la memoria è addetta a ritenerli in deposito. Cosi la prima classe ha potuto segnalare laprima di visionedellascienzane'trerami logica,etica,este tica.Non è certamente questo un vantaggio di allo rilievo,ma nonv'eraalcunaragioneperdisprezzarlo.  Si supponga or che invece di esibire in più ordinii fenomeni primitivi, si fossero enumerati in una sola lista , come è costume : sensazione , giudizio , atten zione,immaginazione, reminiscenza,analisi, sintesi, astrazione,generalizzazione...Ilnumero de'feno meni primitivi potrebbe rimanere lostesso, ma senza esservimarcataladipendenza traimedesimi.L'al tendereèproprio dell'intelletto; l'immaginazioneè una legge della sensibilità ; la reminiscenza o ricono scimento è un giudizio ; l'analisi, la sintesi , l'astra zione,lageneralizzazione....appartengono all'in telletto.Una tale dipendenza è una condizione di più nel fenomeno : è propriamente una ulteriore parziale riduzione. Così per altro esempio , se i motori della volontà si enunciassero come segue:Tendenza istintiva delle nostre forze all'azione ; appetito istintivo del   126 PARTE PRIMA, piacere; appetito razionale del benessere; appetito della dignità personale; appetito dell'onore esterno; emozione benevola di riconoscenza; risentimento; benevolenza ; si a v r e b b e c o m p l e t o il n u m e r o d e ' m o t o r i primitivi, ma niente apparirebbe della loro dipen denza; l'enunciazione non darebbe ultimata laloro riduzione,non siesprimerebbecompleto,perquanto a noi siscopre,ilsistema della natura pe'fenomeni della volontà. Vedulaprimordialenellericerchedellaori gineedellareuliàdellascienzaumana » 1 II. Sula ipotetica origine a priori delle idee e IL METODO IL METODO VELLA SCIENZA DELLA NATURA.  IN QUESTO VOLUME PRIMO primitivi ..realtà delle conoscenze IV. Continuazione V. Osservazionipreliminari DI Ciò che si CONTIENE INTRODUZIONE delle conoscenze III.Siannunziano iprincipj, trattida osser . vazioni parlicolari, su la origine e Classificazionede'fenomeniprimitivi » II.Riduzione de'fenomeni particolari a' »esempio trattodalla estetica Classificazione delle scienzenell'ordinelogico VII.Metodo inventivo nelle scienze natu VIII.Metodoinventivarellascienzadelpen IX.Melodo di esposisione nelle varie X. Metododiesposizionenellascienzadelpensiero - poche idee sul metodo Utilitàinultimarleriduzioni Classificasione delle scienze. ESPERIMENTI DEL METODO PER LA SCIENZA PRIMA. CORSO PROGRESSIVO DELLA FILOSOFIA PRIMA,  E SUE DEVIAZIONI. Posizioni diverse nella quistione del Me-  todo — Esemplare classico del metodo  speculativo— Primo esemplare del me-  todo di pura osservazione. . .EL. Deviazioni del metodo nel periodo sco-  è è » a 00 a_n _d  Articolo HH. Metodo di pura osservazione nella parte  psicologica della Filosofia ortodossa. »  Articolo 1V, Progresso della osservazione analitica nel-  la Filosofia moderna, ad onta che i si-  stemi: declinassero o al sensualismo, o  al’ idealismo; Idealismo assoluto de’ discepoli di Kant—  Declinazione della osservazione anali-  tica, e rifiuto de’ suoi prodotti prece-  denti, surrogandovi una supposta per-  cezione de’.sensi, e una dimessa ma  ra soggettività, e per ultimo rivisioni ontologiche. Sut-nesso-detta discorsa Rassegna ci con la  seguente O'S 8 ESPERIMENTI DELLA FILOSOFIA SPECULATIVA. SU LA LOGICA DI HEGEL.    ‘Articolo E. Su l'identità de’ due contrarii . ... >» 4  Articolo HI. Le idee fondamentali dell’ intimo senso  Vanno snaturate in ogni panteismo . »   Articolo m. Su le categorie, e l'Idea assoluta. .. . » 2%  = vo nella scienza prima   — tende di continuo ad alterare il genui-    no valore delle idee fondamentali. SU LA FILOSOFIA SPECULATIVA. SU LA IMPOTENZA DELLA RAGIONE INDIVI-  DUALE , SECONDO IL LAMENNAIS. . » 3%  C4PO-T7-="Sv-t5 EINE DI Dio, DEL cinite, SISI  L'ATTO CREATIVO, SECONDO IL Gro-  SERIE input » Sul secondo a della formola. .IN. Su Te altre parti della Formola , cioè  T Enie e l'alto creativo. .Su la Visione delle idee in Dio > indi-    pendentemente dalle altre parti della    iu DETTE IEEE SU LE CONDIZIONI DELLA ODIERNA FILOSOFIA.  Articolo I. Sul concetlualismo, perenne caasa delle  deviazioni della Filosofia. . . Hi. Su i recenti proget di nuova Filosofia  OROCO: «..-_/._. cs. iu » Influenza della sacks tedesca su la Filo-  sofia del secolo . . ...... +. D 203  Articolo IV. Su le più famose obbiezioni prodotte da’  moderni contro la Teologia naturale. » 238  Articolo VW. Riassunto degli articoli precedenti e con-  seguenze per le scuole d’insegnamento. » ÈNTE IN UNIVERSALE, LUME PERENNE DELL'U-  MANO INTELLETTO , SECONDO ZL ROSMINI.. » 275  Articolo Il. Su i modi dialettici adoprati dal Rosmini  nel mostrar conforme al suo sistema    la dottrina insegnata da S. Tommaso. » 314  Articolo Wl, già un anno decorso che uno dei più profondi filo sofi di questa Italiana provincia faceva da noi dipartila ! Niun periodico della capitale fra i tanti che pur trattano di futilità e di non nulla , o tutt'al piú di celebrità di teatro,fecealcunmottodilui:ilsoloOmnibus annun ziandone la grave perdita, prometteva una biografia dell'estinto:ma tale promessa insino ad ora non l'ab biamo veduta recare in atto Noi per mera carità di patria e senza pretenzione letteraria di sorta, diamo questi pochi cenni per come abbiamo potuti raccogliergli frugando nella nostra memoria (1). A quella regione ferace di eletti ingegni ed in ispecie di grandi filosofi da Pitagora a Galluppi (tralasciando tanli altri illustri nomi) appartenne il nostro Filosofo, avendo avuto i natali verso il 1792 nell'antica Reazio ,oggiM e  Ahi sugli estinli Non sorge fiore ove non sia d'umane Lodi onorato e d'amoroso pianto. . 7   soraca,inProvinciadiCalabriaultra2.dabaronale ed agiatafamiglia. Passòl'infanzianellaterranatale,ima mostrato avendo svegliato ingegno, fu pensiero di un suo zio,religioso dello insigne ordine de'Teatini di con durlo in Napoli per fargli apparare belle lettere e filosofia appo que'RR.Padri. Quivi dedicandosi alacremente a talistudi,ebbe a con discepoloilfamoso ex Generale de Teatini,P.Gioacchino Ventura, che se tutti ammirano per non comune facondia , per vasto sapere ,per rettitudine ed illibatezza di costumi, gl’Italiani lo avrebbero a ragione desiderato continuatore dell'opera progreditrice e liberale da lui cominciata a p r o p u g n a r e n e g l i a n n i 1 8 4 6 e 4 7 . C o n l u i il D e G r a z i a l e g o s s i con tale intima amicizia e scambievole stima , che le m e morie di quella loro prima età insieme trascorsa, dopo tanto volgere d'anni non più cancellaronsi ,abbenchè pel diverso stato da essi prescelto, vivuto avessero quasi sempre l'un dall'altro discosti. Escito il De Grazia da quelle scuole,diessi con tutto ardore agli studi severi delle matematiche ,non pure tra lasciando qnelli della filosofia , pe ' quali monstrava incli nazione grandissima. Giovane ancora militò per qualche tempo nel Genio ; m a poscia,smesso il cingolo militare, esercito professione d'Ingegnere, entrando nel Corpo detto allora de' Ponti e Stradë. Si nell'una che nell'altra carriera adempi lode volmente ai doveri della sua carica , e procacciossi giusta  -8 > 2   9  7 estimazione.Ed abbenchè per lasua indipendenza di pen samenti e per la sua modestia , non venisse adoperato come avrebbesi dovuto,pure quello che in varie pro vincie per suoi elaborati disegni in opere pubbliche ed in fatto di edifizi vari, venne eseguito, riusci di uni versale contentamento,e rivelar seppe la sua valentia, tanto da essere ricercato e consultato dagli stessi suoi compagni ed emoli nella professione. Ma nel paese del De Grazia da piú tempo non costruisconsi più quelle opere grandiose da potersi rivelare il genio artistico di un'ar chitetto;e se pure alcuna fiata qualche notevole edifizio debbesi costrurre,l'ingegnosirimanefrapastoje;perché condannato a grame proporzioni di una architettura bor ghese, od a meschine economie che sovente lasciano le opere pel volgere di più anni incomplete,ovvero menate a compimento , ma di gran lunga variate dagli originali disegni. V e r s o l ' o t t a v o l u s t r o d i s u a e t à il D e G r a z i a , o m e t t e n d o i lavori per Ponti e Strade e smessa ogni altra cura ed applicazione, si dedicò con tutto ardore a quegli studi filosofici che fin dalla gioventù avea mostrato di molto prediligere. Frutto delle sue lucubrazioni e speculazioni filosofichefulagrave opera:Saggio sulla realtà della scienza umana ; lavoro sapiente e profondo , che in 4 volumi pubblicossi a Napoli nel 1839-43 e che verso il 1847 il Silvestri in Milano ed ilFontana a Torino voleano ristampato pe'loro tipi,ma non vedendosi incuorati da   chicchessia a tale pubblicazione , e la stampa tacendo su di un'opera di tanta mole , ne smisero il pensiero. Non è scopo nostro venire in disquisizione sul suo si stema filosofico e sulle opere di lui, secondo che ne fac ciamo qui menzione ,pon sentendoci da tanto,e lasciando a'profondi pensatori un tale incarico.Solo diciamo ,ch'egli rifuggendo da'sistemi oltramontani e dallaservile imita zione, ha tutte leproprietà dell'italiano Filosofo, per q u e l l a s u a m a n i e r a d i s t u d i a r e il m o n d o e s t e r i o r e , e p e r quel pratico senno che loconducono dall'esperienza alla induzione ,per modo da congiungere sempre l'osservazione di fatto colla generalità delle idee.In ciò fare egli seguiva in gran parte le dottrine del sommo Aquinate ,gloria d’l talia e della Chiesa ; senza aver letto ancora Opera alcuna di questo santo Dottore. Per caso in confutando talune teoriche dell'altro nostro celebre italiano , l'abate Rosmini , il quale in un luogo delle sue opere ivaesponendo molte sentenze di S. Tommaso in conferma de'suoi detti,sorse vaghezza al De Grazia di leggere la somma di esso santo; e grandissimo fu il suo compiacimento in rilevare l'ac cordo delle loro dottrine in ciò che concerne ilprincipio di rifuggire da ogni ipotesi speculativa, e di ricondurre la scienza fondamentale al puro metodo di osservazione; e pieno di rispetto e di ammirazione pel santo d'Aquino, iva seco stesso facendo le più alte maraviglie del quanto poco abbia progredito la scienza filosofica in questi u l timi sei secoli.  10 >   Oltre a molti altri scritti minori , pubblicati in parecchi giornali specialmentenel Progresso enel Calabrese,altra grave sua Opera è quella intitolata : Discorsi sulla Logica di Hegel e sulla Filosofia speculativa , ove adoprandosi dimostrare l'assurditàdi taleLogica,confutaque'filosofi che han cercato con malizia o senza addarsene d'intede scare la filosofia italiana.  Per chi le Opere del De Grazia punto non conosce,riu. scendogli per avventura nuovo un tal nome ,potrebbe di leggieri riputare sospetti i nostri elogi, se non altro ,per troppa carità di patria : noi a renderlo persuaso del con trario, e che anzi,il lodato resta sempre al disotto delle nostre umili laudazioni , citeremo l'autorità di un giudice assai competente ed in nulla sospetto, qual'è il celebre Professore di Heidelberg Cav. Carlo Mittermaier. Questi nel suo Libro Condizioni d'Italia pubblicato nel 1846 e precisimente nella Lettera di appendice indiritta al chiaro abate Mugna , traduttore del suo libro, dopo aver parlato delle celebrità letterarie e scientifiche d'Italia , e m o strando desiderio che le opere filosofiche degl’Italiani fos sero meglio sludiate dagli stranieri ed in ispecie da'suoi connazionali , venendo a parlare di Napoli dice : « Il genio della filosofia napoletana è la copiosa e fina analisi dello spirito umano,sempre unito a grande dovizia d'idee e ad una tendenzapratica ».Ad essoappartengonoleopere di P. Galuppi e di V. De Grazia, peculiarmente l'opera di questo:Saggio sulla realtà dellascienzaumana.Esa >   minandol’A.gliscrittide'suoipredecessori,non che de'filosofi tedeschi ed entrando in minute particolarità (peresempio vol.2.p.1.174)intornoa'varipensamenti sulla origine delle idee,seguesi con piacere lo stesso A. nel suo ingegnoso sviluppo e si ammira la sua fina analisi intorno alla natura delle conoscenze pure intuitive , e c o noscenze dimostrative. « Fin qui il Mittermaier.Le parole di un tant’uomo sono più che sufficienti a testificare sul merito filosofico del nostro concittadino , ed altre singole illustritestimonianzepotremmopurqui addurre;ma le opere di lui per chi vuole e può leggerle parlano abba stanza.Solo non vogliamo tralasciare di dire che fu in grand'estimazione tenuto da quell'antico uomo di stato e scienziato profondo il Conte de' Camaldoli , Francesco Ricciardi,e che ilsuo grand'emulo il Galluppi (la cui fllosofia era stata in qualche parte del De Grazia confutata perché non severamente italiana , nè in tutto da lui tro vata scevra di straniere dottrine) richiesto un giorno del suo parere sul Saggio della realtà dellascienza umana , rispose:l'operaprocedemoltobene,secondo ilsistema seguito dall'autore.E qui di volo ci si permetta doman d a r e a n o i s t e s s i : c h i r a g g i u n s e p i ú il v e r o d e ' d u e c h i a r i concittadini nei loro rispettivi sistemi?chi più possedette geniocreatore?A ciòrispondiamoesserpaghidirilevare inambidueilpositivoprogressodellafilosofiaappo noi e possiamo riguardarli come continuatori delle dottrine sviluppate da' due filosofi Calabresi Telesio e Campanella  42 > > >   che cercarono di richiamare la filosofia del secolo decimo settimo a'suoi veri principi facendo appello all'esperienza, alla propria ragione ed all'esatto studio del mondo ,quale si offre alla osservazione, e sopratutto cercando di sce verare la filosofia dalle quisquiglie scolastiche del tempo ; per il che ebbero a sostenere aspra guerra per parte de' loro avversari , seguaci delle dottrine d'Aristotile , più in quanto alla forma che alla sostanza. Or nella gran serie di sistemi de' filosofi di Europa , ognuno dei quali nasce per distruggere l'anlecedente , e per essere poi a sua volta distrutto dal successivo,i sistemi seguiti da' due grandi Calabresi, Galluppi e De Grazia, sono sistemi italiani, sopratutto quello del secondo , e sopravviveranno a'posteri assai più,se non c'inganniamo,dell'eccletismo di Francia e del razionalismo puro di Germania ,ilquale u l t i m o s i s t e m a a r g u t a m e n t e il D e G r a z i a c h i a m a v a : p o e m a filosofico;abbenchède'filosofitedeschiegli faceastima grandissima,especialmentediEmanuele Kant,ch'èil primo nellaseriediquellicheformanolamodernascuola, per la mente profonda, vasta e unicamente originale fra tutti i filosofi di Germania ,per maturo giudizio,fervida imaginazione,esottilissimoingegnoanalitico,ma lamen lava che il suo genio batté la via del eccletismo scettico e del dommatismo razionale. Ma benché per noi sian grandi tutt'e due inostri con cittadini,nondimeno sembra rilevarsi dalle suespresse parole del professore di Heidelberg che nell'opera,da lui  13 >   citata e da noi di sopra più volte riferita,la penetrazione filosofica e la fina analisi del nostro De Grazia abbiano richiamato la sua attenzione assai più che nol fecero le opere filosofiche del Galluppi. Eppure questi , sebbene tardi, fü almeno ricordato da quel Governo , essendo stato nominato professore di filosofia nella cattedra della universitàdegli studi di Napoli (2)e nella morte di lui fu r o n v i p u b b l i c h e e s e q u i e , e r e c i t a r o n s i f u n e b r i e l o g i ( 3 ) m a il De Grazia visse e mori ignorato! e non fu noto che alla calabraterra,chevidelonascere,edaqualche singola celebrità nostrana e straniera. Di chi la colpa ? Forse de' tempi ? del governo ? o della propria sua indole? Noi crediamo esservi concorse tutte e tre le suindicate cagioni. C i r c a il g o v e r n o c u i a p p a r t e n n e il D e G r a z i a , il m e r i t o non è merce cui è andato per ordinario ed unquemai in traccia; ma nel tempo presente solo il pensarlo è utopia. E finalmente l'indole di lui rifuggente dallo adulare potenti,dalcercarmecenati,dalraccomandare odedicare isuoi scritti achichessia,mantenendosi sempre in dignità  Il secolo che corre: e che appellasi posilivo non ha altripensieridominanticheilcredito,> laborsa,lespe culazioni commerciali, o tutt'al più qualche progresso materiale da solletitare l'ardente brama del guadagno (peste della società presente) che di continuo lo stringe ed arrovella;epperò non è secolo che occupar puotesi di filosofia.  e modestia , coltivando la scienza per abitudine contratta agli studi severi e per naturale inclinazione del suo genio inventivo e calcolatore, senza avere unquemai tenuto scuola (che gli scolari molto influiscono alla fama ed a rendere popolare il nome de’loro maestri)e menando per conseguenza vita laboriosa e ritirata ; fecer si tutte le cosi fatteragionicheilnome suorimanesseignotoall'universale. Ma qui non possiamo fare a meno di non osservare che in questa epoca di generale centralizzazione governativa negli stati di reggimento assoluto sopratutto, ne' quali ė spesso negato a privati di fare puranco il bene (4)o altra innocentissima cosa ,senza previa superiore autorizzazione, o sovrano beneplacito;ove nullapuossi mandare a stampa senzapreventivarevisioneecontro revisione;non rebbe uu richieder troppo da cotali governi se alla mania di voler lutto sapere ed operare aggiungessero un pò di buonavolontàedesideriodiconoscerelegrandi intelli genze , tenerne nota ed applicarle a vantaggio della n a zione. E grata cosa sarebbe riuscita al De Grazia,abbenchè dell'indole qui sopra descritta , e sempre abborrente dalla s e r v i t ù e d a l l a v a n i t à , s e il g o v e r n o i n m o d o q u a l u n q u e avessegli addimostrato di tenerloin pregio,o nominandolo professore di filosofia nella Università, dopo la morte del Galluppi, non essendovi in tutto il reame altri che più diluinefossestatodegno,omostrandogli dipregiarlo in altra guisa qualunque,ma sempre per moto spontaneo, essendo stata sua massima indeclinabile che ilmerito de  -15 > sa   vesi conoscere volenterosamente dagli altri,senza sforzo di sorta per parte propria. Sonovi però di momenti nella vita de' popoli in cui l'opinione pubblica si addimostra regina e manifestasi con tuttalapossibilespontaneità.Un talemomentosifuquando nel 1848 ilDe Grazia,non pure senza brigarlo,ma senza avervinemmeno pensalo,vide ilsuo nome con migliaia di voti sortire dalle urne elettorali, qual depulato cala brese nel Parlamento napoletano.Molto egli si compiacque per tale dimostrazione di stima e di fiducia da parte dei suoi concittadini;ed accetatone il grave mandato ,pieno di buon volere e di coraggio si parti con gli altri deputati per alla volta della capitale. Lusingavansi gli elettori suoi nella speranza di vederlo presto discendere dalle astrattezze filosofiche,alla realtà della vita politica:ma tanto non avvenné,  16 2 > Equicisipermettanoperpocotalune reminiscenze, r i a n d a n d o 'u n t e m p o , c h e g i à f u ( 5 ) p e r i l i b e r a l i o n e s t i e di buona fede che credevano alla santità ed alla osservanza di giuramenti (6) e del cui gran numero facevano parle quasituttiiliberalidelleprovincie,traqualiilDe Grazia, que' tre primi mesi, dopo il sollenne 29 Gennaio 1848, con assai più ragione di quello che uno scrittore francese diceva del suo paese nel 1830 furono giorni deliziosi,in cui la generazione nostra conobbe quell'allegrezza,quella ‘speranza, quel non so che si raro nell'umana storia che ci fa dimentichi del peso della vita. L'avvenire non più   - 17 - rappresentavasitristea'nostrisguardi,scoprivasiun'oriz. zonte sconosciuto, tutto era color di rosa,perché crede vasial progresso indefinitodell'umanità,ealcompimento insperato di tuttele promesse della filosofia moderna. Quelle notizie sempre succedentisi di libertà di popoli, di cessazione di ogni dispotismo e tirannide in quasi tutta Europa, d'indipendenza ed autonomia di nazioni, eccede vano l'immaginazione e faceano degli uomini tanti inna morati viventi in un'atmosfera inebbrianto....... Tempi felici! e che non più ritorneranno !perocchè a tutte quelle nobili aspirazioni (forse perché non provegnenti nella gran maggioranza da vero disinteressamento, abnegazione e pura virtú) sono troppo rapidamente succedute le idee finanziarie e di materiali interessi, che stan materializ zandotuttiglispiritiedimmergendoliinunprofondo le targo daimpedirediaddarsidellalenta,ma sempreognor crescente propagazione del dispotismo; e che per sopras sello invece di farei indefinitamente progredire, ci ha fatto, e ne sta facendo precipitosamente indietreggiare (7).E cio di passaggio. Ma ritornando al nostro Vincenzo, egli era uno di quei tanti Filosofi che hanno il coraggio del pen. sieroe non quello dell'azione.Uomo adusato da tanti anni  а star chiuso nella rocca della sua mente per dare corpo e vita a'suoi pensamenti filosofici, riputavasi vestito del lusbergo delpiùsaldoproposito:ma arrivatoalcontatto della fredda realità, divenne esangue ed impallidi. Difatto giunto in Napoli, tosto avvidesi del come furono conce   I fatti che vide nel famoso 15 Maggio , al primo scio gliersidella Camera de'Rappresentanti della nazione, non c h e n e l t e m p o s u c c e s s i v o (d a s u p e r a r e f i n a n c o l e s u e p r e visioni e che iscusano la sua condotta inverso chi volle accagionarlo di timidità) fecero d' allora in poi addive nirlo più solitario e ritirato di prima. Lui felice ! che p o teva col pensiero allontanarsi dalla triste realtà che cir condavalo, e vagare tra i nobili e pacifici campi della fi losofia. Fu verso quel torno che rivedemmo per l'ultima volta il'De Grazia,ilquale ci feceaperto diesser egli tuttoap plicato al compimento di un lavoro già concepito quando lesselaSomma dell'Aquinate.A questonomeglidichia rammo francamente il desiderio nostro, e di altri suoi amici ancora, che siccome dalle sentenze filosofiche scelte dalla S o m m a presentar volea la Filosofia di S. T o m m a s o , coll'esame comparativo delle dottrine del nostro secolo; cosi dalla scelta di tutte le sentenze politiche, di che ab bonda quell'aureo libro, ci facesse conoscere la politica di quel santo dottore, in tutto tendente a fare che la s u prema autorità non trasmodasse in dispotismo e tirran nide, e che la macchina governativa fosse tutta intesa a formare il benessere della gran maggioranza della co  48 dute le improvvisate riforme; col suo sguardo scrutatore s'impossesso della situazione politica del momento , e m i surandone tutta la portata, promise a sé stesso di non porre piede nell'aula del Parlamento Napoletano. e   mune Patria;che simili scritti,soggiugnevamo,potrebbero serviredifrenoalpotere,affinchéne'suoiattinon de generasse in forza brutale. Al che il nostro Filosofo (cui sembravagli ancora di sentire il fragore delle artiglierie) mestamente rispose: L'eloquenza dellabocca de'cannoni fa ammutolire ogni lingua , e fa cadere la penna dalle p a ralizzatemani.E noidirimbecco:seilcannonedistrugge, la penna può e sa riedificare. Fu dunque nel 1851 che il cennato suo lavoro col litolo di:Prospetto della Filosofia Ortodossa, venne stampato in Napoli, in un volume in 8. di pagine 632. Fra le molle lodi che questo libro ebbe dalla stampa periodicadi di verse parti, furono quelle tributategli con molto calore dalla perma'osa Civiltà Cattolica (8)(anno 3. vol.10. N. 60) connostra grande maravigliaesatisfazione.Ma lamag gior lode che ridondar possa a vantaggio del De Grazia, si è, che per il primo ha cercato di far rivivere la Filo sofiadiS.Tommaso,echeilsuo pensieroè statoposcia seguito dalla Università -parigina e da parecchie di Ger : mania. Era sua intenzione comporre un'opera di Estetica ed un'altra d'Istituzioni filosofiche, questa sopratutto, per esservene secondo lui, gran difetto nelle scuole : m a tale divisamento non potè mandare ad effetto: sonosi tro vati,èvero,de'manoscrittinellasuacasa,ma forte te m i a m o c h e a n d r a n n o p e r d u t i. F e r a l e m o r b o m i n a v a d a p i ù tempo isuoigiorni,edegli vide approssimare ilsuo fine con la serenità di un fanciullo e con l'impassibilità di un Filosofo ed il 22 settembre 1857 cessò di vivere.  -19   Fu ilDe Grazia di ordinaria statura e di gracile com plessione; di aspetto nobile e dignitoso, ed insieme di tratti gentili, e cortesi epperò riusciva piacevole nella conversazione.Nel suo incesso vedevasi grave e pensoso come se ruminasse qualcosa col cervello,o talmente era assorto da suoi filosofici pensieri,da non por mente alle cose esteriori,e da non addarsi degli amici che passavan gli allato, se questi nol riscuotevano chiamandolo per nome.Visse sempre celibe.Lasciò un'unico nipole, erede de'suoi beni, mostrandosi pur generoso nelle ultime dis posizioni verso due suoi antichi compagni ed i suoi d o mestici. Or un tant’uomo disparve dalla scena di questo mondo senza che nemmeno un fiore si fosse sparso sulla sua tomba ; senza che nè pietra pè parola additassero ove han riposolesueceneriericordasseroilnome diluiagli avvenire ! A voi Italiani,che amate gl'illustri figli della comune sventurata patria nostra, e che vi distinguete per nobili sentimenti di nazionalità, abbiamo rivolta la nostra p a rola:inscrivete,per come é debito, il nome di Vin cenzo De Grazia tra quei grandi nomi che passar denno alla Posterità ! Tu , illustre Mittermaier, che nel fare m e n zione in semplice lettera, de'chiari Italiani, non potesti fare a meno di non dire parole di lode sul merito filoso fico del nostro Eroe: spendine altre poche or ch'ei è trappassato, por vendicare l'ingiusto silenzio tenuto dal  20   21 paese ovo nacque e mori.E tu,o venerando P. Ventura, che non mai dimenticasti il tuo condiscepolo, abbenché sempre gran distanza da lui ti divise, e che forse ignori ch'ei non è più , in rilevare la sua dipartita, scrivi alcun motto per quell'ingegno sdegnoso di ogni schiavitù mas sime se straniera,che co'suoi scritti fè sempre aperta guerra alla filosofia che non attinge i suoi lumi alle fonti del Cristianesimo,ciòinfluirànonpocoafarsicheilnome deltuoanticoamicosiaconto all'universale(9).Le no stre rozze e disadorne parole rassembreranno talco o mica inruvida roccia,ma levostresarannoripetutedagliechi, lontani e renderanno al virtuoso obbliato, dopo morte quel merito che in vita gli fu negato.  0 Napoli febbraio 1858.  Sopra un'amena collina distante una diecina di chilometri dal mar Ionio è situata Mesuraca,paesello che conta un due migliaia e mezzo di abitanti.Uno scrittore che sognasse,ve gliando,gl'irrevocabili portenti della Magna Grecia,nei ru deri che ingombrano il vicino monte Matonteo, crederebbe di scorgere gli avanzi di un vetusto tempio , sacro a Venere ; e nel nome tradizionale della montagna non mancherebbe lo appiglio di ricordare il riso e gli amori , fidi compagni della vezzosaDeadiAmatunta.Noi,nellanostramodestaprosa, ci contentiamo a più vicine,e più certe memorie. Egli adunque contava quindici anni meno del suo illustre compaesano,del Galluppi, ch'era nato il 1770, nella stessa provincia di Catanzaro ,in una piccola cittaduzza posta quasi in riva dell'opposto mare;e,vedi caso,era nato anche lui di casa baronale ; sicchè pare che su lo scorcio del passato se colo lo stemma gentilizio non fosse così ostinatamente avver so agli studi  Addi 19 febbraio 1785, in quel paesello appunto,nasceva da Marco e Laura Brondolillo quel Vincenzo De Grazia, di cui vogliamo esporre la dottrina filosofica. Nasceva di casa baronale ; ma non è quel che ci preme ;nè pare importasse neppure a lui, che aveva il buon senso di segnare a fronte de'suoilibriilproprio nome ecognome asciuttoasciutto,e senza nessun prefisso. Giovanettino ancora di soli cinque anni lascio, o meglio gli fu fatto lasciare il paese nativo, e fu condotto a Napoli ,   e quivi chiuso nel collegio di San Carlo alle mortelle, dove continuò a studiare,come sisuole,finoallaprimagioventù. Tra le poche carte,non disperse o distrutte,dalle quali ho potuto raccogliere qualche scarsa notizia della vita di lui, avanza una lettera del rettore di quel collegio,certo Teofilo Misa,sottoladatadel15agosto1795,concuisiraggua g l i a v a il p a d r e d e l l a b u o n a r i u s c i t a d e ' p u b b l i c i s a g g i d a t i d a i figliuoli di lui.Questa lettera giova non tanto a testimonian za del profitto; chè un baroncino , si sa, fa sempre bene ; e di fatti il buon rettore si lodava non solo di Vincenzo , m a del l'altro fratello Domenico ; quanto ad assodare la data della nascita . Eugenio Arnoni , che laboriosamente s'ingegna di scrivere lememorie dellaCalabria,lofanato il1792:seil1795 da va pubblici esami , quella data è dunque sbagliata ; e rimane accertata quella che ho trovata scritta io nel volume su la logica di Hegel , insieme con l'altra concernente la morte del De Grazia.Il volume appartiene alla famiglia del filosofo,ed iol'hopotutoavere,insieme conglialtridocumenti,perla cortese premura di Antonio Serravalle, valoroso giurecon sulto,e caldo promotore della gloria del nostro paese:qual cuno di casa vi avrà registrato certamente quelle due date. Forniti i primi studi , diessi a coltivare le matematiche, e divenne ingegnere.Ilnapoletano conquistato dalle armi fran cesi,doveva allora,per l'imitazione de'conquistatori, corre re dietro al mestiere delle armi . Il 1811 il nostro De Grazia trovavasi arruolato da sottote nente nel Genio,quando con Decreto Reale del 29 agosto di q u e l l ' a n n o , c o m u n i c a t o g l i d a l C a m p r e d o n il 1 4 s e t t e m b r e , e r a stato nominato ingegnere aspirante di Ponti e Strade. L'an no appresso,con Decreto del 22 aprile 1812,fu promosso ad ingegnere ordinario di seconda classe. Qui i documenti , che abbiamo avuto sott'occhio , finisco no;nèsappiamo,se,cessato ildecennio,eiritirossi disua  2   scelta, o se fu licenziato dal Borbone restaurato sul trono. Dal 1812 ci è forza saltare al 1838 . Il 29 giugno di quell'anno la Società Economica di Cala bria Ultra 2.a lo proponeva a socio : la nomina aveva luogo soltanto il 18 dicembre 1839. Era lentezza,o si erano incon tratiostacoli?nonsisa,efameraviglia,come diunuomo di vaglia, vissuto tra di noi, s'ignorino tante circostanze, che ci aiuterebbero a lumeggiarne meglio la figura. Vero è che le abitudini del filosofo erano molto casalinghe, che dal- la famiglia ei visse diviso , che per le vie raro si faceva v e d e r e . E d i o m i r i c o r d o , c h e a n d a t o s t u d e n t e a C a t a n z a r o il n o vembre del1852,benchè misidicesse cheilDeGraziaci fosseallora,benchèioavessidesideriodivederlo,nonmiven ne mai fatto d'imbattermegli per via. Questariservatausanza,e'lnon averemaiinsegnato,fe cero sì, che poco si dilatasse la sua fama, e ch'ei passasse quasi sconosciuto. Quando il Serravalle mandommi le sue carte, credevo di trovarci copiose notizie,od almeno un frequente carteggio : m'ingannai :corrispondenze non mantenne,o non conservo ; più facilmente però non mantenne,perchè non ci sarebbe sta ta ragione di conservare alcune lettere, e di distruggere le altre.Nè ciòprovenne,aparermio,danoncuranza,ma da impossibilità; correndo tempi fieramente avversi ad ogni a c comunamento degli animi,pieni di paure e di sospetti.  3 Dueotrenomine diAccademie glivennero,chenoiab biamo trovate fra le sue carte,con una certa cura custodite: una ,a socio onorario dell'Accademia Valentini di Napoli ,che avevaaprotettoreilContediSiracusa,sottoladatadel4giu gno 1842;una seconda,a socio corrispondente della R. AC cademia de'Peloritani,sotto la data del 10 ottobre 1842 ;una terza,più tarda, ma non più celebre,a socio onorario della R. Società Economica della Provincia di Cosenza, sotto la data del 9 novembre 1853 .   Ecco gli scarsi onori fatti ad uomo meritevole di maggior fama ! IlMittermaier,professore dell'Università diHeidelberg, scrivevaintantoall'ab.PietroMugna,cheavevavoltatoin italianoilsuolibro sulecondizioni d'Italia,quest'onore vole giudizio sul nostro filosofo : « Il genio della filosofia napoletana è la copiosa e fina a n a lisi dello spirito umano ,sempre unita a grande dovizia d'idee e ad una tendenza pratica.Qui appartengono le opere di Gal luppi,ediV. deGrazia,peculiarmente l'ultimadiquesto. Esaminando l'autore gli scritti de'suoipredecessori,anche de filosofi tedeschi,ed entrando in minute particolarità,(per esempio vol.II,pag.1-171)intorno a'varî pensamenti sul l'origine delle idee, seguesi con piacere nel suo ingegnoso sviluppo,e si ammira la sua fina analisi (per esempio vol.II, pag . 171 ) intorno alla natura delle conoscenze pure e cono scenze dimostrative ». Così scriveva il giureconsulto tedesco il 1845 . L'opera del De Grazia,a cui egli alludeva,e che preferiva a quelle dello stesso Galluppi, era appunto il Saggio su la realtà della scienza u m a n a cominciato a pubblicare a N a poliil1839,efinitoil1842. Della importanza di quest'opera,e della mira che l'autore vi si prefisse, discorreremo ampiamente : per ora giova a v vertire, che gli stranieri avevano letto ed ammirato un libro che gl’Italiani di allora quasi ignoravano,e che i contempo r a n e i , p e r n o n f a r t o r t o ai l o r o m a g g i o r i , c o n t i n u a n o a d i g n o rare.Escludo daquestonumero ilprof.Ferri,che nelsuo SaggiosulastoriadellafilosofiainItalialoriportònelca talogo dei libri filosofici (degnazione non piccola) ; guardan dosi,beninteso,di accennarne almeno lo scopo.Forse non lo aveva letto. IlDe Grazia passava ilpiù del suo tempo a Napoli, dove il Galluppi fin dal 1831 teneva la cattedra di filosofia nella  4.   Università,ed attirava a sè la gioventù si per l'insegnamen to vivo, come per la popolarità de'suoi elementi .Al De G r a zia mancava l'una cosa e l'altra,perciò non gli riuscì di ave re seguaci. E che desiderasse farsene, l'ho raccolto da una lettera che gli scriveva Lorenzo Zaccaro il 3 marzo 1842 . Nel saggio medesimo da lui pubblicato le allusioni al Gallup pieranofrequenti;mavelate,esenzacitarlodinome.La fama del suo illustre concittadino turbava i suoi sonni ; ma all'emulazionenonsimescevanessunsensod'invidia,emol t o m e n o o b b l i q u e a r t i p e r s o p p i a n t a r l o . Il p r o f . P a o l o E m i l i o Tulelli anzi mi ha raccontato, che,vacando per la morte del Galluppi la cattedra della Università napolitana,al De Grazia non sarebbe stato difficile ottenerla,se l'avesse chiesta.M o stratagli questa agevolezza,eiricusò di chiederla,benchè la desiderasse,enon lonascondesse:offerta l'avrebbeaccettata; mailGovernonapoletanoparchenonlovedessedibuonoc chio . IlDe Grazia,intanto,alparidelGalluppi sieratenuto ap partato,nè si era mescolato nei rivolgimenti politici:entram bi,per usare una frase del Bonnet,s'erano fabbricato un ri tiro dentro il proprio cervello . Il Galluppi aveva visto le stra gi del 1799 ,gli spergiuri del 1821 , ed aveva continuato tran q u i l l o l e s u e m e d i t a z i o n i : il 1 8 2 0 p u b b l i c a v a , i n m e z z o a q u e l rimescolio , i suoi elementi di filosofia. Il De Grazia non a vrebbe potuto, per l'età,prender parte ai casi del 1799;a vrebbe potuto il 1821 , m a nol fece : la filosofia civile e bat tagliera era finita col patibolo di Mario Pagano ; da indi in poi,nel mezzogiorno d'Italia,prevalsero le speculazioni soli tariefattene'penetrali dellacoscienzasubbiettiva.IlGioia ed il Romagnosi scontavano nello Spielberg il delitto di aver applicato l'ingegno alla Statistica,ed al Dritto pubblico :nel Napoletano,tra il 1799 ed il 1848, i filosofi furono esclu sivamente psicologi. Non so se bisogna far eccezione per quel Pasquale Borrelli, che,sotto lo pseudonimo di Pirro    Il 1848 trovavasi il De Grazia avanti negli anni,dedito da quasi cinque lustri agli studi filosofici, stimato, se non cele bre ; adatto adunque a rappresentare decorosamente alla C a mera la sua provincia. Pare che questi numeri gli meritas sero isuffragî degli elettori politici,ed egli riuscì eletto con 5103 voti,terzo fra inove deputati della provincia di Catan zaro .L'esito gli fu comunicato il 7 maggio 1848 dal Presiden te Ignazio Larussa, valoroso giureconsulto ,e scelto Deputato anche lui,con queste parole: < < T a l v e r b a l e , n e l l ' e s s e r e il m a n d a t o l e g a l e d e p o t e r i a L e i conferiti, è in pari tempo la testimonianza più luminosa del le Sue eminenti virtù ». Il De Grazia però non fece a tempo di saggiarsi nella vita p o l i t i c a : il 1 5 m a g g i o , l a m a l a f e d e d e l p r i n c i p e a i u t a t a d a l l a inesperienza politica del popolo insanguinava le vie di Napoli e sgomentava naturalmente l'animo di chi era fatto per la quiete dello scrittoio,anzi che pei clamori e per le zuffe del l e p i a z z e . Il D e G r a z i a , s e n z a i n f a m i a e s e n z a l o d e ,t o r n ò a g l i studi.  6 Lallebasque,scriveva aLugano laGenealogia del pensiero, e che quivi pare balestrato da contrario e prepotente de stino. Dopo lamorte delGalluppi,contro lacuifilosofiaaveva assiduamente armeggiato nel saggio,era nel mezzodì inval saquelladelRosmini edelGioberti,ed,oltreaquesteita liane, quella straniera dell'Ilegel: i due ultimi filosofi aveva no principalmente il sopravvento . Ciò dava molestia a lui, costante e schietto sostenitore della filosofia della sperienza. Se gli era parsa incauta e sdrucciolevole quella che il M a miani chiamava la riservatissima filosofia del Galluppi,è da immaginare quanti pericoli non temesse dalle ardite sintesi del Gioberti e dell’Hegel. In un volume raccolse adunque le critiche di questi sistemi, e di quello del francese Lamen nais,e pubblicollo il 1850.   Pur lodando l'impresa del De Grazia,il Padula non gli dis simulava però che la critica fatta dell'Hegel e del Gioberti era scarsa al bisogno : instava, che ci tornasse sopra,e che raddoppiasse i colpi ; sollecitava da ultimo il filosofo a p u b blicare la Filosofia del pensiero, opera dal De Grazia dovu ta accennare come in via di esser composta. Quest'opera pe rò non venne , nè la critica contro all'Hegel ed al Gioberti fu rinforzata: venne bensì fuora il Prospetto di filosofia orto-, dossa , il 1851. L'autore fin dalle prime mosse era dovuto p a rere sospetto di sensualismo,e quindi pericoloso alle creden ze religiose:a lui l'appunto rincrebbe,e si risolse di scagio narsene . Divisò quindi invocare a soccorso la filosofia dell'A quinate, valido usbergo a proteggerlo dai colpi frateschi, ed amettere in salvo la pericolante ortodossia.IlProspetto, invero,piacquealcleronapoletano,piacqueaiGesuiti;ras sicurò l'autore medesimo,che doveva sentirsi in disagio.  VincenzoPadula,ilsolo,credo,cheleggesseallorailibri delDeGraziainCalabria,glibattevalemani daAcri,suo paesenativo.LeletteredelPadulailDeGraziaavevacon servate; gradito applauso in tanto silenzio.Il Padula però gli dipingeva iltrionfo delle idee giobertiane appresso la gioven tù calabrese, ed in una lettera segnata addi 1 del 1851 ,da Acri,gli scriveva,non senza un certo sgomento,così : « Sia comunque , l'epopea giobertiana ha sedotto molti let tori;ed io invano da due anni a questa parte mi vado adope rando a disingannarli. Altro frutto non colsi, che di essere chiamato bestia ». A tergo di una lettera del Padula c'è una bozza di risposta doveilDeGraziaraccontaleliete,enonsoseoneste,acco glienze fatte al suo ultimo libro dal Sanseverino.Ricopio le sue medesime parole: « Oltre l'articolo inserito nella Civiltà Cattolica , al quale accenna la sua pregiatissima lettera,un altro forse se ne pub blicherànelPeriodicolaScienzaelaFede.Eparmichean   8 c h e il c l e r o n a p o l i t a n o a b b i a a c c o l t o c o n f a v o r e il m i o p i c colo lavoro ;ilche io debbo precipuamente alla imparzialità e dottrina del regio prof. Don Gaetano Sanseverino, profes sore di filosofia nel Seminario di Napoli, il quale ha una m e r i t a t a r i p u t a z i o n e p r e s s o il c l e r o a n z i d e t t o . È b e n s ì i n d i p e n d e n t e d a t a l f a v o r e v o l e o p i n i o n e il s u f f r a g i o d e ' r e d a t t o r i d e l l a Civiltà cattolica ». Ho detto di dubitare, che queste accoglienze fossero one s t e , q u a n t o e r a n o l i e t e . Il c l e r o n a p o l e t a n o a l l o r a , e i G e s u i t i specialmentemiravano ascalzarelafilosofiadelGioberti,a denigrarla,ametterla inmalavoce.IlGiobertifilosofonon era forse la secreta n:ira de'loro strali :tiravano al filosofo per colpire l'uomo politico : guerreggiavano la costui filosofia per vilipendere quel senso d'italianità che traspirava da tutte le pagine dell'illustre torinese. In quella che il Padula aveva chiamatal'epopeagiobertiana,lafilosofianonerasenonun e pisodio solo;e se gran parte de'giovani corse dietro ai pensa m e n t i d e l G i o b e r t i ,v i c o r s e s o s p i n t a d a q u e l c a l d o p a t r i o t t i s m o , onde ilfilosofo aveva saputo ravvivarli.Igiovani hanno più sicuro,che non gliuomini fatti,ilpresentimento dell'avve nire. I Gesuiti se n'erano accorti, e festeggiavano l'opera del De Grazia,perchè vi trovavano un poderoso aiuto.Non dico che il De Grazia sospettasse le riposte intenzioni de'suoi lo datori; egli accettava la lode, perché la credeva di buona fe de.Nell'annunzio che ne dà al Padula,e che noi abbiamo ri ferito,c'è la ingenuità, e direi quasi ilcandore di un fanciul lo che non ha pratica del mondo . Ecco ora l'intonazione dell'articolo della Civiltà cattolica : ne cito solo il primo periodo: ex ungue leonem . « Lode al cielo !Mentre tanti italianissimi fanno di tutto per intedescare la filosofia italiana, intenebrandola colle lar ve di quell'Assoluto che sfuma nel vacuo del possibile,e colla nullità di una logica che teorizza la contraddizione, sorge all'estremità d'Italia , nella patria degli Archita, dei Zenoni ,    dei Campanella, dei Galluppi un ingegno sdegnoso di tale schiavitù, che tenta richiamare gli Italiani a pensamenti meno aerei spezzando gli idoli adorati oggidì dalla filosofia eterodossa, e congiungendo l'osservazione di fatto colla ge neralità delle idee ». Qui la frecciata va agli hegeliani ; e'l contrapposto fra ita lianissimi e tedescanti non poteva essere più abilmente, o più gesuiticamente messo in rilievo : non basta però a colo rire intero il disegno dell'articolista, ed ecco un 'altra frec ciata,che mira più addentro. «Oh questosì,chepotràdirsiunverorinnovamentodifi losofiaitalica!enegode l'animo dipotervaticinarealch. A. esito migliore e maggior riconoscenza per parte dei suoi concittadini , di quella che sperar possono certi rinnovamenti di filosofia italica, i quali tentano di risuscitare i sogni di Pitagora e di Zenone per fingersi Italiani, mentre in verità altro non sono che triste imitazioni del protestantesimo te desco,o dell'eccletismo francese. Mentre costoro per dare lo scambio agli Italiani vanno nella Magnagrecia ad invocare la Pitonessa,perchè risusciti dalla tomba iprofeti del paga nesimo,all'estremità della Magnagrecia presso la calla del cattolico Galluppi la Provvidenza fa sorgere un ingegno sin golare, che passando dalla milizia alla Scuola sembra con trapporsi al Renato ,che abbandonò la milizia per combattere la Scuola ». FinquiilGesuita.Ordunque,notoio,quandosivuolfi losofare alla tedesca , l'Italia è la patria degli Archita , e dei Zenoni,e non istà bene curvarsi a gioghi stranieri: quando poi sirisale a Pitagora,ch'era stato modello adArchita,ed allo stesso Zenone da voi indicato,ecco che questi diventano a un tratto profeti del paganesimo : potremo sapere a quali filosofi bisogna ricorrere per aver il vostro pieno beneplaci to,padre reverendo ?  -- 9 2   « La lettura della bella sua opera mi fa sentire anche più la perdita che io ho fatta;e che sarebbe per me irreparabile se non mi riuscisse di vederla nelle poche ore che passerò in Napoli prima di ripartire per R o m a . Se in tale occasione p o tessiriceverel'onorediunasuavisita,mi stimereifelicedi conoscere il Ristoratore della filosofia ortodossa ». Mi son fermato su questi giudizî,perchè qualcuno ne ave va indotto,aver ilDe Grazia nell'ultima opera cangiato via, ed essersiaccostato alTomismo.IlDe Grazia,qui come nel Saggio,rimane saldo nella sua dottrina sperimentale: se di fetto v'ha in lui, è la ripetizione quasi puntuale delle m e d e sime idee,e delle medesime parole stemperata in molti volu mi;ma cangiamenti non glisipossono imputare.Quel che si trova dippiù nel Prospetto di filosofia ortodossa è lo sforzo di far parere tomistica la sua filosofia. Perchè ciò gli pre messe,non indovino : era per tranquillità della propria co scienza ? era per capacitare gli altri ? era per aver dalla sua il clero, e col mezzo di questa cooperazione diffondere la sua dottrina ? nol saprei dire: certo la sua filosofia rimase quasi sconosciuta, nè le lodi del clero napoletano e de'gesuiti le valsero allora, e forse le nocquero più tardi : successe di lei ciò ch'era succeduto di un teatro da lui disegnato,e costrui t o a C o s e n z a ; il q u a l e f u d i s f a t t o p e r i m p i a n t a r v i u n c o l l e g i o di gesuiti.  10 Ma lasciamolo làilGesuita,che non siaccorge,quanto la filosofia del De Grazia possa arrecar di nocumento alla sua fede:ilcritico non va a cercare tanto per lo sottile,e siap paga dell'autorità di san Tommaso ,e del titolo del libro:più inlànonvede.NèpiùinlàvideilP.Taparelli,contuttala fama di dotto, perchè in una lettera scritta al nostro De G r a zia da Sorrento,in data del 12 agosto 1852,lo salutava,senz'al t r o , r i s t o r a t o r e d e l l a f i l o s o f i a o r t o d o s s a . Il D e G r a z i a , s a p u tolo a Napoli , era stato a fargli visita : non lo aveva trovato , e d il T a p a r e l l i , i n f o r m a t o n e , g l i a v e v a s c r i t t o c o s ì .   Meritava egli quest'obblio ? Certo che no ; e noi ci studie remo didimostrarlo,facendouna rapidaesposizionedellesue dottrine contenute ne'libri finora accennati. E primaditutto:qualieranolecondizionifilosofichedelle provincie meridionali , quando egli diessi a filosofare ? Quale fine si propose egli ? Quali mezzi aveva sotto mano ? Queste notizie sono indispensabili per valutare equamente il risulta to delle sue ricerche . Vincenzo de Grazia aveva avuto una coltura matematica ; e, come porta questa coltura, il suo spirito ne aveva attinto un bisogno di dimostrazioni rigorose,ed un'avversione alle conclusioni frettolose, ed alle sintesi arrischiate. Da parec chie testimonianze si raccoglie,ch'ei diessi alla filosofia sui quarant'anni, quando già la fantasia è manco vivace pur n e gli u o m i n i c h e p i ù n e a b b o n d a n o . E l ' e d u c a z i o n e a d u n q u e e l'età lo attiravano per quella via piana e sicura, dove un pie de va innanzi l'altro, senza intoppi, e senza bisogno di salti. Nel 1825,quando all'incirca eisimise afilosofare, ilGal luppi aveva lastricato quella via, ed additatala ai suoi con cittadini.La filosofia sperimentale era in voga. Erainvoga,ma lestavasempre difronte,temutaavver saria,quella filosofia che rivendicava all'attività dello spiri to un'attività produttrice ed indipendente, benchè sotto v a rie forme.Il Locke nel secolo diciassettesimo aveva combat tuto l'Innatismo cartesiano,ma era stato alla sua volta com battuto da Leibniz :l'Innatismo ricompariva sotto altro aspet to.Non dicogiàchelefiguresianobell'edisegnatenelmar mo,dicevaLeibniz;ma ilmarmo nonèperòliscioeschiet to,c'èuna certavenatura,che messa inrisalto siaccosta as sai alle linee che ti occorrono a figurarle. Stefano Bonnot di  11 IlDeGraziamoriaNapoliil20novembre1856,quasii gnorato : era attorno ad altri lavori , fra i quali un'Estetica, eleIstituzionidifilosofia;ma diquestimanoscrittiforsela sciati a Napoli non si è potuto avere nessuna notizia.   Condillac ripigliava l'impresa del filosofo di Wrington , e non c o n t e n t o d i d i v o l g a r l o t a l e q u a l e , c o m e a v e v a f a t t o il V o l t a i r e , lo semplificava,lo facilitava,sicchè la sola sensazione faceva a lui quell'ufficio, pel quale al Locke erano occorsi due coef ficienti : la riflessione del filosofo inglese era sbandita come soverchia.IlCondillacaveva,come suolesuccedere,comincia to con ricalcare fedelmente le orme di Locke , poi aveva ri fatto a modo suo : e la sua semplicità maravigliosa piacque in Francia più della circospetta indagine del filosofo inglese. Onde,morto luiil1780,ilsuofilosofarecontinuò,inter r o t t o a p p e n a d a l l o s t r e p i t o d e l l a r i v o l u z i o n e ,c h e t e n n e d i e t r o allasuamorte.Cessato,difatti,ilterrore del1793,l'anno appressoicondillachianiriapparveropadronidelcampo filo sofico,edebberoinmanolaScuolanormale,el'Istituto,che allora sorgeva per Decreto della Convenzione attuato dal Di rettorio.Questo gruppo detto degl'Ideologi contava nomi ce l e b r i : C a b a n i s il f i s i o l o g o d e l l a s c u o l a , T r a c y l ' i d e o l o g o p r o priamentedetto,Volney ilmoralista,Garatprofessorealla scuola normale e difensore del sistema ; e poi con loro altri che dipoi deviarono,chi più chi meno ,ma che allora stavano p e r la m e d e s i m a d o t t r i n a : il M a i n e d e B i r a n , il D e G e r a n d o , ilLa Romiguière. Nel decennio corso fra la cessazione del terrore e la fon dazionedell'Impero,dal1794 al1804,questogruppodiva lentuomini si adunava nei giardini di Auteuil, e l'amicizia deglianimi siaccoppiava ne'loro convegni allaconcordia delle dottrine . Sotto l'Impero , il cielo per loro si annuvolo . Tutti sanno il dispregio in cui il primo Napoleone teneva l'I deologia;nontuttinesannoilmotivo.Napoleonenon l'odia va tanto come dottrina,quanto come partito. IlCabanis,ilVolney,ilGarat,ilDeTracy,cheavevan visto di buon occhio il Nettuno che placava le onde tempe stose della rivoluzione, non furono più contenti, quando lo videro troneggiare da Giove . Gli tennero il broncio , ed ei si  12   vendicò nel rimpastare l'Istituto,scartando la sezione delle scienze morali, e destituendo l'Ideologia, secondo la frase del Damiron . Il Villemain racconta gli scoppi della collera napoleonicacontro quegl'innocenti ideologhi,che poinon lameritavano davvero.All'Ideologia Napoleone imputava di scandagliare le fondamenta dello Stato col fine di scalzarle. Vera o falsa che fosse l'accusa,l'Ideologia ne scapitd, alme no perdendo la veste di filosofia ufficiale, e lo spiritualismo, chenespiavalemosse,lasoppiantonellascuolanormale, dove ilRoyer Collard l'introduceva il1811. Seguace del keid,questo eloquente filosofo seppe vincere la preoccupazio ne invalsa, che filosofare liberamente non si potesse fuori della Ideologia;e che quindi o bisognava accettare lo spirito teologico del De Maistre, o schierarsi tra gl'ideologi con a c a p o il T r a c y . C o l R o y e r C o l l a r d l ' a l t e r n a t i v a f u e v i t a t a , e d inaugurata la nuova scuola filosofica della Francia , quella ch'è stata da indi in poi sempre al potere col Cousin ,col R é musat, col Barthélémy de Saint Hilaire, col Waddington , colSimon. In Italia lo spiritualismo ,rinfiancato dall'eccletismo cousi njano,benchè tradotto dal Galluppi,non fece fortuna: gl’Ita liani o tennero la via degl'ideologi, o se ne scostarono per ben altra filosofia, che non fosse l'eccletismo. Più che la filosofia del senso comune proposta dal Reid per fronteggiare lo scetticismo di Davide Hume ,ed accettata dal Royer -Collard per combattere l'Ideologia,diè da pensare agl'I talianilafilosofiatrascendentale di Emanuele Kant.IlGal luppi se ne mostrava profondo conoscitore fin dal 1819, quando incominciava la pubblicazione del Saggio su la cono scenza umana ;sebbene avesse dovuto studiarla nelle scarse e s p o s i z i o n i d e l V i l l e r s . P i ù t a r d i s o l t a n t o , il 1 8 2 1 , t r a d u c e v a laCriticainitalianoilMantovani;ma PirroLallebasque,il 1824,era in grado di studiarla su l'originale, come dimo stra di saper fare nella esposizione che ne dà nella sua Intro  13   duzione alla filosofia del pensiero : caso degno di nota per quel tempo, quando nè la lingua,né la filosofia tedesca era no divolgate, come oggidì, non dico in Italia, ma neppure nella rimanente Europa . Leduevieaperte,daindiinquà,furonoadunque,almeno p e r n o i , q u e s t e d u e : il s e n s i s m o , e d il c r i t i c i s m o . T r a q u e s t e cercava di aprirsi un varco intermedio il Galluppi ; al sensi smopropendeva ilBorrelli,alcriticismo ilColecchi.Pa squale Borrelli scriveva e stampava a Lugano, quasi con temporaneamente al Galluppi, ch'ei conosceva però soltanto di nome .Ottavio Colecchi insegnava pure in quel torno,ma le sue questioni filosofiche non furono pubblicate, se non il 1843. Che ilDe Grazia non abbia quindi conosciuto gli scritti del Colecchi , è certo ; del Borrelli si può dubitare, benchè a certi segni,che appresso additeremo, si possa credere di averne avuto sott'occhio le opere .Indubitato è però che siasi formato sul Galluppi,e che siasi prefisso di camminare su la via dischiusa dal suo gran concittadino, evitando gli svia menti ,in cui l'altro era incorso ,e tirando più dritto alla meta . Più dritto e difilato procedette in realtà;ma verso dove ? ParvealDeGraziacheilGalluppi,scambiodifondarelafi losofia della sperienza, come si era proposto, per incaute concessioni al Kantismo,era finito con darsegli in preda. Cotesto sviamento ei combatté a tutt'oltranza ne'primi libri, come nell'ultimo;primacopertamente,esenzapronunziarne ilnome,poiallasvelata.Onde amenonpiccolasorpresaha cagionato il giudizio di certi nostri storici e critici ad orec chio,iqualiconfondonoilGalluppicolDeGrazia,comese professassero la medesima dottrina. Capisco che iltitolo, c o m u n e a d e n t r a m b i , di filosofia s p e r i m e n t a l e , h a p o t u t o t r a r reinerroreiprelodatigiudici;ecompatirei losbaglio,s'ei fossero dilettanti;ma è da condannare severamente in loro, che si danno l'aria di scrivere storie e critiche, senza leg gere neppure ilibri istoriati e criticati.  14   15 TornooraalDeGrazia.Perdimostrareilprocessostori co de'due opposti avviamenti, ei ricorre alla sorgiva :rifà quindi la storia de sistemi filosofici moderni,ed ammaestra to dagli errori altrui ripropone il problema, e si accinge a risolverlo. Anche qui l'influenza del Galluppi è manifesta, avendo questi pel primo rimesso in onore appresso di noi la storia della filosofia, e dato il più lucido esempio d'innestare le ricerche proprie con le indagini fatte prima da altri sul m e d e s i m o s o g g e t t o : il D e G r a z i a t u t t a v i a r i t e s s e l a m e d e s i m a storia con altro intendimento ;perciò la sua non è ripetizione di quella fatta dal Galluppi, e vale il pregio di essere esposta e conosciuta in disparte. II. La filosofia pel De Grazia si aggira sul problema della scien zaumana,nèpiùnémeno,chepelGalluppi:iltitolodelle due opere capitali scritte dai due filosofi calabresi accusa la medesima intenzione.Il Galluppi scriveva il Saggio plosofi co su la critica della conoscenza ; il De Grazia, il saggio su la realtà della scienza umana . Questa similitudine ha tratto in errore alcuni storiografi dafrontispizî,perchè dallaintestazionesono corsi,senz'al t r o , a d a s s e r i r e c h e il G a l l u p p i e d il D e G r a z i a p r o f e s s a n o l a medesima dottrina.Se non che,questa volta l'hanno sba gliata ; chè se il problema è lo stesso in entrambi , la solu zione è diversa non solo,ma opposta.Il De Grazia scrisse col manifesto divisamento di combattere la soluzione gallup piana. Già nella stessa intestazione il filosofo di Mesuraca accenna a questo punto capitale del suo Saggio , ch'è la real tà della scienza,compromessa,a parer suo, dalla spiegazio ne accettata dal filosofo di Tropea. Ma seguiamo ilprocesso storico delproblema,com'è espo sto dal De Grazia. IlGalluppi aveva dato l'esempio di accoppiare alla sua    Ancora non gli eran potute essere note le tre epoche di stinte da Augusto Comte , che par di non aver conosciuto n e p pure dopo,egiàeglitripartiscelastoriadellafilosofia,aun di presso,con un criterio analogo a quello del filosofo francese. Nella prima epoca la ragione,baldanzosa per inesperta gioventù,silibra a volo,e tenta costruzioni metafisiche, te nendo scarsissimo conto della scienza principale,e facendo ne quasi un'appendice delle sue fantastiche cosmogonie. Nella seconda,ella piglia per verità le mosse dal proble madelconoscere;matostoloabbandona,sedottadallame tafisica. Nella terza,la ragione rinsavita si propone chiaro il suo cômpito,ed'altronon sibriga;senon che,pur nelle solu zioni del problema conoscitivo,di quando in quando,fa capo lino ilrazionalismo. Insomma l'esosa metafisica,lo scapestrato razionalismo s o n o p e r D e G r a z i a il v e r o o s t a c o l o , c h e n o n l a s c i a p a s s a r l a vera scienza per la sua via. Alle tre epoche egli assegna questi intervalli di tempo:la prima si stende dai primi abbozzi ionici fino a Socrate, il fondatore della definizione,e de'ragionamenti d'induzione ; la seconda da Platone e da Aristotele corre fino a Locke ; in terrotta qua e là dai tentativi del Galilei, del Bacone,e del Des Cartes;laterzaduraancora,edènelmeglio delle sue conquiste.  16- dottrina la genesi storica del problema da lui riproposto ; e sirifàdaCartesioaquestaparte,daCartesiocheperluiè il padre della filosofia moderna .Il De Grazia risale più in su , fino ai primordî della filosofia greca , senza perder d'occhio p e r ò il p r o b l e m a d e l l a s c i e n z a . Il s u o c r i t e r i o s t o r i c o è s e m plicissimo:v'èduefilosofie,una che ritienel'osservazione de'sensi,un'altra che l'impugna;e quest'ultima, comechè si argomenti di ricostruire la impugnata testimonianza,m e ritasempreilnome dirazionalismo.   È mestieri,diceilDe Grazia,distaccardeltutto leme tafisiche speculazioni dalla scienza del pensiero,per forzar la ragione al metodo di pura osservazione ». La ragione,secondo lui, ha una tendenza precisamente contraria; ingegnandosi di rimenare all'ordine a priori quel chetrovasidatodainduzione.È necessario adunque che la filosofia n e infreni l' i m p e t o , e n e m o d e r i la foga ; e , p e r n o n esserviriuscitaancora,lametafisica èrimastastazionaria, piena zeppa di ambiziose vedute, non avvalorate da'fatti. «Positivoprogresso dellafilosofiad'oggidì è quello di es sersiridottelericerchemetafisiche,cheuntempo formava no la sterile ricchezza degli scritti filosofici ». L a s t e s s a a v v e r s i o n e h a il D e G r a z i a p e r l o s p i r i t o t e o l o g i c o . « L'intervento divino nella spiegazione de'fenomeni na turali vale quanto la macchina nello scioglimento del nodo diuna tragedia.Perocchè è ben facile espediente ilriporta re ad una causa sovrannaturale quegli effetti, che non siè saputo ricondurre alle cause naturali ». Soggiunge innotaunariserva,èvero;dichiaradinon v o l e r i m p u g n a r e i m i r a c o l i : il p u n t o p r i n c i p a l e n o n è m e n saldo però,l'esclusione loro dalla scienza. QuiilDe Grazia,siacheloconoscesse,oche s'incontras se col Comte , si mostra cosi aperto avversario dell'interven todivino,come delleipotesimetafisiche:teologia,erazio nalismo sviano dalla vera scienza. Il tradizionale metodo della filosofia telesiana rivive dopo tresecolinelDeGrazia:fondamentodellascienzaèlasolaos servazione;e nondimeno riserva di ossequio verso l'autorità religiosa,da parte degli autori. IlDeGrazia rivolgeaifenomeni delpensiero quella os servazione, che il Telesio aveva rivolto a'fenomeni naturali. Ilmetodo ch'ei si traccia,e che si studia di seguire,è il se guente:osservare ifenomeni primitivi,ridurli finoagli ele menti irreducibili.  17 3   18 «La filosofiaintellettuale,eidice,dopoaverriconosciuto i fatti attuali di coscienza dee saggiar di risalire di riduzio ne in riduzione al fatto primitivo,alla pura veduta intellet Quali sono i fenomeni primitivi del pensiero a cui si fer ma?Sono tre,lasensazione,ilgiudizio,ilvolere;quindi tre parti principali della filosofia,Estetica,Logica,Etica. Lasciando di vedere se questi tre sono proprio i fenomeni irreducibili,certo è però che ilmetodo da lui seguito è pre cisamente quello tenuto dalle scienze esatte.L'autore non dissimula il bisogno da lui sentito di applicare alla filosofia ilmetodo dellematematiche,allequali s'era da prima ad detto, e dal cui studio deriva in gran parte il riscontro che si può scorgere tra la sua filosofia e quella che nel torno m e desimo si coltivava in Francia sotto il nome di filosofia po sitiva. « E p p u r e , e s c l a m a il D e G r a z i a , n o n v ' è c h i p a s s a n d o d a l la evidenza delle matematiche alle ricerche filosofiche non senta irrequieto ilbisogno di sortir fuori delle incertezze, in cui vede implicato il sistema della scienza ». Come dalla semplice osservazione lo spirito possa solle v a r s i a l l a r i d u z i o n e s c i e n t i f i c a d e ' f e n o m e n i , il D e G r a z i a d e scrive in modo molto preciso;e tale che merita esser riferi to con le sue stesse parole. « Ma l'esperienza non è l'osservazione empirica,che si arresta a'fenomeni isolati.Ilmetodo sperimentale sigiova dituttiinostrimezziperiscovrirelaconnessione de'feno meni;del ragionamento astratto,della induzione,delle spe rienze artifiziali, delle ipotesi.Con sì varî mezzi la fisica la vora alle classificazioni de'fenomeni esterni,a ridurre i fe nomeni particolari a'generali,a rilevare dal corso della na tura le sue leggi,cioè le costanti condizioni de'fenomeni,le une costanti e permanenti , le altre costanti nel cangiar dei fenomeni. In tal divisamento non mira soltanto a minorar  tuale ».   l'ignoto,che resta limitato a'fenomeni irreducibili, ma ad uno scopo più positivo,a quello diprevenir l'esperienza,e somministrar così preziosi materiali a tutte le arti ». C h i r i c o r d a il m o t t o d e l C o m t e : « s a v o i r c ' e s t p r é v o i r » r i conoscerà di leggieri il riscontro de due filosofi. Nè risalta meno la comune mira di ridurre i fenomeni fino all'estremo limite, affine di minorare l'ignoto . Trasportandoorailmetodotestedescritto alleinvestiga zioni filosofiche, il De Grazia procede cosi ; osserva , cioè, i fatti della coscienza,qual'è attualmente, e di riduzione in riduzione risale finoaiprimielementi,ond'ellaèstata ge nerata.Eglistessoformolailsuoproblemainquesti termi ni:«coimezzichesonoinnostropotere,ritrovarlagene razione delle verità,di cui siamo in possesso ». Questo metodo ei lo chiama genealogico; e la parola ed il concetto sitrovano inun altro filosofo italiano,noto alDe Grazia,in Pasquale Borelli,che intitolò lasua filosofia,Prin cipii della genealogia delpensiero.Fino a che punto s'ac cordino nel loro intento,toccheremo appresso :qui basta n o tare,chelafilosofiavera,lafilosofiaseriapelDeGrazia co mincia con quest'analisi minuta degli elementi primi del pensiero.Dimodochè sebbene ei lodi Aristotele di aver a m messo la realtà delle idee universali,e più ancora di essersi fondato sul senso,nondimeno,poiché lo Stagirita vi arrivo quasi di lancio,e per un'affrettata generalizzazione,il n o strofilosofononripiglialaverastoriadalui.Ilprimo sag gio genealogico del pensiero sembra a lui,essere stato il Saggiosul'intellettoumano diLocke,chepure ilGalluppi chiamava immortale. QuelSaggio,cadutopoi indiscredito,ebbe una meritata rinomanza;elafamafupiùfondatadeldiscredito.La filo sofia inglese mette capo tutta quanta in esso ; la francese del secolotrascorso nederivò;allatedesca,iniziatadalKant, d i è il p r i m o u r t o p e r m e z z o d i H u m e . O g g i d i , a p p r e s s o d i n o i  19   Il principal merito del filosofo di Wrington era agli occhi del De Grazia quello di aver combattuto ad oltranza le idee innate.Ritenere tutte,o alcune idee per innate,porta ne cessariamente per conseguenza di non ricercarne l'origine; e quindi impedisce il progresso della filosofia, che tutta si dee travagliare attorno a questa ricerca.Cartesio e Leibniz, chesicredonodiaverleammesse,inrealtàleritenneroco me semplici disposizioni ;e fu per colpa di una improprietà dilinguaggio ses'imputòalorodiaverleaccettate.E qui dava una toccatina alGalluppi. Ma ilsistemalockiano,nelrintracciarelagenealogia del pensiero, omise moltissimi atti mentali che vi concorrono ; ed era omissione scusabile in un primo tentativo,ed in ri cerca cotanto complessa.Locke diè,per dir così,una for mola generale,allaqualeeranoapplicabilipiùvalori:Con dillac si avvisa di darle un valore preciso ; ma precisando, disvia.Locke,difatti,aveva riconosciute due sorgenti delle nostre idee,la sensazione,e la riflessione:quest'ultima non era ben definita,erauna funzione che accoglieva un po'di tutto,giudizio,astrazione,ragionamento,volontà,era in definita,siconfondeva con lacoscienza:Condillac dà un va  - 20 - sièpiùgiustiversodelmodesto,delsincero,del pazientis simo Locke ; smessi i superbi fastidî delle sintesi frettolose: al tempo che scriveva il De Grazia le invettive giobertiane erano accolte senza molti scrupoli ; ed al filosofo calabrese f u g l o r i a n o n e s s e r s e n e l a s c i a t o s m u o v e r e . Il G a l l u p p i , c o m e abbiamo visto,lo aveva pregiato assai,ma i consigli del buon vecchio cominciavano ad aver poca presa su gli animi de'giovani.Fuori d'Italia l'Herbart faceva tanta stima del Saggio lockiano,che al Consigliere Clemens,il quale lo ri chiedeva intorno alla filosofia da insegnare ne’ginnasi, riso lutamente rispondeva : dal maestro di filosofia ne'ginnasi anzi tutto ed assolutamente richiederei che avesse letto Locke .  lore preciso , riduce tutto alla sensazione , o semplice , o t r a sformata : sentire è giudicare. IlDe Grazia,come abbiamo visto,fa della sensazione e del giudizio due fenomeni irreducibili ; egli non può dunque nè contentarsi dell'ambiguità della riflessione lockiana, ne moltomeno dellasemplicitàdellasensazionecondillachiana. All'osservazione de'fatti gli pare che il Condillac abbia sosti tuito la tortura del fare sistematico . Gran merito di Kant è quello di avere scorto l'importanza del giudizio,di questo fenomeno irreducibile,stato dal Con dillac confuso con la sensazione. Pel filosofo di Koenisberg gli ultimi elementi delle nostre idee sono da una parte le sensazioni,dall'altraigiudizî:idueelementi appunto che al nostro filosofo paiono indispensabili alla soluzione del p r o blemachesièproposto. Ma con questo gran merito egli imputa al Kant una gran colpa,la soggettività de’rapporti; vizio che gli sembra infet tare la filosofia contemporanea. L a s o g g e t t i v i t à d i K a n t p e r ò , e d il D e G r a z i a n e c o n v i e n e , fu una necessità storica. Locke aveva detto che tutte le n o stre idee nascono dalla sperienza,e che un'idea originale semplice non può derivare quindi da un ragionamento : H u meaccettòlepremesse,econtinuò:mal'ideadicausanon ܚ.ܝ 21- Per lui,come per d'Alembert,lafacoltà distintiva dell'es sere attivo e intelligente,è quella di poter dare un senso al la parola è:ora il Condillac questa distinzione l'ha distrutta. ; i J tà el Seelementisoggettivi,eglinota,simesconoco'dati spe rimentali,in taleipotesinon conosceremmo quel ch'è nel fattoosservato,ma quelcheciapparisce esservi;talchese spogliamo ilfattodiciòch'ènostraproprietà,lanostraco noscenza svanisce.Si vuol che siano elementi soggettivi le ideedispazio,ditempo,disostanza,dicausa?Togliete via dunque dagli oggetti esterni e dal proprio essere siffatti ele menti;e la scienza della natura,e dello spirito è distrutta »,  22 può derivare dalla sperienza ;dunque non c'è.Cosi tutta la scienza della natura andava in aria,e Reid sirifugiò nel sen so comune ,in una credenza irresistibile,istintiva:Kant a m mise degli elementi aggiunti dall'attività dello spirito. IlDe Grazia nota con molto accorgimento,che in sostan zailsensocomune,dicuitantosicompiacciono certi filo sofi anche oggidi,non salva nulla;che per giunta è pieno di contraddizioni,perchè introduce classificazioni e distinzioni arbitrarie,mentre si era prefisso di accettare le comuni cre denzetaliqualisitrovanonellacoscienzavolgare;che tra Reid e Kant,per ciò che riguarda la realtà della scienza, nonc'èpuntodidivario. «Kantnellospiegareilfenomenolosfigura,elascia sco vrireildubbio:lascuolascozzesetieneoccultato ildubbio perchè non imprende la spiegazione del fenomeno .... È BravoilDeGrazia!Eglinonsilasciaappagaredallepa role,e civedebenaddentro;esel'haconKant,saperò rendergli giustizia,nè condannando lui,assolve quelli che sono intinti della stessa pece. Ed ora viene ilbuono.Nella dottrina kantiana ei capisce subito, che non il numero degli elementi soggettivi aggiunti dallo spirito,ma l'aggiunzione sola,quanta che fosse, era sufficiente a compromettere la realtà della scienza umana . Certi nuovi critici,che in filosofia credono poter servirsi dellastadera,han detto,peresempio:ilKantammette in tuizionipure,categorie edidee,tutte apriori,ilGalluppi, invece, appena appena dà per soggettivi i due rapporti d'i dentità e di diversità,dunque è lampante ch'ei sian discosti le mille miglia uno dall'altro.  sta dunque la differenza, in quanto alla realtà delle nostre conoscenze , tra il proscritto sistema kantiano, e la favorita dottrina della scuola di Reid !> que IlDe Grazia scrive così:«basta ilsupporre una pura ve duta dello spirito il solo rapporto d'identità e di diversità,   ·23 rapporto fondamentale delle nostre conoscenze , per ricadere nel realismo empirico del sistema kantiano ».(Saggio etc. Vol.2,pag.160 - Napoli 1839). Nè contentoacid,altroverincalzalasuaosservazione in questi termini: « M e t t i a m o o r a i n d i s p a r t e il s i s t e m a k a n t i a n o ; c a n g i a m o la sua ripartizione tra gli elementi soggettivi e gli oggettivi accordando più largamente alla sperienza ; o anche tutte le idee diciamole derivate dalla sperienza,e riteniamo bensi solamente che non sono condizioni oggettive i rapporti a n zidetti appresi tra le sensazioni ; noi ricadiamo apertamen te nel realismo empirico della filosofia critica ». (Vol. 3, p.367). Pel De Grazia il kantismo consisteva nell'applicazione di elementi soggettivi alle sensazioni:dovunque riscontra que sto medesimo processo ei riconosce ritenuto il fondamento della filosofia kantiana. Ei si maraviglia anzi che gli altri non siansi accorti di questa medesimezza. « La storia nota a stupore della posterità,che i filosofi tutti hanno accusato d'idealismo il sistema kantiano, e che niuno aveva avvertito, l'idealismo esser nella supposta n a tura soggettiva delle idee di rapporto ».(Vol.4,pag.512). Quale sarebbe stata la maraviglia del De Grazia,se avesse vistoche,quando ebbenotatacotestasomiglianzaloSpaven ta,controluigridaronotutteleoche,vigili sentinelledella rocca filosofica. Parve denigrazione della filosofia italiana, quella ch'era critica aggiustata e seria:parve così a coloro, iquali se ne predicavano sostenitori,quando non l'avevano studiata,e forse neppure letta. Ma torniamo al De Grazia. Ei non cita il Galluppi in tutto quanto il Saggio, se non una volta sola ; egli però scrive il libro per combattere la dottrina del suo gran concittadino,che glipareva derivata a dirittura da quella di Kant.Che però miri al Galluppi, ap    parisce da un'apposita nota,che aggiunge a pag.239 del 4° vol.delsuoSaggio. « La dottrina degli elementi soggettivi,ei dice,è stata da noi detta soggettivismo per denotarla qual vizio radicale del metodo filosofico.Puòanche dirsiformalismo,riferendosi alleformepure diKant,che sono gli elementi soggettivi. Noi abbiamo preferito finora la prima espressione per la c o n siderazione, che nelle dottrine attualmente in vigore si abbraccia l'ipotesi degli elementi soggettivi,e non vi si parla di forme. E siccome credono alcuni di non incorrere nell'idealismo di Kant,tuttochè adottano quella ipotesi;noi nel combatterla sotto qualunque aspetto,dovevamo ritenere il nome or generalmente adottato, quello di elementi sogget tivi.Se cifossimoinvecediretticontro ilformalismo, po teasi credere che prendevamo di mira il solo sistema kantia no.Insostanza,ladistinzionedimateriaediformaintal sistema serve a render più potente l'idealismo,che si rac chiude nella dottrina degli elementi soggettivi.Quindi si son messe in disparte le forme kantiane, e si sono adottati gli elementi soggettivi che Kant appello forme. Ecco come da taluni si è creduto evitare l'idealismo k a n tiano !» Pel De Grazia adunque il divario fra Kant e Galluppi, ed anche tra Kant e Rosmini,come vedremo appresso, era più dinomeched'altro.Checosanediràilprof.Acri?checo sa ne diranno tutti quei ciarlatani grandi e piccini,che sen zaaverlettoneppureifrontispizîdelleopereche citano,lo mitriarono vindice della filosofia italiana ? Ai ciarlatani è inutile rivolgere nessuna domanda;al pro fessore Acri domando che cosa voleva dire,quando scrisse a proposito del Galluppi il seguente giudizio ricavato dal De Grazia .  24 « Ma perciò che Galluppi e Kant affermano tutt'e due che questeidee(identitàediversità)sono soggettive es'accor   dano nelleparole,ne vuoi dedurre che Galluppi sia kantia n o ? Il t u o a r g o m e n t o s a r e b b e q u e s t o n è p i ù n é m e n o : q u e l l ' a n i m a l e lì è c a n e ; q u e l l a c o s t e l l a z i o n e lì è c a n e : q u e l l o a b baia;dunque quell'altra deve pure abbaiare.Se si considera ilpensiero delGalluppi su questo argomento,quantunque non molto lucido e netto, come ha notato quel nostro De Graziadegnodimaggiorfama,sivedesubitochel'idea diidentitàhavaloreoggettivoereale,perchènasce dall'i dentità reale dell'io come cosa,non altrimenti che l'idea di unità ».(Acri,Critica etc.p.31). Quando lessi questa scappata dell'Acri,mi misi a ridere: tralasciai pero di tenerne conto nella risposta che gli feci, non volendo entrare nella esposizione del De Grazia,che sa pevodidovere scriveredopo:eccomioraapoternefartoc care con mano la falsità. Stando all'Acri,adunque,quel nostro De Grazia aveva notato benissimo che per Galluppi le idee di identità e di di versitàerano oggettive;chesoltantonellaespressioneave va questi mancato di lucidezza. HailprofessoreAcrilettodavveroilSaggio delDeGra zia?Iocredo,edebbocrederedino,perchè intutt'iquat tro volumi,quel nostro valoroso concittadino d'altro non biasimailGalluppi,pursenzacitarlodinome,che diaver accettato dal kantismo la soggettività de'rapporti, segnata mente poi di questi due d'identità e di diversità.  - 25 Ilprof.Acri,seavesselettoillibro,non sarebbeuscitoin quella citazione,inesatta non solo,ma assurda ;chi pensi, che ilDe Grazia ad altro fine non scrisse,che a rilevare la medesimezza de'risultati, per rispetto alla realtà della n o stra scienza,si delle forme kantiane,come degli elementi soggettividelGalluppi.Capiscocheilprof.Acri potevafar a fidanza con l'ignoranza assoluta de'suoi ammiratori in fatto di storia della filosofia,ma egli non doveva contare per niente,dunque,neppure isuoi contraddittori?   Padronissimo di creder lui,che que'rapporti pel Galluppi sianooggettivi,ma perchèvolertiraredallasuaancheilDe Grazia,che tuttalavitascrisseappunto per dimostrare il contrario?È un po'troppo,parmi. Finchè visse ilGalluppi,ilDe Grazia non riflni dal com batterneladottrina,congrandeinsistenzaforse,delche si scusava;ma con profondaconvinzione,edopo averne lunga mente ponderato quelli che a lui parevano inconvenienti gravissimi.Nol nominò però mai,altro che una volta sola, c o m e a b b i a m o v i s t o , e p e r l o d a r l o . M o r t o c h e f u il G a l l u p p i , scrivendo egli l'ultima sua opera col titolo di Prospetto della filosofiaortodossa,smettelaprima riserva,elocombatte no minatamente .Ripetendo le antiche obbiezioni ,egli scrive cosi : « Su tutto quel che abbiamo qui osservato intorno alla dottrina della sensazione essenzialmente percettiva, e della soggettivitàdelleideedirapporto,dobbiamo anoistessiil far noto a'nostri cortesi lettori,che fin dal 1839 le stesse osservazioni, più estesamente sviluppate,furono fatte di ra gione pubblica, e non abbiam poi cessato di riprodurle in parte,e ripetutamente in varii articoli pubblicati in diversi giornali ».(pag.141-142). Dimodochè rimane fuori di ogni controversia, che il De Grazia ha inteso combattere la dottrina del Galluppi su la soggettività de'rapporti,e che ha creduto essere questa dot trina conforme a quella di Emanuele Kant . Potrei anzi a g giungere,che la soggettività de'rapporti parve al De Grazia concedere più di quel che Kant medesimo ricercasse:«tutto, egli avverte, si accordava a Kant , anzi ancor più di quanto questiesigea,quando glisiaccordava,che le idee di rap porto sono elementi soggettivi ».(Vol.4,pag.267). Eperchèdippiù?PerchèKantlimitavaalmenoilnumero delle sue forme; mentre la tesi galluppiana della soggettività spaziava più largamente. Ecco le strette in cui il De Grazia pone questa filosofia.  26   «Finché siritiene,eidice,da'filosofilanatura soggetti vadelleideedirapporto,restainconcusso ilprincipio,che isensinonpossonoaltrodarcichenude sensazioni.Questo p r i n c i p i o o r o v e s c i a p e r i n t e r o il s i s t e m a s p e r i m e n t a l e , o deve ammettersi che tutte le nostre idee sono sensazioni:ad un estremo èilformalismoassoluto,all'altroestremo è il sensualismo. Nelle forme pure dello spirito si modella in ideel'informemateriasensibile,dice ilformalista:tutte le nostre idee sono sensazioni, o primitive o trasformate, dice ilsensualista».(Vol.4,pag.269-270). O Kant,oCondillac:eccoilbivio dellafilosofia,secondo il nostro filosofo. Perchè questo bivio? Perchè due soluzioni sono possibili, quando non si tien conto di tutti nostri m e z zi del conoscere.Questi mezzi sono due :sentire,e giudica re;ridurli entrambi ad un solo,importa o lasensazione tra sformata di Condillac,o ilformalismo kantiano. Formalista è dunque il Galluppi, formalista il Rosmini ; entrambi costretti ad ammettere tutt'igiudizi come sinteti ciapriori. « Se l'idea di identità fosse un elemento soggettivo,come essi opinano,e perciò addizionale alle due idee,il nostro giudizio sarebbe in tutti casi sintetico a priori ».(p.286). Ma ilGalluppicombatteigiudizîsinteticiapriori,sidi ilcorollario previsto dal De Grazia non lo tocca dun que .Così ragionerebbe chi si fermasse alla buccia delle q u e stioni;noncosìilDeGrazia,ilquale vipenetraaddentro. È una contraddizione,eglidice,dicuiilfilosofonon s'èac corto, perchè la vera dottrina è quella che non dipende dal la intenzione,o dalla professione di fede che fa un autore, ma quellachesifondanellalogica. Avete un bel dire che giudizi sintetici a priori non vole  27 rà; « Non si è dunque avvertito, che son due tesi contraddit torie, il non esservi giudizî sintetici a priori, e l'essere ele mento addizionale l'idea d'identità ». (loc.cit.).   te ammetterne,quando poisostenete che ogni rapporto è un'identità o totale o parziale ; e quando soggiungete che questa identità è un'aggiunta dello spirito. Quale dottrina contrappone ora il De Grazia a quelle del Condillac,e del Kant ? L'uno diceva : giudicare è sentire ; l'altro, seguito dal Rosmini e dal Galluppi, diceva:giudicare è a g g i u n g e r e ; il D e G r a z i a , d i s c o s t a n d o s i d a l p r i m o e d a l s e condo,dice:giudicare èosservare. Ma prima d'intendere il significato nuovo,ch'ei dà alla funzione del giudizio,necessita ricordare com'egli abbia in teso la sensazione. Né Locke, nè Condillac distinsero abbastanza la sensazio ne dalla percezione ; Condillac anzi le confuse affatto. Alla stessa confusione fu sforzato ilGalluppi.Tralascio le osser vazioni sui primi due,mi fermo a quelle che vanno dritte contro la spiegazione galluppiana,ch'è lamira principale del De Grazia . Due sbagli commette ilGalluppi,uno di confondere ilsen - timento con la coscienza; l'altro di confondere la sensazione con la percezione. « Il sentimento e la coscienza del sentimento sono nel n o stro spirito cosi abitualmente congiunti,che più filosofi han confuso i due fatti affermando, che sentire ed esser conscio di sentire non sono che una operazione medesima dello spi rito ».(Vol.4,pag.17). « Confondendo la coscienza della sensazione con la s e n sazione, non si sono avveduti que'filosofi, che ciò era un confondere il conoscere, il percepire col sentire, c o n fusione che essi medesimi rimproverano a'sensualisti ». (loc. cit.). Queste due confusioni erano state fatte veramente dal G a l luppi,avendoeglicompresosottoilnome disensibilitàin  28 Il simile si dica della idea dell'ente, che il Rosmini a g giunge ad ogni giudizio; su la quale torneremo altra volta.   29 «Sentireilmesensitivodiunfuordime,glidiceilDe Grazia,èlapiùforzatacontrazione,che potea darsi all'e spressione del fatto di coscienza ».(Vol.4,pag.18). L'industria adoperata dal Galluppi per nascondere questi giudizî elementari e primitivi proviene,a parer del nostro fi losofo, dal perchè egli li aveva tenuti per sospetti di sogget tivismo.Questo medesimo motivo lo indusse ad ammettere le sensazioni oggettive, senza bisogno di spiegare il passag gio dal sentire al percepire . Leibniz e d'Alembert, entrambi geometri , e prima di loro anche il Malebranche, avevano riconosciuto il bisogno di spiegareilpassaggiodalmealfuordime:idueprimiave vano anzi proceduto più avanti,additando come mezzo l'in duzione;ilGalluppitagliòcorto,negò ilproblema stesso; affermando non esservi luogo a passaggio,quando la sensa zione coglie immediatamente l'oggetto. Doppio sbaglioadunque da partedelGalluppi:primo,aver disconosciuto igiudizî primitivi;secondo,aver rifiutato,per la conoscenza del mondo esteriore,ilsoccorso della induzio ne . Contro i giudizî lo aveva prevenuto la dottrina kantiana de'rapporti soggettivi ; contro l'induzione,il presupposto che nessun'abitudine posteriore avrebbe potuto fare ciò che un atto primitivo non aveva potuto.Se una prima sensazio ne non mi fapassareall'oggettoesterno,come,diceva il Galluppi, mi ci potrebbe abilitare una seconda od una terza? Eppure de'giudizî abituali che si frammischiano alle sensa zioni aveva toccato prima il Malebranche , poi il Condillac ;  - ternailsentimentoelacoscienzadelme;esottoilnomedi sensihilità esterna la sensazione e la percezione . Perchèdalsentimentosivadaallacoscienza,edallasen sazioneallapercezionecivuoleilgiudizio;non ilgiudizio galluppianocheaggiungarapportisoggettivi,ma ilgiudi zio che osserva,ed osservando distingue i rapporti reali delle cose.   e della forza dell'abitudine Hume ,e della efficacia della in duzione avevano accennato il Leibniz ed il D'Alembert ! IlDe Grazia riassume e tesoreggia isaggi de'suoi prede c e s s o r i , e li c o m p i e c o s ì . associazione adunque spiega l'origine : l'induzione as sicura la realtà;come si può assicurare, beninteso, una ve rità contingente , la quale non esclude mai la possibilità del l'opposto. Coloro i quali han posto mente alla sola abitudine fonda ta su l'associazione,han detto :ma qual garantia ci porge ella della sua realtà ? Così son rimasti nel circolo descritto 'da Davide Hume. Il D e G r a z i a , s c h i v a le p r i m e e le s e c o n d e difficoltà , e f o r m o l a il p r o c e s s o g e n e a l o g i c o c o s i : l ' a s s o c i a z i o n e c o m i n c i a , senza badare alla realtà;l'induzione legittima ciò che trova, senza doversi brigare del cominciamento. In siffatta guisa il nostro filosofo fa capitale di tutt'i saggi parziali tentatiprimadilui,licollega,liordina,licompie uno con l'altro :la sensazione e igiudizî abituali, intrave duti da Malebranche e da Condillac ;l'osservazione, indefi nitatralemanidiLocke,edaluimeglioprecisata;lamas sima aurea del Kant :pensare è giudicare ;la virtù dell'abi tudine,messa a rilievo da Hume;la induzione accennata da Bacone in generale,additata da Leibniz e dal D'Alembert a  scenze provvisorie. 30 La sensazione dà iprimi dati,ilgiudizio osserva i rap portichevisonocontenuti;l'associazionedelleideecifor nisce leconoscenze prime concernenti ilmondo esterno,in via provvisoria ;l'induzione,più tardi,legittima le cono Gli altri,invece,ponendo mente alla tardiva comparsa d e l l a i n d u z i o n e , h a n n o o s s e r v a t o , c o m e il G a l l u p p i : m a l a i n duzione vien troppo tardi a farmi passare alla realtà ester na,richiede troppi congegni,troppe industrie,dicuil'in fante non si può supporre capace.   31 proposito dellaconoscenzadelleveritàdifatto.Bacone,di fatti,dicendo:sensus tantum 'de experimento, esperimen tum de rejudicet,aveva enunciato un canone applicabile piùaifenomeninaturali,chealnostromodo diconoscerli: l'applicazione speciale alla nostra conoscenza si deve a'due geometri filosofi, cioè al Leibniz ed al D'Alembert. La storia intanto invece di attribuire agli anzidetti filosofi la debita lode di essersi accostati sempre più alla soluzione delproblema delconoscere,ricordalemacchine artificiose de'lorosistemi,l'occasionalismo,l'armonia prestabilita,e simili deviamenti dalla salda filosofia. IlGalluppipoiagliocchisuoihailtortonon solodinon aver profittato de'saggi antecedenti, ma di essere indietreg giato anche al di là di quel che aveva avvertito ilCondillac. Questi aveva ritenuto per obbiettivo, o percettivo il solo tatto: Galluppi estese l'obbiettività a tutti i sensi, occultan do la difficoltà invece di scioglierla.La realtà oggettiva de gli esseri esteriori,ei dice,ha bisogno di essere legittimata: « ciò che non veggono alcuni odierni scrittori,iquali sup ponendo naturalmente percettividell'oggetto esterno i no stri sensi,credono con ciò avere abbastanza legittimata la realtà dell'oggetto esterno ».(Vol.2,pag.254-255). IlGalluppidiffidandodituttociòche civieneinorigine per mezzo de'giudizî,trasporta alla sensazione quanto im mediatamente siapprende con l'atto del giudizio (pag.316). Ei non s'accorge che c'è una contraddizione manifesta tra la realtà oggettiva delle idee e la natura soggettiva de'rap porti (pag.316-317). Ondechesquadrilaquestione,ilDeGraziatorna,edin siste sempre su questo vizio radicale della dottrina gallup piana;vizio che apparve chiaro in Kant,e che in lui rimase occulto per aver dichiarate oggettive leidee,contraddicendo alla loro provenienza . Nel Galluppi rivive la tesi del concettualismo , che il n o    - 32 - stro filosofo combatte aspramente;nel Galluppi,e più anco ranelRosmini.IlDe Graziafautore del realismo,non del platonico però,spende molte pagine nel rilevare gl'inconve nienti del concettualismo medioevale,e più del moderno;ed in questa disputa,trattata largamente in una rassegna appo sitapubblicatail1850,eidifendeSanTommaso dallataccia di concettualista, ed impugna la somiglianza che il Rosmini vuol trovare tra la sua teorica dell'ente possibile, e quella dell'Aquinate. Di questa particolare ricerca diremo appres so : continuiamo intanto ad avvertire, con la scorta del De Grazia , le lacune ch'egli addita ne'sistemide'suoi avversarî. La critica dello stato attuale fu fatta maestrevolmente da K a n t : il D e G r a z i a è l a r g h i s s i m o d i l o d i a l f o n d a t o r e d e l C r i ticismo,filosofo per questo verso inarrivabile.Della origine peròilKantnon occupossi,dichiarandoaggiuntiaprioritut tiquegli elementi, di cui gli pareva arduo rintracciare la ge nerazione.Quanto sitoglieaiverimezzi diacquistar cono s c e n z e , t u t t o si a t t r i b u i s c e a d u n a s u p p o s t a o r i g i n e a p r i o r i , a questo vasto serbatoio di tutte le perdite dell'analisi . Cosi , con una similitudine arguta,ei battezza per vere lacune,per difetto di analisi ogni forma a priori. Nella stessa maniera han combattuto,dopo delDe Grazia,l'apriori ifilosofi po sitivisti.Siricasca inquesto metodo dunque,sempre che, abbandonatalagenesisperimentale,siricorre allospedien te di addizioni di forme pure;sia qualunque ilnome con cui si travestiscano . D'accordo con Kant,dice ilDe Grazia,che la conoscenza risulti dasensazioniedagiudizî;ma giudicare,perme, semplicemente osservare,e non è punto aggiungere. La ve duta èprora quando siosserva nell'oggetto,non già quando  - Ilmetodo daseguire,nelproblema dellaconoscenza,era questo:esaminare lo stato della coscienza,qual'è attualmen te;risalirealleoriginidelleideecheoravitroviamo;legit timarne la realtà.   O siaggiunge dal soggetto.Aggiuntachel'avretevoi,non è più da discorrere della sua realtà. Sicché delle tre analisi da fare, Kant fece benissimo la critica della coscienzaattuale;arrestossi per via nel rintrac ciare le origini della coscienza primitiva;e conseguentemen te non potè legittimare la realtà della nostra scienza. La realtà della scienza è collegata con la dottrina del giu dizio:se questo è una mera osservazione,la realtà è assicu rata; se,invece,è una funzione addizionale,la realtà non si può a nessun patto legittimare. Ed ora noi siamo perfettamente in grado dicomprendere, perchè il De Grazia combatta con tanta insistenza la filoso fia del Galluppi,ed insieme di valutare,quanto poco la mira delDeGrazia siastatascortadaquellichenehannofinora discorso.Egli ritorna spesso su la critica da noi esposta, con una prolissità,ch'è stata non piccola causa dell'esser passatainavvertita,perchèdileggereiseivolumidelle sue opere i più si sono sgomentati. Il significato però di tutta la sua discussione si può ridurre a quest'alternativa in cui egli trovòimpigliatalaricercadellaumana cognizione:gliuni avevan detto col Condillac: giudicare è sentire ;gli altri a vevan ripetuto con Kant :le idee di rapporto sono elementi soggettivi:egliavevarisposto:èfalsal'una el'altraspiega zione.Ilgiudicarenonèsentire,ma osservare;irapporti sono oggettivi,non soggettivi. Il Galluppi intanto , destreggiandosi tra le due spiegazioni , aveva di ciascuna ritenuto una parte.Pur discostandosi dal ladottrinacondillachiana,purdistinguendo ilgiudiziodal la sensazione,aveva però ammesso de'rapporti,iquali era no sentiti:tali erano il rapporto tra modificazione e sostan za,ed ilrapporto tra effetto e causa. Similmente,pur promettendo divolersiappartareda Kant, pur professandosi fedele al metodo sperimentale, aveva a c  ce to B EL er EN 33 5 0   cettato due rapporti come soggettivi affatto,quello d'identi tà,e quello di diversità. La sottile e giusta critica del De Grazia aveva messo in e videnza le due capitali contraddizioni della filosofia del Gal luppi.La consapevolezza piena,profonda,ch'egli ha delle obbiezioni mosse al suo grande avversario , ve lo fa insistere forse soverchiamente ;ma non senza rivelare una grande perspicacia di mente nell'applicazione che ne fa alle singole questioni. « L'idea di azione,di connessione,egli scrive,è idea di rapporto;eirapportisigiudicano,non sisentono.Sièdi menticato in questa occasione,che una sensazione non è più che una nostra modificazione, e per se stessa non può darci altra idea che quella di un particolar nostro modo di esistere » (Vol.4,pag.140). L'anno appresso,che ilDe Grazia finiva la pubblicazione d e l s u o S a g g i o , il 1 8 4 3 c i o è , u n d o t t o a b b r u z z e s e , O t t a v i o Colecchi,pubblicava in due volumi le sue Quistioni filosofi che,e vi rifaceva lacritica delGalluppi,muovendo da un criterio opposto a quello del nostro De Grazia,ed intanto somigliantissima nel significato. Il Colecchi segue la filosofia kantiana nel concetto fonda mentale,ma senediparteinmoltiparticolari.Riduceleca tegorie tutte quante a quelle di sostanza e di causa;le dedu c e n o n g i à d a l l e f o r m e d e l g i u d i z i o , c o m e a v e v a f a t t o il K a n t , ma dalle anzidette nozioni di sostanza e di causa, congiun te con quelle di spazio e di tempo ; rifiuta lo schematismo kantiano, che gli parve complicato, e superfluo ; e finalmen te crede , che la realtà della nostra scienza non ne sia punto compromessa . Il Colecchi adunque biasima il Galluppi d'incoerenza per averammesso alcuni rapportioggettivi,edaltrisoggettivi; senonche,invecedisoggiungerecomeilDeGrazia:dove vateritenerlituttiperoggettivi,corregge lacontraddizione  34   io galluppiana in un modo opposto,soggiungendo:dovevate ammetterli tutti per soggettivi. Tralasciando ora le modificazioni arrecate dal Colecchi allafilosofiakantiana,eraffrontandolesueobbiezioni con tro il Galluppi in ciò che s'accordano con le altre antece dentemente mosse dal nostro De Grazia,citiamo in compro va testualmente le parole del filosofo abbruzzese,perchè il lettore ne vegga l'accennata somiglianza. Dopo aver egli ricordato la soggettività de'rapporti d'i dentità e di diversità ammessa dal Galluppi contro del Locke , continua così: « Posto ciò si domanda ora:se rispetto a quelle idee che sono un prodotto dell'analisi che le separa da'sentimenti, e che sono perciò oggettive,venga lo spirito assistito o no dalledue ideed'identitàedidiversità?seno,nonpotràegli separarle punto dai sentimenti;perocchè un bambino puran che ne ha bisogno,per distinguere lasua nutrice da uno stra niero;e tale distinzione è fuor di dubbio un atto di analisi : se sì, le due idee d'identità e di diversità devono precedere le sensazioni:sono dunque per anticipazione,ed anteriori ai sentimenti; e perciò nell'ordine cronologico delle nostre co gnizioni non possono essere posteriori alle sensazioni, ne presupporle come condizioni indispensabili.Come dunque so stenere: che ogni nostra cognizione incomincia con l'analisi, e termina con la sintesi, se per fare qualunque spezie di a n a lisi,ha bisogno lo spirito delle due idee d'identità edi diver sità,le quali, per avviso del nostro autore, sono un prodotto della sintesi che le aggiunge ai prodotti dell'analisi » ? (Qui stionifilosofiche,vol.1,pag.197-198- Napoli1843). Potreicitarealtriluoghi,concuiilColecchinota ildi  - 35 un li ne ato 4 1 Biasima inoltre il Galluppi di aver detto che sono sogget tivesololeideedirapporto,perchèegliammette leideedi spazio,ditempo,disostanza,dicausa,sottoilnome dileggi della intelligenza,che sono soggettive,senza essere rapporti.   verso valore che debbono avere nella ipotesi del Galluppi le idee di identità e di diversità quando si applicano o agli o g getti dellamatematica,oaquellidellasperienza;ma usci reifuoridelmiotema.Amepremeassodarechelecontrad dizioni, in cui s'era avvolta la filosofia galluppiana per m a n co di coerenza,erano state rilevate con mirabile acume dal De Grazia e dal Colecchi. Il prof.Ferri,il quale scrisse due grossi volumi su la sto riadellafilosofiaitaliananelnostrosecolo,non trovòaltro spazio per ricordare idue anzidetti nostri filosofi, che que sto,occupato dalle seguenti parole: « Il faudrait enfin mentionner les écrits de Di Grazia, et de Collecchi , Napolitains, qui, tout en modifiant,ou en c o m battant Galluppi,n'ont cependant pas dépassé le point de vue de l'expérience ou de la philosophie critique ».(Essais sur l'histoire etc. tom . 1, p . 334 ). Certo così il prof. Ferri non si compromette. En m o d i fiant, en combattant, sono frasi tanto diplomatiche che par c h e d i c a n o , e n o n d i c o n o . Il D e G r a z i a h a m o d i f i c a t o il G a l l u p p i ; il C o l e c c h i l ' h a c o m b a t t u t o : c i h o g u s t o : s t a b e n e ; m a c h e c o s a h a n d e t t o ? Q u e s t o è il p u n t o ; e s u q u e s t o , s i l e n zio perfetto.E poi ilDe Grazia non l'ha punto modificato, l'ha combattuto pure : l'avesse combattuto, qual lume si ricaverebbedaquestemezzeparole?Nonerameglioconfes sare di non averne letto sillaba ? E perchè non occuparsene? Forsechèerandamenoditantialtri?Io,peresempio,sen za far torto a nessuno , e salvo la disparità per altri riguar di,trovo più ingegno filosofico nel De Grazia e nel Colecchi, che non nelMamiani.L'ho detta grossa?Chiedo scusa a tutti quelli che ne prenderanno scandalo ;certo di aver con mecoloro,chesen'intendonodavvero;eche intendendo sene ardiscono dire il proprio parere. Del silenzio sul Colecchi il prof. Ferri si scusa quasi ,scri vendo in una nota così :  36   « Les écrits de Collecchi dispersés dans les recueils litté raires n'avaient pas encore été publiés en un seul corps il y a quelques années ». Pardon,prof.Ferri:gliscrittidelColecchi furono stam pati fin dal 1843 in due volumi,che io ho qui sul tavolo,ed hanno questaindicazione:Napoli,all'insegnadiAldoMa nuzio,CarrozzieriaMontoliveton.13,1843.Qualgirodi anni comprendete voi nell'il y a quelques années ? Venticin que non vi bastano ? E perchè non una parola sul De Grazia , che doveva es servi noto,poichè ne registrate ilSaggio nell'indice delle opere filosofiche pubblicate in Italia in questo secolo ? Forse n o n e n t r a v a n e l d i s e g n o v o s t r o , c h ' e r a d i d e s c r i v e r e il p e n siero italiano tutto inteso a cercare ciò che poi ha finalmen te trovato , l'idealismo temperato ? ed allora perchè accusare diparzialitàloSpaventa,cheavevatrascuratinon soquali filosofi, indotto dal suo criterio hegeliano ? Ma passiamo oltre,avvertendo soltanto,poichè siamo su q u e s t o a r g o m e n t o , c h e il c o g n o m e d e l D e G r a z i a n o n v a s c r i t toDiGrazia;echeilColecchinonvarinforzatocome l'ha rinforzatoilprof.Ferri,che loscriveCollecchi.Sarebbero minuzie, se non attestassero la poca diligenza nello scrivere la storia. Morto chefuilGalluppi,ilDeGrazia,benchèricordiqua e là gli sforzi sostenuti nel combatterne le dottrine, rivolge però altrove la propria attenzione. Ne'discorsi pubblicati il 1850 ei se la piglia con la filosofia,che in Italia aveva preso ilsopravvento,echenonsicuravadinascondereildispre gio in cuiteneva l'esperienza.Oramai non si tratta più di scoprire un Idealismo,tutto studioso di occultarsi sotto il nome difilosofiasperimentale,com'erastatoilcasodelGal luppi,ma di combattere un Idealismo che si presentava alla svelata,eche,sottonomi diversi,s'eraguadagnate lementi della nuova generazione.IlDe Grazia comprende tutti que  37   stisistemisotto un nome solo,sottoquello difilosofia spe culativa . Traquestisistemiperò,secondolavaria importanza,al cuni combatte più acremente,altri accenna soltanto.Accen na pure del consenso del genere umano del La Mennais,del tradizionalismo del P. Ventura;delprimo un po'più distesa mente, perchè s'accorda col sistema del Gioberti nel rifiu tare la testimonianza e l'autorità della coscienza subbiettiva. Quanto al P. Ventura, poco seguito aveva trovato in Italia, nèmeritavaimportanza,nèilDeGraziaglienedàmolta. Mente severa, educata alle scienze matematiche, il De Grazia la giustizia sommaria di tutti questi sistemi in un fa scio,ai quali a suo avviso mancava e la base solida, ed il rigoroso ragionamento. «Una volta,eiscrive,erascrittoall'ingressodellascuo. la:nemo accedat,nisigeometra;igiovanettioggi leggono: nemo accedat,sigeometra.E non hanno torto,perché ove si tratta di creare enti, o di manifestazioni del Dio -Cosmo, e di ispirazioni,e di intuiti,o di nuove logiche trascenden tali,non può esservi luogo pe'geometri:non è arena per le loro forze ». Ce n'è per tutti, come si vede, e non risparmia né i si stemi tedeschi,nè i francesi,né i nostrani ;ma vediamo quali obbiezioni particolari muova a ciascuno ;e basterà ac cennarle,perchè oramai abbiamo abbastanza conosciuto il suo criterio. « Più dilettevole trattenimento ci dà il La Mennais nel ravvisar per ogni dove un riflesso del d o m m a religioso ; che  38 Contro del La Mennais nota che la ragione umana collet tivaèun'astrazione,che solo l'individuo esiste;e quindi il c o n s e n s o u n i v e r s a l e n o n h a a l t r o v a l o r e , c h e q u e l l o d e g l ' i n dividui, da cui proviene. Con non dissimulata derisione trat ta poi le spiegazioni fantastiche de'fenomeni naturali per mezzo del domma.   Punzecchiando ilGioberti,siricordadelGalluppi,cheper liberarsidaognimolestiasularealtàde'corpi,concepi ob biettive le sensazioni , e scrive . Le sue celie su la commodità di questi spedienti sono fre quenti;senoncheglisembra che nègl'intuiti,néleispi razioni , nè gli istinti, nè le idee inerenti allo spirito , benchè talvolta simulino l'evidenza,bastano però a surrogarla pie namente . Se ilDe Grazia tralascia gl'influssi divini, cið avviene perchè il Mamiani non li aveva ancora escogitati. Ma torniamo agli appunti ch'ei muove al Gioberti.Come ! eidice,l'intuitoèpresente,enon sivede!È ecclissato,sirepli ca,estabene;ma comeunmotivofinitobastaadecclissarlo? Il D e G r a z i a , p e r q u e s t o i n e s p l i c a b i l e e c c l i s s e , s ' i n s o s p e t  39 d'altronde doveasi toccare con più rispettoso contegno. Fino n e ' s e t t e c o l o r i d e l p r i s m a s c o r g e il t e r n a r i o , d a c h e t r e s o l i secondo l'autore sono iprincipali ». Che cosa avrebbe detto ilDe Grazia,se avesse letto la Vita di Gesù Cristo dell'abate Fornari ? Il Gioberti si studia di sostenere col ragionamento la dot trinaquasiispiratadelLaMennais:ilDeGraziarendegiu stizia al filosofo italiano,nè lo confonde con l'autor dell’Ab bozzo.Eccoperòlasommadegliappunticheglimuove. IlGioberti,perlui,escludeognianalisi delle idee,eper dispensarci dalle minute inchieste psicologiche, ci accorda l ' i m m e d i a t a v e d u t a d e l l e i d e e d i v i n e . C e r t a m e n t e , r i p i g l i a il De Grazia,eivalmegliocontemplarlenellalorointegritàri flesse dal lume divino su le parole, che attentarsi di rima neggiarle con profana analisi ! « P e r t o g l i e r s i d a o g n i i m p a c c i o b a s t a o g g i il d i r e : i o s e n to i corpi esterni,le mie sensazioni sono percettive de'corpi esterni;ovvero per risolvere con un solo atto tutte le qui stioni di ontologia e di psicologia : io intuisco il creato,il creatore,el'atto creativo!»   tiscedellaesistenzadell'intuito.E poi,esso nèsipuòvedere dalla coscienza,nè dimostrare dalla ragione, come fare dun que a verificarlo ? Nè piùplausibileèilsussidiochedovrebbearrecarelapa rola, affinchè dall'intuito si passasse alla riflessione. Il p o t e r e d e l l a p a r o l a , d i c e il D e G r a z i a , è m i s t e r i o s o : n o n circoscrive l'idea,su la quale non ha presa n è punto nè poco ; e non accresce la nostra facoltà intellettiva. Sicchè, tutto ragguagliato, ilGioberti cilasciacon una virtù intellettiva in potenza , e con una riflessione a nude parole. Dove però il De Grazia va più addentro nel sistema giober tiano,è,a parer mio,nella seguente osservazione. «Ma laricercafondamentale,dicuisièsempre taciuto, concernelapossibilitàdellavisioneinDio.La stessanonè solamenteunfattogratuitamentesupposto,ma neppurciè dato sapere, se un essere può vedere le idee di un altro es sere ». Questa obbiezione del De Grazia equivale a quella dello Spaventa,quando osservava,che l'Ente veduto dall'intuito giobertiano non può essere uno spirito. Diciamo ora della critica del Rosmini . Della teorica rosminiana il nostro filosofo s'era occupato nel Saggio ; ci torna di poi nelle opere posteriori alla morte del Galluppi con più larghezza.  40 IlDe Grazia continua:vedere le idee in Dio,presuppone assodato,cheIddioleabbia;ora,cheilmodo dellacono scenzadivinanonsiaconformealnostro;echequindinon si faccia per idee molteplici e rappresentative, pare più ac cettato dalla filosofia ortodossa . E qui riscontra la dottrina giobertiana non solo con quella del Malebranche,ma con quella di Sant'Agostino,e non la trova somigliante,e quin di non la tiene per ortodossa. Nel Galluppi il De Grazia aveva combattuto il concettua   l i s m o , a v e v a c o m b a t t u t o l ' a s s e r z i o n e , c h e le n o s t r e i d e e n o n siano rappresentative.A proposito del Rosmini ripiglia la controversia del concettualismo . Il concettualismo si fonda su la subbiettività de'rapporti, onde risultano le idee:contro ilconcettualismo adunque ba sta contrapporre questa sentenza di san Tommaso : « relatio nem esserem naturae ». O r q u a l d o t t r i n a s e g u e il R o s m i n i ? F o r s e q u e s t a d e l l ' A q u i nate,fondatasulpiùschiettorealismo?No;nesegueuna ambigua , e per tal ambiguità cerca tirar dalla sua l'autorità di San Tommaso . « L ' e n t e i d e a l e d e l R o s m i n i , d i c e il D e G r a z i a , è b i f r o n t e ; da un lato offre l'idea universale di esistenza, dall'altro un ente esistente ». Basterebbe questa profonda osservazione, per dimostrare diquantaperspicaciafossefornitoilDe Grazia;ma egliva più in là ancora,ed addita un riscontro, che rivela la forza della sua critica. « M a , ci si dirà, qui non trattasi di una esistenza sostan ziale, o di accidenti di una sostanza, bensi di una esistenza ideale, qual può competere ad una idea.Si,ciò ricorda l'Idea di Hegel , con la differenza che questa contempla sè stessa, e l'idea universale di esistenza è l'oggetto contemplato da tutte le intelligenze, differenza che gli hegeliani farebbero sparire.Quanto allanaturadellaesistenza,l'entedelRosmi ni non è meno lucido e trasparente, che l'Idea hegeliana, perchè altro non è che l'idea di esistenza, o la possibilità  - 41 - «Sipongaormente,eglidice,cheiduepuntimessia maggiorrisaltonelnostrolibrosono:1.che ilconcettuali smo è la causa principale delle deviazioni della filosofia,e la grande abilitazione de'sistemi speculativi;2. che l'Aquinate, tenendosi immune dal concettualismo,ha felicemente seguito il metodo di pura osservazione ». 6   42 - dell'esistenza,come lo stesso Rosmini ripetutamente va ri cordando a'suoi lettori ». « Se quindi si ammette una esistenza attuale e indetermi nata;attuale e non reale; se si ammette la possibilità dell'e sistenza essere un'attuale esistenza,si avrà il caso proprio di una identità de'due contrari «.(Esperimenti della filoso fiaspeculativane’sistemidelsecolocorrente -Napoli1850-- 29 Rassegna,pag.288). Ho notato in corsivo l'ultima conclusione del De Grazia, perchè il lettore rifletta su la somiglianza da lui additata tra l'Ente rosminiano,e l'Idea dell'Hegel. Quando lo Spaventa, dopo del De Grazia,e senza sapere forsedelfilosofocalabrese,lecuiopere,specialmente leul time,erano rimaste sconosciute,mise in rilievo con più lar g h e z z a q u e l r i s c o n t r o , la c o s a p a r v e s t r a n a , e ci si v i d e u n o stiracchiamento forzato de'sistemi in servizio di un criterio preconcetto.Piùtardi,coloro chesieranoarrogatalarap presentanzadellafilosofiaitaliana,levarono lavoce,epro testarono contro il malvezzo di voler far parere la nostra filosofiaun'imitazione dellafilosofiatedesca.Sietematti,si disse !il Galluppi kantiano ! Il Rosmini hegeliano ! Le son cosedaridere:voiconfondeteitipicon gliectipi;voi non sapete che in Italia c'è un'abbondanza straordinaria di tipi, e che voi altri li sfigurate barbaramente per poterli tramu tare in ectipi. Questa brava gente,veramente tipica,ignorava,che ilri scontro era tanto poco sforzato, da esser apparso manifesto ad un filosofo, il quale non era punto tenero della filosofia tedesca,e che di tutto si poteva accusare, salvo che della smania divoler costruire la storiaapriori.IlDe Grazia, difatti,aveva a chiare note,e con grande insistenza,segna latoilkantismonelsistemadelGalluppi;econ menodiffu sione,ma con non minor chiarezza,l'hegelismo nel sistema delRosmini.Oh!come dunqueivindici,glistoriografi,i    rappresentanti dellafilosofiaitalianaignoravanotuttalacri tica che si era esercitata nel nostro paese su la nostra filo sofia nazionale ? Ma torniamo alRosmini. IlDe Grazia,dopo avvertita l'ambigua natura dell'Ente rosminiano,dopoaverbiasimatoilRosmini dinonaverte nuto fermo in una sola e medesima sentenza,di averlo una voltachiamatounlumedatodaDio,un'altravoltaillume divinomedesimo,eidimostraugualeaccorgimento nelrile vare altri difetti. L'origine delle nostre idee è doppia,una l'idea dell'ente, l'altra lapercezionesensitiva;ma ilDe Grazia s'accorge, che la vera sorgente,l'unica sorgente rimane quest'ultima, e domanda : « A che serve il contrarre l'espressione di quanto si vuol che noi percepiamo immediatamente con una sensazione ? Il participio sostituito al verbo potrà mai avere ilvalore di nascondereimoltigiudizî,chesicontengono nellaformola «enteagentesuimieisensi»? Il participio sostituito al verbo è difatti il ripiego della i d e o l o g i a r o s m i n i a n a : il D e G r a z i a l ' h a c o l t o a m a r a v i g l i a . « La percezione sensitiva, ei continua,è,o no, un atto del pensiero ? Se lo è,siavrà un pensare identico alsentire; senonloè,siavràunapercezione,allaqualeilnostrospi rito non pensa !O cade in sensualismo, o è nulla pel nostro pensiero ». La percezione sensitiva adunque non si vede in che diver sifichi dalla sensazione, posto che in lei non debba concorre re traccia di pensiero : nè molto proficua è la ragione, che il De Grazia chiama potenza terza e neutrale. Non è intellet to,non è senso:applica ildato dell'intelletto ai dati della sensibilità;d'altro non brigasi;ma chimallevaallorala realtà ?Non l'intelletto che ha da fare col possibile ; non il senso che non può cogliere altro che nostre modificazioni.  43   « La capacità di sentire e la facoltà di percepire sono due potenze così differenti,che dee tenersi per ugual controsenso l' a t t r i b u i r e l a p e r c e z i o n e a l l a s e n s i b i l i t à , e l ' a t t r i b u i r l a s e n sazione all'intelletto ». Rosmini con la percezione sensitiva attribuisce al senso più che la costui capacità non comporti ; ricasca quindi nel difetto del Galluppi, che fece la sensazione immediatamente percettiva.A questo sbaglio ecco tener dietro un altro,che a noi piace riferire con le stesse parole del De Grazia. « Un'altra opinione sui generis è di ammettere nel fatto la percezione immediata del nostro essere ,e dell'essere ester no , m a il fatto aver bisogno di venire autenticato da una idea innata, per quanto concerne la vera esistenza, perchè altri menti quella da noi appresa nella coscienza potrebbe dirsi apocrifa ! » Meglio non poteasi rilevare la superfluità dell'ente rosmi niano,dopoaverammesso lapercezionesensitivapercoglie re l'esistenza immediata e reale. Come impugni il De Grazia le interpetrazioni date dal RosminialsistemadisanTommasovedremoaltravolta;chè tal ricerca non è semplicemente storica,e meglio si collega allaesposizione della dottrina del nostrofilosofo,ilquale altro non pretende di aver fatto,che di aver rinnovata la filosofia del sommo Aquinate,stata per tanti secoli o scono sciuta o frantesa. Venghiamo al giudizio su l'Hegel. Già pel De Grazia tutt'i sistemi nati in Germania dopo del Kant sono « romanzi filosofici »;questo d'Hegel fra gli altri, anzi a capo degli altri. Ignaro della lingua tedesca,egli tanto sa de'sistemi tede schi, quanto ne ha appreso dal libro di Ott,ch'era stato pub b l i c a t o a P a r i g i il 1 8 4 4 . N o n è d a r e c a r m a r a v i g l i a a d u n q u e ,  - 44 - Al De Grazia non isfugge nessuno dei tortuosi giri dell'ideo logia rosminiana.   45 s'ei qui non possa penetrare sempre addentro nel pensiero dell'Hegel,come ha fatto coi filosofi francesi, e coi nostri. Onde,mentre lasuacritica della filosofia del Galluppi,del Rosmini edelGioberti,benchèprolissaestemperata,abbon da di osservazioni sode e profonde, la critica dell'Hegel rie sce monca e superficiale. A lui mancava la cognizione pie na ed esatta del sistema;pur tuttavia di alcuni appunti non sipuò ameno diammirare lasagacia,elaserietà. Attraverso alle incertezze di una esposizione,dove trovan luogo metafore più proprie ad abbuiare un concetto,che a lumeggiarlo,èdifficilecogliere ilsignificato genuinodiun sistema . Così al De Grazia il divenire hegeliano sembra uno strofinamento dell'essere col non-essere. Par che baleni il sospetto di qualche alterazione al De Grazia stesso,ma tosto si ripiglia, ed afferma che « si può esser sicuro che le pro posizioni fondamentali della Logica hegeliana non valgono in tedesco più di quel che valgano in italiano o in qualsiasi lingua ».Una tal sicurezza veramente fa un poco a calci col metodo d'osservazione adottato dal nostro filosofo. Il quale se avesse conosciuto iltedesco, si sarebbe accorto che non trattavasi nè di movimento,nè molto meno distrofinamento. L'accusaperò,chemuove allaLogicahegelianadiessere un sistema di rapporti senza termini,è molto più fondata. SenonchenellaLogica,itermininonsonoenonpossono essere altro,che relazioni anch'essi ; ma non è vero però, c h ' e i s i a n o u n m e r o n i e n t e , e c h e t u t t o il p r o c e s s o h e g e l i a no riesca al postutto ad un movimento da niente a niente. Cotesta esagerazione è in lui derivata dal non aver c o m p r e s o b e n e il v a l o r e d e l N i c h t - s e i n , c h e n o n e g l i s o l t a n t o , m a parecchi si sono incaponiti ad intendere per un bel nulla. Fisso in questa interpetrazione, ei continua a biasimare questo modo di far della scienzaun tessuto disiedino, lontano da ogni realtà salda,e solo conveniente a quella fi losofia,che riduceirapportiapurevedute dellospirito.Qui,    46 . come si può scorgere,ei non vuol lasciarsi fuggir l'occasio ne di scagliare un'altra frecciata alla tanto combattuta filo sofia del Galluppi, accennando la simiglianza che corre tra la soggettività de'rapporti e l'Idealismo trascendentale ,che poi siassolvettenell'Idealismoassoluto.IlDe Graziaconfino accorgimento perseguita il suo illustre avversario sino alle ultime e non sospettate conseguenze del suo principio. « Un rapporto ideale senza itermini sarebbe appreso dalla. nostramente,sesiammettesse lasupposizione,che irap porti sono pure vedute dello spirito, alle quali nulla corri sponde nelle cose ». Hegel è agli occhi del De Grazia « un elevato e perspicace p e n s a t o r e » , m a il s u o s i s t e m a è u n a p e r p e t u a i r o n i a . L a sola istruzione che se ne possa cavare è quella di capacitarsi della impotenza della filosofia speculativa a cogliere ed a spiegare la realtà. « Ecco dunque l'istruzione ch'egli (Hegel) ci dà in forme le più solenni :volete voi passare dal cerchio delle idee astrat te al mondo reale ? vi è forza porre innanzi tratto, che il reale è lo stesso che l'ideale ! In altri termini : dalle idee astratte non si può derivare la realtà; e questa massima può servir di lezione pe'tentativi,in cui con minori proporzioni, o più propiamente, con meno di purità speculativa, si voles se maneggiare ilmetodo ontologico ».  I due principii che lo informano sono l'Idealismo,e la con traddizione ; dall'uno il sistema hegeliano piglia le prime mosse;coll'altraprocede avanti.Che cosa se ne inferisce? Q u e s t o s o l t a n t o , c h e il c o n c e t t u a l i s m o è f a l s o ; m a l a v e r a f i losofia rimane illesa dai suoi colpi. Il valore che il De Grazia attribuisce ad Hegel è lo stesso, benchè egli nol dica espressamente, di quello che Socrate ebbe verso la Sofistica. L'ironia socratica avrebbe svelato le contraddizioni della Sofistica, come l'ironia hegeliana avreb be tirato le ultime conseguenze del Concettualismo moderno .   H e g e l , s e c o n d o il g i u d i z i o d e l D e G r a z i a , a d d i t o il r i m e d i o contro le forme subbiettive di Kant ,deducendo da quelle pre messe , che dunque « i fenomeni del pensiero sono la sola v e rità assoluta », Tutta la storia della filosofia si spiega,adunque, e siran noda intorno al problema della conoscenza. Tre domande si possono fare: qual è lo stato presente della nostra coscienza ? qual è stata la sua origine ? qual è la sua realtà ? Il criterio con cui il nostro filosofo giudica tutt'i sistemi è il s e g u e n t e : « c i ò c h e l a n o s t r a m e n t e v e d e i n u n f a t t o o è realmente nel fatto, o la nostra veduta è su tal riguardo il lusoria ». D a u n l a t o a d u n q u e c ' è il r e a l i s m o , a f a v o r e d e l q u a l e e g l i s i s c h i e r a ; d a l l ' a l t r o l a t o il c o n c e t t u a l i s m o , c h e p i g l i a d i v e r se forme, finchè non diventi idealismo assoluto, ossia l'iro nia hegeliana, che mette a nudo le coperte magagne de'siste mi antecedenti,Benchè ilibridelDeGraziasianopiuttostopolemiciche dottrinali,pure in essi,e nel Saggio principalmente,si scor gono le linee di una nuova soluzione del problema genealo gico delle idee.Il De Grazia fa consistere in questa soluzio ne tutta la sostanza della filosofia;m a a lui la genealogia non ha lostessosignificato,chehaalBorrelli,dalqualetolse probabilmente ilnome.IlBorrelli,quasi almodo stesso,che fa oggidi l'Herbert Spencer, studia la genesi del pensiero sotto l'aspetto fisiologico : il De Grazia si arresta ai tre fe nomeni primitivi del sentire,del pensare,e del volere,e di quivi soltanto piglia le mosse . Qual è ora per lui l'immediato,o ilfatto primitivo, sul quale riposa la filosofia sperimentale ? IlGalluppi aveva risposto :questo immediato è ilsenti mentodelmeedelfuordime;ilDeGraziarisponde:ilve roimmediatoèilsentimentodelmesolo. Questa prima discrepanza si può dire la origine di ogni divario che corre tra la filosofia de due filosofi calabresi. E n trambi vogliono partire dalla esperienza immediata, m a i li miti di questa immediatezza non sono tracciati al modo m e desimo . «Ilmetodo d'osservazione,dice ilDe Grazia,ciguida a    riconoscere,che ilcampo dellaimmediata percezione di fatti reali è la sola esperienza interna, ove l'oggetto è in noi , è la nostra esistenza,e quanto apprendiamo nelle nostre m a niere di essere.Gli oggetti esterni non sono esposti alla im m e d i a t a n o s t r a p e r c e z i o n e , m a n o i li p e r c e p i a m o c o l m e z z o di più atti mentali ». Questa confusione sembra al nostro filosofo tanto più ine scusabile nel Galluppi,quanto più questi si era chiarito con trario alla tesi della sensazione trasformata . «Potrebbemaicredersi,eidice,chementre egli(ilGal l u p p i ) c o m b a t t e a v i v a m e n t e il p r i n c i p i o s e n s u a l i s t a , g i u d i c a r e è s e n t i r e , a b b i a p o i r i t e n u t o , c h e il s e n t i r e è u n a s p e c i e del pensare ? » Il De Grazia scorge manifesti gl'inconvenienti della spie gazione galluppiana , e li addita così . «Quandosiammette,chelerealtàesteriorisonodanoi sentite,e che poi l'analisi,distinguendo isentimenti che da prima erano confusi,cidàleidee,non sipuòsfuggirealla conseguenza,che dette idee non sono altro che sentimenti distinti;poichè l'analisi non ha cangiato la loro natura pri m i t i v a ; o n d e t u t t o il c a p i t a l e d e l l a e s p e r i e n z a e s t e r n a è c o stituito da ciò che sisente,e da que'rapporti,che il nostro spirito ha in pura sua seduta,ma che non sono nelle cose. Si fatte conseguenze vengono poi confermate ed ampliate con essersidetto,che lacoscienzaèlasensibilità interna,cioè  50 All'acume del De Grazia non isfuggi la conseguenza,che avrebbe portato il principio galluppiano. Se la realtà este rioreècoltaimmediatamente,dunque ilsentire è lostesso c h e il p e r c e p i r e ; è l o s t e s s o , c h e il p e n s a r e . G a l l u p p i s e n ' e ra aperto con molta chiarezza: la sensazione,per lui,suppo ne l'oggetto sentito,come ilpensare suppone l'oggetto pen sato.Ilsentire era dunque una specie del pensare :sentire e pensare non erano più due fenomeni primitivi, ed irredu cibili,come ilDe Grazia sostiene.   la conoscenza de'fatti interni è sensibilità. Vedesi quindi che con questi principî ilsentire non fu distinto dal pen sare ». Gli estremi , tra cui si studia di librarsi il De Grazia , son questi due:da una parte quello che raccorcia la portata del la coscienza;dall'altra quello che la dilata oltre il convene vole.Chi dice:lacoscienzanon coglielanostraesistenza,e chidice:lacoscienzasiestendeallarealtàesterna,dice u gualmente cosa inesatta ;per difetto, la prima osservazione; per eccesso,la seconda. IlGalluppiammetteundoppioimmediato,ilme edilnon me;ilDeGrazianeammetteuno,ilmesolo:dondeproviene siffatto divario ? Eccolo ,con le parole stesse del De Grazia, le quali compendiano e chiariscono la dottrina galluppiana. « Il dir che partendo dalle nostre modificazioni sensibili, noi veniam per via di giudizî acquistando la conoscenza del m o n d o e s t e r i o r e , v a l q u a n t o il d i r c h e l o s p i r i t o u m a n o c o n i s u o i p r o p r i i e l e m e n t i c o m p o n e il m o n d o . L a f i l o s o f i a s p e r i mentale di Francia su questo punto va a coincidere con l'I dealismo di Kant ». E perchè? Perchè il Galluppi non si affidava ai giudizî per coglierelarealtà;perchèigiudizî,secondo lui,erano pure v e d u t e dello spirito ; d i m o d o c h é , se il m o n d o n o n ci fosse a p parso dal bel principio così,come oggi lo apprendiamo , quel lo costruito di poi sarebbe stato una mera relazione del n o stro spirito,a cui nulla sarebbe corrisposto di reale nella natura.Diffidente della sincerità de'nostri mezzi di conosce re,ilGalluppiquindiappigliossialpartito delReid,edam mise l'immediatezza della sensazione,confondendola con la percezione esterna.  51 « Si è quindi detto,osserva il De Grazia,che nel fatto io s e n t o n o n è c o n t e n u t o il p r o p r i o e s s e r e , e si è t e r m i n a t o d ' a l tra parte con dire che nel fatto io sento si contiene l'essere straniero,ilnonio».   52 IlDe Graziaritienelasinceritàdelgiudizio,ritieneirap porti come reali,e quindi non alla sensazione,ma ad un pro cessospontaneodell'intelletto,edalconcorso digiudizîdi venuti abituali ed indiscernibili attribuisce le idee de'corpi, quali nello stato presente le troviamo nella nostra coscienza . Esclusa dal De Grazia l'immediatezza della sensazione, non per questo ei mena buoni que'sillogismi, iquali si cre devano più spedito passaggio dalle nostre sensazioni alm o n do esterno. Il De Grazia nota che il modello di questi ragionamenti ri sale fino al nostro Campanella , il quale lo formolò così: Sia monoichemutiamo:dunquesentiamosolonoistessi,enon giàlecose.Noisentiamo lecoseesterne,soloperchécisen tiamomutare,manonsiamonoichecimutiamo;dunqueal tracosacimuta. Questo sillogismo , che , variamente rimaneggiato , è r i m a sto in sostanza il gran ponte di passaggio dal mondo interno all'esterno,nonèparsoabbastanzaconcludentealnostro fi losofo.Le lacune,ch'egliviha scorte,non sipossono logi camente colmare.Anzitutto :chi vi dice che ilprincipio di ogni nostra mutazione sia la volontà ? L'associazione delle nostre idee talvolta non è volontaria, ed intanto è mutazio nenostra.Epoi,poniamochelamutazioneviadditialcun c h è d i e s t e r n o , c h i v i g a r a n t i s c e c h e il p r i n c i p i o e s t e r n o s i a un corpo ?  A taliobbiezioninonc'èdareplicare:ilsillogismoèim potente a discoprire un fatto :esso è utile soltanto a disco prire verità di ragione. Tolta l'immediatezza della sensazione,tolto il sillogismo, il D e G r a z i a t o r n a a l l e r a p p r e s e n t a z i o n i , c o m e i m m a g i n i d e l le cose esterne,ed alla induzione,la quale,travagliandosi su quelle immagini,va legittimando la realtà delle immagini complesse,che l'associazione ha spontaneamente ed abitual mente formate.Non sarà una dimostrazione necessaria,ma   nelle verità di fatto non si dà mai l'assoluta impossibilità dell'opposto,e bisogna contentarsi della certezza morale. L'associazione collega insieme le immagini visive e le tat tili:igiudizîabitualicolgonoirapportiqualirealmente e sistono ;noi adunque venghiamo componendo lo spettacolo del mondo esterno non con vedute subbiettive,ma con ele menti dati dalla realtà stessa dellecose. Questa è stata pure la dottrina dell'Aquinate,e ditutta la filosofia ortodossa. Nell'ultima opera pubblicata col titolo di Prospetto della filosofia ortodossa,ilnostro filosofo sifaforte dell'autorità dell'Aquinate per tutte le parti fondamentali della sua dot trina,salvoimiglioramentich'eicredediavervi arrecato, supplendo a quelli ch'ei chiama desiderata della filosofia to mistica.IlDeGrazianoneraabbastanzaversato nella filo s o f i a a r i s t o t e l i c a , d a a c c o r g e r s i c h e il m e g l i o d i q u e l l a , c h e ei battezzava per dottrina ortodossa,era mutuato da Aristo tele.Vediamo intanto quali principii ei ne accoglie,e ne te soreggia. Primieramente il De Grazia avverte la differenza che l’A quinate mette tra isensibili proprî,ed icomuni;differenza, che noi sappiamo appartenere ad Aristotele. Con molto acume l’Aquinate aveva avvertito di fatti che isensibili proprî sono qualità,come odori,sapori,suoni,co lori,e simili;e che isensibili comuni,invece,sono quanti tà o estensiva,o intensiva,o discreta,come figure,distan ze,movimenti, successione :« sensibilia propria ... sunt qualitates : sensibilia communia omnia reducuntur ad quantitatem ». Finalmente cita la sentenza che accenna alla formazione delleimmagini corporee,echeattribuisceallospirito,enon  53 Dipoi ricorda la dottrina sui rapporti,che San Tommaso hariconosciutocomereali,comeresnaturae,enongiàco me res rationis.   giàaicorpi.«Imaginemcorporisnoncorpus inspiritu, sed ipse spiritus in seipso facit ». Alla quale ultima sentenza ilDe Grazia aggiunge questa avvertenza . E l'avvertenza mira visibilmente a cansare l'equivoco del le forme soggettive,e degli elementi a priori da lui con gran de perseveranza combattuti.Lo spirito si compone egli le immagini de'corpi esterni, l'idea del corpo è un prodotto della sintesi , contro alla opinione del Galluppi, m a in questo raccoglimento non c'è mistura di elementi soggettivi :tutti idati sono reali.Inquestosignificato,enonaltrimenti va intesalaproposizione dell'Aquinate,che ad altri potrebbe parere intinta di kantismo, e che suona così :dat (anima) eisformandisquiddam substantiaesuae. San Tommaso adunque aveva tracciato le prime linee di quella filosofia sperimentale, di cui ilDe Grazia si dà per continuatore: i due filosofi cadono d'accordo sui seguenti ri sultati : 1o che nel senso non v'è altro che il cangiamento del senso;2ocheleimmaginide'corpi sivan componendo con elementi nostri;3ochenoigiudichiamo,essere icorpi simili a quelle immagini. S e n o n c h e S a n T o m m a s o s ' e r a f e r m a t o q u i : il D e G r a zia ha domandato inoltre:con quali operazioni si son for mate quelle immagini ? Con qual criterio le giudichiamo si mili ai corpi esterni ? E alla prima domanda ha risposto : le operazioni sono i giudizî accoppiati alle sensazioni;l'associazione delle im magini visive con le immagini tattili: giudizi ed associa zione che si uniscono spontaneamente ed abitualmente. Alla seconda domanda poi ha risposto: la legittimazione  54 « Quanto però egli(San Tommaso )enuncia,non lascia dub bio, che nella formazione delle immagini de'corpi esterni ha inteso non mettersi in opra altri elementi,che que'del senso e della imaginazione ».   Quando , difatti, io applico ai fenomeni della estensione le verità della geometria,e l'applicazione riesce,allora è chia ro che alla esistenza de'corpi si aggiunge tutta la forza della dimostrazione induttiva. Mal si è creduto che ogni nerbo di logica dimostrazione consistesse soltanto nel sil logismo e nelle sue forme. « Se l'estensione corporea,dice ilDe Grazia,è reale, la troverò costantemente conforme alle leggi geometriche,ma se è un'illusione de'sensi,mi sipotrà presentare nelle vo lubili forme in cuiapparisce ne'sogni.Nella ipotesi affer mativa v'è la necessità assoluta di trovarsi avverate le ve ritàmatematiche,come sihanell'esperienza:nellaipotesi negativa,l'evento che ne dà l'esperienza, è uno degli in finiti eventi possibili. Questo cenno può far presentire, a qual grado si eleva la pruova induttiva del Leibniz,riguar dandola dal solo lato delle verità matematiche. Esposta in questi termini la mente del nostro filosofo, proseguiamo a raffrontare le differenze conseguenti tra la sua dottrina,e quella del Galluppi. Il Galluppi aveva pareggiata la sperienza interna con l'e sterna,e quindi ammessa una doppia relazione colta imme diatamente, quella tra sostanza e modificazione, e l'altra tra causaedeffetto.IlDeGrazia,invece,distingueleidee pri  55 - si fa non per la immediatezza della sensazione,e neppure per sillogismo,ma per via d'induzione,secondo l'addita mento diLeibniz,ediD'Alembert,idue filosofimatemati ci,mal trascurati dai filosofi posteriori. Non è dimostrazione apodittica cotesta,certamente : an che un incontro fortuito potrebbe essere causa di quella cor rispondenza che noi verifichiamo nella sperienza tra i rap porti quantitativi ideali,eirapporti quantitativi reali dei corpi;ma aqualestremo siassottiglia questa possibilitàdi un incontro fortuito,e di quanta forza non s'ingagliardi sce l'ipotesi della realtà de'rapporti tra corpo e corpo !   mitive dalle derivative ;chiama primitive quelle che sono ricavate dal fatto immediato della coscienza,da lui circo scritto nelsoloiosento;echiamaderivativequelleche na scono poi dalla sperienza esterna. « Si sono messe,ei dice,in una medesima classe,tanto le idee primitive di numero, di sostanza,e di modificazione, di affermazione e negazione,quanto le idee derivative di causa,diazione mutua,delcontingente,delnecessario,del possibile;e non si sono mentovate le idee derivative di spa zio,ditempo,per essersi supposto venirci date dallasen sibilità senza previo lavoro dell'intelletto ». L'originale dell'idea di sostanza è dunque ilnostro pro prio essere:delle modificazioni si dice impropriamente che esistono:ciò ch'esiste è la sostanza.Però se un essere esi stente non avesse punto di modi,ei non sarebbe nè in m o to,nèinquiete;nèpensante,nènon pensante,ecisarebbe u n m e z z o t r a l' e s s e r e e d il n o n e s s e r e ; il c h e è a s s u r d o .  56 Cosi dice egli parlando delle forme kantiane,e l'appun to si può volgere pure al Galluppi,che alla sostanza ed alla causa attribuì, come abbiamo visto, la medesima origine. Pel De Grazia la coscienza è l'lo sento,e in questo fatto permanente della propria esistenza lo spirito apprende la sostanza, come la modificazione nelle sensazioni in cui si senteesistere.Ilmododiesisterenon sipuòdispiccaredal laesistenza,edilDeGraziachiama una rivoluzione filoso fica quella avvenuta in occasione dello scetticismo di Hume , quando si cominciò ad affermare che nel fatto di coscienza v'èilsolomodo diessere,enon giàl'essere.D'allorain poi si cercò di supplire a questo difetto supposto per via di aggiunzioni provenienti da altresorgenti:così ilRosmini suppose che al fatto di coscienza si dovesse aggiungere l'i dea dell'essere.Pel De Grazia ilfatto della coscienza nella sua integrità dà l'uno e l'altro; se non che a cogliere questo rapporto non è attalasensazione,siveramente ilgiudizio.   Senza avere sperimentato il fatto del passaggio da una modificazione ad un'altra,noi non avremmo potuto affer marlo : dopo la sperienza però,noi essendo in un dato m o do pensiamo la tendenza di passare ad un altro; e cotesta tendenza chiamiamo forza, la quale è dunque ciò che han no di costante gli stati successivi della sostanza. Nella originedell'idea di causa noi abbiamo bisogno di al tri dati. a Non siavverte,diceilnostro autore,chelacausa che produce le sensazioni è quella che mette in esercizio la sen sibilità;lacausa cheproduceipensierinon èlapotenzadi pensare,ma èquellachemetteineserciziolapotenzadi pensare;la causa che produce ivoleri non è la volontà,ma è quella che mette in esercizio la volontà ». Chi ricorda ora che a queste tre classi di fenomeni ri duce eglituttalanostraattivitàspirituale,vede chiaramen te cheperluiselacoscienzaporgeilmodellodellasostan za,non èperòbastevoleaspiegarel'ideadicausa.Qui oc corrono più sostanze, di cui una determina l'altra. Nella sostanza la mutazione sopravvenuta è determinata dallostatoanteriore;nellacausaessamutazione èdeter minata e dallo stato anteriore e dalla mutua azione. Il De Grazia riassume la sua dottrina su queste due idee capitali nel seguente modo . « La sostanzapersistenellasuaimmutabilenaturaal can giar delle modificazioni. Nell'ordine naturale nè possono prodursi nuove sostanze, nè leattualiannientarsi. I cangiamenti di una sostanza sono cosi connessi tra lo ro,cheinogniistanteilsuostatoèdeterminatodalsuosta to antecedente,cioè nel corso de'suoi cangiamenti ha per modificazionecostanteunatendenzaalcangiamentocheim mediato vaseguendo,equestatendenzaèquelchenoico  - 57 8   nosciamo della forza interna di una sostanza.La diversa na tura di queste forze ci viene manifestata dalla esperienza, cioè dai diversi cangiamenti della sostanza.Così distinguia mo levarieforzeinternediunasostanza,elevarieforzein terne delle diverse sostanze ». « Una sostanza, che trovasi in uno stato permanente non può da sè stessa,cioè per propria forza,passare ad altro stato ». «Oltrelaconnessionetraicangiamentidiunastessaso stanza v'è anche una connessione tra i cangiamenti di di verse sostanze,cioè una mutua azione tra le medesime ». « Tutti gli avvenimenti dell'universo saranno necessarii, e l'azzardo non è che l'incontro di avvenimenti non con nessi tra loro.Ma questo incontro medesimo è necessario, in quanto son necessarie le serie de'cangiamenti anteriori, che han determinato quegli stessi avvenimenti che s'incon trano ». Ecco la somma della sua dottrina,la quale,intorno alla causalità specialmente, è la traduzione filosofica delle leggi delmoto diNewton.Questeleggi,osservailDeGrazia,ed a ragione, non sarebbero vere leggi degli esseri naturali,se fosse falsa l'ipotesi della mutua azione. Locke intanto aveva negato l'idea di sostanza, Hume la connessione richiesta dalla mutua azione nella causalita ; entrambi per lo stesso motivo,che noi cioè non conoscia mo adeguatamente nè quella,nè questa.Pare al nostro au torecheilragionamentodiHumesiriducaaquestoentime ma:noinonabbiamoideaadeguata diazione;dunque non ne abhiamo punto. Le ricerche,dalle quali Hume era stato indotto a questa conclusione ,la quale troncava i nervi ad ogni attività scien tifica, si possono brevemente esporre così.L'esperienza non dàconnessione,ma semplicecongiunzione:ilragionamento non dà idee nuove :l'abitudine non cangia la natura della  58   prinda percezione,come una serie di zeri è impotente a co stituire una quantità. Con lacoscienzacolghiamolemutazioninostre,elegiu dichiamo appartenereallanostrasostanza:conl'astrazione noi rendiamogeneralequestaconnessioneinterna.La spe rienza esternadipoicimostrafattiincongiunzione,ma con tal costanza,che noi ci avvezziamo a riferire un fenomeno alla presenza di un dato oggetto:noi induciamo,che questa congiunzionesiaunaveradipendenza.Eperchè?«Unacon t r a r i a s u p p o s i z i o n e , ei r i s p o n d e , i m p l i c a l ' a s s u r d o , c h e d u e sostanze con le stesse modificazioni sono condizionate ad e sercitare una mutua azione in un tempo più tosto che in altro;in un luogo più tosto che in altro luogo. In tal guisa tutte quelle funzioni del pensiero,che isolate non sarebberostatebastevoliafornircilaconnessionecau sale,intrecciateabilmente insieme bastano. IlKant,come sappiamo,dallepremesse diHume,lasciate correre senza contrasto,inferi che dunque l'idea di causa è a priori ; evitando con questa origine le scabrose ricerche de]l'analisi.Altri aveva inferito,che ilprincipio di causali tà sia,nongiàsinteticoapriori,ma analiticoadirittura, come trainostriilGalluppiedilRosmini:ilnostroDeGra zia riconosce che nella idea dell'avvenimento non è racchiu s a l'idea della sua causa ; dà ragione alla filosofia critica di averlo sostenuto per sintetico;ma crede di coglierla poi in flagrante contraddizione nel valore che Kant attribuì a tal principio.Giovaesaminarequest'ultimo aspetto della que stione .  .-59 11DeGraziareplicò:altroèilnonavereunaideaadegua ta,ilnonconoscereilcomedell'azione;edaltroilnon a verne la menoma idea.Vero è inoltre,che nè la sperienza, nè il sillogismo,nè l'abitudine bastano da soli,ma intrecciati insieme forsebasteranno:epoisièlasciatafuordiconto l'in duzione,laquale èdiunaiutoinestimabile.Ed eccocome.   Kant aveva attribuito al principio di causalità un'origine apriori,epoiavevaattribuitoallostessounvalore ogget t i v o : il D e G r a z i a i n t e r p e t r a o g g e t t i v o n e l s e n s o d e l l a f i l o s o fiasperimentale,ed affibbiaalKant una contraddizione,che proviene da una poco esatta cognizione della Critica della Ragion pura. «Daunapartesiammette,cheinostriconcettieigiu dizî sintetici a priori hanno un valore oggettivo nella na tura ... Dall'altra parte si sostiene che la causalità non è legge degli esseri, ma legge de'lor cangiamenti sommessi alla nostra esperienza ». Per Kant l'oggettivo non era punto nella natura , m a era semplicemente ciò che si trovava in ogni coscienza,non co me questa o quella coscienza empirica ed individuale,ma in ogni coscienza umana in universale,in ogni coscienza uma na come tale. Onde Kuno Fischer esponendo questa significazione della parola oggettivo nel sistema kantiano scrive appunto cosi: « N u n heisst « verknüpft sein in reinen Bewusstsein » soviel als « obiectiv verknüpft sein ». Ma di tali inesattezze fu causa non la poca penetrazione dellamente,sil'averluiignoratolalingua tedesca;ilche lo costrinse a servirsi di poco sicure traduzioni. N e l l ' e s a m e d e l m o d o , c o m e il D e G r a z i a s p i e g a l ' o r i g i n e dell'idea disostanza,equella dicausa,noi abbiamo indi cato tutto quanto il suo processo analitico nella genealo gia del pensiero,perchè la prima idea è primitiva, la se conda derivativa. Pure di altre principali toccheremo un cenno per chiarezza maggiore,ma prima alleghiamo testual mente la formola del suo metodo. « Pura osservazione di fatto nelle idee primitive;pura os servazione di concetti astratti nelle idee derivative ;ecco i due cardini del presente Saggio. La natura oggettiva delle idee di rapporto , e i giudizî parte integrante di alcune idee . . .  60   -61 sono ledue vedute primordialinellaquistionedellaorigine e realtà delle nostre conoscenze ». Con questo criterio ora ilnostro filosofo si fa ad esami nare ilfatto,ediquivi pervia diastrazione,ossiapervia del giudizio,attinge ogni nostra idea. Percepire ilpossibilevalgiudicare ciò ch'è possibile, come percepireilnecessariovalgiudicareciòch'èneces s-ario,e percepire ilgeneraleval giudicare ciò ch'è gene r ale ». È una falsa opinione il credere che la necessità,la pos sibilità,launiversalità,come altresì laidentità,ladiversi t à non siano contenute tutte quante nella realtà che ci sta davanti : il giudizio non aggiunge nulla di suo, esso è un puro mezzo di osservazione, e nulla più. « Il nostro spirito ha la virtù di apprendere l'identità e la diversità,con cuisioffronoleideeallanostra percezio ne:eccoquantodevesisolamentediredalfilosofo». L'infinito non è pel nostro autore,se non la quantità in finita, e la origine di questa idea è anch'essa dovuta alla e sperienza. « Partendo dal principio,che ilpositivo dee precedere il negativo nell'ordine genealogico, abbiamo conchiuso,la quantità che ha limiti dover precedere la quantità che non ha limiti;ilfinito dover precedere l'infinito;ilsiavanti al no.L'equivoco ènelcredere,che una quantitàinfinita non ènegativa». Che sesiosserva,laquantitàinfinitacomprendere in se tutte le finite, è da osservare altresì ch'essa le comprende non come negazione,ma come quantità:lanegazione siri ferisce al limite. Tra quelli che San Tommaso chiamava sensibili comuni c'erano l'estensione e lasuccessione,rapporti quantitati vi,mentre isensibiliproprîeranoqualità.Oralavorando  Piùcomplicataèlagenesidelleideedispazioeditempo.   62 sopra questi due dati,vale a dire considerando come as soluta la posizione de'punti nella estensione,e degl'istanti nella successione, si ha nel primo caso lo spazio, nel se condo iltempo. « La pura estensione non è tutta intera l'idea dello s p a zio :in questo v'è dippiù il valore assoluto de'suoi punti . L'idea di successione non è tutta intera l'idea del tempo : in questo v'è dippiù il valore assoluto de'suoi istanti ». Che cosa vuol dire questo valore assoluto ? Ecco:l'estensione consiste nella postura de'punti;e c o testa postura è di sua natura relativa. Se ora la postura non si riferisce ad alcuni punti soltanto,ma a tutt'i punti assegnabili,siavrànonpiùunadataestensione,ma lo spa zio.Cosidicasideltempoperrispettoallasuccessione. C'è successione,se un istantesiriferisce ad un istante dato : c'è tempo se la relazione si allarga a tutti gl'istanti a s s e gnabili. Dimodochè lo spazio siha negando illimite della esten sione finita ; il tempo negando il limite della successione finita. Ma l'estensione e la successione,si domanderà, donde provvengono ? IlDeGraziachelichiamasensibilicomuni,ritenendo la nomenclatura tomistica nel Prospetto della filosofia o r t o dossa,nel Saggio ne attribuisce l'origine non alla sensibi lità, ma all'intelletto.Egli anzi combatte la dottrina k a n tiana delle forme pure della sensibilità,osservando che non si può dare estensione e successione senza apprendere del le sensazioni come moltiplici,e quindi come diverse, o meidentiche;sicchènumero,diversità,identitàsono con dizioni dell'apprensione di questi due nuovi rapporti, che si dicono estensione e successione.Kant che le attribuiva alla sensibilità non si accorgeva del concorso indispensa bile dell'intelletto che vi si richiedeva ;ed anzi si contrad  CO   diceva ammettendo, che la materia sensibile prende un pri mo ordinenelleformepuredellasensibilità,echeperesse forme la varietà e la moltiplicità della rappresentazione ac quista un certo ordine. Questa contraddizione era stata avvertita dal Borrelli pri ma delGrazia,eforsequestil'hamutuatadall'autoredella Genealogiadelpensiero.Kant,aveva dettoilBorrelli,tie ne percategoriedell'intellettoladiversitàelamoltiplicità: e d intanto ammette una varietà ed una moltitudine anche nella sensibilità: come va ciò ? Nè il Borrelli, né il De Grazia s'accorsero però che il divario tra categoria, ed intuizione pura consiste non già nel supporre entrambe una moltiplicità;ma nel diverso m o do dellegamecategorico,edintuitivo. Ma è tempo omai di giudicare nel suo insieme il tentati v o del nostro filosofo. Propostosi discoprire lelacunedellafilosofiadelGallup pi principalmente,e di additare i costui sviamenti dal m e todo sperimentale, egli si studia di evitare ogni spiegazio n e ,la quale non si desumesse dal fatto reale.La ragione c'è nonperprodurre,maperosservare:ilpiùchepossafa re èdiastrarre.Per questa disposizione d'animo gliando a sanguelafilosofiadell'Aquinate,che,foggiatasul'ari stotelica, gli parve battesse la stessa via.Ripetendo l'an tico adagioaristotelicocheilpensareèofantasia,onon senza fantasia,l'Aquinate procede difatti di astrazione in astrazione,ma senzadispiccarsimaidalfattosensibile.Che cosaèilfantasma?Similitudinedellacosaparticolare:Si militudo reiparticularis.Checosaèl'attodell'intendere? È laspecieintelligibile,speciesintelligibilis,chesitorna ad astrarre dalfantasma:un'astrazione adoppiogrado.E che cosavuoldireilluminareifantasmi,equelfamoso lu me divino,sulqualetantoavevadisputatoilRosmini,seera Dio stesso,ounsuoriflesso?PelDeGrazianonèaltro,se  63 1   64 non l'effetto della attenzione, che vi si presta. Il giudicare era a lui un fatto irreducibile,da non confondere con la s e n s a z i o n e ,m a i n s i e m e e r a u n p u r o m e z z o d i o s s e r v a z i o n e . O s s e r vare adunque è la parola che compendia tutta la sua filosofia . Per questo verso la filosofia del De Grazia è più moderna di quella del Galluppi, e rasenta assai da presso il Positivis mo contemporaneo,cheinqueltorno sistavaconcependo. Il Corso di filosofia positiva dettato da Augusto Comte fu p u b b l i c a t o i n F r a n c i a d a l 1 8 3 0 a l 1 8 4 2 : il D e G r a z i a a v r e b bepotuto averne notizia,matuttoinduce acredere,ch'ei non l'abbiaavuta.L'educazioneprimadellasuamente, che al pari di quella del Comte era stata avvezza alle scien zeesatte,elapocapropensione per lespiegazioni trascen dentali poteronlo però sospingere per la medesima via. Il De Grazia al pari de'positivisti dichiara sconosciute le essenze delle cose, limitata ad una mera riduzione di feno meni tutta la nostra scienza:crede anche lui doversi appli care alla filosofia il metodo delle scienze esatte e delle s p e rimentali,e da qui la grande importanza che attribuisce alla induzione , la scarsa che attribuisce al sillogismo .  Se non che all'osservazione immediata ei seppe accoppia re l'induzione,ch'è l'osservazione mediata.Della induzio ne ebbe un concetto preciso,nè lavolle ristretta al sempli ceradunamento de'fattiosservati,ma ne estese la portata oltre ai limiti della sperienza.In questo allargamento però essa non genera nell'animo quella evidenza, che scintilla soltanto dalla osservazione immediata, o dalle verità di r a gione;ma una certezza morale,laquale ammette la possibi litàdell'opposto.Tutte lescienzesperimentali debbono te nersi paghi di quello stato, ch'è pure tanto discosto dal d u b biotormentosolasciatoinereditàdạHume,ilqualedisco nobbe l'efficacia della induzione. Ecco difatti alcune sentenze,le quali si potrebbero cre dere imitate da Augusto Comte.   « Il metodo è il ridurre i fenomeni particolari a'fenomeni generali, e questi ad altri più generali fino ad arrestarsi a pochi fenomeni irreducibili ». « La riduzione viene operata a lume delle verità neces sarie da un lato,e dalle accurate osservazioni dall'altro la to.E un fenomeno generale che resiste agli incessanti rigo rosi tentativi di riduzione,non è perciò dichiarato assolu tamente irreducibile alle note forze primarie delle sostanze corporee,note però negli effetti, e per noi sempre ignote nella loro essenza ». « I nostri mezzi sono impotenti a scovrir la natura degli ésseri.Tutto quel che può scovrire la nostra ragione nella scienza della natura è riposto nel classificare i fatti speri mentali con andarrisalendoda’fattiindividualia'generali, e da questi a'più generali fino a raggiungere ifatti primiti vi,ov'èforzal'arrestarsi». Ma allatoaquestesomiglianzetroviamonelDeGraziadei tratti, che lo differenziano dal fondatore del Positivismo francese;ne addito due come principali. Il Comte trascura affatto il problema della conoscenza , ed invece questo problema rimane pel De Grazia ilprimo ed il capitale. Il Comte attribuisce alla metafisica un valore storico sol t a n t o , il D e G r a z i a è p e r s u a s o c h e l a m e t a f i s i c a p o s s a r i m a nere accanto alla scienza sperimentale.Così,sebbene dichia ri inconoscibilel'essenzadell'anima,enotasolalasuama nifestazione nel pensiero,non esita poi di affermare che la metafisica ne ha stabilito la spiritualità, l'immortalità, la vita futura. Questa oscillazione fra le esigenze del suo metodo e le tra dizioni di quella ch'ei chiama filosofia ortodossa fa sì che in lui sipuòravvisareorauntomista,edora un positivista, secondo i casi.Se non che il tomismo stesso a lui or balena 9  65 -   va come riflesso dalla filosofia aristotelica,or come lume r a g giante dallarivelazionedivina;edellaortodossia del cre dente si faceva schermo a nascondere gli ardimenti del si losofo . Noiignoriamoqualiaccuseglifuronomosse,equalirim proveri fatti :certo apparisce da alcuni luoghi dei suoi li bri che qualcosa di simile ci debba essere stato : eccone u n o per esempio. « Ci crediamo abbastanza fortunati di aver veduto p r o trattiinostrigiorni,finoall'istantedirassicurarciche il nostro comunquedebolelavoroerasottolaguarentigiadel l'Aquinate, contro le avventate odiose imputazioni ». Ed altrove dice esplicitamente ch'ei ricorre all'autorità diSanTommaso periscagionarsidellatacciad'incredulita. L o s t u d i o d i S a n T o m m a s o , e d il P r o s p e t t o d e l l a f i l o s o f i a ortodossa che ne fu ilrisultato,ebbero adunque per fine ladifesa della propriadottrina.Meglio forse avrebbe fatto a dispregiare ilvano cicaleccio delvolgo,che di ogni ri cercafilosoficas'adombraes'insospettisce;ma l'indoledel nostro filosofo era dimessa e circospetta, e preferi di ripa rarsi sotto l'egida di un dottore di santa Chiesa; come se u n altrettalespedientefossegiovato alRosmini edalGioberti. Senza il bisogno di questa apologia della sua dottrina a vrebbe potuto por mano a quella Filosofia del pensiero, a cui accenna;imperciocchè,contutt'iseivolumidaluimessi a stampa,ilsuo sistema rimane appena delineato nel prin cipioenelmetodo;nèdelleapplicazioni allaEstetica,oal l'Etica si trova più di un semplice accenno : la Logica stessa n o n v i è d i s t e s a p i e n a m e n t e , s e b b e n e t u t t o i'l S a g g i o n o n s i occupi di altro che di Logica. Stando ai brevi accenni noi sappiamo che le parti della filosofia per lui sarebbero state la logica,l'etica,l'estetica, perchè itre fenomeni irreducibili del pensiero sono ilgiudi care,ilvolere,ilsentire.Ilsillogismo ègiudizio pure;ma  66   un giudizio fondato sopra idee astratte, mentre il giudizio primitivo è la osservazione immediata della realtà concreta . Il sillogismo è applicabile alle sole verità di ragione. La prova induttivá si adopera a slargare la cerchia della sperienza immediata :essa però presuppone la realtà delle idee di numero,identità,diversità,sostanza,modificazione, necessità,possibilità.Queste idee non si possono ricavare per induzione, altrimenti ci sarebbe un circolo:sono ricava te per astrazione dalla osservazione immediata fatta per m e z zo del giudizio. L'associazione è la sorgente spontanea,ma illegittima del le nostre idee : l'induzione dipoi legittima, confermandole , quelle relazioni,che l'associazione delleidee aveva per ipo tesi anticipato. E c c o a d u n q u e d e l i n e a t o il c o m p i t o d e l l a l o g i c a : a n a l i s i d e l senso comune ,e giustificazione delle credenze spontanee che quello contiene. E dell'Etica ? Solo per intramessa sappiamo,ch'egli,a differenza di El v e z i o , il q u a l e d à p e r o r i g i n a r i o il s o l o d e s i d e r i o d e l p r o p r i o utile,ammette appetiti disinteressati originalmente,non cre dendo che l'abitudine potrebbe andare fino al punto di snatu rare laqualitàstessadeldesiderio.Orsenoiabbiamo nella coscienza attuale de motivi disinteressati, è necessità che questi motivi si fondino sopra appetiti primitivameute tali. AnchequiadunqueavrebbeilDeGraziaadottatolostesso procedimento della conoscenza :lo spirito avrebbe legittima to conlaragioneciòchelanaturaspontaneamenteavessein  1 67 Prima la mente crede,perchè non ragiona ancora ;poi crede,perché laragione ha legittimato lasuacredenza.Fin chè il dubbio non l'assale,la mente riposa sicura sui nessi stretti spontaneamente dalla associazione naturale delle sue idee:quando ildubbio sottentra,la induzione ne la libera, giustificando la spontanea credenza .   origineoperato.Senon che,eglisenerimetteaquella Filo sofiadelpensiero,chepoiononscrisse,ononarrivòsino a noi. M e n o p r e c i s o è il d i s e g n o , d e l q u a l e si s a r e b b e d o v u t o t o c c a r e d e l l a E s t e t i c a . N o i s a p p i a m o s o l o , c h e il B e l l o è p e r l u i «l'oggetto della percezione,quando ci riesce piacevole il contemplarlo ». M a ,oltre a questo effetto prodotto dalla bel lezza nello spirito contemplatore,invano si cercherebbero altri schiarimenti . Nei voluminosi libri che scrisse avrebbe il De Grazia po tuto colorire intero il disegno della sua filosofia, se non si fosse allargato troppo in polemiche ed in apologie,soventi superflue, e se avesse usato maggior parsimonia nello stile, ch'èdiffuso,stemperato,eridondante d'interminabiliripe tizioni. I sei volumi si sarebbero potuti restringere in un so lo,o in un paio al più,senza nessun danno per le idee che viesprime;eforseconquestoguadagnodippiù,diaverpo tuto trovare maggior numero di lettori. Dobbiamo in questa occasione ricordare,che il sensua lismo era la dottrina favorita de'giovani italiani, pria di comparire il Saggio su la critica della conoscenza,ilche av venne nel 1819;e che in parte con la forza del ragionamen to,einparteconquellaautoritàcheilnostroGalluppi ven ne mano mano acquistando pel valore della sua opera, egli riuscì a sradicare l'errore dalle menti giovanili,ed avviarle a'sani principi della morale e della religione.Quindi le sue istituzioni di filosofia, del tutto conformi ai suoi principi del Saggio,furono adottate per quasi tutte le scuole d'inse gnamento in Italia.Un tal positivo giovamento recato alla  68 Il De Grazia combatté la filosofia del Galluppi, finché que sti viveva e professava nella Università napoletana : la c o m battè perchè la credette sbagliata e perniziosa. Morto che fu ilsuo grande avversario,ei,pur rimanendo saldo nella sua sentenza , scrisse di lui queste parole .   sua patria è la gloria maggiore cui aspirar mai si possa da un filosofo». C o s ì il D e G r a z i a g i u d i c a v a il G a l l u p p i m o r t o n e l P r o s p e t to di filosofia ortodossa ; ed il giudizio ci rivela il carattere integro,leale,generoso di chi lo portava.Combattendo le dottrine di un avversario,ei rispetto,ei lodò le intenzioni ; ei non disconobbe l'utilità che aveva arrecato al suo paese . Talvolta anzi ei par che non agogni,che non cerchi altra gloria, che quella conseguita dal suo valoroso avversario: dispera quasi di conseguirla vivo,pur se l'augura dopo m o r to,non tanto per sè,quanto a pro della sua patria. «Esenonpuògodernechil'hameritata,purquestatar dagloriasiriflettesulasuapatria,servedisprone a'suoi concittadini sopra tutto,nella faticosa carriera letteraria, e riesce di nobile compiacenza per tutti gli spiriti fatti per a m mirare,per amar lavirtù ». Chi scriveva queste magnanime parole ebbe certamente un cuorenonminoredellamente,elatardagloriadaluiinvo cata è un tributo ben meritato da chi non stimolato da biso gno,nonallettatodapremio,passòlavita,non fragliagi ereditati,manellafaticosapalestradellostudio,dove s'in vecchia e simuore anzi tempo,ma dove siha almeno ildrit todicredereche,morendo,nonsimuoredeltutto.Vincenzo Di Grazia. Grazia. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grazia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689392211/in/photolist-2mRigWB-2mR7Xaf-2mQCyu5-2mQwYd8-2mPGkBm-2mPsU62-2mPvn8a-2mPmmR4-2mNzeEc-2mN8Hgb-2mLGvyP-2mLQxu7-2mPrdWj-2mLExs3-2mPtp3t-2mKS7Wc-2mKBDtr-2mKG3XG-2mPpVqK-2mKCnei-2mKEPgR-2mKjsJY-2mJ3q6x-2mGnP2f-nUmNhz-hSTpSd-nW9LZ2

 

Grice e Gregory – implicature clandestine – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo.  Fellow of the British Academy. Grice: “I like Gregory; being a Roman, he studied Roman philosophy in one of the most interesting epochs: the thirties! Then he explored what he calls the ‘lessico filosofico,’ which Austin detested – “Why do we need the philosopheer’s ‘volition’ when we have ‘would’??” Si laurea a Roma con Nardi. Insegna a Roma. Direttore di Ricerche storico-filosofiche. Direttore della sezione di Storia della filosofia Lessico Italiano. Diresse la collana "I filosofi.” Saggi:“Anima mundi” (Firenze, Sansoni); “Platonismo” (Roma); “Scetticismo ed empirismo” (Bari, Laterza); “L'idea di natura”, “La filosofia della natura  (Passo della Mendola, Firenze, Sansoni); “L’atomismo”, “Aristotelismo” “Il genio maligno”; “Il demonio maligno”; “Mundana sapiential”; “Theophrastus redivivus”; “Erudizione e ateismo” (Napoli, Morano); “Il libertinismo”; “La filosofia clandestina” (Firenze, La Nuova Italia), “L’Etica della critica libertina” (Napoli, Guida); “Forme di conoscenza” (Roma, EStoria e Letteratura); “Lo spazio come geografia del sacro” Della sobria ebbrezza”; “La terminologia filosofica” (Firenze, Olschki); “Speculum natural” (Roma, Storia e Letteratura); “Principe di questo mondo”; “Il diavolo” (Roma, Laterza); “Della modernità, Pisa, Torre); “Vie della modernità” (Firenze, Monnier Università). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A. ALIOTTA, A. CAPITINI, P. CARABELLESE ETC., Il problema di Dio, a cura di G. Savio e Tullio Gregory, Roma, Universale di Roma, Raccolta di un ciclo di conferenze promosse dal Centro Romano Studi presso l’Università degli Studi di Roma nell’A.A. BRUNO NARDI, Storia della filosofia. Il naturalismo del Rinascimento, a cura di Tullio Gregory, Roma, Edizioni Universitarie, 1949, 191 pp.  2  Bibliografia di Tullio Gregory – 1951 torna su 1951 esci 3. BRUNO NARDI, La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano, a cura di Tullio Gregory, Roma, La Goliardica, 1951, 95 pp. 4. BRUNO NARDI, Il problema di Dio nella filosofia medioevale, a cura di Tullio Gregory, Roma, La Goliardica, 1951, 88 pp. 5. Sull’attribuzione a Guglielmo di Conches di un rimaneggiamento della “Philosophia mundi”, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXX, 1951, pp. 119-125. 6. L’Anima mundi nella filosofia del XII secolo, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXX, 1951, pp. 494-508.      3  Bibliografia di Tullio Gregory – 1952 torna su 1952 esci 7. BRUNO NARDI, Le meditazioni di Cartesio, a cura di Tullio Gregory, Roma, La Goliardica, 1952, 51 pp. 8. L’idea della natura nella Scuola di Chartres, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXI, 1952, pp. 433-442. 9. Cattolicesimo e storicismo. La polemica sulla «nuova teologia», «Rassegna di filosofia», I, 1952, pp. 49-66. 10. Gli studi italiani sul pensiero del Rinascimento, I. La polemica sul Rinascimento, «Rassegna di filosofia», I, BRUNO NARDI, Il dualismo cartesiano, a cura di Tullio Gregory, Roma, La Goliardica, 1953, 48 pp. 12. Note sul platonismo della Scuola di Chartres. La dottrina delle specie native, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXII, 1953, pp. 358-362. Diventa, corretto e aumentato, il quarto capitolo di Platonismo medievale (si veda 1958, n. 24) insieme ai saggi Note e testi per la storia del platonismo medievale (si veda 1955, n. 18) e Nuove note sul platonismo medievale (si veda 1957, n. 23). 13. Gli studi italiani sul pensiero del Rinascimento, II. Platonismo e Aristotelismo, «Rassegna di filosofia», BRUNO NARDI, La filosofia di Dante, a cura di Tullio Gregory, Roma, La Goliardica, 1954. La pubblicazione è in due volumi, il primo di 111 pp. e il secondo di 109 pp. 15. L’escatologia cristiana nell’Aristotelismo latino del XIII secolo, «Ricerche di storia religiosa», I, 1954, pp. 108-119.   6  Bibliografia di Tullio Gregory – 1955 torna su 1955 esci 16. “Anima mundi”. La filosofia di Guglielmo di Conches e la Scuola di Chartres, Firenze, Sansoni, 1955,·(«Pubblicazioni dell'Istituto di filosofia dell'Università di Roma», 3), 294 pp. Indice del volume: I. La vita e le opere di Guglielmo di Conches, p. 1; II. La teologia, p. 41; III. L’anima del mondo e l’anima individuale, p. 123; IV. L’idea di natura, p. 175; V. Gli ideali culturali della Scuola di Chartres, p. 247; Indice dei manoscritti, p. 281; Indice dei nomi, p. 285. 17. L’Apologia e le “Declarationes” di Francesco Patrizi, in Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di Bruno Nardi, I, Firenze, Sansoni, 1955, pp. 385-424. 18. Note e testi per la storia del platonismo medievale, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXIV, 1955, pp. 346-384. Diventa, corretto e aumentato, il quarto capitolo di Platonismo medievale (si veda 1958, n. 24) insieme ai saggi Note sul platonismo della Scuola di Chartres (si veda 1953, n. 12) e Nuove note sul platonismo medievaleIl maestro interiore nel pensiero di S. Agostino, in BRUNO NARDI, Il pensiero pedagogico del Medioevo, I, Il Medioevo, Firenze, Edizioni Giuntine- Sansoni, 1956 («I Classici italiani della pedagogia»), pp. 3-19. Si veda anche il 1965, n. 44. 20. Il «De magistro» di S. Tommaso d’Aquino, in BRUNO NARDI, Il pensiero pedagogico del Medioevo, I, Il Medioevo, Firenze, Edizioni Giuntine- Sansoni, 1956 («I Classici italiani della pedagogia »), pp. 183-201. Si veda anche il 1965, n. 44. 21. La «reductio artium» da Cassiodoro a S. Bonaventura, in BRUNO NARDI, Il pensiero pedagogico del Medioevo, I, Il Medioevo, Firenze, Edizioni Giuntine-Sansoni, 1956 («I Classici italiani della pedagogia »), pp. 279-301. 22. Le origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani, a cura di Antonio Viscardi, Bruno e Tilde Nardi, Giuseppe Vidossi, Felice Arese, con la collaborazione di Gian Luigi Barni, Luigi Brusotti, Don Giuseppe De Luca, Tullio Gregory, Luigi Ronga, Milano-Napoli, Ricciardi, 1956 («La letteratura italiana. Storia e testi», I), LXXI-1237 pp. I capitoli in cui Tullio Gregory ha curato la nota introduttiva e/o le traduzioni sono: Dalla epistola ad Drogonem philosophum (traduzione), pp. 362-365; Lanfranco da Pavia (nota introduttiva e traduzioni), pp. 420-434; Sant’Anselmo di Aosta (nota introduttiva e traduzioni), pp. 435-470; Gioacchino da Fiore (nota introduttiva), pp. 723-725. Il volume è stato successivamente ristampato da Einaudi (si veda 1977, n. 76 e n. 77).     8  Bibliografia di Tullio Gregory – 1957 torna su 1957 esci 23. Nuove note sul platonismo medievale. Dall’anima mundi all’idea di natura, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXVI, 1957, pp. 37-55. Diventa, corretto e aumentato, il quarto capitolo di Platonismo medievale (si veda 1958, n. 24) insieme ai saggi Note sul platonismo della Scuola di Chartres (si veda 1953, n. 12) e Note e testi per la storia del platonismo medievale Platonismo medievale. Studi e ricerche, Roma, Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1958 («Studi storici dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 26/27), 159 pp. Indice del volume: I. Il commento a Boezio di Adalboldo di Utrecht, p. 1; II. L’Opusculum contra Wolfelmum e la polemica antiplatonica di Manegoldo di Lautenbach, p. 17; III. La dottrina del peccato originale e il realismo platonico: Odone di Tournai, p. 31; IV. Il Timeo e i problemi del platonismo medievale, p. 53; Indice dei manoscritti, p. 153; Indice dei nomi, p. 155. Per la traduzione tedesca del secondo capitolo si veda 1969, n. 58. Nel quarto capitolo sono raccolti, corretti e aumentati, i saggi Note sul platonismo della Scuola di Chartres (si veda 1953, n. 12); Note e testi per la storia del platonismo medievale (si veda 1955, n. 18); Nuove note sul platonismo medievale (si veda 1957, n. 23), tutti pubblicati sul «Giornale critico della filosofia italiana». 25. Sulla metafisica di Giovanni Scoto Eriugena, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXVII, 1958, pp. 319-332. Con revisioni e aggiunte è diventato il primo capitolo di Giovanni Scoto Eriugena: tre studi La polemica antimetafisica di Gassendi. I, «Rivista critica di storia della filosofia», XIV, 1959, pp. 131-161. Per la seconda parte si veda 1959, n. 27. 27. La polemica antimetafisica di Gassendi. II, «Rivista critica di storia della filosofia», XIV, 1959, pp. 243-282. Per la prima parte si veda 1959, n. 26. Entrambi i contributi sono stati stampati, con numerazione continua, in un estratto unico: Tullio Gregory, La polemica antimetafisica di Gassendi, Firenze, La Nuova Italia Editrice, Mediazione e incarnazione nella filosofia dell’Eriugena, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XXXIX, 1960, pp. 237-252. Con modificazioni e aggiunte è diventato il secondo capitolo di Giovanni Scoto Eriugena: tre studi Scetticismo ed empirismo. Studio su Gassendi, Bari, Laterza, 1961 («Biblioteca di Cultura Moderna», 557), 254 pp. Indice del volume: I. La polemica antimetafisica, p. 5; II. Scetticismo ed empirismo, p. 119; III. Empirismo e metafisica, p. 179. 30. L’opera di Bruno Nardi, «L’Alighieri. Rassegna bibliografica dantesca», II, 1961, pp. 31-52. 31. Escatologia e aristotelismo nella scolastica medievale, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XL, 1961, pp. 163-174. Testo presentato al Convegno “L’attesa dell’età nuova nella spiritualità della fine del medioevo” e pubblicato negli atti (si veda 1962, n. 33). Diventa il capitolo 9 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 32. Platone e Aristotele nello “Speculum” di Enrico Bate di Malines. Note in margine a una recente edizione, «Studi medievali», s. III, III, 1961, pp. 302- 319.      13  Bibliografia di Tullio Gregory – 1962 torna su 1962 esci 33. Escatologia e aristotelismo nella scolastica medievale, in L’attesa dell’età nuova nella spiritualità della fine del medioevo, atti del 3° Convegno del Centro di Studi sulla Spiritualità medievale (Todi, 16-19 ottobre 1960), Todi, Accademia Tudertina, 1962, pp. 263-282. Apparso sul «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1961, n. 31). Diventa il capitolo 9 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 34. Per i sessant’anni della Casa Laterza, «Belfagor», XVII, 1962, pp. 701-713. Testo della conferenza tenuta in occasione dell’inaugurazione della Mostra storica della Casa Editrice Laterza, a Roma, il 7 aprile 1962. 35. Discussioni sulla doppia verità, «Cultura e scuola», Giovanni Scoto Eriugena: tre studi, Firenze, Le Monnier, 1963 («Quaderni di letteratura e d'arte», 21), 82 pp. Indice del volume: I. Dall’uno al molteplice, p. 1; II. Mediazione e incarnazione, p. 27; III. «Contemplatio teologica» e storia sacra, p. 58. Il primo capitolo è una rielaborazione, riveduta e corretta del saggio Sulla metafisica di Giovanni Scoto Eriugena (si veda 1958, n. 25). Per una traduzione tedesca del primo capitolo si veda 1969, n. 57. Il secondo capitolo è una rielaborazione, riveduta e corretta del saggio Mediazione e incarnazione nella filosofia dell’Eriugena (si veda 1960, n. 28), entrambi apparsi sul «Giornale critico della filosofia italiana». Diventano i primi tre capitoli del volume Giovanni Scoto. Quattro studi (si veda 2011, n. 224) 37. Note sulla dottrina delle «teofanie» in Giovanni Scoto Eriugena, «Studi medievali»i 38. L’idea di natura nella filosofia medievale prima dell’ingresso della fisica di Aristotele. Il secolo XII, Firenze, Sansoni Editore, 1964, 43 pp. Testo presentato al Terzo Congresso Internazionale di Filosofia Medievale “La filosofia della natura nel Medioevo” (Passo della Mendola 31 agosto-5 settembre 1964). Successivamente è stato pubblicato negli Atti del Convegno (si veda 1966, n. 46). Diventa il terzo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 39. Aristotelismo, in Grande Antologia Filosofica, diretta da Michele Federico Sciacca, coordinata da Andrea Mario Moschetti e Michele Schiavone, VI, Milano, Marzorati, 1964, pp. 607-837. 40. Einleitung, in PETRUS GASSENDI, Opera Omnia, Faksimile-Neudruck der Ausgabe von Lyon 1658 in 6 Bänden mit einer Einleitung von Tullio Gregory, I, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1964, pp. V-XXII. Il testo in italiano è apparso sul «De Homine» (si veda 1964, n. 42). La traduzione in tedesco è a cura di Franz Rauhut e Hermann Dommel. 41. Filosofia e teologia nella crisi del XIII secolo, «Belfagor», XIX, 1964, pp. 1- 16. Testo italiano di una lettura tenuta all’Instytut filozofii i socjologii della Polska Akademia Nauk di Varsavia il 5 novembre 1963, edito in polacco con il titolo Filozofia i teologia wdobie kryzysu XIII wieku (si veda 1967, n. 51). Diventa il secondo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 42. Pierre Gassendi, «De Homine», 9-10, 1964, pp. 89-114. La traduzione tedesca del saggio, a cura di Franz Rauhut e Hermann Dommel, è pubblicata come introduzione all’Opera Omnia (si veda 1964, n. 40). 43. Studi sull’atomismo del Seicento, I. Sebastiano Basson, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XLIII, 1964, pp. 38-65. Il saggio è seguito da una seconda parte su David van Goorle e Daniel Sennert (si veda 1966, n. 47) e da una terza parte su Cudworth e l’atomismo (si veda 1967, n. 50). Tradotto in francese diventa il settimo capitolo della Genèse de la raison classique TOMMASO D’AQUINO, De magistro, introduzione, traduzione e commento a cura di Tullio Gregory, Roma, Armando, 1965, 181 pp. È utilizzata, rivista in più punti, la versione dei testi di Tommaso d’Aquino già pubblicata nel volume BRUNO NARDI, Il pensiero pedagogico del Medioevo, pp. 203-275 (si veda anche 1956, n. 19, 20). 45. Sull’escatologia di Bonaventura e Tommaso d’Aquino, in Per la storia della cultura in Italia nel Duecento e primo Trecento. Omaggio a Dante nel VII centenario della nascita, «Studi medievali», s. III, VI, 1965, pp. 79-94. Diventa il decimo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134).     17  Bibliografia di Tullio Gregory – 1966 torna su 1966 esci 46. L’idea di natura nella filosofia medievale prima dell’ingresso della fisica di Aristotele. Il secolo XII, in La filosofia della natura nel Medioevo, atti del Terzo Congresso Internazionale di Filosofia Medievale, Vita e Pensiero, Milano, 1966, pp. 27-65. Diventa il capitolo 3 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). Si veda anche 1964, n. 38. 47. Studi sull’atomismo del Seicento, II. David van Goorle e Daniel Sennert, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XLV, 1966, pp. 44-63. Il saggio è preceduto da una prima parte su Sebastiano Basson (si veda 1964, n. 43) ed è seguito da una terza parte su Cudworth e l’atomismo (si veda 1967, n. 50). Tradotto in francese diventa l’ottavo capitolo della Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173).     18  Bibliografia di Tullio Gregory – 1967 torna su 1967 esci 48. TULLIO GREGORY, GIORGIO TONELLI, World Soul, in New Catholic Encyclopedia, XIV, New York, McGraw-Hill, 1967, pp. 1027-1029. 49. La saggezza scettica di Pierre Charron, «De Homine», 21, 1967, pp. 163- 182. Pubblicato come terzo capitolo di Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). Tradotto in francese diventa il quinto capitolo della Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173). 50. Studi sull’atomismo del Seicento, III. Cudworth e l’atomismo, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XLVI, 1967, pp. 528-541. Il saggio è preceduto da una prima parte su Sebastiano Basson (si veda 1964, n. 43) e da una seconda parte su David van Goorle e Daniel Sennert (si veda 1966, n. 47). Tradotto in francese diventa il nono capitolo della Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173). 51. Filozofia i teologia w dobie kryzysu XIII wieku, «Studia Mediewistyczne», 8 1967, pp. 3-18. Testo edito in polacco di una lettura tenuta all’Instytut Filozofii i Socjologii della Polska Akademia Nauk di Varsavia il 5 novembre 1963. Traduzione a cura di Ryszard Palacz e Juliusz Domański. Il testo in italiano è apparso su «Belfagor» Pierre Gassendi, in Grande Antologia Filosofica, diretta da Michele Federico Sciacca, coordinata da Michele Schiavone, XII, Milano, Marzorati, 1968, pp. 723-786. 53. Vorwort, in JOANNES DUNS SCOTUS, Opera Omnia, Reprogr. Nachdruck der Ausg. Lyon, 1639, mit einem Worwort von Tullio Gregory, I, Hildesheim, Olms, 1968-1969, pp. V-XII. 54. Gli scritti di Bruno Nardi, a cura di Tullio Gregory e Paolo Mazzantini, «L’Alighieri. Rassegna Bibliografica Dantesca», IX, 1968, pp. 39-58. Si veda anche 1990, n. 123. 55. Bruno Nardi, «Giornale critico della filosofia italiana», s. III, XLVII, 1968, pp. 469-501. 56. Due interventi sull’Università, «Problemi», 7, 1968, pp. 290-291. Il primo intervento è di Salvatore Valitutti (pp. 289-290).     20  Bibliografia di Tullio Gregory – 1969 torna su 1969 esci 57. Vom Einen zum Vielen. Zur Metaphysik des Johannes Scotus Eriugena, in: WERNER BEIERWALTES (Hrsg.), Platonismus in der Philosophie des Mittelalters, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchges, 1969, pp. 343-365. Traduzione tedesca del primo capitolo di Giovanni Scoto Eriugena: tre studi (si veda 1963, n. 36). 58. Das Opusculum contra Wolfelmum und die antiplatonische Polemik des Manegold von Lautenbach, in WERNER BEIERWALTES (Hrsg.), Platonismus in der Philosophie des Mittelalters, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1969, pp. 366-380. Traduzione tedesca del secondo capitolo di Platonismo medievale. Studi e ricerche (si veda 1958, n. 24).     21  Bibliografia di Tullio Gregory – 1970 torna su 1970 esci 59. Opera e studi di Bruno Nardi, «La Provincia di Lucca», X, 1970, pp. 5-13.  22  Bibliografia di Tullio Gregory – 1971 torna su 1971 esci 60. Premessa, in BRUNO NARDI, Saggi sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento, a cura di Paolo Mazzantini, Padova, Antenore, 1971, pp. IX-X. 61. Tre opinioni sulla riforma. Interviste a Pietro Gismondi, Tullio Gregory, Ugo Spirito, a cura di Lido Chiusano, «Riforma Universitaria», I, 1971, pp. 41- 52. L’intervista a Tullio Gregory è alle pagine 45-50.   23  Bibliografia di Tullio Gregory – 1972 torna su 1972 esci 62. Gassendi e Galileo, in Saggi su Galileo Galilei, a cura di Carlo Maccagni, Firenze, Barbéra, 1972, pp. 309-323. 63. Erudizione e ateismo nella cultura del Seicento – Il “Theophrastus redivivus”, «Giornale critico della filosofia italiana», s. IV, LI (LIII), 1972, pp. 194-240. Con numerose modificazioni e aggiunte diventa il primo capitolo del volume Theophrastus redivivus (si veda 1979, n. 79) 64. Abélard et Platon, «Studi medievali», s. III, XIII, 1972, pp 539-562. Comunicazione presentata alla International Conference “Peter Abelard” tenutasi presso l’Istituto di Filosofia dell’Università di Lovanio nei giorni 10- 12 maggio 1971. È stata pubblicata negli atti (si veda 1974, n. 67) ed è diventata il sesto capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134).     24  Bibliografia di Tullio Gregory – 1973 torna su 1973 esci 65. FRANCESCO ADORNO, TULLIO GREGORY, VALERIO VERRA, Storia della filosofia. Con testi e letture critiche, 3 v., Bari, Laterza, 1973, [199413]. vol. II, Dal Rinascimento a Kant, a cura di Tullio Gregory, VIII-546 pp. Nel 1979 è stata pubblicata un’ottava edizione riveduta e ampliata. Nel 1996 viene pubblicata la nuova edizione (si veda 1996, n. 155). 66. Considerazioni su «ratio» e «natura» in Abelardo, «Studi medievali», s. III, XIV, 1973, pp. 287-300. Traduzione italiana della comunicazione presentata al Colloque International “Pierre Abélard, Pierre le Vénérable”, tenutosi all’Abbaye de Cluny dal 2 al 9 luglio 1972. La versione in francese è stata pubblicata negli atti (si veda 1975, n. 70) ed è diventata il settimo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134).      25  Bibliografia di Tullio Gregory – 1974 torna su 1974 esci 67. Abélard et Platon, in Peter Abelard, proceedings of the International Conference (Louvain, may 10-12, 1971), edited by Eloi Marie Buytaert, Leuven-The Hague, University Press Leuven, 1974, pp. 38-64. È stata pubblicata in «Studi medievali» (si veda 1972, n. 64) ed è diventata il sesto capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 68. Dio ingannatore e Genio maligno. Note in margine alle “Meditationes” di Descartes, «Giornale critico della filosofia italiana», s. IV, LIII (LV), 1974, pp. 477-516. Diventa il capitolo 15 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). La traduzione in francese viene pubblicata nel decimo capitolo di Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173).      26  Bibliografia di Tullio Gregory – 1975 torna su 1975 esci 69. La nouvelle idée de nature et de savoir scientifique au XIIe siècle, in The cultural context of Medieval learning, proceedings of the First International Colloquium on Philosophy, Science, and Theology in the Middle Ages (September 1973), edited with an introduction by John Emery Murdoch and Edith Dudley Sylla, Dordrecht-Boston, Reidel Publishing Company, 1975, pp. 193-212 (Discussion, pp. 212-218) Diventa il quarto capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 70. Considérations sur ‘ratio’ et ‘natura’ chez Abélard, in Pierre Abélard, Pierre le Vénérable: les courants philosophiques, littéraires et artistiques en Occident au milieu du XIIe siècle, Colloques Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique (Abbaye de Cluny, 2-9 juillet 1972), Paris, Éditions du CNRS, 1975, pp. 569-581 (Discussion, pp. 582-584). Versione in francese del saggio Considerazioni su «ratio» e «natura» in Abelardo apparso su «Studi medievali» (si veda 1973, n. 66). Diventa il settimo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 71. Giovanni Scoto Eriugena, in Questioni di storiografia filosofica. Dalle origini all’Ottocento, a cura di Vittorio Mathieu, I, Dai presocratici a Occam, Brescia, La Scuola, 1975, pp. 503-522. 72. L’escatologia di Giovanni Scoto, «Studi medievali», s. III, XVI, 1975, pp. 497-535. Il testo originale francese di questo saggio è stato presentato al Colloquio “Jean Scot Erigène et l’histoire de la philosophie” (Laon, 7-12 juillet 1975). Il testo italiano è stato pubblicato con un apparato di note più ampio di quello in calce al testo francese destinato agli atti (si veda 1977, n. 78). Diventa il capitolo ottavo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). Diventa il quarto capitolo di Giovanni Scoto. Quattro studi (si veda 2011, n. 224).         27  Bibliografia di Tullio Gregory – 1976 torna su 1976 esci 73. La filosofia medievale. I secoli XIII e XIV, a cura di Tullio Gregory, Alfonso Maierù, Franco Alessio, in Storia della filosofia, diretta da Mario Dal Pra, VI, Milano, Vallardi, 1976, pp. 1-232. La cultura filosofica nella prima metà del Duecento, pp. 3-46. Alberto Magno, la Scuola di Colonia e il neoplatonismo medievale, pp. 47- 68. Bonaventura e l’agostinismo, pp. 69-110. Tommaso d’Aquino e le origini del tomismo, pp. 111-146. L’averroismo latino, pp. 147-181. Ruggero Bacone e Raimondo Lullo, pp. 183-208. Enrico di Gand, Goffredo di Fontaines, Egidio Romano, pp. 209-220. Le grandi enciclopedie, pp. 221-232. 74. Rapport sur les activités du «Lessico Intellettuale Europeo», in I Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, atti a cura di Marta Fattori e Massimo Luigi Bianchi, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1976, pp. 21-43. 75. Centro di studio per il lessico intellettuale europeo, Roma. Attività scientifica svolta nel 1975, «La ricerca scientifica», CNR, XLVI, 1976, pp. 1171-1173.   28  Bibliografia di Tullio Gregory – 1977 torna su 1977 esci 76. Scritture e scrittori del secolo XI, a cura di Antonio Viscardi e Giuseppe Vidossi; con la collaborazione di Tullio Gregory, Bruno e Tilde Nardi e Luigi Ronga, Torino, Einaudi, 1977, VIII-319 pp. Questa edizione riproduce esattamente parte del volume Le origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani (si veda 1956, n. 22), e precisamente le pp. XI-LXXI e 257-510. I capitoli curati da Tullio Gregory sono: Dalla epistola ad Drogonem philosophum (traduzione e note) pp. 108-111; Lanfranco da Pavia (nota introduttiva e traduzioni) pp. 166-179; Sant’Anselmo di Aosta (nota introduttiva e traduzioni) pp. 181-215. 77. Scritture e scrittori del secolo XII, a cura di Antonio Viscardi e Giuseppe Vidossi, con la collaborazione di Felice Arese, Tullio Gregory e Tilde Nardi, Torino, Einaudi, 1977, VIII-289 pp. Questa edizione riproduce esattamente parte del volume Le origini. Testi latini, italiani, provenzali e franco-italiani (si veda 1956, n. 22), e precisamente le pp. XI-LXXI e 513-735. Tullio Gregory ha curato il capitolo Gioacchino da Fiore (nota introduttiva e note) pp. 213-215 78. L’eschatologie de Jean Scot, in Jean Scot Erigène et l’histoire de la philosophie, Colloques Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique (Laon, 7-12 juillet 1975), Paris, Éditions du CNRS, 1977, pp. 377-392. Il testo in italiano della comunicazione qui pubblicata è apparso su «Studi medievali» (si veda 1975, n. 72), con un apparato di note più ampio ed è diventato il capitolo 8 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134).       29  Bibliografia di Tullio Gregory – 1979 torna su 1979 esci 79. “Theophrastus redivivus”. Erudizione e ateismo nel Seicento, Napoli, Morano, 1979 («Collana di filosofia», 20), 217 pp. Indice del volume: I. Gli dei figli degli uomini, p. 7; II. La storia naturale della religione, p. 77; Appendice: Le citazioni di Machiavelli, p. 197. Il primo capitolo del libro riprende, con numerose modificazioni e aggiunte, il saggio Erudizione e ateismo nella cultura del seicento (si veda 1972, n. 63). 80. GIAMBATTISTA VICO, Principj di una scienza nuova intorno alla natura delle nazioni, Ristampa anastatica dell’edizione Napoli 1725, a cura di Tullio Gregory, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1979, 15-270 pp. 81. TULLIO GREGORY, GIORGIO PETROCCHI, Ricordo di Bruno Nardi, con sue pagine autobiografiche, Roma, Casa di Dante, 1979, 28 pp. Nel volume compaiono i testi degli interventi di Tullio Gregory e Giorgio Petrocchi alla “Casa di Dante” in apertura dell’anno di studi 1978-1979. L’intervento di Tullio Gregory è alle pagine 5-13. 82. La conception de la philosophie au Moyen Age, in Actas del V Congreso Internacional de Filosofía Medieval, I, Madrid, Editora Nacional, 1979, pp. 49-57. 83. Pour un Thesaurus mediae et recentioris latinitatis, in Ordo. II Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, atti a cura di Marta Fattori e Massimo Luigi Bianchi, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1979, pp. 719-738. 84. Lessico Intellettuale Europeo (1974-1976), in Ordo. II Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, atti a cura di Marta Fattori e Massimo Luigi Bianchi, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1979, pp. 779-785.     30  Bibliografia di Tullio Gregory – 1980 torna su 1980 esci 85. Elogio di Henri Gouhier, in Allocuzioni pronunciate durante la cerimonia di consegna di lauree honoris causa. Allocuzioni di Antonio Ruberti, Luigi De Nardis, Tullio Gregory, Carlo Muscetta, Henri Gouhier, Eduardo De Filippo, Roma, Università degli Studi di Roma, Facoltà di Lettere e Filosofia, 1980, pp. 7-10. 86. Ricerche sul Lessico Intellettuale Europeo, in Atti del Convegno sulla lessicografia politica e giuridica nel campo delle scienze dell’antichità (Torino, 28-29 aprile 1978), a cura di Italo Lana e Nino Marinone, Torino, Accademia delle Scienze, 1980, pp. 47-54.   31  Bibliografia di Tullio Gregory – 1981 torna su 1981 esci 87. TULLIO GREGORY, GIANNI PAGANINI, GUIDO CANZIANI, ORNELLA POMPEO FARACOVI, DINO PASTINE, Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento, atti del Convegno di studio di Genova (30 ottobre- 1 novembre 1981), Firenze, La Nuova Italia, 1981, XII-430 pp. 88. Il libertinismo della prima metà del Seicento: stato attuale degli studi e prospettive di ricerca, in TULLIO GREGORY, GIANNI PAGANINI, GUIDO CANZIANI, ORNELLA POMPEO FARACOVI, DINO PASTINE, Ricerche su letteratura libertina e letteratura clandestina nel Seicento, atti del Convegno di studio di Genova (30 ottobre-1 novembre 1981), Firenze, La Nuova Italia, 1981, pp. 3-47. Tradotto in francese, diventa il primo capitolo di Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173). 89. Le biblioteche universitarie, in La riforma universitaria e le biblioteche dell’Università, atti del Convegno internazionale su “Le biblioteche universitarie e i loro problemi di struttura, coordinamento, unificazione”, Roma 4-5 ottobre 1980, Roma, Bulzoni, esci 90. Relazione sulle attività del Lessico Intellettuale Europeo (1977-1979), in Res. III Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo, atti a cura di Marta Fattori e Massimo Luigi Bianchi, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1982, pp. 509-518. 91. Foreword, in Global linguistic statistical methods to locate style identities, proceedings of an International Seminar (Gallarate June 5-7, 1981), edited by Roberto Busa S.I., Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1982, pp. VII-VIII. 92. “Omnis philosophia mortalitatis adstipulatur opinioni”: quelques considérations sur le Theophrastus redivivus, in Le matérialisme du XVIIIe siècle et la littérature clandestine, actes de la table ronde des 6 et 7 juin 1980, organisée à la Sorbonne à Paris avec le concours du CNRS par le Groupe de recherche sur l’histoire du materialisme, dirigé par Oliver Bloch, Paris, Vrin, 1982, pp. 213-218. 93. Aristotelismo e libertinismo, «Giornale critico della filosofia italiana», s. V, LXI (LXIII), 1982, pp. 153-167. Relazione letta al Convegno Internazionale di Studi su “Aristotelismo veneto e scienza moderna” (Padova, 23-27 settembre 1981). È stata pubblicata negli atti del Convegno (si veda 1983, n. 95) e diventa il settimo capitolo di Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). Tradotta in francese diventa il secondo capitolo di Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173). 94. La tromperie divine, «Studi medievali», s. III, XXIII, 1982, pp. 517-527. Comunicazione presentata alla Table ronde internationale su “Preuve et raisons à l’Université de Paris. Logique, ontologie et théologie au XIVe siècle”, organizzata dal Centre d’Études des religions du livre (Laboratoire associé au CNRS) a Parigi (5-7 novembre 1981). È stata pubblicata negli atti (si veda 1984, n. 97) ed è diventata il capitolo 14 di Mundana Sapientia Aristotelismo e libertinismo, in Aristotelismo veneto e scienza moderna, atti del 25° anno accademico del Centro per la storia della tradizione aristotelica nel Veneto, a cura di Luigi Olivieri, Padova, Antenore, 1983, pp. 279-296. Apparso su «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1982, n. 93). Diventa il settimo capitolo di Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). 96. Introduzione, in BRUNO NARDI, Dante e la cultura medievale, nuova edizione a cura di Paolo Mazzantini, Bari, Laterza, 1983 («Collezione storica Laterza»), pp. VII-XLIV. L’opera è stata ristampata nella collana «Biblioteca Universale Laterza» La tromperie divine, in Preuve et raisons à l’Université de Paris. Logique, ontologie et théologie au XIVe siècle, actes de la Table Ronde internationale organisée par le Laboratoire associé au CNRS (Paris, 5-7 novembre 1981) edité par Zénon Kaluza et Paul Vignaux, Paris, Vrin, 1984, pp. 187-195. Pubblicato su «Studi medievali» (si veda 1982, n. 94), diventa il capitolo 14 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 98. Temps astrologique et temps chrétien, in Le temps chrétien de la fin de l’Antiquité au Moyen Age. IIIe-XIIIe siècles, Colloques Internationaux du Centre National de la Recherche Scientifique (Paris, 9-12 mars 1981), Paris, Éditions du CNRS, 1984, pp. 557-573. Diventa il capitolo 12 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 99. Instrumenta Lexicologica Latina: verso un «Thesaurus Patrum Latinorum», «Studi medievali», s. III, XXV, 1984, pp. 449-457. 100. Premessa, in Francis Bacon. Terminologia e fortuna nel XVII secolo, Seminario Internazionale, Roma, 11-13 marzo 1984, a cura di Marta Fattori, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984, pp. 1-3. 101. Introduzione, in Architettura in Provincia. Il centro storico di Sacrofano, a cura di Enrico Guidoni e Pia Pascalino, Roma, Edizioni Kappa, Filosofi, Università, Regime: la Scuola di filosofia di Roma negli anni Trenta. Mostra storico documentaria, a cura di Tullio Gregory, Marta Fattori, Nicola Siciliani De Cumis, Roma-Napoli, Istituto di Filosofia della Sapienza-Istituto italiano per gli studi filosofici, 1985, 506 pp. Presentazione pp. XI-XIII. 103. I sogni nel Medioevo, Seminario Internazionale (2-4 ottobre 1983), a cura di Tullio Gregory, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, VIII-358 pp. 104. Il Lessico Intellettuale Europeo, in Lo storico e il suo lessico. Atti del Convegno di Prato, 1-3 aprile 1982, a cura di Maria Caterina Cicala. Presentazione di Luigi De Rosa, Società degli storici italiani, [Messina, La Grafica], 1985, pp. 3-14. 105. Introduzione, in BRUNO NARDI, Dante e la cultura medievale, nuova edizione a cura di Paolo Mazzantini, introduzione di Tullio Gregory, Roma- Bari, Laterza, 1985 [19902] («Biblioteca Universale Laterza»), pp. VII-XLIV. La prima edizione dell’opera è apparsa nella collana «Collezione storica Laterza» (si veda 1983, n. 96). 106. I sogni e gli astri, in I sogni nel Medioevo, Seminario Internazionale (Roma, 2-4 ottobre 1983), a cura di Tullio Gregory, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1985, pp. 111-148. Diventa il tredicesimo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 107. Discorso di chiusura, in L’uomo di fronte al mondo animale nell’Alto Medioevo, atti della XXXI Settimana di studio del Centro italiano di studi sull’alto medioevo (Spoleto, 7-13 aprile 1983), II, Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, 1985, pp. 1445-1485. Diventa il capitolo 16 di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 108. L’importanza dei filoni tradizionali, in Cento anni Laterza 1885-1985. Testimonianze degli autori, Bari, Laterza, 1985, pp. 149-151. 109. Premessa, in Trasmissione dei testi a stampa nel periodo moderno, I seminario Internazionale, Roma, 23-26 marzo 1983, a cura di Giovanni Crapulli, Roma, Edizioni dell’Ateneo,  Etica e religione nella critica libertina, Napoli, Guida, 1986 («Interventi», 31), 117 pp. Indice del volume: I. Il libertinismo erudito, p. 11; II. Il «libro scandaloso» di Pierre Charron, p. 71; Nota bibliografica, p. 111. Testi di due lezioni tenute nel 1985 all’Istituto Suor Orsola Benincasa, riveduti per la stampa e arricchiti delle note a piè di pagina e della nota bibliografica. Il volume è stato pubblicato tradotto in polacco con il titolo Etyka i religia w krytyce libertyńskiej (si veda 1991, n. 127). Il primo capitolo diventa il sesto capitolo di Vie della modernità (si veda 2016, n. 256); in una versione leggermente ridotta, è stato pubblicato tradotto in inglese (si veda 1998, n. 168). Il secondo capitolo è stato pubblicato come quarto capitolo nel volume Vie della modernità (si veda 2016, n. 256); tradotto in inglese con il titolo Pierre Charron’s ‘Scandalous Book’ è stato pubblicato in Atheism from the Reformation to the Enlightenment (si veda 1992, n. 135). I primi due capitoli, tradotti in francese, diventano rispettivamente il terzo e il quarto capitolo della Genèse de la raison classique Ideologia e programma dell’Olimpiade delle civiltà, a cura di Tullio Gregory, Achille Tartaro, Venezia, Cataloghi Marsilio, 1987, XIX-173 pp. 112. Le platonisme du XIIe siècle, «Revue des sciences philosophiques et théologiques», tome 71, 2, 1987, Paris, Librairie philosophiques J. Vrin, pp. 243-259. Testo presentato alla conferenza al Collège de France il 19 febbraio 1986; sono state aggiunte alcune note essenziali.   38  Bibliografia di Tullio Gregory – 1988 torna su 1988 esci 113. The Platonic Inheritance, in A History of Twelfth-Century Western Philosophy, edited by Peter Dronke, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, pp. 54-80. Translated by Jonathan Hunt. Diventa il quinto capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 114. Forme di conoscenza e ideali di sapere nella cultura medievale, «Archives internationales d’histoire des sciences», 38 (1988), pp. 189-242. Relazione presentata in apertura della prima sessione plenaria dell’VIII Congresso Internazionale di filosofia medievale (Helsinki, 24-29 agosto 1987) dedicato al tema: “Conoscenza scientifica e scienze nella filosofia medievale”. È stata pubblicata nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1988, n. 115), negli atti del Congresso (si veda 1990, n. 124), nella rivista «Il veltro» (si veda 1989, n. 121) ed è diventata il primo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 115. Forme di conoscenza e ideali di sapere nella cultura medievale, «Giornale critico della filosofia italiana», s. VI, LXVII (LXIX), 1988, pp. 1-62. Relazione presentata in apertura della prima sessione plenaria dell’VIII Congresso Internazionale di filosofia medievale (Helsinki, 24-29 agosto 1987) dedicato al tema: “Conoscenza scientifica e scienze nella filosofia medievale”. È stata pubblicata negli «Archives internationales d’histoire des sciences» (si veda 1988, n. 114), negli atti del Congresso (si veda 1990, n. 124), nella rivista «Il veltro» (si veda 1989, n. 121) ed è diventata il primo capitolo di Mundana sapientia (si veda 1992, n. 134). 116. Lessico Intellettuale Europeo: recherches sur la terminologie intellectuelle du Moyen Age, in Actes du colloque Terminologie de la vie intellectuelle au Moyen Age, Leyden/La Haye 20-21 septembre 1985, edité par Olga Weijers, Turnhout, Brepols, 1988, pp. 105-108 117. Sémantique, in Image & Réalité du Vin en Europe, Actes du Colloque pluridisciplinaire sur le vin et les sciences, Organisé par l’Université Catholique de Louvain, en collaboration avec l’Institut Italien pour le Commerce Extérieur, Louvain-la-Neuve, 28 septembre-1 octobre 1988, pp. 151-154. 118. Necessità di programmare le carriere amministrative in funzione della specificità dei profili professionali. Il ritorno alla selettività e alla preparazione scientifica, in Memorabilia: il futuro della memoria. Beni ambientali, architettonici, archeologici, artistici e storici in Italia. Confronti per l’innovazione, a cura di Alberto Clementi e Francesco Perego, Bari, Laterza, Ricordo di Paul Vignaux, «Giornale critico della filosofia italiana», s. VI, LXVIII (LXXX), 1989, pp. 129-143. Testo letto in apertura della tavola rotonda su “Théologie et droit dans la science politique de l’Etat moderne” organizzata dall’École française de Rome nei giorni 12-14 novembre 1987; Paul Vignaux – che doveva presiedere la tavola rotonda – era deceduto il 24 agosto in Spagna. Pubblicato negli atti della tavola rotonda (si veda 1991, n. 131). 120. Il calcolatore in lingua, «Il pensiero informatico», 3, 1989, pp. 13-15. 121. Ideali di sapere nella cultura medievale, «Il veltro. Rivista della civiltà italiana», anno XXXIII, gennaio-aprile 1989, pp. 5-51. Relazione presentata in apertura della prima sessione plenaria dell’VIII Congresso internazionale di filosofia medievale su “Conoscenza scientifica e scienze nella filosofia medievale” (Helsinki, 24-29 agosto 1987). È stata pubblicata nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1988, n. 115), negli atti del Congresso (si veda 1990, n. 124), negli «Archives internationales d’histoire des sciences» (si veda 1988, n. 114), ed è diventata il primo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 122. Presentazione, in GIORDANO BRUNO, Summa terminorum metaphysicorum. Ristampa anastatica dell’edizione Marburg 1609. Nota e indici di Eugenio Canone, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1989, IX-X pp.       40  Bibliografia di Tullio Gregory – 1990 torna su 1990 esci 123. Gli scritti di Bruno Nardi, a cura di Tullio Gregory e Paolo Mazzantini, in BRUNO NARDI, «Lecturae» e altri studi danteschi, a cura di Rudy Abardo con saggi introduttivi di Francesco Mazzoni e Aldo Vallone, Firenze, Le Lettere, 1990, pp. 285-312. Si veda anche 1968, n. 54. 124. Forme di conoscenza e ideali di sapere nella cultura medievale, in Knowledge and the Sciences in Medieval Philosophy, proceedings of the Eight International Congress of Medieval Philosophy (Helsinki, 24-29 August 1987), edited by Monika Asztalos, John Emery Murdoch, Ilkka Niiniluoto, I, Helsinki, Societas philosophica Fennica, 1990 («Acta Philosophica Fennica», 48), pp. 10-71. Relazione presentata in apertura della prima sessione plenaria del Congresso. È stata pubblicata nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1988, n. 115), negli «Archives internationales d’histoire des idées» (si veda 1988, n. 114) e nella rivista «Il veltro» (si veda 1989, n. 121). È diventata il primo capitolo di Mundana Sapientia (si veda 1992, n. 134). 125. Théologie et astrologie dans la culture médiévale: un subtil face-à-face, «Bulletin de la Société Française de Philosophie», 84, 1990, pp. 104-130. Prima comunicazione del saggio che poi diventerà il capitolo 11 di Mundana Sapientia, dal titolo Astrologia e teologia nella cultura medievale (si veda 1992, n. 134). 126. Missione scienza, «Ulisse2000», Etyka i religia w krytyce libertyńskiej, przelozyla Anna Tylusińska, Warszawa, Polska Akademia Nauk Instytut Filozofii i Socjologii («Renesans i Reformacja», 6), 1991, 59 pp. Versione in polacco del volume Etica e religione nella critica libertina (si veda 1986, n. 110). Indice del volume: I. Libertynizm erudycyjny, p. 7; II. “Księga skandaliczna” Pierre’a Charrona, p. 37; Nota bibliograficzna, p. 57. 128. Sul lessico filosofico latino del Seicento e del Settecento, in Lexicon philosophicum. Quaderni di terminologia filosofica e storia delle idee (V- 1991), a cura di Antonio Lamarra e Lidia Procesi, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1991, pp. 1-20. Relazione presentata al Congresso Internazionale di studi sull’uso scritto e parlato del latino dal Rinascimento ad oggi, Roma, 15-18 aprile 1991. Diventa il terzo capitolo di Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca (si veda 2006, n. 200). 129. Intervento, in Per la storia del «vissuto religioso». Gli scritti di Gabriele De Rosa. Interventi di Emile Goichot, Tullio Gregory, Liliana Billanovich, Antonio Cestaro, Fulvio Tessitore, Pasquale Villani, Cosimo Damiano Fonseca, Vicenza, Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, 1991, pp. 21-29. L’intervento di Tullio Gregory è alle pagine 21-29 ed è stato tenuto per la presentazione del volume di Gabriele De Rosa Tempo religioso e tempo storico, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1987, avvenuta a Vicenza, presso la Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino, il 14 ottobre 1988, per iniziativa dell’Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, con il patrocinio del Comune di Vicenza. 130. Gli studi di filosofia medievale fra Ottocento e Novecento. Conclusioni, in Gli studi di filosofia medievale fra Otto e Novecento. Contributo a un bilancio storiografico, atti del convegno internazionale (Roma, 21-23 settembre 1989), a cura di Ruedi Imbach e Alfonso Maierù, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1991, pp. 391-406. Pubblicato in appendice a Speculum naturale (si veda 2007, n. 203) 131. Ricordo di Paul Vignaux, in Théologie et droit dans la science politique de l’Etat moderne, actes de la Table ronde organisée par l’École française de Rome avec le concours du CNRS (Rome, 12-14 novembre 1987), Rome, École française de Rome, 1991 («Collection de l’École française de Rome», 147), pp. 1-16. 42       Bibliografia di Tullio Gregory - 1991 Pubblicata sul «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1989, n. 119). 132. Cultura umanistica e istituzioni, «La rivista dei libri», I, 2, 1991, pp. 18-20. 133. Le discipline umanistiche. Analisi e progetto, Supplemento al Bollettino «Università Ricerca», Roma, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, 1991, 147 pp. Rapporto finale della Commissione Nazionale per la formazione e la ricerca nelle scienze umane, del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, redatto dal Professor Gregory in qualità di coordinatore della Commissione.   43  Bibliografia di Tullio Gregory – 1992 torna su 1992 esci 134. “Mundana sapientia”. Forme di conoscenza nella cultura medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1992 («Storia e Letteratura», 181), 480 pp. Sono raccolti in questo volume alcuni saggi sulla storia della filosofia medievale pubblicati in sedi e anni diversi. Il saggio Astrologia e teologia nella cultura medievale (capitolo 11) è nuovo, e ne fu data una parziale anticipazione alla Société française de philosophie (si veda 1990, n. 125). Di seguito si da l’indice dei capitoli con i rinvii per i saggi già pubblicati. Indice del volume: Avvertenza, p. V; I. Forme di conoscenza e ideali di sapere nella cultura medievale, p. 1 (si veda 1988, n. 114 e n. 115; 1989, n. 121 e 1990, n. 124); II. Filosofia e teologia nella crisi del XIII secolo, p. 61 (si veda 1964, n. 41); III. L’idea di natura nella filosofia medievale prima dell’ingresso della fisica di Aristotele. Il secolo XII, p. 77 (si veda 1964, n. 38 e 1966, n. 46); IV. La nouvelle idée de nature et de savoir scientifique au XIIe siècle, p. 115 (si veda 1975, n. 69); V. The Platonic Inheritance, p. 145 (si veda 1988, n. 113); VI. Abélard et Platon, p. 175 (si veda 1972, n. 64 e 1974, n. 67); VII. Considération sur ratio et natura chez Abélard, p. 201 (si veda 1975, n. 70; la versione in italiano è stata pubblicata su «Studi medievali», si veda 1973, n. 66); VIII. L’escatologia di Giovanni Scoto, p. 219 (si veda 1975, n. 72; per la versione in francese, con un apparato di note ridotto si veda 1977, n. 78); IX. Escatologia e aristotelismo nella scolastica medievale, p. 261 (si veda 1961, n. 31 e 1962, n. 33); X. Sull’escatologia di Bonaventura e Tommaso d’Aquino, p. 275 (si veda 1965, n. 45); XI. Astrologia e teologia nella cultura medievale, p. 291; XII. Temps astrologique et temps chrétien, p. 329 (si veda 1984, n. 98); XIII. I sogni e gli astri, p. 347 (si veda 1985, n. 106); XIV. La tromperie divine, p. 389 (si veda 1982, n. 94 e 1984, n. 97); XV. Dio ingannatore e genio maligno. Nota in margine alle Meditationes di Descartes, p. 401 (si veda 1974, n. 68); XVI. L’uomo di fronte al mondo animale nell’alto medioevo, p. 443 (si veda 1985, n. 107); Indice dei nomi, p. 469. 135. Pierre Charron’s ‘Scandalous Book’, in Atheism from the Reformation to the Enlightenment, edited by Michael Hunter and David Wootton, Oxford, Oxford Clarendon Press, 1992, pp. 87-109. Traduzione inglese del secondo capitolo di Etica e religione nella critica libertina (si veda 1986, n. 110). La traduzione francese compare nel quarto capitolo della Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173). 136. Gli atti del Convegno di Lecce: prospettive degli studi cartesiani, in GIULIA BELGIOIOSO (a cura di), Cartesiana, Galatina, Congedo Editore, 1992 («Università degli studi di Lecce, Istituti di Filosofia. Testi e Saggi»), pp. 97- 101. 137. E 42. Utopia e scenario del regime. I. Ideologia e programma dell’Olimpiade della città, a cura di Tullio Gregory e Achille Tartaro, Catalogo della mostra (Archivio centrale dello Stato, Roma, aprile-maggio 1987), Venezia, Marsilio, 1992, XX-180 pp. 138. Préface, in Pierre Gassendi explorateur des sciences. Catalogue de l’exposition, quatrième centenaire de la naissance de Pierre Gassendi (Musée de Digne, 19 mai-18 octobre 1992), rédigé par Anthony Turner avec la contribution de Nadine Gomez; préface de Tullio Gregory, Digne-les-Bains, Musée de Digne, 1992, pp. 11-28. Traduzione a cura di Simone Matarasso-Gervais. 139. Pierre Gassendi dans le quatrième centenaire de sa naissance, «Archives Internationales d’histoire des sciences», 42, 1992, pp. 203-226. Discorso d’apertura al Colloquio internazionale Pierre Gassendi (Digne-Les- Bains, 18-22 maggio 1992). È stato pubblicato negli Atti col titolo Pourquoi Gassendi? (si veda 1994, n. 145). La traduzione italiana è stata pubblicata nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1992, n. 140). Diventa il sesto capitolo della Genèse de la raison classique (si veda 2000, n. 173). 140. Pierre Gassendi nel IV Centenario della nascita, «Giornale critico della filosofia italiana», s. VI, LXXI (LXX), 1992, pp. 202-226. Versione italiana del discorso d’apertura al Colloquio internazionale Pierre Gassendi (Digne-Les-Bains, 18-22 maggio 1992). Diventa il quinto capitolo di Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). La traduzione francese è stata pubblicata negli «Archives Internationales d’histoire des sciences» (si veda 1992, n. 139) e negli Atti del Colloquio con il titolo Pourquoi Gassendi? (si veda 1994, n. 145). 141. Presentazione, in Lessico Filosofico dei secoli XVII e XVIII. Sezione latina, a cura di Marta Fattori, con la collaborazione di Massimo Luigi Bianchi, I, a- aetherius, coordinamento di Eugenio Canone e Giacinta Spinosa, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1992, p. VII.        45  Bibliografia di Tullio Gregory – 1993 torna su 1993 esci 142. Storia dell’Italia religiosa, a cura di Gabriele De Rosa, Tullio Gregory, André Vauchez, 3 v., Roma, Laterza, 1993. Il secondo volume è a cura di Tullio Gregory (si veda 1994, n. 144).   46  Bibliografia di Tullio Gregory – 1994 torna su 1994 esci 143. L’eclisse delle memorie, a cura di Tullio Gregory, Marcello Morelli, prefazione di Giorgio Salvini, traduzioni di Marcello Morelli, Roma-Bari, Laterza, 1994, XI-283 pp. 144. L’età moderna, a cura di Gabriele De Rosa e Tullio Gregory, in Storia dell’Italia religiosa, a cura di Gabriele De Rosa, Tullio Gregory, André Vauchez, II, Roma, Laterza, 1994, XX-596 pp. Si veda anche 1993, n. 142. 145. Pourquoi Gassendi?, in Quadricentenaire de la naissance de Pierre Gassendi 1592-1992, actes du Colloque International Pierre Gassendi (Digne-les-Bains 18-21 mai 1992), Digne-les-Bains, Société Scientifique et Littéraire des Alpes de Haute-Provence, 1994, pp. 21-39. Discorso di apertura del Colloquio. Pubblicato con un titolo diverso negli «Archives Internationales d’histoire des sciences»  La traduzione italiana è stata pubblicata nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1992, n. 140) 146. Gli studi di filosofia medievale di Sofia Vanni Rovighi, in Sapientiae studium. La giornata operosa di Sofia Vanni Rovighi (1908-1990), a cura di Mario Sina, Milano, Vita e Pensiero, 1994, pp. 13-26. 147. L’ordine della natura e l’ordine del sapere, in Storia della filosofia, a cura di Paolo Rossi e Carlo Augusto Viano, II, Il Medioevo, Roma-Bari, Laterza, Diventa, con il titolo Riscoperta della natura e nuove scienze nel secolo XII, il secondo capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 148. Considerazioni conclusive in Descartes metafisico. Interpretazioni del Novecento, A cura di Jean-Robert Armogathe e Giulia Belgioioso, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, Introduzione, in Retorica e filosofia in Giambattista Vico: Le Institutiones Oratoriae: un bilancio critico, a cura di Giuliano Crifò, Napoli, Guida, Conclusioni, in Ricerca e terminologia tecnico-scientifica, a cura di G. Adamo, «Lexicon philosophicum., Quaderni di terminologia filosofica e storia delle idee», 151. Dell’Elefante. Parole pronunciate il 12.IX.1994 in occasione della mostra Res Libraria alla Biblioteca Casanatense di Roma, Roma, Edizioni dell’Elefante, 1994, 19 pp. Opuscolo in edizione limitata. Pubblicato in Bibliomania Perennis (si veda 2002, n. 178). 152. Università e Beni Culturali, ricerca – formazione. Relazione della Commissione Nazionale per il Corso d Laurea e Facoltà in Conservazione dei Beni Culturali, Supplemento al Bollettino «Università Ricerca», Roma, Istituto Poligrafico Zecca dello Stato, Relazione finale della Commissione Nazionale per il Corso di Laurea e Facoltà in Conservazione dei Beni Culturali, del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica, redatta dal Professor Gregory in qualità di coordinatore della Commissione.  48  Bibliografia di Tullio Gregory – 1995 torna su 1995 esci 153. Introduzione, in “Fabula in tabula”. Una storia degli indici dal manoscritto al testo elettronico, a cura di Claudio Leonardi, Marcello Morelli, Francesco Santi, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1995, pp. 3-8. 154. I «thesauri» dei Padri greci e latini, «Studi medievali», F. ADORNO, T. GREGORY, V. VERRA, Manuale di storia della filosofia, Roma, Laterza. Curail secondo volume, XIV-457 pp. e i capitoli dal 19 al 41 del I volume. Pensiero medievale e modernità, «Giornale critico della filosofia italiana», Relazione tenuta all’Accademia Nazionale dei Lincei in apertura del VI Convegno di studio su “Pensiero medievale e modernità” (Roma, 12-14 settembre 1996) organizzato dalla Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale. Diventa il nono capitolo di Speculum naturale ‘Natura’ e ‘Qualitas planetarum’, «Micrologus», IV, 1996: Il teatro della natura/The theatre of nature, pp. 1-23. Diventa il quarto capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203) 158. Premessa, in Album. I luoghi ove si accumulano i segni, a cura di Claudio Leonardi, Marcello Morelli, Francesco Santi, Spoleto, Centro di Studi sull’Alto Medioevo, 1996, pp. VII-XII. 159. Prefazione in Accademia nazionale dei Lincei-Archivio centrale dello Stato- Consiglio nazionale delle ricerche, Guglielmo Marconi e l’Italia. Mostra storico-documentaria (Roma 30 marzo-30 aprile 1996), catalogo a cura di Giovanni Paoloni e Raffaella Simili, prefazione di Tullio Gregory, introduzione di Raffaella Simili, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, Prólogo, in MICHEL DE MONTAIGNE, Ensayos (selección), Prólogo de Tullio Gregory, Traducción y notas de María Dolores Picazo y Almudena Montojo, Barcelona, Círculo de Lectores, 1997, pp. 9-31. Il testo in italiano è stato pubblicato nel «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 1997, n. 163). La traduzione francese, con qualche variante, diventa il secondo capitolo di Vie della modernità Apertura dei lavori, in Il vocabolario della republique des Lettres. Terminologia filosofica e storia della filosofia. Problemi di metodo, atti del Convegno Internazionale in memoriam di Paul Dibon (Napoli, 17-18 maggio 1996), a cura di Marta Fattori, Firenze, Leo S. Olschki Editore, Les nouveaux outils d'analyse textuelle, in Le Plurilinguisme dans la Société de l’Information, Actes du Colloque International (Paris, 4-6 dicembre 1997), Paris, UNESCO Publications, Per una lettura di Montaigne, «Giornale critico della filosofia italiana», Testo italiano della prefazione spagnola all’antologia degli Essais di Montaigne (si veda 1997, n. 160). 164. Nel mondo semantico del virtuale, «if. Rivista della Fondazione IBM Italia», V, 1997, pp. 14-17. 165. Introduzione, in Bibliotheca encyclopaedica: catalogo del fondo storico della Biblioteca dell’Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, a cura di Roberto Mauro e Massimo Menna; presentazione di Rita Levi-Montalcini, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, Introduzione, in RENÉ DESCARTES, Discorso sul metodo. Traduzione di Maria Garin. Introduzione di Tullio Gregory, Roma, Laterza, 1998 [201819], pp. V-XLVIII. 167. Conclusion, in Vie spéculative, vie méditative et travail manuel à Chartres au XIIe siècle (autour de Thierry de Chartres et des introducteurs de l’étude des arts mécaniques auprès du quadrivium), Chartres, Association des Amis du Centre Médiéval Européen de Chartres, 1998, pp.135-142. Discorso di chiusura del colloquio internazionale del 4 e 5 luglio 1998. 168. ‘Libertinisme erudit’ in Seventeenth Century France and Italy: The Critique of Ethics and Religion, «British Journal for the History of Philosophy», L’articolo, apparso in italiano con il titolo Il libertinismo erudito come primo capitolo del volume Etica e religione nella critica libertina (si veda 1986, n. 110), è stato leggermente ridotto in alcune parti. Traduzione di Letizia Panizza. 169. Introduction, in Le Dictionnaire de l'Académie Française et la Lexicographie Institutionelle Européenne, Actes du Colloque International (Paris, 17- 19 Novembre 1994), publiés par Bernard Quemada avec la collaboration de Jean Pruvost, Paris, Honoré Champion Éditeur, Nature, in Dictionnaire raisonné de l’Occident médiéval, ed. Jacques Le Goffe - Jean-Claude Schmitt, Paris, Fayard, 1999, pp. 806-820. Diventa il primo capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203), restituendo in latino i testi tradotti in francese. 171. Per una fenomenologia del cadavere. Dai mondi dell’immaginario ai paradisi della metafisica, «Micrologus», VII, 1999: Il cadavere/The corpse, pp. 11-42. Diventa il sesto capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 172. Sapor mundi: scritti sulla civiltà dei sapori da Il Sole 24 Ore, Roma Raccolta degli articoli di carattere gastronomico pubblicati tra il 1994 e il 1998 su Il Sole 24 ore. Genèse de la raison classique de Charron à Descartes, traduit par Marilène Raiola, préface de Jean-Robert Armogathe, Paris, Presses Universitaires de France, 2000 («Épiméthée», 84), V-365 pp. Sono raccolti in questo volume alcuni saggi dedicati alle figure e ai problemi appartenenti alla prima metà del XVII secolo francese e europeo, pubblicati in sedi e anni diversi. Di seguito si da l’indice dei capitoli con i rinvii per i saggi già pubblicati. Indice del volume: Notice de Tullio Gregory, p. v; Préface de Jean-Robert Armogathe, La première crise de la conscience européenne, p. 1; I. Le libertinisme dans la première moitié du XVIIe siècle, p. 13 (si veda 1981, n. 88); II. Aristotélisme et libertinisme, p. 63 (si veda 1982, n. 93); III. Ethique et religion dans la critique libertine, p. 81 (si veda 1986, n. 110); IV. «Le livre scandaleux» de Pierre Charron, p. 115 (si veda 1986, n. 110; per la traduzione in inglese si veda 1992, n. 135); V. La sagesse sceptique de Pierre Charron, VI. Perspectives sur Pierre Gassendi à l’occasion du IVe centenaire, p. 157 (si veda 1992, n. 139); VII. Sébastien Basson, p. 191 (si veda 1964, n. 43); VIII. David Van Goorle et Daniel Sennert, p. 235 (si veda 1966, n. 47); IX. Ralph Cudworth, p. 269 (si veda 1967, n. 50); X. Dieu trompeur et malin génie, p. 293 (si veda 1974, n. 68). 174. Vers un «Thesaurus totius latinitatis»: problèmes et perspectives, in L’élaboration du vocabulaire philosophique au Moyen Age, actes du Colloque international de Louvain-la-Neuve et Leuven (12-14 septembre 1998), organisé par la Société Internationale pour l’étude de la Philosophie Médiévale, éd. par Jacqueline Hamesse et Carlos Steel, Turnhout, Brepols, 2000, pp. 539-549. 175. Informatica e analisi testuale, in Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti. Appendice 2000, I, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, pp. 919-922. 176. I cieli, il tempo, la storia, in Sentimento del tempo e periodizzazione della storia nel Medioevo, atti del XXXVI Convegno storico internazionale (Todi, 10-12 ottobre 1999), Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2000, pp. 19-45. Diventa il quinto capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203) 177. Il liber creaturarum: dal sacramentum salutaris allegoriae alla physica lectio, in Le vie del medioevo, atti del Convegno internazionale di studi (Parma), a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Milano, Electa, 2000, pp. 45-48. Diventa il terzo capitolo di Speculum naturale  Scrittura, fondamento di civiltà, in Duemila. Verso una società aperta, 3. Istruzione, scienza, linguaggio, a cura di Marco Moussanet, il Sole 24 ORE, Milano, Apologeti e libertini, «Giornale critico della filosofia italiana», Diventa il capitolo 8 di Vie della modernità (si veda 2016, n. 256).   55  Bibliografia di Tullio Gregory – 2001 torna su 2001 esci 180. Per i cento anni della Casa Laterza. Il sodalizio Croce-Laterza nella cultura italiana del Novecento, «Accademie & Biblioteche d’Italia», s. I, LXIX, 2001, pp. 117-121. Testo del discorso pronunciato al Teatro Comunale Piccinni il 18 settembre 2001, alla presenza del Capo dello Stato, in occasione delle celebrazioni per il 100° anniversario della Casa Editrice Laterza. 181. Come cucinare un filosofo, «l’Erasmo», Introduzione, in VINCENZO CORRADO, Del cibo pitagorico ovvero erbaceo per uso de’ Nobili e de’ Letterati. Opera meccanica dell’oritano Vincenzo Corrado; seguito dal Trattato delle patate per uso di cibo, opera del medesimo autore. Con una introduzione di Tullio Gregory e una nota alle illustrazioni di Francesco Abbate, Roma, Donzelli, Due testi autobiografici di Giordano Bruno, in Memoria di Giordano Bruno  Atti del convegno (Roma) con il patrocinio dell’Assessorato alle Politiche Giovanili del Comune di Roma, a cura di Maria Mantello, Roma, VE.GRAF, Dell’Elefante, in Bibliomania Perennis. Mostre delle Edizioni dell’Elefante. Prologhi e testi di occasione, Roma, Edizioni dell’Elefante, 2002, pp. 135- 151. Parole pronunciate il 12 settembre 1994 in occasione della mostra Res libraria alla Biblioteca Casanatense di Roma GEORGE TATGE, Al di là del tiglio. Un ritratto di Todi. Testi di Tullio Gregory, Firenze, Fratelli Alinari, 2002, 112 pp. 186. Il valore di una cultura comune. Il ‘nuovo mondo’ dei dotti del Seicento, «l’Erasmo», Lo spazio come geografia del sacro nell’occidente altomedievale, «Giornale critico della filosofia italiana», Testo integrale della relazione parzialmente letta in apertura della Cinquantesima settimana di studio organizzata dal Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo (Spoleto, 4-9 aprile 2002) sul tema: “Uomo e spazio nell’alto Medioevo”. Pubblicato negli atti del Convegno (si veda 2003, n. 191). Con alcune integrazioni, diventa il sesto capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 188. Introduzione, in GEORGE TATGE, Al di là del tiglio. Un ritratto di Todi, Alinari, Firenze, 2002, pp. 11-12. 189. Apertura dei lavori, in Experientia. X Colloquio Internazionale (Roma, 4-6 gennaio 2001), atti a cura di Marco Veneziani, Firenze, Leo S. Olschki Noè ovvero della sobria ebbrezza, in L’ebbrezza di Noè. Sedici artisti per San Gimignano, a cura di Marisa Zattini, Cesena, Il vicolo, 2003, pp. 23-25. Catalogo della Mostra tenuta a San Gimignano nel 2003. Edizione di 1500 esemplari numerati. 191. Lo spazio come geografia del sacro nell’occidente altomedievale, in Uomo e spazio nell’alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo (4-8 aprile 2002), Spoleto, Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, 2003, pp. 27-60. Discussione sulla lezione Gregory, pp. 61-68. Il testo della relazione è apparso sul «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 2002, n. 187). Con alcune integrazioni, diventa il sesto capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 192. Nani sulle spalle dei giganti. Traduzioni e ritorno degli Antichi nel medioevo latino, «Studi medievali», s. III, XLIV (2003), pp. 1053-1075. Relazione presentata al VI Convegno Intemazionale di Studi su «Medioevo: il tempo degli antichi», Parma 24-28 settembre 2003 e pubblicata negli Atti del Convegno (si veda 2006, n. 201). Diventa il primo capitolo di Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca, si veda 2006, n. 200 e l’ottavo capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 193. Un cibo da Bengodi. Viaggio nel mondo della pasta, «l’Erasmo», 15, 2003, pp. 87-95. 194. Istituti culturali e territorio: i problemi della ricerca e della formazione, «Accademie & Biblioteche d’Italia», Apertura dei lavori, in Informatica e scienze umane. Mezzo secolo di studi e ricerche, a cura di Marco Veneziani, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2003, pp. VII-VIII.       58  Bibliografia di Tullio Gregory – 2004 torna su 2004 esci 196. Alle origini della terminologia filosofica moderna: traduzioni, calchi, neologismi, in «Giornale critico della filosofia italiana», Relazione presentata all’XI Convegno Nazionale della Società di Filosofia del Linguaggio, Milano, 16-18 settembre 2004, pubblicata negli Atti del Convegno (si veda 2005, n. 199). Diventa il secondo capitolo di Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca (si veda 2006, n. 200). 197. Introduzione, in MAURO SIMONAZZI, La malattia inglese. La melanconia nella tradizione filosofica e medica dell’Inghilterra moderna, Bologna, Il mulino, 2004, pp. 9-13 198. Presentazione, in GIUSEPPE FINOCCHIARO, Dall’Apiarium alla Μελισσογραφια. Una vicenda editoriale tra propaganda scientifica e strategia culturale, Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Rendiconti della Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, s. IX, v. XV, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2004.     59  Bibliografia di Tullio Gregory – 2005 torna su 2005 esci 199. Alle origini della terminologia filosofica moderna: traduzioni, calchi, neologismi in Significare e comprendere. La semantica del linguaggio verbale. Atti dell’XI Congresso nazionale, a cura di A. Frigerio e S. Raynaud, Roma, Aracne, 2005, pp. 85-116. Relazione presentata all’XI Convegno Nazionale della Società di Filosofia del Linguaggio, Milano, 16-18 settembre 2004, pubblicata su «Giornale critico della filosofia italiana» (si veda 2004, n. 196). Diventa il secondo capitolo di Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca (si veda 2006, n. 200).    60  Bibliografia di Tullio Gregory – 2006 torna su 2006 esci 200. Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2006 («Lessico intellettuale europeo, Opuscula», 1), X- 120 pp. Indice del volume: Premessa, p. IX; Nani sulle spalle di giganti. Traduzioni e ritorno degli Antichi nel Medioevo latino (relazione presentata al VI Convegno Intemazionale di Studi su «Medioevo: il tempo degli antichi», Parma 24-28 settembre 2003 e pubblicata negli Atti del Convegno, si veda 2006, n. 201. Pubblicata in «Studi medievali», si veda 2003, n. 192. Diventa l’ottavo capitolo di Speculum naturale, si veda 2007, n. 203), p. 1; Alle origini della terminologia filosofica moderna: traduzioni, calchi, neologismi (relazione presentata all’XI Convegno Nazionale della Società di Filosofia del Linguaggio, Milano, 16-18 settembre 2004, pubblicata negli Atti, si veda 2005, n. 199, e in «Giornale critico della filosofia italiana», si veda 2004, n. 196), p. 33; Sul lessico filosofico latino del Seicento e del Settecento (testo, con l’aggiunta di una nota finale di aggiornamento bibliografico, della relazione presentata al Congresso Internazionale di studi sull’uso scritto e parlato del latino dal Rinascimento ad oggi, Roma, 15-18 aprile 1991 e pubblicata in Lexicon philosophicum, si veda 1991, n. 128), p. 77; Referenze bibliografiche, p. 109; Indice dei nomi, p. 111. 201. Nani sulle spalle dei giganti. Traduzioni e ritorno degli antichi nel Medioevo latino, in Medioevo: il tempo degli antichi, Atti del Convegno internazionale di studi, Parma 24-28 settembre 2003, a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Milano, Electa, 2006, pp. 57-64. Pubblicato in «Studi medievali» si veda (2003, n. 192). Diventa il primo capitolo di Origini della terminologia filosofica moderna. Linee di ricerca, si veda 2006, n. 200) e l’ottavo capitolo di Speculum naturale (si veda 2007, n. 203). 202. Paul Vignaux storico del pensiero medievale, «Studi medievali», XLVII (2006), pp. 361-381. Traduzione italiana, leggermente modificata, della relazione francese Paul Vignaux historien et philosophe, letta in Sorbona il 2 aprile 2004, al Colloquio “Paul Vignaux citoyen et philosophe”.  Speculum naturale. Percorsi del pensiero medievale, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007 («Storia e Letteratura», 235), X-254 pp. Sono raccolti in questo volume alcuni saggi sul pensiero medievale, pubblicati in sedi e anni diversi. Di seguito si da l’indice dei capitoli con i rinvii per i saggi già pubblicati. Indice del volume: Nature au Moyen Âge, p. 1 (si veda 1999, n. 170); Riscoperta della natura e nuove scienze nel secolo XII, p. 15 (si veda 1994, n. 146); Il Liber creaturarum: dal sacramentum salutaris allegoriae alla physica lectio, p. 35 (si veda 2000, n. 177); Natura e qualitas planetarum, p. 47 (si veda 1996, n. 157); I cieli il tempo la storia, p. 69 (si veda 2000, n. 176); Lo spazio come geografia del sacro nell’Occidente altomedievale, Per una fenomenologia del cadavere. Dai mondi dell’immaginario, p. 121 (si veda 1999, n. 171); Nani sulle spalle dei giganti. Traduzioni e ritorno degli Antichi, p. 151 (si veda 2003, n. 192, 2006, n. 200 e 2006, n. 201); Pensiero medievale e modernità, p. 173 (si veda 1996, n. 156); Cosmologia biblica e cosmologie cristiane, p. 197; Appendice: Gli studi di filosofia medievale fra Ottocento, Gusto del cibo, itinerario storico sentimentale, «L’attimo fuggente», Presentazione, in JUNE DI SCHINO, FURIO LUCCICHENTI, Il cuoco segreto dei papi. Bartolomeo Scappi e la Confraternita dei cuochi e dei pasticceri, Roma, Gangemi, Per una Storia delle filosofie medievali. Discorso di chiusura pronunciato al XII Congresso Internazionale di Filosofia Medievale (Palermo 16-22 settembre 2007) promosso dalla SIEPM, «Studi medievali», Pubblicato negli Atti. Le acque sopra il firmamento. Genesi e tradizione esegetica, in L’acqua nei secoli altomedievali, Spoleto, Fondazione Centro italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2008, pp. 1-41. 208. Spazio sacro, spazio profano. I confini simbolici nel cristianesimo altomedievale, in Frontiere. Politiche e mitologie dei confini europei, a cura di Carlo Altini e Michelina Borsari, Fondazione Collegio San Carlo di Modena, 2008, pp. 41-70. 209. Cosmogonia biblica e cosmologie cristiane, in Cosmogonie e cosmologie nel Medioevo. Atti del Convegno della Società italiana per lo studio del pensiero medievale (S.I.S.P.M.), Catania, 22-24 settembre 2006, a cura di Concetto Martello, Chiara Militello e Andrea Vella, Louvain-La-Neuve, Brepols, 2008, pp. 169-194. 210. Prefazione, in ROBERTO DE MATTEI, Il CNR e le scienze umane, Attività della Vice Presidenza Roma, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Allocution, in Remise de l’Épée d’Académicien à Jean-Luc Marion, par Marc Fumaroli de l’Académie française de l’Académie des Inscriptions & Belles- Lettres, en Sorbonne, Salon d’honneur de la Cancellerie, 1er décembre 2009, pp. 8-13. 212. Translatio studiorum, «Quaderni di storia»,Testo parzialmente presentato, in inglese, al decimo congresso della International Society for Intellectual History su “Translatio Studiorum”. Ancient, Medieval, and Modern bearers of Intellectual History (Verona, 25- 27 maggio 2009). 213. Prefazione, in XXI Secolo-Norme e idee, direttore Tullio Gregory, Istituto della Enciclopedia Italiana (Treccani), Roma 2009, pp. IX-X.  64  Bibliografia di Tullio Gregory – 2010 torna su 2010 esci 214. Dante e la «Commedia», in Dante e l’Islam. Incontri di civiltà, Biblioteca di Via del Senato Edizioni, Milano 2010, pp. 37-44. 215. Bruno Nardi, storico della filosofia. Uno sguardo d’insieme (Relazione di chiusura al Convegno di Pescia), in Per ricordare Bruno Nardi, a cura di Laura Simoni Varanini, Firenze, Edizioni del Galluzzo, 2010, pp. 43-49. 216. Tullio Gregory incontra Cartesio, «Le interviste immaginarie», Milano, Bompiani, 2010, 19 pp. Ristampato in appendice alla raccolta di saggi Vie della modernità (si veda 2016, n. 256). 217. Il lessico Intellettuale Europeo, in Lectio Brevis. Anno Accademico Atti della Accademia Nazionale dei Lincei, Anno CDVIII – 2011. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche. «Memorie», Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, Testo della Lectio brevis tenuta il 12 novembre 2010 presso l’Accademia dei Lincei, in apertura dell’anno accademico Eugenio Garin: un ricordo in Normale, «Quaderni di storia», LXXII (2010), pp. 11-29. 219. Claudio Leonardi medievista, «Rinascimento. Rivista dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento», L’ascesa del Poeta è una vera ‘Rinascita’, «La Biblioteca di via Senato – Milano», Postfazione, in LUCIO MARIANI, Farfalla e segno. Poesie scelte (1972-2009), Milano, Crocetti Prefazione, in FRANCA FOFFO, E le stelle stanno a mangiare... La Dolce Vita continua, Roma, Sovera Edizioni, 2010, pp. 9-14. 223. La libraria di Fausto Maria Franchi, in FAUSTO MARIA FRANCHI, Studiolo Crispolti, a cura di Lucia Sabatini Scalmati, Roma, Gangemi,  Giovanni Scoto. Quattro studi, Premessa di Enrico Menestò, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2011 («Uomini e mondi medievali», 24), VIII, 110 pp. Sono ripubblicati i tre studi su Giovanni Scoto Eriugena Le carte di Carlo Lorenzetti, relazione tenuta presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma il 25 febbraio 2011, in occasione dell’inaugurazione della mostra di Carlo Lorenzetti. 226. «Vi esorto alla Bibbia», in Bibbia, cultura, scuola. Alla scoperta di percorsi didattici interdisciplinari, a cura di Gian Gabriele Vertova, Carocci, Roma 2011, pp. 17-20. 227. Alle origini dell’etica moderna, in Per un’Etica civile. Tema di approfondimento culturale per l’a.s. 2010-2011, a cura di Licia Ferro, Roma, Liceo Classico Orazio, 2011, pp. 13-31. 228. Natura, in Dizionario dell’Occidente medievale. Temi e percorsi, 2: Letteratura/e-Violenza, Torino, Einaudi, Il tema della fortuna in Montaigne, «Giornale critico della filosofia italiana», s. VII, LXXXX-XCII (2011), pp. 9-26. 230. Il gusto sullo scaffale, in IBC Dossier. Lo scaffale dei sapori, a cura di Rosaria Campioni, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della regione Emilia Romagna, 2011, pp. 60-63. L’articolo è tratto dalla rivista «IBC. Informazioni, commenti, inchieste sui beni culturali», XIX, 3, 2011. Si veda anche 2011, n. 232. 231. L’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, «Nuova informazione bibliografica», Il gusto sullo scaffale, in Lo scaffale del gusto. Guida alla formazione di una raccolta di gastronomia italiana (1891-2011) per le biblioteche, di Rino Pensato e Antonio Tolo, con la collaborazione di Adele Blundo, contributi di Tullio Gregory e Massimo Montanari, Bologna, Editrice Compositori, Montaigne e la fortuna, Modena, Consorzio Festivalfilosofia, 2011 («Paginette») Bibliografia di Tullio Gregory – 2012 torna su 2012 esci 234. Quintino Sella, Roma, l’Accademia dei Lincei, in Le Accademie nazionali e la storia d’Italia, Atti del Convegno Linceo (Napoli), Roma, Scienze e Lettere Editore Quintino Sella, Roma, l’Accademia dei Lincei, in Quintino Sella Linceo, a cura di Marco Guardo e Alessandro Romanello, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei, 2012, pp. 19-42. 236. Per una Storia delle filosofie medievali, in Universalità della ragione. Pluralità delle filosofie nel Medioevo, Atti del XII Congresso Internazionale di Filosofia Medievale (Palermo), Sessioni plenarie, a cura di Alessandro Musco, Fascicolo monografico «Schede medievali», n. 50, Palermo, Officina di studi medievali,  «Studi medievali» Les sources oubliées d’une Introduction à l’Ethica, «Giornale critico della filosofia italiana», Quasi una Prefazione, in FRANCA FOFFO, Il dolce della vita, Roma, Sovera Edizioni, 2012, pp. 9-11.    67  Bibliografia di Tullio Gregory – 2013 torna su 2013 esci 239. Principe di questo mondo. Il diavolo in Occidente, Roma-Bari, Laterza («I Robinson / Letture»). Indice del volume: I. La caduta di Lucifero. II. Apparenza e realtà, p. 17; III. La via del nero, p. 31; IV. Il principe di questo mondo, p. 57; V. Satana e modernità, p. 67; Bibliografia, p. 79. 240. Translatio Studiorum, in MARCO SGARBI (ed.), Translatio Studiorum. Ancient, Medieval and Modern Bearers of Intellectual History, «Studies in Intellectual History», 217, Leiden, Brill, Paul Vignaux, Historien et Philosophe, in Paul Vignaux, Citoyen et Philosophe (1904-1987), sous la direction de Olivier Boulnois, avec la collaboration de Jean-Robert Armogathe, Turnhout, Brepols, 2013, pp. 9-26. 242. Per il XXV della Fondazione Ezio Franceschini di Firenze, «Studi medievali», Presentazione, in GIUSEPPE FINOCCHIARO, La biblioteca di Trisulti. L’ordine dei codici tra il 14° e 16° secolo, Roma, Scienze e Lettere, 2013, pp. 149- 167. 244. Presentazione, in Accademia nazionale dei Lincei. Inventario dell’archivio (1944-1965) a cura di Paola Cagiano De Azevedo, Roma, Ministero dei beni e delle attività culturali,  Le carte di C. Lorenzetti, Discorso pronunciato il 24 febbraio 2011 nel Salone Borromini della Biblioteca Valliceliana in Roma per l’inaugurazione della Mostra “Carte e libri d’artista” di Carlo Lorenzetti, Città di Castello, Bibliografia di Tullio Gregory – 2014 torna su 2014 esci 246. Le plaisir d’une chasse sans gibier. Faire l’histoire des philosophies: construction et déconstruction, «Giornale critico della filosofia italiana», Testo della relazione presentata il 25 settembre 2014 in apertura dell’incontro promosso a Roma dall’Institut International de Philosophie sul tema “Les relations de la philosophie avec son histoire”; in italiano diventa il primo capitolo di Vie della modernità il Lessico Intellettuale Europeo compie cinquant’anni, in Locus- spatium. XIV Colloquio Intrnazionale (Roma 3-5 gennaio 2013), Atti a cura di Delfina Giovannozzi e Marco Veneziani, Roma, Leo S. Olsckhi  Prefazione, in FAUSTO MARIA FRANCHI, PIER LUIGI PICCARI, LUCIA SABATINI SCALMATI, Ricette preziose dal gioiello al pane, Terni 2014, pp. 7-10. 249. Presentazione, in LUISA RUBERTI, Le ricette di Luisa. La cucina campana a modo mio, Firenze-Milano, Giunti, 2014.    69  Bibliografia di Tullio Gregory – 2015 torna su 2015 esci 250. Carlo Lorenzetti e il Lessico, in Segno e parola. Carlo Lorenzetti e il Lessico Intellettuale Europeo, Catalogo della mostra (Roma), a cura di Giovanni Adamo e Cristina Marras, Firenze, Leo S. Olschki Editore, La rinascita nel dopoguerra, in Treccani. Novanta anni di cultura italiana, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 2015, pp. 15-18. 252. Dubbio, fede e religioni in Montaigne, «Giornale critico della filosofia italiana», Prefazione, in La cultura e il mondo. Aggiornamento della Enciclopedia Italiana, Nona appendice, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,  Michel de Montaigne o della modernità, Pisa, Edizioni della Normale, 2016 («Variazioni», Translatio linguarum. Traduzioni e storia della cultura, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 2016 («Lessico intellettuale europeo, Opuscula», 2), IX-75 pp. 256. Vie della modernità, Firenze, Le Monnier Università, 2016 («Centro Interdipartimentale di Studi su Descartes e il Seicento. Saggi. Nuova serie», 1), 174 pp. Indice del volume: 1. Il piacere di una caccia senza preda. Fare storia delle filosofie: costruzione e decostruzione, p. 1 (testo italiano della relazione francese presentata il 25 settembre 2014 in apertura dell’incontro promosso a Roma dall’Institut International de Philosophie sul tema “Les relations de la philosophie avec son histoire”; apparso sul «Giornale critico della filosofia italiana», si veda 2014, n. 246); 2. Michel de Montaigne ou «le plaisir de la variété», p. 22 (traduzione francese, con qualche variante, della prefazione all’antologia dell’edizione spagnola degli Essais di Montaigne, si veda 1997, n. 160; 3. La saggezza scettica di Pierre Charron, p. 40 (pubblicato in «De homine», si veda 1967, n. 49); 4. «Il libro scandaloso» di Pierre Charron, p. 55 (pubblicato in Etica e religione nella critica libertina, si veda 1986, n. 110); 5. Pierre Gassendi nel IV centenario della nascita, p. 71 (testo italiano del discorso di apertura del “Colloque International Pierre Gassendi”, pubblicato in «Giornale critico della filosofia italiana», si veda 1992, n. 140); 6. Il libertinismo erudito, p. 93 (pubblicato in Etica e religione nella critica libertina, Aristotelismo e libertinismo, p. 115 (pubblicato in «Giornale critico della filosofia italiana», si veda 1982, n. 93, e negli atti del Convegno Internazionale di Studi su “Aristotelismo veneto e scienza moderna”, si veda 1983, n. 95); 8. Apologeti e libertini, p. 127 (pubblicato in «Giornale critico della filosofia italiana», si veda 2000, n. 179); Appendice: Tullio Gregory incontra Cartesio. Commentario (direzione scientifica) in GIORGIO SIDERI DETTO CALAPODA, Portolano 6. 1550, Roma, Treccani, 2016, 236 pp. 258. Ereditare e tradurre, Modena, Consorzio Festivalfilosofia, 2016 («Paginette»), 24 pp. 259. Postfazione “La cultura del vino” in MARCELLO MASI, ROCCO TOLFA, Signori del vino, prefazione di Carlo Petrini, Roma, Rai Eri, 2 Bibliografia di Tullio Gregory – 2017 torna su 2017 esci 260; “L’ambigua dignità dell’uomo moderno” «Quaderni di storia», Bibliografia di Tullio Gregory – 2018 torna su 2018 esci 261. Considerazioni per una storia del pensiero scientifico altomedievale, «Studi medievali», Veritates in mensa, Modena, Consorzio Festivalfilosofia («Paginette»), La biblioteca dei Lincei: percorsi e vicende, Letture corsiniane, Roma, Bardi Edizioni, 2019, 24 pp. 264. Fra i miei libri, «Giornale critico della filosofia italiana», Fra i miei libri, «Voci», Istituto Enciclopedia Italiana, Sapida scientia. Percorsi gastronomici da Il Sole 24 ore (1999-2018), Roma, ILIESI, 2019, 217 pp. Raccolta degli articoli di carattere gastronomico pubblicati tra il 1999 e il 2018 su Il Sole 24 ore. Stampato in numero limitato di esemplari in occasione del novantesimo compleanno di Tullio Gregory.   74Tullio Gregory. Gregory. Keywords: implicatura clandestina, clandestino – cognate with celare and occolto -- terminologia filosofica, libertinismo, filosofia clandestine, il libertino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gregory: l’implicatura” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754581552/in/dateposted-public/

 

Grice e Griffero – l’inter-soggetivo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Asti). Filosofo: Grice: “I like Griffero; for one, he has a taste for neologisms, like his atmospherelogy – He has understood that aesthesis, qua sensatio, is the basis for aesthetics, and he has explored the philosophies of Tarso, Spranger, and Schelling!” Insegna a Roma. Studia a Torino sotto Vattimo su“L’ermeneutica.” Studia Betti (“Interpretare. La teoria di Betti e il suo contesto” – Rosemberg,Torino) ed il concetto di spirito e forma di vita. La filosofia della cultura (Angeli, Milano). Si dedica al rapporto tra arte e mito, scrivendo poi Senso e immagine. Simbolo e mito (Guerini, Milano), Cosmo Arte Natura. Itinerari  (Cuem, Milano), nel quale si concentra sulle caratteristiche del real-idealismo, e infine una ricostruzione dell'apporto dato da questo autore all'estetica filosofica (Estetica -- Laterza, Roma).  La nozione di "immaginazione transitiva", è invece affrontata in “Immagini Attive: beve storia dell'immaginazione transitiva (Monnier, Firenze). Ricostruisce la storia della credenza secondo cui una fantasia particolarmente forte sarebbe in grado di agire, cambiando o addirittura generando la realtà esterna.  In Realismo e Idealismo (Nike, Segrate) analizza il Pietismo Speculativo. La corporeità spirituale è il "fine ultimo delle opere di Dio. L'ampia storia del concetto e esposta in Il corpo spirituale. Ontologie sottili" (Mimesis, Milano).  La ricerca sulla fenomenologia del corpo e della percezione e l'estetica delle atmosfere è affrontata in “Atmosferologia. Estetica degli spazi emozionali (Laterza, Roma). Nel libro Quasi-cose. La realtà dei sentimenti (Mondadori, Milano ) indica e analizza sulla scorta dei un'estetica neo-fenomenologica i sentimenti atmosferici, il dolore, la vergogna, lo sguardo, il crepuscono, il corpo vissuto come quasi-cose, entità aggressive e decisive per la nostra esistenza senza essere riducibili al paradigma cosale tipico della tradizione occidentale   Il pensiero dei sensi. Atmosfere ed estetica patica (Guerini, Milano) delinea, a partire dalla nozione estetico-fenomenologica di “atmosfera”, i contorni di un'estetica orientata non allo gnosico ma al patico, che non tematizza un oggetto (come una espressione) speciali come le opere d'arte ma il modo in cui “ci si sente” quando ci si espone, soprattutto involontariamente, ai sentimenti presenti nell'ambiente circostante.  Il tema è sviluppato, esteso a considerazioni sull'atmosfericità del linguaggio, sulla presenza e la inter-soggettività re-interpretate in chiave fenomenologica. Altre opera: Storia dell'estetica (Nuova Cultura, Roma).  5. Quali atmosfere per quali spazi? Dicendo, con precisione tutt’altro che metaforica (cfr. Griffero 2010d) che, ad esempio, l’aria si è fatta pesante e il suono opprimente, l’odore penetrante e il silenzio solenne, ci si riferisce non certo allo spazio locale ma allo spazio assoluto e predimensionale (più o meno transitorio) delle “isole” leiblich. Ne viene – ed è ciò che ovviamente più interessa nel nostro più generale progetto atmosferologico (cfr. Böhme 1995, Griffero 2010 e Griffero 2014) – che lo spazio non locale del sentimento (Gefühlsraum)14, permeato cioè da sentimenti o tonalità emotive (Gefühle o Stimmungen) (cfr. Schmitz 1969), intesi ora come atmosfere, come quasi-cose caratterizzate (quanto meno nella loro forma 12 Una spazialità a rigore non solo non tridimensionale, ma neppure bidimensionale (superficie), monodimensionale (retta) o non-dimensionale (nel senso in cui lo è il punto). 13 L’abitare è per Schmitz, propriamente, cultura-coltivazione dei sentimenti in uno spazio recintato. 14 La tesi secondo cui «i sentimenti sono spazialmente estesi [...] sarebbe inconcepibile o addirittura comica se si riferisse allo spazio locale», giacché in tal caso «un sentimento sarebbe forse una sorta di sfera o un triangolo nel ventre o in prossimità della testa» (Schmitz 1990, p. 292). © SpazioFilosofico 2014 – ISSN: 2038-6788  351  prototipica e cioè oggettivo-distonica) da direzioni abissali, costituisce l’apriori di ogni nostra esperienza, specialmente involontaria. Come le valenze espressive delle singole cose e persone possono invitarci a fare o respingere qualcosa, così le affordances dello spazio del sentimento, irriducibili all’assetto ottico e agli effetti solo pragmatici cui pensa James Gibson, portano infatti in luce l’articolazione decisamente anisotropa (atmosferica) della nostra Lebenswelt. Ma, se avvertire un’atmosfera significa avvertire la qualità affettiva e leiblich “espressa” (un termine da non concepire, in una radicale Erscheinungswissenschaft, nel senso dell’estroflessione di un interno) dai nostri “intorni”, occorre da ultimo interrogarsi sulle atmosfere specifiche dei tre livelli di spazialità menzionati. Allo spazio della vastità c) corrispondono le atmosfere letteralmente s-confinate delle Stimmungen pure, come tali alla base dell’intero edificio della vita emozionale. Troviamo qui da un lato l’estensione piena della soddisfazione, concepibile non come gioia ma come quieto equilibrio (nel senso, ad esempio, dell’intimità famigliare), e dall’altro l’estensione vuota della disperazione, concepibile più come la medioevale acedia o l’ennui (nel senso, ad esempio, della lieve noia che ci coglie nelle stazioni o al cospetto del graduale impallidire serale delle cose) che non come un cruccio opprimente. Allo spazio direzionale b) corrispondono, invece, tre forme di atmosfere vettoriali. Anzitutto b1) le Erregungen pure, vale a dire emozioni strutturate e tuttavia diffuse e prive di un vero tema specifico (per questo abgründig per Schmitz), le quali, contrariamente alle fondamentali direzioni leiblich, possono essere anche centripete, aggredirci ab extra pur in assenza di una fonte precisa (cosa o quasi-cosa che sia) e quindi di una “ragione”. E poi b2) le emozioni “centrate”, le cui terminazioni e condensazioni in un oggetto (quando la Sehnsucht, ad esempio, si precisa come amore), in quanto tali responsabili della (secondo Schmitz fuorviante) teoria dell’intenzionalità dei sentimenti15, possono essere unilaterali (esaltanti o deprimenti), onnilaterali, centrifughe (come la Sehnsucht), centripete (come la paura e la sfiducia indeterminate), ma anche indecise, come nel caso del “presentimento”. Allo spazio locale a), infine, corrispondono16 le atmosfere generate dagli oggetti e dalla loro collocazione, relativa fin che si vuole nella spazialità locale eppure su di noi intensamente “attiva”, ad esempio in virtù di qualità espressive che, eccedendo di gran lunga l’ufficio delle proprietà − in linea di principio accidentali e parassitarie rispetto a un substrato sostanziale (nei sentimenti atmosferici assente in linea di principio) −, fungono da vere e proprie “estasi” (cfr. Böhme 2001, pp. 193-210). Quasi fossero i “punti di vista” con cui le cose in un certo senso escono da se stesse (cfr. Griffero 2005) e che appaiono inspiegabili come mera espressione di un interno (qui propriamente inesistente), le atmosfere o estasi delle cose paiono analoghe a potenze 15 I presunti sentimenti intenzionali – l’ira, ad esempio − sarebbero meglio spiegabili, come sentimenti atmosferici centrati, chiamando in causa una dissociazione tra punto di ancoraggio (lo stato di cose che suscita l’ira) e zona di condensazione (l’uomo o l’oggetto con cui si è adirati): due elementi di solito poco connessi sotto il profilo causale o logico (gestalticamente: figura/sfondo), visto che – ed è forse illogico ma adattivamente funzionale! – si teme, ad esempio, più la persona che potrebbe ucciderci (condensazione) che non la morte come tale (cfr. Schmitz 2007, p. 64). 16 Ma Schmitz qui obietterebbe che, le atmosfere non essendo per lui intenzionalmente producibili e riducibili a cose singole (giusta una più generale campagna contro la forma mentis singolaristica su cui non possiamo qui fermarci), le impressioni suscitate dalle cose non sarebbero autentiche atmosfere. 352   demoniche (numinose) indipendenti dalla nostra volontà. Sono, in altri termini, qualità espressive (inviti, affordances), nella cui manifestazione in certo qual modo le cose si esauriscono, esattamente come il vento coincide col proprio soffiare (cfr. Griffero 2013b). Sono modi-di-essere pervasivi (cfr. Metzger 1941, pp. 77-78) che, generando lo spazio affettivo cui il soggetto accede, danno vita a una co-presenza (proprio-corporea, anzitutto, ma anche sociale e simbolica) di soggetto e oggetto, a un “tra” (un tema caro a Böhme) anteriore alla distinzione soggetto/oggetto, a una relazione che paradossalmente (per la logica ordinaria, s’intende) dev’essere anteriore ai suoi relati, pena una ricaduta nel dualismo aborrito.Tonino Griffero. Griffero. Keywords: l’inter-soggetivo, Betti, ermeneutica, fenomenologia, Vico, il circolo dell’implicatura, implicatura ammosferica-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Griffero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754816486/in/dateposted-public/

 

Grice e Grimaldi – implicatura anti-peripatetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cava de’ Tirreni). Filosofo. Grice: “I have spoken of ‘magic’ – “two kinds of magic’ – actually, for Grimaldi there are THREE: ‘black magic,’ ‘artificial magic,’ and my favourite, ‘natural magic’!” Nacque da nobile famiglia locale di origini genovesi. Compì i suoi studi avvicinandosi a Cartesio, di cui fu seguace e fece parte del gruppo chiamato degli epigoni dell'Accademia degli Investiganti. Consigliere Regio. Scrive numerose opere, raccolte poi in "Istoria dei libri di don Costantino Grimaldi, scritta da lui medesimo". Tra quelle più note si possono elencare le “Considerazioni intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di Napoli” (Napoli), le “Discussioni filosofiche” (Lucca), la “Dissertazione sulle tre magie, naturale, artificiale e diabolica (Roma). Il figlio gli dedicò "Ragioni genealogiche a' favore della Famiglia Grimaldi del Sig. Cons. D. Costantino Grimaldi. Colli signori Grimaldi di Seminara, e con quelli patrizj di Catanzaro" F. A. Meschini, nel Dizionario Biografico degli Italiani, indica Napoli come città natale. Memorie di un anticurialista del Settecento. Testo, introduzione note V.I. Comparato. Firenze, Olschki, Biblioteca dell'«Archivio storico italiano»,  Franco Aurelio Meschini, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana  Anticurialismo.  GRIMALDI, Costantino. - Nacque a Napoli il 30 genn. 1667 da Francesco Antonio e Antonia Cacace. Ebbe come maestro per le belle lettere e l'oratoria Matteo Taurini. Spinto dallo zio Scipione, sacerdote secolare, a frequentare le Scuole pie di largo dello Spirito Santo, vi strinse amicizia con il padre Tommaso di S. Tommaso d'Aquino, dal quale apprese la filosofia aristotelica. Dopo l'anno di logica, al termine del quale sostenne alcune pubbliche conclusioni, proseguì gli studi non di metafisica, come avrebbe voluto, bensì, per volere paterno, di legge, sotto Domenico Radesca e Matteo De Lellis. Lesse poi, per proprio conto, E. Tesauro, F. Piccolomini e, per i casi di coscienza, la summa di A. Diana e l'opera di M. Bonacina. A sedici anni, con la dispensa del Collaterale per la giovane età, ottenne la laurea.  Prese quindi a frequentare il foro, senza tralasciare, tuttavia, lo studio delle belle lettere sotto la guida del leccese Luca Giordano che lo avviò alla lettura dei moderni: L. Di Capua, T. Cornelio, R. Boyle, P. Gassendi, R. Descartes. Non trascurò i classici, Cicerone e Quintiliano sopra tutti, studiò lo spagnolo e il francese, i rudimenti della geometria su Euclide e la medicina sotto la guida di Tommaso Donzelli. Di lì a poco prese a frequentare il circolo di Giuseppe Valletta e strinse amicizia con diversi personaggi illustri: Francesco Billio, Filippo Anastasio, Giuseppe Lucina, Giacomo Grazini, Domenico Greco, Antonio Monforte, Giacinto Di Cristofaro, Niccolò Capasso, Niccolò Cirillo, Matteo Egizio, Ottavio Ignazio Vitagliano, Amato Danio, Felice Stocchetti.  È di questi anni l'idea, cara all'ambiente vallettiano, di una storia universale della filosofia, che il G. concepì in contrapposizione al gesuita Giovan Battista De Benedictis. Questi nel 1694, sotto lo pseudonimo di Benedetto Aletino, aveva dato alle stampe a Napoli le Lettere apologetiche in difesa della teologia scolastica e della filosofia peripatetica: cinque lettere indirizzate a personaggi fittizi (ma facilmente identificabili) e reali dell'ambiente investigante. La necessità di una risposta al gesuita fu immediata; lo stesso G. fornisce l'elenco di quanti risposero o manifestarono l'intenzione di rispondere: Giuseppe Lucina, Filippo Anastasio, Francesco D'Andrea, Domenico Greco e Giuseppe Magrino. Da parte sua il G. in un primo momento (è lui stesso a ricordarlo) pensò di rispondere indirettamente, compilando la sopra ricordata storia, che avrebbe dovuto seguire lo sviluppo della filosofia nelle singole nazioni, soprattutto nel suo sorgere presso i Greci, nel passaggio ai Romani, quindi agli Arabi e infine ai moderni.  Quando apparve chiaro che le risposte attese o annunciate non avevano raggiunto lo scopo o che addirittura erano destinate a restare allo stato di progetto, mentre peraltro l'Aletino e i suoi sostenitori continuavano nell'offensiva contro i moderni, il G. si accinse a rispondere al gesuita.  Le tre risposte del G. videro la luce tra il 1699 e il 1703. Nella prima (Risposta alla lettera apologetica in difesa della teologia scolastica di Benedetto Aletino. Opera nella quale si dimostra esser quanto necessaria ed utile la teologia dogmatica e metodica, tanto inutile, e vana la volgar teologia scolastica, stampata a Ginevra per l'interessamento di C. Musitano, presso Tournes, ma datata da Colonia presso S. Hecht), pubblicata anonima, il G. muove dalla distinzione (già in Valletta) tra una buona e una cattiva (volgare) scolastica: la prima che non si discosta dalla Sacra Scrittura, dalla tradizione, dai Padri, dai concili, dall'autorità, la seconda che, al contrario, non fa debitamente ricorso alla tradizione e pretende di provare le verità di fede con la sola ragione umana, muovendo dalla filosofia. Descartes, che secondo uno schema consueto ai novatoresnapoletani viene accomunato spesso a Gassendi, è presentato come estremamente rispettoso nei confronti della sacra dottrina, in contrapposizione a quei filosofi che dialettizzavano la teologia.  La Risposta, di cui ben presto si conobbe il nome dell'autore, procurò al G. notevole fama e apprezzamento anche fuori del Regno e lo mise in contatto con letterati illustri, tra cui G.V. Gravina, L.A. Muratori, A. Magliabechi, J. Mabillon. Nella seconda risposta (Risposta alla seconda lettera apologeticadi Benedetto Aletino. Opera utilissima a' professori della filosofia, in cui fassi vedere quanto manchevole sia la peripatetica dottrina, 1702), non più anonima, data la favorevole accoglienza della prima, e stampata realmente a Colonia "perché trovò le stamperie occupate in Ginevra", sono affrontati più direttamente i problemi della filosofia aristotelica e del suo rapporto con la fede e con la dottrina cristiana.  Con abile mossa il G. trasforma questa seconda risposta in un serrato attacco ad Aristotele, proprio sul terreno più caro all'Aletino, l'affidabilità teologica dello Stagirita. Sulla base di un sapiente incastro di testi (F. Patrizi, P. Ramo, P. Gassendi, ma anche gesuiti come Juan Maldonado, Antonio Possevino, Michel Elizade o domenicani come Melchior Cano) e di abili argomentazioni, il G. dimostra come alla luce dei principî aristotelici diventino insostenibili i cardini della fede cristiana: la provvidenza, la creazione, l'immortalità dell'anima; e, sul versante della scienza, la corruttibilità dei cieli. Diversamente, i moderni, Descartes sopra tutti, hanno professato dottrine non in contrasto con le Scritture: ne è esempio l'impegno del filosofo francese per conciliare la dottrina eucaristica con la sua concezione della res extensa.  Alla terza risposta (Risposta alla terza lettera apologetica contra il Cartesio creduto da più d'Aristotele di Benedetto Aletino. Opera in cui dimostrasi quanto salda e pia sia la filosofia di Renato delle Carte e perché questa si debba stimare più d'Aristotele, 1703), stampata questa volta in Napoli da G. Rosselli, ma sempre con l'indicazione di Colonia (perché senza la licenza dell'arcivescovo), è affidata la difesa di Descartes dagli attacchi dell'Aletino.  Questa risposta, più ancora delle prime due, rappresenta uno fra i più importanti documenti nella diffusione del pensiero e delle opere di Descartes in ambiente napoletano. Il G. appare, anzi, come uno dei più attenti, se non il più attento interprete partenopeo del filosofo francese, sia per la conoscenza pressoché integrale del corpuscartesiano allora disponibile, comprese le lettere e gli Opuscula postuma, sia per l'acume interpretativo. Descartes, "il miglior filosofante di ogni tempo", viene visto soprattutto muovendo dalla sua metafisica: "È ben noto che non solamente il metafisico sistema cartesiano s'aggiri tutto intorno alla cognizione d'Iddio […] ma il sistema ancor fisico tutto quanto è, suppone necessariamente per fabro, e regolatore il supremo facitore" sicché "togliendosi per ipotesi il darsi Iddio, caderebbe e si ridurrebbe a nulla la macchina del Cartesiano sistema" (pp. 186-188). Questa piegatura metafisica, nuova rispetto a pensatori come Valletta e D'Andrea e più in generale all'ambiente investigante e a quello dell'Accademia di Medina Coeli, permise al G. di allontanare da Descartes la pericolosa accusa di collusione con l'atomismo antico, e di inserirlo nell'alveo della tradizione di Platone e di Agostino, di cui, in particolare, Cartesio è detto "fido seguace". Tutti i temi e i testi della metafisica cartesiana, in un discorso che è al tempo stesso giustificazione e ricostruzione del moto rinnovatore napoletano che da quei testi aveva tratto alimento, sono passati in rassegna: il dubbio, il cogito ergo sum, il criterio dell'evidenza (ove grande importanza è data al momento dell'intuitus, il "guardo"), le dimostrazioni dell'esistenza di Dio. Esaminata e così difesa la metafisica, la fisica cartesiana, di cui il G. discute il ruolo delle ipotesi (diverse dalle supposizioni dei poeti e degli astronomi, spesso impossibili), appare se non più agevole, certo più sicura. Il G., che difende al tempo stesso Descartes e Leonardo Di Capua, polemizza non solo con l'Aletino ma anche con talune sue fonti come il padre G. Daniel e soprattutto l'astronomo Pierre Petit, che l'Aletino aveva indicato come propria guida. Vengono così discusse, cogliendone precisamente i nessi, le principali concezioni fisiche del filosofo francese: il corpuscolarismo legato al rifiuto delle forme sostanziali (concetto applicabile solo all'anima "ragionevole"); la riduzione della materia a estensione e negazione del vuoto; l'universo indefinito (non infinito come gli attribuiva l'Aletino), costituito dal moto che Dio ha impresso alla materia; l'accettazione del principio inerziale, da cui discende che il cosmo è retto dalle leggi del moto e liberato da ogni visione antropomorfica e finalistica. Con questo cosmo materiale l'uomo, non più centro dell'universo, intrattiene un rapporto grazie alle sensazioni e alle passioni, che sono in vista della conservazione e della salvaguardia del composto anima e corpo.  Nel 1703 uscì una replica dell'Aletino alla terza Risposta del G., la Difesa della scolastica teologia, ed ebbe inizio anche lo scambio di accuse tra i due presso il Sant'Uffizio, che diede il via a una serie di relazioni e controrelazioni. Nonostante ciò, il G. trovò a Roma un clima non del tutto sfavorevole, soprattutto tra i prelati filogiansenisti, e l'opera poté liberamente circolare; anzi, grazie soprattutto all'interessamento di A. Magliabechi (cfr. lettera del G. a Magliabechi del 13 marzo 1703, Firenze, Biblioteca nazionale, Magl., VIII.671), ebbe una notevole diffusione in Italia e fuori. Tra il 1703 e il 1704 il G. abbozzò le risposte contro la IV e la V lettera del gesuita. Nel 1704 venne colto da un colpo apoplettico e l'anno dopo l'Aletino (insinuando che il 28 febbr. 1704 s. Ignazio avesse colpito il G. perché aveva osato "malmenar" la sua Compagnia) intervenne nuovamente con una Difesa della terza lettera apologetica di Benedetto Aletino. La morte improvvisa del gesuita, l'anno successivo (il G. non mancò qualche anno più tardi di vendicarsi delle insinuazioni dell'Aletino, collegando la sua morte a una punizione celeste), la sua stessa malattia, la denuncia alla congregazione romana delle tre risposte, il fatto che altri avessero risposto alla replica dell'Aletino (Filippo Anastasio diede fuori uno scritto, che non venne pubblicato, ma il G. ebbe modo di leggerlo), sono tra i motivi per cui il G. non volle dar seguito allora alla polemica; nello stesso periodo, tuttavia, mise mano a un'Analisi del modo di teologare, il cui bersaglio era pur sempre la teologia scolastica, che l'autore non portò a termine perché chiamato (direttamente dalla corte di Barcellona, su consiglio di Nicolò Caravita) a difendere gli editti regi in materia di benefici ecclesiastici nel Regno di Napoli contro la Curia romana.  Il G., che aveva già ricoperto cariche in seno all'amministrazione (governatore dell'arrendamento dei ferri in Terra di Lavoro e deputato dell'arrendamento del tabacco), venne chiamato a questo incarico il 20 luglio 1708. La pretesa del re Carlo d'Asburgo, espressa negli editti, di conferire benefici ecclesiastici solo a regnicoli, contro la pretesa della Curia romana, venne dunque sostenuta dal G. nelle Considerazioni teologico-politiche fatte a pro degli editti di s. maestà cattolica intorno alle rendite ecclesiastiche del Regno di Napoli (I-II, Napoli 1708-09), che furono recensite nel IV supplemento degli Acta eruditorum del 1711 (pp. 369 s.). La risposta di Roma non si fece attendere: il 17 febbr. 1710 la Curia emanò una bolla che colpiva, con le opere di Alessandro Riccardi e Gaetano Argento, la prima parte del Trattato delle considerazioni teologico-politiche, mentre la seconda parte veniva raggiunta dalla censura neppure un mese dopo, il 24 marzo. Il G., che nel 1709 era stato nominato consigliere straordinario del tribunale di S. Chiara (diverrà ordinario il 28 febbraio dell'anno successivo), preparò contro il testo della censura (la cui stesura si doveva al benedettino Nicolò Maria Tedeschi) un Avviso critico et apologetico intorno alla bolla, et alla censura fatta a' libri intitulati Considerazioni teologico-politche, che circolò manoscritto negli ambienti anticuriali napoletani.  Morto l'Aletino, la polemica con i gesuiti non cessò: in un processo che li riguardava essi ricusarono il G. come giudice, facendo leva sulla passata polemica con il loro confratello e ottennero poi, con l'appoggio del reggente S. Biscardi, l'esclusione del G. da tutti i processi in cui fosse coinvolta la Compagnia, con una sentenza del Collaterale del 19 dic. 1710. Il G., che cercò inutilmente di ottenere la revoca del decreto (facendo anche intervenire L.A. Muratori presso il viceré Carlo Borromeo Arese, di cui l'abate modenese era amico), ebbe tuttavia dalla sua parte Gaetano Argento e il reggente Gaetano Rubini. Numerosi consulti negli anni successivi testimoniano la sua attività di consigliere. In questi stessi anni il G. riprese in mano le risposte all'Aletino con l'intenzione di pubblicarne una nuova edizione. Le controverse vicende della stampa sono documentate dal G. stesso nelle sue Memorie, ora pubblicate, a cura di V.I. Comparato, con il titolo Memorie di un anticurialista del Settecento, Firenze 1964. Terminata la stesura dell'opera il G., il 29 marzo 1719, chiese la licenza di stampa al Collaterale (non all'arcivescovo, precisa lo stesso G., per l'illegittimità, a suo avviso, della licenza ecclesiastica); si rivolse quindi allo stampatore Nicolò Parrino, che, iniziata la stampa, la sospese di lì a poco su pressione di ambienti curiali. A questo punto il G., secondo una prassi invalsa, ottenuti dallo stesso Parrino i caratteri, continuò la stampa in casa propria. Gli ostacoli e gli equivoci erano, tuttavia, ben lungi dall'essere superati: il cardinale Francesco Pignatelli, arcivescovo di Napoli, cercò, infatti, di far interrompere la stampa, senza però riuscirci; d'altro canto il viceré, cardinale Michail Friedrich d'Althan, che in un primo momento aveva fatto intendere che avrebbe gradito che l'opera gli fosse dedicata - cosa che il G. fece - sollevò mille difficoltà, cui il G. rispose punto per punto, finché "vidde, ed odorò che il signor viceré non facea più da viceré, le cui parti altre certamente sarebbero state, ma da ministro di Roma, e da esecutore delle voglie altrui, non ascoltando altro che gl'impulsi venutigli da colà" (ibid., p. 54). I volumi, già stampati, vennero sequestrati, salvo quelli che il G. aveva fatto circolare tra gli amici. Tre copie vennero inviate a Roma per il tramite del cardinale Àlvaro Cienfuegos, ministro plenipotenziario austriaco. Una di queste venne fatta pervenire direttamente al pontefice. Il 23 sett. 1726 arrivò la condanna della congregazione dell'Indice, che colpiva sia la prima sia la seconda edizione delle Risposte. Il G. affidò la sua difesa a un memoriale in cui rivendicava il fatto che la prima edizione delle Risposte fosse passata immune per ben tre volte all'esame del Sant'Uffizio.  La nuova edizione, intitolata Discussioni istoriche, teologiche, e filosofiche di Costantino Grimaldi fatte per occasione della risposta alle lettere apologetiche di Benedetto Aletino (I-III, Lucca 1725), contiene, in realtà, alcune importanti aggiunte, che danno conto soprattutto delle letture che in quegli anni il G. andava facendo e di nuovi legami maturati anche al di fuori dell'ambiente napoletano: in particolare Mabillon e Muratori, Jean Le Clerc e Noël Alexandre. Gli interventi più significativi sono nella prima risposta, con una più convinta difesa del giansenismo, che è al tempo stesso presa di posizione per un cristianesimo nutrito delle Sacre Scritture. Ciò significava anche, nel momento in cui veniva tolta alla ragione la giurisdizione sulla fede, liberare il campo della filosofia dalle intrusioni teologiche e difendere quella libertas philosophandi che era stata e continuava a essere la bandiera dei novatores. Le risposte alla quarta e alla quinta lettera, rimaste manoscritte e ora conservate presso la Biblioteca nazionale di Napoli, furono redatte in un lasso di tempo che presumibilmente va dagli anni immediatamente successivi alla pubblicazione della terza risposta a dopo il 1724. Nella quarta risposta il G. attinge a pensatori come Pierre Bayle e Richard Simon, a libertini come François de La Mothe Le Vayer e Gabriel Naudé, alla cultura investigante, sempre a Descartes, ma anche a Nicolas Malebranche. E, tuttavia, è soprattutto il Muratori, con le sue Riflessioni sopra il buon gusto, a rappresentare in questa fase, in cui la polemica con l'Aletino è ormai piuttosto un pretesto, un punto di riferimento. La scolastica è attaccata sia nel suo interprete più ortodosso, Tommaso d'Aquino, la cui valorizzazione di Aristotele non può servire ai sostenitori del filosofo greco perché filologicamente non sorretta dalla conoscenza del greco, sia nel suo ispiratore principe e cioè Aristotele stesso, di cui il G. passa in rassegna gli errori nelle varie scienze. A essi, tuttavia, il G. non contrappone un nuovo corpusdottrinale, bensì, con un atteggiamento caro ai moderni, il metodo, aprendosi a una vera e propria apologia della ricerca.  Non mancano altresì affermazioni che nella sostanza suonano anticartesiane, soprattutto nella direzione di un certo vitalismo della tradizione naturalistica meridionale. Nella quinta risposta, Per la scelta d'Aristotele in maestro contro a' libertini ed atomisti, il G. affronta il tema dell'ateo virtuoso e, per spezzare la relazione tra atomismo e ateismo, cavallo di battaglia dell'Aletino, ribalta l'accusa di ateismo su Aristotele, che per di più è giunto in Occidente attraverso la mediazione irreligiosa di Averroè ed è all'origine sia degli errori di P. Pomponazzi sia, ancor più, di B. Spinoza. La fortuna della filosofia aristotelica, d'altro canto, era nata, secondo il G., dalla crisi della cultura nel Medio Evo e ora era in declino proprio per l'avanzamento della verità, grazie, soprattutto, alle scienze sperimentali.  L'opera, che si conclude con un'apologia della ragione e dell'esperienza, contiene anche i germi di quel riformismo cattolico che troverà in Muratori più compiuta maturazione: diminuzione delle feste religiose, superamento della condanna sull'usura, rifiuto del magico e del diabolico. Rinnovamento che passa - ciò è una costante nelle opere del G. - attraverso la comprensione critica della storia ecclesiastica, meglio, attraverso la storia ecclesiastica quale strumento critico della disciplina se non della dottrina.  Tra il 1729 e il 1733, cioè dall'uscita di scena del viceré d'Althan all'avvento degli Austriaci, il G. trascorse uno dei periodi più tranquilli della sua vita e al tempo stesso più intensi per la sua attività politica: insieme con Biagio Garofalo compilò la lista delle "proposizioni ingiuriose alla potestà de' principi" nelle Riflessioni morali e teologiche, scritte dal gesuita G. Sanfelice contro P. Giannone, prese parte al progetto di riforma dell'Università di Napoli, appoggiò la candidatura di Biagio Garofalo a teologo del Collaterale e di Celestino Galiani alla cappellania maggiore del Regno. Il ritorno a Napoli degli Spagnoli con l'avvento di Carlo di Borbone segnò una nuova svolta negativa nella vita del G., nei cui confronti venne aperta un'inchiesta, ancora una volta in base alle accuse della corte di Roma e dei gesuiti, in seguito alla quale, nel 1735, perse la carica di consigliere, non senza, tuttavia, che il re riconoscesse il suo valore: gli venne, infatti, concesso "l'onor della toga e l'intiero soldo".  È in questo momento che il G. pose mano all'Istoria de' libri di Costantino Grimaldi scritta da lui medesimo, con l'intento di difendere il suo operato; fonte preziosa che permette di seguire la genesi delle sue opere e delle polemiche in cui fu impegnato. Per ottenere il passaggio delle sue opere censurate dalla prima alla seconda categoria dell'Indicedovette adoperarsi con tutte le forze, ricorrendo agli amici, facendo appello a tutta la Curia romana e giungendo, infine, a una ritrattazione (1736) che, a sua insaputa e con suo disappunto, venne pubblicata l'anno successivo nelle Novelle letterarie di Venezia.  Negli anni successivi visse appartato, continuando a intrattenere rapporti epistolari con vari rappresentanti della repubblica letteraria, in particolare G.M. Mazzuchelli. A questo invierà l'Elogium che gli aveva dedicato il padre Casto Innocente Ansaldi, insieme con le Discussioni storiche e una versione abbreviata dell'Istoria de' libri, scritta nel 1735, cui aggiunse le notizie relative agli anni successivi al 1734 e cenni sulla sua giovinezza, materiali questi che Mazzuchelli utilizzerà per le Notizie storiche e critiche intorno alla vita e agli scritti di C. G., pubblicate l'anno dopo della morte del G. nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici di A. Calogerà.  Il 17 febbr. 1744 il G. fu arrestato, con l'accusa di intrattenere corrispondenza con gli Austriaci, insieme con il figlio Gregorio, che fu poi relegato nell'isola di Pantelleria. Il G. restò in carcere quaranta giorni (Vat. lat., 9281, cc. 130-140). Dello stesso anno è una Lettera apologetica indirizzata al padre Sebastiano Paoli sull'involuzione della liturgia nel Medioevo (tema ripreso il 23 maggio dello stesso anno e il 30 nov. 1745 in due lettere a Mazzuchelli). Polemiche attardate, come quella durante la crisi napoletana del Sant'Uffizio nel 1746-47 allorché il G. compose il trattato Sciagura maggiore…, rimasto manoscritto, in cui riproponeva la lotta anticuriale a favore del sovrano e contro l'intrusione del potere di Roma. L'ultimo scritto del G., pubblicato postumo (Roma 1751; rist. anast. Milano 1974) a cura del figlio Ginesio, è una Dissertazione in cui si investiga quali sieno le operazioni che dependono dalla magia diabolica e quali quelle che derivano dalle magie artificiale e naturale.  Il G. morì a Napoli il 16 ott. 1750.  Dei tredici figli avuti dal matrimonio (1692) con Giovanna de' Marzi, morta durante la sua prigionia, gli sopravvissero Gregorio e Ginesio, Bernardo, chierico e abate di S. Maria della Misericordia a Itri, Aniceto e Teodosio, monaci olivetani, e tre femmine.  Il G. intrattenne un'ampia corrispondenza: in particolare le sue lettere al Magliabechi sono conservate nella Biblioteca nazionale di Firenze, quelle al Muratori nell'Archivio Muratoriano di Modena, quelle al Bottari, infine, presso la Biblioteca Corsiniana di Roma.  Fonti e Bibl.: Biblioteca apost. Vaticana, Vat. lat., 9281, cc. 130-140: Viri clarissimi Costantini Grimaldi senatoris Neapolitani elogium authore P. C.I. A. O.P. [C.I. Ansaldi]; G. Grimaldi, Lettera di Claristo Licenteo [Licunteo]scritta al signor Rodolfo Grandini, in cui si essaminan due luoghi del signor Francesco Maradei in persona del regio consiglier d. C. G., s.l. 1716; Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, a cura di A. Quondam - M. Rak, Napoli 1978; G.G. Scarfò, Opuscoli, III, Napoli 1727, pp. 56 s.; G.M. Mazzuchelli, Notizie storiche e critiche intorno a C. G., in A. Calogerà, Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, XLV, Venezia 1751; Index librorum prohibitorum, Roma 1758, p. 17; M. Delfico, Elogio di C. G., Napoli 1784; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del Regno di Napoli, III, Napoli 1787, s.v.; M. Schipa, Il Muratori e la coltura napoletana, in Arch. stor. per la provincie napoletane, XXVI (1901), pp. 553-649; P. Sposato, Le "Lettere provinciali" di Biagio Pascal e la loro diffusione a Napoli durante la "rivoluzione intellettuale" della seconda metà del secolo XVII, Tivoli 1960, pp. 27-47, 72-100; N. Badaloni, Introduzione a G.B. Vico, Milano 1961, passim; E. Boscherini Giancotti, Nota sulla diffusione della filosofia di Spinoza in Italia, in Giorn. critico della filosofia italiana, XLII (1963), pp. 339-362; R. Ajello, Il preilluminismo giuridico, Napoli 1965, pp. 146 s.; V.I. Comparato, Ragione e fede nelle discussioni istoriche, teologiche e filosofiche di C. G., in Id., Saggi e ricerche sul Settecento, Napoli 1968, pp. 48-93; B. De Giovanni, "De nostri temporis studiorum ratione" nella cultura napoletana del primo Settecento, in A. Corsano et al., Omaggio a Vico, Napoli 1968, pp. 141-191; B. De Giovanni, Il ceto intellettuale a Napoli fra la metà del '600 e la restaurazione del Regno, Napoli 1968, pp. 35, 37 s., 43, 83 s.; F. Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torino 1969, pp. 31-33, 83, 87, 322, 375, 388, 532; V.I. Comparato, Giuseppe Valletta e le sue opere. Un intellettuale napoletano alla fine del Seicento, Napoli 1970, ad ind.; G. Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone, Milano-Napoli 1970, pp. 266-271; A. Lauro, Il giurisdizionalismo pregiannoniano nel Regno di Napoli. Problema e bibliografia, Roma 1974, ad ind.; L. Osbat, L'Inquisizione a Napoli: il processo agli ateisti 1688-1697, Roma 1974, pp. 51, 54; G. Ricuperati, C. G., Nota introduttiva, in Dal Muratori al Cesarotti. Politici ed economisti del primo Settecento, V, Milano-Napoli 1978, pp. 741-774; E. Garin, Storia della filosofia italiana, Torino 1978, pp. 874-876, 882, 907; V. Ferrone, Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli 1982, pp. 478-481; M. Torrini, La discussione sullo statuto della scienza tra la fine del '600 e l'inizio del '700, in Galileo a Napoli, a cura di F. Lomonaco - M. Torrini, Napoli 1987, pp. 357-383; F. Cacciapuoti, Il processo agli ateisti: dalle discussioni teologiche al giusnaturalismo, in Dalla scienza mirabile alla scienza nuova. 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Grice e Grimaldi – inter-azione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Seminara). Filosofo. Grice: “Grimaldi for some reason did some deep research on cynicism – a wonderful etymology, too!” -- Esponente dell'illuminismo. Fratello minore di Domenico Grimaldi, filosofo. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota famiglia di Genova, dei principi di Monaco, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere (peraltro non molto estese). Inviato a Napoli, conosce Genovesi. Comincia a interessarsi alle vicende culturali e politiche della Repubblica di Genova: volle anch'egli essere iscritto fra i patrizi di Genova, esprimendo la convinzione che l'aristocrazia genovese avrebbe dovuto riprendere la funzione, svolta nei secoli precedenti, di classe dirigente della Repubblica. Studia il diritto testamentario romano. Fu pertanto fautore del “fedecommesso” istituzione risalente a Roma antica e prediletta dalla classe aristocratica.  Maestro venerabile della loggia massonica di Genova. Partendo dalla filosofia romana, cerca di analizzare l’interazione umana. Al di fuori della società l'uomo, in balia dei "sentimenti fisici", diventerebbe “un vero bruto” – “como Romolo” --. Tali riflessioni saranno approfondite nel "Saggio sull'ineguaglianza umana”. Sostenne che, in natura, gli uomini non sono uguali e che le differenze, sia fisiche che morali, ha origini soprattutto ambientali (per es., il clima, la diffusione delle malattie). La inter-azione  non e uno stato di corruzione, ma lo stato "naturale" dell'uomo. La struttura gerarchica dell'Ancien Régime era giustificata dall'ineguaglianza degli uomini. L’educazione non sarebbe riuscita ad appianare tale disuguaglianza. Scrive gli Annali del Regno di Napoli. Fa una Descrizione de' tremuoti accaduti nella Calabria. Altre saggi: “De successionibus legitimis in urbe Neapolitana systema. Pars prima in qua ius Graecum Neapolitanum vetus, et ius omne Romanum a 12 tabulis ad Iustinianum vsque absolutissime expenditur” (Napoli: Simoniana); “Lettera sopra la musica all'eccellentissimo signore Agostino Lomellini già doge della serenissima repubblica di Genova (Napoli); “La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio genovese, illustrata con riflessioni politiche, e morali, e con una brieve narrazione del governo politico della Repubblica di Genova dalla sua origine” (Napoli: Raimondi); “La vita di Diogene Cinico” (Napoli: Vocola); “Riflessioni sopra l'ineguaglianza fra gli uomini” (Napoli: Vocola). (Franco Crispini, Vibo Valentia: Sistema Bibliotecario Vibonese) Annali del Regno di Napoli dedicati a Ferdinando IV. re delle Due Sicilie. Epoca I. Dal primo anno dell'edificazione di Roma sino alla fine del quarto secolo dell'era Cristiana” (Napoli: Porcelli); “Annali del Regno di Napoli” -- Epoca II. Dall'anno 409. dell'era volgare, sino all'anno 1211” (Napoli: Porcelli); “Descrizione de' tremuoti accaduti nelle Calabrie” (Napoli: Porcelli. (Saverio Napolitano, Bordighera: Manago). La vita di Ansaldo Grimaldi patrizio Genovese” (Napoli: Raimondiana); “De successionibus legitimis in urbe Neapolitana” (Napoli: Simoniana); “Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio); Fulvio Tessitore, «Grimaldi e l'ineguaglianza». In: F. Tessitore, Nuovi contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Roma: Edizioni di storia e letteratura, M. Tallarico, «CESTARI (Cestaro), Giuseppe». In Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F. Crispini, Appartenenze illuministiche: i calabresi Francesco Saverio Salfi e Grimaldi, Cosenza: Klipper, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Boccanera, «Grimaldi In: E.Tipaldo, Biografia degli italiani illustri nelle scienze, lettere ed arti, e de' contemporanei, compilata da letterati italiani di ogni provincia e pubblicata per cura del professore E. Tipaldo” (Venezia, Alvisopoli)’ Melchiorre Delfico, Elogio del marchese don Francescantonio Grimaldi dei signori di Messimeri, patrizio di Genova e assessore di Guerra e Marina, In Napoli: presso Vincenzo Orsino (ristampato in Opere complete di Delfico, a cura dei G. Pannella e L. Savorini,  ITeramo: Giovanni Fabbri). R. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Tesi di Laurea in Filosofia italiana. Salerno. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  CAP. I. DelPineguaglianza degli efferi orga- nici. pag. 4. 1 CAP. II. Dell ineguagliang? del [effe , 9 deir età degli ejferf organici . ' 9. CAP. III. Della di/fimilitudine fifica , che vi è traglt nominile gli altri efferi organici » »«' CAP. XV. Dell' ineguaglianga fijica tra gli uomini . CAP. V. Dell' ineguaglianza della [enfìbìlità 3S» degli efferi organici . I$I> CAP. VL Deìr ineguaglianza della [enfibili- > tà tra gli uomini . 26$» CAP. VII. Dell ineguaglianza delle facoltà intellettuali 283. CAP. Vili. Dell' ineguaglianza delle pajjio- 31£ CAP» IX. Deir ineguaglianza della volontà . 384.INDICE DE’CAPITOLI Della feconda Parte. CAP. I. Principio generale intrinseco dell' ine- * , gli uomini Ji fono ritrovati dopo della generale inondavo- Uh cietà familiari 122. CAP. XI. Delle Tribù de'Selvaggi. 145. CAP. XII. Delle Nazioni barbare. 159- CAP. Delle Nazioni civili. 190. CAP. Dello Sviluppo delle facoltà in- tellettuali nelle Nazioni civili rela* . 6S. 92. 99’ Digitized by Google   relativamente alle arti, ed al. /e fetente . CAP. XV. Dello Jviluppo delle pajjioni de- uomini ctvilt . . CAP. XVl. Della maniera come dicare dell’ homo morale nella civile focietà . CAP. XVII, Concbiufione della feconda par- I -»i _Della ICerza Parte CAP. I. U"T^XEl? ineguaglianza naturale pag. 8. CAP. II. CAP. III. Della libertà , e della ferviti civile ;. 45 CAP. IV. De Governi . 66. CAP. V. Della legge di Natura. ^8. CAP. VI. Del diritto delle Genti. 140. CAP. VII. Del Diritto Civile. 152 CAP. Vili. Della maniera come fi giudica da noi Vineguaglianza politica de*diritti e delle obbligazioni degli uomi-m ni . • 180, CAP. IX. Conchiufione della Terza Parte .• Uesta breve ricordatila dell’ illustre Cittadino, questo semplice monumento alla Memoria d’un Uomo ce- lebre nella Repubblica delle Lettere, questo esempio «i« • l*» ttttmalv m »!tX4 «m ITlUvl/1C ifflHllU tato dalla sincera e disinteressata amidkia. Possa egli contribui- re ad alleviare il dolore d’ una perdita nazionale , «ervire per ricordo di gratitudine a' concittadini , per motivo d’ imitazione agli Uomini di Lettere , e somministrare un modello a coloro che bramano di conservar nel loro cuore i più rispettabili sen- timenti , che istillar possono concordi la Natura e l’ Educazione! Digitized by Google  Nascita , Grimaldi t 4*4 vi 44 ed 'TT'L nome Grimaldi contemporanco alla Storia Moderna d’ Eu- ^ * ** r0Pa ^ stat0 scmPrc fecondo d’ Eroi . Un ramo di que- sta illustre Famiglia si trovava da più secoli trapiantato in estraneo suolo , cioè, nella Città di Scminara in Calabria (<z) . Ivi da Pio Grimaldi , e Porzia Grimaldi nacque Francescan- tonìo (a) Le emigrazioni delle famiglie da uno Stato all'altro in Italia furono frequentissime nel XIII. e XIV. secolo, quando per la debolezza delle Costituzioni de’ Governi non regnavano le leg- gi , ma i partiti. Genova soffrì forse più lungamente che qualun- que altra Città d’ Italia queste politiche concussioni . I Grimaldi Guelfi di partito , ebbero de' tempi di disdetta ; ma non fu ni per disgrazia , ni per delitto , che Bartolomeo Grimaldi si spa trio . Figlio sccotiAoeenìio di Ranieri L Principe di Monaco , venne colle sue galee nelL 1309. in ajuto del Re Roberto a ri- acquistar la Sicilia , e formò il ramo de' Grimaldi Signori di Mes- sirneri. Per più d' un secolo , ciol , fino ai tempi di Giovanna II. essi st conservarono in grande stalo ; ma le non insolitejiccnde di famiglia, più frequenti ancora sotto quel Regno, ridussero i Grs maldi in più umile grado di fortune . Perdute le grandi ricchezze,' e ridottisi -in urta - Città- di Provincia , conobbero chi vi può « - sere una grandezza nella virtù , che forse frequenta più le pri- vate abitazioni , che quelle de' grandi • Piccola consolazione nel Cinsuperabile ineguaglianzal » -~-,  Digitized by Google   44 vii >4» ionio (a) , che nel secolo XVI1L ha accresciuto nuovo lustro agli allori -de' suoi maggiori. L’ onestà , la virtù , e le lette- re , che avevano fatto sempre la principal caratteristica di questa Famiglia , fecero l'educazione di Colui che abbiamo per* duco. 11 di lui savio genitore , memore -di partecipare all* au- torità suprema d’ una Republica illustre , non conservava solo nel suo cuore le comuni doti d’ ordine degne d’ un membro di Senato Aristocratico t ma nato in una libera monarchia rico- nobbe altre più vere idee della virtù , che seppe imprimere nel- l’ animo di quelli a’ quali aveva dato 4' esistenza « Conobbe egli » » «he la severità della virtù passa agevolmente in difetto , quan- do non è accompagnata da quei sentimenti d’ umanità che devono costituire il benefico carattere dell’uonjo sociale ; e che questo perfezionamento della virtù non si acquista che colti- vando Jo spirito, e perfezionando la ragione. Per tal modo quel tavil>«tUirJatJ»***-!r»i.—i—— «<* *mi ri no que’ semi virtuosi , che vennero poi vigorosamente a germo- gliare. L’esempio stesso della di lui vita fu per esso una cont»* mua lezione di que’ doveri , che accompagnano l’ uomo ne’ suoi varj rapporti e. situazioni . Qual raro e piacevole spettacolo è in latti , il vedere un amico genitore occuparsi gradatamente a perfezionare l’ instabile e balbettante lingua de’ suoi fanciulli « condurli quindi alla conoscenza e varietà de’ linguaggi ; mo- (a) A' io. Maggio 1741. strar Digitìzed by Google   * «M vili H» Strar. loro ora l’ indole degl’ idiomi , ora le bellezze dello stile t ora la verità de’ fatti , ed ora quelle della ragione ! Questa fu la vera e rara educazione , che F. A. G. ebbe la sorte di go- dere. 11 solo padre fu il suo istitutore - Nato con una costituzione vigorosa , sana , e di sanguigno temperamento, ajutato da una educazione corrispondente svi- luppò prematuramente un carattere capace del grande . E sic- come sono le circostanze che determinano 1’ attività nostra a tale o tal’ altra direzione ; così le sue forze incapaci d’ un’ iner- zia vergognosa , presto si determinarono al laborioso migliora- mento delle facoltà intellettuali , che duplicano quasi la nostra esistenza , facendo sviluppare lo spirito e sublimando la ra- gione . Ciò che si chiama Corso di Stud) no» fu per esso , come co* illunemente esser suole , una serie di lezioni consuetudinarie , che invoco di mijlioi—• I— ,p!n»A non famin rVm dete* riorarlo . Egli studiò le scienze con quella vera attenzione , che meditando su le idee e verità conosciute vede sbucciarne delle nuova , e richiamando per i varj e necessarj rapporti mol te idee a quella che principalmente si medita , fa quasi sorgere * crea nuove verità , che altrimenti resterebbero in dubbio retaggio ai secoli futuri-. Un* anima cosi elevata da moltiplicità di cognizioni erra qual- che tempo nell’ immenso campo delle idee , ora seguitandone arditamente una serie , ora poggiando su le adire per sentirle quasi più da vicino j ma noa SÌ stabilisce finalmente e riposa Digitized by Google   che sopra quelle , che sono d’ un vantaggio dichiarato per t* nomo. • • La Morale scientifica e prattica no , non è per nostra sverrà tura un affar comune e volgare. £' il risultato di meditazioni profonde, di cognizioni moltiplici , di quantità di paragoni , chedopod’avernequasiformatouncorsod'esperienze, ritor- na alle cagioni e ne stabilisce i principj . E' la scienza dell» Felicità publica e privata : fi chiunque non è nuovo nelle scien- ze converrà facilmente che questa parte della Filosofia è egual- mente grande per l’ importar»»» •»» • p»r hi sue sublimità. Que- sta fu , non dirò la prescelta^* dal nostro Grimaldi , ma quella verso della quale egli fu trasportato dalla forza del suo inten- dimento combinata con quella del suo cuore. I primi saggi in- fatti del di lui spiritOi anche indirettamente, fecero subito rico-; noscerc quésta naturale inclinazione» Un* -11°— " ra o nell’ immenso caos delle sensazioni i principj di quell’ ar- monia generale , che donò il gusto del Bello ma fra le Belle Arti la Musica é forse la più vicina e la più dipendente da co» desti principj non ancora interamente rivelati dalla Natura : Perciò allor quando il cuore è più sensibile e l’anima più ar- monica è facile il trasporto al gusto musicale . 11 di lui savio educatore fin dalla prima infanzia profittò di questo stato pre- coce della sensibilità del suo allievo. Quindi seppe insinuargli fc fargli nascere il più sicuro senso dell’ordine, della proporzio- ne, e dell'armouia , coll’isiruirlo nei principj del Disegno , della a Pit- Digitized by Google   • fattura e della Musica . Non vedeva egli ancora qua! parta avessero queste istruzioni nell’ istituzione della virtù : onde seguitò lo studio della Musica per trasporto piuttosto che per ragione. Ma allorché le altre cognizioni cominciarono ad accu» snidarsi nel di lui spirito -* quando cominciò a travedere ( che la Musica non è solamente un’ arte , ma parte ancora delle scienze sublimi quando riconobbe gli effetti sicuri e necessar} , della Musica, e che i principi dell' armonia sono immediata- mente dettati della Natura , non si ritenne più su la semplice esecuzione , nè Sì contentò della sola parte imitatrice , ma vol- le esprimere le proprie idee , ie mflhagini, i sentimenti ; e ’l suo istromento rispose perfettamente alle domande . I suoi progress* furono in breve meravigliosi , giacché il gusto , 1* esattezza e i’ espressione vi si ravvisavano tanto nell inventare che neU’esegui- re . Per la perfezione meccanica dell’ arte si richiede un esercì* zio abituale C Continuo di , ma un taT-nt/. «OH fattO pCt rimanersi alle porte del tempio della gloria prende delle Belle Arti quella parte che serve al miglioramento della sensibilità , c trapassa ad altri più utili oggetti . Egli nondimeno , trasportato k veder tutto per un lato morale, avendo osservato colla scor- ta degli Antichi -che la Musica ha tante influenza sul cuore e sul costume , cioè sulla creazione di quei sentimenti fondamen- ti' , che caratterizzano gl’ individui e le nazioni , volle com- «nunicare al Pubblico le sue osservazioni, *i-»•«-*«...j j>*•t ** Sono 44x MM Digitized by Google   44 xi M» secssoesaeeMieMfleM —* . > Ono esse contenute nella Lettera sopra la Musica alt Lo- Lettera sopt4 ^ HSK*> cruentissimo Signore Agostino Lomellini (a) . A quest' uo* no degno d’ eterna ricordanza volle il Grimaldi indrizzare I» sue idee , non solo perchè n’ era un giudice competentissimo ì ma per attestargli parzialmente quella stima, della quale L’ Euro» pa tutta r onorava . ' E‘ meraviglioso il vedere come il Grimaldi in questa operici ciuola abbia potuto combinare tanta abbondanza d’erudizione è di ricerche , « tante fona di wgtwaiMBta. — , . __ Egli vede la Musica come una parte- sublime dalla Filosofia } che ha contribuito all’ espansione della virtù , alla regolarità de' Governi , alla conservazione del costume > alla sublimazione de’ sentimenti più convenienti per 1’ uomo - Vede- che in altri tempi questa ch’era stata la miglioratrice degli animi, concorsi poi jJIk-Wo t» «rwwf! r i- eroe»a- j zioni dèlia sua sensibilità , attenuò quasi «1 indebolì finanche la fisica di lui costituzione. Tutti questi varj fenomeni sono dimostrativamente provati dalla Storia amica , e dalle memorie cd osservazioni de’ Filosofi contemporanei. La diversità degli e£* fotti pruova quelle delle cagioni , che il Filosofò ricerca » Eglg incomincia dal distinguere la Musica’ sotto tre forme : la prima " (à) In Napoli 1766. ""l! vx B2 * che» Digitized by Google   4-4 xii cte chiama Naturale , la «*rr>nda Armoniea voluttuosa, e la terza Armonica Filosofica . Per quanto siamo lontani dalla prima esistenza della specie ì pure siamo in istato di giudicare della sua Musica primitiva t perchè tuttavia esistente . Le impressioni delle passioni su 1’ or* ^ gauo vocale, la nascita degli accenti , la diversa prolusione di essi , la successione ora più stretta ora più larga degli stessi tuoni , o di pochi di essi ; ecco la prima Musica naturale e vo- 1* cale . L' imitazione dei rumori fece nascere l’ istromentale ; e una e 1* altra semplice e monotona , 1’ una e V altra conservata, nel civ Aizzamento della Società e nel perfezionamento della Mu- sica , con questa differenza che quella restò sola presso le Na- zioni barbare , ma nelle Nazioni culte restò quasi per la parte barbara della Nazione. Quindi è che le cantilene volgari por- tano quasi dappertutto questo cara**ttere primitivo - La Musica Armonica voluttuosa pare «V»* non H.-hha essct distinta dall’ altra detta Filosofica , che per la qualità degli ef- fetti , poiché l’una e l'altra ànno bisogno di Filosofia nella com- posizione. Ma la prima sembra diretta a soddisfare più 1’ orga- no ecfj&itare le emozioni voluttuose , quanto 1’ altra lo è a far nascere de’ sentimenti cooperatori della virtù , affinan- do la sensibilità non per una più estesa facilitazione di sem- plici piaceri corporali^, ma per rendere la macchina e l’anima stessa armonica , onde sentire agevolmente 1’ Ordine , che deve essere la base delle virtù politiche ed il sostegno degli Stati. La Filosofia dunque della Musica dovrebbe consistere non solo nel- - lo Digitized by Google \  ,  lo stabilire una qualità di Musica assoluta , i cui effetti fossero» necessar e costanti , ma anche una relativa secondo il caratte- j re de’ popoli , che o si vogliono richiamare dalla corruzione , o avviare alla perfettibilità, e secondo l'indole o lo stato deità sensibilità lora Esaminando però U Storia, «cmlura-ch# qnesta Musica Filoso- fica abbia albergato poco sul Globo te più culte ne inno fatto più un oggetto di voluttà , che di —. costume. Questo però non toglie , che vi sia una verità di prit> cip), che si palesa negli .Atti. Lm virtù e "i- sentimenti che le producono, possono avere un’espressione degna di esse : ecco la Musica Filosofica. Questa forse era quella, «olla quale si can- tavano le antiche leggi, e le gesta degli Eroi ; questa, che det- tava i principi Morale, questa, che eccitava, i cuori all» gloria , e che nudriva 1’ amor sociale . Ecco perchè i più illu-. stri fondaifijà.delllumanitfc.|pci.Tl^., Al^nrio . oaio . Cadmo , Chirone furono tutti stimati inventori della Musica , non solo .perchè la Musica è l’emblema dell'armonia sociale, ma perchè ne è la conservatrice . Ecco perchè ancora, i Filosofi di primi ordine o fecero della Musica una parte della Filosofia, o la ca- ratterizzarono come uno dc^ più veri principi dell’ordine socia- le, che solo può conservare il costume e la costituzione degli Stati ; ed ecco infine perchè il nostro Autore si duole che in tanto gTado di miglioramento morale non si richiamila Musica ai suoi principi , e non si feccia del piacere una strada alla virtù. Che se lasciasi ancora d’ adoperarla con vista immediata al pubblico ... b«»e» j giacchi tutte le Nazioni   Vita £Ansal- do Grimaldi. <H xiv H» mesacenomessat>cs>08e»OB<-B>ogs>ocr>opge>saeg>«o«"»aag*»a tene , può frattanto essere di grandissimo utile agli individui * giacché non manca in parte di quegli effetti , che decisamente migliorano la nostra sensibilità. Cosi egli, ad esempio de’ Filosofi antichi , moralizzò quest' Oggetto , seguendo con ciò la più utile determinazione del suo spirito <e la migliore applicazione delle proprie cognizioni. L gradimento dell’ illustre Tìxdoge Lomellini fu grandissimo: Ie maggiore anche il piacer di vedere , che il nome Gri- maldi fuori del patrio suolo prometteva nuovo splendore alla Patria ed alla famiglia . La Republica di Genova già ammirava i talenti del nostro Grimaldi, quando dovett’essere più contenta nel vedere impegnata la di luì penna a dimostrar anche da lon- tano il più vero spirito patriotico , solo retaggio rimastogli dai tuoi antenati . Fu certamente 1’ effetto di questo sentimento » che 1’ impegnò a pubblicaro 1» Vita -4n**IJ* CrtrrutUi ^4) I Eroe della Patria e della famiglia. Chi legge questo libro par che non lo trovi corrispondente alla prima idea che dal titolo ne viene eccitata ; perchè poco vi si parla della vita d’Ansaldo. Sembrami però . che due fossero le mire principali dell'Autore , che ben rettificano la sua inten- zione . La prima di rilevare quelle qualità d' Ansaldo , che gli fanno meritare il titolo di Grande ; la seconda, di rischiarare di- . versi (a) in Napoli 1769. Digitized by Google   «H xv W versi punti importantissimi delia Storia politica di Genova e di segnare il carattere della sua vera Costituzione ed i principj veri e regolari della sua sussistenza. Quest' oggetto rientra tutto nella Storia d’ Ansaldo , non solo perchè esso fu il Restitutore della libertà e del decoro ma perchè in quel tempo si scosse- , ro più possentemente i cardini della Republkana libertà e si sta* •bill la insino allora di Stato è indivisa da quella dello Stato istesso . Non mancò dunque 1’ Autore se non tenne dietro a quelle particolarità che occupano ordinaria J. rwna <Wi Biografi, ma pensò di cs* •ere più utile col sostituire riflessioni s ed alle personalità, donde poi provenivano quelle vicende, che tenevano lo Stato in continua rivoluzione ; e per quale sue* cessione di disordini si giunse finalmente all’ordine, che tut- tora vi regna. E codesta, che interpolatamente contiene le gesta dell’ Eroe , fa la parte principale dell^Opera . Ma siccome la Sto* ria delle Republiche è stata sempre la vera miniera delle poli- tiche e morali osservazioni , cosi il nostro Autore non potè evi- tare quelle riflessioni che il corso della Storia naturalmente gli presentava . Esse sono opportunamente collocate , e formano quasi una «rie di tanti saggi Politici e Morali , ne’ quali ben- ché vacillante Aristocrazia . La storia dell' uomo interessanti a fatti di poco momento . Egli cosi ha divisa quest’ Opera quasi in due parti . Nel Testo si fa come' un quadro animato della Storia Po* litica di Genova' scritta da vero Filosofo cagioni agli effetti. Fa veder come la mancanza di Costituzio- ni e **88* 1.10 . metraggio , cioè, ravvicinando le * Digitized by Google   ^XVI H! thè r uomo non sia risparmiato , poiché viene mostrato qual' è •chiavo delle passioni c delle circostanze, il Grimaldi non lascia d’ indicare nel tempo stesso quei doveri, che in. ogni circostanza •ono le leggi vere della condotta e della vita • Bisogna assolu- tamente leggere -quest’ Opera , che sotto semplice titolo contiene tante nobili idee , e che è impossibile di dettagliare in un cir- coscritto discorso . Torno per tanto all’oggetto principale, cioè, al Grande Ansaldo. Il titolo di Grande, che dall’ adulazione è stato consacrato ai distruttori deli’ Umanità, non si deve che ai^uoi Benefattori- La prima qualità per esser Grande è la Beneficenza. Ansaldo gene- roso , benefico, illuminato, coraggioso , sensibile meritò dunque questo titolo d'onore . Non ignoro che la grandezza consista nella quantità dell’azione, e nell’effètto: ed ecco ciocché si rea- lizzò in Ansaldo. Come uomo di Stato egli sostenne la Patria col vigore de’ suoi consigli, rolla sublimità de’ suoi talenti , colle ric- chezze ammassate dalla sua temperanza. Come semplice Cittadino, fu il benefattore di quanti potevano essere oggetti d’una illuminata beneficenza, cui non si contentò di esercitare nel ristretto tempo della sua durata , ma volle estendere all'avvenire e che anco- ra persiste . Non solo vivendo fece codest’ uomo il miglior uso delle sue ricchezze, ma fece che la sua volontà restasse perpe- tuamente benefica nella serie de’ secoli. Incominciò egli dal con- tribuirc i mezzi che perfezionando la Ragione perfezionano si- milmente la Morale , cioè , dal fare assegnamenti per **l*a publi- '-* ca istruzione , e stabili non solo delle Cattedre di Scienze , ma som- Digitized by Google   4-i xvii somministrò anche soccorsi a coloro che v’attendevano'. Egli non trascurò moderatamente i luoghi religiosi , gli ospedali ed altre fondazioni di pubblica pietà . Egli pensò da uomo libero e non da Aristocratico : volle che tutti partecipassero della sua beneficenza ; quindi non solo ebbe in mira le opere dan- neggiate dalle passate guerre , come la darsina , il porto , le mura , i ponti e i mulini , ma lasciò altre somme considerabili per le ordinarie spese della Republica ; liberò dai debiti Je ga- belle che già troppo aggravavano il popolo Genovese » nè gli Stessi agricoltori furono obbUacì nelle sue liberalità e benefi- cenze • • La pubblica beneficenza non gli chiuse però il cuore ad una più propria e particolare del suo nome e della sua famiglia . Le risoluzioni domestiche, si osservano più facilmente nel tem- po che quelle degli Stati . Ansaldo lo vide ; e considerò che della sorte . Quindi da gran politico pensando che , nelle Ari- stocrazie specialmente, dalla povertà de’ Nobili incomincia la corruzione , volle , per quanto potè , prevenire questi tristi ro- vesci della fortuna , formando nella sua Casa una quantità di beni , che potesse decorosamente mantenerla , e stabilendo per tutta la famiglia un Albergo che fosse atto a sostenere senza avvilimento Io splendor del cognome Fece de’ legati partico- larmente per i Grimaldi che attendessero alle lettere , con pen- sione che durava per anni otto : volle che le donzelle Grimaldi avessero nella loro collocazione un conveniente soccorso ; e nel- C le aeoaeeseueaaysa Digitized by Google   4 xviu >4* le annue liberalità che per i poveri stabili , volle che non fos- sero obbliati quelli del suo nome , che una rivoluzione sventu- rata poteva in questa classe collocare • Una cosi estesa e perpetua generosità , un uso cosi giusto delle ricchezze , una liberalità , che si propagava fino all'ultimo Cittadino » riunite a tutte le altre qualità che gareggiavano ad ornarlo fece dunque bea meritare ad Ansaldo il’ titolo di Gran- de : e più lo merita a’ giorni nostri quando un lusso distruggi- tore à estinto negli animi ogni sentimento di beneficenza. Ma se dall’ antica veneranda tomba alzasse il capo il Grande Ansaldo* forse esclamerebbe: O Patria, ingrata Patria, o Posteri più in- grati alla mia memoria ed ai miei sentimenti ! Io non feci delle mie ricchezze un Banco di Commercio, ma di Beneficenza Come V amministraste voi verso quella famiglia , che per virtù e per le circostanze diveniva la prediletta nella mia intenzione ? Voi nega- ste al vostro sangue , al vostro nome stesso quei soccorsi che lo Spirito di Patria , d' Umanità , di famiglia mi dettò contro i di- spettosi rovesci della Fortuna . Ah ! un nome illustre non ì che un tormento se è accompagnato dal bisogno L Ma sento da un cu- • po oscuro Chiostra ì teneri ed acuti accenti di cinque mie figlie , che rivolte all’ antica Patria ridamano i diritti di quel sangue che loro scorre nelle vene . Possano queste voci giugnere ai vostri cuori , ed onorarvi di meritata riconoscenza ! Genova , Grimaldi , calmate V ombra del vostro Benefattore -1 Il nostro Grimaldi fu veramente desiderato molto dalla Re- publica per onorarlo personalmente e promuoverlo alle su-- iy pren>£ Digitized by Google   «H x*x preme Magistrature ben meritate da’ suoi talenti e dalla sua virtù ; ma lé circostanze Napoletano non gli permisero d’ accettare il meritato invito si contentò di farsi più denza colla Filosofìa , e l’esercizio di essa con quello della virtù. ta la Filosofìa par che debba zione, cioè in tutti i rapporti degli individui fra loro e verso , di famiglia e I» applicazione al Foro e desiderare, dando a conoscere con diversi Responsi ch’egli aveva saputo combinare la sublime Giurispru- yjjpRapasserò intanto leggiermente su questa professione, eh* per qualche tempo ei volle esercitare. Chi considera in1 Avvoca^a - Trattato Le- * astratto la qualità di Cù,reconsulto una migliore applicazione de’talenti , per che non possa vedere nella Società dove vive. Tut- servire a questo primo oggetto so-« ciale . La conoscenza del Giusto in tutta ì immensa sua esten- tutti gli oggetti coi quali sono in relazione , è I’ apice delle umano ragiuuom_ 1-oaàc—o» .do!-«wo-Adwry, applicarvi le verità di dritto è la più nobile operazione come ritrovar più i principj d’ una tranquilla della Ragione. Ma multuose bolge del nostro Foro, ed in no? Quasi ognuno conviene della deficienza delle nostre leggi della Giustizia , e della perniciosa mancanza d una vera Approvazione nei Giusdicenti e dei difetti esistenti nell* amministrazione nei Giureconsulti; e, per un effetto di vera dono di questi mali c gli altri ne profittano. Quindi si moltipli- cano all’infinito gli attori di questa scena tragica per la società e per la Morale ; e questo malore contribuisce sempre più alla C a dete*. ragione fra le tu- quel vertiginoso frastuo- corruzione, i più ri- , Digitized by Google  a..  «H xx deteriorazione del costume ed all’ affogamento de’ talenti , che nella loro freschezza rivolgono facilmente , come le piante , le radici a quella parte ove più abbondantemente possono succiare gli umori nutritivi 11 Grimaldi cautamente portò il piede su le sponde di code- ito baratro pericoloso . Senza immergevi nel bujo , vedeva dal- la circonferenza a quali limiti bisognava rimancrfe . Non cupido d’una gloria efimera e fugace, non avido di que’ lucri, che di rado sono il premio della virtù e del valore , egli si contentò dell’ approvazione della Ragione piuttosto che di quella del vol- go ammiratore Se alcuno volesse dubitare , che si ritenesse in tali limiti per mancanza di convenevoli talenti , l'Opera legale che egli ancor giovine molto dettò , potrebbe facilmente sincerarlo . Nell’ e- là di soli ventiquattro anni egli publicò il libro Dt Succ(s- sionihus legitimis in urhr Nfapolir.ina (a) - Qual differenza fra questa e tante altre Opere legali uscite dal nostro Foro , che I opprimono il buon senso ed oscurano la Ragione ! Tutte le co- gnizioni antecedenti , necessarie a formare non dirò un Giure- consultomaunLegislatore, nonmancavanogiàalGrimaldiin età cosi giovanile. La Storia e la Filosofia erano cosi amalga- mate nel di lui spirito , che la conoscenza prattica e teorica dell’ Uomo e delle società gli era sempre presente per conoscere ( ) lo Napoli 1766. le Digitized by Google   le cause delle sue idee e de* suoi movimenti , e per ravvisare quali fossero i piti convenevoli alla sua destinazione. Egli dun- que vide la materia delle successioni legittime come provenien- te dai primi dritti della Natura realizzati nelle società collo sta- bilimeuto della proprietà e dei dominj . Dimostrò come lo staro della legislazione civile d' una nazione siegua la sua politica Costituzione ; e quindi in uno stesso popolo la differente ma- niera di considerare gli stessi oggetti, secondocchè i rapporti si alteravano. Venendo al suo oggetto, cercò rapidamente 1’ origi- ne deile Consuetudini N«potetene' te rapporto alle successioni nell’ antico stato Uepublicano di questa Città , nell’ analogia di governo colle altre Greche Republiche , e con una felice e nuo- va applicazione ne trovò la filiazione nelle leggi dì Solone . L’ erudizione sparsa in queste ricerche è ampia , ma non lussu- reggiante ; e cosi procede nel resto dell'esame, cioè nel mostrare quale fu quecta pwrt* «talli cibilo JcgreUxione net 'SUCCOSsivi cambiamenti della Romana Repubiica . L’Aristocrazia espressa tutta nella legislazione decemvirale fissò le agnazioni, e l’esclu- sione delle donne , avendo in mira la conservazione e perpetui- tà delle famiglie Aristocratiche . I progressi alla Democrazia , ne- - cessario frutto dell interno vigore dello Stato , che liberò i beni dalla schiavitù , che sciolse gli individui dalla dipendenza dell’ opinione e della servitù personale; che strappò il codice arbitra- rio dalle mani sacerdotali , cangiò anche questa parte di legis- lazione : e le donne furono riguardate come parte della specie e della Società . Tutto cangiò coi cangiamento del Governo ; e si   serbarono i nomi mentre le cose non erano più . Le forinole e le solennità de’ Giudiy , che costituiscono fino ad un certo ter- mine la libertà civile , cederono a quelli detti impropriamente di Buonafede, chesembranopiùconvenientiadunGovernome- no complicato , facendo strada a quell’ arbitraggio che è la . , morte della Civile libertà . Le alterazioni in questa parte della legislazione .si fecero insensibilmente sotto gl' Imperadori fino a quelli , che con nuova Religione portarono nuove leggi sul Tro n no. Ma qui non è luogo di seguire 1’ Autore in tutta la serifc. istruttiva delle tante idee utili e nuove , che s’ incontrano ad ogni passo della sua Opera . Tocca ai profondi Giureconsulti il giudicarne con dettaglio » e far vedere qual precisione e chia- rezza egli seppe portare nel pii oscuro legale labirinto, quan- te cognizioni seppe nobilmente combinare alla dilucidazione del suo oggetto , e quale vera utilità debba produrre la di lui Opera non solo nel giudicare , ma nel riformare questa importante par-» .te delle nostra legislazione* Asciò noudimcno 11 G,!malcl‘ <*’ immergersi nelle cure del gene. JSL*Foro, nonriguardandolocomeoggetto, chedovessein- tieramente assorbire il prezioso tempo delle sue applicazioni , ed assoggettare il fervore de’ suoi tajpnti e la forza del suo spirito attirato da oggetti più sublimi e più generali . Restò egli per alcuni anni nel silenzio, ma non nel riposo , poiché l’ attitudine formatasi allo studio ed alla meditazione tira il stato di piacere iella sua anima vigorosa, che quindi sentiva il più vero bisogno di Vita di Dio- ‘TìT Digitized by Google  •H XXXIII K- di pascersi e nudassi d’ idee e sentimenti analoghi al stio ca- rattere deciso. Questo vigore di sensibilità , che sempre accom- pagna i talenti superiori perchè li crea , non permette che lo spirito resti confinato dalla stretta circonferenza delle idee e delle virtù comuni • Sorse quindi quel sentimento di perfezione unico scopo del Genio e della Virtù , che fermentando nelle a- nime sublimi tenta tutte le vie per aprirsi la strada all’ utile Gloria ed alla verità . V" Nella vecchia Storia della Filosofia cioè de’ progressi della , Ragione e degli errori , vide I! Grimaldi i grandi sforzi degli amichi Filosofi, che non più contenti d'una Morale di prover- bj , parabole e sentenze , si studiarono di ridurla a princlpj ge- nerali che potessero condurre 1* uomo In tutto 1’ uso della vi- ta . Ma esaminando particolarmente la dottrina e condotta loro, vide quanto è difficile una lunga Epoca della Ragione . Trovò nondimeno fra quegl» antichi Istitutori e maèstri dBTMorale un Filosofo che fissò tutta la sua attenzione ; e questi fu Diogene del quale volle scrivere la vita . (<r) k Credè alcuno , eh’ egli imprendesse quasi per giuoco , si, fatto assunto t ma chi ha letto questo nobile opuscolo , può giudicare della verità della sua intenzione. Egli fece vede- re in Diogene non quel Cinico descrittoci da Laerzio , non quell' impudente che ci dipinsero gli altri , nè quello stravagan- te • '^''•'' _,i (a) in Napoli 1777. ,  Digitized by Google   4*4 XXIV le che*corrimunemente è creduto.' ;.ma provò ad evidenza che quel Filosofo fu il più conscguente r giacché le azioni .corrispo- sero sempre alla sua dottrina : e codesta era la più vera , la più utile , la più giusta che fosse ' •* dettata insind allora . Sinope , Corinto ed altre Città ono la memoria di quell’ illustre uomo coi bronzi e con 1 marmi , ma non poterono salvar la di lui fama presso l’invida posterità . Grimaldi nel Se- colo XVIII. rinnalza Diogene su i monumenti erettigli da' suoi compatrioti e diviene il Restitutore della di lui fama , e della di lui virtù . La Morale di Socrate era divenuta puramente nominale , quando a Diogene sorse il talento di reintegrarla ad uso dell’ umanità . 1! principio della Morale prattica par che consista nella facilitazione della Virtù . Non basta il dipingerne le bellez- Iezze , l’ indicar^ le attrattive , ravvivarne il quadro col più vago colorito , se pei ci sì mostra divisa ed isolata dall' insor- montabile vallo del dolore . Diogene volle dimostrare , che que- sto divisorio è d'invenzione umana, è creato nella Società , e che bisogna perciò ravvicinarsi alla Natura. Questa vera osservazione gl’ indicò la Temperanza per un principio fondamentale della Virtù . La Temperanza non è un’ dea assoluta : essa ha una gradazione dì beni da un estremo ali’ altro della 'sua lùtea . L’ uomo , questo animale privilegiato , che può vivere in tutti i climi e nudarsi di tutti gli alimenti , ha più facilità alla sussistenza . E dunque un effetto dell’Educa- zione quello che gli dà quantità di bispgjù , che non vengono dalla Digitized by Google   . ^xxv^4» - «aaBeMecSeaooeoeeseaaoosMsaeeseeeiMjeBft dalla Natura . L’ uomo diviene cosi un aggregato di bisogni 6 di desìdeij,che accrescono m ragion diretta la sua sensibilità al dolore, senta proporzione relativa al piacere ed alla felicità . Se questo spiacevole accrescimento di sensibilità è effetto dell’ edu- cazione , esso è opera dell’uomo , è di creazione sociale; vi è dun. » que tutta la possibilità d’ abolirlo . Si può essere decentemente coperto d’un Pallio senza infelicitarsi per non avere in dosso le gemme ed i preziosi metalli ; si può vivere bene e sano senza esser velato dalle leggerissime spoglie dell' Oriente o soffogato sotto i rarissimi velli del Settentrione : e , se dell’aria comune la più respirabile è la più libera , si può vivere, e meglio, sen- ta le stanze ermeticamente chiuse , senza che sieno ricca- mente foderate , e senza richiamar tutte le arti e tutti i climi ad estenuarci ed estinguerci nella mollezza • Tutte le eccedenti ricchezze s'acquistarono forse alle spese della virtù; aveva dun- que egli regione di veder I» Temperanza come la base princi- pale di essa- Ma se per la Vmù è necessaria quella tal disposizione abi- tuale dell’ animo che si chiama Tranquillità , questa è simil- mente figlia della Temperanza: L’animo distratto dalle passioni disanaloghe alla natura dell’ uomo , cioè non tranquillo , non può essere virtuoso . Diogene non diceva: „ fatti del dolore la strada alla virtù tristo comando alla Natura umana - Non diceva : „ divieni apa- to ed insensibile „ altro precetto peggiore e non conducente alla perfezione morale- Diceva solo: „sii temperante che sarai tran- D quii-   . 4^ xxvi >4* jquillo , ed essendo l’ uno , -e 1* altro puoi essere virtuoso . „ Finché 1’ uomo è distratto da sensazioni vaghe « immerso ne’ desiderj , lacerato dalle passioni non sentirà che se stesso ; ma quando nè i bisogni , nè le idee, nè le immaginazioni tumultua» rie Io tormentano , egli deve essere necessariamente benefico , cioè , virtuoso . Se le ricchezze fossero sempre necessarie all’ esercizio della beneficenza , la virtù sarebbe solo riposta nell’ uso de’ metalli , ed il non ricco non potrebb’ 'essere giammai Virtuoso . La virtù , nel sistema di Diogene, non doveva essere Un fantasma dell’ immaginazione , un’ astrazione per alimenta- re le dispute de’ Moralisti; ma bensì il partaggio dell’ Umanità» il vero sistema della beneficenza universale • Se la virtù è nell’ azione , e quest* azione dev’ essere facile , equabile , pronta * Diogene voleva render l’uomo libero dagli inutili ceppi fabbri- cati a se stesso, per renderlo attivo , benefico , virtuoso . Uno aguardo anche passaggiero su la Morale esistente prova la ve- rità e la profondità delle Ciniche osservazioni Qual era diuresi Ja serie ragionata e conseguente delle idee morali di Diogene ? Temperanza , indipendenza , libertà , tran- quillità , beneficenza ; virtù tutte nascenti 1’ una dall’ altra • tutte conducenti per la più agevole strada alla meta della Morale • La Vita di Diogene non ismentì i di lui principj . Egli visse libero , tranquillo e contento , cioè virtuoso e felice . Apostolo della vtréi e della virtù , egli non fece che predicarle . Un Re «d un llot^ erano eguali agli occhi di lui : la verità e la virtù fa- . Digitized by Google   $*4 xxvii $4* ess<se-e»eoes>eoe^oe<==yat=sor=>oot=r»-sot=xì eeyecaìtjesa faceva egualmente il loro bisogno . Diogene rispettava le leg- gi e la pubblica Autorità da vero Filosofo , cioè , approvan- do quelle che erano dirette al pubblico bene , ed indiziando quelle che mancavano di questo fine . Venerava la Religione ; ma ne abominava l’ intolleranza e l’ abuso , che conduce sem- pre alia superstizione. Rideva di quei tanti Impostori, che anche ia q-v «empi sotto vario manto e varie regole dividevansi il culto e le sostanze de’ divoti . Si vuole che dissuadesse e disap- provasse il vincolo conjugale ; ma come fargliene un delitto ? Che altro vedeva egli nelle Società de’ suoi tempi che la trista alternativa di nobili , e plebei , di ricchi e miserabili , di ti- ranni e di schiavi ? Un Filosofo non può amare la moltip li- catione e la riproduzione di queste razze degenerate dallo sta- to pteseritto loro dalla Natura. Diogene non morì, come Socrate, martire della Verità e della Virtù : egli ritornò nel seno della Natura così spontaneamente come n’ era uscito . La distruzione e la riproduzione dei corpi organizzati è nelle sue immutabili e costami leggi , che non «paventano il Filosofo , il contemplatore della Natura , l’ amico della Ragione. La vita di Diogene rettificata da una etilica imparziale c» mostra un modello di vera vita virtuosa in tutte le circostanze e situazioni . Non fu dunque nè per giuoco , nè per gloria per vanità che il Grimaldi imprese a dettagliarne le azioni e la dottrina , ma per rendere un giusto tributo a quel Filosofo cui ayeva cercato d’ imitare > o per partecipare al pubblico un vero D a fiJCh , nè Digitized by Google   xxvm ^ tJtis»oe«cM»eé<Jsae«^Qee=»oeH=>ee^eg=aem^->gceg»oogrg>r'e)gac modello di filosofica virtù. Egli si dichiara in più luoghi della sua Opera , che Io stato attuale delle Società non comportereb- be una vita esteriore come quella di Diogene propone come un modello, al quale quanto più l’uomo s’accosta., più s’avvicina alla perfezione . Non altrimenti fece Grimaldi . Le virtù di Diogene furono le sue. Ne chiamo in testimonio gli amici, che lo anno veduto in tutti i punti della sua vita . La tempe- ranza de’ suoi desideri , la tranquillità dell’ animo suo , la veri- tà e la sincerità de’ suoi sentimenti , la libertà del suo spirito , il coraggio e l’ amore per la verità , la tolleranza de’mali , 1’ ar- mor della Pubblica Beneficenza , il sentimento costante de' do- veri, e tutto condito ed addolcito da una sensibilità purificata, lo resero rispettabile come Diogene , ma più amabile , perchè seppe combinare i principj e 1’ uso della Virtù, con tutta la de- cenza della vita sociale, e coll'esercizio di quelle funzioni e do- veri, che formavano la sua civile esistenza Riflessioni so- FOn sono certamente le idee astratte e le sublimi nozioni, pra rInegua- glianza. che possono far meritare il. titolo rispettabile di Filoso- fa . Se la virtù non è posta in azione , se le grandi idee non diventano di qualche uso , se la fiaccola s’ asconde sotto il moggio , non solo si è in colpa , ma si è reo di lesa umanità. colpa che meriterebbe maggior castigo chel disprezzo e i’obblio. Sentiva Grimaldi nel più vivo dell’animo questa verità, e per- ciò veggiamo come la sua vita fu ima continua serie di me- ditazioni e d’azioni tutte coordinate allo stesso fine di migliorar se . ; ma che egli lo Digitized by Google  .-  4*4 xxix £4* se stesso , e di essere utile agli altri Quindi i suoi non inter- . rotti srudj e le continue meditazioni lo condussero alle più estese cognizioni e alle più utili che si possano acquistare Or quando lo spirito è abbondantemente nudrito d’ idee e di cognizioni varie, quando è gu lungamente abituato al difficile esercizio di molti e conseguenti raziocinj , quando codesti sono specialmente diretti verso qualche oggetto particolare , che per- ciò divicu dominante : l’animo prova una certa inquietezza e quasi un’ oppressione da questa folla di pensieri , e par che sia costretto a liberarsene . Chiunque ha scritto sopra qualche og- getto particolare e lungamente meditato , ha dovuto provare in se questo sentimento penoso . Quindi la volgare espressione dà chiamare le opere parti dello tpirin , non manca di una ve- rità nella sua origine;- ma non tutti i parti sono regolari . Ho indicato antecedentemente la predilezione che il Grimaldi ebbe sempre per le idee morali , e la facilità che aveva di ri- chiamarle ai principi pid sublimi, e di renderle più attive e fe- conde : ma dopo d’avere per più lungo tempo estese le sue ap- plicazioni su tali oggetti li vide in tutta 1’ ampiezza della qua- le sono capaci , e fra tanti fenomeni Morali che presenta la So- cìtà , fu specialmente colpito da quello , che stende il suo do- minio su tutti i punti dall’ esistenza , dico della Morale Ine guagliania A tutti sono note le riflessioni che l’ eloquente Gian-^iacomo portò su questo punto; ma la ragione trasportata dall’entusias- mo lasciò de’ gran ruoti fra le idee principali , balzò agl! estro-  .,  44 xxx >4» estremi obbliando le idee intermedie e necessarie, guardò 1' og- getto lateralmente > e quindi fra molte vere e nobili osservazio- ni ci presentò de’ paradossi in luogo di tranquilli ragionamenti ed utili risultati . Vide intanto il Grimaldi di quale utile fosse il ritornare solidamente a quest’ oggetto > che è quasi la base del- la Morale e della Politica . Prescélse quindi un campestre ed isolato soggiorno ; e lungi da ogni distrazione , irapenetrabile anche agli amici ed alla famiglia , concentrato lo spirito in que- sta idea principale , impetrava dalla Natura la rivelazione delle verità più utili all’ uomo . In codesto stato egli delineò il piano delle sue Riflessioni sopra VIneguaglianza tra gli uomi- ni (<*) Le sue prime considerazioni gli scoprirono , che la base dell* Ineguaglianza è nella Natura . L* Ineguaglianza Fisica la generatrice delle altre: è dunque legata ad un ordine: è per conseguenza una legge immutabile ed eterna . Le stesse ricerche preliminari, che fa su questo punto, portano f espresso carattere della novità . Colla più seria attenzione poi assottiglia il suo Sguardo per penetrare nei più complicati recessi di quest’ Esse- re sublimemente organizzato , che si chiama Uomo - I più te- nui rapporti non sono negletti; e combina una maravigliosa mol- tiplichi di cognizioni per farsi strada all’ oggetto . La Fisica la Fisiologia , la Storia Naturale , quella particolare dell’ uomo 00 In Napoli 1779-80. è perciò e del- Digitized b’y Google   44 xxxi h» e delle Società , tutto è da esso ordinatamente richiamato a dare il risultato , che si era proposto , cioè , a far conoscere 1* essenza reale di questo composto meraviglioso. Incominciando dal punto principale , cioè, dall’ Ineguaglian- za generale degli esseri organizzati , passa all’ esame particolare della Ineguaglianza che nasce dalla diversa destinazione degl'ìnr dividui della stessa specie . Osserva , che la differenza sessuale si va distinguendo a poco a poco dagli esseri più semplici 9 meno complicati fino ai più composti e perfetti . Che questa differenza porta per necessiti di natura una Ineguaglianza di- stintissima nel temperamento, nella forza , nel carattere , nelle passioni , ed in tutto ciò che si chiama meccanismo e sensi-* biliti. ......, _tv-:• ' Si trattiene poi ad osservare la dissomiglianza in ge^qfgjp» degli esseri organizzati; e riducendo questo paragonerai ferenza che vf ha fra IV m+eeanlSrtto delTwnno <fJ»!f$..rR|ljl'* altri corpi organici ', rileva qual sia l’essenza fisica pbitós’' aefc. la spezie umana • Si apre quindi la strada ad esaminéft * geograficamente le differenze, e quindi 1’ Ineguag(^|5- de’ P|po- li e delle Nazioni. Egli scorre con abbondante." -ed adatyy^fcrvp. . dizione la superficie tutta del Globo , indicando le cagioni pria- cipali e le concause , che rendono gli esseri delIiL stessa specie tanto dissimili gli uni dagli altri , e come questa dissomigliati? za fìsica porti nel tempo la morale . Ha riflettuto e dimostra^', che la sola differenza di climi non poteva-produrre questo tv* levantissimo effetto, ma che la situazione locale, la quali$ -delP^- ’-;' ’,aria , , . * • Digitized by Google   xxxii >4 •ria > le maniere diverse di vivere , di nudrirsi , d' abiure vi concorrono necessariamente , e sono forse cause ed effetti nel tempo stesso . La Natura ha prescritto dappertutto la legge dell* Ineguaglianza . Gli uomini sono ineguali, come le piante della •tessa spezie in diverso dima ed in diverso suolo, e come diffe- renti sqno ancora gli alberi della stessa selva . Le cagioni sono qualche volta impercettibili, ma gli effetti ne manifestano resi- stenza . Da questa Ineguaglianza più apparente , par che divenga una Conseguenza necessaria quella della Sensibilità . Nel tempo ster- eo che 1’ Autore sbandisce la Metafisica delle Scuole , tratta i più malagevoli e spinosi punti della Psicologia , e combattendo ora i sistemi ora le ipotesi e le sottigliezze , si fa strada alla Realità , . Per una lunga serie di osservazioni egli gradatamente giunge a stabilire ; Chi la sensibilità negli esseri organici siegue i gradi dfl loro meccanismo ; e che la differenza che vi è fra il tertiro dell' uomo e quello degli altri animali cossituisce la ca- -tatteristica essenziale della nostra seusibiihd paragonata colla ion • • / Che che ne sia della sensibilità assolutaci sonode’corpi più « meno conduttori , ma il più d’ ogni altro è 1* uomo . L’ esame particolare degli organi de’ nostri sensi , paragonati con quelli degli altri esseri sensibili, ne compruova maggiormente 1' assun- to , che anche più resta dilucidato colla dichiarazione di ciò -che si chiama Senso interno , punto centrale della sensibilità e *. *he par che segua la gradazione dd meccanismo e della sen- sibi- * Digitized by Google  .  xxxili >4* eoofesamjwegWBesaoexeBui-^BeSeeeaeeeaaetja sibiliti istessa . Ciocché 1’ Autore ha ridotto nel cap. V. della prima Parte basterebbe per fare un’Opera illustre. L’esame che egli fa della sensibilità , riducendola quasi agli elementi primitivi che la formano e la generano , dimostra che essa non può essere eguale fra gli uomini ; e rileva la dispia-» cevole verità , che il tuono fondamentale della sensibilità è il dolore : tristo partaggio di quest’ essere , di cui divien prin- cipio di moto , e di sviluppo d’ attività in tutu 1’ esten- sione . 1 Alla sensibilità sicgue ì* intelligenza come l’effetto alla causa e che per conseguenza deve portar 1* istesso carattere della sua genitrice. Questa è forse l' Ineguaglianza la piò espressa fra gli uomini ; ma a dir vero la meno fastidiosa . I piaceri dell’ intel- ligenza sublime non s’ acquistano forse che alle spese dell' esi- stenza e della vita. Ne fu un esempio funesto il nostro Gri- maldi medesimo Dalla sensibilità e dall’ intelligenza risultano le passioni e no portano il carattere . Chi non ne vede continuamente l' Inegua- glianza? Due illustri Moralisti Francesi , due nomi immortali per i progressi dalla Filosofia , Montesquieu ed Helvetius , so- stennero le cause uniche delle differenze generali fra gli uomi- ni , 1’ uno rapportando tutto alle cause fisiche , 1’ altro alle morali ; ma 1' amor del Sistema nascose alla loro vista la chia- ra verità che rivela la Natura. Se la sensibilità e 1’ intelligenza fanno nascere le passioni sono queste che determinano la volontà. Tutto dunque è Ine- E gua- Digitized by.Google  .  xxxiv eoaeejeBeaseesaeesoeeBeeaaeaoiyaeo >aiicjaL<ju< quagliatila ; dai primi composti fisici fino ai più sublimi risul- tati morali, tutto siegue questa legge eterna ed inevitabile della llatura . Lo stato d Ineguaglianza morale, cioè dell' uomo come essere pensante, è estesamente sviluppato nel secondo Tomo di codest’ Opera, dimostrandovisi che questa Ineguaglianza è in ragion composta delle facoltà intellettuali dipendenti dai meccanismo particolare degl' individui, e dalle cause esteriori , che più o meno si combinano o si coordinano a svilupparla. L’ Uomo è in relazione con tutti gli esseri che lo circonda- no . Ogni sensazione o piacevole o dolorosa fa una parte della sua vita o della sua esistenza ; e questo è nell’ ordine eterno della Natura , perchè i rapporti degli oggetti fra di essi e con f Uomo sono figli di quella Essenza delle cose , che forse la Natura ci ha velata per sempre ; ma sono quindi necessari co- me la loro stessa esistenza. , La sensibilità è il mezzo che lega V uomo agli altri esseri : Questa facoltà che si estende, si nobilita, si sublima , à dun- que varj gradi relativi a se stessa ed agli effetti che la percuo- tono . Quindi la diversità de’ bisogni e quindi delle percezioni » delle idee c dei sentimenti, che colle necessarie attenzioni svi- luppano le intellettuali facoltà . Ora essendo riconosciuta 1 ine- guaglianza della sensibilità dipendente dalla differenza del parti- colar meccanismo , zie siegue necessariamente , che le impressio- ni degli oggetti esteriori non sieno neppur simili ed eguali ne- gli individui . Ed ecco come la diversità di bisogni e di desi- deri , ' Digitized by Google  .  xxxv derj, che forma l' ineguaglianza morale fra gli uomini contemporaneamente questo principio d’ineguaglianza nella Na- tura stessa , cioè , nei bisogni relativi alla sensibilità di ciascun individuo . Chiunque non vede altro nell’ Uomo in ultima analisi che il Sentimento e V Espressione ravviserà in un colpo la ve- , rità di fatto delle idee dell' Autpre . Stabiliti tali principi , egli rileva primamente colle più giuste osservazioni che 1 indicazione dell’ Uomo Naturale è un’ inven- zione gratuita ed erronea è sempre lo stesso, e allorché diversifica per le circostanze, sono anche codeste naturali , cioè, nell’ordine della Natura che l’Uo- ; raononàuncaratterease, maquellocheè loèperlasi- tuazione relativa alle circostanze giacché in esso vi è altro ,, che la sensibilità modificabile dalle cahse esterne , e circoscrit- ta dalla forza del meccanismo di ciascun individuo. Che quia- di Io stato morale di ciascun individuo i relativo alle circo- stanze sociali combinate con quelle , che sorgono dalla propria sensibilità Con questi principj si apre la strada all’ esame morale deU’ uomo . Egli lo sottopone all’ esperienza , non come un semplice Fisico farebbe, ma come il Chimico più esperto e sensato, sottopo- nendolo all’ operazione di diversi agenti , analizzandolo , ricom- ponendolo , e combinandolo , per vedere in quale stato possa dare più felici risultati , risultati che caratterizzino la differenza e 1’ Ineguaglianza morale degli uomini e delle Società . L’ Uomo solitario è 1’ oggetto di queste sperienze esposto alla E a sciti— dei Filosofi ; perchè l’uomo per Natura , stabilisce Digitized by Google   XXXVI ocsfleesaoejeeoooeaooesocsocBooeaooeaoee'Mtoo semplice vista ; ma nella Società egli è messo ad un vero ci- mento, giacché ivi siscuoprono i varj gradi di rapporti, di affi- nità, di coesione Scc. su i quali si può misurare la sua moralità. Dopo d’ aver considerato che i rapporti dell’ Uomo solitario sono quasi negativi giacché sente appena i bisogni d’una sus- , sistenza che non conosce , per passare a considerarlo nello sta- to <Ii Società, riflette primamente , che la sociabilità è un» qua- lità essenziale dell' uomo ; cosa dimostrabile per ragionamenti se non fosse una verità comune , continua e coesistente colla stessa Umanità. Le Società anno intanto diversi gradi alla per- fezione . Il minimo par che lo conosciamo : ma il massimo , se vi può essere per 1’ uomo , sarà riserbato ad epoche più felici . Ma come tutti questi immaginabili gradi di perfettibilità sociale mettono i componenti in 'rapporti e circostanze diverse , cosi la sensibilità e la morale saranno del pari differenti . Gli uomini posti vicino alle catastrofi del Globo dovettero avere de’ senti- menti proprj ad essi , che nelle prime società di famiglia dovet- tero provare cangiamento ed alterazione . Lo stesso dovè acca- dere quando le famiglie cominciarono a moltiplicarsi , e la gran selva della Terra a popolarsi di selvaggi , e poi per successivi e varj gradi prevenire allo stato di barbarie ancor molto esteso e vergognoso per la specie . Tutti questi lenti passi dell’ umana perfettibilità sono partico- larmente osservati dall'Autore , sempre riportando tutto ai suoi principi , e facendo vedere come naturalmente ne discendano . La gradazione de* bisogni porta quella delle idee e de’ rapporti, dal- Digitized by Google   xxxvir .1 KiueBeteaaoeaeoeeaaoc ^>3frC-»o ccS3g>uce:!>o ysra& dell affinamento della sensibilità , dello sviluppo delle facoltà in- tellettuali. dell attività dello spirito, e finalmente della riflessio- ne . figlia necessaria di quell'olio , che susseguendo ai bisogni soddisfatti > ne vede o immagina gradatamente de' nuovi . In qnesy varj stati, per i quali passa 1' uomo, egli (à vedere come nascano l' indipendenza e la libertà , come si alterino e si per- dano, e come i sentimenti morali cangino d’aspetto al cambiarsi dei rapporti e delle circostanze. In somma egli fa la Storia mo- rale della specie , se non comprovata da documenti che devono mancare , almeno qual doveva essere per necessità di Natura- Scorsa cosi la Storia oscura dell Umanità, dove sempre l' Ine- guaglianza domina e campeggia , perviene finalmente allo stato di luce , all’ epoca della Società civilizzata ed ingentilita . E’ permesso al Poeta ed all' Uomo fortemente appassionato di riso- spirare le selve al centro del vortice sodale , come è loro per- messo di evocar le Ombre e le Furie , che io guidino nel per- petuo albergo dell’obblio . Ma il tranquillo Filosofo , compassio- nando gli eccessi della sensibilità e della immaginazione, richia- ma 1’ uomo ai suoi doveri rimostrandogli le beneficenze della vita sociale • Quando si considerano le Società civilizzate , e la perfettibilità della quale sono capaci , bisogna aver lo spirito falso per abborrirle , o per preferire ad esse uno stato naturale, che non esistè giammai in Natura. Nelle Società solamente si svi* luppano le facoltà morali ed intellettuali deli* Uomo : è dunque in esse che si purifica o si perfeziona la specie. Diogene vole- va ravvicinar 1' Uomo alla Natura , non col degradarlo mino- rando   XXXVIII H* »ando la sua esistenza , ma colla virtù accrescendola e miglio- randola ; e questa non è anch’ essa il più nobile ramo dell al- bero sociale ? E’ vero che nella Società si sviluppa e manifesta maggiormen- te 1’ inegu3gliania morale ; ma in che altro consiste essa che nei gradi di miglioramento del carattere e dei sentimenti degl individui ! E se anche le circostanze sociali portano delle catti- ve abitudini, che altrimenti non esisterebbero, codeste sono mo- derate e ritenute dalle leggi conservatrici . Ma questo rientra nell’esame dell’ ineguaglianza politica, che 6 1‘ oggetto della Ter- za Parte. Qual infinita differenza fra 1 selvaggio e 1 uomo civile ! E' la crisalide trasformata in farfalla . Questa metamorfosi , eh’ è un miracolo agli occhi volgari , non è che un naturale svilup- po a quelli dell' attento Naturalista . Tale è 1’ uomo sodale per chi medita la Natura umana . Ma qual differenza ancora nel seno stesso della Società ! Nel massimo della civilitazione si trova spesso lo stolto selvaggio ed il barbaro feroce , 1’ uomo di genio e lo stupido , il virtuoso Filosofo , 1 imbecille supersti- zioso , 1‘ opulenza ed i cenci ; il Frate ed il Militare esistono nella stessa società e sotto lo stesso Governo. Ma fra i Governi ancora quai triste differenze ? "Lo stupido Despota da un trono invisibile sacrifica milioni di schiavi ; mentre un Rè vive da amico col popolo che lo adora . Un Senato Aristocratico a pas- si lenti e regolari calpesta un popolo che crede degradato per Natura , e che lo è spesso per sentimento ; mentre una Demo- cra- Digitized by Google  crazia , sragionando quasi sempre nelle sue risoluzioni opprime , ,  «M-xxxix h* sooooeaaecaje e tiranneggia gli altri popoli che le appartengono La tumultua- . ria libertà è al centro- la schiavitù , e l’ oppressione alle circon- ferenze . Che strani misti ancora possono sostenersi , senza un contrasto di forze resistenti l E quali specie di sentimenti nascono ancora sotto queste varia- te forme! L opinione sostenuta tà il vessillo dei ineguaglianza; e le leggi, sempre deboli contro • quella dominatrice dell’ Universo, la vedono spesso lor malgrado de' varj Governi , che non dal potere innalbera in mezzo alla Socie- trionfare. Ognuno si sforza per avvicinarsi revole; e se tutti gli sforzi non sono egualmente felici, cosi non- dimeno si scuote l’inerzia fondamentale dell'Uomo , così esso di’ viene un essere attivo, così si sublima a un grado superiore a tutti gli altri esseri senzienti . Le circostanze che s' incontrano , ael corso della vita, determinano gli uomini diversamente in ra- gione della loro sensibilità ; e quindi nella riunione delle azioni . formano un tutto, non di parti similari, ma differenti e dissimi- li , che fermentando necessariamente rigenerano il moto e danno origine a nuove trasformazioni Senza l’ineguaglianza le Società non sussisterebbero. Non posso» no codeste distruggerla, ma non per questo essa porta un caratte- re intrinseco di male: e quando siam persuasi che le idee mo- rali sono tutte relative , e che esse traggono la loro sorgente dai rapporti immediati dell'uomo, ci bisogna esser conseguenti iti riconoscere il bene che fa la Società col moderare e rintuzza- , a quell' insegna favo-  .,.  4*4 XL te i disgustosi eccessi dell’ ineguaglianza che viene dalla Natu- ra . Nelle Società sono nate le leggi protettrici della de- bolezza e direttrici della forza e della Ragione ; e se le Società non danno sempre quegli effetti che dovrebbero per loro natu- ra, non parmi che sia per intimo difetto della cosa, ma della Na- tura umana finora incapace d’ un sublime grado di perfezione Se nondimeno la ragione , la sperienza e la Storia ci mostrano, che 1' uomo in società è sempre determinato dalle cagioni e dalle circostanze ; e che queste sono in gran parte in mano del Legislatore e del Governo , basta far nascere queste circostanze, per far prendere agl’individui quella determinazione , eh è più atta fare la loro felicità relativa • Alfonso 1. amò le lettere , fu !’ amico de' valentuomini , li premiò , li onorò, e durarono iìno al tempo de’ suoi brevi successori La legislazione moderna d'Europa manca ancora dima parte, cioè, del premio alla virtù. Quindi ritieguaglianza divien più do- lorosa , e le leggi non communicano un moto sufficiente verso la Beneficenza . Chi a caso s' avvia per questa strada , vi si vede quasi isolato; e non potendo giugnere all’insegna dell’opi- nione per la gran folla pervenutavi per istrade più brevi, si con- tenta d’ un piccolo tugurio su la via percorsa , e colà vive da Eremita Bisogna assolutamente leggere i tre uhimi Capitoli della Parte Terza, per avere le più giuste e vere idee della Legge di Natu- ra , del Dritto delle Genti e del Civile . J principj fattizj d’ al- cuniFilosofivisonomodestamenteesaminati, colmostrareche essi Digitized by Google   •M XLI essi non s’ adattano all’ uso dell’ umanità , e per conseguenza non sono tratti da quei rapporti coesistenti colla specie , e che non si cangiano , che nei diversi punti della naturale progres- sione . Le prime leggi di Natura sono comprese nella teoria della sensibilità tanto bene sviluppata dall'Autore. Tutti i drit* ti dell'uomo, in qualunque stato, sono una emanazione di quella qualità inerente alla sua esistenza , e su di essa si devono misurare . Quindi dimostra infine che non bisogna giudicare delle azioni morali col rapportarle all’ idea di utile , perchè sa- remo sempre ingiusti ; c clic I" archetipo al quale si devono ri- ferire è la Giustizia , che vale a dire, T espressione perpetua ed eterna della morale verità Ecco il secco scheletro d'un’ Opera pienissima , fatto solo col ravvicinare il più che per me si è potuto le idee principali dell’ Autore relative al suo titolo , titolo che forse per sola mo- destia volte Imporle ; poiché *i -parer mìo , è il più completo corso di naturale Filosofia, essendo tratta dalla vera natura dell’ uomo , ed il più utile, perchè applicabile a tutta la pratica del- la morale ed alla teoria della Legislazione . Qual giustezza • qual vastità di spirito , qual’estensione di cognizioni e quale su- blimità di genio abbiano avuto parte à quest’Opera non può rile- varsi in un estratto. I Giornali d'Europa fecero eco in celebrar- la : e questa e quella del Cavalier Filangieri, facendo molto ono- re alla Nazione , eccitarono le più lusinghiere speranze di ve- der presto in un nuoyo Codice gir'effetti di questi lumi e di ’ queh Digitized by Google  ,.  XLI1 quella libertà che non si scompagna giammai dalla Ragione e dalla Virtù . Una tale Opera che sarebbe stata sufficiente per fare la cele- brità d'un uomo, che poteva farne nascere delle altre utilissime, che non pecca d’ altro che d’ abbondanza d’ idee e profondità di pensieri , avrebbe dovuto fare riposare lo spirito dell’ Autore , se avesse travagliato pel solo desiderio della Gloria . Ma que- sto sentimento lo tormentava cosi poco , che non potè calma- re 1’ attività dello spirito sempre sollecito d; pensieri utili ed interessanti , e lo diresse ad altr* oggetto , che doveva eterna- re la sua memoria colla gratitudine della Nazione. Annali del TTL sentimento di Patria, soggetto ad estinguersi sotto ‘1 di- Regno JlL, spotismo , ricomparisce nello spirito e nel cuore sotto di- versi aspetti ne' Governi moderati. li desiderio della Gloria e del Pubblico bene accompagna costantemente questo sentimento nel- ie anime ben nate ; e ciascuno brama nel suo interno , che, la sua Nazione sia la più rinomata e la più felice . La nostra Nazione è come una illustre antica famiglia della quale si contano tanti -Eroi nella Storia e le cui glorie sono coeve del tempo htcsso s ma ridotta in più povera fortuna ed umile stato , riclama solo per suo vanto le imprese c le gesta de’ suoi maggiori . Vide il Grimaldi che nella folla de' nostri Storici Scrittori si era mancato sempre a quella vista che l' ottimo Storico deve ave- re, 1' utile cioè dell'umanità e della Nazione in particolare per la qua- Digitized by Google   XLIII ì* t<.gaeoaoe3ao(^i)oce9ae5uiryj<xs)3iitsatii3aae»ioi=>» quale si scrive . Vide che uu nudo racconto di fatti non sareb- be stato che una inutile rapsodia atta ad occupare il tempo degli oziosi e degli annojati. Vide che la Storia non è altro , che la vita morale delle nazioni . Vide che i fatti che formano il ma- • teriale d' ogni Storia, non sono che fenomeni, che devono ave-* re delle cagioni . Vide finalmente che la Storia doveva essere d’ un utile presente . Ecco ciocché gli fece nascere l’ idea di compilare gli Annali del Regno . L’apparato delle difficolti da scoraggiare qualunque spirito non fecero arretrare il suo. Quel vigore di sentimento e quella co- stanza ch'ei portava in tutte le sue intraprese, lo accompagnaro- no similmente in questa pur troppo malagevole e difficoltosa. Egl’ incominciò dalla Geografia, non col far una secca no- menclatura o una nojosa discussione critica su i veri nomi a situazioni delle antiche Città e popoli : ma col dare nettamente in risultato quello che vi era di piò verificato e che più im- portava di sapere . Un Filosofo vede con occhio differente da! Filologo gli antichi fatti ed i superstiti monumenti. Così egli non si fermava sn i fatti isolati , ma combinandoli e riducendoli li richiamava quasi a nuova vita , e per tal modo con .molta fatica ci ha dato la Storia de’ tempi quasi del tutto ignoti alla Storia, stessa. Egli ha descritto Io stato barbaro del Regno prima che le Colonie d' oltremare venissero a civilizzarlo : à fatto vedere 1* azione reciproca d qua.’ popoli fra loco. , e per effetto delle j varie leggi , 1' avanzamento degli uni e la decadenza e di$tru-> ' zione degli altri; i progressi della perfettibilità Fi non sociale j Inforza DìgiUzed by Google  LXIV teMPOeeOaaoaBoeeesoeieeaeBOiuo^eeaooo» non sempre accompagnata dalle ricchezze : la popolazione o le coltura crescer col commercio e colle arti e poi divenir preda d’altri popoli più guerrieri. Egli discese fino alla particolarità di quelle costumanze che allora si chiamavano Religione , feroce o lieta secondo lo stato e carattere della Nazione. Lo stesso Go- verno economico e politico non è stato trascurato , mostrando come questi popoli liberi e divisi sapessero poi formare un uni- tà ed una forza concorde , che formasse di tanti voleri un so- lo, cioè , quella volontà generale , che è la legge eterna delle Nazioni . Le arti , 1; agricoltura , le Scienze anno anche meritato la sua particolare attenzione : e sebbene sembri eh' abbia rab- bassati troppo i popoli Autottoni d Italia , pure chi considera: attentamente, troverà, che si è egli voluto attenere più alla ve- rità Storica , che alla vanità Nazionale In tutto fi corso di questa Storia la di lui penna è sempre animata dal cuore. La tirannia , il vizio t la superstizione , che entrano pur troppo spesso nella Storia dell’ uomo , sono mostri che non si stanca mai di combattere , smascherandoli anche dove li uova coperti e velati , per far via più campeg- giare la vera gloria e la virtù, sempre rara nel corso de’ secoli. La libertà , parola volgare , poco ancora intesa , dritto prezioso dell’ uomo e più prezioso per la Società , è sempre rilevata dall’ animo del vero Filosofo , che non può far a meno d’ amarla . ' Su questo gusto egli tratta la Storia de’nostri progenitori . fin- ché essi e l’ Italia tutta non perderotto la propria esistenza , per diventare nou sudditi ma schiavi di Roma. U .  . Digitized by Google  .  4*^ XLV >4* la forma del Governo cangia il carattere morale de popoli „ Niente di grande , niente di generoso sema 1’ amor della Patria e sema il sentimento di libertà . Un lusso distruggitore, il lan- guore dell’ inerzia , la schiavitù e la spopolazione corteggiano sempre il dispotismo. E questo è il quadro degli antichi popoli sotto l' Impero de’ Romani I Barbari distruggendo l’Italia la rigenerarono. Essa non po- teva rinascere che dalle sue ceneri : ma con qual progresso lento , con quali nuovi errori , con qual nuova strage deli* u- manità riprendesse questo corso , tutto è attentamente rimarca- to dall' Autore , a cui nulla sfugge di quanto deve far vergo- gnar 1' uomo delle sue pretensioni o consolarlo ed istruirlo . Ma è inutile di parlare più oltre di quest’ Opera, che è nelle mani & ogni onesto cd illuminato cittadino . E' stata vera disgrazia della patria, che l’Autore sia rimasto a mezzo ’l corso della sua vita e del più utile prodotto , che potesse dare alla Nazione. Ecco con quali Opere Fr. A. G. rese immortale il suo nome. Ecco con quali mezzi cercò di essere un utile e benefico cittadina Ecco quali titoli abbiamo di celebrare e piangere la sua memoria. La di lui vita si può dire compresa tutta nelle Opere sue , non solo perchè le idee nuove e sublimi fanno quasi 1’ apice dell’ esistenza d’ un uomo di lettere e d’ un vero Filosofo ; ma per- chè nelle di lui Opere morali souo espresse e manifestate quelle idee, e que’ sentimenti ch'egli esercitò in tutto il corso del suo vi- vere. Tuttavolta il mio cuore sente ancora il bisogno di parlare, di qualche altra particolare circostanza. Si Digitized by Google   4*4 xlvi >4» Si inno ordinariamente delle strane idee s» la sensibilità del cuore umano . Si dispensa e prodiga spesso il titolo di sensibi- le alle anime deboli o alterate , credendosi volgarmente che la sensibilità non possa esser compagna della virtù e della ragione. Bisognerebbe essere o stupido o affatto depravato per rimaner insensibile ai più lusinghieri e naturali sentimenti; ma questi per essere conformi alla loro destinazione) devono nascere da quella analogia d' idee , da quella uniformità di sentimenti e da quel- ( la consensibilità di cuore) che formano la base armonica dell' amore.-Se un uomo sensibile resta indeterminato a questo sen- timento , non è certamente per mancanza di sensibilità fonda- mentale, ma dal non essersi ancora incontrato con un cuore v che possa combaciarsi e quasi amalgamarsi col suo . Rari in- contri , ma possibili, per consolazione della spezie tonio Grimaldi fa abbastanza ragionevole e fortunato, per collo- care gli onesti sentimenti del suo cuore in quello della Contessa tratteggiata dall' espressione della virtù c dei doveri , era poi quasi alluminata Aurora Barnal a. Una fisonomia felice, fortemente da più soavi e teneri sentimenti del cuore. La dolcezza delle -sue maniere , la facilità della sua ragione il gusto per , laverità, la superiorità ai pregiudizj desiderj ( virtù rara nel sesso ) faceva parere che fussero tras- fase nella di lei anima le virtù del suo compagno come spesso , il disinteresse , e la temperanza dei , una maschile fisonomia ei conosce in più delicato volto e pren- , de la morbidezza e ’l carattere del sesso che investe- Con que- ste qualità fondamentali si potrebbe mai dubitare , se D. Auro- ra ! Francescan- Digitized by Google  4*4 XLVII H ra facesse la feliciti della sua famiglia , se fosse la più teneri amica del marito , la più saggia madre delle sue figliuole , la più atta all’incarico delle domestiche cure ? Non si conosceva intera- mente F. A. G. sema conoscere ancora qual donna egli s’ avesse assortita . Gli amici e confidenti di lui erano egualmente j suoi Lo spirito di ragione e ’l gusto ch’essa portava su varj oggetti, ne rendevano la compagnia egualmente piacevole ed interes- - sante . la sua casa era quindi il punto di riunione di coloro che ai talenti accoppiavano le Non è questo il luogo di fare il catalogo dei molti amici del Grimaldi * tutti conosciuti per merito e per probità ; mi non posso trattenermi dal ricordar colui la cui memoria dovrà esser mai sempre cara alla nostra Nazione , dico d’Antonio Genovesi, padre e creatore de’ nostri ingegni Quell’ Uomo egualmente di . cuore benefico e di spirito sublime aveva assai punti di rappor- to per esser stretto amico del giovine Grimaldi , che già in fre. sca età dava non dubbj segni d’ esser destinato a divenirgli successore nella pubblica stima , e nella celebrità » Grimaldi era un uomo che abbisognava d'amare per istinto; sin- cero e semplice nelle sue maniere come ne’ suoi sentimenti , il suo cuore non era chiuso nè dalla diffidenza nè dal disingan- no . La libertà della- sua ragione non era mossa nè dallo spiri- tò di dispuu nè dal gusto di primeggiare : ma aveva il giusto principio di richiamare tutte le idee allo scopo dì qualche uti- lità morale . Con questa maniera di pensare , oh quanto d’ inu- tile si trova negli usi ordinar) della vita ! Eppure essa dà il meto- do p iù lodevoli qualità, del cuore- .  * Digitized by Google   4*4 xlviii >4* do più vantaggioso per giudicare del bene reale delle cose e del- le azioni . I suoi più prediletti discorsi si raggiravano su que- sto punto che tanto facilmente ricorre nelle Capitali . dove la grandetta della scena è proporzionata alla moltitudine degli at- tori . Così quest’ uomo nel tempo che si sottraeva alle necessa- rie applicazioni' non si distraeya in inutili trattenimenti , ma in compagnia d’eletti amici rilevava Io spirito con altre idee era-, gionamenti d’un utilità più ordinaria e generale. Non solo i nazionali ma gli esteri ancora vollero avere il piacere -di vedere dawicino quest’uomo illustre, e restavano sor- presi nel riconoscere in una somma semplicità di maniere quel Filosofo , che in lontananza avevano altrimenti immaginato. Egli però poco desideroso di essere conosciuto , niente avida» di gloria letteraria , anzi pieno d’ una vera modestia che ac- cresceva il di lui merito reale, evitava. le nuove conoscenze, e cercava di tenersi chiuso eristretto fra’l numero di pochi amici, eh’ egli più che fraternamente amava . Pareva che non esistes- se veramente fuori della sua famiglia . Cosa rara nel seco- lo ! Le persone eccentriche ai sentimenti primitivi , che anno bisogno d’uria esistenza adjettizia, che unicamente vivono in so- cietà estranee ad essi, o dnno la disgrazia d’aver sonito circo- stanze infelici , o non esistono che per 1’ ambizione e per la vanità . La prima morale comincia, dai primi vincoli e rapporti che ci dà la Natura ; e chi non sente questi non sentirà che in apparenza quelli della società che sono più lenti. Chi non trova i germi delia sua felicità nella prima società naturale, potrà difficil- jncu- Digitized by Google  44 XLIX euere39ee»au(^>jeejeBg3eomjaoiie35e»^><- c»iwieeao «ente rinvenirli altrove. Quindi egli menava il più che poteva la vita domestica , e poco si estrinsecava , anche per non inde- bolire i vincoli del cuore , che si spossano nelle troppo suddi- vise diramazioni . Non potè però celarsi allo sguardo di chi lo cercava senza conoscerlo. 11 Generale Afton, desideroso d’avere al suo fianco un uomo , che all’ estesa cognizione delle Leggi riunisse non ordinarj talenti e le più preziose qualità del cuo- re, non altrove seppe porre il suo giusto sguardo e fermar la sua scelta che sopra Grimaldi, già molto conosciuto per nome e per i suoi libri in Europa. Egli lo rese noto alla Maestà del Sovrano che sempre amante dc'talenti dc’suoi sudditie voglioso di ricono- scerne il merito , fece che restasse impiegato nelia delicata cari- ca d’-Assessore de’ suoi Reali Eserciti, avendolo poi in mira per altre situazioni , dove più utilmente e più estesamente avrebbe impiegato la forza de’ suoi talenti, e l’attività del suo cuore. Io non devo estendermi sii! dìsiiBpegno particolare della sii* Carica . Pieno di talenti , della più vera rettitudine di cuore , ed esercitato alla virtù chi potrebbe dubitare se ben l’esercitasse è li Publico ne ha fatto l' Elogio, e lo ha fatto colle lagrime . Nel rimanente della sua vita privata era lo stesso cogli estranei e co- gli amicj . Ignorò sempre ciocché si chiama lingua e tuono del mondo , non essendo stato giammai Cortigiano , nè potendo es- serlo pel suo carattere . La verità usciva nuda c sincera dalla di lui bocca, e la espressione di essa gli era cosi naturale come il sentimento» Mai ricercato o ingegnoso, non isforzava lo .spiri- to per mostrare d’ averne , e le sue maniere non erano model- G late ,  Digitized" by Google   L eCJlMStysooe^fle^oe^e^nr^anp^sagsg^at x —v^' * s^ey— late sul gusto o sulla moda , ma spontanee , cordiali e vere . , In tal guisa egli faceva la delizia di chi aveva la fortuna d' essergli vicino. In questi ultimi anni però era poco il tempo che poteva con- sacrare all’amicizia. Pieno di sentimenti di dovere pel suo im- piego , ei s’ occupava in gran parte di quello e compromesso ; col pubblico e con se stesso per l’Opera degli Annali, travaglia- va e meditava assiduamente su quest’ oggetto a lui caro . Ru- bava le ore- necessarie al rinfranca delle perdite giornaliere della macchina per soddisfare alle intense brame del suo spirito . Ma questa combinazione eccessiva di fatiche alterò non poco la sua robusta e valida costituzione* Gli accessi del male che soffrì più volte , furono tanto ferali, che minacciarono la sua esistenza : ma fatto più per abbandonare se stesso, che disposto a trascurare in menoma parte i suoi doveri, non si diede mai un serio pansiere della propria conservazione. La sofferenza che si aveva acquistata per i mali fisici passava qualche volta in neghittosa noncuranza, nè voleva ricordarsi della pur troppo stretu dipendenza del no- stro essere dallo stato delf organizazioue . Le rimostranze che gli si facevano per questo , erano sufficienti per disturbarlo ; e se qualche volta si ridusse per le amicali violenze a temperare alquanto le sue applicazioni, e a prendere qualche cura della sua esistenza , ad ogni piccolo miglioramento ritornava inconta- nente ai modi usasi . senza badare , quanto la machina, indebo- lita prende con faciliti le cattive abitudini , che ne portano 1* distruzione .Ma V intemperanza nelle applicazioni dello spirito,'. è sta- Digitized by Google   +Ì LI H* è stata in ogni tempo il difetto comune ai grandi e sublimi ta- lenti. In questo stato d’ assidue fatiche e di spossatezza , un colpo terribile gli fece risentire la catastrofe , che nel disastro della Calabria involse anche il luogo della sua nascita . Quel giorno di lutto comune della Nazione fu terribile per lui, che colla ma- dre perde cinque altri individui della sua virtuosa famìglia . La ragione non à fòrza di consolare il cuore destinato a sentire e non ad essere comandato.; e In inaura»*»»*»»» dell» sensibilità so- no le più distruttive di questa nostra tenue e troppo complica- ta organizzazione • In mezzo al più vivo dolore il Grimaldi non diede soltanto sterili lagrime alla Patria . Egli per Sovrano com- mando fu il primo descrittore di quella fatale sventura , il pri- mo a suggerire le necessarie viste d’una ben intesa beneficen- za , ed a sollecitare la sensibilità, del Trono per conservare gli avanzi di quel popolo infelice. Dalle di lui carte ne nacquero altre molte , che forse quanto inno di esattezza Io devono s quelle , eh’ egli per sua modestia non volle publicare Ma forse nè per quel violento attacco di sensibilità, nè in con- seguenza delle nuove fatiche l’ arressimo immaturamente pianto, S® il più terribile e fatai colpo non l’avesse sopraffatto in questo sta'to di salute indebolita . Egli vedeva da più tempo la diletta compagna del suo cuore, in età giovane ancora, perdere quell* espressione.ti «alm*. r: -1—lietaunafisonomia. Tutte le attenzioni che trascurava per se medesimo, volle che fos- sero moltiplicate per lo sospirato ristabilimento della sua consorte Ci . •0 Qigìtized by GoogleJ "1   4*i LII >4. td amica- L’insinuante qualità del male , che già della di lei tersotia si era impadronita, dava luogo a frequenti alternative di speranze e di timori: ferite mortali nell'animo di chi ama . Chi è stato anche solo spettatore in si fatti casi conosce in qua- le stato d’ orgasmo sia un cuore sensibile, ed a quali lacerazioni sia in necessità di soggiacere . Il male che nel corso di circa due anni distrusse la vita d’ Aurora Darnaba , fece anche crol- lare quella cfel suo illustre consorte . Le anime sensibili e non infelici nel sacro nodo ronjugale possono forse sole immaginare qual profonda acerbissima ferita dovè farsi nel cuore superstite . Gli amici , che gli erano d’ in- torno, vedevano espressa su la di lui costretta fisonomia l’ im- mensità del dolore e P indifferenza alla vita . Il solo amor pa- terno poteva ancora rendergli non odiosa 1' esistenza ; ma la macchina non resiste alla gravezza de’ mali dell'animo . ed O T una o 1’ altro deve soccombere. Gl’incomodi, che prima Pavé- vano travagliato ad intervalli, divennero continui; le medele a- vevano perduto la loro attività; la macchina ora indebolita a se- gno , che un colpo solo tolse la più preziosa esistenza per 1‘ a- micizia e per la virtù • La perdita del Pubblico e degli amici è irreparabile ; ma le cinque nobili ed afflitte pupille ànno trovato nei cuori di Fer- dinando E Carolina la sensibilità e P affetto dei loro Geni- tori - Possa «ampie hi BemeficenT» far I’ Elogio de’ nostri adora- bili Sovrani ! Questa è la vera riconoscenza eh’ essi possono testimoniare alle ceneri dell’ Illustre Cittadino , come queste pO- Digitized by Google   un >4* poche pagine e questi sentimenti sono dopo le lagrime l' uniccr omaggio , che 1’ amicizia poteva consacrare ALLA MEMORIA ETERNA DI FRANCESCO ANTONIO GRIMALDI; v. A. XLU. M. IXFrancesco Antonio Grimaldi. Francesc’Antonio Grimaldi. Francescantonio Grimaldi. Marchese Grimaldi dei signori di Messimeri. Keywords: compassione, la compassione, Romolo bruto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grimaldi: implicatura ed inter-azione” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691180351/in/photolist-2mQHpXE-2mPpb7N-2mKC3nj-2mKLP2r-2mKRy6y-2mPHbXQ-nSmehQ-mujkJt-muiPJa-muiFjz-mukwpq-mujmJz-mujhJF-mujo6x-mujjcR

 

Grice e Gruppi – la via italiana al socialismo – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Torino). Filosofo. Grice: “Gruppi is an Italian philosopher; at Oxford, someone who writes only on politics is not considered usually one!” -- Il concetto di egemonia in Gramsci Incipit Antonio Gramsci è senza alcun dubbio quello che, tra i teorici del marxismo, ha maggiormente insistito sul concetto di egemonia; e lo ha fatto in modo particolare richiamandosi a Lenin. Anzi, direi che, se vogliamo vedere il punto di contatto più costante, più scavato, di Gramsci con Lenin, questo mi pare essere il concetto di egemonia. L'egemonia è il punto di approccio di Gramsci con Lenin.  Citazioni La scienza si ha quando si supera il dato immediato, l'apparenza; si ha con un salto dialettico. In tutte le analisi che Gramsci conduce, io trovo la presenza di un filo rosso che le guida, presente in tutti i Quaderni. Luciano Gruppi, Il concetto di egemonia in Gramsci, Riuniti, Roma.  Gramsci è senza dubbio quello che allaccia, se così si può dire, congiunge il movimento operaio italiano agli insegnamenti di Lenin, è giustamente il primo bolscevico italiano, come disse Togliatti, il primo leniniano del nostro Paese. Attraverso un processo che fu complicato e che parte dalla sua comprensione non completa, ma sostanzialmente giusta del valore della rivoluzione d'Ottobre, arriva ad affermare che la rivoluzione d'Ottobre è una rivoluzione contro Il Capitale di Carlo Marx, cioè contro un'interpretazione meccanica, schematica del Capitale, secondo cui bisognava aspettare lo sviluppo delle forze produttive del capitalismo, ecc. ecc. Già coglie l'importanza dell'elemento soggettivo, della funzione del partito come guida dei processi rivoluzionari.  Gramsci sempre più si avvicina ad una comprensione del pensiero di Lenin con un processo che va dal '19 sino al '25-26 e che anche nei Quaderni del carcere è un approfondimento del pensiero di Lenin.  Gramsci si aggancia direttamente al concetto di dittatura del proletariato come si trova in Lenin, individuando nella dittatura del proletariato, non solo un profondo mutamento della struttura economica e politica del paese, ma una profonda rivoluzione culturale, una profonda trasformazione del modo di pensare degli uomini non solo in Russia, ma in tutto il mondo. Il pensiero degli uomini non può più essere la stessa cosa dopo l'instaurazione della dittatura del proletariato in Russia.  La dittatura non è soltanto un fatto politico, ma di cultura e di pensiero, secondo quello stretto nesso che Gramsci stabilisce tra politica e filosofia affermando che la filosofia vera di ciascuno sta nel suo modo di agire, sta nella sua politica più che nelle dichiarazioni teoriche. Da questo egli ricava che il principio teorico-pratico dell' egemonia (e qui egemonia significa dittatura del proletariato) ha anch'esso una portata gnoseologica, cioè di conoscenza, e pertanto in questo campo è da ricercare l'apporto teorico massimo di Lenin alla filosofia della prassi, cioè al marxismo.  Lenin avrebbe fatto progredire la filosofia come filosofia in quanto fece progredire la dottrina e la pratica politica. C'è stretto nesso, quindi, tra i due elementi.  In un altro punto dei Quaderni dice: «Tutto è politico, anche la filosofia o le filosofie. La sola filosofia è la storia in atto, cioè è la vita stessa. In questo senso si può interpretare la tesi del proletariato tedesco erede della filosofia classica tedesca, come aveva detto Engels, e si può affermare che la teorizzazione e la realizzazione dell'egemonia fatta da Ilic [Lenin], è stato anche un grande avvenimento metafisico, cioè nel senso di pensiero generale, non nel senso negativo di filosofia astratta».  Il processo attraverso cui Gramsci nei Quaderni arriva a queste conclusioni è complesso. Gramsci al tempo dell'Ordine nuovo, già nel '19, parte da una riflessione sullo Stato che non è una riflessione sullo Stato in generale, ma sullo Stato borghese italiano, una individuazione della sua specificità.  In un articolo dell'Ordine nuovo, del febbraio del '20, scrive: «Lo Stato italiano che - secondo un parlamentare - starebbe alla repubblica dei Soviet come la città all'orda barbarica, non ha mai neppure tentato di mascherare la natura spietata della classe proprietaria.  Si può dire che lo «Statuto albertino» sia servito ad un solo fine preciso: a legare fortemente le sorti della corona alle sorti della proprietà privata. I soli freni che funzionano nella macchina statale per limitare gli arbitri del governo dei ministri del re sono quelli che interessano la proprietà privata del capitale. Soltanto qui si pongono limiti all'esercizio del potere per garantire la proprietà, la libera iniziativa.  Lo «Statuto albertino » non ha creato nessun istituto che presidi almeno formalmente le grandi libertà dei cittadini: la libertà individuale, la libertà di parola e di stampa, la libertà di associazione e di riunione, mentre negli altri Stati democratico-borghesi almeno una garanzia, almeno formale, esiste, in Italia non c'è neanche la garanzia formale.  Negli Stati capitalistici che si chiamano liberal-democratici l'istituto massimo di presidio delle libertà popolari è il potere giudiziario. Nello Stato italiano la giustizia non è un potere, è uno strumento del potere esecutivo, è uno strumento della corona e della classe proprietaria, cioè è agli ordini del ministro della Giustizia. Si pensi che ancor oggi la nomina del Pubblico ministero avviene ad opera del ministro della giustizia. La direzione generale delle carceri, le direzioni particolari, gli agenti della pubblica sicurezza, tutto l'apparato repressivo dello Stato dipendono dal ministero degli Interni, si capisce perché in Italia il presidente del consiglio si riservi sempre il ministero degli Interni, come era tipico nello Stato prefascista, in modo che tutto l'apparato di forza armata del paese sia completamente nelle sue mani.  Il presidente del consiglio è l'uomo di fiducia della classe proprietaria - alla sua scelta collaborano le grandi banche, i grandi industriali, i grandi proprietari terrieri e lo Stato maggiore. Egli si prepara a conquistare la maggioranza parlamentare con la frode e con la corruzione; il suo potere è illimitato non solo di fatto - come è indubbiamente in tutti i paesi capitalistici - ma anche di diritto, il presidente del consiglio è l'unico potere dello Stato italiano.  La classe dominante italiana non ha avuto neppure l'ipocrisia di mascherare la sua dittatura, il popolo lavoratore è stato da essa considerato un popolo di razza inferiore che si può governare senza complimenti, come una colonia africana. Il Paese è sottoposto ad un permanente regime di stato d'assedio: in ogni ora del giorno e della notte un ordine del ministro dell'interno ai prefetti può fare entrare in movimento l'amministrazione poliziesca, gli agenti vengono sguinzagliati nelle case, nei locali di riunione, senza mandato dei giudici, che sono passivi. In pura via amministrativa la libertà individuale e di domicilio è violata, i cittadini sono ammanettati, confusi coi delinquenti comuni in carceri luride e nauseabonde, la loro integrità fisiologica è in difesa contro la brutalità ed i contatti, i loro affari sono interrotti o rovinati. Per il semplice ordine di un commissario di polizia un locale di riunione viene invaso e perquisito, una riunione viene sciolta, per il semplice ordine del prefetto un censore cancella uno scritto il cui contenuto non rientra affatto nelle proibizioni contemplate dai decreti generali [c'era la censura sulla stampa] per il semplice ordine di un prefetto i dirigenti di un sindacato vengono arrestati, cioè si tenta di sciogliere un'associazione, ecc.».  È un'analisi spietata dei limiti liberali e democratici dello Stato liberale italiano, della sovrapposizione del potere esecutivo sul potere legislativo, sul potere giudiziario, è una descrizione di questo ordinamento che discende dall'esecutivo ai prefetti, ai questori e sospende in qualsiasi momento ogni libertà.  Ora a questa visione, a questa definizione, a questa analisi dello Stato italiano, Gramsci ne contrappone un'altra che nasce dal movimento reale. Anche per lui, come per Lenin, la conquista dello Stato non è puramente un momento negativo, di distruzione, ma è il processo di crescita di un nuovo tipo di Stato, che si organizza sin da prima della conquista dello Stato. E la rivoluzione, come per Lenin, viene concepita come un processo, non come un atto subitaneo che si compie in un determinato momento.  La domanda infatti, che egli si pone nel ' 19, la domanda da cui parte con tutto il lavoro del giornale, dell'Ordine nuovo, è precisamente questa: se ci sia in Italia, a Torino, un embrione di Soviet, un inizio di Soviet, e la risposta è: sì, sono le commissioni interne. E aggiunge: bisogna trasformare le commissioni interne in qualche cosa di piu, bisogna far nascere dalle commissioni interne, cioè dall'esistenza dei Consigli di fabbrica eletti da tutti i lavoratori indipendentemente o meno dalla loro iscrizione al sindacato. Con rappresentanti quindi per reparti, per officina, per mestieri, e cosi via, in modo che il Consiglio di fabbrica sia il momento non solo della difesa dei diritti sindacali o delle conquiste sindacali, ma un organismo attraverso cui gli operai si impadroniscono del processo della produzione, della organizzazione del lavoro, intervengono sul processo della produzione, stabiliscono un potere nella fabbrica, un potere democratico della fabbrica e un potere che poi dalla fabbrica si irradi alle campagne e salga a diventare potere nella società e nello Stato.  indice  I consigli di fabbrica  Gramsci dice che questo trasforma l'operaio da semplice salariato - schiavo del capitale, non cosciente della funzione storica della propria classe - in produttore (egli prende da Sorel questo termine), ma esso è presente anche in Marx quando parla della Comune come l'autogoverno dei produttori e non più degli operai salariati, cioè dell'operaio che ha superato ogni limite corporativo, che non ragiona più come mentalità di categoria, di classe sociale chiusa in sé, intesa solo alla difesa dei propri interessi immediati di classe, ma che si sente come produttore, protagonista e interprete degli interessi generali della società e quindi come componente essenziale, forza dirigente del nuovo Stato che si vuole costruire.  Egli scrive nell'Ordine nuovo: l'officina con le sue commissioni interne, i circoli socialisti e le comunità contadine sono i centri di vita proletaria nei quali occorre direttamente lavorare, le commissioni interne sono organi di democrazia operaia che occorre liberare dalle limitazioni imposte dagli imprenditori, e ai quali occorre infondere vita nuova ed energia. Oggi le commissioni interne limitano il potere del capitalista nella fabbrica e svolgono funzioni di arbitraggio e di disciplina, sviluppate ed arricchite dovranno essere domani come organi del potere proletario che sostituisce il capitalista in tutte le sue funzioni utili di direzione e di amministrazione. Cioè bisogna imparare prima a dirigere le fabbriche se vogliamo abolire il capitalismo.  Fin d'ora gli operai dovrebbero procedere già all'elezione di vaste assemblee di delegati scelti tra i migliori e più consapevoli compagni sulla parola d'ordine: «tutto il potere all'officina, ai comitati d'officina », coordinata all'altra: «tutto il potere dello Stato ai consigli operai e contadini».  Vi è, quindi, un tentativo di risposta alla domanda: come facciamo in Italia a fare come in Russia, dove ci sono i Soviet? E i Soviet li inventa Gramsci: li va a cercare nel movimento reale, li va a cercare in quello che già esiste, cioè le commissioni operaie da sviluppare in organismi con molto più potere e molta più capacità rappresentativa.  A questa concezione di elevamento della funzione dirigente della classe operaia prima della conquista del potere, come condizione della conquista del potere, qui Gramsci ragiona già alla leniniana, a questa sua concezione si contrappone un'obiezione di Bordiga e del suo giornale, Il Soviet, sul quale egli dice: è illusorio, utopico pensare che la classe operaia possa avere una funzione dirigente nella fabbrica prima della conquista del potere, fino ad allora resta subalterna ai capitalisti, solo quando la classe operaia prenderà il potere essa potrà esercitare il potere nella fabbrica. Ma Bordiga non risponde alla domanda: il potere come lo prendi?  Questo perché Bordiga vede il processo sociale come il processo di crescenti contraddizioni dell'economia capitalistica, finché si arriva alla grande crisi che è il momento fatale della rivoluzione proletaria, a cui il proletariato e il Partito comunista devono prepararsi mantenendosi puri, intatti, non contaminando si in alleanze, in compromessi e in cose del genere. Vi è cioè in Bordiga una visione meccanicistica, di materialismo volgare, meccanicistico del processo rivoluzionario che ignora la funzione del soggetto, del partito.  Non a caso Bordiga dice che non bisogna partecipare alle elezioni parlamentari. Il Parlamento è borghese e quindi non interessa il proletariato. Riprende cioè una tesi di Bakunin e degli anarchici contro cui già Marx ed Engels avevano polemizzato, come Lenin polemizza inEstremismo malattia infantile del comunismo contro queste posizioni di Bordiga.  Per Gramsci, invece, ripeto, la rivoluzione è intesa come processo. Non sto ad illustrare tutte le vicende dell'Ordine nuovo, le grandi lotte del ' 19, lo sciopero dell'aprile del '20, detto lo «sciopero delle lancette », che poneva proprio la questione dell'autorità e del potere dei consigli di fabbrica perché il padronato decise di passare dall'ora legale, usata in guerra, all'ora solare senza avvertire i consigli di fabbrica.  Gli operai arrivarono in fabbrica e trovarono le lancette dell'orologio spostate e fu lo sciopero. Era in gioco una questione di principio: il potere democratico del consiglio di fabbrica. L'ingenuità fu il non aver unito alla questione altre rivendicazioni piu sostanziose che potessero legare a questa lotta le masse operaie. Fu solo una lotta di principio che poi fini con una sconfitta grave, dopo di che la classe padronale passò all'attacco e l'occupazione delle fabbriche fu, è vero, il momento più avanzato della lotta, ma un momento di difesa.  Funzionarono, però, i consigli di fabbrica, diressero la produzione, tennero la disciplina, ma nell'occupazione delle fabbriche appare chiaramente un elemento cioè il movimento dei consigli fallisce per essere rimasto troppo torinese, non essersi esteso alle altre regioni italiane, per essere rimasto chiuso all'interno della fabbrica, e anche per una debolezza nel vedere un'alleanza con i contadini e soprattutto una grave debolezza nel vedere l'alleanza con i ceti medi, tipico limite dell'Ordine nuovo.  Dalla sconfitta, quindi, del movimento dei consigli con l'occupazione delle fabbriche si pone l'esigenza del partito, come momento unificante di tutto il movimento a livello nazionale, cosa che Gramsci aveva visto, ma in modo incompleto, e aveva privilegiato un movimento, aveva privilegiato i consigli rispetto alla questione del partito stesso.  indice   Necessità della ricognizione nazionale  La riflessione di Gramsci, però, va oltre e nel '23, in un articolo: Che fare? scritto per una rivista di studenti comunisti, si pone l'interrogativo: perché siamo stati sconfitti?  Siamo stati sconfitti perché il movimento operaio non conosce il proprio Paese, non conosce l'Italia, non è uscito fino ad oggi un libro sulle stratificazioni sociali, sulle classi in Italia, sulla storia delle classi, non è uscito un libro sulla storia dei partiti italiani, c'è un'infinità di domande a cui non sappiamo rispondere: perché in Sicilia i contadini sono autonomisti e in Sardegna no, mentre in Sardegna sono autonomisti i latifondisti e in Sicilia non altrettanto, perché dove son forti gli anarchici sono forti i repubblicani? e così via. Non sappiamo rispondere perché non conosciamo il nostro Paese. Eppure abbiamo un metodo, il marxismo, che Marx ed Engels hanno impiegato per conoscere la realtà concreta. Ecco l'esigenza di usare il marxismo non come strumento di propaganda, ma come strumento di analisi, di comprensione della realtà.  Certo, spiegare la sconfitta del '20-21 col fatto che non si conoscesse bene l'Italia è insufficiente, è unilaterale, è polemico, però è senza dubbio uno degli elementi della verità.  Il gruppo dell'Ordine nuovo, alla testa del partito col '24, cercherà di arrivare ad un'analisi dell'Italia, ad una conoscenza del processo storico italiano. Le tesi del terzo Congresso di Lione sono un'analisi del processo attraverso cui si è formato lo Stato unitario italiano per individuare da questa analisi concreta, storica, le forze motrici della rivoluzione nella classe operaia del Nord e nei contadini del Mezzogiorno e delle Isole. Si veda il saggio sulla Questione meridionale, contemporaneo alle Tesi di Lione.  Gramsci riprende un concetto di egemonia che nel '25 aveva già usato in polemica contro Bordiga dicendo: Bordiga non ha capito il concetto leniniano dell'egemonia, dell'alleanza della classe operaia con gli altri ceti e soprattutto con i contadini e si è attenuto ad una posizione astratta per cui la classe operaia deve restare chiusa in se stessa, ha temuto che ogni alleanza fosse una contaminazione piccoloborghese della classe operaia, per questo non ha capito l'essenziale di quello che è il leninismo, alleanza operai contadini, costruzione dell'egemonia.  Nella Questione meridionale inoltre Gramsci pone non solo la questione meridionale come elemento nazionale decisivo e quindi chiave della egemonia della classe operaia, ma entra in una definizione pili precisa della egemonia. Che la questione meridionale sia elemento decisivo della egemonia è un momento molto importante, perché non aver capito questo aveva reso il movimento socialista subalterno alla politica della borghesia e di Giolitti, cioè aveva accettato la politica di Giolitti assai limitata, da un lato, e, dall'altro, riformistica senza riforme in un certo senso, che però faceva concessioni alle cooperative del Nord, al diritto di associazione, alla funzione dei sindacati, non interveniva come Stato nei conflitti del lavoro, ecc., facendo pagare tutto questo al Mezzogiorno. Nel Mezzogiorno faceva la politica della camorra, degli «ascari», cioè dei deputati che andavano in Parlamento per votare sempre « Sì », reclutati attraverso le clientele, ecc. Il modo in cui si spezza l'egemonia della borghesia è il modo in cui si rompe questo blocco industriale e agrario tra la borghesia capitalistica del Nord e i grandi proprietari terrieri, latifondisti del Sud, e si salva l'alleanza classe operaia del Nord e contadini del Sud.  A questo proposito Gramsci dice: il proletariato può diventare classe dirigente e dominante, nella misura in cui riesce a creare un sistema di alleanze di classe che gli permetta di mobilitare contro il capitalismo e lo Stato borghese la maggioranza della popolazione lavoratrice, il che significa in Italia (nei reali rapporti di classe esistenti in Italia): nella misura in cui riesce a ottenere il consenso delle larghe masse contadine.  La questione delle alleanze, quindi, è vista come questione decisiva per conquistare il dominio e la direzione, e la questione contadina viene vista come essenziale. Ma non la questione contadina in generale (tra l'altro non esiste). La questione contadina in Italia è storicamente determinata, non è la questione contadina ed agraria in generale, in Italia la questione contadina ha, dice Gramsci, per la tradizione italiana, per il determinato sviluppo della storia italiana, assunto due forme tipiche e peculiari: la questione meridionale e la questione vaticana, cioè il rapporto con i contadini del Sud e con i contadini legati alla Chiesa cattolica, di ispirazione cattolica.  Ora che cosa si può dire in proposito? Si può dire che c'è un altro passo in cui egli si richiama alla dittatura del proletariato, che l'egemonia viene vista come una direzione che si conquista nella società civile e la dittatura del proletariato è concepita come la forma statale, politica dell'egemonia, anzi essenzialmente come la forma. statale.  Inserisce qui una distinzione tra società civile e Stato. Nella società civile l'egemonia, nello Stato la dittatura del proletariato, che però in Gramsci non è così schematica. I due momenti sono fusi e Gramsci, nei Quaderni, avverte che la distinzione tra Stato e società civile, società politica e società civile è una distinzione puramente di metodo, metodologica, non organica, perché in realtà questi due elementi sono fusi. Società civile e Stato non SI separano nella realtà.  Come è noto la parola egemonia deriva da un verbo greco che significa dirigere, guidare, condurre. Gramsci usa il termine egemonia non nel significato tradizionale che sottolinea soprattutto il « dominio », ma nel senso originario, etimologico, greco: «direzione », «guida ». Trae questo termine da Lenin, perché Lenin l'aveva impiegato nel 1905 proprio per indicare la funzione dirigente della classe operaia nella rivoluzione democratico-borghese; Lenin non lo usa più nel 1917, quando usa ormai il concetto di dittatura del proletariato. Ma non c'è dubbio che la capacità dirigente della classe operaia nel processo rivoluzionario congiunge nel '17 strettamente la rivoluzione democratica alla rivoluzione proletaria, in modo che la dittatura del proletariato si assume gli obiettivi della rivoluzione democratica, quegli obiettivi che la borghesia non sa realizzare, e nella dittatura del proletariato vengono infatti indicati, come obiettivi primi, obiettivi democratici e non obiettivi socialisti: la terra ai contadini, la nazionalizzazione delle banche e cose di questo tipo. indice Egemonia e blocco storico Gramsci riprende nei Quaderni il concetto di dittatura del proletariato, ma riferendosi alla dittatura del proletariato teorizzata e realizzata da Lenin. Poiché l'egemonia della classe operaia nella rivoluzione del 1905 fu sconfitta, significa che Gramsci usa il termine di egemonia nel senso di dittatura del proletariato, quella teorizzata e realizzata.  Ora Gramsci sa bene che nella dittatura del proletariato c'è il dominio e il consenso, la coercizione e la persuasione, ma perché la chiama egemonia?  La chiama egemonia perché vuole sottolineare nella dittatura del proletariato la funzione dirigente, la conquista del consenso, l'azione di tipo culturale e ideale che l'egemonia deve compiere, non c'è altra spiegazione a questo diverso uso dei termini. Sottolinea questo elemento, nella dittatura del proletariato, sia perché era quello rimasto più in ombra, quello che si era capito di meno (si era sempre intesa la dittatura soprattutto come violenza, limitazione delle libertà, e non come l'essenziale capacità dirigente, come Lenin aveva sempre più sottolineato, man mano che veniva avanti la costruzione del regime sovietico negli ultimi anni della sua vita). Gramsci usa questo termine, la egemonia, perché egli conduce una riflessione sulle esperienze del '19-20-21 e si pone ancora la famosa domanda: perché non abbiamo vinto?  Non abbiamo vinto, dice Gramsci, perché bisogna capire le differenze che esistono tra una società e un potere politico come quello russo, zarista, e un potere politico in una società come esiste in Italia e nei paesi capitalisticamente sviluppati. La domanda - si poteva fare la rivoluzione nel '19 o nel '20? c'erano le condizioni oggettive? non c'erano? cosa è mancato? - trova in realtà una risposta in questa analisi di Gramsci.  Gramsci dice: in Oriente, cioè in Russia, lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatina sa (ecco il punto); nell'occidente tra Stato e società civile c'è un giusto rapporto e nel tremoli o dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile, lo Stato era solo una trincea avanzata dietro a cui stava una robusta catena di fortezze, di casematte (più o meno diversa da Stato a Stato) ma questo richiedeva un'accurata ricognizione di carattere nazionale. Ecco la grande differenza: in Russia lo Stato era tutto, ed era indubbiamente casi, in una società molto fluida, gelatinosa, non articolata, non robusta, una enorme burocrazia zarista gestiva ogni momento della vita statale per cui quando lo Stato andava in crisi o in sfacelo a causa ovviamente della disfatta militare e durante la guerra del '14-18, dietro allo Stato non c'era più niente che resisteva.  In Occidente è diverso, dietro al tremolio dello Stato, e lo Stato italiano tremò fortemente nel '19 e '20, c'era però la robusta struttura della società civile, c'era l'apporto del capitalismo, le sue organizzazioni, la sua tenuta culturale e cosi via.  Questo, secondo me, è un tentativo di risposta di Gramsci al perché nel '19-20 siamo stati sconfitti, ma è al tempo stesso una riflessione molto più generale sul modo in cui si pone il problema della rivoluzione in Paesi capitalisticamente sviluppati.  Di qui egli trae la necessità di una diversa strategia rivoluzionaria, dice in altre pagine . Mentre in Russia la società civile era fluida ed embrionale, gelatinosa, era possibile la guerra manovrata, cioè lo scontro di classe rapidamente risolutivo, in Occidente è necessaria la guerra di posizione, che qui non significa stare fermi. 'è un altro passo in cui con guerra di posizione Gramsci indica una relativa staticità dei processi sociali e politici, qui non significa questo, qui guerra di posizione è la guerra di trincea, per cui vai all'assalto delle trincee, delle fortezze, delle casematte, cioè individui i gangli essenziali della vita sociale e statale e conduci quindi una politica (attualizzando un po') che investe la totalità della società e che tiene conto di tutte le complesse articolazioni della società. Cioè Gramsci pone l'esigenza di una nuova strategia rivoluzionaria, di un modo nuovo di concepire la rivoluzione.  Questo è l'enorme passo che egli ha fatto partendo dall'Ordine Nuovodel '19-20, attraverso La questione meridionale per arrivare ai Quaderni, perché il problema dell'Ordine Nuovo era: come facciamo a fare anche in Italia come in Russia? Ma il problema era fare come in Russia partendo dal movimento reale, non astrattamente.  Nel '26 già individuiamo che cosa distingue la questione contadina in Italia dalla questione contadina in Russia. Come noi risolviamo questo problema decisivo della egemonia proletaria che Lenin risolse in Russia con l'alleanza con i contadini? Qui che cosa è l'alleanza con i contadini? Qui è questione meridionale, qui è questione vaticana che l'origina.  Nei Quaderni del carcere Gramsci pone l'esigenza di una strategia, cioè dice: non possiamo fare come in Russia, abbiamo bisogno di una ricognizione del terreno nazionale, cioè di una analisi concreta della situazione concreta italiana, di calarci nel processo storico, nella originalità dei processi sociali, politici e culturali del nostro Paese.  L'interessante è, però, che egli si riferisca a Lenin quando dice: «mi pare che Ilic [Lenin] avesse compreso che occorreva un mutamento della guerra manovrata) applicata vittoriosamente in Oriente nel )17) alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente», cioè Gramsci attribuisce alla tattica del fronte unico della classe operaia, proposta dai bolscevichi, da Lenin alla Terza Internazionale, al suo Quarto congresso del 1922, la individuazione di un tipo diverso di lotta rivoluzionaria, di lotta di posizione. Fa dire a Lenin, a mio parere, molto di più di quanto Lenin non volesse dire, forza il suo pensiero, lo porta oltre.  Lo porta oltre però partendo da intuizioni che in Lenin ci sono, perché vi sono scritti di Lenin che forse Gramsci nemmeno conosceva in cui Lenin dice: in Occidente tutti i lavoratori sono organizzati, non è come in Russia dove non c'erano sindacati, dove i partiti avevano scarse radici, non avevano avuto una vita legale, ci sono cooperative, sindacati, partiti, municipi, ecc. Cioè Lenin dice: « in Occidente tutti i cittadini partecipano in qualche modo alla democrazia, non è come in Russia », quindi Lenin intuisce delle diversità in Occidente e propone una tattica, non una strategia, diversa, cioè il fronte unico.  Gramsci parte da questa intuizione di Lenin e la porta, secondo me, molto oltre e sottolinea fortemente la necessità di una ricognizione del terreno nazionale: una classe di carattere internazionale, cioè il proletariato, in quanto guida strati sociali strettamente nazionali e anzi spesso meno ancora che nazionali, particolaristici e municipalistici, come i contadini, deve nazionalizzarsi in un certo senso, cioè deve calarsi profondamente nella realtà nazionale se è internazionalista, in quanto è internazionalista, se vuole dirigere i contadini, gli intellettuali, ecc., deve individuare la specificità del processo rivoluzionario. Dove si vede che l'egemonia è impensabile al di fuori della ricognizione nazionale, la egemonia è proprio la capacità di individuare la specificità nazionale, i caratteri specifici di una determinata società, l'egemonia è conoscenza, oltre che azione, e quindi è conquista di un nuovo livello di cultura, scoperta di cose che non si conoscevano.  Questo nazionalizzarsi, questo calarsi nella realtà nazionale e la conquista dell'egemonia sono in Gramsci strettamente congiunti. L'egemonia è individuazione della tattica e della strategia nuove che si devono usare in determinate situazioni.  Come nasce in Gramsci l'idea dell'egemonia? Marx aveva detto nella Ideologia tedesca, del 1845, che le idee dominanti in una società sono le idee della classe dominante, cioè la classe dominante diffonde le sue idee, la sua cultura, la sua ideologia in tutta la società. più esattamente Marx dirà nella prefazione a Per la critica dell'economia politica del '59, che sono i rapporti di produzione, quindi il modo di proprietà prevalente, che determinano non solo le istituzioni politiche e statali, ma il modo di pensare, la coscienza. Il modo di produzione però - i rapporti di produzione e il loro nesso con le forze produttive - è contraddittorio e quindi questa contraddizione, la contraddizione che esiste nel modo di produzione capitalistico, tra classe operaia e capitalisti per esempio, pone in discussione non solo la politica economica, le questioni sindacali immediate, ma anche la politica e la cultura delle idee della classe dominante.  Non appena la classe antagonistica nel sistema capitalistico, il proletariato, assume coscienza del suo antagonismo al sistema capitalistico, elabora non soltanto delle lotte sindacali immediate, ma anche una linea politica e una concezione del mondo, il marxismo, l'ideale socialista, una nuova morale che contrappone ai valori ed alla morale della società dominante. Attraverso un processo enormemente faticoso, attraverso una piccola avanguardia, poco alla volta, cerca di strappare all'egemonia ideale e politica della classe dominante una parte sempre più grande della classe operaia e dei suoi alleati, contadini, ceti medi, cerca di conquistare gli intellettuali.  Ora Gramsci si chiede come si tiene insieme una determinata società, cioè un determinato «blocco storico», un nesso di forze politiche e sociali, come si tiene insieme questo rapporto tra la struttura economica, i rapporti di produzione e di scambio, e lo Stato, come si può spiegare insomma che un determinato Stato, una determinata classe dominante tenga insieme e abbia il consenso di forze i cui interessi sono opposti.  Questo «blocco storico» trova il consenso tra gli operai, tra i contadini, i cui interessi sono opposti a quelli della società capitalistica, non solo con l'influenza politica, dice Gramsci, ma con l'ideologia. È l'ideologia che tiene insieme il blocco storico, che lo salda, che consente di tenere insieme classi sociali non solo di tipo differente, ma con interessi addirittura opposti, antagonistici. L'ideologia è il grande cemento del blocco storico, ed è momento della sua edificazione, che non è solo ideologica, è culturale, è politica in primo luogo, ma non può essere dissociata dal momento dell'ideologia e delle idee.  Noi allora abbiamo un processo per cui le classi, antagoniste per interessi, sono subalterne all'origine, Cloe non hanno una propria concezione del mondo, una propria cultura, ma hanno assorbito la cultura delle classi dominanti, in un modo eterogeneo, disorganico, passivo. Cosicché, il modo di pensare delle classi subalterne è privo di organicità, di capacità critica. Le classi subalterne sono però spinte alla ribellione, ma tale ribellione è un sussulto che non riesce ad organizzarsi in una politica perché c'è subalternità ideale, culturale.  È necessario tutto un processo perché le classi subalterne diventino autonome, si diano un partito, una linea politica, una concezione culturale, e allora da autonome lottano per diventare egemoni, dirigenti. Già prima della conquista del potere possono diventare egemoni, cioè. diffondere la propria concezione non solo politica, ma culturale, in tutta la società.  L'egemonia si conquista prima della conquista del potere ed è una condizione essenziale per la conquista del potere.  Il processo di egemonia è quindi un processo di unificazione del pensiero e dell' azione perché - quando le classi sono subalterne - può esserci per esempio una insurrezione contadina unita all'affermazione che i proprietari della terra ci sono sempre stati, e magari sempre ci saranno, un'insurrezione che spera nel re per sistemare le cose. Può accadere che gli operai di Pietroburgo, nel 1905, vadano in corteo al palazzo dello zar perché lo zar intervenga e faccia finire le ingiustizie. E lo zar pensa bene di farli mitragliare e allora gli operai cambiano idea. Prima erano subalterni, pensavano che lo zar fosse un «piccolo padre », il padre della chiesa ortodossa, che la soluzione delle ingiustizie dipendesse da lui.  Gramsci allora dice: c'è nelle classi subalterne una filosofia reale che è quella della loro azione, del loro comportamento. C'è una filosofia dichiarata che vive nella coscienza, che è in contraddizione con la filosofia reale. Bisogna sogna congiungere questi due elementi attraverso un processo di educazione critica per cui la filosofia reale di ciascuno, la sua politica, diventi anche la filosofia cosciente, la filosofia dichiarata. Per giungere a quel processo di unificazione di teoria e pratica, di costruzione di una cultura nuova, rivoluzionaria, di riforma intellettuale e morale. Le due cose sono strettamente congiunte per Gramsci.  Gramsci riprende questo concetto di riforma intellettuale e morale ancora una volta da Sorel, ma cambiandone completamente i contenuti. Riprende anche un tema tipico della cultura italiana del suo tempo che si ritrova nella destra, in Alfredo Oriani, per esempio, come nella sinistra, in Gobetti: l'idea cioè che all'Italia sia mancato qualcosa di simile alla riforma protestante, cioè una riforma della concezione del mondo e morale che arrivasse in profondità, nel popolo. In Italia c'è stata invece la controriforma, il distacco della Chiesa dal popolo, la sovrapposizione del dogma, l'irrigidimento gerarchico della Chiesa, la limitazione della libertà scientifica, di espressione artistica, c'è stata l'Inquisizione, l'ipocrisia, che ha viziato profondamente il carattere degli italiani, ne ha fatto dei cortigiani, ne ha fatto dei servi.  È mancata una riforma protestante. Gramsci dice che non solo è mancata una riforma protestante, ma è mancato qualche cosa ben di più della riforma protestante; qualche cosa di analogo all'illuminismo francese del settecento che preparò la rivoluzione francese, qualche cosa di simile alla rivoluzione democratico-borghese. indice La nozione di intellettuale Gramsci aggiunge: in Italia i laici hanno fallito il loro compito che era di diffondere una nuova concezione culturale, un nuovo umanesimo :fino agli strati più profondi e più incolti del popolo. Come era necessario fare. Gli intellettuali democratici laici non l'hanno fatto perché si sono mantenuti come una casta separata, con un suo linguaggio separato, con una sua vita culturale separata. È mancato l'elemento essenziale della costruzione democratica e di una riforma intellettuale e morale nel nostro Paese, cosa che solo la classe operaia può fare, non la Chiesa cattolica, perché la Chiesa cattolica tiene separati gli intellettuali e i semplici, parla due linguaggi, uno per gli intellettuali ed un altro per i semplici, ma sta bene attenta che gli intellettuali non rompano il rapporto con i semplici al tempo stesso.  Gli idealisti, Benedetto Croce, Gentile, hanno fatto una riforma intellettuale per i grandi intellettuali, non per il popolo. Al popolo lasciano la religione che è la filosofia di quelli che non hanno filosofia cosciente.  Questo processo di unificazione tra intellettuali e semplici lo può fare la classe operaia guidata dal marxismo, grazie al marxismo, e creando nuovi quadri intellettuali, organici alla classe operaia, che sono i suoi quadri, i suoi dirigenti.  Qui muta completamente la nozione di intellettuale, l'intellettuale non è chi sa il latino o il greco, lo scrittore o cose del genere, l'intellettuale è il dirigente della società, il quadro sociale. Un caporale dell'esercito anche se analfabeta è un intellettuale, secondo Gramsci, perché dirige i soldati, un intellettuale è il capo-lega bracciante, anche se analfabeta, come tanti lo erano al tempo di Gramsci, perché organizza i braccianti, perché li guida, perché li educa. Questi sono gli intellettuali secondo Gramsci, il tessuto connettivo del blocco storico, gli elaboratori della egemonia della classe dominante la quale senza gli intellettuali non potrebbe essere egemone, dirigente: sarebbe solo dominante e oppressiva e le mancherebbe la base di massa, il consenso necessario per esercitare il suo dominio.  La cosa interessante è che Gramsci elabora queste idee attraverso un'analisi del processo storico italiano. C'è sempre concretezza nel suo pensiero. Ad esempio analizza come si sia formata in Italia l'egemonia dei liberali, come i liberali con un'azione molecolare ed empirica abbiano assimilato, isterilito le forze repubblicane, mazziniane, ecc., e disgregato il blocco opposto con un'opera, egli dice, di direzione intellettuale e morale. Gramsci sottolinea l'importanza di questo momento ideale e morale nella direzione dei liberali moderati.  Ed è qui che egli introduce il concetto di supremazia. Un gruppo sociale, una classe ha una supremazia in quanto ha la direzione e il dominio, la classe che è all'opposizione non ha ancora il dominio, ma deve conquistare la direzione, cioè l'egemonia, se vuole conquistare anche il dominio e una volta conquistato il dominio deve mantenere la direzione.  Come si presenta, quindi, per Gramsci la rivoluzione? La rivoluzione si presenta in realtà come una c risi di egemonia, cioè come una crisi di capacità dirigente da parte di coloro che hanno il dominio perché non riescono più a risolvere i problemi del Paese, non riescono più a tenerlo insieme con l'ideologia. Pensate ai processi che oggi si sono compiuti. Lo spostamento a sinistra degli studenti, pur caotico ed anche pericoloso che sia, contiene molti elementi di individualismo borghese esasperato - e quindi resta nel quadro dell' egemonia culturale borghese molto più di quanto non si pensi -, ma è anche il segno della disgregazione di questa egemonia culturale, una disgregazione che non riesce ad uscire da se stessa, che si rigira e si tormenta intorno a se stessa. Ma che è il segno di questa crisi. Basta vedere come le idee del marxismo si sono diffuse e si diffondono.  Qui c'è un allargamento della nozione di rivoluzione.  Marx aveva detto: la rivoluzione si ha quando le forze produttive entrano in una contraddizione incontenibile con i rapporti di produzione. (Gramsci parte di qui, ma vede la totalità sociale). Lenin aveva detto: la rivoluzione si ha quando la classe dominante non riesce più a dominare, quando le classi oppresse non accettano più di essere dirette e oppresse alla vecchia maniera e abbiamo una grande ribellione di massa. Gramsci, in modo più preciso, la definisce la crisi di egemonia, come uno scollarsi tra dominio e direzione, come il venir meno della direzione, quindi come una crisi che investe tutta la totalità sociale, in cui il momento culturale, morale, ideale ha un'enorme importanza.  Noi stiamo vivendo un momento di questo genere. Si è rotto il vecchio blocco di potere che aveva come asse la Democrazia cristiana, è venuta meno la capacità dirigente del vecchio blocco di potere (che è sempre stata molto limitata del resto), non si è ancora costruito un nuovo blocco di potere che possa portare ad un nuovo blocco storico. Blocco di potere è un'espressione che Gramsci non usa, la usa Togliatti, intendendo la fase di preparazione di un nuovo blocco storico e di una nuova società, di una nuova base sociale, di un nuovo tipo di Stato, di un nuovo rapporto tra base sociale e Stato.  Il momento di questa crisi di egemonia è dunque un momento anche di crisi ideale, di crisi culturale, di crisi morale. Gramsci dà grande valore al momento del soggetto, della coscienza, delle idee nel processo rivoluzionario. L'egemonia è iniziativa, è intervento sul processo e guida del proletariato, come già Lenin aveva detto nel 1905, quando rimproverava ai menscevichi di alterare il materialismo storico, di deformarlo perché non capivano la funzione dei partiti i quali, avendo individuato e compreso la realtà oggettiva, intervengono nel processo per condur1o in una determinata direzione. Lenin diceva: i menscevichi non hanno capito la prima tesi su Feuerbach, la funzione del rapporto soggetto-oggetto. Non è a caso che Gramsci chiama il marxismo «filosofia della prassi», usando una terminologia che fu usata da Gentile. Però Gramsci l'usa in tutt'altro senso; non la prassi dell'intelletto, come intendeva Gentile, ma la prassi trasformatrice, rivoluzionaria, unità di soggetto-oggetto, intervento del soggetto sulla realtà.  Attenzione però. Gramsci parla sempre di egemonia della classe operaia, non del partito, perché Gramsci non ha mai rinnegato l'esperienza dei consigli di fabbrica e ritiene che la classe operaia debba darsi una molteplicità di organizzazioni per conquistare il potere. Mai Gramsci ha pensato che la classe operaia conquisti il potere solo col partito, essa deve avere altri collegamenti, altre organizzazioni, deve essere presente nelle istituzioni statali oltre che di massa.  Inoltre Gramsci non mortifica mai il movimento, dice che l'elemento cosciente deve saper depurare il movimento spontaneo da quanto c'è in esso di contraddittorio, di arretrato, di reazionario anche, deve depurarlo e portarlo al livello della scienza moderna, cioè del marxismo. Ma non si deve né disprezzare, né trascurare la spontaneità, che bisogna però aiutare. Bisogna partire da quello che egli chiama il senso comune e vedere quanto c'è di sano in questo senso comune, nelle sue contraddizioni, nelle sue superstizioni, nelle sue posizioni arretrate. indice  Il partito, moderno «Principe»  È compito del partito cogliere questo elemento sano, tirarlo fuori dal guscio (il nocciolo razionale, direbbe Marx) e portarlo al livello di una coscienza scientifica della realtà. Il partito è il momento decisivo della formazione dell'egemonia della classe operaia; non è possibile egemonia della classe operaia senza il partito, perché esso è l'unificatore dell'azione e del pensiero, della filosofia istintiva, non consapevole, presente nell'azione, e della filosofia consapevole che bisogna fare acquisire, dando la prospettiva, dando la visione dell'insieme.  In questo senso egli chiama il partito il moderno principe, riferendosi al Machiavelli e valorizzando enormemente Machiavelli. Un principe moderno non più come individuo, perché nella società moderna questo non è più possibile, ma come intelligenza e volontà collettiva, personificazione di una grande volontà collettiva: il partito è il moderno principe.  Del partito Gramsci mette molto in rilievo l'elemento della coscienza e della direzione. In ogni partito, secondo Gramsci, ci sono tre strati: uno di dirigenti, molto ristretto, a livello nazionale, uno di base che aderisce soprattutto per entusiasmo o per fede, e uno intermedio che collega questi due elementi. Senza questi tre elementi il partito non c'è, però Gramsci dice: attenzione, con l'elemento di base voi non formerete nulla, non formerete mai il partito; occorre l'elemento dirigente. Ovvero, un esercito non forma il capitano, ma alcuni capitani formano l'esercito. Per Gramsci la formazione del partito va dall'alto in basso, come per Lenin, cioè parte dal congresso, parte dal punto più alto della consapevolezza, il che non è una visione burocratica, ma è una visione di intervento della coscienza, della direzione sul movimento spontaneo. Educazione del movimento spontaneo, perché tutta la concezione pedagogica di Gramsci, dell'educazione come sforzo, come disciplina, dello studio anche come fatica, ci dice chiaramente come egli intenda la direzione.  Il partito è il grande riformatore intellettuale e morale, quello che supera la vecchia concezione e ne costruisce una nuova. C'è in Gramsci il superamento del meccanicismo materialistico tipico di Bordiga, di tutto il movimento socialista da cui lui veniva. Il suo ragionamento sul blocco storico è un ragionamento sulla totalità sociale, su gli elementi sociali, politici e culturali: l'egemonia costruisce un determinato blocco storico e il blocco storico si tiene insieme grazie all'egemonia, grazie alla direzione. L'egemonia è il momento di saldatura.  Ecco quindi un'egemonia che rompe il precedente blocco storico. Rompe il vecchio tipo di totalità sociale ormai in crisi e costruisce un nuovo tipo di totalità sociale, anzi, direi, sociale, politica e culturale.  Dicevo che Gramsci pone l'esigenza di una nuova strategia, non di più. A mio parere di più non poteva fare negli anni trenta: ha smesso di scrivere i Quaderni nel '35, quando la sua malattia si era tanto aggravata da togliergli la forza fisica di scrivere.  In questa elaborazione noi siamo andati avanti, cercando di dare una risposta a che cosa è la strategia rivoluzionaria in paesi capitalisticamente sviluppati. L'abbiamo cominciato a fare durante la guerra di Liberazione, parlando di democrazia progressiva, di democrazia di tipo nuovo, come diceva Togliatti.  Secondo Togliatti non ci si poteva più rifare al modello russo della rivoluzione perché la rivoluzione ha modi e scadenze diverse a seconda dei paesi, non c'è un unico modello. La ricerca del nuovo modello avrebbe potuto avvenire attraverso l'azione dei CLN (Comitati di Liberazione Nazionale) che Togliatti valorizza quando dice: avremmo preso una strada più rapida e più sicura se avessimo potuto mantenere in piedi i CLN. Lo afferma al quinto congresso del PCI.  Lavorando su questa indicazione di Gramsci, e non solo, lavorando sulla realtà oggettiva, riprendendo l'esperienza della guerra di liberazione, siamo venuti costruendo quella strategia che è, che chiamiamo la via italiana al socialismo. Questa strategia non può grettamente rinchiudersi in una sola nazione, deve per forza avere delle convergenze con la strategia di altri partiti, del movimento operaio in altri paesi capitalistici. Quello che gli altri chiamano euro-comunismo è fatto di accordi tra noi e il partito comunista francese, il partito spagnolo ed altri partiti.  Abbiamo naturalmente esteso il concetto di egemonia.Per noi l'egemonia, la capacità dirigente della classe operaia è capacità di realizzare tutte quelle alleanze che sono indispensabili affinché la classe operaia abbia accesso al potere in una società di capitalismo monopolistico e di capitalismo monopolistico statale. Perciò la classe operaia deve andare al di là dell'alleanza operai-contadini poveri (tra l'altro i contadini oggi sono solo il 15% della popolazione, comprendendo anche quelli ricchi), ma deve arrivare ai ceti medi delle città e delle campagne, deve arrivare al settore della piccola e media industria. Si tratta di un sistema di alleanze assai articolate e, badate bene, contraddittorio. perché, tra gli operai della piccola e media industria e il proprietario della piccola e media industria c'è indubbiamente una contraddizione, una contraddizione che noi dobbiamo indirizzare verso la contraddizione principale, come direbbe Mao-Tse-Tung, ovvero contro il capitalismo monopolistico.  Ora alleanze sociali cosi ampie non possono che esprimersi a livello politico, cioè in partiti politici. Questa è una cosa che Gramsci non aveva presente, per lui un partito solo faceva la rivoluzione: il Partito comunista. Al Partito socialista bisognava tagliare le radici. Gramsci non arrivava a questa visione cosi ampia delle alleanze, non ci poteva arrivare.  indice  Quale pluralismo  Per noi invece questa visione si esprime in una pluralità di partiti, e d'altra parte le democrazie popolari ci danno un esempio di pluralità di partiti. In Polonia, nella RDT, vi sono partiti che hanno una scarsa autonomia forse, ma esistono realmente.  Come mandare oltre questa esperienza? Sviluppando un sistema di alleanze, anche a livello politico, che è fatto di contrasto, che è fatto di confronto, che è fatto di lotta. Ad 'esempio, la nostra alleanza col partito socialista è anche lotta, è anche discussione non priva di asprezze, naturalmente. Questo sistema lo possiamo chiamare pluralismo, pluralismo sociale e politico, assumendo un termine che non è nostro, che è estraneo al marxismo, ma che viene dalla sociologia cattolica e dalla sociologia americana.  La sociologia cattolica intende per pluralismo una pluralità di istituzioni che si equilibrano l'uno con l'altra: la famiglia, la Chiesa, lo Stato, la scuola e cosi via. Il suo pluralismo è fondato sull'interclassismo, cioè sulla collaborazione tra classe operaia e capitalisti e sul superamento della contraddizione tra l'una e gli altri.  La sociologia americana dice: il pluralismo è una pluralità di istituti che impedisce a una sola forza di avere l'egemonia, il dominio, la prevalenza.  Per noi il pluralismo è invece un'ampiezza di alleanze sociali e politiche tale da isolare il grande capitale monopolistico, la sua logica e la logica da cui oggi è dominato il capitalismo di Stato in questa società, 1ìno a sconfiggerlo. Cosi si realizza il vero pluralismo, perché noi diciamo che fino a quando esiste il grande capitale il pluralismo reale nella società non ci sarà mai, sarà sempre apparente.  La nostra Costituzione è pluralistica, ma il pluralismo reale della nostra vita è apparente. Invece vi è il monopolio dei mezzi di informazione, dell'economia e cosi via.  Ad esempio il pluralismo della società americana nasconde la realtà di una società in cui il potere economico e politico è al massimo grado concentrato, e la partecipazione democratica dei cittadini è puramente formale. In realtà, devono votare per due partiti che si confondo l'un con l'altro, che si mescolano, non si sa bene che differenza ci sia tra democratici e repubblicani. A volte i democratici su certe cose sono d'accordo con i repubblicani, su altre sono d'accordo solo con certi repubblicani. Si può dire che negli Usa ci sia un pieno trasformismo. Un reale pluralismo si ha quanto più si batte il capitalismo, quanto più si avviano forme di autogoverno della società, di partecipazione. Il nostro pluralismo è anche statale, di istituzioni statali e sociali. L'autonomia del sindacato, poi, è un momento decisivo. Quando diciamo pluralismo delle istituzioni statali intendiamo parlamento, regioni, comuni autonomi, comprensori, consigli di quartiere o di circoscrizione, sino ad arrivare ai consigli di fabbrica che non sono un istituto statale, ma sono sanciti dai contratti e riconosciuti dallo Statuto dei lavoratori. Perciò pluralità di istituzioni sociali e politiche. Inoltrel'autonomia dei sindacati significa che il pluralismo è già dentro la classe operaia, che esso non caratterizza semplicemente il rapporto della classe operaia con forze sociali non proletarie e il rapporto del Partito comunista con partiti non proletari, ma che vive nella classe operaia. Infatti nella classe operaia ci sono i comunisti, ci sono i socialisti, ci sono anche i democristiani, c'è anche il sindacato autonomo, c'è il consiglio di fabbrica, che ha anche esso una sua dialettica nei rapporti col sindacato e coi partiti.  Il pluralismo vive nella classe operaia e per questo può attuarsi nella società. Egemonia nel pluralismo, dunque, e non: egemonia e pluralismo, come diceva bene Ingrao, e fra i due termini c'è un rapporto dialettico. Più egemonia c'è, e più c'è pluralismo, non come confusione di forze, ma come forma di lotta, la più ampia, la più acuta, la più caratterizzata dal punto di vista di classe oggi. D'altra parte, senza pluralismo non si ha egemonia, ma isolamento della classe operaia e suo ritorno a posizioni subalterne. Di tale nesso dialettica tra i due termini i nostri avversari ovviamente non capiscono nulla, e dicono: se parlate di egemonia non potete parlare di pluralismo, e viceversa.  Dal punto di vista della sociologia cattolica e americana hanno ragione, ma noi usiamo questo termine con tutt'altro significato. Legato a questo si pone anche il tema della dittatura del proletariato. Come ci collochiamo?  Quando i socialdemocratici escludevano la dittatura del proletariato, e anche Kautsky la escluse dopo la rivoluzione d'Ottobre, in realtà dilatavano una concezione della democrazia tale per cui nell'esercizio della democrazia si arriva al socialismo, ma smarrivano la questione dell'autonomia e dell'egemonia della classe operaia, concepivano il processo come puramente elettorale e non come un'egemonia che rompe il blocco avversario, che aggrega e costruisce un nuovo fronte, quindi un'egemonia fondata sull'iniziativa e sulla lotta.  Noi abbiamo parlato di dittatura del proletariato nella Dichiarazione programmatica del nostro VIII congresso, nel '56, per sottolineare come cambino le forme della dittatura del proletariato a seconda dei paesi. Abbiamo mantenuto il concetto, ma abbiamo sottolineato questo elemento: cambiano le forme.  Abbiamo ripreso questo concetto al decimo congresso, nel '62, per sottolineare che della dittatura del proletariato emerge sempre di più l'elemento della direzione e del consenso. In seguito non abbiamo più ripreso questa nozione, l'abbiamo lasciata cadere.  Mi chiedo se sia compito dei documenti del partito affrontare questa questione tipicamente teorica o se invece non si debba sviluppare la discussione e il dibattito a livello teorico su questo problema.  Ad ogni modo la mia opinione, che altri possono naturalmente confutare, è che la nozione della dittatura del proletariato è nella situazione italiana dialetticamente superata, il che può voler dire assunta ad un livello superiore.  Cosa significa? Significa che la classe operaia deve, at· traverso tutto un processo (oggi un accordo programmatico, poi un governo unitario), costruire un nuovo blocco di potere in cui essa sappia avere una funzione dirigente.  D'altra parte, un nuovo blocco di potere o si costituisce sotto la direzione della classe operaia o non si costituisce.  Blocco di potere certamente contraddittorio dal punto di vista sociale e politico che dovrà saper risolvere le sue stesse contraddizioni in modo progressivo se ne sarà capace. L'egemonia si conquista, la direzione si conquista ogni giorno.  Ecco allora che è il blocco di potere ad esercitare la coercizione sulla società attraverso la legalità dello Stato. L'elemento della coercizione non può essere eliminato, non si costruisce il socialismo senza coercizione, anche dura, ma essa viene esercitata dal blocco del potere, non direttamente dalla classe operaia.  Del resto anche nella concezione di Lenin e nella realtà, la classe operaia ha esercitato la coercizione contro i nemici di classe e non verso i contadini poveri, non verso gli intellettuali. Lenin diceva: gli specialisti li dobbiamo conquistare, qui la coercizione non serve, li dobbiamo convincere a lavorare per noi, bisogna pagarli molto, ecc. ecc. Anche allora nel blocco di potere c'è un elemento di consenso e un elemento di costrizione.  Se si allarga il blocco di potere, come da noi deve allargarsi, si allarga anche la sfera del consenso, ma di un consenso molto travagliato, ottenuto con le lotte, tra contrasti, anche, tutt'altro che scontato. L'altro elemento è che non solo la classe operaia non esercita direttamente la coercizione, ma non impone nemmeno il suo modello di Stato a tutta la società. Nella rivoluzione russa è avvenuto questo: i Soviet, che sono un istituto tipicamente operaio, nato dal movimento operaio russo, si sono estesi ai contadini e ai soldati, e poi son diventati l'istituto statale. La classe operaia ha creato cioè la società a sua immagine e somiglianza, per riprendere una frase biblica, cioè ha impresso la sua visione statale su tutta la società.  Noi questo non lo facciamo e non lo proponiamo, noi assumiamo il parlamento dalla storia della democrazia ateniese, noi assumiamo i comuni, le stesse regioni derivano da una tradizione non nostra, e introduciamo, come elementi nostri invece, i consigli di fabbrica, il decentramento nei quartieri e cosi via, i quali sono gli elementi di una democrazia diretta che supera il parlamentarismo.  In questo senso allora mi pare che non si possa parlare di dittatura del proletariato, perché della dittatura del proletariato cade un elemento: la coercizione esercitata direttamente dalla classe operaia nelle sue forme e nei suoi modi. La coercizione resta ma è di tutto il blocco di potere che esercita anche la direzione sulla società, non sola la coercizione.  Inoltre all'interno del blocco di potere la classe operaia deve sapere esercitare la sua funzione dirigente per costruire lo stesso blocco di potere, per tenerlo insieme, per trasformarlo in senso progressivo. Mano a mano che si va avanti nel senso del socialismo, anche il blocco di potere si trasforma e diventa più avanzato, più omogeneo dal punto di vista di classe e cosi via.  Allora si mantiene della dittatura del proletariato questo elemento essenziale: l'autonomia e l'egemonia o direzione della classe operaia, superando l'altro elemento, lo elemento della coercizione inquadrandolo in un ambito più ampio.  Questa è soltanto la mia opinione in proposito.  “C’è in molti giovani comunisti uno stile di serietà riflessiva, di maturità e di chiarezza responsabile, che stupisce, se confrontato al tono un pò vacuo, avventato o ciondolone, che è tradizionale di molta gioventù italiana. Sono giovani che, usciti dalla dura scuola che i tempi impartiscono – sia pur con diverso profitto – a ciascuno, son passati alla scuola del Partito, e diventano in breve dirigenti : acquistano quel piglio, quel polso, quella quadratura, quasi non avessero fatto altro da molti anni, o come se tutto in loro da tempo tendesse a farne dei quadri comunisti, o non altro. Un dirigente di questo tipo è Gruppi, segretario della Federazione di Torino. Laureato in filosofia, e questa è una delle chiavi della sua personalità, ma proprio in un senso che smentisce nel modo più assoluto il concetto che dei filosofi s’ha volgarmente. Tutto in Gruppi è esattezza logica, ragionamento filato, rigore razionale: un matematico, potrebbe anche essere, se i numeri non fossero entità troppo astratte per il suo bisogno di concretezza.”  Così Italo Calvino, dalle pagine de l’Unità piemontese, descriveva Gruppi.  Mi sembra giusto rendere onore ad un grande compagno, anche se non ho avuto la fortuna di conoscere se non attraverso i suoi scritti.  Gruppi è stato per lungo tempo il responsabile della Sezione culturale del PCI e successivamente direttore dell’Istituto di studi comunisti “Palmiro Togliatti”, la famosa scuola di Frattocchie. Pubblicato numerosissimi articoli su Rinascita, su l’Unità, su Critica marxista (di cui è stato vicedirettore), assieme ad altre pubblicazioni.  Il suo lavoro, nel Partito ed all’Istituto, è stato fondamentale nel costruire quadri e militanti e nello sviluppare quella teoria rivoluzionaria che a noi, comunisti del XXI secolo, così manca.  Una testimonianza diretta da mio padre Marco. “Conobbi Gruppi alla scuola di Partito di Frattocchie/ In quel periodo il partito si era impegnato molto nella formazione dei gruppi dirigenti. Io insieme ad altri giovani compagni della gloriosa Federbraccianti delle varie regioni d’Italia, fra i venti e i trent’anni avevamo partecipato, orgogliosamente, a quella settimana di studi e approfondimenti sulla questione agraria e economica del Mezzogiorno. Ci colpi’ molto la preparazione e la competenza di Gruppi, ma soprattutto il suo linguaggio e la sua dialettica, coerentemente alineata a sani principi etico-morali. E uno che volava alto, ogni tanto si lasciava andare in ragionamenti filosofici che a noi, ancora politicamente acerbi, sembravano un pò difficili. Una settimana intensa e ricca che ci forni strumenti di analisi, di critica e di proposta.”  Qualche cenno biografico per i compagni che non lo conoscono, dal sito biografico gestito dalla moglie Tilde Bonavoglia e da suo nipote Andrea Bonavoglia http://digilander.libero.it/lucianogruppi/ : Iscritto al Partito comunista italiano. Partecipa alla Resistenza. Dopo la Liberazione è membro della Segreteria e responsabile della Commissione giovanile della Federazione di Torino. Responsabile della Commissione giovanile, poi della Sezione di stampa e propaganda, membro della Segreteria della Federazione di Milano.  Responsabile della Sezione d’organizzazione e vicesegretario della Federazione di Torino. Segretario della Federazione di Torino. Fa parte della Segreteria regionale del Piemonte. Membro della segreteria del Consiglio mondiale del Movimento dei partigiani della pace a Praga e a Vienna. Vice responsabile della Sezione di stampa e propaganda del Comitato centrale del PCI. Fa parte della segreteria della Federazione di Torino ed è capogruppo consiliare al Comune di Torino. Rappresentante del PCI nel Comitato di redazione della rivista internazionale Problemi della pace e del socialismo, a Praga. Vice responsabile della Sezione culturale del Comitato centrale del PCI.  Dal ’64 al ’66 responsabile della Sezione per le scuole di partito.  Dal ’66 al ’73 vice responsabile della Sezione culturale del Comitato centrale del PCI.  Vicedirettore della rivista Critica marxista.  Direttore dell’Istituto di studi comunisti Palmiro Togliatti (Frattocchie).  Presidente dello stesso istituto.  Membro del Comitato centrale, Membro della Commissione centrale di controllo. Al congresso ha chiesto di non essere riproposto per organismi dirigenti del PCI;  Ha restituito la tessera dei Democratici di Sinistra; Iscritto al Partito della Rifondazione Comunista;  Nello stesso sito è possibile trovare l’importantissimo “La concezione marxista dello Stato”, che riunisce le lezioni tenute presso Frattocchie. http://digilander.libero.it/lucianogruppi/concezionedellostato/la_concezione_dello_stato.html  Per finire, la commemorazione su “L’Ernesto” https://www.marx21.it/rivista/5142-marx-dalla-democrazia-radicale-al-comunismo-rivoluzionario.html  Un breve estratto da quest’ultimo articolo, ancora oggi attualissimo, di Bianca Bracci Torsi e Fosco Giannini, che mi sento di condividere in pieno :  “Due propensioni, quella dello studio teorico e della formazione, quanto mai necessarie ed attuali oggi, in questa fase caratterizzata sia dalla povertà teorica che segna di sé una parte significativa del movimento comunista che dalla grave sottovalutazione del valore della formazione politico-teorica ( la “scuola quadri”) che si manifesta anche in Rifondazione comunista.  Luciano Gruppi, dunque, non solo nel ricordo: ma per il lavoro futuro, come è destino dei grandi. “Luciano Gruppi. Gruppi. Keyword: la via italiana al socialismo, egemonia della filosofia del linguaggio ordinario -- Refs.: Luigi Speranza: Grice e Gruppi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755430814/in/dateposted-public/

 

Grice e Guastella – la conoscenza – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Misilmeri). Filosofo. Grice: “Guastella is an interesting philosopher. A system-builder! He wrote on epistemology and metaphyusics in a clear style.” Cosmo Guastella (Misilmeri), filosofo. Figlio di Vincenzo farmacista e da Marianna Piazza, uno dei quattro figli della coppia, ancorché di famiglia borghese non ebbe un'infanzia agiata. Sudia con l'ausilio di borse di studio fino a laurearsi a Palermo. È ritenuto il capostipite del fenomenismo. Insegna a Palermo. Opere: “La conoscenza”; “Metafisica”; e  “Il fenomenismo”. Fonda la Biblioteca filosofica. Dizionario Biografico degli Italiani, Dizionario di filosofia. Cause  empiriche:  e  cause  metaempiriche. La  caasa  nel  senso  scientifico. Distinzione  tra  la  causa  nel  senso  metafisico (causa  efficiente)  e  la  causa  nel  senso  scientifico. I filosofi  hanno  ammesso  generalmente  questa distinzione Impossibilità  di  provare  la  dottrina  di  Comte   sulle  cause  efficienti.L’ANTROPOMORFISMO. La  Filosofia  teologica.  La  filosofia  teologica  nel  periodo  prescientifico. Funzioni  della  divinità  come  principio  esplicativo    dei   fenomeni. La    divinità   come  principio  motore. La  divinità  come  principio  di  una  spiega-  zione teleologica  dei  fenomeni.  Le  prove  dell'esistenza  della  divinità. I  concetti  della  teologia  trascendentale  ^^   Immutabilità  ed  extra-temporalità  di  Dio--      Pag'   '  Dio  come  l'Infinito  o  l'Assoluto       .        .  1^9^ Il  dualismo  e  il   panteismo  nella  filosofìa  antica  e  nella  moderna. Il  valore  delle  prove  dell'esistenza   della  divinità  dipende  da   quello   del   concetto   di  causa  efficiente. L'animismo  come  spiegazione  dei  fenomeni  biologici.   §    8.  Osservazioni  generali  suU'animismo  come   ipotesi  biologica 85-La  spiegazione  animista  dei  fenomeni  bio-  logici   87-Estensione  del  dominio  della  coscienza  in  conseguenza  dei  principii  dell'animismo.    102-Spiegazione  intellettualista  dell'istinto. L'ilozoismo. Osservazioni  generali  sull'ilozoismo         .  111-L'  ilozoismo  nella  filosofia  antica   e   moderna    119-128   14.  L'ilozoismo  nella  filosofia  contemporanea. 11  panpsichismo.   Osservazioni  generali  sul  panpsichismo. La  monadologia  di  Leibnitz. I  panpsichìsti  moderni. L'idealismo. Osservazioni  generali  sull'idealismo. L'idealiijino  di  Kant 200-L'idealismo  assoluto,  dei  successori  di  Kant  214-219-Il  coneetto  di  eansalità  deirantropiomorfismo.   .§  21.  leoda  volizionale  della  causazione  e  teorie   affini. Osservazioni  su  queste  teorie. La  filosofia  meccanica  o  impulsionista.   §    1.  Della  filoso fia  meccanica  o  impulsionista   in  generale 251-Il  principio  ,  su  cui  è  fondata  la  filosofia  meccanica,  in  Cartesio  e  i  cartesiani,  in  Hobbes,  in  Spinoza,  in  Newton, nei  primi  newtoniani,  in  Locke,  in  Leib-   nitz,  in  Clarke, in  Huygens,  Bernouilli,  Eulero,  d'  Alem-  bert, Hume, Reid, Dugald-Stewart, Hamilton, Galluppi, Rosmini,  Cuvier, nei  fisici  e  filosofi  contemporanei. La  proposizione  che  V  azione  a   distanza   è  inconcepibile,  assurda  e  contraddittoria. Origine  e  sviluppo  dell'idea  di  causa  bf-  ,  ficiente.   §    1.  Le  causazioni  più  familiari  ci   sembrano  spiegarsi  da  se  stesse  e  potere   spiegare   tutte  le  altre. Proposizioni  di  filosofi  che  hanno  ricono-scinto   questo   fenomeno   psicolo^co  \(di  ^  Bacone  ,    Stuart-Mill  ,     Bain  ,    GiiffopA  ,      Pag.   Stallo). L' idea  di  causa  efficiente  deriva,  dall' «et   sperienza  delle  causazioni  più  famlliani. Le  causazioni  più  familiari  non  sembrano,  misteriose  che  nella  riflessione  scientifica. Perchè l’azione   volontaria    diventa   mi-  -  steriosa Perchè diventa misteriosa,  in generale,  l'azione mutua tra  lo  spirito  e  il  corpo. Perchè  diventa  misteriosa  1'  attività  inte-  riore dello  spirito 3Perchè  diventano  misteriose  IMnipulsione  e  le  altre  azioni  fisiche  più  familiari  —  Conclusione  sulle  ragioni  per  cui  le  cau-  sazioni più  familiari  perdono  la  loro  intelligibilità. La  tendenza  naturale  a  spiegare  le sequenze non  familiari  riconducendole  alle  familiari,  e  quindi  il  principio  di  causa-  lità efficiente  nella  sua  forma  primitiva  e  spontanea,  non  possono  avere  alcun  valore   obbiettivo Forma secondaria del principio   di   cau-salità   efficiente  —Il  principio    di   causa*-    ,  lità  efficiente  è  un'induzione   incosciente   dalle  causazioni  più  familiari. Origine  comune  e  differenziazione  prògressiva  dei  concetti  fisico  e  metafisico  i'  deWsL  causalità. La  dottrina  dbll'inconoscibilb  b  l'idea  di   CAUSA   EFFICIENTE.  La  dottrina  dell'  inconoscibile   come    ap-    Digitized  by    Google    -  m  -^   pliéàzìone  del  principio  di  causalità  efficiente  'tiella  sua  forma  secondaria    .        .  J?ni-39S  §'lLa  proposizione  che  non  conosciamo  l'es-   senzal  disile  cose 11  fondamento  principale  della  teoria  del -   l'ÌDCon<6scibìl'e  è  il  principio  di  causalità efficiènte. Questo fóndamente non può pretendere ad alcun calore obbiettivo. Ciò è provato più chiaramente dalTesame dell'inferenza incosciente di cui è la conclusion. Noi conosciamo o possiamo conoscere l'essenza delle cose e il modo essenziale della produzione dei fenomeni La Forza nel senso metafisico. La  fij.osofia  apriorista.  Lo  sforzo  di  ricostruire  la  realtà  a  priori  è  una  delle  tendenze  più  generali  della  speculazione  metafisica. La  filo&ofìa  apriorista  è  sovratutto  un'ap-  plicazione del  principio  di  causalità  efficiente  La  filosofìa  apriorista  in   Cartesio, in  Malebranche 4(ìy-in  Spinoza in  Leibnitz, in  Locke, in  Condillac, in  d'Alembert, in  Hume, in  Kant, in  Fichte,  Schelling,  Hegel, in  Reid,  Ehigald-Stewart ,  Galluppi ,  Ro-  smini, Gioberti,  Mamiani, in  Taine  e  Spencer  e  in  Hartmann. Le  pretese  dimostrazioni  dei  principii  della  meccanica. La  filosofia  apriorista  al  di  fuori  della  ri-  cerca della  causa  efficiente. Dottrine  della  filosofia  apriorista  sulla  essenza  e  la  definizione. Dottrine  di  Aristotile e di  Platone  in  particolare. Dottrine  analoghe  e  particolarmente  quella   di  Cuvier  della  correlazione  organica. Spiegazioni  della  filosofia  apriorista  della  costituzione  del  cosmos  (e particolarmente quelle  di  Platone e  di  Aristotile). L'argomento  ontologico  come  applicazione   della  spiegazione  apriorista. IL REALISMO DIALETTICO. Perchè si realizzano le astrazioni. Spiegazioni correnti e precisasione della  qaistione. Il  realismo,  in quanto  è una  spiegazione del  mondo  (realismo dialettico),  ha Io scopo di  identificare  il  rapporto  logico  tra  il  principio  e  la  conseguenza  al'  rapporto  ontologico  tra  la  causa  efficiente  e  V  effetto— Origine  del  realismo  degti  scolantici. Il  sistema  di  Hegel. Il  sifttema  di  Taine. Realismo  (realizzazione dei concetti) del   Taine. Il  suo  metodo  dialettico  (cioè  di  dedurre  i   concetti  realizzati). L'idea  fondamentale  di  questo  sistema  è  Ti-  dentificazione  del  rapporto  tra  il  principio  e  la  conseguenza  a  quello  tra  la  causa  ef-  ficiente e  Teffetto. Il sistema di Piatene. Cenni generali sulla filosofia di Platone. Apriorismo di Platone. Suo metodo puramente  deduttivo. Importanza  capitale  attribuita  al  metodo;  universalità della filosofia e sua sìstemftticìtà. Affinità  del  metodo  dialettico  col  metodo  matematico. Caratteri  prepri  del  metodo  dialettico,   per   cui  differisce  dal  matematico. Tutte  le  altre  Idee  si  deducono  da  quella   del  Bene. L'Idea  del  Bene  non  è  solo  il  principio  logico ma  anche  il  principio  ontologico  (la  causa  produttrice)  delle  altreldee, enonne  è  il  principio  ontologico  che  in  quanto  ne  è   il  principio  logico. La  deduzione  progressiva  delle  Idee  le  une  dalle  altre  é  una  derivazione  reale  delle  Idee   che  si  deducono  da  quelle  da  cui  sf  deducono.  L'Idea  del  Bene  è  la  più  generale  di  tutte.  Contenuto  di  quest'Idea. Metodo  di  divisione  e  gerarchia  delle  Idee. Teoria  della  definizione. La  dieresi  è  una  deduzione  in  cui  V  Idea  divisa  funge  da  principio,  e  le  Idee  in  cui   si  divide  da  conseguenza. Come  la  dieresi  è  una  deduzione,  e  come  si  trovino  in  essa  1  caratteri  distintivi   del   metodo  dialettico  dì  cui  al  §  12.        .  »    264-Il  metodo  indiretto  del  Parmenide É con questo metodo che deve  dimostrarsi  il  primo principio  (cioè  l'Idea  del  Bene). Un'Idea  generale  non  è  solo  il  principio  logico ma anche  ontologico  (la  causa),  clelle   Idee  più  particolari  in  cui  si  divide. L'obbiettivazione  dei  concetti  e il  metodo  dialettico  hanno  per  Iacopo  Tidentiflcazione  del  rapporto  tra  il  princìpio  e  la  conseguenza  a  quello  tra  la causa  efficiente  e  Teffctto.     n  iftiema  41 Spinosa. Idea  generale  della  filosofia  di  Spinoza. Il concetto  del  parallelismo  psico-fisico  e  suoi  sviluppi   Metodo  puramente deduttivo. Identità dello sviluppo logico e dello sviluppo ontologico. Le cose considerale sua specie aetemitatis. L’essere, secondo Spinoza, è una serie di astrazioni realizzate che  derivano logicamente e ontologicamente le une dalle altre, in modo che il rapporto tra il principio e la conseguenza é identico con quello tra la causa (efficiente) e l’efi'etto. Difi'erenze e omologia fra tutti questi sistemi. Come il  realismo  dialettico deriva  dalla  tendenza  naturale  del  nostro  spìrito  da  cui  derivano  tutti  gli  altri  concetti  metafisici.  NIHIL  ORITUR,  NIHIL  INTERIT. Tendenzanaturale  a  supporre  che  il  reale   nella  sua  essenza  é  immutabile. I  fisici  greci  in  generale  -Dottrine di Empedocle e di Anassagora. Il sistema degli atomisti. Dottrine dei fisici che ammettevano una sostanza unica. Dottrina  di  Eraclito  della  identità  dei   contrari  Dottrina  degli  Eleati. Spiegazioni  meccaniche  dei  fisici  in  generale. Dottrine  dei  filosofi  indiani. Dottrine  di  Bnmo  e  di  Telesio.  La  teoria  meccanica  (cioè  laridnrio-  nedi  tutti  i  fenomeni  a  quelli  mecca-rici)  nella  scienza  moderna. Applicazione della  teoria  alla  costituzione  della  materia. Ancora  della  teoria  meccanica-  Applicazione ai  fenomeni  psichici. Spiegazione  meccanica  dei  fenomeni   della  vita   Il  principio  della  persistenza  delle  co-  nelle stesse proprietà nell'atomismo metafisico,  nei sistemi monisti,  nel realismo,  nel criticismo. Doitrine di Herbart e del prof.  Corleo  Dottrina  delTidentità  della  causa  e  dell'efletto. IL  CONCETTO  DELL'ANIMA. L'animismo  (sostantificazione dell’anima)  è  il  prodotto  d'una  tendenza  naturale  dello*spirito  umano.  Le  .prove  della  sostanzialità  dell' anima. Materialiià  deir  anima  Della  for-  ma primitiva  deirÀnìmismo.      L'animismo  è  anch'esso  un' ap-  plicazione del  principio  deirim-  mutabilità  dell'essenza  delle  cose  »  Le  concezioni  moniste  si  fonda-  no su  questo  principio  egualmente che  le  dualiste.  .  È  per  esso  che  deve  «piegarsi  anche  Tanimismo  de -l'uomo  primitive. Il  concetto  dell'immortalità  del-  l'anima e  quello  della  bua  im-  materialità sono  degli  sviluppi  naturali  della  teoria  animista.  »  Il  substratum ,  supposto  indi  sponsabile  j  dei  fenomeni  psi-  chici non  è  che  il  fantasma  del   corpo »   La  terza  forma  dell 'animismo,  cioè  la  dottrina  che  la  sostanza  dello  spirito  è  un  fatto  psichico  permanente  che  è  il  sobstratom  di  tutti  gli  altri.  DOTTRINA  DI  ROSMINI  SULLA  SOSTANZA   DELL'ANIMA  carte. IMMANENZA  DELLE  IDEE  PLATONICHE. Prove  di  qoeat*  immanetiixa  .  I  termini  designanti  le  Idee  in  generale. I  termini  designanti  ciascen'Idea.  carte    Il  concetto  e  la  conoscenza  generale  si  riferiscono  airidea »        La  definizione  e  la  dieresi,  che  hanno  per  oggetto  le  Idee,  si  riferiscono  alle  eose  considerate  d'una  maniera  generale  ed   astratta L'Idea  è  Tuniversale,  ciò  che  è  lo  stei^so   in  tatti  gl'individui  del  genere. VLa  napouoCa,    la  (léBe^i^  e  le  altre  espressioni del  l'inerenza  nelle  Idee  nelle  cose. Contenenza  reciproca  tra  le  Idee  gene-  riche e  le  Idee  specifiche. Gli  elementi  delle  Idee  sono  anche  gli   elementi  delle  cose »      89-100   IX.  Tutto  il  reale  si  risolve  nelle  Idee. L'essere  non  6  fuori  del  divenire,  ma  nel   divenire  stesso.  BlMeuMione  degli  argomenti  contro  V  ImmanenBa  I.  La  sostanzialità  delle  Idee. La  distinzione  fra  le  Idee  e  le  cose  inter-  pretata come  una  separazione         . ni.  Le  Idee  considerate  come  esemplari  a  cui  le  cose  non  si  conformano  che  approssimativamente. Le  allegorie  del  Fedro  e  del  Timeo. La  testimonianza  d'Aristotile. IL  PITAGORISMO  PLATONICO  Cenni  snlle  dottrine  del  Pitagorici  e  sul  pitagorismo  di  Platone  In  generale. I  namert  ideali  carte  I  doe  elementi   A.  La  forma  e  la  materia  delle  Idee. La  forma  e  la  materia  delle  cose. Le  entlUi  matematielie  (come  intermediarie  fra  le  Idee  e  le  cosej. li  piiagerifiino  nel  Timeo  e  nel  Filebo   Motivi   deireTolnzione   di  Platone  verso  il  pi-  tagorismo. II  pitagorismo  nel  Tìm^o (Carattere  simbolico   della  cosmogonia  del  Titneoe&no  significato).   Il  pitagorismo  nel  ^^eòo(il  limite  e  V illimi-  tato di  questo  dialogo) »    242-251   V.  Il  pitagorismo  nel  discepoli    di  Platone  Le  tre  dottrine  dei  platonici  sui  numeri  carta         La  dottrina  di  Xenocrate  .        .  .        .  carte   251-25o   La  dottrina  di  Speusippo. DOTTRINE  DI  PLATONE  SULL'ANIMA  E  LA  DIVINITÀ   NEL  LORO  RAPPORTO  COL  SISTEMA  DELLE  IDEE. L'anima  e  suo  rapporto eon  le  Idee  e  eoi  fenomeni  (ranima  individuale   carte   ranima  cosmica  e.  £80-293).        carte  L'Interpretaslone  teistica  del  siste-  ma delle  Idee  (che  le  Idee  soro  i  pen-  sieri della  divinità  creatrice)      liOldee  e  11  pensiero  (Interpretazione  di  Hegel  e  del  Teichmùller  dell'immortalità  dell'anima  e  altre  dottrine  connesse — Pla-  tone non  ammette  Tidentità  dell'essere  e  del  pensiero,  e  la  sua  Idea  è  un*  entità  puramente  obbiettiva. Cosmo Guastella. Guastella. Keywords: conoscenza. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guastella: tra fenomenismo e noumenismo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689814494/in/photolist-2mPE1ox-2mLNi1Z-2mKDP1b

 

Grice e Guicciardini – le cose dello stato -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Guicciardini. Grice: “Guicciardini is what I call an Italian classic; some like Machiavelli, as Austin used to say, “but Guicciardini is MY Renaissance man!” – Grice: “There are various topics of interest: the italian of Machiavelli and Guicciardini in the development of a philosophical political lexicon; there’s the trope of the centaur –‘all’ombra del centauro.’ – Pure political philosophy of the type enjoyed by members of the Debating Union at Oxford!”  Terzogenito dei Guicciardini, famiglia tra le più fedeli al governo mediceo. Dopo una prima formazione umanistica in ambito familiare dedicata alla lettura dei grandi storici dell'antichità (Senofonte, Tucidide, Livio, Tacito), studia a Firenze seguendo le lezioni di Pepi. Soggiornò a Ferrara per poi trasferirsi a Padova per seguire le lezioni di docenti di maggior importanza. Rientrato a Firenze, esercita l'incarico di istituzioni di diritto civile. Nominato capitane dello Spedale del Ceppo. Inizia la stesura delle Storie fiorentine e dei Ricordi. Esattamente dieci anni prima, ossia con l'anno 1498, si chiudono quelle Cronache forlivesi di Leone Cobelli che espongono le premesse degli avvenimenti riguardanti Caterina Sforza e Cesare Borgia di cui Guicciardini si occupa, nelle sue Storie, per i notevoli riflessi che hanno sulla politica fiorentina. In occasione della guerra contro Pisa, venne chiamato a pratica dalla signoria, ottenendo l'avvocatura del capitolo di Santa Liberata. Questi progressi portarono il Guicciardini anche ad una rapida ascesa nella politica, ricevendo dalla Repubblica Fiorentina l'incarico di ambasciatore presso Ferdinando il Cattolico. Da questa sua esperienza nell'attività diplomatica nacque la Relazione, e anche il "Discorso di Logrogno", un'opera di teoria politica in cui Guicciardini sostiene una riforma in senso aristocratico della Repubblica fiorentina. Fece parte degli Otto di Guardia e Balia ed entra a far parte della signoria, divenendo, grazie ai suoi servigi resi ai Medici, avvocato concistoriale e governatore di Modena, con la salita al soglio pontificio di Giovanni de' Medici, col nome di Leone X. Il suo ruolo di primo piano nella politica emiliano-romagnola si rinforza con la nomina a governatore di Reggio Emilia e di Parma. Nominato  commissario generale dell'esercito pontificio, alleato di Carlo V contro i francesi, matura quell'esperienza che sarebbe stata cruciale nella redazione dei suoi Ricordi e della Storia d'Italia.  Alla morte di Leone X, si trova a contrastare l'assedio di Parma, argomento trattato nella Relazione della difesa di Parma. Dopo l'assunzione al papato di Giulio de' Medici, col nome di Clemente VII, venne inviato a governare la Romagna, una terra agitata dalle lotte tra le famiglie più potenti. Diede ampio sfoggio delle sue notevoli abilità diplomatiche.  Per contrastare lo strapotere di Carlo V, propaganda un'alleanza fra gli stati regionali allora presenti in Italia e la Francia, in modo da salvaguardare in un certo qual modo l'indipendenza della penisola. L'accordo fu sottoscritto a Cognac, ma si rivelò ben presto fallimentare; di questo periodo è il Dialogo del reggimento di Firenze, in cui si ripropone il modello della repubblica aristocratica. La Lega subì una cocente disfatta e Roma fu messa al sacco dai Lanzichenecchi, mentre a Firenze veniva instaurata la repubblica. Coinvolto in queste vicissitudini, e visto con diffidenza dai repubblicani per i suoi trascorsi medicei, si ritira nella villa Guicciardini di Finocchieto, nei pressi di Firenze. Qui compose due orazioni, l'Oratio accusatoria e la defensoria, ed una Lettera Consolatoria, che segue il modello dell'oratio ficta, nella quale espose le accuse imputabili alla sua condotta con le adeguate confutazioni, e finse di ricevere consolazioni da un amico. Scrisse le Considerazioni intorno ai "Discorsi" del Machiavelli "sopra la prima deca di Livio", in cui accese una polemica nei confronti della mentalità pessimistica dell'illustre concittadino. Completa anche la redazione definitiva dei Ricordi. Lasce Firenze e ritorna a Roma, per rimettersi di nuovo al servizio di Clemente VII, che gli offrì l'incarico di diplomatico a Bologna. Dopo il rientro dei Medici a Firenze, fu accolto alla corte medicea come consigliere del duca Alessandro e scrisse i Discorsi del modo di riformare lo stato dopo la caduta della Repubblica e di assicurarlo al duca Alessandro. Non fu tenuto tuttavia in altrettanta considerazione dal successore di Alessandro, Cosimo I, che lo lascia in disparte. Si ritira nella sua villa Guicciardini di Santa Margherita in Montici ad Arcetri. Rriordina i Ricordi politici e civili, raccolse i suoi Discorsi politici e scrisse la “Storia d'Italia. Morì ad Arcetri, quando da circa due anni si era ormai ritirato a vita privata.  Guicciardini è noto soprattutto per la Storia d'Italia, vasto e dettagliato affresco delle vicende italiane tra l’anno della discesa in italia del Re francese Carlo VIII e il anno della morte di Papa Clemente VII. -- è un monumento al ceto italiano e più specificamente alla scuola fiorentina di filosofi di cui fecero parte anche Machiavelli, Segni, Pitti, Nardi, Varchi, Vettori e Giannotti.  L'opera districa la rete attorcigliata della politica degli stati italiani del Rinascimento con pazienza ed intuito. L'autore volutamente si pone come spettatore imparziale, come critico freddo e curioso, raggiungendo risultati eccellenti come analista e filosofo (anche se più debole è la comprensione delle forze in gioco nel più vasto quadro europeo).  Guicciardini è l'uomo dei programmi che mutano "per la varietà delle circunstanze" per cui al saggio è richiesta la discrezione (Ricordi), ovvero la capacità di percepire "con buono e perspicace occhio" tutti gli elementi da cui si determina la varietà delle circostanze. La realtà non è quindi costituita da leggi universali immutabili come per Machiavelli. Altro concetto saliente del pensiero guicciardiniano è il particulare (Ricordi) a cui si deve attenere il saggio, cioè il proprio interesse inteso nel suo significato più nobile come realizzazione piena della propria intelligenza e della propria capacità di agire a favore di se stesso e dello stato. In altre parole, il particulare non va inteso ego-isticamente, come un invito a prendere in considerazione solamente l'interesse personale, ma come un invito a considerare pragmaticamente quanto ognuno può effettivamente realizzare nella specifica situazione in cui si trova (dottrina che collima con quello di Machiavelli).  In netta polemica, Pitti scrisse l'opuscolo Apologia dei Cappucci, a difesa della fazione dei democratici. E considerato il progenitore della storiografia moderna, per il suo pionieristico impiego di documenti ufficiali a fini di verifica della sua Storia d'Italia.  La reputazione di Guicciardini poggia sulla Storia d'Italia e su alcuni estratti dai suoi aforismi. I suoi discendenti aprirono gli archivi di famiglia e diedero incarico a Canestrini di pubblicare le sue memorie.  Furono pubblicati i suoi Carteggi, che contribuirono ad un'accurata conoscenza della sua personalità.  «L’angolo di prospettiva dal quale si prese a considerare, nella prima metà del secolo XVII, l’opera guicciardiniana, la posizione di questa nel giudizio dei lettori secenteschi, sono bene indicati da uno spirito acuto dell’epoca, A. G. Brignole Sale. “Quindi non per altro, a mio giudizio, porta pregio il Guicciardini sopra il Giovio, sol che questi, qual pittor gentile, de’ soggetti ch’egli ha per le mani colorisce agli occhi altrui con vivacissimi ritratti, senza inviscerarsi, la superficie, quegli per contrario, qual esperto notomista, trascurando anzi dilacerando la vaghezza della pelle, vien con l’acutezza della sua sagacità fino a mostrarci il cuore e il cervello de’ famosi personaggi ben penetrato.” All’affiatamento con lo spirito dell’opera guicciardiniana si accompagnò, sul piano letterario, una migliore intelligenza del suo stile, di cui si cominciò ad ammirare, superando le pedanti riserve linguistiche, la scorrevolezza, l’intima misura e precisione pur nel tono sostenuto. Tuttavia, proprio dal più accreditato esponente letterario del tacitismo, Boccalini, fu formulato un giudizio tra i meno benevoli alla Storia.»  Il giudizio di Francesco De Sanctis  Copertina di un'antica edizione della Storia d'Italia Francesco De Sanctis non ebbe simpatia per Guicciardini ed infatti non nascose di apprezzare maggiormente il Machiavelli. Nella sua Storia della letteratura italiana il critico irpino mise in evidenza come Guicciardini fosse, sì, in linea con le aspirazioni di Machiavelli, ma se il secondo agì in linea con i suoi ideali, il primo invece "non metterebbe un dito a realizzarli". De Sanctis affirma:“Il dio del Guicciardini è il suo particolare.” “Ed è un dio non meno assorbente che il Dio degli ascetici, o lo stato del Machiavelli.” “Tutti gli ideali scompaiono.” “Ogni vincolo religioso, morale, politico, che tiene insieme un popolo, è spezzato.” “Non rimane sulla scena del mondo che l'INDIVIDUO.” “Ciascuno per sé, verso e contro tutti.” “Questo non è più corruzione, contro la quale si gridi: è saviezza, è dottrina predicata e inculcata, è l'arte della vita”. E poco più in basso aggiunse. “Questa base intellettuale è quella medesima del Machiavelli, l'esperienza e l'osservazione, il fatto e lo «speculare» o l'osservare. Né altro è il sistema. Guicciardini nega tutto quello che il Machiavelli nega, e in forma anche più recisa, e ammette quello che è più logico e più conseguente. Poiché la base è il mondo com'è, crede un'illusione a volerlo riformare, e volergli dare le gambe di cavallo, quando esso le ha di asino, e lo piglia com'è e vi si acconcia, e ne fa la sua regola e il suo istrumento".  Nel Romanticismo, la mancanza di evidenti passioni per l'oggetto dell'opera era infatti vista come un grave difetto, nei confronti sia del lettore che dell'arte letteraria. A ciò si aggiunga che Guicciardini vale più come analista e filosofo che come scrittore. Lo stile è infatti prolisso, preciso a prezzo di circonlocuzioni e di perdita del senso generale della narrazione. "Qualsiasi oggetto egli tocchi, giace già cadavere sul tavolo delle autopsie".  Altre opera: Scritti autobiografici e rari (Laterza), Storie fiorentine; Discorso di Logrogno, Considerazioni sui Discorsi del Machiavelli, Ricordi politici e civili Dialogo del Reggimento di Firenze, Storia d'Italia, Scritti sopra la politica di Clemente VII dopo la battaglia di Pavia (Firenze, Olschki); Le cose fiorentine, R. Ridolfi, Firenze, Olschki, Carteggi,  presso Zanichelli, Bologna;  presso Istituto per gli studi di politica, Firenze; presso Istituto storico italiano, Roma; presso G. Ricci, Roma. "Donna di grandissimo animo e molto virile", secondo il Guicciardini (Storie fiorentine). N. Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, La Nuova Italia, Firenze, A. G. BRIGNOLE-SALE, Tacito abburatato, Genova, «Or chi non vedescriveva il Tassoniche questo è uno stil maestoso e nobile, quale appunto conviensi alla grandezza delle cose proposte e alla prudenza politica dell’Istorico che le tratta? e che non ostante i periodi sien tutti numerosi e sostenuti, per esser ben collocate le parole fra loro, e però l’ordine, e ’l senso facile e piano in maniera che ’l lettore non trova scabrosità né intoppi, come nello stil di Villani, che va saltellando e intoppando a ogni passo etc. A. TASSONI, Pensieri diversi, Venezia,  Il legame del pensiero politico tassoniano con quello di Guicciardini (incluso, a differenza del Machiavelli, tra gli storici della «prima schiera» con Comines e Giovio, ossia considerato pari agli antichi; v. Pensieri) e del Machiavelli è noto: i due fiorentini, come dice il Fassò, furono «i due poli» a cui si volse la sua riflessione politica. (Introduz. a TASSONI, Opere, Milano-Roma,  T. BOCCALINI, Ragguagli di Parnaso e Pietra del paragone politico, I, Bari,  Walter Binni, I classici italiani nella storia della critica: Da Dante al Marino, Nuova Italia, Testi Dialogo e discorsi del reggimento di Firenze” (Bari, Laterza); “Historia di Italia, Pisa, Capurro; Historia di Italia. Libri (Venezia, Angelieri): Scritti autobiografici e rari” (Bari, Laterza); “Scritti politici” (Bari, Laterza); “Storia d'Italia” (Bari, Laterza); “Storie fiorentine” (Bari, Laterza); Studi R. Ridolfi, 'Vita', Milano, Rusconi Treves, Il realismo politico, Firenze, R. Ramat, “La tragedia d'Italia” Firenze, V. De Caprariis, Guicciardini. Dalla politica alla storia, Napoli, (ristampa Bologna, G. Sasso, Per Francesco Guicciardini. Quattro studi, Roma, E. Cutinelli-Rèndina, Guicciardini, Roma, Famiglia Guicciardini. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Propositioni, overo Considerationi in materia di cose di Stato, sotto titolo di Avvertimenti, Avvedimenti Civili, & Concetti Politici di Guicciardinii, Lottini, Sansovini, Venezia, Presso Altobello Salicato, Opere illustrate da Giuseppe Canestrini, Firenze, Barbera, Bianchi e Comp., (Bari, Gius. Laterza); biblioteca italiana.   AVVERTIMENTO PRIMO. R Principe,checolmezodelsuoAmbasciatorevuoleingannar Paltro,deueprimaingannar l'Ambasciatore,percheopera,en parlaconmaggior efficaccia,credendo che cosisiala mentedel fuo Principei,lchenon farebbesecredesseesseresimulatione,eg ilmedesimoricordousiogn'uno,che permezod'altrivuoleper Juadereaun'altro ilfalso. 11. DAL fareònonfareunacosachepaiaminima,dependebenspejlomomentodi coseimportantiffime,o però nellecosepiccoledeuefieffereauuertito,ceonsiderato. III. FÁCIL cosaèguastarsiunbel'eseredificilealracquistarlo,peròchisitruong inbuon gradodeuefareognisforzodinonlasciarselovscirdimano. IIII. E'Pazziasdegnarsiconquellepersoneconlequaliperlagrandezzaloro,tunon puoisperaredipoteruendicarti,peròsebena pareessereingiuriatodaquesti, bisogna patire,efimulare NELLE cosediguerranasconodaun'horaàvn'altrainfinitevarietà,perònon fideuepigliaretroppoanimodelenuoueprofpere,nèuiltàdelleauuerse,perchespeso nascequalchemutatione,ma questodeueinsegnare,chea chifelipresental'occasione non laperda,perchedurapoco. COME ilfinedemercantièilpiudellevolteilfallire; quellodenauigantiilfom mergere, cofispessodichilungamentegouernailfineècapitarmale QYESTI ricordisonregole,cheinqualchecasoparticolarechehadiuerfa  VII LE cosechesonouniuerfalmentedesiderate, rareuolteriescono,laragioneècheli pochisonoquellichecommunementedannoilmottoallecose,e alifini, dichesono contrarijaljaigliappetitidimolti VIII. TVTT.E lesicurtàchesipossonohaueredel'inimicofonbuone,difede,diamici, dipromesse,ed'altreassicurationi,maperlamalaconditionedeglihuomini,evariatio nedetempinissunaaltraèmigliore,& piuferma,cheaccommodarsiinmodo,chel'ini mico non habbiapoteftàd'offenderti IX NESSUNA cofa deue desiderarepiul'huomoinquestomodo,nèattribuirlopiu a fuafelicità,cheuederel'inimicofuoprostratointerrae ridottoaterminitali,chetu l ' h a b b i a a d i s c r e t i o n e :M a quanto è f e l i c e a c h i a c c a d e q u e s t o , t a n t o d e v e f a r s i g l o r i o s o conl'ofarlalaudabilmente,cioèesserclementeaperdonare,cofapropriadeglianimi generofi, & 'eccellenti: ragione,   ragione,hannaeccettione,maqualifianoqueicasiparticolari,sipofonomaleinsegnare altrimenti,chceon ladifcrettione. diuèdicarsi dite,nonlofacciaprecipitosamente,anziaspettiiltempoel'occasione,laqualesenza dubbioliuerrà diforte,chesenzascoprirsimaligno,oappasionato,potràsodisfareal fuodesiderio. XIIII. Chi hadagouernare Città,opopolielivogliatenercoreti,Sappiacheordina riamentebastapunireidelinquentiaföldiquindiciperlira,maènecessariopunirlitut t i , c h e i n e f f e t t o s i a c u s t i g a t o o g n i d e l i t t o, m a s i p u ò b e n f a r q u a l c h e m i s e r i c o r d i a , e c c e t todellicasiatroci,chebisognadaressempio. XVI. IL ricordodisopra, bisognavsarloin modochel'acquistarnomedinoneserbene. fattore,nonfaccia,chegl'huominifugghino,& aquestosiprouedefacilmente,conbe n e f i c i a r n fe u o r d e l l a r e g o l a q u a l c h ' o n o , p e r c h e n a t u r a l m ě t e h a t a n t a s i g n o r i a n e g l h u o minilasperanzachepiutivaleràpressoaglialtri,& piuessempiofavno chetuhaba biabeneficiato, checentochenonhabbinodatehauutoremuneratione.  S. Auuertimenti di XII. INGEGNATEV Idinonvenireinmalconcettoappressodichièsuperio renellapatriavostra,neuifidatedelbuongouernodeluiuernostro,chesiatale,che nonpensiated'hauergliacapitarnellemani;perchenasconoinfiniti,enonpenfaticasi dihauerbisognodilui, èconuersoil Superioresehavogliadipunire,& XIII. TVTTI glihuominisonobuoni,cioedouenoncauanopiacereoutilitàdel m a l e , p i a c e p i u l o r o i l b e n c h e i l m a l e :m a s o n o v a r i e l e c o r r u t t e l e d e l m o n d o e f r a g i l i t à loro;& spessoperl'interesseproprioinclinanoalmale.PeròdafauiLegislatorifieper fondamento dele Republiche trouatoilpremioelapena,nonperviolentareglihuomi ni,m a perche seguiting l’inclinationenaturale. XVII. PIV tengonoamemoriagl'huomini l'ingiuria,cheibeneficijriceuuti,anziquan dopuresiricordanodeibenefici,lofannonell’imaginesuaminore,chenon furiputun dosimeritar piuchenonmeritano.Ilcontrariosifadell'ingiuria,cheduoleadogniuno XI. E 'laudato appressogl'antichi,& è verissimoprouerbio: Magistratusvirumoftédit, perche conquestoparagonenonsolosiconosceperilpesochesiba,sel'huomoèd'assai odapoco,maperlapoteftà,elicenzasiscuopronoleaffettionidell'animo,cioèdiche natural'huomofia, perchequantoaltruièpiu grande,tantomancofreno,erispettoha alasciarsiguidaredaquelchegl'ènaturale. XV. SE liScrittorifuferodiscreti,ogratisarebbehonesto,edebito,chelipadronilibe neficiasseroquantopotesero,ma perchesonoilpiudellevolted'altranatura,equando fonopieni,olilasciano,òlistraccano,peròèpiu vtileandareconloroconlamanostret ta, e trattenendoliconsperanza, darlorodieffettitantochebastiafarechenonsidi Sperino. piu, cheragionenolmentenon doveriadolere,peròdouegl'altritermini.forpara guardateuidifarquellipiaceri,chedinecessitàfannoadun altrodispiacerevguale, percheperlaragionedettadisopra, siperdeingrosso,piuchenonsiguadagna. ,percheper esperienzasivedecheglihuomininonsongrati,perònelfareicalcolituoi, òneldi segnardisponerdeglihuominifamaggiorfondamentoinchineconseguevtilità,chein chis’hadamuouerfoloper rimunerarti,percheineffettoibeneficijsidimenticano. cheprocededa bron’animo, fivede, chepurtalvolta èremunerato qualchebene ficio,e anchespessodiforte,chenepagamolti,& ècredibilecheaquellapotestà ch'èsopraglibuominipiaccinol'ationinobili,eperònonconsentachesianosenza frutto: XX. INGEGNATEV Id'haueredegliamici,perchesonbuoniintempi,luo ghiecasi, chevoinonpensarete,equestoricordobenchevulgato,nonlopuòconsidera reprofondamentequantovaglia, achinonèaccadutoinqualchefuaimportanzafen tirnel'esperienza: XXI. P I A C E vniuersalmente, chièdinataraverae liberă,& ècosagenerosa,ma talvoltanuoce.Madall'altrocanto,lasimulationeèvtile,ma'èodiata,G hadelbrut the ènecessariaperlemalenaturede glialtri,però non sòqualesidebba eleggere, Credoperò, chesipossavfarel'onaordinariamente,senzaabbandonarl'altra,cioènel corsotuoordinariocomume vjarlaprimainmodo,cheacquistinomedi personalibe ra, nondimenoincerticasiimportantipotrai sarelasimulatione,laqualeàchivi uecosìètantopiuvtile,e sicredemeglio,quantoperbauernomedelcontrario,tiè facilmentecreduto XXIIII. E INCREDIBILE quantogiouiachihaamministratione, chelecosesue fienosegrete,perchenonsoloidisegnisuoqiuandosifanno,possonoeserprenenuti,e interrotti,maancoral'ignorareisuoipensieri,fachegl'huominifannosempreattoniti 3  XVIII. PIV fondamentopotetefareinvnoc'habbiabisognodivoi,oc'habbiainqua! checasol'interese communecheinvnoc'habbiariceuutodaboibeneficio XIX. H O.postoiricordidisopra,perchesappiateviuere,ericonosciatequelchelecose possono,nonacciocheviritiriatedalbeneficiare,percheoltrecheècosagenerosa,en XXII. P E R Lecagionidisopra,nonlaudochiviuesempreconsimulatione,& conarte, mascufobenechiqualchevoltal'vja. XXIII. $1A certochesetudesideri,chenonsisappiachehaifatto,òtentatoqualcheco Ja,cheèsempreapropositoilnegarla.Percheancoracheilcontrariosiaquasiscoperto & publico,tuttauianegandolaefficacemente,sebenenonlopersuadiachihaindi tij, ocredeilcontrario,nondimeno perlanegationegagliardaseglimetteilceruello àpartito. A 3 esospetti,   efofpetti,aoßeruarelesueattioni.Ed'ognifuominimomoto,sifannomillecommente ti,& interpretationi,ilcheglidàgranriputatione,peròchièintalgradodouerebbe auezzareisuoiministrinonsoloàtacerelecosechemaisifappino,ma ancortuttequel lechenonèptilechesipublichino. XXVI, ANCORA quellicheattribuendotuttoallaprudenza, ovirtů, s'ingegnano e s c l u d e r e l a f o r t u n na ,o n p o s s o n o n e g a r e , c h e n o n f i a g r a n d i s s i m a f o r t e n a s c e r e d q u e l tempo, oabbattersia quelleoccasioni,chesienoinprezzoquelleparti,opirtùinchę tu vali . XXVII . N O N vogliogiàritirarquellicheinfiammatidall'amoredeltaPatriasimetto H o a p e r i c o l o p e r r i m e t t e r l a i n l i b e r t à ., e l i b e r a r l a d a T i r a n n i ; m a d i c o b e n e , c h e c h i cercamutationedistatopersuointereffenonèsauio,percheècofapericolosa, elivede cõeffettiche pochissimitrattatisonoquicheriescano,epoiquãdobeneèsuccesso, fide e quasisempre che nellamutatione tu no conseguiscidi gră lunga quel chetu haidife gnato,& inoltretioblighiàvnoperpetuotrauaglio, perchesempretuhaidadubita re, nontorninoquelli, chetuhaifcacciatijetivecidino. XXIX. CHI purpuoleattendere'atratati,siricordi,chenefunacosalirouinapiucheit desideriodivolerlicondurretroppofieuri, perchéchi vuolfarperinterponere manco tē po, implicapiuhuomini,emescolapiucose,dallaqualcausasiscopronosemprefimili p r a t i c h e . E t a n c o è d a c r e d e r e c h e l a f o r t u n a , f o t t o l ' a n i m o d i c h i s o n q o u e s t e c o s e . f i j d e gniconchivuolliberarsidallapotestàfua& aficurarsi,peròèpiufécurovolerliesem quireconqualchepericolo,checontroppasicurta. įXX. NON disegnatesùquello,chenonhauete,nèspendetefuliguadagnifuturi; perchemoltevoltenonfuccedono,etitrouiinuiluppato, & sivedeilpiudelevol te, chelimercantigroffifallisconoperquefto,quando persperanzad'vinmaggior guadagnofuturo,entranosuocambi;lamoltiplicationedequaliècerta, & hatempo determinato, maliguadagnimoltevolte,ononnengono, ofiallunganopiucheildia  Aiuertimenti di X X V :. O S S E R V A I quandoere AmbasciatoreinIspagnaappressoil Re Ferdinan dod'AragonaPrincipefauio,& glorioso,cheegliquandovoleuafareunaguerra, impresanuoua,òaltracosad'importanza,nonprimalapublicaua,epoilagiustifica ua, maperilcontrariovsauaartecheinnāzis'intendessequellocʻbaueuainanimo,er fidiuulgana ilRe douerebbeperletalicagionifar questo inmodo,chedoppopublican dosiquelchegiàpareuagiuftoadogniunoonecesario,èincredibileconquantalände eranoriceuutelefuedeliberationi. XXVIII.", RCON viaffaticateaquellemutationichenonparterisconoaltro,shemutarei visidegl’huomini: perchechebeneficiotirecafequelmedesimomale,odispetocheti facciaPietro tifacciaGiovanni? 12 . Jegne,   Tegno,dimodo,chequellaimpresachetuhauenicominciatacomevtile,tiriescedania nofiffima XXXI. SE hauetefalitopenfatelabene, emisuratelabene, tananzicheentriateinprigio nepercheancorach'ilcafofussemoltodificileascoprire,tamenèincredibile,aquante cosepensailgiudicediligente edesiderosoditrovarelaverità,& ogniminimospiras glioèbastanteafaruenire tuttoaluce. ,ofa tiche.Ma quelchelafa forsedesiderabileancoraall'animepurgate,èl'appetitoche s'had'esserefuperioreagl'altrihuomini,ilcheècerto.cafabella & beata,attesomaffia me ch’innessunaaltracosacipesamoassomigliareaDio dentisubitiderepentini,cosacheagiudiciomioèrarissima pericoli,& mai XXXII LÀ medesimaragionefa,chequantopiul'huomoinuecchia,tantopingliperfa ticailmorire, e semprepiuconleattioni,econlipenfieriviue,comesejapesenonha weremaiamorire. XXXVII. SI CREDE,& ancospessofeuedeperesperienza,chelericchezzemale acquistate,nonpassanolaterzageneratione. Sant'Agoftinodice,cheDiopermet te, chechil'haacquistategodainrimunerationediqualchebene,chehafattoinvi ta,ma poinonpassanotroppoinnanzi, percheègiudiciodiDioordinariamente,che cosinadadimalelarobamaleacquistata. IodiligiàadunPadre,cheameoccor reuaun'altraragione,perchechiha acquistata la roba,ècommunemente allenato dapouero,l'amasc sal'arte diconferuarla,maifigliuolichesononati& allcuatida XXXII. 10 hodefideratocomeglialtrihuominil'honore& l'otile,& infinquipergram tia'diDioèfuccedutosopraildisegno,enondimenoquãdohocõseguitoquelchedeside rauo,nonuihoritronatodētroalcunadiquellecosechemihaueuoimaginato,ragione, àchibenla considerasse , chedoueriabastareadeftinguereaffailafetedeglihuomini. XXXIII. LA grandezzadiftatovniuersalmenteèdesiderata,perchetutoilbenech'èin Jei-appariscedifuori,ilmaleftàdentroocculto,ilqualechinedessenonebarebbeforse tantanoglia,percheèpienasenzadubbiodipericoli,disospettodimilletrauagli XXXII11. LE cosenonprenedute, nuoconosenzacóparationepisa,cheleprouifte; peròchiama moioanimograndeeperito,quelocheregge, enonsisbigotisceporili XXXV. N O N èdubbio,chequantopiul'huomoinuecchia,piucrescel'auaritia.Sidice communementeessernecausà,perchel'animodiminuisce,ragione,cheamenonècapa ce,percheè beneignorantequeluecchio,chenonconoscehauerneminorbisogno,quan ldpiuinuecchia, &inoltreueggo, chene'uecchis'augmētaperilcotrariolalufuria, (dicol'apetitoenonlaforza lacrudeltà, egl'altriuitijperòcredo,chelaragionue-: safia,chequantopiusiuiue,tantopiul'huomos'habituaallecosedelmondo o per consequentepiul'ama > ricchi, A 4   r i c c h i, n o n s a n n o c h e c o s a s i j l ' a c q u i s t a r r o b a , & n o n h a u e n d o a r t e , ò m o d o d i c o n f e r . varlafacilmenteladisipano. XXXV TII. NON fipuòbiasimarel'apetitodihauer figliuoli,percheènaturale:madico bene, cheèfpeciedifelicitànonhauorne,percheetiandiochiglihabuoni,e saur,' perdita ditēpošle quali cosesonotenutemalenelinostrigiudicij,che X L I I. E ' IMPOSSIBILE, chel'huomo (sebene èd'ottimoingegno, e giudicion a turale)posaaggiugnères& beneintenderecertiparticolari,però ènecessariale fperienza,laqualnonaltrogliinsegna,e questoricordolointenderàmeglio,chiha maneggiatofacendeassai,percheconlesperienzamedesimahaimparatoquantovan glia,esiabuonal'esperienza. strettonontoglieànessuno,pinsonoquellichepatisconodel legrauezzedel prodigo, chequellichehannobeneficiodellaficalarghezza:Laragio nedunquealmiogiudicioè,cheneglihuominipuopiulasperanza cheiltimore,etpiu Sonoquellicheferonocoseguirequalchecosadalui,chequi,chetemonoessereoppreffi.  1. Auuertimenti di senzadubbiomoltopiudispiacerediloro,checosolatione.L'esempiol'hovedutoinmio Padre,cheasuoidìeraessempioaFirenzedipadrebendotatodifigliuoti,peròpensa secomestia,chiglihadimalaforte. XLIII. PIACE senzadubbiopiuvnPrincipec'habbiadelprodigo,chevnoo’habbia dellostretto,ő tamendouerebbeessereilcontrario.percheilprodigoèneceßitatofa reestorsioni,Grapine,lo sha messiasuavolontà,& afuobeneplacito, perchelaleggenonglihavolutodarpoteftà difarnegratia,manonpotendoneicasiparticolari,perlavarietàdellecircostanze darneprecisadeterminarione,sirimetteall'arbitriodelgiudice,cioèallasuaconscien za, checonsideratoiltutto, facciaquelcheglipare piugiusto,& bonefo,& chialtija mentil'intendesse,s'inganna,perche laforzadellaleggeloaffoluedihauerneadar conto,perchenonhauendoilcasodeterminato,sipuòsemprescusare,manonglidàfa caltàdifardonodellarobad'altri. Χ Ι Ι. SI VEDE percfperienza,cheipadronitengonopococontodeseruitori,e per ognsiuacommodità,& appetitoglimettonodaparte. Tolaudoqueseruitori,chepi gliandoessempioda padroni, tengono piùcontodeleinteresisuoi,chediloro,ilcheperò consigliochesifaccia,faluandosemprel'honore,e lafede. X L. E R R A chicredechelicasi, chelaleggerímetteadarbitriodelgiudice, fienorin 2 XXXIX , -NON BIASIMO interamentelagiustitiaciuiledelTurco,cheèpiutosto precipitosa,chefommaria:perchechigiudicaaocchichiusiragionevolmente,spedisce lametadellecausegiustamente, e liberalepartidaspese,& spessofarebbepiuperchiharagioneha uerehauutodaprimalasentenzacontra,checonseguirladoppotantodifpendio,do titrauagli,senzacheàpermalignità,operignoranzadelligiudici;ó ancoraper ofleruanza delle leggisifa delbianconero : 1 L’IN   deuiofferuarequestaopinione,etiamconqualchetuain- commodità,& inquestos'ingannanospessoglihuomini,perchesimuovondoa qualche pocodidanno, cheapparisce,& nonconfideranoquantosianograndiibeni,chenonsi veggono, percheisudditinonveggono,enonmisuranoappuntoquelchetupuoifare,anzi imaginandosimoltevoltelapotestàtuamaggiore,chenonè,credonoaquellecoseche tunonlipotresticostringerė. XLIX. SONO alcunihuominisauiasperarequellochedesiderano,altrichemailocrea dono,infin,chenonnesonobensicuri,& senzadubbiopiuvtileèsperareinfimilicasi poco,chemolto,perchelasperanzatifamancaredidiligenza,e tidàpiudispiacere, quandolacosanonsuccede. LII. QUANTO bendissecolui.Ducuntvolentesfatanolentestrahunt,seneveg gonoognidìtanteesperienze,cheamenonpare,chemaicosaalcunasiaiceljimeglio.  Saui,chesidevgeodereilbeneficiodeltempo. M. Francesco Guicciardini. XLIIII. S L’INTENDERSI beneconlifrateli, econliparenti, fainfinitibeni, che tunonconosci,perchenonapparisconoadviper vno,mainfinitecosetiprofitta, fattihauereinrispetto,però altrimentièimpossibile,chelungamentesiatenutobuono. XLVII. XLVI. CHI nonsicurad'esserebuono,madesiderabuonafama,bisognachesiabuono, 10 fuigidd'opinionedinonvedereetiamcolpensareassai,quelchenonvedeuo prefto: maconl'esperienzahoconosciutoeserefalfifsimo,peròfáteuibefedichidi cealtrimenti. Quanto piusipensanolecose,tantomeglios'intendono,á sifanno: XLVIII. QVANDO tiverràoccasionedicosa chetudesideripiglialasenzaperdereten po, perchelecosedelmondosivarianotantospello,chenonsipuòdiredihauercofaal cuña, finchenonsiainmano.Etquandotièpropostaqualchecosa,chetidispiace,cer caildiferirlapiuchetupuoi,percheogniborasivede,cheiltempoportaaccidenti, cheticauanodiquestedifficoltà,& cosìs’hadaintenderequelprouerbio,chediconoi LIII : ILTIRANNO faestremadiligenzadiscoprirel'anitzetio,ciodseticon tentideltuostato,consideragliandamentiÜnnodituoi,concetičaredritesdiertocat chi XLV. CHIHA autorità, &signoriapuofpingersi,&flenderlaancorasopralefor zesue, LI . L. SE tuvuoiconoscerequalifienoipensierideTiranni,legiCornelioTacito,quan dofamentionedegloltimiragionamentic'hebbeAugusto conTiberio. IL medesimo Cornelio Tacito achibenloconsidera,insegnapereccellenzacome s'ha da gouernarechi vinesottoa un tiranno.   thìconuersateco,e conragionartecodivariecofe,&ponerti domandarti partiti,& parere,peròsenonvuoichet'intenda,bisogna,chetiguardicongrandissimadiligen za, damezzicheeglivsa,nonvsartermir: LIIII. A chi haconditionenella Patria,efiafotoonTirannofanguinofo& beftia le,siposjondarepocheregole,chseienobuone,eccettoiltorsol'esilioM.a quandoilTi fanno,oper prudenza,òpernecessitàdel suostatosigouernaconsospetto, on’huomo benqualificatodeuecercarediesseretenutodaaffai, & animoso,madinaturaquieto, nècupidod'alteraresenonèsforzato,percheintalcasoilTirannotiaccarezza,e cercadinondarticaufadifarnouità,ilchenonfariaseticonoscesseinquieto, perche all’horapensainognimodochetunonsiaperftarefermo,ondeèneceffitatopensare sempreťoccasionedispegnesti. SECONDO ilterminedisopra,èmegliononeseredelipiuintimieconfiden tidelTiranno, perchenonsolotiaccarezza,mainmoltecose,famancoasicurtàte co, checonlisuoi,cosìtugodilasuagrandezza,& nellarouinasuadiuentigrande, ma diquestoricordononsenepuòvalerechinonhaconditionegrādenellasuapatria. LVI. E'DIFFERENZA dhauerelifudditidisperati,adhanerlimalcontenti, perchequelinonpensanomaiadaltro,cheamutationedistato,elacercanoetiamcon suopericolo, questisébenenonsicontentano,edesideranocosenuouteamennoninui tanoleoccasioni,ma aspettanochedaseuenghino. LVII. NON. posonogouernareisuditibenesenzaleuerità,perchelamalignitàde glibuominicercacosim,asiuvolemescolardestrezza,& fardimostratione, accioche glihuominicredano,chelacrudeltànon piace,ma che l'usiper necessità, esalute publica. LVIII. SIDOVERIJ atenderealiefet,inonaledimostrationi,esuperficie,e nondimancodincredibilequantagratia,cöfauoveticöcilinoappresoglihuominileca rezze, etlahumanitàdiparole.lragionecredochesia,percheogniunosistima, parmeritarepiuchenonuale,eperòsisdegna',quandonede,chetunontieniquel contodilui,chegliparechesegliconuenga.  Auuertimenti di chebabbinoadarsospetto,guardandoco meparli,etiamconlintimituoi,e secoragionando,& rispondendodiforte,chenonti poljacauare, i!chetiriuscirà,setipresupponisemprequel'obbietto,cheegliquanto puoticirconuieneperscoprirti. LV . AC LIX E'COSA honoreuoleàun'huomononprometteresenonquellocheuuoleoffer nare,ma communementetuttiquelligachituneghi,á giustamente,reftanomalfodif fatti,percheglihuomininon Jilalanogouernaredallaragione:Ilcontrariointra uiéneachipromette,percheintrauengonomolticasi,chefannochenonaccadefare l'esperienzadiquello,chetuhaipromello,& cosihaisodisfattoconlamēteyetsepure s'hadauenireal'atononmancanoSpedoscuse,emoltisonofigrofli,chesilasciano aggirare   M . Francesco Guicciardini. aggirareconparole,nondimeno è fibruttomancareallaparolafua, chequestopre ponderaogniutilitàchesitraggadalcontrario,& peròl'huomosideueingegnaredi trattenersiquantopuoconrispostegenerali,&pienedibuonasperanza,manondifor techetioblighinoprecisamente. percheèpaz giafarsinimicosenzaproposito,& ueloricordo,perchequafiogniunoerrainque ftaleggerezza. LXI. Chi entrane' pericolisenzaconfiderarequelchepossono,oimportino, fichiama bestiale, maanimosoèquellocheconoscendoipericoliuientrafrancamente,operne cefftà,operhonoreuolcagione. ranno . mad ti ipopoli, 6  LXII. CREDONO molti,cheunfauio,percheuedetutiipericoli,nonpossaesserea nimoso: 10sonodicontrariaopinione,chenonpossaesseresauiochinonèanimoso, p e r c h e m a n c a d i g i u d i c i o , c h i s t i m a a d a u u e n i r e i l p e r i c o l o , p i u c h e n o n s i d e u e ,m a p e r auuenturaquestopaso,cheèconfuso,deuesiconsiderare,chenontuttiipericolihan no effetto,perchealcunineschifal'humo coladiligêza,etindustria,etfrächezzasua, altriilcasoiftesoetmilleaccidētichenasconoportanouia, peròchiconoscospericoli,no lideue metteretuttiad entrata,& presupponerechetuttisuccedano,m a discorrerecon prudenza quelchealtruipuò sperared'aiutarsi,edoueilcasoverisimilmenteglipuò farfauore,farsianimo,nèritirarsidall’impresedirili,& honoreuoliperpauradituttii pericolicheconosceessernelcaso. LX111. ERRA chidice,chelelettereeglistudijguaftanoilcervellodeglihuomini, percheforseè veroachil'hadebole, ma doueleletteretrouanoilnaturalebuono,lo fannoperfetto,percheilbuonnaturalecongiuntocoʻlbuonoaccidentalefannobuonif Jima compositione. Livi E'SEN?A comparationepiudetestabileinvn Principel'avaritia,cheinun priuato,nonsoloperchehauendopiúfacultàdadiftribuire,priuaglihuominitantopiù: maetiamperchequellochehavnpriuatoètuttofuo,&perusofuo,& nepuòsenze giuftaquerelad'alcunodisponere,matuttoquellochehailPrincipe,glièdatopervalós & beneficiod'altri, &peròritenendoloinfe,fraudaglihuominidiquelchedeueloro. L X V I .. LX. GV ARDATEV Idatuttoquellocheuipuonuocereenongiouare,però inpresenzad'altri, nonditemaisenzanecessitàcose,chedispiaccino, LXIIII. NON furonotrouatiiPrincipiperfarbeneficioaloro,perchenessunofefareb bemessoinseruitùgrauiffima,ma perinteresedepopoli,perchefuserobenegouernati, peròcomeonPrincipehapiurispettoafe,cheaipopoli,nonèpiu Principe DICO che il Principe chefamercantia,questononsolofacosavergognosa,maè Tiranno,facendoquellocheèoficiodepriuati,enondePrincipi,& peccatantoverfa   Auuertimenti di ipopoli, quantopeccherienoipopoliversolui,volendointromettersiinquelcheèoficio solodelPrincipe. LXVII. LE cosedelmondosonovarie,edipendonodatanticasi,& accidenti,chedifficilmē tesipuofargiudiciodelfuturo,& sivedeperesperienza,chequasisempreleconiet t u r e d e s a n i j s o n o f a l l a c i,p e r ò n o n l a u d o il c o n s i g l i o d i q u e l l i c h e l a s c i a n o la c o m m o d i tàd'onbenpresente,bencheminore,perpaurad'onmalfuturo,benchemaggiore,se non èmoltopropinquo,etmoltocerto,peichenon succedendo poispessoquello dichete meui,titrouipervnapauravanahauerlasciatoquellochetipiaceua,& peròèfauio quelprouerbio.Dicosanascecosa. LXVIII. NELLE cosedellostatoho vedutospessoerrarechifagiudicio, percheesamina quellocheragioneuolmentedouerebbfearquestoequelPrincipe,etnoconsideraquel lochefarà,verbigratiailRediFrancia,perchedeuehauerpiurispeto,qualsialana tura& costumidonFrancese,cheàquellodouerebbefarciascunPrincipe,prudente, faggio,& giusto. LXIX. 10 HO dettomoltevolte, etlodicodinuouo, ch’oningegnocapace, & chesappia farecapitaledeltempo,nonhacausadilamentarsi,chelauitasiabreue,perchepuò attendereadinfinitecose,& spendereytilmenteiltempo,gliauanzatempo. LXXI. NON èfaciletrouarequestiricordi,maèpiudificileesequirli,perchespesso l'huomoconosce, manonmetteinatto, peròvolendovsarlisforzatelanatura,e fate niunbuonhabito,colmezodelquale,nonfolofaretequesti,maancoraviverràfatto senzafatica, tuttoquellochevicomandalaragione. sottol'Imperio,cheTiberiohuomotiranno,& superbohaueuaesofa tantadappocagine. LXXIII. SE hauetemalasatisfattioned'ono,ingegnateuiquantopotete,chenonsen'accor ga, perchesubitofialienaràdavoi,& vengonomoltitempi, & occafionichevipollo noferuire, viseruirebbe,secoldimostrared'haverloinmalconcetto,nonvelbauesti giocato,e ioconmiavtilitàn'hofattol'esperienza,cheinqualchetempohohauuto malanimoversod'ono,chenonaccorgendosenem'hapožinqualcheoccasionegiouato, com'è statoamico. L'AM  LXXII. NON simarauigliarddell'animobasoeseruiledemoltipopolichileggerainCor nelio Tacito,cheliRomanisolitiàdominareilmondo& viuereintantagloria,ferui uanosivilmente > . LXX CHI vuoletrauagliare, nonsilascicanaredipossessionedellefacende, perchedal l'onanascel'altra,siperl'aditochedàlaprimacaufaalaseconda,comeperlariputa tionechetiportailtrouartiinnegotio,& peròsipuo.ancoaquestoadattareilprouer bio:Di cosa nasce cosa. 1 1   & nefas,como ècausad'infinitimali.PeròveggiamocheliSignori fimilichehannoquestoobiet to,nonhannofrenoalcuna,o fannounpianodellaroba,& vitadeglialtri, purche, cosigliconfortiilrispettodelasuagrandezza. similimodi,hapiulungotrattocheprimanons'haveb becreduto, comeancoraintrauieneadvnochemuored'eticooditisico,chelasuavi tasempresiprolungaoltral'opinionechehannohauutoimedici,colivnmercăteinan zichefalisca, pereserecõsumatodagliinteresifireggepiutēpo,cbenöeracreduto. LXXIX. M'E parfasempredificileacredere, cheDiobabbiaapermettere,chelifigliuoli delDuca Lodouico, habbinoagoderquellostato,quandoioconsidero,cheilpadresuo l'havfurpatofceleratamente,é pervfurparloèstatocausadellarouina, seruity d'Italiaeditantitrauagliseguitiintutta Christianità, a questichelibiasimama nosonopazzi, perchestarebbefrescalaCittà,cóloro,seiltirannononhauesseattor noaltrichetristi.  M. FrancescoGuicciardini. 7 LXXIIII. L'AMBITIONE dell'honore,edellagloriaèlaudabile,& vtilealmondo, perchedacaujaagl’huominidipēsareefarecosegenerose,&ecelse.Nonècosiquel la delagrandezza,perchechilapigliaperidolo,vuolhauerlaperfas, LXXV. L'IMPRESE e cose,chehannodaaccaderenon perimpeto,maperchepri masiconsumano,vannoassaipiuinlungo,chenonsicredeuadaprincipio,perchegli huominisiostinanoapatire,apatiscono, lopportanomoltopiu,chenonsisarebbe creduto. Perùveggiamo, ch'unaguerraches'babbiaafinireperfame,perl'incomodi tà,per mancamēto didanari,& LXXVIII. FATEV 1beffediquestichepredicanolalibertà,nondicoditutiman’ec cettuobenpochi,percheogniunodiquestitali,chesperasjehauerepiubeneinvnosta tostreto,cheinunlibero,vicorrerebbeperleposte,perchequasituttipostponeran noilrispetodel'intereseloro,esonpochifimiquelicheconoscono quanto vagliala gloria& l'honore. gottirti, e coltenereilcapofranconontilassareleuarefacilmente. LXXVII . LXXVI . CHI conuerfacongrandinonfilafcileuaracauallodacarezzeedimostrationi fuperficiali,conlequaliefefannocommunementebalzarglihuominicomevogliono, @affogarlinelfauore. Etquantoquestoè piudificileadifendersitantopiudeuesbir N O N potetehauermigliorparte,chetenerecontodell'honore,perchechifaque ftonontemei pericoli, nefamaicosachesiabrutta,perotenetefermoquestocapo, ú faraquasiimpossibile,chetuttononvisucceda.bene,expertusloquor LXXX. Dico cheunbuoncittadino,& amatoredella patria, nonfolodeuetrattenersi coltirrannopersuasicurtà, percheèinpericoloquandoèhauutoinsospeto,maanco taperbeneficiodelapatria, perchegouernandosicosi,glivieneoccasioneconconsigli, & conoperedifauoriremoltibuoni,edisfauoriremoltimali LAV   städodimezzotusemprerilieuietuincachisiuoglia. LXXXII. LA naturadepopoliècomequelladepriuati,diuoleresempreaugumentaredel gradoinchesitrouano,peròèprudenzanegareloroleprimecose,chedomandono,per checoncedendononlifermi,anzigliinuitiadomandarpiu,& conmaggiorinstanza, chenonfaceuonoda principio,perchecol.darlispessodaberesegliaccresce lasete. LXXXIII . OSSERVATE condiligenza lecosedetempipassati,perchefannolumealle future, cumsitcheilmondofiasempred'unamedesimaforte,& chetuttoquellocheè, sarà,èstatoinaltrotempo,perchelemedesimecoseritornano,mafotodiuerfinomiz & colori,peròogniunononleconosce,masolochièsauio,eleconsideradiligentemente. LXXXV. SE Oferuatebene, trouateched'etàinetàsimutanononsolamenteiuocaboli, modideluejlire,eticostumi,maancoraquelcheèpiuigustiel'inclinationidell'arme, & questadiuersitàsivedeetiaminuntempomedesimodipaeseinpaese,douenonso loèdiuersità delleinftrutioni,maancoradegustidecibiedegliappetitiuarijdegli huo mini.  Lamětepericolodellauittoria,ma Auuertimenti di i LXXXI. LAVDO chinelleguerred'altristaneutrale,chièpotentediforte,hatalconsi derationedistato,chenonhadatemereiluincitore,perchefuggeilpericolo,elaspesa, elaStracchezza,didisordinid'altripossonoparartiqualchebuonaoccasione:fuordi questiterminilaneutralitàèunapazzia,percheattacãdoticonunadelleparticorriso 9 4 1 LXXXIIII. SENZA dubbiohamigliortempoinquestomondo,piulungavita,esipuochia mareinuncertomodofelice, chièd'ingegnopiubasso,chequestiintellettieleuati,pero chel'ingegnonobile,seruepiutostoatrauaglio,& cruciatodiehil'ha,nondimenol’uno participapiudell'animalbruttoched'huomo,l'altrotrascendeilgradodell'huomo, s'accostapiuallenaturecelesti. LXXXVI. INANZI alM.CCCCXC111.nelqualtempol'ambitione,&cecita del Duca Ludouicoaperselauiaallarouinad'Italia,eranocome ogn'unosaimodidels la guerramoltodiuersidaquestiloppugnationedellecittà,leuccisioni,iconflitid'ale traforte,& quasisenzafangueinmodochechihaueuaunostatodifficilmenteglipote wa effertolto, dipoifiridusse,chechierapadronedellacampagna,haueuauinta laguer ra, comeinunmomento,s e eranodueesercitiincampagna siueniuainuntrattoale lagiornata,& eradatalasentêzadelaguerra,cosiuedemosenzaromperelanciaper dersiilRegnodiNapoli,ilDucatodiMilano,econlafortunad'unsologiocarsitutto lostato deVenetiani.Hoggi il Signor Profpero primo ha dimostratodiuerfo modo di guerra, checolmettersinelleterrehafoggiogatol'impetodichierapadronedellacamo p a g n a ,m a n o n r i u s c i r e b b e b e n e q u e s t o , a c h i n o n h a u e s s e d i s p o s i t i o n e d e p o p o l i f a u o r e wole,cornehahauutoegliquelladiMilanocontraFrancesi. LXXXVII. LE medesimeimpresechefattefuorditempo,Sonoštatedificiliseme,òimpoffibile, 1 quando   quandosonoaccompagnatedaltempoedall'occasionesonofacilißime,perònonsiuuo letentarleattrimenti,perchesetuletentifuordeltemposuo,nonsolonontifuccedono, maportipericolo,checonl'hauerletentatenonleguastiperqueltempo,chefacilmen tefarebbonoriuscite,peròsonotenutisauijipatienti. LXXXIX. NON ègrancosa,ch'ungouernatorevsandospesoaffrezza,òefetidifeuerità, sifacciatemere,percheisudditihannofacilmentepauradichilipuosforzare,eroui n a r e , & v i e n e f a c i l m e n t e a l l' e s e c u t i o n e ,m a l a n d o i o q u e l l i g o u e r n a t o r i, c h e c o n f a r p o cheaffrezge, et esecutioni, fannoacquistarsi, & conferuarnomediterribili. xcІ. RICORDATEV I diquellochealtrevoltehodettodiquestiricordischeno s'hannoad osseruaresempreindistintamente,mainqualchecasoparticolare,cheara gionediuerfanonsonobuoni,& qualisienoquesticasi,nonsipuocomprendereconrego laalcuna,nesitroualibrochel'insegni,maènecessariochequestolumetelodiaprima lanatura, & poil'esperienza. ... XCIII . cu i diseonpopolo,diseveramenteunpazzo,percheeglièunmoftropienodi tonfusione;ó d'errore,perchelesueopinionisonotantolontandeallauerità,quanto secondoTolomeo,laSpagnadall'India. COME  M. FrancescoGuicciardini. 8 * 011. A miogiudicioinnesjungrado, òantoritàsiricercapiuprudenza,& qualitàec cellente,cheinvnCapitanod'onoesercito,perchesonoinfinitequellecose,a cheproue deré,& comandaresinfinitiaccidenti,etcasivarijsched'horainhoraseglipresentano, inmodocheperamentebisognachehabbiapiuocchid'Argo,e nonsoloperl'importa zafua, maperlaprudenza, chelibisognareputoinognialtropesoniente. XCIIII. Edifferenzaadesereanimoso,&nonfuggireipericoliperrispetodel'bonore,Psta noel'altroconosceipericoli,ma quelloseconfidapoterfenedifendere,efenonfusseque staconfidēzanõgliaspetarebe,questopuoeferschetemapiudeldebitoznèsiafaldo, perchenonhabbiapaura, maperchesirisolueavolerpintostoildãnocbelauergogna. LXXXVIII. HO osseruatowe'mieigouerni,chequandomièvenutainanzivnacausa,cheho hauutoper qualchegiustorispettodesiderio d'accordarla,nonhoparlatod'accordo,ma folmetterevariedilationi,& ftrachezzehofattochelemedesimepartilhannoricer cato, cosiquello,chesenelprincipioiol'haueßiproposto,sariastatoributtato,s'eridotto intermine,chequandoèvenutoiltemposuo,ionesonostatopregato. XC: N O N ,chechitieneglistatinonsianecessitato,metterlemaninelsangue,madi cobenechenonsidevefarsenzagranneceßità,& cheilpiydellevolteseneperde, piuchenonseneacquista,perchenon solos'offendequellichesonotocchi, ma ancorasa dispiaceall'vniuerfaledeglialtri,efebenetuleuiquelloinimico,oquelloostacola,non perosenespegneilseme,cumsitscheinluogodiquellosott'entranodeglialtri,& fpeffo intrauiene,comesidicedell'hidra;cheperognunojnenafcesette. $   XCVIII. N O N possoio, nesofarmibello,nedarmiriputationediquellecose,cheinperin tànonsonocosi,& tamenfariapiuvtilefareilcontrario,percheèincredibilequanto giouilariputatione,e opinionechehannoglihuomini,chetusiagrande.Conquestoru moresoloticorronodietro,senzachetun'habbiavenireacimento. che ilpadrone,eproportionatamenteil superiorelisudditi, perchenonsipresentaianzialuitaliqualisipresentanoagl'altri, anzicercanocoprirsialui, & parered'altrafortecheinverononsono. ,e pericoli, qualfortehabbiapiuadesiderareuna Città,òdicaderenelgouernod'vno,òdimolti,odipochi. p e r c h e d'hora in hora nascono o c c a s i o n i, c h e e g l i c o m m e t t e a c h i v e d e , ò a c h i g l i è p i u e p r o p i n q u o, c h e s e t i h a u e s s e a c e r careòaspettarenontisicommetterebbe, e chiperdevnprincipiobenchepiccolo,per despessol'introduttione,e aditaarosegrandi. fawpusēruitorichefannoilmedesimoversoipa droni,non facendoperacosachesiacontralafede,l'honore.  Auvertimenti di XCE . COM Ecoluic'haagiutato, òeftatacaufa, cheunosalgainungrado,louuolgouer nareinquelgrado,giàcominciaa căcellareilbeneficio,chegliha fato,volēdousarper se,quelcheprimahaoperato,chesiadiquell'altro,eglihagiustacausadinon.com portarlo,neperquestomerita eserechiamatoingrato. XCVI. R O N s'atribuiscaalaudedifa, òchinonfaquellecose, lequalifepotefse,ofa cesjemeriteriabiasimo". XCVII. DICE ilprouerbioCastigliano,ilfilsirompedallatopiudebole,semprechepensi v e n i r e i n c o n c o r r e n z a è c o m p a r a t i o n e d i c h i è p i u p o t e n t e o r i s p e t t a t o, p i u s u c c u m b e i l piudebole,nonostante,chelaragioneèl'honestà,òlagratitudinevolesseilcontrario, perchecommunemente;s'hapiurispetoal'interese,chealdebito:+31 xCІ. NIVNO conoscepeggioliferuitorisuoi GII. 10 velodicodinuouo, lipadronifannopococontodeseruitori,& perogniinteresse listrascinanosenzarispeto,perosono 2 CI. TP chéstaiincortë,& seguitiongrande, edesideriessereadoperatodaluiinfa cende, ingegnatidiStarlituttaniadinanzia gl'occhi, pome ...) C O N C O R D A N O -tutieferemeglioreloftatod'vnoquandoèbuono, ibedi pochiedimolti,o buoni,eleragionisonomanifeste,cosiconcludono,chequellod'ono piufacilmentedibuonodiuentacattiuo,chegl'altri,& quando ècattivoèpeggioredi tutti,tantopiuquandovaperfiuèceffione,percheradevolteadunpadrebuono fa uio, succedeunfigliuolosimile.Perovorreichequestipoliticim'haueJerodichiarato, consideratetutequesteconditioni CTII CHI siconoscehauerebuonaforte,puotentarl'impreseconmaggioranimo,maè d a a u u e r t i r e c h e l a f o r t e n o n s o l o p k o e s s e r e v a r i a d i t e m p o i n t e m p o ,m a a n c o i n u n t e m   pomedesimopuoelervarianellecose,perchechiosseruauedràperesperienza,mol tiesserefortunatiinunaspeciedicoje,& inun'altraesseresfortunati,etioinmiopar ricolarehohauutoinfinoaquestodàtrediFebraroM D XX111.inmoltecose bonißimaforte, tamennonPhosimilenellemercantie, one glihonori,cheiocerco d'havere, perchenoncercandolimicorrononaturalmentedietro,ma come cominciò a cercarli,pare chesidiscostino . CV. LE cosedelmondononstānoferme,anzihannosempreprogressoalcamino,àche ragioneuolmenteperfuanaturahannodaandare,e finire,matardanospesopiache ilcrederenostroperchenonlemisuriamosecondolavitanostra,cheèbreue,e non secondoiltemposuo,cheèlungo, & peròipaffifuoifonopiutardi,chenonsonoino fri,& fitærdipersuanatura,cheancorachefimouinononciaccorgiamospesode fuoimoti,e perquestosonofpefjofalsiigiudicij,chenoifacciamo, CVII . R O N sosesideuonochiamare: fortunatiquelli, achivnavoltasipresentavna grandeoccasione,perchechinonè prudente,nonlafabenevsare,masenzadubbiofo no fortunatiffimiquelli,aqualivnamedesimagrandeoccasionesipresentadueuol te,perchenonèbuomocosidappoco,chelasecondavoltanonlasappiavsare, cosi inquestocasosecondos' hadahauere tuttal'obligationeconlafortuna, donenelpri mohaluogo-ancoralaprudenza . , cheuiuonoinlibertà, ma queli, neiqualiera meglioprouiftoallaconferuationedelleleggiedellagiuftitia. fannoinuentionediquel löches'aspeta,òsicrede,epiuorecchivipreftosefononuouestrauaganti,o'inaspet tate, perchemancooccorreaglibuominifareinuentioni,òpersuadersiquellochenon èinalcunaconsideratione,ediquestohovedutoiomolteuoltel'esperienza. GRUAN forteèquelladegliastrologi,cheancora,chelaloroprofeffionefiava  M. FrancescoGuicciardini. CIIII . N O N hamaggioreinimicol'huomo,chefefteso,perchequasitutiimali,perico li,& trauaglisuperflui, chehanonprocedonodaaltro,chedallasuatroppacupiditate C, L’APPETITO dellarobanascedaanimo'balo,omalcomposto,fenonside. fiderasseperaltro,cheperpoterlagodere,ma essendocorrottoilviueredelmondo,co me èchidefiderariputatione,èneceßitatoàdesiderareroba,perche.coneffarilucono Levirti,cfono inprezzolequaliinunpouerosonopocoftimate,& mãcoconosciute. B CVIII. La libertàdelleRepublicheèministradellagiustitia,perchenonèfondataadal trofine, senonperdifensione, chel'onononsiaopressodal'altro,peròchipotesseef soresicuro,cheinunostatod'unoòdipochis'ofjeruajelagiustitia,nonharebbetau fadidesiderarelalibertà.Questaèlaragione,chegliantichisauij, & Filosofinon laudornopiudeglialtrique'gouerni CIX. QVANDO lenuoues'hannod'Autoreincerto,&fienonuoueverisimili,d aspettate,ioliprestopocafede,percheglihuominifacilmente СХ; nito,   Auuertimenti di mità, òperdiffettodell'arte,ofuo,tamenpiufedeglidàvnaverità,chepronostica no,checentofalsità,é tamenneglihuominiintrauieneilcontrario,cheunabugia, c h se i a r e p r o b a t a d a v n o , f a , c h e s i s t à s o s p e s o a c r e d e r l i t u t t e l ' a l t r e v e r i t à , & procede daldesideriograndec'hannoglibuominidisapereilfuturo,dichenonhauendoaltro modo dihauerecertezza;credonofacilmente ,a chifaprofessionedisaperlolordire, comeall'infermoilmedico,chelipromettelasalute. ,òdallauoluntàdiquelli,chedominano,perchenonhan uendesiacūbattereconragioniimmutabili,ocon giudicijstabili, nasconoogni dimille cafi,chefacilmentetisolleuanodachipuopretenderedileuartidiposeso. scarso, perchenessunacosaof fendepiùl'animod’unfuperiorecheilparerglichenonlisiahauutoquelrispetoeri uerenza,chegiudicaconuenirseli.  CXI. F T Ë ognicosapernontrouaruidonesiperde,percheancora,chenonuisia colpaisoftra, nehauetesõprecarico, nèsipuoandareatuttelepiazzegetbanchiagiu Stificarsi,comechisitrouadouefi vince, siportasemprelaudeetia Jenzasuomerito. fa nellecosepriuate,trouarsiinpoffeffioneantica,chele ragioninonfimutano,6 imodidegiudityediconsignareilsuofonoordinarü,&fer mi,masenza cumparationeèmoltomaggiorevantaggioinquellecose chedependo nodagliaccidentidellistati CXIIII. FV crudeleildecretode Siracusani,dichefamentioneLiuio, cheinsinoalledon n e n a t e d e t i r a n n i f u s s e r o a m m a z a t e , ma non però a l t u t t o s e n z a r a g i o n e , p e r c h e m ă Catoiltiranno,quellicheuiueuanouolentierisottodilui,sepotefjeronefarebbono un'altrodicera, enonessendocosifacileuoltarela riputationeaun'huomonuouo,si ritiranosottoognireliquia,chereftidiquello.Peròuna Città, cheescanuouamente dallatirannide,nonhamaibensicuralalibertàSenonspegnetuttalarazza,& pro geniedetiranni,dicoperò glimaschi,enonlefemine. CXV. N O N èinpoteftàd'ogniunoeleggersiilgrado,elefacende,chel'huomouno le, manonbisognaspessofarquelle,chet'appresentalatuaforte,& chesonoconfor mialostatoincheseinato, peròtuttalalodeconsisteinfarlasuabene,comeinuna comedia,nonèmancolodato,chibenrappresentalaperfonad'unferuo,chequelli,a chisonomeffiindossoipannidelRe,od'altrapersonadegna,ogniunoinefetonel gradofuopufoarsihonore. E vantaggiocomeognun CXII . CXIII . CHI desideraeseramatodasuperiori,bisognamostrared'hauerelororispetto,e riuerenza,e conquestoeferpiutoftoabbondante,che CXVI. OGNIV NO inquestomondofadeglierrori,daqualinascemaggioreomi nordanno,secondogliaccidenti,& casicheseguitano,mabuonafortehannoquelli, ches'abbattonoadevrareincofediminoreimportanza, òdallequalineseguitaman codisordine. 2 E gran   CXVII. E 'granfelicitàpotereviuereinmodo chenonsiriceua,nèfifacciaingiuriaad altri,ma chis'adduceingrado,chesianecessitato,oaggrauare,òapatire,deueper mioconsigliopigliareiltrattoauantaggio,percheè cosigiustadifesa,quella chesifa pernonesseroffeso,comequella,chesifaquandol'offesatièfatta,ènerochebisogna bendiftinguericasi,nèpersuperflupaauradarsisenzacausaadintendered'eserene ceshtatoapreuenire,nèpercupidità,nèpermalignità,doueinverononhainèdeui hauerefolpettovolereconallargarequestotimoregiustificarelaviolenza,chetufai. CXVIII. NE glihuominie lapatienza, el'impetosonobastantiapartorirecosegranuis perchel'onooperaconl'urtareglibuomini,esforzarelecose,l'altraconlostraccara li,evineerlicoltempo,el'occasioni,peròinquellochenuocel'ono,gioual'altro,Grå conuerfo,& chipotessecongiugnerli,& vsareciascunoaltemposuosarebbediuino, maperchequestoèimpoßibile,credocheožbuscõputatis,lapatienzaemoderationfi: landabileinun Principepercõdurremaggiorcoseafine,chel'impetoelapcipit.iticne. CXX. NLELLE cosedellEconomicailuerboprincipaleèrisecaretutelespesesuper flue,ma quelloinchemipare, checonsistal'industria,èchifalemedesimespesecon piuvantaggio,ecomesidicevolgarmente,spendereilfoldoperquattroquattrini. CXXII. DICEVA unpadre,chepiubonoretifaunducatoinborsa,chediecichene baispesi,parolemoltodanotare,nonperdiventarfordido,nèpermancarenellecose honoreuoli,e ragionevoli,maperchetifafrenoafuggirelecosesuperflue. la malitia,ochenelmaneggiarelecoses'accor gono diquelloharebbono dibisogno,sicercafardirealiStrumétiquello chel'huomo vorrebbechedicese,peròquandosonogliinftrumentidicosevostred'importanza, habbiatepervfarizafaruelilenaresubito,& hauerliincasainformaautentica.  10 M. FrancescoGuicciardini. CXXIII. RARISSIMI sonogliinstrumenti, chedaprincipiosifalsificano,madopo fatisecondocheglihuomiuipensano CXIX . SE benglihuominideliberanoconbuonoconsiglio,gliefetisonoperòlpelocat tiui,tantosonoincertelecosefuture,nondimenononsiuuole comebestiadarsiinpicito daallafortuna,macomehuomoandarcontaragione,& chièSauio,hadacontentar fi, diessersimoltoconconsiglio,ancorchel'efetosiastatocattiuo,chefeconvácon figliocattivo, hauessehauutol'effettobuono. CXXI. TENETE amente,chechiguadagna,sebenpuospenderequalchecosadipiu chenonguadagna,tamenè pazziaspenderelargamentesulfondamentodeguada gni,seprimanonhaifatobuonocapitale,perchel'occasionedelguadagnarenondu rasempre,& fementreessaduranontiseiacconcio, passatacheellaèytitrouipouero comeprima, edipiuhaiperdutoiltempo,el'honore,percheallafineètenutodipo coceruello,chihahauutal'occasionebella,& nonl'hasaputausarebene, & questo ricordotenetelobeneamente, perchehovistoamjeidiinfinitierrori. E Cer B2   puoalcunauoltamettendoinsiemela gratitudinechesisentedatuttiefere notabile. CXXV. DEL fareun'operabuona, & laudabilenonsivedesempreilfrutto,peròchi nonsisatisfafolumdelbenfaredi sesteso,lascidifarlo,nonparendoglitrarneuti lità, maquestoèingannodeglihuomininonpiccolo, percheilfarelaudabilmente,se bennontiportasjealtrofruttoeuidente,spargebuonome,& buonaopinionedite, laqualinmoltitempi & cafitirecautilitàincredibile. progressoditemposi p o c h e c o f e u e r i f i c a t e , c o m e s i t r o v a a c a p o d e l l ' a n n o d e g l i a s t r o lp o ge i ,r c h e l e c o s e del mondosonotroppouarie. CXXVIII. NELLE coseimportantinonpuofarebuonogiudicio,chinonfabenetuttii particolari,perchespesounacirconftantias& minima,nariatuttoilcaso, mauidice bene, chenonhanotitiaadaltro,chedigenerali,& questomedefimogiudicapeggio intesii particolari,perchechinonhailceruellomoltoperfettoemoltonettodallepaf fioni, facilmenteintendendomoltiparticolarisiconfondeeuaria. CXXXI. SE d'unos'intendedlegge,chesenzaalcunofuocommodo,èinterefe,ampor  Auuertimenti di CXXIIII. E'Certo, chenonsitiencontodeliseruitijfattialipopoliinuniuersale, comedi quellichesifannoinparticolare, perchetoccandocolcommune, nessunositienseruito inproprio, peròchis'affaticcaperlipopoli, &vniuersità,nosperiches'affatichinoper luiinunsuopericolo,òbisogno,òchepermemoriadebeneficij,lafcinounalorocomo modità, nondimenononsprezzatetantoilfareseruitioapopolichequandouisipre sentil'occasionelaperdiate,percheseneuieneinbuonnome,ebuonconcetto, cheè fruttoasaidelafatica, senzapure,cheinqualchecasogiouaquellamemoria,& rin mzoneachièbeneficiatosenonsicaldamente,comelibeneficipropri,almancosarà partediquantosiconuiene, &fonotantiquestiachitocca questalorleggieraimpres fione,che CXXVII. CH I facessefuun'accidentegiudicaredaun'buomosauioglieffetti,chenasce ranno,& scriueseilgiudicio, trouerebbetornandoa uederloin CXXIX, SPES SO s'inganna, chisirifoluesuiprimiauuifi,cheuengonodellecoseper ebeuengonosemprepiucaldi,& piuspauentofi, chenonriefconopoiconglieffettin però chino nèneceffitatoaspettisempreisecondi, edimanoinmanoglialtri. CXXVI. CHI halacurad'unaterra, chebabbiaaesserecombattuta,òassediata,deuefa repochiffimofondamentointuttiqueirimedij,cheallunganogestimareassaiognico fachetolgatempo,etiampiccoloaliiniinici,perchespessoundìpiu,o un'borapor taqualcheaccidente,chelalibera. CXXX. NON combatteremaiconlareligione,neconlecosecheparechedependonoim mediateda Dio, perchequestoobiettohatroppaforzanellementideglihuomini. ilmale   CX XXIIIK E'buonmezo aguadagnarsifauoriilmostrareaquelli,dachituduoiguada gnareilfauoredifarlicapisG CXXXVI. QY ANDO sifauna cosa, sesipotessesaperequelchefarebbeseguito, senon sifufefatta, sòifussefattoilcotrario,senzadubbiomoltecosesonoda glihuominilau dati,chenon fariano,anzimeriterebbono contrariasentenza: CXXXVIII. A C C A DE :molteuolteinunadeliberationecheharagionedaognibanda, che ancorachel'huomohabbiadiligentementepenfato,chepoichehafattoladeliberatio ne, gliparebauerelettolapartepeggiore,laragioneè, chepoichetuhaideliberato tisirappresentanosolamenteallafantasialeragioni,cheeranonell'opinionecontra rialequaliconfideratesenzailcontrapesodell'altretipaionopiugraui,e pireim B 3 portanti  M.Francesco Guicciardini. Ir i male,cheilbene;fideuechiamarbeftiae, t nonhuomo, poichemancadell'appetia naturale , n o a fauorire quello, che p e r a l t r o h a r e b b o n o d i s fauorito CXXXV. CXXXII. NON credeteaquestichepredicanocheamanolaquiete,etd'essereStracchi dell'ambitione,& hauerelasjatele.facende,perchequasisemprehannonelcuoreil contrario, esisonoridottiavitaappartata, & quieta,òpersdegno,òpernecessità, òperpazzia,l'essempioseneuedetuttoildì,percheaquestitalisubitoches'appres Sentaqualchespiragliodigrandezza,abbandonerannolatantalodataquiete, & nifi mettonoconquelpericolo, chefailfuoco,adunacosafecca. CX XXIII. :L'INCLINATIONI, e deliberationide.popolisonotantofallaci, & Menatepiuspessodalcaso,chedallaragione,chechiregolailtrainodeluiuerfuo,non inaltrocheinfüilasperanzad'hauereadeseregrandecolpopolozhapocogiuditiosper cheopporsièpiutostoventuracbefenno. autoridiquellacosa,nellaqualen'haidibisogno,perche la piupartede glihuomini,presidaquellauanità,òambitione,uisiaffettionanoinmo do,chedimèticatiirispetticontrari,ancoradepiuragioneuoliepiuurgenticomincia INFINITE Sonolevarietàdellenature,dadepensierideglihuomini, però non sipuoimaginarecosa, nèsìstrauagante,nèsicontraragione,chenonsiasecondo ilceruellod'ałcuno,perquestoquando sentiretedire,ch'altrihabbiadetto,ofattoco. facchenonuiparrauerifimile,nèchepossacadereinconcettod'huomo,nonuënefat teleggiermentebeffe,perchequellochenonquadraate,puofacilmentetrouareachi piaccia, òpaiaragionevole. CXXXVII. PA RE chei Principi sienepiuliberi,e piupadronidellelorouolontà,chegli altrihuominóznonèuero nePrincipi chesigouernano prudentemente,perchesonone cefsitatiprocedereconinfiniteconsiderationi,rispetti,inmodochemoltevoltecat tiuanoilordisegni, iloroappetiti,el'altrevolontàloro, iochel'hoosseruato,n'ho pedutemolteesperienze.   ,diriandaretutteleragioni,chesonohinc,& inde,perchequeen stoconcorso& contrarietà, chetiapprefentiinanzi,fa,cheleragionichesiconcede ilano,nontipaianepiudimaggiorpesosoimportanzadiquello,cheveramente CXLII. QVANDO nelleconsulsteonoparericontrarij, sealcunoescefuoraconqual. Che partitodimezo,quasichesempreèapprouato,non percheipartitidimezo,il piudellevoltenonsier:opeggiori,ma percheicontradittoricalanopiuvolentierid quello,cheall'openionecontraria,& ancoglialtri,òpernondispiacere,opernonef jerecapaci,sigettanoaquellocheparloro,chehabbiamancodisputa. CXLIIII. POSSONO maleglihuominipriuati,biafimareolodaremoltoleationide Principi,nonsolopernonsaperelecosecomestanno& peressergliintereffi,& ilo to finiincognitismi ancoraperchela differenzaèdall'hauereauuerzo ilceruello advsodePrincipi,adhauerloaurezzoadvsodepriuati,facheancorchelostato, ifinidellecose, & gliintereshfulero all'unonoticomeal'altro,leconsiderationi  Auvertimentidi portanti,chenonpareuanoinanzi,chetudeliberafi:Ilrimediodiliberarsidaquesto molestia,èsforzarsi CXXXIX . V NO huomo,chenonsiaprudente,nonsipuoreggeresenzaconsiglio,nondime noeglièmoltopericolosopigliarconsiglio,perchechidàconsiglio,haspesopiuconside rationeall'interessesuo,cheaquellochelodomanda,anziproponeognisuopicciolo rispetto,& fodisfattioneall'interesse,benchegrauissimo,a importantijimodiquela l'altro,peròdico,cheintalgradobifogna, ches'abbattaconamicifedeli,altrimenti portapericolodinonfarmaleapigliarconsiglio,etmaleetpeggiofa,ànolopigliare. mol tevolteinterzooquartocaso,chenonfumaiinconsideratione,e chedifficilmente fisarebbeimaginato,chepoteseesseremolteutoltesitrouaingannato. CXLI . : NON sipuochiamareinfelicevnacittà, chefioritalungamente,uieneabal Sezza, perchequestoèilfinedellecosehumane,nësipuoimputareinfelicitàlelle resotopostoaquellalegge,cheècommuneatutiglialtri, mainfelicesonoqueicit tadini,a iqualihadatolafortenascerepiuprestonelladeclinationedellasuapatria, cheneltempodellasuabuonafortuna. fono. però C X L. Si CHI sulfargiudiciodelfuturovuolpigliare-qualchedeliberatione, comespesso calcula, latalcosaanderà,òneltalmodo,òneltale.,& suquestodiscorsopigliail suopartito,percheperlavarietàdellecose,edegliaccidentidelmondo,viene CXLIII. VR Principe,chevolessetorreilcreditoagliAstrologi,chestampanoigiudicij vniuersalmente, nonharebbeilpiufacilmodo, checomandare,chequandosistampa ilgiudicioloro,perl'annofuturo,fusseristampato, & appiccatoconessoloroilgiudi ciodell'annopaljato,percheglihuominirileggendoinquelloquantopoco fifienoa p postidelpassato, farelbonosforzatinonprestarfedealfuturo,& hauendosidimenti catolebugiedell'annopaljato, lacuriositànaturale,chehannoglihuominidisapere, quelchehadaessere,gliinclinafacilmenteaprestarlifede. 1   peròsonomolto'diuerse,äsidiscorronolecosecondiuersoocchio, sigiudicano condiversogiudicio,& infine,l'unolemisuracondiuerfamisuradall'altro. fareognioperapossibile, fachecoluiilpiudelleuoltècominciaacre dere,chenonlovoglia seruire;ilcontrariointrauienea chifalarghezzadisperan 2a,&difacilità, perches'acquistapiucolui,ancorche l'efetononriesca,cosisi D e d e , c h e c h i s ig o u e r n a con arte, o p e r d i r m e g l i o c o n q u a l c h e a u u e r t e n z a ,è p i u g r a to, & piufailfattosuo,nèprocededaaltro,senondaesserelapiupartedeglihuo miniignorantialmondo,ches'ingannanofacilmenteinquellochedesiderano.onesto ma utilitario,ambi ziosoepositivo, consideratoildramma dellaruina italica, in mezzo al quale si svolse l'agitata sua esi stenza, voi avrete nelle mani il segreto per giudicare la sua energia morale anche nelle opere scritte, in cui manifesta l'anima sua,che vibra d'ambizione,di collera,discoraggiamento,dibeffardoscetticismo e anche di nobili entusiasmi. e 2 ZANONI. INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI SULLA PRIMA DECA DI TITO LIVIO. NiccolòMachiavelliposemano aisuoiDiscorsisulle Deche diTitoLivionel1513,elifinìmoltopiùtardi: liandò leggendo negli Orti Oricellari,circondato dalla gioventù fiorentina,che pendeva ammirata dallesue labbra. Egli dice, sin dal principio, di essere stato spinto a svolgere sì alto argomento dal bisogno di o p e rare quelle cose che credeva adatte a recare comune beneficio a ciascuno. E se l'ingegno povero,la poca esperienza delle cose presenti, la debole notizia delle antiche, faranno questo suo conato difettivo e di non molta utilità, daranno almeno la via ad alcuno, il quale,con più virtù,discorso e giudizio,possa a questa sua intenzione soddisfare.Più apertamente manifesta questo suo desiderio,concludendo:«Benchè questa impresa sia difficile, nondimeno aiutato da coloro, che mi hanno ad entrare sotto questo peso confortato, credo portarlo in modo che ad un altro resterà breve cammino a condurlo al luogo destinato.'» Il Guicciar dini ne accettò l'invito e scrisse le sue osservazioni intorno ai Discorsi del Machiavelli,fermandosi a con 1Machiavelli,nel proemio al primo libro dei Discorsi.  CAPITOLO SECONDO. CONSIDERAZIONI DEL GUICCIARDINI   CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 19 Il Machiavelli tratta delle origini delle città e os serva che se trovansi in luoghi sterili, i cittadini d i ventano energici ed operosi : m a se si stabiliscono in luoghi fertili, cadono nell'ignavia,se non si cerca con le leggi di correggere il male morale portato dalla fecondità della terra. Se non che la sterilità dei luo ghi non offre facile via alle conquiste,e per questo i Romani fondarono la loro città in luogo fertile e adatto a spianare ad essi la via dell'imperio : al ri manente rimediarono con leggi severissime,le quali resero armigero il popolo. Su quest'ultima parte il Guicciardini,che assaiammira l'arte militare deiR o mani e non troppo il governo e la politica loro, os serva che Roma era bensìposta in paese fertile,ma per non avere contado e essere cinta di popoli po tenti, fu forzata allargarsi con la virtù delle armi e con la concordia ;e questo si discorre non in una città chevogliavivereallafilosofica,ma inquellechevo  siderare i primi due libri e appena qualche capitolo del terzo,perchè gli mancò iltempo a continuare il lavoro intrapreso.In esse spicca la differenza di mente fra il Guicciardini e il Machiavelli : questi guarda le questioni da sublime altezza e sotto un aspetto più g e nerale,abbandonandosi alla sua geniale idealità,nello studiare l'organizzazione dello Stato ; il Guicciardini invece,ricco di tanta esperienza,vero genio del senso pratico,nonsegueilsuoamiconeivolipoetici,ma si ferma soltanto a rettificare quelle idee del Machia velli a lui sembrate erronee : in ciò mostra forza e sicurezza di indagine, conoscenza profonda dei go verni. Egli discute i mezzi di reggere le repubbliche e i principati, ne studia l'indole per cercare il go verno migliore : parla dei modi di comportarsi coi soggetti e di aumentare fuori l'imperio degli Stati,di condurre le guerre, dell'efficacia delle religioni sulla civiltà delle nazioni:ragiona sullanatura umana,do minata dai due istinti del bene e del male. <   20 CAPITOLO SECONDO. gliono governarsi secondo il comune uso del mondo, come è necessario fare;altrimenti sarebbono,essendo deboli, oppresse e conculcate da'vicini.'» Moltissime sono le osservazioni del Guicciardini circa le varie specie di governo,le guarentigie da prendersi per custodire la libertà, le qualità e condizioni necessarie ad un regime per essere forte.” Degne di studio sono pure quelle riguardanti il principato,ilgoverno popolare e quello degli ottimati. « Il frutto del governo regio,così il Guicciardini,è che molto meglio, con più ordine, con più celerità, con più segreto, con più risoluzione si governano le cose pubbliche quando dipendono dalla volontà di un solo, che quando sono nell'arbitrio di più.» Ma se il so vrano è cattivo, gli effetti ne sono pessimi. E però, secondo lui,è necessario farlo perpetuo,ma limitargli l'autorità, con fare che da sè solo non possa disporre di alcuna cosa e solamente abbia libertà d'azione in quelle che sono di minore importanza. Dichiara che nel governo degli ottimati è il bene, perchè essendo in più non possono cadere tanto facilmente nella ti rannide, come avviene nel principato :essendo uomini qualificati governano con più prudenza e intelletto del popolo.Il male è che favoriscono troppo le cose p r o p r i e e o p p r i m o n o il p o p o l o : l ' a m b i z i o n e f a n a s c e r e in essi le sedizioni e per via della tirannide si produce la ruina della città. Se poi, invece del governo degli ottimati, per elezione o per qualità, che si potrebbe rendere buono con acconci provvedimenti, si avesse quello degli ottimati per nascita o per eredità,questo sarebbe il peggiore di tutti. « Nel governo di popolo è di buono che mentre dura non vi è tirannide ; pos sono più le leggi che gli uomini ; e il fine di tutte le deliberazioni è badare al bene universale. Di male 1 F. GUICCIARDINI, Opere inedite, vol.I, pag.5. Firenze, Bar bèra,Bianchi e Comp.,1857.  7 2 Ibidem,pag.6.   CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 21 Egli,nei suoi giudizî così temperato, lascia ogni prudenza allorchè parla del popolo che disprezza,m e n tre il segretario fiorentino lo esalta e l'ama.Intorno alla ignoranza e malvagità,fondate in sulla invidia, opina « che senza comparazione il popolo sia più in grato ; perchè, e per essere gli uomini distratti in varie faccende, e per altre cagioni, manco intende, manco distingue e manco conosce che non fa il prin cipe ; e quanto alla invidia,cade più facilmente negli uomini popolari,a’quali ogni grandezza punto emi nente o di nobiltà o di ricchezze o di virtù o di ri putazione è ordinariamente molesta ; nè cosa alcuna dispiace loro che vedere altri cittadini che abbino più qualità di loro e questi sempre desiderano abbas  vi è che il popolo,per la ignoranza sua,non è capace di deliberare le cose importanti. è instabile e desi deroso sempre di cose nuove e però facile a essere -mosso e ingannato dagli uomini ambiziosi e sediziosi ; batte volentieri i cittadini qualificati, che gli neces sita a cercare novità e perturbazioni.» Il Guicciar dini,inchinevole più al governo di uno, quando sia temperato da savie leggi,anzichè al popolare, si di scosta in ciò da Machiavelli,che nel popolo ripone grandi speranze : questo è uno dei punti,in cui la dif ferenza deigiudizî si fa più spiccata fra di essi.Del resto il Guicciardini reputava ottima la forma del governo misto di principe,popolo,ottimati,togliendo da ciascuna specie il buono e lasciando indietro il cattivo, cercando di conciliare tutti gl'interessi; la qual forma presenta delle somiglianze coi governi co stituzionali dei nostri tempi,ed è quellalodatapure dal Machiavelli. I due grandi statisti fiorentini discor rono dei governi secondo le idee di Polibio, ma il Guicciardini, profondo conoscitore delle condizioni dei suoi tempi,con acume più pratico parla dei varî re gimi e delle passioni e appetiti che muovono iprin cipi, i nobili e il popolo ad impadronirsi dello Stato.   1Op.cit.,pag.44,45 ec. 2 Op.cit.,pag.14,15,16 3 Op.cit.,pag.42,43. CAPITOLO SECONDO.  sare.'> Crede il Guicciardini di non saper bene ciò che voglia dire la questione presentata da Machia v e l l i, s e s i d e v e p o r r e l a g u a r d i a d e l l a l i b e r t à n e l p o polo o ne'grandi. Se intendesi discorrere di chi deve partecipare al governo,ciò spetta,nei governi misti c o m e quello di R o m a , tanto ai patrizî c o m e ai plebei , che salvarono spesso la libertà della patria. «Ma quando fosse necessario mettere in una città o un governo meramente di nobili o un governo di plebe, è manco errore farlo di nobili, perchè essendovi più prudenza ed avendo più qualità,sipotràpiùsperare si mettino in qualche forma ragionevole,che in una plebe,la quale essendo piena d'ignoranza,di confu sione e di molte male qualità, non si può sperare se non che precipiti e commetta ogni colpa. > Lo stesso disprezzo per il popolo lo rivela nelle pagine, in cui d i mostra essere stati i Romani meno ingrati degli Ate niesi verso iloro cittadini più illustri.Ciò accadeva per chènellanaturadeiRomani nonfulaleggerezzadegli Ateniesi e anche per la diversità del governo.In Atene poterono i cittadini con le arti popolari salire presto in potenza e farsi grandi : m a i capi, in questo g o verno popolare, caddero più facilmente in sospetto e con più leggerezza e meno considerazione furono op p r e s s i . L a p l e b e r o m a n a t r o v ò il c o n t r a p p e s o d e l l a n o biltà,poichè nel Senato si trattavano le cose più gravi. La qualità quindi del governo dei Romani,più tempe rato e prudente, fu causa che icittadini ebbero meno degli Ateniesi aperta la via alla tirannide e vi furon m e n o b a t t u t i . M a q u a n d o il G u i c c i a r d i n i v u o l d i m o strare che la costanza e la prudenza sono qualità meno del popolo regolato da leggi e più del principe e degli ottimati regolati dalle leggi,egli diviene aspro e quasi violento contro il popolo : « Perchè dove è   CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 23 minor numero,èlavirtùpiùunita,epiùabileapro durre gli effetti suoi ; vi è più ordine nelle cose, più pensieroedesame,ne'negozîpiùrisoluzione;ma dove è moltitudine,quivi è confusione; e in tanta dissonanza di cervelli, dove sono varî giudizî,varî pensieri, varî fini, non può essere nè discorso ragionevole,nè riso luzione fondata, nè azione ferma. Però non senza cagione è assomigliata la moltitudine alle onde del mare,lequalisecondoiventichetiranovannoora in qua ora in là, senza alcuna regola, senza alcuna fermezza.'  I principi e con essi i più eminenti statisti della Rinascenza avevano la convinzione essere le istitu zioni un trovato dell'ingegno,e da questo unicamente dipendere senza badare alla responsabilità delle azioni, nè alla violenza che isovrani avrebbero esercitata so pra i soggetti. Essi non sospettavano che il governo di un popolo dovesse sgorgare direttamente dal suo spirito e trovare un sostegno nelle tradizioni del paese. Il Guicciardini soltanto in parte era di ciò persuaso ; vagheggiava un governo misto, ma inten deva accordare al popolo la minore ingerenza possibile in esso:pure ilregime desiderato da Firenze,eche era stato la gloria della repubblica,era il democra tico, malgrado gli errori in cui era caduto.Tuttavia a lui, osservatore profondo, non sfugge mại la realtà delle cose e dice che un popolo,uso a vivere sotto un principe, se diventa libero,con difficoltà mantiene gli ordini liberi:ciò non accade invece ad un altro che sia stato libero e per qualche accidente abbia perduto la libertà,perchè in questo caso si possono ripigliare gli ordini liberi, vivendo con chi già li pos sedette, ed essendo nei cuori la memoria dell'antica repubblica. Afferma anche la difficoltà di educare un popolo alla libertà se mai non la conobbe :in tal caso 1Op.cit.,pag.54,55.   necessita fondare un governo temperato,opprimere i nemici, lasciando sicuri quelli che vogliono vivere bene.E più avanti:un principe che ha inimico il popolo,per la oppressione male esercitata, vi rime dierà levando via le ingiurie e governando giusta mente,ma non vi rimedierà se si trova davanti un popolo che vuole essere libero per aver mano al go verno,perchè in questo caso sono vane le dolcezze.? Al Guicciardini, nel meditare sulle vicende storiche del passato, appariva vana la speranza di ritrovare il buono assoluto nelle forme di governo,perciò ne cer cava il buono relativo che potesse reggersi in mezzo al trambusto degli avvenimenti tempestosi che scon volgevano l'Italia,invasa dagli stranieri.La società trasformatasi manifestava nuove aspirazioni e nuovi bisogni che occorreva seguire e accontentare : si d o vevano evitare i mezzi estremi col cercare l'armonia dei varî interessi. M a , ripetiamo, egli accordava al popolo una piccola partecipazione al governo,mentre l'aveva avuta grandissima, e quindi urtava contro le tradizionipatrie:scordava che la natura delude con le sue leggi il nostro volere e si vendica di chi,col l'intenzione di dominarla, non cerca innanzi tutto di assecondarla. Nella Considerazione sul capitolo X V I , già da noi ricordata,ilGuicciardini mostra la differenza fra l'in dole sua e quella del Machiavelli, il quale assicurava che in Roma antica non si poteva trovare mezzo più efficace per cementare la libertà che ammazzare ifigli diBruto.IlGuicciardini,rispondendogli,riconosce la necessitàdituffareasuotempolemaninelsangue, tuttavia fa voti perchè « non desideri la nuova libertà che vi siano figliuoli di Bruto,cioè chi macchini contro allo Stato, per avere causa di acquistare riputazione e tenere con la severità ;perchè se bene è necessario in 1Op.cit.,Considerazione sul cap.XVI.  24 CAPITOLO SECONDO. 1   CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 25 simili casi mettere mano nel sangue, sarebbe stato meglio non avere avuto necessità, e che Bruto non avesse figliuoli, che averne per avergli ammazzare.'> Nell'agitare la quistione sulla bontà dei governi, si discute,dal Guicciardini e dal Machiavelli,non solo intorno ai mezzi di ringagliardire la repubblica,ma a n c h e il p r i n c i p a t o . S e u n p r i n c i p e , s e c o n d o il G u i c ciardini, si trova di fronte a un popolo che ami la li bertà,ilsolo rimedio sarà quello « o di farsi dei par tigiani di qualità, che siano potenti a opprimere il p o p o l o , o v v e r o , c o l b a t t e r e e a n n i c h i l i r e il p o p o l o d i sorte che non possa muoversi,introdurre nuovi abi tatori e di qualità che non abbino a avere causa di d e s i d e r a r e l a l i b e r t à .? » C o s ì , s e n z a p a r e r e , e g l i s e m braaccostarsimoltoalleideediMachiavelli,ma tosto cerca di rendere meno cruda e assoluta la sentenza emessa. « Però bisogna che il principe abbia animo a usare questi estraordinarî,quando sia necessario; e nondimeno sia sì prudente che non pretermetta q u a lunque occasione se gli presenti di stabilire le cose sue con la umanità e co'benefizî, non pigliando così per regola assoluta quello che dice lo scrittore, al quale sempre piacquono sopra modo e rimedi estraor dinarî e violenti.?» Il Machiavelli è d'opinione che a fondare una re pubblica bisogni essere solo e che per questo fece bene Romolo ad ammazzare ilfratello.A luirisponde ilGuicciardini: «Non è dubbio che uno solo può porre migliore ordine alle cose che non fanno molti, e che uno in una città disordinata merita laude,se, non potendo riordinarla altrimenti,lo fa con la vio lenza e con la fraude e modi estraordinarî. M a è da pregare Dio che le repubbliche non abbino necessità diessereracconcepersimilevia,perchè glianimi  1 O p . c i t ., p a g . 3 4 . 2Op.cit.,pag.35. 3 O p . c i t ., p a g . 4 1 , 4 2 .   26 CAPITOLO SECONDO. degli uomini sono fallaci e può uno sotto questo onesto colore occupare la tirannide.> Inoltre « bi sogna prima bene leggere e considerare la vita di Romolo,ilquale,sebbene mi ricordo,sidubitò non fosse ammazzato dal senato,per arrogarsi troppa au torità.'> E mentre il Machiavelli entusiasmato parla della generosità d'animo del suo principe legislatore, che, compiuta l'opera, senza lasciare lo Stato ai figliuoli, lo affida alle cure vigili del popolo, ecco il Guicciardini interromperlo e osservare che « questi pensieri che i tiranni deponghino le tirannidi,e che i re ordinino bene i regni, privando la loro posterità della successione,si dipingono più facilmente in su'li bri e nelle immaginazioni degli uomini,che non se ne eseguiscono in fatto.”» Ammette,col Machiavelli, la frode, la violenza, l'inganno,per cementare salda mente uno Stato, ma vuole attenuare il fatto, e ne discorre con parole moderate e suggerite dal buon senso. Così pure non condivide gli entusiasmi del M a chiavelli sull'uomo destinato a dare nuova vita a un popolo, sebbene egli creda gli uomini meno cattivi di quelloche sono reputati dal segretario fiorentino. Dimostra il Machiavelli che si viene di bassa a gran fortuna, più con fraude che con la forza ;m a il Guicciardini osserva : « Se lo scrittore chiama fraude ogni astuzia o dissimulazione che si usa anche senza dolo, può essere vera la conclusione sua,che la forza sola,non dico mai,che è vocabolo troppo assoluto, ma rarissime volte conduca gli uomini da bassa a grande fortuna.Ma se chiama fraude quella che è proprio fraude, cioè il mancamento di fede, o altro procedere doloso,credo si trovino molti che hanno senza fraude acquistato regni e imperî grandissimi. Di questi fu Alessandro Magno,di questi Cesare,che di cittadino privato con altre arti che di fraude si 1-2 Op.cit.,pag.22,23,26.    CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. Presuppone il Machiavelli che tutti gli uomini sono cattivi ed essere necessario all'ordinatore di una re pubblica infrenarli con le leggi,perchè non operano mai ilbene se non per necessità.IlGuicciardini è con trario a questa sentenza eccessiva, e crede la maggior parte degli uomini inchinevoli più al bene che al male : e se alcuno ha altra inclinazione, è così diffe rente dagli altri e spoglio dell'istinto che ci porge lanatura,da doversipiùprestochiamaremostroche uomo.È adunqueogniuomoinclinatoalbene,ma, essendo la natura sua fragile, può essere deviata dal retto cammino,dalla volontà,dall'ambizione e dal l'avarizia:leleggisidevonofareinmanierada impe dirgli di fare il male di cui sente l'impulso, e nel tempo stesso allettarlo al bene coi premî. Sostiene il Machiavelli essere sempre la frode un mezzo di in grandimento : il Guicciardini talora la crede inutile e la vorrebbe lasciata da parte,non in nome della morale, m a di un ben inteso interesse. Il Machiavelli sostiene che nel mondo fu tanto di buono in un'età quanto in un'altra,benchè varino i  condusse a tanta grandezza,scoprendo sempre l'am bizione sua e lo appetito di dominare . . . . M a ,quanto alla fraude, può essere disputabile se sia sempre buono istrumento di pervenire alla grandezza ;perchè spesso coll'inganno si fanno di molti belli tratti,spesso anche l'avere nome di fraudolento toglie l'occasione di con seguire gl'intenti suoi.'> Tutti e due eran d'accordo che l'inganno è necessario per riuscire ad un buon fine, però il Guicciardini non accetta in modo asso luto le massime del Machiavelli e dimostra la diffe renza della sua indole, molto più pratica,se si para gona a quella del Machiavelli ; più sistematica nel venire a considerare i casi in cui la frode conduce o non conduce alla meta agognata. 1 O p . c i t ., p a g . 6 6 , 6 7 . ? O p . c i t ., C o n s i d e r a z i o n i a l p r o e m i o d e l l i b . I I , p a g . 6 0 , 6 1 .   luoghi, la qual cosa equivale a dire che sempre nella u m a n a f a m i g l i a il b e n e e il m a l e si e q u i l i b r a n o . A l l ' i n contro il Guicciardini, con mirabile penetrazione, e v o cando dinanzi a sè le età passate,risponde di no :e a n che riconoscendo che l'antica non è superiore ai tempi che la seguirono e che verranno,afferma che la somma del bene e del male è differente nelle diverse età e ne porge gli esempî : « Chi non sa in quanta eccellenza fussino a tempo de'Greci e poi de'Romani la pittura e l a s c u l t u r a , e q u a n t o d i p o i r e s t a s s i n o o s c u r e in t u t t o il m o n d o ; e c o m e d o p o e s s e r e s t a t e s e p o l t e p e r m o l t i secoli siano da centocinquanta o dugento anni in qua ritornate in luce ? Chi non sa quanto a'tempi antichi fiorì non solo appresso a'Romani,ma in molte pro vincie la disciplina militare, della quale i tempi n o stri e quelli de'nostri padri e avoli non hanno veduto in qualunque parte del mondo se non piccoli e oscuri vestigî ? Il medesimo si può dire delle lettere, della religione, che senza dubbio in alcune età sono state sepolte per tutto, in altre sono state in molti luoghi eccellenti e in sommo prezzo. Ha visto qualche età ilmondo pieno di guerre,un'altra ha sentito e go duto la pace ; dalle quali variazioni delle arti, della religione,dei movimeti delle cose umane,non èm a raviglia siano anche variati i costumi degli uomini, i quali spesso pigliano il moto suo dalla istituzione, dalle occasioni,dalla necessità.?» Pel Guicciardini è indispensabile ai popoli la reli gione, in ispecie quando viene usata come elemento di forza nello Stato, e ad esso sottomessa : tuttavia non condivide col Machiavelli l'opinione che iRomani abbiano dovuto alla religione una sì gran parte della loro potenza, e dimostra avere le armi maggiormente contribuito ai trionfi delle aquile latine sulla terra. Alla questione sulla religione dei Romani si collega  28 CAPITOLO SECONDO. 2 1 Op.cit.,Considerazioni al proemio del lib.II,pag.60,61. Op.cit.,pag.26,30. e e 2   CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 29 quella particolare circa l'influenza del papato suide- '. stinid'Italia,in cuiidue eminentipensatorihanno punti di contatto e altri che li dividono. Afferma il Machiavelli avere la Chiesa cattolica di Roma tenuta l'Italia divisa, ed essere stata causa che non potesse venire sotto un capo e rimanesse sotto a più principi e signori, dai quali le venne tanta disunione e debo lezza da cadere preda dei barbari potenti e di chiun quel'assaltasse.IlGuicciardinirisponde:«Non si può dire tanto male della corte romana,che non m e riti se ne dica più,perchè è un'infamia,un esemplo di tutti i vituperî e obbrobrî del mondo.» È con vinto essere stata causa la grandezza della Chiesa che l'Italia non sia caduta in una monarchia. Pure è dubbioso se il non essersi organata nella monarchia sia stata felicitào infelicità di questa nostra terra, poichè la divisione sua in tanti dominî, malgrado le sofferte calamità, produsse le sue glorie comunali. Osservazione profonda e vera,poichè se l'Italia fosse caduta sotto il dominio di uno solo, le varie regioni, in cui si divise,non avrebbero prodotto l'energia in dividuale dei comuni, che creò tanti tesori in molte parti dello scibile e della attività umana, nei com merci e nelle industrie,preparando gli splendori della Rinascenza,che furono fiaccola alla civiltà del mondo . Il Guicciardini rimaneva ad osservare la realtà delle cose che aveva d'attorno e non voleva seguire ilM a chiavelli,che lanciava il suo guardo di aquila oltre i c o n f i n i d ' I t a l i a , a o s s e r v a r e il f o r m a r s i d e l l e n a z i o n i u n i t a r i e , g i o v a n i e f o r t i, a v e n t i u n v i v o s e n t i m e n t o p a trio. Secondo il segretario fiorentino,l'Italia,divisa e debole,non poteva difendersidalle loro cupidigie d'in g r a n d i m e n t o , e g i à c a d e v a s o t t o i l o r o c o l p i b r u t a l i, mentre nei secoli passati, senza la piaga del papato, essa pure avrebbe potuto divenire di mano in mano una nazione unita e forte sotto i suoi legislatori, ed ora non si sarebbe trovata immersa in tante infelicità.    Nella quistione sulla lotta fra la plebe e la nobiltà, che agitò Roma e Firenze,non vanno d'accordo. Il Machiavelli osserva che le divisioni di Firenze furono esiziali alla città, perchè la vittoria del popolo porto larovinadeigrandi:quellediRoma inveceriesci rono di grandezza allo Stato,perchè ilpopolo,rima sto a combattere sulla via della legalità,si accontentò di rivendicare isuoi giustidiritti;e,conseguitili,di vise coll'aristocrazia il governo. A queste giuste e originali osservazioni risponde ilGuicciardini,e com batte la maniera assoluta con cui sono dette : « Se da principio o non fosse stata questa distinzione tra patrizî e plebei, o se almanco si fosse data la metà degli onori alla plebe come si fece poi, non nasce vano quelle divisioni,le quali non possono essere lau dabili,nè si può negare non fossero dannose,sebbene in qualche altra repubblica manco virtuosa avrebbero fatto più nocumento. Laudare le disunioni è come laudare in uno infermo la infermità,per la bontà del rimedio che gli è stato applicato.?» E ponendo mente all'ambizione di uominicospicui, che approfittarono delle lotte fra popolo e nobiltà per impadronirsi del governo,ilGuicciardini dice come Appio Claudio fu rovesciato dal potere non per essersi unito ai grandi a combattere ilpopolo,mentre doveva fare altrimenti, m a perchè tentò di rovesciare la repubblica, la quale era allora governata da ottime leggi,piena di santis simi costumi e ardentissima nel desiderio della li bertà.Manlio Capitolino,sebbene procedesse contro ilSenatoconartemeramentepopolare,purefuop presso dal popolo medesimo, appena capì che cercava di spegnere la libertà. Silla occupò la tirannide a Roma elastabiliconl'aiutodellanobiltà;ilDuca d’Atene si fece tiranno a Firenze col favore dei grandi, che non seppe mantenersi fedeli per la sua impru O p . c i t ., p a g . 1 2 , 1 3 .  30 CAPITOLO SECONDO. 1   CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 31 denza e leggerezza. Cesare si fece signore di Roma col favore della plebe.Così nell'una parte e nell'al tra si trovano molti esempi e ciascuna parte ha le sue buone ragioni. « I partiti non si possono pigliare con una regola generale, ma la conclusione s'ha a cavare dagli umori della città, dall'essere delle cose che varia secondo le condizioni dei tempi e altre oc correnze che girano.'> Secondo il Guicciardini chi ha seco la nobiltà ha un fondamento più gagliardo di riuscita : chi ha il popolo dalla sua parte ha più s e g u a c i , m a l a p o t e n z a s u a è m e n o s i c u r a , p e r il m u tarsi degli umori della moltitudine. Il principio annunziato dal Machiavelli che sono lodevoli i fondatori di una repubblica o di un regno quanto vituperevoli quelli di una tirannide, è dal Guicciardini trovato giusto. Però,egli dice con rettitu dine,non bisognaconfonderegliesempî,perchè qual che volta può darsi che le forme della libertà sieno così disordinate e le città ripiene tanto di discordie civili,da condurre qualche cittadino,non potendo sal varsi altrimenti,a cercare la tirannide o ad aderire a chi la cerca.Mentre è detestabile in Cesare,pieno dialtavirtù,ma oppressodall'ambizionedeldomi nare : accade pure al governo della plebe di diventare tirannico e allora,dai perseguitati,si desidera la m u tazione dello Stato. Il Guicciardini,quando siferma a meditare sulla storia di Roma antica, vi guarda dentro con l'occhio del politico,non con quello dello storico.Non si cura di ricercare se i re sono esistiti veramente ovvero se simboleggiano le varie età che si succedettero presso la gente romana così famosa : questi dubbî,già balenati alla mente degli umanisti delsecoloXV,nonlatoccanonemmeno.Egliguarda soltanto ai caratteri della politica romana,e,contro il parere del Machiavelli, afferma che, eccettuata la  2 1 O p . c i t ., p a g . 5 2 . O p . c i t ., p a g . 2 3 , 2 4 .   disciplina militare, Roma ebbe un governo in molte partidifettoso,come,peresempio,lafacoltà accor data ad un uomo di fermare le azionipubbliche e le deliberazioni della città,come feceroiconsoli,anche togliendo ilfreno deltribuno.In potestà dei consoli fu il diritto di privare dell'autorità senatoria uomini onorandicomeMamercoEmilio.'Eglièpuredelpa rere del Machiavelli che la prolungazione degl'imperî fu occasione grande a chi volle occupare la repub blica, perchè era istrumento a farsi amici i soldati eseguitocoire.Mailfondamentodeimalifulacor ruzione della città,la quale,datasi all'avarizia,alle delizie,era in modo degenerata dagli antichi costumi che ne nacquero le divisioni sanguinose della città, dalle quali sempre ne'popoli si viene alle tirannidi. Però quando Roma non fu corrotta,la prolungazione degl'imperî e la continuazione del consolato, che nei tempi difficili usò molte volte, furono cosa utile e santa. Conchiude che « se non fussino state le pro lungazioni,non sarebbe mancato nè a Cesare nè agli altri che occuparono la repubblica, nè pensiero ne facoltà di travagliarla per altra via,essendo la città c o r r o t t a .? »  32 CAPITOLO SECONDO. Non ostante la loro somiglianza,idue grandi po litici fiorentini avevano tendenze intellettuali diffe renti, e spesso si trovavano in disaccordo.Nelle m a s sime che risguardano laguerra,ilMachiavelli sostiene che si deve fare col ferro e non coll'oro :ibuoni sol dati soltanto sono il nervo della guerra e non l'oro : occorronocertoidanari,ma insecondoluogo,essendo impossibile che abbino a mancare ai buoni soldati. Il Guicciardini, che si attiene alla vita reale del se coloXVI,incuinonc'eranoarmiproprie,sesiec c e t t u a il t e n t a t i v o f a t t o i n F i r e n z e s o t t o il g o n f a l o n i e r e Pier Soderini, per impulso generoso del Machiavelli ; 1 O p . c i t ., p a g . 5 4 . 2 O p . c i t ., p a g . 7 8 , 7 9 .   CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 33 ilGuicciardini,ilquale era stato governatore di pro vincie, commissario generale negli eserciti e cono sceva la venalità dei capitani e delle milizie, che per il danaro calpestavano la fede giurata e rinne gavano sin anche la patria,non poteva essere dello stesso avviso,sapendo per esperienza che occorreva danaro per avere illustri capitani, milizie e buone fortezze. Del resto, se egli sostiene che il danaro è il nervo della guerra, non intende che i danari soli bastino a fare la guerra, nè siano più necessarî dei soldati, perchè sarebbe stata opinione falsa e ridi cola. All'incontro intese « che chi faceva la guerra, aveva bisogno grandissimo di danari e che senza quelli era impossibile a sostenerla, perchè non solo sononecessarîperpagareisoldati,ma per provve derelearmi,levettovaglie,lespie,lemunizioni e tanti istrumenti che si adoperano nella guerra ;iquali ne ricercano tanto profluvio,che a chi non l'ha pro vato è impossibile a immaginarlo. E sebbene qualche volta un esercito scarso a danari con la virtù sua e col favore delle vittorie li provvede,nondimeno ai tempi nostri massime sono esempli rarissimi :e in ogni casoeinognitempononcorronoidanaridietroagli eserciti, se non da poi che hanno vinto.'» A questo disaccordo si aggiunse l'altro intorno alle fortezze e alle armi da fuoco,che ilMachiavelli, per stare troppo attaccato all'esempio dei Romani, non tiene in nessun conto,dicendo le fortezze più dan nose che utili. Il Guicciardini lo riprende con ragione e dice : « Non si deve lodare tanto l'antichità che l'uomobiasimituttigliordinimodernichenon erano in uso appresso a'Romani, perchè la esperienza ha scoperte molte cose che non furon considerate dagli antichi,e,peressereinoltreifondamenti diversi,con vengono o sono necessarie a una delle cose che non Op.cit.,pag.61,62.  1 3 ZANONI.   convenivano,o non erano necessarie all'altre.Però se iRomaninellecittàsudditenonusaronoedificarefor tezze,non è per questo che erri chi oggidi ve le edifica : perchè accadono molti casi,per i quali è molto utile avere fortezze. E quella ragione che si adduce nel Discorso, che le fortezze danno animo a'principi a essere insolenti e fare mali portamenti, è molto fri vola,perchè se s’avesse a considerare questo,avrebbe un principe a stare senza guardia, senza esercito, senza armi. Dipoi le cose che in sè sono utili,non si debbon fuggire, sebbene la sicurtà che tu trai da loro tipossa dare animo a essere cattivo:verbigra zia,sideve biasimarelamedicina,perchègliuomini, sotto fidanza di quella, si posson guardare manco da 'disordini e dalle cagioni che fanno infermare ? ' Certo si deve deplorare che queste fortezze il Guic ciardinilestimasseutilisoltantoaiprincipiper guar darsi dai popoli,desiderosi di cose nuove,e tenerli obbedienti col terrore. Però, come è maraviglioso questo duello tra due ingegni grandissimi che s'incontrano sul campo del l'antica sapienza governativa:sono due gigantiuguali di forze, muniti delle stesse armi,che si contendono una gloriosa vittoria nel più difficile conflitto.IlGuic ciardini, come uomo di Stato, supera d'assai il M a chiavelli,e bastano a dimostrarlole osservazioni che di mano in mano contrappone ai Discorsi del celebre segretario sulla prima Deca di Tito Livio,nelle quali, colla fredda acutezza della sua mente calma,colpisce sempre il lato debole dell'avversario e ne distrugge, colla sua logica implacabile,i ragionamenti poetici ed entusiastici,mettendone a nudo ora la fallacia, ora la indeterminata incertezza. Nella storia dei pen satori italiani non si trova una figura che possa reggergli a paro. È da lamentare che il tempo sia Op.cit.,pag.70,71.  34 CAPITOLO SECONDO . 1 >>   CONSIDERAZIONI INTORNO AI DISCORSI DEL MACHIAVELLI. 35 mancato al Guicciardini per continuare il suo esame intorno ai discorsi del Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio,perchè ci avrebbe rivelato maggior mente la potenza della vigorosa argomentazione del suo genio pratico di fronte a quello idealista del se gretario fiorentino.Francesco Guicciardini. Guicciardini. Keywords: implicatura, il concetto di stato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guicciardini: l’implicatura particolarizzata” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Guzzi – la lingua inaudita, la lingua inaudibile, la lingua audita -- (Roma). Filosofo. Grice: “My favourite is his dictionary of the unheard tongue – with a foreword like sounds like Blair on newspeak!” - Filosofo. Studia al Liceo classico statale Giulio Cesare. Direttore dei seminari del Centro studi Eugenio Montale. La poetica di Guzzi, fin dall'inizio, si è concepita come un'esperienza spirituale, una ricerca di stati più dilatati della coscienza, sulla scia della linea che da Hölderlin, e attraverso Rimbaud, arriva fino al nostro migliore ermetismo. La ricerca teoretica di Guzzi ha affrontato, in particolare nel saggio filosofico La svolta, significativamente sottotitolato "La fine della storia e la via del ritorno", il tema del cambiamento epocale che a suo avviso l'uomo è chiamato a conoscere e riconoscere, dentro e fuori di sé. Opere: Raccolte di poesia Anima in vetrina,  Il Giorno, Scheiwiller, Teatro Cattolico, Jaca, Figure dell'ira e dell'indulgenza, Jaca,  Preparativi alla vita terrena, Passigli, Nella mia storia Dio, Passigli, Parole per nascere,Paoline,  Saggi di filosofia e di religione La Svolta, Jaca, Rivolgimenti, Marietti, L'Uomo Nascente, Red, Passaggi di millennio, Paoline, L'Ordine del Giorno, Paoline, Cristo e la nuova era, Paoline, La profezia dei poeti, Moretti e Vitali, Darsi pace, Paoline, La nuova umanità, Paoline, Per donarsi, Paoline, Yoga e preghiera cristiana, Paoline, Dalla fine all'inizio, Paoline,  Dodici parole per ricominciare, Ancora  Il cuore a nudo, Paoline,  Buone Notizie, Ed. Messaggero  Imparare ad amare, Paoline  L'Insurrezione dell'umanità nascente, Edizioni Paoline,  Fede e Rivoluzione, Paoline  Il profilo dell'Uomo di Dio, Paoline  Alla ricerca del continente della gioia, Paoline  “Dizionario della lingua inaudita” Lingua e Rivoluzione, Paoline. Grice: “Guzzi plays with ‘lingua inaudita’ – literally ‘unheard of’ – but ultra-literally turns his dictionary into a magical oxymoron! Marco Guzzi. Guzzi. Keywords: lingua inaudita, lingua audita, lingua e rivoluzione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guzzi” --- The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Guzzo – pagine di filosofi per i giovani italiani – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Napoli). Filosofo.  Grice: “I admire Guzzo; he founded ‘Filosofia,’ a philosophy magazine and led a school at Torino, but he selected ‘pagine di filosofi per i giovani italiani.’ He wrote interesting essays on “Gli hegeliani d’Italia” and Croce versus Gentile – a very systematic philosopher. The logo of his revista shows Oedipus and thes sphynx – that says it all!” Si laurea a Napoli, dove fu allievo di Maturi. Insegna a Torino e Pisa. Fonda "Erma”. Esponente dell'idealismo, si avvicinò all'attualismo di Gentile. È considerato quindi uno dei più grandi esponenti dello spiritualismo. Saggi: “Spinoza”; “Kant”; “Verità e realtà”; “Apologia dell'idealismo”; “Idealisti ed empiristi”; “Aquino”, “Bruno”; “Storia della filosofia”, “L'uomo” (Brescia, Morcelliana); “L'io e la ragione”; “Moralità”; “Scienza”; “Arte”; “Religione; “Filosofia” – P. Quarta, “Guzzo e la sua scuola, Urbino, Argalìa; Dizionario Biografico degli Italiani, Treccan.  AUQUSTO GUZZO   L’ISAGOGE DI PORFIRIO  E I COMMENTI DI BOEZIO EDIZION   B . i   697 I  . 173 '   aa    TORINO   I DE “L’ERMA,- X I I    T^37  AUGUSTO GUZZO    L’ISAGOGE DI PORFIRIO  E I COMMENTI DI BOEZIO     TORINO   EDIZIONI DE “L’ERMA, X I I  &   ,173   Ù‘ì ESTRATTO DAGLI Annali delV Istituto Superiore di Magistero del Piemonte. Voi. VII  XII TORINO -XII   TIPOGRAFIA DPIGLI ARTIGIANELLI (G. RoSSIj  VIA JUVARA, 14    445'/^59   L’Isagoge di Porfirio  e i Commenti di Boezio    SOMMARIO   1. Il Commento di Porfirio alle Categorie di Aristotele. — 2-5. Questioni su le Categorie. — 6. L’Isagoge. Il prologo. — 7-9. Il  primo commento di Boezio al prologo dell’Isagoge. — 10-12.  Il secondo commento di Boezio. — 13. Le cinque voci. — 14. Il  genere. 15. La specie. 16. La differenza. — 17. La qualità.   — 18. L’accidente. — 19. Quel che hanno di comune le cinque  voci. — 20. Comparazione del genere con le alti e quattro voci.   — 21. Comparazione della differenza con le altre quattro voci.   — 22. Comparazione della specie con le altre quattro voci. —  23. Comparazione della proprietà con le altre quattro voci.   — 24. Comparazione dell’accidente con le altre quattro voci. —  25. Il primo commento di Boezio alla dottrina delle cinque voci.   — 26. Il dialogo premesso al primo commento di Boezio. — 27.  Divisione della filosofia. — 28-33. Il secondo commento di Boezio.   — 34. Conclusione. (*)    (*) Queste esposizioni di antichi testi molto famosi ma poco letti co-  stituirono l’argomento del corso di Pedagogia da me professato nell’Istituto  Superiore di Magistero del Piemonte nell’anno accademico 1927-28. Volevo  dare una conoscenza possibilmente precisa di quel che era l’istruzione c  la cultura nell’alto medioevo : ed esposi i testi che in quei secoli erano più  meditati lumeggiando, di scorcio, anche lo sfondo d’idee su cui sorse più  tardi, sui primi periodi déìVIsagoge, la disputa degli universali. Testi di     1. — Porfirio, che è autore della celebre « Isagoge, o In-  troduzione alle Categorie di Aristotele » , è anche autore di un  meno noto Commentario alle medesime Categorie. Sarà utile  studiare almeno la prima parte, cioè la parte introduttiva di  tale Commentario: forse si troverà in essa la spiegazione del  punto di vista dal quale si pone Porfirio nella « Isagoge » .   Questo Commentario ci è pervenuto mancante delPultima  parte - quella riguardante le ultime quattro categorie e i  post-predicamenti - e assai scorretto e guasto anche nella parte  precedente. Lo si trova in un codice modenese miniato del  secolo XIII, in un codice della Marciana del secolo XV, in uno  delPEscuriale del secolo XVI, in uno parigino dello stesso  secolo XVI, in uno della Laurenziana del secolo XV. E' però  dimostrato che di tutti questi codici il primo, da cui tutti gli  altri dipendono direttamente, è quello modenese.   Di sul codice parigino il commento fu stampato a Parigi nel  1543 « apud Jacobum Bogardum ». Su questa edizione, che è  Pedizione principe, del Commentario, fu condotta la versione  latina di Feliciano, stampata in Venezia « apud Hieronymum  Scotum ». L’ « edizione critica » è del 1887, e si deve alle cure    logica che, ad esporli, si può tutt’al più riescire chiari; ma avviciuarli  alla comune cultura può forse essere utile. Anche questo corso, che era  rimasto inedito, va messo tra i lavori da me preparati per l’Istituto Supe-  riore di Magistero del Piemonte. Mi sia permesso enumerarli : Apologia  dell’idealismo (Discorso inaugurale dell’anno accademico 1924 25), Torino,  Paravia, 1925; Introduzione e Commento al i^edone di Platone, Commento  alla Repubblica di Platone, Agostino: dai Contra Academicos al De Vera  Religione^ Firenze, Vallecchi, 1925; Agostino, Il maestro^ Traduzione, Intro-  duzione, Commento e Appendici, Firenze, Vallecchi, 1926; Tommaso  d’Aquino, Il maestro, Traduzione, Introduzione e Commento, Firenze,  Vallecchi, 1927; Giudizio e azione, Venezia, «La Nuova Italia», 1928;  Agostino e il sistema della grazia, Torino, «L’Erma», 1930 (1934®); Il  concetto di individuazione e il problema morale (Discorso inaugurale del-  l’anno 1930-31), Torino, « L’Erma », 1931; La « Summa contra Gentiles »,  Torino, « L’Erma », 1931 ; I Dialoghi del Bruno, Torino, « L’Erma », 1932.   di Adolfo Busse, nell’edizione dei commenti greci ad Aristotele,  promossa dall’Accademia Prussiana (Voi. I, pars. I « Porphyrii  Isagoge et in Aristotelis Categorias commenta rium edidit Adolfus  Busse. — Berolini, Typis et impensis Georgii Reimer —  MDCCCLXXXVII »).   Il Commento procede per yììx di domanda e risposta. E’, in  londo, un dialogo, ma in cui le persone degli interlocutori non  hanno alcun rilievo ; la « domanda » parte da uno che non sa  e chiede spiegazioni : la c Risposta » enuncia, evidentemente, la  soluzione che Porfirio crede si possa e si debba dare alle varie  questioni. Le quali se, da un certo momento in poi, riguardano  il più giusto significato da attribuire alla lettera del testo aristo-  telico, prima vertono su problemi che investono rimpianto stesso  del piccolo scritto aristotelico.   2. -- Prima questione. — « Categoria » in greco vuol dire   € accusa », « denunzia ». Come mai Aristotele chiamò Categorie  l'essenza, la quantità, la qualità, ecc.? La risposa è che il filo-  sofo, costretto talvolta a coniar parole nuove, tal’altra a dare  un significato nuovo a parole consuete, adoprò la parola « Cate-  goria » per indicare le « espressioni enunciative delle cose »  (tàc twv Xé^soov twv a'ijjxavttxwv y.arà twv TUpaYixatcov xat-   YjYopta? TrpoosìTcsv). Sicché, ogni semplice espi*essione enunciativa,  quando sia pronunciata e detta della cosa enunciata, si dice  categoria. Per esempio: se la cosa che vien mostrata è questa  pietra che tocchiamo e che vediamo, quando di essa diciamo:  «questa è pietra», l'espressione «pietra» è il categorèma,  giacché indica la cosa e vien detta di essa.   3. — Seconda questione. — Aristotele chiamò il suo scritto  « Categoi'ie » o, come altri, « Le dieci Categorie » ?   Porfirio risponde respingendo tanto questo titolo dello scritto  quanto gli altri : « Prima della Topica », « dei generi dell'essere »   « dei dieci generi > . Non « Prima della Topica » perché in tal  caso sarebbe stato più esatto dire «Prima degli Analitici»,  anzi « Prima deU’interpretazione » : chè il libro delle Categorie  è il più elementare e introduttivo a tutte le parti della filosofìa,  E piuttosto sarebbe < Prima della parte fisica della filosofia » .  anziché « Prima della Topica » : chè è opera della natura « l’es-  senza, il quale e simili » .   Nè lo scritto potrebbe in nessun caso intitolarsi « Dei generi  dell’essere » o « dei dieci generi » « perchè gli esseri e i loro  generi e le specie e le differenze sono cose e non voci » : e  invece Aristotele, enumerando le dieci categorie, l’essenza, il  quale, il quanto e le rimanenti, dice: «ciascuna delle dette si  dice per sé stessa, non per attribuzione, mentre l’attribuzione,  0 affermazione, avviene mediante connessione di esse tra loro ».  Or se è la connessione delle categorie quella che dà luogo alle  asserzioni, e se le asserzioni consistono in voci indicative e  discorsi dimostrativi (èv oyjaavrix-^ xai àTio^avTixij)), lo   scritto aristotelico non può riguardare i generi dell’essere, nè  in generale le cose: chè non la connessione delle cose costi-  tuisce asserzione, bensì la connessione delle voci significative  che indicano le cose.   E Aristotele stesso dice: « ciascuna delle categorie dette  senza alcuna connessione significa o l’essenza o il quanto », con  quel che segue. Ora, se Aristotele parlasse di cose, non direbbe  « significa l’essenza », chè le cose non significano, bensì sono  significate. _   Ciò che significa è la voce, la parola: di voci, di parole  dunque, tratta Aristotele nelle Categorie.   Perchè, poi, debba essere questo il titolo dello scritto, sarà  chiaro - dice Porfirio - quando si sia dimostrato il contenuto  proprio del libro.   4. — Terza questione. — Quale è dunque il contenuto  proprio delle Categorie?   Porfirio risponde rifacendosi di lontano.     • L’uomo - egli scrive - giunto a indicare e significare le cose  circostanti, pervenne a nominarle con la voce e a indicare con  questo mezzo ciascuna di esse. Il primo uso che egli fece delle  parole fu rivolto a mostrare ciascuna cosa per mezzo di voci  e di parole; col quale riferimento delle voci alle cose questo  chiamò sedile, quello uomo, quell’altro cane e quell’altro sole:  e ancora questo colore chiamò bianco, quello nero; e questo  chiamò numero, quello grandezza ; questo due cubiti, quello tre  cubiti; e cosi per ciascuna cosa stabili parole e nomi signifi-  cativi di esse e indicativi mediante determinati suoni della voce.   Stabilite dunque per le cose, come contrassegno, talune  parole, Tuomo, passando ad una seconda impresa e riflettendo  sulle parole stabilite, quelle che si uniscono agli articoli chiamò  nomi, e quelle come « io passeggio, tu passeggi » chiamò verbi.  Di modo che, se nella prima imposizione » di nomi questo chiamò  oro e quello sole, nella seconda la voce < oro » chiamò nome  e la voce < passeggio » verbo.   Ora il contenuto delle Categorìe d’Aristotele è precisamente  il primo stabilimento delle parole, quello che mostra le cose:  giacché studia le voci significative semplici, in quanto signifi-  cative delle cose, distinguendole non l’una dall’altra individual-  mente, chè, di numero, le voci sono infinite come le cose che  significano, ma distinguendole secondo il genere a cui appar-  tengono. Ora l’infinità degli enti e delle parole che li significano  si lasciano ridurre a dieci generi: giacché dieci sono le diffe-  renze di genere degli enti, e dieci anche le voci che le indicano.  Ma questo fatto che le voci, simili a messaggere, prendano le  differenze dalle cose che annunziano, non toglie che la ricerca  principale sia, nelle Categorie^ intorno alle voci significative,  e non intorno alle differenze di genere degli enti.   Dieci sono i generi delle parole in quanto significative di  cose: ché significano o l’essere (la sostanza), ó la quantità, la  qualità, la relazione, ecc. (i nove accidenti della sostanza). Due,  invece, sono le parole che significano il tipo a cui appartengono ;   giacché tutte le voci sono di due tipi: o nomi o verbi. Alla  quale seconda ricerca - grammaticale, non logica, diremmo  noi > appartiene anche distinguere la espressione propria dalla  metaforica e dagli altri tropi.   Presentata cosi la ricerca delle Categorie come una ricerca  nè metafìsica, nè grammaticale, nè retorica - non metafìsica  perchè secondo Porfirio, è incidentale il riferimento ai generi  delPessere, essendo Pattenzione rivolta ai generi delle parole  significative, in quanto appunto significano questo o quello; non  grammaticale, perchè nelle « Categorie » non si distinguono  tra loro le varie parti del discorso, che è distinzione tardiva  rispetto a quella che distingue le voci secondo ciò che signifi-  cano, non secondo che siano proprie, metaforiche, ecc. - Porfirio  osserva che, contro la sua interpretazione che intende la ricerca  delle Categorie come una ricerca, noi diremmo, di filosofia del  linguaggio, e gli antichi dicevano di logica, comunemente iden-  tificando col pensiero la sua significazione verbale, si schieravano  tanto quelli che ritenevano oggetto principale delle Categorie  la ricerca metafisica intorno ai generi dell’essere, quanto quelli  che. credendo oggetto delle Categorie la ricerca retorica delle  espressioni proprie e delle figurate, ritenevano la distinzione  aristotelica delle Categorie o insufficiente o incomprensiva o,  al contrario, sovrabbondante. Fra questi ultimi, per esempio, i  seguaci di Atenodoro e di Cornuto, studiando le espressioni  proprie ed improprie, e volendo sapere a quali categorie esse  appartenessero, non trovando nello scritto aristotelico risposta  a tale domanda, ritennero manchevole e difettosa Penumerazione  aristotelica, come non comprensiva di tutte le voci significative.  Invece, secondo Porfirio, rettamente intesero lo scritto d’Ari-  stotele Poeto nel suo commento alle Categorie, e più brevemente  Erminio. Il quale dice che la ricerca non verte nè su quelli che  in natura sono i primi e generalissimi generi (che non sarebbe  insegnamento adatto ai giovani), nè studia quali siano le prime  ed elementari differenze delle parole, come se la trattazione riguardasse le parti del discorso; ma piuttosto verte sulla spe-  cie di parole che risulti appropriata a ciascun genere di enti:  onde fu necessario toccare in qualche modo dei generi, a cui  le parole si riferiscono : chè non si intenderebbe la significazione  propria di ciascun genere se qualcosa intorno ad esso non s’an-  ticipasse.   Poiché dieci sono i generi, dieci sono le categorie. E si  potrebbe magari anche intitolare lo scritto aristotelico Dei  dieci generi » se con ciò si significasse solo un riferimento ai  dieci generi, giacché non di essi si occupa principalmente il libro.   5. — Quarta Questione. — Perchè il libro verte su le « Cate-  gorie > e s’inizia con una trattazione su gli omonimi e i  sinonimi?   Perchè queste sono distinzioni delle quali Aristotele deve  fare uso in tutto l’Organo: perciò le premette ad ogni altra  considerazione.   Tralasciamo, ora, il seguito del Commento Porfiriano; ma  ci gioverà aver visto come Porfirio intendesse quelle Categorie  alle quali s’assunse lo storico compito di « introdurre » .   6. — La celebre « Isagoge » di Porfirio tratta del genere,  della differenza (che, entro ciascun genere, distingue l’una  dall’altra le specie), della specie, della proprietà (che caratte-  rizza ciascun genere e ciascuna specie) e dell’accidente (che,  senza essere intrinsecamente « proprio » d’una sostanza, le si  attaglia in talune circostanze).   La trattazione del genere è, però, preceduta da una famosa  introduzione, nella quale Porfirio si rivolge a Crisaorio, patrizio  romano suo discepolo, dicendo:   « Poiché, 0 Crisaorio, è necessario anche per la dottrina  « aristotelica delle Categorie, sapere che sia genere e che diffe-  « renza, e che sia specie e che proprietà e che accidente;  « siccome e per assegnar le definizioni e in generale per quel  « che riguarda la divisione e la- dimostrazione è utile l’indagine  « di tali cose: io, facendo per te una compendiosa trattazione,   < tenterò brevemente, come a mo’ di introduzione, di spiegare  « il pensiero degli antichi, astenendomi dalle ricerche, più  € profonde e investigando, invece, opportunamente le più  « semplici » .   Le ricerche più profonde, da cui Porfirio professa di astenersi,  riguardano la realtà dei generi e delle specie, in una parola  degli universali. Difatti Porfirio continua:   « Ora, riguardo ai generi e alle specie, se esistano o invece  c stiano solo nel pensiero e, dato che esistano, se siano corpi  « 0 incorporei, e se separati o esistenti nei sensibili e non  « fuori di essi, io eviterò di dire, profondissima essendo questa  « questione e richiedendo essa altra maggiore ricerca » .   Onde Porfirio conclude dicendo che si limiterà a cercare  d’esporre a Crisaorio ciò che gli antichi meditarono intorno a  questi argomenti, e tra essi specialmente i Peripatetici.   Porfirio, dunque, tratterà dei generi e delle specie senza  determinare se siano idee, cioè enti metafisici, o semplici  concetti, esistenti solo nella mente che li pensa. Ma, per conto  suo, per quale di queste dottrine propende?   Grià si è visto che egli considera generi, specie e differenze  « cose, non voci » e che, in generale, ritiene che le distinzioni  logiche trovino la loro ragion d’esseie in altrettante distinzioni  metafisiche di cui si fanno espressione. Per Porfirio dunque,  generi e specie riguardano l’essere, e se egli prelude alla Logica  aristotelica trattando di essi, in fondo egli ridà alla Logica  d’Aristotele il fondamento della dialettica platonica, tutta diretta  a distinguere generi e specie e valida, nel pensiero di Platone,  tanto oggettivamente, come metafisica, quanto soggettivamente,  come logica.   Questo punto di vista realistico da cui è scritta l’intera   < Isagoge » non sfugge, nonostante tutto, al commentatore  Boezio, il quale torna sulla importante questione cosi nel primo  come nel secondo dei suoi commenti all’Isagoge.  È noto che i due commenti son diversi tra loro in quanto  il primo si dirige ai principianti e quindi evita le discussioni  troppo complicate e sottili, il secondo, invece, vuol indurre i  discepoli già provetti a una ginnastica mentale adatta alle loro  ‘forze e alla loro preparazione. Non è meraviglia, quindi, che  la « questione degli universali » — giacché ormai di essa si tratta  — sia impostata diversamente nei due commenti, sebbene la  trattazione giunga a risultati assai affini.   7. — Il primo commento di Boezio giunge a interpretare  il prologo deirisagoge solo al decimo capitolo, e mostra chiaro  lo sforzo di ricorrere alle argomentazioni e dimostrazioni più  semplici, affinchè i principianti possano intenderle ed afferrarle.   In verità Porfirio pone e rinvia tre questioni:   1) - se generi e specie esìstano davvero o stiano solo  neirintelletto e nella mente;   2) - se siano corporei o incorporei;   3) - se siano separati o uniti con i sensibili.   Rispetto alla prima questione « se generi e specie esistano  davvero, o stiano solo nell’intelletto e nella mente », Boezio  sembra interpretarla in un modo che forse non coincide inte-  ramente con ciò che intendeva Porfirio. Questi, forse, intendeva  domandarsi: generi e specie sono idee platoniche, cioè enti, o  invece concetti aristotelici, cioè universali puramente mentali  nati nel pensiero e dal pensiero? Se sono idee platoniche, si  intende che sono, non solo incorporee, ma separate. Se invece  sono concetti aristotelici, essi corrispondono, nella mente, a  forme che nella realtà vivono intrinsecate nelle cose sensibili.  La questione, dunque, è : gli universali vanno concepiti plato-  nicamente, ante rem, o aristotelicamente, post rem, giacché in  re essi esistono, ma intimi alle stesse cose particolari ?   Se questo è ciò che intende domandarsi Porfirio, si capisce  come egli preferisca rimandare questa controversia prò Platone  0 prò Aristotele a un momento in cui il suo discepolo Crisaorio  sia già innanzi negli studi filosofici. Ma Boezio intende la que-  stione in maniera assai diversa. Egli non intende i generi e  le specie se non come universali mentali post rem, come con-  cetti aristotelici. La conoscenza si inizia con la sensazione:   per sensuum qualitatem res sensibus subiectas (animus) intel-  legit Dalla sensazione lo spirito parte per concepire le specie  ed i generi: et ex bis (le cose sensibili) quadam speculatione  concepta, viam sibi ad incorporalia intellegendapraemunit,,. Così,  quando vede i singoli individui umani, sa d’aver visto uomini,  sa che sono uomini quelli che ha visti. Di qui lo spirito sale  a discernere la stessa specie « uomo », incorporea perchè non si  concepisce che con la mente e rintelligenza. Ma, come movendo  dalla sensazione lo spirito giunge a comprendere le cose incor-  poree, così, movendo dalle stesse sensazioni, lo spirito arriva  a immaginarsi, per esempio, i Centauri, la cui fallace imma-  gine si compone di elementi della forma umana ed elementi  della forma equina. Or si domanda: generi e specie sono con-  cepiti con verità, sicché comprendiamo la specie uomo giusta-  mente ricavandola dai singoli uomini coi'porei, o invece sono  immaginati con finzione mentale pari a quella di cui parla  Orazio nell’Arte Poetica, quando dice: « fiumano capiti cer-  vicem pictor equinam iungere si velit » ?   Come si vede, Boezio non crede che la domanda di Porfirio  sia rivolta a sapere se gli universali siano reali o puramente  mentali, ma se siano concetti veri o pure finzioni delPimma-  ginazione. Il che significa porsi già su terreno prettamente  aristotelico, giacché tutto si riduce a domandare se gli uni-  versali post rem siano rettamente pensati o fallacemente imma-  ginati, o, con altre espressioni, se siano concetti o puri sogni  e chimere.   La risposta che Boezio dà a questa domanda è, se non er-  riamo, singolarmente infelice. Per lui non è dubbio che i generi  e le specie « sono veramente»: «difatti, come tutte le cose che  veramente sono senza queste cinque: non possono essere, così non si può dubitare che anche queste cinque son concepite  con verità (vere intellectas) » . Che è una strana maniera di  presupporre gli universali reali nelle cose sensibili, quando  proprio la domanda è se gli universali siano reali o fallaci-  Per Boezio generi, specie, differenze, proprietà, accidenti, queste  cinque distinzioni nelle cose sono « conglutinatae et quodam-  modo coniunctae atque compactae ». Difatti, perchè Aristotele  parlerebbe delle prime dieci espressioni (sermonibus) signifi-  canti i generi delle cose, o perchè raccoglierebbe le loro diffe-  renze e proprietà e toccherebbe degli accidenti, se non li avesse  visti nelle cose intrinsecati e in qualche modo riuniti ( <' in  rebus intima et quodammodo adunata » ) ? In base a questa  argomentazione Boezio conclude che « se è cosi, non c’è dubbio  che siano veramente e sian tenute (le cinque distinzioni) con  giusta riflessione («certa animi consideratione >).   Ma si vede chiarissimo che Boezio dà per certa e dimo-  strata la concezione aristotelica degli univeisali come forme  immanenti nelle cose particolari, onde conclude che lo spirito,  pensandoli, è nel vero e non neirerrore delle pure finzioni  immaginarie. Ma se la questione era per Porfirio se gli uni-  versali fossero reali o puramente mentali, e per Boezio se fos-  sero concetti veri o mere finzioni immaginarie, nè la questione  porfiriana, nè quella boeziana possono essere risolte con Tappel-  larsi alla concezione aristotelica di universali reali nei parti-  colari, e quindi veri, post rem, nello spirito umano. Questo è  un affermare il temperato realismo aristotelico, non un l isol-  vere la questione con un procedimento dimostrativo. Boezio  presuppone dimostrato Taristotelismo per decidere in senso  aristotelico e su V autorità di Aristotele la questione da lui  posta.   Senonchè Boezio trova un’altra conferma realistica- della  sua opinione nell’assenso, per quanto tacito, dello stesso Porfirio.  Giacché, egli dice, Porfirio, come se già fosse risaputa e pro-  vata la realtà degli universali, domanda se siano corporei o incorporei. La quale domanda sarebbe troppo frivola e assurda  se non si fosse prima assodata, per gli universali, quella realtà  che ora si domanda se sia corporea o incorporea. Ma anche  qui forse Boezio, neirinterpretare Porfirio, va lontano da quello  che egli intendeva dire. Porfirio forse domandava: — generi e  specie sono reali o puramente mentali? Se reali, nel senso  platonico, sono enti incorporei; se meramente mentali, non si può  ad essi attribuire altra realtà che nei corpi stessi. Vale a dire,  se reali, nel senso platonico, sono separati: se meramente men-  tali, non possono concepirsi che immanenti nei corpi, congiunti  con essi e da essi inseparabili, tranne che per astrazione nel  pensiero umano.   Se questa che qui proponiamo fosse una interpretazione  plausibile del celebre prologo porfiriano, le domande ivi contenute  in realtà non sarebbero tre, ma una sola: gli universali sono  reali, o mentali? vale a dire, sono incorporei, o esistono nei  corpi? cioè, sono separati, o intrinsecati nei corpi e da essi  inseparabili ?   Ma Boezio le intende come tre domande, ciascuna delle quali  presupponga già risolta in un determinalo senso le precedenti.  Difatti, egli dice: solo se alla prima domanda « se gli universali  siano reali » si risponde affermativamente, si può poi domandare  se esistano come corpi o come incorporei ; e parimenti, solo se  a questa domanda si risponda affermando Tincorporeità degli  universali, si può domandare se, essendo incorporei, esistano  separati dai corpi o siano da essi inseparabili.   8. — Rispetto alla seconda questione « se gli universali siano  corpi 0 incorporei » Boezio tratta separatamente il genere dalla  specie.   Quanto al genere egli dice, « quia incorporeorum prima  natura est», può una cosa incorporea essere madre di una  corporea, ma non viceversa, giacché, la sostanza essendo il  genere, e corporale e incorporale le specie, il genere non può  essere corporale, chè, se fosse tale, la specie incorporea non  potrebbe subordinarglisi. Dal che discende che il genere non  deve essere nè corporeo nè incorporeo, si da poter avere per  specie così il corporeo come Tincorporeo.   (E qui Boezio solleva una questione di grandissima importanza.  Se il genere non può avere nessuna delle determinazioni che  costituiscono le proprietà delle specie e le loro reciproche  differenze, donde nascono nelle specie queste differenze che nel  genere, da cui pure le specie derivano, non ci sono? - Non si può  pensare che il genere animale possegga tanto la proprietà della  ragionevolezza quanto quella della irragionevolezza: chè posse-  dere in sè due contrari sarebbe impossibile. Bisogna dunque che,  per poter dare luogo cosi alBuna come alEaltra delle due specie,  il genere non abbia nè Buna nè Taltra delle due differenze  specifiche: non sia nè Tuna nè l’altra specie, pur contenendole  entrambe « vi sua et potestate » .   Ed anche questa è, come si deve, una soluzione prettamente  aristotelica della questione: il genere è «in potenza» le sue  specie, senza essere « in atto » nessuna di esse. Ma non è qui  il caso di saggiare la consistenza o la inconsistenza di un simile  tentativo di spiegazione che, non riuscendo a dar ragione del  nascere delle differenze, le presuppone già esistenti, e tuttavia  non ancora reali, giacché sono potenziali, virtuali).   Si è visto dunque che per Boezio il genere non è nè corporeo,  nè incorporeo : il che significa, su questo punto, non rispondere  alla domanda di Porfirio, ma sottrarsi ad essa. E la ragione di  tutto ciò è chiara. Porfirio è tutt’ altro che convinto che gli  universali siano puri concetti: ecco perchè egli tende ad affer-  marli reali e incorporei. Ma per Boezio gli universali sono  semplici concetti: e però, per quanto sia anch’egli convinto con  Platone ed anche con Aristotele, che Tincorporeo è, per natura,  prima del corporeo, pure è costretto, dalla sua concezione mera-  mente logica e non metafisica degli universali come concetti e non  come idee, a pensare il genere come privo delle determinazioni  che saranno proprie delle specie: a costo di non sapere più d  donde derivino alle specie queste differenze, che sono estrai  alla sola fonte delle specie che è il genere.   Ma Boezio si illude che ammettere la potenziale presei  delle differenze specifiche nel genere sciolga la difficoltà: (  inoltra nella considerazione meramente logica del genere co  semplice concetto, adatto esclusivamente alle classificazi  scolastiche dei concetti secondo la loro estensione, mentre, ]  Platone, il genere era pregnanza di realtà o idea.   Quanto alle specie Boezio ne ammette di corporee e di ine  poree: specie corporea Puomo; incorporea: Dio.   Parimenti le differenze: «quadrupede» è differenza cor  rea ; < ragionevole * differenza incorporea.   Cosi anche le proprietà: corporee di cose corporee; ine  poree di cose incorporee.   E lo stesso è degli accidenti: accidente incorporeo è nello s  ritolascienza: accidente corporeo èsul capo la capigliatura cres   Insomma per Boezio, solo il genere è neutro, nè corpor  nè incorporeo: ma le specie, le differenze, le proprietà e  accidenti sono corporei se appartengono ai corpi, incorporei  appartengono allo spirito.   Senonchè, in questa teoria, lo stesso Boezio, che non  potuto riconoscere incorporeo il genere per la sua conside  zione meramente logica di esso, ammettendo corporee le spe(  le differenze, le proprietà e gli accidenti delle cose corpor  rinunzia a considerare specie, differenze ecc. come distinzi  meramente logiche, e non solo le pensa metafisicamente intr  secate nelle cose singole, ma fatte una cosa sola con esse,  da ricevere la loro stessa natura.   Torna, bensì, a una considerazione meramente logica de  distinzioni porfiriane, stabilendo, dopo la prima, ora espos  una seconda teoria, che peraltro egli presenta come una teo  altrui. Secondo questa teoria il genere va considerato coi  genere, come pura determinazione logica o concetto. E se sostanza è genere, non dev’essere considerata come una sostanza,  ma come un genere, cioè come qualcosa che ha delle specie  sotto di sè. Cosi pure la specie. Corporeo e incorporeo saranno  specie della sostanza. Ma essi vanno considerati come pure  specie, cioè come concetti che stanno sotto un genere. Pari •  menti le differenze: bipede e quadrupede sono differenze in  quanto Puno contrapposto all’altro : vanno, dunque, considerati  non come un bipede e un quadrupede, ma come pure differenze  logiche. Similmente le proprietà non vanno considerate nel loro  contenuto, ma come pure caratteristiche logiche della specie.   Così intesi, generi, specie, differenze e proprietà, come pure  distinzioni logiche, non possono essere, secondo la teoria che  Boezio espone senza aderii-vi, se non incorporei. Mentre gli  accidenti avrebbero la natura delle cose a cui accadono: sareb-  bero quindi corporei o incorporei a seconda delle sostanze.   Sia qui notato subito che questa affermazione metafìsica  della incorporeità di quattro fra le cinque distinzioni porfiriane  proprio perchè distinzioni meramente logiche, è una afferma-  zione cosi male impostata da non poter resistere alla più sem-  plice critica. Come semplici distinzioni logiche esse non hanno  nessuna natura: il loro contenuto ha una determinata natura,  non esse: nella specie < uomo », l’uomo è corporeo e ragionevole,  ma € la specie » nè corporea nè ragionevole. Affermare quindi  la incorporeità della specie come distinzione logica, come con-  cetto, è impossibile; per dirla incorporea bisogna considerarla  come idea, come ente metafìsico, non come determinazione lo-  gica. Ma dirla incorporea perchè logica è un abuso inammis-  sibile di pensiero, e, in ogni caso, attesta quel continuo oscillar e  tra logica e metafìsica che è cosi caratteristico nella ti'adizione  aristotelica. Pensati gli universali come concetti, essi non sareb-  bero più suscettibili di nessuna considerazione metafìsica: in-  vece continuano a essere dichiarati, metafìsicamente, incorporei,  primi per natura, ecc., mentre, come puri concetti, essi non sono  che vuoti termini classifìcatorii.  Ma Boezio continua a esporre la teoria della incorporeità  delle distinzioni logiche, dicendo che coloro i quali sostengono  tale teoria s’appoggiano all’autorità di Porfirio stesso, il quale,  come se fosse già dimostrata la incorporeità dei generi, delle  differenze, ecc., domanda se siano separati o uniti alle cose  sensibili: chè, se fossero corporei, sarebbe assurdo domandare  se siano disgiunti dalle cose sensibili o congiunti. Boezio, in-  vece, dà tutt’altra interpretazione a questa domanda porfiriana,  in quanto la intende come se suonasse: «gli universali sono sempre  separabili dai particolari sensibili, o a volte inseparabili?», e  però non gli sembra che la domanda porfiriana presupponga,  come se già fosse risaputa e dimostrata, l’incorporeità di tutte  le specie, differenze, proprietà, ecc. in quanto pure determina-  zioni logiche.   9. — Egli passa perciò a interpretare direttamente la terza  domanda, lasciando da parte la teoria della incorporeità dei  concetti, ed ha l’aria di averla riferita a puro titolo di infor-  mazione, ma ritenendola infondata e insostenibile. Per lui,  dunque, le specie sono talune corporee, talune incorporee. Si  domanda se siano sempre congiunte alle cose particolari, o pos-  sano a volte disgiungersene.   Boezio, per chiarire la domanda porfiriana, distingue tre  specie di cose incorporee:   1) — Cose incorporee affatto insuscettive di corpo, come  lo spirito e Dio;   2) — Cose incorporee inconcepibili senza i corpi, come  lo spazio vuoto che è immediatamente oltre i termini di una  figura geometrica ;   3) — Cose incorporee che sono corpi e possono essere  senza corpo, come l’anima.   Si domanda se generi, specie, differenze, ecc. siano di quegli  incorporei sempre separati da corpo, o di quegli altri che mai  non possono separarsene, o infine di quelli che a volte si uni-  scono, a volte si separano.   La risposta di Boezio è che possono congiungersi e possono  separarsi: che nelle cose corpoi'ee son congiunti a corpo, nelle  incorporee disgiunti da corpo.   Ma non bisogna credere che tutte le specie, le differenze,  le proprietà, ecc. siano congiungibili o disgiungibili dai corpi;  al contrario quelle delle cose corporee sono inseparabili da tali  cose corporee, come lo spazio è inseparabile dai corpi che  limita; e quelle delle cose incorporee, come le proprietà dello  spirito non si trovano che nello spirito, che è perfettamente  separato dal corpo. Boezio ribadisce la sua concezione : ci sono  due ordini di realtà: corporee ed incorporee; le incorporee sono  per natura e dignità anteriori alle corporee, e andrebbero  considerate come loro fonte: senonchè Boezio concepisce le  corporee e le incorporee come tra loro coordinate, e le subordina  entrambe ad un genere nè corporeo nè incorporeo, che avrà  magari in sè la potenza delle une e delle altre, ma che intanto,  così astratto e sopraordinato ad esse, è il vertice di una clas-  sificazione logica da scuola, non la genesi del reale.   10. — Nel secondo commento di Boezio le domande di Porfirio  sono presentate ed interpretate come nel primo: ma ne è diversa  la trattazione.   Le questioni « et perutiles et secretae, et temptatae quidem  a doctis viris nec a pluribus dissolutae», non trattate ancora  da Porfirio per non ingenerare oscurità nel lettore impreparato,  ma tuttavia accennate affinchè il lettore, una volta rafforzato  dal sapere, sappia che domandare, sono da Boezio formulate  così :   1^. Lo spirito 0 , con Pintelletto, concepisce, afferra quello  che realmente esiste in natura e, con la ragione, lo copia in  sé stesso; oppure, con vuota immaginazione, dipinge a sé mede-  simo ciò che non esiste. Si domanda dunque come sia Pintendimento che noi abbiamo del genere^ della specie, ecc. : se  intendiamo generi e specie come cose esistenti delle quali  prendiamo vera comprensione, o se invece noi stessi ci ingan-  niamo immaginandoci con vano pensiero cose che non sono.   2». Che se si ammette che dei generi, delle specie, ecc.  abbiamo un vero concetto, rimane da determinare se siano  corporei o incorporei: giacché tutto ciò che esiste deve essere  corporeo o incorporeo, e non si intenderà bene cosa siano i  generi e le specie finché non si sappia se porli tra le cose  corporee o le incorporee.   3». Che, se si ammette che generi, specie, ecc. siano  incorporei, rimane ancora da stabilire se, pur essendo incorporei,  esistano nei corpi, o se invece sembrino essere sussistenze  indipendenti anche senza corpi. Giacché ci cono due specie di  cose incorporee (qui Boezio sopprime la terza specie da lui  distinta nel primo commento: quella delle cose incorporee che  a volte si uniscono ai corpi, a volte se ne separano, e la fonde  senz’altro con la prima specie): ci son cose incorporee che  possono esistere senza corpo e, separate dai corpi, perdurano  nella loro incorporeità, come Dio, la mente, Tanima ; altre cose  incorporee, invece, non possono esistere senza i corpi, come  la linea, la superficie, il numero e le varie qualità, che noi  diciamo incorporee perchè non si estendono nelle tre dimensioni,  ma che esistono nei corpi siffattamente da non poterne essere  strappate o separate, o da svanire se separate dai corpi.   Come si vede, le questioni sono impostate come nel primo  commento. Ma qui Boezio si propone di trattarle altrimenti:  < primum quidem panca sub quaestionis ambiguitate proponam,  post vero eundem dubitationis nodum absolvere atque explicare  temptabo. »   Insomma, prima egli moverà un attacco, che vorrebbe essere  a fondo, contro ogni concezione platonica o aristotelica degli  universali, sia come reali, sia come concetti: poi giustifi-  cherà la concezione aristotelica tentando di dimostrare che son veri, nel pensiero, gli universali, pur non essendo reali, in  natura, se non nei particolari.    11. — Boezio scrive: i generi e le specie o sono e sussistono,  o si formano con Tintelletto ed esistono solo nel pensiero, ma  non possono essere generi e specie.   Anzitutto, generi e specie possono essere considerati reali?   Una cosa che nello stesso tempo sia comune a più altre, non  può essere una: specialmente se sia tutta in molte contempora-  neamente. Ora il genere dovrebbe essere uno in tutte le sue  specie : e non nel senso che ogni singola specie prenda per sè  una parte del genere, ma nel senso che ogni singola specie ha  in sè tutto il genere. Or questo genere che è tutto in ciascuna  delle sue specie contemporaneamente, come può essere uno?  giacché, se è tutto in più specie, in sè non può essere uno di  numero. E se non può essere uno, non è nulla assolutamente,  perchè tutto ciò che è, è perchè è uno. E lo stesso va detto della  specie. Che se si dice che la specie o il genere esiste, ma  molteplice di numero, non uno, non sarà il genere ultimo, bensì  avrà sopra di sè un altro genere, che includa quella moltepli-  cità nella propria unità.   E, daccapo, se questo nuovo genere sarà a sua volta molte-  plice, non uno, rinvierà ancor esso a un altro genere: e cosi di  seguito, airinfinito, senza che sia dato trovare un genere che  sia uno di numero pur essendo comune a tutte le sue specie.   Che se si dice che il genere è uno di numero, non potrà  essere comune a molti. Giacché una cosa può essere comune  a molte, ma solo in uno di questi tre casi:   1) — che ciascuna sua parte si applichi ad un particolare  diverso: sicché il genere non stia tutto in ciascuna specie, ma  in ogni specie una sola parte del genere;   2) — che più persone abbiano in comune l’uso di alcunché,  ma l’usino, beninteso, ciascuna in tempi diversi. (Esempio : più   persone hanno un solo servo o un solo cavallo: si capisce che  non possono servirsene tutte con temporaneamente, ma l’una  prima, Taltra dopo);   3) — che qualcosa sia comune a molte persone, ma senza  costituire la loro essenza. (Esempio : il teatro è luogo comune  a tutti gli spettatori ; ed anche lo spettacolo è uno e comune  ad essi tutti).   Ma il genere non è comune alle specie in nessuna delle tre  forme ora dette : giacché deve essere tutto in ciascuna specie,  deve essere contemporaneamente in tutte le specie, e deve costi-  tuire Tessenza delle specie a cui è comune.   Ora, se il genere non è nè uno (giacché è comune), nè molte-  plice (giacché, se fosse tale, richiederebbe un genere ulteriore),  il genere non è per nulla. E lo stesso va detto delle specie,  delle diiferenze, delle proprietà e degli accidenti.   Se genere, specie, ecc. non sono, resta che siano còlti solo  con rintelligenza. Ma di nuovo, ogni concetto si torma da una  realtà o conformemente al suo vero essere o difformemente da  esso. Se conformemente, genere, specie, ecc. esistono non solo  nel pensiero, ma anche nella realtà, e risorge la domanda come  possano essere uni e molteplici ad un tempo, con la conclusione  di pocanzi, che cioè, genere, specie, ecc. non sono. Se difforme-  mente, non possono essere che vani e falsi dei concetti difformi  dalla realtà nel suo vero essere.   Conclusione: se genere, specie, ecc. nè sono, nè, quando son  pensati, sono pensati con verità, non rimane più alcun dubbio  che si debba abbandonare ogni discussione circa le cinque distin-  zioni porfìriane, non vertendo esse nè su qualcosa di reale nè  su qualcosa di cui sia possibile farsi un vero concetto.    12. - A questa obiezione che mirerebbe, come si vede, a  scalzare tutta intera la dottrina porfiriana delle cinque primis-  sime distinzioni logiche, Boezio risponde, appellandosi all’autoritàdi Alessandro di Afrodisia, di cui accetta e riproduce Targo -  montare.   Non è vero — scrive Boezio — che sia falso e vano ogni  concetto che si scosti dalTessere reale delle cose. Se la mente  mette insieme elementi di cose disparate fino a formarsi una  immagine non rispondente a realtà, certamente erra e si inganna,  come quando si immagina i Centauri, componendone mental-  mente la figura con elementi del corpo umano e delTequino.  Ma quando la mente procede non per composizione, ma per  divisione ed astrazione, il concetto non corrisponde a nulla di  obbiettivo, e tuttavia non è falso.   Esempio: — la linea non è concepibile che in un corpo:  staccata da qualsiasi corpo, la linea non è nulla; e difatti chi  potè mai cogliere con un qualsiasi senso una linea separata da  ogni corpo? Ma ciò non esclude che possa separarla lo spirito  e pensarla per sè sola, fuori di qualsiasi corpo. Onde risulta,  nel pensiero, incorporea e separata quella linea che nella realtà  è inseparabilmente unita al corpo e confusa con esso.   Ora, i generi, le specie, ecc. sono proprio cosi fatti: esistono  nei corpi singoli, ma possono essere separati dai corpi, come  puri universali. E come nessuno può dir falso il concetto della  linea perchè si pensa separata da ogni corpo mentre essa fuori  dei corpi non sussiste, cosi non si deve ritenere falso il concetto di  genere, specie, ecc. perchè si isolano come puri universali mentre  essi non esistono che nei particolari. Gtli è che è prerogativa  delTintelletto cogliere la somiglianza dei vari particolari sensi-  bili, fissarla per sè sola e farne una specie; e poi ancora, cogliere  la somiglianza delle varie specie, fissarla e farne un genere.  Sicché la specie è un concetto ricavato dalla somiglianza d’es-  senza di individui diversi numericamente Tuno dalTaltio: e il  genere è un concetto ricavato dalla somiglianza delle specie.   Ma questa somiglianza, quando è nelle cose singole, è sensi-  bile; quando nelle universali, è intelligibile. 0, che è lo stesso,  sentita, è nelle cose singole; pensata, è universale. Sicché generi.  specie, ecc. esistono nei sensibili, son còlti e pensati fuori dei  corpi; universali quando son pensati, singolari quando son  sentiti nei corpi in cui hanno esistenza.   Rimane cosi risolta Tintera questione: giacché generi e  specie esistono in un modo - nei particolari - e son pensati in  un altro - fuori dei particolari - come se esistessero per sé stessi  e non avessero nei particolari Tesser loro.   Ma questa soluzione è aristotelica, e Boezio Tavverte espli-  citamente: giacché per Aristotele generi e specie son pensati  incorporei ed universali, mentre esistono nei particolari sensi-  bili. Platone invece - Boezio ama rammentarlo - ritiene che  generi e specie non solo siano pensati come universali, ma  anche siano tali ed esistano separati dai corpi. E Boezio dichiara  espressamente d^aver presentato la soluzione aristotelica della  questione non perché egli la approvi di più, ma perché un  lavoro, come il suo commento, destinato a servir di introdu-  zione alle Categorie aristoteliche, aveva il dovere di adottare,  in questa questione, preliminare importantissimo, il punto di  vista aristotelico.   13. — Dopo il prologo del quale si é ampiamente discorso,  T « Isagoge » - alla quale ci conviene ormai ritornare - può  intendersi divisa in due parti: la prima studia separatamente  il genere, la specie, la differenza, la proprietà e Taccidente;  la seconda paragona prima il genere alla differenza, alla specie,  alla proprietà e alTaccidente ; poi la differenza alla specie, alla  proprietà e alTaccidente; infine tra loro la proprietà e Taccidente.   Cominciamo ora lo studio delle cinque distinzioni logiche prese  separatamente ad una ad una.   14. — Porfirio osserva che la parola genere si usa con  significati diversi.   Primo significato é quello per il quale genere (o piuttosto  gente) vuol dire stirpe.  Esempi: « Oreste è delle gente di Tantalo », cioè discende  da Tantalo; < Pindaro è della gente tebana », cioè è tebano  di nascita. Nel primo caso è indicato il progenitore, nel secondo  la patria; in entrambi il termine da cui la stirpe, o gente, o  genere proviene.   Secondo significato è quello per il quale il genere (o gente,  vuol dire quella collettività che è stretta da un’origine comune   Esempio: « Gli Eraclidi costituiscono una gente (o genere)  perchè discendono tutti da un comune capostipite: Eracle».   Terzo significato è quello per il quale si dice genere quello  a cui si subordinano le specie, la cui moltitudine esso contiene  sotto di sè. Questo terzo significato, che è quello che la parola  «genere » ha per i filosofi, è probabilmente imitato dai primi due  in quanto, in logica si chiama genere quello che in altri casi  si dice piuttosto stirpe, cioè Torigine da cui le specie derivano,  da essa prendendo il nome e con tal nome distinguendosi da  tutte la altre specie che rientrano sotto altri generi.   In questo terzo significato « genere » è quel che si predica di  più cose, differenti tra loro per la specie, e indica cosa esse sono.   La quale definizione ha bisogno di essere chiarita punto per  punto. « Quel che si predica di più cose » : difatti, i predicati  0 si riferiscono ad una cosa singola o a più cose. Ad una cosa  sola si riferiscono gli individui, come quando si dice: «questi  è Socrate », e anche a una cosa sola si riferiscono: « questi »  e « questo ». Invece a più cose si riferiscono i generi, le specie,  le differenze e le proprietà e quegli accidenti che risultano  comuni, non propri di una cosa sola.   Esempio di genere : « animale » . Esempio di specie : « uomo » .  Esempio di differenza (che contraddistingue Tuomo dagli altri  animali): « ragionevole ». Esempio di proprietà (dell’uomo): « la  capacità di ridere » . Esempi di accidenti (dell’uomo) : « bianco,  nero, muoversi » .   Ora il genere differisce dall’individuo perchè si predica di  più cose, non di una.  Ma la definizione precisa è: « Genere è ciò che si predica  di più cose differenti tra loro per la specie », in quanto anche  la specie si predica di più cose, ma di cose differenti tra loro  per numero, non per specie.   Esempio: - la specie «uomo» si predica di Socrate e di  Platone, che differiscono numericamente in quanto Socrate e  Platone sono due individui diversi, mentre il genere « animale »  si predica delPuomo, del bue, del cavallo, differenti tra loro  non solo numericamente, ma per specie.   Inoltre: « genere è ciò che si predica di più cose differenti  tra loro per la specie, e indica cosa esse sono. » Giacché anche  le differenze si predicano di cose differenti tra loro per la  specie, ma indicano qitali esse sono, non cosa sono.   Esempio: — < se ci domandano che cosa è Puorao, rispon-  diamo indicando il genere a cui appartiene, e diciamo: « Puoino  è animale > ; ma se ci domandano le qualità delPuomo, rispon-  diamo indicando i suoi caratteri differenziali, la ragionevolezza  e la mortalità.   Com’è chiaro, il genere differisce dalla proprietà, perchè  questa si predica d’una sola specie e degli individui di essa,  mentre il genere si predica di più specie.   E differisce dagli accidenti comuni perchè, sebbene questi si  predichino di più cose differenti tra loro per specie, ne indicano  la qualità, non Pessenza (come, ad esempio, il color nero).   Ricapitolando: il predicarsi di più cose divide il genere  dagli individui; il predicarsi di più cose differenti di specie  lo separa dalle specie e dalle proprietà; Pindicare la quiddità  0 essenza lo divide dalle differenze e dagli accidenti comuni  che indicano la qualità. E questa trattazione del genere non  contiene nulla nè di superfluo, nè di manchevole.   15. — Anche « specie » ha più significati : significa « forma »  e significa, in logica, ciò che rientra in un genere (« uomo » è  specie compresa nel genere « animale » ; « bianco » è specie del  genere «colore*; «triangolo» è specie del genere «figura»).  Beninteso, come il genere è genere solo rispetto alle sue specie,  cosi le specie sono specie solo rispetto al loro genere. Genere  e specie cioè sono concetti correlativi. Cosi la specie vien defi-  nita: «ciò che è posto sotto il genere, e di cui il genere si  predica per indicarne l'essenza o quiddità » . Ma questa defi-  nizione conviene solo alle specie specialissime che sono sempre  specie e non mai generi, mentre le precedenti definizioni con-  vengono anche alle specie che non sono specialissime.   Sono generi generalissimi quelli al di sopra dei quali non  esiste altro genere, come ad esempio « sostanza ». Sono specie  specialissime quelle al di sotto delle quali non esistono altre  specie, come, ad esempio, « uomo », che ha sotto di sè imme-  diatamente i vari individui umani.   Tra i generi generalissimi e le specie specialissime inter-  corrono generi subalterni, come ad esempio « sostanza animata »,  « sostanza animata sensibile » , « sostanza sensibile ragionevole » .  Ciascuno di questi concetti, intermedi tra «sostanza» e «uomo »,  è specie rispetto al concetto più ampio nel quale rientra, è  genere rispetto al concetto più ristretto che in esso rientra.   Ad esempio: «sostanza animata» è specie rispetto a « so-  stanza », è genere rispetto a « sostanza animata sensibile ». Ai  due estremi della scala c'è la « sostanza», genere generalissimo  che non è mai specie, e !'« uomo », specie specialissima che non  è mai genere, mentre in mezzo i generi subalterni sono a volte  generi, a volte specie.   Ora, mentre le genealogie famigliari, risalendo di proge-  nitore in progenitore, raggiungono il comune capostipite di tuttele  famiglie, Giove, non è dato rinvenire un genere generalissimo  unico, a cui tutti i generi subalterni si lascino ridurre. Al con-  trario, secondo Aristotele sono dieci i generi generalissimi, asso-  lutamente primi e irriducibili: uno è la sostanza e nove gli acci-  denti (qualità, quantità, luogo, tempo, ecc.). Nè è valida obie-  zione che se questi dieci predicamenti sono, essi sembrano ridursi ad un genere generalissimo unico, Ve^%ere\ chè, dice  Porfirio, Ve^senza si predica in senso assai diverso della  sostanza e dei vari accidenti, sicché Tunificazione delle dieci cate-  gorie neir^ss^r^ è soltanto nominale, non reale, variando il  significato essere dalPuno all’altro predicamento.   Ora, se i generi generalissimi sono dieci, i generi subal-  terni sono di numero assai grande, ma tuttavia finito : infiniti,  invece, sono gli individui che vengono dopo le specie specia-  lissime, e di essi non si dà scienza.   Platone insegna a dividere, mediante le differenze specifiche,  ciascun genere in due, e poi ancora in due fino a raggiungere  le specie specialissime, che si dirompono negli individui. Chi  discende dai generi generalissimi alle specie specialissime  divide, cioè moltiplica l’unità. Chi, al contrario sale dalle specie  specialissime ai generi generalissimi, raccoglie la moltitudine in  unità. Giacché ciò che è singolare divide, ciò che è comune  aduna.   Adunque, il genere si divide in più specie e si predica di  esse. Giacché i concetti più estesi si predicano dei meno estesi  (il genere si predica delle specie), i concetti equipollenti si pre-  dicano l’uno dell’altro e l’altro dell’uno (la proprietà di nitrire  si predica del cavallo nella proposizione: «Il cavallo è l’ani-  male che nitrisce», e il cavallo si predica del nitrire nella  reciproca: < L’animale che nitrisce è il cavallo »), ma non mai  i concetti meno estesi si predicano dei più estesi (la proposi-  zione : « l’uomo è un animale » non può convertirsi nella reci-  proca: « l’animale è uomo »). Così i generi generalissimi si pre-  dicano di tutti i generi subalterni o specie, delle specie specia-  lissime e degli individui ad esse sottoposti; i generi subalterni  si predicano di tutte le specie ad essi inferiori, delle specie  specialissime e degli individui ; le specie specialissime si pre-  dicano degli individui, e gli individui d’un solo particolare. Gli  individui sono parti della specie, che rispetto ad essi è tota-  lità, mentre rispetto al genere è parte.    16. — Si parla di differenza nel significato comune della  parola, in senso proprio, e in senso rigoroso.   Nel significato comune < differenza » esprime la diversità  d’una cosa da un’altra o da sè stessa. Socrate differisce da  Platone e differisce da sè stesso bambino.   In senso proprio, una cosa si dice differire da un’altra  quando ne differisce per un accidente inseparabile. (Accidente  inseparabile è, per esempio, avere il naso curvo, essere ciechi,  avere una cicatrice causata da una ferita).   In senso rigoroso una cosa si dice differire da un’altra  quando se ne distingue per differenza di specie. Ad esempio,  un uomo differisce da un cavallo perchè appartengono a specie  diverse, l’uno essendo ragionevole, Taltro no.   In generale dunque, ogni differenza altera ciò a cui si in-  nesta: ma le differenze comuni e proprie si limitano a renderlo  alterato, le rigorose lo rendono addirittura altro. E queste dif-  ferenze rigoi-ose che rendono altro ciò a cui si applicano,  si dicono < differenze specifiche » , le altre si dicono semplice-  mente « differenze » . Queste non producono che un’alterazione  o un mutamento di stato (per esempio, il muoversi rispetto  al giacere), quelle, invece, dal genere fanno le specie, le quali  si definiscono appunto col genere e le differenze.   Altra classificazione delle differenze è la seguente: differenze  separabili^ come il muoversi e lo star fermi, l’essere sani o  malati, e differenze inseparabili^ come l’avere un naso aquilino  0 camuso e l’essere ragionevoli o irragionevoli.   Le differenze separabili si dividono ancora in differenze per  se e differenze per accidens. Differenza per se è, nell’uomo, la  ragionevolezza, la mortalità, la capacità di apprendere. Diffe-  renza per accidens è l’avere il naso aquilino o camuso.   Le differenze per se entrano nel concetto della cosa e la  rendono altra (la mortalità entra nel concetto di uomo e lo  differenzia dall’altro essere animato sensibile e ragionevole, ma  immortale che è Dio); invece, le differenze accidens, anche se insensibili, non entrano nel concetto della cosa e non la ren-  dono altra, ma solo alterata (il naso camuso non entra nel  concetto di uomo, e altera un individuo, ma non lo rende altro  dai rimanenti uomini).   Parimenti le differenze per se non ammettono aumenti o dimi-  nuzioni (tutti gli individui umani sono uomini egualmente),  invece, le differenze per accidens ammettono aumento o dimi-  nuzione (si ha la pelle più o meno bianca, il naso più o meno  curvo, ecc.).   Fra le differenze inseparabili per se talune servono a divi-  dere i generi in specie, tali altre, invece, a specificare i generi  già divisi. Differenze inseparabili per se sono « animato » e  < inanimato » , « sensibile » e « insensibile » , « ragionevole » e  «irragionevole», «mortale» e «immortale». Di queste dif-  ferenze, « animato » e « sensibile » sono differenze costitutive  della sostanza « animale » ; « mortale » e « ragionevole » sono,  invece, divisive della sostanza < animale » in quanto per esse  si giunge dal concetto del genere « animale » al concetto della  specie « uomo » .   Senonchè quelle differenze che son divisive pei generi, sono  costitutive per le specie: difatti, nelPesempio ora addotto, le  differenze « ragionevole » e « mortale » , introducendo una di-  visione nel genere «animale», costituiscono proprio cosi la  specie «uomo». Divisive e costitutive poi sono tutte le dif-  ferenze specifiche, utilissime per le divisioni dei generi e le  definizioni delle specie, mentre a ciò non giovano nè le dif-  ferenze inseparabili per accidens, nè, molto meno, le separa-  bili (sarebbe ridicolo dividere gli uomini secondo che abbiano il  naso aquilino o camuso — differenze inseparabili per accidens  — 0, peggio ancora, secondo che stiano in piedi o a sedere).   La differenza viene anche determinata come quella che la  specie ha in più del genere. L’uomo, ad esempio, ha in più  delhanimale Tessere ragionevole e mortale, qualità che il con-  cetto di «animale» non include. (Or si domanda: se il genere  non ha in sè le differenze che caratterizzano le varie specie,  queste donde le traggono? — Giacché le specie non derivano  che dai generi, e questi non posseggono le differenze, nè pos-  sono possederle, chè, se le possedessero, potrebbero riunire in  sè differenze opposte tra loro, come sono quelle che contrad-  distinguono runa dalbaltra le varie specie. La soluzione di  questa difficoltà è che non è necessario ammettere nè che le  differenze specifiche nascano dal nulla, nè che il genere aduni  in sè differenze contraddittorie, perchè il genere ha in potenza  le differenze che da esso nascono, senza averle in atto.)   Altra definizione della differenza è: «ciò che si predica di  più cose differenti tra loro per specie, per indicarne la qua-  lità ». - Infatti, se uno ci domanda: « che cosa è Tuomo? », noi  rispondiamo indicando il genere a cui la specie umana appar-  tiene, e diciamo: « l’uomo è un animale » ; ma se uno ci domanda  la qualità delbuomo, rispondiamo indicando i suoi caratteri  differenziali, e diciamo: «L’uomo è ragionevole e mortale».   Porfirio paragona così il genere alla materia e la differenza  alla forma, e dice che come la figura rende statua il bronzo,  cosi la differenza rende specie il genere.   Altra determinazione della differenza è : « ciò che è atto a  dividere le cose che sono sotto il medesimo genere » . Difatti,  « ragionevole » e « irragionevole » sono differenze atte a dividere  l’uomo dal cavallo, entrambi compresi nel genere animale.   Altra definizione: « differenza è quella per la quale differiscono  fra loro le varie cose», giacché per il genere non differiscono.  Per esempio: siamo animali mortali noi e gli irragionevoli: la  differenza « ragionevoli » vale a separarci da essi. E ancora:  siamo ragionevoli noi e gli Dei : la differenza « mortali » ci  separa da essi.   Definizione più profonda è la seguente: « Differenza non è  una qualsiasi di quelle determinazioni che valgono a dividere  le cose che sono sotto il medesimo genere ; ma quella determi-  nazione che riguarda l’essere ed è parte dell’essere d’una cosa. »   Per esempio: poter navigare, è particolarità esclusivamente  umana, e tuttavia non è differenza che costituisca la sostanza  delPuomo. Differenze specifiche sono quelle che fanno altra la  specie e sono accolte nel concetto di essa indicandone la qualità.   17. — Ci sono quattro sorte di qualità:   1) - Proprietà che convengono ad una sola specie, sebbene  non intera, come per Tuomo essere medico o geometra. (Solo  gli uomini sono medici e geometri; ma non tutti gli uomini  sono tali).   2) Proprietà che convengono a tutta una specie, sebbene  non solo ad essa, come per Tuomo essere bipede (sono bipedi  anche gli uccelli).   3) Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta  la sua estensione, ma solo in un determinato tempo, come per  Puomo imbiancare nella sua vecchiezza.   4) Proprietà che convengono ad una sola specie in tutta  la sua estensione e sempre, come per Tuomo poter ridere. (Non  importa che non rida sempre: importa che abbia natura di poter  ridere).   Sono queste ultime le vere proprietà giacché possono con-  vertirsi con ciò di cui sono proprietà. (Chi è cavallo, può nitrire ;  chi può nitrire è cavallo).   18. — Accidente è quello che può essere presente o assente  senza che il soggetto si corrompa.   Ci sono intanto accidenti separabili e accidenti insepara-  bili. Separabile è dormire; inseparabile il color nero. E tuttavia,  per quanto inseparabile, rimane accidente perchè, sebbene corvi  e Etiopi siano neri, si può sempre pensare un corvo e un Etiope  bianchi.   L'accidente è definito anche « ciò che può contingentemente  esserci e non esserci * ; oppure « ciò che senza essere nè genere  nè specie nè differenza nè proprietà, tuttavia sussiste in un  oggetto » .   19. — Determinate ormai tutte e cinque le distinzioni logiche,  bisogna paragonarle tra loro per vedere cosa hanno di comune  e cosa hanno di diverso.   Di comune hanno il potersi predicare di più cose ; ma il  genere si predica delle specie e degli individui ( « animale » si  predica dei cavalli e dei buoi, e di questo cavallo e di questo  bue); la differenza similmente delle specie e degli individui  ( « irragionevole > si predica dei cavalli e dei buoi, e di questo  cavallo e di questo bue); la specie degli individui che sono sotto  di essa ( « uomini » si predica solo degli individui umani) ; la  proprietà tanto della specie di cui è propria, quanto degli indi-  vidui di tale specie ( « poter ridere » si predica tanto deiruomo  quanto dei singoli uomini); l’accidente cosi della specie come  degli individui (« nero » si predica cosi della specie dei corvi  come dei corvi particolari, ed è accidente inseparabile; « muo-  versi » si predica deH’uomo e del cavallo, ed è accidente sepa-  rabile), ma anzitutto si predica degli individui, e in secondo  luogo delle specie che contengono gli individui.   Ma conviene ora paragonare a due a due le cinque distin-  zioni logiche.    20. — Comparazione del genere con le altre quattro roci.  a) Genere e differenza   Cosa hanno di comune:   1) — Il genere e la differenza entrambi contengono specie.  Bensì la differenza non contiene tante specie quante ne contiene  il genere.   Esempio: la differenza «ragionevole» contiene due specie:  uomo e Dio ; mentre il genere « animale * contiene e le due  anzidetto e tutte le altre specie animali.      2) — Quel che si predica del genere come genere, si  predica anche delle specie comprese in tale genere : e quel che  si predica della differenza come differenza, si predica anche  delle specie comprese in tale differenza.   Esempi: del genere « animale » si predica Tesser sostanza  e Tessere animato: che si predicano anche delle specie del genere  « animale » e perfino degli individui di tali specie. Della diffe-  renza « ragionevole » si predica Tesser provvisto di ragione :  che si predica anche delle specie comprese sotto tal differenza  [uomo e Dio) e degli individui di tali specie (i singoli uomini  e gli Dei).   3) — Tolto il genere o la differenza, son tolte contempo-  raneamente le specie che sono sotto di essi.   Esempio : tolto il genere « animale > , è tolta anche la specie  « uomo » ; tolta la differenza « ragionevole », non ci sarà più  nessun animale provvisto di ragione.   Cosa hanno di diverso:   1) — E’ proprio del genere predicarsi di più cose che non  la differenza, la specie, la proprietà e l’accidente.   Esempio: il genere «animale» si predica egualmente del-  l’uomo, del cavallo, dell’uccello e del serpente, mentre la diffe-  renza « quadrupede » si predica solo degli animali di quattro  piedi, la « specie > uomo solo degli individui umani, mentre la  proprietà del « nitrire » solo della specie cavallo e dei cavalli  particolari, e l’accidente « star in piedi » ancora di più poche cose.   2) — Il genere contiene la differenza in potenza.   Esempio : il genere « animale » si divide in specie animali   « ragionevoli » e specie « irragionevoli » , « ragionevole » e « ir-  ragionevole » essendo le differenze che dividono il genere « ani-  male » in specie diverse.   3) — I generi sono anteriori alle differenze poste sotto di  essi: tolti i generi, son tolte contemporaneamente anche le diffe-  renze, ma non viceversa.    Esempio: tolto il genere « animale », son tolte tutte le diffe-  renze (« ragionevole » e « irragionevole »); mentre, tolte tutte le  differenze, si può ancora pensare la sostnza animata sensibile,  cioè Tanimale.   4) — Il genere riguarda Tessenza (o quiddità) d’unacosa:  la differenza la sua qualità.   Esempio: Cos’è l’uomo? - un animale. Com’è l’uomo? - ragio-  nevole.   5) Ogni specie ha un sol genere, ma moltissime diffe-  renze.   Esempio : il genere dell’uomo è « animale » ; le differenze  sono: ragionevole, mortale, suscettibile di intendere e d’impa-  rare.   6) — Il genere è come la materia, la differenza è come  la forma.   Giacché è la differenza che determina il genere, come la  forma determina la materia.   b) Genere e specie   Cosa hanno di comune:   1) — Tanto il genere quanto la specie si predicano di più   cose.   2) — Entrambi sono anteriori a quelle cose delle quali si  predicano.   3) — Cosi il genere come la specie costituiscono ciascuno  un tutto.   Cosa hanno di diverso:   1) — Il genere contiene la specie sotto di sè, le specie sono  contenute, non contengono i generi.   Giacché sono i generi che, determinati da differenze spe-  cifiche, producono le specie: onde sono naturalmente ad esse  anteriori, e, tolti, tolgono anche le specie, ma non viceversa,  chè, posta la specie, è posto anche il genere, ma posto il ge-  nere, non è posta con ciò stesso la specie.       2) — 1 generi si predicano univocamente delle specie: non  cosi le specie dei generi.   3) — I generi sono superiori per le specie che comprendono  sotto di sè, le specie per le differenze che le determinano.   I generi possono anche essere contemporaneamente specie,  ma non specie specialissime ; e le specie possono essere contem-  poraneamente generi, ma non generi generalissimi.   c) Genere e proprietà   Cosa hanno di comune:   1) — Tanto il genere quanto le proprietà seguono le specie.   Esempio: Se uno è uomo quanto alla sua specie, è ani-  male quanto al genere; e se di specie è uomo, ha la pro-  prietà di poter ridere.   2) — Egualmente si predicano il genere della specie e la  proprietà di quelli che ne partecipano.   Esempio: — L’uomo e il bue sono animali allo stesso titolo;  e cosi Catone e Cicerone hanno egualmente la proprietà di  poter ridere.   3) — Si predicano univocamente il genere delle sue specie  e la proprietà di quelle cose di cui è propria.   Cosa hanno di diverso:   1) — Il genere è anteriore; la proprietà posteriore.   Esempio: — Bisogna che ci sia il genere ahimale, poi sia  diviso dalle differenze e dalle proprietà.   1) — Il genere si predica di più specie, la proprietà di  una sola specie, di cui è propria.   3) — La proprietà si predica di ciò di cui è propria, cosi  come ciò di cui è propria si predica di essa : mentre il genere  non si converte con nessun suo predicato.   Esempio: La proposizione « L’uomo è l’animale che ride »  si converte: esanimale che ride è l’uomo*. Ma la proposi-  zione « l’uomo è animale * non si potrà mai convertire: c l’ani-  male è l’uomo * .        4) — La proprietà è in tutta la specie di cui è propria,  in essa sola, e sempre: mentre il genere è in tutta la specie  di cui è genere, e sempre, ma non in essa sola.   Esempio: la proprietà di ridere è di tutti gli uomini, solo  degli uomini, e sempre rimane in essi : il genere animale è in  tutta la specie umana, è costante in essa, ma si trova anche  in molte altre specie oltreché neirumana.   5) — Poiché la proprietà e ciò di cui é proprietà si con-  vertono, tolta la proprietà é tolto ciò di cui é proprietà, tolto  ciò di cui é proprietà é tolta la proprietà.   Esempio: tolta la proprietà del ridere é tolto l’uomo: tolto  Tuomo é tolta la proprietà del ridere.   Al contrario, tolte le specie non sono tolti i generi.   Esempio : tolta la specie umana non é tolto il genere ani-  male.    d) Genere e accidente   Cosa hanno di comune:   Si é già detto che ci sono accidenti separabili^ come il muo-  versi, e accidenti inseparabili come, ad esempio, il color nero:  ora, cosi gli accidenti separabili come gli inseparabili hanno  di comune col genere il potersi predicare di più cose.   (Neri sono i corvi, ma anche gli Etiopi e talune cose ina-  nimate).   Cosa hanno di diverso :   1) — Il genere é avanti le specie, mentre gli accidenti  sono posteriori ad esse, anche se si tratti di accidenti inse-  parabili, giacché prima è ciò a cui accade, poi é Taccidente.   2) — Del genere tutte le specie che partecipano, parte-  cipano egualmente; mentre degli accidenti si partecipa più  o meno.   3) — Dii accidenti sussistono principalmente negli individui,  mentre generi e specie sono, di natura, anteriori alle sostanze  individuali.     4) — Il genere dice quel che è una cosa. L’accidente quale  è e come è.   Esempio: - Come è l’Etiope? Nero.   21. — Comparazione della differenza con le altre quattro   voci.   a) - Differenza e genere   Furono già comparati quando si esaminarono insieme genere  e differenza.   b) - Differenza e specie   Cosa hanno di comune:   1) — Della differenza e della specie si partecipa egual-  mente.   Esempio: Gli uomini singoli partecipano egualmente della  specie « uomo » e della differenza < ragionevole » .   2) — La differenza e la specie sono sempre presenti in  ciò che di esse partecipa.   Esempio: Socrate è sempre ragionevole e sempre uomo.   Cosa hanno di diverso:   1) — La differenza dice sempre la qualità delle cose, la  specie la loro essenza o quiddità.   Esempio: - « Uomo » non è qualità, se non per le differenze  che, determinando il genere ♦ animale », costituiscono la specie  « uomo » .   2) — La differenza è in più specie.   Esempio : - la differenza « quadrupede » è in vari animali  di specie differente.   La specie è solo negli individui che sono sotto di essa.   3) — La differenza è altra cosa dalla specie a cui dà  luogo.   Difatti, se si toglie la differenza « ragionevole » , si toglie la  specie « uomo » : ma se si toglie la specie « uomo », non si toglie  la differenza « ragionevole » , perchè vi è Dio.    4) — Una differenza si combina con un’altra (« ragionevole »  e «mortale» compongono la sostanza deiruomo); mentre una  specie non si combina con un’altra per produrne una terza.  (Un cavallo e un’asina generano un mulo; ma non la specie  < cavallo » con la specie « asino * generano la specie « mulo *).   c) - Differenza e proprietà.   Cosa hanno di comune:   1) — Della differenza e della proprietà le cose partecipano  egualmente.   Esempio: gli esseri ragionevoli partecipano della diffe-*  renza « ragionevolezza » , quanto gli esseri che possono ridere  partecipano della proprietà di poter ridere.   2) — Differenze e proprietà sono sempre presenti nelle  cose che le hanno.   Si potrebbe obiettare: se un bipede perde una gamba, non  ha più la sua differenza di essere bipede. Ma l’obiezione non é  giusta: l’amputazione non toglie la natura di bipede al monco.  Del resto, anche la proprietà di poter ridere riguarda la natura'  umana, senza che gli uomini ridano sempre.   Cosa hanno di diverso:   1) — La differenza si predica di più specie (ragionevole si  dice dell’uomo e di Dio), la proprietà si predica di quella sola  specie di cui è propria.   2) — La proprietà e ciò di cui è proprietà si convertono.   (La proposizione « l’uomo è l’animale che ride » ammette la   reciproca: «l’animale che ride è l’uomo).   Mentre la differenza segue quella cosa di cui è differenza,  e non si converte con essa.   (Posto l’uomo, è posta la ragionevolezza; ma, posta la ragio-  nevolezza, non è posto l'uomo, perchè ragionevole è anche Dio).      d) - Differenza e accidente   Cosa hanno di comune:   1) — Differenza ed accidente entrambi si predicano di  più cose.   Esempio: Tanto la differenza della «ragionevolezza» quanto  l’accidente del « muoversi > si applicano a molte cose diverse.   2) — Tanto la differenza quanto gli accidenti insepa-  rabili sono presenti sempre e in tutte le cose di cui si predicano.   Esempio: Tanto la differenza < bipede » quanto l’accidente  inseparabile « nero > riguardano tutti i corvi e li riguardano  sem'pre.   Cosa hanno di diverso :   1) — La differenza contiene, non è contenuta.   (La ragionevolezza contiene l’uomo perchè non è solo di lui).  Gli accidenti, invece, per un verso, contengono perchè sono in  più cose) il muoversi è più esteso dell’uomo) ; per un altro sono  contenuti, perchè il soggetto aduna in sè parecchi accidenti  (l’uomo, oltre al « muoversi », è anche « bianco », < alto », ecc.)   2) — La differenza non ha aumento e diminuzione, gli  accidenti sì.   (0 si è ragionevoli, o no; ma si è più o meno alti).   3) — Le differenze contrarie non possono mescolarsi,  bensì si mescolano gli accidenti contrari.   ( < Bipede » e « quadrupede » si escludono ; ma « bianco >  e . « nero » si mescolano a produrre il < grigio » ).   22. — Comparazione della specie con le altre quattro voci.   a) Specie e genere   Furono già comparati quando si esaminarono insieme Genere  e specie.   b) Specie e differenza   Furono già comparati quando si esaminarono insieme Diffe-^  renza e specie.     c) Specie e proprietà   Cosa hanno di comune:   Specie e proprietà si predicano Tuna deiraltra (se è uomo,  ha la proprietà di ridere ; se ha la proprietà di ridere, è uomo) ;  giacché le cose partecipano egualmente delle specie a cui  appartengono e delle proprietà che le caratterizzano.   Cosa hanno di diverso:   1) — La specie può essere genere ad altre specie ; la  proprietà non può essere di altre specie oltre quella di cui è  propria.   2) — La specie sussiste prima della proprietà, poi la  proprietà ha luogo nella specie.   Esempio: bisogna essere uomo per avere la proprietà di  ridere.   3) — La specie è sempre presente in atto, nel soggetto;  la proprietà, a volte, vi è presente solo in potenza.   Esempio: Socrate è sempre uomo in atto, ma non sempre  ride sebbene abbia natura di poter ridere.   4) — La specie sempre è sotto il genere e si predica di  più cose, differenti tra loro numericamente, indicandone l’es-  senza 0 quiddità; mentre la proprietà è solo in ciò di cui è  propria, e in esso è sempre, e inerisce a tutta la sua estensione.   Esempio: la proprietà del ridere è di tutti gli uomini, solo  negli uomini e sempre negli uomini.   d) Specie e accidente   Cosa hanno di comune:   Si predicano di più cose.   Cosa hanno di diverso:   1) — La specie dice il « che > di una cosa, l’accidente  il « quale > e il « come » .   2) — Ogni sostanza può partecipare di una sola specie,  ma di più accidenti separabili ed inseparabili.   3) — La specie si concepisce prima degli accidenti, anche   se inseparabili (chè bisogna ci sia il soggetto, perchè qualcosa  gli accada); gli accidenti invece sono posteriori e avventizi.   4) — Della specie si partecipa sempre in egual misura,  ma deiraccidente, anche inseparabile, in misure diverse.   Esempio: un Etiope è più nero di un altro.   23. — Com/parazione della proprietà con le altre quattro   voci.   a) — Proprietà e genere   Furono già comparate quando si esaminarono insieme Genere  e proprietà.   b) — Proprietà e differenza   Furono già comparate quando si esaminarono insieme Diffe-  renza e proprietà.   c) — Proprietà e specie   Furono già comparate quando si esaminarono insieme Specie  e proprietà.   d) — Proprietà e accidente   Cosa hanno di comune:   1) — Tanto la proprietà quanto Taccidente inseparabile  sono indispensabili a ciò in cui si osservano.   Esempio: Come senza la proprietà del ridere non esiste  uomo, cosi senza color nero non esiste Etiope.   2) — Tanto la proprietà quanto Taccidente inseparabile  sono sempre presenti a ciò che li possiede, e in tutta la loro  estensione.   Esempio: Tutti gli Etiopi sono neri, e sempre.   Cosa hanno di diverso :   1) — La proprietà è presente in una sola specie. Tacci-  dente inseparabile in molte.   Esempio: La proprietà del ridere è solo delTuomo; Tacci-    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    43    dente inseparabile del color nero è deirEtiope, ma anche del  corvo, del carbone, deirebano, ecc.   2) — Sicché la proprietà si converte con ciò di cui è  proprietà, non cosi Taccidente con ciò di cui è accidente.   Esempio : c L'uomo ha la proprietà di ridere > si converte  in « Chi ride è l'uomo » ; ma « l'Etiope è nero » non si converte  in: «Chi è nero è l'Etiope», perchè anche il corvo, il carbone,  ecc. sono neri.   3) — Della proprietà si partecipa sempre egualmente, degli  accidenti in diversa misura.   Si è più 0 meno neri.    24. — Comparazione delV accidente con le altre quattro   voci.   a) — Accidente e genere   Furono già comparati quando si esaminarono insieme Genere  e accidente.   b) — Accidente e differenza   Furono già comparati quando si esaminarono Diffe-   renza e accidente.   c) — Accidente e specie   Furono già comparati quando si esaminarono insieme Specie  e accidente.   d) — Accidente e proprietà   Or ora esaminati come Proprietà ed accidente.   L'Isagoge si chiude con Tosservazione che altri elementi  comuni o diversi tra le cinque voci oltre i già notati ci sono,  ma quelli notati bastano a distinguerli e ad intendere quel che  hanno di comune.   Tanto del primo quanto del secondo commento boe-  ziano abbiamo già esposto ciò che riguarda il celebre prologo  sulla realtà o meno degli universali.   Ci tocca ora dire qualche cosa sul complesso dei due com-  menti, che tanta autorità ebbero in tutto il Medio Evo, e tanto  contribuirono a dare alla mentalità delle nazioni di cultura  latina quella struttura rigorosamente logica che è rimasta loro  caratteristica.   Lo scopo da Boezio assegnato al primo commento è assai  semplice, giacché non va oltre la illustrazione del testo. Boezio  evita di accendere questioni, anche se il testo vi si presti. Solo  quando le obiezioni vengono cosi spontanee che non risolverle  vorrebbe dire non comprendere quel che dice Porfirio, solo  allora Boezio interviene per chiarire il pensiero delPautore, giu-  stificare le sue espressioni, e quindi, sgombrate le difficoltà,  tornare alla illustrazione del testo.   Dove Porfirio propone più classificazioni, Boezio cerca di  connetterle tra loro, in maniera da renderle più facilmente assi-  milabili al lettore. E dove Porfirio accenna appena a teorie  assai note fra gli studiosi, ma forse poco possedute dai princi-  pianti, Boezio interviene a rammentare tali teorie, e a trattarle,  sebbene compendiosamente, in modo da fornire al lettore princi-  cipiante, al quale il primo commento è diretto, le nozioni neces-  sarie per intendere il testo di Porfirio.   Così Boezio torna due volte sulla teoria della definizione, la  quale, facendosi per genus et differentianij è possibile solo per  gli individui (definiti entro la loro specie), per le specie (definite entro il loro genere!, e per i genej-i subalterni (definiti  entro il genere immediatamente superiore, fino ai generi gene-  ralissimi), ma non per i generi generalissimi, i quali, non avendo  nessun concetto più elevato sopra di sé, non possono essere  definiti, cioè determinati entro Pambito di un concetto più vasto.  Onde, non potendosi definire, possono solo descriversi, con Pin-  dicarne le proprietà. Un accenno, abbastanza ampio, è fatto da Boezio, come già  da Porfirio, alla teoria platonica della divisione, che da ciascun  genere generalissimo, mediante dicotomia, cioè divisione in due,  giunge fino alle specie specialissime.   Abbiamo già detto che Boezio cerca di rendere più evidente  il nesso che stringe talune classificazioni che Porfirio presenta  runa dopo l’altra, senza unificarle in un solo quadro comprensivo.  Questo avviene specialmente per le classificazioni che riguar-  dano le differenze.   Si rammenterà che Porfirio anzitutto classifica le differenze  in differenze comuni, proprie e più proprie o rigorose; comuni,  tutte le differenze per le quali siamo diversi da altri o da noi  stessi (tu cammini, io seggo, oppure: ora io seggo, dopo cammino);  'proprie le differenze individuali (capelli crespi, occhio cieco,  ecc.); rigorose^ le differenze che riguardano tutta la specie (ra-  gionevole, irragionevole, ecc.). Le quali ultime differenze sono  le differenze specifiche, con le quali si procede a dividere i  generi in specie. Ma questa prima classificazione può semplifi-  carsi quando si avverta che tanto le differenze comuni quanto  le proprie si limitano a rendere alterato il soggetto, mentre  solo le differenze specifiche lo rendono altro.   Si può dire dunque che le differenze si dividono in differenze  che rendono alterato il soggetto e differenze che lo rendono altro.   A questa prima classificazione Porfirio fa seguire la seconda;  le differenze sono o separabili o inseparabili. Questa seconda  classificazione si può collegare con la prima osservando che  solo le differenze comuni sono separabili (il sedere, il correre,  ecc. sono diff'erenze che non persistono, e sono quindi separabili  dal loro soggetto), mentre le differenze proprie e più proprie,  cioè quelle che riguardano l’individuo persistendo in lui e quelle  che riguardano l’intera specie, sono inseparabili (tanto un occhio  cieco quanto la ragionevolezza sono caratteri differenziali perma-  nenti, e quindi inseparabili dal soggetto che li possiede). Senon-  chè, di queste differenze inseparabili, le individuali o proprie alterano il soggetto, ma non lo rendono altro (la cecità altera  un uomo, ma lo lascia uomo), mentre le specifiche o più proprie  rendono altro il soggetto (la ragionevolezza rende Tuomo altro  dai bruti).   E inoltre, delle differenze inseparabili, le individuali sono  partecipate in misura diseguale, le specifiche sempre egualmente.  Ad esempio, i capelli biondi son carattere differenziale di indi-  vidui che sono Tuno più biondo, Taltro meno biondo; mentre  la ragionevolezza è carattere differenziale della intera specie  umana, i cui individui, in quanto sono uomini, sono tutti egual-  mente partecipi della ragione.   Terza classificazione è quella per la quale le differenze si  dividono in differenze divisive del genere e differenze costitutive  delle specie. Son le medesime differenze che, prese in modo  diverso, risultano una volta divisive del genere, un'altra costi-  tutive delle specie. Se prendiamo le differenze contrarie « ragio-  nevole e irragionevole > , esse dividono il genere «animale»;  e se, dopo, prendiamo le differenze contrarie « mortale e immor-  tale », esse dividono l'inferiore genere « animale ragionevole ».  Ma se prendiamo le differenze subalterne < ragionevole » (con-  cetto più ampio) e « mortale » (concetto restrittivo), queste  differenze subalterne costituiscono la specie dell'animale ragio-  nevole mortale, cioè dell'uomo.   Cosi la teoria delle differenze si avvia nel primo commento  boeziano a quella matura unità che raggiungerà pienamente  nel secondo commento.   26. — Ma forse più di queste particolari delucidazioni, che  tuttavia contribuiscono alla elaborazione della salda logica  medievale, riesce interessante il breve schizzo che del sapere  del tempo Boezio premette al suo commento.   Nel dialogo filosofico che egli immagina si fa chiedere dal  giovane Fabio una illustrazione e prima una introduzione al-  l'Isagoge di Porfirio. L'introduzione indicherà delPIsagoge VintentOy Vutiliià\ se ci sia altro libro ad essa germano; la ragione  del titolo, ed a qual parte della filosofia si riconduca. Sei punti,  dunque, tratterà Boezio, sulle orme di quel che già aveva fatto  il greco Ammonio nel suo commento alllsagoge.   \Jintenio è trattare del genere, della specie, delle differenze,  delle proprietà e degli accidenti.   futilità deirisagoge è anzitutto quella d’introdurre alle  Categorie di Aristotele, ma è anche più vasta.   Occorre, però, per intenderla, avere un chiaro concetto di  che sia la filosofia. Essa è amor di sapienza, che, non bisognosa  di nulla, « vivax mens et sola rerum primaeva ratio est >. E  questo amore di sapienza è illuminazione dello spirito che conosce  da parte di quella pura Sapienza, e in qualche modo è un richiamo  che questa fa deU’animo umano perchè torni ad essa, di maniera  che il desiderio di sapienza è desiderio e amore della divinità  e amore della pura mente divina.   È questa sapienza che riconduce alla forza e purezza natu-  rale le anime umane. Da essa nasce la verità delle specula-  zioni e dei pensieri e la santa e pura castità delle azioni. Il  che mena direttamente alla divisione della filosofia, che è il ge-  nere, in teoretica o speculativa, e pratica^ o attiva. (0 e II sono le  due lettere che spiccano su la veste della Filosofia nel Be Conso-  latione Philosophice). La teoretica, poi, ha tante parti quanti sono  gli oggetti che considera: si divide quindi in:   1) — Teologia o dottrina di ciò che è sempre uno e me-  desimo, fermo sempre nella sua divinità, non accessibile ai  sensi, ma solo alla mente ed all’intelletto: la quale specula-  zione studia Dio e la incorporeità dello spirito;   2) — Dottrina che si occupa di tutte le opere celesti del-  la suprema divinità, di ciò che nel mondo sublunare ha animo  più beato e sostanza più pura, ed infine delle anime umane:  tutte cose che, fatte di sostanza intelligibile, al contatto dei  corpi, da intelligibili divennero soltanto intelligenti, in maniera  che possono ora divenire più beate per purezza ed intelligenza  quando si volgano ed applichino alle cose intelligibili ;   3) — Dottrina dei corpi, o Fisica, che illustra la natura  e le passioni dei corpi.   Di queste tre parti della filosofia teoretica la seconda è meri-  tamente collocata nel mezzo perchè ha da una parte Tani-  mazione e vivificazione dei corpi, dalFaltra la considerazione  e conoscenza delle cose intelligibili.   27. — Anche la filosofia pratica si divide in tre parti:   1) — VEtica^ che s’orna ed accresce di virtù, nulla am-  mettendo nella vita di cui non possa essere soddisfatta, e niente  facendo di cui debba pentirsi;   2) — la Politica, che assumendosi la cura dello Stato prov-  vede alla salvezza di tutti con la saldezza della sua 'preveg-  genza e prudenza, con Tequilibrio della giustizia, con la sal-  dezza della fortezza e la pazienza della temperanza;   3) — V Economia, che si occupa del buon andamento della  vita famigliare.   Alle quali parti già descritte della filosofia si aggiunge da  vicino queirarte che i Greci chiamano Logica: parte della filo-  sofia 0 suo strumento?   Boezio rimette la trattazione di questa questione ad una  altra opera, che è poi il secondo commento. Intanto osserva  che questa disputa sul genere, la specie, la differenza, la pro-  prietà e l’accidente prepara la via a tutto lo studio della filo-  sofia. Col dire cosa sia genere e cosa sia specie ci fa inten-  dere che la filosofia è genere, e teoretica e pratica sono specie.  Col dire cosa sia differenza, ci rende possibile di intendere se  la logica sia una specie della filosofia, differente, quindi,  dalle altre specie. Col dire cosa sia proprietà, ci spiega la na-  tura propria di ciascuna differenza della filosofia. Col dire cosa  sia accidente ci guarda dal mettere tra le cose principali ciò  che è secondario. Cosi la conoscenza di queste cinque voci  spande i suoi rami in tutte le parti della filosofia.   Utile alla grammatica a cui insegna che il discorso è il ge-  nere e otto sono le sue parti o specie; utile alla retorica, a  cui permette di distinguere tre generi di causa, ciascuno diviso  in specie a seconda dei soggetti: utilissima alla logica, che  nulla potrebbe definire (per genere e differenza) se non sapesse  cos'è genere, cos’è specie, cos’è differenza, ecc. ; nulla potrebbe  dividere se non fosse guidata dalla conoscenza delle cose che  divide (i generi e le specie); e nulla potrebbe dimostrare giacché  la verità delle dimostrazioni sta nei provare ciò che si divide  o qualcos’altro mediante le cose che si son divise.   E l’Isagoge di Porfirio precede tutta la logica aristotelica,  perchè senza di essa non si intenderebbero la sostanza e i nove  accidenti di cui è parola nelle Categorie. Le quali voci signi-  ficative sono quelle di cui si compongono le proposizioni, di  cui si tratta nel « De interpretatione » . Le quali proposizioni  sono quelle di cui si compone il sillogismo, il cui ordine, la  cui struttura e le cui figure sono studiati negli « Analitici  Primi », perchè sia poi possibile studiare il sillogismo dialet-  tico nella « Topica * e il sillogismo dimostrativo negli « Ana-  litici Secondi » .   Cosi l’Isagoge di Porfirio è la base prima di tutta la logica  aristotelica.   28. — Come nel corso del primo commento non sono rare  le occasioni in cui Boezio è costretto a notare le imperfezioni  e le oscurità della versione di Mario Vittorino, cosi nel seconc^o  commento Boezio presenta una traduzione propria, che indubbia-  mente è assai più scorrevole e chiara dell’altra. La versione  è intercalata nella esposizione, che procede meno pedestr e che  nel primo commento, e che, specialmente nei primi fr a i cinque  libri, mostra un vigoroso proposito di rendere più robusta, più  rigorosa ed organica la trattazione porfiriana. Il secondo commento si inizia con alcuni paragrafi dedicati  alla filosofia in generale, alle sue parti, alle sue utilità, ecc.   Se la filosofia - dice Boezio - è il più alto bene degli animi,  converrà precisamente muovere dalle facoltà delFanima. Una  forza deH’anima è quella vegetativa, comune anche alle piante,  che non hanno sensi; un’altra è la sensitiva, che dove sorge  assume la prima come sua parte; una terza è la intellettiva,  che non si limita a sentire e a rammentare, ma anche esplica  e conferma, con pieno atto di intelligenza, quel che Timmagi-  nazione sopperisce. La qual potenza della ragione si esercita  a indagare, anzitutto, se una cosa sia, poi che sia, poi quale sia,  infine perchè sia.   Ma, perchè il pensiero sia preservato dal pericolo di cadere  nel falso, occorre anzitutto una disciplina che, studiando le  maniere di disputare e gli stessi ragionamenti, possa additare  qual ragionamento risulti ora falso, ora vero, quale sempre falso  quale non mai falso. Della quale scienza - la logica - è duplice  l’uso nell’inventare e nel giudicare: topica e dialettica, trattate  entrambe da Aristotele, ma la prima trascurata dagli Stoici.   Ora, questa logica è una parte della filosofia o è solo il  suo strumento? - Quelli che la considerano parte della filosofia  ragionano così: delle proposizioni, dei sillogismi, ecc. solo la  filosofia si occupa. Dunqne sono oggetto di filosofia. Ma, delle  due grandi parti della filosofia, la speculativa che si occupa  delle cose naturali, e l’attiva che si occupa della morale, nessuna  tratta del discorso, dei giudizi, dei ragionamenti: dunque quella  disciplina filosofica che d’essi si occupa non può non essere  considerata una nuova parte della filosofia; donde la triparti-  zione di questa in: logica, fisica, etica. Coloro i quali invece so-  stengono che la logica sia strumento della filosofia, non sua parte,  osservano che questa scienza della ragione è diretta o a conoscere  le cose (fisica) o a trovare quei principi di morale che producono  la beatitudine. Dunque, essi, dicono la logica serve sempre o  alla fisica o all’etica. Boezio è del parere che le due teorie non si escludano a vicenda: niente vieta che la logica sia ad un  tempo parte e strumento della filosofia; parte in quanto ha  innegabilmente un fine proprio, distinto dalla fisica e daH’etica;  strumento in quanto, altrettanto innegabilmente, essa serve così  all’una come aH’altra. Del resto, nel nostro corpo, ciascun  organo è al tempo stesso parte e strumento : la mano rispetto  all’organismo intero è strumento; per sè, intanto, è parte.   29. — Ma veniamo allo scopo di questa introduzione porfi-  riana alle Categorie di Aristotele. Queste sono i dieci generi di  predicamenti: può intenderli dunque chi sappia che sia il genere.  Di ciascuno di essi si dànno varie specie (varie specie di so-  stanza, di qualità, ecc.): ed anche ciò presuppone si sappia che  sia specie, e che sia la differenza per la quale ciascuna specie  si allontana dall’altra e l’un genere dall’altro. Inoltre, ogni  genere ha le sue proprietà, mediante le quali può essere descritto.  E dei dieci predicamenti, nove sono accidenti. Donde la neces-  sità di saper bene che sia proprietà e che sia accidente per  intendere le Categorie aristoteliche.   Ma Porfirio spesso indica l’utilità della sua introduzione per  le definizioni, le divisioni e le dimostrazioni, oltreché, come già  si è visto, per l’intendimento delle Categorie aristoteliche. Per  le definizioni, perchè bisogna ben distinguere il genere prossimo  e la differenza specifica per fare una giusta definizione; per  la divisione in tutte le varie sue specie, giacché vanno distinte  divisioni dei concetti presi in sè stessi e divisioni accidentali.  Le divisioni dei concetti presi per sè stessi sono di tre ordini :   1 ) — divisione del genere nelle sue specie ;   2) — distinzione dei vari significati di una parola;   3) — partizione d’un tutto nelle sue varie parti. '   Le divisioni accidentali sono anche di tre ordini:   1) — divisione di un accidente secondo i soggetti che lo  ricettano ( c dei beni, alcuni sono nell’anima, altri nel corpo » )     2) — divisione di un soggetto secondo gli accidenti (« dei  corpi, taluni sono (bianchi, altri sono neri » ) ;   3) — divisione di un accidente secondo altri accidenti  ( « delle cose bianche, alcune sono dure, altre liquide, altre  molli >).   Per tutte queste divisioni occorre sapere che sia genere e  che sia differenza, quando luna parola abbia un significato solo  (univoca) e quando più significati (equivoca), e che sia una  parte e che una specie; occorre inoltre ben distinguere sostanze  ed accidenti.   Infine, Tintroduzione porfiriana è utile per le dimostrazioni,  giacché queste si fanno o da cose già note, o da cose conve-  nienti, 0 dalle prime cose, o dalla causa, o dalle cose connesse,   0 dalle cose inerenti. In ciascuno di questi casi bisogna sapere  che sia genere e che sia differenza, e che sia specie, giacché sono   1 generi quelli che sono anteriori per natura alle specie, e  quindi di esse più noti, e sono i generi e le differenze le cause  delle specie.   30. — Il secondo libro .tratta del genere con un manifesto  desiderio di porre più rigore nella trattazione .porfiriana, magari  rifacendosi da teorie più vaste, che sembrano essere presup-  poste da ciò che dice Porfirio. (Cosi, per esempio, per illustrare  i significati, che Porfirio espone, della parola genere, che si  riferisce a volte al progenitore da cui una gente deriva, a volte  al luogo da cui una gente proviene, Boezio richiama la celebre  dottrina aristotelica delle quattro cause, efficiente, materiale,  formale e finale, alle quali aggiunge due principi accidentali,  il luogo e il tempo. Quando si parla del genere dei Romani,  cioè dei discendenti da Romolo, si indica in costui la causa  efficiente della stirpe; quando invece si dice: «Pindaro Tebano»,  si indica in Tebe il luogo da cui Pindaro i proviene).   Boezio insiste ancora sulla differenza tra descrizione e defini-  zione: 'il genere non può essere definito, chè, per essere defi-    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    53    nito, dovrebbe avere un altro genere sopra di sè, e, quando  avesse un genere sopra di sè, sarebbe specie, non genere; sicché,  non potendo essere definito, il genere è descritto, cioè ne ven-  gono indicate le proprietà, che sono come i colori con i quali  si dipinge un quadro. L’intera teoria del genere, della differenza,  della specie, della proprietà e dell’accidente, è chiusa come in  un prospetto nelle seguenti classificazioni boeziane.    Ciò che si Ciò che si predica   predica di di più cose   una cosa sola |       S   ’o   'in   O ®   og O   ce 05  S  ce p!   ce    <e   •1-^   ' Ph   o   u   Ph    o   <v   Ph   m   'P —    ce ^    03   S   O -M   ■Tj ■  p P  ce P ■  cr  ^ cS   a ^      p   p   p   iJ}    OJ   co   a?   a;   pO   o   a   O)   G   *S   (p   o   S   *02   OO   ce    03   .3^ P  •'P P -  p cr    .2   P *o   p   ■| £• '   — xs ce   G 'P    ce P  np P  P P    U sé   ce N   .2 G   ’B ®   p 02  P m  — I a;    'p    03   rQ   O .P O   ■TP O  O (D   VP ce  ^ P. P  P    ce p    sostanzialmente accidentalmente    l’isagoge di PORFIRIO E I COMMENTI DI BOEZIO    55    Boezio prosegue, poi, illustrando via via i passi poifìriani  che traduce e riporta: e le sue sono delucidazioni speciali, del  resto assai utili. (Per esempio : in che senso si dice che gli  uomini differiscono tra loro numericamente? - Nel senso che  si dice: « Socrate è un uomo, Platone è un altro uomo »).   31 — Il terzo libro tratta delle specie (e non prima della  differenza nonostante che la differenza, contenendo in sè più  specie, sia ad essa anteriore, perchè la specie è specie del  genere, come il genere è genere della specie, epperò vanno  studiati in connessione Puno con l’altra).   Le illustrazioni, per solito, non aggiungono nulla di nuovo.  Interessante può essere Patteggiamento di osseqio ad Aristotele  su le questioni delle dieci Categorie ; atteggiamento che è di  Porfirio e non viene mutato da Boezio. Nè i dieci predicamenti  possono ridursi tutti dXVente, perchè ente ha significati diversi  secondo che s’applichi alla sostanza, alla qualità, alla quantità,  ecc. Vale a dire è un nome di più significati, e non un genere  d’un significato solo.   Del resto, come ogni predicamento cosi ogni predicamento  è un predicamento ; sicché se ente fosse gen^ e, i dieci predi-  camenti avrebbero due generi: ente e uno\ e ciò è assurdo,  perchè non si può appartenere a più di un genere.   32. — Il quarto libro tratta della differenza, ripetendo lo  sforzo, visibile già nel primo commento, di dare organicità ed  unità alla trattazione porfiriana dell’argomento col connettere  insieme le varie classificazioni, tutte svolte da una distinzione  fondamentale, tra differenze sostanziali e differenze accidentali,  e col condannare più risolutamente di Porfirio quelle defini-  zioni che « idem per idem definiunt » quando dicono che < dif-  ferenza è ciò per cui una cosa differisce da un’altra», e che  non precisano davvero cosa sia differenza quando la definiscono  «ciò per cui una cosa dista da un’altra», potendosi una cosa    allontanare da un'altra per qualità del tutto accidentali che  non costituiscono diiferenze in senso proprio.   Il medesimo quarto libro tratta anche della proprietà, ri-  spetto alla quale osserva che, se Tessere di una cosa è espressa  dal suo genere, dalla sua differenza e dalla sua specie, le sue  proprietà non costituiscono la sua sostanza, ma qualcosa di ac-  cidentale, sebbene si chiamino proprietà, e che quando Porfirio  distingue proprietà di quattro sorte, non intende enumerare  quattro specie del genere proprietà, ma indicare i quattro si-  gnificati diversi nei quali si parla di proprietà.   Il quarto libro tratta infine delTaccidente, condannando, più  di Porfirio, la distinzione puramente negativa, per la quale « ac-  cidente è ciò che non è nè genere, nè differenza, nè speqie, nè  proprietà » .   33. — Il quinto libro illustra la comparazione che Porfirio  istituisce tra le cinque voci senza alcuna particolare osserva-  zione.   Notevole è tuttavia che Boezio non lascia passare la divi-  sione porfiriana delTanimale razionale in animale razionale  mortale (Tuomo) e animale razionale immortale (Dio) senza  notare che ciò si poteva dire quando si ritenevano il Sole e gli  altri corpi celesti animati e divini.   34. — Su questi testi si chinarono, per generazioni e generazioni, gli uomini del medioevo, come su libri di profondis-  sima sapienza. Se TEuropa uscì dal medioevo cosi fortemente  razionalistica, essa s'era fatta la sua potente quadratura logica  meditando su questi ultimi fra gli antichi, lungamente vene-  rati e studiati.  Grice: “I like Guzzo. For one, he spent a tutorial or two on the very same ‘tratarello’ I did: Boezio’s latinizing Porphyry!” Augusto Guzzo. Guzzo. Keywords: pagine di filosfi per i giovani italiani; il Vico di Guzzo, il Galluppi di Guzzo, il Bruno di Guzzo, Gentile, Gli hegeliani d’Italia, Vera, Spaventa, Jaja, Maturi, Gentile, dirito, stato, Biblioteca Italiana di Filosofia, spunti e contrattacchi, Della causa, del principio e del uno, dell’analisi e la sintesi, autobiografia e scienza nuova per giovani italiani dei licei classici, il manual di filosofia di Fiorentino. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Guzzo: tra idealismo ed empirismo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51755357414/in/dateposted-public/

 

Grice e Hösle – l’intersoggetivo di Vico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Hösle – for one, he helped me understand Vico when stating that what Vico is after is a ‘science of the inter-subjective world;’ since I’m also into that I suppose I am Vico!” – Figlio di Johannes Hösle, direttore del Goethe Institut, e Carla Gronda –, vero «enfant prodige» della filosofia, precoce e profondo conoscitore delle lingue antiche (greco, latino, sanscrito, ma anche pali e avestico) e di numerose lingue occidentali (ne parla sette ed è in grado di leggerne dodici). Si laura con la tesi “Verità e storia: uno studio sulla struttura della storia della filosofia sulla base di un'analisi paradigmatica dell'evoluzione da Parmenide di Velia a Platone” (Milano, Guerini e Associati, A. Tassi, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Hegeliana). Alla «scoperta» di Hösle contribuì in modo determinante l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che lo chiamò a Napoli. Imposta in maniera originale il problema dei rapporti tra dimensione sistematica (unita latitudinale) e dimensione storica (unita longitudinale) della filosofia, analizzando lo sviluppo da Parmenide di Velia a Platone.  In “Il compimento della tragedia nell'opera tarda di Sofocle: un’osservazione storico-estetica” (A. Gargano, Napoli, Bibliopolis, Memorie dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici) combina l'approccio estetico con l'approccio filosofico, cerca di individuare una logica di sviluppo nella storia della tragedia e, in contrasto con l'approccio consueto, considera Sofocle come il compimento sintetico di questa storia. Il pensiero fondamentale espresso nell'opera tarda di Sofocle è sintesi dei principi che sono alla base dell'arte di Eschilo e di Euripide, principi che vengono fatti valere insieme da Sofocle e così portati alla loro verità".  Alievo di Toth, si occupa anche del problema della matematica in Platone (“ I fondamenti dell'aritmetica e della geometria in Platone” – Milano, tr. E. Cattanei, Vita e pensiero). In “Interpretare Platone” (Milano, Guerini e Associati, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici),  e in “Il dialogo filosofico. Poetica di un genere” analizza il genere del dialogo mettendo in connessione il punto di vista filosofico con il punto di vista letterario. Al problema della tragedia è dedicato “La gerarchia dei tragici).  A Napoli tenne una serie di seminari sull'idealismo (“Lo Stato in Hegel”, La città del Sole). La riflessione sull'idealimo si sviluppa in stretta connessione colla "fondazione ultima riflessiva" e con la soluzione fornita a tale problema dalla pragmatica trascendentale. L'unica alternativa consistente al relativismo scettico, dominante nel panorama della filosofia contemporanea ed assurto oggi ad una sorta di principio dell'opinione pubblica, consiste nell'impostazione riflessiva presente negli idealisti, che è necessario sviluppare. Alla “pragmatica” trascendentale va riconosciuto il merito di aver riproposto la "fondazione ultima riflessiva". Tale fondazione va ripensata nella sua portata ontologica, superando il formalismo nella direzione di una formulazione ri-elaborata dell'idealismo (“La fondazione dell'idealismo” – Milano, Guerini e Associati, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, Hegeliana). Della pragmatica trascendentale, in relazione al problema di questa “fondazione ultima riflessiva” Hösle torna in “La crisi della contemporaneità e la responsabilità della filosofia”. Apel viene analizzato all'interno delle più importanti tendenze della filosofia contemporanea, viene esposta in modo dettagliato la "prova" della fondazione ultima riflessiva ("prova apagogica") e vengono discussi questioni relative al linguaggio privato, alla controversia “spiegare-comprendere e alla fondazione dell'etica. Cura “La Scienza nuova” di Vico, compito affidatogli dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. La cura è preceduta da “Introduzione a Vico: l’inter-soggetivo” (Milano, Guerini, Istittuo Italiano per gli Studi Filosofici).  -- una introduzione filologica e teoretica in cui Hösle illustra il significato della concezione vichiana per una teoria delle scienze della cultura filosoficamente fondata. La rilessione culmina nella ri-formulazione dell'idealismo: “L’intersoggettivo” (Napoli, La Scuola di Pitagora). Sostiene che l'aporia di Hegel consiste nell'aver tras-curato l’inter-soggetivo nella logica, la parte fondativa del Sistema. Qesta lacuna comporta un grave squilibrio nella struttura complessiva del sistema, in particolare, nel concetto dello spirito oggettivo e nel concetto dello spirito assoluto, che restano scoperte sul piano logico, senza un co-rispettivo categoriale in grado di fondare la struttura inter-soggettiva di cui trattano. Questa aporia è alla radice di sub-aporie come, ad esempio, l'appiattimento del “dover-essere” sull'”essere” con la conseguente visione passatista e la questione della conclusione del sistema. Cerca di mostrare come l'idea fondamentale dell'idealismo sia indispensabile sia per fondare in modo rigoroso il“discorso” sia per superare la scissione tra scienze della natura e scienze dello spirito che caratterizza in modo aporetico il pensiero moderno e contemporaneo, promossa dall'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e per "La scuola di Pitagora", è uscita una Postfazione. Sposta la sua riflessione dalla "filosofia prima" alla "filosofia seconda", occupandosi di problemi morali e politici, tra cui ha un posto di rilievo la questione dell'ecologia (“Filosofia della crisi ecologica” – Torino, Einaudi). I suoi studi delle moderne scienze sociali, politologia ed economia soprattutto, sono poi confluiti “Morale e politica. Fondamento di un'etica politica”. Vanno ricordati, innanzi tutto, i lavori sul significato filosofico della teoria dell'evoluzione (“Portata e limiti della teoria evoluzionistica della conoscenza” – Napoli, La Città del Sole). Saggi: “Aristotele e il dinosauro” (Torino, Einaudi); “Sulla comicità” a riprova del costante interesse nutrito per le forme d'arte, come il teatro e il cinema, in cui l'inter-soggettività -- la categoria centrale della sua riflessione -- gioca un ruolo determinante. “Il concetto di filosofia della religione” (Napoli, La Scuola di Pitagora); “La legittimità del politico” (Milano, Guerini, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici); “Per una lettura non riduttiva di Platone” (Napoli, La scuola di Pitagora).  VITTORIO G. HÖSLE Personal Address 712 Forest Avenue South Bend, Indiana 46616 574-288-3547 • Eberhard Karls Universität Tübingen; Habilitation (accredited as an University Lecturer), January 1986; Philosophy. Habilitationsschrift: „Subjektivität und Intersubjektivität. Untersuchungen zu Hegels System“ • Eberhard Karls Universität Tübingen; Ph.D. summa cum laude, May 1982; Major: Philosophy; First Minor: Indology; Second Minor: Greek; Dissertation: “Wahrheit und Geschichte. Studien zur Struktur der Philosophiegeschichte unter paradigmatischer Analyse der Entwicklung von Parmenides bis Platon“ • Albert Ludwigs Universität Freiburg, 1981 • Ruhr Universität Bochum, 1980 • Eberhard Karls Universität Tübingen, 1978-1979 • Universität Regensburg, 1977-1978 Academic Books 1. Che cosa sono le scienze umane e a quale scopo si studiano, La scuola di Pitagora: Napoli 2017, 73 p. (=Italian translation of paper 4) 2. PerunaletturanonriduttivadiPlatone,LascuoladiPitagora:Napoli2017,111p. (=Italian translation of papers 59 and 60 with Franz von Kutschera’s reply) 3. Russland1917-2017.Kultur,SelbstbildundGefahr,Schwabe:Basel2017,103p. (=Reflexe 51) (=contains papers 7, 8, 12, 101) 4. EricRohmer.FilmmakerandPhilosopher,Bloomsbury:London2016,XVIII+194 p. 4a. Eric Rohmer, Regisseur und Philosoph der erotischen Liebe, appears Wilhelm Fink Verlag: Paderborn 2017 5. Idealismusheute.AktuellePerspektivenundneueImpulse,ed.by.V.HösleandF. Current Address University of Notre Dame Department of German and Russian Languages and Literatures 318 O’Shaughnessy Hall Notre Dame, IN 46556 574-631-5121 vhosle@nd.edu 08/24/2016    Education and Professional Qualifications Publications 1-VH  8/9/17 Suarez Müller, Wissenschaftliche Buchgesellschaft: Darmstadt 2015, 312 p. 6. Forms of Truth and the Unity of Knowledge, ed. by V. Hösle, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2014, 356 p. 7. Dantes Commedia und Goethes Faust: Ein Vergleich der beiden wichtigsten philosophischen Dichtungen Europas, Schwabe: Basel 2014 (=Reflexe 35), 76 p. (=extendend German version of paper 27) 8. ZurGeschichtederÄsthetikundPoetik,Schwabe:Basel2013(=Reflexe28),102 p. (contains papers 20, 29, 32) 9. Dimensions of Goodness, ed. by V. Hösle, Cambridge Scholars Publishing: Newcastle upon Tyne 2013, 441 p. 10.The Many Faces of Beauty, ed. by V. Hösle, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2013, VIII + 501 p. 11.God as Reason, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2013 (contains papers 24, 31, 36, 50, 58, 65, 71, 91, 94, 97, 98, 122, 133), XVI + 407 p. 12. Eine kurze Geschichte der deutschen Philosophie. Rückblick auf den deutschen Geist, C.H.Beck: München 2013, 320 p. 12a. Dokil Chulhaksa - Dokil Jeunghshinun Jonjaehanunga, Eco Livres: Seoul 2015, 437 p. (=Korean translation of 12) 12b. A Short History of German Philosophy, Princeton University Press: Princeton 2017, XXII + 275 p. (=English translation of 12) 12c. Chinese translation of 9, appears Bookzone Publishing Corporation Beijing 2017 13. Die Vernunft an der Macht. Ein Streitgespräch zwischen Boris Groys und Vittorio Hösle, ed. by L. Di Blasi and M. Jongen, Turia+Kant: Wien 2011, 110 p. 13a. La razón al poder, Pre-textos: Valencia 2014, 114 p. (=Spanish translation of 13) 14.The Idea of a Catholic Institute for Advanced Study, ed. by V.Hösle and D.L. Stelluto (Notre Dame 2010), 137 p. 15. Die Rangordnung der drei griechischen Tragiker. Ein Problem aus der Geschichte der Ästhetik als Lackmustest ästhetischer Theorien, Schwabe: Basel 2009 (= Jacob Burckhardt-Gespräche auf Castelen 24), 121 p. 16.Der philosophische Dialog. Eine Poetik und Hermeneutik, C. H. Beck Verlag, München 2006, 494 p. 16a. The Philosophical Dialogue, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2012, XX + 500 p. (=English translation of 16) 16b. Korean translation of 16, appears Eco livres: Seoul 2018 2-VH  8/9/17 17. Darwinism and Philosophy, ed. by V. Hösle and Ch.Illies, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2005, 392 p. 18.Platon interpretieren, Ferdinand Schöningh: Paderborn 2004, 165 p. (contains papers 56, 81, 87, 153, 155) 18a. Interpretare Platone, Guerini e Associati: Milano 2007, 228 p. (=Italian translation of papers 56, 69, 72, 81, 87) 18b. Interpretar Platão, Edições Loyola: São Paulo 2008, 243 p. 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R.Llull, Lo desconhort/Der Desconhort, auf Grundlage der Ausgabe von J.Romeu i Figueras und einschließlich der Varianten der Ausgabe von A.Pagès übersetzt und 3-VH  8/9/17 mit einer Einleitung versehen von J. und V.Hösle, Wilhelm Fink Verlag: München 1998 (=Klassische Texte des Romanischen Mittelalters in zweisprachigen Ausgaben), 128 p. 28.Objective Idealism, Ethics and Politics, University of Notre Dame Press: Notre Dame 1998 (paperback)/ St. Augustine’s Press: South Bend 1998 (cloth), VIII+227 p. (contains papers 103, 110, 114, 115, 116, 123, 132, 136, 140, 141) 29.Moral und Politik. Grundlagen einer Politischen Ethik für das 21. Jahrhundert, C.H.Beck Verlag: München 1997, special edition 2000, 1216 p. 29a. Morals and Politics, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2004 (=English translation of 29), XXI + 991 p. 29b. Об отношении морали и политики, in: ΠΟΛΙΣ Nr. 4/2013, 45-61 and Nr. 6/2013, 145-159 (=Russian translation of the second chapter of 26) 29c. 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I fondamenti dell’aritmetica e della geometria in Platone, Introduzione di G.Reale, Vita e pensiero: Milano 1994 (=Pubblicazioni del centro di ricerche di metafisica), 160 p. (=enlarged Italian translation of the papers 153 and 155) 35. Гении фнлософии нового времени, Nauka: Moskau 1992, 21995, 224 p. 36. Praktische Philosophie in der modernen Welt, C.H.Beck Verlag: München 1992, 21995 (=Beck’sche Reihe 482), 216 p. (contains papers 118, 123, 124, 127, 130, 132, 140) 36a. El tercer mundo como problema filosófico y otros ensayos, CEJA: Bogotá 2003, 141 p. (=Spanish translation of papers 75, 123, 127, 132 as well as a Spanish interview) 36b. Практична філософія в сучасному світі, Libra: Kiev 2003, 247 p. (=Ukrainian 4-VH  translation of 36) 37. Philosophie der ökologischen Krise. Moskauer Vorträge, C.H.Beck Verlag: München 1991, 21994 (=Beck’sche Reihe 432), 155 p. 37a. Filosofia della crisi ecologica, Giulio Einaudi editore: Torino 1992 (=Einaudi Contemporanea 11), 171 p. 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Los fundamentos histórico-espirituales de la crisi ecológica, in: Eikasia 75 (Agosto 2017), (online) (=Spanish translation of the second chapter of 37) 38. Hegel e la fondazione dell’idealismo oggettivo, Guerini e Associati: Milano 1991 (=Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Hegeliana 1), 208 p. (=Italian translation of the paper 141 as well as Italian lectures on the basis of “Hegels System”) 38a. L’idealisme objectif, Les editions du cerf: Paris 2001, 124 p. (=French translation of paper 141) 38b. Geggoanchok goannyomrongoa gugungochisgi, Eco lives : Seoul 2005, 119 p. (=Korean translation of paper 141) 39. Die Krise der Gegenwart und die Verantwortung der Philosophie. Transzendentalpragmatik, Letztbegründung, Ethik, C.H.Beck Verlag: München 1990, 21994 (=Ethik im technischen Zeitalter 1), 31997 (=Beck’sche Reihe 1174), 287 p. 39a. La crise du présent et la résponsabilité de la philosophie, Théétète editions: Nîmes 2004, 302 p. (=French translation of 39) 39b. Tagadnes krîze un filozofijas atbildîba, LU: Riga 2011, 364 p. (=Latvian translation of 39) 39c. Hyondeui uigiwa cholhagui chaegim (=Korean translation of 39), b Books: Seoul 2014, 400 p. 40. La legittimità del politico, Guerini e Associati: Milano 1990 (=Istituto Italiano per gli 5-VH 8/9/17  8/9/17 Studi Filosofici. Saggi 7), 87 p. (=Italian translation of the papers 136 and 143) 41.Giambattista Vico, Prinzipien einer neuen Wissenschaft über die gemeinsame Natur der Völker, übs. von V.Hösle und Ch.Jermann und mit Textverweisen von Ch.Jermann, mit einer Einleitung „Vico und die Idee der Kulturwissenschaft“ von V.Hösle (p. XXXI-CCXCIII), Felix Meiner Verlag: Hamburg 1990 (=Philosophische Bibliothek 418a/b), 2 Bde., CCXCIII+628 p. 41a. Introduzione a Vico. La scienza del mondo intersoggettivo, Guerini e Associati: Milano 1997 (=Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Saggi 28), 252 p. (=Italian translation of the introduction to 41) 41b. Vico’s New Science of the Intersubjective World, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2016, XVI + 266 p. (=enlarged English translation of the introduction to 41) 42. Die Rechtsphilosophie des deutschen Idealismus, in Verbindung mit dem Istituto Italiano per gli Studi Filosofici hg. von V.Hösle, Felix Meiner Verlag: Hamburg 1989 (=Schriften zur Transzendentalphilosophie 9), 163 p. 43. Hegels System. Der Idealismus der Subjektivität und das Problem der Intersubjektivität, 2 Bde., Felix Meiner Verlag: Hamburg 1987, Studienausgabe 1988, 21998 (with license edition Wissenschaftliche Buchgesellschaft Darmstadt), XLII+709 p. 43a.Il concetto di filosofia della religione in Hegel, La Scuola di Pitagora: Napoli 2006, 128 S. (=Italian lectures on the basis of Ch. 8.2. of 43); Il sistema di Hegel, La Scuola di Pitagora: Napoli 2012, 822 p. (=Italian translation of 43) 43b.O sistema de Hegel. O idealismo da subjetividade e o problema da intersubjetividade, Edições Loyola: São Paulo 2007, 802 p. (=Portuguese translation of 43) 43c. Iesulun chinchongchōngonul gōhessnunga?, in: Iesului chūkumgōa būhōal, ed. by M.Kim und D.Kūon, Seoul 2004, 173-238 (=Korean translation of Ch. 8.1. of 43); Hegelui chaegae, Vol. 1, Hangilsa: Seoul 2007 (=Hangil Great Books 88), 587 p. (=Korean translation of Ch. 1-4 of 43); Vol. 2 in preparation 44. Raimundus Lullus, Die neue Logik. Logica Nova, textkritisch hg. von Ch.Lohr, übs. von V.Hösle und W.Büchel, mit einer Einführung von V.Hösle (p IX-LXXXII, LXXXVII-XCIV), Felix Meiner Verlag: Hamburg 1985 (=Philosophische Bibliothek 379), XCIV+317 p. 45. Die Vollendung der Tragödie im Spätwerk des Sophokles. Ästhetisch-historische Bemerkungen zur Struktur der attischen Tragödie, Frommann-Holzboog: Stuttgart- Bad Cannstatt 1984 (=problemata 105), 181 p. 45a. Il compimento della tragedia nell’opera tarda di Sofocle. Osservazioni storico- estetiche sulla struttura della tragedia attica, Bibliopolis: Napoli 1986 (=Memorie dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici 16), 216 p. (=Italian translation of 45) 46.Wahrheit und Geschichte. Studien zur Struktur der Philosophiegeschichte unter 6-VH  8/9/17 paradigmatischer Analyse der Entwicklung von Parmenides bis Platon, Frommann-Holzboog: Stuttgart-Bad Cannstatt 1984 (=Elea 1), 774 p. 46a. Verità e storia. Studi sulla struttura della storia della filosofia sulla base di un’analisi paradigmatica dell’evoluzione da Parmenide a Platone, Guerini e Associati: Milano 1998 (=Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Hegeliana 24), 484 p. (=Italian translation of 46, however, according to my desire, without part 3 and with paper 120) Books for a broader public 1. Mein Onkel, der Latinist und Weltrevolutionär. Ein Nachruf auf Mario Geymonat, Allitera: München 2013, 88 p. 2. Nora K./V.Hösle: Das Café der toten Philosophen. Ein philosophischer Briefwechsel für Kinder und Erwachsene, C.H.Beck Verlag: München 1996, 21996, 31997, Special edition 1998, 22001 (=Beck’sche Reihe 4017; 1448), 256 p. 2a. Het meisje en de filosoof, Bert Bakker: Amsterdam 1997, Ooievaar: Amsterdam 1998, 221 p. (=Dutch translation of 2) 2b. Cholhagi algosipojo, Munhak Sasang: Seoul 1997, 21998, 300 p. (=Korean translation of 2); Chugin Cholhakchadurui khaphe, Woongjin: Seoul 2007, 320 p. (=revised Korean translation of 2) 2c. O Café dos Filósofos Mortos, Círculo de Leitores: Lisboa 1997, Temas e Debates: Lisboa 1997, 232 p. (=Portuguese translation of 2) 2d. El Café de los filósofos muertos, Grupo Anaya: Madrid 1997, 21998, 31999, 42001, 269 p. (=Spanish translation of 2) 2e. El Café dels filósofs morts, Editorial Barcanova: Barcelona 1997, 267 p. (=Catalan translation of 2) 2f. Aristotele e il dinosauro, Einaudi: Torino 1999, 225 p. (=Italian translation of 2) 2g. ..., Kawade Shobo Sinsha: Tokyo 1999, 267 p. (=Japanese translation of 2) 2h. The Dead Philosopher’s Café, University of Notre Dame Press: Notre Dame 2000, 166 p. (=English translation of 2) 2i. Ölü filozoflar kahvesi, Arion Yayinevi: Istanbul 2000, 224 p. (=Turkish translation of 2) 2j. ..., Athena Press: Taipeh 2001, 22001, 312 p. (=Taiwanese translation of 2) 2k. O Café dos Filosofos Mortos, Editora Angra: São Paulo 2001, 268 p. (=Brazilian- Portuguese translation of 2) 2l. ..., Shanghai Bertelsmann: Shanghai 2001, 302 p. (=Chinese translation of 2) 2m. Das Café der toten Philosophen. Minum kopi bersama Arwah Para Filosof dari Sokrates hongga al-Ghazali, Tannenbaum: Bekasi 2007, 278 p. (=Indonesian translation of 2) 2n. Mahfele filsoofane khamosh, Hermes: Teheran 1387/2008, 31392/2013, 286 7-VH  p. (=Persian translation of 2) Articles 1. Principles of morals, 2. Neoplatonic Philosophy of Mathematics, appears in: Handbook of Neoplatonism, ed. by Ch. Wildberg, Oxford 2018 3. 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Über Selbstliebe und Anforderungen an sich selbst, in: Information Philosophie 4/2014, 8-20 as well as, under the title “Unbedingte Verpflichtung und Eudämonismus. Idealität und Realität in der  natural law, and politics in dealing with refugees, appears  in a volume edited by J. Althammer 8-VH 8/9/17  Ethik,” in: Idealismus heute, ed. by V. Hösle and F. Suarez-Müller, Wissenschaftliche Buchgesellschaft: Darmstadt 2015, 254-270. 15. How did Western culture subdivide its various forms of knowledge? Historical reflections on the metamorphoses of the tree of knowledge, in: Forms of Truth and the Unity of Knowledge, ed. by V. Hösle, Notre Dame 2014, 29-69; German translation appears in: Objektiver und absoluter Geist nach Hegel, ed. by A. Kok and T. Oehl, Leiden/Boston 2017. 16.Charismatiker, Genie, Prophet und dynamischer Unternehmer. Zum inneren Zusammenhang der Elemente einer Begriffsfamilie, in: Scheidewege 43 (2013/14), 388-403 17. Philosophie als Beruf, in: Vereinigung der Schweizerischen Hochschuldozierenden Bulletin 39 (3/4), November 2013, 21-28 18. The Search for the Orient in German Idealism, in: Zeitschrift der Deutschen Morgenländischen Gesellschaft 163 (2013), 431-454 19. Can a plausible story be told of the history of ethics? An alternative to MacIntyre’s After Virtue, in: Dimensions of Goodness, ed. by V. Hösle, Newcastle upon Tyne 2013, 113-148; Portuguese translation in: Síntese 39/125 (2012), 345-378; German translation in: Vermisste Tugend? Zur Aktualität der Philosophie Alasdair MacIntyres, ed. by M. Kühnlein and M. Lutz- Bachmann, Berlin 2015, 39-96 20. Historical evolution of aesthetic theories, in: The Many Faces of Beauty, ed. by V. Hösle, Notre Dame 2013, 277-301 21.Why does the environmental problem challenge ethics and political philosophy?, in: Selected Papers from the XXII World Congress of Philosophy, ed. by M.-H. 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The Idea of a Catholic Institute for Advanced Study, in: The Idea of a Catholic Institute for Advanced Study, ed. by V. Hösle and D.L. Stelluto (Notre Dame 2010), 9-29 29. Poetische Poetiken in der Neuzeit: Boileau, Pope, Friedrich Schlegel und Adorno, in: Zeitschrift für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft 55 (2010), 25-47 30. The European Union and the USA: Two contemporary versions of Western „empires“?, in: Transzendentale Konzepte in aktuellen Bezügen, ed. by H.-D. Klein and R. Langthaler, Würzburg 2010, 81-104 and in: Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy 14/1 (2010), 22-51; Italian translation in: Hermeneutica 2013, 279-311 31. Inwieweit ist der Geistbegriff des deutschen Idealismus ein legitimer Erbe des Pneumabegriffs des Neuen Testaments?, in: Zeitschrift für Neues Testament 25/13 (2010), 56-65; English translation in: Philotheos 11 (2011), 162-174; Italian translation in: Humanitas 67/4 (2012), 697-710 32. Poetische Poetiken in der Antike: Horaz‘ „Ars poetica“ und Pseudo-Longinos‘ Περι υψους, in: Poetica 41 (2009), 55-74 33. Soziobiologie, in: Handbuch Anthropologie. Der Mensch zwischen Natur, Kultur und Technik, ed. by E.Bohlken and Ch.Thies, Stuttgart/Weimar 2009, 242-249; English translation in: Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy 16/1 (2012), 112-128 34. Ich kann immer noch nicht anders als kompatibilistisch zu denken, in: Erwägen – Wissen – Ethik 20 (2009), 34-37 35. Inwieweit ist man dafür verantwortlich, sich über sich selbst zu informieren? Moral- und rechtsphilosophische Reflexionen im Zusammenhang mit der Aids- Pandemie, in: HIV/AIDS – Ethische Perspektiven, ed. by S. Alkier and K. Dronsch, Berlin/New York 2009, 13-35 36. Eine metaphysische Geschichte des Atheismus, in: Deutsche Zeitschrift für Philosophie 57 (2009), 319-327; English translation in: Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy 14/1 (2010), 52-65; Hungarian translation in: Mérleg 46 (2010), 216-228 37. Did the Greeks deliberately use the Golden Ratio in an Artwork? A Hermeneutical Reflection, in: La Parola del Passato 63 (2008), 415-426 38. The Lost Prodigal Son’s Corporal Works of Mercy and the Bridegroom’s Wedding. The Religious Subtext of Charles Dickens’ Great Expectations, in: 10-VH  8/9/17 Anglia 126 (2008), 477-502; enlarged German translation in: Habitus fidei – Die Überwindung der eigenen Gottlosigkeit, hg. von J. Alberg und D. Köder, Paderborn 2016, 311-339 39. Variationen, Korollarien und Gegenaphorismen zum zweiten Band der “Escolios a un texto implícito” von Nicolás Gómez Dávila, in: Kritische Theorie zur Zeit. Für Christoph Türcke zum sechzigsten Geburtstag, ed. by O.Decker and T.Grave, Springe 2008, 94-108; Italian translation in: Nicolás Gómez Dávila e la crisi dell’Occidente, ed. by F.Meroi and S. 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Ein kooperativer Kommentar zu einem Schlüsselwerk der Moderne, ed. by K.Vieweg und W.Welsch, Frankfurt 2008, 627-654 44. Der Geist als Nostalgiker des Lebens. Was verbindet und was unterscheidet Grillparzers „Sappho“ und Manns „Tonio Kröger“?, in: Zeitschrift für deutsche Philologie 127 (2008), 177-198 45. Scheitern angesichts der Umweltvergiftung. Ein Vergleich von Henrik Ibsens En Folkefiende und Wilhelm Raabes Pfisters Mühle, in: Wirkendes Wort 58 (2008), 27-51 46. De eenheid van het weten en de werkelijkheid van de universiteit, in: Nexus 50 (2008), 677-688; German original in: Scheidewege 39 (2009/10), 43-57 47. Cicero’s Plato, in: Wiener Studien 121 (2008), 145-170 48. Pre-established harmony between parental and free choice of the partners. Masked encounters in Ludvig Holberg’s Mascarade, Carlo Goldoni’s I Rusteghi, and Georg Büchner’s Leonce und Lena, in: Komparatistik 2007, 145- 163 49. Apologie der Postmoderne, in: Kritik der postmodernen Vernunft. Idealistische Perspektiven, ed. by B.Goebel and F.Suárez Müller, Darmstadt 2007, 259-268; Spanish translation in: Éticas convergentes en la encrucijada de la postmodernidad, ed. by R.Salas Astraín, Santiago/Temuco 2010, 333-346, and in: Erasmus 13/1 (2011), 102-116 50. The Idea of a Rationalistic Philosophy of Religion and Its Challenges, in: Jahrbuch für Religionsphilosophie 6 (2007), 159-181; German translation in: 11-VH  8/9/17 Wiener Jahrbuch für Philosophie 42 (2010), 33-57; Hungarian translation in: Mérleg 50 (2014), 80-107 51. Kann die Systemtheorie eine Ethik der Wissenschaft ersetzen?, in: Erwägen – Wissen – Ethik 18 (2007), 34-37 52. Die Schönheit der Geometrie, in: Ein Buch, das mein Leben verändert hat. Liber amicorum für Wolfgang Beck, ed. by D.Felken, München 2007, 204-206 53. Erste und dritte Person bei Burchell und Goethe: Theorie und Performanz im zehnten Buch von “Dichtung und Wahrheit“, in: Goethe-Jahrbuch 123 (2006), 115-134 54. 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Wie sollte eine synthetische Platondarstellung aussehen? Einige Überlegungen angesichts von Kutscheras neuer Platonmonographie, in: Philosophiegeschichte und Logische Analyse 9 (2006), 175-211 60. Erwiderung auf die Replik Franz von Kutscheras in „Philosophiegeschichte und Logische Analyse“ 9/2006 auf meine Rezension seines Platonbuches, in: Wiener Jahrbuch für Philosophie 37 (2005), 272-276 61. Religion, Religionsverlust und Erzählstrategien in einer neueren Autobiographie. Zu Johannes Hösles “Vor aller Zeit. Geschichte einer Kindheit” sowie “Und was wird jetzt? Geschichte einer Jugend”, in: Zur Sprache gebracht. Philosophische Facetten. ... Festschrift für Peter Novak, ed by. N.Leißner und R.Breuninger, Ulm 2005, 91-103 62. Psychologie des Spielers und Ethik des Va-banque-Spiels. Zu Friedrich Schillers Die Verschwörung des Fiesko zu Genua, in: Wege zur Politischen Philosophie und Politik. Festschrift für Martin Sattler, ed. by G. von Sivers und U.Diehl, Würzburg 2006, 41-64 63. 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Die grüne Lehre: Die Politik muss soziale Gerechtigkeit der Nachhaltigkeit unterordnen, in: Süddeutsche Zeitung of 16.4.2011, Nr. 89, p. 13 7. Ethik des Rücktritts, in: Rheinischer Merkur of 24.6.2010, Nr. 25, p. 9 8. Brauchen wir Eliten?, in: UNOFOLIO (Süddeutsche Zeitung) 1/2010, p. 22 9. Mysterium Mathematik. Polyglott: Zum Tode des Wissenschaftlers Imre Tóth, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of 15.5.2010, Nr. 111, p. 39 10. Rahmenbedingungen verändern Prioritäten. Ansichten eines Weltbürgers, in: Das Parlament of 16.10.2006, Nr. 42, p. 14 11.Was die koreanische Orthographiereform unserer voraushat, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of 9.9.2004, Nr. 210, p. 42 12. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für: Silvio Berlusconi, blendend schön, in: DIE ZEIT of 5.2.2003, Nr. 7, p. 50 13. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für: Nackte Studenten, in: DIE ZEIT of 18.12.2003, Nr.52, p.54 14. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für: Norbert Blüm, Rentner und Philosoph, in: DIE ZEIT of 23.10.2003, Nr. 44, p.50 15. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen. Diesmal für: Paul Wolfowitz, plaudernder Stratege, in: DIE ZEIT of 12.6.2003, Nr. 25, p.48 16. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Wahlbetrugsuntersucher, in: DIE ZEIT of 6.2.2003, Nr. 7, p.48 17. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal für Ludwig Stiegler, 22-VH 8/9/17  Deutsche Sozialdemokraten, in: DIE ZEIT of 12.12.2002, Nr. 51, p. 56 18. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal für: UN-Delegierte, zwischen Austern und Austerität, in: DIE ZEIT of 5.9.2002, Nr. 37, p.56 19. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal für: Grüne Pazifisten, Entscheidungsträger, in: DIE ZEIT of 22.11.2001, Nr. 48, p.56 20. Der Ethikrat. Philosophische Hilfestellungen Diesmal fur: Rudolf Scharping und seine Kritiker, in: DIE ZEIT of 30.8.2001, Nr.36, p. 44 21. Die Irrtümer der Denker, in: DER SPIEGEL of 16.7.2001, Nr. 29, p. 136-139; reprinted in: SPIEGEL SPECIAL 1/2001: Die Gegenwart der Vergangenheit, 139- 141 22. Heilung um jeden Preis? Wer einem Kleinkind Grundrechte zuspricht, kann sie einem Embryo nicht nehmen, in: DIE ZEIT of 1.3.2001, Nr. 10, p. 36; reprinted in: ZEIT dokument 1/2002, 92-95 23. Wenn Berlin Berlin bleibt, muss Deutschland Deutschland bleiben. Eine philosophische Analyse des Wahlspruchs der SPD, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of 11.9.1999, Nr. 211, p. BS 3 24. Das Prinzip der Moral. Über die Zukunft der praktischen Philosophie, in: Basler Zeitung as well as in: Frankfurter Rundschau of 8.1.1999, Nr. 6, p. 10 25. Ist er nun zu Hause oder nicht? Die Moderne atmet auf: Koreas Philosophen holen den Weltgeist an seinen Ursprung zurück, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of 19.7.1995, Nr. 165, p. N6 26. Zu Tode geheuchelt. Auf dem Weg zur Reue - Eine Tagung fragt nach den sowjetischen Lektionen, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of 7.10.1992, Nr. 233, p. N5; English translation in: Religion, State and Society 21 (1993), 363-365 27.Verzweifelte Suche nach Sinn. Einblicke in die sowjetische Philosophie der Gegenwart, in: Frankfurter Allgemeine Zeitung of 28.11.1990, Nr. 277, p. N4 28. Einstein filosofo, in: L’altra Campania V/Juni-Juli 1989, 16- 17 IntInterviews and Contributions to Discussions 1. Weil wir zur Wahrheit fähig sind. Ein Gespräch mit Ulf von Rauchhaupt, in: Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung vom 29.1.2017, Nr. 4, 60-61 2. Metafisica, luogo delle temporalità e in temporalità. Intervista a Vittorio Hösle, in: Exagere 1 (2016) (online) 3. Colloquio con Vittoro Hösle, in: L’Espresso 35 (LXII) of 28.8.2016, 72-74 23-VH 8/9/17  8/9/17 4. Interview in Chinese journal Legal and Political Philosophy Review 2016, 149-159 5. L’etica ambientale e la Laudato sì di papa Francesco.Intervista con Vittorio Hösle, in: Munera 3/2015, 29-35 6. Interview, in: Wenhui 2015/4/3, 6-7 7. A propósito de „la moral de la política“, in: Postconvencionales: Ética, Universidad, Democracia 7-8 (2014), 182-196 (online) 8. Die hohe Kunst des Verstehens. Interview, in: Die Furche 9 of 27.2.2014, 18-19 9. Interview, in: Cogito 3 (1/2014), 28-33 10. Ich freue mich über päpstliche Nähe (interview), in: Die Tagespost of 24.10.2013, Nr. 128, p. 9 11. Wenn die Moral Hobbes geht, in: The European of 4/18/2013 (online) 12. Respecting Posterity, in: Notre Dame Magazine 41/4 (2012-13), 21-22 13. Zur Lage der Philosophie, in: Zeitschrift für Ideengeschichte VI/2 (2012), 58-72 14. Der Kapitalismus ist alternativlos (interview), in: The European of 11/17/2011 (online) 15. Interview, in: Shanghai review of Books of 7/17/2011, 2; longer version in: Duli Yuedu 9/2011, 48-58 (online) 16. Die ökologische Krise der Gegenwart und die Philosophie, in: Denkanstöße. Dossier of 12/20/2010 (online) 17. Interests, values, and recognition as different dimensions in the efforts on nuclear disarmament and non-proliferation, in: Nuclear Disarmament, Non-Proliferation, and Development, Vatican City 2010, 195-204 (with Discussion, 205-215) 18. Introducing ... Vittorio Hösle, in: Symposium. Canadian Journal of Continental Philosophy 14/1 (2010), 3-21 19. Ein Gespräch mit Sven Drühl, in: Kunstforum 190/2008, 42-48 20. Platon heute, in: zur debatte 38/3 (2008), 27-30 21. The Idea of Justice and the Global Marshall Plan, in: Towards a World in Balance, Hamburg 2006, 115-118 22. Intervista a Vittorio Hösle, in: Phronesis 7/2006, 103-116 (online) 23. Wie klug sind die Grünen?, in: Grün. Lob und andere Wahrheiten, ed. by M. Grammatikopoulos, R. Hoogvliet, Berlin 2005, 114-117 24. (My answers), in: 100 Et’udov o Kante, Istoriko-Filosofsky Almanach 2005, 46, 81, 24-VH  110 25. Den objektiva moralen är förnuftig. Intervju in: Axess 3 (2004), 25-27 26. Was ist Kultur?, in: think on. Das Magazin der ALTANA AG 1 (2002), 12-19; English translation in: think on. The Magazine of ALTANA AG 1 (2002), 12-19 27. Zehn Thesen zur Universitätspolitik, in: Generationenvertrag in der Wissensgesellschaft, ed. by O.Franz, Köln 2001, 15-17 28. Größe nicht gleich Sicherheit, in: FAZ.NET of 17.9.2001(online) 29. Anima & corpo. Conversazione di Vittorio Hosle con Hans Jonas, in: Ragion pratica 15/2000, 53-64 30. Wider den Tod der Moral, in: Ethik-Letter LayReport 6/2 (2000), 2-4 31. (My answer), in: Quo vadis, Philosophie? Antworten der Philosophen. Dokumentation einer Weltumfrage, ed. by R.Fornet-Betancourt, Aachen 1999, 151-152 32. Zehn Thesen zum Sinn der Arbeit, in: Vom Sinn der Arbeit, ed. by O.Franz, Köln 1999, 11-13 33. Gesundheit und Krankheit: Elementare Begriffe mit großen praktischen Konsequenzen - Ein Kommentar zu Bernard Gert, in: Zukunftsentwürfe, ed. by J.Rüsen, H.Leitgeb, N.Jegelka, Frankfurt/New York 1999, 270-274 34. Thesen zum neuen Grundsatzprogramm für BÜNDNIS 90 / DIE GRÜNEN, in: Zur Politik zurück, ed. by BÜNDNIS 90 / DIE GRÜNEN, Berlin 1999, 33-35 35. Versuch einer politischen Ethik des 21. Jahrhunderts - Wem ist die Regierung verpflichtet?, in: VISIONEN 2000. Einhundert persönliche Zukunftsentwürfe, ed. by Brockhaus-Redaktion, Leipzig/Mannheim 1999, 372-375 36. Keine Kriegserklärung, in: Was die Republik bewegte, ed. by B.Hoffmeister/U.Naumann, Reinbek bei Hamburg 1999, 80-81 37. Mensenrechten: objectief idealisme. Interview met vooruitgangsdenker Vittorio Hösle, in: Filosofie Magazine 7/10 (1998/1999), 36-41 38. Optimist voor de tweeëntwintigste eeuw. Een interview met Vittorio Hösle, in: Krisis 73 (winter 1998), 38-48 39. „Das Café der toten Philosophen“. Interview mit Nora K. und Vittorio Hösle, in: Ethik & Unterricht 3/98, 25-27 40. Podiumsdiskussion „Kultureller Wandel durch Wissen - Ethik und Werte“, in: Zukunft Deutschlands in der Wissensgesellschaft, ed. by bmb+f, Bonn 1998, 92- 120 41.Podiumsdiskussion „Die Tatsache der „Globalisierung“ und die Aufgabe der 25-VH 8/9/17  8/9/17 Philosophie“ zwischen K.-O.Apel, V.Hösle, R.Simon- Schaefer, in: K.- O.Apel/V.Hösle/R.Simon-Schaefer, Globalisierung, Bamberg 1998, 75-122 42. Interview in: Munhak Sasang 2 (1998), 266-277 43. Norwegische Philosophie, in: Aletheia 11/12 (1997), 75-77 as well as in: Information Philosophie 1 (1998), 90-92 44. SPIEGEL-Gespräch „Wir brauchen moralische Energie“, in: DER SPIEGEL Nr. 46/10.11.97, 247-252 45. Podiumsdiskussion, in: Grenzen-los?, ed. by E.U. von Weizsäcker, Berlin/Basel/Boston 1997, 376-400 (mein Text: 376- 380, 388-390, 396-397) 46. Letzte Gewißheit. Fundamentalismus in der Philosophie. Eine Diskussion zwischen H.Brunkhorst, V.Hösle und Th.Kesselring, moderiert von G.B.Achenbach, in: Philosophie heute, ed. vy U.Boehm, Frankfurt 1997, 33-51 47. Three Interviews with Paul K.Feyerabend (together with R.Parascandolo), in: Telos 102 (1995), 115-148 48. Interview in: Science, Philosophy and Culture 13 (1995), 134-144 49. Interview in: Munhak Sasang 5 (1995), 255-287 50. Podiumsdiskussion: Wieviel Gentechnik, Tierexperimente, Umweltschutz brauchen wir?, in: Forschung in Chemie, Biochemie und Molekularer Medizin - Zukunftschancen oder Verzicht, ed. by Gesellschaft Deutscher Chemiker und Gesellschaft für Biologische Chemie, Frankfurt 1994, 37-56 (my text: 46-48, 55-56) 51. Absoljutnyi racionalism i sovremennyi krizis, in: Voprosy filosofii 11 (1990), 107- 113 52. E giusta la ricerca sugli embrioni? Un’intervista a V.Hösle, in: Figli della scienza, a cura di V.Lanfranchi e S.Favi, introduzioni di G.Berlinguer e L.Violante, Roma 1988, 189-194 PrPrefaces to the Works of Other Persons 1. Preface to: Maxim Kantor, Das neue Bestiarium/Le nouveau bestiaire, Köln 2016, 14-17 and 168-170 (German, French, and English) 2. Postscript to: Ludwig Steinherr, Flüstergalerie, München 2013, 131-137 3. Preface to: Ludwig Steinherr, Das Mädchen Der Maler Ich, München 2012, 5-10 4. Preface to: Maxim Kantor, Saint Petersburg 2012, 39-45 5. Preface to: I.Tóth, Fragmente und Spuren nichteuklidischer Geometrie bei 26-VH  Aristoteles, Berlin 2010, XVII-XXIV 6. Preface to: J.Hösle, Al bivio.Gli anni milanesi, Milano 2009, 9-12 7. Preface to: D.Wandschneider, Naturphilosophie, Bamberg 2008, 7-8 8. Überlegungen zur Reihe „Faszination Philosophie“, in: W.V.O.Quine, Philosophie der Logik, Bamberg 2005, 3-9 9. Preface to: G.Scherer, Philosophische Anthropologie, Bamberg 2005, 5-7 10. Preface to: F.Suárez Müller, Skepsis und Geschichte. Das Werk Michel Foucaults im Lichte des absoluten Idealismus, Würzburg 2004, 15-17 11. Postscript to: M.Kantor, New Empire, Bramsche 2004, 97-100; English translation, 111-113; French translation, 124-127; Russian translation, 141-144 12. Preface to: D.Wandschneider, Philosophie der Technik, Bamberg 2004, 7-9 13. Preface to: P.L.Oesterreich, Philosophie der Rhetorik, Bamberg 2003, 7-10 14. Preface to: G.Münnix, Anderwelten, Weinheim 2001, 9-10 15. Postscript to: M.Kantor. Ödland. Atlas, Ostfildern-Ruit 2001, 145-148, English translation, M. Kantor, Atlas, Ostfildern-Ruit 2001, 145-148 16. Preface to: A.Weston, Einladung zu ethischem Denken, Freiburg 1999, 9-16 (and 124-126) 17. Preface to: D.Nikulin, Wissenschaft und Ethik, München 1996, 7-9 18. Preface to: G. Stelli, La ricerca del fondamento, Milano 1995, 13-15 Dissertations, books, and articles dealing with my work (selection) 1. Mattia Coser, Macht und Moral im Ausgang von Vittorio Hösle, in: Disputatio philosophica. International Journal on Philosophy and Religion 1/1 (2017), 73-83 2. Michael Hackl, An den Grenzen von G. W. F. Hegels System. Die ökologische Bedrohung im Anschluss an C. L. Michelet, K. Rosenkranz und V. Hösle, in: Hegel-Jahrbuch 2015, 397-404 3. Dalja Matijević, Hösleovo povećalo: Modeliranje ekološke budućnosti ljudskoga društva, in: Društvena Istraživanja 24 (2015), 111-131 4. Mathias Schneider, Vittorio Hösles Umweltphilosophie im Kontext der Nachhaltigkeitsidee, Berlin 2015 (dissertation Freiburg 2014) 5. Charlotte Luyckx, Crise cosmologique et crise des valeurs: la réponse höslienne 27-VH 8/9/17  8/9/17 au double défi de la philosophie de l’écologie, in: Klesis – revue philosophique 25 (2013), 144-175 6. Ernst-Otto Onnasch, Vittorio Hösle, in: De nieuwe Duitse filosofie, ed. by R. Celikates et al., Amsterdam 2013, 516-522 7. DavidEngels,VittorioHöslesEinschätzungderVoreleatenalsVorlaufzum klassischen Zyklus griechischer Philosophie. Überlegungen zu einer kritischen Neubewertung, in: Revue de philosophie ancienne XXIX/2 (2011), 5-39 8. Wellistony C. Viana, Das “Prinzip Verantwortung” von Hans Jonas aus der Perspektive des objektiven Idealismus der Intersubjektivität von Vittorio Hösle, Würzburg 2010 (dissertation Munich 2010) 9. LuisCarlosSilvadeSousa,Ametafísicaenquantoteoriatranscendentalabsoluta em Joseph Maréchal e Vittorio Hösle, in: Síntese 33/107 (2006), 393-412 10. Manfredo Araujo de Oliveira, Filosofia política enquanto teoria normativo-material das instituições em Vittorio Hösle, in: Filosofia política contemporânea, ed, by M. A. De Oliveira et al., Petrópolis 2003, 333-363 11.Erling Skjei, Kritikk av den sistebegrunnende fornuft: et forsøk på å tolke og å vurdere Descartes’, Apels of Hösles gjendrivelser av skeptisismen, dissertation Trondheim 2003 12.Bernd Goebel/Manfred Wetzel (Eds.), Eine moralische Politik? Vittorio Hösles Politische Ethik in der Diskussion, Würzburg 2001 13. Manfredo Araujo de Oliveira, Ética intencionalista-teleológica em Vittorio Hösle, in: Correntes fundamentais da ética contemporânea, ed. by M. A. De Oliveira, Rio de Janeiro 2000, 235-255 14. Alexander Klier, Umweltethik: wider die ökologische Krise. Ein kritischer Vergleich der Positionen von Vittorio Hösle und Hans Jonas, Marburg 2000 15. Jürgen Sikora, Mit-Verantwortung: Hans Jonas, Vittorio Hösle und die Grundlagen normativer Pädagogik, Eitorf 1999 16.Gertrude Hirsch-Hadorn, Umwelt, Natur und Moral: eine Kritik an Hans Jonas, Vittorio Hösle und Georg Picht, Freiburg/Munich 1998 (habilitationsschrift Konstanz 1998) 17. Annette von Werder, Philosophie und Geschichte: das historische Selbstverständnis des objektiven Idealismus bei Hegel und bei Hösle, dissertation Aachen 1993 18. Неллн B. Moтрoшилова, Bитторио Хёсле: наброски к философскому портрету, in: Bитторио Хёсле, Генин философии нового времени, Moskau 1992, 172-218 19.Sergio Dellavalle, Soggetto morale o sostanza etica. Riflessioni sui recenti contributi di Vittorio Hösle alla fondazione di un’etica della società tecnologica e del 28-VH  rischio ecologico, in: Teoria politica VII/3 (1991), 99–117 Documentary films about myself 1. HansSteinbichler,DerMoralist–VittorioHösleentdecktAmerika,2003(BR) 2. UlrichBoehm,“EinganzgewöhnlichesGenie.”JungphilosophVittorioHösle,1988 (WDR) Papers 1. “On the conection between form and content in the philosophical dialogue” (at the 2. “On the Neoplatonic Philosophy of Novum in Frascati in April 2017) 3. “The study of language as tool of the reconstruction of values. Paul Thieme’s linguistic methododology and implicit philosophy of language” (at the conference “ 4. “Principles of morals, natural law, and politics in dealing with refugees” (at the conference “Solidarity in global societies” in Munich in October 2016; repeated at the Plenary Session of the Pontifical Academy of the Social Sciences in April/May 2017) 5. “How much is the interpreter of an artwork bound by the author’s intentions?” (at the 20th International Congress of Aesthetics in Seoul in July 2016) 6. “The Special Nature of the Soviet Revolution: An Evaluation from the Point of View of the Philosophy of History” (at the Max Planck Institute for Comparative Public Law and International Law and at the University of Passau in May 2016; repeated at the University of Bamberg in February 2017) 7. “Objective idealism as an alternative to both naturalism and constructivism” (at the University of Heidelberg in June 2015) 8. Five lectures on “Morals and Politics” (at Fudan university in Shanghai in December 2014) 9. “Vocation between self-love and demands regarding oneself” (at the Meckatzer Philosophy Award ceremony in Bad Hindelang in May 2014) 10. “What are and why does one study humanities?” (at the conference “Humanities” in Vienna in February 2014, repeated at the Gadamer conference in Santiago de Chile in April 2015, at the Istituto Italiano per gli Studi Filosofici in Naples (in the following: IISFN) in April 2015, and at the Albertus Magnus Forum in Regensburg in February 2016) 11. “Order and disorder in intercultural dialogue “ (at the conference “Order and Disorder in the Age of Globalization(s)” in Johannesburg in November 2013, repeated at the Goethe Institute Munich in April 2014) 12. “On the relation between Dante’s Commedia and Goethe’s Faust” (at the conference “Philosophia transalpina” at the University of Munich in August 2013) Academy Vivarium Novum in Frascati in April 2017) 8/9/17   Mathematics” (at the Academy Vivarium   “Indology Nowadays: A Winter School on the Legacy of Paul  Thieme” at the university Tübingen in February 2017) 29-VH  8/9/17 13. “What remains of Hegel’s theory of the social world?” (at the University of Jena in May 2012) 14. “How did 20th century philosophy contribute to the current crisis?” (at the conference “Volcano” at the University of Oxford in May 2012) 15. “How did Western culture subdivide its various forms of knowledge? Historical reflections on the metamorphoses of the tree of knowledge” (at the conference “Conceptions of Truth and the Unity of Knowledge” at the University of Notre Dame in April 2012) 16. “Reductionisms in hermeneutics” (at the workshop “Knowledge and Meaning in Literature” at the University of Regensburg in June 2011; repeated at the University of Vienna in July 2011, at Purdue University in October 2012, at Duke University in March 2014, at the University of Nebraska in Omaha in March 2015) 17. “Innovation and creative destruction” (at the Heidelberg conference “Genius and Charisma” in June 2011) 18. “Can a plausible story be told of the history of ethics? An alternative to MacIntyre’s After Virtue“ (at the conference “Dimensions of Goodness” at the University of Notre Dame in April 2011) 19. “Sociobiology” (at King’s University College in London, Ontario in February 2011) 20. “Ethics and Economics, or How Much Egoism Does Modern Capitalism Need? Machiavelli’s, Mandeville’s, and Malthus’s New Insight and Its Challenge” (in the XVI Plenary Session of the Pontifical Academy of Social Sciences in May 2010; repeated at the University of Regensburg in July 2011, at the Lumen Christi Institute at the University of Chicago in May 2012, at Michigan State University in January 2013, at the University of Munich in July 2013, at Yale University in November 2013, at Ulm University in May 2015) 21. “In which sense is the concept of spirit of German Idealism a legitimate successor of the concept of pneuma of the New Testament?” (at the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover in March 2010) 22. “Interests, values, and recognition as different dimensions in the efforts on nuclear disarmament and non-proliferation” (at the conference “Nuclear disarmament, non- proliferation, and development” in the Vatican in February 2010) 23. “What are the main steps in the historical evolution of aesthetic theories from ancient civilizations to the present and the driving forces behind this evolution?” (at the conference “Beauty” at the University of Notre Dame in January 2010) 24. “A metaphysical history of atheism” (at the University Bamberg in April 2009) 25. “On the rank order of the three Greek tragedians” (at the University of Jena in April 2009; repeated in Castelen near Basel in April 2009) 26. “Why teleological principles are inevitable for reason” (at the Evolution Conference of the Gregoriana in Rome in March 2009; repeated at the University of Vienna in February 2010, at Duke University in March 2014) 27. “The USA and the European Union as two modern forms of empire” (at the University of Bielefeld in February 2009; repeated at the University of Notre Dame 30-VH  in March 2009 and at the University of Uppsala in May 2009) 28. “Why does the environmental problem challenge ethics and political philosophy?” (at the World Conference for Philosophy in Seoul in August 2008) 29. “On the philosophy of history of the philosophy of history” (at the conference “Pneumatologia politica” in Trento in May 2008) 30. “Did Goethe influence Dickens?” (at Cambridge University in May 2008) 31. “Why do we laugh?” (at the Casa Rosmini in Rovereto in April 2008) 32. “Ethics and dialogue” (at the University of Urbino in April 2008) 33. “Childhood and philosophy” (at the Casa Rosmini in Rovereto in April 2008) 34. “The Idea of a Rationalist Philosophy of Religion” (at the Catholic Academy Berlin in March 2008; repeated at the University of Trento in May 2008, at the Antonianum in Rome in June 2008 and at the Divinity School of Yale University in November 2013) 35.“Expectations and Grace. On Charles Dickens’ Great Expectations” (at the Catholic Academy Berlin in March 2008) 36. “Gómez Dávila” (at the Karl-Rahner-Akademie in Köln in March 2008) 37. “Plato today” (at the Catholic Academy in Munich in February 2008) 38. “Dickens as a critic of Goethe?” (at the University of Bamberg in May 2007) 39. “Religion of art, self-mythicization and the function of the church year in Goethe’s Italienische Reise” (at the Theologische Fakultät Fulda in Mai 2007) 40.“Pre-established harmony between parental and free choice of the partners. Masked encounters in Ludvig Holberg’s Mascarade, Carlo Goldoni’s I Rusteghi, and Georg Büchner’s Leonce und Lena” (at the Goldoni conference of Saint Mary’s College and the University of Notre Dame in April 2007) 41. “Cicero’s Plato” (at the Cicero conference of the University of Notre Dame in October 2006; repeated at the MPSA in Chicago in April 2007) 42. “Politics of science and of immigration in the USA” (at the DAI Heidelberg in April 2006) 43. “Space and Time of the philosophical dialogue” (at the Theological Faculty Fulda in May 2005) 44. “On the forms of the philosophical dialogue” (at the University of Bamberg in May 2005; repeated at the University of Beijing in January 2015) 45. “On the history of the philosophical dialogue” (at the University of Halle in May 2005) 31-VH 8/9/17  8/9/17 46.“The role of the classics in education” (for the 500-year-anniversary of the Allbertus-Magnus-Gymnasiums in Regensburg in May 2005) 47. “Friedrich Schiller’s “The Conspiracy of Fiasco in Genua”” (at the University of Wisconsin in April 2005; repeated at the University of Bielefeld in February 2009) 48. “What can one learn from Hegel’s objective-idealist doctrine of the concept?” (at the University of Munich in January 2005, repeated at the University Valencia in April 2016) 49. “What are philosophical dialogues, and why do people write them?” (at the Institute for Advanced Study in December 2004; repeated at the University of Rome in June 2007) 50. “A form of self-transcendence of philosophical dialogues in Cicero and Plato” (at the New School University in October 2004) 51. “Intersubjectivity and subjectivity in Hegel” (at the University of Venice in April 2004) 52. Four lectures on “Interpreting Plato” at the IISFN in March 2004 53. “Plato’s Protrepticus” (at the Scuola di Heidelberg of the IISFN in March 2004) 54. “The superiority of the American university system” (at the DAI Heidelberg in March 2004) 55. “Philosophy and Its Literary Forms” (at the conference “Das Geistige und das Sinnliche in der Kunst” in Aachen in February 2004) 56. “Philosophy and its Languages. A Philosopher’s Reflections on the Rise of English as Universal Academic Language” (at Circolo Italo-Britannico in Venedig in January 2004; repeated at Ehwa University in Seoul in July 2008) 57. “Reasons, emotions and God’s presence in Anselm’s “Cur deus homo”“ (at the University of Notre Dame in November 2003) 58. “Hans Jonas’ position in the history of German philosophy” (at the Northern Institute of Technology in Hamburg in June 2003; repeated in Italian at the University of Venice in February 2004 and in German at the Evangelische Akademie Tutzing in May 2007) 59. “What can we learn from the interreligious dialogues of the Middle Ages and early Modernity?” (at the conference “Paideia and Religion” in Boston in March 2003; repeated in Italian at the IISFN in June 2003) 60. “The function of the classics in the process of education” (at the University of Vienna in December 2002) 61. “Davidson, Gadamer and the necessity of an objective-idealististic hermeneutics” (at the university of Vienna in December 2002; repeated at the Scuola di Heidelberg of the IISFN in January 2003 and at the University of Notre Dame in 32-VH  September 2005) 62. ”Globalization and US-American hegemony” (at the DAI Heidelberg in January 2003; repeated at the IISFN in June 2003, at the University of Urbino in March 2004 and in Imperia in May 2004) 63. “Platonism and Its Interpretations. The Three Paradigms and Their Place in the History of Hermeneutics” (in German at the RWTH Aachen in February 2002; repeated at the University of Heidelberg in January 2003 und in English at the conference “Eriugena, Berkeley and the Idealist Tradition” in Dublin im March 2002) 64. “Philosophy and the Interpretation of the Bible” (at Clemson University in South Carolina in February 2002; repeated at Holy Cross College, Worcester in September 2006 and at the University of Trento in April 2008) 65. “Hegel’s and Brandom’s inferentialism” (at the conference “Hegel contemporaneo” in Venice in May 2001) 66. “Platonism and Darwinism” (at the conference “The metaphysical implications of Darwinism” in Notre Dame in March 2001; repeated at the University of Vienna in April 2009) 67. "Is There Progress in the History of Philosophy?" (at the conference on "Hegel’s History of Philosophy" in New York in October 2000) 68. "Why Do We Laugh at and with Woody Allen?” (at New York University in October 2000; repeated at Ohio University in Athens in April 2002) 69. "Interpreting Philosophical Dialogues" (at the conference on Hermeneutics as Basic Discipline" at Notre Dame in September 2000; repeated at the New School for Social Research in October 2000) 70. "On the relation between metaphysics of life and general metaphysics. Reflections on Schopenhauer" (at the conference on metaphysics in Hildesheim in June 2000) 71. "The environmental problem in the twenty-first century" (at the lecture series "Gedanken zur Nachhaltigkeit" of the Forschungsinstitut für Philosophie in May 2000; repeated at the Casa Rosmini in Rovereto in April 2008 and at the university of Louvaine in May 2016) 72. "Llulls “Desconhort”" (at the University of Regensburg in December 1998; repeated at the Medieval Conference in Kalamazoo in May 2000) 73. ."On the philosophy of history of the social sciences" (at the University of Essen in October 1998; repeated at the University of Regensburg in February 1999) 74. "What constitutes the extraordinary value of the Russian literature of the 19th century?" (at the Freie Akademie der Künste in Hamburg in October 1998) 75. "Hegel’s Esthetics" (at National Seoul University in September 1998) 33-VH 8/9/17  8/9/17 76. "Darwinism as Metaphysics" (at Sogang University in Seoul in September 1998; repeated in English at the University of Stanford in April 1999) 77. "Religion, Theology, Philosophy" (at the University of Hannover in June 1998) 78. "Present and future tasks of a moral economy" (at the University of Hannover in June 1998) 79. "Chances and dangers of talent" (at the 50 years celebration of the Evangelische Studienwerk Villigst in May 1998 in Villigst) 80. "Theodicy strategies in Leibniz, Hegel, Jonas" (in Italian at the conference on monotheism in April 1998 in Jerusalem; repeated in Hannover in October 1998) 81. "Rationalism, determinism and freedom" (at the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover in January 1998; repeated at the University of Mainz in October 1998, in English at the University of Notre Dame in March 1999) 82. "Universal ethics and natural law" (at the second conference of the Universal Ethics Project of the UNESCO in Naples in December 1997; repeated at the Bucerius Law School in Hamburg in June 2003) 83. Five lectures on "The state and its history" [at the IISFN in February 1997 in Italian] 84. "Conditions of multicultural societies and states" (at the University of Bielefeld in January 1997, repeated at the Königsteiner Forum in September 1997) 85. "Philosophical foundations of a future humanism" (in Basel in January 1997; repeated in English at the University of Notre Dame in February 1997 and at the University of Oslo in September 1997, at the Tübinger Stift in July 1997, at the University of Erfurt in October 1997 and at the University of Essen in January 1998) 86. "Politics and morality facing global challenges" (at the Hochschule für Philosophie in München in November 1996; short version during the presentation of my book "Moral und Politik" in the European Parliament in Brussels in March 1998; repeated at the University of Essen in April 1998, at the Musikhochschule Hannover in July 1998, at the Korean Hegel Society in Seoul in September 1998, at the University of Greifswald in October 1998 as well as, in English, at the American Philosophical Association in Boston in December 1999, at the University of Urbino in March 2004, at the University of Bamberg in June 2011) 87. "Who has right?" (at the Hochschule für Wirtschaft und Politik in Hamburg in November 1996) 88. "Just wars" (at the University of Hamburg in November 1996; repeated in English at Loyola University in Chicago im Februar 2003) 89. "Ethics and history" (at the University of Nijmegen in May 1996) 34-VH  90. "Hegel and Spinoza" (at the University of Tübingen in April 1996) 91. "Biological presuppositions of moral behavior of humans" (at the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover in January 1996) 92. "On the concept of cratology" (at the Kulturwissenschaftliche Institut Essen in December 1995) 93. "Rationalism, intersubjectivity and loneliness: Heraclitus, Lullus, and Nietzsche" (at the Ohio State University in October 1995) 94. "Philosophy in an age of overinformation" (at the Philosophy conference of the UNESCO in March 1995 in Paris, repeated at the Ohio State University in April 1996, at the Goethe Institute Ankara in September 1996, at the University of Leipzig in December 1996) 95. "What are presuppositions of a rational ethics?" (at the University of Essen in November 1994) 96. "Vico’s sources" (at the Naples conference in October 1994 in Bielefeld) 97. Five lectures on "Morality and politics" (at the IISFN in October 1994 in Italian) 98. "Ramón Llull’s rationalism" (in Spanish at the Lull conference in September 1994 in Trujillo; repeated in April 2002 at the University of São Paulo) 99. "On the indispensability of republican virtues" (at the European Colloquium in Regensburg in June 1994) 100. "Ought developing countries to develop? And if yes, how?" (at the University of Marburg and the University of Jena in June 1994) 101. "The intellectual background of Reiner Schürmann's Heidegger interpretation" (at the Reiner Schürmann Memorial Symposium in April 1994 in New York) 102. "Moral ends and means of global demographic policy" (at the symposium "Weltbevölkerung und Welternährung" of the Deutsche Welthungerhilfe in March 1994 in Bonn; repeated in English at the World Conference for Sociology in Bielefeld in July 1994 and at the University of Münster in November 1994) 103. "Sociobiology and ethics" (at the University of Essen in December 1993; repeated at the University of Mainz in January 1994, at the University of Witten- Herdecke in December 1994, at the ETH Zürich and at the University of Innsbruck in November 1995, at the University of Ulm in December 1995, in the Forschungszentrum Jülich in October 1996, in English at the Ohio State University in April 1996, at the University of Oslo in September 1997 and at the State University of Florida in Jacksonville in February 2002, in Italian at the University of Trento in March 2009) 35-VH 8/9/17  8/9/17 104. "How much genetic engineering, protection of animals and of the environment do we need?" (discussion at the Tagung der Gesellschaft Deutscher Chemiker in Bonn in October 1993) 105. "Philosophy and its media" (in English at the 19th World Congress of Philosophy in Moscow in August 1993; repeated at the Tübinger Symposium "Platonisches Philosophieren" in April 1994, in Hannover in November 1998 and in English at the University of Sankt Gallen in May 2001) 106. "Power and morality" (at the University of Zürich in June 1993; repeated in English at the University of Oslo in September 1993 and at the University of Bergen in September 1997; at the University of Hamburg in October 1993, at the University of Ulm in December 1995) 107. "Ethics and ontology in Hans Jonas" (at the University of Konstanz in January 1993; repeated at the Hofgeismarer conference on Hans Jonas in June 1993, in Italian at the Lateran University in Rom in January 1996, before the Wissenschaftlicher Verein Mönchengladbach in January 1997) 108. "Ethics and system theory" (discussion with Niklas Luhmann at the ETH Zürich in November 1992) 109. Four lectures on Socrates, Plato and "The essential differences between ancient and modern philosophy" (in English and Norwegian at the University of Oslo in October 1992; the last lecture was repeated at the University of München in November 1992, one of the lectures on Plato in French at the University of Tours in April 1997) 110. "Ethical principles of peace politics" (public lecture during the award of the price "The Glass of Reason" to C-F. von Weizsäcker in Kassel in October 1992; repeated at the Salzburger Humanismusgespräche in March 1993, at the University Witten-Herdecke in June 1993, in English at the University of Trondheim in September 1993) 111. "Individual and collective identity crises" (at the conference "Trauma and Tragedy" in June 1992 in Amsterdam; repeated at the Philosophisch-Theologische Hochschule Walberberg in October 1993, at Carleton College and at the Ohio State University in April 1994, at the World Conference "Medicine and Philosophy" in Paris in June 1994, at the University of Ulm in December 1995, at the University of Notre Dame in March 1996, in French at the Ecole Normale in Paris in May 1997) 112. "Ultimate foundation and categories" (at the conference "Letztbegründung als System?" in June 1992 in Prague) 113. "The idea of the university in face of the challenges of the 21st century" (lecture at the conference of the presidents of German universities in Rostock in May 1992; repeated in January 1993 at the University of Kiel, in May 1993 at the University of Kaiserslautern, in May 1996 at the University of Nimwegen, in English in September 1993 at the University of Trondheim) 36-VH  8/9/17 114. "Can Abraham be saved? And: Can Søren Kierkegaard be saved?" (in Norwegian at the University Oslo in November 1991; repeated in German before the Leibniz-Society in Hannover in July 1992, at the University of Köln in June 1994, in English at the University of Notre Dame in November 2007) 115. Five lectures on "Descartes and Spinoza" (in English and Norwegian at the University Trondheim in October 1991) 116. "Being and subjectivity. On the metaphysics of the ecological crisis" (at the Kulturwissenschaftliches Institut Essen in June 1991; repeated at the University of Vienna in June 1991, at the ETH Zürich in November 1991, in English at the eleventh Internordic Conference in Odense in August 1995, in French at the University Laval in Québec in April 2011) 117. "On the dialectic of strategical and communicative rationality" (at the Dubrovnik Workshop "Diskurs und Rationalität" in April 1991) 118. "The Third World as a philosophical problem" (at the Ohio State University in February 1991; repeated at the conference "Transcendental Pragmatics and North-South Ethical Problems" in Mexico City in March 1991, at the University of Tromsrin September 1991 and in Spanish at the Javeriana in Bogotá and at the University of Fortaleza in April 2002) 119. "Ethical aspects of capitalism” (at the conference "Wirtschaftsethik" in November 1990 in Ulm; repeated at the Technische Hochschule Aachen in June 1991, at the Technische Hogeschool Twente in Enschede in June 1992 and in Spanish at the Javeriana in Bogotá and at the University of Fortaleza in April 2002) 120. Eight lectures on "Vico’s philosophy of culture" (at the Moscow State University MGU in March through May 1990) 121. Five lectures on "The philosophy of the ecological crisis" as well as five lectures on "The Essence of Modern Metaphysics (Descartes, Spinoza, Kant, Fichte, Hegel)" (at the Institute of Philosophy of the Academy of Sciences in Moscow during a visiting professorship from April till June 1990; two lectures each were repeated at the University of Rostov at Don in May 1990 as well as at the University of Minsk and at the University of Novosibirsk in June 1990; one of the ecological lectures was repeated at the New School for Social Research in New York in December 1990, at the IISFN in May 1991, at the University of Tromsö and of Trondheim in September and October 1991, at the Center for the Study of Developing Societies in Delhi in April 1992, at the Technische Hogeschool Twente in Enschede in June 1992, at the Wuppertalinstitut in March 1994, at the National Seoul University, the Yonsei and the Myongji Universität in Seoul, the Hannam University in Taejong and the Keimyung University in Taegu in March and April 1995, at the University Essen in October 1995; the lecture on Descartes was repeated at the University Essen in October 1990, the lecture on Spinoza at the Technische Hochschule Aachen in June 1992) 122. "Intersubjectivity and freedom of the will in Fichte’s System of Ethics"" (at the conference "Fichtes Rechtsphilosophie: Die ersten drei Lehrsätze der "Grundlage 37-VH  des Naturrechts"" in March 1990 in Frankfurt) 123. ."Heidegger’s philosophy of technology" (at the conference for the 100th birthday of Martin Heidegger in October 1989 in Moscow) 124. "Why has technology become a philosophical problem?" (at the University of Ulm in September 1989; repeated at the Technische Hochschule Aachen in February 1990 and at the ETH Zürich in December 1991) 125. Three lectures "Hegel’s System", "Morality and politics: Machiavelli’s problem", "Transcendental pragmatics" at the Goethe Institute in Porto Alegre in June 1989 (in Spanish; the first lecture was repeated at the University of Campinas, the third at the Goethe Institute in Sâo Paulo) 126. A three weeks seminar (12 hours a week) "From Kant to Hegel" as well as a three week seminar (4 hours a week) "Antinomies and dialectic" (together with Prof.Dr. C.Cirne-Lima and Dr.Th.Kesselring) (at the Universidade Federal de Rio Grande do Sul in Porto Alegre/Brasilien during a visiting professorship in June 1989; in Italian) 127. "Vico’s idea of the science of culture" (at the University of Vienna in April 1989; repeated in Italian at the IISFN in May 1989 and in French at the University of Tours in April 1997; short version at the presentation of the German and Spanish translations of Vicos "Scienza nuova" in the European Parliament in Strasbourg in November 1991) 128. "Nature and natural sciences in Vico’s new science of the spirit" (at the II. Colloquium "Natur in den Geisteswissenschaften" in April 1989 in Blaubeuren) 129. "The greatness and limits of Kant's practical philosophy" (at the conference for the 200th anniversary of "The Critique of Practical Reason" in December 1988 at the New School for Social Research in New York; repeated in German at the Technische Hochschule Aachen in January 1989 and at the Universität Ulm in February 1990, in English at the School of Architecture in London in March 1990, at the University of Louisville in January 1991 and at the University of Tromsö in September 1991 as well as before the Hegel Society of Korea in Seoul in April 1995, in Spanish at the Javeriana in Bogotá, the Centro de Extensno Universitaria in São Paulo and the University Fortaleza in April 2002) 130. "The philosophy of mathematics of Nicolaus Cusanus" (at the conference of the American Cusanus Society in October 1988 in Gettysburg) 131. "On the impossibility of a naturalistic foundation of ethics: Idealism and Materialism" (at the conference "Die ethische und politische Verantwortung des Wissenschaftlers" in April 1988 in Köln) 132. "Morality and politics: Machiavelli’s problem" (at the University of Saarbrücken in January 1988; repeated in English at the New School for Social Research in April 1988, at Pennsylvania State University in October 1988, at the New York State University in Purchase in November 1988; in Italian at the IISFN in May 1989; in German at the University of Regensburg in November 1989; in English at the 38-VH 8/9/17  University Trondheim in August 1991) 133. Four lectures on "Hegel’s Logic" (at the IISFN in March 1987 in Italian) 134. "Law and history in G.Vico" (at the University of Mannheim in January 1987) 135. "The figurative arts in the esthetics of German idealism" (at the Hochschule für bildende Künste in Braunschweig in December 1986) 136. "Hegel's idea of right" (at the New School for Social Research in December 1986) 137. "On the dialectic of enlightenment in Vico’s philosophy of history" (at the University of Frankfurt in November 1986; repeated in Italian at the Circolo George Sadoul in Ischia in May 1987) 138. "An attempt to locate the historical Socrates" (at Williams College in October 1986) 139. Sixteen lectures on "The development of German idealism" (at the IISFN on January through June 1986 in Italian) 140. "Foundational questions of objective idealism" (at the conference "Philosophie und Begründung" in Bad Homburg in May 1986, repeated in English at the University of Bergen in September 1997) 141. "Moral reflection and decay of institutions. On the dialectic of enlightenment and counter enlightenment" (at the conference of the International Hegel-Gesellschaft in March 1986 in Zürich; repeated at Princeton University in November 1986) 142. "What may and what must the state punish? Reflections based on Fichte’s and Hegel’s theories of punishment" (at the conference "Moralität und Sittlichkeit" in March 1986 in Hamburg) 143. Five lectures on "Hegel’s lectures on the philosophy of religion" (at the IISFN in December 1985 in Italian) 144. "Carl Schmitts critisism of the self-cancelation of a valuefree constitution in "Legalität und Legitimität"" (at the conference "Il pensiero politico di Carl Schmitt" in December 1985 in Naples in Italian) 145. "Tasks of philosophy between relativism and dogmatism" (at the conference "Per un pluralismo non relativistico in filosofia" in October 1985 in Napels) 146. "An immoral ethical life. Hegel’s interpretation of Indian culture" (at the conference "Moralität und Sittlichkeit" in March 1985 in Frankfurt) 147. Seven lectures on "The development of Greek philosophy from Parmenides till Platon", two lectures on "Principle of contradiction and dialectic" and one lecture on "The so-called Münchhausentrilemma" (at the Technische Hogeschool Twente in Enschede/Netherlands in January 1985) 39-VH 8/9/17  Q1 8/9/17 148. "Anthropology in Fichte" (at the II European-Latin American symposium for philosophical anthropology in October 1984 in Tübingen) 149. "The position of Hegel’s philosophy of objective spirit in the system and its aporia"; "Abstract Right"; "The State" (at the conference "Anspruch und Leistung von Hegels "Rechtsphilosophie" in March 1984 in Naples) 150. "Space, time, movement"; "Plant and animal" (at the conference "Hegel und die Naturwissenschaften" in October 1983 in Tübingen) 151. Four lectures on „The esthetics of Greek tragedy" (at the IISFN in March 1983 in Italian) 152. "Theories of the history of philosophy" (at the IISFN in December 1982 in Italian) At the University of Notre Dame: 1. Nietzsche 2. Political and Constitutional Theory: Ancient and Modern (Aristotle, Locke, The Federalist Papers) 3. Schopenhauer,TheWorldasWillandRepresentation 4. ThePhilosophicalImportanceofDarwin 5. ThomasMann 6. Philosophical Dialogues (Plato, Abelard, Ficino, Hume, Fichte, Kierkegaard, Feyerabend) 7. TheoryofComedy 8. PhilosophyofPower 9. Kant’sPoliticalPhilosophy 10. Core Course on Ecology and Ethics Heidegger, Jonas, Ibsen, Callenbach) (Brown, Malthus, Bacon, Descartes, 11.Philosophical Dialogues (Plato, Cicero, Anselm of Canterbury, Bodin, Diderot, Schelling, Murdoch) 12. Hume’s Practical Philosophy 13. Dramas on Political Conflicts (Aeschylus, Sophocles, Euripides, Goethe, Schiller, Büchner, Grillparzer, Hebbel, Dürrenmatt) 14. Plato before the “Republic” 40-VH  15. Goethe’s Lives 16. Aristotle’s “Nicomachean Ethics”, “Politics”, “Rhetorics” 17. Philosophy of mind in the twentieth century (James, Freud, Husserl, Ryle, McGinn, Kim, Chalmers, Searle, Dennett) 18. Ethics and Politics in Italian Renaissance 19. The German Quest for God from Goethe to Nietzsche and Kafka 20. Philosophical Autobiographies (Plato, Isocrates, Augustine, Abelard, Petrarca, Vico, Rousseau, Hume, Mill, Newman, Nietzsche, Feyerabend) 21. Faust (Marlowe, Goethe, Grabbe, Klaus Mann) 22. Hegel’s Political Philosophy 23. The Birth of the Humanities from the Spirit of German Idealism (Friedrich Schlegel, August Wilhelm Schlegel, Schleiermacher, Schelling, Hegel) 24. Vico (Autobiography, On the Method of Studies of Our Time, New Science) 25. Literary Criticism from Aristotle to Jakobson (Aristotle, Horace, Longinus, Dante, Boileau, Pope, Schiller, Hegel, Nietzsche, Adorno, Jakobson) 26. Kant’s Three Critiques 27. Faith, Hope, and Love: Thomas Aquinas and Kierkegaard on Christian Ethics 28. Plato, “Republic” and “Statesman” 29. German Philosophy in the 20th century (Husserl, Reichenbach, Gehlen, Habermas) 30. Thomas Aquinas on the Cardinal Virtues 31. Humanities in the 20th century (Dilthey, Freud, Ingarden, Panofsky, Strauss, von Wright, Foucault, Dworkin, Sontag) 32. The late Plato (“Cratylus,” “Theaetetus,” “Sophist,” “Philebus”) 33. The essay (Montaigne, Bacon, Hume, Kant, Schiller, Nietzsche, Th.S. Eliot, Hans Jonas) 34.The German Quest for God (Hartmann von Aue, Meister Eckhart, Luther, Grimmelshausen, Lessing, Hegel, Mann, Steinherr) 35.History of Hermeneutics (Philo of Alexandria, Origen, Augustine, Maimonides, Spinoza, Schleiermacher, Droysen, Ricœur, Grice, Auerbach) 36. Neo-Platonism: Plotinus and Proclus 41-VH 8/9/17  37. Plato, Laws 38. Making Sense of a Life: Biography and Autobiography (Plutarch, Tacitus, Hildegard of Bingen, Vasari, Boswell, Rousseau, Bismarck, Tolstoy, Henry Adams) 39. The late Husserl 40. Greek Drama (Aeschylus, Sophocles, Euripides, Aristophanes) 41. Ancient Drama (Aeschylus, Sophocles, Euripides, Aristophanes, Menander, Plautus, Terence, Seneca) At Heidelberg University in 2015 1. Hermeneutics 2. Hegel, Phenomenology of Spirit 3. Plato, Parmenides (together with Jens Halfwassen) At the University of Trento in 2008: 1. Morals and Politics At the Northern Institute of Technology in Hamburg since 2003 every year (with the exception of 2006 and 2009): 1. BusinessEthicsinaGlobalizedWorld At the Hamburg School of Logistics in 2005, 2007 and 2008: 1. EthicsofPower At Kampala International University in 2006: 1. Ethics of Development At the Research Institute for Philosophy in Hannover: 1. Classicsofthephilosophyofbiology(Aristotle,Leibniz,Kant,Darwin, Bergson, Portmann, Mayr) Driesch, 42-VH 8/9/17  At Ohio State University: 1. Hegel'sPhilosophyofRight At the Universität Essen: 1. MoralsandPolitics 2. Descartes,Meditations 3. H.Jonas'philosophyoflifeandethics 4. Aristotle,Physics 5. J.Rawls,Atheoryofjustice 6. Hermeneutics 7. Plato,ApologyofSocrates 8. L.Wittgenstein,PhilosophicalInvestigations 9. Kierkegaard, Either – Or 10. Ancient Philosophy 11. The fragments of Parmenides 12. Augustine, The City of God 13. Plato, The Republic 14. Sextus Empiricus 15. Epistemology 16. Locke, An essay concerning human understanding 17. Leibniz, Discourse on Metaphysics 18.Rationalism and negative anthropology: Descartes' "Les passions de l'âme," Pascal's "Pensées," La Rochefoucauld's "Maximes" (together with Prof. Dr. R.Galle) 19. H.G.Gadamer, Truth and Method 20. Montesquieu, The Spirit of the Laws 21. Concept and function of the beautiful in Schiller (together with Prof. Dr. R.Galle) 43-VH 8/9/17  8/9/17 22. Hegel, Philosophy of Right 23. Philosophy of history 24. Burckhardt, Considerations on World History 25. M.Heidegger, Being and Time 26. Early modern utopias (together with Prof. Dr. P.Münch) 27. V.Hösle, Morals and Politics 28. New texts on determinism (Austin, Chisholm, van Inwagen, Planck, Strawson) 29. Evolution, Knowledge, Ethics (together with Prof.Dr. F.Wuketits and Dr. G.Klauer) 30. K.R.Popper/J.C.Eccles, The Self and its Brain 31. Interreligious Dialogues in the Middle Ages (Abelard, Llull) 32. Philosophy of Religion of the Renaissance At the ETH Zürich: 1. EthicsandPoliticsfacingtheecologicalcrisis At the University Ulm: 1. TranscendentalPragmaticsandcontemporaryphilosophy 2. Aristotle,NicomacheanEthics 3. PhilosophyofTechnology:Heidegger,Gehlen,Habermas,Jonas At the New School for Social Research: 1. Plato'sUnwrittenDoctrine 2. FromKanttoHegel 3. Vico,NewScience 4. MoralPhilosophysinceKant 5. Machiavelli,Discourses;Prince 6. NicolausCusanus 44-VH  Honors and Grants As Tutor: 1. Horkheimer/Adorno,DialecticsofEnlightenment 2. Plato,Latedialogues 3. Theoriesofthehistoryofphilosophyinthe19thand20thcentury 4. Hegel,Encyclopediaofthephilosophicalsciences 5. Hegel,EncyclopediaofphilosophicalsciencesII 6. Fichte,Foundationsofnaturallaw 7. Schelling,Philosophyofart 8. Structural problems of objective idealism (2 Semester) After my Accreditation as University Lecturer: 1. Schopenhauer’sworkonfreedomasanintroductiontothedebateondeterminism 2. Vico,Onthemethodofstudiesofourtime 3. TranscendentalPragmatics 4. Lucretius,Onthenatureofthings 5. Aristotle,Politics 6. Spinoza,Ethics 7. Hobbes,Leviathan 8. Scheler,Essenceandformsofsympathy 9. Locke,TwoTreatisesofGovernment 10. Leibniz, Theodicy 11. Tocqueville, On the democracy in America !Member of “Ethics in Action,” founded, among others, by the Pontifical Academies of Sciences and of Social Sciences as well as by the UN Sustainable Development Solutions Network 7. Kant'sMoralThought 45-VH 8/9/17  !Visiting Professorship at the University of Heidelberg, 2015 !Meckatzer Philosophy Award 2014 !Appointed by Pope Francis as Ordinary Academician to the Pontifical Academy of Social Sciences 2013 !Taught Master Course at the University of Munich and Research Workshop at the University Duisburg-Essen, 2013 !Acquired together with Associate Director Don Stelluto 1,58 million dollars from the Templeton Foundation for fellowships at the Notre Dame Institute for Advanced Study 2012 !Offer to become Director of the Centro di Scienze Religiose of the Bruno Kessler Foundation in Trent/Italy 2011 (declined) !Offer to become member of the Strategic Committee of the Wissenschaftsrat for the second part of the German “Exzellenzinitiative”, 2010 (declined) !Best Teacher Award of the Northern Institute of Technology, 2008 !Research Achievement Award of 10, 000 USD from the University of Notre Dame, 2008 ! Rosmini Chair at the University of Trent/Italy, 2008 !Taught Master Course at the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover, 2006 !Member at the Historical School of the Institute for Advanced Study, Princeton, 2004/05 !Key Professor at the Northern Institute of Technology in Hamburg, 2002 ff. ! Fellowship at the Erasmus Institute of the University of Notre Dame, 2001-2002 !Offer of a chair position in Political Science from the University of Regensburg, 2000 (declined) !Offer of a Fellowship at the Kulturwissenschaftliches Institut Essen, 1999 (declined) !Max Kade Distinguished Visiting Professor, Department of Philosophy and 46-VH 8/9/17  Service !Humboldt Professor at the University of Ulm, 1995 !Visiting Professor at South Korean universities, 1995, financed by DAAD !Fellow at the Kulturwissenschaftliches Institut Essen, 1995-1996 !Fritz Winter Award for outstanding academic achievements ( 50, 000 DM), 1994 !Visiting Professor at the Department of Ecology, Eidgenössische Technische Hochschule Zürich, 1992-1993 !Affiliation with the Sociology Department of the University of Delhi, 1992 !Affiliation with the Philosophy Department of the University of Trondheim, 1991 !Affiliation with the German Department of Ohio State University, 1990-1991 !Visiting Professor at the Academy of Sciences and at the Lomonossov University in Moscow, 1990 (financed by DAAD) !Visiting Professor in Ulm, 1989-1990 !Visiting Professor at the University of Porto Alegre, Brazil 1989 (financed by DAAD) !Heisenberg Fellowship, 1987-1993 !Fellow at the Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1985-1986 !Visiting Lecturer at the Technische Hogeschool Twente in Enschede, 1985 !Research fellowship of the Deutsche Forschungsgemeinschaft, 1982-1984 !Fellowship of the Studienstiftung des deutschen Volks, 1978-1982 !Fellowship of the Bavarian Begabtenförderung, 1977-1982 !2014 Member of the Commissione giudicatrice della valutazione comparativa of the University Trento !2008-2013 Director of the new Notre Dame Institute for Advanced Study !2007 and 2009 Member of the two Strategic Academic Planning Committees of the University of Notre Dame !2004-2005—Member of the UNESCO/COMEST group on the precautionary Department of German, Ohio State University, 1996 47-VH 8/9/17  8/9/17 principle !2002-2003–Member of the Norwegian commission to promote candidates for full professorship in philosophy !2001 -- Organized with Christian Illies a conference on “The Metaphysical implications of Darwinism” at the University of Notre Dame !2000 – present -- Editor of the series “Faszination Philosophie” with the publisher C.C. Buchner !2000 – Organized a conference on hermeneutics at the University of Notre Dame !2000 – Organized lecture series on sustainability in Hannover in connection with EXPO 2000 !2000 – Organized conference on metaphysics in Hildesheim !1999 – 2002 -- Member of the Board of Trustees of the European College of Liberal Arts in Berlin !1999 – present -- Service in many committees at the University of Notre Dame (both departmental, college and university level, among which in the Strategic Academic Planning Committee) !1998 – Organized lecture series on Leibniz in Hannover !1998 – present -- Member of the Kuratorium of the Jakob-Kaiser-Stiftung !1998 – Responsible Director of the Forschungsinstitut für Philosophie Hannover !1997 – 2000 -- Member of the Kuratorium of the Stiftung fur die Rechte zukünftiger Generationen !1997 – 2000 -- Member of the Stiftungsrat of the Petra Kelly-Stiftung !1997 – 1999 – Member of the group “Coherence” of the Common Conference Church and Development !1993 – 1997 – Member of the Kuratorium of the Akademie Gesellschaft und Wissenschaft !1993 – 1996 – Member of the group “Economy and Ecology” of the state minister of ecology of Baden-Württemberg !1990 – 1997 – Member of the Fachbereichsrat and the Konvent at the University of Essen; Chair of the Magisterprüfungsasschuss des Fachbereichs !1990 -- present --Member of the Wissenschaftlicher Beirat and corresponding member of the Humboldt-Studienzentrum of the University of Ulm !1990 – 2001 – Editor of the monograph series “Ethik im technischen Zeitalter” with C.H. Beck publishing house, Munich !1988 – 2000 -- Advisor for several dissertations and master’s theses at the New School for Social Research, the University of Tübingen, the University of Essen !1991 – 1998 – Member of the DAAD-Kommission for Southern Europe 48-VH  Languages Employment History 8/9/17 !1990 – Member of the Commission on the Ethical Evaluation of the abortion pill (RU 486), Hoechst !1989 –2000 – Offered several seminars on the Ethics of Business to Top Executives and Managers of Beiersdorff, Hoechst, Bosch and other larger German firms !1987 – 1990 – Elaborated the general plan for the Multimedia Encyclopedia of Philosophy for the Italian State Television (RAI); directed interviews with leading philosophers such as Apel, Feyerabend, Føllesdal, Rorty, Thieme, Goodman, Hintikka, Jonas, gave myself many interviews on the history of philosophy and on systematic issues !1986 – 1990 – Participation in the administrative work of the Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, including the review of manuscripts and the planning of conferences !1986 – 1989 – Wrote four papers for the Office of the Chancellor, Federal Republic of Germany !1988 – Organized a Kant conference at the New School for Social Research Active knowledge of German, Italian, English, Spanish, Russian, Norwegian, and French; passive knowledge of Latin, Greek, Sanskrit, Pali, Avestan, Portuguese, Catalan, Modern Greek, Swedish, and Danish !2008 – present – Director of the Notre Dame Institute for Advanced Study !1999 – present – Paul Kimball Professor of Arts and Letters at the University of Notre Dame (in the Departments of German, Philosophy, and Political Science); Fellow of the Nanovic Institute for European Studies and of the Kroc Institute for International Peace Studies !1997 – 2000 – Director of the Research Institute of Philosophy in Hannover !1993 – 1997 – Full Professor, University of Essen !1987 – 1993 – Heisenberg Fellow, Deutsche Forschungsgemeinschaft !1989 –1990 – Visiting Professor, University of Ulm !1988 – 1989 – Associate Professor with tenure, New School for Social Research !1986 – Visiting Assistant Professor, New School for Social Research Birthdate: June 25, 1960 Personal 49-VH  Married, three children German and American citizenVittorio Gronda Hösle. Hösle. Keywords: “L’inter-soggetivo di Vico” “filosofia prima” “filosofia seconda”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Hösle: l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753865907/in/dateposted-public/

 

Iacono (Girgenti). Filosofo. Grice: “I love Iacono; for one, he has taken Marx’s chapter on cooperation in Das Kapital seriously; but as he notes, Marx subverts the order, the symbolic interaction becomes a super-structure! Iacono recognises the perplexities of shared intentionality, and finds ways to deal with them conceptually –Insegna a Pisa. Fra i filosofi che si sono interessati ai rapporti storici e teorici della filosofia con l’antropologia e la politica. Si occupa di epistemologia della complessità (“L'evento e l'osservatore”, Bergamo). Fonda “Ichnos,” Laboratorio filosofico sulla complessità. La sua ricerca mostra un costante confronto con la filosofia antica: al riguardo, si dedica all’analisi di nozioni quali feticismo, paura e meraviglia, e all'indagine epistemologica sul tema dell'osservatore. Tali ricerche gravitano attorno ad una riflessione sul tema dell'”altro” nelle relazioni storico-sociali e politiche: da qui i saggi sulle triadi concettuali autonomia, potere, minorità e storia, verità, finzione.  Ne “Il borghese e il selvaggio” analizza l'influenza la figura di Robinson Crusoe nei paradigmi filosofico-economici di Turgot e Adam Smith rilevando gli elementi di antropologia occidentalista là dove la rappresentazione teorica della società e della storia si mostrava nei suoi aspetti apparentemente semplici, ovvi e trasparenti tali da nascondere con l'evidenza i presupposti del punto di vista coloniale.  In “Il feticismo” (Milano) studia la genealogia del concetto dalla sua origine nell'illuminista Charles de Brosses fino a Marx, a Freud e al pensiero contemporaneo, ha contribuito, sul piano metodologico, all'idea di una storia della filosofia interpretata attraverso concetti e, sul piano interpretativo, alla messa in evidenza dei mutamenti semantici del concetto di “fetice”, di origine coloniale che si è trasformato con Marx e con Freud in due modi di operare, rispettivamente sul mondo storico-sociale e sul mondo della psiche, basati sulla pratica teorica di un'antropologia dall'interno. Le fétichisme. In “Paura e meraviglia: storie filosofiche” (Catanzaro) i temi storiografici dell'illuminismo e del fetice vengono ripresi e ridiscussi alla luce del pensiero contemporaneo.  Il problema filosofico e politico dell'antropologia dall'interno è stato sviluppato attraverso la questione epistemologica dell'osservatore. Influenzato da Marx, ma anche da Foucault e da Bateson, analizza le teorie della storia di Bossuet, Vico e Droysen attraverso il tema del ruolo dell'osservatore che interpreta gli eventi sociali e naturali nella loro storicità. Interessato alle teorie contemporanee dell'”auto-organizzazione” biologica (Atlan, Maturana, Varela), cercato di reinterpretare il senso epistemologico della storia, la parzialità dei punti di vista impliciti dell'osservatore e delle sue visioni del mondo, la questione dell'altro, il rapporto tra scienze storico-sociali e scienze naturali, alla luce del concetto di complessità. In questa chiave, in “Tra individui e cose” (Roma) raccoglie i risultati di ricerche che, all'interno dei rapporti fra filosofia, antropologia e politica, si interrogava attraverso Bateson sull'idea del ‘pensare per storie' come momento metodologico e critico di un'antropologia dall'interno in una società come quella occidentale moderna dove le cose si sostituiscono feticisticamente agli uomini e il conformismo si mostra incessantemente e paradossalmente come l'irrompere del nuovo.  Il problema della critica sociale e dell'autonomia individuale come decisivo in una società occidentale che domina il mondo dichiarandosi libera e democratica è al centro di “Autonomia, potere, minorità” (Milano). Partendo dallo scritto di Kant “Che cos'è l'Illuminismo?, Iacono si chiede perché in una società istituzionalmente ‘libera' e ‘democratica', all'indomani della fine dei regimi socialisti, il desiderio di uscire dallo stato di minorità non riesce a vincere il contrastante desiderio di rimanere nello stato di minorità, perché in sostanza è così forte la paura di essere autonomi.  La questione dell'autonomia lo ha portato a interessarsi ai temi della verità, dell'illusione e dell'inganno. Per un'antropologia dall'interno occorre vedere con altri occhi e per vedere con altri occhi è necessario acquisire uno sguardo d'altrove. I temi dell'universalismo e della questione dell'altro sono discussi in quest'ottica in “Storia, verità, finzione” (Roma). La meraviglia che connota il tono emotivo della conoscenza filosofica deve passare attraverso lo straniamento: essere straniero a te stesso affinché l'altro non sia straniero a te. L'autonomia può realizzarsi soltanto nella relazione con l'altro e non, come se l'è immaginato il pensiero moderno, recidendo ogni legame per poi andarlo a costituire da padroni. Ma un'antropologia dall'interno è continuamente in tensione con un senso comune che, conservando le verità condivise ovvero i pregiudizi, tende a mostrarle come ovvie, naturali, eterne, uniche, a renderle dunque salde e indiscutibili. Ci si dimentica allora che viviamo in molti mondi, in mondi intermedi (“Mondi intermedi e complessità” -- Pisa), e che siamo capaci, con la coda dell'occhio, di percepire sempre un mondo altro da quello in cui siamo immersi. Perdendo questa percezione perdiamo la nostra capacità di uscire da noi stessi e dunque la facoltà di essere autonomi. L'illusione, attraverso cui ci si approssima alla verità, che è consapevolezza critica di un'illusione stessa (Nietzsche, Pirandello), si trasforma in inganno e in auto-inganno, sulle cui basi si produce il rischio della costituzione delle regole del consenso, in una società libera ma senza autonomia. Un'altra direzione di studi riguarda  le genealogie dell'immagine della finestra e del concetto di illusione nella storia del pensiero occidentale. In quest'ambito di riflessione Iacono realizza Con altri occhi.  Iacono dirige il bimestrale di politica e cultura Il Grandevetro. Ha collaborato per anni al quotidiano il manifesto. Fa parte del Comitato scientifico della Scuola di formazione e ricerca sui conflitti Polemos. Fa parte del comitato scientifico della Fondazione Collegio San Carlo di Modena.  Ha laureato molti studenti al polo universitario universitario penitenziario della casa circondariale Don Bosco di Pisa e tuttora collabora a progetti e iniziative per un'effettiva opera di recupero del detenuto che sconta la pena. Saggi: “L'illusione e il sostituto. Riprodurre, imitare, rappresentare” (Mondadori, Milano); “Il sogno di una copia. Del doppio, del dubbio, della malinconia” (Guerini, Milano); “Storie di mondi intermedi” (ETS, Pisa); “Marx. La cooperazione, l'individuo sociale, le merci” (ETS, Pisa); Filosofia alle elementari”; “Le domande sono ciliegie, Manifestolibri, Roma, Per mari aperti. Viaggi tra filosofia e poesia nelle scuole elementary (Roma); Filosofia alle scuole superiori”; “La giustizia è l'utile del più forte? Incontro con gli studenti del Liceo classico «Empedocle» di Agrigento, Pisa; Ra Racconti L'accelerato, in Favolare Antonia Casini e Giovanni Vannozzi, MdS editore, Pisa,  La scelta, in Gabbie, Michele Bulzomì, Antonia Casini, Giovanni Vannozzi, MdS editore, Pisa  PSYCHOMEDIA JOURNAL OF EUROPEAN PSYCHOANALYSIS.  Alfonso Maurizio Iacono Studi su Karl Marx La cooperazione, l’individuo sociale e le merci  vai alla scheda del libro su www.edizioniets.com  Edizioni ETS  www.edizioniets.com  © Copyright 2018 Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com www.edizioniets.com Distribuzione Messaggerie Libri SPA Sede legale: via G. Verdi 8 - 20090 Assago (MI) Promozione PDE PROMOZIONE SRL via Zago 2/2 - 40128 Bologna ISBN 978-884675158-4 ISSN 2420-9198 PREFAZIONE La notizia dei braccialetti che l’ingegner Cohn ha brevettato per il controllo dei lavoratori di Amazon (più educatamente e ipocritamen- te, per migliorare l’efficienza del lavoro) merita, al di là delle polemi- che contingenti, qualche riflessione su un mondo nascosto e dimenti- cato che tuttavia esiste su questo pianeta e non si vede: il mondo dello sfruttamento sul lavoro e la lesione della dignità di chi lavora. Mi serve un libro, vado su Amazon, lo cerco, lo trovo. C’è anche la versione ebook. Non è la stessa cosa del libro fisico, ma ha due vantaggi. Costa molto meno e, cosa importantissima, dopo avere pagato, lo ottieni in Kindle con un semplice click. Non è la stessa cosa del libro fisico per un’altra ragione. L’impaginazione è diversa e non corrisponde affatto a quella del libro. Questo complica le cose non tanto al lettore di un romanzo giallo, per esempio, o di racconti in generale, quanto allo studioso o, più in generale, a colui che ha bisogno del documento ori- ginale. Mettiamo comunque che voglia e trovi il libro fisico e lo ordini, magari con un sistema veloce che pago in sovrapprezzo. Devo supe- rare una frustrazione. Non posso averlo subito. Non ce l’ho lì davanti sullo scaffale di una libreria. Vedo la copertina online. Devo aspettare uno o qualche giorno. Peggio se lo acquisto nel week end. Una piccola frustrazione, senza dubbio, ma nel nostro pianeta, che è un’immensa raccolta di merci fisiche e virtuali, siamo ormai abituati ad avere tutto e subito, e aspettare non è facile. Ogni nostro desiderio è un ordine che il mercato può eseguire per soddisfarlo, e poter girare fra le merci, libri o divani o qualunque altra cosa, in modo virtuale, da un lato ti dà un senso di straordinaria, gioiosa potenza, dall’altro però ti produce una sensazione di mancanza. Vuoi mettere andare al negozio e provare la giacca, anzi peggio ancora le scarpe o i pantaloni per vedere se ti stanno? Certo, online risparmi. Inoltre, a ovviare a quella sensazione di mancanza derivata dal fatto che il desiderio dell’acquirente non si può soddisfare immediatamente, vi è la precisione rigorosa nella con- segna. Tutto sembra perfetto, ma a quale prezzo? Al prezzo dello sfruttamento di chi la merce la deve impacchettare, spostare, consegnare. Un prezzo che il cliente non vede. Non è una novità. Il braccialetto dell’ingegner Cohn è l’ultimo ritrovato di una lunga storia del lavoro. Karl Marx aveva fatto vedere bene come stavano realmente le cose nei processi di produzione delle merci. Quel genio che era Charlot aveva rappresentato una straordinaria parodia del sistema di sfruttamento del lavoro dell’operaio nel famoso film Tempi moderni, dove il lavorato- re doveva adattarsi alla velocità del sistema automatico di produzione. In epoca più recente ricordo che perfino zio Paperone cercò di usare le scimmie per il lavoro a catena, ma fallì perché perfino esse non riusci- vano ad adattarsi. Negli anni ’70 Michel Foucault scrisse Sorvegliare e punire, un’analisi cruda dell’organizzazione di un carcere, il cui sistema di controllo era simile a quello elettronico rappresentato dai braccia- letti. Lo sfruttamento del lavoro e la lesione della dignità dei lavoratori, checché se ne dica, non sono diminuiti negli anni, anzi, nonostante le leggi, sono probabilmente aumentati. Dietro la concorrenza e la libertà di mercato, dietro le luci dei supermercati reali o virtuali, dentro quelle nuove caverne di Platone che sono i centri commerciali di Los Angeles, Dubai, Shanghai, Milano e al di là della finestra dei nostri computer o tablet da cui acquistiamo online, vi è ancora il lato oscuro, materiale e psicologico, del dispotismo sul lavoro che oggi nessuno vuol vedere, talvolta nemmeno chi lo subisce. Fino a quando qualcuno di sabato sera, nel suo tempo libero, si siede al bar e chiede di bere, vi sarà sem- pre qualcun altro che dovrà preparare il cocktail e un altro ancora, magari extracomunitario, che lo porterà con un vassoio. Il tempo li- bero di uno è il tempo di lavoro di altri. L’idea che il lavoro sparisca e in particolare sparisca il lavoro manuale mi pare sinceramente, questa sì, una bubbola neoliberista. Meno si vede il lavoro sfruttato e meglio è per il neoliberismo. La tecnologia espelle il lavoro e toglie l’occupa- zione, ma non lo fa sparire. Lo disloca altrove e non lo concentra più in grandi spazi chiusi. Ed è questo che ha messo in totale confusione la sinistra nel mondo. Accade con il lavoro quello che accade con la merce. La compri ma non ti accorgi della quantità di lavoro sociale che ci è voluto per produrla e poi metterla sul mercato. Ti bevi il cocktail ma non vedi nemmeno in faccia il cameriere che te lo porta e che sta lavorando mentre tu ti riposi e a cui forse lascerai una mancia. Il primato del tempo libero è un buon modo per soggiacere al neoliberismo. Potremmo davvero vivere in ozio permanente nel tempo libero? È questo a cui aspiriamo? E perché allora, occupati, disoccupati, precari, siamo tutti depressi? Certo il lavoro troppo spesso è odioso, ma allora il problema è l’odiosità del lavoro, il suo sfruttamento, non la sua fine. Dietro l’ordine online che facciamo su Amazon vi sono la- voratori che con la testa e con le mani portano, impacchettano, spedi- scono, trasportano e ai quali si vuole mettere il braccialetto elettronico di controllo. Non credo che con tutta la tecnologia li si possa sostituire con dei robot, ma credo che con tutta la tecnologia li si possa usare schiavisticamente come dei robot. Una cosa è lottare per riappropriarsi del lavoro e della sua qualità, altra cosa è rifiutarlo. È nella chiave della riappropriazione del lavoro che è ancora valido, a mio parere, il vecchio slogan “lavorare meno, lavorare tutti”, così come la gratuità della forma- zione scolastica e universitaria. In uno scritto recentissimamente pubblicato in Italia, Realismo capitalista (Nero, Roma 2018), ma uscito in lingua inglese nel 2009, nel bel mezzo dell’esplodere della crisi economica, Mark Fisher, scrittore, filosofo, critico musicale britannico, morto suicida lo scorso anno, ha cercato di rispondere alla famosa affermazione della Signora Marga- ret Thatcher secondo cui al sistema in cui viviamo non c’è alternativa. Un’affermazione vincente che, togliendo al futuro ogni possibilità di accompagnare la politica, lo fece a suon di licenziamenti e ristruttu- razioni aziendali che sarebbero diventati un modello per tutto il capi- talismo occidentale. A sinistra cominciarono i laburisti con il pentito Blair a fare propria la visione thatcheriana, e il modello neoliberista si diffuse quasi ovunque con l’accentuarsi vistoso e potente delle di- seguaglianze e attraverso l’ideologia oggi ancora dominante secondo cui tutto il mondo deve essere modellato come un’azienda. Ideologia che oggi paradossalmente trova quasi più critiche a destra che non a sinistra. Avere tolto ogni alternativa futura ha di fatto azzerato le si- nistre. Il loro ruolo è spesso diventato quello un po’ servile di tampo- nare più o meno malamente gli effetti collaterali del neoliberismo, del dominio della privatizzazione, dello sperpero del bene comune, della devastazione ambientale, senza neanche riuscirci. Scrive Mark Fisher: “Qualsiasi posizione ideologica non può affermare di avere raggiunto il suo traguardo finché non viene per così dire naturalizzata, e non può dirsi naturalizzata fino a quando viene recepita in termini di principio anziché come fatto compiuto”. Le sinistre non potrebbero accettare il neoliberismo come principio, ma se viene naturalizzato come un fatto compiuto allora è diverso. In fondo i dirigenti politici sono tutto som- mato abbastanza ben pagati e sufficientemente fragili culturalmente per scomodarsi a mettere in discussione ciò che è dato come naturale e scontato. “Nel corso di più di trent’anni, continua Fisher, il realismo capitalista ha imposto con successo una specie di ontologia imprendi- toriale per la quale è semplicemente ovvio che tutto, dalla salute all’e- ducazione, andrebbe gestito come un’azienda”. Oggi l’aziendalismo è un vero delirio ideologico. I lavoratori sono imprenditori di se stessi, così costano meno alle aziende e possono essere meglio sfruttati, le scuole e le università e gli ospedali invece di pensare alle loro rispettive missioni, affogano penosamente nell’ansia generalizzata della competi- tion, versione metropolitana e neoliberista della giungla. Benvenuti nel realismo capitalista! Questo libro raccoglie studi su Marx che ho portavo avanti a par- tire dagli anni ’70 sui temi della cooperazione e della sua ambivalenza, sul suo metodo, sulle sue concezioni antropologiche. Nonostante siano accadute molte cose nel corso del tempo, dalla fine dell’era industriale alla caduta del muro di Berlino, dalla crisi irreversibile dei partiti operai al trionfo del neoliberismo, alcuni punti, che molti, troppo spesso ab- bacinati dal mantra conservatore del nuovo e del cambiamento, hanno abbandonato, a mio parere, restano fermi. Primo fra tutti il lavoro e in particolare il lavoro cooperativo, grazie a cui, come sostiene Marx, gli uomini si spogliano dei loro limiti individuali e sviluppano la facoltà della loro specie e a causa del quale, nello stesso tempo, essi, dopo aver subito il dispotismo e il disciplinamento di fabbrica, introiettano oggi il dispotismo e il controllo della produzione. E ciò mentre vivono la condizione illusoria di essere imprenditori di se stessi, dopo che dal comprensibile desiderio della flessibilità si ritrovano nella miseria mate- riale e psicologica della precarietà del lavoro. Non hanno più né tempo né possibilità di progettare il futuro e, del resto, è proprio il futuro che è stato tolto, perché esso oggi si mostra al massimo e quasi soltanto come mantenimento dell’esistente, quando non come una devastazione catastrofica del presente. Nessuno ha il coraggio di guardare altrove, là oltre l’orizzonte, dove poter immaginare una vita diversa dalla libera, depressiva solitudine degli iperconnessi che convive con naturalezza insieme alla schiavitù del lavoro nella gran parte del mondo. Eppure è proprio quello che serve. In un libro di alcuni anni fa1 avevo cercato di affrontare il tema dell’autonomia individuale consapevole della lacuna che vi era e cioè del fatto che il tema dell’autonomia si deve porre dentro le condizioni della natura dell’uomo in quanto animale sociale e dunque all’interno delle relazioni sociali. Non vi può essere autonomia in senso proprio (1 A.M. Iacono, Autonomia, potere, minorità, Feltrinelli, Milano) senza eguaglianza delle relazioni sociali. Forse, riprendendo l’argomen- to della facoltà cooperativa degli uomini e del fatto che essi devono riappropriarsene a partire dal lavoro, si potrebbe ripercorrere una stra- da che nel corso tempo ha cambiato il suo tracciato e il cui manto è attualmente pieno di buche. Desidero ringraziare Silvia Baglini, Giacomo Brucciani, Enrico Campo, Francesco Marchesi, Luca Mori, Giovanni Paoletti. Dedico questo libro alla memoria di Nicola Badaloni, Marco, che mi introdusse agli studi su Marx. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Versione largamente rivista di Divisione del lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx, originariamente pubblicato in «Critica marxista», n. 3, 1977, pp. 109-114. Capitolo Secondo Sull’ambivalenza della cooperazione, in Ecologia, Esistenza, Lavoro, (Officine Filosofiche), a cura di M. Iofrida, Mucchi, Bologna 2015, pp. 33-50. Capitolo Terzo Versione modificata del saggio apparso originariamente con il titolo Sul concet- to di ‘trasparenza’. Un’immagine di asssociazione di uomini liberi nel ‘Capitale’ di Marx, in «Metamorfosi», n. 4, 1981, pp. 126-139. Capitolo Quarto Versione largamente modificata di un saggio apparso originariamente con il titolo Rapporti economici e rapporti sociali in Marx, in «Prassi e teoria», n. 6, 1980, pp. 137-156. Capitolo Quinto Versione modificata del saggio originariamente pubblicato in «Annali della Scuola Normale Superiore», vol. XVIII, 2, 1988, pp. 549-766 (relazione al semi- nario dedicato a Bachofen tenuto alla Scuola Normale Superiore e coordinato da Arnaldo Momigliano). Capitolo Sesto Versione modificata di Sul concetto di feticismo, in «Studi Storici», n. 3⁄4, 1983, pp. 429-436. Capitolo Settimo Versione modificata di Concezione antropologica e concezione storica in Marx. Il caso particolare del ‘feticcio della merce’, in aa.VV., Antropologia, prassi, eman- cipazione. Problemi del marxismo, a cura di G. Labica, D. Losurdo, J. Texier, Quattroventi, Urbino 1990. DIVISIONE DEL LAVORO E SVILUPPO DELLA FACOLTÀ DELLA SPECIE UMANA IN MARX 1. In un luogo del capitolo sulla cooperazione, Marx afferma: “Nella cooperazione pianificata con altri l’operaio si spoglia dei suoi limiti individuali e sviluppa la facoltà della specie”1. La facoltà della specie umana consiste nella capacità che hanno gli operai riuniti insie- me e combinati secondo le figure della cooperazione di produrre una quantità di oggetti superiore a quella che lo stesso numero di operai sarebbe in grado di produrre se ciascuno di essi lavorasse isolatamente. Questa idea è già in Adam Smith, attraverso il famoso esempio del- la fabbrica di spilli, come ragione di superiorità del modo capitalistico di produzione, basato essenzialmente sulla manifattura, sui precedenti modi di produzione2. Sappiamo che, per Marx, la cooperazione è “la forma fondamentale del modo di produzione capitalistico”3 e precisa- mente è la forma che attraverso le sue figure tende a svuotare le facoltà individuali degli operai e a trasferirle ai mezzi di lavoro. Nella figura più complessa di cooperazione capitalistica, quella del macchinismo, questo trasferimento si realizza completamente. La storia del passaggio dalla cooperazione semplice, alla manifattura, alle macchine, può essere letta come la storia della perdita delle facoltà individuali lavorative degli operai singoli in ragione dello sfruttamento derivante dallo sviluppo tecnico del processo capitalistico di produzione. Già in A. Smith, nel Libro V della Indagine ecc., si ritrova la descrizione della perdita delle facoltà degli operai sottoposti alla divisione del lavoro nella manifattu- ra. Questa perdita di facoltà è posta come ragione di inferiorità della classe operaia nei confronti dei popoli selvaggi, dove non sussiste la divi- sione del lavoro: rispetto ai selvaggi, lo sviluppo delle facoltà individuali degli operai appare in ragione inversa della crescita della quantità di 1 K. Marx, Il capitale, I, trad. D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma 1964, p. 371. 2 Cfr. A. SMIth, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, ISEDI, Milano 1973, Libro I, cap. I e A. SMIth, La ricchezza delle nazioni. Abbozzo, trad. V. Parlato, Editori Riuniti, Roma 1969. 3 K. Marx, Il capitale, cit., p. 377. AMBIVALENZA DELLA COOPERAZIONE Il ritorno dell’uomo come animale sociale Dopo anni di elogio dell’individualismo nel bel mezzo della glo- balizzazione, mentre ritornava in un modo piuttosto primitivo l’abusa- ta metafora della mano invisibile, qualcosa è cambiato. Dopo l’euforia degli anni ’80, un po’ di attenzione si è spostata da una filosofia inge- nua (ma estremamente vantaggiosa per alcuni) dell’individuo verso la facoltà collaborativa e cooperativa degli uomini. In un certo senso è tornata, se non proprio al centro, almeno lateralmente, l’immagine ari- stotelica dell’uomo come zòon politikón, dell’uomo cioè, come ebbero a tradurre Seneca e Tommaso d’Aquino, come animale sociale. L’elemen- to sociale è tornato a essere considerato come costitutivo della forma- zione dell’individuo sul piano etico, politico e cognitivo. Recentemente il sociologo Richard Sennett ha pubblicato un libro che significativa- mente ha per titolo Insieme ed è un’indagine sulla facoltà cooperativa degli uomini esplicitamente influenzata dalle teorie di Amartya Sen e Martha Nussbaum. “Le idee di Amartya Sen e Martha Nussbaum, egli scrive, sono state per me fonte di ispirazione e costituiscono il tema di fondo che orienta questo libro: le capacità di collaborazione delle per- sone sono di gran lunga maggiori e più complesse di quanto la società non dia loro spazio di esprimere”1. In sostanza la facoltà cooperativa degli uomini, nel nostro sistema sociale, non riesce ad esprimersi ap- pieno e in particolare non assicura la piena realizzazione delle capacità emotive e cognitive umane. Lo scenario che emerge da questa tesi è dunque in primo luogo che la società non riesce a realizzare la facoltà cooperativa umana e in secondo luogo che tale facoltà si realizza grazie alle capacità emotive e cognitive e viceversa, nel senso che, queste, a loro volta, si realizzano appieno soprattutto nella collaborazione e nella cooperazione. 1 R. Sennett, Insieme. Rituali, piaceri e politiche della collaborazione, Feltrinel- li, Milano 2012, p. 41. DIETRO C’È SEMPRE QUALCOS’ALTRO Un’immagine di associazione di uomini liberi e l’idea di trasparenza La trasparenza nasconde sempre qualcosa. Più precisamente na- sconde ciò che viene tolto per far sì che l’immagine renda trasparenti i rapporti che si vogliono rappresentare. Nell’economia politica, quel- le che Marx chiamava “robinsonate”avevano un importante significato epistemologico: semplificare e rendere per l’appunto trasparenti i rap- porti economici complessi del modo di produzione capitalistico. Que- sto processo di semplificazione presupponeva sempre una scelta in ciò che si voleva rappresentare o, in altri termini, un taglio nel quadro rap- presentativo che presupponeva un privilegiamento di una determinata struttura visiva invece di un’altra. Nell’immagine di Robinson ciò che Defoe vuol far vedere è il rap- porto tra il protagonista del suo romanzo e lo spazio naturale che egli deve trasformare per renderlo utile alla sua sopravvivenza. Il comporta- mento di Robinson è il comportamento del borghese nel suo rapporto con la natura attraverso il lavoro. Ed in effetti, da questo punto di vista, il rapporto tra Crusoe e le cose è chiaro e trasparente: “Il suo inventario dice Marx contiene un elenco degli oggetti d’uso che possiede, delle diverse operazioni richieste per la loro produzione, e infine del tempo di lavoro che gli costano in media determinate quantità di questi diversi prodotti”1. L’effetto di trasparenza appare dato da alcune condizioni complesse che già decidono i contorni dell’immagine e dunque la par- zialità di una rappresentazione semplificata del comportamento di un individuo alle prese col proprio lavoro. Baudrillard ha osservato che la trasparenza della relazione di Robinson con le cose è truccata2, ma la chiave del trucco è rintracciabile già nella stessa immagine descritta da 1 K. Marx, Il capitale, cit., p. 109. 2 L. baudrIllard, Per una critica dell’economia politica del segno, Mazzotta, Milano 1974, p. 148. IL METODO DI MARX E L’USO DELL’ASTRAZIONE 1. A più riprese Marx ha sottolineato che il porre l’uomo isola- to all’origine dello sviluppo sociale e del processo storico è un assur- do. Nelle Forme che precedono la produzione capitalistica, egli osserva come sia semplice raffigurarsi che un uomo potente possa servirsi di un altro uomo “come di una condizione naturale preesistente della sua riproduzione”1, e fare dell’esercizio del dominio il suo specifico lavoro allo scopo di far lavorare altri uomini per lui; presupporre cioè una divisione del lavoro tra signore e servo prima che siano state poste le condizioni originarie, comunitarie per la riproduzione della vita de- gli uomini. “Ma una simile idea è assurda – per quanto possa essere giusta dal punto di vista di certe organizzazioni tribali o collettività – in quanto essa parte dallo sviluppo di uomini isolati. L’uomo si isola soltanto attraverso il processo storico”2. La questione posta da Marx non è, ovviamente, nuova. Ferguson, per esempio, aveva già sostenuto la necessità di considerare la specie umana in gruppi e di condurre l’indagine storico-sociale avendo come oggetto la società intera e non gli uomini separatamente presi3. In generale tutta la cosiddetta “scuola storica scozzese” aveva posto il problema di uno studio della storia umana a partire dagli uomini riuniti in società ed aveva sottolineato che il fattore chiave per comprendere lo sviluppo delle diverse società era il “modo di sussistenza”4, da cui si potevano spiegare costumi, leg- gi, forme di governo. È stato sostenuto, a questo proposito, che Marx 1 2 3 Bari 1999, 4 K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, II, cit., p. 123. Ibidem. A. FerguSon, Saggio sulla storia della società civile (1767), Laterza, Roma- p. 6. Cfr. W. robertSon, History of America (1777), in Works, Hill, Edinburgh V, p. 111; e J. MIllar, The Origin of the Ranks (1771), ristampato in W.C. 1818, vol. lehMann, John Millar of Glasgow, Cambridge University Press, Cambridge 1960, p. 175 (trad. it. J. MIllar, Osservazioni sull’origine delle distinzioni di rango nella società, Fran- coAngeli, Milano 1989). BACHOFEN, ENGELS, MARX La pubblicazione ad opera di Krader degli estratti etnologici, l’ultimo lavoro di Marx, rimasto incompiuto, impone di discutere del ruolo di Bachofen nell’Origine della famiglia di Engels, che segnò la fortuna del Mutterrecht nel marxismo, tenendo conto di questo labora- torio. La ragione è semplice: il libro di Engels è basato su tali appunti, e certamente, comparando lo scritto di Marx con quello di Engels, balza subito agli occhi il ben diverso peso che Bachofen ha nei due casi. D’altra parte la frammentarietà degli appunti marxiani non rende sem- plice il lavoro, ma non ci si può accontentare di segnalare le differenze di Marx e di Engels su Bachofen senza fare almeno un tentativo di interpretare il senso della ricerca di Marx al momento della sua morte. Si tratta di provare a capire, se è possibile, quale significato abbia la grande presenza di Bachofen nell’opera di Engels, laddove la cosa non è affatto riscontrabile nel Marx che sta lavorando su quel Morgan che, a sua volta, sarà la base dell’Origine della famiglia. Ma, data appunto la frammentarietà del testo di Marx, l’unica via praticabile sembra quella di considerare in primo luogo il contesto teorico entro cui Marx stava operando e riflettendo. 1. Il laboratorio di Marx L’Origine della famiglia, la cui prima edizione è del 1884, fu pre- sentata da Engels come l’“esecuzione di un lascito”1. Marx, morto un anno prima, aveva lasciato ad uno stadio rudimentale il suo lavoro su Morgan, Phear, Maine, Lubbock, Kovalevskij2. Si trattava in gran parte 1 F. engelS, L’origine della famiglia, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 33. 2 The Ethnological Notebooks of Karl Marx (Studies of Morgan, Phear, Maine, Lubbock), cit.; L. krader, The Asiatic Mode of Production. Sources, Development and Critique in the Writings of Karl Marx, Van Gorcum, Assen 1975 pp. 343-412: K. Marx, Excerpts from M.M. Kovalevslcij. Sugli appunti di Marx; cfr. inoltre, L. achenza, Sui Taccuini etnologici di Marx, in «ASNP», S. III, XIV, 1984, pp. 1385-1416; P. greMIgnI, SUL CONCETTO DI «FETICISMO» IN MARX Il concetto marxiano di feticismo delle merci è stato analizzato da due punti di vista: quello del suo rapporto con il concetto di alienazione e l’altro della sua connessione con la teoria del valore. È possibile tut- tavia affrontare il problema in modo diverso, forse più ovvio: a partire cioè dalla fonte usata da Marx per la formazione di questo concetto. Si tratta dell’opera di Charles de Brosses, Du Culte des Dieux fétiches, pub- blicata anonima a Parigi nel 1760, che Marx aveva studiato a Bonn nel 1842 in una traduzione tedesca di Pistorius del 1785, e di cui aveva fatto degli estratti1, come del resto di altri testi, tra i quali quello di Meiners sulle religioni2 che riprende il tema brossiano. Considerato il problema da questo angolo visuale, si potrà vedere che il concetto marxiano di feticismo, che diventerà successivamente il concetto di feticismo delle merci, è carico di implicazioni che forse consentono di precisare alcune questioni teoriche ad esso connesse. 1. Il concetto di feticismo ripropone, come è noto, il problema delle apparenze, cioè dello scarto esistente tra l’essere sociale e le im- magini “nebulose e fantastiche” attraverso cui l’essere sociale è visto e concepito dagli uomini. Un tema che percorre la riflessione di Marx nel corso di tutta la sua biografia intellettuale, ma che nel feticismo delle merci assume un valore specifico. Ed è proprio per questo che appa- re necessario percorrere specificamente la strada dello sviluppo di tale concetto, anche perché, inoltre, in esso si possono rilevare due momen- ti importanti del procedimento teorico di Marx, certamente carichi di 1 K. Marx, Fetischismus, MEGA 2, vol. IV/1, Dietz, Berlin 1976. 2 C. MeInerS, Allgemeine kritische Geschichte der Religionen, 2 voll., Hannover 1806-1807. Su Meiners come volgarizzatore di de Brosses, cfr. M. daVId, La notion de fétichisme chez Auguste Comte et l’oeuvre du présidente de Brosses ‘Du culte des dieux fétiches’, in «Revue de l’Histoire des Religions», t. CLXXI (1967), n. 2, e S. landuccI, I filosofi e i selvaggi, Einaudi, Torino 2014. ANTROPOLOGIA E STORIA IN MARX. IL CASO PARTICOLARE DEL «FETICCIO DELLA MERCE» La nozione di carattere di feticcio della merce costituisce un momen- to particolare e privilegiato per un’analisi del rapporto fra concezione antropologica e concezione storica in Marx. Le ragioni di questa parti- colarità e di tale privilegio risiedono principalmente nei seguenti fatto- ri: a) nell’uso stesso del concetto di «feticcio» mutuato dalla tradizione etnologica e storico-religiosa a partire dal colonialismo; b) nella torsione teorica che il concetto di feticcio e la nozione di «feticismo» giocano nel corso dello sviluppo del pensiero di Marx; c) nel fatto che il «carattere di feticcio della merce» costituisce un aspetto molto specifico e comples- so dell’idea di rovesciamento provocato dalla coscienza ideologica nei confronti della realtà; d) nel fatto, infine, che la nozione di «feticcio» ap- plicata alla merce viene a definite la funzione simbolica dell’oggetto eco- nomico-sociale e, all’inverso, la funzione economico-sociale dell’oggetto simbolico. Di questi quattro fattori, lo svolgimento dei primi due con- sente di capire come l’applicazione del concetto di «feticcio» alla merce capitalistica significhi, almeno per quel che riguarda questo punto, un radicale mutamento strategico e teorico del concetto stesso rispetto alla sua storia e all’accezione fino ad allora comune e dominante in campo filosofico, etnologico e storico-religioso. E lo sviluppo del pensiero di Marx conferma, a mio parere, il senso di tale mutamento. I secondi due fattori aprono molte questioni interpretative, in particolare riguardo al rapporto fra condizioni reali della forma di vita sociale e forme della coscienza e dell’ideologia, alla specificità ed eccezionalità storica del si- stema capitalistico, al problema dell’osservatore che si trova ad operare e interpretare in quel groviglio che è il sopraddetto rapporto fra condizioni della vita sociale e ordine simbolico e culturale. Ma, soprattutto, possono forse aiutare a comprendere il senso della separazione fra la struttura ca- pitalistica delle relazioni fra gli uomini e gli individui in quanto tali; cioè del modo particolare in cui le relazioni si autonomizzano dagli individui, e la «comunità», originariamente concreta, deposita i rapporti nelle cose, andando a costituire un astratto sistema di vincoli sociali. INDICE Prefazione 5 Riferimenti bibliografici 11 1. Divisione del lavoro e sviluppo della facoltà della specie umana in Marx 13 2. Ambivalenza della cooperazione 35 3. Dietro c’è sempre qualcos’altro 55 4. Il metodo di Marx e l’uso dell’astrazione 67 5. Bachofen, Engels, Marx 85 6. Sul concetto di «feticismo» in Marx 101 7. Antropologia e storia in Marx. Il caso particolare del «feticcio della merce» 111 Indice dei nomi 119 philosophica  L’elenco completo delle pubblicazioni è consultabile sul sito www.edizioniets.com alla pagina http://www.edizioniets.com/view-Collana.asp?Col=philosophica  Pubblicazioni recenti 208. Alfonso Maurizio Iacono, Studi su Karl Marx. La cooperazione, l’individuo sociale e le merci, 2018, pp. 124. 207. Imre Toth, Le sorgenti speculative dell’irrazionale matematico nei dialoghi di Platone, a cura di Romano Romani e Paolo Pagli, prefazione di Romano Romani. In preparazione. 206. Alessandra Fussi, Per una teoria della vergogna, 2018, pp. 164, ill. 205. Alberto Pirni, La sfida della convivenza. Per un’etica interculturale, 2018, pp. 308. 204. Matteo Galletti, Reciprocamente responsabili. La responsabilità morale tra naturalismo e normativismo, 2018, pp. 296. 203. Linda Bertelli, L’utopia nell’estetico. Tempo e narrazione in Ernst Bloch, 2018, pp. 152. 202. Andrei Pleșu, Pittoresco e malinconia. Un’analisi del sentimento della natura nella cultu- ra europea, traduzione e cura di Anita Paolicchi, prefazione di Victor I. Stoichita, 2018, pp. XII-216. 201. Danilo Manca, La disputa su ispirazione e composizione. Valéry fra Poe e Borges, 2018, pp. 176. 200. Russo Maria Teresa, Esperienza ed esemplarità morale. Rileggere Le due fonti della mora- le e della religione di Henri Bergson, 2017, pp. 100. 199. Filieri Luigi, Vero Marta [a cura di], L’estetica tedesca da Kant a Hegel, Prefazione di Leonardo Amoroso, 2017, pp. 176. 198. Flamigni Gabriele, Presi per incantamento. Teoria della persuasione socratica, Prefazione di Maria Michela Sassi, 2017, pp. 144.  Edizioni ETS Piazza Carrara, 16-19, I-56126 Pisa info@edizioniets.com - www.edizioniets.com Finito di stampare nel mese di maggio 2018. Di consequenza, e la cooperazione, cosi come di dispiega nella conversazione, a determinare que moni intermedi che presuppongon non un io ma un noi. Alfonso Maurizio Iacono. Iacono. Keyword: feticismo conversazionale. Il Vico di Iacono. Il Pirandello di Iacono, la cooperazione. Imitare, imago, imaginario collettivo di Jung --  Luigi Speranza, “Grice ed Iacono: l’implicatura dell’intermezzo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Illuminati – il filosofo all’opera – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Illuminati, especially his essay on Rousseau, between solipsism and conversation!” -- La città e il desiderio. Viene meno un modo di fare in cui la soggettività potente si appropria il mondo subordinando le altre potenze soggettive e realizza la sua essenza destinale mediante adeguati meccanismi di rappresentazione e manipolazione tecnica. (108-109) Come utilizzare regole pubblicamente valide senza colpevolizzare e controllare dall'altro le forme di vita degli uomini è precisamente l'antinomia della cittadinanza. La politicizzazione di sfere inabituali va insieme alla diserzione di istituzioni sclerotiche. Una ricaduta pratica ne è l'integrazione delle strutture rappresentative con nuove lobbies o la richiesta di quote per minoranze Nel lasciar-essere che si contrappone alla tracotanza istituzionale convivono cosi l'ancora-non-rappresentato che cerca lobbisticamente rappresentazione, e rifiuto radicare di rappresentazione. Professore associato di storia della filosofia politica, dall'anno accademico ha assunto la cattedra di storia della filosofia, dove è stato chiamato come straordinario. Insegna a Urbino. Fa parte anche del Collegio dei docenti del Dottorato di ricerca in antropologia filosofica e fondamenti delle scienze e del Collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca in Filosofia Moderna e contemporanea (Bari-Ferrara-Urbino). E' inoltre presidente del Corso di laurea in filosofia.  Ha scritto:  Sociologia e classi sociali, ed. Einaudi, Torino); “Kant politico, ed. La Nuova Italia, Firenze); Società e progresso nell'illuminismo francese, ed. Argalia, Urbino); Jean-Jacques Rousseau, ed. La Nuova Italia, Firenze);  J.-J. Rousseau e la fondazione dei valori borghesi, ed. il Saggiatore, Milano); Antologia con introduzione (pp. V-XXX) e note) di J.-J. Rousseau, Il contratto sociale, ed. La Nuova Italia, Firenze); Gli inganni di Sarastro, ed. Einaudi, Torino);  Il potere "disseminato", in Aa.Vv., Lavoro Scienza Potere, ed. Feltrinelli, Milano); Winterreise, ed. Dedalo, Bari); Racconti morali, ed. Liguori, Napoli); Sentimenti dell'aldiqua (in collaborazione con Aa.Vv.), ed. Theoria, Roma-Napoli); La città e il desiderio, ed. manifestolibri, Roma); Aa.Vv., Democrazia difficile, Roma, ed. il Passaggio);  Nuove servitù (in collaborazione con Aa.Vv.), ed. manifestolibri, Roma); Introduzione a P. Nizan, Aden Arabia, ed. Fahrenheit, Rom);  Esercizi politici —quattro sguardi su Hannah Arendt, ed. manifestolibri, Roma); Averroè e l'intelletto pubblico –antologia di scritti di Ibn Rushd sull'anima, introduzione (e cura, ed. manifestolibri, Roma); Il teatro dell'amicizia –metafore dell'agire politico, ed. manifestolibri, Roma);  Quasi una fantasia. Funzioni cognitive dell'immaginazione nei commentatori di Aristotele in Aa.Vv., Imago in phantasia depicta. Studi sulla teoria dell’immaginazione, a cura di Lia Formigari, Giorgio Casertano, Italo Cubeddu, ed. Carocci, Roma, Quasi una fantasia. Funzioni cognitive dell'immaginazione nei commentatori di Aristotele, in Materiali per una storia e teoria dell’immaginazione, “Quaderni dell’Istituto di Filosofia-Urbino” Il filosofo all'Opera, -- Bellini, Verdi -- ed. manifestolibri, Roma); Completa beatitudo: l'intelletto felice. Tre opuscoli sulla. congiunzione con l'Intelligenza Agente. Ed. l'Orecchio di van Gogh, Chiaravalle);  Del comune -cronache del general intellect, Roma, manifestolibri, Bandiere.   Dalla militanza all'attivismo, Roma, DeriveApprodi. Grice: “I enjoyed Illuminati’s treatment of Rousseau’s myth of the social contract, since I made use of it!” – ‘Imagine is a good thing, but is there such a thing as co-imagine?” -- Augusto Illuminati. Illuminati. Keywords: il filosofo all’opera. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Illuminati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752902177/in/dateposted-public/

 

Grice ed Incardona – Questo è l’uomo – filosofia italiana – filosofia siciliana – gl’inferi del principio -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “I like Incardona; for one, he gave seminars on ‘la costanza dell’io,’ as I did! Second, he used Greek freely, as I do! Third, he is slightly incomprehensible, as I am SAID to be!” Insegna a Palermo. Studia nel Liceo classico Ruggero Settimo. Direttore del Giornale di Metafisica, fondato da Sciacca. La tematica fondamentale di Incardona è la "filosofia del principio", un percorso nella storia della filosofia sul volto all'interrogazione riguardo al fondamento e all'archè. Le due categorie concettuali attraverso cui legge la storia della filosofia sono l'arcaicità, identificata con Aristotele, e l'arcaismo, identificato con Hegel. Aristotele ed Hegel sono infatti nella filosofia del principio le due porte, l'inizio e la fine, l'elemento e il compimento della filosofia. Il percorso della filosofia e un percorso aporetico, in cui la dialettica assume l'aspetto di un dialogo senza soluzione fra tensione naturale alla conoscenza e fallimento destinale dell'impresa conoscitiva. Ha influenza che nel campo dell'ermeneutica. Il suo contributo determinante è stata la sua riflessione non scettica ma aporetica sull'archè. La questione aristotelica del ‘principio’ (ontologico ed epistemologico, di non contraddizione e teologico come Dio) viene colta ed elevata da questione logica a questione esistenziale. Compagni di strada naturali, sebbene fortemente criticati da Incardona, sono, in questa sorta di teologia negativa, Derrida e Heidegger. In essi è infatti rintracciabile la tematica privativa e mistico-antirazionale del rapporto con l'assoluto. L'unica cosa che si può dire dell'assoluto è che esso non è alla nostra portata, esso nasconde al filosofo il volto come all'esule è nascosta la patria. Sebbene veda nella filosofia post-hegeliana una sorta di "pleonasmo" che non ha più alcuna utilità nella società contemporanea (antifilosofia), sembra che le sue intuizioni più originali e più feconde nascano proprio da una rielaborazione personale delle tematiche ermeneutiche di Heidegger. Saggi: “Idealismo della filosofia ed esperienza storica” (Epos, Palermo); “Idealismo tedesco ed italiano” (Epos, Palermo); “Gl’inferi del principio. Interrogazione e invocazione” (Epos, Palermo); “Karpòs” (Epos, Palermo);  “Meditatio in curriculo mortis” (Epos, Palermo); “Kéntron” (Epos, Palermo); "L'inclusione dell’altro. Profilo di Giuseppe Nicolaci", Epekeina. International Journal of Ontology, History and Critics. Grice: “I used to use ‘principle’ very freely until I met Incardona. My conversational principle of cooperativeness became an ‘imperative’ – the conversational imperative – ‘let’s cooperate!’ – under which the different conversational maxims fall. Incardona says that talk of ‘principle’ usually leads you to an aporia, or to hell! “l’inferi del principio’!”  Nunzio Incardona. Incardona. Keyword: Questo è l’uomo, principio, principio conversazionale, arcaismo, arcaico, arcaita – principium – imperative – Kant – Hegel – Aristotle -. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Incardona” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752880912/in/datetaken/

 

Grice ed Infantino – diada conversazionale – il rischio dei solidali -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gioia Tauro). Filosofo. Grice: “I like Infantino: for one, he prefaced an essay on ‘the perils of solidarity,’ which is all my conversational pragmatics is about!” Insegna a Roma. La sua filosofia si svolge infatti nel solco tracciato da  Hayek che coniuga le acquisizioni di Mandeville e dei moralisti scozzesi con quelle della Scuola Austriaca di Economia. Cura Menger, Boehm-Bawerk, Mises e Hayek. Pubblica “L’ordine senza piano: le ragioni dell’individualismo metodologico” (Roma, NIS) “Ignoranza e libertà” (Soveria Manneli, Rubbetino); “Individualismo, mercato e storia delle idee”; “Potere. La dimensione politica dell’azione umana” (Soveria Manneli, Rubbettino). Vede nelle conseguenze inintenzionali delle azioni umane intenzionali l’oggetto delle scienze sociali, che vengono in tal modo affrancate da qualsiasi psicologismo. È il tema sollevato da Mandeville e dai moralisti scozzesi, ripreso poi con forza da Menger e Hayek. Non sono le intenzioni dei singoli (o quelli che sono stati infelicemente chiamati “spiriti animali”) a spiegare i fenomeni sociali. Occorre piuttosto individuare le condizioni che rendono possibile o impossibile un dato evento. Tale tradizione di ricerca ha come suo presupposto il riconoscimento dell’ignoranza e della fallibilità umane. Da cui discende l’abbattimento del mito del “Grande Legislatore”, il cui posto viene occupato dal processo sociale, cioè dalla co-operazione volontaria. Questa costituisce un procedimento di esplorazione dell’ignoto e di correzione degli errori. Ed è su tale teoria della società che Infantino si muove per spiegare il fenomeno del potere, da lui studiato come potere infra-sociale, derivante cioè dall’inter-azione, e il potere pubblico, ossia il potere d’intervento dello Stato nella vita sociale. La competizione minimizza il potere infra-sociale, perché non c’è un unico agente che offre o un unico agente che richiede. Il potere pubblico si minimizza o si limita, attribuendo allo Stato un’esclusiva funzione di servizio nei confronti della cooperazione sociale volontaria. Pubblicato “Cercatori di Libertà” (Soveria Mannelli, Rubbettino, ), in cui è ospitato un suo scritto che ha fatto da introduzione a “A proposito di Rousseau”, dedicato da Hume alla rottura dei suoi rapporti con Rousseau. Gli altri saggi della raccolta si occupano di Constant, Mises, Hayek (Luigi Einaudi). Cubeddu e  Reichlin hanno curato “Individuo, liberta, e potere: studi in onore di Infantino” (Rubbettino Editore) di scritti in suo onore, a cui hanno contribuito numerosi studiosi di ispirazione liberale. Altre opera: Sociologia dell'imperialismo: interpretazioni liberali, Milano, FrancoAngeli); “Dall'utopia al totalitarismo: Marx, Dio e l'impossibile, Roma, Borla); “La societa aperta, Roma, Quaderni del Centro di metodologia delle scienze socialiLUISS Guido Carli; “Metodo e mercato, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Destra: una parola ormai inutile” Soveria Mannelli, Rubbettino); “Scuola austriaca di economia: album di famiglia, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Le ragioni degli sconfitti: nella lotta per la scuola libera, Roma, Armando); “Le scienze sociali” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Individualismo, mercato e storia delle idee, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Idee di libertà. Economia, diritto, società” (Soveria Mannelli, Rubbettino); Cercatori di libertà, Soveria Mannelli, Rubbettino);Potere: la dimensione politica dell'azione umana, Rubbettino, Soveria Mannelli.Grice: “Pure il nostgro piu spontaneo desiderio di aiutare gli altri “esige un patto anticipato fra almeno due persone”, chi propone e chi accetta. Come avviene in ogni altro rapport intersoggetivo, amicia e amore compresi, c’e nella solidarieta uno ‘scambio,’ in cui devono essere presenti la disponibilita a dare e la disponsibilita a ricevere.  Étymol. et Hist. 1. 1584 dr. obligation solidaire (J. Duret, Commentaire aux coustumes du duché de Bourbonnois, § 35, p. 274); 2. id. « se dit des personnes liées par un acte solidaire » (Id., ibid.); 3. 1739-47 « se dit des personnes qui ont une communauté d'intérêts ou de responsabilités » (Caylus, Œuvres badines, X, 41); 4. 1834 « se dit des choses qui dépendent l'une de l'autre » (Béranger, Acad. et Cav. ds Littré); 5.1861 mécan. « se dit des pièces d'un engrenage dont le fonctionnement est lié » (M. Cournot, Traité de l'enchaînement des idées fondamentales dans les sc. et dans l'hist., t. 1, p. 80). Dér. de solide*; suff. -aire1*, pour rendre compte du lat. jur. in solidum « pour le tout », « solidairement ».  Fréq. abs. littér.: 436. Fréq. rel. littér.:xixes.: a) 358, b) 277; xxes.: a) 947, b) 829. Società di mutuo soccorso associazioni di lavoratori sorte per sopperire alle carenze dello stato sociale Lingua Segui Modifica Le  Società operaie di mutuo soccorso (SOMS) sono associazioni, nate in Italia intorno alla seconda metà dell'XIX secolo.[1]   Cesare Pozzo (1835 - 1898), pioniere del mutualismo italiano  Targa della SOMS sull'esterno della sede ad Arquata Scrivia Le forme originarie videro la luce per sopperire alle carenze dello stato sociale ed aiutare così i lavoratori a darsi un primo apparato di difesa, trasferendo il rischio di eventi dannosi (come gli incidenti sul lavoro, la malattia o la perdita del posto di lavoro).  StoriaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia dello stato sociale in Italia: l'età liberale (1861-1921). Le SOMS nacquero come esperienze di associazionismo e mutualità, coeve alla protoindustria, per rispondere alla necessità di forme di autodifesa del mondo del lavoro. Dopo l'ondata rivoluzionaria del 1848 la loro diffusione subisce un notevole incremento grazie alla concessione di costituzioni liberali negli antichi Stati italiani. Prima di tale data la libertà di associazione era fortemente limitata ed ostacolata dagli ordinamenti nati nel clima poliziesco della Restaurazione.[1] Il funzionamento delle SOMS venne regolato con la legge 15 aprile 1886, nº 3818.   Giuseppe Moricci, L'artigiano cieco e la sua famiglia, 1851[2] All'epoca della I Internazionale (1864), erano già sorte le prime Società di Mutuo Soccorso o di mutuo appoggio, nate con lo scopo di darsi solidarietà e/o chiedere aiuto ad altri ceti sociali. L'"età d'oro" delle società di mutuo soccorso è nei due decenni tra il 1860 e il 1880. In particolare, nel periodo dal 1871 al 1893, le Società si unirono tra loro nel Patto di fratellanza, di ispirazione mazziniana e saffiana.  Successivamente a questo tipo di esperienza che alcuni (tra i quali Bakunin) consideravano paternalistica, si affiancarono altri tipi di organizzazione di lavoratori che sostituirono alla concezione mutualistica e solidaristica quella sindacale e partitica. Le società di mutuo soccorso continuarono tuttavia ad espandersi sia come numero di associazioni (che toccò il picco di 6722 nel 1894)[3]che di associati (il culmine è nel 1904 con 926.000 soci)[4].  Le società di mutuo soccorso svolgono un grande ruolo agli esordi delle prime organizzazioni sindacali. Nel 1891 saranno le SOMS a creare la Camera del Lavoro di Torino[5][6]. A Milano il 2 e il 3 agosto 1891, si radunarono i delegati di 450 Società Operaie di Mutuo Soccorso che decisero di costituire sindacati di categoria riuniti in Camere del Lavoro.[7]  Il biennio 1898-99Modifica Il 1898 fu in Italia l'anno di una grave crisi politica sfociata in una sommossa in molte città d'Italia, in particolare Milano. La reazione governativa fu particolarmente pesante, furono sciolte molte organizzazioni socialiste[8] e quelle cattoliche facenti capo all'Opera dei congressi[9][10] Il clima di diffidenza investì anche le società operaie, accusate di svolgere attività sindacale. Gli ambienti più aperti reagirono al clima di pesante controllo da parte del governo presieduto da Luigi Pelloux (che ricopriva anche l'incarico di ministro degli interni) sulle associazioni di carattere sindacale e politico,[11] fondando nuove associazioni che svolgevano compiti di aiuto economico ai piccoli imprenditori. In questo clima nella frazione Ronchi San Bernardo fondarono una Società Agricola operaia. Per ribadire il valore dell'associazionismo ripiegarono su attività sociali che non potevano essere accusate di avere valenza politica.  Le società agricole-operaieModifica Il 1898 era anche un anno caratterizzato dalla grande crisi agraria: le zone vinicole erano state devastate dalla fillossera e dalla peronospora. La formula trovata dai settori più progressisti ed illuminati fu quella del rilancio di strutture che assicurassero agli agricoltori la fornitura dei mezzi di produzione (sementi, concimi, macchine agricole) a prezzi calmierati e di buona qualità. Il governo, che non prendeva nessun altro provvedimento a favore del mondo agricolo, dovette tollerare che iniziativa come quella dei piccoli proprietari di Courgnè avevano intrapreso, sotto il modello di fratellanza delle "società operaie" dopo aver chiarito che l'oggetto sarebbe stato il sostegno alla produzione e non attività politica. Pertanto fu chiarito che per essere ammesso come socio, occorreva dimostrare di essere proprietario sia pure di un piccolo appezzamento di terreno agricolo.[12]  L'autorità di polizia aveva provveduto nel maggio 1898 allo scioglimento di molte società di mutuo soccorso, al sequestro del loro patrimonio, e da una interrogazione parlamentare dell'onorevole Bertesi, sappiamo che nel dicembre successivo non era stato dissequestrato.[13]  L'eccezionalità della costituzione della Società Agricola Operaia Ronchi San Bernardo di Courgnè è dato che persino nell'anno seguente il giornale La Stampa segnalava che le Società operaie venivano chiuse senza che avessero dato alcun pretesto[14] Di altro esempio di costituzione di Società Agricola Operaia c'è l'anno successivo a Trapani[15]  Al fiorire delle iniziative sparse a livello locale corrispose, poi, uno sforzo unificante. Il ruolo di acquisire i mezzi di produzione agricola si spostò a livello provinciale nei Consorzi agrari, coordinati a livello nazionale dalla Federconsorzi Le iniziative locali, quando sopravvissero, ebbero solo la valenza di meri circoli che gestivano il massimo centro di aggregazione delle piccole località rurali: l'osteria, ma salvando a volte una valenza associativa.[16][17] La società di Cuorgnè riuscì così a raggiungere i 120 anni, continuando a svolgere attività di carattere sociale e filantropico[18][19]  Il NovecentoModifica Il 5 settembre 1900 nasce la Federazione italiana delle società di mutuo soccorso. L’articolo 1 dello Statuto di allora recitava così: “È costituita la Federazione Italiana delle Società di Mutuo Soccorso al fine di provvedere alla tutela degli interessi delle Società federate e contribuire a migliorare moralmente e materialmente la condizione delle classi lavoratrici a mezzo della previdenza". Fin dalle origini la Federazione fu al fianco del movimento cooperativo e del movimento sindacale, formando un’alleanza allora fondamentale per l’affermazione dei diritti dei lavoratori e della legislazione sociale.  Con decreto prefettizio, la Federazione italiana delle società di mutuo soccorso fu sciolta nel periodo fascista insieme alle SOMS, anch'esse sciolte o incorporate in organizzazioni fasciste. Nel 1948 la Federazione fu ricostituita e assunse la denominazione di Federazione italiana della mutualità (Fim).    La sede della SOMS di Villa del Foro (Alessandria) durante il periodo fascista Verso la fine degli anni cinquanta, quando le SOMS ripresero ad espandersi, la società italiana era profondamente cambiata: i lavoratori avevano ottenuto maggiori tutele, erano state introdotte le pensioni ed era stata estesa la protezione nel campo sanitario(almeno per il lavoro dipendente), mentre scarsa era la "copertura" per professionisti e lavoratori autonomi; nei loro confronti si spostò quindi la maggior parte del lavoro svolto dalle SOMS.  A seguito della rinnovata attenzione alle forme di mutualità integrativa al welfare pubblico, dopo il congresso del 1984, la Fim diventò Federazione italiana della mutualità integrativa volontaria (Fimiv).[20] A partire dagli anni 2000 le SOMS hanno poi rivolto la loro attenzione soprattutto verso l'assistenza sanitaria integrativa. Alla fine del 2007 viene costituita la Società Generale di Mutuo Soccorso Basis Assistance che nel 2012 incorpora per fusione prima Mutua 1886 e poi Mutua Sarda, diventando la più grande mutua sanitaria italiana per numero di assistiti.  Il 25 ottobre del 2011 prende forma l'Associazione Nazionale Sanità Integrativa (ANSI) nuova realtà capace di tutelare, aggregare e sostenere le diverse forme mutualistiche operanti in Italia. L'ANSI è frutto dell'unione di 8 tra fondi sanitari e società di mutuo soccorso, tra cui Mutua Basis Assistance, fondo C.A.S.P.I.E., Cassa di Assistenza Basis Assistance, Mutua Unica e Mutua Sarda.  Nel 2015, il Fondo FASV – Fondo di Assistenza Sanitaria Integrativa di Assolombarda – ha approvato il progetto di fusione per incorporazione nella Società Generale di Mutuo Soccorso, Mutua Basis Assistance che diviene effettivo il 1º gennaio del 2016. Nell'aprile del 2017 l'Associazione Nazionale di Sanità Integrativa cambia denominazione sociale, trasformandosi in Associazione Nazionale Sanità Integrativa e Welfare, con l'intento di dare voce a tutte quelle realtà che si affacciano al mondo del welfare aziendale.  Sono oltre 500 le società di mutuo soccorso attualmente aderenti alla Fimiv, collegate direttamente o attraverso i coordinamenti territoriali associati, per complessivi 953.000 tra soci e assistiti, questi ultimi intesi come familiari dei soci e iscritti ai fondi sanitari gestiti in mutualità mediata. Nel 2016 le società di mutuo soccorso della Federazione hanno partecipato all’integrazione dell’assistenza sanitaria pubblica mediante prestazioni e sussidi erogati ai soci e assistiti per un valore di 95 milioni di euro, pari a oltre il 78% dei contributi raccolti. A garanzia della capacità di copertura delle prestazioni, gli accantonamenti complessivamente destinati dalle società di mutuo soccorso a riserva indivisibile ammontano a oltre 100 milioni di euro.[21]  La Fimiv svolge il ruolo di rappresentanza, promozione, sviluppo e difesa delle società di mutuo soccorso e degli enti mutualistici che vi aderiscono, fornendo loro assistenza e servizi di sostegno e organizzando convegni ed eventi pubblici come la Giornata nazionale della Mutualità giunta alla sua IX edizione. Si adopera per la diffusione e la tutela dei principi della mutualità ed esige il rispetto del Codice identitario della mutualità da parte delle sue associate.[22]  La Fimiv Aderisce alla Lega nazionale delle cooperative e mutue, al Forum nazionale del Terzo Settore e all’Associazione internazionale della mutualità (Aim). Nel 2001 è stata riconosciuta dal Ministero dell’interno quale Ente nazionale con finalità assistenziali, ai sensi della legge n. 287/1991 e dei decreti del Presidente della Repubblica n. 235/2001 e n. 640/1972. Lorenzo Infantino. Keyword: co-operazione. Il diadismo metodologico, diadismo conversazionale, statalismo, tottalitarismo, liberalism, partito liberale italiano, collettivismo, cooperazione, competizione, solidale, solidario, solidarii, solidali, le code francais, obligatio in solidum, oligatio in solidum and solidarity, obbligazione in solidum e solidarieta, J.Vincent, L’extension en jurisprudence de solidarite passive. I. Mazeaud, Obligation in solidum et solidarite entre codebiteurs delictuels.’ Infantino. Keywords: diada conversazionale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Infantino: il diadismo conversazionale” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754325374/in/dateposted-public/

 

Grice ed Iorio – torna a Sorrento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Seravezza). Filosofo.  Grice: “The line and the circle is what Chomsky would call a NP, but there’s two books on it by Italian philosophers! Oddly, I visited Sorrento on my way to Greece!” Si laurea a Pisa con Campioni. Studia filosofia antica. Opere: La linea e il circolo” (Genova, Pantograf). Genesi, critica, edizione; D'Iorio e N. Ferrand, Pisa. ffetto da numerosi problemi di salute e da un disturbo agli occhi, nel suo viaggio verso il Sud dell’Italia, da Napoli raggiunge Sorrento via mare, alloggiando nella pensione Allemande-Villa Rubinacci, ospite di Malwida von Meisenburg, una ricca mecenate delle arti. Ne rimase subito folgorato, tanto da restare per più di sei mesi. A suo dire, questo soggiorno fu uno dei più felici della sua tormentata vita. The influence of philosophical irrationalism upon Mussolini’s fascism is evident from his readings and studies. Mussolini read avidly from the works of Schopenhauer, Nietzsche, and Sorel. The works of Marx were also an influence on Mussolini. One must remember from the outset that all of Mussolini's readings serve only to enhance his own pragmatic theories, and that Mussolini values action and experience more than doctrine; nevertheless, the trend of Mussolini's thoughts and actions clearly shows that the greater part of whatever influence previous philosophers had upon him falls within the realm of irrationalism. Christopher Hibbert, II Duce (Boston, Toronto); Chester C. Maxey, Political Philosophies (New York); Herman Finer, Mussolini's Italy (London)’ Benito Mussolini, My Autobiography, translated by Richard Washburn Child (New York). Mussolini derived from the pessimistic philosophy of Schopenhauer and the irrational theories of Nietzsche and Sorel the basic idea that a human life as such has no sacred value. This evaluation of human existence is expressed by the Fascist theorist Giovanni Gentile, and Mussolini heartily concurred with his spokesman.'* With this general attitude toward humanity, the more complex doctrines of Fascism attained greater palatability for Mussolini and his generation of Italians. The influence of Nietzsche on Mussolini is quite obvious. Certain passages from the two men's writings are almost interchangeable. Nietzsche's ideas are perverted by Mussolini, and the Italian dictator uses Nietzsche's terminology more than he used the true essence of Nietzsche's thoughts. However, the general influence of Nietzsche on Fascism remains apparent. In general, Nietzsche's concepts of the transvaluation of values, the eternal struggle for power, the moral value of violence, elitism, and the supremacy of the super-man are the most important aspects of Nietzsche's philosophy that influence Mussolini. William K. Stewert, "The Mentors of Mussolini," American Political Science Review, XXII. In general, Mussolini's thinking was greatly influenced by the wave of irrationalism which had swept the European intelligentsia of the nineteenth and early twentieth centuries. This fact is important in two respects. Primarily, an understanding of philosophical irrationalism provides an opportunity for an insight into Mussolini's thoughts. Many of the irrational concepts were incorporated in toto into the Fascist ideology. In addition to this, philosophical irrationalism in its several manifestations had imbued the post-World War generation with a detestation of the values of the current European order, and had originated new possibilities for trans-forming these values into something more worthwhile. This gives Mussolini a whole generation of dissatisfied and disillusioned Italians to mold into Fascists, and it also affords him the advantage of speaking to this culture in terms which it already understood and held faith in. The development of philosophical, irrationalism in Continental Europe permeated philosophy and political thought in Italy. Responsible Hegelianism represented in Italy by Croce is a polemical anathema to any philosophy espousing myths and the blind struggle for power as determinents in the course of history.^ Mussolini and his spokesmen used Hegelian terminology as an ad hoc rationalization for totalitarian terror. The irrational theories of action, elitism, and instinctual knowledge are more philosophically congruent with Fascist thought, and that part of Italy's intelligentsia which acknowledged this symmetry were at least on firmer ground philosophically than the Fascist Hegelians. The segment of Italy's scholarly community which contributes to the irrational doctrines of Fascism was in-exorably linked in both thought and action to the politics of Benito Mussolini. Several Italian men of letters owed a debt to philosophical irrationalism, and some of these scholars' theories were woven into the attitudes of Mussolini. This connection between the irrationalism of part of Italy's intelligentsia and the career of II Duce represents yet another link in the chain of thought reaching from philosophical irrationalism in Continental Europe to the dictatorial terror of Italian Fascism. Reactionary authoritarianism had been promoted by many Italian intellectuals around the turn of the century. The Nationalist Party was founded by intellectuals of this political posture. The Nationalist Party favored imperialism and opposed democratic representative government. Among the members of this party were the philosopher Alfredo Rocco and Annunzio. Rocco later became a prominent Fascist spokesman. Annunzio was the most renowned literary figure in Italy. This reactionary philosopher fed the Fascist myth with exaggerated expressions of the glories of ancient Rome and incorrect racial doctrines concerning the origin of the Italian people. in the growth of Italian extremism, and he was joined by Mussolini in the loosely-knit Nationalistic movement which solidified into the Fascist Party. Prior to his active participation in the Fascist drive to power, Mussolini travels and studies in Switzerland. He attends lectures given at Lausanne by the respected social economist Vilfredo Pareto. Pareto's social theories had strong overtones of irrationalism, and his primary emphasis is on the preponderance of irrational human behaviour within the political process. This irrational conduct, according to Pareto, manifests itself in various "residues" such as traditional mores, folkways, political ideologies, and established social values. 13 ^S. William Halperin, Mussolini and Italian Fascism (Princeton), William Bolitho, Italy under Mussolini {New York).  Annunzio became a popular rabble-rouser . The course of events in any society is characterized by constant conflict, and order is achieved only when an elite governing class exercises control over the irresponsible masses. The elite gains control and exercises power through a combination of force and the use of the "residues," which adopt a mythological character. These theories of Pareto were a strong influence on Mussolini. He was especially impressed by Pareto's emphasis on the elite as the only body capable of restoring and preserving the social order that incompetent administrators had allowed to disintegrate. Pareto and Sorel shared the ideas of elitism, myths, and 19 the use of force as integral parts of social existence. Mussolini's admitted respect for Sorel as a teacher correlates with the avid interest of Mussolini in the lectures of Pareto. The common irrational theories, especially those of Pareto con- cerning the use of force for political purposes, made a lasting *0 impression on Mussolini. Pareto and Mussolini came to respect each other's ideas in a reciprocal manner. Less than ten years after Mussolini attended Pareto's lectures, the renowned social economist was writing articles which lauded Fascism. Mussolini returned this common ideological admiration by appointing Pareto to a seat in the Fascist Senate in 1923- active participant in the totalitarian regime of Mussolini. Rocco's involvement in reactionary and extremist political movements culminated in his role as an important Fascist governmental official and spokesman. Rocco helps found the nationalistic journal Politica. which published. The respected academician ended his days as an serious scholarly articles by Nationalistic theorists. was named Under-Secretary of the Treasury by Mussolini in the first Fascist government, ' and he eventually became the Fascist Minister of Justice. address expressing the basic statement of doctrine formed Fascism. It was later reiterated and expanded by II Duce and his other Fascist spokesmen. Rocco delivers an tenets of Fascism. This initial the basis of the philosophy of Rocco's Fascist Manifesto, entitled The Political Doctrine of Fascism, incorporates the arbitrary ideas of the movement (Herbert W. Schneider and Shepard B. Clough. Making Fascists (Chicago)» Roy MacGregor-Hastle, The Day of the Lion (New York), Rocco   into a single body of thought. This document contains numerous reverberations of philosophical irrationalism, and interwoven with these reverberations are most of the concepts of Italian Fascism. The relationship is so close that the two schools of thought are, in most cases, indistinguishable from each other. Rocco proclaims the value of emotional and instinctual action which is so reminiscent of Schopenhauer, Nietzsche, Bergson, and Sorel. Fascism is, above all else, action and sentiment. Were it otherwise, it could not keep up that immense driving force, that renovating power which it now possesses. Only because it is feeling and sentiment, only because it is the unconscious reawakening of our profound racial instinct, has,.it the force to stir the soul of the people. The biological nature of man's participation in society, a concept emphasized by Nietzsche, Bergson, and Sorel, is used by Rocco as a justification for the subordination of human beings to the growth of the Fascist state. He says that individual men and groups of men are given life by the organic nation, and that the development of the nation results in a greater collective life and growth that transcends the existence of mere individuals. The individual existence has Rocco, excerpts from The Political Doctrine of Fascism, reprinted in Communism. Fascism, and Democracy, edited by Carl Cbhen (New York) value only in the contribution which it makes to the life of the organic state. The valuation of man as an element that must contribute to the growth of the state culminates in the justification and glorification of war. The survival and improvement of the organic nation require a sacrifice which may be inimical to the interests of an individual. The sacrifice and destruction of individuals in war are necessary for the sustenance of the nation. The negation of an individual's worth necessitates the existence of an elite force to govern society. The masses are too involved in their own selfish interests to be trusted with the reins of government. Only a chosen few are capable of ignoring their own interests and devoting their lives to the greater needs of the whole society. There exists in each culture a natural elite which, because of its superior intelligence and cultural background, is capable of administering the governmental functions of a nation. The most important gift of this elite is its ability to decide matters of state through instinct and intuition. almost identical to that found in the philosophies of Sorel and This theory of elitism is Pareto, and the members of the theoretical elite bear a striking resemblance to Nietzsche's superman and Schopenhauer's creative genius. The collective life of the individual, according to Rocco, makes him an active participant in the panorama of Italian history. The individual is sustained by the myth of Imperial Rome. The authority of the state and the primacy of its ends constitute the legacy of Rome. Rome is the greatest and most powerful state in the history of the world, and it maintained its eminence through the sacrifice of its citizens' blood and its citizens' lives. The myth of Imperial Rome is rejuvenated and sustained by Fascism; Rocco admonished the Italian people to honor their heritage. Fascism restores Italian thought in the sphere of political doctrine to its own traditions which are the traditions of Rome after the hour of sacrifice comes the hour of unyielding efforts. To our work, then, fellow countrymen, for the glory of Italy. Rocco obviously took heed of the theories of Sorel and Pareto on the necessity of a myth to inspire a people. Rocco's The Political Doctrine of Fascism reflects the obvious influence of philosophical irrationalism. In this Fascist document are echoes of Schopenhauer, Nietzsche, Bergson, Sorel and Pareto. The concepts of blind, struggling will as a sustainer of life, the biological nature of man, the value of instinct over the intellect, elitism, and the myth are the same in irrational theory and in Rocco's statement. The Political Doctrine of Fascism is an excellent illustration of the debt which Fascist thought owes to philosophical irrationalism and its primary spokesmen. The Fascist movement had no dearth of gifted spokesmen for its doctrines. Gentile contributed to the theory and practice of Mussolini's totalitarian ideology. Educated at the University of Pisa, he taught at the universities of Palermo, Pisa, Naples, and.iRome. Gentile served in several capacities within the Fascist regime, and he was eventually appointed as Minister of Education. irrationalists, and his writings reflect the use of these two philosophies for Fascist propaganda. His Philosophic Basis of Fascism reflects the influence of philosophical irrationalism on the Fascist ideology. In the Philosophic Basis of Fascism. Gentile elaborates the Fascist concept of the relativity of values. Despite the fact that a given Fascist program might be based on a specific idea or concept, that idea would be abandoned as soon as the -- David Cooperman and E. V. Walter, Power and Civilization (New York) -- Gentile was influenced by both Hegel and the -- need arose. No idea is of lasting significance, and its value is measured only by the degree to which it furthers the Fascist program. the needs of the Fascist state demand it, according to Gentile. The value of instinct is greater than that of reason, and this necessarily makes Fascism anti-intellectual. Gentile expresses this anti-intellectualism by saying that Fascism is hostile to all science and all philosophy which remain matters of mere fancy or intelligence. By virtue of its repugnance for intellectualism, Fascism prefers not to waste time constructing abstract theories about itself. There is scant need for intellectualism in a system in which the dictator makes all the decisions for the state on impulse. This is the function of II Duce. His ideals consist of whatever arbitrary decision he makes at any given moment, and his decisions made instinctively are the supreme law of the nation. The myth of the nation's supremacy causes the individual to be of no value except in his function as an appendage of the Fascist state. He realizes his existence only through -- Gentile, excerpts from The Philosophic Basis of Fascism, reprinted in Power and Civilization, edited by David Cooperman and E. V. Walter (New York) -- The "transvaluation of values" is exercised when   the state, and he is only a consequence of the life and growth of the state. The state controls him and decides for hirn the course of his life. The individual has no freedom except in his role in the organic state. The state binds him to this position, and in it he lives and dies. Gentile's Philosophic Basis of Fascism contains the same irrational overtones found in other Fascist documents. It seems, however, to express more fully the negation of the individual. This negation of the individual became more pronounced as the Fascist government entrenched itself in power, and the irrational base of its ideology was expressed with increasing authority over the individual. Perhaps the deepest exploration into Fascist ideology was attempted by the Italian philosopher Mario Palmieri in The Philosophy of Fascism. This work, completed when Italian Fascism had reached a certain degree of maturity, involves a deeper insight into Fascism than most of the other works of Mussolini's spokesmen. It contains, however, the same basic doctrines which bear the stamp of philosophic irrationalism. Palmieri elaborates the values of the Roman Empire in eloquent language. He says that the legacy of Rome is authority, law, and order, and that Rome must again be the center of civilization which dispenses morality and virtue to the rest of the world. This is th® historic aissioe @f lapsrial Home, and it aust be fulfilled.3^ The masses, states Palmier!, are not capable of governing themselves, this being due to the fact that they cannot understand the ultimate reality of the universe which does not reveal itself indiscriminately. This ultimate reality may only be understood by a superior leader. Palmieri describes the leader in colorful language. The divine essence of the hero, of the soul, is in a more direct, a more immediate relationship with the fountain-head of all knowledge, all wisdom, all love. Man has wandered astray for many centuries, and civilisation has seta darkness due to the lack of authority, law, and order. Despite this disorientation of mankind, the ideas and moral values of Rome have continued to exist. It is through dictatorial Fascism that Imperial Rome will be reborn and end the woes of humanity; in fact, Fascism may finally furnish man with the long sought solution to the riddle of life (Mario Palmieri, excerpts from The Philosophy of Fascism, reprinted in Communism. Fascism and Democracy. editeH~"by Carl Cohen (New York), Palraieri carries the Roman myth to an extreme, ana within his romantic ideal of Fascism the ideas which originated in Continental European irrationalism take on the colour of a holy- crusade; however, Palroieri's work is merely another contribution to the Fascist attempt to cloak violence with an aura of respectability. The Philosophy of Fascism, extolling the same values which wreaked havoc on a generation of Europeans, is a vivid documentation of the influence of philosophical irrationalism upon Italian Fascism. While Italian Fascism had numerous gifted spokesmen, the preponderance of responsibility for the creation of its doctrines belongs necessarily to Benito Mussolini. History points to II Duce as the most important individual man in the era of Italian Fascism. Mussolini, as an agent of history, islargely responsible for the propagation and ascendency to power of the Fascist movement. Throughout the course of this ascent, Mussolini's political pronouncements, political speeches, and his autobiography document his intellectual debt to Schopenhauer, Nietzsche, Bergson, Sorel, Pareto, and the entire body of European philosophical irrationalism. The expressions of the dictator's thoughts are living proof of his debt to philosophical irrationalism. The influence of the philosophies of eternal cosmic conflict is overtly evident in the writings and speeches of Mussolini. The following passage is taken from a speech made while Mussolini was still involved in the struggle for political power. The words of this speech could almost be mistaken for an excerpt from Nietzsche's “Will to Power”. Struggle is at the bottom of everything. Struggle will always be at the root of human nature. It is a good thing that it is so. The day in which all struggle will cease will be a day of melancholy, will mean the end of all things, will mean ruin. Struggle and conflict, in the opinion of Mussolini, are integral parts of human existence. The endless struggle for survival and power is reflected in the vital biological nature of man's social and political actions, according to Nietzsche, Bergson, and Sorel. This concept echoes through the words of Mussolini, and is used to justify the individual's role as biological necessity for the nation. In The Doctrine of Fascism, which is Mussolini's written program of the aims of the Fascist movement, one of the stated goals is to "make the people organically one with the nation so that the state may use them to achieve its ends. Mussolini is constant in his belief that the people must be used to nourish the state. They are, says Mussolini in his autobiography, "the vital food needed to reach greatness.  Individuals are the food and -- Benito Mussolini, "The Tasks of Fascismo." Mussolini as Revealed in his Political Speeches. translated and edited by Bernardo Q. di San Severino (London and Toronto), Benito Mussolini, The Doctrine of Fascism (Firenze),Mussolini, Autobiography --  blood of the body politic, and as such are entirely dispensable to the process of the growth and sustenance of the organic state. The organic state, which is nourished by the sacrifice of individuals, is susceptible to infection like any living body. In the Fascist state controlled by Mussolini, infection consists of any political dissent. II Duce had a cure for this type of illness. Speaking of Fascist violence in his regime, Mussolini said: It is necessary to cauterize the virulent wounds to have strength. It was necessary to curb political dissent. The health of the organic state depended on the constant vigilence of Fascism against political opposition. Fascism, writes Mussolini, has to perform surgery—and major operation against succession”. Thus Mussolini corrupts the theories of man's biological nature in order to justify totalitarian terror. Nietzsche *s theory of the transvaluation of values which he based in part on the nature of man within the eternal biological struggle in a turbulent cosmos, influences Mussolini. This influence is evident throughout Mussolini's writings and speeches. He constantly emphasized the need to abolish traditional morality and replace it with the arbitrary values of his refine. The Fascist state is endowed with a supreme will, and is therefore ethical unto itself. The state must not clinc to traditional values lest its progress be impaired. Brotherly love, humanitarianism, and symphatetic kindness are inferior to other values of a higher nature. The higher values espoused by Mussolini resemble the hearty, pagan values that Nietzsche advocated. These values involve conflict, the shedding of blood, and dying, and they are morally justifiable when done in the service of the Fascist nation. The concept of the transvaluation of values contributes to Mussolini's doctrine the idea that violence and bloodshed are not only morally justifiable but are the highest virtues to which a people may aspire. The influence of the theories of Sorel and Pareto in regard to the use of violence for political purposes is reflected in the writings aid speeches of Mussolini. The -- Mussolini, Doctrine of Fascism, Mussolini, "Either War or the End of Italy's Name as a Great Power," Speeches, Mussolini, Autobiography -- Italian despot had found in Nietzsche a moral justification for the use of violence. This enabled Mussolini to claim that "violence has a deep moral significance.” In addition to this moral justification, Mussolini also rationalizesthe use of violence as a legitimate and even desirable expedient within the political process. His mentors Sorel and Pareto had ascribed this role to violence in politics and society. The excesses of Fascist terror were excused as being morally valuable and of logical political necessity. In a speech a Milan Mussolini described the relationship between his party and its political opponents. The Fascisti have gone forth to destroy with fire and sword the haunts of the cowardly Social- Communist delinquents . This is violence of which I approve  and uphold. It is necessary, when the moment comes, to strike with the utmost decision and without pity. War is the ultimate expression of bloodshed and violence, and Mussolini accordingly placed the highest esteem upon war. It enabled him to gain "I  an understanding of the essences «51 of mankind."-^ n Duce's adoration of war became an integral part of the theories of Fascism, and in the official Doctrine  ^Mussolini, "The Fascisti Dawning of New Italy," Speeches, Mussolini, Autobiography, p. T Fascism, Mussolini expressed the hi/rh regard which Fascism has for war: war alone keys up all human energies to their maximum tension and sets seal of nobility upon those- peoples who have the courage to face it. All doctrines which postulate peace at all costs are incompatible with Fascism. The conflagration v/hich visited tragedy upon millions of Europeans was made more acceptable by Fascism's theory of war, a theory which is the logical outcome of placing a moral and political value on the shedding of human blood. The question comes to mind as to who may decide the time and degree of the use of violence, and Mussolini's speech to the citizens of Bologna in the spring of 1921 provides an answer. The moral and politically expedient violence of the state, said Mussolini, "must have a character and style of its own, definitely aristocratic. The "aristocratic" bloodletting of the Mussolini regime was administered by a group of "aristocrats" well suited to the task—"the Fascist!, whom I considered and considerthe aristocracy of Italy. The Fascist Party that Mussolini considered to be his own aristocracy (or elite) owed much to the terrorist squads that 'Mussolini, Doctrine of Fascism, Mussolini, "How Fascismo was Created," Speeches, Mussolini, Autobiography.aided the party in its rise to power. Mussolini held these crude street fighters, the "Black Shirts," in especially high esteem. After he had gained total power in Italy, Mussolini refused to consider suggestions to the effect that he disband his elite brawlers who had, as he stated, “a deep, blind, c, and absolute devotion. Their intrinsic merit sprung from the fact that these brawling hooligans through intuition and in r. . . their instinct were led not only by strength 56 and courage, but by a sense of political virtue. . first elite to be inspired by philosophical irrationalism were the Black Shirts of Fascist Italy. Mussolini's elite possessed the hearty pagan values of Nietzsche, and true to the theories of Pareto and Sorel, they used violence as a political expedient to raise their party to power. Mussolini was brutally frank in expressing the function of his elite. Their task, he wrote, was . that of ruling 57 II Duce's elite began by using violence as a means to attain power, and they continued to use it"to maintain themselves in power. This development was not out of keeping with the concept of values which characterizes the irrational doc- trines of Fascism. the nation by violence, for the conquest of power." The   The elite which rules by force must have a sense of di- rection, even though its action is arbitrarily guided to the attainment of divergent goals. Mussolini traced the pattern of this guidance in describing how victory was achieved by the Fascisti. The group intuitively realizes the necessity of violent action, and it readies itself to strike. When the moment to attack has come, the instinct of the leader has al- ready made victory inevitable. He has organized his men for battle and his intuition has provided him with the proper strategy by which his forces may emerge triumphant. Success through violence is achieved when the elite forces, led by the instinct of their duce, crush the opposition. At this particular juncture in the description of Mussolini's thought, a combination of several ideas originat- ing in philosophical irrationalism may be observed. The superiority of the instinct over the intellect, the effective- ness of the elite, the value of the forceful pagan virtues, such as heroism and bloodshed, the use of force, and the power of the leader are all component tenets of Mussolini's doctrine. They culminate and are fused together in Mussolini's attitude toward himself as the embodiment of the principles of power. Mussolini firmly believed in his own indispensability to Fascism. In regard to the Party's debt to its leader, Mussolini wrote: the party could not have existed and lived and could not be triumphant except under my command, my guidance, my support and my spurs.59 Mussolini felt that the Party and the State were inexorably bound to him. He believed himself to be the vessel of the 60 moral and spiritual powers of the state. Mussolini's image of himself was developed under the influence of the elitist theories and Nietzsche's concept of the superman. Mussolini shared with Nietzsche a contempt for the European bourgeoisie, and Mussolini blamed the philistine middle-class for all of the social problems which plagued European society. Italy's deliverance from this situation had been contingent upon her willingness to shed her blood, and the prospects for this occurring were hampered by the cowardice of the middle-class bourgeoisie.^" Mussolini's instinct told him that "Italy would be saved by one historic agency righteous force . . The one in- dividual capable of guiding the nation in its historic quest for power was, Mussolini knew, himself. The victory of his party and the regeneration of Italy had been achieved, ac- Mussolini, Doctrine of Fascism, Mussolini, Autobiography, cording to Mussolini, because "Violence . . . had been controlled by my will." Mussolini solidified the totalitarian Fascist regime by actualizing his irrational theories of instinctive action, elitism, and violence. II Duce blended these various themes together to create, true to his mentor Sorel, the myth of Imperial Rome. This myth held that a violent reformation of civilization would be achieved through the rebirth of Imperial Rome. In a speech in Trieste, Mussolini laid the groundwork for his myth. He spoke of Rome's illustrious history as the leader of world civilization, and stated that the task of Fascism must be to recreate this Empire to fulfill the Italian destiny of world leadershipFascism alone could fuse the values of ancient Rone with the reality of current political trends, for "it is a-faith. It is one of those spiritual forces which renovates the history of great and 6s enduring peoples." ' Mussolini continued to dwell on the theme of Imperial restoration throughout the years in which he held power. The creation of this Roman myth, a tactic reminiscent of the theories of Sorel and Pareto, was used to sustain a people who were suffering from the actualization of other less glorius irrational theories. Mussolini, "The tasks of Fascismo," Speeches, Mussolini.Autobiography. While the Imperial myth was an abstract and Romantic ideal, the concepts of syndicalism and the corporate state bore some resemblance to Mussolini*s economic dictatorship. II Duce acknowledged Sorel's ideas of the syndicalist myth as a source of Italian syndicalism. In a statement made at the founding of the Fasci di Combattimento. Mussolini ex- pressed the necessity of corporate syndicalism as opposed to representative government. Democratic representation, he stated, is less acceptable and effective than direct repre- 67 sentation of economic interests before the Government. The idea of Italian syndicalism, while closer to reality than the chauvinistic Imperial myth, was nevertheless another means for perpetuating authoritarianism. Based on Sorel*s philosophy of the irrational myth, it served as a facade for the dictatorial control of Italy*s industries and unions. In retrospect, the influence of philosophical irrational- sim on Italian Fascism in general and upon Mussolini in particular is undeniably and overwhelmingly significant. A question exists as to what extent Mussolini followed the doc- trines from which he drew, and to what degree he used them for ad hoc rationalizations for totalitarian violence. An answer may lie in the juxtaposition of two of the dictator's pro- nouncements within the same year. On June 8th, 1923, Mussolini ^^Mussolini, Doctrine of Fascism, made the following statement before the Italian Senate: The more I know the Italian people, the more I bow before it. The more I come into deeper touch with the Italian masses, the more I feel that they are really worthy of the respect of all the representatives of the nation it would not matter if I lost my life, and I should not consider it a greater sacrifice than is due. My ambition isthis: IwishtomaketheItalianpeoplestrong, prosperous, great and free. Eight months before this speech, Mussolini had said: The masses are a herd, and as a herd they are at the mercy of primordial instincts and impulses. The masses are without continuity. .They are, in short, matter, not spirit. We must pull down his Holiness the Mob from the altars erected by the demos. " Using the conduct of the Fascist Government as a yard- stick by which to measure the sincerity of the public state- ments made by Mussolini, it is feasible to conclude that the Italian Senate was treated to an enactment of Mussolini's belief in the relativity of values in relation to the political gain to be derived thereof. The second statement is quite in keeping with Mussolini's adherence to elitism. Neither of his statements is out of keeping with the doctrines which he promulgated. The fact that this paradoxical situation is possible does not speak well for the theories upon which, misinterpretations and rationalizations notwithstanding, Laura Fermi, Mussolini (Chicago. 1961), p. 68 Mussolini, "The Internal Policy," Speeches, Mussolini based his doctrines. Fascism is not far removed from philosophical irrationalism, one of the dominant philos- ophies of the period. Mussolini may be looked upon as an oppressor of the Italian people. II Duce's foreign and domestic policies cer- tainly visited bloodshed and death to the masses of Italy and other nations as well. One must remember, however, that Mussolini's speeches advocating violence, elitism, and sub- servience to the state were cheered by millions of Italians during his regime. Members of all the various classes within Italy supported Mussolini's drive to power. This support is quite understandable in view of the fact that their leader spoke to them in terms which had permeated their intellectual milieu for almost a century.Iorio. Keywords: torna a Sorrento, Villa Rubinacci, Malwida von Meisenburg. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Iorio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753667201/in/datetaken/

 

Grice e Jaja – filosofia italiana – Luigi Speranza (Conversano). Filosofo. Grice: “I like Jaja – of course you cannot understand Jaja unless you understand Fiorentino, Croce, Spaventa and Gentile! The quintessential Italian philosopher!” – Grice: “Jaja is a sensualist, like me.” –Grice: “My favourit essential Italian philosopher. Figlio di Florenzo Jaja (a cui è dedicato l'Ospedale Civile di Conversano). Si trasferì a Napoli, dove studiò sotto la guida di Fiorentino. Si sposta a Bologna, dove si laurea per seguire il suo maestro.  Il suo incontro filosofico principale fu con Spaventa. Col trasferimento di Jaja a Napoli i rapporti con Spaventa divennero regolari. Insegna a Pisa.  Jaja non è stato mai considerato un filosofo particolarmente originale, ma ha avuto il merito storico d'introdurre Gentile allo studio di Spaventa, merito che l'allievo riconoscerà sempre.  Opere: “Origine storica ed esposizione della Critica della ragion pura” “Studio critico sulle categorie e forme dell'essere”; “Dell'apriori nella formazione dell'anima e della coscienza,” “ L'unità sintetica e l'esigenza positivista,” “Sentire e pensare,” “Identita e Semiglianza ed identità”’“ Sentire, pensare, conoscere,” “ L'intuito nella coscienza.” Cesare Preti, Jaja filosofo europeo oltre Gentile, su ricerca.repubblica,. treccani. Jaja: neoidealismo italiano, su orthotes.com.  Jaja, Giovanni Gentile, Memoria su Donato Jaja, su sba.unipi, Bertrando Spaventa Giovanni Gentile Idealismo italiano, Jaja, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. openMLOL, Horizons Unlimited srl. Giovanni Gentile, Memoria su Donato Jaja, su sba.unipi. Donato Jaja. Grice on “Sentire” e Pensare. Rupert Brooke: “I love Grice: “I feel,’ never ‘I think’!” – “If a is a, is a LIKE a” – a knife is not like a knife, but something that is  not a knife can be like a knife.” Implicature!” JAJA, Donato. - Nacque a Conversano da Florenzo e da Elisabetta Pinto. Comincia gli studi al seminario in vista di una futura carriera ecclesiastica, ma dopo l'unificazione, si trasfere a Napoli, dove studia sotto la guida del filosofo neokantiano F. Fiorentino, e a Bologna, per seguire il maestro, con il quale si laurea. Dopo la laurea insegna al liceo di Caltanissetta, quindi a Chieti. Tornato a Bologna vi conobbe e frequenta A.C. De Meis e per suo tramite B. Spaventa che, oltre a influenzare lo stesso Fiorentino, divenne in seguito una figura chiave per la formazione intellettuale dello Jaja. Con Spaventa i rapporti dello J. divennero regolari quando egli si trasferì a Napoli per insegnare al liceo Genovesi. Conseguì la libera docenza  ottenne la cattedra di filosofia teoretica a Pisa, dove rimase per il resto della sua vita. Tra i suoi allievi ebbe G. Gentile, che gli successe poi sulla cattedra, e G. Lombardo Radice.  Nella dissertazione di laurea, data alle stampe con il titolo Origine storica ed esposizione della Critica della ragion pura di E. Kant (Bologna), colloca Kant all'origine di una nuova scena del pensiero che raccoglie le due tradizioni precedenti lungo le quali egli articola la storia della filosofia moderna successiva a Cartesio: da una parte il filone filosofico che si pone il problema dell'infinito, dell'universalità e della necessità (Malebranche, Spinoza, Leibniz); dall'altra la tradizione francese, ma soprattutto inglese, sensistica ed empiristica (Locke e Hume). Kant pone il problema, ritenuto centrale dallo J., del debito che il pensiero ha nei confronti sia dell'esperienza, sia dell'universale. Tuttavia lo J. ritiene che Kant non abbia dato una soluzione adeguata e definitiva ed è anzi incline a sostenere che la soluzione vada trovata nei continuatori dell'opera kantiana. Emerge già qui chiaramente la tendenza a leggere la tradizione idealistica alla luce degli interrogativi kantiani, in una prospettiva che egli derivava da Fiorentino. Secondo lo J., Kant pone il problema della conciliazione di questi due elementi, di senso e intelletto, ma non lo risolve: "La manchevolezza", sostiene, "è nell'intima natura del sistema kantiano: in quest'ultimo lo spirito è dualità, scissura, intuizione e concetto, recettività e spontaneità, entrambi irriducibili", mentre la soluzione consiste nel mettere in luce l'unità, nel mostrare come l'universale kantiano sia non esclusivamente soggettivo ma oggettivo e pertanto corrisponda alla realtà. Compare qui un interesse dello J. per il modo in cui l'intelletto proviene dal senso (cfr. Plebe, in Guzzo - Plebe), che mostra anche una sensibilità più vasta verso il regno della natura e le scienze empiriche e che in seguito lo portò a confrontarsi con il positivismo e l'evoluzionismo. Pesavano in questo probabilmente sia gli interessi positivistici di Fiorentino, cui egli dedicava questo volume, sia l'ambiente intellettuale bolognese, in cui spiccavano figure quali quella di De Meis. Ha modo di sviluppare e precisare tali temi in uno Studio critico sulle categorie e forme dell'essere di  Serbati. Qui critica Serbati della Teosofia in quanto non dà spazio né illustra la centralità della mente nel suo rapporto con l'essere, mentre questo va visto alla luce dell'essere pensato dalla mente: "È necessario studiare la mente nella serie non interrotta dei suoi fenomeni, attraverso cui passa nel formarsi". Kant ha colto questo punto in quanto ha mostrato che prima di poter parlare dell'essere si deve indagare la natura della mente, e tuttavia ha finito con il postulare una irriducibile alterità della cosa rispetto alla mente. Fichte, e quindi Hegel, hanno invece compiuto il necessario passo in avanti mostrando come ciò che è fuori della mente è il risultato di ciò che la mente e il pensiero hanno rivelato.  Gentile ha modo di considerare a questo proposito che la lettura che il proprio maestro da di Hegel e personale e forse inadeguata sul piano interpretativo: e uno Hegel mediato in primo luogo da Spaventa, che ne aveva sottolineato l'aspetto soggettivistico, e che lo J. aveva letto in modo ancora più immanentistico facendo equivalere l'essere con il pensiero umano. Temi e ispirazioni filosofiche - in cui si mescolavano influssi hegeliani, fichtiani, e interessi verso le scienze e la dimensione empirica del pensiero - spinsero lo J. a occuparsi del positivismo e in particolare di Spencer. In una prima memoria, “Dell'apriori nella formazione dell'anima e della coscienza” (Napoli) -- ma si veda anche “La somiglianza nella scuola positivista e l'identità nella metafisica nuova” -- J. nell'esaminare e nel correggere il Fiorentino si occupa dei tre momenti della conoscenza: sensazione, rappresentazione e concetto. Nel discutere della sensazione ha già modo di articolare una posizione cui dette poi compiutezza in Sentire e pensare. La sensazione non è solo stimolo che proviene dall'esterno ma è anche modificazione. E interna all'atto del sentire e alla sfera spirituale. In questo da una parte valorizza l'importanza dello studio scientifico dei modi in cui la conoscenza sorge e ha luogo, ma dall'altra mette in luce l'inadeguatezza di un punto di vista esclusivamente empirico. Tornato su questi temi in “L'unità sintetica kantiana e l'esigenza positivista” si propose di conciliare l'esigenza positivistica, che nega elementi a priori e che è invece interessata a ricostruire geneticamente il formarsi dei fenomeni, e l'esigenza kantiana, che vuole mantenere valido il punto di vista universale. Opera tale conciliazione ritenendo che il passaggio dalla sensazione sino alle forme più evolute di coscienza sia solo un passaggio di grado, mai categorico. Si appropria dell'idea di sviluppo e di ricostruzione genetica e la colloca nell'immagine idealistica di un essere che dà forma a se stesso a partire dai gradi più semplici e primitivi sino alle forme più sofisticate. La trattazione di questi temi prelude al “Sentire e pensare”. Scrive lo nella prefazione: "È mio fermo convincimento, che il problema speculativo, in tutta la sua ampiezza, resterà un labirinto senza uscita […] finché non solo non sarà studiato sul terreno indicatogli dalla filosofia moderna in genere e dalla critica kantiana in particolare, cioè su quello della conoscenza, e per esso della coscienza, ma più ancora finché nello studiare la coscienza non avremo preso le mosse da quel giusto punto, dove il senso finisce e la coscienza incomincia, o dove il senso non è più solamente senso, e già la coscienza comincia a mandare sul tronco di esso i suoi primi germogli".  Lo J. è interessato a individuare il momento in cui la sensazione e la coscienza si sovrappongono. Da una parte è desideroso di fare propria la lezione dei positivisti e degli evoluzionisti, fino a spingersi ad affermare che "il principio assunto oggi a base delle scienze naturali, l'evoluzione" è vero e fecondo, un'affermazione non priva di interesse in un autore che eserciterà il suo influsso nella formazione di una filosofia idealistica italiana lontana e refrattaria alla scienza e in particolare all'evoluzionismo. Dall'altra vuole rivendicare la presenza nella sensazione degli elementi embrionali della coscienza e cioè l'universalità propria della mente concepita kantianamente. Questo tentativo di conciliazione di due esigenze opposte non è di per sé indicativo di un fallimento di un'autentica comprensione di tali esigenze. In altri termini è interessato a conciliare una comprensione scientifica della natura, che prescinde da una descrizione in termini intenzionali, e che l'evoluzionismo ha esteso anche agli organismi viventi sino all'essere umano, con una sua comprensione in termini concettuali. Ma, usando l'evoluzionismo come immagine filosofica anziché come prospettiva di studio alternativa a quella filosofica idealistica, chiude quasi subito la sfida tra queste due comprensioni. Perciò parla in termini evolutivi del passaggio dalla sensazione alla coscienza per significare che non vi sono passaggi categorici ma solo di grado. "La sensazione è foriera della coscienza, e n'è la immediata preparazione. Dall'una all'altra è passaggio, non salto. Gli elementi tutti della coscienza sono elementi della sensazione.La vita della coscienza è due cose; è la continuazione della vita del senso, e per esso della natura tutta, e n'è il compimento insieme"  L'immagine evolutiva è impiegata per significare questo passaggio dalle diverse forme della vita, che  intende come una "forza" che si dispiega. "Il fatto adunque, di cui prendiamo nota, è che nel sentire si raccoglie tutto il mondo naturale sottostante, e che questo mondo naturale è qualche cosa di vivo, viva essendo e perenne e senza limiti la produzione degl'individui diversi, che si succedono e s'incalzano in tutti i diversi ordini della natura. Questo mondo naturale che si raccoglie nel sentire è la forza. Ed è forza il sentire. Quando la forza sottostante, compiute tutte le condizioni, sale al grado di sentire, produce ancora. E non intendiamo dei soli individui, che compongono il grande regno animale. Il sentire è per sé solo forza, perché per esso gl'individui senzienti (forniti delle capacità, della forza di sentire) non vivono soltanto, assimilandosi e trasformando gli elementi del mondo inorganico, ma il mondo pre-esistente della vita trasformano in una superiore esistenza, nell'esistenza rappresentativa. Nella rappresentazione la forza naturale incomincia a ritrovare se stessa, iniziando quel movimento di ritorno sopra di sé, nel cui compimento è il suo possesso, e la sua integrazione”. Puo già leggere in H. Spencer una concezione dell'evoluzione come un processo diretto a un fine, un'idea lamarckiana lontana dall'evoluzionismo di Darwin, di cui Spencer non si liberò mai. Ma egli chiude subito le possibili tensioni interne a questo paradigma e usa l'immagine evolutiva come un motore esplicativo di tipo hegeliano, spingendosi sino a invocare il superamento del principio di non contraddizione per spiegare il modo in cui la sensazione si evolve verso la coscienza: "Non resta dunque, che sieno e non sieno identiche, che sieno in parte identiche, in parte diverse. I fautori della inviolabilità del vecchio principio di contraddizione, così come era e poteva esser dato nella logica formale […] potranno trovare dura questa conclusione" (ibid., p. 76). L'evoluzione è immagine della forza che dal regno della natura ritrova se stessa, cioè si rende consapevole nel mondo dello spirito. In questo senso, J. può essere ascritto alla schiera di quanti hanno usato l'evoluzionismo per produrre una loro filosofia della storia.  Una conclusione, questa, che trova conforto in uno scritto successivo dello J.  L'intuito nella coscienza. È qui affrontata la questione se l'intuito abbia una parte nella ricerca scientifica. J. risponde affermativamente, sostenendo che tuttavia esso è posto in primo piano solo "quando il pensiero indagatore ha sentito il bisogno di ricorrere alla conoscenza in se medesima, e scrutarne il valore"  e cioè quando vi è perplessità sull'evidenza del proprio oggetto di studio. Nel mostrare come la conoscenza non sia solo accumulo e accostamento di fatti,  J. afferma, di nuovo contro i positivisti, che "i fatti e la storia, se sono la realtà, non sono tutta la realtà" . "La realtà storica, oltre ad essere quella che è, e che ognun vede, è anche in miglior modo nell'universale e per l'universale". I fatti e la storia sono testimoni cioè di un universale che li raccoglie e dà loro un senso. Nel successivo Ricerca speculativa. Teoria del conoscere (I, Pisa), insiste sul concetto del pensiero che ritrova sempre se stesso e non ha niente di anteriore. Egli ritiene che la filosofia sia l'unica disciplina che non ha un oggetto specifico di studio che non sia l'esigenza stessa di conoscenza. Come egli scrive, "si tratta di salire nelle alte regioni dell'intendimento puro, di usare del conoscere per costruire l'atto, il puro ed universalissimo atto, del conoscere. Se alcuni interpreti hanno ritenuto che in quest'opera  traesse le conseguenze del suo lavoro precedente e in particolare di Sentire e pensare (Plebe, in Guzzo – Plebe), Gentile invece vi ha voluto scorgere la trasformazione dell'idealismo assoluto in spiritualismo assoluto, una posizione che preludeva agli sviluppi che egli stesso avrebbe dato all'idealismo italiano. Come notò, a tal proposito, lo J. "qui non muove più dal senso e dal bisogno di trascendere il senso quale è dato dalla coscienza, per spiegare la coscienza sensibile, senza incorrere nello scetticismo. Si mette innanzi l'atto del conoscere, prescindendo da ogni rapporto di esso con la verità, per trattare lo stesso del puro conoscere come principio unico ed assoluto di tutto, presupposto com'è da qualunque altro possibile pensiero" (Gentile).  Oltre agli scritti menzionati, si segnalano ancora, fra gli altri: Un po' di polemica nella quale principalmente si discorre dell'articolo 73 dello Statuto in rapporto a' poteri supremi dello Stato, Bologna); Saggi filosofici, Napoli  (raccoglie scritti già pubblicati e l'inedito La virtù e i suoi elementi costitutivi); la prefazione alla raccolta di Scritti filosofici di B. Spaventa, a cura di G. Gentile, Napoli; Enigma della coscienza, in Rivista filosofica; L'insegnamento filosofico universitario ed il regolamento nuovo, Pisa.  Fu membro della Società reale di Napoli e cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia.  Fonti e Bibl.: Necr. in Il Messaggero toscano,  (C. Sgroi); Corriere toscano,  (G. Tarantino); G. Gentile, Lettera a D. J., in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, a cura della Fondazione G. Gentile per gli studi filosofici,  (lettera di Gentile giovane laureato al maestro); F. Battaglia, Lettere di A.C. De Meis a D. J., in Memorie dell'Accademia di scienze dell'Istituto di Bologna, cl. di scienze morali; G. Gentile - D. Jaja, Carteggio, a cura di M. Sandirocco, I-II, Firenze; S. Miccolis, Dieci lettere inedite di D. J., Firenze s.d.; G. Gentile, D. J., Pisa Id., Le origini della filosofia contemporanea in Italia, III, Messina  G. Alliney, I pensatori della seconda metà del sec. XIX, Milano ad ind.; B. Croce, Conversazioni critiche, s. 2, Bari pp. 30 s.; A. Guzzo - A. Plebe, Gli hegeliani d'Italia, Torino; A. Guzzo, Cinquant'anni di esperienza idealistica in Italia, Padova G. Vacca, Recenti studi sull'hegelismo napoletano, in Studi storici, VA. Cristallini, Il pensiero filosofico di D. J., Padova  (con bibliogr. degli scritti dello e sullo J.); V. Carcuro, Polemiche filosofiche antirosminiane: Terenzio Mamiani e D. J., Aversa; A. De Gubernatis, Diz. biogr. degli scrittori contemporanei, Firenze , s.v.; Enc. Italiana, XVIII, s.v.; Enc. filosofica, IV, s.v.; F. Abba Luzzato, Diz. generale degli autori italiani contemporanei, I, sub voce. Grice: “Jaja is especially important for the fact that he tutored Gentile. He wrote on the ‘supreme powers of the state’, since he was a Hegelian at heart, as a collection published in Italia thus calls him – “Gli hegeliani d’Italia: Tocco, Jaja, Gentile. While he studied Kantism in depth, he finds that the Hegelian absolute, the State, as compromise between ‘gl’individui, as Jaja calls them, is the maximum!” Donato Jaia. Donato Jaja. Jaja. Keywords: implicatura, I potere supremo dello stato, la virtu. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Jaja” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689402446/in/photolist-2mLyVqx-2mKw3hq-2mKBGvU

 

Grice e Javelli – filosofia italiana – semantica del segnare, segnante e segnato -- Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese). Filosofo. Grice: “I love Javelli – he is, like me, an Aristotelian; being a northern Italian, he is a Thomstic Aristotelian, which I’m not sure I am!” Grice: “One good thing about Javelli is that he commented on MOST works by Aristotle!” -- Essential Italian philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta. Argomenta contro Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito sul Tractatus de immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su richiesta di Pomponazzi stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul divorzio di Enrico VIII, esponendosi a favore della scelta del sovrano. M. Tavuzzi, in "Angelicum", DBI. Casale Monferrato -- modum  definiendi, dividend et demonstrandi, Tu tamen aduerce licet fiteadem realiter, ratione tamen diftingui turinquantu doccn$, &inquantu utens. Namin quantu docenscofideratur in (e, in quantu utens relpicit alias scientia. Tertia divisio est hoc. Logica  docens fufficienter  diuiditur  in tres partes. Prima est  jn qua tradatur de terminis  incomplexis, & hxc  ditiiditur  in  duas.  In  prima  confidc-  ratur  de  terminis  secundx  iutentionis, &  ifte  eft  liber  prardicabilium.ln  fecunda  confideraturdc  terminis  primx intetionis, &  ifte eft  liber prxdicamentorum  , & post  praedicamentorum. Secunda est in  qua  tradatur de terminis  complexis, id est  de oratione et propositione et hic est  liber “Peri Hermenias”. Tertia est in qua tradatur de argumentatione et hoc dividitur in quatuor. In  prima agitur de argumentatione syllogistica absoluta etsimplici, idefi noh applicata alicui  materiae  & hic est  liber  pnorunviln secunda  agitur  de  syllogifmo  demonftratiuo,&  hic  cft  liber  pofterio  Tum. In  tertia  agitur  de  fyllogifmo  topico,ideft  probabili,  flthic  cft  liber  topicorum. In quarta agitur de syllogifmo  fallaci, quem  dicimus  fophifticum,co  q* per  ipfum  folum  gc  iteratur  deceptio, & hic  eft  liber  clcnchorum. Hoc eft  funtma  librorum,  quos  tradidit  nobis  Aristoteles inuenror  logicae. Reliquos  autem  minores  tradarus  quos  appellamus  parua  logicalia, non habemus  formaliter ab Aristotele. Sed  posteriores  traxerunt  virtualiter ex  praedictis  libris  Aristotelis, ita  <y  eorum  principia iam habuimus ab Aristotele,  ut  tibi  declarabitur, quando agemus de consequentiis et suppositionibus &c. Et aduerte q? (ufficientia  praedictae  divisionis fumitur hinc, Argumentatio (ut dictum est supra Jeft pn cipalc confideratum a logico ueluccius finis, non enim logicam quaerimus nifl ut acquiramus habitum faciliter & ra de argumentandi ad quancuncp conclusionem.  Argumentatio  aut est  quoddam  totum  conflans ex  propofitionibus,  ut tibi  declarabitur  loco  (uo, propofitio vero  confiant  ex  tcrminis. Cum  igitur  eadem  (cientia  fit  confidcrariua  totius  & partium, necefle efi logicum  uerfantem  circa  argumenta  tionem, confiderare de argumetatione & partibus  eius, partes  autem  cius  fune  duplices.f. propinquae  & remotae propinquae sunt  propofitiones remote  autem  termini  in complexi, nam  propofitiones componunt  immediate  argumentarionem. Tcrmini aurem  incomplexino  componut  eam,  nifi  quia  ingrediuntur  propofitionem. Ex  quibus  conflat, pars  prima, in  qua  confiderantur  termini  in complexi, ordinatur  ad  fecundam, in  qua  confideratur  propositio et secunda  ad  tertia,  in  qua  confidet  atur  argumentatio, & in  ca  completur  intentio  logicj. Conftar  igitur  quomodo  dinl  denda  fit  logica, &  quae  fint  cius  partes  fufticienrcr  ipsam  di  nidcntcs. Hoc de praesenti cap. dicta  fint.   A quo fit incipiendum in logica et quis ordo prosequendus ne confundatur ingenium nouicii.  In septimo capite investigandum est a quo primo incipiendum fit tractare in logica, et quis ordo m tractandis lcr- uandus fit, ne nouicii ingenium confundatur. Quantum  ad  primum  aduerte  q*  nonulli  confidcrant  logicam  inquantum  est  dialectica, id est  disputativa, alii  autem inquantum uersatur circa argumentationem, quae  non  lolu  poteft  fieri  uoce  fed&  mente  & feripto « Primi  confiderantes difputationcm  non  fieri  fine  fcrmonc, nec  fermonem  fi-  ne uoce, nec  uoccm  fine  Tono, ideo a sono  tanquam  a priori  & communiori  dcfinitiuc  & diuifiuc  dicunt  inchoandum. secundo  loco  a ovce  dcfinitiuc  & divisive. tcrtio  loco  a nomine et uerbo  ut  habent  c(Tc  in voce & componut  orationem et propofitjoncm vocalem, ex  quibus  componitur syllogifmus siue argumetatio uocalis, qua sit dispuratio inter duos. Hunc ordinem lcruat Petrus Hispanus et ratio ad hoc movens cum  fuit, quia considerauit Aristoteles in suo  libro “Peri Hermenias” acturus  dc  propositione  definit  nomen et verbum  utfunr cius partes intcgrales per vocem, quafiq? non confideret de nomine et verbo et oratione et propositione et argumentatione, nifi ut deferuiunt disputationi, cui non deferuiunt nisi ut sunt in voce reliquit ergo omnia praedicta ut sunt in mente et in scripto et intendit de modo magis famoso ac notiori ad sensum, qui est modus in voce.   Alii autem  aduertentes  <f  licet modus  ific  famofior  &  uulgarior  fit, tamen experientes q* omnia praedicta habene efle in anima, in voce et  in  scripto, nec  unquam  proferuntur uoce, nec  feribuntur  nifi  prius  mente  concipiantur, unde et dixit  Aristoteles  in  primo “Peri Hermenias” , q'  ea quae sunt in voce, sunt earu quae sunt in anima PASSIONUM id est conceptuum notae i signa, ideo arbitrati non sunt incipiendum a uoce  nec  a sono, sed  a termino, id  est  dictione.  Nans  terminus  ut  est  in  mente  componit  propositionem  mentalem et ut  est  in  voce, componit propositionem vocalem et ut est  in scripto, componit propositionem in scripto, & quo  niam  nomen  erbum  et oratio  poliunt  ede  in  mente  et in voce et in scripto, ideo dicunt  melius elfe  q>  definiantur  p er. Ti  terminum utpote  magis  communem  § per vocem. Hancjg!  cur viam  uc universaliorcm sequemur et prateipue quia no concrariacur  priori  sententiae. Nam  sicut  est  verum  dicefe'.  Socrates est  homo  ergo  Socrates est animal, sic est verum dicere ,  nomen  estvox significatiua, ergo  est  terminus significatiuus. In  plus enim fc habet terminus q vox, qm vox non evrificacur de nomine nifi ut eft in voce. Terminus  autem  uerificatur  de  nomine, in mente voce et scripto. lncipiemus  ef  go  a termino  definitiue  &diuifiue. Quantum  ad  iccundum  aduerte  tp  cum  termini in complexi  fxnc  priores  fit simpliciores oratione et propositione in via compositionis et propositiones fine  priores  syllogismo, qm  componunt syllogifmum, & non cconucrfo, ordo foientix requireret  q* prius tradaremus de praedicabilibus et praedicamentis, & fecudo  loco  de  propositionibus utrra  dat  Ariftoteles in  libro “ Peri Hermenias” et  tcrtioloco  de  syllogismis  formalibus  & topicis  & sophifticis  & demonftratiuis  eo  ordine  quo  de  eis  tradat  Ariftoteles  in  tota  arte  noua.  Verum  quia  nouus  logicae  auditor  tranftt  immediate  ab  arte  grammatica:  ad  logicam, & logicus  accipit  a grammatico nomen et uerbum et aliquas  alias  partes  orationis uc dicemus prout componunt  propofitionem,  & propofitio componit syllogifmum, ideo ne nouicii ingenium  inuolua^  tur, expedit  f>us  tradare  de  gtib9oronis, deinde  de oratide  & cmltiatione,  ficut  etiam  tradat  grammaticus  modo  grammatico et focundo  loco  tradabimus  de  fyllogilmo  formali & tertio loco de  praedicabilibus, & quarto loco de praedicamentis. Nam  abfqj  notitia  propofitionis et syllogifmi,n<» pollet  nouitius i illis erudiri  modo  logico  , ut  tibi  tinanifeftu  erir. Deinde  procedemus  ad  alios  tradatus  eo  ordine  que  tibi  nianifeftabimus  loco  fuo. Conftat  igitur  tibi  a quo  incipere intendimus, & quem  ordinem  foruare,  ne  nouitii  inge  nium  inuoluatur.Hxc  de  praefenti  cap.dida  fint*   Explicit  trac.primusqui Tuit  de  praecognofcendis  ordinatus per  authorcm,&  reuifus  per  eundem secundus  qui eft  de  partibus  propositionis. N rradatu  iecudo  agendu  cft  de  par  t;bus, pp6nis,quae  apud Logicu  praecipue (une  nomen,  & uerbuin  & qtr»  fcire  non  poteris  quid  & quotuplex  fit  nomen  apud  logicu,  fifr  & uerbu  nifi  prius noueris  qd fit  terminus,  &  quotuplex  fit. Et  qd  dico de termino intellige  de voce. Primu.n.qd  poni£  in  definitione  nomini et  uerbi  cM terminus  apud  coitcr  tradatores  de  logicalib apud  aut  Aristotele vox, ut tibi declarauim9  i tradaru pcedeti, c.7. io huc  tradatu  diuidem° i.4.capita.. Primum, Quid et quotuplex sit  terminus. Secundum, Quid « quotuplex sit nomen et uerburn. Tertium, Quid & quotuplex sit oratio. Quartum. Si logico sufficiunt  duae partes orationis, (ciliccC  nomen rectum et verburn rectum. Quid & quotuplex fit terminus. IN pino cap. inueftigadii est qud sit TERMINUS et quot fine vitares divisiones cius. Hic igitur duo ageda sunt pmo definiemus trerminu dcclarates singulas definitionis particulas secundo asfignabimus coes, & vies  divisiones  termini.  Quatu ad  prnii  aduertc,q?  hic  no  intedimus  loqui  de  oi  significato  in  quo fumit  terminus in doctrina  Aristotelis. Sumii at  eribus  modis, Prlo  funii! maiori, & minori  extremitate^ medio, & dnr  tres termini  ex  qbus  coponi!  oisve  rus syllogifiruis &  de hoc  ino  loquemur  I trac de  fyllogifmo  formali, & abfoluto. Secundo  iiimitur  pro  definitioc  rei,  quae  dicitur  apud  Ariftotcle  terminus  qm  in  fe  claudit , 8C  terminat  totam  rei  definitae  cflentiam  & de  hoc  modo  lo-  quemur in  trac. de syllogifmo  topico et demoftratiuo. Tcr  tio fumitur  pro  omni  co  ex  quo  propincp  conftituitur  ora-  tio, & propofitio,  & in  q uod  refoluitur. Et  dico  propinque  quoniam  ficuc  apud  gramaticum  dictio  componitur  ex  ali-  quibus remote, & c x aliquibus  propinqj. sic  apud  Logicum  oratio  & propoficio  ex  aliquibus  coponitur  utrocj)  modo. Nam  apud  grammaticum  dictio  componitur  propincp  cx  fyllabis, quoniam  fcipfis  & non  mediante  alio, comfonitur  aurem  remote  ex  literis, quoniam  non  ex  fcipfis  fed  medii  te  fyllaba.Sic  in  propofito  apud  logicum  oratio  & propofitio componutur propinqj ex terminis, qm ex  fcipfis  & non  mediante alio, componuntur autem remore ex  syllabis  5C  literis, liter enim componut  fyllabas, &  fyllabc  terminos,  & termini orationcm. Ec in hoc  tertio  fcnfu  folum  intendimusin hoc  trac. Ioqui ac definire terminum. Sed aduerte <jf in tertio sensu adhuc tripliciter fumi  p6t.f. communitcr, ftrl de & ftrictisfimc. Comuniter  fumitur  pro  omni  didionc  p pinqj  componente  orationem,  &fic  non  folum  nomen  dC  uerbum,fcd  etiam  alis  orationis  partes, ut  pronome,  prx  politio,  aduerbium &c. dicuntur termini. Stride  fumitur p  omni eo quod eft  uel poteftefle fubiedum et praedicatum  & copula in propofitione. In quo fcnfu nec figna uniuerfalia nec particularia, nec adverbia funt termini, qm no sunt nec poffunt e(Tc per se ipsa praedicatum aut fubiedum, sed modi Huc dererminatioes eorum, fifr aduerbia sunt determinationes verbi ut “bene currit”, hodie ucnit  &c.  Srridisfime autem fumitur pro omni eo quod eft uel poteft efle extremum propofitionis, extremum autem dico subiedum  & praedicatum, &*n  hoc sensu copula non est terminus, quia non est extremum, sed unitiuum cxtrcmoru, unit et copulat praedicatum et subiedum et in  hoc  fcnfu  definiuir eum Aristoteles in libro priorum diccns, (? terminus eft in quem rcfolujf propofitio ut in subiedum et praedicatum. His praepofitis  adrerte qr hic habemus diffinire terminfl non ftridc nec ftritisfime fumptum,  sed comunircr, aliter non potiemus ipfum diuidere ut diuidemus infra. Nam una ex diuifionibus erit haec, terminorum unus est PER SE SIGNIFICATIVUS, alius non per se significatiuus. Constat autem ex prxdidis quod terminus non per se significatiuus, non cil tf terminus ftricte nec ftrictisfimc fumptus. Definientes igitur  terminum coicer & abfolute fumptfl dicimus quod eft pars  propinqua conftitutiua ofonis et propofitionis. Dicitur pars propinqua immediata  ofonis & politionis ad differentiam literarum et syllabarum, qu* non  nifi mediante termino componunt oronem.  undeaduerte sicut fe habent lapides et ligna et fundamentum,  &p aries  ad compofitioncm domus,  fic liter ac et syllabae et termini ad constitutionem orationis,  nam lapides & ligna  non componunt immediate domum, sed componunt imediate fundamentum parietem et tectum, hacc  aurem  imme  diate  dotnumrideo  illae  rcmotac,hae  autem  propinquae  nucupantur. Sic  in  propofito, literae  wt syllabae  non  componut  immediate  ofoncm, sed  terminum,  tcrmiifos  autem  immediate  oroncm. patet  ergo  terminum  cfle  immediatam  & p  ximam  partem  ofonis ad differentiam  literarum  et syllaba  rum. Df  conftitutiua  ofonis, quonia  hic  procedimus  ex  po- ri:ad  differentiam  relolutionis  quae  fupponit  conffitutum  ex  partibus. Df  ergo  conftitutiua  ofonis, quoniam  hicinte-  dimus  praeparare  materiam  fyllogifmi, quae  eft  propofitio  ideo  inueftigamus in primis, ex  quibus  conftituitpr  immediate propofitio, & in  tractato de syllogifmo  aperiemus ex quibus  propinque et immediate conftituitur syllogismus.  Haec autem  definitio  conucnit  termino, in  mente, in  uocc,in  feri  F to:quoniam  terminus  in  mente, eft  pars  propinqua  oratio  nis  mentalis, & in  uoce, eft  pars  propinqua orationis uoca-  iis  & in scripto ,eft  pars  propinqua  orationis  feriptx.   Vifo quid sit  terminus  apud  logicum  cSmunitcr  & absolute  fumptus, asfignandae  funt  generales  diuifiones  eius,  uc  Idamus  iuxta  ouod  membrum  ponendus  eft  in  definitione  Hominis  et uerbi et orationis. Prima  diuisio. Terminorum, aliquis est PER SE SIGNIFICATIVUS, aliquis  nihil per se, id eft per se  fumptus significativus. Terminus per se significativus est ille qui ultra se ipsum aliquid intellectui  re-presentat, ut “homo”, “animal”, “lapis”:  representat  enim homo itellectui animal rationale et “animal” re-praesentat animatum sensitivum et per se motiuum, et lapis corpus terreum durum offendens pedem.  Nam signifcare est aliquid intellestui re-praesentare.  Vnde idem eft terminum esse per se significatiuum et esse  per  se  re-praefentati uum alicuius apud  intellectum. Dicitur  ultra  feipfum,  qm  repraefentarc  feipfum  intelleftui eft commune  omni  terrni no, cum fit intelligibilis  ab  Itelletfu,  cuius obieftum est ens communisfitnum ut seextendit ad ens reale et ens rationis  ut  dicemus  alias. Terminus nihil per se significativus eft ille qui per se sumptus ultra se ipsum nihil intellectui re-praesenrat, ut  “buf” et “baf” et “biltris”. Dicoper  fc  fumptus, ut  excipia  quando  proferuntur  ex  intentione  irridendi.  Tuc  enim  ex propofito irridentis fumunrur  ut  per se significativi, sed  id  non  est  ordinarium. Nam pleruncp proferuntur aut exeunt ex ore fine propofito  aliquid  ultra  feit  fum  fignificandi. Ad hoc autem q*  fit per se significatiuus, oportet  ut  naturaliter uel AD PLACITUM in aliquo idiomate ordinarie et consuetudine firmata, sic vel sic ultra se ipsum significct. Secunda divisio eft haec.  Dimisfo termino nihil per se significativ, utpote inutili propofito noftro, quando non componit orationem ordinarie ut subiectum & praedicatu,  nec  est  pars  nec  determinatio  eorum  ad  differentiam signorum uniuerfalium et particularium, diuidendus  est  terminus per se  fignificatiuus. Et  prima  diuifione  diuiditurin  terminum per se  significatiuum  naturaliter et in  terminum  PER SE SIGNIFICATIVUM AD PLACITUM. Terminus  per se significatiuus naturaliter est ille, qui apud omnes homines idem uitra se ipsum re-praesentat intellectui, ut “homo” et “animal” in mente. sft autem homo in mente species, sive similitudo,  sive conceptus hominis. Se habet enim huiuf modi similitude sive conceptus ut vera imago, puta Caesari , quae  apud omnes ex sui natura re-praesentat  Caesarem.  Sed  adverte  quod non solum terminus in mente est significatiuus NATURALITER sed  et quidam  termini  dum  proferuntur, etquaedam  animalium signa, ut  dum infirmus GEMIT,  apud  omnes repraesentatur DOLOR, & dum canis latrat apud  oes re-praefentatur IRA. Terminus autem PER SE SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM, est ille qui non apud omnes idem, sed in diverso idiomate diversa re-praesentat, vel tatum in uno idiomate aliquid  detet;  minate teprzlentat, in alio autem nihil. Et causa huius est,  quia huiul modi termini non significant  ex  inftindu  naturae sicut interiediones quae non sunt bene trasferibiles ex uno idiomate in aliud, sed impositi sunt ad sic significandum EX DECRETO ET AUTHORITATE primorum instituentium, quibus sic placuit rationabiliter  tamen, in  uno  quoqj  idiomate  res  lingulas sic uel fic  nominare. Et  aduerte  quod ultra  hoc q* terminus ad  placitum  differt a significativo naturaliter in hoc  q^  non  apud  omnes idcin  repraefentat, dum  profertur,  nec significat  ex  instintu naturae, sed  decreto primi  authori: in  duobus aliis  diffcrt. f. in  modo proferendi et in significato. Nam terminus ad placitum perfede & diftinde profertur,  modo non adiit ineptitudo linguae exparte proferentis.  Termini autem naturaliter significatiui propter impetum passionis,  amoris, aut  timoris, aut  gaudii, aut  irae, ut in pluribus truncate proferuntur, etiam  remota ineptitudine  Iin  guae. Differunt etiam ex parte significati,  quoniam  termini ad placitum significant conceptum intellectus: illi autem magis indicant affedum appetitus, quam conceptum intellectus. Sed ne novitius inuoluatur, hic fifto, donec fiat capaxfolidioris dodrinae. Tertia divisio est haec. Dimiflo termino per se significati — non naturaliter pro nunc TERMINUS SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM  multas  sub  se  continet  divisiones, quarum frequens est  udis in  doctrina  peripatetica, ex  quibus  una  eft  q?  quida  eft  categorematicus, quida syncategorematicus. Categorematicus est ille qui tam  g se sumprus  quam cum  alio, tam  in  ppone  quam  extra, aliquid ultra  se ipsum intclleduircpftntat, ut homo, lapis, curro, amo. na  homo  g le  folutn  significat  animal rationale,  lapis  tale corpus, curro  adum  currendi, amo  aduin  amandu syncategorcmaticus est ille qui per se solum sumptus nihil extra seipsum apud intelledum significat. Si autem sumatur cum alio, puta cum nomine substantivo c  ucl  cum ucrbo, simul significat, inquantum determinat nomen aut verbum. Et sic signa univerfalia et particularia et prepofinoncs et aduerbia, & coniundiones  funt  termini syncategorematici.i.cofigmfieatiui.  Nam signa  uniuerfalia  determinant nomen substantivum politum in fubiedo ad ft a dum pro omnibus, aut pro nullo, ut omnis homo currit,  nullus homo currit. Signa autem particularia determinant fubicduin particulariter, ut quidam homo currit,  quida homo non currit. Praepositioncs aurem determinant nomen ad conrrftrudioncm  pro cerro  cafu,  puta  ablatiqo  ucl  accusative. Aduerbia  determinant  uerbum  f>ro  determinato  Io  co, ut aduerbia  localia, ucl pro determinaro tepore,  ut  adverbia temporis , uel  pro  determinato  modo  quatiratis ucl qualitatis tut  aduerbia  quantitatis  & qualitatis. Coniundiones autem  determinant  terminos et orationes, secundum,  modum copulariuum, ucldifuindjuum  ucl  illatiuum.  exeplum  primi,  & ,arcp  exemplum secundi,  uel, aut , exemplu  tertii, ergo, igitur, iracp.  Inter syncategorematicos  termi-  nos non  comprehenduntur  intcricdioncs:quoniam  ut  docuimus figmficant  naturaliter, nec pronomina primitiua,  quoniam fumuntur loco proprii nominis & certam significant personam. De denuatiuis autem uidetur quod fic,  qm funt  ut  determinationes  nominum  fubftantiuuoif, ut  meus liber, tuus pater, nostra patria  &c»Similirer  participium  ji5 cft terminus syncategorematicus  ,compleditur  enim  no-  men subftantiuum et verbum,  ut legens  loquiTUni»  homo  qui  legit  loquitur. Ex  his  omnibus  fequitur, quod  cum  line  odo  partes  orationis, tantum  nomen  et uerbum  fumendo  cum  nomine  pronomen  primitiuum,  & cum verbo  partici  pium, funt  termini  categorcmatici,  alix  autem  partes  fune  termni syncaregorematici  apud  logicum, & caulam  huius  dicemus  poftq  definierimus  nomen et uerbum.   Quarta  diuiflo. Terminorum  categorematicorum  qui dam cft  primat intentionis, quidam  lecundae. Prima  intentio apud vueros  peripateticos  eft  primus  conceptus  fundatus immediate in re, quz  eft  cnsrcale , ut  primo  apprathenditur  prxhenditur  ab  intcllc&u, ut  animal  rationale  est  prima  in  tcntio  quam  format  intelleftus, &  immediate  fundatur, iit  natura  hominis. Secunda  aurem  intentio  eft  fecundus  con  ccprus  formamus  ab  intelledu, fundatus  in  re  non  immedia  ce  fcd  mediante  primo  conceptu, ut  efle  praedicabile  de  pluribus differentibus  numero  in  quid, est  fecundus  conceptus  quem format inrellc&us  de  homine.Nam  poftquam  apprae  hendit  cp  homo  eft  animal rationale, aduertit  ut  eft  ani-  mal rationale, conuenit  omni  contento  fub  homine, &fic  eft  praedicabilis  de  quolibet  luo  indiuiduo  in  quid, &  tunc  format  fecundum  conceptum, dicens  q natura hominis  e eo  q* eft  animal  rationale  eft  praedicabilis  de  pluribus  diffe-  rentibus numero  in  quid & quod dico de homine incellige de qualibet natura specifica cotenta sub animali. Terminus igitur primz intentionis eft terminus significans  pmum conceptum, fundatum  immediate  in  eftentia  rei, ut  homo, ca-pra, leo. Terminus autem secunda: intentionis  eft  terminus significans seccundu coceptum  fundatu  in  natura  rei  median  re pmo conceptu,  ut  genus,  fpccics, differetia, fingulare, &c;  Et  ne  cofundatur  itellcdus  nouitii  hicfifto.  In  tradaru  autc  de  uniuerfalibus  siue  pdicabilibus  diffufius  & altius  de  terminis pmx, & feciidx INTENTIONIS loquemur. Et aduerte q*  diuifio termini in terminos  pmz  impofitionis, &  fecundx  pofitionis  apud  nos, qui  fcquimur  uiam  realium  non  differt  a praecedenti. Nam  homo  in  mente  excogitatus, et uoce  probatus, & in feripto  poli  tus,  significat (>mum  conceptum  ideo est  terminus  pmz  intentionis in mente, in voce,  in feri  pto. Et  ifte terminus species ex cogitatus in mente et in voce et in  scripto et secundae  intentionis, quia significat  lecun  dum  conceptum  modo  quo  diximus. Non ergo eft neccfle ultra diuifionem faftam inter terminos f>mx, 8( secundae  in  rentionis, af!ignare eam quae dicitur'  pmz, & secundx impe»  fitionis ut penitus diftinftam aprxcedenti, qux fuit inter  m x , &  fecundx  intcntionis.Hxc enim continetur  in illa.   Quinta diuifio. Terminorum quidam cfimunis,  quidam  fingularis.Cdmunis  eft  q de pluribus  pradicatur, ut  homo, animal, lapis, & apud  grammaticum  dicitur  nomen  appellatiuum,qm  pluribus  conuenit. Terminus  fingularis  eft  qui  de  uno  folo  praedicatur, ut  piato, & fortes, & apud  grammaticum dicitur  nomen  proprium, qmuui  foli  conuenk,  & ad  «erte  <y  terminus singularis  apud  logicum  pot  fieri  quatuor  modis, primo  per  nomen indiuidui, ut  plato'ftudet,  secundo per nomen  coe adiun&o  pro  nomine  demonftratiuo, ut  hic  homo  ftudec, tertio  per  nomen  circtinlocutum.i«miil-  tas circunftantias  fingularizatum, ut  Sophronifciprimogc  nitus  filius  feribit, quarto  per  ly,quod  apud  logicum,  & philofophu  est  signutn  demonftratiiiu, ur  ly  homo,ly  alal  &c. Sexta  iiuifio. Terminorum  quidam  magis  uniuerfalis,  quidam  minus  uniuerfalis , & utrunq;  membrum  contine-^  tur  fub  termino  communi. Magis  uniuerfalis  eft  qui  praedicatur de  pluribus  q minus  uniuerfalis, nam  magis  uniucrfiilis  praedicatur  de  omnibus  de  quibus  praedicatur  minus  uniuerfalis , &1n  hac  diuifione  continetur  animal  & homo,na  animal  praedicatur  de  omnibus  de  quibus  praedicatur  homo et de  aliis  pluribus  ut de omni animalium  fpecie, homo autem  tantum de  contentis fub homine  indiuiduis, & iuxta  hane diuifionem  asfignabimus  ordinationem  conten  Corum  io  quolibet  praedicamento, procedendo  a generali! Cmoadfpcdalisfimum.  Septima  divisio. Terminorfim  tam singularium  q communium  quidam eft  finitus, quidam  infinitus, finitus  eft  determinati & certi significati: qui  scilicet  fignificat unam  ccr  tam ac determinatam  naruram, &  de  nulla  alia verificatur, ut homo significat solam naturam rationalem,  animal  foli  naturam  fenfitiuam,&c .Infinitus  est  qui  negat  unam  natu-  ram,eam, scilicer  quam  fignificat  terminus  finitus , & ucrifi  catur  de  quacuncp  alia, ideo  dicitur  infinitus, id est indeterminatus in significando, & terminus  finitus  fit  infinitus per appofitionem  non, ut  non  horno, non  lapis, non  animal.  Nam  non  homo  negat  naturam  hois, $( verificatur  de  qua-t  Cunc$alia«Vndc  lapis  eft  non  homo, leo  eft  non  homo  &c.  Et  aduerte  q'  quando  terminus  finitus, infinitatur  per  non.    iS  fit  tota  una  diftio,ut  non  homo, fi  autem  ftet  non, per se, &  homo  per se, dicitur  terminus  non  infinitatus  fcd  negatus  t  ut  non  homo  currit, & per  terminum  negatum  fit  propofitio  negatiua  haec  enim  cft  negatiua  non  homo  currit, haec  autem  eft  affirmatiua,non  homo  puta  leo  currit-  Oftauadiuifio. Terminorum  quidam  eft  pofitiuus,quid priuatiuus .Pofitiuus  eft qui  fignificat  aliquam  formam  fiuc  habitum  perficientem  fuum  fubiedum,ut  uifus  perficit  ocu  lum  «Lux  aerem, iuftitia  animum  &c«Priuatiuus  eft  qui  (i-   i gnificat  negationem  talis  formae, relinquens  taroe  aptitudj   k ne  in  fubiedo, eo  q* cft  aptum  hre  talem  forma ut  caecitas,   » tenebra, iniuftitia, mores  furditas  &c. Caecitas  enim significat negationem  uifus  in  oculo  apto  here  uifum, modo, &  te   * porc  quo  cft  aptus  uidere. Dicitur  notanter  quod  eft  aptum  habere  talem  formam, qm  fi  non  eft  aptum , no  uerificacur   ii  de  eo  terminus  priuatiuus  , fed  terminus  pofitiuus  negatu?   aut  non  uidcns,non  lucens, non  audiens* V nde  de  lapide  haec  est falsa. “Lapis  est  caecus,” vel  surdus, uel  tenebrosus, haec  autem  est  vera. Lapis  est  non  uidens, non  audiens, non  lucens. Nona diuifio. Terminorum  quidam  abftradus,  quidam   a concretus.  Abstractus  eft  qui significat  formatu  per  fe  fine   f-  connotatione  (ubiedi,ut  color,  fapori,albcdo,  dulcedo,  anima, iuftitia, &c. Concretus eft  qui  fignificat  formam  conno  i-  tado subiedum,uc  colorat\im,album,nigrum^animatumt   iuftum,&c .Et  aduerte  q* haec  diuifio  coincidit  cum  illa, dc  :t  qua erit  fermo  in  ante  praedicamentis,fcilicet  Terminorum  r,  quidam est denominans, ut grammarica, hic  cft  idem  q»  ab li ftradus,  quidam denominatiuus, ut  grammaticus  hiccR   idem  q»  concretus. Decima dinifio. Terminoit quidam in complexus,  quidam complexus. Incomplexus  eft  ille, qui  est  terminus simplex,   er vel  copoficus, uel  uniens  in  fe  plure?  terminos  per  fc  fignifi   il,  catiuos  ad  placitum, ita  tamen  q»  habent  uim  unius  exem-  ,a«  pium  primi  homo, capra, leo, exemplum secundi.  Scuti-   K.  fer, armiger  exemplum  tertii  paterfamilias , primo  geni-  n,  tus Sanftus Georgius, summus  pontifex. Comple-Jtu«  eft  ille, qui  in  fc  aggregat  plures  terminos  per se  significatiuos  ad  placitum, qui  non  habent  uim  unius, sed  fiue  aggragati, fiue separati recinet  fuum  proprium  fignificatum. Et  nccerminus  complexus semper  eft  orario,  aliquado sine verbo, ut homo albus, animal uolatilc, in  qua secunda  pars  determinat, & limitat  primam, aliquando  cum verbo, ut  homo  eft  albus. Vnde logici  uniuerfaliter  dicunt  q»  terminus  incomplexus  eft  ut  di&io. Complexus  autem  ut  oratio. Tuta men aduerte q> terminus ceplexus coitcr nominatur per orationem infinitiuam, ut deum ede trinum hominem efle rifibilem, quae oratio dicitur e(Te quid coplexum, & enunciabile, ut ibi manifeftabitur, cum  loquemur  de  modalibus.   Vndedma  diuisio. Terminorum quidam significant fine tempore quidam  cum  tempore. Significare  sine tempore  est  significare rem  abfolurc  fumpram  non mensuratam aliqua  differentia  temporis, cuius  differentis sive  partes  funrprz-  fens, praeteritum, & futurum, & hoc  modo  fignificar  nome  & pronomen fumptum loco nominis.  Nam  dum  dico  ho-  itio, aut animal, homo significar  rem  quae  eft  homo  abfolutc,  &  non  inquantum  praefert tem, aut  praeteritam, aut  futu-iram. Tu  tamen  aduerte  q>  licet  nomen significet  fine  tempore, nihil tamen prohibet aliquod nomen fignificare  tem-  pus, aut partem  temporis, ut haec nomia,  tepui, hora,  dies  ebdomada, mcnfis, annus. Nain  licet fignificet tempus,  non tamen aliquid diftinftum  a tempore, & menfuratum tepott. Per  oppofitum  autem  fignificare  cum  tempore  eft  figni  ficare  rem  adiunda  aliqua  differentia  remporis.Et  hoc  mo-  do uerbum, &  participium  fignificar  cum  tempore.  Verbi  gratia  curro et currens, significant  curtum  pro tempore  prae  lenti, & non  aliter, cucurri  pro  praeterito  &c. Unde significare sine tempore, ut  dicemus  infra, proprie  conuenit  nomini,  oppofitum  autem  conuenit  uerbo.   Duodecima  diuifio. Terminorum quidam univocus, quidam aequivocus, quidam analogus. Univocus est qui fubvna definitione naturam unam significat, siue sit una specie, sive ana  geacre, ut homo sub hac definitione, est animal rationale, significat natura humanamquae eft una spe, &aul fub hac definitione, est corpus animatum sensitivum, significac naturam animalis quae eft una genere. Aequivocus est qui sub distindis ronibus, & abfqj ordine, & immediate  plures  naturas  fignificat  diftindas  fpe,  ut  canis fignificat  im  mediare  canem  coeleftcm  fub  hac  definitione  q*  cft  fydus  in  ore  figui  leonis, & canem latrabilem fub hac definitione qs cft animal iracundum et canem marinum fub hac definitio  ne  q* eft animal aquaticum simile cani  tcrreftri. Analogus est qui sub diffindis  ronibus  ucl sub una inaequaliter participata plures naturas quodam ordine prioris, & pofterioris  fignificat. Excmplum  primi.  Sanum sub  hac  rone  q?  est esse  adaequatum  in humoribus  fignificat  animal  fanum,  fub  hac  f one  q' eft  e(Tc  caufatiuum  (imitatis  fignificat  medicinam  Isi  nam, sub  hac  rone quod cft ede indicat iuum faniratis, significat urinam sanam.  Prius tamen  dr de animali,  pofterrus  autem  de  medicina, & urina: quoniam nonnifiin ordine ad animal sanum.  Exemplum (ccundi. Ens fub hac rone q» cft cui debetur eflfc, significat primo substantiam,  deinde acens quoniam substantia est ens fimpfr,  & accidens eft ens secundum quid, et solum  in  ordine  ad substantiam.  Hic  termini  cur  uniucrfaliorcs  diuifiones quae  in  dodrina  peripatetica  frequenter  funt  in  ufu,ta  i libris  termino logices, q pbiae.  pr aepofirae  aut  funt, ut  nouiti9paulatim  a(Tucfcat, &  nc  fim coadi  frequeter  fingulas  repetcre. Haec  dc.  i .cap. dida  fint. Quid & quotuplex est nomen et verbum apud logicum. In secundo capite inueftigandum est quid & quotupleg fit nomen et verbum apud logicum, funt enim principales partes propofitionis, ut tibi manifeftum erit, primo igitur agendum cft de nomine secundo de uerbo. Et  quonia  hic  intendimus  agere  dc  partibus  propofitioni£us,&  de  g>-  pofirione, & de syllogifmo, non  folum  in  uoce,  fed  & in  me  rc, &  in  feripto, ideo  definiemus  ca  non  per  uoccm, fcd  ter*  minum  qui  cft  communis  nomini  & uerbo  in  mente,  in voce, in  feripto. in  reliquis  autem  no  recedemus a uia,  & me* do dcfinitiuo fcruato a Petro Hispano, qui logicam Cui formauic ut compendium logicae totius traditae nobis ab Aristotele , excepro  libro  poftcriorum. Non.n.  Petrus  hilpano  formauit  tra&atum  aliquem  correfpondentcm  libris  poste riorum, hac  forte  rone,  qmcxiftimauit  nouitium  penitus  incapacem  fyllogifmi  demonftratiui, Nos  autem faciliori  modo  quo  poterimus  particularem  tra&atum  formabim ut  paulatimalluefcat  nouitii  ingenium, & ne  fubito  auditu  libri  pofteriorum  confufus  retroccdat. Licct  autcm Aristoteles in  libro “Peri Hermenias”, et  Petrus  cius  imitator  definiant  no  nien  & uerbum  per  uoccm,&  nos  per  terminum, tn  no eri  mus  oppofiti,nifi  in  hoc,q?  nos  magis  ample, illi  autem  magis  ftriftc  definierunt,*  Cofidcrarunt.mpartes  oronis  folurti  ut  (untuocales,nos  autem  ut  poflunteife  mentales,  & uo-cales, & fcriptx. Vndeficut  dicit  Aristoteles & Petrus  cf  nomen  cft  uox,fifr  & uerbum, dicemus nos  i terminus,  fiib  quo continetur terminus  uocalis  qui  dicitur vox  &c. Primo  igit  agentes  de  nomine definiemus quid sit apud logicum, & fi  multiplex eft. Quantum  ad  primum  aduerte  cp  nomen  ad  mente  Ari-  ftotelisinuoce, in  scripta  est  TERMINUS PER SE SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM sine  tempore, cuius nulla pars separata  aliquid  fignificat  finita  & reda. Primo dr  q»  est terminus, qm nomen eft  pars  propinqua  ofonis & proponis,u t patet. Et qm terminus eft quid magis commune qfit  nomen, ut patet ex  op.praecedenti.  Nam & uerbum  eft  terminus, non tamen  cft  nome,  ideo  in  haedefi  nitide  ponif  terminus  ut  genus.Na  ut  declarabimus  trac de  syllogifino  dialc£lico,pmus  terminus  in  de  finitione  pofi  tus, eft  loco  generis,  qm  eoior  eft  ipfo  definitor,  reliqui  aqte  ponuntur  loco  differentiae  ut  declarabimus Secundo dr  p (e aisnificaticus, ut  excipiantur  termini  no perfc significatiui, ut  “buf” et  “baf” et terrmni syncatcgorema  Cici  ut  figna  uniucrfalia  & particularia, uc  omnis, nullus, ali-  quis,quae  licet  apud  grammaticum  fint  nola:,  non  tamen  apud  logicum, quoniam  g (e fumptanon  polfunt  efle  praedicarum  ncc  fubic&u  proponis,  fcd  tm  determinant  fubic-  . Au aur pdicatu uc  docuimus in rertia  diuillonc tcrminoif. Tertio dr  ad placitum  ad  driam  termini  fignificatis  nata  ralitcr.ut  intericdiones,quz  condant  non  clfe  noia  qm  no  declinantur  per  calus, nec fune fubicdumaut  przdicacutn  proponis  nifi  in suppofitionc materiali, ut  heu  e interie&io,  heu  eft  bifyllabum,&  ad  driam termini J.conccp cus  in  mente, qui  naturaliter  fignificat  ut  declaratur  in.i  periher*  t Quarto  dr  fmc  tempore  ad  driam  uerbi , quod significae  cum  ege, quid  fit  fignificarc  fine  rge,&  cum  tge  iam  docuimus  in  undecima  diuifione  terminorum , & diximus  q?  no  «nconucnit  aliquod  nomen  fignificarc  tempus, ucl  partem  tgis,ut  dies, hora  non  th  cum  tgc.Vidc  tu  illic»   Quihto  dr  cuius  nulla  pars separata  aliquid  lighat.idi  no  men  diuidaf  in  partes  fiias, quz  (int  fyllabz  ut  pr,  & omne  nomen  nmplex,ucl  quz  fint  didioncs,ut  in  noic  compofi-  10, ut  eft  pr  familias,  uel  Icutiferus , & fumant  g fe.i.  extra  totum  nomen  nihil  fignificant. Quod  fic  intclliges,aut  nihil  orno  fignificant  ut  marc.Na  nec  tnamee  re,  g fe  fumpta  ali  quid  fignificant.Vel  fi  aliqd  fignificant , non  th  habent  illuti  lignatu, quod  hnt  in  toto  noic.V.G. Hoc  nomen  dhs  fignac  |»ncipem. Si  ante  refoluat  in  do  & in  minus,do  uciqj  fignat:  ;f*aftum  dandi, & minus  signat oppositum magis,  sed  ut  co ponunt  ly  dhs nihil  fignificant.f.dc  fignificato  ly  dhs. Idem  intclligc  de  nomine  compofito , cuius  partes  feparatz  & (i  aliquid  fignat, non  tn  illud  quod  fignat  totum  nomen  ccm  pofitum, ut pr familias significat  re&orcm  familiz. Pater  autem  per  fc  fumptus significat  genitorem et familia familiam, ica  q in  toto significant  ur.um, fcparatz  autem signiS  eant  duo. Ethzc  expofitio  cft  communis  apud  ueros  logi-  cos* Vndc Avicenna  recitat  in  logica  fua  aliq uos  dixifle, q* verbum  incomplcxum est  cuius  nulla  pars  feparata  aliqd significar. fi quod  fic  de  intellc&u  et significato totius  qm  nl  hil  ,phibct  aliqd aliud  fighare,ut  magifter  nam  magis  aliqd  fignificat:&  ter, fcd  non tetinent significatum  quod  fignificat magifter nec in totum nec in partem .Er  fic  paret  q*  hzc definitio  conucnic  nomini  cam  timplici,  quam  compotito,  tam primiriuo,  qua deriuatiuo,dum  ntodo  intdligatur, uc  cxpo  luimus. Sexto dr  finitus  ad  differentiam  nominis  infiniti, quod  &  fi  apud  grammaticum  fit  nomen, non  came  apud  logicum,  quoniam  apud  ipfum  nomen  cft  illud, quod  poteft  elie  fub-  icdum  & przdicatum in propotitioc. Subiectum autem et praedicatum oportet, ut determinate aliquid significent,  afr propotitio effec inutilis, nec deferuirct syllogismo formado ab intellcdu pro inquirenda ucritatc.Vndc  & terminus  acq  liocus  inntilcm  facit  proponem, niti fumatur determinate.  Verbi  gratia  canis  coeleftis  lucet.  Sed  uc  docuimus in divisione septima  terminorum, terminus  infinitus  nihil  determinate tignat,ideo  cum  non  postit  effc  fubicdum  & praedi  catum  proponis  non  cft  nomen  apud  logicum  niti  fecundi!  quid, ut dicatur nomen non  fimptf  r sed nomen infinitum, sicuc solemus dicere quod “chimera” non est nomen reale sed nomen fidum, quia nihil significat sed imaginarie. Sed dices, apud logicum hzc cft propotitio.  Non homo currit, ergo poteft  effc  fubicdum, & per confequcns  nome.  Refpondccur. Tales  propoticiones sunt inutiles ti teneatur  nomen  infinitum in sua infinitate & in  deccrminationc. Si  autem  determinetur  ticdiccndo.Nonhomo.i.afinus  currit  tunc  propotitio  erit  utilis,fcd  nomen  infinitum  non  rema-  net infinitum, fed  zquiualet  finito.   Septimo  dicitur  redus  ad  differentiam obliquorum , qui non fune nomina apud logicum. Nomen enim est apud  ip-  Ium  quod  f m fe aliquid significat, 8(  f m fe  poteft  effc  fubic-  dum  propotitionis. Sed  obliqui  neutrum  habent  ex  fe. No primum, quia  tigni  ficatum  trahunt, a redo  ticur,& deriuan tur ab co. Redus autem ticut non deriuatur ab alio tic non accipit tignificatum ab alio  cafu sed habet afe. Non secundum, quia ti apud logicum formatur propotitio perucrbif impcrfonaIe, ut Platonis intereft legere: ly Platonis no eft subiectum, niti refoluatur in redum tic.  Ille cuius eft legere eft Plato.  Sic intclUgc de aliis. Prztcrca solus redus  fufficit 1 t1 1 K Ir  O \t. i115  s io  i ur  Si   rii  a fr-   io mn. A  re 3t n ad formandam prop6ncm pcrfedann &maxime de secundo adiaccntc, ad quam non  sufficit nomen obliquum. Haec  enim  cQ  perfcda. Deus  cft, homo  eft, hacc  aurem  imperfe*  da. Dei  eft, hominis est. Non ergo obliqui moerentur dici nomina sed  fmc  cafus  nominum.  Hoc de  definitione  nomi*  nis  apud logicum  rcalem  & peripateticum dida  fint. Quantum ad secundum. f*  quotuplex  fit  apud  logicum,  Ideft  inquantum  poreft  c(Tc  fubiedum  & praedicatum, ppo  fitionis, conftat,ex  didis  quod  non  eft  multiplex, quoniam solum nomen rectum et finitum  poreft  clic secundum  le subiedum et praedicatum in propone modo quo expofuumus.Vnde logicus a grammatico sumit  fibi  redum  ut  nc«  cellarium  ad  fomandum  abfolutam  proponem  significativam veri  & falsi Reliquos auccm cafus lumir adbencclfc, & magis propter feruandam congruitatcm quam ucritate sermonis, ne uideatur logicus delpicere regulas grammatices. Haec de nomine  dida  finr. Quantum aduerbum aduerte quod ad mentem Arifstotele verbum cam in voce  quam  in  scripto sic  definiendum est verbum est terminus per se significatiuus ad placitum cum tempore, cuius nulla pars separata aliquid significat,  finitus & rectus extremorum  unitiuus. Terminus ponif loco generis ficutin  definitione  nols,  quia  eft  eoior  uerbo.  Nam  omne verbum  eft  rerminus:fcd  non  cconuerfo  p fe  fignariuus  ponitur  eadem  rone  ficut  in  definitione  nols  fifr  ad  placitum  ad driam  interiedionuni,  & uerbi  mentalis, qrh significat  naruralV, ut  diximus in definitione nois, Cum tempore  ponitur  ad  differentiam  nois,  & pronominis, & conuenit in hoc cum  participio  quod  uc- nit a uerbo. Quid fit significarecum tempore, 8c quare uorbu et participium signifi.ar cum tempore, uidc  in diuifione undecima rerminoru. Cuius nulla pars separata aliquid sfignificar, intelligcndum est de verbo tam simplici quam composito, sicut expofuimus in  definitione nominis, in hoc enim uerbum conuenit cum nomine, finirus ponitur ad differentiam uerbi infiniti.  Infinitatur aute uerbum sicut et nomen  per appofitioncm negationis,  ut non curro non laboro. Quod quidem apud logicum no eft verbum, qm nihil determinate significac^ficur nec nomen infinitum.  Undefacc rct proponem inutilem: nili determinetur licut diximus de nomine infinito, sic dicendo, fortes,  non currit»  I « feribie» Re cius ponitur ad differetiam uerbiobliqu^cft autem uerbum obliquum apud logicum uerbum prztcriti & futuri temporis, & verbum cuiuslibet modi przter  modum  indicativum.Vnde  quaedam  fune  uerba  obliqua  ex  tempore  ra  tum,ficut  uerba  praeteriti  temporis, & futuri  indicativi  modi, ut “amavi”, “amabo”. Quaedam autem ex modo rantum uti imperativa tempore  przlenri. Quzdam  ex  modo,  & tem-  pore, ut  uerba  optatiua, et subiunctiua et infinitiva temporis praeteriti et futuri. Ideo autem apud logicum non fune verba, quoniam non faciunt primo et perfcipfa propofitionem veram aut falsam, sed per redudionem ad verbum indicatiui modi & temporis przfcntis. Nam  hzc  non  cft  uera  Czfar  fuit,nifi  quia  aliqii  fuit  uerum  dicere  Czfar  cft»  Sifr*  hzc  non  cft  uera.Eclipfis  crir,nifi  quia  aliqh  erit  uerum  dicc  rcrcclipfis  eft. Quoniam  igitur  folum  uerbu  redum,»i»mo-  di  indicatiui  przlenns  temporis  facit  per se ipfum  propofitionem  ueram  & falfam,&  fola  propofitio  indicatiua pinis temporis facit syllogifmum dcmonftrariuum .i.fcicntialcm ut tibi declarabitur in rrac. De syllogifmo demonftratiuo,i® dignatur logicus recipere a grammatico solum verbum indicatiuum praesentis temporis, & przcipucfum, es, cft:quo  niaminipfum  ut dicemus  refoluuntur  omnia uerba dida  adiediua.Excremoru  uilitiuus  ut in  hoc diftinguatur  a nomine & pronomine fumpto  loco  nominis, nam illa  funt ucl  poffunt elTc extrema in propofirione,ideft  fiibiedum  & pdf  catum, verbum  autem  non, fed  habet  unire  extrema. Unde  dicitur  apud  logicum  copula, qm  copulat  przdicatum  cum  fubiedo. Item  in  hoc  diftinguitur  a participio,  q»  licec significet  cum  tempore  ut  uerbum  tn  non  poteft  effe  copula, nec  facit  g feipfum  oronem perfedam, dicendo  fortes  Ic  gens,  sed  cft  necefle  fubintelligerc  uerbum»  Verbi  gratia   foftcs  eft  legens, ucl  fortes  leges  eft  ftudiofus. Conftac  igiC quid fic  uerbum  apud  logicum, & quare  folum  uerbum  i e-  dum. i. quod  no  deriuai  ab  aliquo  priori:  quale est uerbum  lotum  indicatriui  modi  tgis  prxfcntis,vnocrctur  dici  abfolu-te  uerbum.  Reliqua  aut  tga; &  modi  dicantur  obliqui  fiue  cafus  uerbi  refti, quoniam  defcendunr,  & deriuatur  ab  eo. Quotuplex  auc  fit verbum  apud  logicfi,non  cft  immora  dum  ex  quo  folum  ucrbu  rciftum  moeref  apud  ipfum  dici nierbum  ex  rone  ia  di&a.Sed  apud  gramaticu  ideo  eft  mul  tiplex  uerbum, ut patet  in  coniugationibus  uerborum,  & I  regulis  fiiis, quoniam non attendit  ad formadum propone  veram  aut  falsam sed congruam, et uitare incongruam et quoniam  per  oes tgis  drias, &  oes  modos  uerborum  for  mari  por,& alio  modo  g uerbum  aftiuum,aIio  modo  g paf  fiuum  &c.ideo  apudgramaticum  uerbum  mulcipfr  diuidic.  Nam  gramaticus  concedit  iftaurpocecongruazho  eafinus  f|  negat  logicus, ut  falfam. Hxc  de.2.cap  dida  fmt, Quid  fit  & quotuplex  fic  oro  apud  logicu.  IN  tertio  cap. poftqua  a&um  eft  de  partibus  oronis  age»  dum  eft  de  ipfa  orone  ut  de  toto  conftitutot cuius praecognitio ideo nccciraria eft quoniam feire non possumus qd fit enunciatio  & propo, ut tibi manifeftabitur infra,  nifi pus notum fuerit quid, & quotuplex fit oro.  Hic igitur tria age da funt, primo quid fit, secundo quotuplex fit ^ tertio  qua’  orationis species  fit  propofitio. Quantum  ad  primum  aducrtcip  ad  mentem  Ariftotelis  oratio  in voce  & in  feripto, fic  definiri  debet, Oratio  cft  ter_  minus  per  fe  fignificatiuus  complexus  ad  placitum  , cuius  partes  feparatx  aliquid  fignificant.   ' Primo  dicitur  eft  ter  g le significa  rone,  qua  didum  eft  de  nole  & uerbo  & ponitur  loco  generis,  quoniam  eoior  e.  Nam  ols  oro  cft  terminus  per  fe  fignificatiuus : fed  non  ccd  uerfo  . Difhim  eft  enim  cp  nomen  & uerbum  funt  termini per,fe  fignificatini,non  tamen  funt  oratio. Secundo  dicitur  complexas  ad  differentiam hominis  &  uerbi, quo*  nullum  fiuc  fimplcx,fiuc  copoficil , e termiiim complexus. Quid  autem  fit  terminus  complexus  nide  indi  uifione  decima {terminorum  , & illic  inucnics  quomodo  proprie  conuenic  orationi»   Tertio  dicitur  ad  placirum, ad  differentiam  ofonis  men  talis,qux  fignificat  conceptum  mentalem  complexum, qui  conceptus  lignificat  naturalr,  ficut  diximus  de  nomine  ^ &  uerbo  mentali. Praeterea, oro  in  uoce,&  in  feripto  fignificet  ad  placitum, probatur  fic.Partcs  fux.f.  nomen, & uer  bum  fignificat  ad  placitum, ut  docuimus  in  cap.prxccdentJ  ergo  & ipfum  totum  confoturum  ex  eis, quod  cft  oratio.   Quarto  di  cuius  partes  feparatx  aliquid  fignificat, id  po-  nitur ad  differentiam  nominis  & uerbi, quorum partes, uc docuimus in eorum definitionibus, non fignificat aliquid fc  parate, modo quo illic expofuimus, partes aute ofonis  fune  termini caregorematici, intclligendo de partibus principalibus ficut intendit Arift. Si  non  de  partibus  fccundariis, quae  polfiint  eife propones  aduerbia  &c.  Termini  autem  catcgo  rematici  tam  in  oronc , q extra  retinent  fuum  lignatum,  ut  docuimus  in  diuifione  tertia  terminorum.  Vn  fi  fiat  hxc  oro, homo  albus  currit , ho  extra  hanc  oronem  fignat  aial  ronale, ficut  & in  oronc, & albus  fignificat  habens  albedine. Tu tamen aduerte cp licet fit commune omni orationi haberepartes qux separatx aliquid significant,  non tamen id  fit  uno modo  i omni  oronc, nam  fi  oro  fit  fine  uerbo, ut  ho  nio  albus, partes  fux  aliquid fignificant  modo,  quo  fignificat diftio. Si  afit  fiat  oro  fimplex  per uerbum, uc homo  cft  animal, partes fux separatx eodem modo significant. fut  didio. Si  aurem  fiat  oro subiuctiva,  ut si veneris  ad  me  dabo tibi equum, partes lux funt dux ofones ut patet. Unde si separentur, fignificabunt non ut diftio, sed ut ofo. Vcrura quia refoluitur m duas orationes, & dux orationes in terminos  componentes, ur ego dabo, tibi equum, ideo commune est omni orationi quod partes fux separatx aliquid significent, aut ut dictio, aut ut oratio. Sed dices. Quare in hac definitione non apponitur finitus et rectus, sicut in definitione nominis et verbi, prxeipue a quia dictum  eft q nomen  infinitum  nori  poteft  efle  fubiecti! nec  praedicatum,  nec  uerbuni  infinitum  poteft  cflc  copula,  fimiliccr  nec  nomen  obliquum  nec  uerbuni  obliquum.   Reipondetur  q*  ideo  non  opponitur,  quia  in  definitione  non  debent  poni  nili  quae  conucniunt  omni  contento  fub  definito, non omnis autem oratio formatur ex nominee et verbo finito, & redo. Nam haec eft  oratio, non  homo  currit  & haec, Catonis  est  legere, &  haec, homo  currct. Qn aut diximus q> nomen  infinitum et obliquum  non  poflimt  ee  subicdum, no  fumus  locuti  de  orone  sed  de  propositione, qm  sola oratio  indicatiua  praetentis  teporis  ut  dicemus  eft  propofitio.  Qm  igitur  aliqua  orario  poteft  coponi  ex  nomine  iufinito, &  obliquo, fitr  ex  uerbo, & aliqua  non, puta  propo  firio,idco  non  dicitur  redus  neque  finitus , fed abftrahit ab  utroque.  Conftat  igitur  quid  fit orario apud  logicum,   Quantum  ad  fecundum  aduerte, q* apud  logicum  oratio  prima  diuifione  diuiditur  in  orationem  perfedam  & imper  fe&ani, deinde  utruncp  diuifionis  membrum fubdiuiditur,  nidebis  infra. Oratio  perfeda  eft  illa  quae  perfedum  fenfum  gencraf  in  animo  audietis , ideft  qu*  audita  quietat,quo  ad  fignifi-  catum  intentum  a proferente  uel  feribente,  animum  auditoris, Verbi  gratia. Sortes  intendit  notificarc  Platoni  ftatfl  regis, & dicit. Rex  ualet  fortis  in  bello  contra  hoftes, Hac  ratione  audita  quiefeir  animus  audientis.  Quod  fi  dicar.  Rex  contra  inimicos, & non  ultra  procedat , imperfedum  fenfum  generat  in  animo  audientis, ideft  non  quierat  ipfum  ideo  dicitur  oratio  imperfeda.  Nam  audiens  rex  contra  inimicos, ultra  non  proceditur, dubitare  incipit  uti£  prae  ualeat,an  fuccumbat  contra  inimicos  fuos,  patet  igitur  ora  tionis  prima  diuifio  apud  logicum.   Oratio  perfefta  continet  quinque  (pecies,quae  funt  indi*  catiua  temporis  praetentis, & omnium  temporum  modi  in  dicatiui,ut  “Petrus  amat”, amabat  amauit, amaucrat, amabit  imperatiua , ut  fac  ignem  deprecatiua , ut  ora  deum  pro  me.optatiua, ut  utinam  te  uideam  doftum. coniunftiua. ut  fi  ucncris  ad  mc,  honorabo  te. Omnes ifte dicuntur pcrfic auditae quierant animum audientis quo ad  earum  significatum, nec  ipfum  fufpenfum  tenent.   Tu  tamen  aduertc,q?  imperantia, & dcprccatiua  non  dit  fefunt penes  modum  nec tps  uerbi, sed  penes  appofitos  re-  fpeftus.Nam utracp  fit  per  modu imperatiuum,  fed deprecatiua  fir proprie  ad fuperiorcm, imperatiua  aOt  ad  inferio  rem. Item aduerte q* coniunftitia ad hoc q» fit oro perfecta oportet, ur coplcfiatur duas orones, aliter no quierat animfi audientis, ut parer,  reliquae uero spes per unicam ofonem quictant audientem, ideo  per  feipfasfunt  perfe&x.   Oratio  autem  imperfeda  tres  cotiner  fpecies  fecunduqs  tribus  modis  poteft  formari.  Nam  formatur  per  nome  fub  ftatiuum  cum  adie<fiiuo, ut  homo  albus  animal  rifibile.  uel  per  duo  fobftantiua  per  appoficione,  ut  animal  homo, deus  pater, Deus  filius. Et  hacc  eft  prima  species & formatur  per  foliim  infiniriun,  ut  fortem  currere. Si autem apponatur fum,  es, eft, cum termino modali  cricpcrfectarut  forte  currere eft  posfibile.i  t haec eft  fecunda fpecies*,  & formatur per verbum  Jcipir, &  definit, ut fortes incipit,  fortes definit. Siautem apponatur ifinfriuum efficitur perfecta,  ut fortes incipit conualefcere, fortes definit  fcriberc, & hoc  est  ter  tia species.  Item aduerte <y oratio perfecta  poteft  fieri  per  unicum  nomen, tielunicum  ucfbum,&  maxime  quando  fic  refponfiua  inrcrrogariuc  Vt  fi  qtiis  a te  petat. Quis  uenit  do  rnum?&  refpondeas, Pctus,Vel  fic, nunquid  fortes  uenit?&  rcfpondeas:  uenit.  Confiat  igitur  quo  diuidenda  fit  oratio  apud  logicum.   Quantum  ad  tertium  aduerte  q* sola  orario  indicatiua  eft  pmo  & per  (e  propofitio. Dico  pmo  & per  (e  qm  alie  (pe  cies  non  fiunt  propofitio, nifi  reducantur  ad  indicatiuam.  Vnde ifta, fi  homo  uolaret, haberet  alas, non  eft  propofirio,  nifi  reducatur  in  iftam,fi  homo  uolat  habet  alas.  Et  indicari  u • prxreriti  aut  futuri  temporis, non  eft  propolitio  nifi  re-  ducatur ad  indicatiuam  praefenris  temporis.Nam  ifta, Ad a  fuit, ideo  eft^iera,quia  Aquando  fuit uerum  dicere. Adam  eft  fciliccc quando Adam cxiftcbar. Ratio autem propter quam apud logicum sola oratio indicatiua eft primo & per se propositio, eft, quia intentum logici eft uti oratione ad investigandum verum etfalsum, ergo cam proprie recipit, quae secundum  fe  significat verum et falsum, &hxc est indicativa.  Nam alis potius deferuiunt affectui mentis qua quod sint ordinatae ad enunciandum verum et falsum conceptum animi aut intellectus. Quod pacet hinc. Imperativa indicat voluntatem superioris per imperium,  optativa indicat desiderium sive affectum optantis. Praedicatiuc indicat affectum inferioris erga fuperiorem per supplicationcm.  Coninndiua autem licet uideatur exprimere uerum aut falsum conceptum mentis, non tamen determinate, fed fufpc fuic, eft enim conditionalis quae ut  dicemus  in  cap.de  hypotheticis nihil  ponit  in  ede.  Indicativa autem dcterm.nate  di  cic verum  aut falsum. Nam hxc eft determinate vera, homo est animal, &haec determinate falsa homo est lapis, ideo. sola'm ceretur  dici japofitio. Proponicur enim imelledui  ut  per  eam  formet syllogifmum, &  per syllogifmum  deueniat in  ucram conclufionis  nociciam. Conflat igitur quae orationis perfeda species mcerctur logice dicipropofitio. Unde aduerte, q? logicus non tantum magni facit oronem  con»  gruam  &ornaram, quantum veram, ita  etiam  fi eflfct  incongruam  & inornata, modo uerii & falfum cnuncict, accepta eft  apud  logicum,,ppterea  logicus  acceptat  iftam,  deus  feruitur ab hole licet  cam reprober  grammaticus  negans  feruior  inueniri  pasfiuum.Hxc  de  prxfcnti  cap.dida  fine. OlnUli/  Si  logico  fufficiunt  dux  orationis  partes scilicet nomen  re» verbnm  redum.  Caput  quartum.   IN  cap. quarto  inueftigadum  eft fi dux  orationis  partes  fciliccc  nomen  & uerbum  redum  fufficiunt  logico. Tu  igitur  aduerte , quod  logicus  rationabiliter  reripjt  tan-  tum duas, ut  fibi  neccflarias,grammaricus, autem  odo*  Ratio  uero  djfferenrix  eft  hxc. Logicus et grammaticus  dififerunt  fine.  Intendit  enim  logicus  fcire, difcerocrc  ucrum a falfo, grammaticus  autem  intendit  fcire  difccrncre  congruum sermonem  ab  incongruo. Ad  confequendum  pri-  mum fufficiunt  nomen  & uerbum  , quoniam  fufticiuncad  componendum  .ppofirfone, quae eft  significans  verum uel  falfum,ut  tibi  manifeftabiturin  trac.  lequeti  ad  formandi!  congruum sermonem, & diftinguendum  ab  incongruo  no  (iiHiciunt  nomen  & uerbum, (ed  oportet  uti  praepoficiqnibus, &  aduerbiis  & coniunftionibns,S(c.  Et  ideo  ut  gram-  maticus habeat  omnem  modum  formandi  fermonem  con  gruum, nccc(Tarix  funt  fibi  plures  partes  orariois,  quam  nomen  rectum et verbum  rectum. Et qm ifte dux fibi sufficiunt, ideo appellat eas categorcmaricas, id est per se significatiavs, alias autem syncategorcmaticas, id est simul significativas. Quis autem fit terminus categoricus et syncategoricus diximus  in  divisone  tertia  terminorum.   Sed  dices. Logicus  indiget pronomine demonftratiuo, ut  quando  dcfcendic sub  (ubic&o  propofitionis uniuerfalisaf*  firmatiue  uel  negatiue  dicendo, omnis  homo  cft  animal,  cf   50  & hic  homo  est  animal, & hic  eft  animal  &c.  Item  in-  iget participio, ut  dicemus  in  trac.fequenti, quando  rcfol-  uit propofitioncm  fa&am  de  uerbo  adicdiuo  in  fuum  parti  cipiurn  & Ium  es  eft, ut  fortes  currit, fortes  eft  currens, ergo  faltem  quatuor  partes  orationis  funt  ei  ncccftariae.f.nomcn  & pronomcn,uerbum,&  participium.   Refponderur  nomen  & pronome  apud  logicum  funt, uC  una  pars, qm utitur  pronomine loco nominis, & participii!  ftar cum nominee et uerbo. Cum  nomine  quide, qm  poteft  efte  fubiedum propofitionis  ficut  & nomen, ut  legens  cur-  rit,& ftat  cum  uerbo, qm  fignificat cG tepore, ut docuirmrt  fupra,&  ideo  apud  logicum  identificanrur  nomini  & uerbo licet apud grammaticum remaneant diftinfte.  Conflat igitur  cp  fint  partes orationis  necclfariae  dialc&i  co ad  formanda  propofitioncm et ex propofitionibus  syllogifmum. Hoc dc prxfcnti  cap.dida  fint. Explicit  rradatus secundus copcndii logices peripateticat ordinatus per authorem et fuit de partibus propofitionis. Incipit QVT eft de propofitione et speciebm cius. Nhoc tertio tracta, agendum est de propofitione, gratia cuius praemifimus tradatum praecederem, in quo a&uin est de partibus eius, et de genere per quod definienda eft, et hoc eft oro ut tibi manifcftabitur. Diuidemus autem ipfumin fex capita. Primo agendum eft de propofitione definitiue & diuifiuc prima diuifione. Secundo agendum est de categorica simplici et de olbus eius diuifionibus. Tertio agendum eft de, pp6ne hypothetica & eius spebus. Quarto agendum eft de propone categorica modali. Quinto agendum eft de aequipollentiis propofitionum categoricarum fimplicjuni, qux funt oppofitx contrarix,  fubcontrariae, conrradiftoriae, &fubaltcrnx. Sefto  agendum  eft  de  aequipollentiis  modalium  oppofitaif. De  ppone, quid  fit  & cius  prima  diuifione.  In primo  capitulo  agendum eft  de propofitione  quid  fit  & quotuplex in genere sive prima diuifione. QuStum ad definitionem  aduerte,  <y sic  definitur de me te Ariftotelis. Propofitio  eft  oratio  uerum  uel  falfum  fignifi  cans  indicando. Primo dicitur  oratio, loco generis, eft  enim  in  plus  oratio quam propofitio:  di&um eft enim  in tract.  praecedenri,  oratio perfcfta  diftinguitur  in  quinque  (pccics, ex  quibus sola indicatiui modi eft propofitio, ergo omnis propofitio eft oratio perfecta, sed non econuerso, ex consequenti est genus propositionis, propofitio autem est species orationis jjcrfe&c. Sicut animal est genus hominis, homo autem est species animalis. Nam omnis homo est animal, sed non econuerfo. Secundo dicitur verum vel falsum fignificans,  pro cuius notitia aducrte, cp cum proponum alia iit affirmatiua, alia negatiua, ut declarabimus infra. Significare ucr u in affirmatiua est significarc  rem  sicut  est.  Verbi  Gratia  haec  cft  ucra,  homo  eft  ronaiis,quia  fic  eft  ex  parte  rei.  Vnde  hoicm  e(fe  fonalem cft  ucrum Significare uerumin negatiua eft fignificare rem ficut non  eft.  Verbi  Gratia  haec eft  ucra,  homo non  cft  afinus,quia  fic  eft  in  re. Vnde hominem non esse assimum est verum. Significare falfum in propone atfirmatiua  eft  figni.  6carc  rem  aliter  q fic.V.G.hzc  est falsa, homo est lapis, qih significat hominem esse lapidem, & tamen aliter eft.  Significare falsum in propone negatiua, eft  non  fignificarc  rem  sicut  cft.V.G.hatc  eft  fal(a,homo  non  cft  animal,  quia  non  figni  fjcac  ficut  eft.Nam  homo  eft  animal, ergo  fallinn  eft  ipluin  non  efte  animal. Dicitur  ergo in diffone,  uerum  uel  falfum.  fignificans  ad  differentiam  oronum  imperfeCtarum, ut  ho-  mo albus, afinus  rudibilis, & oratio infinitiua,ut  fortem  cur  rcrc,&  oratio  famularis, ut  Sortes  incipir, nifi. n.aliudadda  tur,non  folum  non  quierant  animum  audientis, fed  nec  di-  cut  aliquid  devero  aur  falfo  nifi  copleantur  per  aliud.  V.G*  Si  ly  homo  albus  addatur  homo  eft  albus.Si  ly  fortem  cur  rerc  addatur , eft uerum  uel  posfibile  uel  contingens.  Si  ly  fortes  incipit  addatur, e(Te  bonus. Conftat  ergo  g fc  funi   ptz  nihil  dicunt  de  uero  aut  fallo.   T ertio  dicitur  indicando  quod  dupliciter  exponitur, pri-  mo fic, indicando, id  eft  cft  oratio  modi  indicatiui  ucru  uel  faUbm  fignificans. Vnde alii definiunt propofitionem dicen te$,quod propofitio cft oratio indicatiua uerum uel falfum fignificans. Et id ponitur ad differentiam orationum  perfe-  rarum quae  fiunt  per  alios  modos, per  itnpcratiuu,  optati-  «um, &c.Nam  ifte  ut  docuimus  in  trac  przcedcnti  in  capi trrtio  potius  dclcniiunt  nobis  ad  manifcftandum  affectum  mentis, quam  uerum  aut  falfum  coceptum  intellectus  Orationes  etiam  modi  indicatiui  temporis  prztcriti  & futuri  %  non  fignificat  primo  & per se verum etfalsum, nifi reducantur ad unam temporis przfentis indicatiui ut in eode loco docuimus. Sola ergo oro indicatiua temporis praelcntis moe-retur dici propo, quia fola lufficit ad formidum syllogitmu  aliae  autem  non, iuli reducantur ad illam:  ut  tibi  mamfcftii  erit  in  trac. de  slyllogifmo  formali:  iccudo  ab  aliquibus  ex-ponitur ly  indicando.i.aflercndo.V erum  id  non  vf  convenire omni  propofitioniilcd  tantum  propolicioni in materis naturali, quae  neceflario  cft  uera, &  in  materia  remota,  quae  de  necessitate  est  falsa.  In  materia  autem  contingenti  cum  posfit  elle  ucra  & falia,  non  pot  dici  afiertiue fea opinatiuc quod  fignificct  uerum  aut  falfum,  ideo  melius  eft  ftarc  in  p  ma  expone, quae  etiam  eft  de  mente  Aristotele in.i.perihcr.  Quid  aut  fit  & quo fiat  propo  in  materia  naturali  $(  contingente  & remota  dicemus  infra  in  hoc  met.tradtatu.  Con^  itat  igitur  quid  fit  propofitio  apud  logicum.   Quantum  ad  primam  diuilioncm  proponis  aduerteqj  ad  metem  Ariftotelis  in  primo  periher. diuiditur  primo  in  categorica & hypothctica, dicilcategorica  gratee  pr^dica»  tiua  latine, categorizo  enim  graccc  & praedico  latine.  Df  hypothetica  graece, suppositiva  latine, est  enim  graECe  hyp. fub  latine, & thefis  graecc, positio  latine. Ratio  autem  divifionis  est  haec, quia  omnis  propofitio significat verum  aut  falsum,  & eft quid  compofitum &  omne  compofitum  cft  refolubi  Ic  in  lua  immediate  componentia.  V el  ergo  propofitio  com  ponitur  ex  terminis  immediate, & in  cos  relolujtur  imme-  diate^  non  in  aliud  immediate. Et  fic  eft  categorica  , quae  coponitur  immediate  ex  fubiefto  & praedicato  & copula  ,  modo, quo  dicemus  infra.V el coponit  I mediate  ex  duabus  oronibus  per  aliq  coiudione  puta  ergo, fi, & uel, 3t  imedia-  te  in  eas  rcfoluit, &  ille  imediate  i terminos,  & fic  eft  hypo  thctica, ut  dicemus  in  ca.tertio  huius  tradatus.  Catcgorica  pero  diuiditur  in  fimplicem  & modalem. Simplex eft in qua praedicatum fimpfir dicitur dc fubiedo, ut homo  eft  ani  mal. Modalis eft in qua  pdicatum  dr  de  fubiecto  non  fimpflr  fed  cum  modo  & determinatione, ut  homo  eft  aial  ncccfla  rio, homo  cft  albus  contingenter.  Et  de  modali  agemus  in  cap.quarto  huius  trac.Hsc  deprimo  cap.difta  fint. Dcpropofitionc  carcgorica  & omnibus  cius  diuifiombus.  IN  secundo  cap.inueftigandum  eft,  quid  fir  propofitio  ea  tegorica  & quot  fint  cius  diuifioncs,&  de  fingulis  agen..  du  eft  excepta  modali,de  qua  agemus  loco  luo, primo igitur  definiemus  eam, deiiide  accedemus  ad  diuifioncs.   Quantum  ad  definitionem  aduerte  , q* ad  mentem  Aristoteles sic  definitur  Propofitio  categorica  eft  propofitio  j qux  habet  fubiedum  praedicatum  & copulam taquam principia es partes fui. Ponitur propofitio loco generis. Omnis enim popofitio categorica, est propofitio, led non econ- uerfo. Nam  & hypothetica  eft  propofitio, & tame  non  eft  categorica.Dicitur  quae  habet  fubiedum  &c. hoc  totum  po  nitur  ad  differentiam  hypotheticae,  cuius  partes  principales  funt  dux  orationes , in  quas  immediate  refoluiturtut  patet  in  jfta.  Si  tu  curris, tu  tnoucris, principales  partes  & imme-  oiarxnon sunt termini, sed  iftx  dux  orationes:  tu  curris,  &  tu  moueris.prim autem  & niediatx  funt  termini  ex  quibus hxc  orario  componitur , tu  curris , & hxc  tu  moueris*  Dicitur  igitur  q*  principales  partes  categoricx  non  funr  ora  tiones,(cd  termini, ex  quibus  immediate  componitur,  quo  - rum  unum  eft  fubiedum, alterum  prxdicatum, alterum  co  pulatut  homo  eft  animal, homo  eft  fubiedum, animal  praedicatum, eft  copula, coniungit  enim  prxdicatum  cum  fub»  iedo. Sed  aduerre:ut  fcias  quomodo  in  omni  categorica  eft  fubiedum  copula  & prxdicatum, quod  fit  tribus  modis, p„  mo  per  uerbum  fum,  es,  eft,  de  tertio  adiacente .Eft  autem  categorica  de  tertio  adjacente  quando  poft  fum,  apponitur  alius  terminus: ut  fortes  eft  animal. In  hac  conftat  de  fubie-  do  & prxdicato  & copula, fecundo  fit  per  uerbum  adiedi-  uum  . Eft  autem  apud  logicum  omne  uerbum  adiediuum,  prxter  lum, es, eft, in  quod  relbluitur  omne  uerbum  adie-  diuum  & in litum participiumtut fortes currit fic  reloluit. Sortes eft currcns. Socrates est subiedum, currens  praedicatu  est  copula, tertio  fit per verbum fum, es, eft, de fecundo  adiacente.Eft  autem  categorica  de  fecundo  adjacente, qn  poftum, es, eft, alius  ccrminus  no  fcquit,ut  deus  eft,  coelu  eft  &  in  hac  eft  allignarc  tubum  praedicatu  & copula, alio  mo  q in  praedicis, afljgnat  auceduplV ,pmofic, deus  eft.i. deus  cft  habes  cire, deus  cft  fubum, habes  etTe  cft  pdicatu, eft  copula, fc  cudo  fic  Deus  cftd.deus  cft  exiftes. Dens  cft  fubieiftum  exi-  ftens  pdicacum,eft  copula. Nonulli  dicunt  tp  in  caregorica  de  fccudo  adiaccntc,eft  gerit  uicem  copulat  & prxdicaci,  &  id  uidetur  innuere  Ariftoccles in pmo perihcr.ubi definient uerbum inquit &cft iemper eorum qux de altero praedica  tur  nota, ideft  uerbum semper  (e  tenet  a gte  prxdicati. Con  fta:  igitur  quid  fit  propofitio  categorica  iimplex. Sed  dices quare magis  dicitur  categorica,  ideft  prxdicatiua  quam  fubicdiua, cum  tam  fubiettumq  praedicatu  fmc  partes  cns. Prxtcrca  quare  terminus  praecedens  uerbu  fum  cs,eft, dicitur  fubie&um,fubfcqucns  autem  dicitur  prxdica  tum, &  ipfum  uerbum  fubftanciuum  dicitur  copula»  Refpondetur  ad  pmum, cp  oe  copofitum  denominandu  eft  a parte  fua  digniori,  V ndc  homo  dicitur  rationalis  & intellectualis ab anima intellectuali, qux  dignior cft in eo  qui sensitiva  et vegetatiua. Prxditatu aute dignius eft fubicfto qm cftficut forma, fubiectu vero  sicut  materia, & dicemus  intra  cp talia  funt  fubiefta, qualia, permittutur  a praedicatis. Cogrucigicdicn categorica.i.prxdicatiua &no fubieftina Ad  lecundu  dfp  ideo  terminus  praecedens  uerbum  df  fu  bic<ftum,quia  de  eo  df  prxdicacum  ira  cp  fubiicitur  prxdica  to, V ndc  & gramarfeus  appellat  ipm  fuppofitu. Terminus  uero  fubfeques  uerbu  df  prxdicacum, quia  prxdicatur  & df  de  altero. i.dc  fubie&o. Vnde  apud  gramaticum  df  appofi tum. Et  aduerte  q?  totale  subieftum  est  ois  terminus  prxee  dens  copulam, fiue  unus  fiue  plures  fint.V «G.homo  eft  ani-  mal,homo  eft  fubm,homo  magnus  & honoratus  e pneeps  in  ciuitarc, fubieftu  funt  oes  illi  termini  prxcedetes,  pars  au  tem  liibicCti  quilibet  eorii. Ide  intcllige  ex  parte  prxdicati. Sed dices.Quarc  fubieftu  & pdicatum  per  fe  inuice  notifi  eant  fiuc  definiunt, cu  definitio  circularis  uideatur.  inutilis*   * Refpondetur  quia  hntrefpedum  ad  inuice, fubiedtum. rtfpicit  praedicatu  & praedicatum  rcfpicit  (ubic£tum,ficut  ft  lius  rcCpicic  patrem, & pater  filium.Refpediua  aute  conue-  nienter  per  fe  inuicem  norificantur  & definiuntur, qm  mutuam habent  dcpcndentiam. Sed de  hoc  alrius  loqucmur  in  trac. de  praedicabilibus,  p  nunc  fuftine  tu  iuuenis  ne  inuolua  ris. Conftat  igitur  tibi  quid  (it  propofirio  catcgorica. Quantum  ad  cius  diuifiones  aduertc,ut  habeas  plenam  de  cis  notitiam, fic difponendae  funt. Prima diuifio. Propofitionum  categoricarum, alia affirmativa, alia negatiav. Secunda. Alia uera, alia falfa. Tertia. Alia  cuius  quantitatis, alia  nullius.   Quarta.  Alicuius  quantitatis  alia  uniuersalis, alia  particularis, alia indefinita alia singularis. QuIta.Alix  gticipacvrrocp  rermio,  aliae  altero,aliae  nullo.   Sexta. Participantium  urroqj  termino, aliae  participant  qtroqj  termino  eodem  ordine, aliae  ordine  conucrfo.  Septima. Participantium  utrocp  termino siue  eode ordine (iuc couerfo  quxda  formantur in  materia  naturali,  quaedam in materia  contingenti, quaedam  in  materia  remota.  Odaua. Participanrium  utroqj  termino  eodem  ordine  tam  in  materia  naturali  q in materia contingenti & in materia remota quaedam sunt contrariae quaedam subcotrariae, quaedam contradiftorix, quxdam fubalternx.  Nona. Participantiu utrocg termino ordine couerfo &I n triplici materia (iuc naturali fiue contingenti fiuc remota quxdam conuertuntur conuerfione fimplici, quxdam converfione per accidens quxda couerfioneg contrapositione Omnes iftx diuifiones dantur de, ppofitione catcgorica fimplici qux dicitur de inefle.i.in qua prxdicatu simplicicci4 & fine determinatione facta g alique fex modo^.( ucrfi falsum nccefTariil cotingens, posfibile imposfibile, dicit de subiefto Quae aut ex his diuifionibus coueniat et categoricati modali dicemus in cap. quarto  huius  trac.  De singulis aut divisionibus agedu  c(t in fpe &ordine, quo prxpofitx  funt. Verum antedcfcedamus in (pe^nl aliqua prxdi&artMi diuiltonu datur  de substantia, pponis, aliqua de qualitate, aliqua dc qtitatc ut cibi declarabit infra, ideo ad viem notitia diuifionu, quae fiet toto hoc noftro opere, ne funus coadi idem faepius repetere, praeponendi fune omnes vfes  modi,  quibus folct  fieri  diuifio.  Tu igitur  aduerte  <y  indodrina  Ariftotelis  diuifio  fit  quatuor  modis  generalibus. Primo  generis  in  Ipccics.   Secundo  totius  in  partes. Tertio vocis significata. Quarto diuisio secundum accidens. Diuifio  gnis  in  fpes, fit  duobu  modis  pmo  gnis^n  (pes  (ut>  alternas, ut  qndiuiditeorpus  p alata  & inaiatu, &aiatu  per  fenfitiuu  St  no  (cnfitiuu, fecundo  gnis  in  (pes  fpalisfimas, uc  qii  diuiditur  color  per  albedinem  & nigrcdinem. Et  hac  di-  uifionem  cognofces  in  trac.de  praedicabilibus.   Diuifio  totius  in  gtes  fkqncp  modis, pmo  qntotu  diuidif  in  ptes  fubicdiuas  indiuiduales,ut  qn  diuidit  ho  in  forte Pia*  Ioanne. Pecru,&c.Scdo  qn  totu  diu.ditur  in  partes  eflcntia  lcs, uc  ens  naturale  copofitu  diuidif  in  materia  & forma,  fi-  cut  diuidit  ho  in  alam  & corpus, tertio qn diuiditur  totu  co  tinuu in partes fuas  intcgralcs,uc  domus  in  fundametu,tc»  dii, &  pariete, & corpus  animalis  in  partes, qufe  funt  mebra  fua,cx  qbus  integrat  corpus, quarto  qn  diuiditur  totu  dito  tinuu  in  partes  fiias, inter  quas  & fi  no  fit  cotinuitaseft  rame  ordo  & .pportio.Hoc  rao diuidif  exercitus  in  mtlitcs,cqtcs  peditcs, 8(c.quinto qn diuidif totu poretialc fiue poteftariufi  in  partes  fuas  poreftatiuas  qn  diuiditur  anima  per  potentias  fuas  & virtutes  fuas, ut  tibi  manifeftabitur  i libro  dc  anima,  & ifra  mani fcftabi mus  tibi  in  libro  de  fyllogifino  Thopico*  Diuifio  uo cis  in  fua  fignificata  fit  tribus  modis  primo  uo  cis  uniuoce  in  fignificata  uniuoce,ut  qn  diuidif  ho  in  fortem  & platone  &c, secundo  uocis  aequiuoce  in  fignificata  &qui-  uocata,ut  qn  diuiditur  cancer  in  ftclla  fiue  fignum  ccelefte,  & aquaticum  aial,&  morbum, tertio  uocis  analogicae  in significata  analogata,ut  qti  diuiditur  fanu,iu  alal  (anu , urina  lana, medicinam  fanam, cibum  fanum,aercm  fanum, excr-   D (HI    V-.  ritii5Tanu, &c. Et  hancdiuifionecognofccsin  trac.de  pntis.; Diuifio  fccudu  accidens  fic  tribus  modis , primo  fubiefti  in  accidentia, ut  holum  alius  paruus, alitis  magnus1  alius  albus,alius  niger,  alius  medio  colore  coloratus, (c3o  acciden  tis!in  fubie£ta,ut  accidentifi,qux  funt  m hoie, aliud  in  aia,ut  (eia, aliud  in  corpore,  ut  agilitas  &c.tertio  accidentis  in  acci  dentia, ut  accidcntiu,quarda  dura, quaedam  liquida , qnada  lucida, quaedam  tenebrofa , & hxc  diuifio  manife ftabit  tibi  in  philoiophia  naturali  & praecipue  in  libro  de  generatione*  Ifti  igitur  funt  iqodi  uniuerfales  famofiores  apud  Arido  tilem, quibus  fieri  confutuit  diuifio»   Quantum  ad  pmam  diuifionem,quac  eft  per  affirmatiua  & negatiuam  aduerre,q*  affirmatiua  dupfr  definitur  , pmo  fic,Categorica  affirmatiua  eft  .ppofirio  in  qua  praedicatum  affirmatur  de  fubiefto, ut homo eft albus.  Sed  aduerte  cj» tuc  praedicatu  affirmatur  de  fubie&c  quando  negatio  no  p  cedit  copula, q?  fi  praecedit  negatio, negatur  pdicatum  de  lu  biefto,&  efficitur  negariua,ut  hic  Sortes  non  eft  albus. Si  au  tem  fiibfequitur  no  efficitur  negatiua, fed  permanet  affirma  tiua , ut  homo  eft  no  albus.  Ire  aduerte  «p  alio  modo  affirma! pdicatum  de  fubiecto  in  affirmatiua  uera  & in  falfa,  na  in  uera  affirmatur  re  & uoce  quia  fic  eft  in  re,ficut  dr , ut homo re &uoce eft rifibilis. In falfa atite affirmatur uoce  tm  & non  rc. Nam licet dicam q» homo est afinus tarhenonfic eft in re, secundo definitur fic.  Affirmatiua eft in qua verbum pncipale affirmatur de fubiedo, ut homo est aial.  Dr in qua nerbum principale affirmatur ad differentiam uerbi secundarii qtiod fi  negattiruel  affirmatur, propter  ipfum  non  fit  propofitio  affirmatiua  nec  negatiua.  Vnde  ifta  non  eft  nega  tiua. Socrates  qui  non  currit  , mouetur,nec  ifta  eft  affirmatiua*  Sortes  qui  currit , non  monetur.  Nam  In  prima  licet  uer-  bum  fecundarium, quod  eft, currit, negetur,  tamen  princi-  pale quod  eft  mouetur, affirmatur, ideo  permanet  affirmatiua. In  IccQda  autem  fit  oppofito  modo,  ideo  permanet  negatiava. Et  ratio  huius  eft, quia  ticrbii  fecundarium fe  tenet  a  parte  fubicfti, q3 paret  refoluedo  in  fuu  participiu  fiuc  afti-  uum  fiue  pasfiuu,ut  hic. Sortes  qui  non  currit,ideft. Socrates  a9   non  carrcns  mouccur, (ortes  qui  currit, id eft (ortes curreni  non mouerur: Subie&um  autem  coniunctum  participio  at-  firmatiuo  negatiuo  no  facit  propofitionem  dic  affirmatius  ucl  ncgariuam, tcd  negatio  cadens  fuper  uerbum  principale  fiue  immediate, ut  quando  lubfequitur  fubiedum,ut  hotno  non  eft  afinus,fiue  mediate, ut  non  homo  cft  animal , dum  modo  fumatur  negatio  negans, & no  infinitam  terminum,  cui opponitur, nam  fi  infinitarer, non  faceret  negatiuam.  Vnde  lixc  non  clt  negatiua»  Non  homo  currit, qm ly non homo clt nomen infinitum, &c. Vnde non homo curru,  xquippollet  ifti, afinus  qui  ft  no homo currit. Coftat aut hanc elfe  affirmatiua Patet igitur quid  fit  categorica  aftirmatiua. Categorica  negatiua  dupliciter  definitur. Primo  lic, categorica  negatiua  eft  propofitio  in  qua  praedicatum  negatur  de  luolubicfto,auc  ho  non  eft  lapis. Secundo  fic,eft  pro-  pofirio  in  qua  uerbum principale  negatur  . Dicitur  uerbum  principale  ad  differentiam  uerbi  fccundarii,  quod  ut  docuimus fiue  affirmetur  fiuc  negetur, non  facit  propofirionem  affir.aut  nega. Et aduertc,quod  propofitio  poreft  fieri  afflr.  uel  nega. dupliciter  lcilicet explicitc  & implicite. Si  explicite, fit  per  nomen et uerbum indicariui  modi, ut  hotno  eft  ri  fibilis.  Si  implicite  poteft  fieri  per  unicum  terminu,ut  quan  do  dicimus, homo  cft  rifibilis ,&  econucrlo, ly  econuerlo  aequippollet  uni  propofitioni,qux  elf  hxc,&  rifibile  eft  homo.Item  aduerte  quod  diuifio  per  afflrmatiuam et negativam  non  foium  conuenit  categoricae sed  etiam  hyporheti  cac  & moduli, quomodo autem  fiat hypothetica  affirmative et  ne  gar. similirer  modal  s, dicemus  agentes  de  eis.  Nunc  autem  fuftine, ne confundaris ut nouus auditor. Hxc de prima diuifioncdi&afint»   Quantum  ad  fecundam diiiifionetn categorica:  fciliccc  perneram  & fallam , aduerte quod  cartgorica ucra , tam affirmatiua quam negatiua dupliciter definitur. Primo fic, uera eft, qua: significat  uerum , id eft significar rem sicut  eft,  si est affirmatiua, vel significat rem sicut non est, si est negatiua. Sed de hac  latis  diximus  in  ca. pr scedenti  in  dedaran-     «lo  definitionem  propofkionis secundo autem  fir defiintur. Vera  cft illa, cuius fignificatum primarium est verum. Significatum autem primarium cft illud quod exprimitur p oro nem infinitiuam. Verbi gratia hxc eft ucra Deus eft bonus qm deum clfc bonum, est verum. Sic.n. eft in re. Dico cuius primarium significatum est uerum ad differentiam secunda  rii.  sccundarium autem eft quod continetur in primario 8c fcquitur ad illud. Verbi gracia primarium huius, homo est rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem fcquitur  cfte  ani  mal, clfe  animatum, ede  corpus  efie  fubie&am.  luxta  igitur significatum  primarium & fccundarium  indicanda  eft  pro-  pofirio  uera,qm  cft  ucra  primo  & per  fe  ex  eo, ex  fccunda-  rio  autem  eft  tantum  confequenrcr. Nam  bene  fcquitur  qcf  fi  fortes  eft  homo,for.cft  animal. fcd  non  ceonuerfb, ut  de-  clarabimus in  trac. dc  confequentiis. Similiter falsa dupliciter definitur. Primo sic, falfi eft qux  aliter significat quam fit in  re, ut  hxc  cft  falsa, homo  est  ansinus, quia significat  hominem esseasinum, &  tamen aliter eft  rn  re, quia  in  re  no  est  asinus, sed  homo  siue  rationalis, & de  hac  definitione  iam  di  ximus  in  cap. prxccdentiin  definitione  propofitionis. Sccun  do  fic, falsa  cft  illa  cuius  primarum significatum est falsum. Verbi  gratia  hxc  est  falsa  homo  est  afinus, quia  holem  esse asinum  est falsum, cu  fic  ronalis,&  afinus  irratroalis. Quodfi fiereciudicium fecundu fccundarium fignificatum, quod  eft  dfe  animal, effet  uera-Nam  hxc  cft, ucra homo est animal  v non  tamen  fcquitur, ergo cft afinns, ut  declarabitur  tibi  in  trac. De consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad tertiam diuifionem fcilicet quod aliqua eft  alicuius qiiamicari$, aIiquanulliu$.Alicuius quantitatis eft illa, cuius fubieftum ftat pro aliquo ucl pro aliquibus uel pro omnibus uel pro nullo, ut declarabitur in diuifione sequenti. Nullius quantitatis cft illa cuius fubicftum fufpcnditur a propria denoiationc, ronc, pbationis termini prxcedetis ip  Ium quails eft exclufiua  cxceciua reduplicatiua, de  quaif  ,p-  Satiqne  a<fturi  fumus  in  trac.de  probationibus  ter  tuc.n.ap  arebit  tibi  qflo  ifte  probatur  no  rone  fubicfti,uc  , pbaf  universalis  particularis  &c.fcd  ronc  figni  fiuc  fyncategdfcma*  ris,ut  exclufiua  g tm,reduplicatiua  g inqtum cxccpriua  p p ter, &c. T uigr fuftine donec exercitat0 magis fueris, & ad ji di&u  erae*  dcuencrim9. H*c  de  tertia  diui., p niic dida  fint. Quantum  ad quarta diui.f.q*  proponum  alicuius  qtitatis  alia  eft  vPis, alja  particula  .alia indefi.alia  fmg duo ageda fut  primo  declarandum  eft  qflo  hxc  diuifio  eft  (ufficiens,  fecun  do  pertradadum eft de quolibet eius  membro. Quantum  ad  pmum  aduerte  q»  qtitas proponis  atteditur*  penes  fubm  prout  ftat,p  pluribus  aut  uno  lolo.Pot  igituf cofiderari fubin  dupTr. Primo fi ftat  pro uno folo. Secundo fi  pro  pluribus  fi  pro  uno  (olo, {ira  cp  uni  (oli  couenit  facie  ponem  fingu.fi  pro  pluribus, hoc  dupfV,quia  uel  pro  pluri-  pus  indeterminate  uel  determinate, fi  indeterminate  fic  fam  cit  ,pp6nem  indefi.fi  determinare  duplr  quia  hacc  determi*  natio  fubti  uel  fit  per  fignum  vle  affirmatiuu  uel negatiuu,  ut  ois  nullus,  & fic  eft  propo  ul’is,uel  fit  per  fignum  parti*  pulare  affir-uel  nega  & fic  eft  propo  particularis*  Coftat  igit  hxc  diuifio  eft  liifficiens.Et  fi  quxras  quid  fic  qtiras  , pp6*  nis.Hkiideo q*  ficut  Qtiras  fubx  proprie  accipit  iuxta  mensuram  longitudinis, &  latitudinis  & , pfundicaris, fic  quantitas , pp6nis  (umit  iuxta  menfuram fubiedii, prout  uerificatur  p«  dicatiue  de  uno  uel  plunbus. Conftat  igitur quo hxc diuifio eft sufficiens, & quid  fit  & unde  fumitur  qtitas  propofitiois. Quartum ad secundum  aduerte, q* propofitio  uniucrfalis dupliciter definiriH-. Primo fic, propositio viis tam affirmativa quam negativa est  illa, in  qua  fubiicitur  ter. communis  figno  uniucrfali  determinatus. Prinio  dicitur  in  qua  fubiicitur  ter*c6is.i*ponitur  in  fubie  fto  ter.cois.i.q  por  coucnire  & pdicari de  pluribus, & apud  gramaticum  dr  nomen  appellatiuum,ut  homo, capra, leo»  Secundo  dicitur  figno  uniucrfali  dctertninatus figna uni uer Talia (untquxdam affirmatiuaut omnis quilibet quifcp’, negatiua (unt, nullus, nihil,  neuter , dicunt uniucrfalia quia faciunt  ftarc  fubicdum  pro olbus  aut pro  fnullo  ut  ifta  rft  uniucrfalis  affir.omnis.homo  eft  animal. Vcrificatur  enim    fubiedum  pro quolibet  homine  in  fingulari.  Nam  fi  omni homo est ammal ergo  & ifte, &  iftc, &  ifte , & fic de omnibus alii eft  animal. Tertio  dicitur  determinatus. i. modificatus fiue limitatus ad standum non ablolure ,lcd  pro  omnibus aut (p  nullo-diximus.n  in  tertia  diuifionc  tci minor  u, quod signa ufia fune termini lyncatcgorcmatici, qm  fumpticum  alio, id  eft  cum  nomine lubftantiuo  determinant  ipliim  in  propofitione  ad  dandum  pro  omnibus aut  \ ro  nullo»  Sed  aduerte,  quod signum uniucrfale  ad  hoc  quod  faciat propofitionem  uniucrialem  fimplicirer  & proprie  debet  ap  poni  fubiedo  in redo & explicite  Nam  fi  apponitur  iiibic-  do  in  obliquo, non  facit  eam  uniuerfalem  (impliciter, sed secundum  quid.Vndc  ifta eu uflibet hominis afinus, currit,  noneft uniucrlalis abfolute, quoniam signum  non  apponitur ly afinus, quodest principale lubiedum, lcd  ly hominis,  quod  quoniam  est  obliquus  eft  secundarium fiue parrialc‘fu  bicdum.  V ndc  pratdida propofitio  abfolute  eft  indefinita,  ut  tibi  dcclarabitur.Dicitur  explicire, quoniam  fi  ponitur  i-  plicire  uel  uirtualiter  ucl  cum  diftindione,non  facit  propositionem uniuerfalem  forma)itcr, sed  tantum  interpraetati-  ue»Sicut  funr  iftar,  totus  fortes est minor forte, totum  est in mundo  est  in  oculo  meo. Non  homo  currir, &c.   Quomodo  autem  fint  uniuerfales interpracatiuc  declarabitur tibi  i trac. de probationibus terminorum, ubi diftinguemus de toto, & quo ifta  aequipoleat uniuerfali nega citi ac non homo currit declarabitur tibi in  cap. de acqujpolenriis catcgoricarum. Nuncautem fifio nete inuoluam. Similiter aduerte, <y uniuerfalis affirniatiua poteft  fieri  duplici  ter,  fex—  licet  collcdiue ut  omnes apostoli sunt  duodecim,  & diftributiue, ut  omnis  homo  eft  rissibilis.  Et  iterum  diftributiue  poteft  fieri dupliciter, fcilicct abfolute et accommode. Verum quomodo  fiant  & quo verificentur,dcdarabitur{tibi  in  rrac.de  fuppofirionibus, pro  nunc  fuftinc  Haec de  propofitione uniueriali  dida  fint. Propofitio  particularis  eft  illa,  in qua fubiicitur  ter  mi- communis signo particulari determinatus. Dicitur in qua tubiicitur ter communis, ea ratione qua  &  in propofitionc uniuerfali.  De signo parti. determinatus, ad differentiam proponis uniuerfaliszcft autem signum particulare determinatio  termini cois  qui  cft  fubicdum  in hac  propone,  per  quod  defignatur  fubiednm  accipi  non  pro  oibus  fub eo  corcntis, fed  pro  aliquibus  ucl  pro  aliquo: ut  quidam  homo  currit  ergo  uel  ifte  uel  ille, ucl  ille  currit:  & fufficit  quod  uerificctur  ,p  aliquo  pofito  quod  tantum  unus  currat.   Er  aduerte, quod  propofirio particularis  poteft fieri  mul Cis  modis. Primo  quando  fubie&um  eft  ter.  cois  cum  ligno  particulari  tam  affirmatiue  quam  negatiue : ut  quidam  ho-  mo currrir, quidam  homo  non  currit.  Secundo  per  ly  aliqd  fumptum  adie<ftiuc:ur  aliquid  eft  I manu  tua.  Haec  eft  parti-  cularis uirtualiter, quoniam  ly  aliquid  fic  exponitur  aliqua  res  eft  I manu  tua.  Dico fumptum adjeftiue quoniam sumptum subftantiue facit propofitionem  indefinitam  ut  dicemus. Tertio  quando fubiicitur  ter. cois  cum  figno  uniuerfa  li, fcd  figno  pratponitur  ncgario:ut  no  omnis  homo  currit  haec  enim  aequipollet  huic: quidani  homo non currit. Quarto  quando fubiicitur  termi.cois  cum  figno  uniuerfali  affir-  mariuo,fcd  praeponitur  negatio  & poft  ponitur:ur  hic, non  omnis  homo  non  currit, arquipollet enim huic, quidam homo cnrrir. Sed  tertium  & quartum modum declarabimus  fic  effein  cap. de aequipollentiis categoricarum. Haec de propositione particulari  diffa  finr.  Propofirio indefinita eft illa in qua fubiicitur terminus communis, nullo signo uniuerfali uel particulari determina rus: uc homo currit.   primo dicitur in qua fubiicitur termi. communis eadem ratione, qua diifhim est in definition propofirionis universalis  et particularis.   Secundo dicitur nullo signo ad differentiam propofirio* nis nniuerfalis & particularis. Tertio  dicitur  nullo  figno  uniuerfali uel  particulari  ad differentiam  cxdufiue,in  qua  ponitur signum:  cantum,  & in reduplicatiua, inquantum, qua:  ligna  quoniam  non tunc  uniuersalia, ncc particularia, ideo non  faciunt  propofitione  alicuius  quantitates. Sed  dices, quare  dr  indefinita, cum  aequipollcat  particula  ri* Na ide fenlus eft dicere, aliqs homo currit, & ho currit. Rndetur, dr indefinita.i. indctcrminata, quia  acceptio fu? fubicdi  non  determinatur  ad  certam  quantitatem  fecundu  modum  enuntiandi  per fignum  uniuerfalc  ucl  particulare: licet  fupponat  fubicdum  determinatciut  dicemus  in  traft*  de  fupptofitionibus: &  quando  dicitur  idem  fenlus  eft  di-  cere: quidam  homo  currit  & homo  currit, conceditur quo ad  luppoticioncm  & uerificacioncm, fcd  non  coceditur  quo  ad  modum  enunciandi,&  fic  intendimus  ipfam  effeindefini  tam  & non  quo  ad  ucrificationem  &i  luppoficionem.Scd,p  nunc  liiftinc, donec  trademus  de  fuppofitionibus. Haec  de  propofitione  indefinita  difta  fine propofirio singularis eft illa in qua fubiicitur terminus ai  fcrccus vel  termi. communis cum pronomine demonftrati 110 primiriuc speciei, ut  Plato  currit. Iftc  homo  comedit.  U   le  homo dormit. Primo dicitur in qua fubiicitur  ter  . dilcretus, ad  differens  Ciani  propoficionis  uniuerlalis  & particula*  & indefinitae,  in  quibus  fubiicitur  ter.  cois  opponitur  aute  ter*  dilcretus  ter.  .coi , quoniam  di  fererus  deunofolo  eft  aptus  pr*dicarioC  grammaticus  appellat  nomen  proprium  q?  uni  loli  conue-r  nit,ut  piato. Cois  autem  eft  aptus  de  pluribus  praedicari, ut  homo  & animal, & grammaticus uocatipfum nomen appellatiuum, quod pluribus conuenit. Secundo vel termi communis  cum  pronomine  demon  ftratiuo. Nam  licet  termi. communis  de  feftet  pro  pluribus camenper pronomen demonstratiuum reftringitur ad ftan dum pro uno  folo  indiuiduo,  ideo  atquipollet  ter.  difcretcL  Vnde  iftapropofitio: hic  homo  currit , dcmonftrato  (orte;   scquipollct  ifti. Socrates currit. Tertio  dicitur  pri mitius  fpecic,  ad  differentiam  pronominum deriuatiux  fpccici. Sunc  aucem  pronomina  dcmoi)  ftratiua  primitiux  fpeciei  ergo, tu, liii, ille, ipfe,ifte,hic, & is.  Deriuatiux  autem  lunc  meus, cuus, luus,noftcr,. uciltr,  no»  ftras,ucftras. ldeo  autem  e a,  quae  iiint  primatiux  (peciei  co  flituunt  propofitioncm  Cingulare  qm  trahunt  lubictf  uni  ad  fajpponcndum pro  uno solo, ut  ifte  homo  dcmoftrato forte currit, & ego. f Petrus  curro, & tu. i Piato curris. Ea  uero  qua  funt  deriuatiux  lpei,ut  meus,tuus,non  confticuunr  ,p-  pofuioncm  Cingularem, non  n.rcftringunt  fubm,  cui  apponutur  ad statum uno  io lo, fed  pot  ucrifkari  de  pluribus.  Verbi  gratia Petrus het dece  afinos, &  dicit  meus  aiinuscur  rit, ly  alinus  no stat  pro  ifto  tm, ucl  pro  illo  tm  fcd  # oibus difiuftiux. Nam  fi  meus  afuius  currit, & habeo  decem, ergo  uclifte, ueljfte  qui  cft  meus  currit.  Pronomina  auc  demon  ftratiua  primitiux  fpei  reftringur  tcr.coem  ad  ftadu  , p  uno solo  demonftrato, ut  ego.f.Petrus  lcribo,Tuuero.l. Plato dormis. Conftat  igitur  quid  fit  propositio sngularis.   Tu tame  aducrte,quod  no  Loluni  pot  fieri  per  ter.  dilcre  tum,  & per  tcr.coem cum pronomine demonftratiuo primi tiux  Ipeciei,  fcd  & per  tcr.r clariuum , ut  pofito  quod  lo  phronifcus  habet  tantu  unum  filium,  cuius  nomen  ignore  tur, ftdico  Sophronifci  filius  ftudet  Papix,  cft  fingularis,p-  pofitio  fimiliter  fi  dico. Pater Calix uenir,e  lingularis,  quo uiam ifti ter.relatiui xquipollcnt termini dilcretis.Irem  potcft  fieri  per  rer dilcrctum  circunlocutum,ut  fi  dico.  Vir  cri  Ipus  rubeus, & claudus  cantat  in  platea. Iftc  enim  circunfta  tix  mani  feliant  talem  hominem  & non  alium,  ideo  reddut  propofitioncm  fingularcm.patet  igitur  quid  fit  propofitio  lingularis  & quot  modis  fieri  contingit»   Item  aducrte, quod  fi  quis  te  intrrogat  de substantia  fitie  natura  propofitionis,dicendo. Qux  propofitio  eftifta.  Sor  C<s  eft  homo,refpondcre  habes, catcgorica, &  qux  eft  ifta. Si  tu  curris, tu  moveris, refpoderc  habes  hypothetica. Si  au  ecm quis te interrogat  dc  qualitate,  propofitionis  dicendo. Qualis  eft  ifta  fortes  currit  refpondere  habet  affirmatiua,&  Qualis  eft  ifta, homo  non  cft  afinus, relpondendum  est,  negatiua. Si  ucro  quis  te  interrogat  de  quantitate  proponis  di  Ccndo. Quanra  cft  ifta; ois  homo  currit, refpondendum  eft,  uniuerfalis, &  fic  de  aliis. Vnde  logici  pro  hoc  triplici  quaefi-  to  formaucrunr  hunc  ucrfum.Quac.ca.uel  ip. qualis. ne.  uel  af.v.quanta.par.in  fin  i.  Quae categorica,  uel  hyporetica. Qualis, negatiua, uel  affirmatiua. V «quanta. i.uniucrfalis  uel  particularis  indefinita  uel  fingularis. Sed  dices. Quae est subftantia propofitionis, & quae  cius  quantitas, & quz  eius  qualitas. Refpodetur  fuba  cft  cius  natura sive  edentia,  puta  qft  fit  quid coinpofitum  ex  talibus  partibus. f.  cx  fubiedo  praedi-  cato & copula  ut  catcgorica:ucl  ex  duabus  oronibus  p ali-  quam coniundionem  coniundis:ut  fi  tu  curris,  tu  moueris  ut  hypothcrica. QuStitaseius est  extenfio  fubicdi ad ftandu  pro  uno  vel  aliquibus  uel  omnibus  uel  nullis.  Qualitas  eius est  secundum  quam  dicitur  qualismt  affirmatio, negatio, veritas, falfitas, necesfitas, contingentia, posfibilitas, imposfibilitas. Nam  omnia  ifta  qualificant propofitionem. Unde interroganti qualis  fit  ifta, homo  est  animal,  respondcre debemus, quod rft affirmatiua ucramon solum possibilis sed etia necessaria. Quarum ad quintam divisionem, quae eft hac, proponu categoricarum, quaedam participant utroqj termino, quaedam altero, quaedam  nullo, aduerte,  quod cum termini  componcnrcs categoricam  fint  fubiednm  & praedicatum: quae Ctjam dicuntur  extrema  propofitionis, parridparc termino uel terminis, eft conuenirc in subiedo  uel  in  praedicato,  uel  in  utroque.  Non  participare  autem  eft  non  conuenirc. His  prxnv.sfis aduerte, quod duas catcgoricas  participare  utro-  que termino, eft  eas  conuenire  in subicdo  & praedicato,  ita  subiednm  prima est subiedum secundae et praedicatum primae est praedicatum secundae, nec in alio differunt  nili quod una eft affirmatiua, altera negatiua,  ut sunt iftae duae,  homo eft animal, homo non eft  animal,  participare  in  alte  ro  termino  tantum  fcilicct  uel  folum  in  fubiedo, ut  hic:  homo cft  animal, homo eft  rationalis,  uel in praedicaroratum ut hic: homo eft animal, asinus est animal.  Participare nullo termino, est non  conuenirc  io subiecto nec in praedicato, ut hic, homo est rifibilis, afinus eft  rudibilis. Et aduerte quod hic loquimur de participatione formali virtuali, quod dico, quoniam licet iftae duae coueniant uir rualitcr: homo est animal, risibile est animah non tamen for malitcr, quoniam formaliter non lunt idem homo et risibile, dato  quod  eflent  idem  re, quod  tamen  non conceditur in via thomistica.   Iterum  aduerte, quod  haec  diuisio data  eft, ut  cognoscatur oppositio contraria, subcontraria, contradidoria, subalterna propositionu categoricarum de quibus aduri lumus infra. Namilla fupponit participationem, ppofitionum oppofitarum urroqj termino formaliter & non solum uirtualircr ut tibi declarabitur in diuifioneodaua.  Quantum ad diuifionem lextarn, quae cft q*, ppofition5' categoricarum participantium utrocg termino formaliter,  quaedam  participant  utroq?  termino  eodem  ordine, quaeda  ordine  conucrfo.  Aduerte  igitur  quod  duas  categoricas  par  ticipare  eodem  ordine  utrocp  termino, eft fic, quod est subiedum in prima est subiedum in secunda et quod est praedicatum in prima est praedicatum in secunda, ut hic. Socrates est homo. Socrates non  est homo,  et semper intelligedum est formaliter et non virtualiter  tantuin. Duas autem categoricas participare  utrocp termino ordine coucrfo,  est sic,  quod est subiedum in  prima  est  praedicatum  in fecunda, & quod est praedicatum in prima eft subiedum insecunda, ut hic,  homo est animal rationale, animal rationale eft homo. Et haec diufio deferuiet quando loquemur de couucrfionibus propofitionum categoricarum, ut tibi  manifeftabitur.   Quantum  ad  feptimam  diuifionem, quae  eft  haec. Propositionum participantiumvtrocg termino  fiue  eodem  ordine  fiue  conucrfo  quaedam  fiunt  in  materia  naturali,  quardam contingenti, quaedam  in  remota, aduerte, qnllat  fiunt  in  ma  reria  naturali  in  quibus^raedicatum  femper  & infcpai  abii:ter  conucnit  fubiedo, & id  fit  multis modis , primo  quando genus, aut  differentia, aut  definitio, aut, pprictas,  aut  quali,  eas  naturalis  praedicatur  de  re.  Exemplum  primi, homo est animal, fecundi,  homo  cft  rationalis.  Tertii, homo  eft  animal rationale, quarti  homo  cft  rifibilis  quinti  Ignis  cft  cali.  «Ius, mei  eft  dulce, nix  eft  alba,  Item  quando  idem  praedicatur de  lcipfo:ut  fortes  est fortes.  Ille  aut  fiunt  in  materia  contingentium  quibus praedicatum  poteft  aduenire  & remoucri  a subiecto, abfqj  hoc  <y  corruni.  patur  fubiedum ,&  gg  hoc  diftinguuntur  a ,ppofitionibus  i ,  materia  naturali, quoniam  in  illis  li  auferatur  pdicatum, no  pmanet  fubiedum. Nam fi homo cedat ede animal,  aut  rationalis, aut risibilis et fi ignis  cedat  ede  calidus  &c.  nec  ha-,  mo nec  ignis permanent, led  corrumpuntur et definunt  ce»  Tu  igitur  aduerte, c? omnis  jjpofifio, in  qua  pdicatum  eft  accidens commune  & fcparabile,&  etiam  infeparabile,  mo  do  non  fluat  a principiis fpccici, fit in materia  contingenti,  utiftae, homo eft albus, ethiops est niger, aqua est calida &c. Dico rnodo non fluat a principiis fpeciei: ut pferuem rerum. j>prietates: ut eft rifibilitas in homine, par et impar in numero, curvum et rectum in linea, fumum calorem in igne* lite nancg faciunt ppofirionem in materia naturali. Quid ne. ro fit fluere apneipiis specjci declarabitur tibi in trac. de praedicabilibus in cap. de proprio etaccidente. Illae vero fiunt in materia remota,  in quibus praedicatum non potest verificari de subiedo, Imo  id  inuicero repugnant. Iftae autem funt in  quibus fubicdum & praedicatum sunt opposita contraria vel contradidoria vel  prfuatiue  ucl  relative  opposita. Exemplum  primi. Album  est nigrum. Secundi homo est non homo. Tertii. Caecus  est  uidens. Quarti, pater  est  filius. Et  aducrte , q?  dicuntur  fieri  i|i  materia  remota,  scilicet  repugnanti, qm natur fubiedi&i pdjcatiin oibus p didis repugnant adinuioem, nec fc compatiuntur. Inde eft q1 omnis affirmatiua in materia remota ferng & de neccsfiUtate eft falfa, negaciua autem femg  & immutabiliter ucra. In materia uero naturali cft oppofifomodo. Nam affirmariua femg  est  vera, negatiua fepig falfcM  Jn nuter» cotingeti ?4 est medio m6, qm  tam affirma,  q nega,  aliqn  e vera aliqn falsa, nam qn praedicatum incft liibiedio, affirmatiua est uera, negatiua  falsa, qn  praedicatum  remouctur, affirmatiua eft falsa, ncgariua eft uera. Hoc de septima diuifione difta fint. Quantum ad  oAauam  diuifioncm, quae fuit haec,  Propofitionum carcgoricarum participatium utroqj termino eodem ordine triplici materia. Cnaturali contingenti et remota aduerte, q* inter eas sit quatruplex oppofitio. f. contraria subcontraria, contradicloria, subalterna. Oppositio contraria sit inter eas quarum una eft universalis affirmatiua & altera uninerfalis negatiua, de eifdcm fubieflis & prodicatis univoce &aeque ample & aeque strictca cceptis. Primodf quarum una est uniuerfalis &c. Nam ut diftinguantur a contradictoriis, debent efle eiufdem quantitatis & diuerfae qualitatis. Si eiufdem  quatitatis,  ergo  utraqj  eft  uni  ucrialis  uel  particularis , non secundum quia noneffient contrariae sed subcontrariae: ut dicetur infra ergo primum.  Si,  diversae qualitatis,  ergo i&fca eft affirmativa et altera negativa.  Secundo dr de ei (dem subiectis et praedicatis: uc ois homol albus, nullus homo est albus,  & dcfeftu huius iftaeduae non funt contrariae ois homo eft albus, nullum rifibilc eft albu^ Tu tn  aduerte  q* subiectum et praedicatum  pnt  effe  idem  tripliciter, pmo  fm vocem  tm  & non  fm  signatum, secundo  t m. signatum  tm  & non  fm vocem, tertio  fm vocem et secundumsignificatum. Exemplum primi  omnis canis  latrat: nullus canis latrat. Secundi. Omnis  homo  currit, nullum  ronale  currit. Tertii. Omnis  homo eft  alal  nullus homo eft  alaU  Prima identitas non  fufficit  adeontrarietatem,  ideo  dicitur  in  definitione, acceptis univoce, conftat  aut  q*  canis  eft  ter.  aequiuocus , fecunda aut fufficit  ad contrarietatem virtuale  leu  aequiualente, sed  no  ad  formalem, tertia vero sufficit ad contratietate  proprie diCta & formale, unde licet  iftx duae, omnis homo currit, nullu  rationale  currit, fint  cotrariae  uir  rualiter eo  q* secudum significatum homo et rationale fune idem  non  tamen forma\itct, qm  formalitcr non participat  E ii utroqj termino secundum uoccm et secundum significatu. Tertio dicitur aeque ample &aeque ftrufie acccptis. Dcfe* du huius apud multos iflae dux non sunt contrarix. Omnis homo est animal, nullus homo est animal, quoniam in prima poteft teneri tam pro mafculis quam pro fccminis,in secunda solum pro masculis.  Tu  tn aduerte,  q' secundum usum i utracp  accipi  confucuit  pro  mafculis ideo  acceptantur:ut  ue  rz  contrariZj Item  defedu  huius  iflae  dux  non  lunt  contra  riae. Omnis  homo  cft  albus, nullus  homo  fuit  albus,  quia  in  prima  reftringitur  adprxfentcs , in  fecunda  autem ampliatur ad przfentcs uel  prxreritos. Scd pronunc fuftinc, donec pertrademus de ampliationibus & appellationibus. Tu tn aduerte, q* prxdldx non sunt contrariae non solum ronc di da, sed quia copula non tenetur eodem modo in prima set secunda. Nam in prima eft ly eft, in  fecunda  cft  ly  fuit. Unde in  definitione  intelligendum eftq' contrarix  debent  c(Te  de  ctfdem  fubicdis  & prxdicatis  & copulis. Hzc  de  contrariis  dida  fint.   Oppofitio  contradidoria  eft  inter  eas, quarum  una  cft  viis  affirmatiua,  altera  particularis  negativa , ut  omnis  homo est animal, quidam  homo  non  eft  animal, uei  altera  cft  vfis negatiua, & altera particularis affirmatiua, ut nullus homo currit, quida homo currit, dccifdcm fubicdis  &pdicatis & copulis, uniuocc  & zque  ample, & xque  ftride acceptis. Omnia  debent  intclligi  ficut  expofitum  eft  dc  contrariis.   Ut  autem  habeas  maiorem  noticiamdccontradidione  aduerte  ex  dodrina  Ariftotclis, quatuor condidioncs requirit, & defedu cuiullibct carum enitatur contradidoria oppofitio. Prima eft q» fit affirmatio eiufdem de eodem & negatio,  dummodo  fumatur  idem  secundum  rem et vocem, ut Socrates currit. Socrates non currit. Defedu cuius ifta apud logicu non sunt contradidoria formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex parte rei. Cicero currit. Marcus no currit, pofito enim q» fint sinonima ex parte significati quia ide homo  didus  cft  Marcus  et Cicero, tame  diftinguuntur  uocc  icas  isb   ffffi   futc: ctu   OOP*   uiJ'   ipl>   lo«  Taa   jnci  u$   yra (Tei.   t&   il* ra^ jsi» iC30  is.   io»  srt-   t&   itio,   Sa ?   t<p , cof jii UOC  *f  sive termino, qm  duo  fune  termini,  Marcus  et Cicero, ideo  non  funt contradictoria  formaliterfcd  xquipolleter.  Aequipollenter  quidem, qm idem  indiuiduum  intclligitur  pcrMar  cum  & Ciceronem, formaliter  autem  non, qm  logicus  obseruat  oppofitionem de virtute sermonis, philosophus aute  qui  est  artifex  rcalis, dc  uirtute  rei  & fignificati.  Vnde  apud  phyficum  ifta  contradicunt. Materia prima est ens in poten tia. Primum  fubic Ctum  non  eft  ens  in  potentia.  Pro  eodem  enim  accipit  materiam  primam  & primum  fubiectum.   Secunda  eft  q»  duae  propofitioncs  contradictoriae  refe-  rantur ad  idem  ut  fecundum  idem  , & propter  huius  defe-  flum, illae no contradicunt, Ethiops estalb us detes.  Ethiops  non  eft  albus  pedes, non enim sit praedicatio secundum eandem partem»   Tertia est. Quod  teneatur  fimilirer, ideo  ifte dux non  contradicunt, nullum  animal  est  genus, animal est genus.  Nam  In negatiua stat  animal  pro suppofitis , in affirmatiua ftat  p  natura  communi.  Sed  id  non intelliges  donec  in  traCta.  suppositionum  exercitatus fueris, ideo fuftine. Quarta eft q* referantur ad idem tempus. Et defeCtu  huius, iftx dux non contradicunt, fortes uenit hodie, fortes no ucnit heri. Et aduerte q* omnes iftx conditiones  exprimuntur  in diffinitione contradictionis, quae extrahitur ex doctrina Ariftotelisprxcipuc in quarto metaphyficae, & eft hxc. Contradictio eft affirmatio et negatio, id eft propofitio affirmatiua & negatiua  eiufdem  prxdicari  de  eodem  subieCto,  ad  idem secundum idem, fimiliter  & pro eodem tempore Hxc de contradiCtoriis diCta fint. Oppofitio subcontraria eft inter eas, quarum una eft particularis affirmatiua vel indefinita, altera autem est particularis negatiua vel indefinita de eisdem prsrdicatis et subiectis  & copulis  uniuocc  acceptis, & eodem modo supponentibus.   Primo  dicitur  propofitio  affirmatiua negatiua particularesaut indefinitx, ut  excludamus  duas singulars. Nam  Illxfunt contradictorix  secundum rem et significatum licec. Eiii TRACTATVS tertivs non in figura, quoniam in figura  uc  declarabitur tibi infra. oportet unam c(Tc uniuerfalem affirmativam vel negativan alteram autc particularem affirmativam uel negativam ut patebit in figuris quas in ira deferibemus. Quare autem duae singulares non sunt subcontrariae ratio est haec, quia due subcontrariz poliunt ede fimul verae, ut quidam homo currit, quidam homo non currit. Due autem singulares non poliunt ede simul uerae nec fimul falfz, sed una vera et altera falsa in omni materia, uc fi hzc est vera fortes non eft afinus, hzc neccesario est falsa Socrates est ansinus. Ergo sunt contradictori. Secundo dr de cildcm subieftis  &c. inrclligendum est eodem modo sicut diftum eft in oppofitionc  contraria. Tertio dicitur univoc e tentis, defectu  cuiu»  iftz no fune subcontrariz. Quoddam sanum est  animal. Quoddam  fa-  num non est animal.  Quarto dicitur eodem modo supponentibus, dcfeftu cuius iftz, non sunt subcontrariz homo est speties, homo non est species, nam in prima homo supponit pro natura communi, in secunda pro natura partita in suppositis.  Sic quide dicimus pro nunc. In  trac.autem  fuppolitionum  manifefta  bimus  quomodo  ifta  non  eft  indefinita  homo  eft  fpecies, sed singularis, & ideo  manifeftius  tibi  erit, <y no sunt subcontra riz, non solum quia non supponit homo in prima et secunda eodem modo, fed quoniam sunt singulares quas ncccdc est ut diximus c(Tc oppofitas contradictori secundum  rem  et s significatum. Oppositio subalrerna est inter eas, quarum una est vflis affirmariua et altera particularis aut indefinita aut singularis affirmatiua. Vel una est viis negatiua et altera  est  parti  «auc  inde. aut  fingularis negativa  de  cifdem  fubie&is  & przdicatis  8c  copulis  &c.ut  diftum  eft  in  aliis  oppofirionibus.   Hic  Htofunt  declaranda, primo  quare  dicuntur  (iibalrer-  ne,fecudo  quare  du*  singulares aftirmativa et negatiua  fune  liibalternz  & non  fubcontrariz. Ad  prim Utn  dicituny  ideo  uniuer  falis  affir.& particula-  ris affirma tiua  dicuntur  fubalternz-quia  una  fub  altera  ponimr.i4particu.rub  uniucrfali.Vndc  uniucrfalis  fe  habet,  ut  an$  particu ut  pns. Nam  bene  fcquitur.Omnis  homo  eft  ani  mal  ergo  quidam  homo  eft  animal, & homo  eft  animal, 8t  ifte  homo  cft  animal, ut  tibi  manifeftum  erit  in  fuppofitioni  bus. Non  autem  fcquicur  cconuerfo, quia  ab  inferiori  diftributiuc  ad  fuperius  affir.non valet  consequentia, non  enim  iequitur, aliquis  homo est stultus ergo omnis homo esst tultus.  Et  aduerte  ficut  dicuntur  rubaltcrnae  per  rcfpedum suppositionibus, quem habet particulares ad universales, fic dici pollent fuperaltcrnx, pcr relpe&um super pofitionis,  que habet uniuerfales ad particulares. Scd primis placuit fic denominare ab*infcrioribus, quorum eft subiici et supponi superioribus. Ad secundum dicitor q? ideo dux fingu.affir. &ncg.fune  fubalternx  qm  ficut  ualet  confequentia  abuniuerfali  affir, uclnega. ad particu. &  inde  affir. &  nega. fic valet  adfingu.  Affir .&  nega. Nam  fi  hxc  consequentia valet  ols  homo  currit, ergo  aliquis  homo, &  homo  currit, fic  ualet, ergo  ifte  &  ifte  currit, quoniam, ut  declarabitur  tibi  in  trac. fuppofitio-  num, signum univerfale affirmatiuum 8 (negatiuu diftribuit terminum immediate fcquentem & licet  dcfccndere  ad  fua singularia  diuifiuc. Sed  pro  nunc  fuftine  ne  confundaris, do  nec  habebis  de  luppofitionibus  notitiam. Et  ideo funt fubal ternx  ficut  particu.&  indcfi.Non  autem sunt subcontrari ratione  iam  difta,  quoniam subcontraries contingitellc simul veras, dux autem singularis negativa et affirmatiua, in omni materia ita fe habent y fi una eft vera altera est falli, & non poliunt efie fimul uerxnccTimul falfx, & ideo, ut dt ximus non fiint fubcontrarix cd contradiflorix.  Conftae  Igitur  tibi  quo  propofitiones categoricx  participantes  utro  que  termino  & eodem  ordine, conftituunt  quatuor  geifepa  oppofitionum.Et  quoniam  possunt  formari in materia  natu  rali  & remota  & cotingenti,idco  figurabimus  tibi  tres  figu  ras. Prima  erit  de  oppoficis  in  materia  naturali, secunda  de  oppofitisin  marcria  remota, tertia  de  oppoficis in materia  contingenti, ut  patet  infra. LOGICAE compendium. Peripatetica ordinatum per Reuerendum Maglftrum Chiifoftornum Iauellutn .anapicium ordimsprxdica, nunc tandem 8C d'U“°P“Pro' ditin lucem» A Continet aute undecim tractatus uidelicet* Primus eft de prarcognofcendis. Secundusde patribuspropofitionis. Terrius de propofirione. Quartus de quinque uniuerfalibus. Quintus de praedicamentis. Sextus dc fyllogifrnis formalibus. Seprimus de fuppofirionibus. c OcAta^unuKs ampliationibus& V’-> V V^lArii* « ' * Jj; ii .I' d appdlationibusJ IN/onus dc conicquentiis. Dccirnus dc probationibus terminorum. Vndeamusdefyllogifinodacmonfitrraarniuo,.in quo quo continetur Ariftorelis dodrina in lib.pofter. QjiaE Gmma recenti hac noftra editione uiligentifsime, expolita fiint, atque elaborata*Grice: “For all their subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation. Consider Javelli: the dog barks, anger is represented, ‘canis latrat raepresentatur ira, gemitus infirums raepresentatur dolor. No care is taken to represent the proper signification. It is still the ‘anima’ if the vegetative one, it is still the dog’s spirit. If the dog barks, he means that he is angry. If the infirm moans he means he is in pain, and so on.” Grice: “Javelli is one of the most careful Italian philosophers. He had a fascination for two little tracts by Aristotle towards which I also felt an attraction: De Interpretatione and Categories. His comments on De Interpretatione are brilliant in that he reduces all to ‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents ‘dolor’. The dog that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the natural kind – and rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ – vox – here it is vox signifying that p or q naturaliter. (my example of groaning of pain). From there he jumps to the institutional meaning, ad placitum, ex decreto et authoritate – e consuetudine, -- a system which superseds the previous one. Giovanni Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli. Javelli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Javelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753886743/in/dateposted-public/

 

Grice e Jerocades – filosofia della massoneria – filosofia italiana – Luigi Speranza (Parghelia). Filosofo. Grice: “I would consider Jerocades more of a poet than a philosopher, but then he was a priest and a Mason!” Essential Italian philosopher. Scrisse il saggio “Dell'umano sapere”, di stampo illuministico, che verrà successivamente pubblicato a Napoli, e “La partenza delle Muse”, edito na Messina.  Si trasferì a Napoli. Dietro raccomandazione di Genovesi, col quale era entrato in corrispondenza, venne assunto al "Collegio Tuziano" di Sora come maestro d' “ideologia”. Frequenta gli ambienti massonici. Secondo il clero sorano, tuttavia, quelle opere non si attagliavano ai giovani del collegio, tant'è che prima della rappresentazione di “Il ritorno di Ulisse” -- che conteneva alcuni intermezzi ridicoli e di stampo anticlericale, in particolare il Pulcinella da Quacquero, il vescovo emise un editto di censura: ne seguì un processo per eresia e sedizione, con la reclusione di Jerocades nel carcere vescovile. Scarcerato dopo sette mesi, lasciò Sora per tornare a Napoli, dove divenne popolare come poeta improvvisatore. Fu in Calabria: qui si dedicò alla composizione delle raccolte Quaresimale poetico e La lira focense, testimonianza di un «illuminismo massonico». Insegna a Napoli. Fonda la Società Patriottica Napoletana, coagulo dei principali esponenti del giacobinismo e dell'antigiurisdizionalismo partenopeo (ovvero che miravano a costituire una repubblica), cosa che determinò la sua incarcerazione a Castel dell'Ovo e il processo per apostasia, ma riebbe presto la libertà, avendo deciso di ritrattare. Anche per il conflitto interiore causato da una siffatta scelta, sostenne attivamente le idee rivoluzionarie, che però, in seguito alla breve esperienza della Repubblica Napoletana, gli costarono nuovamente il carcere, e quindi l'esilio a Marsiglia.  Ritornato a Napoli razie all'amnistia prevista dalla pace di Firenze compose l'elogio di suo padre e di suo fratello, motivo che indusse a farlo rinchiudere nel convento dei Liguorini di Tropea. Saggi: “Esercizii spirituali in compendio ossia il filosofo in solitudine” Napoli); “Il Paolo, o sia l'umanità liberata poema” (Napoli: presso Giuseppe Maria Porcelli, Inni di Orfeo esposti in versi volgari, Napoli, La gigantomachia, ovvero La disfatta de' giganti, Napoli: La lira focense, Napoli: si vende da Gennaro Fonzo, strada Forcella, Olinto e Sofronia, dedic. Orazione per l'apertura della Scuola di Economia e Commercio, Napoli, Orazione recitata ne' funerali solenni di Marcello Accorinti morto in Messina nel terremoto. Napoli, Fedro, “Esopo alla moda, ovvero delle favole di Fedro, Parafrasi Italiana” (Napoli: Porsile, Orazio); “Le odi di Orazi esposte in versi volgari” (Napoli); “Le odi di Pindaro tradotte ed esposte in versi volgari” (Napoli: Russo); Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli, D. Martuscelli, Gervasi, Napoli B. Croce, La rivoluzione napoletana Biografie, storie, racconti, Laterza, Bari  L. Alonzi, Il giacobinismo napoletano, in Idem, Il Vescovo-prefetto. La diocesi di Sora nel periodo napoleonico, Sora, A. Piromalli, Illuminismo massonico, La letteratura calabrese,  I, Pellegrino editore, Cosenza, B. Croce, D. Ambrasi, Il clero a Napoli tra rivoluzione e reazione, in A. Cestaro A. Lerra, Il Mezzogiorno e la Basilicata fra l'età giacobina e il Decennio francese, Atti del Convegno, Maratea, I, Venosa, B. Croce, La rivoluzione napoletana, Biografie, Racconti, Ricerche, Bari, Laterza, Saggio dell'umano sapere, D. Scafoglio, Vibo Valentia, Sistema Bibliotecario Vibonese,A. Jerocades, La lira focenseː un abate poeta in loggia, A. Piromalli e G. Bravetti, Foggia, Bastogi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  1. T) Indaro , figliuolo di Diifanto,e di Mirto, J» nacque in Tebe , città capitale della Beozia. Mono il padre , eh’ era sonator di tibie , la ma- dre , eh’ era ancor sonatrice sposò Scopelino , e , quindi , dopo la morte di lui , sposò Pagonida , ambi professori di musica. Di qui è,ché al no- stro Poeta si danno tre padri , de' quali due nel vero sono patrigni . Or questa sua sorte fece la sua virtù; imperciocché nacque, visse, e morì tra le Muse, le quali a quel t&mpo erano e ric- che, e nobili ,ed onorate. I suoi primi studj fu- rono la musica, e la poesia, che apprese da Laso Ermìoneo, e che peifezionò sotto Simonide , ed Eschilo i quali' fiorivano in quella età. Indi , , dato l'animo allo studio delle scienze, seguì la , tutta la sua v»ta al modello della pietà . Tra gii altri numi venerava spezialmente Pane, Rea, e Febo e siccome la sua casetta era vicina al tempio ; , propagata per la Beozia , e non la scuola Italica J mica ; onde fu scolare di Pittagora , e non di Talete. La sua dottrina dunque divenne sacra, e tnis ica in modo , che pieno di queste idee, formò di Rea , egli era o uno de' sacerdoti , o almeno il compagno e il partecipe de' sacri misteri. , a. La sua dotta e saggia pietà fu P ornaménto, e'1 retaggio della sua industre e faticosa famiglia. Imperciocché , ricevuti da Timossena , sua consor- te , un maschio , chiamato Diofanto', e due fem- mine, per nome Protomache , e Polimeri trasfu- , se col sangue la sua virtù per modo ne’ figli che gli mandava il giorno e la notte al tempio dej padre, e della madre de’ numi. La sua casetr A9 me • #- , § Digitized by Google   a medesima era un tempietto dtvoto, in cui con vi- cenda soave si passava dai coro alla mensa , e dalla cetra atta tazza , cioè dal travaglio al riposo, e dal - ripeso al travaglio. Non senza ragione gli Spartani prima, e qnndi i Macedoni, liberarono dall'in- cendio comune l'albergo di lui riguardato qual ,, saero asilo delle Muse , e di Febo . Di fatti la faina di Pindaro era sparsa per tutta la Grecia , e al di là della Europa; già che Serse nella sua famosa spedizione n' ebbe ancor del rispetto , co- me dipoi n’ ebbe Alessandro gloria del re della Persia» 3. Or qual si fu la vita civile di Pindaro? Ap* plicato alla poesia , e alla musica , non cantava , che numi , ed eroi . L'antichità vide e lodò i suoi carmi , Inni , Ditirambi , Treni , Peani , ed altri Lirici,e Melici componimenti, rapportati da Sm- ela , che non vinsero la forza vorace dell' igno- ranza, dell'invidia, e del tempo, e de' quali so- lo si mostrano alcuni frammenti, da Stefano va- riamente, e con diligenza raccolti , Restano dunque eli lui quattro libri de’ Vincitori Olitnpj , Pizj , Ne- mei , ed istmici , de' quali Aristofane . grammatico di gran nome , ne fece una raccolta , ordinata a suo modo, e chiamata Periodo. Ed egli è qui da notarsi , che tra le opere di Esiodo si è serbata la Teogonia , e si è perduta 1’ Erogonia ; ma tra quellf di Pindaro al contrario si sono serbati gl' Inni degli Eroi , e gl* Inni degli Dei si sono perdu- ti . Queste opere f.inno la vita del nostro Poeta, siccome le guerre, e i viaggi fanno la vita d’A- chille^ d' Uhsse. Ma benché Pindaro per forma- re i suoi carmi divini dovea menar i giorni nella pace , nel silenzio , e nell’ozio, e vivere con se stesso , col mondo , e co’ numi ; non potea di- spensarsi dal viaggio > e dal cvmraercio co’ Prmci- ,1 , quasi emulando la Dìgitized by Google   5 pi del suo tempo, e dal conoscimento di varj po- poli , e di varj costumi senza i quali so'corsi ; non si può essere, nè si può fare il Poeta. Ol- tre il viaggio di rutto e quanto il mediterra- neo (eh* eia il viaggio alla moda in quel secolo) e’ vide Coma , Siracusa , e Cirene , e familiarmen- te u ò de’ Re e con confidenza trattò nelle Corti. , Nelle giostre festive fu più volte e spettatore, e spettacolo , e sceso al paragone con Corinna , pian- se la v.irtù della Musa vinta dalla beltà del- la Musa. In mezzo all’ armonia dunque il Teba- no cantore visse la sua vita dividendo le ore fra , lo s'adio,ei! teatro, le due scuole dell’antica vir- tù : e così finalmente morì , cadendo nelle brac- cia di Teosseno giovanetto di Tenedo, dopo , avere ascoltato con sommo piacere una festa teatra- le, ed armonica. N.ito nell' Olirne. 65. morì nell’ Olimp.36. di anni 84.,bìochè altri narrino altri- menti e la vita, e la morte di lui. La vita de* saggi , sempre disputata , non è il corso di peri- gliose avventure gravi di speciosi e nobili avve- 1 nimenti. Ella si legge ne loro libri , e tutti i qua- dri d’ un Poeta formano il quadro di lui . E qui si offre il nome eh’ e' diede a’ suoi carmi di qua- , dri . E’ chiamò ogni sua Canzone siSog, immagi- ne , simulacro , o per la varia sorte de’ versi Li- tici ; o perchè tal è la poesia, cioè pittura, e ri- tratto o perchè siccome ad ogni vincitore si al- $, zava una statua col nome dell'eroe, della pa- tria, e del giuoco $ e’ gliene voleva alzar un’altra di versi , di quella più perenne ed eterna . E' fece u- so del dialetto Dorico che più confassi con lo sti- , le sublime. Ma quello, che più distingue Pinda- ro dag i altri Poeti si è P uso smoderato degli , Episodj imitato non sempre felicemente , da ,, {'lacco .Lo stile delle sue poesie à Lirico-tragico, A3 e tal %  e tal volta Lirico-comico; imperciocché , siccome in Omero ci ha favole, e favolette , co>l in Pindaro ci ha canzoni, e canzonette. Per questa ragione nel tradurle , ed esporle si è tenuta una maniera diversa, secondo che oggi è fuso d’ Europa. Di fatti oggi in Europa è in pregio solamente la poe- sia , e la musica Lirica , e questa è o tragica detta altrimenti Pindarica , e Alcaica ; o comica , altrimenti detta Anacreontica, e Saffica. Ne' tea- tri si unisce l'uno e l’altro stile Lirico , onde so- no i recitativi, come si dicono, e le arie. Ma l’Epica, e la Drammatica , tanto tragica quanto , comica , è poesia disgiunta oggidì dalla musica , ed *’sì deono rispettare le superbe vicende del seco- li . Ecco la ragione, onde ho tradotte ed espo- ste le Odi di Pindaro all' uso del Guidi ; e tal volta , ma di raro , all’ uso delle cantate da sce- na. Nèmisi parlidistrofe, d'antistrofe, ed’ epodo ? di ternioni quaternioni , e quinternioni ,j che oggi sono più che vecchie monete . Chi ha voluto tener le usanze antiche , si ha dato una legge importuna, che poi ha dovuto pagare col prezzo di tante gloriose fatiche. Chi non esalta il merito di Adimari , e Gauter ? E pochi sono , che apprezzano le loro Erculee imprese ; e spesso hanno errato per necessità di consiglio . Or la- sciando a tutti e traduttori , e cementatori di Pindaro la gloria immortale del nome; io ho ardito d’ incominciare ad uso mio questo faticoso lavoro, e ho ardito ancor di compirlo a mio mo- do. Se questa è una lode , io la confesso ; poiché mi è grato un onore, che mi venga dal merito. Sog- giungo ancora d'aver letta, a quest’ uopo , Plutar- co , Eliano , Pausania , Clemente , Stobeo , Euse- bio Quintiliano, Orazio, fra gli antichi ; Suida, , GiraJdi , Motóri , ">• Baile , Fabbiicio , Schmid io , A\ Be, ,  6 Digitized by Google  1 Pindaro, il quale, quando è gustato, è conosciu- to • |o confesso ancora di aver vinto la causa , di cui la questione si fu: Se gl’inni Cristiani so- no da più , o da meno, degl* Inni Pagani ? Io proposi, son già molti anni passati, che sono da più ; e per dimostrarne l'assunto col fatto, tra- dussi ed esposi gl’inni Cristiani , e gl'inni Paga- ni, e lasciai la causa alla fede, e alla ragione de* - giudici. Pubblicati gl’inni d’ Orfeo e di altri e ,, quindi le Odi d’ Orazio, non restavano, che gli Inni di Pindaro al compimento dell’opera. Ecco la iuta fede legata già sciolta. Chi legge , se ha sénno vegga e conosca la 4; ,, verità . A non voler dir altro , basta il dire che , negl'inni Pagani o manca la persona, o rrnnca il soggetto, eh’ è la virtù., E se dicesi, che ap- presso i Pagani tal era la persona reale , e tale il soggetto dell* inno; io dico che cangiate le idee, , dubbiamo venerare le nostre. Ma le Liturgie, per una sorte comune sono ignorate da chi le , adora, e conosciute da chi le disprezza. Quindi è , che questa causa spetta al giudi ciò de’ posteri come accenna nella Od. i. Olimp. il nostro poe- ta. Nel resto non può negarsi, essere oscura e confusa 1 antichità, e chiara e distinta h nostra età, in cui quel che si legge, si vede, e quel che si vede , s’ intende . Per me m’inebbrio di gioja quando canto nel coro un inno de' nostri; e. nel cantare un inno Pagano , sia superbo e pomposo, non mi sento nel petto un senso di dolce pietà. £ non abbiamo noi i nostri agonistì, i campio- ni» -gli atleti r , gli atlanti, gli aicidi di Cristo? Altro che kcorsa f , e Ja lotta, sono le virtù del- Benedetti, Aditimi, Stefano, Gaìitefj ed altri fra i moderni e di averne tratto profitto ma , di. aver sempre apprezzato sovra di tutti lo stesso .*** A4 . la , ; ,  , Digitized by Google   la Chiesa . Si legga solo F inno di Venanzio gio- , vanetto, e santo deli’ Umbria, e si vegga, quai sono in vero gii eroi. E’ non vi ha dubbio, che iti Pindaro vi sono le più belle sentenze e mo- , lali, e politiche che il suo stile spesso è orien- ; tale, come lo stile liturgico di Asaflfo, d' Orfeo d’Omero, e di Ossian; ma queste bellezze, che di rodo si ammirano ne' poeti Pagani, ne’ nostri sono e profuse, e neglette. 5. Mi resta a dir due parole su i Giuochi, che formano F argomento dell’ opera • I Giuochi , dette ancora feste giostre certami agojii , con- (,,, trasti ) erano o ginnici , o musici . I musici eran prode del conto, del suono, della poesia, della storia, e della eloquenza; e tal volta erano dispu- te circolari da scuoia. Questi si davano d' ordina- rio neU’Odèo, nel Musèo, nel Licèo, nel Tea- trone di rado assai nello Stadio, infra il romor delia turba, il vincitore avea la corona, la sta- tua, e il soldo pubblico,e forse Finno della vit- toria. Mi questi giuochi non eran molto famosi. I Giuochi ginnici erano o sacri , o profani . £ profanieranolascherma,ei! bersaglio,edaltri, destinati col tempo alle pene de’ rei., I sacri & solenni eran cinque, la corsa , la lotta, la pugna , la danza , la palla , detti in generale Pentatlo da' Greci , da* Latini Qoinquerzio , e tal volta Pan- crazio , benché il Pancrazio comprendea solamene te;la pugna, e la lotta* La corsa era a piedi, a nudo', o armato a cavallo , o frenato , o senza ; freno ; e col carro , tirato da due.> o da quattro cavalli £ Il premio della ,virtù eia kt stessa virtù; o pure una corona di olivo f di lauro , d’ apio , di rame , o di ferro ; una statua col nome so»* della patria, del giuoco; e un inno di lode, ond’ era accom- pagnato* litornapdo' in trionfo, alia patria* 11 Digitized by ,   1 luogo di questi Giuochi era lo Stadio , in tre par-* t» diviso, e distinto con tre colonnette. Vi prese* devanoi pubblicimagistrati cometestimoni egiu- ,, dici delle contese. Tali feste, instituite da Ercole, da Pelope , da Enomao da Ifito e p;ù volte tralasciare , e più volte riprese si celebravano , nel principio d' ogni cinque anni piade non era diversa dal Lustro, che fu la gran festa degli antichi Romani. Questa città, eh’ è stata sempre la madre degl randó altre insegne e divise , onde vivano ignoti al mondo, e noti solo a se stessi. Vivi fra * morti , e mprti fra i vivi , passano in pace la vira e fanno il lor nome risonare nel silenzio , della virtù. Fra molti, che io venero, ha luogo Gaetano Ancora Napoletano giovane d’ alti ta- ,, lenti , e di aurei costumi . E’ rubando agli alti , affari politici, e al vigor giovanile, e alle ombre notturne poche ore del tempo le consacra a quel ,, profondo studio , che da' primi anni coltivò , d* una maschia e robusta Letteratura, Ebrea Greca, , e Latina , e va di quando in quando esponendo una parte di quella Sapienza vera, che nel tesoro delia età vetusta si serba come un sacro depost- , ,, <5. Molte,evarienotiziesisonodamericavate 11 da Pausania , da Natale de Conti , e da saggi scrittori delle Greche antichità , Ma disperando di poterne qui dare un Saggio compiuto che ser- , visse di scorta alla legione di Pindaro, ho prega- to il mio doke amico, e maestro Gaetano Anco- ra y il quale, tra le gravi cure della Corte, cori va . con applauso universale i più severi studj della Letteratura, oggimai quasi moribonda e spirante.- 1 ingegni , e la scuola di tutte le Muse non ar- , 1 disce più di onorare il nome de suoi gran figli col titolo di saggi e di dotti e va lor proccu- ,, , onde T Olim-  JO to della umani , e divina ragione . Quindi la Re- pubblica delle lettere gode di tante dissertazioni dilui, chesonodiraro, diutile, edifestivo argomento , e che raccolte si daranno a. suo tem- po al'a luce. Or egli piegandosi gentilmente al- , le mie premurose preghiere, ha scritto un Saggio tu i Giuochi solenni di Grecia, il quale, stampa- to alla fine del libro la erudizione comune , , pagina 227. , serve al- e al rischiaramento delle ©ni di Pindaro. Perciò son io contento delle mie fatiche , le quali con questo lume compariranno , come spero , meno oscure , e meno importune $ e la Musa Dircèa sarà più sacra, e più venerata. A vero dire non deve un Poeta ri sublime , e sì sacro , come colui , che canta da eroe le virtù degli eroi giacersi nell' ingrato obblìo d' una fa- , cile indifferenza , o d' una criminosa ignoranza? eseiohofattosì, cheil suonomesiatranoi p ù conosciuto , ed imitato almeno nelle sentenze, * se non si può-nello stile, ^Sublimi feriam sidera  Tropea. Palazzo Sant'Anna. odierna sede del Municipio ed ex Collegio dei Gesuiti    L'ULTIMA PRIGIONIA  DI ANTONIO JEROCADES     di Pasquale Russo  PREMESSA  L'abate Jerocades visse da cristiano inquieto una esistenza drammatica. Pur affascinato dalle idee di libertà di cui si è fatto assertore e promotore, non smise mai di produrre opere di natura religiosa e devozionale, anche pervase di amore e tenerezza, soprattutto verso la Vergine Maria. E' un ecclesiastico che non sovrappone il livello della politica a quello della fede, ma tenta piuttosto un equilibrio che apparirà fortemente precario e non convincerà nè il potere politico nè il potere religioso. Dall'una e dall'altra parte fu perseguitato per tutta la vita, tuttavia non sconfessò mai la sua fede cristiana, nè resistette fermamente al tiranno fino alla morte.  Quest'uomo che le istituzioni hanno più volte punito secondo i loro statuti con il carcere e con l'esilio fu un 'uomo contro', ma non aveva la vocazione al martirio.  Io mi fermerò a considerare l'ultima prigionia dell'abate Jerocades. Fu la conclusione di una vita oltremodo inquieta. A Tropea, nel collegio dei Padri Redentoristi, il 19 novembre 1803, non si chiudeva solamente una vita, si spegneva il tentativo di conciliazione di un credente massone e giacobino con il mondo moderno. UNA VITA ESAUSTA  L'abate Jerocades non aveva la vocazione al martirio e tuttavia la sua vita inquieta è stata vissuta nella lotta, una opposizione ideologica contro i potenti e una tuonante avversione al mondo clericale.  Il terremoto del Capo, questa operetta indiavolata, come la definisce Tigani Sava, ci dà la misura di quanti fossero i suoi nemici, ma anche di quanto egli sapesse usare la lingua e la parola per colpire, offendere, insultare.  La parola fu la grande arma che Jerocades usò per illuminare le menti, per eccitare i cuori, per aggredire chi lo contrastava, per lottare i suoi numerosi nemici.  Dotato di grande facilità di parola, scriveva e verseggiava con facilità e spesso dava alle stampe i suoi scritti senza rileggerli.  L'ultima prigionia a Tropea, nella casa dei Redentoristi, fa pensare a Daniele nella fossa dei leoni. Ma l'accostamento biblico ci richiama anche altri protagonisti calabresi di utopie religiose e politiche: penso a Gioacchino da Fiore, a Tommaso Campanella, profeti perseguitati per i loro sogni di libertà. Con uno spessore certamente diverso, ma con un'ansia di fondo che ha una matrice comune nella natura rivoluzionaria del cristianesimo.  Credo sia opportuna una riflessione sulla condizione ecclesiastica di Antonio Jerocades e sulla sua formazione, perchè ci consente di cogliere elementi di approfondimento in lui come anche nelle figure più rilevanti del giansenismo, del protestantesimo, del giacobinismo, della massoneria: tutti più o meno di provenienza culturale e ambientale non solo cattolica, ma specificamente ecclesiastica (si pensi a Salvi, Aracri, Serrao, Padula, Angherà, Nudi o altri meno noti).  Il valore culturale, etico, sociale di queste personalità e della loro opera in Calabria e fuori, osserva Maria Mariotti, e stato messo in rilievo da studi seri ed accurati, "che tuttavia non sempre superano del tutto la tendenza ad interpretare illuministicamente l'aspetto contestativo soprattutto in chiave di apertura alle novità, al progresso contro l'ignoranza, l'arretratezza, il bigottismo degli am bienti ecclesiastici. Pare sia più maturo un ripensamento, almeno su alcune complesse personalità: anche per capire meglio il dramma umano, religioso, morale di questi uomini, spesso condizionati dal disagio di una vocazione non autentica, talora esasperati da situazioni realmente invivibili; e per cogliere, al di qua dell'asprezza delle manifestazioni, la radice autenticamente cristiana e cattolica di certe esigenze e critiche, nello spirito in cui oggi leggiamo e accettiamo i rilievi al loro tempo sospetti, di Ludovico Antonio Muratori sulla Regolata devozione dei cristiani, di Antonio Rosmini su Le cinque piaghe della chiesa."  Penso che, leggendo l'ancora inedita Orazione per l'apertura della Scuola di Economia e Commercio nell'Università di Napoli, detta da Antonio Jerocades, questa riflessione si riveli quanto mai opportuna. Egli, rievocando gli anni della giovinezza, ricorda: "... Nato in un ignoto villaggio dell'estrema Calabria da parenti oscurissimi, applicati alla pesca, alla navigazione, al commercio, respirai le prime aure di vita, tra i remi e le reti, nè mi sentia fremer d'intorno di altro il linguaggio che del dolore, dell'opera, della fatica, i tre compagni primieri de' dolenti, operosi e travagliati mortali, nè di altre immagini la mia mente bambina poteva ricolmarsi giammai, che di povertà libera e di libertà bisognosa... piacque a mio padre di ascrivermi tra l'ordine clericale e gà cominciai pur io, e ben per tempo, a menar la vita tra i Salmi e gli Inni, imparando, ed insegnando ogni giorno le Christiane dottrine... Chiuso il Seminario vidi e conobbi i primi elementi dell'umano e divino sapere, e mosso dalla fama del Martorelli e del Genovesi venni a Napoli ad ammirare quei due valenti e in filologia e in filosofia, e con essi loro mi strinsi in familiare e soave amicizia."  E' altrettanto importante annotare che la preoccupazione per il seminario rappresenta per i vescovi calabresi nella seconda metà del '700 la volenterosa disponibilità di attuare una delle poche veramente innovative prescrizioni tridentine. Ma in realtà molti seminari furono semplici convitti, che potevano influire su una percentuale ristretta del clero, in quanto spesso surrogavano i collegi per i laici, mentre i chierici in genere erano formati con un'infarinatura di morale e di cerimonie dai parroci di campagna. Una circolare del 3.XI.1802 per la diocesi di Tropea ritiene validi 10 giorni di ritiro come preparazione all'ordinazione sacerdotale di coloro che erano stati presentati dai parroci. Si trattava di una preparazione intensiva, che era tutto ed era poco! Il clero che proveniva dai seminari invece si qualificò più per gli aspetti culturali che per quelli pastorali.  Per molti lo stato ecclesiastico rappresentava soltanto una carriera ambita. In un ambito di cristianità il prete era il notabile, circondato da uno steccato di privilegi. La vocazione era pertanto nella linea delle pressioni sociali. Moltissimi erano i preti al di fuori di ogni quadro pastorale: gli abati oziosi, i preti altaristi, i pedagoghi, gli eruditi, i commercianti, i sensali, i selvaggi, i preti coniugati, gli eremiti. I sinodi sono pieni di richiami agli abusi di questo clero che, privo di forti ideali, dopo aver "strapazzato" la messa e l'ufficio, si dava all'ozio, agli spettacoli, al cicisbeismo.  Del resto va notato che il Concilio di Trento aveva obbligato i vescovi a fondare i seminari, non i candidati agli ordini ad entrarvi.  La cura animarum suprema lex era molto disattesa, pur essendo un principio fondamentale del Tridentino che aveva posto come capisaldi della vita diocesana le visite pastorali, i sinodi e i seminari. Ma anche i sinodi nel '700 diventano sempre più radi: a Tropea l'ultimo sinodo celebrato è stato di Ibanez nel 1702: nessun altro sinodo verrà celebrato nel corso del settecento e fino al vescovo Vaccari nel 1883.  La preoccupazione per il seminario appare sempre viva e addirittura appare quasi ossessiva in un vescovo latitante come Gerardo Gregorio Mele nella corrispondenza col suo vicario don A. Meligrana. Questo vescovo fu l'ultimo a reggere la diocesi di Tropea prima della sua unione con Nicotera nel 1818. Durante il suo episcopato avvennero fenomeni che hanno cambiato il corso della storia, ma egli riuscì (e non fu per nulla il solo!) a rimanere fermamente legato alla tradizione; durante il suo episcopato morì a Tropea Antonio Jerocades.  Sugli anni compresi tra il 1799 e il 1803 sembra prevalere un grande silenzio su Jerocades nei documenti vescovili o comunque tropeani.  Mentre il Martuscelli, primo biografo del Jerocades, ci riporta con alquanta dovizia di particolari l'ultimo periodo di vita dell'abate (cfr. Accatatis, Uomini illustri della Calabria, vol. III, p. 181 e ss, Cosenza, 1877), le notizie che abbiamo di lui dai contemporanei locali sono molto scarne e tendenziose (Vito Capialbi, Memorie per servire alla storia della santa chiesa tropeana, Napoli, 1852; Michele Paladini, Notizie storiche sulla città di Tropea, Catania 1930 - ed. anastatica a cura di S. Di Bella). Quasi irreperibili nell'archivio vescovile di Tropea. Quello che ci lascia interdetti è la mancanza di fonti 'tropeane', degli uomini di cultura suoi contemporanei o quasi: Galluppi, ad esempio, o Politi, o Scrugli, o Melograni...  Gli archivi locali, sia quelli ecclesiastici che quelli privati, sono molto avari di notizie. Nell'archivio vescovile di Tropea è assente il suo nome, se si eccettua un documento di dispensa dall'età canonica per l'ordinazione sacerdotale e di annotazioni sulla sua assenza da Parghelia nelle visite pastorali:  20.03.1784 - Visita Paù: nell'elenco dei preti di Parghelia manca Jerocades;  17.03.1794 - Visita Monteforte: adsunt extra patriam... D. A. Jerocadi;  09.09.1795 - Visita Monforte: absens...: A. Jerocadi;  05.05.1799 - Visita Mele: D. Antonius Jerocadi absens.  Negli archivi privati si è trovata qualche piccola traccia del suo passaggio nell'archivio Meligrana di Parghelia: una lettera di Vito Capialbi, datata Monteleone 8 Nov. 1837 a Don Giuseppe Meligrana ricorda che "le cose di Jerocades [per lui trascritte] non sono che ordinarissime composizioni, ma di un autore così celebre ogni cosuccia è buona". E più avanti ricorda ancora di aver avuto in regalo dal nipote di Jerocades (Raffaele) "un autografo in francese e in italiano di suo zio". Da Parghelia, attraverso don G. Meligrana, Vito Capialbi ha avuto molti testi di Jerocades, che dice di conservare nella sua biblioteca (Cfr. Memorie, cit.).  L'archivio più fornito dovrebbe essere quello dei Jerocades-Colace che allo stato attuale risulta pittosto disperso, diversamente da come era stato rilevato da Tigani Sava nel 1977, relativamente alla produzione di Jerocades (Cfr. il contributo bibliografico più completo - pur se con qualche piccola carenza - di Francesco Tagani Sava in La Calabria dalle riforme alla restaurazione, S. E. Meridionale, 1981, pp. 635-713).  Il silenzio delle fonti tropeane del periodo che corrisponde agli ultimi anni di vita di Jerocades sta ad indicare la sua emarginazione, dovuta a una avversione profonda, soprattutto da parte del clero tropeano, che, nel Terremoto del Capo, era stato oggetto di derisione e di gravi accuse di immoralità, ma anche del mondo laico che non condivideva le idee giacobine dell'abate, anche se alle logge massoniche da lui fondate, o che, come dice Gaetano Cingari, certamente influenzò, a Parghelia e a Tropea, in molti avevano dato la loro adesione. Tanto meno fanno menzione di lui gli accademici degli Affaticati. Jerocades viene ignorato, sia perchè è scomodo, sia perchè è ostile e pericoloso politicamente, sia infine perchè ha usato la parola come arma che ha colpito duramente.  Forse non e esagerato pensare che si aspettava il momento giusto per presentargli il conto.  LA SOLITUDINE DELLA MORTE  Il Martuscelli racconta con dovizia di particolari gli ultimi anni della vita di Antonio Jerocades e la sua morte. "Nel 1799 fu mandato in Francia", egli scrive: in realtà, più precisamente, fu esiliato con altri 500, mentre Colace e Mazzitelli erano stati uccisi. Il Jerocades figura tra gli esiliati a Marsiglia per i fatti del 1799 e, nell'elenco dei condannati dalla Suprema Giunta di Stato, si fa anche una descrizione fisica dell'abate.  A Marsiglia scrive tra l'altro l'orazione funebre per Vincenzo suo fratello. Nel mese di agosto 1801, dopo la pace di Firenze, rientra in Italia a Civitavecchia con la nave e da lì a Roma dove 'si ammalò mortalmente'; riavutosi andò a Napoli e da lì giunse a Parghelia il 4 Novembre 1801. Dopo dieci mesi (settembre 1802) "fu mandato nella casa del PP. Liguorini di Tropea, e dissesi che ciò fu per correggerlo di quanto avea scritto nell'elogio funebre di suo fratello Vincenzo", denunziato da Giuseppe Costanzo per vilipendio in quanto nella detta orazione aveva parlato male del cardinale Ruffo.  L'ordine era di tenerlo segregato. E all'inizio l'abate "viveva nella quiete", scrive il Paladini, che fu testimone oculare della sua prigionia; il quale aggiunge che, cominciando (il Jerocades) al suo solito a satirizzare, perdè la confidenza dei religiosi".  In realtà la situazione appare più complessa, come risulta dalla lettera del P. Giacomo Migliaccio, successore del Pappaona, inviata al vescovo Gerardo Gregorio Mele il 3 agosto 1803, e conservata a Tropea nell'archivio Toraldo Di Francia:  Ecc. Rev.ma  con ven.ta carta del dì 21 del passato giugno V. E. Rev.ma partecipò al mio antecessore che il sig. Preside della Provincia, col parere del sig. Av.to F.te D. Luigi Calenda le avea scritto che il superiore di questa casa, quante volte i medici ne conoscano la necessità, potrà far uscire a camminare il sac. D. Antonio Jerocadi di Reale ordine qui detenuto, in compagnia degli individui di questa Comunità. E' il detto mio antecessore subito, con più di buon core che di considerazione, le risposte che avrebb'eseguiti gli ordini. Ora io mi dò l'onore di rappresentarle, che essendo nei principi del passato luglio venuto da quella di Catanzaro a governar questa Casa, ho trovato che non si era potuto eseguire quanto di buon cuore si era mostrato di voler eseguire; imperciocchè essendo qui una piccola Comunità, e vivendosi, come si vive tra noi, ritirati nelle proprie stanze, ci parliamo un poco dopo pranzo e dopo cena; e quando poi si esce un po' a camminare, ch'è un par di volte la settimana, allora ci comunichiamo insieme i nostri sentimenti o il nostro approfittamento nelle lettere, o nello spirito; e sarebbe anzi una noia uscire in compagnia di persona, con cui non si ha confidenza. Ma questo è poco. I Reali ordini rispetto al predetto sacerdote sono di non farlo uscire, nè trattare con nessuno; e di ciò il Sig. Ud.re Perrotta ne volle firmato un obbligo dal passato Superiore. Ormai il Sig. Preside dice: quante volte i medici conoscano la necessità di farlo uscire, il superiore potrà permetterlo, ma in compagnia degl'individui di casa. Resterebbe dunque a carico del superiore la verità della cognizione dei Medici, e la necessità del Jerocadi. Cotesta risponsabilità non si vuol'aver'affatto. Risponderà ogn'individuo della propria condotta; ma non potrà rispondere di quella degli altri. Il superiore passato non dovea pur firmare quell'obbligo; ch'egli non era fatto castellano nè carceriere. La M.S. si confidava della di lui religione; ed egli, ed ogni successore si facea un pregio di custodirlo, e di rappresentare subito ogni trasgressione, che mai ci fossa stata. Per le quali ragioni, e per altre, che non è necessario di esporre, non è eseguibile di farlo uscire in compagnia degl'individui di casa. All'incontro il Jerocadi fa delle premure presso di me, rappresentando i suoi mali, e 'l male dei mali, ch'è la sua vecchiaia, o amara decrepitezza. Ma io non vedo altra via da poter'esser'abilitato, se non che, se il Sig. Preside, per compassione dei mali di questo infelice, si assicuri egli della cognizione dei medici e delle necessità del Jerocadei, e così lo abiliti a uscire a camminare in compagnia di altro sacerdote secolare ben visto all'E.V.Rev:ma. E pien di rispetto le bacio le sacre mani, e chiedo la paterna benedizione.  Collegio di Tropea 3 Agosto 1803  U.mo e obblg.mo servitor vero e suddito  Giacomo Migliaccio del S.mo Red.re  Di V.E.Rev.ma  Mons. Mele Vescovo di Tropea  "In quel soggiorno - scrive ancora il Martuscelli - molto si indebolì la sua salute - pur nondimeno scrisse molte cantate, sonetti, molte orazioni sacre, novene di alcuni santi, tradusse il salterio. Finalmente logoro dai disagi e dalla improba applicazione allo studio munito dei santi sacramenti nei sensi della vera pietà rese l'anima a Dio... Da colà fu il suo corpo trasportato nella patria, e depositato nella sepoltura dei sacerdoti".  Muore il 19 Nov. 1803 e non il 18 nov. 1805 come scrive il Martuscelli e dopo di lui tutti gli studiosi di Jerocades.  L'atto di morte si conserva nel registro della parrocchia di S. Demetrio di Tropea ed è stato trascritto anche in quello della parrocchia di Parghelia.  Li riporto entrambi, oltre che per precisare e definire la data di morte, anche per farvi notare delle coincidenze e delle differenze:  Anno 1803 - Parghelia - Parrocchia di S. Andrea Apostolo  Atto di morte  Rev. Sacerdos D. Antonius Jerocades, annum sextum ac sexagesimum cum attigisset, sacramentis opportunis rite munitus, die decima nona dicti novembris obiit Tropeae, in domo Patrum SS.mi Redemptoris; cuius cadaver in hoc casale delatum in Eccl.ia Archipresbiterali S. Andreae Ap.li in sepultura sacerdotum tumulatum fuit.  A.  arch.  Taccone  TROPEA - Parrocchia di S. Demetrio - Anno 1803  Atto di morte  Sacerdos Antonius Jerocades casalis Pargheliae hujus Diocesis utriusque juris atque sac. Theologiae Doctor. Professor publicus in Universitate Neapolis, sexaginta quatuor fere annis natus, munitus sacramentis poenitentiae et Eucharistiae postea subita morte peremptus, animam exspiravit, eiusque cadaver in ecclesia archipresbiterali casalis Pargheliae tumulatum fuit.  Franciscus Antonius Grillo  Vito Capialbi, precisando che Jerocades fu sacerdote, che "dopo varie, che diresti romanzesche vicissitudini, involuto nelle tristissime vicende dal 1793 al 1799, e fino al 1802 andonne ramingo in Francia, ed in altri Regni d'Europa; e già era rientrato nella patria in seguito del trattato di Firenze del 1802. Finalmente, stando nella casa de' PP del SS. Redentore di Tropea, morissi ai 18 novembre 1805".  Per concludere che "più copiose notizie di questo vasto, e stravagante ingegno si riferiranno nelle nostre Centurie degli scrittori calabresi".  Di questo periodo della vita esausta dell'abate Jerocades sono state dette certamente delle esagerazioni (il tetro carcere - la cella - le punizioni - le torture... il veleno - cfr Didier), non suffragate da alcuna documentazione, ma solo ampiando voci e dicerie, ma tante altre cose sono state taciute.  Stupisce però che il vescovo Mele, nella visita ad limina del 1804, presenti una visione idilliaca del clero e della diocesi, mentre nella visita pastorale del 1808 e in altri documenti conservati nell'Archivio storico di Tropea tuoni contro la disobbedienza e l'ingovernabilità del clero e contro l'immoralità dilagante: nessuna nota abbiamo potuto rintracciare relativa al caso Jerocades, tranne tracce indirette nell'Archivio Meligrana di Parghelia e la lettera del P. Migliaccio al vescovo Mele...  Nell'archivio dei PP Redentoristi della casa provinciale spero possa essere trovato del materiale documentario che già lascia intravvedere il P. Giuseppe Orlandi, storico dell'ordine, il quale in Specimen Historicum CSSR-A.XLII.1994.FI "I Redentoristi napoletani tra ricoluzione e restaurazione" dedica pagine interessanti all'abate Jerocades.  Era comune che le autorità inviassero dei condannati al soggiorno abbligato a scontare la loro pena in qualcuna delle case della Congregazione. "Per quelle calabresi - scrive Orlandi - si trattava di un compito assegnatogli dal dispaccio regio del 22 marzo 1790:  'Qualora i vescovi diocesani o vicini per correzione volessero mandare dei preti o chierici a fare gli esercisi spirituali nelle loro case, dovranno sempre riceverli, con esigere anche per compensare del loro incommodo quell'oblazione che non venga eccedere il tarino al giorno, pel tempo della dimora che da quei preti o chierici si sia fatta presso di loro' "".  L'ordine reale veniva poi eseguito dai vescoli.  Pertanto i Redentoristi "si trovavano nell'impossibilità di sottrarsi a questo forzato esercizio dell'ospitalità, che tra l'altro non era sempre immune da rischi, come nel caso Jerocades."  Nella lettera del P. Migliaccio si afferma con forza: " Il superiore passato non dovea pure firmare quell'obbligo, ch'egli non era fatto castellano, o carceriero".  Il Padre Giuseppe Orlandi, storico dei Redentoristi, riporta un passo di Giuseppe Capasso (Un abate massone del secolo XVIII, Parma, 1884).  "Che in questa nuova relegazione il Jerocades abbia continuato a mostrarsi secondo i casi massone e rivoluzionario, si può facilmente ammettere, anche perchè è certo che non cessò mai dallo scrivere ed improvvisare al modo antico. Ma l'esilio, quantunque raddolcito dalle cure di chi l'assisteva, diè l'ultimo crollo al suo cervello, di già a bastanza indebolito".  Naturalmente, se a Jerocades era sgradito soggiornare a Tropea, ai Redentoristi lo era ancor più il doverlo ospitare:  "Durava da un anno quello stato di cose, quando il Ierocades ottenne di poter passeggiare fuori clausura, accompagnato da uno di quei frati. Ma, proprio il giorno in cui cominciava a fruire di tale concessione, intavolato col compagno una discussione di teologia, non essendo contento delle risposte dell'altro, passò dagli argomenti alle impertinenze, e poi "usando dell'estro poetico", sepellì il frate sotto una valanga di contumelie. Ricorse perfino al bastone, e buon per il frate che riuscì a scansarlo".  La lettera del padre Migliaccio sopra riportata conferma quanto scrive il Capasso.  Il padre Orlandi conclude che "invano i Redentoristi ricorsero ripetutamente alla corte per essere liberati dalla sgradita presenza di Jerocades che rimase a Tropea fino alla morte".  Il teologo Raffaele Paladini ci lascia una testimonianza di prima mano. Dopo un giudizio fortemente negativo: "Fiorì soprattutto a' suoi tempi [del vescovo Monforte] D. Antonio Jerocades di Parghelia noto nella repubblica letteraria per talenti e cognizioni; non sempre tuttavia seppe scriver bene soprattutto nella prosa; volle poi trovare per tutto i delirii massonici; e fu traditore degli stessi sedotti da lui; in breve il suo stile fu imperfetto, la sua scienza non retta, la sua morale non buona". Il teologo ci lascia questo racconto della morte di Jerocades: "Morì ai suoi tempi [del vescovo Mele] D. Antonio Jerocades.  Questi, ritornato dalla Francia dov'era stato in esilio dopo il 1799, fu denunziato da Giuseppe Costanzo, da Parghelia quale autore di autore di una orazione funebre di un suo fratello, dove parlava male del Cardinale Ruffa ricuperatore di questo regno; quindi fu chiuso dal Ministro Pirrotta tra i Padri del Santissimo Redentore di Tropea sotto il rettore Pappaona.  Ivi sulle prime viveva nella quiete, ma, cominciando al suo solito a satirizzare, perdé la confidenza de' religiosi.  Caduto infine in delirio malinconico, e dubitandosi di sua vita, il Vescovo delegò tre membri del Capitolo, cioè l'Arciprete e il Penitenziere Mazzitelli e il Teologo Paladini a ricevere la sua professione di fede.  Egli, invitato a ciò, diè segno di approvazione, come il diè in tutta la lettura di detta professione. Richiesto a sottoscrivere, prese la penna, e scrisse le due prime lettere del suo nome A ed n, ma poi invece di seguire a scrivere il t col resto, scrisse g. Allora il padre Migliaccio gli rimproverò forte ch'ei volea dirsi Angelus, con fargli altresì delle minacce per questa e per quella vita: per lo contrario il Teologo disse: o egli in questo momento è nel delirio, ed a chi parliamo noi? o è in retta ragione e sarebbe meglio prima indurlo al dovere con convincerlo, con pregarlo ecc. Intanto l'ammalato proseguì la sottoscrizione col rimaner sempre il g, ma col fare il r e tutt'altro, come gli dettarono i tre delegati. Munito poi de' sacramenti dal Parroco, morì e fu trasportato ad essere seppellito in Parghelia."  Questo racconto ci fa intravedere quali fossero le preoccupazioni del vescovo Mele (solo formali e... di salvare un'anima!) e quali fossero i sentimenti del Paladini, il cui zio Gaetano l'abate aveva fortemente fustigato e vilipeso nel Terremoto del Capo.  Sul versante laico il racconto di Charles Didier (1805-1864) in L'Italie pittoresque, Pigoreau, Paris, 1835, appare assai ricco di anticlericalismo e di spirito romantico: Jerocades, autore della Lira focense "fu crudelmente perseguitato. Relagato nella sua città natale nel 1815 (sic!), ebbe per prigione un convento in cui i monaci, razza fanatica, ritenendolo ateo e giocobino, si resero compiacenti esecutori delle vendette reazionarie dei Borboni di Napoli. Investiti da questo ministero poco cristiano, l'esercitarono con una barbarie meticolosa e veramente monacale. Non vi sono torture che essi non inflissero al carbonaro poeta: il povero prigioniero morì presto, e colui che gridava, in uno slancio di benedizione, "Vita, dono del ciel, sei bella, ti amo. Perchè ti so...", vide i suoi giorni spegnersi nella prigionia oscura, silenziosa d'un chiostro fanatico e persecutore. La salma del martire riposa a Tropea in attesa del Pantheon riparatore che riunirà in un solo altare tutti i martiri dispersi della libertà italiana.  La terra sia loro leggera fino al giorno prossimo delle riabilitazioni!"  La fonte del Didier era certamente legata allo spirito patriottico che aveva bisogno di creare i martiri. Questo spiega anche la data errata del 1815 e il riferimento alla salma che riposa a Tropea mentre sappiamo che Jerocades fu seppellito a Parghelia.  Nella prefazione alla Lira Focense pubblicata a Cosenza nel 1812, Francesco Migliaccio accentua il carattere persecutorio: "fu dalle calunnie, dalle persecuzioni e da mille disastri assalito ed oppresso. Credette farsi schermo e difese [...] negli occulti recessi della sua patria. Ma per la malvagità dei tempi... fu nella sua veneranda vecchiezza rinchiuso nella casa di Missionarj di Tropea. Quivi nella indigenza, schiacciato dalla ferrea mano che l'oprimeva chiuse i suoi giorni".  A parte i comprensibili toni romantici del Didier e di Francesco Migliaccio, l'abate Jerocades chiuse i suoi giorni nell'abbandono e nella solitudine, senza un'ombra di affetto o di pietà. Neppure la visita del Pepe a Tropea potè dare ristoro al vecchio poeta, che non trovava più motivi al suo canto.  La sua voce, un tempo bellissima e ammirata, adesso era solo il lamento di un uomo finito che vedeva stroncarsi senza rimedio il suo cocente anelito alla libertà. La morte improvvisa che lo colse dopo aver ricevuto i sacramenti della penitenza e dell'Eucarestia ha trovato un uomo distrutto e che nelle parole del salmo 50 da lui amato ha trovato l'ultimo motivo per affidare alla forza della parola l'anelito del cuore.  UN DIGNITOSO CONGEDO  Non fu una morte normale quella di Jerocades: nella sua inquietudine non bastò la famiglia dei liberi muratori, non soccorse l'avventura giacobina, diede sofferenza la chiesa alla quale apparteneva.  Nella post-fazione dedicatoria l'abate Jerocades ricorda che alcune poesie che formano la Lira focense sono sacre e ricavate dai libri cristiani e ne dà una spiegazione storica; ma a me sembra che egli voglia darci atto di non aver mai abbandonato la certezza cristiana come in questa Salve piena di affetto e di fiducia.  O Regina, il Ciel ti salvi.  Di Dio madre, e sposa, e figlia,  Volgi, ah volgi a noi le ciglia,  Bella madre di pietà.  Mostra vita, e nostro bene,  Nostra speme, e nostro amore,  Volgi a noi quel tuo bel core,  Ch'è la stessa carità.  Figli di Eva, abbandonati,  Dell'esiglio a' lunghi affanni,  Dal furor dei rei tiranni  Chi ci salvi, oh Dio! non c'è.  Senti il grido, ascolta il pianto  Di chi giace in ree catene,  Bella Madre, in tante pene  Ci volgiamo afflitti a te.  Dunque o nostra Protettrice,  Volgi a noi quel tuo bel ciglio;  Mostra a noi quel tuo bel figlio,  Quando ha fine il lungo error.  Tu sei madre assai pietosa,  Bella Vergine Maria;  Tu sei dolce, e tu sei pia,  Tutta pace, e tutta amor.     E mi appare persino commovente la Novena alla Madonna di Portosalvo, che l'abate Jerocades dedica a Raffaele suo nipote, figlio del fratello Vincenzo:  "Nel Castello dell'Ovo, villa un dì di Lucullo, ove fui tre anni prigioniero di stato dopo tre anni di esilio e in altri prigioni e in altri esili, dopo Dio non ho altro obbiettivo delle nie cure e delle mie preci che la Madre di Dio.  Serbando fede alla patria, l'ho sempre invocata col nome di Madonna di Porto Salvo, e questo conveniva ancora al mio stato perchè nelle tempeste si cerca un porto e nelle battaglie si cerca un asilo, impaziente di altra dimora:  "Ch'io son vivo al desir, morto alla spema".  Gravato d'anni e d'affanni, ho scritto questa Novena che a voi, caro nipote, offro e consacro qual dono e qual debito.  Io ve la consacro qual dono poichè è frutto dei miei studi e dei miei talenti. Sono povero di fortuna e quel che mi ha dato la natura, spetta anche a voi quando non disdegnaste di dirvi mio nipote".  A me quest'ultima frase appare commovente per la carica emotiva che sottende. Ma c'è dell'altro che Antonio Jerocades dice ancora come credente e come sacerdote:  "Chi sono i testimoni della fede? I vecchi. Io, che vecchio pur sono, così presbitero, qual attestato maggiore di questo donarvi della religione e fede di Cristo?  A te, Raffaele, e all'eredità del padre e dell'avo aggiungerete la mia.  A te, e nella Chiesa di Porto Salvo fra i suoi monumenti della pietà dell'avo e del padre appenderete ancora s'è degna questa Novena, in cui leggerete le grazie e le glorie di Maria, da noi venerata sotto il nome di Madonna di Porto Salvo".  Il senso di verecondia che traspare da queste parole non ci rivela forse il dramma di un uomo, di un credente, di un sacerdote che, guardando indietro alla sua vita tormentata fa un bilancio coraggioso e definitivo?  "Dopo Dio non ho altro obietto delle mie cure e delle mie preci che la Madre di Dio" 

Antonio Jerocades. Jerocades. Keywords: filosofia della massoneria, Esopo in Italia, lira focense, giaccobinismo,  ‘repubblica romana” “repubblica partenopea”le odi di pindaro – Grice on Plato’s Republic. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754276139/in/dateposted-public/

 

Grice e Jervolino – ermeneutica del dialogo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sorrento). Filosofo.  Grice: “I like Jervolino, but then I like any philosopher of language! He is a Ricoeurian, and I’m a Griceian!”essential Italian philosopher. Allievo di Piovani. Insegna a Napoli. Collabora con diverse riviste specialistiche di filosofia (Filosofia e Teologia, Studium). Esamina aspetti riguardanti a Ricoeur, tra cui:  la ricerca di un filo conduttore unitario all'interno della sterminata ermeneutica (“Il cogito e l'ermeneutica: La questione del soggetto e la inte-azione” (Procaccini, Napoli). Messa in questione del soggetto chomskyano auto-centrato e auto-trasparente.  Ricoeur appare nei suoi studi come caratterizzato dall'attenzione verso le peripezie del Cogito che, ferito e spezzato nella sua autosufficienza, cerca di ritrovare sé stesso attraverso un lavoro ermeneutico. Individua come centrale il paradigma della trans-ductio, trans-implicatura, trans-patia, come modello fondato sulla co-ospitalità conversazionale e la co-apertura all'altro conversazionale. Altre saggi:“Il cogitamus e l'ermeneutica. La questione del soggetto e sui interazione” (Procaccini, Napoli); “La filosofia senza assoluto” (Athena, Napoli) – cfr. H. P. Grice, “Absolutes” --;  “Logica del concreto, logica dell’astratto” -- “Ermeneutica della vita morale.” Newman, Blondel, Piovani, Morano, Napoli); “L'amore” (Studium, Roma); “Il segno della prassi. Saggi di ermeneutica, Città del sole, Napoli);“Trans-ductio, trans-implicatura” (Morcelliana, Brescia); “Ermeneutica ed implicatura” (Guerini, Milano); La traduzione, la traditio -- etica, Morcelliana, Brescia, “Etica e morale, Morcelliana, Brescia, Ricoeur e la psico-analisi (Angeli, Milano);  Quei ragazzi di nome Fausto Bertinotti Boys – Archivio Panorama. Grice: Jervolino is playing with Calvino. You see, Calvino, a rather unimaginative writer, wrote a collection of things he titled, in the whole thing and in the first part, “Glia mori difficili” – People would have forgotten about it had it not been for Nino Manfredi who brilliantly played the ‘soldato’ (to Bulco’s vedova) in ‘L’amore difficile’, sic in the singular but indeed, ‘L’avventura del soldato’ – in that collective film. Jervolino is having in mind this, and now poses Ricoeur as the widow and himself as the soldier. On top, he invites Ricoeur to write the prologue which he stupidly agrees to! Caputo has analysed the reciprocity of love and the stupidity of seeing it as ‘difficile’. The blame is Calvino – the original sin – who could have checked with the etymology of ‘difficilis’!”   Domenico Jervolino. Jervolino. Keywords: ermeneutica del dialogo. Refs.: Luigi Speranza, “Girce e Jervolino” -- “Two cartesian egos”. “Peripezie conversazionale”. “Peripezia ed implicatura”. “Cogitamus.” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753615386/in/dateposted-public/

 

Grice e Jommelli – musicista filosofo – filosofia italiana – muovere l’aria – l’azione melodrammatica -- Luigi Speranza (Aversa). Filosofo. Essential Italian philosopher. Mattei riporta il seguente aneddoto sul suo soggiorno in questa città. Andato in visita a Martini (già considerato come uno dei più sapienti musicisti d'Italia), si era presentato a lui come allievo, chiedendo di entrare nella sua scuola. Il maestro gli diede un soggetto di fuga che egli trattò con molta abilità. -«Chi siete voi?», chiese Martini, «volete burlarvi di me? Sono io che voglio apprendere da voi!» - «Il mio nome è Jommelli, sono io il maestro che deve scrivere l'opera per il teatro di questa città» - «È un grande onore per questo teatro avere un musicista filosofo come voi, ma vi auguro di non trovarvi in mezzo a gentaglia corruttrice del gusto musicale». Grice: “I like Jommelli. Like Speranza, I play the piano. My avant-garde compositions are thought to be too avant-garde, too. I especially recall with affection how I would trio with my father on the violin and my younger brother Dereck on the cello. Dereck became a professional cellist with Hampshire. My obituary might well read, “Professional philosopher and amateur cricketer” – well, Dereck is a professional cellist. With Jommelli we never know where the amour is!” La teoria degli affetti (in tedesco Affektenlehre) può considerarsi la prima forma retorica (in tedesco Figurenlehre) adottata nella storia della musica, infatti puntava a muovere gli affetti dell'uditorio; già i greci avevano la concezione che la musica potesse suscitare emozioni: è proprio da questo concetto che i teorici e i musicisti dell'epoca attingono per applicarlo alla loro musica (si parla nelle prime cronache rinascimentali di interi pubblici commossi dalla musica). Le autorità civili ed ecclesiastiche, consapevoli del forte potere della musica sulla psiche, la utilizzarono come veicolo dei propri messaggi propagandistici. Durante il '400 Marsilio Ficinoapprezzava di più le forme semplici e comunicative rispetto alla polifonia poiché la prima era maggiormente capace di muovere gli affetti, suscitare o placare le passioni umane rispetto alla seconda, che era vista come artificiosa e innaturale. Dello stesso parere era Vincenzo Galilei, che preferiva la musica greca per le sue capacità affettive.  Tra il '500 ed il '600 la teoria musicale identificava ogni affetto con un diverso stato dell'animo (es. gioia, dolore, angoscia) identificati da specifiche figure musicali definite figurae o licentiae (licenze). La loro particolarità era contraddistinta da anomalie nel contrappunto, negli intervalli e nell'andamento armonico, appositamente inserite per suscitare una particolare suggestione. Athanasius Kircher – gesuita matematico, musicologo ed occultista tedesco – nel suo Musurgia universalis (1650) afferma:  «La retorica [...] ora allieta l'animo, ora lo rattrista, poi lo incita all'ira, poi alla commiserazione, all'indignazione, alla vendetta, alle passioni violente e ad altri effetti; e ottenuto il turbamento emotivo, porta infine l'uditore destinato ad essere persuaso a ciò cui tende l'oratore. Allo stesso modo la musica, combinando variamente i periodi e i suoni, commuove l'animo con vario esito.»  (Athanasius Kircher, Musurgia universalis, Cap II, 1650) Questo trattato, conosciuto durante tutto il secolo XVIII, fu stampato anche a Roma nel 1650 e tradotto dal tedesco nel 1662. Tra le classificazioni e distinzioni degli affetti umani compilate nel Seicento, è da menzionare quella di Cartesio che, nel trattato Les passions de l'âme del 1649, ne distingueva sei ritenuti principali, quali meraviglia, amore, odio, desiderio, gioia e tristezza.  Invece Giovanni Maria Artusi ne L'Artusi, ovvero Delle imperfettioni della moderna musica (Venezia, 1600), attacca questa nuova forma musicale che utilizzava intervalli "così assoluti et scoperti", poiché trasgredivano le regole contrappuntistiche (per esempio le dissonanze non sempre sono precedute da una consonanza per risolvere su di un'altra). Monteverdi difenderà quella che lui definisce seconda pratica nell'Avvertimento del Libro quinto: queste licenze hanno uno scopo preciso, e devono essere viste in un nuovo modo di comporre, diverso dalla concezione musicale di Gioseffo Zarlino. Già dal Libro Terzo di madrigali infatti Monteverdi con le dissonanze intensifica e rende maggiormente pungenti le immagini proposte dal testo.  Il Vologeso was written in 1766, using a wordy libretto by Mattia Verazi, itself an extensive reworking of Apostolo Zeno's Lucio Vero (1700). The plot deals with the constancy of love in the face of great obstacles, in this case the love of Vologeso, king of the Parthians, and his wife Berenice. The Roman general Lucio Vero has defeated and captured Vologeso, fallen in love with Berenice, and spends most of Acts I and II seducing and bullying her into abandoning her husband. When Lucilla, daughter of the Roman emperor and Lucio's fiancee, turns up, she and the Roman emissary Flavio are disgusted by his behavior; Flavio, assisted by Vologeso, leads a revolt that results in Lucio's capitulation and the restoration of their freedom and their kingdom to Vologeso and Berenice. The plot allows ample opportunity for dramatic movement and spectacle, e.g., in Lucio's importunities and their rejection by Berenice, Vologeso's confrontation with lions in an arena, and the revolt that ends the opera.  The music is conventional in its use of recitative followed by arias, but forward-looking in that many of the recitatives in Acts II and II are accompanied by the orchestra rather than the traditional basso continuo - the arias are often in abbreviated da capo form so that they do not slow up the action, and the chorus and orchestra play a more considerable part in the proceedings than is usual in Baroque operas. Jommelli had no great gift for melody and the opera offers few memorable tunes, but he had a talent for brilliant vocal display and dramatic orchestral effects. The total effect is imaginative, lively, and attractive.  The casting is odd; with only one male voice and five sopranos it's hard to tell the characters apart. Odinius, Rossmanith, and Schneiderman all have good voices and are comfortable with Baroque style and ornamentation and expressive in their characterizations. Waschinski and Taylor are as good as most falsettists, though as usual their uneven voice production and unfocused tones set my teeth on edge, and Waschinski sounds much too feminine to make plausible the heroic figure of Vologeso. (I really do not understand why conductors and producers nowadays insist on using these voices in Baroque opera, a practice that has neither historical nor aesthetic justification.). The Stuttgart Chamber Orchestra is alert and responsive, Frieder Bernius keeps everything moving along briskly, and the sound is excellent. Il Vologeso doesn't stand up too well compared to the Italian operas of Handel or Gluck, but taken on its own terms and as presented here, it is thoroughly enjoyable  While Mozart may have claimed Jommelli’s musical style to be passé by the 1770s, Vologeso itself is a reworking of an already antiquated libretto by Apostolo Zeno, originally called Lucio Vero and first set by Carlo Pollarolo for Venice in 1700. Moreover, the version set by Jommelli and performed here by Classical opera is in fact a modification of a modified libretto. The new librettist Mattia Verazi had revised the by then popular version produced by Guido Lucarelli for Rinaldo di Capua’s setting of 1739 rather than Zeno’s original. The story is a familiar one, mingling political intrigue with love both unrequited and true. In the eastern provinces of the Roman Empire, Lucio Vero (Stuart Jackson) is victorious in battle and captures Berenice (Gemma Summerfield), wife of the Parthian king Vologeso (Rachel Kelly). Captivated by her beauty, Lucio Vero makes every effort to win her with the assistance of his minister Aniceto (Tom Verney). Meanwhile, Vologeso attempts to assassinate Lucio Vero but is recognised by Berenice, causing him too to be taken prisoner. Further complicating matters, Lucio Vero’s betrothed, Lucilla (Angela Simkin), has arrived in Ephesus with Flavio (Jennifer France), an ambassador from Lucio Vero’s co-emperor, Marcus Aurelius. After many separations of the faithful Vologeso and Berenice, increasingly cruel plots on Lucio Vero’s part to attain the latter, and the threat of civil war from Marcus Aurelius, all is resolved and the various couples are reunited without any blood being shed.  Although Zeno’s libretto is not remotely like those produced by later poets and composers interested in reforming operatic conventions, the play’s enduring appeal might well be attributed to its strong sense of spectacle, which coincided neatly with the objectives for reform. Indeed, the play contains on-stage depictions of Lucio Vero’s attempted assassination, Vologeso’s fight with a lion in the arena, and at least one ‘mad scene’ for Berenice in addition to traditional opera seria ingredients of triumphal marches, grand armies, and the obligatory chorus announcing a lieto fine. Sometimes I felt that this element of spectacle was lost in the context of a concert performance. Though that is of course an unavoidable casualty of this mode of presentation, it was further compounded by Jommelli’s own reluctance to capitalise on these aspects of the play as did other contemporaries. Furthermore, artistic director Ian Page writes in the introduction to the programme that besides the expected editing of the recitative, he chose to cut not only a number of pieces in their entirety, but also some arias’ middle-sections and their reprises in the interests of ‘maximising our potential to appreciate and enjoy the opera’. Of these, one was the opening chorus, which might have helped to restore some of this sense of grandeur, if indeed Page’s goal was to get a feeling of ‘[experiencing] what a typical eighteenth-century opera was like’.  Jommelli’s musical style in this opera has clearly moved on from the grand and expansive show pieces we find in his earlier operas, such as Didone abbandonata of 1747 (performed in London in 2014 and also reviewed here). With the exception of one or two numbers which might be said to respond to a more traditional heroic opera seria style, such Crede sol che a nuovi ardori, Flavio’s only aria, the focus in Vologeso is instead on creating a more declamatory mode and ‘realistic’ rendering of the dramatic and emotional content of the text. As such, the use of coloratura is generally much reduced and arias very often feel more like ariosos, often to the point that it feels like accompanied recitative intrudes upon melodic lines. The music is nevertheless still imbued with grace and lyricism, and is marked by sometimes fussy, yet fine, delicate and lace-like accompaniments. And there are some really good and interesting numbers too: the quartet Quel silenzio, Lucio Vero’s Se tra ceppi, Lucilla’s first aria Tutti di speme al core, the already mentioned Crede sol, as well as some very effective and attractive accompagnatos.  In spite of the title, this version (or at least as it has been presented to us with the cuts) nevertheless still focuses greatly on the character of Lucio Vero and his relationship with Berenice. Stuart Jackson’s performance came across as something of a slow burning affair, only really coming fully into the character after interval and reaching the apogee of dramatic intensity in his final aria. And yet it felt largely like Lucio Vero was being interpreted as being the youthful hero, the primo uomo role usually reserved for a castrato. This may well be due to Verazi’s redaction of the opera, which seems to me to result in a somewhat schizophrenic character, vacillating between tyrannical, or rather psychopathic, conqueror and lovelorn hero. This is effectively underlined by the kind of music with which Jommelli furnishes the character: languid arias with long, plangent melodic lines, such as his opening Luci belle and the cavatina Che farò? in Act 2, and a handful of arias which verge on aria di furia territory. To my mind, Lucio Vero’s actions are not driven by real love for Berenice but rather an overwhelming desire for power: not only in and of itself, but also power over others. To this end, his rejection of Lucilla is not merely an amorous choice, but a rejection of the power of Rome and the authority of his co-emperor Marcus Aurelius altogether. So too the psychological manipulation of Berenice in an attempt to bend her to his will. Thus, Stuart Jackson’s characterisation of Lucio Vero as the amorous lead did not always sit quite well for me, in spite of a good voice and elegant execution.  The performance otherwise had much working in its favour. I very much enjoyed Gemma Sutherfield’s portrayal of Berenice, and there was some excellently judged acting from Rachel Kelly. I have already mentioned Jennifer France, whose delightful aria was executed with all the charm and grace that the butterfly described in her text required. One did feel slightly for Tom Verney, his solid performance in his lone aria aside: his role of Aniceto was decidedly minor in this version of Zeno’s play, with the character’s love for Lucilla never really explored (again a shortcoming of the libretto). And, of course, the orchestra itself was as sharp and on-point as we have come to expect from Classical Opera.  My overall impression from the programme notes, however, is that Vologeso in and of itself was perhaps somewhat unconvincing to the artistic team in the first instance. Indeed, Page writes further in his introduction that ‘Jommelli does not belong among the truly great composers, to be sure…’. While undoubtedly there are countless flops littering the battlefields of eighteenth-century opera, and works that are best left to languish in obscurity, credit must be given where credit is due. And Jommelli’s legacy is by far too monumental to ignore. The assertion that ‘…much of the music of contemporaneous composers… sounds quite like Mozart for much of the time’ should rather be inverted: it is Mozart, his uniqueness notwithstanding, who is effectively a product of his time!  A final note: a future Classical Opera concert this year is to feature some arias from Semiramide by Josef Mysliveček, another figure well known to the Mozart family and whose work has occasionally been misattributed to the young Wolfgang in the past. A full opera of his at some point, further showing how Mozart was fully integrated into the existing musical landscape, would be most welcome indeed! Jommelli. Keywords: musicista filosofo, Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Jommelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754140329/in/dateposted-public/

 

Grice e Julia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Acri). Filosofo. Grice: “Julia was more of a poet than a philosopher; but then for Heidegger, philosophy IS poetry and vice versa!” -- essential Italian philosopher. Figlio di Antonio e da Maria Giuseppa Balsàno. Studia a Cosenza sotto Focaracci. Direttore del Telesio, periodico. Strinse grande amicizia Padula. La temperie culturale in ambito locale vede la difficoltà della Calabria a integrarsi nella nuova entità politica. Area essenzialmente contadina, la regione ha una classe dirigente che preferisce assoggettarla al clientelismo e alla sua arretratezza piuttosto che metterla al passo con zone del Paese più avanzate e progredite; perciò il mondo intellettuale d'avanguardia, deluso dalle speranze del 1848 e conscio del sottosviluppo, si volge verso il positivismo e il socialismo. Vive tra il tardo romanticismo e l'affermarsi delle innovative correnti costituite dal naturalismo e dal verismo, nella scia di Carducci e Verga. Le contraddizioni della sua epoca lo formano come un intellettuale spiritualista che rifiutail materialismo e in parte il mondo contemporaneo, e d'altra parte un sostenitore degli ideali socialisti, del riscatto delle masse disagiate e della glorificazione del passato della Calabria a partire dall'assedio degli Aragonesi e dei suoi conterranei coevi illustri, fra i quali Miraglia, VPadula, Quattromani, Tocco, oltre a Campanella. Accostatosi in un primo tempo al misticismo di Gioberti, si converte al verismo, alla ricerca del pragmatismo e di un modello di poesia di alto civismo che lo stesso Julia proclama nei suoi Sonetti e liriche. Parte dai miti popolari e dalle ballate della tradizione romantica per marcare orgogliosamente la storia della sua terra. Considerato il padre della letteratura calabrese, si interessa alle origini della cultura letteraria della regione analizzando anche alcune opere a lui precedenti. Il suo impegno regionalistico si concretizza in uno studio su Selvaggi, nel quale si individua un collegamento fra Galeazzo di Tarsia e le produzioni romantiche. Vi fu poi un saggio su Padula e un esame delle liriche riferibili all'Accademia Cosentina. Sa però spaziare oltre i confini delle sue terre, fino a richiamare Milton nel suo scritto dedicato a Padula. Oltre a uno studio su Monti, produce dei lavori anche su Mazzini, Poerio, Correnti, legati dall'attenzione alle tematiche relative al Risorgimento e perciò in convergenza con il proprio pensiero, che dal punto di vista della poetica si richiama ai modelli che il letterato individua in Leopardi, Berchet e Giusti, oltre che in Prati. A. Piromalli, La letteratura calabrese” (Pellegrini, Cosenza); Monografia su calabriaonline, su calabriaonline.com. Digital Storytelling su Vincenzo Julia a cura degli studenti del Liceo V. Julia di Acri, CS. Ovvero delle Famiglie Nobili e titolate del Napolitano, ascritte ai Sedili di Napoli, al Libro d'Oro Napolitano, appartenenti alle Piazze delle città del Napolitano dichiarate chiuse, all'Elenco Regionale Napolitano o che abbiano avuto un ruolo nelle vicende del Sud Italia.      Famiglia Julia A cura del Dott. Francesco Paolo Dodaro  Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina  Arma: d’azzurro alla fascia d’oro accompagnata nel capo da un destrocherio di carnagione tenente un uccello di nero e in punta da un albero radicato al naturale(1). Titolo: Nobile di Acri. Arma Famiglia  La famiglia Julia, in origine nota come de Giulia (2), figura fra le antiche e nobili casate di Acri (3) (Cosenza), città dove risulta presente sin dal XVI secolo. I Julia godettero sempre nella locale società di un buon livello di prestigio sociale come testimoniato dalle alleanze matrimoniali contratte con diverse famiglie patrizie fra le quali ricordiamo le seguenti: Benincasa, Candia, Capalbo, de Simone, Dodaro, Falcone, Fusari. Simbolo della condizione privilegiata della famiglia è il grande palazzo sito tra il rione Casalicchio ed il quartiere Piazza. Tale edificio, al cui interno si conserva la ricca biblioteca di famiglia, è abbellito da un portale lapideo sul quale spicca un mascherone sormontato da un’antica riproduzione in pietra dello stemma del casato. Il suddetto blasone è timbrato dalla classica corona a cinque punte che identifica i Julia come nobili. Acri, Palazzo Julia, portale  Nel 1506, con atto del notaio Gaudinieri, il sacerdote Nicola Maria Julia fonda una cappella privata sotto il titolo dell’Immacolata Concezione all’interno della chiesa di San Nicola di Bari in Acri (4) (situata nel rione Casalicchio). Nel 1706, Fabrizio Julia vende a Giuseppe Leopoldo Sanseverino un terreno dove e edificato l’imponente complesso del palazzo acrese dei principi di Bisignano, permutandolo con la casa e il fondo Macchia(5). Dal matrimonio fra il dott. Raffaele e la N.D. Giuseppina Capalbo nacquero Salvatore ed Antonio dei quali il primo (deceduto nel 1851) fu rinomato avvocato mentre Antonio viene ricordato come “Medico illustre” che “in età provetta, in pochi mesi, studiò leggi presso il Focaracci e ne apprese quanto ne anno i più maturi; onde s’incentrarono in lui il medico e l’avvocato” (6). Fra i personaggi celebri di questa famiglia ricordiamo il citato Raffaele, Governatore di S. Giorgio e Vaccarizzo. La figura cui si lega maggiormente la fama del casato è quella di Vincenzo Julia, filosofo, letterato e poeta. Allo stesso è intitolato il Liceo Classico e Scientifico di Acri. Nacque da Antonio e Maria Giuseppa Balsano (7), svolse gli studi presso l’istituto Molinari di Acri ed il seminario di S. Marco Argentano (8). Frequenta il seminario di Bisignano dove ebbe come insegnante il Canonico acrese Francesco Saverio Benvenuto, quest’ultimo colto latinista nonché teologo, filosofo e parroco maggiore di Santa Maria in Acri (9). Intraprese gli studi giuridici e per alcuni anni esercita la professione di avvocato poi accantonata a favore dell’insegnamento di materie letterarie, filosofiche e giuridiche (10).  Quanto alla sua produzione filosofica questa fu “quella del poligrafo (letteratura, filosofia, storia, cultura calabrese)” inoltre “Nei suoi studi predilesse la valorizzazione e la riscoperta di figure regionali poiché gli pareva che la Calabria fosse dimenticata e poco apprezzata dopo la raggiunta Unità”(11). Fra le sue opere ricordiamo: Saggio sulla vita e le opere di G.V. Gravina, Saggio di studi critici su Vincenzo Selvaggi e la Calabra poesia, Terenzio Mamiani e i suoi dialoghi di scienza prima, Francesco Fiorentino filosofo, Lettere al figlio Antonio su Cesare, De Sanctis in Calabria, Vincenzo Monti. Nel 1864 sposò Gabriella Fusari(12) e da tale matrimonio nacquero: Antonio, Francesco, Mariannina e Giulietta(13). Si spense il 4 maggio del 1894 in Acri. “Telesio,” rivista codiretta da Vincenzo Julia    Antonio Julia, figlio di Vincenzo, fu avvocato e raffinato poeta   sposa, in prime nozze (14), Mariantonia Dodaro, figlia dell’avv. Giovanbattista e di Cristina Benvenuto. Il loro fu un matrimonio felice e allietato dalla nascita di Maria Gabriella(15), Vincenzo (1896† 1924) e Antonietta(16) (1897 † 1978).  Antonio Julia e sua moglie Mariantonia Dodaro  Antonio Julia fu legato da sincero amore a sua moglie e quando questa prematuramente scomparve, riversò il suo dolore in alcuni toccanti componimenti poetici che rappresentano una struggente testimonianza del suo dramma interiore e assieme della sua spiccata sensibilità d’animo.  AL CROCIFISSO DEL SUO LETTO Non più le sue lucenti Pupille a te si volgeran la sera; non più per le dolenti mie stanze echeggerà la sua preghiera…  O tu, che pendi ancora, mistico Iddio, sul vedovo mio letto, volgi le luci ognora sovra i miei figli e sul paterno tetto!  Dimmi che ancor le rose Olezzano per te, vigile Iddio, le parole amorose che a te rivolse, ne l’estremo addio…  Dimmi che ancor tu senti La voce sua, ne l’ombre de la sera, e che, in soavi accenti, mormora pe’ suoi figli una preghiera!..(17) Note: (1) - Gli smalti dello stemma Julia sono noti grazie ad una raffigurazione del blasone in oggetto riportata dallo storico acrese Raffaele Capalbo (1843-1921) in un suo lavoro inedito sull’araldica delle famiglie nobili di Acri. Nella riproduzione del blasone dei Julia, visibile ancora oggi sul portale del loro palazzo in Acri, il destrocherio appare vestito. (2) - Per approfondimenti si rimanda a M. G. CHIODO, L’Archivio Privato della famiglia Iulia di Acri - Inventario sommario, in “Archivio Storico per le Province Napoletane” (3) - Per un elenco completo delle famiglie patrizie di Acri si veda R. CAPALBO, Memorie storiche di Acri, S. Giovanni in Persiceto (BO), Edizioni Brenner, (4) - R. CAPALBO, op. cit., p. 88. (5) - Ibidem (6) - Ibidem (7) - Quest’ultima, appartenente a una famiglia originaria di Rogiano Gravina, era sorella di Ferdinando Balsan,  letterato e deputato del regno d’Italia nonché preside del liceo Telesio di Cosenza. Lo stesso figura tra i maestri del nipote Vincenzo Julia.  A. PIROMALLI, La Letteratura Calabrese, vol. I, Cosenza, Pellegrini Editore, (8) Ibidem (9) - Ibidem  (10) - Ibidem (11) - Ibidem (12) - Per approfondimenti su alcune vicende storiche che interessarono la famiglia Fusari si rimanda a R. CAPALBO, op.cit.,  (13) - https://juliavincenzo.atavist.com  (14) - Alcuni anni dopo il decesso della prima moglie, si unirà in matrimonio con Maria Beatrice Antonietta Romano di Acri. (15) - Poi sposatasi con Carlo Giannice (1887 † 1966). (16) - Andata successivamente in sposa a Giuseppe dell’Armi (1877 † 1962). (17) - A. Iulia, Momenti, S. Maria Capua a Vetere, Casa ed. Della Gioventù, p. 36. Si veda anche il componimento intitolato “Alla Vergine della Sua Stanza”, Ivi p.37.  VINCENZO JULIA Questoegregio giovane,sucuifondiamo, abuondritto,non pic cola speranza, per le diverse prove del suo nobile ingegno fin'ora dateci, coltiva con forte, inteso amore le filosofiche discipline,tutto solo rannicchiato in piccol paesuccio delle Calabrie, Acri. Egli, da quello n'è sembrato, predilige la filosofia di quel sommo Torinese filosofo, che col suo Primato Civile e Mormale D'Italia fanatizzò tutti isuoi connazionali per la dupla autonomia del loroPaese,Libertà ed Indipendenza;econl'Introduzioneallostudio dellaFilosofia, la Pro tologicaed altre opere speculative ispirò nei cultori di questa no bilissima scienza l'amore delle nazionali dottrine. Vincenzo Julia a dunque è un giobertiano , un ontologo , e per lui quindi sta che l'Ente, il Primo Essere, Colui che dà l'essere a tutte cose, non però spezzandosi, non diffondendosi, nè emanandole dal suo seno, c o m e ilragnoilragnatelo;ma liberamente creandole;per luidico sta, che l'Ente, l'Assolutoreale, non astratto,quale il pose,il procla mò Giorgio Hegel, è il Primo Filosofico, cioè a dire è non solo il Primo Essere o Primo Ontologico ; ma anche la Prima Idea o Pria mo Psicologico. Sicchè non solo anno le cose tutte da Dio l'essere loro, ma anche la loro intelligibilità. Verità già insegnatadal fon datore dell'Accademia , il divino Platone , il quale disse che l'Idea di Dio è pelmondo intelligibile quello che il sole è pel mondo visibi le,e che l'essere assoluto dà alle menti nostre l'esistenza e spande su loro e sugli obbietti della scienza illume della verità« detí v 8.& Tlothuns oùoxv xai adnocías» come il sole, che non solamente rende vi sibili le cose , m a dona loro eziandio il nascimento , l'accrescimento e la maturita « τον ήλιον τοϊς ορωμένοις ου μόνον , οίμαι τήν του οράσθαι δυναμιν παρέχειν φήσεις , αλλά και την γένεσιν αυτών όντα ». Quindi pel'Julia sta quel metodo detto deduttivo,osillogistico, che dai principii va alle conseguenze,ma noncome pretendeva ilfondatoredelPeripato,ilqua le facea il sillogismo posteriore all'induzione, ed il cui scopo non c o n sisteva in altro che in applicare i principii alle cose particolari a meglio rifermarle. Il Julia ha capito bene , che l'induzione non può darci punto tanto iprincipii proprii a ciascuna scienza, quanto iprincipii co muni ed assolutamente universali.I principii sono ontologici edori ginalmente presenti alla intelligenza, secondo diceva ildivino Pla tone,e nongià puramente logicied astratti,secondo diceva Aristo tile, che livoleva prodotti la merce dell'intelligenza con gli elementi fornitici della sensazione. Nè debbe dirsi che il Julia neghi l'indu zione : ei l'ammette, e nel senso di venir essa provocata, sostenuta e guidata in noi dal lume di certe idee generali sempre presenti al l'anima nostra,essendoun impossibile elevarsi da qualche fatto in dividuale e variabile all'idea della legge generale e permanente, sen za averci di già nella mente, almeno in una maniera vaga e con    fusa, l'idea di ordine, di generalità e di stabilità. Laonde dice La foret nella sua Storia dellaFilosofia Antica,in parlando di Aristo tile « Comment s'élever de la perception de faet contingents et relatif à l'idée de principes nécessaires et absolus, si le necessaire et l'abso lu sont entieremant étrangers à l'intelligence? ». Dunque pel Julia , come per ogni giobertiano, si deve partire di Dio per costruire la scienza filosofica « ossia dalla idea somma ed improdotta , perché è quel principio supremo che illumina e rende conoscibili gli altri principiimeno generali e senza di cui non potrebbe aversi quella sintesiobbiettiva,cheargomentadinecessitànelsuomoto organico la gerarchia dei principii scientifici ; e deve radicarsi in un prin cipio assoluto,supremo,universale,immutabile, ilquale, reggendo colla sua virtù ogni singolar passo del procedimento razionale, ac corda ed unifica tutti imomenti del discorso ideale, e tutta insieme 1.umana enciclopedia. Laonde diceva saviamente nel suo dotto di scorso intorno alPanteismo il Prof. Enciro Attanasio, direttore del Periodico La Carità diNapoli« Sintesi senza gerarchia di priucipii io non intendo nell'ordine dell'idee, come non vedo nell'ordine u mano sociale e nell'ordine fisico di natura. E ingradamento di ge rarchie che ponga in atto una sintesi universale torna impossibile a concepire pur col pensiero senza un principio supremo, essenzial mente uno ed immutabile, che sia il centro immoto che governi i moti del multiplo e del diverso e tragga a sè ed accordi il multi ploedildiverso».Laonde,lasciandochel'induzionenon condu ca ai principii , a ciò che è universale , sia che dessa fosse posi tivistao come la intende ilPositivismo moderno, siache fosse anche nel senso di Aristotile, ci facciamo a lodare il Julia per avere ei scelto quel sistema, che parte dall'idea dell'Assoluto reale per co struirela scienza,non sipotendo,pertanteetanteragionidettee ridette,porsi per primo conoscibileciò che non è prima cosa; per chè sarebbe, seguendo questa via, un turbare l'armonia della scien za filosofica; giusta che vien fatto dai psicologi, i quali partono dal contingente, ed oșano spiegare l'assioma degli assiomi, la verità pri ma con la verità seconda, e separare l'ordine di esistenza da quel lodiconoscenza, ilprimopsicologicodalprimoontologico,dando que stoperprimofilosofico.Diquinonpotremmo essererimproveratiche atorto,sedicessimo,che iseguacidelpsicologismo diAristotile,(non però di quelle di S. Tommaso ch'è ben altro, siccome dimostrammo in un'articolo riguardante questo S. Dottore, già publicato nell'Ate neo di Torino ) siam lontani da una vera scienza; perché, come dicem mo di sopra, la scienza è con la sintesi, e la sintesi co'principii,e la gerarchia dei principii scienziali nel principio sommo, Dio, radica ta.Siechèscienzasull'analesiè scienzaeffimera,èscienzadinome, essendo disgregazione, e tale è la filosofia di Aristotile,siccome è conto da quei due principii ammessi da lui « Nihilest in intellectu,quod prius non fuerit in sensu » e che l'anima nostra si rassomiglia ed una tavolarasa« Δείδ'ούτωςώσπερενγραμματειωώμηθένυπάρχειεντελεχεία γεγραμένον.  82 È quantunque fosse vero,che Aristotile ammettesse l'intelletto at tivo profondamente distinto dalla sensibilità, essendo quello che opera   83 $¢%su ciò che ci vien porto dalla sensazione, per tirarne od indurne avec lemonde intelligible;sun intervention n'apportedonerien de now eri veau à ce qui est déposé dans l'àme par suite de la perception des 0C sens, il nepeut qu'exercer son activité et travaillier sur ce qui est racu dans l'intellect paseif. L'intellect actif d'Aristote nous semble jouer , redans la formation de la connaessance,un rôle exactement samblable à 1021"celui que joue la reflexion de Locke; ni l'un ni l'autre n'ajoutent ta rien à l'objet fourni par la sensation, toute leur action seborné à éla: )doaborer cet objet» Dunque nonpuò farsi ammeno di ammettere col ret.Julia e la scuola giobertiana l'apprensione diretta ed immediata , din cioè l'intuito dell'Assoluto, e ritenere essere questi la prima idea, la l'oprimaconoscenza,che,perla viadiun primo guardare,vieneal. into:l'intelletto umano nello stato d'intenebramento, che la riflessione di in poi, la quale èun secondo intuito od un ripiegamento dello spirito e sopra il primo intuito, chiarifica e fissa, e non già che la si acqui isti e conosca in forza del raziocinio, passandosi dalla cognizione a iilistratta, ottenuta per la via dell'induzione, a quella concreta del V e on& ro Assoluto, avendo ben dimosorato altrove, che i psicologi si tro fost vino in grande errore, credendo ed insegnando, che Dio siccome ve fosesritàassiomatica,essendouniversale,necersariaed immutabile,debba 18 essere astratta,e che vi bisogna di forza indispensabilmente il ra ley ziocinio per ascendere, mediante essa verità astratta, al vero primo buik ed assoluto, mentre, siccome facemmo notare in proposito del P. M i lone Insomma,senzamenarla piùinlungo,dellainsignescuola on anda tologica è il Julia, siccome l'ha mostrato co'suoi vari scritti di ar veratgomento filosoficoeconquello, veramentestupendo,Discorsointorno allavitaedalleoperediFernandoBalsano,incui,prendendoa consi ost: d e r a r e q u e s t o d i s g r a z i a t o d o t t o C a l a b r e s e , d i v e n u t o v i t t i m a d e l p u g n a ledi un assino, e,considerandolo non solo quale oratore egregio ed acutocritico,ma anche qualeillustre cultore dellescienzefilosofi cinc c h e , e f o r t e a m a t o r e d e l s i s t e m a o n t o l o g i c o , p a l e s a a c h i a r e n o t e i s u o i O. * p e n s a m e n t i i n f a t t o d i f i l o s o f i a , c h e s o n o i n d u b i t a t a m e n t e q u e l l i d e l P l a diotonismo, cristianizzato da S.Agostino,ammirato da S.Tommaso e på Dante, divulgato neitempi modernidalGioberti, ed abbracciatodalla th, maggior parte de'pensatori nostrani. Questo libro del Julia , che ci avemmo in dono da lui medesi i mo , palesa ad evidenza non solo la scuola filosofica cui appartie ne; non solo la lucentezza delle idee , ond'è corredata sua mente ; e nonsolol'affettoperlapatriagrandezzaquantoapolitica,governo e civile,scienze,lettereedarti;ma dàancheprovadellaperiziache l'universale ed elevarci sino alla concezione dei principii; pure non to bisogna dimenticarci che nella teoria dello Stagirita è desso affatto & vuoto, senza alcun rapporto diretto col mondo intelligibile,da potersi pelo d i r e c h e n e l l a c o n o s c e n z a e s e r c i t i l ' u f f i c i o n è p i ù n è m e n o d e l l a r i ostruflessionediLocke.Edice bene ilLaforet «Danz latheorieduSta ta, girite l'intellect actif est tout a fait vide et n'a nul rapport direct «Profilo Bibliografico pubb. nella Rivista Itoliana di Palerino ela:Anno IV,N. 11,nonci ha cosa più chiara, che essa verità assio -artormatica primitiva è obbiettiva in sommo grado,appunto per le sue veritacaratteristiche di universalità, necessità ed iminutabilità. COSS me adal tile. // ne    84 ha ei nell'idioma nazionale. Sicchè è a rallegrarci con lui dei buoni studi,dell'amoredellenazionalidottrine dell'eccellenzadelsiste ma che ha adottatonelle scienze speculative,anteponendo (fra idue sistemi che veramente possono dirsi i più perfetti, essendo ambo sin tesisti, cioè a dire razionalo-empirici od empirico-razionali ) l'onto logismo alpsicologismo,e,fuggendo, quelloche èpiù, gli eccessi del razionalismo e dell'empirismo,e quei tali sistemi erronei, idea lismo epositivismo,pei qualidelira lagioventù moderna,da cui cam minandosidiquestopasso,noncipossiamoattendere,senon un ar veniresventurato. ProsegvailgiovaneJuliaisuoistudii filosofici, e ci offra lavori speculativi di maggior lena, per poterlo vie meglio ammirarlo, e rallegrarcene con lui.  Delle dottrine filosofiche e civili di G. V. Gravina per Fer dinando Balsano, con saggio sulla vita e sulle opere del Gravinapelprof.VincenzoJulia.— Cosenza,Tip.Mi gliaccio, 1880 (un vol.di pag.CIV-410). G. V. Gravina di Rogiano (1664-1718) è considerato dai più come poeta e letterato segnatamente pel suo trattato della Ragione poetica,e come insigne giureconsulto, specie per lasua opera De ortuetprogressujuriscivilis.Ma eglime rita,sotto un certo rispetto,d'essere altresi considerato come filosofo e per le dottrine speculative che professava e per quei sommi principii a cui s'informano i suoi scritti di G i u risprudenza e di Filosofia civile, dovendo le scienze partico lari e d'applicazione, quali sono appunto le discipline giuri diche e pratiche.esser precedute ed illuminate da una scienza speculativa più alta ed universale,cioè dalla Filosofia pro priamente detta. A nostri giorni il calabrese Ferdinando Balsano si pro pose di far meglio conoscere le dottrine filosofiche e civili del Gravina, studiando accuratamente e con intelletto d'amore le opere del suo grande concittadino.Ma ilBalsano,non che pubblicarlo,non potècompiereilsuolavoro,perchè trafitto dal pugnaledell'assassino!Ilprof. Vincenzo Juliaha raccolto la sacra eredità del suo venerato maestro,dettando un'eru dita ed ampia monografia sulla vita del Gravina, e pubbli candola insieme al lavoro inedito del Balsano. In questa vita  e   troviamo uno specchio breve ma fedele dei tempi del Gra vina, specie riguardo agli studii; la pittura del carattere morale del pensatore rogianese,un cenno de'suoi numerosi scritti e de'suoi meriti letterarii. L'opera del Balsano,dettata in una forma quanto castigata altrettanto elegante ed elevata,contiene una larga esposizione dei pensamenti del Gravina diretti a coordinare tutte le sue meditazioni di filosofia speculativa e di morale , di religione edidiritto,diesteticaed'insegnamento,dipolitica edi civiltà.È divisainduelibri.Nelprimosiragionadelledot trine civili. Quanto alla filosofia, dal Balsamo si cerca dimo strare che il Gravina, studioso delle tradizioni dell'antica filosofiaitalo-greca,siattenne specialmente alla dottrinepla toniche(comeapparisceanchedall'OrazionesuaDe instaura tione studiorum),armoneggiandole col progresso della civiltà cristiana,delle scienze particolari e massime del Diritto,egli cheavevameditatoleoperedeisommi giureconsultiromani, e che aveva piena la mente ed il petto della grandezza di Roma antica. Le dottrine platoniche da lui professate gli fecero innalzare la mente ai principii sommi del Diritto, a meditare la riforma delle dottrine civili,ed a comprendere la sintesi el'armonia delle parti principalidel sapere.Difatti, il Gravina vedeva la scienza umana come un'armonia e ricordava la piramide in cui egli dice espressamente avere gli antichi savi simboleggiato la scienza umana e la natura delle cose : il che significa che per lui l'ordine della scienza risponde a quello della natura, l'idealità alla realità; e come il primo vero è l'idea divina nota da principio all'intelletto creato, così il primo essere è Dio creatore della scienza e dellanatura.Tutto l'ordinedeicontingentirealihasuacausa efficiente nell'Assolutoche licrea;tuttol'ordinedelle cono scenze empiriche ha sua origine nell'idea eterna, presente sempre all'intelletto umano e norma o tipo a cui si riscon trano le cose finiteapprese per esperienza sensibile(pag.162). E sotto questo aspetto può dirsi che ilGravina precorresse al Gioberti,che in cima del sapere e dell'essere doveva porre Diocreatore.Adunqueilcontemporaneo delViconon segui le dottrine del Locke, ma invece quelle più elevate di Pla Vol. XXII.  225 Disp. 2. 15   tone e del Cartesio, quantunque non și mostrasse sempre giusto verso Aristotile. Ma se al Gravina non può negarsi un certo valore filo sofico, i suoi veri meriti risguardano, più che la Filossfia elaLetteratura,laGiurisprudenza.Preceduto daAlberico Gentile, da Francesco Bacone e dal Grozio, il Gravina non solo ricercava l'origine del Diritto e ne indagava iprogressi (De ortu et progressu juris civilis), ma sapeva altresi elevarsi alle idealità o ai principii supremi del Diritto. Quindi è che a lui debbono molto la Storia del Diritto, specie,diquelloromanocheinsegnavainRomastessa,ela Filosofia del Diritto. Il Gravina, esaminando l'origine e la natura del Diritto, non lo separava dalla Morale come oggi fanno taluni, perchè nella legge morale,da cui scaturiscono tutti i doveri umani, trova pure il suo primo e vero fon damento il Diritto. Egli precorse al Savigny da un lato, al Vico e Montesquieu dall'altro, interpretando con larghezza di veduta la storia civile e giuridica di Roma. Il Balsano si era proposto di ritarrre ilGravina non solo qual eminente giureconsulto, sì ancora qual filosofo civile, mostrando com'egli additasse le norme eterne d'ogni società umana (che ammetteva come un portato della natura) nella vita privata e pubblica, nell'ordine privato e politico. Ma ripetiamo,ilBalsano non potè compiere l'opera sua;la quale delresto,merita di essere conosciuta e studiatadai cultori della Filosofia e delle scienze giuridiche, benchè ci sembri scritta con entusiasmo soverchio verso ilproprio concittadino risguardato come filosofo.  DISCORSO Recitato nella sala dell' Accademia Cosentina ). Piansi,o Signori,nella mia pensosa solitudine,la morte immatura del caro Fiorentino, che mi fu amico e fratello !; vengo ora a glorificarne l'ingegno nel tempio della scienza, innanzi al simulacro del vecchio Telesio, al cospetto di dotti Accademici,di fervidigiovani,dieletti ingegni,di distinti Professori, che meglio di m e , nato e cresciuto nelle m o n tagne, potrebbero valutarne i forti studi e la vasta intelli genza. Parlerò con franchezza, senza adulazioni rettoriche, senza intemperanze di lodi; dinanzi ad uomini gravi ed a u steri le apoteosi e la rettorica sono un fuordopera. La pa rola mendace sarebbe un insulto alle ceneri di Fiorentino, uomo sovero ed aperto, che disdegnò il lenocinio e le bel lezze oratorie, seppe dire con schiettezza di calabrese la v e rità ad amici e nemici, e fu audace demolitore del vecchio m o n d o ; inesorabile agl'ipocriti ed ai ciarlatani. Nella rioca personalità del Fiorentino grandeggia il filosofo ed il pensa tore;lascio,per ora,ad altri di me più competenti, esami nare il letterato, lo scrittore, ed il cittadino; io vi parlerò soltanto dell'Autore del Giordano Bruno;del Saggio Storico sulla Filosofia Greca ; del Pomponazzi e del Telesio; quat tro titoli di gloria , che basteranno a rendere immortale il nome di Francesco Fiorentino. 1 Vedi il mio articolo sul Fiorentino pubblicato nell'Avanguardia n u meri 101-102, riprodotto dalla Gazzetta Calabrese e dal Calabro in Catan zaro; dal Corriere del Mattino e dall'Ateneo, in Napoli.  74 GIORNALE NAPOLETANO   FRANCESCO FIORENTINO 75 L'Italia , o Signori, fu scossa nei principi del secolo, dopo la grande Rivoluzione dell'ottantanove , dalla parola del nostro Galluppi, che il Gioberti chiamò il Nestore della sapienza italiana. Senza mistiche intemperanze , senza voli metafisici, ei richiamò, nuovo Socrate, la mente degli Ita- liani ad indagare il m e e la coscienza ; a scrutare profon - damente ilsubbietto umano;e,rigettando lequiddità scola- stiche ed il sensismo di Condillac e di Tracy, contribui à rinnovare presso di noi il metodo naturale , e fu salutare reazione all'esorbitanze speculative del secolo decimottavo , Conscio della esigenza storioa del secolo decimonono,il Gal luppi iniziò presso di noi lo studio della storia della filoso. fia ; indovino , pur combattendola fieramente , l'importanza speculativa della sintesi a priori, che in parte accetto ; e, benchè avesse trascurata la Rinascenza,Telesio,Bruno, Cam . panella, può dirsi , il vero educatore dello spirito filosofico in Italia. La Calabria, terra delle grandi iniziative e delle magnanime audacie, si elevò col Galluppi all'altezza del pensiero moderno, e fu, sarei per dire, la squilla settimon tana del Campanella, che risvegliò in Italia il pensiero lai caleedumano,ilpensieropuro eduniversale.IlFiorentino, nella sua prima gioventù , studiò il Galluppi, ne comprese l'indirizzo storico, o gli piacque la nuova e socratica spe culazione, che un modesto filosofo iniziava nella estrema Calabria, sulle rive di quei mari, che ripetono ancor l'eco delle armonie pitagoriche. Il Galluppi, con le sue serene e casalinghe meditazioni, non bastava ad appagare il libero ed irrequieto ingegno del Fiorentino , aquila delle montagne , che volea spezzare le pastoie del vecchio mondo e della speculazione galluppiana. In mezzo a queste ansie intellet. tive sopravvenne il Gioberti a scuotere le menti dei Meri. dionali con la magica parola ; ed il Fiorentino, assetato di ideale e di patria, come tutti i forti ingegni di Calabria, accettò anch'egli la mistica speculazione giobertiana , o fu idealista platonico ed ortodosso. E chi potea, pria del ses    santa, resistere al fascino del Gioberti? Chi rinnegare la p a tria, ch'egli glorificò nelle pagine immortali del Primato ? Il Guerrazzi chiamò il Gioberti scintilla piovuta dal Vesu vio sulla cima delle Alpi : veramente ci è in lui l'audacia, la fiamma profetica, la divinazione geniale del Mezzogiorno; ci è Vico e Campanella , S. Tommaso o G. Bruno ; ci è la fede dei credenti, lo spirito ribelle dei tempi nuovi, l'ome rica fantasia di Platone , l'austero sillogismo di Aristotile. Nei dolori dell'esilio,egli scrisse la Teorica del Sopranna turale, ch'è l'apoteosi della vecchia ortodossia ; riassunge nella Introduzione tutto il passato teologico e tradizionale, rinnovò il realismo del Medio -Evo , sposandolo al pensiero moderno; risuscitò nel Primato, con l'entusiasmo del pro feta, i titoli della nostra grandezza, e lanciandosi col volo dell'Aquila alpigiana nel grembo dell'Essere , credette di averne interrogate le profondità, ringiovanito il vecchio Dio della Scolastica , e sciolti tutti i problemi con la formola ideale e con l'Ente creatore. Gioberti non arrestossi a metà; e,ringagliardito da nuovi studî, ingegno audace e progres · sivo, com'era, accettò gran parte della speculazione moder na, e, spastoiandosi dal vecchio teologismo, dalle utopie del Primato , inaugurò la nuova Italia col Rinnovamento ; la nuova Scienza con la Protologia, e la nuova Chiesa con la Riforma Cattolica , e con la Filosofia della Rivelazione ; sebbene non interamente emancipato dalla vecchia ortodos sia. Ai tempi che il Gioberti pubblicò il Rinnovamento, ed il Massari le Opere postume del suo grande amico, le C a labrie erano chiuse dalla muraglia cinese,ed ilnuovo pen siero laicale del Gioberti non potè penetrare nei nostri b o schi. La gioventù era ancora innamorata del misticismo e della formola ideale; i vecchi eroi della Rinascenza non erano ancora conosciuti tra noi ; o B. Spaventa , esule a Torino, dove pubblicò dal 54 al 56 i suoi stupendi Saggi Critici su Bruno e Campanella, era quasi ignorato in Calabria. Il Fiorentino, non bisogna nasconderlo,avea subito an.  1 FRANCESCO FIORENTINO 77 Scrisse allora a Napoli il Giordano Bruno , un Saggio giovanile, come schiettamente confessa l'Autore ; composto nel 1861 in tutta fretta nelle vacanze , e disteso in soli v e n totto giorni.Quel Saggio, benchè imperfetto, segna ilprimo momento della critica evoluzione del Nostro in filosofia, il passaggio , cioè , dal vecchio dommatismo giobertiano alla speculazione libera e laicale dei tempi moderni. Nello studio del passato il Fiorentino trovò la spiegazione dei posteriori sistemi;e,poichè non poteva valutare le teoriche del Bruno, senza risalire alle origini,guardò la Dialettica nelle scuole di Crotona , di Elea e di Alessandria , e ne rilevò con sa gace giudizio l'importanza speculativa nel gran dramma del greco pensiero.Si occupò,egli ilprimo,presso di noi,della stupenda Dialettica del Cardinale di Cusa, e ne indagò i le gami col sistema del Nolano , dove causa e principio sono una medesima cosa , e la esteriorità della causa e la inte 1 Leggeva i SS. Padri in una cella di monaci: ne trascrisse molto ; e ne pubblicò alcune opere nel 1858, a Messina, voltandole in italiano. 2 Stefano Cusani; G. B. Aiello; Giuseppe del Re; E. Salvetti; S. Gatti; i Fratelli Spaventa; P. E. Imbriani; De Meis; Tari; Savarese; Perez; M a n cini;De Sanctis;Marselli;Trinchera;Turchiarulo;Floriano Del Zio;F. Quer cia ed altri.  pen siero germanico, diffuso nel Mezzogiorno dal 40 al 60 dai più forti ingegni del Napolitano ?; indovinò la grandezza spe - culativa della Rinascenza , e si sentì attratto dall'eroica fi gura del Nolano. ch'egli l'influsso dei Santi Padri ',e,principalmente, come dicemmo, del filosofo Torinese, che da lui studiato profon damente in gioventù, non fu dimenticato nella età matura, in mezzo ai più splendidi trionfi del suo ingegno. Venne però il sessanta, con le sue titaniche audacie, e con le sue immortali demolizioni a svegliare il Fiorentino dalla sua fede dommatica e dal suo sonno ortodosso;e,benchè non ancora emancipato dal vecchio Gioberti,si volse a studiare il   riorità del principio si ricongiungono nell'Uno ,ch'è insie me causa e principio. L 'Uno nel sistema del Nolano, è to talità assoluta; vale a dire che come principio della forma zione dello cose è minimo,come totalità perfetta ó massimo; come identità delprincipioedellafinepigliailnome diUno, ove tutto si assorbe, come in vasto ricettacolo; ove il pensiero e la realtà si confonde in una identità suprema. In ciò con . siste il Panteismo di G. Bruno , che il Fiorentino rigetta, soggiogato dal vecchio Gioberti , confutando l' eccletismo poco omogeneo , gli ondeggiamenti e le contraddizioni del Nolano , che fonde insieme la Causa dei Pitagorici, l'Uno degli Eleatici , ed il Principio degli Alessandrini. E pure , ad onta delle prevenzioni ortodosse e giobertiane , il F i o rentino non disconosce le novità laicali, di cui è ricco il sistema del Bruno; la maggioranza del pensiero, la menta lità, che splende come intelletto divino, mondano , partico lare,ed ilconcetto direlazione,ch'è tanta parte dellaPro tologia del Gioberti , e costituisce il verace assoluto ; l'asso luto , cioè , della moderna speculazione. Dallo oscillare del Bruno tra la Scolastica e la Rinascenza deriva che il finito ora è una vana parvenza, ora la massima realtà; ed il N o lano ondeggia tra Eraclito e Parmenide , tra il flusso c o n tinuo e la rigida immobilità. Il Fiorentino mette Giordano Bruno in relazione con Spinoza e Schelling , ne nota col solito acume le differenze e le somiglianze, o conclude che i tre filosofi si rassomigliano nella prospettiva generale del sistema, hanno il medesimo intendimento di unificare la scienza e d'immedesimarla col mondo ; cercano fuori del pensiero il centro della loro unità , e costituiscono quella serie di Panteisti, che si dicono obbiettivi; l'Uno, la Sostan za,l'Assoluto sono tre creazioni parallele.Il Fiorentino ana lizza del pari la Dialettica di Hegel e di Gioberti , m o n u menti immortali della moderna speculazione, e nota che in Hegel e Gioberti contrastano due tradizioni, due filosofie, e due nazioni; la filosofia della creazione e la filosofia della   identità, il cattolicismo ed il razionalismo, l’Italia, patria di S. Tommaso o di Dante,e la Germania, patria di Lutero e di Göthe. Fiorentino, senza sconoscere la importanza della filosofia tedesca, glorifica la vecchia formola giobertiana, il cattolicismo e la rivelazione; rigetta quasi il pensiero m o derno, desidera il rinnovamento della antica filosofia italia, na,e,collocandosuglialtariilGiobertidella Teoricaedella Introduzione, chiude il Saggio con queste parole: «Giova « netto ancora,sognava che il nome di V. Gioberti suone « rebbe terribile sui campi di battaglia, e venerando tra le « arcale della Università. Quel mio sogno giovanile si è av « verato in gran parte e la indipendenza e l'unità della « mia patria,propugnata da quel grande statista, è presso « a compiersi ; mi sarebbe ora assai dolce il vedere una « scuola ed un'accademia iniziarsi, diffondersi , giganteg « giare in quel nome si caro ad ogni italiano, con quella « formola,che assomma la scienza e la fede dei nostripa. « dri. Da esse soltanto noi potremo sperare giovani, c o m « pagni di quelli che combatterono a Curtatone, e cacciarono « gli Austriaci da Varese e da Como.» Giordano Bruno portò il Fiorentino ad uno studio più accurato della greca filosofia, di cui è anche specchio e ri produzione,inbuona parte,laRinascenza italiana,dellaquale il Nolano è l'eroe ed il martire. Professore straordinario di Storia di filosofia a Bologna nel 1862, il Fiorentino si diede a studiare alacremente e con tenacità di calabrese Aristotile e Platone.Si fatti studii, come racconta egli stesso,gli apri rono nuovi orizzonti, gli allargarono la vista intellettiva, o gli fecero scorgere ildifetto fondamentale della filosofia gio bertiana. Fiorentino si allontano dal vecchio Gioberti, non colcuore,sibeneconlamente,ch:ifortiamori deigiovani anni non possono dimenticarsi.Rude e franco calabrese,intel lettoaustero,ilFiorentinosiemancipò dalla scuola filosofica ortodossa,quando si convinse che il mito e la leggenda pre valevano sulla pura speculazione, sul pensiero libero o lai  FRANCESCO FIORENTINO 79   cale. La critica, che Aristotile fa di Platone,a cui Gioberti si rassomiglia,fece schivo il Nostro dal mescolare immagini ad idee, e lo inimicò con le metafore filosofiche la severa, m a ineluttabile critica di Aristotile; non i Tedeschi lo c o n vertirono alla nuova filosofia , degna dei tempi moderni, si bene il rigido, inesorabile Aristotile !...' Cosi il Fiorentino scese, calabro atleta, nella arena della greca filosofia, e gio vine ardente fu trasportato lungo le sponde dell' Ilisso , tra gli alberi fragranti, che ne ombreggiano il margine ; sotto il bel cielo di Omero , tra le dispute di Socrate, i simposî platonici , e le austere meditazioni dell'Accademia. Sapeva egli fondere ed accordare insieme l'idea greca all'idea ca labra, rappresentata nei tempi antichi da Pitagora, e tutte e due al nuovo pensiero laicale del Rinascimento , rappre sentato presso di noi da Telesio e Campanella. Ringiovani così il pensiero , irrigidito nelle ferree strette della Scola stica e del vecchio Gioberti ; e farfalla , ch'esce a poco a poco dal suo involucro ; montanaro calabrese, che si trasfi guraman mano sottoilsoffiodeinuovi tempi,sisentìumano ed universale nei Dialoghi di Platone e nella Metafisica di Aristotile.La Grecia fu infatti la terra dove sbocciò ilfiore dell'Arte , e germogliò il seme dell'umana ragione ; fu la patria del pensioro speculativo, della Dialettica, e della C a tegoria, a cui metton capo ipiù vasti sistemi dell'antica e dellamoderna filosofia.Fu lapatriadiPlatone,cheperge nialità e divinazione speculativa, per universalità di pensa menti , per movimento drammatico , per colorito artistico e finezza di dialogo, grandeggia su tutti i filosofi; egli fonde in sè l'eloquio facile e maraviglioso di O m e r o e l'attica b e l lezza di Sofocle. La vecchia Grecia s'idealizza e si trasfigura nel gran discepolo di Socrate;la speculazione diviene arte e d r a m m a , e d il p e n s i e r o , c h i u s o n e i c a n c e l l i d i T a l e t e e d i Eraclito, abbraccia ilmondo, si fa universale ed umano,a n  80 GIORNALE NAPOLETANO 1 Vedi Filosofia Contemporanea in Italia, p. 152, 153, Napoli, 1876.   FRANCESCO FIORENTINO 81 ticipa ilCristianesimo e preludia all'età moderna Egli fonde, come disse bene il Ferrai, in una grande unità isofisti e i politici, gli artefici e i guerrieri ; uomini , donne , vecchi, fanciulli, schiavi e liberi, e in questo mondo in azione ti si fa duca e maestro, innalzandoti, migliorandoti, affinando le tue facoltà, spesso spirandoti nell'anima un sacro entusiasmo per il buono , per il vero ; quell'entusiasmo , aggiungo io , che crea i grandi fatti della storia, e quei capolavori del l'arte, che si chiamano Convito ed il Fedro, ove si spec chiatuttoilsorriso dell'Ionio mare,l'apollinea bellezzadei Greci , il fascino di Diotima e di Aspasia ; la morbida poesia dell'Attica e l'arguta ironia di Socrate ; divina bellezza , m u . sica arcana , che rende unica la Grecia tra le nazioni più civili e più artistiche del mondo . N o n volendo abusare della vostra bontà , o Signori , io m i restringo per ora a Platone ; che ci porterebbe assai lungi il voler discorrere completamente del Saggio Storico sulla filosofia Greca ; discutere ed esaminare Aristotele e quanto altro riguarda le Categorie ed i problemi della filosofia m o derna , di cui si occupa il Nostro nel suo stupendo lavoro. Il Fiorentino scrutò con animo libero e spassionato la vec chia speculazione ellenica;laGrecia anteriore a Socrate,ove campeggiano le grandiose figure di Talete, di Senofane, di Eraclito, di Parmenide , di Anassagora ; o dove si elabora a poco a poco l'idea platonica e la categoria aristotelica . È un quadro ricco di pensiero, ed anche di poesia,che con vivi colori ci tratteggia ilFiorentino con quella sua ge nialità, con quella lucida esposizione, che tanta grazia a g giunge ai suoi lavori speculativi; incantevole lucidezza, che ritrae i limpidi Soli diffusi sui patrî vigneti e sulle marine di Cotrone ... Il Saggio Storico sulla filosofia Greca sarà s e m pre, secondo il nostro debole parere, l'opera più bella, più geniale del Fiorentino ; ci è il profumo e l'entusiasmo della gioventù, ci è la vita artistica, anche in mezzo alle severe meditazioni del pensatore ; quella vita, che solo può dare la Giorn.Napol,Vol.I.- Gennaio 1885 (Nuovissima Serie).  6   gioventù , nella sua più rigogliosa fioritura ed espansione. Ciò nonostante,spassionati estimatori dell'ingegno del nostro amico , riconosciamo in quel saggio lacune ed imperfezioni, che l'autore medesimo, uomo schietto e leale,vi riconobbe, ricco di nuovi studi sulla lingua, sulla filosofia, sulla lette ratura greca ; dotto nel tedesco e conoscitore profondo dei moderni lavori alemanni su Platone ed Aristotile. Intanto facciamo notare che il cardine fondamentale della critica del Fiorentino furono le idee platoniche e le categorie aristo teliche , che sono e saranno sempre le colonne e le pietre granitiche dell'umano pensiero. La critica platonica (come nota il Chiappelli nel dottissimo studio sulla interpetrazione panteistica della dottrina platonica) si è a giorni nostri ri fatta da capo ; e la quistione si aggira sui fondamenti di tuttoilplatonismo,valeadire,sulgenuino valoredelladot trina delle idee, che forma il centro del sistema platonico. Dalla interpetrazione di codesta dottrina dipende quella di tutto il resto del sistema ; è il presupposto , da cui , come tanti corollarii, scendono tutte le altre parti di questo m o numento immortale del genio greco,che scosso dalla potente critica di Aristotile , travisato dal Neo -platonismo , rivive anche oggi , dopo le vicende di tanti secoli. Varie e con traddittorie in ogni tempo furono le interpetrazioni delle idee platoniche;furono scambiate,ora con gl’ideali estetici,che vagheggia l'artista, ora ritenuti come generi logici e c o n cetti intellettivi,ed ora come gli eterni paradimmi del divino artefice,modelli esemplari delle cose, e quindi esistenti per sė;laquale interpetrazione,che sitrova diffusatraiNeo platonici,traiPadridella Chiesa,ed in tuttoilMedio-Evo, anche oggi è sostenuta da valorosi critici. È certo poi che le idee in Platone sono trascendenti , immobili e separate dalla materia,e che carattere principale del Platonismo è la irreconciliabilità tra l'idea e la materia, tra l'intelligibile ed ilsensibile:Le piùingegnose interpetrazionideicriticimo. derni,e massime del Teicmuller,che fa di Platone un Pan.  82 GIORNALE NAPOLETANO   FRANCESCO FIORENTINO 83 teista,non han potuto colmare l'abisso,che nel greco filosofo separa l'idea dal cosmo, l'elemento intelligibile dall'elemento materiale. Relegate, come sono, le idee in un mondo inac cessibile, non possono esercitare nessuna influenza, nè sul l'essere, nè sul divenire delle cose sensibili, nė spiegare il formarsi delle cose medesime.Anche la relazione delle ideo con Dio, osserva il Fiorentino ', rimane indefinita; le idee non hanno causalità, perciò la causa efficiente deve trovarsi accanto a loro , o concorrere con loro alla formazione dei mondo ... Platone non tenta neppure di conciliare Iddio con le idee ; perciò accanto alla speculazione tu trovi ancora il mito, non come semplice ornamento,ma come elemento in tegrale del sistema... Solo è certo che l'altissima idea è per Platone quella del Bene ; la quale ora s'immedesima con la ragione divina, ora è quella, a cui guardando il Demiurgo dà forma al mondo ; se non che non si può risolutamente affermare che il Bene s’immedesimi con Dio,ch'è un dato della tradizione piuttosto che della filosofia , ed in Piatone non essendo chiara quella immedesimazione , non riesce perfetto il collegamento tra le idee e la mente divina, ed il sistema delle idee riesce poco coerente , e sempre o n deggiante ed incerto.Il Fiorentino nel Saggio slorico rigettò la interpetrazionedelle idee platoniche come riminiscenze di una vita anteriore, come modelli e paradimmi del mondo, come pensieri divini ; e ritenne che Platone non è sempre lo stesso ne'suoi Dialoghi ; giovane filosofo da poeta,m a turo senti bisogno di spiegare la scienza,e ricorse alle idee ; negli ultimi anni adottò il linguaggio pitagorico a proposito delle idee , e le considerò come numeri. La dottrina delle idee platoniche , trattata davvero scientificamente , consiste pel Fiorentino nei Dialoghi il Teeteto , il Sofista, ed il P a r . menide. Il Sofista prepara il Parmenide, a cui dà il fonda mento ed ilprincipio;ed ilParmenide sostituisceallame. 1 Manuale di Storia della Filosofia, Parte I, p. 61-65, Napoli, 1879.  1   84 GIORNALE NAPOLETANO tessi ed ai simulacri la relazione, ch'è la vera natura e la vera condizione di tutte le idee ; è la loro vita e fecondità . IlFiorentino,austero intellettoelibero pensatore,preferiva alla lirica del Fedro e del Simposio , alla epica narrazione del Timeo ildramma ideale del Parmenide.Fiorentino scrutò profondamente i tre dialoghi platonici , o ne rilevò il vero significato. La scienza, egli disse , non è sola sensazione e sola opinione, come vogliono iJonici, ed ecco ilsignificato del Teeteto; la scienza non è la sola cognizione dell'Uno,come pretende Parmenide,e neanco dell'essenze immobili ed ir relative dei Megarici;ed ecco ilsignificato del Sofista.La scienza è l'una e l'altra opinione e cognizione, relazione di entrambe ; ed ecco il risultato ultimo del Parmenide ; tanto vero che, senza la relatività delle idee, il Parmenide rimarra sempre un enimma, il sistema di Platone un leggiadro tes suto di favole, di reminiscenze oltremondane ed assurde, e di sperticate idealità. Scrutando meglio il Sofista ed il Par . menide, Fiorentino asserisce che il principio da cni muove Platone nel Sofista , ossia l'Ente , e quello da cui m u o v e nelParmenide,ossial'Uno,sonolostesso principio;senon che l'ento è rigido, immobile, indeterminato, e l'Uno è d e t e r m i n a t o , e p r o d u c e i M o l t i . L ' u n o è il m e d e s i m o e d il d i . verso del Molli; come viceversa il Molti si può dire mede. simo ed altro dell'Uno; tanto che, a parere del Fiorentino, abbiamo nel Parmenido esplicito ildiverso e l'altro; sebbene rimanga in Platone nell'ombra la causa della estrinsecazione della idea, e l'apparire della materia. Platone non colse la vera natura dell'altro,che non può essere nè un'essenza,nė un'idea;sìbene una relazione;egliperciò oscillò dall'uno all'altro di questi due termini,per trovarvi la materia, ed, irresoluto, la fè credere una volta essenza,ed un'altra idea. Pare che in tutte queste sottili ed ingegnose interpetrazioni del Fiorentino entrasse un po ' il sistema e la critica moderna dell’Hegel , sempre caro al Nostro , come quegli che fu la sintesi più stupenda del pensiero laicale tedesco,da Lutero    FRANCESCO FIORENTINO 85 a Kant. Felice Tocco, di cui tanto si onorano le Calabrie, nelle sue dotte Ricerche Platoniche, esplicitamente osserva che il Fiorentino interpetra il Parmenide di Platone alla maniera di Hegel , e che , ad onta delle argute considera zioni sulle stonature della Dialettica platonica, nou tenne iu conto il fare negativo di tutto il dialogo. Il trapasso, dalla teorica della metessi e degl’influssi a quello della dialettica assoluta,èun saltocosìsmisurato,chedifficilmentepotrebbe farsida un uomo,per vastissimo ingegno ch'egli abbia,sopra tutto nel tempo,in cui la speculazione è ancora sul nascere, ed i sistemi filosofici sono appena abbozzati.E ingiusto per ciò, conchiude ilTocco,ilraccostamento della dialettica pla tonica all’egheliana, e non bisogna interpetrare con Hegel Platone,etrasportare ilmondo antico nel mondo moderno!! Alla origine e natura delle idee è intimamente legata la Dialettica platonica ; essa non è altro , se non che la legge dell'intreccio ideale, il modo come si forma il Logo , o la Ragione universale ed assoluta. Il ritmo della Dialettica vera di Platone, secondo la interpetrazione del Fiorentino,è nel Parmenide ; il contenuto del quale si risolve in una trilo gia,di cui la prima parte presenta la idea solitaria dell'Uno, e l'annulla;la2.lamedesima idea appaiata con quella del l'essere, e con essa in contraddizione ; la 3. risolve la con traddizione nel momento, ch'è il diventare; momento e di venire,che sono mutuati dalla dialettica Hegeliana,e rendono infide e soverchiamente moderne le interpetrazioni del Fio rentino. Egli era convinto, quando scrivea il Saggio Storico, che la dialettica Hegeliana è modellata sulla platonica, e che le prime tre categorie del filosofo alemanno, l'essere,ilnon essere,ed ildivenire ricordano l'uno, l'ente, ed ilmomento del Parmenide. La Dialettica platonica , monumento gran dioso dell'umano pensiero, ispirò in ogni tempo gli Artisti ed i Filosofi; ed ilFiorentino conchiude che Goethe v'im  1 Op. Cit.pag. 132-133,Catanzaro, 1876.   Lo studio della filosofia greca fece rientrare il Fiorentino nel mondo moderno,ch'egli avea sfiorato col lavoro giova- nile del G. Bruno ; il greco pensiero, che più degli altri è pensiero umano ed universale, ricondusse il nostro alla R i nascenza,la quale, se inizia l'epoca moderna con le ribel lioni speculative del Bruno, del Telesio e del Pomponazzi , usufrutta con Telesio e con Bruno la parte viva ed immor . tale della greca filosofia,ilconcetto della natura,autonoma od assoluta, e l'idea dell'Infinito generante.Il Fiorentino,in gegno fecondo e progressivo,accettò i pronunziati, gli ardi menti , o ,le ribellioni della Rinascenza ; nelle fresche c o r renti della natura ei sentì ringiovanirsi, ed il suo 'pensiero divenne più ampio ed umano . L'epoca della Rinascenza è, o Signori , un'epoca gloriosa , battagliera , o titanica ; la Scolastica è assottigliata ; la cavalleria ed il feudalismo se ne vanno;la Teocrazia perde ilsuo prestigio,e la sua uni versalità ; la poesia si emancipa dai terrori mistici ; alle fo. sche pitture del trecento succedono i freschi colori del T i ziano e del Correggio ; nasce lo Stato laicale, e Machiavelli crea la storia moderna. I filosofi rappresentarono in questo gran dramma una parte gloriosa,e specialmente ilmantovano Pomponazzi,che per audacia speculativa,per energia di ca rattere è uno degli eroi più spiccati del Rinascimento ita liano. Il Fiorentino, che come fiero calabrese e libero pen satore,era naturalmente attratto verso i grandi precursori ed apostoli, si mise a studiarlo con coscienza di filosofo e p a zienza di critico; sgobbò sui polverosi volumi in folio, si chiuse come un vecchio anacoreta nella sua cella di Bologna; ed affrontó con leonino coraggio l'intolleranza e lo scherno degl'insipienti , le beffe dei gaudenti, che senza forti stu lii,  86 GIORNALE NAPOLETANO parò la movenza del Dialogo ; Hegel il severo ragionamento ; il Vico vi attinse lo schema della Scienza Nuova ; Rosmini il principio del Nuovo Saggio ; ed a quell'opera immortale bisognerà ricorrere ogni volta,che si vorranno scandagliare davvero le origini dell'umano pensiero.   FRANCESCO FIORENTINO senza accurato lavoro vogliono , con la veduta corta di una spanna,giudicare gli uomini serî ed austeri,gli uomini che sacrificano tutto sull'ara del pensiero e della scienza ; i n domiti o tetragoni nei loro propositi ; Capanei,che muoiono e non si arrendono... Il Pomponazzi insorse fieramente contro la Scolastica, e contro la greca filosofia; e nello spiegare la natura dell'a nima, ed il processo del conoscere non ha esitato punto,nè riprodotte, come altri fecero, le incertezze aristoteliche. Sgombrate tali perplessità, il filosofo mantovano si liberò dall' intelletto separato di Averroè , dell'intelletto agente dello Afrodisio , senza però emanciparsi del tutto dagl’in flussi e dalle intelligenze superiori; ondeggiante ancora , c o m e tutti gli uomini della Rinascenza , tra la Scolastica ed il mondo moderno ;tra S. Tommaso e Giordano Bruno. Stre mò , è vero, il Pomponazzi la trascendenza in filosofia; con siderò l'intelletto umano come sviluppato dalla potenza della materia ; ma non volle attribuire all'intelletto dell'uomo la concezione dell'universale ; e disconobbe la vera m e diazione,che l'uomo fa tra lecose eterne e caduche.Egli scruta insistente i più ardui problemi metafisici, religiosi e m o r a l i , la P r o v v i d e n z a , il F a t o , la L i b e r t à , la P r e d e s t i n a z i o n e e la Grazia ; e porta in tutte queste discussioni la novità e l'audacia,proprie dei filosofi del Rinascimento ;piega più dalla parte della determinazione fatale degli Stoici che da quella della vuota determinabilità dell’Afrodisio; che l'arbitrio non può essere primo movente;e l'aver compreso il difettodella dottrina della libertà , come è in Alessandro ed in Aristo tile; l'aver intravveduto nel fato stoico maggior ragione volezza costituisce uno dei massimi pregi della critica del Pom ponazzi . Disconobbe inoltre il valore assoluto delle R e ligioni; ne spiegò con ragioni naturali l'origine, il fiorire, la decadenza ; le riconobbe portato dello spirito, eterno ed irrequieto viaggiatore, che tutto rinnova e distrugge. Con questa divinazione il Pomponazzi fu anche precursore dei  1 87 4 1 1 4   88 GIORNALE NAPOLETANO nuovi tempi, e della scuola moderna ;se non che mancogli la perfetta coerenza nelle dottrine,e non si sollevò al con cetto profondo dello spirito, come lo intendono i moderni. L'ingegno del Pomponazzi , benchè novatore e ribelle, non si era completamente spastoiato dal vecchio mondo scola stico ed aristotelico ;ei non poteva ai suoi tempi cancellare del tutto il Dio di S. Agostino e di S. Anselmo; non po teva scartare intieramente la Provvidenza oltremondana , von poteva combattere a viso aperto le tradizioni della fede o r todossa. Ei però aveva intravveduto che al Dio estramon dano , collocato fuori la coscienza , dovea fra poco succedere il Dio intimo e vivente; che la vecchia forma religiosa do vea ringiovanirsi e al Motore immobile di Aristotile dovea succedere l'Infinito di G. Bruno. È questo il merito pre cipuo del Pomponazzi , che a buon dritto deve chiamarsi il precursore della Riforma e del mondo laicale moderno ; e l'averlo saputo rilevare con sagacia di critico coscienza di storico è gloria del Fiorentino. Ciò segna un altro m o mento importante nella evoluzione critica e speculativa del Nostro ; la quale avrà il suo compimento ed il suo massi - mo splendore nel Telesio,e negli studii sulla idea della N a tura nel Risorgimento italiano. Il Telesio infatti costituisce l'ultimo e più splendido momento speculativo e storico del Fiorentino, il quale rap presenta perciò in Calabria il più alto grado , la più alta manifestazione dellacriticastorica,edilcompletosvegliarsi presso di noi della coscienza laicale ed u m a n a ; rappresenta la continuazione della Rinascenza,ingrandita, però,trasfor mata e divenuta pensiero europeo ed universale coi Saggi critici di B. Spaventa. Fu primo lo Spaventa in Italia a dare la debita importanza a Bruno ed a Campanella , ed a tutta la filosofia del Rinascimento , rivendicando gli eroi del nostro pensiero, ed i martiri obbliati della ragione. « L ’ I talia, disse B. Spaventa , apre le porte della civiltà m o « derna con una falange di eroi del pensiero. Pomponazzi ,    FRANCESCO FIORENTINO 89 « Telesio,Bruno,Vanini, Campanella,Cesalpino paiono figli « di più nazioni. Essi preludiano più o meno a tutti gl'in « dirizzi posteriori , che costituiscono il periodo della filo « sofia da Cartesio a Kant ... Vico è il vero precursore di « tutta l'Alemagna... » (Prolusione alle Lez.di fil. nap.62).  Le austere parole e i forti ragionamenti del filosofo abruzzese eccitarono il potente ingegno di Fiorentino,e co.. ine il nostro schiettamente confessa , lo fecero orientare in quell' arruffio, ch'è la speculazione della Rinascenza , e lo innamorarono di quel periodo filosofico, che prima si con tentava di ammirare, senza averne perfetta e matura cono scenza,piuttosto,perseguire ifacili lodatori che per veder ne realmente l'importanza coi proprii occhi. Educato dalla critica nuova e poderosa dello Spaventa , Fiorentino percorso da padrone e da maestro il campo glorioso della Rinascenza italiana, e v'impresse orme da gigante.Gli uomini nuovi od audaci;imartiri dell'idea piacquero tanto a Fiorentino,ed eis'immedesimò loro,aspirandone l'immortale profumo,ed il soffio della giovinezza. La Calabria, che, senza conoscersi , spesso si vilipende e si schernisce,non era per lui barbara c selvaggia, covo di briganti, e nido di cannibali; era in vece terra di filosofi, di critici, di poeti ; culla di martiri e di eroi, terra artistica ed originale,a cui,ultimo tra gl’in gegni calabresi,consacrai tutto me stesso,e per la quale non cesserò di combattere, finché avrò forze, finchè in Italia vi saranno uomini senza coscienza storica e senza carità di patria. La Calabria (e perdonate questo amore indomabile alla mia patria nativa , alle mie care montagne ) seppe a n ch'essa indovinare e comprendere i tempi nuovi , uscire dal fondo de'suoi burroni,e mettersi a paro coi più grandi eroi della Rinascenzaitaliana.La Calabriaseppe anch'essa com battere con la sua selvaggia vigoria lo impero , la scuola , edilpotereteocratico.Ilcalabropensiero,che ancorasiac cusadiangustiaemunicipalità,è,com’iodimostrai,un pensie ro,non solo nuovo ed originale,ma eziandio italiano,europeo   90 GIORNALE NATOLETANO  ed umano . Universale in filosofia, inizid con Telesio lo stu dio dellanatura,sconosciutaaipadrinostri,velatapertanto tempo dalle ombre del Medio-Evo;nel tetro carcere della Vicaria creò col Serra la scienza economica ; con Galeazzo usci dal cerchio della poesia provinciale , e fuse nel calabro Sonetto la vigoria di Dante e la musica del Petrarca ; pre corse col Campanella a Descartes ; e con Gravina anticipo Vico e Montesquieu, o creò la nuova critica italiana. Fiorentino , che , com'egli stesso canto , avea Saldo il voler ne le virili imprese, E indomita la tempra calabrese, innamorato della vecchia Calabria, fa rivivere con magiche tinte le belle ed eroiche figure dei padri nostri, il P a r r a sio, A. Telesio, il Martirano, il Quattromani, il Tarsia, T. Cornelio,M. A. Severino,loSchettiniecc.;filologi,poeti e critici precursori , che usciti dal fondo dei nostri boschi illustrarono le prime Università, e diedero un potente i m pulso al Rinascimento italiano, col fondare e promuovere quella stupenda Accademia Cosentina, segno in tutti i tempi di odio inestinguibile e di amore indomato,la quale è tanta parte del dramma grandioso della Rinascenza;diede all'Ita lia grandi latinisti da emulare il Poliziano , il Sannazaro , il Fracastoro , e sorpassarne altri con Coriolano Martirano; porta scolpito il fatidico motto : Donec totum impleat orbem ; decrescit numquam ,nec fulmine laeditur;e servi di modello a tutta Europa col Telesio per la scoverta del vero metodo naturale. Sotto questo doppio aspetto la vide l'occhio sagace del Fiorentino, e stupendamente la illustrò , sollevandola a quel posto, che merita, e meriterà sempre, finchè le tradi zioni del pensiero laicale ed umano rimarranno vive in C a labria,e ne trasformeranno lavita,l'arte,elaspeculazione; finchè vi saranno uomini insigni come il Presidente Sca glione,ed ilSegretario Greco,che ne accresceranno le glorie e l'importanza , continuando l'esempio dei loro illustri a n tenati, che noi, gaudenti e borghesi , abbiamo dimenticati, sconosciuti , e fino scherniti.... Il Fiorentino , che il dotto   FRANCESCO FIORENTINO 91 Canonico Scaglione avea precorso con lo studio sul Telesio, pubblicato negli atti dell'Accademia fin dal 1843, studiando a fondo, al lume della nuova Critica, le opere del filosofo cosentino, proclama che il Telesio inaugura i tempi moderni , r i t i e n e l a N a t u r a , c o m e il p r i n c i p i o u n i v e r s a l e d e l l e c o s e , il ricettacoloditutteleforme,e,come schietto naturalista,ri. getta Aristotile e la Scolastica, la Teosofia, e la Magia . Il Telesio, evitando la contraddizione aristotelica , che rompe l'unità della natura,parte da una materia primitiva ed uni ca,e da una contrarietà universalissima, ilcaldo ed ilfred do , nature agenti , dalla cui azione sulla materia nasce la generazione e la corruzione. Telesio , pur ritenendo la necessità di un'opposizione universale e di un'unica materia, il che era anche ammesso d'Aristotile , ne ha profondamente modificato il valore. La forma aristotelica, ch'era sempre assoluta ed estranaturale, non gli parve principio naturale , e la sbandì , e la rigettò dalla sua filosofia, con la rude franchezza del calabrese . In una parola , la natura non ha mestieri per essere spiegata di principi, che non siano naturali; e così fu vinto e sor passato il Medio -Evo, e la Filosofia delle Scuole. Il soffio giovine e fresco delle nostre montagne spazzò lo nebbie sco. lastiche , e Telesio , meditando gli arcani della natura nel suo ameno podere, sito sulle rive pittoresche del fiume Co. r a c i , f u v e r a m e n t e il p r e c u r s o r e d i B r u n o e d i G a l i l e i , l ' u o . mo nuovo ed audace, che scrolla il vecchio mondo medie vale, ed inaugura l'epoca moderna. Telesio, rigettando l'entelechia aristotelica, vi sostitui una sostanza sottile , mobile , lucida, che per lui costituiva il principio della vita;semplificò inoltre ilsistema del natu ralismo,tolse ildissidioimmenso,che funel Medio-Evo tra la natura esterna e l'organismo vitale , e fuse insieme nel suo novello sistema la Fisica e la Biologia . Fiero ed i n e sorabilo calabrsse, rovescio tutto, non diè quartiere ad Ari stotile ed alla Scolastica , o combattė senza ipocrisia , ed a    fronte scoverta; diede una nuova teorica dell'anima, sorpas. sando il Fedone platonico, e l'intelletto universale di Ari stotile; fondò sul senso la conoscenza, ed ammise il mondo etico come un effetto e risultato naturale. Nel vasto dramma telesiano, che il Fiorentino stupen damente tratteggia, brilla di nuova luce il martire di Nola , il q u a l e , e b b r o d e l n u o v o D i o , d e l l ' I n f i n i t o g e n e r a n t e , e d e l l a Natura,allarga efeconda iconcetti delfilosofocosentino,éd accetta pienamente il naturalismo . Il vero assoluto rimane però in lui un punto oscuro,dove i contrarii si affondano e spariscono; il Nolano, più che cogliere con l'atto intellet tivo l'assoluto, vuole trasformarsi in lui, e divenire Iddio. E leroico furore, che lo trasporta in grembo dell'Infinito, non il sillogismo speculativo , e la serena meditazione ; • l'ebbrezza dell'amante, che lo trasfigura in grembo alla di vina Anfitrite.Bruno,uomo del Mezzogiorno, nato presso il Vesuvio,ha scosso in ogni tempo la mente dei pensatori, ed il cuore dei poeti... Eroe leggendario del pensiere, ca valiere errante della scienza , mistico 'o ribelle , inesorabile flagellatore dei cucullati pedanti , egli che avea vestita la bianca tunica di S. Domenico, ilBruno percorse,si può dire, da un capo all'altro l'Europa disputando, combattendo,af. frontando ilvecchio Aristotile,laciarlataneria delleScuole, e l'infallibilità dei dottori. Vilipeso e adorato, schernito glorificato , ora debole innanzi a'suoi carnefici, ed ora su - blime ; tradito a Venezia dal Mocenigo , suo discepolo ed ospite, è consegnato al Sant'Uffizio, dissacrato e condan . nato a morte. Quando in Roma gli fu letta la sentenza , G. Bruno,con calma eroica e tremenda ironia, ha ilcorag. gio di profferire innanzi ai giudici queste memorande parole: « Maggior timore provate voi nel pronunciar la sentenza contro di me,che non io nel riceverla .»Il 17 Febbraio 1600, l'eroe della verità, e del pensiero laico fu legato come un volgare malfattore ad un'antenna,e,bruciato vivo in Campo di Fiore, imperterrito il Bruno non mandò nè un sospiro,  92 GIORNALE NAPOLETANO .   FRANCESCO FIORENTINO 93 nè un lamento; le fiamme furono la sua apoteosi;e benchè le sue ceneri fossero state disperse al vento, corsero l'Eu ropa come polline fecondatore , e vi propagarono i semi del libero pensiero, e della filosofia moderna.... F. Fioren tino, pensatore e poeta,che dopo più maturi studî avea ac cettata in tutta la sua pienezza la Rinascenza , ritorna su G. Bruno , e lo vede nel Telesio sotto un nuovo punto di vista; e se prima,nel suo lavoro giovanile, lo avea rigettato, come panteista ed antimistico, ora lo guarda , e lo ammira come ilveroeroe delpensiero,l'araldoeilmartire della nuova e liberafilosofia;degno, come disse B. Spaventa,di avere un posto accanto a Prometeo ed a Socrate. Quel che Fiorentino scrisse di B. Spaventa , permettete , o Signori, che io lo riferisca al nostro fiero concittadino : « Il grande « ideale del filosofo per Fiorentino era il Bruno ; pari forse « avrebbero avuto il fato, se fossero vissuti nella stessa età. « Fiorentino avrebbe guardato il rogo con lo stesso corag . « gio; Giordano avrebb » disprezzato con la stessa serenità, « non il rogo, ma qualcosa di peggio,quella rete sottilissi. « ma di cabale, onde la turba ignara circonda gli animi al « teri;che tentano slacciarsi da maltesi agguati:non ilrogo, «ma lacalunnia divota:dopo ilTorquemada ilTartufo: < siamo ben progrediti noi. » Il vecchio Dio della Scolastica si assottiglia in G. Bru . no; in lui si fondono Dio e l'Universo; la creazione è svi luppo di Dio stesso, processo necessario , che rende cono scibile e reale l'attività di Dio : in una parola, il Dio del Nolano non vive se non per la natura,e nella natura:fuori e senza di lei sarebbe un'astrazione ed un fossile. La n e cessità della creazione, che il Bruno insegna a viso aperto, lo mette di accordo col futuro naturalismo spinoziano , e lo fa precursore della moderna filosofia alemanna. La filosofia del Rinascimento , incarnata in Telesio ed in Bruno , per avere considerato l'assoluto , come natura , ha preparato il grande avvenimento dello Spirito, la cui speculaziane inco  1 2 1   mincia con la coscienza cartesiana. L'infinita natura , ini ziata da un Sofo di Calabria,è la gran parola della R i n a scenza e dei tempi moderni !... Telegio e Bruno preparano inoltre la vasta speculazione di Tommaso Campanella,indo mito Frate, che sopporta,con la fiera costanza del Calabrese 26 anni di carcere,ed un giorno intero di torture. Permet tete,o Signori,ch'io m’inchini al martirio di Campanella, ed al rogo di G. Bruno ; martirio e rogo , che sono la gloria del Mezzogiorno,e del libero pensiero;la condanna più elo. quente dei feroci persecutori dell'umana ragione !... C a m p a nella, che sublimò alla dignità di principio speculativo la divinità latente del Bruno , è il vero tipo dell'uomo cala bro, ricco d'ingegno e di cuore, intemperante, battagliero, audace , iniziatore. È uomo originale e contraddittorio ; fa l'apoteosi della Teocrazia e della Spagna,della Scolastica , del Medio-Evo,e poi scrive laCittà delSole, e vagheggia la democrazia ed il socialismo, la sovranità del libero pen siero, e lo Stato laico moderno . Ei fonde in sè due età di verso , la età della fede , e l'età della ragione ; Platone ed Aristotile , Telesio ed il Cusano ; l'austero sillogismo del pensatore,e le vaporosità dell’Astrologo;le apocalittiche vi. sioni dell’Abate Gioacchino , o la fredda sottigliezza del M a chiavelli ; l'ossequio alle somme chiavi , e l'audace ribel l i o n e d i L u t e r o .... C a m p a n e l l a , s t u p e n d a m e n t e t r a t t e g g i a t o da Fiorentino , ritorna , come metafisico , a Platone , ed al Medio-Evo;come sensista e psicologo, anticipa,nella teorica del senso e della cognizione, Cartesio, ed il mondo moder no . Ei proclama la identità del pensiero e dell'essere ; se non che sì fatta unità non acquista la forza di vero prin cipio,e Campanella,ad onta delle sue stupende divinazioni, ondeggia ancora tra lo schietto naturalismo ed il sistema delle cause finali. Alla filosofia naturale , che tolse in p r e stito ed usufruttuò dal nostro Telesio,Campanella aggiunse una metafisica, che ne rimase staccata; mettendo ogni sforzo per levarsi alle categorie supreme della natura e dell'essere,  94 GIORNALE NAPOLETANO : >   FRANCESCO FIORENTINO 95 non seppe applicarle alla natura, e con tutta l'energia p o derosa di assurgere all'Unità, restò nella opposizione , ch'è il carattere principale del naturalismo. Il solo naturalismo, chiarendosi col Campanella impotente a spiegare la genesi della Natura,non potė, esso solo, sciogliere il gran proble. ma del mondo moderno,e conciliare l'universale col parti- colar :; ricomprendere il senso in una forma di pensiero più larga, dove l'opposizione riapparisse trasformata ed unificata in una sintesi suprema e dialettica. Tale fu il progresso a p portato nel naturalismo,o nella filosofia moderna da Galileo e Descartes; tali sono le glorie del nuovo pensiero, antimi stico e laicale , iniziato da due filosofi , nati tra i selvaggi burroni delle nostre Calabrie... Fiorentino,dopo aver richia mato alla memoria degli Italiani Tommaso Cornelio , e M. A. Severino , glorie dell'Università Napoletana , e filosofi telesiani; dopo aver valutato la importanza del Galilei e del Bacone , si arresta col Descartes alla soglia della filosofia moderna, lieto che la speculazione filosofica si stacchi dalle scienze naturali,preliminare,per altro,necessario nella evo luzione del pensiero moderno,e siposi nel Cogito cartesia no.La natura si emancipa, il pensiero si scioglie, e diviene più libero e più snello; lo Spirito , che tutto ringiovanisce e trasforma , fondo ed armonizza Telesio e Bruno , C a m p a nella e Galileo , Bacone e Descartes , e la silvosa Calabria entra co'suoi filosofi, e coi suoi profeti, co’suoi martiri, e co'suoi precursori nel dramma glorioso del mondo moder no... Vi rientra sotto l'impulso del Fiorentino , che, nato presso Stilo, tocca di nuovo la squilla dimenticata del C a m panella , annunzia ai giovani calabresi l'aurora di nuovi giorni, la completa emancipazione dalla Scolastica e dal Me . dio-Evo;larisurrezione delpensierodellaMagna-Grecia, fuso, ingrandito,trasformato nel pensiero moderno...La Ca labria e l'Accademia Cosentina non potranno dimenticarlo ; non potranno disconoscere l'austero filosofo, che ne illustrò stupendamente le glorie, e con magico pennello ne ritrasse    96 GIORNALE NAPULETANO gli apostoli , e gli eroi , rivendicando i padri nostri al c o spetto di un secolo banchiere eborghese ... La morte lo colse ancor giovine sulla soglia del tempio del Rinascimento; glo. ria al virile sacerdote della scienza,che muore,adempiendo il suo dovere , mentre si folleggia , deridendo gli eroi del pensiero,imodesti operai del mondo moderno,e sigittalo scherno sulle ossa dei grandi precursori della nuova Filoso fia e della nuova Critica.... Io ho fede che la gioventù ca labrese,così ricca d'ingegno e di cuore, cosi amante delle patrie glorie,avrà un culto per gli uomini,che muoiono sulla breccia , martiri della scienza e della patria ; per le anime generose,che non curano le amarezze della vita, l'esilio,la povertà, la carcere,ed accettano, fino le torture di Campa nella,finoilrogodiG.Bruno.....Ho fedechelaCalabria si rinnovi nel lavacro della Rinascenza e negli studii virili delpassato,elagentileedottaCosenza,riccaperme di care e dolorose memorie,prodiga di tanto sangue alla patria, di tanto contributo d'ingegno alla storia del pensiero ita- liano, s'ispiri nell'austera figura del più grande dei suoi figli, il cui busto parla tra il verde degli alberi la gran p a rola del Risorgimento alla nostra gioventù... Ho fede che l'austera parola del filosofo di Sambiase non suoni più nel deserto, e la sua tomba, su cui piansero amici e nemici,sia un'ara dove le novelle generazioni attingano iforti propo siti, e, quel che più ci preme,la serietà della vita, l'abne gazione,ilsacrifizio,ed illibero pensiero....Così,o gio vani, non sarò costretto a ripetere gli amari versi dell’au - stero poeta di Recanati : Oggi è nefando stile Di schiatta ignava e finta Virtù viva sprezzar lodare estinta!....Vincenzo Julia. Julia. Keywords: implicatura, filosofia calabrese, Campanella, Telesio, Sanctis, Leopardi, Mazzini, Garibaldi, Gioberti, Spaventa, Hegel, Aligheri, Serra, Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Julia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688613097/in/photolist-2mPVkio-2mPysn2-2mKxDSr-2mJ4GHU-2mDUFSN-RkfqJ3-Bq5Z5y-CkaHMd-i7brtE

 

Grice e Juvalta – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Chiavenna). Filosofo.  Grice: “At Harvard, I said I was ‘enough of a rationalist,’ but perhaps Juvalta would say that wasn’t enough!” – Grice: “Juvalta has explored the limits of rationalism, in connection with value and reason: if value is irrational, how can co-operation be rational in terms of an accord to follow conversational maxims?” essential Italian philosopher. Ogni sforzo di derivare una valutazione morale da qualche cosa di cui non sia già riconosciuto il valore morale è dunque vano e illusorio. O non dà quel che si cerca, o presuppone quel che si pretende di fondare.» I genitori sono il barone Corrado Juvalta, cancelliere della locale pretura originario di Villa di Tirano, e Teresa Zanetti di Tirano. Dopo gli studi liceali trascorsi tra Como e Sondrio, si iscrisse a Pavia dove si laureò con una tesi su Spinoza, sotto la guida di Cantoni. Successivamente insegna a Caltanissetta, Potenza, Spoleto. Vinse il concorso per la cattedra di filosofia a Torino. Le tematiche accademiche prevalentemente trattate riguardarono soprattutto i valori di “libertà” e di “giustizia” con ampie riflessioni etiche. Convinto della loro generalità e universalità, arriva ad auspicarne una loro applicazione anche nello studio delle categorie politiche ed economiche. La filosofia di  Juvalta è una profonda riflessione sull'etica portata avanti con il metodo dell'analisi. Anche se, come risulta dalla sua, non troviamo nei suoi scritti importanti contributi sul piano gnoseologico ed epistemologico, dal momento che il suo principale campo d'indagine fu prevalentemente il Sistema morale, possiamo affermare senza dubbio che sia il kantismo che il Positivismo costituirono il nucleo di fondo della sua posizione, da cui sviluppò la sua impostazione metodologica.  Il positivismo, in particolare, è stato il primo grande sistema filosofico con cui si è misurato nella prima fase della sua elaborazione concettuale. Tuttavia Juvalta sarà costretto a prendere presto le distanze da una siffatta visione della morale. I motivi di questa rottura sono da imputare principalmente al suo fermo rifiuto di accogliere come sostenibile la pretesa positivistica di fondare l'etica sulla scienza. Il giudizio con il quale si afferma il valore di un oggetto è diverso e non deducibile dal giudizio col quale ne afferma l'esistenza o la possibilità o la connessione modale o condizionale con altri soggetti. Apprendere come le cose sono, è tutt'altra cosa dal valutarle. Dal momento che l’etica si concreta nella costruzione di una teoria ed in particolare di un sistema coerente di valori morali, il giudizio che sta alla base di una qualsivoglia teoria etica deve configurarsi come “un giudizio originario” che ha una natura eminentemente etica, quindi non scientifica né tantomeno metafisica. Se però una etica scientifica appare insostenibile per il motivo dell'indebita derivazione di un giudizio di valore, di natura morale, dal giudizio ‘aletico,’ di natura fattuale, è indubbio che la costruzione di un sistema morale debba essere condotta con criteri di scientificità. Nella misura in cui ogni teoria si basa su criteri logico-deduttivi e viene definita dalle relazioni logiche che intrattengono in essa i propri elementi costitutivi, così anche la costruzione di un sistema etico deve seguire la stessa metodologia e mostrare possibilmente l'identica costruzione formale. Questo sistema di valori ha l'obbligo di mantenere al loro interno un imprescindibile grado di coerenza, se vogliono risultare sostenibili ed essere così accettati dalla ragione (pratica). Quando parla di ‘teoria’ dell’etica lo fa proprio pensando a questo carattere logico-deduttivo dei valori all'interno di un sistema. In particolare vede garantita la coerenza di un sistema morale nella misura in cui un coerente insieme di valori viene rigorosamente derivato (volitativamente) da un postulato, imperativo categorica, o assioma, di valore morale capace di fungere da premessa all'intero sistema (allora come insieme di massime universalisabili). Una volta prese le distanze dai positivisti, si avvicina successivamente al Kantismo; in particolare accoglierà, anche se con alcune riserve, molte delle posizioni assunte dal cosiddetto Neokantismo, il movimento di pensiero che ha come obiettivo la ri-valutazione piena del filosofo di Konisberg riadattando i contenuti del suo pensiero ad esigenze e problematiche tipiche della contemporaneità. Vede in Kant il più grande filosofo della modernità, colui che meglio di qualsiasi altro pensatore ha saputo cogliere il vero senso dell'autonomia della morale, svincolando per sempre l'etica dai saperi di natura conoscitiva (aletica, pura, o giudicativa), i quali, proprio in quanto si rivolgono all'ambito del fenomeno, non riescono a coglier interamente tutto ciò che ha a che fare con la sfera dei valori (come per esempio la scienza e in generale l'ambito teoretico). L'indipendenza e l'indeducibilità del valore morale da qualsiasi speculazione teoretica fu, come tutti sanno, riconosciuta e affermata, nella forma più esplicita e con grandissimo vigore dal Kant. Kant ha il grande merito di consegnare alla morale uno speciale statuto di autonomia e di indipendenza. La morale esprime questo suo carattere di autonomia e di “auto-assiomaticità” per poter continuare ad essere coerente e allo stesso tempo attendibile sotto il profilo puramente teorico. Abbracciare l'idea di autonomia della morale significa accettare una visione anti-fondazionalista dell'etica. L’etica non può prendere le mosse che da se stessa. Ogni tentativo di fondare l’etica su ambiti del sapere diversi da quello morale, finisce con il configurarsi come un'indebita pretesa di intromissione da parte di chi si illude di derivare un contenuto del valore morale da una premessa fattuale o metafisica o estetica. Alla base di un sistema coerente del valore morale, cioè un sistema morale costruito deduttivamente, deve esserci un postulato originario (assioma o imperative categorico) di natura etica e non di natura aletica o peggio ancora metafisica, e questo per questioni eminentemente logico-analitiche, che impongono ad ogni sistema coerente di evitare la fallacia logica della petitio principii, cioè l'errore di voler caparbiamente dimostrare ciò che invece abbiamo già implicitamente accettato nelle premesse.  Una volta riconosciuto il contenuto di quel postulato morale e pensato come un valore che può essere vissuto ed accettato da un soggetto agente e concreto, allora si creano i presupposti di base perché una coscienza riconosca in esso un'intrinseca validità, che trova una sua precisa giustificazione solo a partire dalla sua intima natura assiologica. È proprio questo suo riferimento al contenuto del valore morale che lo costringe a rivedere i limiti di una filosofia morale incardinata su binari formalistici e a non accettare tout court la filosofia morale di Kant.  L'ambito della giustificazione e l'ambito esecutivo. Assumere come principi della ricerca etica l'autonomia, l'antifondazionalismo, l'antiformalismo porta  Juvalta a distinguere l'ambito della giustificazione, cioè il momento riflessivo che ci vede impegla ricerca di ragioni che possano difendere razionalmente la scelta di un fine e di un valore morale, dall'ambito esecutivo che invece coinvolge il momento motivazionale dell'azione ed è fortemente condizionato da elementi contingenti legati al momento storico, inter-soggetivo, e culturale nel quale il soggeto si trova ad agire. Con un atteggiamento tipicamente moderno difende la possibilità dell'esistenza di una pluralità di fini morali sia sul piano teorico che pratico, e con la stessa energia cerca di trovare una soluzione per definire le precondizioni teoriche che rendano possibile una compatibilità tra i diversi valori.  La modernità define un passaggio epocale e pieno di tensione nel campo della filosofia morale ed ha segnato il tramonto di un'unica, grande e coerente visione dell'etica. Con l'avvento dell'epoca moderna si è fatta strada l'idea del tutto legittima dell'accettazione di differenti sistemi di valori e di diverse visioni del mondo, i quali trovano, da questo momento, una loro precisa dignità e legittimità in virtù delle ragioni che le diverse dottrine filosofiche hanno saputo elaborare in favore della loro sostenibilità. Invita a prendere coscienza di questo cambiamento di prospettiva e a considerarlo, asetticamente, come un passaggio dal vecchio problema della morale, in cui il fine principale era la ricerca di una fondazione dell'etica e di una giustificazione dell'esigenza del bisogno di moralità all'interno di ogni coscienza, al nuovo problema della morale riassumibile nella domanda; come possiamo decidere i beni e i valori desiderabili in sé una volta che abbiamo accertato l'esistenza di una pluralità dei postulati di valutazione morale?  La scelta del fine supremo e i limiti del razionalismo etico Juvalta vede nel momento della determinazione della scelta del fine supremo, il cui contenuto costituisce la base per il postulato di valore primario, il principale limite del razionalismo etico. La razionalità può solamente giustificare, cioè portare ragionamenti a favore di una tesi, o stabilire relazioni e deduzioni tra elementi di un sistema, in questo caso valori, che sono legati dalla loro stessa natura; ma essa non può imporre i fini. La razionalità accetta, per così dire, il giudizio di valore morale come un dato, ma non lo può stabilire lei in via preliminare perché nel campo etico la razionalità non riesce a cogliere interamente la natura dei nostri giudizi di valore. La ragione dei mezzi per quanto si faccia non dà valori; la ragione esige la coerenza; teorica: dei giudizi fra di loro e con i principi e i dati su cui si fondano; pratica: delle valutazioni derivate e mediate con le valutazioni direttamente o postulate, e delle azioni con le valutazioni. Le valutazioni sono, come espressioni di una esperienza interiore sui generis, valide di per sé…”  I valori ultimi di Libertà e Giustizia Tuttavia il messaggio di Juvalta contiene anche un aspetto propositivo, non secondario. Anche se esiste una pluralità di valori che la coscienza può scegliere come fini, i quali si costituiscono come le linee guida della nostra condotta individuale, una volta adottato il criterio razionale di ‘universalizzazione’ del valore è possibile intuire che le scelte si riducono rispetto a quelle che la ragione può immaginare come possibili e, soprattutto, viene meno la completa arbitrarietà della scelta originaria. E convinto che due valori su tutti debbano essere visti come i fini supremi su cui improntare la nostra vita e organizzare le nostre società, vale a dire, primo, il valore morale della libertà; secondo il valore morale della giustizia. Libertà e giustizia costituiscono le pre-condizioni della vita morale e gli unici due valori morali, tra quelli possibili, che risultano “universalizzabili”. Essi sono le sole precondizioni che permettono ad ogni essere umano di realizzare il proprio fine e di raggiungere i propri beni (valori), in vista di una totale e piena realizzazione della natura umana, senza limitare la ricerca della moralità dell’altro. Libertà e giustizia rappresentano per così dire i cardini di ogni sistema morale con i quali poter impostare se non un vero e proprio ripensamento di ogni pratica umana almeno una profonda critica ai modelli di società dominanti quali l'individualismo liberale, l'autoritarismo o la proposta socialista. La libertà esprime l'esigenza delle condizioni inter-soggettive necessarie a fare dell'uomo una persona padrona di sé di fronte a sé e di fronte ad ogni altro. La giustizia esprime l'esigenza delle condizioni inter-soggetive necessarie all'esercizio universalmente efficace di questa libertà. Non fu un pensatore sistematico e non cercò mai di definire un sistema filosofico che rendesse ragione dell'organicità del suo pensiero. E sostanzialmente contrario a ingabbiare la riflessione filosofica in grandi narrazioni o in arbitrari sistemi, dal momento che era fermamente convinto che il pensiero soprattutto etico sfuggisse per così dire all'idea di sistematicità e organicità che aveva così profondamente caratterizzato la maggior parte del lavoro filosofico ottocentesco.  D'altra parte questo non significa che non esiste un'evoluzione all'interno della sua riflessione, o che la sua proposta nel campo della filosofia morale non trovi una sua coerenza e una struttura di fondo ben definita. Saggi: “I due limiti del razionalismo etico: liberta e giustizia” (Einuadi, Torino). Contiene:“ Prolegomeni a una morale distinta dalla filosofia” (Bizzoni, Pavia); “Le dottrine delle due etiche” in «Rivista filosofica», “Per una scienza normativa morale”; in «Rivista filosofica», “Il fondamento intrinseco del diritto”; “Su i limiti della morale” (Bocca, Torino); “Il metodo dell'ECONOMIA pura nell'etica, in «Rivista filosofica»); “Postulati etici e postulati metafisici”; in «Rivista di filosofia»: “Postulati etici e imperativo categorico,” «Atti congresso di filosofia» (Bologna)(Formiggini, Genova); “Sula pluralità dei postulati di valutazione morale” in «Atti del congresso della società filosofica» (Genova) (Formiggini, Genova); “l vecchio e il nuovo problema della morale” (Zanichelli, Bologna); “In cerca di chiarezza”; “Questioni di morale”; “I limiti del razionalismo etico” (Lattes, Torino); “Il con-flitto morale”; in «Rivista di filosofia»; “La dottrina morale di Spinoza”; in «Rivista di filosofia», “D. Basciani, L’etica della giustizia” (Desclèe, Roma); F. Picardi, La morale in Juvalta” (Filosofia, Marzorati, Milano); M. Viroli, “L'etica laica” (Angeli, Milano); Juvalta,  «Rivista di storia della filosofia»,  Angeli, Milano, Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, Guido Scaramellini, Chiavennaschi nella Storia, Chiavenna, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Again, these Italians! I know that I had I been one, I had been ‘il filosofo di Harborne’ – now Juvalta, they doubt as to how Italian he can be seeing that he is listed in Scaramellini’s little book, “Schiavennaschi nella storia”!” Grice: “Unlike me, Juvalta is a baron, from the ‘grigioni’ – i. e. the grey league – because of the grey wool they wore --. ‘grissone,’ as in my surname, so in a way we ARE related!” ” IL VECCHIO E IL NUOVO PROBLEMA DELLA MORALE  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta PARTE PRIMA IL FONDAMENTO DELLA MORALE 4  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO PRIMO IL CARATTERE DEL PROBLEMA E LE SUE FORME Se la saldezza di un giudizio dovesse giudicarsi dall'accordo delle dottrine che cercano di stabilirne il fondamento, nessuna specie di giudizi sarebbe piú incerta dei giudizi morali. Se così non è, se i giudizi, o almeno alcuni, sono, nonostante l'incertezza del fondamento, riconosciuti e ac- colti come validi incontestabilmente, può apparire legittimo il dubbio, o che il «vero» fondamento non sia ancora trovato, o che non si possa trovare: cioè che il problema sia insolubile. E in questo caso: se sia insolubile per difetto di mezzi, ossia per radicale nostra incapacità a risolverlo; o perché è un problema mal posto, cioè nella forma con la quale si presenta, illusorio e fittizio. Dichiarando subito che a mio credere il problema è insolubile, ed è insolubile perché fittizio, m'è appena necessario di soggiungere che ciò non equivale in nessun modo (come potrebbe parere a prima vista) a ritenere prive di significato ed infeconde le indagini e le discussioni delle quali fu lie- vito, né tanto meno ad ammettere che, rimosso il problema fittizio, nessun problema gli sottentri, anzi non ne rampollino piú altri al luogo suo. Mostrare come e perché un problema sia mal posto, non è altro in effetto che la preparazione necessaria a sostituirgliene degli altri. ** * Il problema del fondamento è ispirato primamente e dominato, si può dire, in tutte le sue forme da una preoccupazione pratica e apologetica: Bisogna dimostrare che la morale ha ragione; che quel che essa suggerisce o prescrive è veramente bene che la sua autorità è legittima e deve es- sere rispettata. Ora un tal modo di porre il problema presuppone manifestamente che su ciò che la coscienza morale prescrive non cada dubbio; o che, se il dubbio sorge nasca non da incoerenza o opposizione di criteri diversi o contrastanti, ma da errore e confusione di interpretazioni e di giudi- zio nelle applicazioni concrete. Il che si accorda con la osservazione di fatto che fino a quando il presupposto è legittimo, cioè nei limiti nei quali corrisponde a una convinzione universale salda- mente stabilita, non è questa o quella dottrina sul fondamento della morale che fa accettare o re- spingere i dettami della coscienza morale, secondo che si accordano o no con la dottrina, ma sono le convinzioni morali che fanno accettare e respingere una dottrina secondo che è o appare adatta o disadatta a dar ragione della loro certezza, a mostrarne la validità. Questa preoccupazione pratica spiega l'insistenza e la pertinacia degli sforzi volti a risolvere un problema radicalmente insolubile: di giustificare ciò che è presupposto in ogni giustificazione; di derivare da delle idee una volontà; di creare con dei ragionamenti un potere; illusione che si rivela nelle forme piú svariate e negli indirizzi piú diversi, e per la quale accade, cosa notissima, che a cia- scun sistema riesce assai piú facile dimostrare l'insufficienza degli altri, che provare la sufficienza propria. Il problema fu infatti inteso in modi diversi, e la soluzione cercata in direzioni corrisponden- ti, distinte e chiaramente separabili; sebbene il piú delle volte variamente intrecciate e sovrapposte l'una all'altra in un medesimo indirizzo di pensiero e anche in uno stesso sistema. Infatti la domanda: «Perché dobbiamo noi fare, cioè volere ciò che la coscienza morale ci detta», che è la forma piú larga e indifferenziata in cui il problema si esprime, suggerisce quattro te- si o tipi di soluzione diversi: I. Considerare i principi e le norme morali come «verità» di cui si cerca il fondamento in una realtà obbiettivamente data alla coscienza. II. Dimostrare la bontà di ciò che la morale prescrive, cioè derivarne le norme da un fine ossia da un bene o ordine di beni (qualunque ne sia poi la natura) che ne giustifichi l'osservanza. 5  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta III. Provarne l'autorità; e cercare di questa autorità il fondamento: a) sia nella storia; b) sia in una volontà distinta dal volere personale e che si impone ad esso. Ciascuno di questi tipi di soluzione deve essere esaminato piú brevemente che sia possibile, ma esaurientemente. 6  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO SECONDO IL FONDAMENTO CERCATO NELLA REALTÀ La persuasione che i principi morali, i criteri di valutazione, le norme della condotta, non so- lo possano ma debbano avere il loro fondamento in un ordine di verità accertabile teoricamente, cioè si possano ricavare da rapporti o leggi validi obbiettivamente, in nessuna altra forma forse ap- pare piú chiaramente che in quella della questione, dibattuta con tanto accanimento, se la morale si fondi sulla scienza o sulla metafisica, e nella natura degli argomenti messi in campo così dall'una come dall'altra parte. Perché la «scienza» si sforzava di dimostrare che la realtà a cui faceva appello la metafisica era immaginaria o inverosimile, e in ogni caso arbitraria ed incerta, e quindi non poteva su di essa fondarsi nulla di obbiettivamente valido; e la «metafisica» insisteva nel porre in evidenza la relativi- tà, la contingenza, la limitatezza della conoscenza empirica; e l'impossibilità di attingere in essa al- cuna verità necessaria ed universale, e perciò una qualsiasi validità né di forma, né di fine, né di do- veri. Ora l'uno e l'altro tipo di argomentazione si svolgevano e si svolgono appunto nell'ambito di questo presupposto: che i principi morali debbano fondarsi su qualche cosa d'altro, che li legittimi, che ne dimostri la certezza, che ne faccia riconoscere la verità; senza avvertire che il fatto stesso del discutere, cioè dell'ammettere la buona fede, cioè dunque la moralità del contraddittore, smentisce il presupposto. Il che concorda con l'osservazione ovvia ma non negabile per la sua massiccia eviden- za: che si trovano degli uomini di sincera e provata rettitudine morale fra i seguaci delle piú diverse dottrine. Né vale l'obbiezione che si può fare e si fa: che non si tratta di vedere se ci siano delle per- sone morali, tra i seguaci di una dottrina, ma se questi siano logici o siano coerenti con se stessi; os- sia se con quelle dottrine si possa ragionevolmente conciliare quel modo di giudicare e di valutare. Perché una tale obbiezione non esce dall'ambito del presupposto, anzi lo implica, appunto perché ammette come pacifico che un criterio di valutazione morale abbia una connessione necessa- ria, cioè logica, con certi principi teorici, e che non possa essere accettato se non in grazia di quei principi. Ma è il presupposto del fondamento teorico che bisogna provare; e non si prova con una petizione di principio. Il criterio morale a non si legittima se non col principio teorico A; se trovia- mo accettato a con B con C con D e non con A, vuol dire che quella coscienza è illogica, incoerente. Ma perché diciamo noi che sono illogiche le menti che non connettono a con A invece di riconosce- re semplicemente l'altra alternativa: che è possibile così l'una come l'altra connessione, che non vi è nessuna necessità intrinseca di dipendenza di a da A? Appunto perché, se si ammettesse che un medesimo criterio morale può accordarsi con prin- cipi teorici diversi, si dovrebbe ammettere che non si fonda né sull'uno né sull'altro, cioè che la fon- dazione teorica è illusoria. Insomma il ragionamento si riduce a un procedimento di questo genere: per dar certezza a una valutazione morale è necessaria una certa fondazione teorica; ciò importa che, o non si debba trovare quella certezza senza questa fondazione, o che se si trova, essa sia una certezza erronea, una certezza irragionevole illogica, una certezza che non ci dovrebbe essere. «Tu qui! Ma è impossibi- le!» dice la metafisica alla morale quando la vede in casa dell'empirista; e il medesimo rimbecca l'empirista alla morale del metafisico. Ed ambedue hanno torto, perché dove la morale si trova, ella è in casa sua anche quando paia a chi dimora con lei di averla ospite1 in casa propria. 1 Neppure vale a toglier peso al fatto l'osservazione che questa possibilità di coesistenza indifferente è soltanto apparente, perché dovuta a difetto di riflessione e di rigore logico; e sia inattendibile, perché dove si avvera, manca la  7  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Ma se questa fondazione extra-morale della morale è illusoria, donde nasce l'illusione e di che si alimenta? Quando il sociologo afferma che le norme morali esprimono le esigenze della vita sociale e si fondano sulle leggi della sociologia, ciò che si tratta di vedere non è già se veramente le norme morali corrispondono o no a tali esigenze e soltanto a quelle; né quali siano, tra le innumerevoli «leggi» scoperte e che si vanno scoprendo, quelle nelle quali la morale trova il suo fondamento; ma si tratta di vedere se dalla sociologia si possa ricavare il valore della società, dalle leggi della vita il valore della vita, dal processo di formazione e di incremento della civiltà il valore della civiltà, in una parola, dai rapporti condizionali il valore del condizionato. Ora una scienza, qualunque scienza, formula dei rapporti, non dà valori; i rapporti possono bensì far attribuire un pregio a qualchecosa, se stabiliscono la dipendenza condizionale e causale di un valore da ciò che, appunto per tale connessione, diventa a sua volta un valore mediato; ma il πρῶτον ἄξιον deve essere già dato, posto, riconosciuto come valore, perché sia possibile qualsiasi giudizio assiologico su ciò che ha relazione con esso. Tutte le piú complicate e piú delicate meraviglie della vita non bastano a darle il benché mi- nimo pregio se non si riconosce già come bene o la vita stessa o almeno alcuni dei fini ai quali può esser volta: anzi non sono «meraviglie» se non perché si illuminano di questo valore finale. Che la civiltà e la cultura siano da preferire alla barbarie e all'incultura sembra dimostrabile; ed è infatti; ma quando sia ammesso o sottinteso — come accade in effetto — che abbiano piú di pregio o di dignità o di desiderabilità certe facoltà e attività e forme di condotta che certe altre, cioè quando sia già posto e accettato un criterio di valutazione. Pare a prima vista una pedanteria. — Non si riconosce infatti da tutti che la vita valga la pe- na di essere vissuta? e anche quelli che la negano a parole, non sentono nell'istinto profondo smenti- re la loro negazione? Ammettiamo senza discutere, sebbene la cosa non sia così liquida come pare, l'universalità del consenso od almeno dell'istinto. Si tratta qui di vedere se questo apprezzamento della società e della vita, questo riconoscimento di valore è posto, è dato dalla scienza; se questa voce dell'istinto, questa volontà di vivere abbia o no l'autorità che le si attribuisce o suppone. Cioè si tratta di sapere, insomma, se chi vedesse nella società e nei suoi frutti un groviglio di miserie e di vergogne possa trovar mai nella sociologia la confutazione del suo giudizio; e se a chi trovasse la vita un limbo in- differente possano le leggi della biologia farla apparire desiderabile; e se sia la conoscenza della so- ciologia o della biologia o della psicologia che darebbe voce all'istinto se fosse muto, e autorità, se non ne avesse, alla sua voce2. competenza richiesta. Un libriccino pubblicato dal LALANDE alcuni anni fa (Précis raisonné de Morale pratique, Alcan, 1907) si distingue dai molti consimili nostrani e di fuori (qui non occorre accennare ad altri pregi) per questa circostan- za caratteristica: che il catechismo morale che vi è esposto e spiegato era stato sottoposto all'esame e aveva raccolto il consenso esplicito dei piú noti e autorevoli moralisti di credenze e di opinioni filosofiche diversissime. La testimonianza dei «competenti» veniva in questa occasione a confermare quello che è un luogo comune della storia delle dottrine e della pratica morale: che sul valore e sul contenuto delle norme morali siamo tutti d'accordo, perché tutti siamo d'accor- do, quanto all'essenziale, nel giudicare la nostra condotta o l'altrui: Tutti «quali che siano le convinzioni filosofiche e religiose ed anche se non abbiamo in proposito convinzioni di sorta» (VARISCO, Massimi e problemi, Nota VI: Metafi- sica e morale. E il Varisco, come è noto, è persuaso che una vera morale implichi una Metafisica «definitiva»). Quanto all'accordo sul «contenuto» forse, come si vedrà in seguito, pare piú largo di quel che in realtà non sia. Ma qui si tratta del valore. Quanto poi alla «Metafisica... definitiva» si chiede: a che stregua si giudicherà la metafisica adatta a fondare la morale? Non si ammette già che il criterio sarà fornito dall'accordo con la «vera morale» e cioè, dunque, che la vera morale è già data prima e fuori della Metafisica? 2 Neanche è da credere che tutto si riduca a questo salto; e che superato il passaggio incolmabile dall'effetto al fine e dalla conoscenza al valore, fatto proprio dalla scienza il presupposto iniziale di valutazione che essa non può dare, ogni difficoltà di questo genere sia allontanata.  8  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Quel che non può dare una conoscenza empirica non può dare una conoscenza metafisica, se non a patto di intendere già per conoscenza metafisica la conoscenza non di una realtà «intelligibi- le» e in quanto è intelligibile, ma di una realtà già apprezzata o apprezzabile; non la conoscenza di enti ma la conoscenza di valori. Quando il Rosmini si sforza con grande vigore di dimostrare che la conoscenza dell'essere è conoscenza del grado di entità, e quindi del grado di perfezione delle cose, e che perciò la stima speculativa (la conoscenza del grado di perfezione) può e deve diventare modello e norma della stima pratica (l'assenso del nostro volere), egli assume già nel concetto dell'essere quello di bene, nel concetto di realtà quello di perfezione, cioè di valore; e non deriva il secondo termine dal primo se non perché lo ha surrettiziamente già identificato con esso. La sua «stima speculativa» in quanto è stima, cioè apprezzamento e valutazione, è già pratica, perché non ha luogo se non in rapporto alle «potenze pratiche»; in quanto è speculativa cioè conoscenza obbiettiva, intellezione della realtà, non implica nessun apprezzamento. Insomma, in quanto è stima non è speculativa, in quanto è speculativa non è stima. La cosa appare anche piú manifesta se si bada che l'essere non può servire di criterio alla stima se non perché si ammette un ordine, una gradazione di enti, e quindi di realtà. Ma la realtà, in quanto esistenza, non ha gradi; ciò che si può graduare è il pregio o il valore (in qualunque entità esso sia riconosciuto), non l'esistenza delle cose; e la realtà è graduata perché sono graduati pregi, o i beni, o i valori che essa ci presenta realizzati. Che i due termini siano diversi e l'uno non deducibile dall'altro appare manifesto dalla ne- cessità di assumere, secondo la profonda e costante tendenza del platonismo, il concetto di perfe- zione come sintesi dei due concetti del reale e del bene, o con espressioni piú moderne, dell'esisten- za e del valore. Ora la perfezione non si può intendere se non in relazione con un modello, con un disegno attuato o da attuarsi, con una finalità; e la finalità implica una valutazione, cioè una scelta, cioè una volontà. Ed eccoci alla sorgente unica e comune della impossibilità di derivare un criterio di morale dalla realtà obbiettiva, empirica o metempirica, da qualsiasi dato o legge o induzione o verità teore- tica, sia scientifica, sia metafisica. Una realtà data o possibile non può dare un criterio di valutazione se non la si considera co- me una finalità, ossia se non le si riconosce un valore. E il giudizio con il quale si afferma il valore di un oggetto è diverso e non deducibile dal giudizio col quale ne affermiamo l'esistenza o la possi- bilità o la connessione modale o condizionale con altri oggetti. Apprendere come le cose sono, è tut- t'altra cosa dal valutarle3. Per interpretare le leggi naturali come leggi morali bisogna scegliere tra le leggi necessarie e le condizioni utili a una forma di vita e le leggi e condizioni utili a una forma diversa. Ad ogni nuovo passo, ad ogni bivio si sostituisce alla conoscenza obbiettiva la valutazione, si rende necessaria una scelta; e la valutazione se anche non è espressa, e sot- tintesa. Caratteristica, a questo proposito è la affermazione del Levy-Bruhl che «la conquista metodica della realtà» cioè «un'arte razionale fondata sulla scienza della realtà sociale» deve prendere il posto della «concezione immaginaria di un ideale» (La Morale et la Scienze des mœurs, Cap. V). Questa «conquista metodica» della realtà sarà pur guidata, — e non può essere altrimenti — se non da un idea- le, ché ogni ideale è soppresso, dall'idea di qualche cosa che si pone come piú desiderabile o migliore. Ma quale è il cri- terio di questo meglio? di quella amélioration che, come dice poche righe piú sotto delle parole citate, non bisogna di- sperare di portarvi? Questo criterio non può essere il reale stesso che bisogna modificare e migliorare; sarà dunque, di nuovo, in ideale o qualche cosa che lo sostituisce. «L'ombra sua torna ch'era dipartita». 3 Il pragmatismo, anche per chi è pragmatista, qui non ha nulla da vedere. Può essere verissimo che anche la nostra conoscenza sia stimolata, sorretta, guidata, controllata da un interesse (l'interesse teorico) e come tale sia, anzi è senz'altro, un valore (intellettuale): ma ciò non muta d'un ette la distinzione notata.  9  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Ora la conoscenza, o è teoretica, e ci dà oggetti e fatti e rapporti di oggetti e di fatti come so- no, cioè come dobbiamo concepirli per comprenderli; o li interpreta e li giudica come utili o nocivi, buoni o cattivi, preferibili o non preferibili, superiori o inferiori, e non è piú conoscenza, o almeno non piú conoscenza soltanto; e il criterio del buono e del cattivo, dell'utile e del disutile, del bello e del brutto è criterio di preferenza, di scelta, di valutazione che essa non trova nelle cose se non per- ché ve l'ha già posto, e ponendovelo ha ubbidito, consciamente o no, a un interesse che non è teori- co, ma è pratico nel senso che può restare a questa parola anche dopo le analisi del pragmatismo: pratico nel senso che, se si suppone tolta la volontà, è tolta non soltanto la molla che spinge a ricer- care e a trovare le distinzioni tra gli oggetti, ma sparisce la distinzione stessa tra gli oggetti. Ora, quando si intenda chiaramente e in tutta la sua portata questa irreducibilità dei giudizi di valore ai giudizi di esistenza o causali o teoretici (o percettivi, come mi parrebbe preferibile chiamarli), e la conseguente impossibilità di ricavare gli uni dagli altri, di pretendere che un giudi- zio di ciò che è, possa servir di fondamento a un giudizio di ciò che vale o che merita di essere, ap- parirà piú manifesta la insolubilità della questione del fondamento intesa in questo senso e cercata in questa direzione, e le ragioni di questa insolubilità. E con ciò si chiarisce anche l'inanità della controversia accennata fra metafisica e scienza e se ne spiega nello stesso tempo l'insistenza. ** * In breve (e trascurando le inevitabili inesattezze delle formule riassuntive): La realtà si può interpretare come sistema di forze e come sistema di valori. Se si interpreta come sistema di forze se ne fa una costruzione puramente intelligibile, cono- scitiva, anassiologica, estranea ad ogni moralità perché estranea ad ogni valutazione; sia essa co- struzione scientifica, sia metafisica, empirica o a priori, monistica, dualistica o pluralistica. Se queste forze si giudicano cioè si valutano, cioè si vede o si pone in esse, o operante per esse, un ordine, o un conflitto, o un processo di attuazione di fini, allora la conoscenza della realtà diventa conoscenza dei valori, e i fini della natura o della Provvidenza diventano il modello o il cri- terio del giudicare morale; e il fondamento della morale si troverà nella conoscenza di questa realtà; si consideri essa come scienza o come metafisica. Ma perché quelle forze siano apprezzate come valori occorre che siano dati i valori a cui si ragguagliano tali forze; e perché i fini della natura siano i fini di una Provvidenza è necessario che il processo della natura sia riferito ad uno scopo il cui valore di bontà è già dato e riconosciuto. Così il criterio della valutazione non si ricava dalla conoscenza della realtà se non perché la realtà era già stata valutata secondo il principio che si pretende di ricavarne; e non si trova in essa il fondamento della morale se non perché la coscienza morale ha spirato nell'intimo della realtà quell'anima di be- ne che crede di estrarne come suo principio e fondamento. Ed è anche facile comprendere perché gli assertori della fondazione metafisica si sentissero meglio armati alla difesa e piú vivaci nell'attacco. La scienza interdicendosi — nel programma se non nell'attuazione — ogni interpretazione finalistica, e quindi ogni valutazione della realtà, si trovava piú manifestamente a disagio quando pretendeva di derivare dai suoi rapporti obbiettivi un criterio, che ne aveva deliberatamente escluso. E quando voleva trovare nelle leggi un valore morale troppo facilmente rendeva palese la propria incoerenza. Perciò volgeva i suoi sforzi a considerare e a spiegare la moralità come un prodotto na- turale o un risultato meccanico di un giuoco di forze per sé spoglio di ogni finalità. Onde la tenden- Senza volontà di conoscere non ci sarebbe conoscenza; sta benissimo, o almeno possiamo qui lasciar di discu- tere; ma la conoscenza è volontà di conoscere le cose come sono cioè come appaiono a chi non è mosso da altro inte- resse che quello del conoscere; e il valutare è giudicare le cose così conosciute (cioè costruite in conformità all'interesse teoretico) rispetto a finalità distinte da quelle del conoscere, cioè a interessi di altro genere, edonistico, estetico, morale, e via dicendo. Altro è dire che in Engadina fa fresco e altro dire che amano il fresco quei che vi passano l'estate. 10   Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta za costante dell'«etica scientifica» a identificare il problema nel fondamento col problema dell'ori- gine, la valutazione con la spiegazione; e a considerare una reale o pretesa naturalità come criterio di moralità. E la metafisica poteva tanto piú trionfalmente mettere in chiaro l'equivoco, e dimostrare l'impotenza assiologica della scienza quanto piú sentiva non solo non estranea, ma legittima, ma implicita nella propria costruzione della realtà, una interpretazione teleologica; ed era avvezza a considerare la morale come sua pupilla perché... ne amministrava il patrimonio. ** * Ma se il problema della fondazione teorica, nella forma classica, e, direi (nel senso piú bello della parola), ingenua, di derivazione dei valori da una realtà, è insolubile, perché o urta contro una radicale irreducibilità, o si riduce a una petizione di principio, essa non sparisce se non per lasciar scoperto dietro di sé il problema che nascondeva o adombrava, e nel quale attraverso Kant si è ve- nuto via via trasfigurando. Non si tratta piú di trovare nella conoscenza della realtà la prova che le nostre valutazioni sono «vere», poiché le valutazioni sono, come espressioni di una esperienza interiore sui generis, valide per sé; ma di sapere se su questi dati valutativi si può costruire una conoscenza oggettiva; se i valori morali siano prova dell'esistenza di certe condizioni e di quali; se sia possibile, non trovare nella realtà il fondamento del valore, ma trovare nel valore il fondamento della realtà. Il problema si aggira sempre in ultimo attorno al medesimo dubbio: se il mondo, la natura, la vita abbiano un si- gnificato morale, se l'anima dell'universo guardi al medesimo fine che la coscienza morale; se gli sforzi della volontà buona siano fecondi di frutti durevoli o siano un lavoro di Sisifo, che ogni co- scienza riprende faticosamente per lasciare che ciascun'altra rifaccia, destinato in ultimo a cadere pur esso nel nulla, uno sforzo piú grande. Ma l'atteggiamento è diverso. L'ontologismo metafisico subordinava, almeno nella riflessio- ne consapevole e nella costruzione logica, il giudizio di valore al giudizio di realtà. Nella filosofia dei valori il giudizio di realtà è subordinato, anche nel processo riflessivo e costruttivo, al giudizio di valore. Il momento che nell'intellettualismo ontologico era nascosto e inconsapevole, quello della assunzione tacita del concetto di valore nel concetto di realtà, nella filosofia dei valori diventa chia- ro e consapevole e si allarga nel tentativo di tradurre il passaggio psicologico in processo discorsivo e di fondare un sistema di verità teoretiche su quella certezza che veramente era ed è il dato iniziale, l'ubi consistam di ogni costruzione etica, sia scientifica o metafisica, progressiva o regressiva, a- scendente o discendente: la certezza diretta e intuitiva dei valori morali. 11  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO TERZO IL FONDAMENTO CERCATO IN UNA GIUSTIFICAZIONE FINALE Illusione poco meno antica accompagnata da sforzi parimenti tenaci, e forse piú multiformi di tradurla in dottrina rigorosa, è quella di credere che si possa ricavare la valutazione morale da qualche bene indiscutibilmente supremo, del quale essa esprima le esigenze e formuli le condizioni necessarie. Questo sommo bene, questo fine supremo, questo valore, sorgente prima, termine ultimo di tutti i valori si credette di trovare: o in un dato della coscienza empirica, un fine inerente alla vita e subordinante di fatto tutte le tendenze, aspirazioni e attività dell'uomo; o in un fine che domina ben- sì, ma trascende la vita e la natura umana, e subordina di diritto ogni altra forma di bene e ogni cri- terio di valutazione. Alle due diverse concezioni del fine rispondono due tipi principali di dottrine morali, dei quali è facile rilevare la corrispondenza coi due tipi di dottrine sulla fondazione di cui si è detto nel capitolo precedente. Ma la corrispondenza non è coincidenza. Là l'origine dell'illusione era nella pretesa di derivare la valutazione morale da una realtà la cui conoscenza si impone all'intelletto; qui di derivarla da fin bene il cui valore è ammesso, o si suppone che debba essere ammesso inconte- stabilmente come supremo o massimo, o almeno superiore ad ogni altro. Ora l'illusorietà della pretesa consiste in ciò: che il valore morale non è morale se non a patto che se ne riconosca, o, meglio, se ne senta la superiorità, la preminenza su ogni altro valore; il suo essere morale consiste (con ciò non si escludono gli altri caratteri) in questa sua supremazia. Perciò ogni tentativo di assegnare un bene supremo che lo giustifichi, si riduce all'uno od al- l'altro termine di questa alternativa: o di ammettere che questo bene è già esso stesso il valore mora- le che si crede di derivarne, o di mostrare che ciò a cui si dà valore morale, è valore anche per altri rispetti; cioè sarebbe un valore (di altro genere) anche se non fosse valore morale. I tentativi che si raccolgono intorno al primo tipo (fine: la felicità, o il piacere) riescono di solito (quando e nella misura che possono) a quest'ultimo risultato; quelli del secondo tipo (fine: il possesso del divino, l'avvicinamento a Dio, la santità) riescono di solito al primo: a presupporre quel che credono di derivare. ** * Dell'utilitarismo in generale e delle sue diverse forme sarebbe fastidioso, e non è qui neces- sario, ripetere per la centesima volta le critiche note. Basta mettere in chiaro quel che meno fu notato e che piú importa al nostro scopo: cioè non tanto le lacune, le insufficienze e le incongruenze dei tentativi, ingegnosi assai piú che fortunati, di ricondurre le norme morali al criterio dell'utilità, e di mostrare le coincidenze tra il contenuto delle norme morali e il contenuto delle regole utilitarie, quanto la ragione per la quale la derivazione è impossibile; o, quando appare possibile, dissimula in realtà una petizione di principio. Supponiamo pure che si ammettano cose troppo manifestamente arbitrarie: che la felicità sia non un nome vago, un recipiente vuoto nel quale ciascuno versa il liquido preferito (e che non è sempre neppure per la stessa persona il medesimo) ma abbia un contenuto determinato (poniamo l'acquisto o il possesso di certi beni: salute, amore, potenza, gloria, simpatia, cultura, ingegno, soddisfazione della propria co- scienza; e che tra questi beni sia possibile perfetta conciliazione ed armonia); e che si possa dimo- strare davvero, e non per salti o per ripieghi, che il nodo non pure piú sicuro, ma il solo veramente sicuro e indispensabile per raggiungerla, sia l'osservanza costante delle norme morali. 12  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Con ciò non si sarebbe dimostrato che ciò che fa il valore morale delle norme consiste nella loro utilità come guida della felicità; ma soltanto che i valori morali sono anche valori eudemono- logici; che il contenuto della valutazione morale e quello della valutazione utilitaria coincidono; non mai che il valor morale di un'azione consista nel suo esser mezzo alla felicità. Resta fuor di questione (s'intende e deve esser quasi superfluo avvertirlo) la considerazione dell'efficacia pratica o esecutiva; se sia o no piú persuasiva o piú impulsiva l'una o l'altra valutazio- ne. Si può anche ammettere, senza soverchio sforzo immaginativo, che sia per lo piú la edonistica; ma ciò non prova affatto che questa si confonda o si identifichi con la valutazione morale, o valga a sostituirla. Dimostrare a un giudice che il dar sentenze imparziali è il modo piú sicuro di far carriera, potrebbe essere, in ipotesi, un mezzo efficace a promuovere l'imparzialità. Ma nessuno sognerà di far consistere l'onestà del giudice nel suo desiderio di far carriera. Ma in realtà, come tutti sanno, il contenuto della felicità non è determinato, né determinabile se non ad arbitrio4; e solo significato comune e costante del termine finisce per essere quello di ap- pagamento dei desideri, di soddisfazione, di piacere, o di liberazione dal dolore, che si pensa dover- si trovare nel raggiungimento di ogni fine. E la diversità persiste e risorge nella molteplicità varia e contrastante dei desideri e dei pia- ceri, e non basta raccoglierli sotto uno stesso nome per ridurli a unità e farne un unico fine. Perché se l'unità ci deve essere davvero, allora è necessaria o una riduzione o una gradazione e subordinazione; e questa spunta infatti nella storia dell'utilitarismo con il criterio della qualità so- vrapposto e in effetto sostituito dal Mill a quello della quantità. E allora si capisce come possa avvenire che il criterio della felicità finisca per accordarsi con quello della valutazione morale; se le soddisfazioni migliori sono le soddisfazioni morali, e il bene piú desiderabile l'appagamento della coscienza morale, l'accordo tra i due criteri quanto al contenu- to è, non solo possibile, ma necessario. Ma è troppo facile vedere a quale patto è raggiunto. Il valore di quella felicità alla cui stregua si pretende di giudicare il valore morale è assunto come supremo perché e in quanto contiene questo valore morale ed è graduato esso stesso secondo un criterio mo- rale; approva e disapprova in nome della felicità quel che trova approvato e disapprovato in nome della coscienza morale. Viene in mente il modo, col quale un marito sincero si vantava di aver risolto il problema di una pace coniugale perfetta: dove marito e moglie erano dello stesso avviso era la moglie che se- guiva il parere del marito, dove erano di avviso contrario era il marito che faceva la volontà della moglie. Adunque, anche ridotta a questa forma, la felicità non fornisce il criterio della valutazione morale se non in quanto è foggiata essa stessa su un criterio morale; e quel che pretende di aggiun- gervi come giustificazione, non è ciò che costituisce il valore morale, ma è qualchecosa di distinto, di sopraggiunto ad esso (giusta la veduta di Aristotele) sebbene lo accompagni; è una valutazione secondaria, edonistica od egotistica (non oserei dire egoistica) del valore morale5. ** * Porre come bene supremo la santità (il divino in quanto è sentito e voluto come modello o norma della vita si determina in un ideale di santità) è derivare il valore morale dal valore religioso, concepito come principio e termine di ogni valore, e del quale esso valor morale è un elemento; o 4 Ne ho parlato altrove (La dottrina delle due etiche di H. Spencer e la morale come scienza, pp. e 120-121) e non occorre insistervi qui. 5 Sebbene il parlare della soddisfazione della propria coscienza come di un bene desiderabilissimo sia legitti- mo, non è legittimo, né conforme alla verità psicologica, considerarlo come il fine della condotta morale. Il fine è l'attuazione di quel valore che la coscienza riconosce come morale; e non è l'altezza della soddisfazio- ne che se ne possa attendere, che costituisce il pregio dell'azione, ma è il pregio dell'azione che misura l'altezza della soddisfazione; la quale è pura soltanto a patto che non se ne faccia lo scopo dell'operare.  13  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta meglio, l'attuazione di questo è voluta come una condizione, o un momento dell'attuazione, di quel- lo. E qui giova premettere due osservazioni non peregrine ma utili alla chiarezza: 1° Che questo valore supremo del divino, della santità e, in termini piú generali, il valo- re religioso non può essere dimostrato o insegnato con lo stesso processo conoscitivo, con il quale si dimostrano, si insegnano e si comunicano delle proposizioni o verità teoretiche, e, in quel che han di contenuto teoretico, i dogmi stessi delle dottrine religiose. Questo valore è sentito, è, come si dice con frase piú suggestiva che chiara, vissuto dalla coscienza; e quanto è sicuro ed efficace l'appello ad esso, dove è vivo, altrettanto è vano dove non vive. Fondare la valutazione morale sui valori reli- giosi è dunque presupporre che siano sentiti e vissuti nella loro forma e natura specifica quei valori religiosi da cui si fanno sgorgare i morali. Ma dove essi valori religiosi non siano sentiti e vissuti, nessuna dottrina teologica e nessun catechismo può crearli6 o sostituirli. 2° Che, per converso, nessuno sforzo d'analisi e nessun ragionamento basta a spogliare, nell'anima di un mistico, i valori morali da quel sentimento del divino, a svestirli di quell'alone reli- gioso del quale egli investe non solo questi ma anche gli altri valori spirituali; come sarebbe diffici- le nella intuizione e nel sentimento di un esteta di sottrarre i valori morali e i valori religiosi a una valutazione estetica. Come accade sempre dove un grande interesse spirituale predomina sugli altri, cioè dove una categoria di valori occupa, per dir cosí, il centro della coscienza, e raccoglie ad unità, come attorno ad un nucleo, i valori di altre specie; che è quel che suole piú comunemente e nor- malmente avvenire per i valori morali. Ma fatta (come dicono i legali) questa riserva, bisogna riconoscere che nessuna valutazione morale si potrebbe ricavare da qualsivoglia valore religioso, se non vi sia già esplicitamente o im- plicitamente contenuta; cioè se non a patto che si sia incorporata nel valore religioso una valutazio- ne morale la cui validità sussiste o sussisterebbe anche all'infuori di quello; ed è la ragione per la quale viene assunta nel valore religioso. Non è necessario, a persuadersene, di discutere il problema formidabile della essenza del va- lore religioso. Se si accetta l'opinione del Höffding che il nucleo essenziale della religione è la credenza nella conservazione dei valori, e, s'intende bene, soprattutto dei valori morali, la indipendenza e la priorità di questi sono, re ipsa, riconosciute. In effetto quali si possano essere le reazioni di tale credenza sulle valutazioni, resta pur sem- pre che non è l'esigenza della conservazione quella che dà ai valori la loro qualità di morali, ma il loro esser sentiti, il loro valere come morali che ne fa postulare la conservazione. Di che ho già det- to altrove7, e non occorre del resto insistervi. ** * Se invece si ammette, come io credo, che la natura specifica, la «forma» del valore religioso non sia riducibile a quella credenza, e che sia essenziale e caratteristico del sentimento e della valu- tazione religiosa il riferimento del nostro pensare, del nostro sentire e del nostro fare, anzi di tutto il nostro essere, ad un altro essere; sommità dell'aspirazione religiosa l'esserne penetrati e posseduti; e misura del valore religioso, la devozione ad esso, l'abbandono di sé alla volontà che ne realizza le perfezioni; allora il valore religioso è per sé altra cosa del valore morale; ma, se non si risolve in questo, neppure lo pone, ma se lo appropria ed incorpora. E se può sembrare all'anima religiosa che esso sgorghi da questa idealità e se ne alimenti, la ragione sta in ciò, come si è accennato: che al mi- 6 È appena superfluo aggiungere che non penso neppur per sogno di negare una possibile efficacia all'insegna- mento religioso in quanto esso, come ogni insegnamento, non è mai (salvo forse agli occhi di chi lo misura col tassame- tro) pura comunicazione di notizie o di idee, ma è vigore di convinzione, calore di affetti, opera di formazione; insom- ma, educazione. Ma anche l'educazione suppone le condizioni dell'educabilità. E si suppone poi sempre che chi legge faccia uso del consueto grano di sale. 7 Cfr. Postulati etici e postulati metafisici, p. 199.  14  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta stico riesce impossibile di concepire altrimenti che perfetto, cioè perfetto anzitutto e soprattutto mo- ralmente, l'Essere che adora, e nel quale vede non un bene, ma ogni bene, il Bene. Ma la perfezione che vede in lui, a quale stregua è giudicata tale? L'ideale che trova realizza- to in quello non è foggiato secondo un criterio di valutazione morale la cui validità è accettata e ri- conosciuta all'infuori dell'atteggiamento religioso della devozione a Dio? Anzi non è quella perfe- zione morale che lo fa degno di adorazione? Un mistico a cui si domandasse se concepisce Dio perfetto perché lo adora o se lo adora per- ché è perfetto, forse non saprebbe rispondere, e troverebbe che la domanda scompone quel che è per lui uno e indissolubile. Ma ciò non toglie che la devozione e la adorazione non costituiscano per sé i pregi e le doti di ciò che è adorato; e nessuna coscienza potrebbe trovare in Dio i valori morali se non li conoscesse già come valori, e non li distinguesse come morali dai valori di altro genere. Questa priorità e questa indipendenza, questo sussistere per sé, questa selbständigkeit della valutazione morale, appare confermata dalle discussioni sul valore delle religioni, il cui termine di confronto piú consueto e piú decisivo è dato dal rispettivo contenuto morale. Il che implica manife- stamente che questo contenuto possa esser giudicato e apprezzato per sé. E il prevalere sempre piú largo delle preoccupazioni morali nelle controversie di indole religiosa (per esempio la lotta intorno al modernismo) mostra che la validità del criterio morale è tenuta come certa di una certezza che è data e riconosciuta indipendentemente da ogni valutazione religiosa. Quanto all'affermazione che la morale non può reggersi senza religione, essa, sebbene ambi- gua nella forma, non significa affatto, come è facile capire, che non sia possibile sentire e giudicare ciò, che è giusto o ingiusto, buono o cattivo se non con un criterio e da un punto di vista religioso; vuol dire invece che non è o non si crede possibile una moralità salda e costante, cioè una sicura conformità della condotta alle valutazioni morali, se la valutazione morale non è sorretta, conforta- ta, fatta praticamente efficace dalla connessione dei valori morali con una finalità religiosa; cioè dal considerare i valori morali come preparazione e condizione necessaria di quel fine; e quindi i pre- cetti morali come precetti religiosi. Che è tutt'altra cosa; importantissima dal punto di vista propriamente pratico o esecutivo, ma estranea alla questione presente e da trattarsi a parte, analogamente a quel che si è accennato sopra della possibile importanza pratica di una valutazione edonistica. Dire che l'olmo sorregge la vite, non è dire che la vite sia una propaggine dell'olmo, e nep- pure che sia l'olmo che porta l'uva; sebbene sia anche vero che, dove la vite non si regge da sé, non dovrebbe parer savio tagliar l'olmo anche a chi ami soltanto la vite. ** * Quel che si è detto dei tentativi di una fondazione edonistica e di una fondazione religiosa si potrebbe ripetere di ogni altro tipo di morale di cui si pretenda di trovare il fondamento in un inte- resse diverso dall'interesse propriamente e specificamente etico (notevolissima fra le altre la morale estetica), e dalle forme miste e intermedie; le quali, se sono dottrinalmente fiacche e spesso incoe- renti, hanno però in realtà largo consenso nelle credenze e nelle opinioni piú comuni. Di queste ultime meritano di essere ricordate, perché piú significative, le due forme, nelle quali si mescolano e si sovrappongono i due tipi di valutazione qui sopra brevemente analizzati, la edonistica e la religiosa; che sembrano a prima vista i piú lontani e l'uno all'altro opposti. Si può avere cosí una interpretazione edonistica della valutazione religiosa (esempio l'utilita- rismo teologico) e un'interpretazione religiosa della valutazione utilitaria (altruismo comtiano, mi- sticismo umanitario). ** * Da quanto si è discorso pare si debba concludere che queste indagini (spesso nei particolari ingegnosissime e suggestive) nelle quali si cerca la ragione del valore morale nella sua connessione 15  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta o congruenza con altri valori, abbiano importanza solamente nel rispetto strettamente pratico o ese- cutivo; in altre parole una importanza parenetica o pedagogica, in quanto una tale connessione con- forta, sorregge o surroga con motivi di altra natura e sgorganti da interessi diversi il motivo specifi- camente morale. Sarebbero dunque analisi ed indagini preziose per l'educatore e per l'uomo politico (dato che si propongano fini morali), ma senza interesse per lo scopo a cui mirano, di costituire il fondamento o la giustificazione dei valori morali, perché radicalmente viziate dal falso supposto che la ragione della supremazia dei valori morali si possa cercare in qualchecosa che non abbia già essa per sé valore morale. Ma questa conclusione sarebbe precipitata e eccessiva. Intanto è fuor di questione che, no- nostante il carattere di artificiosità che si trova piú o meno largamente diffuso nelle costruzioni di questo genere, come nei sonetti a rime obbligate, vi è in tutte una parte notevole di verità; verità s'intende non in quel che credono di dimostrare, ma nei rapporti e nelle concordanze e nelle diffe- renze rilevate, e che dovrebbero servire alla dimostrazione. Questa parte di verità ha radice nel fatto, troppo noto e troppo chiaro perché ci sia bisogno di illustrarlo, e già sottinteso a piú riprese in questo capitolo, che non vi è giudizio sul valore morale di un oggetto, qualità, tendenza, azione, del quale non si possa trovare la ragione, oltreché nella forma speciale di interesse o di esigenza che gli dà questo carattere specifico di valore morale, anche in un interesse diretto o indiretto d'altra natura: non vi è bene morale che non sia bene anche per altri ri- spetti; come d'altra parte non vi è bene di altro genere che non sia o non possa diventare, diretta- mente o indirettamente, un bene morale. I valori delle diverse specie si connettono, si intrecciano e si complicano fra loro in mille guise. È bensì vero che ciò che fa esser morale un valore (e analogamente si potrebbe dire dei valori di ogni altra specie) non è, come s'è visto, il suo coincidere o il suo essere connesso sia pure per un rapporto di condizionalità costante, con un valore — per quanto grande — di altro genere, o anche con piú altri ordini di valori o con tutti; ed è perciò che nessuna sottigliezza di logica può estrarre un valore morale se non di là dove esso si sia già posto o insinuato; e che credere di poter trovare un valore morale tra valori che non siano già morali è fare a un dipresso come chi vada frugando fra le idee degli altri con la speranza di trovarvi le proprie. Ma è pur vero che sussistono altri valori, e sussistono le relazioni fra i valori; e ciò che è og- getto di valutazione morale, poniamo la sincerità, può essere apprezzato dal punto di vista dell'inte- resse conoscitivo od artistico o economico; e, per converso, ciò che è oggetto di valutazione edoni- stica o estetica o d'altro genere, la ricchezza, l'arte, la dottrina, può essere valutato anche come bene di ordine morale. Ora: È possibile una conciliazione dei valori morali con gli altri valori e di questi fra di loro? E se non è possibile, quale è il criterio della loro graduazione e subordinazione? Vi è, per rispetto alla natura delle relazioni o connessioni tra valori di diversa specie, qual- che differenza caratteristica che distingue i valori morali dai valori non morali anche per il contenu- to? E vi è, segnata ancora dalla sfera delle relazioni condizionali o strumentali con valori di altro genere, una differenza che distingue, rispetto al contenuto, gli stessi valori morali fra di loro? E non potrebbe questa considerazione giovare a intendere le incoerenze e i contrasti tra valu- tazioni diverse e anche opposte, che pure si presentano col medesimo carattere di valutazioni mora- li? Cosí, dietro i tentativi illusori di cercare fuori e al di là dei valori morali il fondamento della valutazione morale e la ragione decisiva che ne giustifichi la supremazia, restano i problemi: della valutazione indiretta o rivalutazione condizionale o strumentale, di una graduazione delle diverse categorie di valori; e della possibilità della loro conciliazione. Della quale, la conciliazione tra virtù e felicità non è che un aspetto particolare, e forse non il piú importante. 16  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO QUARTO IL FONDAMENTO CERCATO NELL'AUTORITÀ Il carattere di autorevolezza col quale si presenta alla coscienza il giudizio morale, che noi approviamo bensì come nostro, ma che ci pare nello stesso tempo sgorgare da una sorgente piú alta o piú profonda, e quello di precetto imperativo nel quale si traduce, tendono a far derivare questi ca- ratteri, e, quando siano considerati essenziali della moralità, lo stesso giudizio morale, da un'autorità distinta dalla coscienza, e che, pur rivelandosi in essa, la trascende e la supera. Il fondamento di questa autorità fu riposto o nel processo stesso di formazione, consapevole o inconsapevole, delle idee e dei sentimenti morali che danno contenuto alla valutazione; o in un volere superiore e distinto dal volere individuale, al quale si riconosce potestà imperativa e alla cui scelta o decisione si riconduce in ultimo il criterio della valutazione morale. L'autorità delle valutazioni morali avrebbe dunque in ultimo, come ogni altra minore autorità politica o sociale, il suo fondamento e la sua legittimazione o nei titoli di una sua nobiltà storica, o nella volontà di un potere sovrano. a) Della storia. L'appello alla storia può assumere, assunse in effetto, forma e apparato e significazione di- versi, secondoché si credette di fondare l'autorità della valutazione in un processo genetico di evo- luzione selettiva operante attraverso l'esperienza organizzata della specie; o in un processo storico di svolgimento e di elevazione progressiva dei costumi, della cultura, degli istituti e delle idealità etiche nei popoli civili; o nella elaborazione logica di un pensiero riflesso rintracciato nella succes- sione storica delle dottrine e dei sistemi. La prima delle forme accennate che si connette alla dottrina dell'evoluzione e che culmina nella tesi di un progressivo adattamento dei bisogni, dei sentimenti, delle attività alle condizioni di una vita sociale sempre piú elevata, piú complessa e piú armonica (lasciando ogni questione che non sarebbe oggi piú neanche di buon gusto sulla consistenza scientifica della dottrine), si risolve in ultima analisi, come fondazione etica, nel postulare quella superiorità e quella autorità dei sentimen- ti e delle norme di condotta morali, che pretende di provare derivandola dal processo di selezione progressiva che ne ha costituito e consolidato la prevalenza nel corso dell'evoluzione. Infatti il criterio, per il quale giudichiamo progressiva piuttosto che regressiva o indifferente l'evoluzione o la selezione delle idee e dei sentimenti, è un criterio di valutazione di cui si riconosce e si accetta la validità indipendentemente dal processo di cui sarebbe — nell'ipotesi — il prodotto; (e del quale processo, anzi, è esso stesso, questo prodotto, che ci fa riconoscere il valore). Ed è troppo chiaro che non è perché il «progresso» del senso giuridico ha portato all'aboli- zione della tortura che noi condanniamo la tortura, ma è perché condanniamo la tortura che ravvi- siamo nella sua abolizione un progresso etico nello svolgimento del diritto. Ché se si obbietta derivare l'autorità delle norme morali dalla loro convenienza e corrispon- denza alle forme di vita «superiore», ai tipi di relazioni «più elevati» dei quali esprimono le esigen- ze, si dimentica che all'infuori di un criterio — quale esso sia — di valutazione non vi sono forme superiori o inferiori, tipi derivati e tipi bassi. E un criterio di valutazione è, sempre, necessariamen- te, in modo esplicito o implicito, assunto o sottinteso. Tanto ciò è vero, che il massimo rappresentante e sistematore dell'evoluzionismo, lo Spencer, fu condotto a sovrapporre, per giustificarlo — al criterio genetico dell'adattamento pro- gressivo a un tipo di vita completa — il criterio edonistico di un piacere puro corrispondente all'a- dattamento completo. ** * 17  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Se a una selezione esteriore e meccanica, nella quale la coscienza è risultato e non attività, si sostituisce uno svolgimento interiore e psichico — nel quale la coscienza etica viene costruendo ed elaborando le sue valutazioni le sue norme le sue idealità sempre piú alte e sempre piú ampie nel passaggio da età ad età e da popoli a popoli in sfere di civiltà piú larghe, e, sulla via che l'induzione storica rivela attraverso le soste, le deviazioni, gli oscuramenti e i ritorni apparenti, si scorge col Wundt la direzione ideale e si disegnano i fini, i motivi, le norme in cui la coscienza morale viene raccogliendo le sue conquiste — la concezione della formazione storica è senza dubbio piú propria, piú adeguata e piú probabile; ma non è tolto il vizio d'origine, l'errore, direi di prospettiva, comune a ogni tentativo di fondamentazione storica dei valori morali. (E il medesimo sarebbe da dire per le altre specie di valori). Lasciamo pure la vecchia calunnia (se bene le calunnie sogliono aggrapparsi a qualche unci- no di verità) fatta alla storia: Hic liber est in quo quaerit sua dogmata quisque; e neppure discutiamo della possibilità e dei limiti di una induzione legittima sui fatti storici; ciò che importa, e che basta notare, è che questa induzione, posto che fosse legittima, e non avesse già per filo conduttore e regolatore quella direzione ideale che vi rintraccia ingegnosamente, non pone essa il valore delle conclusioni a cui giunge, non è essa che ci fa riconoscere la bontà, la elevatezza, la eccellenza morale delle idealità che segnano la meta. Questa valutazione è irreducibile alla storicità; ed è anzi dalla storia — in quanto voglia es- sere giudizio comparativo di valori umani — sempre e inevitabilmente presupposta. Di che è prova il fatto che, mutato il criterio valutativo, sostituita all'una un'altra scala di valori, la prospettiva si rovescia; e Nietzsche vede una nefasta degenerazione dove il democratico e l'umanitario ravvisano l'indice sicuro di un felice progresso morale. E se il criterio valutativo della coscienza si contrappone a quello che ha o sembra avere a un momento dato il conforto della storia, non vi è in questo nessuna ragione intrinseca di superiorità o di inferiorità dell'uno sull'altro dal punto di vista etico, che è quello che importa; anzi neppure dal punto di vista storico, perché quel conforto (quale esso sia) della storia, che oggi fa difetto al primo, non è escluso che lo assista domani. La storia è conservazione e svolgimento, ma anche innovazione e opposizione; non è, di- ciamo pure, con termini hegeliani, una cosa se non perché è nello stesso tempo l'altra. ** * Se passiamo ora ad esaminare lo svolgimento storico nel pensiero riflesso, troviamo che il problema attorno al quale sembra disegnarsi meglio la continuità logica della speculazione morale nella successione dei sistemi, è, nella sua forma piú generale, il seguente: Come dobbiamo concepi- re la realtà perché essa risponda alle esigenze delle nostre intuizioni morali; e se e come siano pos- sibili le condizioni di una tale realtà. Lo svolgimento logico e dialettico delle dottrine riguarda so- prattutto, se non esclusivamente, i problemi che nascono da questo problema centrale; le forme di- verse sotto le quali si presentano; e il processo di sostituzione e di eliminazione e di superamento, per il quale i problemi antichi trapassano nei problemi nuovi. Ma la sostanza delle intuizioni morali non è data, e non potrebbe essere, né da questo o quel sistema, né dalla successione fosse pur continua e rigorosamente coerente dei sistemi, che ne scopre e ne snoda le esigenze, e viene cercando una risposta alle domande che queste esigenze sollevano e presentano alla riflessione critica. In questo sforzo essenzialmente speculativo di sistemazione, e per dir cosí, di inquadramento delle intuizioni morali in una concezione unitaria della realtà che ne ac- colga le postulazioni, sarebbe fuor di luogo pretendere di trovare la ragione d'essere di quelle valu- tazioni, dalle quali la speculazione prende le mosse, e che ne ispirano e alimentano le indagini. È bensí vero che a questo travaglio di costruzione speculativa si annoda e si intreccia l'anali- si e l'indagine di indole propriamente etica, sulla natura dei diversi principî e criteri valutativi, che ne saggia la fecondità, ne svolge le conseguenze, mette in luce i rapporti di accordo e di contrasto 18  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta tra le valutazioni morali attinenti a sfere di esperienza diverse, svela i legami spesso sottili e inattesi che stringono in gruppi di affinità alcune di queste intuizioni sia tra di loro, sia con valutazioni di altro genere, noetiche estetiche e religiose. Ma questa elaborazione che è pure di importanza capita- le per rendersi conto della «rilevanza» e della portata dei criteri di valutazione e per tentarne la uni- ficazione in una dottrina etica strettamente intesa (che è altra cosa da un sistema filosofico di etica), si svolge attorno a un contenuto valutativo, fornito dalla immediata esperienza morale; assume co- me validi per sé i giudizi apprezzativi che ne costituiscono gli elementi, i punti saldi di riferimento, i dati, alla cui validità è legata la consistenza della costruzione. E vi può essere finalmente nei sistemi morali, e certamente si trova nei piú grandi e signifi- cativi, un filone piú o meno ricco di intuizioni morali nuove, che si aggiungono o sovrappongono o sostituiscono alle intuizioni date nell'esperienza della coscienza morale comune, e segnano la crea- zione di nuovi valori e aprono la visione di una regione morale inesplorata. È la parte che spetta al genio morale ed è il sale di quella dottrina etica, in cui l'intuizione è accolta, ospite o signora. Ma questa novità di intuizione, questo allargamento, o arricchimento, o soprattutto, orientamento diver- so di valori, nessuno vorrà considerare come il frutto di una deduzione logica, anche se nel sistema ne vestisse le forme: anche se fosse esclusivamente opera dei grandi costruttori di sistemi e si ac- compagnasse sempre con una riflessione critica acuta e una meditazione ostinata. Questa concomitanza (che del resto non si può dire costante, perché novità di intuizioni mo- rali si trova pure in dottrine, pensamenti, apostolati estranei, almeno in origine, ad una costruzione sistematica) significa soltanto che quella medesima profondità di intuizione e intenso ardore di en- tusiasmo morale dai quali erompe la nuova idealità, promuovono e preparano, quando secondino le forze dell'intelletto, i grandi sistemi morali. Cosí anche questa affermazione o posizione di valori nuovi8, non importa qui cercare da quale concorso di circostanze interiori od esteriori suscitata o svincolata, non è la conclusione di u- n'indagine scientifica o filosofica, ma è un penetrare o un irrompere della coscienza morale nella corrente del pensiero riflesso; che non li dà esso, ma li accoglie; li illumina, ma non li crea. b) Il fondamento cercato in una volontà. La forma di precetto imperativo nella quale si traduce l'esigenza di conformare l'azione al giudizio morale fa considerare la moralità come l'adempimento di un obbligo e questo come l'obbe- dienza a un'autorità inconcussa e indiscutibile. A questo momento della moralità corrisponde la tendenza a cercare il fondamento del valore morale stesso in un Potere (che, in quanto si esercita in vista di un fine o in conformità a una norma, è Volere) immanente o trascendente, personale o soprapersonale, del quale i giudizi morali espri- mono i comandi. L'autorità della coscienza morale rispecchia l'autorità di quel potere, e risuona l'eco di quel comando nel tono imperativo dei suoi precetti. Ora qui è necessario sgombrare il terreno dagli equivoci che nascono dal trasportare un me- desimo termine da uno ad altri concetti connessi ma diversi, o dal costringere in un solo concetto momenti distinti di un processo psicologico complesso. Quando si parla del dovere, come di una caratteristica della valutazione morale, si cade in un equivoco di questo genere. Il dovere non è dovere di valutare, ma di conformare l'azione alla valu- tazione. 8 È forse superfluo avvertire che qui si parla di valori nuovi immediati e diretti; non di valori indiretti o mediati. Di questi altri, anzi, ogni incremento del sapere moltiplica il numero e le gradazioni; ed è in questa derivazione e dedu- zione dei valori indiretti e mediati dai diretti e immediati, che l'etica applicata prende a prestito dalla conoscenza scienti- fica le premesse minori dei suoi sillogismi valutativi.  19  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta La valutazione morale precede, nell'ordine delle esigenze ideali, l'obbligo e lo giustifica; e non inversamente; anche se nella pratica coincidessero sempre e questo fosse la ratio cognoscendi di quella. E qui occorre una analisi alquanto sottile e una riflessione un po' attenta. ** * La valutazione morale è preferenza, scelta, opzione fra qualità o proprietà, cioè modi possi- bili di essere o di agire, tra i quali non vi è gradazione, ma opposizione, e dei quali non può realiz- zarsi l'uno senza che sia tolto l'altro. Porre l'uno come valore è insieme porre l'altro come non valore o disvalore. Approvare la sincerità, la fortezza, l'alacrità come valori, implica disapprovare l'ipocrisia, la fiacchezza, la pigri- zia. Il valutare morale è dunque un prendere partito per l'uno contro l'altro di due soli atteggia- menti possibili; ma poiché, e questo punto è di importanza decisiva, i valori morali, a differenza de- gli altri valori, non possono attuarsi o vivere in noi se non sono voluti e solo in quanto sono voluti (la volizione implica per quanto sono eseguibili tutte le azioni che ne dipendono, anzi consiste nel- l'ordinare e nel promuovere queste azioni), cosí non è possibile riconoscere un valore morale (che è quanto dire constatare l'opzione, la posizione ideale dell'uno e la negazione dell'altro, la esigenza che l'un termine acquisti o conservi sussistenza e l'altro la perda) senza approvare l'atteggiamento richiesto a porlo in essere; anzi, senza pensare la volontà nell'atto di realizzarlo. Ancora: gli altri valori soffrono di essere commisurati tra di loro e posposti ai valori morali senza perdere la loro qualità di valori, cioè senza che questo posporli smentisca il loro riconosci- mento. I valori morali invece non soffrono di essere posposti senza essere smentiti; perché non sono morali se non a patto di essere sovraordinati a ogni altro valore, e in quanto esprimono non stati singoli, ma modi di essere, non atti, ma modi di operare posti come costantemente normativi della volontà. Ne segue che riconoscere un valore morale implica approvare, se si rivela come dato, esige- re, se è concepito solo come possibile o potenziale, l'atteggiamento costante della volontà col quale esso valore è posto; costante, cioè tale che si attui ad ogni presentarsi della stessa alternativa. Perché non si può pensare che cessi di esser voluto senza pensare che cessi di esistere e che sia posto con- tro di esso la sua negazione, il non-valore, per atto di quella stessa volontà il cui atteggiamento posi- tivo è un'esigenza implicita nel riconoscimento di quel valore come morale, cioè è idealmente po- stulato nella valutazione. Perciò, se accade che chi ritiene valore morale, poniamo, la sincerità, si sia lasciato trascor- rere a una menzogna, l'atto presente e momentaneo del mentire appare a lui come un rinnegamento del suo proprio volere; il quale rimane potenzialmente e conativamente morale pur nel momento della volizione singola che gli si oppone e lo nega. Perché il valore non cessa di essere sentito e ri- conosciuto come morale, cioè come valore che esige per essere tale di essere attuato ossia voluto costantemente9. Ora il dovere, in quanto è proprio e caratteristico della moralità, cioè in quanto è interiore e non riducibile al sentimento di una coazione esterna (ossia all'obbligo di cui si dirà tra poco), è la coscienza di questa esigenza del valore morale e si manifesta — come necessità di rispettare questa esigenza, di tener fermo nelle volizioni singole il valore morale, — nella sua forma piú chiara, quando è in contrasto con motivi di altra natura. Ma è presente anche se non vi sia attualmente que- sto conflitto, in quanto è presente alla coscienza la possibilità di impulsi contrastanti. 9 Di qui nasce la tendenza incoercibile, manifesta nei maggiori pensatori, a identificare il volere puro, il volere che esprime l'essenza della personalità umana, il volere libero e autonomo, il «vero» volere col volere morale; e a con- siderare gli atti immorali come prodotti non dalla volontà, ma da difetto di volontà, da qualche cosa di esterno ad essa; non come espressione di attività e libertà, ma di passività e servitù.  20  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Da quel che si è detto risulta che non si può parlare di dovere nel senso ora chiarito, cioè di dovere morale, se non presupponendo data una valutazione morale. I valori morali devono già essere sentiti voluti come tali: se non sono, non vi può essere do- vere. E non avrebbe senso parlare di un dovere di riconoscere dei valori morali a una coscienza che fosse chiusa ad ogni valutazione etica; di un suo dovere di affermare la superiorità su ogni altro valore, di qualche cosa a cui non riconosce alcun valore. Non avrebbe senso piú di quel che avrebbe il pretendere che debba capire che ci son anche dei suoni e che valgon piú dei rumori chi non avesse udito mai che rumori, e i suoni stessi non li sentisse se non in forma di rumori. E quando si dice, poniamo, che un uomo deve pur sentire che la lealtà vale di piú del tradi- mento, il «deve» o non ha senso, o ha un senso al tutto diverso da quello propriamente morale. Non ha senso se si vuol dire che nella realtà tutti lo riconoscono, cioè se si vuol affermare o constatare una verità di fatto. Ha un senso diverso se si vuol dire che per essere uomini bisogna sen- tire cosí, che non si può chiamar uomo o che non merita questo nome chi sente e giudica altrimenti, cioè se si afferma che al concetto di uomo è essenziale quella nota. Che è tutt'altra cosa. Perché si- gnifica non che abbia il dovere di sentire in un modo chi non sente che in un altro, ma che non sia veramente uomo se non chi sente cosí. Il che anche se fosse del tutto arbitrario non sarebbe assurdo. ** * Ma dunque i «sordi morali», se ve ne sono, non hanno doveri? Non ne hanno: perché non possono sentire l'esigenza di conformarsi a una valutazione che non han fatta e che non fanno, di at- tuare dei valori che non riconoscono come tali. — Ma hanno tuttavia e possono avere degli obbli- ghi. L'obbligo di operare come se riconoscessero, se non tutti i valori morali, almeno alcuni, i piú grossolani e massicci e coercibili esteriormente, cioè suscettivi di esser presentati come motivi ap- prezzabili anche da una coscienza non morale. È questo obbligo, quello del quale si è tessuta con grande abbondanza di passaggi e di fasi la genesi psicologica e l'origine sociale nelle sanzioni esterne, e si è discusso a perdifiato se bastasse o non bastasse a dar ragione del dovere (ed evidentemente non basterebbe a darne ragione anche se bastasse a spiegarne la formazione); e questo obbligo implica necessariamente il riferimento a un potere superiore e distinto dal volere individuale. E come questo Potere si impone in vista di un fine e in conformità a certe norme, è concepito come potere di una Volontà che comanda l'osservanza di quelle norme. Senonché anche quest'obbligo può prendere forma e significato morale; come può non avere altro valore che di costrizione subita: appunto come le pene del codice per i galantuomini di princi- sbecco. E anche qui occorre un po' di pazienza. ** * Quella esigenza interiore che s'è visto sopra esser posta nella valutazione stessa e per la qua- le il valore morale si fa sentire come norma e si esprime nella coscienza del dovere (dovere di non negare nelle singole volizioni il volere costante implicito nella valutazione morale) si accompagna, come si è pure accennato, alla consapevolezza — data nell'esperienza e suggerita dalla forma stessa antitetica della valutazione normale — della possibilità di volizioni, cioè di azioni, immorali; o (che torna il medesimo) della esistenza di tendenze, impulsi, motivi antagonistici al volere morale. Il volere morale si manifesta perciò (in quanto tali motivi antagonistici tendono a contrastar- ne l'attuazione) come esigenza della subordinazione costante di questi motivi, come appello a una forza coercitrice che li soverchi, sovrapponendo ad essi altri motivi opposti dello stesso ordine, e rovesciandone per tal modo il valore. 21  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Questa disposizione di spirito fa che si approvi l'obbligo e si approvi il Potere obbligante, se esiste o si concepisce che esista; se ne ponga la necessità e se ne invochi la presenza dove e quando manchi; cioè fa che si riconosca giusto l'obbligo, giusta la sanzione dell'obbligo, e giusto il Potere che lo pone. In questa disposizione per la quale l'obbligo e la sanzione sono interiormente approvati e vo- luti come garanzia di moralità, e il Potere obbligante è invocato e idealmente posto in nome della esigenza morale, sta la caratteristica differenza che dà all'obbligo valore morale, e lo distingue dal- l'obbligo sentito come pura costrizione esterna; che distingue il potere che merita rispetto dalla for- za che si deve subire; l'autorità dall'arbitrio; sia che il comando di questa autorità si consideri limita- to a una certa sfera di valori morali, sia che si faccia coincidere collo stesso valore morale e si iden- tifichi con esso. Ma cosí nell'uno come nell'altro caso resta la medesima, di fronte all'obbligo e al Potere ob- bligante, la differenza di atteggiamento tra la coscienza che valuta moralmente e la coscienza che sia chiusa, per ipotesi, alla valutazione morale. Per la prima è la valutazione morale che fa riconoscere e rispettare l'obbligo. Per la seconda è l'obbligo che fa riconoscere i valori morali; i quali valgono non perché sono morali, ma perché sono riconosciuti, in forza dell'obbligo e della sanzione, come valori strumentali di altri valori, co- me condizione imposta e inevitabile di quei beni che soli la coscienza amorale desidera e apprezza. L'osservanza dell'obbligo non è interiore moralità, ma è conformità esteriore a certi comandi che valgono quel che vale la sanzione che li accompagna. La valutazione propriamente e specificamente morale manca, ed è surrogata da una valutazione del tutto diversa. Il suono dei valori morali non può farsi sentire, per questa sordità morale, se non diventa il rumore di un interesse diverso. ** * Raccogliamo i risultati dell'analisi e vediamo che cosa ne segue. Il dovere esprime l'esigenza di conformare l'atto al giudizio, di non smentire, con la volizio- ne attuale, la preferenza, la opzione che si afferma, come criterio di apprezzamento nel giudicare l'operare proprio e l'altrui, nella valutazione morale; di non opporre il mio volere in quanto è stimo- lo e causa dell'azione, potere di produrre movimenti, al mio volere in quanto è scelta fra posizioni possibili opposte, e attribuzione continua e persistente di valore all'una, e di disvalore all'altra. Se si separa la volontà come causa delle volizioni attuali e contingenti, come potere di ese- cuzione, dalla volontà che pone i valori e si esprime nella valutazione, il dovere si presenta come l'esigenza dell'obbedienza del Volere operante al Volere valutante, del volere esecutivo al volere le- gislativo, del volere a cui spetta attuare i valori morali nelle contingenze mutevoli di luogo e di tempo, al volere che li ha posti e li fa sentire e riconoscere come tali. Ora, quando la incertezza, l'incostanza, la debolezza del carattere, il prepotere di istinti, di impulsi e di tendenze opposte in noi e negli altri, facciano sentire alla coscienza morale la necessità di un Potere che assicuri la preminenza di fatto e non soltanto di diritto dei valori morali, e ne tuteli l'osservanza, il valore morale di questo Potere e delle sanzioni con le quali impone i suoi comandi, viene manifestamente dall'essere questo Potere pensato come conforme all'esigenza morale, come proprio di una volontà, che si accorda, in tutto o in parte, con quel che si è detto il Volere valutante; cioè di una Volontà che tende all'attuazione dei valori morali. Se quel Potere è pensato senza limiti e attribuito a una volontà perfettamente morale cioè a una volontà la cui norma si identifichi con quella del mio Volere-valutante, questa Volontà — in cui il potere adegua il valutare e per la quale la attuazione dei valori morali adegua la posizione di essi valori come tali, cioè come degni di essere attuati — sarà pensata non solo come un potere che im- pone, ma come Autorità che merita, un'obbedienza incondizionata; e apparirà che derivino da un'u- nica sorgente cosí il comando che esprime la potenza operante di quella volontà, come la valutazio- ne morale che ne esprime la norma; cioè apparirà fondato su quell'Autorità il criterio stesso della valutazione. 22  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Ma lasciando ogni questione sulla legittimità delle postulazioni implicite in questi processi costruitivi e sulla possibilità della loro sintesi, è facile vedere come rimanga sempre inevitabilmente distinta e presupposta nel concetto dell'autorità imperante la valutazione, che giustifica il comando, che dà autorità al potere, che suggerisce l'identificazione di un Volere onnipotente con un Volere legiferante; la valutazione data nella coscienza morale, la quale rimane il postulato inespugnabile; non derivabile e non superabile; anche dove è sottinteso e dove sembra, a primo aspetto, derivato o subordinato. Cosí se il teologo ammonisce di non biasimare come ingiusto o cattivo ciò che la Provviden- za dispone o permette, non contrappone alla valutazione morale una valutazione diversa, ma sosti- tuisce e sovrappone alla «veduta corta d'una spanna» una sapienza infinita la quale vede i fini remo- ti di quell'ordine che a noi rimane occulto; e per il quale in realtà è bene quel che fuori di quell'ordi- ne a noi appare un male. Ma appunto il criterio di questa bontà è il criterio morale; ed è il non sapere conciliare i fini apparenti con l'esigenza morale che induce l'opinione o la certezza di fini ulteriori che si accordino con essa. ** * Dopo quanto s'è detto riuscirà piú chiara l'analisi delle forme principali nelle quali si presen- ta, e si è presentata storicamente, la dottrina del fondamento autoritativo della morale. Se la distinzione tra il potere e l'esigenza morale che lo legittima non è superata, come s'è vi- sto, neppure quando si unificano i due termini nel concetto di un'autorità che sia insieme irresisti- bilmente potente e indefettibilmente morale, tanto piú manifesta sussisterà nelle forme in cui l'unifi- cazione non è posta, o l'adeguazione è incompleta. Ma restano, almeno all'apparenza, due vie: a) o negare ogni valore alla coscienza morale come tale, e fondare ogni valutazione, sul potere che la pone a suo arbitrio; b) o trasferire il criterio della valutazione morale dalla coscienza personale a un'altra coscienza, impersonale o collettiva, la cui autorità viene da qualche cosa di diverso che dal suo accordarsi totale o parziale con la coscien- za della persona. a) Sulla prima tesi non c'è da osservare che questo: Che essa o non risponde alla domanda alla quale pretende di rispondere; perché non è dire donde venga l'autorità della valutazione morale negarle ogni valore, per riconoscere soltanto il pote- re che la impone, ma che potrebbe imporre il contrario. O non toglie se non a parole la distinzione, che ritorna attraverso a qualsiasi sottigliezza, tra l'arbitrio e la giustizia, tra la forza e il bene. E quando il Callicle platonico condanna le leggi come un'imposizione dei molti ai pochi, degli inetti e fiacchi agli ingegnosi e ai forti, egli deve, per non contraddire se stesso, non escludere, ma includere nel suo biasimo un criterio morale, un criterio superiore alla forza; poiché serve a giudicarla, a distinguere quella degli ingegnosi, degli intelligen- ti, dei superiori, da quella del numero; a riconoscere che v'è una forza che dovrebbe valere di piú e che non è giusto sia sopraffatta dall'altra. Ma dunque non è piú la forza che costituisce la giustizia? E il potere illimitato del Sovrano, al quale l'Hobbes riconduce ogni criterio di morale e di di- ritto, esclude solo in prima istanza, cioè in apparenza, ogni valutazione diversa: perché, come tutti sanno, l'arbitrio di questo potere è legittimato da un'esigenza diversa; quella stessa per cui si suol riconoscere che è meglio una legge cattiva che nessuna legge, e un governo tirannico che nessun governo. ** * b) La seconda delle vie indicate conduce a far riconoscere l'autorità morale come propria, o della collettività concepita come aggregato dei singoli, o dello stato come distinto e superiore alle 23  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta persone: sia come organo della società ai cui fini sono subordinati i fini individuali, sia come Volere universale al quale devono inchinarsi le volontà particolari. Le due tesi hanno, come è noto ed è facile capire, significato e valore diverso. I) Se la collettività è intesa come semplice aggregato e somma di singoli, non si può evitare il criterio della maggioranza, cioè in ultimo della forza. Un giudizio morale che non è valido se cor- risponde alla valutazione di n-1 coscienze, diventa valido se quell'una cambia parere. È il criterio della democrazia politica; di cui non si discute ora il valore come criterio politico (cioè come crite- rio di preferenza tra i mezzi, non di giustizia tra i fini); ma del quale nessuno riconosce sul serio il valore di criterio morale supremo; per la stessa o analoga ragione per cui il buon senso non è il sen- so comune, e il discorrere concludente di un solo vale piú che il chiacchierare sconclusionato di cento; e per la quale la maggioranza dei votanti può bastare a fare una legge ma non a farne ricono- scere l'equità. Ché se l'autorità morale della valutazione collettiva vale in quanto essa esprime l'unanimità dei singoli, e perciò serve a distinguere la sfera piú o meno ampia di valutazioni in cui tutte le co- scienze concordano, da quelle sulle quali l'accordo sparisce, si riconoscono due cose: 1° che per cia- scuna persona non vi può essere autorità morale superiore a quella della propria coscienza; 2° che la distinzione la quale può essere di importanza capitale per i rapporti tra morale e politica, cioè tra norme etiche e norme giuridiche, non ha valore morale se non a patto di essere fondata essa stessa su una distinzione di valore apprezzata o apprezzabile (non importa ora cercar come) dalla coscien- za morale personale che la deve riconoscere. Manca dunque sempre il qualche cosa di diverso dalla coscienza personale, a cui dovrebbe ricondursi l'autorità della coscienza collettiva. ** * II) Quando si parla di fini della società diversi dai fini individuali, e di coscienza sociale di- stinta dalla coscienza personale, si corre facilmente nell'equivoco di opporre come separati, o, peg- gio ancora, precedenti l'uno all'altro due termini correlativi; e si dimentica o si trascura di tener pre- sente che i fini della società non sono fini se non per gli esseri associati che li concepiscono e li fan propri; e che la coscienza sociale non esiste e non si rivela che nelle coscienze individuali; come, per converso, che i fini individuali sono nello stesso tempo, o direttamente o indirettamente, fini della società; e un certo grado di distinzione e differenziazione delle coscienze individuali è correla- tivo a un grado corrispondente di coscienza sociale. Ciò non significa negare il fattore sociale e le esigenze della socialità. Ma significa che quando si parla di individui e di coscienza individuale, questo individuo è già il socio; è esso, e nel- lo stesso tempo la società a cui appartiene; e la coscienza personale sua è insieme coscienza di sé individuo e coscienza di altri e del tutto: ed è cosí legittimo dire che esprime le esigenze dell'io di fronte a quelle della società, come dire che esprime quelle della società di fronte a quelle dell'io. Fatta questa avvertenza, che non sarebbe a rigore necessaria per la discussione presente, rie- sce meno strana l'affermazione che i valori sociali non sono morali se non perché e in quanto sono sentiti e valutati come tali dalla coscienza personale; e che dal punto di vista etico non è la società che dà valore ai miei criteri morali, ma sono i miei criteri morali che danno valore alla società. La socialità stessa, come tendenza e come esigenza, può essere ed è valutata alla stregua del- la esigenza morale. Derivare la valutazione morale da fini sociali significa dunque derivarla da qualche cosa il cui valore è giudicato e posto in grazia di quella stessa valutazione che se ne vuol trarre. Di che si può trovare la prova in due considerazioni non difficili. La prima è questa: che il giudizio sulla maggiore o minore eccellenza e dignità dei fini designati come sociali e delle istitu- zioni, delle leggi, dei tipi di società, ammette o sottintende postulati morali; e che non v'è riforma sociale piccola o grande che non invochi e non debba affrontare il giudizio della coscienza morale. 24  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Quella stessa dottrina sociale (il marxismo) che formulò piú apertamente il proposito del piú risoluto amoralismo per fondarsi su un rigoroso determinismo storico, vede dissiparsi il suo baga- glio scientifico, e star saldo quel nocciolo di idealità etiche per le quali professava in vista il piú a- perto dispregio, e che in realtà avevan dato l'anima alla dottrina e l'ali alla certezza. L'altra osservazione è questa; che appunto quel che vi è di vivo e di vitale e di durevole nella fede («fede è sostanza di cose sperate») che prende il nome dal socialismo, è sociale non nel fine, ma nel mezzo; mentre è, nel fine, e non potrebbe non essere, suggerito e alimentato da un ideale morale che ha per oggetto e per centro l'individuo, la unità personale umana. Poiché la proprietà collettiva è concepita, attesa, voluta come condizione necessaria a rendere effettiva la libertà di tutti, a far veramente di ogni individuo umano una persona umana. Che poi quella sia la condizione necessaria, e che sia sufficiente; o che gli effetti siano per essere diversi o opposti da quelli sperati, è tutt'altro discorso. La vieta analogia biologica che fa degli individui le cellule dell'organizzazione sociale, se anche rispondesse a verità per quel che riguarda le condizioni dell'esistenza, dovrebbe sempre venir rovesciata nel rispetto della valutazione morale. Perché soltanto nella cellula-individuo l'organismo- società acquista coscienza di sé; e soltanto nella coscienza dell'individuo vale come organismo, e per essa soltanto potrebbe acquistar valore di finalità riconosciuta e voluta da lui come superiore a se stesso. Né concluderebbe il dire che non si tratta in ultimo che di un «punto di vista diverso»; e che, se dal punto di vista dell'individuo i valori sociali sono valori individuali, dal punto di vista della società è vero l'inverso: perché la coscienza che pone i valori sociali, e che giudica e valuta dal «punto di vista» sociale, che funge da coscienza sociale, è ancora, sempre, inevitabilmente, una co- scienza individuale. ** * Più breve discorso è da fare per il proposito nostro, della dottrina assai piú sottile e compli- cata che concentra ogni autorità e ogni finalità sociale nello stato e fa dello stato l'organo dell'Etici- tà. Perché in quanto la volontà dello stato sovrano si identifica col Volere universale cioè col volere morale, non c'è che da ripetere quel che si è detto sopra a proposito dell'identificazione del Volere- potere col Volere-valutazione. Ciò che fa essere lo stato arbitro della valutazione, e l'autorità dei suoi comandi criterio supremo dei valori morali, è questa affermata identità del Volere dello stato col Volere morale che si viene attuando nella Storia. Le difficoltà che possono nascere dagli sforzi di conciliare lo stato com'è con lo stato com'è concepito, e di interpretare i processi reali del suo divenire storico come momenti di attuazione del- lo Spirito universale cioè del Volere morale, rimangono estranee al punto in questione; il quale è questo: che il valore etico dello stato nasce dall'essere esso e esso solo l'organo adeguato di quel Volere universale, il quale è lo stesso Volere etico, che informa di sé la coscienza personale e si fa valere in essa. Cosi qualunque sia il Potere e qualunque il Volere a cui si voglia ricondurre l'autorità della coscienza morale, sempre si trova dietro a quel Potere e dietro a quella Volontà, inevitabilmente da- to o presupposto, quel valore morale che legittima il primo e dà autorità al secondo; come dietro la firma dell'uomo d'affari sia, non vista e non detta, ma sottintesa, la ricchezza reale o supposta, che fa della sua cambiale un valore. ** * Ma se l'autorità della valutazione morale non è derivabile da nessun'altra autorità superiore diversa da quella della coscienza personale, bisogna ammettere: o che le valutazioni morali delle diverse coscienze coincidano totalmente, cioè che le coscienze personali non siano che copie o e- 25  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta semplari di una medesima coscienza morale che si esprime per mille voci uguali di tono e di conte- nuto; o altrimenti che si trovi, nella natura stessa dei valori morali, posta, insieme con la esigenza dell'accordo rispetto ad alcuni, quella della differenza e dell'opposizione rispetto ad altri valori. E in questo caso al problema della fondazione storica e della fondazione consensuale della valutazione morale si sostituisce l'altro problema: Quali sono i valori morali nel cui riconoscimento l'autorità dell'induzione storica e l'autorità del consenso universale coincidono con quella della co- scienza personale? E in che cosa differiscono dai valori morali per i quali manca tale accordo? È legittima, e perché ed entro quali limiti, una subordinazione (che in ogni caso non potreb- be né in fatto né in diritto estendersi all'atteggiamento interiore, ma valere soltanto rispetto alle ma- nifestazioni esteriori) dei secondi ai primi? E del pari si trasforma il problema sul fondamento del dovere. Il dovere non riguarda, come s'è visto, il valutare, ma il conformare la condotta alla valuta- zione; e suppone il rapporto tra due volontà distinte o concepite come distinte, tra un volere presen- te e momentaneo che si rivela nella volizione attuale e concreta, e il volere dell'io persona, il Volere valutante o normativo, che le dà unità. Se l'io momentaneo o contingente è dominato totalmente e assorbito dall'io persona, e il Volere operante si identifica col Volere valutante, il dovere si attenua e svanisce perché sparisce il termine subordinato; se il Volere valutante manca e l'io non è che ag- gregato temporaneo e variabile di impulsi e di tendenze accidentali, il dovere non sorge perché manca il termine subordinante. Il problema del dovere è perciò il problema di questo rapporto, e delle difficoltà che nasco- no, sia dal concepire il Volere operante come uno e identico col Volere valutante; sia dal concepirlo come distinto e diverso; sia infine dal concepire, secondo importa la necessità di una conciliazione, le due volontà come distinte e diverse nell'uomo individuo, ma come una e identica in un Potere so- prapersonale del quale il valore morale esprime la legge nella coscienza individuale. 26  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO QUINTO LA INVERSIONE DEI PROBLEMI RELATIVI AL FONDAMENTO DELLA MORALE Ogni sforzo di derivare una valutazione morale da qualche cosa di cui non sia già ricono- sciuto il valore morale è dunque vano o illusorio. O non dà quel che si cerca, o presuppone quel che si pretende di fondare. In realtà i valori morali o valgono per sé o sono tali in grazia di altri valori che valgono essi come morali per sé. Epperò ogni ragionamento col quale si dimostri per esempio che un'azione è buona o giusta, si risolve o nel ricondurre quell'azione a una classe di azioni, a un modo di operare già riconosciuto come morale, o nel dimostrare che questa azione fu od è voluta come condizione o mezzo di attua- zione di un valore morale. I valori morali diretti e immediati, apprezzati e voluti per sé, sono dunque dati di una espe- rienza morale non riducibile ad altre forme di esperienza e i giudizi nei quali questa validità diretta e immediata è ammessa o riconosciuta, sono postulati di valutazione morale (postulati etici in pro- prio senso). E una dottrina morale in quanto è sistema di valutazioni si fonda in ultimo sui postulati etici, espressi o sottintesi, di cui si assume che sia ammessa la validità: cioè che siano dati immediati del- la coscienza morale. Quando sia chiaramente riconosciuta questa indipendenza, questa validità per sé o autoassia dei postulati etici, le costruzioni dottrinali rivolte a cercare fuori della morale un fondamento che essa né può trovare né ha bisogno di cercare altrove, prendono un carattere e un significato diverso se non opposto; e forse considerate da questo aspetto rivelano meglio la tendenza profonda che muove e avviva in forme sempre risorgenti di tentativi diversi, i tipi di costruzione morale esaminati nei capi precedenti. L'idea centrale dell'intellettualismo morale di cercare il fondamento morale in una realtà ob- biettivamente data, e, in una conoscenza di questa realtà, dei suoi gradi di entità e di perfezione, il criterio della valutazione morale, diventa, guardata da questo aspetto, un'espressione della tendenza profonda e incoercibile, di trovare nel valore il senso e la ragion d'essere della realtà, nel criterio morale la chiave della sua interpretazione; di commisurare la realtà alla dignità, e riconoscere come esistente veramente soltanto ciò che è degno di esistere, facendo del bene il solo vero reale, e del male un mancamento, un difetto di realtà, l'irreale. Dietro il pensiero che muove i tentativi dell'utilitarismo sotto qualunque forma si presenti (non soltanto edonistico, ma estetico, noetico, umanitario, religioso) di trovare la ragione del valore morale in un bene supremo o maggiore o piú alto di ogni altro, che ne persuada l'utilità o ne giusti- fichi l'autorità, appare la convinzione che anche sotto il rispetto soggettivo della felicità (per l'uomo patologico, direbbe il Kant) non è in ultimo veramente bene se non ciò che è morale, o ciò a cui la moralità apre la via. Tutto ciò che ha valore, in quanto ha valore davvero, non può contrastare, ma si accorda, de- ve accordarsi coi valori morali, consistere in questi, o essere — in ultimo — condizionato da questi. E quando si tormenta la storia (storia esterna e storia interna della civiltà) per trovare nel processo di svolgimento, nella selezione subita o nel trionfo conquistato, i titoli di nobiltà che spie- ghino e legittimino l'autorità della morale, della nostra morale, si agita dietro l'acume e la sotti- gliezza delle indagini e sotto gli accorgimenti dell'induzione storica, il bisogno di trovare nella sto- ria l'attuazione di un disegno etico, di fare dell'accadere storico un divenire morale, di confermare con l'esperienza morale del passato l'esperienza del presente, la nostra esperienza morale, la mia. 27  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Come l'appello al consenso universale degli uomini, meglio che allo scopo di fondare su questo consenso la mia certezza morale, risponde alla esigenza che realmente abbiano valore per ogni coscienza quei valori che sono posti come universali dalla mia, e costituiscono non il mio sol- tanto, ma il patrimonio ideale piú prezioso di ogni uomo, dell'uomo. E finalmente, quando dell'Autorità si cerca il fondamento in una Volontà superiore e distinta dalla volontà di ciascuno, che si impone a questa e ha il potere di obbligarla, l'esigenza a cui si ob- bedisce è quella stessa di cui si alimenta la coscienza del dovere: l'esigenza che il volere piú alto e il piú degno di autorità perché è il volere che pone i valori morali, sia nello stesso tempo un potere a- deguato al compito suo, il potere piú forte10; sia, come il vero volere, cosí il supremo potere. ** * La forma generale, con la quale si presentano da questo punto di vista i problemi, è dunque inversa a quella nella quale sono posti e considerati nelle dottrine che cercano fuori della morale il fondamento della morale. Si tratta non già di vedere quale ragione d'essere, e d'esser tali piuttosto che altri o diversi, trovino i valori morali nella realtà che conosciamo, nei beni d'altro genere che desideriamo, nelle tradizioni e negli esempi del passato, nei giudizi dei contemporanei, nel comando di un Volere onnipotente; ma di vedere se e come sia possibile e sia legittimo costruire una realtà, graduare dei valori, interpretare la storia, pretendere il consenso, postulare una Volontà in cui si a- degui il potere al volere, sul fondamento della certezza e validità immediata e diretta dei valori mo- rali, e delle esigenze che essi implicano. La formulazione generale di quei problemi dal punto di vista morale è dunque segnata da questo procedimento: Quali sono i valori morali; e quali sono le esigenze derivanti dalla loro posi- zione; se e quali postulazioni di ordine teoretico siano richieste a soddisfare queste esigenze; se e quale legittimità abbiano le postulazioni teoretiche fondate sopra di esse. Ma qualunque cosa si pensi di questi problemi e delle loro soluzioni, sussiste, indipendente da ogni giudizio su di essi, e rimane stabilita chiaramente e incontestabilmente, la primarietà, la in- dipendenza, la autoassiomaticità delle valutazioni morali. A fondamento dei giudizi morali non vi sono e non vi possono essere che dati e postulati di valutazione morale.  10 L'idea di «potere» è un elemento inespugnabile del concetto di volontà, perché la volontà è produzione, crea- zione, iniziativa. Dove si ravvisa o si presume che ci sia o ci debba essere una volontà, ivi si presume una forza (non è anzi la volontà la prima, e la sola forza, cioè attività che ci sia rivelata dall'esperienza diretta?); e una forza tanto mag- giore quanto più grande e difficile è il compito che la volontà si pone. Ed è perciò che questa forza appare nella forma più chiara, quando il volere morale si traduce in atto contro gli impulsi di ogni altro genere ed a prezzo dei più gravi sacrifici; è perciò che il sacrifizio è la prova più alta e la testimo- nianza più sicura (nell'espressione stupenda del Cristianesimo testimonio è il martire) della saldezza, della serietà del volere morale. Ed è anche per ciò che appare inevitabilmente pietoso o ridicolo un volere senza potere; e che il senso comune si fa beffe dei padri Zappata. Dei due elementi della volontà, la direzione consapevole e la forza, il senso co- mune è tratto senza esitazione a fare maggior stima della forza. Ha torto? ha ragione? 28  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta PARTE SECONDA LA PLURALITÀ DEI CRITERI MORALI 29  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO PRIMO IL CRITERIO FORMALE DI VALUTAZIONE DEL KANT L'indipendenza e l'indeducibilità dei grandi valori morali da qualsiasi speculazione teoretica fu, come tutti sanno, riconosciuta e affermata, nella forma piú esplicita e con grandissimo vigore dal Kant. Perciò le conclusioni riassunte nell'ultimo capitolo sembrano mettere capo alla sua dottrina e alla soluzione data da lui al problema che l'analisi precedente pone come il problema veramente centrale dell'etica: quale sia il dato o quali siano i dati indeducibili della morale; o, che torna lo stes- so: quale sia il criterio (o quali i criteri) a cui si riconduce la valutazione morale. Bisogna dunque cercare prima di tutto se questa soluzione sia veramente esauriente. Ma giova intanto avvertire subito, per evitare le facili confusioni e gli equivoci indotti da connessioni abituali di idee e di dottrine, che la indeducibilità dei valori morali, come non implica necessaria- mente i principi e i procedimenti tenuti dal Kant nel riconoscerla (poiché vi si giunge, come abbiam visto, anche per altra via), cosí non richiede, per sé, né che si accettino né che si ricusino le conclu- sioni alle quali si arriva. La connessione fra le diverse tesi che si raccolgono attorno alla autonomia kantiana può es- sere, anzi veramente è, nel suo pensiero una connessione necessaria, ma non è necessaria fuori di esso e fuori del sistema di dottrine che lo esprime. Cosí il «primato della ragione pratica» nella soluzione dei problemi metafisici non è una conseguenza logicamente inevitabile della indipendenza e validità per sé dei valori morali; benché possa essere e sia anzi facilmente accolta da chi riconosce questa indipendenza e validità. Ciò che si presenta come conseguenza di questo riconoscimento è il problema della conci- liazione tra le esigenze della speculazione teoretica e le esigenze della valutazione morale; del qual problema il primato della ragion pratica esprime una soluzione o traccia la via per la quale il Kant l'ha cercata. ** * Ma veniamo al punto che ci interessa. Il concetto fondamentale dal quale il Kant prende le mosse è, come è noto, quello del volere buono. Il volere buono è il volere che si determina non per un oggetto, qualunque esso sia, che ab- bia un valore di fine per chi lo vuole (motivo «patologico»), ma per il dovere: cioè per il rispetto al- la legge perché è legge; non già in vista di quel che la legge comanda, ossia delle conseguenze che il volere conforme alla legge apporta. Il rispetto della legge in quanto è legge, astrazione fatta dal suo contenuto, è dunque il ri- spetto di ciò che la fa esser legge, della sua validità universale. L'universalità è la forma della ragione che si pone come esigenza del volere puro; è la ragio- ne stessa in quanto si manifesta come volontà, è la ragione pura pratica. Se l'uomo fosse pura ragione, cioè se non fosse insieme un essere sensibile soggetto a ten- denze, a impulsi di altre specie, il suo volere sarebbe santo, e non si potrebbe parlare di dovere. In- vece il dovere c'è perché c'è l'esigenza di conformare l'azione alla ragione e non agli impulsi della sensibilità. E il volere buono e appunto il volere che posto fra la legge e quegli impulsi — di qua- lunque specie siano — si determina per la legge, cioè per l'universalità, che è la forma della volontà razionale. Il criterio supremo della moralità è perciò espresso nella nota prima formula dell'imperativo categorico, di cui si dice piú sotto. ** * 30  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Come si deve intendere quella universalità? E basta essa ed essa soltanto a fornire la caratte- ristica della valutazione etica, a distinguere ciò che vale moralmente da ciò che non vale? Quando la prima formula dell'imperativo dice: «Opera soltanto secondo quella massima che tu puoi volere nello stesso tempo che diventi una legge universale», — questa possibilità di voler che la massima diventi legge universale può esser presa in due significati diversi. Può voler dire la possibilità che sia seguita universalmente senza che l'osservanza da parte degli uni tolga o impedisca o limiti la possibilità della medesima osservanza da parte degli altri; la possibilità di pensarla senza contraddizione come legge universalmente valida; o può significare invece la possibilità che il valore universale della massima sia riconosciuto senza che questo riconoscimento contraddica o neghi il valore, che è o si suppone già ammesso, di un principio piú generale; ossia che si possa volere l'universale validità della massima senza disvo- lere l'universalità di una massima piú generale che la comprende, e si suppone che già sia o debba essere ammessa come legge. I due significati sono profondamente diversi, sebbene possa parere a prima vista che coinci- dano. Che, negli esempi che dà e nei commenti con cui li accompagna, lo stesso Kant non mescoli qualche volta i due sensi e non ne oscuri le differenze, non oserei negare; ma non parmi si possa dubitare che il vero significato inteso e voluto da lui sia il secondo e non il primo. 1. Se s'intende l'universalità nel primo senso bisogna riconoscere che: a) non soltanto si può concepire, ma può darsi in effetto che sia seguita universalmente, una massima senza che perciò se ne ammetta il valore morale; come per converso: b) può darsi che di una massima di condotta non sia possibile l'osservanza universale senza che perciò se ne riconosca l'immoralità. a) Come esempi del primo caso basta citare uno di quelli addotti dallo stesso Kant (il 3° della Fondazione) in sostegno del criterio dell'universalità: l'esempio dell'uomo d'ingegno che pre- ferisce il darsi buon tempo alla fatica di esercitare e perfezionare le sue doti naturali (dove è chiaro che non vi è nessuna impossibilità di concepire che tutti seguano quella medesima massima, sebbe- ne questo non importi nessun riconoscimento di valore morale); e quello (addotto dallo Schopen- hauer contro il Kant) della ragione del piú forte. Anche qui è possibilissimo ammettere che dappertutto dove vi è un forte di fronte al debole il primo sopraffaccia il secondo, cioè che la subordinazione del debole al forte sia fatta valere uni- versalmente come legge, senza che perciò se ne ammetta la moralità. b) Per converso, tra le massime che non possono pensarsi universalmente osservate sen- za contraddizione vi sono non solo massime comunemente riconosciute come immorali, per esem- pio, che ciascuno possa appropriarsi l'altrui, ma anche massime come l'opposta: che ciascuno ceda il proprio a vantaggio d'altri. Della quale, se non gli economisti, almeno San Francesco e i suoi ammi- ratori non metteranno in dubbio la santità. Ed è manifestamente del pari impossibile pensare universalmente praticate cosí la seconda come la prima. 2. Ben diverso è il secondo significato; per il quale la possibilità o l'impossibilità di univer- salizzare la massima non riguarda l'osservanza, ma la compatibilità o l'incompatibilità di questa u- niversalizzazione della massima con la volontà che la pone. Senonché questa incompatibilità (restringo, per semplificare, l'esame alla forma negativa che è anche la piú importante) può esprimere due specie diverse di contrasto: può voler dire che univer- salizzando la massima si viene a togliere la ragione per la quale si è accolta, ossia a negare il motivo stesso che la giustifica; oppure che si nega il valore di un'altra massima che già vale, o si ammette che valga o debba valere per la volontà, come legge universale. I due casi debbono essere considerati a parte e si possono chiarire facilmente con esempi. 2'. Supponiamo che oggi io, piú forte, trovandomi di fronte a un debole lo costringa a fare il piacer mio, e che giustifichi la mia prepotenza con la massima che il forte ha diritto di soggiogare il debole. Se il motivo, che mi ha indotto a formulare la massima è l'interesse egoistico, accadrà che in 31  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta nome di questo stesso interesse io dovrò negare la massima quando le vicende facciano di me, del piú forte di ieri, il debole di oggi. Ossia la massima non può essere universalizzata, senza che venga posta con ciò la possibili- tà che sia negato il principio (cioè il motivo o l'interesse) in grazia del quale l'ho accolta. 2''. Se si suppone invece che io riconosca essere nella forza il fattore di ogni elevazione mo- rale, e nell'esercizio incondizionato di essa il valore morale piú alto, la massima della prepotenza che approvo quando il piú forte sono io, dovrà essere parimente approvata — anche se hic et nunc mi dispiaccia — quando il piú forte sia altri; e l'universalità della massima potrà esser voluta senza contraddizioni, perché si accorda con il mio supremo criterio morale (che è quanto dire universale) di valutazione; ossia perché è una forma subordinata di un'altra massima già posta dal mio volere come legge universale11. Il significato nel quale è preso dal Kant il criterio della universalizzazione, è, come si è det- to, il secondo; e propriamente quella forma del secondo che risponde all'ultimo dei casi ora esami- nati (2"). Né potrebbe cadere sotto qualsiasi altra la considerazione, che è la sola veramente decisiva, fatta da lui per provare che non potrebbe essere universalizzata la massima proposta nel 3° esempio, già citato, dell'uomo che ha ingegno e rinuncia a coltivarlo. «Egli vede bene che senza dubbio una natura, malgrado una tale legge universale, potrebbe sempre ancora sussistere, anche quando l'uo- mo (come l'abitatore del Mar del Sud) lasciasse arrugginire i suoi talenti e non pensasse che a vol- gere la sua vita verso l'ozio, il piacere, la propagazione della specie, in una parola, verso il godimen- to; ma egli non può assolutamente volere che questa divenga una legge universale della natura e che ciò sia innato in noi come istinto naturale. Perché come essere ragionevole egli vuole necessaria- mente che tutte le facoltà siano sviluppate in lui». (Fondazione, Parte II). La medesima considerazione è ripetuta a proposito dall'altro esempio (il 4°) in cui si fa l'ipo- tesi del brav'uomo, che si propone di non far del male a nessuno, ma quanto all'adoperarsi nei biso- gni altrui è del parere: ciascuno per sé, e Dio per tutti. «Quantunque sia possibile che sussista una legge universale della natura conforme a quella massima, è impossibile di volere che un tale princi- pio valga come legge della natura»12. ** * Per il Kant dunque l'universalità della massima non è criterio della sua bontà e del valore morale della volontà che vi si conforma, se non perché essa è una prova dell'accordarsi della mas- sima seguita nell'azione con la natura dell'essere ragionevole, con la legge posta dalla Ragione, che è la legge stessa morale13. Soltanto intesa cosí la formula (la 3a della Fondazione) della volontà di ogni essere ragionevole che istituisce per mezzo delle sue massime una legislazione universale, o nei termini della Critica della ragion pratica (op. cit., p. 30): «Opera in modo che la massima del 11 Con quel che risulta evidente da questa ipotesi si accorda il fatto assai notevole della profonda diversità di valore che può assumere nel nostro giudizio morale la medesima regola pratica, secondoché noi vediamo dietro di essa un motivo soprasoggettivo e impersonale (anche se contrario al nostro criterio di valutazione) o un motivo soggettivo e personale; a seconda che ci appare una massima accettata veramente da chi opera come norma, o un comodo pretesto o compromesso del momento; cioè a seconda che vi si trova o no quella condizione necessaria, se non sufficiente, del ca- rattere morale, che è la coerenza dei giudizi tra di loro e delle azioni coi giudizi. 12 La ragione di natura egoistica che Kant fa seguire può valere tutt'al più come un tentativo poco felice di giu- stificare la simpatia dal punto di vista dell'interesse individuale, ma non varrebbe per sé in alcun modo a dimostrare l'impossibilità di volere di cui si parla, se non a patto di identificare (pericolo forse non avvertito) il volere dell'uomo «come essere ragionevole» col volere del «caro Io». (Il corsivo delle parole sottolineate in questa e nella citazione precedente è mio, tranne per la parola volere spa- zieggiata). Cito per la Fondazione della metafisica dei costumi la bella traduzione del Vidari (Pavia, Mattei Speroni e C., 1910); per la Critica della ragion pratica mi riferisco al testo originale nella edizione della R. Accademia di Prussia (Kant's Gesammelte Schriften, vol. V, G. Reimer, Berlin, 1908). 13 Kritik der praktischen Vernunft, I, 1, 1, §. 7, Folg. p. 31 32   Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta tuo volere possa valere insieme come principio di una legislazione universale»; e coll'autonomia del volere come principio di tutte le leggi morali e dei doveri conformi ad esse (op. cit., p. 33). E soltan- to cosí si può intendere come egli creda di derivare dall'universalità la formula famosa e piú fecon- da (ma feconda in quanto dà un contenuto all'universalità, non in quanto semplicemente ne riceve la forma): «Opera in modo da trattare l'umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sem- pre ad un tempo come fine e non mai soltanto come mezzo». Ma intesa cosí l'universalità, essa non esprime che una doppia esigenza: dell'universale con- formità delle massime alla ragione, alla legge morale, al volere puro come principio di una legisla- zione universale, vale a dire, alla legge morale; e della universale validità delle massime come co- mandi, cioè dell'universalità del dovere. Ma né dall'universale imperatività delle massime, né dalla universale loro conformità alla legge morale è possibile ricavare quali sono i modi di operare che le massime impongono, quale sia la legge universale che la volontà per mezzo delle sue massime pone a se stessa. Se ora vogliamo, e possiamo ormai farlo legittimamente, uscire dalla terminologia kantiana e servirci dei termini usati nella parte precedente, possiamo raccogliere e completare l'analisi del criterio kantiano in una forma forse piú chiara. ** * I valori morali sono valori riconosciuti dalla pura ragione, valori che esprimono la volontà dell'uomo in quanto è essere ragionevole. La esigenza caratteristica sentita profondamente dal Kant, che i valori morali siano superiori ed estranei ad ogni interesse egoistico, e apprezzati e voluti per sé, indipendentemente da ogni considerazione delle loro conseguenze, lo spinge (poiché la volontà come potenza pratica gli sembra inevitabilmente legata a tendenze e impulsi sensibili, a fini, cioè a rappresentazioni di conseguenze valutabili solo in rapporto alla sensibilità del soggetto) a fare dei valori morali degli enti di ragione, a trarli dalla ragione pura, a fare della ragione pura la ragione pratica («la ragione pura è per se stessa pratica»). Ma la ragione per quanto si faccia non dà valori; la ragione esige o impone la coerenza; teo- rica: dei giudizi fra di loro e con i principi e i dati su cui si fondano; pratica: delle valutazioni deri- vate e mediate con le valutazioni direttamente date o postillate, e delle azioni con le valutazioni. Non dà dunque le valutazioni, sebbene sia tutt'altro che trascurabile, anche per questo rispetto, l'uf- ficio di confronto, riduzione, subordinazione, unificazione che le è proprio. Non è meraviglia che a voler cavare, da essa soltanto, i valori morali, non se ne estragga in ultimo che questa esigenza di una universale coerenza della volontà con se stessa; esigenza necessa- ria e caratteristica di ogni uomo che sia persona, perché sottintesa, affermata, voluta (anche quando coi fatti la smentiamo, ma sempre a malincuore) costantemente, come prova e testimonianza a noi stessi della unità spirituale, della esistenza e continuità dell'io come persona. Ma essa per sé non ci dice né che cosa sono i valori, né quali sono i valori sui quali si fonda e ai quali deve far capo l'esi- genza unificatrice della coerenza. La ragione appresta, scegliendoli dal groviglio delle conoscenze, i riti adatti a fornir la trama dell'ordito. Ma i fili dell'ordito, i valori fondamentali sono dati dalla vo- lontà; né si può derivarne la natura dalla natura della trama; né dal disegno della tela. ** * Né maggior luce può venire dalla Volontà come il Kant la concepisce; né dal concetto del Volere puro né da quello del Volere buono. Il Volere puro, il Volere autonomo, il Volere spoglio come s'è detto, di ogni impulso sensi- bile, e capace di volere i valori morali per sé, non può esser per lui che il Volere che vuole la ragio- ne, la ragione stessa in quanto è pratica, in quanto è forma legislatrice, e non dà che questa medesi- ma universalità. 33  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Quanto al concetto del Volere buono, esso aggiunge bensì alla nota dell'universalità (rispetto della legge perché è legge) la nota dell'obbligatorietà (un'azione è buona quando è compiuta per il dovere); ma questa nota è possibile nel volere buono soltanto in causa del conflitto tra il rispetto della legge morale — col quale si identificherebbe per sé il volere puro — e gli impulsi sensibili. È dunque un carattere che riguarda la moralità, non la valutazione morale, e che esprime il pregio la eccellenza la supremazia dei valori morali in confronto degli altri valori; ma non dice in che consistano i valori, né donde nasca questa eccellenza (se non dall'universalità della legge). In ogni caso anche se il dovere è, nella conoscenza dell'uomo empirico, la ratio cognoscendi della leg- ge, sta però nella legge la ragion d'essere del dovere e non nel dovere la ragion d'essere della legge. Sapere che i valori morali debbono essere attuati non è sapere in che consistono, né sapere perché meritano che si debba attuarli. Che debbano essere scritti con la iniziale maiuscola tutti i sostantivi che viene imparando, potrebbe anche essere per uno scolaro tedesco il criterio per distinguerli come tali dalle altre voci del discorso; ma non è l'obbligo di scriverli con l'iniziale maiuscola che li fa essere e diventare so- stantivi. ** * Resta da esaminare la forma che il criterio di valutazione assume nella 2a delle note formule; quella in cui si assegna alla legge un contenuto cioè un fine; e il rispetto della legge perché legge, diventa rispetto dell'umanità o della persona umana come fine in sé. Ma è facile vedere come questa pretesa derivazione dalla prima formula, o è veramente chiusa nei limiti di una derivazione e non dice nulla di piú di quella onde è dedotta; o assume dav- vero un contenuto, e questo costituisce per sé un criterio di valutazione distinto e diverso da quello da cui si pretende dedurlo. Il quale non si esaurisce piú nell'universalità della valutazione morale ma richiede un riferi- mento agli oggetti della valutazione; ed è un criterio non piú formale soltanto, ma anche materiale. Se, anche inteso cosí, sia adeguato al bisogno resterà da vedere piú innanzi. Il termine che media il passaggio kantiano dalla legge come forma all'umanità come fine è il rispetto della natura ragionevole. — Poiché la legge è la ragione, il rispetto della legge, cioè della ragione, importa il rispetto dell'essere ragionevole, come tale; della natura di essere ragionevole e della persona umana nella quale si manifesta a noi questa natura. Si potrebbe già discutere, a rigore, sulla legittimità di passare dal rispetto della ragione al ri- spetto di una natura ragionevole, perché ciò che impone rispetto nella ragione è secondo il Kant la sua forma legislatrice e non il soggetto, qualunque sia, che la porta, e in cui si realizza questa forma. Tuttavia, finché si pensa l'essere ragionevole come puramente tale cioè come costituito di sola ragione ed esaurientesi in essa, il passaggio si riduce in fondo ad una ipostasi, e il contenuto non muta. Ma quando si deve venire all'uomo, il trapasso è ben diverso. L'uomo è essere ragionevo- le, ma non tutto, e non soltanto ragione. Ora: quando si dice rispetto della persona umana, si intende rispetto di tutta la persona in quanto nella persona si rivela una coscienza uno spirito (che la com- prende sí, ma è ben lungi dall'esaurirsi nella ragione), oppure si intende la persona in quanto è essa stessa ragione e null'altro, cioè in quel che ha di universale, di medesimo in tutti gli uomini, di (co- me si dice, sebbene il dirlo qui paia un bisticcio) impersonale? Non c'è che da ripetere quel che s'è detto già; dall'assumere come fine questa persona- ragione vuota di ogni altro contenuto non si ricava altro criterio che sempre e ancora il rispetto della ragione come tale. E solo verrebbe fatto di chiedersi se questo inchinarsi davanti alla persona, soltanto per quel che vi è in essa di medesimezza e di identità con ogni altra persona e non anche per quel che vi è di 34  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta proprio originale, individuale e irriducibile, non si assomigli all'inchinarsi davanti a un apparecchio telefonico per il rispetto dovuto alla voce autorevole che in esso risuona. Oppure si intende che la ragione (o meglio un Volere razionale) conferisce dignità all'uomo, a tutto l'uomo, a tutte le facoltà e attività che essa ordina e fonde nella unità inscindibile del mede- simo e del diverso, del comune e del proprio, dell'universale e dell'individuale; che non la ragione, ma lo spirito umano nella interezza delle sue manifestazioni, la coscienza vivente in ogni persona merita questo rispetto; e allora, allora soltanto, si può parlare di un contenuto che non si esaurisce nella forma. Ma è troppo evidente che inteso cosí il rispetto alla persona non si può derivare dal rispetto alla ragione e alla legge perché legge. Intesa cosí la persona umana, essa non è piú l'universalità vuota e astratta di una legge fine a se stessa, ma è la sorgente di quei valori morali dei quali la «ragione» constata la universale validità e la riconosciuta sovranità sugli altri valori, mette in luce le esigenze, determina le condizioni di at- tuabilità; (e potrà poi indagare se e come tali esigenze e condizioni si possano conciliare con quelle degli altri ordini di valori e in particolare con quello del sapere); di quei valori morali che il «Volere puro» pone in forma di legge, e il «Volere buono» attua in forma di doveri. ** * Che per la natura ragionevole dell'uomo si intenda non soltanto la pura forma della ragione, ma anche altre facoltà, disposizioni, modi di essere e forme di attività, e che il Volere ragionevole non riconosca come valore morale soltanto la conformità alla forma della ragione, ma la conserva- zione l'incremento l'esercizio di queste altre facoltà e attività spirituali, appare in forma tipicamente significativa nel commento già riferito sopra con l'esempio (il 3° della Fondazione) a cui si riferi- sce: «Come essere ragionevole egli (l'uomo) vuole necessariamente che tutte le facoltà siano svi- luppate in lui, visto che gli sono state date per servirgli ad ogni sorta di fini possibili». Questo volere dell'uomo ragionevole, che è il volere puro, il volere autonomo, morale, è dunque il volere che vuole «necessariamente» lo sviluppo di tutte le facoltà, cioè il volere di cui si pensa e si ammette che il contenuto sia costituito da valori già dati e riconosciuti senza contesta- zione come fini di un volere buono cioè come valori morali14. E appare manifesto che la riduzione del criterio di valutazione morale a criterio puramente formale suppone che siano già noti, quanto al contenuto, i fini dell'operare morale; già conosciuti e determinati, quanto all'oggetto loro, i doveri. E risponde alla domanda: quand'è che l'intenzione del- l'operare è veramente buona, che un atto è veramente morale? ma non alla domanda: quali sono le azioni, in cui questa buona intenzione si deve tradurre; quali sono i fini a cui il volere buono deve rivolgersi; ossia quali sono i valori, nella cui attuazione fatta con purità di volere consiste la morali- tà? 14 E che veramente si sottintendano come già noti e riconosciuti è confermato all'evidenza dall'analisi di ciò che costituisce veramente il presupposto fondamentale non solo di quella citata ma dalle altre esemplificazioni; con le quali si prova — non già, come s'è visto, l'impossibilità per sé di universalizzare — ma l'impossibilità di volere che una tal massima valga come universale. Infatti la ragione per la quale non si può erigere a massima universale il principio che chi è stanco della vita può uccidersi (1° esempio) non è già l'impossibilità di concepire seguíta una tal massima da tutti quelli che sono stanchi della vita, ma l'impossibilità di volere che sia riconosciuta e adottata; perché essa implica che si affermi la superiorità del piacere sui valori morali (dei quali la vita è condizione); mentre, appunto perché li riconosciamo come morali, af- fermiamo e vogliamo il contrario. Così nel secondo, il dato contro cui urta la universalizzazione della massima — che sia lecito promettere con l'intenzione di non mantenere — è la superiorità sottintesa della sincerità e della lealtà sull'interesse egoistico; e la con- seguente impossibilità di volere che cessi di essere riconosciuta universalmente quella superiorità di cui noi siamo certi. Del terzo esempio si è detto, e si è accennato anche al quarto; nel quale ultimo è sottinteso manifestamente il valore della simpatia e della benevolenza, che non possiamo ammettere sia subordinato al valore della propria quiete o dei propri comodi.  35  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Alla quale domanda si presume dunque che la risposta sia già data dalla coscienza morale. E la risposta è data infatti, e non può esser data, che da lei. Ma se la risposta non fosse univoca? Se, supposto pari in due coscienze il rispetto della legge, la legge comandasse all'una quel che vieta o non comanda all'altra, potrebbe bastare a dirimere il contrasto tra le due leggi il sapere che il volere è buono quando si determina per rispetto alla legge, e che la moralità consiste nel compiere il dovere per il dovere? 36  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO SECONDO LA DIVERSITÀ DEI CRITERI MORALI Non vi è una coscienza morale, ma vi sono, a rigor di termini, tante coscienze morali quante sono le coscienze personali nelle quali sono riconosciuti come supremi e normativi e validi indipen- dentemente dal flusso momentaneo e variabile delle valutazioni transitorie e accidentali, certi valo- ri; ed è riconosciuta l'esigenza che il criterio di valutazione corrispondente possa valere non solo come norma costante del giudicare e del volere proprio, ma anche come norma costante del giudica- re e del volere altrui; ossia come norma universale del giudicare e del volere di ogni persona. Se si ammette o si suppone che quei certi valori siano per tutte le coscienze i medesimi, si può parlare della coscienza morale, come una ed identica non solo di forma, ma anche di contenuto; se si ammette il contrario, si deve riconoscere una pluralità di coscienze morali piú o meno discor- danti e una pluralità di criteri di valutazione che si presentano alle diverse coscienze con la medesi- ma autorità di valutazioni morali, cioè con la medesima forma. Il fascino singolare che esercitò ed esercita la morale di Kant viene non dal suo formalismo per sé, ma dal fatto che, mentre spoglia e purifica la moralità da ogni fine materiale e quindi dal pe- ricolo di ogni considerazione soggettiva, la dottrina è sostenuta e vivificata dalla fiducia salda e in- crollabile che si debba riconoscere o si possa dimostrare che dentro quella forma cape, e non può capire che un solo contenuto; dietro quella legge si debbano trovare infallibilmente i fini che la co- scienza morale riconosce come buoni, e quelli soltanto. Ma s'è visto che lo sforzo è, e non poteva non essere, vano. Il criterio formale di Kant sem- bra convenire ad un solo e unico contenuto, a certi valori ed a quelli soltanto, perché si ammette già che la coscienza morale sia unica; che la sua voce non soltanto parli in ogni coscienza con lo stesso tono, ma dica le medesime cose. In realtà il criterio formale non esprime che l'esigenza della razionalità: una legge non è leg- ge se non è valida sempre nei medesimi casi; una norma non è suprema se non a patto che ogni altra norma sia subordinata ad essa; un criterio di valutazione non è piú un criterio, ma un capriccio, se i miei giudizi di valore non si accordano costantemente con quello; se io non riconosco legittimo — fatto da qualsiasi altro — il giudizio che quel criterio esigerebbe da me nel medesimo caso. Ma è un'illusione credere che possa bastare la razionalità per sé a distinguere i valori dai non valori; i valori morali dai valori non morali, a farci riconoscere — senza appello diretto o indi- retto a qualche dato o postulato non razionale — il valore di un oggetto qualsiasi (di un contenuto), ideale o reale. Si governa non meno razionalmente l'avaro, quando giudica ed opera in ogni caso come se il danaro fosse l'unico bene per sé, il supremo bene, purché riconosca legittimo che ogni altro giudichi e operi allo stesso modo, di quel che faccia l'esteta quando ragguaglia ogni cosa a un ideale di bel- lezza, o l'intellettuale che non riconosca altro scopo degno alla vita che la ricerca della verità. E quando si dice o si crede di dimostrare che è «contrario alla ragione» non un giudizio apprezzativo che contraddice al criterio accettato, ma il criterio stesso come tale, non si può affermare o dimo- strare questa contrarietà se non perché si sottintende che vi sono — cioè sono riconosciuti e deside- rati — altri valori diversi, superiori o non subordinabili a quello dal quale è tratto il criterio in que- stione; e si trova contrario alla ragione che non si tenga conto di quest'altri valori, che si giudichi e si operi come se questi non esistessero, o fossero inferiori mentre sono superiori, o incondizionati mentre sono condizionati. Ma se si fa l'ipotesi che questi altri valori non siano tali per un Tizio che li ignora, qualsiasi istanza di irragionevolezza contro di lui cadrebbe a vuoto, anzi sarebbe essa irragionevole. ** * 37  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Adunque il criterio del Kant non supera, dato che ci siano, le differenze di contenuto valuta- tivo. Se in nome della mia coscienza morale io pongo il valore dell'umiltà, e in nome della propria coscienza morale un'altra persona lo nega, l'universalizzare le massime che rispondono alle due va- lutazioni opposte non mi fa avanzare d'un passo verso una soluzione del conflitto, se non a questa condizione: che io creda di poter dimostrare che una delle massime si accorda e l'altra contrasta con una terza massima nella quale è affermata l'esigenza di un volere riconosciuto o ammesso inconte- stabilmente come morale. E si presenta inevitabilmente, senza che sia possibile eluderla, la domanda: C'è o non c'è questa pluralità di contenuti discordanti nella valutazione morale? C'è. ** * Si è osservato piú sopra (Parte I, Cap. 3°) che ogni oggetto ideale o contenuto di valutazione morale ha o può avere nello stesso tempo valore per altri rispetti, cioè può essere considerato come un valore di altra specie. Anzi è per questa relazione dei valori morali con valori di ordine diverso che si è cercato e si è creduto di poter trovare il fondamento della valutazione, la ragione d'essere del valore morale in una finalità di natura edonistica (egoistica o altruistica) o noetica o estetica o religiosa. Se si considera una tale rivalutazione eterogenea come pretesa di far valere — con questa e per questa ragione — per morale, un valore che non sia già sentito come morale, il tentativo, è come s'è visto, del tutto illusorio. Ma se si considera, al contrario, come espressione di una finalità che può assumere in questa o quella coscienza importanza prevalente, che può o potrebbe — all'infuori del carattere specifico di eticità per il quale è posto da quella stessa coscienza come valore morale — essere sentita come su- periore in pregio ai fini di ogni altro ordine, e degno di subordinarli, essa contiene in sé la ragione capitale della diversità e discordanza dei fini e dei criteri, che pretendono di valere ciascuno come supremo nella valutazione del contenuto proprio dei valori morali. L'esteta si foggia un suo modo ideale di bellezza per il quale i valori si ordinano da sé in una scala determinata dalle connessioni di inerenza e di condizionalità degli altri valori, con i valori e- stetici; e il mistico un ideale di santità, al quale subordina gli altri valori, accogliendoli e graduando- li in quanto convengono, negandoli in quanto disconvengono; e cosí lo spirito contemplativo che ama sopra ogni cosa la verità, e cosí l'egoista calcolatore e l'altruista generoso. I valori che, per essere morali, hanno già una validità e un'autorità intrinseca che li distingue dagli altri valori, si vestono di necessità nella coscienza dell'esteta del mistico e cosí degli altri, di quel particolare colore, che li fa sentire e riconoscere rispettivamente come valori estetici, religiosi, noetici e via dicendo; e se continuano a valere per la forma come morali, valgono — per il contenu- to — soprattutto come valori di quell'ordine che è nella coscienza il dominante. Basta per convin- cersene badare alle differenze caratteristiche della motivazione, con la quale ciascuno dei tipi di co- scienza supposto giustifica a sé e agli altri il valore che riconosce, poniamo, alla temperanza, o alla forza di volontà, o alla veracità, o ad altra virtù. Ora questo coincidere e fondersi, quanto al contenuto, del valore morale col valore dell'ordi- ne che esprime l'orientamento prevalente della coscienza — anche quando non è in giuoco la valu- tazione etica — non solo conduce alla transvalutazione notata, ma tende a indurre insieme un pro- cesso di transvalutazione inversa; cioè a dar colore e calore di convinzione e di apprezzamento mo- rale ai valori di quell'ordine, a riconoscerli come morali e a pretendere che siano riconosciuti per tali anche dalle persone, nelle quali non si afferma il medesimo orientamento. Ed è istruttivo (e non è sfuggito agli umoristi) il calore col quale parla di diritti offesi e ri- vendica gli interessi sacrosanti della giustizia l'egoista gretto che vede frustrato un suo piccolo cal- colo ingegnoso che aveva a mala pena il pregio di non urtare nel Codice penale; e quello (sia pure 38  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta di dignità fuor di paragone diversa) dell'artista, che grida allo scandalo e invoca un preciso dovere dello stato a reprimerla, se offenda il suo senso estetico, la trascuranza per un tronco di colonna di- menticato. E si potrebbe continuare, in modo anche piú evidente, per gli altri. Cosí ciascuno degli orientamenti valutativi tende ad allargare nella direzione corrispondente la sfera dei valori morali, includendovi un contenuto proprio diverso, e non coestensivo al contenuto di ciascun altro. E perciò accade che i diversi sistemi di valutazione — animati come sono e pervasi da un interesse tipicamente diverso — abbiano in realtà in comune soltanto una parte di quei valori che ognun d'essi, per l'esigenza sua propria, riconosce come morali; abbiano cioè comuni soltanto quei valori morali che sono nello stesso tempo valori diretti o indiretti del proprio genere, o che al- meno non contrastano e non negano quella propria specifica esigenza. I diversi sistemi assomigliano cosí a cerchi eccentrici di vario raggio che si intersechino fra di loro; dei quali è minima la superfi- cie comune a tutti, ed è sempre piú grande la parte d'estensione rispettivamente comune a un nume- ro di cerchi minore; e in misura variabile, secondo che sono meno o piú eccentrici fra di loro. ** * D'altra parte, anche la coscienza nella quale l'orientamento tipico è dato dall'interesse stesso morale (la coscienza dell'homo ethicus) si trova a dover considerare nei valori estetici religiosi intel- lettuali economici il valore morale diretto o indiretto che assumono o possono assumere in grazia di relazioni analoghe a quelle considerate sopra (il valore p. es. che l'attività scientifica e l'estetica e le doti richieste e promosse da questa attività possono avere per la cultura morale). E non solo: ma per la considerazione felicemente messa in evidenza dal Moore sul valore organico (il «quanto» per il quale il valore di un tutto eccede il valore di uno dei suoi fattori non è necessariamente eguale a quello del fattore che rimane: ethics, Cap. VII: Intrinsic value), si trova a dovere apprezzare diversamente l'oggetto ideale della valutazione morale, quando esso è nello stes- so tempo oggetto di una valutazione diversa, intellettuale, per es., od estetica. (Non è senza signifi- cato anche per questo rispetto che il Sommo Bene sia stato identificato col Sommo Bello). Si aggiunga finalmente (il «finalmente» chiude ma non esaurisce le osservazioni su questo proposito) che il carattere di interiorità dei valori morali, il quale si fa tanto piú spiccato quanto piú la coscienza personale è concepita come sorgente e creatrice autonoma dei valori, tende a staccare, anche nella coscienza dell'homo ethicus, il valore morale dagli schemi che esprimono una esteriore conformità alla valutazione, per riconoscere un pregio preminente alle note interiori di spontaneità, di libertà, di autonomia; il che porta ad estendere la dignità intrinseca dei valori morali anche a que- gli altri valori spirituali nei quali splende un raggio di quelle medesime luci; e non tanto a distingue- re i valori morali da altri valori spirituali, quanto a distinguere il contenuto interiore e spirituale dei valori dal contenuto esterno e materiale nel quale si traducono. ** * Cosí nella coscienza personale si attenua e si fa piú incerta, e trasmutabile per molti modi, la distinzione tra i valori morali e gli altri valori spirituali. In altri termini: mentre, si può dire a un di- presso, dal trionfo dell'etica cristiana fino al Kant la valutazione morale aveva avuto per le diverse coscienze della stessa civiltà e cultura un contenuto comune determinato e costante (e, in ogni caso, la parte di contenuto sulla quale cadeva il dissenso finiva per essere praticamente quasi trascurabi- le), a partire dalla «Dichiarazione dei diritti» della Rivoluzione francese, si delinea e si allarga nel campo della valutazione morale una sempre maggiore differenza di contenuto tra coscienza e co- scienza; e si fa piú frequente e piú profondo il contrasto tra i criteri di valutazione rispettivamente accolti come supremi. E i sistemi nei quali i valori morali sono ricondotti a un criterio intellettuale, o estetico, o re- ligioso, o etnico, o umanitario, o filogenetico, o solidaristico, o egotistico, o quale altro si voglia, non sono piú, guardati per questo rispetto, tentativi dispersi, ma, per cosí dire, paralleli di giustifica- 39  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta re o di «fondare» il valore di un medesimo contenuto; essi esprimono invece, nella parte forse mag- giore e piú significativa, una diversità di contenuti contrastanti; e soltanto in parte un contenuto co- mune, che si colora pur esso diversamente, secondo la fiamma a cui si riscalda. Perciò, considerata nell'interiorità della coscienza personale, la parte di contenuto etico nella quale essa sente di concordare colle altre non ha per sé autorità maggiore o diversa delle parti per le quali discorda. A meno che la coscienza stessa possa o debba riconoscere, senza abbandonare il proprio criterio di valutazione, una qualche differenza, se non di natura, di grado, tra quella e que- ste. 40  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO TERZO LA CONDIZIONALITÀ NEI VALORI MORALI Se si suppone, per un'ipotesi inverosimile, che lo spirito filantropico, lo speculativo, il reli- gioso, l'estetico, non riconoscano rispettivamente altri valori all'infuori di quelli che si possono commisurare al criterio di valutazione proprio di ciascheduno, si troverà tuttavia che certe doti spiri- tuali, poniamo, l'alacrità, la tenacia, il dominio di sé, l'ardimento, sono e debbono essere considerate come valori da tutti indistintamente i tipi supposti; perché tutti (nell'ipotesi, sottintesa, che siano in- telligenti) debbono riconoscere che quelle doti personali sono condizioni o indispensabili o som- mamente utili alle forme di attività corrispondenti, cioè all'attuazione di quell'ordine di valori che ciascuno ha posto a sé come tali. Per la medesima ragione si troverà (la deduzione è troppo ovvia perché occorra piú che l'ac- cenno) che debbono essere riconosciuti come valori il rispetto della integrità e della libertà persona- le, l'osservanza dei patti, lo scambio dei servizi e via dicendo, e con essi i costumi, le istituzioni, le leggi che assicurano la conservazione e l'incremento di queste condizioni sociali; e le disposizioni di spirito (lealtà, imparzialità, simpatia) che ne avvalorano il rispetto nella coscienza personale. Adunque tutti i tipi suddetti, e gli altri che si potrebbero analogamente supporre, saranno portati a riconoscere e ad apprezzare in sé e negli altri — astrazion fatta da ogni valutazione morale — dei valori, sia propriamente personali (doti della persona che possono sussistere nel soggetto in- dipendentemente dal suo atteggiarsi rispetto ad altre persone); sia sociali (doti che riguardano questi atteggiamenti); valori che nascono dal rapporto di condizionalità costante che li stringe a ciascuno degli ordini supposti. Di piú: il rapporto di condizionalità dal quale viene ai valori citati in esempio il carattere di strumentalità, è diverso, come è facile vedere, da quella strumentalità esterna accidentale e variabile che lega il blocco di marmo all'opera dello scultore, o la conferenza di propaganda al disegno del- l'altruista, o un libro agiografico all'interesse del mistico, o la scala dell'Osservatorio agli studi del- l'astronomo: appunto perché là si tratta di condizioni preliminari indispensabili e permanenti, il cui valore non solo non si esaurisce nell'atto singolo che ne dipende, ma non è sostituibile da alcun altro strumento o condizione. È dunque una condizionalità necessaria, permanente e insurrogabile, in forza della quale ciascuno dei detti tipi dovrà riconoscere a siffatti valori condizionanti una superiorità, se non di pre- gio intrinseco, di precedenza imprescindibile sui valori diretti e finali che ne dipendono. ** * Non occorre lungo discorso per intendere come per effetto del medesimo rapporto il filan- tropo potrà essere condotto a riconoscere i detti caratteri di condizionalità anche a qualità attitudini forme di attività, alle quali o non potrà attribuirli o dovrà forse attribuire un valore negativo, o di o- stacolo, ossia un disvalore, il mistico o l'esteta; e inversamente; e come perciò sarà possibile una di- stinzione tra i valori propri esclusivamente di ciascun tipo di valutazione, e i valori condizionanti comuni a qualsiasi ordine, dato (come gli esempi citati dimostrano possibile) che ve ne siano di co- siffatti. Questi valori comuni avranno dunque oltre ai caratteri già notati, anche quello di essere strumentali rispetto a quale si voglia criterio di valutazione che sia posto come normativo; cioè a- vranno una condizionalità universalmente necessaria permanente e insurrogabile. ** * 41  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Aggiungiamo ora un nuovo elemento all'ipotesi; e supponiamo che tanto il filantropo quanto lo speculativo e il mistico e l'esteta riconoscano, ciascuno, come l'ordine dei valori morali, quell'or- dine di valori che risponde alla direzione tipica della propria coscienza. Accadrà che la valutazione morale dell'uno coinciderà quanto al contenuto con la valutazione morale di ciascun altro soltanto per quei valori nei quali si riscontra la sopraddetta condizione; e che mentre ciascuno interiormen- te riconoscerà come una esigenza morale l'attuazione di tutti i valori posti e dichiarati dalla sua co- scienza a lui come morali, dovrà riconoscere in pari tempo, che, per le volontà per le quali vale co- me normativo un ordine di valori diverso, la detta esigenza non comprende tutti questi medesimi va- lori, ma soltanto quelli la cui strumentalità condizionale è universalmente necessaria. Cioè dovrà ri- conoscere che, esteriormente alla propria coscienza, l'imperatività del proprio criterio è limitata a questa piú ristretta sfera di valori. In altri termini, non potrà esser posto come criterio morale e co- mune se non un criterio di valutazione che assuma, come universalmente validi e costantemente su- bordinanti ogni altro valore, quei valori appunto nei quali si riscontra la detta priorità condizionale; ma che insieme non neghi, e non escluda i valori morali propri di ciascuna coscienza in particolare, cioè nessuno di quegli ordini di valori, nel quale si inquadra e si giustifica per ciascuna coscienza individuale quel contenuto comune. ** * Si delinea dunque, per la riflessione critica obbiettiva, una distinzione tra i valori la cui at- tuazione è riconosciuta come un'esigenza universale e costante per qualsiasi coscienza capace di moralità, e i valori la cui attuazione è un'esigenza soltanto per la coscienza che li pone a sé come morali; tra i valori per i quali ogni coscienza può riconoscere legittima una legislazione esterna che ne imponga la validità; e i valori dei quali una legislazione esterna deve soltanto non escludere la possibilità; tra i valori che possono essere oggetto di una obbligazione a un tempo interna ed ester- na, e i valori che, non possono essere oggetto che di una obbligazione interna. ** * Gli esempi addotti in principio di questo capitolo per chiarire il concetto di un contenuto comune universalmente valido, non rispondono a una determinazione rigorosa; e hanno soltanto un carattere provvisorio di opportunità. Se ora cerchiamo di fissare con precisione quali sono propria- mente i valori che lo costituiscono, troveremo facilmente che essi si assommano in due condizioni riconosciute in effetto (e non potrebbe essere altrimenti) come valori primari fondamentali da ogni sistema morale: la libertà e la giustizia. La libertà esprime l'esigenza delle condizioni soggettive necessarie a fare dell'uomo una per- sona padrona di sé di fronte a sé e di fronte a ogni altra persona; la giustizia esprime l'esigenza delle condizioni obbiettive necessarie all'esercizio universalmente efficace di questa libertà. L'attuare in sé e in ogni altra persona questi valori di libertà e di giustizia (ed i valori impli- citi in questi) deve dunque essere riconosciuto come un dovere universalmente valido, anzi come il solo dovere (o la sola categoria di doveri) veramente universale. Ma qui è da notare una circostanza rilevante. La libertà non è una condizione di fatto, un possesso dato; ma è, come vide e affermò fervi- damente il Fichte, una conquista da fare, una idealità che si viene realizzando e che richiede sforzi sempre nuovi e impone sempre nuovi doveri. E il medesimo è da dire della giustizia che è lo spec- chio sociale della libertà. Ora se il valore della libertà e della giustizia (e la validità dei doveri che ne derivano) consi- ste, come apparirebbe dalla deduzione fattane qui, soltanto nel loro essere condizione necessaria ad ogni ordine di valori; è continua ed inevitabile la possibilità di un contrasto nella coscienza dell'in- tellettuale, dell'esteta, dell'altruista, tra l'interesse sempre presente, diretto della conoscenza o della bellezza o della simpatia e i doveri mediati e indiretti della libertà e della giustizia; o, in termini ge- 42  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta nerali, tra i valori diretti e per la coscienza individuale supremi, e i valori che per lei appaiono sol- tanto indiretti e strumentali. ** * Cosí obbiettivamente nell'ordine di una possibile legislazione esterna, sarebbero doveri pri- mari, soli veri doveri, quelli appunto che soggettivamente per la legislazione interna di molte se non di tutte le coscienze individuali, valgono come doveri derivati, cioè tali soltanto in grazia di doveri d'altro ordine, dei quali l'obbligatorietà esterna tutela subordinatamente, ma non impone l'osservan- za. E resta in ogni caso la questione: Quei valori che una coscienza riconosce come valori in sé, e a cui commisura gli altri valori sono posti ad arbitrio? 43  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO QUARTO IL PRESUPPOSTO DI OGNI VALUTAZIONE MORALE E L'OPPOSIZIONE FONDAMENTALE DEI CRITERI La distinzione stabilita nel capitolo precedente implica che siano valori morali diretti, cioè supremi e normativa per ogni coscienza, soltanto quelli che la coscienza stessa pone a sé e ricono- sce come tali; e non dà ragione del fatto che siano posti e riconosciuti come valori morali diretti, cioè valori per sé, anche quei valori di libertà e di giustizia che appaiono, nella deduzione che se n'è fatta qui sopra, come valori morali universali soltanto in grazia del rapporto necessario di preceden- za condizionale che li lega ai primi. E ciò significa che la distinzione stessa non ha che un valore provvisorio, finché non si ammette quella tesi, e non si dà ragione di questo fatto. ** * C'è, sottinteso, nella tesi del resto inevitabile — che siano valori morali per ciascuna co- scienza quei valori che essa pone a sé come supremi e normativi, qualche presupposto? E qual è questo presupposto? Non è difficile scoprirlo. Perché un ordine di valori, diciamo per comodità di espressione, una idealità, sia riconosciu- ta da una coscienza come suprema e normativa si richiedono due condizioni imprescindibilmente: 1° che la detta idealità possa costituire un criterio di valutazione atto a subordinare ogni altro valore, a dare unità coerente alle valutazioni e a segnare una direzione costante alla volontà; 2° che essa sia in effetto posta dalla volontà come suprema e riconosciuta degna di diri- gerla; e perciò che l'attuazione di quella e la esclusione di ogni atto che la neghi sia sentita come un esigenza incondizionata (esigenza di non smentire con la volizione la volontà, con l'atto la valuta- zione); e sia sentito o posto idealmente come dovere il subordinare ad essa ogni altro valore e il ne- gare ogni interesse che contrasti con quello. Ma queste due condizioni sono le condizioni stesse che fanno dell'io temporaneo disgregato e molteplice una unità, cioè una Volontà consapevole e coerente, un carattere, una persona; sono in una parola le condizioni della personalità. Riconoscere il valore supremo di ciò che costituisce l'unità personale, di ciò per cui l'indivi- duo si afferma ed esprime la sua volontà di essere persona, implica dunque il presupposto del valore diretto, originario, incomparabile e incommensurabile, cioè assoluto, della persona umana, come volontà di essere tale e come coscienza di questa volontà. Questo valore per sé, intrinseco e assoluto della persona, è dunque il presupposto implicito, il postulato sottinteso in ogni valutazione morale; perché non si può riconoscere il valore morale di nessun oggetto o fine o idealità senza postulare il valore della volontà personale che lo pone, e fuori della quale non avrebbe senso l'esigenza normativa che lo fa essere morale. Ed è vana, anzi in sé contraddittoria, ogni discussione sulla sua legittimità. Perché discutere di questa legittimità non è possibile senza ammettere e postulare come dato e fuori di ogni contesta- zione, qualche valore intrinseco, al quale si possa riferire e col quale si possa confrontare e commi- surare il valore in discorso. E poiché il valore che dovrebbe servire di termine di confronto e di dato incontestabile per giudicarlo, implica necessariamente la validità di ciò che deve essere giudicato, cioè la legittimità del presupposto del quale si discute, ogni contesa assiologica intorno ad esso si avvolge irrimedia- bilmente in un circolo vizioso. Avviene, mutatis verbis, qualche cosa di perfettamente analogo a quel che accade nel campo della conoscenza, quando si discute del valore teorico della ragione. Ogni critica presuppone neces- sariamente la validità di quella ragione che è chiamata in causa. 44  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Bisogna dunque accettare o respingere la legittimità del presupposto; accettando o respin- gendo insieme ciò che si regge sulla sua validità. Non c'è via di mezzo possibile. Ricusarlo vuol dire negare ogni valore morale; accettarlo vuol dire riconoscere valore morale a ciò che costituisce la personalità, a ciò che le è essenziale, e che la fa essere non la personalità astratta e comune che non sussiste per sé e non basta a costituire questa o quella persona, la mia persona; ma la persona individuata viva e concreta, in quel che ha di universale e di comune e in quel che ha di proprio, di suo, di individuale; l'umanità non dell'uomo genere, dell'uomo tipo, ma di questo o di quell'uomo. In quanto è uomo, senza dubbio; ma anche in quanto è questo. L'uomo-ragione dà, come s'è detto e ripetuto, la sola coerenza. Non è poco, ma non è tutto. L'uomo-volontà pone questa coerenza come legge del mio valutare e del mio fare, impone a me che l'idealità posta e riconosciuta come suprema valga veramente come suprema, che io ne af- fermi il valore intrinseco, ne approvi o ne accetti le esigenze sempre dovunque si presentano, in me e fuori di me; mi impone, in una parola, di essere persona; e di volere che ogni uomo sia persona. Ma non è ancor tutto. Quel che io devo essere per valere come persona, l'idealità che deve dare unità al mio io, e in cui si esprime non la volontà in genere, ma la mia volontà di essere perso- na, è posta da questa mia volontà ed ha valore per me perché è posta da lei. Certo, la mia coerenza deve essere e non può essere altro che la coerenza della ragione; l'e- sigenza che la mia volontà impone a me di essere persona è quella medesima esigenza che la volon- tà di ciascun altro (capace di moralità) impone a lui, e che a me e a lui e a ciascun altro impone il rispetto della persona come tale; ma l'una e l'altra esigenza non investono il medesimo contenuto spirituale in me e negli altri. Limitano le categorie di valori, nelle quali l'io può attingere l'idealità regolatrice, ma non determinano per tutte la medesima idealità. La mia volontà deve — per far di me una persona — uniformarsi a quelle due esigenze che sono le esigenze necessarie e costanti di ogni personalità (non solo reale, ma anche fittizia); e deve perciò superare l'io transitorio, l'io degli interessi momentanei e mutevoli (dei quali non si misura il valore che dal loro effetto su di me), e appuntarsi in una idealità che le sia norma; ma non può usci- re di sé per diventare una volontà diversa, non può cessare di essere quella certa volontà, che fa di me non la persona umana in generale, ma la mia persona. Insomma non può volere l'unità se non di quello spirito di cui è la volontà. ** * Ma quale è la prova che questa idealità non è un capriccio dell'io transitorio e mutevole, ma è veramente legge delle mie valutazioni e delle mie azioni? La prova non è e non può essere data se non a me stesso, da me, dall'attestazione della mia coscienza. Ed è perciò che la legittimità dei valori posti da me non è contestabile da altri né control- labile. Ma vi è tuttavia una prova esterna, di fatto, tenuta normalmente valida nel giudizio comune; e che è veramente necessaria, anche se non è sempre sufficiente; e questa prova è il sacrificio. Ap- punto perché il sacrificio attesta che ogni mia facoltà, ogni mio potere si raccoglie e si appunta nella volontà di attuazione di quel valore; e che io nego e respingo da me ciò che mi costringerebbe a ne- garla. Cosí è che il valore della vita si misura dal valore di ciò a cui si è disposti a sacrificarla; e che, per converso, l'esser pronti alla morte apparisce l'affermazione piú decisiva del valore di ciò a cui si è devoti. ** * 45  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Le esigenze costitutive della personalità si attuano dunque informando di sé un contenuto spirituale che è sempre in qualche parte proprio e caratteristico di ciascuna coscienza individuale; come raggi di una medesima luce che tralucono per cristalli diversi; e ciò fa di quel particolare con- tenuto la condizione o il mezzo per il quale la personalità si pone e si realizza nell'io individuale e concreto; la materia che si suggella di quella forma. E il valore morale di questo contenuto nasce da questo suo essere lo strumento il tramite, per il quale si esprime nella coscienza individuale il valore assoluto della personalità umana. Per tal modo l'idealità, nella quale si concreta per la coscienza delle persone singole il crite- rio o la legge della valutazione morale, costituisce per ciascuno l'affermazione della unità spirituale della sua volontà di essere persona, della sua libertà. Cosí la libertà, che nella deduzione esteriore ed empirica del capitolo precedente acquista valore solo strumentalmente universale e necessario, in quanto l'attuazione dei valori di libertà ap- pare la condizione comune e imprescindibile della attuazione di ogni ordine di valori, è invece qui valore per sé immediatamente universale; e sorgente di quegli stessi valori che valgono per le co- scienze singole come supremi soltanto perché sono lo strumento del realizzarsi di essa libertà in cia- scheduna. È, quindi, la sorgente cosí dei valori costitutivi della personalità in astratto, come dei va- lori costitutivi delle diverse personalità in concreto; cosí dei valori universali della persona ideale come dei valori propri della persona reale. Nel presupposto stesso di ogni valutazione morale ha dunque radice cosí l'esigenza dell'uni- versale come l'esigenza dell'individuale; l'esigenza di una valutazione comune e l'esigenza di una valutazione singolare e propria; ossia l'esigenza che la volontà personale si affermi ad un tempo, come riconoscimento dell'una e dell'altra, o, meglio, dell'una nell'altra. L'imperativo della libertà è ad un tempo: sii persona, e: sii la tua persona; sii uomo, e: sii quel che tu devi essere per essere uomo; rispetta l'umanità, e: rispetta in te e in ogni altro l'espres- sione individuale e concreta dell'umanità. ** * A nessuno verrà in mente di credere che si intenda di stabilire cosí il dovere di creare nuovi valori, di affermare nuove intuizioni morali; e porre accanto al dovere di essere giusti, quello di es- sere originali. Sarebbe come voler obbligare uno scienziato a fare delle scoperte, almeno nel senso che si suol dare comunemente alla parola. Le intuizioni morali nuove, come le scoperte scientifiche, come le nuove forme di arte, si presentano a chi... le trova. Spiritus flat ubi vult. Ma vi sono, in un certo senso piú modesto, come nella ricerca scientifica le piccole continue scoperte di indagatori e di studiosi mediocri ma coscienziosi, che cavano e puliscono la selce e tem- prano l'acciarino, dai quali l'uomo di genio farà sprizzare la scintilla, cosí nella vita morale le picco- le nuove intuizioni e nuove interpretazioni, e connessioni, ed elevazioni di valori morali, che prepa- rano il solco alla semente dei grandi. Vi è, a guardar bene, perfino nell'apparente applicazione mo- notona di una medesima massima alla medesima classe di azioni, un'impronta, un segno, una sfu- matura, nella quale si rivela l'originalità morale della persona; originalità di finezza, di delicatezza, di grazia, di abnegazione, di calore, di fantasia, di acume; gradazioni e colorazioni diverse di valori noti, combinazioni nuove di pregi prima disgiunti. Ciò che è proprio di una persona anche comune (sia venia al bisticcio) non è tanto il rivelarsi di una proprietà, o dote, o qualità diversa; di un nuovo elemento di valore (che non è novità frequente neanche nei grandi); quanto questo modo, col quale si raccolgono, si mescolano e si fondono per lui in sintesi nuove i valori elementari già intuiti. Ciò che è caratteristico dell'individuo consiste anche qui, se si dà alla parola il suo significato originario, in una «idiosincrasia». ** * 46  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Queste minori e, nella loro infinita varietà inafferrabili, differenze individuali, si raccolgono però, come accade, attorno a tipi diversi, segnati soprattutto dal prevalere, conforme a quel che si è accennato già, di un ordine di valori sugli altri. Dal che possono derivare non solo differenze assai grandi, ma opposizioni recise. E qui sta appunto la sorgente dei contrasti tra valutazioni morali diverse, di fronte ai quali la critica non può fare che opera di constatazione e di sistemazione. Come possa adempiere a questo ufficio e quali frutti se ne possano attendere non è qui il luogo di esaminare. Qui importa solo notare come questa indagine e sistemazione critica non potrà che presenta- re, nella forma tipica piú compiuta e recisa e col massimo rilievo, i contrasti che sorgono natural- mente dal prevalere, nella unificazione morale della coscienza personale, di uno piuttostoché di un altro ordine di valori, e dalla misura di questa prevalenza. Ma la forma fondamentale sarà data dal contrasto tra i valori universali morali — i valori di libertà e di giustizia — e quelli che valgono come supremi (cioè che pretendono, come i morali, la direzione suprema della valutazione), nella coscienza individuale. Se la libertà e la sua sorella germana, la giustizia, fossero patrimonio acquisito e non come è, come deve essere, una conquista faticosa del genere umano che dura e durerà nei secoli, il problema non esisterebbe se non nella forma di esigenza della conciliazione di quei valori spirituali che non si presentano come necessariamente e universalmente morali. Problema formidabile anche questo, ma non tale da segnare una antitesi di criteri non conci- liabili; antitesi che rende necessaria la subordinazione dell'uno dei due all'altro, ma che può legitti- mare nella coscienza personale cosí l'una come l'altra soluzione. Questa antitesi è, in breve, tra i valori di giustizia e i valori di cultura; tra l'esigenza che ogni uomo sia o possa diventare persona, cioè volontà libera consapevole e coerente, e l'esigenza che si accresca e si arricchisca di nuovi valori l'uomo che è già persona, che è già, se non l'uomo libero del Fichte, l'uomo che ha coscienza del suo dover e del suo poter farsi libero, e che vi tende come al suo supremo valore. È, in termini forse meno precisi ma piú recisi, l'antitesi tra il numero e la qualità, tra l'esten- sione e l'intensità; tra il dovere di rendere partecipi (di porre la possibilità che si facciano partecipi) dei valori di libertà — accessibili soltanto ad alcuni —, quelli che non ne sono partecipi, e il dovere di accrescere in quelli che già li possiedono i valori di cultura, che sono pure, almeno mediatamen- te, incremento dei valori di libertà. L'umanità (la persona umana) si rispetta elevandone in sé e negli altri il valore; si eleva cosí nell'uno come nell'altro dei modi anzidetti. Le due vie sono convergenti? Speriamo che siano; ma, nella valutazione presente, tra l'incremento di una cultura, dalla quale sono esclusi i piú tra quelli che pur ne sono strumento necessario, e la possibilità di togliere o scemare questa esclusione, quale è l'esigenza morale prevalente? Dire che la cultura dei pochi è necessariamente elevazione di tutti, o dire che l'elevazione di tutti è necessariamente incremento della cultura, è baloccarsi con parole; è un ripetere su un altro verso le vecchie coincidenze del bene generale col bene individuale. Il dire non basta a porre in es- sere quel che si dice. 47  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO QUINTO15 L'ATTUAZIONE DEI VALORI MORALI E I RAPPORTI DELLA MORALE CON LA POLITICA E LA RELIGIONE 1. - Alla distinzione fondamentale che ha origine nel presupposto stesso di ogni valutazione morale (il valore assoluto della persona umana), tra valori morali universali e valori morali pro- priamente personali, corrisponde naturalmente una distinzione nel carattere di obbligatorietà che as- sume rispettivamente nella coscienza l'attuazione degli uni e quella degli altri. Ai primi corrisponde, o si concepisce che debba e possa corrispondere una obbligatorietà ad un tempo interna ed esterna, ai secondi solamente una obbligazione interna. In quanto la società or- ganizzata, lo stato, il Potere politico è posto come potere che fonda e garantisce le condizioni ester- ne della moralità, l'ideale politico è una derivazione necessaria e un elemento dell'idealità morale; e rivestendo per tutti ugualmente il medesimo carattere formale di Potere giusto, cioè di Potere la cui esistenza e validità è affermata e voluta in grazia dell'esigenza morale a cui soddisfa, assume tutta- via per ciascuno un contenuto in misura maggiore o minore diversa, secondo il modo nel quale è concepita la giustizia che si potrebbe dir costitutiva; cioè la giustizia come posizione e conservazio- ne delle condizioni esterne necessarie alla libertà di tutti. È notissimo, e sarebbe superfluo chiarire questo punto, che qui si disegnano due orientamen- ti di coscienza diversi e in alcuni, se non tutti i postulati pratici, opposti; e due concezioni politiche corrispondenti, tra le quali intercorrono gradazioni varie di partiti. E sono: l'indirizzo che prende norme dal liberalismo conservatore: — la giustizia è la garan- zia della libertà di tutti nelle condizioni sociali storicamente date e quello che prende impropria- mente nome dal socialismo16: — la giustizia è la costituzione di condizioni sociali tali che ciascuno trovi in esse la medesima possibilità esterna di valere come persona — (che coincide con l'interpre- tazione piú universalmente radicale della famosa seconda formula della Fondazione di Kant). Ciò che qui importa di notare è piuttosto che in essa si rivela una forma del conflitto fonda- mentale di cui si è toccato, nel modo di intendere la conciliazione o meglio la subordinazione delle due esigenze costitutive della personalità: l'esigenza universale e l'esigenza individuale. Senonché, appunto perché il conflitto tra queste due esigenze è considerato soltanto in rela- zione alle condizioni esteriori, esso prende quanto alla forma veste giuridica e quanto al contenuto natura economica; si presenta come negazione o posizione nel Potere politico della facoltà di sotto- porre ad una legislazione esterna il possesso e l'uso dei mezzi di produzione e i modi di distribuzio- ne della ricchezza. La quale limitazione del carattere del conflitto è dovuta non solamente e non tanto all'abbas- samento inevitabile che ogni idealità subisce nel tramutarsi da esigenza etica in programma politico, quanto ad una necessità intrinseca alla costituzione stessa del Potere e alle condizioni della sua vali- dità. ** * 15 Questo capitolo presenta soltanto nei suoi lineamenti più generali una materia che deve essere trattata diste- samente a parte 16 Il quale dal punto di vista etico trova, e non potrebbe essere altrimenti, (come si è notato sopra, P. I, Cap. IV, B) la sua giustificazione in una finalità di contenuto individuale. È individualismo; universalistico si, ma individuali- smo. Una prova di ciò assai significativa è appunto la deduzione che il Fichte fa dal dovere che ciascuno ha di attuare in sé la massima libertà, del diritto alla formazione ed educazione morale di sé, alla cultura, ai mezzi necessari alla cultura, al lavoro. Insomma, ai medesimi postulati del socialismo; salvo che là... sono detti in modo diverso.  48  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Nell'esemplificazione introdotta qui sopra (Parte II, Cap. III) si è supposto che l'idealità normatrice potesse avere per contenuto un ordine di valori noetici o estetici o religiosi o edonistico- altruistici, ma non si è considerato distintamente il caso che l'ordine normativo dei valori fosse dato dall'edonismo egoistico; perché esso, nell'opinione comune, che risponde anche solitamente a veri- tà, non presenta quei caratteri formali di validità morale e di esigenza normativa, con i quali può, o si concepisce che possa, presentarsi nella coscienza il contenuto costituito dagli altri ordini di valori. Ma questo non toglie che anche l'egoismo possa erigersi a massima di condotta, a principio normativo, purché, si intende, l'egoista razionalizzi il suo egoismo; cioè riconosca legittimo che valga nelle medesime condizioni per tutti quello stesso criterio di valutazione, che assume come va- lido per sé, e che dà, per ipotesi, coerenza al suo giudicare e al suo fare. Ora è da notare che dal puro calcolo egoistico razionalizzato si deduce quel medesimo ordi- ne di valori universalmente strumentali di libertà e di giustizia, che si deduce da ciascuna delle i- dealità normative supposte. E basta a persuadercene il fatto che l'economia pura assume come presupposto, cioè come norma universale di condotta dell'homo oeconomicus, appunto un postulato edonistico, non solo, ma edonistico-egoistico. Ed è noto che il liberalismo politico è modellato — s'intende sempre nel suo aspetto puramente politico, cioè esteriore — sul liberismo economico. Questa considerazione contraddice solo in apparenza la tesi, per la quale non può essere normativo che un valore considerato come valore per sé distinto dagli impulsi e dai desideri transi- tori e variabili del soggetto; perché il valore che l'economia contempla in realtà, non è il piacere, o la soddisfazione soggettiva, ma la ricchezza. La quale ha bensì sempre normalmente soltanto un va- lore strumentale, ma (anche lasciando in pace l'esempio dell'avaro) può essere — ed è in effetto dal- l'economista — considerata come valore per sé, e come comune termine di riferimento di ogni spe- cie di valori edonistici; e perciò di ogni ordine di valori in quanto sono considerati e valutati nel loro effetto edonistico, nel quanto di soddisfazione e di godimento che se ne trae e che è misurato ob- biettivamente dal quanto di ricchezza necessario a procacciarli. Ne segue che il Potere politico e il sistema giuridico che riceve da esso sanzione e validità di diritto positivo, possono assumere un significato e un valore al tutto diversi — pur avendo per con- tenuto una medesima materia — secondo che questo contenuto è valutato come un ordine di valori strumentali che trova la sua ragion d'essere e la sua giustificazione soltanto nel suo carattere di con- dizione necessaria della coesistenza degli egoismi individuali, o secondo che è considerato come un ordine di valori morali diretti e immediati, come un'esigenza del valore primario assoluto della per- sona umana, e della libertà che ne è la nota essenziale. E ne segue parallelamente che si possa ravvi- sare nell'ordine giuridico cosí la realizzazione di un'esigenza etica, come un sistema di condizioni che precede idealmente l'esigenza etica e la rende possibile, ma che sussiste e sussisterebbe per sé indipendentemente da essa. In realtà, siccome il valore morale non è valore e non è morale se non per la coscienza che lo sente e lo riconosce come tale, l'alternativa che ne nasce è questa: che o si riconosce come ordine di valori per sé, suscettivo di assumere in alcune o in molte delle coscienze individuali carattere e for- ma di valori morali, anche l'ordine dei valori edonistico-egoistici, o si deve ammettere che il conte- nuto del diritto, in quanto fosse legittimato soltanto da una deduzione etica e non dal principio della convenienza egoistica, resterebbe estraneo all'egoista; subito da lui, ma non approvato e non voluto. Cioè tale che non si potrebbe pretendere ragionevolmente da lui che lo riconosca e lo accetti. Dal che nasce la conseguenza che la deduzione etica del diritto deve coincidere, quando al contenuto, con la deduzione puramente egoistica, cioè che le norme di diritto devono essere stabilite come se la loro ragion d'essere fosse unicamente l'utilità egoistica. E il fatto — inevitabile — che la sanzione (premio o pena) ha un contenuto egoistico, cioè si risolve in un motivo egoistico dell'osservanza del diritto, sembra confermare tale conseguenza. ** * 49  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Di qui seguono due corollari non trascurabili per la valutazione dei rapporti tra morale e po- litica. Il primo è questo: che il Potere politico, in quanto è forza di coazione che pone come ester- namente obbligatorie certe condizioni quali si siano (negative o positive) dell'attività dei singoli, non è mai per sé, direttamente, organo morale; perché il valore morale, che è del tutto interiore, in- sindacabile e incoercibile, sfugge a questa azione; e perché i mezzi di cui la legislazione esterna può disporre — sia di persuasione (premi), sia di costrizione (pena) — non possono presentarsi che co- me motivi di ordine egoistico; e hanno per sé un valore o premorale (cioè di condizione di fatto an- teriori alla moralità ed estranei ad essa) o pro-morale (cioè tengono luogo del motivo morale o ne surrogano l'efficacia pratica quanto agli effetti esteriori della condotta). Perciò gli istituti politici non sono in sé né morali né immorali se non in quanto sono valutati come tali interiormente dalla coscienza dei singoli. Il secondo è questo: che dovendo l'ordine giuridico poter essere giustificato da un punto di vista puramente egoistico, affinché il Potere politico possa avere un contenuto, non soltanto negati- vo, ma positivo, comune col contenuto delle diverse idealità tipiche morali (essere o diventare orga- no promotore e fautore dei mezzi di cultura), è necessario che il contenuto di queste idealità sia o possa essere considerato insieme come il medesimo, o come elemento o condizione essenziale del contenuto medesimo, delle soddisfazioni egoistiche; o in altri termini, che i valori, poniamo, intel- lettuali, estetici, simpatetici, religiosi, siano nello stesso tempo i valori piú desiderati o desiderabili nel rispetto edonistico, o elementi o condizioni essenziali dei valori egoistici. E ciò equivale a dire che la funzione primaria e preliminare del Potere politico come organo di cultura è quella di ordinare i mezzi atti a dare ai motivi edonistici un contenuto sempre piú spiri- tuale e morale, ossia ad elevare e affinare nei singoli la capacità di sentire e apprezzare come beni migliori e piú desiderabili di ogni altro i valori spirituali. La funzione positiva preliminare è dunque quella di apprestare i mezzi o le condizioni ester- ne necessarie alla possibile educazione ed elevazione spirituale di ciascuno. ** * Fin qui si è considerato il Potere politico soltanto come organo di obbligatorietà esteriore ri- spetto ai singoli soci, dalla cui volontà è idealmente posto, astrazione fatta da ogni relazione dello stesso potere con altri poteri; cioè come stato di fronte ad altri stati. Ma se si considera per questo rispetto, esso assume ipso facto natura e funzione di Persona in rapporto con altre Persone e raccoglie in sé, unifica e fonde in un'unica Volontà e personalità le volontà e le persone dei singoli. I quali per rispetto agli stati esteri spariscono come volontà distinte, e sono sostituite nel loro valore assoluto di persona dallo stato. Il che significa nello stesso tempo che per questo rispetto la volontà dello stato è per la coscienza di ciascuno la propria volontà, e che lo stato diventa esso soggetto e sorgente di idealità etiche. Non è possibile e non è necessario esaminare distesamente le conseguenze che nascono da questo diverso significato e valore che lo stato assume in forza dei suoi rapporti con altri stati; ma non è difficile vedere l'antinomia che ne deriva nei rapporti tra il cittadino e lo stato, secondoché lo stato è considerato nella sua azione interna o nella sua condotta esterna. Rispetto a quella il Potere politico è, dal punto di vista etico, mezzo, e la persona singola, fine; rispetto a questa lo stato è fine e il singolo è mezzo. Nel primo rispetto il cittadino non ha doveri verso il Potere politico, se non in quanto vede nell'osservanza di questi doveri una condizione necessaria alla tutela dei propri diritti; nel secondo rispetto non ha diritti di fronte alle stato, se non in quanto la garanzia di questi diritti sia una condizione necessaria all'adempimento del suo dovere verso di esso. Dai suoi rapporti col Potere, considerato per quel rispetto, è esclusa (almeno idealmente) ogni esigenza di sacrifizio di sé; considerato per questo, tale esigenza è necessaria. Di qui la tendenza a far prevalere il secondo ordine di concetti nei partiti politici che consi- derano come insuperabile l'opposizione degli stati ed eticamente incondizionata la sovranità di cia- 50  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta scuno; e la tendenza opposta nei partiti, che credono superabile l'opposizione, e condizionata etica- mente la sovranità degli stati nelle loro mutue relazioni. ** * Si è avuto occasione di notare nel capitolo precedente che per la ragione stessa per la quale la idealità è concepita e voluta dalla coscienza di ciascuno come normativa di tutta la condotta, per questa ragione la subordinazione di ogni interesse individuale e, quando sia richiesto, il sacrifizio di sé individuo all'idealità etica che lo costituisce in persona, diventano la prova viva e continua del valore intrinseco supremo riconosciuto all'idealità; della conformità, per adoperare termini già usati, del volere operante o esecutivo col volere valutante o legislativo. In questa devozione a un Valore sentito e voluto come valido per sé all'infuori di ogni inte- resse puramente soggettivo e accidentale dell'individuo è già la nota caratteristica della religiosità; nota che è rilevata, sebbene con qualche incertezza e confusione, anche nel linguaggio comune. Dove il verbo «adorare» significa appunto devozione a un oggetto, al quale si riconosce un valore incomparabile e a cui si è disposti a sacrificare ogni altro bene. Ma questa devozione all'idealità, perché sia piena, effettiva e costante, suppone o richiede le disposizioni spirituali, le condizioni soggettive, nelle quali e per le quali si viene attuando; richiede da noi, in noi, il potere di tenerle fede. Ora, quando noi concepiamo l'ideale morale come un Ente, una Virtualità, una sorgente di energie spirituali, a cui attingiamo il potere nostro di realizzarlo in noi stessi, e a cui possono attin- gere i partecipi della stessa idealità il medesimo potere, e quella virtualità è sentita come divina, e lo spirito perfetto che lo realizza in sé come Dio, la nostra devozione è religione. ** * Vi è dunque per questo rispetto una certa analogia nei rapporti della Morale con la Politica e con la Religione. Il Potere politico realizza le condizioni esteriori della moralità, la Virtù divina rea- lizza le condizioni interiori. E poiché l'attuazione del valore morale consiste essenzialmente nell'atto del volere, cioè è interiore e spirituale, e la conformità materiale ed esteriore trae il suo valore dalla prima; cosí il Po- tere politico potrà apparire alla coscienza religiosa come mezzo e strumento del Potere religioso. Anzi dovrà apparir tale finché essa considera le condizioni esterne della convivenza come ideal- mente poste e giustificate soltanto in forza della propria idealità, e non giustificabili fuori di quella. Ma se si guarda un po' piú dentro si vede che la coscienza stessa religiosa deve esser condot- ta a riconoscere che quella subordinazione non è neppure per essa necessaria; perché la legislazione esterna trova la sua giustificazione in quella stessa esigenza etica fondamentale, in nome della quale essa coscienza riconosce il valore supremo della propria idealità, e l'autorità divina del Potere che la realizza. È la esigenza del rispetto della persona umana come sorgente di ogni valore; del valore stes- so e della inviolabilità della fede che essa attesta, e che oppone a ogni altra fede. Ed implica quella libertà che essa non può negare in altra persona senza negarne il valore per sé: che ogni altro deve riconoscere a lei per non vilipendere la propria; che è il principio da cui muove e il termine a cui riesce ogni elevazione dello spirito. Inoltre: Ogni sforzo che si faccia per tradurre un dovere religioso in obbligo giuridico e dar- gli una sanzione materiale esterna, contraddice, nel momento stesso che sembra affermarla, l'esi- genza della religiosità. Perché tende a sostituire al motivo religioso — del tutto interiore — della devozione e della adorazione, un motivo esteriore e di necessità egoistico; il motivo della sanzione. Il quale si trova cosí invocato a garantire ciò di cui è la negazione: la disposizione interiore dello spirito, e la purità delle intenzioni. 51  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Ed è poi, questa distinzione e indipendenza del Potere politico e della legislazione esterna da ogni particolare fede religiosa, da un punto di vista obbiettivo, inevitabile non meno che la indipen- denza già notata da ogni particolare idealità morale. Perché ciò che fa la certezza e la inconfutabilità della convinzione religiosa è insieme ciò che ne fa la incomunicabilità e la indimostrabilità. È certo che la «esperienza religiosa» del mistico non può essere negata da altri. Le intuizioni alle quali essa si riconduce sono, per la coscienza che le prova, certe di una certezza diretta, cioè an- teriore a ogni prova, non meno delle «sensazioni». Ma al pari di queste non sono comunicabili ad una coscienza che non le prova e non le vive. Potrebbe parere materia di discussione l'interpretazione che il mistico fa di questi dati, il momento (che l'analisi obbiettiva può distinguere dal momento dell'intuizione) per il quale la co- scienza trapassa dalla intuizione sua, dall'esperienza propria diretta, all'affermazione del divino in sé, come oggetto dell'intuizione. Ma anche questo processo sfugge alla discussione perché non è logico ma psicologico: anzi non è per la coscienza del mistico un passaggio, una argomentazione, ma una integrazione che si pone coll'atto stesso dell'intuizione e che è vissuta con la medesima certezza. Perciò, chi vuol sotto- porre dal di fuori questo processo ad analisi critica, analizza in realtà qualche cosa di diverso. Ana- lizza il processo discorsivo che dovrebbe fare, per provare la validità della sua conclusione, una co- scienza che non senta già la certezza di questa conclusione; o, piú esattamente, che consideri come conclusione di un passaggio logico, quel che per il mistico non è conclusione logica, ma è evidenza psicologica. E d'altra parte è pur vero che questo medesimo carattere di evidenza immediata che rende la certezza del mistico invulnerabile ad ogni attacco di critica, le toglie nel medesimo tempo ogni pos- sibilità di dimostrazione. Se poi la certezza religiosa si fonda sull'autorità e non sull'«esperienza» non ne è perciò me- no inevitabile la individualità e la incomunicabilità. Perché se l'autorità della rivelazione è accettata come tale per un atto di ossequio, di riverenza e di devozione alla divinità dalla quale è data, essa è un atto di volontà, non di ragionamento, e presuppone quella certezza del divino, alla quale essa ri- velazione dà bensì un contenuto dogmatico, ma non dà, se non lo trova, il valore di certezza. E se la mia coscienza la accoglie in virtù di prove teoriche o storiche o morali, per le quali sia indotta a riconoscere nella rivelazione stessa un'origine divina, le prove della rivelazione (sup- ponendo pure superati tutti i problemi che vi si riferiscono) non sono prove della certezza che io ho del divino, ma sono prove che mi inducono a riconoscere nella rivelazione un segno di quel divino, di cui ho la certezza. ** * Ma il riconoscere questo carattere interiore personale e insindacabile cosí delle diverse idea- lità etiche come delle diverse credenze religiose (anche se si accompagni alla consapevolezza che ciò che costituisce la legittimità e inviolabilità dell'una è, nello stesso tempo, ciò che costituisce la medesima legittimità e inviolabilità di ciascun'altra), non è la medesima cosa che spogliare ognuna di esse di quella tendenza alla negazione non solo, ma alla esclusione delle dottrine opposte, che è propria di ogni fede, vale a dire della affermazione del valore intrinseco di una idealità, che per ciò si riconosce come degna di valere universalmente. In questa diversità e molteplicità varia e inesauribile di valutazioni sta la fonte di ogni in- cremento della cultura e di ogni elevazione spirituale. Ciascuna di queste voci è una voce umana, la voce di una persona; e ciascuna deve poter farsi sentire. Ma quella ragione medesima che pone questa esigenza ne pone il limite; e i limiti sono i valori morali universali il cui contenuto si allarga e si arricchisce della potenzialità di sempre nuo- 52  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta vi valori nella esperienza dolorosa e gloriosa dei secoli; e che tralucono per tutto dove è qualche lume di umanità, perché sono il pregio a cui si riconosce l'uomo e si misura la sua dignità di uomo. Liberum esse hominem est necesse; vivere non est necesse.Ho cercato di mostrare altrove1 come e perché sorga logicamente — e, si può dire, dalla ne- cessità intrinseca dello svolgimento morale — il problema di una pluralità di contenuto nella co- scienza morale; sorga, quando si abbandoni il presupposto che è la forza segreta del formalismo kantiano, che l'imperativo categorico, l'universalità della legge, la razionalità del volere convengano a un solo, a quel solo contenuto, che si pretende poi, nelle deduzioni della dottrina del Diritto e della Virtú, di ricavarne; in termini piú chiari e meno tecnici, quando si cessi di ammettere che la co- scienza morale sia una e la medesima in tutti; non solo per il tono con cui parla dentro ogni persona, ma per le cose che dice; non solo per l'autorità con la quale comanda, ma per ciò che comanda. Questo problema viene a sovrapporsi o meglio ad anteporsi (se non anche a sostituirsi), — e in ogni caso (come pure ho cercato di dimostrare) a mutar senso e posizione — al problema che è tuttora, almeno nella forma consueta, considerato come il problema centrale, il vero problema del- l'etica: quello del fondamento. La quale forma di trattazione sembra supporre — già nel modo di porre il problema (filosofia della morale) — che sul contenuto concreto di ciò che si chiama morali- tà, sul modo di condotta che si distingue come morale, sui criteri coi quali giudichiamo del giusto e dell'ingiusto, del bene e del male, non cada dubbio; e il dubbio riguardi le ragioni per le quali si de- ve veramente tener giusto e buono quel modo di condotta, e legittimo quel criterio; e ingiusto e ille- gittimo il contrario2. Che questo presupposto sia ora, dico non solo nella letteratura, ma nella coscienza viva con- temporanea, arbitrariamente assunto; che nel decidere — se ciò che vale di piú sia la verità, o la bel- lezza, o la giustizia, o la carità, o la forza; l'affermazione di sé o la rinunzia, l'umiltà o l'orgoglio, la disciplina o l'indipendenza non tutte le coscienze vadano d'accordo; che nella stessa coscienza di una persona non volgare e non ignara dei problemi morali, né estranea alla consuetudine di una sin- cera e severa meditazione, si presentino, tra questi valori diversi, contrasti e opposizioni non sempre e non facilmente superabili, è ciò che nessuno potrà e vorrà negare; ed è in ogni caso una realtà che non cesserebbe di sussistere e di imporsi all'attenzione, anche se fosse negata. Lo stesso apparire nelle discussioni dottrinali e nelle storie generali e particolari dell'Etica di teorie dette immoralistiche, dimostra che le differenze ci sono e che giungono a tale da dar luogo non solo a contrasti ma ad opposizioni contraddittorie. E qualunque sia il giudizio anche sommario che si voglia portare su di esse bisogna ricono- scere che non avrebbe senso qualificare immorale una dottrina, se il contenuto suo non si opponesse appunto a quello delle dottrine morali come specie a specie nel medesimo genere; cioè se non pre- tendesse di valutare e regolare — in modo diverso — la medesima materia3. Ciò basta a confermare, se di conferma vi è bisogno, che il problema di una pluralità di con- tenuti della morale, ossia di una pluralità di criteri di valutazione, non è un problema di semplice possibilità astratta, cioè una curiosità scientifica e filosofica, ma è un problema d'attualità concreta e viva; è, veramente, a mio giudizio, il problema per eccellenza della coscienza morale contempora- nea. 1 Su la pluralità dei postulati di valutazione morale; Il Vecchio ed il nuovo Problema della morale (Parte II, capitoli 2—4). 2 Questo modo di vedere è favorito, se non conservato, dal preconcetto, del tutto arbitrario, che la morale sia una dipendenza della filosofia teoretica; e che nella filosofia teoretica sia da cercare la ragione dei criteri e dei principi che reggono e giustificano la condotta. Il quale preconcetto è all'incirca così ragionevole, come quello di chi andasse a cercare nella luce che viene a illuminare una sala, la spiegazione degli atteggiamenti nei quali sono veduti quelli che vi si trovano. 3 Né in sede di discussione e di critica si può respingere senz'altro come amorali o immorali dottrine che hanno pure un loro contenuto valutativo senza assumere come valido appunto quel contenuto di cui le dottrine in questione contestano la validità. Non si comincia un dibattimento giudiziario con una sentenza di condanna.   Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Del resto, se può parere nuovo il problema, a cui dà luogo — quando si fa piú aperta e mani- festa — la pluralità dei criteri, non è nuova questa pluralità. Anzi, forse non vi è sistema, per quanto vi domini potente lo sforzo logico della coerenza, che non nasconda sotto l'unità, apparentemente raggiunta, del criterio supremo, una piú o meno lar- ga e profonda pluralità o almeno dualità di contenuto. Per non ricordare con Aristotele la duplicità di felicità e virtù — ben vivere e ben fare — e per lasciare l'antica e non mai del tutto superata dualità di vita attiva e di vita contemplativa, l'unità reale di criteri nella valutazione della condotta non è raggiunta se non in apparenza, nella stessa mo- rale teologica cristiana; la quale, mentre non rinunzia, e non può rinunziare, a regolare la condotta umana anche nel rispetto della vita terrena finita, si sforza poi invano di ricondurre i precetti che re- golano questa al medesimo criterio di valutazione che è suggerito o imposto dal contenuto sopran- naturale del fine che la giustifica. E il distacco logico inevitabile tra il fine invocato a giustificare le norme e il criterio usato a determinarle, è dissimulato ma non superato, nell'unità della rivelazione o della intuizione religiosa. Perfino nell'età del razionalismo, nella quale l'unità di natura e l'identità di doveri e di diritti di tutti gli uomini è affermata col massimo di consenso e di calore, indipendentemente da ogni par- ticolare dogmatismo confessionale, l'unità della valutazione morale si può dire raggiunta soltanto perché se ne restringe la considerazione al campo propriamente etico-giuridico, e si trascura o si la- scia nell'ombra la parte piú specialmente personale e che tocca gli aspetti e le forme della vita inte- riore. E quell'unità parziale di contenuto sembra essere il segno e la prova di un unico supremo cri- terio di valutazione morale, perché viene comunemente ricondotto a un fine che dissimula, sotto l'i- dentità nominale del termine, la possibilità di determinazioni diverse per quel che tocca la parte del- la condotta etica che sfugge all'attenzione di quel tempo; e che riguarda i fini propri della persona, e le forme della vita interiore. ** * Ma il romanticismo e lo storicismo, per vie diverse ma cospiranti, posero in luce quel che il razionalismo aveva lasciato nell'ombra o trascurato; e l'uno affermando, illustrando ed esaltando la ricchezza, la varietà, il valore, se non esclusivo, superiore della vita spirituale e della attività interio- re, originale, spontanea; l'altro cercando nella realtà storica la ragione e la giustificazione delle for- me di vita sociale, religiosa, politica che in nome della natura e della ragione erano state condanna- te, avevano condotto a questo doppio risultato: per un verso, ad allargare smisuratamente l'ambito della vita interiore, raccogliendo e quasi contraendo in essa tutte le attività spirituali, facendone il campo piú degno, e, se non esclusivo, certo dominante della condotta morale, e comprendendovi della vita sociale, al più, quel che in essa si dispiega di spontaneo e d'ingenuo: la pietà, la carità, l'amore, con l'aperta tendenza a distinguerlo non solo, ma a staccarlo dalle attività considerate come esteriori, della vita politica e giuridica. Per l'altro verso, a negare, non solo ogni realtà ed ogni fon- damento storico, ma ogni valore, alle costruzioni politiche e giuridiche del giusnaturalismo; alle dottrine dello stato di natura, del contratto sociale, dei diritti innati; e a considerare come un prodot- to storico le forme politiche e giuridiche; le quali trovano, nelle condizioni che le hanno generate e che le rendono adatte rispettivamente alle esigenze dei popoli diversi in luoghi e tempi diversi, la loro giustificazione necessaria e sufficiente; e quindi a fare il diritto estraneo all'etica e indipendente da qualsiasi giustificazione morale, lasciando aperto il campo alle piú svariate forme di relativismo: biologico, sociologico, storico. Cosí quel che per il razionalismo del secolo XVIII era il contenuto comune della coscienza morale, finiva per essere considerato quasi estraneo alla morale. E mentre si faceva piú largo e piú profondo il distacco tra interiorità e esteriorità, si attenuava sempre piú la distinzione tra i valori morali e i valori spirituali di diversa specie e di diverso contenuto, e prendeva colore e calore di va- 4  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta lutazione morale una molteplicità sempre piú varia di tendenze, di aspirazioni, di attività, di fini di- versi. Per tal modo penetra nella vita e nella cultura, e si manifesta non solo nella filosofia, ma in quella che si chiama piú propriamente letteratura, quella molteplicità di indirizzi, di opinioni, di ere- sie morali che è la caratteristica del secolo XIX, e che esprime, per dir cosí, la maturità storica del problema, prima dissimulato e trascurato. ** * Non si vuol dire, né sarebbe a priori probabile, che ad ogni novità di intuizione particolare, geniale o no, su questa o quella forma di vita e di attività individuale, su nuovi aspetti della cultura speculativa o religiosa o sentimentale, su nuove direzioni della volontà, sul valore dei tipi di istituti, familiari, politici, economici (reali o immaginati) corrisponda una diversità di criteri morali; né tan- to meno che ciascuno esprima una orientazione di coscienza morale radicalmente diversa dalle al- tre; ma neppure è possibile dissimulare che questa molteplicità è altra cosa dalla «dualità» notissi- ma, che nella tradizione e nella credenza comune e nella dottrina piú largamente diffusa, raccoglie- va e, direi, polarizzava attorno a due termini contrari i valori della vita, opponendo i beni razionali ai beni sensibili, e negando a questi ogni valore morale. Perché, lasciando pur fuori di questione ciò che tocca i beni detti sensibili (per semplicità di discorso, non perché anche su questo punto le que- stioni sieno escluse di fatto, o siano da escludere a priori), la caratteristica nuova e piú rilevante di tale molteplicità, è appunto questa: che è nel regno stesso dei beni razionali, che la diversità delle tendenze si è venuta delineando sempre piú spiccata. E i contrasti di tendenze e di opinioni si rive- lano anche, anzi soprattutto, nel campo di quei valori che era pacifico considerare come patrimonio, se non uno e indivisibile, almeno indiviso, e non costituito di parti discordanti. E mentre si venivan disegnando, cosí, conflitti di primato, se non contrasti irreducibili, tra i valori stessi tenuti tradizionalmente come superiori, si presentavano: di là, idealizzate, e sotto veste di valori razionali — o giustificate in nome di esigenze razionali — tendenze e forme di vita spon- tanee, passionali, o istintive, considerate già come estranee se non contrarie alla vita morale: e di qua si esaltavano come centro e culmine dei valori morali le forme religiose, intuitive, sentimentali e mistiche, avverse, almeno in apparenza, ad ogni pretesa di procedimento razionale, e che ad ogni modo si affermavano in atti di aperta sfida contro la ragione. E insieme si negava ogni significato etico — anche nella loro forma di idealità sociali e politiche — a quei principî razionali del diritto, nei quali il secolo precedente aveva visto ad un tempo il segno piú alto della dignità umana e il maggior trionfo della ragione. ** * Di fronte a cosí grande e cosí varia pluralità di contrasti tra criteri di valutazione, o tra «scale di valori» diverse, può bastare a risolvere i conflitti e a ricostituire — posto che sia necessaria — l'unità del contenuto, e l'universalità del consenso, affermare che la morale è universale perché è ra- zionale, o è razionale perché è universale? Né è possibile fare appello alla ragione come autorità morale suprema quando i moralisti che se ne fanno interpreti non riescono, pur affilandone tutte le armi, né a convincere né a vincere i de- trattori, se non argomentando ad hominem cioè facendo appello a qualche principio o criterio da quelli stessi assunto od ammesso. E i detrattori non riescono a formulare neppure una sentenza di condanna che abbia, non si dice un valore, ma un significato quale si sia, senza servirsi di quella ra- gione che coprono di contumelie, e che presta pure la sua assistenza, con divina larghezza, anche a chi la bestemmia. Dal che parrebbe di dover ragionevolmente concludere che della ragione non si può fare a meno, in materia di morale piú che in qualsiasi altro campo; ma che non si può trovare in essa la sorgente delle valutazioni morali. 5  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta E tuttavia non solo fu — nell'età aurea del razionalismo — ma è tuttora largamente sostenuta ed accolta, non senza che la tenacia degli sforzi abbia un profondo significato, l'idea di cercare nella ragione anche ciò che la ragione non può dare; e di riferire a lei non soltanto l'esigenza della coe- renza, dell'unità, e quindi di leggi, di criteri e massime, ma anche di certe leggi e di certi criteri, piuttosto che di leggi e criteri diversi. Ma l'idea è illusoria. E l'illusione sta in ciò essenzialmente: nel credere che la ragione obbli- ghi ad ammettere non soltanto certi giudizi, dato che se ne accettano certi altri, certe conseguenze, se si accettano certe premesse; ma obblighi senz'altro ad accettare certi giudizi: quei giudizi stessi che fanno da premessa; che «esser ragionevole» voglia dire non soltanto osservare le leggi della lo- gica, rispettare quei principi logici senza dei quali non è possibile nessun ragionamento e nessun «uso della ragione», ma voglia dire essere obbligati a riconoscere "certe verità", ad ammettere certi principî; principî non logici o formali, ma materiali; dati o postulati che facciano da sostegno al ra- gionamento, e comunichino la loro certezza ai giudizi che se ne ricavano. Ora io lascio di considera- re, perché non è necessario qui, il campo dei giudizi propriamente teoretici e la distinzione che sa- rebbe necessaria tra giudizi condizionali e giudizi di esistenza; e mi restringo al campo «pratico». In questo adunque la ragione sarebbe essa che pone ad un tempo l'esigenza della legge e la legge; cioè, non solo l'esigenza dell'unità e le norme da osservare per realizzarla, ma anche i criteri attorno a cui si deve raccogliere questa unità; quei giudizi stessi che non si giustificano, ma che servono di fon- damento alla giustificazione. 6  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO SECONDO LA RAGIONE E I GIUDIZI DI VALORE Questa «funzione pratica»4 della ragione si può intendere in tre modi diversi: — O i criteri di valutazione, i giudizi di valore che stanno a fondamento dei giudizi morali, hanno la stessa validità e si possono o dimostrare o porre con la stessa necessità od evidenza con la quale si impone la validità delle forme logiche. — Oppure — se il dato o principio che sia a fondamento delle valutazioni è diverso dalle verità teoretiche, assunto dalla ragione, non posto da lei ma offerto a lei, questo dato è tale che essa non ha che da scoprirlo, da formularlo, da presentarlo alla riflessione di ogni uomo ragionevole per- ché ne sia riconosciuta ed ammessa come indiscussa e indiscutibile la validità. — O finalmente è la ragione stessa che pone la legge, ed è l'esigenza razionale che basta a determinarla, senza che a costituire la validità della legge e del contenuto che essa incorpora in con- formità della sua esigenza, sia necessario riconoscere la validità di alcun dato o principio materiale estraneo alla forma stessa della legge. Non vi sono che queste tre vie possibili; e sono le vie che anche storicamente il Nazionali- smo ha seguito con maggiore o minore sforzo di argomentazioni e varietà e ricchezza di gradazioni particolari. ** * La prima via, la piú antica, quella aperta da Socrate quando si presentò per la prima volta il problema morale in condizioni analoghe per certi rispetti (nessuno pensa a dire uguali) a quelle che lo fanno risorgere ora in una forma somigliante (il contrasto nelle opinioni intorno a ciò che è bene, o in breve, il problema della pluralità dei criteri morali), è la via che si direbbe piú propriamente in- tellettualistica. I principî morali sono verità5 della medesima natura delle altre, accertabili teoreti- camente, o deducibili da verità teoretiche. È l'indirizzo del quale ho parlato già altrove6 e il cui vizio radicale consiste nel fare dei giudizi di valore giudizi teoretici, e pretendere di derivare quelli da questi. Ma quanto alla derivazione nessuno sforzo logico può fare che concluda con un giudizio di valore un ragionamento che non abbia per premessa, espressa o sottintesa, un giudizio di valore. Quanto alla certezza immediata nessuna evidenza logica può fare che sia contraddittorio in sé stimare di piú il proprio cane che il prossimo, se non si suppone che io ammetta che un uomo 4 Questa espressione può avere in morale tre sensi diversi che importa distinguere. Si può intendere che dipen- da dalla ragione il valutare, cioè riconoscere e graduare i valori; o che dipenda dalla ragione il conformare la condotta alla valutazione, muovere la volontà: e questi sono i due sensi che rispondono all'uso piú comune del termine «pratico» e che pur si confondono tra di loro, benché siano diversissimi; come è diverso riconoscere la giustizia o la bontà di una norma e osservarla, stimare la virtú e praticarla. Ciò che è in discussione qui e nel seguito è sempre, se non si dica espressamente il contrario, il primo signifi- cato. Finalmente vi è un terzo senso, quello propriamente kantiano, che consiste nel riconoscere la possibilità e la le- gittimità di affermare per il bisogno morale l'esistenza di ciò che la ragione speculativa non può conoscere; di fondare sulla morale una certezza metafisica che è preclusa all'uso teoretico della ragione; ed è a un tal uso che si riferisce, come tutti sanno, la notissima espressione «primato della ragion pratica». 5 La tesi morale di Socrate è duplice come tutti sanno: 1°che il bene e il male si possono conoscere (se ne pos- sono fare dei concetti veri) come si conoscono le altre cose. 2°che conoscere il bene e praticarlo è il medesimo, ossia che la moralità (la pratica del bene) è sapere; chi fa il male lo fa perché ignora che cosa sia il bene. La prima tesi sta in- dipendentemente dalla seconda che qui è lasciata in disparte. Di solito quando si parla della tesi di Socrate in tema di morale si intende dire di questa seconda e non di quell'altra, la quale anzi è comunemente ascritta, e in un certo senso giustamente, a merito di lui. 6 Vecchio e nuovo Problema, Parte I, Cap. II. 7   Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta qualsiasi vale piú di un qualsivoglia cane, o che dove c'è pensiero, ivi c'è una dignità incomparabile con qualsiasi pregio di natura diversa. Ma in questo caso la contraddizione è tra un mio giudizio e un altro mio giudizio; che si suppone pure ammesso da me e per me valido. Ma chi o che cosa mi obbliga ad ammettere questo valore del pensiero? E perché cadrei nell'assurdo se lo negassi? Forse perché con ciò diminuisco o nego un valore che è anche mio? Sarebbe dunque il rispetto e la stima di sé un principio logico? E la despectio sui del Geulinx contiene dunque una contraddizione in termini? ** * Se si incalza che il giudizio sulla inerenza all'uomo di proprietà o doti che mancano al cane è di evidenza oggettiva e che riconoscere un maggior valore all'uomo che al cane è la stessa cosa che riconoscere all'uomo una maggior realtà, cioè una maggior perfezione, è facile avvertire che in que- sta identificazione si assume appunto ciò che è in questione: che la perfezione o il pregio delle cose e delle proprietà delle cose sia accertata o accertabile teoreticamente come la loro esistenza e appar- tenenza; mentre basta una non lunga riflessione per accorgersi che il giudizio sul pregio e sul valore o il «grado di perfezione» di qualsiasi ente o proprietà implica il riferimento a una gerarchia, a un ordine, a un disegno, cioè in ultimo, a un modello, e quindi a un fine attuato o da attuarsi. E, che possa o debba valere come fine, che meriti di valere, non è un giudizio in realtà; tanto che il negar- gli questo valore non implica negare sia la realtà, sia la possibilità, sia alcuna delle proprietà dell'en- te; cosí come negare alla sfera il valore di forma perfetta che le davano i peripatetici, non implicava per Galileo la negazione né della costruibilità della sfera, né di alcuna qualesivoglia delle sue pro- prietà geometriche. La sfera rimane la sfera. Si potrà o non si potrà ammettere che essa abbia, in grazia di quelle proprietà, un pregio particolare, ma l'ammetterlo o negarlo non appartiene alla ge- ometria; e mentre io rinuncio ad essere intelligente se non capisco il concetto della sfera, e rinunzio ad essere ragionevole, se non ammetto tutte le proprietà che ha o avrebbe una sfera reale costruita secondo quel concetto, non rinunzio né all'intelligenza né alla ragione se nego che la sfera valga piú del cubo o della piramide. Lo stesso, mutatis verbis , vale per l'esempio allegato del cane e dell'uo- mo. Senonché qui un rosminiano potrebbe insistere, che il caso è appunto diverso e che la diversità ha un suo significato: perché mentre io non provo internamente alcuna ripugnanza ad ammettere che la sfera non valga piú della piramide, non posso senza ripugnanza invincibile, ammettere che il cane valga quanto l'uomo. Che è questa ripugnanza, se non il segno della «contraddizione che nol consente»? Che nell'esempio citato (non per nulla nella scelta il Rosmini ebbe la mano felice) la repu- gnanza ci sia, è innegabile — sebbene le tenerezze di certe dame possano far dubitare della univer- salità del riconoscimento —; ma questa ripugnanza è una ripugnanza morale, non una incongruenza o contraddizione teoretica, ed è comune nella misura in cui è comune la valutazione su cui si fonda. Anche qui, ancora e sempre: negando questa differenza di valore tra il cane e l'uomo io non nego nessuna delle differenze di realtà che esistono e che si possono conoscere; non nego nessuno dei ca- ratteri e delle proprietà dell'uomo o del cane, qualunque poi sia il giudizio che faccio sul valore di- retto o indiretto di ciascuna di quelle doti e di tutte insieme, e degli esseri che le posseggono. Che io faccia maggior conto del potere di astrazione dell'uno che della finezza di odorato dell'altro, o che apprezzi di piú l'amore della libertà dell'uomo che la ubbidienza cieca del cane, non è per nulla una implicazione necessaria del riconoscere rispettivamente nell'uomo quella proprietà che nego nell'al- tro. E il giudizio potrebbe essere rovesciato, e un grossolano estimatore di tartufi potrebbe preferire il fiuto del suo cane a quel qualunque potere di astrazione che la natura prodiga ha largito a lui pure, senza che muti di un ette la verità riconosciuta da ambedue: che l'uomo ha un certo senso meno fine del cane, e il cane manca di un potere che ha l'uomo. — E se finalmente accadesse davvero, come parrebbe anche naturale, che nessuno potesse disconoscere la differenza di valore tra i due, questa universalità di riconoscimento non cesserebbe di essere, per la sua natura e per il suo fondamento, diversa da quella. L'essere universalmente ammessa una differenza di valore fra i due enti, prova, 8  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta nel caso, che è universalmente ammessa o sentita l'esigenza morale in grazia della quale quella dif- ferenza è posta: ma non prova che il giudizio di valore, cosí espresso, sia una conoscenza teoretica; ossia, comunque, riducibile alla conoscenza oggettiva dei due esseri, o ricavabile da questa. ** * La verità è che i giudizi morali (come ogni altro giudizio di valutazione) paiono della stessa natura dei giudizi teoretici perché sono nella massima parte, e con una frequenza di gran lunga maggiore, giudizi derivati e possono presentarsi sotto forma di giudizi derivati, anche quando sono considerati, sotto un altro rispetto, come primari e assunti come tali in una costruzione diversa. Ora nei giudizi derivati, la validità della valutazione è ricondotta alla validità di un altro giudizio (primi- tivo o primario o diretto) con un processo, che non differisce in nulla, quanto alle leggi logiche che ne governano la legittimità, dal comune processo di dimostrazione col quale si prova la connessione necessaria di certe conseguenze con certe premesse. Con questa circostanza, per dir cosí, aggravan- te: che, come s'è accennato, accade di frequente, anzi solitamente, che quegli stessi giudizi che figu- rano in un processo di giustificazione come premessa o principio, compaiono o possono comparire in un altro ragionamento come conseguenza o conclusione. Tanto che riesce difficile decidere, quando si tratta di valutazione, quali siano i giudizi primitivi, e quali i derivati, comparendo a volta a volta secondo le costruzioni diverse e i diversi punti di vista e talvolta nello stesso autore (e senza che si possa per ciò solo appuntare i ragionamenti corrispondenti di circolo vizioso e di petizione di principio), come giudizi derivati, dei giudizi che figurarono in altro luogo, e per un altro proposito, come primitivi, e inversamente; al contrario di quel che accade di solito nelle costruzioni scientifi- che: dove i principî o proposizioni fondamentali hanno e conservano costantemente il loro carattere e il loro ufficio7. Sfuggendo cosí all'osservazione, per la vicenda di ufficio logico al quale possono a volta a volta essere assunti, quali siano i giudizi di valore primitivi, cioè quelli in cui si assume la validità diretta e immediata (senza che sia ricondotta alla validità di qualche altro giudizio), riesce piú difficile, o almeno si presenta meno frequente e meno aperta, la opportunità o la necessità di e- saminare la natura e di coglierne questo carattere di diversità, radicale e irreducibile, dai giudizi teo- retici. ** * La quale diversità può sfuggire anche piú facilmente o essere posta in luce tanto piú diffi- cilmente, per un'altra circostanza che ha a quest'effetto un influsso anche piú decisivo. E la circo- stanza è questa: che una parte considerevole dei giudizi valutativi che assumono piú frequentemente valore di primari, o sono abitualmente sottintesi (tanto sono o si suppongono incontestati), o sono incorporati e quasi assorbiti nei giudizi teoretici, senza che l'apprezzamento, per lunga consuetudine congiunto all'idea dell'oggetto, o della proprietà, o dell'atto, o dell'effetto possibile, sia formulato in un giudizio distinto; anzi, talvolta, neppure sia espresso piú nell'enunciazione del giudizio stesso da una di quelle particelle (aggettivi, avverbi, interiezioni) che portano nel giudizio la espressione di una valutazione, o, come si può dire con forma piú generale, la nota del sentimento; la quale non appare talvolta che nel tono di voce dell'interprete o lettore, o si rifugia nella scelta sapiente delle parole e delle sfumature suggestive, di cui è ricca una lingua satura di civiltà. Dire di un uomo che è indolente o che è intemperante, è, se non si parla a vanvera, attribuir- gli una qualità, della quale è possibile dimostrare che veramente gli spetta, cioè si posson dare delle prove oggettivamente certe e accertabili: è un giudizio teoretico. Ma ognun vede che vi è tacitamen- 7 È tuttavia da notare anche qui una tendenza a considerare l'ufficio logico rispettivo di principî e di conse- guenze, suscettivo di essere invertito. Così nella piú rigorosa delle scienze deduttive, la geometria, si può vedere la pos- sibilità, sfruttata per ragioni didattiche o anche per maggior semplicità o eleganza di costruzione, di invertire la dedu- zioni; assumendo come dato quel che si è ricavato, e inversamente; come avviene del resto nelle dimostrazioni della connessione reciproca di due proprietà fra di loro.  9  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta te assunto insieme un giudizio di valutazione, nella misura che l'indolenza o l'intemperanza sono per chi parla o per chi ascolta qualità non pregevoli, o biasimevoli; il che diventa evidentissimo quando si tratti di qualità o di attributi, o modi di operare piú gravemente e piú universalmente biasimati, come si dicesse: bugiardo, venale, falsario e simili. Anzi, i giudizi di valutazione sono gravi in pro- porzione della loro prova teoretica assai piú che delle espressioni di biasimo che li accompagna; ap- punto perché il biasimo può essere piú facilmente sottinteso. E non per nulla la diffamazione è puni- ta piú dell'ingiuria. Cosí il giudizio valutativo (sottinteso) sembra essere fondato su prove, come si dice, di fatto, ossia su giudizi teoretici; mentre i giudizi teoretici provano bensì l'esistenza del fatto o la legittimità dell'imputazione, ma non provano in nessun modo il valore dell'azione. Il qual valore è già riconosciuto e ammesso e incorporato nell'idea di quel modo di operare, di quel difetto o colpa di cui l'azione è prova, e non ha bisogno di essere formulato a parte perché tutti lo sentono e tutti lo sottintendono. ** * Ora i giudizi di valore a cui si dà ufficio di primari, cioè che si assumono a fondamento degli altri e alla cui validità si riconduce la validità di questi, sono presi, solitamente, tra i giudizi il cui valore per essere comunemente riconosciuto e, come si dice, pacifico, è appunto piú facilmente sot- tinteso. Quando si è detto a una persona intelligente «bada che quella pistola è carica», non occorre altro discorso per persuaderla a maneggiarla con prudenza; e nessuno pensa che è sottinteso, o me- glio, nessuno ha bisogno di pensare distintamente che è sottinteso, un giudizio sul valore della vita, e che l'avvertimento non avrebbe peso se la vita non valesse piú di una cartuccia. Ora il giudizio: la vita è un bene; che qui è sottinteso, può essere considerato come primario, per esempio in tutti i precetti dell'igiene (dove anzi fa da primario un giudizio, che è già esso derivato rispetto a questo, sul valore della sanità): ma può essere non primario per chi giustifica a sua volta il valore della vita col valore del sapere, o del bello, o della giustizia, o della carità, o della potenza, o della gloria, o di qualsiasi altro ordine di fini o di attività o di godimenti. Ma poi, quando si dice che l'arte, o la scienza, o la pietà sono un conforto della vita, si fa di ciascuno di quei beni che sopra sono assunti come beni per sé, un bene derivato rispetto a quello della vita. E cosí se si dice che il sapere accresce la ricchezza, o la giustizia assicura la tranquillità, o l'onestà alimenta la fiducia reciproca, si pongono, almeno occasionalmente, come derivati, dei valo- ri primari, e si assumono come primari rispetto ad essi, dei valori derivati. ** * È adunque chiaro che i giudizi di valore si legano fra di loro in una catena continua, anzi in un groviglio di catene, del quale non è necessario qui cercar di capire piú particolarmente la struttu- ra; e che per queste mutue e varie connessioni delle diverse valutazioni fra di loro, si può assumere come primario in un sistema di deduzioni un giudizio di valore che figura come derivato in un si- stema diverso. Ma in qualsiasi processo di giustificazione, questo giudizio primario di valore e- spresso o sottinteso ci deve essere; e si tratta di vedere — nel caso di valutazioni morali — non se spetta alla ragione giustificare la scelta, ossia dimostrare da che cosa nasca l'attribuzione di valore (che sarebbe precisamente fare del valore diretto un valore derivato; la quale dimostrazione, se è possibile, nessuno dubita che sia un processo razionale); ma, se ci sia un principio di valutazione, una affermazione diretta o primaria di valore che sia razionale in sé, e che si distingua come razio- nale da altre valutazioni primarie, che non siano in sé razionali; cioè che non sia razionale accetta- re, che la ragione impedisca di ammettere. 10  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO TERZO RAGIONE ED EGOISMO Se si tien conto di quanto s'è avvertito sopra, la questione della razionalità o irrazionalità dell'egoismo si riduce a vedere se l'egoista, accettando il principio assiologico che assume come primario quando giustifica il suo sistema di valutazioni egoistiche e le massime di condotta corri- spondenti, rinneghi la ragione, e quindi, poiché è ragionevole, si trovi in contraddizione con se stes- so. E cadrebbe in contraddizione: O perché operando da egoista non raggiunge lo scopo al quale è rivolta la sua opera8. O perché il criterio egoistico contrasta con altri che l'egoista stesso in quanto egoista non può fare a meno di accettare e di ammettere. ** * È certo che l'egoista spesso sbaglia i conti e fallisce lo scopo; ma questo non ha che fare nel- la questione. I conti li sbagliano un po' tutti, o li possiamo sbagliare, senza che ciò voglia dire nulla circa il valore o il disvalore, la dignità o l'indegnità dei nostri scopi. Lo sbagliare riguarda la scelta o l'uso dei mezzi e dà luogo ad un giudizio di abilità o inabilità, di successo o di insuccesso; e sba- gliano i conti i filantropi forse piú spesso degli egoisti. Lasciamo dunque le delusioni che possono venire agli egoisti da errori di calcolo. Concludente invece, anzi decisiva, sarebbe, se valesse, l'altra obbiezione che non si possa essere egoisti senza contraddirsi. La quale però ha il torto di configurare un egoista incoerente (an- che se in realtà è il tipo comune, anzi forse cedendo appunto alla suggestione della realtà) cioè, che pretende bensì di subordinare ogni interesse, di qualunque genere, degli altri al suo interesse pro- prio, ma pretende insieme che gli altri non facciano cosí; e ha l'aria di dire agli altri: ma, insomma, se fate gli egoisti anche voi, come faccio io a servirmi di voi per i miei comodi? — Naturalmente quando si è foggiato un egoista su questo tipo, è facile dimostrare che si contraddice. Non è mai, in generale, molto difficile ritrovare in qualche cosa qualcos'altro che vi sia posto dentro prima. Ma non vi può essere un egoista coerente? E come si dimostrerebbe che non vi può essere? Vediamo come dovrebbe essere; e se, essendo coerente, cesserebbe di essere egoista. Questa è ma- nifestamente la tesi che si deve dimostrare per concludere alla irrazionalità dell'egoismo. Egoista coerente è chi riconosce buono l'operare di ciascuno quando è dettato dal suo inte- resse maggiore, ossia buono per ciascuno il modo di operare che procura ad esso operante il mag- gior numero di vantaggi e il minor numero di danni; ossia, un egoista coerente è esso senza riguardi 8 Non si può considerare come esempio di contraddizione intrinseca dell'egoismo il caso frequentissimo e co- munissimamente notato di chi si mostra in questa o quella circostanza egoista perché opera da egoista o come se fosse egoista, mentre sente dentro di sé di «aver torto», sente che la sua azione presente è disforme da quel modo di operare che la sua coscienza morale riconosce come giusto; quel modo di operare che egli approva quando giudica le azioni de- gli altri e che egli stesso seguirebbe se non fosse in gioco. Ossia egli sente che dovrebbe fare così e sente che farebbe così se il fare non gli costasse un sacrifizio; il sacrifizio di quella certa sua piú o meno grande comodità. Ora certamente qui (ed è il caso comune, tipico, notato migliaia di volte del contrasto, dello scontento interiore e del rimorso) questa discordia interna è colta e segnalata dalla ragione. È una esigenza razionale l'unità delle valutazio- ni, la costanza dei criteri, la coerenza tra il valutare e il fare, ed è un processo razionale che rivela le incoerenze e i con- trasti. Ma la questione non sta qui. Il contrasto segnalato per il quale chi opera da egoista è colto in fallo e deve riconoscere il suo torto, è possibile perché il supposto egoista ha operato bensí da egoista, ma sente e giudica e valuta conforme a giustizia. Egli è in con- traddizione perché il criterio di valutazione, cioè di scelta tra i motivi, seguíto nella sua azione concreta è contrario al criterio di valutazione che egli accetta come persona morale, che applica nel giudizio sulle azioni altrui e, in quanto rie- sce ad essere imparziale in causa propria anche a se stesso. E la vera questione qui sarebbe di vedere se quel criterio di valutazione che egli accetta come persona morale è posto dalla ragione; se dato che non fosse sentito e accettato dalla sua coscienza, potrebbe un processo razionale farlo sorgere.  11  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta per gli altri, ma ammette e trova naturale e legittimo nello stesso tempo, che ciascun altro sia senza riguardi per lui. È pronto a sopraffare, potendo farlo senza danno, gli altri; ma non protesta se altri, potendo, sopraffà lui. — Dov'è qui la contraddizione? ** * Si dirà che cosí facendo si riesce all'uno o all'altro di questi risultati: o alla limitazione reci- proca degli egoismi per mezzo di norme di condotta che li renda compatibili, e abolisca lo spettro hobbesiano del «bellum omnium contra omnes»; o al riconoscimento del valore supremo, della for- za come criterio ultimo della condotta. Ora il primo risultato — si dirà — è la negazione dell'egoismo; l'egoismo, diventando ragio- nevole sbocca in un criterio diverso, anzi contrario: si fa legge, cioè diritto, cioè giustizia. Il secondo tiene sospesa sull'egoista la spada di Damocle della sua condanna: il piú forte d'oggi può essere piú debole domani, il piú forte contro i singoli è meno forte contro la coalizione dei singoli. Il numero, il «gregge» può sopraffarlo; e se lo sopraffà esso ha ragione perché è il piú forte. Per sostenere che il criterio della forza deve valere soltanto tra i singoli e singolarmente presi, occorrerebbe un altro presupposto, un altro giudizio, un altro criterio fuori della forza, che valga a distinguere entro quali limiti l'uso della forza è legittimo. Ma fuori di questa clausola (che ricondur- rebbe al risultato precedente), la forza contiene in sé la propria condanna perché genera da sé la propria negazione. Né l'uno né l'altro di questi discorsi che paiono vittoriosi è, se si guarda spassionatamente, concludente. ** * Cominciamo dal secondo. È bensì vero che l'egoismo se non scende a patti con gli egoismi che gli si possono contrapporre sbocca nel criterio della forza; ma il criterio della forza non si nega e non si smentisce finché si ammette che esso valga per tutti9, che la mia volontà sia legge finché il piú forte sono io, e che sia legge la volontà degli altri quando piú forti sono gli altri. Sarebbe invece smentita appunto, quando valesse finché il piú forte sono io e non valesse piú se il piú forte è un al- tro. Si può dunque dire che il criterio della forza può riservare delle sorprese, e portare, a chi l'accet- ta, piú danni che utili. Ma non si può dire che sia in sé contraddittorio; come non è contraddittorio per un giocatore accettare la legge del gioco coi suoi rischi e le sue promesse, anche se queste sono superate da quelli. Ciò riguarda dunque, non la coerenza intrinseca del criterio, ma la questione se a un egoista accorto convenga o no di farne la sua legge. Se ci pensa bene, se pesa il pro e il contro con pruden- za, forse non sceglierà una strada nella quale i pericoli sono superiori alle speranze. ** * 9 Se si trova difficoltà a immaginare seguíto questo criterio fra gli individui, non c'è che da pensare al principio che ha regolato in ultima istanza, fino a ieri, se non fino ad oggi, i rapporti fra gli stati, e che dovrebbe regolarli sempre secondo l'imperativo nazionalistico o etnico o storico, che passò e passa tuttora - agli occhi di molti - come il solo impe- rativo «seriamente» politico. In questa concezione dei rapporti fra gli stati non domina forse nella sua forma rigorosa quella tesi estrema - che lo Stirner formulò per i singoli individui - e che parve ad alcuni per il suo stesso rigore una caricatura ironica dell'a- narchismo di una società di egoisti, che vale fin che mi giova e dura finché mi piace? O si vorrebbe dire che non sono «ragionevoli» i politici, filosofi o no, che accettano e difendono questo crite- rio, non solo come l'unico criterio possibile, - in determinate circostanze storiche, - ma come il solo «razionale?» Se- nonché anche la razionalità dell'egoismo statale non è data, ma presupposta, o fondata su un presupposto: che l'interes- se, anzi, un certo interesse dello stato abbia un valore incondizionatamente supremo.  12  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Ed ecco l'altra alternativa: l'egoismo che si limita e si fa diritto10. Ma qui è ancora piú facile scorgere l'equivoco e può parer superfluo il metterlo in evidenza. L'egoista che accetta il diritto come garanzia della sua sicurezza, della sua tranquillità, della sua li- bertà, cioè la limitazione dell'egoismo per motivi egoistici, non cessa perciò solo di essere egoista, e non v'è nessuna contraddizione intrinseca, per lui, nell'accettare condizioni che per lui sono vantag- giose. Che un diritto cosí giustificato non abbia valore morale e non debba identificarsi con la giu- stizia è evidente: che un diritto il quale non abbia altro fondamento che questo calcolo egoistico sia poco saldo e non abbia piú consistenza di realtà storica che lo stato di natura, è inutile dire; ma non si può dire in nessun modo che l'egoista contraddica se stesso quando accetta e riconosce una legge che limita il suo egoismo. E l'economia politica assume, come tutti sanno, l'ipotesi dell'uomo che produce e scambia la ricchezza secondo motivi egoistici e per puri motivi egoistici, ma osserva per- fettamente le altre forme giuridiche piú rigorose della giustizia, senza che questa osservanza venga a contraddire menomamente il presupposto egoistico. Anzi, ognuno sa che la limitazione piú rigida e piú incondizionata dei fini particolari di ciascuno sotto la legge di un dispotismo senza limiti e senza controllo, è giustificata dal Hobbes in nome dell'egoismo e dell'espressione piú elementare e piú grossolana dell'egoismo (la conservazione della vita); e che a un calcolo puramente egoistico si riconducono dall'Helvetius (cosa parimenti notissima) ogni forma di condotta ed ogni azione uma- na. E nelle dottrine che prendono nome di utilitarie (con un battesimo antonomastico che non si ca- pisce se faccia piú torto, come si crede, alle dottrine, o a chi le ha designate con questo nome11), la difficoltà piú grave, la sola difficoltà insormontabile dal punto di vista del proposito che le ispira, è quella che nasce dalla esigenza di conciliare la utilità individuale con la utilità sociale: alla quale e- sigenza si crede di soddisfare nel modo piú efficace, facendo dell'utile della società, il mezzo e la condizione dell'utile individuale; cioè giustificando da un punto di vista egoistico, le norme della vi- ta sociale. E questo stesso sforzo di giustificare con una motivazione egoistica ogni ordine di attività anche piú elevata non solo dimostra che è tutt'altro che evidente la contraddizione intrinseca e la ir- razionalità dell'egoismo, ma fa pensare piuttosto il contrario: che l'illusione di questa possibilità sia nata, e la tenacia dello sforzo alimentata, appunto dall'opinione che la via migliore, se non l'unica, di persuadere che l'operare moralmente è conforme alla ragione, sia di mostrare che le norme morali coincidono con quelle di un bene inteso cioè di un intelligente egoismo. Ma con ciò si suppone o si accetta, ma non si pone la pretesa legittimità evidente per sé del- l'egoismo, come norma suprema di condotta, accanto o contro la legittimità del criterio opposto. Ed è sempre sottinteso il presupposto arbitrario che vi sia un criterio di valutazione il quale è per sua natura conforme alla ragione, di fronte ad altri criteri contrari. Mentre contrario alla ragione non è né l'uno né l'altro criterio per sé. Ma è soltanto la pretesa di accettare un certo criterio e insieme non accettarlo, di ammetterlo come norma di condotta e non applicarlo. 10 Chiedo scusa al lettore se adopero questa volta frasi di questo genere - adatte piú ad effetti stilistici che a precisione di pensiero - per segnalarne il pericolo. Non bisogna dimenticare che in queste espressioni «l'egoismo che si nega», «l'arbitrio che limita se stesso» e molte altre somiglianti, il senso voluto significare è reso possibile perché e in quanto il termine in questione (egoismo o altro) è preso a indicare in una due significazioni diverse: nell'una è l'astratto (la connotazione comune a tutti egoismi); nell'altra è il collettivo (l'insieme degli egoismi particolari e degli arbitri diversi che si contrastano). 11 Il quale è un tacito riconoscimento che gli uomini considerano veramente utili soltanto le azioni che servono a certi fini e a certe soddisfazioni loro. Ma utili in qualche modo sono tutte le azioni; se no (ah questo sí), non sarebbero ragionevoli. Sono utili, o credute utili, al fine a cui sono dirette, economico, scientifico, estetico, religioso, politico, ecc. Che siano dette utili soltanto le prime, parrebbe dunque significare che abbiano vera importanza per l'uomo soltanto quei certi fini, che poi si dimostra con molti discorsi che sono meno nobili degli altri.  13  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO QUARTO LA RICERCA DEL FINE SUPREMO Con ciò la tesi egoistica cerca di porsi su quella medesima via che è nella tradizione dei si- stemi e delle scuole la via piú comune del razionalismo morale, ed è in effetto la piú semplice, si di- rebbe quasi la piú ovvia ed ingenua: quella notissima di ricondurre le norme a un bene, a un fine, a un ideale, di cui si è riconosciuto o si debba riconoscere incontestabile il valore supremo. Qui ciò che fa da principio della dimostrazione da «assioma medio» o proprio della costru- zione morale, è il giudizio in cui si assume questo valore e questa dignità suprema del fine. Posto che il fine assunto sia il fine che l'uomo riconosce come supremo e che si dimostri come le norme morali siano ordinate ad esso, la loro legittimità è dimostrata. Quale sia questo fine e in che consista spetta alla ragione di trovare o di giudicare; di trovare e formulare, se questo fine supremo è dato e si assume come riconosciuta e incontestata la sua vali- dità di supremo; — di giudicare, se su questo valore cade dubbio, o se si pensa che non basti un ri- conoscimento di fatto, ma sia necessario un riconoscimento di diritto; che spetti alla ragione, non già o non soltanto di scoprire, se vi è, un tal fine, ma di giudicare perché esso debba valere. Nella prima maniera il valore del fine e quindi del criterio supremo che la costruzione logica assume, e sul quale si fonda la giustificazione delle norme morali, è manifestamente dato alla ragione, non posto da lei; ma l'assumerlo può apparire e appare praticamente legittimo, finché è ammesso e fuori di contestazione che il fine è supremo, perché è in realtà il fine unico, segnato dalla stessa «natura u- mana»; quello a cui si riducono tutti i fini particolari; che li comprende, li concilia e li subordina tutti. Tale è nella sostanza il procedimento logico delle dottrine che assumono come fine naturale — al quale necessariamente si riconduce o mette capo qualsivoglia fine parziale — la felicità o la perfezione o altro preteso fine dello stesso tipo, che li compendii tutti. Ma è appena necessario os- servare come quegli stessi caratteri per i quali pare cosí naturale, cosí evidente e cosí «ragionevole», riconoscere questo fine come il fine per eccellenza, senza contestazione e senza eccezione comune e costante e incoercibile della natura umana, sono quei medesimi che fanno di questo fine apparen- temente unico, un termine vago e vacuo di ogni contenuto determinato e concreto; del quale nessu- no contesta che sia supremo, finché ciascuno può dare a quel termine il significato che si accorda, per lui, col valore che gli si attribuisce di supremo. Ma perché una qualsiasi costruzione sia possibile è necessario che il termine assuma un cer- to contenuto determinato; il quale contenuto è esso che serve di fondamento alla deduzione; mentre ciò di cui si riconosce come supremo e fuori di contestazione il valore è quella Felicità (o Perfezio- ne, o altro Bene) della quale quel contenuto assume la veste, il titolo e le prerogative; e in nome del- la quale si presenta appunto come fine. E cosí accade che, mentre nell'apparenza il fine è uno, in re- altà è duplice: uno è il fine nominalmente assunto, a significazione indeterminata e che per sé non potrebbe servire a costruirvi sopra che delle tautologie inconcludenti, ma che reca il titolo e le inse- gne, e quasi la formula magica, della sua sovranità: ed è la felicità (o quell'altro termine dello stesso genere); l'altro è il fine realmente assunto. Il contenuto determinato che serve alla deduzione, che regge la dottrina, e che fornisce veramente il criterio al quale si riconduce logicamente la legittimità delle norme, dei precetti e dei giudizi che se ne ricavano. Cosí resta giustificato in nome della felicità ciò che viene determinato in conformità a quel certo contenuto. L'uno serve a costruire, l'altro a dar valore alla costruzione. ** * Ora finché si ammette che la felicità o quel qualsiasi altro termine che lo sostituisce consiste veramente in quel contenuto sul quale si è costruita la dottrina, e l'accordo sulle deduzioni favorisce e conforta questa certezza, la distinzione fra il dato della costruzione e il supposto che lo investe del 14  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta valore di fine, non ha luogo, o apparirebbe ingiustificata o pedantesca. È, o si ammette come pacifi- co, che il dato e il supposto coincidono, che l'uno esprime il significato dell'altro. Ma se, sotto l'apparente unità del termine si mostrano le differenze di contenuto; e i fini par- ticolari che si credevano fusi e, unificati in quell'unico fine, rivelano la loro incompatibilità; e un fi- ne e un ordine o specie di fini pretende di valere come sommo, subordinando a sé od escludendo gli altri; allora è necessario scegliere. E la scelta tra due o piú specie di "Felicità" (come tra due o piú forme di «Perfezione») non può essere fatta in nome della felicità. Tra due o piú ordini di fini che si presentano come fini della «natura umana» non si può sentenziare in nome della natura; oppure si deve ricorrere a distinzioni tra felicità e felicità, tra natura e natura, che rivelano l'assunzione aperta o tacita di un criterio che serve a distinguere la vera da una falsa o apparente felicità, e a determinare in che consista e in che si appunti la «vera» natura umana. «Considerate la vostra semenza...» ** * E cosí il riconoscimento di fatto si muta in riconoscimento di diritto. Non è questo davvero, finalmente, il compito della ragione? Di far capire, di persuadere, di dimostrare che alcuni fini sono degni e altri sono indegni dell'uomo, alcuni superiori, altri inferiori? E fare questa scelta non vuol dire fare una gradazione di fini, e giudicare quale meriti di essere riconosciuto come il fine supremo che serva di termine di confronto, per subordinare quelli che si conciliano ed escludere quelli che sono inconciliabili con esso? Qui adunque pare veramente che sia razionale, non solo il processo di deduzione dal fine, ma razionale la scelta stessa del fine, il riconoscimento del valore che esso deve avere di fine supremo. Senonché non è difficile scorgere l'equivoco e trovarne la origine. Il criterio in base al quale la ragione giudica la dignità dei fini, ne fa la scelta, la subordinazione e la esclusione, è desunto dal- la coscienza morale, cioè in ultimo da quelle stesse valutazioni che la costruzione razionale è chia- mata a giustificare. In realtà il giudizio della ragione è il frutto di un processo che è bensì esso ra- zionale, ma che si fonda su dati di valutazione morale. Il processo reale, palese o nascosto, è, in breve, questo: La coscienza morale dice all'uomo quale è la condotta buona, la condotta che è giusto che segua, che deve seguire. La ragione mostra (non cerchiamo se con regressione del tutto rigorosa e univoca, ma in o- gni caso adempiendo un ufficio che è propriamente e incontestabilmente suo), mostra, dico, che quella condotta è ordinata a certi effetti, raggiunge un fine che è perciò — dal punto di vista dedut- tivo e giustificativo dell'esigenza razionale che vuole l'unità e la coerenza — il Bene morale; e poi- ché non sarebbe morale se non valesse come sommo, questo Bene deve essere riconosciuto e posto come supremo. Non è dunque perché la ragione lo giudica supremo che esso vale come fine morale; ma è perché esso deve valere come fine morale, deve adempiere a questo ufficio nella unità logica del si- stema, che la ragione gli riconosce questo valore di fine supremo. Il che viene a dire che il titolo sul quale il giudizio della ragione è fondato, il criterio seguito nella scelta è il carattere che esso assu- me, o è capace di assumere, di fine morale. Riconoscergli questa attitudine, questa capacità a dar ragione dei giudizi morali, a servire ad essi di principio di giustificazione, cioè di dato dal quale razionalmente si ricavano le norme, equi- vale a riconoscerlo come fine morale; e assumerlo come tale, equivale ad assumerlo come supremo. Adunque è bensì la ragione che giudica questa attitudine o questa capacità che ha il fine di servire di giustificazione dei giudizi morali. Ma il valore morale di queste valutazioni è dato, deve essere ammesso o presupposto. La ragione porta il suggello di questo valore su quel fine del quale essa mostra la congruenza con le valutazioni morali. 15  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta ** * Se in questo proposito di ricondurre le valutazioni della coscienza morale a un fine unico, possa riuscire o no, e, dato che possa, entro quali limiti e con quali frutti, è una questione che qui può essere lasciata in disparte. Ciò che importa notare è che quel «Fine» ha valore supremo per l'uomo dotato di coscienza morale; per una natura umana per la quale valga l'esigenza morale e valgano le valutazioni che essa richiede e che la esprimono. È supremo dunque nell'ipotesi che l'uomo senta la superiorità di certe aspirazioni su certe altre, di certe attività su certe altre, di una «natura» su l'altra. Per far riconoscere il valore supremo di questo fine noi dobbiamo dunque supporre ammes- so il valore di quei giudizi morali, dei quali dimostreremo poi razionalmente la validità, deducendo- li da quel fine. Sono questi giudizi, di cui è o si assume incontestabile il valore morale, il dato o i dati primi della costruzione assiologica; e la ricerca del fine supremo non è che lo sforzo logico di ricondurli a un solo principio di valutazione, a un unico criterio; di costruirli in sistema. Del quale perciò la va- lidità logica, la coerenza necessaria, l'unità di sistema è posta dall'esigenza razionale; ma la validità assiologica esprime una esigenza morale, la quale è già data o postulata 16  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO QUINTO «MASSIME RAGIONEVOLI» E «PRINCIPÎ RAZIONALI» Se i giudizi primari di valore, i criteri ultimi, attorno a cui si raccolgono e ai quali si subor- dinano le valutazioni, sono assunti e non posti dalla ragione, come si può parlare — e manifesta- mente se ne parla con fondamento — di massime di condotta sulle quali tutte le persone «ragione- voli» vanno d'accordo, e il dissentire delle quali è tenuto come segno patente di irragionevolezza? Che significa ciò se non questo per l'appunto, che basta per riconoscere la bontà di quelle massime, essere ragionevoli, cioè dunque, che basta la ragione a giustificarle? Pare infatti di sí, a prima vista, e si può anche entro certi limiti accettare dall'uso questa for- ma di espressione senza inconvenienti; ma ciò non toglie che l'espressione sia impropria e che l'os- servazione notissima e comunissima prova qualchecosa d'altro; un fatto assai notevole, e a cui si collega una considerazione d'importanza capitale per il modo d'intendere i rapporti tra valori morali e valori di altre specie: che le massime delle quali si discorre, esprimono o valutazioni primarie e- lementari, di cui è superflua, perché è comune e manifesta, ogni giustificazione, oppure delle valu- tazioni nelle quali si incontrano criteri assiologici tra loro diversi. Sono queste valutazioni mediate o indirette che si possono ricondurre cosí all'uno come a ciascun altro dei criteri suddetti; quasi ponte di passaggio a cui mettano capo strade di origine diversa, o linea di intersezione di piani diversi. Cosí nel raccomandare i precetti della temperanza si incontrano stoici ed epicurei, edonisti e mistici, egoisti ed altruisti, sia pure per motivi diversi, ossia in vista di fini diversi e anche opposti tra di lo- ro; e nel raccomandare l'osservanza dei patti, l'homo œconomicus e l'homo ethicus si trovano pie- namente d'accordo12; ossia qualunque possa essere, tra quelli che sono comunemente accolti, il cri- terio assunto, chi lo accetta, deve ragionevolmente accettare quella norma; o, in altri termini, qua- lunque sia, tra i normalmente possibili, il fine accolto come supremo, chi lo accetta deve riconosce- re che esso richiede come suo mezzo o condizione quel modo di operare. Non riconoscerlo vorrebbe dire volere il fine e non il mezzo. Ora riconoscere che se si vuole il fine bisogna volere il mezzo, che se si accetta un principio bisogna accettare le conseguenze, que- sto è appunto, essere ragionevole. E poiché dai diversi principi tra i quali suole essere cercato, se- condo le tendenze, quello che si assume come criterio, la deduzione logica conduce a quel medesi- mo precetto, questo precetto appare fondato in ragione, ragionevole per sé. E in effetto, non si po- trebbe giustificare se non per mezzo della ragione; appunto perché è essa che ne dimostra volta a volta la connessione necessaria con ciascuno dei criteri che possono essere rispettivamente assunti per legittimarlo. Ma il valore di questi criteri primi o supremi è, per ciascuno dei casi, ammesso o presupposto. Di che si ha la riprova nel fatto che se, per ipotesi, si assume un criterio le cui conse- guenze valutative non coincidono con le valutazioni comuni, cessa di apparire «ragionevole» quel modo di operare che è ritenuto — ed è in effetto — tale, finché sono considerati come legittimi i criteri consueti. Usar pietà diventa irragionevole se chi usa pietà è persuaso che il fine piú degno è la forma- zione del superuomo e che a formare il superuomo è necessario essere spietati. Questo esempio può parere poco convincente perché troppo remoto dalla probabilità di essere riconosciuto e accolto. Ma, lasciando pure di notare che esso sarebbe probativo anche se fosse del tutto ipotetico13, è da os- 12 Anzi su questa circostanza si fonda la considerazione, a cui ho accennato, di importanza capitale per l'etica e di cui ho trattato di proposito altrove (confronta Vecchio e nuovo problema, Parte I, Cap. II, Parte II, Cap. II): cioè che una qualità, una virtù, un modo di operare che ha valore per un rispetto, può aver valore anche per altri rispetti diversi. Un atto morale può avere, anzi di solito ha, anche un valore di utilità individuale o sociale e così via. Il che spiega: 1° come avvenga che la giustificazione delle medesime norme morali si sia potuta cercare in fini di natura diversa; 2° co- me sia possibile, anzi sia la sola soluzione legittima del problema, di giustificare, ricavandolo da un fine diverso, il pre- cetto morale, questa: di considerare la pretesa giustificazione come una rivalutazione sotto un rispetto diverso (edonisti- co o sociale o d'altro genere) di ciò che ha già un valore per sé, morale.  13 E non è, come tutti sanno. 17  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta servare che pur prescindendo da negazioni e contrasti cosí recisi, sull'accordo tra le persone ragio- nevoli sono da fare assai piú riserve che non paia a prima vista; appunto perché, dove il consenso abituale del costume e l'accordo delle opinioni accettate senza critica non sopraffà o non nasconde le divergenze, e soprattutto nel campo della vita interiore, queste sono assai maggiori che non si creda. Anzi si può dire che su certi campi l'accordo tra persone di tendenze e di indirizzi morali di- versi è raggiunto, non in grazia della ragione, ma nonostante la ragione, la quale se fosse rigorosa- mente applicata, richiederebbe un modo diverso di valutare e di giudicare l'azione. Il che viene a di- re che qui l'accordo c'è, non perché tutti sono ragionevoli, ma perché alcuni si dimenticano di esse- re, o credono di essere mentre non sono. ** * Nell'esempio allegato sopra si ha la prova di un giudizio di valore tenuto come contrario alla ragione, che appare conforme a ragione quando muti il criterio al quale si riconduce. Non meno, anzi piú significativo è il caso inverso, di principî tenuti come razionali che ces- sano di essere riconosciuti tali, se cessano di essere ammessi certi dati o postulati dei quali si sottin- tendeva che non potessero essere ragionevolmente negati. Di che l'esempio storico piú insigne e piú istruttivo è offerto da quei principî etico-giuridici che passano come il modello caratteristico di una costruzione puramente razionale. Anzi, su questa idea che la costruzione giuridica del secolo XVIII — della quale l'espressio- ne piú nota è la Dichiarazione dei diritti dell'8914 — sia una pura astrazione razionale, è fondata la critica ormai stereotipa che si ripete in nome del senso storico; mentre nella elaborazione e nella si- stemazione di quei principi ebbe la sua parte, e la adempì magistralmente, la ragione; ma non era e non è la ragione che ne pone la validità e ne fa sentire la giustizia. Il vero difetto della costruzione razionale non è di aver per soggetto l'uomo astratto in luogo dell'uomo storico (qualsiasi costruzione, non solo sistematica, ma anche storica, non può fare a me- no dell'astratto), ma è di aver assunto a fondamento della propria costruzione un astratto (l'uomo- ragione) insufficiente a reggere l'edificio che si voleva fondare su di esso. Infatti l'uomo-ragione supposto dal razionalismo non è soltanto ragione; è, insieme e impre- scindibilmente, nel concetto razionalistico, l'uomo che ammette certi principî, espressi o sottintesi, che sono incorporati e assorbiti, almeno nell'opinione comune, surrettiziamente e inconsapevol- mente nel concetto di uomo-ragione. Non si capisce la razionalità dei diritti dell'uomo e del cittadino, se non supponendo che sia un dato razionale ammettere che nessun uomo debba essere trattato come strumento della volontà altrui; cioè senza supporre il valore assoluto dell'uomo come tale, e il postulato giuridico corrispon- dente, dell'uguaglianza di diritti di tutti gli uomini. È in effetto per questo soltanto che ad ogni uomo in quanto cittadino15 sono riconosciuti di fronte allo stato tutti quei diritti che fanno scandalizzare Comte, sogghignare Marx e sorridere l'ho- mo historicus. Né si dica che il Nietzsche è finito al manicomio; ciò non proverebbe nulla: l° perché non è teoria solo del Nie- tzsche ma di molti: e divenne in veste politica, dottrina di un popolo o di una razza; 2° perché quando il Nietzsche la pensò non era pazzo; 3° perché anche se fosse stato pazzo, la teoria di un pazzo non è necessariamente una teoria pazza; 4° perché in ogni caso sarebbe da dire non che è irragionevole la massima, la quale, poste quelle premesse, è ragionevo- lissima, ma che è inumano, o ripugnante, o indegno, accettare una o l'altra delle premesse, o ambedue. 14 Ma è tutt'altro che l'unica perché fu preceduta, come è noto, non solo delle dottrine del liberalismo inglese, ma anche dai Bills of Rights dei diversi stati dell'Unione Americana. E quanto al luogo comune delle «Ideologie france- si» ha ragione il Janet, di rilevare che in un testo scolastico universitario inglese, «Philosophiae moralis institutio com- pendiaria», stampato a Glasgow nel 1742, di un autore tutt'altro che ignoto, l'Hutcheson, si parla come di cosa pacifica, venti anni prima del Rousseau, del patto primitivo degli uomini fra di loro, e dei sudditi col loro governo. 15 Un altro luogo topico che potrebbe senza danno essere lasciato in disparte, è quello che vede nei famosi dirit- ti l'affermazione estrema dell'individualismo e la tesi dell'individuo-fine e dello stato-mezzo. Mentre il riconoscimento di quei diritti esprime a parte singuli la garanzia della libertà individuale, ma esprime insieme l'ufficio fondamentale e preliminare di ogni stato: la tutela della giustizia. E combattere le violazioni della libertà e della giustizia, fatte in nome  18  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Mentre, se si esclude quel supposto e si ammette che lo stato abbia un valore in sé superiore a quello della persona, o se si ammette che i diritti debbano essere subordinati alla cultura, alla po- sizione sociale, alla costituzione politica dello stato, quei diritti «naturali» non hanno piú nessuna ragione di essere riconosciuti come diritti. Ma il principio che la persona umana ha valore per sé e che non è giusto usare la persona come mezzo, è un postulato di valore (cosí come è un postulato di valore il principio che ogni uo- mo, in quanto soggetto di diritti, valga quanto qualsiasi altro); i quali possono essere assunti e pos- sono essere negati senza che chi li accetta o li nega cessi, per questo fatto dell'accettarli o negarli, di essere ragionevole, o diventi ragionevole se non era. Perciò non è da meravigliare che quando i postulati di valore impliciti in quella costruzione razionale del diritto sono messi in dubbio o negati, la costruzione debba sembrare campata in aria. Mentre non era campata in aria, e non è, per chi assume come soggetto di quei diritti un uomo che è dotato di ragione non solo, ma insieme di una certa coscienza morale e giuridica; la coscienza mo- rale e giuridica che si raccoglie nei detti postulati e si può dedurre da essi. ** * Questi postulati il razionalismo aveva torto di pensare che fossero impliciti necessariamente nella ragione, ossia di credere che «uomo ragionevole» volesse dire insieme uomo che accetta quei principî di valutazione. (Il che non vuol dire, si badi bene, che avesse torto nell'accettarli e nell'as- sumerli come degni di essere accettati). Ma se si ammette o si suppone che siano accettati, la costruzione razionale che se ne ricava, come dottrina dei rapporti etici e giuridici che governerebbero qualsiasi società umana, nella quale essi fossero sanciti come criteri supremi della condotta, in ogni sua forma — sia dei cittadini tra di loro, sia dei cittadini verso lo stato, e inversamente, sia degli stati fra di loro —, non solo non è ille- gittima, ma è la sola legittima. E il suo valore etico, giova affermarlo, sussiste, se c'è, qualunque possa essere la distanza che si osserva o si immagina intercedere fra uno stato conforme a quella esigenza ideale, e questa o quella forma di realtà storica e concreta. Anzi, per chi assume quell'esigenza come avente valore morale supremo, i doveri corrispon- denti all'attuazione e all'osservanza di quei rapporti saranno i doveri fondamentali precedenti in au- torità e in obbligatorietà ogni altra sfera di doveri, e i diritti correlativi esprimeranno i valori sociali e politici supremi indipendentemente da ogni giudizio sulla realtà e attuabilità delle forme ideali di Enti o di rapporti tra gli Enti cosí configurati16. Per converso, chi respinge questo postulato, non solo può, ma deve, ragionevolmente, nega- re ogni valore alla costruzione razionale corrispondente (sebbene avrebbe l'obbligo — in sede di di un preteso interesse della collettività e dello stato, non è negare l'interesse della Società, ma piuttosto difenderlo. Anzi l'homo ethicus del secolo XVIII è povero di contenuto appunto perché si esaurisce nei doveri del cittadino, cioè nei va- lori giuridici e politici, e dimentica o trascura i valori propri della vita personale interiore. Il che prova che sono lasciati nell'ombra non solo i fini propri dello stato (uffici positivi) ma anche i fini spe- ciali dei singoli; appunto perché domina e vince ogni altra preoccupazione quella dei fini comuni universali e fonda- mentali - così per la vita individuale come per la vita sociale - della libertà e della giustizia. 16 Chiamare la concezione ideale di una forma di diritto una astrattezza e usare questo termine a dispregio, non è esatto e non è giusto se non quando questa forma ideale sia concepita fuori dalle condizioni necessarie a farlo essere diritto. Nel qual caso sarebbe legittimo dire che il diritto ideale è un diritto impossibile, e sarebbe sciocco e vano conce- pirlo e parlarne. Ma un diritto ideale concepito nelle condizioni che sarebbero richieste a farlo sussistere come diritto positivo, non è piú astratto che un diritto positivo qualsiasi concepito nelle sue condizioni storiche. Salvo che nel secondo caso le condizioni esterne del diritto sono reali, nel primo sono possibili; nel concetto dell'un diritto l'idea delle condizioni che ne fanno o ne hanno fatto un diritto positivo, trova corrispondenza nella realtà, e nel concetto dell'altro l'idea delle con- dizioni che farebbero del diritto ideale un diritto positivo, non ha trovato o non trova più, in una forma storica di realtà, la sua corrispondenza.  19  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta morale — di chiarire quale postulato assuma al posto di quello che respinge, e quale sarebbe il si- stema etico-giuridico che ne discende). Ma commette una grossolana fallacia elenchi, quando pretende di confutare o condannare quella costruzione etico-giuridica in nome della realtà o della storia. Perché la realtà e la storia da- ranno la stregua della attuabilità dei rapporti prospettati nella costruzione ideale, ma non del valore di questi rapporti. ** * Cosí il razionalismo assume erroneamente come dati razionali dei postulati di valore e si il- lude di poter imporre in nome della ragione dei principi che non valgono se non supponendo accet- tati quei postulati che li giustificano: e lo storicismo si illude di togliere ogni valore alle costruzioni fondate su quei postulati dimostrando che la realtà storica è diversa da quelle costruzioni. Come se il riconoscere che gli uomini non hanno nelle condizioni di fatto eguali diritti, o che la società non è fondata sul contratto, o che non v'è diritto naturale, ma vi sono soltanto diritti positivi, equivalga a dimostrare: che non sia bene l'eguaglianza dei diritti; e che non possa essere apprezzata e apprezza- bile una società ordinata in modo tale da poter pensare che non sarebbe diversa se fosse costituita per contratto volontario di tutti i cittadini; o non possa essere piú desiderabile che abbia sanzione di diritto e valga come tale un ordine di rapporti conforme a certi criteri piuttosto che a certi altri. A risolvere queste questioni, il sapere storico non è competente. D'altra parte lo storico non potrebbe risolverle senza cessare di essere storico e diventare «moralista» o «ideologo», «reaziona- rio» o «rivoluzionario», «conservatore» o «riformatore». Perché non vi è altra via: O ricusa certi postulati di valore per assumerne altri diversi, pure di valore. O rinunzia, non solo a qualunque giudizio, ma a qualunque intervento della volontà uma- na nella storia, cioè nella produzione degli eventi umani. Perché ogni azione umana, cioè consape- vole e volontaria, implica una direzione verso un risultato che si giudica preferibile tra i possibili, cioè implica una scelta, e quindi una valutazione. Tanto nel «razionalismo» quanto nel «realismo» o «storicismo», i criteri di valutazione pos- sono bensí essere ricondotti a un postulato di valore, ma questo postulato non è posto dalla ragione né è dato dalla realtà17. Approvarlo o disapprovarlo, ammetterlo o respingerlo, non vuol dire né rispettare o rinnega- re la ragione, né riconoscere o misconoscere la storia; avere o non avere senso storico. Il che è la prova piú manifesta che non è un dato della ragione il postulato di valore a cui si riconduce l'esi- genza espressa nella dottrina del diritto razionale, come non è un dato della storia il postulato, pure di valore, a cui si riconduce l'esigenza implicita nella dottrina del diritto storico. ** * Resta da osservare al nostro proposito per quel che riguarda il razionalismo etico-giuridico, come da questa illusione che l'universalità della ragione volesse dire anche universalità di consenso nei postulati valutativi incorporati surrettiziamente in essa, derivò l'errore di credere che potesse ba- 17 A questa differenza fondamentale tra valutazione e giudizio storico, è da ricondurre, a mio giudizio, la que- stione del rapporto tra Spirito rivoluzionario e senso storico, di cui tratta dottamente e sottilmente il Mondolfo in un ar- ticolo del «Nuova rivista storica» (anno I, fasc. III). Il rivoluzionario (come del resto ogni innovatore di grandi o anche di piccole cose, anzi ogni uomo di iniziati- ve) è, o si pone, fuori della storia in quanto valuta, cioè giudica e opta per un ideale; (anche se questo ideale è un pro- dotto storico, non è perché è un prodotto della storia che è stimato desiderabile, preferito e voluto). È nella storia e deve aver senso storico in quanto è uomo politico, cioè vuole agire sulle condizioni presenti nella direzione voluta. Insomma: in quanto sceglie tra diverse direzioni concepite come possibili (cioè come tali da potere essere favo- rite e contrastate dalle nostre azioni), non è nelle storia, se non in quanto sono nella storia e della storia le sue stesse ide- alità morali. In quanto si rende conto della realtà sulla quale vuole agire e del modo col quale la sua azione può inserirsi efficacemente su tale realtà, è nella storia.  20  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta stare per fare accettare questi postulati «illuminare» le menti, dissipare «i pregiudizi», ragionare; come è nata per contrasto l'illusione inversa che per respingere le applicazioni, le «conseguenze pra- tiche» di quegli stessi postulati e dei criteri che ne derivano, non ci fosse altra via che di far tacere la ragione o screditarla e dare a lei la colpa, non solo delle conseguenze, che essa secondo l'ufficio suo veniva svolgendo e costruendo in sistema coerente, ma degli errori e delle violenze commesse da quelli che smentivano con l'opera i principî o li applicavano a rovescio, e piú spesso senza cono- scenza degli uomini e delle cose, cioè senza tener conto della realtà concreta e della storia. E cosí si passava da una ragione fatta soggetto di meriti non suoi, a una ragione fatta oggetto di biasimi non meritati. Ma la ragione è al di là di quei meriti, e di questa imputazione. La ragione ha un compito inestimabile; necessario, anzi imprescindibile, ma arduo e non fi- nito mai; di costruire incessantemente l'unità della persona; l'unità dell'uomo teoretico, l'unità del- l'uomo pratico e l'unità (a cui bisogna pur mirare, come miravano gli antichi) dell'uomo teoretico con l'uomo pratico. Ha un ufficio di continua eliminazione e ricostituzione; un ufficio nella vita spi- rituale della persona analogo, direi, a quello che ha nella vita fisica la circolazione del sangue. Ma non si può pretendere di ricavare da essa il principio dell'esistenza, ossia il dato o i dati attorno ai quali si possa affermare la realtà obbiettiva di ciò che è oggetto del sapere; né si possono trovare in essa, o ricavare da essa i criteri sui quali si fonda la valutazione e attorno ai quali la ragione unifica i giudizi di valore. Come non dà essa la certezza dell'esistenza, cosí non dà essa la coscienza del valore. 21  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta CAPITOLO SESTO RAGIONE E LEGGE Resta un'ultima via, la terza (vedi Cap. II); la piú audace e radicale. È la ragione che pone la legge morale; ma perché la ponga non è necessario che ricorra a nessun dato o principio materiale, sia stabilito o fondato su verità di ordine teoretico o dimostrabili o evidenti per sé, sia cercato in un fine a cui possa ricondursi il contenuto della legge. È la esigenza razionale che si pone come legge, senza che a costituirla sia necessario fare appello al valore di qualche oggetto o risultato dell'azione e dare a quel qualsiasi contenuto materia- le che venga assunto dalla legge, un valore morale pur che sia, all'infuori da quello che gli viene dalla forma di legge che lo impronta. È, come ognun vede, la tesi di Kant, che è non solo la piú vigorosa, ma la sola veramente ri- gorosa del razionalismo morale. La prima delle vie indicate (Cap. II), quella del platonismo, e in modo particolare quella dei platonici della scuola di Cambridge, riconduce la morale alla ragione perché la riconduce a principi teoretici di cui si crede che la ragione dimostri la verità o faccia rico- noscere l'evidenza: la certezza morale è razionale perché è razionale (o è assunta come tale) la cer- tezza teoretica. È, si può dire, veramente, un intellettualismo morale. Per Kant invece, non solo i principi pratici non si fondano su dati teoretici; ma è soltanto nell'uso «pratico» che la ragione può varcare i limiti del fenomeno, e affermare del noumeno ciò che è conforme all'esigenza della morale, ciò che la ragione postula per il suo bisogno pratico. E i postulati pratici sono veramente, non postulati etici, ma postulati metafisici affermati sul fondamento dell'esigenza etica. Or dunque l'esigenza razionale che è esigenza formale di una legge in generale, in morale è esigenza della legge, di quella legge che è essa la sola razionalmente necessaria. ** * Ma essendo incontrastato per Kant questo punto, sono possibili sul rapporto della forma e della legge col contenuto tre soluzioni: I. O si può intendere che la legge morale è una forma senza nessun contenuto; cioè che la forma dà il valore morale alla legge e il criterio per osservarla e praticarla, senza che occorra una qualsiasi determinazione del contenuto. II. O si può pensare che occorre bensì un contenuto che si adatti a quella forma, che sia su- scettivo di assumerla o di esserne investito; ma non importa che esso sia tale piuttosto che diverso. Insomma: è necessario un contenuto, ma è indifferente quale esso sia, purché possa essere contenu- to di quella forma. Non è perciò escluso a priori che possano essere piú, fra di loro diversi. III. Si può pensare che la forma razionale, la forma della legge morale conviene a un solo contenuto, quel contenuto che si concreta appunto in relazione con quella forma. Ossia, che l'esi- genza razionale basti a determinare univocamente il contenuto della legge18. La prima interpretazione che sembra la piú semplice e sulla quale s'è fatto un gran discutere, è insostenibile, perché si risolve in un circolo vizioso, dal quale non è possibile uscire in nessun modo. 18 Forse a queste tre interpretazioni, teoricamente possibili, si può trovare che corrispondano le tre formule note dell'imperativo kantiano; corrispondano almeno nel senso che ciascuna delle tre si avvicina di più rispettivamente a una delle interpretazioni possibili che alle altre due. Così la prima formula (dell'universalità) sembra rendere possibile la prima interpretazione. La formula (terza) dell'autonomia del volere come principio di tutte le leggi morali e dei doveri conformi ad esse, pare che possa convenire alla seconda interpretazione. E finalmente la seconda formula (tratta la per- sona umana come fine, ecc.) pare che risponda meglio alla terza interpretazione di un contenuto determinato inequivo- cabile.  22  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta Quella stessa illustrazione kantiana che sembra legittimarla mette capo a una formula, che fu bensì intesa spesso e trattata come puro criterio dell'universalità sic et simpliciter (la possibilità di concepire la massima come legge universale dell'operare), ma che, nei termini precisi in cui è e- spressa, implica di necessità il riferimento a un qualche contenuto senza del quale mancherebbe o- gni possibilità di adoperarla come norma di quell'operare del quale vuole esprimere l'obbligatorietà. Secondo quella formula, il criterio per giudicare della bontà della massima è che io possa volere che valga come legge universale. Ma io posso volere che una massima valga universalmente, soltanto quando, o meglio, se, la massima cosí universalizzata non contraddice al mio Volere puro, alla Ragione, cioè (che è tutt'uno) al Volere morale; alla legge, dunque, che fa morale il mio volere; il che viene a dire che una massima è morale quando è conforme alla legge del volere morale, ossia quando è conforme alla legge morale. Il valore morale dell'azione si giudica dalla possibilità che la massima sia voluta come legge, ma questa possibilità di essere voluta come legge, si riconosce dall'accordo della massima con quel- la legge morale della quale non è dato altro carattere che l'universalità, e altra applicazione che cer- care se il modo di operare corrispondente si possa universalizzare in massima. Che il riferimento a un contenuto sia anche nel pensiero di Kant necessariamente implicito nel criterio, appare poi mani- festamente, non dico dagli esempi, ma da una chiosa che non si capisce se non a patto di ritenerlo ammesso in modo espresso o sottinteso. A proposito del quarto esempio della Fondazione (il bra- v'uomo che non fa male a nessuno ma bada ai fatti suoi e non si cura d'altro) chiosa il Kant in forma decisiva: «quantunque sia possibile che esista una legge universale della natura conforme a tale massima, è impossibile di volere che un tale principio valga come legge della natura». Ma perché è impossibile? Manifestamente perché il Volere razionale vuole già qualchecosa che è incompatibile con ciò che è espresso dalla massima «ciascuno per sé» (la quale tuttavia è pos- sibile che esista come legge universale della natura); vuole qualchecosa che ogni uomo come essere ragionevole vuole necessariamente. Insomma, il criterio dell'universalizzazione vale in quanto è possibile confrontare la legge, a cui darebbe luogo la massima se valesse universalmente, con una certa legge che abbia una qualche determinazione, cioè un contenuto. Senza questo riferimento, questo ubi consistam della volontà, non è possibile sapere se la massima dell'azione19 abbia o non abbia i requisiti necessari, perché si possa volere che valga come legge universale. ** * Con ciò il pensiero di Kant sembra escludere non soltanto la prima, ma anche la seconda in- terpretazione (che la forma razionale possa convenire a piú di un contenuto, cioè che possano pre- sentarsi come leggi morali, modi di valutare o sistemi di norme fra di loro diversi); e ammettere che a dare all'esigenza razionale sussistenza effettiva di legge, determinazione di oggetto che la renda applicabile, non sia adatto che un solo ed unico contenuto; e che la legge voluta dall'essere ragione- vole, non possa essere che quella certa legge. Che questo sia veramente il pensiero di Kant credo sia indubitabile, né importa insistervi qui. Piuttosto è necessario rilevare come questa pretesa di deter- minare la legge, quella legge soltanto in funzione della forma, possa parere possibile e legittima finché è sottinteso o ammesso che la legge morale deve essere universale non soltanto nella forma, ma anche nel contenuto; e che perciò le massime in discorso sono soltanto le massime di quel certo operare che ne resta quindi determinato in modo univoco. E cosí il criterio dell'universalizzabilità coincide praticamente con quel contenuto di cui si sa già e si ammette riconosciuto universalmente 19 E va da sé che anche l'azione, di cui si vuole saggiare a questa stregua la massima, deve avere un contenuto che la fa essere quella azione, conforme o disforme da una massima. Se no, non si può parlare di massime dell'operare, anzi neanche di un'azione qualsiasi.  23  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta il valore, di cui quindi si sa che è impossibile volere che valga come morale una massima che lo ne- ga20. Adunque questa impossibilità non sorge dall'esigenza razionale se non in quanto questa e- sigenza si trova essere l'esigenza di un essere ragionevole, che è insieme una volontà che vuole cer- ti valori; o piú chiaramente ancora questa impossibilità non emerge necessariamente dalla ragione, ma dalla natura dell'essere ragionevole; la quale natura è ragione, ma è insieme un volere che vuole ciò di cui la ragione formula la legge. Ora, se si suppone che quel Volere non ponga come assoluti e supremi quei valori, cessa o- gni ragione di volere quella legge piuttosto che un'altra, e quindi è tolta ogni impossibilità di volere che valga come legge una massima che è incompatibile con questa. Adunque, posto che un volere non voglia quei valori e ne voglia altri, cessa questo Volere di essere il Volere di un essere ragione- vole? Cessa di essere un Volere ragionevole quello che riconosce l'esigenza di porre e di osservare la legge che ordina e unifica le massime della condotta in conformità a quegli altri valori che esso riconosce come morali? Non è anche in questa ipotesi salva l'esigenza razionale? ** * Questa ipotesi (che la realtà della coscienza morale contemporanea prova, come s'è visto, non essere pura ipotesi), conferma in concreto quel che l'analisi della formula rivela inoppugnabil- mente: che il dato iniziale, originario o primario della legge morale è presupposto dalla ragione, non posto; presupposto come oggetto o contenuto di una Volontà la quale è bensì razionale in quanto pone a sé come legge la norma dell'operare corrispondente; ma non è né razionale né irrazionale in quel che riguarda la posizione di quei valori primari, che costituiscono il terminus ad quem dell'o- perare, l'oggetto della volontà, attorno al quale l'esigenza razionale stringe la condotta in unità coe- rente di legge. ** * A una conclusione del medesimo genere riesce per altra via la difesa che del formalismo kantiano fa il Martinetti in una sua memoria densa e vigorosa21 nella quale egli si sforza di salvare il carattere formale della legge pur riconoscendo la necessità di un contenuto; e lo salva facendone la forma, non di un contenuto sensibile, ma di un contenuto soprasensibile. Ma questa soluzione urta contro nuove difficoltà inerenti alla concezione di questo fine tra- scendente o di questo mondo soprasensibile che è l'oggetto proprio della legge morale. Perché delle due l'una: O si ammette che di questo mondo soprasensibile non possiamo af- fermare altro, se non appunto questo: che esso è il mondo nel quale trova piena attuazione la legge morale, il mondo nel quale la legge morale vale come legge naturale, senza che se ne diano altre de- terminazioni di sorta. Ovvero questa realtà ha altre determinazioni, attua un certo ordine di rapporti, 20 Mi sia lecito riferirmi per la chiarezza a uno degli esempi di Kant. La ragione per la quale non si può volere erigere a massima universale il principio che chi è stanco della vita può uccidersi (1° esempio), non è già che sia impos- sibile concepire seguita una tal massima universalmente (non c'è nessuna contraddizione intrinseca nel pensare che tutti quelli che sono stanchi della vita si uccidano); e neanche che non sia possibile a una volontà che vuole una legge - ma che sia indifferente per ipotesi ai valori morali, e apprezzi sopra ogni cosa il piacere o la liberazione del dolore - volere che valga universalmente. (È così possibile che, come tutti sanno, non mancò chi la praticasse e la predicasse anche tra i filosofi). Ma è impossibile che voglia una tal legge chi ammette la superiorità dei valori morali. Ossia l'irrazionalità del- la massima emerge, non da un'impossibilità intrinseca della massima e neppure dalla impossibilità di sussistere di un Volere che sia indifferente a certi valori, ma dal suo contrasto con un Volere che riconosce la superiorità di certi valori (morali) sugli altri (egoistici); e quindi non può volere che valga come legge una massima che smentisce questa superio- rità. 21 Sul formalismo della morale kantiana estratto dalla Miscellanea di studi pubblicata per il cinquantenario del- la R. Accademia scientifico-letteraria di Milano. Inserito poi in Saggi e Discorsi, Libreria Editrice lombarda, Milano, 1929.  24  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta che non possiamo conoscere speculativamente, ma di cui possiamo tuttavia essere certi e affermare e riconoscerne la perfezione, la bontà, il valore. Se si ammette la prima tesi, l'affermare una realtà soprasensibile di cui non possiamo dir al- tro se non che è il contenuto della forma morale, non ci dice in che consiste questo contenuto, e non ci fa uscire da questa forma. Dice che vi è un mondo conforme alla legge morale, ma non dice quale sia, come sia fatto questo mondo. Non ci illumina dunque, su questo punto, piú di quel che valga a far capire quali sono le disposizioni di una legge, il pensare che questa legge sia perfettamente os- servata. Per uscire davvero dalla forma e da questo circolo vizioso di un mondo di cui non si sa altro se non che è governato dalla legge morale, e di una legge morale che ha valore perché è la legge di quel mondo, bisogna dunque attenersi alla seconda tesi; la quale, come pensa il Martinetti, e come io credo, risponde veramente al pensiero di Kant, se non come si mostra punto per punto nelle stret- toie della sua esposizione, come risponde all'intento fondamentale che anima la sua dottrina del primato della ragione pratica e piú chiaramente ancora al proposito esplicitamente ammesso da lui nella prefazione alla seconda edizione della Critica della Ragion pura22. In realtà «l'uso pratico» della ragione consiste nello spalancare all'esigenza morale quelle porte della metafisica che sono chiuse alla speculazione teoretica; nel lasciar libero alla fede il cam- po del soprasensibile vietato alla conoscenza; nell'ammettere, se vogliamo usare espressioni corren- ti, piú che il diritto la necessità di credere, la necessità «razionale» di ammettere quel che la ragione, in quanto è garanzia di certezza teoretica, non può né dimostrare né affermare; di oltrepassare — per rendersi conto della possibilità del dovere — il campo dell'esperienza sensibile e postulare l'esi- stenza di una realtà che trascende l'esperienza. Ma questo ufficio pratico sarebbe senza frutto23, se una certezza diversa dalla scientifica, ma non minore, non potesse valicare quelle porte del soprasensibile che la ragione apre soltanto all'esi- genza morale, ma apre per lei e in nome suo. Sulla soglia del soprasensibile la ragione sembra dire all'esigenza morale quel che Virgilio a Dante all'entrata del Paradiso terrestre: «...Se' venuto in parte Ov'io per me piú oltre non discerno». Ma la fede fondata sull'esigenza morale entra e procede sicura in questo mondo, dinanzi al quale la conoscenza si arresta. Come se venuta meno ogni luce dal di fuori, questo mondo si illumi- ni della luce che la certezza morale accende in sé e sprigiona da sé e diffonde attorno a sé in quello che è il suo regno. È questo mondo soprasensibile l'oggetto del Volere razionale, la realtà di cui la legge morale è la forma. Il contenuto sensibile al quale nel mondo dell'esperienza si applica la legge, non ha valore per sé, ma perché e in quanto partecipa di questa forma che è forma di una realtà superiore alla qua- le la realtà inferiore deve essere subordinata. ** * 22 Il concetto dominante di questa prefazione (che è da raccomandare all'attenzione di quanti credono che la soluzione dei problemi morali sia un corollario di dottrine speculative) si può considerare riassunto in questa, che direi confessione caratteristica: «Ich musste also das Wissen (si intende, del mondo soprasensibile) aufheben um zum Glau- ben Platz zu bekommen» (Kritik der reinen Vernunft. Vorrede zur zweiten Auflage, ed. Cassirer, vol. III p. 25). 23 Nella prefazione citata, a proposito della limitazione che la critica della ragion pura porta alla ragione specu- lativa negandole la possibilità di una conoscenza del soprasensibile, Kant nota che il «vantaggio d'una metafisica così purificata» non è soltanto negativo ma anche positivo perché permette l'uso pratico della ragione. E osserva con un pa- ragone assai significativo che negare «a questo servizio della critica il vantaggio positivo sarebbe come dire che la poli- zia non dà nessun vantaggio positivo perché il suo compito principale è soltanto di tenere in freno la violenza; affinché ciascuno possa attendere ai suoi affari tranquillo e sicuro» (ib., pag. 23; il corsivo è mio).  25  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta In questa interpretazione24 il termine di paragone c'è, il Volere razionale ha un oggetto, il circolo vizioso — del valore di una legge che si rimanda a un contenuto e del valore di un contenuto che si rimanda a un Volere che vuole la legge — è rotto. Ma è facile vedere che il dato primo a cui la costruzione valutativa si appoggia, è il valore di questo mondo soprasensibile postulato dalla ragione in nome della esigenza morale; ma che appun- to per ciò non è un dato della ragione, ma della certezza morale. E l'affermazione della realtà di quel mondo è riconosciuta legittima, perché la sua esistenza è richiesta da questa certezza. Qui è an- cora, per Kant, la Ragione che riconosce la legittimità della postulazione metafisica; ma la ricono- sce in quanto accetta come incontestabile la certezza morale; la quale è certezza di valori, non evi- denza razionale. ** * Cosí adunque anche la tesi della trascendenza della legge morale implica accanto alla esi- genza razionale un oggetto della Volontà, un ordine di valori, un dato valutativo irreducibile alla pura razionalità e che trae la sua validità d'altronde. Quale ne sia la sorgente, non si può cercare u- tilmente in breve, e non è facile; forse la sua origine è in quella stessa attività volontaria nella quale bisogna cercare la fonte della credenza in una esistenza obbiettiva del mondo. La volontà è direzione ed è forza. In quanto è forza, e si esercita come forza e si rivela come sforzo (il quale richiede e suppo- ne una resistenza) è il dato irreducibile della credenza in una realtà obbiettiva distinta dal soggetto. In quanto è direzione, cioè scelta, cioè azione in vista di un risultato, è il fondamento irredu- cibile dei giudizi primari di valore, i quali esprimono le direzioni originarie della volontà, delle qua- li acquistiamo consapevolezza attraverso le forme fondamentali del sentimento. 24 Non è il caso di cercare qui se e che cosa il Martinetti abbia messo di suo e di postkantiano nella sua inter- pretazione, né di vedere se e fino a che punto il fondo mistico del pensiero di Kant si accordi con la dottrina che do- vrebbe sottrarlo ad ogni pericolo. Qui basta notare la difficoltà radicale in cui vengono a cadere le soluzioni del mede- simo genere. La quale è inerente al modo di concepire il rapporto tra il contenuto sensibile che, per essere applicabile alla realtà empirica, la legge morale deve pure assumere, e il mondo sovrasensibile che è l'oggetto proprio della legge morale, quello che ha valore per sé e dà valore di simbolo o di partecipazione (qui ritornano i dubbi del platonismo) al contenuto sensibile. Infatti delle due l'una: o si ammette che il contenuto atto a farsi suggello di quella forma, differisce da un con- tenuto diverso oltreché per il valore formale (nel quale si esaurirebbe il valore morale), anche per un valore di altro ge- nere. E allora vi è luogo a cercare se vi sia o no una connessione necessaria, intrinseca tra questo suo valore specifico e il valore formale; e in ogni caso si riconosce che il contenuto sensibile della legge morale ha un suo valore proprio che sussiste ed è riconosciuto anche all'infuori dell'impronta formale. O si ammette che questo contenuto sensibile non ha nessun altro valore, cioè è per sé indifferente; che ciò che la legge morale comanda non vale, per rispetto a questo mondo empirico, di più di ciò che essa vieta, cioè se non fosse questo riferimento a un mondo superiore non vi sarebbe nessuna ragione di anteporre un modo di operare ad un altro; e le difficoltà si moltiplicano. Per lasciare le intrinseche e più sottili, basti rilevare qui da un punto di vista diciamo pure «profano» la stra- nezza quasi ironica del contrasto tra la soluzione del problema e l'intento che la esprime. Perché nell'atto di affermare l'esigenza di una osservanza incondizionata della legge morale si nega ogni valore intrinseco a ciò che la legge coman- da; e mentre si dà alla legge un'autorità incontrastabile perché trascendente qualsiasi valutazione empirica, si toglie ad essa ogni ragione di venir applicata (e se si guarda bene ogni possibilità di applicazione) a quel mondo sensibile di fron- te al quale deve essere fatta valere questa sua autorità. Infatti, togliendo all'operare ogni valore, che dipenda dalla direzione verso un fine empirico qualunque esso sia, non resta a costituire la moralità, cioè la bontà del volere, che questo affisarsi nel mondo soprasensibile, questo ten- dere a una realtà trascendente, nella quale consiste ogni valore. Ma questa soluzione non isfugge a quella singolare commistione dì forza e di debolezza che è caratteristica di ogni morale rigorosamente mistica: forza, in quanto è intui- zione, atto di fede, certezza interiore inespugnabile; debolezza, in quanto voglia farsi deduzione ragionata di valutazioni empiriche. La quale urta nella impossibilità di stabilire logicamente, ossia dimostrare discorsivamente, una relazione necessaria tra la condotta che deve valere come morale nel mondo sensibile e quel mondo soprasensibile che ne costi- tuisce l'oggetto e il termine; di superare un distacco logico del genere di quello accennato sopra [Cap. I § 3°] tra il crite- rio usato a determinare le norme di quella condotta e l'ordine di valori invocato a giustificarle.  26  Su la pluralità dei postulati di valutazione morale Erminio Juvalta L'intento di Kant di liberare la legge morale da ogni mescolanza e contaminazione «patolo- gica» di sentimenti, di inclinazioni, di tendenze — che si traduce in isforzi laboriosi ed ingegnosis- simi ma vani — forse non sarebbe stato proseguito con cosí risoluta tenacia se il Kant, meno preoc- cupato dal preconcetto (alimentato dalle dottrine eudemonistiche del tempo) che ogni forma di sen- timento e qualsiasi genere di fini, sia inevitabilmente soggettivo, relativo, interessato, fosse stato di- sposto a riconoscere che vi possono essere forme universali di valutazione intrinseca, cosí come vi sono forme disinteressate e universali di sentimento.  JVALTA, ERMINIO     JL M -jf, É..^ M...^ •     IL METODO  DELL'ECONOMIA     PLACE:     BIZZONI     DATE:     1907     COLUMBIA UNIVERSITY LIBRARIES  PRESERVATION DEPARTMENT   RTRTìOnRAPHIC MICROFORM TARGET     Master Negative #     Originai Material as Filmed - Exisling Bibliographic Record     r     .170   hi   V.2     ■ I l ■! ■ ■' I < I»     ■■ ■<■ '     » ■ " ' > t     mm'mm'^^mmt^i^n     <9 I tli i n     Juvalla, ]]r]iiiìio   Il netoilo doll'econonia pura noli 'etica. Pavia.  Dizioni, 1907. •   ?:ì p. 24 cn in ZG}: cn.   At head of title: E. Juvalta.   Estratto dalla Rivista filonofica, novcnbre-di-  cenbre 1907 •   VoluiTio of poinplilets     Restrictions on Use:     FILM SIZE: ZS^I^     TECHNICAL MICROFORM DATA     REDUCTION RATIO:     //x     IMAGE PLACEMENT: lA fllM IB IIB     DATE FILMED: J^mAj-_ INITIALS_?5_   HLMEDBY: RESEARCH f UBLiCATIONS, INC WOODBRIDGE. CT      e      Association ffor Information and Imago Management   1100 Wayne Avenue, Suite 1100  Silver Spring, Maryland 20910   301/587-8202      Centimeter   1 2 3   iiiiliiiiliiiiliiiiliiiilmilii     4 5   iliiiiliiiilii     6 7 8   iiliiiiliiiiliiiiliiiilii     10     11     12 13 14 15 mm     I I I I I I TTTTtTTTTTTTTTiTTTTi     r^TTj     Inches     1     ' ' I ' ' ' '     LO     LI     1.25     163     [ 2.8  3.2   4.0     I&     1.4     2.5     2.2     2.0     1.8     1.6      MRNUFfiCTURED TO PIIM SinNDfiRDS  BY RPPLIED IMRGE, INC.      "l^ \     r         là     E. JU YALTA     i^^j     ' \%\MA^<^^^     'A     \ -.r:        f      f     NELL' ETiea     lì       Ì\     PAVIA   PREMIATO STABILIMESTO TIPOGRAFICO SUCC. BIZZOSI  Corso Vittorio Em.inuele — Telefono 92   1907.     /     \^'     DELLO STESSO AUTORE     Ip^rolegomeni a una /Ifòoiale     f i * *     \^ I, ^%, i^     balla /Iftetatisica     Pavia - SUCCESSORI BIZZONI - L. 1. 50     Ì4-     Vi     iC^osstbilttà e i Ximtti     bella /Iftorale come Sciensa     I. —     II.  III.     La Dottrina delle due Etiche di H. Spencer e la Morale come  Scienza.   - Per una Scienza Normativa Morale.   - Il Fondamento Intrinseco del Diritto secondo il Vanni.   Un Volume in 8° - L. 3, 50     Toi-itio - I^RATELLI BOGGA — Torino   - 1907 -     É. 3uvalta     SI        I     ,%         w     NELL* ETiea       )     I   I   f      '^ >i     PAVIA   PREMIATO STABILIMENTO TIPOGRAFICO SUCC. BIZZONI  Corso Vittorio Emaniu'e — Telefono 92   1907.     ')     («|W*MB*«W%i»'SSS-»»lBiS«M«»«!.<f.     IL moo OEUECfliiOMm mi. mrmu     (1)     /,'     «"iJi!     hypotheses fingo.     ;i ì     I.     L'Economia Pura assume, come è noto, l'ipotesi che  gli xwmiìii nel produrrCy consiunare, distribuirsi e far  circola-re la -ricchezza siano 7nossi esclusivameìiie dal  desiderio di coyisegiiire la maggior possibile soddisfa-  zione dei loro bisogni mediante il minore possibile sa-  crifizio individuale. Alla costi-uzione deduttiva, che se ne  ricava, dei teoremi economici, ossia delle leggi della condotta  àeW Jiomo oeconoìnicus, è indiffei-ente la questione se il  postulato edonistico esprima vei'amente una condizione di  fatto; ossia se l'ipotesi — da cui si deduce ogni verità  economica — coincida o diverga ed in quale misui-a dai  motivi che effettivamente determinano le azioni umane '^2);  come è indifferente qualsiasi valutazione che e del postulato  assunto, e della condotta óeìV uomo econo77iico, e degli ef-  fetti di questa condotta, si possa fare da un punto di vista  morale.   In effetto il giudizio sul valoi-e di giustizia o di bontà  del motivo economico e delle leggi che ne discendono, variò,   (1) Fa parte degli Atti del Congresso Filosofico di Parma, al quale do-  veva essere presentato coi titolo più generale : € Condizioni e limiti di una  trattazione scientifica dell' Etica ».   (2 Cfr. Pantaleoni. — Principii di Economia Pura. - Capo I e li.      ^■     -il     \-     f     V     l\     \-     IL METODO dell'economia PURA XELl'eTICA     come tutti sanno, da un illimitato ottimismo al pessimismo piir  radicale; e il giudizio sulla coii'ispondenza delTipotesi colla  realtà varia del pari, da quelli che riconoscono nel motivo  assunto l'unico motivo di tutta quanta l'attività umana, a  quelli che lo considerano come uno dei fattori, non l'unico,  nel campo stesso dell'economia; i quali, appunto perchè  l'economia cosi intesa studia soltanto l'azione di un fat-  toi'e, isolato per asti-azione dal complesso degli altri la cui  efficacia si esercita in realtà simultaneamente, non ricono-  scono alle sue leggi che un valore ipotetico, correlativo al  cai'attere ipotetico dell' uomo economico e dello Stato eco-  nomico.   Ma qualunque sia cosi l'uno come l'alti'O giudizio, il  carattere scientifico della costruzione deduttiva rimane in-  contestabile. Nella misura che la corrispondenza colla realtà  psicologica è inadeguata, si dovrà riconoscere l'arbitrarietà  del postulato, e della costruzione che ne dipetide, in quanto  pretenda di porsi come scienza della realtà ; e a secoruìa  che si ammette o si nega che il postulato abbia valore  morale, si ammetterà o si negherà valore morale alla di-  sciplina precettiva che se ne volesse ricavare. Ma in ogni  caso restano incontestati questi due punti: 1.* che la ri-  cerca intorno alla corrispondenza colla realtà psicologica  e storica del motivo economico e delle condizioni nelle  quali si suppone che agisca, è diversa e distinta dalla co-  struzione deduttiva dei teoremi economici ; la quale è va-  lida, 7iei limiti dell' ipotesi, sempre, qualunque sia il grado  di questa corrispondenza. 2° Che qualsiasi indagine valu-  tativa del postulato, e delle leggi, e degli effetti sia pros-  simi sia remoti che ne derivano o ne deriverebbero, è pa-  rimenti distinta, ed estranea alla costruzione scientifica     il metodo dell'economia pura nell'etica 6   <iometale; la quale rimane la medesima tanto se il motivo  economico è considerato come morale quanto se è tenuto  come immorale, o amorale, e quali che siano le ragioni  di questa valutazioue.        Supponiamo ora che il postulato edonistico sia ricono-  sciuto universalmente e accettato come postulato morale.  E chiaro che la disciplina precettiva derivata o derivabile  dall'economia pura avrebbe valore e carattere di precet-  tistica morale; sia che il valore morale del motivo econo-  mico fosse accettato per se come un dato primo e imme-  diato, sia che venisse derivato, ossia giustificato alla sua  volta, da un fine o da una esigenza ulteriore; e qualunque  fosse questa ulteriore giustificazione.   E opportuno su questo punto un breve chiarimento.  Nella supposizione ora fatta che il valoi'e morale <iel  motivo economico sia universalmente riconosciuto, non è  in alcun modo implicita l'aff'ermazione che sia riconosciuto  da tutti per la medesima, o per le medesime ragioni. Si po-  trebbe ammettei'e che esso si fondi per alcuni sulla legitti-  mità, senz'altro ammessa dell' « egoismo individuale » o del-  l' < egoismo di specie )>'come regola di condotta; da altri  sul cai-attere atti-ibuito alle leggi economiche di leggi na-  turali e necessarie e non modificabili dalla volontà del-  l'uomo; da altri sopra una interpretazione ottimistica delle  leggi stesse o degli effetti o risultati che l'osservanza piena  ed universale di esse produce o tende a produrre. E si pò-  irebbe del pari ammettere che V ordine di relazioni con-  forme al principio economico sia considerato come provvi-  denziale o divino e si riversi su di esso il prestigio e l'au-  torità di sentimenti e di credenze religiose o metafìsiche.        ^F^ ''fHli^i 'rfwff-'^ * ^" ' '''1*11:1 1 1. " *"••• " "• '' ""r"'- '     . rt5i» i n     •MM*.     .;4ih,»»>fa     ^'^^     ì     G     TI. METODO dell'economia PURA XELl'eTICA     A     Anzi si può affermare a priori che questa ulteriore giu-  stificazione o valutazione, dato che si faccia, sarà diversa  per le diverse coscienze a seconda delle opinioni religiose o  filosofiche diverse sulla «latura e sul fondamento della   moralità.   E tuttavia il valore morale della massima conforme al  motivo economico e delle norme che ne dei'ivano potrebbe,  nella disciplina precettiva supposta, essere legittimamente  assunto come un dato di fatto e trovare in questo la sua  giustificazione immediata, astrazion fatta dalla diversità  delle ulteriori valutazioni.   E in questo caso si avvererebbero le seguenti condi-  zioni :   1.0 Rimane fuori di discussione il carattere scien-  tifico della costruzione e della disciplina precettiva che se  ne ricava, il quale è dato dalla validità logica delle con-  clusioni, cioè dal rigore col quale sono dedotte dal po-  stulato.   2.° Rimane del pari fuori di discussione la elettiva va-  lidità inorale del postulato il quale è, per ipotesi, ricono-  sciuto universalmente conforme all'esigenza morale.   3.° Questa validità morale del postulato (e del sistema  di norme che ne dipende) sussiste così se il detto ricono-  scimento sia concepito indipendente, come se sia concepito  dipendente da un' ulteriore motivazione, e in questo caso,  qualunque sia il fondamento ultimo di questa valutazione   ulteriore.   E resterebbe perciò distinto dal campo della costruzione  deduttiva il campo delle indagini intorno alla natura e al  fondamento dell' esigenza morale, e intorno alle condizioni  soggettive della sua validità e della sua efficacia : ossia il  campo «Iella ricerca propriamente filosofica o metafisica e     IL METODO DELl'eCOXOMLV PURA XELl'eTICA 7   quello della ricerca propriamente psicologica e, nelle sue  applicazioni, pedagogica.   Ma, (,ui' avverandosi queste condizioni, anzi appunto per   il loro avverarsi, la costruzione scientifica in discorso non   potrebbe tuttavia sfuggii-e alle due limitazioni seguenti :   a) Non poti-ebbe dirsi la scienza della condotta morale,   ma la scienza della condotta richiesta da an ceì'to motivo   inorale (quello di cui si è ;H)stulata come un dato di fatto   la conformità all'esigenza morale). Perchè rimai'rebbe sempre   da risolvere la questione; se quel motivo esaurisca tutto   il contenuto dell'esigenza morale, o questa non comprenda   altri motivi irreducibili ìì (|uello ; e quindi se le norme   contemplino tutta la condotta morale nella sua estensione   e nella sua complessità o ne contemplino solo una parte   od un aspetto.   h) Essa non esprimerebbe le norme di una condotta  attuabile sic et simpliciter in una forma reale storicamente  data di società; m:. di una condotta la cui piena attuazione  non è possibile se non nelle condizioni astrattamente sup-  poste ; cioè la condotta delT uomo morale ipotetico in una  società morale ipotetica.     II.     Oi'a il concetto che ho sostenuto e sostengo intorno  alla possibilità, al cai-attere e ai limiti della morale come  scienza (1) coincide, nei suoi lineamenti formali, con quello  che risulta dall'ipotesi qui sopra abbozzata, lo penso che sia   (1) Mi permetto di riferirmi qui e nel seguito di questo articolo ad altri  scritti precedenti: Prolegomeni a una Morale distinta dalla Metafìsica.  Pavia, Bizzoai, 1901 ; e Su la possibilità e i limiti della morale come  Scienza. Torino. Bocca, 1907.     fm'mmme'9mmm>é'>f     A     s     IL METODO DELLPXONOMIA PURA NELL ETICA     * 7     ^-i^^7>     essenziale cosi all'esigenza pratica come all'esigenza teo-  rica (ìi una trattazione morale, il costiruii'si di una scienza  Etica, nella forma e con un procedimento analoghi a quelli  dell' economia pura (1); e colla })ieiia consapevolezza che  la validità normativa e la applicabilità della disciplina pre-  cettiva che se ne ricavi sono possibili alle condizioni e dentro  i limiti che si sono oi- ora accennati.   Ma una costruzione etica analoga a quella dell'economia  pui'a presenta una difficoltà preliminare, che non si è su-  perata, ma soltanto lasciata in disparte, supponendo, corno  si è fatto arlificiosamente, riconosciuto valore morale al  motivo economico.   CI) Se qualche critico osservasse che é fuor di proposito voler traspor-  tare neir Etica un metodo e un procedimento che neir economia stessa é  « oramai superato », o almeno r ripudiato, dalla scuola storica in nome  della realtà, e dalle varie tendenze moralistiche in nome delle esigenze etiche,  potrei accontentarmi di rispondere che dell'obbiezione si dovrà tener conto  quando i moralisti avranno fatto nel fondare una trattazione scientifica  deir Etica tanto cammino, quanto ne lece nel campo dell'economia la Scuola  Classica ; e che a mettere in canzone le ipotesi e le « Robinsonate » degli  economisti si cominciò dopo che le ipotesi avevano già reso i più importanti  servigi e perchè si era preteso di scambiare senz' altro le astrazioni con  la realtà. iMa si può anche aggiungere che il metodo e il procedimento della  scuola deduttiva, accompagnati da una chiara coscienza delle condizioni e  dei limiti della validità delle loro conclusioni, sono i)iù vivi che mai nei  cultori né pochi né oscuri dell'economia pura; e che la scuola storica, se ha  il merito di cercare e mettere in evidenza la mutabilità e la relatività delle  categorie e delle pretese leggi economiche, si muove pur sempre entro i  quadri posti dalla Scuola deduttiva (cfr. Gide, Principes d' Ec. Poi. Noi.  Gen. V) e ne presuppone le leggi determinandone le deviazioni e le limita-  zioni nelle diverse (orme storiche.   I.e scuole moralistiche poi, in quanto si rivolgono a criticare e correggere  i concetti e i precetti dell'economia classica non ne negano il valore scien-  tifico nei limiti deiripotesi, ma ne negano il preteso valore morale : negano  cioè il carattere di giustizia e di inviolat)ilità attril)UÌto arbitrariamente alle  leo-i/i economiche. Ed é facile avvertire che gli economisti di queste scuole  (con qualunque nome si chiamino) in realtà sono moralisti che cercano di     'il     IL METODO dell'economia PURA XELl'eTICA 9   La difficoltà l'iguai'da la scelta e la determinazione del  postulato; il quale deve soddisfai-e a due condizioni : Tuna  comune all'etica e all'economia, F altra esclusiva dell'etica.  La condizione comune è l'applicabilità universale del po-  stulato come principici informatore di tutta la condotta; la  condizione propria dell'etica è che il motivo, di cui si po-  stula questa universale e incontrastata efficacia, abbia va-  lore morale.   Ora, VI è un motivo, del quale si possa legittimamente  presumere che sia riconosciuto universalmente il valore  morale, e del quale sia insieme possibile Tapplicazione uni-  versale e simultanea a tutta quanta la condotta individuale  e collettiva ?   A questa domanda ho già cercato altrove di trovare  una l'isposta; esaminando prima in che consista l'esigenza  caratteristica di una norma morale ; e poi se vi sia e quale   volgere a uno scopo pratico (nella scelta del quale sono guidati da un criterio  etico) delle conoscenze fornite dalle dottrine e dalle indagini economiche : e  la forma-limite di questa tendenza é una intera ricostruzione su basi etiche  dei rapporti eeonomici. Fanno dunque quello che da un pezzo avrebbero  dovuto fare i moralisti; cioè sentono la necessità di considerare l'esigenza  etica estesa alla stessa struttura, non soltanto politica, ma anche economica  della società.   Ma ciò che più ini])orta di osservare a questo proposito é che una cri-  tica radicale — da un punto di vista etico — della realtà dei rapporti eco-  nomici porterebbe, a guardar bene, a rimproverare all'economia pura non  un eccesso ma un difetto di astrazione. E il difetto di astrazione si rivela  in ciò: che mentre l'economia pura si propone di studiare l'azione isolata  del motivo economico, e perciò suppone ridotta l'azione dello Stato ada tu-  tela dell'uguale libertà per tutti, assume nello stesso tempo — come condi-  zioni di uguale libertà ~ certe condizioni (p. es. la proprietà fondiaria, il  capitalismo e il salariato) che limitano o alterano T universalità o l'eflicacia  del motivo. Cioè o considera, per questo rispetto arbitrariamente, come ca-  tegorie necessarie^deWe categorie 5ioric/ie, o considera, pure arbitrariamente,  come eonforrni all'ipotesi delle condizioni disformi.     *-> -f     V " ■*'**i     10     IL METODO 1)P:LLE('ONOMIA FURA NKLL ETRA     IL METODO DELL'ECONOMIA Pl'RA XELL'eTICA     11     poss.'i essere il fine che abbia il carattei'e <ìi uiìivei'sale e  pi'einiiif'iite desiderabilità richiesto a «^nustificai'e il valore  normativo del motivo corrispondente. La conclusione di  questa analisi era la seguente^ :   — La desidei'al)ilità di un ordine di effetti, che si as-  suma come fine non viene tanto dalla desiderabilità che  gli si l'iconosca come bene, cioè come oggetto diretto e  immediato di godimento, quanto dalla desidei-abilità degli  effetti, lei (juali esso apjiarisca la condizione necessaria.  E perciò, inenti-e è vano andar cercando quale sia il fine  ultimo, il quale non si trov.a mai, o si risolve in una  pura espressione verbale, il fine che può valei'e come su  premo si deve cercai'e non nelT uno o nell'altro de: fini  a cui si riconosca valore per sé, ma in un ordiiM^ di  effetti, in un sistema di condizioni, dato che sia assegna-  bih*, nel quale si possa l'iconoscere questo carattere ap-  [)unt() di condizione necessaria non di alcuni, ma di tutti  quei beni, ai quali si attril)uisce valore per se. E quimii  il fine che può avei'e universalmente una desiderabilità  superioi'e a ogni altro, non juiò consistere se non m  un ordine genei'ale e, si potrebbe dire, preliminare di  condizioni, la cui attuazione apparisca necessaria perchè  sia possiì)ile universalmente la ricerca ulteriore <li ([uei  beni. Non può essei'e cioè supremo nel senso di una gerar-  chia, della quale segni il culmine, nò nel senso di una  grandezza o quantità, di cui sia il massimo, ma nel senso  (iella precedenza necessaria o della indispensabilità; per  la (juale venga a l'accogliersi su di esso come in un unico  foco la luce e il calore di desidei-abilità che irraggia dai  fini ai quali apre universalmente la via.   E perciò, ammesso che qualsivoglia fìne lancino abbia,  come ha in l'ealtà, per condizione la convivenza e la coo-     perazione sociale, il fine che può avere questo valore di  precedenza necessaria sugli altri deve essere di necessità  il raggiungimento o il mantenimento di certe condizioni  di convivenza e di cooperazione sociale, cioè di una qualche  forma di società. Ma perchè a.] una forma di società possa  essere riconosciuto questo carattere universalmente, occorre  che le condizioni della sua esistenza abbiano per tutti un  valore potenzialmente uguale; ossia che nessuno dei fini  dei quali quella forma di cooperazione pone la possibilità  e dai quali attinge il suo valore, sia, per dato e fatto delle  esigenze di essa forma, precluso o impedito a nessuno dei  componenti la società. in altri termini che tutti i .socn  trovino nelle condizioni di esistenza della società la mede-  sima equivalente possibilità esteriore d\ rivolgere la loro  attività alla ricerca di qualsivoglia dei fini, dei quali la  convivenza e cooperazione sociale è condizione — (Su la  possibilità ecc. L Gap. VII, 8).   Ora se si riconosce come esigenza della giustizia, questa  esigenza alla quale deve soddisfare una forma sociale perchè  abbia universalmente valore di fine prossimamente supremo,  determinare questo fine equivale a determinare un tipo di  società nel quale siano attuate le condizioni richieste d^lla  giustizia cosi intesa, ossia un tipo ideale - conforme a questa  esigenza - di homo iustus e di socielas insta. E ciò equivale  a cercare quale sistema di relazioni risulterebbe effettuato  neU: ipotesi che gli uomini, sia come collettività sia in-  dividualmente, ossia in qualunque forma di azione o  di in/Iuenza che si eserciti cosi dalla società come da  ciascuno dei singoli, subordinassero universabne^ite e  costantemente qualsiasi altro motivo o desiderio al de-  siderio della giustizia.   E se supponiamo che con un procedimento analogo a     Ou     \ i     m   ,_.J. IH     (     Afa     12     IL METODO r)?:LlV ECONOMIA PURA NELL ETICA     r  ■ ■■'■'     J     quello tenuto dall'ecoiioinia pura (1) il .sistema Hi l'elazioni  che iji avverei'ebbe nell'ipotesi, fosse già detet-niinato, noi  avremmo una Scienza pura della Giustizia, una « Diceo-  logia » piD'a, alla quale sarebbei-o totalmente applicabili  le considerazioni fatte sopra (v. pag. 6-7) circa i cai'atteri  e le limitazioni che pi'esenta una costi'uzione siffatta.     Ili,     Posto, adunque, che fosse costruita (questa Scienza pura  della giustizia, si poti'ebbero muovere ad essa, fondandole  sulle limitazioni notate, tre obbiezioni capitali : di essere  una costruzione aì'bitraria, oziosa, e, in ogni cas(ì, monca.   Di queste obbiezioni occoi're chiaiMre la portata.   1. — L'aid)itrarietà della costruzione supposta pU(') es-  sei'e intesa in due sensi : nel senso che la validità delle  norme che se ne ricavano è relativa alla validità del postu-  lato, il cui valore è bensì assunto come un dato di fatto,  ma senza una ragione perentoria che obblighi ad accettarlo;  oppure nel senso che è difjbrrne dalla realtà e insussistente  r ipotesi di una condotta subordinata universalmente e co-  stantemente all'esigenza della giustizia.   a) Se si intende 1' arbitrarietà nel primo senso, qua-  lunque dottrina etica è aidjitraria ; perchè il valore del  postulato fondamentale (ossia del motivo, o del tine, o del   (1) L'economia dà al postulato edonistico un contenuto materiale deter-  minato considerando come « soddisfazioni » le soddisfazioni di certi biso<'-ni.  e come « sacrifìci » certe privazioni e certe pene; mentre al postulato della  giustizia il contenuto materiale, al quale se ne deve fare l'applicazione, é  dato (la tutte le specie d'attivuà o da tutte le categorie di fini (esclusi sol-  tanto quelli la cui ricerca o proseguimento importano la negazione del prin-  cipio regolatort^ supposto) che in una società data sono possibili.     ili     IL METODO dell'economia PURA NELL'etICA 13   criterio di valutazione) quale si sia, è sempre ammesso  assunto, ossia si suppone o si ammette che sia ricono-  scinto come tale; e nessuna dottrina etica può compiere il  miracolo di obbligare a.l accettarlo. Perchè, la ragione pe-  rentoria - se è una ragione, - non può consistei-e che nel  ricondurre il valore del postulato a quello di un altro fine  o di un'altra esigenza ulteriore, della quale si ammette o  SI suppone ancora che la validità sia riconosciuta. E se si  dice che è prop.-io del fine o dell'esigenza morale il pre-  sentarsi alla coscienza come un valore che non si può di-  sconoscere, si auìmette che questo carattere è già dato nel  fatto stesso che l'esigenza è i-iconosciuta come morale;  anzi che il motivo vale assolutamente, appunto perchè vale  come morale; il che vuol dire che impone il proprio va-  lore solamente in quanto la coscienza lo accetta, e che è  sempre in ultima analisi il valore morale dell'esigenza  che é preso come un dato primo o come un postulato. Se  si intende dunque in questo senso, qualsivoglia dottrina  etica è, perchè etica, arbitraria.   Se poi si pone come caratteristica del valore morale la  possibile validità universale della 7nassima corrispondente,  nessuna esigenza è piti radicalmente universale di quella  che esprime la condizione stessa di questa possibilità.   h) Che all'esigenza assunta sia o no riconosciuto in  effetto valore morale, ossia che il postulato corrisponda  o non corrisponda e più o meno adeguatamente a un dato  della realtà psicologica rivelato dall'analisi della coscienza  moi-ale, è una questione diversa. E se l'arbitrarietà s'in-  tende in questo secondo senso, come difetto totale o par-  ziale di questa corrispondenza, essa consiste, nel caso nostro,  non nel considerare come morale l'esigenza della giustizia,  ma neir assumere questo motivo come il motivo morale.     fi     JH^ffriaililfffiìliilì" l'^Srftt'^i'-        !£?     |^iftU>&t-M»'^**'*>'*^'*WlWiiw3».W'.ifc^ 4     14     IL METODO DELI/FXONOMrA PURA NELL ETICA     IL METODO dell'economia PUKA XELl'eTICA     15     menti'e la realtà empirica ne pi*esenta anche altri ; e nel  considerai'lo isolato da questi, mentre nella realtà sono  più o meno strettamente connessi e coopei'anti o contra-  stanti con q ìlei lo.   Non ho nessuna ditlicoltà a riconoscere che la costru-  zione supposta è, anche per questo ris[)etto, arbitraria ; al  modo stesso che è sempre pili o meno arhiti'ario qualunque  sistema di deduzioni ricavate da un' ipotesi. Ma un' arbi-  trarietà di questo genere non implica nessuna fallacia finché  non si pretende che essa espi'ima la i*ealtà del mondo mt)-  l'ale dato ; e la costruzione si dà per quel che è, cioè per  una scienza che sai-ebbe la « vei'a scienza » della morale  com' è , se le condizioni dell' ipotesi rispecchiassero la  realtà — Intendo quel che si può dire: — Perchè supporre  che il motivo egemonico sia la giustizia, e non un alti'(\  poniamo il motivo altruistico? 0, meglio, perchè non as-  sumere come motivi morali, o l'ispondenti all'esigenza mo-  rale, tutti i motivi che la realtà psicologica l'ivela valere  in effetto come tali? La l'isposta all'una e all'altra domanda  non è diffìcile.   L'assumere come rispondenti all'esigenza morale i cri-  tei'i molte[)lici che si i-ivelano nelle norme empiricamente  date come morali costi'ingerebbe in ultimo ad assumere  l'esigenza stessa moi'ale come in sé contraddittoria e a co-  sti'uire non una scienza, ma una veste da Arlecchino. Perchè  la morale empii'icamente data rivela criteri non di rado  opposti, e del medesimo ci'iterio le applicazioni più artifi-  ciose e vai-iabili (1). Ora, che l'esigenza morale possa   U) Tralasciando pure di insistere, come lio già osservato altrove, perchè  è cosa troppo nota, sull'antitesi fondamentale esistente tra le norme di con-  dotta che valgono come morali rispettivamente nelle condizioni di pace e di  guerra, e sui contrasti, tragici talvolta, tra i « doveri » famigliari e i « do-     co„,poru,.e criter, ,ì,ver.i e anche opposti ,fi val,„az,one  senza cessare di essere morale, s, potrà aocl.e ammettere  (purché s, s.a disposti ad accettarne le conseguenze;; ma  che si possa, assumendo criteri contraddittori!, costruire una  <iotti'ina coerente, non si può sostenere.   Bisogna dunque scegliere; e la scelta ,iel motivo della  giustizia, se è arbitraria hi quanto e seella ,U uno fra più  "on e arbitraria in guanto mandnno le ragioni della  scelt.. Poiché è facile rilevare che il motivo delia giustizia  e 'I solo al quale si possa supporre che risponda in effetto  universalmente e costantemente tutta la condotta senza  che l osservanza da parte degli uni richieda o presup.  ponga l inosservanza da parte degli altri. L'altruismo  come fu già notato, non potrebbe essere oss.Tvato univer'  salmente, se non a patto che fosse subordinato alla sua voka  a mia norma di giustizia. Infatti, affinché sia possibile  I abnegazione e la rinuncia incondizionata di sé agli altri,   veri ,, sociali, bisogna osservare che le „or,„e date e accettate come morali  o.o,.o contemplare e contemplano realn.ente, almeno ,„ parte, de„e rela-   wL ; T ' ,•'" ' ^^■■»'°"» — P-"^i" "> S-iadi relazioni   pr.ma,,e e fondan.entah, che le „orn,e non contemplano e che sono la ne-  gazione del crueno applicato in qne.le norme. Mi sia lecito spiegarmi e „   ruiieTau: r"'T, '"^' t"'- '- ^ ^"""""^ ^'- "- ■-- - -'-   I iano i In ""'.T""" '""" ''"""■^"••^ '"■• '"" "-^-'^ cercare ,,uale   a qu le concila la minima fatica del primo col minimo disagio del secondo  crueno seguito qu, é un criterio d, equità; si riconosce ciocche non sa-   omodi;T'"'.° ""'°"° ° "'"^ '" ■-^^""° "«' "-■ " P--''-e tutte le  comodità per se senza tenere in conto le comodità dell'altro. .Ma se questo  crueno (seguito nello stabilire la condotta migliore, Jata ,,uella conLol  <i.ve,.a de, due, fosse applicato a determinare la rela.one t,-a i due p,Jl   Z^JT'"" '■'■^''-'™-"- P~« e portato, questa .:J^::Z  TorT "T"" '»™"'--'>^^ colle p,.opr,e gambe. Ossia la norma   nor. le regola nel caso supposto un rapporto che non esis,e,.ebbe, o sai-ebbe  tutto d,verso, se essa fosse applicata al sorgere di quel .-apporto     NH     itì'i^tli^'^'iiÉi'Tiiii^i «ì.»lA:.m.iLlMiì-. Hif     ^••s«ì»?T<P7**     *3«iaw*»*jsf^wsw«/     tì-^      Ifi     IL METODO dell'economia PURA NELl'eTICA           / fttTi--'     bisogna chf^ gli nni si .saci'ifichii)0 e gli altri o qualche  alti-o accattino il sacnfi/io ; cioè bisogna che gli uni os^or-  vino la massima (lell'altruismo, e gli altri o qualche altro  quella dell'egoismo. Se poi si ammette che nessuno debba  poter saci'ifìcarsi più di un altro qualsiasi (lasciando di  osservare che in tal caso praticamente i sacrifici si eli<le-  rebber.)) fiisogna che la condottta altruistica di ciascuno  non impedisca una pari condotta altruistica degli altri ;  cioè bisogna che fattività altruistica alla sua \olta sia  governata da una norma di giustizia.   Ciò viene a dire che la famosa formula Kantiana, se  si considera nella possibilità della sua applicazione simultanea  per tutti a tutta la coìidotia e.sterna non è suscettiva d'altra  inter[)retazi()ne che di massima univeisale di giustizia nel  senso sopra chiarito (1).   (1) In un Saggio originale e sucrgestivo, che vale bene più di qualche  grosso volume inconcludente, Mario Calderoni illustrò recentemente una  concezione economica della morale (che non tocca in nulla, benché a prima  vista sembri antitetica, il concetto qui esposto) nella quale egli osserva giu-  stamente come la maggior parte delle azioni « virtuose » non siano considerate  come tali se non perchè «sono prodotte in quantità inferiore alla domanda»;  e son per noi un « dovere » appunto perché gli altri uomini non le lanno,'  e rimangono tali a condizione che non siano troppi gli uomini capaci e vo-  lonterosi di imitarle. E trae da questa considerazione la conseguenza che la  formula di Kant è del tutto inapplicabile.   Ora è certo che il Kant intendeva di parlare di validità universale del  motivo a cui si informa Ta/ione. che può essere quindi variabile secondo le  circostanze, pur rimanendo il medesimo il motivo che la detta; e che non  può richiedere uniformità di condotta esterna se non nel caso che si tratti  della medesima attività esercitata nelle medesime condizioni esterne.   Ma (juando m supponga avverato questo caso, si troverà che T unico mo-  tivo, il quale comporti uniformità universale di condotta è il motivo della  giustizia; e che intesa così, la formula di Kant resisterebbe alla critica  anche dal punto di vista del Calderoni. {Disarmonie Economiche e Disar-  monie morali - Firenze, Lumachi. 1906. V.» Cap. Ili: La marginalità nella  Morale).     tt-"K        ^tkiìAtmm l i aiAl iì i ilfiW i r^Mftm i r m     \^^A>m»mtm\ì^iMu\,ìiimàai>im.'^ÌM<-ii^uéM'n^'^     ■■ -r I irr-* uriii^iiii     H. METODO dell'economia PURA XELl'etICA     17        2 - Assumetelo dunque, se cosi vi piace, codesto vostro  postulato, e costru.tevi la vostra . Scenza pura della  giustizia ». Cile ne farete poi? —   A che c<,sa propriamente potrebbe servire costruita  elle fosse, non si può con esattezza determinare ,n prece-  'lenza. Si potrà vedere, nel caso, quando sia fatta o pi ut-  "«to, a mano a mano elle si venga facendo. Troppe ricerche  . el resto non si farebbero se si aspettasse di averne diino-  strato 1 utilità; e ,li troppe altre , risultati portarono frutti  <lel tutto remoti da ogni previsione. E dato pure che riu-  scisse inconcludente, nessuno tiirà che «ia „é la prima „ó  u'iica ,n questo genere, specialmente nel campo della  morale. E t,.a le molte curiosità, perchè non dovrebbe  trovar posto anche questa : ,ii sapere come andrebbero le  faccende di questo mondo se gli uomini si decidessero ad  essere tutti e sempre e in ogni contingenza della vita so-  liratutto e prima di tutto giusti?   M.-i è pur naturale d'altra parte che debba intravederne  almeno qualche possibilità ,li applicazione eh, la propone  e che ne debba dire qualche cosa.   Le applicazioni possono essere principalmente due: come  mezzo di interpretazione o di sistemazione scientifica della  realta morale ,lata; e come fondamento di una disciplina  precettiva, ossia di un'Etica applicata della giustizia.   a) Se 1 osservazione psicologica dimostra che è arbi-  traria, nel senso che s'è detto, l'assunzione del motivo della  giustizia come unico motivo morale, dimostra pure <die  quel valore gli è però realmente riconosciuto: e che se  non ., riconduce ad esso effettivamente ogni valutazione     18     IL METODO dell'economia PURA XELl'eTICA     ^nica, esso entra però come elemento o fattore di valuta-  zione in qualunque giudizio morale. Può essere dunque  opportuno, a uno scopo di sistemazione coerente delle norme  effettivamente vigenti, conoscere quali sarebbero se questa  esigenza operasse isolatamente, cioè se tutte si ispirassero  unicamente ad essa; e considerai-e, con un artifizio di cui  tutte le scienze offrono innumerevoli esempi, come devia-  zioni limitazioni risultanti dalla presenza di alti'i motivi,  le norme che non coincidono con quelle astrattamente  dedotce.   Sarebbero, per un vei'so, da considerare come tali le  norme della condotta politica interna ed esterna ispii-ate  dall'interesse dello Stato, o del maggioi- numero, o di una  classe, in quanto al rispetto di queste esigenze sia atti-ibuito  valoi'e morale (1).   E sarebbe, pei- un altro vei'so, possibile interpi'etare le  norme della beneficenza come espressioni della stessa esi-  genza della giustizia, in quanto si considerano rivolte a  sanare o a lenire gli effetti che ne accompagnano 1' inos-  sei'vanza, e le deviazioni o le limitazioni.   h) Ma l'applicazione più rilevante riguarderebbe l'Etica  propriamente intesa come disciplina normativa.   La < scienza pui'a della Giustizia » appunto perchè  considera già raggiunte e attuate tutte le condizioni richieste  dalla esigenza che essa postula, ossia, in termini equivalenti,  fa astrazione da ogni circostanza interna od esterna che  ne impedisca o ne limiti 1' efìTicacia, configura un sistema  di relazioni sociali e un tipo di condotta, cioè formula   fi) Sarebbe possibile per questa via togliere — dico nella trattazione teo-  rica — certe contraddizioni o antinomie davanti alle quali si arrestano  solitamente i filosofi del diritto quando ne determinano le « esigenze razio-  nali ».     ••■<        IL METODO DELl'kCOXOSIIA PURA NELl'eTICA     19     •delle leggi, le quali possono valere come tali soltanto nelle  condizioni contemplate dall' ipotesi ,- vale a Hn^e non sono  suscettive ,li applicazione, sic et simpliciler, a condizioni  iliverse. Ma se si ammette che T onime di relazioni ipote-  ticamente costruito abbia valore di fine, cioè se si ammette  come normativa l'esigenza della giustizia, vi sarà luo-^o a  cercare e a .leterminare (bencbè questa determinazlne  debba riuscire, come è facile prevedere, assai difficile e  complicata) quale sia in condizioni reali storicamente date  la condotta, die nei limiti imposti da queste, è ini, atta a  favorirne la trasformazione nella direzione segnala dalle  condizioni ideali contemplate nell'ipotesi.   Ossia si potrà ricavarne un'Etica applicata della Giu-  stizia, alla quale la realtà storica fornirà la conoscenza  delle condizioni tra le quali si deve spiegare e dei mezzi  ai quali deve ad.-guarsi, per essere praticamente efficace  la condotta rivolta a quel fi ne ; cosi come darà la conoscenza  'Ielle varie specie di attività che l'esigenza .iella giustizia  e chiamata a regolare; cioè darà, volta a volta, alla forma  <lella giustizia il contenuto materiale.   E le norme, cosi ricavate da questa applicazione a una  realtà data delle leggi .Idia Giustizia pura, saranno valide,  se SI accetta come fine morale prossimamente supremo, cioè  precedente a ogni altro fine generale e speciale, l'attuazione  del sistema di relazioni contemplato da quella, e come mo-  rale la condotta corrispomlente.     IV.     3. Cosi questa Etica applicata, come la Scienza Pura  dalla quale essa si ricava, è indipendente da qualsiasi dot-  trina metafisica, ma non pretende di sostituirla. Ignora i     jl     '4i*f ••ti«3g-#^Bt 'mws--**smmm»pmmmmmmm.<mK^^''mm-Mmà     20     IL METODO DELl'fXONOMIA PURA NKIJ/ ETICA     problemi metafìsici ; ma nel senso che non no richiede e  non ne assume una certa soluzione piuttosto che un'alti*a;  non nel senso che ne neghi l'esistenza o ne escluda la trat-  tazione. Ilimane di fronte ad ossa iinpi'ogiudicata, e da essa  distinta, ogni questione sulla natura e sul fondamento ukinìo  delTesigenza stessa morale; così come rimane impi'egiudicato  il pi'oblema pratico, o pi'opriamente psicologico e pedagogico,  intorno al valoi-e e all' efficacia delle credenze religiose o  metafìsiche come condizioni o fattori sof^^-jcttivi dolla moralità.   Ma, ciò nonostante, o forse appunto pei'ciò, è verisimile  che sia giudicata, specialmente alla stregua delle tendenze  più apei'tamente dominanti nel p(insiei*o contcmpoi'aneo,  doppiamente monca ; monca considerata come dotti'ina ;  monca considerata rispetto alla efficacia pratica.   a) Cei'tamente può parere strana se non ingenua Tnlea  di segnai'e una divisione di competetjza tra T indagine scien-  tifìca e rin(iagine proprianifMite filosofìca e metafìsica, men-  ti'e pai'e di assistere a una specie di «atto di coiitrizion<' »  delle stesse scienze speciali già formate ; le quali, dopo es-  sersi staccate e aver pi'oclamato la loro indipendenza dalla  filosofìa, sentono il bisogno di ritornare ad essa e di rin-  tracciare in lei le origini della loi'o vita e la ragione del  loro valore. Tuttavia una considerazione un po' più attenta  può mosti-are die il contrasto è soltanto a})parente e che  la tendenza delle scienze speciali all' inter|)retazione e alla  integrazione filosofìca dei loro presupposti e dei loro risultati  non esclude, ma piuttosto include, la legittimità di una di-  stinzione anche nel campo delia morale. Perche essa })re-  suppone appunto che le scienze abbiano i ÌOt'O postulati ,  i loro metodi i Ioì'O risultati, e che i sistemi speciali di  dottrine cosi edifìcati sussistano ed abbiano una validità  propria, sia pure limitata e provvisoria, all'infuori dell'in-     i,*~'     ;«*\ltj     IL METODO dell'economia PURA XELl'eTICA 21   terpretazione e della valutazione che ne debba o ne possa  ■ fare la metafìsica. In questa specie di Conferenza perma-  nente dell' Aia (sia detto senza intenzioni maligne) che è  la mutua collaborazione delle diverse discipline alla critica  e alla integrazione del sapere e del valere umano, sono  gli Stati che hanno territorio e giurisdizione propria che  possono far sentire la loro voce. I delegati della Corea  sono esclusi.   Intendo quello che si può dire: - La morale è essa  stessa la metafisica, e pone essa le esigenze alle quali è  subordinata la valutazione di tutte le altre discipline dei  loro principii e delle loro conclusioni. - Fosse pure, o, piut-  tosto, dovesse pure essere cosi. Quali sono queste esigenze  della morale ? Come si determinano ? Qual' è, fra i molti  sistemi diversi opposti e anche contraddittorii, quello auto-  rizzato a rappresentare « la morale *, e a far valere le  sue esigenze come esigenze ideila morale *ì E se si può  distinguere una esigenza immediala e caratteristica, dato  che SI trovi, della valutazione morale, dalle esigenze ulte-  non, argomentale o poste da questo o da quel sistema per  interpretarla o giustificarla, allora è nello stesso tempo data  la distinzione tra esigenza propriamente morale ed esigenze  avanzate ,ia una interpretazione o integrazione metafìsica  della esigenza morale; e si delinea insieme una separazione  legittima tra V indagine che cerca di risalire dall'esigenza  morale ai postulati metafisici, e l'indagine che ricava dal-  l'esigenza morale le applicazioni che logicamente ne discen-  dono.   - Ma, nella realtà viva e vissuta della coscienza,  valutazione morale e valutazione metafisica formano un  tutto unico; e separando l'esigenza etica dalla fede me-  tafisica colla quale è fusa e della quale si alimenta, s,     \ \     è     22     IL METODO dell'economia TURA XELl'eTICA     IL METODO dell'economia PURA NELL'eTICA     23     spezza r unità della coscienza , si oscura o si cancella  il signitìcato e il valore interiore della moralità, e si pre-  senta come vita morale lo scheletro o, meglio, lo stampo  esterno e quasi l'impronta fossile dell'atto morale. —   Sarà verissimo; ma nessuna costi-uzione dotti-inaU può  sfuggire a questa obbiezione. Tutto ciò che la logica tocca e  che è fatto oggetto di conoscenza riflessa e i-agionata diventa  perciò stesso un tipo, uno stampo, un fossile; anzi stampo  è la parola, stampo ò la stessa rappresentazione artistica  se non è vivificata e i-isvegliata da chi la deve intendere  e gustare; anzi sono diventate ormai stereotipe, per colmo  di evidenza probativa, perfino le fi*asi e le immagini usate  a mostrare la « i-icchezza e la varietà inesauribile» della  coscienza e delle sue ci'eazioni.   E quanto al sepai«are nella teoria ciò che nella realtà  è unito, bisogna pur rassegnarvisi. Pei'chè ogni nctM'ca è  prima di tutto distinzione, sepai-azione, asti'azione; il fatto  stesso, ogni fatto (diceva già un chimico, il Chevreul,) è  un' astrazione. Ciò che importa veramente è di non dimen-  ticare che l'astrazione non è tutta la realtà.   Ora, sceverando dal complesso degli elementi, onde la  vita etica nella coscienza personale iMsiilta o può risultare,  quello che è suscettivo della più universale applicazione, e  costruendo il tipo di vita che ne risulterebbe, non si pre-  tende di esaurire il contenuto della coscienza, ma soltanto  di distinguere le norme di condotta a giustificare le quali  basta uu certo postulato, dalle norme e dalle forme di vita  morale che si fondano sopra altre esigenze ossia l'ichie-  dono altri postulati.   E chi crede che la chiarezza dei concetti e il l'igoi-e  del procedimento si debbano poi'iare, fin dove è possibile,  anche nella speculazione etica, ammettei-à che può essei-e           que-     utile allo scopo, se non anche necessario, il seguir(  sta via (].).   — Rimangono altri problemi. - E chi lo nega? Ma  prima condizione per cercar di risolverli con frutto è di non  confonderli tra di loro.   h) E nasce da una confusione di problemi diversi  l'obbiezione, che si potrebbe dire pragmatistica, del difetto  di efficacia pratica, o più esattamente parenetica o pedago-  gica, di una dottrina morale che faccia astrazione da ogni  valutazione metafìsica, e presenti un sistema di norme che  ha di necessità soltanto un valore ipotetico, cioè, nel caso  nostro, condizionato al valore che può avere nella co-  scienza il motivo impersonale della giustizia.   (lì Le espressioni di più d' un antiintellettualista indurrebbero 4uasi ad  ammettere che la morale sia una specie di grande imbroglio, nel quale a  voler vederci chiaro, si finisce per non credere più. Ora, altro è riconoscere  Cile ogni valutazione é in ultimo data alla intelligenza e non dalla intelli-  genza, e che nessuna conoscenza e nessun ragionamento può far volere un  fine che non sia già voluto, o per sé, o come condizione a un altro fine- altro  è credere ed aOermare che T intelligenza o la ragione sia « in contrasto »  colla moralità.   Come potrebbe essere ? Non certamente in quanto si rivolge a determinare  1 mezzi necessari e convenienti a un fine. Nel qual caso non è nemica, ma  ancella della volontà in generale, e, se la volontà é « buona ». della volontà  morale. Non potrebbe essere, dunque, se non in quanto toglie o muta la va-  lutazione del fine (cioè delP oggetto o contenuto materiale del motivo mo-  rale) mostrandone \^ connessione, prima ignorata o trascurata, con qualche  cosa d' altro, che sia oggetto di una valutazione diversa; diciamo, per co-  modità, negativa o repulsiva. E allora, poiché la valutazione di questo  qualcosa d'altro non può venire dall' intelligenza (la quale, come si sa. chia-  risce rapporti, non dà valori), manifestamente non si possono dare che due  casi :   ha origine nel motivo stesso morale; e la conoscenza non avrà fatto  che mettere in chiaro come quel fine che gli si riteneva in tutto conforme, sia  in realtà più o meno disforme in forza della connessione notata. Ma ciò non     ^'Ìitffl^-Él TBrti^tea^. JjW smÈj^i^ K     *"«Sf|i|s^->»^.f«^Pf«W'-;j»-t»f,     ■imN»iiiAi 4 ii ' ip » iii w - i WWM     m^SMÀJà^-'4i^^.&MÌ&     ^aJS^^lSM^SSLàZ.-^        yùtimLà      24     IL METODO DELL ECONOMIA PURA XELl'eTICA     ffi.     Poiché è uggioso a se e agli alti-i l'ipetere cose già  dette, e su questo punto ho insistito a lungo altrove, mi  restringo qui a riafTermare la legittimità, anzi la necessità  logica e la convenienza morale, di tenei- separata netta-  mente ogni ricerca che si volge a detei-minare quali siano  le norme di condotta richieste da un certo fine, dalla ri-  cerca delle condizioni e dei fattori dai quali dipende o può  dipendere Fosservanza delle norme (1). La legittimità delle  deduzioni, dato che ci sia, e la validità dei precetti rispetto  al fine sussistono indipendentemente dalla presenza o dalla  assenza dei motivi che ne persuadono o ne impongono l'os-  servanza, e dalla natura di questi motivi. Come il conte-  nuto e la giustificazione delle prescrizioni d'un medico non  dipendono dalla disohbedienza o dall' obbedienza dell' am-  malato nò dalle ragioni di questa obbedienza.   tocca in nulla il valore e l'efficacia del motivo morale. Ammettere il contra-  rio sarebbe come dire che cessa di amare la giustizia chi cessa di difendere  una causa che ha riconosciuto ingiusta.   ha origine in un motivo non morale (poniamo in un interesse egoistico);  e anche qui l' intelligenza non farebbe che rivelare una condizione di fatto :  la presenza e Tefficacia di motivi non morali nella valutazione dei fini e :lella  condotta. La conoscenza dunque, anche in questo caso, non altera il valore  del motivo morale; può eventualmente mostrare che il valore e T efficacia  sua non è esclusiva, o incontrastata come si supj)oneva. Ma correggere un  errore di giudizio non é cambiare uno stato di fatto.   Potrebbe dunque, tutt' al più, togliere un' illusione. Ma è nell' illudersi  d'esser morali che consiste la moralità?   (1) Questo conformarsi o non conformarsi si suole a torto, per abuso di  linguaggio, attribuire a una pretesa « efiicacia pratica » delle norme; men-  tre le norme - perse - hanno, a promuovere l'azione corrispondente, una  efficacia non maggiore di quella che abbiano i fanali di una strada a muo-  vere le gambe dei nottambuli. E un simile abuso di linguaggio, che nasce  da un difetto d'analisi, ha alimentato la confusione tra esigenza giustifica-  tiva e esigenza esecutiva, tra l'obbligo e la giustificazione dell'obbligo, e la  pretesa illusoria che una norma possa o debba avere in sé forza obbligativa.  Cfr. Prolegomeni ecc. , e. I: (L'esigenza esecutiva) ; e Studi su la possibilità  I, Gap. III. (La pregiudiziale dell'imperativo categorico).        ^é^^l^ f à'K^m^,^ i^^'^tliÈ '^f^i     IL METODO dell'economia PURA XELL'eTICA     26     La reale presenza ed efficacia di motivi «ufficienii a  determinare T osservanza è in ogni caso si>,pposta , non  . posla da qualnnque costi-uzione precettiva; e il «„ppori-e  operativo d motivo della giustizia non esclude, ma piut- i  tosto include, una ulteriore valutazione del motivo stesso '  ogniqualvolta nella realtà esso derivi in tutto o in parte  la sua forza da questa sopravalutazioiie.   Ma anche in questo caso non bisogna dimenticare che  una tale efficacia .sarebbe sempre essa stessa posMata  come un dato di fatto, non comunicata o la,-g,la da una  fon.ìazione qualsivoglia. Perchè anche una fondazione re-  ligiosa o metafisica non pone essa le credenze, ma le sup.  pone già viventi e .operanti. Il suo valore come motiva-  zione morale dipende dal valore reale che esse hanno  nella coscienza, dalla loro forza operativa. Essa fa appello  a questa forza, ma non dà, essa, la forza; ossia vale ,,el-  i ipolesi che valga in effetto nella coscienza la fede nei  dati assunti da lei. E se questa fede mancasse, una fon-  <iaz,one metafisica o religiosa, qualunque fosse, avrebbe sulla  condotta una efficacia non diversa né maggiore di qualsi-  voglia costruzione arbitraria.   Senonchè si potrebbe, su basi pragmatistiche, osservare  che SI ,ie^e appunto volere quella fede dalla quale si può  aspettarsi l'incremento del motivo morale, e che, poiché  SI tratta di « optare», conviene dal punto di vista' pratico  optare per una fede moralizzatrice. E compito del moralista  «ara perciò di affermare e suggerire quella fede come  presidio e cnforro, utile se non necessario, della moia-  l'tà, e presentare la dottrina morale connessa e incorpo-  rata con quella fede.   Su un discorso di questo genere ci sarebbero da .lire  molte' cose; notiamone poche.   E prima di tulio convien pur ripetere che un tal compilo.     t^ 1         2i') IL METODO dell'economia PIRA NELl'eTICA     fc m     (lato che spetti al inoi-alista, ^Hi spetta in quanto è o pre-  tende (li essere educatore o apostolo, non in quanto si  propone di cercare quali concernenze ini[)liclii V accetta-  zione di un cei-t() postulato e si contenti di atierniare che  chi accetta il postulato deve accettai-e le hoimikì che ne  discendoiHi. I due uffici non si identificano ; chi ha slo//(i  di ricercatore può non avere stoft";i di a[)()stolo o di avvo-  cato ; e potrehhe in og"ni caso invocare aiiche qui il prin-  cipio delhi divisione del lavoro.   Ma dal [)unto di vista stesso pedagogico la tesi è tut-  t' altro che incontestahile. Suggerire e infondere una fede!  E presto detto. Ma in che modo o per (jual via? Partendo  dall'esigenza pratica per arrivare alla credenza, cioè pre-  sentando la fede a[)punto come sostegno e guarentigia della  ni orai ita ?   Lasciamo pui'e di indagare se con ciò non si nega in  effetto, neir atto stesso che si afferma, il valore assoluto  dei postulati religiosi o metatisici, dal inoinetito che essi  sono affermati o posti come condizioni o fattori nella pro-  <luzione di certi effetti, cioè sono valutati utilitariamente;  e se non si offende il sentimento religioso, considerandolo  unicamente come un motivo sussidiano invocato a sup-  plii'e alla fiacchezza del uiotivo morale. Un pragmatist.a  conseguente potrehhe non avere (ii «juesti scru[)oli.   Ma lo scopo stesso a cui mira il pragmatista vieti meno  in realtà dacché, per tal via, si suppone dato ciò che si  vuol produire; ossia si pone a sostegno del motivo morale  un sentimento che vien fondato sopra esso, e vale in forza  di esso. Con un risultato non dissimile da quello che hanno  di solito le discussioni ; dove le rai'ioni usate a sostenei'e  un'opinione persuadono soltanto chi è già persuaso; cioè  hanno in effetto tanto maggior [)eso quanto più è superfluo  servirsene.     ''^P^«^«f^^i^pS?R,fwpp«*f^9f?i^!wp|^r^^     IL METODO DELl'eCOXOML\ PIRA NELl' ETICA     27     Se si tiene invece una via diversa, e si intende di edi-  ficare la credenza su una educazione propriamente dog-  matico-religiosa, dov'è più la ^ opzione^, la affermazione  libera e spontanea della coscienza?   E come può il moralista educatore presentare o im-  porre come unica e definitiva una iede, o una credenza  religiosa o filosotìca^che egli sappia essere personale e « vo-  lontaria » ?     La vei-ità è che mentre nel valore morale (posto che  sia riconosciuto) del postulato che si assume a fonda-  mento della costruzione scientifica, è necessariamente im-  plicito il valore morale delle norme che ne esprimono  l'applicazione, non è necessariamente implicita l'accetta-  zione di certi piuttosto che di cert' altri postulati metafi-  sici. Mentre, accettato un postulato di cui sia possibile  r applicazione alla condotta umana, la coerenza logica basta  a dare la legittimità delle norme che se ne deducono, la  coerenza logica n07i basta a porre come necessariamente  richiesta da quel postulato una determinata fede religiosa  filosofica ad esclusione di qualsiasi altra. La salita al  cielo dei postulati metafisici non si fa colle scale della lo-  gica. (Il che, come tutti sanno, ha il suo riscontro nel fatto  che possono trovarsi concordi nelT accettare e nell' osser-  vare la medesima esigenza morale uomini di opinioni i-e-  ligiose e filosofiche diverse; come, inversamente, può la  stessa fede religiosa e filosofica presentarsi, nella realtà  storica e psicologica, connessa con norme morali discordanti).  E la « libertà dì coscienza > sarebbe una frase vuota  di senso o piena di immoralità^ se il voler la giustizia e  Tesser giusti richiedesse o l'esclusione di ogni fede o  l'accettazione della medesima fede.   E. JUVALTA.     \      ài ^     *l     fondata dal Prof. Sen. C;     Estratto dalla Rivista Filosofica     VRLO Cantoni (Novembre-Dicembre 1907)              17/      }     •t     !     « M      '■««*Sfe     ' ***        ■h '-     ^W.     r     ;'i-        "^■rt^'     7         ^     i Ja*»'*'.*'"'     •j»^».     .ii     ^     vy»     '^M      \     I     ^     \     V *  . JUVflliTfl     La Possibilità l     I e i Limiti    MORALE     STUDI     TORIflO   FRATELLI BOCCA EDITORI  1907                     A 1 / VERTENZA    In questo volume sono raccolti tre scritti pubblicati in  più riprese nella Rivista Filosofica diretta dal mio in¬  dimenticabile maestro ed amico Carlo Cantoni, al quale il  profondo e tenace convincimento delle proprie dottrine non  tolse mai di rispettare e stimare sopra tutto, anche nei di¬  scepoli, la lil>ertà e la sincerità.   Benché diversi di titolo, i tre studi che ora ripubblico  riveduti e in parte aumentati, sono lo svolgimento del me¬  desimo pensiero fondamentale, e presuppongono quasi, cia¬  scuno dei successivi, i precedenti.   Anzi il primo dì essi è, alla sufi* volta, continuazione di  un altro pubblicato anteriormente col, titàlol « Prolegomeni  a una Morale distinta dalla Metafisica » ; nel quale è esa¬  minato il problema della possibilità di un’ Etica normativa  indipendente da qualsivoglia soluzione, positiva o negativa,  dei problemi di natura metafisica. E perciò spero di essere  scusato se mi riferisco qualche volta anche ad esso ; e se in  in questo volume sono lasciate in disparte, o trattate con bre¬  vità che altrimenti sarebbe soverchia, alcune questioni delle  quali s’è già discorso in quello.   Anche to' importa di avvertire, sempre a proposito dello  Studio « La Dottrina delle Due Etiche di H. Spencer e  la Morale come Scienza », che — se nella esposizione sia  generale, sia particolare, della dottrina esaminata, ho cercato      %   _ 2 —    studiosissima mente dì rendere intiero ed esatto il pensiero dello  Spencer — nella critica ho considerato la dottrina dal punto  di vista speciale additato dall’intento essenzialmente teoretico  che assegnavano a questa ricerca le conclusioni dello studio  precedente. E per questa ragione ho tralasciato deliberata¬  mente non solo qualsiasi digressione, ma ogni discussione  che non fosse strettamente necessaria allo scopo mio parti¬  colare. A ciò si deve la mancanza quasi totale di accenni  alle critiche anteriori, anche dei più valorosi.   Pavia, Settembre 1900.    E. Jl’VAI/TA.            e la Morale come Scienza       INDICE    Introduzione .*   1. Movente etico-sociale dell’opera dello Spencer. — 2. Conse¬  guenze nella valutazione delle suo dottrine. 3. Scopo  dello studio presente.   PARTE I"   (Cap. I. e li.)   Esposizione.   Cap. I. — La Dottrina etica in yenerale .P“g- 15   1. 11 concetto informatore. — 2. La distinzione delle due Eti¬  che. — 8. Il metodo dell’ Etica. — 4. I dati dell’ Etica.   — 5. Soluzione dell’ antitesi tra fine e metodo , e possi¬  bilità di conciliazione fra i dati dell’ Etica.   Cap. II. — La dottrina delle due Etiche . P a g- 25   1. Due questioni fondamentali , attorno a cui si raccoglie la  dottrina. — 2. Il giusto assoluto. — 3. Il giusto relativo.   — 4. Errore comune nel modo di concepire la condotta  ideale. — 5. La priorità scientifica dell’ Etica Assoluta  «sull’Etica Relativa. — 6. n confronto colle altre scienze.   PARTE H“   (Cap. m.-V.)   Critica Preliminare : Le Questioni Pregiudiziali e il preconcetto  dal quale hanno origine.   Gap. III. — La pregiudiziale dell’ imperativo cateyorico pag. 40  Partizione della Critica. — 1. L’imperative categorico. —  2. L’ obbligo e la giustificazione. — 3. La progiudiziale  dell’ obbligo categorico è estranea alla determinazione e  alla giustificazione della norma. — 4. In che consista la  differenza caratteristica tra 1’ Etica e le altre costruzioni  precettive. Compito dell’ Etica.         — 6 —    Cai*. IV. — La pregiudiziale, .sul modo di intendere il   compito normativo dell’ Etica .P a S - *   5. La progiudiziale sul compito normativo dell’Etica. G. Co¬  me esso sia inteso nei due indirizzi prevalenti. 7. Due  presupposti arbitrari comuni ad ambedue : a) che le norme  siano già determinate e note. — 8. b) che si accordino  fra di loro. -- Necessità di un criterio per la determina¬  zione. — 9. La soluzione dell’indirizzo sociologico - Suo  difetto capitale: non vale a giustificare le norme. — 10. La  soluzione dell’ indirizzo prammatistico-idealistico. 11.  Difetto capitale : la costruzione metafisica postulata, come  qualsiasi costruzione metafisica, non serve a determinai e   10 norme.   Cap. V. — Il preconcetto fondamentale .P»g- G6   12. Presupposto comune ai due indirizzi. Da questo nasce l’an¬  titesi tra esigenza scientifica (determinazione) ed esigenza  etica (giustificazione). — 13. Legittimità di porre il pio-  bleina in una forma diversa. — 14. Conclusione della Cri¬  tica Preliminare.   PARTE III.*   (Cap. Vl.-IX.)   La dottrina delle due Etiche e le esigenze  di una scienza normativa morale.   Cap. VI. — Il criterio del limite dell' evoluzione e del¬  l’adattamento completo non serve a determinare   11 tipo di condotta cercato . l )a S- 71   Due tesi distinte nella dottrina delle due Etiche; la validità   dell’ una non dipende da quella dell’ altra. — 1. 11 tipo  di società giusta non è determinato dal limite dell’ evo¬  luzione. — 2. Nè dall’ adattamento completo. — 3. Su  quali dati sia costruito veramente ; quale posto tenga nella  costruzione dello S. il postulato dell adattamento com¬  pleto.   Cap. VII. — Il criterio del piacere puro, corrispondente  all’adattamento completo, non serve a giusti¬  ficare il tipo di condotta proposto .pag. 82          4 e 5. Il piacere puro non può essere il criterio della massima  desiderabilità. — 6. La questione del « fine » e dei fini -  Soluzione illusoria trovata nel termine felicità e altri equi¬  valenti. — 7. Equivoco nell’identificazione dell’ oggetto  dell’ attività col piacere. — 8. Quale possa essere il fine  che soddisfa alla doppia esigenza della determinazione e  della giustificazione delle norme.   Vili. — Il tipo di .società giusta dello Spencer . . pag. 94   9. Come concepisca la società giusta lo Spencer. Presupposto  illegittimamente assunto dalla biologia. 10. Difetto  fondamentale : Incocrenza fra il tipo dell’ uomo giusto c  il tipo della società giusta. — 11. Difetto che ne deriva  nella relazione tra giustizia e beneficenza. — 12. L’ in¬  dividualismo dello Spencer e il postulato della giustizia.   XX. — Ufficio e limiti di una costruzione scienti¬  fica dell' Etica .. • • P a S- 100   13. Come debba concepirsi un tipo ideale di società giusta.   _ 14 . Etica Pura ed Etica Applicata. — 15. Conclusioni   della Critica. — 16. Presupposto fondamentale, e carat¬  tere ipotetico dell’Etica come scienza normativa.         INTRODUZIONE    1. — Pubblicando nel Giugno del 1879 I dati  dell’Etica prima che fossero composti il II e il III  volume dei Principii di Sociologia, lo Spencer giu¬  stificava questa deviazione dall’ordine del suo pro¬  gramma col timore di non poter compiere l’opera  finale della serie: I principii di Etica.   « Degli indizi che in questi ultimi anni si ripetono con maggior  frequenza e chiarezza m’hanno avvertito che la salute, se non la  vita, mi può venir meno per sempre, prima che io compia l’ultima  parte del compito che ho assegnato a me stesso. Quest'ultima parte  è quella per la quale io considero come sussidiarie tutte le parti pre¬  cedenti. Il mio primo Saggio su L’Ufficio proprio del Governo scritto  fin dal 1842 indicava vagamente il mio pensiero intorno a certi  principi generali di bene e di male nella condotta politica ; e da  quel tempo in poi il mio fine ultimo , lasciando indietro tutti i fini  prossimi, è stato quello di trovare una base scientifica ai prìncipi  del giusto e dell’ingiusto nella condotta in tutta la sua estensione.  Lasciare incompiuto questo fine, dopo aver fatta una preparazione  cosi ampia per raggiungerlo, sarebbe una sventura alla cui proba¬  bilità non posso pensare senza sgomento^_e_sono ansioso di evitarla,  se non del tutto, almeno in parte ». (1).   (1) The Principles of Ethics. Pref. to Part. I. (wheu first issued  separately.) London 1892. Voi. 1. p. VII.         — 10 —    Qualche cosa di simile alla catastrofe preveduta  sopraggiunse infatti; perchè dopo un lento decadi¬  mento e indebolimento progressivo egli fu costretto  dal 80 al 90 a sospendere qualsiasi lavoro. Fortu¬  natamente nel 90 potè riprenderlo: ed anche allora,    la sua prima preoccupazione fu quella di compiere  i principi di Etica; e pose subito mano a quella  parte della Morale, che dopo i Dati gli pareva più  importante: la IV a (Giustizia) (1).   Colle parole e col fatto egli mostrava dunque  che Tintento supremo al quale consapevolmente  convergevano tutti i risultati della sua specu¬  lazione, era u n intento mor ale. Par che riecheggi  in lui la voce di Spinoza: Finis in scientiis est  unicus ad quem omnes sunt dirigendae (2). E in p   realtà, come le idee madri della sua teoria pene¬  trano e illuminano tutti gli scritti suoi, anche i  minori, così vi circola dentro e li riscalda il soffio  vigoroso del suo ottimismo; e la dottrina dell’evo¬  luzione, par che diventi nel suo pensiero sopratutto  la comprensione del processo naturale e necessario  che produrrà in un avvenire lontano ma sicuro una  umanità giusta e felice. Animata cosi di speranza,  la dottrina prende colore di fede. E veramente egli  la professò come una fede; non soltanto visse per  la sua dottrina, ma visse la sua dottrina. E i prin-     (1) Op. cit. Pref. to Part. IV. (wlien first iss. sep.) Voi. 2. p. Vili.   (2) De. Intell. Emend. II, 16 nota.     — 11 —    cipi che pone a fondamento della morale e del diritto,   € di cui vuol trovare le ragioni nelle leggi stesse  dell’universo, ispirano e governano con indomita  costanza tutti i suoi giudizi e tutte le sue opinioni,  da quelle sulla Educazione a quelle sull’Etica delle  carceri, dalle idee sulla Morale Politica Assoluta  alle proteste contro il « br igantaggio politi co », dalle  ironie contro «la Sapienza collettiva» a quelle contro  « i diecimila sacerdoti della religione d’amore che!  non apron bocca quando la nazione è mossa dalla '  religione dell’odio. »   2. — Quell a unità e solidarietà di pr i ncipi teo¬  r ici e pratici , p er cui la sua mora le si presenta come  s cienz a ella sua scienza come una morale, e questo  continuo cimentare che egli faceva i suoi principi  con tutti i problemi più vivi del suo tempo, onde la  sua dottrina pareva prender veste di programma so¬  ciale e politico, hanno certamente contribuito a pro¬  durre^ questo doppio effetto: che la preoccupaz ione , »  morali' si insinuasse anche nella critica delle sue  dottrine teoriche; e che l’opera sua, considerata  prevalentemente, se non talora quasi esclusiva-  mente, come l’espressione di certe tendenze e di  un certo indirizzo religioso morale economico poli¬  tico, apparisse, col prevalere di tendenze e di aspi¬  razioni diverse, invecchiata c oltrepassata di più,  e più presto, di quel che altrimenti sarebbe apparso.   E cosi potè facilmente accadere che anche certi   cì tu? ■fot** v* w                 — 12 —    principi, certi metodi e certe ipotesi fossero lasciati  in disparte, o si stimassero superati e come logori  e fuori d’uso, non perchò se ne fosse mostrata la  falsità o la infondatezza, ma perchò apparivano con¬  nessi e solidali con quel sistema o quell’indirizzo  che si giudicavano superati.   Ora se è vero che a intendere il significato e il  valore di una dottrina particolare è necessario con¬  siderarla nelle relazioni col sistema di dottrine di  cui fa parte, non è perciò meno legittimo conside¬  rare se essa possa aver valore e segnare un acquisto,  anche all’infuori della validità di quel sistema e di  quelle altre dottrine, colle quali primamente si  svolse.   3. — L’intento di questo scritto ó appunto di  esaminare il valore teorico e metodico della distin¬  zione tra Etica Assolut a ed Etica Relativa; la quale  ò bensì, nel pensiero dello Spencer, parte integrante  del suo sistema, ma hg, secondo il mio avviso, ra¬  gione di essere, indipendentemente dall’applicazione  che egli ne fa e dai postulati che l’hanno suggerita.   Perciò si divide naturalmente in due parti: espo¬  sitiva e critica; la prima rivolta a mettere in chiaro  le ragioni e il significato della distinzione nel pen¬  siero dello Spencer; la seconda a esaminare la pos¬  sibilità e la utilità di mantenerla e applicarla sotto  una forma diversa.   L’esposizione comprenderà pure necessariamente        due parti: una che richiama, in modo breve quanto  è possibile ma esatto, il concetto informatore e i  lineamenti fondamentali di tutta l’Etica; l’altra  che traccia più distesamente la dottrina particolare  esaminata.           Parte I    ESPOSIZIONE    Gap. I. — La dottrina etica in generale.   1. — Q uella legge di evoluzione , che si mani¬  festa nell’intero univ erso visibi le, nel sistema solare  come un tutto, nella terra come parte di questo,  nella vita in generale, e nella vita di ciascun orga-  nismo individuale, nei feno meni ment ali degli esseri  animati fino al più elevato; qu ella stessa legge si  manifesta nei fenomeni della vita umana e sociale  é quindi a nche in quei fenomeni della cond otta, dei  q uali tratta la morale . In conformità di questa legge] j^etWnr.<******  e delle leggi via via subordinate in cui essa si ri¬  frangevi produce una el evazione^progres siva nelle **   forme della vita sub-umana ed umana, la quale si  traduce in un a dattamento s empre migliore, più  esteso e più durevole alle condizioni da cui dipende  l’esistenza dell’individuo, e l’esistenza della specie;  e, dove la vita sociale apparisca, l’esistenza della  società. Per l’uomo adunque l’adattamento riguarda  tre ordini di condizioni; ossia è di tre forme; e,  benché si possa astrattamente considerare ciascuna  forma per sè, tuttavia, per la connessione naturale  e necessaria dei fattori dai quali dipendono, le tre    V 1- 1 1 hu>«1J * •*» ^    ...J   ìS I f. .V> ( | w   •v.etrii < ut»   ■yjUÌ* Ij.h* fif   Tri Jr « 4* G   VY. »Y * l.    yJ* ^    ' n -r?                   — 16 —    b      ^ '• W\«    ab    yfa c f l<»   Hit , .  UsJS      a j^jr^w<Mitr /***yn«  mi l|«*i# uUli" »    forme d’adattamento nella realtà procedono di con¬  serva con mutue azioni creazioni continue; cosicché  a ogni progresso in una forma di adattamento cor¬  risponde un progresso nelle altre forme. 11_limite,   ver so il q ua le tend ^questo processo, è l’adattamento  completo a tutte le condizioni della vita umana più  elevata; per il quale il massimo svolgimento della  vita individuale, e della parentale, e della sociale,  non solo si conciliano, ma si favoriscono a vicenda.   Questo adattamento completo implica non sol¬  tanto una perfetta conformità esteriore dell’operare  alle esigenze di una tal vita; ma implica del pari  una conformità correlativa e della struttura, e delle  attività, fisiologiche e psichiche; è insomma ad un  tempo adattamento della condotta e adattamento dei  fattori interni della condotta. Quindi anche le idee,  i sentimenti, le tendenze sono, nella loro qualità e  intensità e gradi di subordinazione, pienamente  adatti e conformati ai bisogni e alle esigenze della  vita in tutte le sue manifestazioni, e trovano nelle  forme di condotta corrispondenti il loro appaga¬  mento pieno e concordante. 11 che viene a dire che  l’adattamento completo attua in sé le condizioni  della massima felicità .   Adunque, ma ssim a elevazione della vita, adat¬  tamento eoj puleto . m assima felicità, sono per lo  Spencer tre concetti che coincidono; o, meglio, sono  faccie o aspetti diversi di un medesimo risultato     ò'yrwrC         — 17    finale, ed esprimono il limite verso il quale tende  l’evoluzione della vita umana nello stato sociale.   2. — E’ appunto per q uesta ide ntificazione, che  sta in fondo al pensiero dello Spencer, tra evoluzione  e aumento di felicità, che egli può porre come ottima  la cpndotta rispondente al limite della evoluzione.  Perchè lo Spencer, come è noto, ammette esplici¬  tamente che il fine ultimo, espresso o so ttinteso,  d ell’operare, non può essere che una forma di co ¬   s cienza desiderab ile, cioè di piacere ; e che la con¬  dotta ò buona nella misura che essa apporta, tenuto  conto di tutti gli effetti presenti e futuri sopra di  sè e sopra gli altri, un avanzo dei piaceri sui  dolori.   Totalmente buona, dunque, o perfetta, non è  che la forma di condotta che coyà&ponde a quel  limite; ogni altra forma diversa, ossia adatta a  gradi di evoluzione più o meno lontani dal limite,  non può essere che imperfetta, ossia buona relati¬  vamente, non assolutamente. Quindi due Etiche :  Etica Assoluta che determina le leggi della condotta  ottima; ed Etica Relativa che cerca di stabilire per  a pprossi mazione quale sia la condotta relativamente  buona, ossia la condotta, che, date certe condizioni  reali di svolgimento e di adattamento incompleto,  è la migliore, o la meno lontana dalla condotta per¬  fetta. E quindi la necessità, e la priorità logica del¬  l’Etica Assoluta; le cui determinazioni riguardano            <&• at*'*J)*    ch> i V* i rt -. < 'f*    (■    3>u7 PK<kJf   J* fattiti^ , r    f d f I ^ fa t o ^ if       y\               — 18 —    relazioni più generali, più semplici, più esattamente  definite di quelle contemplate dall’Etica Relativa.   3. — Or come si costruirà l’Etica Assoluta? ossia  quale sarà il metodo? L o Spencer si accorda cog li  Utilitarist i che lo precedono nell’assumere come cri¬  terio per giudicare la condotta e determinarne le  norme l a natura degli effetti o dei risulta ti. Ma se  ne distingue subito per il pr ocedim ento col quale  egli crede che questi effetti dei diversi modi di con¬  dotta si possano e debbano conoscere. Per gli Utili¬  taristi che lo precedono è l’induzione empirica, per  lui la deduzione.   Non si tratta per lo Spencer di trovare che, in  un certo numero di casi, certi danni o certe utilità  si accompagnano con certi atti o cert’altri, e di in¬  ferirne che rapporti simili si manterranno nell’av¬  venire; si tratta invece di determinare comee^er-  chè alcuni modi di condotta siano dannosi e altri  utili; o più chiaramente, quale condotta debba essere  dannosa e quale debba essere utile. Non è dunque  sopra certe relazioni empiricamente osservate, ma  sulla connessione causale necessaria tra le azioni  ed i loro effetti che deve fondarsi la determinazione  delle norme morali. E, poiché questa connessione  deve essere alla sua volta una conseguenza neces¬  saria della costituzione delle cose, deve essere pos-  sib ile dedu rre da principii fondamentali quali specie  di azioni tendano a produrre felicità e quali a prò-            — 19      durre infelicità. E le deduzioni così ottenute deb¬  bono essere riconosciute come leggi di condotta e  aver valore indipendentemente da una estimazione  diretta (individuale e occasionale) del piacere e del  dolore.   Ciò che distingue adunque l’Utilitarismo che lo  Spencer chiama Razionale, dall’Empirico, e dà ca¬  rattere di rigore scientifico alla ricerca morale, è  il riconoscimento pieno e adeguato della causalità  naturale dei fenomeni della condotta; e il vero me¬  todo scientifico dell’ Etica, come delle altre scienze  che abbiano superato lo stadio empirico, deve con¬  sistere nel cercare e nel costruire in sistema non  alcune relazioni empiricamente stabilite, ma le re¬  lazioni necessariamente esistenti tra cause ed ef¬  fetti in tutta quanta la condotta.   4.— Ma se le leggi della condotta debbono de¬  terminarsi per deduzione necessaria, quali sono i  dati sui quali questa deduzione deve fondarsi ? I  fatti di cui si occupa l’Etica non costituiscono un  ordine nuovo che si distacchi da un ordine infe¬  riore o precedente, come, per es., le formazioni or¬  ganiche rispetto alle inorganiche, o i fenomeni  sociali rispetto ai biologici : ma appartengono per  un verso alla biologia (1) in quanto sono effetti in-    UU 0 If-r'i    (1) Lo Spencer li considera anche come appartenenti alla fisica,  in quanto, esaminati esternamente, si riducono a movimenti e  combinazioni di movimenti che cooperano a produrre una forma di           V-fT *    — 20 —    terni ed esterni di fenomeni vitali prodotti nel tipo  più elevato degli animali; e per un altro alla psi¬  cologia in quanto sono coordinamenti di azioni su¬  scitati dai sentimenti e guidati dalla intelligenza ;  finalmente in quanto queste azioni direttamente o  indirettamente riguardano esseri associati, appar¬  tengono alla sociologia. La condotta è adunque ad  un tempo una formazione biologica, una formazione  psichica, e una formazione sociale: e perciò è nei  risultati delle scienze corrispondenti che si devono  cercare i principii fondamentali, i dati dell’Etica. E  quindi i dati da cui si debbono dedurre le norme  dell’Etica Assoluta sono forniti dalle condizioni che  la biologia, la psicologia e la sociologia indicano  rispettivamente come proprie di un adattamento  completo.   Ora, in conformità alle leggi di queste scienze,  la condotta corrispondente a un adattamento com¬  pleto ossia la condotta ottima, è caratterizzata  dalle condizioni che si possono riassumere nei se¬  guenti tre punti :   I. Condizioni biologiche : Co rrispon denza per¬  fetta tra gli organi e facoltà umane e le attività  necessarie alla vita completa. Il che importa che  tutte le attività necessarie al massimo svolgimento   equilibrio più o meno regolare e durevole. Ma questa considera¬  zione (aspetto fìsico della condotta) può qui senza danno essere tra¬  lasciata.          I    — 21 —    della vita per sò e per gli altri trovino il loro com¬  pimento nell’ esercizio spontaneo di facoltà debita¬  mente proporzionate e producenti quando entrano  in azione il loro quantum di soddisfazione (cioè di  piacere).   II. Condizioni psicologiche: Corrispondenza per-  fet ta dei sentimenti, come motivi deir operare, ai  I nsog ni. 11 che importa che i piaceri e i dolori, cui  danno origine i sentimenti distinti come morali,  siano, al pari dei piaceri e dolori fisici, impulsi  positivi e negativi proporzionati nella loro forza  ai modi di operare richiesti.   III. Condizioni sociologiche : Accordo perfetto  t rp le attività dei consocia ti. Il che importa che  tutte le attività conducenti alla vita completa di  ciascuno non solo non impediscano direttamente nè  indirettamente, ma favoriscano la vita completa di  tutti. (Stato di pace permanente; cooperazione vo¬  lontaria; nessuna aggressione diretta o indiretta;  scambio di servizi gratuiti (1).   La condotta ottima è dunque quella che sod-    (1) Non è difficile vedere come l’assumere le condizioni sue¬  sposte equivalga a supporre direttamente o indirettamente eliminate  tre antinomie che sotto varie forme compaiono , si può dire , in  tutta la storia della morale ; 1’ antinomia tra il piacere presente e  il piacere futuro, cioè tra piacere e utilità; l’antinomia tra il bene  proprio e il bene degli altri, tra ciò che è richiesto dalla felicità  individuale e ciò che è richiesto dalla felicità generale ; e 1’ anti-  nojnia tra sentimenti egoistici e sentimenti altruistici, tra la ten¬  denza al piacere e la coscienza del dovere.             _ 22 —    disfa a tutte queste condizioni ad un tempo; e però  compito dell’Etica Assoluta resta quello di dedurre  da queste condizioni le norme a cui tutte le forme  di attività umana, a qualunque fine siano volte,  debbono conformarsi per essere totalmente buone.   5. — Per tal modo sono determinati i principi  o i dati sui quali deve costruirsi l’Etica Assoluta:  le condizioni della vita umana, individuale, paren¬  tale e sociale, proprie dello stato di adattamento  perfetto; è determinato il metodo: la deduzione;  ed è posto fuori di contestazione il fine ultimo clic  giustifica le norme così dedotte e dà alla condotta  proposta valore di ottima: la massima felicità uni¬  versale.   Ma restano d ue grandi difflcol tà : una incoc¬  renza, almeno apparente, da togliere, e una lacuna  da colmare. L’incoerenza è questa : Come si può  sostenere che il fine della condotta buona è la fe¬  licità, se le norme di essa condotta devono essere  dedotte dalle leggi necessarie della vita nello stato  sociale, e devono valere indipendentemente da ogni  estimazione diretta e individuale del piacere e del  dolore ì 0 , in altri termini, come si risolve l’antitesi  tra il fine assunto e il metodo proposto?   La lacuna è la seguente : Le condizioni che si  pongono come proprie della condotta ottima e che  la deduzione morale deve prendere come dati , sono  esse possibili, o non esprimono delle esigenze in    tvT* • **it/«* •>*» Vfi 1    «*»* ■   T^ e       — 23 —    tutto o in parte incompatibili fra di loro? Insomma  quello stato finale di adattamento completo sotto  tutti i rispetti, nel quale le condizioni contemplate  sono raggiunte, in qual modo e per qual via può  ottenersi ì (1).   L’incocrenza è risolta così: Il fine è la felicità;  ma questa, a mano a mano che la vita si eleva,  dipende da una serie sempre più lunga e compli¬  cata di mezzi, ciascuna delle quali deve essere rag¬  giunta perché sia possibile il fine. Le norme mo¬  rali rappresentano la serie più generale e prelimi¬  nare di mezzi, appunto perchè costituiscono la serie  più lontana dal fine, e quella che deve essere  osservata prima di tutte le altre; la condizione  delle altre condizioni. Ora siccome tutte le attività  necessarie alla vita tendono a diventare una sor¬  gente diretta di piacere, (perchè i piaceri sono  relativi alla struttura e questa si modifica se¬  condo le attività) così le fo rme di attività morale,  appunto perchè necessarie, debbono diventare una  sorgente diretta di piacere. Per tal modo, l’os¬  servanza delle condizioni che conducono alla fe¬  licità diventa direttamente piacevole, ed è adem¬  piuta. senza che essa felicità (che rimane il fine    (1) L’analisi e la soluzione di queste due questioni, le quali si  legano per parecchi nessi tra di loro, ma che per chiarezza bisogna  considerare a parte , occupano i cap. IX-XtV della I.» Parte dei  Principi di Etica.        ultimo) sia lo scopo diretto e immediato della  condotta ; ossia, (ed è un pensiero che fa ricordare  Aristotele) lo stato di godimento finale sopraggiunge  come una conseguenza, non direttamente voluta nò  chiaramente rappresentata, all’ esercizio delle atti¬  vità morali divenuto per sè immediatamente gra¬  devole.   La soluzione della seconda difficoltà derivante  dalla lacuna notata, si trova nella conciliazione  oggettiva , tra bene proprio e bene altrui, e nella  conciliazione soggettiva, tra egoismo e altruismo,  raggiunte per effetto e della solidarietà crescente tra  le condizioni di vita dei singoli e quelle del tutto,  e dello sviluppo concomitante della simpatia.   Colla soluzione di queste due difficoltà lo Spen¬  cer intende dunque che sia dimostrata la possibilità  — dal punto di vista scientifico — e la legittimità  dal punto di vista morale — della sua costruzione;  e con questa dimostrazione il pensiero che informa  la trattazione dell’Etica, è nelle sue linee generali,  compiuto (1).   Ed ora , tracciato il disegno in cui si inquadra   (1) La II. a Parte (Le induzioni dell’Etica), che nella traduzione  francese porta il titolo di Morale de* differente peuples, dall’esame  delle diversità di idee e sentimenti morali dei diversi popoli rac¬  coglie la conferma di alcuni dei principi fondamentali dedotti dalle  leggi della vita nello stato sociale ; e principalmente della estrema  variabilità dei sentimenti morali, e della corrispondenza generale  di due tipi opposti di moralità ai due tipi di coesistenza e coope-      - 25 —    la dottrina particolare che più direttamente ci in¬  teressa, diciamo alquanto piii distintamente di que¬  sta.    Cap. II. — La dottrina delle due Etiche.    I. S’è visto come nel pensiero dello Spencer  la condotta ottima sia la condotta pienamente adatta,  la condotta che c orrispon de al limite dell’evolu¬  zione; mentre l e forme di condotta più n _mpnn lon¬  tane da quel limite so no, di molto o di poco, meno  adatte, cioè meno buone; onde la distinzione di Etic  A ssoluta ed Eftej> (1). Ora si presentano   spontanee due domande: l.° Perchè introduce lo  Spencer, contro il modo comune di comprendere  1’ ufficio dell’ Etica, questa distinzione t ra Moral e  A ssoluta e Relativa ? Non è forse compito del l’Etica     (/    razione sociale (tipo militare e tipo industriale). Le altre quattro  parti, Etica della Vita Individuale (IH. a ), ed Etica della Vita So¬  ciale : la Giustizia (IV.»), la Beneficenza Negativa (V. a ) e la Be¬  neficenza Positiva (VL S ) contengono le dednzioni o applicazioni  particolari ; nelle quali, in conformità ai principi e al metodo ac¬  cennati, vogliono essere determinate le norme della vita privata e  deila vita pubblica quali risultano rispettivamente dalle condizioni  contemplate dall’ Etica Assoluta e da quelle contemplate dall’ Etica  Relativ a.   (1) Notiamo subito, benché l’avvertenza debba parer quasi inu¬  tile , che per lo Spencer la parol i fl.v<vofn^o non ha nè può a vere  n ell’Etica un significato metafisi co ; le norme etiche per lui non  hanno ragione di essere all’ infuori dell’ esistenza animata quale  si manifesta fenomenicamente; all’infuori di esseri capaci di pia¬  ceri e di dolori.    2                   — 26 —    quello di stabilire le norme della condotta retta,  della giustizia pura, e, senza curare gli impedi¬  menti e le imperfezioni che i difetti della natura  umana possono ingenerare, presentare il tijoo ideale  di pe rfezio ne al quale ciascuno deve cercare di av¬  vicinarsi? E se così è. non ò del tutto oziosa_e vi-  ziosa la distinzione ?   2.” Ammesso che dal punto di vista speciale  dello Spencer questa distinzione sia legittima, non  è un fuor d’opera l’Etica Assoluta, dal momento  elle la realtà presente ci dà uno stato di adatta¬  mento imperfetto, ossia assai diverso da quello che  essa suppone ?   L’esposizione del pensiero dello Spencer intorno  -alle foie Etiche ( 1 ) mi pare si possa acconciamente  raccogliere in due parti, nelle quali trovi succes¬  sivamente risposta ciascuna delle due questioni. Co¬  minciamo dalla prima.   2. — Si crede comunemente che si possa deter¬  minare un tipo di condotta assolutamente giusta  in condizioni reali di esistenza imperfetta, mentre  questa determinazione non è possibile; e, se fosse,  non darebbe il tipo voluto. Sia nei giudizi dei mo¬  ralisti, sia nei discorsi comuni, djie postulati^ sono  tacitamente accettati come veri; e pare infatti che  senza di essi non sia possibile giudizio morale, per-    (1) Op. cit. Ch. XV : Absolute and Relative Etkics.              — 27 —    che la distinzione stessa tra atti giusti e atti in¬  giusti sembra implicarli necessariamente. Sono que¬  sti: l.° Che in ogni caso vi sia un modo di operare / \  ^assolutamente giusto. 2.° Che sia possibile stabilire  quale sia. Ma l’analisi di un gran numero di azioni  dimostra che in casi assai numerosi non è possi¬  bile il giusto, ma soltanto un minimo ingiusto; e  in casi pure numerosi non è nemmeno possibile  determinare in che cosa questo minimo ingiusto  consista.   Il giusto assoluto esclude del tutto il dnltw che  è il correlativo di qualche specie di male, di qual¬  che divergenza da quell’adattamento perfetto che  soddisfa pienamente a tutte le esigenze della vita  completa. Se il concetto di condotta buona è, in  ultima analisi (1), il concetto di una condotta che  produce in qualche parte un avanzo di piacere; e  di condotta cattiva, che produce un avanzo di do¬  lore; il bene o il giusto assoluto nella condotta  può esser quello soltanto che produce p iacere pur o,  pi acere non misto a dolore di sorta . E quindi la  condotta che produce qualche conseguenza dolorosa  ò parzialmente cattiva, e la forma più elevata che  una condotta cosifatta può raggiungere ò il mi¬  nimo ingiusto, il giusto relativo.   Ora le forme di adattamento incompleto pre-    (1) Per questa analisi v. op. cit. Parte I.» Cap. IV.                     — 28 —    WÙ («ino;   >1 'è ntiJj 1    sentano, più o meno vasto e grave, un doppio di¬  fetto : Discordanza od antitesi fra i tre ordini di  fini della vita, per la quale atti che producono uti¬  lità o piacere all’ individuo o alla prole portano  danno e dolore agli altri, e viceversa ; e discordanza  anche nello stesso ordine tra fini immediati e me¬  diati, presenti e futuri ; per la quale 1’ azione ri¬  chiesta dall’ utile avvenire può esser sorgente di  dolore nel presente, o la soddisfazione di un desi¬  derio immediato può impedir di raggiungere un  bene lontano e mediato, o esser causa di un male  futuro. Nella misura in cui queste due specie di  incongruenze (le quali si incrociano e si complicano  fra di loro) fanno sentire i loro effetti, le azioni  devono produrre una certa somma di dolore sia  sull’agente sia sugli altri. Ora « finché v’ ò dolore  v ’è male ; e la condotta che apporta qualche male  non può esser giusta assolutamente ».   A chiarire questa distinzione lo Spencer cita  degli esempi di azioni assolutame nte giuste e di  altre solo relativamente giuste. Una madre sana  che allatta un bimbo sano, un padre che, dotato  di eccitabilità simpatica, partecipa ai giuochi del  figlio e li guida, sono esempi della prima specie;  nell’un caso e nell’altro l’azione produce piacere  a chi la fa e a chi la riceve; e aiutando lo svi¬  luppo fisico o quello psichico, o l’uno e l’altro in¬  sieme, è utile al benessere futuro ; cioè produce di-      — 29 —    rettamente e indirettamente soltanto piacere senza  dolore. Del pari imo scambio fatto di pieno accordo  e con soddisfazione e utilità reciproca ; e gli atti  di benevolenza di chi fornisce una notizia o un  consiglio, o chiarisce un equivoco, o compone un  dissidio tra amici, possono essere classificati come  giusti assolutamente per la medesima ragione.   Degli esempi addotti dallo Spencer di azioni  solo relativamente giuste, scelgo due che mi paiono  tipici anche per il contrasto che offrono col modo  di giudicare comune: La cura di molti figli cagiona  a una madre assai dolori, ma le sofferenze imme¬  diate e le lontane che l’incuria apporterebbe supe¬  rerebbero di gran lunga quei dolori. La condotta  giudicata buona in questo caso è quella che pro¬  duce minor male ; ma non è ottima. È la meno in¬  giusta. non 1’ assolutamente giusta. Così 1’ allonta¬  namento dei clienti da un negoziante che esiga  prezzi troppo alti o venda merci scadenti, o falsi  la misura, fa diminuire il suo benessere e forse  apporta danni e dolori ad altre persone a lui con¬  giunte; ma il salvar lui da questi mali e sopportar  quelli che la sua condotta cagiona, produrrebbe un  male assai più grave e generale. L’abbandono è  perciò giustificato: ma l’atto è solo relativamente  giusto.   3 — Riconosciuta così la verità che una gran  parte della condotta umana non è giusta assoluta-       — Bu¬  rnente, si deve riconoscere 1’ altra verità che in  molti casi non é possibile stabilire quale sia il mi¬  nimo ingiusto. É facile trovarne le ragioni, se si  considerano gli effetti che quella stessa discordanza,  già rilevata, tra i fini della vita, deve produrre.  V’ è un limite fino al quale é relativamente giusto  che un genitore faccia sacrifizio di sè stesso pel  vantaggio dei figli, e v’è un limite oltre il quale  l’abnegazione non può spingersi senza ch’egli ap¬  porti non soltanto a sò ma a tutta la famiglia  danni maggiori di quelli che il sacrifizio tende ad  impedire. Chi può dire quale sia questo limite?  Dipendendo esso dalla costituzione e dai bisogni  delle persone in causa, non è neppure in due casi  il medesimo, e non può essere per ciascun caso più  che una congettura. Un commerciante che sia tra¬  volto nel fallimento d’un suo debitore e posto nella  necessità di fallire egli stesso se non è aiutato,  deve o no domandai^un prestito a un amico? Il  prestito potrebbe trarlo dalle difficoltà, e in questo  caso non sarebbe cosa ingiusta verso i suoi credi¬  tori non chiederlo ? Ma fors’anco non lo salverebbe,  e allora non è una frode procurarselo? Benché in  casi estremi possa esser facile decidere, come sa¬  rebbe possibile in tutti quei casi in cui anche il  più intelligente e competente non può calcolare le  probabilità ?   4 — Questo doppio errore del confondere il     r    — 31 —   giusto assoluto col minimo ingiusto, e del credere  che si possa in ogni caso stabilire quale sia, nasce  dall’ errore che si commette nel concepire il tipo  della condotta, la condotta dell’ uomo ideale.   Si suppone clic l’uomo ideale viva e agisca  nelle condizioni sociali esistenti.   Ciò che si cerca determinare è, non quali sa¬  rebbero le sue azioni in circostanze tutte- insieme  mutate, ma quali sarebbero, date le condizioni pre¬  senti. E questa ricerca ò vana per due ragioni :  La coesistenza di un uomo perfetto e di una società  imperfetta è impossibile ; dato che potessero coesi¬  stere, la condotta che ne seguirebbe non fornirebbe  il tipo morale cercato.   « In primo luogo, date le leggi della vita come  esse sono, un uomo di natura ideale non può es¬  sere prodotto in una società composta di uomini-  che hanno una natura lontana dall’ ideale. Aspet¬  tarsi che tra uomini organicamente immorali ne-  sorga uno organicamente morale è come aspettarsi  di veder nascere tra i Negri un bambino di tipa  inglese. Se non si vuol negare che il carattere di¬  penda dalla struttura ereditata, si deve ammettere  che in ogni società ciascun individuo discende da  uno stipite, che risalendo a poche generazioni si  ramifica per ogni parte nella società e partecipa  della natura media di questa ; e che quindi, nono¬  stante spiccate differenze individuali, deve conser-    — 32 —    varsi una comunanza di natura tale da impedire  che un uomo, qualunque sia, raggiunga un tipo  ideale, finché il resto della società rimane di gran  lunga inferiore.   « In secondo luogo, la condotta ideale, quale è  contemplata dalla teoria morale, non è possibile  per P uomo ideale in mezzo ad uomini costituiti  diversamente. Una persona assolutamente giusta c  perfettamente simpatica non potrebbe vivere e  operare in conformità alla natura sua in una tribù  di cannibali. Tra un popolo perfido e al tutto privo  di scrupoli, una intiera veridicità e franchezza deb¬  bono apportare rovina. Se tutti intorno a lui rico¬  nóscono solo la legge del più forte, un uomo la cui  natura non gli permetta di inlliggere dolore agli  altri deve soccombere. Fra la condotta di ciascun  membro della società e la condotta degli altri vi  deve essere per necessità una certa congruenza.  Un modo di operare interamente diverso dai modi  di operare prevalenti non può continuare con buon  esito, ma deve condurre alla morte dell’ agente, o  della sua discendenza, o di ambedue » (1).   Adunque perchè l’uomo ideale possa servire di  tipo, egli deve essere concepito non a sé, senza re¬  lazione colle condizioni che sono necessarie perchè  la condotta possa essere giusta, ma in corrispon-    (1) Ib. § 106 p. 279-80 dell’ed. cit.    — 33 —    denza con queste ; V uomo ideale deve essere con¬  siderato come esistente in una società ideale.   Perciò, secondo l’idea dello Spencer, il voler,  per esempio, stabilire quale sarebbe la condotta  deiruomo ideale quando fosse posto nel bivio o di  farsi gettare sul lastrico colla famiglia, o di men¬  tire alle sue convinzioni politiche, sarebbe perfet¬  tamente vano ; perchè le condizioni cosi supposte  contraddicono a quelle richieste dalla definizione  dell’uomo ideale. In una società ideale, nella quale  soltanto può concepirsi 1’ uomo ideale, non esiste  violenza e non esistono abusi ; nè vi può essere  collisione tra i modi di sentire e di operare richiesti  dal bene proprio e della discendenza, e    chiesti dal bene pubblico.     Viene in mente, e lo ricordo perchè  può servire di commento al pensiero delloCéàencer,  ma perchè la somiglianza è significativa, queh^ udjko ^  dei Promessi Sposi, nel quale il padre Cristoforo  è invitato a far da giudice in una questione di  cavalleria. Suonava rumorosa la disputa tra i com¬  mensali di Don Rodrigo su questo punto: se fosse  lecito a un cavaliere bastonare il messo che gli  consegna un cartello di sfida senza avergliene chie¬  sto licenza ; e il padre Cristoforo, chiamato in causa,  dopo essersi invano schermito, esce finalmente in  quella sentenza che fa meravigliare, tanto pare  fuor di proposito, tutti quei dialettici della cavai-    S     — 34 —    leria : « 11 mio debole parere sarebbe clic non vi  fossero nò sfide, nè portatori, nè bastonate ».   Ecco riconosciuta nel caso particolare l’esigenza  fondamentale dell’Etica Assoluta dello Spencer:  Non vi può essere condotta giusta finché vi sono  condizioni contrarie alla giustizia.   Ma la realtà presente e viva è appunto così.  « Oh ! questa è grossa », risponde infatti il conte At¬  tilio. « Mi perdoni, padre, ma ò grossa. Si vede  che lei non conosce il mondo ».   E se è il mondo coni’è quello con cui si ha a  fare, 1* ufficio dell’ Etica non sarà quello di stabi¬  lire quale deve essere la condotta nel mondo reale  presente, non in un mondo ideale avvenire? 0,  almeno, non ò inutile, anche ammessa la distin¬  zione Spenceriana, correr dietro al fantasma di  una condotta ottima, adatta a uno stato di perfe¬  zione, che l’evoluzione apporterà, sia pure, ma che  per noi non esiste ?   5 — A questa seconda domanda risponde la di¬  mostrazione della precedenza necessaria — nell’or¬  dine della trattazione scientifica — dell’Etica As¬  soluta sull’ Etica Relativa.   In qualunque ordine di ricerche le verità scien¬  tifiche si sono raggiunte trascurando prima i fat¬  tori di perturbazione, che alterano ed oscurano  l’azione dei fattori fondamentali, e tenendo conto  soltanto di questi.    — 35 —    Quando la estimazione di questi fattori fonda¬  mentali, non, come si presentano nella realtà, ma¬  scherati e complicati di elementi secondari, ma  quali si suppongono idealmente con un processo di  astrazione, ha aperto la via a conoscere e formu¬  lare le leggi generali, allora diventa possibile la  estimazione dei casi concreti, tenendo copto dei fat¬  tori accidentali che nella realtà alterano i rapporti  i deali contemplati da quel le leg gi. Ma le leggi ge¬  nerali, le verità fondamentali, solo per questa via  si possono ricercare e scoprire, e solo con questo  procedimento il sapere passa dalla sua forma em¬  pirica alla sua forma razionale.   Per ottenere la formula che esprime il potere -ifjicfip»tv*  della leva s i suppone N una leva che non si pieghi , iàz<Jbz   ma sia assolutamente/rigid a ; un fulcro che non  abbia, come nella realtà, una certa superficie; e si  suppone che la potenza e la resistenza si esercitino  su un punto, invéce che su una parte più o meno  estesa della leva. Del pari la determinazione del  corso di un proiettile si ottiene trascurando dap¬  prima tutte le deviazioni prodotte dalla sua forma  e dalla resistenza dell’ aria. E il medesimo negli  altri casi. St abilite così q u este verità ideali, diventa  possibile tener conto degli elementi dai quali si è  fatta astrazione, delle complicazioni risultanti dal¬  l’attrito, dalla plasticità, dalla coesione, dalla resi¬  stenza dell’aria : e ottenere così una determinazione     ' Jt- ^ "(VOM, P-O               — 36 —    sempre più esattamente approssimata al l'atto reale.  Qui è manifesta la re lazione tra certe verità assolute  della meccanica e certe verità relative che impli¬  cano le prime, come è manifesto che non si possono  stabilire scientificamente le verità relative finché  non sieno formulate indipendentemente da queste  le verità assolute. Il che equivale a dire che la   ! scienza meccanica applicala può svilupparsi soltanto  dopo che si è sviluppata la scienza meccanica ideale.   Le medesime considerazioni valgono per la  scienza morale. È impossibile determinare con ap¬  prossimazione scientifica quale sia, date certe cir¬  costanze reali, il modo di operare meno ingiusto,  se non si conosce quale sarebbe il modo di operare  giusto ; e questo non si può conoscere se non si  suppongono eliminate tutte le circostanze che lo  impediscono o lo limitano e ne falsano i caratteri  ed i risultati: cioè, in breve, se non si suppongono,  scevre da ogni perturbazione, le condizioni ideali,  nelle quali è possibile l’operare assolutamente giusto.   A chiarir meglio questa relazione tra Etica As¬  soluta ed Etica Relativa lo Spencer ricorre a un  altro esempio di relazione analoga preso dalle scienze  biologiche; la relazione tra la Fisiologia e la Pa¬  tologia. La Fisiologia, nello studio degli organi e  delle funzioni che combinate costituiscono e con¬  servano la vita, suppone l’organismo sano e le  funzioni sane, non tenendo conto dei difetti, degli           — 37 —    eccessi, delle anomalie di cui si occupa la Pato¬  logia : e questa poi presuppone quella, perchè le  idee anche più rozze intorno alle malattie suppon¬  gono idee di stati sani di cui le malattie sono de¬  viazioni; e la conoscenza degli stati e dei processi  anormali e morbosi può diventare scientifica sol¬  tanto quando vi sia già una conoscenza scientifica  di stati e processi non morbosi.   Si milmeste l a Morale Assolut a deve precedere  laJSl orak ^llclativa ; la quale non deve applicare  sic et simpliciter alle condizioni particolari della  vita reale le conclusioni dell’ Etica Assoluta ; ma  riconoscendo ciò che vi è di diverso nella condotta  che corrisponde a uno stadio di vita imperfetta,  deve determinare di quanto essa si allontana dal  giusto e come si possa ottenere, date queste condi¬  zioni reali imperfette, la massima approssimazione  al giusto contemplato dall’ Etica Assoluta.   6 — Questi confronti coi quali lo Spencer in¬  tendeva illustrare il suo concetto intorno alla re¬  lazione fra le due Etiche e alla priorità logica del-  1’ Etica Assoluta sull’ Etica Relativa, si direbbe che  abbiano servito ad abbuiarlo ; e però non è fuor  di luogo qualche breve chiarimento.   Dall’esposizione che precede deve essere apparso,  spero, che è per una esigenza inerente alla natura  della ricerca scientifica che lo Spencer sostiene la.      V |    necessità che l’Etica Assoluta prec^g la Relativa; lì           — 38 —    e appunto por chiarire questa precedenza neces¬  saria egli cita l’esempio della precedenza analoga  della Meccanica Razionale rispetto alla Meccanica  Applicata, e della Fisiologia Normale rispetto alla  Fisiologia Fatologica. Nel pensiero dello Spencer la  priorità dell’ Etica Assoluta non è che l’applicazione  a un campo particolare di ricerche di un suo cri-   <--- 7   terio metodico generale; del quale egli trova la  conferma in tutte le scienze, che hanno superato   10 stadio empirico. Il paragone non è dunque, pro¬  priamente, tra la sua Etica Assoluta e la Meccanica  Razionale o la Fisiologia Normale, nè tra la sua  Etica Relativa e la Meccanica applicata o la Fisio¬  logia Patologica; non è, voglio dire, di quelle  scienze pure tra di loro, o di queste scienze appli¬  cate tra di loro ; ma è paragone tra le loro rela¬  zioni. E il significato del confronto è questo : che  tra le due Etiche, come le concepisce lo Spencer,  corre una relazione analoga a quella che intercede  rispettivamente tra le due Meccaniche (diciamo  così) e tra le due Fisiologie.   E in questo senso che il paragone deve essere  inteso ; e in questo senso è appropriato. Perciò,  quando la critica obietta che l’Etica ha caratteri  ed esigenze diverse dalla Meccanica e dalla Fisio¬  logia, può essere che abbia ragione, ma interpreta   11 confronto in un senso diverso da quello voluto  dallo Spencer. Perchè il concetto, per il quale il         — 39 —    paragone è assunto è, nella sua espressione più  semplice, questo: che anche per l’Etica la solu¬  zione scientifica o scientificamente approssimata  dei problemi più complessi richiede la soluzione  dei problemi più semplici. Il paragone non deve  dunque essere staccato da questo concetto e preso  con una significazione diversa; altrimenti si frain¬  tende e paragone e concetto ; e rimane oscurato  uno dei punti più importanti della dottrina par¬  ticolare ora esposta.   La quale non ebbe mai molta fortuna nò presso  i fautori di una morale scientifica, nè presso gli  av versa ri. Questi, preoccupati forse in generale dal  pensiero di mostrare la insufficienza dell’indirizzo  naturalistico, hanno veduto nella dottrina delle due  Etiche (illustrata da quei confronti!) sopratutto una  fi gliazione de l concetto meccanistico, e f’hanno com¬  battuta in nome delle esigenze della Morale; quelli  hanno notato nella affermata necessità di costruire  un’Etica Assoluta, una contraddizione colla teoria  dell’evoluzione, e col principio della relatività della  morale e del diritto: e l’hanno combattuta in nome  delle esigenze della scienza. Gli uni e gli altri hanno  considerato la dottrina particolare unicamente in  relazione colla dottrina generale colla quale si pre¬  sentava connessa, senza badare alle ragioni che la  possono legittimare all’infuori del sistema e della  forma speciale di applicazione che in esso ha trovato.      Parte IJ.    CRITICA PRELIMINARE:   LE QUESTIONI PREGIUDIZIALI E IL PRECONCETTO  DAL QUALE HANNO ORIGINE.    Cap. III. — La pregiudiziale dell’imperativo categorico.   La dottrina esposta traccia il piano che lo Spen¬  cer si è proposto di seguire per soddisfare al compito  da lui assegnato all’Etica: quello di determinare,  scientificamente le norme della condotta morale.]   Ma già intorno a questo modo di intendere l’uf¬  ficio dell’Etica incalzano lejtifficoltà e le obbiezioni;  le quali devono essere, almeno nel loro contenuto  sostanziale, esaminate. Perchè, se non si riconosce  la legittimità del suo concetto sull’ufficio dell’Etica  è vano discutere della possibilità e legittimità del  piano proposto per attuarlo.   L’esame critico si distingue perciò naturalmente  in due parti; delle quali la prima potrebbe dirsi  critica preliminare.   » * «   1 — L’Elica può, o non può, essere scienza nor¬  mativa? Ecco una prima questione pregiudiziale, che,  a giudizio di un profano, (solamente dei profani ?) po¬  trebbe dare un’idea poco lusinghiera dei progressi  e dei frutti della speculazione morale.         — 41 —    L’opinione se non universalmente, certo gene¬  ralmente. dominante è che non possa. L’opinione  dominante par che si chiuda in questa alternativa:  l’etica o è scienza, e non è più normativa; o ò nor¬  mativa, e non è più scienza. La ragione dell’anti¬  tesi, che così si pone, tra le esigenze della scienza  e le esigenze della morale, è nota. Dicono i puri  moralisti: — Una morale che non dia alla norma  carattere di obbligatorietà non può essere vera mo¬  rale; e darle obbligatorietà assoluta non si può senza  uscire dal campo della scienza. Nel latto, una con¬  dotta che si ponga scientificamente come morale, è  obbligatoria soltanto se si accetta il fine, al quale è  ordinata la norma; cioè è obbligatoria ipotetica- ,  mente, non categoricamente. E se non c’è i m perat ivo  categorico, non c’è m orale. — E i puri scienziati  rincalzano: — La scienza è scienza delle cose e dei  latti come_sonq_e non come dovrebbero essere. Si  può cercare quali sono i caratteri e i fattori, la  formazione e le trasformazioni dei modi di operare,  dei sentimenti delle credenze distinti come morali;  si potrà anche, tracciati i lineamenti generali del  processo di formazione, argomentare induttivamente  una possibile evoluzione ulteriore con qualche pro¬  babilità; ma la scienza non sa di bene e di male;  cerca ciò ciò che è; tenta di prevedere, se le riesce,  quel che sarà; dimostrando che certi effetti dipen¬  dono da certe condizioni, ci fa capire che se vo-    3             — 42 —    gliamo gli effetti dobbiamo volere quelle condizioni,  ma non può obbligare nè à volerle nè a disvolerle.   Gli uni e gii altri, accordandosi nell’ammettere  che la scienza non possa dare un imperativo ca¬  tegorico, par che ammettano esplicitamente o im¬  plicitamente che la morale debba o possa essere  una dottrina che determina la norma obbligatoria,  ossia una teoria da cui si ricava il dovere. Ora.  se hanno ragione nell’ ammettere la prima cosa,  hanno torto di supporre la seconda ; hanno torto  di credere che compito dell’Etica possa essere quello  di dimostrare l’obbligatorietà, e di supporre che  una dottrina religiosa o metafisica possa fondare  quel che riconoscono non poter essere fondato da  una dottrina puramente scientifica; possa fondare  il « tu devi » (1).   2 — 11 « tu devi » è un giudizio di constata¬  zione e non può essere altro. Dicendo « tu devi »  io non posso intendere che l’una o l’altra di queste  due cose: o « tu senti dentro di te qualchecosa che   (1) Ho già mostrato altrove, in un capitolo rivolto direttamente  a questo esame (Prolegomeni a una Morale distinta dalla Metaf쬠 sica Cap. I. Pavia, Bizzoni 1901) come e perchè sia perfettamente  va no e illusorio credere che da una costruzione , teorica l sojjmtificn  n no. nossa ricavarsi in qualsiasi modo una norma obbligatoria , se  l’obbligatorietà non è già per altra via data o assunta o supposta;  e come nasca e si mantenga 1’ illusione, e lo sforzo di credere che  non è un’ illusione. Ma 1’ argomento è di capitale importanza ; e ,  del resto, la breve trattazione che segue, benché concluda il mede¬  simo, è fatta da un punto di vista diverso.            — 43 —    ti spinge, senti di essere obbligato a non fare o a  fare »; oppure quest’altra: « c’è una volontà cbe  ha il potere di obbligarti ». Nel primo caso si fa  appello alla coscienza ; a uno stato o a un fatto di  coscienza che esiste o si suppone che esista ; nel  secondo caso si fa appello a un potere, che pari-  menti o esiste o si ammette che esista. Ma nell’uno  e nell’ altro caso nessuno sforzo dialettico può ri¬  cavare l’obbligo dalla natura della cosa comandata  o proibita; nessuna costruzione dottrinale può far  esistere, se non esiste già, nò quel fatto di coscienza,  nè questo potere.   Si dirà che v’è un altro senso. È vero; ma un  senso improprio. « Tu devi » può voler dire: « È  giusto che tu faccia; è giusto che ti senta obbli¬  gato a fare, o che ci sia chi ti obbliga ». Ma se  vuol dir questo, l’espressione è equivoca. Che sia  giusto il fare e che sia giusto T obbligo di fare  (quando questo fare sia già sentito come un ob¬  bligo) si raccoglie d al contenu to, non dal tono del  comando: e non basta a porre l’obbligo, lo giusti-  fica dato die ci sia, e potrà far desiderare che  esista, dato che non ci sia. Ma porre le ragioni che  giustificano l’obbligo, non è porre in essere la forza  o il potere o l’impulso (con qualunque nome si  chiami) che obbliga. Ed è così vero che le due cose  .sono diverse e non confondibili tra di loro, che  non si può ridurre 1’una all’altra senza togliere          44 —     L* <MìWM    una delle due. Non si può derivare l’obbligo dalle  ragioni che giustificano la norma, senza ricono¬  scere che l’obbligo vale solamente in quanto val¬  gono queste ragioni; fcioè senza assegnargli un va¬  lore ipotetico, non più categorico. Nè si può rica¬  vare la giustificazione della norma dall’obbligo ca¬  tegorico, senza riconoscere che la norma vale so lo  i n quanto esiste l’obbli go; ossia senza negare qual¬  sivoglia giustificazione, cioè riconoscere che il con¬  tenuto della norma non avrebbe nessun valore se  P obbligo mancasse.   3 — Gli è che quando si dice essere il dovere  condizione necessaria della morale, si scambia la  morale colla 'moralità, la norma colla conformità  alla norma. Ma l’obbligo riguarda l’osservanza,    <*/J» non ] a determinazione della norma. Ora, che del¬   l’osservanza della norma sia condizione necessaria      e caratteristica il dovere, è cosa che potrà o non  potrà ammettersi, ma ha ad ogni modo un senso;  che sia essenziale alla determinazione della norma,  non è neppure discutibile, perchè non ha senso.  Sarebbe come dire che è essenziale alla costruzione  della scienza medica l’obbligo di prendere le me¬  dicine. È verissimo che sarebbero perfettamente  inutili le prescrizioni mediche se non si supponesse  che vengano osservate ; ma è non meno vero che  l’obbligo di osservarle, posto che ci fosse, non mu¬  terebbe in nulla il contenuto e il valore delle pre-          scrizioni. L’obbedienza del cliente non muta la  scienza del medico. E le condizioni da cui dipende  l’osservanza sono così distinte dalle ragioni che  giustificano una norma , che fi ufficio di tutte le  scienze precettive si fa consistere nel cercare e de¬  terminare le relazioni tra certi mezzi e un certo  fine, nella supposizione che il fine sia voluto, e ai-  fi infuori da ogni preoccupazione che riguardi la  reale esistenza ed efficacia del desiderio o dell’ ob¬  bligo di conseguirlo. Il che si vede manifestissi¬  mamente in una scienza precettiva, che, a rigore,  costituisce un capitolo dell’ Etica ; nella quale la  questione dell’ osservanza delle norme (e dell’ ob¬  bligo di questa osservanza) è rimasta perfettamente  distinta dalla questione della ricerca e della deter¬  minazione delle norme; forse appunto perchè fu  considerata e trattata indipendentemente dalla mo¬  rale; voglio dire nell’igiene. Dove a nessuno viene  in mente di pretendere' che sia una condizione della  legittimità o del valore delle norme dettate da lei,  questa: ch e il conformarsi ad esse sia sentito com e  un d over e. E se accade, come può accadere in ef¬  fetto, che l’osservanza di qualcuno dei suoi pre¬  cetti sia già tenuto come un dovere, il riconoscere  che questo precetto è ordinato a un fine, al quale  si dà valore di bene, fa che fi obbligo stesso ap¬  paia giusto. Ma in questo caso è facile vedere che  la giustificazione dell’ obbligo riesce in ultimo a •         — 46 —      questo : a dare un valore ipotetico all’ obbligo ca¬  tegorico; cioè à dimostrare che sarebbe bene osser¬  vare il precetto, anche se non ci fosse V obbligo.   Ora lo stesso vale, nè più nè meno, per la mo¬  rale. Altro è cercare quali siano le norme da os¬  servare per raggiungere un certo ordine di effetti  (quello che la morale ponga come fine) e altro è  cercare da quali condizioni dipenda che l’osservare  queste norme possa essere sentito e posto come un  dovere. E l’importanza che questo secondo pro¬  blema può avere non toglie che esso sia diverso e  debba essere distinto dal primo.   La pregiudiziale dell’obbligo categorico non tocca  dunque la c ostruzione dottrinale delle norm e; in  primo luogo perchè l’obbligo categorico si constata  o si assume, e non si dimostra, nè si ricava da  una dottrina qualsiasi. In secondo luogo perchè se  si intende, come si intende in effetto, che 1’ Etica  deve dare non V obbligo, ma la giustificazione del-  l’obbligo, questa giustificazione non può consistere  che nel mostrare come la norma abbia valore an¬  che indipendentemente dall’ obbligo ; cioè che sa¬  rebbe bene o sarebbe giusto conformarsi ad essa  anche se il conformarsi non fosse sentito come un  dovere indiscutibile. Ossia, poiché dimostrare il va¬  lore di una norma vuol dire mostrar la deriva¬  zione di una norma da un fine a cui sia ricono¬  sciuto quel valore, giustificare 1’ obbligo viene a       — 47 —    dire derivare la norma da un fine, il cui valore  si ammetta non dipendere dall’ esistenza dell’ ob¬  bligo, e al quale perciò rimane del tutto estranea  la considerazione dell’obbligo e delle condizioni che  lo rendono possibile.   A — La caratteristi ca di una dottrina etica no n  sta dunque nell’ obb ligatorietà, ma sta nel valore  d el fine che si assume (1). Ed eccoci alla vera ed  j unica differenza tra 1’ Etica e le altre costruzioni   precettive; che è questa. Qualsivoglia scienza pre¬  cettiva si riduce a un sistema di relazioni e di leggi  che hanno valore di norme da seguire per chi si  propone come fine quell’ effetto o quell’ ordine di   effetti, del quale esse leggi esprimono le condizioni   $   ed i fattori ; cioè suppone la desiderabilità che dà  valore di fine a quell’effetto; ma non pretende nè  che questa desiderabilità sia riconosciuta univer¬  salmente, nè che essa sia, pure universalmente, ri-  conosciuta come superiore e preminente rispetto a  quella di qualsiasi altro fine. Ma questo appunto   (1) Sono lieto di notare che in un articolo dal titolo Ethic.s, a  xcience pubblicato nella Philo.sophical Review (Novembre 1903, Vo¬  lume XII, G) il prof. E. B. McGilvary insiste sul concetto, clip è  conforme a quel che ho sostenuto e sostengo , che 1’ Etica , come  scienza, è indicativa non imperativa. Senonchè, per un verso, non  si capisce dall’ articolo se egli ammetta o escluda il medesimo di  qualsivoglia costruzione dottrinale; per l’altro, egli non tien conto  di quella differenza, nella quale consiste a mio giudizio la earat-  teristica dell’Etica.               — 48 —    pretende l’Etica. Onde il compito dell’Etica si spe¬  cifica in due punti, di cui il primo segna la sua  caratteristica: l.° cercare se vi sia e quale sia l’ef¬  fetto o l’ordine di effetti che possa avere un tal  valore, cioè il fine del quale possa essere ammessa  la universale desiderabilità sopra ogni altro, 2." de¬  terminare le condizioni e i fattori da cui quell’ ef¬  fetto dipende. E, nel supposto che dipenda dall’azione  umana individuale e collettiva, determinare la con¬  dotta, ossia le norme dell’operare, corrispondente.   Se il fine di cui può essera assunta questa uni¬  versale e preminente desiderabilità è umanamente  possibile, cioè tale che se ne riconosca possibile il  raggiungimento senza assumere o postulare nessun  intervento sopranaturale e sopraumano, la costru¬  zione etica sarà scientifica; se no, sarà religiosa o  metafisica. E quindi il problema della possibilità di  un’Etica scientifica assume questa forma: se si possa  assegnare un fine, naturalmente cioè umanamente  possibile, al quale sia riconosciuto un valore supe¬  riore a ogni altro fine. La determinazione delle  norme morali sarebbe data dalle relazioni trovate  o da trovarsi tra quel fine e la condotta indivi¬  duale e collettiva da essa richiesta.   Ed eccoci a una seconda questione pregiudiziale.     Gap. IV. — La pregiudiziale sul modo di intendere   il compito normativo dell’ Etica.   5. — Non è improbabile che qualche lettore  trovi que sto modo di porre il problema intorno al  co mpito dell’Etica , antiqua to e fuori della realtà.  Sento dirmi: «Nella realtà il compito dell’Etica è  concepito e proseguito in modo assai diversp anzi  opposto. Le n prme della condotta morale sono già  d ate e conosc iute. Ciò è tanto vero, che sulla deter¬  minazione concreta dei precetti particolari, di quelli  che si chiamano « d over i » e che si raccolgono nella  parte comunemente chiamata Morale Speciale, non  cadono sostanzialmente dubbi o contestazioni, e i  filosofi della morale ne sdegnano quasi la tratta¬  zione o ne danno soltanto le linee generali. Nella  realtà dunque l’indagine morale non ha per iscopo  di cercare e determinare le norme ricavandole da  un certo fine; ma di costruire la sistemazione teo¬  rica di un codice di condotta già dato, raccogliendo  e unificando le norme particolari in una norma ge¬  nerale, della quale si cerca quale possa essere la  giustificazione; anche se la costruzione induttiva¬  mente così ottenuta rivesta poi l’apparenza logica  di una costruzione deduttiva. Quindi è antiscienti¬  fico e inutile andar cercando fuori della realtà, nel  campo di una possibilità, ipotetica, un fine — po¬  niamo pure che sia possibile trovarlo — il quale             — 50 —    risponda a quelle esigenze, per il gusto di ricavarne  delle norme. Le quali, o si accorderanno con quelle  riconosciute in effetto e vigenti come morali, o  discorderanno. Se si accordano, ciò vuol dire che  la pretesa derivazione deduttiva delle norme da  quel fine nasconde una reale derivazione induttiva  del fine dalle norme; se discordano, questa discor¬  danza viene a dimostrare l’inutilità, a dir poco, di  norme elle contrastano con quelle riconosciute e  accettate, e a far respingere come non morali o  utopistiche le norme e il fine dal quale sono rica¬  vate ».   6. — Io non ho difficoltà a riconoscere che i due  indirizzi prevalenti nella speculazione morale con-  temporanea— l’indirizzo sociol ogico-storico. e l’in-  dirizzo idealistico-prammatistico — si accordano fon¬  damentalmente nel respingere le costruzioni etiche  razionali o pure, e nell’assumere come punto di par¬  tenza legittimo la realtà dei dati morali ; dei quali  l’uno considera principalmente l’aspetto esterno,  sociale, e l’altro l’aspetto interno, psicologico. Ma  noto subito che la novità nel punto di partenza e  nel processo di costruzione, è soltanto apparente;  o, per essere più esatto, la novità consiste (1) nel-    (1) Adagio però anche con questa novità. Perchè, almeno quanto  al riconoscere esplicitamente la legittimità del procedimento regres¬  sivo, all’ invertire deliberatamente la costruzione morale, il Kant  avrebbe de’ diritti d’autore da rivendicare.               — 51 —   l’assumere la legittimità di un procedimento, che  inconsapevolmente domina in generale la specula¬  zione etica, e che si scorge più evidente in quei  sistemi i quali hanno raccolto rispettivamente nei  diversi tempi e luoghi più largo consenso; (consenso  non verbale, si intende, ma reale). In altri termini  non si fa che seguire in modo consapevole e riflesso  quella stessa tendenza e preoccupazione, a cui ha  obbedito in generale la speculazione morale, almeno  nella forma riconosciuta rispettivamente nei diversi  tempi come ortodossa, o retta, o sana che si voglia  dire; la preoccupaziono di giustificare, il modo di  operare, di sentire e di giudicare già tenuto come  buono. Ora il rendersi conto che la costruzione  etica — sotto l’apparenza logica di una deduzione  progressiva di certi precetti particolari da una nor¬  ma generale e di questa da un fine posto come  supremo — fu sempre, in sostanza, regressiva (dai  precetti particolari alla norma' generale e da questa  ai principi che la giustificano), segna certamente  un progresso e un acquisto quanto alla conoscenza  del processo reale storico e psicologico di formazione  dei sistemi morali. Ma altro è conoscere quale sia  stato il processo realmente seguito, altro ò affermare  la legittimità del processo. Certo sarebbe un fortis¬  simo argomento di probabilità, se avesse fatto buona  prova. Ma se si guarda ai risultati, vien fatto piut¬  tosto di pensare il contrario; di pensare, che la     52 —    speculazione morale sia viziata nelle origini appunto  dal preconcetto che la domina e dal procedimento  che il preconcetto suggerisce. Ed è da questo pre¬  concetto che nasce, a mio giudizio, così il diletto  della soluzione a cui riesce l’indirizzo sociologico,  come di quella a cui fa capo l’indirizzo pramma-  tistico.   7. — In primo luogo importa notare che am¬  bedue gli indirizzi, appunto perchè hanno comune  il presupposto che compito dell’Etica sia quello di  unificare le norme già date, risalendo da esse ai  principi o ai postulati, sembrano ammettere questi  due punti: 1°. Che le norme morali siano già tutte  conosciute e determinate, o che dalle norme cono¬  sciute si ricavi il criterio per quelle non determi¬  nate. 2°. Che le norme date siano fra di loro con¬  cordanti o compatibili, o almeno non in contraddi¬  zione l’una coll’altra.   Ora nè 1’ una nè l’altra di queste condizioni si  avvera nel fatto.   E prima di tutto non è esatto che le norme della  condotta siano già date e conosciute. Anche se lo  Spencer ha torto, come io credo e si vedrà più in¬  nanzi, di assumere a criterio del giusto l’adatta¬  mento perfetto o il piacere puro, ha ragione nel  sostenere che in un gran numero di casi la coscienza  non ci dice quale sia il modo di operare giusto o  approssimativamente meno ingiusto. Ma, oltre ai      — 53 —    casi del genere di quelli citati da lui, (nei quali si  potrebbe dire, che se non riusciamo a determinare  quale sia la migliore applicazione del criterio, sap¬  piamo però quale sia il criterio da usare) vi sono  sfere intere di azioni, per le quali la coscienza non  saprebbe suggerirci una scelta sicura, e per le quali  non ci dice, come per altre, «non è giusto» o «è  giusto». Difenderò io il divorzio o lo combatterò?  Approverò o non approverò l’allargamento del suf¬  fragio politico? Sarò conservatoreoliberale, monar¬  chico o repubblicano, individualista o socialista,  liberista o protezionista? In quali circostanze ed  entro quali limiti seguirò l’uno o l’altro indirizzo?  Non serve rispondere che ciascuno deve operare in  queste materie secondo la propria coscienza. Si  tratta di sapere come una coscienza onesta deve  operare perchè alla bontà delle intenzioni (che è  presupposta) corrisponda la bontà degli effetti. E  abbandonando questo giudizio alla coscienza indi¬  viduale si riconosce o che possono coesistere criteri  morali diversi, o che lo stesso criterio morale può  legittimare ugualmente modi di operare opposti, o  finalmente che quelle parti della condotta escono  dal campo della morale.   Ma se possono legittimamente coesistere per certe  parti della condotta criteri morali opposti, quale  sarà il criterio superiore che serve a decidere fra  questi criteri contrastanti? o altrimenti, perchè non     — 54    si ammette che possano del pari legittimamente  coesistere criteri contrastanti anche per le altre  parti della condotta? Se poi lo stesso criterio morale  può legittimare due modi di operare opposti, ciò non  può essere che per mancanza di determinazione delle  circostanze; e prova in ogni modo che le norme  particolari della condotta morale non sono tutte de¬  terminate e conosciute. E se finalmente quelle parti  della condotta escono dal campo della morale, quale  norma suprema è mai quella che non ha nulla da  dire intorno a una parte così grande dell’operare,  come è, per esempio, tutta la condotta politica del¬  l’individuo e della società? Si dirà che per questa  parte, per la quale le norme non sono date, il cri¬  terio si ricava de quelle già date e accettate come  morali? Urtiamo in una seconda difficoltà.   8. — Per ricavare dalle norme già date il cri¬  terio cercato, per unificarle cioè in una norma più  generale, occorre che le norme date concordino fra  di loro, che in tutte si possa riconoscere appunto  questa unità di criterio. Ora, tralasciando pure di  insistere, perchè è cosa troppo nota, sull’antitesi  fondamentale esistente tra le norme di condotta che  valgono come morali rispettivamente nelle condi¬  zioni di pace e di guerra, o sui contrasti, tragici  talvolta, tra i «doveri» famigliari e i «doveri»  sociali, bisogna osservare che le norme date e accet¬  tate come morali possono contemplare e contemplano        realmente, almeno in parte, delle relazioni, direi,  secondarie, le quali esistono e sono possibili in gra¬  zia di relazioni primarie e fondamentali, che le  norme non contemplano e che sono la negazione  del criterio applicato in quelle norme. Mi sia lecito  spiegarmi con un esempio ipotetico assai semplice.  Se si suppone che un uomo sia saltato sulle spalle  di un altro e si faccia portare da lui, v’è luogo a  cercare quale sia la posizione migliore per il por¬  tante e per il portato; sia quella, poniamo, la quale  concilia la minima fatica del primo col minimo disa¬  gio del secondo. I l criterio seguito qu i è un criterio  d i equit à; si riconosce cioè che non sarebbe o giusto,  o buono o utile per nessuno dei due, il pretendere  tutte le comodità per sè senza tenere in conto le  comodità dell’altro. Ma se questo criterio (seguito  nello stabilire la condotta migliore, data, quella con¬  dizione diversa dei due) fosse applicato a determi¬  nare la relazione tra i due ,prima che siano divenuti  rispettivamente portatore e portato, questa condi¬  zione sparirebbe, e ciascuno camminerebbe colle sue  gambe. Ossia la norma morale regola nel caso sup¬  posto un rapporto che non esisterebbe se essa fosse  applicata al sorgere di quel rapporto. E può avve¬  rarsi, così, delle norme morali qualchecosa di ana¬  logo a quel che racconta di sé Senofonte, che all’o¬  racolo chiedeva quale via dovesse tenere per giun¬  gere più felicemente in Asia, guardandosi bene dal  chiedere prima se era bene o male che andasse.       — 56 —    Un sociologo potrebbe stringersi nelle spalle e  osservare che è colla realtà data che bisogna fare  i conti, e che è ozioso andar cercando come sarebbe  giusto che essa fosse; non resta che acconciarvisi  alla meno peggio. — Vedremo ora come questa po¬  sizione di puro adattamento passivo sia, per forza  stessa della realtà, che diviene e muta, insosteni¬  bile: ma ò opportuno notar subito che quando si  renda palese un contrasto del genere notato, colla  consapevolezza di questo contrasto è inevitabile che  nasca nella coscienza morale l’aspirazione a una  realtà diversa; e quindi l’aspirazione o a modifi¬  care la realtà se essa appare mutabile, o a cercare  la ragione della giustizia fuori della realtà.   Queste lacune e queste incongruenze delle norme  in effetto vigenti come morali in un dato tempo e  luogo, dimostrano intanto due cose: che, quale sia  la condotta migliore in un determinato momento  storico, non è una semplice constatazione da fare,  ma è un problema da risolvere ; e un problema  assai più difficile e complicato di quel che possa  apparire e si sia abituati a considerarlo; e che in  ogni caso è necessario assumere un criterio il quale  valga come guida a colmare le lacune, e a risol¬  vere o giustificare le incoerenze. Ma un criterio,  comunque assunto, a cui si attribuisca questo uf¬  ficio e questo valore, è un criterio alla stregua del  quale devono essere valutate anche le norme par-       titolari già riconosciute come certe, poiché deve  valere per tutta la condotta. E ciò viene a dire  che il processo di determinazione di tutte lo norme  si deve fondare sul criterio assunto, allo stesso modo  che se le norme si dovessero tutte determinare ex  novo, astrazion fatta e indipendentemente dalle  norme in effetto già accettate e seguite. (Il che del  resto è precisamente quello che avviene in tutte  le scienze precettive; dove, se anche i precetti scien¬  tificamente stabiliti si trovano a coincidere coi pre¬  cetti empiricamente seguiti, la determinazione scien¬  tifica procede come se spettasse ad essa di deter¬  minarli e giustificarli). E allora il problema torna  ad essere quello del criterio che deve essere as¬  sunto.   9. — Ora il criterio che l’indirizzo sociologico  suggerisce è, come è noto, — e conforme al con¬  cetto , che esso pone in evidenza, della relatività  della morale e del diritto — la corrispondenza alle  esigenze sociali del momento storico che si consi¬  dera. Il codice morale di un dato tempo e luogo  delinca la forma di condotta richiesta dalle condi¬  zioni dell’ esistenza sociale in quel tempo e luogo,  e trova in esso la sua giustificazione.   A nessuno può venire in mente di negare la  reale ed effettiva dipendenza delle norme morali  dalle esigenze della vita sociale. Ma se queste esi¬  genze possono spiegare come si sia formato stori-           — òs¬    camente e psicologicamente il codice di condotta  correlativo finché sono inconsapevolmente identi¬  ficate colle esigenze della coscienza morale, esse  non bastano più, neppure a determinare quale sia  la condotta adatta in un certo momento storico,  una volta che siano assunte come criterio riflesso  e consapevolmente seguito; non bastano, tranne  che in un caso: nel caso che le condizioni di esi¬  stenza, da cui quelle esigenze emergono, siano con¬  siderate come immutabili o come assolutamente  sottratte ad ogni azione od efficacia che possa  esercitare su di esse la condotta umana , indivi¬  duale e collettiva. Perchè quando intervenga la con¬  sapevolezza di una possibile efficacia modificatrice  della condotta umana sulle condizioni sociali e sulle  esigenze che ne nascono, allora entra di necessità  nella valutazione della condotta la considerazione  di questa efficacia; la quale, richiede il confronto  tra lo stato presente e uno stato futuro, tra uno  stato reale e uno stato possibile. E la ragione della  scelta tra i due non può essere data dalla realtà  dello stato presente, ma dalla diversa desiderabilità  dei due stati messi a confronto; e quindi non sol¬  tanto dalle esigenze dello stato reale, ma anche da  quelle dello stato possibile o creduto tale. Per con¬  seguenza, condotta buona apparirà non quella sem¬  plicemente che è richiesta dalle condizioni di fatto,  ma quella che, nei limiti imposti dalle condizioni     — 59 —    reali, tenda a modificarla nella direzione segnata  dallo stato più desiderabile (1). Soltanto in un caso,  puramente teorico, la condotta tracciata in confor¬  mità con questo criterio, coinciderebbe colla pura  e semplice corrispondenza alla realtà delle condi¬  zioni fiate; nel caso che lo stato reale presente ap¬  parisse universalmente e sotto ogni rispetto più de¬  siderabile di ogni altro. Ma anche in questo caso  la valutazione è data dalla desiderabilità, non dalla  realtà.   Insomma, altro è comprendere che una forma  di condotta è conforme a certe condizioni, altro è   (1) Di qui si vede quanto sia abusiva l’espressione comunemente  ripetuta, sopratutto dai seguaci più rigidi del materialismo storico,  che la condotta giusta è ad ogni momento quella che è resa neces¬  saria dalle condizioni del momento; i quali poi sono spesso ardenti  e anche non di rado generosi fautori e propugnatori di riforme e  di innovazioni anche radicalissime nelle condizioni e nella strut¬  tura stessa della società. Sento 1’ obbiezione : « Gli è che noi pre¬  vediamo necessario e inevitabile il mutamento in quella direzione,  e ci affatichiamo , come la levatrice , a rendere meno doloroso il  parto del futuro dai fianchi del presente ». Lasciamo, per restare  nella metafora, che altro è voler agevolare il parto e altro voler  affrettarlo. Ma, insomma, vi affatichereste voi a prepararlo, questo  futuro, se non vi apparisse desiderabile in confronto del presente ?  E che (iosa vuol dire render meno doloroso il parto, se non appre¬  stare con un intervento consapevole e riflesso certe condizioni che  altrimenti non si realizzerebbero ? Adunque l’apprestare queste con¬  dizioni , pensate che sia desiderabile e possa dipendere dall’ opera  vostra; cioè nel giudicare ciò che è giusto, sovrapponete, almeno  per questa parte, il criterio della desiderabilità a quello della obiet¬  tiva ed esteriore necessità. — Cosi la condotta corregge la dottrina.   « Gran.... ist alle Theorie— Und grilli des Lébeus goldner Baiati ».        — 60 —    aver coscienza della bontà di quella condotta ; la  quale non può nascere che dalla coscienza della  bontà di un fine a cui la condotta ò, o si crede che  sia, ordinata; altra cosa è la necessità di certe con¬  dizioni, altra è la loro desiderabilità; altra cosa è  la spiegazione storica, e altra la giustificazione etica.   10 — Di questa esigenza di una giustificazione,  alla quale, una volta che sia sorto il lavorìo ri¬  flesso della comparazione e della critica, nessuna  costruzione etica può sottrarsi, si preoccupa invece  il nuovo prnmmnt.iid.ico. il cui presente   successo si deve, come credo, in gran parte, alla  insu fficienza d el rel ativismo sociologico e storico  nel campo della morale. Esso è in sostanza, come  è noto, un ritorno alla metafìsica in nome delle  esigenze pratiche; la affermazione del diritto di cie-  dere alì’ esistenza reale di quelle condizioni che si  pongano come necessarie a dare un fondamento og¬  gettivo al valore delle norme e dei motivi morali.  In questa reazione a difesa della fede il nuovo idea¬  lismo, fatto audace cìàPfavore delle circostanze e  dalla debolezza degli avversari, è passato, come ac¬  cade, dalla difensiva alla offensiva; e non solo af¬  ferma la legittimità del proprio indirizzo nel campo  della morale e della religione, o, come si dice, nel  campo dei valori pratici; ma anche nel campo della  scienza, o d ei valori teoretici ; pretendendo che in  ultimo anche il sapere teoretico, benché non se ne             accorga o si dia l’aria di non accorgersene, non ab¬  bia altra ragione per giustificare i principi e i po¬  stulati che assume a fondamento delle sue inter¬  pretazioni dei fatti e delle leggi particolari, se non  una ragione di convenienza ; il valore che quei  principi hanno come mezzi per la sistemazione del  sapere, cioè in ultimo per la soddisfazione di un  bisogno speculativo.   Qui non è il luogo di discutere ciò che nella  dottrina ci può essere di vero — più come intui¬  zione di un aspetto trascurato della realtà psicolo¬  gica, che come legittimazione di un metodo — per  quel che riguarda la ricerca scientifica (1); la con-   (1) Però non posso fare a meno di notare l'equivoco che, a mio  giudizio, si nasconde sotto la pretesa analogia tra la ragione che  legittima i principi teorici, e la ragione che il prammatismo in¬  voca a legittimare i principi pratici. L’ equivoco è questo : E ve¬  rissimo che 1’ im rva Ira tura d<jl sanerò teor ico (a proposito, si può  parlare di un sapere non teorico?) è ìjj^tgriali, diciamo   cosi, grovvisori^dijmstulati^e^dijmtesi che si assumono perditi e  in quanto possono servire. Ma servire a che ? A unificare e siste¬  mare le cognizioni delle cose dei fatti e dei rapporti come nono  n on come desideriamo che nan o ; a costruire non quella verità che  piace a noi di ammettere, ma la verità senz’ altro, sia o non sia  conforme ai nostri desideri e ai nostri capricci. Perchè il bisogno  teoretico o scientifico è appunto il bi sogno di .salier e le cose che  s^no jejxmejsono, e non che desideriamo e come le desideriamo. E  qualunque sia il senso che noi diamo all’espressione « come sono »  esso è sempre distinto e diverso da quello che può aver 1’ espres¬  sione « come desideriamo che sieno ». Perciò non è il caso di ripe¬  tere qui, sotto veste gnoseologica, la domanda di Pilato. Perchè  quando si parla, per es., delle leggi di gravità, si può bensì soste-           sidero nel campo della morale, c soltanto rispetto-  ali’argomento che ci riguarda. Per questo rispetto  la soluzione che essa dà del problema della giusti¬  ficazione etica, non dilferisce sostanzialmente dalle  altre soluzioni di carattere metafisico, se non per  il fondamento. A proposito del quale, siccome, se  anche se ne ammetta la validità, questa non toglie  il difetto che nasce dal 'carattere metafisico della  soluzione, mi accontento di osservare, per quelli  che credono di sfuggire per questa via all’utilita¬  rismo, che essa conduce a una forma, mistica se  si vuole, ma ad una forma di utilitarismo ; anzi  alla forma estrema e più radicale : la valutazione  delle stesse credenze metafisiche e religiose dal  punto di vista di un interesse umano ; sia pure  questo interesse il massimo, il termine di confronto  di tutti gli altri. Perchè conduce a considerare la  credenza come un sostegno della moralità, ossia in  ultima analisi come un mezzo pedagogico. E non    nere che questo è un modo nostro di formulare e unificare i fatti ;  ma i fatti sono quelli, e a nessuno viene in mente di pensare che  noi li crediamo veri perchè abbiamo bisogno di reggerci in piedi.  E anche chi ammette che 1’ acqua sia stata fatta a posta per ca¬  varci la sete, sa benissimo (diamine !) che altro è dire che in un  pozzo c’ è dell’ acqua, e altro dire che hanno sete quei che vi guar¬  dano dentro.   Di questa indebita intrusione di argomenti gnoseologici in que¬  stioni scientifiche, (fisiche ecc.) tratta esaurientemente, con profon¬  dità e con chiarezza, c ome suole, il Varisco (V.* in particolare :  Introduzione alla Filosofia Naturale, e Studi di Filosofia Naturale,  Cap. I).      è escluso il dubbio che, a questo modo, proprio nel  mentre ehe si pone il valore della credenza, si venga  a togliere valore all’ oggetto della credenza.   11 — Venendo ora al nostro argomento, è certo  che l a soluzione del prammatism o, come in genere  le altre soluzioni di carattere metafisico, soddisfa  a quella esigenza della giustificazione etica, alla  quale non soddisfa il relativismo storico. Ma an¬  eli’essa presenta — dico all’infuori da ogni con¬  tesa sulla legittimità del fondamento e sulla vali¬  dità teoretica dei principi e dei postulati ammessi  — il difetto capitale delle costruzioni metafisiche.  Ed è che il fine di ordine sopranaturale cosi po¬  stulato, non può servire a determinare le norme.  Non può servire, per la ragione perentoria che la  relazione tra un fine, che è al di fuori e al di so¬  pra della vita umana naturale e finita, e una con¬  dotta, qualunque essa sia, che si deve dispiegare  nell’ ambito delle leggi naturali e i cui effetti de¬  terminabili sono contenuti nei limiti della vita  finita individuale e sociale, una relazione di questo  genere, dico, non può essere in nessun modo dimo¬  strata, ma soltanto affermata. Ne è prova il fatto  che lo stesso fine sopranaturale, la stessa costru¬  zione metafisica può essere assunta a giustificare  norme concrete di condotta non soltanto diverse,  ma opposte, senza che si possa ricavare da essa  nessuna ragione per la quale tra due forme di     — 64 —    condotta diverse, una possa o debba giudicarsi pre¬  feribile all’altra. Gilè, se si trova una ragione di  preferenza nell’ ordine degli effetti, che le due con¬  dotte rispettivamente producono o tendono a pro¬  durre, quest’ordine di effetti, dà alla condotta cor¬  relativa un valore che sussiste indipendentemente  dal fine sopranaturale, e diventa il fine naturale  della condotta medesima.   Con questa differenza tra i due fini: che mentre  dato il primo, non si può (se non facendo appello  a una rivelazione, cioè a una autorità, e quindi a  una pura affermazione) ricavare da esso quale sia  la condotta atta a raggiungerlo; dato questo fine  naturale, le norme si ricavano appunto dalle con¬  dizioni da cui il fine dipende, cioè dalla connessione  naturale tra la condotta e gli effetti della condotta.  Ossia un fine sopranaturale non può fornire esso  il criterio per determinare la condotta, se non a  patto che — implicitamente o esplicitamente — si  assuma, come subordinato ad esso e da esso richie¬  sto un fine, o un ordine di fini, naturale, in rela¬  zione al quale in realtà le norme sono stabilite.   Nè concluderebbe nulla in contrario l’osservare  che il criterio desunto dagli effetti che l’azione tende  a produrre, riguarda la condotta esterna, non la  interna, nella quale sopratutto consiste il valore  morale. In primo luogo anche se per le due con¬  dotte, esterna e interna, valessero criteri diversi,      — 65 —    bisognerebbe pur sempre riconoscere che, poicliò  anche la condotta esterna conta pure qualchecosa,  sarebbe ancora necessario ammettere un criterio  che valga a determinarla. In secondo luogo, benché  siano, in ultima analisi le tendenze, le aspirazioni  i sentimenti che hanno valore e danno valore alle  cose e alle azioni, e ogni valutazione si riduca a  valutazione comparativa di tendenze o sentimenti  diversi; non bisogna dimenticare che i sentimenti,  come le aspirazioni, si distinguono per il loro con¬  tenuto rappresentativo, cioè pe 1’oggetto a cui si  riferiscono; e che anche le intenzioni sono sempre  intenzioni di qualche cosa. E finalmente, una forma  di perfezione interiore che si consideri come fine, a  cui Tuomo possa giungere o avvicinarsi, non può  essa stessa fornire il criterio per determinare quale  sia la condotta richiesta a questo scopo, se non in  quanto questa perfezione si consideri come un ef¬  fetto o un ordine di effetti che dipende natural¬  mente (in parte al meno se non in tutto) da certe  condizioni, ossia da certi mezzi. Le pratiche del¬  l’ascetismo non avrebbero senso se non si ricono¬  scesse a loro questo carattere di mezzi atti a pro¬  durre certi effetti. '   Concludendo: la soluzione metafisica a cui fa  appello l’indirizzo prammatistico, come ogni altra  soluzione di carattere metafisico, non può avere,  anche se non si ponga in dubbio la sua legittimità,    — r,o —    che un ufficio consolatore, non regolatore; può ser¬  vire a dare o aggiunger valore a certe norme e  ai fini umani connessi con queste, ma non può ser¬  vire a determinarle ; può fornire un principio di  giustificazione, non un criterio di derivazione. E  perciò lascia da parte o suppone risoluto il problema  che riguarda la determinazione delle norme; il che  ò quanto dire che lascia sussistere il problema, e  la validità delle ragioni per le quali si pone, e se  ne cerca la soluzione.   Cap. V. — Il preconcetto fondamentale.   12 — Così dei due tipi diversi di costruzione  etica corrispondenti ai due indirizzi esaminati, l’uno  q « — quello del relativismo storico — se anche può   offrire un criterio di determinazione scientifica di  un sistema di norme, non soddisfa all’esigenza mo¬  rale, ossia non giustifica il valore che ad esse si  vuole attribuire. Perchè, alle norme stabilite in  conformità al criterio della corrispondenza alle esi¬  genze della vita sociale, non si può riconoscere un  valore superiore a ogni altra norma, se non sup¬  ponendo che la forma di esistenza sociale correla¬  tiva si riconosca universalmente e sotto ogni ri¬  spetto più desiderabile di ogni altra; presupposto  che non è per nulla legittimato, nè si può ricavare  . dal criterio assunto. L’altro — quello dell’i dealism o             — 67 —   prammatistico — in quanto fa capo a principi e  postulati metafisici, serve a giustificare il valore  che si attribuisce alle norme morali, ma ò radi¬  calmente impotente a fornire un criterio di deter¬  minazione delle norme.   Il primo può determinare le norme, ma non  giustificarle ; il secondo può giustificarle ma non  determinarle.   L’uno e l’altro tipo di soluzione hanno comune  il preconcetto fondamentale che compito dell’Etica  debba essere quello di trova re le rag ioni sulle_quali  ò fondata la bont à o la giustiz ia di quella forma  di condotta, che già teniamo come buona. Ammesso  — tacitamente o esplicitamente — questo presup¬  posto, l ’esigenza scientifica porta a riconoscere le  connessioni naturali tra quella forma di condotta  e i bisogni della vita sociale del momento storico,  e quindi ad assumere come criterio etico la corri¬  spondenza a questi bisogni ; l ’esigenza morale o  giustificativa porta a cercare a quali patti o con¬  dizioni quella forma di condotta possa veramente  essere riconosciuta come buona, e quindi ad assu¬  mere come fine della condotta un bene il quale  soddisfaccia a quel requisito di universale e pre¬  minente desiderabilità, che non si trova in quel  fine , che è in realtà il fine naturale della con¬  dotta (I).    (1) E i moralisti che cercano di conciliarle ambedue, e soddi¬  sfare all’esigenza scientifica senza rinunciare alla esigenza giusti-       — 68 —    13 — E allora la conseguenza legittima è que¬  sta : che una scienza normativa morale è possibile  soltanto se il fine naturale che serve a determi¬  nare le norme vale anche a giustificarle.   Ma il fatto — che questa esigenza non ò sod¬  disfatta finché si cerca la giustificazione di un co¬  dice di condotta già dato, assumendo questo come  punto di partenza, e quindi come fine la forma di  convivenza e di cooperazione sociale alla quale esso  codice corrisponde, — non prova V impossibilità di  una etica normativa scientifica; prova al più la  impossibilità di una tale scienza finche si intende  £0 il compito dell’ Etica in quel modo,   [ CeMJ Anf ibio. Ora perché non sarà possibile e lecito porre il  problema in un modo diverso: cercare quale possa  essere il fine che soddisfa a questa esigenza, e dalle  condizioni che esso richiede ricavare le norme della  condotta? Il porre il problema in questa forma non  è forse legittimato dalle difficoltà che abbiamo visto  nascere dal porlo in forma diversa, e dall’analogia    ficativa, tentano di risolvere l’antinomia assumendo in conformità  all’ esigenza scientifica il criterio , e in conformità all’ esigenza  morale la giustificazione ; ossia attribuendo un valore metafisico al  fine umano-sociale al quale in realtà sono ordinate e dal quale si  possono ricavare le norme. Senonchè i due principi assunti e in  apparenza unificati restano sempre distinti : e quando si tratta di  stabilire quale è la condotta da tenere, compare 1’ uno; e quando  si tratta di dire perchè quella condotta è giusta, compare 1’ altro ;  senza che si veda nessuna ragione perchè il secondo debba essere  cosi pronto a trovar giusto quello che 1’ altro suggerisce.    — 69 —    (che l’esigenza caratteristica della norma etica non  toglie) colle altre scienze precettive ?   Sento risorgere V obbiezione : Posto pure che  l’impresa riuscisse, a che cosa gioverebbe? Ma ò  facile la risposta. In primo luogo, anche se non  servisse praticamente a nulla, non cesserebbe di  avere un valore teorico il sistema di rapporti che  per tal modo -si venisse a conoscere. In secondo  luogo a nessuno ò dato affermare a priori l’inu¬  tilità pratica di una cognizione scientifica, sia pure  che riguardi dati ipotetici. (E quale cognizione  scientifica non contempla dati, almeno in parte,  ipotetici?). E finalmente a queste due ragioni ge¬  nerali se ne può aggiungere una terza particolare.  Chi può dire clic al modo stesso, almeno, col quale  può essere utile la conoscenza delle relazioni che  esistono tra forme diverse di moralità e condizioni  storiche diverse, non possa tornare utile la cono¬  scenza delle relazioni scientificamente stabilite tra  una forma di condotta possibile c un ordine di con¬  dizioni possibili ?   14 — Concludo : il problema, s e una scienza  normativa etica sia possibile, non è un problema  risoluto, ma è un problema da ris olve re. Se si possa  e si debba risolvere nel modo tenuto dallo Spencer,  è questione diversa e clic rimane da esaminare. E  questa critica preliminare mentre avrà servito, come  spero, a dimostrare che il presupposto fondamen-       — To¬    tale dello Spencer intorno al compito dell’Etica non  può essere a priori escluso, ha posto in chiaro le  esigenze fondamentali alle quali una scienza nor¬  mativa morale deve soddisfare.   E così ci fornisce una guida per la critica della  dottrina.       Parte III.    LA. DOTTRINA DELLE DUE ETICHE  E LE ESIGENZE   DI UNA SCIENZA NORMATIVA MORALE    Cap. VI. — Il criterio del tinnite dell ’ evoluzione e  dell’ adattamento completo nm^se^e a determi¬  nare il tipo di condotta cercato.   Il p rogra mma che lo Spencer traccia e si pro¬  pone di seguire (non dico che in realtà gli sia ri¬  masto fedele) per costruire una scienza normativa  etica, si può raccogliere, in queste due te si: I.° La  necessità di assumere come tipo della condotta mo¬  rale la condotta dell’ uomo giusto in una Società  giusta ; e la necessità conseguente d ella disti nzione  'ìdfn fv** i ^ tra E tica Pura (Ji/icr Assoluta) ed Etica Applicata  parevo*)» f ( Etica_ Relativa) e della precedenza teorica della  prima sulla seconda. II. 0 La identificazione della  condotta giusta, oggetto dell’oca Assoluta, col  tipo di condotta che egli pone come proprio del  limite dell’evoluzione.   Ora, benché nel pensiero dello Spencer le due  tesi siano solidalmente connesse, e la seconda sia                ilei'quadro del sistema la fondamentale e quella  che legittima e rende possibile ad un tempo la sua  costruzione, non ò difficile vedere come da un punto  di vista critico esse possono e debbono essere con¬  siderate a parte. La prima, infatti, formula una  veduta metodica ; la seconda esprime la speciale  applicazione che di quella veduta metodica lo Spen¬  cer ba creduto di fare. In altri termini, è astrat¬  tamente possibile riconoscere che il tipo ideale del-  1’ uomo giusto non possa determinarsi se non in  relazione con una società giusta e clic per deter¬  minare la condotta giusta relativamente a certe  condizioni reali, sia necessario aver prima ricono¬  sciuto quale sarebbe la condotta giusta in condi¬  zioni idealmente supposte, anche se non si accetta  che il tipo ideale di condotta giusta possa essere  concepito in quella forma e su quel fondamento  che lo Spencer crede di dovergli assegnare.   Anzi io penso che la veduta espressa nella prima  tesi non solo si possa, ma si debba accettare come  legittima e necessaria, e che in essa si racchiuda  come in germe un concetto fecondo. Certo, credo,  se una scienza normativa morale ò possibile, è pos¬  sibile per quella via; e i difetti della costruzione  etica dello Spencer nascono non dall’averla seguita,  ma piuttosto dall’ essersene allontanato. Cosicché la  critica stessa della seconda tesi riesce a confermare  la legittimità della prima.      — 73 —    1- — As sumendo come tipo ideale di condott a  ^ insta la condotta corrispondente al limite dellV vn-  ! azione, lo Spencer riconosce, esplicitamente o im¬  plicitamente, alla forma di vita individuale e so¬  ciale che segna quel limite, valore di fine morale.   Ora. lasciando la difficoltà, sulla quale altri ha già zifjf.'w’Ui  insistito, che uno s tato concepito come il risultato  necessario dell’evoluzione naturale possa aver va¬  lore di fine liberamente e deliberatamente voluto  e proseguito? difficoltà che non mi pare insupera- '  bile (1), io credo che questa identificazion e presenta He   due difetti capitali : essa non vale, per se, a for-      O' La difficoltà nasce dal modo di intendere la possibilità e la  necessità. — Affermare la possibilità die si produca un fatto, non  è altro che riconoscere o ammettere la presenza reale dei fattori,  l’azione dei quali, qumido non incontrasse ostacoli, produrrebbe,  secondo i rapporti causali noti, cioè necessariamente, quel fatto.  Ora lo stesso effetto che può apparire necessario in quanto si am¬  mette la reale e adeguata efficacia di tutti i fattori da cui dipende, '  può essere proposto come fine quando tra i detti fattori entri l'azione  MI'uomo, cioè quando la « necessità . dell’effetto sia condizionata  dalla presenza e dalla efficacia di certe idee, sentimenti, aspira¬  zioni : cioè in una parola dalla presenza e dalla efficacia adeguata  del desiderio ili quell' effetto. In questo caso non è escluso che l’ef¬  fetto m questione possa aver valore di fine, anzi è incluso elio  1’ abbia ; perchè la « necessità » dell’effetto è subordinata appunto  al valore che gli si riconosca di fine, e al dispiegarsi, nell’ azione  corrispondente, della volontà di raggiungerlo.   Che questa interpretazione sia compatibile coi principii dell’evo¬  luzionismo Spenceriano è questione che, come si vedrà, rimane  estranea all’ intento di questo studio, e che i più risolvono nega¬  tivamente (cfr., tra gli altri, L. Zeccante : La dottrina della co-                  — 74 —    ni re un criterio per la derivazione delle norme  morali (nella realtà, come si vedrà più innanzi, il  tipo ideale è determinato dallo Spencer sopra un  altro fondamento); e non è sufficiente come prin¬  cipio di giustificazione. Cominciamo dal primo.   Il concetto di evoluzione, come quello di tempo,  del quale esso è, in fondo, nuli’altro che la tra¬  duzione in termini di causalità naturale, esclude  l’idea di limite, inteso almeno come termine fisso,  oltre il quale ogni processo di trasformazione, cioè  di causazione, si arresti. Il processo stesso di dis¬  soluzione che, secondo il pensiero dello Spencer, si  alterna a periodi indefinitamente grandi con quello  di evoluzione, non segna il termine di un periodo  e l’inizio d’ uno nuovo se non dal punto di vista   scienza movale nello Spencer Cap. XXXI, p. 194; e G. V ijiaki :  Rosmini e Spencer p. 209 e seg. Di queste, come di tutte le ob¬  biezioni mosse all' Etica dello Spencer, a cominciare dal Guyau e  dal Sidgwick fino ai critici più recenti, tratta con grande larghezza  e ricchezza di notizie il Dr. G. Salvadori nell’opàra « L’Etica Evo¬  luzionista » che è una apologia entusiastica di tutto il sistema  Spencer iano).   Colgo questa occasione per dichiarare che ho dovuto astenermi  da ogni richiamo sia delle obbiezioni e discussioni di questi, come  di altri critici valorosi (tra i quali sia ricordato a titolo d’ onore  il compianto Icilio Vanni), sia delle varie opinioni che si connet¬  tono colle questioni generali toccate, per due ragioni : in primo  luogo perchè il punto di vista dal quale è qui considerata la dot¬  trina delle due Etiche è diverso, e diversa la via seguita ; in se¬  condo luogo perchè se avessi voluto per ogni questione toccata di¬  scutere le diverse opinioni, avrei dovuto fare, a commento di un  breve scritto, tutta, o poco meno, la storia della morale.      — 75 —    di una valutazione umana o teologica. In realtà il  cammino non si arresta per tracciar di segni che  l’uomo faccia sulla via della natura. Nè, del resto,  quando lo Spencer parla di limite dell’ evoluzione  della vita umana, intende di significare il momento  in cui la vita si arresta o si spegno, ma quello   in cui la vita raggiunge il massimo svolgimento.   Senonchò questo massimo svolgimento non può es¬  sere. necessariamente, che relativo a forme date e  conosciute o comunque determinate di vita, cioè  di organi, di funzioni, e di attività ; e, anche in¬  teso cosi, non può venir stabilito se non fissando   un grado che si consideri come massimo; cioè, in¬  somma, segnando nel processo (non importa ora  con quale criterio) un momento , che sia punto di  arrivo di una serie (della quale sia rappresentato  da punto di vista teleologico come fine), ma che  potrebbe essere preso, con un criterio diverso,  come punto di partenza di una serie ulteriore.  È sufficiente a segnare questo momento il criterio  dell’adattamento completo ai tre ordini di fini:  della vita individuale, della vita della specie e della  vita sociale?   2. — È subito chiaro che questo adattamento  completo non può bastare esso stesso, se non si  determina quali siano le sfere di attività e di fini,  l’adattamento ai quali serve di criterio per stabi¬  lire se il limite è raggiunto. Perchè se si intende    per adattamento completo un adattamento definitivo  a tutti i fini di tutti e tre gli ordini, termine fìsso  e insuperabile al quale si arresti, e oltre il quale  non sorgano nuove aspirazioni e nuovi fini, noi  non potremmo argomentare nò che un tale limite  sia per essere raggiunto mai, nò, (ciò clic qui im¬  porta di più) dato che si raggiunga, quale sia il  grado o la forma di vita, che un tale adattamento  sia per fissare e suggellare come definitivo.   Perchè i fini sono, come ognuno sa, correlativi  ai desideri o ai bisogni. Ora a mano a mano che  le forme di attività si moltiplicano c si differen¬  ziano, si moltiplicano i bisogni e quindi i fini; nò  si può nò induttivamente, nè deduttivamente de¬  terminare a qual punto questo processo possa o  debba arrestarsi. Pcrchò, pur non uscendo dalla  tesi evoluzionista, ogni adattamento implica dimi¬  nuzione di sforzo e quindi, ceteris paribus, avanzo  di energia; la quale appunto perciò si viene di¬  spiegando in nuoA r e forme di attività, c quindi nella  ricerca di nuovi fini. Anzi il sorgere di ogni forma  più complessa di attività, — ad esempio ogni fun¬  zione più elevata — presuppone normalmente l’a¬  dattamento già avvenuto delle attività meno com¬  plesse e relativamente elementari, — funzioni più  semplici — di cui essa ò una nuova ordinazione.  Onde per questo rispetto l’adattamento a certi fini,  ò parallelo all’ insorgere di fini nuovi indefinita-        mente. Oltredichè il processo stesso del conoscere  portando a scoprire sempre nuovi rapporti di cose  e di fatti, viene continuamente riversando la desi¬  derabilità dei beni conosciuti su nuovi oggetti che  acquistano valore di utilità, c moltiplica così i beni,  cioè i desideri e i bisogni; o trova nel mutare delle  condizioni esterne nuovi modi di soddisfare ai bi¬  sogni già esistenti ailìnandoli ed elevandoli; o apre  la via a nuove aspirazioni, alle quali la soddisfa¬  zione già assicurata dei vecchi bisogni, permette  che si rivolgano gli sforzi e l’opere. Cosi ogni adat¬  tamento raggiunto è condizione e stimolo a nuove  forme di attività al modo stesso che ogni cono¬  scenza acquistata fa sorgere nuovi problemi, e na¬  scere « a guisa di rampollo, appiè del vero il dub¬  bio ».   Si dirà che lo Spencer intende l’adattamento  completo nel senso di mutuo adattamento dei tre  ordini di lini fra di loro; intende cioè la concilia¬  zione c 1 accordo tra le esigenze della vita indivi¬  duale quelle della vita della specie e quelle della  vita sociale.   Ma lasciando di notare che la difficoltà sopra  notata risorge a proposito di questa conciliazione  perfetta, si presenta la domanda: A quali patti si  fa questa conciliazione ?   Perchè se è vero, come lo Spencer ha cura di  ripeter spesso, che nelle condizioni presenti di esi-       — 78 —    stenza i fini di un ordine non possono essere pro¬  se-miti c raggiunti senza sacrificio almeno parziale  dei fini di un altro ordine, bisogna evidentemente  perchè la conciliazione si faccia, che intervenga una  cessazione, o una modificazione o una sostituzione  nei fini o di uno o di due o di tutti tre gli ordini  considerati ; ossia una modificazione nei bisogni e  nelle esigenze dell’individuo, o della specie, o della  società. Supponiamo ora per semplicità di discorso  che i fini individuali e i fini della specie si possano  considerare fin dal presente conciliati; o, per usare  i termini dall’economia pura, che si possa assu¬  mere 1’ egoismo di specie come comprendente m se  l’egoismo individuale (il che è in gran parte con¬  forme alle vedute stesse dello Spencer); la conci¬  liazione resterebbe da farsi tra i fini della vita  individuale e i fini della vita sociale.   E allora il problema è il seguente: Nello stato  di conciliazione contemplato, fino a qual punto sono  i bisogni e i fini individuali da noi conosciuti  o immaginati che avranno mutato di specie, di  estensione, di intensità, per adattamento alle esi¬  genze sociali, e fino a qual punto si troveranno  invece modificate le esigenze sociali per adatta¬  mento ai fini della vita individuale? E manifesto  che per conoscere in che cosa la conciliazione sia  per consistere bisogna o che sia definita la sfera  delle esigenze individuali, in corrispondenza colla      aliale si possa determinare la sfera delle „  sociali che con quelle si accordi; o sia definii  sfera delle esigenze sociali per una determinazione  tersa; o finalmente siano definite certe corni z on  (qualunque sia il modo tenuto per assegnarle) 1  H vacano, esse, a determinare ad un tempo ,   limiti «Ielle une e delle altro.   :ì _ Queste condizioni lo Spencer ricava dalle   esigenze del “r ■» ™<ità induetnale !«<*<»'   cui si suppone realizzato il puro «gnu» ' u ?»   tratto sotlo la leggo dell'uguale liberta ; e> 4“““*  il limite dell'evoluzione è in realtà ,1 ^   della società industriale del suo temp ,  tamento completo consist co¬   struttiva biologica e psicologica 1  nenti la società umana a questo tipo d, convivenza  e di cooperazione (I). Per conseguenza non è un   (1) qua.» riatto «no «i *“   Spencer che qui il Etta , (cio4 quando que-   biella II. n edizione dei ‘ de i System of   et’ opera fu ^pubblicata come   Synth. Phil.) si trova aggiun e cbe eva stato   lo stesso titolo « Conciliarne • pubbliC azione, fu   dettato prima; ma, smarrì o poi Qra in quel ca pitolo gei-   sostituito da quello che figura ne . . ident ifi c hiuo   provare la possibilità che le attività ^«isMche ^   colle egoistiche, si citano gli mse 1 s ’ nism i di-   «e—. - * “           - 80 —    certo tipo di vita completa che serve a determi¬  nare il tipo ideale della società giusta, ma è il tipo  considerato come ideale di società giusta che de¬  termina la vita completa. Adunque, poiché la con¬  ciliazione dei diversi ordini di fini è subordinata  all’ attuarsi delle condizioni che definiscono il tipo  ideale di società ed è relativa a queste, è il tipo  ideale di società clic in edotto è assunto come fine,  e sono le condizioni proprie di quel tipo che ser¬  vono a determinare le norme.    benessere individuale non maggiore di quello che è necessario alla  conservazione della vita individuale ; ed esser possibile il formarsi  negli individui di una organizzazione tale che la ricerca delle sod¬  disfazioni che la natura loro richiede, porti ad esercitare quelle at¬  tività che il benessere della comunità richiede. (Voi. cit. p. 300-302).  Si noti che, aggiungendo in appendice il capitolo che contiene questo  passo, lo Spencer non fa riserve di nessun genere, anzi dice espli¬  citamente che esso può servire a chiarire e compiere il pensiero  espresso nel testo (ih. p. 2S9).   Un altro luogo in cui è ribadito in forma diversa, ma non meno  recisa, lo stesso concetto fondamentale, si trova nella seconda let¬  tera di risposta alle critiche del Rev. J. L. Davies sull’ obbliga¬  zione morale, pubblicata col resto della polemica nella- Appendice  C. alla Giustizia : « Lasciatemi ripetere qui una verità sulla quale  ho altrove insistito : che appunto come il cibo è giustamente preso  quando è preso per soddisfare la fame, mentre il doverlo prendere  quando manca l’appetito implica uno stato fisico disordinato ; cosi  una buona azione o un atto di dovere è fatto giustamente soltanto  se è fatto per soddisfare, un sentimento immediato ; mentre se è  fatto per la considerazione di certi risultati finali in questo o in  un altro mondo, implica uno stato morale « imperfetto » — (A. Si-  stem ecc. Voi. X. App. C. « The Moral Motive p. 450. — Nella  trad. it. della Giustizia edita dal Lapi questa appendice è omessa).     — 81    Ma se così è, quanto alla determinazione delle  nolane il postulato dell’adattamento completo, posto  clic si possa assumose, non serve a nulla; equivale  semplicemente a supporre clic tutti gli individui i  quali compongono la società ideale abbiano una na¬  tura così latta, che l’osservanza della condotta cor¬  rispondente costituisca per essi un bisogno o un  desiderio superiore a ogni altro, senza possibilità  di conflitto con altri bisogni o desideri; cioè, tiene  nella costruzione etica lo stesso posto che nei si¬  stemi morali è comunemente tenuto dal dovere , e  nelle scienze precettive in genere dalla supposizione  che esista un desiderio o un bisogno specifico cor¬  rispondente al fine da cui si ricavano le norme.   E quindi allo stesso modo che l’esistenza e la  natura specifica dei motivi da cui può dipendere  l’osservanza di una norma, non hanno che fare  colla determinazione teorica di essa, così l’ipotesi  dell’ adattamento completo dei bisogni e desideri  individuali a certe condizioni di convivenza e coo¬  perazione sociale, non ha che fare colla determi¬  nazione di queste norme. Perchè le norme sono ri¬  cavate appunto da quelle condizioni, alle quali si  suppone avvenuto l’adattamento; e che perciò ser¬  vono esse di critetio e per determinare le norme  e per conoscere se l’adattamento è raggiunto.    — 82 —    Uljh&MJ?   Jabot*    Gap. VII. — Il criterio del piacere puro, corrispon¬  dente all’ adattamento completo, n on ser re a  giustificare il tipo di condotta proposto.   ì. — Ma perchè assume lo Spencer come pro¬  prio della Società ideale un adattamento completo,  che, mentre esclude arbitrariamente ogni evolu¬  zione ulteriore, non serve a definire questa Società  ideale perchè è definito esso stesso in relazione con  quella ?   Perchè soltanto quando esso sia raggiunto, la  condotta umana in tutta la sua estensione apporta  a sè e agli altri nel presente c nel futuro puro pia¬  cere, piacere non misto a dolore di sorta ; e per  I l o Spencer, come s’è visto, il giusto assoluto e sclude  • il dolore . E perciò il tipo ideale contemplato dal-  1’ Etica Assoluta non può essere se non quello nel  quale la condotta apporta puro piacere.   L’ adattamento completo darebbe dunque al tipo  ideale di convivenza e cooperazione sociale quel  carattere di universale e preminente desiderabilità,  che deve avere il fine assunto dall’Etica. Lo dà  veramente ?   Benché a prima vista possa parere strano il  dubbio e inutile la discussione, bisogna riconoscere  che un tipo di esistenza individuale e sociale nel  quale tutta quanta la condotta in tutta la sua esten¬  sione porti sempre e soltanto piacere, non è, date      le leggi psisologiche conosciute, e non può essere,  un fine.universalmente desiderabile sopra ogni  altro.   Lascio di discutere se, supposta una condotta,  diciamo così per brevità, totalmente piacevole, il  piacere stesso non verrebbe a sparire, come stato  di coscienza distinto, per mancanza di quel con¬  trasto e di quell’ alternanza fra gli stati psichici  (così bene illustrata tra gli altri dall’ Hòffding),  senza della quale anche i godimenti più forti il¬  languidiscono e vaniscono nella ripetizione abituale;  e di considerare se la forma di vita corrispondente  non riuscirebbe a sopprimere in ultimo anche ogni  forma di coscienza riflessiva e di deliberazione vo¬  lontaria, cioè l’intelligenza stessa e la volontà, al¬  meno nelle loro forme più elevate riducendo la  vita a una sorta di automatismo istintivo, al quale  corrisponderebbe la fissazione stereotipa di modelli  d’ uomini meccanizza ti. Certo, se si bada clic l’at¬  tenzione attiva è sempre, in grado maggiore o mi¬  nore, sforzo, e clic lo sforzo è alimentato princi¬  palmente, se non unicamente, dal dolore e non dal  piacere, bisogna riconoscere che la capacità dello  sforzo e l’esercizio dell’ attenzione tenderebbero a  svanire collo sparir del dolore; e il vigore dell’in¬  telligenza si affievolirebbe; come già si può osser¬  vare in quelle persone sfaccendate e sonnolente, le  quali abbiano in pronto senza alcuna fatica o cura      — 84    tutto quel che desiderano, e non sentano l’aculeo  di altri bisogni, e di aspirazioni diverse.   E lo stesso discorso sarebbe da ripetere a maggior  ragione per la volontà.   Certamente le leggi psicologiche conosciute ten¬  dono ad escludere, per le ragioni accennate sopra a  proposito dell’adattamento completo, che un tale  stato possa avverarsi ; ma, dato che potesse attuarsi,  non ci sarebbe nessuna ragione per negare, in  forza delle medesime leggi, l’eventualità se non  della soppressione, di un oscuramento progressivo  delle facoltà psichiche più elevate. E allora si  presenta subito la questione, se, ammessa pure  soltanto la possibilità che a un tale stato si accom¬  pagnasse questo effetto, potrebbe una forma di  esistenza siffatta apparire desiderabile sopra ogni  altra.   5. — Si potrebbe dire: Che importa l’oscura¬  mento e anche la soppressione dell’ intelligenza e  della volontà, purché sparisca il dolore? E quando  non vi siano altri bisogni e altri desideri che  quelli appunto che trovano già una soddisfazione  adeguata, ossia, quindi, non ci sia più nemmeno  la possibilità di rappresentarsi bisogni e beni di¬  versi, non è una tal vita nel suo genere beata ;  anzi la sola beata perché é esclusa la capacità di  provare altri bisogni ?   Ora che un tale stato possa, anzi debba apparire    — 85 —    il più desiderabile quando si supponga l’adattamento  già raggiunto, è fuori di contestazione; ma qui  si tratta di vedere se un tale stato possa essere  preferibile per chi ne ò fuori, e dovrebbe proporsi  come scopo di raggiungerlo. Se, cioè, a chi esercita  certe forme di attività possa parere desiderabile  sopra ogni altro un tipo di vita, nel quale per  avventura quelle attività fossero oscurate o sop¬  presse. In questo caso possono valere l’osservazione  notissima del Mill e la ragione colla quale la con¬  forta ; che, certo, non avrebbero valore nel primo  caso (1).   Ma anche lasciando questo aspetto della que¬  stione, non bisogna dimenticare che appunto perchè  il piacere puro è il correlato subiettivo dell’ adat¬  tamento completo, la medesima condizione di una  condotta totalmente piacevole, — per le ragioni  dette a proposito dell’indeterminatezza nel numero  e nella specie dei (ini, rispetto ai quali l’adattamento    (1) « È meglio essere un nomo i nfelice che un jjj^o.ap,ddi.sfotto :  è meglio essere So crate malcontento che un imbecille beato ». Ora  la ragione addotta dal Mill vale per l’uomo, ma non per l’animale,  e l’Hoffding non ha torto di spendere, come egli dice graziosa-  munte, (i nalch e parola hi difesa del porco e dell’ imbecille. E nota  infatti che un uomo il (piale abbia ottenuto la soddisfazione in¬  tera dei suoi desideri, non ha nessuna ragione di paragonare il  suo stato con quello di altri uomini. Senonchè riconosce poi che  la conoscenza di gradi più elevati farebbe nascere anche nell’uomo  felice il « desiderio ardente di giungervi » che è appunto ciò che  <pii importa. (Hoffding - Morale, VII. 3 tr. fr. p. 116-119).         — 8(i —    potrebbe essere raggiunto — può concepirsi attuata  non in una sola ma in più forme di vita fra di  loro diverse ; e resterebbe sempre da trovare un  criterio comparativo della desiderabilità, o da am¬  mettere che tutti i tipi di vita, per i quali si  concepisce possibile una conciliazione fra i tre ordini  di fini (anche se la conciliazione fosse ottenuta  allo stesso modo che nelle società animali, cfr. la  nota qui sopra a pag. 79), siano ugualmente desi¬  derabili. Il che importerebbe la legittimazione a  pari titolo di forme di condotta fra di loro diverse  e anche opposte; e si dovrebbe ricavare daltronde  che dal piacere puro il fondamento della legitti¬  mazione.   E qui tocchiamo un argomento il quale si al¬  larga fuori del campo particolare della dottrina  dello Spencer e riguarda nello stesso tempo una  questione più generale: la natura del fine.   6. — Siccome il carattere che si richiede nel  fine assunto a giustificare le norme morali è, come  s’è ripetutamente detto, quello della universale e  preminente desiderabilità sopra ogni altro, si pensa  che esso debba essere il fine dei fini, il fine ultimo  e supremo ; uno stato definitivo , oltre il quale, e  al di là, non ci sia più nulla da desiderare e da  cercare. E allora non resta che questa alternativa :  o si cerca un fine il quale contenga e comprenda  in sò tutti i fini ; e prendono forma i fantasmi di         — 87 —    felicità, di beatitudine, di perfezione, noi quali si fd"-'.-  figurano definitivamente appagati tutti i desideri,  e scomparsi o sommersi quelli che non vi trovano  appagamento ; oppure si considera come fine la  forma colla quale si presenta alla coscienza la  soddisfazione di qualsiasi desiderio; cioè il piacere  o la liberazione dal dolore.   Ma tanto 1’ una quanto l’altra delle soluzioni  non sono che apparenti, o si risolvono in una vana  tautologia. Porre come fine la felicità senza deter¬  minare quale sia o in che consista la felicità di  cui si discorre, è certamente un modo per conciliare  verbalmente tutte le differenze di opinioni e supe¬  rare tutte le difficoltà; ma nella realtà non le  concilia e non le supera, più di quel che valgano  a togliere le diversità di opinioni politiche e a  raccogliere i partiti ad unità di intenti certi « or¬  dini del giorno » in cui si afferma all’ unanimità  essere fine supremo per tutti il « bene della patria »  o la « prosperità della nazione » o altre formule  somiglianti.   E se si determina in che si faccia consistere la  felicità, quali siano i fini che si comprendono nel  fine unico chiamato con questo nome, allora delle  due l’una : o i diversi fini così compendiati e com¬  presi nel fine unico, sono veramente unificati, e,  perchè ciò sia. occorre che essi possano ridursi ad  uno; e quindi diesi possa dimostrare che uno fra    essi è causa o condizione degli altri, o che tutti  dipendono da una medesima condizione o ordine di  condizioni ; e in questo caso la felicità è caratte¬  rizzata o da quel fine o dal conseguimento di  questa condizione, che diventa esso fine, perchè su  esso si riversa la desiderabilità di tutti ; e il ter¬  mine felicità non è che.un duplicato di quel certo  fine o di questa condizione. Oppure i diversi fini  non sono clic sommati insieme, e giustaposti l’uno  all’altro, rimanendo in realtà distinti e senza che  si veda la necessità della loro connessione; e allora  1’ unità non è che verbale, e in realtà invece di  un fine, si hanno più fini, ciascuno nel suo genere  supremo.   Si dirà che si dà alla felicità non il senso di  un certo contenuto determinato che la costituisca,  ma il senso di appagamento dei desideri, di soddi¬  sfazione dei bisogni, senza clic si definisca quali  ne siano per essere il numero e le specie; nel qual  senso si può affermare che la felicità rimane sempre  il fine ultimo pur restandone indeterminato il  contenuto ? E si riesce allora alla seconda alterna¬  tiva, di considerare come fine ciò che si ammette  esservi di comune e di costante nel raggiungimento  di qualsiasi fine; cioè, come s’è detto, la forma  sotto la quale si presenta la soddisfazione di qua¬  lunque desiderio : il piacere o la liberazione dal  dolore. Ma dire che il fine ultimo è il piacere è       — 89 —   come dire che il line ultimo è il godimento che  accompagna il raggiungimento del fine o dei fini,  o che lo scopo dei desideri è.... la soddisfazione dei  desideri. E allora si vede perchè il puro piacere  non possa dare un criterio di legittimazione e di  valutazione comparativa dei fini e quindi delle  forme di condotta. Perchè o si prende come criterio  la quantità del piacere, la intensità della soddisfa¬  zione, senza badare alla natura del desiderio a cui  corrisponde, e non è possibile assegnare un solo  desiderio che abbia lo stesso valore, nonché per  due coscienze diverse, neppure per la stessa coscienza  in momenti diversi. 0 si valuta la soddisfazione  secondo i desideri cui corrisponde, e allora ciò che  distingue un desiderio dall’altro non è la soddisfa¬  zione ma V oggetto a cui il desiderio si rivolge;  non l’effetto soggettivo gradevole, ma le condizioni  che lo producono, non è il godimento del bene, ma  il bene.   7. — Ora è qui che si nasconde 1’ equivoco :  nell identificare il b ene col piacere ; il fine, cioè  l’ordine di effetti che costituisce l ’oggetto del  desiderio, collo stato soggettivo che è il godimento  (quando ci sia) del fine raggiunto. È bensì vero  che un bene di cui si concepisse che nessuno mai  potesse godere in nessun modo, non avrebbe valore  di bene; ma è non meno vero che un godimento  del quale non si sapesse assegnare nessuna causa   n      o condizione o mezzo atto a produrlo, non potrebbe  mai essere proposto o assunto come scopo di un'at¬  tività qualesivoglia. Ora quando si parla di un  fine desiderabile sopra ogni altro al quale sia or¬  dinata la condotta, non si può intendere che un  bene, il quale sia bensì, direttamente o indiretta¬  mente causa o mezzo o condizione di godimento,  senza di che non sarebbe bene; ma che non può  consistere nel godimento stesso, ma in un certo  effetto o ordine di effetti determinabile e possibile,  che possa costituire l’oggetto di una ricerca attiva,  •cioè di una certa condotta (1).   Senonchè bisogna evitare anche qui lo stesso  e quivoco che conduce a riporre il fine nella feli -   cità o nel piacere ; l’equivoco che questo effetto  o ordine di effetti debba costituire un fine ultimo,  uno stato definitivo, al di là del quale non siano  assegnabili altri fini. Uno stato, o un ordine di  effetti definitivo è contraddittorio non soltanto colle  leggi della vita, per le ragioni già dette, ina col  presupposto stesso fondamentale che si assume di  necessità quando si voglia determinare scientifi¬  camente un sistema di norme. Perchè qualunque   (1) Non altrimenti avviene nel campo speciale dell’economia. E  bensì vero che se non si supponesse la possibilità del consumo,  cioè del godimento dei diversi beni che costituiscono la ricchezza,  questa non avrebbe valore, e non avrebbe senso la produzione ; ma  1’ oggetto a cui si volge 1* attività produttrice e del quale si cer¬  cano le leggi, è la ricchezza, non il consumo.      — 91 —    fine rappresentato come umanamente possibile, ap¬  punto perchè deve essere concepito come un effetto,  che si produce, date certe condizioni, è a sua volta  pensato come condizione di altri effetti, cioè mezzo  ad altri fini. Pensare un effetto naturalmente pos¬  sibile che sia ultimo, è come pensare chiusa e fi¬  nita a un momento dato la serie della causazione,  abolita e spenta in un effetto che sia stato pro¬  dotto ogni efficacia causativa ; e allora vien meno  ogni ragione di pensare come dipendente da certi  mezzi, cioè da certe cause, anche l’effetto stesso  che si considera come fine ultimo; e quindi è tolto  ogni fondamento a qualsivoglia determinazione di  rapporti tra mezzi e fini, e perciò anche a qual¬  siasi determinazione di norme.   Si dirà che si intende « ultimo » rispetto alla  salutazione, cioè talea cui si riconosca valore per sé,  indipendentemente da ogni considerazione ulteriore.  Ma se si ammette che da quel fine, quando sia rag¬  giunto, dipendono altri effetti, nell'atto stesso che  lo si pensa condizione di tali effetti ulteriori, la  valutazione di questi (che non può essere esclusa)  •muta il valore del fine egli dà nello stesso tempo  valore di mezzo.   8. — Dal che nasce questa conseguenza assai  notevole: che la desiderabilità di un ordine di ef¬  fetti, che si assuma come fine, non viene tanto  dalla desiderabilità che gli si riconosca come bene.       cioè come oggetto diretto e immediato di godimento,  quanto dalla desiderabilità degli effetti, dei quali  esso apparisca la condizione necessaria. E che per¬  ciò, mentre è vano andar cercando quale sia il  fine ultimo, il quale non si trova mai, o si risolve  in una pura espressione verbale, il fine che può  valere come supremo si deve cercare non nell’uno  o nell’altro degli scopi a cui si riconosca valore  per sè, ma in un ordine di effetti, in un sistema di  condizioni, dato che sia assegnabile, nel quale si  possa riconoscere questo carattere appunto di con¬  dizione necessaria, non di alcuni, ma di tutti quei  beni, ai quali si attribuisce valore per sè. E quindi  il fine che può avere universalmente una deside¬  rabilità superiore a ogni altro, non può consistere  se non in un ordine generale e, si potrebbe dire,  preliminare di condizioni, la cui attuazione appa¬  risca necessaria perchè sia possibile universalmente  la ricerca ulteriore di quei beni. Non può essere cioè  supremo nel senso di una gerarchia, della qiiale  segni il culmine, nè nel senso di una grandezza  o quantità, di cui sia il massimo, ma nel senso  della precedenza necessaria o della indispensebilità;  per la quale venga a raccogliersi su di esso come  in un unico foco la luce e il calore di desiderabi¬  lità che irraggia dai fini ai quali apre universal¬  mente la via.   E perciò, ammesso che qualsivoglia fine umano     — 93 —    abbia, come ha in realtà, per condizione la convi¬  venza e la cooperazione sociale, il line che può  avere questo valore di precedenza necessaria sugli  altri deve essere di necessità il raggiungimento o  il mantenimento di certe condizioni ili convivenza  e di cooperazione sociale, cioè di una qualche  forma di società. Ma perchè ad una forma di so¬  cietà possa essere riconosciuto questo carattere uni¬  versalmente, occorre che le condizioni della sua  esistenza abbiano per tutti un valore potenzial¬  mente uguale : ossia che nessuno dei fini, dei quali  quella forma di cooperazione pone la possibilità e  dai quali attinge il suo valore, sia, per dato e fatto  delle esigenze di essa forma, precluso o impedito  a nessuno dei componenti la società. 0, in altri  termini, sia qualsivoglia il fine che si suppone  cercato, ciascuno trovi nelle condizioni proprie di  quella forma sociale la medesima esteriore possibi-  bilità di rivolgere a quella ricerca l’attività pro¬  pria. che vi trova qualsiasi altro (1).   L’analisi ci ha dunque portato a queste con¬  clusioni : a riconoscere che il limite dell’evoluzione,  1’ adattamento completo, la massima felicità, nè for-    (1) Il che non implica, occorre appena avvertirlo, una ugua¬  glianza nei risultati ottenuti, o come si dice inesattamente, una  « uguale distribuzione di felicità » la quale supporrebbe, insieme  colla condizione notata, anche una uguaglianza di attitudini, di at¬  tività e di preferenze.      — 94 —    nisce un criterio ili determinazione delle norme,  nò basta come principio di giustificazione; a rico¬  noscere la legittimità del concetto, clic bisogna  assumere come fine un tipo ideale di società ; e a  stabilire le esigenze fondamentali, alle quali questo  tipo deve soddisfare.   Ed ora è facile vedere per quali ragioni i l tipo  sul quale in realtà lo Spencer ha modellato la sua  società giusta non soddisfaccia a queste esigenze.   Gap. Vili. — Il tipo di società giusta dello Spencer .    i). — In un articolo di risposta ad alcune cri¬  tiche mosse ai « Dati dell’ Etica » lo Spencer po¬  lemizzando col prof. Means così si esprimeva a  proposito del modo di intendere la giustizia: << A  molti sembra ingiusto che la dura fatica di un bi-  folcogli faccia guadagnare in una settimana meno  di quanto un medico guadagna facilmente in un  quarto d’ora. Molti sostengono essere ingiusto che  i figli del povero non possano avere i vantaggi del  l’educazione che hanno i figli del ricco. Ma quest e  defi cenze nelle quote di felicità che alcuni ritrag¬  gono dalla cooperazione, sicc ome clerivano da ere¬  ditata inferiorità di natura, o da inferiorità di  c oMizioniMn cui i loro antenati inferiori sono c a- ^ ~ ^  cinti, sono deficienze colle quali la giustizia, come io  la intendo, non ha nulla che fare. L’ingiustizia che               — 95 —     trasmette alla discendenza malattie c deformità,  l’ingiustizia che infligge alla prole le conseguenze  penose delle stupidità e della cattiva condotta dei  genitori, la ingiustizia che costringe quelli che  ereditano delle inc apac ità, a lottare colle difficoltà  clic ne derivano, l’ ingiustizia che lascia in relativa  p overtà la gran maggioranza, le cui facoltà,.di or -  < 1 i ne inferiore, apportano ad essi scarsi profitti, 6  una specie di ingiustizia estranea alla mia tesi ».   il i cose stab ilii'-, quantunque in forza di esso, una '  inferiorità della quale l’individuo non ha colpa  produca i suoi mali, e una superiorità della quale  egli non può vantare nessun merito, apporti i suoi  benefìzi; e dobbiamo accettare, come possiamo,  tutte quelle disuguaglianze che ne deri vftrm     vantaggi che i cittadini si procacciane    rispettive attività » (1).   Ho citato questo passo, non perchè gli stessi con¬  cetti qui espressi non siano, esplicitamente o impli¬  citamente, sostenuti in tutta quanta la sociologia e  la morale dello Spencer, ma perchè forse in nessun  altro luogo appare piu manifesto il presupposto che  vizia la sua concezione della società ideale. Assu¬  mendo come elemento del concetto di giustizia —  accanto a quello dell’ uguale libertà — la condi¬  li) Replie to Criticism on « The Data of Etihcs » in Mitid  Jan. 1881 p. 93.                 zionc ricavata dalla biologia, che la vita progre¬  disce c si eleva soltanto a patto che gli individui  superiori godano i vantaggi della loro superiorità  e gli inferiori subiscano i danni della loro inferio¬  rità, egli identifica la inferiorità fisiologica e psi¬  chica colla inferiorità sociale; la inferiorità obesi  potrebbe chiamare nativa o costituzionale colla in¬  feriorità clic si potrebbe dire di posizione.   Ora, che un uomo debole non possa vincere le  medesime resistenze che uno forte, che un bambino  poco intelligente impari meno e peggio di un in¬  telligente, è naturale e necessario; ma non si può  dire che sia giusto nè ingiusto. Che i figli eredi¬  tino F ingegno o l’ottusità, la sensibilità o l’in¬  sensibilità, il vigore o l’infermità dei genitori, e  che i primi godano i vantaggi e i secondi sop¬  portino i danni che sono conseguenza rispettiva¬  mente di questa loro soperiorità o inferiorità ere¬  ditata, sarà del pari biologicamente necessario, ma  non è ancora nè giusto nè ingiusto; diventa bensì  giusto o ingiusto rispettare o violare questa rela¬  zione naturale, soltanto se si considera questa re¬  lazione come condizione di una elevazione pro¬  gressiva delle specie che sia assunta come effetto  universalmente desiderabile, cioè come fine.   Ma che i figli del contadino non abbiano la pos¬  sibilità di venire istruiti o educati, non dipende  dalla costituzione fìsica e mentale loro propria, ere-    — 97 —    ditata o no, ma dipende da una inferiorità sociale,  la quale toglierebbe ad essi questa possibilità anche  se la loro costituzione fisica e mentale Cosse attis¬  sima a questa coltura. Ora, mentre l’analogia della  selezione biologica importerebbe che i figli del con¬  tadino al pari di quelli del lord potessero porsi  allo stesso cimento, salvo a ricavare dalle loro ri¬  spettive capacità e sforzi frutti maggiori o minori,  la diversità delle condizioni sociali esclude gli uni  dalla gara c toglie non solo la necessita ma la pos¬  sibilità clic l’opera di selezione si rinnovi tra i  superstiti di ogni nuova generazione sull’unico fon¬  damento delle loro rispettive attitudini e attività.  Sul che non è necessario insistere dopo le cri¬  tiche note e ripetute ; ma valga l’accenno per ri¬  levare che a torto lo Spencer identifica colla infe¬  riorità biologica, o meglio, costituzionale, l’infe¬  riorità clic deriva dalle condizioni sociali, e crede  che possa valere a giustificare le conseguenze della  seconda, lo stesso fine che invoca a giustificare le  conseguenze della prima. Perchè la limitazione alla  sfera dei beni conseguibili che è imposta da con¬  dizioni esteriori è cosa affatto diversa dalla limi¬  tazione clic nasce dalla capacità e dalle doti in¬  trinseche; e se questa è giusta, posto che si prenda  per fine superiore a ogni altro V elevazione della  specie (e dato che ne sia condizione), quella è giusta  soltanto se si considera come fine superiore quella      certa forma ili cooperazione sociale che la rende  necessaria. Anzi quella limitazione d* origine so¬  ciale che si ponga come giusta per quest’ ultimo  rispetto, appare ingiusta per l’altro. E l’ammettere  che sia giusta la condizione « che ciascuno sopporti  i danni della sua inferiorità e goda i vantaggi  della sua superiorità » non include, ma piuttosto  esclude 1 altra condizione, a torto dallo Spencer  compresa o conglobata con quella ; che ciascuno  sopporti i danni o goda i vantaggi che sono con¬  seguenza di una inferiorità o di una superiorità,  la quale risulta non dalle sue doti fisiche e men¬  tali, ma dalla assenza o dalla presenza di certe cir¬  costanze esteriori.   E in verità sarebbe da meravigliare che lo  Spencer non abbia rilevato la differenza, o non ne  abbia tenuto conto, se non si ricordasse che il  punto di partenza, il foco centrale da cui muove  e attorno a cui si raccoglie la sua speculazione, è,  come s’ò detto in principio, un ideale etico, anzi  propriamente sociale e politico; onde l’intento prin¬  cipale diventa quello di trovare la giustificazione  del suo ideale nelle leggi della vita, e per esse  nelle leggi stesse dell’ universo.   l ( h Ora il suo ideale sociale e politico è in  sostanza quello stesso del liberalismo, in cui crebbe  e si maturò il suo pensiero, che era già compiuto  e definito nelle sue parti quando uscì il « Pro-         — 99    spectus » (1800); e perciò nel costruire la sua « So¬  cietà di uomini giusti », per quel che si attiene  alla struttura sociale, egli non fa che supporre rea¬  lizzati i desiderati teorici, o già riconosciuti espres¬  samente, o ricavati logicamente dai postulati eco-  n omici e politici di quel liberalismo . 11 quale era  bensì arditamente coerente nella affermazione dei  principi e dei corollari riassunti nella formula della  giustizia (la uguale libertà per tutti), ma conside¬  rava o come anteriori ed estranee a questa legge,  o come naturali ad un tempo e conformi ad essa,  le dive rsità storicamente date di condizione econ o-  mica degli individui e delle classi socia li. Onde lo  Spencer non tenne conto della disuguaglianza ef¬  fettiva, che nell’ esercizio di quella libertà, formal¬  mente uguale per tutti, porta 1’ esistenza di quella  diversità, che egli credeva giustificata dalle leggi  biologiche . 1 frinii* •   Ne segue che mentre nella sua società ideale  egli costruisce l’individuo giusto facendo astrazione  da tutto ciò che nei fini individuali vi può essere  di incompatibile non solo colla cooperazione, ma  anche colla simpatia ; n el costruire invece la so -  cietà giusta fa ben s ì astrazione da ogni forma di  aggre ssione esterna e interna che si esercit i, dato  « lo stato di cose stabilito », ma non fa astrazione  da quelle con dizioni che importano una reale li¬  mitazione diversa nella sfera delle attività é dei                            100 —    fini conseguibili dei singoli ; e però la sua non è  una società giusto, ma una società di uomini giusti ;  giusti, dirci, secondimi quid; la cui giustizia, cioè,  è modellata sulle esigenze di una certa struttura  sociale, nel configurare la quale egli non tien conto  di quelle condizioni che pur suppone soddisfatte nel  formare il tipo dell’ uomo giusto.   E cosi si avvera qui una i n eoe ronz a del genere  che si ò accennato più sopra (IV, 8): che le norme  della sua giustizia siano applicate a regolare delle  relazioni derivate, le quali esistono e sono possibili  in grazia di relazioni primarie e fondamentali, che  le norme non contemplano e che sono la negazione  del criterio applicato in quelle. Perchè mentre sup¬  pone che gli individui seguano nella loro condotta  una perfetta imparzialità subordinando alle esi¬  genze della giustizia o dell’ uguale libertà — fine  prossimamente supremo — tutti gli altri fini ge¬  nerali e particolari, suppone poi, come proprie di  una tale cooperazione di uomini giusti, condizioni  che sono in tutto o in parte la negazione dell’im¬  parzialità, e che non esisterebbero se lo stesso cri¬  terio dell’ imparzialità fosse seguito nel costruire  il tipo della società giusta.   E in questo senso che, accennando incidental¬  mente altrove all’Etica Assoluta dello Spencer, no¬  tavo come un vizio di essa non un eccesso, ma  piuttosto un difetto di astrazione; perchè egli as-       — 101    suine abusivamente come esigenze costanti e uni¬  versali di ogni forma di cooperazionc, e quindi  anche del suo tipo ideale, le condizioni proprie di  un certo momento storico; e pone come dati fon¬  damentali di una cooperazione regolata dalla legge  della uguale limitazione per tutti, delle condizioni  che importano una limitazione disuguale.   Stando così le cose, il raggiungimento o l’ap¬  prossimazione a un tale tipo di società, non può  apparire come fine universalmente preferibile, nè  le norme che esprimono la condotta richiesta da  quel tipo possono avere carattere di universale os-  servabilità sopra ogni altra, E ciò da un doppio  punto di vista.   Agli individui delle classi sociali poste, per ef¬  fetto di quella disuguale limitazione, in condizione  di inferiorità, questa inferiorità che non è conse¬  guenza della propria condotta, deve apparire una  menomazione ingiusta dei diritti; agli individui  delle, classi sociali poste in condizioni di superiorità,  questa superiorità, che parimenti non è conseguenza  della propria condotta, deve apparire, se la coscienza  si elevi a una imparzialità universale e coerente,  una menomazione ingiusta dei doveri,   il. — E nasce di qui quel se greto rancore in  chi riceve, e quel senso indefinito di malcontento e  quasi di rimorso in chi dà, clic avvelenano talvolta  dalle sorgenti la simpatia, oscurando la serenità       — 102 —    della beneficenza, se la accompagni il dubbio che  essa non sia se non un compenso parziale e tardivo  di ingiustizie patite e di ingiustizie godute.   La simpatia non può essere schietta dove non  regna la giustizia (1); e non si possono definire  le forme e i limiti della beneficenza se non dopo  die siano definite, e siano o si suppongano osser¬    vate le norme della giustizia; onde la necessità  logica che il tipo ideale della società giusta sia  determinato all’ infuori da ogni supposta efficacia  modificatrice che la simpatia e la beneficenza eser¬  citino sulle condizioni e sulla condotta dei singoli  e della società. Soltanto così è possibile accertare  se il tipo di cooperazione assunto come ideale possa  essere universalmente desiderabile, e soltanto così  è possibile determinare dove la giustizia finisca e  la beneficenza cominci ; dove finiscano le relazioni  di diritto e dove comincino le relazioni di simpatia.   * ^ _ Ora il tipo di società ideale dello Spencer pre-   i cti'Qlf senta anche questo difetto che deriva inevitabil-  mente dal primo; di supporre realizzate le condi-    yCH&Ue'ìt-   f    zioni della perfetta simpatia in una società nella   (1) Questo si riflette con tutta chiarezza nella pratica quando  si tratta di rapporti semplici e sulla giustizia dei quali non cada  dubbio; poniamo tra due commercianti onesti che abbiano relazioni  d’affari e relazioni di amicizia. Dove gli scambi di cortesie che  sono frutto della simpatia, non mutano di un ette i diritti e gli  obblighi del dare e dell’avere; e se li mutano, oscurano e tingono  d’ altro colore i rapporti di simpatia.          103    quale non sono realizzate le condizioni della giu¬  stizia. La sua società è una società più o meno  ingiusta di uomini perfettamente simpatetici ; dalla  quale egli ricava per un verso le norme della  giustizia, e per l’altro le norme della simpatia;  invece di essere una società giusta di uomini giusti,  quando si tratti di determinare le norme della  giustizia ; e una società giusta di uomini perfetta¬  mente simpatizzanti quando si tratti di determinare  le norme della simpatia e della beneficenza.   Ma anche supposto che per questa guisa la  perfetta simpatia venga a sanare gli effetti delle  inferiorità imposte dalla cooperazione sociale, il  tipo che ne risulta presenterebbe sempre questo  difetto: che la ricerca e il raggiungimento di alcuni  dei fini, ai quali la cooperazione serve, apparirebbe  per una parte dei cooperanti subordinata alla be¬  nevolenza di un’ altra parte. Il qual difetto baste¬  rebbe per togliere, nel giudizio di una coscienza  imparziale, a quel tipo di cooperazione il carattere  di univers ale preferibilità.   12. — Ma il difetto era, come s’ò detto, dato il  presupposto dello Spencer, inevitabile. La simpatia  è pe r lui il m ezzo di conciliazione dell’egoismo  col l’altruismo. M a poiché i limiti rispettivi dell’e-  goismo e dell’altruismo sono segnati dalle esigenze  del suo tipo sociale, la perfetta simpatia è in ultimo  la condizione dell’adattamento psicologico dei sin-              — 104 —    goli a queste esigenze. Ed ò caratteristico a questo  riguardo il latto che il capitolo, nel quale si tratta  dello svolgimento progressivo della simpatia come  l’attore della conciliazione , porta lo stesso titolo e  sostituisce nei « Dati » il capitolo smarrito e ag¬  giunto poi in appendice, che ho citato più sopra  (v. nota a pag. 70), nel quale si cita come esempio  di conciliazione tra l’egoismo e l’altruismo l’adat¬  tamento alle esigenze della vita sociale delle api  e delle formiche. Per questo rispetto direi, se non  sembrasse un paradosso, che il grande assertore e  propugnatore dell’individualismo, è in fondo, senza  che se ne accorga, un difensore della subordinazione  totale e definitiva dell’individuo a un tipo di coo¬  perazione sociale, che egli considera bensì come la  condizione necessaria alla vita più elevata delPin-  dividuo e della specie, ma che in realtà vincola il  grado di elevazione della vita di un gran numero  se non di tutti gli individui, alle esigenze di una  certa struttura economica.   E quando egli combatte l’intervento della società  nel regolare i rapporti economici, in nome dei  diritti dell’individuo, dimentica che una parte con¬  siderevole di quei diritti, sono in realtà diritti di  alcuni soltanto, e non di tutti, c che questa dispa-  0 rità ha la sua radice nella costituzione economica,   che lo Stato, come egli lo vuole, interviene pure  a sancire e a difendere. La quale osservazione,            — 105 —    giova notarlo, non ■vale per sè nè prò nè contro  il cosidetto Socialismo di Stato; vale soltanto a  provare che l’individualismo dello Spencer non è,  come pare, un individualismo universale, ma un  individualismo particolare.   Cosi, i l difetto capitale del tipo di società dello  Spencer come in genere del cosidetto « Stato di  diritto » nasce non da quel che afferma, ma da  quel che dimentica ; non dal riconoscere e difendere  le esigenze della uguale libertà per tutti, ma dal  non riconoscerle tutte; cioè dal trascurare o dal-  1 omettere, come se fossero soddisfatte, mentre non  sono, le condizioni che rendono possibile 1’ uguale  libertà (1).   E, ad esprimerlo in termini kantiani, il difetto  si riduce a questo: Dove vi è cooperazione con  effettiva parità di diritti, ciascuno dei cooperanti  ha ad un tempo riguardo a qualsiasi degli scopi  della cooperazione, per un rispetto ragione di mezzo  e per l’altro ragione di fine. Se invece le esigenze  della cooperazione interdicono a qualsivoglia dei   (1) Nota il Loria che quando si grida contro la concorrenza come  causa di una infinità di mali, si attribuisce alla concorrenza la  produzione di effetti che nascono « dalla mancanza di concorrenza,  cioè dal monopolio. Perchè la concorrenza domina soltanto nel  campo innocente della circolazione, e qui ha una influenza benefica.  Mentre i mali lamentati nascono dalla distribuzione , e sono il ri¬  sultato, anziché della concorrenza che qui non esiste, della mancanza  di concorrenza fra lavoratori e capitalisti ». ( Cost. Ec. odierna  0. 11. 3. 6. ; p. 175, cfr. anche p. 60 e passim).    7           — 100 —    cooperanti la ricerca di una parte dei beni, a cui  ò condizione necessaria la cooperazione di tutti,  per questa parte 1’ escluso ha soltanto ragione di  mezzo, e non ragione di fine.   Il che avviene appunto, malgrado il riconosci¬  mento formale, o meglio, verbale, della uguale  libertà, anche nella società ideale dello Spencer.  La quale perciò non può aver valore di universale  e preminente desiderabilità perchè non soddisfa  alla condizione richiesta : che tutti i sodi trovino  nelle condizioni di esistenza della società la mede¬  sima o equivalente possibilità esteriore di rivolgere  la loro attività alla ricerca di qualsivoglia dei beni,  ai quali la cooperazione sociale è mezzo.   Questo è il postulato caratteristico della univer¬  sale desiderabilità di una forma di convivenza,  ossia è il postulato caratteristico della giustizia;  e supporre una società giusta di uomini giusti  equivale a supporre riconosciuta e applicata uni¬  versalmente e costantemente in qualunque specie  di azione o di influenza che si eserciti, così dalla  società come da ciascuno dei singoli, l’esigenza di  quel postulato.   Gap. IX. — Ufficio e limiti (li una costruzione scien¬  tifica dell’ Etica.   13. — La società giusta così intesa non rappre¬  senta dunque un tipo definitivo della vita più     — 107 —    elevata possibile, analogo ai tanti regni dell’Utopia  che la fantasia morale ò venuta fingendo nei  diversi tempi. Anzi per questo rispetto una mag¬  giore o minore elevatezza, complessità o intensità  di vita, di attività, di fini, non ò affatto implicita  nel postulato nè si può ricavare da esso ; e si può  concepire (e non ne mancano in effetto gli esempi)  una forma di società in cui sia, almeno parzialmente^   l'aggiunto un grado assai elevato di civiltà, la  quale sia tuttavia meno giusta di un’altra più  semplice e meno civile. Appunto perchè la giustizia  riguarda la universale possibilità di cercare i beni,  ai quali è condizione la convivenza e la coopera¬  zione sociale, e non include che questi beni siano  di molte o di poche specie, di maggiore o di minor  pregio.   Onde è pienamente compatibile col postulato  anche la concezione pessimistica della vita ; perchè,  anche dal punto di vista del pessimismo, uno stato  di giustizia, che è la condizione necessaria della  universalità della simpatia e quindi della compas¬  sione, deve apparire preferibile a ogni altro. E se  anche si riguardasse come fine ultimo la negazione  universale della volontà di vivere, lo stato di giu¬  stizia apparirebbe la condizione più favorevole  perchè 1’ uomo prenda coscienza della necessità  naturale c inevitabile della propria infelicità, spo¬  gliandosi dell’illusione che essa sia occasionale e                     — 108 —    contingente, ed effetto di malvagità degli uomini  o di iniquità degli istituti sociali. E questa desi¬  derabilità dello stato di giustizia anche rispetto al  pessimismo è forse una conferma non trascurabile  del valore di universale preferibilità che gli si è  riconosciuto, e a un tempo della sua indipendenza  da ogni particolare concezione metafisica.   Adunque, poiché uno stato di giustizia non è  caratterizzato da altro se non dall’ ipotesi che le  esigenze di quel postulato siano soddisfatte, non  si può nè si deve pretendere di ricavare dal po¬  stulato un contenuto determinato, ma soltanto la  forma generale delle norme. Il contenuto specifico  deve essere ricavato dai fini, ai quali si riconosce  o si suppone che la cooperazione sociale sia o  debba essere mezzo, e in relazione al quali si  possano definire le condizioni richieste dal postulato  della giustizia.   Quali siano questi fini non si può stabilire se  non o per constatazione o per ipotesi. Per consta¬  tazione, quando corrispondano alla osservazione  della realtà psicologica in un dato momento sto¬  rico, ossia in una forma di civiltà. Per ipotesi,  quando si voglia cercare preliminarmente quali sa¬  rebbero le condizioni richieste dalla possibilità di  ciascuno dei fini isolatamente preso o di un gruppo.  (Ed è inutile a questo proposito insistere qui sulla  eventuale opportunità o necessità di ricorrere a        — 109 —   tali ipotesi specialmente nelle ricerche, come questa,  nelle quali non è possibile la sperimentazione).   14. — Ma tanto nell’uno quanto Dell’altro caso  le condizioni che se ne ricavino e che vengano sta¬  bilite come proprie del tipo di società giusta con¬  siderato, presentano questo carattere : che non sono  date, ma costruite, che non sono reali, ma ideali.  Ora, se noi determiniamo quali siano le norme di  condotta corrispondenti a quelle condizioni, queste  norme esprimeranno quale sarebbe il modo di ope¬  rare nella supposizione che esse siano già date e  reali, e non quale sia il modo di operare che tende  a realizzarle, mentre sono date condizioni piu o  meno diverse.   La prima determinazione è oggetto di un’ Etica  Pura : la seconda di un ' Etica Applicata, nella quale  si consideri come fine il raggiungimento delle con¬  dizioni ideali che sono assunte nell’ Etica Pura, e  si stabilisca per approssimazione quale sia in un  dato momento storico la condotta sociale e indivi¬  duale, che, nei limiti necessariamente imposti dalle  condizioni reali date, ò più atta a favorire la tra¬  sformazione di queste nella direzione segnata da  quelle.   Soltanto così l’Etica può evitare un errore del  genere di quello nel quale cadevano gli economisti  della scuola Classica ; i quali, dopo aver supposto  l 'homo oeconomicus mosso unicamente dall’interesse          110 —    personale, il che avevano diritto di fare, lo consi¬  derarono poi come reale e die dero valore di leggi  n aturali e necessarie alle conclusioni ricavate da  questo e dagli altri dati astratti supposti (1). Ora  appunto percliò le condizioni soggettive e oggettive  dell’ homo iustus e della societas insta, sono supposte  e non reali, le norme che esprimono quale sarebbe  la condotta dell’ homo iustus e della societas iusta  non sono immediatamente nè integralmente appli¬  cabili in condizioni diverse dalle supposte. I « do¬  veri » e i « diritti » dell’ uomo giusto nella so¬  cietà giusta non coincidono coi doveri e i diritti  dell’ uomo storico in determinate condizioni sto¬  riche; alla stessa guisa che i « diritti naturali »  dei filosofi dello stato di Natura non coincidevano  coi diritti positivi delle società in cui vivevano.  Ma se si dà valore di fine all’attuazione delle con¬  dizioni proprie della societas iusta, i doveri e i di¬  ritti 1 dell’ homo iustus diventano il modello al quale  si riconosce desiderabile che cerchi di avvicinarsi  il sistema di doveri e di diritti che vale come  giusto in una società reale data. Alla stessa guisa,  se la costituzione di una società foggiata in con¬  formità all’ipotesi dello Stato di Natura e del Con¬  tratto, si fosse riconosciuta (con verisimiglianza  maggiore ed evitando la confusione fra giustifica¬    ci) Cfr. Ch. Gide. Principes d’ éc. poi. p. 20-22.           - Ili —    zione etica e spiegazione storica) come fine da rag¬  giungere invece che come stato originario, il « di¬    ritto naturale » ricavatone sarebbe legittimam ente    apparso come il tipo idealmente giusto, al quale il  diritto positivo doveva avvicinarsi e adattarsi.   Adunque/qu ando si eviti l’errore di scambiare  i dati ipotetici coi dati reali, c la pretensione uto¬  pistica di applicare direttamente e integralmente  le conclusioni ricavate dai primi alle relazioni che  sono imposte dai secondi A a ppare evi dente ad un  tempo e la 1 ( frittimi t à della distinzione, e la prio¬  rità logica dell’Etica Pura surf mica Applicata (1).    15. — Raccogliamo in breve i resultati dell’ a¬      nalisi.   0   Una scienza normativa etica non differisce dalle  altre scienze precettive se non pe ^ il valore, che si ^  attribuisce al line suo: il quale deve essere des i¬  d erabile univ ersalm ente jyjjma e_a preferenza di    ogni a ltro , se si vuole che sia riconosciuto lo stesso    carattere alle norme ricavate da esso. Questo fine  universalmente preferibile non nuò essere che un  fine relativamente prossimo, il quale (abbia o no  anche valore per sè) sia mezzo o condizione di tutti  i fini che si considerano come « ultimi » ; e quindi  non può essere che una forma di convivenza e di    */ . amw*    (l) Per maggiori chiarimenti sulla relazione fra le due Etiche  cosi intese e sulle parti di ciascuna, mi sia lecito riferirmi a quanto  ebbi occasione di dire nei « Prolegomeni ecc. » già citati.              — 112 —    coopcrazione, nella quale 1’ universalità dei singoli  possa riconoscere tale requisito. Ma una società  siffatta ò supposta, non reale, e le norme di con¬  dotta che se ne ricavano regolano delle relazioni  che sono parimenti assunte per ipotesi, e non sono  perciò applicabili direttamente a relazioni più o  meno diverse. Tuttavia la loro determinazione è  non soltanto utile, ma necessaria; necessaria dal  punto di vista scientifico alla determinazione delle  norme che debbono regolare le relazioni più com¬  plicate della realtà ; necessaria dal punto di vista  etico alla giustificazione di queste norme ; perchè  esse sono valide in quanto esprimono ravvicina¬  mento, nei limiti del possibile, di queste relazioni  reali a quelle relazioni ideali. Il che viene a dire  che l’Etica Pura fornisce all’Etica Applicata il  criterio per determinare le norme, e il valore che  le giustifica.   16. — Ma non bisogna dimenticare che le norme,  sia dell’Etica Pura, sia dell’Etica Applicata, hanno  il valore che si assegna a loro, nella ipotesi fonda¬  mentale che si accetti come valido e fuori di conte-  stazione il postulato della giustizia. Ossia hanno  valore se si suppone che ogni « socio » riconosca  che una forma di convivenza e di cooperazione  nella quale ciascuno abbia, quanto alle limitazioni  esterne, valore di fine a pari titolo di qualunque  altro è preferibile a una forma di cooperazione    — 113 —    nella quale una parte dei <? socii » abbia, per uno  o più rispetti, soltanto valore di mezzo e non di  fine.   Quindi, è bensì vero clic l’assunzione di quel  postulato è la condizione necessaria all’ universale  riconoscimento della norma, e clic perciò, se si  pone come caratteristica della norma morale 1’ u-  niversalità, rinunciare a quello vuol dire rinunciare  a questa ; ma ciò non toglie che si debba affermare  chiaramente e senza sottintesi che il sistema di  norme per tal guisa stabilito ha, come qualunque  altro sistema di norme, del quale si richieda una  giustificazione, valore ipotetico ; e che perciò questo  valore ò incontestabile solo in quanto si riconosce  incontestabile il postulato.   Appare di qui che è vano e illusorio cercare  la giustificazione di una norma morale nelle leggi |  naturali (i). Perchè ciò che giustifica una norma  di condotta non è la naturalità, ma la desiderabilità  dell’ effetto contemplato ; e le leggi naturali stesse  possono apparire giuste od ingiuste secondochè si  assumano come universalmente desiderabili o no  i resultati, ai quali la conformità della condotta    / ' fi 1   affo irafic-li itr [v  yJ.tA ttfilk t**'  he* ìtU 'o jqie j.    (1) La conoscenza delle leggi naturali suggerirà i mezzi neces¬  sari a raggiungere un fine; e darà modo di giudicare della come-  yuibìlità di questo o quel fine che eia proposto ; ma non serve a dar  valore di universale desiderabilità a un ordine di effetti, per il solo  fatto che ce ne riveli la produzione « naturale ».     — 114 —    a quelle leggi conduce, o ò creduta condurre. Può  essere vero (e non è da discutere qui) che l’essere  o no un ordine di effetti desiderabile (ossia, in  ultimo, l’essere o no presenti ed efficaci nella co¬  scienza umana certi bisogni, desideri, aspirazioni,  credenze), sia un portato necessario della natura  stessa delle cose e dell’ uomo, e che le tendenze  umane, si siano, rebus ipsis dictantibus, modellate  cosi da condurre a riconoscere nella osservanza  delle leggi naturali un valore di giustizia e di  bontà; ma anche in questo caso non ò la naturalità,  che ne fa ammettere la giustizia e la bontà, ma  è la loro, diretta o indiretta, desiderabilità. Onde  per questo rispetto nulla vieta che si concepiscano  possibili, almeno teoricamente, più Etiche diverse;  possibile, per esempio, (sebbene l’accoppiamento  esplicito dei termini ripugni) un’Etica dell’ingiu¬  stizia, quando si assuma come postulato la prefe-  ribilità di una comunione sociale in cui una parte  non abbia che diritti e un’altra non abbia che do¬  veri. Benché allora 1’ Etica si sdoppierebbe in due  Etiche diverse, anzi opposte : l’Etica degli uomini-  fini c l’Etica degli uomini-mezzi; o, per usare le  parole del Nietzsche, la Morale dei padroni e la  Morale degli schiavi ; e la medesima condotta sa¬  rebbe, seguita dagli uni, giusta, seguita dagli altri,  ingiusta.   Che una « giustizia » di questo genere ripugni     — 115 —    alla psiche del socius per una ragione analoga a  •quella per la quale ripugna alla psiche dell’ uomo  logico ammettere che un rapporto tra due cose o  fatti, sia vero per gli uni, e falso per gli altri, è  credibile; (sul presupposto di quella ripugnanza,  si fonda, io credo, la giustificazione etica della  coazione e delle sanzioni). E certamente rimane  aperto qui un campo ulteriore di indagini intorno  ai problemi che riguardano il come e il perchè il  postulato che assumiamo possa e debba essere ac¬  cettato ; e se alla esigenza che esso esprime si  possa o si debba assegnare un ufficio, e quale,  nella interpretazionetotale del mondo, dell’ uomo  e della storia. Ma da queste indagini, le quali sono  di natura metafisica, la costruzione scientifica del-  l’Etica, come qui fu abbozzata, può e deve tenersi  indipendente, per una ragione analoga a quella per  la quale l’igiene è e si mantiene indipendente da  ogni questione intorno al fondamento e al valore  del postulato assunto da lei, e dal quale deriva il  valore normativo dei suoi precetti: — che un or¬  ganismo sano sia preferibile a un organismo ma¬  lato. —   Perciò, finché si rimane nel campo della ri¬  cerca scientifica, la sincerità richiede che, anche  nell’Etica, malgrado ogni interiore certezza, questa  condizionalità del valore delle norme sia esplicita¬  mente riconosciuta, e che anche nei termini si    «      — 116 —       eviti 1 ’ equivoco, e fin dalle parole sia bandita ogni  pretensione a un valore che non sia condizionato  al presupposto assunto.   Per questa ragione, oltreché per fissare rispetto  alla dottrina dello Spencer le differenze notate nel  modo di intendere il fine, e di concepire la società   *   giusta e 1 ’ uomo giusto, e la priorità non soltanto  logica ma giustificativa di un’Etica rispetto all’altra,  LUa p«A* è conveniente, sostituire ai termini « Etica Asso-  ‘fvulfyh luta ed Etica Relat iva » i termini « Etica P ura    V'.',:r , ì '■ pvi n l iuta i v a » i ieri mmi «   e~=r . 1 ", della giustizia ed Etica Applicata della giustizia ». (^ 3 ;   n*fac- E se tosso poi, c'Sfne~r _ l n effetto, necessario od  'GlfiULiffil opportuno determinare quali dovrebbero essere le  norme di condotta nell’ ipotesi che, osservate pre¬  liminarmente le condizioni della giustizia, fosse    assunto come fine l’adempimento delle condizioni  richieste dalla universale solidarietà, si avrebbero  due ulteriori sezioni dell’Etica : l’ Etica Pura della  Simpatia e 1’ Etica Applicata della Simpatia.    della J    **1                              »                  —-PER UMA SCIENZA   FORMATIVA MORALE * -          \                   1                     PER UNA SCIENZA NORMATIVA MORALE    A leggere questo titolo, quelli che il Varisco ha  chiamato felicemente « i filosofi dell’ oramai» e  quegli altri che si potrebbero chiamare i girasoli  della filosofia (i due tipi coincidono in parte, ma  non in tutto) c’è da scommettere che sorrideranno.  — Non è « oramai » pacifico che di una scienza  della morale non si può parlare? E vale la pena  di perdere il tempo attorno a un problema « oltre¬  passato »? — Io mi rassegnerò a lasciarli sorridere;  ma non son persuaso dell’ oramai, e trovo che il  problema è tutt’ altro che superato. La quale per¬  suasione per altro non garantisce nulla, pur troppo,  rispetto all’ altra faccenda del perder tempo ; per¬  chè il tempo si può perdere, e far perdere, come  sappiamo benissimo tutti, anche trattando di ar¬  gomenti non « oltrepassati ».   'Dico dunque che il problema, almeno nel modo  nel quale credo che debba essere posto e ho cer¬  cato di porlo, è più vivo che mai e di interesse  capitale così per l’Etica come per la Filosofia del  diritto. E chiedo scusa fin da ora al lettore se do-    8      — 122 —    vrò, richiamandomi a cose già dette, parlare, più  spesso che le buone regole non consiglino, in prima  persona.   • •   1. — Quando sostengo la possibilità e la legit¬  timità di una scienza normativa morale, non in¬  tendo che una tale « scienza » possa o debba so¬  stituire la metafisica, e bandirla proprio da quel  campo che è il vero vivaio dei problemi metafisici,  il campo delle idee e dei sentimenti morali. E nem¬  meno che possa pretendere di costruire la morale ,  « F unica vera morale » erigendo a norme della  condotta certe leggi naturali cosmiche, o biologiche  o psichiche o sociologiche o storiche, alle quali si  presuma di dare valore imperativo. La tesi che ho  sostenuto e sostengo è diversa. Una scienza normativa    etica, non può, al pari di qualsivoglia scienza pre¬  cettiva, consistere in altro che in u n sistema di re ¬  l azioni e di legg i, le quali hanno valore di norme da  seguire nell’ ipotesi che sia assunto come fine quel-  F effet to o quell'ordine di effetti, del quale esse  ’-ggi esprimono le condizioni e i fattori. Ma dibo¬  sco dalle altre, perchè s uppone che al fine suo    [MJLjcTalfA   Ò)lCJUjLt> 'ittl-       , del quale esse    ’Sl'Kp tkf     si a rico n osc iuto un valore di universale pref eribilità    e precedenza sopra ogni altro fine.    Perciò una determinazione scientifica di norme    etiche richiede due condizioni : l.° Che il fine sia          — 123 —    umanamente possibile; cioò tale che se ne possa  stabilire la dipendenza condizionale da una certa  forma di condotta collettiva e individuale. Di qui  dipende il carattere scientifico della costruzione ;  perché la relazione che lega le norme con quel  fine potrà essere lunga, complicata e difficile, ma  non richiede ad essere conosciuta altri mezzi che  quelli di una indagine scientifica.   2.° Che sia ammesso come postulato che il ri¬  conoscere al fine assunto valore di universale pre-  feribilità e precedenza rispetto a qualsivoglia altro  fine umanamente possibile, è un 'esigenza morale.   É ovvio di per sè che se si ricusa di ammettere  questo postulato o se ne nega la legittimità, la de¬  terminazione delle norme di condotta richieste dal  fine contemplato non perde nulla del suo carattere  scientifico ; ma le norme non hanno valore morale.   •Ossia, il valore morale delle norme così ricavate  ò relativo alla accettazione del postulato; e la de¬  rivazione scentifica di un sistema di norme dal  fine in discorso non ò, a rigor di termini, la scienza  della condotta morale; ma la scienza di una certa  condotta; la quale è la condotta morale, se si am¬  mette e in quanto si ammette quel postulato.   Ma è altrettanto ovvio che non avrebbe senso,  o sarebbe al tutto arbitrario e fuori di proposito,  l’attribuire in ipotesi al fine un valore che nes- ’ v '’’   suno fosse disposto a riconoscergli, e assumere come Ua   esigenza morale una esigenza che non trovasse nella */ r f>' r \ c < ’• '   a • fi «.e  ^ 0 $/» Uiv -        — 124 —      l Vt p*|Ut-U4«  ^vw *    realtà nessuna corrispondenza. Ed è perciò che ho-  cercato di porre in chiaro in primo luogo quale  fosse l’esigenza caratteristica del valore morale di  una norma ; poi, se si potesse assegnare un fine  umano, e quale potesse essere, che rispondesse a  queste condizioni.   Non è il caso di ripetere il già detto (1); qui  ne ricordo soltanto le conclusioni : — che l ’esi-  genza che assum o, e, credo aver dimostrato, legit¬  timamente, come caratteristica di una norma mo-  r ale ò quella di una universale giustizia ; e che il  fine che soddisfa a questa esigenza non può essere  che una forma di società umana tale, che tutti i  sodi trovino nelle sue stesse condizioni di esistenza  la medesima o equivalente possibilità esteriore di  rivolgere la loro attività alla ricerca di qualsivo¬  glia dei beni ai quali la convivenza e cooperazione  sociale è mezzo. — Supponendo dunque ammesso  il postulato sopra detto, non ho fatto e non faccio  una ipotesi arbitraria; poiché Tesigenza della giu¬  stizia, alla quale il postulato fa appello, è la più  profonda e più tenace e più incoercibile dell’uomo    in quanto è socius, cioè in quanto è soggetto di  moralità e considera se stesso, ed è considerato,  come persona a pari titolo di ogni altro socio.    (1) Mi riferisco, qui e nel corso di questo scritto, a quello clie  che lo precede nel presente volume, e a un altro studio : Prolego¬  meni a una Morale indipendente dalla Metafisica, Pavia, Biz-  zoni, 1901.          — 125 —      Tuttavia per quanto possa parere ed essere le¬  gittimo prendere per concesso qu esto postulato, non  bisogna dimenticare, ma anzi importa rilevare chia¬  ramente , che il fine e le norme corrispondenti  hanno quel valore che si attribuisce a loro, soltanto  nell’ ipotesi che lo si accetti come valido e fuori di  contestazione.   Se non 6 ammesso, ò vano pretendere clic la  costruzione normativa valga a farlo accettare o  possa obbligare ad accettarlo. Essa non può che  mostrare la coerenza delle norme proposte col fine  assunto, e di questo colla esigenza della giustizia ;  e mostrare con ciò che non si può ragionevolmente  ammettere questa esigenza senza ammettere il va¬  lore di universale priorità attribuito al fine, e  quindi alle norme. Ma che l’esigenza invocata sia  ammessa in realtà, o sentita come tale, ò un dato  di fatto che la costruzione normativa trova, se c’è;  ma che non pone essa, ne per sò vale a mutare.   2. — Adunque la scienza normativa morale così  intesa si riduce alla determinazione delle norme di  condotta valide per una coscienza che anteponga a  ogni altra esigenza l’esigenza della universale giu¬  stizia. Se in ipotesi volesse determinare le norme  di condotta per una coscienza per la quale valga  come suprema l’esigenza egoistica, le norme risul¬  terebbero diverse. Ma il procedimento sarebbe il  medesimo ; la deduzione sarebbe, o si può concepire    *1 lyO           che potrebbe essere, ugualmente ragionata e scien¬  tifica. E del pari se si assumesse come regolatrice  l’esigenza dell’abnegazione o della rinuncia incon¬  dizionata di sò agli altri, o qualsivoglia altra esi¬  genza e un fine possibile corrispondente.   Di qui si vede quanto sia superficiale c vuota  di significato l’opinione tante-volte ripetuta, e che  forma quasi il leitmotiv di un’ opera che ha latto  gran rumore, che la ragione non ci comanda che  l’egoismo. La ragione per sè non comanda nulla ;  né l’egoismo, nè l’altruismo, nè la giustizia. La  ragione cerca, e mostra, se le riesce, i mezzi che  servono a conservar la vita a chi la vuol conser¬  vare, a distruggerla a chi la vuol distruggere; ad¬  dita ai pietosi le vie della pietà, ai giusti le vie  della giustizia, e le vie del proprio tornaconto agli  uomini senza scrupoli. Ma l’egoismo non 6 per sè  più « razionale » dell’altruismo, nè il regresso più  razionale del progresso, nè la conservazione del-  l’individuo più razionale di quella della specie, nè  1’ utile proprio più razionale che 1’ utile della col¬  lettività.   Razionali non sono i fini, ma le relazioni dei  mezzi ai fini (1). Ed è così ragionevole che dia la    (1) Dire che la ragione non consiglia che 1’ egoismo equivale a  dire che una condotta non egoistica non si può ragionevolmente  giustificare ; ossia viene a dire una di queste due cose : 0 che di  un fine non egoistico non si possono assegnare mezzi possibili, e     — 127 —    vita per un’idea chi pregia più l’idea che la vita,  come che taccia la verità per un ciondolo chi ama  più i ciondoli che la verità.   Ma forse dicendo così si è ancora giusti verso  la ragione. Perchè se ciò che si chiama uso della  ragione può avere, come non dubito che abbia, una  efficacia indiretta nella valutazione dei fini, non è  dubbio che questa efficacia si esercita in favore di  quei fini e di quelle norme che rispondono alla   quindi non si può determinare quale sia la condotta atta a rag¬  giungerlo ; cioè che si tratta di un fine fuori di ogni efficienza  umana. E in questo caso non ci sarebbe senso a proporlo come fine  dell’ operare nè in nome della ragione nè in nome di qualsivoglia  altra cosa, dal momento che qualsiasi condotta sarebbe rispetto ad  esso indifferente. Oppure che un fine non egoistico non è mai fine  per sfi, ma ha bisogno di essere giustificato da un fine egoistico al  quale sia mezzo o condizione. Ma il valore per sè di questo fine  egoistico ultimo, al quale si riporta la giustificazione, non può es¬  sere alla sua volta giustificato, ma deve essere un dato di fatto  reale o supposto ; il quale dunque, appunto per ciò, è fuori di ogni  ragionamento. E il vero senso dell’ affermazione in discorso è al¬  lora non che « la ragione consiglia l’egoismo » ; ma che « gli uo¬  mini sono tutti e sempre e inevitabilmente egoisti (poiché i fini ai  quali soltanto riconoscono valore per sè sono fini egoistici) ; e quindi,  finché sono e rimangono egoisti, non possono trovar ragionevole altra  condotta all’ infuori di quella suggerita dall’ egoismo ». Sapevhm-  celo ; ma non vuol dire che l 'essere egoisti sia più ragionevole die  il non essere.   D’altra parte, posto che gli uomini fossero inevitabilmente egoisti,  anche il precetto o il consiglio di non seguire la ragione, dovrebbe, per  avere valore pratico, fare appello in ultima istanza a in fine egoi¬  stico, nè più nè meno di quel che farebbero nello stessè caso i con¬  sigli della ragione. Con questo bel risultato : che gli uomini rinun¬  cino ad essere ragionevoli per.... continuare ad essere egoisti.      tendenza caratteristica dell’attività razionale : l’uni¬  versalità. Ora nel campo dell’attività pratica il  fine del quale soltanto si può concepire universale  il raggiungimento, e la norma, della quale soltanto  si può concepire universale V osservanza, sono un  fine e una norma conformi all’esigenza della giu¬  stizia (1).   Ma, tornando al nostro argomento, anche il ri¬  conoscere che il fino e le norme determinate in  conformità al postulato hanno, e possono avere essi  solamente, la nota razionale dell’universalità, non  ne toglie il carattere necessariamente e insupera¬  bilmente ipotetico; perchè se il loro valore si fa  dipendere da questa loro universalità, si prende  per concesso che l’universalità sia assunta come  criterio di valutazione; ossia che dell’esigenza ra-   (1) iSon trovo che si sia dato il peso dovuto alla considerazione  che non solo l’egoismo, ma neppure l’altruismo può fornire una  regola di condotta, che si possa concepire nei rapporti tra gli uo¬  mini universalmente e costantemente osservata, senza contraddizione,  o senza che sia necessario supporla subordinata alla sua volta a  una norma di giustizia. Perchè sia possibile l’abnegazione e la ri¬  nuncia incondizionata di sè agli altri, bisogna che gli uni si sa¬  crifichino, e gli altri o qualche altro accettino il sacrifizio ; cioè  che gli uni seguano la massima dell’ altruismo, e gli altri o qual¬  che altro quella dell’egoismo. Se poi si ammette che nessuno debba  poter sacrificarsi piu di un altro, (oltreché il sacrifizio si riduce a un  tacito scambio di servigi reciproci), bisogna che la condotta altrui¬  stica di ciascuno non impedisca o limiti una pari condotta altrui¬  stica degli altri ; cioè bisogna che 1’ altruismo alla sua volta sia  governato da una norma di giustizia.        — 129 —    zionalc e teoretica dell' universalità la coscienza  faccia una stima pratica, attribuendole un valore  e un’ autorità superiore ad ogni altra esigenza.   Concludendo: la scienza normativa etica, alla  quale mi riferisco, è la scienza della condotta ri¬  chiesta da un fine conforme all’ esigenza detta. Se  si riconosce come caratteristica del valor morale  di un fine e delle norme che ne dipendono una  esigenza diversa, o se si pone come congruo ad  essa un fine incongruo, o si assumono come con¬  dizioni conformi all’esigenza di una universale giu¬  stizia delle condizioni clic negano o limitano questa  universalità, le norme riconosciute e accettate come  morali saranno diverse.   3. — Ma non concluderebbe nulla contro la tesi  che difendo l’opporre che le norme o alcune delle  norme in effetto tenute o seguite come morali sono  diverse o contrarie a quelle proposte e ricavate in  conformità al postulato assunto. Perchè qui non si  tratta già di esporre (piali sono le norme accettate,  o di farne l’apologia ; nè di cercare che cosa bi¬  sogna ammettere per accettarle; ma di determinare  quali sarebbero le norme della condotta morale nel-  l’ ipotesi che si accetti il postulato.   Insomma si fa un’ ipotesi e si cerca che cosa  ne segua.   Ma per negare valore scientifico a una tale co¬  struzione ipotetica bisogna negare la dipendenza    — 180 —    condizionale del fine assunto da una certa condotta  collettiva e individuale; e per negarle valore mo¬  rale (1), bisogna negare il valore morale dell’esi¬  genza, o ammettere che essa è o dove essere subor¬  dinata a un’esigenza diversa. Finché non si giu¬  stifica nè l’una nè l’altra negazione, il dichiarare  « oltrepassato » il problema vale poco; e il sorri¬  dere vale anche meno.   Perchè esponendo questo concetto io non mi  sono dissimulato le difficoltà e le obbiezioni possi¬  bili; sopratutto quelle che fanno capo alla afferma¬  zione comune della impossibilità di una determi¬  nazione di norme morali che non si fondi sopra  una dottrina metafisica. Questa questione anzi ho  esaminato di proposito, e le conclusioni di quell’ana¬  lisi non furono confutate. Avrei dunque, « in tesi  di diritto » ragione di ritenere spostato l’obbligo  della prova.   Ma nel fatto, come tutti sanno, ò sempre chi  dissente dalle opinioni stabilite che ha torto; e  deve rassegnarsi a battere e ribattere per tutti i  versi lo stesso chiodo.    ì. — E prima di tutto occorre qualche parola  su quella che si potrebbe chiamare la tesi scettica,   (,1) Che essa possa e debba aver valore anche dal punto di vista  del Diritto è cosa evidente ; ma come c quanto non sono questioni  da risolvere cosi di sfuggita.       — 181 —    della impossibilità di una qualsiasi determinazione  di norme morali.   — Il fatto etico è contingente, multiforme e va¬  riabile in ogni circostanza, e sfugge ad ogni ten¬  tativo di determinazione razionale. Oltredichè esso  dipende dal sentimento e dalla volontà e non dalla  conoscenza, e non si può ricavare da un processo  di deduzione logica. —   Questa tesi ha il grave torto di confondere la  morale colla mora lità ; confusione sulla quale dovrò  tornare anche più innanzi.   « Il fatto etico ò variabile ». Certamente. E il  fatto giuridico, che ò una specie dell’ etico, non ò  esso pure variabile? E forse perciò non si stabili¬  scono nonne giuridiche determinate e precise, e  non si considera questa determinazione come un’e¬  sigenza della vita sociale, e non si misura dalla  sua precisione e coerenza il progresso della vita e  della coscienza giuridica ? E non è un luogo comune  la lode fatta a Roma di maestra del diritto ? Non  si venga a dire che il f atto "iuridico riguarda solo  la non, come   la inorale, anche e sopra tutto la interna ; qui si fa  questione, anche per la morale, appunto, della con¬  d otta ester na, nella quale la moralità interiore deve  pur tradursi ; ed è assurdo dire, per esempio, che  non ha senso il precetto « non frodare », e vano  cercar di determinare in che la frode consista, per-    La.    •H.              i tìtou -      — 132 —    w/# i-yW    t     Aj.oiU?    dolori*    ché la frode è, forse più che qualunque altra cosa  al mondo, contingente multiforme e variabile.   È pur fuori di dubbio che l’operare in un modo  piuttosto che in un altro, dipende dal sentimen to  e dall a vo lontà, e non dalla co noscenza del pre-    1 CJA k> W <Mj aI*   VtU'f’N®    . j r ‘ r , * cetto ; e che non si può dedurre da nessuna com¬   binazione di premesse l’azione. Nessun congegno  di premesse, nessun processo logico, nessun sistema  di conoscenze pone in essere la benché minima cosa ;  .A}* VcttmaJ. ’l| conseguenza di un ragionamento ò sempre fin   g iudiz io, non un ’azion e ; nella morale come in qua¬  lunque altro campo; l’azione., potrà.. o non potrà  seguire, secondo che le disposizioni sentimentali c.  volitiv e sono tali o tali altre; potrà anche seguire  senza che ci sia il giudizio. Verissimo e giustissimo.  Ma non conclude nulla al proposito. Perché qui è  questione non di fare, ma di sapere quel che con¬  venga fare, chi si proponga e ammesso che si pro¬  ponga un certo fine. Ora lo stabil ire queste rela¬  zioni tra un certo fine_e certe operazioni necessarie  a raggiungerla é ufficio della conoscenza, non della  volontà ; e io spero che nessun voluntarista vorrà  sostenere che è indifferen te a chi vuol andare, po¬  niamo, a Canossa, conoscere quale sia la strada  per arrivarvi. E il dire che non è la conoscenza  nè di un certo effetto, nè dei mezzi, ciò che fa vo¬  lere l’effetto e volere i mezzi, non toglie nulla al-  Pufficio specifico della conoscenza; anzi, e appunto                      — 183 —    perciò, lo determina. E rimproverare a un sistema  di norme di essere per sè inefficace a muovere Fa¬  zione non ha senso ; come non avrebbe senso pre¬  tendere che una formula chimica produca essa il  composto del quale indica la combinazione. L’ uf¬  ficio delle norme morali, come di ogni altro sistema  di norme qualesivoglia, non può essere che un uf¬  ficio informativo, non formativo ; di guida, non di  stimolo, di indicatore, non di propulsore. E quelli  che adducono, per mostr are l a inanità di una co¬  s truzione norma tiva, l a dipendenza dell’ azione dal  se ntimento e dalla volontà , non si accorgono di  confondere essi il conoscere coll’operare, cioè, come'  s’è detto, la ni qrfllo_nnIlp mo ralità, la determina-  zio ne_delle norm e colla c onformità alle norm e.   Senonchò si può soggiungere che la determina¬  zione in questo campo non serve, perchè la cono¬  scenza delle norme si sprigiona volta per volta  come da sè fuor dalle circostanze, per un intuito  naturale che è più fine e delicato di qualunque de¬  duzione scientifica. E così viene in campo, accanto  alla tesi dell’ impossibilità, quella dell’ inutilità : —  l a cos cienza morale rende inutile la dottrina mo¬  rale. —   - '* -** '   Lasciamo per ora la difficoltà capitale che nasce   dal fatto stesso da cui è nata la riflessione critica  della morale: il fatto della diversità di contenuto  nelle coscienze morali diverse; e poniamo — senza    *                — 134 —    concedere — che 1*i ntuit o basti per tutti e sempre  a segnare caso per caso la via. Non ne seguirebbe  ancora l’inutilità di una ricerca che si proponesse  la determi nazione sistema tica del fine a cui .intui ¬  ti vamente tend e e delle norme che intuitivamente  segue la co scienza mora le. Come la guida istintiva  dei bisogni (^feUe^enTazioni non basta a rendere  inutile l’igiene; o come non basta a condannare  la conoscenza fisiologica, per esempio, della dige¬  stione, il fatto che digeriscono bene, anzi di solito  digeriscono meglio, quelli che non sanno di quelli  che sanno come la digestione avvenga.    E veniamo alle obbiezioni che toccano diretta-  mente la nostra tesi.   5. — In primo luogo si può osservare che la  p retesa scienza della mora le, nell’ atto stesso che  dichiara di voler tenersi estranea a qualunque af¬  fermazione di carattere metafisico, presuppone una  certa soluzione di un problema essenzialmente me¬  tafisico. Perchè, assumendo come fine morale un  ordine di effetti umanamente possibile, pone come  risoluto il problema se il fine supremo possa o  debba essere umano o sovrumano, relativo o asso¬  luto; risolve cioè, sia pure negativamente, un pro¬  blema metafisico.         — 135 —    Cerchiamo di intenderci. Si supporrebbe risoluto  il problema, se assumendo un fine (diciamo per  brevità) umano, si ponesse questo fine come ultimo  assolutamente, come definitivamente supremo; cioè  se gli si assegnasse un valore assoluto ; e si ne¬  gasse la possibilità di una ulteriore valutazione del  fine stesso ; di una sopravalutazwWe^Tciafisica, per  la quale sia creduto mezzo alla sua volta, o condi¬  zione o preparazione di un fine sopraumano. Ma  questa possibilità 1* ipotesi non la esclude.   Si dirà che in tal caso il fine umano non è più  il vero fine; e che perciò le norme debbono essere  ricavate da quello a cui si dà davvero valore di  fine ultimo, valore assolutamente, non relativamente,  supremo; e che questa necessità riporta il problema  della determinazione delle norme in piena metaf쬠 sica. Ma è questo che io nego ; e dichiaro di non  capire come da un fine assoluto si possano ricavare  delle norme per la condotta in condizioni finite, da  un al di là le norme per un al di qua; e dubito  che quelli i quali dichiarassero di capire, equivo¬  chino sui termini. Perchè non si potrà mai dimo¬  strare un legame di condizionalità tra un certo  modo di operare o un fine sopra natura le ; essendo  il proprio e caratteristico del sopranaturale c del  sopraumano di esser fuori dalla efficienza naturale  e umana. Se si considera il fine sovraumano come  un effetto che può essere condizionato da mezzi pu-      — 136 —    ramente umani esso cessa di essere sovraumano.  Ma se invece rimane tale, cioè trascende la effi¬  cienza umana, si potrà bensì credere ed affermare  che a raggiungerlo si richiede una certa condotta,  ma non si può assegnare una relazione di condi¬  zione tra la condotta ed il fine, cioè non si può  ricavare dal fine la norma. La riprova si ha nel  fatto, evidente ad ogni osservatore non del tutto  superficiale, che, anche nei sistemi di morale teo¬  logica o metafisica, quando si tratta di determinare  le norme che debbono regolare la condotta nelle  relazioni della vita comune, famigliare e sociale,  non è più il fine assoluto quello da cui si deducono  le norme, ma un fine umano, sia prossimo, sia re¬  moto; un certo ordine e un certo tipo di vita in¬  dividuale e sociale.   Le norme dedotte da questo fine subordinato si  presentano bensì come derivate aneli’esse dal fine  assoluto, perchè si assume quello come posto o vo¬  luto o necessitato da questo ; ma in che modo dal  fine assoluto si ricavi il fine relativo, come e per¬  chè, per raggiungere o approssimarsi a quel fine  sopraumano, sia necessario tendere a questo fine  umano, non si dimostra nè si può dimostrare. E  quando par che si dimostri, gli è che si è assunto  tacitamente e come incorporato in modo surrettizio  nel fine assoluto il fine relativo, che poi se ne  deriva ; cioè in ultima analisi non si è fatto altro       che porre o assegnare un valore sopraumano al  fine umano; ossia si è fatta (fucila che ho chia¬  mata una sopravaluta;ione metafisica di quel certo  fine umano dal quale in realtà sono ricavate le  norme.   Xon è dunque vero che assumendo un fine  umano si risolva, o si postuli una certa risoluzione  di un problema metafisico. Non si la che ubbidire  a una esigenza, la quale sussiste sia che si risolva  positivamente, sia che si risolva negativamente il  problema intorno alla natura del fine assolutamente  ultimo o supremo; un’esigenza logica alla quale  non si può sfuggire: che un sistema di norme di  condotta individuale e sociale non si può stabilire  se non in relazione a un certo fine, esplicitamente  o implicitamente assunto, che dipenda condizional¬  mente dalla condotta, cioè che sia umanamente  possibile.   0. — Ma non è un’altra esigenza, un’ esigenza  propriamente morale, che il fine abbia un valore  assoluto e non soltanto relativo? —   Non discuto se sia o non sia ; perchè si tratta  in ultimo di constatare un fatto di coscienza, e per  la constatazione di un fatto la discussione non ap¬  proda. Poniamo che sia. Forsechè le dottrine che  pon gono un fine assoluto fanno qualcluTco^ ~~di  me glio che postulare la possibilità di quel fi ne e  postularne il valore ? Cioè supporre che quella pos-        — 138 —       4t>    siljilità e questo valore siano dati nelle intuizioni  o nelle credenze, dalle quali li prendono, per dir  cosi, a prestito, e sulle quali fanno assegnamento ?  E se è cosi, e non può essere altrimenti, se la cre¬  denza nel fine e il riconoscimento del suo valore  assoluto, e la derivazione da esso del (ine o dei  fini relativi della vita finita, non possono essere  dati o fondati dalla dottrina, ma soltanto assunti  o affermati, è facile vedere che la dottrina vale  per la coscienza clic la sente e, direi, la vive già,  e che accetta Vaffermazione perchè la trova corri¬  spondere a ciò che è già dato in lei stessa ; ma non  vale essa, la dottrina, a far accettare queste sue  affermazioni a una coscienza che intuisca e senta  c creda diversamente. La costruzione dottrinale  metafisica non riesce dunque clic a fare appello a  un a intuizione o a una v alufazio ne di cui ammette  o suppone 1’ esistenza, ma n on a farla sorgere dove  manca ; e quindi, di fronte a una coscienza diversa  da quella che essa suppone, si trova nella stessa  condizione della costruzione non metafisica. Cioè  vien meno alla ragione per la quale il valore as¬  soluto del fine è richiesto.   Questa ragione, se il valore assoluto del fine  non è già assunto come una constatazione di fatto,  consiste nella pretesa illusoria che la dottrina possa  e debba assicurare per questo modo alle norme  una validità universalmente riconosciuta ; e nasce         Mm&i   ^5_ 13<1   •da una preoccupazione pratica analoga a quella  dalla quale è ispirata l'altra pretesa che l’Etica  dia alle norme autorità imperativa.   7. — Ed eccoci all’argomento capitale: 1’ esi-  • gonza del carattere imperativo della norma. — Ho  già ripetutamente segnalato l’equivoco sul quale  si fonda la pretesa esigenza dell’obligatorietà della  norma morale. È in fondo il medesimo già notato  più sopra a proposito della istanza sulla inefficacia  •della conoscenza a determinare l’azione ; l’equivoco  di con fondere la morale colla moralità, la norma  col la conformità alla norma : e quindi di preten¬  dere da una dottrina quello che nessuna dottrina  nè metafisica nè non metafisica può dare : la ga¬  ranzia dell’osservanza, cioè 1’efficacia esecutiva. Il  linguaggio favorisce anche qui il persistere dell’er¬  rore; e l’uso di definire 1’ Etica la scie nza o la  dottrina de i -doveri, contribuisce a ribadire il pre¬  concetto. nato dalla preoccupazione pratica, che  compito di una dottrina morale possa o debba es¬  sere quello di costruire o fondare delle norme ób-  hliyatorie. Mentre l’etica, dico qualunque dottrina  etica,__non può fare altro che dedurre, o indurre,  o comporre a sistema, delle norme o ilei precetti,  i quali hanno valore di doveri, se e in quanto la  coscienza concepisce, o meglio sente e vuole , come  dovere, l’osservanza dei precetti stessi, o la prose¬  cuzione del fine (o dei fini) dal (piale quei precetti    Yi (yivuni   l&u vuxnrib I   nei         — 140 —    sono derivati. E se anche tutte le coscienze uni¬  versalmente, in ogni tempo e luogo, concordassero  nel sentire come obbligatoria 1’ osservanza di una  certa norma, non per questo si potrebbe dire che  l’imperativo è un carattere della norma ; l'impe¬  rativo sarebbe sempre anche in questo caso un ca¬  rattere del motivo che spinge all’ osservanza della  norma ; un dato della coscienza che la abbraccia,  che la riveste e la investe di questo motivo, clic  la sente così.   Quale sia la preoccupazione pratica da cui nasce  e si alimenta il preconcetto, e. quale, sia il processo  per cui si viene ad assegnare alla costruzione nor¬  mativa un compito al quale essa non può soddisfare  in nessun modo, ho pure già cercato di mostrare  altrove, e non serve di ripetere. Piuttosto non mi  par privo di interesse mettere in chiaro con 1’ a-  nalisi come i modi, nei quali può essere interpre¬  tato e tentato il proposito di « fondare una norma  obbligatoria » si riducano a postulare l’esistenza  dell’ obbligo, quando non riescono a una forma più  o meno larvata di imperativo ipotetico. E come  poi, per il verso opposto, assumendo l’imperativo  categorico per dato o postulato, non se ne possa  ricavare la determinazione delle norme; ma si ri¬  chieda perciò l’assunzione espressa o sottintesa di  un fine, o di un criterio di valutazione e deriva¬  zione, estraneo e indipendente da quello.    — 141    8. — Il compito di assegnare una norma che  abbia autorità obbligatoria può essere, e lu in ef¬  fetto, inteso in più significati diversi ; i quali si  possono ridurre ai quattro tipi seguenti :   1. ° Dimostrare che la norma proposta corri¬  sponde a un sentimento, a un motivo, a una di¬  sposizione che si manifesta nella coscienza come  •obbligo. — Allora il senso reale ò, non già che la  do ttrina dia essa autorità o bbligatoria alle su e  norme; bensì questo: che essa riduca, traduca o  formuli in norme i modi di condotta ai quali la  coscienz a si sente obbligata. Ma così la categoricità  del precetto è constatata e assunta, non posta, nè  fondata dalla dottrina ; e la norma obbliga solo se  •ed in quanto i suoi comandi ripetono i comandi  della coscienza; il suo tono imperativo è un’eco,  e vien meno se tace la voce della quale assume il  tono.   2. ° Presentare le norme come ordini di un  Potere (qualunque ne sia la natura) irresistibile,  che costringe volenti e nolenti a seguirlo. — In¬  tesa così l’autorità non viene nò dalla natura delle  norme, nò da quella del fine a cui sono ordinate,  ma da quel Potere del quale l’Etica fa, per dir  così, la presentazione ; anzi il suo ufficio si riduce      — 142 —    in realtà a quello di interprete ed araldo di quel  Potere ; che essa non pone, ma a cui là appello, e  che suppone sia riconosciuto dalle coscienze alle  quali parla in nome suo.   Ad ogni modo l’espressione analizzata, se si  usa ad indicar questo ullìcio, è del tutto abus iva;  l’espressione esatta ò questa: compito dell’Etica ò  di determinare quale sia la legge imposta da quel  potere indis cutibile e irresist ibile, di cui si am¬  mette o si riconosce l’esistenza.   3." Dimostrare che ciò che la norma prescrive  dovrebbe esser voluto dall’ uomo, sopra ogni altra  cosa : cioè sarebbe voluto in effetto, se, invece di  essere come ò, 1’ uomo fosse diverso ; seguisse la  sua vera natura, fosse giusto, o perfetto, o realiz¬  zasse un certo tipo ideale.   Ma è chiaro che in questo senso non si là che  o determinare il fine in l'unzione di un certo tipo  ideale, o il tipo in funzione del line ; ossia, in al¬  tre parole, determinare la relazione che sussiste  tra una certa natura e una certa condotta. La qual  relazione per necessaria che sia, non si vede come  [tossa far nascere la coscienza d’ un obbligo. Se si  pensa di fondare in tal modo 1’ obbligatorietà, ma¬  nifestamente si suppone ebe il conformarsi a un  certo tipo, il realizzare un certo ideale sia già  sentito come obbligo; e si rientra, quanto al fon¬  damento di questo, nel primo dei casi enumerati.         — 143 —    Se poi si intendesse dire che chi vuoi essere uomo  davvero, giusto, o perfetto, deve proporsi un certo  fine o seguire una certa condotta, si avrebbe non  piii un imperativo categorico, ma un imperativo  ipotetico.   4.° Dimostrare che ciò che la norma prescrive,  dece essere voluto universalmenta e incondiziona¬  tamente. — Questo ò manifestamente il significato  che pare più proprio, e nel quale intesero e inten¬  dono l’esigenza i moralisti i quali credono di po¬  ter ricavare l’obbligo dalla natura del fine che  assumono come ideale etico. Ma l’intendere la tesi  così, implica che si ammetta la possibilità di una  di queste due vie : a) o derivare 1’ obbligatorietà  dal valore riconosciuto al fine, assumendo questo  riconoscimento come dato o postulato ; h) o deri¬  vare dalla natura del fine l’ obbligo di riconoscere  al fine stesso un tal valore. E l’una e l’altra di  queste due tesi deve essere considerata distinta-  mente e un po’ più a lungo.   9. — a) — Posto pure che al fine assunto fosse  riconosciuto in realtà universalmente valore di  sommo bene, non ne seguirebbe in nessun modo  che il sentirlo e riconoscerlo come sommo bene  porti con se il sentirsi obbligati a volerlo e cercarlo.  Questo riconoscimento non genera la coscienza del-  Pobbligo, bensì ne mostra la ragionevolezza, fa  che la coscienza approvi l’autori tà ob bligante; cioè        • — 144 —    giustifica P obbligo, posto che ci sia. Ora una tale  giustificazione riesce a questa alternativa: o serve  a dimostrare che Insognerebbe ragionevolmente tro¬  var buona e seguire la norma anche se non si sen¬  tisse Vobbligo, perchè la norma è ordinata a quel  certo fine che è riconosciuto come sommamente  desiderabile. E in questa forma la pretesa fonda¬  zione dell’ imperativo categorico si riduce alla for¬  mulazione di un imperativo ipotetico, che si sosti¬  tuisce o si aggiunge al categorico. 0 riesce a un’ar¬  gomentazione di questo genere : Siccome è bene  sommo il fine, è bene l’osservanza della norma; e  poiché si ammette o si suppone che la coscienza  d’un obbligo assoluto sia necessaria a garantire  questa osservanza, l’imperativo categorico appare  la condizione sine qua non, acquista valore di mgzzo  indispensabile al proseguimento del fine.   Nel primo modo si viene a dire che l’impera¬  tivo categorico è giustificato perchè è bene ciò che  esso comanda; nel secondo che è giustificato per¬  chè è bene che esso comandi in quel tono. Ma nè  l’uno nè l’altro modo nè ambedue insieme riescono  a fondare l’obbligo assoluto; anzi appunto perchè   10 giustificano gli tolgono il carattere di categorico.   11 che se nel primo caso è più evidente, non è meno  vero nel secondo. Infatti, posto pure che la cate¬  goricità dell’ imperativo sia condizione necessaria  all’osservanza della norma, non ne viene perciò    — 145 -    che l’obbligo sia categorico, ma soltanto che sa¬  rebbe bene che fosse, che è desiderabile che sia: os¬  sia la pretesa derivazione che se ne fa, mostra la  necessità di una condizione, non la pone in atto  se manca; pone in chiaro un’esigenza, non la sod¬  disfa. In secondo luogo la dimostrazione stessa di  questa esigenza è contradditoria, perchè a convin¬  cere la necessità dell’obbligo categorico ne assegna  le ragioni ; il che equivale ad ammettere che ve¬  nendo meno queste ragioni verrebbe meno quella  necessità; ossia che l’obbligo dovrebbe valere come  categorico, finché è utile che valga; come chi di¬  cesse un’ autorità che si fa valere incondizionata¬  mente .. .. sotto certe condizioni (1).   Adunque, se la c Qscienza d’un obbligo asso luto  manca, la derivazione che se ne pretenda fare da  un fine, qualunque sia il valore che gli si attri¬  buisce, non può farla sorgere; se c’è, la giustifi¬  cazione riesce ad assegnare le condizioni della sua  validità, cioè a togliergli il carattere di obbligo  incondizionato.   (1) Il che può però aver un senso, se si guarda bene ; ma in un  caso soltanto : nel caso che la coscienza la quale si rende ragione  delle condizioni che importano questa necessità o utilità dell’ im¬  perativo categorico, e la coscienza nella quale 1’ imperativo vale  come categorico, siano due coscienze diverse ; ossia nel caso che  una coscienza riconosca la necessità che 1’ imperativo valga incon¬  dizionatamente per un’altra coscienza.   Che è un senso assai meno strano di quel che possa parere a  prima vista.        — 14U —    b) — Oppure finalmente si intende che ap¬  prendere ciò clic è posto come line equivalga per  ciascuno a dover riconoscerlo come tale; che non  si possa conoscere la natura del line senza sentirsi  obbligati a riconoscergli valore di bene supremo ;  cioè che la conoscenza generi la coscienza d’un  obbligo. — Questa che è in sostanza la tesi di¬  fesa, tra gli altri, con grande vigore dal nostro  Rosmini, è veramente l’interpretazione tipica, più  audace e radicale, del pensiero di derivare l’obbligo  dal fine, o di dare all’obbligo un fondamento og¬  gettivo nella natura stessa di quello.   Ma — senza dilungarmi su questo tema in una  critica troppo nota — è inevitabile questa alter¬  nativa : o il dover riconoscere esprime una neces¬  sità puramente logica, e non può dare quello a  cui è invocata, cioè nè il valore né l’obbligo di  riconoscere il valore; o vuol esprimere una neces¬  sità diversa, e si riduce a un paralogismo; perchè  pretende ricavare da una determinazione obbiet¬  tiva la constatazione di uno stato subiettivo, la  quale presuppone appunto resistenza di quella co¬  scienza dell’obbligo, che crede di far nascere e  senza della quale la constatazione non è possibile.  E per tal modo si ricade ancora una volta nel primo  tipo di interpretazione (V. p. 141); quando non si  voglia ammettere questa tesi : che è obbligo rico¬  noscere quel fine come sommo bene e volerlo, così        — 147 —    se lo si crede tale, come se non lo si crede; cioè  sia che la coscienza senta sia che non senta di  dover attribuirgli quel valore. Ossia non si am¬  metta la tesi dell’obbligo di credere anche senza  o contro l’attestazione della coscienza. Il che ren¬  derebbe inevitabile l’appello a una autorità esterna,  alla quale la coscienza si deve inchinare; e farebbe  della morale del bene oggettivo una morale dom-  matica, che rientra nel secondo tipo.   10. — Adunque l’analisi dei modi nei quali  può essere interpretato e tentato il compito di fon¬  dare una norma obbligatoria conduce a questa con¬  clusione: o si intende che « fondare una norma  obbligatoria » voglia dire derivare l’autorità della  norma dal valore del fine; e allora, come s’è visto,  c come avea notato chiarissimamente il Kant, non  si può per questa via riuscire che a un imperativo  ipotetico; o si intende che voglia dire assumere  come dato l’obbligo e determinare le norme in  conformità a questo dato.   Nel primo caso 1’ esigenza in questione non è  soddisfatta. Nel secondo 1’ obbligazione è assunta ,  non posta o dimostrata; ossia o esiste: e la sua  esistenza e validità sussiste all’ infuori della co¬  struzione dottrinale, che la postula, ma non la fa  essere; o non esiste: e il fatto di assumerla come  esistente non la pone in essere, nè ne legittima  per sè l’assunzione.       — 148 —    IL — Per tal modo, se il difetto capitale di  una scienza normativa etica conforme al concetto  esposto sul suo ufficio e i suoi limiti, è quello di  non^ poter presentare le norme col carattere di im¬  perativo categorico, questo difetto è comune, e non  potrebbe essere altrimenti, a qualsiasi costruz ione  dottrinale. die non si proponga di derivare le norme  da un imperativo categorico assunto come dato.   Ed allora resta da vedere se. prendendo l’impe¬  rativo categorico per dato o postulato, si possa ri¬  cavare da esso la determinazione delle norme; o  se non si debba ancora ricorrere all’ assunzione  espressa o sottintesa di un fine, o di un criterio di  valutazione e di derivazione, estraneo e indipen¬  dente da quello.   CJie^ i 1 dato dell’ imperatività sia per sè in suffi¬  ci ente alla d eterni i nazione .-dei le jparmc morali è  manifesto, qualora si intenda con esso assumere  null a più che la forma destinata a rivestire un con¬  tenuto qualsiasi ricavato d’altronde: nel qual caso è  pur manifesto che, appunto perciò, il dato dell’obbli-  gazione rimane estraneo alla costruzione dottrinale.   Ma non è altrettanto evidente, quando si ammetta  che nel dato dell’ obbligazione è contenuta ad un  tempo la forma dell’ imperativo e la m ater ia del  precetto ; ossia che da questo dato si possa ricavare,   hjUifot vtA »pUóh UàwtiH             o ad esso debba conformarsi e subordinarsi sia la  determinazione del fine sia il contenuto delle  norme.   Senonchè, quando si prenda come dato non la  pura ferina soltanto ma un cer to contenuto, si è  inevitabilmente condotti, come l’analisi precedente  ha dimostrato, a fondare la morale .sull’autorità,  superiore ad ogni discussione, di una certa rivela¬  zione, interna o esterna ; e ad assegnare all’ Etica  1’ ufficio di espositrice e interprete di questa.   Rilevando questa conseguenza io non intendo  affatto di darle il valore di una dimostrazione per  assurdo. La tesi nella forma a cui è ridotta ò tut-  t’altro che nuova e straordinaria; ed ha, in con¬  fronto dell’ affermazione generica e ambigua che  « la morale deve dare norme obbligatorie » il  pregio di essere chiara e non equivoca. .Ma appunto  perciò essa fa apparire manifesta la difficoltà, a cui  si trova di fronte.   12. — Tanto se si intende che la ri velazio ne  da interpretare sia in|£g^ quanto se si intende  che sia esterna, si presenta la medesima difficoltà;  quella difficoltà, antica e notissima, dalla quale          t ciu* oìaI   'R\)l£lp2:\0h/&   l'ileo ila.   £|Avh<*    venne il primo stimolo alla riflessione e alla cri¬  tica nel campo della morale: l a pluralità delle ri-  velazioni.   Poiché i responsi della cosc ienza morale sono  s toricamente diversi e anch e-apposti, come sono di-             vèrse e in parte op poste le rivelazioni religio se,  resta, o che si riconosca a tutte la medesima auto¬  rità, cosi co me i l tono imperativo è. il medesimo;    o che si scelga.     f Quan to alle. religion i ò .troppo chiaro che nessun  criterio ricavato dalla rivelazione stessa può valere  a dimostrar l’autorità di una piuttosto che del-  1’altra, poiché t utte si danno come assolutament e  certe e indiscutib ili ; e le stesse prove sulle quali  una rilevazione attesta la sua autorità sono ado¬  perate da ciascun’ altra per asserire la propria, e  da tutte risuona sui precetti morali diversi il me¬  desimo tono di comando.   Si cercherà il criterio della scelta nella natur a  del le cose co mandate o proibite, come avviene quando  si parla di m aggior sapienz a o el evatez za o n obiltà  de i prec etti morali di una religione rispetto a quelli  di un’altra? Allora è i ^conte nuto dei precetti mo¬  rali che viene assunto come criterio dell’autorità  della rivelazione.   E il valore di questo contenuto, che è così usato  a provare la superiorità di una rivelazione sulle   altre, si può dunque riconoscere indipendentemente  dal suo presentarsi sotto la forma di un comando  rivelato, dal momento che è esso invocato a pro¬  vare l’autorità del comando. Ma allora I’ulhcio  dell’Etica lungi dall’essere quello di interprete e                  — 151 —    araldo di una rivelazione, 6 quell,o_di giudice _deHc % U- t ? ^   rivelazio ni. Il che importa a ben più forte ragione  che tanto il fine quanto le norme morali si sup¬  pone che possano e debbano essere conosciute c de¬  terminate a ll’ infuori di ogni snodale rivelazione.    cioè all’infuori da ogni appello all’autorità.   Ciò che vale per l’autorità di una rivelazione    esterna, vale per quella di una rivelazione interna.  Tra due coscienze, delle quali rispetto alla mede¬  sima azione una ponga come obbligo il fare e l’altra  il non fare, il criterio di valutazione comparativa  non può esser dato dal carattere imperativo, che  è comune ad ambedue, ma deve essere un altro.   Ed anche allora il criterio che serve alla valu¬  tazione comparativa sarebbe esso in realtà quello  da cui dipende cosi la determinazione come la giu¬  stificazione delle norme.    l i. — Non resterebbe che riconoscere ja mede¬  sim a autorità a tutte le rivelazion i. Il che importa  l’una e l’altra di queste conseguenze: o la asso¬  luta indifferenza del contenuto per qualsiasi luogo   -“ --   e tempo; o la limitazione a determinate condizio ni  storiche dell’autorità e del valore di ciascuna.   Se non si vuol accettare la prima (1), si pre¬  senta la domanda: Questa limitazione ha o non ha         Uva*»    (1) Mi permetto di non fermarmi ad esaminare la tesi della as¬  soluta indifferenza del contenuto. Sarebbe come sostenere nel campo  della terapeutica che ciò che importa nella ricetta è la firma del              — 152 —    la sua ragion di essere nelle condizioni storiche,  dalla cui presenza è circoscritta la sua validità?   Se la limitazione non dipende da queste condi¬  zioni, ma essa pure non ha altra ragione di es¬  sere all’ infuori dell’ autorità o del carattere impe¬  rativo col quale hic et nunc si presenta, allora si  ammette che, astrazion l'atta da questo carattere  di obbligatorietà col quale una certa norma si pre¬  senta in quel certo tempo e luogo, non vi sarebbe  nessuna ragione di preferire nelle stesse circostanze  una norma ad un’ altra, cioè si giunge per un al¬  tra via all’indifferenza del contenuto (1).   Se poi questa limitazione ha la sua ragione di  essere nelle condizioni storiche stesse, entro le  quali è valida, cioè in una parola se__ò relativa a  queste condizioni, allora si ammette che sono queste  condizioni il criterio della limitazione ed è la corri¬  spondenza a queste condizioni storiche il criterio  della validità. Cioè si ammette che vi è qualche cosa  che dà alla norma il suo valore all’ infuori del-  1’ obbligazione e al disopra dell’autorità obbligante,    medico, e le prescrizioni di qualunque genere si equivalgono 1’ una  l’altra. E forse è ancor meno manifestamente falso questo che  quello.   Non sarà però inopportuno avvertire che ogni questione intorno  al merito dell’ agente rimane qui al tutto in disparte.   (lT E lascio^ le difficoltà che nascono dalla necessità di ammet¬  tere un’ altra rivelazione alla cui autorità si possa ricondurre la  limitazione in discorso.       — 153 —    dal momento che esso serve anche a stabilire i  limiti entro i quali 1 autorità è riconosciuta come  valida. Cioò si viene a riconoscere ancora come 1’ ob¬  bligazione non possa essere un dato sufficiente alla  determinazione e valutazione delle norme, e come  per essa non solo non possa essere negata, ma  venga confermata la legittimità di una scienza nor¬  mativa morale.   15. — Senoncliè a questo punto mi sento op¬  porre un nome, un gran nome: Kant. Ma dunque  non ^esiste la Morale Kantiana ? Non ricava egli  dalla volontà buona, dal dovere, dall’ osservanza  della l egge perda legge, la norma morale suprema,  nella notissima formula, nella quale, indipendente¬  mente da ogni particolare rivelazione storica, c  sopra ogni speciale contenuto materiale, si raccoglie  tutto un sistema di norme razionali ?   E s e la sua morale è f m^gle. cessa perciò di  avere il suo valore, e sopratutto cessa di esistere,  e, a fortiori, di essere possibile?   — Certamente a nessuno può venire in mente di  negare la possibilità di un sistema che ò esistito  ed esiste, e a me, forse meno che ad altri, di ne¬  garne il valore.   Così la grande costruzione razionale dei doveri  dell’ uomo del Kant, come la grande costruzione  razionale dei diritti dell’ 'uomo che piglia nome  dalla Rivoluzione Francese sono ben lungi dal me¬    lo         — 154 —    VFDFfiF sr   & )\<é   4   i'MSSfat    ri tare il facije compatimento col quale parlano di  astrazioni e di formalismo certi fonografi della so-  ciologia.   Ma qui al proposito nostro importerebbe vedere  la costruzione razionale del Kant sia fondata sul  d ato dell’ obbligazione, co me pare , o non ni ut trist o  sulbesigenza dell' universalitaTche nKanTcrede    bensì trovare implicita nel concetto del dovere, ma      v* /v T< ì»-^uAtv\  7 u-iC'    che è invec e caratteristica dell’ ide a_di  ' » senza la quale ci può essere Yobbligo, ma non Yap-   p robazione interiore dell’obbligo, che è propria della  ^ -y j coscienza del dovere (1).   Perchè i l concetto iÌT"degg e che serve al Kant  per passare dal dato del dovere all’esigenza dell’uni¬  versalità, non è un elemento contenuto nel dato  stesso e che possa esserne ricavato analiticamente,  ma (L una sintesi nella qual e insieme coll’obbliga-  zioneè già assunta l’esigenza dell’universalità che  la giustifica.   Ed è questa e sigenza dell’ universalit à, non il  dato dell’ obbligazione che fornisce al Kant il cri¬  terio supremo della morale.   Ma a ben chiarire questo punto — come, anche  nella morale kantiana, l’imperatività non sia un  dato sufficiente alla determinazione delle norme, e  come in realtà venga assunto non solo un criterio   (1) Di questo argomento ho trattato di proposito altrove. Cfr.   Prolegomeni ecc. pp. 19-88.   ( C* «M. ÀtydL* UO-rutL <.TKv tff» }rlv \ltj ’V- r ' P i* " I"," I   ]( Lo'h YcMufr Vvvt7 VX 0   u dU 'um^ìvc^ÌO p   c -‘ — ‘Oi "                      — 155 —    non ricavato da quella, ma implicitamente anche  un certo contenuto — occorrerebbe un’analisi assai  meno sommaria; poiché non è questo un argomento  da sbrigarsi così alla lesta.   Basti per ora non aver omesso 1’ accenno.               IL FONDAMENTO INTRINSECO DEL DIRITTO   secondo I il Vanni          Il Fondamento Intrinseco del Diritto   SECONDO IL VANNI (*)   -- Nota Critica -    Il volume dal titolo « Lezioni di Filosofìa del  Diritto », la cui pubblicazione fu curata con rive¬  rente pietà e con devota ammirazione dalla Vedova  e da alcuni tra i più valenti Discepoli poco dopo  la morte immatura dell’Autore, è forse tra gli  scritti del Vanni quello in cui la sua dottrina ap¬  pare più compiutamente ordinata a sistema, e nel  quale a un tempo si rivelano felicemente congiunte  le qualità dello scienziato e dell’insegnante; e ve¬  ramente si può considerare come il testamento  scientifico del celebrato Maestro. Certo, qualunque  giudizio porti sul fondamento e sulla validità in¬  trinseca del sistema, nessuno può disconoscere la  larghezza e la profondità della coltura filosofica e  giuridica, e la chiarezza della trattazione; e sopra¬  tutto la sincerità e, direi, 1’ onestà scientifica che  ò propria di chi medita e scrive per amore disin¬  teressato del vero.    (1) Icilio Vanni. — Lezioni di Filosofia del Diritto — Bologna,  Zanichelli, 1904.            La l'ilosofia del Diritto abbraccia, secondo il  ^ tre ricerche : la ricerca critica ; la ricerca  sintetica o lcnomenologia giuridica ; e la ricerca  deontologica.   Nella prima egli comprende non soltanto la de¬  terminazione dell’oggetto, dei metodi e dei rapporti  della filosofia del diritto colle scienze affini, ma  anche una indagine preliminare di critica gnoseo¬  logica. che il Groppa li accordandosi col Fraga pane  ritiene, a mio giudizio giustamente, estranea al  compito di questa disciplina. Giustamente, finché  si intende che la filosofia del diritto debba istituire  una sua propria ricerca gnoseologica ; ma non se  si intende anche di negare la opportunità di pre¬  mettere, come in fondo fa il Vanni in queste Le¬  zioni, quali sono i presupposti gnoseologici accettati.  Poiché ogni dottrina deve pur assumerne, di una  o d’altra speeie, esplicitamente o implicitamente.  Ed è bensì vero che essi si possono sottintendere  e si applicano di solito nelle ricerche speciali taci¬  tamente. Ma compito del filosofo è appunto, come  osservava il Rosmini, di c omprendere e fo rmulare  elii aramente quello che gli altri sottintendon o.   Del resto il fatto che il Vanni voglia prender  le mosse da una v alutazione critica sulla natura e   al sapere giuridico, prova quanta larghezza di pen¬  siero, e direi, di coscienza filosofica egli portasse            nelle sue ricerche, e con quanto scrupolo sentisse  l’obbligo di rendersi conto anche dei più lontani  e generali presupposti della sua dottrina.   La seconda ricerca si sdoppia in due parti :  statica, che determina la nozione logica del diritto,  inducendola dell’analisi del diritto positivo dei po¬  poli più progrediti, e similmente dello Stato; dina¬  mica (genetica o storica) che studia la genesi e la  formazione storica del Diritto e dello Stato; e si  potrebbe anche chiamare filosofìa della storia del  diritto. Alle quali due ricerche corrispondono le  parti II® e III® del volume.   Finalmente la terza ricerca di carattere etico o  valutativo ha per oggetto il problema della Giu¬  stizia, ossia del fondamento intrinseco e delle esi¬  genze razionali del diritto. Questa, che costituisce  la parte IV® ed ultima, ò senza dubbio la più im¬  portante, perchè riguarda quello che è il problema  centrale della filosofìa del diritto; e nella cui so¬  luzione principalmente Si manifesta la nota carat¬  teristica delle diverse dottrine. E la dottrina del  Vanni, benché l’indirizzo e. direi, la moda oggi  prevalente la consideri oltrepassata, merita di es¬  sere ricordata e discussa; perchè mentre intende il  compito della filosofia del diritto non soltanto come  storico-genetico, ma anche come normativo, (nel  che si accorda coll’ idealismo) si propone di assol¬  vere questo compito tenendosi nei limiti d’una co-     16 2 —    struzionc puramente scientifica, ed escludendo ogni  postulato di natura metafisica; nel che consente  col proposito, se non col metodo, dello storicismo  c del positivismo.   Ora il difetto principale della sua dottrina, non  nasce, come può parere a prima vista, dalla pre¬  tesa e comunemente ammessa inconciliabilità tra  il compito normativo e la validità scientifica ; chè  anzi questo intendimento, chiaramente concepito  e tenacemente proseguito, di una costruzione nor¬  mativa scientifica del diritto, è a mio giudizio, un  alto titolo di merito; ma nasce dall’essersi fermato,  direi, a mezza via nel rilevare a quali condizioni  sia possibile una costruzione etico-giuridica che sod¬  disfaccia a un tempo ad ambedue le esigenze.    La jiottrina del Vann i, per quel che riguarda  il fondamento intrinseco del diritto e il metodo, si  può considerare come una forma di quella che lo  Spencer ha propugnato e difeso col nome di utili¬  tarismo razionale: e infatti, pur rilevando giusta¬  mente l’importanza e il valore del pensiero del  Romagnosi, egli la riconosce come il precedente  più immediato e più notevole della sua. Ma la trova  erronea per tre rispetti ; perchè ammette un diritto  naturale; perchè pretende di costruire una norma            etico-giuridica assoluta ; e perchè Analmente lo  Spencer intende le condizioni di esistenza da cui  le norme devono essere dedotte, in un senso pura¬  mente biologico. Principalmente su questo ultimo  punto egli accentua il suo dissenso, prendendo come  base, non le condizioni dell’esistenza individuale  e la legge della sopravvivenza dei più adatti, ma  le condizioni dell’esistenza sociale. Il fondamento  dell’ etica sta dunque nella necessità per chi vive  in società (e la socialità è la esigenza suprema del-  1’esistenza umana) di uniformarsi alle condizioni  ed alle esigenze poste dallo stato sociale ; e l’etica  dimostra intrinsecamente necessarie quelle forme e  quei modi di condotta che sono richiesti dalle con¬  dizioni della vita in comune. Fra queste condizioni  ve ne sono alcune che hanno un’ importanza fon¬  damentale e primaria, in quanto rappresentano  l’indispensabile per la convivenza e la cooperazione;  e nell’osservanza delle quali consiste la giustizia.  Ma poiché queste potrebbero non essere spontanea¬  mente osservate, è necessario che le azioni relative  ad esse non restino abbandonate alla buona volontà  e alla spontaneità e che « con una norma di con¬  dotta irrefragabilmente obbligatoria ed eventual¬  mente coattiva s’induca all’osservanza anche il  volere recalcitrante. Quindi in altri termini la ne¬  cessità del diritto, il quale ci apparisce allora come  una norma che ha da garantire le condizioni fon-       — 164 —   (lamentali per la coesistenza e la cooperazione  umana. Cosi non soltanto l’Etica, ma anche il Di¬  ritto viene ad avere un fondamento intrinseco, e  viene ad averlo anche lo Stato, il quale è indispen¬  sabile alla funzionalità (tei Diritto » (pag. 314).   Xon è necessario un lungo discorso per vedere  che quando il Vanni crede di fondare in questo  modo F esigenza razionale del diritto finisce per  assumere in realtà come presupposto il principio  che egli vuole, e crede di dovere, derivare apodit¬  ticamente, e al quale appunto è subordinato il va¬  lore di necessità razionale assegnato alle norme  ideali che devono servire di modello e di criterio  di valutazione. Infatti la relazione naturale e ne¬  cessaria tra una certa condotta e certe condizioni,  necessarie alla loro volta alla convivenza e coope¬  razione sociale, serve bensì a stabilire che quella  condotta deve essere riconosciuta come un mezzo  necessario al fine di conservare e promuovere la  convivenza e la cooperazione sociale, posto che questo  sia riconosciuto e voluto come fine ; ma non vale  a stabilire la necessità razionale di riconoscerlo  come fine; e fine precedente in valore e autorità  ad ogni altro.   Il \ anni par che intenda superare la difficoltà  osservando che la necessità puramente naturale in  quanto è pensata dalla mente si trasforma appunto  in una esigenza ed in una necessità razionale. « Essa            — 105 —    allora esprime un principio logico fondamentale, il  principio di contraddizione ». Se in forza della na¬  tura stessa delle cose c dei rapporti causali, per  ottenere un certo fine è indispensabile un certo  mezzo, e per raggiungere un certo risultato è in¬  dispensabile un certo modo di condotta, impliche¬  rebbe contraddizione che si potesse impiegare un  mezzo diverso o seguire una condotta diversa  (p. 315).   Ma ò facile vedere 1’ equivoco. Contraddizione  vi è certamente tra il pensare che una condotta è  indispensabile a raggiungere un certo fine e pen¬  sare che questo stesso fine possa essere raggiunto  con una condotta diversa ; ma io non violo nes¬  sun principio logico e non sono punto in con¬  traddizione con me stesso se, ammettendo che un  certo fine dipende da certi mezzi, non voglio il fine  e non voglio perciò neanche i mezzi.   E neppure vale il ricongiungere Vordine sociale  all’ ordine cosmico, considerandolo come la forma  più alta a cui riesce 'iì processo della^ evoluzione  universale. Perchè non si fa altro in questo modo,  che spostare il presupposto; cioè ammettere, an¬  cora e sempre, che si riconosca valore di fine su¬  biremo a questo adattamento all’ ordine cosmico.   Il quale presupposto potrà o non potrà venir  legittimamente assunto come dato o postulato ; ma  è e rimane un presupposto. E perciò le norme ideali        che se ne deducono hanno questo valore di nonne  nell’ ipotesi che si accetti come fine supremo quel-  P ordine di effetti dal quale sono dedotte.   «   Ma rilevando cosi il carattere necessariamente  ipotetico della costruzione, alla quale riesce anche  il « sistema delle condizioni della vita in comune »  del Vanni, io non intendo, anzi escludo, che questo  carattere ipotetico costituisca per sò un vizio pro¬  prio di questa e di tutta una classe di costruzioni  etico-giuridiche, come pretende P idealismo metaf쬠 sico. Il quale si illude di poter esso sfuggire a  questo carattere ipotetico riallacciando quel tipo di  convivenza e di relazioni sociali, che assume come  modello e in conformità al quale determina le  norme ideali, a un fine di natura metafìsica, che  abbia perciò valore assoluto. Dove sono da notare,  sia detto di passata, due circostanze, a mio giudizio,  decisive : Primo : che le norme ideali sono pur  sempre ricavate o dedotte, malgrado ogni sforzo  od ogni apparenza contraria, dal tipo sociale as¬  sunto come modello, e non dal fine metafisico, della  cui autorità e del cui valore esso si riveste. Secondo:  che il valore assoluto di questo fine metafisico non  può essere che assunto aneli’esso o come dato o  come postulato.   La verità è semplicemente che un sistema di  norme giuridiche contempla di necessità un certo      — i<;7    ordino di vita individuale e sociale; e che la va¬  lidità dello norme dipende dal valore che si sup¬  pone riconosciuto a questo ordine di vita. Questo  riconoscimento di valore, questa valutazione del  fine è dunque il presupposto inevitabile della va¬  lidità etica del sistema (la quale non esclude la va¬  lidità scientifica, ma non si esaurisce in questa);  e la questione si riduce a decidere se si pub o non  si può assumere legittimamente come dato o come  postulato questo riconoscimento del valore che nel  sistema è assegnato al fine.   Ora è nel rispondere a questa questione, non  nel carattere ipotetico, che si rivela l’insufficienza  del sistema del Vanni e dell’ indirizzo naturalistico  in genere; e alla quale del resto non riesce a sfug¬  gire neppure l’indirizzo metafisico. Infatti una ri¬  sposta adeguata alla questione esige che si deter¬  minino le condizioni richieste perchè a un ordine  di convivenza e di cooperazione si riconosca valore  di fine universalmente regolatore, valore, direi,  (piuttosto che di summum bonum ) di primum de¬  siderabile ; ossia perchè si possa ammettere che tutti  i soci consentano liberamente nel valutarlo e vo¬  lerlo come tale. E che si assuma poi, come modello  per dedurne le norme ideali, il tipo sociale che  soddisfa a questa esigenza ; cioè il tipo sociale con¬  figurato in conformità di quelle condizioni.   Ma non è rispondere alla questione il dimostrare          la naturalità della convivenza sociale in genere, o  di un certo tipo che si assuma volta a volta come  modello. Questa dimostrazione può servire a farmi  trovar buona o giusta o desiderabile P osservanza  dell’ordine naturale, se io trovo già buono o giusto  o degno di essere voluto, quel tipo di vita sociale,  cbe si presenta come suo effetto ; ma non inversa¬  mente. E se, non trovandolo tale, mi rassegnassi  a subirlo per la coscienza della sua necessità natu¬  rale. chi potrebbe legittimamente scambiare questo  subire con un volere . e la rassegnazione a un male  con la aspirazione a un bene ?   Nemmeno gioverebbe, d’altra parte, il ricorrere  a postulati metafisici. Posto che io non riconosca  l’ordine sociaie ideale contemplato da un sistema  come degno di essere voluto, in qual modo si può  presumere legittimamente che valga a farmelo ri¬  conoscere tale Vaffermazione (poiché qui di dimo¬  strazione non si potrebbe parlare) che esso .ha un  fondamento o una giustificazione metafisica, se la  ragione per la quale il sistema gli assegna questo  fondamento consiste appunto nel valore di fine che  esso gli attribuisce e cbe io, per ipotesi, non gli  riconosco ?    Ma il Vanni (per restringermi a lui. poiché al-  1 indirizzo metafisico non ho accennato qui se non  per debito di sincerità e di chiarezza) obietterebbe       — 169 —    con tutta probabilità che per la via indicata come  la sola legittima si riesce a una costruzione pura¬  mente astratta, di un tipo utopistico di società  che non trova nella realtà storica nessuna corri¬  spondenza; e che si ricade nei difetti (ai quali ap¬  punto egli, d’accordo in ciò con la scuola storica,  s’ è proposto di sfuggire) o del puro formalismo, o  di un diritto assoluto valevole per tutto c sempre,  e senza riferimento possibile alla variabilità dei  rapporti sociali.   Mentre riponendo, come egli fa, il fondamento  intrinseco del Diritto n ella conformità della co n¬  d otta alle condizioni richieste dalla vita in comu ne,  questo riferimento non solo appare possibile ma  inevitabile. Infatti, insiste egli nel rilevare, le con¬  dizioni della vita in comune non sfuggono al moto  dell’ evoluzione e della storia ; e se anche alcune  hanno il carattere d’una certa uniformità e co¬  stanza, altre invece variano correlativamente al  grado di sviluppo umano e alle forme di organiz¬  zazione sociale, e sono proprie di ciascun grado e  di ciascuna forma. Il che importa che debbono va¬  riare corrispondentemente le norme regolatrici ; os¬  sia che nell’applicazione « il sistema etico-giuridico  fondato sulle condizioni di esistenza va combinato  col principio di evoluzione e subordinato al criterio  della relatività storica » (p. 318).   Ora, lasciando di rilevare come con questa su-    /    it       bordinazione si assuma sempre per presupposto che  l’osservanza delle condizioni richieste dal tipo so¬  ciale storicamente dato, abbia, per il solo l'atto che  la coscienza* ne riconosce la necessità storica, anche  valore di fine, importa notare come si venga con  ciò a rinunziare ad ogni valutazione comparativa  delle diverse forme storiche del diritto. Perchè una  valutazione comparativa richiede di necessità un  criterio, il quale non può essere dato dalla corri¬  spondenza alle condizioni storiche. E se si prende  un criterio diverso, allora è la conformità a questo  criterio e non la necessità storica, che si assume  come esigenza razionale o come giustificazione in¬  trinseca del diritto.   È certo che se una costruzione etico-giuridica  per essere razionale dovesse rimanere sospesa,  come gli Dei d’Epicuro, tra cielo e terra, e fuori  di ogni possibilità di applicazione alla condotta in¬  dividuale e collettiva, bisognerebbe accettare la tesi  del fenomenismo, e negare alla filosofia del diritto  qualsiasi funzione pratica riconducendola nell’ am¬  bito della pura sociologia.   Ma esiste davvero questa incompatibilità? E  non potrebbe essa dipendere, invece che dalla ra¬  dicale sterilità di una costruzione veramente ra¬  zionale (1), dalla preoccupazione di giustificare eti-   (1) Se, e a quali condizioni, una tale costruzione sia possibile,  è argomento del quale s 1 è già discorso altrove e che non può es¬  sere toccato di sfuggita.      — 171 —    camentc forme di diritto che non sono eticamente  giustificabili, di assumere come condizioni richieste  dalla giustizia e conformi ad essa certe condizioni,  reali sì, e storicamente date, ma che sono la nega¬  zione di quelle richieste dalle esigenze ideali? Per¬  chè se fosse cosi, Ih conclusione da trarne sarebbe  non che la costruzione razionale ò inapplicabile  come criterio di valutazione e come modello nor¬  mativo, ma che, essendo le condizioni reali diverse  da quelle idealmente contemplate, le norme ideali  non possono essere applicate simpliciter a condizioni  diverse dalle supposte. Ma esse potranno, anzi do¬  vranno ugualmente servire come criterio per de¬  terminare quale sia in un dato momento storico  la condotta sociale e individuale che, nei bifidi  delle esigenze reali necessariamente imposte dalle  condizioni in effetto esistenti, è più acconcia a favo¬  rire la trasformazione di queste nella direzione se¬  gnata da qualle esigenze ideali, ossia tende ad at¬  tuarle. il che importa che le esigenze corrispondenti  alle condizioni proprie di un certo momento storico  non siano assunte esse come esigenze razionali del  diritto, ma forniscano il criterio per stabilire entro  quali limiti sia possibile -tradurre in norme di di¬  ritto positivo le norme ideali.   Ossia in breve : l’esigenza razionale segna le  condizioni a cui deve soddisfare un ordino sociale  perchè possa aver valore di fine; la realtà storica         1      >       Indice Generale    1. ° La Dottrina delle Due Etiche   di H. Spencer e la Morale   come Scienza .... Pag. 3   ' * • ,   2. ° Per Una Scienza Normativa   Morale .„ 119   3. ° Il Fondamento Intrinseco del   Diritto secondo il Vanni    157Erminio Volfango Francesco Juvalta. Herren von Juvalt. Juvalta. Keywords: implicature, il metodo dell’economia pura nell’etica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Juvalta on the categorical imperative,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689131181/in/photolist-2mLQdrQ-2mKbfaU-2mKAiSV

 

Grice e Labriola – implicature – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cassino). Filosofo. Grice: “Labriola is good; he reminds me of pinko Oxford!” -- Essential Italian philosopher -- Con particolari interessi nel campo del marxismo. Nacque da Francesco Saverio, insegnante ginnasiale di lettere, e da Francesca Ponari. Il padre, oriundo di Brienza, era nipote diretto di Pagano.  Si iscrisse alla facoltà di filosofia di Napoli, città nella quale la famiglia si era trasferita. Qui studia con Vera e Spaventa, il cui appoggio gli procura un posto di applicato di pubblica sicurezza nella segreteria del prefetto. Scrive Una risposta alla prolusione di Zeller, un'opera in cui osteggia il neokantismo contro ogni ipotesi di un ritorno a Kant. Rivendica l'attualità dell'hegelismo. Conseguì il diploma di abilitazione e insegnò nel ginnasio Principe Umberto di Napoli. Il suo saggio, premiato dall'Napoli, sull'”Origine e natura delle passioni”: una significativa presa di distanze dall'idealismo in favore del materialismo.  Scrive “La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele”,  premiata dalla Reale Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli. Consegue la libera docenza in filosofia della storia e si mette in aspettativa in attesa di ottenere un incarico nell'Università; scrive la dissertazione “Esposizione critica della dottrina di G. B. Vico” e collabora con il giornale svizzero "Basler Nachrichten", al quale invia corrispondenze politiche, al quotidiano napoletano "Il Piccolo", fondato e diretto da Rocco De Zerbi, futuro deputato e leader dell'Unione liberale, un gruppo politico al quale Labriola aderisce. Entra anche nella redazione della "Gazzetta di Napoli" e, nel febbraio 1872, in quella de L'Unità Nazionale, diretta da Ruggiero Bonghi, al Monitore di Bologna e alla Nazione di Firenze, nella quale escono le sue dieci Lettere napoletane. Si dichiara herbartiano in psicologia e in morale, pubblicando a Napoli i saggi Della libertà morale, dedicata ad Arturo Graf e Morale e religione.  Trasferitosi a Roma, ove muore di difterite il figlio Michelangelo, supera  il concorso alla cattedra di filosofia e pedagogia all'Roma. Pubblica il saggio Dell'insegnamento della storia e l'anno dopo è direttore del Museo di istruzione e di educazione: sono anni in cui Labriola mostra un particolare impegno verso il miglioramento del livello professionale degli insegnanti e la diffusione dell'istruzione di base della popolazione, inteso come primo passo per una maggiore democrazia del paese. A questo scopo s'informa sugli ordinamenti scolastici dei paesi europei: nel 1880 pubblica gli Appunti sull'insegnamento secondario privato in altri Stati e nel 1881 l'Ordinamento della scuola popolare in diversi paesi. Contemporaneamente Labriola abbandona le convinzioni politiche di moderato liberalismo per approdare a posizioni radicali: oltre alla lotta all'analfabetismo, auspica l'intervento dello Stato nell'economia, una politica sociale di assistenza ai poveri, il suffragio universale che permetta anche a candidati operai l'ingresso al Parlamento. Ottiene la cattedra di filosofia della storia all'Roma e inizia un corso di storia del socialismo. A seguito di notizie che danno imminente la stipula del Concordato con il Vaticano, Labriola tiene all'Università la conferenza Della Chiesa e dello Stato a proposito della conciliazione, considerando una minaccia per la libertà di pensiero ogni accordo con la Chiesa, temendone l'ingerenza nella vita pubblica italiana. Il  quotidiano romano La Tribuna pubblica una sua lettera in cui, tra l'altro, scrive di essere «teoricamente socialista ed avversario esplicito delle dottrine cattoliche» e nella conferenza Della scuola popolare, auspica l'abolizione dell'insegnamento religioso.  Sul giornale Il Messaggero, depreca l'uso della forza pubblica contro le manifestazioni; tiene agli operai di Terni un discorso su Le idee della democrazia e le presenti condizioni dell'Italia, in cui afferma di impegnarsi personalmente in politica e dichiara di desiderare un «governo del popolo mediante il popolo stesso» e la formazione di un grande partito popolare. Scrive che «I parlamenti, come forma transitoria della vita democratica d'origine borghese, spariranno col trionfo del proletario» e il 20 giugno tiene nel Circolo operaio romano di studi sociali il discorso Del socialismo commemorando la Comune di Parigi.  Nell'ottobre Labriola saluta il congresso della socialdemocrazia tedesca a Halle scrivendo che «Il proletariato militante procederà sicuro sulla via che mena diritto alla socializzazione dei mezzi di produzione ed l'abolizione del presente sistema di salariato, fidando solo nei suoi propri mezzi e nelle sue proprie forze».  Nel 1890 entra in rapporto epistolare con Engels, che conoscerà a Zurigo, e con i maggiori dirigenti socialisti europei, Kautsky, Liebknecht, Bebel, Lafargue, mentre rimprovera a Filippo Turati, il più prestigioso leader socialista italiano e direttore della rivista Critica sociale, superficialità teorica e arrendevolezza nei confronti degli avversari politici. Vuole che il Partito socialista, che deve nascere ufficialmente con il Congresso di Genova del 14 agosto 1892, sia un partito di operai e non di intellettuali positivisti borghesi. Vede nei Fasci siciliani un concreto esempio di socialismo popolare e rivoluzionario e lamenta che il marxismo non riesca a essere compreso in Italia.  Fa lezione sul Manifesto di Marx ed Engels e scrive a quest'ultimo, di star facendo un nuovo corso «su la genesi del socialismo moderno» ma di non riuscire a risolversi a scriverne un saggio per l'ignoranza su tanti «fatti, persone, teorie, etc, che sono tante fasi, tanti momenti né sentiti né conosciuti in Italia», come ribadisce a Victor Adler che «il marxismo non piglia piede in Italia».  Su sollecitazione del Sorel, scrive In memoria del Manifesto dei comunisti, il primo dei suoi saggi sulla concezione materialistica della storia, che esce in francese sulla rivista del Sorel, Le Devenir social; lo spedisce a Engels in luglio, ricevendone le lodi. Anche il giovane Croceche ne promuove la stampa in Italiane è influenzato tanto da attraversare il suo pur breve periodo di adesione al marxismo. Nei due anni successivi Labriola scrive altri due saggi, Del materialismo storico, dilucidazione preliminare e Discorrendo di socialismo e di filosofia.  È sepolto presso il cimitero acattolico di Roma. Schematicamente, possiamo suddividere il percorso filosofico e politico di Labriola in tre diversi momenti: innanzitutto fu propugnatore dell'idealismo hegeliano (influenzato da Bertrando Spaventa, del quale fu allievo a Napoli); successivamente, possiamo distinguere una fase contrassegnata dal rifiuto dell'idealismo in nome del realismo herbartiano, ed infine, il momento della maturità, in cui aderisce pienamente al marxismo.  L'approccio di Labriola al marxismo è influenzato da Hegel e Herbart, per cui è più aperto dell'approccio di marxisti ortodossi come Karl Kautsky. Egli vide il marxismo non come una schematizzazione ideologica ed autonoma dalla storia, ma piuttosto come una filosofia autosufficiente per capire la struttura economica della società e le conseguenti relazioni umane. Era necessario aderire alla realtà sociale del proprio tempo storico se il marxismo voleva considerare la complessità dei processi sociali e la varietà di forze operanti nella storia. Il marxismo doveva essere inteso come una teoria ‘critica', nel senso che esso non asserisce verità eterne ed immutabili ed è pronto ad interpretare le contraddizioni sociali secondo le diverse fasi storiche, avendo al centro della sua analisi il lavoro e le condizioni dei lavoratori e dunque la concreta e materiale "prassi" umana. La sua descrizione del marxismo come "filosofia della prassi" verrà ripresa nei Quaderni dal carcere di Gramsci.  In pedagogia Labriola avvertì l'esigenza collettiva dei tempi nuovi, il bisogno di una scuola popolare che servisse da reale tessuto connettivo dell'Italia post-unitaria, una lotta dunque per la civiltà, mezzo e fine dell'evoluzione morale (e complessiva) delle classi subalterne.  Nella monografia Dell'insegnamento della storia, del 1876, dedicata alle più importanti questioni della pedagogia generale, Labriola aveva asserito la centralità dell'educazione alla socialità: il metodo pedagogico doveva essere quello della ricerca critica e di dibattito e di sperimentazione, unica via capace di condurre alla padronanza del pensiero logico-razionale e in grado di formare personalità aperte alla ricerca e al confronto (non a caso i primi studi di Labriola erano stati rivolti a Socrate e al metodo socratico). Traducendo in un linguaggio pedagogico moderno, per Labriola era necessaria un'attenzione maggiore ai prerequisiti logici piuttosto che alla struttura interna disciplinare, che comunque va indagata attraverso quella che egli chiama un'epigenesi analitica.  Celebre fu una sua conferenza tenuta nell'Aula Magna dell'Roma,  discorso sollecitato dalla stessa Società degli Insegnanti della capitale, che poi ne curò la pubblicazione in opuscolo.  Era necessario dare concretezza a piani di istituzioni scolastiche entro le quali le didattiche si sviluppassero non da una deduzione della teoria, ma come risultato di lotte politiche, di ideali sociali, di tradizioni storiche, di condizioni ambientali. Per Labriola proprio l'azione dell'ambiente storico sociale sugli uomini e la loro reazione ad esso costituiscono il tema dell'educazione. Per cui « le idee non cascano dal cielo ». Il metodo deve partire dalla prassi, dalla pratica e non dalle idee, dai principi astratti.  Il nucleo essenziale della pedagogia della « prassi » sta nella percezione della connessione dell'opera educativa con le condizioni dello sviluppo economico-sociale.  Trockij conobbe «con entusiasmo» l'opera di Labriola nel 1898, quand'era detenuto nel carcere di Odessa. Egli scrive nelle sue memorie che «come pochi scrittori latini, Labriola possedeva la dialettica materialistica, se non nella politica, dov'era impacciato, certo nel campo della filosofia della storia. Sotto quel dilettantismo brillante c'era vera profondità. Labriola liquida egregiamente la teoria dei fattori molteplici che popolano l'olimpo della storia guidando di lassù i nostri destini». Trockij aggiunge che dopo 30 anni continuava a rimanergli in mente «il ritornello Le idee non cascano dal cielo». Opere Una risposta alla prolusione di Zeller, Origine e natura delle passioni secondo l’Etica di Spinoza, La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele, Napoli, Stamperia della Regia Università,  Della libertà morale, Napoli, Tipografia Ferrante-Strada, Morale e religione, Napoli, Tipografia Ferrante, Dell'insegnamento della storia. Studio pedagogico, Roma, Loescher, L'ordinamento della scuola popolare in diversi paesi. Note, Roma, Tip. eredi Botta,  I problemi della filosofia della storia. Prelezione letta nella Roma, Roma, Loescher, 1Della scuola popolare. Conferenza tenuta nell'aula magna della Università, Roma, Fratelli Centenari, Al comitato per la commemorazione di G. Bruno in Pisa. Lettera, Roma, Aldina,Del socialismo. Conferenza, Roma, Perino, Proletariato e radicali. Lettera ad Ettore Socci a proposito del Congresso democratico, Roma, La cooperativa,  Saggi intorno alla concezione materialistica della storia I, In memoria del manifesto dei comunisti, Roma, Loescher, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, Roma, Loescher, Discorrendo di socialismo e di filosofia. Lettere a G. Sorel, Roma, Loescher, B. Croce, Bari, Laterza,  Da un secolo all'altro. Considerazioni retrospettive e presagi, Bologna, Cappelli, L'università e la libertà della scienza, Napoli, Tipi Veraldi, A proposito della crisi del marxismo, in "Rivista italiana di sociologia", Scritti varii editi e inediti di filosofia e politica, raccolti e pubblicati da Benedetto Croce, Bari, Laterza, Socrate, Benedetto Croce, Bari, Laterza, La concezione materialistica della storia, con un'aggiunta di B. Croce sulla critica del marxismo in Italia, Bari, Laterza, re prelezioni sulla storia e il materialismo storico; In memoria del Manifesto dei comunisti, Brescia, Studio Editoriale Vivi, Lettere a Engels, Roma, Rinascita, Democrazia e socialismo in Italia, Milano, Cooperativa del libro popolare, Opere, Luigi Dal Pane, I, Scritti e appunti su Zeller e su Spinoza, Milano, Feltrinelli, La dottrina di Socrate secondo Senofonte, Platone ed Aristotele, Milano, Feltrinelli, Ricerche sul problema della libertà e altri scritti di filosofia, Milano, Feltrinelli, Scritti di pedagogia e di politica scolastica, Dina Bertoni Jovine, Roma, Editori Riuniti, Saggi sul materialismo storico, Valentino Gerratana e Augusto Guerra, Roma, Editori Riuniti, introduzione e cura di Antonio A. Santucci, Il materialismo storico, antologia sistematica Carlo Poni, Firenze, Le Monnier, Pedagogia e società. Antologia degli scritti educativi, scelta e introduzioni di Demiro Marchi, Firenze, La nuova Italia,Scritti politici. Valentino Gerratana, Bari, Laterza, Opere, Franco Sbarberi, Napoli, Rossi, Scritti filosofici e politici, Franco Sbarberi, Torino, Einaudi, Lettere a Benedetto Croce. Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, Dal secolo XIX al secolo XX. Dall'era della concorrenza al monopolio. Nascita e lotte del socialismo. IV saggio, incompiuto, della concezione materialistica della storia, Lecce, Milella, Scritti liberali, Bari, De Donato, Scritti pedagogici, Nicola Siciliani De Cumis, Torino, POMBA, Epistolario Roma, Editori Riuniti, Roma, Editori Riuniti, Roma, Editori Riuniti,  Lettere inedite. Roma, Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea, La politica italiana Corrispondenze alle “Basler Nachrichten”, a cura e con introduzione di Stefano Miccolis, Napoli, Bibliopolis, Del materialismo storico e altri scritti, Milano, M&B Publishing, Del socialismo e altri scritti politici, Milano, UNICOPLI, Giordano Bruno. Scritti editi e inediti Napoli, Bibliopolis, Fra Dolcino, Pisa, Edizioni della Normale,.  Tutti gli scritti filosofici e di teoria dell'educazione, Milano, Bompiani Il pensiero occidentale,. Edizione nazionale La casa editrice Bibliopolis ha in corso di pubblicazione l'edizione nazionale delle opere di Antonio Labriola, istituita con decreto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Tra Hegel e Spinoza. Scritti, A.Savorelli e A. Zanardo, Bibliopolis, I problemi della filosofia della storia e recensioni G. Cacciatore e M. Martirano, Bibliopolis, Da un secolo all'altro. Stefano Miccolis e Alessandro Savorelli, Bibliopolis,. Copia archiviata, su archividifamiglia-sapienza.beniculturali. L. Trotzkij, La mia vita,Carlo Fiorilli, Antonio Labriola. Ricordi di giovinezza, in «Nuova Antologia», Giuseppe Berti, Per uno studio della vita e del pensiero di Antonio Labriola, Roma, Ernesto Ragionieri, Socialdemocrazia tedesca e socialisti italiani: Milano, Luigi Cortesi, La costituzione del Partito socialista italiano, Milano, Sergio Neri, Antonio Labriola educatore e pedagogista, Modena, 1968. Luigi Dal Pane, Antonio Labriola, la vita e il pensiero, Bologna, Demiro Marchi, La pedagogia di Antonio Labriola, Firenze, Luigi Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Stefano Poggi, Antonio Labriola. Herbartismo e scienze dello spirito alle origini del marxismo italiano, Milano, Giuseppe Trebisacce, Marxismo e educazione in Antonio Labriola, Roma, Filippo Turati, Socialismo e riformismo nella storia d'Italia. Scritti politici, Milano, 1979. Nicola Siciliani de Cumis, Scritti liberali, Bari, Stefano Poggi, Introduzione a Labriola, Roma-Bari, Beatrice Centi, Antonio Labriola. Dalla filosofia di Herbart al materialismo storico, Bari, Franco Livorsi, Turati. Cinquant'anni di socialismo italiano, Milano, Franco Sbarberi, Ordinamento politico e società nel marxismo di Antonio Labriola, Milano, Antonio Areddu, Sulle lettere di Antonio Labriola a Benedetto Croce, Firenze, Renzo Martinelli, Antonio Labriola, Roma, Antonio Areddu, A. Labriola e B. Croce nelle vicende del marxismo teorico italiano, in “Behemoth”,Antonio Areddu, A. Labriola e B. Croce nelle vicende del marxismo teorico italiano, in “Behemoth”, X, Luca Michelini, "Antonio Labriola e la scienza economica. Marxismo e marginalismo", in "Marginalismo e socialismo nell'Italia liberale  M. Guidi e L. Michelini, Annali della Fondazione Feltrinelli, Milano, Alberto Burgio, Antonio Labriola nella storia e nella cultura della nuova Italia, Macerata, Antonio Areddu, Il pensiero di A. Labriola, "Il Cronista", Antonio Labriola e la sua Università. Mostra documentaria per i Settecento anni della “Sapienza” A cento anni dalla morte di Antonio Labriola, Nicola Siciliani de Cumis, Roma, Nicola D'Antuono, Saggio introduttivo e commento a A. Labriola, Discorrendo di socialismo e filosofia, Bologna, Nicola Siciliani de Cumis, Antonio Labriola e «La Sapienza». Tra testi, contesti, pretesti, con la collaborazione di A. Sanzo e D. Scalzo, Roma, 2007. Stefano Miccolis, Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica, Alessandro Savorelli e Stefania Miccolis, Milano,. Nicola Siciliani de Cumis, Labriola dopo Labriola. Tra nuove carte d'archivio, ricerche, didattica, Postfazione di G. Mastroianni, Pisa,. Alessandro Sanzo, Studi su Antonio Labriola e il Museo d'Istruzione e di educazione, Roma,,  Alessandro Sanzo, L'opera pedagogico-museale di Antonio Labriola. Carte d'archivio e prospettive euristiche, Roma, Pietro Mandré. Antonio Labriola, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Antonio Labriola, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.  Antonio Labriola, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Antonio Labriola, su Liber Liber.  Opere di Antonio Labriola, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Antonio Labriola,. Opere di Antonio Labriola, su Progetto Gutenberg.  L'Archivio Antonio Labriola, su marxists.org. Alberto Burgio, Antonio Labriola, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Roma.  La personalità storica di Socrate I. Socrate o gli Ateniesi pag. 1-10. —II. Educazione e svi- luppo della coscienza di Socrate pag. 10-20. — III. Carattere di Socrate pag. 20-22. —Osservazioni su le fonti, pag. 22-23. II. —Orizzonte delia coscienza socratica I. Posizione di Socrate nella storia della religione greca pag. 25-33. —II. Elementi della coscienza di Socrate pag. 33-30. III. —Del valore filosofico di Socrate I. Formalismo logico pag. 40-43. — II. Determinazione del valore del formalismo logico pag. 43-46. —Osservazioni —1) Li- mitazione del sapere umano pag. 46-47. — 2) Socrate e i Solisti pag. 48-52. —Pretesa soggettività di Socrate pag. 52-54. — 4) Preteso misticismo di Socrate pag. 54-55. IV. —Del metodo di Socrate I. Presupposti storici e psicologici pag. 58-60. — II. Motivo e sviluppo del metodo socratico pag. 60-67. — Osservazioni.— 1) Imprecisione formale del metodo socratico pag. 68-70. — 2) Della differenza fra rappresentazione e concetto, e del prin- cipio d'identità pag. 71-72. pag. 1- 23 V. — Dell' etica socratica in generale, e del concetto del bene . . • Osservazioni pag. 80-82. VI. — Conoscere e volere I. Equazione fra volere c sapere (ptù&i cautdv) pag. 85-89. — II. Fondamento della pedagogia socratica pag. 89-92. * » » 24- 30 37- 55 56- 72 73- 82 83- 92   VII. — Le forme concrete della vita elica È Socrale un riformatore? pag. 93-98. — I. L’individuo e le sue relazioni domC5tiche pag. 08-103. — II. L’ individuo e lo stato pag. 104-108. Vili. —Delle virtù Generalità pag. 109-112. — I. Il concetto delle virtù nell'o- rizzonte socratico pag. 112-113. — II. Identificazione della virtù e del sapere. Ignoranza degli elementi naturali pag. 117-119. IX. — Di nuovo del bene, della felicità c del sapere I. Del bone pag. 121-120. — IL Della felicità pag. 12G-127. — III. Del sapere pag. 127-129. X. —Della Divinila e dell’anima umana nell’orizzonte socratico . I. Il Concetto della Divinità png. 181-138. — IL II concetto dell’ anima pag. 138-140. XI. — Riepilogo e conclusione La personalità storica di Socrate. . . 1-42   I. Socrate e gli Ateniesi pag. 3-18. —  II. Educazione e sviluppo della coscienza  di Socrate pag. 18-86. — III. Carattere di  Socrate pag. 37-39. — Osservazioni su le  fonti pag. 40-42.   II. — Orizzonte della coscienza socratica . . 43-68   I. Posizione di Socrate nella storia della  religione greca pag. 47-62. — II. Elementi  della coscienza di Socrate pag. 62-68.  II r. — Del valore filosofico di Socrate. . . 69-104   I. Formalismo logico pag. 77-82. —  II. Determinazione del valore del forma-  lismo logico pag. 83-88. — Osservazioni —  i) Limitazione del sapere umano pag. 88-  90. — 2) Socrate e i Sofisti. Pretesa soggettività di Socrate pag. 98-  102. — 4) Preteso misticismo di Socrate  pag. 103-104.  IV. — Del metodo di Socrate 105-135   I. Presupposti storici e psicologici pa-  gine 111-115. — II. Motivo e sviluppo del  metodo socratico pag. 115-127. — Osser-  vazioni. — i) Imprecisione formale del  metodo socratico pag. 127-133. — 2) Della  differenza fra rappresentazione e concetto, p^^-  e del principio d'identità pag. 133-135.   V. — Dell'etica socratica i?i generale, e del   concetto del bene 137-156   Osservazioni pag. 153-156.   VI. — Conoscere e volere 157-176   I. Equazione fra volere e sapere (yvttjtì-t.  aauxóv) pag. 163-171. — II. Fondamento  della pedagogia socratica pag. 171-176.   VII. — Le forme concrete della vita etica . 177-206   È Socrate un riformatore? pag. 179-189.  I. L'individuo e le sue relazioni dome-  stiche pag. 189-198. — II. L'individuo e  lo Stato pag. 198-206.   VIII. — Delle viriti 207-226   Generalità pag. 209-215. — I. Il concetto  delle virtù nell'orizzonte socratico p. 215-  217. — II. Identificazione della virtù e  del sapere pag. 217-223. — III. Igno-  ranza degli elementi naturali pag. 223-226.   IX. — Di nuovo del bene, della felicità e del  sapere ... 227-246   I. Del bene pag. 230-239. — II. Della  felicità pag. 239-242. — III. Del sapere  pag. 242-246.   X. — Della Divinità e dell'anima umana nel-   l'orizzonte socratico 247-267   I. Il Concetto della Divinità pag. 251-  263. — II. Il concetto dell'anima pa-  gine 263-267.   XI. — Riepilogo e conchcsione 269-279  Formalismo logico. Senofonte e Platone (') mettono in bocca agl'interlocutori di Socrate questa notevole accusa, ch'egli solesse ripeter sempre le me- desime cose, e sempre nel medesimo modo, interrompendo il libero corso all'esposizione dell'avversario. Socrate in fatti non sapea esprimere il suo pensiero in un discorso con- cepito in forma oratoria, alla maniera di Gor- gia e di Protagora suoi interlocutori, né potea vagare in tutto il campo dello scibile come Ippia il polistore, o adattarsi alla maniera sdegnosa e virulenta di Callide e Trasimaco: una certa innata sobrietà di spirito, ed una moderazione a tutta pruova, che era divenuta natura, lo conteneano in certi limiti costanti, ai quali egli cercava ridurre i suoi uditori ('). Questo fare era monotono, ed avea l'aria di pedanteria: tanto più, perchè rinunziare al mezzo tanto potente della persuasione ora- (i) Sen. Meni. IV, 4, 6. Plat. Gorg. p. 490 E. (2) Lo Strùmpell fa rilevare molto vivamente la differenza che correa fra i Sofisti e Socrate, nell'uso del ragionamento formale; vedi in generale op. cit., cap. II, pp. 72-115.   78 SOCRATE toria non potea non sembrar cosa strana in una democrazia, dove tutte le pubbliche fac- cende dipendeano dall'arte della parola. Ma tornava forse Socrate di continuo all'afferma- zione di questa o quella massima morale, per ripeterla ogni istante, ed improntarla nell'ani- mo degli uditori ? (') Era egli forse un mora- lista bello e compiuto, che catechizza e pre- dica; o tenea forse in serbo uno schema logico, che andava applicando ad ogni sorta di qui- stioni ? Nulla di tutto ciò. Il suo discorso ca- dea sopra oggetti disparatissimi, e quali l'oc- casione prossima li venisse offrendo: nessuno studio nella scelta degli argomenti potea di- sporre il suo animo alla ripetizione monotona delle medesime cose, né dalla sua occupazione dialogica risultò mai un complesso di pronun- ziati, che prendessero forma di massime e di precetti. Le condizioni stesse della coltura etica ed artistica non consentiano, che a quel tempo si potesse apprendere, come avvenne (i) Lo Zeller ha molto bene criticata l'opinione or- dinaria, che fa di Socrate un moralista popolare, op. cit., voi. II, p. 73; ma noi non ci accordiamo con lui nella determinazione del valore filosofico del dialogo socra- tico; la qual cosa abbiamo voluto dire qui recisamente, per evitare ogni ulteriore polemica.   più tardi, le relazioni morali nell'astratta uni- versalità della massima, o formulare netta- mente una esigenza logica; tanto è vero, che i discepoli o seguaci che voglia dirsi di Socrate ebbero più a sviluppare, ciascuno per proprio conto, i pfermi che avean raccolto dalle acci- dentali conversazioni del maestro, che a di- scutere sul valore positivo di questo o quel principio ('). Quella monotonia notata dagli avversari non concerneva che l'esigenza della formale evidenza e certezza del discorso; ed era quindi l'intenzionale ritorno ai medesimi presuppo- sti, nel lato formale d'ogni quistione. Ma questo formalismo non apparisce ancora in Socrate come già isolato, e distinto dall'og- getto della ricerca, e come presente alla co- scienza del filosofo per sé ed obbiettivamente; perchè agisce solo come reale esigenza di • (i) Vedi su questo punto Hermann: Gescìiichte ecc., p. 257 e seg.; e lo stesso autore Prof. Ritler's Dar- stellung der sokratischeti Systeme, Heidelberg, 1833. Hegel è stato uno dei primi a riconoscere l'importanza delle scuole socratiche per la determinazione del prin- cipio filosofico di Socrate, op. cit., voi. II, p. 105 e seg., e cfr. Biese: Die Philosophie des Aristoicles, voi. I, p. 28 e seg.   8o SOCRATE colui, che ragionando avverte per la prima volta, che il ragionamento dev'essere conse- guente, fondato ed evidente. La maniera corretta e cosciente del ragio- nare è nella nostra coltura filosofica cosa troppo ovvia, e la nostra educazione ci for- nisce ben presto dello schema logico della definizione, della pruova ecc., in guisa, che possiamo al tempo stesso indurre, dedurre, ed argomentare perfettamente, ed aver co- scienza della forma logica per sé stessa, e studiarla nei suoi caratteri e nel suo valore : ma tutto ciò era allora impossibile. In So- crate l'esigenza del sapere esatto e formal- mente corretto è ancora un semplice atto di personale energia, un bisogno intrinseco di certezza e di acquiescenza alla normalità di una opinione chiaramente concepita, un la- voro che si compie per la necessaria coeffi- cienza dei vari elementi etici della coltura e della tradizione, e non può ancora presen- tarsi allo spirito come un dato di estrinseca evidenza. Se noi ci sforziamo per poco di rappre- sentarci il mondo, secondo l'immagine, che la coscienza anche più colta dei contempo- ranei di Socrate ne avea espressa nella storia, nella poesia, nelle leggende, nelle mas- sime e nei detti dei sapienti; e se guardiamo poi quanta differenza corra da quella pienezza ed inconsapevolezza d' intuizione, alle aporie della ricerca, solo allora intendiamo quanta profondità filosofica fosse nelle ricerche di Socrate, e la parsimonia stessa dei mezzi da lui adoperati diverrà più degna di ammira- zione, perchè è pruova evidente della ener- gia, con la quale egli seppe avvertire la ne- cessità di correggere ad una stregua costante tutte le incertezze della conoscenza ordina- ria, e fermarsi poi ed insistere tutta la vita nel criterio acquistato. I presupposti logici, ai quali tutte le qui- stioni del dialogo socratico sono riducibili, consistono nella epagoge e nella definizione; e noi cercheremo in séguito di esporre il modo, come queste due funzioni si sono spie- gate in quell'orizzonte scientifico che Socrate s'era tracciato. Per ora basterà aver notato, come questa è la prima volta che nello spi- rito umano si sia fatto palese il bisogno, che prima di determinare la natura, il fine, ed il valore degli oggetti, bisogna acquistare una coscienza precisa ed inalterabile delle condi- zioni in cui deve trovarsi la conoscenza, per- Labriola — Socrate. !Hl<^3   82 SOCRATE che possa dirsi certa ed evidente. Tutto quello che la speculazione posteriore ha strettamente designato come elemento logico del sapere, e che ha cercato successivamente di sceve- rare dalla natura immediata e dalle condi- zioni incerte e fluttuanti del soggetto pen- sante, apparisce nella sfera della ricerca so- cratica come qualcosa di affatto connaturato con le esigenze pratiche di colui che ricer- cava; e senza isolarsi dai motivi che l'aveano praticamente prodotto, acquistò un grado di sufficiente evidenza nella coscienza, tanto da rimanere, non solo principio efficace in So- crate, ma costante centro ed impulso di ogni posteriore attività scientifica ('). (i) Indem die Philosophie des Sokrates kein Zuriick- ziehen aus dem Dasein und der Gegenwart in die freien reinen Regionen des Gedankens, sondern aus einem Stucke mit seineni I-eben ist, so schreitet sie nicht zu einem Systeme fort etc. Hegel, op. cit., p. 51. Da questo e da altri luoghi può scorgersi, come Hegel avesse un concetto più schietto della filosofia socratica, di quello che hanno formulato molti scrittori posteriori, non escluso lo Zeller; il quale, sebbene dica di non volerlo, parla sempre in una maniera troppo astratta del principio del sapere, e ricade nell'errore di Schleier- macher e di Brandis.  Determinazione del valore del formalismo logico La caratteristica, che noi abbiamo data dell'attività filosofica di Socrate in generale, pare risponda a quello che già s'è detto da altri; e che non serva se non a rifermare un'opinione corrente, secondo la quale So- crate sarebbe stato il primo che avesse avuta una chiara coscienza del valore del sapere ('). Si è, infatti, detto più volte, che l'idea del sapere sia la scoverta di Socrate, e che ces- sando per opera sua la esclusiva ricerca del mondo naturale, la filosofia fosse divenuta la scienza dell'idea, del soggetto, dello spi- rito e così via (^). Senza la pretensione della novità, noi riteniamo per erronee una gran parte di quelle caratteristiche; e perchè at- tribuiscono a Socrate una consapevolezza maggiore di quella ch'egli s'avesse, e perchè devono poi fare molte congetture per spiegare ed intendere la natura dell'etica socratica. Ba- (i) Per es. Schleiermacher, op. cit. p. 300. , (2) La forma più esagerata è quella del Ròtscher, il quale parla di Socrate come d'un filosofo moderno, op. cit., passim.   84 SOCRATE sterà notare solo questo, che partendosi dalla supposizione, che Socrate avesse avuto co- scienza del sapere preso per sé stesso, come forma o attività in generale, non solo si cade nell'inconveniente di non poter trovare un solo luogo di Senofonte che confermi questa opi- nione, ma si è poi obbligati a fare una qui- stione oziosa su la natura empirica o a priori del sapere socratico, che non c'è motivo al mondo per proporsela; e, in ultimo, si è poi costretti a ritenere, che Socrate abbia in virtù di una scelta, e per certe ragioni teoretiche, limitato le sue ricerche all'etica ('); mentre la repugnanza contro le indagini naturali deve in lui ammettersi, non come un risultato dei criteri logici che applicava, ma invece come una prima e semplice esigenza delle sue con- vinzioni religiose. Abbiamo invero detto, che il valore filo- sofico di Socrate consiste nella esigenza di un sapere normale e certo; ma la forma li- mitativa, con la quale abbiamo espressa que- sta opinione, esclude di fatto tutte le caratte- ristiche alle quali può in apparenza sembrare (i) Vedi specialmente il Bòhringer, op. cit., p. 2 e seg. che ci avviciniamo. Che il sapere figuri allora per la prima volta come una potenza deter- minata, e serva a correggere l'opinione e la tradizione, ed a condurre come norma sicura la ricerca del filosofo in tutte le complica- zioni e le incertezze del dialogo, ciò non vuol dire, che il concetto del sapere abbia rag- giunta una tale importanza ed obbiettività, da segnare esso stesso il termine e lo scopo della ricerca. E quando in fine, dal confi-onto di Socrate coi precedenti tentativi filosofici si vuole arguire la consapevolezza che egli ha potuto raggiungere della sua posizione storica ('), si viene a confondere due ordini di criteri del tutto diversi perchè dal giu- ; dizio che noi riportiamo su la importanza di una personalità storica, non può indursi qual grado di consapevolezza quella persona stessa abbia raggiunto. Il valore filosofico di Socrate sta in rela- zióne diretta con l'orizzonte della sua co- (i) L'Alberti specialmente fa di Socrate un filosofo dotato di una piena coscienza del proprio valore sto- rico; e non potea evitare un simile errore, dal momento che s'era proposto di seguire il dialogo platonico come un documento biografico; vedi op. cit., p, 13 e seg.   86 SOCRATE scienza; nel quale noi abbiamo rinvenuti mo- tivi di natura più immediata, più complessa, e più personale di quelli che conducono esclu- sivamente alla conoscenza speculativa. Questa determinazione intrinseca della sua attività ci fornisce ora di mezzi sufficienti, per rifare indirettamente, e mediante la congettura, il processo genetico della sua coscienza filoso- fica, che è stato impossibile d'intendere su la semplice testimonianza delle fonti storiche. Socrate non occupa immediatamente un posto nella storia della filosofia, mercè l'ac- cettazione o la critica di una tradizione teo- retica; e per questa ragione stessa non arrivò all'affermazione astratta del principio logico della certezza, come regolativo della ricerca e correttivo del conoscere comune ed incon- sapevole. Le condizioni speciali del suo ca- rattere lo aveano predisposto a sentire prò-, fondamente il bisogno di una religione intima e depurata dalle esteriorità della tradizione; e di una certezza etica che lo tenesse libero dalle fluttuazioni dei momentanei interessi e delle opinioni correnti: e quella naturale pre- disposizione toccò il suo soddisfacimento in un concetto della divinità, che riconosceva insiememente la bellezza ed armonia del mondo, e la libertà umana come predeter- minata al bene. La costanza, la fermezza d'animo, il naturale sentimento del giusto, la morale certezza della inalterabilità della legge, la perpetua acquiescenza al corso delle cose perchè riconosciuto provvidenziale, — tutte queste tendenze sollecitarono la sua in- telligenza, predisposta alla riflessione, a cer- care una norma costante dei giudizi, e tro- vatala egli persistette ad applicarla come stregua alla condotta morale sua propria, e dei suoi concittadini. E scorgendo egli, che il materiale delle opinioni e dei giudizi etici, qual era raccolto nella lingua e nella tradi- zione ed espresso nella coscienza politica dei contemporanei, se a prima vista potea avere il suo fondamento nelle costanti con- dizioni della natura umana, non corrispondeva sempre a quel grado di consapevolezza, che le sue abitudini riflessive gli aveano reso connaturale, il bisogno di fare entrare nel- l'animo altrui l'intimità e lo spirito di con- seguenza lo fece divenire maestro di morale, ed educatore della gioventù. In questa nostra maniera d'intendere l'at- tività filosofica di Socrate trovano un posto na- turale alcune opinioni, che incontestabilmente   88 SOCRATE gli appartengono, e che altrimenti non sa- rebbero spiegabili ; ed, oltre a ciò, molte quistioni, che si son sollevate su la dottrina socratica, rimansfono escluse di fatto. Tocche- remo alcuni di questi punti. Nel concetto che Socrate s'era fatto dello Stato apparisce, più vivamente che in qua- lunque altra delle sue definizioni, il contrasto (i) Meni., II, 4, 6 e seg.; id., 6, 21-29. (2) Vedi il Jacobs, Vermischte Schrifteii, voi. II, p. 251: Jene Sitte enthalt ebeti so, wie die Liebe zum andern Geschlechte, alle Elèmente des Edelsten und des Nichtswiirdigsten, des Lasters, des Besten und des Schlechtesten in sich.   che correa fra la novità delle sue filosofiche esiorenze e la naturale tendenza alla conser- vazione delle sostanziali relazioni della vita etica, che in lui era sussidiata dal convinci- mento religioso e da una profonda abnega- zione. Il principio normativo della consape- volezza non gli consentiva di ammettere che la potenza, o il dritto ereditario, o la scelta del popolo mediante i voti potessero costi- tuire la capacità dell'individuo a trattare le faccende dello Stato ('). Solo la piena coscienza della propria capacità e la speciale cono- scenza delle faccende da trattare possono e devono invogliare l'individuo ad una legit- tima ambizione politica (^); e questa diviene per sé stessa un dovere, quando è sorretta dal fermo convincimento, che l'attitudine e la specifica intelligenza dell'individuo rispondono alle normali esigenze della vita politica. Al- l'attuazione pratica di questa massima solea Socrate disporre i suoi uditori, sviluppando nel loro animo il bisogno di acquistare una chiara e perfetta notizia degli obblighi spe- (i) Mem., Ili, 5, 21 e 9, io; e cfr. ibid., I, 2, 9; e Plat. Apol., 31, E. (2) Mem., Ili, 6; e IV, 2, 6 e seg.   SOCRATE ciali che spettano a questo o a quello fra gli amministratori dello Stato, e riassumeva tutta la sua politica nel principio che solo chi sa deve e può fare, ossia che il potere sta nel sapere. L'importanza di questa massima in- novatrice ci fa apparire l'attività socratica in una manifesta opposizione con tutti i concetti tradizionali della politica greca, perchè, in virtù di essa, il dritto ereditario della monar- chia e dell'aristocrazia, ed il concetto demo- cratico della maoraioranza erano recisi nella loro radice e subordinati alla necessità di una generale rettificazione di tutte le forme sociali dal punto di vista della consapevo- lezza. Ma pur nondimeno la cosa non andava tant'oltre, e noi non sappiamo scorgere in tutto questo l'esigenza o il presentimento di una radicale riforma dello Stato, o, come altri ha detto, di una teoria sociale fondata sul principio della conoscenza esatta. Il sa- pere, di cui parlava Socrate, non era qualcosa di distinto dalla conoscenza empirica dei vari rami della pubblica amministrazione, e non era costituito in un insieme di teorie univer- sali e scientifiche. Egli non potea quindi, come più tardi fece Platone, ideare la costituzione di uno Stato, in cui la coordinazione e subordinazione delle sfere sociali fossero determi- nate dal concetto psicologico della gradazione della conoscenza. Il suo concetto non ha co- lorito e carattere esclusivo di una tendenza filosofica, che voglia imporsi alle pratiche esi- genze della vita per regolarle a sua posta; ma rimane subordinato alla varietà estrinseca delle sfere sociali, e non ne sconosce la ori- ginalità per farla rientrare nei confini di uno schema astratto. Di qui procede, che, mal- grado l'apparenza di una dichiarata riforma, Socrate riconobbe l'ubbidienza alle leggi come impreteribile ('); e, fedele all'antico principio ellenico della sostanzialità dello Stato, fece dipendere il bene dell'individuo da quello della comunità (^); e considerando la sua at- tività filosofica come parte integrale dei suoi doveri di cittadino morì nel rispetto alle leggi, e nel convincimento, che la condanna pronun- ziata contro di lui non fosse che una legittima manifestazione dell'attività dello Stato (•^). L'opposizione fra il vecchio e il nuovo, fra il concetto sostanziale e l'esigenza di una per- (i) Mem., IV, 6, 6. (2) Mem., HI, 7, 9. (3) Mem., IV, 4, 4: Plat. Apol., 34 D e seg.; e cfr. Phaed., 98 C e seg.   202 SOCRATE sonale sodisfazione nello Stato, si chiarì mag- giormente nelle scuole socratiche; e special- mente in Platone, il cui ideale politico non deve essere inteso, né come ripristinazione dello Stato dorico ('), né come un segno pre- cursore del Cristianesimo (^), ma conviene sia spiegato come un progresso teoretico del principio enunciato da Socrate, che il potere deve consistere nel sapere. Che i concetti da noi più sopra esposti non avessero una tendenza dichiaratamente riformatrice, apparisce ancora di più dal modo del tutto pratico come Senofonte introduce il suo eroe a discutere con questo o quello dell'esercizio speciale delle diverse arti, che conferiscono al pubblico bene o al manteni- mento delle sociali relazioni. Una sola è l'idea fondamentale di tutti quei dialoghi: rettificare mediante la definizione il concetto del fine cui l'attività è rivolta, per far convergere tutti gli sforzi dell' individuo all'acquisto di una norma costante, che ne regoli la pratica senza (i) Come vuole l'Hermann. (2) Come vuole il Baur. Vedi su questa quistione lo Zeller, Der Plato7iische Staat, in seiner Bedeutung fiìr die Folgezeit, nei citati Vortràge ecc., pp. 62-82   incertezza e divagazioni. Sotto questo riguardo il calzolaio e lo scultore, il pastore e l'arconte, il marinaioedilgeneraleecc.,perquantovarie le loro occupazioni e diversi i finì cui sono rivolti, devono tutti convenire nella norma dell'esercizio metodico delle loro funzioni, e sostituire alla pratica istintiva, tradizionale ed incosciente la norma del sapere. Senza entrare nella specializzata esposizione di que- sto o quel dialogo, perchè in tutti gli sva- riati casi non rileveremmo che una sola con- clusione, basterà qui dire che Socrate è stato il primo, che abbia nettamente formulata l'esi- genza di una tecnica speciale delle arti e ravvisata la necessità, che a capo di ogni pratica occupazione deve esser collocata la riflessione normativa: e, per le cose già espo- ste, non fa mestieri che chiariamo meglio questo pensiero, perchè altri non creda, che egli intendesse conciliare la pratica e la teo- ria, l'arte e la scienza. E qui cade in acconcio di osservare che la meraviglia, con la quale molti hanno ri- guardato il dialogo che Senofonte riferisce con la meretrice Teodota ('), non ha fonda- (i) Mem., Ili, cap. ii,   204 SOCRATE mento che nella natura delle nostre morali convinzioni. Quel dialogo, che non deve es- sere addotto a provare che la principale preoc- cupazione di Socrate fosse la ricerca dei con- cetti ('), né può essere inteso come interamente derisorio (^), perchè l'ironia è un momento ofenerale della conversazione socratica, mo- stra, a nostro parere, che il mestiere della meretrice potesse anch'esso nei suoi elementi affettivi venir subordinato al criterio socra- tico di un esercizio normale e riflesso. Quel- l'arte non destava allora gli scrupoli esage- rati, che noi moderni siamo soliti di provare contro ogni divagazione della natura dalla norma assoluta di una morale precettistica (^); anzi, per le speciali condizioni della famiglia greca, sviluppava soventi nelle donne libere un grado di cultura superiore di gran lunga (i) Come fa Io Zeller, op. cit., p. 75, nota 2=*. (2) Questa è l'opinione di Brandis: Enhvickelun- gen ecc., p. 236, nota 49. (3) Vedi su questo argomento l'Hermann: Priva- talterthilmer, \ 29, con tutte le autorità ivi addotte, e specialmente John : The Hellenes, the history of the mannei's of the ancient Greeks, Londra, 1844, voi. Il, p. 42.   LE FORME CONCRETE DELLA VITA ETICA 205 a quello della donna legalmente ritenuta nelle angustie del gineceo ('). E a terminare questo schizzo della co- scienza politica e sociale di Socrate osser- veremo, che egli, col rilevare l' importanza dell'attività cosciente, nobilitò il concetto del lavoro, facendone uno degli elementi costi- tutivi dello Stato e della famiglia. Questa ve- duta era allora qualcosa di nuovo, perchè diretta a reagire contro un pregiudizio, fon- dato nella costituzione sociale dell'antica Gre- cia e già da gran tempo invalso, che facea considerare come indegna dell'uomo libero la produzione ottenuta col lavoro manuale. Se Socrate abbia o no superato il particola- rismo ellenico, e se ritenesse per giusta come vuole Senofonte (^), o per ingiusta come vuole Platone p), l'offesa arrecata al -nemico, nella grande incertezza dei criteri seguiti dai vari espositori noi non sappiamo affermare {*). Ad ogni modo, l'autorità di Senofonte ci par- (i) Vedi Jacobs: Vertnischte Schriften, IV, p. 379 e seg. (2) Meni., II, 6, 35 e cfr. Ili, 9, 8. (3)Crit.,49Aeseg.ecfr.Rep.,I, 334Beseg. (4) Questa è anche l'opinione dello Zeller, op. cit., p. 114.   2o6 SOCRATE rebbe da preferire, e la maniera arbitraria come si è voluto da alcuni interpetrarla ci pare infondata e priva di ogni verosomi- glianza ('). (i) Il Meiners: Geschichte der Wissenschaften, II, p. 456 (*), pone una distinzione arbitraria fra il male arrecato sensibilmente all'inimico, e quello che può toccareil suobenessereinterno,negandochequest'ul- timo sia incluso nel xaxcòj iioistv di Senofonte. Né meno infondata è la supposizione del Brandis, secondo la quale Senofonte non avrebbe espresso interamente il pensiero di Socrate. Cfr. lo Strùmpell, op. cit., p. 179, che ha tentato supplire Senofonte col Gorgia, p. 481.Antonio Labriola. Labriola. Keywords: implicature, comunismo, socialismo, partito socialista italiano, il vico di Labriola, il Bruno di Labriola, Labriola su Herbart, Labriola su Zeller, comune, sociale, filosofia della storia, dialettica socratica, fra dulcino, carteggio con Croce, all’origine del socialismo comunismo materialista in Italia – l’avvento creative del comunismo in Italia.  Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Labriola," “Grice e il Vico di Labriola” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686128490/in/photolist-2mRgKq7-2mQBLt7-2mQerAd-2mMQbzj-2mLP4Rj-2mLQdrQ-2mLGjg5-2mKw3hq-2mKjVho

 

Grice e Lagalla – filosofia italiana –la teoria geocentrica – la terra al centro del universe -- Luigi Speranza (Padula). Filosofo. Grice: “I love Lagalla: the fact that he was an Aristotelian when everybody in Florence was a Platonist!” Figlio di Roberto, alto funzionario della burocrazia vicereale, e Vittoria Rosa. Studia filosofia. Ancora bambino, perdette i genitori e fu affidato con i fratelli alla tutela di uno zio paterno, Girolamo Lagalla, che lo avviò agli studi di filosofia. Volle trasferirsi a Napoli per proseguire nella sua formazione. Si iscrisse ai corsi di filosofia dello Studio ed ebbe come maestri G. Stillabota, F.A. Vivoli e B. Longo. Affidato dal Collegio degli archiatri a G. Provenzale e G. Caro per un periodo di tirocinio, sembra vi si fosse condotto con una tale competenza da meritare, nel 1589, i gradi accademici "nulla pecuniarum solutione". Nello stesso anno, grazie a Longo, divenne l'ufficiale sanitario di una squadra navale pontificia di stanza a Napoli, con la quale si diresse verso le coste laziali, per giungere poi a Roma.  A Roma avrebbe conseguito una nuova laurea, in seguito alla quale entrò al servizio di Santori, per il cui interessamento ottenne da Clemente VIII l'incarico di lettore di filosofia presso la Sapienza romana. Cura per Facciottola stampa di un commento ad Aristotele, “De immortalitate animae ex sententia Aristotelis libri septem”, precoce manifestazione di un interesse verso la questione dell'anima, intorno alla quale Lagalla si interrogò per buona parte della sua vita intellettuale e che contribuì ad attirargli sospetti di eterodossia.  Altre opera: “La circuncisione di Cristo”. Al problema dell'anima Lagalla. dedicò corsi della lettura ordinaria di filosofia, che tenne alla Sapienza. Queste lezioni furono raccolte in un manoscritto dal titolo “De anima commentarii”. Allo stesso argomento è dedicato il penultimo volume dato alle stampe dal L., il “De immortalitate animorum ex Aristotelis sententia libri tres” (Roma). Lagalla, pur riaffermando le posizioni della tradizione tomistica sulla questione dell'anima umana, secondo le quali l'anima intellettiva è “forma informans” del corpo ed è molteplice, accetta quelle di Alessandro di Afrodisia a proposito dell'animazione dei cieli, ritenendo che non abbiano l'intelligenza come forma assistente che li muove eternamente, ma piuttosto come “forma informante”. Morto Santori,  si fosse avvicina a Pietro Aldobrandini, entrando al suo servizio. Conobbe Cesi, al quale fu legato da una cordiale amicizia. Se questa non diede luogo a un'ascrizione all'Accademia dei Lincei, malgrado una precisa richiesta da parte di Lagalla., fu solo a causa della sua marcata professione aristotelica[. Cesi lo presentò comunque a Galilei quando quest'ultimo si recò a Roma per sottoporre il suo telescopio e le scoperte con esso realizzate al giudizio degli autorevoli astronomi del Collegio romano, nonché di influenti membri della Curia pontificia e dello stesso Paolo V. Ne derivarono alcuni incontri, durante i quali Lagalla., incuriosito dall' "occhialino" galileiano, lo sperimentò e fu intrattenuto da Galilei con l'esibizione delle "pietre lucifere di Bologna". Da ciò che vide, trasse spunto per due scritti, pubblicati in un unico volume, il “De phoenomenis in orbe Lunae novi telescopii usu a d. Gallileo Gallileo nunc iterum suscitatis physica disputatio… nec non de luce et lumine altera disputatio” (Venezia).  Atteso con impazienza da Galilei, che fu costantemente informato da Cesi dei progressi nella composizione, il libro deluse l'ambiente linceo.  Nel primo dei due scritti, pur difendendo la verità ottica di ciò che mostrava il telescopio,  cerca di spiegare l'irregolare (la scabrosità della superficie lunare) come prodotto del regolare, attraverso una sorta di estensione di un principio di regolarità (invariabilità dei cieli e dei corpi e fenomeni inclusi in essi), cui risponde l'intera fisica celeste aristotelica. Le asperità lunari dovevano dunque consistere in parti più dense di "etere", più opache alla luce, e in parti meno dense, più chiare. Nel secondo scritto Lagala. racconta una discussione sulla natura della luce avuta con Galilei, Cesi, G. De Misiani e G. Clementi: dopo aver ribadito che la luce non è una sostanza, ma un accidente o una qualità reale, tratta delle "pietre lucifere" e, contro l'interpretazione di Galilei, osserva che la luminescenza delle pietre non è una proprietà del minerale non trattato, ma una conseguenza del processo di calcificazione, che rende la pietra porosa e in grado di assorbire una certa quantità di fuoco e di luce, poi lentamente rilasciata; con ciò esclude che possa essere il prodotto della riflessione della luce solare sulla Terra da parte della Luna.  A proposito del primo dei due scritti, Galilei meditò di fornire una risposta pubblica, sollecitata dallo stesso Lagalla, di cui le note di lettura al volume in questione, sembrano essere il lavoro preparatorio. Tale risposta non arrivò, ma i rapporti tra i due divennero più stretti, forse per effetto di un lento avvicinamento delle rispettive posizioni scientifiche. In occasione dell'osservazione di una cometa, scrisse il Tractatus “de metheoro quod die nona novembris anni presentisin Urbe apparuit sopra collem Pincium” e poiché quest'opera pareva, in alcuni punti, accogliere le posizioni di Galilei, fu attaccato di scarso aristotelismo. Si convinse così a chiedere a Galilei e a Cesi il sostegno per una lettura a Psa. Pur non mancando l'occasione (la morte di Papazzoni aveva reso vacante un posto), non se ne fece niente, ma anche in questo caso i rapporti tra i tre uomini rimasero saldi.  Aumenta intanto la sua insofferenza verso gli ambienti romani che lo guardavano con crescente sospetto. La sua “De coelo animato disputatio” e in Germania, per l'interessamento di Allacci. Non rinuncia a coltivare la speranza di ottenere un adeguato incarico al di fuori della capitale pontificia, tanto da valutare con attenzione la proposta di trasferirsi alla corte di Sigismondo III. Le compromesse condizioni di salute (soffriva di una malattia urinaria, forse una ipertrofia prostatica con complicanze) e il timore che l'inclemente clima polacco potesse peggiorarle lo portarono a rifiutare.  Continua a praticare la filosofia, l'astronomia, e segue il suo protettore Aldobrandini in diversi viaggi in vari luoghi d'Italia. Gli è stato dedicato il cratere Lagalla sulla Luna. Altre saggi:  “De phaenomenis in orbe lunae novi telescopii usu nunc iterum suscitatis” (Venezia); “De metheoro quod die nona novembris anni presentisin urbe apparuit sopra collem Pincium”; “De luce et lumine altera disputatio”; “De immortalitate animorum ex Aristotelis Sententia”(Roma); Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 323; cfr. Kristeller, II,444 cfr. Edizione naz. delle opera, Firenze, Biblioteca nazionale, Galil., Favaro, nell'ed. naz. delle opere di Galilei, X indica una stampa apparentemente irreperibile, Roma; ma Heidelbergae. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Giano Nicio Eritreo [Gian Vittorio Rossi], Pinacotheca imaginum illustrium doctrinae vel ingenii laude virorum, I, Coloniae Agrippina, Leone Allacci, Vita, Parigi, T. Alfani, Istoria degli anni santi” (Napoli); “Dizionario istorico” (Napoli); F.  Colangelo, Storia dei filosofi e dei matematici napolitani, Napoli Stefano Gradi, Leonis Allatii vita, in Novae patrum bibliothecae, A. Mai, Romae, E. Wohlwill, V. Spampanato, “Bruno” (Messina); G. Crescenzo, Dizionario storico-biografico degli illustri e benemeriti salernitani, Salerno); “I maestri della Sapienza di Roma, E. Conte, Roma, ad ind.; M. Bucciantini, Contro Galileo, Firenze, Italo Gallo, Figure e momenti della cultura salernitana dall'umanesimo ad oggi, Salerno,  Paul Oskar Kristeller, Iter Italicum, Lettere del Lagalla, o di altri con notizie su di lui, si trovano nell'Edizione nazionale delle opere diGalilei, a cura di A. Favaro, Firenze, ad indices, è pubblicato il “De phoenomenis in orbe Lunae” con postille di Galilei); G. Gabrieli, Carteggio linceo, Roma. CoMLOL, Grice: “The more I read secondary bibliography about this one qualifying as ‘napoletano’ – la ‘filosofia napoletana’ ‘il filosofo napoletano’ – the less I’m inclined to consider him Italian!” -- Iulius Caesar Lagalla. Giulio Cesare Lagalla. “Un aristotelico che dialogava con Galilei”. Lagalla. Keywords: implicatura, the earth is flat; la terra e al centro dell’universo, la pietra di Bologna, la kryptonite, la luna, l’immortalita dell’anima, animo, spirare, peripatetici, licei.Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lagalla” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690418222/in/photolist-2mKGUth

 

Grice e Lamanna – il risorgimento fiorentino – filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo.  Grice: “I like Lamanna – a very systematic philosopher especially interested in the longitudinal history of philosophy – he wrote on economics during controversial times, too!” Linceo. Figlio di Angelo Raffaele Lamanna, calzolaio, e da Maria Bruna Pizzilli, filandaia. Fece i primi studi in seminario e poi nel Liceo classico della sua città. Si trasferì a Firenze, laureandosi con Sarlo. Insegna a Messina e Firenze. Pubblicò un commento alla Dottrina. Autore di un fortunato manuale di storia della filosofia. Membro dell'Accademia nazionale dei Lincei. Diresse la "Collana di Filosofia" delle Edizioni Morano di Napoli. Stabilito, per Lamanna, che la religiosità sia un'esigenza naturale dello spirito umano, egli rileva le contraddizioni percepite dalla coscienza fra l'”essere” (“is”) e il dover essere (“ought”) -- fra l'esigenza di una realtà concepita come razionalità e ordine, e la percezione di una realtà che appare irrazionale e disordinata, così come fra la concezione dell'assolutezza dello spirito e la concreta limitatezza della realtà umana. Da queste contraddizioni deduce la necessità dell'esistenza di Dio.  Analoga antinomia gli sembra esistere tra morale e politica che a suo avviso può essere risolta trasportando nell'attività pratica la riconosciuta razionalità dell'ordine trascendente e divino, che è di per sé bene assoluto. In questo modo l'operare umano si fa etico ossia, secondo Lamanna, realmente politico, realizzandosi concretamente nell'ordinamento giuridico e, così come nell'operare razionale si concreta la vita morale, da questa si raggiunge l'armonia in cui consiste la bellezza. Saggi: “Lo spirito – l’ispirante” (Firenze), Kant, Milano, “La polizia di Platone e gl’uomini”, Milano, “Filosofi italici d’eta antica” (Firenze); La filosofia del Novecento, Firenze); “Il bene per il bene” (Firenze); “Il regno di fini” (Firenze); Scritti storici e pensieri sulla storia, Padova); P. Piovani (Torino); Pietro Piovani, Tra etica e storia, Napoli); G. Martano, L'esperienza speculative, in «Filosofia», G. Calò, Il pensiero, Napoli, G. Calò, Studi e testimonianze, Matera, Dizionario biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Grice: “Lamanna was concerned about the idea of the state, which is not an easy thing. More specifically, the concept of the ITALIAN state. In his history of philosophy for ‘i licei classici’, he rewrote his Manuale di filosofia into a ‘Sommario’. – The history goes smoothly up to Kant. The third volume is about MUSSOLINI. He is the only philosopher he cares to capitalize. He also capitalizes fascism into FASCISMO, which is odd seeing that his main source is Mussolini’s own entry for ‘fascismo’ in the Treccani which does not give it such a status. The third volume is ITALO-CENTRIC, from Vico onwards, Farlingieri, and notably Gentile to end with MUSSOLINI. The idea is presented by Lamanna as a ‘riconstruzione dello stato’ – we are talking of the ‘stato moderno’ – il stato liberale Borghese is in ruins – and although he plays with the ‘socialist state’ he does not consider it within the realm of the proper history of philosophy when he talks of French illuminism. So his concern is wht the idea of the state in the liberal party – the philosophy of the laissez faire. It provides NEGATIVE freedom. Freedom from the other. And there is competition. Also as he notes, liberalism lies in that the ‘condizioni iniziali’ are hardly ‘equal’ for every member of society, so that liberalism only pays lip service to liberale. With the socialist state, the problem is the opposite: the state becomes a gestore – and there is this idea of an endless dialectic among the classes. So how does Mussolini reconstruct all this. He calls it ‘stato fascista’ – Had Lamanna continued from Kant to Fichte and Hegel, the student would be more prepared! Mussolini’s idea of the state is Hegel’s – it is the NAZIONE-STATO. While Mussolini speaks of the ‘individui’ of this nazione, he means the Italians (not the Jews, etc.). SO this NAZIONE however, is MORE than the sum of its individui. Individui come and go – but the state remains. The state becomes governo. Mussolini’s prose is machist and homosocial, and Lamanna has to lower down the rhetoric, but nothing is said about Germany. It is ITALY which is seen as proposing this new or novel idea of the state (after la rivoluzione fascista of 1923) with a Kantian approach. Since Lamanna has only read Kant seriously, he applies Kantian categories here: Mussolini’s fascist state gives each individual POSITIVE freedom – to be a slave to the CAPO or Duce who ‘knows’ how to command. Lamanna quotes from Cicero to the effect that it is obeying the law that makes us free. The emphasis is constantly on th azione or prassi, which is understandable since the pupils are supposed to learn about philosophy. So where is the dotttina? Mussolini is candid about this. In 1914, when ‘I all started it’ I did not know where I was going. It was the ANTI-PARTY movement --. Lamanna provides the editorial. During the ventennio, this action, which is the INSTINCTIVE FORCE OF THE SPIRIT OF THE NATION, becomes legalistic, a party is formed, and indeed a government (polizia, politeia) established. But Mussolini accepts castes in society. Even the religion, a civil religion, is subdued and one can very well be allowed to worthip the God of the Heroes.It is an ‘etica guerriera’ and it targets the giuventu – the youth or male youth --. Being commanded by one know knows is a privilege. Ths is interesting because this was conceived after the temporary successes in Africa – Mussolini romano e africano – and before the problems of the second world war. For the first time, Italians FEEL they are part of a NATION. The seeds were in the Risorgimento, but this got stuck with a liberal kind of state, which only provided negative freedom, and where the initial conditions were unequal. Lo stato fascista does not play with parlamentarism, so the Congress is closed, and the only party is the national party. Jews are excluded from PUBLIC service (even if some wrote panegirici for fascism, like Mondolfo). The philosophical foundations are found in Hegel. If Hegel concentrated all in the Kaiser of Prussia, Mussolini does so with himself. Gentile did not really help, although he was the official voice of fascist philosophy --. The student of philosophy then was taught the lessons of history (philosophy was IDENTIFIED with its history) and indoctrinated in the final stages into a particular IDEOLOGY. The tone is catechistic, and there is no idea of dissent. Lamanna however emphasizes that the stato fascista still recognizes the indidivuality and the personality of each member – as the stato comunista or socialista would not!” Eustachio Paolo Lamanna. E[ustachio] P. Lamanna. E. Paolo Lamanna. E. P. Lamanna. Lamanna. Keywords: il risorgimento fiorentino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lamanna” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754314550/in/dateposted-public/

 

Grice e Lami – la ragione degl’antichi – la tradizione della polizia romana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo.  Grice: “I like Lami; he has written interesting approaches to Plato and Aristotle.” Si laurea e insegna a Roma. Saggi: "La ragione degli antichi” (Giuffrè, Roma); "La politica di Platone” (Rubettino, Cosenza); "Tra utopia e utopismo" (Cerchio, Rimini) "Qui ed ora -- per una filosofia dell'eterno presente" (Cerchio, Rimini); "Il libro Manifesto – in difesa dell’oggettività" (Heliopolis, Pesaro); G. Sessa, "Voegelin -- Ordine e Storia” (Angeli, Roma, Filosofia politica Filosofia della storia Nuova Destra. Letteratura e Tradizione//miro renzaglia.org letteratura-tradizione-il-resoconto/ Scuola Romana di Filosofia Politica//centro studi la runa Fondazione Julius Evola. E’ davvero difficile per me, ricordare Gian Franco Lami. In questi giorni, ho dovuto farlo più volte, intervenendo a pubbliche commemorazioni della Sua memoria, a cominciare da domenica 23 Gennaio quando, in un gelido pomeriggio invernale, improvvisa e sorprendente, ci è giunta la notizia della Sua dipartita, durante la presentazione di un libro, alla quale avrebbe dovuto essere presente, come relatore, anche lui.  Immediatamente, il pensiero è corso al nostro primo incontro, quando io, giovane studente di filosofia, lo conobbi in qualità di assistente di Augusto Del Noce. Fin da allora, non si trattò di un semplice rapporto professionale, in quanto Lami seppe trasmettere a noi giovani che lo frequentavamo, l’amore per il sapere autentico, quello che si tramuta in testimonianza, in vita. Mi coinvolse immediatamente in un progetto ambizioso: quello di introdurre in un paese dominato culturalmente dalla Sinistra, il filosofo della storia Eric Voegelin, allora praticamente sconosciuto. Il risultato di questa ricerca, alla quale ebbi l’onore e il piacere di partecipare in prima persona, assieme a Giuliano Borghi e pochi altri, si concretizzò nella pubblicazione di una serie di antologie voegeliniane (qui è bene rinviare a Eric Voegelin: un interprete del totalitarismo, Astra 1978), che fecero ampiamente discutere. Il merito maggiore, conseguito da Lami, in questo ambito di studi, fu di individuare nel filosofo austro-americano, un diagnosta della crisi della modernità. In particolare, attraverso l’analisi e la traduzione di Ordine e storia, opera monumentale, Egli presentò l’esperienza classica della ragione, quale unica terapia possibile delle devianze neo-gnostiche contemporanee (si veda, prefazione a Eric Voegelin, Israele e rivelazione, Aracne 2004, ma anche G. F. Lami, Introduzione a E. Voegelin, Giuffré 1993).  Fece propria, in modo critico e originale, l’eredità di Del Noce, secondo modalità più profonde rispetto a chi, tra i suoi presunti discepoli, scelse, come il Maestro, una via di fede. La cosa, è facilmente deducibile dalla lettura dell’organica monografia che egli dedicò al filosofo cattolico (Introduzione a Augusto Del Noce, Pellicani 1999), da cui si evincono tanto la gratitudine per il discepolato e per gli insegnamenti ricevuti, sostanziati da un metodo rigoroso d’analisi quanto le differenze speculative essenziali, dovute alla valorizzazione filosofica, propria di Lami, delle qualità virtuose dei singoli, nell’ambito pratico-politico. A questa scelta, che peraltro individua, nello specifico, il campo d’indagine della Scuola Romana di Filosofia politica, che a Lui faceva e fa, tuttora, riferimento, hanno fortemente contribuito gli interessi per gli autori dimenticati del novecento. Tra essi, Adriano Tilgher e Julius Evola. Al primo, dedicò un volume significativo (Adriano Tilgher, un pensatore liberale, Seam 2000), nel quale evidenziò il tema della pluralità delle morali, come caratterizzante il pensatore napoletano. Ciò, secondo Lami, lo avvicinava al filosofo tradizionalista, poiché il suo pensiero, individuava effettive vie realizzative in grado di determinare le tipologie umane dell’eroe, del santo, dell’asceta, del saggio e del dotto. Sul secondo, dette alle stampe la prima monografia filosofica (Introduzione a J. Evola. Un passo per la vita e un passo per il pensiero, Volpe 1980). Inoltre, quale collaboratore della Fondazione Evola, ha curato diversi volumi della “Biblioteca evoliana” nei quali, come pochi, è riuscito a contestualizzare storicamente l’opera del pensatore romano e a coglierne il valore, in un lavoro esegetico sempre aperto alla comparazione.  E’ proprio Evola, l’autore attorno al quale si sono dipanate, nel corso degli anni, le nostre discussioni. Mi pare, infatti, che Egli leggesse Evola, tentando, almeno su certi aspetti, di andare, con gli strumenti della tradizione platonico-aristotelica, oltre le posizioni consuete a quest’ultimo, interpretando, al medesimo tempo, la consolidata lettura di matrice cristiana del pensiero classico, alla luce dell’esegesi evoliana. Stigmatizzò sempre negativamente l’abbandono, dovuto all’irruzione della visione del mondo ebraico-cristiana, della dimensione civico-virtuosa, sulla quale la civiltà greco-romana tanto aveva insistito. La cosa, è particolarmente chiara nello studio dedicato a questo specifico tema (Socrate Platone Aristotele, Rubbettino 2005), nel quale tentò di presentare il simbolo epocale del mondo antico, la “vita contemplativa”, come realizzantesi pienamente nella dimensione della Città, a testimoniare della contrapposizione tra tensione utopica tradizionale, e scacco utopistico, tipicamente moderno. Tema questo, attorno al quale spese le sue energie intellettuali nel recente volume Tra utopia e utopismo (Il Cerchio, 2008).  Corrispondere a quella che è stata la via da lui indicata, ad un tempo ideale ed esistenziale, a quella che egli definiva una filosofia dei pochi, del divino e dell’ordine, è compito complesso e gravoso, al quale comunque, chi come me, gli è stato vicino, non può permettersi il lusso di sottrarsi. Sarà la memoria della Sua luce interiore, che accendeva anche negli studenti della “Sapienza”, o in chi lo ascoltava nelle innumerevoli occasioni culturali per le quali tanto lavorava, dai Convegni alle presentazioni librarie, a sostenerci nella Sua assenza. Ma, più in particolare, l’idea di una tradizione sempre viva e presente, che si realizza, addirittura nella comunanza dei vivi e dei morti, come Roma (ma non solo) ci ha insegnato, e che rappresenta il suo testamento spirituale più prezioso (al riguardo si veda, Qui e ora. Per una filosofia dell’eterno presente, di prossima pubblicazione per i tipi de Il Cerchio). L’università di Roma, con Lui ha perso una delle ultime personalità carismatiche, in grado di fare Scuola. Personalmente, non posso che ringraziarlo per avermi onorato, in questo mondo, della Sua amicizia, rara e preziosa: quella di un Signore. Tratto da Area. Grice: “Lami touches some crucial points. For one, he criticizes Jowett for mistranslating Plato. What Plato wrote is fair and simple, ‘Police’ – Politeia --. Lami as a Roman hates the Pope – who does he think he is? The Papal dynasty is take in that they cannot reproduce. So we must go to the civil-political organization of the Romans, as seen from the the heroic ‘eta’ of Romolo. La citta. La Civilta. La tradizione. La tradizione una. Espressione varie e tradizione una.  With the birth of Christ, Roman words acquired new implicatures, for bad. Pagan started to mean ‘heathen’, and ‘ethnicus’ (ennico) more or less the same. Of course the old Romans were anything but PAGAN or heathen – they did almost EVERYTHING for Marzio, to whom they dedicated the downtown gym! (Campo Marzio). Lami knows all this – and more --. Gian Franco Lami. Lami. Keywords: la ragione degl’antichi,  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lami” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752587207/in/dateposted-public/

 

Grice e Landi – semiotica economica – prinzipio di economia dello sforzo razionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I would call Landi a Griceian; but he’d call me a Landian!” Studioso della dottrina del ‘segno,’ vis-à-vis- scienze umane e antropologia, apportato un notevole contributo agli sviluppi alla semantica (senso) e la pragmatica (prassi, pratica – ragione pratica) -- crt, cercando di unificare la dialettica romana e fiorentina  con quella oxoniense. Diplomato al Regio Liceo Ginnasio Alessandro Manzoni, si laurea a Milano. Studia a Pavia. Insegna a Padova, Lecce. Riceve, e Trieste. La sua opera si può suddividere in tre fasi. La prima riguarda studi su la prassi (ragione pratica), nonché l'analisi dei processi di “segno.” La seconda fase propone una teoria della “produzione” del segno intendendola come teoria del lavoro cui fondamento è l'omologia tra la teoria del segno e so-miscalled aeco-nomia. (cf. Grice, P. E. R. E.). La terza fase studia l'intricato rapporto tra il segno e la ideologia e teorizza l'”alienazione” dell’usuario del segno (ego/alter/alien). Opere: Pratica communicativa (Bocca, Milano); “Segno” (Manni, Lecce); “Significato, comunicazione e parlare comune,” – cfr. Grice, “SignificARE, communicARE, impiegare, implicARE, -- ‘common’ is Landi for Grice’s ‘ordinary’ as opposed to extra-ordinario. Marsilio, Padova. La semiotica e  “Segnare” come lavoro e mercato, -- cf. Grice against an utilitarian and pro a Kantian account of the rational effort – but remarks in the “Retrospective Epilogue” about his concern with ‘rationality’ as being co-operative. And Grice’s remarks about the independence of the two thesis: semiosis as rational and semiosis as cooperatively rational. Bompiani, Milano, Segno ed ideologia (Bompiani, Milano), “Segnare” (Bompiani, Milano); “Ideologia” (Mondadori, Milano); “Metodica filosofica e semiotica -- scienza dei segni, o teoria? – cf. Grice on philosophical psychology,’ folk science of psychology – ceteris paribus – ‘law’ of the science of psychology --. The laws of psychology – “That’s why we call them ‘psycho-logical’ concepts, or theoretical terms, -- psychological theory --. Theory Th.  (Bompiani, Milano). Cf. Grice on the boundaries of ‘mean,’ and the idea of ‘consequence,’ y is a consequence of x, x means y. Il corpo del testo tra riproduzione sociale ed eccedenza, Scritti su G. Ryle e la filosofia analitica” (il Poligrafo, Padova); “Semiotica Filosofia del linguaggio  su ferrucciorossilandi.c om. Grice: “Landi takes economics seriously, as did Aristotle – unfortunately, those researching onto Landi hardly quote from Aristotle!” “While the Italians think that Landi is being very Original, we at Oxford don’t! Game theory, strategy theory, and efficiency theory are all basic to ‘oeconomica’ in most pragmatic models of efficient communication – “Information is like money!” – Cf. la teoria del valore e le formulae dell’egoismo, l’altruismo o non-egoismo, Meinong. Teoria formale del valore. I valori egoistici risultano espressi con le lettere T e e te1 Hay Ja, Un Un,, Tv Uy. Gli valori altruistici sono espresso con le lettere: i. I valori neutrali sono espresso colle lettere : Ym. Siccome non si propone di dare una teoria compiuta dei fatti concomitanti di questo o quello valore, ma solo di ANALIZZARE tal unicasi va   speciali, così, quando adopera i simboli senza l'indice soscritto, intende significare il valore egoistico – con la lettere ‘e’ sottoittesa. Questi simboli possono esprimere questo o quello BENE, ma anche questa o quella volizione a questo o quello BENE riferentisi. Per indicare una volizione, si adopera il stesso segno *fra parentesi quadratti*. Infine, si suppone, di regola ceteris paribus,che la circostanza concomitante sia sempre una sola, la quale, insieme alla volizione, formi ciò che chiamamo il “bi-nomio” della volizione. Se le circostanze sono più, allora si forma un “poli-nomio” della volizione. La precedenza di una lettera in un binomio o un polimonioindica il valore principale, sia desiderato o sia attuato. In che modo i fatti concomitanti del valore sono connessi collo scopo della volizione? Siccome ogni scopo di volizione è anche un oggetto di valutazione, la domanda può formularsi così. Come i valori possono entrare in connessione tra loro? Si noti però che la connessione deve stabilirsi prima del cominciamento della volizione, giacchè questa volizione deve tenerne conto. Le co-esistenze casuali restano naturalmente escluse. Tra lo scopo dellla volizione e l'oggetto della valutazione concomitante possono correre varie relazioni. C’e una relazione d’identità. Ciò che il  artista o un politico come Mussolini crea non soddisfa lui SOL tanto, apparirà sempre in qualche modo come un BENEFICATORE di tutta una sfera di uomini – la nazione italiana. C’e una relazione di CO-ESISTENZA di più qualità di una stessa cosa, o anche di più cose. Per esempio, un tale VUOL comprare un piano che ha (+) un bel tono. Ma il piano ha anche (-) una cattiva meccanica. O un cane da guardia molto vigile (+), il quale però morde (-). O una macchina automobile che lavora bene (+), ma che fa rumore e fumo (-) ,ecc. C’e un nesso causale, nelle sue due forme: a) lo scopo è CAUSA di conseguenze valutabili. Il politico chi, per esempio, promuove il movimento e l' industria dei forestieri, mira ad arricchire la sua nazione (+), ma anche la de-moralizz (-). b) lo scopo non si può raggiungere che come EFFETO di dati valori morali. Per esempio: un fabbricante per  . Ora torniamo alla domanda principale. In che modo il valore morale di una valutazione dipende dai valori concomitanti, e,in caso di un simple bi-nomio della volunta, dal valore concomitante? Abbiamo distinto quattro categorie di valori, “g”, “T”, “u”, e “u”, le quali si applicano anche ai fatti concomitanti. Però il caso u si può omettere, perchè non accadrà mai, CHE SI VOGLIA UN PROPRIO NON-VALORE PER sè stesso. Rimangono così tre possibilità, le quali, liberamente combinate, dànno *dodici* casi che costituiscono la tavola dei valori. Per l'esame di questi casi bisogna pensare che ad un oggetto di volizione si aggiungano gli altri come fatti concomitanti, e osservare le variazioni di valore che questo intervento produce. La VOLIZIONE ‘POSITIVAMENTE ALTRUISTICA’ (benevolenza e beneficenza) è data da una formula. Il momento più importante è qui l'associazione della circostanza concomitante u, IL PROPRIO DANNO. È evidente che l'aggiunta di questo secondo momento accresce il valore di (i) e di tanto, quanto più grande sarà il sacrificio proprio. Indicando il valore con “W” ,si avrà dunque: W(ru) > WV. Se invece si aggiunge “u”, IL DANNO ALTRUI, sia dello stesso beneficato (quando il beneficio produce pure un MALE al beneficato), sia di persone estranee al rapporto (quando per beneficare uno si danneggia altri), allora il valore della volizione con questa circostanza concomitante diventerà minore. E la formula sarà: W(ru) < W(r). Se la circostanza concomitante è pure in favore del beneficato, allora la formula sarà indubbiamente: guadagnare di più deve migliorare la condizione materiale dei suoi operai. W (rr)> Wr.   glianze. Invece L’AGGIUNTA DEL VANTAGGIO PROPRIO AL BENE ALTRUI nè diminuisce, nè aumenta il valore. La volizione egoistica è espressa dalla formula, la modificazione più grave qui si ha, quando al caso si aggiunge la circostanza del  MALE ALTRUI. Allora si avrà: W(gu)<W(9). Se la circostanza concomitante è invece “r”, il valore della volizione egoistica si eleva: W(gr) > W(g). Che poi alla volizione egoistica si aggiunga la circostanza secon aria di un ALTRO PROPRIO VANTAGGIO (plusvalia) o anche di un proprio danno, non modifica il valore di (g). Si avranno quindi le due egua W (99)= W (g)= 0 W(gu)= W(9)=0. Così pure si aumenta il non-valore, se oltre al danno principale si aggiungono altri danni. Epperò: W (UU)< W (U). Per quanto il caso sia inusitato, si può prevedere anche, che al male altrui si associ una qualche conseguenza buona, indiretta,  W (rg)= Wr. La volizione altruistica negativa o anti-altruistica è espressa con una formula. Se per attuare il danno altrui, si fa anche il danno proprio u, questa circostanza aggrava il male e aumenta il non-valore: W (uu) < W (u). W(UY) > W(u). Il fatto concomitante della propria utilità non aggiunge nè toglie al valore della volizione principale anti-altruistica. Si avrà quindi l'eguaglianza: W (ug)= W u. La somma dei risultati ottenuti si può disporre in un Quadro. W(rr) > W(v)? W(gr )> W(g)? W(ur)> W (U)? W(yg)=W(r) W(99)=W(g)=0 W(ug)=W(U) W(ru)<W(Y) W(gu)<W(g) W(UU)<WU) W(ru)>W(V) W(gu)=W(g)=0 W(uu)<W(U). Da questo quadro si rileva che le circostanze concomitanti con segno negativo non sono più feconde di effetti di quelle con segno positivo. Di queste ultime, “g” non modifica nulla, e “r” non dà risultati sicuri, come indica il punto interrogativo. L'influenza dei fatti concomitanti si può dunque riassumere così. Agisce aumentando debolmente il valore. ‘g’ non modifica nulla. ‘u’ diminuisce grandemente il valore. ‘u’ opera secondo lo scopo della volizione -- ora aumentando, ora diminuendo e ora non-modificando il valore. Si è già detto che sarebbe uni-laterale il voler giudicare del valore morale di una volizione dallo scopo ;che però, in quanto lo scopo prende parte alla determinazione del valore, l'altruismo positivo è buono, L’EGOISMO è INDIFFERENTE. L’altruismo NEGATIVO (malevolenza e maleficenza) è cattivo. Ora è importante constatare, che il senso in cui i tre momenti valutativi operano sui fatti concomitanti è completamente lo stesso La validità della tavola dei valori, dianzi tracciata, ma pure prevista. Allora il non-valore si ridurrà, nel modo indicato dalla in-eguaglianza: subisce variazioni, se cambia la qualità della volizione? Itendendo per qualità la differenza tra appetizione e repulsione, che però non deve equipararsi a una contra-posizione logica tra affermazione e negazione, i cui termini si escludano a vicenda, ma considerarsi come una doppia possibilità psicologica, di cui l'una abbia altret tanta realtà indipendente, quanto l'altra. Un'analisi della NOLIZIONE mostra, che esse si comportano egualmente come la volizione, solo che si applicano di regola ai valori “T”, “u” ed “u”, RITTENENDOSI ASSURDO (IRRAZIONALE) IL NON VOLVERE IL PROPRIO VANTAGGIO ‘g’. Indicando le nolizioni con (T) (ū) (T) = (non- T) = (U) (U = (non-- U) = ( ) (ū)=(non u) = (g). Lo stato subbiettivo di rappresentazioni ed i predisposizioni anteriore alla volizione è indicato con il concetto di “Progetto”. E siccome in questo stato abbiamo supposta anche la cognizione delle circostanze concomitanti valutabili, così al binomio della volizione o al polinomio della volizione corrisponde un binomio o un polinomio del progetto. Per indicare questi stati si adopera gli stessi simboli *senza la parentesi quadratti*. Osservando le volizioni in rapporto agli stati predisposizionali, l'analisi delle valutazioni dei fatti concomitanti può rendersi più esatta.  (ū) si possono fare le seguenti sostituzioni, che aiutano a trovare il corrispondente valore nella tavola relativa alle volizioni. Si ponga, per esempio, un bi-nomio iniziale della volizione “uu”, che esprima il mio desiderio di far male, al momento opportuno, a una persona, ma che non mi sia possible evitare, ciò facendo, conseguenze dannose pe rme,u. Se ildesiderio di non danneggiarmi prevale, allora non si avrà più il binomio (uu), ma l'altro (ūr), il quale dice che la volizione è risultata nel senso di non volere il male proprio, pur ammettendo che questa volizione abbia per circostanza concomitante y, cioè il bene altrui. In forma positiva la volizione finale sarà (gr). E così da una situazione iniziale negativa “vu” si riesce nella opposta gr (1). Questi sono i co-ordinati fra loro due bi-nomi di progetti, dai quali procedano due volizioni formalmente concordanti. Anche i due bi-nomi di queste volizioni saranno coordinati fra loro. Essaminemo la coppia dei due binomi yu-gu, dei binomi, cioè, che hanno la maggiore importanza pratica. Il primo bi-nomio esprime l'altrui bene col proprio danno. Il secondo bi-nomio esprime il bene proprio col danno altrui. Nel primo rientrano, nel senso o grado *massimale*, tutte le occasioni in cui si può affermare la grandezza morale di un uomo (magnanimita). Nel senso o grado minimale, i casi della più comune fedeltà al proprio dovere (to do one’s duty). La sezione di linea dei valori morali che comprende il MERITORIO e IL CORRETTO è tutta espressa da questo bi-nomio del Progetto. Laddove la sezione che va dal punto d'INDIFFERENZA al TOLLERABILE e al RIPROVEVOLE corrisponde alla negazione di questo binomio del progretto. Nel binomio “gu” sono espressi tutti i casi che vanno dal più SANO EGOISMO alle negazioni più delittuose dell'altruismo. Reciprocamente, la rinunzia a siffatte volizioni va dal semplicemente dove ROSO ALL’EROICO. Le volizioni che procedono da questi due bi-nomi comprendono adunque tutte le quattro classi di valori, caratterizzati in principio. I due bi-nomi anzidetti suppongono un CONFLITTO (non coooperazione) fra l'interesse proprio e l'interesse altrui. È evidente che dalla grandezza di questi interessi, dalla portata di “g” e di “Y”, dipende il valore morale della valutazione. I momenti “u” e “u” s'intendono compresi nella negazione di “g” e “y”. Intanto è certo che il VALORE EGOISTICO in cui “g” è congiunto con “u” , “W(gu)”, si trova sempre al di sotto del zero della scala, ed ha segno negativo. Mentre il valore altruistico in cui è congiunto con “u”, “W(ru)”, si trova al di sopra del zero ed ha segno positivo. Ciò posto, la funzione valutativa tra i termini dei due binomi dei pogretti si può scoprire agevolmente con una semplice osservazione. Sacrificare un piccolo interesse proprio a un grande interesse altrui ha un VALORE POSITIVO MINORE che il sacrificare a un piccolo interesse altrui un grande interesse proprio. D'altra parte chi non pospone a un grande interesse altrui un piccolo interesse proprio produce un non-valore morale più basso, che non colui il quale per una utilità propria rilevante non tien conto di utilità altrui tras curabili. Questo abbozzo di una LEGGE del valore si può esprimere nelle formule, nelle quali “C” e “C'” indicano le costanti proporzionali sconosciute, condizionate dalla qualità delle due unità “g” e “r”. Nell'applicazione di queste due formule all'esperienza si rendono necessarie talune modificazioni. Se poniamo I valori “r” o “g” eguali ai limiti 0 e 0 ,allora i calcoli diventano molto esatti. Per g per g. L’ESPERIENZA NON è però SEMPRE D’ACCORDO CON QUESTE FORMULE. Ognuno ammetterà che l'adoperarsi nell'interesse altrui si accosti l punto morale d’INDIFFERENZA, quanto più grande è quest'inteesse; e che il trascurarlo divenga nella stessa misura RIPROVEVOLE, “u” pposto costante e limitato l'interesse proprio da sacrificare. È F ,  1 W(ru) = Cg -0 Y Y g W (gu) = - C per r = 00 per r = 0 lim W (ru) = 0, lim W(ru)= 0, lim W (ru)= 0 limW(ru)= 0, lim W (gu) = - 0 0 limW (gu)= 0 lim W (gu)= 0 lim W (gu)= – 00. pure evidente, che la trascuranza di un interesse altrui diviene tanto più INDIFFERENTE quanto più IRRILEVANTE è questo interesse. Epperò non si ammetterà da tutti, che il valore dell'altruismo di venga allora infinito, come nella seconda formula. Osservando però bene, questi casi non rientrano nel campo della morale. Si contrasterà pure che il valore del sacrificio di un bene proprio per l'altrui, cresca colla grandezza del bene sacrificato (formula terza). Ma l'esperienza prova che l'esitazione al sacrificio si fa maggiore quanto più grande è il bene cui si sta per rinunziare. Invece è da riconoscersi che non è esatta la quarta formula. Non si può negare ogni valore al bene che si fa ad altri, solo perchè NON si determina un CONFLITTO con un bene proprio. Le formule anzidette si debbono mitigare nella loro assolutezza, perchè si accostino di più alla realtà. Per far ciò, basta attenuare il valore di “g”, il che si può ottenere aggiungendo a “g” ogni volta una costante “c” o “c '”.  Queste formule non modificano i limiti funzionali dianzi ottenuti, ponendo r = 00, T = 0 0 g = 00. Cambia bensì la formula del quarto limite. Se g= 0: lim W (ru) = C, lim W(gu) = - ' Sin qui abbiamo considerato l'una variabile IN-DIPENDENTE dall'altra. Che avverrà però, se le variazioni si compiranno in entrambe le variabili congiuntamente, supponendo che “r” e “g” rimangano uguali fra loro per grandezza di valore? Sostituendo a “g” il simbolo “r”, le formule diverranno altri. Si avranno così le formule. Tr W (ru) = 0 9 + c g +di  e Y W(gu)= W(gu)=-C' ito Y W(ru)= C y- to' . Da questo risulta che il non-valore deve crescere e diminuire nello stesso senso o grado limite di “r” e “g”, e il valore in senso o grado di limite contrario. Consultando l'esperienza, si può riscontrare agevolmente che un oggetto, per esempio un dono, abbia lo stesso valore per chi lo dà e per chi lo riceve. Ora si domanda, regalare di più avrà un valore più alto o più basso del regalare di meno? Senza dubbio più alto. E se si contrapponga vita a vita, CHI SACRIFICHI LA PROPRIA VITA per conservare quella di un altro, suscita di fatto grande ammirazione. QUESTO è però IL CONTRARIO DI ciò che quelle formule esprimono. O “c” corre adunque correggere le formule e per far ciò introducemo un esponente di “g”, più grande dell'unità, e lo indicamo colle lettere “k” e “k'”. Le due formule diverranno così, rimettendo “y” al posto di “r”. Sicchè si avranno i seguenti limiti. A questo punto, il concetto di limite non hanno più bisogno di alcun'altra correzione. Per semplicità di espressione ponendo C= 1ek =2, la formula del binomio divienne W(gu)= T. È questa una formula a discuttere. . g2+1 ghto Y gkilt o W(gu)= W (ru)= C per r= 9 perr= g= 0 T g2+1 W (ru)= e Y e limW(ru)=00 lim W(gu) = 0 limW(ru)=0 limW(gv)=0. Preliminarmente non si ne ricava alcune conseguenze. Ogni pr getto offre a colui, che dovrà reagire con una volizione,l a doppia possibilità di fare o di tralasciare. Le due volizioni staranno, secondo la formula principale or ora  ricavata, in un rapporto di RECIPROCITà negativa, per ciò che ri guarda il loro valore morale. In secondo luogo, siccome una volizione di grande valore (positivo o negativo) o e MERITORIA O RIPROVEVOLE. Quella volizione di piccolo valore o e CORRETTA o TOLLERABILE, così potrà dirsi in generale che quanto PIù DISTANTI sono il NUMERATORE E IL DE-NOMINATORE della formula in una scala ordinale (1, 2, 3, … n), tanto più il valore della volizione e indicato dalle parti estreme superiore o inferiore della linea dei valori. Quanto più vicini o meno distanti sono invece quei numeri, tanto più l'indice del valore cadde verso il punto di mezzo di detta linea. La formula si applica inoltre anche ai casi di una volizione I cui scopo non siano accompagnati da circostanze concomitanti. Basta ridurla. W(9)=0(1). UU. Mentre la prima coppia esprime il caso di CONFLITTO D’INTERESSI, la caratteristica della seconda formula è la CONCOORDANZA O INTERSEZZIONE O COOPERAZIONE O CONDIVIZIONE gl'interessi propri con gli altrui, positive, o, come nella guerra o il duello, negativi.  Se il progetto offre l'occasione di congiungere con la mia utilità l'altrui, o se mi rappresenta un pericolo altrui nel quale scorgo un pericolo mio, la volizione corrispondente e espressa con (gr). V'è però anche la rappresentazione del desiderio di un male altrui, cui si associa anche la previsione di un danno proprio. La corrispondente volizione e espressa con “(uu)”. Il conflitto qui non esiste fra “g” e “y”, ma fra “g” e”v”, cio è fra “g” e -Y Questa riflessione ci fa subito applicare al caso attuale la formula principale del primo binomio. Così, go+1 Y. W(uu)= W (Y)= >.  Passamo ora ad esaminare un'altra coppia di binomi: gr g+1 1 T   (go+ 1)r. Mantenendo anche in questo caso il principio della RECIPROCITà negativa dei due binomi di progetto, l'altro binomio diverrà epperò la seconda formula principale così ottenuta e (1): W(uu)= -(g2+ 1)r. Le costanze rilevate in queste formule dimostrano sufficientemente che il valore morale è in relazione tanto con lo scopo principale della volizione quanto con i fatti valutabili concomitanti, com’era di sperare! Ferruccio Rossi-Landi. Landi. Keywords: implicature. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landi,” The Swimming-Pool Library, Villa SPeranza, Luigi Speranza, “Grice e Rossi-Landi a Oxford.” Luigi Speranza, “Grice’s principle of economy of rational effort and Rossi-Landi’s economical semiotics.” Luigi Speranza, “Grice and Rossi-Landi: over-informativeness and excess: the implicature” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701883411/in/photolist-2mRkgtK-2mRcn9c-2mPVkio-2mPYy6p-2mPUHFB-2mPyn68-2mPiqeP-2mMRLT9-2mLHEEX-2mKKMt4-2mKCQBD-2mPtp3t-2mKQqs3-2mKiPND-R1eT5f-Fk4dhM-G768cb-G9rj7p-DndBhH-AcDUcp-T3H8P3-nNK6N1-o1cZ1Z-nYkP5S-nzsfjR-nsj5ZA-nuoDVU-ncSabS-nnvnLQ-nr43e9-nRpz1J-nRxV4g-nz47iC-nREe6x-nupBjR-nu822k-nupzLa-nsn1sJ-i65ZAc-i65CuK-hMNyRg

 

Grice e Landino – La sforziade degl’italiani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I love the way a philosopher can be judged by his fellow citizens and by furriners: Landino’s “De Anima” fascinates the Germans, for example! While his poetry fascinates the Americans, as I Tatti testifies!” Nacque da una famiglia originaria di Pratovecchio, nel Casentino, e compì gli studi in materie letterarie e giuridiche a Volterra. Gli venne affidata presso lo Studio fiorentino la cattedra di oratoria e poetica che era stata del suo maestro Marsuppini: Landino, sostenuto dai Medici, era stato avversato da non pochi personaggi in vista, come Alamanno Rinuccini e Donato Acciaiuoli. Tra i suoi allievi ci furono Poliziano e Ficino. In quel periodo ricoprì anche incarichi pubblici, facendo parte della segreteria di Parte guelfa e della prima Cancelleria. Tra i suoi viaggi, spicca quello a Roma. La sua prima attività fu poetica, con la Xandra, una raccolta di componimenti dedicata inizialmente ad Alberti e de' Medici. In campo filosofico scrisse tre dialoghi: il De anima, le Disputationes Camaldulenses  e il De vera nobilitate. La maggiore fama nei secoli di Landino fu però legata alla sua attività di commentatore dei classici. Diede alle stampe il Comento sopra la Comedia di Dante, su Orazio e su Virgilio. Traduttore dal latino in fiorentino della Storia natural di Plinio e la Sforziade di Giovanni Simonetta Il volgarizzamento pliniano fu un vero e proprio evento: per la prima volta anche chi non conosceva il latino poteva leggere la più importante e vasta enciclopedia del mondo antico (tra i suoi lettori Pulci, Colombo e Vinci).  Per i meriti acquisiti, la Signoria fiorentina gli assegnò una torre nel Casentino e una pensione.  Venne ritratto tra illustri fiorentini a lui contemporanei da Domenico Ghirlandaio nella Cappella Tornabuoni di Santa Maria Novella. Saggi: “Orazione alla Signoria fiorentina incipit della Historia naturale tradocta di lingua latina in fiorentina”; Xandra, “De anima”; “Disputationes Camaldulenses; “De vera nobilitated”; “Comento sopra la Comedia di Dante”; “Commento a Orazio”; “Commento all’epopea eroica di Virgilio”; “Historia naturale di Caio Plinio Secondo tradocta di lingua latina in fiorentina  al serenissimo Ferdinando re di Napoli”; “Orazione alla Signoria fiorentina quando presenta il suo Commento di Dante, Firenze, Niccolò di Lorenzo, Formulario di epistole, Firenze, Bartolomeo de' Libri. Il testo si può leggere in edizione critica. Carmina omnia ex codicibus manuscriptis primum edidit A. Perosa (Firenze); “Disputationes Camaldulenses” Lohe (Firenze, Sansoni); C “De vera nobilitate, M. T. Liaci, (Firenze, Olschki); R. Cardini, La critica del Landino” (Firenze, Sansoni). Dallo stesso studioso è stata allestita la raccolta: C. Landino, Scritti critici e teorici, Cardini, Roma, Bulzoni, Comento sopra la Comedia, I-IVProcaccioli, Roma, Salerno editrice, Questo commento è stato solo parzialmente edito (la sezione relativa all'Ars poetica): Cristoforo Landino, In Quinti Horatii Flacci Artem poeticam ad Pisones interpretationes, G. Bugada, Firenze, Sismel, R. Fubini, Quattrocento fiorentino. Politica, diplomazia, cultura, Pisa, R. M. Comanducci, Nota sulla versione landiniana della Sforziade di Giovanni Simonetta, «Interpres» Uno studio complessivo, sia filologico sia storico-culturale, dell'opera in A. Antonazzo, Il volgarizzamento pliniano” (Messina, Centro di Studi Umanistici). Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Orazio, “Artem poeticam ad Pisones interpretationes. G. Bugada, Firenze, Sismel-Società internazionale per lo studio del Medioevo latino, Galluzzo, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Antonazzo, Il volgarizzamento pliniano Messina,  di Studi Umanistici, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Lee Sorensen. ALCUIN, Ratisbona.  Liba fecundus   uautEandetn otionanft in anibus denrchedas. Ars enim natnratn quoad ua  Itt feropq imitatur . Sed nefeio quo pado cum de eqmaloquoditi uita K iriorio  iMispanaturanucttigadum nobis propofuannus:iam fecundo in naturam rcla«  bor.lta^ bacomifla ad illud tademrueamusipcimuniq^ omnibus philofopbis  omnibmi^cbtifiianisaudoribusnonin eoquodabadioneproueninfcdin fo»  h ratione coUocemus.Non enim quid fadum iinfed qua mente fadum animad  uettunt.Q_uapropter quatuor ueluti principia ponunt.Cum enim fe nobis ilu  quid offert:mouctuc ea te fic oblata uis quzdam animorum nofttorumsut illam  cognofcat:tandem<p decernit aliud bonum efTc/aliud contra maium:Q_uapto  ptrrcumiam feferes obtuleritrcum iam fecundo loco (it de ea iudicium fadumt  adtamr tertio loco uoluntast ut hoc quidem fequamur: illud uero fugiamus.  Q_ua quidem uoluntate ita iubente motus poftremo in corpora infurgut : ut id  tncmbraezcquanturquodnoiunusanceadecreuerit.Ncffi igitur a duobus illis  ptimisprindpiisnetp ab boc poftremo uitiumfpedatur:led a uoluntate qua in  ordine tertiam pofuimustNon enim eo V erres pcccauit quod tabulz ftgnac^ ac  reliqua ftculorum preriofilTima fupeliez illi fefe ofFerretiNon rurfus quia iudica  ret forefibi ex ufu huiufccmodi ornatu abundaretfcd quia rapere uoluit cu uf«p  adeocz fola uoluntate res pendat: ut etiam ft non rapuerit :tamen quia rapere uo  luerit fitelus commifllim fitxNon enim interfecerit ne an non interfecerit: fed uo  lueiitne interficere in culpa eft:Defueruntuires.P.CIodio quominus Annium  Milonem oeddere pofTetxQ^ua quidem in re fi naturz uitium quzras t pcccauit  ea uis:quzmentis propofitum non implcuit:fi uero ad morem teconuertas non  aduscorpord motus fed uoluntatis adus crimen concipit: Dicetur^ iure homi<  dda Clodius quia Milonem uoluit ocddere:Fac autem ocddifte cum minime ta  men uoluerit exddere ftarim crimine abfoluetur:Q_ui enim non ex uoluntate:  fed uel ex infirmitate uirium quas modo pofiii uel ex infdiia rem quampiam c6  mittunnii non modo culpa carent:uCTum etiam cdmiferationefzpiftime digni  putanmr.Q_^uis enim cum illud de Cephalo in procrin legit etiam fi fabulofum  putetmon iolum illum crimine liberat:Sed fumma infupercomifetatione profe  quituRcum animaduertat hominem ex infdria dum feram uulnerarc putat : ca^  tifiimam fibi coniugem percuEiffeteuius morte in fummum moerorem acludu  paulo poftcafuruseifettVidesigiturauolutatisadu ueluti a fua origine uitium  in monbus flum: Verum cum iam conftet imbedllitatem adionis prouenire ex  infirmitate primi agentis rem hanc planius exponendam cenfeo: Videamus ita^  in quo defidatuoluntas ante commifllim fadnus.Q_ui quidem defedusfibi a  natura non erinfemperenimadbzrct/femp^ pcccaret:ne^ rurfus eftcafu bc for  luna:eflet enim extra nos:Eft igitur uOluurius.S'ed ut uideasundeifit error boc  aedpe. Visdus rd quz agit ab eo agente perficittu quod fupra fe eft:Donec enim  id quod fecundo loco agit perfeuerat in ordine primi agentis munus fuum abfo  lute peragit:Sinautemao illo declinet nullum iam remedium eflqn aut fiatim  aut paulo poftdefidattin gyrum uertitutdrculus qui manu humana torquef»  Hic idem fi nunu dedinet a mom ceflabit: Ergo igitur ut ad rem redeam nupa  dicebam duo cflic pdndpiarquae uoluntatcm aateire nttRes quz fefe nobis oSu a : k [ t  Oerumniobonp   nttitt K uii gucdam ilfas oblatu fufdpiatt At cum qiiicgd bnhi!!»ttb£ A   Ut moueri poffifaliguidhabeat proprium a quo moucaturmoo omnis pcrap&  di uis omnem appetitum mouebit.Nim quz fmlibilia percipit cum dutaiatape  petitum qui a renfibus e(i mouere ualaiRatio autem proprie uoluntatem mouc  bitiRurfuscum latio uaria bonorum genera percipere poiritcuiuilibetautcm&  proprius finistEtit uoluntatis quoq^ pprius nnis k primum quo moueatiu n5  bonum quodlibetifed certum aliquod ac pncfizum.Siigit" mensnofira acuolo  tas perceptione eius rati6ismoueac7quz tedum bonorum malotu^ iudiciuiB  teneat reda indeadio exorictur.Sinautem ab iis ezorit" quz falfo fenfuum iudb  do bona efle deaeta Tunticum minime flnt bona Ibtim peccat in uiu 6tmorib9  uoluntas.Peiueriio igit" ordinis qui cft ad rationem & ad proprium finem gignit  peccatum in adione. Ad rationem quidem cum ad fubium fec fiis perceptionem  uoluntas fertunin id quod fi rede pcrfpidas bonum non efiifcd quia fuis ilicee*  brisrcnrusdemulfitiaDillisbonumiudicatat.Efirurrus cum ratio ipfa minime  decepta id bonum efle decemittquod uere bonum dici potcft.Hcx tamen tepo*  re aut hocmodobonumefie negatur. Voluntas tamen in id fertur nu llam ordi*  nis tanonem babens.huiufccmodi igitut ordinis peruerfio uoluntaria eihpptc*  reaqi uitio non caretsLoquacior fortalTc fum q par cfi in natura mali. Addam ta  men ex iis argumentationibus quibus demonftracum efimalum nullam efienda  am eflesati^ ob eam tem per fe fubfifierenon polle: facile animaduerti id aliquo  in bono feroper efle oportere: Verum idem hac quoip ratione probatur : Cu ma*  Ium dicimus priuationem dicimus:hoc enim iam conuicnPnuatio autem ipla K  foima qua res priuatut in eodem funt.ld autem quod formz fubiidtur huiuTce*  modi cil/ut fua natius facultate formam fufeipere ualeat:Hoc autem quis bona  negabit cum eodem in genere & ipfa fiue facultas fiue potentia Scadus qui inde  cll omnino confilhnt.Prxterea malum ta folum ratione malum didiT quia nev  cct. At non ncKct malo.ElTc enim bonum fi malo pemitirm afiFcrrct.Nocet igitur  bono.Nonautefi de rei forma loquamur noceret nifi in eoelTet.Q^uzenimcz  citas polyphcmo nocebitinifi fit in polyphemo excitas: Verum cum uulum boa  no opponatur:quo pado utn^ idem erit fubiedum.oppofiro 9 t enim altc^/alte  tum pellinhoc fi dicas ita tibi refpondebo.Q^uicquid ens did poteft idem 8C boa  num dicitunNon autem abfurdum cll ut non ens in ente fit:quzlibct enim ptia  uatio in aliqua elTentia c(l:quz cll ens tamen non efi in ente fibi oppofito. Si  enim czeitatem dico hoc non eos comune quide minime eft ut uifum ubi^ tola  lat:Ergo non ell in uifu uelud in fuo fubicdo fcd in animaote.Q_ux quide om  nia eo teduntiut non pofliit iu fummum malum inueniri:ut inuenitur fummn  bonum.Q^uod enim fummum malum fututum fit id fine alicuius boni cofora  tio elTc oportet. At nullum malum a bono omnino feparatu efle inuehies.C^ua  doquidem ut paulo ante ofiendimus fuas in bono radices malu egit:& in eo luu  ut Ita loquar fundamentum iedt:Ptztctea fi mihi dabis aliquid fummum malis  fututum effe id ita fua eflentia malum futurum erit/ut fua eflenda fummum bo  num clfc uidemus. At malum eflentiam nullam babae iam demonfiratu efi. Ita  quod ptiouUD pdndpiii eft eus cflcpo^too cogn ellet pti^    IaP.Vitg«M.AIl^o.Liba tettius   cipranificflctcauraiitidepcadcretttDafiautcaurambotiucfre dirimus. A 4 de  & boc^uTa enim qux per fe caufa diatunfcmpcr prior eft illa quz per accidens  caula dicitur. At malum non efi caufa niri per accidens.Non igitur inuenimr (u  Inum malum.Hatc funt quae de plurimis longecp «ccllenrioribus quz Leo Ba  ptifia memoriter diluride ac copiofe in tantorum uirotum confriTu difputauit t  mcminilTe ualui.ln quibus cum abunde Laurentio fatilTadum efletxfol^ ia me*  ridiemalccndi(ret:nos omnes ita adbottante Mariotto hofpite libetaMimo to»  Kzimusiillumf fecuti ad tefidenda corpora difi:ellimus. CHRISTOPHORI LANDINI FLORENTINI CAMALDVLENSL  VM DISPVTATiONVM AD ILLVSTREM FEDERICVM VRBINA-  TVM PRINCIPEM LIBER TERTIVS IN.P. VIRGILII MARONIS ALLEGORIAS. I Vm Satuiffem cum fermonem Illuftriilime Federice litteris  mandate/quem Leo BAPTISTA Albeitus no finefumma  oiumquia&cruntadmirarione:at(^ftuporede iis Hgmeris  habuiflct>inqbus.P.VirgiIius j>fundiflimam illam fcietiam  i occultatcqua fummu bois bonum diuinitus defcribit:& quU  ^ uia ad id ^ Hcircamur/mirificc exprimit: uercbar ne in nonui   1 holum reprehcnlionem incidcrem:qui cunria ex fui ingenii imbecillitate  tnericntcs:& Maronem ipfum nihil przter fabellas:quibus ociofas auditoru au«  icsdcledaret/cdmctum rae credant:& nos pro arbitrio nodro quz dicimus ottu  uia finxilTe exifiimcnt.Q^ui quidetn fi quid poctz fint: fi quam eorum origo ue  tufia appareat fecum teputentifi q magna/q uaria dodrina plurimi in eo artifii<  rioflorucrint/confidcTcnncogoofccntprofedoidquod grauilTimorum philo*  fophorum iudido comprobatum uidemus/nullum efie feriptorum genus : qui  autmagnitudine cloquentiz.aut diuinitate iapictiz poetis pates fuerintr Q_ua  quidem ce Arifiotelem uirum excellenti ingenio & dodrina pofi Platonem om  nino fingulari motum crediderimrut eofdem prifds temporibus theologos poe  tafi} fuine a£btmet;Et profedo fi poefis ipfa quid fit diligentius inturamur:fad  k erit nofle non cfle illam unam ex iis artibusrquas noflri maiores/quoniam reli  quis excellentiores funt/libctalesappcllarunnin quarum una altera ue fiqui 0 o*  lucrunttin maximo funt femper pretio habiti:fed cfi res quzdam diuiniortquz  uniuerfas illas compledcns certis quibufdam nu meris aftridatcerris quibufdam  pedibus ptogrcdienstuariifi^ luminibus ac floribus diftinda/quzcutp homines  qjotnt/quaecn^ norint: quzeu^ contemplati fuerint: ea miris figmetis exoractr  atip in alias quafdam fpedes traducattut cum aliud quippii multo inferiusimul  (09 humilius narrare uideantur:aut cum metas fabellas ad ceflantium aures ob  kftmdas ludere credantur:tum maxime cxcclla quzdatfic in ipfo diuinitaris fbn  tctecondita pTonunt:Q_uo quidem gratilTimo errore tandem animaduerfo au  ditoc non Colum in fummam rerum cognitionem deucniat: fed mira eriam uolu  ptatccz figmento pctfundatuc.Q_uam quidem temdiuinam potius s humani f iii fn.P.Virg.M.AIItgo*   cfle cu! potius f Platoni credidcrimnilr rnim in lonr dicit pot ffm non arte  yana tradi;f<d diuino furore npftras tnentesirrepne.ln co aurem qui phxdrua  infcnbitur/cum tria alia diuini furoris genera expliraflet/quaitum furoretn/quc  poeticum elfe uult/huiurcemodi([ni fallor^fentcntia exprimir.Rcfeit enim da  ibcxleftibusredibusucrfarcntur animi no(lri/& cius harmonix quxinxtema  dei mente confiftitiK eius quxcxlorum motibus conficitur/illos participes fuit  fe. Verum cum deinde monalium rerum cupiditate degrauati/propterca^ ad ia  feriora iam deuoluti corporibus incluti tint:tunc terrenis artubus ac monbodia  membris impeditos/uix eos concentus qui humano artiHno comparantur/auri  bus padperc poflerqui & Ii a cxledi harmonia longe abfintinihilominus quoni  om ucluti fimulacra quxdam ac imagines illius funt/nos in tacitam quadam cx<  Icftium recordationem inducuntiacardcntiifiroa cupiditate ad antiquam patrw  am reuolandi inflammanciut ueram ipfam muficam/cuius hxc adumbrata ima  go lit/pnofcamus.interim uero quo ad pemiolcdilT mum corporis carcerem noa  bis licet/bac noftra illam imitari cdtedimus.non uocum modulationibus ueluti  uulgares quidi & leuiores mulici cofucueruntrquos aunu frufus demulcete po(  fe no negauerimtquicq aut prxterea prxihre polTe no cocedorSed grauiori quo«  dam iudicio diuinam harmonia imitati/ pfundos inrimof<^ mentis fenfus elega  ti arminc exprimutsat^ diuino furore concitati res frpe adeo mirabilesiadcoq^  fupra humanas uirescofticutas gradi fpiritu proferunt: ut cum paulo poft furoc  ille iam refedetitifeipfosadmirentVat^ obllupercant.Q_uapropter non folum  auribus adulant" ifed fuaui nedarc/& diuina ambrolia mentes demulcet . hi igic  diuini uates funt/& faai mufarum facerdotesihi iure optimo fandti ab Ennio ap   E elbnt":his folum diuiniiuscocefl'umeft/ut carmine modo iocude fuauiteripla  entitmodo grauiter alteq; furgetitmodo uchemeti impetu ruerirmodo in leda  ti amnis morem fluetiinonunq copiofe exundantiinonunq breuiicr atqt copref  fef gredicnti/quocui^ uelint auditorem rapiat.quiobrcm quonia diuimor uche  metior^ in iilisfpiritusinfurgitiab huiufmodi ueheroeria uates appcllant.Grxa  dautipfos poetasdixeruntteo quod apud illos facere figniriut. At .di»   ces fonafle none 8C reliqui feriptores fuo^ libto^ poetx id eft effedores iuie dici  poiTunt ( poflunt illi quide. Veru quoniam hi foii & dicedo limul & intelligedo  ni reliquos oes longe fuperant/nomen id quod oibus feriptoribus comune etie  opottuitsucluti fuum ac pprium fibi uedicauerunt.Etpiedo quicuqi uates boc  noie digni fueriitiii fupra humanamuim aliqd pofle uili funticuius rei teftimoe  DIO elTe poflunt prifei illi uiri:quos poetas fuifliecoflatinam apud hebrxos Moy  fes uir bello inuidus:qui 6C xgyptios ab xthiopibus SC ab xg 3 tptiis hebrxos lib^;  rauitmdne cius ucrlibusiuerlibus enim uolume cofalplitiocm diuinitate cofai  plitiocm diuinitate coplexus cft.uir adeo prifeus/u t cum odoginta iam natus an  nos iudxos e leruitute educeretrCecrops athrnis r^aret.Nam qux ea fint qux  Idumxus lob fuiscanninibus madauit:ormine ex iis chriflianis qui paulo dudi  ores babet /latere puto. At hic ut ex libro fuo coiedari licet tertia xtate poli iftael  tutPcftincc nuc {>fcqr quata qliaue fint qux catminib^^Oauid regis:q d^iiJii Si  Jonumis i qux dcutctonomiuquc Ibix catico codnent" tEgregiu dno inudu/^ Lib« tertiiur '   cotitinuab dekiceps ferie r<rfiiper rctetitum : ut iion modo poe tx : uerum exte^  ri 9uo(^ rcriptorcsquicutK^remaliguam maiorem litteris mandarent:eam ua^  tiisHgmentis/uariisfigurarum integumentis obfcurarent : putabant enim fo  teii negodumdifibcilius ccdderent : ut fi: gux rciip(i{rent: maiorcmeflentdi>  gnitatem audoritatemc^ habitura : 8C 9U1 percepiffent : guoniam non fine la^  borc at(^ induftria id afreguerenturtea pluris elTe faduros.maiorem^ inde  uoluptatem percepturos fi guz ipfi tenerent minime fibi cum indodis commu  ciaclfent.Hac igitur ratione a fandis facrifi^ rebus profanos arcebant* non  inuidiamoti/fed ut aliguod inter follertem at<^ mentem diferimen appareret:  cum non idem ociofusguod ftudiofus affeguetetur: fic enim dC premia guz  dodis debentur folis illis proponebantur exteri ut iifdem artibus quando   leKguis noD prohccrent / niterentur fummopere accendebantur. Difficultate  enim inopia rei mortalium ingenia acuuntur : uindt^ onmia la bor impro  bus: & du ris um ens in rebus egeftas 2 Q_uam guiiguam feribendi ratione grxi*  d guoi^lccutimntfguortim & Orpheum thracem:& atheniefem Mufeum/&  thebanum Linum antiguiflimos fuiffe accepimus: Verum Lini Mufei^ uiz  uciligia eztant: Orphd autem poemata in quibus multa deui diuinainecpau  ca dererumnatura continentur 2 ad eam quam diaimus formam confcnptitaf  fe/fadle efl cognofeere 2 de reliquis uero qui deinceps doruerunt/nihil dicam:  Fabularum enim figtUenta quibus aut deorum/aut rerum naturam /aut ea gu»  ad uitam& mores pertinent obfcuriusquidem/fed maxima cum dignitate ex^  primunt : rem manifeffam reddunt • (Quapropter cui mirum uideatur:fi otn*  nisxtas:omnesnationes:Omnesguialigua ufguamdodrinacxcelluerint: poc  tasfemper maximi fecerint.Nam ut reliquos adprzfens omittam/q multos q  maximos in philofophia locos Ariftotelestanms uir poetarum tcflimonio cot<»  roboranquibus quidem nifi tatu tribuifletmunqua netpde poetis duosme^  de arte poetica tres libros accuratiffime confaipfiflet . (Quanti autem hoc bomi  num genus Piato fadat: ipfe in libro de re.p.fadle offendit: q uoniam n ihil uei»  jbementius mentis intima penetrare/qua poefim affirma. At dicet aliquis no ne  in libro de legibus idem Plato poefim reiidendam ccnfctmufquam ille hoc. Sed  eam rdidenda/dmonet: qux more tragico pturbatos animos imitatur;qux uee  to laudes canit deoru:patria inffituta defcribitimores edocet:probosuiros extol  ]it:iroprobos deprimit/aedpiendam iubet.Deni^ nonullis in lods aliquod poe  tarum genus uitupetari ab hoc philofopho inuenias. Poefim autem ipfam qua  donoutdiuinamextollit.quasquidem res cum diligentius fecu reputauerint  qui confilium noftrum damnantifentetiam illos fuam immutaturos exiffimo:  qui tamen fi nos carpere uoluerint:potius temeritatis arguantiquoniam ea qux  fupranoftrasuires funt/aggreffi fuerimus: qua aliquid quod Maro non uidc^  tit 2 nos uidifTe putent 2 Ego autem quauis non tantum mihi arrogem :ut hu^  ius poetx diuinitatem fatis pro dignitate explicare pofIim:non tamen inutile fii  turum putauirH noff ra indufiria/quantulacunc^ ea fit/dodiores uicos ad tnaioif  ra de Aeneide demonftrandaexdtar 02 qui cum nos non omnia potuiffeintelli  indigo^oiK no otn&mq ioiufta aduerfus nos induti^utbca^ca coi* Ia.P.Virg<M.AnegoJ   nim lutun erga Iiuiurcemodi dodris» cupidos adtadiS errata Uoftra conS  gant i ii qua detint addant t Q_ua quide in re non modo emendari me xquo  animo fctam:r<d ultro iam nunc omnes qui hoc polTunt ut id faciant uebemc  ter oro. dam »m maxi me propriu m hominis p utem» 8t quod jpfe. uiderit U>  ^ter aliis oftendet er & qu od ne^t fiudipie adijj^ercum in hoc fibi Ipii in il  lo reliquis profuturus iitu^o 6c uitam inftitui s ut fic quicquid in me efi iiberalif  fime effundamtflC a nullo mortalium quz mihi delint/fumere dedigner:ad que  autem nofha hrc potius qualiacun<p imt fcribamiquam ad te iUui^ime Fcde  tice:qui& Maronis pra;tercaKeTos&udiofiirimusremperfuetist& cum reliqui  iulue principes in eo omnem indufiriam ponannut quamaximos fibi tbc£uitos  comparent i auri^ at^ argenti aceruus magis magifi^ indies aefcatitu maxu  mam tuarum opum partem in mularum /& eorum qui mulas colunt omsmen  ta liberaliffime effun^s : ut iam quemadmodum Homericus ille Agamenon  coniidebat/fi decem aliifibiNefimesadeircntiforeut breui Troiam apturus  eflett fienospro comperto habeamus fi Itali populi non diam decem ut iliet  fcd duos przteta Fedcricos haberent t breui futurum /ut uniuetfa italia alterz  AthenzfutunfitrfeddeczterisaliolocoiNon enim in hunc fermonem hoc  tempore uemmus t ut quequam arpamus t fcd ut te fic dc litteratis hominibus  meritum/quamaiimispofTumuslaudibus profequamuri qui quauisfolus ex  omnibus qui in imperio confiituti funt/has parta tuearis : amen iu late patet  tua in oes litteratos liberalitas: Ut non pauciora ez a fiC poetae BC ontorat & om  niuffl rerum feriptora prouenturi fintsqua ii fuerint t quos olim Nicolaus lUe  quintus pontifex mazimus:quem omnes uidimus fuis pulcherrimis muneris  bus/ac maximis pretniisprouoauittqui quidem tuo beneficioad ftudia czdta  ti:8t fibi gloriam fua dodrina fua^ eloquentia ucndiabunt.6: te ulem roufape   E atronu etiam tuc cum multorum principum /qui & nuc uiuunt/& olim regna«  ut/fama fepulta iacebit in xtema femper^ recenti memoria uiuum retinebut.  Veru haec quoniam omni luce clariora fuDt;longiusprofequenda non cenfeot  Praefertim cu ipfa iam ra poftuletaut diuinum dodimmi uiti Baptiftz Termone  ego quantum memoria repetere poteto/Tuo ordine referam.Ille enim cum bci>  ne mane ad confuctum locum ueniflemus : 8i min audiendi cupiditate inflam  mati ab eius ore Tummo cum filentiopenderemus/huiufccmodi principio dil/  putationem exorfus cfi|£)um eius poctz mentem tibi Laurenti aperiri cupias r  qui uel ex omnibus re^onibusaquarumbabiatorcshifioriacognofant suci  cxotnnibuslzculissqukadnofhamur^memoriamfcriptorum beneficio per  uenerintsfi non primus primo tamen par aequalif(^ exifiatsno poflfum meo oea  tionbingreflu tantzrei magnitudine non penitus pctturbaii.Ncmo modome  diocri fit dodrina imbutus hunc uirn ui ac copia dicendi ipfnn(^ut ita loquar)  eloquentia fuperare unquam dubitauit.Nam cumtraindidionefiue figurae  rrnt/fiuc charaderasin quotum uno fiquis excelluerit maximam fit glotL - am adeptus. Quis non uidetnon folum in lingulis fuis uoluminibus fiiv*  mlos adimplet Verum paucis liepe uctfibtis ita omnacofudific/aepennL:  fcuific/ut miro quodam temperamento uclotifidiucifcuocBcoocctuMluaf^ t«a Z iotl dk\ M aia uFdi £ II BD mu DCMI mat  vtik  lia  cnlK  lioilfl  olis a  tpai  KSoa 10 ik  10«» lOaB  oulip icbui>  nft» none   flbfr   qSiQ   011  ipiB’   Ud   Op0   oos   10«   «>)   fw   (p,     Liber tcrtiiu   bSlfimu cottfiaabt/incredibilefli auribus uoluptate pariat. Ex quatuor aut riie&  di generibus ita opus contcxitiut ne^ocio copiame^ negocio breuitas defit. Vi  dcbisquxdaruaficdtatc at<j ariditate placerctquzdamuetoueluri flofculis ib  lufhau at^diftintSa deledare.Sunt deni^ eunda eo attifido confirudaiut un#  deoiaadoe elocutionis genus exempla potius qbincrumas/fcriptumDulIum  inuenias.Adde ad haec cognitionem hifioriatai Adde quadiligentillimus and»  quitaristt oonmodonofliaturctuifed&grzcaru/&omm nationu inuelliga#  torcxriterittqptilconjmuaborumobretuatiinmusfueritiq elegata quxdain  Boua ex fe fotmaucritiqua f pric omniu uim tenuerit . Prxterco ius duile: omit  loiuspontiridu.nihil dicodeiurcauguratqus; oiaita tenuitaitnonab aliis accepilTeifed ipfc conftituiOie uideatue.Hzc igitur & cotum limilia fi a me tibi ex«  pheanda pctaestac ut fifiguk» in eo poeta locos diligeorius apetiiem contende  tes: 8C operofum fimul & difiidle mihi negociu imponetes.Q_ uis enim illa pub  chetrima cxcdlentiiliinaf/ac fummo artifido tccondita non ludicct: fed funt ta  nicri a multis iifdcm^ dodisuitis patefada.Q^uodaute petis id & multo di»  uiiuuscfttKmagisinobrcuroUtetiKanullo quod ego quide rdam/badenus  fua ferie patcfadum.quod ne^ gtimaricus nc^ tbetot nouerit.fed fi ex intimis  philofophtx arcanis eruendum. Vis enim nolTe quid per fua illa enigmata de Ae  ncaectrotibusidc^ dus hominis in italia profei^one fibi Maro uoluerit.Q^ua  qua (untnonulli/qui di ea quae paulo ante dicebam promaximb admirentutt  at^ in ipfis fuma abfolutam^ poetx laudem contineri putent: nihil maius in eo  uate fu^icent' :Q_uos tamen fi roges quid fibi in ea te Virgilius perficere uolue  ritiHometumimitandu fibi propofumeafibtmabut: Addent^ ne^ ingeniu ne dodrinamtquo minus id pilare pofTet fibi defuifreiQ^uod nobis cu dederint  fuccubat penitus necefle efl. Habemus enim ^ut gramaiicope iiinita pene tutba  omitta^multoseofde^grauifTimosphilofophostqu i Homerii ocm zgypriopi  dodrina haufilTctca^ more illote uariis hgmetis adubraffe cotcdat.Q^ua in fen  tcnria nili Ariflotelcsfuiiret nunquahomeriaruambiguitatii libros fexfcripfif  fet.Na quid Balilius Bi dodrinz magnitudie/K mo^ fanditate magnus co^o  minatus de homine fentianfacileefi iudicare:qui tota Homeri pocfim laude/  uittutis continete dixit /fccutus ut puto Anaxagoram Claxomeniiitqui quidem  idem de hoc poeta aSirmauit t Arcbefiias ucto mediz academiz inudor tra Ho  mero tribuitiut nunqua fe iniedu tecepcritiquin prius aliquid ex eo legerit: Sed  & inlucem le ad amauum ite dicebatiquo hin dus legendi maior copia daretur,  yctum quid reliquos nunc colligamtcum unius Platonis tefiimonio nihil fit,  quod probari non polTitlls igitur in eo uolumine quod de (umo bono fcripfit . omnes artes huc diuinz fiue humanz illz fint in unum Homeri poema uciuti r  in proprium receptaculum confluxifle afHrmat.Q_uamobrem animaduettens  Mato dodrinam huius hominis ex zgyptiorum (acerdotum fontibus bauftam  fimillimamcum Platonicist quorum QudiofifTimus fuit/rauonem babere eam  uT^adeo admiratus dl:ut idem in fuo Aenea efficere uolucrit : quod ille antea  in Vlyxc finxerat^ Q_uaproptet pulcherrimis poeticif:^ figmentis eum nobis  unw i^oiinai^qui pluri^, a^ aux^nis u itiis pauwim expiatusue dckeps 'i4'1 4^; , r»v I f  •*/ .«■MI inr   ; iRft.    Ia.P.Virg.M.AIfegdi'    mitis uiituHbiu IlluftratusidquodfummahotmnibdliaeStquoiI^ tufi &pl  ip6t/tatnnlal^equnec^VcTdcu illud mrera diuinanunfpcca msnullusafTequii latione conlidcre a Platone didioirctylimul SC illud didicit co antbt minime  perueniripofle/q animi nofhiuirtutibns illissquz deuiu K moribus funtex^  piati penitus reddantur.Cum Socrates i pfe puru impuioiittiogetc fas c$/cfle  neget >Q_uapropcet non folumflnes bonoru nobis miririceezpreirittVerum  etiam qua uia qua ue ratione eo cuadere tandem homini liceat demonftrauitt  Ne qua pars eius philofophia; /qui gtxd ethicen/nos de uita & moribus nomp  namus:prxtermitteretur:in ea enim nos nihil aliud quammus nili primum bo  notum malorum^ iincstdeindeofScia/quibusueluti uia quadam ad eosdem  ducamur.Laboriofum omnino negodum/at^ omni difficultate plcnum:diui  num tamen & quo uno foelix limul atip fapiens homo effidaturtdeo^ iungaf*  Soli enim fapienti fas eft ufi^ adeo deo c6iungi:ut nihil quod feparcr/intercink  ce poflit. Deus enim ueritas eft .Q^uis aut nefdat qui uerum mente non pettin  gat/eum lapientem efle minime poiTet^os autem cum quatuor lint qu 2 in feru  ptoris mente aperienda inue(tigemus*in rem nolfram futurum puto: ut certos  ia terminos drcufaibamus: quos in poeta interpretando egredi non liceat. ES  igitur cum id quod geffum Iit quxrimus: quam hilforiamappelbnt/ut cum le  gimus apud Matonem haud ptocul inde dtx Meda indiue^ qoadrigxdiSa  lerant.C^uxrimus itidem non quid geSum litifed qua ratione geSum nt:ut eS  illud At tu didis albanemanetes.Nam eoloco dcmonfhatproptereadifcerptu  a quadrigis elTcalbanorum regem /quoniam illein fide non manlilTet.hic gta&«  dethimologiam dictuit.Q_uxrimus& tertio in loco an ea qux dicantur pu^  gnantia inter fe lintr Alibi enim didt ChriSus patrem fe maiorem efle:alibi ego  &pater Idem fumus.Q_uapropter cum ita interpteumur/ bxc ut minime intec  fediiridereo()endamus:Analogiam (equimur. Interpretamur poftremo aliqd  per allegoriamtquod tunc fit cum non qux uaba (ignificant intclligimus:fed  quiddam aliud fub figura obfcuratum.Scribuntpoetx Amphionis lyra motos  m lapides/ut fua fponte in thebanorum moenium flruduram coirettper quod  figmentu quid aliud intelligimus:nili fapientillimi uiri cloquetia effedum eifer  ut Boetii populi qui hadenus ad omne rone ueluti lapides Supidi:K aduetfus  oem humanitate durilfimi czi(ferent:e fyluis ac luflris in duitatem uenirentrac  poSremo legibus qux ad comunem ufum latx cfTennultro fefe rubiicerct. Nos  igitur reliqua tria genera hoc tempore omittemus:at(^ in ipfa fola allegoria uet  fabimur:ut quid per Troia(n:quidpCTxneam:quid per italia/ reliqua^ huiu&  modifibiuelituideamus. froixigit" oritur Aeneasrperquautberedeut puo  to prima bois asutem intelligemus.in qua cu ro adhuc ois cofopita (lufolus fen  fusregnat: At^ ipli mottales/quia ea xtate fapientia ne furpicaot' quide ea fola  fibi proponut qux philofophi prima naturx appellat.Ni cu oe aial (ibi a natura  comendatu (it:in primis feipfum diligit:deinde o^s corporis partes ita integras:  ualidafip hne cupit ut ufui (imul fit pulchritudini fibi (int: maxime autem uohi  ptatibus demulcetur flc quauis animum fefimul corpur^efTeintelligattat^  Utru^ faluum efb cupiautamen in iis qux in animo apetenda funt/ quoniam k Liber tertitu   BOO dbm plane ilhcogOolat minus laboratsea autem quz corpori corporeilm  uoiuptanBus conducunt/anxie expetit. Sunt enimflbi abipfoortu iamnotif.>  fima>Q_uaptopteiT cum in hac zutcnaturxui potius trahamur/g nofharum  adionum domini efTeualeamusmel minimum ucl omnino nullum uirtuduw  do^ locum relinguamus:cum que agimus eanccuoiuntariaflnt:neccum de  ledu aliquo fiant . Ita^ in puero uirtutem e(1'e nemo dicet. Verum ubi iam pro  gtcflu ztatis rationis lumine aliquo illufirari indpit mens noftra s tum demum  tanm in nobis conlilii apparet:uta prauisreda difcerncrcualeamus.Eft enim  iam ad illud pythagoricxlitterxbiuiumpcrucntum/fic iatnuitzneTciuseiton  utcil apud P^um.Deduxit trepidas ramofa in compita mentes. Vnde cum di  fceflciimus nccefle efitut uel reda pergamus : uel in finifira deiledamus . Nam  quz deinceps agimus/quoniam ceru quadi ratione agimus/fi reda fuerint uit  tutitfin contra uitioadlcribuntur.Troiz igitur 8t Aeneas limul fit Parisa/un  tur. Verum alter quoniam Venerem Paladi ideft uirtuti f uoluptatem ante«  poni neceife efitut una cum Troia pereat. Alter autem ducematie Venere fe  ab omni incendio explicat. Q_uod quid aliud intelligamus/nifi cos/ qui ma^  gno amore inflammati ad uen cognitionem impclluntur/omnia facile confer  qui pofle. (Quapropter Venerem diuinum amorem rede interpretabimur.  Sed tuLAVRENTl ncfdo quid iam diu uclle dicere uiderisiCupio quidem  inquit LAVRENTIVS t Ni uerear perpetuum tux difputationis filum intec  nimpae.lmmo potius iflo modo inquit BAPTISTA: Nam cum uniuerfus  hiefermo non ad oflentandum ingenium/ neq; ad gloriam comparandam a  nobis infticutus fit : fed ut honeflifiimx- uoluntati tux obtemperem: fit fi quid  in me dodrinx efi/id libenter cfiFundam : interroga : interpeilaiobiice: confuta  pro arbitrio tuo.Hac enim uia id quod quxrimus uerum/ dilucidius appare^  bit. Vtar quod mihi permittis/arbitrio inquit LAVRENTIVS utrum id non  tui confutandi : fed mei erudiendi caula . Miror igitur cur tu Venerem amo.«  rem interpreteris eum prafertim amorem : qui non modo cadus/ uerum cti«  am diuinus fit. Ego enim Venerem non folum apud poetas : fed etiam apud  reliquos feriptoresita fumptam uideo: ut per eam nonnifi maris foeminz^  coniundionem fignificarc uelinr.hinc illud Terentianum, ^e Cerere fit Bac  chouenaemfrigefceretEt ipfc in bucolicis: Parta mez uenerifunt munera.  (Quapropter fi uenerem pro huiufcemodi'coniundioneponas:quxbadenua  dixidi/ea omnia inter fe pugnate uidebuntur . Sed eft fit aliud qu^ nifi tu mi<  ili petfpicuum reddas ego minime explicare ualeam. (Qui enim fit ut cum duo  fintuiri Aeneas at^ Paris: Alter quoniam Palladi Venerem prxponattnecefle  fit ut una cum Troia pereat : Alter ueto quoniam prxeipienti Veneri obtempe  reriomne periculum incolumis cuadat.Ego enim non uideo cur fi bona fit Ve  nus Paridi noccat:fi mala prqfitAenex.(Qux quidem dum cogito/in eorum  potius Icntenciam labor:qui rem omnem ad eam flellam qux hoc nomine ap  pellet'':flt ad ipfam bidoria referut : Putat enim qd* te no fugit/qua hora a Troia  Italia uerfus jificifcerct Aeneas:librz fignu qd* domiciliu ucnetis 6ad nfm hoc  hcaifpcpu afiacdifli^lpfam Y^ete in medio czlo loui fuide roniundam. i T MLO' It (k 1 l •M »,H'. In.P.V>rg.M.AUego<.'   Q_uibus oibus poftendebat" foelidtas illi tegtia^ per muliere peruentufoioJo'  uem enim regnU ptzeflc non ra odo H omerus (ignificat qui reges ; id enim eS a loue nutritos rcribit.Sed & mathematici ide ditant.Salutareenini  omnino ITduseQsquonia inter Saturni frigus K Marcis ardorem colloatu opti  moeemperamento Iit: 8i propterea eundis euentibus profpcrum . Nam cum ui  tam noftram praxipuefol&luna gubernet: iccirco lupitet omnium nobis fa  luberrimus eihquia foli per omnes numeros/iunzautem per plurimos coniuo  dus eft.Refecunr etiam in initio mundanzfabricziouem in ariete dotniciiio  tuncafcendcnte fui/Te. Volunt illum inducere leges/caliicatem/mirericordiam  in egenos K calamitate opprelTos. Veridicos homines fadt/& uere amicos fine  fraude fine dolo: Saturni fzuitiam frangit fiCquzcun^ ille mala infert:hicaut  tollit aut minuit.Q^uapropterfcite Petii us . Satutnumip grauem nolito loue  frihgimu s una: Oeni^ fi in alicuius ortu fe bene habeaticum ille hominem for  tunatumreddit.bfinimehzc dilpliccnt inquit BAPTISTA. Sunt enim ex 15  ma dodtina eruta: 8C hifioriz uehementer accommodata. Verum cum omnis  nofira difputatio nullam hilloriz ratione habeat i Sed eam qui totiens gtzco  uabo allegoriam nomino/exprimete conetut/non uideo cur ea qua adhibui in  terpretatio iure amitti non pofiit : Si enim iis omilTis quz de Aenea deqj cztctis  troianis prifei faiptores tradidere/pro arbitrio licuifiet poetz non modo finge  te:fed SL peruertere & addere & fubtrahere.Si deni^ nulla hifioriz ratione liabi  ta id folum tentaret quo pado per Aeneam cum nobis uirum informaret: qui ta  dem fapiens beatufqj citet futurus/nonueneremfortafiefed cupidinem aliud  ue numen pofuiflet.Sed cum ita poeticum figmentum profequi inSituifiet: ut  tamen ab hilloria non difccderet:cum Aenez matrem fuilTe & exilii ducem na#  uiganti filio fc przQitilTe Vennem IcgilTenfuit cx iis quz aderant res perficiedat  non autem nomina fingenda. Hoc enim plus negocii poetz cll qua reliquis/  qui alio figmento rem obfcurateuolunc. Illi enim ab omni hiftoria foluti pro  arbitrio ea cominifcuntunquz magis rei fuzjpromendz quadrent. Q_uodut ! )lanius teneas/unum de multis excmplicaula proponendum cenfeo.Placuitil  I primo huius fabulz audori ollendcrc quz in tempore ex materia gignuntur:  ea omnia in interitum cadae/ quatuor dutaxat clementis exceptis: quz principia  (unt oibus rebus generadis.Duos igitut comentus ell deos Saturnii at^ Opima  & illum temporis fjmbolu obtinere uoluittquod gtzcu nomen indicat. Cro#  nos enim qui Saturnus ell ab eo fubtrada harpitatioe deducifrquem ipfi chro  non appellant. At quis ntfdat tempus grzce chronon dici. Per Saturnum igitut  teropus:perOpim fiuerhcamterramintelligit. Addit deinde Saturnu pmnes  quos de thearufccpilTct filios uoralTe prztcr loue lunonc Neptunnu Pluto  nem.Q^ua fabula exprimit omnia quz ex materia funt prartctipla quatuoc  elementa tempore conteri : at^ in interitum deduci. Q_uorfum igitur hzc  ne reliquum fabulz profequar : nempe utintelligas licuilTe huic homini pro  arbitrio quzeum^ uolebat fingere: ut quod de rerum procreatione fentie##  bat : commode exprimeret : cum nihil aliud prztcr phyfices particulam fibi  propofuiflc.Maroni» autcih longe alia rado cfi: qui cum Aeneae res io laudem' I II Litxr tertius AngulH ezoritatidas t ft librum iprum omnibus poeddsluminibasitluftrandum  fibi fumpfiflet t non iis qux ipfe uio ingenio digeret t (ed iis quz hiftoria porrigit  banc fuprcmam ingemi fui laudem comparat . Mirus profedo uir qui non ex op  tads fed ex datis ha opus intexat : ut cum hiftonam minime deferat :pet eam rame  illaedibili integumento humanam fcelicitatem exprimatiHabcs^ut opinor^qua  ratione uenaem pro diuino amore ponae coadus iit . Q_uod ita tamen rede pro  cedit < ut ni£ ab iniquis reprehendi non poiTit. Videmus enim Platonem in eo fa  mone quem phatdtum nominat : Aphr^iten/quaic nos uenaem nuncupamus:  oqn lafouololum fed & diuino amori ptaxiTci Verum quam uenerem piatonie  cua poeta Aenez matrem eife uoluerit : faale intelligemus ii quzdam paulo altu  uscxipfoPlatone repetamus. PauCmiasigiturin fympofio duas ueneres comme  morat/aketam czlcfiem/uulgarem alraam . prinum autem czio natam refert: cui  nulla mater iit . Q_uod cum lingit eam intelligentiam iignihcat/quz in angeli me  te poiita amore ingenito ad dei pulchntudinem intelligendam rapirur/quam quo  numproculabomnifflaterizconfortiolitiinc matre prodiidam dicit. Secudam  uao uenaem mundi animz tribuitiita ut patre loue : matre uero Dione eam na»  tam feribat . Manat enim ab ea ui quz in anima mundi eft : & uim creat quz infe«  hora bzc omnia gignat & mundi fyluam fubeat : Vtra^ igitur fibi ingenito amo  ce rapitur czlefiia ilU ad dei pulchritudinem intuendam : hzc uao ut eandem pul  chritudinem e fylua conforma. Sed hzc parum ad rem: Animus autem noda  cum&ipGe fimilesquafdamuires habeat inteliigendi at<y gignendi / duas itidem  ueiierahabaedicitur/quas gemini comitentur cupidines. Cum enim corporea  puichnmdo oculis nodtis obiicitucrmcns noftra^quz piima uenus eft}eam non  quia corporea litillcd quia limulaaum diuini decori admiratunar^ diligitiea quz  ueluu uia quadam ad czlos effenur : Gignendi aurem uis: quz fecunda uenus ell  formam gignae huic limilem concupifcir . uapropter uterqi amor iure dicitur   utaltcrcontemplandzaltergignendzpulchficudinis defidcrium fit. Nemo igU  tur nifi totius rationis expas fit duos iflos amores damnare audebit t cum uta  qj humanz naturz neceflariusfit: Nerp enim diu efremortalium genus finefo  bolis propagatione t neij ruifus beneefte fmcueri inuefligatione potait.Prza  ttantiuri igimr illa ucnae duce in italiam perucnire potuit zneasiAc dices cui  hzc fecunda fi bonacfl paridi nocuit: quia illa male ufuscfl. Vir enimgignen«  di autdior quam reda ratio didatfitin ea re plus quam oportet occupatus /in  Ibiis corporas uoluputibus meretur . Q_uo fit ut 6i primam quz ad fummutn  bonum dudt omninn deferat : & fecunda pcffime abutatur : proptaearp in om  nes animi petturbanones incidat: ueritater^ defpctata mifaq^ efifedusin omne  indignitatem dcfccndat^Efi ut dixi diuious amor fi Platoni credimus dcfideti«  um redeundi a corporea pulchritudine ad diuinam contemplandam: Non ta«  uencum diuinam defidetamus eam quz oculis pcrcipitur/contemnimus.Nam  qui aliquid appetit hunc illius quom rei : quam appetit imagine delcdari ne«  ceffe cfi. Verum funt quidam ita hebeti ingenio: ut mentem a fcnfibus nullo  modo feuocate poffint: hi ueiam pulchritudinem non norunt. Huiufccmodi  igitui amot adultctinus cfl / & a uao degenoans: quem lafduia ac pcocadtas g In.P.VJrg.M.AIIego» frtnpff cotnit3tnr:quem diffiniunt cupidinem eius uoluptatist que e cotpdo  rea Forma percipitur rrede qux dicunt cum ardorem animi in fuo cotporetnot  tui in alieno uiuenns i quod fecums poeta quidam dixit J , I   Plato ucio ait illum   natum ab humanis morbis follicitudineqi plenum . At quis non uideat illum  nerp confilium in fe nc^ modum ullum habere. InefTci^ in coiniurias/furpi#  dones/ ac reliquas illas omnes peftes : quas fidelis Feruus Terentiano phzdtix  prudenter oftcndit.Habes(urputn^dupliccm amorem uerum illum fidiuino:  de quo paulo ante dicebam /& hunc falfum & adulterinum: & qui uetoamo  ri talis fit qualem aut amico adulatorem: aut medico coquum efifeuidemus: cui  quidem cum fe totum dedidiffet Paris uiia cum Troia periit. Aeneas autem cz  lelii illo duce paulatim ex troiano incendio ideftex corporearum uoluputum  ardore fe expediens li non reda nauigatione id enim humanz condidoni : aut  nunquam aut raro conceditur: ut eodem remporelicfiulcitiam exuat. &rapiens  efficiatur: tamen poft multos errores in luliamad ueram fapieutiam pcrucnit.  Q^uam quidem nauigationem cumfudorislabonfi^ plcniliima fit/nemouna  quam nili fummoillius amore inccnfus difficultatem omnem perferre paratus  fit /penitus perficiet. Amor enim uerus/ut apud eundem Platonem /offendit  Eriximachi oratio omnium naturalium rerum creator effat^ feruator : eo emn  fimilia omnia ad eaquz fibi fimilia funt perhenni concordia ttahuntur.Effitt  dem omnium maximorum artium magiffer. Nemo enim aut artem inuenitiaut  ab alio inurntam addifcit : nili inueftigationis obiedatio/K difeendi cupido ia  dtet . uam quidem rem fi non apette offendit : obfcudus tamen ut poeta«  rummos efl / figuificat noffer Virgilius.Cum enim in georgicis fe uen cogni»  donem reliquis rebus prxponere dicat difficultatem ipfamfumma amoris ui fu  peraturum his ueibis demonffrat.Me uero pnmum dulces ante omnia mulas  Q^uarum facra fero ingenti pnculfus amore Accipiant . Ingenti ergoamotela«  boies fummos:quiin factis mufarum/ id eff in rerum cognitione fubeuodi funt  fe laturum affirmat |0 uinus enim amor/nii aliud meditatur: nil molicurmui  Ia alia in re laborat t nihil tentat: nihil nititur /nili utiam corporex pulcbritu^’  dinis afpedu concitus addiuinam nos pulchritudinem rapiat. Dum enim cor/  porcis tenebris demetfi funt animi noffti diuin i non recognofeunt : nifi umbris  & fimulacris quibufdamtqux fefenoffris lentibus obiidunt . Q^uam quidem  rem non folum exprefferunt prifei ex grzcia pbilofophi : in quibus Pythago»  ram Empedoclem Heraclitum :fed longe ante alios Platonem enumerare poC*  fiim tSed Bi chrifhani ab eadem fententia minime difcedunt: Nam & Paulus  & qui Pauli auditor fuit Dionyfius areopagita cxleffuac diuina : qux in fetu  fus non cadunt/pet ea qux fenfibus percipiuntur /cerni uolunt . Inxc eff igu  tur illa uera uenus: qux mentem noffram ad diuina erigit: qua matre quisoc  Idat natum xneam nomen abeo quod effxneos id eff a laude dedudum.Vb  rum enim ad omnia magna dCexccIfa natum : quis non fummis laudibus proe  fequaturf Verum&ipfea uolunrate delinitusdrca Troiz defenfionem laborat  Xioiamcoimpdiuatuturztin quibus, uoluptatescorpotex plurimum uigent/    Liba totius   intoprctari licet : prima enim >tate’cum ipfa ratio non dum fe exdtare : ft fuas ui  CCS explicare poflit / etiam qui magni at^ admirandi uiri futuri funt uoluptate de  mulcentur: prima naturas ueluri fumma admirantur: di quoniam diuina qux  fint nem nouaunt : beatiflimam eam uitam putant : per quam uoluptate frui lice  at * Hi igitur quid fummurn bemum rit : nondum compei tum habent: Veni cum  illius acquirendi fummo ardore inflammentunpaulatim bxc omnia qux dixi pri  ma tiaturx aduca momentaneai^ efle animaduertunt. H abet enim hanc irim ue  tus amor : ut paulo ante dixi / ut mentem ucbementn exacuat : magifterep illi re^  cum inuenieodarum paulatim fit t ut nibil eam latae poflit . Q^uapropta egre«  ^eillud qi^ £Ulete poifit atuanton : Deinde cum nihil dfficik puta / modo re  amata potiatur : omnes labores tolaat : omnes difficultates fupetat . Hxc eff ue*  nus illa non uulgaris ; qux materix admixta utm haba ^gnendi/fed illa cxicflis  ab omtii materia remota : qux a mente noflra eft : ipfamq; mentem excitat;& Iu*  cem illi liiam nobis badenus incognita in node id enim efl in nofita infritia oflen  dit t fc^ deam &taurfeenim indicans fua diuinitatem demonftrat : admonet^  non peme feruari Troiam id eft originem corporis qux necefle eft ut pneat . Hxc  eadem oftendit uoluptates cotporeas non Tolum ab ipa lacena id eft a feipfts/ut in  beftema difputatione diximus cotrumpi : fed ab lunone a Pallade at^ a exteris di  is: Nam deos Troiam populati quis ignoret fDiuina enim omnia uoluptatibus  aduafantuc . Sed in primis Pallas . Hxc enim fapientix fjmbolum obtinet. Sapi  entia autem non folum uoluptates contemnit : uerum eriam (fummopae exhore  ret. eft quod de lunone quifquam dubita : qux quamuis regnomm dea ha  beOiiriproptaca^ in hxc caduca ac mottalia magis ptopenfa uideatur: tamen  cumlidmmes imperandi aipiditate nullum labotem pafetre recufent t omnibus  uoluptatibus bellum indiaint : modo eo perueniant unde poflint reliquis impe*  ritare: Deos autem minime uida Aeneasdum pronoluptate pugnat . Nubium  cniBiteilebtiscnnnis ei ptorpedus eripitur . Sunt enim animi noftri ita a deo aea  diutfuapte natura facile omnem utritatemconfequantur . Sed a materia corpo* ea quam philofopfaifyluam appellant: omnia nobis mala proueniunt.llla enim  tardat heb^t at^ pemirbat mentes noftras:: at<^ tenebris obfcutat . Sioiim ex in  fritia omnia uitia ptoueniunt : Q_uaproptcr & Chty lippus & reliqui ftoici per*  turintiones omnes a fallis opinionibus oriri dicunt :(^uodtamai longe ante  feoferat Mercurius ille: quem grxciob ingenii diuinitatem Trimaxinnimappei*  hnt.. Siigitur omnia uitia ex infritia ptoueniunt . Infrit ia autem ex corpotea calu  ginecft/utPIato putat /erunt omnia uitia a corpore. Q_uam caufam prxeipu*  am fuH&idixerini / ut is quem paulo ante nominaui Meteutius fyluam malignita*  temappella:fedderyluacommodiordifputandi locuspaulopoft dabitur. Pu*  gnat igitur xneas pro uita uoluptuofa: illat^ demerfus deos uidae nequit. Verum  cuminhuiufcemodi miferia non delit amor neri inueftigandi / ualetipfeamot  mentem excitare:utfecoUigens tenebras difaitiat:flt uideat quibus numinibus  Trcria cuertatur . Ducetp eodem amore pa medias flammas at^ hoftes ita tutum  anipit . Et profedo uolenti ad tes arduas profleifri / hinc mira quxdam'uolupta*  tum : qux defoendx funt cupiditas ucluti flamma quxdam illinc laborum ^difiS*.    In.P.Virg.M.AIIego.   cultatutntp terror / qui aduerfus honeftatem afliduo pugnet fefe opponfit. Q_uz  omnia ducente Venere Araex cedunt. Nam niii amor abfit : netp ram blandas oo  luptatescontcmnere>ne<^ tam duras difficultates fuperare pofTemus. Venit igu  tur domum ut familiam omnem componat : at^ inde ex urbe proficifatur. Ri^  dit enim in fe ipfum animus t omnef^ fuas uires : at<p uirtutcs gux uariz funnad  profcAionem / id enim eif ad ueri cognitionem / quam Troix nunquam afTeque^  retur : fuo ordine componit / omnia^ (ibi ex uoto fuccederent : (1 pater filium fe  qui uelit.Verum negatAnchifesfe ex Troia difcefTurum» Hoc ueroquid (ibi ue  lit : (i me roges ego (ic puto. Aeneas huiufcemodi parentibus natus efi : ut Venus  dea : Anchifcs mortalis (it : homo enim ex animo qui immortalis diuinufip eftiK  ex corporemortali Kcito in interitum cafuroconftactMmsigitur originem fuam  femperfufpicit: ad eamcp redire cupiens Troiam auidiflime dcferit . Senfus au«  tcm qui a corpore funt corporea incorporeis pratponunt . Hinc igitur alTiduum  atrox<^ certamen illud exoritur rpiritusaduerfus carnem ut noftti dicunt t cum  mens totum hominem ad diuina trahae conetur t BC fenfus in potefiatem tedige«  re / 8 C fibi obtemperantes reddere cupiat . Contra uao fenfus feculcnto elementa  rum potu ebrii / 8 C lahea obliuione grauati nihil nili caducum & tenenum cupi»  unr . Anchifes igitur id efi tenenus pata i 8 i ea qux a chrilHanis uabo parum tri»  tofcnfualitas appellatur 2 Troiam fedeferturum negat .Mauult enim perire fen»  fus / quam uoluptate priuari . Mox tamen cum filium omnemq; domum t id eft  totum hominem periturum audiat 2 cump cxleftibus monihis meliora monea»  tur 2 mutat fententiam/ab Aeneai^ fublatus exportatur : molliltitna enim bxc at«  ^ eneruata animi pars ad fummum bonum nunquam fat t fed i pfa potius inficr»  tur . Hxc de ancbife j Aeneas autem cum iam incendii 2 armorumcp pericula eua»  ftlVct ; atep incolumis urbem e(Tct egrelTus : ingentem comitum afduxilfc nouo#  rum inuenitadmiransnumaumtqui quidem undi^ conuenerant animis opi»  buf^ parati in quafcunt^ uriit pelago deducere tereas.t & rede quidem. Nani ca  tandcmcferuitioincendioi^ uoluptatum fumus liberatit e(f<^ iam animus redi  uaiqtinueniendiauidus/tum plunmx animorum uires 2 quxhadenus ignauia  torprbant :ucbementa excitantur 2 8 C bene in(fitutammentcra quocunt^ uocae  uerit / fequuntur. Q_uo quidem tempore ne a redo itinere omnino aberraret  xneas / Iam iugis fummx Turgebat luciret idx t Ducebattp diem . Eff enim ludBtr  uenerisfydust quodurfolem lunamip omittam 2 omnium quinque fteliarum  quas nolfri aratiles grxei planctas uocitantt lucidiflimumlitizodiacum autem  odo ac quadraginta diebus fupra trecentos perficit / nunquam a fole longius fex  & quadraginta unius (igni partibus difcedens . Verum/quoniam modo pcxcedit/  modo TubTequitur 2 folem non eandem (lellam fed duas eife prifei crcdidcrunttpti  mum autem Pytbagoram extitiffe ferunt :qui in eo apud grxeos unum depreben  derit .Cum igitur folem prxuenit lucifer dicitur : uefperus autem cum fubfequi»  tur . Rede autem lucifer prxuius foli eff . Stella enim uennis/is enim amor efi ue  ri inueniendi / ei exoritur 2 qui iam uiram uoluptari obnoxiam deferir 2 dudt^ di  em 2 nam rationem excitat talis amor / cuius luce illuSrati uetum noffe ualeamus.  Apparet autem a idamonu id eft a pulchritudine.Idos eoimapudgntos formam figaificat. Amor autem apud Platonem pulchittudioisdefideri um diffii   S , Q_uapropter in ipfo pudor nos a turpibus auoc^: cupiditas ucro czcellen  quztj boneiia rapit . Fertur igitur Aeneas duce m are exui in alt um incertus  quo fata ferant ubi iiftae detur . Q uz omnia non fine fumma fapientia a poeta  ponuntur: facile enim cognofeit Troiam relinquendam :&fummi boni princi'  panun uoluptati minime e(Te tradendum. In qua autem re fummum bonum coii  tiatnondumcognofcit.lureigitur exui appellatur. Nam ab eoquod habuit cie  dus eft : ne^ dum id quod ucluti proprium poflideat inuenit . Mari autem fermt  quia animi nofiri quocun^ moucantw nulla alia re niii appetitu mouentur : qui  quam fimilis mari iit paulo poft aperiam ii pauca prius de appetitu dixeto^ft igi^  tur fenfus & uis quzdam in animis nofiris t quam cogitandi nominant : cui bono  tum malorum*^ iudicium a natura demandatum efi , Non nunquam autem ita  iudicat buiufcemodi uis : ut nihil prarter fenfus refpiciens : 8L ueluti illorum illc«  cebris attrada & uoiuptatis oblato ptzmio corrupta quod pecudis bonum eft i{v  fa hominis bonum decernat . Si autem eadem cogitandi uis falutari rationis lumi  ne illuftretur : & eius norma dirigatur : non id bonum eife iudicat / quo fenfus de  mulcentur ; fed quod reda didat ratio : quod uemm (implexi^ bonum cui iit ne«  ^interire ne^ corrumpi pofiit. Cum igitur huiufcemodi uis bcx bonum illud  ucro malum elfedeacuerit excitatur in nobis alia quzdam uis quz ad bonum afei  Icendum / malum^ declinandum infurgat . Huncautem appetitum omnes ap«  pellant . Sed &, eum duplicem efle oportetialtrtum qui ab eo iudicio quod folus  fenlus fcdt femper pendeat : nibil^ cum ratione expetat : alterum qui nihil omni  no fcqiutur t niii quod ratio prius pra^epent : primum illum libidinem : hunc fe  eundum uoluptatem nuncupamus . uaptopter erit appetitus quo animi honii   num ad bonum afdicendum/maium^ declinandum moucantur / redus quU  demiiaratione/contraii a fenfu.Q_uaptopter pulcherrimo enygmate diuinus  Elato cum animum noibum ueluti cunum pofuilTet : aurigam ilii duofep equos  adiungit . Nam ueluti equis currus trahitur : iic animus ab appetitu duatur . Fe.<  mnt autem equi non fuo arbitrio : fed imperio aurigz a quo reguntur eodem pa»  do appetitus nihil ex fe agendum decernit . Sed quod iam ab aii a ui deaetu m eli  fequitur . Q^uarc autem equorum alterum album pulchettimum^ i at^ hono«  tis cupidum : Bi qui non minis ui<^ / fed cohortatione ratione^ regatur. Alterum  nigrum inglorium & contumacem hnzerit ex iis quz paulo ante a me de duplici  appetitu dicebantur perfpicuum eft. ExprefVit enim per bonum rationalem : per  B^um ucro irrationalem appetitum quo animus fertur : at<^ hzc de appetitu :  quem quidem mari limillimumelTe quis negaueritr Videmus enim mareftnuL»  lis uentis uetbcretur fedatum tranquiliumtp perdurare. Sin autem diuerfistun  datur uentis: in geauiflimas turbulentiflimaftp tcmpeftates infurgir : Sed hzc  eadem in appetitu dcprzhendastFac illum uacarc a pcttutbationibust nihil ni  fi rede appetet : Fac rurfus iliis uehementer uezari : quos iam ftudus   quasuc procellas intuebere: (Quapropter illud elegannflime u^tio^ irarum 6)s  d^t (ftu. Illud autem tibi fortalTc occurren/ quod non bene iis quz diximus  cohzrere uideatur : Nam fi radonali appethufertur zneas : fi iam uitam uoluptu   g ii*    In.P.Virg.M.AIIego.   ofatn damnault t unde nunc illud quod patnx liHota lachrimajupotfutnij^KliQ*  quit . Q_uod enim odifle iatn coeperimus: id non lachrimantes : fed Izti fugcR fo  letnus t Sed uoluic Virgilius primum a uolupcatc ad uirtutem difcelTum demoo'  I firare . In quo cum temperati non dum fed continentes fimus : agimus illud qui>  I dem t fed cum diu uoluptati aifueti illius illecebris demulceamur t non nili zgte  , ab ea diuellimur : imitemur^ fenes tioianos : qui cum Helena ut grxconun tro>  ianorumtp certamen fpedarct mcenia confcendilTet admirabatur cum (hiporemu  lieris pulchritudinem t ea^ uehementer deledabantur : uetum tantorum maltv  rum illam caufam eflie animiduertentcs : abeat dicebant potius Helena: quamp  pter illam pereat Troia . Q_^uod ut plaiuus intelligas . Q_ucmadmodnm tordnk  do uirtus eft / qua dura omnis ar^ afpera inuido animo ferimus : lic tempcran»  tia aduerfus uoluptates armamur : in qua quoniam iam habitum contraximus li  ne ulla difficultate aut moleffia negocium conficimus. Q_uod li habitus nem  dum contratSus Iit : Si tamen illud idem efficere tentamus t tandem^ effiamusfi  nitimum quoddam 6C uiriuti proximum nancifeimur / ut nondum temperantes  effedi / tamen abftineamus quamuis xgre & non line luda : Q_uz contmenna di  citur in qua li diu exerceamur : paulatim temperantiam acquirimus : htij uirtus  id quod hadenus uirtus non erat : fed ingrelfus ad uirtutem . Hoc igitut intcrcft  intcttempcrantiamfiicontincntiam.Namquamuisutrai^ idem przdet:conti«  nens tamen eo detenor eft/quia cum dolore ablhnetmec ctt fatis Armus aduerfus  uoluptates • Tempuans uero bene uolens Iztufk^ abffinet.quod li itidem de ineo  Anente intemperantem inuelliges: facile ell uidere quanto a temperantia condoe  da fuperatur i tanto incontinmte ipfum intemperantem pemitioliorem elfe : I na  continens enim quia non dum in uitii habitu ell rationem difeemit : prindpiui|  Knct:pugnatm aduerfus malum: fed tadem magnitudine cupiditatis & fui animi  imbecillitate uidusucluticmtiuus in feruitutem rapitur . Vetum uc qua; uctbts  adumbro ea exemplo exprediora reddantur t dicimus continenum a pruicipiofii  ilTc Didonem: quz quamuis Acnez amore teneretur : tamen adeo lunliter repua  gnat/utmori malit :q pudorem uiolare. Incontinens autem paulo polf redditui  cum fororis oratione uida pudorem foluit . Prius enim fortiufcula adhuc ita pua  gnabat : ut uidrix cuaderet . Deinde eneruats omnino pugnando fuccumbit.pua  gnatenim incontinens/fedfupaatur. Intemperans autem in habitu uitiiconfti<  tutus omnem rationem amiDti ne^ pugnat aduerfuscupiditates: quin illis uo»  lens gaudmfqi obtemperat : quippe in quo adeo deprauamm Iit iudidumtut qdf  tnalum fit bonum rlTe dicat . Sed ut iam ad inffitutum redeamus : non dum tem'  perantia munitus erat zneas : nuper enim ea ratio in homine uluxcrat: ut uolupts  tum fordes intueri poffet : nei^ rurfus tempeians : aut incontinensinon enim io  de fe expedilTet . Sed cum hincilleccbrx uoluptatum traherent : illinc honefti uui  pulchritudo ad omnia excclfa cum erigeret/demuiccbatur quidem a uoluptate  cam^ feolibusfuauilTtmam iudicabat : non potccatip non zgte ab ea diuelli.51i  da enim adulatrix voluptas efi.uehementcr^fenlibus applaudit: ut etiam gcQ’tolioiit animi qui funt illa capiantur .lu cnim fuauiter nos irrepit aut totos pau lanm occupcttSmgjt igitm comn ucac ft guis lachiimaiu taincta littcin tioiaiu ti s h P U Ii 9 si Q lu ia K a» 10 k liu tic adi li] tu »1 I» bi » m inii tta ip DOi tUU) aoi pqai V» 'Z tiO*  iJuti idtai am i&:l» oap jiua riKil apoi at(p   tdib ;iup» ib<#   ico^ Jki» «0 lolf J 0 t ^0 'Df> 0f  Libettmiiu Klinquittquonii c6tines.Q_uod H unam tcpnitii adcptua fuifTn no lacbrimSs  fcd lema reliquidet : po<ta enim non ipfum a principio fapientem fingit:£C  una uircure ornatum t (icd cum qui a perturbationibus animum uendica»  K cupiens fe paulatim a uitiis redimat t k poft uarios errores in italiam id eft  aducram fapicatiam pnumiat» Nam quznos de continentia dc^ incontinen  eia diximusan quibus fenfus pugnat U ratioiuidiTim^ uincuntacuincunmr.  eadem de reliquis uitiis ac uirtunbusintelligas mtn quas mediae funtaffcdio  nes nullo adhuc habitu latis Hrmxifcdquz modo ad has modo ad illaimpel lantiquisfortadeinuiu ciuiiiin qua quz ad bonum tendunt incohau potius  quam pctfcda lepenas/non nulli uittutes nominarent . Sed profici fcatur iam no  &rAcncastuerum quo tandem exui pn altum feretur: Nempe in thraciamre^  gionem patrue fininmam/fiC terram Matd confcaatamnnquanupn Polynco  ftoc holpitem fuum Polydorum ut auro potiretur interemerati Erit autem aua  titia; fjtnbolum thtada.Nam ipfe paulo poft : Fuge littus auarum . Vnum cum  duplex auaritix genus fit. Eft enim auarus 8C iis qui inde rapit unde minime con  ucnitideis qui cui dandum eft ei minime dat.primum illud genus perthraciam  cxpdmimroi enim in illa Mars colitur.-quisncldt habendi cupi ditate plurima a  mortalibus bella geri. Sed ne^ Polyneftor borpitisintcrfedots6( Tuorum bo»  Domm raptor quicquam expreftius quam auaritiam rapinaft^ denoubit < Cur igi  tur prima inthraciam AeneznauigatioeftrQ^uiacuma uolupute difceftimus  at<j non dum uerae uirtutis habitum contraximus facile ex ilia in aliam cupidita«  tcminadimusiinfurgitip habendi libidoibeatilTimam enim uitam multi feade<  ptos putantifi opibus maximifip diuitiis reliquos mortales fupecet:Q_ua cupidi  tace inflammati non dubitant non modo nefaria: uerum etiam laboribus pericu  lil^ refcitiftima bella fuTciper e. Ingens profedo ftultitia:6i ab coanimo profeda:  qui & fi uoluptates contempferitcnihil adhuc altum furapete poiTit.Habet enim  auaritia pccuniz ftudiumiquam nemo unquam fapiens optauit. Nihil enim illa  mobiliusinihil quod magis fottunz temeritati fubiiciatar.Q_uapropter rede Sa  luftius auahtiam ita malis uenenis imbutam dixittut animum cotpufij uirilc cf<  foemineuquando quidem Si ad omnem humilitatem infimaTqi fordes dcTcende  tccogic:&inomnemcrudelitatemproreuili(Iimainfurgete.lpra enim perfidia  am pctiuriumip edocet:cot fraudibus: linguam mendaciis:manum uenenis/fer.»  to^ in aliorum pemitiem inftruit. Apud eam quid fandum efle poteft: cum ho.*tes quoip qu^Polydori exemplo docet poeta minime incolumes fint. Nemi  nem tamen mirari oportet fi Ancas fapientiz quidem cupidus minime tamen ad  buc fapiens in huiurcemodiuitiumprolapTus fit. plurima enim inuiu humana  Uidemusiquzquauis caduca momcntaneaip finntamen morulcs pro maximis  admirantur: quz quidem omnia cum ucnalia efteuideantipecuniz prz czte^  ris ftudent.Q_uotus enim quifi^ repetitur: qui non putet quod genus ficfoc  mm regina pecunia donat t quis non totus commouetur : cum auditi Si b^  ne numatum decorat fuadela Venuf^ . Verum qui duce Venere fertur Si tna  gnarum rerum amore incenius cfi/pauladm errorem recognoliit. uitiumip  abominans Xfaradz auariflimutn lictas fugit , At^ cum iam fecundo deceptus i In.P.Virg^.AlIego.   falli deinceps turpi/Timum mirerrimumep iudicet Apollinem: cuius oracula ue  riiTima e(Te audient confulendum iudicac: Retur enim (i ex illius dei ptxut  pris uitam inftituat futurum. ut mifet ciTe non pofTit. Q^uaproptei nauiga>  donem in delum fumit: per Apollinem autem qui fol cft: quid aliud quam  lapientiam intelligemusf^Nam ut id omittam quod ut fole eunda qux in lien  fum cadunt illuftrantur:(ic lapientia illuftiatus animus eunda profpicete ua.  leat uideamus reliquam eius plancta: naturam. Sed illud in primis. Nam cum  Heraclitus fontem caelefiis luds appellat. Cicero ueto ducem carterorum lu«  minum ea ratione dixit: quoniam fui luminis maiellate praecedit: dixh itidem  ptindpem dixit moderatorem: Nam SC ita eminet/ ut ptopterea quod buiut>  modi folus appareat fol uodtetur : curfus reliquorum recurfuf^ipre mode   ramr. Nam certa fptii diffinitio eS ad quod cum quaim erratica ftdia recc'  deos a fole peruenerit tanquam ultedus accedere prohioeatur agitur retro.  Rurfus autem cum certam partem recedendo attigerit : ad diredi curfuscon  fueta reuocatur.Q^uapropter non iniuria & mens mundi cor czliapri«  fcisdidus ell:Q_uz omnianon ne fapientiz quadrant Non ne fapien^  tia reliquas animi uires przcedit : non ne illis moderatur C Q_uin etiam li  uim huius fyderis diligentius aduertas iurc datur fapientiz dicetur: Nam  ut a Saturno ratiodnandi a loue agendi uim : ut a Marte animorum uehe«  mentiam at^ calorem aedpimus; uta Venere deliderii motum fumimus: &  quod loquimur atqi intcrptztamur a Mercurio cft: ut deni^ a luna quod grz  ci phyticon idcll gignendi augendic^ uim habemus; (ic ipfe fol quod friamus:  quod^ opinemur nobis prxllat : Sed hzc de Apolline. Deli autem nomen S  ipfumnon nihil ad rem affert, grzce enim manifeflum flgnificat. Loca enim  quibus fapientia przfidet : clara femper manifefta^ fuat.Q_uod autem tot»>  us infulz Anius imperet: qui & rex hominuni.& deorum facerdos iittnonca  ret ratione : Sapientia enim humanarum rerum cognitionem continet. Q_ua  ptopternihilnouum fapienti accidere poteft: quippe qui omnia iam percepo>  rit : quam quidem rem nomen regis oftendit. Anius enim didtut quali   id elf (inc nouo . Hic igitur hofpitio Aeneam fufdpit: SC pio*  fedoipfa fapientia animi nolfti aluntur . Veneratur autem templa : at^ ea retn  pia quz faxo uetullo conftuida fint.Nam quid obfecro te: aut flabilius im*  mobiliufi^ : aut antiquius ipfa fapientia deprehenditur : quam fapientiflimus  ille omnium bebrzorum S^omon ab initio Si ante fzcula creatam fxcula aea  ta effe uerilfime didt.Sed tu quid me o LAVRENTI fubridens fpedas.Non  polfum inquit LAVRENTI VS dodillimorum uirotum ingenia non admirati  lztuf(|:quz a principio de hifioiia decp allegoria dixilli mecu repeto :Q_^uis  enim non obfiupefcat huius poetz confilium .Q_uicum apud Cioatiumueri  umlegilTetinDelo aram elfc Apollinis genitoris: in qua nullum animal facrifi  atur: quam Pythagoram ueluti inuiolatam adorauiffe fetunt : legiffct eti^  am Sc apud Epaphum : Delon ne<^ antea nem pofiea tettz motu uexatam:  femper eodem manere luo legiifet: & apud Thucydidem non mirum elfc fi  przlidio tebgionis tuta infula femper fit : cum teucreruia locotumfibi acccficrit    Liber tertius    coBtltiuafaxIeiurdetn firmitate: Cum igitur bacc legilTet itafcnblt/ ut eodem  tempore ex antiquitate hifioriam eruatiponit enim Aeneam Tolis przcibui deum  uenerari:K templa antiquo Taxo confirudaefTe/ficbxc cum ponit fimul ea affert  quz per allegoriam Tapientiz conueniant . Dices quid in cacteris : hoc idem. Sed  nefdoquo pado hic me locus in quo hifioria non minus qua allegoria latet:mul  to magis mouinSed perge obTcaomolo enim mea interpellatione mihi ipfi audi  endi cupidiffimo moleftiam ex mora afferre. Datur igitur ab Apolline oraculu  inquit BAPTISTA zDardanidx duri quz uos a fiirpe parentumzPrima tulit tel^  Ius eadem uos ubere Izto Accipiet reduces:antiquam exquirite matremzHic do#  mus znez eundis dominabitur oris:Et nati natorum 8C qui nafeentur ab illis.  Q_uo quidem oraculo quid diuinius excogitari poffit non reperio:Q^uid enim  faomini(alutarius:quidconducibiliusefi:qu3 originem Tuam noffexin quam cu  redire potuerit /tum demum fit futurus beatiffimus: Dixit igitur pluribus/ne a  poeta difcederet Maroxquod grzci duobus tm uerbis expediutxqui omnium ora#  culorum quz Apollini tribuuntur maximum effeuolunt i«r</7>> V   nofceteipfumxVerumut haxea nobis planius explicenturxOmnesquicuh^un#  quam de fummo bono feripTerunt philofophi in eo fi non uerbis re Taltem con#  IraTeruntxutbenebeate^ uiuere fit apte conuenienterq; naturz uiuere t Verum  ubicoiamdeuenturn efl/ut fit hominis natura diffinienda : tunc innumerabi#  les pemitiofilTimi^ errores emanant: cum animorum nofirorum ui ignorata  plufquampar efi corpori attribuatur. Nam cum ex animo corpore^ conflare  bomo dicatur . & alterum brutum/caducumt^ at(^ facile in interitum pronuma  Alter mcorrufmbiiis immortalis diuinuft^ fitxpaud omnino ita mentem a fcnfi#  busfeuocat: ut feanimi nobilitate imniortales cogoofcant: corpufcp in nulla  pene parte habendum cenTeant.praedpitur ergo Troianis ut eo reuertantur  de originem ducunt . Duplex autem illis origo efi.Nam Teucer Scamandri cu#  iufdam filius profedus ex creta infula in Phrygiam uenit;62 una cum Dardano  Kgnau:t ; Dardanus autem prius SCipfe in Phrygiam ueneratatnon ex creta:  ut ille fed ex italia: nec mortali patre natusxfed ex deo loue. Veniunt igitur am#  bo in Phrygiam id efl in uitam: & pnmam ztatem quam perTroiam fignificari di  ximusxfed hic a czlo ille a mortali. Ad huius enim animantis /quem hominem  dicimus compofitionem animus a cziefii corpus a mortali patre prouenit.Q_^ua#  propter cum primam nofiram onginem inquirere nos Apollo iubeticuius ora#  culum efl Nqfce te ip Tum : non quid corpus fitxquid ue illi conducat inuefiiga#  re iubct.Sed quid animus fit 8C quo pado fecundum animi natutam uiuere fodi  ces effepoflimus inquirendum mandatxQ^uam quidem rem ut ezpreflius fignifi  caietannquam didtxEfi enim animus fi non tempore/ut Platonid uolunt digni  tate Tua at(^ excellentia prior: Optimum igitur oraculum: Sed quid prodeft  fi illud male interpretatur Anchifes . Hic mortalis Aenez parens omnia ad  lenfns referens ibi (edes collocandas cenfet ubi prima corporis origo fit. quafl  prima naturz non animi fed corporis fpedanda fint t Q_^uaraobrem non ia  Italiam fed in Cretam enauigandum proponit: qua in infula multa mala Tubi#  bui fint Ttoiani* Nam cum (ummum bonum non iis quae animum: fed quaa    In.P,Vtrg.M.AlIego.   corpus fpcdcnt natura noftra ignorata reponimus necefle eft/guoniaft illa pati>  io po(Hnpe(lem/ac demum in interitum cafuraiint/ut non bearirredmiferi fiu  turi (imus:TuIerunt ergo prxrium ob ftuitiriam Troiani:gui in italiam nauiga»  te iulTi actam ptticrint:Si enim in italiam.i.in originem animi redeant Troiam  percipiunt cognitionem rerum diuinarum in qua fola flabiles & manfuras feda  inueniuBt ; Hic enim domus Aenea; eundis dominabitur oris:Et nati rutorum  & qui nafeantur ab illis . In aeta enim nullum e(l Aenex imperium. Na corpus  ne^ fe nerp aliud mouet:fed iners brutum^: 8C line fenfu iacetrnec quicquara Ii  ne animi auxilio ualet.ln italia uero imperium latepatet.Corports enim domina  tor & redor eft animusrin nullam^ nin uolens fauitutem cadit . Cunda autem  fue cognitioni rabiiciuSe enim pafe uideticum autem deum cognofccie tem/  ptat fuz menris acie ad fuperiora erigimr. Colidaado oia fpedat:Rimatut   occulta. Videt abfeiitia:breuicp temporis momento uniuerTas mundi oras anv  bit:Defcendit ad interiora: Afcendit cxlum . Adxret deo: in quo efl patria fua:Et   ? uoniam imorulis eft hxc femper facit : Q_uapropta eius imperiu eft aeterna :  ixcaprincipioquauisdiuiniscflentmomtiprxcepris cognoicere no potuerat  Troiani: Nunc uao calamitates eipaticognofamt.Epimetheo quidem ferius:  Sed uidete quxfo quam admirabili ingenio reliqua profequaturtCum pefie labo  rarent Troiani danmatfuam oraculi interpretationem Anchifes.Nam poftqui  diutius debaccliatus eft homo dum fenfibus obtemperans omnem fpem in rebus  caducis reponit/tandem ufu Si experientia dodior redditus animadueftit no fua«  fifle acta Apollincm.i.nunqua pofleefte homines beatos ex iis qux mortalia fntt  Cenfaigimr alibi quxrendamfoelicitatenuVenmi non dum tanta metiris arie  ualenutquainrcconliftatdifcernercpoiritrNa humiproftratusanimus/St fieri  gi nitatur tamen corpote'obrutus qu x in/cxcclfo collocata funt non nili poft mui  tum tempus difeemit: At dii penates eadem dicent qux didurus efliet ApolIotPu  tabantenim antiqui deos penates elfe ex animisiuotummatoTumtqui clari ilhi^  ftref(^ multis egregtiftp uirtutibus fuilTent quali deos domcfticos: Ergo Si hos  animoru noftro^ excellentiores uires intapretabimur:quales funt ratio intelle#  dus atqr iDtelligcntia:Q_ux hadenus furentibus fenlibust Si omnia tumultu co  plentibus nihil fanuiudicare poterat: Nunc autcpoftquamfuograui damnoeu  pertus eft homo fenfuu iudicium falfum elfe illos a tribunali quod tumultuo&oc  cupaucrant deiicit:& luris dicundi potcftatem iisjuiribus quas paulo ante nomii>  nauipermittinillx autem cum iam fcnlibus parentioribus ut atuc:quippequipu  dorc confufi nihil amplius audeant/K cum eorum iudicium diuturnus iam ufus  at^ experientia confutauerinparaciam non amplius prxeipne deaeucrintrfc a  tumulmcolligunt:at (pfeipfascxdtant:fumma (^ contentioeruftitix nebulis fua  luce fugatis mentem^ ab^iniquiffimo fenfuum iudido prouocauit ita a aetenfi  domicilio abfoluunt : ut tamen italicam profedionem fuo dcacto 'edicant, /ii*  dunt^ proptnea fux fententix ftandum:quoniam eadem iubeant quxipfe Apol  lo a quo mittuntur didurus fit: Etprofcdomcns noftra multatum rerum ufu  iam dodior reddita multa, 'ex fe cognofdt:qux fapientia ptxdpere confueuitt  Nec ucto quempiam moueatli deorum pcnatii oratione pctfuadcatut Andrifas I t ( I I P n u d fi D B   B< P>   h Jrj-B S ®    Liber tergus   Nitn ubi ndo pneualerc iitn crprrit : appetitus Hli rubiicitunMuItS iatn profeoe  nintdiipcnatessquiquz obfcunus Apollo fignificauerat prrfpicue enodaruntt  docent«piniuIuadrcrum diuinarum cognitionem enauigandum rfle: Beatus  profedo Aeneas (i decretis ftarett (i quod bonum efTe cognouit:id ita mordicus  arriperet ut nulla re inde po(Tet auclli:Non enim totiens a redo curfu deiicere^ s  Veru non is adhuc uir eft qui conftanti habitu in hisobdurauerit:& per (uma t&  perantiam a rerum moruliu cupiditatibus (it penitus purgatustfed inter contine  tia; at(^ incontinentiz uarios frudus uacillans fzpe cum ad aliquod Tparium fuo  uento procelTerit: nauisfubito a redo curfu deiicitur . Non enim is gubernator  clauum tenet qui fummo nauigandi artiBdo arperrimam etiam tempeftatetn  fupcrarcualeattfed Palinurus t qui poftquam ceruleus fupra caputaftiiit imber  nodem hyememt^fercns.poftquam inhorruit unda tenebris : poftquam conti»  nuouenti uoluiit maretmagna^ rurguntzquora:& quz fequuntur.ipfe diem  nodemt^ negat difcernereczios nec raeminifTeuiz: Diximus a ptindpio foloap  petitu moueri aniraumtdiximus itidem duplicem e(Te appetitum alterum qui a  fblis feniibusexdtetutitationi^ aduerfeturidicatnttp libidotalterum qui ratione  pareat:uoluntaf(^iure nuncupetur . Q_^ui quidem (inauiprzfuifTetiporerat ea  am aduafantibus uentis iter redum tenere, oed przFuit Palinurustis enim eft qui folisfeniibasob temperatiuirefij aduerfus uentosinterprxtari poteft enimgrzce retro uentis didtur quali qui in contrarium refe.»   tat. Hic igitur infurgcntibus pertutbationibus/uehementioriburi^ cupiditatibus  uelutitcncbiisanimuminuoluetibuscum ipfenulla rationis luce illuRracus (it  dicsanodibusideftucrumafairodifcerncrenrgat.Magna profedo hominum  ioldtiatmazima^ fenruum perturbatio qui ita rationi aduerfanturi ut quauisil  la fzpe infarg.it t ut animum ab illorum nefaria tyrannide feruituteq; eripiattipfa  uclutiiulbirima regina ueramuelit inducere libertatemitamen cum nondum  uiresfuasrecupetaueritmDpercp a diuturno exilio reuerfa a paucis fuorum ciuin  cognofeatur fzpe antea qua dus regni quod (ibi iure dcbctur/polfeinonem recu»  peret ab lilis repellitunquippe qui multos iam annos tyrannidum tenentes omni  largitionum genere appetitum corruperint : illum cp adeo demulfcrinttur malit  io feruitute uolaptuofc degere qua honorifice in libertate laborare. uamob»  temcum acbrainterillos przliac6mittantur:difcedic fzpeuida ratio, lllicnim  parere rccuCiDS Palinurus nihil (anum fentit : Eiufcp ilultitiaatcptrmeiitate cd»  mittirurtuc dedituto curfu t quem penates dii prasceperantin (Itophadas infu»  lasdeclinetur. Hunc autem locum nos ni fallor auaritizuitium redeinterprzta  bimur/non illud tamen quo inde rapimus tunde minime conuenitiid enim  nobis Thrada ddignauit. Verum aliud quod tunc patratur: cum ex iis qux  iam peperimus minime illis (ubuenimus : quibus tus naturacp ac humanz fo  detatis uinculum fubueniendum poftulat . Oodus enim'iam Fragilitate rerum  buroanarum Aeneas ad diuina ratione id efflagitante / ferebatur. Sed appeti*  tus aduerfus illam adhuc contumax ftaredeaetis non potuit. Verum ad ea quae  uulgus admiratur rurfus conuerfus diuitias cupit. At quoniam multum de pti*  fiuufcritateitniautufuctaUndui nc^rapiaisilJafibicompatatecoBteodit: fcd    In.P.Vitg.M.AIIego.   per (oBUS fordes plus qustn psr eft parto pacens nullo libmlitatis munere fiigiei  DC(p (ibi nc(^ Tuis beneficus eft.Q_ux quidem cum facit fe parcum non auarutn  prsdicatiprzfert enim fpeciem boni uiri cum peflfimus Ar. Q_uaproptcrnon io«  iuna harpyz ipfz uirginea facie Angunturdimulanc enim pudorcmimodtfHaou  robrietatem^iomneri^ uirtutesprzfe ferunt. At earu ucntris ptoluuies fcedifli<  tna eft.Q_uisenim po(TetauaritizfordesexpIicare:quis qui turpis hominis di  uitis eiufdemtp tenacis uita fdt latis referrer Cum furor bau d dubius s cum ftene  As manifefta At egenus uiuereiut diues moriaris : Q_uid miru igitur A earum fu  des palidafcmperc fame & macilenta AtiNarahuiulizmodi homines iure tanta •  locomparamussqui inter aquas.interi^ uaria poma confbtutus Ati tamen at^  fameconAdturiNam utcumulusdiuitiarumacrcatiprcinterim ruum/utillete« .  centianus Gcta defraudans genium partis abfbnct ac timet uti:Q_uod autem ua  ds Angantur manibus ratione non aretiNihil enim remittunt quod femel ctpe>  nntauariiQ_uinfunt adeoperainoA auarinxundiut hominem ad dtuma qua  dam natum ab alnlTimis curis ad hzcinfenoratrahantifiC uelutide czioin terras  K e lucidis fjderibus in profudilTima tartara trudant. Auertit enim nos at^ feuo«  cat habendi cupiditas a cognitione carum reru quibus folis Axiiz animus ciTe po(  At. Sapienter igitur adiugit.TrilHus baudillis mdiltunec fzuior ulla peAisidtjia  deum ftygiis fefe extulit undis: Non autc Aulta rado poetas impulittut ex Thau«  inante patre: matre Helcdraoceani Alia natas harpyas fabulentur.Thauroan«  tem tede admiratione dicemus grzci enim admiran dicunt. Cu   cnimobfummafiultitiam diuicias maxima bona putemus cum aut bona non  Antaut minima bonaiproptcreaq^ illas adrairamut:cuenit:utcx ca admiratione  cupiditas habendi nosinflamct.Ncmo enim cupit caquz negligit:at(j contenv  nit.Suntautem ex eamatrequzAt Oceani Aiia:Nam liquis maieriam diuinarn  diligentius conAderct:omnia mari Amillima in ea uidebit.Vt enim mare in afli'  duo motu cAicundac^ incofacilemifcentunat^ pcnurbanturaAc diuitiis ai<jf  opibus nihil Auxibilius inuenias:multiq) tumultus ac fzuiAima bella inde ezota  tur. Hz igitur c£.'n paflim armenta gtegcfij pafcant : nihil inde Abi ad ncccAiu  tem fumunt. nihil aliis rumerepermittunqvcrumfiC ab hocquoq^ regenereaua  tinz quando^ explicat uir fummi boni acquiredi cupidus. Relin querat olim uo  luptates.indderat in rapinasiquibusquo^ damnatis otacuium confuliti A quo  accipitnofceteipfum:in quo errat Ancbifcscum ea ad corpus refcrctrquz de ani  tno przcipiebanturicauturqi^ruo damno fadus errorem cognofat: conAlium  inutat:rclida(^ creta tendit in lauum . Verum rurfus perturbationibus uexatus  animus ad diuicias rutfus refluit: non tamen ad eas quas rapinis ut hadeoust  fed quas nimis fordida pat Amonia comparet : Sed & boc quo<^ uinum effc  cognofccns / proptetea^ damnans < ad Helenum per hoftcsproAafatui.  bes igitur quare in harpyarum infulam delatum mixcrit Aeneam y?^uod ue^  IO ab ipAs uefd prohiberetur iam parariscpulis inde efliqnia eam uim habet  auarina/ ut qui etiam dinflimi Antfame penrequamuci minimam acerui par«  Aculam imminuae malint JAcmis tamen eas pepulerunt Troiani: Nam di aua  AAacxifflbcdllitateat^ builitate animi tuliaf':qiiz ci cAiut&fctia & tnulict«'  i-% « % % t ik tltl I- 11 1 1 1 1 1 ^ I J J- 1 1* I i I- 1- i  •j mii   oa* iff  Liber toriiu   <aIcgux'tninori animo runtauarioresTemp^e pncbeact/tunc Fadle pellitur  fi foitemgcnercfum^ fumamus animum ^6Ilcedit e fitopbadibus a;neas t fed  non prius quam cnfle a ccleno oraculum aedpiat < mendax omnino uates Bc in   E s fubdola } & quz uctborum firepitu honorem inde incutere uelit unde ni  timendum : bed profedo hoc morbo laborant auari i Nam fi quando ho«  ncOa quzdam SC una ratio lilos ad diuina exploranda erigat < propterea^ huma  na bzcfiC mortalia negligendafuadeatrihtiminfuigit ex auaritia metus (i rem  noftram familiarem negiigentius curemus fore ut (i fame pereundum x Sed ne«  fiauot fiuItilTimt homines quam paucis natura contenta (it i quam facile t quam  minimo fumptu eius diuitiz comparentur: Efi autem fames iis timenda qui in  anesqui infinitas cupiditates & quz ne^ neceifariz ne<^ naturales lint fibi exple  das propofuaint : quorum uotago um lata tam profunda efi : ut nulla auri ui t  nullo gemmatum iapillorumtp cumulo repleri queat . Q_ ui autem ita uitam ia*  fiituerunt > ut fola fe uirtute bntos putent : animum^ non corpus ditandum ^  ponant : his omnia femper abunde adaunt t Q_uam quidem rcm:quo tibi pia*  nius exprimam :at^ adeo potius oculis fubiiaam.ptopone tibi duos diuetlifii^  mz quidem fottunz/fedeiufdem pene ztatis utros Alexadrummacedonumte  gem/& Cynicum Liogenem utrum ditiorem iuch'cabis:uide quid dicas. Maximi  Alexandro thcCiuri erant plurimi tobuRiflimi^ exerdtus (ibi militabant : Impe#  rium latilTimum poflidebat.Innumerz pene nationes acpopuli ex Europa A(ia*  ^uedigales huic erant.Diogene autem quid potcftangu(liusexcogitari:qui prz  tet rimofum illud uas e figulo acceptum : quo l'e recipetet ut e frigore calorctp tuf  tuselletnetuguriolum quidem haberet : quem eodem panno in utroi^ folftirio  obfitum confpiccrcs : cuius auda olera etiam nullo file al*perfa beati (limorum re  gum dapes fuperarent. Vttum igitur horum ditiorem Laurenti iudicabisr Ego q  dem inquit LA VRENTl VS h a deptauatilTima confuetudine : quz altera pene  in nobis natura cfl dirce{l'eto/& rem totam fenfiiu iudicio exclufo rationi cogno»  lixndam tradam beablfimum Diogenem:miferrimum Alexandrum proferre no  dubitabo . Vehementer enim iis aifentior : qui in diuitiis penfiiandis non quam  tum tuii^ adiit : fed quam abunde id quod adeft fibi futurum (it animaduerien»  dum cenfent.Si emm is diues eft cuius cupiditanbus adeo fatis fupercp fadum (it  ut nihil pczterea defidcret quis Diogene ditior :qui cum (lue pafiurem (iue arato  rem quendam cauis manibus aquam e fonte ad potum haurientem uidiifet : po  culum quod ad eundem ufum hdile gerebat ueluti fuperuacaneum abnaedum  putiuu . Q^uis rutfus Alexandro pauperior : qui podquam a Democrito ut p\i*  tophilofophoplureselfe mundos audiuaat : lamentari non crilauit tanquam  nulla ratione diues effici poffet nili illos prius imperio fuo adiecilfcif Rede o Lau  tenti de utro^fentis inquit BAPTISTA. Q^uamobtem cum idem rex motus  animi tranquilliute quam in Cynico cognouerat ita pronuciaiTcticupcrem Dio*  genes e(Te nifi cifem Alexander : magna ex parte fiultitiam fuam indicauit : cum  in fummis opibus zgere : quam in fumma inopia ditefeae mallet . Q^uamobte  difeant homines quam paucis natura contenta fic s quod cum didicennttoracu#  ium a Cclcno zditum &cile tldcbunt:quamuis ipla ut otadoni liiz fidem faciat  r lD.P. Virg.M.Allcgo.   diat fe ca pronunciare guz Phabo pater otnnipoteos flbi Pbccbus Apollo pn«  dixit . Natn rempn auari qui funt : uiriutn quo laborant fallis uirtutum limula»  cbtis tegere conantur. NatnquzmoEraauaritia eftream patlimoniatn uocants  & aut deorum t aut maximorum uirorum audoritate famem timendam pctfua»  dete conantur . Oolofa profedo cupiditas : & quz cos etiam quos prudendotes  putamus fzpe decipiat . Aduerfus cuius fraudes illud unicum remedium cft nof  fe ea quz hominum ftultilfima cupido ad uitam degendam neceffaria putabnoa  modo nihil peodelTc i fed omnium noftrorum malorum caulam exiiiae.  Deferens igitur Harpyarum infulam Aeneas ad Helenum enauigatrEll au»  tem Helenus 8C uates K conduis«|Q_uapropccr rede ilium dicemus ingeni»  tam nobis rationem & ueri lumen quod natura in nobis refulget,: quod  nos fallis bonis decepti confulhnus ut in redam uiam ab erroribus reducat»  Ipfe autem uates uera przdicere poteft : fed ditfidle eft ad illum petuenitei  cum Iit itet pn medios hoftes tenendum : Nam 8i fenfus omnes 8i apped»  tus fenlibus obtempetans uolentibus nobis in uetum iudidum delcendcrc (em»  per aduerfantur:,At(p adeo nobis confultantibus obfirepunt: ut uix radonem  adire & uera bona a fallis fecetnerc poflimus. Verum cum ad Helenum perucne  rimus iuuat cualilfe tot urbes argolicas medios fu^m ten uilfe pa hgges : Supe»  rads emm perturbationibus iratiquilla'quTdai^ r^nquitut mens: in qua lecxd  tans lux radonis nobis ucrum oftendit : Q^uo dodior fada mens agnofeit itali»  am t quam propinquam elfe putabat uia inuia longe diuidi : multum^ matis ef  fedreueundumi & ad inferosdefeendendum antea quam quietas in Italia fedu  collocet : uz quidem omnia quanta ratione dicantur ; faulius cS mente coo pledi quam uerbis exprimeret poliquam enim animus non dico profligatis /fed  magna ex parte repreitis uitiis per medios / ut diximus hoftes in lumen luz luca  defeeudit Itum demum aduertitfummum bonum: quod in propinquo coUo«  catum habemus putabat poculabclleioporterei^ nos amplo dreuituMariamo  ftris obfelfa peraauigare : Nam inter ipfam contemplationem : hanc quam ui  uimus uiuminteriacet is quem iam totiens appetitum nomino uelutiturbulcn»  liifimum mare: quod fcyllacharibdifcp pernitiofiirima monlha infeftum red»  dant: Si tamen eft pei hzc loca enauigandum li in Italiam uenire nolumus : Oi»  ximus enim a principio (i rede memini nulla alia ui nilT appetitu animum motu  ti . Sed quoniam de duobus iis monftris dicitur a poeta : facile eft ex ipfis fabulis  quid fibi uelit coniedari : Nam cum eas foeminas rapaci fhmas fuilfe memorizf  proditum Iit : non ne per eas commode exprimi animi nimias cupiditates dice»  mus : quarum prindpes luxuriem at^ auaritiam eife nemo dubitat . Scjlla e^o  s glauco adamata ucneteasuoluptates exprimet: quz maxime rebus nofttis fio»  rcndbus uigent : Nam quod eius uniunia pubes m canes latrantes conuerlafu/? uantum ad negodum faciat : fadle eft cognofccre. Chanbdim ueroipli quof  Icrculiboucs quondam fubripereaufam quis non intelligat limulai tum no»  bis auandz refene : 8I qnoniam ab ca non ita in rebus fxliatei fuccedenubus ut  gemur quemadmodum a libidine. Sed tunc potius cumnimisanguftiisdiuida  nun terminis incluli uidemur : ac ob eam oufam minime nobis noUxa placent : ii •p. a MI ia   Bi   ■P ■ itk iw   “!f   lab   ipoK   imi». okib!    abii   l{DKd   biW   uocA \^2Dli   .qmX (uitbi SUID* jniisi^   uin®^ iCID# aajb crlb<   jola* OUfl^ 1^1^' amba* mfiaeKccT^ eflcopinaiaut t iccirco dextrum a fcylla : Icuum a cbarybdi latus obfi  dcri Mato dixit (quoniam altera in rebus quas aduetfas putamus t altaa in iis  quibus uebcmenter deleAamur : nimis nos urget • Q_uz cum Baptifta dixiflct :  at^ refumendi fpiritus caufa aliquantulum obdcuiflet . Admiror inquit Lauren  dus tam magnx tam^ reconditx dodrinz diuinitatem . Verum quanto me iffa  tnagis deleant / tanto magis cupio : ne minima quidc m in tota re mibi dubita»  donem relinqui . (tai^ utar ea quam mihi conceiTi^ libertate uel licentia potius :  At^ ut iamioulligas quid illud (it (quod nili tibi aliter uideamr/ planius heri  cupio . Odenderas a principio ea ratione politum ellc a Marone Troiam zneam  cekquifle t quoniam lam uir ille corporeas uoluptates contempriflet t per thraci»  amuero at^ dropbadas utrun^ auaridx genus exprelTum cfTe uoluidi : Cur igi»  tur (i buiufccmodi iam uitia exuerat Aeneas ( rurfusnunc ut illa uitet ab Heleno  moneturC Dcle&at me tua interrogado o Laurend inquit BAPTISTA t Oden»  dit cnimmaion quodam iudicio quam idbxc xtas gerere foleat te ea qux dixi c6  fideralTe: Veium quo omnia tibi plane pateant: memineris non eum uinim a  Vir^lio produci Aeneam: in quo uirtutum habitus conoboratus fit. fcdqui  pro uirtuteaduetfus uida ita pugnet tut non (inemulta difficultate per continen  dam uincat : nonnunquam etiam uelud incondnensuincatur.Q^ui ueroin Ita  liam id enim ed ad diurnarum retum inueibgarionem uentuius ed/ huic non fa  dsed : ut continens fit . Nam quamuis condnentia a cupiditatibus arceatitamen   S uoniam in affiduo certamine uerfatur:non przdat eam animis nodris tranquil  tatcm/quaadrestamexcclfascognofccndas opus ed . Q_uimobrcm egenus  ipfa temperantia uirrute undi^abfoluta: & in ipfo pene cerdo uirtutum ordine  corroborata /qua qui inlbudi fuirt/nonfolumonuies cupiditates TupcTantiue»  lum edam illatum penitus obiiuiftuntut . H oc autem habitu nemo mortalium  fe corroboratum in confidat : nili plurimis afliduif^ adionibus prius ad eum co  fequendum fe exercuerit : Q_^ux res line longioris temporis interuallo effici nem  poted . Huiufcemodi igitur temporis moram Virgilius poetice quidem fed opd  me tamc exprelTic : cum dixit : Prxdat trinaaii moeras ludrare pachtnni . Ceffan  tem longos/ Sedteunfledere curfus . Q_uod autem moneat ut eo quem dixi ha»  bieurn fe con firmet xneas uerfus unus indicio elTe pet^d . Adiungit enim quam  fcmel informem uadouidilfefub antro rcy1lam:Q_uamobrem icdiflime uni»  uerfum locum concludemus neminem poffeipram dminitatem attingere : nili  perlongum prius intefuallumeuih: quem dixi habitum ita contraxerit: ut non  modo non rapiatur a fcjlla : fed ne femel quidem ipfam uideat . uod quid ali   nd fibi nuit : nili ita obiiuifeatut cupiditatum omnlumtut nunquam illx in con  ipedum fuxmentisredeantrperpulchrc per^ commode omnia ida inquit LAV  RENTIVS. Verum quid tibi paulo ante explicare libuerit: triplici illo ordine oir  tutnm non plane intclIigo.Res inquit BAPTISTA huiufcemodi ed : qux &: Iz  pe alias maximo tibi ufui & prxfcnti fermoni apprime neceffaria futura linOiui»  nus enim Plato cum uirtutes de uita Sl motibus eafdem quas exteri pofuilTet:ita  sd podremum illas diueilis Gue ordinibus Gue generibus didinguit :.ut alia qua  dam ratione ab iis illas coli odendat : qui ccetus ac duitates adamant t alia ab iia   h ii   i }  I *• ![   i ■  tl'<:  In.P.Virg.M.AIIcgo. qui omnan mortalitatem dedifcnc cupimtes/ft humanatum rerum odio taoii  •d fula diurna rognofccnda eriguntur : alia poftrcmo ab iis qui ab omni iamc6«  tagionc expiati in folis diuinis ueriinturtprimas igitur ciuiles dixir/fecundas pw  gatorias/ac tertias animi iam puigati.Eft enim triplex hominum rcAe & ex ratitv  oe uiuenbum ordo.Horum trium inferior eft eoru qui io fudali acciuili uita dt  gentes rerum publicarum adminiftrationem fufcipiut.His {iximi fed m ercdioti  gradu confiituti ii funtiqui a publicis adionibus ueluti tepcftuoflsiac procellolis  Kin qbus fortuna; temeritas oino dominet'' :fe in portum tranqllitatis trafferuot  & a turba io odum fe tecipietes/ quirta uitam degutinon ita tn ut no aliqd adhne tefictaduerfus quodIudadumlit.SupremoautIocoeoscerncsqui penitusa re«  rum humanatu concurfitionerac tumultu remoti nihil cuius panitcdum (it/c&  mittut.Eft autem oibus his ordinibus hoc c6munr/ut uirtute dure ciida ad boni  redi^ normam dirigati Verum qa in uita duili cupiditaribusiac pturbationibus  omnia tumultuant hifip non oiu xgre refifti^ rdicunt in ea hoium genere uiitm   tesiDcohataspotiusqabfolutastQ_uaproptetidinillbptadcntiac6tendit/utm   bil agatuticuius non polTit ratio (^tem probabilis reddi i Fortitudo uero animd  fupra omne piculum at<p moetum affett : & nihil nifi turpia timenda admonet.  Tcm{watia autem oftedit fola honefta appeicdainulla in re moderationis legnn  excellcdamioea cupiditates iugo ronisrubiidendasiluftitta; poftremoptesfuni:   utunicuimruumredd»’'iutxquoiureoesuiuant.lnrccudoautilioh>iumgene   tctqui ea it ronea negodo in odum uendicat/ut liberius poflit rerum diuinaium  conicplationi incubcrcifunget munetefuoprudciiafifpretis oibus mortalibus  rebus &cxleflium collatione pro nihilo habitis omni cura omnim cogitatione  ad diuina copuertat" .Temperitia autem cum ea folum nobis cdce(Utit/bne qui*  busferuari uita non polTiticaitera omnia fcueriffimoiudidocontenendarf^upeii  datp pronuciabit.Sed necaberit fortiiudo qu* afliduo pridpiatiut nullum meo  moduminullumlaboreminullu periculum horrefeamus/quo minus redo 8£w  petuo^uti**' - j 1 n- ». • • tuo^ut ita loquar)curfu ad cxlcftia & ad origine fuam icdat animus.Diccs q d  luIhtia.Hoc jifcdo minus libi imponctiut reliquarum uinutu cofenfum in hu*    iulcemodi ppoAtum firdatilfti quo^utrupiarcsaduafuspturbationcspugnit  fcd fadiius fupcratsfei^ paulatim expi .tos reddunt.Q^uapropter uirtutes ipCrin  illis purgatoriz appellantur. Verum audi iam tertium illud eorum genus/quota  animi ab omni uitiorumlabe ^cul abAnt.Hi igit' in eo prudentiam exered/non  ut deledu quodam habito diuma terrenb prxferantifed iit illa fola nofcantifuU   J ueluti nibil aliud At intueantur. Adhibent autem temperantura non ut cupi*   tatescoberceatifed lilas penitus ignorent.Eadem ratio erit fortitudinis.llla eni  pernitbariones non uincicifed ignoratiQ^uin opubic dura at^ horreuda Abi of    ferrirnon ut uidoriamaiTequacurired ut in eorum obliuione perpetua riimiuts  ^ 'ifidiligentetinfpides/fadiecognofcesidabhelenoadmo  petduret.Q_uxomniaf  ^ neri xneam non pofle illum fedes in Italia qetas ftabi colloare/niA priiis ad   boc tertium uirtutum genus peruenerit : (^uid ergo hadenus : nonne Troiam   deftrueiatjacthradamftrophadefipteliquerat.Defenieiatquidemjred nondum  $mca uitia fugiflct/illadcdilutc poterat Jiunc autem non ut Moliirnt^iP  Liber tettiai   «Birittaib^ deponatt^od tam feceratered ita de tnte deleat: ita perpetue obK  tuooi roaadntut nunquam eorum memoria illum rubeat:Cu autem prz omni  bus rcbua iterum at(p iterum 1 unonem pbcandam moneatsqua quidem adua  •imte Italiam nunqua podturua (itmdnc nobis documentum eftroaximum nui  Ium ex innumeris uahif^ uitus eflieta quo etiam ii qui ad quzip ezceifa eriguiu  lur t scgriiu liberetur quam ab bonorum imperii^ cupiditate.Fadle eft enim cd  temnere uoluptatesa qui iam maiora mente conccpit.Diuittasuero &li fpecie  maximorum bonorum a principio nobis oftendantipoftrcmo tamen ab excelle  tianimo negiiguotur.Atucrohooorcsmagiftratus& imperia quoniam exedi'  lens quodda & eminens in fe cotinere uidetuunfpecie decori at<p magnifici ztu*  mum etiam excclfum deripiuntiNamcum cupiat ille fefe qua proximii deo red  deretanimaduertac autem nulla alia te nos magis deo fimiles efle qua dandis bc  ncficiisiNt^ hzc przftari ab hominibus pofle nifi in fumma reru poteftate coo  flinitifintiaocenduuruebcmenti quadam cupnditate ut reliquos antecedat: Eft  enim natura nobis iditu/utfcnm (upiores in rebus oibus euadere cupiamusiCe  dcrcauteautfuccumbeieturpimmumputemus.Q_uz quidem naturalis cupv»  ditas nifi reda ronc temperer in ambitione ac pofttcmo in tyrannide nos rapit:  in qua muka aduerius humanitatem audelia tetra nefariaip comitthnus : cu   natura ipla nifi deprauata fuerit ad magnanimitatem erigat nos ad fupetbiam  ft dominatum omnia rapimus.Hinc fraudes:hinc czdes : hinc reliqua imania  fiagitiainfurgunt.Q^uibustcbusipfam humanitatem exuri in truculcntilTima  monfiu conueitimur.Non igitur fine fiimma lapinia ad Cyclopum littora ht>  Dti dedudt diuinus poctatut ofiendat qui magna quzdam & cxccifa petuntten  nulla certaratio anima reganfefe falli & pro animi magnitudine in imanitaicla  bi.Scd hzcquocp loca miferia ad fc fugientis uiri admonitus qua primu cifugit  Acncas.Q^uid enim aliud nobis cxprciTius cfiFmgerc:at^ipfis(^ucica loquar^  oculis fubuccrcpotcfiambitiolarofiC fumma efferitate deteflandam 1)^300103  uitam quam cyciops Polipbemu$:qui procul ab omni hominum confortio hu  manis carnibus paicatur^^ inter luflra feraru fola uita agat . Nonne enim iure  Andropophagostfic enim eos appellant grzci qui humanis arnibus uefeun' nmilloscl Te dicemus: non qui carentia iam anima corpora id enim multo ma  gnto Uerandumefiiinfuas epulas conucTruntifed qui uiuentes omnibus ctu»  oatibuscrudelilTimc exeduntiqui ut aut tytannidem|fibi comparentiaut iam cd  paratamtutcnturioptimumqueipuirum & iufhzqui ac libertatis amatoicm lzuifiiimemteTficiuat. Q_ui utfcelerariirimi uori compotcsc£Ficiantut:aonmo  do fingulos homines ttuddanttfed totam urbem:ne^ folum totam urbemifed  integras nationes ferroigni fameij populantuncun^ libidini militari fubiid«  imttQ_ui nc^ agris cultoribus fpoliaietne^ hominum pecudum^ przdas abi  gete uomturiqui pueros tcncraf^ uirgines ex parentum complexu aut ad mor  tcmautadlibidinemrapiunnqui caftarum mationara pudicitiam expugnat:  qui publica acpriuata faaa ptofanacpzdificia funditus cuertunt:S qui modo  in florcnrifiinu re publica ampIifTimum dignitatis gradum fumma cu gloria ob  tincbantitot nunc oibux foituiuslpoliatosmmiraritni feruttutc abducunu ■ V' I.4 In.P .Virg-M.AIIego.   uos igitur cydo^quos leftrigonas cum iftorum imani fcttida cofErcnaif  Q_^uimobrtm uir iummi boni cupidus qui antea non bene infttcuta animi (oi  magnitudine quacun^ uia ad honores imperia^ nitebaturmunc demum tam  nefariam crudelitatem quam primum eam nouit deteftatunnouit autem a ma  dlenta rqualenci<| achemenide forma per quii lapiens poeU omnes calatnittla  quz ex tyrannide generi humano perueniunt s latenter (ignilicauiticum dues  paulo ante omnibus ampiifhmotum honorum gradibus honefiati/ ad rern ino  piam cxtremai^ famem cdpellunturicum illudiis mortis moetu latere ct^un^t  Rclida enim ariffmu patna ignobililfimis obfcurilbmirip lods exulant: Q_ua:  quidem miferia edam li in graium hominem & Aenex hodem cadatitame non  poted ipfequi uit bonusauc fu aut elTe dudat ad fummultyrannidis odium no  impelli*Q_udigitur Maronis fapiendamnoniureadmiretunqui uirumm ita  liamuentutum maria at^adiaceda littora tam horrendis mondris obfefla ita  caute dreuire iubetiut illis omnibus euitads in Siciliam incolumis perueniat un  de breuidiffius curfus in italia dc.Fadle enim ed homni qui fe ab omni ii auari»  dxfpcdecxpediucntomnemip iniuditiaatipeiFentateexuedtiadreru magnis  rum cognitionem edgi iprxfctdm fi iam in Sidliam uenerit.Ed aut Sidlia nue  in(u Ia olim uero italix coiumdai Bt condnends parstfed uenit medio in pontus  K undis hefpenum (iculo latus abfddittarua^ Si utbes littore didudas angudo  interluit zdu.lta enim abimortali deoapnndpioaeataed diuinitas animoti  nodrorumiut una cademi^ dt pars infedot rdniside qua paulo pod ent didin^  dius difputandum di parte rupertori.Scd quoniaipfa ,in agendis rebua uerfaf  drea ea quz loco 6i tempore citcdfcnpta adiduam mutadonem redpiunt euenit  ut interucnientibus Uanis pettutbadonibusiquibus prudenda decepta (xpe pto  bonis mala cligitiratio ipfa inferior illis uelun uehemcdlTimit fludibus alfiduO  percu(riabitaliatandemdiuellacur:6(aruperiodradonead appedtum defid>  at Q_uz omnia quauis ita fint unde tamen breuiot ciufusad italiam.i.ad eo»'  teplatiunciquz m ipfa ratione fupedod polita ediquaa ratione inferiod quz  per Siciliam lignidcatur nihil repedes przferdm humato patenteique nos mol  bticm quanda eneruata homini a fenfibus prouenienteinterpraetati fumus.NS  quam enim ad ueram contemplationem deuenicmusinifi pdus ipafut ebddia  notum uerbo utar)fenfualitasnon modo earinda uerii eria penitus fepulta in  nobis fuerit. Q_uapropterli rede animaduerds de Anchife mocte meminit  poeta de fepultura non meminittno enim in iuliam ed uenturus.ln quinto  ueto libto celebratur funusiut demu fepuito Anchife in italiam cotenderc lice  «.Apparatis itai^ rebus oibus Aeneas ex dciliafoluens paulo pod italix pot/  tus fubite fperat.Ne(p fuilfet a fua fpe deceptus (i lunonem aduerdiTimam  . bi dea ex Heleni przcepto antea placauiffct.Odendimus paulo ante lunonoa  honopi impcriiij cupiditate expnmeredn qua quidc « fi Aeneas ita fe geiatiut  nihil iniude/nihil audeliter in reru adminidtadone aduius fit.faocenima Po  lyphemo fuga indicauit nihilominus cum in confpedu Italix iam fiti& in li  nunc pene fpeculandi conditurus: Animadueitat^ non poife in rerum diuiu  nuncognidonedcucnidsnifi humana haec omnia cotenat/nidtut ille quidf Liber tettiiu    rem perficere . Std appetitus qui nou dum ratione fubiedus fit omnino ro>  pugaat:faKU 9 argumentationibus perfuadet noncireaurneg]igendoihono«  tes/autimpia relinquenda .PercomodeotnqiUate inquit LAVRENTfVS tC  ad rem uehementer appofitx.Sed unum efl de quo SC fi fortafTe confentanea fu  fpicer > tamen fentendam tuam uehementer cupiam.Na quid fibi obfecro uult  ^fficilis ilia & apprime moiofa dea luno. Si enim manentibus TroixTtoianis  iiafcebaturscur deinceps iifdem illis in italiam enauigatibus adeo boftili animo  aductlatunan fortaiTequiautracp uiuambltiofoK imperii cupido aduerfa Et.  ifibne ipfum inquit BAPTISTA. Atnbitiois enim dea olim Aenex irafeebatun  quiuoluptatibus dclinitui nihil honorificum quacreretmunc autem rurfus ira  fdtnncum uideat illum ad altiora quxdam eredum ea qux exteri mortales in  admiratione habentsotnnino contemnere. Omittens enim illa que primum  gradum in uita duili tenent non motulia amplius ifed immortalia quxrin mi  rifice ictura poeta.   Vix e confpeduSicuIx telluris in altum  Veb dabant Ixd j K fpumas falis xre ruebant.   Cum luno xtemum feruaru fub pedore uulnus:  quae deinceps fequuntur: Ratio enim uiuendiiqux honoribus inferuit cum  animadueitatfc ab Aenea deferiia quo olimquo^cu ille uoluptatemtociu^  amaret negledafuaatyuehementadolet.Cognofcit enimfiRomanu imperi  umcdfhtuuturforeiutfua Carthago ruituta Et: Q^uisenimnon intelligat E  ad c6tcplationem:qui ptxftanti ingenio funt uiti accefferint/illos ciuiles actio.*  nes ccdercrturos.Oolet igitur St pfeotiiniutia admonita pteiitotutcminifdt.  Manet enim alta mente repoEum  ludicium paridisfpretx^ iniuria formx.   Et genus inuifum & rapti ganymedis honores.   Q_ux quidem fabulx E diligentius conEderentur nihil aliud nobis prader de*  ditauoluptanbusuitam referct:Nam Paridis ludicium in quo lunonl Venus  prxferturiquid aliud cefeasniEuitx honorum cupide molle enetuata^ 8(uo  luptatibusaddidam prxponi: Genus autc inuifum.i.louis Eledtxt^ adulteri'  um:acpoSremo raptum Ganymede nemo modo mediocriter eruditus Et alia  traduccuHisigituraccenla luno naufragio Troianos perdere tentat . Verunx  ne noseaquxfubhuiufcemodi tempeftatis Egmento recondita funt ulla ex  pattelateant:neuequidluno:quidxolusiquidneptunnusEbi uelit incogni'  tum relinquatur:pauca de animorum noEroruui at<^ natura repetenda funt.  Illud tamen pmonebo cuenireiut eadem ad multos locos enodandos adhiben  da Ent t Q_u« E fcmel a’me expteEa exteris deiceps in locis ueluti ia cognita file  tioptacanc luideo me qd* fumopete cupio breuitati inferulturu.Sed rurfus cu  eodieteprKc/EEcagamus/duplextibionusipoEturus Emieritenim eode tpe  8C memoria qd alibi didum Et repetendum: K quod interim perpetuo oratio  nis filo contexif' : Ene ulla inteccapedine:percipiendum malo loquacior etk/q  oomittere ne ingeniu eodem mometuo in plura diEradum:ucl minima difpu  lationis paidcula incogmta ptaucrmlttcre cogaturiCum igitur ad id quod pro Ia.P.Virg>M^IIfgo*    tPrn/f <«•’<»' «*•  'v'»^ prium noSnim^ tft:quod(^ a noftrz onginls diuimtate traximus t id eSsdt»  tiocinandum/ad concemplandum/ad intelligendum mgitDut:eam animi pai>  tcmadhibcmus:quamgrzci nos mentem nuncupamus. Verum hae   mutiifed przcipuc Platonici chriffiani^ philofophi duplicem elTe uolueruntt  4 alteracu inrctiorem quam rationem appcllant:diuiniorem alteram & fuperioro   TIfct. qu- i 4eIIedumnuncupant.Q_U3propterfapienter Auicena animos noftroi  ur t alterum lanu duplici ore inllgnitos e(Te dizitiut hoc furfum uerTum ptia  r .na altilTima per (apientiam rufpiciamus.lllo uero res mortales & adioneshua  manas per prudentiam adminifhemus.Diuiditur igitur mens in duo rurfum in  tapientiara/deorfum in prudendamrquz Ht reda rerum agendarum ratio qua  iiinuirumfiC mulieremrutuirrupcnor iit &regat:Mulier inferior 8l regatUR  Q_uapropteregregiei!lud:^lioieiliniquitas uiriiqui mulier bencfadensrnd  ^ enim przponitur iniquitas uiriliszquitari muliebri: Sed commode exprimitut   * I 'tedius eum agereiquideiideriorerumczieftium raptus plurima corporis &fo  cialis uitz commoda negligat: quz res uideturiniquatquam eum : qui ut nuW  Ium uitae ciuilis officium deferat:czlcftium rerum curam omittit : (^uz cura  ita (intiuideamus quz a Marone dicuntur: Nrmpe zoium lunonis przdbus  uentostquoslouis iulTu regere debet/in mare cmififTeiqua tempeflate obrui  poterant Troiani nili illis aNeptunno rubuentumfuilTct.Q^uoinloco fi ui  tz ciuilis cupiditas (it luno commode zoium inferiorem: neptunum uerofu«  periorem hominis rationem interprztabimur. Non igitur mirum liabhono»  rumae imperii ardentilTima cupiditate ratio illa inferior (lediturrattp de fuo  gradu deiieiiur .Referunt fabulz zoium uentisprzpolitum aloueefleiut iuC>  TuAioillos BC intra carcerem cohiberet&indeemmcreceru quadam lege ualc4 at. Q^uamobrem celfa fedet znius arce Seeprta unfDS mpHit^ apimos: K  teinperatiras:_8£,iilud N i faciat maria ac terra stcilumq: profundum;Q_uippc  fei^tfec^ rapidi : uertantep per auras. Et profrdOt&infiituti funt animi  noflri ^etum omnium fumnioatcfiitcdotut cum Iit in nobis ea pars quz ad  tes afeifeendas fugiendaf^ inlurgit : przponatur libi ea rationis particula : quz  infenor cum(it:adres omnes agendas rede appetitum moueat. Ratio auum -  Iplis mortalibus indita non a corpore efttfcd aloue.Hzciguurdumfuo co  ditori obtemperat celfa arce fedet:quia nihil humile cogitat: fed quztp aigre^  gia: attp excelfa meditatur : teneti^ fceptra.Nam totius uitzadminifttatianein  habet: mollit^ animos /& temperat itas: cum nimiis cupidiutibui appetii  tum cohercet : at^ inna modelliz fines continet : Sin autem ita lunonis blan>'  ditiis demulceaturiut fuz naturz propriz^ originis immemot rerum rettena  rum cupiditatibus irretiatur/ totum lilife przbet : eiult^ iuffu non autem lo  uisuentos/hi enim penuibationcsrunt/emittit.llli uao mare quem apped<>  tum cflic diximus paulo ante tranquillum ex diuafispartibus ferientes bor«  tendas tempeflatcs excitant: hebetant enim tadonis adem honorum cupidi  tatesrquz uelud nubibus obdudauerum bonum a falfo non difccrnitiip  fumcp appedmm : qui a fenfibus originem dudt: non modo non refhnguit  ardaemractum ultro inflamat: &gcntemiunonisinimicaseaautcft mens no / » Liba totius   ItlbulluQanitn rnunicotit^tm:diuinatuin autftn cupida/mratiis perturbati  poibusobtuae nititur.Scd rcaeo ad lunonemillla enim cum tecencitiiuriaanti  / MUm (H)i uulnus refrkafictiira plena in zoiiatn tendit.   Kimbofum in patriam loca fceta furentibus auibis.   Cidlidaomnino dea guz regionem ad ea quzcupiebatpaHcienda fibi deligat  nott'ignotauic:Cum enim raum humanarum amor nos ad diuinarum cogniti  onem abfttabae nititurrin zoiiam patriam uento^rad enim eft in appeti tum p  tuibationibus expofitum ueniat necefle efi. Verum iouis iuflli hoc regnum zoio  commiffum cds Nam ri deo obtempaemus rationi fempa obtemperabit appeti  tU&Redifljme enim Platonicum illud bpnp uiro legem deum ellr : malo autem  bbidincm:Q^ uaobrem huiulcemodi rarionemdeprauare aggreditur Iuno:& ue  iuriti qui caufz (iiz diflFiduntrfit fallis rationibus perfuadae/& largitionibus cor  tumpae iudices patanttita ipla zolum adoriturteonaturep oftendere zquum elTc  4tillc gentem fibi inimicam Italiam attingne prohibeat. Perfuade^ zolustfe^ cn  da M iulTu lunonis fadurum redpit:Q_uin quicqd imperii habet/id omne a iu  BoUe tecognofcit.Nam nili inflametur appetitus cupiditate rerum terrenaruiatrp  illp uduti mare ucntls turbet rminime uideretur indigere uita nofira impio ratio  tus.Hocigi^ padotromnia lunoni debere ratio fatetur ueluriquz(^nifi pturba  lioaesaflint^aibil habeat in quo fuum impium exerceatrac decepta cupiditate ea  tum raum quas magnas putatmentis habenas remittit/ac mare perturbattquoni  •tUturbulemimis cupiditatibus appetitum codut.Q_^uibuszneasqui ad cxle^  Bium rerum contcplarioncm tedit/adeo labo^ paiculorut^ magnitudine infrio  giturtuta jppolitodciiciat" :Et ^fedo cum appetitus quo folo animus moueturr  ftquonosad fummum bonum duci oportet/aKonosrapiat/infurgit atrorilTima  iUa tempeftasrin qua eripiunt fubito nubes czlui^ diemt^ teucroru ex oculis . Na  qui paulo ante tranqllo appetitu adrpeculationemfaebant"tinfurgentibuspa.*  turiMtionibus adeo illis oixzcant" :ut quicqd luminis a rdnepueniebat/peniti»  tollat tVnde fit ut nox atra ponto incubet. Appetitus enim qui hadenus luce ra.>  tionis illulhabac'/nuc illa amilTa in tenebris uetfatur. Adeot^ zfi uat hoc maretuc lii aqlone fetuntur/hzc enim elatio quzdam elliquz a rebus fecundis profluit.  Alii in fummo fludu pendentmam fupra fuas uires difficilia ardua^ aggrediens  tes amdi foliciti^ perpaua expedatione pendet. Alii terram inter fludus tangens  tcsabipfa fortuna dnedi mifetiarum cumulo obruuntur.Sunt deniip qui in fas  alatcntiacontorqurantur.Nam multi cum impetu perturbationum ad huiuf^  cemodi cupiditates explendas ternae ferunturiin uariatp pericula fibi improuifa  inddunt.Sunt poftremo quos auaricia ueluri in fyrtes ttahat.Nam quis non uis  daefle aiam quorum nauis demergatur. Vnde utre omnino apparent rari nan  tes in gurgite uaftoiNam ex inumera mortalium turbaiquos perturbationum p  cclh]dcmagit:paud emagae ualentiFado enim habitu pauci ad portum enare  pofluntiprzfertim cum ipfe gubernator a temone tcuulfus imo in przceptls deie  dus in profundum ruitiCum enim ea animi pars quz uitz regedz przpolita eft  fuaiicde deiidtur/adum iam de uniuafa te cite quis non putarHzc autem otns  Iliacum lunonis zoli^ culpa acddiftenttinterim Neptunnus commotus graui*   i In. P.Virg.M.AIlego.   tate t<tnpcfta^sf>Ia'd(]uin caput ex fumma unda cxtuIk.N(ptaliutn  mum macia deum cfTe finxerunt: Dico aut fummumiguia alia quo^smaf^o»  mina extann&ptofcdo plutea uires appetitui prxfantimouet' enimilfe iudit»  fcnfuumrmouct" tonis inferionsifummum tamen impium fupioii ronirefenu  tur.haec igif r^tio quam nuc neptrai nomine (ignifiat poeta cum oibuspturba«  tionibus rapi uexariip uideat:caput e fumma unda ueiuti ex fpecula rifetttVnde  ipfius appetitus fludus jicellafip animaduertes aium illius furore in pram pinum  rapi cognofcitinei^ folum tcpe(htemfmtit:fed etiam ipfam lunonisdolisexdta  tam intucc :Nouit enim reda ratio aium ita afFedum:,ppterea in hasmiferiasitw  ddiffeiquonia falfa bonop: fpe decepta inferior ratio urntos no modo non cohi>  buerit:fed ultro emiferinC^uamobre utfubitn tato malo remedi uni affecat cuje  zephyrui^iac reliquos uctos ad feconuocas grauirer increpariqui impio titanum  fanguineorti/deo^i regnum infeftareaudeanReferut enim fabuix uctos Aftrd  filios fuilTeiAftreum aut unum ex iis titanibus eifedicunquiimani impietate ad«  uerfus deos imortales temeratiu bellum fumere lint aufi.Hxcigi^ in fabulis rcr>  periesiNon aut (iQceronemreliquofip dodiflimos uirosaudiamusiquidoa ali  ud cum diis bellum gerere qnaturxnolhx repugnare interptabimur;Q_ua qui  dem re quid magis temeratiu rflepolTit non rcperio:nam queadmodutn cosUi  demum fapietes Bi dicimus Sc frntimus:qui naturam optimam ducem fequund  ita illos (hiltos temerariofep putabimus:qui ab ea oino dcfcifcut.lure igic' uentM  c titanibus ortos iinxeruuquonia ptuibjtioncs a temerario fempi&nalurc repu  gnante iudicio pueniunt. Audax igitur facinus comittunt perturbationes i qux  flultitia 6i temeritate humana gente appetitum diuinitatis nolhx id eft tonis itm  perio fubiedum turbare audeant.Q_uaraobrcm iufte a neptuno obiurganifues  ti:fu(lcc^ impium pelagi fibi uedicat ncptunus/cum in bene inftituto animo hw  iufcrmodi illud e(fc oporteat ut folo mentis iudicio moueatur. Ad huiufccmodi  igitur fentemiam commode polfe ttanffcrri xolum/at^ neptunum putaui.Q^d  (1 qua in parte fatis tibi fadum non e(l:aut li quid in mentem urnitiquod aptius  IcKo quadret:promas illud licet: Nihil enim c(l quod uereatis:aut pudore impe<  diaris:Nam neminem ex omnibus qui uiuuntiuucnics/qui aut xquiori animo  refutari patiatur:q ego fero/aut auidiusqucxlnefcicntaddifcat: Necp eft etiam  quod dicas huiufccmodi fenem ego adolefcens. Vidi enim multos ex iis qui & ha  bentur & funt dodiflimi nonnunq admonitu etiam indodilTimi hominis in at  rum rerum cognitionem ueni(Te:in quam fuo ingenio tam diuturno nunquatD  tempore hadenus uenerant.Ego inquit Laurentius quid aliis euenerit ncfaoiiiu  hi tamen nunq tantum arrogabo. Verum quia accidere in tanta rerum copia at^  uirictatc dodilTimis quibufc^ folet/ut cum plurima eodem tempore fefe med of  ferant: nonnulla fint:qux fic fi non explicent" :facile umen Sc reliquorum fimili*  tudine percipi pofiint.Sint etiam & alia qux quamuis enucleate planecp ediflicrae  turihcbetiori tamen ingenio qui funt illa minime confequant":utar ea quam mi  hi pamittis licentia:& quoniam de confugio xoIi:at(^ deiopex nihil a te didum  cftipetam nifi id omnino inutile ducas:ut fi quid ea in fabella fitiquod ad rcno<  fisata confciat/nobis explices. At dices n unquid tibi m mentem uenit i ac edam Liber tertiuf   |nthinuHorib^tne(!erat!ges«Vcnicqdetn.Kamaiffi nKo adiuiDis ad humana  abducenda cftinullum pene maius przmium proponi pote(l:g pulchrum cafiu^  m coniugium:inde enim cupiditas ilia naturalis:quz eft coniundionis maris SC  fttminaeezpIetur.lndefoboliseft|>pagatio:quxquidem non fotum uoluptatiii  tuul ac ufui nobis cd;uetuffl etiam pofteritati confulit/ut etia morrui aliquo mo  do ih illis uiuamus.Ulbucipfum inquit BAPTI5TA nec modo |>po(itx quxlH  oni rationem habcas/quicq eft prxterea defiderandum.Nam id hoc in loco aperi  amiquod alio paulo pofi foret aperiedum*Prifci igit" illi qui de deoni natura fcii»  pferunritria ibeologiz genera pofuerutiunum fabulofum/quod grzci mithicon  nomtnant:quo quidem populum ociofum in theatro oblec^rent: Alterum nata  rale/idenimeft phy ficonrper quod comode uimnaturxexprimuntiut cum per  iatumumhlios omnes przter illos quatuoruorantem tempus nebis denotant:  ^itodii quatuor elementa ezcipias:omniafua edacitate confumit.Tertium uero  iccirco ciuiJeappcllant:quia inde ad benebeareqj uiuendum przcepta promatur  Coofueuerc igitur poetx quibus nihil dodius reperias/hzc omnia ita confunde*  re:at<p m unum comifcereiut optimo quodam temperameto eodem tempore &  aures fummauoluptacedemulceant:& mentem recondita dodrina alantiac nos  adredum at^ honeftum & ad ipfum fummum bonum deducant: Nos aur quo^  ciam A hzc omnia exadius in Marone ^fequi uoIuiiremus:nimis operofum ne  godum |>poni uidebat" duobus primis generibus obmiiTis intra ciuilis generis ca  cellos difputationem noAram mcluAmus.Q_uapropter illud paululumtqd mo*  do de fabula decerpferas/noftro operi conducet: Nam reliqua phy Acen fpedanr.  Dicunt enim Pbccbi Aurorzi^ Alias.xiiii.fuiiTe eafcp lunoni nymphas attributas  exiliorum enim intcrptatione luno aer cA* Aeri autem feptem quzdam attributa  fuiit.Septem itidem in aere^ignum''.Q_uz omnia ipAus folis tunc maxime cum  in noftro hcmifpcrio ueriat :opera proucniunt.Sed ut de primis priori loco dica  tur eft aeris ut leuisAt:ut mobilis:utcalidus:ut humidus: utferenus: uttacitumP Utlpirabilisxbasigic ueluti feptem nymphas finxerunt poctz:earutn autem quz  in aere gignunt pi imam ponunt quz Ins appellac'':Cui etiam attnbuut tres ueiu  li minittras pluuiam grandinem niuem.ln his enim contingit ut nubes fuli oppo  Dat :fcd eft id^ut ita loquar^nubiu corpus ut alia fui parte denfum/ut alia denii^  us/alu den Aflunum At.Q_^uapropter a prima fubrubeus/a fecuda ccruleus/a ter<«  tia niger color perucnitxContra ucro partes quz in ca purz funt croceumiquz ue  ro puriores uindemxquz poftremo puriftimz album colorem remittuntibzc igi  tur piima ex alus feptem nympha eftxquam deinde fex fequutur phy thon come.*  ta fulmen ronitruumxcxhalatio ac tcrremotustdeqbusfuo ordine difpacarc no  grauereniuriniii ex tnbus illis quz dixi generibus ciuile folum profequi conftitu  ilTemus: Vaum cum uoies bzc probe & quid qua ratione gignantur: faci*   ]ccognofccs.Sunteniminiisquzmeteora appellanturab Ariftotele quidem pr  acute:ab Aiberto uero cui magno cognomen eft etiam aperte petferipta . Q_^uod  autem dciopeam omnium pulcherrimam fe daturam pollicetur luno ratione no  carenEft enim ca in aere facies quz ferenitas didtur.(^uz res autein magis io cu  pidiutem tcruin humanarum trahere zolumpotetauqDamfctena czii facies ; p  1 1 I'. Perplacent ifiainquicLA VRENTlVSs at<^ ita perplacentuit nihil in iis prxt»  rea deiideretn:perplacent quo^ quz tu de ratione appetitu^ diziftitfed uide at  pugnantia Ioquaris.Natn(ire^tnemini/tu paulo ante xoluminferioiemratu  netnelTcuoIuiditnuncncptunum fuperiorem ponis:redeutru^:Verumcn hic  impetiutn fibi non autrtn illi datum dicattnon uideo cur zolo quotp non conoe  datur:ut mare uel io mittendis uel coheteendis uentis:aut extollat aut fcdett No  co inficias inquit Baptifta pertinere ad hanc inferiorem rationrmiut cum deage  dis rebus iudicium habeat/ipfa appetitum & ad raquz afeifeenda funtimpellati  & ab iis quzfunt fugienda auocet.Vcrum quemadmodum in bene inlhtutare  publica fupremus quidam magifiratuscreaturicuiusatbitrio £d ii omnia getan^t  alii tamen aifunt minores magiQratusiquibus fingulis fmgula committantunili  totius uitz imperium in mente confi(ht:ita tamen ut infenor ratio appetitui ea Ic  ge propolita (itsut nihil niii rede iudicet.Q_^uod ii illecebris rerum humanatum  decepta non rede fentiat:fcd iint eius iudteta falfa/adeft fupremus ille magifha*  tus ad quem prouocare liceat:Q_uapropter rede faipcura eil zoium no niii clau  fo carcere regnare: quoniam in uita hac communi ac ciuili potius cohibetur appe  titus ui quadam rationistquam quietus tranquilluf^ tcddatur:non enim in bo  nas affcdionesconucrtuntur:red potius moderatione cohercenturjRatio autm  fuperior cum caput ex undis exculittemiiTamt^ a lunonc hiemem cognouitteun  da in tranquillitatem redigit. Emittit enim raput ex undis cum fe a corporea mo  letqua hadenus obruta opprimebatur ucndicans ipfa fe excitaUat^afeniibus fe  uocattquo tempore non folum cognofeit qua hieme opprimatur zneasne in Ita  liam tendat:uerum etiam tantorum malorum caufam lunonem id eft rerum bu  manarum cupiditatem ei1'einteliigit;(^uamobrem uentosqprimumanutire*  mouet : Nam uacuuspertutbationibus appetitus rationi obtemperantior reddi  tut lllofq) ut deterreat maiores poenas fibi daturos minitatur : quam illi ab  Aenea acceperint: nec iniuria . Nam appetitus a perturbationibus inuafusad  tempus uexatur « Intelligentia autem illa fuprrma fi imperium fibi uendicae  tit/ quoniam fummo lumine animus illufiratus nunquam deinceps nec ded  pitut:nec labitur : neccfle eft ut perturbationes: quarum genitrix falfa opinio  fuerat in nobis penitus fepultz reddantur. Q_uapropter non fimili pasnaco  milTa uenti Neptuno luent. Sed undz quz fequantur . Remotis uentis ou«  bes dirperfas in unum colligit Neptunnus: at«^ colledas fugat: Efi enimboc  intelligcntiz:ut a principio fingulas falfas opiniones profequatur : in unum  congerat : atq^ demum confutet: quibus confutatis tum demum folis lUe  ce: ea enim efi ueri cognitio eunda iiluftrantur. Q^uio 81 dmothoe & totos  naues a fcopulis abducunt. Cimothoe per undas currens fi gtzcum uerbum  aduertas faale interpretatur. Triton autem neptunni tubicen babetur. Iftaigi  tur duo numina afcopulis cupiditatum naues reducuntr quia cum tedumDO  uerimus/uana relinquimus. Scientiam autem autnofiro ingenio alTequimun  cum id fua uclodtatc pet eunda difeunat t aut dodtina aliunde accepta pd« ' I I s I a :v t ■ Ii* :lil i i M d  nit ai fli iib idi &bi m Ml   ItM  IS it   alti   nbi   lii» IStl' uti  «m 110   0» 1 » ufl «I (i ‘i? iit tf  Liber tertius tnumilluddmotlioesuelodtasciprimir hoc autem tnton (ignifiat.Mam ut  Cubidaes fuo przconio mandata prindpis manifcftiQtidc dodrina quid ucriras  4ieIitaperit:(^uod autem prorpcrocurfu per pacatum mare utatur neptunus  fadleprobatur.Nam cum pacatus eftab omnibus perturbationibus appetitus  ita per eum labitur ratioiut nufquam ofFendat.Diximus de tempeftate.Nuc ad  reliqua pergamus: Neptuni beneficio ex tam manifefto peri culo erepti Troiani  cum fefu fradi(p Italiam utpote longinquam terram contingere pofTe defpera**  tent:extemporaneo ac^ minime przmeditato confiiio ad propinquum carebam  ginenfium littus uela dirigunt: puto uosmeminifTeitaliam fpecu!ationis:cartha  ginem adionis figuram habere.Q__uapropter id nunc exprimit poeta quod in  humana uita fxpe ufu ucnire uidemus sSunt enim multi:qui cum ne<^ in uoi^  luptatcne^ in diuitiisnet^ poftremo in honoribus fummum bonum inueni^  ant ad ueri cognitionem fefe conferant; Verum cum fe humana omnia Facile  poircconcemncrci&reorfum ab hominum coctu contemplationi incumbere  cxiftimenniamtp rem aggrediantur uix illam reliquerunt cum tantum relidam  tum rerum defiderium infurgitiadeo^ ex recordatione tantarum illecebrarum  cffeminanrur : utrurfusin fummaspcrruibationes incidant : qux quauts tan«  dem fumma ratione fedentur:adeo tamen defefTi defacigatit^ relinquuntur ant  mi nodriteum non fine difficultate tam horrendam tcmpdiatem euaferintiut  latis fupert^egiffe putent fi focietatem humanam incolentes qux immania 8i  humano generi pernitiofa funtuitia effugiant. Virtutes autem fi non exadas; ati^perfcdas/incohatas tamen retineantifi: cum difficultate dus uitzqux in  ucnfpeculatione'pofitaefideccrreantut:animaduettantqux hutufccmodi ui^  tz genus humanam pene imbecillitatem excedere cum Arifioteles maius aliV  quid quam hominem effe qui hzec poffir affirmet fecum fic ratiocinantur.Non-  parum erit uoluptatum incendia euafiffe : Thracenfium rapinas euicaffe : hac  harpyarum fordes & Cyclopum immanitatem refugiffe . Nunc ucro fi id non.  pofiumus: quod diuinitatis potiusiquam humanitatis effe uidetunillud quis  reprehendet ut in hominum locierate ad quam colend >m tucndamiaugendam  ^ nati fumustuerfati prudenter iufte fortiter deniqi ac temperate uiuamus/ pa  rati pro pania ac parentibus nullum laboreminullum periculum deuicemus..  In omnes qui nobis fangumeconiundifunt pietatem obferuemus: Ciuibus  nofiris aut egenis liberaliterfubucniamus: aut errantibus redam uiam demo-  firemusiaut iniuriaoppreffos confiiio opera gratia audontate<^ noffra fub«'  leuemus.Speculationem ucro magnarum rerum in maturiorem zratem anp  inipfam fenedutem : quz a multis perturbationibus i quibus huiufcemodf  uita maxime impeditur liberior effefolcC reiiciamusiquamquidem fententt  am iis quz de Hyfach magni Abraz filio dicuntur : tueri fe poffe confidunt:  Nam quod de patriarcha lilo legitur egreffum effe ad meditandum in agrum  inclinata iam die ita interpretantur exiffc illum a corporeis fenfibus adme ditandum in agrum quafi feorfum ab humana frequentia inclinata iam die/  id enim efi circa fenedutem iam femore fanguinis ceffante.Conanr prztereii  Cuamcaufam grauiffimotu uiioium teffimonio corroborareiqui ufutn potius    lQ.P.Virg.M.AIIcgo<   triqaam aufamunde bonum (it confidcrantesadionem contemplationi aiw  teponunt. Pcxfcrtim in uiridiori aetate: in qua philofophum agere, dicere rem  publicam adminiftrare militare at^ imperare iubemtoftenduntip Platon ip  tum uakdioribus annis K nauigationes io (Iciliam : & (iudia in Dione exerciM  retSencfccotem autem in academia circa ueri inqai(itione quieuilTe: Xen ophi»  tem quorp adolefccntem in rebus agendis fummopere laudant:Srn:m ueto in  fpcculatione admirantur: & beatum propter odum putant: Q_ui n etiam mub  tos ut fapiendorex fierent plurimos populos paagrafle oftedunt : Q^iuproptct  K Homerus Vlyxem fapientem propterea dicit:quod multorum hominum ut  bes ac mores nouerit:Huiurcemodi igitur ac plura alia in unum collig^es/qux  tu fummo artificio ac prudentia nudius tertius cum hoc genus uiucdi laudibus  efferes enumerabas fpeculandi propofimm in feriorem ztatem rdiciunt i at^  ad res ciuilcs agendas interim fe conuertunt:Q_uod quidem uitx genus qui ui  tuperabit/is profedo iuflam ut ab om nibus uituperetur caufam prxbebit.Sunt  enim fua (ibi qutxp muneraiSt plutima quidem at^ przclaraiquibus (i rede fu  gaturi&czteris utilitatem ficfibi gloriam tranquillitaremip quoad imbedllitai  bumana patitur (ine controuer(ia pariet:Q_uapropter non (ine fumma ratione  tutus tranquillnfip portus in caithaginen(i littore defcribituricuius formam li<  tum^quzfo diligentius infpidte.Eftenim in fece(fu longo locus:quem infula  portum ef&datiMortalium enim uita continentem: ea enim terra eft quz marU  nis fludibus minus e(f expolita nufquam hibct.lnfulam autem habet zfiuinti  busafliduofurentibafip undis undu^perculVam.Sed quz tamen ita fua mole  beteat: ut aduerfus omnem uentorum undarumip impetu immobilis fimpcr  obduret : Nam cum hzc quz momentanea funt:& tamen (f ultitia humana bo  na putantur fortunz temeritad fubieda (inticut^ amore fui mentes humanas in  Cendant conficerent profedo nos nili infula in medio mari (imus : quz quauis  unditp mari mndaturitamen uirtutibus (fabilita non mergitur.Eif autem in 16  gofccefTuiNam animus uirtutibus aduerfus fortunz impetus munitus procul a  perturbationibus feiunduscft.lllz enim obiedu laterum repelluntur. Cu hin:  fortitudo contra res aducrfasihinc temperantia aduerfus res fecundas opponar i  rede^ uafte rupes appellantur. Virtus enim in diffidli luco polita etf.Aode qtf  ita medium tenet:ut quocunt^ te inde araoueas:ad extrema peiuemi ndutn liu  unde tanquie^piti rupe labatis gemini^ minamurinczlum fcopuli. Nam  non folum noUra prudentia freti res magnas aggredimur. Vei um multo magu  diuinoconfilioconfili.NcctemetedidumeQfubrcopulorumuettice zquota  tuta li(ere.Nam appetitus duplid lumine illuftratus ab omni feniper pemiiba  tione liba cfi.C^uod autem defupafczna corrufeis filuis6t atrum nemus  horrenti umbra imminettnon caret rationeiNullo enim in homine prudenti'  am inueniasiqut earum rerum quas fua temeritate fortuna uafat cuentus pem  tus przuideaticum tortam^ diuerfis caiibus cxponamuriut pcrfzpe Si quz  nocitura (int fummis uotis expaamusi6C ea quzfieuenircnt falutiufui^ ef  fcntiueluti noxia omni indufltna fugiamus tOeni^ in aduafa fronteaquz  dulces depizbcnduntur.Nam cum procul a uatiaium cupiditatum fludilMis    Liber totius    ^botiSftifflunezur^ buiufcctnodi uita:quz (ioo beata omntae e quieta tamen  'tcanquiUa^ (it.H uiufcemodi igitur pottum Tubcunt: qui fuprema diu fedati  ac poRrrmo difficultate deteriti fe in uitam focialc contccucnin qua ciuilibus  uirtutibua exculticuinuerrentuc laudem non medioaem reportanti longe ta«  ^en ab ea diuinitate qua quairimus abfunt . Q^uod aute feptem nauibus huc  iubicritiquodi^ reliquos c (copulo profpiciens requirerenquod detnu focioru  inopiam raritu uinoij rublenaunic buc pertinent ut intclligamus eu qui rc pu«  bJicamadminiflrandam fumat oes labores omnia incdmodafubire oportera  ut illoru quz fuz fidei cdmifTi funt falutem incolumitatcmi^ conrcruet:Q_ua/r  iptopter fit Acate$(^ea enim principis cura efl^ igneexcitabit/id eft dcfides ad tes  agendasaccendetiutquz ad uidumncceffana funt minime defintifit fcopulos  Buendens abrentes requiretiquos (i tutari non poterit iis qui afTunt confulitiillo  tnm^ inopiam cu fublcuauerit etiam oratione confolabituc:optimif(^ pcepds  ita in^oet/ut admoneat non effe huiufcemodi hoc uitz genus ut m eo fedes &  gere uelimusiSed effe omnes labores ac difFiculutes fuperandas /ut in italia per  ucniamusiubi demum fedes quietas muenietiubi etiam Troia reforgetiNam cu  uitauoluptuofaibiquzreretur eaaderatuoluptasiquzafenfibusprofeda cor  porca edet fit caduca: fit qua (latim poenitentia fequebatur.In italia autem uolua  ptasfuma prouenictadiuinaturaum fpeculatione.quz uera fimplexcp fituo  luptas quz perpetuaiquae ztema qua nullus moeror fubfequac .Hzc enim opti  tni principis adminidratio eft:na cu u ideat ciuile adione humanz indigencizt  non aute ei quz io nobis efl diuinicati inferuiteiita in illa uerfabic :utcu quz ad  mottaliu inopiineceflaria funt ^uidetinfuotutame animos ad diuina etigatt  iubebit^ eos aduerfusfortunzcafus durare: fit fe rebus fecundisquas in latio  inucniet feruare.O diuinum ingeaiu.O uitu inter ratidimos uitos omnino ex  cellencemifit poetz nomine.uere dignumiqui non chridianus omnia tamc chri  dianopr ueridimz dodrinz fimi liima proKrat.lege apodolu Paulu. libet enim  unum hinc ex omnibus ucluti nodrz religionis caput nominareiqui uitam hu  manam ad huiufcemodi notmam dirigitiut ne^ corporis necedatia fubtrahen  da:flt uero inuedigando femper uacandu cenfeat.Q_uid enim ille fufe late<^ de  Cmbinquod hic poeticis an gudiis non coardetiMiraprofedo restut fingula pe  ne uerba longidimas e platonicaiaridotelicac^ re publica:fentetias ampledi ua  IcantiSed nolo quod quidem hadenusnurquainfeci:itaexade hunc IcKum  profequi:ut reliqua deinceps aut omittenda:aut ea celeritate przteruolanda  fintiut idem nobis eueniatiquod longam piduram in citatiiTimo curfu per«  (piciennbus euenire folet.Ii enim in puado teraporisicum id etiam magnope  tecontendanticolorcs notare uix poffuntiliniamenta autemifit corporu fimu  Iaera fit quam grzci fjmettiam nominant ne uix quidem. Q_uapropter relu  quaadtnaiusocium differantun^Oratio autem Venerisad iouemrurfuftp lo«  uisad Venerem meram textus (criem continere placet.lnferuiut enim omnia  poetico f)gmento:ita tamen:ut non nihil de mathematicis decerpat Maro: fit  unde luboyt familiam in primis autem Augudu laudet.Nam quz ad allegori  am tcfcitc uoluffius iude folu accetfenda cefeo unde duc^.fiu fpote fcquanf    In.P.Virg.M.AIItgo.   Sin 3utc ui ingenii inuitamuntur/twtu de grauitateruaamittunttatridtada  pene reddaqtuttluc^ omittamus anxias interprxtationes:ea(p folumaflim»  tnus/quz non modo in abdico non latentsfed ultro Tefe quxrehtibus offerant.  Q_uod autem paulo ante ad mathematica pertinere dixi pauds quidem fcd ,uc  temporu anguSiz ferebat no oino obfcurz in principio expolitu clTe puto.Ita^  teuertor ad Acnea^lc enim per node plurima mete repeti ftatuit ut prima illa  ccfceret loco^t natura diUgctius exploraretSt hoics ne an ferz teneit inucdigarc.  Q_uibus untibus qualem oporteat eife rei publicz adminiftratorem egregie, a  {timit. At^ in primis illud bomericd approbat.   Q_uis enim cui tot mortalium cura c6mi£Qi Iit uu'  uerfam nodem fomno impendet. Id aurem fumma (apientia didum omnes  fatebuntunEft cnim’optimi principis uel praecipuum munus cum loca inculta  uideaciut homines ne an ferz inhabitent iibi exquirendum proponat. Na qui  uitam ciuilem diligenter intueturmaria hominum ingenia;uaria fiudia uario^  q motes inueniet. Sunt enim qui redo honefto^ r(mperincubant:ciuili con  cordiz faueancsLibertatem (aluam eflecupiantmeroinc plufqua leges intepui  blia ualete uelint.Iniuria oppreflbs fubleuent . Superbiam fcditiolorumciuid  deiedam cupiant. Maieftatem publicam pro uiribus augeant.Religionem de«  ni^iac iufticia omnibus rebus przferat.Hi igitur iure hoics appellari polTunt:  quoniam humanz naturz officia non deferunt.Contra autem plurimos repeti  as/quotum pctulantifTima libido nihil fandum/nihil pudicum relinquat: pluri  mos qui fuma auaritia acccli/omnia uenalia habeat:& aut ueluti uulpeculz do  lisiinftdiif^p incautos decipiat:auc uiribus fuperiores cum iTnt opibus quo^ fit  honoribus eos anteite uelint:quibus fapientia ac uirtute longe fintintetioress  buiufccmodi igitur uitiis deprauati homines quauis effigiem mebra:^ humana  retineant/tamen quoniam mores ferinos induerunt/no amplius hominesifed  immaniffimz ferz putandi funt.Q^uapropter in humanis coetibus longe plu«  ra funt illa;quz uitiorum uepretis at<^ fenticetis unq inculu hortent: quam ea  quz ingenuis artibus prxclarifd^ uirtutibus exculta nitefeant: progreditur igif  Aeneas ut fingula diligenter exploretinon temere tamen:fed Acacem tidiffima  comitem fecum ducit:8( armis inffrudusincedit:Nam quis unquam rede re  publicam admini(lrauit:cuius animus aut cura ac diligentia uacuus fit:aut for  tiCudinecareat. Iliis enim quz agenda funt multo antea przuidemus.bac au  tem nequid ex iis quz magna ac przclara puidimus ob moetu infedu relinqua  turtcfiffimusiCum igitur rciedo in aliud tempus contemplationis propoiito  adeiuilem uitam digrediatur Aeneas:Sit^& in ea multum elaboridd/opus  eft ut & duce matre ad illam perueniat.Nifi enim amote catum reru quz age  dz funt calefcat animus aduerfustantos:tam^uarios labores obtorpeatnc.>  ceffe eft.Fit ergo illi obuiam mater no tamen cofeffa dea/qualif(^ uideri czlieo  lis & quanta foletiEam enim fe tuc offendit cu filium a uoluptate eo cdtilio ab  ducebat/ut ad fumu tenderct:Q_uo tempore oportebat ed inflamari amote di  uinaru rerutqui & ipfe diuinus ab omni materia 8C corpore jicul abfit.Hic adt  catum reru amote incendit" :quz corpotez Bi magna ex parte mataiademafz Liber lotiui li  io “!• lA ab ife «pg bb aS sua tsb mt   s'4U  *•. utii at». ia? r   i*f   aO   liii   ga<   'fb fihhQ_^uapro{iter non deam confcfTaafed humana fotma diRiffluTata fefe filio  offcit:ftin(yiuaotueiiatriziIIiappartt:Q_uem quidem locu planius uobis nf  primamati pauca omnino necniu ea qux nrcriTaria funt prius de fylua rxpofur^io.Omnium tetum qux funt redum quendam ordinem eiiflere : Trifmegiftus  Homerus ac Piato oftenderunt: Atm ut quot fentirent dilucidius exprimeret au  ream cathenama naturx fonte ad innmam ufep Fecem demitti finxeruntiqua fa>  is gradibus eunda connedanturteuius origo cifentia dei cum (it eo ordiue proce  ditut ut fecundo in loco potentiaztertio fap'entia:at<p quarto uoluntas collocet t  bxc fequitur fatum attp illud anima munditdeinceps funt cxieltes demonest (iit  xtbnriifunt aereisfunt bumedeitfunt deni^ terreni. VItima autem omnium by  le^quam nos fyluamdidmus^in infimo refidetiPoifemfingula non fine fum<  mo ufu atip uoluptate oratione mea profequi. Sed quoniam difputatidi noftrx  neceflarianon funt brcuitaticonfuIam.Q_uamobrem exteris obmiffis deu prin  apium lyluam extremum in catbena ponemus.Nihil igitur deo fuperius . Nihil  fjlua interius.nibil hocprxftantius.nihil illa uilius . Media uero inferiora fupe«  nntta fupetioribusuincuntur.Eft igitur deus & fyluathxc autem niatetia efttex  qua omnia corpora funt . Vt enim lignarius faber materiam ex qua eunda fadat luam habet . Continet enim illa rude adhuc lignum s K informe: Sed quo tamen innata fibi facultate formas omnes redpere ualeatifaber autem in quafcun^ uult formas illud tradudt tcadem ratione ad deum materia eft.Deus enim for  masomncsabxtcmitate complexuseft. Materia uero fi illius naturam infpicias  formam nullam certam expreffam habet. Verum innata fibi recipiendi faculta  te t & ut ita loquar confufe omnes continere uidetur. Materiam uero quia matet  fit didtur. Ceus autem pater: forma uero prole$.Deus enim dat.fylua redpit. *fotma nafeitur . Q^uapropter rede Trifmegifhis patrem matremtp xtemos: pro  lem uero mortalem didt . Mater cfi materia quia finum prxfiat. Deus gignit : 8C  oeat : ac fua quidem ui . fila autem ex alterius immiztione condpit .Condpit au  teminfufione fpiritus diuinitquam animam mundi nominat Tnfmegiffus t  Q_ux res eum mouet: ut deo ofiidum patris tribuat : quoniam infundit: SyU  ux uero mattis t quia a deo condpiat: Animam denicp mundi uim feminis hsb>  bere dicit : quia a deo ipfa infpiretur in fylux gremium . Prxtereo plurima nomi  aatquibus uariasfyluxproprietatesexprimit:Illaenim nihil ad hxcqux agi«  mus : Sxpe umen totam materiam appellat malignitatem :ne« iniuria.lpfa eni  IblacauQefitutresmintentumcadant.Namquodamateria feparatumefitid  nunquam interit: Nunquam enim quod fibi contrarium fit capiti fed illud fu«  gitat femper at^ declinat: Quod vero fylux gremio continetur: iccirco in la^ teritumiabitur: quoniam fylua/cum ad omnes quas qualitates appellant xque  lebabeatcuenittutuelutialteraHelenaintra teda uocet Menelaum:ac limina  pandat. N^m dum foimas illis quas hadenus receperat contrarias admittit: fc«  cile fit ut cxtemx irrumpentes domefticasextinguant.Q^uapropter quis illam  malignam non dixerit t qux familiares fotmas prodatiignotas admittat: K uelu  ti fufiepri iam in fuam fide m clientis caufam deferens : aduerfariiqi fufcipies per  timtnam perfidiam p eaoiaticeruf i Tardat etiam & perturbat noftras mctesfyb  k rn.P.Virg.M.AIIego«   Ui t omae ab ea uiHum nunat. Viaa enim mfcitia igaotatioa [«St   At ignorationem ipfam cz craflitudine caligine^ corporis prouenire & Plato S  plaeri^ cz iis qui grauiflimi habetur philofophi audorcs funt.Huiurcemedi igi  tur rationcmotus diuinus Maro cum rerum humaiurum:8;qua; corpore no a  rent:proptrrca^ in uariis erroribus uerrenmr:amore inflametui is qui in re pu>  blica princeps effe cupittuenerem Tub mortali forma inducit Sc in tpia lylua:guo  niam eunda quz agimus in materia demerla funt illam ponit.Nec temere umv  tricis habitu ezomat : Eas enim feras de quibus paulo ante dizimus fibi infedai  das proponiuquifuis cibus rcdcconrulturuseO.Acneas tamen non nihil diuir  nitatisin ea etiam iic diiTimulante cognofcit.nam Si (i populorum temperatocai  circa humanas adiones uerfenturuamen quoniam honelhim redum^ tuentor  eodem illo amoroquo hzc caduca appetimus / originem nollram diuinam eflie  fcntimus.cum enim reIigioncm:cum luditiam : cum animi magnitudinem atb  amamus : uerfantur hzc profedo circa adiones .Sed tamen quis non uideat illa  a diuinitate proiteifei C Eft tamen oratio uenetis non ut dcz : fcd ut hominb: K  tamen nefeio quam diuinitatem redolens : Nam cum Carthaginem proficiid lii  adeat:argumentationibusab humana prudentia profedis utitur: Nam K quz  de hilioria Didonis eruit : ea omnia falutis fpem afferunt : Si cum aliquid funp  rum przdicitmon ut deaifcd ut augut ex cygnorum uolatu przdicit . Illud aute  fumma fapientia czcogitauit poeta : ut in orationis fine fe deam manifeftatet Ve  nus : Nam cum in uita ciuili quz reda Si honefta funt diu coluerimus ez illotn  pulchritudine ad diuina quotum hzc ueluti (imulaaa funt erigimur.His igitur  rationibus a matre perfuafus Carthaginem tendit oblitus tamen tenebris : ne illi  us conatus aliquis impediret . Et profedo fic fe res habet . Nam qui magna pru<  dentia przditi funt uiri cztnam multitudinem quam adminiftrandam fufeipi unt ita ad redum honefl um^ trahunt : ut fua conlilia fzpilTime tegant:quz q>  dem fi palam facerent/autzmuloruminuidia: aut dulcorum infcicia impediti  illa ad ezitum minime perducerent: Vtenim prudentes medici zgrotos(^qucv  tum libido nihil falubre ezpetit])perrzpe fallunt : Sic optimi prinapes fimutan^  do aut dilTimulando fua conlilia occulcant . Nam ut cztera obmittam nonne  qui leges tuleruntiquo maior ei audoritas inelfet/fua conlilia alicui deo actnbu^  erunt fCunda enim ez Egerie nymphz przceptis Numa Pompilius facere finiu  labatilusciuileSpatthanorumez Apollinis fententia faiplifife iinzit Licurgust  Q uicquid Zautrades apud Atimafpos conltituitid a bono numine accepilTedi  cwt.Zamolzis autem quzcuis Scythis tradiditiin Vedam reculitxNam q mul  ta q difBdlia inter tumultus militares rede ad ninidrauit.Q_. Sertorius cum fe ii  la a Diana per ceruam accepilfe diditarct tSed nimis multa dere przfertim ta tna  nifeda: Carthaginem ueto e loco fuperiore cernunt: quoniam ut nudius quo^ tertius difputatum ed nuquam optimis indituris  Si legibus temperata erit res  pub.nili qui illi przfunt eunda qu aut przcipiunt aut prohibent ad eotu qax  per rerum magnatum speculationemuideritu regulam ac normam sapiennllb tne diligant. Cum autem Carthaginenlium operam indudriam circa urbem difiandam dclaibit/nonnc pauciflimis ueifibug onuiia colligit: quae^ iia 9 c*\Ili «f   m ii m ta ai lU U Kl iiM ib gia  \tt\ th ‘S ipn iii^   F! jpb  (f  ob  09  0* xb s 3 ib  <1 Liber' tertiui edam (apfari(Cine de re pub.latprerut)t:noa ni/i pluribus libris exprimuntur tamum enim ea parant ibiis aduarus ho(tiles impetus tuti (t nt: uibus  V^^fe contra czliiniurias priuatisxdifidisfedefenduntiHzcenim duoprx^  fiant ut duitas efle pofiit.Poft bzc uero ad iura & magilhatus fe conuertunt : ut  nonmodoe/Te fed quod proprium hominis e/l i cede bonefte^ e/Teualeant:  Quoniam autem ad magnificentiam & ad liberaliutem &ad uim propulfan^dam publicz opes in primis utiles funtipottus optimi/efiiciundi ratio habetur t  Poftrcmo autem (icznz ac theatri cura non negligitunubi & corpora ad ualitudi  nem &robur exetceri:& animi publicis priuatifi^ negodis defatigatiihonefii/Ti*  mis ludis relaxati pofiint: Qua autem mente & quo confilio illos apibus com«  paraucrit : quzfo diligentius animaduertite t Si enim huius inferti naturam con  fideretis nihil illo aut induflria ac folertiaacuriusraut a/Tiduo labore indefe/Tius  (eperietis*Ouccm in primis habent quem fequanturt cuius impenum nuquam  contemnannlabores inter fefumma zquitatediftribuuntiSummaconcordia 8C  opera fua fadunt & boftes arcent.Q^uicquid quzrituriid omne in comune qux  iituriQ_ uz quidem omnia fi in rem pu.aliquam tranfferasiplatonicam ciuitate  cxmfiitues.Erat autem in media urbe templum lunoni facrumiut ofiendatur ni  bil oportere in re pub.antiquius religione eife • Et quoniam primx in uita cluili  przces funt/utimperium non folum conferueturifcd etiam augeaturmo fuit ab  re templum ipfum lunoniiqux imperiorum dea habeturiomni cultu confcaare  longior fim:at<p etiam minutior/q tantz rei conueniat fi fingula quz in templo  depida erantiquz a regina adminiftrabantur : quz ab opificibus efiiciebanf idU  fiindiusrefetamiMultactiara in Ilionei at^ Didonis orationecontinentur:plu«  ra in congtefTu zneziplurima in conuiuio Si in coiimdione hofpitalitacis deprz  hendasiquibus uita fiatufi^ ciuilis expnmituriQ^uoniam uero nouerat fapictif  fimus uatrs primordia rerum pub.& imperiorum uirtutibus niti: Veriiep effe Sa«  lufiianum illud fi imperia iifdem artibus retineientur/quibus acquirunturind ef  fe tot mutationes habituras res humanastiedreo primum regis reginzq; congref  fum ateligione/a bberalitate/St abomni genere uirtutum profidfci uult.Srd ita  paulatim in deterius labantur/ut quz pudidflima fuerat mulier/K in re pub.ad«  minifiranda uigiIantiiTima:turpi amore uida in odum lafciuiamip labat ui«   bus omnibus oftenditur q fadle rebus fecundis humanz mentis a labore in libi«  dinem declinent.Q_^uotiiam autem uirtutes tn uiu fodali potius inchoatz q ab  Iblutz funtiHic autem ita de uita duili agituriut uelit exprimere quod paulo an  te dicebam fundameta rerum.p.qux ex paruis aefeunt/habere meliora initia / q  exitus; iccirco reginam a prindpio in omni re temperatam pofuit:paulo uero po  fiea amote infutgente paulatim ex temperantia in continentiam labitur : pofire»  mo uida amore incontinens iu redditur:ut demum in fummam intemperaiui»  aminddat,/Moueturautemaprindpio Dido/ut znramamet/non folum uittu^  te quam urum in uita cotemplationi dedita intuemur:Sed iis qux humanis cm  tibus non folum bona uerum etiam fumma bona babentunC^uis enim in ge«  neris nobiliutemiquis formx dignitatemiat^ excellentiamrquis deni^ multo  ornatu infignetn orationem inter fumma non enumaetiCurn in foro/cum in fe  t loP.Virg.M. Allego*   oituhzc BOB fapieBtum ftatcmfed populari trutina pondereBtarfX^uofliia  utro ta uica comuni pmulti hitcreii quibus cofulroribus utaris.Muiti cnitn aut  tnalo exrinplo motiiaut rorum quos caros habrnt non re^s fuationibus impui  n ad praua raoum^ snon fuit abfonum ut Didonrm fororis hortatu impudici  fadam inducat.Mifere enim amis mulier plurimu^ iam de eo animi robore rt*  mittens: quod inteperata hadenusapparueratcontinctem in primis uabis qux  ad fotorem facit fefe oftedit;Nam quis amore urgeaiT /atgre quidem/fed tameilli  reftftitiSororis autem oratio ex uita comuni uniuerCi fumif iNon enim ex philo  fophia fumptis argumctationibusifrd aut uoluptate ppoiitasaut ihcetu earu te*  rum quxtantopeietimendxnon funtiniedoiaut fpc nec firma necfolidapror  pofita in fuam fentctiam adducere conaftut deniip fpem det dubiz meri : foluat  qi pudorem.Q_ua quidem re acciditi ut uidam in incotinentiam probbertt:ln  ea uero cum uerfaretunpaulatim impudica confuetudine eo redada eftsut nulla  amplius obflantr pudore furriuum amorem minime mediteturifed impudenUi  ma tffeda turpem libidinem honefto nomine appellet: In qbus omnibus quid  aliud teneat/quid conat' diuinius poeta/nill ut Didonem grauifTimum nobis ex  cmplar ^ponat/quatum detrimetum iis qui fub imperio luiit j>ueniat/cum prin  cipum mentes pro induftria ac labore luxuria at<pignauiairrepai:lila enim qua:  paulo ante extetnos at<j peregrinos non nili breuiter ac demilTo uultu alloqueba  tut:Cuius religio fumma in deos/liberalitas in hofpites/cofilium in urbis ex *dv  ficmone/iuftitia in fuos ad czlum ferebat ;qu* in publico nili aut diuiu* aut pu  blicz rei caufa cofpici nefariu facinus putabat. Cuius aius pudore munitus aboi  pturbatione liber pfcuerabatmuc eo furore agitat ut tota urbe ames uaget :aut li  domi fine amato fecorineat ucluti li fola fit/ar^ aboibusdeferta fummomaro*  letabefcat. Publica aut opa ita negligat/ut qu* badenus fua curatfuifip fupnbust  quz fuoyt ciuium labore ac (ludio fumma cum celeritate erigebant iniicimperfe  da interruptatp pendeat; Aeneas aut cuius cdfilium italiam fibi propofuerat/ue*  tum difficultate rerum defatigatus Canhaginem no ut illic fcdes ponereufed ut  claffem reficeret digtefliis fuerat illecebris Didonis illedus fipofuum ^fiafcmdi  abiiat:Nec deefl I uno.Q_u* ne res tomanz oriantur/ Aenez Didonifi^ coniugi  um Carthagine facicdum curet. Verum cum id fine uenais opera pfia nonpop  (et: Venus aut filium non Carthagine uerfari:(ed in Italiam enauigare cupetihac  deam dolis aggtedif lunoiut quz Catthaginenfiomcaula faceret: eaoia Aenez  beneficio fieri uiderent .Q_uz cum dicit Maro diuina pene lapientia uitam foa  alrmdepingitiinquacumita quidam excelfoanimoucrfenfiut humana cotem  nentes ex hoc primo uirtutum genere paulo pofl in eas uenturi fmtiquaspurga^  torias appellatiat^ inde ad illas tandem quz funt animi purgati puenire conten  dantitn illecebris rerum terrenaru ita molliunt" lutczlefhum quas fibi folasppo  fuetant/peneobliuifcanf. Libido enim imperadi Aeneam Didoni coniugete: id  aut eft uiru excellete regno przficere cupit:Sed rem pficere non ualct nifi alfeotv  atur eius amor: Amor autem aiaduertit huiuiccmodi coniudione no Aenez/ftd  Didoni cofuli /no enim animis hotum ad maiota natistfed ipfi impio condodt»  ptzfiat Dobisad uctam fapicmiatn ^ ficild/quam in adioni^ uciDwfcd    - Liber tertius   cetum sdtnitiiftratioa (apientibusii deferatur adum iit de rebus hutnatirs opor  trtifta^quauis falia e(recogoofcat:quae libido regnandi perfuadet tjmen ailin  titur;iiuc iam illa inetitusllt ifiueeorum quibus confulendum cft mifaicordia  motus sCcldiratur autem huiufcemodi matamonium in uenatione:de qua  quid femiremptulo ante latis ut opinor uobisdiludde explicaui:Q^uodaute  in fpelunca loco fubtercaneo conuenerint:quidnam aliud indicare crediderim/  nifi cos qui honores/qui opes/qui imperia quzrunt intra corporeas caducafc^  tesanimuminclufumgerererCuicdnubio prarter tellurem &lunonem;prxtet  ^ nemorum bibitarrices nymphas uides numen nullum afiFuilTe: Q^uz omnia  iis quz de fpelunca diceba apte quadrare uideotunirrentus igitur Didonis amo  K Aeneas abeundi propolitum abiidt:& hieme quam longa eft in fummo lu<»  zu conterere non pudet.Hoc uero quid libi aliud uult nili egregios quo<^ uiros  interdum a redo curfu ambitione aduerti:& honorum imperii^ uoluptate de«  linitos hiemis afperitatem& enauigandi in italiam dilhculcatcm exhoirefcerc»  Q^uapropter nili diuinitusfubuentum Iit excellentilfimzatc^ immortales bo^  mmumuirtutes tam pemiriofapefte pereunt; Id ingenii at<^ beneiiciiin Circe  fuilTe fcruntxut Vlyxis fodos in uana monllra tranlFormaret: Illam tamen ica in  luam potclhtem ttaduxifle Vlyxem audimusiut Forma priftina fociis fit relhtu*'  ta.Neccgoid admiratus fuerim.Excello enim animo qui funt corporeas Iibidi^  ties fadle contcnunt;Q_uin & cos qui illis dediti funt rede monendo a tanra fer  uitute in libertatem uendicant. At luDonemfuperare ranOimi mortales potuco  tunt:Nam qui imperandi cupiditate non tangiturxeum omnem iam humanitas  tem ruperalfe &ad dioinitatem proxime accemfTe crediderim:Q_^uapropter ena  quos in fumma admiratione habemus: cos ita frangi huiufcemodi cupiditate ui  demusxutrelidauerauictuteinligniaulrtutisueJuti umbram fedentut: Fadle  enim ell Sardanapalli aut Heliogabali molliflimas delitiasacluxum cotenere:  At^ adeo odilTctCum uero nobisaut Alexandrum macedonemtautlulmcz*'  larem proponimus eorum res geftas:in quibus utrum^ a uero cedo^ difcedcre  fzpe uidemustra glonz cupiditate admiramur:ut illud ex Euryde impium oma  nmo& dignum eo rege a quo profertur interdum approbare non dubitemus;  putem uf^ homini conducere li regnandi caufa iu$ uiolet : Q_uz quide res una  mouit poctas/ut Herculem quem fapiente ferunt:&; rebus a fe przclanlTime ge  ftisczlumafiledaircuoluntpriusomniamonllradomaire/qua lunouis fzuitu  amfuperalTelingeceac.Illa enim non mater fed iniuftilTima nouerca magnord  uiioium rede dicitur* Non enim mortaliuroCut plzriq^ credunt } fed czleftiu  rerum cupiditas eas uirtutes parit quibus ad fummum bonum peruenire licet:  (^uor^uide nili placata prius iunone id autem intelligjmus aid fedara ambi^  dooeallcqui no potuit HercuIes:Q_,uis igitur hoc Aenz non condonaueritxac  potius quis illius no comifercanliDondu in italiaexillensxtis eoimeft fumaru  uirtutu habitus.fcd in ipfo curriculo ut illhuc^Edfcai:’' adhuc coftitutusiu luno  nis dolis apiat"' :uc matnmoniu cu Didone initu fedibus libi a fatis cocel&s ppch»  nat;& colilio abeudi abiedo arces Carchag^s fudaretac teda nouare iftituac t pur^  puea^ SC ento lapillis aon^umtquasqu impetti Uignia funt gelbrc gaudeat:    ' In.P.Virg.M.AlIego*Non eft o LA VRENTI non inqui eft hutnan* itnbedllitatls.red cmol damfacul»ti«qua tamen condmo noOra arduum-.tatntp «xcelfum tetum culmen ‘U»**®* BAPTl ST Ai K (imul fuo ordine de reliqui* difpuututui uidaetut Mani^  hofpes nofter fiuuilTimus tum ex diei fpatio in iis qu* hai^u* dida effcni civ  fum^oitum ex multitudine eorum qux adhuc dicenda  quum lucis effet in ea di fputatione abfuroptum in colligens non pertmtam in 3uitruauifl'.miuiri:utcontrac6modumual.tudinem<jno(bam^qu.b^^?uidiuapudmeeriris:mibiomnid.ligentu«nfuJendi^!^^^   difputatio longius ptoducaturiAtquiegoitidm.nqmtLAVK£NW^   idem cenfebaraifed ne tanti uiti oratione moleftii« intapell«em/pudore i^  diebar prxfenim cu te o Manotte tuas partes fuo tepore  equide mquit MariottusiK fimul fua lolita feftiuitate BAPTISTAM manuap  prehendem/nos ad cellulas ubi menfx paratx erant reduxu. rURISrOPHORI LANDINI FLORENTINI CAMALDVLENSIa  vM niivTASvM ^ laVSTREMFEDERlCVM VRBINA-  jKSrJbER ^IaRIVS 1N.P. VlRGIUl MARONIS  allegorias incipit feliciter,   S Eruenerat iam fuperior libet Inclyte ac InuiiSi^me Fedence   in quotundaro hominum manus 1 qui cum dofli linti dry  aiffimi quocp & haberi 8£ dici uoluntiQ^ui quidem quauis  'de Maronis Aeneide antehac longe aliter dC fenfiffent/8: pri*  'dicahenticouiai tamen ut puto iis argumentanonibus : qux  I nobis in probamio illius libri expofitx fuerantimulta in eo   F li rnnfcrinta elTe necate non audentiSed ea huiufcemodi el   fe Jowmduntiut non ad ethicen ut nos longa oratione difputauimus s fed a J   IhvSferendafint:ptoferunt 5 ad id qued defendere cupiunt probandum   fcriptoresquipauloantenoararoxtatcmfueiut minime illiiteratosiqui non J L/indelMos« acute & doaeinmpretati naturam tetum il is exponi conttn   los inde locos K ac „fpondendum ctnfemus/ut multa in eam qua diA SmriorisquoJdieifermonenosdixifl-ememiniyirgilm   nlura deorum genera inueniffet s confulto ita fcnpfifle fl£  A ^ ;,FMmffeuteademilla& aduitammottfip: 8 Caduimnaturas:Kad   wriuruoluputtm f eferantur.Verum cum confilium mettmij   tcstotafufceftacftnoircuolumusiidcenfco femper   ipfo hn«qu3nf.bie.ration.fcriptotpropomt:  ^um fipttahujomnuiniiriludingttut» ipfcqcquid narrat iqcqd tctninv \ 1 1 Ir £ I- 8- r K ^ P -B -t.-« . Libet   ii iuiatnr referat. Hoc oun ita fit quis non uideat ea quae ille ttadiutamdegett»   M damt& ad fununum bonum acquirendum (^dantia fcripfit no iccirco fcripfiC'  B Cuquo naturz uim ezprimeret.Sed contra cum iugi:perpctua^ oratione ea pro (eqiutut m quibus & uitia damnet<& uirtutis pulchritudinem eztoIlat.& ad ue   I» riinuefligationem perducat/ nonnullaadiunxifTe&omandi & deledandi cao  Ia b qua: fint ab ipfa phyfice repedta s Q_uz omnia cum non propter fe t fed eoru   li quae dixi caula confaipfetit equis non uidet id fulcepti operis primum efle feu  ^ malis ultimum dicere > quod nos hefiemo fermone perpetuo quodam filo ita   ia intezuimusrut nibilineointerruptumquzn poiTis. Nam ad idquodaptinci  Sh pio przpofituffi cfl omnia deducuntur Si fcquentia iis quz antecmerunt/uebe   menta cobzTcnt:Q_uapropta quz ab iis quorum audoiitate nituntur/ad pby  fictnrclatafuntminime damno. Nam quauisca ne^ multa fmtine^intafc  haaliud cz alio pendat > ut non potius membra quzdam diuulfaequam integrn  corpus uideantur t tamen non incommode traducuntur : ne<j fententiz nofoz  ccpognantiScd fac repugnare an plus apud me reda rado qua iliorum audori^  tas ualebitrprzferdmcumfi audoriute certandum fit eos proferte poifimus/  quorum fplendoteiiti uclud folis luce noduz hebetentur : Nam ut omicta eos  quos diligendilimus omnium grammadeorum Seruius fingulos libros in fiogu  los huius poctz locos commemorat: ut taceam quzaMacrobio exceliend inta  platonicos phiiofophotut nihil diam de iisquz&adiuoHieronymo & a di.  uo Augufiino in hanc fententiam apud Maronem interpretantur : nonne e  noftrisOantbcm uirum omni dodnna excultum grauilTimum audorem faabe«  mus: qui eius idneris quo mundum omnem ab imis tartaris ad fuprzmum ufi^  czhimpcragcatiineolibiillum ducem fingit/in quofummum hominis bona  paquitens/miro quodam ingenio uniam Aeneida imitandam proponiciut cu  paua omnino inde excerpae uideatur: nunquam tamen (i diligentius infpicie  . mus ab a difcedat : Nam nonne fiatim a principio ea quz de medio ztatis tem   ) 3ore:quz de fyluatquz de tribus ferisrquz de montis fublimiiam folis radiis il  uftntoconfaipfit:binc omnia funt. Mitto caetera: quz ita abdita in Oantfais  poemate funt:ut non nili a paucis iifdem^ dodiffimis dcptzhendi pofiint.  przponit igitur libi ducem Maronem in u re quz ad fummum bonum.non au  tcmadpbyiiccrpedetifeduideo me nimis cunofum in eo fuilfe : quod paruo  omnino n^odo confutari poterat . (Quapropter ego inilitutum repetam .  Tu autem indyte atip inuidilTime Fedence ut cztera fuperiora fic Si ilh quz in  ultima quaru diei duputationc continentur/diligentillime leges . Multa enim  illic inuenies propta quz te cum dTc : qui Si nunc es Si fempet fuifti fummo»  pae lactahacict^norcef^ ex deo confilium tuum fuilfe : quos a primis annia  bpientiz amore flagrans ita te bonarum artium fludiisaddiafti: ut quanto ta  dic tua ztas grauior fitttanto ardentius illis incumbastnam quod reliqui prin»  dpes apprime regium ducunt:ut aut multo odo uanifip ludis mircelcit:aut au  cupiis ucnarionibuf^ oe tempus tcrant:tu ne libero quide homine nili relaxan  dimtaduai aula dignu efle duxiflitred oportac eum qui aliis imperaturus fit  nWB omni dodrina excultu itddaaquq no fibi folatfed & iis qui fuz fidei co} In. P.Virg.M.AIIegflu   mifll rantjK dum «fit agit «emplo: «dum fapienter inontt pncepto maplo  limum prodifft po(Tit.Q_ui rigis munus clTe ducat non alieno labore ueluri fu   cus inter apes alisfed pro aliorum falute laborare.^uiinnoaiosabiniuriupro  hibtrr/fceleftorura<j petulantiam compnmeretoibuafe «quum prxbere curcts  Hrc autem folaphilofophia nobis pracftat. Aphilofophia enim habrmuatui  pie uiuamus tui pietatem ocmabhominemuft« ab omni fcelereabibneaniust  b uapropter uere iliud ufurpabat Ariftoteles fe id a pbilofophia afleculum efle/  Ut ea beneuolens/« cumuolupute ficerettquzmaliuinlegumatufaccrectv  I gunrurtbonis enimCut piato ait)lex deus eatmalis autsm libido.huiufcctnodi   Igitur fludia teita exculturo/ita omni ex parte expolitum reddiderunt/ut cum a inultis quod crimen fortunx eft imperiis finibus fupereristiis tamen uirtutibiisi  finequibusnemounquamiedeimperauit/omnesexcedas.Sed cartera omoa  quibus ex mortali humuculo te immotulem ducem reddidifli ad prxfw omit  to>Ptxcipuam autem in mnfaium ac philofophix cultores benignitate tacinii  prxterire nullo modo polTumtium animaduertam te ea in reiure omnibus prx  ferri poffe.Scimus in tata admiratione apud antiquos fuifle Ptolomxu philadel  phum ut ptxclariffimorum faiptorum laudibus etiam poft tot fiecula florentit  fima fama celebretur.Et profedo fingulatis fuit in eo rege iuftina mitabilifip cie  mentia.In te autem militarimec uirtus illi/nec fortuna unquam drfuinSed nb  bil in fuis omnibus aaionibusmagisextolliturtqua quod regnum fuM libera  liffimu oibus litteratis hofpitiu efle uoluerit . Tantu autem iis qui aliquid fcripfif  (ent debere putauittut Demetrio phalereo no folum philofopbo grauiflimotfed  oratori copiofilTimo negocium dcdentsut fibi ad quin^ faltem milia librorum  in fuam bibliothecam congerenda curaret. Q_ua quidem io re quos furoptus fe  cetitttunc optime conieiSati poterimustcum uidetimus quantu in fola mofaya  lege elaboraueriti ut illam interpretadam ac in grxeam linguam conuenendam  abhebrxisinterprctatetur.Primo enimoesiudzos quifuperionbusbelliscapti  in fuo regno fetuirent/diligmter inudligandosiat^ tingulos uicrnis drachmu  redimendos/& in patriam incolumes diraittedosmandauit: quorum numerus  adeo ingens fuinut foluta fint a rege fexcenta ulenu fupta fexaginta milia. Dtf  inde legatos ad Eleazatum iudxorum pontificem uitos (umx audori tatis mifit  Arifteaside quo paulo ante dixi & Andtea prxfcdumfuuiMifitptxterea men<  hm auteam/craterefej ac phialas donaria in hierofolymitano templo ponendi.  Mateiia uero hoium uaforum fuit auri quinquagintatargenti uetofeptuaginta  ulenuigemmatum autem atqj lapillotum/quibus uafa omab dilUnctatp funt/  ad quinm milia adhibuit/qui omnes mira elfentmagnitudine. Q_ux liberalit« adeo accepta gratacp Eleazaro fuittut duos ac feptuaginu ftatim ad regem mi'  fent i non plxbeos illos quidem/fed ex principibus dodiflimis ita elrdos/ut ex  fingulis tribus fenos fumeret s qui legem dei in grxeam linguam Ptolotnxo  conuerterent. Q^uorfum igitur hxef Nempe ut intelligant qui diligennus  rem confiderauennt Magnificentiam tuam erga dodrinas noOra tempelb'  tt non minorem efle / quam oLm Ptolomxi fuerit s Hoc enim folis luce cla/   liua apparebit ; Si Imperium Imperio 1 Si Sumptus Sumptibus conferantur. Libtt guattui   nfeaumnonfdlamutiiuerrzxgyptiopulentiitiimum regnum poHidebat/un^  dcaurt argenti^ inaedibilisuisproueDiretired Tyriz quo^ ac phcnictz tnaxi^  mam partem ucdigalem babcbat.Tuos autem bnes nemo ignorat. Adde quod  quo tempore Ptolomeus regnauit/plurimos A(ia at^ Europa prineipes habuit •  qui poetas t qui pbilofophos/qui oratores/qui hiftoricos benore opibufi^ bone  |^rent:ut & li fuo ingenito (hidio illa faceret magna tamen cx parte emulatione  quadam excitari uidereturme quos opibus uinccoatxabiifdem huiufcemodi glo  tix genere fuperaretur.Tua uero benignitas in ea tempora ineidir/ur nili ardeUi*  tilbmafittfacileczterorumprincipum auaritia extinguaturxQ^uaproptcr nulla  omnino eorum munerum quz in mulas con fers/gratia noftro fzculo eft bahim'  daxinquo neminem reperias ex iis qui nunc imperat:cu*us exemplo excitari pof»  lis.Sed quicqd estes autemres omnino przcIarifTima/id omnetuo ingenio;'U3^  ^ innata humanitate cs.Nam ab aliorum moribus procul dircedens/unieum te  exemplar ofiFersrquem & ad fummam liberaliutem czteraf<^ omnes redas adid  aes/&ad ueri inueftigarionem reliqui fcquantur.lta enim uirtuiem adamas: ut  illam non glona dudus/fed eius amore alledus ampledaris.Euenit rame ut qud  admodum umbra corpus (emper fequitur: etiam li id corpus non quzrarxHc < ua  pie iuHe/clementeti^/ac fortiter fada non adumbrata quzdam & inanisiTed foli  da cxprclTa^ gloria fcquatutxScd res polhilatxutiam ad noftriim heroa rrutrra^  murxin cuius adionibus tu mores tuos ac uitx inlliiutum facile recognofces.Co  ucneramus igitur eodem in loco bene mane quarta huius difputationis dic. AN  ^ cum miro deliderio BaptiHz fermonem expetere uultu gcftucp fignificarcm^  illexurquz explicaturus eilet iis quziamdida fuerant commodius annedrrrt:  buiuiinodi difputatiotii fux prindpium adhibuit. Vidimus badenus dodilTimi  uiri qua piudmiia ac animi magnitudine omnibus iis fotdibusxqux a corpore^  ueniunt fc explicauerit zneasxNamne troiz periret: 8C corporeis uoluptanbus pe  nitusobruerctucmondubitauit exui in altum ferri quis incertus quo fata ferret:  pod hzc thracenfes rapinas uc eas primum cognouit mira celeritate effugit. Ar«  ^ mox in rebus dubiis a fapicnria conlilium coepir : deceptufi]^ Anchife interprz  tatione.Namquz a corpore funt facile corporea fequunuir.uitam duilem in  Oeta fibi propofuit * Sed nec piguit errore cognito uela uentis iam tertio dare .  Delatu!^ mlhropbadasaducrfusharpyarumauaritiam inuidus pugnauit. Nec  per medios hoftes ad Helenum enauigare foimidauit: Prztereoqua prudentia  qua animi przdantia iam ab hcleno dodior reddirus immanitatem cyciopu de<<  ciinauem : qua indudria ac celeritate fcyllz charibdif^ mondra euirauenr : quo  fiudio atramentis ardore defundo iam in licilta parente nauigationem in lra.< liam rufeeperit. Verum cum lunonis dolis :zoli<^ ac uentorumuiribus parcis  fc non pollet : celTicilIequidim conlilio ad ueri inucdigationemin aliud trm  pusreicdoinaphricam eo animo diuertit: ut quam primum per tnaris id edap>  petitus tempellarem liceret : in Italiam tenderet • Verum in ditione aduerlilTimz  dezconditutus : & amore Didonis delinitus/Vide quid pTolfit ambitio : quantu  ^ ad mentes maximorum etiam uirorum euertendas ual eat / regnandi i nquam  cupiditate dclmitus is qui reliquos iam perturbationes ac uirufupctauerant di<«    In.P. Virg.M. Allego.    uinilTifflumcoafiliatnio Italiam enauigandiomiiTtttotum^rein eo dednatt  ut regnum carthaginmfium coSabiliret : perrcueraflctcp in errore ni(i acczpifb  a Mercurio non placere loui ur pulchram urbem uxorius extruat . Regni autem  & rerum Tuarum obliuifcatur : Prxcipitur enim homini a fumrno deo ut ad fu«  am originem rcuertiuelitrQ^ux praecepta nobis dodrina quam litteratilTmKv  rum uirorum uel Termonibus uel libris accipimus i facile tradit . Rede igitur ar«  guitur arncM/quod uxods urbis t ea enim eft uita in adione polita adminifbatio  nem TuTcepeiit . Suiautem regni 8c totius contemplationis qua Tola mentes hu> manz regnant Iit oblitus : Maximei^ hoc urgetur/ut Ii tantarum rerum gloria ip  fum non mouet i Afcanio Taltem tuerediTuccefloricp Tuo conTulat < cui regnum  lulia; t ac romana tellus debetur: quo in loco quidnam aliud ATcanium intelligcmus nili futuram ztemami^ uitam: qua: huic breui Atmomentanea; Tuccedit.  Nam li dum intra bzccorpu Tculauer Tanturanimino lhitantisrerum terrenarii  illecebris demulcenturiut carleflium contemplationem de Terant/ memineriot 11 in futuram uitam uitiotum labe inquinati & nulla dodrina exculti migraaerint foce ut nulla unquam ueritatis luce illuftren tur: Q uapropter regnabit Aiani< us:nuIIuT<^Tuoimpecioiiniseritnilieoapatre dmaudecur i futura enim uita  ab hac quam uiuimus ea rationeiquam oftendi iure gigni dicitur : ab eadem^ li  focdida 6i uitiis tenebriTcj inuoluta Iit: tanto bono denaudatur.   Sin contra manebit fcelix at^ a:tcma : Nam  Hic domus xnez totis dominabitur oris.   Et nati natorum & qui nafcentur ab illo:  Q_uzquidem mandata cum acczpilTetzneas:quid mirum li uehementercom<  motus Iit : Erat enim in eo animus qui excclTa Temper TuTpiceret. Ita^ Te tandem  excitas cupit qptimum abire: & terras quamuis dulces relinquere. Alluetusenim  poteftatibus at^ imperio uirfi£ dulcedine captus non line dificultate diTcedit.  Sed cum ucrum bonum ab eo quod falTa opinione bonum putat" diTcetneteptv  tueritiillud tamen anteponit: Cum uero poli diuturnam conTuItationem inla«  lutata inTcia^ Didone diTcederedecemat. Nouerat enim no efle pal Turam illum  diTcedete fi IdlTct/egregie admonet cum ab huiuTcemodi rebus animum abduce  re uolumus non efle molliores animi partes confulendas: Ted clam illis uela in Ita  Itam facienda:Talia enim bzc Tunttut quanto blandius ea appellemus : quato^  familiarius Talutemus/tanto maiori contumacia aduerTcntur . Sentit tamen d(v  los regina :&iniquo animo fert uita ciuilis a uiro excellenti deTeritpradcrtitn li  non fit alius Tapiens/qui Icxro illius Tuccedat.binc illz quzrelz nulla libizx znca  robolcmfuperciTe.Q^uamobrem ratio inferior quam mulierem appellari dixi'  mus huiuTcemodi argumentationibus uirum egregium in uita ciuili retinereitt  a speculandi propofito auertete nititur i Primum enim ita urget ut quzrat quo  modo eam deiicrete Tublbncatia qua tam ardenter ametur. Amat enim ucbementer virum excellentem vita duilis. lllius enim cunfiliis imperia non modo paran  tur/& parta con Teruanfuriuetum etiam augentur. Sed nec illud retinet nonTet'  uate illumlidcm quam dederat. Suavitare enim imperandi iam totum Te admi«  niHtarioni dederat zneasi Q^uio di Te moritiuam Ti dc Teiptur edocet ; Nccinub 1i I I I t t t P u 9 0 9 u n I» P“ ca nii da ttico: iKg da dd od R.! dia b&' ht   loj on IBU' «n I 1« tii AV u tua 8“ liii Ml LlOfi Odi nsilii ntoi iU IIlBl' lO* loli   niii jA«< Dlli   tffll*' yb   BD^ a<? J»!*Libo gimttu to alito eucf UKloIcb Namdcflituta a uimite agendi facultas pereat necefle cft: Dctcnetezdif&cukate hiemalis navigationis. (^uare (Tgnifiantut labores ma^  jdmi t quos (i in Italiam uenite uolumus fubituri fumus.pofiremo in hoc uche><  mentet mlifiit/li reuotetetur ad Ttinam Bl ad uitam uoluptuol^ t non tamen  illi efle concedendum: ut honores relinqueret t multo autem minus cum loca fi bi incognita petat t nondum enim nouerat Ipeculandi uitam.Dcmum ad c6mi< fetarionemconuer{alachriinaseffundit.connubium, incoeptum ad memoriam  reducit . Q^uicquid fuaue oUm a fe acczpiflict exprobat:& ne domum labent em  dcioatobuftatur. Pofluntenim uchementercommoueri mitiora ingcniaicuia  parcntes/cum liberi aattiif (anguine coniundi/cum amici/cum patM ne dcfci'  ratrogantrne incoeptam fcxictatem relinquat przfertim cum uer^umfitineim  perium a bonis uiris defiitutum/aut Pigmaleonis auaritiaiaut larbc tyram*de in«  uadaf .Q^uodtunemagu ucnoemur cum alius (apies qui (ibi fucceclat no telin  quaf sQ_uz quidem omnia cum rerum agedatum rado animis noSris obiidatr  non pollumus non uebemeto comoueriiSuccurnt enim platonicum illud quo  quttum generi humano debramus/grauifiimeadmonetiut humanitate eruere  uideamur/fi humani focietatedeferamusiucru cum aladuettatmagnus uir men  tem fola eficiqua boies fumus; ea<^ no agendo fed cognoiicedo pcrhdrid^ louis  pcaneptucfieimotusmanetiat obnixus curas fub corde prraut.habet aut quo|>  pofitu opnme tueri poiTittNon enim inficiaf bene ^meriti ciTe reginam. Q_uis  enim no uideat magna humanx hnbecillitad adiumeta ab hcK uitx genere fue*  nirc:(^um BC polliceffe illius recordaturu dum fpintus hos reget attus:Nam eu  derua abfoludflimu appellabimus:qui iu in fpecmadone dum uiuit uetfef : ut  uicifliW cum ccs poftulat agat.Etgo no fugit a uita agedi < fed inde recedit: qa cu  ea no cotraxerat matriffioniu.Non enim nati fumus ut drea mortalia uerfemur:  illif{^ coniugamur.Sed neceiCtatis caufa efi illis in(iftcdum:ut tanta opere impd  damus:quantnad fodctatcconfcruandam fat fit:quaptopter (i Dido Carthagine  deledac :hoc autem efifi in adione inferior rado libenter uerfaf liceat: fit fuperi^  ori Italia dclcdan poflem mulca ciufdcm otadonis ad eadem fentendam trilTa^  ce. Sed fit aliquid ex mera hiftoda didumiRcIiqua ueto qux ad plurimos uerfus  dicunmt:eam uhn babet/ut libidinofum K corruptum amorem detefienf :at^  tantxfceminx grauifiimocxcmplo nosadmooeat:ut tam mrpem/tam pctnitio.«  (am pefie fugiamus:comode aut eunda qux a PauEmia in platonis fympofio de  tutpi amore dida funtiad bde locum ttan(Feremus:ex quibus pauca qux a nobis  cum de Paride uerba fcdmus dida funt : memoria (i repeteris intelligeris umSu  mum effe Ptoperrianum illudiDurius in terris nihil efi quod uiuat amate .Q^d*  autem magno pedore curas pcrCmfcrit xneas:fit tamen mens immota man ferit/  oftendic uirum qui deorum prxeepris parete deacuerittiam ab inconrinenria in  quam Didonis illecebris ptol^fus fuerat/ad continendam redi(rc:tt quis amore  urgetetuntamen hone&umuoIuptariprxpofui(re.Oidonis ueto interitus nobis  pcrfpicue oflendit perire ncceffe c& eas res publicas qux a fapientibua deferanf. Non tamen aberrabimus fi amandum at^ amentium furorem cxtrcmainij de*  f^aarionem huiulcemodi exde oilendi putemus. Aeneas igitur deorum admi}«  1 ti  In. P.Virg<M. Allego»    nitu in Italiam enaiugat. Verum infurgente uentopt u! palinurus nauis gubertia  tor negat ea tcpeftate Italiam peQ poiTc.anenticur zneasiut in Sidliam in qua in  fula extindus parens nondum debitis exequi is oraatusiacebat/dcfledat. ^uo  in loco quid fibi palinurusuelitline ncgocioex iisquz de illo paulo fupra expt’  fi cogDolcerepotcttsicum enim huiufcemodi appetitus facile pturbationib^ob  tuar' inon modo a tedo cuifu auertic' :fed znea( haec aut excelleris uiri mens eft}  pctixpc infuam femetiam trahiteut ad patre» hanc autem imbecillitatem quama  corpore cotrahit aius iam ciTe diximustbeet intelligere ad patrem inq/quis iam de  fundum redeat»(i uero ad memoriam ea teuocaueris qua: de ficilia lam diximux  non ab re cftipfistroianisiut in eam infulam redeaaundebreuifiima (it in lulia  nauigatio»Poeta tamen cuius cofiliumefi no folii ut grauiffimas res j>ferat:fedil  Iaauatiaiocudiutciuafpergat:uttcdiumtrifiitia« pfundarum rerum comites  penitus amoueat/uaria ludopt genera interponit.Hzc igit' iu adminiriobantut  abznea ut paulo poft oibus ablolutisin Italiam elfct foluturus.luno uerocui^in  troianos o^um/nec ulla calamitas/ncc tpis diuturnitas explere poterat : qa quo  illosltaliz j>pinquiorcscerneret:eomagisaccenderet' oblatam occafionem non   5 rztermittit:Cum enim feorfum a uiris imbecille mulierum genus deliderio ta<  em quiefcedi mcedius cofpicare^ pa irim illis ut naucs incedat pfuaden Q_uz  qdem (ic accipiteirerum terrenarum cupiditas no uiros/nam pars fupior rationis  non facile his rebus frangit' :fed ipfam inferiotenr tonem a fupiori dUluudam p  fuadetiut rerum magnatum ^poficotcicdo tedium longioris nauigationisrefii  giaud^ubieficonfidcaCiMuUetcsigit quibus inglorium odumlongccarius (iu  q honelius labor prijtiio ambiguz miferuminter amorem pizfenris tertz fatifq|  uocatia regni malignis mare oculis ifpiciut.Namcum ratio tnfmocquzafupe*  tiocipfuaU illam ad quxqj xgregij Tequit' nuceaabfentepaularimfenfuumiiiei  cebris cncruac' idoncc tadtm uidi fc iliupi potefiati pmittat.Naucs igi^ mulieres  inwcndioafrumeicaduriunt.Hoccumdicicportauolutatcquz ad res magnas,  ferebatur incendiocupidiutum perire o(lcdit:pen(rrtauttoticlanisnifi Eumci  Ius piculum (fatim ad zn eam reiuliffeciErat enim Eumelus uir ad mulierum cu  fiodiam telidusiNam huic parti inferioti metis acerrimus qdam cofeietiz remoc  fus/cui bonaceda^ cuiz fimp funt ftmp adcfiiHzcgtzce fynderelis didturuis  (.nobis ingenita qua animus Sc ad bonefta crigiturtK a turpibus tefugit»Hacau  lem nomen ipfum uii i ajpertc demondrat; enim boni cura facir   leinterptabimr»Hicigit^Iapfaiam in facinus muKere temaduitutefcrt:Q_uo  nuncio percepto primus Afeanius ad iiaues eripiendas aduolat : Afcanius autem  celer robuduli^ magno animo prxditus Aen»iiliuscft:quemiuceiatetptc  tari licet uigotem quendam ex ip(j mente natum : Hic autem nullo tenore pto  liibemr qum contra pericula pnmus feratur : Sequuntur reliqui t fed io primis  zncas : At mulieres uiris cogitis incoepti poenicet t A uiro enim feiunda muli*  er aduerfus appetitum minime repugnat <Q_uod (i tutfus uiro coniungattirt  iam robufbor fada/ SC ueluti e tenebris erepta tum demum acata iam cetatt/Sl a  lunonedcIuCam e(fe dolet pudet^: Non tamen incendium facile tolli^a Nam  optusalunoaeappeunuiacop^cueut ut uoluntatcmsquae, nobis ad (uo»; tti «di  r S 5 1? S B jr 3 .te e Liber quarttu   inutn bonum euehit/omnino perdat:fir^ mifera in bomine diftradio t eu atio  ratio dutat:aIio appetitus rapiat i Q^uo in loco cum mms noRra fe tanto cer«  tamini imparem cognofcattnititur illa quidem fuis uinbus/fed limul etiam di  uinum auxilium implorat id autem impetrare meretur. Nam qui ita deu prae  atur/utiaterimipfe quoad ualeat libi non delinis adeo minime derenc.Nam  quodaSaluRiofcribiturnecprzcibusnec fuppliciis mulieribus auxilia deo«  cum pararitrededidumell.Non enim inerti ac delidi/ K qui in fummam rr^  tum defperationem prolapfus nihil contra pericula parat auxiliatur deus. At  qui magno aduetfus difih^ltatea animo infurgit:qui nihil inaufum: nihil in«  tentatumrelinquitiquincc periculis terreturmec laboribus torpelattis profo*  do fe dignum f^tcuius S dii d homines commirereantur.Q_uapropter fapi«  enter Aeneas ciun nec uires beroumtnec aquarum uis infufa prodelTrt: ad prx*  cesconucrtiturtauxilio^impetratotcum iam quatuor naufsaiTumpraeeirentt  teliquz ab incendio feruantunCum autem naurs ad totam turbam tranfuehen  dam deeflimt terat fenis nautz conliliumutimbeallior turba in Sicilia reiin'  quctctursutbfm illis habitanda conderctur:hoc confilium oraculum paternum  louis enim iulfu locutus cR patens/ex ancipiti ratum hrmumt^ rcddidit:Q_ue  iocum nili uos aliter cenrcatis/itaintcrpreubimoi. Ad diuinarum rerum fpecuo  lationem fola mens omni uirtutum robore iam fuffulta acceditiReliquzenim  animi uires quz imbecilliores funt naues/illz enim fune uoluntas/quibus illuc  ucbantur incendio amifcrc:Q_uaproptcrreuocanda cR mens a frafibusihocau  tem confilium ab. eo uiroprohcifciturtcuimagiRra Pallas fueritteR enim a fapi  entu dodus : Approbatur autem ab Anchife fed iam fcpulto; Nam qui a ra«  bonetamfubadiruntfcnrus/facilein eius dicionem conccdunr/ przfemm lo>  ue iu iubencctconuertutur^ in rationem hoc ordinc/ut ratio ipfa etiam fupeno  remlocumarcendensafFiciacurintellcdus:llleautem£(iprein altiorem gradu  cuadens intclligcntia redditur. AR intelligentia in deum comutatur . Hmuic&>  modi igitur cofilio at^ oraculo utimrAenas.Non tamen prius e lidlia foluict  qua lacta pie tite^ faaatinorat enim qua laboriofitquiip periculis plena lic h\u  iuCccmodi nauigaboiNoueratquancz molis erat romanam condere gentetSed  nec Venus quicqui interea remittitiquinuehementer pro faluce hlii anxia oia  drcufpiciat.ln primis autem Neptunum rogattac mare tranquillum reddauNa  amor quo ad fummum bonum rapimur fupiemam in bomine rationem horta  tur/ut appetitum m fua poteRate cemtineat: N epcun us om nia benign illima pol  bcctuciNihii enim denegat ipfa mens amori ad redum eam excitanti : Neqi ell  ptocula ratione/quod oRendat Venerema fuo regnoottamtlTetEReaim Ne«  ptuncu regnum marciquod quidem ducn ab illo regitur/ctanquillu eR. In hoc  czii uitilia lada dum agitanturifpumam gignunt ex qua oritur Venus . Supte«  ma ergo ratio appetitum intra fe continens in quem uiriliaczliiiccirco decide»,  re didmus/quia in appetit um a ratione adminiihatum uls quzdam cziitus ca  dittquz in eo agitata diuinarum rerum amorem proaeat t uod autem oes prztcr unum Pahnuru incol umes in italiam peruenturos promittit i no ne cz  oxtdia^ut aiunt gtaxi^philofopbia erutu cR: Nam clalli in Italiam tendenti    In.P.Vtrg.M.AIl(go.    flurimeaductbtut appetitus /qiii a folofenAi profedustulul altum (iifpic^  Q_uapropter rquadiu claiG prxfuitinunquam ttaliam tangere potuerunt Tnv  unuSedundema Tomno opptcfTus mari cztinguitur.Nam poftquam rado  acarime ad contemplationem conuettitur:& caducorum curam reliquit : Nt<  hil ex iis qux fenTum petmuicere pofltnt/appetiturt Vnde uniuetfus Uleappcdi»  tuspaulatimiapituctac fopmisezdnguitur:CIalCsautcmcnamline fuoguber  tutore tuta fcrtuc Neptuni promiiTis donec ad fyrenum fcopuJos deueniretrlbi  autem fluitate ciuncarpiiTet Aeneas temonem capiens nauem in undis noAur«  nistezitiNam animus nofler cum iam fibiitaliam propofucrit fccurus fertur/  donec in uoluptatumfcopulos incidattTuncetum temonem capiat oportet ap  pedtus tationalisTquiaduerfantibusuoluptatibuscaiitra obflfismEztmdoigw  cur Palinuro Aeneas tandem poli diuturnos enores euboids allabitur oris .In iuliam enim ucntumcll ad quam gubernatore Palinuro nunquam perueiuflet  1 ingrefli funt Jn quo non idem curnit quod in cartbagine    Aeneasslam portum ingrefli funt :In quo non idem curnit quod in cartbagine  a portu euenifleoflcndit poeta. Ulic enimnaues'ficli procul a rabiat fluduum in  tranquillo efle uideremurmulla tamc nant anchora alligatx.Q uapropter qua  quam non omnino ucxabantuRin aliquo tamen erant motu.1^ autem anebo  ra fundabat naucs: quo oflenditur eas ueluti fundamento nhex lint flabiles hx«  rcrcoportere.Summum enim illud bonum:quod in negociola & duiliuita a  philoiophis ponitur: 8t flinbuiufcemodireceflupofltumflt/utprocuia fotttu  nx procellis uirtutum benefido abflc:non tamen ita conflabilitum cfltquin la«  bcfadan poflit:Q_ui autem oi.'':} vum rerum libi contemplationem finem lU  timum propofuit/bic iu in tuto ac folido rationes fuascollocauit:ut nulla ui di  tnouere poirit.Nam aduentusin italiam oflendit habitum uirtutum um con<<  tradumiu:utaptopoiitauitanonfit difcefliirus Aeneas/non tame earum uit  tutumtquxfuntanimiiampurgatitNamnihil fibi diffidle iam proponeretur/  fed earum quas dicunt purgatorias.Q^uod quidem propolitum iam conflabis  litum fortitudo fit animi robur non deferitinec ipfe ardor rd aggrediendx.  Q^uam quidem rem tunc ezpnmit cum ait luuenum manus emicat ardens Lic  tus in befpcrium: Manus enim indicat omnes animi uires cocurreretqux e me«  dio iam fublato Palinuro fefe menti ultro fubieceranti quod autem ardens fit  concurfus uehemcntiamindicatiNe^ ab te efl quod fit manus iuucnum.Ofle  dit enim animi bene affedi uires nnllo fenio in quo tedium torpor^ ficigna«. uia efle (olet unquam aflid:Q_uapropter non lento palTu rem agit/fed emican Verum quia dum in corpore ezulat animus:quauis fe totum fpecuiatioai dc^  dati non potefl tamen non curare neceflariat ea’ enumerat poeta quxnonuo  luptatem fenfus: fed incolumitatem uitx rcfpiciant. Nam quxnt parsfemi  nafiamisObfttuIainuenisfilicupatsdela feratu Teda rapit filuasinucta^ flu  mina moftratiinferiorcs igitur animi uires bxcagut. Aeneas aut quo nobis m&  exprimit" i Arces quibus altus Apollo prxfidctsHotridxip procul feaeta fybil»  kc: Antru imane petitt(^uod cu fadtad rea diutnas cdtcpladas erigit t Na qui aliquid figurarum inuolucris fcribuntibuiufce modi rpeculatioes per excelfu  loca aprimBt. yadc illud e p(almoi(^uis afccdct ia mdee duif A^ & illud =  b  Sj K n n  i» la Ap OL ttl d bt ttn   lut   %  dt. QU RI bii  iO  ni£ fid «w   Ots sed| iae N «IK Liber quartus   Nam cum in ui^tum in contemplatione pofitarum finis uerum fit/ quo fapi^ Clite efficimurtreiSe omnino folem huic rpeculationi mopolicumeflediiitNa  ut nox tenebrz infcitiam arguunt :ita lucis dator fol ueriratcm fignificat: Cuius exemplum fecutus ciuis noder Damhes cum ab ignorarione rerum ad ue-  ri cognitionem progrefiiim ponit fe ez node filua<]^egreflum montem cuius iu  ga foleilluilrata fint/afcendere reflatur. Addit pratterea antrum ibi efle Sybii«  be magnam cui mentem animum^ Delius infpitac uates aperitrp futura. (^u£  quidem locum ut diluddius-ezpritnamus pauca prius de Sybilla percurr^mt  mox ad rem de qua agitur redibo. Conflat igimt Sybillasapud grzcoseas mu»  iieres urxitati folitas t qtiz furore diuinb afflatz futura praedicerent t Eft autem  Sybilla quafi id enim efl dei fentennatquoniam dei conlilium fitn   tuitura & enim aeoles deum dicunt : quem reliqui graeci nom^   nanttQ_uanquam (iimtquiuelint fatidicam muiiaem apud Ociphos bocno  mine appellatamta qua demdereliquz futurorum confcia: cognommatz linn  faas exuariis regionibus' decem fuifle colligit. M. Vano :Q_uas ego omnes fi  quid ad rem pertinacatbitearertfuo ordine proiequi non grauarenSed ut ui>  ^.nihil ad hoc de quo nunc agitur iQ^uamobccm fatis fuerit uidifle Sybil  lam facile rerum diuinarumdoi^inam interprztari.hzc autem nobis ca qux  Apollini nota fumifine mendacio przdicitt Nam fapientiam uericatcmtp ape»  m.quodueto antium ponitiexprimic ucritatem m obfcuto latete . Nrtpreme»  tetriuiz lucos Apollini templo adiungit: luna enim corpulenta uebementei  cflifiC reliquis lyderibus inferior . Q_uapropca rerum humanarum quz diuinis  longe inferiores funt/figuram iutc habdne : 1 lia enim lucis przpouitur: res au»  tcmhumanzin fylua obrutzfunt: non enim corpore carent:& utiuna afoie  lumen recipit t ita Si ipfz quiequid habent a diuinis habent . Collige ergo cu  lapientia non modo diuiturumterum/fcd etiam humanarum faentialit re»  de Apollinis templo Dianz lucum adiungi. Templum dtumatum rerum lo»cus efl. fylua macenanotat.Templum laoius zdiheium deo (aaumiin quo  res fdlasdiuinasagimustab reliquis abftinemus t quoniam cum illud mgrcdi»  muria negoaisceflamustfiC foli contemplationi incumbimus.Trmplum aute  a Ozdalo conditum ponit t Q^uid igitui aliud efl zdilicare templum Apollini  nifi reddere fe idoneum ad fapientiam capiendam.Q_uod quidem tunc dcnii^  fadmusicum ab omni corporea labe purum animum ad contemplanda diuina  tranfferimus.hocautem Ozdalusuiromnibusoptimisaitibusinflrudus fa»  cuepotefliin quo tantum ingenium fucriciut Si DzdaIaCitce& tellus dzdala  a poetis tunc maxime dicatuticum maximum ingenium oflendercuolunt.Ve»  tutantem non mariinontetrainec ad meridiem infimam nobis mudi panemt  fcd per fublimem acrem ad reptetrionemiNibil enim humileinihil terrenum fit  in camente/quz ad fpecuUtionem fertur I fed ad fublimia czlefliai]p engaturt  Efl autem primus fpeculandi ingteiTus a uitiis. primam enim cogniuonem  efie oportet circa mali naturam /ut ualcamus ab eo abAinere. Nam nifi ex»  piati a uitiis fuerimus i nunquam diuina attingemus t Vt enim idem fiepu  ut icfctam/ negat Dauid quenquamalcendctepoflc in montem domini/nifi    Ia.P.Virg-M.AlIfgo.   cum qui fit innoces ihanibus 8C mudo corde:(^uapp in foribus per qmt etat  in templum aditus homicidiu Androgei: Adulterium Pafipbzs& Icari faftus  i|>onic .Hzc ergo a principio fpeculatur Aeneas.In uitiorutn autem cognitione  'non cft diutius imoradu.Nam Si (latim ea noile oportet: & ftatim a noris dilco  dere.Rede igitur^ fjrbillaquaiamprarmilTus Acatesacceriieratadmonef Acne  asine in tali fpedaculo Idgius tepus cdterat:Nam excellentiores quoep uiri uad  is uoluptatu illecebris alledi labercnt :hi(i.eoru cura BC Ihidio eam elTent adrpd  dodrinamtqua monemur ut paululu illud uitae ac temporis:quod humanz ra  dcoDccfrum eft non nili magnis & excellis rebus conterendii ducamus.Hocau  tem inter egregiu uiru ac ftuliumintere&.Nam alter li femel labatur/non facile  furiet Altet liquonia corpore uac animuspauluquandotpeuia deflexerit/  flattm adeft ab Achate accerlita fjbillatquzadredudeducattledmira profedo  poetz ingeniu:qui fapientiamipGm Tua fapientia nos edocettprima ita<^ dodri  na ea efl ut purgati mundicp templum ingrediamur : Deinde oflenditquiuis  mens nollra quzdam Tua SC a fummo deo fibi indiU ui cognofeere poflit:eogai  tionem tamen diuinarum retum huiufcemodi eflexut nili diuino lumine extu  .tusillulVremur:illamcondperenonpoirimus:Hoccum fit/quis non uidetprz  cibus & ficrificus rem efle a deo petendam: Elegit autem feptem hoftiastquonii  Teptenarium numerum multi pnilofophorum perfediflimum putauenmttpro  ptereatp fapientiz attribuitur:8t uirgo ac pallas appellatur: Sacrificat igitur fepte  qmrapientiioptat:Ne(p temere didum efl quo late ducut aditus cctu:hoftiace  tum:per aditas enim multiplicem uariamt^ dodrinam expim!t:quaad fapien  riam ducamuriHoQiiueroquz quidem uenientibus:refe opponunt non pat  uam in re difficultatem oflenduntiHateautem non ante patebut : quam id prz  dbus ab imo pedore fufls impetrauerimus.Sumo enim animi ardore & mente  illi penitus deuota fapientia acquiritur: Vt aute Gpientiam aflequamuri promit  tit le templu Pbcebo & Dianz fadurum:fed de templo paulo fupra dixi:huc ue  to quare illud de folido mamiote Fadurum fe pollicetur / breuibus expediam:  marmor res dura ell:ac mirus in eo 6i candor & fplrndor apparet: Vnde ab eo  quod gratei fplendere dicunt nomen fumpflt:   C^uz omnia in ea mente/quz ad Ipcculationem erigitur infint nrcefle eft:Brit  cn m folida ut quemadmodum inunis fludibus fua duririz ita obfllHt feopu^  lusutipfe integer maneat/illi ucto illidantur:difruprir<^/rclidant:ltcmens nui  lis perturbation bus frangaturifed illas frangat: dicimus przterea aliquid ez fo  lido marmore clTe.cumnon marmoreis cruftis externe exornatum fit ; fed tota  cx tnaimore conftet.O uapropter 8i buiurcemodi mentem efle oportetiut no  figna quzdam quibumpientiam exoptet przfeTat:rcd tota exardefcensilli fetn  per incumbanErit itidem fummo candore nitens: ut nulla fit corporea labe  polluta.Q_uo enim padofplendore carere poflit ea meos cum fapimtiam na  qua perceptura fit:nifi prius multis dodrinis illuflrec%Teplu uero Pbcebo Dia  nzip ponir:qa^ut mo diceba ^ & diuinayt & buanape reru cognitio cft rapictia*  Dies aut fcftosfoli Apollini illituit:qauenis cultus foKs diuinis debctur.polfi  ctt & S jbilJz penetndia: in qbus fuz fortes 8C arcana codanf : Na nifi alta totte I^bct giMrtus. rcpofita maneant ea qax per dodnnam acquirimus 'ueluti rianai puelfa; alHduo  labonbimus:ne<p unquam pcrforarum uas adimplere uaI(bimus:Q_uapr(v  pter 6C uiri ledi fortibus przponendi funt t Nam excellentes funt uires animi ad  bbendx : quibusiqux didicerimus optime mandentur : Curadum autem in pri  Inis ne refponla frondibus (dipta tradantur: Sed ore pronuntient ur:Non enim  JibcUisfiCcommcnUrioIiSCTedmdafuntquzaddircimus:fed menti: Ne^ ruro (iuleuium flultilium^ rerum eQ quaerenda dodrina ueluti qui in dialedicorum  fuperfluis apdunculis/ac uanis amphibologiis/autlnanibus fabellis omne pen e  tempusterunt: Vereautem illud didumeftfybillam circa principiuih nondum  pbcebi padentem eflie : Ea enim principium nondum pheebi patientem effe: Ea  enim quz cognitu difficillima funt/fuidpete non ualent noftra ingeniola donec  Apollonis enim eff neritas^nos componat : ea enim inffrudis omnia Facilia redo  •duntut : Sed audi quid dicat Ijbilla . O tandem magnis pelagi defunde periclis:  Sed toris grauiora manent : Nihil grauius nihil uerius : Q_ui enim omiffa ciuili  uitaad eam peruenitiquz in contemplandis rebuspolitaeffiille relido pelago^  io contipentem fefe recepit : Vita enim quz in adionibus uerfatur : fluduati ma  ti fimiliima eff : Videmus enim omnia quz in ea aguntur : fottunz procellis ezo  polita effe : Contemplatio autem cum ad ea uertatup : quz eodem femper fe mo  do habent: ne^ in intoitum cadunt in folido hzret : Magnis itacp pelagi pericuo  lisiadatus eft zneas prius quam longis erroribus circumadus diuerfa horrendao  ^ maris monffra uitare potuerit : Diffeile enim fuit ut troianum incendium ino  columis ruaderet : laborioTum ut audelitate atep auaritia deterritus e tbracia abi  ret : Incommodum ut ambiguitate oraculi deceptus in trinacenfem pedem incio  deret . Q_uisautem barpyarum foedam illuuiem non abhomineturrQ_uamuis  iter ad Helenum per medios hofies non formidet . Q_uh cyclopum immanitao  tenonconffematurrMariaautemlicula ita caute obire: utneue Ttyllam neue  •baiybdim conrpidati^^ tempeftati a lunone zolo^ ezeitatz ita refidere:ne nau  &agium faciat non hominis fed herois eff . prztereo quz in fodis in africano Kt«  tore paffus eff : quas ilh fraudes luno parauerit : quo amoris uinculo Dido illiga  •erit : prztereo quz in Sidlia ex incendio nauium damna acczperit: uz om«   nia gtauia ac tunc periculis plena cum perpeffus fuerit: quo nammodoin Italia  duriora paffurus eff : Non tamen procul a uero aberat fybilla : Cum enim a com  muniuitaac hominum coetu te in folitudinem ucndicaueris : tunc acriores quaf  dam uduti faces carum rcrum/quas rcliquiffi memoria admouet : & illarum de  Gdepo acenimi infurgunt morius : At^ cum obliuioni iam eam mandaffe puta  tnus : tum maxime illuum ingeminant curz : rurfufip refurgens fzuit amor':ut  nilifirmiffimaancbotaiuuesfundauerit/uideatur in Afncamrenaaigaturuve  Non enim 6C li firmum fit propofitum minime inde difccderc : tamen ceffat ccr«  tamen cum aliud illecebrzolimadzuitz aliud przfens confiliumfuadeat. Ve»  tutin Italiam Aeneas:uenim eo uimitumgcnerequipurgatoriz appellantur a  quibus antea quam penitus expiau fit mens necefle eff ut acerrimum beliu quc«  adsetidum nofftt aiunt fpiritus aduerfus carnem gerat : Nam quanto magis hzc  l^ta humanam imbedllitatem funt: tantnniainri pcriculoaggtcdimUC.Hu<i   tn    la.P.Virg.M^AHcgOf   inaHani enim rodctitemcum deferimus/aut in ferinam lutam per tninian U  atram bilem degeneramuc/aut heroico robore fupra hominem erigiimjt.Q_ua<  propter intenogatus quidam qui in littore folusuagabatur/quicum loquerctot  rcrpondi(Tet<p mecuni loquor* Atqui uide inquit ille ut cum bono homine 1»  quaris/& rede quidem t Non enhn facile Sicipionem inueniaaqui nunquam mi  nus folua elTet quam cum folui • propter huiufccraodi igitur difficultates ah Sj>  bilJa fore/ut cum in Italiam uenerint dardanida;/ii enim uiri tegregii funt / nolA  uenilTc. Inuenientenimaliumin latio Achillem.inuenientK lunonemaquV  bus non mediocriter uezandi Hnt i Ambitio enim quz ut in lunone ita ia bello  cofo uiro etprimitur quemadmodum troia; & uoluptati aduerfabatui i fic & fpc  culationi quam fibi przfcrri egre patitur aduerfabitur : Eft autem ex dea natui  achillcs / quia diuiiu quxdamgenerolitas in animis noftnsiolita eft t qiuenctni  ni parere i omnibus autem imperare uclit > Hzc ft reda ratione excolatur/ueram  fortitudinem parit i lin autem contra rationem elata omnia in fuam libidinem  coouertere tenet/ambitionein creat t & regnandi cupiditatem t Q^uaproptet tt  ft uehementer degenerer a dea tamen id eft adiuina animi ui origiuem du.itsNd  autem eatolum t quz ucnturanntptzdicitSfbilla : uerum ftcaufain tantorum  malorum profert: Ait cnimuttroiamcuertuntnuptiz mulieris eatdnz: lic ft  in Italia lauinz coniugium bellum acerrimum concitabit t coniungitur cztemz  mulieri animus nofter cum omilla uirtute rebus caducis deledatur . Q^uapio*  pter uoluptas paridis troiam euertit . In Italia uero cum nondum cupidiutem tc  rum humanarum deponere ualeat animus bella excitantur afpcta illa quidem /  fed non in quibus ueluti apud troiam ruocumbatt fed unde uidor triumphafiy  parto regno redeat . Accommodate ut mihi uidentur omnia hzc inquit LA Ve  RENTl VS. At illud quare didum fit : fed npn ueniiTc ualcnt non intelligo.NI  (i eum qui iam ad fpeculationem peruencrit firmo iam propolito ce oportet cur  illum peenitentia fequatur non uideo t Non enim infiaot uirum etiam grauem  in huiufermodi ftabili propoliro acri fzpe morfu affici : non tamen ita magnoaf  fici puto ut ad pmnitentiam redigatur i nifi fortalTe hoc didum fu : ut multa per  quandam hipctbolcm t (icenim grzci rupcriationcin appellant / dici confueuere  ut ex iis unbis quibus peenitentia (ignificatur non peenitentiam fed fumma diC>  ficultatemoftcndcreti Ifthuc ipfum inquit BAPTi&TA : uerum uidramus qd  rerpondeat zneas : nempe id quod qui uera dodrina imbuti fuot femper obfer^  uant : Ait enim fe ita ptzmeditaium uenifle : ut antea fecum animo omnia euoi  uerit . uz enim ante a nobis ptouifa funt ea id fpatium przbenr/ut antea qui   ucniant uel cuitari poflint uel faltem ne tantum Izdant prouideri : Cum animus  ipfefuasuires colligens tobuftioraduerfus difficuitates reddatur: Nam queme  admodum ii boftes incautos ac nihil tale metuentes inuadamus quamuis 81 Itv  co & numero auperiores flnt facile illos fuperamus. Contra uero uel exiguz eo*  piz ii fpatium ad ea paranda affit: quz prziio conducant lulidii Timo ezcrcitiB  pares fzpe inueniunturific & nos finobifcum cogitauerimus/ quamuis multa  per corporis cogitationem accidere pofTint/ animos tamen czleM femine oetoa  atfi focotdi» ignauixy Ide dederint: aullis laboribus t nullis difticultatibiill ul iJi M Stl eu P ffli «I IV.N a id ni ifi m M k d Pf Liber quartus nuDa foitunz iniutia modo uelintimpediri pofle quo minus in originem fuam  redeant inui<3i ab omni perturbationum prxiio euademus . Ha»; fecum cu iam  diumcditatuseffetarneasnonpetitnuncdemumiila doceri. Verum in limine  contemplandarum rerum poAtus ad inferos deduci orat. Quo in loco quid G*  bi ueiit amez ad infaos dcfcenfus conabor paucis abfoluere i Si pnus quid infer  bus fit : Si quot modis ad eum deficendatur breuiter demonfhaueto : Infemiim  igitur plurimis ante chriQianum nomen fzculis no folumhebrziuerum etiam  cgyptii pofuerunt . Q_uz autem poft chtiftum natu noftra religio fine ulla dubitatione de inferis de^ peenis t quas apud inferos nocentutn animz luunt / af>  firmat ea omnia ab hebrzis ni fallor accaqrimus.Q^uz uero zgyptiorum monu  mentis mandata funt ea primus ad grzcos tranftulit Orpheus . Hzc deinde fu«  is figmentis auxerut plaui^ ez grzcorum poetis / quorum principes Homerum  H^odumtEurypidem t Arifiophanemm e(Tc uidemus . Q_uos deinde fecuti e  nofirisfuntptzter Maronem / Ouidius mlmonenfis/ biex bifpania Statius Pa»  piniusacLucanus : &quem plzri^ florenrinum fuilfe putant Claudianus: At>  ^ ii omnes inferomm ledes fubterraneas elTe & ad cctrum ufip : qui locus in fpe  ta infimus efi portendi aedidetunt: Q_uapropter fpeluncas quafdam ac terrx  hiatus przfemm fi ignem fumum ue euomant ingrmum ad inferos n5 line mu  liercularum ac rotius uulgi fummo afTenfu fabulati funt . Nam & in laconica re<  gionc Tenanis mons eft circa finem malei promontorii / e cuius profundiifimo  antro quoniam fpiritu id agente fhepitus auditur: facile fuit uulgo petfuadere  inde ad inferos defcendi.Acberufia autem palus in epiro no procul ab beraclea  abargiuo ut fauntHerculedidafpccum habet per quam cerberum tricipitem  Plutonis canem ab Hercule edudum crediderit antiquitas : Nam de auemo lz>  cu nihil efi quod referam: uulgataenimresefi&a pizrifi^ decantata. Ac de poe  tishadmus . Plato uero eadem difciplina : qua & Orpheus imbutus ita fingula  ptofequicur/ut nihil aliud inferorum locum animis noflris efle ueiit quam cor»  pus ipfiim quo ueluti carcere includuntur . Ipfe em'm animos a fummo deo ae*  atos ponit : Q^ui quidem fuapte natura dudi In deum parentem fuum conuer  tuntur . Nec mirum . Nihil enim eft quod in originem luam cum pollit non re  uetutur. Videmus enim(^ut loco exepli hoc ponam}ignem huc^ut ita loquar^  tenenum/quia fuperiotis ui ac femine genitus efl fuz naturz impulfu ad fuperi  ora erigi . Conuerfi autem in deum animi eius radiis ita illuflrantur ut ubi hade  nus eorum efientia per fe ueluti informis fuerat : nunc ilb fulgore conformet' :  fit 9 miro quodam modo ut intra animi eifentiam receptus fulgor no ueluti ez^  terna quzclam Si aduentitia res in ea refideat : fed ad illius capacitatem tradus ob  foinor quidem reddatur : 8C a fe ipfe degeneret : mend autem proprius ac nattis  talis efiiciatur.Q^uaptopter hoc duce in fui ipfius at^ omnium quz infra fe ezi  ftunt: ea enim corpora funt: cognitionem animus uenit: Deum uero Si aav>  ra quz fupra fe apparent : hoc lumine non cernit . Q_ui enim fi iamconnamra«  le fibi fadum efl ea quz fupra naturam fuam funt/illo continget : I d tamen men  ti noftrz przfiat : Nam per primam hanc ueluti fcintillam deo propinquior fz>  da aliud accipit lumen & clarius quidem/quo iam czlefiiumquo^ Si fuperna* m ii ~  f  l Ia. P. Virg.M. Allego.   nim remm cognitionem accipiat . Sed hxc te L A VRENTI latere mmitne puto:  Sunt enim non folum dode ac diftinde/fcd omnino dilucide a Marfilio noftro  in iis dialogis explicata : quos ille in Platonis rympolium confaiptos fub tuo no  mine zdidit : Q^uos quidem cum quia ad te funt t tum maxime quoniam pluri  mis acfeledilTimis rebus abundant familiariflimosribi elTe cupio t Sunt illi qui»  dem inquit LA VRENTI VS. Verum przcipue locus ifte menti noftrzhzretsin  quo geminum in nobis lumen elucere demofttat : naturale unum & ingenitum  ut dicebas : diuinum alterum & infufum/quibus limul iundis animi noftri uelu  ti geminis fulFulti alis/totum hunc ruperiorem mundum pcruoLue poiTunt: Ad dit^li diuino illo femper utantur fore t ut frmpet diuinis bxreant. Infimus autem hic tctrz locus animante in quo ratio fit canturus uideatur.Q_uod nefiat  efrediuinainflitutumprouidentiatutanimusfui omnino potens flt:ualeat<p  pro fiio arbitrio uel utro<p fimul lumine cum libuerit uti : uel altero (bIo:propte  rea<^ fieri ut natura duce ad natiuum lumen conuerfus fe s uirefi^ fuas : quz ad  fabricandum corpus fpedant/diuino lumine ad przfensomiflblolum confide.'  tet : illafcp in corpore conflruendo exercere cupiat . Rede ac memoriter tenes in*  quit Baptifla s confifHt igitur in czio ut Platoni quem poeta fequitur/placere ui.<  demus animus noder ipfius diuinz naturz contemplatione pcifiuens : Verum il  la quam dicebas cupiditate infedus & ipQi cogitationis mole degrauatus in infe»  ra defeendere indpit .Verum quoniam cum de inferni finibus ex fententia Plato  nisquzritur non fimpicx apud eius philofophi fedatores opinio cdtnoscam  boc tempote fequemur :quam & animorum rationi magis congruam putamust  & dodiotibus magis placere cernimus . Hi igitur bipartitum mundum ponunt.  Nam fupremum czium quod Aplanes uocitatur dellis^ut cd apud poeta^arde.*  tibus aptum fuperorum regionem ede uolu erunt :eofq) campos elyfios ac beato  Tum infulas nominarunt : Saturni uero fpera ac fex reliquz quz fub illa funtrrut  fufep quicquid fpatii inter lunam terramc^interiacetripfami^ tenam inferis at^  tribuerunt : Altiffima igitur pars illa qua uel fubdentatur diuina uel condant/ne  dar uocatur i di deorum potus ede ctedimr . Inferiorem uero Icthzum/ac horni  num pomm dicunt r in hunc enim cum a fupetiori czIo per cancrum ea enim ho  minum porta diciturrprolapfa fuerit anima in ipfius hyles quz elcmctorum ma^  terta ed tumultum incidit: quo in loco noui potus ebrietate degrauata& ueluri  temulenta effedadiuinorum obliuifcitur : terrenatum^ rerum cupiditate ilie«  da ita per fubiedas fperas dclabitur : ut ex lingulis czlotum ordinibus aliquem  cotum motuumtquibusufuradeincepsfitin corporibus acquirat:Nam ab ea  quam faturniamdellam nominant ratioanandi& intelligendia loue agendi a  marte audendi uim abducit : fol uero ut fciat ut etiam opinetur illi cocedittMox  a Venere excepta defiderii motum mutuatur : Inde per mercurii ac lunz czlos de  fcendens ab illo pronunciandi interpretandii^ ab hac plantandi & augendi uires  acquirit : Ac podremo ad terram ueluti ad centrumtquo gtauia omnia feruntur  delata:6C corpus quafi carcerem uel potius fepulchmm ingreda iurc apud inferos  relegata didtur: Moritur enim in corpore anima uelut in fepulchto demerfar  non ita tamen t ut fauiufccmodi morte extinguatur : licd ut ad tempus obtusturt    Liber quartus   quabdo quidem illius diuinitarem noxia corpora tardatititertenishcbetaat  artus moribunda^ metnbra.-habes^fed breuiter^quid Platonidinf^um pu  tcnt:& quem animatum ad ipfum defcenfum ponant» Nam^ de tartaris fabii^  lanturpoetzea omnia animam in corpore pati manifeftum eft . In materiam  enim protrada nouam fyluz ebrietatem haurit cum illam ueluti flumine dema  gaturtFIumen autem ipfum non line exadarationeinquatuor flumina ac flj  giam paludem deducunt. Lethzu achaonta ftygem cocytum ac phegechotu>  tenitMateriz enim admixta anima eunda quz in czlis uidaat obliuifcitur.  Q_uaproptaiure lethzum nomen ab eo quod elt.  ficenimobbuifei grzd dicunt potare finxerunt. Ex hoc autem Achaon ma«  nat: quzrcs gaudii priuationem denotat: quafi Nam   quod in dd contemplatione purus exiflens animus gaudium aedpiebattidom  ne ex obliuioneamitdttquo quidem amiflbt flyx quamfadletriflitiam intere  pretaberis exonaturneccite efttftygisdemumpoflrema zfluaria coitum e£fi.<  dunbQ_uis enim ex triftitia in ludum non cadat: te autem non fugit id grz  cos dicere: quod latini lugae interpretantur. Ex diu<   tumo autem ludu in furoris infaniz^ ardorem inddere roIemustquemphe.<  gethontem nominant. Ex hyle igitur unico flumine mala hzcomnja eueniV  unt:Q_uapropternon fine fummadodrina ex letham reliqua fluenta deriua«  ci finxeruntrfed hzc in Phzdone a Soaate latius explicantur : N obis autem de  multis puea ad bunclocumtranffnenda fuerunt :at(^ ea fola quibus defeen  fus ad inferos ex Platonis fententia perfpicuus redderetur: Noflri autem qui  ita a deo animas aeari redifljme fentiunt: ut eodem momento & creentur fi;  fuis corporibus infundanturrnon eas in hoc inferiori mundo uerfari uoluerut :  ut commifla purgarent :Q_uid enim fi ante corpus non fuerant : extra corpus  peccarepotuaunnfedutfuisrcdis adionibus: quas omnino liberas habent cz«  Io aliquando frui mererentur . Conceflit enim nobis deus : ut noflro arbitrio Ii'  bere utaemur:non ut per nequitiam delinqueremus: fed ut per religionem  fi; iuflitiam nobis fummum bonum acquireremus: Verum cum perfummam  fiultiriam illud negligcntes corporeis tetrife^ uoluptatibus dciiniti maximis ua  nilc^ fceleribus coinquinemur oportuit efle locum ubi a corpore digreflx buiuf  cemodi animz fuorumfadnorumdebitiflimasposnaspcrderet.Himcautc lo  cum arca terrz centru maxime eflie uoluerut:Na cu fi; propheta eripuit deus ani  ma mea de iofernoinferiori dixerit fi; ipfc humani generis faluatorfe triduo in  corde terrxfuturuadmouerit facile couincitur centru eflctNihilenim eflcctro  infcrius:quin fi; ita in medio terrz confiflittut in medio animante cor efle uide  musiQ_ua in parte fi; tenebras exteriores/quonia a luce remotiflimz fint:fi; de  tiu flridorc quonia nulla folis uis illuc defeendat efle nemo negauerit.Erit igitur  in terrz cerro infernus:fed ita erit ut etia ex iis quz fapietiflime a Gregorio colli  gunc ad aere uflp huc ex terrz fi; aquz caligine cralTioreptcdat^.Acrp deiferno  hadenus ad illu aut aias defcedere oe fere hominu genus dixit. Sed tn aliud alii  fentiut.Na przdpitatio illaaioru afuptcmoczloin hzc corpora ad inferos de  fccofuscdea Platone acdicuitCbriflianiuaofczleflo^ animasc fuiscoipotL    In.P.Vtrg.M. Allego.   busad inferos trahi admonent. Dicimus itidem uiuentes homines cuminid  tialabuntur/ad inferos rueret Sunt quoc^ qui credant magicis artibus 6: cat<  minibus fieri uelutidefcenfus quidam/ut inde euocarianimx poflint. Verum  praeter bos quatuordefccfusqnrusquicftnonuideir omittendus: Na £( ad in«  feros tendimus/cum lumen rationis noftrx ac induihiam in mali ac omnium  oitiorum naturam fpeculandamdeiidmus. Ego igitur libenter de te feifeitoro  Laurenti cum haec omnia perceperis / quid putes hoc Aenezdetcenfu Virgilu  um exprimere uoIuifleTlamdudum quid agas uideo o Baprifta inquit Lau»  rcntius/ac pro eo maximas tibi gratias habeo :Q_^uis enim non uideatuni.  uetfamhanc difpuutionem nonfolum meisptzabusdatam/uerum etiam a  me fratremij meum erudiendum elaboratam : 'Nam fiCli caeteri t qui afTunt  omnes mirifice tua otatione deledcnturt tamen eft eorum ztas ac dodrina  huiufcemodi t ut etiam fine duceipfi per fe hzc omnia cognofeere ualeant.  Hos igitur duos erudiendos cum fuiceperis : propterea^ rede netan fecus  quz hadenus difputafii teneamus / nofie cupias fine ulla cundationequaxd.  ^ rogaueris / cerpondebo: fic enim & errata facile emendare poteris : 8i fiqd  rede teneo id tuoiudicio confirmatum firmius hzrebit. Petit igitur afybilla  quam tu iam dodrinam interprztatus es/ut ad inferos K ad parentem dedo.>  cat: Q_uod cum petit oftendit mentem przmonfitante ipfa dodtina in fem  fualitatem defcendece . Vult enim nitia quz ab ea funt penitus cognofeere: fed  uide quantum tibi ex hac difputatione debeam : nam non folum effeciftt ut  hzc a Marone diuinitusdida tenerem: fed fimilitudine rerum admonitus ia  quidfibi nofierquoi^ Oanthesuoluerit facile coniedor. fed de hoc alias: Tu  ueto fi placet ad reliqua perge: Rede tu quidem inquit Baptifiainterprztaris;  Me autem tuum ifiud ingenium ac iudicium fummopere deledant: Verum  audiquidilli auaterefpondeatut.ln primis enim defcenfum ad infetosnul'.  lius negocii eiTc demon(lrat:cum nodes diefc^ datis ianua pateat : Q^uod pro  fedo nimis etiam q utilem uerum efi:Naracumprocliuesutfenexquo<^Te  rentianus conquzritur a labore ad libidinem fimus / facile in uitium labimur.  RcdilTime^ illud ab Hefiodo Redifiime quo^ 6i   illud uel claufis oculis illuc defeendi: Nam fiue delinquendo in uitia labimur   ? [uoniam id per llultitiam fit: llultitia autem rariflimi carent; quid obfccrote  acilius inuenies : fiue:fed t^iquos defcenfus nunc mifibs facio : quorum pro  cliuitas pcrfpicue apparet : Id autem de quo nunc agitur : quis non uidet .  Mentem ipfam ac rationem facile in cognitionem fcnfuum dcfcendcre.Ma  ximum autem fit periculum ne dum cicca lingulas corporis uoluptates uer.>  famur / ita illarum illecebris demulceamur / ut irretiti hzreamus : Facile igi.>  tur fenfus defeendit mens / non autem facile a fenfibus rcuocatur.Id enim  eftab inferis redite: pauci enim quos zquus amauit lupiter: aut ardens  euexitad ztheca uirtus diis geniti pomere : Tria ut uides hominum gene<a  ra ponit quibus liceat ad fuperos reuerti: Sed nos prius de duobus pofirei>  mis dicemus : cenfet Plato quod paulo fupta explicatiur demonfirauimus  animos nofitos rerum terrenarum cupiditate degrauatos incorpora dcfixt>  Liber giiaituf   Jcre : (Quapropter qui prius imbroda nedare<p ueTccbantunid enim eft deo  'fiuebantur t atqi inde mirum gaudium Tumebat t nunc letheum rpoti in re»  lum omnium obliuione mnli Tunt.CQuod (i intra corpus conftitutus ani^  musillius cogitatione ac fordibus inquineturttamdeoiis tenebris obducitur/  utnulla deinceps fpes (it ad Tuperiorem lucem redeundi: Sin autem TcipTuni  infccoIKgms integre cafte^ degat: 6ecorporis quoad potedeonfotrium de*  clinet ipauladmcz illa obliuione qua ueluti crapubuino(p opprtlTus obdor»  tniTccbat Teexatansualet libi geminas illas quas iam totiens nomino alascom  patate. Illis autem fuffultus facile ex inferis reiilit: &ad Tuperos rediens iii re  gionemfuam reuolattper duas igitur alas totidem uittutum genera intclligi  mus /& eas quz uitx adiones emendant: quas uno nomine iuftitiam nun»  cupatt&eas quibus in ueri cognitionem ducimur: quas iure optimo religio»  nem nominat. Illud igitur pauci quos ardens cuexit ad aethera uinus:alam  primam exprimit : & uittutes qux de uita & motibus Tunt intelligit:cumde  indeaddit diis geniti potuere figniHcat alam fecundam :at<pipfam rrligionem  quamexuirtutious iisquxad uerum ducunt conftare uul: Placo : Hxc itaip  auntopbilofopho mutuatur Maro cuius quidem dodrinx non nihil ex ma»  thematicorum fcntentia ita addidit : ut nei^ ius Tuum ac libertatem animis adi  merctmeip cxleftia corpora fuaui priuaret:Nam li animis nolitis uimnecef»  Utatcmqi f/dera afferre dicamus/non modo id in religione noflra impium eiitr  fed 6t a Tummorum philoTophorum dodrina abhorrens : Verum ut intelli»  gas ntip hoc a Platonico dogmate alienum elfe / refert ille in Thimxo ratio»  naiis animi effedionem nulli nili deotribuendamiquoniam ipfe eiTentiam ac  ^ rationem animorum noftrorumcreat.Corpus autem ac exteras animi par»  tcstuteaeffqux concupifeit flC qux irafdCur nos ab animo mundi mutuarie  Q_uapco{aer St li mens ipTa nolha nullo fyderum imperio fubieda Iit : tamen  quia nullam adionrm ex iis unde uirtutes uitiam manant nili per fenTus ac ap»  petitum exercet: Illis autem quoniam a corpore funt uacias aut ad uirtutes affe»  dionesiauc in uitfa prcKliuitates inferunt fydera /permulti interelTe uidet ur quo  fydere nati fimus:Nr<^ folum ad bxcqux ad uicam & mores pertinere diximusr  ucrum d ad ea qux fpeculationem K ueri cognition cm refpiciunn Nam li on»  nes omnium animi eadem natura funtiunde nili a corpore eritrquod alii inge»  nioiudicio ac memoria excellentilTimirxillanttln aliis hxcnulla appareanc: cu  autem omnis nofira cognitio ab iis qux efficiuntur ad cfficientiatn:& ab iis qux  loco 8C tempore nrcufcribuDtur ad infinira initium fumatrmulta obiicinir dif»  licultas animis noftristut intelligentiamut feientiam ut fapientiam alTequanturt  cumuircsillx:qux paulo ante dicebama membrotum : quibus ueluti inftru»  mentis utuntur deprauatione bebercant : nei^ fe explicare poflint: cura igi»  lurapud Platonem ruumlegilfet Maro nili geminas illas alas recuperemus ad  Superos redite non poffe : Cum itidem illarum recuperationem a fyderibus  caquam oilendi ratione impediri aniroaduerterctiut a loue xquoamarrmur  opus ciTe ofiendit . Hoc autem nihil aliud eft / nili ut benignitate fydaun» ■ffcdionca ad icdaa adiooa acdpctcmt^Natacum plancutum uuia uiafit ,1  In.P. Virg- M. Allego.   Videmus iouis natura hulufcemodt elTc: ut quos ille in fuo ortu benigfle a(^e  dt illi ad iuftitiam ac religionem proni reddinturrita ut ad eas quas diximus alas  recuperandas impelbtrcolligamusigiturnetnincmabinferis rcmeate/nili al^s  recuperet : id autem non clTe fadlc nili iis qui benignitateiiderum adfupera eti  guntur . Sed quid tu.L.Marfilium intuens clanculum rubmurmuraftit Nempe  id Tolum refpondit.L.quod paucis ante diebus cum T imxum Platonis in maoi  bus babetet:mibi de anima mundi dixerat Marlilius > Cautius inquit.B. mihi  progrediendum elTe uideorcum res nobis non modo cum dodo : V erum etiam  cum mcmoriolo litifed quod de mundi anima dicis/id 6L uerum huic lo>   co apprime quadrat : cenfet enim Plato rationis fementem a deo fadamianitnof  ^ nodros ab ipfo aeatos/ac deinde mundi animz ueltiendos corpore traditos:  ut £2 corpore uedircntur:& eius pedilTequis uiribus informarentur: Aequum  enim fuit:ut quoniam concupiTcibilis irafcibilifi^ appetitus (alutis corporis gra  na func:ii ab eodem nobis darenturtqui nos corporibus inclulilfct: Vetumquia  faz partes lubricz funtipat fuit: ut qui nobis illasin deterius facile labeutcs dedif  fet idem ipfe aliqua ex parte aberrotibustueretur:labenter<jfubdetatct.Q_u3'  propter iuflit illi fummus pater/ut quando ipfetccirco animis nodris caufaffl  obiiuionisptzditiir<t:quoniam luteo corpore circundederit hominibus fulgo,  rcmueriutis infunderet. Huiufcemodi ita^ przccpbs obtemperans mundi  animus eos omnes quibus zquus ell/aut fomniis oraculis & portentis autio.  terao quodam motu Si ad futuri prouirionrm:6t ad diuinz legis cognido.  nem perducit : ut eo duce alas recupctcmus.Huncautemmundianimumue  tetes theologia qui illos fccuti funt Platoiuci fzpe louem appellant. Hinc  pbcus lupitet inquit pnmogenitus eft:Iupiternouiflimus;lupitercapui:Iupb  ter mediu.Vniuctfa autem e loue nata funtihinchinc illud lupitet eft quodeo.  ^ uides quodeun^ moueris i Q_uin Si ipfe Maro A ioue principium mufz io.  uis omnia plena. Sunt enim omnia plena animo munducum ijle ita totus in to  to mundo fl£ in qualibet parte totus : ubi^ uigeantutnoftrianimiin fuison.  pufculis : Hic deniip czlumueluti citharam continens harmoniam cfificit ex di  uerforum czlorum fanis: quas cum mufas appcllentiute louisiiliz dicuntur  eiremufz:Q_uantam igitur dodrinamMato tribus uerfibusincluferit/ facili,  tis mente concipio : quamuerbis exprimam. Rede igitur pauci quos zquus  amauitlupiter:aut ardens euexit adzthera uictus.RedefiC illud tenent  nia liluz : Ab hyle enim(^ ut fupra dcmolhauimus ) eS omnis nodra duldtia/  & omnibus ahimisconugio: quibus impediantur ne ad fuperos redeant. Ve  tum de remeandi difficultatibus badenus : Deinceps nero eas exponit rationa  quibus ita tuto defeendamus ut pateat reditus: Aures autem lamusfapientiam  nobis indicat dne quanonedfpcculado eligendarum agendarum^ rerum iu  dex . Ne^ mireris aurum fapientiz fymbolum apud hunc poetam obtinere  cum plzii^ idem faiptotes fecerint: Vndeillud bpiens aurum & multitudo  gfmmarum Si uas pretiofum labia fdentiz: Aunim enim eft fapientiz uigor at(j fulgor. Ndium cx metallis auro pretiofius eft. Nibl in rebus   ^entia pluris facieadum. Fulget maxime aunim. Nihil (apimciacll endi^ i (> i 01 ik IXI BS XD u m uv mt Bd:  od Nx m HC pn ioqi  iHgg imc ttdi di(( dux BOC (jB) da. Bidi   BUi   liuBi   Btit   imt  «D!  feuii   Uni   OlC •Wl   D« Lib«r guartui £iu. Nulla eni^oe exeditur aurum : Nulla rea imminuit fapietitiam t Nullis  lordibusaurum coinquinatur t Nullis maculis Tapicntia deturpatur t Sed latet  arbore opaca: mulus cnim ac uariisinfeitiz tenebris ita obruitur uerumft luco  ca cnimcorpons^uc ita ioquar^bebetudo eft ita tegitur t ut difficile omnino (it  illud erueretScite enim Si a Ocmocrito ufurpabatur natur^n in profundo ueri^  tatem demer(i(fe : Non tamen prius in hanc contemplationem defeendere uaW  mus : quam aureum ramum deccrpfciimus . Proferpina enim ad fe ire quempi^  am (ine huiuCcemodi munere uetat . Efi enim profeipina ipfa animi pars quz ni  bil przter lenfus contina : ad quam (i (ine fapientia accederemus nullum przte»  rearemediumdarcturiquomuiusdenobisadum eiTet.llla enim irretiti nulla  unquam effet fpes redeundi . Rede Si illud piimo^ auulfo non deficit alter au«  reus I fe ip(a enim alitur (apientu : at<p cuenit inueffigando/ut aliud uerum ali<  ud aperiat: nec quicquam percipiatur: quod ubi perceptum (it ad aliud percipi*  endum non diKat : Illud autem quis non uideat de uero uenifime didum elTe .  Nam alte inuefliganduse(l.diuina enim &czleffia(^(i ueru inuenire uolumus^  non infima hzc at^ aduca infpicienda funt : omnis enim dodrina a frientia ex  iis efi: quz nullis terminis circunictipta funt&in interitum non cadunt:lubet  ptzterea iam repertum rite a nobis carpi : & iure quidem ita iubet . Nam nili cer*  so quodam otdine pergamus/nibil unquam proficiemus; Addit enim poffremu  illum facile te fecututum i (i a fatis uoceris : fin autem non uoceris : nec uiribus  tunc nec duro ferro polfeconuelli.Virtutibus enim quz mores corrigunt Si quz  tedum zquumij relpiciunt ualct omnes ira animum a fordibus purgareiut mu  di e corporis migrent : Ad fupremam autem illam rerum cognitione uenire pau  ds ommno datur : at^ iis (blis qui a facis uocantur . (Quapropter rede (i te fata  uocant : Q^uod tamen ut planius exprimam /uolunt Platonici deum poft fe ip*  fum cognolcere . Deinde omnes reliquas res : Tertio autem loco ea eunda effice  lequz cognouit : Poftrema ergo hzea fecunda : Secunda rurfus a prima depen*  det . Namomnes res ptodudt quia illas nouit : Nouit autem nulla alia ratione :  nili quia fe iplum in quo omnia funt contemplatur . Huiufcemodi itaip ordine  rria illa in deo ponunt iu ut pdmam fapientiam : Secundam prouidentia : Ter*  tium fatum nominent . Chnffiam autem cum haec eadem (nt fallor^fentiant:Fa  ti tamen nomen uiz ponere audent : non quia Platoni irafcanturifed cum uidif  fent clfe quafdam in pbilofophia familias : quz eam fato necelTitatem imponat:  ut nullam io adionibus nobis decernendi libertatem relinquant fati nome odif  fe uidentur. At nos eum quem paulo ante dixi philofophum fecuti dicamus de*  um retum caufas id cft fe ipfum confiderare : Ddnde ortum ordinem : ac deni  ^ gubematiunem rerum quas compleditur intueri t (Q uz ddneeps ita omnia  excquitut ut nullo mexio ualeat impediri i (Quam quidem rem fatum dicunt:  Q_uod fi ita eff uon abeiiant qui dicunt rationem ac ordinem rerum : quam ita  mente dd prouidentiam dicunt in rebus mobilibus ac loco Si tempore dteuioi*  pds fatum did.Te itaip fi f^ta concelTcriiu camus aureus uolens fadiifcp feque^ c  Datur igitur pauos Si id diuino quodam extra fortem munere ab ipfa dei proui  dendatcuiusconfilium ferutati nefas bomini efirReduscoim dotdnus & reda    Jn.P.Virg.M.AIIfgO*   confiliacius t fed qux mortali ingenio cotnprzhendi non poirint.Q_uis rniffl  adeo temerarius: ut noiTe contendat cur loanni: cur Pauioapoftolu caapcruc«  rit dominus : quz multis fandifrimisuirts& multa dodrina illuftratis detegere  coluerit : Q_uod exemplum late patet & ad omnes qui in aliquo dodrinz gene  te laborauerint ttanffetri poteft t ut cum multa eodem (ludio dagrauerint t eatu  dem^ operam ac laborem impenderint alii fummum in eaatte attigerint: aliis  autem uix in poftiemis confidere licuerit . Habes quid aureus ramus meo iudb  cio fibi uelit : Q^uod autrm ad miferi funus pertinet (ic accipe . Mileri odiufa Ia  us rede interpietatur . Q^u ipropter erit eadem inanis quzdam gloria-Snt enim  fummo odio digm qui uiitutrm negligunt : unde folida exprrflai]^ manat glo>  tia . Honores ueto ac reliqua uirtutisiDfigniaredantur:Q_u 'm qui in uita ct»  Ulli res egregias adoriuntur in primis captare cunfueueiunt. Hi cn<m non redi  honedii^ amote : fed gloriz cupiditate laborant: quam dum aSequi cupitmuS  rem publicam fzpc perdunt x&infummumouium odium incidunt: Egregie  igitur luuenalis. Tanto maior famz (itis ed quam uirtutts. Huiurccmodiigb'  tur uiri animi excellentiam (iue a natura fibi in litam/(iue indudna/atcp exetaca  Cone comparatam penitus corrumpunt. Non enim uirtutera ammt.^cd uita  tutis infignia i qua; fzpius malis quam bonis exhibentur . inanis igitur atip ad»  umbrata gloria in rerum publicarum adminidrationc exceliintioribus ferop ada  hatret . Q_ uaproptet Hedoris quotj comitem mifernum fuille tingit . bi enim  caritate patriz magis quam cupidine gloriz moucretur huiufctmodi uiri beatifa  (Ima; omnino ciTent ciuitates : quibus illi przcfTcntiQ^ut igitur ad uitiorum fpe  culationrm ea gratia tendit: ut fe ab illis explicet : cum in primts hu.ufcimodi  gloriam abiiccre necciTe ed :Q_uaproptcr rede eo tempore roifcrnus extinguitut  quo zneas a fybilla prxeepta accipit . I nitium enim ueri inuedigandi a onlctni m  tcritu optime funiitiir : Ncc tamen fatis fuerat illum extingui :nift etiam fepelu  tur : ut nufq jam urdigium illius appareat : nec unquam reuiuifcat : Q_^uud au  tem illum tubicine fuiiVc dicit : optime quadrat . Ed cnira huiufccmudi hutni«  num : ut rrs a fe gedas quam latilVimc diuulgmt : Si fuo przconio ommbus ofle  dant : Ed prztcrea zoii uentorum regis filius:Nam nibil uentoltus ed illi qui ne  gleda uirtute tc folida & cxprelfa adumbratam quandam & penitus inanem glo  riam aucupentur: unde & tumidi & inflati Si uentoli dicuntur . Rede Si nlud  quo non przdanrior alter aere ciere uiros martemtp accendere cantu.Q_^uid eni  aut Ninum aut Cyrum aut Xerfem ut hos folos de innumeris aflaticis regibus te  feram : quid qua;fo aliud impulit : ut non contenti patriis Enibus multis popu/  lis ac nationibus beilum inferrent ; Q_ uid apud grzcos fpartanos aut athenieo'  fescxcitauit ut magnam Aftx partem ruoimpetioadiungerent: Q^uidHvnni'  bali ruafit ut bifpaousgalliift^ fubadisromam orbis caput peteret: i^uidapud  njod(os.L. Syllam prius ac. C.Marium: Deinde luIiuro Czfartm.CD.^PompC''  ium ac podrcmo Odauium K.M. Antonium eo furore accendit ut ciuiltfaogui occunt^ replerentur nili infanz quzdam famz cupiditas: Cum gloriam miis  rebus quzrerent : quz dolidil Timum uulgus dupefeere quidem cogant i fapicn  Us autem ad iuihfumam indignaiioncm fummum^ odium concuent t at Q C*1 Gi  d  DCt   BIB   I»  '1 ip» a» K*» , tUH cnu   cpi)iii   100   ad   siil   itd   id* ^1 afi \0 «? |lP< <« Liber guartui   mo tnodo ipfe malus non Ct huiufnmodi uiros bonos dixerit. Sed quid (i o{v dtni que^ m hominum Ibcictatc uiti : ac pro re publica emoti ptomptiilimi prz  ter id quod patriz caritate in manifedifTimam mortem ruebant igloriz quoq; cu  piditate extremum cafum zquiore animo ferebant : uis enim ftbi perfuadeat   aut Thcmifiocicm athenicnrcm in nauali prziio apud Salamina gcflu t aut Epa«  minundamin ea uidoria qua de Lacedzmoniis potitus efiraut Spartanum Leo  eidam in tbctmopylisuirilitcr pugnantem nihil de gloria cogitaffe. Ego enim  oet^ Brutum lingulari certamine aduerfus regis exulis filium concurrentem : ne  a Sczuolam tanti animi confiantia dexteram exurentem: ne<^ Decios illos in co  jf^ifimos hoftes iiruentes : ne^ innumerabiles alios qui patnz libertatem fuz  nitz prztulerunt famam quam de fe pofieritati teliduri elTent nihil unquam fe*  dlTe arbitror. Sed nos in re omnibus manifefla nimium fortaffe moramur. Ita«  ^ redeo ad mifemum qui cum tritonem deum prouocare audeat : iute demens  appellari pofTittQ^uid enim fiultius quam (i inanis hzc gloria a caducis ac cito  perituris tebus ptofeda audeat fe illi : quz uera eft & a diuinis rebus proficifeitur   E fumtnam temeritatem zquiperare.Q^uapropter facile ab ea obruitur. Sed  cad rem noftiamtReliqua autem quz circa funusdeferibuntur hidoriz attp  aurium uoluptati concedantur . Geminas autem columbas geminas illas alas qs   d o fupra diximus intellige . Illas enim ducibus ad contemplandas res tendit :  t autem uoluaes ucnetis : quia oportet illas elTe ab ardenti amore : Nec iniu  tia matrem inuocat : Nam tantam difficultatem nili rapiat amor facile fugiut ho  mines < Illz autem non femel aut uno impetu/fed paulatim uolando ad locu du  eunt : Non enim hominis ell omnia momento uidete : fed ratiocinando gtada«  timacognitisad incognita uenire:Seduidcquidfequatur:inde ubiuenere ad  fauces graue olentis aueroi.   Tollunt fe celeres liquidum^ per aera lapfz:   Sedibus oputis geminz fuper arbore fidunt:   Nam quz ad cantarum raum cognitionem duces fe przbent/eas rerum terrena^  tum contagionem id enim ell auerni teter odor celerrimo uolatu effugere opor«  tet. Duplex igitur uirtutum genus nos ad ueritatem ducit: quam fine mora ra.>  pit zneas / ut eius luce ea quz per infernum obrcutiffima funt cernere pofTit.De  ioiprio ucro auerni naturalem lod litu demonftrat. Ne efl quod faaa ab znea  petada in feriem noflrz fentenriz digerere laboremus . Inferuiens enim fuo ar.>  gumento poeta eorum lacrorum quz ad ncaomantiam adhibeant ueteres expli  cat. Q_^um autem zneas nudo enfe Iter aifumere lubeat 6C fi hoc in Ilfdem facris  obferuare confucuerint : tamen admonetur ipfe ut robuflo animo rem arduam  acediatur . Aeneas ita^ ducem haud timidis uadentem pafltbus zquat.Nam  quis non uideat : quod dodrina aliqua nobis oftendit id quam celerrime quam  oiligentillime effe arripiendum. Erat autem iter per obfcura : uel quia ut dixi ue  ritatem in obfcuto ab&rufit natura : uel quia uitiorum fedes procul a luce funt:  Q_ui enim rationis lumine illuflratut : is & uerum cognofeit /dc rede agit: illam  autem qui amiferint fua natura ignorata in ultia Incidunt • Appellat przterea do  plutonis uacuas & inania regna . Q^uo quid ucrius dici poteftfEfi enim   u ii 1 1  I!’,! i;l I * i'i  In.P.Vir g.M, Allego.   nudiuftertius manifeiHs rationibus ronuidum mala uitiatp nihil omnino ef  fe; quando quidem nihil afFcrant/fcd bonum pellant. Hoc cum prudens ue  hemenf^ uates Perfius intelligeTctrgrauilTime in eam exclamationem proru/  pit/O curas hominum /O quantum eft in rebus inane :Vt autem quale eflet  ad uin'a initium expreflius poneret oftendit in tantis tenebris non nihil tamen  lucis apparuilTe.Nam 6C Amentis carcitate in uitium labamur a tamen circa  principia non omne penitus lumen tollitur: Prius enim incontinentes cAicif  mur quam intemperantiam cadamns.Miro autem iudidoquz fequunturin  inferorum ingreAii ponit: Si enim exfententia eius quem fequitur Platonis  deicenfum animorum in fua corpora defaibit / manifcAum eA animum qui  badenus omnium horum malorum expers fuerat in ea nunc omnia corporis  contagione incidere : Omnes enim perturbationes inde fentit: Luduenimea  riA^ angitur. Impendentia timet imotbos laboreAp experitur : fame anp ege^  ftate urgetur : omnibus denitp quas ille enumerat calamitatibus prxmitur :  quas a corpore liber expertus unquam fuerat. Sin autem prolapfum animor  rum in uitia huiufcemodi defcenfu interpretari uolumus non multum diuer  fa ratio erit : Q_ua; enim res tanta ucloatate commilTum facinus confequb  tur quam fadi pernitentia . Q_u.r autem pernitet is Ane ludu effe non po#  teA . Adde quod confeientix Aim ulis affiduo purgatur neceAe eA : Vrgent enim  illum aAidux curx : qux ueluti ultrices furix poenas Aagiriorum feueriAune  extinguunt: uod quam dode quam eleganter quam expteAe pofuetit lu'   urnalis quxfo recordamini . Exemplo enim inquit ille quocunip malo cotn*  mittitur ipA difplicct autori prima hxc eA ultio: quod feiudicenemo nocens  abfoluitur. Ac paulo poA; Nam fcoclus intra fc quicun^ cogitat ullum fadt  crimen habet. cedo A conata peregi perpetua anxietas nec menfx tempore cef  fat . lure igitur ultrices curx funt in ucAibulo poAtx : Nec mirabimur A paU  lentes habitent morbi oim Aoicorum acutiflimas argumentationes intelli^^  mus. Aiunt enim quemadmodum temperantia fedeat appetitiones: &cmcit  ut illx redx rationi pareant iconfcruat^ conAderata iudida mentis : Ac huic  inimicam intemperantiam eiTcieamcp omnem animi Aatum inflammare cd  turbare ac incitare : eoq; pado omnes ex ea perturbationes gigni . Nam ue»  luti cum fanguis in corpore corruptus eA : aut pituitabilis uere redundat  morbi xgrotationcr(p nafeuntur: Ac prauarum perturbationum diAotunta  animum fanitate fpoliat : uehementerep petturbat : ex perturbationibus ue»  ro morbi conAciuntur qux illi uocant : deinde xgrotationes   qux appellantur : Q^uapropter perturbatio   quia inconAanter turbide^ fe iadant opiniones in motu femper cA . Ve»  rum cum iam huiufcemodi furor ac mentis concitatio inueterauerit : &tan  quam in uenis medullif^ infederit : tum exiAit motbus at^ xgrotatio.Na  cum ex falfa quadam opinione qux plus tribuat diuitiis quam tribuendum  At pecuniarum cupiditate inflammemur : nec adhibeatur continuo Socrati»  a quxdam medicina : qux cupiditatem extinguat manat illa in uenas efficit»  ^ cum morbum at^ atgrotationem quam auaritiam nuncupamus. Rede to    Liber quartus   ^detn demorbis ut mibi uideris inquit Laurentius &|ad locum eiplica»>  dum appoiitet Non enim philofophi folum / ut tu probe demondraui: Sed  & oratores BC poetx non corporis folum fed & animi fcpiflime morbos di«  eunt . Ergo ut morbos inquit Baptifta ad animum ita SC fene Autem reAe refe  ternus. Nam cum ipfe adcmrobur<p mentis ueluti iuuentutem admireritt&  ignauia ac torpore quodam ueluti fenio tabefeit/ facile in uitia: ha;c autem  motsanimotum eS/ eum adere uidemus . Mala autem fuada fames quidnam  aliud quaauaritiadefignat: qua homines ad omne facinus impelluntur.' Q_ua;  nam enim res alia nobis fuadet aut iniuftilfimts bellis innoxios populos iacef  (iere I aut caidesiK rapinas exercere: aut inlatroaniis grafTati:aut uenena pa«  rate: aut fidem fallne: aut patriam at^ dues prodete:ni(i auri facta famesf  Q_uod quidem fi ita cft eodem quo<^ in loco erit ponenda turpis zgefias.Cii  cnim homines paupertatem: quam nemo fapiens turpem exifiimauit turpilTk  mam putent :eam^ ueluti fummum malum exhorreant /nihil repugnat: nui  Ius pudor obftat quin quo illam fugiant/ omnia uenalia habeant /nec abfunt  tembilesuifuformzletum^ labof^: Namquialuccexulcsinhistcncbrisuer •  fiintur: nihil praeter defidiofumooum quaerunt: Nec meminerunt homines  adagendum ati^ fpeculandum natos nullum laborem/qui quidem honefta^  dadiunAusfitelfe fugiendum: De lato ucto fic accipe . Philofophi qui dt«  ca prudentis acquifitioncmuerfanturanimaduettunt corpus fi fociumad rem  agendam afiumatut maximo fibi eflie impedimento : Senfus cnim qui a.cor<  pore funt nihil in feueritatis: nihil fincen/utrcAe dc his rebus iudiute uale«  ant in fe continent ; Ex quo fit ut animus fi illis ad inueftigandum utatnrtfzpe  dedpiatur:& illorum illecebris ebrius nihil ptofpiciat . Q_uapropter mentem  quam maxime pofliint a fenfibus: BC a corpore feuocant. Aic cnim in eo qui phe  don inferibitut Plato nos tum denii^ beatos futuros fi a corporeis abfirahamur:  ac deo fimiles reddamur . Hoc autem quid aliud qua mori effe dicemusrQ^ua  propter fijhuiufcemodi uiri dum uiuunt mori medicantur: uenientem nemor  tem illos trepidaturos cenftbis.''Stulti autem qui nihil przter corpus nouerut:  iniquifiimo animo illud difiblui patientur.ReAe igitur is quem totiens nomi*  no Plato/ut illos philofophos fic iftosphilofomatosappeIlat:Q_uz omnia ca  probe nofiet Maro non illas terribiles formas elfeifed uideri terribiles dixit.Re  fiquaueroquz enumerantur &fopor& mala mentis gaudia ac poftremo bcU  luni/funz BC difeordia ad eandem rationem quicun^ uel mediocri ingenio uir  fuenc facile referet . Nam qui in uitio eft is tanquun fomnolentus ad omnem  honefiam rationem obtorpefeitrNe^ ullam uoluptatem nifide rebus turpi.»  bus capit . bellum autem ac difeordiam non modo cum aliis : fed fecum geritt  cum aliud libido aliud auatitia fibi uelit.Oefidia illum ad odum : ambitio uero  ad labores aduocet.Q_ua animi difira Aide ueluti furiis exagitatur.in ultimi au  tem deferiptione idem quod BC paulo fupra ofienderac pulcherrimo nuc ac om  nino poetico figmeco depigit. Ipfa enim in medio polita magnu fpariu occupat:  fhiAaautnulluprzbctifedfola umbra nosdeleAattfic turpe facinus ea no«  bisonditiquz nihil folidi habcatifiCquzcu magna uideant /nihil finttut phip    Ia.P.Virg.M.Mlego.   gii zfopi ncmplo telido corpore umbram fedemur > Q^uod eo quo^ ezprcC>  fius notat ciun addat in Hngulis frondibus (Togula inlidere fomnia: at^ ea  quidem uana: Nihil leuius/nihil mutabilius eft frondibus: Ea autem in qui<  bus fummum bonum reponunt ftulti:& quorum gratia rapinas fraudesmul  taipalia flagitia patrant: ut honores diuitias ac reliqua alTequantur: in qua fot  tunastemeriute pofTta Ht/SCqua facile mutentur at^ defluant: nemo eft qui  ignoret: Q_uz etiamuanisfomniis uerilTime comparantur. Sunt eodem in  loco plurima monflra non temere polita: Nam (i ca monflra dicimus qux  przternaturx legem eueniunt/ eunda flagitia ueio nomine monflra appellax  buntur / cum pmer rationis legem qua lola homines fumus exoriantur.Me  fito autem Ixionis filii putantur centauri : nam ille contempta iuftitia abm«  pto^ humanitatis uinculo populos libetos iugo tyrannidis oppre(Tu:Q_ua^  propter eius cogitationes apnneipio aliquid humanitatis przferentes inim«  manitatemat^ eficriutemquandam tandem degenerant: Non infdte igitur  Plutarchus dimonflrat / huiufcemodi homines tanquam fimulachro uirtu»  tis adhzrentes/ nihil ITncerum/nihil tedum/fed mixta omnia at<p nota face*  re: Cum fuam quif^ uoluptatem fequatur/fummis petturbationibus ad fu*  os impetus delatus: Prolixior limqua rerum multitudo poflulat: 11 utran^  fcyllam profequar:in iift^ nimias cupiditates exprimi oftendam: nam Hy*  dra ad dolos fraudefi^ referti facile potcft.Fuit enim Hydra Platone tcllefo*  phiflaalidillimus: nam cuueri inuelligandi duplex modus fitpetuetas alter  alter pa fophiftiasrationeshydracauillofasatq} deceptricesargumentationes  ponimus: Cuius uno capite czfo plura renafeantur . Nam una confutata r»>  tione ille fuis argutiis plurimos fubiungit. Hanc autem Hercules igne idefl  ingenii feruore extinguit.Nei^ eft quod & hoc inter monftra enumerandum  negesiNamut uera dialedica ab omnibus dodiflimisfummoperefemperap  probata eft t lic hanc captiofam grauilTimi femper uiti abhominati fuot : Chi *  meram aut ad iracundiam iGorgones ad uoluptatum illecebras/ quibus ftul*  d in faxum conuati iccirco dicuntur / quia nimis illas obftupefcunt.Prudca  tes uero & Palladis zgide 8i Mercurii gladio facile interimunt refetn quis no  uideat : Briarei autem ac reliquorum qui aduetfus deos bella gelferunt / fabu  lamrcdilfime interpretatur Cicero /cum id nihil aliud lic qua bene monenti  naturz repugnate : Gerion uero 11 grzcum nomen interpreteris / terrz litem  exprimet . Lis autem zterna eft terrz id eft corporis aduerfus fpiritum.Ecitita  ^ Gerion pars elfccminatior animi a fenfibus ptofeda : quz in homine uitio  fo uniuerfz animz imperat. Q_uaproptet quoniam funt ttes animz par**  tes / tribus illum infulis impcralfe fabulantur : cuius canis iccirco biceps cfit  quia cupidiute llmul & timore laborat . His igitur monftris pettenefa*  dus Aeneas uim parabat. At Sybilla hominem cotnmouefadens ea omnia  fimulachrauanacfleoftendit:llIa^ non ui fupcranda/fed radone cognolizn  da: cognita^ fugienda iubet. Poft huiufcemodi monftra ad Acherontem Si  cocytum deuenitunde quibus fluminibus Si 11 paulo fupta didum llt:ea tame  alia quadi tone ptofequamut.A cdcupilcentia nfa uelud a fonte manat aqua:    Liber quartus'   que ttygnu palude cffidt.Ne a concupifeentia primu j>uenit cogrtatio/drnide  adioquapeccamus:Achcronpo(lhzccoDatatiorfluuiusc(l:nain per cum tt*  ptimirur motusad dagitiarhic autem poft cogitationem excitatunNrqt prerer  rationem cft quod illum ingenti tumultu ferri Seneca dicat: Non entm poteft  animus Itnefirepitu reludantis confeientiz in facinus ferti:Q^uoniam autem  fauiufccmodi peccandi deliberatione uoluntas in uitium traniitsiccirco in hoc  flumine nauiculamnautamipponunt.Poftuero buiufcemodi tranlltum id au  tem cft poli peccatum/fequitur mceror/quem refert ipfa flyx.pollrrmo maior  ludus qui eft cocytus . Vt igitur ponatur ante oculos illa^ut ita loquar} grada^  tioiprimolocoeliconfcientiz motustfecundo deliberatio fufapiendi flagitiit  poft hanc maeror ac demum maior ludus:primum ita^ ac tertium (lyx fignifi»  cat/fecundum Acherontquattum cocytus .Sumopere me hzc deled.<nc inquit  LAVRENTlVS.nerpme offendit quod eofdem fluuios nonaduna/fed ad  piares rationes ttanfFeras. Videmus enim & grauiflimosin nollra theologia lo  cosuariismodisadodilTimisuiris intcrprctari.Habesigiturdrfluminibus in  quitBAPTlSTA:Nunc quid libi Charon uelit/confiderandu cenfeorNara  portitor has horrendas aquas: & flumina feruat terribili fqualote charonicui  plunma mento Canicies inculta iacet.uerum ut res fuo ordine progrediatur/  non nautam folum: fed £Cniuem limul intcrprerabimurtSit igitur nauis uolu>  tas:licnautalibeteuoluntatisaibitriuni: Nauis lurfus cocoinfuum cu fumdi  ngitur.Hiceledionrm exprimittipra enim eiedionc libetum aibitrium uolun  tatem dirigit t Q_oin U per uela eziefles incliuadones non erit abfurdum incel  Iigere:Nam quo czii inclinant/id libenter eligimusmili illis fefe ratio opponat:  cuius tanta uisell/ut etiam fyderibusdominetur.Pergrata hzc funt quz dicis  inquit LAVREntius. Video enim te chrillianorum dogma retinere: ut tamen  mathematicos oinonoirrideasiScdfequereobrecrotSenex cll chaio inquit bA  PTlSTAtqmaiali no tepore ut Platonici:quosfequic poeta/uolut dignitate  faltem & origine prior cil corpore. Adde qdzternacfl:zcemitate aut nthil ana  tiquius:Q_uaproptcr Si, arbitnu libetu in illis zternu:Sed auda deo uiridili^ fc  ncdustqanuquamdeficit.Ellaut terribili fqualore &ex humeris fordidustili  amidusdepcndet.Q_uz omnia ad corpus tediflime ni fallor referuncut : cor«  pus enim ucluti ueltimemum ellanimz: quod alfiduo mutatur ueterafeit: actz  dem tabefcit.Addit duplicem oculis flimmam:quia liberi cll arbitrii ad utmta  ucliiflcdi/dC ad rationis fulgotem/8t ad cupiditatum ardorem.non temere au  tcmncc tine exadilTima quadam ratione herebi nodifip flliusell Charon: Ce£  Iffcnim nox in nobis quz nihil aliud ell nili ipiz ten(brz/quz abinfeinapro  iieniut/nulla erit cofultatioe opus:mens enim fumu bonu perfpicue nofccrcta  &in illud line ulla dubitatione ferret .nuquam enim eligimus nccelTatia/ac fub  lata dubitatide ois confultatio celTat :Q_ uapropter qui iam in tertio uirtutu gea  &erefunt:quas purgati animi appellani/ii prudentia in repe deledu no utunc' t  led przter ea quz lut uera bona nihil nouetutiea^ fola mtuent . Herebus igi  tur.quud uerbu grzce ab obfcuritate originem ducit:ita lefc rationi opponit  Utopuslit cofuitatioci (^uoniauaoCutmddKeba}acmodeacccllarii&cota    la.P.Virg.M.AIlego»   fuUc:opottuit bancuim ea libertate donatam clTerut aut de plutibua unum/aut  de uno <tt ne agendum pro fuo arbitrio deccrtut. Hoc (i itaefta gratia didtuc  Charon«Nibil enim iibaius cft gratia cum fua fponteproueniattnon autem a  cuiufquam merito debcatur.Q_uaproptei cogi nullo pado uultsat(^ ea de au«  fa cum Aeneam pet tacitum nemus ucnite uidetific prior alIoquitur:Q_uiiiquit  cs armatus qui noiha ad iimina tcdis/Fare age quid uenias idbinc & comprime  grclTum>Nam cum etiam rationem ad (c ucnire uideat liberum arbitri umsNon  ante illam admiaere uult-quam difcutiat diligentius quid fibi agendu fit.Q^ua»  ptopter addiuNcc uero aladcm me Tum laetatus euntem accepilte lacu > quu ne  ad uirtutem quidem trahi uult liberum arbitrium . Verum antea confultat i Et  pofi confultarionem deledum adhibet:Q_uam quidem rem animaduettensff  billa;(LuimrubiicinNuilxbciDndiznccuimtelaferunt;&: ut appareat illum  con cogi/fcd per confuitatiomm peifuaderi aureum ramum oftcndittllleaute  ad uifam fapientiam libenter conuetticur: fiC de natura hadenus.Nauis uero a  czruleo colore confiatilile autem ex albo nigrocp conEcitur.Conteplator enim  inter iofeitiam at^ cognitionem uerfatur.Non enim mouetur quifpiam ad in»  ueftigandum luli aliquid uideat: Rurfus cum omnia in ea re uidcrit definit fpe  culari.Eadem fere ranone futilis hngitunperceptis enim percipienda adneditt  Si autem futilis &, timofa.Nam antea quam habeatur perfeda rerum cognitio/  non ctit ita perpetua rerum fenes/ ut nullum intermedium relinquat: Animas  uao quas ut Aeneam recipiat e naui pellit:omnes animorum affedus qui ratio  ni aduerlantur/interpretandas opinor.Sed uos fortafie nimis cutiofam nimir(^  ineptam huiurccmodi interpretationem exifiimabitisicum ita minute etiam tni  nmiaptofcquar. An tute cutiofum aut ifia minuta appellas inquit LAVRENTlVS:quxetiamli nimis ingeniofe elicienda elTentidigna tamen funt io qui»  buscJaboresiNuncuerocum fe ultro offerant/quis ea repudietrQ^uin igitur  ptofequetetfiC qyz difputationi noftrx quadrant ne przteri. At^ in pnmis quid  libi Cerberus uclit/nobis apeiiiNam &quod cymba gemuetitifiCquodrimofa  inultam paludem acceperit : ego nifi tu aliter fentias fic accipio/ut in altero fpeca  lationis diificultatemiin altero terrenarum uolupratum illecebras : qux furtim  dum uitia fpeculamut interfluunt/exprimere uolueritiPromptum pa immor»  talem deum ingenium/^ ad omnia uerfanle in te elTe uideo LA VTENTi in» quit bAPTlSTAtnei^ commodius ifia meintapretari potuiflie fateor: Ad cer  betu autem de quo audire cupis /paulo poftucniam:Interim pauca qux omi(<  fafunt/percutramus: Ad nautam omnes confluunt animxtomant^ pnmx  tranlHuuiumpottariiteltdunt^ manus tipz ulterioris amore: Hic iguur con»  curfushocut puto fignificatomnes natura fdre.cupimus: natura autem non  omnes admittit: quia liberum menns arbitrium non omnes ad.fpcculatiooe  adtmttit : nam quod in humatorum animx cenmm annos uagentutt de zgf*  ptiorumconfuctudinc tradum: 6c Seruius & Seneca affirmant i Q^uam rem  deinde Orpheus^ad inferos tranfiulit: Vehementer uero quadrat Palinurum  a fybilla feuere calbgari: nefas enim efi cum appetitum ad ueriinuefligatio»  bem ttaduccre/qui aducHiis rationem contumax fit r Sed redeo ad Aenca;^at at 0  jlU, DI ii a a » 0 3 i i Liboguartuf   tat) jcm charon ad ahetam lipam iocolumetn traducit.Ipfd «tiim poft diutumu  catamen rationis Kappetttus in fpeculationtm tradudtur.Q_uo in loroaio^  uutn adunfus fc bellum cxdtari Tentit, Cerberus enim ha;c ingens latratu regna  tnfaud petfoiutaduerforecubans immanis in antro.Scd animaduerte qua par»  1)0 negodo omnia a Sybilla pacata reddanturrOffam enim latranri cani porngit  Q_ua uorata ille in fomnum inndit.Q_uaptoptet occupat zneas aditum cufto«  de (iepultotCerberum igitur ea fortalTe ratione tridpitem poetae tradideruttguo*  biam illum terram gux trifanam diuiditur/interpretantur.dicuntcp grzce  quali Omnia enim corpora uoratterra:quado quidem io ea omnia reddunt.Si i^‘tut terra eft cerberus : quis non uideat porta  noflrum per cciberi latratus noftri corporis indigentiam exprimere uoIuifTe . Cu  enim ad rerum magnarum cognitionem eriginiunhoc profedo agimustut men  tem quoad dus fieri potefi a fenfibus reucKemusremoritp dircamustnon tamen  ex buiulcemodi mortis comentarione intereat corpus neerfle putestred cft illius  ratio babenda.Reclamat enim ne fibi neceflaria fubnahastlnmrgit^ trifaud lar  ttam.Tribus enim rebus indiget dbo potu ac fomnotin quibus nifi fatis illi a no  bis fiat adeo obflrepct/ut nihil egregium meditari (inat.C^uamobrem nullo par  donegligenda e(l cura corporisrlimplicitcr tamen modelle ac omnino fobrie/re  fidendumtut cum laboribus ruperetTepoflit: nimio tamen luxu contumax adr  uerfus animum non reddaturtpaucis enim natura contenta eft : at<p ea huiufcer  modi funt/ut fine labore: fine fumptu facile comparentur. Nam ne fortafte ad ea  re me te reuocare ardas quibus Ginicus cotctuscfti^oflincuicmdumolusnul 10 etiam lalecoditum fuauilTimas epulas prxbere pofnttaudi ea quibus uolupta*  tum patronus Epicurus acquiefdt :Num ipfe minus uiliflimo panno:quam aut  purpurea aut ccKdna ucfte a frigore defendi rxiftimat.nu fitim nifi chio aut aete   11 uinoatinguitnum famem nifi exquiritiflimisregiin^ dapibus fedari pofte pu  tat: Epicurus inquam qui in corporis uoluptatefummum bonum ponit nullu  aliud pulmentum in coenaptzta famem ac fitim quzfiuit : quem etiam legimP  ad panem raro quicquam prztn cafeum addere folitum.Ficedulas autem ac par  Uoncsreliqua(| ilb flagitia quz & Maaobius in pontificalibus Tuorum tempope  ccenisdeteiiaturt&nosnoftratempeftateinromanorum przfulum dipibus fir  nefumma indignatione ac gemitu meminifte non poflumus ueluti pemitiofilTi  mamonftra exhorrebat : Q_ua quidem in te ego terni LAVRENTI ficut inc zr teris temperantiz partibus iumma laude dignum puto;Nam przter id quod plu  timos iamannos utiunfiurarum articulorum dolores efFugias:uinum non bi bis nonne pro miraculo haberi poteft/ut tu in tanta mum omnium affluentia: in tanto urbis noftrz luxutin frequentibus lautiflimir^proptaalTiduashofpita  liutcs BC aebra fodalitia tuz domus conuiuiis nihil intuum uidum nifi fimplex  ac populare fumas: Q_uzdum cogito redeunt mihi ad memoriam ea quo<^  quzdeFederico Vrbinatumprindpcnon folum audiui:fed etiam propter antir  quumhofpitiumfl Cueteremamidtia fzpiflimeuidi:Inquoduce^& fiplurimz  aliz^ ea magnitudine uirtutes elucefcant/ut ueluti folis radiis minora fydera  Oiancfcunt t ita hzc illatum fplendote obruatuntamen quis non obftupefcat ta    Id.P. Virg.M.AlIego;   tiu Meorinaumacrobrirtitf modicamincaftrisubiuJrtrolrt   Wtn f*t« inopia nullu inter fumtnfi duce ac extremos lyxas & alones d.(c^« ,  elTe patn tfed domi quocj ac in aulatin qua cu ota ornamenta pana  fefe offerantmec uiq aut liberalitas/autmagnificeoa defideret s tamc difcubent*  illo nulli aut palalaSo aut nometano/fed Bi philofopho & oraton ocw relin^  tur.lpfe enim a primis annis uini prciflT.mus fuiticuius ufum paulatim intei^  tendo eo progtelTus eft/ut iam diu illud omiferit/nemo eQ qm communioni   epulis/nerao qui fimplidoribus uefcatur/quibus dum corpons U.TO r  fiaui(rimisinterimdWu«o™“‘l'fP““»°"J““'l?“perfipefii dum lingulis annis ualitudinis oaanduj raufa romanos aumnmos Sfugiensadillumdiuertor:uidearmihiaSardanapall.c«rn.smAIano.conu.-   uium inddiffe/K ad aliquem foaaticum hofpitem deueniftim quo pnfc* con.  tinentix ueftigia tam uehementer me deledat/quamm notoojir hominum qui  rubris nigrifqj galeris:ac niueis riciniis totius fanditatis doannam phtent luxm  lafciuiam exaritat.Pudet enim pudet mi Uurenti pigetip noftroju «orumm m  totius rei publicx chriftianx curiam in qua integra religione maximaij dodnia  nonnullos optimos patres K tanto fenatu dignos elTe non negaueom/iis homu  nibus aditum quotidie patere uideamiquos ego tunc demum fenatorium ordi.  nem romx iure obtinere cenferem/li Heliogabalus ib inferis redudus rurfusim  peraret. Verum cu hxcme alio in loco deploralTe meminenm agamus quod iltat.  AtcB naturam noftram minimis cotetam effe intelligamus.Q_uod cu expnmere   cupet Maro Sybillamquxueradodhinaeft inducit offam in qua & andu 8Cb^   mefcens fimul alimetum fit/Cerbero porrigetem/qua faale & fihm? I*'   det:& in fomnu inddat.Aureu pfedo prxceptu.Nam qui aut Uutiflimis epulis  corpori indulgetiaut uaria uina exqrit ipfa crapula at(j ebrietate « c^us contu  max fibi reddit/8J animi aciem ita hcbetat/ut nihil altu fufpicere poflit . Upt^  quidem funt ifta qux dids inqt L A VRENTl VS. Verum de Cerberonon idem  TOCtas omnes fentire uideoiMaro enim eum canem ita latratem inducit/ut non  egredi fed ingredi cupientibus aduerfet":cuius qdem rei rationem optime a te ex  Mfitam effe intelligo. Nam huiufcemodi corporis indigentia non iis allatrat qui  corpus curadum redeutifed iis qui illo negUao ad ueri cognitione £0“«“^  ItacK ut dixi ego qd Maro fibiuelit plane tenere uideot; Veru cum apud Heli»  dum poetam ut te non fugit nobiliflimum legerim Cerberum uenietibusauda  auribufm blandiriiExire ucro nemine patiiln infidiis enim delitefcesjqucmcua  extra ianuam offendatiftatim morfu laniat s no intelligo quo nam modo hxcoi  no inter fe diuctfa non fint nifi fortaffe alium ad inferos defccfum  um Maro exprimere uoluerit.Ingeniofe tu quidem inquit ®  dit enim ad infaos xneasiqa in uitiopr cognitione tcdit:Q_uod fi ita eu ingit™  enti aduerfabic Cerberusrodit enim hxc corpusiFac aut aliu no ut imU nan^  cognofcat inferos petereifed in ipfa uitia labi auribus 8i cauda bladiet Cnbe^  qppe qui illu ingredi cupiatiNam qd aliud moliunt' iquid aliud conant perd»  boies nifi ut tridpitisbelluac non folii indigeti* fatiffadatifed oes uoluptates  plcanuQ^uod fi ide ifti nonunq pdita uita reliqua «id enim eft infaos egteoi* - >4^».Liba guam»   tcnctit tuc latrat tunr mordtt canis.Rrde igtt'’ addubitaftt.Rrdt us aut dubitatio  orm fuluifii.brd ut ad Maronis cci bttutn rrdcam facile ille (imp KnlTtnis rpuHs  arquieuitsAcneasautnn celer ripam cuaditsNon enim lente K cum fegritie bacc  adtunda funcfcd omni contentione at<]t ardore captiTcnda. Q_uc niam aut or*  do in rebus huiufccmodi cft ut primo uitia cognolcanf .Cognita deinde effuga»  lunut pofirtmo illis purgati rerum diuinatum in quibus fummumbrnum con  fidit idonei contemplatores eifiriamur/erat illi totius bumanz uitz curfus mrn<  te repetendus/ut peripicuc intelligeret no folum quato fe fcelere adnngit qui no  biliore fui parte neglcda in uno corpore:& in iis qux a corpore fum uoluptatib?  fpem omnem reponunt. Veium etiam quata miferia opptimanf.Earo enim uir  tutum armis quibus folis uidenes euadne potuilTi nt penitus exuti nudelilTimis  fortunzidibus nudos fefe obticiunt/& ut ca»era aduerfa/qux innumera quoti«  die aeddunt omittam /mortem ipfara qux lingulis borarum momentis impedet  uelub lummum omnium maloium rxlKHret.Q_ui quidem matus enam Ii nui  la alia ptutbanone adiaans ipfe unus nos nunq refpirare linit.Q_uaprnpter hac  iirpeipfosmfantesin pnmo uitz limine petere oftedit.Hac & in fontibus p uim  mferri edocet. Hac & libi iplis eos afferre demonfiratiqui adeo imbecillo animo  fimt/ut grauilTimis quibufdam ptutbationibus fe pares gerere nequeat. Q^ux q dem omnia diUgenter intuens xneas decernit tadem hoc in primis fapienti prx«  fiandum elTe ut culpa uacet/mortem autem ipfam inter naturx munera eoumc«  ret/cum cz ea no folum nihil mali nobis id eft animis noftris eueni» / fed contra  fummum bonum/quonia a tam tetro carcercfoluti in noftram nanira rcdeam5’.  Q_ ua qdem ratione faceti cogemur amice at<^ indulgentet cu illis efle adum qui  antea ad buUifcemodi miferiis erepti Itnt/quam in casinciderint/diuind^omni  nomunusilludincIcobim/ttbitoDcalunonecollatumtquipfofuma in ipfam  deam arqi in matrem pietate moetemcofecuti fint/Cxtenlt^ omnibus natienb  bus ac populis fapietiotesclTe traufosputabimus/ii enim populi in thracia funt  qui fuorum onum multis lachrimis ac lamentationibus excipiunttquot mala il«  hsin uica cucnmra line enumerares. Obitum uero omni genere lattitix ^ fcquua  tur.Cogitant enim quot erunisq uariisgrauibufip fortunx cafibus morte libera  ti fint.Huiufcetoodi igitur rationibus paulanm xneas moetum mortis deponit:  Q_uin fi aur fe aut quempiam bonum uiium fupplicio morte ue per fummaiiv  iuiiam peti uidcbit non duliilHme ur Xanthippe illa de (bcrate falrc merenti hoc  cucnitetdicet.Scd quod uetumefferapientes norunt Ihilti uero negant a nrmi«  ne nifi a fe ipfo quenq Izdi polTc affirmabitmetp quicq quod turpitudine careac  in malis cuumerabiti^uin Kfoaatica argumentatione couincctquicuipiniue  fiecrudeliterip in aiiuiu «gerit non illum fed fcipfum iniuria alficere.Eos autem  omni odio infcdandosducct/qui animum immortalem fiuptr natura itaro*  bulium/ut humana omnia contencre polTit adeo fua ftulttria enenuuerittadeo £ taua confuetudinc imbecillum reddittut famineo amore incefus in eum pau»  tim furorem ptolapfus fittut fibi ipfc manus atruleritiK morte q fummum tC>  fetnalum putabatiid quo urgebatur malum effugere tentauerit . Q_ua quidem  in te pnmum ignauiam ai<f incttiam cotum damnat:quia fua culp in eum Lbt   o ii    In.P.V;rg.MtAIkgo. dinofum atnortin inciderint quem Plato ab humani» morbis natum affirmat:  quoniam illi eofoli afficiant qui uentri ac fomno dediti: & diuinitate fua quam  aroris denlis tenebris obrui pemuferut penitus obliti nihil praeter caduca : & aut  morbo aut aetate cito perituram corporis fortnaih reTpidunn Q^uamobrem bis  pcccant.Nam 8C a principio Tuo deiidioro ocio ac libidinofa lafduia effedum e(l  ut in rem follidtudine plenam inciderint. Deinde cum morbum fua culpa cotn  dum diutius pati ncqueant:fumma fc impietate afttingunt qui a fummo deo in  coipus ueluti in cuftodiam mifii in iuflu ipiius illud deferunt.Specula^ poii bax  extremam eorum hominum inlaniam/qui cum perfummam iuffitiam intrati/  quillo fccuro^ odo degere poflient/per fummara tame inturiam ac impietate pa  cem pcrturbare/ac omnia mifcere maluerut.Nam aut nulb iniuria affedi ipfi ul  tto auatitia ambitione ueimpulfi ferto igni fraude nihil tale merentes laceiletut/  aut ipii lacelTiti nihil de iure quod hominis pprium eft difeeptantes ad uim qux  faamm ed fe contulerunt: Hinc genus humanum cui pa edeordiam in fummo  odo uiuere licuaat affiduo mifccri uidcmusiHinc multarum regionum popula  dones fiC infinito;: mortalium catdes oriri aiaduertimusmt cum undi^ quzeu^  nobis calamitates eueniut colligerimus:nulla homini q homo acerbior pedis in.>  ueniat : Vides igit q exada lapietia hasc oia poeticis ligmetis exponantur .  quidem quoniam huiufccmodi clVe animaduertit/ut & cum fcelae dant/ fit po£>  fint etiam uido carere/placuit ut una ac limplid cdmunit^ uia irecur.Cum autea  Deipheebo iam difccirum fuerit/quonia eam iam fefc contcplanda offerut / quz  aut penitus flagitiofa (int/aut pcul ab omni fcelae folam uittutem continet du  plicem iam efle uiam oportetrut altera in itnidram ad ui tia defledaturcAltera uf/  to indutt^tnaduirmtesdcueniat^Hociglt inquit LAVRENTIVS fitPytba  goram illum exprimac uoluiife acdiderimtqui littaam yadinuenit.Q_uod no  latuit Perfiuspoeta/cuius cdillud.Et uitz nefeiusenor C5eduxit trepidas ramola  incompita mentes» Ifrhuc ipfum inquit BAPTlSTA.Sed uideamus quzfequa/tur. Æneas fub rupe (inidra mcenia iata uidet triplid circudata muto, fetifica p/  fcdu tartarotum defcriptio.Locus enim exprimendus iam edin quo uarialole/  ta puniantut.Hzc grzci tartara ab eo quod ed tarattiiid enim cd pettutbatetex p  turbationibus enim uitia oriunc .‘cademi^ paturbatam femper peccatoris meo»  tem tencntilnduduntur autem triplici muroiquia non una ac fimplid uia fcd tri  plia peccamus.ptimo enim quodam folo animi motu ab deprauata uoldtatc fce  Ius condpimus.Secundo deinceps loco accedit adus.Q_ui podtetno iteeum at/  iterum muItoticnf(^ repetitus habitum obdudt.Q^uamobrcmhzctria in tat  taris iure expreflit poaa quz procul a uiro beato edic tedatur laaoruffl cartniiid  uates.Ille enim fiatim a principio dc ordif :Beatus uir/qui non abiit in condlio i  piotum.Videsiammotumprimumanimiadrcclus.Ocindc fit in uia pacatora  non dctit.Q__uid enim aliud uia cd nid ipfa adioreitquz depius repaita nd am  piius in motu ed:fed iam fedcmdbi ponit fit redda in habitu iam coadabilito.  Rcde igit fit in cathedra pedilentiz non fcdit.Q_uod autem flammifluo phlege  thontbis flumine tartara ambiant" :minimc abfurde dixit . Odendit enim aidp/  cem itacundiz: fit arumotum zdus quibus id hominum genus alGduo torretuta    Librr quattuc   Tantum fnim tH uittoruu odium/ut & qui illis delcdati lutif tandftn pcraitoi  tiamdcdudi uitaniprattcTitan]datnncnt:urhcinrntn(^ oderim i fibi uno ipfia  aetnime iraiiantur . Nam tu donum cblTes tranfifTc dies luretn^ palufttttn:Ca  ptiui tamen unico habitus dnnui inuiti trahuntur at(^ ira furore^ exeduntur.  Q^uapfciptcr tapidus flammis ambit torrentibus omnis t Tartareus phlegethon.  Nulla cnun fomax/nulb fabrorum oflirina magis exxfluat quam feeleratorum  mens» Nam Taxa a flumine contorta oflendunt quam graues quam molefli flnt  buiufccmodi motus ati^ «agitationes. Addit ad ba;c portam munitifilma fit foli  do adamante columnas: quibus locum ita munitum redditiut net^uirorumne  ^ czluolarum ui efitingi poflit > Q uid ergo flbi uult dodiffimus uir: Nempe  hoc ut puto uiros flagitiofos ac permtos cum in tartara deuenerint : id autem eft  cutn longo habitu fcclaum mancipia cfFcdi fint/nullis uirorum monitisinullis  diuinisptxccptissnulladeniipfyderumclemmtiainde eripi pofleiQ^uaprcs'  pter iute tales homines fit larini perditos / fit grxd afotos appellant.Erit igitur in  quit LAVRENTl VS amifliim in illis liberum mentis arbitrium / ut fit fl uelint  aduirtutem redire nequeant. Video fit in hoc ingenii tui acumen inquit BAPTi  bTA . Nam breui interrogatiuncula illa omniaconcitafli : quz a grauiflimis phr  lofophis de uoluntario dem inuoluntario quzri folent . ua quidem in re no   folum ingenium laudo/ redconfilium quotp uehrmenter approbo .Nam cum  multa liefe tibi offerant tquzfloc cuiufquam auxilio ipfe tibi foluere polTis/ea  tamen ab alio dici mauis/ut fit raodeftizquod nihil tibi arroges: fit igmiiquod  prudenter interroges flmul laudem feras . Verum facile ita huic loco occurretur  li dicemus non uoluiife poetam ineuitabilem neceflitatrm/red eam difficultate  quz impoflibilitati proxima (it demonflrare.Sed fac etiam(^(T placet)omnrtn ex  cidendi facultatem adimere . Non tamen dicemus flagitia quz committunt in^  uoluntariacffe.quando illorum principium uoluntaiium ruit . Nouitenimin#  continens peccate curo adulterium committit: potefl^abflinerefi uult. Peccat  igitur uolcDS donecafliduishuiufcemodi deprauatis adionibiTs eo perueniat/ut  contrada iam intemperantia etiam fi uelit abfhnerc non poffit/non tamen inui.'  tus dicetur peccaffe/quamuis tunc nolit quoniam licuerat a principio/modo uo  luiffet in firmum illum intemperantiz habitum non deuenireK^ uaproprer no  magis inuituspeccaffe dicetur/q qui fua fponte in quempiam lapidem iaciat de^  inde pOEnitcntiadudusteuocatetfipoffet lapidem : qui per aerem fertur quoni  amnoUer hominem ferire. Ferit igitur fi! bene uolens : quoniam initium a fua  uoluntatc fuit. Sed hzclatiusapud Ariflotelem in libro de moribus difputata  inuenies . Itatp redeo ad zneam : qui ut uides urbem ipfam non ihgredit .Nam  qui uitiafpeculanmrnon uniantur interuitia .lllorumuerouimat^ naturam  a S)rbilla(^nam eunda edocet dodrina^penitus intelligit . Procul tamen in limi  ne Tyfiphonem uidet.ponit igitur furias in limine tartari/de quib^plzra<]p quz  a poetis finguntur uelutinotiffima omittam . Plane aurem conflat placuiffe pri  (as foiptonbus quicuni^ maiori flagidofeobflrinxetint a furiis uexari t ut in  Horcfhs Alcmconifi^ matricidio uidemus . Q^uo in loco quidnam aliud expri  tount furiz : nifi inquietudinem aepotius uexationem quandam turbulentif    In.P.Virg.M.AUego.   Narorima hxttd uluo quod fe ludia neroonoanaabfolmtur. VtminU  cts/ut mdida/ut d«d<cus/ut infamiam effugias ; nemo uident : nemo a^ienfc   Q uitcftisdtaripolTitadcfttamenSp&confciennaiquxu “*8«* Sicium rapit . |au.ff.mum tcftimonium dior i comnncjt ^am «jb   cod*,;U^uenaled.fc^^   ilU flacellai hi fcrpentum moifus quibus fun* nos «agitant. Habes de tun   t S aurem Ufcelera. at, V «auilf.ma«iftunt a principio enumexat . Impietatem in  S in homincs.Nam & tianiam prolem   flurni naulo ante dicebam / confaentix cruciatum dodioreinterpretantu^   ?e enm ueluti Ceuiffmus fcelcrum uindearqux flagitio obnoxujU^ i^  na affiduo nmarur : & dum commilli in mentem  dia corrodit /curafm afliduo excitat /nec eefpirandi fpanum  ueroK fxioncm tyrannidis exemplar effe uuir/quo*   Upfura cadenti imminet affimiUs: Nunquam enim fine pe^ione uiuunt . (^uod & Dionyfius ille iyracufanus Uamodi tamilun  L illum beanffimum putanti probe oftendit / cum illam ita int«   ^s epulas ac pretiofa unguenta coliocaflct /ur umen metu   fupta caput equina feta pendentis nulla poffet uoluptate a la .   mSlto rnelius\ofcunt h^ines quam detur modo impeni acquirendi fa<tasttuitate fciant.Ncc ueto diffiale eft intelligne quid ftbi   te ora paratx regifico luxu; cur furiatum maxima luxta   ptohil^t contmgae menfas ; Neq, emm uerius neq, «prelf.us   Le potuittqux in eam homines dementiam protrabit/ut cumpluniM^   geffeS/tum maxime fame per, re malint / quam congefta   fe & pulchre Orarius Tantalo illos comptat / qui apud in miiima aquarum pomotumtp copia fm fame^ torqueatur. Pulchre em   am^ illud tCongefiis undiq, Ciccis indormis inhians & tanq^uain   SI coceti* j pidi» unquam gaudete ubellis . Magna ptofedo ^nutn   da qw non norunt harum rerum poffelTioncm non propter fe   ntef illatum ufum.6 uapropttrbonailia nontede/uuliaautemtecteapp^.  ^mus. Sed nimis mulu quando multis iamin locis de auanua diximus /i  «deliqua uidcamu* : Saxum enim ingens ii uoluum i (Quotum uiu per Itm  mam mftriamin eo uerfaturiutCcmpcr ea prtantitamohn “ir ««/qux  aut natiuam aut fortunam fuam confbtuu efficere nequeant i o^el^ eoii«  conatus irtiti mefficacefij fint.Rourum uao udus dettndi pendere nmw ‘  Kdicuntur.quinibilranonefiiconfilM) ptzuidcnteiinihil “P‘“^,   deo fe fortunx conimittilnt/ut eius cafibusuelun inter eutyp fludibus ucw  affiduo totentur.ne« uittutem ullam habent in quatn ueluu in tutum ttanq^ him^potturoW^tteapoepofliBuHuiufcemodiigitutuUttactchqnaquxpItt r- Liber guaitiu   rimi uaria^ fuot edocet Aeneam Sybilla / dodum^ flattci ut feiUis «pii>  ct admonet : ut punis campos clyfios ingredi poflit . ms igitur Matontm  a Platonis dogmate difcedcrc diat. lllc enim cumfummum bonum in di'  uinarumtetum cognitione pofuiiretiproptetea^ ccnittctomniuuiuium gr^  nete excellere cum opottae : qui cum Iit futurus beatus / tamen ab iis in<  dpiendum cITc oftcndit qua: Ant in uiu & moribus poliiz . Cum enim dv  uioa / quae puriflima 6i ab omni labe corporea impolluta lunt impurus nr-<  mo attingere ualeatt pcrhuiufccmodi uirtutes expiemur neccire cU/ illis ctjita  tL uitia cogDolicimust SC cognita abhominamunat^ puiilliau ndiu i.xlo^  fiia ac immortalia egredi poAumusiHac igitur ratione iinpuilus Maio cum  ad tummum bonum perducae honunem uelitt ira Acnram iiiflicuendum  curati ut primo uitia omnia edoceat/ deinde illis cum opiaium ad campos  clyAos perducat. Cognita enim uitiorum turpitudine totum odium  Boa inepuiquz quidem prima omnino lapientia cft. Audirus cnim ad il>«  km/cA,ut fiulritia careamus . Sed tu nefcioquid mirabundus tecum animo  ooluisiifibuc ipfnm inquit LAVRENT1V6. Stduide.quantum tibi extua  diTputationc debeam. Dum cnim mihi planum icddeie Maronem ttnusi  id^ efficis eodem tempore in noAri duis diuinum poema induds . Nunc  cnim demum pcrfpido quid Abi uclit Oanihcs / qui piimum ad inferos de<  (cendattat^ inde emergens, nullam aliam uiamniA pcrpurgatoiialocaadca;  Ium inucniat : Made uiitutis adolcfccns inquit liAPTlSTAi qui non ea ib  lumquz dicam Si A diffidlia Ant facile acapias. Seu quadam Aaulitudiueou  dusinde ad alia accedas/ut cum ilk maximam laudem ex diiigcntiilin<a qua «  dam ingenii atrihd^ plena imitatione alVccutus At : tu quoqi uuuciedio<>  acm laudem mcrcaris.qui bzc omnia/quanquam uebemcutcr dilliuiuJata lint  in illo poeta rccognofcas. Ego uero inquit.L. quantum cx huc merear ipfciu«  dicabis tqtianquam ueriorne nimio in me amureiaplus noAiutnlioc ingcnk  um longe pluru facias/ qua oportet.iliud tamen Si A alicnuni a ptopolito fcf<t  mone uideatur/non omittam .Tu autem quod dicam ea laiiunc amc dida  aedas ueliin / non ut meum ueluti decretum in tanta icponam / fed ut iudtci'  iitntuum quod ego onmium reliquorum ludicioaotcponomcu uerbis elici  am • Ego a prima pene puetma cx uiaufqi patentis m Aituio adeo famibate uni  uctfum opusAorentim poecz mihi reddidi / ut pauci omnino Ant in eu lod  quos ego Aquando illi huiufecmudi oblcdamcntt gciius rcquitcter.t/ non fa«  cilc ad uubum exprimerem. Sed quid poteram puer ex um dtumo uacc ptet  maa uerba pcteipcre.Nunc autem cum uniuetfum rci argurocniu mciice peu  curro tumma admirauone cius uiii ingenium ptofequor.Na oi lu upexe fuo te  xendo pauca onuiino Ala de uirgiliaiu teia mutuari uideac ttameii mde oia pe  ne Ant.l^uiobtcmnuncnd demum inteiligo/quod nos cx Cict-roms peepto  IzpenufflccoLidinus admonete folct cc in aliquo imitadu diligctcm oino u*  dooe adhibcnda.Nci^ enim id agendum uri idem funus qui fuut miquos imi  tamut.Scd cotum ita iimilcs : ut ipla Amilitudo uix illa quidem neq^ oiA a do  dia iatcUigauit.Sed tu A uidetut ad inceptum tedi. Cum igitut inquit. &    la.P .Virg.M.Allcgo.   omnibus iam uidis expiatum Aeneam ad eamm rerum cognitionem Mato  deduAurus elTettqua; in casiis funt noncxlum fed elyfios ampos nominat.  Miro profedo ingenio u3tes/& qui eodem tempore & figmento fu o Kuerita  tiin(eruiat:Nam& (i apud inferos poetarum more heroas relcgalTct i tamen  nt hzc omnia de czio ilium fentire animaduertamus largiorem ztherem : ac  fuum folem fua^ fydera illis tribuit / ut cum a figmento nufquam difcedat  philofophizumen ucritatem profequatur . Nos autem (i quos uirosilleincz  ios reponat diligentius confiderabimusiea omnia quz primo difputationis die  de utroi^uitz genere a nobis erporiiafunt acubflime ilium elTe complexum  animaduertemus / ut K qui in rerum cognitione reIigiofe/8; qui in adionu  bus ac uitaduiliiufte uafati Hnt digni omnino exiftant: qui in czlumuelu«  ti in originem fuam redeant i Q_uapropter BC Orpheum Si Mufeum ac reli>  quos qui cafti fuerunt facerdotes : qui phoebo digna locuti uerum reliquis ape  rite potueruntsqui uaharum aitiu inuentioneuitamcxcultiorem reddiderunt  tanquam fpeculatorescotnmemorat.Nei^ tamen eosobmittit qui aut piisar<  mis aut confilio opera induftriaat^ audoritate rem publicam dcfendcruntiK  in duiliacfocialiuita ueifati funt.Huiufcemodi ita<^ animos ab omni cor«  porea contagione expiatos cum fimplidlfimz 8C omnino incorporez naturas  fint : SC maximarum rerum capaces exiftant mullis locorum anguftiis arcuferi  ptos / nullis regionum terminis inclufos eum animaduettac / fcd liberrime per  omnes mundi oras uagareuideat: ita Mufeum loquentem indudt: ut often.  dat nulli e(fe certam domum/ Q_uin & cum ita fenoit quz gratia cunumiarmo  rum^uiuis fuit quz cura nitentes pafcere equus eadem fequitur tellure repo*  flos, demonfkat non clTe fcimroemoremeotu quz& diuinusPlatot placo,  nicus Cicero de animis noftrisfentit.Cenfent emm adminift ratores terum.p. cum in czium recepti fuerint regendorum hominum curam non deponere.  Net^folumii quiiuflepieqt uixerunt eodem audore iifdcm (ludiis detinen.  tur corpore exuti t quibus dum uita manebat deledabantur: Verum llagttio.  forum quotp animi / quoniam multum ex fordibus quibus intta corpora fe  fadauerunt/ fecum inde trahunt a prilhnis curis difcederc nequeunt. Vidt«  ftis ni fallor longum quidem iter / ac difficultatibus erroribufi^ plenum: fed  quo tandem uir uirtutis amator finem diu concupitum attigent. Per uari.  05 enimcafus pertot diferimina rerum initaliam tendam s OC in quietas f&.  des deuenit Aeneas. Q^uem quidem fi imitabimur nos corporeis pedibus  liberati / SC nitido uirtutum fonte irrigari eodem uitz genere SC dum intra  hzc corpora uerfabuntur animi nofiri gaudebimus /& cum inde uoiucrint  innoftram originem reuerfi zterno zuo fruemur.Q^uz cum ita a BAPTi.STA dida fuilTcnt : ut difputationi finem impofuiffe uideretur/nihil polfutn  inquit LA VRENTI V S in ram longo fetmone defiderare.Nam a principio ad  hunc uf^ locum ita perpetuo tenore difputatio perduda edtut nihil aut inter*  niptu/aut diuulfum/aut ptzcipicatu t in quu inter mediu aliquod rclidn omif  fum ue fit qri poffu.Sut eni oia mirabili fetie colligata/& eo ordiecotextaiut ni  hil inde demi pofTintiquin quz tcliquutur manca fmt futuraiK nihil addi qrf  J M M S IJ i J i-S rg.§ ^ S l-l 1 t-i t 1 1^4"S fi-ll    tt    Liber quartus   quidem 6 ab/it /multopere requlreudu uideat’.Ignofcens tamen nimiz cupidi  tari no(trz/ri td nunc rcquiram:quod cu uehementer mihi planum reddi cupii  idne^badcnusateezporituintclligisnc^locuinquo deinceps exponi poflit  teKdu uidei:Ezpefiabam enim non modo fufpenfo uerum etiam anxio animo  quid tu de iis fenrircsrquz furpiciens Anchifes fuo ordine pandit. T u ueto dum  rcbqua inter dirputandum fuis quz^ lods difiribuis/illa no ueluti familiaria io  iufteeiedarfcdtanqua aliena rine ulla iniuria czclufa procul a tua difputatione  amouifti . Q^uapropter incertus fum quid agam:Nam ne<^ audeo te longa ora  rione defatigatum quicquaprztercarogareme^ is quz fcire cupio zquo aiu^  mopoilu carere. Hic arridens BAPTISTA meminiife inquit te oportet oLau  miri nos huiufcemodi terminis aniuetram quzfiionem drcurcripiifre : ut quz  ambagibus quibufdam/atip allegoriz figmentis obfcurata effent aperienda pro  poncremusim autem ea tequins quz fuis uerbis fine ullo figmento enarramr.  Ego tamen non ita exada ratione tecum agam/utquodexpado debetur/id fo  Ium enumerem t Sedprauerid gratis aliquid in ea hbcraliiatc accedere uolo : Id  igitur quod Maro ut Principio czlum ac tenasicampofcp liquentes: Lucentenv  ^globum lanzritania^a(ha:Spiritus intus alit : huiufcemodi eri utftoicora  de diis opinionem refetat:Longum effe fi nunc omnium antiquorum philofo«  photum de diis immortalibus fententias referam: Q^uz quidem tam diuetfx  ta^ inter fe aduerfz funt/ut totidem pene reperiantur/quot funt eorum qui feri  pfciuntcapita:Nonenimfingulzfolumfamilizfingulas fmccrias excogitari:  Sed fzpe inter fe eiufdem fedz uiri uehementer de re ipfa diffentiunt. Verum ut  reliqua ad przfcnsmiffa faciam & ad ea quz przfenti inquifitioni confentanca  funt deucniam:plzri^ ffoicotum:fed przfertim eorum princeps Zeno uniuer«  fum mundi globum mentem & ratione &fummafapientiaprzdita habere ae«  didaunt /eam^ effe ignem quendam purifTimum ac tenuimmu . At ueluti ani  mi noftri per fui corporis particulas oes diffunduntur/ita illu per oia mundi me  bta ueluti geniule femen unde eunda procreantur/penetrarciquippe qoi uigot  fcmeni^ fit omniu procreandorum. Virgilius igitur quauis ui reliquis a Platone  fuo nunqua difcedat/tamc cum uidiffet Chiylippu in eo quem de natura deope  limpfic libro Orphei mufd Hefiodi at^ Homeri fabellas ita interpretari /ut ide  prifcosolim poetas fenliffeconeturoftendereiquod multis pofiea annis (loici  fenferuntifbtuithacinreneab iis poetis quorum fimilis effe cupiebat diftiml>  Iis putaretur/^ ipfc porticum fulcire ac floicis adhauere.Na Platonis longe alia  fententia eff. Ponit enim deu penitus incorporeum:at^ extia omnem materia/  omnem^ mundum inipfoczlidorfoexiflentem. Q^uapropteeillu hypcrcof^  mlon appellatiquoniam eifentia fua fupra cxli uerricem mancaticum tamen ui  ac prouidentia nufquam abfit.fed omnia circufpiciens etiam minima curet.In  phzdro enim ait. Magnus in czio lupiter citans alatum curtum inccditJ^mua  exoinanscunda.Eodem^ in libro demonftrat locum illum neminem adhuc  laudaiTe poetaiummec unquam pro dignitate laudaturum.Q^uaroobrem cum  Platonici deum eztta mundum ponantiquibus etiam Ariflotelici alfentiuntutt  Stoici aut illu per omne ut dixi mundum diffundat, qs no uiderit Virgiliutn /i    in.P.Virg.W.AIIfgo.   cutn dcutn quctn in potticu uiderat dcfcripliiTcnnimorip noftros illius partica  bs elfe a Chrjiippo acccpilTe.Cu autem prouidcntiam dci multis in loas prafe  quatutinufquara a Phtune difcedit.Non enim idem omnes rendum.Q_uzras  fottaUe quid de mundo fentiat Plato.Ccufet quidem animam eu babcrc/a qua  reliquorum animantium animz (int.bominum autem animos abeo deo que  paulo ante dixi creah:££ ratione exornari uultiCorpus autem atip cacterasoes  uires/quaspranerrationemiabiseiTefamusbomiiaiabanimo mundi elTe (ai  bit.EQ enim lile dei uicatiusicuirjlua uniuetla ueluti fua prouinda denudata  Imltai^ illi uita moturai^ prxbet/non fuaui autfacultate/ledquicquidagitid  uelun dei in(humentuagit.Oeclinat igitur paululum de uia Matotat^a Pia/  tonefuo difcedit.Cum autem dei prouidentiaplunmis locis profcquicuri illi  totus adbzret.Non enim idem omnesfentiunt.Sunten:minfortunz qui calt  bus omnia ponantiK nullo credat mundum rectore moueti.Q^ua in fenten/  tia Leucippum abdaitem/eiufe^ conduc Oemoctimm: Protagoram quo^S  Tbeodorum ac Epicurum repenasi^unt itidem qui Andotelem fecuti non ita  odofum deu ponauut nibil omnino curare dicant. Illius tamen prouidentia Iu  nz orbem dclcenderenoaeduntiSunt deni^K tettiiqui fitliuniucifumper/  tingere illam uelint maxima tamen dutaxat curatr/mininu ucro omnino negli  gere opinent. At Piato ut eunda a deo fada putat/ ftc eunda illum curare exifti  mauAtipbzcdedeo.Otbeucto quo uiallim animos nodtos ab inferis ad coc/  pustat^ inde rurfus ad inferos tranfirefaibit ab academiacftc non negamus:  Verum (i latius de re buiufccmodi dilTcrendum propofuilTcmusiextant multo  diuiniota quz a tato pbilofopbo de aiope corpore difcclTu pferre poiTimustSed  difficile oino eff um breui tempore res arduas/ longa diligende^ otadone .ex/  plicandas bisanguftiis includere.ltaij quod roluminffat/idagamus.lnuenies  igitur apud Platonicos cu mille annos apud inferos fuciint animi bominn ad  corpora illosredireiatijinde uidffim ad inferos remeate.ldi^ totiens facere do  nec duodedm anno^ milia tranliednt.Hunc enim orbe perfedu extChmat.Na  eo fpado penitus purgari aios CTcduti^ptcrea^ poffe illos tu demu purgatos/in  fuam origine & adezicifes fedes reduc: Q_uod iiquis fuerit qui pbilofophiz fe  dcdacibuic ta fadiis purgado obumit:ut aceat ei poft tria annopt milia ad fupe  ros euolate: Adduc ena fiqs teligiofc oino uixeritieu ante mille annos H purga/  ti/S purgatu (fatim in fua origine redire: Eff prztcrea quemagnu annu appcl/  ]at:quc cuc finiri aedunt cum fol una cu luna ac quin^ reliquis enatilibusffel  lis ad eade zodiaci parte rcdieiint.Exado igitur boc tpis circmtu:quc & (i uatta  (itdodoru de illo uirorufententia/rex tamen ac triginta millibus annoruconfi  ci plzrii^ acdidere.ccafec Plotinus omniu bominu animas ad eunde uitz babi  tu rcditutas.Hzcigif'& qualia (int/& quid facicnda/fadleexco libro perapi  cs/que nodu expolitu in manibus hic noffet Matfilius habet: nec adhuc edidit.  Vciu ego cum apud ipfum inbgbinenffdiueniffcm/cafuin cu incides aperui/  locof^ quofdam fuma cum uoluptate percurri. Res omnino magna eff LA V/  tcd/fl( magnis ingcniuinbus ttadata/Sprotfus digna in qua labores. Poterit   <nitn no tolum maxima ac pulcherrima & homini fe ipfum noffc cupiend per    quartus   aeeelTariatedocercrcdmrummatn quo(^ admirationem rapere. Scnbit enim  non phyticcCut plxri^ folent^ fed metaphyiicc de animoru noftroru immorta  litate/utplane poffit de ea re omnem dubitationem amouere:Q_uem librum cu  Icges/&ha;c quz deMaronereqiuris:&plzra^ alia quz nos paulo antediuinif  fima cfle non rumusmentiti/facilec^nofces:Qux quidem res facit ut in iis  quzpo(hilafiibreuiorquelles/forta(»fuerim.l^hil tamen eft quod breuitad ^cenfeas. Nam cum ea requireres/quz nullis eius difputationis quam pepige  camus cancellis includerentur/poteram illa meo iurefilentio przterire. Itacpid  facile fi forte obiidatur diluam. Apud uos uerododifTimiuiriquomodome  purgem non inuenio .Video enim dum pofiulanti LAVRENTIO nihil d&>  ncgo/duplids errati culpam inddifle.Nam quid me aut loquadus fingi poteft/  qui quarto iam die ea eruditifiimis aunbus uefiris inculcare non delinam : quae  quadodrina efiis/uobisqua mihi notiora fint: aut audadusexcogitari:quiim  praemeditatus ad differendum de iis rebusaccelferim/quzadodilfiinis iifdci^  diuprzmeditads uids uix faris eleganter/profua dignitate explicari folcant. Im  mo quid humanius/quid tua fadiitate dignius refpondit Alamanus effid potu  Itquameanobisodofisdilferere/quz tamen magnis uehementercp urgentia  bus occupationibus przponere non dubitaremus.Nos autem inquit Petrus ac  daiolus/uolo enim & pro fratre meo refpondecc ne optare quidem id aulielfe^ tnuss quod ultro nobis arridens fortuna attulitiut tu tali przditusfapientia at eloquentia uir ea deduplid quzftione primis duobus diebus breuiter per.<  Ipicueiabfoluteip in unum congereresrquz non nili per fummum laborem:(i>  mam^ indufiriamex multis ac uariis fcnptoribus cruipolfunt .Nam Maro  nis diligentifiima at^ multiplid dodrina referta interpretatio/in qua tertio ac quarto iam die uetfarisitum quia pulcherrima/tum quia inaudita accidit no mi  nori Ihiporetqua deledationc nos alfecit.Non polfut fatis pro fua dignitate lau  dariquzatedidafunt inquit Antonius : Sed utinam Baptifia quoniam reli« quamztatemRomzcon fumpfilb/ hanc tandem fenedutem patriz uel optao ticodonare/uei illa tanquaafuociue exigenti corpore uelisutfzpius te dema'  gnis rebus difputantem audientes ciues tui dodiores indies meliorefc^ reddan'  tur: Verum has ego huius Marci partes ee ducoiTe enim pro ea quz illi tecu in<  terceditnecclfitudine modo nitat" facile in fua fententia tradudurum confido.  Q_uin ifihuc ia diu ago inquit Marcusinec prius defina qua aut ronibus impc' trauero/autpraecibus ezotnaueto / aut defatigando extorfero; Sed ut confido  muItummeineateiuuabitLAVRENTll acluliani ingeniu acftudiu.NI cu  inultu iam in litteris uter^pfeccrit : fitr^ multatu tetu addifceda^ ardentiffima  cupiditasrcu^ cztera illis & a natura 8C a fortuna adiumeta ad re perficiendam  abunde aifintind pariet'' ille diu adolefcentibus/quos cariflimos habet/operam  fua defiderari. At q liceat md iqt BAPTIfta ego talib5’adoIefcctib9ounq deerot  Sed furgamus ii/SC qm primo mane uobis e in urbe redeudu.intellexifti cni pau  lo an uurcriu publicis Ifis accctfiri/qd' reliquu diei eft ualimdini ipedamus.  Q^uzftionuCanuldulefiu Cbrifiophori Ladini floeetini  Q_uaitifiC ultimi libri Finis. CumPriuilegio. -Z.sisqfc    "Moibc scof. pf  m-4-' r.: ;t '>.-. ?a ri::fH^<c»iuji'J;ibn! i‘. idhiqir• i II -.i si’ i i •.. i p;a> 3 lofl 2 riiiiiiA\bll 0 >Ti*OntJ)flo^^^ ;i i ., .r>;w 1 oflgr  <5 Ii' up >«-1 •liiU.rninuI > r.oliUallspyiw^ ir-^ MVi •' * -lA <ur 1,v -v;j i ^  %i>  '0l 1 4 *r «*i. I*»ir  Pi T' >aliiiMlionT 4 ii;/.'   'o>!n«Ui o;; iiiun)i o i • ti,.‘i*  iq\ 7 u:.;'t»p^^cr ;n ) t^f*L1*“ >1 »♦'  «*'n t’-'. 1 .imaUu iu'Ji ^*?w 53 :oi   ,'/tJ I' iq iiinh if. U} osi.iv. M : aun W »gJ|g   * lipL-tklj- '«nniniyqluit!.n.ivilcjpL/Tpl L’i.,;uc5:airii]^ .•-*t^r’lw ICpr.' Ii^ . ..!i> cnii)!^««o  'iy^T 4.’ ifTiibnsu!! Cib« ^ rl'il xui^p.iu .jih. w'^ 'iiiLi:rp\;uia.7fn(jdb^,B !*\7.^r:r!i' r:iJoii-i>''!ott ^jlilUp:I .1'• oIowVytaJ'Ii ''M i-u  «  /?! , it» i> liti thajytjoi^ 9.a- '••vMj . u-  l! >iigl^'(pECt 31 2l.'' fpuorta^ JO' ,t»;. ;ai? Questo lavoro porta nuovi elementi allo studio delle complesse vicende inerenti i Rerum gestarum Francisci Sphortiae commentarii di Giovanni Simonetta e il relativo volgarizzamento, la Sforziada di Cristoforo Landino. Nel saggio introduttivo si indagano gli aspetti biografici, storici e filologici riguardanti le due opere, partendo proprio da Giovanni Simonetta, attivo nella cancelleria sforzesca assieme al piú noto fratello Cicco Simonetta, e ricostruendo la storia testuale dei Commentarii dalle loro origini agli emendamenti eseguiti dall’umanista Francesco Dal Pozzo in vista dell’editio princeps, senza trascurare le vicende editoriali e le prime reazioni all’opera. Punto di forza dell’analisi è l’aver ritrovato e studiato nel dettaglio il manoscritto originale, nonché esemplare di dedica, dei Commentarii, già noto a Giovanni Soranzo il secolo scorso quale ‘codice Castelbarco’. L’attenzione si sposta quindi da Milano a Firenze, entrando nell’officina testuale di Cristoforo Landino per sondare la Sforziada dal punto di vista metodologico e contenutistico, con un conseguente particolare riguardo per le vicende successive all’invio del manoscritto di dedica (copiato da Tommaso Baldinotti) a Milano, dove il testo viene sottoposto dal Simonetta a numerosi interventi visibili ancora oggi. Chiude la parte introduttiva un capitolo che vuole delineare la storia dello sviluppo dei commentarii come genere nel quadro storiografico dalle origini alla fine del Quattrocento. A seguire il lettore troverà l’edizione critica della Sforziada in veste integrale, corredata di un approfondito apparato comprensivo degli interventi che ne testimoniano la ricezione a Milano. Grice: “Perhaps more interesting than the fact that he loved the Achilleid, and commented on the Eneide, is that he sold the Sforzeide – sull’eroe Milanese, l’invitto Francesco Sforza! Howell in I Medici. Cristoforo Landino. Cristoforo Landino. Grice: “I love Landino; for one he wrote the first Italian philosophical dialogue, “Disputationes” – for  another, I love the setting!” Landino. Keywords: dialettica fiorentina – implicatura fiorentina – la Sforziada di Simonetta. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689624803/in/photolist-2mKCQBD-nuoDVU-nsj5ZA-ncSabS-nnvnLQ-nr43e9

 

Grice e Landucci – i misteri del delitto Gentile e le bestie senza stato di Vespucci – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sarzana). Filosofo. Grice: “If I had in Hardie a wonderful mentor to Aristotle, I missed Landucci’s mentoring me into Kant!” – Si laurea a Pisa con Luporini. Insegna a Firenze. Saggi: “Cultura e ideologia in Sanctis” (Milano, Feltrinelli); “I filosofi e i selvaggi” (Bari, Laterza); “L’origine della scienza sociale” (Firenze, Sansoni); “La co-scienza e la storia” (Firenze, Nuova Italia); “La contraddizione” (Firenze, Nuova Italia); “Teodicea” (Napoli, Bibliopolis); “La Critica della ragion pratica” (Roma, NIS),  Sull'etica di Kant, Milano, Guerini, La mente in Cartesio, Milano, F. Angeli,  I filosofi e Dio, Roma-Bari, Laterza, La doppia verità: conflitti di ragione e fede tra Medioevo e prima modernità, Milano, Feltrinelli, A. Gnoli, Intervista, "Repubblica", Scheda biografica su Einaudi. Sergio Landucci. Grice: “Basically, Landucci covers all the topics of my interests, including that of the alleged ambiguity in Kant’s idea of a ‘reason’!” UCCI, UCCI SENTO ODOR DI SERGIO LANDUCCI – I MISTERI DEL DELITTO GENTILE, IL LEGAME CON LUPORINI, IL '68 IN CATTEDRA ("FUMMO INVASI DAGLI ANALFABETI") IL GRANDE FILOSOFO SI RACCONTA: “MI PIACEREBBE SCRIVERE UN LIBRO SULLA DEMENZA SENILE CHE STA ATTANAGLIANDO L' OCCIDENTE. RICORDO UNA FRASE CHE DICE: "GRANDEZZA È CIÒ CHE NOI NON SIAMO". HO LA SENSAZIONE CHE L' ABBIAMO DIMENTICATA…” Antonio Gnoli per Robinson-la Repubblica  landucci LANDUCCI     Per molto tempo il suo nome è rimasto associato a un grande libro che quando apparve nei primi anni Settanta fu come una meteora, tanto sembrò strano nel panorama delle cose che allora si pubblicavano. Sto parlando de I filosofi e i selvaggi (uscì allora per l' editore Laterza ed è stato ripubblicato, e aggiornato, qualche mese fa da Einaudi).     La sua lettura mi colpì allora e mi rimanda all' oggi con i "selvaggi", sempre meno variopinti ed esotici, spinti dalla disperazione ad abbandonare le loro terre martoriate. Il paragone turba Sergio Landucci. Seduto nello studiolo mi guarda con la sua faccia triste. Sono venuto a Firenze per incontrarlo. Si stupisce e quasi si scusa per il fastidio che mi avrebbe arrecato: è un uomo timido, deluso, gentile ma altresì con un retrogusto di indefinita rabbia. Landucci è stato allievo di Cesare Luporini, ha insegnato all' università di Firenze, subendone, dice, tutti i contraccolpi politici: «Divenni ordinario nel 1968. Quasi immediatamente percepii un generale clima di ostilità e rassegnazione. Con una rapidità incredibile la facoltà di filosofia adottò una selezione alla rovescia: vennero avanti a passo di carica gli analfabeti, i carichi didattici furono alleggeriti, i ruoli stravolti. Ho vissuto tremendamente male gli anni dell' insegnamento e nel 2002 decisi per la pensione anticipata ».     È stato così frustrante il lavoro universitario?  «Lo è stato certamente per uno come me. Mi consideravo, come si diceva allora, un "cane sciolto". Mi stupì constatare che la facoltà si era ridotta a una grande cellula del Pci, su cui si incistò dopo il '68 la contestazione studentesca».  I punti di riferimento furono però due grandi personalità di sinistra: Eugenio Garin e Cesare Luporini.   «Maestri indiscussi. Mi chiedo tuttavia quanto sia stata acuta la loro vista politica. Garin fu il grande interprete di una filosofia come sapere storico, il suo storicismo era totalmente in sintonia con le posizioni culturali del Pci. Quanto a Luporini c' era un inquietudine ben maggiore che lo portò a misurarsi e a simpatizzare con le ragioni degli studenti. Non stigmatizzo il loro magistero, cui peraltro devo moltissimo, sostengo semplicemente che furono anni in cui la politica prese il sopravvento».     Era lo spirito del tempo.  « Ne facevo parte anch' io, ma senza tessere o bandiere. Del resto non sono mai stato iscritto a nulla. Giunsi all' Università di Firenze nel 1960, come libero assistente, chiamato da Luporini».     Quali erano i vostri rapporti?   « Fu mio professore a Pisa e con lui mi laureai. Mi affascinava quest' uomo che nel 1930 andò in Germania a occuparsi di esistenzialismo e seguì i corsi di Heidegger». Credo sia stato uno dei pochi italiani a frequentarne i seminari.  «C' è un episodio rivelatore del rapporto con Heidegger. Quando il filosofo tedesco pronunciò nel maggio del 1933 il famigerato discorso con cui si insediava da Rettore a Friburgo, Luporini restò sconcertato da quell' adesione al regime. Qualche giorno dopo incontrandolo gli comunicò che lasciava Friburgo per Berlino. Heidegger gli chiese perché. Lui rispose che era interessato ai corsi di Nicolai Hartmann. Il maestro lo liquidò con un ironico "tanti auguri"».A proposito di filosofi si è spesso detto che il " Vecchio Lupo", così era soprannominato Luporini, fosse rimasto l' ultimo a sapere i dettagli dell' omicidio Gentile. Lei è a conoscenza di qualche particolare?  « C' è innanzitutto da ribadire il legame che Luporini ebbe con Gentile, il quale lo chiamò come lettore di tedesco a Pisa, in sostituzione di Oscar Kristeller, ebreo che dovette riparare negli Stati Uniti dopo le leggi razziali del 1938. Gentile aiutò Kristeller, come pure tanti antifascisti che si rifugiarono alla Treccani e all' Università, fornendogli soldi e assistenza. Poi chiamò Luporini alle due di notte dicendogli di decidere in fretta perché altrimenti sarebbe venuto qualcuno dalla Germania, quasi certamente un insegnante di fede nazista».Questo è lo sfondo. Poi cosa accadde?  «Quando nel 1944 la situazione precipita. Luporini va a casa di Gentile e lo scongiura di non entrare nella Repubblica Sociale. Gli dice: professore c' è gente che non aspetta altro per ucciderla».Gentile aderisce alla Rsi e viene ucciso in un attentato nell' aprile del 1944. Si è detto che Luporini conoscesse i mandanti e gli esecutori dell' omicidio.  «Credo che il "Vecchio Lupo" non sapesse nulla, o almeno nulla di diretto. Ci fu una sua dichiarazione radiofonica in tal senso, ma credo fosse il frutto di un fraintendimento». La frase di Luporini era questa: "Cose che forse non si possono ancora dire". Cosa le fa supporre che fosse frutto di equivoco?  « Il fatto che accreditasse la versione offerta da Teresa Mattei, partigiana, che sull' argomento ha cambiato più volte opinione. Fino a sostenere che dietro quell' omicidio ci fosse Ranuccio Bianchi Bandinelli. Mai uno straccio di prova. Credo si sia perfino inventata che fu lei a indicare al commando gappista la figura di Gentile, che non aveva mai conosciuto. Poi c' è la testimonianza della moglie di Luporini: Maria Bianca Gallinaro, la quale mi disse sconsolata che la storia che Luporini sapesse era solo una leggenda, del tutto infondata». Possibile che non ci fosse un grano di verità?  « La sola cosa che riesco a pensare è che Luporini era emotivamente coinvolto. Dopo l' attentato, Gentile fu trasportato moribondo all' ospedale. Il fratello della signora, medico al Careggi, chiamò Luporini dicendogli se voleva vedere per l' ultima volta Gentile. E lui andò e vide il filosofo in fin di vita. Non credo sia stato un bello spettacolo. Questo è tutto. Dopo quella dichiarazione radiofonica mi permisi di consigliare Luporini a non pronunciare più quella frase».E lui?  « Non so se fu una mia impressione ma gli lessi negli occhi un certo imbarazzo». Negli anni di Pisa chi frequentava?  «Tra le persone che hanno avuto un peso: Delio Cantimori e Sebastiano Timpanaro.  Di quest' ultimo divenni grande amico». So che Cantimori incuteva una certa paura per il modo di fare lezione e interrogare.  «A me, che non sono stato suo scolaro, suscitava tenerezza». Cosa pensa della sua vita ideologica piuttosto travagliata?  « Se allude al passaggio dal fascismo al comunismo non saprei cosa pensare. Come ad altri intellettuali gli è mancato il pensiero liberale. Era dominato dai fatti e dall' idea che la storia sia guidata dal potere. Dopo il 1956 uscì dal Pci. Non solo per i noti episodi di Ungheria ma perché non ne poteva più del partito. Era un sopravvissuto a se stesso».     Cosa intende?  GENTILE GENTILE  « Deluso. Era convinto che io fossi una specie di longa manus del Pci, non gli ho mai dato la soddisfazione di smentirlo. A volte con ironia diceva: "Landucci, è vero che non basta dire viva la bandiera rossa per essere intelligenti?". Gli ultimi anni della sua vita li passò a insegnare a Firenze, in un ambiente che non lo amava. Prima di morire andò a Princeton per un ciclo di lezioni e quando tornò gli dissi: "Le ha fatto bene stare lontano da Firenze". Sì, rispose, ho evitato la noia». Poi c' è Sebastiano Timpanaro.  «Era stato allievo di Giorgio Pasquali, ma invece di inseguire la carriera universitaria, divenne un outsider della cultura. Motivò la sua scelta con una certa difficoltà a parlare in pubblico. Ma io so che aveva orrore della professione accademica. Ebbe rapporti difficili con il mondo e bellissimi con le persone che amava. Per lungo tempo mi considerò tra queste. Solo negli ultimi anni scese tra noi il silenzio. Non digerì, non accettò o forse non seppe accogliere il fatto che mi fossi separato da mia moglie. Ma la vita va dove deve andare e a volte non ci possiamo fare niente. Da lui ho appreso il rigore filologico. Fu grandissimo nelle questioni leopardiane e in tutta la riflessione sul materialismo. Ma anche sorprendentemente originale nella lettura di Freud. È strano, ma ogni volta che penso alla vita di chiunque, mi chiedo quanta parte vi avrà avuta il caso. Le coincidenze prese o mancate, per lo più senza rendersene conto». Per lei il caso è stato così incisivo?  « Direi che il caso domina fin dalla famiglia di origine: un ambiente che non scegliamo, e nel quale ci troviamo gettati». La sua famiglia com' era?  « Papà avvocato, ma frustrato perché ricopriva un impiego modesto. Mia madre maestra. Vivevamo a Sarzana. Ricordo un padre anziano e la mamma che gli proibì di venire a prenderci a scuola, me e mio fratello, per paura che lo scambiassero per il nonno. Lo vivevo come un uomo di altri tempi. Anche nel lessico ricordava la belle époque. Invece di autista diceva chauffeur, vis à vis a posto di specchio e quando chiedeva l' asciugamano diceva passami il Amava il melodramma italiano. Invece, melodrammatica di suo fu mia madre. Risultato: ho sempre detestato la musica lirica! Forse perfino più di quanto non abbia detestato che mi chiamassero Sergio».     jean jacques rousseau JEAN JACQUES ROUSSEAU  Dà l' impressione di un uomo provato dalla vita.  «Sono molto amareggiato dalla mia vita professionale e privata. Non ho né la forza né la voglia di entrare nei dettagli, ma ho l' impressione di essere stato irriso e torturato dalla vita. Il lavoro nelle biblioteche di mezza Europa e negli archivi è stata la mia droga, la mia unica grazia. Non ho avuto nessun successo ma almeno mi ha consentito di vivere».     Non è vero, il suo libro sui " Filosofi e i selvaggi" è un grande libro.  «Non diciamo sciocchezze, troppo carico di note, di troppe citazioni in originale e, in fondo, di inutile erudizione. La sola cosa che ricordo è una stroncatura di Furio Diaz. Scriverlo, fu un' idea casuale. Un libro nato senza nessun presupposto. Diciamo che mi appassionava Montaigne». È il primo ad accorgersi della figura del selvaggio e a prenderne le difese.  « Non è il primo, ma in qualche modo rovescia la posizione di Amerigo Vespucci che presenta i selvaggi simili alle bestie. Diversamente da Colombo che sposa la tesi antica del mito del buon selvaggio. Montaigne dice che il selvaggio non ha Stato, non ha costrizioni, non ha religione, non ha falsità, è privo cioè di tutti quei caratteri che soffocano la civiltà occidentale».È la scena che prevarrà?  «È solo una tesi che a Montaigne serve per screditare la chiesa e gli stati. Gli eccidi, la violenza, il terrore che scuotono l' Europa delle guerre di religione e che culminano nella notte di San Bartolomeo, sono messi in contrapposizione con la mitezza del selvaggio ». È una tesi che riprenderà Rousseau.  «Fino a un certo punto, anche perché il suo selvaggio è un uomo felice ma violento. Non conosce la corruzione né è posseduto dalla brama di potere, ma è sostanzialmente un individuo aggressivo. Chi porterà alle estreme conseguenze questa impostazione è Thomas Hobbes che rovescia la costruzione di Montaigne». Hobbes parla di uno "stato di natura".  firenze '68 FIRENZE '68  «Dove tutti si fanno la guerra e dove la vita delle persone è permanentemente in pericolo. L' immagine di questa condizione brutale Hobbes la ricava dalle descrizioni che nel Cinquecento vengono fatte dei selvaggi di America». Si può dire che l' Occidente fin dall' antichità si sia servito di questo mito con le peggiori intenzioni?  « È passata l' idea, con qualche eccezione, che fossero troppo diversi da noi per ogni ipotetica assimilazione». Al punto che ancora oggi questa diversità è vissuta come una minaccia di contagio e sostituzione? Qualcuno, come lei sa, ha perfino parlato di "uomo bianco" in pericolo di estinzione.  «Nelle fasi di grave fibrillazione sociale, quando il discredito si abbatte su ogni aspetto della vita politica, il delirio - come strumento patologico - rischia di trionfare. Mi pare di poter dire che è quanto sta accadendo e che contribuisce ahimè ai miei stati depressivi. Sono convinto che non ci sia nessuna giustificazione al male né all' imbecillità. Ho scritto un libro contro la teodicea, mi piacerebbe scriverne uno sulla demenza senile che sta attanagliando l' Occidente.  Ma non credo di averne più la forza. Mi resta questa infelicità che è come un che sovrasta le mie parole che non so più maneggiare con delicatezza. Ricordo una frase che Luporini aveva ripreso dal vecchio Burckhardt, è bellissima. Dice: "Grandezza è ciò che noi non siamo". Ho la sensazione che l' abbiamo troppo spesso ignorata o, peggio ancora, dimenticata». Grice: “Landucci has aptly explored the concept of the ‘barbarian’. It all starts with Montaigne, an anarchist – he assumes a fake philosophical position just to justify his anarchisms: savages are fun, happy, and they have no state! Vespucci moe or less thought the same, but for different reasons. Just like an ape doesn’t have a state, Vespucci says, so a savage!” -- Landucci. Keywords: i misteri del delitto Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Landucci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754198450/in/dateposted-public/

 

Grice e Latini –l’implicatura rettorica di Publio e Cicerone -- implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “Latini reminds me of Hardie; he was Aligheri’s mentor; Hardie mine!” -- Grice: “People say it all starts with Alighieri; but the real ‘filosofo’ behind Alighieri surely is Burnetto – he has chapters on ‘Platone,’ ‘Aristotele,’ and the rest of them.”  «Poi si rivolse, e parve di coloro che corrono a Verona il drappo verde per la campagna; e parve di costoro quelli che vince, non colui che perde»  (Divina Commedia). Figlio di Buonaccorso e nipote di Latino Latini, appartenente ad una nobile famiglia. Le fonti storiche e una serie di documenti autografi testimoniano la sua attiva partecipazione alla vita politica di Firenze. Come egli stesso narra nel Tesoretto, fu inviato dai suoi concittadini alla corte di Alfonso X per richiedere il suo aiuto in favore dei guelfi. Tuttavia, la notizia della vittoria dei ghibellini a Montaperti lo costrinse  all'esilio in Francia. I cambiamenti politici conseguenti alla vittoria di Carlo I da Benevento sconsentirono il  suo ritorno in Italia. Fu risarcito del torto subito, con il titolo di Segretario del Consiglio della repubblica, stimato ed onorato dai suoi concittadini.  La sua influenza divenne tale che a partire si trova a malapena nella storia di Firenze un avvenimento pubblico importante al quale non abbia preso parte. Contribuì notevolmente alla riconciliazione temporanea tra guelfi e ghibellini detta "pace di Latino".  PPresiedette il congresso dei sindaci in cui fu decisa la rovina di Pisa. Elevato alla dignità di Priore. Questi magistrati, in numero di dodici, erano stati previsti nella costituzione. La sua parola si fa frequentemente sentire nei Consigli generali della repubblica. Era uno degli arringatori, od oratori, più frequentemente designati. Nel Canto XV dell'Inferno Dante lo incontra tra i sodomiti, violenti contro Dio nella natura. Siamo nel terzo girone del settimo cerchio; Dante e Virgilio camminano su un piano rialzato rispetto alla landa desolata in cui i dannati procedono. Alighieri, che era stato allievo di Latini, è profondamente scosso, e non nasconde verso il maestro una persistente ammirazione. Latini è il primo nella Commedia a toccare fisicamente Alighieri, tirandolo per la veste. Altre opera:“Il Tesoretto,” poema (incompiuto o mutilo) scritto in volgare fiorentino, in settenari a rima baciata, narrato in prima persona.  L'autore definisce l'opera Tesoro, ma il nome “Tesoretto” è presente già nei manoscritti più antichi,  presumibilmente per distinguerla dalle traduzioni italiane del “Tresor”. Il protagonista, sconfortato dalla notizia della disfatta di Montaperti, si perde in una "selva diversa". Nella sua peregrinazione si imbatte nelle personificazioni della Natura e delle Virtù, che gli illustrano la composizione del Mondo e i modelli di comportamento cortesi. Il “Tesoretto” si interrompe nel momento in cui il protagonista incontra Tolomeo, che sta per spiegargli i fondamenti dell'astronomia. Influenzato da un lato dal romanzo cortese, dall'altro dai poemi allegorici, realizza un'opera che da una parte della critica è ritenuta tra i precursori diretti della Commedia (Venezia, Melchiorre Sessa il Vecchio); “Li livres dou Tresor” e la più celebre, scritta durante l'esilio in Francia, in lingua vernaculare, perche "è la parlata più dilettevole e più comune tra tutte le lingue.” Consta di tre libri e risulta la prima enciclopedia volgare in senso proprio. Altri testimoni sono stati segnalati in seguito da Squillacioti, Divizia e Giola.  Il primo libro tratta dell’origine di tutto. Tra gl’argomenti affrontati vi sono un'ampia storia universale, dalle vicende dell'Antico e del Nuovo Testamento alla battaglia di Montaperti, elementi di medicina, fisica, astronomia, geografia, e architettura, e un bestiario. Si trova, in questo primo libro, una delle menzioni più antiche che conosciamo di una bussola e l'indicazione della sfericità della terra. Nel secondo libro si tratta dei vizi e delle virtù, attingendo sostanzialmente dall'Etica Nicomachea. Il terzo libro riguarda principalmente la retorica. Utilizza come fonti Platone, Aristotele, Senofane, il romano Publio Vegezio e Cicerone.  Altre opera: è inoltre autore di un altro breve poemetto, “il Favolello”, di una “Rettorica” volgarizzamento e commento del De inventione di Cicerone, nonché dei volgarizzamenti di tre orazioni ciceroniane (Pro Ligario, Pro Marcello, Pro rege Deiòtaro). Jauss, Alterità e modernità della letteratura medievale, Boringhieri S. Sarteschi, Dal "Tesoretto" alla "Commedia": considerazioni su alcune riprese dantesche dal testo di Latini, in "Rassegna di letteratura italiana", B. Latini, Tresor; G. Beltrami Squillacioti Torri e S. Vatteroni” (Torino, Einaudi); A. D'Agostino, Itinerari e forme della prosa, in Storia della letteratura italiana” (Roma, Salerno); Tresor. Beltrami, Squillacioti, Torri, Plinio, Torino). Aggiunte (e una sottrazione) al censimento dei codici delle versioni italiane del "Tresor”, Medioevo romanzo,  La tradizione dei volgarizzamenti toscani del Tresor con un'edizione critica della redazione alfa. Verona. Edizione del volgarizzamento toscano.  La colonna posta dove è stata riscoperta la sua tomba, Santa Maria Maggiore; “Livres dou Tresor” (Vineggia, per Gioan Antonio & fratelli da Sabbio, ad instanza di N. Garanta & Francesco da Salo); Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tesoretto. In G. Contini, Poeti del Duecento, Ricciardi, Milano. A scuola con ser Brunetto. Indagini sulla ricezione dal Medioevo al Rinascimento. Atti del convegno di studi, Basilea, I. Maffia Scariati, Firenze, Galluzzo, D'Arco Silvio Avalle, Ai luoghi di delizia pieni, Ricciardi, Milano, A. Carrannante, "Implicazioni dantesche: Brunetto Latini (Inf. XV)", "L'Alighieri", Enciclopedia dantesca, ad vocem, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, P. Fornari, Dante e Brunetto, Co-Op, Varese, Poi in: Pro Dantis virtute et honore, Co-Op Varese,  L. Frati, Brunetto Latini speziale, "Il giornale dantesco", F. Maggini, La «Rettorica» Latini, Firenze, Galletti e Cocci, U. Marchesini, Due studi biografici, Atti dell'Istituto Veneto", "La posizione del Latini nel canto XV dell'Inferno dantesco"). P. Merlo, E se Dante avesse collocato Brunetto Latini tra gli uomini irreligiosi e non tra i sodomiti?, "La cultura", Poi in: Saggi glottologici e letterari, Hoepli, Milano, Fausto Montanari, "Cultura e scuola", Antonio Padula, Il Pataffio, Dante Alighieri, Milano, Roma e Napoli, Manlio Pastore Stocchi, Delusione e giustizia nel canto XV dell'Inferno, "Lettere italiane"(poi in: Letture classensi,  Longo, Ravenna; "Representations", R. Santangelo, "Tutti cherci e litterati grandi e di gran fama": "Il sogno della farfalla. Rivista di psicoanalisi", M. Scherillo, Alcuni capitoli della biografia di Dante, Loescher, Torino Thor Sundby, Della vita e delle opera (Monnier, Firenze); Alighieri Storia di Firenze Divina Commedia, Il Favolello Il Tesoretto. Treccan Enciclopedie  Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, sRegesta Imperii, su opac.regesta-imperii.de. Portal, su florin.ms. G. Orto, Brunetto Latini. Tommaso Giartosio, Dante e Brunetto Latini. Tratto da: Perché non possiamo non dirci. Letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli, Milano, Concordanze del libro del Tesoretto, su classicis tranieri, Li livres dou trésor, ed. par Polycarpe Chabaille, Paris M. Giacomelli. La rettorica. Qui comincia lo 'usegnamento di rettorica, lo quale è ritratto in vulgare de' libri di Tullio e di molti filosofi per ser Burnetto Latino da Firenze. Là dove è la lettera grossa si è il testo  di Tullio, e la lettera sottile sono le parole de lo sponitore. Incomincia il prologo. Sovente e molto ò io pensato in me medesimo se la copia  del DICERE e lo sommo studio dell’ELOQUENZA àe fatto più bene o più male agl’uomini et alle città. Però che quando considero li dannaggii del nostro comune e raccolgo nell' animo l’antiche aversitadi delle grandissime città, veggio che non picciola parte di danni v’è messa per uomini molto parlanti sanza sapienza. Qui parla lo sponitore. RETTORICA èe SCIENZA di due manière. Una la quale insegna dire, e di questa tratta Tulio nel suo saggio. L’altra  insegna dittare, e di questa, perciò che esso non ne trattò cosi del tutto apertamente, si nne tratterà lo sponitore nel  processo del saggio, in suo luogo e tempo come si converrà. Rettorica s' insegna in due modi, altressì come l’altre scienzie, cioè di fuori e dentro.Verbigrazia: Di fuori s'insegna dimostrando che è rettorica e di che generazione, e  quale sua materia e lo suo officio e le sue parti e lo suo propio strumento e la fine e lo suo artifice. Ed in questo  modo tratta BOEZIO nel quarto della Topica. Dentro s'insegna questa arte quando si dimostra che sia da fare sopra LA MATERIA DEL DIRE e del dittare, ciò viene a dire come si debbia fare lo exordio e la narrazione e L’ALTRE PARTI DELLA DICIERIA o della pistola, cioè d'una lettera dittata. Ed in ciascuno di questi due modi ne tratta Tulio in questo suo saggio. Ma in perciò che Tulio non dimostra che sia rettorica né quale è '1 suo artefice, sì vuole lo sponitore per più chiarire l'opera dicere l'uno e l'altro. Ed èe rettorica una scienzia DI BENE DIRE, ciò è rettorica quella scienzia per la quale noi saperne ORNATAMENTE dire e dittare. Inn altra guisa è così diffinita. Rettorica è  scienzia di ben dire sopra la causa proposta, cioè per la quale noi sapemo ornatamente dire sopra la quistione aposta. Anco àe una più piena difiìnizione in questo modo. Rettorica è scienza d'usare piena e PERFETTA ELOQUENZA nelle  publiche cause e nelle private. Ciò viene a dire scienzia per la quale noi sapemo parlare pienamente e perfettamente nelle publiche e nelle private questioni. E certo quelli parla pienamente e perfettamente che nella sua diceria mette parole adorne, piene di buone sentenzie. Publiche questioni son quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna città o comunanza di genti. Private sono quelle nelle quali si tratta il convenentre d'alcuna spiciale persona. E ttutta volta è lo 'ntendimento dello sponitore che  queste parole sopra '1 dittare altressì come sopra '1 dire siano, advegna che tal puote sapere bene dittare che non àe ardimento o scienzia di profiferere le sue parole davanti alle genti; ma chi bene sa dire puote bene sapere dittare.  Avemo detto che è rettorica, or diremo chi è lo suo  artifice. Dico che è doppio, uno è rector e l'altro è orator. Verbigi-azia. Rector è quelli che 'nsegna questa  scienzia SECONDO LE REGOLE e comandamenti dell'arte. Orator è colui che poi che elli àe bene appresa l'arte, sì l’usa in dire ed in dittare sopra le questione apposte, sì come sono li buoni parlatori e dittatori, sì come fue maestro Piero dalle Vigne, il quale perciò fue agozetto di Federigo II imperadore di Roma e tutto sire di lui e dello 'mperio. Onde dice Vittorino che orator, cioè lo parlatore, è uomo buono e bene insegnato di dire, lo quale usa piena e perfetta eloquenza nelle cause publiche e private. Ora àe detto lo sponitore che è rettorica, e del suo artifice, cioè di colui che la mette in opera, l'uno insegnando l'altro dicendo. Ornai vuole dicere chi è l'autore,  cioè il trovatore di questo saggui, e che fue LA SUA INTENZIONE in questo saggio, e di che tratta, e la cagione per che lo saggio è composto e che utilitade e che tittolo à questo saggio. L' autore di questa opera è doppio. Uno che di tutti i detti de' filosofi che fuoro davanti lui e dalla viva fonte del suo ingegno fece suo libro di rettorica, ciò fue Marco Tulio Cicerone, il più sapientissimo de' romani. Il secondo è Brunetto de’ Latini, cittadino di Firenze, il quale mise tutto  suo studio e suo intendimento ad isponere e chiarire ciò che Tulio dice. Ed esso è quella persona cui questo saggio appella sponitore, cioè ched ispone e fae intendere, per lo suo propio detto e de' filosofi e maestri che sono passati, il saggio di Tulio, e tanto più quanto all'arte bisogna di quel che fue intralasciato nel saggio di Tulio, sì come il  buono intenditore potràe intendere avanti. La sua intenzione fue in questa opera dare insegnamento a colui per cui amore e' si mette a fare questo  trattato de parlare ornatamente sopra ciascuna questione  proposta.  Et e' tratta secondo la forma del saggio di Tulio di tutte le parti generali di rettorica. Verbigrazia. L’invenzione, cioè, il trovamento di ciò che bisogna sopradire alla materia proposta; e dell'altre iiij° secondo che sono nel secondo saggio che Tulio fa ad Erennio suo amico, sopra le quali il conto dirà ciò che ssi converrà. La cagione per che questo saggio è fatto si è cotale, che Latini, per cagione della guerra la  quale fue traile parti di Firenze, fue isbandito della terra quando la sua parte guelfa, la quale si tenea col papa e  colla chiesa di Roma, fue cacciata e sbandita della terra. E poi si n'anda in Francia per procurare le sue vicende,  e là trova uno suo amico della sua città e della sua parte, molto ricco d'avere, ben costumato e pieno de grande senno, che Ili fece molto onore e grande utilitade, e perciò l'apella suo porto, sì come in molte parti di questo saggio pare apertamente; et era parlatore molto buono naturalmente, e molto disidera di sapere ciò che' savi aveano detto intorno alla rettorica; e per lo suo amore Latini, lo quale era l)uono intenditore di lettera  et era molto intento allo studio di rettorica, si mette a fare questo saggio, nella quale mette innanzi il testo di Tulio per maggiore fermezza, e poi mette e giugne di sua scienzia  e dell'altrui quello che fa mistieri. L' utilitade di questo saggio è grandissima, però che  ciascuno che sa bene ciò che comanda lo libro e l'arte,  sì sa dire interamente sopra la questione apposta. E in questo punto si parte elli  da questa materia e ritorna al propio intendimento del  testo. In questa parte dice lo sponitore che CICERONE, vogliendo che rettorica fosse amata e tenuta cara, la quale  al suo tempo e avuta per neente, mise davanti suo prolago in guisa di bene savi, nel quale purga quelle cose che pareano a lui gravose. Che si come dice BOEZIO nel commento sopra la Topica, chiunque scrive d'alcuna materia  dee prima purgare ciò che pare a lui che sia grave; e  così fa CICERONE, che purga tre cose gravose. Primieramente i mali che veniano per copia di dire. Apresso la sentenza di Platone, e poi la sentenza d'Aristotele. La sentenza di Platone e che rettorica non è arte, ma è NATURA per ciò che vede MOLTI BUONI DICITORI PER NATURA e non per insegnamento d'arte. La sentenza d'Aristotile fa cotale, che rettorica è ARTE, ma REA, per ciò che per eloquenza parca che fosse a venuto più male che bene a' comuni e a' divisi. Onde CICERONE purgando questi tre gravi  articoli procede in questo modo. Che in prima dice che sovente e molto ae pensato che effetto proviene d'eloquenza. Nella seconda parte pruova lo bene e '1 male chende venia e qual più. Nella terza parte dice tre cose. In prima , dice che pare a lui di sapienzia; apresso dice che pare a lui d' eloquenzia. E poi dice che pare a lui di sapienza ed eloquenzia congiunte insieme. Nella quarta parte sì mette  le pruove sopra questi tre articoli che sono detti, e conclude che noi dovemo studiare in rettorica, recando a ciò molti argomenti, li quali muovono d' onesto e d' utile e lo possibile e necessario. Nella quinta parte mostra di  che e come egli tratta in questo saggio. E poi che nel suo cuminciamento dice come molte fiate e lungo tempo pensa del bene e del  male che fosse advenuto, immantenente dice del male per accordarsi a' pensamenti delli uomini che si ricordano più d'uno nuovo male che di molti beni antichi; e cosi Tulio, mostrando di non ricordarsi delli antichi beni, s' infigne di biasraare questa scienzia per potere più di sicuro lodare e  difendere. E per le sue propie parole che sono scritte nel testo di sopra potemo intendere apertamente che in  queste medesime parole ove dice che i mali che per eloquenza sono advenuti e che non si possono celare, in quelle  medesime la difende abassando e menimando la malizia. Che là dove dice dannaggi si suona che siano lievi danni  de' quali poco cura la gente. E là dove dice del nostro comune altressì abassa del male, acciò che più cura l'uomo del propio danno che del comune; e dicendo NOSTRO comune intendo ROMA, però che Cicerone e cittadino di Roma nuovo e di non grande altezza; ma per lo suo senno fue in sì alto stato che TUTTA ROMA si tenea alla sua parola, e fue al  tempo di Catellina, di Pompeio e di Giulio Cesare, e per lo bene della terra fue al tutto contrario a Catellina. Et  poi nella guerra di Pompeio e di Giulio Cesare si tenne  con Pompeio, sicome tutti ' savi eh' amano lo stato di  Roma. E forse l'appella nostro comune però che ROMA èe capo del mondo e comune d'ogne uomo. Et là dove  dice l'antiche adversitadi altressì abassa il male, acciò  che delli antichi danni poco curiamo. Et là dove dice grandissime cittadi altressì abassa '1 male, però che, sì  come dice il buono poeta LUCANO, non è conceduto alle  grandissime cose durare lungamente; e l'altro dice che le grandissime cose rovinano. E così non pare che eloquenza sia la cagione (iel male  che viene alle grandissime città. E là dove dice che  danni sono advenuti per nomini molto parlanti 'sanza sapienza, manifestamente abassa '1 male e difende rettorica,  dicendo che '1 male è per cagione di molti parlanti ne' quali non regna senno. E non dice che il male sia per eloquenza,  che dice Vittorino. Questa parola eloquenza suona bene. E del bene non puote male nascere. Questo è bello colore rettorico, difendere quando mostra di biasmare ed accusax'e quando pare che dica lode. E questo modo di parlare àe nome INSINUAZIONE, O IMPLICATURA, del quale dice il saggio in suo luogo. Et qui si parte il conto da quella prima parte del prologo nella quale CICERONE dice il suo pensamento ed dice li mali avenuti, e ritorna alla seconda parte nella quale dimostra de' beni che sono pervenuti per eloquenza. Sì come quando ordino di ritrarre dell'anticiie scritte le cose che sono fatte lontane dalla nostra ricordanza per loro antichezza, intendo che eloquenza congiunta con ragione d'animo, cioè con sapienza, piìie agevolemente àe potuto conquistare e mettere inn opera ad edifficare cittadi, a stutare molte battaglie, fare fermissime compagnie et anovare santissime amicizie. Poi che Cicerone divisa li mali che sono per eloquenza, sì divisa in questa parte li beni, e CONTA PIU BENI CHE MALI perciò che più intende alle lode. E  nota che dice son messe  5. ordinatamente acciò che prima si raunaro gli uomini in-  sieme a vivere ad una ragione et a buoni costumi et a  multiplicare d' avere ; e poi che furo divenuti ricchi montò  tra lloro invidia e per la 'nvidia le guerre e le battaglie.  Poi li savi parladori astutaro le battaglie, et apresso gli   10. uomini fecero compagnie usando e mercatando insieme; e  di queste compagnie cuminciaro a ffare ferme amicizie per  eloquenzia e per sapienzia. 3. Ma ssi come dice e signifficano  queste parole, per più chiarire l'opera è bene convenevole  di dimostrare qui che è cittade e che è compagno e che è   15. amico e che è sapienzia e che è eloquenzia, perciò che Ilo  sponitore non vuole lasciare un solo motto donde non dica  tutto lo 'ntendimento.   4. Che è cittade. — Cittade èe uno raunamento di gente  fatto per vivere a ragione; onde non sono detti cittadini   20. d'uno medesimo comune perchè siano insieme accolti den-  tro ad uno muro, ma quelli che insieme sono acolti a vivere  ad una ragione.   5. Che è compagno. — Compagno è quelli che per alcuno  patto si congiugne con un altro ad alcuna cosa fare; e di   25. questi dice Vittorino che se sono fermi, per eloquenzia poi  divegnono fermissimi.   6. Che è amico. — Amico è quelli che per uso di simile  vita si congiugne con un altro per amore insto e fedele.  Verbigrazia: Acciò che alcuni siano amici conviene che   30. siano d'una vita e d'una costumanza, e però dice «per uso  di simile vita » ; e dice « giusto amore » perchè non sia a  cagione di luxuria o d' altre laide opere ; e dice « fedele     i'-3.- M' in compimento dell'altre parole ecc. — 3: Jf' cioè hediDcare — .»/ aslroppiarc,  m a storpiare — 5.- M' caunano, corretto poi in raunarono — Af ad avere una ragione, m  "al avere una medesima ragione — 7 : M l'uno, -If' fuor {cfr. Tesor., vii, 54) — il' montò loro  — 9: M-m parlando anno attutato - 9: m le guerre — il.' M forme amicitio, »» forme  d'amie— i^:mdichono— i^.- m dimostrare quello — io.- Af' 7 che sapientla 7 che eloq. -  17: .»/' volle intralasciare — 18: .V de genti — 20: .V-m raccolti - SI: m rachollì -  25: M son — S7 : M-m che è coiiipannia — M' si i> — 28 : .V ad un altro — 30: .U' por-  ciò — 31 . .tf ' conduco insto am. fcerlo per scambio dell'abbreviatura di et con quella di con) —  32: U ad altre.     - 11 -   amore » perchè non sia per gnadagneria o solo per utili-  tade, ma sia per constante vertude. Et cosi pare manife-  mente che quella amistade eh' è per utilitade e per dilet-  tamento nonn è verace, ma partesi da che '1 diletto e l'utti-  5. litade menoma.   7. Che è sajoiemia. — Sapienzia è comprendere la verità  delle cose si come elle sono.   8. Che è eloquenzia. — Eloquenzia è sapere dire addome  parole guernite di buone sentenzie.   10. TnUio.   3. Et così me lungamente pensante la ragione stessa mi mena  in questa fermissima sentenza, che sapienzia sanza eloquenzia sia  poco utile a le cittadi, et eloquenzia sanza sapienza è spessamente  molto dampnosa e nulla fiata utile. Per la qual cosa, se alcuno in-   l.ó. tralascia li dirittissimi et onestissimi studii di ragione e d'officio e  consuma tutta sua opera in usare sola parladura, cert' elli èe citta-  dino inutile al sé e periglioso alla sua cittade et al paese. Ma quelli  il quale s' arma sie d'eloquenzia che non possa guerriere contra il  bene del paese, ma possa per esso pugnare, questo mi pare uomo e   20. cittadino utilissimo et amicissimo alle sue (>) et alle publiche ragioni.   Lo sponitore.   I. Poi che Tulio avea dette le prime due parti del suo  prologo, si comincia la terza parte, nella quale dice tre cose.  Imprima dico che pare a llui di sapienzia, infino là dove  25. dice : « Per la qual cosa ». Et quivi comincia la seconda,  nella quale dice che pare a llui d'eloquenzia, infino là ove  dice : « Ma quello il quale s' arma ». Et quivi comincia la  terza, ne la quale dice che pare a llui dell'una e dell'altra  giunte insieme.     3: M' om. e — 4: M- pdesi — m diloclamento 7 l'util., .tf' l'utilitade 1 diloclo —  8-9: .»/ ad ongno parole, m ogni parole — 13.- M-m om. sia.... sapienza — i-J : M' om. molto ^  i5: M-m lassa indireotissimi (m idireuissimi) — IG: M-m sola la parlatura — 18: 3l-m  sama — .)/ giuriare, m ingiuriare — Ì9-20.- .1/ luiomo cittadino, »i mi pare cittadino — .V-»i  a' suoi — .?3 • .1/ conincìa — S4 : M insini, .)/' inlìn là ove (cfr. Tcsnr.. xi, 1074) — So:  yr-ìii dice jiarla — M-m qui - 26: M insino — m là dove — 28 : M-m la (|ual dice.   (1) Questa lezione è oonfennata dal § 5 del coniuiento: « utile a ssè et al  suo paese. Onde dice Vittorino: Se noi volemo mettere avac-  ciamente in opera alcuna cosa nelle cittadi, sì ne conviene  avere sapienzia giunta con eloquenzia, però che sai)ienzia  sempre è tarda. Et questo appare manifestamente in alcuno  V 5. savio che non sia parlatore, dal quale se noi domandassimo  uno consiglio certe noUo darebbe tosto cosìe come se fosse  bene parlante. Ma se fosse savio e parlante inmantenente  ne farebbe credibile di quel che volesse. 3. Et in ciò che  dice Tulio di coloro che 'ntralasciano li studii di ragione   10. e d' officio, intendo là dove dice « ragione » la sapienzia, e  là dove dice « officio » intendo le vertudi, ciò sono prodezza,  giustizia e l'altre vertudi le quali anno officio di mettere  in opera che noi siamo discreti e giusti e bene costumati.  4. Et però chi ssi parte da sapienzia e da le vertudi e studia   15. pure in dire le parole, di lui adviene cotale frutto che, però  che non sente quel medesimo che dice, conviene che di lui  avegna male e danno a ssè et al paese, però che non sa  trattare le propie utilitadi uè Ile (i) comuni in questo tempo  e luogo et ordine che conviene. 5. Adunque colui che ssi   20. mette 1' arme d' eloquenzia è utile a ssè et al suo paese.  Per questa arme intendo la eloquenzia, e per sapienzia  intendo la forza; che sì come coli' arme ci difendiamo  da' nemici e colla forza sostenemo 1' arme, tutto altressì  per eloquenzia difendemo noi la nostra causa dall'aversario   2.5. e per sapienzia ne sostenemo (2) di dire quello che a noi  potesse tenere danno. Et in questa parte è detta la terzia  parte del prologo di Tulio. 6. Dunque vae il conto alla  quarta parte del prologo, per provare ciò eh' è detto da-  vanti et a conducere che noi dovemo studiare in rettorica     i : M Lande — M' avacciatamente, ma L avacciamente — S: m si cci conv. — 0; m  ODI. cosio, M e' noi darebb»; cos'i tosto — 8- M' credibile quello, m di quello — .)/' disse  — 10: .Vi om. il 2' & — 12: .»/' et altro — 13: .»f' che non siano — i4.- .V-m dall'altre ver-  tufli — 15:m adiviene — 16 : jn a lini  : solo L nelle ; (jli altri mss. e S nelli (.)/' nel!) --  19: M Adunque che colui — 22: M-m torma — M ne dil'ondono, m noi ci difendiamo —  23: il l'armi - 23-24: Af difendo — m così altresì la eloquenzia difendo noi dal nostro  aversario la nostra cliausa — 25: m om. ne; S non sostenemo — 26: m a noi potesse ave-  jjire (li danno, .V che noi potessimo tenere danno — 28-29: m dinanzi e; Jfi om. et.   (1) Cos'i richiede il senso; la lezione nelli ò nata certamente dall'aver preso  l'aggettivo comuni per un sostantivo.   (2) Intendo ne sostenemo = « ci tratteniamo, ci asteniamo », coni' è richiesto  dal senso e secondo gli esempii citati dal Vocabolario della Crusca.  per avere eloquenzia e sapienzia: e sopra ciò reca Tulio  molti argomenti, li quali debbono e possono così essere, e  tali che conviene che sia pur così, e di tali eh' è onesta  cosa pur di cosi essere ; e sopra ciò ecco il testo di Tulio  in lettera grossa, e poi seguisce la disposta in lettera sot-  tile secondo la forma del libro.     Tullio.   4i. Dunque se noi volemo considerare il principio d'eloquenzia  la quale sia pervenuta in uomo per arte o per studio o per usanza   lo. per forza dì natura, noi troveremo che sia nato d'onestissime  cagioni e che ssia mosso d'ottima ragione, (e. li) Acciò che fue un  tempo che in tutte parti isvagavano gli uomini per li campi in  guisa di bestie e conduceano lor vita in modo di fiere, e facea  ciascuno quasi tutte cose per forza di corpo e non per ragione   l.j. d'animo; et ancora in quello tempo la divina religione né umano  officio non erano avuti in reverenzia. Neuno uomo avea veduto le-  gittimo managio, nessuno avea connosciuti certi figliuoli, né aveano  pensato che utilitade fosse mantenere ragione et agguallianza. E così  per errore e per nescìtade la cieca e folle ardita signorìa dell'animo,   20. cioè la cupìditade, per mettere in opera sé medesima misusava le  forze del corpo con aiuto dì pessimi seguitatori.     Lo sponitore.   1. In questa quarta parte del prologo vogliendo Tulio   dimostrare che eloquenzia nasce e muove jper cagione e   2.5. per ragione ottima et onestissima, sì dice come in alcuno   tempo erano gli uomini rozzi e nessci come bestie; e del-     3: ìl-m tale — .1/' jdii' che cosi sia - 4 : m pure ili dovere così essere-, .1/' de pur essere  — .5 J/ ' la spositione — 9-tO: .»/' o per l'orca di natura o per usanca — H: m d'ottime  chagioni 7 ragione — 12: il-m in tempo — 13: it^ lor vita per li campi in modo de  bestie 7 de fiere — 14: i/' om. e [non p. r.| — 17 : M maritaggio — M iihylosofi, m lilo-  safi — 18: M j gualianoa - 19: il^-L ignoranza, m necessitade — .»A' la cieca la folle 7  ardita — 20: M-m per mette — M-m (fuivi susavano, l. masusavano — 21:31' seguitori —  23: M-1U nm. quarta — 24: m om. e per ragione — 26: il' nefa, m noscii.     - 14 —   l'uomo dicono li filosofi, e la santa scrittura il conferma,  che egli è fermamento di corpo e d' anima razionale, la  quale anima per la ragione eh' è in lei àe intero conoscimento  delle cose. 2. Onde dice Vittorino: Sì come menoma la forza  5. del vino per la propietade del vasello nel quale è messo, cosie  r anima muta la sua forza per la propietade di quello corpo  a cui ella si congiunge. Et però, se quel corpo è mal di-  sposto e compressionato di mali homori, la anima per gra-  vezza del corpo perde la conoscenza delle cose, sì che   10. appena puote discernere bene da male, sì come in tempo  passato neir anime di molti le W quali erano agravate  de' pesi de' corpi, e però quelli uomini erano sì falsi et  indiscreti che non conosceano Dio né lloro medesimi. Onde  misusavano le forze del corpo uccidendo l'uno l'altro, tol-   15. liendo le cose per forza e per furto, luxuriando malamente,  non connoscendo i loi'o proprii figliuoli né avendo legittime  mogli. 3. Ma tuttavolta la natura, cioè la divina disposi-  zione, non avea sparta quella bestialitade in tutti gli uo-  mini igualmente; ma fue alcuno savio e molto bello dici-   20. tore il quale, vedendo che gli uomini erano acconci a ra-  gionare, usò di parlare a lloro per recarli a divina conno-  scenza, cioè ad amare Idio e '1 proximo, sì come lo sponi-  tore dicerà per innanzi in suo luogo; e perciò dice Tulio  nel testo di sopra che eloquenzia ebbe cominciamento per   25. onestissime cagioni e dirittissime ragioni, cioè per amare  Idio e '1 proximo, che sanza ciò l' umana gente non arebbe  durato. 4. Et là dove dice il testo che gli uomini isvaga-  vano per li campi intendo che non aveano case né luogo,     1: M' i figluoli (corretto poi lilosofi) — M' sucra — S : M' eh ehi ì\ l'ormato — 3: in-  tero è in M'-L; il lùlo (incerto?), m inerito — 4: M Ondee — 7 : m al (|uale — 8: M-m  mali hiiomini — 9: m per la gravezza — .«' de corpo iO: M bone dal mali', hi il bone  dal male — il: M'-L animo — .V-m i quali erano agravate, M'-L li quali orano aggra-  vati — i2: W del peso de corpi, L de' pesi del corpo — 13: .V in lor medesimo — 14:  lU-m Ivi susavano — 18: M-m nonn ào — M bestilitade — 10: M' oiii. savio o — SI: W  tralloro — 23: M' qa\ dinanzi - S4: W e cornine, >S ha cornine. — 26-27: »l' non averla  durata, L non avrìa durato — i« K colà.   (1) È lezione congetìurale, ma l'unica possìbile : le quali si cambiò facilmente  in li quali (o i quali) per effetto del molti che precedeva, e da li quali, natural-  mente, venne in M'-L anche il maschile angraoati invece di aggravate. Che si  tratti solo delle animo risulta da tutto il periodo, e in particolare dallo parole  - la anima per gravezza del corpo ».     - 15 —   ma andavano qua e là come bestie. 5. Et là dove dice che  viveano come fiere intendo che mangiavano carne cruda,  erbe crude et altri cibi come le fiere. 6. Et là dove dice  « tutte cose quasi faceauo per forza e non per ragione »  5. intendo che dice « quasi » che non faceano però tutte cose  per forza, ma alquante ne faceano per ragione e per senno,  cioè favellare, disidejare et altre cose che ssi muovono  dall' animo. 7. Et là dove dice che divina religione non  era reverita intendo che non sapeano che Dio (D fosse.   10. 8. Et là dove dice dell' umano ofiìcio intendo che non sa-  peano vivere a buoni costumi e non conosceano prudenzia  né giustizia né l'altre virtudi. 9. Et là dove dice che non  mauteneano ragione intendo « ragione » cioè giustizia, della  quale dicono i libri della legge che giustizia è perpetua e   15. ferma volontade d'animo che dae a ciascuno sua ragione.  IO. Et là dove dice « aguaglianza » intendo quella ragione  che dae igual i)ena al grande et al piccolo sopra li eguali  fatti. 11. Et là doye dice « cupiditade ■» intendo quel vizio  eh' è contrario di temperanza; e questo vizio ne -conduce   20. a disidei-are alcuna cosa la quale noi non dovemo volere,  et inforza nel nostro animo un mal signoraggio, il quale  noi permette rifrenare da' rei movimenti. 12. Et là dove  dice « nescitade » intendo eh' è nnone connoscere utile et  inutile; e però dice eh' è cupidità cieca per lo non sapere,   25. e che non conosce il prode e '1 danno. 13. Et là dove dice  « folle ardita » intendo che folli arditi sono uomini matti  e ratti a ffare cose che non sono da ffare. 14. Et là dove  dice « misusava le forze del corpo » intendo misusare cioè     i-2: M-m om. Et là.... come licre — 3 : M erbi ciiiili, .1/' 7 erbe crude — 4-6: m l'a-  ceano quasi per forza; poi, saltando al 2° forza, continua: ma al([uanle ecc. — 7: .i/'-L  dice quasi perciò ke ne faciano | tutte cose per forza 7 non per ragione intendo Ice dice  quasi, ma alquante ne faceano \ — 7: M' che muovono — 9: M-m chi idio — 11: .1/' ne  prudenza — 14: m' de legge — 14-15: m' ferma 7 perpetua voluntà — /": .1/ egual   — 18: M' mìsfacti — M lae — .V quello e poi rasura su cui altra mano scrisse apetito,  t quello che contrario, S quello appetito — 20: .V om. noi - 22: M-m non permette M-m necessilade, .V ignoranza che non conosce il prode ol danno ~ m intendo che  non è — m dal danno — 27: .M-m e tratti, L orati — 2é?: J/ emusavano, jiiemisusavano —  .u misusere, .V' misure, L misusare — m che misusare è usare. Cioè « che Dio esistesse ». Così mi par preferibile per il senso; e la lezione  di M-m è facilmente spiegabile da un che Mio diventato eh' idio, chi dio; è vero  però che le ragioni paleografiche varrebbero anche per il caso inverso.     - 16 -   usare in mala parte ; che dice Vittorino che forza di corpo  ci è data da Dio per usarla in fare cose utili et oneste, ma  coloro faceano tutto il contrario. Ora à detto lo sponi-  tore sopra '1 testo di Tulio le cagioni per le quali elo-  5- quenzia cominciò a parere. Omai dicerae in che modo  appario e come si trasse innanzi.     Tullio.   5. Nel quale tempo lue uno uomo grande e savio, il quale  cognobbe che materia e quanto aconciamento avea nelli animi delli   10. uomini a grandissime cose chi Ili potesse dirizzare e megliorare per  comandamenti. Donde costrinse e raunò in uno luogo quelli uomini  che allora erano sparti per le campora e partiti per le nascosaglie  silvestre ; et inducendo loro a ssapere le cose utili et oneste, tutto  che alla prima paresse loro gravi per loro disusanza, poi T udirò   15. studiosamente per la ragione e per bel dire; e ssì Ili arecò umili e  mansueti dalla fierezza e dalla crudeltà che aveano.   Lo sjaonitore.   1. In questa i)arte vuole Tulio dimostrare da cui e come  cominciò eloquenzia et in che cose ; et è la tema cotale   20. In quel tempo che Ila gente vivea così malamente, fue un  uomo grande per eloquenzia e savio per sapienzia, il quale  cognobbe che materia, cioè la ragione che l' uomo àe in sé  naturalmente per la quale puote l' uomo intendere e ragio  nare, e l'acconciamento a fare grandissime cose, cioè a   25. ttenere i)ace et amare Idio e '1 proximo, a ffai-e cittadi,  castella e magioni e bel costume, et a ttenere iustitia et  a vivere ordinatamente se fosse chi Ili potesse dirizzare,  cioè ritrarre da bestiale vita, e mellioi-are per comanda-  menti, cioè per insegnamenti e per leggi e statuti che Ili     2: M' om. ci — 3-4: M-iii Or o della la sposilione — 5: M-m loninciò (hi coro).  7 pare — M' oggimai — 6: M-m apparve — 8: il' uno buono — iO: 31' adrinure —  12: M-m per campora — 12-13: M-w le nascose selve 13: M-m et facciendo loro as-  sapere — 14: M' grave - L'i: M' si Hi recò — 16: M' crudelilà — 23: M-m nm. l'uomo  — 24 : M-m el lo ncomincianiento, L el chominciamenlo — 25: M'el ad amare ~ 26: M'  7datener — 27: M' chi le polesse adrifrure - m om. potesse — 28: M' enirare da b. v.   afrenasse (1). 2. Et qui cade una quistione, che potrebbe  alcuno dicere: « Come si potieno melliorare, da che non  erano buoni? >. A cciò rispondo che naturalmente era la  ragione dell'anima buona; adunque si potea migliorare nel  5. modo eh' è detto. 3. Donde questo savio costrinse - e dice  che i « costrinse » però che non si voleano raunare - e  raunò - e dice « raunò » poi che elli vollero. Che '1 savio  uomo fece tanto per senno e per eloquenzia, mostrando  belle ragioni, assegnando utilitade e metendo del suo in   10. dare mangiare e belle cene e belli desinari et altri piaceri,  che ssi raunaro e patiero d'udire le sue parole. Et elli in-  segnava loro le cose utili dicendo: « State bene insieme,  aiuti l'uno l'altro, e sarete sicuri e forti; fate cittadi e  ville *. Et insegnava loro le cose oneste dicendo : « Il pic-   15. colo onori il grande, il figliuolo tema il suo padre » etc.  4. Et tutto che, dalla prima, a questi che viveano bestial-  mente paresser gravi amonimenti di vivere a ragione et ad  ordine, acciò eh' elli erano liberi e franchi naturalmente e  non si voleano mettere a signoraggio, poi, udendo il bel dire   20. del savio uomo e considerando per ragione che larga e li-  bera licenzia di mal fare ritornava in lor gi"ave destruzione  et in periglio de l'umana generazione, udirò e miser cura  a intendere lui. Et in questa maniera il savio uomo li ri-  trasse di loro fierezza e di loro crudeltade - e dice « fierezza » perciò che viveano come fiere; e dice « crudeltade »  perciò che '1 padre e '1 figliuolo non si conosceano, anzi  uccidea l'uno l'altro - e feceli umili e mansueti, cioè vo-  lontarosi di ragioni e di virtudi e partitori (2) dal male.     1 : m rafrenasse, S affrenassono — J/ " Et acade, L e ecci una (\. — 2 : il poneno (cerio  per falsa lettura di potieno; cfr. Wiese in Zeilsch. f. Rom. Pini., VII, 330, g i33), m il'  poteano — 4: m dunque — 6: it-iii om. che i — 9: W l'utilitade — i^l' metendo '1 suo -  10: m mangiare cene e desinari 19: il sottomettere — 20-23: it-m om. e considerando....  il savio uomo — 23-24: m si ritrassono — 24: il lore fier., M' lor fior, — me dalloro  crud. — 24-25: H-m om. e dice.... crudeltade — 26: il' e li figluoli (ma L el figliuolo)  - 28: il' partito, l. e'dipirtironsi, s partiti.   (1) Parrebbe preferibile la lezióne di &'; ma è significativo il fatto che tutti  i mss. abbiano il singolare. Invece di condannarlo come corruzione comune, basta  pensare che sostantivi astratti come « insegnamenti, leggi e statuti » siano con-  siderati formanti un complesso unico, sì da farli equivalere al singolare (p.es. «ciò»);  e quest'uso del verbo è attestato da un altro passo di Brunetto, IO, 3, e dal Varchi,  Ercolano, ediz. Bottari (Firenze, 17.S0), p. 225.   (2) Senza ricorrere ai facili accomodamenti, conservo la lezione di M inten-  dendo « partitore » in senso riflessivo : « colui che si parte, che si allontana ». Cfr.  Manuzzi, s. V., § 2.     - 18 —   5. Or à detto Tulio chi cominciò eloquenzia et intra cui  e come; or dicerà per che ragione, eanza la quale non  potea ciò fare.   Tullio.   5. 6. Per la qual cosa pare a me che Ha sapienzia tacita e povera   di parole non arebbe potuto fare tanto, che così subitamente fossero  quelli uomini dipartiti dall'antica e lunga usanza et informati in  diverse ragioni di vita.   Lo sponitore.   10. 1. In questa parte dice Tulio la ragione sanza la quale   non si potea fare ciò che fece '1 savio uomo; e dice « sa-  pienzia tacita » quella di coloro che non danno insegna-  mento per parole ma per opera, come fanno ' romiti. Et  dice « povera di parole » per coloro che '1 lor senno non   15. sanno addornar di parole belle e piene di sentenze a ffar  credere ad altri il suo parere. Et per questo potemo in-  tendere che picciola forza è quella di sapienzia s'ella nonn  è congiunta con eloquenzia, e potemo connoscere che sopra  tutte cose è grande sapienzia congiunta con eloquenzia.   20. 2. Et là dove dice « così subitamente » intendo che quello  savio uomo arebbe bene potuto fare queste cose per sapien-  zia, ma non cosi avaccio né così subitamente come fece  abiendo eloquenzia e sapienzia. (i) Et là dove dice « in di-  verse ragioni di vita » intendo che uno fece cavalieri, un   25. altro fece cherico, e così fece d'altri mistieri.   Tullio.   7. Et così, poi che Ile cittadi e le ville fuoron fatte, impreser  gli uomini aver fede, tener giustizia et usarsi ad obedire l'uno l'altro  per propia volontarie et a sofferire pena et affanno non solamente     2 : M-m om. e come — sanza (luale — 5: M-m Per ((ualcosa - 7 : M' luioniiiii quelli —  13: M' i romiti, m li romiti — 14: M-m alloro senno, L in loro senno — i7: M-m om.  che — i9: M' giunta — 22: Af' si avaccio — 23: M-m om. e sapienzia — 28: m ad avere  lede 7 tenere.... adusarsi — M l'uno a l'altro.   (1) A qualcuno e sapienzia potrà sembrare un'aggiunta arbitraria; ma siccome  non è inutile, preferisco mantenerlo.  per la comune utilitade, ma voler morire per essa mantenere. La  qual cosa non s'arebbe potuta fare d) se gli uomini non avessor po-  tuto dimostrare e fare credere per parole, cioè per eloquenzia, ciò che  trovavano e pensavano per sapienzia. 8. Et certo chi avea forza e  5. podere sopra altri molti non averla patito divenire pare di coloro  ch'elli potea segnoreggiare, se non l'avesse mosso sennata e soave  parladura; tanto era loro allegra la primiera usanza, la quale era  tanto durata lungamente che parea et era in loro convertita in  natura. Donde pare a me che così anticamente e da prima nasceo  10. e mosse eloquenzia, e poi s'innalzò in altissime utilitadi delli uo-  mini nelle vicende di pace e di guerra.   Lo sponitore.   I. In questa parte dice Tulio che cciò che sapienzia  non avrebbe messo in compimento per sé sola, ella fece   15. avendo in compagnia eloquenzia; e però la tema èe cotale:  Si come detto è davanti, fuoro gli uomini raunati et inse-  gnati di ben fare e d'amarsi insieme, e però fecero cittadi  e ville; poi che Ile cittadi fuor fatte impresero ad avere  fede. 2. Di questa parola intendo che coloro anno fede che   20. non ingannano altrui e che non vogliono che lite né di-  scordia sia nelle cittadi, e se vi fosse sì la mettono in pace.  Et fede, sì come dice un savio, è Ila speranza della cosa  promessa; e dice la legge che fede è quella che promette  l'uno e l'altro l'attende. Ma Tulio medesimo dice in un   25. altro libro delli offici che fede è fondamento di giiistizia,  veritade in parlare e fermezza delle promesse; e questa ée  quella virtude eh' é appellata lealtade. 3. E così sommata-  mente loda Tulio eloquenzia con sapienzia congiunta, che     2: ilf'-£ potuto - M' om. non — 4: Jlf> Certo — 5: M-m vinavea charebbono potuto  divenire paii — 6: M-m chelli poteano, M^-L cui potea — M-m santa — 7: M^-L allegrezza  — 8-9 : M era converita la loro natura, m era convertila in loro natura — 9 : m onde —  14-15: M^ il fece in compagnia d'eloquentia.... si ò cotale — 16: M-m detto oe dinanci  19: 3/' fede, 7 di q. p. — PO : M^ om. e — M' o discordia — 21-22: M-m in pace et  in fede — m om. è - 23: M^ quello, ma L quella — 26: M-m et intermezza — M' de-  lenpromesse — 27: M legheltade (?«a cfr. Texor., XVII, 15) — M somatamente, m asommatam.  28 : M' congiunta con sapienzia.   (1) Sarà certo da legger così, e non sarebbe si sarebbe, poiché di quest'uso  dell' ausiliare avere presso gli antichi non mancano esempli sicuri : cfr. la nota  di M. Barbi nella sua ediz. della Vita Nuova, xxxvii, 2, e ciò che aggiunse il  Parodi in Bullett. della Soc. Bant., N. S., XXI, 67-68. Lo stesso si dica per s'areb-  hono del commento, § 3.     - 20 —   sanza ciò le grandissime cose non s'arebbono potute met-  tere in compimento, e dice che poi àe molto de ben fatto  in guerra et in pace. Et per questa parola intendo che tutti  i convenenti de' comuni e delle speciali persone corrono per  5. due stati o di pace o di guerra, e nell' uno e nell'altro bi-  sogna la nostra rettorica sì al postutto, che sanza lei non si  potrebbono mantenere.   Tullio.   9. Ma poi che Ili uomini, malamente seguendo la vìrtude sanza  10. ragione d'officio, apresero copia di parlare, usaro et inforzaro tutto  loro ingegno in malizia, per che convenne che ile cittadi sine gua-  stassero e li uomini si comprendessero di quella ruggine, (e. Ili)  Et poi che detto avemo la cumincianza del bene, contiamo come  cuminciò questo male.   15. Lo sponitore.   1. Poi che Tulio avea detto davanti i beni che sono  advenuti per eloquenzia, in questa parte dice i mali che  sono advenuti per lei sola sanza sapienzia; ma perciò che  Ila sua intentione è più in laudarla, sì appone elli il male   20. a coloro che Ila misusano e non a Ilei. 2. Et sopra ciò la  tema è cotale: Furono uomini folli sanza discrezione, li  quali, vegga ndo che alquanti erano in grande onoranza e  montati in alto stato per lo bell.o parlare ch'usavano se-  condo li comandamenti di questa arte, sì studiaroO solo in   25. parlare e tralasciare lo studio di sapienzia, e divennero  sì copiosi in dire che, per l'abondanza del molto parlare  sanza condimento di senno, che (2) cumìnciaro a mettere     1 : M-m cioè — 2: M-in che poi {ni, om. poi) a molli a Dio ben facto — -J: M om. i —  5: M' duri stali — i 1 : M conviene, M' conveiiia — IS: M-m om. e li uomini si compren-  dessero — 13: M \a cunincianza (e cluininciò)3/' il cuminciamento — 16: m ave... dinanzi   — 18: M^ dopo advenuti ripete per eloquenlia in quesUi parte (ma ri son trticiie di etpun-  zione) — 19: m om. elli — 20: M El perciii — 24: M' il comandamento.... studiavano   — 25 : ilf intralassai-o, m e lasciaro - 20: M' de molto — 27: m om. elio.   (1) Invece di si studiavo credo preferibile studiavo in senso assoluto, come già  si è trovato, 3, § 4: « e studia puro in dire le parole *.   (2) Sintatticamente questo che ò pleonastico; ma ò attestato da ambedue le  famiglie di codici e non costituisce una rarità per il nostro volgare antico (anzi,  per Brunetto stesso, cfr. IO, 1: « avegna che... ma tutta volta»).     - 21 -   sedizione e distruggi mento nelle cittadi e ne' comuni et a  corrompere la vita degli uomini; e questo divenia però  ch'ellino aveano sembianza e vista di sapienzia, della quale  erano tutti nudi e vani. 3. Et dice Vittorino che eloquenzia  5. sola èe appellata « la vista », perciò che ella fae parere che  sapienzia sia in coloro ne' quali ella non fae dimoro. Et  queste sono quelle persone che per avere li onori e F utti-  litadi delle comunanze parlano sanza sentimento di bene;  così turbano le cittadi et usano la gente a perversi costumi.  10. 4. Et poi dice Tulio: Da che noi avemo contato '1 principio  del bene, cioè de' beni che avenuti erano per eloquenzia,  si è convenevole di mettere in conto la 'ncumincianza del  male chende seguitò. Et dice in questo modo nel testo :   Tullio tratta della comincianza del male  15. adveniito per eloquenzia.   10. Et certo molto mi pare verisimile: in alcuno tempo gli  uomini che non erano parlatori et uomini meno che savi non usa-  vano tramettersi delle publiche vicende, e che W gli uomini grandi  e savi parlieri non si trametteano delle cause private. E con ciò   20. fosse cosa che sovrani uomini regessero le grandissime cose, io mi  penso che furo altri uomini callidi e vezzati i quali avennero a trattare  le picciole controversie delle private persone; nelle quali controversie  adusandosi gli uomini spessamente a stare fermi nella bugia incon-  tra la verità, imperseveramento di parlare nutricò arditanza   25. 11. Sì che per le 'ngiurie de' cittadini convenne per necessitade   che' maggiori si contraparassono agli arditi e che ciascuno atoriasse  le sue bisogne; e così, parendo molte fiate che quello eh' avea  impresa sola eloquenzia sanza sapienzia fosse pare o talora più  innanzi che quello che avea eloquenzia congiunta con sapienzia,     i-2: m nelle loro ciltadi — M' om. et a corr.... uomini — 2: m avenia — 3 kelli aveano  sombianca de giusta sap. — 4: m om. Et — 6: M' li quali — 7: M' questi — 10: m om.  Et — 11: M' bone kavenuto era - 12: 1/' il cominciamento — i3: Jlf chende seguita, j/i  che ne seguita - 16: M et certo mo, la Certo modo M meno di savi, m ch'erano  meno che savi — 17-18: M-m non sapeano, L non osavano — M-m om. e — 19: Jlf sin-  trametteano dele cose — 21: M-m om. uomini — M verrali — 3f' vennero — 22: M' om.  delle pr.... controversie — 23: M-m om. spessamente — 24: M' il persev. - 26: M' aiutasse  m adornasse — 29: M' giunta.   (1) Un costrutto più regolare si avrebbe sopprimendo il che o inserendone un  altro dopo verisimile; appunto. per questo conservo' il che, non sembrando proba-  bile che un copista volesse complicare di suo. Questa maggiore libertà sintattica  non è nuova.     - 22 —   aveni'a che, per giudicio di moltitudine di gente e di sé medesimo  paresse essere (i) degno di reggiere le publiche cose.   12. E certo non ingiustamente, poi che' folli arditi impronti  pervennero ad avere reggimenti delle comunanze, grandissime e  5. miserissime tempestanze adveniano molto sovente; per la qual cosa  cadde eloquenzia in tanto odio et invidia che gli uomini d'altissimo  ingegno, quasi per scampare di torbida tempestade in sicuro porto,  così fuggiendo la discordiosa e tumultuosa vita si ritrassero ad al-  cuno altro queto studio {"). Per la qual cosa pare che per la loro posa   10. li altri dritti et onesti studii molto perseverati vennero in onore.  13. Ma questo studio di rettorica fue abandonato quasi da tutti loro,  e perciò tornò a neente, in tal tempo quando più inforzatamente si  dovea mantenere e più studiosamente crescere; perciò che quando  più indegnamente la presumptione e l'ardire de' folli impronti mani-   15. mettea e guastava la cosa onestissima e dirittissima con troppo  gravoso danno dei comune, allora era più degna cosa contrastare e  consigliare la cosa publica. (e. I V) Della qual cosa non fugìo il nostro  Catone né Lelius né, al ver dire, il loro discepolo Àffricano, né i  Gracchi nepoti d' Àffricano, ne' quali uomini era sovrana virtude et   20 altoritade acresciuta per la loro sovrana virtude; sì che la loro  eloquenzia era grande adornamento di loro et aiuto e mantenimento  della comunanza.   Lo sponitore.   1. In questa parte divisa Tulio come divennero quelli  25. due mali, cioè turbare il buono stato delle cittadi e cor-  rompere la buona vita e costumanza delli uomini; et avegna  che '1 suo testo sia recato in sie piane parole che molto fae  da intendere tutti, ma tutta volta lo sponitore dirae alcune  parole per più chiarezza. 2. Et è la tema cotale: La elo-     1 : M-m avogiia — 2: M per essoi-o degno d'essere 7 di reggiere, M' paresse degno  de reggere — 3: M' poi ke fuor iaiditi in pronti, m enpronti — 4-5 : M' pervennero i  reggìm. — 7 de miserissime tempeste — spessamente — 7 : M' lempcstande — * : M-m la  discordia (m echontumulosa) — 9 : Tutti i mss. questo, S posato - M-m possa — i i : itf ' do  tutto loro " i4: M dì [olii — 18-19: M ne nelilio - M-m om. nò i G. n. d'AII'ricano —  Jlf' erano sovrane vertudi — 26: M' la vita 7 la buona costumanca - 27: M< suo stato  — m in se — 28: itf' om. tutti, ma — M' alcuna parola — S9: Af' Et la tema 6 cotale.  De la el. ecc.   (1) È possibile tanto la lezione di Af quanto quella di m; ma proferisco questa  perchè corrisponde alle parole del commento, § 6: « pareano essere degni».   (2) Il testo latino ha studium aliquod quieUtm. Lo scambio di queto por questo  era facilissimo, e forse risalo r.llo iirimo copio.     - 23 -   quenzia mise in sì alto stato i parladori savi e guerniti di  senno, che per loro si reggeano le cittadi e le comunanze  e le cose publiche, avendo le signorie e li officii e li onori e  le grandi cose, e non si trametteano delle cause private, cioè  5. delle vicende delli uomini speciali, né di fare lavoriere (i)  né altre picciole cose. Ma erano altri uomini di due maniere:  l'una che non erano parlatori, l'autra che non aveano sa-  pienzia, ma erano gridatori e favellatori molto grandi; e  questi non si trametteano delle cose publiche, cioè delle   10. signorie e delli officii e delle grandi cose del comune, ma  impigliavansi a trattare le picciole cose delle private per-  sone, cioè delli speciali uomini. 3. Intra' quali furono alcuni  calidi e vezzati - cioè per la fraude e per la malizia che in  loro regnava parea ch'avesse in loro sapienzia-; e questi   15. s' ausarono tanto a parlare che, per molta usanza di dire  parole e di gridare sopra le vicende delle speciali persone,  montare in ardimento e presero audacia di favellare in  guisa d'eloquenzia tanto e sì malamente che teneano la  menzogna e la fallacia ferma contra la veritade. 4. Onde,   20. per li grandi mali che di ciò adveniano, convenne che'  grandi, ciò sono i savi parladori che reggeano le grandi  cose, venissero et abassassero a trattare le picciole vicende  di speciali persone, per difendere i loro amici e per conta-  stare a quelli arditi. Et nota che arditi sono di due ma-   25. niere : l' una che pigliano a fifare di grandi cose con prove-  dimento di ragione, e questi sono savi; li altri che pigliano  a ffare le grandi cose sanza provedenza di ragione, e questi  sono folli arditi. 5. Donde in questo contrastare i buoni e  savi parlavano giustamente, ma i folli arditi, che non aveano   30. studiato in sapienzia ma pure in eloquenzia, gridavano e  garriano a grandi boci e non si vergognavano di mentire  e di dire torto palese; sicché spessamente pareano pari di  senno e di parlare e talvolta migliori. Sì che per sentenza     4 : M' om. e non s. t. d. cause — 5: M-m ont.aò — 6: m odaltre p. o. — 7 ■■ M< parliei-i —  iO: M' de comuni —11: M' dele piccole cose — 13-14 : M' cioè che jier la lYaude ecc. parean  (/^ parea) cavassero sapienlia— lo.- 3f< pei' la molta — 17: M^ presero baldanza — 19: M' con-  tro alla verità — 20: A/' ohi. che d. e. adveniano — m avenia — 21 :M' savi e parladori —  m le cittadi — 23: M' appilgliano a taro le g. e. — 26: M^ om. di ragione — L l'altra —  27: L provedimento — 31-32: Me dire,moHi. mentire e di — 33:M' talocta m. visi che p.s     (1) Cosi leggo con M, piuttosto che lavogarie di ilf' o lavorìi di m: oltre a  lavareria, il Manuzzi registra esempii di lavoriera.     - 24 -   del popolo, la quale è sentenzia vana perciò che non muove  da ragione, e per sentenza di sé medesimo, la quale è per  neente, pareano essere degni di covernare le publiche e le  grandi cose, e così furo messi a reggere le cittadi et alli  5. officii et onori delle comunanze. 6. Et poi che cciò avenne,  non fue meraviglia se nelle cittadi veniano grandissime e  miserissime tempestadi. Et nota che dice « grandissime »  per la quantità e che duraro lungamente, e dice « mise-  rissime » per la qualitade, ch'erano aspre e perilliose chende   10. moriano le persone ; e dice « tempestanza » per similitudine,  che sì come la nave dimora in fortuna di mare e talvolta  crescono (i) in tanto che perisce, così dimora la cittade per  le discordie, et alla fiata montano sicché periscono in sé  medesime e patono distruzione. 7. « Per la qual cosa elo-   15. quenzia cadde in tanto odio et invidia »... Et nota che odio  non é altro se nno ira invecchiata; e così i buoni savi erano  stati lungamente irosi, veggiendo i folli arditi segnoreggiare  le cittadi. Et invidia è aflizione che omo àe per altrui bene;  donde i buoni savi aveano molta aflizione per coloro ch'erano   20. segnori delle grandi cose et erano in onore. 8. Et perciò li  buoni d'altissimo ingegno si ritrassero di quelle cose ad  altri queti studii per scampare della tumultuosa vita in  sicuro porto. Et nota: là dove dice « altissimo ingegno »  dimostra bene eh' arebboro potuto e saputo contrastare   25. a' folli arditi, e perciò che no '1 fecero furo bene da ripren-  dere. Et in ciò che dice « queti studi » intendo l' altre  scienze di filosofia, sì come trattare le nature delle divine  cose e delle terrene, e sì come l'etica, che tratta le virtudi  e le costumanze; et appellali « queti studii » che non trat-   30. tano di parlare in comune, e perciò che ssi stavano partiti  dal remore delle genti. Et appella « vita tumultuosa » che     2: Jl/i per ragione ~ 4: M furoro, M^ fuoro — 7 : M-m ismisuratissime ~ 8: SI durano,  m duravano — 9: M' quantitade.... s\ elione moriano - 10: M' tempestade — 14: M'  medesimo ~ 15: m om. Et — 16: m buoni e savi — 18: m om. Et — m i'uomo... l'al-  trui — SO: M> et in lionore erano — m ad altre — M-m questi, M' certi —  23 : M' om. Et noia la dove — 25 : M-m non fecero — 26 : Tutti i mss questi — 27 : M de  trattare — 28: M-m sicome dice che l. — 29: M^ appellasi, L appellansi — mss. questi —   (1) Cosi hanno tutti i codici; ma forse dopo crescono è andato perduto un sog-  getto, richiesto dal senso o dalla sintassi, come i venti o l'onde (abbiamo anche  altrove la prova che le due famiglie di codici risalgono a un capostipite già corrotto).  Pure non sarebbe impossibile sottintendere dal precedente fortuna un soggetto le  fortune.     - 25 -   spessamente l'iiuo uomo assaliva l'altro in cittade coll'arme  e talvolta l'uccideva. 9. Et poi che' savi intralassar lo studio  d'eloquenzia, ella tornò ad neente e non fue curata uè pre-  giata. Ma l'altre scienzie di filosofia, nelle quali studiaro,  5. montaro in grande onore. 10. Et ora riprende Tulio questi  savi e dice che fecior questo a quel tempo che eloquenzia  avea più grande bisogno per lo male che faceano i folli  arditi nelle cittadi, e perchè guastavano la cosa onestis-  sima e dirittissima, cioè eloquenzia che ssi pertiene alle   10. cose oneste e diritte. U. Dalla qual cosa non fugio il nostro  Catone né quelli altri savi ch'amavano drittamente il co-  mune et aveano senno e parlatura; ma dimoraro fermi a  consigliare et a difendere il comune da'garritori folli ar-  diti; e però montaro in onore et in istato sì grande che   15. le loro dicerie erano tenute sentenze, e perciò dice che in  loro era autoritade, che autoritade èe una dignitade degna  d' onore e di temenza. 12. Ma da questo si muove il conto  e ritorna a conchiudere per ragioni utili et oneste e pos-  sibili e necessare che dovemo studiare in eloquenzia, e   20. lodala in molte guise.   Tullio conclude che sia da studiare in rettorica.   14. Per la qual cosa, al mio animo, non perciò meno è da  mettere studio in eloquenzia s' alquanti la misusano in publiclie et  in private cose; ma tanto più clie ' malvagi non abbiano troppo di   25. podere con grave danno de' buoni e con generale distruzione di tutti.  Maximamente cun ciò sia la verità che rettorica è una cosa la quale  molto s'appartiene a tutte cose, è publiche e private, e per essa diviene  la vita sicura, onesta, inlustre e iocunda; e per essa medesima molte  utilitadi avengono in comune se fia presta la modonatrice di tutte   30. cose, cioè sapienzia; e per lei medesima abonda a coloro che H'acqui-  stano lode, onore, dignitade; e per essa medesima anno li amici  certissimo e sicurissimo aiutorio.     1: M-m spesse volte — 2: m tralassaro — 8: m le chose honestissime — 10: M  (Iride, m diritte — 3f' Dela q. e. — 11: M' dirittamente, m om. — 12: M' dimorato  y f. — 13: M 7 folli arditi, £ e da f. a. — 14: M^ J montaro perciò — 18: m e torna,  M 7 condoura tornerà per ragioni, L e mosterrà per rag. — Jlf-;» honesti ~ 19: M -m ne-  cessarie— 20: m lodarla — ^3: M* misuna, corretto poi misusa — 27: M' molto pertièno  devegna — 28: M> y hon. 7 illustra 7 gioconia, m illustra — 29: M sia — 31: M^-m 7  honore 7 dignitade.     26 -     Lo sponitore.   1. La tema di questo testo è cotale, (H che dice Tulio:  Se alquanti di mala maniera usano malamente eloquenzia,  non rimane pertanto che 11' uomo non debbia studiare in  5. eloquenzia, al mio animo (cioè per mia sentenza), acciò  che ' rei uomini non abbiano podere di malfare a' buoni  né di fare generale distruzione di tutti. Et nota che di-  strutti sono coloro che soleano essere in alto stato et in  ricchezza e poi divennero in tanta miseria che vanno men-   10. dicando. 2. Et poi dice le lode di rettorica, come tocca al  comune et al diviso, e come per lei diviene l'uomo sicuro,  cioè che sicuramente puote gire a trattare le cause, et ap-  pena troverai (2) chi '1 sappia contradiare ; e dice chende  diviene la vita « onesta », cioè laudato intra coloro che '1   15. cognoscono; e dice «illustre», cioè laudato intra li strani;  e dice « ioconda », cioè vita piacevole, però che ' savi par-  lieri molto piacciono ad sé et altrui. 3. Et altressi molto  bene n'aviene alle comunanze jier eloquenzia, a questa con-  dizione : se sapienzia sia presta, cioè se ella sia adiunta con   20. eloquenzia. Et dice che sapienzia è amodenatrice di tutte  cose però che ella sae antivedere e porre a tutte cose certo  modo e certo fine. 4. Et poi dice che questi che anno elo-  quenzia giunta con sapienzia sono laudati, temuti et amati;  e dice che Ili amici loro possono di loro avere aiutorio si-   25. curissimo, però che appena fie chi Ili sappia contrastare,  poiché sanno parlare a compimento di senno. Et dice « cer-  tissimo » però che '1 buono e '1 savio uomo non si lascia     2: M-m Lo testo èe cotale, M'-L La tema de questo è cotale — 3: M' aliijuanti —  6: M' de fare male — 7: m om. nota — 9: il' divegnono — 11: M huomo siguro —  13: M' troverà — 14: M-m laudata.... che cognoscono — 15: M' illustra, L illustro —  17: A/' ad altri — M-m nm. Et altressi e n— 19: Hin presta — M' giunta — 21 :M siae  ad intivedere, m a ad antivedere — 22: m om. Et — 23: M^ 7 temuti — 25: m Tia chelli  sappia, M' fie chelli il sappia — 37: M non so lascia.  Anche la lezione di ilf è possibile, ma forse nacque da un accomodamento  arbitrario del testo già corrotto. Invece quella di M' è spiegabilissima collomis-  sione della parola testo (la somiglianza con questo rese più facile l' errore) e riceve  conforma dal principio del capitolo seguente, con quell'uniformità di espressione  che è caratteristica di tutto il commento.   (2) Troverai è preferibile come « lectio difflcillor ». Del resto anche in M' po-  trebbe trattarsi non di troverà, ma troverà'.     - 27 -   corrompere per amore ne per prezzo né per altra simile  cosa. Et qui si parte il conto e fae nn' ultima conclusione  in questo modo:   Tullio conclude in somma. Et però pare a me che gli uomini, i quali in molte cose   sono minori e più fievoli che Ile bestie, in questa una cosa l'avan-  zano, che possono parlare ; e donque pare che colui conquista cosa  nobile et altissima il quale sormonta li altri uomini in quella me-  desima cosa per la quale gli uomini avanzano le bestie. La tema in questo testo è cotale : La veritade è che  gli uomini in molte cose sono minori che Ile bestie e più  fievoli, acciò che sanza fallo il leofante e molti altri ani-  mali sono più grandi del corpo che nonn è l'uomo; e certo   15. il leone e molte altre bestie sono più forti della persona  che ir uomo; e più ancora che in tutti e cinque ' sensi sono  certi animali che avanzano lo senso dell'uomo. Che sanza  fallo lo porco salvatico avanza l'uomo d'udire e '1 lupo  cerviere del vedere e la scimmia del saporare, e l'avóltore   20. dell' anasare ad odorare, e '1 ragnol del toccare. 2. Ma in  questa una cosa avanza 1' uomo tutte le bestie et animali,  che elli sa parlare. Donque quello uomo acquista bene la  sovrana cosa di tutte le buone, che di ben parlare soprastae  alli altri uomini.   25. Tullio dice di che elli tratterà-   16. Et questa altissima cosa, cioè eloquenzia, non si acquista  solamente per natura né solamente per usanza, ma per insegnamento  d'arte altressi. Donque non è disavenante di vedere ciò che dicono  coloro i quali sopra ciò ne lasciaro alquanti comandamenti. Ma anzi     S: il-m un'altra condictione — 7 : M' costui — il-m conquesta — 8: M-m la quale;  om. li — 9 : )» om. cosa e gli uomini — 11: il' de questo t. — 12: M' molti huomini....  minori 7 più fievoli chelle bestie — 15: U-m om. altre — 16: M' che tucti — 19-20: M-m  7 l'avóltore dell'odore, M']j lavoltoio delanasare adodorare, L del savorare e odorare, S et  l'avoltoio del nasare et d'odorare — M-M' 7 rangnol, m il rangnolo (ohi. tulli gli e), L a ra-  gnolo — M'-L ne! toccare — 22: M' chelli sanno - 25: M dico che {ma cfr. ^ \) — 27 : M'  per la natura — 2S: M-m nm. d'arte — 29: m certi.     — 28 —   che noi diciamo ciò che ssi comanda in rettorica, pare che sia a  trattare del genere d' essa arte e del suo officio e della fine e della  materia e delle sue parti; imperochè sapute e cognosciute queste  cose, più di legieri e più isbrigatamente potrà l'animo di ciascuno  5. considerare la ragione e ia via dell'arte.   Lo sponitore.   1. Poi che Tulio avea lodata Rettorica et era soprastato  alle sue commendazioni in molte maniere, sì ricomincia nel  suo testo per dire di che cose elli tratterà nel suo libro.  10. Ma prima dice alcuni belli dimostramenti, perchè l'animo  di ciascuno sia più intendente di quello che seguirà, e così  pone fine al suo prolago e viene al fatto in questo modo:   Tullio ae fiìiito il prolago, e comincia a dire di eloquenzia. Una ragione è delle cittadi la quale richiede et è  15. di molte cose e di grandi, intra Ile quali è una grande et ampia  parte l' artificiosa eloquenzia, la quale è appellata Rettorica. Che al  ver dire né cci acordiamo con quelli che non credono che Ila scienzia  delle cittadi abbia bisogno d'eloquenzia, e molto ne discordiamo da  coloro che pensano ch'ella del tutto si tegna in forza et in arte del  20. parladore. Per la qual cosa questa arte di rettorica porremo in quel  genere che noi diciamo ch'ella sia parte della civile scienzia, cioè  della scienzia delle cittadi.   Lo sponitore.   I. In questa parte del testo procede Tulio a dimosti-are  25. ordinatamente ciò che elli avea promesso nella fine del pro-  lago. Et primamente comincia a dicere il genere di questa  arte. Ma anzi che Ho sponitore vada innanzi sì vuole fare  intendere che è genere, perchè l' altre parole siano meglio  intese. 2. Ogne cosa quasi o è generale, sicché comprende  30. molte altre cose, o è parte di quella generale. Onde questa     1-2: M' (la tratto, poi corr. da trattar.; — 3: M-m generalmente della decta- arte —  3: m però che - 4: M-m più diligente, M' nm. più — 8: M A rinconincia — 11 : M'  (luelle, ma L quello — 14-13: M'-L richiede molte cose grandi — 16: M-m cai ver diro —  18: M-m abbiano — 30: M-m [lorromo quel genero — SG: m quella — S8: M-m y perchè  — 29: M ìì quasi generale, m è quasi geu. — 30: M onde jvirte quella gen.     parola, cioè « uomo », è generale, per ciò che comprende  molti, cioè Piero e Joanni etc, ma questa parola, cioè  « Piero, » è una parte- A questa somiglianza, per dire più  in volgare, si puote intendere genere cioè la schiatta; che  5. chi dice « i Tosinghi » comprende tutti coloro di quella  schiatta, ma chi dice « Davizzo » non comprende se no una  parte, cioè un uomo di quella schiatta. 3. Onde Tulio dice  di rettorica sotto quale genere si comprende, per meglio  mostrare il fondamento e Ila natura sua. Et dice così che Ila   10. ragione delle cittadi, cioè il reggimento e Ila vita del co-  mune e delle speciali persone, richiede molte e grandi cose,  in questo modo: che è in fatti e 'n detti. 4. In fatti è la ra-  gione delle cittadi sì come l'arte W de' fabbri, de' sartori, de'  pannar! e l' altre arti che si fanno con mani e con piedi. In   15. detti è la rettorica e l'altre scienze che sono in parlare.  Adonque la scienza del covernamento delle cittadi è cosa  generale sotto la quale si comprende rettorica, cioè l'arte  del bene parlare. 5. Ma anzi che Ilo sponitore vada più in-  nanzi, pensando che Ha scienza delle cittadi è parte d' un   20. altro generale che muove di filosofia, sì vuole elli dire un  poco che è filosofia, per provare la nobilitade e l'altezza  della scienzia di covernare le cittadi. Et provedendo ciò  ssi pruova l'altezza di rettorica.   6. Filosofia è quella sovrana cosa la quale comprende   25. sotto sé tutte le scienze; et è questo uno nome composto   di due nomi greci : il primo nome si è phylos, e vale tanto   a dire quanto « amore », il secondo nome è sophya, e vale   - tanto a dire quanto « sapienzia ». Onde « filosofia » tanto vale   a dire come « amore della sapienzia » ; per la qual cosa neuno   30. puote essere filosofo se non ama la sapienzia tanto eh' elli  intralasci tutte altre cose e dia ogne studio et opera ad  avere (2) intera sapienzia. Onde dice uno savio cotale difiì-     / ■ M-m cioè che comprende — 2: Af' nm. o J cioè Piero — 5: M' ovi. chi —   4-6: m om. tutto il passo da che « quella schiatla — 8: m om. per — 9: M^ demostrare —  10: jU' i reggimenti — 12: M-m om. che b — 13: Af ' l'arti (ma anche L l'arto) — m e de'pan-  nali, .)/ 7 de sartori de panni — 16-17: m o parte d'un altro generale — 1M' de  ben p. — 20: M in podio — 22: m om. della scienzia, 3/' niii. della scienzia l'al-  tezza — 25: M sotto di sé — 26: m fue fdos, .W filis — 27 : m om. nome — 29: M^ de  la scienza — 31: M-m tuote l'altre — J/' 7 da ~ 32: M-m. ad amare —' M' Donde.   (1) Anche arte potrebbe essere qui un plurale, come in Tesar., X, 39-40; però  lo ronde poco probabile la forma arti che subito segue.   (2) La lezione amare di M-m fu certo suggerita dai precedenti amore e ama,  e basterebbe a farla rifiutare la ripetizione di concetto a cui si riduce.     - 30 -   nizione di filosofia : ch'ella è inquisizione delle naturali cose  e connoscimento delle divine et umane cose, quanto a uomo  è possibile d' interpetrare. Un altro savio dice che filosofia  è onestade di vita, studio di ben vivere, rimembranza della  5. morte e spregio del secolo. Et sappie che diflfinizione  d'una cosa è dicere ciò che quella cosa è, (i) per tali parole  che non si convegnano ad un' altra cosa, e che se tu le  rivolvi tuttavia signiffichino quella cosa. Per bene chiarire  sia questo l'exemplo nella diffinizione dell'uomo, la quale   10. è questa: « L'uomo è animale razionale mortale ». Certo  queste parole si convegnono sì all'uomo che non si puote  intendere d'altro, né di bestia, né d'uccello, né di pescie,  però che in essi nonn à ragione; onde se tue rivolvi le  parole e di' cosi : « (/he è animale razionale e mortale ? *   15. certo non si puote d' altro intendere se non dell' uomo.  8. Or è vero che anticamente per nescietà delli uomini  furon mosse tre quistioni delle quali dubitavano, e uon  senza cagione, però che sopr'esse tre questioni si girano  tutte le scienzie. La p-rima quistione era che dovesse l'uomo   20. fare e che lasciare. La seconda quistione era per che ra-  gione dovesse quel fare e quell'altro lasciare. La terza  quistione era di sapere le nature di tutte cose che sono.  Et perciò che le questioni fuoro tre, sì convenne che' savi  filosofi (2) partissero filosofia in tre scienzie, cioè Teorica,   25. Pratica e Logica, si come dimostra questo arbore.      i: M inquistione, m inquestione, L inqulslione — 2: M^ quando — 3: M enpossib'ile  — (5: Mss. quella cosa 7 per t. p. — 8: if-M' le rivuoli, L le rivolgi — il' el per bene —  .9-/0: if' lo quale questo, L la i[ualo questo — 16: m necessità, M' neccssiladc — 16-17:  .¥' luiomini in esse (L messe) — 18: sospeso, cnrr. sopresse — 19: .1/' liuomo — 20: m  la seconda che lasciare — 20-21: lU-m om. la 2" quistione — 22.: M-m om. quistione —  M-iii la natura — m tutte le oliose - 23: M-m Et però quelle quistioni furono tre —  23-24 : M si convenne i savi phylosoi)hy che partissero — jf > si conviene -^ 23: M mn. e.   (1) Si potrebbe anche leggere (con una costruzione più regolare ma con una  coordinazione poco opportuna) ciò eh' è quella cosa, e per tali parole ecc.   (2) Questa lezione ò comune a codici di ambedue le famiglie, e perciò la pre-  ferisco a quella di M, che pure si può difendere facendo transitivo conreìtne e  intendendo i -savi filosofi come complem. oggetto. Et la prima di queste scienze, cioè pratica, è per  dimostrare la prima questione, cioè che debbia uomo fare  e che lasciai'e. La seconda scienzia, cioè logica, è per di-  mostrare la seconda quistione, cioè per che ragione dovesse  quel fare e quello altro lasciare. 10. Et questa scienza, cioè  logica, sì ae tre parti, cioè dialetica, efidica, soffistica. La  prima tratta di questionare e disputare l'uno coli' altro, e  questa è dialetica; la seconda insegna provare il detto del-  l' uno (1) dell' altro per veraci argomenti, e questa èe efi-  dica; la terza insegna provare il detto dell'uno e dell'altro  per argomenti frodosi o per infinte provanze, e questa è  sofistica. Et questa divisione pare in questo arbore. La tex'za scienzia, cioè teorica, si è per dimostrare  le nature di tutte cose che sono, le quali nature sono tre;  15. e però conviene che questa una scienza, cioè teorica, sia  pai'tita in tre scienzie, ciò sono Teologia, Fisica e Mate-  matica, sì come dimostra questo arbore.      4: m cioè la ragione — 6: m sollislicha, epidicha, M' eflidica (un'altra mano aggiunse  sotìslicha) — 7: i/' tractare.... contra l'altro - 9:m, ìt', l e dell'altro — i 1 : if infinite  — M' argomenti frodolenti 7 jier infinita pruova — 12: m apare.   (1) Conservo invece di e, comune a quasi tutti i codici, appunto per la sua  singolarità e perchè sembra indicare una differenza tra l'efldica e la sofistica-  la prima dimostra la verità di una delle due parti, la seconda pretende dimo-  strare l'una e l'altra parte.  Onde la prima di queste tre scienze, cioè teologia,  la quale è appellata divinitade, si tratta la natura delle  cose incorporali le quali non conversano in traile corpora,  sì come Dio e le divine cose. La seconda scienzia, cioè  5. fisica, sì tratta le nature delle cose corporali, si come sono  animali e He cose che anno corpo; e di questa scienzia fue  ritratta l'.arte di medicina, che, poi che fue connosciuta la  natura dell'uomo e delli animali e de' loro cibi e dell'erbe  e delle cose, assai bene poteano li savi argomentare la sa-  io, nezza e curare la malizia. La terza scienzia, cioè matema-  tica, sì tratta le nature de le cose incorporali le quali sono  intorno le corpora; e queste nature sono quattro, e perciò  conviene che matematica sia partita in quattro scienze, ciò  sono arismetrica, musica, geometria et astronomia, sì come  15. appare in questo arbore:      13. La prima scienzia, cioè arismetrica, tratta de' conti  e de'nomeri, sì come l'abaco e più fondatamente. La se-  conda scienza, cioè musica, tratta di concordare voci e  suoni. La terza, cioè geometria, tratta delle misure e delle   20. proporzioni. La quarta scienza, cioè astronomia, tratta della  disposizione del cielo e delle stelle.   14. Or si torna il conto dello sponitore di questo libro  alla prima parte di filosofia, della quale è lungamente ta-  ciuto, e dicerà tanto d'essa prima parte, cioè di pratica,   25. che pervegna a dire della gloriosa Rettorica. E sì come  fue detto già indietro, questa pratica è quella scienza che  dimostra che ssia da ffare e che da lasciare, e questo è di     3:m traile corpora — 7: #' dela mudicina — 9: M' assai poteo bone argomentare isani —  10-13 : M-m mltnno da matematica di l. 10 a l. 13 sia partita (m si e) — 16: m om. scien-  7.ia — 17: M' noveri — 18: M [a musica — SO: M astorlomia — M' tracta Io sponilore —  22: Af' si ritorna (L ritorna), m Ora torna lo spoiiiloro alla prima p. — 33: m ae, Jtf' oo —  24: m della prima parte — 25: m perverrà.     tre maniere: i>erciò conviene che di questa una siano tre  scienze, cioè sono Etica, Iconoiiiica e Politica, sì come  mostra la figura di questo arbore :      15. La prima di queste, cioè etica, sì è insegnamento di  5. bene vivere e costumatamente, e dà connoscimento delle  cose oneste e dell'utili e del lor contrario; e questo fa per  assennamento di quatro vertudi, ciò sono prndenzia, iusti-  zia, fortitudo e temperanza, e per divieto de' vizi, ciò sono  superbia, invidia, ira, avarizia, gula e luxuria; e così dimo-  io, stra etica clie sia da tenere e che da lasciai-e jier vivere  virtuosamente. 16. La seconda scienza, cioè iconomica, sì  'nsegna che ssia da ffare e che da lasciare per covernare  e reggere il propio avere e la propia famiglia. 17. La terza  scienza, cioè politica, sì 'nsegna fare e mantenere e reggere  15. le cittadi e le comunanze, e questa, sì come davanti è pro-  vato, è in due guise, cioè in fatti et in detti, sì come si vede  in questo arbore:      18. Quella maniera eh' è in fatti sì sono l'arti e' magi-  sterii che in cittadi si fanno, (i) come fabbri e drappieri e li     1 : M-m però clic convion(3 — 3.m am. la ligura — ;>: Af' accostumatamente M' om. ira — 10: M^ da necnto — 1 1: m virtmliosamonte — 13: m avere, la patria e  la famiglia — 14: m fare, mantenere 7 r. — 16: M-M' 7 in due guise — M' in detti.  18: m om. tutto il g 18 — M' 7 mestieri — 19 : M che cittadini fanno   (lì Si rimane incerti fra le due lezioni, perchè il senso è il medesimo e anclie  paleograficamente la differenza è lieve: forse ì citladisi oxìgìno (i) cittadini'! Adot-  tiamo la lezione un po' più diffìcile.     altri artieri, sanza i quali la cittade non potrebbe durare.  Quella eh' è in detti è quella scien^ia che ss' adopera colla  lingua solamente; et in questa si contiene tre scienze, ciò  sono Grramatica, Dialettica, Rettorica, si come dimostra  5. questo altro albore:      19. Et che ciò sia la verità dice lo sponitore che gra-  matica è intrata e fondamento di tutte le liberali arti et  insegna drittamente parlare e drittamente scrivere, cioè  per parole propie sanza barbarismo e sanza sologismo (i).   10. Adunque sanza gramatica non potrebbe alcuno bene dire  né bene dittare. La seconda scienza, cioè dialetica, sì pruova  le sue parole per argomenti che danno fede alle sue parole;  e certo chi vuole bene dire e bene dittare conviene che mo-  stri ragioni per che, sicché le sue parole abbiano provanza   Ib. in tal guisa che Ili uditori le credano e diano fede a cciò  che dice. La terza S(!Ìenza ciò è Rettorica, la quale truova  et adorna le parole avenanti alla materia, per le quali l'udi-  tore s'accheta e crede e sta contento e muovesi a volere  ciò eh' è detto. 20. Adonque le tre scienze sono bisogno a   20. parlare et al dittare, che sanza loro sarebbe neente, acciò  che '1 buono dicitore e dittatore de' sì dire e scrivere a  diritto e per sì propie parole che sia inteso, e questo fae gra-  matica; e dee le sue parole provare e mostrare ragioni (2),     1 : Af ' artefici sanza quali le cittadi non potrebbero durare — 3: M^ ■] questa si con-  tiene — 6: m Et choncio sia la v., L Et cliome ciò sia — 7: M' l'arti liberali — 9: M-  m om. e sanza sologismo; t-S silogismo — 10: M' om. alcuno — I-i: M ragione si che  le s. p. — pruova — i7 : M-m advoncnti — 18-19 : M' per bisogno al parliere et al dicta-  tore — S3: M-m mostrare con ragiono, L mostrare por ragione   (1) Non credo necessario, data l' impossibilità di distinguer la grafia dei copisti  da quella dell' autore, ristabilire la forma esatta solecismo; la stranezza della pa-  rola spiega pure l'omissione di M-m e lo sproposito di L-S.   (2) Che questa sia la giusta lezione è confermato dal § precedente, 1.16 («ra-  gioni per che ») ; e si noti che mostrare con ragione o per ragione equivarrebbe a  provare.     - 35 -   e questo fae dialetica; e dee sì mettere et addornare il suo  dire che, i)oi che 11' uditore crede, che stia contento e faccia  quello eh' e' vuole, e questo fa Rettorica. 21. Or dice lo spo-  nitore che Ha civile scienza, cioè la covernatrice delle cit-  5. tadi, la quale èe in detti si divide in due: che ll'una è co llite  e l'altra sanza lite. Quella co llite si è quella che sisi fa do-  mandando e rispondendo, si come dialetica, rettoi'ica e lege;  quella eh' è sanza lite si fa domandando e rispondendo, ma  non per lite, ma per dare alla gente insegnamento e via di   10; ben fare, sì come sono i detti de' poeti che anno messo inii  iscritta l'antiche storie, le grandi battaglie e l'altre vicende  che muovono li animi a ben fare. 22. Altressì quella civile  scienzia eh' è con lite è di due maniere, eh' è ll'una artifi-  ciosa, l'altra non artificiosa. Artificiosa è quella nella quale   15. il parliere che connosce bene la natura e Ilo stato della  materia, vi reca suso argomenti secondo che ssi conviene,  e questo è in dialetica et in rettorica. Quella che non è  artificiale è quella nella quale si recano argomenti pur per  altoritade, si come legge, sopra la quale non si reca neuna   2'^ pruova né ragione per che, se non tanto l' altoritade dello  'mperadore che Ila fece. Et di questa che non è artificiale  dice Boezio nella Topica eh' è sanza arte e sanza parte di  ragione. 23. Alla fine conclude Tulio e dice che Rettorica  è parte della civile scienzia. Ma Vittorino sponendo quella   25. parola dice che rettorica è la maggiore parte della civile  scienzia; e dice « maggiore » per lo grande effetto di lei,  che certo per rettorica potemo noi muovere tutto '1 popolo,  tutto '1 consiglio, il padre contra '1 figliuolo, l'amico centra  l'amico, e poi li rega(i) in pace e a benevoglienza. Or è detto   30. del genere; omai dicerà Tulio dello oflfizio di rettorica e del  fine.     1: M ordinare, m e iliraeltero e ordinare lo siidire — 3: M^ cliolll stea — 5: M-m si  vede in due — 7: M' y reclorica — 9: M' a. lo genti — i 1 : m-M in iscripto — M' 7  le g. b. 7 altro vicende — IS : M-m alla (certo da ((Ila), M' (|UOSta civ. — 13-14: mchS l'ima  e art. 7 l'altro non art., 3f' l'unaarl. l'altra none art. (X non art.) — 16: m su argomenti  che crede ohe si chenvieno, S secóndo la cosa — 19: M sopralla quale — 21 : J/' di que-  sta non artificiosa — S6: m e M' alFecto, ma L el'ctto — S8 : m M' contro al f. — wchontro  all'amico, M' contra amico. — 29: m li reca, Af' recalgli a pace 7 benev., L-S recarli a p.  Q n h. — 80 : m M' oggimai.   (1) Con libertà non nuova alla nostra ling'.ia antica, si può sottintendere il  soggetto, « rettorica », dalle parole « per rettorica » che precedono. La lezione  ? ecarli, appunto perchè piii semplice e chiara, mi par da scartare : non si vedrebbe     - 36     Tullio dice che è l'ufficio di questa arte.   18. Officio di questa arte pare che sia dicere appostatamente  per fare credere, fine è far credere per lo dire. Intra 11' ufficio e Ila  fine èe cotale divisamente : che nell'officio si considera quello che  5. conviene alla fine e nella fine si considera quello che conviene al-  l'officio. Come noi dicemo l'ufficio del medico curare apostatamente  per sanare, il suo fine dicemo sanare per le medicine, e così quello  che noi dicemo officio di rettorica e quello che noi dicemo fine in-  tenderemo dicendo che officio sia quello che dee fare il parliere, e  10. dicendo che Ila fine sia quello per cui cagione eili dice.   Lo sponitore.   1. In questa parte àe detto Tulio che è l'officio di que-  sta arte e che è lo suo fine; e perciò che '1 testo è molto  aperto, sì sine passerà lo spouitore brevemente. Et dice   15. cotale diffinizione : officio è dicere appostatamente per fare  credere. Et nota che dice « appostatamente », cioè ornare  parole di buone sentenze dette secondo che comanda que-  st'arte; e questo dice per divisare il parlare di questo di-  citore dal parlare de' gramatici, che non curanq d'ornare   20. parole. E dice « per far credere », cioè dicere sì composta-  mente che ir uditore creda ciò che ssi dice. Et questo dice  per divisare il detto de' poeti, che curano più di dire belle  pai-ole che di fare credere. 2. L' altra diffinizione è del fine.  Et dice che fine è far credere per lo dire. Et certo chi   25. considera la verità In questa arte e' troverà che tutto lo  'ntendimento del parliere è di far credere le sue parole  all'uditore. Donque questo è la fine, cioè far credere; che     2: M* om. ilk'Oi'O — 3: M-M' 7 lar — M-m per 1 udire - 3-4: M' om. Inlra 11' udicio  e ripete è cotale ilivisumento che no l'ollicio — M 7 è colalo — 0: m il' e curare — 9: t in-  tenderemo cli6 olicio è quello ecc. — m om. e — JO: il ella, mi e la — i3 : .tf' et che il  lino — 15: il apostamonle — M-m saltano dal l'ai ^ apposlatanicnto. — 10: .tf-m-.l/' or-  nate — 20: m diro si ornatamente et cliom))ost. — 21 : M-m mn. Kl c|uesto dice - 23: M-m  che farle credere - 24: M-m per 1 udire — 23: M 7 troverà - 26: M' del parlare   la ragione per cui fu mutata negli altri codici, mentre ò facile ammettere che sia  derivata da recahjli di M '. Quoista poi, a sua volta, non è che una variante di ìi  reca, con una estensione del pronome enclitico a cui contraddice la cosiddetta legge  del Mussafla (cfr., anche per Dante, in Bull. d. Soc. Dani., N. S., XIV, 90-91)     - 37 -   'mmantenenle che l'uomo crede ciò eli' è detto si rivolve (1)  lo suo animo a volere et a ffare ciò che '1 dicitore intende.  3. Ma dice Boezio nel quarto della Topica che '1 fine di que-  sta arte è doppio, uno nel parladore et un altro nell'uditore.  5. Il parladore sempre desidera questo fine in sé: che dica  bene e che sia tenuto d' aver bene detto. Neil' uditore è  questo fine: che '1 dicitore a questo intende, che nell'udi-  tore sia cotale fine che creda quello che dice; e questo fine  non desidera sempre il parlatore sì come quello di sopra.   10. 4. Et per mostrare bene che è l' officio e che è il fine e che  divisamento àe dall'uno all'altro, sì dice Tulio che officio  è quello che '1 parliere de' fare nel suo parlamento secondo  lo 'nsegnamento di questa arte. Ma fine è quello per cui  cagione il parlieri dice compostamente; e certo questa ca-   15. gione e questo fine nonn è altro se non fare credere ciò che   . dice. Et di ciò pone exemplo del medico, e dice che Ilo   officio del medico è medicare compostamente per guerire   r amalato; la fine del medico èe sanare lo 'nfermo per lo   suo medicare. 5. Già è detto sofficientemente dell' officio   20. e della fine di rettorica; omai procederàe il conto a dire  della materia.   Della materia.   19. Materia di questa arte dicemo che ssia quella nella quale  tutta l'arte e Ilo savere che dell'arte s'apprende dimora. Come se noi  25. dicemo che Ile malizie e le fedite sono materia del medico, perciò  che 'ntorno quelle è ogne medicina, altressì dicemo che quelle cose  sopra le quali s'adopera questa arte et il savere eh' è appreso (2)  dell'arte sono materia di rettorica; le quali cose alcuni pensaro che     1 : M sinvolve, m si involve, M^-L si muove — S : M' quello olio. — 9 : M-m considera   — 10: M' om. l)ene — 15: M-m non ae altro — m se none a faro — 16: Af ' in ciò —  17-18 : M Olii, è medicare.... del medico — 19: M-m Già ae d. s. (mi s. d.) — 20: M' del fine   — ogimai procederà Tulio a dire — S,4: m e tutta l'arte — Jlf ' e sapere — S3: M-m le  malizie, cioè le malattie (glossa) — 87: M e savere — tulli i inss, apresso   (1) Questa è senza dubbio la lezione richiesta dal senso e giustificabile con  ragioni paleografiche: un siriuolue in cui ri è parso un n ha originato il sinvolve  di M; da questo, per correzione arbitraria, è nato si muore di Mi L. Invece di  « si rivolve lo suo animo » (soggetto) si può anche intendere « (l'uomo) si rivolve  lo suo animo », ma forse l'espressione riesce meno naturale.   (2) La correzione è suggerita dalle parole precedenti : « lo savere che dell'arte  s'apprende». Il testo latino ha facuUas oratoria.     - 38 -   fossero piusori et altri meno. Che Gorgias Leontino, che fue quasi  il più antichissimo rettorico, fue in oppinione che el parladore possa  molto bene dire di tutte cose. Et questi pare che dea a questa arte  grandissima materia sanza fine. Ma Aristotile, il quale diede a questa  5. arte molti aiuti et adornamenti, extimò che II' officio del parlatore  sia sopra tre generazioni di cose, ciò sono dimostrativo, diliberativo  e giudiciale.   Lo sponitore.   1. In questa parte dice Tulio che materia di rettorica   10. è quella cosa per cui cagione furo pensati e trovati li co-  mandamenti di questa arte, e per cui cagione s'adoperala  scienzia clie 11' uomo apprende per quelli comandamenti.  Così fuoro trovati li comandamenti di medicina e gli ado-  peramenti per le infertadi e per le ferute; et insomma   15. quella è Ila materia sopr' alla quale conviene dicere. Et  sopra ciò fue trovata questa arte per dare insegnamento  di ben dire secondo che Ila materia richiede e per fare  che ir uditore creda. 2. Et di questo è stata diiferenzia  tra' savi : che molti furo che diceano che materia puote   20. essere ogne cosa sopr' alla quale convenisse parlare. Et se  questo fosse vero, donque sarebbe questa arte sanza fine,  che non puote essere; e di questi fue uno savio, Gorgias  Leontino, antichissimo rettorico; et in ciò che Tulio l'ap-  pella antichissimo sì dimostra che non sia da credere.   25. 3. Ma Aristotile, a cui è molto da credere, perciò che  diede molti aiuti et adornamenti a questa arte in perciò  che fece uno libro d' invenzione et un altro della parladura,  dice che rettorica èe sopra tre maniere di cose, e catuua  maniera èe genei'ale delle sue parti; e queste sono dimo-   30. strativo, diliberativo e iudiciale, come in questi cercoletti  apiiare :     2: m cliel parlaro — 3: M-m che (loggia (w dohbia) aiiiiistare — 6: M' generi —  7: M-m giiulicalivo - IS: M-m et per (incili comamlamenti. Af' aiiiirondo per qua com.,  S per qiialnni|ue com. (t bene) -- 13-14: M-m et por lo adoperamenlo et por lo inf. —  M' fedito — 15: m. M'-L sopra la quale — 19: M' dissero — ?0: m sopra la ipiale  l'uomo chonviene parlare, M' sopra la (pialo — SS: M-m di questo — S3-S4: M' 1 aix.'l-  lava — S6: M-m (lice molti aiuti — M' in ciò che, m però che — S7: Mdinvctione, hi d'in-  votione - S8: M-m materie — M' de cosa {ma L S di cose) — M^ ciasouna — 30-31:  M-m om. come ecc. e la figura.  Et a questa sentenzia s'accorda Tulio, e sopra queste tre  maniere è tutta l'arte di rettorica. 4. Ma ben puote essere  oh' e' maestri in questo punto fanno divisamente intra dire  e dittare; che pare che Ila materia di dittare sia si generale  5. che quasi sopra ogne cosa si possa fare pistola, cioè man-  dare lettera. Ma dire non si puote per modo di rettorica  se non delle dette tre maniere, perciò che Tulio reca tutta  la rettorica in quistione di parole. Et intendo che quistione  è una diceria nella quale àe molte parole sie impigliate   10. che ssine puote sostenere l'una parte e l'altra, cioè provare  si e no' per atrebuti, cioè per propietadi del fatto o della  persona. 5. Et ecco l' exemplo in questa diceria che fie pro-  posta in questo modo: È da sbandire in exilio Marco Tulio  Cicero no, che davanti (i) al popolo di Roma fece anegare   15. molti romani a tempo che '1 comune era in dubbio? In  questa proposta à due parti, una del sì et un'altra del no.  Quella del sì è cotale : « Cicero è da sbandire, perciò che  à fatta la cotale cosa *. Quella del no è cotale: « Non è da  sbandire, che ricordando pure lo nome signififica buona cosa   20. et isbandire et exìlio (2) sìgnifBca mala cosa, e non è da cre-  dere che buono uomo faccia quello che ssia da sbandire  degno né de exìlio ». 6. Grià è detto che è la materia di  quest'arte, et afferma Tulio la sentenza d'Aristotile. Et  però che elli l' àe confermata, sì dicerà di catuna dì quelle   25. tre maniere sì compiutamente che per lui e per lo sponì-     1 : m sachosta — 2: Mi tucta — 3:m tra dire od. — 4:mL del dittare ~ 5 : M' si puote —  6: M' lectoro — 7 : 3f ' se non le docte — om. perciò — m tutta rettorica — 9: M' ov'a —  il: M-m et por atrebuti, M' per ai trebuti — m cioè i)roiiietadi — 12: M sie o fie, m Ila,  M'-L fu - 14: m om. Cicero — M^ Cicerone che davanti il p. — 15: M' al tempo —  16: M imposta — 19: M' il suo nome ò buona cosa — 20: M' in exilio — 21-22: m dongno  da sb., M' dengno di sbandire in oxilio — 24: J/' la conferma   (1) Non e' è dubbio sul testo, in cui la tradizione manoscritta è concorde;  quanto all'interpretazione cfr. Maggini, La Rettorica italiana di B. L., ediz. cit., p. 34.   (2) Che et e non in sia la lezione originaria è comprovato dal seguente né  de exilio (cambiato da M< in exilio per analogia colla prima alterazione).     ~ 40 —   tore potrà quelli per cui è fatto questo libro intendere la  materia, lo movimento e la natura di rettorica. Ma ben  guardi d'intendere ciò che dice questo trattato e di Con-  noscere ciò che in esso si contiene, che altrimenti non po-  trebbe intendere quello che viene innanzi; e dicerà prima  del dimostrativo.     Del dimostr amento.     20. Dimostrativo è quello che ssi reca in laude o in vituperio  d'una certa persona-     le. Lo sponitore.   1. In questa parte dice Tulio che, con ciò sia cosa che  Ile cause e Ile quistioni sopr' alcuna vicenda indella quale  l'uno afferma e l'altro niega siano di tre maniere, sì inse-  gna Tulio avanti quale causa è dimostrativa. Ma lo sponi-   15. tore non lascerà intanto che non dica la natura e Ila radice  di tutte e tre, oltx'e che dice il testo di Tulio; et in ciò  dicerà chi è la persona del parliere che dice sopra la causa,  e dicerà che è il fatto della causa. 2. La persona del par-  liere è quella che viene in causa per lo suo detto o per lo   20. suo fatto: et intendo « suo detto » quello ch'elli disse o che ssi  crede ragionevolemente ch'elli abbia detto, avegna che detto  noll'abbia; altressì intendo «fatto» quello che fece o che ssi  crede ragionevolemente che elli abbia fatto, avegna che fatto  non sia. 3. Il fatto della causa è quel detto o quel fatto per   25. lo quale alcuno viene in causa e questione; et in ciò sia  cotale exemplo: Dice Pompeio a Catellina: « Tu fai tra-     1: in poUà collii —è: M' c\ inovini. ~ 5: .W Jioooia, L ilice ora — 6: i/del dimoslratio, m  (Iella dimostrationo — 8: S si moslra — 13-14: il' sia in ti-o maniero.... tulio avanti, m Tulio  inprima — M-m cosa — il' sia doni. — 13: m oni. e la radice - lS-19: il-m Persona  del ]). 7 quella — 19-20: il' per lo suo facto o per lo suo dello, m per lo s. d. e per lo s. f.  intondo suo detto e latto (pielli (nni-he il (iiielli) - SS: il-m e così intondo quello —  S4 : il' ijucl detto — SS- il' et in ipiest., m. ohi. — L siae     -- 41 -   dimento nel comune di Roma». Et Catellina risponde:  « Non fo ». In questo convenente Pompeio e Catellina sono  le persone de'parlieri; e la causa è questa: «Tu fai tradi-  mento » — « Non fo »; e chiamasi causa però che 11' uno ap-  5. pone e dice parole contra l'altro e mettelo in lite. 4. Et per  maggiore chiarezza dicerà lo sponitore che èe dimostra-  mento e che deliberazione e che iudicamento, e così sopra  che è ciascuna maniera di rettorica.   Dimostramento. — 5. Dimostramento è una maniera di   10. cause tale che per sua propietade il parliere dimostra ch'al-  cuna cosa sia onesta o disonèsta, e per questo mostra che è  da laudare e che da vituperare; e questa causa dimostrativa  è doppia: una speciale et un'altra che non si puote partire.  6. La speciale dimostrativa è quella nella quale i parlieri   15. si sforzano di provare una cosa essere onesta o disonesta,  non nominando alcuna certa persona; et intendo certa per-  sona a dire delli uomini e delle cittadi e delle battaglie e  di cotali certe cose e determinate tra Ile genti, non intendo  dell'altezza del cielo né della grandezza del sole o della   20. luna, che questa quistione non pertiene a rettorica. 7. Et  di questa causa speciale dimostrativa sia cotale exemplo :  « Il forte uomo è da laudare ». Dice l'altro: « Non è, anzi è  da vituperare ». E di questo nasce quistione, se '1 forte è  degno di lode o di vituperio, e perciò èe dimostrativa, ma   25. non nomina certa persona, e perciò è speciale. 8. La causa  dimostrativa che non si puote partire è quella nella quale  i parlieri vogliono mostrare alcuna cosa sia onesta o diso-  nesta nominando certa persona, in questo modo: « Marco  Tulio Cicero è degno di lode ». Dice 1' altro: « Non è »; e   30. di questo nasce quistione, se sia da lodare o da vituperare.  Et questa quistione comprende due tempi : presente e pre-  terito. Che al ver dire di ciò che 11' uomo fae presentemente  è lodato biasmato, et altressì di ciò che fece ne' tempi pas-  sati. 9. Et sopra ciò dicono 1' antiche storie di Roma che   35. questa causa dimostrativa si solca trattare in Campo Marzio,     5: 3/' perciò maggioro — 7 : ìlt' cheo... cheo (ma L clie... che) - saprà che è —  10: M' per sue propietadi il parladore — 14: M' i parladori — m spellale o dimostrativa  — 16: M' nm. et intendo certa persona, vi om. et — 17: M' et dele ciltadi — 18: m  cliase diterminate — 19: M-m et della gr. — 20: m non apartiene — ^i :?» om. speciale —  M-m dimostrata — M k cotale lessemplo - So: M-m om. è — 27: M' alcuna persona  essere — 31 : M-m di tre tempi — m pres., preter. e luturo — 32: M-m Et al ver dire —  33 : M-m om. di     - 42 -   nel quale s'asemblava la comunanza a llodare alcuna per-  sona ch'era degna d'avere dignitade e signoria et a bia-  smare quella che non era degna. E già è ben detto della  causa dimostrativa; sì dicerà il maestro della causa deli-  5. berativa.   Del diliber amento.   21. Diiiberativo è quello il quale, messo (^' a contendere et  a dimandare tra' cittadini, riceve detto per sentenzia.   Lo sponitore.   10. 1. In questa parte dice Tulio che causa diliberativa   è quella eh' è messa e detta a' cittadini a contendere il lor  pareri et a domandare a lloro quello che nne sentono; e  sopra ciò si dicono molte et isvai'iate sentenze, perchè alla  fine si possa prendere la migliore (2). 2. Et questo modo di   15. causare è quello che fanno tutto die i signori e le podestà  delle genti, che raunano li consillieri per diliberare che  ssia da fFare sopra alcuna vicenda e che da non fare; e  quasi ciascuno dice la sua sentenza, sicché alla fine si  prende quella che pare migliore. 3. Et in ciò sia questo   20. exemplo che propone il senatore: « E da mandare oste in  Macedonia? » Dice l'uno sì e l'altro no. Et così diliberano  qual sia lo meglio, e prendesi 1' una sentenza. Et questa  quistione si considera pure nel tempo futuro, che al ver  dire sopra le cose future prende l'uomo consiglio e dili-   25. bera che ssia da fare e che noe. 4. Et questa causa dilibe-  rativa è doppia: una speciale et un'altra che non si puote  partire. 5. Speciale è quella nella quale si considera d'ai  cuna cosa s' ella è utile o s' eli' è dannosa, non nominando     1-3: M alcuno cli'era dengno — om. e signoria.... degna — 6: Tutti i mss. omesso,  S è messo — H : M-m che in essa - m M' i loro pareri, L illoro pareri — 12: M' da  loro - 13: M-m dicono — 14: M-m lo migliore — 15: M-m cassare (M 7 quello)   — 16: M-m raunavano — 17: M-m non daffare — 20: M' ressom])ro — M-m che  pone -22: M' il migliore — 24: m nel tempo futuro — ilf ' iirendo huomo(»nn L S l'uomo)   — 25-26 : M-m Questa ì; causa, cioè cosa, diliberativa 7 doppia,. L e delib. e doppia —  m una e spetiale — M-m om. che — 27: M-m alcuna cosa — 28: M-m om. sellò   (1) Il testo latino non lascia alcun dubbio. La stessa corruzione, comune a  tutti i codici, è nel successivo § 22 (e posto), e il costrutto insolito la rendeva facile.   (2) Anche la lezione lo migliore è buona, ma preferisco quella di M' perchè  corrisponde esattamente alla fino del § 2.     — 43 —   alcuna certa persona. Et ecco l'exemplo: Dice uno: « Pace  è da tenere intra cristiani ». Dice l'altro: « Non è ». Et di  ciò nasce causa diliberativa speciale, se Ila pace è da tenere  o no. 6. L'altra che non si può partire è quella nella quale  5. i dicitori studiano di provare e' alcuna cosa sia utile o dan-  nosa, nominando certe persone, in questo modo: Dice l'uno:  « Pace è da tenere intra Melanesi e Cremonesi ». Dice l'al-  tro: «Non è». 7. Et già è detto della causa diliberativa;  omai dicerae il maestro del iudiciale. Ma questo sia conto   10. a ciascuno, che Ila propietade della diliberazione èe mo-  strare che ssia utile e che dannoso in alcuno convenentre.  Et questa diliberativa si solca trattare nel senato, e prima  diliberavano li savi privatamente che era utile e che no  e poi si recava il loro consiglio in parlamento e quivi si   15. fermava la loro sentenza, e talvolta si ne prendea un'altra  migliore.   Del iudiciale.   22. Judiciale è quello il quale, posto In iudicio, à in sé accu-  sazione e difensione o petizione e recusazione.   20. Lo sponitore.   l. La natura di iudicamento si è una forma la quale si  conviene al parladore per cagione di mostrare la iustizia  e la 'niustizia d'alcuna cosa, cioè per mostrare d'una cosa  s' ella è insta o centra iustizia, in cotal modo : che uno ac-   25. cusa un altro e 11' accusato si difende elli medesimo o un  altro per lui; overo che uno fa sua petizione e domanda  guidardone per alcuna cosa eh' elli abbia ben fatta, et un  altro recusa e dice che non è da guidardonare, e talvolta  dice : « Anzi è degno di pena ». 2. Et questa causa si pone   30. in iudicio, cioè in corte davante a' indici, acciò eh' elli in-  dichino tra Ile parti quale àe iustizia; e questo si fae in  corte palese in saputa delle genti, acciò che Ila pena del     S. in Iva — 3: M-m e so la p. — 4: M' L'altra la quale — 7 : Ai da melanesi, m tra  mei. - Af ' e li crem. — M-m l'altro dice — *: J/ E già detto — U-m cosa — 9 : M ' oggi-  mai dicera del giudioiale - 10: ;»/' om. a ciascuno — m e damostrare — 12: m ohe prima  14: m om. e — m M' in loro consiglio (ma L illoro cons.) — 14-15: A/' in loro sententia  si fermava — 18: Tuttiimss. e [tosto — i9: m accnsatione, difensione, pctitiono — Tutta mas.  recusatione {ma cfr. testo latino) — 24: m chontro a iust. — m om. che — 25: .V e me-  desimo, L elli med. — 27: m fatta bene — 28: m om. e dice — 32: m traile genti.  malfattore dia exemplo di non malfare, e '1 guidardone  de' benfattori sia exemplo agli altri di ben fare. Et sopra  questa materia dice uno savio: « I buoni si guardano di  peccare per amore della vertude, i malvagi si guardano  5. per paura della pena ». 3. Et è questa causa iudiciale dop-  pia: una speciale et un' altra che non si puote partire.  Speciale è quella nella quale il pai'lierc si sforza di mo-  strare alcuna cosa che ssia insta o iniusta, non nominando  certa persona; in questo modo: « Il ladro èe da 'mpendere,   10. perchè commette furto ». Dice l'altro: « Non è ». 4. Quella  che non si puote partire è quella nella quale il parliere si  sforza di mostrare una cosa essere iusta o no, nominando  certa persona; in questo modo: « È da impendere Guido  eh' à fatto furto, o no? » Od « E da guidardonare Julio   15. Cesare eh' à conquistata Francia, o no? » 5. Et tutte que  ste cause iudiciali si considerano sopra '1 tempo preterito,  perciò che di ciò che 11' uomo à fatto in arrietro è guidar-  donato o punito.   Tullio dice la sua sentenzia della materia di rettorica,  20. riprende quella d' Ermagoras.   23. Et sì come porta la nostra oppinione, l'arte del parliere (0   e la sua sctenzia è di questa materia partita in tre. (cai). VI) Che   certo non pare che Ermagoras attenda quello che dice ne attenda C^)   ciò che promette, acciò che dovide la materia di questa arte in causa   25. et in questione.     1 : VI exempro allo genti — -V far malo — M il guidardone — S: M' tini benfacloro —  m om. VA — 4: M' o li malvagi seno guardano — 6: U' et una che — 7: il' il dicitore  - 9: M-m om. modo — m è da mpichare — 10: M' un altro — 12-15: M-m om. ila  nominando alla fine del paragrafo — i6: il-m om. si — i7: m per adietro — i8:m pulito  SI : M-m parlare, M' parladore, L parlatore — 23: M Amagoras   (1) Che sia da legger cosi dimostra non tanto la variante di M' quanto, spe-  cialmente, il trovare nel § 1 del commento lo stesso errore di Mm di fronte a  parliere di M'.   (2) Conservo, coi codici, i due attenda, quantunque il tosto latino abbia nel  primo caso attendere e nel secondo intellUjere: qui ci aspetteremmo dunque in-  tenda, e l'alterazione, per analogia col primo verbo, sarebbe spiegabilissima. Ma  anello con attenda il senso va bene; e forse una prova della somiglianza sostan-  ziale per l'autore fra attendere e intendere si ha nel § 7 del commento, dove,  riferendosi a questo passo, i due verbi sono invertiti di posto: «non pare che  Ermagoras intendesse quello che dicea, nò che considerasse (= attendesse) quello  che promettea ». Cfr. anche 25, § 7.     45 —     Lo sponitore.   1. Poi elle Tulio àe detto davanti le tre partite della  materia di rettorica sì come fue oppiuione d'Aristotile, in  questa parte conferma Tulio la sentej^izia d'Aristotile; e  5. dice che pare a llui quel medesimo, e riprende la senten-  zia d'Ermagoras, il quale diceva che Ila materia del par-  liere è di due partite, cioè causa e quistione. 2. Ma certo  e' dovea così riprendere coloro che giungeano alla materia  di quest'arte confortameuto e disconfortamento e consola-  lo, mento; e lui riprende Tulio nominatamente perciò ch'elli  era più novello e però dovea elli essere più sottile, e ri-  prendelo ancora però che ssi traea più innanzi dell'arte;  e riprendendo lui pare che riprenda li altri. Ma però che  Tulio non disfina (D lo riprendimento delli altri, si vuole  15. lo sponitore chiarire il loro fallimento, e dice così: 3. Vero  è che, si come mostrato è qua in adietro, l' officio del par-  liere si è parlare appostatamente per fare credere, e questo  far credere è sopra quelle cose che sono in lite, e' ancora  non sono pervenute all' anima ; ma chi vuole considerai*e  20. il vero, e' troverà che confortameuto e disconfortamento  sono solamente sopra quelle cose che già sono pervenute  all' anima. Verbigrazia : Lo sponitore avea propensato di  fare questo libro, ma per negligenzia lo intralasciava;  onde da questa negligenzia il potea bene alcuno ritrat-  25. tare ('-) per confortameuto, e questo conforto viene sopra  cosa la quale era già pervenuta all'anima, cioè la negli-  genzia. 4. Et se alcuno disconforta un altro che avea pro-  posto di malfare, tanto che ssinde rimane, altressi viene lo  sconforto in cosa la quale era già pervenuta all' anima.  30. Adunque è provato che conforto né disconforto non pos-     1 : m dinanzi — 3: L dico e conferma — 4: M-m la sciencia — 6-7 : M-m parlaro — 10:  M'-L non mattamente —li: M-m om. elli — 14: m diffina (o anche disfina), ilf'-/y non  examina delli altri — m om. si — 16: M^ in qua dietro — m del parlare — 17: M-m  om. si — 18: M' et che ancora, m e anchora — SO: M' et trovare — 21: m om. già  - S3 : L pensato, S per pensato — 23: M lo tralassava, m lo lasciava — 24: M' bene  ritrarre alcuno, w lo potea alchuno ritrarre - 27 : vi sconforta — 30: M-m sconforto   (1) Il Manuzzi registra disfinire per « compiere » e anclie por « dichiarare »,  che mi sembra qui il senso piìi adatto.   (2) Non mancano esempii (cfr. Manuzzi, s. v.) che permettono di mantenm-e  questa parola in senso di «ritrarre», come appunto sostituirono gh altri mss.     altì-  sono essere materia di questa arte. 5. Ma consolamento  puote anzi essere materia del parliere, perciò che puote  venire sopra cosa e' ancora non sia pervenuta all' anima.  Verbigrazia: Uno uomo avea fermato nel suo cuore di  5. menare dolorosa vita per la morte d' una persona cui elli  amava sopra tutte cose. Ma un savio lo consolava, tanto  elle propone d'avere allegrezza, la quale non era ancora  pervenuta all'anima. Ma perciò che in questo consolamento  non ha lite, perciò che '1 consolato non si difende né non   10. allega ragioni contra il consolatore, non puote essere ma-  teria di questa arte. 6. Or è ben vero che altri dissen che  dimostrazione non era materia di questa arte, anzi era ma-  teria di poete, però eh' a' poete s' apartiene di lodare e di  vituperare altrui. Et avegna che Tulio no Ili riprenda no-   15. minatamente, assai si puote intendere la riprensione di loro  in ciò eh' e' conferma la sentenza d'Aristotile che disse che  dimostrazione e deliberazione e iudicazione sono materia di  questa arte. 7. Et sopra ciò nota che dimostrazione per-  tiene a' poeti et a' parlieri, ma in diversi modi : che ' poeti   20. lodano e biasmano sanza lite, che non è chi dica contra,  e '1 parlieri loda e vitupera con lite, che è chi dice contra  il suo dire. Et perciò dice Tulio che non pare che Erma-  goras intendesse quello che dicea, né che considerasse  quello che prometea, dicendo che tutte cause e questioni   25. proverebbe per rettorica. Or dicerà Tulio le rii)rensioni  d' Ermagoras sopra causa e sopra questione.     Tullio seguita Ermagoras della causa, etc.   24. Causa dice che ssìa quella cosa nella quale abbia contro-  versia posta in dicere con interposizione di certe persone; le quali  30. noi medesimo dicemo che è materia dell' arte e, sì come detto avemo  dinanzi, che sono tre parti : iudiciale, dimostrativo e deliberativo.     2: M' innanzi — del parlatore — 3: m non 6 jiervenuta — 5-6: M ellamava —  6-7 : III lo chonsolò, M' il consola tutto sì clid iiropone — 8: M-m che questo cons. —  .9: in e non allega — i3: m di poota.... a poeti, M' de poeti... ali poeti — M' o di vit. —  i-i: M nelle, m non le, M' non gli — i6: M' elicgli conferma — 17: m dim., dilib. et  iiivochationo — 19: M' ali poeti et ali pailadori— 5i : M II parlieri, »i 11 parlieri?, 3/«  E! parladore — m pero che è chi dicha chontro al suo dire — S-1: A/' chelgli prom. —  26: m e questione, M' sopra questioni — 30: m nm. medesimo — itf' nm. o     47     Sponitore.   1. Poi che Tulio avea detto che Ei-magoras non intese  se stesso dicendo che causa e questione sono materia di  questa scienzia, sì dice in questa parte che Ermagoras  5. dicea che fosse causa. 2. Et causa appella una cosa della  quale molti sono in controversia, perciò che 11' uno ne  sente uno intendimento e l'altro ne trae un'altra diversa  intenzione; sicché sopr' a cciò contendono di parole met-  tendo e nominando alcuna certa persona, che non si possa  10. partire e che propiamente e determinatamente si partenga  alle civili questioni. 3. Et di questo dice Tulio che ss' ac-  corda co llui, che ciò àe elli detto davanti per sé e per  Aristotile; ma dicerà omai com' elli errò in questione.     Qtd rijivende Tullio Ermagoì     as-     1.5 25. Questione apella quella che àe in se controversia posta   in dicere sanza interposizione di certe persone, a questo modo: Che  èe bene fuori d'onestade? Sono li senni (i) veri? Chente è la forma del  mondo? Chente è la grandezza del sole? Le quali questioni inten-  demo tutti leggiermente essere lontane dall'officio del parliere;   20. che molto n' è grande mattezza e forseneria somettere al parliere  in guisa di picciole cose quelle nelle quali noi troviamo essere con-  sumata la somma dello 'ngegno de' filosofi con grandissima fatica.   Sponitore.   1. Ora dice Tulio che Ermagoras appellava questione   25. quella cosa sopra la quale era controversia intra molti,   sicché contendeano di parole l'uno contra l'altro non no-     5: M diceva - m ch'era chausa — 7: M^ e un altro ne trae altra d. i., M na {sic)  trae, m ne atrae — 8: M-m contendemo — 10: M' nominatamente — m sautenga —  13: Jf' oggimai — 15: M' la quale ae — 16-17: M' che ben — M-iii li senni vari —  M' om. h — M-m la l'ama — 19: M-m del parlare — 20: M-m oiii. raaltozza, ilf ' om. e for-  seneria — JZ-w parlare, M' parladore — SI: l/Tiusta,//i in vista— 24 ^/-w appella-  lo: M' era questione — m tra molti — 26: M ne contendeano   (1) Traduce il latino sensus con una forma che ritorna anche nel commento;  è la stessa fusione, o confusione, cho troviamo nel francese.     - 48 -   minando certa persona la quale propiamente s'apartenesse  alle civili questioni. 2. Et in ciò pone cotale exemplo: «Che  è bene fuori d'onestade?» Grande contraversia fue intra' fi-  losofi qual fosse il sovrano bene in vita: et erano molti  5. che diceano d'onestade, e questi fuoro i parepatetici; altri  erano che diceano di volontade, e questi sono epicurii.  3. Altressì fue questione se ' senni sono veri, perciò che  alcuna fiata s'ingannano, che se noi credemo che ricalco  sia oro sanza fallo s' inganna il nostro senno. 4. Altressì  10. fue questione della forma del mondo, però eh' alcuni filosofi  provavano che '1 mondo è tondo, altri dicono eh' è lungo, o  otangolo(l\ o quadrato. 5. Altressì era questione della gran-  dezza del sole, che alcuni dicono che '1 sole è otto tanti che  Ila terra, altri più et altri meno. Et questa misura si sforza-  lo, vano di cogliere i maestri di geometria misurando la terra,  e per essa misura ritraeano quella del sole. 6. Et perciò  mostra Tulio che Ermagoras non intese quello che dicea,  ch'assai legiei'mente s'intende che queste cotali questioni  non toccano l'ufficio del parliere. Et nota che dice « officio »  20. però che ben potrebbe essere che '1 parliere fosse filosofo,  e così toccherebbe bene a lini trattare di quelle questioni,  ma ciò non arebbe per officio di rettorica ma di filosofia.  Donque ben è fuori della mente e vano di senno quelli che  dice che '1 parliere possa o debbia trattare di queste que-  25. stioni, nelle quali tutto tempo si consumano et affaticano  i filosofi. 7. Or à provato Tulio che Ermagoras non intese  quello che disse. Ornai proverà come non attese quello che  promise, in ciò che promettea di trattare per rettorica ogne  causa et ogne questione. 8. Et ciò fae a guisa de' savi, i     1 : 3/' sì plenesse - 3: M-m fuori con lioneslade, M'-l di l'iiuri 7 lioii. 4' ili l'uori  d'hon. — .W grande (juostione — mi traili lilosali — -I : m «m. et — 5 : .V diceano hon. —  M-m OHI. questi fuoro — il pai'ei)atoiici, .W parclieiialetici — 6: il' diceano volontade  (S ugg. cioè piacere) — 7: M-m se songni - 8: M' chel ricalco — 9: S il nostro senti-  mento — iO: il perciò — id: il' diceano — IS: il Hangolo ('/), "i troangholo, .W'-i  triangolo, S otangolo — m quadro — i3: il' cotanti che terra, i cotanti chella  terj-a —16: m ritraevano la misura d. s. — 17: il' che elgli diceva. Kt assai ecc. —  S3: M' Dunque ben — M' chi dice — 24: M' debbia parlare — 25: M' et faticano —  S7: il-m non inteso — 28: M-m perche (> rectorica — 29: M-m di savi   (1) La lezione di M ò incerta, ma sembra spiegata e confermata da quella di  S che risalo all'altra famiglia di codici ; un segno male interpretato come abbre-  viatura di ri può aver suggerito la lezione triangolo. Il commento di Vittorino a  questo passo non parla nò di triangolo né di ottangolo.   (2) Il latino Ila in ca.     - 49 —   quali vogliendo mostrare la loro sapienzia sì 11' apongono  ad alcuna arte per la quale non si puote provare; come  s' alcuno volesse trattare d' una questione di dialetica et  aponessela a gramatica, per la quale non si pruova né ssi  5. potrebbe provare, e ciò mosterrebbe usando per argomenti  la sua sapienzia; e sopr'a cciò ecco '1 testo di Tulio.   Tullio dice in somma ciò ch'elli avea detto davanti.   26. Che se Ermagoras avesse in queste cose avuto gran savere  acquistato per istudio e per insegnamento, parrebbe ch'elli, usando   10. la sua scienzia, avesse ordinata una falsa cosa dell'arte del parliere,  e non avesse sposto quello che puote l'arte ma quello che potea elli.  Ma ora è quella forza nell'uomo ch'alcuno li tolga più tosto retto-  rica che no-lli concedesse filosofia. Ma perciò l' arte che fece non mi  pare del tutto malmendosa, ch'assai pare ch'elli abbia in essad) locate   15. cose elette ingegnosamente e diligentemente ritratte delle antiche arti,  et alcuna v'àe messo di nuovo; ma molto è piccola cosa dire del-  l'arte sì come fece elli, e molto è grandissima parlare per l'arte, la  qual cosa noi vedemo ch'esso non poteo fare. Per la qual cosa pare  a noi che materia di rettorica è quella che disse Aristotile, della   20. quale noi avemo detto qua indietro.   Lo sponitore.   I. In questa parte dice Tulio che se Ermagoras fosse  stato bene savio, sicché potesse trattare le quistioni e le  cause, parrebbe eh' avesse detto falso, cioè che avesse dato  25. al parliere quello officio che nonn é suo; e così non avrebbe  mostrata la forza dell'arte, ma averebbe mostrata la sua.  2. «Ma ora è quella forza nell'uomo», cioè tal fue questo  Ermagoras, che neuno che dicesse eh' e' non sappia retto-  rica no-lli concederae che ssia filosofo. 3. « Ma perciò l'arte     1 : 3f siila pongono — 3: m trattare una q. — 4-5: M' per la quale non si porla  provare — M' om. per argomenti — 9: M^ o \)ev insegnamento parendo— 10: »i ordinato  — M-m del parlare — 11 : M-m non avesse posto (»m in et n.) — M' ([nello puote —  13: M' che fece nolli cono. — 14-15: M-m messe, A/' in esse — M-m ^ locate le cose  («4 nm. le cose) 7 lecte — 17: M dell'arti, in delle urti — itf' grandissimo — 18: Jl/ potea,  M' ]jotero — 19: ni sia quella — 20: M' qua in adietro — S4: M-m ciò — M' cavesse  detto — 25: Af a parliere — 28: M' ch'olii — 28-29: S che non lu veruno che dicesse  ch'elli non sappia retorica non dirà giù che egli sia philosopho   (1) Il testo latino ha in ea.     che fece non pare in tutto rea ». In questa parola il cuo-  pre (1) Tulio e dimostra eh' elli avrebbe bene ijotuto dire  X^egio. Et dice « non è del tutto rea » perciò eh' elli àe  messo nel suo libro con molta diligenzia e con ingegno li  5. comandamenti delli altri maestri di questa arte, et alcuna  cosa nuova v' agiunse. Et qui pare che Tulio lo lodi là ove  il vitupera, dicendo che fosse furo in perciò che delle scritte  d' altri maestri fece il suo libro. 4. « Ma molto è picciola  cosa dire dell' arte », ciò viene a dire eh' al parliere non   10. s'apartiene dare insegnamenti dell'arte, sì come fece Er-  magoras, ma apartiensi a llui in tutte guise parlare secondo  li 'nsegnamenti e comandamenti dell" arte, la qual cosa non  seppe fare esso. 5. Adonque è da tenere la sentenzia d'Ari-  stotile, che dice che materia di questa arte è dimostrativo,   15. deliberativo e iudiciale. Et ornai è detto sofficientemente e  diligentemente del genere, cioè generalmente, dell' officio  e della fine di rettorica; or sì dicerà il conto delle sue  parti, sì come Tulio promise nel suo testo qua indietro.     Tullio dice le parti di rettorica.   20. 27. Le parti sono queste, sì come i più dicono: Inventio, di-   spositio, elocutio, memoria e pronuntiatio.     Lo sponitore.   ì. Cinque parti dice Tulio che sono et assegna ragione   per che, e quella ragione metterà lo sponitore in suo luogo.   25. Ma prima dicerà le ragioni che nne mostra Boezio nel   quarto della Topica, che dice che se alcuna di queste cin-     1-2: S scuopre — 4: M' con non molto.... ingegni i com. — 6: J/' vi giiingnesse —  i>f-»i la dove — 7:M* fosse ladro — m poro che dello dette scritte - 8-9: M' delli altri —  om. Ma... arte — m cosa a dire — 10: M-m a dire — 12 : m egli noi seppe fare — 14 : m  dice materia — 15-17 : M' Et oggimai ae solTicientemento detto del genere, dell' officio et  del (ine dì rectorica. Si dicerà l'autore déle sue parti — M sulficientemcnte dilig. — m ora  dirà — 20;mLLQ parti di rettoriclia — M' inveutione, dispositione, ccc — 24: S questa  — M-m che dico se alcuna  Cioè «lo difonde». La lezione scuopre di S sarà nata da un ilcuopre letto  iscuopre; come senso si ridurrebbe a una ripetizione di dimostra.     - 51 -   que ijarti falla nella diceria, non è mai compiuta; e se  queste parti sono in una diceria o inn una lettera, certo  l'arte di rettorica vi fie altressì. 2. Un'altra ragione n'ase-  giia Boezio: che però sono sue parti perchè esse la 'nfor-  5. mano et ordinano e la fanno tutta essere, altressì come '1  fondamento, la i)ai'ete e '1 tetto sono parti d'una casa sì  che la fanno essere, e s' alcuna ne fallisse non sarebbe la  casa compiuta. 3. Et dice Tulio che queste sono le parti  di rettorica sì come i più dicono, i)erò che furo alcuni  che diceano che memoria non è parte di rettorica perciò che non è scienzia, et altri diceano che dispositio non è  parte d' essa arte. Et così va oltre Cicerone e dicerà di  ciascuna parte perse, e primieramente dicerà della 'uven-  zione, sì come di piti degna; e veramente è più degna, però   15. ch'ella puote essere e stare sanza l'altre, ma l'altre non  possono essere sanza lei.     Tullio dice della invenzione.   28. Inventio è apensamento a trovare cose vere o verisimili  le quali facciano la causa acconcia a provare.   20. Sponitore.   I. Dice Tulio che inventio è quella scienzia per la quale  noi sapemo trovare cose vere, cioè argomenti necessarii -  e nota « necessarii », cioè a dire che conviene che pure cosi  sia - e sapemo trovare cose verisimili, cioè argomenti ac-   25. conci a provare che così sia, per li quali argomenti veri  e verisimili si possa provare e fare credere il detto o '1  fatto d'alcuna persona, la quale si difenda o che dica in-  contro ad un' altra. 2. E questo puote così intendere il  porto dello sponitore. Verbigrazia: Aviene una materia   30. sopra la quale conviene dire parole, o difendendo 1' una     i: .W manca — 3: m vi (ia, M' vi l'u - 3-4: M' dice Boelius, che poroiù — 5: m  fannola tutta essere, Af' li fanno essere tutto alti-essi ecc. — 6: M' son parte — 8 : m om.  Et — 10: m non era ~ 11: M^ dispositlone — 12: M-m dell'arte — 13: m primamente -  16: m essere o stare — 18: M' invontione (e coù semiire) — m pensamento — il' overo  simili — 19: il-m la cosa — S3: SI' om. a dire — 23-24: m pure che cos'i sia. E sap-  piano — 25: M' nm. acconci ~ 26: M-m el facto - 27-28: m chontro ad un altra     - 52 -   parte o dicendo centra l'altra; o per aventura sia materia  sopra la quale si conviene dittare in lettera. Non sia don-  que la lingua pronta a parlare né la mano presta alla penna,  ma consideri che '1 savio mette alla bilancia le sue parole  5. tutto avanti clie Ile metta in dire né inn iscritta. 3. Con-  sideri ancora che '1 buono difficiatore e maestro poi che  propone di fare una casa, primieramente et anzi che metta  le mani a farla, sì pensa nella sua mente il modo della casa  e truova nel suo extimare come la casa sia migliore; e poi   10. eh' elli àe tutto questo trovato per lo suo pensamento, sì  comincia lo suo lavorio. Tutto altressi dee fare il buono  rettorico: pensare diligentemente la natura della sua ma-  teria, e sopra essa trovare argomenti veri o verisimili sì  che possa provare e fare credere ciò che dice. 4. Et già   15. é detto quello che è inventio. Ora procederà il conto a dire  quello che è dispositio.     Dice Tullio de dispositio.  29. Dispositio èe assettamento delle cose trovate per ordine.   Sponitore.   20. 1. Perciò che trovare argomenti per provare e far cre-   dere il suo dire non vale neente chi no Ili sae asettare per  ordine, cioè mettere ciascuno argomento in quella parte  e luogo che ssi conviene, per più affermamento della sua  parte, sì dice Tulio che è dispositio. 2. E dice eh' è quella   25. scienzia per la quale noi sapemo ordinare li argomenti  trovati in luogo convenevole, cioè i fermi argomenti nel  principio, i deboli nel mezzo, i fermissimi, co' quali non  si possa contrastare lievemente, nella fine. 3. Cosi fae il  difficatore della casa, che poi eh' elli àe trovato il modo     1 : m chontro all'altra - 2 .• M sopralla ([ualo - M' oiii. don(|uo - 3: in o la mano alla  penna - 5: m tutto prima, S tutto - m o in iscritta, M' o in iscriptura — 6-S:.il diliciatore  prima che metta lo mani a lare — mr=.)/, ma o maestro - 9: m Poi - 10: M' U suo la-  voro — i3: M-m si veri che possa - 14-16: M E già liecto, mi Ora e detto - M' om-  quello - M-m Ora procederà il conto quello che è spositio, .«' Si procederà il conto a dire  che k dispositione - SO: m diro il suo criMloro - Sfì: M trovai - ,W-»i ohi. i, m om. argo-  pienti — 27: M' ali (piali     - 53 —   nella sua mente, elli ordina il fondamento in quel luogo  che ssi conviene, e ila parete e '1 tetto, e poi 1' uscia e  camere e caminate, et a ciascuna dà il suo luogo. 4. Già  è detto che è dispositio; or diceva il conto che è elocutio.     5. Tullio dice della locuzione.   30. Elocutio è aconciamento di parole e di sentenzie avenanti  alla invenzione.   Sponitore.   I. Perciò che neente vale trovare od ordinare chi non   10. sae ornare lo suo dire e mettere parole piacevoli e piene  di buone sentenze secondo che ssi conviene alla materia  trovata, sì dice Tulio che è elocutio. Et dice che è quella  scienzia per la quale noi sapemo giungere ornamento di  parole e di sentenze a quello che noi avemo trovato et   15. ordinato. 2. E nota che ornamento di parole èe una digni-  tade la quale proviene per alcuna delle parole della diceria,  per la quale tutta la diceria risplende. Verbigrazia: « Il  grande valore che in voi regna mi dà grande speranza del  vostro aiuto ». Certo questa parola, cioè « regna », fa tutte   20. risplendere l'altre parole che ivi sono. 3. Altressì nota che  ornamento di sentenze è una dignitade la quale proviene  di ciò che in una diceria si giugne una sentenza con un'al-  tra con piacevole dilettamente. Verbigrazia : in queste pa-  role di Salamene (1): «Melliori sono le ferite dell'amico che'   25. frodosi basci del nemico». 4. Et già è detto che è elocutio, cioè  apparecchiamento di parole e di sentenzie che facciano la di-  ceria piacevole et ordinata di parole e di sentenzie. Omai pro-  cederà il conto alla quarta parte di retto rica, cioè memoria.     i-2: m in quello che si chonvienc et il luogo.... l'ascia, charaere3: M^ cam-  minate, ciascuna in suo luogo. Et già ecc. — 0-7: M-m avenonti alla ntentione (anche  S intenliono) — 9: M om. od — 10: M' sa adornare il suo dire — 15: m om. E -  16: M dignità della quale, m M' dignità la quale pervieneSO: M' vi sono — SI m  ,»f' perviene — 22 .- M-m om. Ai — M un'altra seutenfa con un altro, m in un'altra diceria  si giungne un'altra sententia chon un altro piacevole dil. — 23: M-m dice Salamene —  25: M' li frodolenli basci — m om. Et — 26-27: M om. e di sentenzie, m om. piacevole  el; M om. che.... parole  Ambedue le lezioni sono possibili; ma con quella di M si spiega meglio una  pretesa correzione in dice (chi avrebbe pensato, invece, a cambiare dice indi?),  mentre poi il verbo dice renderebbe superflua l'espressione in queste parole.     — 54 -     Dice Tulio della memoria.   31. Memoria è fermo ricevimento nell'animo delle cose e delle  parole e dell'ordinamento d'esse.   Sponitore.   5. 1. Et perciò che neente vale trovare, ordinare o acon-   ciare le parole, se noi nolle ritenemo nella memoria sicché  ci'nde ricordi quando volemo dire o dittare, sì dice Tulio  che è memoria. Onde nota che memoria èe di due maniere:  una naturale et un'altra artificiale. 2. La naturale è quella   10. forza dell'anima per la quale noi sapemo ritenere a memo-  ria quello che noi aprendemo per alcuno senno del corpo.  3. Artificiale è quella scienzia la quale s'acquista per in-  segnamenti delli filosofi, per li quali bene impresi noi pos-  siamo ritenere a memoria le cose che avemo udite o trovate   15. o aprese per alcuno de' senni del corpo; e di questa memo-  ria artificiale dice Tulio eh' è parte di rettorica. 4. Et dice  che memoria è quella scienzia per la quale noi fermiamo  nell'animo le cose e le parole eh' avemo trovate et ordinate,  sicché noi ci 'nde ricordiamo quando siemo a dire. Et già é   20. detto che è memoria; si dicerà il conto la quinta et ultima  parte di rettorica, cioè pronuntiatio.   Dice Tullio della pronunziagione.   32. Pronuntiatio è avenimento della persona e della voce se-  condo la dignitade delle cose e delle parole.   25. Sponitore.   1. Et al ver dire poco vale trovare, ordinare, ornare  parole et avere memoria chi non sae profFerere e dicere le  sue parole con avenimento. Et perciò alla fine dice Tulio     5: *' Però che niente — ot acconciai-e — 7: w» cene, Af' cine — M volere — 9:mom,  et — il: M' senso — IS: M' quella memoria — i-i: J»/' udito — i5: 4f' sensi — 16-,  m nnu Et — i8 : m olle parole — i9: M' noi vegnamo a dire — SO- « ultra parte, hi  ora dirà il conto la quinta jiarte, .W" il maestro - S6 : m o ornare — 27: in a chi non sae  prollbrere o diro     -òs-  che è pronuntiatio; e dice eh' è quella scienzia per la quale  noi sapemo profferere le nostre parole et amisurare et ac-  cordare la voce e '1 portamento della persona e delle mem-  bra secondo la qualitade del fatto e secondo la condizione  5. della diceria. 2. Che chi vuole considerare il vero, altro  modo vuole nelle voci e nel corpo parlando di dolore che  di letizia, et altro di pace che di guerra, ('he '1 parliere  che vuole somuovere il populo a guerra dee parlare ad  alta voce per franche parole e vittoriose, et avere argo-   10. glioso advenimento di persona e niquitosa ciera contra ' ne-  mici. 3. Et se Ila condizione richiede che debbia parlamen-  tare a cavallo, si dee elli avere cavallo di grande rigoglio,  sì che quando il segnore parla il suo cavallo gridi et ana-  trisca e razzi la terra col piede e levi la polvere e soffi per   15. le nari e faccia tutta romire la piazza, sicché paia che  coninci lo stormo e sia nella battaglia. Et in questo punto  non pare che ssi disvegna a la fiata levare la mano o per  mostrare abondante animo o quasi per minaccia de' nemici.  4. Tutto altrimenti dee in fatto di pace avere umile adve-   20. nimento del corpo, la ciera amorevole, la voce soave, la  parola paceffica, le mani chete; e '1 suo cavallo dee essere  chetissimo e pieno di tanta posa e' sì guernito di soavitade  che sopr'a llui non si muova un sol pelo, ma elli medesimo  paia factore della pace. 5. Et così in letizia de' 1 parlatore   25. tenere la testa levata, il viso allegro e tutte sue parole e  viste significhino allegrezza. Ma parlando in dolore sia la  testa inchinata, il viso triste e li occhi pieni di lagrime  e tutte sue parole e viste dolorose, sicché ciascuno sem-  biante per sé e ciascuno motto per sé muova l'animo del-   30. r uditore a piangere et a dolore. 6.- Et già é detto delle  cinque parti sustanziali di rettorica interamente secondo  l'oppinione di Tulio, e sì come lo sponitore le puote  fare meglio intendere al suo porto; sì ritorna Tulio a scu-  sare sé medesimo di ciò che non àe mostrato ragione perché     2: m e misurare ~ 5: M' che a chi vuole — 0: M' noia boce — 7 : M' parlare, m  Il parliere — 8: m smuovere — i/' om. il populo — 11 : M parlantare, m p-are — 12: m  mn. elli — 14-15: M' delle nari, vi sozzi le anari — 16: il' incominci — 17: M-m om.  per — 19-20: M' humili avenimenti — m nel chorpo — 21 : M' le parole pacefiche —  22 : L di tanta jwssa — 24 : M' om. Et — mss. del parlatore — 25 : M-m levata in suso -  il' le sue parole — 26: il-m e signilichino — 27: m chinata, il' inchina, L inchinata —  28 : M-m parole iuste e dolorose — 29: il' muove — 30: m piangerò a dolore. Ora è detto —  31 : il' sustanziali parti — 32: M' il puote     — 56 —   quello sia genere et ofifìcio e fine di rettorica sì com' elli  àe fatto della materia e delle parti, e dice in questo modo.   Tullio dice che tratterà della materia e delle parti.   33. Oramai dette brievemente queste cose, atermineremo in  5 altro tempo le ragioni per le quali noi potessimo dimostrare il  genere e IPofficio e Ila fine di quest'arte, però che bisognano di  molte parole e non sono di tanta opera a mostrare la propietade  e Ile comandamenta dell'arte. Ma colui che scrive l'arte rettorica  pare a noi che 'I convenga scrivere dell'altre due, cioè della ma-  io teria e delle parti. E io perciò voglio trattare della materia e delle  parti congiuntamente. Adunque si dee considerare più intentivamente  chente in tutti generi delle cause debbia essere inventio, la quale  è principessa di tutte le parti.   Sponitore.   15. 1. In questa parte dice Tulio che non vuole ora pro-   vare perchè quello sia genere di i-ettorica che detto è  davante, né Ilo officio né Ila fine, però che vorrebbe lunglie  parole e non sono di molto frutto, e però l' atermina nel-  r altro libro nel quale tratta sopr' a cciò; et in questo   20. presente libro tratta della materia, cioè dimostrazione,  deliberazione e iudicazione, et altressì tratta delle pai'ti,  cioè inventio, dispositio, elocutio, memoria e pronuntiatio.  2. Et di tutte queste tratterà insieme e comunemente. Ma  però che inventio è la più degna parte, sì dicerà Tulio   25. chente ella dee essere in ciascuno genere di rettorica,  cioè come noi dovemo trovare quando la materia sia di  causa dimostrativa, e quando sia deliberativa, e quando  sia iudiciale; e tratterà si comunemente che mosterrà  come sia da trovare in catuna di queste cause, e come   30. ordinare e come ornare la diceria, e come tenere a me-  moria e come profferere le sue parole.     1 : M-m quella — 4 : M' Ogimai — 7 : M admostrare, ni a dimostrare — M' le pro-  picladi — 9: M-m che convenga - iO-H : M-m om. K io.... congiuntamente — IS: M-m  chente e — i3: Af' do tutte l'arti — 16: M-m quella, M -L quel — M' detto davanti —  18: M' lo termina — 20: M-m dimostrative — 23: M' congiuntamente; m om. e — 24:  M-m om. SI dicerà Tulio — i'S : M' om. sia — congiuntamente — S9: Af' come iu e. d.  q. e. sa da trovare — 30: iii nm. e come ornare     - 57 —   Lo sponitore parla all' amico suo. — 3. Perciò lo sponi-  tore priega '1 suo porto, poi ch'elli àe impresa altezza di  tanta opera come questa èe, che a llui piaccia di si dare  l'animo a cciò eh' è detto davanti, spezialmente in conno-  5. scere il dimostrativo e '1 deliberativo e '1 iudiciale che sono-  il fondamento di tutta l'arte, e poi a quel che siegue per  innanzi, eh' elli intenda tutto '1 libro di tal guisa che, per lo  buono aprendimento e per lo bel dire che farà secondo lo  'nsegnamento dell' arte, il libro e lo sponitore ne riceve-  JO. ranno perpetua laude.     Della constitnzione e delle quattro sue parti.   34. (e. Vili) Ogne cosa la quale àe alcuna controversia in  diceria o in questione contiene in se questione di fatto o di nome  di genere o d'azione; e noi quella questione delia quale nasce  15. la causa apelliamo constituzione. E constitnzione è quella eh' è  prima pugna delle cause, la quale muove dal contastamento della  intenzione in questo modo : « Facesti » - « Non feci » o « Feci per  ragione ».   Sponitore.   20. 1. Poi che Tulio àe detto di mostrare e trattare della   invenzione e della materia insieme, sì mostra lo sponitore  in che ordine trattò de l'inventio; ma per maggiore chia-  rezza dicerà tutto avanti in che significazione si prendono  queste parole, cioè causa, controversia, constituzione e stato.   25. 2. Causa vale tanto a dire quanto il detto o '1 fatto d' al-  cuno, per lo quale è messo in lite, ed è appellato causa  tutto '1 processo dell' una e dell' altra parte. Et appellasi  causa tutta la diceria e la contenzione cominciando al  prolago e tìniendo alla conclusione; donde dice uomo:     3: M-m di darli l'animo — 7-10: M^ chel baono — ben dire — per tua laude, M-m  dello sponitore, M ne rlcevemo, m ne riceva - 13: m o questione, ilf ' om. contiene in se  questione — 14 : M-m di quella — 15: M^ constitutione ò la prima pugna — 21 : M' om.  insieme — M' mosterra, ma L mostra — SS : M delinventia, m della inventia, M^ della  inventione — 23: m tutto innanzi — Af' mi. si prendono — S7 : M' dell'una parte 7 del-  l'altra — 28: M-m la 'nlentione — M' dal prol.     - 58 -   « La mia causa è giusta » cioè « la mia parte è giusta >.  3. Controversia vale a dire tanto come causa, e viene a dire  controversare cioè usare l'uno coli' altro di diverse ragioni  e contrarie. 4. Questione tant' è a dire come '1 primo detto  5. di colui che comincia contra un altro e '1 secondo detto  di colui che ssi difende. Et appellasi quistione una diceria  nella quale àe due parti messe in guisa di dubitazione, et  appellasi questione per l'una e per l'altra parte della que-  stione. 5. Constituzione si prende et intende in quelle me-   10. desime significazioni che sono dette davanti. 6. Stato è ap-  pellato il detto e '1 fatto'l) dell'aversario, però che' parliere  stanno a provare quel detto o quel fatto; e questo medesimo  è appellato constituzione perciò che '1 parliere constituisce  et ordina la sua ragione e la sua parte di quel detto o di   15. quel fatto. Et per ciò è appellato controversia che diversi  diversamente sentono di quel detto o di quel fatto.   Qui dice lo sponitore come Tullio tratterà della Invenzione.  7. Et poi che Ilo sponitore àe dette le significazioni di que-  ste parole, dicerà in chente ordine Tulio tratta della 'nven-   20. zione. Et certo primieramente insegna invenire e trovare  quelle questioni le quale trattano i parlieri, et appellale  constituzioni e dice la proprietade di constituzione e divi-  dela in parti. 8. Nel secondo luogo mostra qual causa sia  simpla, cioè di due divisioni, e qual sia composta, cioè di   25. quattro o di più. 9. Nel terzo luogo mostra qual contra-  versia sia in scritta e quale in dicere. 10. Nel quarto luogo  mostra quelle cose che nascono di constituzione, cioè la  diceria nella quale àe due divisioni e ragioni, e Ila giudi-  cazione e '1 fermamento. 11. Nel quinto luogo mostra in   30. che guisa si debbono trattare le parti della diceria secondo  rettorica. 12. Nel sesto luogo mostra quante sono esse parti  e quali e che sia da ffare in ciascuna. 13. Et disponesi cosi     2 : Af' vale quasi tanto — 3: M' controversia — centra l'altro diverse ragioni — 4:M'  k tanto a dire — M-m come primo — 5: m e secondo — 7: M-m parti in essere — M dn-  bitatione sanfa dubitatione — 9: M' i s'intende — 10: m dinanzi — J8: m om. VA-  IO: M' sì dicerà oggimai — 20: L a trovare — 23: m In quattro parti — M-m dimostra  - M qual cosa, m ciualo luogho — 26 : M-m sia scripta - 28 : M'-L e la ragiono el iu-  dicamento el fermamente — 29: m dimostra — 31: M luorao (tic) .— 32: M' ciascuno  M Kt diponesi, m ('dispensi, M'-L Et dispone   (1) Ci aspetteremmo o 'l fatto, anche per uniformità colle frasi seguenti ; ma  la concordia dei codici per e lascia incerti sulla conesiione, che non è neppure  indispensabile per il senso.     — 59 —   il testo di Tulio per fare intendere onde procedono le qui-  stioni che toccano al parliere di questa ai'te.   Sponitore. - 14. Ogne cosa la quale àe in sé controversia,  cioè della quale i diversi diversamente sentono sicché al-  5. cuna cosa dicono sopr' a cciò con inquisizione, cioè per  sapere se alcuna delle parti è vera o falsa, sì à' in sé que-  stione di fatto, cioè questione la quale muove di ciò che  alcun fatto è apposto altrui. Verbigrazia : Dice l'uno con-  tra l'altro: « Tu mettesti fuoco nel Campidoglio »; et esso  10. risponde: « Non misi ». Di questo nasce una cotale que-  stione, se elli fece questo fatto o no, et è appellata que-  stione di fatto per quello fatto che a llui è apposto, etc.   15. Od è questione di nome, cioè che 11' una parte appone  un nome a un fatto (D e l'altra parte n'appone un altro.   15. Verbigrazia: Alcuno à furato d'una chiesa uno cavallo o  altra cosa che non sia sagrata. Dice 1' una parte contra lui :  « Tu ài commesso sacrilegio ». Dice l'altro: « Non sacrile-  gio, ma furto ». Et nota che sacrilegio è molto peggiore  che furto, perciò che colui commette sacrilegio che fura   20. cosa sacrata di luogo sacrato. Donde di questo nasce una  questione del nome di quel fatto, cioè se dee avere nome  furto sacrilegio, e però è appellata questione del nome.   16. Od è questione del genere, cioè della qualitade d'alcuno  fatto, in ciò che 11' una parte appone a quel fatto una qua-   25. litade e l' altra un' altra. Verbigrazia : Dice F uno : « Questi  uccise la madre iustamente perciò ch'ella avea morto il suo  padre» - Dice l'altro: « Non è vero, ma iniustamente l'à  fatto»; e di ciò nasce cotal questione di questa qualitade:  se l'à fatto iustamente o iniustamente, e perciò è appel-   30. lata questione di genere, cioè della qualità d'un fatto e   di che maniera sia. 17. Od è questione d'azione, cioè viene   a dire che contiene questione la quale procede di ciò,   - e' alcuna azione si muta d' un luogo ad altro e d'un tempo   ad altro. Verbigrazia : Dice uno contra un altro : « Tu m' ài     4: M' diversi — 6: M' se l'una parte — 8: 3f' un facto — 8-9: M' uno contra un  altro — M' Elgli, mie— 12-13: m che 6 allui aposto, il/' perche il facto che allui e  e apposto da questione ecc. — M-m Onde questione — i4 : M-m in nome o in facto, M'  ialla dal 1° al 2° appone — 18: m M' oin. Et — M' peggio — 20: m Onde — 21: M'  del nome del facto — 22: m di nome — 23: M-m Onde — m di genere — 25: M-m l'altro —  28: iW' OHI. e — 29: M-m om. se l'à fatto — 30: M' o di che m. - 31 : M-m Onde —  mcioò che viene — 32-34: M' dico calcuna ad un altro — om. e.... ad altro — uno a un altro   (1) È lezione congetturale, ma sicura, come dimostra l'espressione analoga del § 16.     — 60 -   furato un cavallo »; et esso risponde: « Vero è, ma non tine  rispondo in questo tempo, perciò che ttu se' mio servo, o  perciò eh' è tempo feriato, o perciò eh' io non debbo rispon-  derti in questa corte, ma in quella della mia terra >. Onde di questo procede una questione, la quale Tulio dice che  è d'azione, cioè se colui dee rispondere o no. 18. Et dice  Tulio che tutte le quistioni che sono dette davanti sono  appellate constituzioni, cioè c'anno questo nome. Et dice  che constituzione è la prima pugna delle cause, cioè   10. quello sopra che da prima contendono i parlieri, cioè il  detto dell'uno e '1 detto dell'altro, e questo sopra che  de prima contendono i parlieri si è il nascimento, cioè che  muove del contrastamento della intenzione, cioè del detto  di colui che ssi difende contra le parole dell'accusatore.   15. 19. Onde contastamento è appellato el primo detto del difen-  sore e intentione è appellata il primo detto dello accusa-  tore. Et pare che il nascimento della constituzione vegna  della difensione ch'è della accusa, non che nasca della di-  fensione, ma perciò che del detto del difenditore si puote   20. cognoscere se Ila causa o Ila questione è di fatto o di ge-  nere o di nome o d'azione, sì come appare nelli exempli  che sono messi davanti. 20. Et omai dicerà Tulio le nomora  e Ile divisioni e Ile proprietadi e He cagioni di tutte le dette  questioni.   25. Del fatto, et è detto congettìirale.   35. Quando la controversia è di fatto, perciò che Ila causa si  ferma per congetture, sì à nome constituzione congetturale.     Sponitore.   1. In questa parte dice Tulio che quando la conten-   30. zione è per alcuno fatto che sia apposto ad altrui, sì come   davanti si dice, sì conviene eh' ella sia provata per con-     1 : M' 0(1 cigli, VI et e — 3: m e però ch'io — M' rispondere — 6 : M' se quelli —  m OHI. Et — 10: M i parliero, vi quello dello quale contendono da prima — 14: M di-  fontu — 15: m M' il primo — 16: M' appellato - 17: M-m che nascimento — 19: M' owi.  del — 23-24: M' om. e Ilo cagioni, mn scrive le detto | cagioni I (piestioni — SS: Moni.  è — 26-27: M-vi om. è — per cometlere — 30: M' apposto altrui     — 61 —   gettare, cioè per suspezioni e per presunzioni. Verbigrazia:  Dice uno contra un altro: « Veramente tu uccidesti Aiaces,  ch'io ti trovai e vidi traiere il coltello del suo corpo ».  2. Et questa è faticosa questione, ciò dice Vittorino, perciò  5. che a provarla si faticano molto i parlieri, perciò ch'al-  tressì ferme ragioni si possono inducere per 1' una parte  come per 1' altra. E poi eh' è detto della constituzione di  fatto, sì dicerà Tulio di quella eh' è di nome.     Del nome, et è appellata ilifjìnitiva.   10. 36. Quando è la controversia del nome, perciò che Ila forza   della parola si conviene diffinire per parole, sì è nominata diffi-  nitiva.   Lo sponitore.   1. In questa parte dice Tulio che quando la conten-   15 zione è del nome del fatto, cioè come quel fatto eh' è ap-  posto altrui abbia nome, quella questione si è diffinitiva  perciò che Ila forza, cioè la significazione di quella parola  e di quel nome si conviene diffinire, cioè aprire e rispia-  nare che viene a dire e che significa, non per exempli ma   20. per parole brevi e chiare et intendevole. 2. Verbigrazia :  Un uomo è accusato che tolse uno calice d' uno luogo sa-  crato et è Ili apposto che sia sacrilegio, et esso si difende  dicendo che non è sacrilegio ma furto. Or sopra questa con-  troversia si è tutta la questione per lo nome di questo fatto:   25. è sacrilegio o furto? 3. Onde per sapere la veritade si con-  viene diffinire l'uno nome e 11' altro, cioè dire la signiffi-  cazione e Ilo 'ntendimento di ciascuno nome, e poi che fie  chiarito per le parole quello che '1 nome significa, assai  bene si potrà intendere e provai*e qual nome si XJonga a   30. quel fatto. Et poi eh' è detto del nome, sì dicerà Tulio  del genere.     3: m e viJili trarre, M' ol ti vidi trarre — 5-6: M'-L acciò che altress'i (L altre si) f.  r. se ne possono — 7: in ora. E — *: m om. sì — W: M' la controversia è — ii: M'-L  appellata — 13: M-m om. è — 3f ' 7 ilei facto — 16: M' om sì — 17:M' che ella airorca  — M-m a quella parola - 21-22: M' del luogo sacro — 23: M' ma e furto — 24-25:  AT» se questo facto è sacrilegio furto — 26: m l'altro — M-m dare - 28: M-m che  nome — 30: m om. Ei e si     62     Dice Tullio del genere, et è appellato generale.   37. Quando è quistione della cosa qual sia, perciò clie Ila.  controversia è della forza e del genere del fatto, sì è vocata con-  stituzione generale.     5. Lo sponitore.   1. In questa parte dice Tulio che quando è questione  della cosa quale ella sia, perciò che Ila controversia è della  forza del fatto, cioè della quantitade, e della comparazione  et altressì del genere, cioè della qualitade d'esso fatto, si è   10. vocata constituzione generale. 2. Verbigrazia : La quanti-  tade del fatto si è cotale questione : se uno à fatto tanto  quanto un altro, si come fue questione se Tulio avea tanto  servito al comune di Homa quanto Catone. 3. La compa-  razione del fatbo si è cotale: di due partiti qual sia migliore,   15. si come fue questione quando i Romani presono Cartagine  qual era il meglio tra disfarla o lasciarla. 4. 11 genere del  fatto si è questione della qualità del fatto sì come davanti  fue messo F exemplo, cioè se colui che fece il fatto fece  iustamente o iniustamente.     20. Dice Tullio dell'azione, et è appellata translativa.   38. Ma quando la causa pende di ciò che non pare che quella  persona che ssi conviene muova la questione, o non la muove contra  cui si conviene, o non appo coloro che ssi conviene.d) o non in tempo  che ssi conviene, o non di quella lege o di quel peccato o di quella  25. pena che ssi conviene, quella constituzione à nome translativa, però che  ir azione bisogna d' avere translazione e tramutamento.     8: M-m o decta forfa — 9: M-m sia — M' aiiiiellala — H : M-m senno - 14. m do  fatto — i7: M-m qualità — 2'1: A/' l'accusa — 24: M convenne, M-m nm. o non   (1) La frase o non appo coloro che ssi conviene manca in tutti i codici, ma si  ricava dal latino aid non apud qiios e dal § 4 dol commento.     - 63     Lo sponitore.   I. In questa parte dice Tulio della controversia del-  l'azione, che quando sopr'acciò è Ila questione e' si conviene  che U'azione si tramuti in tutto o in parte, e perciò à nome  5. translativa, cioè trarautativa- Et questo è o puote essere  Ijer sette maniere, le quali sono nominate nel testo, cioè:  2. Quando non muove la questione quella persona a cui la  conviene di muovere. Verbigrazia: Dice uno scoiaio contra  ad un altro : « Tu se' venuto troppo tardi a scuola ». Et   10. esso dice: « A te no'nde rispondo, che non ti si conviene  muovermi questione di ciò, ma conviensi al nostro mae-  stro ». 3. O non muove la questione contra quella persona  che ssi conviene. Verbigrazia : Fue trovato che in Roma  si trattava tradimento e fue alcuno che ll'aponea contra   15. lulio Cesare, et esso dicea : « Contra me non si conviene  muovere di ciò questione, ma contra Catellina che 11' àe  fatto e fa tutta fiata ». 4. non muove la questione appo  coloro che ssi conviene, cioè davanti a quelle persone che  dee. Verbigrazia : Fue accusato il vescovo di simonia da-   20. vanti al re di Navarra. Il vescovo dice: « Tu non m'accusi  davante a giudice eh' io debbia rispondere, ma io son bene  tenuto di ciò e d'altro davante l'appostolico ». 5. O non  muove la quistione in quel tempo che ssi conviene. Ver  bigrazia : Uno fue accusato il giorno di Pasqua ; esso di-   25. cea : « Non rispondo ora di questo, perciò che oggi non è  tempo d' attendere (1) a cotali convenenti». 6. non muove  questione a quella lege che ssi conviene. Verbigrazia : Uno  cittadino di Roma era in Parigi e volea piatire contra uno  francesco secondo la legge di Roma; ma quel francesco dice     3: Jtf -HI 7 si conviene, 3/' om. — 5: Af 7 puote, m e questo puole essere — M' in sette m. —  7-8: m si conviene — M' in contro a un altro — 9-iO: M' Ed elgli, m et elli — M-m om.  ti — 12: M-m muovere, M' muove questione — i4: Af alcuna —16: m questione di ciò,  M' di ciò non si conv. m. q. — ' 17: m tuttavia — M-m contra coloro — 18-19: M' che  si dee.... Il vescovo fu acc. — 21: M davante a giudici, m /> davanti a giudici, M' davanti  giudice - 24: m della Pasqua — egli — 25: M' non ti rispondo ora di ciò — 26: m M'  da rispondere — 29: M' la legge romana — m il Francesco   (1) Questa è la lezione miglioro per il senso, né si trova una valida ragione  per considerarla arbitraria, quantunque dalle due famiglie di codici sembri risul-  tare un da rispondere: sarà stato determinato dal rispondo con cui comincia la frase.     — 64 -   che non dee rispondere a quella legge ma a quella di  Francia. 7. O non muove la questione di quel peccato che  ssi conviene. Verbigrazia : Fue accusato uno, che non avea  il membro masculino, ch'avesse corrotta una vergine; esso   5. dice: «Io non risponderò di questo peccato». 8. non  muove questione di quella pena che ssi conviene. Verbi-  grazia : Fue uno accusato ch'avea morto uno gallo et erali  apposto che perciò dovea perdere la testa; esso dicea: « Non  rispondo a questa pena, perciò che non tocca a questo pec-   10 cato ». 9. Donde tutte queste questioni sono translative,  cioè che ssi tramutano in altro fatto e stato, tal fiata in  tutto e tal fiata in parte, si come appare nelli exempli di  sopra.     Dice Tullio se l'una delle dette quattro cose non fosse  15. non sarebbe causa.   39. E così conviene che ssia l' una di queste inn ogne ma-  niera di cause, perciò che in qual causa no 'nde fosse alcuna, certo  in quella non porrebbe avere contraversia, e perciò conviene che  non sia tenuta causa.     20. Lo sponitore.   1. Poi che Tulio àe divisate le parti della constituzione  et àe detto che e come è ciascuna di quelle parti e le  loro nomerà, sì vuole Tulio provare che quando l'una di  queste questioni, che sono del fatto o del nome o della qua-   25. lità del tramutare l'azione, non è intra parlieri, certo intra  loro non puote essere controversia ; e poi che 'ntra loro  non à controversia, certo il fatto sopra il quale dicessero  parole non sarebbe causa, e così non sarebbe materia di  questa arte, cioè che non sarebbe dimostrativo né dilibe-   30. rativo né iudiciale. 2. Et provando questo sì dimostra Tulio     i: i non si dee — 4-5: m M' Klgli dico -- 7: M' Fue accusalo uno — 8: M' nm_  perciò - m egli dice — M' non li lispondo — 9: M' non tocclia (piosto peccato — ti:  M' in altro slato, m om. e stalo - J2:M' paro — 16: M' luna de ipicste sia - 17: M tn  i|ualcosa, m in quale chosa - SS : M-M^ 7 ciascuna - S3: m provare Tulio - S3-S6: M-m  om. ^ — m tralloro - 30: m quando ([U'-sto     - 65 -   che Ile predette cose in questa arte sono si congiunte in-  sieme che qualuuiiue causa è dimostrativa o deliberativa  o iudiciale sì conviene che sia constituzione o del fatto o del  nome o della qualitade o dell' azione, et e converso che  5. qualunque constituzione è del fatto o del nome o della  qualità o dell'azione sì conviene che sia dimostrativa o  deliberativa o iudiciale. Et omai perseverra Tulio sua ma-  teria per dicere di ciascuna parte per sé.     Del fatto.   1(». 40. La contraversia del fatto si puote distribuire in tutti tempi:   che ssi puote fare quistione che è essuto fatto, in questo modo:  « Ulixes uccise Aiace o no ?» Et puotesi fare questione che ssi fa  ora, in questo modo : « Sono i Fregelliani in buono animo verso lo  comune o no ? » Et puotesi fare questione che ssi farà, in questo   15. modo : « Se noi lasciamo Cartagine intera, everranne bene al comune  no? ».   Lo spoìiitore.   I. In questa pai'te dice Tulio che Ila controversia  la quale è di fatto che ssia apposto ad altrui, la quale   20. àe nome constituzione congetturale sì come fue detto in  adietro e messo in exempli, sì puote essere in tutti tempi,  cioè preterito, presente e futuro. 2. Nel preterito pone  Tulio r exemplo della morte d' Aiaces, che fue cotale.  Stando l'assedio di Troia sì fue morto il buon Achilles,   25. et apresso la sua morte fue grande questione delle sue armi  intra Ulixes et Aiaces. 3. Et certo Ulixes fue, secondo che  contano le storie, il più savio uomo de' Greci e '1 milìor  parliere, sicché per lo grande senno che i-llui regnava e  per lo bene dire niettea in compimento le grandi vicende,   30. alle quali altre non sapea pervenire, e perciò adoperò e' più  di male contra' Troiani per lo suo senno che non fecero     2: M dimoslraliva — 3: M' constitutione del facto — 4-6: M-m om. ot e conweiso....  dell'azione — 7 : M' Et oggimai perseguita — 10: M' in dui tempi — 11: m clie exututo —  13: M* de buono animo — 14: m om. che ssi farà — 15: M-m, L in terra — ikf' aver-  ranne, m e veramente bene — S3 : M' Tulio la morto — 24: M* a Troia — 26-27: M'  secondo che recitano le storie, fue M-m et niilior — 29: M* per .ben dire — 30: Mie  quali, m le quali oltre non sapeano — M adopio 7, m adoppio più, M' adopero elgli —  31 : M' in contro a — la non fé, L non fece     -- 66 -   quasi tutta l'oste per arme, et alla fine si parve uianife-  stameute, eh' elli fue trovatore del cavallo per lo quale fue  Troia perduta e tradita; ma veramente in guerra non si  5. fatigava molto con arme e non era di gran prodezza, ma  tuttavolta dimandava che Ili fossono concedute V armi  d'Achilles, e dicea che nn'era degno e ch'avea in quella  guerra ben fatta l'opera perchè etc 4. Et dall' altra parte  Aiaces era uno cavaliere franco e prode all'arme, di gran   10. guisa, ma non era pieno di grande senno e sanza molto** (D  francamente avea portate l'armi in quella guerra, e perciò  domandava l'armi d'Achilles e dicea che non si conveniano  ad Ulixes. 5. Onde alla fine l'armi furono concedute ad  Ulixes, per la qual cosa montò tra lloro tanta invidia che   15. divennero nemici mortali ; et in questo mezzo tempo fue  morto Aiaces e fue della sua morte accusato Ulixes, et  esso si difendea e negava ; e di questo sì era questione di  fatto in preterito, cioè che già era fatto in tempo passato.  6. Inol presente tempo mette Tulio l' exemplo de' Fragel-   20. lani, che furo una gente i quali fui'ono accusati in Roma  eh' elli aveano male animo contra il comune. Et elli si di-  fendeano e diceano che 11' aveano buono e dritto ; e di ciò  si era questione di fatto presente, cioè se sono ora presen-  temente di buono animo o no. 7. Nel futuro mette Tulio   25. r exemplo di Cartagine, la quale fue una delle più nobili  cittadi e delle più poderose del mondo, e tenne guerra  contro a Roma, sì eh' alla fine i Romani vinsero e presero  la terra ; e furo alcuni che voleano che Ila cittade si di-  sfacesse per lo bene di Roma, et altri consigliaro del no,   30. perciò che '1 meglio ne potrebbe advenire s' ella rimanesse  intera, e di ciò è questione del tempo futuro, cioè se  bene o male n'averrà se Cartagine rimanesse intera o s'ella  si disfacesse. 8. Ma poi che Tulio à detto della controversia  del fatto, sì dicerà di quella del nome in questo modo.     ■i: M' ne non era. — 6: M' ben dengno — 7 : M' ben l'opera perchè, L bene adope-  rato perchè — 9: m orti, e sanza molto — 10: M-m provale — 14: m iim. mezzo —  15 : m 7 dela sua morte fue aco. — 16-17 : M-m onde di questo era già (piestione... in perciò  che già ecc. (vi om. in perciò) — 18: M' Fregiani — 19: M' che fuoro accusati — SO: SI'  comune de Roma — 22 : m om. si — S6: M incontra — S7 : m om. e — M' vollero (ma L  voleano) — 28: m om. et — M' di no — ^9 : m pero che meglo ne potrebbe loro intervenire —  30 : M-m, L in terra — Af' e questo nel tempo futuro — M-m che bene — 31: M, L'in terra   (1) Così hanno i mss. e perfino la stampa, ma evidentemente manca qualche  parola (anzi itf " dopo molto lascia uno spazio bianco), come dire o parlare. Basti  averlo notato, senza pretendere d' indovinare.  Del nome-  Ai. Controversia del nome è quando lo fatto è conceduto, ma  è questione di quello eh' è fatto in che nome sia appellato; et in  questo conviene che sia controversia del nome, perciò che non  5. s'accordano della cosa; non che del fatto non sia bene certo, ma  che quello ch'è fatto non pare all'uno quello eh' all' altro, e perciò  l'uno l'appella d'un nome e l'altro d'un altro. Per la qual cosa  in questa maniera la cosa dee essere diffinita per parole e breve-  mente discritta, come se alcuno à tolta una cosa sacrata d'uno luogo  10. privato, se dee essere giudicato furo o sacrilego, che certo in  essa questione conviene difinire l'uno e l'altro, che sia furo e  che sacrilego, e mostrare per sua discrezione che Ila cosa conviene  avere altro nome che quello che dicono li aversarii.     Lo sponitore.   15. 1. In questa parte dice Tulio della controversia del   nome ; e perciò che di questo è molto detto davanti, sì siue  trapassa lo sponitore brevemente, dicendo solamente la  tema del testo, sopra '1 quale il caso è cotale: 2. Roberto  accusa Gualtieri ch'elli àe malamente tolta una cosa sa-   20. crata, si come uno calice o altra simile cosa la quale sia  diputata a' divini mistieri, e dice che Ila tolse d'uno luogo  privato, cioè d'una casa o d'altro luogo non sacrato. Viene  l'accusato e confessa il fatto. Dice l'accusatore: « Tu ài  fatto sacrilegio ». Dice l'accusato : « Non ò fatto sacrilegio,   25. ma furto ». Et così sono in concordia del fatto, ma non  della cosa, cioè della proprietade per la quale si possa sa-  pere che nome abbia questo fatto, perciò eh' all' accusatore  pare una, che dice ch'è sacrilegio, et all'accusato pare  un' altra, che dice eh' è furto. 3. Onde in questa maniera   30. di controversia si conviene che '1 parliere che dice sopra  questa materia dififinisca e faccia conto in brevi parole     3 : it 7 (li questo — 9 : M-m distrecta —10: M- sacrato — M-m per furto o per sacri-  legio, L furto sacrilegio —11: M-m con l'altro — m furto — 12: M-m che sacrilegio, A/' che  sia sacrilego — il/' scriptione — 16:Mom. detto — M' nm. si — 18: m sopralla quale - J/'  Uberto — 19: M' tolto — 19 : m cosa simile — SI: M-m ad veruno mistieri (m mistiere) —  23-24: M il l'atto. Et dice laccusato — m Non o, ma furto — 27-28: m però chellachusatorc...  una diosa — 2H-29: M-m om. sacrilegio.... cli'ò — 30: jV' jjarladore — 3t: M' didinita     - G8 -   che cosa è sacrilegio e che è furto ; e così dee mostrare  come questo fatto non à quel nome che dice l'aversario.  Et è detto della controversia del nome; omai dicerà Tulio  di quella del genere, in questo modo :     5. Del genere.   ^Z. (e. IX) Controversia del genere è quando il fatto è   conceduto e sono certi del nome d' esso fatto, ma è questione della   quantitade del fatto o del modo o della qualitade, in questo modo :   giusto ingiusto - utile o inutile - e tutte cose nelle quali è que-   10. stione chente sia quel fatto.     Lo sponitore.   l. in questa parte dice Tulio della questione del genere,  e di questa è tanto detto dinanzi che 'n poche parole di-  morerà lo sponitore ; e dice che quella controversia è del   15. genere nella quale Y accusato confessa il fatto et è in con-  cordia coir accusatore del nome d' esso fatto, ma sono in  discordia della quantitade del fatto, cioè se grande o pic-  colo o molto o poco. 2. Verbigrazia : Un grande Romano  quando dovea cacciare i nemici del suo comune si fugìo.   20. Fue accusato eh' avea fatto danno e male alla inaestà della  città di Roma; l'accusato confessa il fatto e '1 nome del  facto. Dice l'accusatore: «Questo è grande danno». Dice  l'accusato : « Non è grande, ma piccolo ». Ed è la discordia  tra lloro della quantità, cioè se quel male è grande o pic-   25. colo. 3. O sono in discordia del modo, cioè della compara-  zione del fatto, sì come fue detto qua indietro nell'exemplo  di Cartagine, qual fosse la migliore parte tra disfare o la-  sciare. 4. O sono in discordia della qualitade del fatto, sì  come pare in exemplo d'Orestes che uccise la sua madre,   30. e fue accusato che U' avea morta ingiustamente ; et esso si  difende e dice che U'à morta giustamente, ma bene con-     OM,     8: M'in modo della qualitndo — 9: m o non giusto — 12: M' tracia — i3: M-m  detto — VI di questo — M die poclie p. — m dimora, Af' <limorra - 16-17: M' ohi. ma  sono.... del fatto — 20: M-m t>m. e male — S3: M-m nm. Ed — So: >/' Or sono, M-m  OHI. - 26: M' nm. si - 27 : M' o disfare - 2S : M-m quantitade - 29 : M' nelexemplo  di ((uestl , M-vi dotesles — 30-.il : m nm. ot esso... giustamente, M' nm. si - M-m cliellavea     - 69 —   fessa il fatto e 1 nome del fatto; ma sono in discordia della  qualità, cioè se 11' àe fatto giustamente o ingiustamente. 5. Ben  è vero che Tulio non mette in exemplo della quàntitade  nel testo, né della comparazione, se non solamente della  5. qualitade ; e questo fae perciò che più sovente ne vien tra  Ile mani che non fanno l'altre, e perciò dice che tutte cose  nelle quali si confessa il fatto e '1 nome del fatto, ma è  questione della qualità d'esso fatto, sì è controversia del  genere. 6. Et poi che Tullio à detto di questa questione  10. del genere secondo il suo parimento, sì procede immante-  nente a riprendere Ermagoras dell'errore suo in questa  controversia del genere.   Dell' errore d' Ermagoras.   43. A questo genere Ermagoras sottopuose quattro parti, ciò  sono deliberativo, demostrativo, iudiciale e negoziale. Il quale suo  fallimento non mezanamente pare che ssia da riprendere, ma in  breve, perciò che sse noi ci ne passiamo così tacendo fosse pensato  che noi lo seguissimo sanza cagione; o se lungamente soprastessimo  in ciò, paia che noi facessimo dimoro et impedimento agli altri insegnamenti. 44. Se deliberamento e dimostramento sono generi  delle cause, non possono essere diritte parti d'alcuno genere di  causa, perciò che una medesima cosa puote bene essere genere d'una  e parte d'un' altra, ma non puote essere parte e genere d'una me-  desima. Et certo deliberamento e dimostramento sono genera delle cause. Ma o non è alcuno genere di cause, o è pur iudiciale sola-  mente, è iudiciale e dimostrativo e deliberativo. Dicere che non  sia alcun genere di cause, con ciò sia cosa eh' e' medesimo dice che  Ile cause sono molte e sopra esse dà insegnamento, è grande for-  seneria. Un genere, cioè pur iudiciale solamente, non puote essere, acciò che diliberamento e dimostramento non sono simili intra lloro  e molto si discordano dal genere iudiciale, e ciascuno à suo fine  al quale si dee ritornare. Adunque è certo che tutti e tre son ge-  neri delle cause, e così deliberamento e dimostramento non possono     4: M> nel testo exemiilo - 5: M' in tra le mani — iO: m om. secondo il suo pari-  mente — M mantenente — 13: M-m II (juale lue — i7 : 3/' nm. i)erciò — cene passas-  simo — 18: m stessomo - 19: M' dimora, m imped. 7 dimoro — 20: M-m dim. —  22 : m M' causa — M-m genere 7 parte d' una medesima - 23 : M' Ma none, vi Ma anno  ale. — 26: M-m om. e deliberativo — 27: M' ch'elli - 28: M' essi... inseffnamenti —  28-29 : M 7 grandi; fors (?), m 7 grande forma, M' 7 grandi mattezze. Genere ere. — .12 :  M 7 certo — 3:i : M' de cause... dimost. 7 del.    essere a diritto tenute parti d'alcuno genere dì causa. Dunque ma-  lamente disse ch'elli fossero parte della constituzione del genere.  46. (e. X) Et s'elle non possono essere tenute diritte parti della  causa del genere, molto meno fien tenute parti della diritta parte  5. della causa; e parte della causa è ogne constituzione; donde no la  causa alla constituzione, ma la constituzione s'acconcia alla causa.  Ma dimostramento e diliberamento non possono essere tenute diritte  parti della causa del genere, perciò che sono generi: donque molto  meno debbono essere tenuti parte di quello ch'esso dice. 46. Ap-   10. presso ciò, se Ila constituzione et essa e ciascuna parte della con-  stituzione è difensione contra quello eh' è apposto, conviene che  quella che no è difensione non sia constituzione ne parte di consti-  tuzione. Et certo deliberamento e dimostramento non sono constitu-  zione. Dunque se constituzione et ella e la sua parte è difensione   15. contra quello eh' è apposto, il dimostramento e '1 diliberamento non  è constituzione ne parte di constituzione. Ma piace a Itui che ssia  difensione. Dunque conviene che Ili piaccia che non sia constituzione,  né parte di constituzione. Et in altrettale isconvenevile fie condotto,  se esso dica che constituzione sia la prima confermazione dell' ac-   20. cusatore o Ila prima preghiera del difenditore ; e così seguiranno  lui tutti questi sconvenevoli. 47. Appresso ciò, la causa congettu-  rale, cioè di fatto, non puote d'una medesima parte inn un mede-  simo genere essere congetturale e diffinitiva ; et altressì la diffinitiva  causa non puote essere d'una medesima parte inn uno medesimo   25. genere diffinitiva e translativa. Et al postutto neuna constituzione  ne parte di constituzione puote avere e tenere la sua forza et altrui;  perciò che ciascuna è considerata semplicemente per sua natura ; se  l'altra si prende, il nomerò delle constituzioni si radoppia, non si  cresce la forza della constituzione. Veramente la causa deliberativa   30. insieme d'una medesima parte in un medesimo genere suole avere  la constituzione congetturale e generale e diffinitiva e translativa, et  alla fiata una e talvolta piusori. Adunque, essa non è constituzione  né parte di constituzione. Et questo medesimo suole usatamente  advenire della causa dimostrativa. Adunque sì come noi avemo detto   3,5. davanti, questi, cioè deliberamento e dimostramento, sono generi  delle cause e non parti d'alcuna constituzione.     1 : M' a diricto essere tenute parte — 5: M-tn om. parto delln causa ì- — vi om. no -  7: JV' tenuti — 9 : m tenute parti, il/' im. tenuti — M-m cliossi dice — iO: M-m chella  const. — 11: M-m ? difensione — M' (piella - IS: M-m non sia la constitutione — 13:  m om. Et — 14: M 1 dunque le const., m Dunque la const. — 15: M' nm. e '1 dilibera-  mento — 16-18: m om. i due periodi — ^0 : m seguiteranno - l' 1 : M-m si convenevoli -  23: M'^ diffinitiva, m chon dilf. — 25 : M-m om. e translativa - 26: M-m om. nk - M' ne te-  nere — 2S: m il novero — il/ sic radoppia — 31: m coniotturalc generale — 32: i wim. illusori     — (i     Lo sponitore.   I. In questa parte dice Tulio che Ermagoras dicea che  Ila controversia del genere avea quattro parti sotto sé, ciò  sono deliberativo, demostrativo, iudiciale e negoziale; della  5. qual cosa Tulio lo riprende in tutte guise, e mostra molte  ragioni come Ermagoras errava malamente, e questo pruova  manifestamente per argomenti dialetici: che dimostramento  e deliberamento sono generi delle cause si che Ile cause  sono parti di loro; e poiché sono generi, cioè il tutto delle   10. cause, non possono essere parte delle cause, acciò ch'una  cosa non puote essere tutto d'una cosa e parte di quella  medesima. 2. Et così per molte ragioni o vuoli argomenti  conclude Tulio che Ermagoras avea mal detto, e poi se-  guentemente dice la sua sentenza : quali sono le parti della   15. constituzione del genere, cioè della quantitade e del modo  e della qualitade del fatto, sì come qui dinanzi fue detto.  Et in ciò incomincia la sentenzia di Tullio in questo  modo :   Le parti della constituzione generale.   20. ^S. (e. XI) Questa constituzione del genere pare a noi ch'ab-   bia due parti : Iudiciale e negoziale.   Lo sponitore.   1. Poi che Tullio àe ripresa l' oppinione d' Ermagoras  delle quattro parti, si dice la sua sentenza e dice che sono  25. pur due parti, cioè quelle altre due che dicea Ermagoras:  iudiciale e negoziale ; et immantenente detta la sua sen-  tenza, la quale vince quella d' Ermagoras e d'ogn' altro, sì  dice e dimostra che è iudiciale e che è negoziale, in questo  modo :      X,. ^'^     4: M' dimostrativo, deliberativo ecc. — 6: M-m provava — 9: m genero — 10: M el  acciò — 11 : M-m tiicta — 13:M^ conchiude Tulio Ermagoras avere — 17 : il/' comincia —  23 : m ripreso — 28: M' che e iuridiciale {e cosi sempre), M-m che iudiciale 7 che {ni om.  che) negotiale     — 72     Di Indiciate.   49. ludiciale è quella nella quale si questiona la natura dì  dritto e d' iguaglianza e la ragione di guiderdone o di pena.   Sponitore.   5. 1. La iudiciale coustituzioue è quella nella quale per   diritto, cioè per ragione provenuta per usanza e per igual-  lianza, cioè per ragione naturale o per ragione scritta, si  questiona sopra la quantitade o sopra la comparazione o  sopra la qualitade d'un fatto, per sapere se quel fatto è   10. giusto o ingiusto o buono o reo. 2. Altressì è iudiciale  quella nella quale è questione d'alcuno per sapere s'egli  è degno di pena o di merito. Verbigrazia : « Alobroges è  degno d'avere merito di ciò che manifestò la congiurazione  di Catenina?» e questionasi del sì o del no. Et anche questo   15. exemplo : « È Giraldo degno di pena di ciò che commise  furto ?» e questionasi del si o del no. 3. Et poi che à detto  Tulio del iudiciale, si dicerà dell'altra parte, cioè della  negoziale.   Di negoziale.   20. 50. Negoziale è quella nella quale si considera chente ragione   sìa per usanza civile o per equitade, sopra alla quale diligenzia  sono messi i savi di ragione.   Lo S2)onitore.   1. Dice Tulio che quella constituzione è appellata ne-   25. goziale nella quale si considera per usanza civile, cioè per   quella ragione la quale i cittadini o paesani sono usati di   tenere i-lloro uso o in loi'o costuduti, o per equitade, cioè   per legi scritte, chente ragioni debbiano essere sopra quella     2: m quello nel (juale — 3: M'-L ella ragione di diritlo, S di merito — 6: m perve-  nuta — 8.me sopra la comp. — 9: m se questo giusto —il: M^ si questiona d'alcuno  selglie ecc. — 12-14: m o di morte — M-m o alabroges di Catenina et questionisi del si  et del no (m di si o di no), L e questo exemplo —16: m quistionìsi... om. Et — A/ 7 del  no — 16-17: M' Tulio a detto dela giuridicialo — 20: M' Di negotiale — 26: M' om.  paesani — 27 : M' i loro costuduti m illoro chostuduli, M' in loro constituti — M-m  equalitade — S8 : M' cliente ragione debbia  constituzione. 2. Et intra la iudiciale e la negoziale àe co-  tale differenzia : che Ila iudiciale tratta sopra le cose pas-  sate et intorno le leggi scritte e trovate ; ma la negoziale  intende intorno le presenti e future (1) et intorno le legi et  5. usanze che saranno scritte e trovate. 3. Et questa è di molta  fatica, perciò che' parlieri s'affaticano di grande guisa a  provarla et a formare nuove ragioni et usanze allegando  in ciò ragioni da simile o da contrario. Et questa questione  si tratta davante a' savi di legge e di ragione, ma in pro-  10. vare la iudiciale basta dicere pur quello che Ila ragione  ne dice. 4. Et poi che Tulio à detto che è la iudiciale e  che è la negoziale, sì dicerà delle parti della iudiciale per  meglio dimostrare lo 'ntendimento di ciascuno capitolo  dell' Arte.   15. Di due parti di Iudiciale.   51. La iudiciale dividesi in due parti, ciò sono assoluta et  assuntiva.   Sponitore.   1. In questa parte dice Tulio che quella questione la  20. quale è iudiciale, sì come davanti è mostrato, sì à due  parti : una eh' è appellata assoluta e l'altra la quale è ap-  pellata assuntiva ; e dicerà di catuna per sé.      3 : M interno — 4: i mss. futuro — M' il presente — 8 : m in se ragioni — 9 : M  assaivi, m si tratta da savi — 10: M pur di quello — 16: M' si divido — 21 : M' luna  la quale è appellata - M-m e assunptiva   (1) Per quanto la lezione di -Jf' (il presente e futuro) sembri ottima, prefe-  risco ricorrere alla lieve correzione di futuro in future.: M* ha tendenza a cam-  biare, e quindi non è improbabile che, trovando già l'errato futuro, abbia voluto  accordare con esso l'aggettivo precedente, le presenti. Non saprei invece come  spiegare un cambiamento inutile in M-m.  Dell' asoluta.   52. Assoluta è quella che in sé stessa contiene questione o  di ragione o d' ingiuria.   .Lo sponitore.   5. 1. Dice Tulio che quella questione iudiciale del genere   èe appellata assoluta la quale in sé medesima è disciolta  e dilibera, sì che sanza niuna giunta di fuori contiene in  sé questione sopra la qualitade o sopra la quantitade o  sopra la comparazione del fatto, il qual fatto si cognosce   10. s'egli é di ragione o d'ingiuria, cioè se quel fatto é giusto  o ingiusto o buono o' reo, sì come in questo exemplo donde  fue cotale questione. 2. Verbigrazia : Fecero quelli da Teba  giusto o ingiusto quando per segnale della loro vittoria fe-  cero un trofeo di metallo? Et certo questo fatto, cioè fare   15. un trofeo di metallo per segnale di vittoria, piace per sé  sanza neuna giunta et in sé contiene forza della pruova,  perciò ch'era cotale usanza.   Asuntiva-   53. Assuntiva è quella che per sé non dà alcuna ferma cosa  20. a difendere, ma di fuori prende alcuna difensione ; e le sue parti   sono quattro : concedere, rimuovere lo peccato, riferire lo peccato e  comparazione.      S:M-m slesso — 7: M-m nm. ai — fi: M-m «m. o sopra la (luantilude — 7 invece ili  0—9: M' in f|uel facto — 12: M-m Ino - »« di Teba — 14-13: m et cerio questo trofeo  fatto faro per sengnale della loro Victoria jiiuce per so medesimo — 16: M' la forfa —  1 9 : M-m ohi. olio per sé non dà alcuna   Cicerone dice che quella constituzione è appellata as-  suntiva della quale nasce questione, la quale in sé non à  fermezza per difendersi da quello peccato eli' è allui appo-  5. sto, ma d'un altro fatto di fuori da quello prende argo-  mento da difendersi; si come nella questione d'Orestes, che  fue accusato eh' avea morta la sua madre, et elli dicea che  ll'avea morta giustamente. Et certo il suo dire parca crudel  fatto, sì che queste parole per sé non anno difensione   10. com'elli l'abbia fatto giustamente, ma prende sua difen-  sione d'un altro fatto di fuori e dice: « Io l'uccisi giusta-  mente, perciò ch'ella uccise il mio padre ». Et così pare che  con questa giunta piaccia la sua ragione. 2. Efc questa co-  tale questione assuntìva à quattro parti, delle quali il testo   15. dicerà di catuna perfettamente per sé.   Di concedere.   54. Concedere e concessione è quando l'accusato non difende  quello eh' è fatto ma addomanda che ssia perdonato ; e questa si  divide in due parti, ciò sono purgazione e preghiera.   20. Sponitore.   I. Poi che Tulio avea detto che è e quale la questione  assuntìva e com' ella si divide in quattro parti, sì vuole di-  cere di ciascuna per sé divisatamente perchè '1 convenentre  sia più aperto. 2. Et primieramente dice che é concedere,   25. e dice che quella constituzione é appellata concessione  quando l'accusato concede il peccato e confessa d'averlo  fatto, ma domanda che ssia perdonato ; e questo puote es-  sere in due maniere: o per purgazione o jjer preghiera, e  di ciascuna di queste dirà Tulio partitamente, e prima   30. della purgazione.     3: M> non àe in se — 5: M' di quello — 7 : M' Pt elli rispondea — 8-iO: M-m om.  Kt certo.... giustamente — i4: M' nm. assuntìva — 15: M' per se perfectamente — 17: M'  o concessione - 18 : 3f ' domanda chelgli sia p. — m. 7 questo — 21 : m che e quale, M'  che 7 quale 6 — 23: m di chatuna — 24: M-m concede — 26: m confessa il pechato  d'averlo facto     - 76     T)i purgazione.     55. Purgazione è quando il fatto si concede ma la colpa si ri-  muove, e questa sì à tre parti : imprudenzia, caso e necessitade.      Sponitore. ■   5. I. Dice Tulio che quella maniera di concedere la quale   è per purgazione sì è et aviene quando l'accusato confessa,  ma lievasi la colpa e dice che quel fatto non fue sua colpa ;  e questo puote fare in tre maniere, delle quali è prima  Imprudenzia, cioè non sapere. 2. Verbigrazia : Mercatanti   10. fiorentini passavano in nave per andare oltramare. Sorvenne  loro crudel fortuna di tempo che Ili mise in pericolosa  paura, per la quale si botaro che s' elli scampassero e per-  venissero a porto che elli offerrebboro delle loro cose a  quello deo che là fosse, et e' medesimi F adorrebbero. Alla   15. fine arrivaro ad uno porto nel quale era adorato Malco-  metto ed era tenuto deo. Questi mercatanti l' adoraro come  idio e feciorli grande offerta. Or furono accusati ch'aveano  fatto contra la legge ; la qual cosa bene confessavano, ma  allegavano imprudenzia, cioè che non sapeano, e perciò   20. diceano che fosse perdonato. Et di ciò era questione, se  doveano essere puniti o no. 3. La seconda maniera è caso,  cioè impedimento eh' adiviene, sì che non si puote fare  quello che ssi dee fare. Verbigrazia : Un mercatante caur-  sino avea inprontato da uno francesco una quantità di pe-   25. cunia a pagare in Parigi a certo termine et a certa pena.     6: M-m om. b — 7 : M-m imi. non — 8: M' Kl puotesi l'art! — o In prima — tO: M  per mare oltramare, di passavano per maro in nave — Jf sopravenne — li: mi miseli,  JV/' om. che — 14: M' edelgli medesimi — 15: M' Macliometlo, m Maometto — 17: M'  fecero grande oHerta. Fiioro ecc., m mii. Or — 19: M' noi sapeano — 21: m puliti —  S4 : m inprontato moneta da uno franeesclio     Avenne che '1 debitore, portando la moneta, trovò il fiume  di Rodano si malamente cresciuto che non poteo passare  né essere al termine che era ordinato. Colui che dovea  avere domandava la pena, l' altro confessava bene eh' avea  5. fallito del termine, ma non per sua colpa, se non che '1 caso  era advenuto ch'avea impedimentitotU la sua venuta, e però  dicea che Ila pena non dovea pagare; e di ciò è questione,  se Ila dovea pagare o no. 4. La terza maniera è necessitade,  cioè che conviene che ssia così et altro non potea fare.   10. Verbigrazia : Statuto era in Costantinopoli che qualunque  nave viniziana arrivasse nel porto loro, la nave e ciò che  entro vi fosse si publicasse al segnore. Avenne che merca-  tanti genovesi allogare una nave di Vinegia e passaro  con grande carico d'avere. Convenne che per impeto di   15. tempo per forza di venti, (2) centra' quali non si poteano pa-  rare, pervennero nel porto e fue presa la nave e le cose  per lo segnore. Ben confessavano li mercatanti che Ila nave  era veniziana, ma per necessitade erano venuti in esso porto,  e però diceano che non doveano perdere le cose ; e di ciò   20. era questione, se Ile doveano perdere o no. Tutto altressì  i Veniziani, cui fue la nave, raddomandavano la nave o la  valenza; i mercatanti diceano che l'amenda non dovea es-  sere domandata, perciò che per necessitade e non per vo-  lontade erano iti in quel porto. 5. Et poi' che Tullio àe detto   25. della purgazione e delle sue parti, si dicerà della preghiera.   Della preghiera.   56. Preghiera è quando l'accusato confessa ch'elli àe commesso  quel peccato e confessa che 11' àe fatto pensatamente, ma sì domanda  che Ili sia perdonato, la qual cosa molte rade fiate puote advenire.     1 : M-m avieno — S : M-m polea — 3: M' a. termine ordinato — 5 : M' al termine -  5-6: M impedimento, M* ma nel caso era avennlo 7 avea impedimentita — il: M' nel  loro porto — 13: m una nave viniziana, 3/' una nave de Viniziani 7 passavano — 14-15:  M per un tempo per impetto 7 per f., if ' per impedimento, m di vento — 18: M^ in quel  porlo — SO: M' ora la questione — m dovea — 22: M' che por lamenda — 24 :m om.  Et — 28-29: m domandasi — M' om. molto   (1) Questa lezione di w è confermata da impedimentita di Jf*, cioè dall'altra fami-  glia di codici. Lo scambio, avvenuto in M, con impedimento era facilissimo e lo favoriva  il fatto che il senso restava quasi il medesimo : « la sua venuta avea avuto impedi-  mento ^>.   (2) Così leggo con w, poiché in if e ilf ' il passo è manifestamente guasto  (impedimento è correzione arbitraria), mentre l'espressione impeto di tempo, ana-  loga, a quella del § 2 fortuna di tempo, può bene corrispondere alla magna tempestas  di cui parla l'esempio ciceroniano {De Inv., II, 98) sul quale è modellato il nostro. Cicerone dimostra in questa picciola parte del testo  che cosa è appellata preghiera in questa arte. Et dice che  allotta è questione di preghiera quando l'accusato confessa  5. e dice che fece quel peccato che gli è aposto e ricognosce  che ir à fatto pensatamente, ma tutta volta domanda per-  dono. 2. Onde nota che questa preghiera puote essere in  due maniere, o aperta o ascosa. Verbigrazia : In questo  modo è la preghiera aperta : Dice l' accusato : « Io confesso   10. bene ch'io feci questo fatto, ma prego vi per amore e per  reverenza di Dio che voi mi perdoniate ». La preghiera  ascosa è in questo modo : « Io confesso eh' io feci questo  fatto e non domando che voi mi perdoniate ; ma se voi  ripensaste quanto bene e come grande onore i' òe fatto al   15. comune, ben sarebbe degna cosa che mi fosse perdonato ».  3. Ma ssì dice Tullio che queste preghiere possono adve-  nire rade volte, (l) spezialmente davante a' giudici che sono  giurati a lege sie che non anno podere di perdonare. Ben  puote alcuna fiata lo 'mperadore e '1 sanato avere prove-   20. denza in perdonare gravi misfatti, sì come poteano li an-  ziani del popolo di Firenze ch'aveano podere di gravare  e di disgravale secondo lo loro parimento. 4. Et poi che  Tullio àe detto della prima parte della constituzione as-  suntiva, cioè della concessione e che cosa è concedere, et à   25. delle due maniere di concedere detto, cioè di purgazione  e di preghiera, sì dicerà della seconda parte, cioè rimuo-  vere lo peccato.   Di rimuovere.   57. Rimuovere lo peccato è quando l'accusato si sforza di  30. rimuovere quel peccato da se e da sua colpa e metterlo sopra un     S : M' mostra — 5 : M' elicigli lece — 6' : M' nppensatainentc — 8 : M' nascosa —  14: M' om. bene — 17 : M^ fiato (ma L volte) — li ([uali sono — 18: M noniianno —  19: m prudenzia — SS: m eclisgravare, M> 7 disgravare — ni lo loro parere, L illoro pa-  rere, S il loro piacimento — m om. Et — So: M' m e a detto delle duo maniere ecc. -  30 : M' mettelo (ma L metterlo)   (1) Conservo volte appunto perchè questa parola in itf è meno frequente di  fiate Q non si può considerare correzione arbitraria; invece fiate sarà stato sosti-  tuito per uniformità col testo tradotto (v. pag. preced., 1. 29).     - 79 -   altro per forza e per podestà di lui ; la qual cosa si puote fare in  due guise: o mettere la colpa o mettere lo fatto sopr'altrui. Et certo  la colpa e la cagione si mette sopra altrui dicendo che quel sia  fatto per sua forza e per sua podestade. Il fatto si mette sopr'altrui  5. dicendo che dovea un altro e potea fare quel fatto.      Sponitore.   I. In questo luogo dice Tullio eh' è rimuovere lo pec-  cato e come si puote fare, et è cotale il caso : Uno è accu-  sato d'uno malificio, et elli vegnendo a sua defensione si   10. leva da ssè quel maleficio e mettelo sopra un altro, o dice  bene che 11' à fatto, ma un altro cli'avea in lui forza e si-  gnoria il costrinse a ffare quel male ; e questo rimovimento  del peccato dice Tullio che ssi puote fare in due guise :  l'una si mette la colpa e la cagione sopra un altro, l'altra   15. si mette il fatto sopra altrui. 2. Et certo la colpa e la ca-  gione si mette sopì'' altrui quando l'accusato dice che elli  à fatto quel male per colpa d'alcuno il quale à sopra lui  forza e signoria. Verbigrazia : Il comune di Firenze elesse  ambasciadori e fue loro comandato che prendessero la paga   20. dal camarlingo per loro dispensa et immantenente andas-  sero alla presenzia di messer lo papa per contradiare il  passamento de' cavalieri che veniano di Cicilia in Toscana  contra Firenze. Questi ambasciadori domandare il paga-  mento e '1 signore no '1 fece dare, e'I camarlingo medesimo   25. negò la pecunia, sicché li ambasciadori non andaro e' ca-  valieri vennero. Della qual cosa questi ambasciadori fuo-  rono accusati, ma elli si levaro la colpa e la cagione e     3: m la chosa — 7: Af' die e rimuovere — 9: M' do malilicio - i4 : m luna mette,  M' l'una si e mettere — ^5: M' si e mettere — m om. Kt - 20: Af inmanlenenente, it/'  incontanente — 21 : m cliontradire - 23: M-m domandano — 24: M m il segnore — m  e il chamarlengo — 25: m il nego di dare la pecliunia — 26:m li anbasciadori — 27 :M'  si levano     — 80 —   miseria sopra '1 signore e sopra '1 camarlingo, i quali  aveano la forza e la seguoria e non fecero lo pagamento.  3. Mettere il fatto sopr' altrui è quando l'accusato dice  ch'egli quel fatto non fece e non ebbe colpa né cagione  5. del fare, ma dice che alcuno altro l'à fatto et ebbevi colpa  e cagione, mostrando che quell'altro sopra cui elli il mette  dovea e potea fare quel male. Verbigrazia : Catone e Ca-  tenina andavano da Roma a Kieti, et incontrarono uno  parente di Catone, a cui Catellina portava grande maia-  lo, voglienza per cagione della coniurazione di Roma, e perciò  in mezzo della via l'uccise; né Catone non avea podere di  difenderlo, perciò eh' era malato di suo corpo, ma rimase  intorno al morto per ordinare sua sopultura. Et Catellina si  n'andò inn altra parte molto avaccio e celatamente. In que-  15. sto mezzo genti che passavano [per la via] per lo camino (i)  trovaro il morto di novello, e Catone intorno lui, sì pen-  saro certamente che Catone avesse fatto il malificio, e  perciò fue esso accusato di quella morte; ond'elli in sua  defensione levava da ssè quel fatto dicendo che fatto nol-  20. l'avea e che no'l dovea fare, perciò ch'era suo parente, e  dicea che noU'arebbe potuto fare, perciò eh' elli era ma-  lato di sua persona. Et così recava il fatto e la colpa  sopra Catellina, perciò che '1 dovea fare come di suo nemico  e poteal fare, eh' era sano e forte e di reo animo. 4. Et poi  25. che Tulio àe insegnato rimuovere lo peccato, sì insegnerà  in questa altra partita riferire il peccato.     Ttillio dice che è riferire il peccato.   58. Riferire il peccato è quando si dice che ssia fatto  per ragione, in perciò che alcuno avea tutto avanti fatto a liuì  30. ingiuria.     i : m 7 al chamai-lingo — 4-ò: M om. ch'egli... ma dice — m nel fare — 5 : Af ' che un  altro — 9: VI om. grande — 12 : m di suo corpo malato — 15: M^ gente — J/' m om. per  la via - 16: m il novello morto — 18 : M' tn fu elgli - 1!) : M' chelgli facto — 20-Sl :  m avea nel dovea fare — o?n. e dicea che — Jlf ' ohe noi potea fare ~ ohi. elli — 23: m  pero chelli dovea fare — 25: M-m om. si — M' insegna — 26: M' jxirte — M-m refre-  nare (sempre) — 29 : vi pero che — da\anti   (1) Le parole per la via sono con tutta probabilità una glossa o una variante  di per lo camino; infatti mancano in codici delle due famiglie.     81     Lo sponitore.   I. Dice Tullio che riferire il peccato è allora quando  l'accusato dice ch'elli àe fatto a ragione quello di che elli  é accusato, perciò e' a Uui fue prima fatta tale ingiuria che  5. dovea a rragione prendere tale vengianza, sì come apare  neir exemplo d' Orestes, che fue accusato della morte di sua  madre, et esso dicea che ll'avea morta a ragione, perciò che  primieramente avea ella fatta a llui ingiuria, cioè ch'avea  morto il padre d' Orestes; e di questo nasce cotale que-  10. stione se Orestes fece quel fatto a ragione o no. 2. Et poi che  Tullio àe insegnato riferire lo peccato, sì insegnerà ornai  che è comparazione.     Tullio dice che è comparazione-   59. Comparazione è quando alcuno altro fatto si contende cfie  15. fue diritto et utile, e dicesi che quello del quale è fatta la ripren-  sione fue commesso perchè quell'altro si potesse fare.     Lo sjjonitore.   I. In questo luogo dice Tullio che quella questione è ap-  pellata comparazione nella quale l'accusato dice ch'à fatto   20. quello eh' è a llui apposto, i^er cagione di poter fare un altro  fatto utile e diritto. Verbigrazia : Marco Tullio, stando nel  più alto officio di Roma, sentìo che coniurazione si facea  per lo male del comune, ma non potea sapere chi né come.  Alla fine diede dell'avere del comune in grande quantitade   25. ad una donna la qiiale avea nome Fulvia, et era amica per  amore di Quinto Curio, il quale era sapitore del tradimento ;  e per lei trovò e seppe dinanzi tutte le cose in tale ma-  niera eh' elli difese la cittade e '1 comune della molt'alta  tradigione. 2. Ma alla fine fue ripreso ch'elli avea troppo ma-     2 : M' allocta — 4 : M' facla prima — 5 : M' prenderne (ma L prendere) tale vendctla  — pare — 6: M' dela sua madre — 8: m prima — J/' facto, m aliai fatto - iO: m om.  El — 14: M-m quanto un altro — 16: M' per quell'altro - 18: JW in questa parte —  19: M-m che facto — 26: M^ ora parteDce — 28: M' dela mortalo     — 82 -   lamente dispeso l'avere di Roma. Et elli in defensione di  sé dicea che quelle spese avea fatte per fare un altro fatto  utile e diritto, cioè per scampare la terra di tanta di-  struzione, e quello scampamento non potea fare sanza  5. quella dispesa; e cosi mostra che '1 fatto del quale elli è  ripreso fue fatto per bene. 3. Et poi che Tullio àe detto delle  quattro parti della constituzione assùntiva, la quale è parte  della iudiciale sì come pare davanti nel trattato della con-  stituzione del genere, sì ridicerà elli brevemente sopra la  10. questione traslativa, della quale fue assai detto in adietro,  per dire alcuna cosa che là fue intralasciata.   Come Ermagoras fue trovatore della questione translativa.   60. Nella quarta questione, la quale noi appelliamo translativa,  certo la controversia d'essa questione è quando si tenciona a cui   15. convegna fare la questione, o con cui od in che modo, o davante  a cui, per quale ragione, o in che tempo ; e sanza fallo tuttora è  controversia o per mutare o per indebolire l'azione. Et credesi che  Ermagoras fue trovatore di questa constituzione; non che molti an-  tichi parlieri non l' usassero spessamente, ma perciò che Ili scrittori   20. dell'arte non pensaro che fosse delle capitane e non la misero in  conto delle constituzioni. Ma poi che da llui fue trovata, molti l'anno  biasimata, i quali noi pensamo e' anno fallito non pur in pru-  denzia;(i) che certo manifesta cosa è che sono impediti per invidia  e per maltrattamento.   25. Sponitore.   I. Questo testo di Tullio è assai aperto in sé medesimo,  e spezialmente perciò che della questione o constituzione  translativa è assai sufficientemente trattato indietro in     i : M' l'avere del comune — 3:3/' diiicto 7 utile - 4: M' non si pelea fare —  7: M< om. assiintiva - 8: M' iuridiciale — //: M-m che ella l'uo translassala — lS:M-m  emargonis — 13: M Uela quarta q. (e punto ilnpn translativa) — 15-1 (!: M' davanti cui  — M-m sanfa follia — 19: M' parladori — 23: M' cambiano - S4 : M' per mal.   (1) La traduzione non è esatta, poicliè il testo latino dice: quos non tamim-  prudentia falli indamus (res enim perspìcua est) quam invidia atque óbtrectatione  quadam inipediri. Si potrebbe proporre per congettura non per imprudenzia ; ma  non sembra contraddirvi il 8 -3 del commento parlando di '' alquanti che non  erano bene savi ,, ?   altra parte di questo libro, e là sono divisati molti exempli  per dimostrare come si tramuta 1' azione quando non  muove la questione quelli che dee, o centra cui dee, o in-  nanzi cui dee, o per la ragione che dee, o nel tempo che .  5. dee. Z.Sicchè al postutto in(i) questa translativa conviene che  sempre sia : o per tramutare l' azione in tutto, come ap-  pare indietro nell'exemplo di colui che risponde all'aver-  sario suo: « Io non ti risponderò di questo fatto né ora né  giamai »; e così in tutto tramuta l'azione dell'aversario etc.   10. O é per indebolire l'azione in parte ma non del tutto, si  come appare nell' exemplo di colui che risponde all' aver-  sario suo : « Io ti risponderò di questo fatto, ma non in  questo tempo» o «non davante a queste persone». 3. Et dice  Tullio che Ermagoras fue trovatore della translativa con-   15. stituzione, cioè che Ha mise nel conto delle quatro consti-  tuzioni sì come detto fue inn adietro. Et di ciò fue ripreso  da alquanti che non erano bene savi e che aveano invidia  e maltrattamento contra lui. Nota che invidia è dolore  dell'altrui bene, e maltrattamento è dicere male d'altrui.   20. Tullio dice che davanti diceva   exempli in ciascuna maniera di constituzioni (e. XII).   61. Già avemo disposte le constituzioni e le loro parti; ma li   axempli di ciascuna maniera parrà che noi possiamo meglio divisare   quando noi daremo copia di ciascuno de' loro argomenti; perciò   25. ch'allotta sarà più chiara la ragione d'argomentare, quando l'exemplo   si potrà a mano a mano aconciare al genere della causa.   Lo sponitore.   1. Vogliendo Tullio passare al processo del suo libro,  brievemente ripete ciò eh' à detto avanti, dicendo che dimo-     2: M-m si traclava — 3: M^ che dee conLra cui dee ~ 6: M come pare — 8: M'  non ti rispondo — iO: M-m Oo, M' Onde — M imparte — m non in tutto — H : M' pare —  13 : Mi dinanzi a ([. — 14: M translatore, m traslatotore — 15: M^ìa conto —17: 3f dal-  quanti — 18 : M-m male tractamento con altrui — 21: M-m construclioni — 22: M exposte  le e. 7 loro parti — 24: Mi di loro argomenti — 25: M' de l'argomentare — 26:m della cosa  — 29: M ke detto, m che detto — Jlf ' dinanzi   (1) L'essere attestato in da tutti i codici rende esitanti a toglierlo, come la  sintassi e il senso sembrano richiedere. Forse si può sottintendere dal periodo pre-  cedente la parola questione : " conviene che sia questione in questa transla-  tiva „ ecc.     - 84 -   strato à che sono le constituzioni e le loro parti, ma in altra  parte porrà certi exempli in ciascuno genere delle cause,  cioè nel deliberativo e nel dimostrativo e nel iudiciale,  quando ti'atterà il libro di ciascuno in suo stato. E da cciò  si parte il conto e torna a trattare secondo che ssi con-  viene all' ordine del libro per insegnamento dell' arte.     Qual cai/sa sia simpla e quale congitmta.   62. Poi eh' è trovata la constituzìone della causa, ìmmantenente  ne piace di considerare se Ila causa è simpla o congiunta. Et s'ella  10. è congiunta, si conviene considerare se ella è congiunta di piusori  questioni o d'alcuna comparazione.     Lo sponitore.   1. Apresso al trattato nel quale Tullio àe insegnato tro-  vare le constituzioni e le sue parti, si vuole insegnare  1.5. qual causa sia simpla, cioè pur d'uno fatto e qiiale sia con-  giunta, cioè di due o di più fatti, e quale sia congiunta  d'alcuna comparazione, e di ciascuna dice exemplo in  questo modo :   Della causa simpla.   20. 63. Simpla è quella la quale contiene In sé una questione   assoluta in questo modo: « Stanzieremo noi battaglia contra coloro  di Corinto o non ? ».   Lo sponitore.   l. Dice Tullio che quella causa è simpla la quale è pur   25. d'uno fatto e che non è se non d'una questione solamente.   Verbigrazia : La città di Corinto non stava ubidiente a   Roma, onde i consoli di Roma misero a consiglio se paresse     2 : M-m om. parte — m delle cose — 4-5 : J/' Et di ciò si diparte l'autore, m 7 accio —  8: M mantenente, m inmantanento — 9: m simplice (sempre cos'i) M' sedella — li: M-m  compi^ratione — 13: M' il tractato — 15: M (|ualcosa, «i quale chosa — /*: M< l'exeni-  plo — 21: M' m (pielli — 25 : vi iliinn chosa — SO : M-m <m. stava — A/' ali Romani     - 85 —   loi-o di mandare oste a fai"e la battaglia centra loro, o  no. Et così vedi che causa simpla è pur d'una questione del  sì o del no.   Della causa congiunta.   5. 64. Congiunta di piusori questioni è quella nella quale sì   dimanda di piusori cose in questo modo: « È Cartagine da disfare  da renderla a' Cartagiartesi, o è da menare inn altra parte loro  abitamento ? » d).   Lo sponitore.   10. 1. Poi che Tullio à detto della causa simpla, sì dice della   congiunta, dicendo che quella causa è congiunta nella quale  àe due o tre o quattro o più questioni. Verbigrazia : I Romani vinsero a forza d'arme la città di Cartagine, et  erano alcuni che diceano che al postutto si disfacesse; altri   1.5. diceano che Ila cittade fosse renduta agli uomini della  terra, altri diceano che Ila cittade si dovesse mutare di quel  luogo et abitare in altra parte. E così vedi che questa causa  è congiunta di tre questioni che sono dette. Della causa congiunta di comparazione.  Dì comparazione è quella nella quale contendendo si que-   stiona qual sia il meglio o qual sia finissimo, in questo modo :  « È da mandare oste in Macedonia contra Filippo inn aiuto a' com-  pagni, è da tenere in Italia per avere grandissima copia di genti  contra Anibal ? ».   25. . Lo spoìdtore.   1. Poi che Tullio avea detto della causa la quale è con-  giunta di piusori questioni, sì dice di quella causa eh' è  congiunta di comparazione di due o di tre o di quattro o     i : M-m o fare — 2 : M^ om. Et — Jlf om. b — 5 : M' om. questioni — 6 : m di più  sore — 7 : M' da. rendere a Cartaginesi — 12 : m due tre o quattro questioni — J3: m  per forza — om. la cittade di — J4: M' elio a! postutto diceano cliella si disfacesse —  17: M-m om. che — 18: m essere coniunta di tre (luestioni dette — 21: 3/' o quale finis-  simo — 22: M' incontro a Filippo — 28: M-m di due, di tre — m om. o di quattro   (1) Certamente il traduttore ha frainteso il latino an eo colonia deducatur.   di più cose, nella quale si considera qual partito sia il mi-  gliore de' due o di tre o di più, e se tutti sono buoni e  l'uno migliore che 11' altro, per sape];e qual sia finissimo,  cioè il sovrano di tutti. 2. Verbigrazia : I Romani aveano  5. mandata oste in Macedonia contrà Filippo re di quello  paese, et in quello medesimo tempo attendeano alla guerra  d'Anibal, che venia contra loro ad oste. Onde alcuni savi  di Roma diceano che '1 migliore consiglio era mandare  gente in Macedonia, per attare l'altra loro oste la quale  10. era in questa contrada; altri diceano che maggior senno  era di ritenere la gente in Italia, per adunare grandissima  oste contra Anibal ; e così contendeano qual fosse il mi-  gliore o '1 finissimo partito : o tenere o mandare la gente.   Della contraversia inn iscritto et in ragionamento.   15. 66. Poi è da pensare se Ila controversia è in scritta o è in   ragionamento.   Lo sponitore.   1. Apresso ciò che Tulio à dimostrato qual causa è sim-  pla e quale è congiunta e quale di comf)arazione, sì vuole   20. fare intendere quale contraversia nasce et aviene di cose  e di parole scritte, e qual nasce pur di ragionamento, cioè  di dire parole e di cose che non sono scritte ; e cosi vuole  Tullio aj)ertamente insegnare per rettorica ciò e' altre  de' dire a ciascun ponto di tutte le cause che possano inter-   25, venire ; e perciò dicerà della scritta per sé e del ragiona-  mento per sé, e di ciascuno partitamente in questo modo :   Della contraversia che nasce di cose scritte.   67. Contraversia inn iscritta è quella che nasce d'alcuna qua-   litade di scrittura Ce. XIII). Et certo le maniere di questa che   30. sono partite delle constituzioni sono cinque : Che talvolta pare che Ile     i-2: m sia ihigloru ili lUie ecc. — il/' o Ire o iiifi — •/: iV/' ohi. cion il sovrano — 5: M'-L   (li i|iielli del paoso, S di c|iielli paesi 7: m om. ad oste — * : hi elio mogio — iO: m   J/i in ipiella contrada — il : M' om. di — m a rilenore gente — 12 : M contra nibal, i»  contro ad Anibal — 15: M-m e scripla, If' e in scriplo o in ragionamento — /*' : M-m  i|ual cosa — 19: m quale e — 22: M-m om. dire e che non sono scritte — 23: M' mo-  strare - 24: m possono — 25: M'E cosi — 29: M da. questa — 30:M' dale constilutioni     - 87 —   parole medesimo iU siano discordanti dalla sentenzia dello scrittore ;  e talvolta pare che due legi o più discordino intra sé stesse; e  talvolta pare che quello eh' è scritto signiffichi due cose o più ;  e talvolta pare che di quello ch'è scritto si truovi altro che non è  5. scritto ; e talvolta pare che ssi questioni in che sia la forza della  parola, quasi come in diffinitiva constituzione. Per la qual cosa noi  nominiamo la prima di queste maniere di scritto e di sentenzia; il  secondo appelliamo di legi contrarie, la terza apelliamo dubiosa,  la quarta appelliamo dì ragionevole, la quinta apelliamo diffinitiva.     10. Lo sponitore.   Poi che Tullio à dimostrato qual causa sia pur d' un  fatto o di più, immantenente vuole dimostrare qual con-  traversia è in scritta e quale in ragionamento; et in questo  dice primieramente di quella ch'è inn iscritto, cioè che   15. nasce d'alcuna scrittura. Et questo puote essere in cinque  modi. 1. Il primo modo è appellato di scritto e di sentenza,  pei'ciò che Ile parole che sono scritte non pare che suonino  come fue lo 'ntendimento di colui che Ile scrisse. Verbi-  grazia: Una lege era nella cittade di Lucca, nella quale   20. erano scritte queste parole: « Chiunque aprirà la porta  della cittade di notte, in tempo di guerra, sia punito nella  testa ». Avenne che uno cavaliere l'aperse per mettere  dentro cavalieri e genti che veniano inn aiuto a Lucca,  e perciò fue accusato che dovea perdere la testa secondo la legge scritta. L'accusato si difendea dicendo che Ila  sentenzia e lo 'ntendimento di colui che scrisse e fece la  legge fue che chi aprisse la porta per male fosse punito ;  e cosi pare che Ile parole scritte non siano accordanti alla  sentenzia dello scrittore, e di ciò nasce controversia intra   30. loro, se si debbia tenere la scritta o la sentenza. 2. La  seconda maniera è apiiellata di contrarie leggi, perciò che     1 : M' m medesime — m dalle sententie — 2: me téilora -- M' si discordino — 3: M'  significa — 4: M-m o talvolta — M' che nono che scripto — 6: M-m nm. in — A/' mdilTì-  nitiva ([uestione — 11: M-m qual cosa — 13: M-m e Sbripta - m e in ragionamento —  14 : m primamente — 18 : M om. fue — 20: M ai)iira, m apira — 21 : M-m om. in tempo  di guerra — M' si sia punito della testa — 23: M' si difende — 30: m se si dee — M'  lo scritto — 31 : M' om. maniera   (1) Cfr. p. 46, 1. 30: nai medesimo.     — 88 -   pare che due leggi o più discordino intra sé stesse. Ver-  bigrazia : Una legge era cotale, che chiunque uccidesse il  tiranno prendesse del senato cheunque merito volesse.  Et nota che tiranno è detto quelli che per forza di suo  5. corpo o d'avere o di gente sottomette altrui al suo podere.  Un'altra legge dice che morto il tiranno dovessero essere  uccisi cinque de' pili prossimani parenti. Or avenne che  una femina uccise il suo marito, il quale era tiranno, e  domandò al senato per guidardone e per nierito un suo   10. figlio: la prima legge concede che ssia dato, l'altra co-  manda che ssia morto. Et così sono due leggi contrarie, e  perciò nasce questione se alla femina debbia essere ren-  duto il suo figliuolo o se debbia essere morto. 3. La terza  maniera è apellata dubbiosa, perciò che pare che quel eh' è   15. scritto significhi due cose o più. Verbigrazia. Alexandro  fece testamento nel quale fece scrivere così: «Io comando  che colui eh' è mia reda dia a Cassandro cento vaselli d'oro  e quali esso vorrà». Api^esso la morte d'Alexandre venne  Cassandro e domandava cento vaselli al suo volere e che   20. a llui piacessero. Dice la reda : « Io ti debbo dare que'ch'io  vorrò ». Et cosi di quella parola scritta nel testamento, cioè  « i quali esso vorrà », si è dubbiosa a intendere del cui  volere Alexandro avea detto ; e di ciò nasce questione  intra loro. 4. La quarta maniera è appellata ragionevole,   25. perciò che di quello eh' è discritto si truova e se ne ritrae  altro che no è scritto. Verbigrazia : Marcello entrò nella  cliiesa di Santo Petro di Roma e ruppe il crocifixo, e tagliò  le imagini di là entro. Fue accusato, ma non si truova  neuna legge scritta sopra così fatto malificio, né conve-   30. nevole non era che nne scampasse sanza pena; e perciò il  suo adversario ritraeva d'altre leggi scritte quella pena  che ssi convenia a Marcello ragionevolemente. 5. La quinta  maniera é appellata diffinitiva, perciò che pare che ssi  questioni la forza d'una parola scritta, sicché conviene     i : M' si discordino - M stesso — m tralloro - 5 : M^ di genti - 6-7: m L essere  morti - Jl/' om. de' — 7 : M'-L una femina il suo marito.... uccise — 9 : m e merito —  10: M' che le sia dato, l'altra leggie — iS: m nasce controversia — Mm sella femina —  13: m se dee — 14-15: M' che lo scritto — i6: Jtf' cos'i scrivere — 1 7 : M-m om. coUii  eh' è — 18: M' i quali — 19: M' cento vaselli d'oro — 20: J/' la rede. [o ti voglio dare  - m om. dare - S3: M' 7 cosi - S5: M' che scripto - S6 : M-m Martello - S7 : M'  San Piero — 38 : M-m om. Fue accusato - /. trovava — 29-30 : m alcuna legge.... colalo  maliflcio, e convenevole non era che scampasse — 32 :M' che si conviene — Mm Martello     — 89 —   che quella parola sia diffinita e dicasi il proprio intendi-  mento di quella parola. Verbigrazia : Dice una legge :  « Se '1 signore della nave n'abandona per fortuna di tempo  et un altro va a governarla e scampa la nave, sia sua ».  5. Avenne che una nave di Pisa venia in Tunisi e presso al  porto sorvenne sì forte tempesta nel mare, che '1 signore  uscio della nave et entrò inn una picciola barca; un altro  ch'era malato rimase nella nave e tennesi tanto là entro  che '1 mare tornò in bonaccia, e la nave campò in terra.   10. E perciò dicea che Ila nave era sua secondo la legge, perciò  che '1 segnore l'avea abandonata et esso l'avea difesa. Il  segnore dicea che perch'elli entrasse nella picciola barca  non abandonava perciò la nave ; e cosi era questione intra  loro sopra questa parola dell'abandono della nave ; e per   15. sapere la forza d'essa parola conviene che ssi difinisca e  dicasi il proprio intendimento. 6. Già à detto Tullio di  quella contraversia la quale è in iscritta e delle sue cinque  parti. Omai dicerà di quella contraversia eh' è in ragio-  namento.   20. Della contraversia la quale nasce di ragionamento.   68. Ragionamento è quando tutta la questione è inn alcuno  argomento e non inn ìscrittura.   Lo sjaonitore.   I. Quella è contraversia in ragionamento nella quale  25. non si considera alcuna cosa che ssia per scrittura, ma  prendesi argomento e pruova per parole fuori di scritta  a dimostrare che dee essere sopra quella questione. Ver-  bigrazia : Dice Anibaldo che Italia è migliore paese che  Frància ; dice Lodoigo che no ; e di ciò era questione ti'a  30. lloro, e perciò conviene recare argomenti in ragionando  per mostrare che nne dee essere, e questo senza scritta  acciò che sopra questo no è legge né scrittura.     3: m om. della nave — M' labandona — S : M' de Pisani — M-m di Tunisi — 6 : M  sovenne, m venne, L sopravenne — M^ di mare — 7-8 : M' usci di fuori — un altro corse  a governare la nave — 9: m campo intera —11: m et egli — 12: m pichola nave —  13: 3f' non avoa abbandonata perciò 1. n., m non pero elli abandonava la grande — 14: M'  di questa parola, m sopra questo abandono — 15: M-m la forma — m ripete conviene —  16: m dicha — 22: m e none — 24 : M' Qurlla controversia 6 in rag. — 28: M' Anibal —  29 : m lodovico, M'-L loodico, S dice l'altro, dico che no — 31 : m 7 questo e senza scritta     — 90 -   Delle quattro parti della causa.   69. Adunque, poi che considerato è il genere della causa e  cognosciuta la constituzione et inteso quale è simpla e quale è con-  giunta, e veduto quale contraversia è di scritto e di ragionamento,  5. ornai fie da vedere quale è la quistione e quale è la ragione e  quale è il giudicamento e quale è il fermamento della causa ; le  quali cose tutte convengono muovere della constituzione.   In questa parte dice Cicerone che poi ch'elli à insa-  lo, gnato che è lo genere delle cause, cioè dimostrativo e dili-  berativo e giudiciale, et à fatto cognoscere che è la consti-  tuzione, cioè e qual sia congetturale e quale diffinitiva e  quale translativa e quale negoziale, et à fatto intendere  quale è simpla e quale congiunta, cioè qual contiene in  15. sé una questione o più, et à fatto vedere qual contraversia  è inn iscritto e quale in ragionamento, sì come tutti questi  insegnamenti paionsi adietro là dove lo sponitore l'à messo  inn iscritto e trattato di ciascuno sufficientemente, ornai  vuole Tullio procedere e dimostrare apertamente qual sia  20. la questione e la ragione e '1 giudicamento e '1 fermamento  della causa ; le quali cose tutte muovono e nascono della  constituzione, ciò viene a dire che la constituzione è il  cominciamento di queste cose.   Della qiiestione.   25. 70. Questione è quella contraversia la quale s'ingenera del   contastamento delle cause in questo modo : « Non facesti a ragione -  Io feci a ragione». Questo è contastamento delle cause nella quaied)     2: m om. 6—3: m om. cognosciuta — M intesto — Af' qual congiunta — 4: M-m  quale conti'aversia <ii scripto — m o di ragionamento — 5: A/' oggimai sarà — 5-6: M' ha  sulo il primn b — M-m il confermamento — 6-7: M-m 7 tucte i|UOSte cose le quali conv. -  9: M chelle, m chebbe asengnato, M' che elgli 10: M' diliberativo, ilimostrativo — i2: in  cioè qual sia — 13: M-m a facto cognoscere — 14: m quale simplice - 17: M' amaeslra-  menti — M paio sàdietro, Mi-L jiaiono in adiotro — 18: M 7 tracio — 22: M-m um. ciò  V. a d. e. la constituzione — 25 : M -L Di (|uistione — m si genera — 26-27 : M' de cause  — M-m om. a — M' il contrastamento ~ L nele quali, S nel quale   (1) Evidentemente dovrebbe dire nel quale; ma appunto per questo non saprei  spiegare come alterazione volontaria né come svista il nella quale (dato tanto da  M quanto da ikf'), e lo crederei piuttosto dovuto a una distratta traduzione del  latino Causarum haec est conflictio, in qua constitiUio constai.  è la constituzìone, e di questa nasce contraversia la quale noi ap-  pelliamo questione, in questo modo: se fatto l'à a ragione o no.   Lo sponitore.   1. Nel testo il quale è detto davanti insegna Tullio  5. cognoscere e sapere che è la questione; et in ciò dice che  questione è quella che ssi conviene considerare sopr' a cciò  di che le parti tencionano, e così s'ingenera del contasta-  mento delle parti, cioè di quello che 11' uno appone e l'altro  difende. Verbigrazia : Dice la parte che appone all'altra .   10. « Tu non ài fatta i-agione, che tu prendesti il mio cavallo »;  e la parte che ssi difende risponde e dice : « Si, feci ra-  gione ». Or è la causa ordinata, cioè che ciascuna parte à  detto, l'una accusando e l'altra difendendo, e questa è ap-  pellata constituzione. 2. Sopra questo si conviene sapere se   15. n'accusato à fatta ragione o no. Questo è quello che Tullio  appella questione. Dunque potemo intendere che quando  le parti anno detto e quando l'accusatore àe apposto in.  contra l'aversario suo e l'accusato àe risposto o negando  o confessando, sì è la causa cominciata et ordinata ; e però   20. infine a questo punto èe appellata constituzione, cioè viene  a dire che Ila causa è cominciata et ordinata ; da quinci  innanzi, se l'accusato niega e diféndesi, si conviene che ssi  connosca se Ila sua defensione è dritta o no, cioè quando  dice : « Io feci ragione » conviensi trovare s' elli à fatto   25. ragione o no, e questa è appellata questione. 3. Et perciò  che la scusa dell'accusato, a dire pur così semplicemente:  « Io feci ragione », non vale neente se non ne mostra ra-  gione per che e come, insegnerà Tullio immantenente che  ragione sia.   30. Di ragione.   71. Ragione è quella che contiene la causa, la quale se ne  fosse tolta non rimarrebbe alcuna cosa in contraversia. In questo  modo mo sterremo, per cagione d'insegnare, un leggieri e manifesto     4: M-m nel quale - 6: M' 6 quella — m sopra quello — 10: M' facto ragione —  i5: M dopo ragione ripete che tu prendesti il mio cavallo — 13: m luna luna — M' {(uesto —  15: M^ m facto — 15-16: M' Et questo.... comune questione — 17: M-m posto — 19: M  S l'accusa - SO: M' m ciò viene a dire — SS: M-m om. sì — S4: M' facta — S5: M'  e facta questione — S6: M-m om. Et - l'accusa — S7 : M' m se non mostra — S8 : M'  si insegnerà — 31 : m se non fosse — 3S : M' non vi rim. — 33: M-m d'insegnare leg-  gere manifesto exemplo   exemplo. Se Orestres fosse accusato di matricidio et elli non dicesse:  « Io il feci a ragione, perciò eli' ella avea morto il mio padre »,  non avrebbe difensione; e se non l'avesse non sarebbe contraversia.  Dunque la ragione dì questa causa è eh' ella uccise Agamenon.   5. Lo sponitore.   1. Si come appare nel testo di Tulio, ragione è quella  clie sostiene la causa in tal modo che, chi non assegna e  mostra la ragione della sua causa, certo non sarà contro-  versia, cioè non à difensione; e cosi la causa dell'aversario   IO. rimane ferma e non à contastamento. 2. Verbigrazia: Vero  fue che Ila madre d'Orestres uccise Agamenon suo marito  e padre d'Orestres ; per la qual cosa Orestres, per movi-  mento di dolore, fece matricidio, cioè che uccise la madre.  Fue accusato di matricidio, et elli confessa, ma dice che '1   15. fece a ragione; se non dice perchè e come, la sua difen-  sione non vale neente, e se la difensione non vale neente  non è contraversia né questione. 3. Ma se dice cosi : « Io  lo feci a ragione perciò ch'ella uccise il mio padre », sì  mantiene la sua causa e vale la sua difensa, mostrando la   20. ragione e la cagione perch'elli fece il matricidio. Et poi  che Tullio à dimostrato che è questione e che ragione, sì  dimosterrà che è giudicamento.   Del giudicamento.   72. Giudicamento è quella contraversia la quale nasce de lo 'nde-  25. bolire e del confirmare la ragione. Et in ciò sia quel medesimo  exemplo della ragione che noi aven detta poco davanti : « Ella avea  morto il mio padre ». Dice il savio: « Sanza te figliuolo convenia  eh' essa madre fosse uccisa ; perciò che 'I suo fatto si potea bene  punire sanza tuo perverso adoperamento ». (e. XIV) Di questo  30. mostramento della ragione nasce quella somma controversia la quale  noi appelliamo giudicamento, la quale è cotale: se fosse diritta cosa  che Orestres uccidesse la madre, perciò ch'ella avea morto il suo padre.     i : m di martecidio — 2 : M-m om. ella — 4 : M-ni chelluccise a ragione — 7-8 : M'  mostra 7 assegna ragione — 10: M' m 0111. Vero — 13: M' om. cioè.... di matricidio —  16: M-m om. e so la difensione non vale neente (A/' ef))unge neente) —19: m difesa —  20: m om. El — 22: M-m dimostra — 24: M' om. quella — M-m ohi. nasce — 25: M-m  in ciò a quel med. — 26: M' aveino dello — 27 : M' Dice l'avversario — 2S: M-m si  potrà — 29 : M' sanila il tuo p. — — 31 : M' se fu    Cicerone dice e insegna che è ragione; et perciò  che della ragione nasce il giudicamento, sì tratta egli  del giudicamento per dimostrare come e quando et in che  5. luogo sia. Verbigrazia : L'accusato assegna ragione perchè  fece quel fatto e conferma la sua difensa per quella ra-  gione. L'accusatore dice contra questa difensa et indebo-  lisce la ragione dell'accusato, linde di ciò che conferma  l'uno et inforza la sua difensione e l'altro la infievolisce   10. e falla debole, sì ne nasce una questione la quale è appel-  lata giudicamento, perciò che quando ella è provata si  puote giudicare. 2. Et in ciò sia quel medesimo exemplo  di sopra : Orestres assegna la ragione per la quale elli  uccise Clitemesta sua madre: perciò ch'ella avea morto   15. Agamenon ; e così conferma la sua defensione. Ma contra  lui dice l'aversario : « Tu non la dovei punire né non con-  venia ad te punirla di ciò, ma altre la dovea e potea pu-  nire sanza tua perversità, e sanza tua così crudele opera,  come del figliuolo uccidere sua madre ». Et così indebolia   20. la ragione d' Orestres e mettealo in vituperoso abominio,  e sopra questo, cioè sopra '1 confermamento e sopra lo 'nde-  bolimento della ragione, nasce questione la quale è appel-  lata giudicamento perciò che ssi puote giudicare. 3. Et omai  à detto Tullio che è questione e che è ragione e che è   25. giudicamento ; sì dicerà che è fermamento.   Del fermamento.   73. Fermamento è il firmissimo et appostissimo argomento  al giudicamento, come se Orestres volesse dire che ll'animo il quale  la madre avea contra il suo padre, quel medesimo avea contra lui  30. e contra le sue sorelle e contra il reame e contra l'alto pregio  della sua ingenerazione e della sua familia, sicché in tutte guise  doveano i suoi figliuoli prendere in lei la pena.     2: M-m om. è — 3-4: M-m che deliboragione nasce del iuilicamento por dimostrare  ecc. — 5: M' om. sia — M' assegno —7:3/' quella — 3/ difesa — 8-10: M' che rimo con-  ferma 7 inforfa la sua ragione.... fa debole — M-m isforca — m la indebolisce — IS : m a  quello med. — 13: M' assegna ragione — 16: M 7 non convenia, m e non si convenia —  17: m 7 convenia punirla — 18-19: M' om. tua e del — m la sua madre — 21-22: M<  sopra confermamento dela ragione — 23: m om. Et — 24: M i ohe ragione, m nm. —  27: M-m om. è — 30: M' \n serocchie.... l'altro pregio     - 94 -   Lo sponitore.   1, Poi che Tullio aè dimostrato che è questione e ra-  gione e giudicamento, sì dice in questa parte che è fer-  mamento. E certo lo 'nsegnamento suo è molto ordinata-   5. , mente : che primieramente è questione intra Ile parti  sopr'alcuna cosa la qual'è aposta ad uno e detto sopra lui  che non à fatto bene o ragione, et elli in sua difesa dice  ch'à fatto bene o ragione, e di questo nasce la questione,  cioè se esso à fatto ragione o no. Apresso dice l'accusato  10. la cagione per la quale elli avea ragione di fare ciò, e  questa è appellata ragione. Et quando l'accusato à detta  la ragione, il suo adversario dice contra quella ragione et  indebolisce quello dove l'accusato ferma la ragione, e  questa è appellata giudicamento.   15 Fermamento.W   2. Poi che Ila questione del giudicamento è nata, si  conviene che ll'accusato tragga innanzi i fermissimi argo-  menti bene apposti contra il giudicamento. Verbigrazia :  Orestres à detto che uccise la madre perciò ch'ella avea   20. morto il padre, e così assegna la ragione perch'elli l'uccise;  il suo adversario mettendolo in questione di giudicamento  dice c'a llui non si convenia ma ad altrui, e così indebo-  lisce la sua ragione. 3. Or conviene che Orestres dica ma-  nifesti argomenti, e dice così: « Tutto altressì coni' ella   25. uccise il suo marito mio padre, così avea ella conceputo  d'uccidere me e le mie sorelle, cui ella avea ingenerate  di suo corpo, e mettere il nostro regno a distruzione et  abassare l'altezza del nostro sangue, e mettere in periglio  la nostra famiglia ». Ed in questi argomenti accoglie fer-   30. missima defensione della sua ragione contra il giudicamento,  e dice: « Perciò ch'ella fece così disperato maleficio et     2: M-m ragione 7 ((iiestione (m nm. 7) — 3: M' s\ dicerà (mn S dico) — 5: M-m que-  stioni — 6: M' sopralcuna causa la qua'.e appella ad uno 7 detto contra lui — 8: Mhii om.  ch'à fatto bene ragione — 9: M' se elgli, m selli — M' a l'acto a ragione — H : M\ m*  detto — i3;Jf fermava — i4: m questo e apellato - 17:,AV nelaccusalo trarre —  18: M» appostati - i9: M' clielgli uccise.... chella uccise — SI: A/ niente dolo - S3: M'  om. sua — JW i fermissimi argomenti — 29: M 7 dinquesti, »i 7 in <juesti, 3/' 7 di questi   (1) La rubrica di M (clie di regola seguo) ha qui ludicamento, certo per effetto  della parola precedente.   avea pensato di fare cotanta crudelitade, sì fue al postutto  convenevole che Ili suoi propii figliuoli ne le dessero pena  e non altri >. Et questi sono fermissimi argomenti ne' quali  dice che '1 fatto della madre fue crudele, superbo e mali-  5. zioso. 4. Et nota che quel fatto è appellato superbo il quale  alcuno adopera centra' maggiori, sì come quella fece ucci-  dendo il re Agamenon. Et quello è crudele fatto il quale  alcuno adopera contra' suoi, sì come quella fece contra la  sua famiglia. Et quello è malizioso fatto il quale è molto   10. fuori d'uso, sì com'è contra naturale usanza ch'alcuna fe-  mina uccida il suo marito e figliuoli e distrugga un alto  reame. 5. Onde questi fermissimi argomenti e' quali l'ac-  cusato mette davanti per confermare le sue ragioni et  incontra lo 'ndebolimento che facea l'aversario, sì è ap-   15. pellato fei'mamento.   In quale constiti izione non à gindicamento.   74. Et certo neil'altre constituzioni si truovano giudicamenti a  questo medesimo modo ; ma nella congetturale constituzione, perciò  che in essa non s'asegna ragione (acciò che '1 fatto non si concede)  20. non puote giudicamento nascere per dimostranza di ragione; e però  conviene che questione sia quel medesimo che giudicamento: « fatto  è, nonn è fatto, sé fatto o no ». Che al vero dire, quante consti-  tuzioni lor parti sono nella causa, conviene che vi si truovino  altrettante questioni, ragioni, giudicamenti e fermamenti.   25. Lo sponitore.   1. In questa parte del testo dice Tullio che, sì come  per lui è stato detto davanti, così si possono trovare giu-  dicamenti inn ogne constituzione; salvo che nella consti-  tuzione congetturale, della quale è molto trattato inn  30. adietro, perciò che in essa l'accusato nonn asegna (i) neuna     1 : Af' avea pensala cotanta crudeltade — 2: M nelle, ÌU-L lene dessero — 3 : Mi lor-  lissimi argomenti — 5: m nel quale — 7 : M Tde agnzenò {sic), m i ro Agamenon — m ohi. è —  8: M' luomo adopera — 9: m om. è ambedue le volte — il : A/ un altro — IS-i^-.M' om.  et, 7» e contro allo — i7 : M' ì giudicamenti — 22: Mi se facto e. no ~ quante questioni —  26 : m om. che — 28 : vi nella questione   (1) Si potrebbe anche leggere non n' asegna; ma in M' è scritto qui e qual-  che riga più sotto non assegna, mentre la grafia col doppio n 6 frequente in M  (cfr. pag. seg., 1. 6, nonn abisogna).    ragione, anzi niega, al postutto non ne puote nascere giu-  dicamento. 2. Verbigrazia : Uno accusò Ulixes ch'elli avea  morto Aiaces. Dice Ulixes : « Non feci » et cosi nega quel  fatto che gli è apposto. Et perciò non conviene che sopra '1  5. suo negare assegni alcuna ragione. Et poi che nonn asegna  ragione, il suo adversario nonn abisogna d' indebolire la  ragione dell'accusato. Dunque nonde puote nascere giudi-  camento ; e perciò conviene che in queste constituzioni  congetturali la questione e lo giudicamento siano ad una  10. cosa: che là ove dice l'accusatore « Tu uccidesti » et Ulixes  dice « Non uccisi », la questione e '1 giudicamento fie sopi-a  questo, cioè se ll'uccise o no. 3, Poi dice Tullio che quante  constituzioni à una causa, altrettante v'à questioni e ra-  gioni e giudicamenti e fermamenti.     15. Dell'altre parti della causa.   75. Trovate nella causa tutte queste cose, son poi da consi-  derare ciascuna parte della causa ; eh' al ver dire non si dee pur  pensare prima ciò che ssi dee dicere in prima ; perciò che se le  parole che sono da dire in prima tu vuoli inforzatamente congiungere  20. et adunare colla causa, conviene che d'esse medesime traghe quelle  che sono da dire poi.     Sponitore.   1. Or dice Tullio : Dacché '1 parliere connosce la causa  et àe inteso ciò eh' elli n' àe insegnato per tutto il libro  25. insine a questo luogo, quando alcuna causa viene sopra la  quale convegna che dica, sì dee il buono parliere pensare  con molta diligenzia e considerare nella sua mente, anzi  che cominci a dire, tutte le parti della sua causa insieme  e non divise. Che s'elli pensasse in prima pur quella che     4: m chelli fu aposto - 6: M' non a bisogno, m non a ragione — 8: M-m om. e —  9: M-m la constituzione — i 1 : M' sie sopra q., m fla — i3: M-m otn. v'à — 17: M-m  e al ver dire — 18: M' in prima quello — M-m om. dicere — S che è da dire inprlma —  19: M-m om. in prima — M' tu le vuoigli — M isforcatamonte, m sforfatamenie congiun-  gnerle — 20: M' i raunaro — M-m elio esse medesime — S4: M'-L tutto il titolo, i' tutto  il telo (tic) — S8: i/' causa sua — S9: M' pur quello che sia da dire (Z. aggiunge in  prima)     - 97 -     10.     prima sia da dire e non pensasse ch'elli dovesse dire poi,  senza fallo il suo cominciamento si discorderebbe dal mezzo  et il mezzo dalla fine. 2. Ma chi accorda bene le sue parole  colla natura della causa et in innanzi pensa che ssi con-  venga dire davanti e che poi, certo la comincianza fie tale  che nne nascerà ordinatamente il mezzo e la fine. Tutto  altressì fae il buono drappiere, che non pensa prima pur  della lana, ma considera tutto il drappo insieme anzi che  Ilo cominci, e de' aver (D la lana e '1 coloi*e e la grandezza  del drappo, e provedesi di tutte cose che sono mistieri, e  poi comincia e fae il drappo.(2)     Di sei parti della diceria.   76. Per la qual cosa, quando il giudicamento e quelli argo-  menti che bisognano di trovare al giudicamento saranno diligente-  15. mente trovati secondo l'arte e trattati con cura e con cogitatione,  ancora sono da ordinare l'altre parti della diceria, le quali pare a  nnoi ai tutto che siano sei : Exordio, narrazione, partigione, confer-  mamento, riprensione e conclusione.   Sjtoììitore.   20 _ I. Poi che Tullio sufficientemente à dimostrato la chia-  rezza delle cause et àe comandato che '1 buono parliere  innanzi pensi tutte le parti della causa per accordare il  mezzo e la fine colla comincianza del suo dire, si che sia  l'una parola nata dell'altra, sì dice esso medesimo che poi   25. che tutto questo eh' è fatto,(3) e trovato il giudicamento della     1 : M' che sia da dire poi —4: M' m om. in — 5 : M' la incomincianca, m il comin-  ciamento — 6: M' che nostera (corr. moslera), L mosterra, S mostra — 7: if ' in prima —  9-10: M' anzi che cominci.... accio mestieri — m sono mestiere — 11: M^ i\ suo drappo  ordinatamente, L affare il s. d. ordinatamente — 14 : M^ che si bisognano -17: M' che  sono sei.... petitione invece di partigione — 20 : M^ a sofficientemente dem. — S3: M' el  Dne con la incomincianpa — M-m om. sì — 24: M om. nata — 25: M^-L questo e facto   (1) Tutti i codici hanno 7 daver 7 davere, che può esser nato facilmente  dall'aver preso il de' per la preposizione di. Tanto il senso quanto la sintassi sa-  rebbero poco chiari leggendo e d'aver.   (2) Preferisco la lezione di M perchè non è probabile che la parola ordinata-  mente, che si trovava in evidenza in fine al discorso, sia sfuggita al copista. Forse  l'aggiunta If' (L) fu determinata AaW ordinatamente di poche righe prima.   (3) Cioè " dopo che tutto questo è fatto „ . Per il che pleonastico cfr. p. 20,  n. 2, p. 21, n. 1 e qui dopo p. 99, 1. 18. Le lezioni di M^ e di L si spiegano con  quelle di M-m, ma non viceversa.      - 98 —   causa e ciò che vi bisogna secondo i comandamenti di ret-  torica (i quali si convengono trattare con molto studio e  con grande deliberazione) ; anco sopra tutto questo si con-  vengojio pensare l'altre parti della diceria, delle quali non  5. è detto neente, e sono sei ; e di ciascuna per sé tratterà  il libro interamente.   Lo sponitore chiarisce tutto ciò eh' è detto inn adietro.   2. Et sopra questo punto, anzi che '1 conto vada più  innanzi, piace allo sponitore di pregare il suo porto, per   10. cui amere è composto il presente libro non sanza grande  afanno di spirito, che '1 suo intendimento sia chiaro e lo  'ngegno aprenditore, e la memoria ritenente a intendere  le parole che son dette inn adietro e quelle che seguitano  per innanzi, sì che sia, come desidera, dittatore perfetto e   15. nobile parladore, della quale scienzia questo libro è lu-  miera e fontana. 3. Et avegna che '1 libro tratti pur sopra  controversie et insegni parlare sopra le cose che sono in  tendone, et insegna cognoscere le cause e Ile questioni, e  per mettere exempli dice sovente dell'accusato e dell' ac-   20. cusatore, penserebbe per aventura un grosso intenditore  che Tullio parlasse delle piatora che sono in corte, e non  d'altro. 4. Ma ben conosce lo sponitore che '1 suo amico  è guernito di tanto conoscimento ch'elli intende e vede la  propria intenzione del libro, e che Ile piatora s'aparten-   25. gono a trattare ai segnori legisti ; e che rettorica insegna  dire appostatamente sopra la causa proposta, la qual causa  no è pur di piatora né pur tra accusato et accusatore, ma  é sopra l'altre vicende, sì coinè di sapere dire inn amba-  sciarie et in consigli de' signori e delle comunanze et in   30. sapere componere una lettera bene dittata. 5. Et se Tullio  dice che nelle dicerie intra le parti sono le constituzioni e  questioni e ragioni e giudicamento e fermamento, ben si dee  pensare un buono intenditore che tuttodie ragionano le     1: M' Olii, vi — S: vi làlluro — 3: M liberalione - M ancora, m aiicir — 4 : m le  IKirli — 5: M-m oiii. per sé — 8-9: Mi cliel maestro.... più avanti — iO: m questo libro —  i3: m mii. clie son — M' seguiranno — i4: in per lo innanzi — i8: vi insegni — o»n. o  dinanzi a per — i9:m exenpro — 20: M-vi 7 penserebbe — .?;: if' trattasse — S2:m  ha bene — 24-2.^: Af si pertegnono - m 7 a singnorì — M-m le giustitio — 26- M' ap-  postamento — M' in sapere — 29: M 7 nele comunanze, (L e dello), mi delle co-  munanze — 31 : m trailo parti - 32: M-m im. e ragioni, e l'ermamento — m ohi. si     — 99 -   genti insieme di diverse materie, nelle quali adiviene so-  vente che ir uno ne dice il suo parere e dicelo in un suo  modo e l'altro dice il contrario, sì che sono in tencione ;  e r uno appone e l'altro difende, e perciò quelli che appone  5. contra l'alti-o è appellato accusatore e quelli che difende  èe appellato accusato, e quello sopra che contendono è ap-  pellata causa. 6. Onde se 11' uno appone e l'altro niega, al  postutto di questo non puote nascere questione se non di  sapere se quella cosa che niega elli l'à fatta o detta o no.   10. Ma quando l'uno appone e l'altro difende, sì è la causa  incominciata et ordinata tra lloro. Et questo è la consti-  tuzione della quale nasce la questione, cioè se Ila sua difesa  è a ragione o no; e poi ciascuno contende come pare a llui  per confermare le sue parole e per indebolire quelle del-   15. l'altro, sì come appare per adietro nel trattato della que-  stione e della ragione e del giudicamento e del fermamento.  7 Onde non sia credenza d'alcuno che, sì come dicono li  exempli messi inn adietro, che Orestes fosse accusato in  corte della morte di sua madre ; ma le genti ne conten-   20. deano intra loro, che 11' uno dicea che non avea fatto né  bene né ragione, e questo è appellato accusatore, un altro  dicea in defensione d'Orestes ch'elli avea fatto bene e ra-  gione, e questo è appellato nel libro accusato.     De consiglieri.   25. 8. Così aviene intra' consiglieiù de' signori e delle co-   munanze, che poi che sono aserablati per consigliare sopra  alcuna vicenda, cioè sopra alcuna causa la quale è messa  e proposta davanti loro, all'uno pare una cosa et all'altro  pare un'altra; e cosi è già fatta la constituzione della causa,   30. cioè eh' è cominciata la tencione tra lloro, e di ciò nasce  questione s' elli à ben consigliato o no. Et questo è quello  che Tullio appella questione. 9. Et perciò l' uno, poi ch'elli  àe detto e consigliato quello che llui ne pare, immante-     2 : M ndicc — M' di.cela — m in suo modo ~ 3 : M' in contentione ~ 4: M n lalti-o  appone, m laltio appone — M-m quel — 6: M quello che, m quello di che — 7-9: m om.  al postutto.... che nioga — M che quella cosa — M' selgli la facta — il : m cominciata —  M' intra loro 7 questa — 13: M-m è ragione - 16: M om. il 1" e 3° e, hì il 1" e S° -  20 : m tralloro — dicea chelli — 21 : m o ragione — 22: m ave fatto — 25: M' adiviene - mi  tra cons. — 27: M-m. e in essa — 28: m davanti a loro — M-m om. cosa et — 30: M'  lantentione — 31 : M-m selli alta consigliato — 33 ■■ m che allui   nente assegna la ragione per la quale il suo consiglio èe  buono e diritto. Et questo è quello che Tullio appella  ragione. 10. Et poi ch'elli àe assegnata la cagione e la ra-  gione per che, si sforza di mostrare perchè s'alcuno consigliasse o facesse il contrario come sarebbe male e non  diritto ; e così infievolisce la partita che è contra il suo  consiglio; e questo è quello che CICERONE lappella GIUDICAMENTO. Et poi ch'elli àe indebolita la contraria parte,  sì raccoglie tutti i fermissimi argomenti e le forti ragioni   10. che puote trovare per più indebolire l'altra parte e per  confermare la sua ragione ; e questo è quello che Tullio  appella fermamente. 12. Et certo queste quattro parti, cioè  questione, ragione, giudicamento e fermamento, possono  essere tutte nella diceria dell'uno de' parlatori, sì come appare in ciò eh' è detto di sopra. Et puote bene essere  la sua diceria pur dell'una, cioè pur infine alla questione,  dicendo il suo parere e non assegnando sopra ciò altra  ragione. Et puote bene essere pur di due, cioè dicendo il  suo parere et assegnando ragione per che. Et puote bene   20. essere pur di tre, cioè dicendo il suo parere et assegnando  ragione per che et indebolendo la contraria parte. Et puote  essere di tutte e quattro sì come fue dimostrato di sopra.  13. Quest' è la diceria del primo parliere. E poi ch'elli à  consigliato e posto fine al suo dire, immantenente si leva   25. un altro consigliere e dice tutto il contrario che àe detto  colui davanti ; e così è fatta la constituzione, cioè la causa  ordinata, e cominciata la tenciouB ; e sopra i loro detti,  che sono varii e diversi, nasce questione, se colui avea bene  consigliato o no. Poi dimostra la ragione perchè il suo   30. consiglio è migliore. Apresso indebolisce il detto e '1 con-  siglio di colui ch'avea detto dinanzi da llui ; e poi ricon-  ferma il consiglio suo per tutti i più fermi argomenti che  può trovare. Adunque le predette quattro cose o parti  possono essere nel detto del primo parliere e nel detto   35. del secondo e di ciascuno parlamentare. 14. Cosie usata-     3-4: M' la ragione 7 la cagione.... clie s'olciin — 6: M' a diriclo — m la parie — 8:m om  Et - i5: M-m cagione, ragione ecc. — i4: 3f' d'uno — y5:3f'pare— i 6 : 3f-m om. cioè  pur — 17: m pero — M' altre ragioni — 18-19: M-m ohi. pur ~ M-m in suo parere as-  sengnanJo perche — SO: M' il suo pare — 21 : M^ la contraria partita - SS: m di tulli  e q. — 25-26: Jlf' tutto il contrario di colui ca detto davanti — 27 : M' lunlcntione — m  la tencionc sopra — S8: M' om. sono -- M 7 se colui — 31-32: in rilennu — 3/' il suo  consiglio — 33: M' ([uattro jiarti — 33: M' ciascuno che vuole parlamentare     - 101     D.     10,     mente adviene che due persone si tramettono lettere l' uno  all'altro o in latino o in proxa o in rima o in volgare o  inn altro, nelle quali contendono d'alcuna cosa, e così  fanno tencione. Altressi uno amante chiamando merzè alla  sua donna dice parole e ragioni molte, et ella si difende  in suo dire et inforza le sue ragioni et indebolisce quelle  del pregatore. In questi et in molti altri exempli si puote  assai bene intendere che Ha rettorica di Tullio non è pure  ad insegnare piategiare alle corti di ragione, avegna che  neuno possa buono advocato essere né perfetto (2) se non  favella secondo l'arte di rettorica.   15. Et ben è vero ohe Ilo 'nsegnamento ch'è scritto inn  adietro pare che ssia molto intorno quelle vicende che  sono in tencione et in contraversia tra alcune persone, le  15. quali contendano insieme 1' uno incontra l'altro; e potrebbe  alcuno dicere che molte fiate uno manda lettera ad altro  nela quale non pare che tendoni centra lui (altressi come  uno ama per amore e fa canzoni e versi della sua donna,  nella quale non à tencione alcuna intra llui e la donna),  é di ciò riprenderebbe il libro e biasmerebbe Tullio e lo  sponitore medesimo di ciò che non dessero insegnamento  sopra ciò, maximamente a dittare lettere, le quali si co-  stumano e bisognano più sovente et a più genti, che non  fanno l'aringhiere e parlare intra genti. 16. Ma chi volesse  bene considerare la propietà d'una lettera o d'una can-  zone, ben potrebbe apertamente vedere che colui che Ila  fa o che Ila manda intende ad alcuna cosa che vuole che     20.     25.     1: m adiviene - 3: M^ om. o inn altro ~ 6: m slorza — 7 : m i molti — 9: m in  insegnare - M' piatire — 10: M-m neuno buono advocato possa essere perfetto— 11: M  della rectorica — 13 : «i intorno a (pielle — 15 : m chontendono — M' conlra.... 7 parebbo —  16: Mi molte volte manda Inno lectere alaltro, m molto volte uno manda lettere a un altro  (ma ambedue nela (piale) — 17 : M che contenda tencioni — 18: 1/' per amore, fa  e, L uno che ama per amore fa e. — 19: m tra lui — 23: M-m om. et — 24: m  traile genti     (1) Le parole inn altro, che sembrano inutili, non possono essere un'ag-  giunta di copisti, ai quali invece doveva venir fatto di ometterle, come in M* e  in i.Dando a volgare il senso limitato di "volgare italico,,, si intenderà l'altro  per gli altri linguaggi, specialmente il provenzale e il francese.   (2) Brunetto vuol dire che la Rettorica di Cicerone non serve solo ai legisti,  " quantunque nessuno possa divenire valente avvocato, e tanto meno perfetto,  senza averla studiata „. Questa è l'idea espressa dalla lezione di ilf • ; con quella  di M-m, più semplice a prima vista, non si spiega la relazione fra '' buono „ e  " perfetto „ .     - 102 —   sia fatta per colui a cui e' la manda. Et questo i)uote  essere o pregando o domandando o comandando o minac-  ciando o confortando o consigliando ; e in ciascuno di  questi modi puote quelli a cui vae la lettera o la canzone  5. o negare o difendersi per alcuna scusa. Ma quelli che  manda la sua lettera guernisce di parole ornate e piene  di sentenzia e di fermi argomenti, sì come crede poter  muovere l'animo di colui a non negare, e, s'elli avesse  alcuna scusa, come la possa indebolire o instornare in   10. tutto. Dunque è una tendone tacita intra loro, e così sono  quasi tutte le lettere e canzoni d'amore in modo di ten-  done o tacita o espressa ; e se cosi no è, Tullio dice ma-  nifestamente, intorno '1 principio di questo libro, che non  sarebbe di rettorica. Ma tuttavolta, o tencione o no   15. tencione che sia, Tullio medesimo, luogo innanzi, isforza  i suoi insegnamenti in parlare et in dittare secondo la  rettorica ; e là dove Tullio sine pasasse o paresse che dica  pur insegnamenti sopra dire tencionando, lo sponitore  isforzerà lo suo poco ingegno in dire tanto e sì intende-   20. volemente che '1 suo amico potrà bene intendere l' una  materia e l'altra. 18. Et ecco Tullio che incomincia a dire  di quelle partite della diceria o d'una lettera dittata, delle  quali non avea detto neente in adietro: e queste parti sono  sei, sì come apare in questo arbore.      I e. 2        /        ^'Olii'     /^M/     25. Queste sono le sei parti che Tullio mostra certamente   che sono nella diceria o nella pistola, specialmente in     i: m per cholui che la manda — 2: M' essere pregando — 3: M-m o in — 6: Jf'  manda guernisce la sua lederà d'ornati^ parole — il : M tucto lelcrre, m tutte lettere o  clianzoni, M' o lo cannoni - iS: M-m o e tacita (mi o e sjirexa) - 13: m inloruo al pr. -  14-15: M' o di tenciono o di non tencione — da quello luogo innanci inforfa — 16: M'  IH secondo rothorica ~ 18: M^ insegnauiento - 19: M' islbiva - intendevole - 21: M'  m comincia — 22 : M' ohi. o duna lettera dittala - 23: M indietro - 24: il' pare in  ipiesto albero - Nello gchetna M' ha l" l>roomio, 3» Divisione, ó" Uisjwnsionc - SO: M-m 7  nella pistola (ma c/r. l. 22)    quelle che sono tencionando, sì come appare nel detto  dello sponitore qui adietro ; e, sì come detto fue in altra  parte di questo libro, Tullio reca tutta la rettorica alle  cause le quali sono in contraversia et in tencione. Et ben  . dice tutto a certo che Ile parole che non si dicono per  tencione d'una parte incontra un'altra non sono per forma  né per arte di rettorica. 19. Ma perciò che Ila pistola, cioè  la lettera dettata, spessamente non è per modo di tencio-  nare né di contendere, anzi è uno presente che uno manda   10. ad un altro, nel quale la mente favella et é udito colui  che tace e di lontana terra dimanda et acquista la grazia,  la grazia ne 'nforza e l'amore ne fiorisce, e molte cose  mette inn iscritta le quali si temerebbe e non saprebbe  dire a lingua in presenzia; sì dirae lo sponitore un poco   15. dell'oppinione de' savi e della sua medesima in quella parte  di rettorica ch'apartene a dittare, si come promise al co-  minciamento di questo libro. 20. Et dice che dittare é un  dritto et ornato trattamento di ciascuna cosa, convene vo-  lemente aconcio a quella cosa. Questa è la diffinizione del   20. dittare, e perciò conviene intendere ciascuna parola d'essa  diffinizione. Unde nota che dice « dritto trattamento »  perciò che Ile parole che ssi mettono inn una lettera dit-  tata debbono essere messe a dritto, sicché s'accordi il nome  col verbo, e '1 MASCUNINO [sic] e '1 feminino, e lo singulare e '1   25. plurale, e la prima persona e la seconda e la terza, e l'altre  cose che ssi 'nsegnano in gramatica, delle quali lo sponitore  dirà un poco in quella parte del libro che fie i)iù avenente;  e questo dritto trattamento si richiede in tutte le parti  di rettorica dicendo e dittando. 21. Et dice « ornato trat-   30. tamento » perciò che tutta la pistola dee essere guernita  di parole avenanti e piacevoli e piene di buone sentenze;  et anche questo ornato si richiede in tutte le i)arti di ret-  torica, sì come fue detto inn adietro sopra '1 testo di Tullio.  22. Et dice « trattamento di ciascuna cosa » perciò che,   35. si come dice Boezio, ogne cosa proposta a dire puote     1:M' pare — 4:M oin. sono — m le quali e In contr. e tencione. Et dico — 5-6: M' non  sodono — m om. per te.ncione — a un altro — 8 : M'de tencione — iO : M' 7 ae udito —il: M'  om. la grazia — 12-13: M la gra — M' sinlorca — m/ molte cose — M' m in iscriptura  — Mi non, ma L e non — 14: m lo sponitore dira uno pocho — 16: M' om. di relto-  rica — 19: M-m aconcia a quella cosa, !/'-/> a quella cosa aconcia — 23: M-m adietro,  M' a diricto — 24-25: M' m el mascolino (m il maschulino)col leminino — 3/' el plurale  el singulare — M-m pulare — 27 : m fia — 32 : M' in tutte parti — 33 : M-m nel lesto —  34 : m om. Et — 35 : m si puote    essere materia del dittatore ; et in questo si divisa dalla  sentenzia di Tullio, che dice che Ila materia del parliere  non è se non in tre cose, ciò sono dimostrativo, deliberativo  e iudiciale. Et dice « convenevolemente aconcio a quella  5. cosa » perciò che conviene al dittatore asettare le parole  sue alla sua materia. Et ben potrebbe il dittatore dicere  parole diritte et ornate, ma non varrebbero neente s'elle  non fossero aconcie alla materia. 23. Così è divisato il dit-  tatore da cciò che dice Tullio; e perciò di queste due   10. materie, cioè del dire e del dittare, e dello 'nsegnamento  dell'uno e dell'altro potrà l'amico dello sponitore prendere  la dritta via. Et per questo divisamento conviene che Ile  parti della pistola si divisino da queste della diceria che  Tullio à detto che sono sei, ciò sono : exordio, narra-   15. zione, partizione, conferm amento, riprensione e conclusione.  24. 1. E oppinione di Tullio che exordio sia la prima parte  della diceria, il quale apparecchia l'animo dell' uditore a  l'altre parole che rimagnono a dire, e questo è appellato  prologo della gente. //. Et dice che narrazione è quella   20. parte della diceria nella quale si dicono le cose che sono  essute o che non sono essute, come se essute fossoro ; e  questo è quando uomo dice il fatto sopra '1 quale esso  ferma la forma della sua diceria. ///. Et dice che è parti-  gione quando il parliere à narrato e contato il fatto et   25. e' si viene partiendo la sua, ragione e quella dell'aversario  e dice : « Questo fue cosi, e quest'altro così » ; et in questo  modo acoglie quelle partite che sono a lini più utili e pivi  contrarie all'aversario, et afficcale all'animo dell' uditore ;  et allora pare ch'ai tutto abbia detto tutto '1 fatto. IV. Et   30. dice che confermamento è quella parte della diceria nella  quale il parlieri reca argomenti et assegna ragioni per le  quali agiugne fede et altoritade alla sua causa. F. Et dice  che riprensione (1) è quella parte della diceria nella quale il     5: Mi agoisare — 6: m om. Et — 7 : M' non varrebbe — 8: M' j cosi e divisato da  ciò — 10: Jf maniere — i3: M^ da quelle — i6: M' Et oppinione di Tulio e, m Op-  pinione di Tulio e — M exordìa — 18: M rimagnono udite, m om. a dire — 21 : M is-  sate — 22: M 1 quando — M^ m l'uomo — om. esso 23 ■■ M' forma la sua diceria —  25 : M' edesso viene partendo, m e viene ripetendo.... del chonpagno — 28 -. M7 nfììcale (?),  m e ficliale, M' 7 afficcalle — 29: M' paro cabbia detto — m detto il fatto - 30 : M' con-  fermagione — 33: i mss. responsione — M-m 7 quella   (1) Non esito a scostarmi dai codici per la concorde lezione degli altri luoghi,  che corrisponde al latino reprehensio. Il passaggio da reprensione a responsione è  facilissimo attraverso un repensione.     I)arliere reca cagioni e ragioni et argomenti per li quali  attuta e menoma et indebolisce il confermamento dell'aver-  sario. VI. Et dice che conclusione è Ila fine e '1 termine  di tutta la diceria. 25. Queste sono le sei parti che dice  5. Tullio che sono e debbono essere nella diceria; e di cia-  scuna tratterà qua innanzi il libro sofficientemente. Ma in  questo eh' è detto puote uomo bene intendere che queste  sei medesime possono convenire inn una pistola, di tal ma-  teria puote ella essere. Ma tuttavolta, di qualunque materia   10. sia, nelle tre di queste sei parti s'accorda bene la pistola  colla diceria, cioè nello exordio, narrazione e nella con-  clusione; ma ll'altre tre, cioè partigione, confermamento  e reprensione, possono più lievemente rimanere e non  avere luogo nella pistola. Tutto altressì la pistola àe cinque   15. parti, delle quali l'una può bene rimanere e non avere  luogo nella diceria, cioè «salutatio»; l'autra, cioè «petitio»,  avegnachè Tulio no Ila nominasse in tra Ile parti della  diceria, sì vi puote e dee avere luogo in tal maniera ch'ap-  pena pare che diceria possa essere sanza petizione. Dunque   20. le parti della pistola sono cinque, ciò sono salutazione,  exordio, narrazione, petizione e conclusione, sì come ap-  pare in questo arbore :      26. Et se alcuno domandasse per qual cagione Tullio in-  tralasciò la salutazione e non ne trattò nel suo libro, certo  25. lo sponitore ne renderà bene ragione in questo modo. Certa  cosa è che Tullio nel suo libro tratta delle dicerie che ssi     l-S: m ragioni 7 cagioni — Jlf' l'aiingatore — wn. cagioni e — per li ifiiali allassa -  M-m il fermamente — 3 : 3/' il line — 4-5 : m Questo.... che Tulio dico che debbono essere —  6 : M' m illibro qua innanzi — 7 : jn luomo -- Af ' om. bone — m che tutte 7 queste  sei — 8-9 : M tal maniera — M-m da qualunque, M^ de ([ualunque — li : 3f' in exordio —  M' m 7 conclusione —12: M' om. tre e soitiiuisce di\hione rt partigione — 14: — M salta  dal lo al 2" aver luogo — 22: M' pare 'in questo albero — 24: ilf intrallassò, m lasciò —  25: Af' ne renda, L ne rende - 26: M^ cliellibro di Tulio tracia     — 106 -   fanno in presenzia, nelle quali non bisogna di contare'!) il  nome del parlieri né dell' uditore. Ma nella pistola bisogna  di mettere le nomora del mandante e del ricevente, c'altri-  mente non si puote sapere a certo né l'uno né l'altro.  5. Apresso ciò, la salutazione pare che sia dell'exordio ; che  sanza fallo chi saluta altrui 'per lettera già pare che co-  minci suo exordio. Et Tullio trattòe dello exordio com-  piutamente, non curò di divisare della salutazione né di-  stendere il suo conto intorno le saluti, maximamente perciò   10. che pare che rechi tutta la rettorica a parlare et in con-  troversia tencionando. 27. Et in perciò furo alcuni che  diceano che Ila salutazione non era parte della pistolaj  ma era un titolo fuor del fatto. Et io dico che la salu-  tazione è porta della pistola, la quale ordinatamente chia-   15. risce le nomora e' meriti delle persone e l'affezione del  mandante. Et nota che dice « porta », cioè entrata della  pistola, e che chiarisce le nomora, cioè del mandante e  del ricevente; e dice «i meriti delle persone», cioè il grado  e l'ordine suo, sì come a dire: « Innocenzio papa», « Fe-   20. derigo Imperadore », « Acchilles cavaliere », « Oddofredi  Judice », e cosi dell'altre gradora. Et dice « ordinata-  mente », cioè che mette il nome e '1 grado di ciascuno  come s'a viene; e dice «l'affezione del mandante», cioè com'elli  manda al ricevente salute o altra parola di bene, o per   25. aventura di male, secondo la sua affezione, cioè secondo  la sua volontade. 28. Adunque pare manifestamente che  Ila salutazione è così parte della pistola come l' occhio del-  l' uomo. Et se l'occhio è nobile membro del corpo dell'uomo,  dunque la salutazione é nobile parte della pistola, c'altressi   30. allumina tutta la lettera come l'occhio allumina l'uomo.  Et al ver dire, la pistola nella quale non à salutazione è  altrettale come la casa che non à porta né entrata e come '1     1 : M-m bisogna contare — S-3 : M' nome del dicitore — M-m bisogna mettere -  M 7 dell' uditore 7 del ricevente, m om. 7 del ricevente — M-m 7 altrimente — 4: M' non  si porrebbe — 7-9: M-m om. dello exordio — non curo divisare salutalione 7 distemdere -  ìli intorno alle salutationi — 10: M' om. et — 11-12: M' Et jìerciò funro — ciie saluta-  lione — 15: m e mèli — 16: m om. Et -17: M-m om. 1° e, hi 01». cioè — S3 : M' om. di —  24 : M' 7 altra — 2,5 : M eirectione — m om. secondo la sua afTezione cioè — 26: M' parte  (ma t espunto) — 28 : M 3/' om. dell'uomo, m om. del corpo (A completo) — 29: iW' e la  salutatione n. p. — m e altres'i — 32 : il/' ne jiorta   (1) La lezione bisogna contare darebbe piuttosto il senso di « conviene dire »,  mentre qui si richiede un «c'è bisogno di dire».     - Itì7 -   corpo vivo che non à occhi. Et perciò falla chi dice che  salutazione è un titolo fuor del fatto; anzi si scrive e s' in-  chiude W e sugella dentro ; ma '1 titolo della pistola è la  soprascritta di fuori, la quale dice a cui sia data la lettera.  5. 29. Ben dico c'alcuna volta il mandante non scrive la salu-  tazione, o per celare le persone se Ila lettera pervenisse  ad altrui o per alcun' altra cosa o cagione. (2) Né non  dico che tutta fiata convenga salutare, ma o per desiderio  d'amore, o per solazzo, talora (3) si mandano altre parole che   10. portano più incarnamento e giuoco che non fa a dire pur  salute. Et a' maggiori non dee uomo mandare salute, ma  altre parole che significhino reverenzia e devozione; e tal-  volta no scrivemo a' nemici altro che Ile nomora e tacemo  la salute, o per aventura mettemo alcuna altra parola che   15. significa indegnamento o conforto di ben fare o altra cosa;  sì come fa il papa che scrivendo a' giudei o ad altri uomini  che non sono della nostra catholica fede o a' nemici della  Santa Chiesa tace la salute, e talvolta mette in quel luogo  spirito di più sano consiglio o connoscere la via della veritade   20. o ahundare inn opera di pietade et altre simili cose.   30. Adunque provedere dee il buono dittatore che, si-  milemente come saluta l'uno uomo l'antro trovandolo in  persona, così il dee salutare in lettera mettendo et ador-  nando parole secondo che la condizione del ricevente ri-   25. chiede. Che quando uomo va davante a messer lo papa o  davante ad imperadore o a alti-o segnore ecclesiastico o  seculare, certo elli va con molta reverenzia et inchina la  testa, et alla fiata si mette in terra ginocchioni per basciare     2-3: M' anche — M-ìn si richiude — M' ma titolo — M 7 \a. s. — 5 •■ m iscrive salu-  tatione — 6-7: M' venisse ilata altrui per alcuna cagione — Mo per cagione dalcunaltra cosa  cagione ; m id., ma oiii. cagione — 8-9 : M^-L ma ora per d. d'a. or (ina L 0) per s. si man-  dano, M-m per solazzo di loro si mandano — il: M' a maggiore — M-m non debbono - 12: M*  che significanza abbiano di revercntia 7 dev. — 13-14: M' a nomici non scrivemo — M-m 7 per  aventura —16: M-m il papa scrivendo... om. altri —19: M-m di chonnoscere — M' conoscere  via de veritade— 20: M' opere (mai opera) — om. altre — 21 ■ il/' dee prevedere — 22 ■■ M' un  huomo un altro— ^ó:ni Quando luomo — 26:M' davanti imperadore od altro, >« davante a lom-  j)eradore — 27 : Jf certo e va - ^S: in M una macchia cunpre in — M' ginocohione in terra     (1) S'inchiude è più esatto di si richiude. Lo scambio fra n e l'i occorre altre  volte: cfr. p. 37, n. 1.   (2) In 3f e' è qualcosa di troppo. Non importa dire che m ha accomodato di suo,  perchè la parola cagione come finale è confermata da M'; forse 1' errore nacque  dall'avere scritto subito pei- cagione e voler poi rimediare.   (3) Scrivo così per avere un senso, ma non presumo davvero di avere indo-  vinato; potrebbe anche mancare qualche parola.     — 108 -   il piede al papa o allo 'mperadore. Tutto altressì dee lo  dettatore nominare lo ricevente e la sua dignitade coij  parole di sua onoranza e metterlo dinanzi ; apresso dee  nominare sé medesimo e la sua dignitade, e poi dee scri-  5. vere la sua affezione, cioè quello che desidera che venga  a colui che riceve la lettera, sì come salute o altro che sia  avenante, tuttavolta guardando che questa affezione sia di  quella guisa e di quelle parole che ssi convegnono al man-  dante et al ricevente. 31. Che quando noi scrivemo a' mag-  io, giori di noi o di nostro paraggio o di minore grado, noi  dovemo mandare tali parole che ssiano accordanti alle  persone et allo stato loro. Et non pertanto eh' io abbia  detto che '1 nome del maggiore si de' mettere dinanzi e  del pare altressì, io oe ben veduto alcuna fiata che grandi  15. principi e signori scrivendo a mercatanti o ad altri minori  , mettono dinanzi il nome di colui a cui mandano, e questo  è contra l'arte ; ma fannolo per conseguire alcuna utilitade.  Perciò sia il dittatore accorto et adveduto in fare la saluta-  zione avenante e convenevole d'ogne canto, sicché in essa me-  20. desima conquisti la grazia e la benivoglienza del ricevente,  sì come noi dimostramo avanti secondo la rettorica di Tullio.  32. Et bene è questa materia sopr'alla quale lo sponitore po-  trebbe lungamente dire e non sanza grande utilitade. Ma  considerando che Ila subtilitade perché '1 verbo non si mette  25. nella salutazione, e che "1 nome del mandante si mette in  terza persona per significamento di maggiore umilitade, e  che tal fiata si scrive pur la primiera lettera del nome,  par che tocchi più a' dittatori in latino che 'n volgare,  sene passex'à lo sponitore brevemente e seguirà la materia  30. di Tullio per dicere dell'altre parti della diceria e di quelle  della pistola, sì come porta l'ordine. 33. Et in questo luogo  si parte il conto della salutazione, e dirà dell' exordio in  due guise: l'una secondo ciò che nne dice Tullio e che     i : M' y allomperudoi'o — S-3: M-m dignilailo corporale di — m aggiunge di reve-  renza 7 ^ 4: M^ nm. S" e — 3: M-m oirectione — ([nella — 7 : m tuttavia — M' guani ino  clic l'airectione — 9-10: M' ali maggiori — M-m ili nostro .grado — i2: M' alloro slato —  M-m om. ch'io abbia dolio — i3: in il nome — M' si debbia — 13-16: m sengnori —  M-m scrivono -- m e mellone — M' elgli mandano — 17: Af-w por sognile — 18: mom.  et adveduto — 19: M' dongiii jìarle — 20: M-mnm.ìa grazia e — 21-SS: il/' dimoslor-  remo, m dimostraiiio davanti — Af' m Et bene cpiesta — 24: JZ-m uhella subtitade, A/' che  sotti! itude — 23: M<- in salutalione 7 perche! nome — 26: M-m utilitade — 27: M' 7 per-  che.... pur una lederà — m la prima — 28: m om. in Ialino — 31-32: L Et in questa  parte — ilf' dala salutalione — 33: M' om. ci6     — 109 -   pare che ss'apartegna a diceria, l'altra secondo che ssi con-  viene ad una lettera dittata et ad una medesima diceria,  oltre quello che porta il testo di Tullio.   Exordio.   5. 77. Et perciò che exordio dee essere principe di tutti, e noi   primieramente daremo insegnamenti in fare exordio.   Sponitore-   I. Vogliendo Tullio trattare dell' exordio prima che  dell'altre parti della diceria, sì ll'apella principe dell'altre  10. parti tutte ; e certo è de ragione (i) : l' una perciò che ssi  mette e si dice tuttora davanti a l'autre, l'altra perciò che  nel exordio pare che noi aconciamo et apparecchiamo  r animo dell' uditore ad intendere tutto ciò che noi vo-  lemo dire di poi.   15. Dell' exordio.   78. (e. XV) Exordio è un detto el quale acquista convene-  volemente 1' animo dell' uditore all' altre parole che sono a dire ;  la qual cosa averrà se farà l' uditore benivolo, intento e docile.  Per la qual cosa chi vorrà bene exordire la sua causa, ad lui  20. conviene diligentemente procedere e conoscere davanti la qualitade  della causa.   Lo sponitore.   1. Poi che Tullio avea contate le parti della diceria,   sì vuole in questa parte trattare di ciascuna per se divi-   25. satamente, e prima dello exordio, del quale tratta in questo     2 : Af' e la diceria medesima — 3: m oltre a quello — 5 : M-mom.e — 6: M' oxordii —  iO: m nm. tutte — M-m certo e (m a) ragione, L e certo eglie ragione — 10-li ■■ M' luna  pei che, m luna che — M-m 7 davanti si dice — 13-14 : m quello die noi poi volerne diro —  M' dire poi — 18: m dolce (cosi sempre in seguito) — 20 : M' converrà — om. procedere e —  24 : M' divisamente, ma L divisatamente   Questa lezione è quella che spiega meglio le altre: soppresso il de, nacque  è ragione di M, che m, colla pretesa di accomodare,' peggiorò in a ragione; la  variante di L deriva certo dal non aver inteso il significato di de ragione (= se-  condo ragione).     - no -   modo: Primieramente dice che è exordio, mostrando che  tre cose dovemo noi lare nell'exordio, cioè fare che 11' udi-  tore davanti cui noi dicemo sia inver noi benivolente et  intento e docile a cciò che noi volemo dire. Et perciò ne  5. conviene connoscere la qualitade del convenente sopra '1  quale noi dovemo dire o dittare. 2. Nel secondo luogo divide  l'exordio in due parti, cioè principio et « insinuatio », e mo-  strane in qual convenentre noi dovemo usare principio et  in quale « insinuatio ». 3. Nel terzo luogo ne fa intendere   10. donde noi potemo trarre le ragioni per acquistare beni-  voglienza et intenzione e docilitade, e come noi dovemo  queste tre usare in quello exordio eh' è appellato principio  e come in quello eh' è appellato « insinuatio ». 4. Nel quarto  luogo pone le virtù e' vizi dell'exordio. 5. Et perciò dice   15. che exordio è uno adornamento di parole le quali il par-  lieri e '1 dittatore propone davanti nel cominciamento del  suo dire in maniera di prolago, per lo quale si sforza di  dire e di fare sì che l'uditore sia benivolo verso lui, cioè  che Ili piaccia esso e '1 suo parlamento, e procacciasi di   20. dire e di fare sì che l'uditore sia intento a llui et al suo  detto; similemente si studia di dire e di fai'e sì che 11' udi-  tore sia docile, cioè che pi'enda et intenda la forza delle  parole. 6. Et perciò dico che immantenente che 11' uditore  è docile sicché voglia intendere e connoscere la natura   25. del fatto e la forza delle parole, sì è elli intento ; ma perchè  l' uditore sia intento a udire, puote bene essere che non sia  docile ad intendere. Et di ciascuno di questi tre dirà il  conto quando verrà il suo luogo. 7. Ma perciò che '1 par-  liere che non conosce dinanzi di che maniera e di cliente   30. ingenerazione sia la sua causa non puote bene advenire  alle tre cose che sono dette inn adietro, cioè che 11' uditore  sia benivolo, intento e docile, si dicei'à Tullio quante e  quali sono le generazioni delle cause, in questo modo:     1 : m Prima — MM' nm. è — 2-3 : m liiditore sia inverso noi benivolo intonlo 7 dolco  a quello ecc. — 4-5: m ci conviene — 7-8: m nm. et — e mostra — 9: M' nensegna,  L insegna dove — JO: M' potremo — ii: M' ,allenlione - 13: M nm. in — 15: m i  parlieri, M' il parladore —17: M' perla (piai cosa — 19: ni jiiaoci il suo p. — procliac-  cisi — 20 : M-m 7 fare sicché — m attento — 21 : M' 7 fare — 22 : il/' ciò che imprenda —  «1 le parole — ^.5: hi nm. e la l'orza delle i>arole - 26: m che non 0—27: M' ohi. tre —  28-29: M' vorrà suo luogo — chel dicitore — 7 di che ìnjj.     - Ili -   Qualitadi delle cause.   79. Le qualitadi delle cause sono cinque: onesto, mirabile  vile, dubitoso et oscuro.   Sponitore.   5. I. In questa picciola parte nomina Tullio le qualitadi   delle cause, cioè di quante generazioni sono le dicerie.  Et s' alcuno m' aponesse che Tullio dice contra ciò che esso  medesimo avea detto in adietro, cioè che le generazioni e  le qualitadi sono tre, deliberativo, dimostrativo e iudiciale,   10. et or dice che sono cinque, cioè onesto, mirabile, vile, du-  bitoso et oscuro, io risponderei che Ile primiere tre sono  qualitadi substanziali sie incarnate alhi causa che non si  possono variare. Onde quella causa eh' è deliberativa non  puote essere non deliberativa, e quella eh' è dimostrativa   15. non puote essere non dimostrativa ; altressì dico della iudi-  ciale. 2. Ma quella causa eh' è onesta puote bene essere non  onesta, e quella eh' è mirabile puote essere non mirabile,  e così dico della vile e della dubbiosa e della oscura.  Adunque sono queste qualitadi accidentali che possono   20. essere e non essere; ma le prime tre sono substanziali che  non si possono mutare.   Dell'onesta.   80. Onesta qualitade di causa è quella la quale incontanente,  sanza nostro exordio, piace all'animo dell'uditore.   25. Lo sponitore.   I. Quella causa è onesta sopr'alla quale dicendo parole,  immantenente, sanza fare prolago, l' animo dell' uditore si  muove a credere et a piacere le parole che '1 parliere dice  sopra '1 convenente ; et in questo non fa bisogno usare pa-     3: M' dubbioso — 7 : M' m cholgli medesimo — 8: M-m om. elio - M^ li generi —  10: M' dubbioso — 1 1: m io rispondo che le prime tre — 13 -.M' puole — 13-14: M-m ml-  lann dal lo al S° deliberativa — 15 : M-m essere dimostrativa — 17 : L bone essere bene non  mir. — 19: M-m om. queste — 23: M incontenenlo — 27: M-m mantenente     iole per acquistare la benivoglienza dell'uditore, perciò  che ll'onestade della causa l'à già acquistata per sua di-  gnitade, sì come nella causa di colui che accusa il furo o  che difende il padre o l'orfano o le vedove o le chiese.   5. Mirabile.   81. Mirabile è quello dal quale è straniato l'animo di colui  che de' audìre.   Sponitore.   I. Quella causa è appellata mirabile la quale è di tale  10. convenente che dispiace all'uditore, perciò eh' è di sozza  e di crudele operazione. Et perciò l'animo dell'uditore è  centra noi et è straniato dalla nostra parte; et in questo  abisogna d'acquistare benivolenzia sì che l'uditore intenda,  sì come nella causa di colui c'avesse morto il suo padre  15. o fatto furto o incendio. 2. Dunque potemo intendere che  una medesima causa puote essere onesta e mirabile : onesta  dall'una parte, cioè di colui che difende il suo padre, mi-  rabile dall'altra parte, cioè di colui medesimo che è coutra  la sua madre propia. E di questo uno exemplo si puote  20. intendere tutti i somiglianti.   Del vile.   82. Vile è quello del quale non cura l'uditore e non pare che  sia da mettere grande opera a intendere.   Lo sponitore.   25. 1. Quella causa è appellata vile la quale è di picciolo   convenente, sì che non pare che ne sia molto da curare e  l'uditore non sine travaglia molto ad intendere, sì come  la causa d' una gallina o d'altra cosa che sia di poco valere.  Et in questa causa dovemo noi procacciare di fare sì che   30. ir uditore sia intento alle nostre parole.     1: M' om. la — id: M' o l'uiiiino - i2: vi e straniato — i3: M' bisogna — 14: M-m  om. nella oanaa di colui c'avcsso morto — 15: M a facto, m a l'atto — 19: M\a sua iiropria  madre — 26: M-m om. ne — 27 : M' non si maraviglia — 28: hi di jioclio valoro, Jt/' de  piccolo valoro — 89: Mi nm. di l'are si    Dubitoso è quello nel quale o la sentenzia è dubia o la  causa è In parte onesta et In parte è sozza e disonesta, sicché  Ingenera benlvolenzla e offenslone.   5. Sponitore.   I. Quella causa è appellata dubitosa nella quale l'udi-  tore non è certo a che la cosa debbia pervenire o a che  sentenzia alla fine torni, sì come nella causa d'Orestes  che dicea ch'avea morta la sua madi*e giustamente per due   10. ragioni : 1' una perciò ch'ella avea morto il suo padre, l'altra  perciò che '1 deo Apollo glile comandò. Onde l'uditore non  è certo la quale di queste due cagioni cagia in sentenzia.  2. Altressì è dubitosa quella causa nella quale àe parte  d'onestade e perciò piace all'uditore, et àe parte di diso-   15 nestade e perciò dispiace all' uditore, si come nella causa  de filio: O d'un furo che fue accusato d'un furto e '1 suo  figliuolo si sforzava (ii difenderlo in tutte guise. Certo la  causa era onesta quanto in difender lo padre, ma era diso-  nesta quanto in difendere lo furo.   20. Dell'oscuro.   84. Oscuro è quello nel quale l' uditore è tardo, o per aventura  la causa è Iv^plgllata di convenentl troppo malagevoli a conoscere.   Lo sponitore.   1. Dice Tullio che quella causa è appellata oscura nella   25. quale l'uditore è tardo, cioè che non intende ciò che portano   le parole del dicitore sì bene ne sì tosto come si conviene,   perciò che non è forse ben savio o forse eh' è fatigato per     2: M-m eia sentenzia — 3: M' in parte socca — 4: M-m o offensione — 7-8: M' o  in clie sententia torni ala fino — 10: m il suo marito — li: M chel deo apellollil, m chello  lio appello il, M^-L che dio appello glile comando — 13: M' quella parte dove parte —  16: M do fili?, *i demi?, Mi-L dun figluolo dun ladro - do furto, el figUiolo ~ 17 : m s\  sforza — 19: M' lo furto — 24: ino oschura apellata — 23-26: 3f-»i portava — del dicta-  tore - M' om. nò, L e si tosto, m o si tosto ~ 27:M' om. il 1" forse — M-m 7 forse - faligata   (1) L'abbreviatura insolita ài M e m porta a supporre una formula giuridica  latina, quantunque tale abbreviatura non sembri equivalere proprio a un de filio  (la lezione di M'-L è certamente secondaria). forse nella sigla si nasconde  qualche nome proprio?     - 114 -   li detti d'altri parlieri che aveano detto innanzi; o per  aventura la causa è impigliata di cose e di ragioni che  sono oscure e malagevoli ad intendere.   Della divisione dell' exordio.   5. 85. Et perciò che Ile qualitadi delle cause sono tanto diverse,   sì convene che li exordii siano diversi e dispari e non simili in  ciascuna qualitade di cause; per la qua! cosa exordio si divide in  due parti, ciò sono principio et « insinuatio ».   Lo sponitore.   10. I. Perciò - dice Tullio - che le generazioni e le quali-   tadi delle cause sono tanto diverse, cioè che sono in cinque  modi sì come detto è qui di sopra, e l'uno modo non è  accordante all'altro, sì conviene che in ciascuna qualità  di cause et in catuno de' detti cinque modi abbia suo modo   15. di fare exordio, tale che ssi convegna alla qualitade so-  pr'alla quale noi dovemo parlamentare o dittare. 2, Et  vogliendo Tullio insegnare ciò apertamente, sì dice che  exordio è di due maniere : una eh' è appellata principio et  un'altra ch'jè appellata « insinuatio » ; e di ciascuna dirà elli   20. interamente. E così dovemo e potemo sapere che le cause  sopra le quali dice alcuno parlieri o sopra le quali scrive  alcuno dittatore sono cinque, cioè sono: onesto, mirabile,  vile, dubitoso et oscuro, sì come apare in adietro. Et sopra  tutte qualitadi sono due modi de exordio e non più, cioè   25. principio et « insinuatio ».   Del principio.   86. Principio è un detto il quale apertamente et in poche  parole fa l'uditore benivolo o docile o intento.   Lo sponitore.   30. 1. Quella maniera de exordio è appellata principio   quando il parlieri o '1 dittatore quasi incontanente alla     1 : M^ parladori — 3: M' mn. oscuro o — fi: m diversi, dispari — 7:m di cose — 8:M' cioè  principio 7 insiniiatione (sempre) — / i : m dolio cose — M' dele qualitadi sono tante divei-se --  Melo che sono— 13: M' coU'altro — i4-i5: M' si abbia s. m. in fare — A/' «hi.cìò — 18-19:  m una che apjinllala ins. 7 una che ajiiiollata pr., M' uno che sajiplla pr. 7 un altro che apellnlo  ins.,7 di ciascuno — 21 : vi .ilchimo parlinre dice — M-m 7 sopra — M' dice alcuno dictalon» —  22: M-m honesta - 23: M* jiare — 31 : M' il dicitore ol dictatore — M-m incontenonte     - 115 —   comincianza del suo dire, sanza molte parole e sanza neuno  infingimento ma parlando tutto fuori et apertamente, fa  l'animo dell'uditore benvolente a llui et alla sua causa,  o talora il fa docile o intento, si come fece Pompeio par-  5. landò a' Romani sopra '1 convenente della guerra con Julio  Cesare, che fece tale exordio : « Perciò che noi avemo il  diritto dalla ifostra parte e combattemo per difendere la  nostra ragione e del nostro comune, si dovemo noi avere  sicura spei'anza che li dii saranno in nostro adiuto ». (i) ■   10. Dell' insimiatio.   87. Insinuatio è un detto il quale, con infingimento parlando  dintorno, covertamente entra nelF animo dell'uditore.   Lo sponitore.   \. Tullio dice che quella maniera de exordio è apellata   1.5. « insinuatio » quando il parlieri o '1 dittatore fa dinanzi  un lungo prolago di parole coverte, infingendo di volere  ciò che non vuole, o di non volere quello che dee volere,  e così va dintorno con molte parole per sorprendere l'animo  dell'uditore sì che sia benevolo o docile o intento; sì come   20. disse Sino parlando a coloro che riteneano la sua persona  in gravosi tormenti: « Insin a oi"a v'ò io pregato che mi  traeste di tante pene ; oimai non dimando se non la morte,  ma grandissimi tesauri avrei dato a chi m' avesse scam-  pato ». Et in questo modo covertamente s'infingea di non   25. volere quello che volea, per venire in animo di loro che Ilo  scampassero per avere, da che mercè non valea. 2. Et cosie  à divisato il conto che è principio e che è «insinuatio»; omai  dicerà quale di questi due modi de exordio dovemo usare  in ciascuno de' cinque modi delle cause, cioè nell'onesto,   30. nel vile, nel mirabile, nel dubitoso e nell' oscuro.     i: M' alancomincianza — m sanza alcliuno - 2-- M' om. et — 3: M' benivolente,  m benivolo — M^ o ala sua causa — 4 : m come fé — 5-6: M' a Romani parlando del  convenente, — cotale — 9: M diede saranno — IS: m intorno — 15: M-m i parlieri,  M' il parliere — M o dictatore — 17 : m quello che non vuole — iW' in (juello che vuole —  20-21 : L Sitio — m teneano... gravi tormenti — 2S: M' oggimai non domando io —  23: M' dati — wi dato chi — 26: m merco domandare — 27: M' a divisatoli maestro —  28 : M-m (|uali — M' noi dovemo — 29: M' de cause, M in ciascuno di delle causo, m in  ciascheduna delle chause   (1) Per tutte le citazioni di autori classici, che da questo punto alla fine son  molto frequenti, rimando al mio studio su La «Rettorica» italiana di Brunetto Latini  pp. 35-50; ivi son ricercate e discusse le fonti di questi esempii, e così riesce anche  piti facile rendersi conto della costituzione del testo.     — 116 —   Della mirabile.   88. Nella mirabile generazione di causa, se il'uditore non fosse  al tutto turbato contra noi, ben potemo acquistare benivoglienza per  principio. Ma s'ei troppo malamente fosse straniato ver noi, allora   5. ne conviene rifuggire a « insinuatio », in però che volere così isbri-  gatamente pace e benivoglienza dalle persone adirate non solamente  non si truova, ma cresce et infiamasi l'odio.   Lo sponitore.   1. Inn adietro è bene detto che quella causa è appel-  lo, lata mirabile la quale è di rea operazione, sicché pare che  dispiaccia all'uditore. Et perciò dice Tullio che quando la  nostra causa è mirabile puote bene essere alcuna fiata che  Il'uditore non sia del tutto coruccioso contra noi. Et allora  potemo noi acquistare la sua benivolenza per quel modo  15. de exordio eh' è appellato principio, cioè dicendo un breve  prologo in parole aperte e poche. 2. Ma se 11' uditore fosse  adiroso e curicciato contra noi malamente, certo in quel caso  ne conviene ritornare ad altro modo de exordio, cioè « insi-  nuatio », e fare un bel prologo di parole infinte e coverte,  20. sicché noi possiamo mitigare l' animo suo et acquistare la  sua benivolenza e ritornare in suo piacere. Ch'ai ver dire,  quando l' uditore èe adirato e curiccioso, chi volesse acqui-  stare da llui pace così subitamente per poche et aperte  parole dicendo il fatto tutto fuori, certo non la troverebbe,  25. ma crescerebbe l' ira et infiamerebbe l' odio ; e perciò dee  andare dintorno et entrarli sotto covertamente.   Della causa vile.   89. Nella causa la quale è di vile convenente, per cagione di  trarrela di vilanza e di dispetto, ne conviene fare l'uditore intento.     S : M-m Della mirabile — ?» e solluditoro — 3 : M^ del tutto — 4 : 3/' se — m se troppo  fosse crucciato — 5: Mi fuggire — m ci conviene.... chosi di presente - 7: m crescesi —  9: M-m ubiamo detto — i2: M^ alcuna volta — 13: m crucciato — 14: M' potremo  (ma L lìotemo) — 15: M-m in breve — 17 : M' iroso 7 crucciato verso noi, m adirato contra  noi molto, — 18: m tornarne — M alaltro modo —19: M-m nni. fare — converte — M iulì-  nito — 20: M' otii. la — SS: M^ cruccioso, m crucciato — S3: in per i)Oclie )iaroIo  7 aperte — S6: M-m darò dintorno — M entrali, M' intrarli, wi rilrarlo sottilmente sotto  coverta — S8 : M e diviene convenente m udiviene e. — S9 : M' trarla de viltanca 7 de  dispregio     117 —     Lo sponitore.   I. Quando la nostra causa ella è vile, cioè di piccolo  convenente sicché l' uditore poco cura d' intendere, allora  ne conviene usare principio et in esso fare che 11' uditore  5. sia intento alle nostre parole; e questo potenio ben fare  traendola di viltanza e facciendola grande et innalzandola,  sì come fece Virgilio volendo trattare de l'api: «Io dicerò  cose molto meravigliose e grandi delle picciole api ».   Della dubbiosa qualità.   10. 90. Nella dubbiosa qualità di causa, se Ila sentenza è dubbia   si conviene incominciare l'exordio dalla sentenzia medesima. Ma se  Ila causa è in parte onesta e in parte disonesta si conviene acqui-  stare benivolenzia, sicché paia che tutta la causa ritorni in onesta  qualitade.   15. Lo sponitore.   I. La causa dubitosa, si come fue detto in adietro, èe  in due maniere: 1' una che Ila sentenzia è dubbia, sì come  apare nelF exemplo d' Orestes, che per due ragioni e cagioni  dicea ch'avea ben fatto d'uccidere la madre. Et in quel caso   20. dovea elli incuninciare il suo exordio da quella ragione  dalla quale (0 elli più ferma nel suo animo di voler pro-  vare, e per la quale crede avere la sentenzia inn aiuto. 2. Ma  se '1 convenente è dubitoso perciò che sia in parte onesto  et in parte disonesto, in quello caso dee il buono parlieri   25. neir exordio acquistare la benivolenzia dell' uditore per  principio, sicché tutta la causa paia che sia onesta.     2: M' m om. ella — m cioè di vile convenente 7 di picciolo — ,9: 3f' -Ldelontendere —  4-5 : M 7 mezzo, m e mezzo a fare... atento — 6: m vilanza, >/' vllezza 7 inalr. et f. g. —  7 : m tràre — 8: M' om. molto — iO: M' Dela dubitosa — li: m cominciare — i2 : M-in om.  è in parte onesta — M' parte lionesla 7 parlo dis. — i7 : M-m cliella causa — hi dub-  biosa — i8: M> om. apare — cagioni 7 ragioni — m om. 7 cagioni — 19-20 : m in questo  dovea elli com. — 21 : M' la (juale — 22: M-m 7 per qua! (?;i om. 7) — M' sigli crede  davere — 23: m om. sia — M'-L honesta.... disonesta — 25: M' acquistare nelexordio  benivolenca daluditore — M libenivolentia — 26 : M-m om. che sia   (1) Cioè « fondandof3i sulla quale egli si propone di dimostrare la sua causa >.  L'oscurità della frase ha determinato la falsa correzione in ilf'.     118 -     La causa onesta.   91. Quando la causa fie onesta, o potemo intralasciare lo prin-  cipio, 0, se ne pare convenevole, comincieremo alla narrazione o  dalla legge, o d' alcuna fermissima ragione della nostra diceria.  5. A\a se ne piace usare principio, dovemo usare le parti di benivo-  glienza per accrescere quella che è.   Lo sponitore.   1. Quando il conveniente sopra '1 quale ne conviene dire  è onesto, certo per la natura del fatto propia avemo noi la   10. benivoglienza dell'uditore sanza altro adornamento di pa-  role. Perciò quando noi venimo a dire (l) noi potemo bene  intralasciare lo principio e non fare neuno exordio né  prolago di parole, e cominciare la nostra diceria alla nar-  razione, cioè pur dire lo fatto; e bene potemo cominciare   15. da quella legge che tocca alla nostra materia o da quella  ragione che sia più fermo argomento e più certo. 2. Ma se  nne piace usare ijrincipio e fare alcuno prologo, certo noi  lo potemo bene, non per acquistare benivolenza ma per  crescere quella che v' è. Et perciò in detto caso il nostro   20. principio dee essere in parole apropiate a benivolenza.   Della causa ohscura.   92. (e. XVI) Nella causa la quale è oscura conviene che nel  nostro principio noi facciamo che ir uditore sia docile.   Lo sponitore.   25. 1. In adietro fue dimostrato qual causa e quando sia   oscura. Et perciò dice Tullio che nella causa la quale sia     2 : M' m tia — 3 : i« / Se ci paro — -i : M-m o alla legge, J/' o data leggo — M o alcuna,  )/i adalcluina, Mi o dalcuna — 5: Miw paro, m non paro — 6 : il/i om. che h - 9: M-m  nm. certo - facto pro])io — iO: M-m sanja molto ailorn. — i i : Mi j perciò — M noi  doviamo a dire, m noi doviamo diro — i2: m alchuno oxordio — 13-15: M-m no comin-  ciare ~ M' 1 cominciare do quella legge - M-m o a ([uolla ragione — 16: M' la (jualo  sia — 18: M' ben faro — 19: M-m il docto, M' in (juesto caso — 25: M' mostrato (|ualo  causa e 7 (juando sia (ma L ([uando sia) — 26: M' la quale e   (l) Cioè «quando cominciamo a parlare». L'accordo di Jlf e JVf ' ronde sicuro  a dire, e con questo si escludo la lezione, buona in apparenza, di m {doviamo dire)  come evidente accomodamento di M.     - 119 -   oscura all' uditore a intendere noi dovemo usare quella  parte de exoi'dio la quale è appellata principio, et in  quello dovemo noi si dire che 11' uditore sia docile, cioè  ch'elli intenda e ch'elli senta la natura del fatto, in que-  5. sto modo: che noi diremo in poche parole sommatamente  la sustanzia del fatto dell' una parte e dell' altra. Et poi  che noi vedremo che U' uditore sia apparecchiato in via  d' intendere (1) il fatto, noi andremo innanzi a dire la nostra  ragione sì come si conviene al fatto.   10. Le ragioni delle cose.   93. Et perciò che infìn ad ora noi avemo detto che ssi con-  viene fare nell' exordio, oimai rimane a dimostrare per quali ra-  gioni ciascuna cosa si possa fare.   Sponito7-e.   15. 1. Infino a questo luogo à insegnato Tullio tutto ciò che   ssi conviene dire o fare nello exordio; e perciò ch'elli àe  detto in quale exordio ed in qual causa ne conviene usare  parole per acquistare benivolenza, sì vuole elli da qui in-  nanzi mostrare le ragioni come si puote ciò fare ; e questo   20. insegnamento fa bene di sapere.   De' quattro luoghi della temperanza.   94. Benivolenza s' acquista di quatro luogora : dalla nostra  persona, da quella de' nostri adversarii, da quella dell! giudici e  dalla causa.   25. Lo sponitore.   I. In questa parte insegna Tullio acquistare benivo-  lenza, e perciò ch'ella non si puote avere se non per quello  che ss' apartiene alle persone et al fatto, sì dice che quattro  luogora sono dalle quali muove benivolenza. Il primo luogp     i: if-»» om. all'uditore a intendere — 2.M^As lexordio — 4: Af' chela intenda et senta -  5: m dopo diremo r(pe(e in ([uesto modo — 6:m la natura — om. Et — 7-8: 3f' apparec-  chiato 7 intendere, m-L appareccliiato a intendere — 12: m a mostrare — 15: M-m In  ipiosto luogo — om. tutto - 17: M-m 7 di qual causa, M' iu quale causa, i e in quale  causa — 2S: M-m luoghi, della nostra p. — 27-28: M' da quello... alla persona   (1) L' espressione certamente è ridondante {in via sembra quasi una variante  di apparecchiato), e perciò quasi tutti i testi l' hanno ridotta alla forma pili sem-  plice e comune. Il segno 7 di M' deriva da una errata lettura di a, che anche  in quel codice ha una forma simile alla nota tironiana.    si è la nostra persona e di coloro per cui noi dicemo. Il  secondo luogo si è la persona de' nostri adversarii e di  coloro contra cui noi dicemo. Il terzo luogo si è la persona  de' giudici, cioè la persona (l) di coloro davanti da cui noi  5. dicemo. Il quarto luogo si è la causa e '1 fatto e '1 conve-  nente sopra '1 quale noi dicemo. E di ciascuno di questi  dicerà il conto ordinatamente e sofficientemente.   Tallio sopra lo lìvolago.   95. Dalla nostra persona se noi dicemo sanza superbia de'  10. nostri fatti e de' nostri officii; e se noi ne leviamo le colpe che  nne sono apposte e le disoneste sospeccioni; e se noi contiamo i  mali che nne sono advenuti et li 'ncrescimenti che nne sono pre-  senti; e se noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino.   Sponitore.   15. 1. Conquistare benivolenza dalla nostra persona si è   dicere della persona nostra, o di coloro per cui noi dicemo,  quelle pertenenze perle quali l' uditore sia benivolo verso  noi. Et sappie che certe cose s' apartengono alle persone  e certe alla causa; e di queste pertinenze tratterà il conto   20. sofficientemente, e fie molto bella et utile materia ad impren-  dere. Et qui pone Tullio quattro modi d'acquistare benivo-  lenza dalla nostra persona. 2. Il i)rimo modo si è se noi di-  cemo sanza soperbia, dolcemente e cortesemente, de' no-  stri fatti e de' nostri officii. Et intendi (2) che dice « fatti »   25 quelli che noi facemo non per distretta di leggo o per  forza, ma per movimento di natura. Et così dicendo Dido     1 : m Olii, si — 2: M-m om. luogo — m ohi. si — 5 : m om. si — J : M-in om. la jiersoiia — Afiia  coloro — m davanti a chui, il/' davanti cui — 5: M^ il facto — m om. ól convonento — 6-7 :  M' om. di questi — dioera lautore — m om. e soBìcientemento — 9-10: M-m Alla nostra p. —  di nostri faoti — Ai' lo nostre colpo — 12: il/' che sono presenti — 13: M' i scongiura-  mento — 16: M^ dola nostra persona 7 di coloro — 17: m aparlenentle — 20: m om.  suflicientementc — M-mom. materia — 22: m om. moiio — 2-i:M-m intende, L intendo —  25: m diciamo per distretta — 26: M-m dicendo didio   (1) Le parole la persona sono superflue, e perciò a prima vista si preferirebbe  la lozione di M-m; ma è molto più probabile l'omissione di parole inutili che la  loro aggiunta in Af'.   (2) Scrivo cosi per analogia col § 4; ma anche la lezione di Mm, intende,  potrebbe conservarsi come una forma di 2" persona dell' imperativo (per la desi-  nenza e non mancano esempii).     - 121 -   d' Eneas acquistò la benivolenza degli uditori: « Io » dice  ella, « accolsi e ricevetti in sicura magione colui eh' era  cacciato iu periglio di mare, et quasi anzi eh' io udisse  il nome suo li diedi il mio reame ». Et cosi dice che ella  5. si mosse a pietade sopra Eneas quando elli fugia dalla  distruzione di Troia. 3. Et al ver dire noi avemo merzè  e pietade delle strane genti per natura, non per distretta.  Ma offici sono quelle cose le quali noi facemo per distretta,  non per movimento di natura. Onde dice Tullio che dell'uno   10. e dell'altro dovemo dire temperatamente sanza superbia.  4. Il secondo modo si è se noi ne leviamo da dosso a noi  et a' nostri le colpe e le disoneste sospeccioni che cci sono  messe et apposte sopra; et intendi che colpe sono appellati  que' peccati che sono apposti altrui apertamente davanti al   15. viso, sì come fue apposto a Boezio eh' elli avea composte  lettere del tradimento dello 'mperadore. Il quale pec-  cato removeo elli per una pertenenza di sua persona, cioè  per sapienza, dicendo cosi: «Delle lettere composte falsa-  mente che convien dire ? la froda delle quali sarebbe mani-   20. festamente paruta se noi fossimo essuti alla confessione  dell' accusatore ». 5. Le disoneste sospeccioni sono le colpe  eh' altre pensa in centra ad un altro, ma nolle pone davante  al viso, sì come molti pensavano che Boezio adorasse i do-  moni per desiderio d'avere le dignitadi; e questa sospeccione   25. si levò elli parlando alla Filosofìa, che disse: « Mentirò che  pensaro ch'io sozzasse la mia coscienza per sacrilegio (o per  parlamento de' mali spiriti). Ma tu, filosofìa, commessa in me  cacciavi del mio animo ogne desiderio delle mortali cose ».•  Et così parve che volesse dire: « Poi che in me avea sapien-   30. zìa, non era da credere che in me fosse così laido fallimento ».  Tutto altressì Elena, voglìendosi levare la sospeccione che  '1 suo marito avea dì lei, disse: «Elli che ssi fida in me  della vita, dubita per la mia biltade; ma cui assicura pro-  dezza non dovrebbe impaurire l'altrui bellezza ». 6. Il terzo     1 : M' deluditore — 2: S m sicuro porto — 4: M' il suo nomo — Mìi dica — m il roame  mio — 5: A/' dela — 7: m M' 7 non — 0: m L ^ non por m. — 13-14: m ci sono aposto  (om. sopra) — M' appellate.... apjioste — 16: M \e lectoro — 17: M' elgli rimovca — ciò  fu — 18: M' falsamente composte — 20-21 : M-m jiartita ....stati.... dellaccusato —  22: m centra un altro — ^f' appone — 25: m parlando olii — 25-27: M-m Mentita chi  solcasse — om. per sacrilegio.... spiriti — 28: cacciavi (il latino ha pellebas) è solo in L;  M-m chaccia, Jf' cacciava con un i aggiunto tra v e a, s caccia via — 29: M-m paro —  31 : m schusare 7 levare — 33: m della biltade mia   modo è se noi contiamo i mali elie sono advenuti e li 'ncre-  scimenti che sono presenti. Così Boezio, contando ciò ch'ave-  nuto era, acquistò la benivolenza dell'uditore dicendo: « Per  guidardone della verace vertude sofferò pene di falso incol-  5. pamento ». Et Dido, dicendo i suoi mali dopo il dipartimento  d'Eneas, acquistò la benivolenza per la sua misa ventura, e  disse : « Io sono cacciata et abandono il mio paese e Ila casa  del mio marito e vo fuggendo i)er gravosi cammini in caccia  de' nemici». Altressì Julio Cesare, vedendosi in perillio di   10. guerra, contò i mali c'a llui poteano advenire, per confortare  i suoi a battaglia, e disse: «Ponete mente alle pene di Ce-  sare, guardate le catene e pensate che questa testa è presta  a' ferri e' membri a spezzamento». 7. Il quarto modo è se  noi usiamo preghiera o scongiuramento umile et inclino,   15. cioè devotamente e con reverenza chiamare merzede con  grande umilitade. Et intendi che preghiera è appellata  sanza congiuramento. Verbigrazia : Pompeio, vegiendosi  alla pugna della mortai guerra di Cesare, confortando i  suoi di battaglia disse: «Io vi priego de' miei ultimi fatti   20. e delli anni della mia fine, perchè non mi convenga essere  servo in vecchiezza, il quale sono usato di segnoreggiare  in giovane etade » (0. Et queste pi'eghiere talfiata sono  aperte, sì come quelle di Pompeio, talfiata sono ascose, sì  come quelle di Dido in queste parole ch'ella mandò ad   25. Eneas: «Io » disse ella « non dico queste parole perch'io  ti creda potere muovere; ma poi ch'io ao perduto il buon     4 : M-m fossero peno — 5 : M-m Et dicio dicondo — 6-7: m dicendo — M-m chaccialo —  8: M el mio marito, m om. - 9: M Tullio Cosarn, m Tulio corr. in .Tulio — 12-13 : itf' epresso  — li membri — M 7 membri, m 7 i membri — La sprezzamento — 14: M-m 7 scongiura-  mento — Mi panclino, m e parlino, M'-L o incliino - 13: m om. cioè — chiamando —  19: m abattagla — 20: M delli anni ilelli amici lino, m delli anni /siche — 21: M servo  in vilezza la (piale, m servo 7 in vilczza il quale — 22-23: M-m om. sono aperte, m anlhe  il 2° talfiata — 24: M di diedi — 26: M' o perduto, m chio perduto   (l) Il testo di Lucano (Fars., VII, 380), da cui è tradotto questo esempio,  ha ultima fata deprecar, tutti i codici della Eettorica portano ultimi fatti. Non  credo che si possa pensare a uno sbaglio dei copisti, perchè un latinismo come  fati (che del resto qui non sarebbe traduzione esatta) manca di ogni probabilità  in quel tempo; sarà dunque da risalire a un'alterazione facilissima del latino,  ultima facta, che certo riusciva più intelligibile della frase poetica originale.  Quanto al servo in vecchiezza (che corrisponde a ne discam servire senex), se po-  tesse supporsi una forma vegliezza {eelUczza) si spiegherebbe meglio come sia nato  l'erroneo vilezza; ma è chiaro che la parola servo risvegliò l'idea di «condizione  vile, meschina».   pregio e la castitade del corpo e dell' animo, non è gran  cosa a perdere le parole e le cose vili ». 8. Ma scongiura-  mento è quando noi preghiamo alcuna persona per Dio o  per anima o per avere o per parenti o per altro modo di  5. scongiurare, sì come Dido fece ad Eneas: «Io ti priego »  disse ella « per tuo padre, per le lance e per le saette  de' tuoi fratelli e per li compagnoni che teco fuggirò,  per li dei o per l'altezza di Troia » etc. 9. Or à detto il  conto del primo luogo donde muove la benivolenza, cioè  10. della nostra persona e di coloro che sono a noi ; ornai  dirà il secondo luogo, cioè della persona delli adversarii  e di coloro contra cui noi dicemo.     Sopra il secondo prolago.   96. Dalla persona delli aversarìi se no! li mettemo inn odio  15. invidia o in dispetto.   Lo sponitore.   1. Acquistai'e benivolenza dalla persona de' nostri ad-  versarii si è dire delle loro persone quelle pertenenze per  le quali l' uditore sia a noi benivolo et contra 1' aversario  20. malivolo; et a cciò fare pone Tulio tre modi: Il primo  modo è dicere le pertenenze delle loro persone per le  quali siano inn odio dell'uditori; il secondo che siano in  loro invidia; il terzo che siano in loro dispetto; e di cia-  scuno di questi tre modi dirà il testo bene et interamente.   25. Tullio.   97. Inn odio saranno messi dicendo com' ellino anno fatta  alcuna cosa isnaturatamente o superbiamente o crudelmente o ma-  liziosamente.     2: M om. a — 711 lo chose vili 7 le i»arole — 4: M' o per parenti por avere — m oin.  rli scongiurare — 6-7 : M' per lo tuo padre 7 per le 1. 7 [jor le s. de tuoi f., per li compagni —  M 7 per saette di tuoi I"., m per le saette de tuoi parianti 7 per li compagni - 8-0 : M' om. etc. —  Et ora a detto il maestro — om. la — Ì0:m dalla nostra parte — YS: 3i' odindispregio —  19: M-m om. a noi — 22-23: M' deluditore.... in invidia. Et il ter^^o che sia — m loro in  invidia.... loro in dispetto — 26-27: M' comelgli anno alcuna cosa facta — vi 0»». isnatur.  e o maliziosamente     Noi potemo i nostri adversarii mettere ina odio del-  l' uditore se noi dicemo eh' elli anno alcuna cosa fatta isna-  turalmeute, contra l'ordine di natura, si come mangiare  5. .calane umana et altre simili cose delle quali lo sponitore  si tace presentemente. O se noi dicemo eh' elli abian fatto  superbiamente, cioè non temendo né curando de' signori né  de' maggiori, avendoli per neente. O se noi dicemo ch'elli  abbiano fatto crudelmente, cioè non avendo pietà né mise-   10. ricordia de' suoi minori né di persone povere, inferme o mi-  sere. se noi dicemo ch'elli abbiano fatto maliziosamente,  cioè cosa falsa e rea, disleale, disusata e contra buono uso.  2. Et di tutto questo avemo exemplo nelle parole che Boezio  dice contra Nero imperadore: « Ben sapemo quante ruine   15. fece ardendo Roma, tagliando i parenti et uccidendo il  fratello e sparando la madre ». Altressì fue malizioso fatto  il qual racconta Eurifiles (l) di Medea, che stava scapigliata  tra' monimenti e ricogliea ossa di morti. 3. Omai à detto  lo sponitore sopra '1 testo di Tullio come noi potemo met-   20. tere il nostro adversario in odio et in malavoglienza del-  l' uditore. Da quinci innanzi dicerà come noi li potemo  mettere in loro invidia.   Tullio.   98. In invidia dicendo la loro forza, la potenza, le ricchezze,  2.5. il parentado e le pecunie, e la loro fiera maniera da non sofferire,  e come più si confidano in queste cose che nella loro causa.   Sponitore.   1. Noi potemo conducere i nostri adversarii in invidia  et in disdegno dell' uditore se noi contiamo la foi'za del     3-4: M' chaWi ahh'ia. {poi aggiunto no dalla stessa maria) — isnaluratamente contra online —  6: M' tace ora presentemente — m al ])rosonte — M-m 7 se noi dicemo che labian — 7-8: M  tenendo M^ 7 non venerando de sig,... 7 avendoli, m curando.... do maggiori — M-m 3/' che-  labbiano — 9-10: m misericordia.... di persone — H: M' 7 misero — M-m Et se dicemo  cliollabbiano — 12: Af' cosa rea falsa et disleale 7 disusata contra b. u., m om. cosa — o  disleale 7 contro a b. u. — 13: M' exemplo avemo — lo : M' uccidendo i parenti, talgllaiido  il fratello — M-m i fratelli — 17 : S Euripide — M-m di medici — IS: M corresse moni-  menti in moUimenti — 20: m om. in odio et - Af' in malavoglienca — 21-22: M Da ipii -  3f' diceremo.... li potremo mettere loro in invidia — 24 : M-m om. In —26: M' si lidano —  28-29: Af' i nostri avorsari conducere ....degliuditori   Cfr. Magoini, La ReUorica italiana di B. L., pp. Bl-52.     - 125 -   corpo e dell' animo loro ad arme e senza arme, et la po-  tenza, cioè le dignitadi e le signorie, e le ricchezze, cioè  servi, ancille e posessioni, e '1 parentado, cioè schiatta,  lignaggio e parenti e seguito di genti, e le pecunie, cioè  5. denari, auro et argento, in cotal modo che noi diremo  come ' nostri adversarii usano queste cose malamente et  increscevolemente con male e con superbia, tanto che sof-  ferire non si puote. 2. Cosi disse Salustio a' Romani : « Ben  dico che Catenina è estratto d'alto lignaggio et à grande   IO. forza di cuore e di corpo, ma tutto suo podere usa in tra-  dimenti e distruzioni di terre e di genti ». Così disse Ca-  tenina centra ' Romani : « Appo loro sono li onori e le  potenzie, ma a nnoi anno lasciati i pericoli e le povertadi >.  3. Et ora è detto della invidia contra i nostri adversarii;  sì dicerà il conto come noi li potemo mettere in dispetto.   Tullio.   99. In dispetto degli uditori saranno messi dicendo che siano  sanza arte, neghettosì, lenti, e clie studiano in cose disusate e sono  oziosi in iuxuria.   20. Sponitore.   I. Noi potemo mettere i nostri adversarii in dispetto  degli uditori, cioè farli tenei'e a vile et a neente, se noi  diremo che sono uomini nescii sanza arte e sanza senno,  da neuno uopo e da neuna cosa; o che sono neghettosì,   25. che tuttora si stanno e dormono e non sì muovono se non  come per sonno; o diremo che sono lenti e tardi a tutte  cose; o diremo che studiano in cose che non sono da neuno  uso né d'alcuna utilitade; o diremo che sono oziosi in Iu-  xuria dando forza et opera in troppo mangiare, in nebriare,   30. in meretrici, in giuoco et in taverne. 2. Et ora à detto il     2-5: Af' om. e le signorie, poi continua: E le pecunie, ciò sono i danari e seni 7 an-  celle 7 possessioni. ¥A parentado... di genti, in cotal modo ecc. — 6: M' come i nostri aversarii —  11 : M^ in tradimento 7 distructione de terra 7 <le gente, m in tradimenti distructioni —  12: M-in a Romani — 13 : m lasciato — 14: M iì detta — L'i : M' o»i noi — in dispregio  (l. 17 idem) — 17: M' om. degli uditori — 18: M disulate — 19: M octosi, m ottosi —  22: M' om. degli uditori — 23: 3f' siano, m sieno — M' sanza sonno? sanza arte di neuno  huopo - 24: m om. da neuno uopo e — 25 : m si stanno, dormono - 26: M' per sonno/  7 diceremo, L per sogno — 27-28 : m alclumo uso — M ' 7 dicoremo — 29-30: M' de troppo  mangiare .T ebriare. in puttane — m 7 in bere — M in cliaverne — M' a decto luditore come —  )?t om. Et     - 126 —   conto come noi potemo acqnistare la benivolienza dell'udi-  tore dalla persona de' nostri adversarii mettendoli inn odio  et in invidia et in dispetto, et à insegnato come si puote  ciò fare. Ornai tornerà alla materia per dire come s' acqui-  5. sta benivolenzia dalla persona dell' uditore, e questo è il  terzo luogo.   La benivolenza dell'uditore.   lOO. Dalla persona dell'uditori s'acquista benivolenza dicendo  che tutte cose sono usati di fare fortemente e saviamente e man-  10. suetamente, e dicendo quanto sia di coloro onesta credenza e quanto  sia attesa la sentenza e l'autoritade loro.   Lo sponitore, (i) '   1. Noi potemo acquistare la benivolenza delli uditori  dicendo le buone pertenenze delle loro persone e lodando   15. le loro opere per fortezza e per franchezza e per prodezza,  per senno e per mansuetudine, cioè per misurata umilitade,  é dicendo come la gente crede di loro tutto bene et one-  stade, e come la gente aspetta la loro sentenza sopra que-  sto fatto, credendo fermamente che fie si giusta e di tanta   20. autoritade che in perpetuo si debbia così oservare nei si-  mili convenenti. 2. Di forte fatto Tulio lodò Cesare dicendo:  « Tu ài domate le genti barbare e vinte molte terre e sot-  toposti ricchi paesi per tua fortezza». 3. Di senno il lodò  e' medesimo parlando di Marco Marcello: «Tu nell'ira,   25. la quale è molto nemica di consellio, ti ritenesti a consel-  lio ». Di mansueto fatto il lodò Tulio dicendo: « Tu nella  vittoria, la quale naturalmente adduce superbia, ritenesti  mansuetudine ». 5. D' onesta credenza il lodò Tallio in     2-3: M' in odio deluditore, M innodio 7 invidia, m in odio, in invidia — M-m om. si —  8: Jf' m delludilore {ma il testo auditorum) ~ 9: M' sono usi — M-m 7 suavomento  {m nm. 7) 10 : i mss., ambedue le volte, quando — M' di loro — li: M-m intesa — 13: M-m  om. delli uditori — M^ deluditore — 14: M' dicendo che buone — 15 : M-m om. e per fran-  chezza — M' 7 per senno — 17: m M' om. e — 19: Jtf' credendo che la loro sententia  sia si giusta — m che sia — SO: M-m ne in simili, M'-L ne simili — 23-84: m e lodo,  M' il lodano 7 medesimo parlano — m marche metcllo — 25 : M-m om. molto — Af tu  ritenesti a consellio, m tu ritenesti consiglio — 26: M ilio Tullio tu ecc., m di mansueto  fatto /7 nella vittoria — 27 : M adato, m adato, L odduce — 28: m om. credenza il lodò  Tullio   (1) In tutti 1 codici l'interpunzione di questo passo è variamente errata, né  metterebbe conto darne notizia.     - 127 -   questo modo: Cesare volle alcuna fiata male a Tullio, ma  tutta volta lo ritenne in sua corte; e non pertanto Tullio  era sì turbato in sé medesimo che non potea intendere a  rettorica si come solea, insin a tanto che Cesare non li  5. rendeo sua grazia. Et in ciò disse Tullio : « Tu ài renduto  a me et alla mia primiera vita V usanza che tolta m' era,  ma in tutto ciò m'avevi lasciata alcuna insegna per bene  sperare »; e questo dicea perchè l'avea ritenuto in corte,  sicché tuttora avea buona credenza. 6. D' attendere la sua   10. buona sentenza lodò Tullio Cesare parlando di Marco Mar-  cello: «La sentenza eh' é ora attesa da te sopra questo con-  venente non tocca pure ad una cosa, ma à ad convenire (D  a tutte le somiglianti, perciò che quello che voi giudicarete  di lui atterranno tutti li altri per loro ». 7. Or é detto come   15. s'acquista benivolenzia dalle persone delli uditori; sì dirà  Tullio coni' ella s'acquista dalle cose.   La benivolenza delle cose.  Da esse cose se noi per lode innalzeremo la nostra causa,  per dispetto abasseretno quella delii adversarii.   20. Sponitore.   1. Noi potemo avere la benivolenza dell'uditori da esse  cose, cioè da quelle sopra le quali sono le dicerie, dicendo  le pertenenze di quelle cose in loda della nostra parte et  in dispetto et in abassamento dell' altra; sì come disse  25. Pompeio confortando la sua gente alla guerra di Cesare :  « La nostra causa piena di diritto e di giustizia, perciò  eh' ella è migliore che quella de' nemici, ne dà ferma spe-     4 : M' om. non — 6: M-m la causa dm t. — i a me la mia primiera vila e liisanza —  7: tutti, eccetto L, m'avea — M-m la sua insegna — 8 : M' 7 in questo (?«re i et ((uesto) —  9: M' buona speranna — 10: M-m lodo Cesare di Tullio - IS: M-m ma ad {m a) con-  venire, M-L ma dee convenire - 14: Mt per lui — i5: 3f' dele persone — i8:M-mom.  so — L sar|uista bonivoglienza se noi ecc. (ma nel latino manca) —19: M' m 7 per disp. —  21 : M' deluditofo, m delli uditori — 24 : m nm. in dispetto — M-m om. idi — 25: M confer-  mando la sua gente — 26: m M'-L e piena — Lo pero chella — 27 : m forma  speranza   (1) Aggiungo un' a, che nella scrittura del codice può considerarsi fusa (come  avviene nella pronunzia) con quella precedente di ma con quella seguente di ad.  Bel resto basterebbe anche « convenire, quasi come un futuro (« converrà »)  scomposto nei suoi elementi.     - 128 —   ranza d'avere Dio in nostro adiuto(i)». 2, Et ornai à divisato  il conto le quattro luogora delle quali si coglie et acquista  la benivoglienza, molto apertamente et a compimento; sì  ritornerà a dire come noi potemo fare l'uditore intento.   5. Di fare V uditore intento.   102. Intenti li faremo dimostrando che in ciò che noi diremo  siano cose grandi o nuove o non credevoli, o che quelle cose toc-  cano a tutti a coloro che 11' odono o ad alquanti uomini illustri,  ai dei immortali, a grandissimo stato del comune, o se noi prof-  10. terremo di contare brevemente la nostra causa, o se noi propor-  remo la giudicazione, o le giudicazioni se sono piusori.   Sponitore.   1. Avendo Tullio dato (2) intero insegnamento d'acqui-  stare la benivolenza di quelle persone davante cui noi   15. proponemo le nostre parole, sì che l' animo s' adirizzi  et invìi in piacere di noi e della nostra causa e che siano  contrarii e malevoglienti a'nostri adversarìi, sì vuole Tullio  medesimo in questa parte del suo testo insegnare come noi  I)otemo del nostro exordio, cioè nel prologo e nel comin-   20. ciamento del nostro dire, fare intenti coloro che noi odono,  sì che vogliano achetare i loro animi e stare a udire la  nostra diceria; e di questo potemo noi fare in molti modi  de' quali sono specificati nel testo dinanti, et in altri simili  casi. 2. Et posso ben dire manifestamente che ciascuna per-   25. sona sarà intenta e starà ad intendere se io nel mio comin-     1: m nm. Et — 3 : 3f' nm. la — hi odi. molto — 4: m alento — 8-9: A/' o aliquanlì....  o ali iilii imm. o a — M |)iQrRremo, vi protreremo {lat. pollicebimur) — iO: M-m owi. bre-  vemente — VI proiroromo la giuil. — i3 •■ M-m Quamlo Tullio a dato — 14: — J/tlavento —  — 7/1 (lavante a cimi — 13-16: 3/' loro siiivii 7 dlrirvi — 17: vi malagevoli — 19: M'  nel nostro exorilio — vi nm. nel coniiiiciamento — 21 : 3f' si che noi vogliamo — 32-23:  3f ' Et questo.... i (jua'.i.... davanti — vi om. el — 25: M-m sono noi mio com.   (1) Cfr. Lucano, Phars., VII, 349: " Causa iubet melior superos sperare secun-  dos „. Solo la lezione di M corrisponde anche per la forma sintattica.   (2) Si rimano alquanto in dubbio sulla lezione da preferire, perchè tra un Avendo  e un Quando la differenza grafica ò lieve, data la somiglianza di una forma di A  con Q. Ma il gerundio Avendo, con una costruzione meno comune, più difficilmente  può esser dovuto a un copista; d'altra parte il quando in senso di " dopo che „  non è dell'uso di Brunetto, clie adopra continuamente la formula " Poi che Tullio  ha detto „ "ha insegnato ,, (S'intende clie l'inserzione di a davanti a dato  diveniva necessaria leggendo Quando).  -ciamento dico eli' io voglia trattare di cose grandi e d'alta  materia, sì come fece il buono autore recitando la storia  d'Alexandro, che disse nel suo cominciamento : « Io diviserò  e conterò così alto convenente come di colui che conquistò   ó. il mondo tutto e miselo in sua signoria ». 3. Altressì fie  inteso s' io dico eh' io voglia trattare di cose nuove e con-  tare novelle e dire eh' è avenuto o puote advenire per le  novitadi che fatte sono, sì come disse Catellina : « Poi che  Ila forza del comune è divenuta alle mani della minuta   10. gente et in podere del populo grasso, noi nobili, noi (i)  potenti a cui si convengono li onori, siemo divenuti vile  populo sanza onore e sanza grazia e sanza autoritade ».  4. Altressì fie intento s' io dico eh' io voglia trattare di  cose non credevoli, sì come '1 santo che disse : « Il mio   15. dire sarà della benedetta donna la quale ingenerò e par-  turio figliuolo essendo tuttavolta intera vergine davanti  e poi »; la quale è cosa non credevole, i^erciò che pare es-  sere centra natura. Et si come diceano i Greci: « Non era  cosa da credere che Paris avesse tanto folle ardimento che   20. venisse 'n essa terra (2) a rapire Elena ». 5. Altressì fie intento  s'io dico che '1 convenente sopra '1 quale dee essere il mio  parlamento a tutti tocca od a coloro che 11' odono, sì come  disse Gate parlando della congiurazione di Catellina: « Con-  giurato anno i nobilissimi cittadini incendere e distruggere     1 : M traclai-e cose, m cliio voglia di trattare chosa grande — 2 : M actoro, m attor.j —  4-5: M' recontcro.... conquise.... 7 mise — 5-6: M' fia inlento sic dica.... 7 contrario no-  velle - 7: M' 7 puote — 9: M storca — m e venuta.... gente minuta — 10: m M'-L non  potenti — iy : J>f' noi a cui — 13: M Altre si — 14-15: M'-L sicome disse il santo  che disse - i II mio dotto — 16: M' partorie il figluplo — 17 : M^ -j di. poi — M-m om.  la quale.... natura — 19: M-m oni. folle — m om. che venisse — SO: M nessa terra, m in  essa terra, M'-L nela nostra terra — M arape — 22: M' tocclia a tutti coloro -- 24: M'  anno nob. citt. dincendore   (1) Nonostante l'accordo di tutti gli altri codici, mi attengo a M, la cui lezione  è confermata dal testo di Sallustio: " omnes, strenui, boni, nobiles atque igno-  biles „ ecc. Brunetto non traduce esattamente, ma vuol mettere in rilievo la  dignità delle persone, e perciò ripete il noi; forse questa parola in qualcuno dei  primi apografi fu scritta no (no') e quindi scambiata colla negazione: non potenti.  Favoriva l'errore anche il tono insolito della frase " noi nobili, noi potenti ,.,  mentre le parole " in podere del populo grasso „ inducevano a considerare " non  potenti „ i nobili.   (•2) Intendo in essa terra (come scrive m), cioè " nella patria stessa „ , in ipsa  terra. Leggendo con 21f » nella nostra terra si avrebbe lo stesso senso in forma più  chiara; ma non saprei allora spiegare la variante di M-m. È possibile che, omesso  il nostra, un nella sia stato letto nessa, che a prima vista non dà senso ? Invece  nulla di più facile del caso inverso, e.ssendo l's di forma allungata cosi simile a l.     — iso-  la patria nostra, e '1 lor capitano ne sta sopra capo. Adun-  que dovete compensare clie voi dovete sentenziare de' cru-  delissimi cittadini che sono presi dentro nella cittade » (l).   6. Altressì fie intento s' io dico clie Ila mia diceria tocca  5. ad alquanti uomini illustri, cioè uomini di grande pregio   e d'alta nominanza in traile genti sì come disse Pompeio  parlando della battaglia civile: « Sappiate che l'arme de' ne-  mici sono appostate per abbattere l'alto e glorioso sanato ».   7. Altressì fie inteso s'io dico che Ile mie parole toccano a'dei,  10. si come fue detto di Catellina poi ch'elli ebbe conceputo   di fare cotanta iniquità: «Ma elli gridava ch'appena i dei di  sopra potrebbero ornai trarre il populo delle sue mani » (2).   8. Altressì fie intento s' io dico nel principio di dire la mia  causa brevemente et in poche parole, sì come disse il poeta   15. per contare la storia di Troia: «Io dirò la somma, come  Elena fue rapita per solo inganno e come Troia per solo  inganno fue presa et abattuta ». 9. Altressì fie intento s'io  nel mio exordio propongo la giudicazione una o più, cioè  quella sopra che io voglio fondare il mio dire e fermerò   20. la mia provanza, sì come fece Orestes dicendo: « Io pro-  verò che giustamente uccisi la mia madre, imperciò che  dio Apollo il mi à comandato, perciò che uccise il mio  padre». IO. Et di tutti modi per fare l'uditore intento  potemo noi coUiere exempli in queste parole che disse   25. Tullio a Cesare parlando per Marco Marcello: « Tanta     1 : M-m 7 lor — M' ne sopra capo — 2-3 : m dovete pensare, Mi pensale — M-m esmarn  {m esimare) de nobilissimi citi. — M' ohe sono dentro ala cittade (anche m dentro alla) —  4 : M fue, m M' (la — 5-6: M' cioè de gr. — M-m 7 da tale nominanca — 7 : M-m che  latine — 8: M-m sano, M' senato — 9: M' fia intonto — lO-ll: M-m poi chelll anno  conceputo di faie tanti iniipii mali gridava (m om. gridava) — 12: M apena ornai —  13: 3f' nel cominciamento — 14: Jf' o in jioclie parole — 15-16: M' om. Io dirò.... e  come Troia, M om. Troia [spazio bianco) — 18: m diclio 7 propongo nel mio exordio —  19: Mi sopra che infomliiro il mio dire e fondata — m sopralla quale — 22: M-m che io  ajmllo il mio comandato, 3f' chol dio Appello lo ma com. (/.. lo mavea), 7 perciò cliella —  23: m atento — 24: M' exemiilo — 25: M-m om. a — M' parlando a lui   (1) Questo periodo è d'incerta lezione, male varianti registrate in nota sono  palesi accomodamenti, specialmente il pensate di Jtf ' per evitare la ripetizione  di dovete; co.si esmare esimare può esser nato da una sigla di sentenziare (0 si  tratterà di fmare, fermare?). Glie sia poi da leggere crudelissimi cittadini ò con-  fermato, oltre che dal senso, dalla parola hostibiis che vi corrisponde i\el tosto  di Sallustio ; nobilissimi ò derivato dalla frase del periodo precedente.   (2) La lezione di M', che è tutta accettabile, dà ragione degli errori di Mm:  il primo elli parve plurale, e quindi si fece elli anno; il ma unito con Mi divenne  mali e portò con sé altri cambiamenti. Ma non giurerei che tutto sia genuino"     mansuetudine e cosi inaudita e non usata pietade e cosi  incredebile e quasi divina sapienzia in nessuno modo mi  posso io(l) tacere nò sofferire ch'io non dica». Et poi che  Tullio à pienamente insegnato come per le nostre parole  5. noi potemo fare intento l'uditore, si dirà come noi il po-  terne fare docile.   Come l'uditore sia docile.   103. Docili faremo li uditori se noi proporremo apertamente   e brevemente la somma della causa, cioè in che sia la contraversia.   10. E certo quando tu il vuoti fare docile conviene che tu insieme lo   facci attento, in però che quelli è di grande guisa docile il quale   è intentissimamente apparecchiato d'udire.   Sponitore.   I. Quelle persone davanti cui io debbo parlare posso io  15 fare docili, cioè intenditori, da tal fatto: se io nel mio exor-  dio, alla 'ncviminciata della mia aringhiera, tocco un poco  d^l fatto sopra '1 quale io dicerò, cioè brevemente et aper-  tamente dicendo la somma della causa, cioè quel punto nel  quale è la forza della contenzione e della controversia. Cosi  20. fece Saiustio docile Tulio dicendo: « Con ciò sia cosa ch'io  in te non truovi modo né misura, brevemente risponderò, che  se tu ài presa alcuna volontade in mal dire, che tu la perda  in mal udire ». 2. Questo et altri molti exempli potrei io  mettere per fare l'uditore docile, si come buono intendi-  25. tore puote vedere e sapere in ciò eh' è detto davanti. Et  perciò che '1 conto à trattato inn adietro di due maniere  exordii, cioè di principio e d'insinuazione, et àe divisato     i : M consuetudine, m sollicituiline, L inmansuetudine — M'-L nm. lo e cosi — M man-  dila — 2-3: M-m mi possono, M*-L io posso — m om. Et — 5: M' luditore intento, M nm.  l'uditore — 8: M' Docile l'aremo luditore — M-m proi)onemo — iO: Af' Et credo quando  tu vuoli — 12 : m nm. è — M' attentissimamente — 14 : m davanti a chui — 15 : 3/' docile  cioè intenditori de tutto il facto — M-m sarò nel mio ex. — 16: M' incomincianza — M ar-  rincliiera, M' aringheria — m cominciamo 7 toccho Af' om. dicendo — 19: M' nel  quale e la contentione — 20: M' om. cosa (ma non L) —21: m o misura — M' ti li-  spondo — 23 : M' om. io — 25 : m om. e sapere — 27 : M' doxordio   (1) È chiaro che posso io fu dall'archetipo di M-m trasformato in possono  perchè tutti i sostantivi che precedono parvero soggetti e non complementi og-  getti ; e vi dovè contribuire una falsa lettura (cfr. un caso simile in 128, 23, seno  per se io). La lezione di M'-L è solo un facile accomodamento.     ciò che ssi conviene fare e dire nel principio per fare  l'uditore benivolo, docile et intento, sì dirà lo 'nsegnamento  della insinuazione in questo modo:   Lo 'nsegnamento della Insinuazione.   5. 104. (e. XVII) Oramai pare che sia a dire come si conviene   trattare le insinuazioni. Insinuatio è da usare quando la qualitade  della causa è mirabile, cioè, sì come detto avemo inn adietro, quando  l'animo dell'uditore è contrario a noi; e questo adiviene maxima-  mente per tre cagioni: o che nella causa è alcuna ladiezza, o coloro  10. e' anno detto davanti pare ch'abbiano alcuna cosa fatta credere al-  l'uditore, se in quel tempo si dà luogo alle parole, perciò che  quelli cui conviene udire sono già udendo fatigati; acciò che di  questa una cosa, non meno che per le due primiere, sovente s'of-  fende l'animo dell'uditore. In adietro è detto sofficientemente come noi potemo  acquistare la benivolenza dell" uditore e farlo docile et in-  tento in quella maniera de exordio la quale è appellata  principio. Oramai è convenevole d' insegnare queste mede-   20. sime cose nell'autra maniera de exordio la quale è appellata  « insinuatio ». 2. Et ben è detto qua indietro che « insinuatio »  è uno modo di dicere parole coverte e infinte in luogo di  prologo. Et perciò dice Tullio che questo tal prologo in-  daurato dovemo noi usare quando la nostra causa è laida   25. e disonesta inn alcuna guisa, la qual causa è appellata mi-  rabile, sì come pare in adietro là dove fue detto che sono  cinque qualità U) di cause, cioè onesta, mirabile, vile, du-  biosa et oscura. 3. E buonamente nelle quattro ne potemo  noi passare per principio; ma in questa una, cioè mirabile,     1 : M cioè — M' om. fare e — S : M-m om. s\ — 6: 3f ' della ìnsinualiono — 7: m ohi.  s'i — 8 •■ M-m 7 di questo diviene — iS: L Kt di questa — Iti: M-m a detto — 20: W  nella maniera — 2i : m Bono dotto — S3: M-m cai prologo (m prolago danrato), 3/' cotale  prolago — S6: M-m nm. in adiotro — 27: M modi ([ualità (hi qui è corroso, vin lo spazio  fa supporre lo slesso), M'-L qualitadi dolio cause — 29: M' cioè nollamirabile   (1) Conservo la parola qualità attestata da ambedue le tradizioni, tanto più  Clio anche prima (cfr. p. Ili) Brunetto usa lo stesso vocabolo. In M abbiamo  modi qualità: probabilmente si tratta di una sostituziono o variante, che venne  poi introdotta nel testo (a mono clie non si voglia supporre un modi o qualità).     ne conviene usare insinuazione per sotrarre 1' animo del-  l' uditore e tornare in piacere di lui ed in grazia quel che  pare "essere in suo odio. Adunque ne conviene vedere in  quanti e quali casi la nostra causa puote essere mirabile,  5 e poi vedere come noi potemo contraparare a ciascuno; e  sono tre casi. 4. Primo caso si è quando sie nella causa  alcuna ladiezza per cagione di mala persona o di mala cosa ;  che al vero dire molto si turba l'animo dell'uditore contra  il reo uomo e per una malvagia cosa. 5. Il secondo caso è   10. quando il parlieri ch'à detto davanti à sie et in tal guisa  proposta la sua causa, eh' è intrata nell'animo dell'uditore  e pare già che Ha creda sì come cosa vera; per la quale  cosa r uditore, poi che comincia a credere alle parole che  ir una parte propone et extima che Ila sua causa sia vera, apena si puote riducere a credere la causa dell'altra parte,  anzi sine strana et allunga (D. 6. Il terzo caso è d'altra maniera: che sovente aviene che quelle persone davanti cui  noi dovemo proporre la nostra causa e dire i nostri con-  venenti anno lungamente udito e stati a intendere altri e' anno detto assai e molto, prima di noi, donde l'animo  dell' uditore è fatigato sì che non vuole né agrada lui  d'intendere le nostre parole; e questa è una cagione che  offende l'animo dell'uditore non meno che 11' altre due  Et perciò conviene a buon parliere mettere rimedi di pa-   25. role incontra ciascuno caso contrario, secondo lo 'nsegnamento di Tulio. Della laidezza della causa. Se la laidezza della causa mette l'offensione, conviene   mettere per colui da cui nasce l'offensione un altro uomo che sia   30. amato, o per la cosa nella quale s'offende un'altra cosa che sia provata, o per la cosa uomo o per l'uomo cosa, sicché l'animo  dell'uditore si ritragga da quello che 'nnodia in quello ch'elli ama;  et infingerti di non difendere quello che pensano che tu voglie  difendere, e così, poi che 11' uditore fie più allenito, entrare in difendere a poco a poco e dicere che quelle cose, le quali indegnano  l'aversarii, a noi medesimi paiono non degne. Et poi che tu avrai  allenito colui che ode, dei dimostrare che quelle cose non pertiene  atte neente, e negare che tu non dirai alcuna cosa dell' aversarii,  ne questo ne quello, sì eh' apertamente tu non danneggi coloro che  sono amati, ma oscuramente facciendolo allunghi quanto puoi da  lloro la volontade dell'uditore; e proferere la sentenzia d'altri in  somiglianti cose, o altoritade che sia degna d'essere seguita; et  apresso dimostrare che presentemente si tratta simile cosa, o maggiore minore. In questa parte dice Tullio che, se l’uditore è turbato coutra noi per cagione della causa nostra che sia o  che paia laida per cagione di mala persona o di mala cosa,  allora dovemo noi usare insinuazione nelle nostre parole in   20. tal maniera, che in luogo della persona coutra cui pare  corucciato l'animo dell'uditore noi dovemo recare un'altra  persona amata e piacevole all'uditore, sì che per cagione  e per coverta della persona amata e buona noi appaghiamo  l'animo dell'uditore e ritraiallo del coruccio ch'avea coutra   25. la persona che lui semblava rea; si come fece Aiax nella  causa della tendone che fue intra lui et Ulixes per l'arme  eh' erano state d'Acchilles. 2. Et tutto fosse Aiax un va-  lente uomo dell'arme, non era molto amato dalla gente né  tenuto di buona maniera. Ma Ulixes, per lo grande senno   30. che in lui regnava, era molto amato. Onde Aiax, volendosi  contraparare, nel suo dicere ricordò com' elli era nato di  Telamone, il quale altra fiata prese Troia al tempo del forte  Hercole; e così mettea la persona avanti amata e graziosa  in luogo di sé et in suo aiuto, per piacerne alla gente e per  avere buona causa. E quando la causa è laida per cagione di mala cosa, si dovemo noi recare nel nostro parlamento un’altra cosa buona e piacevole. Si come fece Catellina scusandosi della congiurazione che facea in Roma, che mise una giusta cosa per coprire quella rea, dicendo. Elli è stata mia usanza di prendere ad atare li miseri  nelle loro cause.” Brunetto Latini. Latini. Keywords: rettorica, le fonte della retorica di Latini: Cicerone e Publio Vegezio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Latini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701084042/in/photolist-2mPVWbn-2mPRKiW-2mPAuFE-2mPowr2-2mNzeEc-2mLLZRD-2mLLwjC-2mLTVsg-2mLNi1Z-2mLDz3J-2mLExs3-2mKLVA3-2mKHAhF-2mKQ6Qt-2mKQqs3-2mKG3XG-2mKC3nj-2mKAsyK-2mKxnN1-2mKA5tC-2mJd7nN-2mJe9QJ-2mJ4GHU-2mGnP2f-25Lz6eJ-BNWJaB-BP5SQX-CfbuaM-Bq5PrV

 

Grice e Laurino – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Laurino). Filosofo. Duca di Aquara e di Laurino, appartenente alla nobile famiglia napoletana degli Spinelli. Figlio unico dell’ottavo duca di Laurino, e di Giovanna Caracciolo, figlia di Ottavio, terzo Principe di Forino, eredita i titoli paterni. Sposa Beatrice Caterina Pinto y Mendoza, terza Principessa di Montacuto, figlia ed erede del principe Gregorio. Sposa in seconde nozze Donna Ottavia Tuttavilla, figlia di Vincenzo II, sesto duca di Calabritto. Allievo di Vico, si forma al Collegio Clementino a Roma e poi all'Accademia di Loreto. Ritornato a Napoli, divenne amico di vari illuministi napoletani, quali Filangieri e Galiani. Autore di varie opere di stampo illuministico, in particolare nei campi della storia e dell'economia. Il suo saggio a iù importante, le “Riflessioni politico-filosfiche sopra alcuni punti della scienza della moneta,” rappresenta uno dei primi tentativi di metodo geometrico applicato all'economia filosofica. In questo opuscolo, si oppone alle teorie monetarie di Broggia. Fa attivamente parte della massoneria napoletana, all'epoca diretta dal principe di Sansevero, Raimondo di Sangro. Cavalerie del Real Ordine di San Gennaro.  A Napoli, fa ristrutturare il palazzo di famiglia, il palazzo Spinelli di Laurino, trasformandolo in una delle più suggestive realizzazioni del Settecento napoletano. Muore a Napoli e venne sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di Santa Caterina a Formiello.  Saggi: “Degl’affetti degl’uomini” (Napoli, Muzio); “Della moneta” (Napoli); “Cronologia dei re di Napoli” (Napoli, Bisogni); “Del nobile” (Porsile); “Lettera nella quale si dimostra non esser nota di falsità, che nel diploma di fondazione della chiesa di Bagnara si ritrovi l'anno 1085 segnato coll'indizione sesta correndo l'ottava del computo volgare, s.d.  Troiano Spinelli, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   -- ria che forma la materia del presente saggio: E Metodo col quale questa siè composto. I tutte le città e popoli dell'Italia ciascuno ha la sua particular forma di governo prima, che sussestato vinto da’ romani. Ed anche dopo ciò, moltedelleCittàmedefi me , quantunque al popolo di Roma veramente ubbedissero; pure così fattinomi, e taleforma aveano di domeitica Polizia,che libereincertomodofacevanleapparire:maessen: do stata dalla Legge Giulia a ciascuna diquelle la Roma na Cittadinanza conceduta (1), che non da tutte senza con Trans 1  AN 1x IN line ill G G I O TAVOLA G CRONOLOGICA compongono DI NAPOLI Dallaseconda venuta de LONGOBARDI in Italiafino ,che quelle Terre furono da N O R M A N N I della Puglia conquistate. PRO ΟEMIO trasto fu accettata (2),elaquale da Marco Aurelio Anto nino Caracalla fu all'intiero orbe Romano distesa , col vanto di esser parte del Capo , a Roma , ed a coloro , che la ressero , furono tutte senza alcuna dubit. azione , anche nell'aspetto, sottoposte. (3) tem Civitati anteferret Cic.pro Bal Cicer.proBalban.8p.235Edit.Ve. bon.8p.236Edit.Venet.an1731. met an.1731. (3)L.inorbeff.deStat.hom.L.Roma. Sigon.de AntiquoJur.Ital.lib.3.c.1. ff.adbomnib.Rutil.Numan.itinerar. (2)InquomagnacontentioHeracliensium, lib.icap.62.. > Giusep Aloja Ins : D E' PRINCIPI, E PIU'RAGUARDEVOLI UFFICIALI, Che anno Signoreggiato, e retto le PROVINCIE , ch'ora : > Ι Mich.Fiaschino Inven . e C.I. REGNO DI (1) Strabon.Geograph.lib.5p.210 E- dit. Parifienf. Parsin Civitatibusfæderisfuiliberta e Neapolitanorumfuit,cummagna| I LL 0 e  Transferita però la Sede del Romano Imperadore in Costantinopoli, varie barbare Nazioniconpiùfortunadiquello,cheaveanofattosotto laRomana Repu blica,invasero l'Italia molte volte, e distrusfero.Radagasio Re de'Goti con dugen to mila armati , cagionò danni gravissimi, all'Italia :m a in Toscana da Stilicone restò con tutto il suo Esercitu vinto, e sconfitto . Alarico , ed Ataulfo Re di que' medesimiBarbari che ove Alarico dimorò circa due anni, ed ove morì, avidamente sacchegiarono.(3) Attila Re degli Unni incosìfattamanieraquellapartedell'Italia av'egliera e n t r a t o , d e v a s t ò , c h e il F l a g e l l o d i Dio f u n o m i n a t o . (4) Genserico Re de'Vandali chiamato dall'Africa da Eudossia moglie di Valentiniano III. Imperadore , per vendicarsi di Massimo, che avea costui ucciso , e lei igna ra in prima dell'infame assassinamento, sposata , ed occupato d'Occidente l'Impero ;viene in Italia,ne scorre molte Provincie, devasta la nostra Campania e m o l t e C i t t à d i e s s a a v e n d o d i s t r u t t e, i n Ca r t a g i n e c a r i c o d i p r e d a s e n e r i t o r n a. (: E finalmenteOdoacreco'suoiEruli,eTurcilingi,invadetuttal'Italia e Re de Goti , che neila Pannonia , ove eglino dimoravano , aveano cominciato a tumultuare,gliconcedèl'Italia, acciocchèneavesseOdoacre discacciato;ovvero, come altri vogliono, lo stesso Teodorico senza laconceffione dell'Imperadore in vase quella Provincia, ne discacciò Odoacre ( che poscia uccise ), e Ře se ne fece nominare . (7) (1) Histor,Miscell. est cod. Ambrosiin.in Philostorg, hift. Ecclesiast. Ma (7) Prosper. Aquitan. Chron. (3)S.Augut.deCivit.Deilib.icaIo. Marcellin.Chron.inSirmond.t.2p.284. Philoftorg. hist.Eccl.lib.12 n.3 inVauclid.Chron.p.368.. les t. 3 p. 491 (e). Idatius in Chron. Isidor. Chron. Goth. in rebo Got., Langobard. p.205,206. Jornand. de reb.Get. c. 57 p. 220 (a). A g n e l . P o n t i f i c. R a v e n . i n S . J o a n . Evagr. Schol.hist.lib. 3.c.27 in Valef Ital. Murat . t. 1 p . 98 . Cassiod. in Conf. Boet.Conf. X per essersi fermati poi nell'Occidente si dillero Vestrogoti (1);amododilocusteRomadue volte(2),edunagranpartedellenostreProvincie, Histor.Miscell,lið,15excod. Ambro. Olympiod. In Photii Biblioth. p.179.186. Jian, in Murat.Rer.Ital.t.Ip.99. Sigebert. Chrona in an. 473. 474 · Jornand. de reb.Goth. c. 30 . Histor. Miscell. lib.15excod. Ambros.p.98. Axon.Valesian. Sigebert, in an.411. Procop. debellaGotb.lib.c .I t.3p.326(a). ) ܪ Re , e circa xiv . anni pacificamente la possiede. (6) quista , se ne titola colle proprie forze d a quella l'Imperadore Zenone vedendo di non poterlo Teodorico Perchè discacciare , evolendosi renderbenevolo bella parie del suo Impero la con p.232. Reginon. Chron . lib. i po 17 at. p . 2 1 1 Histor. Miscell. lib. 13 p. 91. 92. lib Paul, Disc, de Gest. Langob . p. 415 * ex cod. Ambrofian ,p.98. .i Reginou.Chron.lib.1p.17 at. Socrat.hist.Ecclefiafi.lib.7 c.10. Jornand.de reb.Goth. c.31 8 de re- Anon. Cuspiniana Eusippiusin vita S. Severini. znor. success. . Anon Valesian. . rer.Ital.Munic.t.Ip.99(a). (6)Marcellin.Chron.inSirmond.t.2 (2) L. 20 de Tironib. C. Theodos. Z fimus Jornand.de reb.Goth.c.46 p.214 e Idat.Chron.in Du-chesn.t.1p.186. de regnur,success.p.239. Prosper. Aquitan.Chron.ibid.p.198.203.|Procop.de belio Goth.lib.I C. I p.246. Marcellin.Coron.inSirmonds.2p.272.274 (a)247 (6). Casiodor.Chron.p.267col.1366Edit. Spicil.Ravenn.histor.p.476. Ven.an.1731.. Isidor, Chron. Goth. Aimon. de Gest. Francor. lib. I c. 9 . Sozomen.histor.Ecclefiaft.lib.9c.1.7. Sigebert.Chron.inan.473. 474. 9. inVales.p.351 (c), la to Marii Aventic. Chron.in Du -chesne t. I (5.).Evagr.Scholast.hist.Eccl.l.2c.7. Histor.Miscell.lib.15excod.Ambros. in Valef. t. 3 p. 270 (d). t.Ip.211. p.99. 100. Histor.Miscell.ex cod.Ambrof.inrer. Sigebert.Chron.inan.491– (4)Prosper.Aquit.Chron,inDu-Chefne Marii Aventicenf.Chron.inDu-Chesne t. Ipa-200. (b) 208. (b) I Anon. Cuspin. M a dopo di avere e codesto Principe , ed alcuni suoi successori in tal Regno per molti anni signoreggiato ; circa l'anno della salutifera divina Incarnazione 535. l'Imperadore Giustiniano deliberò di toglierlo a codėsti Barbari , col pretesto, che Teodato Re di essi non avea vendicata la morte daia ad Amalasunta già loro Reina; perchè vi mandò Belisario , che in breve tempo occupò conquistato (3). In cosi fatia espedizione furono in ajuto de'Greci iLongobardi nazione che nella Pannonia dimorava (4 ): i quali dopo , che fu l'Italia pacificata , ivi , e d in casa degli Amici più difordini commettevano ,che contro gl'inimici farenon avrebbono potuto , perchè Narsete caricandoli di doni , contenti nel loro Paese oltre a ciòavea discacciato dall'Italia i Francesi, che sotto il lur Duca Bucelino tutta,oquasitutta,presa,e devasiata l'aveano (6);perchè egli era rimastoin nome dell'Iinperadore , Supremo Governadore di quella Provincia , che avea all' Impero restituita:quando perque'nembi,che da'più vili,e fecciəsiluoghi al zandosi nelle Corri, oscurano gli astri più luminosi , e più chiari , ad istanza de’ RomanifudatalGovernodaGiustino cheerasuccedutoaGiustinianoImpe. radore,rimosso(7):edall'ingiuriaunendoildisprezzo perchèeglieraEu. le sevissuto,non avrebbe potuto distrigare.(9) Ed alla minaccia feguì l'effetto , dappoichè ritiratosi in Napoli , stimolò co'Melli (1) Comorimurtom Marcel lini Chronic. in | . 428 Aimon, de Gest. Francor. lib. 2.c. 16. |Joan. Diac. Chron. p. 300. (3)Jornand.deregnor.Success.p.242: Landul.Sagac.additam.adMiscell.p.180 Procop.debell.Goth.lib.4č.35p.368. Aimon.deGestisFranccr.lib.3.c.15 Agath.debell.Goth.lib.2 p.393. (10) Gregor.Mag.Dial.t.3c.38 E Excerpt. ex Agat. hist. lib. 1 p. 381 . . 180 Aiuion.deGestiFrancor.lib.2.c.34. Anast.Biblioth.invitaJoan.III.p. G)Paul.DiscodeGest.Langobard.lib. 133. 2c.5p.427 (b). و ) ) nuco l'ImperadriceSofiagliscrisse chefosseandatoinCostantinopoliadi spensar la lana alle fanciulle (8) ; alla qual cosa fi dice , che Narfete sdegnato risposto avesse , che tal tela egli lo avrebbe ordita , ch'ella mentre avesse vis i sopradetti Longobardi a conquistare l'Italia copiosa di tutte le naturali ric chezze , la sterile Pannonia abbandonando . Il quale in vito allegri que'Barbari circa l'anno del Signore 568. sotto il loro Re Albuino vennero abbracciando in Italia (10) : nello spazio di sette anni la maggior parte colla 427 428.:utcitmpuellisinGynaceo (1)Gregor.Turon.histor.lib.4.C.35, lanarum faceretpensadividere. Anast. Biblioth.p. 133.in Benedi&t. I. Landul. Sagac.additam. ad Miscellap.|Aimon.deGest.Francor.lib.3.c.7.11, ? ) > dellearmi neconquistarono(11); forza fu fama Ed indi sìinanzi estesero leloro ,cheAutariunodeloroRe fino conquiste,che in Regio fusse pervenuto,e cheavendo 194 (1), edindipartedell'Italia(2),édiessailrimanentedall'EunucoNarsete, che a Belisario succede , dopo xvini, anni di asprissima guerra fu interamente 2.. Aimon.deGest.Francorum lib.2 c.33. O . 184 pist. lib. 5. la Sicilia rimandolli . Avea Narsete , siccome si è veduto , vinto i Goti , ed eziandio gli Unni (5) ; ed (4) Histor. Miscell. lib. 4 p. 94 · Aimon . de Gest. Francor. lib. 2.c. 33 Isidor. Hifpal. Marius Aventic. xi 1 Aimon. de Gestis Franc. lib. 3.c. 15 . (1)Procop.debell.Gotb.lib.2 C.29|(9)Paul.Diac.lib.Ic.5.7.p.427 p.300.(cde) . (5) Paul. Diac. lib. 2. c. 5 p. 427 · (b) Ö)Gregor.Turon.hist.lib.4.cap.96 Histor.Miscell.lib. 17. A . Paul. Diac. lib. I c. 57 p. 427. 428 . Joan. Diac. Chron. pe 300 . excerpt.Cron. per Fredeg. Scholaft. |Landul. Sagac. additam.ad Miscell. pa hist. Miscell. c.50 . Aimon.de Gest.Franc.lib. 3.c. 15 (8)Paul.Diac.ibid.lib.ic.5.7.D. Sigebertus, alii. Joan. Diaz.Chron.p.300. Paul.Diac.lib.2.ca32p.436. ) ivi ivitraleondedel mareunacolonnaritrovato l'avessecollastapercoffa,ed avesse detto , fin quì saranno de'Longobardi i confini. (1) Delle terre occupate da Longobardi inItalia se ne formò un Regno il quale poscia ebbe alcuni Re Francesi , e dopo essi altri di diverse Nazioni . Era l'Italia in tempo de'Re Longobardi in due Principati solamente divisa', in quellodei longobardi,edinquellodeGreci.Ma passatoilRegnoaCarloMa gno , surse in quella bella parte del Mondo il Principato di Benevento , da cui non molti anni doponacque quello di Salerno , e finalmente quello di Capua · Nel tempo de'quali Principati per le guerre , che arsero fra di loro furono in trodotti nelle nostre parti i Saraceni , i quali non però , comeche molte Terre avessero conquistate, a varij Capitani ubbedirono,almeno pressodi noinon mai e uno stato formarono . Ed i medesimi Principati di Benevento , e di Salerno , e di Capua durarono finchè furono da Normanni, che nella Puglia eransi stabiliti, interamente conquistati. Imperochè alcuni Pellegrini di codefta Nazione ritornan do dopo l'anno 1000.'del Signore da terra Santa ov'erano andati per la fede a guerreggiare , ajutarono il Principe di Salerno da’Saraceni assediato; e riman dati da costui a casa con grandissimi doni , allettarono a venire nelle nostre P a r ti i Paesani loro , i quali discesivi, ed ora al soldo del uno de' noftri Principi , oraa quellodell'altrorimanendo,allafinefistabilirononelluogo,chediceafi in Octaba, e la Città d'Aversa ivi edificarono : uno di loro, chiamato Rainol fo per Capo , Conte, o sia Console stabilendovi. Impresero i Greci inquel tempo di liberare la Sicilia da’Saraceni , che la tenea. no per quasi due secolisottoposta ; e fu capo dell'Efercito Greco Maniaco ,il quale chiamò a'suoi soldi una parte de Normanni, ch'eranoin Aversa fermati, e costorovi andarono:mi dopo qualche tempo disgustati della suaavarizia,ab bandonandolo se ne ritornarono a casa. La qual cosa avendo conosciuto un cer to Auduino a'Gieci ribelle, propose a Rainulfo di mandare una parte della sua gente in Puglia a torla alGreco Imperadore , che vi signoreggiava : ed a cosi fattarichiestaRainulfoacconsentendo',unbuonnumerode'suoisottododici Ca د pitani ei mandovvi , i quali avendo di repente occupata Melfi Città di quella Provincia , ed indi altre terre ; fiffarono in Melfi la sede loro , e diedero princi. pioad un altro Principato,che continuoffi sottoiFigliuoli di TancrediConte di Altavilla , Gentiluomo anche egli Normanno ; i quali in varj tempi nelle n o ilsuoPrincipato.Ma iNormanni,ch'eransistabilitiinMelfifortoiFigliuoli di Tancredi, di ben altre conquiste saziarono la loro ambizione . Conquistarono tutteleterre,cheiGreciaveanoin quelenostre Parti;tolseroa’Saracenila Sicilia, ed a' Longobardi il Principato di Benevento , e di Salerno , e fino a'lo ro medesimi Nazionali il Principato di Capua , siccome finalmente da una gran parte del Ducato di Spoleti i Re d'Italia discacciarono , E di tutti così fatti Principati un Regno essendosi formato in sul principio Regno di Sicilia del Ducato diPuglia indidiSicilia,e l'altro diNapolifunominato. Dituttelecosequisoprasommariamenteesposte,lapartepiùintrigata ed oscura è quella, che vien compresa dalla seconda venuta de'Longobardi in l talia,finchèlenostreProvincieda’Normanni,stabilitinellaPuglia,inun solcor po forono ridotte. xii ) 9 1 e > stre parti poi vennero . IntantoiSuccessoridiRainulfoaveano toltoa’LongobardilaCittàdiCapua,ed > Puglia , e di Calabria , e del Principato di Capua fi diske,edindiindueRegnidiviso,unofudettodiTrinacriaalcunavolta ed pl , fu detto , ed il quale per anni 206. in circa fu de Longobardi, o fiad'Italia l'anno 774. discese Carlo Signoreggiato (2).Ma verso da Re di quella Nazione il Re Desiderio ultimo Re Longo in quella Provincia,ed avendo preso Magno , senza mutarne la natura il Regno bardo, trasferì nella sua Persona sopradetto, che Regno I va. (1) Paul. Diac. lib. 3.c. 31 p . 431 • (2) Paul Diacon. fupplem . Longobar. 179 I varj Principati , i quali in così fatto spazio di tempo , siccome fi è veduto , t e l a n a t u r a l f o r m a d i e s s e fi d e e a g r a n f a t i g a , e m o l t o d u b b i o s a m e n t e i n d o v i n a r e . De'Principati che sursero nelle Provincie le quali ora compongono ilRegno diNapoli,intempicosìdubbiofi,edoscuri,ioho deliberatodiscrivereinuna Tavola Cronologica i Principi , ed i più ragguardevoli Officiali ; gli anni de loro Regni,ed ufficii, edelle loro morti;iloro matrimonii;e sommariamente i fatti,chequelli,osovrani,od inalcunamanieradipendenti,o Tributarj posso dimostrare ei diritti delle loro Signorie anno ftabilito ; ed oltre a 7 ciòdellistesiPrincipatiuna,perquantoiohopotutoesatta eparticolare Geografia.EnellasuddettaTavolaCronologicaiohoraccoltotuttociò che da' varj.Storici,o Sincroni,o quasi Sincroni , o molto antichi nella propofta m a t e r i a si l e g g e s c r i t t o , e n a r r a t o , c o m e c h e d i s c o r d i e g l i n o s i a n o t r a l o r o ramente appariscano;senza volerli corregere , ( ove avesli potuto ) o concorda. r e ; d i e s a m i n a r e n e ' l o r o c e t t i il v e r o , o a m e m e d e s i m o i n a l t r o t e m p o , o a d a l trui, che mi voglia in ciò precedere, riserbando ;Contentandomi per orà di for nire solamente fecondi semi di una esatta ,e diffusa storia delle nostrali cose m e Geografia non va ancora sotto il Torchio ,in un foglio quella parte di essa ,ch' è n e c e s s a r i a a l l a p r e s e n t e o p e r a , ' e s p o n e r e ,' ر e d i m o s t r a r e h o v o l u t o : e d a l l a T a v o l a dame scrittailTitolodiSAGGIO hoapposto;conoscendo che in efla mol. tissime altre cose essere potrebbono a diritta ragione.o:da altri , o da me stesso pervenisse a' Principi l'Impero in ciaseuno de' detti Principati; e quale fuffe la natura degli Ufficj, a cui in essi il Reggimento di Terre cra affidato ., presso ilPopolo , o presso una parte di esso, o presso un solo uomo :dice Cie . cerone:Respublica reseftpopuli,cum bene,acjustegeritur,fiveab unoRege, la seconda perchè suole essere degli Ostimati, ARISTOCR AZIA , e l'ultima fi chiamaMONARCHIA osiaREGNO ilqualnomenonperdequantunque eomi , due , o tre.Principi regnino in essa collegati , com'è avvenuta sovente tra' Ro. maniImperadori equasisempretra'PrincipiLongobardi,dequalinoide scriviamo la Serie ; imperocchè una tal forma di Stato essendo molto più distantedall'Aristocrazia,chedallaMonarchia,dallapiùvicinapiuttosto che dallapiùlontana,deeprenderesenzaalcunfalloilsuonome.Ed oltreaciò quello,ch'èstraordinario nondeecaggionarnelleartidivisioneregolare:nè codesti pochi Principi costituiscono un Collegio legittimo , in cui ciascuno la sentenza della maggior parte deeseguitare; ma ognuno riguardo alla sua. amministrazione libero senza alcun fallo rimane . Scrive Ubero : Monarchiam ef Se Io note , e più oscure . Ed acciocchè il tutto con chiarezza fi abbia ad intendere , dappoichè la promessa S $. II. Quali siano le varie forme di governo, ed i varj modi di acquistare iRegni . N, . xili . fursero in quella felice parte del Mondo ,ora si aggrandirono ,ora si diminuiro po,ora dalle Potenze maggiorifurono interamente absorti,equafi distrutti.Tal volta in essi si viddero eliggersi i Principi, tal volta si viddero in effi succedere a' padri i figliuoli nella Signoria . Quei , che vi regnavano , furono soventi fia te uccisi, ed i Privati il loro luogo occupando, trasmisero a'loro Posteri l'ini. quamenteacquistatoImpero.Ibarbarichiamatiperdifesadialcuni sistabi lirono per ruina di tutti, e desolazione. In fine la faccia dell'Italia divenne in que tempiassaidiversada quello,ch'eraprima,echefupoi,elasuaGeo. grafia non mai stabile offervofli, e costante . Nè di tutti così varj , e moltipli. ci accidenti vi fu chi la storia distintamente scrivesse ; m a da pochi , e quali a frammenti quelli,ebarbaramente$ furonoesposti,opiuttostoaccennati:eleopere de'Scrittoridi quei tempidasinegligentiCopistifuronotraseritte,chespessefia , > ) 9 > no . in un'altra Edizione,che sene facesse,aggiunte. M a prima di ogni altra cosa io ho reputato di far manifesto per quali ragioni ' Di codeste forme di Regimenti con voci greche la prima si dice D E M O C R A Z I A , feve a paucis Optimatibes , five ab universo populo (i). > > (1)Ci:.infragm.deRepubl.lib.3.p.I 533Edit.Ven.1731. b و i ) oye  xiv se unius imperium folo fatis vocabuli argumento constat . Qicod tamen ita præci Je captari nolim , rat quasiescumque plures in uno Regno Domini esoftitere, toties Reipublicæformam mutaristatuamus . Nequeenim recte exiftimaturusvidetur qui in Romano imperiafiquandoplures Augustifuere , Principatum defiiffe con tenderet . Cum enim longius ila societas Imperantium ab Aristocratia,quam a Monarchia diftet , confentaneum eft, ut ab ea Specie, cui proxima eft , appella tio petatur . ItaLacedemoniis duo Regesfuerunt , idque Regnum vocabatur necnon verum fuisset Regnum ,fi poteftas vere summa fuisset.Præterquod extra ordinarius,atqueutitaloquar, accidentalisilepluriumconcursusplerumque babetur.UndeformaspeculiaresDyarchias outTriarchiasinArtemintroduce. reneccongrueret,nequeexpediret;tametsifatendum Monarcbiævocabulum tuncelleminuscommodum.Accedit,quod istiCondomini,uthivelbisfimiles a Germanis Jurifconfultis appellantur , non constituant collegium , adeoque nec mus plurium fententiam sequicompellatur.Nam ut hocjurisfit,opus eft.parto, Condomini autem Imperium Civitatis habent eodem jure,quo plures eandem remi fine tractatusSocietatis pro indivifo tenent. Quo cafu notum ejt;quemque liberum J u c partis arbitrium , nec reliqucrum consensui obnoxium , retinere la 28. ff. c o m m .divid.(1). Altri poi vi aggiungono quattro altre forti d 'Imperi , cioè i tre sopradetti , q u a n dofonocorrotii,ovveroingiusti,edilquartoda'due oda trègiàesposti insiemeuniti,maCiceronestessocondirittaragioneafferma chene'corrotti Imperi la Repubblica non più esiste:onde di ella non possono essere così fatti Imperi:Cum veroinjuftuseftRex,quemtyrannumvoca:aut injuftioptima tes,quorumconfenfusfactioeft:autinjujtusipfePopulus cuinomenusitatum mullum reperio nisi.utetiam ipfum tyrannum appellem : non jam vitiofa , rola , dappoiche essa nulla alla mia intenzione può giovare . Or nella Monarchia , o sia nel Regno , abbia avuto egli il suo principio dalla for za(5),odalvolere de Cittadini,odall'utile,odallapaurastimolari (6), abbianoquestilafacoltàdistabiliresolamenteiRegnanti,o diconferirleanche l'Impero:Aliter(diceÜbero),ediametroinstituunt,quiImperium imme diate a Deo ef fe volunt . H i negant , Imperium ullo modo a voluntate populi perdere,necacivibusquicquam jurisadimperantesmanare nec adeo caufam Monarchie ,aut ullius in Civitate potestatis effe populum , quos inter D. Ziegle rusadGrotiumlib.1.c.3.,☺ c.4.Ethidictum P.Apostolianobisaliquoties adduétum ,qucd imperium sithumanæ creationis,interpretantur,quodfithomi nibus proprium , vel ratione cause instrumentalis , quia per homines exercetur Utuntur argumentis èSacris , de poteftate folvendiligandi Sacramenta admi niftrandi,quceMinistroEccleficecompetit.Quemadmodum igirurpopulus eligen dopaftoremnonconfertpoteftatemillam necconferrepoteft,quianonhabet eamipse,nihilqueagit,quamutpersonam eleétampoteftatiaDeoimmediati proficiscenti applicet :fic etiam populus , quando eligit Regem , non confert pote (1) Huber. de Jur. Civit. lib. 1 1. I pag. 265. 266 . 37 S. 31 p.442 .  > (4)Gudling. deJur.Nat.acGent.c.) Ic.7S.5p.81. ) > 9 9 omnino nulla Respublica eft , quoniam non eft res populi fed cum tyrannus eam factiovecapesat:nec ipfepopulus jam opulus eft,fifitinjustus,quoniam nonest multitudojurisconfenfu,& utilitatiscommunionesociata(2):EBodinoegregiamente dimostra , che il composto di alcuno , o di tutte le suddette tre formed'Impero non può una Città , o sia Republica , che tale sia fecondo il fine, che si è pro posto,cioèlapace,edilgiusto,costituire(3):OndeGudlingio ebbea dire: Talem ReipubliceSpeciem qui appellant mixtam ,ferendi quadantenus funt , Si mixtum idem fonet atque irregulare (4), della qual cosa io non faccio più pa. c.26 p. 533 Edit. Ven. 1731 . C. edit. Francf. an. 1641. Hobbes de (2)Cic. fragm.deRepubl.lib.3.c.10 . . (5)Bodino de Republ.lib.4 cil p.579 fta Cive . BdinodeRepubl.lib.2c.II(6)Hobbesde Civ.Cap.5Huber.lib. (3) Vedi P. 274 Edit.Francf.an.1641. l  ftatem imperandi, fedperfonam electamproducit eamque abhibet exercitio pote ftatis illia Deo immediateconferendse ego qualis, quantainordineejusefedebeat;necquo minuspopulusimperium retineat,fiidexpedirejudicet,Deusintercesit;multo minusquopartemaliquamimperiireservaret,umquam prohibuit;quoddeMi nifterio Ecclefiæ inftitutoque matrimonii nullo moda affirmare licet(1). Nel Regno dico , a sia nella Monarchia i Principi anno due sorti di diritti :l’una, che ne costituisce l'Impero in inezzo a' Popoli loro , l'altra , che determina il modo di averlo ; o sia per la quale ilPrincipe Regna , o l'Impero pofliede che modo di acquistarlo sipuò anche direttamente chiamare : Altera cautio eft ( dice Grozio )aliud efede re quærere, aliud ese modo habendi,quod nonin corporalibustantum fed& inincorporalibusprocedit(2) Ed.Ubero:Poft SpeciesMonarchiefequunturmodi,quibus.Regnaacquiruntur.Hi funtvelordi narii,velesctraordinarii.PrioresduofuntElectio,dosucceflio Extraordi. nariiperindeduo,matrimonium O jusbelli.Dejurebelli o matrimonio d i é t u m q u o d f a t i s f i t , i n f u p e r i o r i b u s; d e f o r t e n i h i l q u i d e m , f e d n e c r a r i s i m e i n u f u e f t, a u t p r o e l e c t i o n e f u n g i t u r ; u t o l i m a p u d P e r f a s i n D a r i o H . f t a s p i d e ( 3 ) : EGudlingio::Idqueridignum,anperduretvitaŐ animacivitatisuna,etiamfi vel Electio. obtineat , vel.Succellio ? E t putem id contingentibus adnumerandum queunitatemnecefficiuntprorsus,nectollunt.ScilicetElectio.& Succeffioper Jonastangit,nonautemmodumregnandidefinit,necillum impedit imperanti dominica insubjectos,tamquam inservos (proprios ), poteftascompetit.Appellaturetiam Dominatus(6). Laqualforma diRegno fc giudico , che mai si possa ritrovare fra gli uon.ini , salvo la. Teocrazia , benedelsuopopolo,enon giàdilui,deeordinarelecose:scriveBodino:Rex eft,quisummapotestateconftitutus naturælegibusnonminusobfequentemse præbet,quamsibisübditos,quorum libertatem,acrerumdominiacequeacfuce tuctur , fore confilit. Subditorum libertatem , ac rerum dominationem . adjecimus; ut n. 4. 5 p . 279 . t o e h l. Jus Soc . , G e n t . n.Ip.277 273. m (1)Huber.deJur.Civit.lib.ICo.28 (4)Gudling.deJur.Nat.ac.Gent.c. |(4)Guiling,pergoNat.acGent.c. vel collate .Nec sequitur , cedunt epopulielientis.voluntate ; primeva succedere videntur (4). Riguardando la prima di codeile due sorti di diritti ne procedono tre forme di reggimento,osianodiMonarchie unaincuiilRegnante de'Corpi, Benide?Cittadinidispoticamentedispone,echeperciòErile o , o liaBarbarica vien nominata , scrivendo Ubero :Dominatus finitur , quod fit Imperium , quo Princepsfibifubjectisutpaterfamiliasservisimperat,omniumquetam quod ad ( p.243n.1498. > o civiliumnaturammaximeabeffectibusveftimandam. m o , r e r u m m o r a l i u m , cujus limites excedere non licet Imperiiformam,& tenorem SiDeuscertam ,ele&tionempersonefatemur ejusjurisviminfringerenon populis,præfcripferit poteftauferrejusligandi e Solvendisuispa pole , quam cætusfidelium invito adimere poteft . Sed hoc de magis uxorviro principatumdomus storibus aut nonlegimusessedeterminatum .Hatenusquidem de imperio Civitatis a Deo , cui omnis anima debeat bere aliquem ese ordinem imperandi ,atque parendi ef ita excesti fefubie&to non tamen . resquamcorporaDominusexistens, actionespublicasadsuampræcipueutilita temdirigit(5): EdArrigoKoehlero:ImperiumDominicumseuDespoticum di citur ofia Governo di Dio . E l'altra delle suddette forme di Monarchia è quella , nella quale il Principe pel . (2)Grot. deJur.bell.acpac.lib.Icos(5)Huber.de Jur.Civit.lib.1c.27 . 21 .$ 3 و 37S.XI .436. 3 > . > XV . 7 tumpromover.Imofucceffi opere nec mul ab.antecedente electionependet;undequi luc o de' in quo Nec sequitur , ita pergit Zieglerus, homines ab initioSponte adanéti infocietatem civilem coierunt exhoc ortumhabetpoteftascivilis:Ergotalispoteftasorigineesthumana·Sic enimperindeliceretargumentari;Adam& Evasponteadducticcieruntinma trimonium . Ergo matrimonium institutione non eft divinum . S e d 1. 7 p. 273 . (3)Huber.deJur. Civit.lib.IC.28i(6)Heinr. Toebl.JusSoc., ut Regis , ac Domini distin£tionem certam adhiberemus (1) : ed effa dicesi Ci vile:leggendosiinUbero : NobisigiturpluresMonarchie Species nonfunt con siderand.e,quamheeduce,Regnum,& Dominatus,fiveImperium,utAriftote les loquitier , außacidendo , aut Baplaponèv . Regnum verum & plenum eft,ubi Princepshabetfummam, liberampoteftatem faciendiincivitatequodere ☺ a petita., qui ed appresso : E x his tertia resultat dif ferentia , a fine diverso ristabiliti,est utilitasRegnantis.Qucenec ipfa tamen absque commodo fubječbo rumpoteftcuftodiri.Ex hisreliqu.edifferentie,interDominum,&.Reczorem, fervos ac cives ,de quibus Claudius ad Meherdatem apud Tacitum 12.annal. c. c 11. quæque fimiliaperse intelliguntur (3):Ed anchecomune;Scrive Kochlero: Imperium Civile eft juspræfcribendi ea , quæ ad commune civitatis bonum promoven . dum faciuntS.896E.492.510.Ejufmodi ImperiumCivilediciturCommune ad amplificationem boni civitatis communis tendat (4): E la terza delle due fo pradetteformecomposta cheMistaviendetta:ScrivendoGrozio;Quisibi f i n g u l o s S u b j i c e r e p o t e f t f e r v i t u t e p e r s o n a l i , n i h i l m i r u m e f t f li i d o u n i v e r s o s f, i ve iliČivitasfuerunt, five Civitatis pars,fubjicere sibi poteftfubje&tionefive mere civili ,five mere herili , feve M I X T Á (5) Riguardando poi la seconda forte degli esposti Diritti sorgono tre altre forme di nellaquale il Principe Regna per elezione del suo Popolo forma dicesi ELETTIVA . La seconda,in cui il Principe ricevel'Impero per Legge generale dello stesosuo Popolo o per consuetudine da questo ricevuta , per trasmetterlo poi a colui, che dalla medesima Legge , viene stabilito ; sia egli il Primogenito del preterito Regnante ,o calui, che glinacque nel Regno ;'fia egli il figliuolo legittimodi quello,osiailnaturale:Maschiofiaegli, ofemmina;fiadellastessasuafa miglia ,o dell'altrui; favorisca finalmente quella legge ipiù vecchi della Pro fapia , o la linea del primo nato (6), la qual forma di Regno da tutti sichia ma SUCCESSIVA, eda molti una specie della prima,cioèunadiversasorted'Ele zioneesseresicrede:dappoichèfcriveUbero:Plane,originecujufquecivitatisinspecta, nullumnonRegnumexvoluntatepopuliortum,fuitele&tivum Seddiversitas eft in Regno Civili ordinaliter utilitasfubje&torum;Quamquam illafine commodo Imperantium obtineri non poteft. In Dominatu originalisScopus Impe una parte di esso ma pel tempo della suaviła solamente ;venga cotaleele zione,fatta oespressamente,operviadiforte,odiDeputati;ecodesta electionis & fucceffionis deincepsorta eft, cum quædam ex Imperiis itafunt > delata Principibus, ut identidemfedes vacua perele&tionem repleretur .Quædam i t a ut fucceßio fecundum ordinem certum propinqui sanguinis ab uno in alium devolveretur,exprescripto Legis.Hanc quidemvocantElectionisSpeciem;quo modo AlthufiusinPolit.suac.19n.78,feqq.qui negant,ullumdariImperiumjure familiehereditarium,fedtotum apopulodependens,quodG' inAngliamulti opinan tur.Si dicerent,fucceffionemelenihil,quamele&tionisprimevæcontinuationem,ni hilerrarent.AtfijusImperiinumquam apopulisalienarivelint,resreditad Statum disputationissupraaliquotiesperactze.Quaperelectionem,ipsumjusIm perii independenter alienari pof fe probavimus , ad vitam ,vel etiam pro heredi bus;Quie tunc eftfucceflio,non amplius a primis eligentibus dependens , fedfa milie propria , per ačtum alienationis (7) : e Gudlingio : Id quæri dignum, an perduretvitaį animacivitatisuna,etiamfivelelečžicobtineat,velfucceßio? (1) Bodin. deRepibl.lib.2 3 in (5)Grot.dejur.bell.ac.pac.lib.4cm | xvi و Regni . La prima , 3 > و c.37.n.12.13.14.15.16.p.436. (3)Huber.dejur.Civit.ibid.n.8. 1(7)Huber,dejur.Civ.lib.Ic.28 . (4)Koehler.deJur.Soc.G Gent.Spe- 3p.278. )5( و > . > 9 o sia di . princ.p.302: dejur.Nat.acGent. (2) Huber.de jur.Civit.lib.I.c.27n. (6)VediGudlingio 5p.272infin. :, communividebitur,Salvatamenciviumlibertate, proprietatererum(2) cim.V.deImp.Civ.S.526. p.85. C. , ) 9 cum Et  xvii Et putem id contingentibus adnumerandunt , quæ unitatem nec efficiunt prorsus, nectollunt.Sciliceteleftin,o lucceliopersonastangit non autem modum re. gnandi definit , nec illum impedit ,nec multum promovet ;imo fucceßio pene ab suo.Antecessore , ed ha l'arbitrio di lasciarlo a chi più gli piaccia , come della fua Eredità privata fare ei potrebbe . E così fatti Regni diconfi E R E D I T A R J . Intuttecodeste cinque formediRegnisonocomprese,siccome sarebbe agevole il dimostrare, tutte le differenze , che de' supremi Imperi delle Monarchie fi so gliono fare ; ele quali Ubero per modo di quistioni propone:Junt qui ex alis q u o q u e r e b u s d i f f e r e n t i a m f u m m e p o t e f t a t i s c o l l i g u n t '. P r i m o e n i m Sottoposti;maquandovenneroinItaliavifondaronoilRegno,chefudettode Longo bardi,ofiadell'Italiaedilquale,esottoiReloro,esottoiRe Francesi,edi altre Nazioni finchè durò fusempre ELETTIVO . II. che EREDITARIO fuil Principato di Benevento. III. che fimile , a lui fu il Principato di Salerno . IV. chenondiversodaeffiintalcosailPrincipatodiCapua essersividde. Ma dapoichèilpiùdellevoltedifficilcosaèildeterminareda'loroprincipjl'espo fieforme de sopradettiPrincipati;Quindi è,cheneconvienesoventeimmitare i più Saggi investigatori del vero nelle produzioni della Natura : iquali non potendo vedere le occulte caggioni di essa , da ' continui , e costanti effetti loro , quando esterna violenza non li disturbi , sicuramentelededucono:scriveNevvton traquellifilosofisenzaalcunfalloilpiùfamoso: Ideoque EFFECTUUM NA TURALIUM EJUSDEM GENERISEÆDEM SUNT CAUSÆ .Uti respira tionis in Homine doo in Bestia ; descensus Lapidum in Europa in Qualitates. corporum , que intendi o remitti o nequeunt , queque corporibus omnibres competunt , in quibus experimenta instituere Ticet nun ,a fibisemper confona . Extensiocorporum non nisipersensus innotescit, nec in omnibus fentitur:fedquia fenfibilibus omnibus competit,de universis affirmatur. Corpora plura dura este experimur ; Oritur autem durities totius a duritie par tium,& indenonhorumtantumcorporumquæfentiuntur,sedaliorumetiam omnium particulas indivisas es se duras merito concludimus. Corpora omnia impe netrabilia es se non ratione ; fed fenfu colligimus . Q u e tractamus impenetrabilia ; Lucis in igne culinari do in sole ; reflexionis lucis in ter America ra in Planetis inveniuntur, indeooncliedimusimpenetrabilitatem efeproprietatem corporum univerforum.Corporaomniamobiliaefle,& viribusquibusdam(quasviresiner tiævocamus)perseverareinmotu,velquiete,exhifcecorporumviforum pro prietatibus colligimus.Extenso,Durities,Impenetrabilitas,Mobilitas,& Vis ) . (1)Gudling. dejur.Nat.,acGent.c.1(2).Huber. dejur.Civit.lib.I c.14 12  ; antecedente electionependet;unde quisuccedunt,epopulieligentisvoluntatepri meva fuccederevidentur(1). E finalmente la terza nella quale il Principe possiede il Regno per volere del git(2). . O r d i c h i a r a r i n e l l a m a n i e r a s o p r a d e t t a l' e s p o s t e c o s e io d i c o . I. che iLongobardi furono inprima nellaPannonia ad un Regno EREDITARIO > ) > 5 . ) vel plu ,proqualitatibus corporum univerforum habendesunt TES CORPORUM NONNISI .Nam QUALIT A PER EXPERIMENT AINNOTESCUNT OQUE GENERALES STATUENDÆ ,IDE MENTIS GENERALITER SUNT QUOTQUOT CUMEXPERI. possunt QUADRANT ; de quemimi nonpoffunt auferri . Certe contra experimentorum tenorem fomnia non funt , nec a Nature Analogia recedendum temere confingendo eft,cumeasimplex eflefoleat o , quaforma Reipublic.e Civitas gubernetur , Monarchia tant plurium dispoticum , an Civile Regnum . Patrimo rium imperio. Et in Monarchia ,sitne .Populovolente an invitofit conftitutum .Eligantur, niale,anquasifructuarium ,an perpetuafitpoteftas• Non an successionegaudeant Imperantes.Temporalis Imperii variarivi parvitate vel magnitudine Civitatum jus jummi nullisquoque Species hominum judiciafæpe perstrin fum.Denique,nominum titulorumque interesse p u iner . . > n.Ip.128.129. 3 9 ) 37S.XI.p.435ad436. C.   inertie totius , oritur ab extenfione , duritie , impenetrabilitate viribusinerticepartium: indeconcludimusomnesomniumcorporumpartes minimasextendi,& durasele,o impenetrabiles,& mobiles viribus inertice præditas(1).EnellafestamanierafcriveUbero,che s'abbiadagiudicarenelle cosemorali,ecivili:Sedegoitaexistimorerummoralinm, civiliumnaturam maxime ab effe&tibus ceftimandam (2). Perchè quando non neè conceduto diavere documento dell'IstituzionedelleRepub bliche,osiade'Principati,dicuiragioniamo;da quello,chefièveduto sempre accadere in effi, quando estraneecaggioni l'ordine naturale non abbiano sconvolto, l'istituzioni suddette possiamo dirittamente argomentare . Egli è vero non però , che non di leggieri gl' Imperi Ereditarj da Succeffori con regola c o si fatta fi possono distinguere,imperocchè io alcuna forte di Regni fuccessiviall' ultimo Regnante succedono i figliuoli,od i più stretti Congionti ; E lo stesso av . vieneneRegniEreditarjquandocoluisenza Testamento,osenzanominareal. cuno Estraneo Erede lascia di vivere la vita : più foltobujoquellumefideeprendere,chesipuò,comechèpicciolo,ed incer to egli sia . IlRegno de”Longobardifu prima Succellivo,aEreditario,ed che,uscitidallaScandinavia(4)(ProvinciadettaVagina Gen tium), abitaronodiquadalDanubio ediqualiWINILI eranochiama. ti(5):furonoposciadetti LONGOBARDI,o dallefinte(6),odallevere lunghe loro barbe (7) , ovvero , secondo scrive Guntero , che altri affermino da' Popoli della Sassonia detti Bardi (8). Furonocoftoroinprimada'Duchi eposciadaRefignoreggiati(9);edilRe gno loro finchè rimasero nel loro Paese, fu sempre Ereditario ovvero successivo. (1)Nevuton.Philus.Natur.princ.Ma-|(6)Gregor.Turon. Excerp.Chron.ex Reg Fredeg. Schol.hist.Miscell. c.65. rat. lib. 2.c. 13 • (5)Paul.Diac.de GefieLangob.lib.1|(8)Gunt.lib.2. c.9p.411(a).  mobilitate, 9 appreso Elettivo . non potendofi che la naturale inchinazione del Sangue a figliuoli ed a Cogionti , gli Estran) gliabbiapermessodianteporre.ScrivendoGrozio:Succeflioabintefiato, de quaagimus,nihilaliudeft,quam tacitumteftamentum exvoluntatisconjectura. Quintilianus pater in 67. declamatione : Proximum locum a teftamentis habent propinqui:&ita,siinteftatusquisacfineliberisdecefferit:Nonquoniam utique jufium fit,adhospervenirebonadefunctorum:fedquoniamreliéta,& velutin mediopositanullipropiusvidenturcontingere:Quod de bonisnoviterquæfitis diximusex naturaliter proximis deferri , idem locum habebit in bonis paternis avitisque,finecipsiaquibusvenerunt,neceorumliberiextent itautgratic Philuf.283 P«357.358edit.Am-i()PauloDiac.deGest.Langob.lib.i ftelod. 1714 C.9po411 (6). (2)Huber.dejur.Civ.lib.Ic.28S.V. Reginon.Chron.inprinc.deRegnoWi. (3)Grot.dejur.bell.acpac.lib.2c. nilorum. 7 S.10n.2p.297.298. Constant.Porphyrog.deThemat.lib.2. (4)Gregor.Turon.Excerp.Chron.exc OttoFrifingens.deGeft.FridericiImpe credere $.III. Ue Popoli Q° Agle xviii relatiólocum noninveniat (3). OndedaEqualieffettinonsipossonoargomentarediversecagioni.Ma nelGrice: “This conceptual analysis of the noble is complicated – noble is the male who merits recognition from his community.” Nono duca di Laurino. Troiano Spinelli, duca di Aquara e di Laurino. Troiano Spinelli di Laurino. Spinelli di Laurino. Laurino. Keywords: implicatura, analisi geometrico della’economia razionale, Broggio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Laurino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753939944/in/dateposted-public/

 

Grice e Lazzarelli – implicatura ermetico-esoterica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Severino Marche). Filosofo. Grice: “I would call Lazzarelli a Pythagorean; most Italian philosophers are, as most English philosophers are Lockean!” -- Grice: “I would call Lazzarelli what Italians call ‘un filosofo ermetico.’ He certainly flouts all my desiderata for conversational clarity!” Il documento più importante per ricostruire la vita di Lazzarelli è Vita Lodovici Lazzarelli Septempedani poetae laureati per Philippum fratrem ad Angelum Colotium scritto dal fratello Filippo subito dopo la morte di Ludovico, e indirizzato all'umanista Angelo Colocci. Lazzarelli fu educato e visse a Campli, in Abruzzo, dove frequenta la biblioteca del Convento di San Bernardino da Siena, che egli cita nella sua opera i Fasti Christianae Religionis, un poema di ispirazione cristiana. Ricevette da Sforza un premio per un poema sulla battaglia di San Flaviano. Ebbe contatti con i più importanti studiosi dell'epoca e fu seguace dell'ermetismo. Raccolse il Pimander di Ficino, l'Asclepio e tre trattati sull'ermetismo realizzando una versione che amplia il corpus testi ermetici. Autore di opere a carattere ermetico come il “Crater Hermetis,” in sintonia con il sincretismo religioso dei suoi tempi e in anticipo sulla filosofia di Pico, con la fusione del cabalistico e il cristiano, ma anche di poemetti a carattere allegorico come l'”Inno a Prometeo” o didascalico-allegorici come il “Bombyx”. Altri saggi: “De apparatu Patavini hastiludii (Padova); “De gentilium deorum imaginibus”, dedicato prima a Borso d'Este,  poi a Federico da Montefeltro; “Fasti christianae religionis” con mss dedicati a Sisto IV,  poi a Ferdinando I d'Aragona e ia Carlo VIII (Bertolini, Napoli); Epistola Enoch (Brini, in Testi umanistici sull'ermetico”, Roma; “Diffinitiones Asclepii”;  De bombyce (Lancellotti, Aesii); “Crater Hermetis edito in Pimander Mercurii Trismegisti liber de sapientia et potestate Dei; “Asclepius eiusdem Mercurii liber de voluntate divina”; “ Item Crater Hermetis a Lazarelo Septempedano” (Parigi); Vademecum (M. Brini, in Testi umanistici sull'ermetico”, Roma); “Un carme per la morte della duchessa d'Atri, Biblioteca del Seminario di Padova; “Carmen bucolicum” (Biblioteca universitaria di Breslavia, Milich Collection); carmi di occasione -- tra cui i versi che gli valsero l'incoronazione) (Biblioteca nazionale di Napoli); epigrammi sullo Pseudo Dionigi l'Areopagita. Il testo dell'opera può essere letto in M. Meloni ,"Lodovico Lazzarelli umanista settempedano e il “De Gentilium deorum imaginibus”, in Studia picena, pubblicato in appendice a C. Vasoli, Temi e fonti della tradizione ermetica in S. Champier, in Umanesimo e esoterismo, l’esoterico E. Castelli, Padova, pG. Roellenbleck, Opusculum de Bombyce, anche in edizione moderna integrale in C. Moreschini, Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis" -- studi sull'ermetismo latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofia ermetica, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere, su Ludovico lazzarelli.  l rivista Campli Nostra Notizie, su campli nostra notizie.  LAZZARELLI, Ludovico. - Nacque a San Severino Marche il 4 febbr. 1447 da Alessandro, medico, e da Lorenza Tosti, di nobile famiglia di Campli. La tradizionale data di nascita (1450) è stata recentemente corretta da Tenerelli (pp. 9-12) sulla base di un'annotazione manoscritta che si legge nella biografia del L. composta dal fratello Filippo (meglio trascritta da Meloni, pp. 114 s.) e della notizia d'archivio riferita da Aleandri (p. 274), secondo cui il padre risulta già morto nel 1448. Il L. stesso amava definirsi "Septempedanus", dal nome dell'antica colonia romana che sorgeva nei pressi dell'odierna San Severino Marche.  Alla morte del padre, il L. si trasferì con la madre e i cinque fratelli a Campli, presso Teramo, dove ricevette la prima educazione e - stando alla citata biografia, non immune da toni agiografici, scritta subito dopo la morte - egli dimostrò precocemente inclinazioni poetiche, tanto da comporre, appena tredicenne, un carme sulla battaglia di San Flaviano, che gli avrebbe meritato le lodi di Alessandro Sforza, signore di Pesaro, oltre che l'appellativo di "antiquorum poetarum simia".  L'episodio è il primo di una serie di testimonianze che permettono di ricostruire alcune tappe, peraltro dall'incerta cronologia, della vita fitta di spostamenti condotta dal L. a partire dalla metà degli anni Sessanta. Fu dapprima ad Atri, con l'ufficio di istitutore del figlio del signore della città, Matteo Capuano, dove compose un carme esametrico per la morte della duchessa Caterina Orsini Del Balzo, indirizzato con un'epistola accompagnatoria al fratello Filippo, allora studente di diritto a Padova, che, nella sua biografia, la definirà "sententiis quidem refertam quam optimis ultra eius aetatem" (Vita Lodovici, p. 3). Per due anni fu a Teramo presso Giovanni Antonio Campano, "ut eiusdem Campani fratrem amoenioribus artibus inficeret simulque ut ipse viri familiaritate doctior fieret" (Lancellotti, p. 7), dove si applicò allo studio del greco, dell'ebraico, della matematica e dell'astrologia. Il fratello riferisce di essere stato testimone a Teramo di una sua disputa con un tal Vitale ebreo, che negava la Trinità, e che sarebbe stato vinto anche grazie all'allegazione da parte del L. di autorità talmudiche. Di qui passò a Venezia, dove perfezionò lo studio del latino e del greco alla scuola di Giorgio Merula. Il componimento esametrico De apparatu Patavini hastiludii, scritto in occasione dei giochi svoltisi nel 1468 e nel quale i componenti dell'Accademia padovana dei giuristi erano comparati a personaggi mitici, rivela una buona dimestichezza con l'ambiente accademico patavino. Forse su suggerimento di Merula compose un Carmen bucolicum, costituito da dieci egloghe di soggetto sacro, dedicate ai principali misteri della vita di Cristo: l'avvento preannunciato dai profeti, la natività della Vergine, l'incarnazione del Verbo, la nascita, la passione e la morte, la discesa agli inferi, la resurrezione, l'ascesa al cielo, la discesa dello Spirito Santo, l'assunzione di Maria Vergine. Al soggiorno in Veneto è inoltre legato il più importante riconoscimento pubblico dell'attività poetica del L., l'incoronazione per mano dell'imperatore Federico III, il 30 nov. 1468, nella chiesa di S. Marco a Pordenone.  Secondo il racconto del fratello, il L. si sarebbe recato presso l'imperatore, di passaggio nel suo viaggio verso Roma, e, colta un'occasione propizia, gli avrebbe declamato un suo carme esametrico, accolto con plauso dall'imperatore che spontaneamente gli avrebbe conferito l'alloro poetico. Il L. stesso celebrò poco più tardi l'evento nell'egloga Laurea.  Una serie di stampe, del tipo dei tarocchi del Mantegna, acquistata in una bottega di Venezia, fornì al L. lo stimolo per la composizione dei due libri De gentilium deorum imaginibus, poemetto di carattere mitologico-astrologico. I più rilevanti testimoni dell'opera sono due manoscritti della Biblioteca apostolica Vaticana (Urb. lat., 716, 717), entrambi di elegante fattura e corredati da una serie di sontuose miniature (che ricordano, appunto, la tipologia mantegnesca dei tarocchi). I due codici sono dedicati a Federico di Montefeltro, ma la dedica del ms. 716 è vergata in modo evidente su una dedica precedente abrasa, che Augusto Campana è riuscito a leggere parzialmente, quanto basta però per riconoscervi il nome di Borso d'Este. È così possibile datare il manufatto, e quindi l'ultimazione dell'opera, al lasso di tempo tra il 14 apr. 1471, data di assunzione del titolo ducale di Ferrara da parte di Borso, e il 19 agosto dello stesso anno, data della sua morte. Anche all'interno del testo il nome di Borso è sistematicamente sostituito con quello di Federico e i passi relativi sono adattati al nuovo dedicatario. Il ms. 717 è portatore di una seconda redazione, fin dall'inizio dedicata a Federico già insignito del titolo ducale di Urbino, quindi posteriore all'agosto 1474. Meloni (pp. 99 s.) ipotizza che si possa riconoscere in quest'ultimo il codice originariamente pervenuto a Urbino e che il ms. 716 vi sia giunto più tardi, non solo riconfezionato come si è detto, ma anche corredato di un ulteriore carme finale di congratulazioni per la guarigione di Federico da una grave malattia, attribuibile alle conseguenze dell'incidente occorso al duca nel novembre 1477.  L'originaria dedica a Borso d'Este è perfettamente congruente con la cultura astrologica praticata a Ferrara, ma non estranea neppure alla corte urbinate. L'opera amplifica la consuetudine di "appropriare", nel gioco praticato a corte, dei versi alle carte, secondo il modello dei tarocchi boiardeschi. Ma il L. intende riscattare dall'uso ludico le antiche immagini delle carte, diffuse anche presso il volgo, che "triumphos / appellat tactu commaculatque rudi / priscorum formas […] et simulachra deorum", per restituirle alla loro funzione astrologica e sapienziale di rivelare il vero "obliquis figuris", poiché "invenere suis corrispondentia rebus / signa olim vates et simulachra deum, / quae nunc pro nihilo reputant, gens indiga sensus, / sacrilegi et ludis asseruere suis" (I, 1, 127-140). Nel primo libro sono presentate e descritte, in successione, le sfere celesti, dalla Prima causa alla Luna, con l'aggiunta di un carme conclusivo dedicato alla Musica come prodotto delle sfere celesti. Dei pianeti, identificati con gli dei antichi, sono descritte le immagini, indicate le rispettive domus (i segni zodiacali), sinteticamente narrati i principali miti che hanno come protagonista il dio eponimo, fornite essenziali notizie astronomiche e illustrati gli influssi astrologici. Il secondo libro presenta le immagini della Poesia, di Apollo e delle nove Muse, di Pallade, Giunone, Nettuno, Plutone e, infine, della Vittoria (alla quale è dedicato un carme in versi eroici, mentre tutti gli altri sono in distici elegiaci). Nei due codici urbinati, come si è detto, la descrizione verbale trova riscontro e integrazione nel ricco apparato iconografico che, a sua volta, può aver ispirato elementi decorativi del palazzo ducale di Urbino.  La vicenda compositiva del poemetto probabilmente si compì durante il soggiorno del L. a Camerino, dove era stato chiamato da Giulio Cesare da Varano per attendere all'educazione del nipote Fabrizio. Il L. intraprese quindi la stesura di un nuovo ambizioso poema, i Fasti Christianae religionis, che portò a compimento in una prima redazione a Roma, dove si recò al seguito di Lorenzo Zane, patriarca di Antiochia, presso il quale approfondì gli studi astronomici e astrologici.  La composizione del poema è dai biografi (e, in primis, dal fratello) addotta a documento dell'ortodossia religiosa del L., contro i sospetti di esercitare arti magiche: "Quidam, livore atque invidia perfusi, et palam et in occulto Lodovicum criminari coeperunt, dicentes ipsum negromanticis magicisque artibus, sive praecantationibus, operari" (Vita Lodovici, p. 7). Il L. avrebbe, in effetti, compiuti alcuni esorcismi, vaticini e guarigioni, ma sempre attraverso il segno della Croce e la mediazione dell'assistenza divina.  Bertolini ha ricostruito la complessa vicenda compositiva dei Fasti sulla base delle testimonianze manoscritte superstiti (tra cui il ms. Vat. lat., 2853, autografo, nel quale si depositano varie fasi redazionali) e delle indicazioni cronologiche interne, che permettono di riconoscere tre redazioni: una prima, dedicata al pontefice Sisto IV, compiuta entro il 1480; una seconda dedicata al re di Napoli Ferdinando d'Aragona e a suo figlio Alfonso duca di Calabria, compiuta immediatamente dopo, entro il 1482; una terza più tarda, dedicata al re di Francia Carlo VIII, allestita non prima del 1494 e probabilmente abbandonata dopo il fallimento dell'impresa italiana del sovrano. Si tratta di un vasto poema in sedici libri, costruito secondo il modello del Fastiovidiani. Sono descritte e celebrate le ricorrenze liturgiche cristiane secondo la loro successione nel calendario; vengono inoltre introdotte osservazioni di carattere astronomico e saltuarie indicazioni relative alle attività agricole. I primi tre libri celebrano le feste mobili del calendario liturgico, i dodici successivi sono dedicati ai singoli mesi, cominciando da marzo, l'ultimo tratta del Giudizio finale.   Il poema ricevette onorata accoglienza da parte dell'ambiente romano, come dimostrano i due epigrammi del Platina e di Paolo Marsi riferiti dal fratello Filippo e pubblicati dal Lancellotti (pp. 27, 29), nei quali il poeta è celebrato come una sorta di Ovidio reincarnato. Al Platina sono anche indirizzati un paio di epigrammi del L., il secondo dei quali in morte (21 sett. 1481).  Secondo Foà (p. 784), al 1481 daterebbe la conoscenza con Giovanni da Correggio, alla quale lo stesso L. attribuisce un ruolo fondamentale per la propria conversione alle dottrine ermetiche. L'episodio più noto relativo al rapporto fra i due e al quale il L. stesso fa emblematicamente riferimento risale però all'11 apr. 1484, domenica delle palme, sotto il pontificato di Sisto IV, quando assistette all'apparizione romana di Giovanni da Correggio che, a cavallo e coronato di spine, attraversò la città e, pur privo di qualsiasi istruzione grammaticale e retorica, predicò al popolo compiendo atti e riti simbolici e manifestando una sapienza teologica dovuta a una sorta di mistica ispirazione che gli valse anche incontri con il pontefice e vari prelati.  Gli studi di Kristeller hanno infatti dimostrato l'appartenenza al L. dell'Epistola Enoch de admiranda ac portendenti apparitione novi atque divini prophetae ad omne humanum genus, dove è diffusamente narrato il viaggio romano di Giovanni da Correggio seguito da una dichiarazione dell'autore di piena adesione e di conversione: "quod novae ac tantae rei sacramentale mysterium ego attonitis aspiciens oculis, mecumque ipse attente et ex totis animi viribus tunc revolvens, ne diuturnior obesset mora, relictis Parnasi collibus ceterisque omnibus, ad montem Syon primus eum sum protinus insequutus" (ed. Brini, p. 44).  Con lo stesso pseudonimo di Enoch il L. firmò anche alcuni epigrammi dedicati agli scritti dello Pseudo Dionigi l'Areopagita e, soprattutto, le prefazioni ai testi contenuti nel ms. II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo, una raccolta completa del corpus ermetico nella traduzione di Marsilio Ficino, integrato dall'Asclepius attribuito ad Apuleio e dalle Definitiones Asclepii (ignote a Ficino perché mancanti nel suo codice), tradotte per la prima volta dallo stesso Lazzarelli. Nelle tre prefazioni, una delle quali in versi, il L. indirizza la sua opera di raccoglitore e traduttore a Giovanni da Correggio, nel tono solenne e sacrale dell'iniziato, affermando il sincretismo tra teologia cristiana e teologia ermetica, sostenendo, contro Ficino, la maggiore antichità di Ermete Trismegisto rispetto a Mosè e presentando la propria conversione dalla poesia agli studi sacri come una vera e propria rigenerazione: "quondam poeta nunc autem per novam regenerationem verae sapientiae filius" (Kristeller, 1956, p. 242).  Il L. entrò quindi in rapporto con Francesco Colocci quando questi, avendo con sé il nipote Angelo, si trovava nel Regno di Napoli come governatore di Ascoli Satriano. Secondo Fanelli (p. 16 n.), i Colocci passarono nel Regno di Napoli dopo il 1485: poco prima del 1490 andrebbero dunque collocate la composizione e la stampa del poemetto del L. De bombyce, dedicato "ad Angelum Colotium honestae indolis puerum".  La datazione dell'opera è controversa e il più recente editore, Roellenbleck, ne propone una molto più alta, che peraltro non si concilia con la tematica ermetica del poemetto né con l'anno di nascita di Angelo Colocci (il 1474), che pare dovesse avere un'età idonea a essere prescelto come lettore esemplare ("lege sollicito mea carmina visu", v. 17), vero e proprio filius da rigenerare (l'appellativo di puer può avere un'estensione molto ampia). Il Bombyx si presenta, infatti, come un poemetto didascalico dedicato all'allevamento del baco da seta, ma teso a svelarne, sulla traccia di analogie già suggerite da s. Basilio, la simbologia cristologica e a farne il simbolo di una rigenerazione alla quale tutti gli esseri umani sono chiamati, compiuta la quale potranno a loro volta generare una prole divina: "Surgite, terrigenae, bombycum exempla sequuti. / […] / Linquite corporeos sensus, mens candida regnet / […]/ Sancta palingenesis vos complectatur et orti / rursus humo coelum penitus penetrate relicta / […]. / Gignite divinam repetito semine prolem. / Quo pacto id fieri possit, mox forte docebo, / hic gradus aethereo primus statuatur Olympo" (vv. 237, 243-244, 246-247, 253-255).  L'ulteriore opera dedicata al tema della generazione divina, annunciata in chiusura del Bombyx, può forse essere riconosciuta nel De summa hominis dignitate dialogus qui inscribitur Crater Hermetis. Si tratta di un dialogo in prosa, nel quale sono inseriti alcuni componimenti poetici, di vario metro, nei momenti di maggiore intensità d'ispirazione e di proclamata esaltazione mistica. Gli interlocutori sono lo stesso L., che ha ruolo di maestro, e il re di Napoli Ferdinando d'Aragona, dopo che, ormai vecchio, ha ceduto il governo dello Stato al primogenito Alfonso II. Queste indicazioni permettono di collocare l'azione, e anche la composizione, tra il 1492 e il 1494, data della morte del re.  Il recente editore, Moreschini, ha anche riconosciuto due redazioni dell'opera, la più antica testimoniata dal ms. XIII. A. A. 34 della Biblioteca nazionale di Napoli, la seriore dalla stampa procurata nel 1505 da J. Lefèvre d'Étaples a Parigi. La differenza più evidente tra le due redazioni consiste nella presenza, nella prima, di un terzo interlocutore, Giovanni Pontano, con il ruolo, secondario ma non indifferente, di affiancare il re, discepolo entusiasta e convinto, come poeta desideroso di approfondire anche verità filosofiche e teologiche. L'origine del titolo è in un passo del Corpus Hermeticum (IV, 3-4) in cui si parla di un crater inviato da Ermete sulla terra affinché in esso gli uomini possano battezzarsi e ricevere così l'intelletto che li rende capaci di partecipare alla gnosi. A conclusione dell'opera il L. si autorappresenta come colto da una sublime ispirazione che lo rende capace di rivelare il mistero della generazione di anime divine da parte del vero uomo, che ha raggiunto la pienezza della conoscenza e che si rende così simile a un dio. Moreschini (1985, pp. 206 s.) osserva come nella seconda redazione il L. eviti di rendere troppo espliciti i rapporti tra ermetismo e cristianesimo (lo stesso titolo, nella prima redazione, recitava: … qui inscribitur via Christi et crater Hermetis), attenuando, per esempio, le argomentazioni che tendevano ad attribuire all'ermetismo priorità cronologica (e anche genetica) nei confronti di ebraismo e cristianesimo. Lo scritto manifesta inoltre ampie conoscenze cabalistiche e talmudiche, che tradizionalmente si ritenevano patrimonio, in quegli anni, del solo Giovanni Pico della Mirandola.  Ultima opera del L. sembrano essere i De mathesi et astrologia libri, segnalati da Lancellotti (p. 10), che invano ne aveva cercato copia presso gli eredi del poeta. Brini (p. 24) ne propone, ma senza indizi veramente probanti, l'identificazione con un trattato di alchimia, conservato nel ms. 984 della Biblioteca Riccardiana di Firenze: una raccolta di preparazioni alchimistiche tratte da Raimondo Lullo e da altri, presentate dal L. con un breve testo introduttivo che si apre con un epigramma di sei distici. Il L. stesso, definendo questo suo libro vademecum, ne indica il contenuto: "agemus in hoc libro Vade mecum […] de alchimia que est naturalis magia et […] vocatur astrologia terrestris". In questa scienza dichiara di essere stato istruito "a Joane Ricardi de Branchis de Belgica provincia […] qui in hoc fuit magister meus currente ab incarnatione verbi anno MCCCCXCV" (ed. Brini, p. 76).  Nella sua biografia il fratello attribuisce al L. capacità divinatorie attraverso il sogno - "habebat […] somnia, quae potius visiones, sive oracula dici potuissent" (Vita Lodovici, p. 10) - e in sogno il L. avrebbe anche antiveduta la propria morte, intervenuta a San Severino il 23 giugno 1500, a pochi giorni di distanza da quella del fratello Girolamo.  Delle opere del L. sono a stampa: De apparatu Patavini hastiludii, Patavii 1629; De gentilium deorum imaginibus, a cura di W.J. O'Neal, Lewiston, NY, 1997; Fasti Christianae religionis, a cura di M. Bertolini, Napoli 1991; Epistola Enoch [Venezia, s.n., dopo il 1500] (cfr. Indice generale degli incunaboli [IGI], VI, p. 225), ora a cura di M. Brini, in Testi umanistici sull'ermetismo, Roma 1955, pp. 34-50; la traduzione delle Diffinitiones Asclepii in appendice a C. Vasoli, Temi e fonti della tradizione ermetica in uno scritto di Symphorien Champier, in Umanesimo e esoterismo, a cura di E. Castelli, Padova 1960, pp. 251-259; le prefazioni del ms. II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo in appendice a P.O. Kristeller, Marsilio Ficino e Lodovico Lazzerelli. Contributo alla diffusione delle idee ermetiche nel Rinascimento, in Annali della R. Scuola superiore di Pisa, s. 2, VII (1938), pp. 237-262, quindi in Id., Studies in Renaissance thought and letters, Roma 1956, pp. 221-247; De bombyce [Roma, Eucharius Silber, s.d.] (IGI, 5707), quindi in Bombix. Accesserunt ipsius aliorumque poetarum carmina…, a cura di G.F. Lancellotti, Aesii 1765, e ora in G. Roellenbleck, Ludovico Lazzarelli Opusculum de Bombyce, in Literatur und Spiritualität. Hans Sckommodau zum siebzigsten Geburtstag, a cura di H. Rheinfelder - P. Christophorov - E. Müller-Bochat, München 1978, pp. 213-231; Crater Hermetis nel corpus di testi ermetici raccolti da J. Lefèvre d'Étaples: Pimander Mercurii Trismegisti liber de sapientia et potestate Dei. Asclepius eiusdem Mercurii liber de voluntate divina. Item Crater Hermetis a Lazarelo Septempedano, Parisiis, in officina Henrici Stephani, 1505, quindi, in edizione moderna, parzialmente, a cura di M. Brini in Testi umanistici sull'ermetismo, cit., pp. 51-74 e, integralmente, in C. Moreschini, Il "Crater Hermetis" di Ludovico Lazzarelli, in Id., Dall'"Asclepius" al "Crater Hermetis". Studi sull'ermetismo latino tardo-antico e rinascimentale, Pisa 1985, pp. 203-265; Vademecum, a cura di M. Brini, in Testi umanistici sull'ermetismo, cit., pp. 75-77.   Ampie sillogi di scritti del L., frutto di compilazioni sette-ottocentesche, sono contenute nei mss. 3 e 207 della Biblioteca comunale di San Severino Marche; il carme per la morte della duchessa d'Atri è conservato nel ms. 598 della Biblioteca del Seminario di Padova (cfr. A. Tissoni Benvenuti, Uno sconosciuto testimone delle egloghe di Calpurnio e Nemesiano, in Italia medioevale e umanistica, XXIII [1980], p. 384); il codice unico del Carmenbucolicum si trova nella Biblioteca universitaria di Breslavia, Milich Collection, VIII.18; una silloge di carmi di occasione (tra cui i versi che gli valsero l'incoronazione) è nel ms. V. E. 59 della Biblioteca nazionale di Napoli; gli epigrammi sullo Pseudo Dionigi l'Areopagita si leggono nel ms. W.344 della Walters Art Gallery di Baltimora.  Fonti e Bibl.: San Severino Marche, Biblioteca comunale, Mss., 3, pp. 1-12, 77-102: due copie di F. Lazzarelli, Vita Lodovici Lazarelli Septempedani poetae laureati per Philippum fratrem ad Angelum Colotium, da cui deriva in gran parte la biografia premessa da G.F. Lancellotti al poemetto del L. Bombix…, cit., Aesii 1765; F. Vecchietti - F. Moro, Biblioteca picena, V, Osimo 1796, pp. 238-244; V. Lancetti, Memorie intorno ai poeti laureati d'ogni tempo e d'ogni nazione, Milano 1893, pp. 219 s.; V.E. Aleandri, La famiglia Lazzarelli di Sanseverino (Marche), in Giorn. araldico genealogico diplomatico italiano, XXII (1894), pp. 272-279; K. Ohly, Ioannes "Mercurius" Corrigiensis, in Beiträge zur Inkunabelkunde, II (1938), pp. 133-141; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, V, New York 1941, pp. 533 s.; L. Donati, Le fonti iconografiche di alcuni manoscritti urbinati della Biblioteca Vaticana, in La Bibliofilia, LX (1958), pp. 48-129 (vi è riferita, p. 91, la lettura di A. Campana della dedica del ms. Urb. lat., 716); P.O. Kristeller, Lodovico L. e Giovanni da Correggio, due ermetici del Quattrocento, e il manoscritto II.D.I.4 della Biblioteca comunale degli Ardenti di Viterbo, in Biblioteca degli Ardenti della città di Viterbo. Studi e ricerche nel 150° della fondazione, a cura di A. Pepponi, Viterbo 1960, pp. 15-37; J. Delz, Ein unbekannter Brief von Pomponius Laetus, in Italia medioevale e umanistica, IX (1966), p. 419; F. Ubaldini, Vita di mons. Angelo Colocci, a cura di V. Fanelli, Città del Vaticano 1969, pp. 15 s.; C. Moreschini, Il "Crater Hermetis" di L. L., in Res publica litterarum, VIII (1984), pp. 161-170; S. Sosti, Il "Crater Hermetis" di L. L., in Quaderni dell'Istituto nazionale sul Rinascimento meridionale, I (1984), pp. 99-133; N. Tenerelli, L. L. ed il rinascimento filosofico italiano, Bari 1991; M.P. Saci, L. L. da Elicona a Sion, Roma 1999; S. Foà, Giovanni da Correggio, in Diz. biogr. degli Italiani, LV, Roma 2000, pp. 784-786; D.P. Walker, Magia spirituale e magia demoniaca da Ficino a Campanella, Torino 2000, pp. 88-99; M. Meloni, L. L. umanista settempedano e il "De gentilium deorum imaginibus", in Studia picena, LXVI (2001), pp. 91-173; P.O. Kristeller, Iter Italicum, ad indices; Rep. fontium hist. Medii Aevi, VII, pp. 159-161.Luigi Lazzarelli. Lodovico Lazzarelli. Ludovico Lazzarelli. Lazarelli. Keyword: implicatura ermetica, mascolinita romana, religione officiale romana, campo marzio, marte, dio della guerra, marte come pianeta, il simbolismo di marte nell’arte e la filosofia, marte e apollo, marte e Nietzsche --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lazzarelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689355866/in/photolist-2mKBsEN

 

Grice e Lecaldano – transpatia – l’impassibile di Ccerone -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo. Grice: “Lecaldano is interested in altruism as the basis for morality; I’m interested in morality as the basis for altruism; he ain’t Kantian; I am!” -- Grice: “I love Lecaldano; perhaps because he is an Italian, he focused on Scots! His analyses of Smith and Hume on ‘sympathy’ is ‘simpatico,’ as the Italians say.” Grice: “Lecaldano engages in the kind of linguistic botanising I do when I reflect on ‘cooperation’ versus ‘benevolence’ versus ‘empathy’ versus ‘sympathy’ versus ‘compassion.’ Unlike Lecaldano, I end up with a rationality-based account of cooperativeness – or rather a narrowing of ‘co-operation’ to ‘rational co-operation’ – there are others!” Si laurea a Roma, insegna a Siena e Roma. Fonda La Società Italiana di Filosofia Analitica (“to keep us apart from non-analytics like Plato!”). Membro della Società Filosofica Italiana. Le riflessioni di Lecaldano spaziano dalla storia della filosofia morale sino alle discussioni contemporanee sulla bioetica. Avvalendosi anche del rigore concettuale della filosofia analitica, indirizza la sua ricerca alla ricostruzione storiografica della morale anglosassone dal XVII al XIX secolo, con particolare riferimento ai filosofi scozzesi (David Hume, Adam Smith). Ha inoltre indagato criticamente i problemi della metaetica. In bioetica, Lecaldano si prefigge l'obiettivo di una chiarificazione delle implicazioni morali legate alle bio-tecnologie, che sfocia in una prospettiva laica per la pacifica gestione del conflitto morale che le "tecnologie della vita" hanno prodotto. Saggi: “Le analisi del linguaggio morale – “Buono" e "dovere" (Roma, Ateneo), “La fallacia naturalista” (Roma, Laterza); “La lume della ragione, gl’iluminati”” (Torino, Loescher), “Lo scetticismo” (Roma, Laterza); “Etica, Torino, POMBA); “Bio-etica: la scelta morale” (Roma, Laterza); “La morale” (Gaeta, Bibliotheca); “Dizionario di bio-etica” (Roma, Laterza); “Un'etica secolare – senza Dio” (Roma, Laterza); “Prima lezione di Filosofia Morale” (Roma, Laterza); “Simpatia, impassibile” (Milano, Cortina); “Senza Dio – gl’atei romani” (Bologna, Mulino); -- la religione officiale in Roma antica – “Sul senso della vita, Bologna, Mulino); “Bioetica Comitato Nazionale per la Bioetica Biotecnologie); “La bioetica. Il punto di vista morale di E. Lecaldano sulla nascita, la cura e la morte di Luca Corchia. Riflessioni di Lecaldano sul Senso della Vita In Riflessioni. I significati di simpatia tra conversazione comune e letteratura  “La molteplicità di usi di simpatia”  È possibile riconoscere diversi significati nel termine simpatia che di solito è accompagnato da un  significato positivo, anche se in realtà è possibile estendere il suo significato fino a usarlo con  connotazione negativa. Nel dizionario troviamo distinte 13 accezioni del termine, dall’attrazione  sentimentale alla condivisione di un atteggiamento o posizione politica. Come notava Hume nel XVIII  secolo, è molto difficile parlare delle operazioni della nostra mente in termini del tutto esatti, perché  il linguaggio comune raramente fa delle sottili distinzioni. Il termine simpatia viene compreso dalla  gran parte delle persone, ma paga la sua ampia diffusione con l'indeterminazione che ad esso si  accompagna.  “La simpatia nei romanzi e nei film”  In questo campo è enorme l'utilizzazione che ha avuto la simpatia, sia in forma implicita che  esplicita. Lynn Hunt suggerisce che la nozione di simpatia sia la prosecuzione di quella che nei testi  illuministi viene analizzata come simpatia; Hunt, poi, privilegia la simpatia assimilata alla  compassione. Già nel diciottesimo secolo Rousseau, assimilando la simpatia e la compassione, la  considerava una forma di pietà suscitata solo da pene e dolori. Mentre Hume e Smith la  consideravano come la capacità, più sviluppata negli uomini che negli animali, di partecipare  attivamente alle condizioni altrui, sia dolorose che gioiose. E’ illuminante la tesi di Hunt secondo cui  il rafforzarsi della simpatia fra gli esseri umani nella cultura europea del XVIII secolo (reso possibile  dai romanzi) portò a riconoscere l'eguaglianza di molti esseri umani che fino a quel momento erano  stati emarginati. Molti romanzi in secoli successivi accesero le emozioni e la partecipazione  simpatetica del pubblico. (es.pag.15) Verosimilmente anche molta della forza espressiva del cinema  può essere identificata nella capacità di quest'arte di rendere conto, con le sue tecniche, degli stati  d'animo e della trasformazione delle emozioni dei personaggi. (Es. Pag. 17 e discorso su Kundera  pag. 18- 19)  “Un percorso di approfondimento”  Lo sforzo di conoscere il funzionamento della simpatia si connette con la questione relativa a quanto  la simpatia si debba ritenere essenziale per la genesi della pratica morale diffusa tra gli esseri umani.  Cercheremo di capire se la simpatia sia necessaria o meno per la moralità ed esporremo le  argomentazioni pro e contro questa tesi. Fermo restando che la simpatia può essere considerata  necessaria per la nostra vita etica, ma non sufficiente. Simpatia può riferirsi a un'attitudine  conoscitiva tramite la quale riusciamo a cogliere le condizioni mentali altrui, oppure a una reazione  affettiva ed emotiva nei confronti dei sentimenti altrui. Concordando con Stueber, andremo verso la  simpatia intesa come preoccupazione per le altre persone e le loro menti. Vi sono due criteri in base  ai quali individuare tipi diversi di simpatia:  1. Da una parte quello che considera la simpatia come un'operazione mentale semplice e istintiva,  un contagio emozionale automatico;  2. Dall'altra quello che considera la simpatia come un processo psicologico più complicato e che  comporta un minimo di riflessione.  L'impostazione adeguata è quella che non confonde i due livelli di simpatia e non semplifica le cose,  presentando una concezione riduttiva. Insisteremo inoltre sulla connessione tra simpatia e la pratica  non solo della moralità, ma della giustizia, della politica, così come sulla sua incidenza nelle forme di  civilizzazione. Prenderemo le distanze dall'esportazione della simpatia sul piano normativo che vede  in essa ciò che è necessario e sufficiente per la costruzione di una moralità umana. (contesto  dell'autore pag. 25)  Capitolo due- I significati di simpatia tra filosofia e scienza  “Una forza cosmica”  La nozione di simpatia ha una lunga tradizione nella storia della filosofia. La prima importante  nozione di simpatia è quella che le riconosce una forza cosmica che tiene insieme tutte le cose del  mondo. Nella cultura classica greca e latina, la simpatia utilizzata per richiamare una connessione  armonica che unisce fra loro esseri umani e realtà naturali. Inoltre, la nozione di simpatia nella  filosofia antica viene usata per richiamare un processo che si sviluppa nel mondo fisico e solo  secondariamente in quello umano, infatti gli stoici si riferiscono ad una simpatia universale per  indicare l'affinità oggettiva esistente fra tutte le cose. Gli stoici sono importanti per l'influenza che  ebbero sui moderni interessati alla simpatia come Hume e Smith. In Plotino troviamo un'immagine  che verrà ripresa da Hume (riferimento pag.31) Questo concetto naturalistico della simpatia è il  fondamento della magia e verrà ripreso dai maghi del Rinascimento. Nella cultura antica la simpatia  ha un'estensione prevalentemente cosmologica e ontologica, identificandosi con un fenomeno  universale e con la forza che tiene insieme tutte le cose in una relazione automatica. Fin  dall'antichità, quindi, la simpatia ha un'accezione positiva. Prima del passaggio alla modernità c'è  un'importante innovazione nell'uso della simpatia ad opera di Francesco d'Assisi, che nel “Cantico  delle creature” chiama suoi fratelli e sorelle, animali, piante, ma anche il sole, la luna, l'acqua e il  fuoco. Questo atteggiamento è “empatia”. (oriente e Schopenhauer pag. 34)  “Una relazione attiva fra due poli”  Nel secolo XVII, la simpatia conquista il suo posto come forza dinamica della natura umana. Critica a  Hobbes che negava qualsiasi presenza di empatia nell'uomo, visto come essenzialmente egoista.  Significativi qui sono Shaftesbury e Hutchenson che però, pur riconoscendo agli esseri umani un  grado di apertura affettiva l'uno verso l'altro non ne avevano realizzato quella completa  soggettivizzazione che troviamo in Hume e Smith. Shaftesbury, infatti, con l'impostazione  platonizzante tende a considerare la simpatia come una trama che si estende al di là del mondo  umano, creando armonia fra vite umane ed ordine universale. Hutchenson, invece, preferisce il  termine simpatia quello di “senso pubblico”, facendo riferimento ad un contagio emotivo. (rif. pag.  38- 39). Hume contesterà ad Hutchenson una trattazione della simpatia erronea perché incapace di  cogliere il suo collegamento con l'immaginazione e la riflessione. Ciò non toglie che le analisi di  Hutchenson siano tornate attuali nel XX secolo.  “Un principio di comunicazione e partecipazione”  E’ nel XVIII secolo che troviamo la trattazione più approfondita dell'idea di simpatia e si può  individuare nelle analisi di Hume e Smith due diverse concezioni che influenzeranno molti pensatori.  Hume e Smith concordano nel considerare la simpatia solo come un dato della natura della  psicologia umana e non una forza cosmica. Per Hume la simpatia è un principio psicologico che  permette la comunicazione e la partecipazione fra gli esseri umani; per Smith è altresì un principio  psicologico, ma tende a distinguere fra ciò che possiamo approvare e ciò che dobbiamo  disapprovare. Queste diversità tra i due autori incidono sulla connessione fra simpatia e moralità:  Smith la concepisce come necessaria e sufficiente, Hume solo necessaria ma non sufficiente. Hume  dedica alla simpatia molte analisi nel “Trattato sulla natura umana”, in cui troviamo una linea  interpretativa ben riconoscibile che sarà illuminante. La simpatia viene considerata da Hume un  principio costitutivo della vita umana ed egli fissa due punti fondamentali:  1. La simpatia non riguarda le relazioni fra cose o oggetti, ma solo quelle fra esseri umani,  nonostante coinvolga anche relazioni con gli animali e tra loro stessi;  Nella natura umana esiste una gran tendenza a prestare agli oggetti esterni le stesse emozioni che  osserviamo in noi stessi. (tendenza che si manifesta nei bambini, nei poeti e nei filosofi);  2. L'estensione della simpatia anche al rapporto tra uomini e animali ed alla condotta di questi  ultimi, è evidente che la simpatia si manifesta anche negli animali suscitando le stesse emozioni  provocate nella nostra specie.  Hume distingue due livelli di simpatia: quella istintiva e automatica presente fin dall' infanzia,  riscontrabile anche negli animali (rif. pag. 47) e quella che opera in modo indiretto, ricorrendo  all'immaginazione riflessiva e non immediata che genera i sentimenti morali. (pag. 49) A quest'ultima  forma di simpatia può essere ricondotto la trattazione della questione sul coincidere tra morale e  simpatia. Hume offre una lunga analisi per spiegare che la simpatia non è in grado di rendere conto  della distinzione che facciamo tra virtù e vizio.  “I sentimenti simpatici di uno spettatore imparziale”  Nella “teoria dei sentimenti morali” Adam Smith presenta una concezione della simpatia alternativa  a quella di Hume. Infatti, a Smith non interessa la simpatia come contagio emozionale, ma anzi la  identifica come una specie di emozione che si prova quando si concorda con le emozioni e passioni  altrui. Provare simpatia per qualcuno significa provare piacere su nel condividere emotivamente la  risposta che l'altro dà alla situazione. In Smith, approvare moralmente una condotta significa  simpatizzare con essa. (polemica con Hume sul piacere, pag. 53- 54)  Per Smith la simpatia si presenta come uno stato complesso e articolato: vi è un primo stadio che è  la capacità di ricostruire la passione e condotta dell'altro, o spiacevole se comporta sofferenza o  piacevole se provoca gioia; un secondo stadio dato dall'approvazione o disapprovazione che si dà  della condotta altrui; infine, uno stadio in cui si troverà un piacere simpatetico, se le nostre  approvazioni concordano e un dispiacere se discordano. Considerando la simpatia come  approvazione, Smith cattura una nozione più determinata di quella generica analizzata da Hume, ma  molto più aperta per ciò che riguarda il ruolo che gioca in essa l'immaginazione. La simpatia come  approvazione morale in Smith si allarga ad includere in ogni relazione simpatetica l'intervento di uno  spettatore immaginario capace di far valere le esigenze di una più completa ricerca delle  informazioni rilevanti. (rif. pag. 56-58)  “Una pietà o compassione per l'umanità”  Concezione diversa la possiamo trovare in Rousseau, il quale si riferisce alla simpatia col ter. Grice: “While his research on sympathy is erudite, he shows little sympathy! As far as his philosophy of laicity (an Italian obsession) is concerned, he forgets for Romans religio WAS a matter of state – those who did not submit were thrown to the lions!” – Grice: “Lecaldano fails to recognize, but then he would, being a post-Lateran-pact traumatized Italian – that not only religion was for the romans in the ‘eta antica’ a matter of state, but that the STATE was a matter of religion. This was well perceived by that branch of fascism who culticated the ‘paganismo’ which is a misnomer and only applies to the birth of Christ! I would hardly say a Roman in ‘eta antica’ saw himself as ‘ethnic, ‘ethnicus, ennico, a pagan, or heathen!”  Eugenio Lecaldano. Keywords: simpatia, simpatico, antipatico, compassione, compassivo, empatia, impassibile, transpatia, patia, patico, il patico, diapatia. Psi-transmission. Grice: “Scheler uses ‘transpathy,’ but then he would use anything!” filosofi italiani della simpatia, croce, l’intersoggetivo, simpatia ed amore, empatia, impassibile, im- negative, im- enfatico – teorie della simpatia morale in Italia --. Lecaldano. Keywords: illuminati e illuministi --. Refs.: transpatia, dia-pathia, trans-passione – trans-passio. Luigi Speranza, “Grice e Lecaldano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753491208/in/dateposted-public/

 

Grice e Livi – consenso sociale – filosofia italiana – l’aporia: se cristiano, non filosofo. Luigi Speranza (Prato). Filosofo. Grice: “Livi is one of the few Italian philosophers who have taken Moore’s ‘common-sense’ seriously!” – Grice: “The way Livi justifies common-sense, not unlike Moore, is via a principle of ‘coherence’” Allievo di Gilson, collabora con Fabro, Noce edAgazzi. Inizia la scuola filosofica del senso comune, rappresentata dalla ISCA (International Science and Common Sense Association), che ha come organo ufficiale la rivista "Sensus communis -- Alethic Logic". Tra i suoi numerosi discepoli o estimatori vi sono Renzi (autore di importanti saggi di Storia della Metafisica),  Bettetini, Arecchi, Spatola (psichiatra), Covino ed Arzillo.  Fondatore della casa editrice Leonardo da Vinci, fu membro associato della Pontificia Accademia di San Tommaso, decano e professore emerito della Facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense. Firmò con Giovanni Paolo II alcune parti dell'enciclica Fides et ratio.  «Senso comune» è il termine utilizzato da Livi in chiave anti-cartesiana per individuare le certezze naturali e incontrovertibili possedute da ogni uomo. Non si tratta di una facoltà o di strutture cognitive a priori, ma di un sistema organico di certezze universali e necessarie che derivano dall'esperienza immediata e sono la condizione di possibilità di ogni ulteriore certezza. Ha per primo precisato quali siano queste certezze e ha provato con il metodo della presupposizione che esse sono in effetti il fondamento della conoscenza umana. Il senso comune comprende dunque l'evidenza dell'esistenza del mondo come insieme di enti in movimento; l'evidenza dell'io, come soggetto che si coglie nell'atto di conoscere il mondo; l'evidenza di altri come propri simili; l'evidenza di una legge morale che regola i rapporti di libertà e responsabilità tra i soggetti; l'evidenza di Dio come fondamento razionale della realtà, prima causa e ultimo fine, conosciuto nella sua esistenza indubitabile grazie a una inferenza immediata e spontanea, la quale lascia però inattingibile il mistero della sua essenza, che è la Trascendenza in senso proprio. Queste certezze sono a fondamento di un sistema di logica aletica su base olistica.  Tra gli studi recenti sul sistema della logica aletica elaborato da lui vanno ricordati i saggi di Agazzi, "Valori e limiti del senso comune" (Franco Angeli, Milano), Ottonello ("Livi", in "Profili", Marsilio, Venezia ), Vassallo ("La riabilitazione del senso comune", in "Memoria e progresso", Fede & Cultura, Verona), di Arzillo, “Il fondamento del giudizio -- una proposta teoretica a partire dalla filosofia del senso comune (Vinci, Roma ); Renzi, La logica aletica e la sua funzione critica -- analisi della proposta di Livi (Vinci, Roma). Hanno scritto su Livi anche Andolfo (storico della filosofia antica), Sacchi, Cottier, Fisichella, Galeazzi, Pangallo e Possenti. Da Gilson, Fabro ed Agazzi ha appreso ad affrontare i problemi essenziali della speculazione metafisica in dialogo con grandi filosofi antichi (Platone, Aristotele, gli Stoici, Agostino), del Medioevo (Anselmo, Aquino, Duns Scoto) e dell'età moderna (Vico, Kierkegaard, Rosmini-Serbati). Convinto assertore del metodo realistico di interpretazione dell'esperienza, ne ha difeso le ragioni utilizzando sistematicamente gli strumenti dialettici offerti dai pensatori della scuola analitica. Suoi critici più intransigenti sono stati, da una parte, l’idealista Severino, e dall'altra il caposcuola del pensiero debole, Vattimo. Altri saggi: “Cistiano e filosofo -- il problema (L'Aquila:  Japadre); “Cristiano e comunista” (Torre del Benaco: Colibrì); “Filosofia del senso comune -- Logica della scienza (Milano: Ares); “Il senso comune tra razionalismo e scetticismo in Vico” (Milano: Massimo); “Lessico filosofico latino” (Milano: Ares); “Il principio di coerenza -- senso comune e logica epistemica” (Roma: Armando); “Aquino: filosofo” (Milano: Mondadori); “La filosofia in eta antica” (Roma: Alighieri); “Dizionario storico della filosofia, Roma: Alighieri); “La ricerca della verità” (Roma, Vinci, Verità del pensiero (Fondamenti di logica aletica) Roma: Lateran University Press); “Razionalità della fede nella Rivelazione -- Un'analisi filosofica alla luce della logica aletica” (Roma: Vinci); “La ricerca della verità -- Dal senso comune alla dialettica” (Roma: Vinci); L'epistemologia di Aquino e le sue fonti” (Napoli: Comunicazioni ); “Senso comune e logica aletica” (Roma: Vinci); “Perché interessa la filosofia e perché se ne studia la storia” (Roma: Vinci); “Storia sociale della filosofia in eta antica: aspetti sociali” I: La filosofia antica e medioevale;  moderna;  contemporanea, L'Ottocento; Il Novecento) Roma: Alighieri); “Logica della testimonianza - quando credere è ragionevole” (Roma: Lateran); “Senso comune e metafisica -- sullo statuto epistemologico della filosofia prima” (Roma: Vinci); “Nuovo Dizionario storico della filosofia” (Roma, Alighieri); “Premesse razionali della fede. Filosofi e teologi a confronto sui praeambula fidei” (Roma: Lateran); “Etica dell'imprenditore. Le decisioni aziendali, i criteri di valutazione e la dottirna sociale della Chiesa” (Roma: Vinci); Dizionario critico della filosofia, Roma: Alighieri); “Teologia come braccio della metafisica speziale” (Bologna: Edizioni Studio Domenicano); “Il senso comune al vaglio della critica” (Roma: Vinci); “Filosofia del senso comune. Logica della scienza e della fede” (Roma: Vinci); “Vera e falsa teologia. Come distinguere l'autentica "scienza della fede" da un'equivoca "filosofia religiosa" (Roma: Vinci); “L'istanza critica, Roma: Vinci); “La certezza della verità. Il sistema della logica aletica e il procedimento della giustificazione epistemica” (Roma: Vinci); “Dogma e pastorale. L'ermeneutica del Magistero, dal Vaticano II al Sinodo sulla famiglia, Roma:Vinci,. Le leggi del pensiero. Come la verità viene al soggetto” (Roma: Vinci,. Teologia e Magistero” (Roma: Vinci); “Vera e falsa teologia. Come distinguere l'autentica "scienza della fede" da un'equivoca "filosofia religiosa",  su Gli equivoci della teologia morale dopo l’amoris Laetitia” (Roma: Vinci);  “Aquino filosofo” in Antonio Piolanti San Tommaso nella storia del pensiero” (Roma: Vaticana); “La filosofia di Etienne Gilson", in Antonio Piolanti Etienne Gilson, filosofo cristiano, Roma: Vaticana,  "L'unità dell'esperienza nella gnoseologia in Aquino", in Antonio Piolanti "Noetica, critica e metafisica in chiave tomistica", Roma: Vaticana); “Senso comune e unità delle scienze", in Rafael Martinez "Unità e autonomia del sapere: il dibattito", Rome: Armando, E. Ledda, In memoriam: Corrispondenza Romana, 1º luglio.  Sito di Antonio Livi  su antoniolivi.com. Casa editrice Leonardo da Vinci, su editriceleonardo.com.  ISCA International Science and Commonsense Association, su isca-news.org. Fides et Ratio, su fidesetratio. Il Giudizio Cattolico, su ilgiudiziocattolico.com. Antonio Livi. Keywords: ‘il senso commune in Vico” – Grice develops a sceptical defence in his early “Common sense and scepticism,” “mainly motivated by what he sees as a ‘cavalier attitude’ to the sceptic by, of all people, Malcolm.” – Grice: “I’m not sure Livi would agree with my idea, but I think he would – certainly Vico took the sceptic challenge possibly most seriously than anyone and Livi is an expert on Vico. Vico’s line of defense lies on the connection, conceptual he thinks, between ‘common sense’ and ‘consenso’: therefore, Malcolm and I have to reach a consensus that we are going to use ‘know’ for things like ‘I know that s is p,’ say, there is cheese on the table, there is a mermaid on the table. Etc. And that “if I’m not dreaming” may not always be a conversationally appropriate defeater!” – Livi. Keywords: consenso sociale, amoris laetitia, Letizia dell’amore --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Livi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753478393/in/dateposted-public/

 

Leon

 

Grice e Leoni – implicatura – filosofia italiana – il vincolo mi fa libero -- Luigi Speranza (Ancona). Filosofo. Grice: “I love Bruno Leoni; my balance between the principle of conversational self-love and the principle of conversational benevolence is what all his philosophy is about!” – Grice: “Leoni has technical concepts here: his is an individualism, i. e. subjectivisim, and he believes that the ‘scambio’ or ‘inter-subjective,’ inter-individual exchange’ is ‘spontaneous – he calls it ‘ordine spontaneo.’ He doesn;’t see it necessarily as ethical or meta-ethical – but descriptive; similarly I speak of conversational maxims as different from ‘moral’ maxims!” “La situazione paradossale del nostro tempo è che siamo governati da uomini non, come pretenderebbe la classica teoria aristotelica, perché non siamo governati dal diritto, ma esattamente perché lo siamo. Trascorse la sua vita tra Torino, Pavia, e la Sardegna. Per le sue idee, viene associato ad un modello liberale e anti-statalista della società. All'interno della filosofia del diritto,  si inserisce nella tradizione del liberalismo classico. Allievo di Solari, di cui fu pure assistente volontario, e collega di Firpo, insegna a Pavia. Nel corso del conflitto, fece parte di A Force, un'organizzazione segreta alleata incaricata di recuperare prigionieri e salvare soldati.  Inizia la sua attività accademica, insegnando Filosofia del diritto e ricoprendo l'incarico di preside della facoltà di Scienze Politiche. Muore in circostanze tragiche, ucciso. Un collaboratore del suo studio legale, Quero, di professione tipografo ma che svolgeva amministrazioni di condomini e palazzi, aveva perpetrato truffe e sottrazioni di denaro; quando se ne accorse e minacciò di denunciarlo, Quero lo assassinò colpendolo ripetutamente alla testa e nascose poi il corpo in un garage, inscenando un sequestro di persona, ma venne subito scoperto. Negli anni della ricostruzione postbellica, mentre in tutti i paesi europei si affermavano politiche economiche di stampo statalista, andò controcorrente sostenendo il liberalismo, che ormai quasi più nessuno era pronto a difendere.[senza fonte] Leoni criticava la logica dell'intervento pubblico mentre esaltava la superiore razionalità e legittimità degli ordini che emergono dal basso, per effetto del concorso delle volontà dei singoli individui.  Fondatore nel 1950 della rivista Il Politico, Leoni svolse ugualmente un'intensa attività pubblicistica, soprattutto scrivendo corsivi per il quotidiano economico Il Sole 24 ORE. Membro della «Mont Pelerin Society» (di cui fu segretario e poi presidente), lo studioso torinese fu pure molto impegnato nel Centro di Studi Metodologici della città piemontese e, in seguito, nel Centro di Ricerca e Documentazione “Luigi Einaudi”.  Studioso poliedrico (giurista e filosofo, ma anche appassionato cultore della scienza politica e della teoria economica, oltre che della storia delle dottrine politiche), nel corso degli anni cinquanta e sessanta Leoni promosse le idee liberali all'interno della cultura italiana: proponendo temi ed autori del liberalismo contemporaneo, ma soprattutto aprendo prospettive ad una concezione della società centrata sulla proprietà privata e il libero mercato. Per comprendere quanto sia stata importante la sua azione tesa a favorire una migliore conoscenza delle tesi più innovative, è sufficiente scorrere l'indice della rivista da lui diretta per molti anni, Il Politico, in cui diede spazio ad autori spesso a quel tempo poco noti, ma desti segnare le scienze economiche.  Con i suoi studi, inoltre, Leoni apre la strada a molti orientamenti: dalla Teoria della scelta pubblica all'Analisi economica del diritto (filoni di ricerca che esaminano la politica ed il diritto con gli strumenti dell'economia), fino all'indagine interdisciplinare di quelle istituzionitra cui il diritto che si sviluppano non già sulla base di decisioni imposte dall'alto, ma grazie ad un'intrinseca capacità di auto-generarsi ed evolvere dal basso.  E stato quasi dimenticato: soprattutto in Italia. La sua opera più conosciuta (frutto di lezioni ). L’ndividualismo integrale di Leoni risulta ben poco in sintonia con la cultura del suo tempo. Il liberalismo dell'autore di Freedom and the Law è pervaso da quella cultura che egli assimilò in profondità grazie all'intensa frequentazione di alcuni tra i maggiori studiosi di quell'universo intellettuale.  Inoltre, seguì sempre con il massimo interesse i protagonisti della Scuola austriaca (Mises e Hayek, soprattutto) cheanche se europei proprio in America hanno scritto alcuni dei loro maggiori contributi e in quel contesto hanno trovato folte schiere di allievi.  In questo senso, bisogna rilevare che il percorso intellettuale di Leoni sarebbe stato molto differente senza la Mont Pelerin Society, nei cui convegni egli ebbe l'opportunità di entrare in contatto con intellettuali e scuole di pensiero estranei al clima dominante nell'Italia di allora. Per molti decenni, in effetti, l'associazione fondata da Hayek ha rappresentato un'occasione di scambi e approfondimenti per quanti cercavano interlocutori radicati nella cultura del liberalismo classico.  Per alcuni decenni dimenticato o quasi in Italia, il pensiero di Leoni ha continuato a vivere fuori dei nostri confinigrazie alle iniziative, ai libri e agli articoli dei suoi amici e, oltre a loro, all'interesse che i suoi lavori hanno saputo suscitare nelle nuove generazioni di studiosi liberali.  A partire dalla metà degli anni novanta, però, la situazione è cambiata sotto più punti di vista. Grazie soprattutto alla pubblicazione de “La libertà e la legge,” filosofi di vario orientamento sono tor riflettere sulle pagine del  torinese, dando vita ad una vera e propria "riscoperta" che sta producendo numerosi frutti e grazie alla quale si va finalmente riconoscendo a Leoni la sua giusta posizione tra i maggiori filosofi del XX secolo. Oggi Leoni non è più considerato semplicisticamente un epigono di Hayek o un semplice ripetitore delle sue tesi.  In questo senso, è interessante rilevare che perfino intellettuali lontani dalle posizioni liberali e libertarian di Leoni avvertano sempre più il carattere innovativo del suo pensiero, che nell'ambito della filosofia del diritto ha saputo offrire una prospettiva alternativa ai modelli kelseniani del normativismo dominante e all'ispirazione social-democratica che ancora prevale all'interno delle scienze sociali. In particolare, mentre nel corso degli ultimi due secoli il diritto è stato ripetutamente identificato con la semplice volontà degli uomini al potere, uno dei contributi maggiori di Leoni è quello di aver indicato un altro modo di guardare alla ‘norma giuridica’, sforzandosi di cogliere ciò che vi è oltre la volontà dei politici e ben oltre la stessa legislazione. Per questa ragione, si guarda alla teoria di Leoni come ad una radicale alternativa rispetto al normativismo formulato da Kelsen, più volte criticato da Leoni.  Quella di Leoni, per giunta, è ancora oggi una proposta teorica talmente liberale da indurre più di uno studioso a parlare di “La liberta e la legge” come di un classico della tradizione libertarian, al cui interno sono racchiuse idee e intuizioni che restiamo ben lontani dall'aver compreso e sviluppato in tutte le loro potenzialità.  Al fine di tenere viva la lezione dell'autore è stato fondato l'Istituto Bruno Leoni, con sedi a Torino e a Milano (animato da Lottieri, Mingardi e Stagnaro), che si propone di affermare, all'interno del dibattito politico-economico, i principii liberali difesi da Leoni stesso e di promuovere la conoscenza del pensiero di Leoni e, in generale, delle teorie liberali e libertarian.  Saggi: “Lo stato” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Filosofia del diritto” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “La libertà e la legge, InMacerata, Liberilibri); “Scienza politica e teoria del diritto” (Milano, Giuffrè); “Le pretese e i poteri: le radici individuali del diritto e della politica” (Milano, Società Aperta); “La sovranità del consumatore” (Roma, Ideazione);  “La libertà del lavoro” collana IBL “Diritto, Mercato, Libertà”, Treviglio Soveria Mannelli, Leonardo Facco Rubbettino,  “Il diritto come pretesa, A. Masala (Macerata, Liberi); Il pensiero politico moderno e contemporaneo, A. Masala, Bassani, Macerata, Liberilibri,  Istituto Bruno Leoni. L'idea di uno stato privo di co-ercizioni nella filosofia del diritto; Un "austriaco" di adozione  Articolo su l'Unità. Il Luogo dei Ricordi di O. Quero, su in mia memoria.com. Tra i pochissimi, in Italia, che hanno continuato a sviluppare le ricerche di Leoni è da ricordare Stoppino. Per merito di Cubeddu, che ha anche dedicato molti saggi e articoli alla teoria leoniana.  E necessario liberarelo dall'ombra di Hayek, rendendo in tal modo possibile una più adeguata valutazione delle sue tesi e del suo originalissimo contributo all'elaborazione di una filosofia del diritto coerente con i principi del liberalismo e con i suoi stessi esiti libertari. Masala, Il liberalismo (Soveria Mannelli, Rubbettino); la prima monografia su Leoni. Antonio Masala  La teoria politica (Soveria Mannelli, Rubbettino); Lottieri, “Libertà e stato” in Antonio Masala, a cura di, La teoria politica; Soveria Mannelli, Rubbettino, Lottieri, Le ragioni del diritto. Libertà e ordine giuridico” (Soveria Mannelli, Rubbettino); Approfondisce il tema di un libertarismo non ancora compiutamente espresso in Leoni, ma già ampiamente riconoscibile nelle sue tesi fondamentali. Favaro, Bruno Leoni. Dell'irrazionalità della legge per la spontaneità dell'ordinamento, della Collana “L'Ircocervo. Saggi per una storia filosofica del pensiero giuridico e politico italiano contemporaneo”, Napoli, ESI, Adriano Gianturco Gulisano, Tra positivismo e giusnaturalismo. Il diritto evolutivo, Foedrus. Gulisano, La «teoria empirica» di Leoni. La centralità dell'approccio metodologico, Biblioteca delle liberta. Riscoprire Bruno Leoni, su riscoprire.brunoleoni.com.Bruno Leoni, Bruno Leoni. Leoni. Keywords: implicatura, freedom, il concetto di ‘freedom’ in Grice e il liberalism italiano – il concetto di Freiheit in Kant e la tradizione liberale, Croce, Enaudi, il partito liberale italiano, partito nazionale fascista, protezionismo, fascismo, storia d’italia, storia del liberalismo italiano, libero e vincolato, libero e fozato, libero e spontaneo --  Refs: Luigi Speranza, “Grice e Leoni” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685914949/in/photolist-2mRfi2Y-2mPYm4t-2mPyn68-2mPvJmk-2mKG3XG-2mKCfz1-2mKjsJY-2mKiPND-2mKbkhx-2mGnP2f-FcjdXJ-BxHGdd-BxCUgb-ACv1g9-BA2zDn-BzWNZR-ofSByR-ofNLLd-o6agE8-nND5Qv-jkUGMH-jkV9Zd-jrVuv1-jkXxGA-jhPgvk-jfN5te-hpMRc6

 

Grice e Leoni – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Spoleto). Filosofo. Grice: “In Italy, they like ‘renaissance men,’ but there’s a peril in that: Leoni was a philosopher and a physician (to Medici) – when he died, Medici did, Leoni was accused of malpractice (poisoning), strangled to death, and thrown into a ditch. Categorie: philosophers in ditch – Thales, Leoni.” Di famiglia aristocratica, studia a Roma. Insegna a Padova e Pisa.  Fu qui che ebbe modo di entrare in contatto con la cerchia di filosofi che gravitavano attorno a Lorenzo de’ Medici, a Firenze. Inizia ad avere contatti e una fitta corrispondenza con Ficino e Pico.  Venne considerato dai suoi contemporanei uno dei più valenti uomini di scienza esistenti all'epoca. I più illustri personaggi e sovrani dell'epoca, come il duca di Calabria, il re di Napoli, Ludovico il Moro, forse anche IInnocenzo VIII, richiesero le sue cure, tanto che divenne il medico personale dello stesso Lorenzo de Medici.  All'indomani della morte di Lorenzo de Medici venne ingiustamente sospettato di essere stato il responsabile del suo avvelenamento, e venne quindi strangolato e gettato in un pozzo il giorno seguente. Diverse fonti dell'epoca  sostengono che il mandante dell'uccisione del Pierleoni fosse stato il figlio di Lorenzo, Piero il Fatuo.  F. Bacchelli, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in.  Dagli Annali di Ser Francesco Mugnoni da Trevi, trascriz. D.Pietro Pirri (Estratto dall'Archivio per la Storia Ecclesiastica dell'Umbria): "Era adpresso del dicto Lorenzo uno excellentissimo et famosissimo medico de grandissima scientia in loica, in filosofia, strologia, nominato magistro Pierleone de leonardo da Spolitj, reputato el più singulare valente homo in dicte scientie che ogie dì viva. Era quisto homo in tanto prezzo adpresso del dicto Lorenzo che, senza quisto clarissimo doctore, non podiva stare. Fo conducto ad Pisa ad legere, ebbe mille ducatj de provisione per anno: poj fo conducto ad Padua, ebbe mille et ducento ducatj per anno. Ad Pisa stecte multi annj ad legere: et similemente ad Padua."  dagli Annali di Ser Francesco Mugnoni da Trevi, trascriz. D.Pietro Pirri (Estratto dall'Archivio per la Storia Ecclesiastica dell'Umbria.  "Lorenzo se amalò, mandò per luj, et andò ad Fiorenza. Era quisto mastro Pierleone de tanta scientia de strologia, che predisse la morte sua essere infra quatro misi. Et anda mal voluntierj ad Fiereze. Tandem jonto ad Fiorenze trovò Lorenzo stare male: erano lì clarissimj medicj et valentj et excellentj: poj ce venne el medico del duca de Milano: et predisse mastro Perleone la morte de Lorenzo. Ipso non prestò may et non se mestecù in alcuna medicina ne potione sue. Il cronista forse vuol dire che il Leoni non s'ingerì affatto in ciò che riguardava l'assistenza sanitaria dell'infermo, limitando l'opera sua alla pura diagnosi della malattia ed a consultazioni astrologiche. E con ciò vuol, forse, velatamente intendere che niente ebbe a che vedere Pierleone con quelle strane pozioni a base di gemme e perle triturate somministrate da un altro medico, il Piacentino, le quali, attese le lesioni viscerali che tormentavano il paziente, servirono forse ad accelerarne il tracollo) ma solo ipso in consulendo et predicendo. Tandem venendo alla morte Lorenzo, Perino, figliolo del dicto Lorenzo, homo de poca prudentia, reputato homo bestiale et senza prudentia, ordinò che el dicto mastro Perleone fosse morto. Lorenzo era in villa ad uno suo casale, et lì tucto dì stava mastro Perleone. Essendo morto Lorenzo, et lì insino alla sera stando mastro Perleone, volendo tornare luj allu solito loco, fo menato per uno Carlo o vero Alberto martellj ad uno suo casale, et lì fo strangulato dicto mastro Perleone, et buctato in uno pozo. Poj fo retracto et portato in Fierenze, et retenuto el suo corpo con guardia et veneratione assay. Et de tanto tradimento et iniusta morte se ne dolse tucta la ciptà, perché la bona memoria de Lorenzo amava quisto omo più che homo vivesse, et tucti li secretj soj sapiva, savio, sapientissimo et pieno de verità, bontà et integrità."  Nella sua "Storia della Letteratura Italiana" Tiraboschi (Firenze, Molini Landi) riporta fonti dell'epoca, fra cui Scipione Ammirato. Cavossi voce che egli vi si fosse gittato da se medesimo ma si rinvenne esservi gittato da altri, secondo dice il Cambi, da due famigliari di Lorenzo". Lo stesso testo riporta le affermazioni del Sanazzaro, il quale "non nomina l'autore di questo misfatto. Ma è chiaro abbastanza ch'ei parla di Pietro de Medici, figliuol di Lorenzo", e di Allegretti, storico senese contemporaneo di Pierleoni, che riporta. Maestro Pier Leone da Spoleto, che lo medica (si riferisce a Lorenzo) e gittato in un pozzo, perché e detto, che l'ha avvelenato, nientedimeno si conclude per molti non esser vero. Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Corti M.: Sannazaro Iacobo. Branca V: Dizionario critico della letteratura italiana. POMBA, Torino, Cotta I., Klien F.: I Medici in rete” (Olschki, Firenze); C. Dionisotti, “Appunti sulle rime del Sannazaro”, Giornale storico della Letteratura italiana, A. Mauro, “Opere volgari” (Laterza, Bari); A. Montevecchi, “Storie fiorentine” (Rizzoli, Milano); A. Nibby, “Analisi storico-topografica-antiquaria della carta de' dintorni di Roma” (Belle Arti, Roma); H. Orio, “Le iscrittioni poste sotto le vere imagini de gli huomini famosi il lettere” (Torrentino, Firenze); T. Pesenti, Professori e promotori di medicina nello Studio di Padova,  Repertorio bio-bibliografico, G. Radetti, Un'aggiunta alla biblioteca di Pierleone Leoni da Spoleto. In.: Rinascimento: Rivista dell'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Firenze, Ranalli F.: Istorie Fiorentine con l'aggiunte di Scipione Ammirato il giovane, Batelli, Firenze, Rotzoll M.: Pierleone da Spoleto: vita e opere di un medico del Rinascimento. Olschki, Firenze. Achille Sansi: Storia del comune di Spoleto dal secolo XII al XVII: seguita da alcune memorie dei tempi posteriori.  Pierleone Leoni, Piero Leoni, Pierleone, Pier Leone. Leone. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Leoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754095405/in/dateposted-public/

 

Grice e Leopardi – il favoloso – Leopardi fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Recanati). Filosofo. Grice: “Oddly, Leopardi’s philosophical semantics is negative; admittedly, he is wedded to the Fido-‘Fido’ theory of meaning, so he thinks, pretty much like the first Vitters, that language is a prison. Man has a need for ‘non-linguistic thought,’ to think without naming – without conceptualizing! The oddest philosophy of language for Italy’s greatest poet, one would first think!”  -- Grice: “One could write a whole dissertation on Leopardi’s implicata – not I My favourite expression would be ‘gli infiniti silenzi’” -- Grice: “While there is a philosophical griceianism, seeing that my theories were stolen by non-philosophers, there is ‘leopardismo filosofico,’ seeing that he wasn’t one!” -- essential Italian philosopher, and founder of a whole movement, ‘leopardismo.’  Il conte Giacomo Leopardi, al battesimo Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi (Recanati), filosofo.  È ritenuto il maggior poeta dell'Ottocento italiano e una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonché una delle principali del romanticismo letterario; la profondità della sua riflessione sull'esistenza e sulla condizione umanadi ispirazione sensista e materialistane fa anche un filosofo di spessore. La straordinaria qualità lirica della sua poesia lo ha reso un protagonista centrale nel panorama letterario e culturale europeo e internazionale, con ricadute che vanno molto oltre la sua epoca.  Leopardi, intellettuale dalla vastissima cultura, inizialmente sostenitore del classicismo, ispirato alle opere dell'antichità greco-romana, ammirata tramite le letture e le traduzioni di Mosco, Lucrezio, Epitteto, Luciano ed altri, approdò al Romanticismo dopo la scoperta dei poeti romantici europei, quali Byron, Shelley, Chateaubriand, Foscolo, divenendone un esponente principale, pur non volendo mai definirsi romantico. Le sue posizioni materialistederivate principalmente dall'Illuminismosi formarono invece sulla lettura di filosofi come il barone d'Holbach, Pietro Verri e Condillac, a cui egli unisce però il proprio pessimismo, originariamente probabile effetto di una grave patologia che lo affliggeva ma sviluppatesi successivamente in un compiuto sistema filosofico e poetico. Morì noco prima di compiere 39 anni, di edema polmonare o scompenso cardiaco, durante la grande epidemia di colera di Napoli.  Il dibattito sull'opera leopardiana a partire dal Novecento, specialmente in relazione al pensiero esistenzialista fra gli anni trenta e cinquanta, ha portato gli esegeti ad approfondire l'analisi filosofica dei contenuti e significati dei suoi testi. Per quanto resi specialmente nelle opere in prosa, essi trovano precise corrispondenze a livello lirico in una linea unitaria di atteggiamento esistenziale. Riflessione filosofica ed empito poetico fanno sì che Leopardi, al pari di Schopenhauer, Kierkegaard, Nietzsche e più tardi di Kafka, possa essere visto come un esistenzialista o almeno un precursore dell'Esistenzialismo. Giacomo Leopardi nacque nel 1798 a Recanati, nello Stato pontificio (oggi in provincia di Macerata, nelle Marche), da una delle più nobili famiglie del paese, primo di dieci figli. Quelli che arrivarono all'età adulta furono, oltre a Giacomo, Carlo, Paolina, Luigi, e Pierfrancesco. I genitori erano cugini fra di loro. Il padre, il conte Monaldo, figlio del conte Giacomo e della marchesa Virginia Mosca di Pesaro, era uomo amante degli studi e d'idee reazionarie; la madre, la marchesa Adelaide Antici, era una donna energica, molto religiosa fino alla superstizione, legata alle convenzioni sociali e ad un concetto profondo di dignità della famiglia, motivo di sofferenza per il giovane Giacomo che non ricevette tutto l'affetto di cui sentiva il bisogno.  In conseguenza di alcune speculazioni azzardate fatte dal marito, la marchesa prese in mano un patrimonio familiare fortemente indebitato, riuscendo a rimetterlo in sesto solo grazie a una rigida economia domestica. La rigidità della madre, contrastante con la tenerezza del padre, i sacrifici economici e i pregiudizi nobiliari pesarono sul giovane Giacomo.  Fino al termine dell'infanzia Giacomo crebbe comunque allegro, giocando volentieri con i suoi fratelli, soprattutto con Carlo e Paolina che erano più vicini a lui d'età e che amava intrattenere con racconti ricchi di fervida fantasia.  La formazione giovanile  La casa natale Ricevette la prima educazione, come da tradizione familiare, da due precettori ecclesiastici, il gesuita don Giuseppe Torres fino al 1808 e l'abate don Sebastiano Sanchini che influirono sulla sua prima formazione con metodi improntati alla scuola gesuitica. Tali metodi erano incentrati non solo sullo studio del latino, della teologia e della filosofia, ma anche su una formazione scientifica di buon livello contenutistico e metodologico. Nel Museo leopardiano a Recanati è conservato, infatti, il frontespizio di un trattatello sulla chimica, composto insieme al fratello Carlo. I momenti significativi delle sue attività di studio, che si svolgono all'interno del nucleo familiare, sono da rintracciare nei saggi finali, nei componimenti letterari da donare al padre in occasione delle feste natalizie, la stesura di quaderni molto ordinati ed accurati e qualche composizione di carattere religioso da recitare in occasione della riunione della Congregazione dei nobili.  Il ruolo avuto dai precettori non impedì, comunque, al giovane Leopardi di intraprendere un suo personale percorso di studi avvalendosi della biblioteca paterna molto fornita (oltre ventimila volumi) e di altre biblioteche recanatesi, come quella degli Antici, dei Roberti e probabilmente da quella di Giuseppe Antonio Vogel, esule in Italia in seguito alla Rivoluzione francese e giunto a Recanati come membro onorario della cattedrale della cittadina. Compone il sonetto intitolato La morte di Ettore che, come lui stesso scrive nell'Indice delle produzioni di me Giacomo Leopardi dall'anno 1809 in poi, è da considerarsi la sua prima composizione poetica. Da questi anni ha inizio la produzione di tutti quegli scritti chiamati "puerili". La produzione dei "puerili"  Puerili e abbozzi vari Il corpus delle opere cosiddette "puerili" dimostra come il giovane Leopardi sapesse scrivere in latino fin dall'età di nove-dieci anni e padroneggiare i metodi di versificazione italiana in voga nel Settecento, come la metrica barbara di Fantoni, oltre ad avere una passione per le burle in versi dirette al precettore e ai fratelli. Iniziò lo studio della filosofia e due anni dopo, come sintesi della sua formazione giovanile, scrisse le Dissertazioni filosofiche che riguardano argomenti di logica, filosofia, morale, fisica teorica e sperimentale (astronomia, gravitazione, idrodinamica, teoria dell'elettricità, eccetera). Tra queste è nota la Dissertazione sopra l'anima delle bestie. Con la presentazione pubblica del suo saggio di studi che discusse davanti ad esaminatori di vari ordini religiosi ed al vescovo, si può far concludere il periodo della sua prima formazione che è soprattutto di tipo sei-settecentesco ed evidenzia l'amore per l'erudizione oltre che uno spiccato gusto arcadico. Si immerse totalmente in uno "studio matto e disperatissimo" espressione da lui stesso coniata, che assorbì tutte le sue energie e che recò gravi danni alla sua salute. Apprese perfettamente il latino (sebbene si considerasse sempre "poco inclinato a tradurre" da questa lingua in italiano) e, senza l'aiuto di maestri, il greco. Seppure in modo più sommario apprese anche altre lingue: l'ebraico, il francese, l'inglese, lo spagnolo e il tedesco (nello Zibaldone si trovano inoltre cenni ad altre lingue antiche, come il sanscrito). Nel frattempo cessa la formazione dell'abate Sanchini, il quale ritenne inutile continuare la formazione del giovane che ne sapeva ormai più di lui. Risalgono a questi anni la Storia dell'astronomia, il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, diversi discorsi su scrittori classici, alcune traduzioni poetiche, alcuni versi e tre tragedie, mai rappresentate durante la sua vita, La virtù indiana, Pompeo in Egitto e Maria Antonietta (rimasta incompiuta). Per quanto riguarda la compilazione della Storia dell'astronomia Leopardi si avvalse di numerose fonti: il testo di base fu sicuramente la Storia dell’astronomia di Bailly, ridotta in compendio dal signor Francesco Milizia, a partire dalle Histoires del celebre astronomo francese Jean Sylvain Bailly. L'opera termina con la scoperta del pianeta Urano da parte di Herschel. Invece il lavoro di Leopardi presenta ulteriori aggiornamenti, come ad esempio la scoperta di Cerere, Pallade, Giunone e della cometa. Per l'elaborazione del suo testo, Leopardi fece uso, anche, dell’Abrégé d’astronomie di Jérôme Lalande (presente nella biblioteca di casa Leopardi), del Dictionnaire de Physique di Aimé-Henri Paulian e delle storie di matematica inserite nel Tacquet e nel Wolff. Inoltre Leopardi adoperò diverse opere generali come la Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, gli Scrittori d’Italia di Mazzuchelli e varie raccolte biografiche di alcuni ordini religiosi: Wadding per i francescani, Quétif e Échard per i domenicani e così via. L'elenco di questi testi dimostra l’erudizione raggiunta dal giovane Leopardi. Nella Storia dell'astronomia Leopardi lasciò anche trasparire i limiti del suo interesse per la matematica. Nulla, probabilmente sapeva a proposito dei logaritmi (ai quali invece il Bailly-Milizia aveva dedicato due pagine illustratrici), e sull'argomento si limitò a scrivere che «Enrico Briggs avendo udita la invenzione de’ logaritmi fatta da Giovanni Neper» aveva pubblicato un’opera al riguardo. Probabilmente infatti Leopardi non studiò mai i logaritmi, così come si arrestò alla geometria cartesiana e al calcolo differenziale.  Iniziò nello stesso periodo anche le prime pubblicazioni e lavorò alle traduzioni dal latino e dal greco, dimostrando sempre di più il suo interesse per l'attività filologica. Sono questi anche gli anni dedicati alle traduzioni dal latino e dal greco, corredate di discorsi introduttivi e di note, tra i quali gli Scherzi epigrammatici, tradotti dal greco e pubblicati in occasione delle nozze Santacroce-Torre dalla Tipografia Frattini di Reca, la Batracomiomachia e pubblicata su «Lo Spettatore italiano», gli idilli di Mosco, il Saggio di traduzioni dell'Odissea, la Traduzione del libro secondo dell'Eneide, il Moretum (un poemetto pseudo-virgiliano), e la Titanomachia di Esiodo, pubblicata su «Lo Spettatore italiano». La conversione letteraria: dall'erudizione al bello Tra Si avverte in Leopardi un forte cambiamento, frutto di una profonda crisi spirituale, che lo porterà ad abbandonare l'erudizione per dedicarsi alla poesia. Egli si rivolge, pertanto, ai classici non più come ad arido materiale adatto a considerazioni filologiche, ma come a modelli di poesia da studiare. Seguiranno le letture di autori moderni come Alfieri, Parini,[40] Foscolo e Vincenzo Monti, che serviranno a maturare la sua sensibilità romantica. Ben presto egli legge I dolori del giovane Werther di Goethe, le opere di Chateaubriand, di Byron, di Madame de Staël. In questo modo Leopardi inizia a liberarsi dall'educazione paterna accademica e sterile, a rendersi conto della ristrettezza della cultura recanatese ed a porre le basi per liberarsi dai condizionamenti familiari. Appartengono a questo periodo alcune poesie significative come Le Rimembranze, L'Appressamento della morte e l'Inno a Nettuno, nonché la celebre e non pubblicata Lettera ai compilatori della Biblioteca Italiana, indirizzata ai redattori della rivista milanese, in risposta alla lettera Sulla maniera e utilità delle traduzioni di Madame de Staël, apparsa sul primo numero, nel gennaio dello stesso anno. Destinato dal padre alla carriera ecclesiastica per la sua fragile salute, rifiuterà di intraprendere questa strada. Fu colpito da alcuni seri problemi fisici di tipo reumatico e disagi psicologici che egli attribuì almeno in partecome la presunta scoliosiall'eccessivo studio, isolamento ed immobilità in posizioni scomode delle lunghe giornate passate nella biblioteca di Monaldo. La malattia esordì con affezione polmonare e febbre e in seguito gli causò la deviazione della spina dorsale (da cui la doppia "gobba"), con dolore e conseguenti problemi cardiaci, circolatori, gastrointestinali (forse colite ulcerosa o malattia di Crohn) e respiratori (asma e tosse), una crescita stentata, problemi neurologici alle gambe (debolezza, parestesia con freddo intenso[44]), alle braccia ed alla vista, disturbi disparati e stanchezza continua. Era convinto di essere sul punto di morire. Il marchese Filippo Solari di Loreto scrive poco dopo a Monaldo Leopardi: «L'ho lasciato sano e dritto, lo trovo dopo cinque anni consunto e scontorto, con avanti e dietro qualcosa di veramente orribile.»  Egli stesso si ispira a questi seri problemi di salute, di cui parlerà anche a Pietro Giordani, per la lunga cantica L'appressamento della morte e, anni dopo, per Le ricordanze, in cui ripensa a questo e definisce la sua malattia come un "cieco malor", cioè un male di non chiara origine, che gli fa pensare al suicidio assieme all'angusto ambiente: «Mi sedetti colà su la fontana / Pensoso di cessar dentro quell'acque la speme e il dolor mio. Poscia, per cieco malor, condotto della vita in forse, piansi la bella giovanezza, e il fiore de' miei poveri dì, che sì per tempo cadeva. L'ipotesi più accreditata per lungo tempo (diffusa e sostenuta da medici di Recanati e da Pietro Citati) è che Leopardi soffrisse della malattia di Pott (gli studiosi scartano la diagnosi dell'epoca, più volte riproposta anche nel Novecento, di una normale scoliosi dell'età evolutiva), cioè tubercolosi ossea o spondilite tubercolare, oppure dalla spondilite anchilosante giovanile (secondo ErikSganzerla), una sindrome reumatica autoimmune che porta a una progressiva ossificazione dei legamenti vertebrali con deformazione e rigidità del rachide, uniti ad ampi disturbi infiammatori sistemici, oculari e neurologici-compressivi in casi gravi, il tutto unitamente a problemi nervosi. Alcune di queste sindromi hanno predisposizione genetica, derivabile dal matrimonio tra consanguinei dei genitori. Tutti i fratelli Leopardi furono deboli di salute, con l'eccezione di Carlo, forse però sterile, e Paolina, la quale presentava solo una leggera asimmetria del viso. Pietro Citati afferma che avesse anche dei disturbi urinari e di probabile impotenza, e sarebbero stati questi, più che l'aspetto fisico (a cui poteva ovviare essendo un nobile benestante) la causa del suo rapporto difficile con le donne e la sessualità. Nel decennio seguente l'apparire dei disturbi, alcuni medici fiorentini, come altri medici consultati in gioventù, a parte la deformità fisica asserirannoprobabilmente in maniera erroneache numerosi disturbi del Leopardi erano dovuti a neurastenia di origine psicologica (sempre in questo periodo comincia a soffrire di crisi depressive che taluni attribuiscono all'impatto psicologico della malattia fisica), come lui stesso a tratti sostenne, anche contro il parere di numerosi dottori.  «Ma io non aveva appena vent’anni, quando da quella infermità di nervi e di viscere, che privandomi della mia vita, non mi dà speranza della morte, quel mio solo bene mi fu ridotto a meno che a mezzo; poi, due anni prima dei trenta, mi è stato tolto del tutto, e credo oramai per sempre.»  (Lettera dedicatoria dei Canti, agli amici di Toscana) Secondo il neurologo Sganzerla, propositore della tesi sulla spondilite al posto della tubercolosi, Leopardi non mostrava invece alcun segno di vera depressione psicotica, sfatando il mito sostenuto da Citati e dai lombrosiani come Patrizi e Sergi. Queste patologie comunque, se non condizionarono il suo pensiero in maniera diretta (come ribadito spesso da Leopardi), influenzarono comunque il suo pessimismo filosofico e lo spinsero a indagare le cause della sofferenza umana e il significato della vita da una prospettiva originale, divenendo, come affermato dal critico Sebastiano Timpanaro, "un formidabile strumento conoscitivo".  Dopo il primo passo verso il distacco dall'ambiente giovanile e con la maturazione di una nuova ideologia e sensibilità che lo portò a scoprire il bello in senso non arcaico, ma neoclassico, si annuncia quel passaggio dalla poesia di immaginazione degli antichi alla poesia sentimentale che il poeta definì l'unica ricca di riflessioni e convincimenti filosofici. E per Leopardi, che giunto alle soglie dei diciannove anni aveva avvertito, in tutta la sua intensità, il peso dei suoi mali e della condizione infelice che ne derivava, un anno decisivo che determinò nel suo animo profondi mutamenti. Consapevole ormai del suo desiderio di gloria ed insofferente dell'angusto confine in cui, fino a quel momento, era stato costretto a vivere, sentì l'urgente desiderio di uscire, in qualche modo, dall'ambiente recanatese. Gli avvenimenti seguenti incideranno sulla sua vita e sulla sua attività intellettuale in modo determinante. In questo periodo è anche la prima formulazione della "teoria del piacere", una concezione filosofica postulata da Leopardi nel corso della sua vita. La maggior parte della teorizzazione di tale concezione è contenuta nello Zibaldone, in cui il poeta cerca di esporre in modo organico la sua visione delle passioni umane. Il lavoro di sviluppo del pensiero leopardiano in questi termini avviene. Scrisve al classicista Pietro Giordani che aveva letto la traduzione leopardiana del II libro dell'Eneide e, avendo compreso la grandezza del giovane, lo aveva incoraggiato. Ebbero inizio così una fitta corrispondenza ed un rapporto di amicizia che durerà nel tempo. In una delle prime lettere scritte al nuovo amico, il giovane Leopardi sfogherà il suo malessere non con atteggiamento remissivo, ma polemico ed aggressive. Mi ritengono un ragazzo, e i più ci aggiungono i titoli di saccentuzzo, di filosofo, di eremita, e che so io. Di maniera che s'io m'arrischio di confortare chicchessia a comprare un libro, o mi risponde con una risata, o mi si mette in sul serio e mi dice che non è più quel tempo. Unico divertimento in Recanati è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia»  Egli vuole uscire da quel "centro dell'inciviltà e dell'ignoranza europea" perché sa che al di fuori c'è quella vita alla quale egli si è preparato ad inserirsi con impegno e con studio profondo. Fissa le prime osservazioni all'interno di un diario di pensiero che prenderà poi il nome di Zibaldone, in dicembre si innamorerà della cugina, provando per la prima volta il sentimento d'amore. Pietro Giordani riconosce l'abilità di scrittura di Leopardi e lo incita a dedicarsi alla scrittura; inoltre lo presenta all'ambiente del periodico «Biblioteca Italiana» e lo fa partecipare al dibattito culturale tra classicisti e romantici. Leopardi difende la cultura classica e ringrazia Dio di aver incontrato Giordani che reputa l'unica persona che riesce a comprenderlo. Il primo amore «Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!»  (Il primo amore, v.3)  Geltrude Cassi Lazzari con i figli, illustrazione di Giuseppe Chiarini per la Vita di Giacomo Leopardi. Inizia a compilare lo Zibaldone, nel quale registrerà le sue riflessioni, le note filologiche e gli spunti di opere. Lesse la vita di Alfieri e compilò il sonetto "Letta la vita scritta da esso" che toccava i temi della gloria e della fama. Un altro avvenimento lo colpì profondamente: l'incontro, nel dicembre dello stesso anno, con Geltrude Cassi Lazzari, una cugina di Monaldo, che fu ospite presso la famiglia per alcuni giorni e per la quale provò un amore inespresso. Scrisse in questa occasione il "Diario del primo amore" e l'"Elegia I" che verrà in seguito inclusa nei "Canti" con il titolo "Il primo amore". La posizione di Leopardi verso il Romanticismo, che stava suscitando in quegli anni forti polemiche ed aveva ispirato la pubblicazione del Conciliatore, va maturando e se ne possono avvertire le tracce in numerosi passi dello Zibaldone ed in due saggi, la Lettera ai Sigg. compilatori della "Biblioteca italiana", in risposta a quella di Madama la baronessa di Staël, ed il Discorso di un italiano attorno alla poesia romantica, scritto in risposta alle Osservazioni di Di Breme sul Giaurro di Byron. Le due opere mostrano l'avversione, sul piano più strettamente concettuale, al Romanticismo. La posizione di Leopardi rimane fondamentalmente montiana e neoclassica. Tuttavia, come si vedrà, quello che professava sulla pagina critica si rivelerà, poi, profondamente diverso dai risultati ottenuti nella poesia dove i temi e lo spirito saranno, invece, perfettamente in sintonia con la mentalità romantica. Aveva, intanto, scritto le due canzoni ispirate a motivi patriottici All'Italia e Sopra il monumento di Dante che stanno ad attestare il suo spirito liberale e la sua adesione a quel tipo di letteratura di impegno civile che aveva appreso dal Giordani. Il suo materialismo ateo si pone in contrapposizione al Romanticismo cattolico predominante, dal quale lo separavano notevolmente anche il suo rifiuto di ogni speranza di progresso nella conquista della libertà politica e dell'unità nazionale, la sua mancanza di interesse per una visione storicistica del passato e per le esigenze di popolarità e di realismo nei contenuti e nella lingua. E il naufragar m'è dolce in questo mare.»  (Giacomo Leopardi, L'infinito, v.15). Si riacutizzarono i problemi agli occhi.Tra il luglio e l'agosto progettò la fuga e cercò di procurarsi un passaporto per il Lombardo-Veneto, da un amico di famiglia, il conte Saverio Broglio d'Ajano, ma il padre lo venne a sapere e il progetto di fuga fallì. Fu nei mesi di depressione che seguirono che il Leopardi elaborò le prime basi della sua filosofia e, riflettendo sulla vanità delle speranze e l'ineluttabilità del dolore, scoprì la nullità delle cose e del dolore stesso. Iniziò intanto la composizione di quei canti che verranno in seguito pubblicati con il titolo di Idilli e scrisse L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna (originariamente, i titoli di queste ultime erano La sera del giorno festivo e La ricordanza), La vita solitaria, Il sogno, Lo spavento notturno. Sono i cosiddetti "primi idilli" o "piccoli idilli". Qui confluirono i rimpianti per la giovinezza perduta e la presa di coscienza dell'impossibilità di essere felici. Ottenne dai genitori il permesso di recarsi a Roma, dove rimase dal novembre all'aprile dell'anno successivo, ospite dello zio materno, Carlo Antici. A Leopardi Roma apparve squallida e modesta al confronto con l'immagine idealizzata che egli si era figurata studiando i classici. Lo colpirono la corruzione della Curia e l'alto numero di prostitute che gli fece abbandonare l'immagine idealizzata della donna, come scrive in una lettera al fratello Carlo. Rimase invece entusiasta della tomba di Torquato Tasso, al quale si sentiva accomunato dall'innata infelicità (verso il Tasso, che renderà protagonista di una delle Operette morali, sarà debitore a livello stilistico e nella scelta di alcuni nomi più famosi dei suoi componimenti, come Nerina e Silvia, tratti dall'Aminta). Nell'ambiente culturale romano Leopardi visse isolato e frequentò solamente studiosi stranieri, tra cui i filologi Christian Bunsen (poi ministro del regno di Prussia e fondatore dell'Istituto di Archeologia a Roma) e Barthold Niebuhr; quest'ultimo si interessò per farlo entrare nella carriera dell'amministrazione pontificia, ma Leopardi rifiutò. Ritorna a Recanati dopo aver constatato che il mondo al di fuori di esso non era quello sperato. Tornato a Recanati, Leopardi si dedicò alle canzoni di contenuto filosofico o dottrinale compose buona parte delle Operette morali. Lontano da Recanati: Milano, Bologna, Firenze, Pisa. Il poeta, invitato dall'editore Antonio Fortunato Stella, si recò a Milano con l'incarico di dirigere l'edizione completa delle opere di Cicerone ed altre edizioni di classici latini e italiani. A Milano, però, egli non rimase a lungo perché il clima gli era dannoso alla salute e l'ambiente culturale, troppo polarizzato intorno al Monti, gli recava noia. Ritratto di Leopardi a metà degli anni '30, da alcuni indicato come una realistica proto-fotografia, probabilmente una riproduzione in eliografia (o altri tipi) di un'incisione; in alternativa realizzata con la tecnica della camera oscura da artista: tramite bulino oppure immagine fissata secondo il metodo di Joseph Nicéphore Niépce (sali d'argento o bitume e lunga esposizione). Recanati, casa Leopardi. Decise, così, di trasferirsi a Bologna dove visse (al numero 33 di via Santo Stefano), tranne una breve permanenza a Reca mantenendosi con l'assegno mensile dello Stella e dando lezioni private. Nell'ambiente bolognese Leopardi conobbe il conte Carlo Pepoli, patriota e letterato, al quale dedicò un'epistola in versi intitolata Al conte Carlo Pepoli che lesse il 28 marzo 1826 nell'Accademia dei Felsinei. Nell'autunno iniziò a compilare, per ordine di Stella, una "Crestomazia", antologia di prosatori italiani dal Trecento al Settecento alla quale fece seguito una "Crestomazia" poetica. A Bologna conobbe anche la contessa Teresa Carniani Malvezzi, della quale si innamorò senza essere corrisposto. Leopardi frequentò i Malvezzi per quasi un anno, ma poi la donna lo allontanò spinta anche dal marito, mal tollerante del fatto che il poeta si trattenesse con la moglie fino alla mezzanotte.Leopardi si sfoga in una lettera ad un corrispondente, usando parole molto dure verso di lei. Uscivano intanto presso Stella le sue Operette morali. Frequentò anche la casa del medico Giacomo Tommasini e strinse amicizia con la moglie Antonietta, patriota, e la figlia Adelaide (coniugata Maestri), sue ammiratrici,[84][85] con la famiglia Brighenti e la cantante modenese Rosa Simonazzi Padovani. Leopardi in un ritratto postumo del 1845 (olio su tavola), commissionato da Antonio Ranieri al giovane pittore Domenico Morelli sulla base della maschera mortuaria, del ritratto di Leopardi sul letto di morte di Angelini e delle descrizioni fisiche fatte da Ranieri, da Paolina, sorella di quest'ultimo; Morelli vi lavorò per molto tempo, a causa delle insistenze di Ranieri sui particolari, ma alla fine il quadro venne ritenuto, dal Ranieri stesso e da altri testimoni, come il più fedele e realistico dei ritratti di Leopardi, con l'aspetto che aveva verso la fine della sua vita, soprattutto nei tratti del volto, oltre che il vestiario e l'acconciatura che portava negli anni napoletani; i critici hanno però argomentato che sia un ritratto comunque "idealizzato", in quanto Morelli non vide mai Leopardi dal vivo, ma solo nella maschera mortuaria in gesso e nei ritratti eseguiti da altri. Nel giugno dello stesso anno si trasferì a Firenze, dove conobbe il gruppo di letterati appartenenti al circolo Vieusseux tra i quali Gino Capponi,[89] Giovanni Battista Niccolini (amico e corrispondente di Ugo Foscolo allora esiliato a Londra), Pietro Colletta, Niccolò Tommaseo ed anche il Manzoni, che si trovava a Firenze per rivedere dal punto di vista linguistico i suoi Promessi Sposi. Divenne amico particolarmente del Colletta, ma fu in buoni rapporti anche con Capponi e Manzoni, sebbene quest'ultimo non condividesse le idee di Leopardi. Fu invece conflittuale il rapporto col Tommaseo, cattolico liberale, ma fortemente avverso al razionalismo ed al materialismo, il quale giunse a provare una forte avversione per Leopardi, attaccandolo ripetutamente su vari giornali (anche se riconosceva l'abilità stilistica nella prosa); Tommaseo arrivò a denigrare Leopardi per il suo aspetto fisico (cosa che farà, però solo in lettere private rivolte ad altri, anche il Capponi stesso irritato per la Palinodia). Leopardi risponderà nel 1836 con un epigramma diretto contro Tommaseo, oltre che nell'ottava strofa della detta Palinodia. Al marchese Gino Capponi. Nel novembre del 1827 si recò a Pisa, dove rimase. Qui strinse un'affettuosa amicizia con la giovane cognata del padrone del pensionato, Teresa Lucignani, a cui dedica una breve lirica rimasta a lungo inedita. Grazie all'inverno mite, la sua salute migliorò e Leopardi tornò alla poesia, che taceva dal 1823 (con l'eccezione della poco riuscita epistola in versi Al conte Carlo Pepoli e del Coro di lo studio di Federico Ruysch contenuto nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie delle Operette morali); compose la canzonetta in strofe metastasiane Il Risorgimento e il canto A Silvia (figura forse ispirata, secondo i critici che si basano su appunti dello Zibaldone e dichiarazioni del fratello Carlo, alla figlia del cocchiere di Monaldo, morta giovane, Teresa Fattorini), inaugurando il periodo creativo detto dei Canti "pisano-recanatesi", chiamati anche "grandi idilli", in cui il poeta si cimenta nella cosiddetta canzone libera o leopardiana, il cui primo sperimentatore era stato Alessandro Guidi, dalla cui lettura ne era venuto a conoscenza. Vaghe stelle dell'orsa, io non credea tornare ancor per uso a contemplarvi»  (Le ricordanze) Il periodo di benessere era finito ed il poeta, colpito nuovamente dalle sofferenze e dall'aggravarsi del disturbo agli occhi, fu costretto a sciogliere il contratto con Stella e già durante l'estate del '28 si recò a Firenze nella speranza di riuscire a vivere in modo indipendente. Chiese aiuto ad alcuni amici: Tommasini,il più bello, gli propose una cattedra di Mineralogia e Zoologia a Milano, ma il compenso era troppo basso e la materia poco consona alle conoscenze di Leopardi; Bunsen gli offrì la possibilità di una cattedra a Bonn o Berlino, ma il poeta dovette subito declinare l'invito, poiché il clima tedesco era troppo rigido e freddo per la sua salute malferma. Leopardi allora progettò di mantenersi con un lavoro qualsiasi, ma le sue condizioni di salute non gli permisero nemmeno questo e fu quindi costretto a ritornare a Recanati, dove rimase. In questi «sedici mesi di notte orribile. Si dedica nuovamente alla poesia e scrisse alcune delle sue liriche più importanti, tra cui Le ricordanze (la cui ultima parte è dedicata ad una giovane recanatese morta poco prima, Maria Belardinelli, da Leopardi chiamata Nerina), La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, Il passero solitario (forse su un abbozzo giovanile) e il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. Queste poesie, a lungo denominate dai critici "grandi idilli" o anche "secondi idilli", sono ora conosciute, insieme ad A Silvia anche come "canti pisano-recanatesi".  In questo periodo l'insofferenza per la sua città natale, da lui definita "natio borgo selvaggio", aumenta, proporzionalmente all'avversione per i recanatesi (gente zotica, vil), che lo ritenevano un intellettuale superbo, tanto che anche i ragazzini del paese, secondo testimonianze postume, cantavano in sua presenza canzoncine denigranti del tipo: "Gobbus esto fammi un canestro, fammelo cupo gobbo fottuto. A Firenze dal Perì l'inganno estremo, ch'eterno io mi credei.»  (A se stesso). Fanny Targioni Tozzetti Intanto, il Colletta, al quale il poeta scriveva della sua vita infelice, gli offrì, grazie ad una sottoscrizione degli "amici di Toscana", l'opportunità di tornare a Firenze, dove fu eletto socio dell'Accademia della Crusca. Per mantenersi accettò la sottoscrizione e progettò un giornale che avrebbe curato quasi da solo, Lo spettatore fiorentino, ma che non realizzerà a causa della burocrazia e del timore della censura. A Firenze cura un'edizione dei "Canti", partecipò ai convegni dei liberali fiorentini e strinse infine una salda amicizia col giovane esule napoletano Antonio Ranieri, futuro senatore del Regno d'Italia, che durerà fino alla morte. Grazie alla fama di personalità liberale, fu eletto deputato dell'assemblea del governo provvisorio di Bologna (sorto dai moti), su designazione del Pubblico Consiglio di Recanati, ma non fa in tempo ad accettare la nomina (peraltro mai richiesta) che gli austriaci restaurano il governo pontificio. I genitori decidono infine di concedergli un modesto assegno mensile che gli permette di sopravvivere; Leopardi accetta ma, reputandolo umiliante, decide di non tornare mai più a Recanati. Risale sempre a questo periodo la forte passione amorosa per Fanny Targioni Tozzetti (terzo e ultimo amore secondo i biografi, dopo la Cassi Lazzari e la Malvezzi), moglie del medico fiorentino Antonio Targioni Tozzetti e forse amante di Ranieri, conclusasi in una delusione, che gli ispirò il cosiddetto "ciclo di Aspasia", una raccolta di poesie che contiene: Il pensiero dominante, Amore e morte, Consalvo (in cui l'amore è visto ancora positivamente), la drammatica e scarna A se stesso e Aspasia. In questa raccolta si manifestò il Leopardi più disilluso e disperato, orfano anche di quella tristezza nostalgica degli Idilli, nella perdita dell'ultima illusione che gli era rimasta, quella dell'amore (l'inganno estremo).[108] Aspasia, seppur piena di rancore e sarcasmo contro Fanny, è considerata l'unica poesia d'amore (seppur per un amore ormai finito) scritta per una donna che egli frequentò realmente e intimamente, anche se solo in maniera romantica e intellettiva (per parte di lui; lei lo descrisse sempre come un amico e dopo la morte come una persona "disgraziata" a cui non voleva dare alcuna illusione); tuttavia nei primi versi, contenenti la descrizione fisica e caratteriale della Targioni, presentata come una "donna fatale", si nota anche una tensione erotica molto rara in Leopardi, il quale ribadisce ripetutamente il fascino esteriore esercitato dalla nobildonna. L'identificazione della donna con l'Aspasia poetica è data, più che dalle lettere di Leopardi, dalle affermazioni di Ranieri nei Sette anni di sodalizio e da alcune lettere tra lui e la Targioni Tozzetti. Tuttavia, se Aspasia accenna anche a toni polemici e misogini, in cui Leopardi si dice felice di essersi perlomeno liberato della dipendenza affettiva verso l'amica, che descrive quasi come un servilismo morale di cui si vergogna, un giogo ormai spezzato, in una lettera a Fanny dei primi tempi si scorgono invece le riflessioni sull'amore e la morte del periodo, che trovano l'esatta corrispondenza con alcuni versi di Consalvo e con Amore e morte: «E pure certamente l'amore e la morte sono le sole cose belle che ha il mondo, e le sole solissime degne di essere desiderate. Pensiamo, se l'amore fa l'uomo infelice, che faranno le altre cose che non sono né belle né degne dell'uomo. Ranieri da Bologna mi aveva chiesto più volte le vostre nuove: gli spedii la vostra letterina subito ierlaltro. Addio, bella e graziosa Fanny. Appena ardisco pregarvi di comandarmi, sapendo che non posso nulla. Ma se, come si dice, il desiderio e la volontà danno valore, potete stimarmi attissimo ad ubbidirvi. Ricordatemi alle bambine, e credetemi sempre vostro.»  (Lettera da Roma, 6 agosto 1832) «Due cose belle ha il mondo: / amore e morte. All'una il ciel mi guida / in sul fior dell'età; nell'altro, assai / fortunato mi tengo.»  (Consalvo, vv. 102) Lo spostamento del Consalvo nei Canti molto precedenti al ciclo, avvenuto dall'edizione napoletana, ha fatto pensare che il personaggio di Elvira sia ispirato anche a Teresa Carniani Malvezzi e non solo a Fanny. Per circa 4 anni frequenta molto spesso casa Targioni, cercando di avvicinarsi alla padrona di casa procurandole moltissimi autografi di scrittori e personaggi famosi, che lei collezionava. In questo periodo Leopardi diviene amico anche della contessa Carlotta Lenzoni de' Medici di Ottajano, affascinata dalla grandezza intellettuale del poeta e conosciuta nel 1827, ma poi se ne allontanò. Secondo un'opinione minoritaria, la donna descritta negativamente come Aspasia sarebbe stata la Lenzoni. Si reca a Roma con Ranieri per ritornare a Firenze e nel corso di questo anno scrisse i due ultimi dialoghi delle "Operette", Il Dialogo di un venditore d'almanacchi e di un passeggere e il Dialogo di Tristano e di un amico. Continuò a corrispondere epistolarmente per un periodo con la Targioni Tozzetti, seppure in maniera più fredda e distaccata. Quando Ranieri tornò a Napoli, tra i due iniziò una fitta corrispondenza che ha fatto a taluni ritenere che tra Leopardi e Ranieri vi fosse un rapporto amoroso. Pietro Citati però precisa che si sarebbe trattato di un semplice e intenso affetto "platonico" assai diffuso nel XIX secolo, senza traccia di omosessualità, come quello rivolto a suo tempo al Giordani. In una di queste lettere il poeta scrive a Ranieri: Antonio Ranieri, tra gli anni '40 e '60 «Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell'amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d'ogni cosa al tuo benessere; ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo che noi viviamo l'uno per l'altro, o almeno io per te, sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo. Dopo aver ottenuto il modesto assegno dalla famiglia, partì per Napoli con Ranieri sperando che il clima mite di quella città potesse giovare alla sua salute. Sugli anni a Napoli, Antonio Ranieri dichiarò:  «Quivi Leopardi, mentre che io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera non mia (cosa che, nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui, ebbe, una notte, la strana allucinazione, che la signora di casa avesse fatto disegno sopra una sua cassetta, nella quale egli non riponeva mai altro che non nettissimi arnesi da ravviare i capelli, e le cesoie. Pare infatti che la padrona di casa volesse cacciarli, per timore che Leopardi fosse portatore di tubercolosi polmonare infettiva e lui stesso sosteneva, invece, che la donna volesse rubargli oggetti di sua proprietà, mentre Ranieri credeva che soffrisse di paranoie, e non ci faceva caso. Ricevette visita da August von Platen, che nel suo diario scrisse. «Leopardi ist klein und bucklicht, sein Gesicht bleich und leidend er den Tag zur Nacht macht und umgekehrt führt er allerdings ein trauriges Leben. Bei näherer Bekanntschaft verschwindet jedoch alles die Feinheit seiner klassischen Bildung und das Gemütliche seines Wesens nehmen für ihn ein. Leopardi è piccolo e gobbo, il viso ha pallido e sofferente fa del giorno notte e viceversa conduce una delle più miserevoli vite che si possano immaginare. Tuttavia, conoscendolo più da vicino la finezza della sua educazione classica e la cordialità del suo fare dispongon l'animo in suo favore.  Busto del poeta presente a Villa Doria d'Angri Intanto le Operette morali subirono una nuova censura da parte delle autorità borboniche, a cui seguirà la messa all'Indice dei libri proibiti dopo la censura pontificia, a causa delle idee materialiste esposte in alcuni "dialoghi". Leopardi così ne parlava in una lettera a Luigi De Sinner: «La mia filosofia è dispiaciuta ai preti, i quali e qui e in tutto il mondo, sotto un nome o sotto un altro, possono ancora e potranno eternamente tutto». Durante gli anni trascorsi a Napoli si dedicò alla stesura dei Pensieri, che raccolse probabilmente riprendendo molti appunti già scritti nello Zibaldone, e riprese i Paralipomeni della Batracomiomachia che, iniziati nel 1831, aveva interrotto. A quest'ultima opera lavorò, assistito dal Ranieri, fino agli ultimi giorni di vita. Di quest'opera incompiuta, in ottave, ampiamente influenzata sia dallo pseudo Omero della Batracomiomachia, (che già Leopardi aveva tradotta in gioventù, e di cui continua la trama) che dal poema Gli animali parlanti di Giovanni Battista Casti, rimane autografo il solo primo canto. Ranieri affermò sempre che gli altri, di sua mano, furono scritti sotto dettatura del Leopardi. Le ultime ottave sarebbero state dettate da Leopardi morente poco dopo aver terminato l'ultima poesia, Il tramonto della luna. Qualche dubbio può nascere, se si pensa che Ranieri investì soldi dopo la morte del poeta per farli pubblicare come autentici, con poco successo finanziario. Quando a Napoli scoppiò l'epidemia di colera, Leopardi si recò con Ranieri e la sorella di questi, Paolina, nella Villa Ferrigni a Torre del Greco, dove rimase dall'estate di quell'anno al febbraio del 1837 e dove scrisse La ginestra o il fiore del deserto. Paolina Ranieri assisterà, personalmente e con profondo affetto, Leopardi nei suoi ultimi anni, all'aggravamento delle sue condizioni fisiche. Paolina e l'unica donna che lo amò, sebbene si trattasse di un amore fraterno. A Napoli Leopardi lavora incessantemente, nonostante la salute in peggioramento, componendo varie liriche e satire; non segue le raccomandazioni dei medici, e conduce una vita abbastanza sregolata per una persona dalla salute fragile come la sua: dorme di giorno, si alza al pomeriggio e sta sveglio la notte, mangia molti dolci (particolarmente sorbetti e gelati), talvolta frequenta la mensa pubblica (anche durante il periodo del colera) e beve moltissimi caffè. La morte  Leopardi sul letto di morte, ritratto a matita di Tito Angelini, anch'esso simile alla maschera mortuaria e quindi molto realistico e verosimile In Campania egli compose gli ultimi Canti La ginestra o il fiore del deserto (il suo testamento poetico, nel quale si coglie l'invocazione ad una fraterna solidarietà contro l'oppressione della natura) e Il tramonto della luna (compiuto solo poche ore prima di morire). Progettava anche di tornare a Recanati, per vedere il padre, o partire per la Francia. Leopardi aveva infatti intenzione di riconciliarsi umanamente col padre di persona (il tono delle lettere a Monaldo diventa molto affettuoso negli ultimi tempi, dal formale e nobiliare "signor padre" e al voi delle lettere giovanili passa all'incipit "carissimo papà" e al tu). In questo periodo cominciò ad ignorare le prescrizioni, pensando che non potesse comunque decidere il suo destino. In una lettera al conte Leopardi, una delle ultime di Giacomo, il poeta avverte la morte come imminente e spera che avvenga, non sopportando più i suoi mali. Ritorna a Napoli con Ranieri e la sorella, ma le sue condizioni si aggravarono verso maggio, anche se non in modo tale da far sospettare ai medici o a Ranieri il reale stato di salute.  Il 14 giugno di quell'anno, Leopardi si sentì male al termine di un pranzo (che abitualmente consumava all'inconsueto orario delle 17); quel mattino, aveva mangiato circa un chilo e mezzo di confetti cannellini comprati da Paolina Ranieri in occasione dell'onomastico di Antonio e bevuto una cioccolata, poi una minestra calda e una limonata (o granita fredda) verso sera.  Fu colpito da malore poco prima di partire per Villa Carafa d'Andria Ferrigni, come era stato programmato, e nonostante l'intervento del medico l'asma peggiorò e poche ore dopo il poeta morì. Secondo la testimonianza di Antonio Ranieri, Leopardi si spense alle ore 21 fra le sue braccia. Le sue ultime parole furono "Addio, Totonno, non veggo più luce". La morte fu dichiarata all'ufficio dello stato civile il giorno successivo da Giuseppe e Lucio Ranieri, i quali fecero registrare l'indirizzo del decesso (vico Pero 2, nel territorio della parrocchia della SS. Annunziata a Fonseca) e indicarono che il fatto era avvenuto "alle ore venti". Tre giorni dopo il decesso, Antonio Ranieri pubblicò un necrologio sul giornale Il Progresso. La morte del poeta è stata analizzata da studiosi di medicina già a partire dall'inizio del XX secolo. Molte sono state le ipotesi, dalla più accreditata, pericardite acuta con conseguente scompenso, oppure scompenso cardiorespiratorio dovuto a cuore polmonare e cardiomiopatia, seguite a problemi polmonari e reumatici cronici, a quelle più fantasiose[146], fino al colera stesso.Nessuna delle tesi alternative, tuttavia, è riuscita a smentire il referto ufficiale, diffuso dall'amico Antonio Ranieri: idropisia polmonare ("idropisia di cuore" o idropericardio), il che è comunque verosimile, dati i suoi problemi respiratori, dovuti alla deformazione della colonna vertebrale; è anche possibile che l'edema fosse una delle conseguenze dei problemi cronici di cui soffriva, e che la causa principale fosse un problema cardiaco, forse accelerata da una forma fulminante di colera che avrebbe ucciso il debilitato Leopardi (che notoriamente soffriva di disturbi cronici all'apparato gastrointestinale, i quali potevano mascherare la gastroenterite colerosa) in poche ore. Leopardi era morto all'età di quasi 39 anni, in un periodo in cui il colera stava colpendo la città di Napoli. Grazie ad Antonio Ranieri, che fece interessare della questione il ministro di Polizia, le sue spogliequesta la versione accettata dalla maggioranza dei biografinon furono gettate in una fossa comune, come le severe norme igieniche richiedevano a causa dell'epidemia, ma inumate nella cripta e poi, dopo una breve riesumazione alla presenza di Ranieri che volle anche aprire la cassa, nell'atrio della chiesa di San Vitale Martire (oggi Chiesa del Buon Pastore), sulla via di Pozzuoli presso Fuorigrotta. La lapide, spostata poi con la tomba, fu dettata da Pietro Giordani:  «Al conte Giacomo Leopardi recanatese filologo ammirato fuori d'Italia scrittore di filosofia e di poesie altissimo da paragonare solamente coi greci che finì di XXXIX anni la vita per continue malattie miserissima fece Antonio Ranieri per sette anni fino all'estrema ora congiunto all'amico adorato MDCCCXXXVII»  Il ministro avrebbe accettato la richiesta del Ranieri solo dopo che un chirurgo, non il medico curante Mannella, ebbe eseguita una sorta di sommaria autopsia per poter dichiarare che la morte non fu dovuta a colera. In realtà fin dall'inizio il racconto di Ranieri era apparso pieno di contraddizioni e molti furono i dubbi che avvolsero quanto egli aveva dichiarato, anche perché le sue versioni furono molte e diverse a seconda dell'interlocutore, facendo sospettare che il corpo del poeta fosse finito nelle fosse comuni del cimitero delle Fontanelle, o in quello dei colerosi (o nell'attiguo cimitero delle 366 Fosse), destinati in quel periodo ai morti per colera o per altre cause, come attesta il registro delle sepolture della chiesa della SS. Annunziata a Fonseca di Napoli (riportante la dicitura "cimitero dei colerosi" e "sepolto id.") o addirittura occultate nella casa di vico Pero, e che Ranieri avesse inscenato, per un motivo recondito, un funerale a bara vuota, con la partecipazione dei suoi fratelli, del chirurgo e di un parroco compiacente a cui avrebbe regalato dei pesci freschi.   La lapide originale, traslata nel parco Vergiliano Comunque, Ranieri continuò ad affermare che le ossa erano nell'atrio della chiesa di S. Vitale e che il certificato d'inumazione fosse un falso redatto dal parroco su richiesta del ministro di Polizia, onde aggirare la legge sulle sepolture in tempo di epidemia. Nel 1898 avvenne una prima ricognizione; secondo il senatore Mariotti, smentito da altri, durante i lavori di restauro di alcuni anni prima, un muratore ruppe inavvertitamente la cassa, danneggiata dalla troppa umidità, frantumando le ossa e provocando la perdita di parte dei resti contenuti, forse gettati nell'ossario comune o addirittura con i calcinacci, mescolando i resti con altre ossa.  La tomba di Leopardi (Parco Vergiliano a Piedigrotta o Parco della Tomba di Virgilio, Napoli). Alla presenza dei rappresentanti regi e del comune di Napoli, venne effettuata la ricognizione ufficiale delle spoglie del recanatese e nella cassa (in realtà un mobile adattato allo scopo clandestino dai fratelli Ranieri), troppo piccola per contenere lo scheletro di un uomo con doppia gibbosità, vennero rinvenuti soltanto frammenti d'ossa (tra cui residui delle costole, delle vertebre recanti segni di deformità, e un femore sinistro intero, forse troppo lungo per una persona di bassa statura, e un altro femore a pezzi), una tavola di legno (con cui gli operai avevano tentato di riparare il danno alla cassa), una scarpa col tacco e alcuni stracci, mentre nessuna traccia vi era del cranio e del resto dello scheletro, per cui in seguito si arrivò anche a formulare la teoria di un suo trafugamento da parte di studiosi lombrosiani di frenologia amici del Ranieri. Nonostante i dubbi, la questione venne ben presto chiusa; secondo l'incaricato professor Zuccarelli, era plausibile che quelli fossero parte dei resti di Leopardi. Il medico parla esplicitamente di aver rinvenuto una parte di rachide e una di sterno entrambe deviate. Alcuni, pur pensando ad un'effettiva morte per colera, credettero comunque che Ranieri fosse riuscito davvero nell'intento di salvare il corpo dalla fossa comune corrompendo, se non il ministro, perlomeno dei funzionari incaricati. La scarpa ritrovata, o quello che ne rimaneva, venne poi acquistata dal tenore Beniamino Gigli, concittadino di Leopardi, e donata alla città di Recanati.Dopo vari tentativi di traslare i presunti resti a Recanati o a Firenze nella basilica di Santa Croce accanto a quelli di grandi italiani del passato, la cassa, per volontà di Benito Mussolini che esaudì una richiesta dell'Accademia d'Italia, venne con regio decreto di Vittorio Emanuele III che ne stabiliva l'identificazione, riesumata di nuovo e spostata al Parco Vergiliano a Piedigrotta (altrimenti detto Parco della tomba di Virgilio) nel quartiere Mergellinail luogo fu dichiarato monumento nazionaledove tuttora sorge appunto il secondo sepolcro del poeta, eretto quello stesso anno; nei pressi venne traslata anche la lapide originale, mentre parte del monumento venne portata a Recanati. Questa versione è quella sostenuta ufficialmente dal Centro Nazionale Studi Leopardiani. Nel 2004 venne anche chiesta (da parte dello studioso leonardiano Silvano Vinceti, che si è occupato anche della riesumazione e identificazione dei resti di Caravaggio, Boiardo, Pico della Mirandola e Monna Lisa) la terza riesumazione, onde verificare se quei pochi resti fossero davvero di Leopardi tramite l'esame del DNA e del mtDNA, comparato con quello degli attuali eredi dei conti Leopardi (Vanni Leopardi e la figlia Olimpia, discendenti diretti del fratello minore del poeta Pierfrancesco) e dei marchesi Antici, ma la richiesta fu respinta, sia dalla Soprintendenza sia dalla famiglia Leopardi (tramite la contessa Anna del Pero-Leopardi, vedova del conte Pierfrancesco "Franco" Leopardi e madre di Vanni). La posizione ufficiale della famiglia Leopardi (esplicitata dal 1898 in poi) e della Fondazione Casa Leopardi da loro presieduta (presidente fino al  conte Vanni Leopardi) è invece che i resti nel parco Vergiliano non siano comunque del poeta e Ranieri abbia mentito, che il corpo si trovi alle Fontanelle e che quindi la riesumazione sia inutile, occorrendo altresì rispettare la tomba-cenotafio lì situata. Un altro membro della famiglia, chiamato anche lui Pierfrancesco, si è invece detto disponibile. Tale esame non è stato finora autorizzato. «Cantare il dolore fu per lui rimedio al dolore, cantare la disperazione salvezza dalla disperazione, cantare l'infelicità fu per lui, e non per gioco di parole, l'unica felicità. n quei canti veramente divini il Leopardi trasformò l'angoscia in contemplativa dolcezza, il lamento in musica soave, il rimpianto dei giorni morti in visioni di splendore.»  (Giovanni Papini, Felicità di Giacomo Leopardi) Il pensiero di Leopardi è caratterizzato, attraverso le fasi del suo pessimismo, dall'ambivalenza tra l'aspetto lirico-ascetico della sua poetica, che lo spinge a credere nelle «illusioni» e lusinghe della natura, e la razionalità speculativo-teorica presente nelle sue riflessioni filosofiche, che invece considera vane quelle illusioni, negando ad esse qualunque contenuto ontologico. La contraddizione tra anelito alla vita e disillusione, tra sentimento e ragione, tra filosofia del sì e filosofia del no,  era del resto ben presente allo stesso Leopardi, il quale, secondo Karl Vossler, si adoperò costantemente per ricomporle, non rassegnandosi mai allo scetticismo, convinto che la vera filosofia dovesse in ogni caso mantenere i legami con l'immaginazione e la poesia. Come ha rilevato De Sanctis. Leopardi non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l'amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio inesausto. È scettico e ti fa credente; e mentre non crede possibile un avvenire men triste per la patria comune, ti desta in seno un vivo amore per quella e t'infiamma a nobili fatti. Francesco De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi,Luoghi leopardiani A Recanati  Targa della piazzuola del Sabato del Villaggio Palazzo Leopardi: è la casa natale del poeta. Tuttora il palazzo è abitato dai discendenti e aperto al pubblico. Esso venne ristrutturato nelle forme attuali dall'architetto Carlo Orazio Leopardi verso la metà del XVIII secolo. L'ambiente più suggestivo è senza dubbio la biblioteca, che custodisce oltre 20.000 volumi, tra cui incunaboli ed antichi volumi, raccolti dal padre del poeta, Monaldo Leopardi. Piazzuola del Sabato del Villaggio: sulla quale si affaccia Palazzo Leopardi. Ivi si trova la casa di Silvia e la chiesa di Santa Maria in Montemorello, nel cui fonte battesimale fu battezzato Giacomo Leopardi nel 1798. Colle dell'Infinito: è la sommità del Monte Tabor da cui si domina un panorama vastissimo verso le montagne e che ispirò l'omonima poesia composta dal poeta a soli 21 anni. All'interno del parco si trova il Centro Mondiale della Poesia e della Cultura, sede di convegni, seminari, conferenze e manifestazioni culturali. Il Colle dell'Infinito è diventato un Bene del Fai aperto a tutti.  Palazzo Antici-Mattei: casa della madre di Leopardi, Adelaide Antici Mattei, edificio dalle linee semplici ed eleganti con iscrizioni in latino. Torre del Passero Solitario: nel cortile del chiostro di Sant'Agostino è visibile la torre, decapitata da un fulmine e resa celebre dalla poesia Il passero solitario. Chiesa di San Leopardo (XIX secolo): venne fatta edificare dalla famiglia Leopardi insieme e nei pressi della villa affidando la progettazione all'architetto Gaetano Koch. La cripta, a cui si accede esternamente, è la tomba gentilizia della famiglia Leopardi. Chiesa di Santa Maria di Varano (XV secolo): costruita nel 1450 per i Minori Osservanti insieme al Convento annesso, dal 1873, cacciati i frati e abbattuti due lati del convento, l'orto divenne quello che ancora è il civico cimitero di Recanati. Vi si conserva ancora il pozzo di San Giacomo della Marca ed affreschi nelle lunette del portico. All'interno è la tomba di famiglia dei Leopardi ove sono sepolti Monaldo e Paolina, Altrove Spoleto, Albergo della Posta (corso Garibaldi),  Palazzo Antici Mattei (Roma, via Michelangelo Caetani), dove fu ospite.Roma, tomba del Tasso in Sant'Onofrio al Gianicolo, "uno dei posti più belli della terra, in mezzo agli aranci e ai lecci". Bologna ("ospitalissima"), convento di San Francesco (piazza Malpighi), primo soggiorno bolognese. Casa dell'editore Anton Fortunato Stella, vicino al Teatro alla Scala a Milano ("veramente insociale") (Casa Badini, vicino al teatro del Corso (oggi via Santo Stefano, 33) a Bologna ("tutto è bello, e niente magnifico"). Locanda della Pace, via del Corso, a Bologna, Ravenna (qui si vive quietissimi), ospite del marchese Antonio Cavalli. Firenze, "sporchissima e fetidissima città", Locanda della Fonte, nei pressi del mercato del grano e di Palazzo Vecchio Targa sull'ultimo domicilio di Leopardi a Napoli Casa delle sorelle Busdraghi, via del Fosso (oggi via Verdi), Firenze. Palazzo Buondelmonti, abitazione di Giovan Pietro Vieusseux, a Firenze. Pisa ("una beatitudine"), via Fagiuoli (casa Soderini). Il Lungarno pisano ("spettacolo così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente, che innamora"). "Una certa strada deliziosa" da lui battezzata "Via delle Rimembranze", dove va a passeggiare a Pisa (lettera a Paolina Leopardi). Levane, Camucia e Perugia, di passaggio. Roma (città oziosa, dissipata, senza metodo), via dei Condotti 81 (spendo qui un abisso), con Antonio Ranieri, da ottobre 1831 a marzo 1832. Napoli, piazza Ferdinando; poi Strada nuova di Santa Maria Ognibene (casa Cammarota); poi vico Pero (tre appartamenti affittati con Ranieri e la sorella di lui Paolina). Villa Ferrigni, detta villa delle Ginestre, a Torre del Greco, alle pendici dello "sterminator Vesevo". Opere di Giacomo Leopardi.  Copertina della prima edizione dello Zibaldone di pensieri. Epistolario Di Giacomo Leopardi ci sono rimaste oltre novecento lettere, composte nell'arco di una vita e indirizzate a circa cento destinatari, tra amici e familiari (soprattutto al padre e al fratello Carlo). L'intero corpus epistolare di Leopardi è raccolto dall'Epistolario, che malgrado le origini si può leggere come un'opera autonoma: questa raccolta di prose private, infatti, costituisce un fondamentale documento non solo per seguire le vicende biografiche del poeta, ma anche per comprendere l'evoluzione del suo pensiero, dei suoi stati d'animo e delle sue riflessioni culturali.[176]  Gli interventi nel dibattito classico-romantico Nel 1816 il giovane Leopardi prese parte all'acceso dibattito culturale innescato dalla pubblicazione del saggio Sulla maniera e utilità delle traduzioni di Madame de Staël: questa polemica vide schierarsi da una parte i difensori del classicismo, quali Pietro Giordani, e dall'altra i sostenitori della nuova poetica romantica.  Leopardi, amico del Giordani, si allineò alle tesi classiciste, mettendo per iscritto il proprio pensiero nella Lettera ai compositori della Biblioteca italiana e nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, rimasti entrambi inediti sino al 1906. Nella prima Leopardi, pur riconoscendo la bontà dell'intervento dell'autrice ginevrina, assume una posizione contraria alle istanze della lettera, nella quale si invitava il popolo italiano ad aprirsi alle nuove letterature europee. Secondo il poeta di Recanati, infatti, si tratta di un «vanissimo consiglio», essendo la letteratura italiana quella più vicina alle uniche letterature universalmente valide, ovvero quella greca e quella latina. Nel Discorso, invece, Leopardi approfondì la sua riflessione poetica in merito al dibattito, introducendo temi che poi diverranno centrali della poesia leopardiana, come l'opposizione tra i concetti di «natura» e civilizzazione. Zibaldone Lo Zibaldone di pensieri è una raccolta di 4526 pagine autografe nelle quali Leopardi depositò ragionamenti e brevi scritti sugli argomenti più vari. Inizialmente l'opera non era dotata dell'organicità di un testo letterario, essendo semplicemente il frutto di una scrittura immediata, di getto: Leopardi iniziò a datare i singoli testi solo a partire dal 1820, così da orientarsi agevolmente nel mare magnum di appunti (da lui definiti un «immenso scartafaccio»), arrivando perfino a stilare due indici. Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani, composto a Recanati tra la primavera e l’estate del 1824 e rimasto inedito fino al 1906, è un breve trattato filosofico dove Leopardi analizza le peculiarità che contraddistinguono la società italiana, e le compara con il carattere, la mentalità e la moralità delle altre nazioni d'Europa. Alla fine dell'opera Leopardi giunge all'amara conclusione che l'Italia, dilaniata da un esasperato individualismo, è troppo poco civile per godere dei benefici del progresso (come in Francia, Germania ed Inghilterra), ma troppo civile per godere dei benefici dello «stato di natura», come accadeva nelle nazioni meno sviluppate, quali Portogallo, Spagna e Russia. Secondo manoscritto autografo dell'Infinito Le Operette morali, per usare le parole dello stesso poeta, sono un «libro di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici»: è ancora Leopardi a descrivere la propria opera in una lettera del 1826 indirizzata all'editore Stella, sottolineando «quel tuono ironico che regna in esse» e specificando che Timandro ed Eleandro sono una specie di prefazione, ed un’apologia dell’opera contro i filosofi moderni». Le Operette, oggi considerate la più alta espressione del pensiero leopardiano, racchiudono l'essenza del pessimismo del poeta, trattando argomenti quali la condizione esistenziale dell'uomo, la tristezza, la gloria, la morte e l'indifferenza della Natura. I Canti, considerati il capolavoro di Leopardi, racchiudono trentasei liriche composte da Leopardi. Tra i componimenti poetici inclusi nei Canti ricordiamo Sopra il monumento di Dante, l'Ultimo canto di Saffo, Il passero solitario, La sera del dì di festa, Alla luna, A Silvia, il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, Il sabato del villaggio, La ginestra e infine L'infinito, uno dei testi più rappresentativi della poetica leopardiana.  Le ultime opere Durante gli anni napoletani Leopardi scrisse due opere, i Paralipomeni della Batracomiomachia e I nuovi credenti. Il primo è un poemetto in ottave con protagonisti animali: «Paralipomeni», infatti, significa «continuazione» mentre Batracomiomachia è battaglia dei topi e delle rane, ovvero un'opera pseudoomerica che Leopardi aveva tradotto in gioventù. Dietro la finzione comica Leopardi qui stigmatizza il fallimento dei moti rivoluzionari napoletani. I topi infatti, simboleggiano i liberali, generosi ma velleitari, mentre le rane sono i conservatori papalini, che non esitano a chiamare a sé i granchi-austriaci, feroci e stupidi.  nuovi credenti, invece, sono un capitolo satirico in terza rima composto nel 1835 dove Leopardi esprime una spietata satira contro gli esponenti dello spiritualismo napoletano, dei quali condanna la religiosità di facciata e lo sciocco ottimismo. Parole d'autore A Giacomo Leopardi si devono numerosi neologismi divenuti patrimonio diffuso (perlomeno in un linguaggio colto e sorvegliato), come "erompere", "fratricida", "improbo", "incombere",Al suo tempo, questa vena creativa di Leopardi non fu apprezzata e fu oggetto degli strali di un atteggiamento purista che opponeva resistenze all'adozione, e all'accoglimento nei lessici, di neologismi d'uso forgiati in epoca successiva all'«aureo Trecento» In un caso, un frutto della sua creatività, "procombere", gli guadagnò accuse postume mossegli da Niccolò Tommaseo, coautore del Dizionario della lingua italiana.  Poesia e musica A sé stesso, romanza, versi di Giacomo Leopardi, musica di Francesco Paolo Frontini, Milano, Edizioni Ricordi.Coro di morti, versi di G. Leopardi (dal Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie, Operette morali), musica di Goffredo Petrassi, per coro e strumenti. Tre liriche di Goffredo Petrassi, per baritono e pianoforte, testi di Leopardi, Foscolo e Montale. Epistolario di Giacomo Leopardi. Leopardi nell'immaginario collettivo Il fatto che l'opera di Leopardi sia stata e sia ogni anno oggetto dello studio di migliaia di studenti ha determinato (come per Dante) che molte locuzioni delle sue opere siano divenute d'uso corrente. Fra le principali:  studio matto e disperatissimo (in: lettera a Pietro Giordani  e Zibaldone di pensieri); passata è la tempesta... (in: La quiete dopo la tempesta, 1829); che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai... (in: Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, 1829-1930); natio borgo selvaggio... (in: Le ricordanze); la donzelletta vien dalla campagna... (in: Il sabato del villaggio); godi, fanciullo mio; stato soave... (in: Il sabato del villaggio);...e naufragar m'è dolce in questo mare (in: L'infinito). Il pittore e scultore maceratese Valeriano Trubbiani realizzò una serie di 12 pirografie sul tema Viaggi e transiti, dedicata ai viaggi del poeta nelle varie città della penisola: Recanati, Macerata, Roma, Bologna, Pisa, Firenze, Milano, Napoli.  Tali opere sono esposte nel CARTCentro permanente per la Documentazione dell'Arte Contemporanea di Falconara Marittima, che conserva anche altre opere di Trubbiani dedicate a Leopardi:  10 disegni originali realizzati sul tema "Leopardi figurativo", 8 incisioni a colori, una scultura del 1990 in rame, bronzo e argento con il Poeta pensoso in osservazione di un gregge di pecore (“Move la greggia oltre pel campo e vede greggi”, ispirata al Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, un'installazione scultorea sulla Batracomiomachia ("battaglia dei topi e delle rane") ispirata ai Paralipomeni della Batracomiomachia leopardiani. L'ispirazione prodotta in Trubbiani dall'opera leopardiana è raccontata dall'artista nel breve documentario "Le Marche di Leopardi", patrocinato dalla Regione Marche.  Leopardi nella musica pop italiana Leopardi è citato nella Canzone per Piero di Francesco Guccini e in Stai bene lì di Renato Zero; i suoi versi sono citati anche nei titoli di Canto notturno (di un pastore errante dell'aria) e Il cielo capovolto (ultimo canto di Saffo), entrambe di Roberto Vecchioni.  Giorgio Gaber, nella canzone "Benvenuto il luogo dove", contenuto nell'album "Gaber" del 1984, dedicata all'Italia, parla della penisola come il luogo "dove i poeti sono nati tutti a Recanati. Opere cinematografiche su Leopardi Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggiere, cortometraggio di Ermanno Olmi. Pisa, donne e Leopardi (), mediometraggio di Roberto Merlino. Leopardi è interpretato da Orazio Cioffi; Il giovane favoloso, film di Mario Martone. Leopardi è interpretato da Elio Germano. Vari brani del film sono presenti nel programma televisivo"Leopardi, il rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della rubrica "Il tempo e la storia"; "Le Marche di Leopardi", breve documentario diretto da Alessandro Scilitani, patrocinato dalla Regione Marche. Video in rete su Leopardi "Leopardi, il rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della rubrica televisiva "Il tempo e la storia" con Massimo Bernardini e lo storico Lucio Villari; "Giacomo Leopardi e l`importanza di Recanati", per Rai Storia, vita e opere di Giacomo Leopardi nel commento del critico teatrale Guido Davico Bonino. L’attore Umberto Ceriani legge: L'infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, La vita solitaria; "Ecco il vero Colle dell'Infinito descritto da Giacomo Leopardi"]: Francesco Guzzini del Centro Studi Leopardiani mostra l'itinerario che il Poeta compiva per recarsi dalla propria abitazione al punto di osservazione del paesaggio che gli ispirò L'infinito; "Marche, le scoprirai all'infinito", spot turistico della Regione Marche con il noto attore statunitense Dustin Hoffman che tenta di recitare in italiano L'infinito. Regia di Giampiero Solari; "A casa di Giacomo Leopardi", intervista di Pippo Baudo alla contessa Olimpia Leopardi all'interno del Palazzo Leopardi di Recanati; "Un Leopardi inedito" raccontato da Novella Bellucci e Franco D'Intino nella puntata di "Visionari" programma televisivo condotto da Corrado Augias su Rai 3. "L'arte di essere fragilicome Leopardi può salvarti la vita", intervista allo scrittore Alessandro D'Avenia sul suo omonimo libro e spettacolo teatrale. Inoltre, sono pubblicate in rete numerose letture/interpretazioni dei principali canti leopardiani da parte dei più importanti attori italiani. Fra questi si possono ascoltare:  Vittorio Gassman: L'infinito, A Silvia, La sera del dì di festa, Amore e Morte, La quiete dopo la tempest, A se stesso; Carmelo Bene: L'infinito, Passero solitario, La ginestra (o Il fiore del deserto) Alla luna,  La sera del dì di festa, Il sabato del villaggio, Le ricordanze, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia[210], Inno ad Arimane, Amore e Morte; Arnoldo Foà: L'infinito, Passero solitario, A Silvia[217], Il sabato del villaggio, La sera del dì di festa, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia, Le ricordanze, La ginestra (o Il fiore del deserto), Il tramonto della luna, All'Italia, Alla luna; Giorgio Albertazzi: L'infinito; Nando Gazzolo: L'infinito; Gabriele Lavia: L'infinito,  Lavia dice Leopardi; Alberto Lupo: Ultimo canto di Saffo; Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di Mario Martone: L'infinito], parte de La ginestra (o Il fiore del deserto) la prima parte de La sera del dì di festa, un brano di Amore e Morte, l'ultima parte di Aspasia. Leopardi "testimonial" della Regione Marche La Regione Marche, dopo aver più volte utilizzato l'immagine del poeta recanatese per la promozione turistica del proprio territorio ed anche della propria offerta enological commissionò una discussa campagna pubblicitaria attraverso un video, per la regia di Giampiero Solari, trasmesso sui principali canali televisivi italiani ed anche esteri, con protagonista il noto attore statunitense Dustin Hoffman[236], già conoscitore delle Marche per aver interpretato nel 1972 ad Ascoli Piceno il film di Pietro Germi "Alfredo, Alfredo", assieme ad una giovane Stefania Sandrelli.  Questa la descrizione della sceneggiatura dello spot per la promozione della stagione turistica:  «Un uomo legge una delle poesie più note della letteratura italiano, l’Infinito di Giacomo Leopardi, la cui emozionalità è strettamente legata alle visioni, alle luci, ai colori della terra marchigiana. L’uomo legge la poesia camminando, cerca di capire e pronunciare bene la lingua non stando fermo, dietro una scrivania, ma immergendosi nella terra che ha visto nascere questo capolavoro; legge, riprova, si arrabbia, vuole assolutamente penetrare la lingua, il sentimento di questa poesia, l’anima di questa terra e riprova e riprova. Nel sottofondo le note sublimi del Tancredi di Rossini, che accompagnano il silenzio di questa meditazione nuova che l’uomo cerca per sé: l’uomo cerca emozioni, vuole fare un’esperienza nuova, e leggere l’Infinito nelle Marche che l’hanno generato è un’esperienza nuova, formidabile, ma difficile e faticosa. Ma ne vale la pena. Provare e alla fine sorridere, la poesia è mia, le Marche sono la mia meta faticosamente conosciuta, capita e raggiunta.»  (dal comunicato stampa della Regione Marche) Nello spot Hoffman tenta di recitare i versi dell'Infinito in un italiano "condito" dal suo marcato accento californiano. Un accento tanto forte e straniante da suscitare numerose critiche all'operato della Regione. Tra queste, quella di Mina[239], che nella sua rubrica sulle pagine de "La Stampa", ebbe a scrivere:  «Leopardi bisogna meritarselo. Sarebbe andato benissimo anche Oliver Hardy. Al quale, paradossalmente, in questa demoralizzante «performance», mi sembra che assomigli. Non so come l'avrebbe fatta Ollio. Non peggio, credo... Sentire la nostra potente, meravigliosa lingua strapazzata dal pur bravo divo americano mi ha rigettato giù nella nostra condizione di sempiterna colonia... il mondo della pubblicità è un mondo di matti. A volte geniale, ma più spesso volgare e irrispettoso. Dustin Hoffman, from Los Angeles, sarà pure un nome che tira, ma non li avevamo noi degli attori al suo livello? E che parlano l’italiano? E che conoscono la musica dell’andamento di un’esposizione poetica?»  (Mina Mazzini) Al contrario, l'operazione promozionale fu elogiata da Giorgio De Rienzo, linguista e critico letterario, da Francesco Sabatini e Francesco Erspamer, rispettivamente presidente onorario e presidente emerito dell’Accademia della Crusca; quest'ultimo commentò lo spot con queste parole: «Sprovincializza la lingua italiana» Comunque sia, lo scopo perseguito fu raggiunto: anche grazie alle polemiche, la versione non definitiva del video della Regione Marche, inserito su YouTube, totalizzò quasi 21.200 visualizzazioni in tutto il mondo solo nella prima settimana.  Visto il successo del, Dustin Hoffman fu confermato per la campagna promozionale della stagione turistica. Niente più lettura dei versi leopardiani, ma, come sottolineò Aldo Grasso sul "Corriere della Sera", nella nuova edizione «il volto del testimonial diventa più importante dell’oggetto da reclamizzare. Attraverso gli scatti di Bryan Adams, si snoda un racconto tutto personale: i cinque sensi di Dustin Hoffman dichiarano infinito amore per le suggestioni concrete che la regione riesce a offrire: la gastronomia, l’arte, la musica, i vini e i paesaggi. Nella campagna promozionale del  Dustin Hoffman fu sostituito dall'attore marchigiano Neri Marcorè.  Continuò comunque l'utilizzo a scopi promozionali dell'immagine di Leopardi: sull'onda del successo del film "Il giovane favoloso", diretto dal registra Mario Martone e interpretato dall'attore Elio Germano, la Regione mise in campo una serie di iniziative per promuovere la visione del film e di conseguenza del territorio marchigiano che ne aveva ospitato le location, tra cui un "movie-tour", consentito gratuitamente a tutti gli spettatori muniti del biglietto del cinema. La Regione ha patrocinato la realizzazione di un breve documentario, "Le Marche di Leopardi", diretto da Alessandro Scilitani, nel quale l'assessore alla cultura dell'epoca tratteggiava il riepilogo delle iniziative regionali per valorizzare la figura del poeta recanatese. Seguono una breve biografia di Leopardi, con le immagini di Recanati, e gli interventi di vari operatori culturali marchigiani che, rifacendosi a veri o presunti collegamenti con la vita ed il pensiero del Poeta, introducono ad altri importanti personaggi nati o presenti nella Regione (Gioacchino Rossini, Antonio Canova, Terenzio Mamiani, Valeriano Trubbiani, Osvaldo Licini), il tutto "condito" dalle musiche di musicisti marchigiani (Giovan Battista Pergolesi, Gaspare Spontini) e da squarci paesaggistici di varie località della regione.Opere biografiche su Leopardi Giacomo Leopardi, Puerili e abbozzi vari, Bari, G. Laterza & f.i,Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Leopardi, Milano-Napoli: Ricciardi, 1920; poi Milano: Garzanti, (con una nota di Alberto Arbasino); Milano: Mursia (Raffaella Bertazzoli); Milano: SE, Mario Picchi, Storie di casa Leopardi, Milano: Camunia; poi Milano: Rizzoli, 1990 Renato Minore, Leopardi. L'infanzia, le città, gli amori, Milano: Bompiani, Rolando Damiani, Album Leopardi, Milano: Mondadori «I Meridiani», Attilio Brilli, In viaggio con Leopardi, Bologna: Il Mulino, Rolando Damiani, All'apparir del vero. Vita di Giacomo Leopardi, Milano: Mondadori «Oscar Saggi» Marcello D'Orta, All'apparir del vero: il mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi, Piemme,. Pietro Citati, Leopardi, Milano, Mondadori,. Il Centro Nazionale di Studi Leopardiani nel primo centenario della morte del poeta, fu istituito a Reca Centro Nazionale di Studi Leopardiani.  Esso ha come scopo la promozione di ricerche e studi su Giacomo Leopardi in campo storico, biografico, critico, linguistico, filologico, artistico, filosofico. Roberto Tanoni, L'aspetto di Giacomo Leopardi, Effettivamente il titolo di conte con cui Leopardi veniva talvolta appellato, e che egli stesso usava, in quanto primogenito dei conti Leopardi, era un "titolo di cortesia", in quanto il vero titolo nobiliare era ancora in capo a Monaldo, finché fu in vita.  Uno sconosciuto: l'ateo filantropo barone d'Holbach, su elapsus. ).  Giulio Ferroni, La poesia del dolore: Giacomo Leopardi, su emsf.rai).  Forse la malattia di Pott o la spondilite anchilosante.  Erik Pietro Sganzerla, Malattia e morte di Giacomo Leopardi. Osservazioni critiche e nuova interpretazione diagnostica con documenti inediti, Booktime,: «Questo libretto rende giustizia a un uomo che soffriva di numerosi problemi fisici, che ebbe una vita non felice e una cartella clinica in cui sono posti in evidenza i sintomi e il loro decorso temporale, l’età d’esordio della progressiva deformità spinale e dei problemi visivi e gastrointestinali, l’influenza delle condizioni psichiche e ambientali nell’accentuazione o remissione dei segnali. altamente probabile la diagnosi di Spondilite Anchilopoietica Giovanile»; viene poi sostenuto che Leopardi «affetto da una pneumopatia restrittiva con insufficienza respiratoria cronica, aggravata da episodi infettivi intercorrenti, sia morto per uno scompenso cardiorespiratorio terminale in paziente affetto da cuore polmonare e possibile miocardiopatia. Questo io conosco e sento, che degli eterni giri, Che dell'esser mio frale, qualche bene o contento avrà fors'altri; a me la vita è male»  (Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia)  Renato Minore, Leopardi. L'infanzia, le città, gli amori, Milano, Lettera di G. Leopardi (Recanati) a Pietro Colletta (Livorno), ed atteso ancora che il patrimonio di casa mia, benché sia de' maggiori di queste parti, è sommerso nei debiti.  Emilio Cecchi e Natalino Sapegno, Storia della letteratura italiana. Milano L'Ottocento  Zibaldone  «Il Chimico italiano. Rossella Lalli, Si spegne la contessa Leopardi, erede e custode della memoria del poeta, newnotizie,Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane, Firenze, successori Le Monnier, Maria Corti in «Giacomo Leopardi. Tutti gli scritti inediti, rari e editi», Milano, Bompiani 1972  Citati20-25.  Cecchi, Sapegno, oGiuseppe BonghiBiografia di Giacomo Leopardi, su classicitaliani. Lettera a Pietro Giordani a Milano, Recanati,in Epistolario di Giacomo Leopardi con le iscrizioni greche triopee da lui tradotte e lettere di Pietro Giordani e Pietro Colletta all'Autore, raccolto e ordinato da Prospero Viani,  I, Napoli, Lettera all'Avv. Pietro Brighenti a Bologna, Recanati, in Epistolario di Giacomo Leopardi con le iscrizioni ecc. Il padre Monaldo lo vide parlare, con sorpresa, in questa lingua con un rabbino di Ancona, secondo quanto riportato dallo storico Lucio Villari nella trasmissione RAI Il tempo e la storia di Massimo Bernardini (puntata "Leopardi, il rivoluzionario", 15 ottobre, RaiTre-RaiStoria)  Sarà la lingua utilizzata nelle lettere allo Jacopssen  Il programma delle celebrazioni leopardiane, su giornale.regione.marche. Il sanscrito nella teoria linguistica di Giacomo Leopardi, in Leopardi e l'Oriente. Atti del Convegno Internazionale, Recanati  a c. di F. Mignini, Macerata, Provincia di Macerata, M. T. Borgato, L. Pepe, Leopardi e le scienze matematiche,  5-8.  Aimé-Henri Paulian su data.bnf.fr.  Un episodio della sua vita farà da spunto a una delle Operette morali, Il Parini ovvero della gloria  Cecchi, Sapegno, Spesso nell'epistolario afferma di soffrire il freddo e di coprirsi le gambe con una coperta di lana.  C 33 esegg.  Giuseppe Bortone, Il "morire giovane" in Leopardi, su moscati..: "frequenti mi occorrono febbri maligne, catarri e sputi di sangue…" scrive nel testo  Alessandro Livi, giacomo leopardi, le malattie ed i misteri sulla morte e sepoltura, alessandrolivistudiomedico, 28 novembre. 1º gennaio  Paolo Signore, Giacomo Leopardi: il genio di Recanati favoloso e malato, su Rotari Club Fermo,  «Di contenti, d'angosce e di desio, / Morte chiamai più volte, e lungamente / Mi sedetti colà su la fontana / Pensoso di cessar dentro quell'acque / La speme e il dolor mio. Poscia, per cieco / Malor, condotto della vita in forse, / Piansi la bella giovanezza, e il fiore / De' miei poveri dì, che sì per tempo / Cadeva: e spesso all'ore tarde, assiso / Sul conscio letto, dolorosamente / Alla fioca lucerna poetando, / Lamentai co' silenzi e con la notte / Il fuggitivo spirto, ed a me stesso / In sul languir cantai funereo canto» (Le ricordanze, Il Giacomo Leopardi torrese, su torreomnia. Giuseppe Sergi e Giovanni Pascoli furono i primi a ipotizzare la malattia, "diagnosi" ripresa poi da Pietro Citati e altri, e considerata probabile causa della deformità fisica e dei problemi di salute di Leopardi anche da una ricerca scientifica condotta nel 2005 da due medici pediatri recanatesi, Edoardo Bartolotta e Sergio Beccacece.  Es. sindrome della cauda equina  Alcuni propongono altre diagnosi: diabete giovanile con retinopatia e neuropatia, tracoma oculare con sindrome di Scheuermann alla schiena e disturbo bipolare, sindrome di Ehlers-Danlos di tipo cifoscoliotico, rachitismo e neuropatia periferica originate da celiachia o malassorbimento, sifilide congenita con tabe dorsale (Antonio Ranieri, negli anni napoletani, arrivò a pensaresalvo poi smentireaffermando che Leopardi morì vergine (cosa dibattuta), a pag. 99 di Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi che avesse contratto la sifilide o che l'avesse ereditata dal padre. cfr. R. Di Ferdinando, L'amarezza del lauro. Storia clinica di Giacomo Leopardi, Cappelli, Bologna, Con un'analisi postuma molto contestata poiché basata sulle teorie pseudoscientifiche dell'antropologia criminale e della frenologia, Cesare Lombroso e i suoi allievi Patrizi e Giuseppe Sergi affermarono che Leopardi aveva l'epilessia, e avesse disturbi ereditari come tutta la sua famiglia. Cfr.: M_ L_Patrizi.  Prof. M. L. Patrizi, Saggio psico-antropologico su Giacomo Leopardi e la sua famiglia, Torino, Fratelli Bocca Editori, M_L_Patrizi. G. Chiarini, Vita di G. Leopardi453.  E. Galavotti, Letterati italiani Lettera di Paolina Leopardi a G.P. Vieusseux, G. Leopardi, Lettera ad Adelaide Maestri, Lettera ad Antonietta Tommasini, G. Leopardi, Zibaldone, autografo, Scritti vari inediti di Giacomo Leopardi dalle carte napoletane, cUn'analisi critica del Discorso, insieme a un saggio sui Paralipomeni alla Batracomiomachia si trova in: Riccardo Bonavita, Leopardi: Descrizione di una battaglia, Nino Aragno Ed., Torino, Aldo Giudice, Giovanni Bruni, Problemi e scrittori della letteratura italiana,  3, tomo 1, Paravia, Cfr. pag. 118 del ms. dello Zibaldone, con pensiero. Dove privato dell'uso della vista, e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la mia  infelicità in un modo assai più tenebroso. Cecchi, Sapegno Lasciando da parte lo spirito e la letteratura, di cui vi parlerò altra volta (avendo già conosciuto non pochi letterati di Roma), mi ristringerò solamente alle donne, e alla fortuna che voi forse credete che sia facile di far con esse nelle città grandi. V'assicuro che è propriamente tutto il contrario. Al passeggio, in Chiesa, andando per le strade, non trovate una befana che vi guardi. Trattando, è così difficile il fermare una donna in Roma come a Recanati, anzi molto più, a cagione dell'eccessiva frivolezza e dissipatezza di queste bestie femminine, che oltre di ciò non ispirano un interesse al mondo, sono piene d'ipocrisia, non amano altro che il girare e divertirsi non si sa come, non (omissis) (credetemi) se non con quelle infinite difficoltà che si provano negli altri paesi. Il tutto si riduce alle donne pubbliche, le quali trovo ora che sono molto più circospette d'una volta, e in ogni modo sono così pericolose come sapete.» Il passo omesso dalla pubblicazione dell'epistolario venne censurato alla prima edizione ed è stato ripristinato solo in edizioni recenti, come quella dei Meridiani del 2006, poiché troppo esplicito ("non la danno"); cfr. Il senso di Leopardi per la donna di città. Pierluigi Panza, La casa di Silvia (amata da Leopardi) restaurata e aperta, in Corriere della Sera L'eliografia, metodo di riproduzione messo a punto da Joseph Nicéphore Niépce nel 1822, fu da questi usato per la prima fotografia (precedente di 13 anni il dagherrotipo).  Giuseppe Bonghi, Biografia di Leopardi, su classicitaliani. La donna nelle parole di Leopardi, su casatea.com. Paolo Ruffilli, Introduzione alle Operette morali, Garzanti  Citati226 e segg.  Bortolo Martinelli, Leopardi oggi: incontri per il bicentenario della nascita del poeta: Brescia, Salò, Orzinuovi, Vita e Pensiero,  Fotografia della maschera (JPG), Centro Nazionale di Studi Leopardiani Recanati. 1º gennaio  (archiviato il 1º gennaio ).  Donatella Donati, Leopardi a Napoli, Centro nazionale di studi leopardianiCentro mondiale della poesia e della cultura "G.Leopardi"Recanati Città della poesia, Per lui scrisse, nel 1835, la celebre Palinodia al marchese Gino Capponi  Niccolini era già stato l'ispiratore del personaggio di Lorenzo Alderani delle Ultime lettere di Jacopo Ortis  «Ora bisogna che io scriva a quel maledetto gobbo, che s'è messo in capo di coglionarmi» (Lettera di Gino Capponi a Gian Pietro Vieusseux)  Una stroncatura per il Leopardi Archiviato il 26 febbraio  in.; mentre fu più meditato e indulgente il giudizio dato dal Capponi stesso, in tarda età, sulla poesia e su Leopardi stesso.  Introduzione alla Palinodia  G. Leopardi, Epigramma contro il Tommaseo, su fregnani. Giuseppe Bonghi, Analisi di "A Silvia", su classicitaliani.Carlo Leopardi così ricordava, su ilgiardinodigiacomo.wordpress.com. Cfr. lettera di G. Leopardi (Recanati) a Pietro Colletta (Livorno), in cui dichiara di aver percepito venti scudi romani (diciannove fiorentini) al mese.  Lettera aColletta dcome citato in Marco Moneta, L'officina delle aporie: Leopardi e la riflessione sul male negli anni dello Zibaldone, FrancoAngeli, Milano, in CitaTO Luperini, Cataldi, Marchiani, La scrittura e l'interpretazione, Palermo, Palumbo, Le ricordanze, v. 30.  Gente che m'odia e fugge, per invidia non già, che non mi tiene maggior di sé, ma perché tale estima ch'io mi tenga in cor mio, in Le ricordanze, Camillo Antona-Traversi, I genitori di Giacomo Leopardi: scaramucce e battaglie, Recanati, A. Simboli, Cecchi, Sapegno. Giacomo Leopardi, in Catalogo degli Accademici, Accademia della Crusca.   CNote ad Aspasia, nei Canti, edizione Garzanti  Donne fatali 2: Giacomo Leopardi e Aspasia"Io non ho mai sentito tanto di vivere quanto amando...", su sulromanzo.  "Tu vivi / bella non solo ancor, ma bella tanto, / al parer mio, che tutte l'altre avanzi"Aspasia, G. Sarra, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti e link in.  Giovanni Mèstica, Gli amori di G. Leopardi, in Fanfulla della domenica,  (Fonte DBI). Altri ritengono che il canto alluda piuttosto alla sola Fanny Targioni Tozzetti, tra questi, Giovanni Iorio nel commento ai Canti, edizione Signorelli, Roma. Leopardi: dama invaghita del poeta non fu ricambiata ma evitata, su adnkronos.com. 1M. de Rubris, Confidenze di Massimo d'Azeglio. Dal carteggio con Teresa Targioni Tozzetti, Milano, Arnoldo Mondadori, Paolo Abbate, La vita erotica di Giacomo Leopardi, C.I. Edizioni, Napoli 2000  Giovanni Dall'Orto, Sempre caro mi fu, pubblicato in "Babilonia" Robert Aldrich e Garry Wotherspoon, Who's who in gay and lesbian history,  1, ad vocem  Leopardi gay? Vietato dirlo, su ricerca.repubblica. Simone D'Andrea, Normalmente diverso, su Giacomo Leopardi. Epistolario, BrioschiLandi, Sansoni Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Garzanti, Milano. D'Orta12. Cfr. anche la lettera di Stanislao Gatteschi a Monaldo Leopardi in Giacomo Leopardi. Epistolario, BrioschiLandi, Sansoni È stravagantissimo nelle abitudini del vivere. Si leva verso le due pomeridiane, mangia ad orari irregolari, va a letto verso il fare del giorno. La sua vita non può esser longeva per i complicati mali onde è gravato." e Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Garzanti, 1 "Durante tutta la sua vita, egli fece, appresso a poco, della notte giorno, e viceversa."  Traduzione in Michele Scherillo, Vita di Giacomo Leopardi, Greco Editori, Milano, Epistolario, lettera. Leopardi e le donne una storia tormentata, su ricerca.repubblica. Maria Teresa Moro, Ranieri Paola (Paolina), su treccani. 2D'Orta25.  Leopardi. Il poeta della sofferenza, su archiviostorico.corriere. Teorie alternative sulla morte del conte Giacomo Leopardi sono state trattate e documentate negli studi condotti dal Prof. Gennaro Cesaro (cfr. Sfrondando gli allori della poesia)  Lettera di Antonio Ranieri a Fanny Targioni-Tozzetti, Napoli Confronta anche Pietro Citati, Leopardi, Mondadori,, Milano, Secondo originale dell'atto di morte di Giacomo Leopardi, su dl.antenati.san.beniculturali.  Il Progresso delle Scienze, delle Lettere e delle Arti, Napoli dalla Tipografia Plautina,  cfr. anche Notizia della morte del Conte Giacomo Leopardi Angelo Fregnani Archiviato il 30 ottobre  in..  Ad esempio cibo avariato, congestione, coma diabetico o indigestione  Cenni storiciFu un'indigestione a causare la morte di Leopardi?, su spaghettitaliani.com. Napoli e Leopardi, su ildelsud.org. Ecco i confetti che uccisero Leopardi. Al Suor Orsola la collezione Ruggiero, su corrieredelmezzogiorno.corriere. in Lettera di Antonio Ranieri a Fanny Targioni-Tozzetti, Napoli, 1 idem in Lettera di A. R. a Monaldo Leopardi, Napoli, in Opere inedite di Giacomo Leopardi, G. Cugnoni,  I, Halle, Max Niemeyer Editore, Nuovi documenti intorno alla vita e agli scritti di Giacomo Leopardi, G. Piergili, Firenze, Le Monnier,   in.; "Idrotorace" in Lettera di A. R. a De Sinner, Napoli, idropisia di petto" dice Paolina Leopardi in una lettera a Marianna Brighenti  Biografia sulla Treccani, su treccani. are LB, Matthay MA. Acute pulmonary edema. N Engl J Med Giovanni Bonsignore, Bellia Vincenzo, Malattie dell'apparato respiratorio terza edizione, Milano, McGraw-Hill, Mario Picchi, Storie di casa Leopardi, BUR, Dalla foto pubblicata qui, su rete.comuni-italiani. Cfr. anche Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia, Palermo, dalla tipografia di Filippo Solli, Opere di Pietro Giordani,  Scritti editi e postumi di Pietro Giordani,  VI, pubblicati da Antonio Gussalli, Milano presso Francesco Sanvito, Riproduzione, che presenta lieve variazione di testo, sotto forma di disegno in Opere di Giacomo Leopardi, edizione accresciuta, ordinata e corretta secondo l'ultimo intendimento dell'autore, da Antonio Ranieri,  Firenze, Successori Le Monnier, 1889, fuori testo Archiviato il 10 ottobre  in..  Pasquale Stanzione, Giacomo LeopardiUna tomba vuota a Fuorigrotta, su pasqualestanzione. Foto del Registro (JPG), su pasqualestanzione. 7 maggio  (archiviato il 13 maggio ). Ingrandimento (JPG), su pasqualestanzione.Nuove scoperte su Leopardi? Occorre cautela Archiviato il il 5 febbraio  in. da Cronache maceratesi  Luciano Garofano, Giorgio Gruppioni, Silvano VincetiDelitti e misteri del passato: Sei casi da RIS dall'agguato a Giulio Cesare all'omicidio di Pier Paolo Pasolini, Rizzoli PIER FRANCESCO LEOPARDI: SONO DISPONIBILE ALLA PROVA DEL DNA, MA I RECANATESI SONO D’ACCORDO?  Loretta Marcon, Un giallo a Napoli. La seconda morte di Giacomo Leopardi, Guida,,Ida Palisi, Leopardi, strane ipotesi su morte e sepoltura, “Il Mattino di Napoli”, 19.8.; recensione a: Loretta Marcon, Un giallo a Napoli. La seconda morte di Giacomo Leopardi, Guida,   Mario Picchi, Storie di casa Leopardi. Si riporta anche il verbale ufficiale delle persone presenti.  E' vuota la tomba di Leopardi. Guerra sulla riesumazione dei resti, su ricerca.repubblica. La Vita  Leopardi, sito gestito dal CNSL  Si torna a parlare dei resti di Leopardi, nato comitato per l'esumazione dal sacello del parco Virgiliano di Napoli, su ilcittadinodirecanati. Il ritratto della pinacoteca di Recanati, su cdn.studenti.stbm. In Opera Omnia, Milano, Mondadori,  Cfr. in proposito anche gli studi che il filosofo Giovanni Gentile ha dedicato a Leopardi, in particolare: Manzoni e Leopardi: saggi critici (Milano, Treves, Poesia e filosofia di Giacomo Leopardi (Firenze, Sansoni).  Paolo Emilio Castagnola, Osservazioni intorno ai Pensieri di Giacomo Leopardi, pag. 26, Tipografia del Mediatore, Gino Tellini, Filologia e storiografia. Da Tasso al Novecento,  153-154, Roma, Ed. di Storia e Letteratura, Sebastian Neumeister, Giacomo Leopardi e la percezione estetica del mondo  Peter Lang, In Saggi critici, L. Russo, Bari, Laterza Chiese e Santuari Comune di Recanati, su comune.recanati.mc.  Per Giacomo Leopardi, su pergiacomoleopardi.altervista.org. Tutte le indicazioni su luoghi e viaggi sono prese da Attilio Brilli, In viaggio con Leopardi, Il Mulino, Bologna Tra virgolette le parole di Leopardi, tratte da sue lettere.  Marta Sambugar, Gabriella Sarà, Visibile parlare, da Leopardi a Ungaretti, Milano, RCS Libri, Marta Sambugar, Gabriella Sarà, Visibile parlare, da Leopardi a Ungaretti, Milano, RCS Libri, Operette morali, su internetculturale. Marta Sambugar, Gabriella Sarà, Visibile parlare, da Leopardi a Ungaretti, Milano, RCS Libri, Fabio Marri, Neologismi Enciclopedia dell'Italiano (), Istituto dell'Enciclopedia italiana.  Catalogo della mostra "Viaggi e transiti opere leopardiane di Valeriano Trubbiani" realizzata in occasione dell'inaugurazione del Centro culturale "Pergoli" di Falconara Marittima Comune di Falconara Marittima, Aniballi Grafiche, Ancona, 2005  Vedi la scheda dedicata al CARTCentro permanente per la Documentazione dell'Arte Contemporanea di Falconara Marittima nel sito "La memoria dei luoghi" del Sistema Museale della Provincia di Ancona: CARTCentro permanente per la documentazione dell'Arte contemporanea, su Associazione "Sistema Museale della Provincia di Ancona".   "Le Marche di Leopardi", breve documentario diretto da Alessandro Scilitani, patrocinato dalla Regione Marche: youtube.com /watch?v= Km1EK0MH6Sg  ascolta la canzone nel sito della Fondazione Giorgio Gaber:// Giorgio gaber/ discografia-album/ benvenuto-il-luogo-dove-testo Archiviato il 6 settembre  in.  vedi il testo dell'Operetta morale in Operette _morali /Dialogo _di_ un_ venditore_ d%27 almanacchi_ e_di_un_passeggere. Il cortometraggio di Ermanno Olmi Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggiere: youtube. com/ watch? v=hiJOBKJZNaU  Il cortometraggio di Ermanno Olmi Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggiere è inoltre visibile all'interno del programma "Leopardi, il rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della rubrica televisiva di Rai Storia "Il tempo e la storia" con Massimo Bernardini e lo storico Lucio Villari://raistoria.rai/articoli/leopardi- il-rivoluzionario/25794/default.aspx "Leopardi, il rivoluzionario" di Giancarlo Mancini, puntata della rubrica "Il tempo e la storia" con Massimo Bernardini e lo storico Lucio Villari://raistoria.rai/articoli/leopardi-il-rivoluzionario/25794/default.aspx in.  Rai Storia, "Giacomo Leopardi e l`importanza di Recanati"://raiscuola.rai/articoli/giacomo-leopardi-parte-prima/3205/default.aspx Archiviato l'8 settembre  in.  Nel sito web de "La Stampa", Francesco Guzzini del Centro Studi Leopardiani mostra l'itinerario che il Poeta compiva per recarsi dalla propria abitazione al punto di osservazione del paesaggio che gli ispirò L'infinito://lastampa//07/16/multimedia/societa/viaggi/ecco-il-vero-colle-dellinfinito-descritto-da-giacomo-leopardi-fncjkba7fEJyVoUSrazy1H/pagina.html. Lo spot turistico sulle Marche con Dustin Hoffman con la regia di Giampiero Solari: youtube.com/watch?v=gEndornqlHo Archiviato il 22 agosto  in.  "A casa di Giacomo Leopardi", intervista di Pippo Baudo alla contessa Olimpia Leopardi all'interno del Palazzo Leopardi di Recanati: youtube.com/watch?v=oNlkBu0E  "Un Leopardi inedito" raccontato da Novella Bellucci e Franco D'Intino nella puntata di "Visionari" del 15 giugno, programma televisivo condotto da Corrado Augias su Rai 3: youtube.com/watch?v=KwFnKv0TBaI  Intervista allo scrittore Alessandro D'Avenia sul suo libro e spettacolo teatrale “L'arte di essere fragilicome Leopardi può salvarti la vita” nel sito di RepubblicaTv (): youtube.com/watch?v=oXGh3g6lQsM  Vittorio Gassman interpreta L'infinito, su youtube.com. 15 settembre  (archiviato il 23 maggio ).  V. Gassman interpreta A Silvia: youtube.com/watch?v=7hEbvxBi2ZQ Archiviato il 29 marzo  in.  Vittorio Gassman interpreta La sera del dì di festa: youtube.com/watch?v=TPpCs6tws_U  Vittorio Gassman interpreta Amore e Morte: youtube Vittorio Gassman interpreta La quiete dopo la tempesta: youtube.com/watch?v=- 8jasZDrV2U Vittorio Gassman interpreta A se stesso: youtube.com/watch?v=F0lhF2s_5s4  Carmelo Bene interpreta L'infinito: youtube.co  Carmelo Bene interpreta Passero solitario: youtube.com/ watch?v=IZz Qbnzpaok  Carmelo Bene interpreta La ginestra (o Il fiore del deserto): youtube.com /watch?v=ZqzVXF3Fx4Y  C. Bene interpreta Alla luna: youtube.com/watch?v=v9IriaUNWQk  Carmelo Bene interpreta La sera del dì di festa: youtube.com/ watch?v=qydGUiV1wwI  Carmelo Bene interpreta Il sabato del villaggio: youtube. com/watch?v=vI9PJfCtWw4  Carmelo Bene interpreta Le ricordanze: youtube.com/watch?v=jyB0eM9AOoM  C. Bene interpreta Canto notturno di un pastore errante dell'Asia: youtube Carmelo Bene interpreta Inno ad Arimane: youtube.com/ watch?v=f2-QAubKbLE  vedi su Inno ad Arimane: Canti_ (superiori )# Le_ posizioni_ contro _ l.27 ottimismo _progressista Archiviato il 15 settembre  in.  leggi il testo di Inno ad Arimane in Wikisource: it.wikisource.org/wiki/Puerili_(Leopardi)/Ad_Arimane Archiviato il 15 settembre  in.  Carmelo Bene interpreta Amore e Morte: youtube.com/watch?v=epYU4-n2jGw  Arnoldo Foà interpreta L'infinito: youtube Arnoldo Foà interpreta Passero solitario: youtube.com/watch?v= nOr3Qbceuhg  Arnoldo Foà interpreta A Silvia: youtube Arnoldo Foà interpreta Il sabato del villaggio: youtube.com/watch?v=kmk_gd-48XE  Arnoldo Foà interpreta La sera del dì di festa: youtube.com/watch?v=aWOJfMZeCVo  Arnoldo Foà interpreta Canto notturno di un pastore errante dell'Asia: youtube Arnoldo Foà interpreta Le ricordanze: youtube.com/watch?v=hL855FC_juA A. Foà interpreta La ginestra (o Il fiore del deserto): youtube.com/watch?v=zBnDqu8X5fk  Arnoldo Foà interpreta Il tramonto della luna: youtube Arnoldo Foà interpreta All'Italia: youtube.com/watch?v=iNHqhHiIqok  Arnoldo Foà interpreta Alla luna: youtube.com/watch?v=oxzCzwR05WE  G. Albertazzi interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=BLmhOx6IuCw Archiviato il 1º giugno  in.  Nando Gazzolo interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=Te8tyDDsh2A  Gabriele Lavia interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=oSV7eBa-_Ao  Gabriele Lavia discetta sull'opera di Leopardi, prima della "dizione" delle opere di Leopardi: youtube Alberto Lupo interpreta Ultimo canto di Saffo: youtube   Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di M. Martone, interpreta L'infinito: youtube.com/watch?v=jIvzQvi75rQ  Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di Mario Martone, interpreta La ginestra (o Il fiore del deserto): youtube.com/watch?v=U5e___IGHm4  Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di M.nMartone, interpreta la pri ma parte de La sera del dì di festa: youtube.com/watch?v NgI8uekF6H4  Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di Mario Martone, interpreta un brano di Amore e Morte: youtube Elio Germano, nel film Il giovane favoloso di Mario Martone, interpreta l'ultima parte di Aspasia: youtube nito», su corriere,/turismo.marche/Portals/1/Leopardi/Leopardi%2 0nel%20mondo.pdf  Il backstage dello spot promozionale della Regione Marche con Dustin Hoffman ed il regista Giampiero Solari: youtube.com/watch?v=zi-UJTIBatM  La stroncatura di Mina allo spot della Regione Marche: youtube.co riportato in: "Il cittadino di Recanati", Anche Mina nella sua rubrica su "La Stampa" affonda lo spot con L'infinito, su ilcittadinodirecanati, "Il Resto del Carlino" Ancona, "Leopardi bisogna meritarselo" Mina critica lo spot della Regione, su ilrestodelcarlino,  "Il Resto del Carlino" Ancona, Spot di Hoffman, su YouTube 21 mila visualizzazioni, su il resto del carlino, Dustin Hoffman ancora sponsor delle Marche. Ma sembra lo spot di se stesso, su blitzquotidiano. 6 settembre  (archiviato il 6 settembre ).  vedi la serie di spot "Le Marche non ti abbandonano mai" interpretati dall'attore marchigiano Neri Marcorè, con la regia di Rovero Impiglia e Giacomo Cagnelli: youtube Marco Minnucci, La regione Marche rispedisce Dustin Hoffman in America e pone fine allo stupro di Leopardi, su qelsi,  su Giacomo Leopardi. Edizioni delle opere Giacomo Leopardi, [Opere. Poesia], Bari, G. Laterza, Epistolario Epistolario di Giacomo Leopardi, Francesco Moroncini, Firenze: Le Monnier, Lettere, Sergio Solmi e Raffaella Solmi, Milano-Napoli: Ricciardi, poi Torino: Einaudi «Classici Ricciardi» Il Monarca delle Indie. 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Buscaroli, Torino: Fogoli, Pensieri anarchici scelti Francesco Biondolillo, Napoli: Procaccini, edizione critica e annotata Giuseppe Pacella, Milano: Garzanti «I Libri della Spiga», Rolando Damiani, Milano: Mondadori, «I Meridiani», Teoria del piacere, scelta di pensieri con note, introduzione e postfazione di Vincenzo Gueglio, Milano: Greco e Greco, edizione tematica stabilita sugli indici leopardiani, Fabiana Cacciapuoti, prefazione di Antonio Prete, Roma: Donzelli Editore, Lucio Felici, premessa di Emanuele Trevi, indici filologici di Marco Dondero, indice tematico e analitico di Marco Dondero e Wanda Marra, Roma: Newton Compton, «Mammut», Tutto e nulla, antologia Mario Andrea Rigoni, Milano: Rizzoli «BUR», edizione critica Fiorenza Ceragioli e Monica Ballerini, Bologna: Zanichelli, Canti con note per cura di Francesco Moroncini, Leopardi, Giacomo, Canti: commentati da lui stesso, Palermo: R. Sandron, Niccolò Gallo e Cesare Garboli, Torino: Einaudi, Poesie e prose. Poesie, Mario A. 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E una dissertazione di laurea, e  reca infatti l’impronta comune a tutti i lavori giovanili.  L’inesperienza apparisce nello stesso titolo del libro, un  po’ troppo prosaico, e incongruo col contenuto del libro,  che non vuol essere propriamente un’esposizione fatta  dall’autore del sistema filosofico del Leopardi; ma ap¬  punto questo sistema, portato innanzi al lettore con le  stesse parole del Leopardi; non volendo l’autore da parte  sua aggiungervi se non prefazione, note ed epilogo.  Metodo anche questo alquanto ingenuo e da scrittore  che non vede ancora la necessità, chi voglia rappresen¬  tare nella sua unità logica e nell’organismo delle sue  parti il pensiero d’un filosofo, d’appropriarsi questo  pensiero, entrarvi dentro, mettendosi allo stesso punto di  vista del filosofo, e quindi in grado di rielaborare il suo  pensiero, chiarendolo con le attinenze storiche a cui è  legato, e con le dilucidazioni intrinseche di cui logica¬  mente è suscettibile, salvo a mostrarne, ove occorra, la  inconsistenza: in modo che l’esposizione riesca una vita  nuova del sistema filosofico nella mente dell’espositore.    ’ Pasquale Gatti, Esposizione del sistema filosofico di Giacomo  Leopardi, saggio sullo Zibaldone, Firenze, Le Monnier, 1906, 2 voli.   Lavoro difficile, certo, e che non riesce felicemente se  non agli scrittori provetti; ma che nessuno ordinaria¬  mente crede di potere schivare, se non limiti il proprio  ufficio a quello di semplice editore; e tutti ne escono  alla meglio, esponendo i vari sistemi come ciascuno li  ha intesi.   L’autore di questo libro, invece, ha voluto mettere  insieme i passi dello Zibaldone leopardiano, mostrando  come fil filo un pensiero si svolgesse dall’altro; e dove  la connessione non appariva evidente nelle parole del  testo, ha supplito di suo i legamenti opportuni, ma con¬  tinuando a parlare, in prima persona, a nome del Leo¬  pardi: proprio come se questi avesse riordinata e orga¬  nizzata quella copiosa congerie di riflessioni già via via  segnate sulla carta a schiarimento del proprio pensiero  e a sfogo della sua malinconia. Né ha lontanamente so¬  spettato il rischio, e stavo per dire la responsabilità, a  cui andava incontro, facendo parlare per la sua bocca  lui, il Leopardi. Ha creduto che nello Zibaldone stesse,  pezzo per pezzo, tutto un sistema; e non ha saputo re¬  sistere al seducente disegno d’innalzare, con la semplice  composizione degli stessi materiali leopardiani, la statua  del filosofo sul piedestallo finora vuoto. Laddove è chiaro  che, se anche nei pensieri inediti del Leopardi fosse im¬  plicito un sistema perfetto di filosofia, la via di ritro-  varvelo e dimostrarvelo non poteva essere questa scelta  dall’autore.   Ma veniamo all’argomento. L’autore, come già altri,  ha creduto che, se le opere edite ci avevan dato il Leopardi poeta, questi inediti Pensieri di varia filosofia e  di bella letteratura venuti ultimamente in luce, ci scopris¬  sero il Leopardi filosofo. Questa era anche la tesi dello  Zumbini nel suo studio Attraverso lo Zilbaldone, da cui  il nuovo studioso manifestamente prende le mosse, distinguendo due fasi principali della filosofia pessimistica del Leopardi: nella prima delle quali il dolore sarebbe  conseguenza della civiltà; nella seconda, della stessa  natura; donde prima una concezione storica del pessi-  niismo, e poi una concezione cosmica. Ma lo Zumbini  non insisteva sul valore sistematico di questa filosofia  leopardiana; e, d’altra parte, nel secondo volume dei  suoi Studi sul Leopardi, esaminando le Operette morali,  veniva in realtà a mostrare come tutto il succo di quelle  riflessioni dello Zibaldone, le conclusioni di quel lungo  soliloquio che dal 1817 il Leopardi aveva fatto seco stesso  per iscritto, fossero appunto condensate nelle Operette. Gatti, invece, ha esagerato fuor di misura la tesi dello  Zumbini, cominciando col cancellare quelle differenze  cronologiche, che lo Zumbini aveva badato bene a man¬  tenere tra i vari Pensieri (datati, com’ è noto, dal Leo¬  pardi) : cancellarle a disegno, per poter adoperare i singoli  pensieri liberamente come parti integranti d’un sistema  logico. Ora, lo Zibaldone comprende centinaia e centi¬  naia di pensieri annotati come si formavano giorno per  giorno nella mente del Leopardi attraverso ben (juindici  anni {1817-32) : periodo lungo per ogni vita, lunghissimo  per quella del Leopai'di, che in 39 anni forse non visse  meno che il Manzoni in 78. Esso è anzi il diario degli  anni in cui si svolse la vita morale del poeta, e offre  perciò, com’ è stato notato, un riscontro a tutti i senti¬  menti, a tutti i pensieri già noti dai canti e dalle prose  da lui stesso pubblicate. Ed è chiaro che, se in questi  sette volumi abbiamo, per dir così, i segreti documenti  di tutto il lavorìo intimo di quello spirito, non potremo  apprezzarli nel loro giusto valore, se prescindiamo dalle  loro rispettive date; perché a chi scrive ogni giorno le  proprie riflessioni, la verità è quasi la verità di quel  giorno: e quel lavoro di sistemazione e organizzazione,  per cui di tutti i pensieri slegati si possa fare un tutto  coerente, manca.    *— Gentile, ifa» 2 ont e Leopardi.  Il Gatti protesta che non va imputato a sua «poca  accortezza qualche salto anacronico, a dir così, facile a  rilevarsi, che qua e là avvicinerà pensieri cronologicamente  molto lontani fra loro ». E la sua ragione sarebbe questa :  «Tali salti, mentre da un lato ci forniscono ancora una  prova evidentissima e incontrastabile della profonda ri¬  pugnanza.... provata dal Leopardi per una concezione  cosmica del dolore, rivelano nettamente, d’altronde, il  proposito nell’Autore di rifare spesso a ritroso coll’ im¬  maginazione la via già percorsa dal pensiero allo scopo  di viemmeglio assicurarsi che non battesse falsa strada,  e così riprendere, sempre jiiù sicuro di sé, il cammino,  allorché quella linea immaginaria d’orientamento non gli  avrà mostrata altra via da battere per giungere alla mèta  prefìssa» (I, 70). Cioè, se ho capito bene; a dilucida¬  zione di pensieri anteriori il Gatti stima di poter addurre  pensieri di un tempo più avanzato, anche quando occorra  ammettere avvenuto nell’ intervallo un cambiamento  sostanziale di pensiero, iierché il Leopardi rifà talvolta  con l’immaginazione la via già percorsa col pensiero, e  già superata. Ci sarebbero certi « pensieri di ritorno », o  « ritorni immaginari », per cui, secondo il Gatti, non  bisogna credere che il Leopardi contraddica al suo jien-  siero posteriormente acquisito, anzi lo lasci intatto, ma,  per certa ripugnanza sentimentale alle più accoranti ve¬  rità, per un bisogno del cuore ili certi temperamenti,  torni per un momento agli ameni inganni, o alla mezza  filosofia d’una volta. Ma per immaginario che sia, un  ritorno siffatto nella mente del Leopardi, se noi crediamo di poter fissare questa nella coerenza di certi pen¬  sieri definitivi, è evidente che non può essere altro che  una contraddizione. Di che, qua e là, il Gatti è costretto,  quasi suo malgrado, ad accorgersi, e a cercarvi una sa¬  natoria. Sanatoria inutile, se egli avesse rinunziato a  pretendere dal Leopardi, nelle sue stesse intime confessioni, queU’unità sistematica che non era nella natura  di tali confessioni.   E non era neppure nella natura dello spirito del Leo¬  pardi, che fu un poeta, un grande, un divino poeta, ma  non fu un vero e proprio filosofo. Che fa che egli abbia  tante volte protestato di possedere una sua filosofia ?  Allo stesso modo del Leopardi, più o meno, chiunque  si ritiene in grado di giudicare dei sistemi dei filosofi,  ossia di mettersi, non dico alla pari, ma al di sopra di  costoro, e insomma di affermare una filosofia propria  che possa aver ragione di quei sistemi. E dal proprio  punto di vista chiunque, così facendo, ha ragione; e aveva  ragione il Leopardi ; perché in fondo a ogni mente umana,  sopra tutto in fondo a quella dei grandi poeti, è incon¬  testabile l’esistenza di una filosofia: e però è lecito par¬  lare così di una filo.sofia del Leopardi, come di una filo¬  sofia del Manzoni, dell’Ariosto, di Shakespeare, di Omero.  Ma questa filosofia dei poeti non è la filosofia dei filosofi,  e bisogna trattarla, per non snaturarla e non distrug¬  gerla, con molta delicatezza.   Una delle differenze più notabili tra la filosofia dei  poeti e quella dei filosofi è che il poeta può averne una,  se è capace di averla, in ogni singola poesia; laddove  il filosofo che dice e disdice, e muta sempre la sua dot¬  trina, non ha nessuna dottrina. Il Leopardi è in pieno  diritto, come poeta, di affrontare il problema del dolore,  sempre da capo, con nuovo animo, con considerazioni  nuove, da un nuovo aspetto, ora maledicendo alla virtù,  ora inneggiando all’amore onde l’umana compagnia deve  stringersi contro il fato. Ogni poesia, ogni prosa del Leo¬  pardi è infatti una situazione d’animo nuova; quindi  una nuova vista dello stesso dolore che domina l’anima  del poeta; un nuovo concetto, una filosofia nuova, che  solo trascurando le differenze essenziali, che in una  poesia e in una prosa del genere di quelle del Leopardi son tutto, si può rappresentare come sempre  identica.   Egli è che il poeta, checché si proponga e dica di  aver fatto, non espone propriamente una filosofia: ma  esprime soltanto un suo stato d animo, occupato, deter¬  minato e quasi colorito da certi pensieri dominanti.  Abbozza in se medesimo (e quindi in un diario intimo)  una filosofia prov\TÌsoriamente sufficiente ad appagare  i bisogni della propria ragione (che non sono poi grandi  in uno spirito prevalentemente poetico); e questa filo¬  sofia, in quanto profondamente sentita, in quanto vita  della propria anima, diventa materia di poesia. Di poesia  anche in prosa; perché, in sostanza la prosa leopardiana  è anch’essa poesia, cioè espressione piena di certi stati  d’animo del Poeta, diversi da quelU manifestati nei Canti  per lo sforzo che nella prosa come nei Paralipomeni il  Leopardi fa di costringere il sentimento spontaneo dentro  r intenzione ironica, satirica, che gli fece appunto pre-  f0rire la prosa al verso. Ma in realtà, nelle Operette come  nei Canti c’ è il Leopardi con la sua filosofia tetra e col  suo candore, col suo disprezzo degli uomini e col suo  grande amore per essi; con tutte quelle contraddizioni,  che altri ha studiosamente cercate in lui, e che sono il vero  segno caratteristico del suo spirito poetico e non filosofico.   La filosofia vera e propria non deve aver niente del¬  l’anima individuale di chi la costruisce. Essa è una li¬  berazione assoluta compiuta dal filosofo dai limiti della  soggettività; è una contemplazione, diciamo così, d’una  verità eterna, in cui il filosofo, come persona particolare,  si dimentica di se stesso, e dei suoi dolori, e di tutte le  tendenze affettive dell’animo suo. La filosofia di Spi¬  noza, la cui \dta e il cui animo han parecchi punti di  somiglianza con quelli del Leopardi non presenta nes-   • Cfr. F. Tocco, Biografia di B. Spinoza, nella Rivista d’ Italia,  a. II (1899). voi. I. pp. 262-63.  suna traccia, non offre nessuno indizio di sentimenti  personali. K veramente una visione del mondo sub specie  aeternitatis, come egli diceva, in cui la personalità del  filosofo scompare. La filosofia dei poeti, si potrebbe dire,  scompare nell’animo dei poeti stessi; l’animo dei filo¬  sofi. invece, scompare nella loro filosofia. Onde una volta  noi abbiamo innanzi una persona determinata, viva in  tutto l’agitarsi dell’animo suo; un’altra volta, un si¬  stema di concetti, in sé.   Certo, tra le due filosofie non c’ è un taglio netto,  che divida i filosofi dai poeti; ma il pessimismo leopar¬  diano è, come è stato tante volte osservato, così impre¬  gnato di elementi ottimistici, così logicamente frammen¬  tario e contradittorio, e d’altra parte così poeticamente  coerente e vivo, che lo scambio non è possibile. Noi pos¬  siamo studiare, dunque, la sua filosofia, ma come vita  del suo spirito, materia della sua poesia. Studio, ripeto,  molto delicato; perché in esso non bisogna mai lasciarsi  sfuggire che la realtà vera, a cui bisogna aver l’occhio,  non è questa filosofia in se medesima, astratta materia  della poesia, ma la poesia appunto, in cui quella filosofia  è per acquistare la vita che uno spirito poetico è capace  di comunicarle. La filosofia quindi va studiata per inten¬  dere la poesia, e valutata in quanto poesia, per quella  vita poetica che riuscì a vivere nello spirito del Poeta.   La pubblicaizione dello Zibaldone ha fortemente con¬  tribuito a fare smarrire questo criterio. Ci s’ è trovata  innanzi la materia grezza della poesia leopardiana, quella  tal filosofia, che il Leopardi rimuginava dentro se stesso,  e che, per quanto confidata a uno Zibaldone, non aveva  pregato nessuno di mettere in pubblico: quella filosofia,  che egli destinava a far materia di espressione più per¬  fetta, cioè di opera poetica; e che infatti divenne in  parte materia di canti e di dialoghi (com’ è stato osser¬  vato, ma merita di essere particolarmente studiato).  E dimenticando che pel Leopardi tutti questi materiali  non avevano valore per sé, ma l’avrebbero acquistato  soltanto quando egli li avrebbe trasformati, qualcuno  s’è detto : o eccoci finalmente innanzi la filosofia del  Leopardi! — No, questi sono i detriti della sua poesia:  tutto ciò che la sua forza poetica non avvivò, non tra¬  sfigurò, o rinnovò interamente, avvivandolo e trasfigu¬  randolo nel suo canto e nella sua satira.   E produce davvero una strana impressione il proce¬  dimento seguito dal dott. Gatti, che riferisce nel testo  certe informi osservazioni dello Zibaldone, e a sussidio  di esse, in nota, luoghi delle Operette o versi dei Canti,  in cui gli stessi pensieri assursero a forma artistica. Il  perfetto fatto servire all’imperfetto; la poesia ridotta  a documento d’un suo documento !   Ecco un esempio di filosofia documentata con poesia.  In un pensiero del io luglio 1823 * il Leopardi s era  domandato; — Che vale per noi questa «miracolosa e  stupenda opera della natura, e l’immensa egualmente  che artificiosa macchina e mole dei mondi ? ». A che  serve, dunque, questo ’ « infinito e misterioso spettacolo  dell’esistenza e della vita delle cose », se « né resistenza  e vita nostra, né quella degli altri esseri giova veramente  nulla a noi, non valendoci punto ad esser felici ? ed es¬  sendo per noi l’esistenza, così nostra come universale,  scompagnata dalla felicità, eh’ è la perfezione e il fine  dell’esistenza, anzi l’unica utilità che resistenza rechi a  quello ch’esiste ?» — Qui, in verità c’ e tutta la Idosofia  del Leopardi. Ma che significano queste sue interroga¬  zioni ? Esse non possono aver altro significato che questo,  che, non sapendo concepire il fine dell’esistenza umana    * Zibald., V. 88-89.   ^ Queste giunture frapposte alle parole del Leopardi sono del  Gatti, che riassumo e in questo caso mi pare modifichi leggermente  il senso del testo.      e mondiale se non come felicità, e non vedendo, d’altronde,  che tal fine sia o possa mai esser raggiunto, egli, Giacomo  Leopardi, finisce col non sapersi più spiegare quale possa  essere il fine di quest’universo, che pur nella sua arti¬  ficiosa costruzione e nella sua vasta armonia farebbe  pensare a un’ intima finalità. Qui non è affermata una  verità obbiettiva; è bensì manifestata la situazione per¬  sonale del poeta: situazione, che sarà jierfettamente  espressa quando il Leopardi ci dirà tutta la risonanza  che questo suo ondeggiare tra il concetto di una finalità  eudemonistica universale e il dubbio suUa validità di tal  concetto ha neU’animo suo; quando da questo suo per¬  petuo ondeggiare (che non è filosofia, ma atteggiamento  filosofico, o filosofia soltanto iniziale e potenziale), egli  sarà ispirato al Canto notturno di un pastore errante del¬  l’Asia (1829-30), che il Gatti reca a confronto e conforto  di quelle note dello Zibaldone. Nel Canto notturno il Leo¬  pardi dice con l’energia della fantasia commossa quello  che nelle note fugaci del diario era sommariamente ac¬  cennato, quasi appunto o traccia del canto.   E quando miro in cielo arder le stelle.   Dico fra me pensando:   A che tante facelle ?   Che fa l’aria infinita, e quel profondo  Infinito seren ? che vuol dir questa  Solitudine immensa ? ed io che sono ?   Cosi meco ragiono: e della stanza  Smisurata e superba,   E dell' innumerabile famiglia;   Poi di tanto adoprar, di tanti moti  D’ogni celeste, ogni terrena cosa.   Girando senza posa.   Per tornar sempre là donde son mosse;   Uso alcuno, alcun frutto  Indovinar non so.   Qui veramente c’ è l’anima tormentata dal dubbio  che non ci sia un fine nel mondo; e non è il dubbio astratto di un filosofo, ma il dubbio che irrompe neH’anima di  un poeta, che mira in cielo arder le stelle, quasi tante  faci accese a illuminare il mondo; e sente l’infinità del¬  l’aria, il sereno profondo infinito (elementi di grande  commozione, com’ è noto, per il Leopardi), e l’immensità  della solitudine attorno alla propria persona non dimen¬  ticata {ed io che sono P) né dimenticabUe perché palpi¬  tante; ecc. Qui c’è, non più il germe d’una filosofia,  ma l’uomo Leopardi, intero, con l’ansia e il terrore che  gh desta lo spettacolo dell’ infinito misterioso, muto al  dolore di lui che vi si sente dentro smarrito. C’ è anche,  innegabilmente, un dubbio filosofico : semphce dubbio  («qualche bene o contento avrà /o;'s’altri.... Forse  s’avess’ io l’ale.... più febee sarei, o forse erra dal vero  b mio pensiero, Forse in qual forma.... è funesto a chi  nasce il dì natale); ma come elemento o momento della  lirica grande.   La pubblicazione dello Zibaldone, badiamo bene, è  stata, in fondo, una certa quale indelicatezza, che nessun  onesto avrebbe giustificato, vivo il Leopardi, e che non  si permise infatti il Ranieri, intimo del Poeta e conscio  deUe sue intenzioni e del valore da lui attribuito al pro¬  prio diario. Ognuno che scriva e stampi, pubblica soltanto  queUo che gli par compiuto secondo il fine a cui, più o  meno consapevolmente, mira scrivendo. Un poeta non  beenzia al pubbbeo le tracce e gli abbozzi delle sue poesie.  Anzi, questi antecedenti naturali del suo prodotto arti¬  stico, ha un certo schivo pudore di mostrarli al pub¬  bbeo: sono il suo segreto. Sono infatti cosa sua perso¬  nale; laddove quello che egli crede arte, gb par bene  appartenga, o possa appartenere, a tutti gb spiriti. Certo,  r interesse storico, il legittimo e nobile desiderio d’in¬  tendere le opere del genio, mediante la conoscenza più  larga che sia possibile della sua anima, bastano a giu¬  stificare la pubblicazione di siffatti abbozzi, come degb    epistolari intimi, che svelano, senza riguardi, i più gelosi  segreti delle persone, le quali a un certo punto si finisce  col credere che appartengano agli altri più che a se stesse.  Ma questa giustificazione non deve farci dimenticare che  gli abbozzi del poeta, sono abbozzi delle sue poesie, come  gli appunti provvisori del filosofo sono antecedenti spesso  superati e rifiutati della sua filosofia. Ad ogni modo non  si dovrà mai pretendere d’attribuire ad essi altro valore  che di sussidio a intendere quelle opere, che rappresen¬  tano la conclusione definitiva del poeta e del filosofo.   Tutto questo, si potrebbe osservare, sarà un bel di¬  scorso; ma è troppo generale ed astratto. Bisogna vedere  al fatto, se il Leopardi, dopo gli studi del dott. Gatti,  ci apparisca nello Zibaldone un vero filosofo. Potrei ri¬  spondere con un altro discorso astratto, sostenendo che  è ben difficile che uno stesso genio possa essere insieme  poeta e filosofo; richiedendosi alla poesia un’attività, che  la filosofia necessariamente combatte e mortifica. Ma  penso a Dante: unico, secondo me, e se non sempre,  quasi costantemente mirabilissimo esempio dell’energia,  onde è capace lo spirito umano, di individualizzare e  stringere nella fantasia e nel sentimento di un’anima  singolarmente potente il sistema più intellettuahstica-  mente universale ed astratto che la storia della filosofia  ci presenti: penso a quella fusione e unità quasi sempre  perfetta d’un sistema miracolosamente vario e armonico  di fantasmi che son pure astratti concetti: unità, che non  si finisce e non si finirà mai di studiare nella Divina  Commedia ». E preferisco perciò una risposta particolare  e concreta, che è questa. Tutto il mio discorso generale  io r ho fatto appunto a proposito del Leopardi, dopo    ■ Alla quale per questo rispetto non credo si possa paragonare,  ma a distanza grandissima, altro che il Faust: dove l’unità dell’opera,  come arte e come filosofia, rimase lungi dall’esser raggiunta.   aver letto attentamente il saggio del Gatti. Libro, che  non ò certo inutile, perché molti schiarimenti particolari  a concetti del Leopardi da uno studio così attento e  minuzioso dei Pensieri si hanno; c molti istruttiva raf¬  fronti, oltre quelli già fatti dal Losacco e dal Giani, vi  sono opportunamente istituiti tra pensieri del Leopardi  e luoghi di Helvétius, di Rousseau, di Maupertuis e degli  altri autori del Poeta; ma insufficiente a dimostrarci la  tesi che il Gatti s’era proposta, che nella mente del Leo¬  pardi si fosse organizzato un sistema filosofico; atto anzi  a dimostrare il contrario, per lo stesso esame accurato  che ci dà dei Pensieri leopardiani con l’intento di ca¬  varne un sistema. 11 sistema non c’ è. C’ è la travagliosa  meditazione sui fantasmi del Poeta; ci sono le accorate  riflessioni, che gli suggerirono quei jiroblemi che furono  il tormento e la musa perpetua del suo spirito: ma non  più di questo. Il Leopardi lo ritroveremo sempre nel  disperato lamento de’ suoi canti e nel sorriso amaris¬  simo e pur soave delle prose.   11 materialismo della sua metafisica, il sensismo della  sua gnoseologia, lo scetticismo finale della sua episte¬  mologia, l’eudemonismo pessimistico della sua etica sono  nei pensieri inediti, come in tutti gli altri scritti già noti,  i motivi costanti del breve filosofare leoparebano : ma  sono spunti filosofici, anzi che principii d’un pensiero  sistematico; sono credenze d’uno spirito addolorato, anzi  che veri teoremi di un organismo speculativo. Le sue  pretese dimostrazioni non vanno mai al di là dell’osser¬  vazione empirica; e non servono ad altro che a dirci  come vedev^a le cose Giacomo Leopardi.   In lui non trovi né anche una critica della ragione,  come in Montaigne o in Pascal, a cui per molti riguardi  somiglia. Ma un prendere di qua e di là proposizioni  contestabili, e accettarle come verità assiomatiche e  principii di deduzioni pessimistiche. Passione v^era per a speculazione il Leopardi non ebbe mai. Non studiò  nessun grande sistema filosofico: egli, conoscitore e stu¬  dioso dei classici, non si sforzò mai d’intendere il pen¬  siero di Platone e di Aristotele. La sua storia della filo¬  sofia antica ò tratta da Diogene Laerzio, da Plutarco o  altri dossografi. Del Medio Evo non studiò nessuna filsofia. Di Cartesio, di Spinoza, di Hume non conobbe  neppur nulla. Lesse Locke, ma come si leggeva nel se¬  colo XVIII. Di Leibniz sorrise come Voltaire, non so¬  spettando in alcun modo la profondità del suo pensiero  Ebbe una vernice di cultura filosofica, come l’avevano  allora tutti i letterati; ed ebbe velleità di filosofo; ma  la sua vera indole, quella che noi dobbiamo guardare  in lui, è r indole poetica, convinti che fuori della sua  poesia il suo pensiero, a considerarlo nel \-alore filoso¬  fico, è molto mediocre.   Non entrerò nei particolari della esposizione del  Gatti. Ma non voglio tacere che quella filosofia pratica  edilicatrice, che egli, con lo Zumbini, giirstamente mette  in rilievo di contro alle conseguenze negative della sua  filosofia teoretica, non ha niente che vedere coH’odierna  filosofia prammatistica, a cui egli studiosamente la rac¬  costa, per dimostrare così la modernità del pensiero  leopardiano. Quella filosofia pratica è il retaggio dello  scetticismo da Pirrone in poi: il quale ha contrapposto  sempre la vita alla scienza, e salvata almeno quella dal  naufragio di questa. Salvataggio operato ora con la na¬  tura, ora col sentimento, ora con la volontà, e in gene¬  rale con un principio irrazionale, o concepito come tale,  che, appunto perciò, non contraddice aUo scetticismo  fondamentale. Il Leopardi ricorre all’ immaginazione e a  un certo qual senso dell’animo, che fan contrappeso agli  argomenti dolorosi della ragione e bastano a confortarci  a vivere. Né anche questo principio, del resto, è svilup¬  pato. Certo, esso non giova a chi presuma di vedere nel    44    GIOVANNI GENTILE    Recanatese un precursore del James e degli altri pram-  matisti d’oggi, i quali non sono scettici, benché in realtà  abbiano una dottrina negativa del conoscere; non vedono  nell’attività pratica un surrogato dell’attività teoretica:  ma unificano le due attività, e immedesimano la verità  con l’utile, in modo che quel che giova credere, sia  esso stesso il vero; laddove quel che gioverebbe credere,  secondo Leopardi, sarebbe né più né meno che un’ illu¬  sione. La differenza tra Leopardi e James è la differenza  profonda tra lo scetticismo di tutti i tempi e il nuovo  prammatismo, che si professa dottrina essenzialmente  dommatica e positiva.    II.   UNA STORIA DEL PENSIERO LEOPARDIANO   Gli studi del Gatti furono ripresi cinque anni dopo  (1911) da Giulio A. Levi *, uno degl’ ingegni più fini tra  gh studiosi di letteratura italiana, e dei più valenti e  competenti interpreti del pensiero leopardiano; ma con  altro criterio e altro intendimento. E io son lieto di leg¬  gere al principio del suo libro le seguenti parole; «Fu  tentato da Pasquale Gatti, e parzialmente dal Cantella,  di ordinare e comporre in un sistema filosofico i ]')ensieri  dello Zibaldone leopardiano; con esito che non poteva  essere altro che infelice; quando si pensi che sono rifles¬  sioni scritte giorno per giorno, senza disegno prestabilito,  per lo spazio di circa quindici anni, da quando prima  il poeta adolescente cominciò a voler pensare col suo  cervello, fino aUa sua piena maturità ». Che fu uno degli  argomenti principali che a suo tempo io opposi al ten-    ' storia del pensiero di C. L., Torino, Bocca, 1911.     tativo del Gatti. E sono interamente d’accordo col Levi  che lo Zibaldone, con gli ondeggiamenti e gli sforzi spe¬  culativi di cui ci conserva i documenti, può esser ma¬  teria alla storia (anzi, alla preistoria) del pensiero del  poeta, la cui forma definitiva va piuttosto cercata nei  prodotti più maturi, dove parve all’autore d’avere im¬  pressa l’orma definitiva del suo spirito, nei Canti e nelle  Operette. Questa è, in sostanza, l’idea centrale del saggio  del Levi, e conferma pienamente il mio giudizio sul va¬  lore e sull’ interesse dello Zibaldone.   Questa idea bensì nel libro del Levi non apparisce  netta e ferma quanto si potrebbe desiderare, costretta  com’ è dall’autore ad andare in compagnia di certi prin-  cipii direttivi, che oscurano, a mio avviso, la visione  esatta di taluni momenti dello sviluppo del pensiero leo¬  pardiano e turbano il giudizio sulla sua forma ultima.  Cosi, quando comincia a notare che io ho ecceduto « ne¬  gando a priori allo Zibaldone ogni interesse speculativo,  per la qualità stessa dell’autore; il quale sarebbe bensì  un osservatore acuto, ma troppo essenzialmente poeta,  dominato interamente dal sentimento, e perciò di pen¬  siero incoerente, mutevole e spesso contradittorio », egli,  da una parte, esagera e àltera il mio giudizio sullo Zi¬  baldone e, in generale, su tutta l’opera del Leopardi;  e dall’altra, accenna a un concetto (che non manca su¬  bito dopo di dichiarare esplicitamente), il quale non gli  può consentire una ricostruzione storica non arbitra¬  riamente soggettiva, ma razionalmente giustificabile del  pensiero leopardiano.   In primo luogo, non è esatto che io abbia negato o  voglia negare ogni interesse speculativo allo Zibaldone e  tanto meno alle poesie e alle Operette morali', anzi sono  disposto a riconoscere che tutta la poesia del Leopardi  non abbia altro contenuto, in tutte le sue forme e in  tutti i suoi gradi, che il problema speculativo, nei termini,  s’intende, in cui egli poteva e doveva porlo. Quel che  ho negato e nego è; i) che nello Zibaldone ci sia del  pensiero del Leopardi qualche cosa di più che non fosse  negli scritti da lui pubblicati; qualche cosa che, dal punto  di vista del Leopardi, fosse già pervenuto a quel punto  di maturità spirituale, di verità, in cui il Leopardi s’acquetò, a giudicare dalle opere con cui egli stesso volle  entrare nella nostra letteratura; qualche cosa che possa  nello Zibaldone farci vedere nulla di diverso {si parva  licei componere magnis) da quelle note, onde ognuno di  noi si prepara ai suoi lavori, e che, compiuti questi,  quando ci pare d'averne spremuto bene tutto il succo,  si buttano al fuoco; e tanto più volentieri, quando dalle  note alla stesura dei nostri scritti le idee nostre si siano  venute correggendo e integrando in più logica compat¬  tezza ' ; 2) che si possa adeguatamente valutare la gran¬  dezza del Leopardi, facendogli il conto del tanto di ve¬  rità speculativa che è nella sua poesia: poiché, a pre¬  scindere da ogni dottrina sulla natura della poesia, basta  considerare le critiche profonde e ineluttabili, onde quella  verità fu superata da uno spirito, che ebbe inizialmente  una profonda simpatia congeniale col Leopardi, il Gio¬  berti (specialmente nella Teorica del sovrannaturale.    ' A p. vili il Levi scrive: « Fii detto che la pubblicazione del Diario  sia stata un'indelicatezza, quando il Leopardi medesimo di questa  pubblicazione non aveva pregato nessuno. Oh si, sarebbe un indeli¬  catezza esporre quelle cose agli occhi bene aperti d’un pubblico di  pedanti, i cjuali spiegherebbero con trionfo gli errori del grand'uomo  che si viene formando. Ma chi ha già imparato ad amarlo e a vene¬  rarlo, può accostarsi senza scrupoli a tutte quante le sue reliquie... ».  Se il Levi con le prime parole si riferisce a quel che scrissi io nella  Rass. bibl. tett. U., xv (1907), p. 179 [ora qui sopra p. 40] mi rincresce  di dovergli rispondere che egli non ha inteso lo spirito della mia affer¬  mazione. La quale mirava soltanto a chiarire che dello Zibaldone non  ci si può servire se non come di documento della formazione del pen¬  siero del Leopardi, la cui forma ultima dobbiamo per altro cercare  sempre nelle opere che da <iuegli abbozzi trasse l'autore, e pubblicò  egli stesso come sole degne di sé.  nel Gesuita e nella Protologia), in pagine che il Levi non  anteporrebbe di certo né pur a quelle dello Zi¬  baldone.   L vero che « nei sistemi filosofici le parti più caduche  sono spesso quelle dovute alle esigenze di sistema ». Ma  ciò non dimostra che la filosofia non è sistema, anzi di¬  mostra che è: perché gli errori di questo genere non si  scoiarono dal critico se non come errori della costruzione  del sistema, ossia come divergenze dalla costruzione che,  secondo lui, sarebbe più conforme alle verità fondamen¬  tali intuite d<al filosofo. E se U critico non rifacesse per  suo conto la costruzione del sistema, non avrebbe modo  di discernere nel sistema criticato il vero dal falso, nato  dunque non dal sistema, ma dal falso sistema. Giacché  un giudizio che affermasse immediatamente : questo è  vero, e questo è falso, senza dimostrazione di sorta, non  credo che pel Levi sarebbe un giudizio per davvero.  E vero, d’altra parte, che la coerenza del pensiero non  è privilegio dei filosofi, di contro ai yioeti; se per filosofi  s’intende i filosofi storicamente esistenti, Socrate, Pla¬  tone, Aristotele ecc., e per poeti quelli che sono realmente  vissuti o vivranno. Omero, Dante, Shakespeare, ecc.  Per tutti costoro, non c’ è dubbio, secondo me, Iliacos  intra muros peccatur et extra. D’incoerenze, di maglie  rotte nel sistema, ce n’ è state, e ce ne sarà sempre, da  una parte e dall’altra. Ma noi non possiamo parlare di  Omero poeta e di Platone filosofo senza un concetto  del poeta e del filosofo, e cioè della poesia e della filo¬  sofia: le quali, come funzioni dello spirito, trascendono  la storia, che è la concretezza stessa della realtà spiri¬  tuale. E soltanto alla poesia e alla filosofia come funzioni  trascendentali dello spirito si possono assegnare caratteri  distinti, dei quali quello che è della poesia in quanto  tale non sarà della filosofia, e per converso.   Nella storia tutte le funzioni concorrono in un’unità  concreta, in cui il poeta, essendo anche filosofo, partecipa  del carattere dello spirito che è filosofia; e il filosofo,  essendo pure poeta, partecipa del carattere dello spirito  che è poesia, sempre. E la rigida e salda distinzione delle  funzioni astratte cede il luogo alla plastica e mobile di¬  stinzione della storia, che fa essa stessa la divisione dei  grandi spiriti nelle due schiere dei poeti e dei filosofi,  secondo che negli uni prevale il momento poetico e negli  altri il momento filosofico; onde la distinzione e però  la categorizzazione del giudizio critico sono poi, ogni  volta, funzioni di giudizio storico, concreto.   Perché il Leopardi va considerato come poeta, e  non come filosofo ? Perché, se conosco il Leopardi sto¬  rico, quale si formò e quale si espresse nel suo canto,  io ci vedo bensì dentro una filosofia; ma questa filosofia  la vedo chiusa, compressa, fusa e assorbita nella intui¬  zione immediata che questo spirito ha della sua perso¬  nalità materiata di cosiffatta filosofia; per cui dico che  egli non rappresenta una filosofia, ma la sua anima; e  poiché il suo occhio è tutto intento alla risonanza tutta  soggettiva, in cui vive per lui un certo, oscuro, vago e  frammentario concetto del mondo, la verità è per lui,  e dev’essere per me che lo giudico, non in questo con¬  cetto, ma nella vita di esso, in quella tale risonanza,  nella sua Urica. Beninteso che, per quanto oscuro, vago  e frammentario, quel concetto sarà pure un concetto,  che avrà una chiarezza e saldezza organica sufficiente  alla logicità dello spirito lirico, e quindi per lui assoluta.  E non ci sono principii astratti ed estrastorici che pos¬  sano segnare a priori i limiti della filosoficità del concetto  che vive neUa Urica del poeta. Ma ciò non toglie che la  distinzione non perda mai la sua ragion d’essere, e che  non si possa mai trascurare, volendo rilevare, a volta a  volta, il valore deUo spirito rispetto alle sue forme es-  senziaU ed assolute.     r   Ma, dice il Levi, «la grandezza in tutte le sue forme  è in fondo una sola, grandezza morale ed umana; e se  è suprema esigenza etica che la nostra vita sia azione,  ed abbia un senso; non sarà fuor di luogo nei poeti, di  cui sentiamo la grandezza, sospettare qualche cosa di  più che la passività del sentimento, o l’attività dell’espres¬  sione: sospettare e cercare un’attività etica con un suo  senso determinato e costante ». Ond’egli si propone di  cercare negli scritti del Leopardi «per quah vie egli giunse  alla sua profonda intuizione, e potè prendere un atteg¬  giamento interiore costante e sicuro di fronte all’uni¬  verso ». — Ebbene, tutto questo è molto vago perché  possa servire di criterio alla storia del pensiero di un  poeta. Se la grandezza in tutte le sue forme è una sola  soltanto « in fondo », bisogna pure che si rispettino le  differenze tra le varie forme, in cui unicamente è pos¬  sibile che quello che è in fondo venga su, e si manifesti,  e assuma così una forma storica determinata. E se è  suprema esigenza etica che la nostra vita sia azione,  posto, com’ è necessario, che le suddette forme della  I grandezza, o, più modestamente, dello spirito, siano più  d’una, oltre la suprema esigenza etica, ci saranno (dato  pure c non concesso che questa sia la radice di tutte)  altre esigenze supreme : come quella che la vita sia poesia,  e che la vita sia filosofia; le quah, se il Levi ci riflette  bene, s’avvedrà che non sono meno supreme, anche per  la sua posizione, in cui l’azione è fondamentalmente un  ^ atteggiamento dell’uomo di fronte all’universo : poiché   ; quest’atteggiamento o è un pensiero, o l’imphca; e questo   pensiero, dovendo essere una filosofia, non può non es¬  sere anche una poesia.   ' In realtà, quel che cerca il Levi nel poeta, non è la   ! soddisfazione di una esigenza etica, bensì una metafisica,  I una rivelazione della ragione dell’esser nostro o del regno  soprannaturale dei fini: e con l’occhio a questa mèta.    4. —- Gentile, Manzoni e LeoiHirdi.     pur accennando qua e là all’ identità del valore poetico  e del valore del contenuto filosofico della poesia, egli  non si propone nemmeno, in nessun punto del suo libro,  il problema dei rapporti tra arte e filosofia, e non mira  quasi mai al giudizio estetico dell’arte leopardiana; ma  si restringe a tracciare la linea di svolgimento del pensiero  che c’ è dentro, e che egli crede abbia assunto la sua  forma finale in una specie di individualismo romantico  corrispondente alle tendenze dello stesso Levi. Dirò bensì  che la distinzione tra arte e filosofia accenna a svanire  nel pensiero dell’autore appunto pel concetto meramente  estetico, più che etico, di questa filosofia romantica a  cui egli aderisce: quantunque pur in questo concetto la  differenza permanga e obblighi il Levi a far violenza,  qua e là, al pensiero del Leopardi per dargli queUa siste¬  maticità, che è necessaria anche a una filosofia indivi¬  dualistica.   Il risultato degli studi del Levi, in breve, è questo.   Nel pensiero del Leopardi si devono distinguere due pe¬  riodi; uno come di distruzione e dissoluzione dell’uomo,  l’altro di affermazione e ricostruzione dell’uomo stesso; ;  il quale allora si contrappone aUa natura pessimistici^- !  mente e agnosticamente concepita in cui termina il primo  periodo, e si aderge in tutta la sua grandezza, che è la j  sua stessa infeUcità, o piuttosto la coscienza della sua p  infelicità. 11 primo periodo terminerebbe verso la fine |  del 1823, e sarebbe rappresentato, sostanzialmente, dallo 1  Zibaldone', il secondo comincerebbe, presso a poco, nel J  gennaio 1824, quando il Leopardi pose mano alle Ope- ^  rette morali', a proposito delle quali il Levi scrive giusta- #  mente ; « Fa onore al buon gusto e al senso critico del 1  Leopardi l’aver lasciato da parte tutto quello ch’egU l  sentiva estremamente ipotetico nelle sue teorie inrorno jS  alla storia dell’ incivilimento e agli intenti dcUa natura, ?.  e l’aver esposto definitivamente per il pubblico solo il nocciolo essenziale dei suoi pensieri intorno alla virtù  e alla felicità umana » *.   Insomma, anche pel Levi, lo Zibaldone è il periodo  jelle indagini e dei tentativi (de’ suoi sette volumi i  primi sei giungono al 23 aprile 1824): il periodo, in cui  il Leopardi cerca tuttavia se stesso, e ancora non si ri¬  trova qual era nella sua giovinezza e all’ inizio del suo  speculare: «pieno d’ardore per la virtù, e assetato di  felicità, di bellezza e di grandezza ». La riflessione, in  questo periodo, che comincia intorno al ’20, si stringe  addosso a quest’ ideali, che erano la vita dello spirito  leopardiano; e non riesce a giustificarli, anzi h corrode  e distrugge. Che cosa è il bello ? e il bene ? e il vero ?  e il talento ? Movendo dal sensismo, che negava lo spi¬  rito e non vedeva altro che la natura, tutti i valori dello  spirito si dileguano facilmente dagli occhi del giovane  pensatore, poiché perdono tutti la loro assolutezza, la  loro apriorità. Ma da ultimo la vita stessa, che prende  in lui il dolore di questo dileguo di tutti gl’ ideah, si desta  nell'esser suo di coscienza, e prorompe in una espressione  ingenua della verità disconosciuta: espressione, che ferma  giustamente l’attenzione del Levi; e giustamente gli fa  segnare questo momento come principio d’un nuovo periodo  dello svolgimento del Leopardi, ma comincia ad essere  interpretata alla stregua del difettoso concetto che  egli ha delle attinenze della poesia con la filosofia,  e a far deviare quindi tutta la sua interpretazione del  secondo periodo.   11 Leopardi, il 27 novembre 1823, scriveva nel suo  Diario : « Bisogna accuratamente distinguere la forza  dciranima dalla forza del corpo. L’amor proprio risiede  neH’animo. L’uomo è tanto più infelice generalmente  quanto è più forte e viva in lui quella parte che si chiama    * Storia, p. 121 .     anima. Che la parte detta corporale sia più forte, ciò  per se medesimo non fa ch’egli sia più infelice, né ac¬  cresce il suo amor proprio. — Nel totale e sotto il più  dei rispetti [l’infelicità e l’amor proprio] sono in ragione  inversa della forza propriamente corporale.... La vita è  il sentimento dell’esistenza. — La materia (cioè quella  parte delle cose e dell’uomo che noi più pecuharmente  chiamiamo materia) non vive, e il materiale non può  esser vivo e non ha che far colla vita, ma solamente  coll’esistenza, la quale, considerata senza vita, non è  capace di amor proprio, né d’ infelicità ».   « Quello che in questo luogo il Leopardi chiama sen¬  timento vitale, o vita», avverte esattamente il T.evi,   « è manifestamente la coscienza ». Ma continua : « Di qui  innanzi egli negherà ancora in astratto la no¬  zione metafisica dello spirito (al che egli ha  avuto cura di tenersi aperta la strada colle circonlocuzioni  ■ quella parte dell’uomo che noi chiamiamo spirituale ’ e  ' quella parte delle cose e dell’uomo che noi più peculiar¬  mente chiamiamo materia'). A questo lo movevano il suo  bisogno di concretezza, e l’avversione a tutto 1 accattato  e il falso ch’ei sentiva negli entusiasmi spiritualistici dei  romantici. Ma, praticamente, rispetto a sé e rispetto  all’uomo in generale, egli ha fermato con suffi¬  ciente sicurezza la nozione di ciò che in esso è di  natura spirituale e della sua dignità». Ora qui è il piincipio  del maggiore equivoco, in cui si dibatte poi il Levi in tutta la  sua interpretazione del Leopardi. Nel luogo citato del Diario  c’ è la coscienza della vita, ma non c è la coscienza (il  concetto) di questa coscienza; il Leopardi sente la pro¬  pria grandezza come uomo sugh animaU e sugli esseri  inferiori, e la propria grandezza come Leopardi sugli  uomini comuni, come potenza di essere infehce. ma non  pone mente che egli è grande, non perché infelice, ma  perché conscio della sua infelicità ; cioè non vede 1 esser  cuo nella coscienza che si eleva al di sopra del dolore,  e lo impietra, nell’arte; e però non si può a niun patto  asserire che possegga la nozione della propria natura spi¬  rituale e della propria dignità di contro alla natura. Infatti  il possederla praticamente (e soltanto praticamente)  come vuole il Levi, che significa se non che non la pos¬  siede come nozione, bensì con quella immediatezza onde   10 spirito ha, qualunque sistema si professi, coscienza  di sé ? Che se egli ne raggiungesse la nozione, il suo pes¬  simismo, che è il contenuto della sua poesia (attualità  reale del suo spirito), sarebbe superato; poiché sarebbe  risoluto nella poesia diventata essa stessa contenuto od  oggetto dello spirito consapevole della propria vittoria  sulla natura, come opposizione e limite dello spirito, e  quindi sorgente dell’ infelicità.   Il pessimismo è assolutamente inconciliabile col con¬  cetto del valore dello spirito; e questa è la vera e pro¬  fonda ripugnanza che prova il Leopardi, — pur quando  intravvede nella vivacità stessa della sua spiritualità  l’essenza propria del reale, che è sentimento, com’egli  s’esprime, dell'esistenza — ad affermare quella realtà che  non ha posto nella visione pessimistica del mondo in  cui si chiude e fissa l’anima sua; e però ricorre a quelle  circonlocuzioni « quella parte dell’uomo che noi chia¬  miamo spirituale » ecc. ; circonlocuzioni, che sono la pa¬  tente documentazione del fatto, che il Leopardi non si  solleva al concetto dell’essenza dello spirito. Che se questo  concetto si fosse rivelato comunque alla sua mente, con  tutta la sua « avversione all’accattato e al falso che ei  sentiva negli entusiasmi spiritualistici dei romantici »,  con tutto « il suo bisogno di concretezza », come avrebbe  potuto egh chiudere gli occhi alla luce, e non vedere che   11 sentimento dell’esistenza, non essendo materia..., non  è materia, e che la presunta concretezza della materia  come tale non è altro che un’astrazione, dal momento     54    GIOVANNI GENTILE    che essa non ci può esser nota altrimenti che pel senti¬  mento che ne ha il vivente ?   Orbene questa contraddizione intrinseca tra il senti¬  mento, non elevato a concetto, dell’umana grandezza, e  il concetto (contenuto della poesia leopardiana) della  nullità dell’uomo di fronte alla natura e quindi della fa¬  talità assoluta del dolore, questa è la grande situazione  poetica del Leopardi rappresentata così splendidamente  dal De Sanctis nel saggio sullo Schopenhauer » : « Leo¬  pardi produce l’effetto contrario a quello che si propone.  Non crede al progresso, e te lo fa desiderare; non crede  alla libertà, e te la fa amare. Chiama illusioni l’amore,  la gloria, la virtù, e te ne accende in petto un desiderio  inesausto. E non puoi lasciarlo, che non ti senta migliore;  e non puoi accostartegli, che non cerchi innanzi di rac¬  coglierti e purilìcarti, perché non abbi ad arrossire al suo  cospetto. È scettico, e ti fa credente; e mentre non crede  possibile un avvenire men tristo per la patria comune,  ti desta in seno un vivo amore per quella e t’infiamma  a nobili fatti. Ha così basso concetto dell’umanità, e la  sua anima alta, gentile e pura la onora e la nobilita ».  Appunto, questo flagrante contrasto tra il suo concetto  e la sua anima è la forma e il valore speciale della sua  poesia: ma non perviene mai a distinta coscienza degli  opposti motivi che vi concorrono senza scoppiare dentro  il contenuto (astrattamente considerato come filosofia) in  manifesta contraddizione logica, come avviene nella  Ginestra: con quanto vantaggio della poesia non so.  Certo, la forma leopardiana si regge sull’equilibrio di  questi opposti motivi, che sono la personalità del poeta  e il suo mondo pessimistico: equilibrio che si mantiene  perfettamente, per esempio nell’ Ultimo canto di Saffo,    ‘ Saggi critici, pp. 297-98.    à     nel canto A Silvia, nel Canto notturno e, in modo tipico,  nei versi All' infinito, dove la personalità si dimentica  nel suo mondo, lo pervade e ne è la forma poetica : laddove,  appena vi si contrapponga, come parte di contenuto (che  qui coscienza che il poeta ha di se medesimo) accanto al¬  l'altra parte affatto ahena, tende necessariamente a spezzare  l’unità del fantasma, che è la logica del pensiero poetico.   Di tale contrasto il Levi, poeteggiando anche lui per  interpretare il Leopardi, non vedo abbia chiara coscienza;  e però scambia la forma col contenuto dell’arte leopar¬  diana, e vede una filosofìa (quella con cui piace a lui  d’interpretare l'anima umana) dov’ è soltanto l’anima,  e cioè la poesia del Leopardi.   Tralascio i bei capitoli, che il Levi consacra alla storia  della concezione storica del pessimismo, quale si disegna  già nella critica dello Stato e della civiltà, della scienza  e della filosofia e nella teoria delle illusioni attraverso   10 stesso Zibaldone per trovare in fine la sua espressione  nei primi canti; Nelle nozze della sorella Paolina, A un  vincitore nel pallone. Bruto minore. Ultimo canto di Saffo,  Alla primavera e Inno ai Patriarchi. ’E vengo al secondo  periodo. 11 Levi studia gl’ indizi della coscienza che il  Leopardi comincia ad acquistare della propria grandezza  dopo la dimora che fa in Roma dal novembre 1822 al  maggio 1823: coscienza culminante da ultimo, a mezzo   11 1823, in questa nota del Diario: «Ninna cosa maggior¬  mente dimostra la grandezza e la potenza dell’umano  intelletto, che il poter l’uomo conoscere e interamente  comprendere e fortemente sentire la sua piccolezza....  E veramente quanto gli esseri più son grandi, quale  sopra tutti gli esseri terrestri è l’uomo, tanto sono più  capaci della conoscenza, e del sentimento della propria  piccolezza » ». Quindi s’inizia il secondo periodo, il cui    ' Zibald., V, 223 .    pensiero il Levi vede maturarsi tutto nelle prose degli  anni 1824 e '25 {Storia del genere umano, Dialogo della  Natura e di un'Anima, Dialogo della Natura e di un  Islandese, Frammento apocrifo di Stratone) e nelle note  sincrone dello Zibaldone. In questo secondo periodo  dall’uomo il Leopardi ritrae la causa del dolore universale  nella natura; alla concezione storica del pessimismo sot¬  tentra quella cosmica; ma di fronte alla natura ineso¬  rabile artefice del nostro doloroso destino e imperscruta¬  bile prosecutricc di fini divergenti dai fini dell’uomo  s’accampa questo con la coscienza del proprio valore:  dell’uomo, secondo intende il Levi, in quanto individuo,  e pur creatore del suo valore nel virile disdegno d’ogni  illusione, nella magnanima sfida al Potere ascoso: nel¬  l’affermazione, insomma, di sé come coscienza del dolore.  Onde il Leopardi acquista una serenità, una sicurezza  ignota a quell’angoscioso piegarsi e stridere dell’anima  sotto il dolore, che è l’atteggiamento del primo jieriodo.  Questo mi pare, se ho bene inteso il cenno più che espo¬  sizione del Levi, il suo modo d’intendere questa forma  suprema dello spirito leopardiano.   Ma contro questa interpretazione vedo due princijiali  difficoltà, la prima delle quali confesso di proporre con  qualche esitazione, perché non sono sicuro di cogliere  interamente il pensiero del Levi. Ed è che non vedo i  documenti dell’ interpretazione del Levi per ciò che  riguarda l’individualità dell’uomo, che in questo secondo  periodo starebbe di contro alla natura. Nell’allegoria  dell’Amore, alla fine della Storia del genere umano, la de¬  signazione dei « cuori più teneri e più gentiU, delle per¬  sone più generose e magnanime », che vengono a provare  « piuttosto verità che rassomiglianza di beatitudine »,  comprende bensì il Leopardi, anzi rappresenta soltanto  il Leopardi: ma non come individuo che crea se stesso,  col suo valore. Non è coscienza del dovere dell’ individuo.    che può nello spirito vincere l’avversa natura e toccare  (juindi la beatitudine da questa contesagli ; ma è l’im-  niediata condizione spirituale del Poeta, la cui serenità  estetica si diffonde per tutta la Storia e ne placa il dolore.  11 ragionamento dimostra la vanità delle illusioni, e di  ogni desiderio della felicità ignota e aliena alla natura  dell’universo, e l’amarezza dei frutti del sapere; ma della  beatitudine che spira intorno al nume, figliuolo di Venere  celeste, non v’ è giustificazione, né quindi concetto.  « Dove egli si posa, dintorno a quello si aggirano, invisibili  a tutti gli altri, le stupende larve, già segregate dalla  consuetudine umana; le quali esso Dio riconduce per  questo effetto in sulla terra, permettendolo Giove, né  potendo essere vietato dalla Verità, quantunque ini-  micissima a quei fantasmi ». — Qui dunque c’ è l’anima  che non s’arrende alla verità; ma non la verità, come  concetto dell’anima. E l’anima è appunto quella dolce  serenità che si diffonde per tutta la prosa: ossia la forma,  la poe.sia, non il contenuto, la filosofia, del pensiero leo¬  pardiano.   Altrettanto, mulatis mutandis, ' mi pare sia da osser¬  vare di quella individualità che il Levi vede nelle varie  prose al di sopra del pessimismo cosmico, fino a Tristano  che non si sottomette alla sua infelicità, né piega il capo  al destino, né viene seco a patti, come fanno gli altri  uomini. L'affermazione di Tristano è piuttosto negazione:   « E ardisco desiderare la morte, e desiderarla sopra ogni  cosa, con tanto ardore e con tanta sincerità, con quanta  credo fermamente che non sia desiderata al mondo se  non da pochissimi.... In altri tempi ho invidiato.... quelli  che hanno un gran concetto di se medesimi; e volentieri  mi sarei cambiato con alcuno di loro. Oggi non invidio  più né stolti né savi.... Invidio i morti, e solamente con  loro mi cambierei... ».   In secondo luogo, di questo disdegnoso gusto, o come altrimenti si manifesti la vittoria dell'uomo sulla natura,  perché e come potrà farsi una caratteristica del secondo  periodo se nel primo periodo resta, per esempio,  il Bruto minore col « prode » di cedere inesperto, che  guerreggia teco   Guerra mortale, eterna, o fato indegno;   e resta 1 ’ Ultimo canto di Saffo, in cui l’uomo si erge  magnanimo contro i numi e l’empia sorte, e, conscio  della propria grandezza al di sopra del « velo indegno »,  emenda il crudo fallo del cieco dispensator dei casi ?   Però credo che nell’esame dei canti del secondo pe¬  riodo, cui è consacrato l’ultimo capitolo dell’acuto e  suggestivo studio del Levi, la poesia leopardiana sia più  d’una volta tormentata affinché risponda docilmente ai  preconcetti filosofici costruttivi dell'autore. Nel Risorgi¬  mento sarebbe celebrata « con gioconda sicurezza la su¬  periorità della vita affettiva sulla conoscenza e su tutto,  e la forza invitta con cui l’io profondo si afferma, non  ostante la contraddizione di tutto l’universo ». Ma, se il  Leopardi canta:   Proprii mi diede i palpiti  Natura, e i dolci inganni;   Sopire in me gli affanni  L’ingenita virtù.   Non l’annullàr, non vinsela  Il fato e la sventura;   Non con la vista impura  L'infausta verità . . .   Pur sento in me rivivere  Gl’ inganni aperti e noti;   E de’ suoi proprii moti  Si maraviglia il sen.   la chiave, l’intonazione della poesia è in questo mera-  vigharsi dell’animo di fronte al risorgimento dell’ ingenita  virtù: a questo miraeoi novo, che, appunto perché tale.   j^on è menomamente sicura coscienza della superiorità  della vita affettiva sulla conoscenza. Data la sicurezza,  perché meravigliarsi ? E se togliete questa meraviglia,  questo stupore innanzi al subito rianimarsi del mondo  al risorgere del vecchio cuore, la poesia è svanita.   Un altro esempio significativo. Nei versi .4 se stesso,  secondo il Levi, « ancora una volta si sfoga riaffermando,  disperatamente, ma pure ancora superbissimamente, l’as¬  soluta solitudine della sua grandezza » ; e cita i versi ;   Non vai cosa nessuna  I moti tuoi, né di .so.spiri è degna  La terra. Amaro e noia   La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.   Ma dov’ è qui la solitudine della grandezza, se il Leo¬  pardi vi nega ogni finalità ai moti stessi del cuore, se  cioè non crede che il cuore possa aspirare a nulla, e tutti  i versi sono uno schiacciamento del cuore stanco sotto  r immane fatalità ?   Infine : « La Ginestra », dice il Levi, « è da taluni,  non senza un po’ di retorica, esaltata per il suo conte¬  nuto morale; da altri è trovata troppo arida e razioci¬  nativa. A me sembra una cosa grande, anche per quella  maschia e dantesca sprezzatura, onde il poeta non rifugge,  per rispetto all’ intento morale, dall’ interrompere la sua  melodiosa poesia colle pagine ossute di ragionamenti in  versi. Certo le parti più belle sono le meditazioni intorno  all’ immensità dell’universo e alla piccolezza dell’uomo,  eppoi la straordinaria descrizione delle eruzioni vesu¬  viane. La bellezza di questa nasce da cosa molto più  alta che non sia l’eccellenza espressiva : e questa è l’in¬  tensità tragica del pensiero universale simboleggiato, e  la potenza di una personalità, che si colloca di fronte  alla natura, e ne abbraccia e comprende la terribile gran¬  dezza senza lasciarsene opprimere ». —    Ma io direi che la Ginestra non può esser cosa grande  per la cosiddetta sprezzatura dantesca d’interrompere la  poesia con pagine di ragionamenti. Se vi sono ragiona¬  menti che interrompono davvero la poesia, il Leopardi,  mi pare, sarebbe stato più grande non interrompendo la  sua poesia; dato che la grandezza della poesia non possa  essere altro die il carattere eccellente di una poesia,  tanto più poetica, di certo, quanto più ò fusa e una, e  tutta poetica. Vero è che soltanto la retorica può persua¬  dere ad esaltare la Ginestra per il suo contenuto morale;  poiché questa parte appunto (oltre che la polemica contro  la filosofia del secolo XIX e contro il Mamiani) è quella  in cui è compromesso l’equilibrio lirico della poesia;  ma mi pare anche un errore staccare la bellezza delle  meditazioni sul contrasto tra la grandezza sterminata  dell’universo e la piccolezza deU’uomo, o ciucila della  descrizione dell’eruzione, dall’organismo, dalla vita di  tutta la ])oesia, dove é la vera e sola bellezza, da cui le  altre particolari sono irradiate: e che è, credo, la bel¬  lezza della ginestra, del fior gentile, immagine del Leo¬  pardi, che, mentre tutto intorno una mina involve,   al cielo   Di dolcis.simo odor manda un profumo.   Che il deserto consola:   l'espressione più delicata della divina poesia leojìardiana.  E dove il Levi afferma con intenzione, che la bellezza  non so se della descrizione delle eruzioni vesuviane o se  di tutta la Ginestra, « nasce da cosa molto più alta che  non sia l’eccellenza espressiva » alludendo a una dottrina  estetica, che dice altrove di non poter accettare, noterò  che egli mostra di non aver forse compreso che s’intende  in questa dottrina per espressione : perché l’intensità  tragica che egli vi contrappone non è niente di diverso  dalla espressione, se di questa intensità tragica intende    parlare in quanto la vede nella Ginestra] poiché l’espres¬  sione va cercata nell’atteggiamento individuale che lo  spirito assume di fronte a una certa materia, e questa,  quindi, in lui.   Ma c’ è poi quella personalità, che si colloca di fronte  alla natura.... senza lasciarsene opprimere ? — Qui sa¬  rebbe il proprio della interpretazione del Levi. Né sup¬  plicazioni codarde, né forsennato orgoglio. Ma la ginestra  non supplica semplicemente perché, più saggia dell’uomo,  non crede sue stirpi immortali, e sa pertanto che supph-  cherebbe indarno al futuro oppressore. Non c’ è, dunque,  né pur qui, l’individuo che si contrappone alla crudel  possanza, ma la serenità pacata della coscienza della  sua inesorabihtà ; insensibiUtà di saggio antico, più che  affermazione romantica dell’umana personalità.   In conchiusione, anche al nuovo schema filosofico la  poesia leopardiana si sottrae e repugna, per richiudersi  sempre ostinata nella naturai veste del suo pathos lirico.   ^l//o scritto precedente il prof. Levi rispose con alcune  osservazioni ingegnose ^ a cui fu replicato con la seguente  lettera :    Egregio Professore,   Mi par difficile discutere delle interpretazioni parti¬  colari di questa o quella poesia o altro documento del  pensiero leopardiano senza rimettere in discussione il  concetto generale e quindi i canoni critici del Suo lavoro.  Perché le mie osservazioni singole non miravano a con¬  futare singole opinioni e determinati giudizi, né a mo¬  strare piccole infedeltà ed inesattezze, sì bene a far ve¬  dere in atto r illegittimità del criterio fondamentale con  cui aveva Ella ricostruito la sostanza dello spirito leo-    ‘ Si possono leggere nella Critica, IX, 1911, pp. 473-76.      pardiano. Così, nella risjiosta che Ella dà a talune delle  mie critiche particolari, mi pare si sia lasciato sfuggire  r intento generale e il significato complessivo del mio  articolo. Per esempio, perché, pur consentendo che nel luogo  citato dello Zibaldone (VI, 296) con vita o sentimento  dell’esistenza H Leopardi intenda la coscienza,   10 negavo che si dimostrasse la coscienza, ossia il concetto,  della coscienza ? Perché questo concetto, in quanto tale,  in quanto parte di una generale intuizione del mondo,  era ciò di cui Ella aveva bisogno per cominciare a vedere  nel Leopardi la filosofia individualistica, in cui Ella in¬  tende riporre l’essenza della più alta poesia leopardiana.  Con ciò io non dovevo attribuire al Leopardi soltanto   11 possesso immediato della coscienza (com’Ella mi fa  dire), che sarebbe stato invero troppo poco: ma solo un  senso vago o, se vuole, una nozione imperfetta, o magari  un concetto, che però non era un vero concetto, della  coscienza. Il Leoparch insomma vede lì la coscienza, ma  non la pensa; sicché per lui pensatore questa coscienza  è come se non fosse ; e non può dirsi perciò, che « pra¬  ticamente, rispetto a sé e rispetto all’uomo in generale,  egli ha fermato con sufficiente sicurezza la nozione di  ciò che in esso è di natura spirituale e della sua dignità ».  Il senso della spiritualità e della dignità spirituale di sé  e dell’uomo in generale sì; e questo appunto io dicevo  essere non il contenuto (la filosofia, il concetto) della  poesia leopardiana, ma la forma (la poesia, la lirica,  l’espressione della personalità del poeta, superiore alla  sua filosofia).   Così, sarà verissimo che il Leopardi si creda infelice  perché grande, piuttosto che grande jierché infelice.  Ma questo non ha che vedere con la mia osservazione  che, se egli avesse avuto il concetto della coscienza,  avrebbe veduto la propria grandezza in un grado spiri¬  tuale che è al di sopra del dolore e della infelicità. La coscienza per lui era la stessa sensibilità, non la coscienza  vera e propria, il superamento della sensibilità, la filosofia del  dolore, che, come filosofia e quindi oggettivazione e vi¬  sione sub specie aeterni del dolore stesso, non può non  liberare da esso il soggetto. Nel Dialogo della Natura e  di un Anima il Leopardi, phi che far dipendere l’infe¬  licità dalla grandezza, identifica l’una con l’altra. L’Anima  domanda : « Ma, dimmi, eccellenza e infehcità straordi¬  naria sono sostanzialmente una cosa stessa? o quando  sieno due cose, non le potresti tu scompagnare l’una  dall’altra?» e la Natura risponde; «Nelle anime degli  uomini, e proporzionatamente in quelle di tutti i generi  di animah, si può dire che l’una e l’altra cosa sieno quasi  il medesimo : perché l’eccellenza delle anime importa  maggiore intensione della loro vita; la qual cosa im¬  porta maggior sentimento dell’ infelicità propria ; che è  come se io dicessi maggiore infelicità ». Dove è chiaro  che la infelicità maggiore è maggiore sensibilità, cioè  eccellenza, grandezza spirituale: perché l’infelicità è tale  in quanto è sentimento di essa, cioè quella vita, nella  cui intensione consiste l’eccellenza dell’animale. E però  il Leopardi deve ad ogni modo commisurare la propria  grandezza con la propria infelicità ; ciò che egli non avrebbe  fatto, se avesse fermato con sicurezza, sia pure prati¬  camente, la nozione della vera realtà spirituale,  che in lui spontaneamente s’afferma quando, come per esem¬  pio nella sua lettera del 15 febbraio 1828, tra i « mag¬  giori frutti » che si proponeva e sperava da’ suoi versi  annoverava «il piacere che si jirova in gustare e apprez¬  zare i propri! lavori, e contemplare da sé, compiacendo¬  sene, le bellezze e i pregi di un figliuolo proprio, non con  altra soddisfazione, che di aver fatta una cosa bella al  mondo ; sia essa o non sia conosciuta per tale da altrui ».  Dove c’ è quel dolore impietrato, di cui io parlavo come  dell’unica forma possibile del dolore in quanto contenuto della coscienza « ; ma di questa coscienza, e quindi di  quella vita del dolore che non è più dolore nella vita  dello spirito il Leopardi non ha coscienza.   E però il contrasto interiore che io vedo nella poesia  del Leopardi è identico a quello che ci vedeva il De Sanctis,  anche se, nel passo citato da me, rappresentato da un  solo aspetto; il contrasto tra la ricchezza spirituale della  personalità del poeta e la povertà, per non dire nega¬  zione, di ogni sostanzialità spirituale, propria del con¬  tenuto della sua poesia.   Del Dialogo di Tristano e di un amico non è esatto  che il primo periodo citato da me sia ; « E ardisco desi¬  derare la morte ecc. ». Le parole precedenti erano state  pur da me riferite immediatamente prima: «....fino a  Tristano che non si sottomette alla sua infelicità, né  piega il capo al destino, né viene seco a patti, come fanno  gli altri uomini » Ma queste parole non potevano im¬  pedirmi di vedere in quel che segue, e in cui confluisce  il pensiero di quelle stesse parole, e però in tutto il Dia¬  logo, una negazione piuttosto che un’affermazione: e negazione non soltanto, come Ella dice, della propria per¬  sona empirica; perché la morte, pel Leopardi, non di¬  strugge soltanto la persona empirica, ma tutto l’essere  dell’ mdividuo.    ' Mi piace ricordare la felice osservazione del Db Sanctis {Studio  sul Leopardi *, p. 213) ; « Egli [il Leopardi] aveva la forza di sottoporrei  il suo stato morale alla riflessione e analizzarlo e generalizzarlo, e fab¬  bricarvi su uno stato conforme del genere umano. Ed aveva anche  la forza di poetizzarlo, e cavarne impressioni e immagini e melodie, e  fondarvi su una poesia nuova. Egli può poetizzare sino il .suicidio, e  appunto perché può trasferirlo nella sua anima di artista e immaginare]  Bruto e Saffo, non c’ è pericolo che voglia imitarU. Anzi, se ci sono  stati momenti di felicità, sono stati appunto questi. Chi più felice del  poeta o del filosofo nell'atto del lavoro ? — L’anima, attirata nella  contemplazione, esaltata dalla ispirazione, ride negli occhi, illumina  la faccia..., >.   z Cfr. sopra, p. 57.   Quanto alla differenza di disposizione spirituale tra  ;j pruto minore, per esempio, e il Dialogo tra Plotino e  Porfirio o VAmore e morte, dove si anela alla morte, ma  la si attende serenamente, deposto ogni disperato pen¬  siero di suicidio, non occorre negarla per non vedere  né anche nei componimenti più tardi quella coscienza  jel valore della propria individualità, che Ella ci vede.  ^'el detto Dialogo non si cela, almeno io non riesco a  scorgere, « quella robusta fede nella grandezza umana,  riconosciuta possibile sempre, perché bastevole a se  stessa ». Se l’essere dell’uomo è la sua vita, quivi si dice  che «la vita è cosa di tanto piccolo rilievo, che l’uomo,  in quanto a sé, non dovrebbe esser molto sollecito né  di ritenerla né di lasciarla ». E, se non m’inganno, la  nota fondamentale del dialogo è nelle ragioni della tol¬  lerabilità della vita, per misera che sia: le quali ragioni  sono bensì la critica del pessimismo materialistico del  Leopardi, ma restano nella forma di sentimento, baste¬  vole a conferire al dialogo quell’ intonazione affettuosa  che gli è propria, e sono veramente l’opposto di quella  affermazione dell’ individualità dello spirito, di cui si va  in cerca : « Aver per nulla il dolore della disgiunzione e  della perdita dei parenti, degl’intrinsechi, dei compagni;  0 non essere atto a sentire di sì fatta cosa dolore alcuno;  non è di sapiente, ma di barbaro. Non far ninna stima  di addolorare colla uccisione propria gli amici e i do¬  mestici; è di non curante d’altrui, e di troppo curante  di se medesimo. E in vero, colui che si uccide da se stesso  non ha cura né pensiero alcuno degli altri; non cerca  se non la utilità propria; si gitta, per così dire, dietro  alle spalle i suoi prossimi, e tutto il genere umano; tanto  che in questa azione del privarsi di vita, apparisce il  più schietto, il più sordido, o certo il men bello e men  liberale amore di se medesimo, che si trovi al mondo ».  Se prendessimo atto di questa critica del suicidio — che.    5. —- Gentile, Manzoni e Leopardi.     risolvendosi in una serie di asserzioni, vale certo come  effusione di stati immediati deU’animo, ma non come  filosofìa — che filosofia diverrebbe questa del Poeta che  ha ragionato sempresul presupposto che la vita dell’uomo  sia racchiusa nella sua sensibilità, e che tutto il mondo  all’uomo non si rappresenti se non nella breve sfera del  piacere e del dolore suo individuale ? Ma, d’altra parte,  senza questa contraddizione interna tra la filosofia do¬  minante nel dialogo e il senso affettuoso onde il poeta  è avvinto ai suoi prossimi e a tutto il genere umano (cfr.  la Ginestra) e che pervade tutta la conversazione intima  di Plotino con Porfirio, dove se n’andrebbe la poesia  del commovente dialogo ?   Nell’ intendere come ho inteso il Risorgimento posso  sbagliarmi; e la sicurezza con cui Ella crede si debba  intendere altrimenti, mi fa dubitare forte del mio giu¬  dizio. Ma la ragione che mi oppone non mi riesce molto  persuasiva; c’è, di sicuro, nella poesia una risposta alle  domande: «Chi dalla grave, immemore Quiete or mi  ridesta ? Che virtù nova è questa ?... Chi mi ridona il  piangere Dopo cotanto oblio ? » ecc. ;   Da te, mio cor, quest’ultimo  Spirto e l’ardor natio.   Ogni conforto mio  Solo da te mi vien;   ed è vero che nella quartina precedente l’accento mag¬  giore è nel terzo verso. Ma è anche vero che questa ri¬  sposta è la soluzione del problema, in cui consiste la  poesia : l’inaspettato, il miracoloso risorgimento del vec¬  chio cuore. E quindi il sentimento che regge tutta la  poesia mi pare la meraviglia. Ragione, invece. Ella ha  certamente nel correggere il significato da me attribuito ‘    • In un periodo ora non più ristampato dello scritto precedente.     agli ultimi versi del canto A se siesso; ma pur dopo la  correzione, il significato del canto non è punto favore¬  vole alla tesi dell’affermazione della propria grandezza,  gi a quella del grido della disperazione, comune a quasi  tutta la poesia leopardiana.   E nella Ginestra chi negherà il motivo da Lei richia-  luato, della personahtà del Poeta che non si lascia op¬  primere dalla crudel possanza della natura ? Ma bisogna  vedere quanto questo motivo sia attenuato qui dall’umile  coscienza delle proprie sorti («che con franca hngua....  Confessa il mal che ci fu dato in sorte, E il basso stato  e frale...; ma non eretto Con forsennato orgoglio inver  le stelle. Né sul deserto.... » ecc.), e quasi rammoUito e  sciolto nell’amore con cui l’animo abbraccia tutti gli  uomini fra sé confederati, e nella poesia consolatrice che,  commiserando i danni altrui, manda al cielo, come la  ginestra, un profumo di dolcissimo amore, che consola  il deserto. Anche la ginestra, che piegherà il suo capo  innocente sotto il fascio mortai, insino allora non pie¬  gherà indarno codardamente supplicando innanzi al fu¬  turo oppressor; ma ciò non toglie nulla alla gentilezza  del fiore di tristi lochi e dal mondo abbandonati amante,  né alla solenne rassegnata pacatezza del vero sapiente  cantata dal Leopardi.   Certamente, tutte queste cose meriterebbero di essere  chiarite con un’anahsi più accurata degli scritti leopar¬  diani; e io voglio sperare che questa discussione possa  invogliar Lei, che ha studiato tutte le cose del nostro  grande Poeta con tanto acume e con tanto amore, a non  staccarsene senza prima avervi gittate su la luce di  nuove ricerche.   IL LEOPARDI MAESTRO DI VITA • ^   Maestro di vita Giacomo Leopardi ? Il prof. Bertacchi >  si è proposto appunto di « raccogliere dagli scritti di  Giacomo Leopardi e di comporre in multiforme unità  gli elementi dell’opera sua nei quali parlino più alto le  feconde ragioni della vita»: «quanto di sereno o di mcn ;  triste ricorre neUe pagine del Nostro; quanto di attivo  e di energico, pur nello stesso dolore, risulta dal senti- j   mento, e dal pensiero di lui.... allo scopo di integrar, ^  se pos’sibUe, la figura del grande Scrittore ». Per dire la '  cosa più semplicemente e chiaramente, egli intende illu- | j  strare tutti gli elementi ottimistici propri della poesia .‘1   leopardiana. 1;   Elementi che non mancano certamente nella detta 'i  poesia; e costituiscono la singolare caratteristica del suo j  pessimismo, come già osservava sessant’anm fa il De San- '  ctis nel suo dialogo sullo Schopenhauer (dopo che allo  stesso concetto aveva accennato un ventennio prima *  Alessandro Poerio, in una sua lirica rimasta inedita); ,  e conferiscono infatti agli scritti di questo dolente e de- I  solato pessimista un’alta virtù educativa e consolatrice. |  E molti studi diligentissimi furono fatti in questo senso i  da Giovanni Negri, nelle sue Divagazioni, che pare siano t  rimaste ignote al Bertacchi. Ma c’è ottimismo e otti- s  mismo; e la ricerca del Bertacchi mi pare avviata m una J  direzione, che potrà condurre a falsificare interamente il ,  carattere dello spirito leopardiano, attribuendogli un ot- l  timismo edonistico od estetico, che solo un lettore di- ■    . A proposito del libro di Giovanni Bertacchi, Un rft   vita-. Sag^o leopardiano, Part. 1 : Il poeta e la natura, Bologna, /a  nichelli, igi?-       stratto e superficiale può vedere in alcuni aspetti della  sua sublime poesia. Giacché l’ottimismo del Leopardi è  la fede e l’esaltazione della virtù, della grandezza e della  lenza dello spirito, di quelle necessarie illusioni, come  egli le chiama, a cui non trova posto nel mondo, guar¬  dato come cieco crudele meccanismo naturale; ma che  non perciò egli abbandona, anzi afferma sempre più  vigorosamente: di guisa che il suo mondo triste e dolo¬  roso viene da ultimo purificato e rasserenato in questa  intuizione schiettamente spiritualistica. La quale, d’altra  parte, non a\Tebbe il suo proprio particolar significato,  disgiunta dalla negazione pessimistica della vita dei pia¬  ceri e delle gioie naturah, che ne è come la base o il  contenuto. In questa contraddizione intima tra la natura  cattiva e lo spirito buono che in sé accoglie la visione  di cotesta natura, consiste proprio la radice, da cui trae  alimento tutta la poesia del Leopardi; per intender la  quale non bisogna lasciarsi sfuggire né l’uno né l’altro  dei due elementi contradittorii.   11 prof. Bertacchi invece crede di poter quasi cogliere  in fallo il Poeta ogni volta che il vivo senso delle bel¬  lezze naturali (poiché in questa prima parte egli studia  il Poeta in rapporto con la natura) fa lampeggiare dentro  ai suoi canti una sensazione di letizia; per modo che,  contro r intenzione del Poeta, la sua poesia tratto tratto  scoprirebbe nella stessa realtà naturale ravvivata dal¬  l’anima dello stesso Poeta le ragioni della vita; ossia  una fonte di dolcezza, a cui il Poeta inconsapevole pur  seppe attingere. Poiché, per lui, « vita è sentire e far  sentire il bello e il sereno di natura; vita ravvisare e  creare le fide corrispondenze con essa », e poi « l’uscirle  incontro così, con gli occhi luminosi di gioia o impre¬  gnati di pianto, narrarle le anime nostre, consenta o  contrasti essa con noi, moltiplicarci, nel suo cospetto, di  atteggiamenti e di modi, circuirla di umani argomenti.      dedurre dal suo stesso sensibile le conchiusioni jiiù nostre  e i significati inattesi » ecc., e il Poeta studiato « ne’ suoi  fedeli commerci con la natura esteriore » apparirebbe  maestro di vita «spirito vigile e attivo. ])ronto a fecon¬  darsi d’intorno e a moltiplicarsi le cose » ■ che sdoppia  e ingrandisce e abbellisce con la sua fantasia. Insomma  la vita di cui sarebbe maestro il Leopardi è una vita di  piacere | del piacere procurato dalla intuizione estetica  della natura.   Tesi in parte ingenua e oziosa, in parte falsa. Perché  se si volesse dire soltanto che il Leopardi insegna a guar¬  dare esteticamente la natura e in generale a dar vita  estetica al mondo sensibile, questo sarebbe verissimo, ma  così del Leopardi come, più o meno, di ogni grande poeta;  e non c’ è nessun bisogno di dimostrare questa tautologia,  che un’opera d’arte, qualunque essa sia, è rappresenta¬  zione estetica; e quel che può avere un interesse e un  significato, è dimostrare nel caso particolare in che modo  un artista rappresenti il suo mondo. Ma la tesi del Ber-  tacchi ha in più la pretesa d’indicare attraverso questo  vagheggiamento fantastico della bella natura una vita  diversa da quella apparsa triste al Poeta: quasi che questi  ne avesse avuto innanzi due, una bella e luminosa e 1 altra  squaUida e buia, e gli occhi di lui, senza ch’egli se ne  accorgesse, fossero attratti più dalla prima, e la luce  di questa s’effondesse sull’altra. Che è una pretesa affatto  erronea; e giustificabile soltanto col criterio dal Bertacchi  candidamente esposto fin dalla prima pagina del suo  libro, come norma fondamentale del suo metodo critico.   Quivi infatti dice essere «comunissima sentenza che  l’opera d’uno scrittore non valga solo per sé, ma anche  per il modo diverso ond’essa, quasi, si adatta a ciascuno  di noi », poiché « spesso dalla parola d’un autore, acco-    1 O. c., pp. 84-85, 136-37-     r   stata alle anime nostre, si svolgono sensi ulteriori che  l’autore non previde, ma che le affinità degli spiriti e le  somiglianze dei casi vi sanno naturalmente ritrovare....  Il creatore è creato a sua volta, è rinnovato via via di  significazioni e di uffici ». Sicché il Leopardi maestro di  vita è il Leopardi dei sensi ulteriori e non il Leopardi  storico; il Leopardi creato più che il creatore: creato,  s’intende, in questo caso, dal Bertacchi. 11 quale, una  volta sul punto di creare, non è più legato da nessuno  dei vincoli onde ogni critico e storico è legato alle opere  che intende interpretare; e può scegliere tra gli scritti  leopardiani quelli soli o di alcuni di essi quelle parti  soltanto, in cui meglio può vedere adombrata l’imma-  I gine del maestro di vita che desidera raffigurare.   Così comincerà con lo scartare le prose ; perché « nella  voluta terribile aridità » di queste, « il pensatore sinistro  svolge i suoi tristi argomenti, e noi non abbiamo agio  di aggiungervi nulla del nostro » (nessun senso tiUeriore !) ;  «egh non suscita in noi altro moto che non sia d’atten¬  zione a quella sua logica amara ». E il Bertacchi vuol  dire che lì c’ è il pensiero del Leopardi, e non c’ è la na¬  tura nei suoi aspetti suscitatori d’immagini belle: il che  non è poi vero, se si considerano almeno la Storia del  genere umano, il Dialogo della Natura e di un Islandese,  La Scommessa di Prometeo e V Elogio degli Uccelli. Pel  Bertacchi le Operette morali sono filosofia e non poesia.  — Da scartare poi le poesie in cui il Poeta «trasferisce  nel canto quella materia medesima», malgrado «la maggior seduzione portata dall’onda del verso, dal periodar  musicale, dalle pur rare imagini che infiorano il discorso  qua e là ». E con questi caratteri il Bertacchi non si pe¬  rita di designare, oltre 1 ’ Epistola al Pepoli, la Palinodia  ed / miovi credenti, canti come II pensiero dominante.  Amore e morte, il Bassorilievo antico e il Ritratto di bella  donna ; definite « Uriche anch’esse di pensiero e infuse di sentimento » ! — Scartate, almeno questa volta, le  poesie in cui il Leopardi parla bensì diretto al nostro  cuore {Sogno, Consalvo, A se stesso, Aspasia), ma can¬  tando se stesso non esce dall’ambito umano e sdegna  ogni elemento esteriore : giacché « chi legge, anche in tal  caso, è legato alla parola del poeta, e solo la rielabora  in sé in quanto essa gli desti nel cuore un moto di passioni consimili che il cuore abbia provato esso stesso ». —  Da escludersi infine i canti civili {AW Italia, Monumento  di Dante, Ad .-l. Mai, Alla sorella Paolina, A un vinci¬  tore nel pallone) ; sempre per lo stesso motivo, che « si  resta, sebbene con ampiezza maggiore (?), nell’ordine  voluto dal poeta ». Restano le altre poesie, dove il Leopardi « canta all’aperto » ed effonde il canto dell’anima  al cospetto della natura: «vive con la natura, o almeno,  nella natura. E questa natura, poi, è quasi sempre serena ».   Qui il ])oeta Bertacchi, creatore del creatore, può  spaziare a suo agio nel vasto cielo dei sensi ulteriori.  Ecco; «1 paesaggi campestri, le scene umili o grandi  in cui si veniva a comporre l’anima del dolente poeta,  sono sempre evocati nei loro aspetti più belli ; soleg¬  giati sono i suoi giorni; le sue notti sono stellate e inar¬  gentate di luna. La pioggia, che appar malinconica in  un dei giovanili b'ranintenti, e procellosa in un altro,  riappare in Vita solitaria con fresca dolcezza mattutina,  attraversata dal sole che entro vi trema sorgendo».  E questa presenza della natura « non è senza effetto per  noi ». Creare qui si può. « Egli, il poeta, potrà bene, contro  ogni serena bellezza, accampar le sue tristi fortune, o  le innate sventure di tutto il genere umano, o l’arcano  terribile dell’esistenza; noi potremmo bene, com’ei vuole,  seguirlo nei suoi tristi argomenti, veder quella bella  natura velarsi del dolore di lui, sentir vivo il contrasto  che si agita tra quel poeta e quel mondo: ma, poi, non  possiamo impedire che alcunché di quel bello, di quel  sereno che egli evoca, si apprenda alle anime nostre, e  festi in noi quasi a sé, quasi distinto dai sensi che il poeta  vi associa, congiungendosi, anzi, dentro di noi con quante  visioni di giorni dorati e di pure notti profonde vi si  raccolsero negli anni ». Che sarà — anche, come si sarà avver-  t^ito, neh’ onda del verso — una poesia bertacchiana,  un senso ulteriore, che il Leopardi non ci mise (come  il Dante della novella sacchettiana), ma non ha più niente  che vedere colla poesia del Leopardi. E dove pare si  accenni a un giudizio critico, non può essere altro che  una vaga e soggettiva impressione priva d’ogni valore.   Così il Bertacchi ci dirà che nel Sabato del villaggio  e nella Quiete dopo la tempesta « il poeta ha compromesso  il filosofo versandoci con troppa pienezza (?) nel cuore  tutta la poesia soave, tutta l’ondata di vita che tra¬  bocca dalle ore descritteci » ». Che, come giudizio, è un  errore, perché tutta quella poesia traboccante è l’incar¬  nazione deU’ idea stessa del filosofo, che nel Sabato non  si esibisce già nella sentenza finale (« Questo di sette è  il più gradito giorno, Pien di speme e di gioia; Diman  tristezza e noia Recheran l’ore »), ma vive in tutta la  rappresentazione precedente: dove tutta la gioia è la  gioia d’una speranza guardata coi mesti occhi della pro¬  vata delusione: è la soavità della fanciullezza ma non  quale la sente il fanciullo, bensì come la rimpiange l’uomo  già esperto della vita, in cui ad una ad una si son dile¬  guate le speranze lusingatrici della prima età. E bisogna  non vedere questa pietosa malinconia, che prorompe da  ultimo, ma s’annunzia già dalla malinconica donzelletta  tornante dalla fatica dei campi sul calar del sole, cioè  chiudere gli occhi su tutta la poesia, per parlare d’un  dualismo tra poeta e filosofo, e d’un poeta che prende  la mano al filosofo.    ■ O. c., p. IO.  Altro esempio, o L'idillio A llu Lufiu e 1 altro La vtla,  solitaria..., pur movendo da uno stato di tristezza, la¬  sciano tanto agio alle malie naturali, da non permettere  a queUa di farsi vero dolore, la mantengono in una so¬  spensione fluttuante, nella quale diresti che il poeta sia  perplesso sul proprio stato » >. Ora, il breve idiUio Alla \  luna non fluttua punto, ma esprime nettissimamente il  piacere deUa ricordanza sia pur nel noverare l’età del  proprio dolore; il grato «rimembrar delle passate cose,  ancor che triste, e che l’affanno duri». E la Vita solitaria  fluttua soltanto agli occhi di chi non vegga l’umtà e  la sintesi che ne è tema (neU’anima, s’intende, del poeta,  e quindi in ogni parte della sua poesia) tra la fresca c  solenne beUezza della natura e il sospirante solingo muto,  che non trova in essa pietà (« E tu pur volgi Dai miseri  lo sguardo; e tu, sdegnando le sciagure e gh affanni,   alla reina FeUcità servi, o natura »).   Ma in tutto il volumetto non si trova una pagina in  cui propriamente il Bertacchi affisi la poesia del Leo¬  pardi invece di vagare nei suoi cari sensi ulteriori.   Dei quali a volte sente come il bisogno di scusarsi, dicendo  per esempio delle Ricordanze che, dopo avere sentito col poe¬  ta, «poi è naturale, è umano che noi, da p a r t e n o s t r a,  riviviamo tutti quei sensi di vita che, sia pure a cagione  di rimpianto, quivi il poeta rievoca; che essi nell’anima  nostra, non afflitta da queUe cagioni, lascino pure qualcosa  della originaria dolcezza; è umano che le stelle dell Orsa  e le lucciole del giardino e il canto della rana remota e  j viah odorati e i cipressi e il chiaror delle nevi si ag¬  giungano, come sorte da noi, alle sensazioni già  nostre, ai retaggi deU’essere nostro»». Umano, troppo  umano, certamente. Ma che lavoro sarà questo ?    > O. c., p. 19-  » O. C., p. 12-  Sarà poesia sulla poesia ? Dovrebbe essere. Ma la  poesia, per dir la verità, non so vederla nella prosa ag¬  ghindata, saltellante e retoricamente sonante del Ber-  tacchi. « Ma il dono che G. Leopardi fece a se stesso ed  a noi, godendo e mettendoci a parte di tante scene se¬  rene, non è il significato maggiore della complessa sua  opera, cede, per importanza, alla virtù ivi profusa di  vivere della natura e di comunicare con essa, quali ne  siano gli aspetti, quali ne siano gli effetti ». « Corrispon¬  denza tra la natura e lui, che era in se stessa, per lui,  elemento e ahmento di vita ». « Quelle mitologie che, sia  pure fingendo e trasfigurando, ci definiscono innanzi la  visione delle cose, non le sgombrano forse di quell’aura  d’arcano e di vago che è tanto cara al poeta, conforme  all’ inconscio e aU’ ignoto onde è come infusa ed effusa  la fanciullezza dei singoli, la giovinezza dei popoli ».  «Momenti e motivi reali, più che di pura idea, sono que’  tocchi ed accenni di cui venimmo parlando; son temi  di canto, perché ci son dati da tale che tutto era uso ad  avvolgere in aura di poesia.... i temi son temi e temi  che, comunque, ci attestano come la stessa malia delle  sensazioni infinite fosse cagione per lui a meglio indugiar  sulle cose ed a sorprenderle meglio ne’ loro attimi sacri » ».   Né sarà poesia la ritmica prosa, in cui il Bertacchi  ama troppo spesso cullarsi per jiagine e pagine, dove  forse i sensi ulteriori gli soccorrono più lenti alla fan¬  tasia. Ecco, per un esempio, la chiusa d’un capitolo > :  « Come Saffo e Bruto, pur la Ginestra e il Pastor, le grandi  liriche sorelle nate dalle notti d’ Italia, aggiungono alle  notti medesime qualcosa che prima non c’era. Molti di  noi certamente, in qualche grande ora deU’anima, guar¬  dando i cieli notturni, sentirono ripioversi in cuore un’eco    ' 0 . c., pp. 31, 39, 2, 128.  * 0 . c., p. 108.   di quei canti stellati, e ripensando al poeta congiunto  da quei canti a quei cieli, ridissero a se medesimi: — Egli  è passato di là ». Squarci, dunque, di eloquenza, anzi  di oratoria ritmica ; alla quale potranno non mancare  gli ammiratori; ma in cui non direi che sia ricreato i]  Leopardi. Proprio il Leopardi ! Meglio, molto meglio che  quest’oratoria si volgesse a qualche altro tema di ri¬  sonanze ulteriori: per esempio a un Cavallotti.    Ili   INTRODUZIONE A LEOPARDI    Prolusione al Corso di letture leopardiane che il Comitato della  Dante Alighieri di Macerata istituì nel 1927 presso quella Università;  nella cui Aula Magna questo discorso venne pronunaiato il 13 feb¬  braio '27; quindi pubblicato nella Nuova Antologia del 1“ novembre '27.     I.    A inaugurare oggi in Italia un corso perpetuo di  letture leopardiane c’ è da essere assaliti da un certo  sgomento, per la responsabilità che si assume. E ciò  per un doppio motivo. L’uno, il più ovvio, è che il Leo¬  pardi si rajjpresenta generalmente come un maestro di  pessimismo; ed alzare una cattedra a illustrazione del  suo pensiero e della sua poesia può parere perciò tutt’altro  che opportuno in un paese che ha bisogno di reagire a  vecchie e radicate tradizioni d’indifferentismo e scetti¬  cismo e di allargare il petto ad energici sentimenti di  fiducia nelle proprie forze e ad alte convinzioni di fede  nella vita che è chiamato a vivere. Oggi sopra tutto,  che il popolo italiano è raccolto nella coscienza di grandi  doveri da assolvere e nel senso della necessità di rifare  nella disciplina, nel lavoro, negli ordinamenti civili, nella  educazione della gioventù a maschi propositi e metodi  di vita l’antica fibra del carattere nazionale. E sarebbe  questo il momento di diffondere nei giovani e nel popolo  gli ammaestramenti pessimistici del poeta, la cui poesia  non si gusta senza sentire con lui tutta la miseria di questa  vita e l’inanità d’ogni sforzo che si faccia per medicarla?   Motivo grave di esitazione e titubanza; ma che, lo  confesso, non turba tanto l’animo mio quanto l’altro  che vi si aggiunge a far temere un pericolo nella istitu¬  zione che oggi si inaugura. Giacché chi abbia anche una  elementare conoscenza della poesia leopardiana, sa bene  che il suo pessimismo non ha mai fiaccato, anzi ha rinvigorito gli animi; e lungi dallo spegnere, ha infiam¬  mato nei cuori la fede nella vita, nella virtù e negl’ ideali  che fanno degna e feconda la vita umana degl individui  e dei popoh. Ma il più preoccupante sospetto è che Leo¬  pardi, come già altri poeti e sopra tutto Dante, argo¬  mento di letture pel pubbhco, diventi anche lui materia  di quel malfamato genere letterario che troppo è stato  coltivato negh ultimi tempi dagl’ Italiani, e che dicesi  delle «conferenze»; genere che vorremmo avesse fatto  il suo tempo, e potesse ormai relegarsi tra le smesse abi¬  tudini dell’anteguerra. Giacché bisogna che gl’ Italiani si  persuadano che, se si vuol far davvero, e stare tra le  grandi Potenze, ed essere un popolo vivo, serio, temibile,  realmente concorrente con gli altri popoli che sono alla  testa della civiltà nel dominio del mondo materiale e  morale, bisogna romperla col passato. Dico col jiassato  dell’accademia e della «letteratura», dei sonetti e delle  cicalate, degli eleganti ozi e trattenimenti per dame e  colti signori in cerca di onesti passatempi, più o meno  noiosi; in cui ogni argomento era buono purché legger¬  mente, discretamente, spiritosamente trattato, o agitato  con oratoria adatta a mover gli affetti e guadagnare  gli applausi: ma in cui né dicitore mai, né ascoltatori  debbano sentirsi impegnati, pel solo fatto di parlare o  di ascoltare, a sentire seriamente, schiettamente, con  tutta l’anima, e a pensare, a trarre da quel che si dice  o si apiilaudisce, conseguenze che siano norme di con¬  dotta e quasi cambiali che prima o poi scadranno e si  dovranno scontare. La conferenza, si sa, non è un di¬  scorso da comizio, in cui oratore e pubblico, in buona  fede, e anche in mala fede, compiono un’azione e si pre¬  parano a compierne altre; e non vuol essere una predica,  che debba edificare un uditorio di fedeli. L’ ideale è che  nessuno vi sbadigh ma neppure vi s interessi tropjio,  nessuno vi si riscaldi; e a trattenimento finito, ognuno   Si    ge ne torni a casa con lo stesso animo — vuoto — con   è venuto alla conferenza.   Ideale vecchio per gl’ Italiani. Sorse e si sviluppò  durante il Rinascimento, quando dall’umanista venne  fuori il letterato, e nacquero, fungaia che si estese rapi¬  damente per tutto il suolo del bel Paese, tutte quelle  accademie dai nomi strani e burleschi che attestavano  es«i stessi la frivolezza dei propositi e la spensieratezza  jegli studiosi perditempo che ■\’i si riunivano; accademie,  che pullularono in tutte le città e borghi d’ Italia dalla  nietà del Cinquecento in poi, e di cui molte ancora resi¬  stono al sorriso, al sarcasmo e al fastidio degli spiriti  nioderni e alla storia, e vivacchiano oscuramente sul  margine dei bilanci dello Stato nelle provincie e anche  nelle maggiori città ricche di tradizioni letterarie, a danno  delie istituzioni più utili e più serie. All’ombra delle ac¬  cademie vegetò tutta la vecchia cultura italiana, esanime  e priva d’un profondo contenuto e interesse religioso,  morale, filosofico, umano; poesia senza ispirazione, filo¬  sofia alla moda, erudizione per l’erudizione, scienza per  la scienza, nessuna fiassione, né anche nella letteratura  politica, che legasse il pensiero alla persona e la persona  al suo pensiero. Una repubblica delle lettere, in cui l’uomo  non era cittadino della sua patria, né padre della sua  famiglia, né credente della sua religione, ma puro spirito  innamorato di astratte forme, senza attinenza con la  pratica della vita e con la realtà degl’ interessi personali.  Cultura intellettualistica, di cervelli magari pieni zeppi  di notizie peregrine e di squisite nozioni e raffinatezze  di arte, ma senz’anima, senza cuore, senza né odi né amori.  Cultura estranea alla vita; che era poi vita senza cultura,  cioè senza riflessione e senza idealità ; la vita degli uomini  proni alla frivolità e agl’ interessi particolari, chiusi ad  ogni alto e generoso sentimento e ad ogni idea la cui  attuazione richiedesse fatica e sforzo.    6. — Gentile, MaiXrZoni e Leopardi.  Chi non conosce queste debolezze dello spirito italiana  nei secoli della decadenza ? Chi non sa che 1’ Italia ^  risorta tra le nazioni quando s’ è vergognata di quella  cultura e di quella letteratura, e con Parini ed Allieri  ha cominciato a sentire che il poeta dev’essere pur uoiuo  e che poesia, come ogni altra forma d’ingegno, vuoi  dire pure volontà, carattere, umanità ? Chi non sa che  j)ur dopo la miracolosa risurrezione di quest’attesa fra  le genti, come fu delta 1’ Italia, si sentì che essa sarebbe  stata una creazione effimera ed insignificante senza gl;  Italiani ? Cioè senza Italiani che cominciassero a unire  e a fondere insieme quel che avevan sempre diviso, l’in.  teUigenza e la volontà, la letteratura e la vita, la scienza  e gl’ interessi concreti e attuali deH’uomo, facendola  finita jier sempre con l’accademismo e con la rettorica  e con tutta la vecchia sapienza scettica dell’ « altro è il  dire e altro è il fare », per cominciare a prender sul serio  tutto, a lavorare tenacemente, a sentire come proprio  r interesse comune, a stringere la propria sorte a quella  della patria, a sentirla perciò questa patria come intima  a sé e tale da meritare che per lei si viva e che per lei  si muoia ? Chi non sa che la vecchia Italia rifatta di fuori  si doveva pur rifare di dentro ?   Questa almeno l’aspirazione del Risorgimento. Ma  venuto meno lo slancio morale di quell’età eroica, tale  aspirazione si attenuò e fu meno sentita; e nei riposati  tempi di pace e di raccoglimento succeduti al periodo  agitato della rivoluzione e della formazione del Regno,  certi vecchi spiriti dell’anima italiana tornarono a galla;  nel rifiorire della cultura (che certamente molto s’av¬  vantaggiò di quei decennii ultimi del secolo scorso, in cui  r Italia parve godersi le prospere condizioni acquistate  con l’unità) risorse con gioia l’antico gusto idillico c ar¬  cadico della letteratura, della cultura intellettualistica ed  elegante; e da Firenze, centro di questa rifioritura letagraria, fecero epoca le conferenze prima sulla vita ita¬  liana e ]50Ì sulla Divina Commedia. L’esem]no fu imitato  jn tutte le principali città, e i conferenzieri più brillanti  f celebrati viaggiavano da una tribuna all’altra recando  j„ giro le loro arguzie, i loro motti ed aneddoti, le loro  pagine patetiche e scintillanti, a gran diletto, si diceva,  del lor^^ pubblico di dilettanti di cultura a buon mercato.  Perché a certe conferenze, con certi nomi, di dire che  l’ora é lunga a passare pochi hanno il coraggio.   Leopardi non può esser materia di conferenze ! Vi si  ribella la pudica delicatezza della sua anima sensibilis¬  sima, che cerca i luoghi solinghi e i silenzi della notte  dove il suo canto possa spandersi in una religiosa ele¬  vazione di tutto il cuore verso l’eterno e l’infinito; dove  il pastore po.ssa interrogare la luna, e l’uomo stare a  fronte della natura, e ragionare tra sé e sé de’ più gelosi  segreti del suo cuore. Vi si ribella la religiosa austerità  del suo spirito tormentato dal mistero del dolore univer¬  sale. Non amerebbe egli, schivo com’era e orgoglioso  della sua solitaria grandezza, mostrarsi al pubblico e far  suonare la sua voce esile e tremante di commozione in  mezzo a un numeroso uditorio distratto e proclive a  mondani pensieri e a cure di frivola oziosità o di vanità  letteraria.   No, quanti amano il Poeta, non tollereranno che  anche Leopardi venga alle mani dei pedanti, dei letterati,  dei conferenzieri; e che ei diventi materia e pretesto di  vane esercitazioni onde gli animi si alienino dai problemi  che fanno yiensoso ogni uomo che viva e rifletta sulla  sua vita con vigilante coscienza morale. E io inizio questo  corso formulando il voto e, per cyuanto è da me, fermando  il programma, che qui sia sempre vivo e presente il Leo¬  pardi poeta, che è il Leopardi degli uomini, e non il Leo¬  pardi dei letterati, degli accademici, dei curiosi, dei pet¬  tegoli e dei perditempo.    li.   Giacché Giacomo Leopardi fu anche un erudito ap.  passionatissimo ; anzi, ricorderete, si rovinò la comples.  sione e si precluse la via a ogni godimento della vita per  la furia con cui nella età più giovanile si gettò sugli studi  per puro amore di sapere. Per molti anni aspirò, finché  la perduta salute e la vista indebohta non gli ebbero  create difficoltà insormontabili, ad essere un filologo  consumato. Delle questioni letterarie, un tempo delizia  degli accademici, fu anche lui studiosissimo, ancorché  ironicamente guardasse dall’alto, per la coscienza che  ebbe del suo più squisito gusto e della sua più perfetta  dottrina, le accademie italiane antiche e recenti. Ma  la sua anima non si chiuse né nella filologia, né nella  letteratura. Se ne servì come di strumenti a vedere e  sentire più addentro nel proprio animo, e di grado in  grado elevarsi alla sua forma di poetare. Egli (e la prova  più manifesta è in quel suo diario dello Zibaldone) visse  sempre raccolto e concentrato in se stesso: osservando  la vita, studiando gli uomini, speculando sulla natura e  sull’anima umana, indagando i destini dei mortali e le  forme onde l’uomo rifrange nel suo cuore e nel suo iiensiero  la luce di tutte le cose, da cui si vede attorniato. Il suo  pensiero è una continua, commossa meditazione su se  stesso, in forma che ora rimane un filosofema, ora as¬  surge a fantasma, e vibra e rifulge agli interni occhi  trepidanti.   Leopardi, con diversa temperie spirituale e cultura  diversissima, è dell’età stessa del Manzoni : figlio di  quella nuova Italia che guarda la vita religiosamente, e  ne sente il valore e la serietà; profondamente differente  da quella anteriore aH’Alfieri e al Farmi, quando i poeti  italiani cominciarono ad accorgersi che nella stessa poesia  c’è il vuoto se non c’è tutto l’uomo; l’uomo, che è legaio    da intìniti vincoli e in tutti gl’ istanti della sua vita    a una divina realtà, governata da leggi che domano e  annientano ogni arbitraria velleità dei singoli; a una  realtà, in cui il singolo uomo viene a trovarsi nascendo  da cui si diparte morendo, ma in cui deve inserire e  jnserisce, con 0 senza frutto e vantaggio, ogni sua azione,  ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni suo pensiero o sen¬  timento, durante tutta la vita, dal dì della nascita a quello  jella morte. Anche Leopardi, razionalista e irrisore di  superstizioni e di dommi, è uno spirito profondamente  religioso, sempre faccia a faccia del destino: incapace di  abbandonarsi a qualsiasi sorta di dilettantismo, e di  prendere alla leggiera i problemi della vita. Sul suo viso  è sempre un sorriso di austera, solenne mestizia, e si  scorge il pacato accoramento dell’uomo che non riesce  a distrarsi in vani divertimenti, neppure nel mondo sub-  biettivo del pensiero e dell’ imaginazione : tutto preso  dalla considerazione ine\'itabile del mondo, in cui l’uomo,  ed egli in particolare, si sforza di vincere il dolore. Per  questa sua costituzionale religiosità Leopardi non fu  soltanto un poeta, ma fu anche un filosofo, allo stesso  titolo e per la stessa ragione del Manzoni.    HI.   Bisogna intendersi. Se domandate ai filosofi, diciam  così, di professione, ai filosofi cioè che tengono a distin¬  guersi dal resto degli uomini, essi vi risponderanno che  Leopardi filosofo non fu, non ebbe un sistema; e le idee  speculative che si formò per la lettura dei filosofi recenti  più affini al suo modo di sentire, non ebbero da lui svol¬  gimento e impronta personale, perché non furono fecon¬  date da una sua speciale ispirazione. Accettò, riecheggiò,  Ria senza elaborare quel che accettò, senza svilupparlo,  ordinarlo e potenziarlo a nuova forma sua propria di verità. In una storia della filosofia ei perciò non può trovar  posto; quantunque di lui non si possa non parlare di¬  stesamente in un quadro della cultura filosofica della  prima metà del secolo passato. In questo senso, d’ac¬  cordo, Leopardi non fu un filosofo.   Ma c' è un altro senso in cui si deve parlare della  filosofia; ed è quello poi per cui la stessa filosofia dei  filosofi è una cosa seria, va rispettata, e può interessare  tutti gli uomini, e non essere una malinconica fantasti¬  cheria di gente che viva fuori del mondo. Ed è quello  per cui c’ è la filosofia di quelli che inventano nuovi si¬  stemi filosofici; ma c’è anche la filosofia di quelh che,  senza inventarne, li cercano questi sistemi nei libri dove  sono esposti, e leggono questi libri, li studiano, ne fanno  prò, li gustano, han bisogno di farsene nutrimento e  forza dello spirito, in cerca di risposta a domande che  sorgono spontanee dal fondo della loro anima, insistenti,  invincibili, e che essi perciò non saprebbero reprimere e  far tacere. Talvolta questi filosofi-lettori sentono il pun¬  golo dei problemi dei filosofi-autori, e fanno perciò ressa  intorno a costoro, jjer averne soddisfazione ai bisogni da  cui sono senza tregua assillati. Giacché, insomma, la filo¬  sofia, come la poesia, non è privilegio né monopoho dei  pochi quos aequus amavit luppiter] ma è in fondo allo  spirito umano, e quindi nell’animo di tutti. Soltanto,  c’ è chi si distrae e corre e si disperde per le cose e gl’ in¬  teressi esteriori, senza mai per altro dissiparsi a tal punto  nelle esteriorità da non portare in tutto l’accento, per  quanto leggiero, della sua personalità; e c’ è chi si ripiega  e raccoglie in sé, e dentro di sé cerca, trova e coltiva il  germe della sua vita e del suo mondo.   In questo senso più largo e fondamentale il Leopardi  fu squisitamente filosofo: e stette sempre anche lui con  gli occhi intenti, ansiosi, sopra il mistero della vita, quale  ad ogni uomo che sente e che pensa esso si presenta in jiìczzo a tutte le idee quotidiane, di tra il confuso agitarsi  passioni svariate che gli tumultuano incessantemente  pel cuore. Giacché ogni uomo che sente, non può vivere  così spensierato e abbandonato all’ istinto da non av¬  vertire che la sua vita non scorre tranquilla com’acqua  sopr^ un letto già scavato e terso. Sono sempre ostacoli  da superare, bisogni da soddisfare, desideri! non ancora  appagati e ondeggianti tra la speranza e il timore; e la  gioia offuscata sempre dal dolore, che, vinto, risorge in  mezzo allo stesso ]ùacere; e nell’alterna vicenda di vittorie  e sconfitte, cadute e risorgimenti, speranze e disinganni,  giubilo e scoramento, in fondo, alla fine, uno sparire  totale di tutto, un disseccarsi e inaridirsi definitivo della  sorgente stessa, a cui l’uomo accosta ad ora ad ora le sue  labbra assetate; il nulla, la morte. La morte, che ci at¬  terrisce prima di colpirci, toghendoci per sempre e an¬  nientando intorno a noi tante delle nostre persone care,  con cui ci era comune la vita, in guisa che la morte loro  ci pare la morte di una parte di noi. E che è questa  morte ? e che questa vita che precipita fatalmente nella  morte ? Che è questo bisogno di cui viviamo, di non  arrenderci a questo fato, che infrange ad una ad una  tutte le nostre speranze, disperde tutte le nostre gioie,  ci priva di tutti i nostri beni, ci chiude dentro mille osta¬  coli. ci combatte, c’ insegue, ci sbarra la via, e non ci  concede tregua finché non ci abbatta per sempre ? Nascere  è entrare in una lotta, che di giorno in giorno richiede  sempre nuove e maggiori forze, e una volontà sempre  più agguerrita, per vincere una battaglia sempre più  aspra. Svegliarsi ogni mattina è, presto o tardi, pronti  0 lenti, rispondere all’appello delle cose, della natura, del  destino, che ci attende, e ci spinge a nuove fatiche per  soddisfare i nuovi bisogni che riempiranno tutta la no¬  stra giornata. Per gli uni la vita sarà più facile, o men  difficile: ma per tutti è una scala, che bisogna salire;  salire sempre; da un gradino all’altro: sempre più  senza fermarsi mai.   Ma, appena l’uomo che ha un cuore, sente quest  affanno e scorge, anche da lungi, la tragedia e la catastrofe”  non può non interrogarsi e riflettere se a questa lotta ché  par destinata a una sconfitta assoluta egli abbia forz.  sufficienti, o se non sia un’ illusione questa jier cui egfi  confida a volta a volta di poter affrontare la lotta stessa  per conquistarsela la sua gioia, e farsi insomma una vita  sua, quale ei la vagheggia, filiera dai mali la cui minaccia  mette in moto la sua attività; e se egli non debba aprire  gli occhi, e riconoscersi vittima del giuoco inesorabile  della natura, granello di polvere sperduto nel turbine, o  ruota di un ingranaggio universale, il cui combinato  movimento non s’arresterà né devierà mai, e dentro i]  quale ogni sforzo di volontà non può essere, esso mede¬  simo, al pari delle idee e dei sentimenti che lo solleci¬  tano, se non un necessario effetto di una causa necessaria  predeterminato ab eterno in eterno. £ il mondo, in cui  si svolge la nostra vita, una realtà massiccia, tutta chiusa  neUa sua natura e nelle sue leggi, immodificabile, e noi  dentro di esso, tutt’uno con tutte le altre cose, anche  noi mossi dalla forza irresistibile del destino ? 0 siamo  noi veramente capaci di metterci di fronte a ciuesto  mondo, modificarlo con la nostra opera, con la nostra  volontà, e al di sopra delle ferree leggi del meccanismo  naturale col nostro amore, con l’impeto dell’animo no¬  stro innamorato dell’ ideale, instaurare una legge che sia  la norma del bene e di un mondo spirituale dotato di  un valore assoluto ? E se non fosse possibile questo  mondo superiore, in cui il bene si distingue dal male,  e c è una verità che si oppone all’errore, come si potrebbe  pensare lo stesso mondo inferiore e quella natura spie¬  tata tutta chiusa nel suo meccanismo, la cui afferma¬  zione implica che si ritenga vera? E se a questo mondo superiore, alla cui esistenza occorre l’attività libera dello  spirito che sceglie il bene e si apprende alla verità re-  sping^n*^® contrario, se ne contrappone un altro che è  la nepzione della hbertà, come si farà ad ammettere  che sia libera la natura umana, circondata e condizio¬  nata da una natura che è l’opposto della hbertà ?   Pensieri, che il filosofo più esperto mette in formule  stringenti, e scruta a fondo; ma che confusamente, e  non perciò meno tormentosamente, affiorano in ogni  umana coscienza, e ora vi gettano lo sgomento, ora v’ in¬  fondono la fede di cui ogni uomo ha bisogno per non  fermarsi e cadere. Giacché 1 uomo non dà un passo senza  credere di poterlo dare; senza pensare che c’è una mèta  innanzi a lui da raggiungere, e che quella è la via buona  per giungervi. E quando questa convinzione gli manchi,  e gli manchi del tutto, allora non gli resta che rifugiarsi  nell’ Èrebo, come la misera Saffo. O la fede, o la morte.   Ci sono mezzi termini, ma per gh uomini che pen¬  sano e sentono poco, e perciò si cUstraggono. Nessuno  invece sentì mai cosi acutamente come il nostro Leo¬  pardi. nessuno vi pensò mai con tanta insistenza, e ne  trasse espressioni di tanta umanità. Poiché il Leopardi  se fu un filosofo in largo senso, fu poi, viceversa, un poeta  in senso stretto. Il che vuol dire, che le sue convinzioni  filosofiche non gli rimasero nella testa; ma gli scesero  al cuore, e \'i si abbarbicarono, e furono la sua persona,  lui stesso, la sua anima, 1 immediato sentimento, in cui  \ibrò a volta a volta tutto il suo cuore. La sua concezione  della vita, come or ora vedremo, si chiuse in poche idee,  ma queste si fusero e colarono ardenti sulla stessa fiamma  della sua passione viva, e quindi fiammeggiarono in  accenti e fantasmi di poesia. La quale questo ha di pro¬  prio, a differenza della scienza ragionata e del sapere  speculativo; che in questi il pensiero si spersonahzza e  si stende in una tela universale, che ogni intelligenza può SÌ ritenere, e far sua, e viverne anche, ma elevandosi  sopra di sé e quasi uscendo da sé, e mediandosi, cioè  svolgendosi, e quasi aprendo e dilatando il nucleo vivente  della sua individualità, in guisa da parere che non senta  più né affetti, né passioni, né gioie, né dolori, assorta  nella contemplazione del suo oggetto. Laddove la poesia,  lungi dall’alienare da sé il soggetto, lo stringe a se stesso,  e lo fa vedere immediatamente così come esso è, dentro  di se medesimo, chiuso nel suo sentire, fremente nel  brivido della sua subbiettiva interiorità, nel suo essere  e nel suo atteggiamento non ancora mediato, sviluppato,  riflesso, ragionato e disindividuato. Lo scienziato cerca  e trova la verità che è di tutti, astrattamente obbiettiva,  in guisa che non par più né anche spettacolo di occhi  umani od oggetto conformato alla mente che lo pensa;  e il poeta in^’ece non cerca e non trova se non se stesso:  l'amore o qual’altra passione gli detta dentro le parole  in cui egli si esjirime.   In questa immediatezza, spontaneità e quasi natu¬  ralità dello spirito poetico è il segreto della miracolosa  potenza della poesia, raffigurata dagli antichi nella virtù  incantatrice della lira di Orfeo, che traeva a sé e trasci¬  nava non pure gli uomini che riflettono, ma le fiere che  solo sentono. Perciò la poesia, quantunque richieda  anch’essa cultura e finezza spirituale, risultato di studio  e di educazione, s’appiglia al cuore dei semplici e delle  moltitudini, invade gli animi, conquide e trae seco non  per virtù di persuasivi e irresistibili raziocinii, ma, ap¬  punto, d’un tratto, immediatamente, quasi per divino  miracolo. Perciò Tefficacia e la virtù diffusiva dell’arte  è senza paragone superiore a quella della filosofia.   Perciò quella filosofia, che fu nel Leopardi sentimento  e diventò sublime poesia, ha una potenza infinitamente  maggiore di qualunque più sistematica filosofia; e se si  chiudesse nel gretto circolo di una concezione pessimistica della vita, non sarebbe, a dir vero, prudente accor¬  gimento di educatori del popolo italiano erigere qui una  cattedra a commento ed esaltazione di essa. I filosofi,  per raggiungere la loro verità, devono salire l’erta fati¬  cosa del monte; e giunti alla cima, vi restano per solito  in una solitudine magnanima, anche a malgrado della  moltitudine che dal basso sogguarda e sogghigna. I poeti  si traggono dietro il popolo, toccandone il cuore anche  lievemente, con quella loro arte che « tutto fa, nulla si  scopre ». Il Leopardi è tra essi; ma materia del suo  canto è la sua filosofia.    IV.   E qual è dunque il contenuto di questa sua filosofia ?  Quello che abbiamo già detto dei problemi filosofici, che  spontaneamente sorgono dal fondo del pensiero umano,  ci apre la via a chiarire le idee che furono la vita intel¬  lettuale e sentimentale del nostro Poeta. 11 quale su quei  problemi martellò il suo pensiero; e di quei problemi  vagheggiò soluzioni, che scossero profondamente il suo  animo. E sono i problemi fondamentah o massimi della  filosofia: che è pensiero umano derivante dal bisogno  di assicurare all’uomo la fede che gli è indispensabile  per vivere: la fede nella propria libertà; ossia nella pos¬  sibilità che egli ha, e deve avere, di esercitare un suo  giudizio, di conoscere una verità, di agire, e farsi un  suo mondo, conforme cioè alle sue aspirazioni e a’ suoi  ideali e non dibattersi vanamente in una rete di illusioni  e di sforzi infecondi. Bisogno, rispetto al quale ogni filo¬  sofia materiahstica, evidentemente, è una filosofia fallita;  la quale, logicamente, se l’uomo non si risolvesse da  ultimo a non lasciarsi più guidare dalla logica e ad ab¬  bandonarsi all’ istinto, dovrebbe condurre l’uomo, come  ho detto, al suicidio.  Ora Giacomo Leopardi, ogni volta che si trovò a fare  di proposito una professione di fede, fu esplicito nel  manifestare la sua adesione alla filosofia sensualistica e  materialistica del secolo XVllI; e il Frammento apocrifo  di Stratone di Lampsaco, inserito nelle Operette morali, è  una dichiarazione del suo proprio pensiero, quale, per  altro, si ripercuote in una buona metà de’ suoi scritti  in prosa e in verso. Poiché da per tutto egh si vede in¬  nanzi quella natura simbolicamente rappresentata nel  Dialogo della Natura e di un Islandese', la quale non sa  e non si cura dei desiderii né delle sofferenze umane;  natura grande, enorme, infinita, la quale racchiude in  sé tutto, e non conosce perciò l’uomo che pretende di  contrapporsele, di deviarla dal suo corso, piegarla alle  proprie tendenze, conformarla a quei fantasmi di una  vita bella ideale, che egli si finge e pretende di far valere  in concorrenza della dura, quadrata realtà che lo fron¬  teggia. Questa perciò, conosciuta che sia, spezza ogni  umana velleità, e aggioga l’uomo al dominio universale  delle leggi di natura: dove non c’è bene né male, ma  tutto è necessario, tutto accade perché, data la causa  che lo determina, non può non accadere; e la stessa ne¬  cessità ha ogni umano pensiero o volere, che non deriva  da un principio autonomo, che si faccia centro di una  vita superiore e indipendente, avente in sé la propria  misura, ma è effetto del generale meccanismo, che si  abbatte sulla così detta anima umana attraverso le sen¬  sazioni e gh appetiti che queste producono.   Filosofia materialistica, dunque. Ma è questa, in  conclusione, la filosofia del Leopardi ? Io \’i invito a ri¬  flettere che c’ è due modi di giungere a conclusioni ma¬  terialistiche : uno proprio degh spiriti poco sensibih, che,  raggiunte quelle conclusioni, vi si rassegnano: le trovano  inevitabili, e si fanno un dovere, il cui adempimento  non costa a loro grande fatica, di accettarle senza reazione  di sorta; e l’altro invece proprio di quegli altri, che se  non trovano la via di affrancarsene, e scoprirne l’errore  e la manchevolezza, ne soffrono, e vi reagiscono contro,  e vi si ribellano con tutta la forza del loro sentimento,  che ò come dire della loro stessa personalità. I secondi  non riescono ad affisarsi tanto nella visione di quella  natura che è opposta alle esigenze morali proprie del¬  l’uomo, da restarvi come assorbiti, dimenticandosi af¬  fatto di queste esigenze, e cioè della lor propria natura.  Il loro tormento, la loro angoscia nasce appunto da questo  stridente contrasto, di cui essi infine vengono a fare  l’esperienza, e a vivere. La realtà finale, al cui cospetto  vengono a trovarsi, non è una sola, ma duplice: da una  parte, la natura disumana, in cui tutte le luci onde s’il¬  lumina la via dello spirito si spengono; e dall’altra,  questa realtà fiammeggiante e splendida, che arde dentro  di loro, e alla cui luce, infine, essi comunque guardano  e vedono la prima. Giacché anche questa è oggetto di  una affermazione, in cui lo spirito umano manifesta la  fede che ha nelle proprie forze e nella propria capacità  di distinguere il vero dal falso, e di appigliarsi al primo  in quanto esso è opposto al secondo. La realtà che è lì  di fronte allo spirito, è sì quella realtà naturale, materiale,  meccanica, chiusa e impervia ad ogni idealità, inconci¬  liabile con qualsiasi concetto di libertà; ma il contrap¬  porsi di essa allo spirito importa pure l’opporsi dello  spirito ad essa: dello spirito, che è una realtà dotata di  attributi contrari a quelli con cui vien pensata l’altra.  E per ammettere questa, bisogna ammettere prima quella ;  senza la quale mancherebbe lo stesso pensiero, a cui si  chiede tale ammissione. E chi dice pensiero, dice libertà.  Dunque ? Siamo liberi ? Possiamo cioè col nostro pensiero,  con la nostra volontà, crearci il mondo che ci sorride  alle menti innamorate; il mondo della verità, delle cose  belle e buone, a cui il nostro cuore tende con irresistibile  slancio ? E come spiegar l’ali, onde noi vorremmo in-  nalzarci nel libero cielo dell’ ideale, se esse urtano sul  muro di bronzo di questa materiale natura, che ci at¬  tornia e stringe da tutte le parti, dalla nascita alla morte ?   Ecco l’esperienza del Leopardi, ecco la sua lìlosofìa,  che è molto ]ùù complessa del semjjlicismo materialistico;  ed essa è il reale contenuto della poesia leopardiana:  quella filosofia fatta sentimento e persona, che ho detto  esser materia al canto del Poeta recanatese. 11 quale non  si rassegna alla pura affermazione materialistica, perché  la ricca e sensibilissima vita morale che gli riempie il  cuore, è la negazione del materialismo; e poi perché egli  è un poeta, e come ogni poeta crede nel suo mondo, lo  prende sul serio; e questo suo mondo è la ])rova più  luminosa della sua capacità creatrice e della sua libertà.   Si consideri che questo è uno dei caratteri principali  dell’arte : che laddove l’uomo pratico, lo scienziato, l’uomo  religioso, lo stesso filosofo può sentirsi legato a una realtà  che prcesiste alla sua azione, alla sua ricerca scientifica,  alla sua preghiera o alla sua speculazione, che è in sé  quello che è, con le sue leggi, a cui l’uomo deve arren¬  dersi e subordinarsi, l’artista crea il suo mondo e, pre¬  scindendo nella sua fantasia dalla realtà preesistente,  celebra la sua assoluta libertà, arbitro della nuova realtà  che egli si finge, e in cui vive, e si aliena dal mondo natu¬  rale dell’uomo comune e della sua stessa vita ordinaria:  sì che il suo sogno diventa a lui cosa salda, e si slarga a  orizzonti infiniti, e gli fa sentire il gusto deH’cterno e  del divino. La poesia del Leopardi ribocca e freme di tre¬  pidante tenerezza per le vaghe immagini figlie dell’arte  sua: per quelle dolci parvenze che un po’ gli sorridono  e poi, a un tratto, lo abbandonano rapite via dalla cor¬  rente di quella disumana realtà, che ignora il dolore  che essa cagiona ai cuori teneri e gentili. E insieme con  le immagini belle, gli arridono tutte quelle che una volta egli dice le « beate larve », familiari agli uomini non an¬  cora giunti alla conoscenza del tristo vero, ossia non  ancora spinti dalla malsana riflessione alla disperazione  (ji quella mezza filosofia, che è il materialismo: le beate  lar\e, che allietano e confortano la vita agli uomini,  nelle antiche età, e nei primi anni della fanciullezza e  della gioventù quando non ancora si sono appressate le  labbra all’amaro calice della vita; e nelle prime ore del  mattino, (juando incomincia il giorno e Tuomo non ha  riassaporato per anco la realtà, e se ne foggia con 1’ im¬  maginazione una che lo anima e alletta alla nuova fatica.  Le beate larve delle illusioni naturali e necessarie : di tutte,  cioè, le idee che formano il pregio della vita, e che quella  filosofia materialistica non potrà giustificare come dotate  di un legittimo fondamento, e pur non potrà sradicare  dallo spirito umano.   Perche illusione la virtù ? Perché illusione ogni idea  onde ebbe pregio il mondo ? Perché la vita che noi cono¬  sciamo, risponde il Leopardi, ne è la negazione. Ricordate  il dialoghetto di un venditore d’almanacchi e di un passeggere ? L’almanacco promette per l’anno nuovo tante  cose belle; ma il passeggere è scettico; «quella vita eh’ è  una cosa bella non è la vita che si conosce, ma (jueUa  che non si conosce ; non la vita passata, ma la vita futura ».  La quale però un giorno sarà passata, e allora si cono¬  scerà, e apparirà quale sarà aneli'essa, una volta sperimentata; brutta, come tutta la vita passata. 11 futuro  è il mondo che vi finge lo spirito; il mondo, dice il Leo¬  pardi, delle illusioni. Lì è la virtù che vince il male e  trionfa; lì è il sacrifizio dell'uomo per l’uomo; lì è l’amore;  lì è la fede e l’amicizia; lì è la gioia, ecc. Ma quello non  è il mondo reale. Infatti il futuro bisogna che avvenga,  e diventi passato. La realtà realizzata, quale noi possiamo  averla innanzi a noi, ed effettivamente conoscerla, quella  ci disillude, e ci dimostra che la virtù è un nome vano.  e che tutte le più vaghe speranze e gl’ ideali più cari  finiscono nel nulla.   Tant’ è che Tuomo conchiuda o per condannare come  semplici ombre fallaci tutte le illusioni, e dire che la  vita non si può governare se non in rapporto al reale  all’esistente, al mondo qual è (che è poi il passato); o  per risolversi animosamente a dir no a questo mondo  reale (che è il passato senza futuro) e a governarsi con  l’occhio all’avvenire, dove lo trae la sua natura di es¬  sere pensante, e perciò creatore di ideali e vagheggiatore  di una vita superiore a quella puramente naturale. E Leo¬  pardi dice questo no con tutta la forza del suo animo,  con tutto r impeto della sua possente poesia. Egli è tutto  proteso verso il futuro, verso l’ideale, e torce con co¬  scienza prometeica lo sguardo dalla legge fatale che  incatena l’uomo come essere naturale alla ferrata ne¬  cessità di morte. Egli, di cedere inesperto, disprezza il  brutto poter che ascoso a comun danno impera e V infinita  vanità del tutto. Per lui   Nobil natura è quella  Ch’a sollevar s’ardisce  Gli occhi mortali incontra  Al comun fato.   E quanto a sé non cederà certo ; e alla morte può dire :   Erta la fronte, armato,   E renitente al fato.   I.a man che flagellando si colora  Nel mio sangue innocente  Non ricolmar di lode.   Non benedir....   Solo aspettar sereno   Quel dì eh’ io pieghi addormentato il volto  Nel tuo virgineo seno.   Egli è conscio dell’ invitta potenza dell’anima umana  pur nell’estrema miseria. Vivi, dice la Natura all’Anima jn uno de’ suoi dialoghi; vivi, e sii grande e infelice.  Infelice perché grande; perché sentire la infehcità è solo  jelle anime grandi, che con la loro gagharda natura si  jnettono al di sopra del mondo, che le fa soffrire, e re¬  gnano sovrane in quella superiore realtà che è propria  dello spirito. Leopardi sa che la grandezza del suo dolore  si commisura alla grandezza del suo pensiero che lo sente  e analizza e ne fa materia al suo altissimo canto; e che  un’anima volgare e torpida non saprebbe provare tutto  il dolore del Poeta, che il volgo infatti non intende e irride.  Leopardi sa che la coscienza dell’umana miseria è già  segno di grandezza. Sa che ancor che tristo, ha suoi di¬  letti il vero: che l'acerbo vero, a investigarlo, dà un amaro  gusto che piace. E poi quando l’anima, disillusa e stanca  della vita che non mantiene mai le sue promesse, si ri¬  duca infatti all’estremo della infelicità, che non è la di¬  sperazione, ma la noia >, la morte ncUa vita, non dolore  né piacere, ma il sentimento della nullità, questo terri¬  bile privilegio degli uomini, a cui la natura non ha provveduto perché non ha neppur sospettato che l’uomo vi  potesse cadere; quella noia che, a simiglianza dell’aria  «la quale riempie tutti gl’intervalli degh altri oggetti,  e corre subito a stare là donde questi si partono, se altri  oggetti non gli rimpiazzino », « corre sempre e immedia¬  tamente a riempire tutti i vuoti che lasciano negli animi  de’ viventi il piacere e il dispiacere » ’ ; ebbene, anche  allora l’anima non cade, non è vinta. Giacché, secondo  Leopardi, « la noia è in qualche modo il più sublime dei  sentimenti umani.... Il non potere essere soddisfatto da    ’ « La disperazione è molto, ma molto più piacevole della noia.  La natura ha provveduto, ha medicato tutti i nostri mali possibili,  anche i più crudeli ed estremi, anche la morte, a tutti ha misto del  bene, a tutti.... fuorché alla noia» (Zibald., IV, 112).   * Zibald., IV, 112 e VI, 126.    — Giuntile, Manzoni e Leopardi.  alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera;  considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il nu¬  mero e la mole maravigliosa dei mondi, e trovare che  tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio;  immaginarsi il numero dei mondi infinito, e 1 universo  infinito, e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe  ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accu-  sg^re le cose d’insufficienza e di nullità, e patire manca¬  mento e vóto, e pero noia, pare a me il maggior segno  di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura  umana. Perciò la noia è poco nota agh uomini di nes¬  sun momento, e pochissimo o nulla agli altri animali » ■.   V.   Su tutte le delusioni, su tutti i dolori, su tutte le  miserie, al di sopra della mole sterminata di quest’uni¬  verso, in cui s’infrangono tutte le speranze e si spen¬  gono tutti gl’ideah, l’infinità dello spirito. Quindi la  hbertà, quindi la possibilità di crearsi una vita superiore  degna delle più nobili aspirazioni connaturate all’animo  umano. Anche pel Leopardi, poca scienza pregiudica e  mortifica, ma molta scienza ravviva e ringaghardisce la  fede di cui l’uomo ha bisogno per vivere. E questa natura,  che la mezza filosofia del materialista ci rappresenta  in voley mutyignu, è pur quella natura che mette nel¬  l’animo nostro le illusioni; e se non sopravvenga la ri¬  flessione e l’opera dcU’ irrequieto ingegno dell’uomo non  più contento delle condizioni naturali della vita che egli  dapprima vive istintivamente, conforta l’uomo con l’amore,  con la pietà, con tutti gli affetti gentili che riempiono  il cuore di dolci consolazioni e di magnanimi ardimenti.    Pensieri, N. 68. Questa natura che governa Tuomo, madre benigna e pia  nell’età dei Patriarchi, nei tempi oscuri e favolosi del  genere umano, e risorge amorosa nella prima età di  ciascun uomo a infondergli con la virtù del caro imma¬  ginare la speranza nel futuro a cui egli va incontro;  questa natura, che nell’amore torna sempre a rinverdire  le speranze, e che ci fa conoscere una « verità piuttosto  che rassomighanza di beatitudine»; essa torna da capo,  quando l’uomo ha tutto conosciuto il tristo vero e vuo¬  tato il calice amaro, torna a confortare l’uomo, amica e  consolatrice. La natura del materialista è via; ma non  è punto di partenza, né punto d’arrivo. 11 savio torna  fanciullo, e alla fine, come al principio, l’uomo è alla  presenza di un mondo il quale non è quello del mecca¬  nismo, che tutto travolge e distrugge quanto a lui è più  caro, ma quello del pensiero, dello spirito umano, del¬  l’amore, della virtù. Onde ai suggerimenti egoistici della  filosofia (nel Dialogo di Plotino e di Porfirio) che indur¬  rebbe il filosofo al suicidio, Plotino può rispondere :  <iPorgiamo orecchio piuttosto alla natura che alla ragione»'.  alla natura primitiva « madre nostra e dell’universo »,  la quale ci ha infuso un certo senso dell’animo, che è  amore degli altri e che ferma la mano al suicida ricor¬  dandogli la famigha, gli amici e quanti si dorrebbero  della sua morte. Perciò a Porfirio, il filosofo che vorrebbe  togliersi la vita, il filosofo più savio, il maestro, Plotino  dirà:   Viviamo, e confortiamoci a vicenda; non ricusiamo di por¬  tare quella parte che il destino ci ha stabilita dei mali della  nostra specie ! Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un  l’altro; e andiamoci incoraggiando e dando mano e soccorso  scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica   della vita.E quando la morte verrà, allora non ci dorremo : e   anche in quell’ultimo tempo gli amici e i compagni ci conforteran¬  no: e ci rallegrerà il pensiero che, poi che saremo spenti, cosi  molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora. Perciò il De Sanctis paragonando Schopenhauer a  Leopardi, notava questo grande divario tra n filosofo  tedesco e il poeta italiano: che questi quanto più mette  in luce il deserto desolante e disamabile della vita, tanto  più ce la fa amare; quanto più dichiara illusione la virtù,  tanto più ce ne accende vivo nel petto il desiderio e il  bisogno. Perciò la lettura del Leopardi non sarà mai  pericolosa, anzi salutare e corroborante a chi saprà leg-  gergh nel fondo dell’anima. E di lui può dirsi che preso  per metà è il più nero dei pessimisti; preso tutto intero,  è uno dei più sani e vigorosi ottimisti che ci possano  apprendere il segreto della vita operosa e feconda.   La morte, anche la morte, il simbolo della fatalità  avversa che opprime ogni sforzo umano, e che pare mi¬  nacci sempre da lungi e ammonisca della inanità d’ogni  speranza e d’ogni fatica, e della nullità della vita a cui  ci sentiamo tutti legati, la stessa morte al Poeta, nella  maturità piena della sua poesia, quando il suo animo  ha più nettamente ravvisato e sentito nel profondo la  sua verità, e quasi toccato il fondo di se stesso, diventa  germana di Amore, che è pel Leopardi, come s’ è veduto,  ciò che dà verità più che rassomiglianza di beatitudine.   Fratelli, a un tempo stesso. Amore e Morte   Ingenerò la sorte.   Cose quaggiù si belle   Altre il mondo non ha, non han le stelle.   Morte diviene una bellissima fanciulla, dolce a ve¬  dere; e gode accompagnar sovente Amore:   E sorvolano insiem la via mortale.   Primi conforti d’ogni saggio core.    1 Cfr. sopra, p. 54.   2 Non vedo che abbia attirata l'attenzione della critica, come  merita, uno studio recente del prof. Cirillo Berardi, Ottimismo leo¬  pardiano, Treviso, bongo e Zoppelli, 1925-     Il Poeta sente che   Quando noveUamente  Nasce nel cor profondo  Un amoroso affetto.   Languido e stanco insiem con esso in petto  Un desiderio di morir si sente:   Come, non so: ma tale   D’amor vero e possente è il primo effetto.   Il Poeta vuol rendersi ragione di questa coincidenza,  e non vi riesce. Ma ben sente che quando si ama, non ha  più valore la vita naturale dell’ inditdduo chiuso nei suoi  limiti, di là dai quah spazia quell’ infinita natura che  fiacca ogni umana possa. Che anzi l’individuo per l’amore  scopre che la sua vera vita è di là da questi hmiti; e che  bisogna ch’egli perciò muoia a se medesimo, e spezzi  r involucro della sua individuahtà naturale, centro di  ogni egoismo, per attingere la vera vita. Perciò la morte  opti gran dolore, ogni gran male annulla. Perciò la morte  è liberatrice, affrancando lo spirito umano dai vincoli  onde ogni uomo è da natura incatenato a se medesimo,  chiuso in sé, in mezzo agli altri esseri e forze naturali,  incapace di libertà e di virtù. Amare è redimersi, en¬  trare nel mondo morale, che è il mondo della libertà.   Questo il concetto che il Poeta sentì e visse: questa  la materia del suo canto. Formiamo oggi l’augurio, che  attraverso il corso di queste letture, che inauguriamo,  tale concetto apparisca in luce sempre più chiara.     ■ t WS, '»■ ' r s»^ : 'f^’^ - 4L„-LjrvYw   ir- -4 ■-«', > .tjj, ^..i'^' ■«^’   vT^ftà •, - ■ /^{'■^S^*!,"^f^J   .'•jv,’' 4 -^ ' *-cà»{   • . fc-J/ , ^ ^ . jj| ■“    IAj . » . A-.    . '• . TVioaH! id -* lAr il -*| ' l«b-r -'    *■ SJI /^'> .>.^viiWB < .tw   ■^i'V, li^J '1* ^«i I^'•‘^■^'^' .•»'. .’l -   ‘- *• ' * fcA* iti **? ^   /.. ’ '^■*-'' »-> *■•>'• ,*-^-'. ’ *'*' ‘^B   J 1 I 1 4 , i;,* ’*'*:’^ »' / ""'* vàipì   V^f 1,4 •*, ’ <f~'i'] b(^   ' ' ■ ■ ' 16^1  ..v. , -;V «rii^^   V. t, ■ «..;# *>c-< ‘ '    1^-     ^ T    *:'3^1V "ti' ' '■■■ ”* .   . .n v .■■J*    U „U:e I. ili® '-.‘i it'i   '' j'V" ^'■ ■'’ '•^ L   LS;l; :>-i .1 :-.*^      LE OPERETTE MORALI       1    Pubblicato la prima volta negli Annali delle Università toscane (Pisa,  1916) e come proemio alla edizione con note delle Operette morali  di G. L., da me curata, Bologna, Zanichelli, 1918; 2» ed. 1925.        I.    Se si volesse considerare le Operette morali come una  raccolta delle varie parti, in cui il libro è diviso, sarebbe  tutt’altro che agevole stabilirne la cronologia. Certo, non  sarebbe consentito di starsene alle indicazioni fornite  con perentoria precisione dallo stesso autore innanzi alla  terza edizione iniziata a Napoli nel 1834. * * Queste Ope¬  rette », egli diceva, « composte nel 1824, pubblicate la  prima volta a Milano nel 1827, ristampate in Firenze  nel 1834 coll’aggiunta del Dialogo di un Venditore di  almanacchi e di un Passeggere, e di quello di Tristano  e di un Amico, composti nel 1832; tornano ora alla luce  ricorrette notabilmente, ed accresciute del Frammento  apocrifo di Stratone da Lampsaco scritto nel 1825, del  Copernico e del Dialogo di Plotino e di Porfirio, composti  nel 1827 » Intanto, non tutte le Operette furono pub¬  blicate la prima volta a Milano nel '27; giacché tre di  esse, come « primo saggio », avevano visto la luce a Fi¬  renze nel gennaio 1826, nell’ Antologia e quell’anno  stesso erano state riprodotte a Milano nel Nuovo Rico¬  glitore. Ed è pur vero che tutte le Operette, ad eccezione  di quelle che nella notizia testé riferita sono assegnate  dall’autore al ’25, al '27 e al ’32, furori composte nel  1824; perché l’autografo originale, che è tra le carte  leopardiane della Biblioteca Nazionale di Napoli, ce ne    • Scritti letterari, ed. Mestica, li, 386; cfr. p. 388.   • 61, pp. 25-43.          fa sicura testimonianza con le date apposte alle operette  singole, e tutte correnti dal 19 gennaio al 13 dicembre  di quell’anno Ma si dovrebbe pure distinguere il tempo  in cui ciascuno scritto fu steso, da quello in cui prima  fu concepito, o ne cadde il motivo fondamentale e inspi¬  ratore nell’animo del Leopardi. Giacché con qual fonda¬  mento si toglierebbe l’una o l’altra delle Operette a docu¬  mento di quel periodo spirituale che si suole infatti at¬  tribuire agli anni tra il canto Alla sua donna (settembre  1823) con i Frammenti dal greco di Simonide (apparte¬  nenti probabilmente a quello stesso tempo), e l’epistola  Al Conte Carlo Pepoli (marzo 1826), o II Risorgimento  (aprile 1828), se quei pensieri che sono caratteristici delle  Operette risalgono ad epoca più remota ? Fu già osservato j  che negli Abbozzi e appunti per opere da comporre, che  sono fra le carte napoletane, «scritti in piccoli foglietti  staccati senza indicazione di tempo » 3 , è segnato un    I Ecco le singole date, già in parte pubblicate dal Chiarini, Vita  di G. Leopardi, Firenze, Barbèra, 1905, pp. 237-38 (cfr. p. 222) e da  me riscontrate tutte sul manoscritto autografo (che si conserva tra  le Carte della Biblioteca Nazionale di Napoli): Storia del genere umano  (18 gennaio-7 febbraio 1824); Dialogo d' Ercole e di Atlante (10-13 feb¬  braio); Dialogo della Moda e della Morte (15-18 febbraio); Proposta  di premi (22-25 febbraio); Dialogo di un Lettore di umanità e di Sal¬  lustio (26-27 febbraio) ; Dialogo di un Folletto e di uno Gnomo (2-6 marzo) ;  Dialogo di Malamhruno e di Farfarello (1-3 aprile); Dialogo della Na¬  tura e di un’.dnima (9-14 aprile); Dialogo della Terra e della Luna (24-  28 aprile); La scommessa di Prometeo (30 aprile-8 maggio); Dialogo  di un Fisico e di un Metafisico (14-19 maggio); Dialogo della Natura  e di un Islandese (21-27-30 maggio); Dialogo di Torquato Tasso e del  suo Genio familiare (i-io giugno); Dialogo di Timandro e di Eleandro  (14-24 giugno); Il Parini, ovvero della gloria (6 luglio-13 agosto); Dia¬  logo di Federico Ruysck e delle sue Mummie (16-23 agosto); Detti me¬  morabili di Filippo Ottonieri (29 agosto-26 settembre; e precisamente  il cap. II ha la data del 3 settembre; il III, 9 settembre; il IV, 14 set¬  tembre; il V, 21 settembre; il VI, 24 settembre; il VII, 25 settem¬  bre) ; Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez (19-25 ottobre);  Elogio degli Uccelli (25 ottobre-5 novembre) ; Cantico del Gallo silvestre  (10-16 novembre); Note (7-13 dicembre).   * Da N. Serban, L. et la France, Paris, Champion, I 9 i 3 - P- ^ 5 ^ ”•   3 Avvertenza premessa agli Scritti vari ined. di G. L. dalle carte  napoletane, Firenze, Le Monnier, 1910, p. v’ii.     <, Dialogo della natura e dell’uomo, sul proposito di quella  parlata della natura, all’uomo, che Volney le mette in  bocca nelle Ruines sulla fine, o vero nel Catéchisme » ' ;  dialogo, che si trova nelle Operette col titolo di Dialogo  della Natura e di un'Anima) il quale, dunque, al tempo  di quell’appunto non era scritto. Pure nello stesso fo¬  glietto, segue un « TrattateUo degli errori popolari degli  antichi Greci e Romani » (che non può essere la stessa  cosa del Saggio), e quindi subito dopo: « Comento e ri¬  flessioni sopra diversi luoghi di diversi autori, sull’andare  di quelle ch’io fo in un capitolo del F. Ottonieri»; ossia  nel penultimo capitolo dei Detti memorabili, che è delle  ultime operette del '24. Ora, se questi appunti sono per¬  tanto da ascrivere ad epoca posteriore a tale data, in  qual modo spiegarsi che del suo Dialogo della Natura  e di un’Anima l’autore parlasse come di opera da com¬  porre ? O egli non aveva neppur composti i Detti me¬  morabili, e si riferiva ai materiali che vi avrebbe messi  a profitto, e che già, come vedremo, possedeva ?   Comunque, in altra serie di appunti, relativi, come  par probabile, a dialoghi tuttavia da scrivere, e tutti  segnati nel medesimo foglietto, s’incontrano, tra gli  altri, i seguenti argomenti: Salto di Leucade) Egesia  pisitanato) Natura ed Anima) Tasso e Genio) Galan¬  tuomo e mondo) Il sole e l’ora prima, o Copernico. Ed ecco,  da capo, il Dialogo della Natura e di un’Anima, ma ac¬  canto a un altro dialogo. Galantuomo e mondo, che l’autore  abbozzò nel 1822, per tornarvi sopra nel '24, senza con¬  durlo tuttavia a termine e la sua prima idea pertanto  deve risalire almeno al 1822. E secondo lo stesso docu¬  mento, contemporanei sono i disegni primitivi di altre    ' 0 . c., p. 400.   * Vedi abbozzo negli Scritti vari, pp. 318-31. Il foglietto relativo,  riscontrato per me dall’amico prof. V. Spampanato, è nelle Carte leo¬  pardiane della Bibl. Nazionale di Napoli, nel pacchetto X, fase. 12.          io8    quattro operette, due del '24 e due del '27. Giacché,  oltre il Dialogo del Tasso e del suo Genio e il Copernico,  qui son pure facilmente ravvisabili in Egesia pisitanato  la prima idea del Dialogo di Plotino e di Porfirio > ; e nel  Salto di Leucade quella del Dialogo di Cristoforo Colombo  e di Pietro Gutierrez e in Misénore e Filénore quella  del Dialogo di Timandro e Eleandro 3. E il documento  certamente dimostra che del Plotino e del Copernico,  scritti entrambi, come s’ è veduto, nel '27, non solo il  concetto, ma anche la forma in cui il concetto si ])re-  sentò alla mente del Leopardi, non è posteriore alle  Operette del '24.   E c’ è altro. Stando alla cronologia dataci dai docu¬  menti, r Ottonieri fu composto nell’ultimo mese d’estate  del 1824; ma un’anahsi molto accurata dei singoli Detti,  riscontrati coi Pensieri di varia filosofia e di bella lette¬  ratura, ha dimostrato, in modo incontestabile, che in  questo scritto « liberamente il Leopardi raccolse dal suo  Zibaldone gh appunti più singolari e umoristici; certo  intendendo a una vaga e libera somiglianza e rispec¬  chiamento delle proprie opinioni, ma più col fine di  pubblicare qualche parte del materiale  accumulato giorno per giorno». Sicché s’è  creduto poter conchiudere che nell’ Ottonieri al Leopardi  « venne fatto un centone, non un’operetta come le altre  organicamente intessuta » 4. Scegliamo infatti un paio  d’esempi, tra i tanti che si potrebbero riferire. Nel cap.  Ili dell’ Ottonieri si legge :    > Egesia infatti è ricordato nel Plotino: p. 308.   * Cfr. quel che dice di questo Salto il Colombo a p. 233; e Pen¬  sieri, 1, 193.   3 Questo dialogo infatti originariamente recava il titolo di Dia¬  logo di Filénore e di Misénore.   4 F. P. Luiso, Sui Pensieri di G. L., nella Rassegna Nazionale,  1“ maggio 1899, p. 119.   Diceva che la negligenza e l’inconsideratezza sono causa di  commettere infinite cose crudeli o malvage; e spessissimo hanno  apparenza di malvagità o crudeltà; come, a cagione di esempio,  in uno che trattenendosi fuori di casa in qualche suo passatempo,  lascia i servi in luogo scoperto infracidare alla pioggia; non per  animo duro e spietato, ma non pensandovi, o non misurando  colla mente il loro disagio. E stimava che negli uomini l’incon¬  sideratezza sia molto più comune della malvagità, della inu¬  manità e simili; e da quella abbia origine un numero assai mag¬  giore di cattive opere; e che una grandissima parte delle azioni  e dei portamenti degli uomini che si attribuiscono a qualche  pessima qualità morale, non sieno veramente altro che incon¬  siderati.    Idee che fin dall’ ii settembre 1820 il Leopardi aveva  sbozzate nello Zibaldone dei suoi Pensieri, scrivendo:   La negligenza e l’irriflessione spessissimo ha l’apparenza e  produce gh effetti della malvagità e brutaUtà. E merita di esser  considerata come una delle principali cagioni della tristizia degli  uomini e delle azioni. Passeggiando con un amico assai filosofo  c sensibile, vedemmo un giovinastro che con un gros.so bastone,  passando, sbadatamente e come per giuoco, menò un buon colpo  a un povero cane che se ne stava pe’ fatti suoi senza infastidir  nessuno. E parve segno all’amico di pessimo carattere in quel  giovane. A me parve segno di brutale irriflessione. Questa molte  volte c’induce a far cose dannosissime e penosissime altrui, senza  che ce ne accorgiamo (parlo anche della vita più ordinaria e  giornaliera, come di un padrone che per trascuraggine lasci pe¬  nare il suo servitore alla pioggia ecc.), e avvedutici, ce ne duole;  molte altre volte, come nel caso detto di sopra, sappiamo bene  quello che facciamo, ma non ci curiamo di considerarlo e lo fac¬  ciamo cosi alla buona; considerandolo bene, noi non lo faremmo.  Così la trascuranza prende tutto l’aspetto e produce lo stessis¬  simo effetto della malvagità e crudeltà, non ostante che ogni  volta che tu rifletti, fossi molto alieno dalla volontà di produrre  quel tale effetto, e che la malvagità e crudeltà non abbia che  fare col tuo carattere    • Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura, I, 334-35.  no    Voltando appena pagina, nell’ Ottonieri si torna a  leggere;   Ho udito anche riferire come sua, questa sentenza. Noi siamo  inclinati e soliti a presupporre, in quelli coi quali ci avviene di  conversare, molta acutezza e maestria per iscorgere i nostri pregi  veri, o che noi c’ immaginiamo, e per conoscere la bellezza o  qualunque altra virtù d’ogni nostro detto o fatto; come ancora  molta profondità, ed un abito grande di meditare, e molta me¬  moria, per considerare esse virtù ed essi pregi, e tenerli poi sem¬  pre a mente: eziandio che in rispetto ad ogni altra cosa, o non  iscopriamo in coloro queste tali parti, o non confessiamo tra  noi di scoprirvele.   E anche questo pensiero, quantunque in forma com¬  pendiata a mo’ di appunto, era già nello Zibaldone, fin  dal 23 luglio 1820;   Noi supponiamo sempre negli altri una grande e straordi¬  naria penetrazione per rilevare i nostri pregi, veri o immaginari  che sieno, e profondità di riflessione per considerarli, quando  anche ricusiamo di riconoscere in loro queste qualità rispetto a  qualunque altra cosa.   E il numero di simili riscontri è tale che pochi sono  i luoghi dell’ Ottonieri di cui non si trovi la prima prova  nei Pensieri degh anni anteriori. Non sarà dunque da dire  che nel ’24 l’autore abbia dato soltanto la forma defini¬  tiva a questa operetta, facendone, come ad altri è sem¬  brato, un centone di sue osservazioni di tre e quattro  anni prima ?   Né la domanda vale unicamente per l’ Ottonieri.  Anche del Parini è stato notato che la sostanza è già  nei Pensieri scritti tra il ’20 e il ’23 b Caratteristico  questo luogo del cap. IX, dove l’autore fa dire al Parini;   Come città piccole mancano per lo più di mezzi e di sussidi  onde altri venga all’eccellenza nelle lettere e nelle dottrine; e    * V. tra gli altri B. Zumbini, Studi sul L., Firenze, Barbèra, 1902-  04, II, 42; e Losacco, in Giorn. stor. letter. Hai., XXXIV, 208.  come tutto il raro e il pregevole concorre e si aduna nelle città  grandi; perciò le piccole.... sogliono tenere tanto basso conto,  non solo della dottrina e della sapienza, ma della stes.sa fama  che alcuno si ha procacciata con questi mezzi, che l’una e l'altre  in quei luoghi non sono pur materia d’invidia. E se per caso  qualche persona riguardevole o anche straordinaria d’ingegno e  di studi, si trova abitare in luogo piccolo. Tesservi al tutto unica,  non tanto non le accresce pregio, ma le nuoce in modo, che spesse  volte, quando anche famosa al di fuori, ella è, nella consuetudine  di quegli uomini, la più negletta e oscura persona del luogo....  E tanto egli è lungi da potere essere onorato in simili luoghi,  che bene spesso egli vi è riputato maggiore che non è in fatti,  né perciò tenuto in alcuna stima. Al tempo che, giovanetto, io  mi riduceva talvolta nel mio piccolo Bosisio; conosciutosi per la  terra eh’ io soleva attendere agli studi, e mi esercitava alcun  poco nello scrivere; i terrazzani mi riputavano poeta, filosofo,  fisico, matematico, medico, legista, teologo, e perito di tutte le  lingue del mondo; e m’interrogavano, senza fare una menoma  differenza, sopra qualunque punto di qual si sia disciplina o fa¬  vella intervenisse per alcun accidente nel ragionare. E non per  questa loro opinione mi stimavano da molto; anzi mi credevano  minore assai di tutti gli uomini dotti degli altri luoghi. Ma se io  li lasciava venire in dubbio che la mia dottrina fosse pure un  poco meno smisurata che essi non pensavano, io scadeva ancora  moltissimo nel loro concetto, e all’ultimo si persuadevano che  essa mia dottrina non si stendesse niente più che la loro.   Mirabile pagina, piena di verità. Ma essa trae origine  da riflessioni jiersonali e autobiografiche già dal Leopardi  segnate sulla carta fin dall’ottobre 1820;   Spessissimo quelli che sono incapaci di giudicare di un pregio,  se ne formeranno un concetto molto più grande che non dovreb¬  bero, lo crederanno maggiore assolutamente, e contuttociò la  stima che ne faranno sarà infinitamente minor del giusto, sicché  relativamente considereranno quel tal pregio come molto minore.  Nella mia patria, dove sapevano eh’ io ero dedito agli studi,  credevano eh’ io possedessi tutte le lingue e m’interrogavano  indifferentemente sopra qualunque di esse. Mi stimavano poeta,  rettorico, fisico, matematico, politico, medico, teologo ecc., in¬  somma enciclopedicissimo. E non perciò mi credevano una gran  cosa, e per T ignoranza, non sapendo che cosa sia un letterato. non mi credevano paragonabile ai letterati forestieri, malgrado  la detta opinione che avevano di me. Anzi uno di coloro, volendo  lodarmi, un giorno mi disse: A voi non disconverrebbe di vivere  qualche tempo in una buona città, perché quasi quasi possiamo  dire che siate un letterato. Ma, s’ io mostravo che le mie cogni¬  zioni fossero un poco minori ch’essi non credevano, la loro stima  scemava ancora e non poco, e finalmente io passavo per uno  del loro grado    II.   Né soltanto la cronologia diventa un problema di  difficile soluzione, una volta sulla via di siffatti riscontri.  I quali però non sono possibili se non dove si consideri  ciascun elemento del pensiero del Leopardi astratto dalla  forma che esso ha nelle Of erette. Che se si guarda a questa,  è facile scorgere, per esempio, la superficialità del giu¬  dizio, che abbiamo ricordato, per cui l ’Ottonieri non  sarebbe nient’altro che un centone di luoghi dello Zi-  baldme. E si badi, d’altra parte, a non prendere né anche  questa forma in astratto, quasi la forma speciale del  tale passo delle Operette, il quale abbia un antecedente  più o meno prossimo nello Zibaldone (quantunque, pur  così intesa, essa sia sempre nei due casi profondamente  diversa). Anche questa è una forma astratta; perché  la vera forma assunta in concreto da ciascuna parte di  un’opera è quella tal forma soltanto in relazione con  tutta l’opera, in conseguenza del motivo fondamentale,  ossia di quel certo atteggiamento spirituale, in cui l’autore  si trovò componendola. Sicché un centone si può certa¬  mente trovare anche in un’opera che abbia una salda  e vivente unità organica, ma solo pel fatto che si pre¬  scinda da questa unità, e si cominci a indagarne il con¬  tenuto, decomposto meccanicamente nelle singole parti,    • Pensieri, I, 359.  dalla cui somma a chi se ne lasci sfuggire lo spirito pare  che l’opera risulti. Che è quello che è stato fatto per le  prose leopardiane da tutti i critici che se ne sono oc¬  cupati, ora considerando e giudicando le singole operette  ad una ad una, ora sminuzzando Cuna o l’altra di esse  in una serie di frammenti facilmente rintracciabili in  altri scritti, in verso e in prosa, dello stesso Leopardi  (dando l’idea d’un Leopardi che ripeta inutilmente se  stesso), o in precedenti scrittori, massime francesi del  secolo XVIII (in confronto dei quali poi tutta l’origina¬  lità dello scrittore svanirebbe). Il maggior critico che il  Leopardi abbia avuto, il De Sanctis; se ha sdegnato  ogni ricerca analitica e mortificante di fonti e confronti,  fermo nella dottrina, che è sua gloria, dell’ inseparabilità  del contenuto dalla forma nell’opera d’arte, e perciò della  necessità di cercare il valore e la vita di quest’opera  nell’accento personale, nell’ impronta propria, onde ogni  vero artista trasfigura la sua materia; non s’è guardato  tuttavia né pur lui, di cercare la vita nelle parti, la cui  serie forma il contenuto del libro, anzi che nel tutto,  nell unità, dove soltanto può essere l’anima e l’origina¬  lità dello scrittore. E ha creduto di poter cercare, per  così dire, un Leopardi in ciascuna delle operette, presa  a sé, invece di cercare il Leopardi di tutte le operette,  che sono un’opera sola.   In primo luogo, sta di fatto che, ad eccezione del  Venditore di almanacchi e del Tristano, con cui nel '32  l’autore volle tornare a suggellare il pensiero delle Ope¬  rette, tutte le altre pullularono dall’animo del Leopardi  nello stesso tempo, da un medesimo germe d’idee e di  sentimenti, da una stessa vita. Abbiamo visto che il  Copernico e il Plotino erano già in mente al poeta quand’ei  vagheggiava il suo Tasso, il Colombo e fin lo stesso Ti-  mandro; e meditava insomma quegli stessi pensieri, che  presero corpo nelle Operette del '24; con le quah infatti,    — Gkntilb, Manzoni e Leopardi. poiché nel '27 l’ebbe scritte, l’autore sentì che dovevano  accompagnarsi. 11 21 giugno del '32 all’amico De Sinner,  che gh chiedeva scritti inediti da potersi pubblicare a  Parigi, scriveva : « Ho bensì due dialoghi da essere aggiunti  alle Operette, l’uno di Plotino e Porfirio sopra il suicidio,  l’altro di Copernico sopra la nullità del genere umano.  Di queste due prose voi siete il padrone di chsporre a  vostro piacere: solo bisogna eh’ io abbia il tempo di  farle copiare, e di rivedere la copia. Esse non potrebbero  facilmente pubbhcarsi in Italia » '. Ma avvertiva subito,  che da soU questi dialoghi non potevano andare; e il  31 luglio tornava a scrivere al De Sinner: «Dubito che  le mie due prose inedite abbiano un interesse sufficiente  per comparir separate dal corpo delle Operette morali, al  quale erano destinate»*. Quanto al Frammento  apocrifo di Stratone da Lampsaco, esso è del ’25; cioè immediatamente posteriore alle altre prose compagne;  anteriore ad ogni tentativo fatto dall’autore per pubbli¬  care le Operette. Alle quali, nelle edizioni parziali e totali  fattene a Firenze e a Milano, era ovvio che l’autore non  potesse pensare ad includerlo a causa del crudo mate¬  rialismo che vi è professato, c che le Censure non avreb¬  bero lasciato passare.   Ma, lasciando per ora da parte queste cinque ope¬  rette [Stratone, Copernico, Plotino, Venditore d’almanacchi  e Tristano) che vennero successivamente ad aggiungersi  alle prime venti, è certo che queste venti, composte tutte  di seguito in un anno di lavoro felice, furono dall’autore  scritte e considerate come parti d’un solo tutto. E quando  ebbe in ordine il suo manoscritto completo, escluse che  le singole operette potessero venire in luce alla spic¬  ciolata. Nel novembre del ’25 sperò poterle pubblicare    • Epistolario, Firenze, Le Monnier, 1907, voi. II, p. 486.   * Epistolario, II, 496.    nella raccolta delle sue Opere, che un editore amico vo¬  leva fare allora in Bologna; e, andato a monte quel di¬  segno, fece assegnamento sugli aiuti efficaci del Giordani,  al quale consegnò il manoscritto affinché gli trovasse un  editore: con tanto desiderio di vedere stampata la sua  opera, che il 16 gennaio del '26 già scriveva impaziente  al Papadopoli : « I miei Dialoghi si stamperanno presto,  perché se Giordani, che ha il manoscritto a Firenze, non  ci pensa punto, come credo, io me lo farò rendere, e lo  manderò a Milano » >. Ma da Firenze scrivevagh il Vieus-  seux il 1° marzo : « Giordani, usando della facoltà lascia¬  tagli, mi passò il bel manoscritto che gli avevate confidato,  dal quale abbiamo estratto alcuni dialoghi, che troverete  riferiti nel n. 61 deWAntologia, ora pubbhcato, eh’ io ho  il piacere di mandarvi. Graditelo come un pegno del mio  fervido desiderio di vedere il mio giornale spesso fregiato  del vostro nome; e più del nome ancora, dei vostri eccel¬  lenti scritti. Sento che queste Operette morali verranno  probabilmente pubbhcate costà, e ne godo assai pel  pubblico, e per voi, tanto più che sembrano meglio fatte  per comparire riunite in una raccolta, che spartite in un  giornale » ». Quella prima pubblicazione, dunque, non fu  altro che un saggio. Del quale il 5 lugho il Leopardi scri¬  veva all’amico Puccinotti: «I miei Dialoghi stampati  ntW Antologia non avevano ad essere altro che un saggio,  e però furono così pochi e brevi ». E soggiungeva 1 « La  scelta fu fatta dal Giordani, che senza mia saputa mise  l’ultimo per primo » 3 ; affermando così che tra i dialoghi  c’era un ordine, e ciascuno doveva tenere il suo posto.   Proponendo pertanto la stampa dell’opera intera al¬  l’editore Stella di Milano, gli scriveva: « Ha ella veduto    • Lett. del 9 nov. al fratello Carlo, in Epist., II, 47.  » Nell' Epist. del L., Ili, 237-38.   3 Epist., II, 142-43. il numero 6i dell’ An tologia, gennaio 1826 ? E pene¬  trato, ed ha avuto corso in cotesti Stati ? Vi ha ella ve¬  duto il Saggio delle mie Operette morali ? Le parlai già.  in Milano [agosto-settembre '25] di questo mio mano¬  scritto. Ne abbiamo pubblicato questo saggio in Firenze  per provare se il manoscritto passerebbe in Lombardia.  Giudica ella che faccia a proposito per lei ?... Tutte le  altre operette sono del genere del Saggio, se non che ve  ne ha parecchie di un tono più piacevole. Del resto,  in quel manoscritto consiste, si può dire, il frutto della  mia vita finora passata, e io 1’ ho più caro de’ miei oc¬  chi » '. Questa lettera è del 12 marzo ’26. 11 22 di quel  mese lo Stella rispondeva : « Ho letto il Saggio ; ed ella  ha ben ragione d’amar cotanto quel suo manoscritto ».  11 fascicolo dell’Antologia era stato ammesso dalla Cen¬  sura, ma l’editore non credeva di poterne tuttavia sperare  altresì l’approvazione per la stampa Avrebbe provato:  intanto gli facesse sapere la mole del manoscritto. E il  Leopardi subito a riscrivergli, il 26 : « Confesso che mi  sento molto lusingato e superbo del voto favorevole che  ella accorda alle predilette mie Operette morali. 11 ma¬  noscritto è di 311 pagine, precisamente della forma del  ms. d’Isocrate che le ho spedito, scrittura egualmente  fitta di mio carattere. Sarei ben contento se ella volesse  e potesse esserne l’editore.... La prego a darmi una ri¬  sposta concreta in questo proposito tosto ch’ella potrà » i.  Lo Stella, per saggiare le disposizioni della Censura mi¬  lanese, chiese licenza di ristampare nel suo Nuovo Ri¬  coglitore i dialoghi usciti nell’ A ntologia ; « de’ quali »,  scriveva all’autore il 1° aprile, « poi formerò un opuscolo  a parte che mi farà strada a pubblicar tutte queste, da    ■ 0 . c., II. iio-ii.   » O. c., Ili, 335-36.  3 O. c., II, 118-19. Lei chiamate Operette, che lo saranno per la mole, non  pel pregio certamente » «. Perciò il 7 il Leopardi affret-  tavasi a mandargli la nota dei molti errori incorsi nella  stampa fiorentina, insistendo nel desiderio che lo Stella  assumesse Tedizione del libro intero ; che il 26 si disponeva  a inviargli : « Debbo però pregarla caldamente di una  cosa. Mi dicono che costì la Censura non restituisce i  manoscritti che non passano. Mi contenterei assai più  di perder la testa che questo manoscritto, e però la sup¬  plico a non avventurarlo formalmente alla Censura senza  una assoluta certezza, o che esso sia per passare, o che  sarà restituito in ogni caso » ^ E il prezioso manoscritto  partì infatti sulla fine del mese per Milano 3, e lo Stella  j)oté il 13 maggio informare l’autore d’averlo ricevuto.  11 27 poi gli scriveva; « Nei brevi ritagli di tempo che mi  restano, vo leggendo le Operette sue morali, le quali  quanto mi allettano.... altrettanto temo che trovar deb¬  bono degli ostacoli per la Censura. Forse il rimedio po¬  trebbe esser quello di darle prima nel Ricoglitore, per poi  stamparle a parte, e in fine fare una nuova edizione di  tutte in piccola forma » 4. Ancora uno smembramento  delle care Operette ? La proposta ferì al vivo l’animo del  Leopardi, che, a volta di corriere, il 31 rispose: «Se a  far passare costì le Operette morali non v’ è altro mezzo  che stamparle nel Ricoglitore, assolutamente e istante-  mente la prego ad aver la bontà di rimandarmi il mano¬  scritto al più presto possibile. O potrò pubblicarle altrove,  o preferisco di tenerle sempre inedite al dispiacer di  vedere un’opera che mi costa fatiche infinite, pubbli¬  cata a brani.... » 5. Furono infatti pubblicate in volume    ' O. c.. Ili, 337-38.  ^ O. c.. Il, 131.   3 O. e.. Il, 133.   4 O, C., Ili, 346.   5 O. c.. Il, 140.  l’anno seguente, come l’autore ardentemente desiderava,  conscio dell’organicità del corpo di tutte le venti ope¬  rette, nate come venti capitoli di un’opera sola.   All’unità della quale ei certamente mirò nell’ordina¬  mento definitivo che fece delle singole parti, quando le  ebbe condotte a termine tutte. Abbiamo veduto come  tenesse a rilevare e attribuire al Giordani l’inversione  avvenuta nei tre dialoghi ceduti dlVAntologia. Il Ti-  mandro doveva essere l’ultimo, egli avA^erte. Infatti era  stato scritto dopo il Tasso-, ma era stato pure scritto  prima del Colombo. Anzi nell’ordine cronologico • era  quattordicesimo, sui venti del 1824: ma evidentemente  fin da principio era destinato al ventesimo o, comunque,  ultimo posto, che tenne nella edizione milanese del '27.  È invero un’apologià del libro; e l’apologià non poteva  essere se non la conclusione e il giudizio, che, nell’atto  di Ucenziare il libro, l’autore voleva se ne facesse. Ma,  nel passaggio dall’ordine cronologico a quello ideale che  il Leopardi ebbe da ultimo ragione di preferire, non sol¬  tanto il Timandro venne spostato. Infatti tra il Dialogo  di un Fisico e di un Metafisico e il Dialogo della Natura  e di un Islandese, scritti successivamente, con un solo  giorno di riposo tra l’uno e l’altro, parve opportuno  frammettere il Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio  familiare, a cui il Leopardi pose mano appena finito  quello della Natura e di tm Islandese. È ovvio che senza  una ragione né anche quest’ordine sarebbe mutato; ed  è ovvio Mtresì che la ragione non potrà consistere se non  negli scambievoh rapporti da cui questi dialoghi eran  legati, agli occhi di chi li scrisse. Va da sé poi che i vari  scritti devono per lo più esser nati già con questi rap¬  porti, l’un dopo l’altro, secondo che il pensiero germo-  ghava via via nella sua spontaneità organica; ma dove    ■ Cfr. sopra, p. io6, n. i.  una ripresa di idee già non sufficientemente svolte, e il  risorgere di un’ ispirazione che era parsa esaurita, traeva  l’autore a tornéire su se stesso, è pur naturale che l’ordine  cronologico non corrispondesse più allo svolgimento e  alla coerenza del pensiero. Così il Tasso, scritto appena  levata la mano dall’ Islandese, nasce come un anello che  salda questo dialogo a quello del Fisico col Metafisico;  e se tra il 14 e il 24 giugno l’autore scrive il Timandro,  bisogna pensare che, saldato così l’ Islandese agli ante¬  cedenti dell’opera, egli dovè per un momento credere  esaurito il suo tema; credere perciò di potersi arrestare  a quella fiera rappresentazione finale AtW Islandese: e  quindi volgersi indietro a giudicare e difendere il libro.  Passarono infatti dodici giorni senza che si sentisse riat¬  tirato verso il suo lavoro, ripreso il 6 luglio col Panni,  e condotto innanzi a sbalzi fino alla fine dell’anno, quando  fu compiuto il Cantico del Gallo silvestre ; altre sei operette  in tutto, che s’ è condotti a pensare formino un gruppo  distinto, nato da questo risorgimento, seguito al Ti¬  mandro, del motivo ispiratore delle operette.   III.   Ma tutto ciò, si può dire, non prova nulla per l’or¬  ganismo e unità dell’opera leopardiana, se questa unità  non si trova effettivamente nel suo intimo. Ed è vero.  Com’ è pur vero che quando tale unità fosse messa bene  in luce con lo studio interno del hbro, potrebbe anche  apparire inutile tutto questo preambolo, indirizzato ad  argomentare che l’unità ci doveva essere. Ma è infine  non meno vero che non si trova quel che non si cerca;  e che l’unità delle Operette leopardiane, ritenute general¬  mente una semplice raccolta, aumentabile (con la Com¬  parazione delle sentenze di Bruto minore e di Teofrasto,  come tutti fanno), o riducibile (come pure han creduto gli autori delle varie scelte di prose leopardiane) non si  è mai indagata, perché si sono ignorati o trascurati tutti  questi indizi di un disegno, che lo stesso autore ritenne  essenziale.   Intanto, lo spostamento osservato del Timandro  epilogo, in origine, delle Operette, ci ha condotto a scor¬  gere un gruppo, che non è forse il solo tra questi singoli  scritti, così come vennero quasi rampollando Tuno dal-  l’altro. Sottraendo, oltre il Timandro, destinato ad epi¬  logo, la Storia del genere umano, che, ])er il suo distacco  formale dal resto dell’opera (è la sola infatti che abbia  la forma di un mito), e la sua rajipresentazione comples¬  siva, in iscorcio, di tutto il destino del genere umano  a parte a parte ritratto poscia nelle varie prose, si può  a ragione considerare come un prologo; le diciotto ope¬  rette intermedie, formanti il corpo del libro, si distribui¬  scono naturalmente in tre gruppi, di sei ciascuno, come  tre ritmi attraverso i quali passa l’animo del Leopardi.  Innanzi al terzo, nato, come s’ è veduto, da una ripresa  dell’ ispirazione originaria, si spiega il secondo, che co¬  mincia col Dialogo della Natura e di un’Anima e si compie,  (]uasi ritornando al suo principio, con l’altro Dialogo  della Natura e di un Islandese. Precede, e inizia la tri¬  logia, un primo grujipo, aperto dal Dialogo d’Ercole e  di Atlante e conchiuso da un dialogo parallelo, in cui  all’eroe classico della potenza e della forza. Ercole, sot¬  tentra un eroe della potenza dello spirito immaginato  dalle superstizioni moderne, un mago, Malambruno, dia¬  logante con un Atlante spirituale, un diavolo. Farfarello.  Disposizione simmetrica, sulla quale non giova certo  insistere troppo, ma che non può apparire arbitraria o  fortuita quando si osservino gl’ intimi rapporti spirituali  onde sono insieme congiunte e connesse, in tale ordina¬  mento, le diverse operette.   Ascoltiamo dalle parole stesse del Leopardi la nota fondamentale di ciascuna operetta; e vediamo se le varie  note degli scritti appartenenti a ciascun gruppo non for¬  niino per avventura un solo ritmo. Cominciamo dal  primo gruppo.   Ercole va a trovare Atlante per addossarsi qualche  Qja il peso della Terra, come aveva fatto già parecchi  secoli fa, tanto che Atlante pigli fiato e si riposi un poco.  j(a la Terra da allora è diventata leggerissima; e quando  Ercole se la reca sulla mano, scopre un’altra novità più  nieravigliosa. L’altra volta che l’aveva portata, gli « bat¬  teva forte sul dosso, come fa il cuore degh animali; e  metteva un rombo continuo, che pareva un vespaio.  Ma ora quanto al battere, si rassomiglia a un orinolo che  abbia rotta la molla »; e quanto al ronzare, Ercole non vi  ode uno zitto. E già gran tempo, dice Atlante, « che il  mondo finì di fare ogni moto o ogni romore sensibile;  e io per me stetti con grandissimo sospetto che fosse  morto, aspettandomi di giorno in giorno che m’infettasse  col puzzo; e pensava come e in che luogo lo potessi sep¬  pellire, e l’epitaffio che gli dovessi porre ». È lo stesso  grido, come si vede, de La sera del dì di festa'.   Kcco è fuggito   11 dì festivo, ed al festivo il giorno  Volgar succede, e se ne porta il tempo  Ogni umano accidente. Or dov’ è il suono  Di quei popoli antichi ? Or dov’ è il grido  De’ nostri avi famosi, e il grande impero  Di quella Roma, e l’armi, e il fragorio  Che n’andò per la terra e l’oceano ?   Tutto è pace e silenzio, e tutto posa  li mondo, e più di lor non si ragiona.   Perché questo silenzio e questa morte ? Ecco che la  Moda, sorella germana della Morte, vien a dirlo essa  questo perché alla Morte stessa: poiché i soh frivoli e  accidiosi costumi dei nuovi tempi possono spiegare i     122    GIOVANNI GENTILE    « lacci dell’antico sopor » che, pel Poeta, non stringono  soltanto «l’itale menti»; i costumi «di questo secol  morto, al quale incombe tanta nebbia di tedio », e pgj.  cui il Poeta domandava agli eroi già dimenticati e ri¬  scoperti dai filologi, « se in tutto non siam periti » t  La Moda spiega infatti aUa Morte: «A poco per volta  ma il più in questi ultimi tempi, io per favorirti ho man¬  dato in disuso e in dimenticanza le fatiche e gli esercizi  che giovano al ben essere corporale, e introdottone o  recato in pregio innumerabih che abbattono il corpo in  mille modi e scorciano la vita. Oltre di questo ho messo  nel mondo tali ordini e tali costumi, che la vita stessa,  così per rispetto del corpo come dell’animo, è più morta  che viva; tanto che questo secolo si può dire con verità  che sia proprio il secolo della morte ».   Morti gli uomini, spenta la forza dei corpi, infranto  il vigore degli animi. In compenso, si fabbricano mac¬  chine, e H secol morto può dirsi «l’età delle macchine».  L’Accademia dei SUlografi ne fa la satira nel suo bizzarro  bando di concorso per l’invenzione di tre macchine, che  restituiscano al mondo quel che agli occhi del Poeta  costituisce il pregio maggiore della vita, anzi la vita stessa,  quale fu una volta: ramicizia, lo spirito delle opere vir¬  tuose e magnanime, e la donna: quella donna, che fu  r ideale degli spiriti gentili, e fu pur ora cantata come  la « sua donna » da esso il Leopardi :   Forse tu l’innocente   Secol beasti che dall’oro ha nome.   Or leve intra la gente   Anima voli ? o te la sorte avara   Ch’a noi t’asconde, agli avvenir prepara ?   Viva mirarti ornai  Nulla spene m’avanza 3 .   ' Sopra il monumento di Dante (rSrS), vv. 3-4.   » Ad Angelo Mai (1820), vv. 4-5, 27-28, 32-33.   3 Alla sua donna (settembre 1823) vv. 7-13.    fbbene, una macchina ne adempia gli uffici, essendo  «espedientissimo che gh uomini si rimuovano dai negozi  jjeUa vita il più che si possa, e che a poco a poco diano  luogo, sottentrando le macchine in loro scambio ». Questa  I la morte dell’uomo ; la morte dell’amicizia e dell’amore,  la morte degh ideali che già fecero virtuoso e magna¬  nimo l’uomo antico, finito con Bruto minore; il quale  non può sopravvivere alla maledizione scaghata alla  stolta virtù, che ei respinge da sé nelle cave nebbie e  nei campi dell’ inquiete larve. Onde se un romano, e  5Ìa Catihna, può credere, secondo Sallustio, d’infiam¬  mare i soci alla battaglia, parlando ad essi non solo delle  ricchezze, ma dell’onore, della gloria, della libertà, della  patria, affidate alle loro destre, un moderno lettore d’uma¬  nità non può senza peccato d’ipocrisia vedere nel testo  di Sallustio quella gradazione ascendente che il luogo,  a norma di rettorica, richiederebbe. La patria ? Non si  trova più se non nel vocabolario. La libertà ? Guai a  proferir questo nome. Di essa, dice il Leopardi, che ne  sa anche lui qualche cosa « non si ha da far conto ».  La gloria ? Piacerebbe, se non costasse incomodo e fatica.  Insomma, la ricchezza è il solo vero bene: è quella cosa  «che gh uomini per ottenerla sono pronti a dare in ogni  occasione la patria, la hbertà, la gloria, l’onore ». Sicché  il testo è da restituire, per travestirlo alla moderna, fa¬  cendo dire a Catilina: Et quum proelinm inibitis, memi-  neritis, vos gloriam, decus, divitias, fraeterea spectacula,  epulas, scorta, animam denique vestram in dextris vestris  portare.   Animam vestram, la vita: quella vita, che non hanno !  Quella \dta, che Sabazio, l’eterno Dioniso, dio della vita    * A. D’Ancona, nel Fanfulla della domenica del 29 novembre  *895: G. Carducci, Degli spiriti e delle forme nella poesia di G. L.,  Bologna, Zanichelli, 1898, pp. 207-08. e della morte, è in sospetto anche lui sia cessata da un  pezzo in qua; e però manda su dalle viscere della terra  uno spiritello, uno Gnomo, ad accertarsene. E uno spi  rito dell’aria, un Folletto, può dirgli infatti che «gjj  uomini sono tutti morti e la razza è perduta ». Mancati  tutti: «parte guerreggiando tra loro, parte navigando  parte mangiandosi l’un l’altro, parte ammazzandosi nori  pochi di propria mano, parte infracidando nell’ozio, parte  stillandosi il cervello sui libri, parte gozzovigliando, e  disordinando in mille cose; in fine, studiando tutte le vie  di far contro la propria natura » ; studiandole tutte con  queir « irrequieto ingegno, demenza maggiore » che « (juel-  l’antico error », di cui « grido antico ragiona », onde fu  negletta la mano dell’altrice natura, come il Leopardi  aveva appreso dal Rousseau.   Oh contra il nostro  Scellerato ardimento inermi regni  Della saggia natura ! '   Morto l’uomo; e «le altre cose.... ancora durano e  procedono come prima ». E l’uomo che presumeva il  mondo tutto fatto e mantenuto per lui solo ! Il Folletto  invece crede fosse fatto e mantenuto per i folletti; come  lo Gnomo per gli gnomi ! La vanità umana pareggia essa  la nullità dell’uomo. Ecco, gli uomini « sono tutti spariti,  la terra non sente che le manchi nuUa, e i fiumi non sono  stanchi di correre.... e le stelle e i pianeti non mancano  di nascere e di tramontare... ». La saggia, l’altrice natura  non si commuove allo sterminio di sé a cui l'uomo è  tratto dal suo ardimento.   Fu certo, fu {né d’error vano e d’ombra  L’aonio canto e della fama il grido  Pasce l’avida plebe) amica un tempo    » Inno ai Patriarchi (luglio 1822), vv. no-112.     Al sangue nostro e dilettosa e cara  Questa misera piaggia, ed aurea corse  Nostra caduca età. Non che di latte  Onda rigasse intemerata il fianco  Delle balze materne, o con le greggi  Mista la tigre ai consueti ovili  Né guidasse per gioco i lupi al fonte  Il pastorei; ma di suo fato ignara  E degli affanni suoi, vota d'affanno  Visse l’umana stirpe.... '   Amica è la natura a chi sta contento della vita spon¬  tanea e irrifiessa, qual’ è appunto la vita della natura.  Lo svegliarsi dell’ intelligenza (scellerato ardimento !) è  il principio della perdizione. E invano l’uomo cercherà  col pensiero di restaurare la sua vita e riconquistare la  dilettosa e cara piaggia d’un tempo! Faust lo sa* *;  Malambruno che mvoca gli spiriti d’abisso, che vengano  con piena potestà di usare tutte le forze d’inferno in suo  servigio, lo riapprende da Farfarello, impotente a farlo  felice un momento di tempo. La felicità è la vita che si  V’iva sentendo che mette conto di viverla: è la vita col  suo valore. E il Leopardi pare la intenda come un diletto  infinito ; il cui bisogno nasce dall’ infinito amore che ogni  uomo ha di se stesso, ma non può esser soddisfatto mai,  perché nessun diletto è infinito, nessun piacere tale che  appaghi il nostro desiderio naturale. Onde il vivere sen¬  tendo la vita è infelicità; e questa non è interrotta se non  dal sonno, o da uno sfinimento o altro che sospenda  l’uso dei sensi: non mai cessa mentre sentiamo la nostra  vita ; e se vivere è sentire, « assolutamente parlando », il  non vivere è meglio del vivere.   La vita non ha valore. È, a rigore, l’ultima conclu-    ' Inno cit., vv. 87-99.   * Malambruno è Faust, non Manfredo, come mostra d' intendere  il Losacco, Leopardiana, in Giornale storico della letteratura italiana,  XXVIII (1896), p. 275.    sione di quella premessa, che la felicità o valore della  vita consista nel diletto; il quale non può essere altro  che limitato, e quindi mai mero diletto, senza mistura  di amarezza.   IV.   Tale il concetto del primo gruppo delle Operette, che  pone l’animo del poeta in faccia alla morte e al nulla:  ossia al vuoto della vita, non più degna d'esser vissuta:  poiché degna sarebbe la vita inconscia, e la vita dell’uomo  è senso, coscienza. La vita nella felicità è la natura; e  l’uomo se ne dilunga ogni giorno più con la civiltà, con  r irrequieto ingegno, che assottiglia la vita, e la consuma.   Ed ecco il problema e il tormento dell’anima del  Leopardi: l’uomo in faccia alla natura. La natura, che è  quella del dialogo dello Gnomo e del Folletto; e l’uomo,  che è, non quella ciurmaglia già spenta, da cui lo Gnomo  avrebbe caro > che uno risuscitasse per sapere quello che  egli penserebbe della già sua vantata grandezza: è anzi  quest’uno, Malambruno, che pensa e vede tutti gli uo¬  mini morti e la natura viva, muta, indifferente. Pro¬  blema affrontato nel Dialogo della Natura e di un’Anima,  il primo del nuovo gruppo, dove la natura dice all’anima,  dandole la vita: «Va’, figliuola mia prediletta, che tale  sarai tenuta e chiamata per lungo ordine di secoli. Vivi,  e sii grande e infelice ». Giacché, come poi le spiegherà,  « nelle anime degli uomini, e proporzionatamente in quelle  di tutti i generi di animali, si può dire che l’una e l’altra  cosa sieno quasi il medesimo: perché l’eccellenza delle    I « Ben avrei caro che uno o due di quella ciurmaglia risuscitas¬  sero, e sapere quello che penserebbero vedendo che le altre co.se, ben¬  ché sia dileguato il genere umano, ancora durano e procedono come  prima, dove si credevano che tutto il mondo fosse fatto e mantenuto  per loro soli » (Operette morali, ed. Gentile, Zanichelli, Bologna, 2“ ed.  1925. P- 52).   jjiinie importa maggior sentimento dell’ infelicità pro-  ria; che è come se io dicessi maggiore infelicità»; e  l’uomo « ha maggior copia di vita, e maggior sentimento,  che niun altro animale; per essere di tutti i viventi il  niù perfetto »; e però è il più infelice. E il meglio è per  l’anima spogliarsi della propria umanità, o almeno delle  (loti che possono nobilitarla, e farsi « conforme al più  stupido e insensato spirito umano » che la natura abbia  jjjai prodotto in alcun tempo.   Di guisa che quella morte dell’umanità, che nei dia¬  loghi del primo gruppo poteva parere una colpa dei de¬  generi nepoti, ecco, apparisce il destino dell’uomo : la  cui storia non può avere altra conchiusione che la ri¬  nunzia alla propria umanità. La quale, dice il poeta col  suo amaro sorriso, scacciata dalla Terra, non si rifugia  e raccoglie nella Luna, come immaginò l’Ariosto di tutto  ciò che ciascun uomo va perdendo. La Luna, a cui la  Terra, nel dialogo che da esse s’intitola, ne domanda,  non solo la convince che l’immaginazione ariostesca è  semplice immaginazione, ma in tutto il dialogo dimostra  che il linguaggio umano e relativo allo stato degli uomini,  che la Terra usa, non ha significato fuori di questa: e  che insomma non ha base in natura quello che gli uomini  considerano pregio della loro ^^ta, e che, non trovandolo  fondato in natura, riconoscono quindi mera illusione.   Ma il concetto più direttamente è trattato nella  Scommessa di Prometeo: scommessa perduta con Momo  (che è lo stesso spirito satirico pessimista con cui il Leo¬  pardi guarda la \'ita nella sua vanità).'Perduta, perché  Prometeo deve confessare che alla prova il suo genere  umano, che avrebbe dovuto essere il più perfetto genere  dell’universo, « la migliore opera degl’ immortali », gli era  fallito, dimostrandosi, dallo stato selvaggio degli antro-  pofagi a quello più incivilito dei suicidi per tedio della  vita, il più sciagurato e imperfetto. Prometeo paga la scommessa senza volerne sapere più oltre, quando a Londra  vede gran moltitudine affollarsi innanzi a una porta  ed entra, e scorge «sopra un letto un uomo disteso su!  pino, che aveva nella ritta una pistola; ferito nel petto  e morto; e accanto a lui giacere due fanciullini, mede¬  simamente morti»: sciagurato padre, che per dispera-  zione ha ucciso prima i figliuoli e poi se stesso: (juan-  tunque fosse ricchissimo, e stimato, e non curante di  amore, e favorito in corte: ma caduto in disperazione  «per tedio della vita, secondo che ha lasciato scritto».   Il tedio della vita ! Ecco la scoperta che si è fatta  andando in cerca di quella felicità, di cui si pose il pro¬  blema nel primo dialogo di questo secondo gruppo. E i  due seguenti dialoghi hanno questo argomento. Il Dialogo  di un Fisico e di un Metafisico dimostra la vita non es¬  sere bene da se medesima, e non esser vero che ciascuno  la desideri e l’ami naturalmente: ma la desidera ed ama  come « istrumento o subbietto » della felicità, che è ciò  che veramente vale. E questa, guardata più da vicino,  consistere nell’efficacia e copia delle sensazioni, nelle  affezioni e passioni e operazioni, e insomma, non nel  puro essere, ma nella sensazione dell’essere e nel far  essere (come ben si può dire) l’essere stesso. Non l’inerzia  e la vuota durata, ma la mobilità, la vivacità, il gran  numero e la gagliardia delle impressioni, e cioè il tempo  pieno, questo è l’oggetto dei nostri desiderii: e la vita  degli uomini « fu sempre non dirò felice, ma tanto meno  infelice, quanto più fortemente agitata, e in maggior  parte occupata, senza dolore né disagio ». La vita vacua,  che è la vita «piena d’ozio e di tedio», è morte; anzi  peggio della morte, che è senza senso. Infine, dice lo stesso  Metafisico (che ha cominciato negando che la felicità sia  vivere), «la vita debb’esser viva»: cioè la vera felicita,  in fondo, è sì nella vita ; ma la vita (il Leopardi così sente)  non è vita; è la morte; quella morte di cui s’ è acqui-    MANZONI E LEOPARDI    129    stata la certezza nelle operette del primo gruppo; e che  non è pura morte, ma la morte sentita; la morte nella  coscienza dell’uomo che non conosce altra realtà che  l’eterna natura, di là dall’opera sua, e non può sperare  perciò di far nulla che abbia valore. La morte è dolore  perché è tedio: quel \moto dove dovrebbe essere il pieno;  la morte al posto della vita.   E questo tedio è la malattia, il segreto tormento del  Tasso, che ne ragiona col suo Genio: del Tasso già dal  ’zo, quando fu scritta la canzone Ad Angelo Mai, apparso  al Leopardi come suo spirito gemello, al par di lui « mi¬  serando esemplo di sciagura » :   O Torquato, o Torquato, a noi l'eccelsa  Tua niente allora, il pianto  A te, non altro, preparava il cielo.   Oh misero Torquato ! il dolce canto  Non valse a consolarti o a sciorre il gelo  Onde l’alma t’avean, ch’era sì calda.   Cinta l’odio e l’immondo   Livor privato e de’ tiranni. .Amore,   Amor, di nostra vita ultimo inganno.  T’abbandonava. Ombra reale e salda  Ti parve il nulla, e il mondo  Inabitata piaggia.   Torquato Tasso medesimo, che non trova nel mondo  altro più che il nulla, e si rifugia nei sogni e nel vago  inunaginare, dal quale più duro bensì gli riesce il ritorno  alla realtà; questo Torquato parla nel Dialogo del Tasso  e del suo Genio ', e non si lagna già del dolore, ma della  noia, che sola lo affligge e lo uccide. La quale gli pare  abbia la stessa natura dcU’aria: «riempie tutti gli spazi  interposti alle altre cose materiali, e tutti i vani contenuti  in ciascuna di loro; e donde un corpo si parte, e altro  non gh sottentra, quivi ella succede immediatamente.  Così tutti gl’ intervalli della vita umana frapposti ai  piaceri e ai dispiaceri, sono occupati dalla noia. E però.    come nel mondo materiale, secondo i Peripatetici, non si  dà vóto alcuno; così nella vita nostra non si dà vóto»;  e poiché piacere non si trova, la vita è composta parte  di dolore parte di noia. E la vita tutta uguale monotona  del povero prigioniero — immagine d’ogni uomo di fronte  alla immutabile natura — si viene via via votando cosi  del piacere come del dolore, e riempiendo tutta della  tristezza soffocante del tedio.   L’uomo prigioniero della natura ritorna ncll’ultinio  dialogo del gruppo, in cui si presenta da capo la Natura  a render conto di sé all’uomo: al povero Islandese, che  la vicn fuggendo per tutte le parti della terra, e se la  vede sempre innanzi, addosso, incubo schiacciante: e  l’ha innanzi, prima di morire, in effigie di donna, di  forme smisurate, seduta in terra, col busto ritto, ap¬  poggiato il dosso e il gomito a una montagna; viva, di  volto tra bello e terribile, occhi e capelli nerissimi, con   10 sguardo fisso e intento. — Perché, le chiede il povero  errante, tu sei « carnefice della tua propria famiglia, de’  tuoi figliuoli e, per dir così, del tuo sangue e delle tue  viscere », e « per niuna cagione, non lasci mai d’incalzarci, finché ci opprimi ?» — « Se io vi diletto o vi be¬  nedico, io non lo so », risponde la Natura. La vita del¬  l’universo è un circolo perpetuo di produzione e distru¬  zione. — Ma, riprende 1’ Islandese, poiché chi è distrutto  patisce, e chi distrugge sarà distrutto, « dimmi quello  che nessun filosofo mi sa dire: a chi piace o a chi giova  cotesta vita infelicissima dell’universo, conservata con  danno e con morte di tutte le cose che lo compon¬  gono ?» — E prima di aver la risposta 1’ Islandese è  mangiato dai leoni, già così rifiniti e maceri dall’ inedia,  che con quel pasto si tennero in vita ancora per quel  giorno, e non più. Questa Natura, che non sa il bene e   11 male dell’uomo, è la Natura che al principio ha detto  aU’anima: — Sii grande, e infelice. — La vita infatti   È infelicità, in quanto è noia; e noia è, perché vuota;  e non può non esser vuota, se l’uomo è di fronte a questa  Matura terribile nel cui perpetuo giro esso rientra, mo¬  lecola ignorata, e senza valore, non appena con la sua  coscienza si stacchi dalle cose, e vi si contrapponga.  L’uomo dunque è veramente infelice, come s’è detto  nel primo dialogo, perché con la sua attività (che è l’anima,  il sentire) non ha posto nella natura, che è poi tutto.  Perciò l’anima è vuota, e la vita è tedio.   V.   E qui potè parere al Leopardi, come osservammo,  di aver esaurito il proprio tema; e, prevedendo le facili  critiche, che non sarebbero mancate al piccolo e doloroso  libro, ritenne opportuno difenderlo col Timandro.   Ma poi considerò che la sua dimostrazione non era  veramente perfetta. Il dolce canto non era valso a con¬  solare Torquato; ma potrebbe dunque il canto consolare  Panimo addolorato ? Gino Capponi, l’amico del Tom¬  maseo, che fu giudice sempre acerbo e ingiusto al grande  Recanatese b scrisse una volta ^ : « Il Leopardi comincia  uno de’ suoi Dialoghi, inducendo la natura che scara¬  venta nel mondo un’anima con queste parole: — Vi\d  e sii grande ed infelice. — Io per me credo proprio il  rovescio, e che le anime nostre non sieno infelici se non  in quanto sono esse piccole.... £ cosa facile esser grandi  uomini, se basti a ciò essere infehci, ed il Leopardi in¬  segnò a molti la via della infelicità; ma non l’aveva  imparata egh quando produsse quelle canzoni per cui    ‘ .Acerbo e ingiusto anche nel giudizio, che pur contiene sensazioni  profonde di alcuni aspetti dell'arte leopardiana, raccolto nel volume  La donna, Milano, .Agnelli, 1872, pp. 380-81. Vedi i miei Albori della  nuova Italia, Lanciano, Carabba, 1923, I, 167 ss.   - Scritti ed. ed ined., Firenze, Barbèra, 1877, II, 445-46.       sta in alto il nome suo »>. E il De Sanctis doveva osser\’are  più tardi: «Quel suo nullismo nelle azioni e nei lini della  vita, che lo rendeva inetto al fare e al godere, era riem¬  piuto dalla colta e acuta intelligenza e dalla ricca im¬  maginazione, che gli procuravano uno svago e gli fa,  cevano materia di diletto quello stesso soffrire. Egli aveva  la forza di sottoporre il suo stato morale alla riflessione  e analizzarlo e generalizzarlo, e fabbricarvi su uno stato  conforme del genere umano. Ed aveva anche la forza  di poetizzarlo, e cavarne impressioni e immagini e melodie,  e fondarvi su una poesia nuova. Egli può poetizzare sino  il suicidio, e appunto perché può trasferirlo nella sua  anima di artista e immaginare Bruto e Saffo, non c’è  pericolo che voglia imitarli. Anzi, se ci sono stati mo¬  menti di felicità, sono stati appunto questi. Chi più felice  del poeta o del filosofo nell’atto del lavoro ? » >. Ma né  il Capponi, né il De Sanctis avvertivano cosa sfuggita  al Leopardi. È suo, del 1820, questo pensiero vero e pro¬  fondo ; « L’uomo si disannoia per lo stesso sentimento  vivo della noia universale e necessaria ». E suo è ciuesto  altro che lo precede ; « Hanno questo di proprio le opere  di genio, che, quando anche rappresentino al vivo la nul¬  lità delle cose, quando anche dimostrino evidentemente  e facciano sentire 1 inevitabile infelicità della vita, quando  anche esprimano le più terribili disperazioni, tuttavia ad  un animo grande, che si trovi anche in uno stato di  estremo abbattimento, disinganno, nullità, noia e sco¬  raggiamento della vita o nelle più acerbe e mortifere  disgrazie.... servono sempre di consolazione, raccendono  l’entusiasmo; e non trattando né rappresentando altro  che la morte, gh rendono, almeno momentaneamente,  quella vita che aveva perduta » I Studio su G. L.. Napoli, Morano, 1905, p. 2 i 3 -  ^ Pensieri. I, 351. 340- Cfr. lett. del 6 maggio 1825; . M avveggo  ora bene che, spente che sieno le passioni, non resta negli studi aura   Ebbene, sentire ripullular questa vita, che il razio¬  cinio aveva dimostrata morta, era pur sentire il bisogno  (ji riprendere la dimostrazione. Il Leopardi non affronta  nelle Operette, né in altro dei suoi scritti, il problema di  questa vita incoercibile che risorge dalla sua più fiera  negazione. Ma sente oscuramente questa diificoltà, non  superata nei primi due gruppi de’ suoi dialoghi. Tutto  l’argomentare della sua filosofia non genera la convin¬  zione che ne dovrebbe deri\ are: la convinzione che arma  la mano di Bruto contro se stesso, e fa gittare dalla mi¬  sera Saffo « il velo indegno », per rifuggirsi ignudo animo  a Dite, e così emendare il crudo fallo del destino. L’amor  della vita non è vinto: la Natura ha detto all’Anima  che le infinite difficoltà e miserie, a cui vanno incontro  i grandi, « sono ricompensate abbondantemente dalla  fama, dalle lodi e dagli onori che frutta a questi egregi  spiriti la loro grandezza, e dalla durabilità della ricor¬  danza che essi lasciano di sé ai loro posteri ».   Ebbene, questa gloria, che già non arride all’anima,  quando natura gliel’addita, questa gloria abbelliva pure  agli occhi del Leopardi questo mondo di morti, in cui  gli sembrava di vivere. Filippo Ottonieri, che è lui stesso,  potrà esser « vissuto ozioso e disutile, e morto senza  fama », come dice il suo epitaffio, ma sentiva bene d’esser  « nato alle opere virtuose e alla gloria ». Questa gloria,  che è il premio della grandezza e la sublime consola¬  zione dei grandi infehci, che tanto più saran grandi quanto  più sentiranno la loro infehcità, e più quindi saranno  infelici, è la lode che nell’animo degli altri e pei secoli  riecheggia la lode stessa che il grande tributa egli alla    loute e fondamento di piacere che una vana curiosità, la soddisfazione  della quale ha pur molta forza di dilettare: cosa che per Taddietro,  finché mi è rimasta nel cuore l'ultima scintilla, io non potevo com¬  prendere », Epist,, I, 547-48.     134    GIOVANNI GENTILE    propria grandezza nella coscienza felice del suo genio.  La sua sostanza è veramente in questa lode interna e  soggettiva: la sua esteriorità è in quella eco che si ri¬  percuote lontano, e ferma, e pare consolidi il valore onde  il genio vede illuminata la propria opera. 11 Leopardi,  nudrito la mente dei concetti classici e delle idee mate¬  rialistiche del sec. XVIII, cerca la realtà di questa gloria,  in cui lo spirito attinge la propria liberazione da tutte  le miserie, in quella eco esterna, in quel consenso che in  fatto altri verrà tributando alla nostra grandezza. E  perciò si trova in faccia al problema del valore tuttavia  superstite della grandezza spirituale, veduto in questa  forma; l’anima grande e infelice è destinata essa alla  gloria ? o la speranza è fallace, come tutte quelle che  ei rimpiangerà dileguate nelle Ricordanze ? ' Ed ecco il  Farmi, che tante difficoltà mostra opporsi all’acquisto  di questa gloria, specialmente nell’età moderna e nel  mondo presente, da farla apparire mèta inattingibile.  Talché vien meno anche questa aspettazione, e al grande  non rimane che seguire il suo fato, dove che egli lo tragga,  con animo forte, adoprandosi nella virtù, perché la na¬  tura stessa lo fece nascere alle lettere e alle dottrine.   Dileguata quest’ultima consolazione, la sola che si  possa chiedere alla stessa eccellenza dell’animo, quando  altra realtà, e fonte eventuale di gioia, non si vegga  da quella che l’animo mira esterna a se stesso, qual  porto rimane allo stanco spirito umano ? Vivere infeUce ?    ' Dove, nel 1829, canterà:   O speranze, speranze; ameni inganni  Della mia prima età ! sempre, parlando.  Ritorno a voi; ché per andar di tempo.  Per variar d'alletti e di pensieri,  Obbliarvi non so. Fantasmi, intendo,  Son la gloria e l’onor; diletti e beni  Mero desio; non ha la vita un frutto.  Inutile miseria.   E sia; ma se non si può né anche farsi un monumento  della propria infelicità ?   Sola nel mondo, eterna, a cui si volve  Ogni creata cosa.   In te, morte, si posa  Nostra ignuda natura.   Lieta no, ma sicura  ■Dall'antico dolor.   La risposta viene dai morti, che si sveghano per un  quarto d’ora nello studio di Ruysch, e cantano, e descri¬  vono questa loro sicurezza dall’antico dolor, nella quale  vivono immortah; senza speme, ma non in desio, come  le anime del limbo dantesco:   Profonda notte  Nella confusa mente  Il pensier grave oscura;   Alla speme, al desio, l’arido spirto  Lena mancar si sente:   Così d’affanno e di temenza è sciolto,   E l’età vote e lente  Senza tedio consuma.   ■Vita vuota, dunque, anche quella: ma senza senti¬  mento. Vero porto, in cui il povero Islandese finalmente  avrà pace, e in cui si può giungere in un languore di sensi  senza patimento, com’ è degli ultimi istanti della vita,  quando sopravvive solo un senso « non molto dissimile  dal diletto che è cagionato agli uomini dal languore del  sonno, nel tempo che si vengono addormentando ».  Dolce morte hberatrice ! — Ma prima che la morte ci  abbia sciolti dal tedio ? — Filosofare, come Filippo Ot-  tonieri, il socratico, che « spesso, come Socrate, s’intrat¬  teneva una buona parte del giorno ragionando filosofi¬  camente ora con uno ora con altro, e massime con alcuni  suoi familiari, sopra qualunque materia gli era sommini¬  strata dall’occasione ». E per tal modo filosofava sempre.  non per farne trattati (ché, al pari di Socrate, non cre¬  deva giovasse mettere la filosofìa in iscritto e irrigidir]^  in formule che non risponderanno piti ai mutevoli bi¬  sogni dell’animo), ma per intendere senza pregiudizi e  senza illusioni la vita, e adattarvisi da saggio, tralasciando  ogni vana querimonia: come aveva detto Spinoza: non  ridere, non liigere, neque detestari, sed intelligere. Questo  r ideale dell’ Ottonieri, che vivrà ozioso e disutile e  morrà senza fama, ma « non ignaro della natura né  della fortuna sua »>. E con la sua pacata magnanimità e  la sua bonaria ironia rinnoverà l’immagine di Socrate  anche in questa modesta, anzi umile coscienza del sa¬  pere, e quindi, per lui, del potere umano. L’ Ottonieri  vuol essere quasi la filosofia delle Operette fatta vita e persona.   Ma, oltre la filosofia, non v’ è altro rimedio alla noia ?  Sì : c’ è la rupe di Leucade. Ce lo insegna Cristoforo Co¬  lombo, in una bella notte vegliata sull’oceano .stermi¬  nato e inesplorato col fido Gutierrez, confidando all’amico  che anche in lui vacilla la fede e che, in verità, « ha posto  la vita sua e de’ compagni sul fondamento d’una sem-  phee opinione speculativa » che può fallirgli. Ma, egli  soggiunge, « quando altro frutto non venga da questa  navigazione, a me ]iare che ella ci sia profittevolissima  in quanto che per un tempo essa ci tiene liberi dalla noia,  ci fa cara la vita, ci fa prege\'oli molte cose che altrimenti  non avremmo in considerazione. Scrivono gli antichi,  come avrai letto o udito, che gli amanti infehei, gittan-  dosi dal sasso di Santa Maura (che allora si diceva di  Leucade) giù nella marina, e scampandone, restavano,  per grazia di Apollo, liberi dalla passione amorosa. Io  non so se egli si. debba credere che ottenessero questo  effetto; ma so bene che, usciti di quel pericolo, avranno  per un poco di tempo, anco senza il favore di Apollo,  avuta cara la vita, che prima avevano in odio; o  pure avuta più cara e più pregiata che innanzi. Ciascuna  pavigazione è, per giudizio mio, quasi un salto dalla  fxipe di Leucade » >. E navigazione è ogni rischio della  vita, ogni azione eroica. O filosofare, dunque, come Ot-  tonieri; o navigare come Colombo, e far guerra al tedio,  P riafferrarsi insomma alla vita, finché la morte non ce  ne liberi.   E lo stesso giorno * che finiva di scrivere il Dialogo  a Colombo e Gutierrez (25 ottobre 1824) il Leopardi,  nel fervore dell’animo commosso da questa coscienza  del valore e quasi gusto della vita riconquistato mercé  l’attività, — di questa grandezza felice, — mette mano  al bellissimo Elogio degli uccelli: Urica stupenda, sgor-  gatagU dal pieno petto, al guizzo d’una immagine Ucta  e ridente: di queste creature amiche delle campagne  verdi, delle vallette fertili e delle acque pure e lucenti,  del paese bello e dei soli splendidi, delle arie cristalline  e dolci e di tutto ciò che è ameno e leggiadro, e rasserena  e allegra gli animi; e che, col perpetuo movimento e col  canto che è un riso, sono simbolo di quella vita piena  d’impressioni, che non conosce tedio, anzi è tutta una  gioia. E ci fanno amar la natura, che ebbe un pensiero  d’amore, assegnando a un medesimo genere d’animali il  canto e il volo ; « in guisa che quelli che avevano a ri¬  creare gU altri viventi colla voce, fossero per l’ordinario  in luogo alto ; donde ella si spandesse all’ intorno per  maggiore spazio, e pervenisse a maggior numero di udi¬  tori ». Così viva è r intuizione della gioia gentile che il  poeta riceve da questa vaga immagine degU ucceUi,  che è già appagato il desiderio finale di questo Elogio:  ♦ lo vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in  uccello, per provare quella contentezza e letizia della  loro vita ». Non ha cantato qui anch’egU la gioia ?    ’ Cfr. Pens., I, 193.   Cfr. sopra, p. 116, «. i.       E un favoloso uccello, il Gallo silvestre, di cui parlano  alcuni scrittori ebrei, che sta sulla terra coi piedi, e tocca  colla cresta e col becco il cielo, con un altro cantico vi¬  brante gli dirà Tultima parola di questa filosofia della  vita, attenuando bensì il tono della lirica precedente, c  smorzando l'entusiasmo, al quale mai come in questo  caso s’era abbandonata l’anima del poeta; e additandogli  anzi lontano il pauroso nulla di tutte le cose, e la morte  a cui ogni parte deH’universo s’affretta infaticabilmente,  ma pur rasserenandogli l’animo con la fresca sensazione  del puro e frizzante aer mattutino, ravvivatore e rin-  francatore. Sensazione già nota al Poeta:   La mattutina pioggia, allor che l'ale  Battendo esulta nella chiusa stanza  La gallinella, ed al balcon s’affaccia  L’abitator de’ campi, e il sol che nasce  I suoi tremuli rai fra le cadenti  Stille saetta, alla capanna mia  Dolcemente picchiando, mi risveglia;   E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo  Degli augelli sussurro, e l’aura fresca,   E le ridenti piagge benedico.... •   Canta il Gallo silvestre per destare i mortali dal sonno;  « Il dì rinasce : torna la verità in sulla terra, e parton-  sene le immagini vane. Sorgete; ripigliatevi la soma  della vita : riducetevi dal mondo falso nel vero ». La fiera  soma! Meglio, meglio dormire, e non destarsi; ma verrà  la morte a liberar dalla vita. « Ad ogni modo », dice il  Gallo, la terribile voce che riempie di sé il mondo, c  canta questa corsa universale alla morte, « ad ogni modo,  il primo tempo del giorno suol essere ai viventi il più  comportabile. Pochi in sullo svegliarsi ritrovano nella  loro mente pensieri dilettosi e lieti; ma quasi tutti se ne    • La Vita solitaria (1821), vv. i-io.    producono e formano di presente; giacché gli animi in  quell’ora eziandio senza materia alcuna speciale e de¬  terminata, inclinano sopra tutto alla giocondità, o sono  disposti più che negli altri tempi alla pazienza dei mali.  Onde se alcuno, quando fu sopraggiunto dal sonno, tro-  vavasi occupato dalla disperazione; destandosi, accetta  uovamente neU’anima la speranza, quantunque ella in  niun modo se gli convenga ». Ed ecco, dunque, la spe¬  ranza risorgere ogni giorno, anche se la sera finì nella  disperazione ; e se il Gallo silvestre paragona la vita  dell'universo al giorno, che comincia col mattino ma va  alla notte, e alla vita umana che muove dalla heta gio¬  vinezza incontro alla vecchiaia e alla morte: e se ter¬  mina annunziando che tempo verrà, che la stessa natura  sarà spenta, e « un silenzio nudo e una quiete altissima  empieranno lo spazio immenso »; il dolce gusto della spe¬  ranza mattutina e giovanile non è distrutto: perché  quel tempo è molto remoto e (secondo avvertì più tardi  l’autore in una nota della seconda edizione) non verrà  mai: e la vita mortale ritorna sempre dalla notte al mat¬  tino, e la speranza risorge, e la vita rinasce di continuo.   VI.   Le operette dunque del terzo gruppo ricostruiscono,  nella misura e nel modo che si può secondo il Leopardi,  quello che le prime dodici hanno abbattuto. Ricostrui¬  scono, movendo dall’estrema mina in cui è caduta anche  la speranza della gloria, nel Parini. Il quale lega il terzo  gruppo ai precedenti; e fu ritirato dopo le prime due  edizioni verso il principio, e attratto nell’orbita del se¬  condo gruppo, poiché tra la Storia del genere umano e  il Timandro l’autore non voUe più il Sallustio] e lo ri¬  fiutò e gli sostituì il Frammento di Stratone, collocato al  diciannovesimo posto, innanzi al Timandro. Allora il gruppo ricomprese il Dialogo della Natura e di un'Anima  e il secondo II Parini. E il Frammento, lì sulla fine del-  l’opera, innanzi all’epilogo apologetico, fu come l’inter¬  pretazione metafisica che da ultimo il pensiero, ripie¬  gatosi su se medesimo, diede della propria intuizione  filosofica: concezione, sullo stile delle teorie cosmolo¬  giche greche più antiche, di un universo go\'ernato da  pure leggi meccaniche, com’era quello che giaceva in  fondo a ogni concetto pessimistico del Leopardi; onde  si tenta suggellare, nell’ intenzione del Poeta, l’immagine  di quella Natura che eternamente passa, e che negli ul¬  timi detti del Gallo silvestre è rimasta «arcano mirabile  e spaventoso ».   Si noti che il Sallustio fu conservato tra le venti ope¬  rette primitive anche nell’edizione di Firenze del '34.  quantunque in questa fossero aggiunti i due nuovi dialoghi  del Venditore d’Almanacchi e di Tristano] e si noti che  in questa edizione invece non potè entrare il Frammento  di Stratone molto probabilmente per le difficoltà già ac¬  cennate, derivanti dalla materia di esso, poiché è il solo  scritto crudamente materialistico, che sia tra le Operette.  11 che, se si pensa pure al fatto che il Frammento fu scritto  verso il maggio del '25 • (quando il Leopardi aveva tut¬  tavia presso di sé il manoscritto delle Operette, e a\ rebbe  già fin d’aUora pensato ad incorporarvelo, se questa  aggiunta non avesse disordinato il disegno simmetrico  del hbro), dimostra all’evidenza che i dialoghi fiorentini  della stampa del ’34, che sappiamo scritti a Firenze due  anni prima, formano un nuovo gruppo a sé, che si viene  ad aggiungere alle prhnitive operette, senza fondervisi:  come avverrà del Frammento, appena l’autore crederà  potere e dover tralasciare il Sallustio, e sostituirlo.   Perché tralasciarlo ? « Forse », risponde il Mestica    I Cfr. Chi.\rini, O.C., p. 251.   * Scritti letter. di G. L., li, p. 418.  perché gli parve troppo scolastico e di materia non   [ abbastanza originale, sebbene i pensieri in esso conte¬  nuti siano conformi al suo filosofare ». « Il dialogo ha poco  movimento e scarso valore artistico », osserva lo Zinga-   [ felli ' : « l’invenzione è misera, e sull’attrattiva dello  strano e del fantastico prevale nel lettore un senso d’in¬  credulità. Per queste ragioni l’autore dovette rifiutarlo,  e forse anche per rispetto a Sallustio medesimo. Forse  anche col passar degli anni, il Leopardi non credè più  che tutta la grandezza antica perisse con Bruto e per  opera di Cesare e dei cesariani ». Più si è accostato al  L vero questa volta il Della Giovanna > : « Forse egli si sarà  I pentito delle parole crudissime che usa parlando della  I libertà e della patria. È ben vero che anche altrove egli   f lamenta la mancanza d’amor patrio e di libertà, ma in   modo più vago ». Il Sallustio, in questo cinico pessimismo,  contraddice al motivo fondamentale delle Operette: logico  nell’ordine di pensieri da cui sorse, ma ripugnante a quei  sentimenti più profondi, onde la personahtà del poeta  abbraccia in sé e contiene, e tempera quindi e solleva  a un suo particolar significato, siffatti pensieri. I quali  non sono qui un sistema filosofico astratto, ma l’alimento  segreto di un’anima che si riversa ed esprime in una  poesia di grande respiro, la quale in tutta la sua unità  risuona all’anima del lettore come una musica, secondo  che osservò un amico del poeta, il Montani i, appena    I operette morali di G. L., p. 53.   ’ Le prose morali di G. L., p. 276.   3 Vedi la sua recensione ncWAntologia del gennaio 1828, X. 85,  pp. 157-61, che incomincia; «Non vi è mai avvenuto una sera d’opera  nuova, di entrare in teatro a sinfonia cominciata, e imaginandovi un  motivo musicale diverso dal vero, trovar men bello e men significante  ciò che poi dee sembrarvi meraviglioso ? — Quando VAntologia, or  son due anni, pubblicò un saggio dell’operette del L. ancora inedite....  io non ne fui che leggermente colpito; mi mancava il motivo della  musica. Intesone il motivo, al pubblicarsi delle operette insieme unite,  mi parve d'aver acquistato nuovo orecchio e nuovo sentimento. E ne  scrissi al Giordani, ch’era a Pisa, ov’oggi è il L., il quale allora stava  potè leggere tutta la collana delle Operette. Questo rrio  tivo fondamentale facilmente si riconosce nel preI^^]i^^  e nell’epilogo, onde è inquadrata nella sua naturale cor  nice la trilogia delle operette : ossia nella Storia del genere  umano e nel Timandro: due operette, che sono affatto  estranee a qucUo spirito, che si può dir proprio di tutte  le altre, ad eccezione dell’ Elogio degli uccelli, dove ji^re  qua e là s’insinua a frenare l’impeto Urico di gioia e  d’entusiasmo; a quello spirito, che si può definire con le  parole stesse con cui il Leopardi ritrae se medesimo in  una lettera al Giordani del 6 maggio 1825 (del tempo  in cui forse raggiunse nel Frammento di Stratone l’estremo  termine di questo suo stato d’animo) : « Quanto al ge¬  nere degli studi che io fo, come sono mutato da quel  che io fui, così gli studi sono mutati. Ogni cosa che tenga  di affettuoso e di eloquente mi annoia, mi sa di scherzo  e di fanciullaggine ridicola. Non cerco altro più fuorché  il vero, che ho già tanto odiato e detestato. Mi compiaccio  di sempre meglio scoprire e toccar con mano la miseria  degli uomini e delle cose, e di inorridire freddamente,  speculando questo arcano infelice e terribile della vita  dell’universo ». Lo stesso animo, non altrettanto feli¬  cemente, ma con maggior abbandono, esprimerà tut¬  tavia, nel ’26, nell’ Epistola al Pepoli :   Ben mille volte  Fortunato colui che la caduca  Virtù del caro immaginar non perde  Per volger d’anni; a cui serbare eterna  La gioventù del cor diedero i fati....    qui nel più quieto degli alberghi (già ridotto d’allegra gente a’ di del  Boccaccio), dicendogli che dalla porta di questo alla camera del suo  amico più non salirei che a cappello cavato. Le operette del L. sono  musica altamente melanconica... ». La recensione contiene più d’una  osservazione notabile. Fu scritta il 28 febbraio 1828. SuU’amicizia del  L. col Montani, vedi G. Mestica, Studi leopardiani, Firenze, Le Mou¬  nier, 1901, pp. 332-42.    (si ricordi il Cantico del Gallo silvestre)]   Della prima stagione i dolci inganni  Mancar già sento, e dileguar dagli occhi  Le dilettoso immagini, che tanto  Amai, che sempre inlino all’ora estrema  Mi fieno, a ricordar, bramate e piante.   Or quando al tutto irrigidito e freddo  Questo petto sarà, né degli aprichi  Campi il sereno e solitario riso.   Né degli augelli mattutini il canto  Di primavera, né per colli e piagge  Sotto limpido ciel tacita luna  Commoverammi il cor; quando mi fia  Ogni bel tate o di natura o d’arte.   Fatta inanime e muta; ogni alto senso.   Ogni tenero affetto, ignoto o strano;   Del mio solo conforto allor mendico.   Altri studi men dolci, in eh’ io riponga  L’ingrato avanzo della ferrea vita,   Eleggerò. L’acerbo vero, i ciechi  Destini investigar delle mortaU  E dell’eteme cose....   In questo specolar gh ozi traendo  Verrò: che conosciuto, ancor che tristo.   Ila suoi diletti il vero.   Questo era stato il suo ideale nelle Operette] speculare,  scoprire, frugare la miseria degli uomini e di tutto, e  inorridire, ma con petto irrigidito e freddo. Se non che  nel '25, nel caldo ancora dell’opera, poteva credere di  aver raggiunto già questo stato d’animo; l’anno dopo  egli, più ingenuamente, o meglio con maggior consape¬  volezza, sente che il suo petto sarà forse un giorno, non  è ancora, al tutto irrigidito e freddo; non è eterna la  gioventù del cuore, né in lui, né in altri, ma non è ancora  del tutto tramontata. Così nelle Operette il freddo inor¬  ridire e il disprezzo d’ogni cosa che tenga di affettuoso  e di eloquente è un desiderio, un programma, un propo¬  sito; ma non è, né può essere il suo stile, poiché né ogni bellezza ancora gli è inanime e muta, né ogni alto senso  ogni tenero affetto ignoto e strano. E questo sente liené  e proclama il Poeta nel dialogo di Timandro e di Elean-  dro; dove a Timandro che, secondo la filosofia di moda  fa alta stima dell’uomo e del progresso di cui egli è capace'  ed è insomma un ottimista, il pessimista, che sente invece  per l’uomo un’alta pietà, il futuro cantore della Ginestra  protesta di non essere un Timone (per quanto non abbia  sdegnato la parte di Momo di fronte a Prometeo) ; « Sono  nato ad amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto  può mai cadere in anima viva Oggi, benché non sono  ancora, come vedete, in età naturalmente fredda, né  forse anco tepida » (aveva appena ventisei anni !) ; « non  mi vergogno a dire che non amo nessuno, fuorché me  stesso, per necessità di natura, e il meno che mi è pos¬  sibile ». Dove ognun vede che realmente certo invinciliile  pudore arresta Eleandro innanzi alla conseguenza delle  sue dottrine; e si ripigha subito infatti: « Contuttociò  sono solito e pronto a eleggere di patire piuttosto io, che  esser cagione di patimento ad altri. E di questo, per  poca notizia che abbiate de’ miei costumi, credo mi  possiate essere testimonio ». L’amore degli altri si ri¬  bella alla negazione che se n’ è voluto fare, e s’appella  all’ intima e irreprimibile attestazione del cuore. Altro  che freddezza e petto irrigidito ! E da ultimo Eleandro  conchiude; «Se ne’ miei scritti io ricordo alcune verità  dure e triste, o per isfogo deU’animo, o per consolarmene  col riso, e non per altro ; io non lascio tuttavia negli stessi  libri di deplorare, sconsigUare e riprendere lo studio di  quel misero e freddo vero, la cognizione del quale è fonte  o di noncuranza e infingardaggine, o di bassezza d’animo,    • Ed ecco perché, scritto il dialogo, sentì di non doverlo più inti¬  tolare, come aveva pensato da principio, di Misinore e Filénore : egli  non era davvero quell’odiatore dell’uorao (ixio-TjVcop) che poteva pa¬  rere; né vero Filénore poteva dirsi l’ottimista.    iniquità e disonestà di azioni, e perversità di costumi:  laddove, per lo contrario, lodo ed esalto quelle opinioni,  benché false, che generano atti e pensieri nobili, forti,  magnanimi, \nrtuosi, e utili al bene comune o privato;  quelle immaginazioni belle e felici, ancorché vane, che  danno pregio alla vdta; le illusioni naturali dell’animo ;  e in line gli errori antichi, diversi assai dagh errori bar¬  bari; i quali, solamente, e non quelli, sarebbero dovuti  cadere per opera della civiltà moderna e della filosofia ».   Dunque, ogni alto senso e tenero affetto, destato da  queste illusioni, non sarà spiegabile nel mondo a cui si  volgono gh occhi del Leopardi, — il mondo di Stratone  da Lampsaco, o la natura dell’ Islandese, — come non è  spiegabile nel mondo che solo esiste per la scienza; ma  non perciò è ignorato, o è divenuto estraneo al cuore  del Poeta. 11 quale non è Timandro, ma è bene Eleandro;  e a dispetto di quella natura, che è il vero, ama gli uomini  e la virtù, dichiarandola un’illusione, ma naturale, e  quindi vera, quantunque contradittoria a quell’altra na¬  tura, che non conosce né amore, né bene. Inorridire fred¬  damente, sì; ma inorridire, ed elevarsi quindi al di  sopra della universale miseria, sentita come tale, e non  assentirvi, non semplicemente intelligere, come Spinoza  avrebbe voluto.   Così nella Storia del genere umano, vero preludio  alla sinfonia delle Operette, quando l’uomo è pervenuto  all’ uno fondo di cotesta miseria, rappresentato dall’ap-  parire in terra della Verità, spunta egualmente una  divina pietà al soccorso dell’ infelicità intollerabile dei  mortali : « La pietà, la quale negli animi dei celesti non è  mai spenta, commosse, non è gran tempo, la volontà  di Giove sopra tanta infehcità; e massime sopra quella  di alcuni uomini singolari per finezza d’ intelletto, con¬  giunta a nobiltà di costumi e integrità di vita; i quali  egli vedeva essere comunemente oppressi ed afflitti più    IO. — (‘tKSTli.y.. iicnz* ni r L'-'p ’rtìi.     che alcun altro, dalla potenza e dalla dura dominazione  di quel genio»: ossia appunto, della Verità. Giove, «com¬  passionando alla nostra somma infelicità, propose agjj  immortali se alcuno di loro fosse per indurre l’animo a  visitare, come avevano usato in antico, e racconsolare  in tanto travaglio questa loro progenie, e particolarmente  quelli che dimostravano essere, quanto a se, indegni  della sciagura universale». Tacciono tutti gli altri Dei¬  ma si offre Amore, figliuolo di Venere Celeste, «questo  massimo iddio », che « non prima si volse a visitare i  mortali, che eglino fossero sottoposti all’ imperio della  Verità ». Di rado egli scende, e poco si ferma, e perché  la gente umana ne è generalmente indegna, e perché  gli Dei molestissimamente sopportano la sua lontananza.  EgU è dunque premio, che l’uomo conquista con la sua  grandezza. La quale perciò è condannata sì all’ infelicità  del vero; ma è pur redenta e beatificata da Amore.  « Quando viene in sulla terra, sceglie i cuori più teneri  e più gentih delle persone più generose e magnanime;  e quivi siede per breve spazio; diffondendovi sì pellegrina  e mirabile soavità, ed empiendoh di affetti sì nobili, e  di tanta virtù e fortezza, che eglino allora provano, cosa  al tutto nuova nel genere umano, piuttosto verità che  rassomiglianza di beatitudine. Rarissimamente congiunge  due cuori insieme, abbracciando l’uno e l’altro a un me¬  desimo tempo, e inducendo scambievole ardore e desi¬  derio in ambedue; benché pregatone con grandissima  istanza da tutti coloro che egli occupa: ma Giove non  gli consente di compiacerli, trattone alcuni pochi; perché  la felicità che nasce da tale beneficio, è di troppo breve  intervallo superata dalla divina. A ogni modo, l’essere  pieni del suo nume vince per se qualunque più fortunata  condizione fosse in alcun uomo ai migliori tempi ». Ed  ecco perché il Poeta inorridisce, sia pur freddamente,  allo spettacolo del tristo vero. La sua anima è calda  (iel divino beneficio di Amore. Né può in lui la verità  (quella mezza verità) contro le sacre illusioni, che né  egli può respingere, né altri egli ha consigliato mai a  respingere. « Dove egli si posa, dintorno a quello si ag¬  girano, invisibili a tutti gli altri, le stupende larve, già  segregate dalla consuetudine umana; le quali esso Dio  riconduce per questo effetto in sulla terra, permettendolo  Giove, né potendo essere vietato dalla Verità, quantunque  inimicissima a quei fantasmi, e nell’animo grandemente  offesa del loro ritorno: ma non è dato alla natura dei  geni di contrastare agli Dei ». Non può, cioè, la nostra  logica non render l’arme all’arcano, che resta pel Poeta  questa natura, la quale mette in cuore il bisogno della  virtfi, e la fa apparire poi stolta a Bruto. Infine, quella  stessa giovinezza e freschezza mattinale, arrisa e ringa¬  gliardita dalla speranza, ecco, risorge per x’irtù di questo  Amore ; « E siccome i fati lo dotarono di fanciullezza  eterna, quindi esso, convenientemente a questa sua na¬  tura, adempie per qualche modo quel primo voto degli  uomini, che fu di essere tornati alla condizione della pue¬  rizia. Perciocché negli animi che egh si elegge ad abitare,  suscita e rinverdisce, per tutto il tempo che egh vi siede,  l’infinita speranza e le belle e care immaginazioni degli  anni teneri. Molti mortah, inesjierti c incapaci de’ suoi  diletti, lo scherniscono e mordono tutto giorno, sì lontano  come presente, con isfrenatissima audacia: ma esso non  ode i costoro obbrobri; e quando gli udisse, niun sup-  phzio ne prenderebbe: tanto è da natura magnanimo e  mansueto ».   Qui non c’ è satira, né riso, né fredda anahsi; ma  la più ferma fede e l’anima stessa del Poeta, che con la  pietà di Giove accenna già da lungi alla pietà di Elean-  dro: e raccoghe in questo suo magnanimo e mansueto  amore tutta la infehcità degli uomini e delle cose, e la  purifica e sana nel gran mare tranquillo del cuore, dove le illusioni rinverdiscono ad ora ad ora in una perpetua  giovinezza; e la vita vera non è quella dell’egoismo e  della barbarie, ma dell’affetto che lega le anime con  nodi divini, e della bellezza, della libertà, della patria,  e di tutte le cose nobili e alte che fan grande l’uomo.   Questo amore, che dà piuttosto verità che ras¬  somiglianza di beatitudine, e ristaura tutta la  vita umana, questo è il vero spirito delle Operette morali. Pes¬  simista, sì, ma alla Pascal, che disse; L’homme n’est qu’un  roscau, le plus faible de la nature] mais c’est un roseau pen-  sant. Il ne faut pas que l’univers entier s’arme pour l’écraser ;  une vapeur, une gcmtte d'eau, suffit pour le tuer. d/a/s,  quand l’univers l’écraiserait, l' homme serait encore plus  noble que ce qui le tue, par ce qu’ il sait qu’ il meiirt, et  l’avantage que l’univers a sur lui] l’univers n’en sait rien\  sicché la grandeur de l’homme est grande en ce qu’ il se connaU  misérable E il Leopardi nell’agosto del ’23, alla vigilia  delle Operette, e quando il concetto di esse era già ma¬  turo ; « Niuna cosa maggiormente dimostra la grandezza  e la potenza dell’umano intelletto, ossia 1 altezza e no¬  biltà deH’uomo, che il poter l’uomo conoscere e intera¬  mente comprendere e fortemente sentire la sua piccolezza.  Quando egli considerando la pluralità dei mondi, si sente  essere infinitesima parte di un globo che è minima parte  degh infiniti sistemi che compongono il mondo, e in  questa considerazione stupisce della sua piccolezza e pro¬  fondamente sentendola e intensamente riguardandola, si  confonde quasi col nulla, e perde quasi se stesso nel pen¬  siero della immensità delle cose, e si trova come smarrito  nella vastità incomprensibile dell’esistenza; allora con que¬  sto atto e con questo pensiero egli dà la maggior piova della  sua nobiltà, della forza e della immensa capacità della sua  mente, la quale, rinchiusa in sì piccolo e menomo essere.    I Pensées, NN. 347 e 397 (Brunschvicg).    è jiotuta pervenire a conoscere e intendere cose tanto  superiori alla natura di lui, e può abbracciare e con¬  tener col pensiero questa immensità medesima della  esistenza e delle cose » *.   Questa coscienza dell’umana grandezza e sovranità  sulla trista natura il Leopardi non smarrì mai; ed è  l’anima di tutta la sua poesia, in cui queste Operette  rientrano. E chi voglia intenderle, deve nel loro insieme  e in ogni singola parte che le costituisce, aver l’occhio  a questo punto centrale, da cui s’irradia la luce che  tutte le investe e compenetra. Tutte, ad eccezione del  Sallustio, che è negazione fredda, senza l’orrore, la ri-  beUione dell’animo, il dolore, sia pur mascherato da  amaro sorriso, che si diffonde in tutte le altre. E questo  parmi il giusto motivo che indusse l’autore a sopprimerlo.   VII.   Quando nel ’27 una nuova ripresa della primitiva  ispirazione diede il Copernico e il Plotino, venutisi quindi  ad aggiungere alle prime Operette già formanti un orga¬  nismo, r ispirazione non era punto mutata. Giacché il  Copernico dimostra, secondo il detto dello stesso autore,  la nullità del genere umano; e la dimostra ripigliando  un’ idea che contro i Timandri medievali attardati aveano  già nel Cinque e Seicento svolta Bruno nella Cena delle  ceneri e Galileo nei Massimi sistemi] donde la conclu¬  sione necessaria che Porfirio ricava nell’altro dialogo  (che sarebbe poi la conclusione rigorosamente logica di  tutta la parte negativa delle Operette) : che sia ragio¬  nevole uccidersi. Ed egh vince a furia di argomentare  (movendo da premesse, che son quel che sono, ma a lui  paiono ben fondate) il suo stesso maestro, Plotino. Ma    ' Pensieri, V, 223; cfr. VII, 106.     Plotino può opporgli una sapienza assai più profonda  più vera: «Sia ragionevole l’uccidersi; sia contro ragion^  1 accomodar l’animo alla vita : certamente quello è u ^  atto fiero e inumano. E non dee piacer più, né vuoP  elegger piuttosto di essere secondo ragione un mostr^'  che secondo natura uomo ».   Perché contro natura e contro umanità il suicidio  ancorché conclusione di logica inesorabile? Porgiam ’  orecchio, dice Plotino, «piuttosto aUa natura che alh  ragione. E dico a quella natura primitiva, a quella madre  nostra e deU’universo; la quale se bene non ha mostrato  di amarci, e se bene ci ha fatti infelici, tuttavia ci è stata  assai meno inimica e malefica, che non siamo stati noi  coir ingegno proprio, colla curiosità incessabile e smisu¬  rata, colle speculazioni, coi discorsi, coi sogni, colle opi¬  nioni e dottrine misere: e particolarmente, si è sforzata  ella di medicare la nostra infelicità con occultarcene, o  con trasfigurarcene, la maggior parte. E quantunque sia  grande 1 alterazione nostra, e diminuita in noi la jjo-  tenza della natura; pur questa non è ridotta a nulla  né siamo noi mutati e innovati tanto, che non resti in  ciascuno gran parte dell’uomo antico. Il che, mal grado  che n’abbia la stoltezza nostra, mai non potrà essere  altrimenti. Ecco, questo che tu nomini error di com¬  puto; veramente errore, e non meno grande che palpabile;  pur si commette di continuo; e non dagli stupidi so¬  lamente e dagl’idioti, ma dagl’ingegnosi, dai dotti, dai  saggi; e si commetterà in eterno, se la natura, che ha  prodotto questo nostro genere, essa medesima, e non già il  raziocinio e la propria mano degli uomini, non lo spegne.   E credi a me, che non è fastidio della vita, non  disperazione, non senso della nulhtà delle cose, della  vanità deUe cure, della solitudine dell’uomo; non odio  del mondo e di se medesimo, che possa durare assai:  benché queste disposizioni dell’animo sieno ragionevolissime, e le lor contrarie irragionevoli. Ma contuttociò,  passato un poco di tempo, mutata leggermente la dispo-  sizion del corpo; a poco a poco, e spesse volte in un  subito, per cagioni menomissime, e appena possibili a  notare; rilassi il gusto della vita, nasce or questa or  quella speranza nuova, e le cose umane ripigliano quella  loro apparenza, e mostransi non indegne di qualche cura;  non veramente all’ intelletto, ma sì, per modo di dire,  al senso dell’animo » •. E infine, conclude Plotino, questo  senso, non 1 ’ intelletto, è quello che ci governa. Sicché è  evidente che non la filosofia negativa, che spazia dal  Dialogo d’ Ercole e di Atlante fino al Cantico del Gallo  silvestre e al Frammento di Stratone, e poi nel Copernico,  opera di puro intelletto, è la somma della sapienza leo¬  pardiana; ma questa stessa filosofia in quanto dichiarata  stoltezza dalla natura e da questo « senso dell’animo ».   Senso dell'animo, che è sempre amore per il Leopardi.  Giacché non la sola natura ci riattacca alla vita, sì anche  un bisogno d’amore, che a noi spetta di alimentare:  « E perché », chiede Plotino, « anche non vorremo noi  avere alcuna considerazione degh amici; dei congiunti  di sangue; dei figliuoli, dei frateUi, dei genitori, della  moglie; delle persone familiari e domestiche, colle quali  siamo usati di vivere da gran tempo; che, morendo,  bisogna lasciare per sempre : e non sentiremo in cuor nostro  dolore alcuno di questa separazione; né terremo conto  di quello che sentiranno essi, e per la perdita di persona  cara o consueta, e per l’atrocità del caso ? ». E dice la  parola, che si va cercando attraverso tutte le Operette,  ma di cui può dirsi quello stesso che Tacito dell’ imma-    * Il solo, a mia notizia, che abbia rilevato l’importanza che questo  «senso dell'animo» ha nel sistema dello spirito leopardiano, come  principio di redenzione dal pessimismo, è stato il prof. Giovanni  Negri, nelle sue Divagazioni leopardiane (6 volumi, Pavia, 1894-99),  passim, e specialmente voi. V, pp. lys-yy.      1gine di Bruto mancante ai funerali della sorella: prae-  fulgebat eo ipso gitoci non visebatiir. « E in vero, colui che  si uccide da se stesso, non ha cura né pensiero alcuno  degli altri; non cerca se non la utilità propria; si gitta  per così dire, dietro alle spalle i suoi prossimi, e tutto il  genere umano: tanto che in questa azione del privarsi  della vita, apparisce il più schietto, il più sordido, o certo  il men bello e men liberale amore di se medesimo, che  si trovi al mondo ».   Dunque quella grandezza non è infelicità; perché  l’uomo infelice dovrebbe darsi la morte; e si ucciderebbe  se vivesse per la felicità e si attenesse quindi al calcolo  dell’utile. Ma la vera vita è non sembianza, sì verità di  beatitudine se è amore, in cui l’uomo non distingue più  sé dagli altri, né agli altri antepone più se stesso. E questa  è la A’irtù, la magnanimità, di cui parla tanto spesso il  Leopardi, che non è più il dolore incomportabile che ci  fa invidiare i morti, ma questo amore che ci stringe ai  viventi, e ci ammonisce dal fondo del nostro cuore di  uomini, come Plotino con voce tremante di affetto dice  al suo Porfirio: «Viviamo, e confortiamoci a vicenda;  non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci  ha stabìhta, dei mali della nostra specie. Sì bene atten¬  diamo a tenerci compagnia l’un l'altro; e andiamoci  incoraggiando e dando mano e soccorso scambievolmente;  per compiere nel miglior modo questa fatica della vita».  Questo amore, che ci regge e riempie la vita, ci conforta  la morte e ci abbellisce l’idea di questo mondo, da cui  non spariremo senza sopravvivere. « E quando la morte  verrà, allora non ci dorremo: e anche in quell’ultimo  momento gli amici e i compagni ci conforteranno: e ci  rallegrerà il pensiero che, poi che saremo sjienti, così  molte volte ci ricorderanno, e ci ameranno ancora ».   Vili.   Amore è la prima e l’ultima parola delle Operette.  Le quali ebbero ancora una ripresa, come dicemmo,  nel '32, nei due dialoghi fiorentini: il Venditore d’Alma¬  nacchi e Tristano. Nel primo ritorna il motivo del Can-  tico del Gallo silvestre. Il venditore d’almanacchi col suo  grido festoso annunzia l’anno nuovo, il tempo che ri¬  comincia, e risveglia le speranze e promette. Ma il pas¬  seggero in cui s’incontra oppone la sua fredda riflessione  a quell’ impeto di vaghe e indefinite speranze, e lo con¬  duce a considerare che « quella vita eh’ è una cosa bella,  non è la vita che si conosce, ma quella che non si co¬  nosce ; non la vita passata, ma la futura ». La vita che si  conosce è la passata, mista di beni e di mali, e a cagione  di questi ultimi tale che nessuno vorrebbe riviverla:  vita brutta, dunque. La futura è quella che non si conosce,  e che sarà egualmente brutta quando sarà passata; e  sarebbe perciò non meno brutta, se noi ce la vedessimo  venire incontro quale in effetti sarà. Dunque ? Il Leo¬  pardi non conchiude ; ma la conclusione è quella che viene  dalle Operette: sperare non è ragionevole, poiché, come  cantava il Gallo silvestre, già si corre alla morte; ma  non sperare non si può; perché, è evidente, il futuro  sarà brutto quando sarà passato; ma bello è finché fu¬  turo; né di questo futuro potrà mai tanto passarne che  non ce ne sia sempre dell’altro, in cui possa rifugiarsi  la speranza, o innanzi a cui non possa il Gallo intonare  il suo canto consolatore. E la vita resta sempre con  queste due facce ; a vedersela innanzi, qual’ è, una mi¬  seria disperante; a viverla, a \'iverci dentro col nostro  cuore, i nostri fantasmi, le nostre speculazioni e il no¬  stro amore, una beatitudine divina.   Il 1832 fu per Giacomo l’anno della tragica prova  della sua fede. Dopo dieci anni tornò la misera Saffo a rivivere nel suo animo; non però luminosa immagine  della fantasia, come nell’ Ultimo canto, ma vita del cuore  stesso di Giacomo.   Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella  Sei tu, rorida terra. Airi di cotesta  Infinita beltà parte nessuna  Alla misera Saffo i numi e l’empia  Sorte non fenno. A’ tuoi superbi regni  Vile, o natura, e grave ospite addetta,   E dispregiata amante, alle vezzose  Tue forme il core e le pupille invano  Supplichevole intendo   Non meno supplichevole Giacomo guarda ad Aspasia;  onde ricorderà:   Or ti vanta, che il puoi....   .... Narra che prima,   E spero ultima certo, il ciglio mio  Supplichevol vedesti, a te dinanzi  Me timido, tremante (ardo in ridirlo  Di sdegno e di rossor), me di me privo.   Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto  Spiar sommessamente, a’ tuoi superbi  Fastidi impallidir.... * *.   E cadde l’inganno, e la vita, orba d’affetto e del gentile  errore, fu « notte senza stelle a mezzo U verno ». Ma  Saffo proruppe nel grido disperato ; — Morremo ! —  e violenta cercò l’atra notte e la silente riva. Leopardi  scrisse invece Amore e morte] dove la morte non è più  l’orrido Dite di Saffo, anzi si palesa in tutta la sua gen¬  tilezza fino alla donzeUa timidetta e schiva. È sorella  d’Amore ;    1 Ultimo canto di Saffo (1822).   * Aspasia (1834).   Bellissima fanciulla,   Dolce a veder, non quale  La si dipinge la codarda gente.   Gode il fanciullo Amore  Accompagnar sovente;   E sorvolano insiem la via mortale.   Primi conforti d'ogni saggio core   £ la morte sospirata dall’amante, nel languido e  stanco desiderio di morire, che si sente   Quando novellamente  Nasce nel cor profondo  Un amoroso affetto,   perché già a’ suoi occhi la vita diviene un deserto:   a se la terra   Forse il mortale inabitabil fatta  Vede ornai senza quella  Nova, sola, infinita  Felicità che il suo pensier figura;   Ma per cagion di lei grave procella  Presentendo in suo cor, brama quiete.   Brama raccorsi in porto  Dinanzi al fier disio.   Che già. rugghiando, intorno intorno oscura.   E a questa morte consolatrice, che insieme con amore  è quanto di bello ha il mondo, a questa morte, senza  armare la mano, anzi con umile e mansueto animo, vol-  gesi il Poeta con un sospiro di religiosa preghiera:   Bella morte, pietosa   Tu sola al mondo dei terreni affanni.   Se celebrata mai   F'osti da me, s’al tuo divino stato  L’onte del volgo ingrato  Ricompensar tentai.    • Amore e morte (1832).   Non tardar più, t’inchina  A disusati preghi.   Chiudi alla luce ornai   Questi occhi tristi, o dell’età reina.   Non già che amore e morte abbian potere di cancellare  la fatale infelicità: né che l’uomo e il Leopardi abbiano  mercé loro, a lodarsi del fato. Quando Morte spiegherà  le penne al suo pregare, lo troverà   Erta la fronte, armato,   E renitente al fato.   La man che flagellando si colora  Nel suo sangue innocente  Non ricolmar di lode.   Non benedir....   La morte è consolatrice e liberatrice da questo fato cru¬  dele: ma già Leopardi aspetta sereno quel dì ch’ei pieghi  addormentato il volto nel vergineo seno di lei; e il fato  è vinto nel suo animo gentile da questa aspettazione:  vinto nella stessa vita. E questo è Tanimo di Tristano;  il quale, dopo avere con amara ironia fatta la palinodia  del suo libro, conchiude che il meglio sarebbe di bru¬  ciarlo : « non lo volendo bruciare, serbarlo come un libro  di sogni poetici, d’invenzioni e di capricci malinconici,  ovvero come un’espressione dell’infelicità dell’autore»;  perché, soggiunge al suo amico Tristano, con accento  che viene dal cuore e vibra di commozione, « perché in  confidenza, mio caro amico, io credo febee voi e felici  tutti gli altri; ma io, quanto a me, con licenza vostra e  del secolo, sono infebeisshno: e tale mi credo; e tutti i  giornali de’ due mondi non mi persuaderanno il contrario ».  Egb è flagellato dallo stesso fato di Amore e morte. «E  di più vi dico francamente eh’ io non mi sottometto alla  mia infelicità, né piego il capo al destino, o vengo seco  a patti, come fanno gli altri uomini; e ardisco desiderare  la morte, e desiderarla sopra ogni altra cosa.... Né vi  parlerei così se non fossi ben certo che, giunta l’ora, il  fatto non ismentirà le mie parole.... In altri tempi ho  invidiato gli sciocchi e gh stolti, e quelli che hanno un  gran concetto di se medesimi; e volentieri mi sarei cam¬  biato con qualcuno di loro. Oggi non in\'idio più né stolti  né savi, né grandi né piccoli, né deboli né potenti. In¬  vidio i morti»: i morti di Ruysch, già sicuri àzH’antico  dolori E quest'invidia, questo desiderio intenso della  morte, è fiducia confortata da una speranza che non  falhrà, e che già allieta di sé Tanimo sottratto per lei a  quella vita che è dolore: a quella cosa arcana e stupenda,  che i morti di Ruysch possono ricordare senza tema,  poiché è un passato irrevocabile: «Ogni immaginazione  piacevole, ogni pensiero dell’avvenire, ch’io fo, come  accade nella mia solitudine, e con cui vo passando il  tempo, consiste nella morte»: che è un avvenire, adun¬  que, quale il venditore di almanacchi lo prometteva.   In conclusione, ancora una volta, e sempre, l’amore  trionfa del dolore, anche nella morte, che ci libera infine  da quella vita che la natura e il fato danno all’uomo  « di cedere inesperto ». Cederebbe il suicida egoista, non  il magnanimo che allarga la sua persona nell’amore, e  guarda sereno alla morte amica che lo sottrarrà, e lo  sottrae, alla miseria di Saffo e dell’ Islandese. Quanta  differenza tra la morte di cui Ercole ragiona con Atlante  0 quella che s’incontra nella Moda, al principio delle  Operette) e questa morte, a cui l’animo si volge desioso  alla fine delle Operette stesse ! Il filo aureo che dall’una  conduce all altra è già nella Storia del genere umano'.  Amore figlio di Venere celeste.     'Vt ■** ^ ■ '   ^1 ijji •■»{., y .'A ^ .A — '■ . ^.   «r *-T» -^ * •-*■»* % *•    » »||    •T‘f*   . ,«W -f ,*• li ;   ' *• •■fr- ,   I rf'.A-t.. . «UI-*    . . J. yr ‘ - - ■ '    fjftl- ’■• > i ;         $   f'   .ti       -i) ' * ‘,>?^j^*j-ÌJ<..-:-^-^>' ■-■ . -, -  .. i ,, ^fjr   t n . ‘yt --. 'lÉ^4. .' "*4 PROSA E POESIA NEL LEOPARDI . Questo scritto fu pubblicato prima nel Messaggero della dome¬  nica, a. II, nn. 8 e 9, 23 febbraio e 2 marzo 1919: poi nei Frammenti  di estetica e letteratura, pp. 347-66.    A proposito del Leopardi toma sempre in campo la  questione delia differenza e del rapporto tra filosofia e  poesia: poiché questo poeta voUe essere, e per certi rispetti nessuno può negare sia stato infatti un filosofo;  ma, d’altra parte, egli stesso pare abbia voluto distin¬  guere una cosa dall’altra, come res dissociabiles, e in un  libro di prosa volle in forma più sistematica e più ra¬  zionalmente convincente esporre quel suo pensiero da  cui traeva intanto ispirazione il suo canto nelle poesie.  E non importa se non ci sia una sola delle sue poesie  in cui il Leopardi non ragioni la sua fede e non si sforzi  di dimostrare la verità del concetto ch’egli s’era formato  della vita, e che attraverso una determinata situazione  personale, un paesaggio, un ’immagine, si sforza costan¬  temente di mettere in piena luce. Non importa se nessuna  delle prose raccolte nelle Operette morali si presenti sotto  la forma di scolastica dimostrazione e scevra di quel  sentimento, di quella viva commozione, in cui \dbra la  personalità del poeta così nelle Operette come nei Canti.  La distinzione pare tuttavia innegabile, poiché, non po-  tenilo altro, se ne fa una questione di quantità e di più  e di meno: affermando che l’elemento filosofico predomina  nelle Operette, e l’elemento hrico nei Canti. E si crede  così di salvare la tesi generale, che bisogna rinunziare  alla filosofia per esser poeti, e viceversa: giacché la loro  natura è così diversa e ripugnante, che l’una non può  esser l’altra e una sempre deve essere sacrificata.   Ma io non voglio ora affrontare la questione, che  potrà sembrare tanto teoricamente difficile e dehcata    li. — Gkntilk, Òfamoni e Leopardi.   quanto praticamente inutile e oziosa. Nel caso del Leo¬  pardi la questione di principio è priva d’ogni interesse,  perché il Leopardi, anche nelle sue prose, è indubbiamente  poeta ; temperamento poetico sempre, che, canti o ragioni,  cioè si proponga Luna o l’altra cosa, in realtà non riesce  se non ad esprimere se stesso; a vivere di quella verità  che gli invade l’anima e non gli lascia modo di dubitare  e di assoggettarla a quella più alta razionalità, a quella  critica oggettiva che s’inquadra in un sistema, e in cui  consiste propriamente una filosofia *. 11 che non vuol  dire che non abbia anche lui la sua filosofìa; ma è una  filosofìa fatta vita e persona, fatta vibrazione e ritmo  del suo stesso sentimento, incapace come tale d’acquistare  intera coscienza di sé, e perciò di superarsi. E, cioè, un  certo suo atteggiamento spirituale, che s’effonde nella  divina ingenuità della poesia, e che riesce perciò superiore  a quella dottrina che l’autore si sforza consapevolmente  di formulare.   Superiore perché, — ormai è noto agh studiosi più  attenti della sua poesia — questa ha pel poeta un conte¬  nuto pessimistico, e per noi, invece, ha un contenuto  ottimistico. La vita infelice, necessariamente e fatal¬  mente infelice, è ciò che il poeta aveva innanzi agli occhi,  vedeva e si proponeva di cantare. Ma poiché quella \nta  che ogni poeta canta non è quella che ha innanzi agli  occhi, bensì quella che ha dentro al cuore, e però ogni  poeta canta non la vita quale egli la vede, ma il cuore  con cui egli la guarda; e poiché il cuore di Giacomo Leo¬  pardi era, come egli disse una volta, << nato ad amare »,  ed aveva « amato, e forse con tanto affetto quanto ]iuò  mai cadere in anima vdva », così, in realtà, tema del suo    I Vedi ora il mio scritto Arte e religione, nel Giorn. crii. d. filos-  Hai., T (1920), pp. 262-76; e nel voi. Dante e Manzoni, Firenze, Vai-  lecchi, 1923.     MANZONI E LEOPARDI    163    canto non fu mai quella brutta vita, che è piena di do¬  lore, ma quell’altra che egli più profondamente sentiva,  redenta dall’amore, la quale «dà piuttosto verità che  rassomiglianza di beatitudine »   Poiché appunto qui è il divario tra pessimismo e ot¬  timismo: che il primo vede la vita quale apparisce nella  natura considerata dal punto di vista materialistico,  brutale, sorda ai bisogni e alle finalità dello spirito, chiusa  in sé di contro alle aspirazioni dell’anima umana biso¬  gnosa di amore e di consenso, ossia di un mondo conforme  alla sua vita e a lei consentaneo; e l’altro invece crede  nello spirito, nel valore de’ suoi ideali, e nell’energia  dell’amore che sola è capace di reahzzare un tale valore.  11 mondo del pessimista è il mondo dell’egoismo, per cui  il dovere e la \nrtù sono mere illusioni, e il mondo del¬  l'ottimista è il mondo in cui la più salda e vera realtà è  quella che risponde alle esigenze dell’animo. E la verità  è questa: che il Leopardi, pessimista di filosofia, e ijuasi  alla superficie, fu invece ottimista di cuore, e nel pro¬  fondo dell’animo: tanto più acutamente pessimista, col  progresso della riflessione, e tanto più altamente e uma¬  namente ottimista. Basta confrontare la canzone Al-  /’ Italia con La Ginestra. Di qui la sublime bellezza della  sua poesia, dove la bestemmia e lo strazio della dispe¬  razione si smorzano e dissolvono nella commossa e tenera  effusione di un’anima angosciosamente agitata da un  bisogno di amore universale e da un’ incoercibile fede  nella virtù e nella realtà dell’ ideale. Egli non ha la filo¬  sofia di questo superiore ottimismo in cui rimane assor¬  bita la sua iniziale visione pessimistica; e continua a dire  che la sua è sempre la filosofia del Bruto Minore^-, ma  l’anima, che non perviene al concetto filosofico di quella    ' storia del genere umano.   - Lett. al De Sinner del 24 maggio 1832.    realtà che è per lei la vera e suprema realtà, raggiungo  bensì la forma poetica della sua espressione in modo  pieno e perfetto.   Se cerchiamo in lui il filosofo, avremo lo scettico,  ironista, materialista piuttosto mediocre nell’ invenzione,  dove riesce facile scoprire quanto egli debba ai libri che  lesse, e come pronto fosse ad attingere dalle fonti ph,  disparate tutto ciò che comunque paresse giovare a con¬  ferma delle sue idee: mediocre nell'esposizione od ela¬  borazione della materia, per evidente inesperienza del  metodo lìlosofìco e insufficiente familiarità coi grandi  pensatori di tutti i tempi. Ma chi legga il Leopardi e si  fermi a ciò che in lui è mediocre, non ha occhi né anima  per vedere che cosa c’ è propriamente in lui che è vivo  ed eterno e grande: ciò per cui anche a chi pedanteggi  la sua poesia s’impone e suscita un’eco solenne nell’animo.  In questo senso bisogna pur dire che in Leopardi non si  deve cercare e non c’ è il filosofo: ma c è un anima, che  rifulge in tutto lo splendore della sua grandissima uma¬  nità. C’ è insomma il poeta.   Anche nelle sue Operette. Le quali io credo di avere  definitivamente dimostrato \ con argomenti esterni, at¬  testanti nella maniera più esplicita 1’ intenzione di esso  il Leopardi, e con argomenti interni, desunti dallo svol¬  gimento del pensiero e dagli evidenti legami onde le  singole operette sono congiunte tra loro per graduali  passaggi di atteggiamenti spirituali e di sentimenti dal  primo all’ultimo anello, che non sono una raccolta, ma  un organismo, un tutto unico, che si articola dentro di  se stesso e si conchiude. Si conchiude tra un preludio e  un epilogo in una opera, che è un poema, e non è un  trattato: un libro di poesia, anch’esso, e non di conte¬  nuto didascalico e speculativo. Il quale si compone 01 i-    I Vedi il capitolo precedente.     MANZONI E LEOPARDI    165    ginariamente di venti capitoli, scritti tutti nel 1824, in  un anno di lavoro felice, ma con un intervallo tra i primi  quattordici e gli altri sei: in guisa da suggerire il so¬  spetto che la ripresa, da cui trasse origine Tultima parte,  svolgendosi in sei capitoli, potesse trovare riscontro nella  prima serie: dalla quale sottraendo il primo e l’ultimo  capitolo, quello perché introduzione e questo perché  apologia e conchiusione di tutta la serie, si ottengono  infatti dodici capitoli, che naturalmente si dividono in  due gruppi di sei capitoli ciascuno; e ciascun gruppo è  destinato a svolgere un certo motivo, e quindi forma  un ritmo a sé. Sospetto confermato da alcuni spostamenti  dall’autore introdotti nel primitivo ordine cronologico,  e poi costantemente mantenuti, salvo una sostituzione  che nella terza edizione del libro (1834) mise uno scritto  del 1825, per l’innanzi non potuto mai pubbhcare, al  posto di un capitolo del primo gruppo: capitolo abolito  allora perché infatti non armonico né col gruppo, né  con tutta l’opera.   La distribuzione, è ovvio, non può avere se non una  importanza relativa. £ ragionevole pensare che fosse  voluta e curata dall’autore. Il quale egualmente non  volle mai rispettare l’ordine cronologico nelle edizioni da  lui curate dei Canti, e diede loro un ordinamento ideale,  che per lui aveva un \'alore, e che per i lettori ed inter¬  preti non può essere perciò trascurabile. Ma il fatto stesso  che tutte e venti le operette furono scritte successiva¬  mente, l’una dopo l’altra, nello stesso periodo di tempo,  e hanno tutte un prologo generale e un unico epilogo,  dimostra evidentemente che i loro singoli gruppi non  si possono considerare separatamente, quasi ognun d’essi  formasse un tutto a sé.   La distribuzione del nucleo principale delle Operette  in tre gruppi di sei capitoli ciascuno, con a capo un ca¬  pitolo introduttivo e in fondo un altro capitolo conclusivo, può servire soltanto a renderci attenti per leggere  le varie parti del libro cercandovi tre motivi fondamentali  che nel pensiero deU’autore si fondo no in un solo ritmj  complessivo, e formano l’unità organica del libro; e in  questo modo può servire quasi di chiave a un libro, che  fino a ieri si leggeva qua e là, scegliendo l’uno o l’altro  capitolo, come se ciascuno stesse da sé. E non occorre  dire che ci vuole discrezione, e non bisogna pretendere  un taglio netto tra un gruppo e l'altro, e una soluzione  di continuità che non si sa perché l’autore avrebbe do¬  vuto introdurre una prima e una seconda volta nel  corso della sua unica opera.   Discrezione che non vedo, per esempio, nel professor  Faggi ', quando del Dialogo di Malambrmio e Farfarello  che resta collocato alla fine del primo gruppo e da ser¬  vire quindi come passaggio al secondo, mi domanda:  « Ma non potrebbe stare anche nel secondo, poiché è  una affermazione chiara ed esplicita dell’ infelicità as¬  soluta dell’esistenza, onde si conchiude che, assoluta-  mente parlando, il non vivere è sempre meglio del vi¬  vere ? ». Ma io non avevo eretto nessuna muraglia tra il  primo gruppo concluso da questo dialogo di Malambruno  e Farfarello e il secondo aperto da quello della Natura  e di un’Anima: anzi, dopo aver mostrato il pensiero  dominante nel primo gruppo, additavo in Malambruno  quell’anima che si ritrova di fronte alla Natura al prin¬  cipio del nuovo ciclo; e tra i due dialoghi successivi non  un salto, anzi un passaggio naturale e come insensibile  ove non si osservi che quella che nel primo ciclo è una  constatazione, un'osservazione di fatto, diventa nel se¬  condo ciclo il problema.   Il Faggi, tratto forse in inganno da alcune parole    * Una nuova edizione delle fn Operette movali n di G. L., nel Mar¬  zocco del 2 febbraio 1919.     MANZONI E LEONARDI    167    da me usate incidentalmente, mi fa dire che la diffe¬  renza tra primo e secondo periodo in questa trilogia  delle Operette consisterebbe, secondo me, in ciò: che nel  primo « r infelicità del genere umano si considera parti¬  colarmente nell’età moderna come effetto più che altro  della volontà pervertita dell’uomo e della civiltà », e nel  secondo invece, « questa infelicità si considera come  legge imprescindibile e ineluttabile dell’umanità o del  mondo in genere»; sicché «la Natura, che nella prima  ipotesi apparisce fonte in se ancora inesausta di vita e  di fehcità, apparisce invece nella seconda vero principio  di ogni male e di ogni dolore ».   Cotesta sarebbe la nota differenza osservata dallo  Zumbini tra la prima fase « storica » del pessimismo  leopardiano, e la seconda metafisica o cosmica. Ma non  corrisponde per l’appunto alla distinzione da me indi¬  cata, tra il concetto del primo e quello del secondo gruppo  delle Operette. Nel primo, io dissi, l’animo del poeta vien  posto in faccia alla morte e al nulla : « ossia al vuoto  della vita, non più degna d’essere vissuta; poiché degna  sarebbe la vita inconscia, e la vita dell’uomo è senso,  coscienza. La vita nella fehcità è la natura; e l’uomo  se ne dilunga ogni giorno più con la civiltà, con l’irre¬  quieto ingegno, che assottiglia la vita, e la consuma ».   Qui il pessimismo storico è già superato, e Malam-  bruno può dire che « assolutamente parlando » il non  vivere è meglio del vivere. Lo può affermare, perché la  vita umana, fin da principio e per sua natura, è senso,  coscienza, e si è strappata a quell’ ingenuità istintiva e  affatto inconsapevole, che è pura animalità. « Può pa¬  rere », scrissi io, « che la morte dell’umanità, la sua nul-  htà o infelicità sia, nei dialoghi del primo gruppo, una  colpa dei degeneri nepoti » : poiché infatti civiltà è au¬  mento progressivo di coscienza e di pensiero. Ma in realtà,  fin dalle origini, insieme col sapere, che fa uomo l’uomo.    c’ è già il dolore, ed il destino dell’uomo è fissato. Ma-  lambruno perciò è benissimo al suo luogo alla fine del  primo ciclo.   Il secondo ciclo ricava la conseguenza pratica della  verità scoperta nel primo. E si apre infatti col Dialogo  della Natura e di un’Anima, nel quale dalla proporzione  del dolore con la grandezza dell’uomo (il cui progresso  e perfezione consiste nell’acquisto di sempre maggior  copia di sentimento che gli fa sentire sempre più acuto  il dolore dell’esistenza) deduce, che dunque è meglio  spogliarsi deU’umanità, o delle doti che la nobilitano, e  farsi « conforme al più stupido e insensato spirito umano *  che la natura abbia mai prodotto in alcun tempo. Negare  l’umanità, rinunziare a ciò che fa il pregio della \ùta,  rinunziare ad affiatarsi con la Natura indifferente, che  ci respinge da sé, ossia rinunziare alla vita: e rassegnarsi  alla vita vuota, al tedio, all’ inerzia. Laddove il primo  ciclo addita aU’uomo l’abisso che con la coscienza s’è  aperto tra lui e la natura, il secondo gli fa sentire il de¬  stino a cui gli conviene di rassegnarsi, rinunziando a  quella natura che non è per lui, e a quella vita che sol¬  tanto nella natura potrebbe spiegarsi.   Il primo ciclo è una negazione, per così dire teo¬  retica; il secondo è la negazione pratica, che consegue  dalla prima negazione. La conclusione dovrebbe essere  quella di Bruto minore e di Saffo, il suicidio; non ò però  la conclusione del Leopardi, il quale non finisce con  r Ultimo canto di Saffo, ma con la Ginestra. E perché  quella di Bruto non sia la sua conclusione è detto nel  terzo ciclo delle Operette. Il quale svolge questo motivo:  che quella vita che certamente non ha valore, perché è  dolore e perciò negazione della vita che noi vorremmo  vivere, ripullula rigogliosa e incoercibile dalla sua stessa  negazione.   La \àta è abbarbicata aH’anima umana; e questa, attraverso le attrattive e le lusinghe della gloria, la stessa  contemplazione della morte liberatrice, porto sicuro da  tutte le tempeste, come la cantano i morti di Ruysch,  attraverso una filosofia che sappia intendere e sorridere  con la magnanimità bonaria di un Ottonieri, attraverso  gli stessi rischi in cui la vita si perde e si riconquista  col gusto di una cosa nuova, e in generale attraverso  l’attività, il movimento, la passione e la speranza che  non vien mai meno; ma sopra tutto, attraverso l’amore  che ci fa ricercare nell’uomo, neW’umana compagnia,  quello che la natura ci nega anche nella piena coscienza  della propria infelicità fatale e immedicabile, vive e sente  la gioia d’una vita che trionfa del destino fatto all’uomo  dalla natura.   Una soluzione dunque del problema della vita nei tre  cicU delle Operette morali c’ è. Ma è una filosofia ? È evi¬  dente che no: perché la via che filosoficamente si do¬  vrebbe seguire per superare il pessimismo radicale dei  primi due cich è, senza dubbio, quella per cui l’anima  dello scrittore si avvia e spontaneamente e vigorosamente  procede nel terzo; ma questo non è una dottrina, bensì   10 slancio naturale dello spirito che risorge con tutte le  sue forze dalla negazione pessimistica. E il pessimismo,  in linea di teoria, rimane la verità assoluta e insuperabile.   11 Leopardi sente bensì e vive la verità superiore, ma  non riesce a darle forma riflessa e speculativa. Egli spe¬  rimenta in sé ed attesta coi moti del suo animo la po¬  tenza dello spirito, che anche nell’uomo che s’imma¬  gina scliiavo e vittima della natura, trionfa della forza  tirannica e feroce di questo brutto potere, e vive, e gusta  la gioia di questa sua vita in cui consiste la realtà dello  spirito. E in questo balsamo, che il suo animo sparge  così su tutte le piaghe che ha aperte e che ha fissate  inorridito, in questa dolcezza che sana ogni dolore, in  quest’ idealità che sopravvive a ogni negazione, qui  la personalità, qui è la poesia del Leopardi. Così, ripeto  nelle Operette, come nei Canti.   Si rilegga l’affettuosa parlata di Eleandro onde si  conchiuse da prima tutta la serie delle Operette-, o il di.  scorso di Plotino, con cui il libro tornò ad essere suggei.  lato nelle aggiunte posteriori; e si neghi, se è possibile,  che il centro e l’accento principale dello spirito leojiar-  diano è in quel « senso dell’animo », com’egli dice, che,  agli occhi suoi, lega l’uomo all’uomo, e con l’amore, vin-  colo soave insieme ed eroico, instaura un ordine morale  inespugnabile a ogni riflessione scettica, e superstite  infatti (coni’ è detto nella Storia del genere umano) a  quella fuga di tutti i lieti fantasmi che è prodotta dal  sorgere della verità tra gli uomini. L’animo del Leopardi,  come quello di Porfirio, non si scioglie dalla vita, anzi  vi si stringe vieppiù, e la trova, malgrado tutto, degna  d’esser vissuta, per quel che dice appunto Plotino: «E  perché non vorremo noi avere alcuna considerazione  degli amici; dei congiunti di sangue; dei figliuoli, dei  fratelli, dei genitori, della moglie; delle persone familiari  e domestiche, colle quali siamo usati di vivere da gran  tempo: che morendo, bisogna lasciare per sempre: e non  sentiremo in cuor nostro dolore di questa separazione;  né terremo conto di quello che sentiranno essi, per la  perdita di persona cara e consueta, e per l’atrocità del  caso ? ». Questo non è un argomento filosofico, ma un  cuore che trema in ogni parola; e ogni parola si sente  come velata dal pianto dell’anima che il dolore apre ed  espande nell’amore.   — Ma è proprio vero, torna a domandarmi il profes¬  sor Faggi, che amore sia la prima e l’ultima parola delle  Operette ? — Ecco: che la Storia del genere umano faccia  consistere tutto il pregio, la bellezza e la felicità della  vita nell’amore, mi pare sia così chiaro dalle ultime pagine del mito, che nessuno possa dubitarne. E non vedo  che ne dubiti lo stesso Faggi. Il quale dubita piuttosto  che amore sia l’ultima parola del libro. Non gli pare che  sia nella prima forma di questo, quando finiva col Dialogo  a Timandro e di Eleandro\ né che sia nella forma defi¬  nitiva, quando all’ultimo posto fu collocato il Dialogo  di Tristano e di un Amico. La compassione di Eleandro,  egli dice, « non è amore : tant’ è vero che questo dialogo  dovea dapprincipio intitolarsi Misénore e Filénore, e  Mis nore, cioè odiatore dell’uomo, doveva essere il Leo¬  pardi ». Ma il Faggi non ha badato che (come avrebbe  potuto vedere da tutte le varianti che io ho tratte dal¬  l’autografo) cotesto titolo, poi mutato dall’autore nel¬  l’altro con cui pubblicò il dialogo, non solo fu ideato  quando ancora il dialogo era da scrivere, ma mantenuto  fino alla fine della composizione del dialogo stesso. Sicché  il concetto di Mist'nore è puntualmente quel medesimo  che vediamo incarnato in Eleandro: in chi cioè non si  oppone propriamente all’amatore degli uomini, ma si  oppone soltanto a chi, anzi che Filénore, merita d’esser  detto Timandro, perché eccessivamente valuta, col domma  della perfettibilità progressiva, il potere umano di impa¬  dronirsi della feheità. L’uomo del Leopardi non è l’uomo  vantato e millantato dagl’ illuministi del secolo XVIII  e dai progressisti del suo secolo: l’uomo dalle magnifiche  sorti e progressive del Mamiani: è l’uomo vittima della  natura e però degno di compassione.   La compassione non è amore; certo. Ma ne è la ra¬  dice. E perciò Giove, mosso da pietà, nella Storia del  genere umano, manda Amore fra gli uomini. Perché solo  l’amore lenisce i dolori, per cui si commisera l’infelice ;  e se Eleandro, dopo aver protestato con un grido che  gli si sprigiona dal più profondo del cuore: «Sono nato  ad amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto  può mai cadere in anima viva », soggiunge : « Oggi non     mi vergogno a dire che non amo nessuno, fuorché nie  stesso, per necessità di natura, e il meno possibile»-  l’aggiunta è un’asserzione voluta dalla coerenza del si'  sterna pessimistico della vita che Eleandro oppone al  dommatico ottimismo di Timandro; ma si smentisce  subito continuando : « Con tutto ciò sono solito e pronto  a eleggere di patire piuttosto io, che esser cagione di pa¬  timenti ad altri ». E questa è compassione, che è pnrg  una sorta di amore.   Che se Tristano non sa più pensare se non alla morte  questa morte (come credo di aver chiarito abbastanza  col riscontro di quel dialogo con i canti dell’amore fio¬  rentino, Aspasia e Amore e morte), non è la disperazione  della vita, cantata da Bruto minore e da Saffo, ma è la  bellissima fanciulla che   Gode il fanciullo Amore   Accompagnar sovente;   la bella morte, pietosa, sospirata in quel languido e stanco  desiderio di morire che sorge col nascere d’un amoroso  affetto. E r ironia, così nel Timandro come nel Tristano,  non è rivolta contro la vita confortata dall’amore, bensì  contro quel volgare ottimismo che parla il fatuo lin¬  guaggio di Timandro e deH’amico di Tristano.   Vero è che per leggere Leopardi non bisogna tanto  badare a quello che egli dice, ma al modo piuttosto in  cui lo dice, al tono delle sue parole, in cui propriamente  consiste la sua anima, e quindi la vita e il valore della  sua prosa. Che io perciò desidero considerare più come  poesia che come argomentazione. E perciò non posso  accettare quel che il Faggi dice del Dialogo di Torquato  Tasso e del suo Genio familiare e dell’ Elogio degli uccelli.   Come mai, mi domanda del primo, «appartiene al  secondo gruppo e non al terzo ? Anche questo dialogo è  senza dubbio.... una ricostruzione; e, per questo lato.   vale il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez ».  Infatti, egli osserva, « non dee spaventare la differenza  che c’ è fra un uomo chiuso nelle quattro mura d’una  prigione e un altro che corre a vele spiegate 1’ Oceano  infinito. 11 Tasso prova nello spirituale colloquio col suo  Genio familiare press’a poco la stessa soddisfazione che  il grande Genovese nel suo fortunoso viaggio. Tutt’e due  han trovato la maniera di fuggire la noia, questa com¬  pagna indivisibile dell’esistenza. Quando altro frutto non  ci venga da questa navigazione, dice Cristoforo Colombo  a Pietro Gutierrez, a me pare che ella ci sia profitte¬  volissima in quanto che per lungo tempo essa ci tiene  Uberi dalla noia, ci fa cara la vita, ci fa pregevoli molte  cose che altrimenti non avremmo in considerazione.  E il povero Tasso ha ricevuto tale conforto dalla con¬  versazione col suo Genio, che, si può ritenere, il consigUo  da questo datogli di ricercarlo, ov’ei lo voglia, in qualche  Uquore generoso, non andrà perduto. Tutt’e due, tra  fantasticare o navigare, van consumando la vita: non  con altra utiUtà che di consumarla; che questo è l’unico  frutto che al mondo se ne può avere: e l’unico ‘intento  che l’uomo deve proporsi ogni mattina in sullo sve¬  gliarsi ’ ».   Ora tutto ciò, se si guarda alla nota fondamentale  dei due dialoghi, non credo si possa sostenere. Lo spunto  del Colombo ci è indicato dallo stesso Leopardi, che,  come io ho mostrato, aveva prima concepito questo scritto  col titolo di Salto di Leucade\ e il senso o nucleo del dia¬  logo va quindi cercato nel passo che segue alle parole  citate dal Faggi, dove Colombo dice: « Scrivono gU antichi,  come avrai letto o udito, che gli amanti infelici, gittan-  dosi dal sasso di Santa Maura (che allora si diceva di  Leucade) giù nella marina, e scampandone, restavano  per grazia di Apollo, liberi dalla passione amorosa. Io  non so se egli si debba credere che ottenessero questo  effetto; ma so bene che, usciti di quel pericolo, avranno  per un poco di tempo, anco senza il favore di Apollo  avuta cara la vita, che prima avevano in odio; o pm-g  avuta più cara e più pregiata che innanzi. Ciascuna na  vigazione è, per giudizio mio, quasi un salto dalla rupe  di Leucade; producendo le medesime utihtcà, ma pj(,  durevoli che quello non produrrebbe; al quale, per questo  conto, ella è superiore assai. Credesi comunemente che  gli uomini di mare e di guerra, essendo a ogni poco in  pericolo di morire, facciano meno stima della vita pro¬  pria, che non fanno gli altri della loro. Io per Io stesso  rispetto giudico che la vita si abbia da molto poche per¬  sone in tanto amore e pregio come da’ navigatori e  soldati ».   Non il consumai'e la vita è l'utilità del rischio, a cui  Colombo espone sé e i suoi marinai, ma la gioia di riaf¬  ferrarsi aUa vita che nell’oceano sterminato si teme sfug¬  gita per sempre: il gusto che si prova per ogni piccolo  bene, appena ci paia di averlo perduto, se lo riacqui¬  stiamo. 11 Colombo è questa gioia del pericolo vinto, ma  che bisogna perciò affrontare per vincerlo.   Il Tasso è tutt’altra cosa. Il navigatore pregusta il  piacere della vista di un cantuccio di terra: ma il povero  prigioniero non conosce né spera mutamento alla sua  sorte, e lasciando, com’egli dice, anche da parte i dolori,  la noia solo lo uccide. La noia, di cui egli può parlare  perché ne ha esperienza; ma che gh pare il destino uni¬  versale degh uomini, quasi la sua prigione fosse simbolo  della natura, che circonda e chiude dentro di sé l’uomo:  « A me pare che la noia sia della natura dell’aria : la  (juale riempie tutti gli spazi interposti alle altre cose  matcriah, e tutti i vani contenuti in ciascuna di loro:  e donde un corpo si parte, e l’altro non gli sottentra,  quivi ella succede immediatamente. Così tutti gl’ inter¬  valli della vita umana frapposti ai piaceri e ai dispiaceri, sono occupati dalla noia. E però, come nel mondo mate¬  riale, secondo i Peripatetici, non si dà vóto alcuno; così  nella vita nostra non si dà vóto : se non quando la mente  per qualsivoglia causa intermette l’uso del pensiero.  Per tutto il resto del tempo, l’animo, considerato anche  in se proprio e come disgiunto dal corpo, si trova con¬  tenere qualche passione; come quello a cui l’essere vacuo  da ogni piacere e dispiacere, importa essere pieno di  noia; la quale anco è passione, non altrimenti che il  dolore e il diletto ».   Che egli consumi pure un po’ di tempo nel colloquio  col suo Genio, è vero. Ma lo consuma senza dolcezza, ]ier  confermarsi nella convinzione della sua immedicabile tri¬  stezza: «Senti. La tua conversazione mi riconforta pure as¬  sai. Non che ella interrompa la mia tristezza,  ma questa per la più parte del tempo è come una notte  oscurissima, senza luna né stelle ; mentre son teco, somiglia  al bruno dei crepuscoli, piuttosto grato che molesto.  Acciò da ora innanzi io ti possa chiamare o trovare  quando mi bisogni, dimmi dove sei solito di abi¬  tare ».   Il Genio risponderà con amara ironia che la sua abi¬  tazione è in qualche liquore generoso. Ma il Faggi crede  sul serio che ci sia qui un consiglio da prendersi alla let¬  tera ? « Cruda ironia », scrisse il Della Giovanna, che  ebbe pure la strana idea di cercare negh scritti del Tasso  l’eventuale fondamento storico di questo tratto. Il quale,  per chi legga la prosa leopardiana con animo sensibile  all’angoscia desolata che vi è sparsa dentro, non può  significare altro che un realistico strappo che 1 autore  vuol dare alla stessa poetica illusione consolatrice del-  r infelice prigioniero.   E porgendo l’orecchio all’accento commosso dello  scrittore io credetti di poter dire 1 Elogio degli uccelli  lirica stupenda sgorgata al Leopardi dal pieno petto al guizzo d’una immagine lieta e ridente, e come un canto  di gioia. No, oppone il Faggi, « è un elogio degli uccelli  un’opera non d’ispirazione, ma, in massima parte (jj  riflessione; benché questa sia ravvivata dal soffio della  poesia inerente al soggetto. Il Leopardi non intendeva  di fare altro ». Piuttosto egli penserebbe al Passero no  litario) ma avverte subito da sé il carattere del tutto  estrinseco del ravvicinamento, e nota che « anche quello  non è un canto di gioia ». Anche nell’ Elogio, secondo  il Faggi, il Leopardi è filosofo, e non è poeta. « Non ha  creduto di spogliare del tutto la giornea del filosofo-  che anzi egli parla per bocca di un Amelio, filosofo soli¬  tario come egli dice, che si potrebbe credere il neopla¬  tonico, scolare di Plotino, se non lo cogliessimo a citare  Dante e Tasso. .Scrive, e ha davanti i suoi libri, soprat¬  tutto le opere del Buffon; si difende in una lunga digres¬  sione sull’origine e la natura del riso, suggeritagli dal¬  l’osservazione che il canto è, come a dire, un riso che  fa l’uccello ; e, intorbidando l’immaginazione lieta e se¬  rena in cui l’animo suo volea riposarsi, si lascia attrarre  a considerare il riso umano nello scettico, nel pazzo e  nell’ebbro; che non è più manifestazione sincera, o spon¬  tanea dell’animo, e non ha jùù quindi relazione col canto  degli uccelli ».   Donde s’avrebbe a concludere che il Leopardi abbia  voluto scrivere sul serio l’elogio degli uccelli, propo¬  nendosi una tesi ritenuta da senno per vera, e industrian¬  dosi di dimostrarla nel miglior modo per tale.   — No, per Dio, non mi prendete alla lettera — ci  ammonirebbe il poeta. Il quale ad altro proposito scri¬  veva al padre scandalizzato dalle forme pagane di Gia¬  como : « Io le giuro che l’intenzione mia fu di far poesia  in prosa, come s’usa oggi, e però seguire ora una mito¬  logia ed ora un’altra ad arbitrio; come si fa in versi,  senza essere perciò creduti pagani, maomettani, buddisti ecc. » Senza essere creduti perciò zoologi o filosofi,  possiamo aggiungere noi. — E del resto a quella conclu¬  sione io non credo che il Faggi abbia voluto andare in¬  contro intenzionalmente, poiché egli pure vede « l'ima¬  ginazione beta o serena in cui l’animo del Leopardi volea  riposarsi » ; e rispetto alla quale gli uccelli non sono dav¬  vero gli uccelli dello zoologo; ancorché nella tessitura  dell’ Elogio l’autore si giovi spesso di reminiscenze delle  sue letture del Buffon (che è poi un poeta, anche lui,  della storia naturale) ; ma sono appunto un’ immagine,  simbolo di quella vita piena d’impressioni, che non co¬  nosce tedio, anzi è tutta una gioia. La cui espansione  e penetrazione nel cuore del poeta si vede bene dove a  questo si svegha nell’animo un senso di gratitudine verso  quella Provvidenza, che volle il dolce canto degli uccelli  a conforto degli uomini e d’ogni altro vivente. «Certo fu  notabile prowedimento della natura l’assegnare a un  medesimo genere di animali il canto e il volo; in guisa  che quelli che avevano a ricreare gli altri viventi colla  voce, fossero per l’ordinario in luogo alto, donde ella si  spandesse all’ intorno per maggiore spazio e pervenisse  a maggior numero di uditori. E in guisa che l’aria, la  quale si è l’elemento destinato al suono, fosse popolata  di creature vocali e musiche. Veramente molto conforto  e diletto ci porge, e non meno, per mio parere, agli altri  animali che agli uomini, l’udire il canto degli uccelli ».   La prosa tranquilla e contenuta vuol essere nella  sua forma esteriore l’eloquio didascalico di un filosofo, ma  tanto più perciò essa fa sentire la dolcezza gioiosa che vi  si agita dentro, con quella stessa mobilità irrequieta,  che fa dal poeta contrapporre all’ozio pigro e sonnolento  degli uomini la vispezza dei volatili. « Gli uccelli per lo con¬  trario, pochissimo soprastanno in un medesimo luogo; van-    I Episiol., lett. 703.    12. — Gentile, Manzoni e Leopardi.  no e vengono di continuo senza necessità veruna ; usano T  volare per sollazzo; e talvolta, andati a diporto più cen  tinaia di miglia dal paese dove sogliono praticare, i]  medesimo in sul vespro vi si riducono. Anche nel piccol  tempo che soprasseggono in un luogo, tu non h ved^  stare mai fermi della persona; sempre si volgono cjua I  là, sempre si aggirano, si piegano, si protendono, si croK  lano, si dimenano; con quella \ds]iezza, queU'agUità  quella prestezza di moti indicibile ».   E con la stessa intenzione del contrasto tra l’espo¬  sizione solenne e dotta del filosofo e il sentimento che ’  deve vibrare dentro, si spiegano i ricordi anacreontd  che il Faggi dice eruditi e freddi, e che tali vogliono es¬  sere infatti, nella conclusione dell’ Elogio, nel desiderio  finale di Amelio: «.... Similmente io vorrei, per un poco  di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella  contentezza e letizia della loro vita ». Ultime parole  dell’ Elogio, che ne sono quasi la chiave, e che reca me¬  raviglia non vedere intese esattamente nepjmr dal Faggi  Già il Della Giovanna, che, mi rincresce dirlo, troppo  pedanteggiò irriverentemente nel suo commento erudito  ma offuscatore assai più spesso che rischiaratore del ni¬  tido pensiero leopardiano, postillò: n Per un poco di  tempo. Meno male ! chè dopo la vantata perfezione degli  uccelli, c era da aspettarsi una conclusione meno re¬  strittiva ». E il Faggi rincara: «Fa quasi sospettare che  Amelio non sia riuscito a convincere pienamente se stesso,  o il suo entusiasmo non sia stato davvero troppo pro¬  fondo ». Come se si trattasse di convincere !   A me pare ci sia un modo più ragionevole d’inten¬  dere quell’inciso; ed è quello che verrà subito in mente  ad ognuno, che rifletta che se il filosofo avesse espresso  il desiderio d’essere convertito per sempre in uccello,  avrebbe fatto ridere. Che diamine, il poeta invidia degh  uccelli la contentezza, la letizia; e ora essi non sono altro per lui, ma né anche la contentezza e la letizia per lui  sono tutto, ed egli ama troppo la propria umanità per  essere disposto a barattarla con esse per sempre. Anche  la morte potrebbe essere per lui, come per Porfirio, la  soluzione del problema dell’esistenza. Ma il «senso del¬  l’animo» lo ammonisce colle parole di Plotino: «In vero,  colui che si uccide da se stesso non ha cura né pensiero  alcuno degh altri; non cerca se non la utilità propria;  si gitta, per così dire, dietro alle spalle i suoi prossimi,  e tutto il genere umano; tanto che in questa azione del  privarsi di vita, apparisce il più schietto, il più sordido,  o certo il men bello e men liberale amore di se mede¬  simo che si trovi al mondo ».  LA POESIA DEL LEOPARDI. Commemorazione tenuta il 29 giugno 1927 nell’Aula Magna del  Palazzo Comunale di Recanati; e pubblicata nel fascicolo giugno-  luglio dello stesso anno del periodico “Educazione fascista”. Il modo più degno di commemorare un poeta è quello  di entrare nella sua poesia, cioè nel suo animo, nel mondo  dei suoi fantasmi, come egli li vide e li sentì. Gli elementi  della sua biografia, tutti, dalla data di nascita a quella  di morte, i casi della sua vita, le persone e le cose in  mezzo alle quali questa vita si svolse, le idee stesse che  egh accolse e che professò, le correnti spirituali ante¬  cedenti o contemporanee di cui partecipò, sono semplici  generahtà, paragonabili alle note d’un passaporto; le  quah, ove non si accompagnino e precisino con una fo¬  tografia, rimangono appunto generalità, riferibili a mi¬  gliaia di persone.   Ogni uomo è una determinata personalità in quanto  è un’anima. La quale, quando si conosca da vicino e  cioè per davvero, è singolare e inconfondibile: unica.  E la sua singolarità in fondo consiste non nella periferia  del mondo di cui l’uomo fu centro, ma in quello piuttosto  che egli fu, al centro di questo mondo, col suo modo di  reagire a questo mondo che era il suo, raccolto nel suo  pensiero e nel suo sentimento. Due possono nascere nello  stesso anno e nello stesso giorno, vivere nello stesso  luogo e quasi cogli stessi spettacoli dinanzi agli occhi,  tra gli stessi uomini e quasi con le stesse voci negli orec¬  chi; e ricevere la stessa educazione, incorrere magari  nelle stesse malattie, e insomma viv'ere tutta material¬  mente la stessa vita e concorrere perfino nelle stesse  idee, ed essere come due anime gemelle. Eppure ciascuna di queste anime, se vi provate ad entrare nel suo intern  è se stessa, diversa, assolutamente diversa dall’altra  quel certo suo dèmone ascoso, che tratto tratto si senr  nel timbro della voce o lampeggia nelle pupille, svelane!^  subitamente l’essere dell’indi\dduo : quell’essere eh”  ognuno di noi, nella vita, spia e riesce a scoprire  atti e nelle parole delle persone che frequenta. Quest  dèmone interno, sorgente segreta da cui scaturisce in  verità tutta la vita effettiva dell’uomo non soltanto  quale essa è, ma quale è sentita e perciò nel valore che  ha, è quello che i filosofi dicono 1’ Io: il soggetto, che è  la base d’ogni individualità umana. Qualcosa d’inaf¬  ferrabile in se stesso, perché infatti non si manifesta  se non in quanto si realizza nelle concrete determinazioni  del carattere, nel complesso degh atti e delle parole,  che formano la trama della vita dell’ individuo. 11 centro non  è rappresentabile se non in rapporto alla sua circonferenza.   Ora questo demone segreto che si cela e si svela nella  vita di ciascun uomo, è la fonte viva dell’ispirazione  del poeta. Il quale non si distingue dagli altri uomini se  non jierché riesce a stampare una più profonda impronta  di questa segreta potenza nelle espressioni del suo essere.  E pare che per lui innanzi agli occhi meravigliati della  moltitudine si levi e grandeggi in una solitudine infinita  l’immagine di un’anima divina, creatrice, che di sé fa  il suo universo; e quelli che per gli altri sono sogni e  ombre, per la virtù sua onnipossente son corpi saldi, vi¬  venti e luminosi, e riempiono tutta la immensa scena  del mondo che il poeta sostituisce a quello della comune  esperienza. Nel poeta, in quanto tale, tutto ciò che egli  vede e tutto ciò che può dirci è la sua anima, anzi  questo dèmone che si cela nella sua anima.   Nel caso del Leopardi, quanto difficile cercarla e tro-  v'arla questa scaturigine della sua poesia: e quanto perciò  s e girato e si gira tuttavia intorno al segreto della sua grandezza ! Questa poesia da un secolo e più conquide  tutti i cuori, trova la via di tutte le anime, che sponta¬  neamente si aprono alle soavi commozioni di essa. Ma  studiata lungamente, pertinacemente, ingegnosamente da  mille ingegni, alla luce di mille sistemi e sulla base di  mille preconcetti, analizzata, tormentata dalla preten¬  siosa volontà indagatrice della critica, impegnata per lo  più nella superba impresa di ricostruire l’arte dagli sparsi  frammenti esanimi ottenuti attraverso una fredda ope¬  razione anatomica, essa si è sottratta e sfugge ancora  alla intelligenza riflessa, che si sforza di coglierne l’es¬  senza e chiuderla in una definizione.   Negli ultimi tempi vi si son provati critici di grande  levatura e dottrina; e si sono avuti saggi, di cui non  disconoscerò io il merito insigne. Questi scritti giovano  indubbiamente alla comprensione della poesia leopar¬  diana; ma solo in quanto ne scoprono alcuni aspetti.  11 loro comune difetto è quello di trascurare la verità,  che io ritengo evidente e indiscutibile, dalla quale ho  creduto opportuno prender le mosse. Trascuranza il cui  effetto è questo: che il critico non sente la necessità di  risalire sino alla sorgente da cui la poesia leopardiana  sgorga, e in cui soltanto è possibile scorgere l’unità della  sua ispirazione e rendersi conto della varietà dei motivi  in essa dominanti. Così accade che si aprano i canti e  le prose del Leopardi, e si dica: — Nelle prose, manco  a dirlo, non c’ è poesia. C’ è una pretesa filosofia, che è  una filosofia per modo di dire. Lambiccatura di cervello  che si sforza di dimostrare sistematicamente uno stato  d’animo personale; e perciò si mette fuori di questo stato  d’animo; e quindi riesce amaro, falso, estraneo al vero  e profondo sentire dello stesso scrittore, e perciò freddo,  sofistico. Né filosofia, né poesia. Nei canti, bisogna distin¬  guere: c’è poesia e non poesia. Vi sono strofe o versi  in cui il poeta trova se stesso e parla serio e commosso; e lì è il poeta; il poeta le cui parole non si dimenticano  e tornano da sé a risuonare nell’animo, a commuoverci  col calore e la passione della vita che ogni uomo vive e  sente. Ma ci sono negli stessi canti poesie giovanili retto-  ricamente patriottiche; ci sono poesie filosofiche non  meno fredde e artifiziate delle prose: ci sono pezzi ora-  torii, in cui il poeta cerca l’effetto e pensa al lettore e  non si dimentica nello schietto moto della sua anima  Manca qua e là negli stessi canti più felici il caldo di  queir ispirazione, che s’apprende immediatamente al¬  l’animo di ogni uomo. Risorge il ragionatore a freddo  che vede il mondo dall’angustissimo foro che le sciagure  fisiche e le tristi condizioni personali gli han lasciato  aperto sulla grande scena della vita, e vien meno il poeta  che accoglie beato nel suo petto la voce naturale del  mondo e il vasto respiro delle cose. — £ fortuna se alla  prova di questa critica si salva qualche frammento della  poesia del Leopardi.   Ma si salva davvero ? Io vorrei invitare questi critici  a ristampare Leopardi purgandolo da tutte le scorie  della sua poesia, per darcene il fiore, un’antologia; con¬  tenente i soli pezzi ^'eramente poetici a cui si fa grazia.  Temo che al fatto questa antologia riescirebbe estrema-  mente difficile, se non impossibile: poiché non solo il  significato di ciascun verso risulta dal contesto a cui  appartiene, e ogni strofa ha il suo valore nel complesso  del componimento; ma, si sa, ogni parola ha sempre  un accento, in cui è la sua anima e individuahtà; e quel¬  l’accento non si può sentire se non nel ritmo dell’ insieme.  Isolare una parola è impresa vana ed assurda. E se si  crede il contrario, ciò accade perché in realtà quella  parola che ci pare di isolare, noi la facciamo nostra e la  fondiamo in un nuovo nesso, in un ritmo da noi creato,  in cui non è più la parola di quel poeta, ma l’espressione  del nostro animo. II Leopardi non è soltanto il poeta degl’ idillii, dove  il suo petto si allarga e s’inebria del profumo della na¬  tura, e il suo cuore batte all’unisono col grande cuore  del mondo, commosso dal senso della vita che ride a pri¬  mavera nei campi, brilla a notte nel mite chiarore della  luna, imporpora il viso alle fanciulle innamorate, tuona  tra le nubi nell’ infuriar della tempesta, e ridesta ad ora  ad ora negli animi stanchi e delusi la speranza e la dol¬  cezza dell’amore. Il Leopardi è anche Tristano ed Elean-  dro; ed è Copernico e Filippo Ottonieri; ed è Colombo  e il Tasso visitato nel mesto carcere dal suo Genio fami¬  liare; ed è Stratone e Plotino; ed è 1’ Islandese al co¬  spetto della Natura dal volto « mezzo tra bello e ter¬  ribile »; ed è il gallo silvestre che sta in sulla terra coi  piedi, e tocca colla cresta e col becco il cielo, e riempie  del suo canto l’universo e dice di questo « arcano mi¬  rabile e spaventoso dell’esistenza universale » che, « in¬  nanzi di essere dichiarato né inteso, si dileguerà e per-  derassi ». E insomma il Leopardi pacato e placato nel  sentimento solenne e religioso del dolore e del mistero  e della vanità dell’opera umana, e pur raccolto nell’ in¬  tima soavità dell’amore, onde gh uomini vincono ogni  travagho c gustano una beatitudine divina, ancorché  confusa a certo mistico senso del proprio dissolvimento  nella vita universale. Ed è anche il poeta che come ita¬  liano vede le colonne e i simulacri e le ruine della gran¬  dezza antica, ma non vede più la gloria e le armi dei  padri; e non sa rivolgersi indietro a (juella schiera infinita  d’immortah, che onorarono già la nostra terra, senza  pianto e disdegno per la presente viltà; e sente in cuore  la disperazione di Bruto per l’impotenza della virtù  sconfitta dalla perversa fortuna e lo strazio della misera  Saffo, spregiata amante, vile e grave ospite nei superbi regni della natura bellissima. Ma non sì che l’animo non  gli si esalti nell’ idea della guerra mortale che il prode  di cedere inesperto, guerreggerà sempre contro l’indegno  fato, e in cui anche il virile animo di Saffo si sentirà  sparso a terra il velo indegno, di emendare il crudo fallo  del cieco dispensator dei casi. E anche l’uomo che si  leva col pensiero al di sopra della ferrea vita e sentendo  che conosciuto, ancor che tristo, ha suoi diletti il vero, si  compiace d’investigar Yacerbo vero e i ciechi destini delle  mortali e delle eterne cose] e trae gli ozi in questo specu¬  lare. E in fine l’uomo che si rifugia con questo altissimo  sentimento della invitta potenza del pensiero umano  nella rocca inespugnabile della noia: di questo che egli  dice « in qualche modo il più sublime dei sentimenti  umani », poiché « il non poter essere soddisfatto da alcuna  cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; consi¬  derare l’ampiezza inestimabile dello spazio, n numero e  la mole maravighosa dei mondi, e trovare che tutto è  ])oco e piccino alla capacità deU’animo proprio; imma¬  ginarsi il numero dei mondi infinito, e l’universo infinito,  e sentire che l’animo e il desiderio nostro sarebbe ancora  più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le  cose d’insufficienza e di nullità, e patire mancamento  e vóto, e però noia, pare a me il maggior segno di gran¬  dezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana » >.  E perciò anche il Leopardi, nel colmo della sua delusione,  può giungere a fermare in se stesso ogni desiderio e ogni  moto, a disprezzare perfino se stesso, come la natura,  il brutto Poter che, ascoso, a comun danno impera, E V in¬  finita vanità del tutto: e, pur caduto l’incanto che gli  fece vedere e amare in una donna mortale la Dea della  sua mente, pur vedendo ormai nella propria vita una  notte senza stelle a mezzo il verno, può trovare al suo fato    • Pensieri, n. 68.   mortale bastante conforto e vendetta nella coscienza di  se medesimo:   su l’erba   Qui neglùttoso immobile giacendo,   Il mar, la terra e il ciel miro, e sorrido.   Se noi rinunciamo a questi ed altrettali motivi della  poesia leopardiana, per restringerci al dolce gusto di  quell’ idillico che è la prima e immediata forma di questa  poesia, noi avremo sì elementi di una poesia squisita,  ma perderemo la poesia propria del Leopardi. Nella  quale quella prima forma è solo uno degli elementi del  dramma e del fiero contrasto, nella cui superiore solu¬  zione la poesia leopardiana per l’appunto consiste.    III.   L’i dilli o è certo alla base del Leopardi poeta. Ne  risuona il motivo di continuo nell’ Epistolario, nello  Zibaldone, nei Canti, nelle Operette morali. Se volete ren¬  dervi conto della natura dell’ idillio, come il Leopardi  r intese e lo sentì, rileggete l’ Infinito, quei quindici versi  che gittano la fantasia del Poeta al di là della siepe in  spazi interminati, sovrumani silenzi e profondissima  quiete: dove l’infinito silenzio e l’eterno assorbono in  sé e annichilano la voce del vento che stormisce tra le  piante e il suono delle lotte e delle fatiche umane:   Così tra questa  Immensità s’annega il pensier mio  E il naufragar m’ è dolce in questo mare.   L’uomo scioglie il suo pensiero, ond’egli riflettendo  si distingue e si oppone alla natura, e si confonde con essa. Ricordate il Canto notturno di un pastore errante  dell’Asia, che dice alla sua greggia:   Quando tu siedi all’ombra, sovra l’erbe.   Tu .se’ quieta e contenta;   E gran parte dell’anno   Senza noia consumi in quello stato.   Ed io pur seggo sovra l’erbe, all’ombra,   E un fastidio m’ingombra  La mente, ed uno spron quasi mi punge  Si che, sedendo, più che mai son lunge  Da trovar pace o loco.   Nell’ Inno ai Patriarchi il Poeta rammenta l'antico  mito della colpa che sottopose Vuman seme alla tiranna  Possa de’ morbi e di sciagura ; e attribuisce all’ irrequieto  ingegno dell’uomo la prima origine dei suoi dolori. La  noia, la sublime noia, è il privilegio del pensiero. Finché  la riflessione non è sorta, e il pastore errante non è an¬  cora in grado di domandare alla luna il fine di tanti  moti, e che sia   Questo viver terreno.   Il patir nostro, il sospirar che sia;   Che sia questo morir, questo supremo  Scolorar del sembiante,   E perir dalla terra, e venir meno  .‘Vd ogni usata, amante compagnia;   egh può esser queto e contento come la sua greggia.  Pensare è distinguersi dalla vita, opporvisi, sentirsene  fuori, cercare e non trovare, sentire la vanità di tutto:  non aver più né contentezza né pace. Il Leopardi intanto  sa bene che senza pensiero non c’ è grandezza. Perciò  in uno de’ suoi dialoghi la Natura dice a un’Anima:  « Va’, figliuola mia prediletta, che tale sarai tenuta e  chiamata per lungo ordine di secoli. Vivi, e sii grande  e infelice ». Perciò il Poeta dice ai « nuovi credenti » che  non credono al dolore: A voi non tocca   DeU’umana miseria alcuna parte,   Ché misera non è la gente sciocca....   Dico, ch’a noia in voi, ch’a doglia alcuna  Kon è dagli astri alcun poter concesso.   Non al dolor, perché alla vostra cuna  Assiste, e poi sull’asinina stampa  11 pie’ per ogni via pon la fortuna.   E se talor la vostra vita inciampa.   Come ad alcun di voi, d’ogni cordoglio  Il non sentire e il non saper vi scampa.   Noia non puote in voi, ch’a questo scoglio  Rompon l’alme ben nate....   Ma se il pensiero è la sorgente del dolore, bisogna  pur distinguere tra pensiero e pensiero. E anche questo  è avvertito dal Leopardi. C’ è un pensiero che è la stessa  natura deU’uomo ; deiruomo che sente e crede nell amore  e nella virtù ; che sente e crede nella bellezza della natura  e della vita; che spera e apre l’animo alla gioia delle il¬  lusioni, che tali si dimostreranno al cimento della espe¬  rienza, ma che la natura stessa risusciterà sempre dal  fondo del cuore umano a rendere amabile o almen sop¬  portabile la vita. Questo è pensiero. Ma c’ è un altro  pensiero, che si sovrappone a questo primo e lo critica  e lo demolisce e lo irride, e, scoprendone tutte le debo¬  lezze e gli arbitrii, gitta lo sconforto nel cuore umano e  lo inonda d’immedicabile amarezza. Non occorre per¬  tanto che l’uomo si abbrutisca come il gregge per sot¬  trarsi al dolore. Può essergli simile, e al pari di esso ri¬  maner congiunto con la natura e godere del benefizio  di essa, se si abbandona, per dir così, al pensiero naturale,  e vede la vita con quegli occhi che la natura gh ha dati.  Vive nel suo stesso pensiero la vita spontanea e istintiva  che è propria di tutti gli esseri naturali, senza che questa  natura sia sconvolta o turbata dal suo irrequieto ingegno.  Così fa il fanciullo, così tutti gli spiriti semplici e sani.  Questa è la giovinezza sempre rinascente del genere umano; dell’anima aperta alla speranza e fortificata  dalla fede: dell’anima quale ogni uomo la ritrova in se  stesso al mattino sul primo svegliarsi, all’ inizio d’ogni  suo giorno, come d’ogni nuovo periodo della sua vita  « Il primo tempo del giorno », canta anche il gallo silvestre  « suol essere ai viventi il più comportabile. Pochi in sullo  svegliarsi ritrovano nella mente pensieri dilettosi o lieti-  ma quasi tutti se ne producono e formano di presente  perocché gli animi in quell’ora, eziandio senza materia  alcuna speciale e determinata, inclinano .sopra tutto alla  giocondità, o sono disposti più che negli altri tempi alla  pazienza dei mah. Onde se alcuno, quando fu soprag¬  giunto dal sonno, trovavasi occupato daUa disperazione;  destandosi, accetta novamente nell’animo la speranza  ciuantunque cUa in niun modo se gli convenga. Molti  infortuni e travagli propri, molte cause di timore o di  affanno, paiono in quel tempo minori assai, che non  parvero la sera innanzi. Spesso ancora, le angosce del  dì passato sono volte in dispregio, e quasi per poco in  riso, come effetto di errori e d’immaginazioni vane.  La sera è comparabile alla vecchiaia; per lo contrario,  il principio del mattino somiglia alla giovanezza ».   Cresce l’esperienza della vita, sopraggiunge la rifles¬  sione, la speranza dilegua: sottentra il dolore e la noia:  tanto più acuto quello, tanto più grave questa, quanto  più viva fu la speranza e ardente la fede nella vita. Quindi  la grande importanza del momento idillico, o giovanile,  spontaneo, naturale in una poesia che, come quella del  Leopardi, accentua poi il momento negativo del distacco  e della opposizione, che è il momento del dolore. Questo  dolore è materiato, si può dire, dalla stessa dolcezza  dell’ idiUio. Odi et amo. La negazione non avrebbe mai il  suo significato lirico se non corrispondesse a un’afferma¬  zione vigorosa e potente. Appunto perché la vita è così  bella agli occhi del Poeta, ed egh ne sente sì forte il fascino nel fondo del suo cuore, egli si duole tanto di non  possederla. Al disperato affetto di Saffo non arride spet-  tacol molle: ma questo spettacolo pur le è fitto negli  occhi e nel petto;   Placida notte, e verecondo raggio  Della cadente luna; e tu che spunti  Fra la tacita selva in su la rupe,   Nunzio del giorno; oh dilettoso e care  Mentre ignote mi fur l’erinni e il fato.   Sembianze agli occhi miei....   Del resto questo molle spettacolo non fugge da’ suoi  occhi senza che questi si volgano desiosi ad altri spetta¬  coli di natura, meglio rispondenti al suo stato d’animo;   Noi r insueto allor gaudio ravviva  Quando per l’etra liquido si voi ve  E per li campi trepidanti il flutto  Polveroso de’ Noti, e quando il carro.   Grave carro di Giove a noi sul capo.   Tonando, il tenebroso aere divide.   Noi per le balze e le profonde valli  Natar giova tra’ nembi, e noi la vasta  Fuga de’ greggi sbigottiti, o d’alto  Fiume alla dubbia sponda  Il suono e la vittrice ira dell’onda.   Saffo ha l’animo popolato di ridenti immagini di  questa natura di cui ella si vede prole negletta:   , Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella   Sei tu, rorida terra....   A me non ride   L’aprico margo, e dall’eterea porta  Il mattutino albor; me non il canto  De’ colorati augelli, e non de’ faggi  Il murmure saluta: e dove all’ombra  Degl' inchinati salici dispiega  Candido rivo il puro seno, al mio  Lubrico pie’ le flessuose linfe  Disdegnando sottragge,   E preme in fuga l’odorate spiagge.    13. — GkktIx<s, Manzoni e heopardi.  Bruto minore, fermo già di morire, percote l’aura  sonnolenta di feroci note. Ma tra queste note se ne odono  di soavi, affettuose, per quanto solenni, come queste:   E tu dal mar cui nostro sangue irriga.   Candida luna, sorgi,   E l’inquieta notte e la funesta  All’ausonio valor campagna esplori.   Cognati petti il vincitor calpesta,   Fremono i poggi, dalle somme vette  Roma antica mina;   Tu si placida sei ? Tu la nascente   Lavinia prole, e gli anni   Lieti vedesti, e i memorandi allori;   E tu su l'alpe l'immutato raggio  Tacita verserai quando ne’ danni  Del .servo italo nome.   Sotto barbaro piede  Rintronerà quella solinga sede.   Ecco tra nudi sassi o in verde ramo  E la fera e l’augello.   Del consueto obblio gravido il petto.   L’alta mina ignora e le mutate  Sorti del mondo: e come prima il tetto  Rosseggerà del villanello industre.   Al mattutino canto   Quel desterà le valli, e per le balze   Quella r inferma plebe   Agiterà delle minori belve.   D’altra parte, fin da quando, tra il 1819 e il ’ai, il  Poeta ascolta nel suo profondo questa voce antica ed  eternamente giovanile della santa natura e del mondo,  contro cui si volgerà sempre più risentito e dolorante,  egli sente nel petto   Nell’ imo petto, grave, salda, immota  Come colonna adamantma,   quella noia immortale, di cui parlerà nell’epistola Al Conte  Carlo Pepoli. E nello stesso Infinito, nella Sera del dì di festa e negli altri piccoli e grandi idilli che altro, in¬  fine, si canta se non il dolore ?   Dolce e chiara è la notte e senza vento,   E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti  Posa la luna, e di lontan rivela  Serena ogni montagna. O donna mia.   Già tace ogni sentiero, e pei balconi  Rara traluce la notturna lampa:   Tu dormi, che t’accolse agevol soimo  Nelle tue chete stanze; e non ti morde  Cura nessuna; e già non sai né pensi  Quanta piaga m’apristi in mezzo al petto.   Tu dormi: io questo ciel, che si benigno  Appare in vista, a salutar m’affaccio,   E l’antica natura onnipossente.   Che mi fece all’affanno. A te la speme  Nego, mi disse, anche la speme; e d’altro  Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.    La serenità, il dolce chiarore lunare dei primi versi  e lo stesso sonno tranquillo e scevro d’affanni de lla donna  formano lo sfondo del quadro, in cui risalta la personalità  di quest’uomo, a cui la speranza è negata e i cui occhi  non brilleranno mai se non di lagrime. L’amarezza di  questa anima desolata nasce dal contrasto. La donna  sogna forse a quanti oggi piacque e quanti piacquero a  lei. Fantasmi e sentimenti pieni di dolcezza; ma sorgono  alla mente del Poeta soltanto per fargli sentire che egli  ne è escluso:    .... non io, non già eh’ io speri,  .à.1 pensier ti ricorro.    Egli non dorme, non posa, non sogna. Si getta per  terra, grida, freme. E il suo pensiero si insinua nella  gioia altrui e vi soffia dentro il vento della riflessione  che l’inaridisce:    Ahi, per la via   Odo non lungo il solitario canto  Dell’artigian, che riede a tarda notte.   Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;   E fieramente mi si stringe il core,   A pensar come tutto al mondo passa,   E quasi orma non lascia.   L’artigiano probabilmente non fa questa malinconica  riflessione. Probabilmente egli, come la donna, rimembra  i sollazzi del giorno, la cui memoria non è spenta e basta  tuttavia a riempirgli e consolargli l’animo. Ma su quel  mondo festivo e gorgogliante ancora di sensazioni dilet-  tose il Poeta riversa l’angoscia fredda del suo cuore de¬  solato.   E altrettanto si i)uò osservare di tutte queste sue  poesie, che il Leopardi stesso definì idillii, e in cui più  forte risuona la corda dell’animo commosso e vibrante  della stessa vita del mondo.   Citerò ancora il primo periodo della Vita solitaria   che comincia;   La mattutina pioggia, allor che l’ale  Battendo esulta nella chiusa stanza  La gallinella, ed al balcon s’afìaccia  L’abitator de’ campi, e il Sol che nasce  I suoi tremiili rai fra le cadenti  Stille saetta, alla capanna mia  Dolcemente picchiando, mi risveglia;   E sorgo, e i lievi nugoletti, e il primo  Degli augelli susurro, e l’aura fresca,   E le ridenti piagge benedico;   per rivolgersi subito contro le cittadine infauste mura, e  per concludere;   In cielo.   In terra amico agh infehci alcuno  E rifugio non resta altro che il ferro.   Principio idillico, conclusione tragica. Tragica quanto  è idillico il principio. I due termini si corrispondono e  si congiungono insieme in un nesso inscindibile. Togliete  al Leopardi la commozione e l’amore per la natura, per  la vita, per la donna, ])er la bellezza, per la forza ma¬  gnanima, per l’ardimento generoso, per la virtù, j>er la  patria, per i parenti, per gli amici, per tutto ciò che  rende amabile e santa la vita, e non intenderete più lo  strazio delle sue delusioni. Prescindete dal fermo con¬  vincimento, che la sua filosofìa gli ha piantato nel petto,  della arbitraria soggettività degli ideali in cui l’uomo,  non ancora caduto in preda al pensiero, crede provvi¬  denzialmente; chiudete gli occhi sull’amarissimo gusto  con cui egli, tornando sempre ad esaminare i suoi pen¬  sieri e la vita e il proprio essere e il fato universale degli  uomini, ribadisce sempre quel suo convincimento; e non  potrete più sentire il tumulto con cui il suo cuore s’attacca  a questa vita fallace e il tremito giovanile e sto per dire  virgineo con cui tutto il suo essere si stringe al mondo,  che non può, malgrado tutto, non amare. Leggete II  pensiero dominante e V Aspasia, dove culmina l’arte del  Poeta. Quel pensiero, cagion diletta d' infiniti affanni, è  gioia ed è dolore. Quella donna, per cui egli ha vaneg¬  giato, ma il cui incanto è caduto, risorge nella sua me¬  moria e nel suo cuore superba visione, sua delizia ed  erinni'. e l’angehca sua forma, sempre viva e presente,  torna sempre a imprimergli a forza nel fianco lo strale,  che già lo fece per tanto tempo ululare.   L’atteggiamento negativo ed ostile, quando non si  scompagni dal suo contrario, che gli dà vigore e signi¬  ficato, si può intendere e s’intende anche in quelle forme  di fredda ironia e di affettata irrisione, che assume in  qualche raro tratto dei Canti e in parecchie delle Ope¬  rette morali. Di cui si è potuto parlar con sì distratta  intelligenza da vedervi lampeggiare non so che sorriso cattivo e sinistro: mentre chi legge ed ama Leopardi,  sa che nulla è più alieno dal suo spirito. Ma questi critici  sono i critici del frammento. Si fermano a una pagina  delle Operette leopardiane, e non curano di guardarne  l’insieme; e così si lasciano sfuggire quella vivente unità  organica, da cui esse nacquero tutte ad una ad una,  sotto la stessa ispirazione, nel pensiero e nel sentimento  dell’autore. Così vedono Momo, i sillografi, Stratone;  ma non vedono il principio e la fine del libro. E si lasciano  sfuggire il significato e l’accento del mito iniziale, la  Storia del genere umano, vaga immaginazione tutta per-  v'asa di una commozione contenuta e pudica di un amore  gentilissimo; come si lasciano sfuggire le meditazioni  finali di Eleandro e di Plotino, tutte umanità ed affetto.  Non vedono perciò lo spirito complessivo e centrale e  quell’onda viva di universale e irresistibile simpatia,  che abbraccia uomini e cose, e in sé scioglie i sentimenti  più duri, più pungenti, più amari, onde l’animo del Poeta  è colpito allo spettacolo del freddo vero.   L’incanto della jioesia è qui, in questa unità dei due  opposti motivi, che si fondono insieme e infondono nello  spirito del Leopardi l’impeto della sua lirica sublime.  La quale nel momento stesso che pare prostri gli animi  nel più disperato dolore, li solleva, conforta ed esalta,  aspergendoli di non so che affettuosa soa\ ita. Idilho e  dolore. L’uomo che vive lietamente e serenamente la  vita; e l’uomo che diffida di essa, e se ne apparta ed  estrania; e fattosene spettatore deluso e sconsolato, sente  dentro di sé un vuoto infinito. Due cuori diversi, ma non  posti l’uno accanto all’altro, bensì unificati in un cuore  solo. Questa tragedia, che non è ottimismo, né ])cssi-  mismo, ma il commosso e serio concetto della nobiltà,  del valore e della superiore letizia della vita, tremenda  insieme e adorabile, angosciosa e febee : questa è 1 es¬  senza della poesia leopardiana.    IV.   In verità, l’origine del dolore è nel pensiero. Ma il  Poeta sa, e soprattutto sperimenta in se stesso, che quel  pensiero che ferisce, sana esso stesso le sue ferite. 11 pen¬  siero che sfronda l’albero della vita di tutte le sue illu¬  sioni, e specula e scopre l’infinita vanità di tutto, è lo  stesso pensiero dentro eh cui quell’albero ad ora ad ora  rinverdisce di nuove fronde. Non si può negare che esso  faccia guerra continua alla nativa confidenza deH’uomo  nella natura; ed esso certamente spegne nei cuori la fede  e la speranza. Ecco, da una parte. Saffo supphchevole ;  e dall’altra, il ruscello che al piede della misera donna,  la quale tenta d’immergervisi e sentirne il refrigerio,  sottrae disdegnoso le flessuose acque, e fugge e s’affretta  per le piagge odorate.   Se non che questo pensiero devastatore e distruttore  della originaria unità dell’uomo con la natura, è esso  stesso una nuov'a natura : è la natura di quell anima  grande perché infelice, e infehee perché grande, onde il  Poeta insuperbisce sopra la turba degli sciocchi. E in  verità sempre che il pensiero non si guardi dal di fuori,  ma si pensi, si attui, si viva, esso non è più nulla di  estraneo alla vita, ma è la vita stessa. E in esso, ancorché  rivolto ed affisso alle idee più dolorose e più aride, ri¬  fluisce l’onda della vita e si risveglia il palpito della gioia.  Allora, ecco, il Leopardi acquista coscienza della felicità  superiore in cui si purifica e rinvigorisce il suo spirito  attraverso al pensiero e al canto; poiché (come egli dice)  « ninna cosa maggiormente dimostra la grandezza e la  potenza dell’umano intelletto, ossia l’altezza e nobiltà  dell’uomo, che il poter l’uomo conoscere e interamente  comprendere e fortemente sentire la sua piccolezza »    I Pens. di varia filos., V, 223. Vedi sopra pp. 132, 148-49.  Allora egli sente che lo stesso intìnito, in cui gli è dolce  naufragare, è contenuto nel suo pensiero, che lo abbraccia  spaziando più oltre. Allora egli, piccolo ed esile fiore  sull’arida schiena del Vesuvio sterminatore, s’inebria del  profumo della sua poesia, che consola il deserto. Allora  egh ritrova in sé, nel genio che nessuna forza maligna  gli può strappare, nel demone divino e onnipotente che  fa insieme la sua infelicità e la sua grandezza, la gioia  e il fervore della vera vita; in cui, a dispetto dei ragio¬  namenti, risorgono le speranze e si riaccende l’amcre  con cui gli uomini, malgrado tutte le delusioni, si riat¬  taccano alla vita e han la forza di vivere e di morire.  A Porfirio che a conclusione d’un rigoroso ragionamento  si vuol togliere la vita, Plotino ammonisce che « non dee  piacer più, né vuoisi elegger piuttosto di essere secondo  ragione un mostro, che secondo natura uomo » ». Mostro  chi non cerca se non la utilità propria, e si gitta, per cosi  dire, dietro alle spalle i suoi prossimi, e tutto il genere  umano. Uomo chi l’amore di se medesimo pospone al¬  l’amore degli altri. Ma questa natura, che ci fa uomini,  è proprio contraria alla ragione che ci farebbe mostri ?  O non ci sono, per dir così, due ragioni: una, inferiore,  che ci trarrebbe al suicidio attraverso il più sordido amore  di noi medesimi, e una superiore, che ci libera dal giogo  di questo amore, e ci fa amare la vita e gli uomini che  ci amano ? Si cliiami ragione o poesia, certo questa non  è la natura primitiva e inconsapevole, ma Tumanità  che soffre ed ama e canta.   Quale in notte solinga  Sovra campagne inargentate ed acque.   Là 've zefiro aleggia,   E mille vaghi aspetti  E ingannevoli obbietti    1 Operette, p. 310.      Fingon l’ombre lontane   Infra Tonde tranquille   E rami e siepi e collinette e ville;   Giunta al confin del cielo.   Dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno  Nell’ infinito seno   Scende la luna; e si scolora il mondo;   Spariscon Tombre, ed una  Oscurità la valle e il monte imbruna;   Orba la notte resta,   E cantando, con mesta melodia.   L’estremo albor della fuggente luce.   Che dianzi gli fu duce.   Saluta il carrettier dalla sua via;   Tal si dilegua, e tale  Lascia l’età mortale  La giovinezza.   La luna è tramontata, e il carrettiere canta. La gio¬  vinezza si dilegua; ma l’uomo resta, e intona il suo canto.  In questo canto, nella sua mesta melodia, è il più alto  segno dello spirito del Poeta. Qui la sua poesia.  NEL CENTENARIO DELLA MORTE  DEL I-EOPARDI. Conunemorazione centenaria letta alla R. Accademia Nazionale  dei T .inr ei neUa seduta reale del 6 giugno 19371 e pubbUcata, oltre che  ncgU Atti dell’Accademia, nella Nuova Antologia del i» lugUo  dello stesso anno. Ripubblicata in Poesia e filosofia di Giacomo  Leopardi (Firenze, Sansoni, 1939 )-    Tra pochi giorni sarà un secolo dalla morte di Gia¬  como Leopardi. Secolo, segnatamente per 1’ Italia, pieno  di grandi eventi ; storia mossa e agitata da fedi e interessi  in massima parte estranei all’animo del Leopardi, anzi  osteggiati e a volte irrisi da lui. Altra filosofia, altro  uomo. E gli effetti sono stati così cospicui, così impor¬  tanti, anche secondo il modo di vedere del Leopardi,  da riuscire un’aperta condanna delle sue convinzioni e  de’ suoi giudizi storici. Secolo, si può dire, antileopar¬  diano, culminante in questa Italia, potente, imperiale,  creazione audace della stessa Italia che alla fantasia gio¬  vanile del Leopardi apparve inerme, anzi di catene carche  ambe le braccia, seduta in terra, negletta e sconsolata, la  faccia nascosta tra le ginocchia, piangente.   Eppure lungo questo secolo la fama del Leopardi è  venuta crescendo; s’è dilatata nel mondo, ma in Italia  ha messo radici sempre più profonde nei cuori. L’intel¬  ligenza della sua poesia, della sua anima ha acquistato  d’anno in anno, e quasi giorno per giorno, di penetra¬  zione, di comprensione e di intima simpatia a mano a  mano che gl’ Italiani da prima si svegliavano e in una  coscienza più seria e positiva della vita e de propri doveri e delle proprie forze risorgevano a dignità civile e  politica. Scendevano quindi in campo contro gli oppres¬  sori e li affrontavano nei congressi, e accordavano rivo¬  luzione e forze conservatrici dimostrando maturità di  accorgimento e di patriottismo da meravigliare 1 Eu¬  ropa ; e tra audacie e negoziati facevano dell’ Italia archeologica, letteraria ed artistica una nazione viva, operante  e presente nella storia dell’ Europa e del mondo. Intanto  sentivano il bisogno di farsi un nuovo pensiero, una  nuova scienza, una nuova cultura, adeguata all’altezza  dell’assunto politico; e creavano un esercito nazionale; e  sviluppavano, in una più attiva collaborazione alla vita  economica internazionale, le loro industrie e i loro traf¬  fici; e creavano le scuole, organizzando tutto un sistema  nuovo di pubblica istruzione e portando via via la luce  neUe menti delle plebi abbandonate da secoli all’igno¬  ranza e alla superstizione ; e negli esperimenti di un si¬  stema politico aperto alle lotte e alle competizioni di tutte  le energie individuali si venivano educando al senso e  alla tecnica dello Stato; e infine, in una riscossa della  coscienza nazionale che si era venuta formando negli  animi più giovanili in un fermento nuovo d’idee reli¬  giose sociali c filosofiche, si trovavano pronti alla più  grande guerra della storia; combattevano con grande  onore, e contribuivano più d’ogni altra nazione alleata  alla vittoria finale. E dopo questa prova stupenda del¬  l’antico valore, arditamente si accingevano con una pro¬  fonda rivoluzione politica e sociale a fare una nuova  Itaha e una nuova Roma. Quanto cammino! E quanta vita  in quella moribonda Italia, di cui parlava Leopardi nel 1818 !   Eppure, dicevo, il miracoloso progresso di quesb  cento anni, lungi dall’allontanare 1’ Italia dal Leopardi,  r ha portata sempre più vicino a lui, a misurare la sua  grandezza. La bibliografia leopardiana è una delle più  ricche tra quante se ne siano formate intorno ai maggiori  poeti e pensatori itaUani, da gareggiare con la dantesca.  Segno visibile del vasto interesse che ha suscitato e su¬  scita la personalità del Leopardi con i suoi scritti e con  i casi della sua vita. Selva foltissima, di grandi alberi  che soprastano con le loro alte cime al vento, da De San-    ctis a Carducci e a Pascoli, per non citare viventi, e di  fitta boscaglia pullulante per tutto, ai piedi dei grossi  tronchi. Intorno al Leopardi non pure letterati, deside-  sori di esattamente conoscere tutti i particolari della bio¬  grafia e dello svolgimento graduale del genio, e di risol¬  vere tutti i problemi che lo studio di tal materia fa na¬  scere; ma filosofi e storici della filosofia, poiché il Leopardi  ebbe il gusto degli alti concetti speculativi, e nel suo  stesso vocabolario riecheggiano detti e pensieri di dottrine  celebri a cui egli, a suo modo, aderì; e insieme scienziati  (antropologi e fisiologi) entrati a un tratto in sospetto  che certi limiti nell’orizzonte spirituale del Poeta deri¬  vino da non so qual limite somatico; sospetto nascente  da improvvisate teorie e appoggiato a improvvisate os¬  servazioni di fatto; ma fecondo tuttavia di costruzioni  e interpretazioni, se oggi cadute di moda, utili tuttavia  a chi voglia farsi un pieno concetto del lavoro compiuto  in questo secolo intorno al Leopardi. Fortunatamente,  peraltro, se ci sono state deviazioni ed eresie critiche e  storture di metodi materialistici suggeriti da pigrizia  intellettuale di letterati ottusi, o da presunzione pseudo¬  scientifica di cervelli rozzi e ignari dei rudimenti di qual¬  siasi serio concetto intorno ai valori dello spirito, ci sono  stati pur saggi di quella critica magistrale che attraverso  le forme storiche e letterarie e i conseguenti atteggiamenti  della espressione artistica sa scoprire il principio profondo  dell’ ispirazione, che è l’anima del poeta e 1 essenza di  quell’eterna poesia che lo fa immortale. Critica che in  Italia, in questo secolo, da Leopardi a noi, ha avuto  esempi da fare epoca, e che hanno infatti educato nel¬  l’universale la coscienza del solo metodo che ci sia per  raggiungere il poeta là dove egli e poeta.   Così in questa selva della letteratura leopardiana noi  non abbiamo smarrito il Poeta. Anzi, a capo di questo    secolo antileopardiano si può dire che egli sia stato prima  scoperto, e poi veduto più e più giganteggiare come uno  dei più grandi spiriti della storia del mondo, e come il  creatore della più intensa poesia che si sia prodotta mai  in Italia. Fu scoperto quando un nostro grande critico,  che lo aveva conosciuto di persona, gentile e mansueto  come era, e molto ne aveva studiato ed amato gh scritti,  e acutamente investigato lo spirito che ci vive dentro,  non poteva paragonarlo allo Schopenhauer senza sentire  la infinita differenza tra il pessimismo amaro del filosofo  tedesco e il pessimismo sui generis del poeta itahano.  « Leopardi », diceva, « produce l’effetto contrario a quello  che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desi¬  derare; non crede alla libertà, e te la fa amare. Chiama  illusioni l’amore, la gloria, la virtù, e te ne accende in  petto un desiderio inesausto. E non puoi lasciarlo, che  non ti senta migliore; e non puoi accostar tigli, che non  cerchi innanzi di raccogherti e purificarti, perché non  abbi ad arrossire al suo cospetto. È scettico, e ti fa  credente; e mentre non crede possibile un avvenire men  tristo per la patria comune, ti desta in seno un vivo  amore per quella e t’infiamma a nobili fatti. Ha così  basso concetto dell’umanità, e la sua anima alta, gentile  e pura l’onora e la nobilita. E se il destino gli avesse  prolungata la vita infino al Quarantotto, senti che te  l’avresti trovato accanto, confortatore e combattitore ».   Atteggiamento contradittorio ? Lo aveva confessato  il Leopardi medesimo, in quel libro in cui più freddamente  si provò ad abbattere le umane illusioni, che agli occhi  dell’uomo il quale si affidi allo istinto dell’anima senza  indagare il mistero dell’universo, fanno la vita bella e  degna di esser vissuta, ossia nelle Operette morali. Dove  esce candidamente a dire « che non è fastidio della vita,  non disperazione, non senso della nuUità delle cose, della  vanità delle cure, della solitudine dell’uomo; non odio    del mondo e di se medesimo; che possa durare assai;  benché queste disposizioni dell’animo siano ragionevo¬  lissime e le lor contrarie irragionevoli. Ma contuttociò,  passato un poco di tempo, mutata leggermente la dispo¬  sizione del corpo; a poco a poco, e spesse volte in un  subito, per cagioni menomissime e appena possibih a  notare; rilassi il gusto alla vita, nasce or questa or quella  speranza nuova, e le cose umane ripigliano quella loro  apparenza, e mostransi non indegne di qualche cura; non  veramente all’ intelletto, ma sì, per modo di dire, al  senso dell’animo ».   Benedetto «senso deU’animo», che salva l’uomo dal  sapiente: l’uomo che non odia e non fugge l’uomo, poiché  sente di dover affermare, come fa il Leopardi : « Sono  nato ad amare, ho amato, e forse con tanto affetto quanto  può mai cadere in anima viva », « sohto e pronto a eleg¬  gere di patire piuttosto io, che essere cagione di pati¬  mento agli altri ». Questo senso dell’animo gh fa dire :  <( Se ne’ miei scritti io ricordo alcune verità dure e triste,  o jier isfogo dell’animo, o per consolarmene col riso, e  non per altro; io non lascio tuttavia negli stessi libri di  deplorare, sconsigliare e riprendere lo studio di (juel  misero e freddo vero, la cognizione del quale è fonte o  di noncuranza e infingardaggine, o di bassezza d’animo,  iniquità e disonestà di azioni, o perversità di costumi;  laddove, per Io contrario, lodo ed esalto quelle opinioni,  benché false, che generano atti e pensieri nobili, forti,  magnanimi, virtuosi, ed utili al ben comune e privato;  quelle immaginazioni belle e felici, ancorché vane, che  dànno pregio alla vita; illusioni naturali dell’animo; e  infine gli errori antichi, diversi assai dagli errori barbari;  i quali solamente, e non quelli, sarebbero dovuti cadere  per opera della civiltà moderna e della filosofia ». Così  aveva pensato fin dal 1815, quando scriveva con animo  di credente il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi.    14 . — Gbntilb, Manzoni e Leopardi.        Così continuava a pensare, da miscredente, sette anni  dopo, nella canzone Alla primavera, o delle favole antiche.   Non si può credere al Poeta, quando, raccogliendo il  succo dell’amarissima esperienza amorosa fiorentina e as¬  saporandone il fiero gusto, rivolge .4 se stesso nel '33  quegli accenti disperati ed empi;   In noi di cari inganni   Non che la speme, il desiderio è spento.   .... Amaro e noia   La vita, altro mai nulla ; e fango è il mondo.   .... Al gener nostro il fato   Non donò che il morire. Ornai disprezza   Te, la natura, il br\itto   Poter che, ascoso, a comun danno impera,   E r infinita vanità del tutto.   Momento satanico, ma un solo momento: voce sì  dell’anima leopardiana, ma che il lettore attento non  può ascoltare se non commista in armonia profonda a  voci più alte che sgorgano da polle maggiori; e che lo  stesso Poeta ascolta dentro il suo petto come espressione  più schietta della sua propria natura. Alla quale egli non  può rinunziare, convinto che sia da fare « poco stima  di quella poesia che, letta e meditata, non lascia al let¬  tore nell’animo un tal sentimento nobile, che per mez¬  z’ora gl’ impedisca di ammettere un pensier vile, e di  fare un’azione indegna ».   Il momento satanico ricorre spesso nel Leopardi.  Ma esso è la prima e fondamentale ribellione di questa  forza incoercibile che egli sente insorgere di dentro a  se medesimo, di fronte e a dispetto della natura, ossia  di questo universal meccanismo che regge il mondo  concepito, come il Leopardi aveva appreso a concepirlo,  in maniera rigorosamente materialistica: quel mondo in  cui non c’ è posto per la libertà, né quindi per la virtù,  né per l’immortalità; per nulla di ciò che forma l’essenza    umana dell’uomo, e gli conferisce la forza d’una fede, e  la fiducia nella sua forza di contrastare alla natura, di  dominarla e farne strumento di una vita spirituale sem¬  pre più ricca.   Lampeggia sì da lungi allo spirito del Poeta l’im¬  magine enorme e tremenda di quella Natura disumana,  che stritola e annienta l’uomo e tutte le pretese del suo  audace ingegno. Si vegga, p. e., come ella gli si presenta  nel Dialogo della Natura e di un Islandese: dove all’uomo  che aveva fuggito quasi tutto il tempo della sua vita  per cento parti la Natura e la fuggiva da ultimo nel-  r interno dell’Africa, sotto la hnca equinoziale, in un  luogo non mai prima penetrato da uomo alcuno, ecco  che gli interviene qualche cosa di simile che a Vasco  di Gama nel passare il Capo di Buona Speranza; e s’im¬  batte nella stessa Natura in petto e in persona: «Vide  da lontano un busto grandissimo; che da principio im¬  maginò doveva essere di pietra, e a somiglianza degli  ermi colossali veduti da lui, molti anni prima neh’ isola  di Pasqua. Ma fattosi jiiù da vicino, trovò che era una  forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto,  appoggiato il dorso e il gomito a una montagna; e non  finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di  occhi e capelli nerissimi ; la quale guardavalo fissamente ».  La Natura è infatti qui nelle parti dove si dimostra più  che altrove la sua potenza. E alle molte parole con cui  1 ’ Islandese si lagna delle tribolazioni che affliggono  l’uomo in questa vita a cui non egli ha chiesto di nascere,  risponde breve che « la vita di quest’universo è un per¬  petuo circuito di produzione e distruzione, collegate  ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve con¬  tinuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo;  il quale sempre che cessasse o l’una o l’altra di loro, ver¬  rebbe parimente in dissoluzione ». Intanto sopraggiun¬  gono « due leoni, così rifiniti e maceri dall’ inedia, che    appena ebbero forza di mangiarsi quell’ Islandese; come  fecero; e presone un poco di ristoro, si tennero in vita  per quel giorno. Ma sono alcuni che negano questo caso,  e narrano che un fierissimo vento, levatosi mentre che  r Islandese parlava, lo stese a terra, e sopra gh edificò  un superbissimo mausoleo di sabbia; sotto il quale colui  disseccato perfettamente, e divenuto una bella mum¬  mia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato  nel museo di non so quale città di Europa ».   Ma lo stesso tono malinconicamente beffardo della  prosa dimostra con qual animo il Poeta accolga questa  immagine deUa Natura. E spesso gli torna alle labbra  una dichiarazione esphcita: che cioè egli si compiace  d’indagare questo mistero enorme delbumverso non per  addolorarsi del disperato destino deU’uomo, anzi per  riderne. L’ideale deUa sua personalità è Fihppo Otto-  nieri, filosofo socratico, che con occhi di lince scopre  tutto il vano e il doloroso della vita, ma ne ragiona con  impcrturbabUe pacatezza di savio che sta al di sopra  e al di fuori della vita, e la ironizza. ^   Insomma, l’uomo Leopardi non fa la fine dell Islan¬  dese; non soggiace aUa natura, pasto dei leoni o còlto  improvvisamente dalla sabbia del deserto. Guarda dal¬  l’alto e sorride, e sente la propria umanità superiore  nell’ intelligenza vittoriosa e nello stesso potere di rea¬  gire al fato col sentimento. £ Bruto minore che dispregia  n plebeo il quale, non valendo a cessare gli oltraggi del  destino, si consola con la necessità dei danni, quasi fosse  men duro un male senza riparo o non sentisse dolore  chi è privo di speranza. No,   Guerra mortale, eterna, o fato indegno,   Teco il prode guerreggia.   Di cedere inesperto.   È Saffo la misera Saffo, misera e magnanima, riso  luta ad emendare il crudo fallo del cieco dispensator de    casi. A quel modo di emenda a cui s’induce Saffo, Leo¬  pardi, a pensarci, non potrà consentire, come sappiamo.  Ma per lui resterà sempre, che al fato l’uomo non devecedere.   Resterà sempre la grandezza dell’animo che col pen¬  siero si leva al di sopra del fato, intende, comprende  e sorride ;   Che se d'affetti   Orba la vita, e di gentili errori,   È notte senza stelle a mezzo il verno.   Già del fato mortale a me bastante  E conforto e vendetta è che su l’erba.   Qui neghittoso immobile giacendo.   Il mar, la terra e il cielo miro e sorrido.   Grandezza eroica, a cui il petto del Poeta si allarga  allo spegnersi del caldo raggio di amore di donna che fece  battere un momento il suo cuore di speranza e di felicità.  Ma questa eroica grandezza non basta; poco stante,  nella piena maturità delle sue esperienze morali, tornata  la calma dopo la tempesta della patita delusione e del  sospettato scherno femminile, egli lascerà venir su dal  cuore la risposta più vera che si deve al cieco dispensator  dei casi. Quando, presso Portici, nel 1836, mirerà i campi  cosparsi di ceneri infeconde e ricoperti d’ impietrata lava,  là dove erano state liete ville e ricche messi e armenti  e città famose, e ora tutto intorno una ruma involve, il  suo occhio poserà sul gentile fiore della ginestra, che,  quasi i danni altrui commiscrando, di dolcissimo odor  manda un profumo, che il deserto consola: simbolo della  sua poesia, del suo animo, che da questa spietata empia  natura sa che c’ è un conforto e un riparo nella umana  compagnia e nell’amore che la stringe insieme incontro  al destino:   Nobil natura è quella  Che a sollevar s'ardisce  Gli occhi mortali incontra        Al comun fato, e che con franca lingua,   Nulla al ver detraendo.   Confessa il mal che ci fu dato in sorte.   E non si rivolge stoltamente contro gli uomini, ma con¬  tro la natura che sola è rea:   che de’ mortali   Madre è di parto e di voler matrigna.   Costei chiama inimica; e incontro a questa  Congiunta esser pensando.   Siccome è il vero, ed ordinata in pria  L'umana compagnia.   Tutti fra sé confederati estima  Gh uomini, e tutti abbraccia  Con vero amor, porgendo  Valida e pronta ed aspettando aita  Negli alterni perigli e nelle angosce  Della guerra comune.   Oh l’alta meraviglia del Leopardi, dopo circa un  lustro di sforzi fatti per affisarsi in quel concetto desolato  del mondo che le meditate dottrine gli mettevano innanzi,  e spogliarsi d’ogni personale sentire, e obliarsi nella spe¬  culazione dell’acerbo vero (non più acerbo del resto a  chi lo gusti, poiché conosciuto, come dice lo stesso Poeta,  ancor che tristo ha suoi diletti il vero) ; dopo avere scritto  le Operette che sono la filosofia del Leopardi, ma sono  pure un momento essenziale dello svolgimento della sua  poesia; dopo avere scritto il prosaico programma della  sua vita avvenire nell’epistola Al conte Carlo Pepoli  (1826); dopo aver preso quel freddo bagno nella filologia  italiana, che furono per lui le cure spese intorno alle  Rime del Petrarca e la compilazione della Crestomazia  italiana ■. oh l’alta meraviglia, quando si sentì rifluire  in petto la vita ! Non che risorgesse la speranza; non  che la natura gli apparisse sott’altra luce; non che si  accorgesse comunque d’errore alcuno ne’ suoi filosofemi.  Ma insomma.       Proprii mi diede i palpiti  Natura, e i dolci inganni.   Sopirò in me gli affanni  L’ingenita virtù ;   Non l'annullàr: non vinsela  Il fato e la sventura;   Non con la vista impura  L’ infausta verità.   Dalle mie vaghe immagini  So ben ch’ella discorda;   50 che natura è sorda.   Che miserar non sa ....   Il mondo, in ogni parte, è proprio qual egli 1 ’ ha raffi¬  gurato nelle Operette:   Pur sento in me rivivere  Gl’inganni aperti e noti;   E de’ suoi propri moti   51 maraviglia il sen.   Da te. mio cor, quest’ultimo  Spirto, e l’ardor natio.   Ogni conforto mio  Solo da te mi vien.   Saffo ha ragione quando afferma;   Mancano, il sento, aH’anima  Alta, gentile e pura.   La sorte, la natura.   Il mondo e la beltà.   Saffo però ha dimenticato il suo cuore:   Ma, se tu vivi, o misero.   Se non concedi al fato.   Non chiamerò spietato  Chi lo spirar mi dà.   Ecco, Tanima si calma, torna la vita con le sue attrattive,  con la sua gioia; risorge la poesia. Torna al cuore del    2 i 6    Poeta Silvia, la giovinetta Silvia splendente di bellezza  negli occhi ridenti e fuggitivi, lieta e pensosa; toma  l’onda di beate speranze, di pensieri soavi che gli riempi¬  vano il petto, al suon della sua voce; quando questa  voce gli faceva lasciare gli studi leggiadri per affacciarsi  al balcone della casa paterna:   Mirava il ciel sereno.   Le vie dorate e gli orti,   E quindi il mar da lungi, e quindi il monte.   Lingua mortai non dice  Ouel eh’ io sentiva in seno.   E pur lo aveva detto la sua lingua, dieci anni prima,  in quel capolavoro che è l’idillio scolpito nei quindici  versi de L’ infinito, quando, nel fondo dell’empia ma¬  trigna, della spietata natura, aveva intravvista, sentita,  amata un’altra Natura; l’immensa Natura, verso la  quale dal limite stesso della prossima siepe l’anima è  lanciata con un impeto di raccoglimento infuso di mi¬  stica dolcezza:    interminati   Spazi di là da quella, e sovrumani  Silenzi, e profondissima quiete   .... ove per poco  Il cor non si spaura. E come il vento  Odo stormir tra queste piante, io quello  Infinito silenzio a questa voce  Vo comparando; e mi sovvien l’eterno,   E le morte stagioni, e la presente  E viva, e il suon di lei. Cosi tra questa  Immensità s’annega il pensier mio;   E il naufragar m’ è dolce in questo mare.   Di questo momento mistico del Leopardi poco s’è  parlato; ed è momento di grande valore per la compren¬  sione della sua anima, che in quest’atteggiamento reli¬  gioso placa definitivamente il fiero contrasto tra la sua    indomita soggettività e la realtà onnipotente e infinita,  in cui quella par destinata ad infrangersi. Lo placa in  una situazione idillica che, riportando l’individuo alla  natura madre, infonde in lui la fiducia rinfrancatrice,  di cui l’uomo ha bisogno per vivere, abbandonarsi al¬  l’azione e sentire nel proprio petto il respiro eterno e  r infallibile sostegno divino del tutto. Negli idilli perciò,  com’egh stesso chiamò i primi pubblicati nel ’25-26,  risalenti al triennio 1819-21, e quelli posteriori, i grandi  idilli che dal canto a Silvia vanno a quello del pastore  errante dell’Asia, scritti tra il ’zq e il ’30, anni della più  potente espansione e della lirica più piena e felice del  Poeta, è la chiave di vòlta di tutta la poesia leopardiana.   Quando si legge la lettera del 6 marzo 1820 al Gior¬  dani : « Poche sere addietro, prima di coricarmi, aperta  la finestra della mia stanza, e vedendo un cielo puro e  un bel raggio di luna, e sentendo un’aria tepida e certi  cani che abbaiavano da lontano, mi si svegliarono alcune  immagini antiche, e mi parve di sentire un moto nel  cuore, onde mi posi a gridare come un forsennato, do¬  mandando misericordia alla Natura, la cui voce mi parve  di udire dopo tanto tempo »; non si può non essere com¬  mossi da questo prorompere di così alta vena mistica la  cui scaturigine evidentemente si cela nel centro vivo  più remoto della personalità leopardiana.   E allora s’intende l’invocazione ansiosa della can¬  zone Alla primavera:   Vivi tu, vivi, o santa  Natura ?   Allora si ode quasi il lento respiro queto e dolce e l’ar¬  cana soave mestizia della Vita solitaria:   Talor m’assido in solitaria parte,   Sovra un rialto, al margine d’un lago  Di taciturne piante incoronato.       Ivi, quando il meriggio in ciel si volve.   La sua tranquilla imago il sol dipinge.   Ed erba o foglia non si crolla al vento;   E non onda incresparsi, e non cicala  Strider, né batter peima augello in ramo,   Né farfalla ronzar, né voce o moto  Da presso né da lunge odi né vedi.   Tien quelle rive altissima quiete;   Ond’ io quasi me stesso e il mondo obblio  Sedendo immoto; e già mi par che sciolte  Giaccian le membra mie, né spirto o senso  Più le coramova, e lor quiete antica  Co' silenzi del loco si confonda.   Allora, infine, si scorge il tono vero del Canto del Pa¬  store, così buio e pur così luminoso, così accorato e pur  così sereno, con i suoi perché disperati, e col suo funereo  sigillo (è funesto a chi nasce il dì natale) e la sua alata  poesia :   Forse s'avess’ io l’ale  Da volar su le nubi,   E noverar le stelle ad una ad una,   O come il tuono errar di giogo in giogo.   Più felice sarei....   Poiché il pastore vede che la sua greggia è beata, quasi  libera d’affanno, e che, sopra tutto, tedio non -prova, a  differenza di lui, che non ha pace anche sedendo sopra  l’erba, all’ombra, poiché un fastidio gl’ ingombra la  mente e uno sprone lo punge di dentro e non gli lascia  riposo. E ogni animale giacendo, a bell’agio, ozioso, si  appaga. Vede il pastore che nel seno della natura è la  felicità; e l’affanno nasce dall’opporsi a lei con l’irre¬  quieto ingegno destinato ad avvolgersi in un insolubile  intrigo, in una fatica vana senza speranza.   Tutta la poesia del Leopardi attinge in quel punto  mistico del ritorno alla gran madre la pace e la gioia.  Allora egli parla dei pensieri immensi e dolci sogni che    gli ispirò sempre, nello stesso modesto giardino della  casa paterna, « la vista di quel lontano mar, quei monti  azzurri ». Per lui, come pel jiassero solitario, non sollazzi,  né riso, né amore: ma cantare sì, come ruccellino che  dalla vetta della torre antica va cantando, alla campagna,  finché non muore il giorno; ed erra l’armonia per la  valle, mentre   Primavera d’intorno   Brilla nciraria, e per li campi esulta.   Si ch’a mirarla intenerisce il core.   L'uccellino non si tormenta col pensiero della gio¬  vinezza che passa e della morte che s’avvicina: poiché  di natura è frutto ogni sua vaghezza e in lei non è affanno :  e da lei sgorga pure il suo canto; il canto che aduna  nel cuore la dolcezza della primavera che fa brillare  l’aria e esultare le campagne.   Anche uomini di alto intelletto, come Gino Capponi,  han voluto dar sulla voce al Leopardi per quel suo con¬  cetto della infehcità che cresce negli uomini in propor¬  zione della loro grandezza: ossia del loro ingegno e sa¬  pere. Come se questo stesso lamento non uscisse dalle  Sacre Carte ! E gli han voluto far osservare che felice  era certo egh stesso mentre componeva i suoi canti, e  riusciva ad essere Leopardi. Come se non fosse questo  il significato di tutta la poesia leopardiana, e la sorgente  del suo irresistibile incanto ! Leopardi lo sapeva bene,  e sotto la data del 30 novembre 1828 ne’ suoi Pensieri  annotava: «Felicità da me provata nel tempo del com¬  porre, il miglior tempo eh’ io abbia passato in mia vita,  e nel quale mi contenterei di durare finch’ io vivo !  Passar le giornate senz’accorgermene e parermi le ore  cortissime, e meravigliarmi sovente io medesimo di tanta  facilità di passarle ». E nell’agosto del '23 non aveva  egli scritto, tra gli stessi Pensieri, che « ninna cosa maggiormente dimostra la grandezza e la potenza deU’umano  intelletto.... che il poter l’uomo conoscere e interamente  comprendere e fortemente sentire la sua piccolezza » ?   Tale il suo canto; il più squisito frutto dell’operare  della natura santa e onnipossente, raccolta, per dir così,  a far la più alta prova del suo potere dentro il genio  dell’uomo. Il quale, pertanto, in se stesso, infine, trova  se stesso, scoperta che abbia la fonte della sua vita:  quel divino, che ha in sé e gli colora il mondo delle beate  larve, e lo solleva da questa vicenda perpetua di nascere  e di morire, di fallaci promesse e di v'ane speranze, al  regno immortale della vita dello spirito. E quando scopre  questa sorgente, egh è veramente lui, il genio; e sente  l’amore che abbellisce e conforta, e crede nella potenza  e nella grandezza dell’umana intelligenza, e torna ad  amare la vita nobilitata dall’ ideale. E pur con le dolenti  parole suggeritegli dallo spettacolo del mondo esteriore  in cui l’uomo rischia di smarrirsi, sente l’ineffabile gusto  dello spirito che si ritrae in se stesso e nel sentimento  del proprio valore, quale si svela al contatto di quella  natura eterna, in cui è il suo principio e con cui perciò  deve immedesimarsi per trovare le radici del suo proprio  essere. E il naufragar m è dolce in questo mare.   Qui la grandezza del Poeta; qui l’incanto della sua  poesia, che i giovani amano per l’amore della giovinezza  che vi spira dentro; che gh uomini maturi ed esperti  della vita amano non meno per il lucido specchio che  essa offre degli aspetti dolorosi dell’esistenza, attraverso  i quah si deve avere il coraggio di vivere, malgrado ogni  disinganno; che tutti gli uomini, piccoh e grandi, dotti  o ignoranti, considerano come uno dei doni più preziosi  di Dio all’umanità. Piccolo libro, in cui un gran cuore  parla a tutti i cuori, e li unisce (poiché unirsi devono  per sedvarsi) in un sentimento acuto della miseria inne-    gabile della vita e della non meno innegabile azione dello  spirito che affranca da ogni miseria e infonde la fede  per cui si ha la forza di vivere. Piccolo hbro, sacro per  gl’ Itahani e per tutti gli uomini, come tutti i libri in  cui grandi pensieri si sono fatti semplici e chiari e perciò  faciU, com’ è al passero solitario il suo perpetuo canto :  anima della sua anima. Piccolo libro da leggere bensì  non a brani e frammenti, ma intero, affinché non sia  frainteso, dimostri tutta la sua bellezza e spieghi insieme  la sua dolce virtù consolatrice e animatrice.        POESIA E FILOSOFIA DEL LEOPAEDI    Conferenza tenuta al Lyceum di Firenze il 6 aprile 1938 e  pubblicata nel volume di letture Giacomo Leopardi a cura di J. De  Blasi (Firenze. Sansoni, 1938). Ripubblicata in Poesia e filosofia di  Giacomo Leopardi (Firenze, Sansoni, 1939)-    A parlare della filosofia di un poeta, e di un grande  poeta, o, che è lo stesso, delle relazioni del pensiero di  questo poeta con la filosofia, un pover uomo, per discreto  che voglia essere, si espone al rischio di toccare un tasto  falso e di riuscire uggioso e molesto fin dalle prime parole.  Ripugna infatti al senso poetico di cui ogni spirito ben¬  nato è più o meno riccamente dotato, questa ricerca che  ha tutta l’aria d’una pretesa pedantesca, illegittima e  affatto arbitraria : questa ricerca di mettere quel che  pensa un poeta, sopra tutto, ripeto, se è un grande poeta,  e cioè un poeta vero, quel che egli riesce a dire, ossia  quello che egli sente, e sente profondamente, al paragone  degh astratti schemi in cui ogni filosofia va a finire.  Non già che i poeti non abbiano anch’essi la loro filosofia,  un loro concetto della vita, una loro fede. Oh se 1’ hanno !  Non c’ è uomo che non ne abbia una. Anzi con la vivezza  e col vigore del suo sentire la sostanza della propria vita  spirituale, nessuno così fortemente come il poeta afferma  la propria fede e la oppone ad ogni più meditata dottrina  che si esibisca da coloro che passano per gh autorizzati  interpreti della filosofia; nessuno più di lui è convinto  d’avere una sua filosofia capace di sbaraghare tutte le  altre. Ma le battaglie che il poeta combatte e vince, si  svolgono dentro al chiuso della sua fantasia. E gh pos¬  sono bensì procurare la gioia della vittoria, ma una gioia  tutta soggettiva come di chi in sogno viene a capo del  suo più arduo desiderio e coglie il fiore più bello del giar¬  dino della vita. E nella storia — che giudica tutti gli    15. — Gbntilb, Manzoni e Leopardi.    individui e le opere loro, perché con la ragione sovrana  prima o poi valuta le ragioni di ciascuno — di fronte  al poeta rimane sempre il filosofo, che scopre le contrad¬  dizioni del primo, il carattere dommatico e gratuito delle  sue asserzioni, l’immediatezza irrazionale della sua fede;  e insomma i difetti e le debolezze del suo pensiero ; e viene  così a trovarsi nella impossibilità di scorgere la grandezza  della sua personalità se a misurarla non adotti un metro  diverso. E che cosa di più irriverente e ottusamente inu¬  mano e brutale che accostarsi ai grandi uomini per guar¬  darli da tutti i lati, anche da queUi che lasciano scorgere  i loro difetti, e non guardarli mai da quell’unico aspetto  in cui rifulge la loro grandezza ? Fu detto che non c’ è  grande uomo per il suo cameriere; e potrebbe parere che  in fine il filosofo sia, per tale rispetto, il cameriere del  poeta; gli spazzola i vestiti, gli allaccia le scarpe, ma  non lo guarda mai in faccia.   Oh la servitù numerosa che sta intorno al poeta !  C’ è il filosofo; ma c’ è anche l’antropologo e lo psico¬  logo ; c’ è lo storico puro e c’ è il filologo ; schiere e schiere  di scienziati, servitori dalle più vistose livree; i quah,  per quel garbo e quella riservatezza che sono tra i requi¬  siti più elementari del mestiere che esercitano, non al¬  zano mai gli occhi verso il padrone, per entrargli nel¬  l’anima e scrutarne la passione, intenderla, sentirla, parte¬  ciparvi. Certo non si permetterebbero mai tanta confidenza!   Nessuna mera^'iglia ]ioi se il poeta guarda dall’alto  tutto questo servitorame, e sta sulle sue, per non con¬  fondersi, per salvare se stesso e \fivere la sua vita supe¬  riore, di cui è geloso come del suo tesoro. Talora può  concedere un sorriso di umana indulgenza o signorile  degnazione; ma il più spesso guarda con que’ suoi acuti  occhi che penetrano negh ascosi pensieri — così labo¬  riosi, così opachi, così grevi; — e negh angoh della bocca  il sorriso diventa ironia, sarcasmo. E allora la povera    ÌIANZONl E LEOPARDI    227    filosofia, anche pel poeta, come per tutti gli uomini che  la filosofia assedia, assilla e infastidisce con le sue inces¬  santi inchieste e pretese, diventa materia di satira.   Allora, il Leopardi esce in un’osservazione di gusto  volteriano, come questa che è nello Zibaldone, sotto la  data del 7 novembre 1820: «L’apice del sapere umano e  della filosofia consiste a conoscere la di lei propria inutilità  se l’uomo fosse ancora qual era da principio; consiste a  correggere i danni ch’essa medesima ha fatti, a rimetter  l’uomo in quella condizione in cui sarebbe sempre stato  s’ella non fosse mai nata. E perciò solo è utile la som¬  mità della filosofia, perché ci libera e disinganna dalla  filosofia ». Osservazione che ama ripetere il 21 maggio  1823, dandola come un «suo principio»: «La sommità  della sapienza consiste nel conoscere la propria inutihtà,  e come gli uomini sarebbero già sapientissimi s’ella non  fosse mai nata: e la sua maggiore utilità, o almeno il  suo primo e proprio scopo, nel ricondurre l’intelletto  umano (s’ è possibile) appresso a poco a quello stato in  cui era prima del di lei nascimento ». E in assai più nitida  forma tornerà a ribadirla infine come uno de’ capisaldi  delle sue più profonde convinzioni, nel ’zq, nel Dialogo  di Timandro e di Eleandro: «L’ultima conclusione che si  ricava dalla filosofia vera e perfetta, si è, che non bi¬  sogna filosofare ».   Nei Paralipomeni (IV’, 14) degli ultimi anni, anzi  degli ultimi giorni della sua vita, più amaramente dirà;   Non è filosofia se non un'arte  La qual di ciò che l'uomo è risoluto  Di creder circa a qualsivoglia parte.   Come meglio alla fin 1 ’ è conceduto.   Le ragioni assegnando empie le carte  O le orecchie talor per instituto  Con più d'ingegno o men, giusta il potere  Che il maestro o l'autor si trova avere.    Eppure, s’ingannerebbe sul vero pensiero del Leo¬  pardi chi si limitasse a leggere questa sola ottava dei  Paralipomeni, come chi si diverte a ripetere col Petrarca.  Povera e nuda vai filosofia, dimenticando o ignorando  che il Petrarca continua; Dice la turba al vii guadagno  intesa. Dopo l’ottava che ho letta, il Leopardi infatti si  ripiglia nella seguente, e precisa, compiendolo, il pen-  sier suo in questo modo:   Quella filosofia dico che impera  Nel secol nostro senza guerra alcuna,   E che con guerra più o men leggera  Ebbe negli altri non minor fortuna,   Fuor nel prossimo a questo, ove, se intera  La mia mente oso dir, portò ciascuna  Facoltà nostra a quelle cime il passo  Onde fosto inchinar 1 ’ è forza al basso.   La filosofia, dunque, che il Leopardi schernisce è quella  teologica, come allora si diceva, dommatica, spiritua¬  listica; la filosofia della Restaurazione e del Romanti¬  cismo. La filosofia imperante al suo tempo: non ogni  filosofia. Anzi la filosofia imperante, tutta ottimistica,  presuntuosa, intollerabile alla mentalità leopardiana per¬  ché in contrasto coi fatti e con le necessità di ogni li¬  bera mente, proveniente, come pur quivi si dice,   da quella   Forma di ragionar diritta e sana  Ch’a priori in iscola ancor s'appella,   Appo cui ciascun’altra oggi par vana.   La qual per certo alcun principio pone  E tutto l'altro poi a quel piega e compone;   cotesta filosofia non è satireggiata qui propriamente  dalla poesia, ma dalla filosofia stessa, o, se si vuole, da  un’altra filosofia. Si tratta deUa filosofia falsa che è com¬  battuta e debellata dalla vera: ossia da quella che all’au¬  tore par vera. Neanche si può dire quel che dice il Man-    zoni degli avversari della filosofia respinta in tutte le sue  forme e in generale, quando osserva che anch’essi, questi  avversari della filosofia, senza saperlo, hanno una loro  filosofia, servitori senza livrea. Il Leopardi sa di avere  la sua filosofia; anzi, per cominciare ad intenderci, egli  propriamente professa di averne due. Dico cU più: senza  r intelligenza di questa sua duphce filosofia si rischia  di fare, a proposito del Leopardi, di quella esegesi filo¬  sofica, ov\’ero sia di quella filosofia, che s’ è soliti fare,  e che s’ è sempre fatta fin dal tempo del Leopardi; una  filosofia infarcita di luoghi comuni e di massiccia pedan¬  teria: filosofia da camerieri che allacciano le scarpe e  non guardano in faccia.   Con la filosofia cosiffatta va a braccetto una critica  che si chiama infatti filosofica, presuntuosa non meno,  tutta chiusa alla intelligenza dell’anima del Poeta e però  della sua poesia. La quale critica io mi permetto di con¬  dannare per una ragione di metodo, che ritengo fonda-  mentale. Ed è questa: che l’essenza della poesia non è  nel pensiero del poeta, ma nel sentimento che il poeta  ha del suo pensiero: non è nel mondo che egh vede, ma  negh occhi con cui lo vede e lo accoglie, lo fa vibrare e  vivere nel suo interno. Fuori del quale ogni realtà, sen¬  sibile o ideale, è semphce astrattezza inafferrabile. Lì,  nel trepido moto dell’ intimo sentire, in cui il mondo  ha il suo centro di vita, è l’attuahtà di quanto si vede  o si pensa, o si può vedere e pensare; e lì è la sorgente  della poesia. Perciò una critica che innanzi alle Operette  morali si ferma allo «spirito angusto, retrivo e reazio¬  nario », cioè alle idee negative che vi spaziano dentro, e  per ciò non riesce a scorgere quanto v’ è di umano e  cioè di positivo ed eterno, è critica radicalmente sbaghata,  che scambia le ombre con i corpi saldi. Poiché le idee,  una volta astratte dall’atteggiamento che l’anima assume  verso di esse, ossia dal concreto atto vitale a cui esse    partecipano e da cui traggono il loro significato vivente,  sono pallide ombre che il critico si fingerà astrattamente,  ma non {lotrà mai abbracciare al suo petto.   Nel caso del Leopardi poi c’ è di più; perché, come ho  accennato, se egli ha una filosofia tutta negativa, natu-  rahstica e materialistica, che gli sembra inoppugnabile e  che fa materia di assiduo pensare e ispirazione altresì  del suo canto, egli ha la filosofia di cotesta sua filosofia.  E in questa filosofia superiore che è negazione della ne¬  gazione, e che afferma perciò, come abbiamo udito da  Eleandro, ultima conclusione della filosofia v'era e per¬  fetta esser quella, che non bisogna filosofare; in questa  filosofia superiore è il senso serio e profondo di quella  che a primo aspetto ci è parsa condanna beffarda della  filosofia, giudicata inutile anzi dannosa.   Lo stesso Leopardi, teorizzando questa filosofia su¬  periore, in cui fa consistere la cima della sapienza, la  chiama, nello Zibaldone (7 giugno 1820), «ultrafilosofia»:  una filosofia « che conoscendo l’intero e l’intimo delle  cose, ci ravvicini alla natura » : filosofia naturale, spon¬  tanea, primitiva, barbara; più che alle origini, si trova  nella maturità della intelhgenza umana. Sentiamo da  capo Eleandro, che nel suo stesso nome vuol essere 1 ’ in¬  terprete della filosofia leopardiana contro la pretensiosa  filosofia ottimistica alla moda di Timandro: «S’ingan¬  nano grandemente », egli dice, « quelli che dicono e pre¬  dicano che la perfezione dell’uomo consiste nella cono¬  scenza del vero, e tutti i suoi mali provengono dalle  opinioni false e dalla ignoranza, e che il genere umano  allora finalmente sarà febee, quando ciascuno o i più  degli uomini conosceranno il vero, e a norma di quello  solo comporranno e governeranno la loro vita. E queste  cose le dicono poco meno che tutti i filosofi antichi e  moderni ». Timandro ha concesso ad Eleandro che tutti    sono infelici; gli ha concesso la necessità della nostra  miseria, e la vanità della vita, e l’imbecillità e picco¬  lezza della specie umana, e la naturale malvagità degli  uomini; gli ha concesso che in queste verità si assommi  la sostanza di tutta la filosofia; ma deplora egh che tali  verità vengano divulgate col solo frutto di spogliare gli  uomini della stima di se medesimi («primo fondamento  della vita onesta, della utile, della gloriosa ») e distorh  dal procurare il loro bene. — Ma dunque, ribatte Ele-  andro, « quelle verità che sono la sostanza di tutta la  filosofia, si debbono occultare alla maggior parte degli  uomini; e credo che facilmente consentireste che deb¬  bano essere ignorate o dimenticate da tutti: perché sa¬  pute, e ritenute nell’animo, non possono altro che nuo¬  cere. 11 che è quanto dire che la filosofia si debba estir¬  pare dal mondo ». Dunque, non bisogna filosofare, come  s’ è detto.   Dunque, incalza Eleandro, « la filosofia primieramente  è inutile, perché a questo effetto di non filosofare non  fa di bisogno di essere filosofo; secondariamente è dan¬  nosissima, perché cjuella ultima conclusione non vi s im¬  para se non alle proprie spese, e imparata che sia, non  si può mettere in opera; non essendo in arbitrio degli  uomini dimenticare le verità conosciute, e dcponenclosi  più facilmente qualunque altro abito che quello di filosofare ».   Non si può mettere in opera. Il che significa che  rultrafilosofia — che è la conclusione perfetta e perciò  la vera filosofia — non estirpa e distrugge l’altra, falsa  o insufficiente. La quale, buona o cattiva che sia, è quella  che è: e, una volta piantata nel cervello dell’uomo, vi  resta confitta incrollabilmente, anche suo malgrado,  quantunque insieme con essa e al disopra di essa ci sia  una verità certamente più umana e degna dell’uomo,  diretta a ricostruire quel che la prima ha demolito.    Verità ? Se per verità s’intende solamente quel che  si conosce per mezzo deU’esperienza e di quello schietto  ragionare che s’appoggia sempre ai fatti osservati, questa  della filosofia superiore non è verità, ma esigenza del¬  l’animo, e voce misteriosa della più profonda natura,  che la filosofia più tenace e più pervicace non riuscirà  mai a spegnere. Ma se verità è la mèta raggiunta filoso¬  fando, questa è la verità assoluta, perché messaci innanzi  dalla stessa filosofia quando sia riuscita ad elevarsi fino  alla sommità della sapienza. Dove, volendo pur non  contraddire alle verità via via accertate e sempre più  strettamente connesse e saldate insieme in irrepugnabile  sistema, bisognerà sì rassegnarsi a dire errori in sem¬  bianza di verità, illusioni, fantasmi, tutte quelle altre  verità che come tali si rappresentano all’uomo il quale  a quella sommità sia pervenuto; e quindi veda rivivere  il mondo nella pienezza rigogliosa della sua vita primi¬  tiva, felice, ridente, soffusa di una divina aura di giovi¬  nezza ignara e fidente. L’uomo Leopardi non può non  filosofare; non può non passare attraverso la prima filo¬  sofia; ma non può né anche non giungere infine alla se¬  conda e superiore. Dove egli ritrova tutto quello che ha  perduto.   Lo ritrova, s’intende, com’ è possibile soltanto dopo  averlo perduto; poiché dimenticare quel che ha saputo  e sa, non potrà mai ; a quel modo che può tornar fanciullo  un uomo che ha vissuto e sofferto tutte le delusioni e le  amarezze del mondo, e può riacquistare il gusto della  virtù chi abbia una volta bevuto al calice del bene e  del male.   Chi distingue nel pessimismo leopardiano due fasi o  forme, la prima di un pessimismo storico in cui tutto il  male è frutto dell’ « irrequieto ingegno » e dello « scel¬  lerato ardimento » degli uomini contro gl’ inermi regni    della saggia natura (di cui si parla nell’ Inno ai Patriarchi),  e l’altra di un pessimismo cosmico che fa gli stessi uomini  vittime incolpevoli della immane natura, si lascia sfug¬  gire l’unità fondamentale dello spirito del Poeta, dov’ è,  ripeto, il segreto della sua poesia; di quella dolcezza che  ci suona dentro alla lettura dei canti dal primo all’ultimo,  e in forma più palese e più sistematicamente determinata,  almeno nell’ intenzione dello scrittore, nelle Operette mo¬  rali: dolcezza che vince, per così dire, tutta l’amarezza  che negli uni e nelle altre si riversa nelle più varie forme  dell’anima di quest’uomo, che fu certamente tanto grande  quanto infelice, e seppe accogliere nella vasta onda della  sua poesia tutto il dolore del mondo, ma non per avvol¬  gere il mondo stesso nella tenebra della disperazione,  anzi per illuminarlo coi raggi d’una indomata fede nella  vita con i suoi ideali e con i suoi entusiasmi.   La verità è quella che ci viene apertamente attestata  nello stesso disegno delle Operette. Le quali cominciano  col mito delle origini della umanità governate dall’amore  e finiscono nella conclusione di Eleandro : « Se ne’ miei  scritti io ricordo alcune verità dure e triste, o per isfogo  dell’animo, o per consolarmene col riso, e non per altro  [e dunque egli ha sfogato, e s’è consolato e ora può parlare  con animo pacato e sereno], io non lascio tuttavia negli  stessi libri di deplorare, sconsigliare e riprendere lo studio  di quel misero e freddo vero, la cognizione del quale è  fonte o di noncuranza e infingardaggine, o di bassezza  d’animo, iniquità e disonestà di azioni, e perversità di  costumi: laddove, per lo contrario, lodo ed esalto quelle  opinioni, benché false, che generano atti e pensieri nobili,  forti, magnanimi, virtuosi, ed utili al ben comune e pri¬  vato; quelle immaginazioni belle e felici, ancorché vane,  che dànno pregio alla vita; le illusioni naturali dell’animo;  e in fine gli errori antichi, diversi assai dagli errori barbari.      i quali solamente, e non quelli, sarebbero dovuti cadere  per opera della civiltà moderna e della filosofia ». E più  tardi l’autore aggiungerà il Dialogo di Plotino e di Por¬  firio, dove l’accento torna sull’amore come sovrana legge  della vita e rintuzza la volontà suicida dell’egoista giunto  al fondo della disperazione della sua vita senz’amore.  Prima parola ed ultima, amore. Quella stessa che risuona  in fondo ai Canti, nella Ginestra. E contraddice certa¬  mente al freddo vero dell’ Epistola al Popoli e dello Zi¬  baldone, e delle Operette e dei Pensieri e dei Paralipo¬  meni e dei Nuovi credenti e insomma a tutto il contenuto  prosaico della poesia leopardiana; voglio dire a tutto  quel sistema di filosofia che era, nel vocabolario del Leo¬  pardi, la verità in opposizione agli errori: a tutto il com¬  plesso degli insegnamenti di quella filosofia secolo XVIII  che, per altro, negli stessi Paralipomeni, dove più espres¬  samente essa viene esaltata, non impedisce al Leopardi  di uscire in quel famoso grido del cuore (V, 47):   Bella virtù, qualor di te s’awede.   Come per lieto avvenimento esulta  Lo spirto mio.   Cotesta filosofia, non occorre esporla. Tutti la cono¬  scono. E quella concezione del mondo, che giustifica un  empirismo assoluto. Lo spirito vuoto; e tutto quello che  in esso può mai trovarsi, un derivato meccanico dal¬  l’esterno attraverso i sensi. Quindi lo stesso spirito, il  quale da chi tenga fermo al concetto delle sue esigenze  imprescindibili, non può non raffigurarsi dotato di liberta,  e quindi appartenente a quel mondo dei valori per cui  è possibile un pensare logico che sia vero in opposizione  al falso, o un volere buono in contrasto col malvagio,  e un’arte creatrice di bellezza che si libri nel puro aere  ideale e sovrasti alla miseria di tutte le cose brutte; lo  stesso spirito, dico, tratto a sentirsi, nel vuoto assoluto    K LliOPAltm      che si trova dentro, nulla: assoluto nulla, in cui libertà  e verità e virtù e bellezza non possono essere, in fondo,  altro che vane larve e falsi miraggi di un’ immaginazione  ingenua e fanciullesca. E il tutto è natura: cioè questa  realtà che si rappresenta a un tratto tutta spiegata ncUo  spazio e nel tempo, materiale, risultante da infinite parti  e particelle che si condizionano a vicenda in guisa che  ciascuna sia 0 si muova in conseguenza di tutte le altre;  in un meccanismo universale, dove tutto quel che accade,  è fatale di una necessità che schiaccia e stritola ogni  vana pretesa dell’uomo che si ])rovi a mutare il corso  del destino. Tutto. Anche il sentimento che sboccia nel  cuore degli uomini, e che soltanto l’irriflessione e l’igno¬  ranza ci possono far giudicare buono o cattivo; anche  il giudizio con cui ci s’illude di distinguere il vero dal  falso. Anche la volontà che non sceglie, come si favo¬  leggia, tra bene o male, ma scoppia in un senso o nel¬  l’altro con la stessa cieca necessità del fulmine nelle  tempeste della natura.   La natura dunque è tutto, e l’uomo nulla. La natura,  perché meccanica, incomprensibile, opaca, ripugnante a  ogni razionalità (perché la ragione è discriminazione,  scelta, libertà). Un mistero.   Così dice cotesta filosofia, come se tutto questo, che  essa dice con tanta sicurezza, fosse possibile; come se  cioè fosse possibile un mondo in cui, se non altro, la ve¬  rità sia una parola vana, e ci sia nondimeno posto per  l’uomo che, in mezzo a questo universale meccanismo,  nel mistero di questa tenebra profonda e per definizione  invincibile, abbia pure il diritto di affermare che la ve¬  rità sia proprio quella che egli asserisce ! Come se fosse possi¬  bile salvare una verità qualsiasi dal naufragio d’ogni verità.   Filosofia dunque essenzialmente contradditoria, che  nei filosofi empiristi, naturalisti, materialisti, tipo secolo XVIII, è ignara di questa sua immanente contrad¬  dizione, tra la ragione che si nega e la ragione che per  negarsi rivendica di fatto il proprio potere e valore.  Filosofia accettata dal Leopardi, ma con un’anima che  troppo sente le conseguenze dolorose di essa e troppo è  naturalmente dotata di quella forza con cui lo spirito  reagisce ai hmiti che si oppongono alla sua libertà, e quindi  al dolore, per non aver coscienza di tale contraddizione.  E questa coscienza è in lui acutissima. L’uomo, pertanto,  che dovrebbe prostrarsi di fronte alla natura nel senso  angoscioso del proprio niente, non piega, invece, non  s’accascia, non rinunzia alle sue verità, anche se battezzate fantasmi. Il dolore, attraverso la potente reazione  di tutto il suo spirito nel senso gagliardo e tenace con  cui l’apprende e lo ferma nel cristallo della sua divina  fantasia, si trasfigura: non è più il limite della sua forza  e della sua libertà; è poesia, cioè umanità; è grandezza  umana, trionfo della potenza creatrice, che è Ubera e  infinita potenza.   Qui l’anima del Leopardi, qui il fascino deUa sua  poesia. La quale non trae la sua ispirazione centrale  dall’astratto concetto di quel crudo materialismo, che  annienta l’uomo e fiacca perciò ogni velleità di vivere a  proprio modo, a norma de’ propri ideaU, in un mondo  qual egU perciò lo vagheggi, liberamente, ma da questo  senso profondo, or cupo e straziante, or placato e sereno,  che gli \aene dalla sua « ultrafilosofia », dal bisogno di  respingere come antiumana e contradditoria alla incoer¬  cibile natura dell’uomo cotesta filosofia negativa e sof¬  focante. Ora è Bruto minore, nudo di speranza, ma prode,  di cedere inesperti), neUa sua guerra mortale contro il  fato indegno, in atto di sfida magnanima contro il Destino, che egU vince, violento irrompendo nel Tar¬  taro:  e la tiranna   Tua destra, allor che vincitrice il grava.   Indomito scrollando si pompeggia.   Quando nell’alto lato  L’amaro ferro intride,   E maligno alle nere ombre sorride.   Ora è la misera Saffo, grave ospite di natura, estranea  alla infinita beltà di questa, consapevole del prode ingegno  che pur le venne in sorte assegnato, delle proprie virili  imprese, del dotto canto, della virtù insomma che può  vantare; ed ecco, è risoluta di spargere a terra il velo  indegno ricevuto da natura, primo principio della sua  infehcità; e morire, ed emendare così «il crudo fallo del  cieco dispensator de’ casi ».   Ora è il Poeta stesso, che invoca la morte hberatrice;   Ma certo troverai, qual si sia l’ora  Che tu le penne al mio pregar dispieghi.   Erta la fronte, armato,   E renitente al fato.   La man che flagellando si colora  Nel mio sangue innocente  Non ricolmar di lode.   Non benedir, com’usa   Per antica viltà l’umana gente;   Ogni vana speranza onde consola  Sé coi fanciulli il mondo.   Ogni conforto stolto  Gittar da me.   O che, stanco di sperare e disperare, sente in sé spento  anche il desiderio, e vuol acquetarsi nell’ultima dispera¬  zione e cliiudersi in un superbo disdegno di se medesimo,  della natura e di questa « infinita vanità del tutto » ;  nel disprezzo del « brutto poter che, ascoso, a comun  danno impera ».   Ora invece, il Poeta s’accosta a questa Natura mi¬  steriosa, arcana, e si scioglie in un mistico sentimento della sua vita infinita e divina. Giacché si sa che il na¬  turalismo è stretto parente della mistica, che ugualmente  oppone la realtà all’uomo al punto da non lasciargli più  modo di distinguersene e spingerlo perciò al desiderio  d’immergersi e immedesimarsi col tutto infinito che gli  è davanti e lo attrae. E allora il Leopardi ricompone il  suo volto dal ghigno della ribellione, e scioglie il suo  dolore, ossia quella sua soggettività solitaria e disperata  di uomo che, perduta la giovinezza, vede intorno a sé  il deserto e il buio della sera e deH’orrida vecchiezza,  nella languida consolazione degli Idilli: de l’Infinito,  dove il poeta non canta più il suo dolore, ma il dolce  gusto dell’eterno:   Co.sì tra questa   Immensità s’annega il pensier mio;   E il naufragar m’ è dolce in questo mare;   de La sera del dì di festa, dove il cuore si stringe   A pensar come tutto al mondo passa  E quasi orma non lascia;   e il suono delle umane glorie e degl’ imperi più famosi  cede come il canto dell’artigiano che riede a tarda notte  al suo povero ostello poiché la festa è finita:   Tutto è pace e silenzio, e tutto posa  Il mondo;   e risvegha nella memoria del poeta una immagine ac¬  corante insieme e viva divenutagli familiare:   ed alla tarda notte  Un canto che s’udia per li .sentieri  Lontanando morire a poco a poco...;   de La vita solitaria, dove « l’altissima quiete » del me¬  riggio presso all’ immoto specchio del lago di taciturne  piante incoronato gli fa obliare se stesso e il mondo: e già mi par che sciolte  Giaccian le membra mie, né spirto o senso  Più le commova, e lor quiete antica  Co’ silenzi del loco si confonda.   Estasi; estasi mistica che fa risalire dal petto il tre¬  pido grido dell’angoscia religiosa, che echeggia nel canto  Alla primavera, 0 delle favole antiche:   Vivi tu, vivi, o santa  Natura ?   e quello anche ])iù antico della stupenda lettera al Gior¬  dani del marzo 1821, che convien rileggere: «Poche sere  addietro, prima di coricarmi, aperta la finestra della mia  stanza, e vedendo un cielo puro e un bel raggio di luna,  e sentendo un’aria tepida e certi cani che abbaiavano  da lontano, mi si svegharono alcune immagini antiche,  e mi parve di sentire un moto nel cuore, onde mi posi  a gridare come un forsennato, domandando misericordia  alla Natura, la cui voce mi parve di udire dopo tanto  tempo ».   A questa religione, da cui la filosofia inferiore allontana, riconduce quella superiore, la ultrafilosofia. Quando  il Leopardi annota nello Zibaldone (1° die. 1820) che  « la filosofia.... s’ ha per capitai nemica della Religione,  ed è vero », egli parla (com’ è evidente dal seguito della  sua nota) della filosofia inferiore. Egli stesso ha il pensiero  a una diversa filosofia quando, sotto la data del 5 ottobre 1821, segna cjuesto pensiero profondo: «1 tedeschi  si strisciano sempre intorno e appiedi alla verità; di  rado l’afferrano con mano robusta: la seguono indefes¬  samente per tutti gli andirivieni di questo laberinto  della natura, mentre l’uomo caldo di entusiasmo, di sen¬  timento, di fantasia, di genio, e fino di grandi illusioni,  situato su di una eminenza, scorge d’un’occhiata tutto  il laberinto, e la verità che sebben fuggente non se gli può nascondere ». La mano robusta dunque non si con¬  tenta della ragione, ma vuole anche cuore, fede, natura  o « senso dell’animo », genio ; e cioè, non sa che farsi della  piccola ragione, poiché ha bisogno della grande. La quale  non s’illude di aver spiegato tutto quando ha spiegato  la natura, e non ha spiegato e si mette in condizioni  di non poter più spiegare l’uomo, e deve rassegnarsi a  dire errori quelle verità che sono fondamento alla \'ita  umana. L’uomo, che è poi colui che si propone il pro¬  blema della natura, e senza del quale {pertanto il pro¬  blema stesso non sorgerebbe mai. L’uomo, che quella  mezza filosofia della ragione piccola rinserra e schiaccia  nel meccanismo della natura e condanna alla schiavitù  del nulla, ma che risorge in tutta la sua libertà e nel suo  valore infinito appena la grande ragione gh faccia sentire  la sua grandezza nella sua stessa infehcità: « Niuna  cosa » infatti, come si legge nello Zibaldone (12 agosto  1823), « maggiormente dimostra la grandezza e la po¬  tenza dell’umano intelletto.... che il poter l’uomo co¬  noscere e interamente comprendere e fortemente sentire  la sua piccolezza » ; e provare la gioia del comporre, del  cantare, del pensare, del sentire !   L’infehcità, essa stessa, poiché sentita, intesa, espressa,  è grandezza, eccellenza. E perciò l’uomo non soggiace  alla natura, e può non temere la morte, e può, come la  ginestra, consolare il deserto col profumo del suo divino  alito spirituale. Perciò infine il poeta c’ insegna, in una  forma lapidaria che fa parere il suo detto quasi proverbio,  che « nessun maggior segno d’essere poco filosofo e poco  savio, che voler savia e filosofica tutta la vita » (Pens.,  n. 27). Verità infatti che merita di passare in proverbio  tra i filosofi. E pel Leopardi vuol dire che nella vita non  c’ è soltanto la filosofia : c’ è altro ancora, che è poi sempre  filosofia. La vera però, che afferra la verità con mano  robusta, non quella falsa che sola par vera all’angusto    MANZONI E LEOPARDI    241    intelletto del filosofo chiuso nel bozzolo del suo intel¬  lettualismo.   La quale filosofia, si ponga mente, una volta, come  s’è veduto, il Poeta la chiama ultrafilosofia; ma non è  poi altro propriamente che la sua personalità, il suo modo  di vedere e di sentire la vita, quell’ingenita virtù  che prorompe nel Risorgimento, quando l’anima si ri¬  svegliò e rivide meravigliata salire su dal profondo i  palpiti naturali, i dolci inganni, la speranza, e il senti¬  mento della natura (« Meco ritorna a vivere, La piaggia,  il bosco, il monte; Parla al mio core il fonte. Meco fa¬  vella il mar ») : quella ingenita virtù, che gli affanni po¬  terono sopire;   Non l’annullàr: non vinsela  Il fato e la sventura;   Non con la vista impura  L’infausta verità.   La virtù da cui sgorga la poesia; e che è, io dico, la  stessa poesia, depurata dalle forme in cui il pensiero la  determina e attua. Giacché io non vorrei che nelle parole,  nelle formule, nei concreti pensieri, come sistematica-  mente si possono comporre ad unità nelle esposizioni che  l’autore non fece delle sue idee, e che, sempre a fatica  e non senza arbitrarie glosse, continuano a imbandirci  quei camerieri del Leopardi che sono i suoi interpreti,  pronti a sobbarcarsi a scriver loro sulla filosofia del Leo¬  pardi i volumi che questi non pensò mai di scrivere;  non vorrei, dico, si ricercasse una vera e formata filosofia  come opera riflessa e logicamente costruita su’ suoi fon¬  damentali convincimenti e orientamenti    ’ Mi perdoni la grande e austera ombra del Poeta questa parola  cara oggi a certi spiriti spigoUsti e vanitosi, che ogni giorno che il  Padre manda in terra, suonano a stormo per adunar gente e catechiz¬  zarla tra un sorriso mellifluo e un ohibò di pelosa carità, e disporla  a cercare con essi l’orientamento che essi non riescono mai a trovare.    16 . — G-BNTlLE, Xtnnznni <• heopardi. No; le parole, i pensieri più o meno frammentari e  sparsi, le sentenze assai spesso felicemente formulate  non possono essere pel critico altro che accenni, spie  dell’anima del Poeta. La cui individualità è caratteriz¬  zata e, propriamente, individuata da un certo atteg¬  giamento, che è la concreta filosofia dell'uomo: quella  che, conferendo all’uomo un carattere, non ci spiega  tanto le sue parole, spesso espressioni di cose pensate e  non sentite, ma le azioni in cui l’uomo opera come sente  nel suo più intimo essere; là dove egli, arrivi o no ad  averne coscienza in un sistema chiaro e bene organato  di idee, è quello che è : quello che l’uomo nella sua singo¬  lare e inconfondibile individualità si mamfesta e si fa  conoscere non per quel che dice ma per il modo in cui  lo dice, non pel contenuto delle sue parole ma pel colore  che esse hanno sulla sua bocca, per l’accento con cui la  sua anima vi suona dentro. Stile, essenza della poesia  d’ogni uomo. Sicché, infine, a parlare degnamente della  filosofia del Leopardi, non bisogna ridursi alla parte del  cameriere. Conviene guardare il Poeta negh occhi, dove  la pupilla trema della commozione segreta: ascoltare il  suo canto, dove la sua filosofia è la sua stessa poesia. Giacomo Leopardi. Leopardi. Keywords: il favoloso. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e gli usi di Leopardi nella filosofia italiana," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51673483528/in/photolist-2mN8ym7-2mMSyLM-2mLP9qE-2mLP3hz-2mLExs3-2mKQ5j7-2mKNNqN-2mKPQMm-2mKC3nj-2mKCnei-2mPNG7N-2mKEPJE-2mKDwcr-2mKEJsY-2mKDLrD-2mKjsJY-2mKbfaU-2mKiTu1-2mJq2uE-2mJd7mv-2mJd7kD-2mJ7Kmy-2mJfkMq-2mJgmew-2mJfkPu-2mJbSzH-2mJbSX6-2mJd7mf-2mJgmcC-2mJbSYD-2mJbSXr-2mJfkQb-2mJbSZf-2mJfkPj-2mJgmf8-2mJgmeG-2mJbSXm-2mJd7nN-2mKbTKy-2mKgHKe-2mJfkPe-2mJfk8z-2mJfkMk-2mJgmcx-2mJfkN2-2mJgmdu-2mJgmdK-2mJ7KkB-2mJe9QJ-2mJ4GHU

 

Grice e Leopardi – 1150 – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Recanati). Filosofo. Grice: “We don’t have at Oxford a ‘chip off the old block’ as they have in Recanati!” --  Importante esponente del pensiero controrivoluzionario e padre di Leopardi. Leopardi, targa commemorativa apposta sui portici di piazza Leopardi a Recanati Figlio primogenito del conte Giacomo e di Virginia dei marchesi Mosca, nacque in una delle famiglie più preminenti di Recanati. Rimasto a quattro anni orfano del padre, crebbe con la madre (che non volle risposarsi per accudire i quattro figli), gli zii paterni rimasti celibi e i fratelli. Educato in casa dal precettore Giuseppe Torres, padre gesuita fuggito dalla Spagna a seguito della cacciata dell'ordine dal regno, ricevette una formazione improntata agli ideali cristiani, cui rimase fedele per tutto il resto della sua vita. Fu sottoposto alla tutela di un prozio, non potendo amministrare direttamente il patrimonio familiare per disposizione testamentaria. Ottenne tuttavia da papa Pio VI la deroga alla disposizione paterna e, all'età di 18 anni, assunse l'amministrazione della propria eredità.  Dopo un primo progetto di nozze andato a monte, sposò nel 1797 la marchesa Adelaide Antici, sua lontana parente. Il matrimonio fu un matrimonio d'amore strenuamente osteggiato dalla famiglia di Monaldo, in base ad antiche dispute tra casati e per questioni economiche (mancanza di una dote adeguata), che per manifestare la propria contrarietà non partecipò al matrimonio, che venne infatti celebrato nella sala detta "galleria" di palazzo Antici a Recanati. Il patrimonio di famiglia, dalle mani di Monaldo, passò in quelle della moglie, a causa dei debiti del prozio che il conte non riusciva a ripianare. Frutto di questa unione tra opposti caratteri furono numerosi figli: di questi, raggiunsero l'età adulta Giacomo, Carlo, Paolina, Luigi, e Pierfrancesco. A causa della impossibilità di gestirli (dovuta alla sua indole caritatevole verso i poveri, agli sperperi dei parenti e all'invasione giacobina), l'amministrazione dei beni di famiglia passò nelle mani della consorte, donna energica e severa; Monaldo poté così dedicarsi totalmente alla sua passione, gli studi e le lettere. Tra i suoi molti meriti vi è aver grandemente contribuito alla formazione del nucleo fondamentale della biblioteca di famiglia dei Leopardi, nella quale il giovane Giacomo passò i suoi anni di "studio matto e disperatissimo" (compresi i libri proibiti per i quali il conte ottenne la dispensa della Santa Sede, per metterli a disposizione dei figli) e che Monaldo donò all'intera cittadinanza recanatese, come ricorda la lapide apposta nella cosiddetta "prima stanza".  L'impegno civico  Angolo della biblioteca di palazzo Leopardi negli anni Cinquanta, con i ritratti di Monaldo, Adelaide e Giacomo  Il medico e naturalista britannico Edward Jenner La sua opera è rappresentativa del concetto di reazione (per es., la demolizione dell'egualitarismo nel Catechismo sulle rivoluzioni), inoltre gli vanno riconosciuti diversi meriti acquisiti durante lo svolgersi della sua vita politica, indirizzata nei confronti di Recanati, città in cui visse.  Monaldo fu consigliere comunale a diciotto anni, governatore della città, amministratore dell'annona. Fu tra coloro che si mantennero fedeli al papa Pio VI nel periodo dell'occupazione francese. S'adopera per mantenere tranquilla la popolazione in tumulto contro le forze dei rivoluzionari francesi e, in accordo con i suoi principî morali e religiosi, rifiutò di assumere incarichi pubblici durante la Repubblica Romana e il primo ed effimero Regno d'Italia. Fu gonfaloniere di Recanati, la massima carica amministrativa, e si occupò della costruzione di strade e di ospedali, dell'illuminazione notturna, del sostegno ai meno abbienti, della riduzione delle tasse, del rilancio degli studi pubblici e delle attività teatrali.  Sebbene fosse preoccupato per le conseguenze della meccanizzazione sull'occupazione, ritenne che le ferrovie e le macchine a vapore fossero tutt'altro che inconciliabili con una società cristiana. Stimolò inoltre il diboscamento del suolo, la messa a coltura dei prati, lo stabilimento di case coloniche e l'applicazione di nuove colture, come il cotone o la patata. Fu anche il primo a introdurre nello Stato Pontificio il vaccino antivaioloso dell'inglese Edward Jenner e lo fece sperimentare sui propri figli; poi, da gonfaloniere, rese obbligatoria la vaccinazione che svolgeva personalmente (in ciò smentendo la raffigurazione caricaturale di "retrogrado" che si attribuì ideologicamente alla sua figura da parte della critica novecentesca). Sostenne anche un progetto per la fondazione di un'università nella sua città natale, che però alla sua morte non ebbe seguito.  Infine, durante la carestia, fece erogare gratuitamente i medicinali ai più bisognosi e creò occasioni di lavoro, sia maschile, con la costruzione di strade, sia femminile, con la tessitura della canapa. Come scrisse una volta, quelle attività riformatrici non erano in contrasto con le sue idee controrivoluzionarie; infatti dichiarò: «Oggi si pretende di costruire il mondo per una eternità e si soffoca ogni residuo e ogni speranza del bene presente sotto il progetto mostruoso del perfezionamento universale»  Morì il celebre figlio Giacomo: nonostante tra i due i rapporti non fossero distesi, la perdita gli causò grave dolore. Si spense nella città natale e fu sepolto nella tomba di famiglia presso la chiesa di Santa Maria in Varano a Recanati. Dei molti scritti religiosi, storici, letterari, eruditi e filosofici di Leopardi, i più famosi sono i “Dialoghetti sulle materie correnti” usciti con lo pseudonimo di "1150", MCL in cifre romane, ovvero le iniziali di "Monaldo Conte Leopardi". Ebbero immediatamente un grande successo, ben sei edizioni in cinque mesi, furono tradotti in più lingue e divennero notissimi nelle corti europee. Il figlio Giacomo, da Roma, ne informa il padre in una lettera dell'8 marzo:  «I Dialoghetti, di cui la ringrazio di cuore, continuano qui ad essere ricercatissimi. Io non ne ho più in proprietà se non una copia, la quale però non so quando mi tornerà in mano.»  Per umiltà lasciò i molti guadagni allo stampatore, il Nobili. È probabile che con quest'opera Monaldo volesse contrapporsi alle Operette morali del figlio, che giudicava negativamente e riteneva contrarie alla fede cristiana. In essi, infatti, esprimeva gli ideali della reazione (o anche controrivoluzione). Tra le tesi sostenute, la necessità della restituzione della città di Avignone al papato e del ducato di Parma ai Borbone, la critica a Luigi XVIII di Francia per la concessione della costituzione (che violerebbe il sacro principio dell'autorità dei re che "non viene dai popoli, ma viene addirittura da Dio"), la proposta della suddivisione del territorio francese fra Inghilterra, Spagna, Austria, Russia, Olanda, iera e Piemonte, la difesa della dominazione turca sul popolo greco, in quegli anni impegnato nella lotta per l'indipendenza.  Risalgono alcune opere di satira politica: Monaldo era infatti ottimo satirico e disseminava le sue opere di scherzi letterari. Tra esse, il Viaggio di Pulcinella e le Prediche recitate al popolo liberale da don Muso Duro, curato nel paese della Verità e nella contrada della Poca Pazienza (versione digitalizzata). Fu inoltre autore di ricerche erudite, ammonimenti ai fedeli cattolici e articoli su varie riviste, tra cui si segnalano «La Voce della Verità» di Modena e «La Voce della Ragione» di Pesaro, che Leopardi stesso diresse. La rivista ottenne un buon successo, come dimostrano i 2000 abbonamenti sottoscritti in tutta Italia, tuttavia fu soppressa d'autorità.  Rimasero inediti, invece, i suoi Annali recanatesi dalle origini della città ae la sua Autobiografia: in quest'ultima la prosa di Monaldo si arricchisce di leggerezza, ironia e umorismo.  Negli ultimi anni di vita Monaldo visse appartato (non amava allontanarsi da Recanati: la sua più lunga assenza dalla casa paterna consistette in 2 mesi a Roma), deluso dalle caute aperture liberali del governo pontificio e degli esordi del regno di papa Pio VI. Collaborò al periodico svizzero Il Cattolico, di Lugano, tornando poi, negli ultimi anni, agli studi storici su Recanati, coltivati in gioventù.  Opere digitalizzate Monaldo Leopardi, La Santa Casa di Loreto. Discussioni storiche e critiche, Lugano, presso Francesco Veladini e C. Monaldo Leopardi, Istoria evangelica scritta in latino con le sole parole dei sacri Evangelisti, spiegata in italiano e dilucidata con annotazioni, Pesaro, pei tipi di A. Nobili. Monaldo Leopardi, Dialoghetti sulle materie correnti dell'anno, Leopardi, Prediche recitate al popolo liberale da don Muso Duro, curato nel paese della verità e nella contrada della poca pazienza. Rapporto con il figlio  ritratto di Giacomo Leopardi. Nonostante la vulgata dica il contrario, il rapporto con il figlio illustre appare buono: senz'altro nei primi anni Monaldo dovette essere orgoglioso della precocità del ragazzo, e nelle opere giovanili di Giacomo, ad esempio il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi, si avverte ancora l'influenza delle idee del padre. Ben presto, però, i loro spiriti presero strade diametralmente opposte: la crescente autonomia di pensiero di Giacomo preoccupava Monaldo.  La lettura del carteggio fra i due rivela una relazione affettuosa, soprattutto negli ultimi anni. La lettera più sincera scritta da Giacomo al padre è quella che quest'ultimo non lesse mai: si tratta della missiva datata luglio 1819, quando il poeta progettava la fuga, e che non fu mai spedita, perché egli dovette rinunciare ai suoi piani.  «Mio Signor Padre. Per quanto Ella possa aver cattiva opinione di quei pochi talenti che il cielo mi ha conceduti, Ella non potrà negar fede intieramente a quanti uomini stimabili e famosi mi hanno conosciuto, ed hanno portato di me quel giudizio ch'Ella sa, e ch'io non debbo ripetere. Era cosa mirabile come ognuno che avesse avuto anche momentanea cognizione di me, immancabilmente si maravigliasse ch'io vivessi tuttavia in questa città, e com'Ella sola fra tutti, fosse di contraria opinione, e persistesse in quella irremovibilmente. Io so che la felicità dell'uomo consiste nell'esser contento, e però più facilmente potrò esser felice mendicando, che in mezzo a quanti agi corporali possa godere in questo luogo. Odio la vile prudenza che ci agghiaccia e lega e rende incapaci d'ogni grande azione, riducendoci come animali che attendono tranquillamente alla conservazione di questa infelice vita senz'altro pensiero.»  Finalmente, Giacomo lascia Recanati, per farvi ritorno solo saltuariamente. Da lontano, il padre assiste alla crescita della sua fama nel mondo intellettuale italiano, ma non riesce a comprendere la grandezza del figlio: disapprova la pubblicazione delle Operette morali, scrivendogli in una lettera (perduta) le "cose che non andavano bene", suggerimenti che nella risposta Giacomo promette di prendere in considerazione, ma che di fatto non sono mai accolti. La pubblicazione dei Dialoghetti di Monaldo è causa di attrito fra padre e figlio. Giacomo Leopardi si trovava a Firenze: nell'ambiente iniziò a circolare la voce che fosse lui l'autore dell'opera, espressione delle tesi reazionarie, cosa che egli fu costretto a smentire seccamente sul giornale Antologia di Giovan Pietro Vieusseux. Si sfogò poi per lettera con l'amico Giuseppe Melchiorri: «Non voglio più comparire con questa macchia sul viso. D'aver fatto quell'infame, infamissimo, scelleratissimo libro. Quasi tutti lo credono mio: perché Leopardi n'è l'autore, mio padre è sconosciutissimo, io sono conosciuto, dunque l'autore sono io. Fino il governo m'è divenuto poco amico per causa di quei sozzi, fanatici dialogacci. A Roma io non potevo più nominarmi o essere nominato in nessun luogo, che non sentissi dire: ah, l'autore dei dialoghetti.»  In toni decisamente più miti ne scrive poi a Monaldo il 28:  «Nell'ultimo numero dell'Antologia... nel Diario di Roma, e forse in altri Giornali, Ella vedrà o avrà veduto una mia dichiarazione portante ch'io non sono l'autore dei Dialoghetti. Ella deve sapere che attesa l'identità del nome e della famiglia, e atteso l'esser io conosciuto personalmente da molti, il sapersi che quel libro è di Leopardi l'ha fatto assai generalmente attribuire a me. E dappertutto si parla di questa mia che alcuni chiamano conversione, ed altri apostasia, ec. ec. Io ho esitato 4 mesi, e infine mi son deciso a parlare, per due ragioni. L'una, che mi è parso indegno l'usurpare in certo modo ciò ch'è dovuto ad altri, o massimamente a Lei. Non son io l'uomo che sopporti di farsi bello degli altrui meriti. [ L'altra, ch'io non voglio né debbo soffrire di passare per convertito, né di essere assomigliato al Monti, ec. ec. Io non sono stato mai né irreligioso, né rivoluzionario di fatto né di massime. Se i miei principii non sono precisamente quelli che si professano ne' Dialoghetti, e ch'io rispetto in Lei, ed in chiunque li professa in buona fede, non sono stati però mai tali, ch'io dovessi né debba né voglia disapprovarli.»  Nelle ultime lettere Giacomo esprime la volontà di rivedere il padre, passando dai toni formali a quelli affettuosi ("carissimo papà" nell'ultima lettera).  Monaldo sopravvisse 10 anni al figlio. L'incompatibilità fra i due rimaneva però ancora evidente nel 1845, otto anni dopo la morte di Giacomo, non accettando lui le idee areligiose del poeta; la sorella di lui, Paolina, scriveva a Marianna Brighenti:  «Di Giacomo poi, della gloria nostra, abbiam dovuto tacere più che mai tutto quello che di lui veniva fatto di sapere, come di quello che non combinava punto col pensiero di papà e colle sue idee. Pertanto, non abbiamo fatto mai parola con lui delle nuove edizioni delle sue opere, e quando le abbiamo comprate le abbiamo tenute nascoste e le teniamo ancora, acciocché per cagion nostra non si rinnovi più acerbo il dolore.»  Su richiesta dell'ultimo amico di Leopardi, Antonio Ranieri, pochi giorni dopo la morte del figlio, Monaldo gli spedì un Memoriale con cenni biografici su Giacomo, con aneddoti e curiosità, in cui si avverte il dolore per la rottura fra i due e l'incapacità del padre di capire la direzione intrapresa dal figlio; il Memoriale si interrompe: "Tutto ciò che riguarda il tratto successivo è più noto a Lei che a me", scrive infatti. Nonostante ciò, Monaldo piangerà con dolore la perdita di Giacomo, al punto che quando redigerà il proprio testamento nel 1839, alla settima volontà scrisse:  «Voglio che ogni anno in perpetuo si facciano celebrare dieci messe nel giorno anniversario della mia morte, altre dieci il giorno 14 giugno in cui morì il mio diletto figlio Giacomo...»   Manetti, Giacomo Leopardi e la sua famiglia, Bietti, Milano. La famiglia Leopardi è protagonista del romanzo fantastico di Michele Mari Io venìa pien d'angoscia a rimirarti, del 1998.  Monaldo Leopardi, di Sandro Petrucci  Monaldo In viaggio per Leopardi, Leopardi fu chiamato alla collaborazione a tale rivista dal suo fondatore, il Principe di Canosa Antonio Capece Minutolo.  Giacomo Leopardi, Carissimo Signor Padre. Lettere a Monaldo, Venosa, Osanna ed., Giacomo Leopardi, Il monarca delle Indie. Corrispondenza tra Giacomo e Monaldo Leopardi, Graziella Pulce, introduzione di Giorgio Manganelli, Milano, Adelphi,Monaldo Leopardi. La giustizia nei contratti e l'usura. Modena, Soliani, Monaldo Leopardi, Autobiografia, con un saggio di Giulio Cattaneo, Roma, Dell'Altana ed., Antonio Ranieri, Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi, Mursia ed.,  (L'ultimo amico del poeta narra di un suo incontro con Monaldo mentre era di passaggio a Recanati). Monaldo Leopardi, Catechismo filosofico e Catechismo sulle rivoluzioni, Fede&Cultura, 2006 Monaldo Leopardi, Dialoghetti sulle materie correnti e Il viaggio di Pulcinella, in, L'Europa giudicata da un reazionario. Un confronto sui Dialoghetti di Monaldo Leopardi, Diabasis, 2004 Nicola Raponi, Due centenari. A proposito dell'autobiografia di Monaldo Leopardi, Quaderni del Bicentenario. Pubblicazione periodica per il bicentenario del trattato di Tolentino,  n. 4, Tolentino, Giuseppe Manitta, Giacomo Leopardi. Percorsi critici e bibliografici, Il Convivio, Anna Maria Trepaoli, Gubbio, i Leopardi, Recanati: un legame da riscoprire, Perugia, Fabrizio Fabbri editore, Pasquale Tuscano, Monaldo Leopardi. Uomo, politico, scrittore, Lanciano, Casa Editrice Rocco Carabba,, Giacomo Leopardi Leopardi (famiglia) Pierfrancesco Leopardi.  Monaldo Leopardi, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giovanni Ferretti, Monaldo Leopardi, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Nicola Del Corno, Monaldo Leopardi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Monaldo Leopardi, su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere di Monaldo Leopardi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Monaldo Leopardi,.Dizionario del pensiero forte, IDISIstituto per la Dottrina e l'Informazione Sociale, sito "alleanzacattoliga.org". Il conte Monaldo Leopardi. Monaldo Leopardi, conte di San Leopardo. Cf. Il Leopardi anti-italiano. che dopo questa vila comincia un'altra vila,bisogna ripudiare lulli isofismieluttelemenzognedella filosofia.Que. ste sono le norme del saggio , questi sono i doveridelgalantuomo,equestesonoleve rità proposte,dimostrate e raccomandate dalla Voce della Ragione.    FILOSOFIA Ponam Civitatem hanc in stur em etinsibilum, SCENA PRIMA La Filosofia e il Cervello. La Filosofia.Già vihodeltochedopotanti anni di fatiche e di pensieri per accomodare il mondo a mio modo , questo veccbio con serva ancora certi suoi pregiudizi , e non trovo in esso una sola cillà la quale sia in lutto e per tullo secondo le mie regole e se condo il mio cuore.Perciò ho risolutodi fab bricarpe una nuova , e chi sa che a poco a poco non diventi la capitale di un grande impero. Cer. Tutto questo va bene , e polete fab bricare e fondare quanto volete,ma come ci entro io con le vostre fabbriche e con le v o stre fondazioni ? Fil.Oh Diavolo ! volete che la filosofia vada avanli in una impresa similesenza cervello?  LA CITTÀ a DELLA Il Cervello. In somma , si può sapere cosa volele da me ? Cer.Finora avele sempre operalo senza di me , e potete seguitare a procedere da pazza ----   Cer. Fin quì non dite male , ma alla fine dei conli che giudizio è questo vostro con cui volete mandare sollosopra il mondo ? Fil. Oh bella , ognuno ba i suoi gusti , e degustibusnonestdisputandum.Epoiiode sidero diguastareilmondo,perchè voglioàca comodarne un altro meglio di questo. Cer. Vi darà poi l'animo di fare un altro mondo migliore del primo ? Fil. Proviamoci : cosa sarà ? Non si tratta poidiunagrancosa,esenon riesceci penserà chi vuole. Via cervellaccio mio, ve nile con me e datemi una mano a fabbricare Filosofopoli.Giàadessononavetealtroda fa re , perchè nessuno vi vuole ; e al mondo si fa tutto senza di voi. Cer. Anche questo è vero ,e giacchè non si trova più a campare coi savi sarà meglio accomodarsi al servizio dei malti. Fil. Bravo , bravissimo. Vedrele che bella città stabiliremo assieme.Ha da essere ilre gno della elà dell'oro , il paese della cucca- goa , e la vera meraviglia del mondo. 95  come in addietro, senza curarvi neppure adesso della mia compaggia. Fil. Chi lo dice che ho operato da pazza e senza cervello? A buon conto io chevole. va guastare ilmondo l'homandato sottosopra, e quelli che avevano obbligo é desiderio di conservarlo lo hanno mandato e lo mandano soltosopra peggio di m e . Chi vi pare dunque cbe abbia piùcervello,chi guastaquelloche vuol guastare , o cbi guasta quello che vuol conservare ? >   Fil. Oh per questo non dubitale.Sono cen t'anni che ho mandalo fuori gli editti e sac cio mille smorfie per chiamare la gente, co me fa la civella sul mazzuolo per uccellare i merlolli ; sicchè gli abitatori di Filosofopoli non potranno mancare.Anzi ecco qualchedu. no che si avvicina. Meltiamoci dunque sul sodo , e incominciamo le nostre operazioni fi losofiche e cervelloliche. SCENA SECONDA La Filosofia , il Cervello e il Governo. La Filosofia. Chi siete e cosa volete ? Gov. Quanto a questo farete quello che vi pare , ed io starò nelle vostre mani a rice. vere quella forma che vorrete darmi , come l'argilla in mano dello stovigliere. Già oggi  96 Cer. Chi verrà poi ad abitare in questa nuova cillà ? Il Governo. Io sono il governo,e domando di essere ammesso nella vostra nuova città , perchè immagino che non vorrete stabilirla senza governo. Fil.Sicuro che un poco di governo ce lo vogliamo,> almenopourbienséance,eperser vire alle apparenze,e alle formalilà come l'apparatura nelle feste. Ma intendiamoci bene ; noi non vogliamo un governo all'an > tica , il quale pretenda di governare davve ro , ma bensì un governo filosofico ; e vale a dire un ombra , un simulacro , un brodo di ranocchie e niente di più.   97 questa è una cosa da nulla , ed è più facile preparare un governo che lavorare un boccale. Fil. E bene ; nella cillà e nel regno di Fi  ; losofopoli la vostra forma sarà quella di una monarcbia . Cer. Bravo!quesla scelta mi piace perchè il governo monarchico è il più naturale e il più semplice , ed è ancora il più robusto di tullj . Fil. Oibd , oibù ; se fosse questo non vor remmo saperneniente,esivede bene che voi v'intendele poco di filosofia,e non avele una giusta idea del mondo nuovo.Nel m o n do vecchio i monarchi erano certamente forti, rispettatietemuli,perchèsostenevano diavere ricevuto il loro potere da Dio , e nessuno si azzardava di slendere la mano contro una au lorità la quale si riputava stabilita per diritto divino. Ma nel mondo nuovo i monarchi si contenlano di regnare per grazia e volere del popolo,ricevonoilsalario esilasciano incar. tare dal popolo e conseguentemente devono essere il trasiullo e lo scherno del popolo.Il governo monarchico adunque,lavoralo secon do le regole della filosofia, riesce ilpiù co m o d o e il più leggiero di tulli, e i filosofi si adallano a lasciarsi governare da un re falto dal popolo,perchèchipuòfarepuòguastare, ed è più facile sbalzare dal trono un monar. ca costituzionale, che licenziare dal servizio un gualtero di cucina.Sentite dunque signor governo , e imparate bene cosa ha da essere il governo monarchico nella cillà e nel regno della filosofia. 6   Fil. Prima di tutto, il re ha da essere un re di carta , o vogliamo dire che tulta la sua autorilà deve consistere in un pezzo di carta , esso medesimo deve riconoscerla tutta intiera dalla carta , e guai a lui se si allontana un capello da quella carta. Fil. Inoltre non deve pretendere di dettar le leggi, ma deve riceverle belle e fatte dalla nazione;e,se si tratti di farne delle nuove, gli è permesso di mandare i suoi ministri a sfiatarsi e raccomandarsi nella camera dei d e putati , ma alla fine deve sempre cedere alla voloplà della camera. Quando poi la camera ha fatto una legge e il re l'ha soltoscritta per amore o per forza , e per una semplice for malità , sua maestà di carta deve subito pi gliare la frusta e andare in piazza a menare le mani facendo eseguire idecreti del popolo. Gov. Benissimo. Fil. Di più non deve impicciarsi nè bene nè male con la giustizia,e deve lasciare che i giudici facciano di ogni erba un fascio sen. za essere ripresi e molestati da nessuno.Anzi se l'istesso monarca cittadino riceverà una coltellala ovvero una schioppeltata non potrà far altro che dare una querela a quell'imper linenle,ese igiudici condanneranno coluia tregiornidipaneeacqua,ilredovràam mirare e ringraziare la imparzialità e la se verità della giustizia. Gov. Benissimo.  98 Gov. Dile pure,che iosono qui a ricevere i vostri comandi . Gov. Benissimo.   Fil. Similmente il monarca filosofico costi. tuzionale non avrà l'ardire d'imporre nessu na tassa , e di toccare un quattrino senza il beneplacito e la licenza del popolo.Quando ci sarà bisogno di denari per l'andamento del go verno anderà a domandarli come un pitocco alla cainera dei deputali , e dopo ricevuli li spenderà bene o male,che questo importa po co ,e sulla revisione dei conti non si guarda tanto in sollile.Se però la camera non vorrà darglieli ,lascerà che il governo cammini da per sè stesso, e resterà colle mani incrociale sul petto come fa il cuoco , allorchè il pa drone non gli dà iquattrini per fare la spesa. Fil. Per ultimo se qualche volta il popolo vorrà divertirsi un poco con sua maestà,ac . compagnandolo con le fischiate ovvero con le sassale, dovrà averci pazienza, e se anche in una giornata gloriosa il popolo vorrà strac ciarelacarta,cambiare la dinastia,edi scacciare il re con tutta la sua maestà e la  Gov. Benissimo. Fil.Siccome poi lacartaaccordaalmonar ca il diritto di far grazia, il re cittadino de ve sapere che quel dirillo gli viene accordato per burla , e che egli pad usarne soltanto a beneplacilo e a capriccio del popolo. Percið se itribunali condanneranno giustamente uno scellerato il quale sia benveduto dal popolo , sua maestà di carta lo dovrà liberare , e se condanneranno ingiustamente un innocente malveduto dal popolo , sua maestà di carta dovrà farlo impiccare. Gov. Benissimo. 99   sua inviolabilità , il monarca cittadino dovrà andarsene col bordone in mano , e avere di caro e grazia di salvare la pelle,perchè alla five dei conti nell'impero della Filosofia la care ta, il trono , il governo , lullo è del popolo, e ilmonarca costituzionale è un bawboccio vestitodareperserviredipassatempoalpo polo. Gov. Benissimo,benissimo,ameraviglia;e vado subito nella cillà a preparare uo trono di cartone per Pulcinella l.monarca cilladino di Filosofopoli. Fil.Cosa nedilecompare Cervello?Vipare cbe abbiamo stabilito una monarchia vera mente solida , dignitosa e utile al buon reg gimento dei popoli? Fil.Sappiatechecisivapensando,eforse col progresso dell'incivilimento si troverà il modo di fare una macchina che muova la le. sta e ci serva da re,senza bisogno di pagare un re cilladino , il quale non è poi tanto a buon mercato quaplo si crede. Intanto però bisogna contentarsi di un re costituzionale, fin. chè non si può averne un altro lutto affallo di legno.Ma zillo che si accosta altra gente per veoire a populare ilregno della Filosofia.  100 Cer. Mi pare cbe quando i monarchi filo sofici debbano essere lavorali sopra queslo m o dello , un re dipinlo ,ovvero un re di paglia potrebbe servire nello stesso modo.   SCENA TERZA LaFilosofia.Chisiete,ecosavolete? La Giustizia.Iosono laGiustiziaedoman do di essere ammessa nella vostra nuova cillà. Fil. Cosa ne dite compare Cervello ? non si potrebbe fare a meno di questa femmina ? Fil. Alcuni litiganti , i quali hanno inolla pratica dei tribunali,mi banno assicuratoche considerando bene certe giustizie presenti, sa rebbe meglio cavare a sorte la vincita e la perdita delle cause,ovvero giuocarsi alla m o r ra il torto e la ragione. Così almeno si ri sparmierebbero le spese. Cer. Con questo metodo pazzo e scellerato si confonderebbero il giusto con l'ingiusto , l'innocente col reo,e il galanluomo con l'as sassino. Giu . Parlate pura giacchè sono venula a p  101 La Filosofia , il Cervello, a la Giustizia. Cer. Come ! vorreste stabilire una città ed ungoverno senza tribunaleesenzagiustizia? Fil. Questo sarebbe poco male perchè ora mai lulle queste cose sono tanto confuse che non se ne raceapezza più niente. Considero però che se non ci fosse qualche cosa,chia mata giustizia , gli avvocati e i procuratori resterebbero in camicia, e questo non si ac comoderebbe con le idee filosofiche sulla dif fusione dei godimenti e dei beni.È d'uopo dunque per un altro poco adattarsi al siste ma antico , e perciò venile avanli madonna Giustizia e facciamo i nostri palli.   posta per imparare cosa deve essere la giu. stizia nel paese della filosofia. Fil. Prima di tutto lenetevi bene in m e n te che i liberali tauto palesi come occulli non devono avere mai lorlo,e la giustizia deve essere una vera cortigiana consacrata e ven. dula sfacciatamente al servizio dei liberali. Giu.Benissimo,ed io mi venderò e mi prostituiròinverecondamente per compiacere iliberali.Ma ditemi un poco:come ho da fare per favorirli nelle cause , quando stan no evidentissimamente dalla parte del torto ? Giu. Quei giudici però i quali procederan no con ingiustizia manifesta potranno essere discacciati e puniti.  102 re che questo non è proibilo ; e non manca il modo di stancare e assassinare un povero liligante buttando la polvere sugli occhi al mondo,esostenendochesioperaperlagiu stizia.Se però qualcbe volta vi troverelealle strelle , rinunziale pure a qualunque pudo re,invocate ilnome diDio,egiudicatenel nome del diavolo,purchè la villoria sia sem pre assicurala per i liberali. pu. Fil. Finchè potete conservare cerle appa renze e salvare la capra e l'orto , falelo Fil.Non dubitatediquesto,eigiudicinon temano di niente quando sono protetti dai liberali. Primieramenle nel regno della filo sofia i giudicisono una potenza assolutache non dipende da nessuno ; e poi i liberali si mellono per tutto , e coperlamente , ovvero scopertamente comandano in lulli i dicasteri, sicchè alla fine del conto lutto si fa a modo   loro , e a chiunque la prende con essi toc cano sempre la mazza e le corna. Giu.Ho capilo: e lasciatevi servire.Segui tale pure la vostra lezione. Fil. Inoltre se s'incontrano a litigare un uomo indifferenle e un inimico dei liberali, dale sempre ragioneall'uomoindifferente an corchè fosse uù ruffiano, ovvero un capo la dro , e date sempre lorlo agl'inimici dei li. berali , acciocchè quesla capaglia impari a rispettare la filosofia e la liberalilà. Fil. In questi casi potete consollare i vo stri affelli privali, ovvero ilvostro interesse; potete farvi merito con qualche Ciprigna ;e in somma fale pure quello che vi pare, che alla filosofia non gliene importa niente.Cosa ne dile compare Cervello ? Fil.Questo sarebbe un partito troppo gras. so per i galantuomini i quali giuocherebbero alla pari,enelregno filosoficoiliberalihan. no da godere sempre qualche vantaggio. A vete capito bene madonna Giustizia ? 103  Giu.Ho capito anche questo e non mi al lonlanerò dai vostri suggerimenti : ma come si dovrà procedere in parilà di circostanze o sia quando s'incontrany a litigare due uo. mini indifferenti , ovvero due liberali ? Cer. Vedo bene che hanno ragione quelli iqualidesiderano,che ildirillo eiltorlo si estraggano allasorte oppure vengano giuo catiallamorra.Difalliquando laGiustizia non ha da essere veramente giustizia è m e glio ridurla al giuoco della bianca e della nera .   UH 104 Giu. Ho capito benissimo,e fascialevi per servire. E nelle cause criminali come dovrò regofarmi ? Fil. Generalmente parlando lenele sempre per la parte dei malfaltori,e ricordalevi che nel regno della filosofia non si vuole la m a n naia del boia , e piuttosto si gradisce ilcol tello degli assassini. Se la giustizia dovesse essere quella di una volta non si trovereb bero le gloriose giornate,e noi vogliamo sla re allegramente, e non vogliamo morire di malinconia. Nei casi poi particolari regolate vi come vi bo già detto per la giustizia ci vile. Se alcuno abballe una croce , Salegli grazia eseunaltroguardatortolabaq diera di tre colori, ammazzatelo.Se uno be stemmia ovvero calpesla il Sacramento , te. neteloin prigione mezz'ora,quando pon pos siatefaredimeoo;eseunaltrodicemez za parola contro la carta, fatelo fucilare.Se laluno prende a calci un prete, un frale, vescovo dite che non ci è luogo a procedere; e se i preli , i frali, i vescovi negano la se poltura ecclesiastica a qualche scomunicato mandateli in galera o fateli scorticare.Se il re viene accusato a dirillo,o a torlo di ave re fatto una sconcordanza , caccialelo in esi. lio, ovvero tagliategli la testa, e se ilpopolo prende a sassale il re e si ribella contro il re , distribuite le pensioni e le decorazioni ai capi dei sollevali. In somma regolatevi in modo da far conoscere che nel regno del la fi'osofia tutto è permesso fuorcbè toc care colla puola delle dila i liberali e la fi    Giu . H o capito tullo benissimo , e vado a stabilire i tribunali e a portare in trionfo la giustizia nel regno della filosofia. Fil. Vedo bene compare mio che i miei ordinamenti fondamentali non incontrano trop. po il vostro genio ; ma finchè sarele un cer vello all'anlica tullo pieno di pregiudizi, nonvimetterele livellocoilumidelsecolo, c non potrele figurare nel regno della filoso. fia. Speriamo però che a poco a poco ancho il cervello perderà il cervello , e allora le dottrine e le pratiche della filosofia si diran no regolale col cervello. Fraltanlo diamo u. dienza agli altri che vengono per abitare nel. la nostra nuova cillà. L a Filosofia, il Cervello e la Proprietà . La Filosofia. Certamente ebe nel inio regno ci hanno da essere i proprielari,ma anche 105  1 losofia. Se poi talvolta doveste per rispetto umano proferire qualchecondanna nou viaf fliggete per questo, perchè ire dominati na. scostamente dai liberali faranno sempre la grazia , e non ci sarà mai pericolo , che la scure del manigoldo ardisea di toccare il col lo di un liberale. SCENA QUARTA La Proprietà. Io sono la Proprietà e vengo a stabilirmi nel vostro puovo impero,imma ginando che anche nel vostro regno ci do. vranno essere i proprietari, e non vorrela che sia pieno lullo quanto di mascalzoni.   Pro. Mi pare cbe non ci sia gran cosa da rinnovare intorno alla proprietà , e lulle le leggi devono consistere in questo, che ognu. no possa tenere e godere tranquillamente ilsuo. Fil. Sopra cid ci sarebbe qualche cosa da dire , m a siccome ancora non siamo arrivati al punto , basterà stabilire per adesso alcu ne misure e alcuni miglioramenti preliminari. Cer. E che ! vorreste forse che nei vostri paesi la proprietà non fosse più proprietà,e il proprietario non fosse più il padrone delle proprie sostanze? Cosa pensereste di fare per introdurre nel vostro nuovo impero anche questo sproposito ? Fil. Si potrebbe benissimo stabilire una di visione generale dei beni ovvero una legge agrarja , intorno alla quale sono già tantise. coli che sospirano lutti i disperati e tutli i falliti del mondo,ma per quanto la filosofia propenda per questo partito definitivo , l'in civilimento ancora non è giunto al segno , e il mondo non è ancora maluro per tanta fe licità. Basta dunque per ora che tutte le leg gi , tutti i regolamenti e tutte le pratiche go. vernative tendano a procurare lamaggiordif fusione de'beni. Pro. Cosa si avrà da fare perchè i beni si diffondano e diventino come una nebbia di cui abbia ognuno la sua porzione uguale ?  106 voi signora Proprietà dovrete adattarvi alle regole fondamentali della Olosofia, Fil. Parlando in generale si deve sempre avere in mira di spogliare iricchi,i signori   e i benestanti; e di arricchire i cialtroni , e a questo scopo salulare e filosofico devono essere sempre diretle la politica e l'arte dei governanti.Parlandopoi inparticolare,a desso vi dard alcuni precetti con l'osservan-,'. za dei quali si è fallogià ungrancammino, e si arriverà quanto prima all'incivilimento completo del genere umano. Cer. Stiamo a sentire queste altre filosofi cbe buscarale. Cer.E che bene verrà da questo volontario dissipamento ? Fil. Ne verranno due risultati filosofici di una importanza incredibile. Primieramente il governo scialacquando il denaro dello Sta to senza misuraesenzagiudizio,dovrà imporre tasse gravissime , e siccome alla fi  107 ne Fil.Prima di tuttosideve ingannareilgo verno per farlo spendere come un matto e butlare iquattrini da tutte le parti, inducen dolo a fare tutti gli spropositi possibili e a scegliere tuiti imodi di amministrazione più rovinosi e più dispendiosi. dei conli le tasse si pagano sempre da chi ha,il denaro delle tasse levato per forza a chi ba >, anderà naturalmente in mano di chinonba,concheladiffusionedeibeniver rà egregiamente aiutata.Secondariamente poi con questo scialacquo del pubblico denaro, e con questo scorticamento dei benestanti si dif fonderà immancabilmente il malcontento nel popolo,e la filosofiaci avrà un gusto matto, perchè di un popolo scontento si fa presto a faroe un popolo liberale e ribelle. Avele ca pito,signora Proprietà ?   Pro. Ho capito a meraviglia, e passate ad un altro precello. Fil. Il secondo precello filosofico consiste in questo , che bisogna stabilire nello Sta. to un diluvio veramente spaventoso d'impie gati ancorchè sieno inutili e non debbano far altro che grattarsi la pancia e divorare la so stanza della nazione.Più ce ne sono e più bi sogna amniellerne; e invece di pigliare a calci nelle natiche tulta quella canaglia che asse-, dia le anticamere , perchè si oslina a voler vivere nell'ozio e nella opulenza a spalle dei mincbioni , se gli impieghi non bastano per contentare lulli questi parassiti bisogna crear ne degli altri.Fra i postulanli poi sidevono sempre preferire i più indegni , i più asini e i più lemerari, e così si deve correre ra pidissimamente verso la diffusione universale dei beni , e verso il perfezionamento filoso fico della civillà. Cer. Quelli però che governano lo Stalo non si contenteranno che venga così manomesso e saccheggiato . Fil.Messo in molo una volta l'appelilo de. gli ingordi e dei poltroni , diffusa l'idea che tulli gli sfaccendali e spiantali devono m a n lenersi a carico dello Stato , e rotto l'argi ne al torrenle scandaloso delle raccoman . dazioni , igoverni e i ministri del governo verranno strascinati da quella piena , e non potranno più impedire l'assassinio di tutte le proprielà e ladiffusione dei beni.La più bella di luttesarà poi,cbe quellistessi,iqualide clamano contro questo disordine e sono vera  108   mente affezionati allo Stato,daranno mano al l'assassinioeconomico delloStato.Imperciocchè tutli i grandi hanno la loro affezioncella pri vata,ed hanno qualcheduno che li mena pel paso sicchè in gražia della affezioncella e del condottiere nasale, lulli metteranno avanti qualche loro protello , tutti diranno che quella è la eccezione della regola , e tulli"daranno mano perchè la pubblica finanza si dilapidi sempre di più.Costui dovrà essere provvedulo perchè altempo delle rivoltenonsi è rivol tato,e colui che si adoperò per fare una ri voluzione deve essere provveduto, acciocchè non simaneggiper farneun'altra;questode ve essere impiegalo perchè furono impiegali ilpadre,ilnonno eilbisnonno,e lasua fa miglia ha acquistato il privilegio di vivere a spalledelpubblico,equellodeveessereim piegato perchè non ebbe mai niente , e non è dovere che nel giorno della cuccagna un galantuomo rimangacoldenteasciulto.Ilme rito dell'individuoeilbisognodelloStatonon dovranno contarsi per niente; le petizioni, i clamori e le raccomandazioni assordiranno l'a ria; il ministero non saprà più dove dare la testa,e le sostanze di chi ha anderanno per amore o per forza , a depositarsi nella pan cia di chi non ha. Pro. Vedo bene che questo sarà un ottimo metodo per operare la diffusione dei beni , o sia per assassinare le proprietà del pabbli co e dei privali;ma se mai la multiplicazione inutile degli impieghi non bastasse per sa - tollare l'ingordigiadi tutti gli infingardi e  109 7   110 sfacciali, non vi sarebbe qualche altro modo da contentare questa povera gente ? Fil. Sicuramente che ci è un altro modo ancora più efficace del primo, e questo con siste nell'acconsentire senza riserva a tutte le invereconde domande delle pensioni e delle giubilazioni. Appena un impiegato vuole ri tirarsi a casa per vivere da vero poltrone, e produce l'altestato di un medico per provare che patisce di pedignoni ; ovvero di raffred dori, non importa che quel pelulante abbia prestato un servizio di pochi mesi,non im porla che sia un giovanotto, ovvero un uomo sano e robuslo ; e non importa che lascian do un impiego per mentita impotenza, assu ma poi sfacciatamente altri incarichi più la boriosi dei primi , ma subito sideve m a n darlo a casa accordandogli la giubilazione ri chiesta, con che si ottiene il doppio vantag gio di sprecare quella ginbilazione, e di avere un posto vacante per provvedere un altro pro tello affamato.Le mogli poidegli impiegati, i figli degli impiegati, le sorelle degli impie gali,le mamme e le nonne degli impiegali, gli amici e le amiche dei grandi e dei con dottieri nasali dei grandi , e sino le zitelle , le vedove e le vecchie , pericolate , perico lose, e pericolanti, tulli e tulle devono ave. re una pensione veramente sprecata,e lulli devono vivere a spalle dello Stato.E avver tite bene che secondo gli stabilimenti della fi losofia i salari degli impieghi , e le pensio ni,e legiubilazioninondevono ridursiapic cole cose baslevoli soltanto a mantenere la vila  >   nellafrugalilà,ma gl'impiegati,igiubilati, e i pensionati devono sguazzare e scialare, d e vono andare in carrozza o almeno in carret tella, e devono fare i fichi in faccia ai po veri contribuenti annichiliti e distrulli per la diffusione filosofica dei beni e della proprietà. Pro. Questi sono gli stabilimenti veramente grandiosi e giganteschi , e ci voleva proprio un Ercole per immagioare un modo così pron lo per sconquassare da capo a fondo la pro prielàemandareperariauno stato.Suppon go che basteranno queste pratiche e che non avrele altriprecelli da darmi per operare la diffusione dei beni. Fil.Questi metodi sono senza dubbio effi cacissimi;ma sitrovaancoraqualchealtra ricelta per arrivare più presto alla dirama zione e livellazione filosofica dei beni,o sia al disfacimento generale della proprietà.Una tas sa, per esempio, pazza e spropositata per le funzioni e le competenze dei notarie dei pro curatori servirà a maraviglia per disossare a poco apocoilitigantifacendo passareleloro sostanze nelle tasche dei difensori, e ridurre isignori a piedi mandando incarrozzaino. tari,gli avvocali e i coriali; e così di mano in mano vi anderd dando aliri non meno gio vevoli e preziosi suggerimenti. Fraltanto vi raccomando di non perdere di occhio le casse di risparmio, le quali oggi sembrano una cosa da niente, ma coll'andare del tempo potreb b e r o e s s e r e d i g r a n d e u s o p e r m e t t e r e il m o n dosottosopra mantenereillivellamentoso ciale.  111   Fil.Sicuramente;equantunque l'artifi zio sia un poco sollile,potevate sospellarne, vedendo tanto raccomandate queste cose dai raccomandatori perpetuidellafilosofia.Udite. mi , siguor Cervello, e imparate come pen sano quelli che hanno cervello.Idenariche si vanno depositando dalla plebe nelle casse di risparmio non devono tenersi morti in quelle casse , m a devono investirsi dandoli a frullo con le convenienti ipoteche sopra le sostanze possedute dalla proprietà, perlochè ogni b a iocco depositato nella cassa da un ciallrone diventa un debito della classe dei propriela rii verso la classe dei cialtroni. Finchè sare mo nei principi gli effetti di questa mano vra non saranno sensibili,ma quando lecasse di risparmio avranno un capitale di più m i lioni, e saranno creditrici di tutti i proprie tari e ancora dello stato , allora si manife steranno le forze di questa nuova occulta p o tenza,allora si vedranno compenetrale in quel le casse tulle le proprielà , e allora si toc cherà con mano che la classe dei ciallroni è diventata la vera padrona delloStato.Soccor. rere adunque i poveri con elemosine propor zionate, stabilire imonti d'impreslito per aiu. larli nei loro bisogni,e ricoverarli nell'ospe dale quando languiscono infermi, queste sono le opere della prudenza e della carità ; ma dichiararsi i fattori e gli economi di talli i pezzenti , aprire un salvadenaro ovvero una  112 Cer.Come!ancbe lecasse di risparmio so no un mezzo filosofico per arrivare alla dif fusione dei beni ?   113 a banca per il moltiplico di tutti i mezzi ba iocchi risparmiali alla bellola ovvero rubati nelle bolteghe, e aiutare la feccia della ple be2,perchè monti a cavallo sul collo delle clas si elevate e diventi formidabile agli stessi go. verni, questo è propriamente secondo la dol trina della diffusione del potere e dei beni, ed è la vera quintessenza della filosofica malignità. Cer. Confesso il vero che mi avele sor preso , e non credeva cbe la filosofia la sa. pesse tanto lunga , e pensasse di assassina re il mondo anche sotto pretesto di fare la carità ai poverelli. Ma in conclusione quali saranno i vantaggi sociali che proveranno da questa dilapidazione universale della proprie tào vogliamodiredalladiffusionedeibeni? Fil.Compare mio,chiunque sitrovaco. modo non cerca di mutar posto , 3 e così quelli che stanno bene ed hanno molto da perdere non sono mai gli amici delle ri volte. Inoltre le ricchezze acquistate onesla mente e stabiliteda più generazioni nelle fa miglie nobili e benestanti , rendono per l'or dinario ereditarie in quelle famiglie la buo na educazione e la buona morale , il deside rio dell'ordine , l'altaccamento al governo e la considerazione del popolo ; e perciò finchè quelle famiglie non sarannoavvilite e degra date dalla miseria , sarà sempre difficile sol levare ilpopolo,sovvertirel'ordine,distrug gere i governi e corrompere totalmente la moralee icostumidellanazione.Quando pe rò tulle le proprietà sarango livellate , o per    meglio dire quando lulli isignori saranno spiantati ; quando le famiglie patrizie e le classi superiori ridotle incamicia saranno diventate il ludibrio dei mascalzoni ; quan : do sarà scomparsa ogni idea di dignità e di rispello; quando tutti o quasi tulli a. vranno da guadagnare nei torbidi e nei su surri e quando infine tolta la barriera della ricchezza e della nobillà , o vogliamo dire tolta la barriera della aristocrazia , le sassate della plebe potranno arrivarea diril tura alla'cervice dei re,allora tulto il mon. do sarà un perpétuo bordello,saràpiù faci le fare una rivoluzione che cambiarsi un v e stilo , e le gloriose giornate saranno sempre a libera disposizione della filosofia. Questo e non altro è quello che si cerca procurando la diffusione dei beni , o vogliamo dire l'as sassinio di tutte le proprietà. Fil.Capiscoquelloche volele dire, ma  Cer.Certocheivostriproponimenti 80 no veramenti giudiziosiebenefici,ed il ge nere umano vi deve essere sommamente ob bligato che lo abbiate acconciato per le fesie ; ma in ogni modo levale le proprietà ai possessori presenti passeranno in di altri ; a poco a poco si formeranno altre ricchezze,sorgeranno nuove famiglie, si costi tuiranno di nuovo le classi distinte e l'aristo crazia,e ladiffusionedeibeni,ossial'assassi nio filosofico della socielà , non potranno es sere permanenti e durevoli , perchè l'egua glianza delle proprietà è in opposizionecon gli ordinamenti della natura.   115 sfasciata da capo a fondo una casa ci vuole il suo tempo per edificarla di nuovo , sì quando avremo subissata ben beno la 80 cietà , non si polrà riorganizzarla in un giorno ; e ci saranno disordini e pianto per tutti quelli che vivono e per i figliuoli di quelli che vivono. Sterminate le famiglie il lustri e potenti, degradate le educazioni e i costumi ,distrutte nelle menti del volgo le idee e le abiludini del rispetto , tolte le proprie là agliattuali possessori per metterle nelle mani degli usurai, degli ebreie deipidoc. cbiosi arriccbiti, e consegnato il dominio del mondo all'arbitrio dei sanculotti, non baste ranno cent'anni per ristabilire le cose , e la filosofia non avrà fatto poco se avrà polulo assicurare il bordello , il susurro , e la m i seriadi un secolo.Quanto poi ai secoli suc- cessivi, speriamo,che anch'essi avranno iloro filosofi,e non mancherà chi pensi alla futura prosperità del mondo. Orsù dunque,madama Proprietà , ci siamo iplesi. Entrate allegra mente nel mio paese, soltoponetevi ai miei be nefici regolamenti , e ricordatevi che nel re gno dellafilosofiasidevelavorare con lemani e coi piedi per la diffusione dei beni e delle proprietà , o sia per assassinare tulle quante le proprielà.  eCO   116 La Filosofia , il Cervello , l'Insegnamento e l'Incivilimento. Fil. Ecco altre persone che si avvanzano per venire a stabilirsi nella nostra cillà. Cer. Chi è colui che finge di sludiare e tiene il libro a rovescio? E chi è quell'altro talto smorfie e vezzisguaiati che rassembra un maestro di ballo ? Fil. Questi sono l'insegnamento e l'incivi limento ; sono fratelli carnali , e amici tan to sviscerali che non vanno mai uno senza dell'altro. Cer.L'insegnamento el'incivilimentouna volta erano persone di garbo e godevano buon nome , ma bisogna dire che l'aria del paese della filosofia abbia la prerogativa di corrom pere tulle le cose buone , perchè questi due cbe si avanzano hanno la cera d'impostori e birbanti. Fil.Alcontrario:questisonoilfiorede' galanluomini e senza di essi non si potrebbe stabiliregiammaiilregnodella Filosofia.Ve nite avanti , signori , facciamo i nostri patti, e poi andale subito ad ammaestrare ed inci vilire i Popoli della mia nuova cillà.  SCENA QUINTA L'Ins. Parlate pure perchè noi siamo pron . fi ad eseguire tulli i vostri comandi. Fil. Prima di tulio bisogna incomincia re dall'insegnamento, giacchè la diffusione de lumi è quella appunto con cui si olliene   Fil.Dibò,oibo.Tutti vidico,tuttiquanti sonogliuomini,tüllidevonoessereammae strati e civili. Cer.Ma,echicifarà poilescarpe, Fil.Oh bella! nel nostro paese come in tutti gli altri ci saranno i calzolari, i cuochi, e i facchini. Cer.E pretendeteche gliuominiinciviliti e genlili si preslino volentieri agli uffizi bassi della società , e che anche i guatleri , i cia vallini e i mozzi di stalla debbano essere fi. losofi , letlerati e dottori ? Fil. Tant'è; questo è il voto prediletto della filosofia, e senza questo non si può ar  > chi scoperà le strade, e chi attenderà alla cucina? 117 la diffusione della civillà.Voi dunque , signor Josegnamento , dovete mettervi in testa d'in segnare a tutti di rendere tulti eruditi , let terati e saccenti, e di fare in modo che non ci resti un solo ignorante e sempliciano in talla la nostra filosofica dominazione. C e r : P i a n o u n p o c o ,m a d o n n a F i l o s o f i a , V o i vorrete dire che si ammaestrino e si coltivi no nelle scienze tutti quelli che dalla natura, dallalorocondizionee. dagliordinamentiso. ciali sono destinati a trarne vantaggio e di letto per se medesimi,e a rendersiutilicol lorosapereallasocietà;ma quantoalleclassi del basso volgo che la natura e lacondizione destino agli esercizi rustici e grossolani , que stinon vorrete che apprendanoquelledottri ne le quali non servirebbero ad altro che a renderli oziosi,indocili e scontenti diseme desimi , e gravosi e molesti agli altri.   rivare alla diffusione generale dei lumi,e al l'incivilimento universale del mondo. Cer. Facciamoci a parlar chiaro. Qualora si giungesse ad ottenere questo incivilmenlo universale tanto raccomandato dai vostri scon siderati seguaci , qual utile ne verrebbe per un grandissimo numero d'individui , e qual utile ne verrebbe per tulto il corpo sociale? Fil. A dirla schiella per moltissimi indivi dui sarebbe meglio restare nella loro rusticità e semplicità, giacchè una infarinatura di dot trina non può servire ad altro che ad empir- ' gli la testa di errori e a renderli scontenti del loro basso stalo,e così la società in generale sarebbe più tranquilla col suo popolo di vil lapi ignoranti , e col suo popolo di artegiani contenti di sapere quanto basta al rispellivo mestiere.Quello però che conviene agli indi vidui e alla società non conviene alla filoso fia , la quale vuole il movimento e non vuole la quiete , vuole il susurro e lo scandalo, e non l'ordine e la tranquillità. Se predicando l'incivilimento e la collura tutti gli uomini p o lessero giungere alla vera sapienza, che con siste nella cognizione della verità e nel do. minio dellepassioni;ecosìsepotesserogiun gere alla vera civillà cbe consiste nella m o rigeratezza dei costumi e nella custodia dei modi convenevoli al proprio grado , la filoso fia non vorrebbe saperne niente e prediche rebbe contro la diffusione dei lumi e della ci viltà. Siccome però è certo che la grande plu ralità degli uomini non arriva alle perfezio ni , e che ostacoli insormontabili naturali e  118 >   civili si oppongono alla troppa diffusione dei lumiedellaciviltà,cosìècertachelapro pagazione smoderala dell'ammaestramento e dell'incivilimento empirà il mondo solamente di mezzi dolli , di scioli , di sapulelli teme rari e presuntuosi, iqualiappunto ci voglio no per secondare la grand'opera della filoso fia.L'uomo grossolano e di buona fede crede più al curato che alle pappole dei liberali,e rispellando e temendo il sovrano non pensa , neppure quando si trova ubriaco , di essere esso stesso un sovrano.Chi non sa leggere o non presume un poco di letteratura e di ci villà non legge le gazzelte e non modella il suo modo di pensare sui giornali e sui liber coli della propaganda;e senza le gazzelle,senza i libercoli e senza igiornali,come si rendereb bero fuoridimoda iprecettideldecalogo eil calecbismo del Bellarinino ? e dove si trovereb bero gli uomini e le sassale per atlerrare le croci,per abballereitroni,eper fareleglo riose giornate?Vedete dunque,carocompare Cervello,che la filosofia non opera senza cer vello , e che sa ben essa cosa vuole quando predica la diffusione dei lumi,e della civillà.  119 L'Inc. Orsù , non perdiamo più tempo perchè io muoro di voglia d'incominciare la mia missione , e di andare a diffondere i lumi e la sapienza del secolo.Ditemi piutlo sto quali scienze vi piace che vengano inse goateapreferenza,equalilibricredeleme glio adattati per affascinare la mente e cor rompere il cuore della gioventù. Fil.Quanto allescienze,generalmentepar:   L'ins. Ho capito bene quanto alle scienze e lasciatevi pure servire;e quanto ai libri co me dovrò regolarmi? Fil. Tutti i libri che mettono in ridicolo i preti , i frali, la chiesa e le pratiche della chiesa;tulli quelli che parlano contro l'aulo rità del Papa e dei principi; e lulti quelli che trattanoscopertamente ovvero copertamen. te di materie scandalose e lascive lusingando  > > . 120 lando , potete secondare il genio dei giovani, purchè avvertiate sempre di oscurargli la v e rilà e di allerare nel loro cuore igermi della virtù. Parlando poi specialmente, le vostre lezioni più frequenti devono essere sulla m e tafisica e su i dirilli dell'uomo , le quali scien . zc adoperate dalla filosofia liberale riescono benissimo adattate per diffondere le dollrine dell’empielà e per suscitarelospiritodellale. merità.Sevoinon capilenientedimelafisica, importa poco;purchè viriescad'imbrogliare la testa dei vostri allievi,di farlidubitaredi fattoediridurlianonsapere,seilmondo fu l'opera di un esserenecessario,ovverouscì dai vorlicidelcaso,comeesconoilerniele cinquine del lotto e se essi medesimi sono animali viventi , oppure ciolloli del torrenle o ravanelli dell'orto. Così se di dirillo natu. rale e civile non ne sapele un acca ,queslo purenon importa niente,purchèivostridi scepoli ubriacali coi vostri sofismi rimangano persuasi che la ragione delle genti consiste nella libertà, nell'uguaglianza,nella sovrani tà del popolo e nel diritto sacro d'insorgere contro i re e di fare le gloriose giornate....   L'Ins.Ho capitotuttoameraviglia,evado subito a mettere in pratica le vostre lezioni. Immagino poi che l'ammaestramento dovrà farsi sempre in lingua volgare..... Cer. Come ! Nelle scuole filosofiche non si dovrà più usare la lingua latina? Fil. Signor no che non si deve usare, per chè questa lingua già morta è stata abiurata e ripudiata dalla filosofia,e a poco a pocoè d'uopo sbandirla affallo non solamente dalle scuole,madatuttoilcommercio letterario sociale.Che ragioni avele voi,compare Cer vello , per desiderare che venga conservato l'uso della lingua latina?  gli appelili e scatenando la furia delle pas sioni, tutti questi libri generalmente grandi epiccoli,inversieinprosa,anlichiemo derni, lulti sono altrettanti evangeli della fi losofia, e lulti vi serviranno meravigliosamente per diffondere i lumi ,per incivilire la socie > là , o sia per ridurre iullo il genere umano una massa abbominevole di corruzione.Per re golarvipoineicasiparticolarivoidovete sce gliere un buon giornale letterarioilqualesia scrillo con erudizione e con grazie per ac cappiare meglio imerlolli,ma ildicuivero fine sia la rigenerazione filosofioa , o voglia mo direl'assassiniodelmondo.Alloraandate a colpo sicuro e non polele sbagliare,perchè è quasi impossibile che un libro lodato da quel giornale non abbia il suo veleno e non possa servirvi in qualche modo a sollecitare il pervertimento degli uomini. Fil. Questo già s'intende senza n e m m e n o p a r larne . 121   122 Cer. Le ragioni che raccomandano la con servazione e l'esercizio della lingua latina sono mollissime,mavenericorderòdue princi pali,le quali dovranno venire riconosciule da chiunque non abbia ripudialo l'uso della ra gione. In primo luogo la lingua latina, essen do la lingua della chiesa e delle scienze, vie pe inseguata e diffusa in lullo il mondo , serve a legare tutle le nazioni del mondo coi vincoli religiosi e letterarî, civili, commer ciali e sociali. Perciò sbandire l'uso di questa lingua universale e comune sarebbe lostesso che rinnovare la confusione di Babele, e lo gliere alle nazioni il modo d'iolendersi l'una con l'altra ut non audiat unusquisque vocem proximi sui.Insecondoluogoènecessarioap  e punto l'uso di una lingua morta per custo dire le tradizioni , i monumenti e le opere delle lingue viventi ,perchè quella si conser va sempre immutabile,passando direttamente dagli scrilli dei nostri anlichi padri fino al l'intelligenza nostra e alle nostre calledre, lad dove le lingue volgari regolate dalla moda , allerale dal mescolamento di voci nuove 0 straniere , e logorate e guastale dall'uso , si mulano e s'invecchiano giornalmente,ebasta il corso di pochi secoli per soltrarle all'intel ligenza comune.Di falli mentre tulli glisco lari intendono il latino di Cicerone e le ope re scritte in latino dieci secoli addietro dagli italiani , dai francesi , dai goli e dagli arabi , i libri scritti in ilaliano e in francese sei o sette secoli addietro sono diventali arabici e golici , e non si possono intendere senza distil ė    Fil.Ma noncapitechelalingualatinac'in comoda precisamente per questo , e che vo gliamo levarcela di altorno appunto , perchè è la lingua dei preli e della chiesa ? Finchè quel corpo gigantesco della dottrina ecclesia stica resterà in piedi , vantando diciotto se. coli d’inalterata antichità , i preti e i frati , i vescovi , i papi e i cristiani ce lo sbatte ranno sempre sul viso ; le dottrine della filo soflasarannosempre subissatedaquellamas sa; e gli eretici e i filosofi liberali verranno sempre riconosciuti come apostati e disertori dalla dottrina dei padri e dalla luce della ve. rilà e della ragione. Quando però la lingua latina non sarà conosciuta più da nessuno,e quando la bibbia e l'evangelio, la collezione dei concili e delle decretali , e la bibliotheca patrum avranno servilo per accendere il fuoco e per involtare il salame,allora saremo tulli del paro ; la parola di un prele edi un papa varrà quanto quella di un filosofo liberale , e allora si potrà liberamente rigenerare il mondo secondo il gusto della filosofia. Cer. Non può negarsi che l'angelo della malizia non vi abbia dato un suggerimento  123 larsi il cervello è senza il soccorso malsicuro dei commenli.E sevenissedisprezzatoequasi eli minato l'uso della lingua lalina,chi garanti rebbe l'autenticità e l'intelligenza delle scrit ture divine ? e cosa diventerebbero i canoni dei concili , i placiti dei pontefici, le opere dei padri e dei dottori , e tutto il corpo a u gusto e maraviglioso della dottrina del cristia nesimo ? .   124 giudizioso e veramente da suo pari , ma in primo luogo è assicurato dall'alto che le po lenze alleale dell'inferno e della filosofia non prevaleranno contro la chiesa e contro le dot trinedellachiesa,einsecondo luogoi go verni conoscendo l'ulililà della lingua latina e sospettando sulle trame della filosofia non permetteranno mai l'espressa o tacita aboli: zione di quella lingua. Fil. Non sapete che i governi si lasciano menare per il naso, e che con lutti gli edilti e con tuttelescomuniche ilregimedeglistati resta sempre a disposizione dei liberali?An zi in questi ullimitempi on governo il qua le più di tutti gli altri dovrebbe essere in leressato a sostenere la lingua latina l'ha discacciata dai tribunali dove aveva regnalo pacificamente per due dozzine di secoli ,e con ciò le ha dato un grande incamminamen lo verso l'ultima sua rovina.  Cer. Questo certamente è stato un passo falso carpito dai clamori dei liberali e da quel maledetto giusto mezzo nazionale e straniero, che presume di salvare la casa aprendo la porta ai ladri :e una tale concessione rub bata dalla violenza e falta contro la volontà, è appunto una di quelle riforme che bisogna guastare, se non si vuole che l'ardire della filosofia e i danni religiosi e sociali diventi. nosempremaggiori.Siateperòcertachepo co prima o poco dopo le ossa si rimelteran no al loro poslo, la lingua lalina sarà rista bilita nei tribunali , e con questo neppure i litiganli faranno nessuna perdita, essendo   indifferente per essi che gli alli giudiziali si facciano in volgare ovvero in lalino. Fil. Credete forse che i liberali non lo co noscano e che vogliano la lingua volgare nei tribunali per l'interesse e per ilcomodo dei litiganti? I litiganti stannoin mano degli av vocali e dei procuratori come gli ammalati stanno in mano dei medici e degli speziali ; e siccome per gl'infermi è lull'uno che le ricelte sieno scritte in latino ovvero in vol gare , giacchèin qualunque modo bisogna che prendano il beverone sulla parola del dot tore e sulla fede del farmacista , così litiganti è lo stesso che le citazioni e le c a u se si scrivano nell'una ovvero nell'altra lin. gua , giacchè alla fine dei conti devono sem . pre fidarsi dei loro difensori e dei loro cu riali. Abbiamo però altre buone ragioni per desiderare sbandita la lingua latina dal foro : Fil. La prima è quella ragione generale di cuigiàabbiamoparlato,giacchè tollialla lingua latina i tribunali si toglie a questa linguailcinquantapercentodellasua im portanza e della sua familiarità , si rende sempre più sconosciuta e straniera,e si spin ge a gran passi verso il suo totale deperi mento. L'altra poi è quella di dilataremag giormente l'incivilimento aprendo la carrie ra forense,l'accessoai tribunali,a e tutti gli impieghi giudiziali a qualanque sortadim a scalzoni. Imperciocchè dove gli alti giudi ziali si faranno sempre in lalino , dove ico. dici e i commentari saranno scrilti in la  per i Cer. E quali sono queste ragioni? 125   126  tino , e dove il foro sarà chiuso per chi non ha sludiato illatino,icursori,iprocuratori, i curiali , gli avvocati e i giusdicenti nelle proporzioni rispettive avranno sempre un poco d'educazione e di dottrina,saranno per sone bennale e non saranno ciallroni cavali dal fango, e somari calzali e vestiti.Quando però sarà levato l'ostacolo insormontabile di quella lingua , gl'impegni , le protezioni e la cabala faranno il resto ; il foro , i tribunali e le sedie del pretorio saranno aperte a tutti gli asini e a lulli i facchini;e la piena del l'incivilimento correrà senza ritegno a diffon dersi sopra tulla quanta la canaglia sociale. Vedo già , compare Cervello, che le mie ra gioni vi hanno lasciato a bocca aperta,e per cið senza altre chiacchiere , voi signor Jose gnamento ,andate a prostituirvi in volgare nella città della filosofia, e a diffondere spie tatamenteilumielapestesopra tutteleclassi del popolo; e voi signor Incivilimento, venite avanti a ricevere la vostra lezione. L'Inc.Eccomi a ricevere le vostre istruzioni e i vostri comandi. Fil. Prima di tutto dovete avvertire di non lasciarvi sedurre dal vostro nome, persuaden dovi, che la civillà di adesso non deve essere come quella di una volta, e che l'incivilimen. tonel regno dellafilosofiahadaessereilfra. tello carnale dell'insegnamento,regolato secon do i precetti della filosofia. L'Inc.Spiegatevi pure chiaramenteenon mi allontanerò dai vostri precetti. Fil. Una volta adunque la vera civiltà con. e   L'Inc. Ho capito benissimo,e non dubitate che sarele servila. Fil. Inoltre una volta la decenza e la m a gnificenza del portamento e del vestiario era no l'indizioelagaranzia dellaciviltà,ma oggi la decenza e la magnificenza non le vogliamo più , e la civillà presente deve consistere nel ripudio della decenza e della magnificenza. Per ciò accreditate pure la moda e lasciate pure cheigiovaniconsuminoiltempoeildenaro, sludiando sul figurino e riformando il vestito una volta per settimana,ma quando si viene alla conclusione , un'abito d'arlecchino , una balla di pelo sul volto e un sigaro nella bocca sieno sempre il vestito di gala e il gran co slume accreditato dalla civiltà. L'Inc. Ho capilo anche questo e non dubi tate che sarete servita. Fil. Per ultimo,una volta il modello della civillà erano le corli e igran signori,e ipro.  127 sistevanell'onesláenelpudore;maoggique ste cose non servono , e al più si deve con servare l'apparenza dell'onestà e l'affeltazione del pudore. Percið scansate con qualche cura le inverecondie sfacciate e i discorsi d'oscenità dichiarata e brutale , predicando per lutti gli angoli che queste riserve sono il frutto della civiltà , m a rendele poi familiari negli scritti e nei trattenimenti sociali le allusioni impu diche,ifrizzilascivi,ledanze seducentiei sali e i motteggi dell'empietà, e queste allu sioni e questifrizzi,questi motteggi e queste tresche siano per opera vostra il vanto e il diletto delle più colle e delle più civili società.   128 L'Inc.Hocapito tullo,vadoaservirviin tutto,efrapocotuttoilmondodivenleràuna gran beltola per opera della civiltà. Fil. Andate pure , e vi accompagnino cou lelorobenedizionituttigliangeli custodidella filosofia. SCENA SESTA N Cervello,laFilosofiaeilCullo. Fil.Cosane dite,compareCervello?Mi pa re che la nostra fondazione vada riuscendo a meraviglia, e che la città di Filosofopoli non sarà scarsa di abitatori. Cer. Credo bene, che coi privilegi accordati dalla filosofia, nel suo paese non ci sarà scar sezza di cilladini;ma sospello che una selva gressi dell'incivilimento spingevano ad imitare i modi e le costumanze dei grandi , ma oggi la civiltà deve consistere nel giusto mezzo , e l'incilimento deve esercitare il doppio uffizio di esaltare gli umili e di umiliare sempre i superbi. Voi dunque , andando sempre contro natura,dovele mettere in tuttiifacchini la vo. glia e la superbia d'imilare i signori , e d o vele meltere in tutti i signori il prurilo e la viltà d'imitare i facchini , siccbè queste due estremità sociali s'incontrino nei caffè e nei bordelli, passeggino a bracciello nelle strade, e avvicinate e amalgamale2,per opera vostra costituiscano una sola famiglia filosofica,o vo gliamodire,una sola canaglia sociale.E que. sto è il risullato definitivo cui devono sempre mirare la diffusione dei lumi e della civillà.    abitata dagli orsi sarebbe meglio di una città regolataconquestiprincipieconqueste leggi. Fil. Non lo conosco neppur io,e dubilo che sia qualche mallo,ma adessoloconosceremo. Galantuomo venite avanti, e dile chi siele e che desiderate. Fil. Cosa sono tutti quegli imbrogli e tutte quelle vesti nelle quali siele imbacuccato ?  129 Fil. Voi vi ostinale apensare all'antica, mi la grandissima meraviglia che il n 1 0 vo pensare del mondo ancora non vada d'ac cordo col cervello.Noi per altrofaremo tan to e diremo tanlo finché a poco a poco an che il Cervello perderà le sue abitudini di una volla,enon glidaràl'animodivederelecose con altri occhiali che con quelli della filosofia. Jilanlo atlendiamo a quelli che seguitano a presentarsi per entrare nel nostro regno. Cer.Cbi sarà mai costui ilquale siavan za foggiato in tanti modi, e ammanlalo con lanta varielà di vestiti che si prenderebbe per un buffone ovvero per una cortegiana? Culto. Io sono il Culto e vengo a prendere servizio nella vostra nuova cillà. Fil. Veramente i veri filosofi non sanno che farsi di voi,e quando il mondo sarà lullo il luminato polrele cercarvi un alloggio nel di zionario della favola . Finlanlo però che non si olliene una vittoria intiera contro i pregiudi zi volgari vi terremo come un servitore pro visorio,eservireleper trastullareilpopolo e per fare ridere le persone civilizzate. Culto.Giacchè oramai per me non sitrova di meglio, bisognerà contentarsi di questo , e verrò provisoriamente al vostro servizio.   Cullo. Sono gli ordegni,e gli abili del mio mestiere,eliboportatididiversesorteper adaliarmi a quel Culto che vorrelé stabilire nel vostro paese. Fil. Quando è così avele falto bene a por tarvi una bottega di ordegni e un guardaroba di paludamenti,perchè nella città della Filo sofia deve esserci libertà amplissima per tutti i culti. Cer.Come!nelvostropaesevoleleammel terci tolti i culii ? Cer.Perchèlaveritàèunasola,emet terla del pari con l'errore è lo stesso che ri pudiarla. IlCullo consiste nel professare una religione enell'osservarne iprecetti,lepra tiche e i riti ; e siccome una sola religione può esser vera e tutte le altre devono essere false , così un solo cullo può essere sauto e gralo a Dio , e lulli gli altri devono essere allrellanle imposture e mascherate , ridicole agli occhi degli uomini e oltraggiose alla maestà di Dio. Fil. Per adesso non ho voglia di entrare in discussioni di leologia e di scandalizzarvi con le doitrine filosoficheintornoalla religio. ne.Di questoparleremo a suo tempo,ma in tanto dovele considerare che il fondamento della filosofia liberale è la libertà , che la principale di tutte le liberlà è quella della coscienza , e che una città dove non ci fosse la libertà della coscienza e del culto non p o  130 Fil.Giàsisa,olullio nessuno.Percbè si dovrebbe usare parzialilà e sceglierne uno. facendo torto agli altri ?   trebbe essere la citla della Filosofia. Orsù dunque , signor Culto,entrate pure nella mia residenza con tutti i vostri ordegni e con tutti i vostri vestiti : credele quello che vi pare , operate come vi pare , e incensate quel che vipare,chedituttoquestoamenon im porla niente. Cul. Quando è cosi vengo subito ad inca sarmi nel vostro slalo,e vi conduco tutto il mio seguito. Fil.Chi è tutta questa gente dalla quale siele corteggiato? Cul. Sono tulte persone di diverse religio pi,didiversiculti,lequalivengonoago dere i vostri favori, accettando la tolleranza e la libertà. Falevi avanti signori un pochi per volta , e venile a ringraziare la signora Filosofia e a dirle qualche parola sulle vo stre rispettive dottrine.È giusto che essa sappia che venite a fare in casa sua. Fil. Queslo veramente non è necessario , percbè nei paesi della filosofia ci è il datur omnibus , e ciascheduno può fare di ogni er. ba un fascio. Nulladimeno questa specie di rassegna ci servirà per ridere come le vedu te della lanterna magica. Chi siele dunque voi cbe venite avanti di tutti ? Tur. lo sono un turco , e la religione dei turchi è la più comoda di lulle. Pensiamo a mangiare a bere e dormire, e per l'avveni resaràquelchesarà.Intantoviviamo vo luttuosamente nei nostri serragli , come vi vono i galli nel pollaio e i becchi nel peco rile,e la dollrina del padre Maometto cias  131   sicura che troveremo pollaiepecorili ancora nell'altro mondo , e che l'abbondanza delle galline e delle pecore sarà il guiderdone del. la virtù. Fil. E pure,compare mio,questa mi sem bra una religione più comoda e più giusta di tulle le altre. Anzi a dirla schietta , questa , poco più poco meno , è la religione dei fi losofi liberali, i quali non sanno capacitarsi, perchè non debba essere accordata alli due sessi del genere umano quella libertà che si godono ibruti animali. Esaminate pure e analizzate quanto volete le doltrine e i sofi. smi del secolo illuminato , il libertinaggio animalesco libera è il compendio di lulti i voti e lo scopo principale del liberali smo. Per questo mondo un pecorile o vo gliamo dire un serraglio , e per l'altro sarà quel che sarà: in quesso consiste tutto l'evan. geliodellafilosofia.Voi dunque,signorTur comiocaro,entratepurenellamia nuova cillà , esercitatevi il vostro culto liberamente, e non dubitale che i pollai , i pecorili e i porcili non saranno mai perseguitati dalla fi losofia. E voi che venile appresso chi siete ? Dei. Io sono un Deisla e credo che ci sia un Dio , ma siccome non so cosa vuole que sloIddio,nonm'intrigonèdiculli,nèdi religioni,nèdicomandamenli,emi vado regolando alla meglio secondo il mio giu dizio.  132 Cer. Basta non esser bestie per conoscere che questa è una religioneeuna dottrinada bestie , 1   Fil. Anche questa dottrina non mi dispia. ce e si può accordare molto bene con la fi losofia. Imperciocchè un Dio il quale cred il mondo per passatempo e poi lo lascia anda re senza pensarci più , e non gli volge mai nè uno sguardo , nè una parola ; questo Id dio è come se non ci fosse , si può benissi mo riconoscerlosenzaempirsilatestadipre giudizi , e la dottrina del Deismo non con trasta con quella del libertinaggio e del pe corile.Perciò,signor Deista,siateilbeuve nuto con tulli i vostri compagni , ed entrale pure a stabilirvi vei domini della filosofia. Avanti dunque un altro. Chi siete? Aleo. lo sono un Ateo e non credo all'esi. stenza di Dio. Non so se il mondo è elerno ovvero se incomincið casualmente per una combinazione fortuita della materia ; non so se ha durare sempre questo mondo , o v v e ro se col tempo prenderà qualche altra figu ra , e non so cosa sia l'uomo e se finirà di essere quando finirà di muovere le gambe : ma so che chiudo gli occhi per non vedere nell'esistenza degli esseri e negli ordini del la natura la mano di Dio , e a dispetto di tutte l'evidenze e di tutti i raziocini , voglio dire che non c'è Dio. Fil. Quanto a questo ognuno è libero di credere e di direquello che gli pare; e inol tre se il Dio dei deisti ha da essere un Dio senza braccia e senza lingua come se fosse di s'ucco, l'essere Ateo e l'essere Deisla è una m e desima cosa . Sopra tutto quando la dottrina degli atei ci lascia il pecorile , o il sarà quel 8  > 133 7   che sarà , può accomodarsi benissimo con la dottrina della filosofia. Entrate dunque voi pure a godere la tolleranza e la protezione filosofica, e venga avanti chi siegue.Chi sie te voi? Ido. Io sono tutto al contrario di quelli che mi hanno preceduto,giacchè insieme coi miei compagni riconosciamo un diluvio di divini tà e facciamo professione d'idolatria. Noi a doriamo il sole e la luna, gli animali, i sas si e le piante ; ci facciamo le divinità di le gno e di cocco , e onoriamo con gli incensi į galli, i sorci e le lucerte , è fino le cipolle e gli erbaggi dell'orto, Cer.Comare,questo è un branco dimatli, e immagino che non vorrele riceverli nel vo. stro paese.  134 Fil. E perchè no ? Questa povera gente non fa nè bene nè male, e se la idolatria non è secondo i dellami della filosofia, almeno non riesce molesta alla filosofia. Anzi al Dio M e r curio protettore dei ladri, nel regno dei filo sofi non mancheranno adoratori ,e a quella cara Venere, deessa della voluttà si dovreb bero erigere altari in luttiicantonidelmon do. Ditemi un poco galantuomo : suppongo che la morale di tutti voi sarà abbastanza rilasciata , e che contro il libertinaggio non ci avrete niente che dire ? Idol. Potete immaginare cosa debbano es sere la morale e i costumi dove le divinità sono lavorate nelle botteghe dei falegnami e degli sloviglieri. Nulladimeno il fanalismo e l'imposlura si intrudono per lullo sotto lea p   Ris. Noi siamo riformati e protestanti, lu terani, calvinisti, zuingliani,anglicani, quac queri, puritani, presbiteriani; insomma fra di noi ci è di ogni sorta un poco, é venia mo astabilireinostricollinellavostranuo. va città. Fil. Immagino che sarete tuiti quanti per suasi di essere una gabbia di matli , e co noscerele che essendo una sola la verità, la maggior parte almeno di voi altri deve esse re lontana dalla verità. Rif. Certo che a parlare sul sodo la veri tà non può trovarsi fuorchè in una sola dot trina, e lo stesso tollerarci che facciamo con indifferenza uno con l'altro è una prova che siamo tulli quanti fuori di strada. Per que. sto se ci mettiamo a predicare e fare i zelanli ridiamo di noi medesimi e conosciamo di reci tare in commedia, ma l'interesse, il comodo  135 parenze della pielà, e anche noi abbiamo i nostri sacerdoti e le nostre vestali, e abbia mo i nostri penitenti e i nostri continenti. Fil. Tanto peggio per essi ; e poi ognuno ha i suoi gusti, e noi non dobbiamo inquie tarci se i Bonzi e i Dervis vogliono digiuna re e scorlicarsi in onore delle loro divinità . Quelle credenze e quelle pratiche religiose che non disturbano la società devono essere accolte e protette nel regno della filosofia. Andale d u n que tutti liberamente ; incensate quanto vi pare sorci, gatti, porci e somari, e vivele si cuci della nostra filosofica fraternità. Adesso venga avanti chi seguita.Che cos'ètutta que sta turba di gente ?   136 Rif. Per ultimo il nostro clero è disinvol. to e sociale e non intende di rinunziare alle soddisfazioni della natura ; perlocchè, abbia mo in abbondanza pretesse,curalesse e ve scovesse, e se fra noi ci fossero il papa e i cardinali avremmo ancora le papesse e le cardinalesse. Eb.IosonounEbreo,einsiemecoimiei compagni vogliamo aprire le nostre sinago ghe nei vostri domini.  e l'impegno ci conservano nel nostro rispet livo partilo, e quanlunque fra di noi venia mo spesso a capelli siamo sempre d'accordo in quanto a mantenerci disertori dalla Chiesa romana . Fil.Questoèbenissimofatto,perchèvo lendo godere i privilegi dell'errore , e non volendo assoggettarsi alle seccature della ve. rità è d'uopo lenersi lontani da quella dot tora che presame d'insegnare essa sola la verità. Rif. Inoltre non abbiamo nè scomuniche, nè frati, nè confessionari, e conoscele bene che questa è una grandissima comodità per la vila. Fil. Sicurissimamente; e levato quel tram pino del confessionale, il libertinaggio non si contrasta più da nessuno, Fil. Bravissimi, bravissimi , e questo si chiama essere cristiani a buon mercato: pro priamente secondo il gusto della filosofia. Entrale dunque anche voi col vostro mezzo evangelo , perchè lanto è mezzo quanto è niente, e venga avanti chi resta.   Fil. Senlite, figliuoli miei, nel regno della filosofia ci deve essere senza dubbio il luogo per lulli,ma voi altri giudei avevale tanti pregiudizi e tante pretensioni che non so se starele d'accordo cogli altri, e non vorrei che mi melteste sussurri. Eb. Levatevi pure ogni dubbio,perchè gli ebrei di adesso non sono più di quelli di pri m a , e anche noi abbiamo ripudiato Mosè con tulli li patriarchi per arruolarci sollo le in segne della Filosofia. Ci resta un poco di cir concisione, perchè ce la ficcano quando non possiamo parlare, ma questa non si vede,e in tull'altro siamo una vera canaglia , nata fatta per venire a figurare nei vostri paesi. Fil.Questoanderebbebene,ma intanto puzzatecenlomiglialontano, nonvorrei che facesle venire il vomilo a lulli i miei popoli. Eb. Neppur questo è vero,perchè oggi nei paesi meglio civilizzati noi siamo il fiore della nobillà, veniamo ammessi nelle corti , portiamo titoli e decorazioni, trattiamo fami gliarmente coi signori,e se volessimo degnar. cene faremmo ancora i nostri parentali coi gran signori. Fil.Quando è così entrale pure anche voi, fate le vostre sinagogbe, circoncidetevi a modo vostro,e non dubitale che non vimanche ranno libertà e protezione nel regno della fi losofia. E voi che siete rimasto cbi siete ? Cat. Io sono un cattolico , e insieme coi miei compagni desideriamo di professare li  137 e per ultimo   138 Cat.Eperchèmaiinunpaesedovesifa professione di ammettere tutte le religioni e tulli icalli, la sola religione cattolica dovrà essere esclusa ? Fil. Perchè voi altri cattolici siete intol leranti. Cat. Ciò non è vero nel senso in cui voi lo intendele , e non polrete provare in nes sun modo cbe noi siamo intolleranti. Fil. Non è forse vero che pretendete di es sere i soli a credere e insegnare la verità , che fuori della vostra chiesa lulli sono p o veri ciechi deviati dalla strada della salute ? Cat. Questo si chiama essere conseguenti e non già essere intolleranli ; imperciocchè al di là della verilà non può trovarsi niente al iro fuorcbè l'errore,e chiunque è persuasodi trovarsi nella strada della verità deve essere ancora persuaso che quelli i quali cammina no fuori di quella strada procedono nella via dell'orrcre.Anzi perconvincersi cheiseguaci delle altre religioni sono lungi dalla verilà basta solo considerare qualınente essi accor dano che anche fuori delle loro dottrine si trova la verità. In conclusione poi noi non costringiamo nessuno a farsicattolico perfor za,compiangiamo enon perseguitiamoquelli che vivono in un'altra credenza , e neppure ci vendichiamo quando veniamo oltraggiati e  beramente nei paesi della filosofiala religio ne callolica. Fil.Un cattolico!un cattolico!eavreste la presunzione di stabilire nel regoo dei filo sofi la fede e ilculto cattolico ? e   139 perseguitati ; perlocchè in luogo di essere in tolleranti , noi fra tulti í credenli siamo i più mansueti e i più tolleranli. Fil. Inoltre voi vorreste empire lo stato di monache , di frati e di claustrali di tutti i colori,e queste associazionie corporazioni non vanno a genio della filosofia. Cat. Ma , se è vero che nei paesi costituiti filosoficamente, ognuno deve godere amplissi ma liberlà,perchèalcuni uominiealcune donne unanimi nel pensiero , e animali dallo stesso desiderio , non potranno albergare in una medesima casa,vestire un medesimo abi to , vivere come gli pare e godere anch'essi la loro libertà? esegiusta i principi della vostra tolleranza non podresle escludere dal vostro regno i Bonzi dei Cinesi e dei giappo nesi , e i Dervis dei maomettani , perchè lo vostre esclusioni saranno riservate privaliva mente per i soli frati cristiani ? Fil. Tutta la vostra capaglia di frati vuol vivere senza far niente e campare a spalle degli altri. Cat. I preti e i frati callolici predicano la parola di Dio , istruiscono la gioventù , so stengono il ministero del culto , assistono gli infermi , consolano i moribondi e tutto questo dovrebbe essere qualche cosa ancora agli oc chi della filosofia ; e quanto al vivere a spe sedeglialtri,forseinostri prelieinostri frati campano per forza , assassinando i pas saggieri in mezzo alla strada ? forse i predi canlieisacerdotidellealtrereligioni rice vono il villo e il vestito dalle nuvole e non  1 $   Fil. E non contate per niente il celibato del vostro clero il quale naoce alla socielà col l'impedire la molliplicazione del popolo? Cat.Sarebbefacileildimostrarvichelapro sperità di uno Slalo non consiste nell'eccessiva moltiplicazione degli abitanti, ma bensì nella giusta proporzione fra le risorse nazionali e il numero della popolazione. Senza però entrare in queste discussioni, e seguendo solamente i canoni della libertà , forse secondo le regole della filosofia sarà libero ai lurchi di avere cento mogli, e non sarà libero ai preti callo. lici di vivere senza moglie ? E forse sarà li bero alle infami dicongregarsiaviverein un bordello, e non sarà libero alle vergini cri sliane di chiudersi in un convento per prega reilSignoreeviverelontanedalbordello? Fil. Dite pure quanto volele, ma quel vo stro culto è troppo serio , troppo pubblico , troppo pomposo e solenne, e non può essere mai gradito nel regno della filosofia. Cat. Nelle terre del paganesimo,e dovela religione callolica èappena conosciuta, sappia mo contenlarci di esercitare il nostro culto privatamente,ma inquelleterrecristianein cui la religione cattolica è la dominante , ov. veroèlareligionedelloSlalo,oalmenoèla  140 viene ad essi somministrato dai rispettivi cre: denli ? O forse ci sarà libertà di donare ai conventi di Dervis e di Bonzi, alle moschee, allepagode,allesinagoghe,epoifarelaca rità alla chiesa e ai ministri della chiesa sa rà contrario alla filosofia e ai dellami della n a tura ? 2 > 2 1   religione della maggior parte dei nazionali , sarà giusto che si eserciti con pubblicilà o con solennità il culto dominante , ovvero il culto dello Slato , o almeno il culto della maggior parte dei nazionali. E poi non avete voi pro clamala la libertà dei culli , e non avele di. chiarato cbe quelle credenze e quelle pratiche religiose le quali non disturbano la società,de vono essere accolte e protette nel regno della fi losofia ? Ebbene ; noi stiamo alle vostre parole e non vi domandiamo niente di più. Fil.Ditepureesfiatateviquanto volele; in ogni modo... Cer. Ma via,comare mia ;questa vostra mi Fil.Perchè non vogliovoaccordareilliber. tinaggio. Tant'è : il libertinaggio è la con clusione di tutti gli argomenti e il lapisphi. losophorum della filosofia;e chi non l'accorda il libertinaggio avrà sempre ipimici i filosofi liberali e la filosofia.Voi dunque,signor cat. tolico, avete inteso , e oramai sapete come vi dovele regolare. Se volete accordarci que sla bagallella entrate pure nei nostri paesi con tutti i vostri frati, col vostro cullo e col  141 1 pare una perfidia,e si vede che volele pro priamente chiudere gli occhi alla ragione. Fil.Cosavoletefarci?Argomentatepuree convincetemi di contraddizione quanto vi pare, i filosofi liberali non si accordano mai coi cal tolici , e non li possono vedere. Cer. E perchè tutto quest'odio e tutto que slo controgenio ? Fil. Volete saperlo veramente il perchè ? Cer. Dite pure e sentiamo. B   142 vostro evangelo , perchè accomodata quella piccola differenza tulle queste cose cidaran no poco fastidio e serviranno per ridere e stareallegramente;ma sevioslinateneivo stri pregiudizi e non volete accordarci il bru tismo , le terre della filosofia non fanno per voi. Oramai è venuto il tempo di par lar chiaro ; e non c'è più bisogno di pallia menli, di sutterfugi e di misteri. O libertini o niente. I frati dunque , i preti e i cat tolici pensino ai casi loro ; il mondo ca pisca una volta questa dottrina , e inlanto Turchi, atei, deisti, idolatri, scismatici, giu dei e filosofi liberali,entriamotutti allegra mente della città di FILOSOFOPOLI e por tiamo in trionfo IL LIBERTINAGGIO,nel re gno della filosofia.  per si 1, Bert mert doi efis scar cont dang rita fusi Si aprono le porte della nuova città , o la sciati di fuori il Cervello e il Culto 'cattolico entra la filosofia accompagnata da tutto il suo ministero liberale, e viene festeggiata con allegrissimo Charivari all'usanza di quelli con cui il popolo sovrano accoglie i suoi rappre sentanti, quando tornano dalla camera dei de putati.La sovranitàpopolareinqualitàdisi gnora della festa offre lo spettacolo gratuito dellebarricate,distribuisce un generosorinfre. sco di mattonelle, e dà segno per l'incomincia mento del ballo. La Giustizia dopo quattro sal ti si lascia cadere le bilance,perde l'equilibrio, sirompeleanche,evazoppicandoperlasa la appoggiatasulle stampelle. La Proprietà bal lando ballando viene distribuendo i suoi vestiti con dare a questo il cappello e a quell'altro la ca rive pres spec sce CAS un   miciuola, finchè restata in pennazza si ritira per non servire di scandalo. L'Insegnamento fa un ballo equestre a cavallo sull'asino, epoi si mette in disparte a compitare il libro di Bertoldo. L'incivilimento con un corleggio n u meroso di guatteri e di facchini vestiti secon do il figurino , fa la sua danza pippando , e fischiando, e poi corre ai bettolino a rinfrea scarsicon un bocale.ICultiliberiballanouna contradanza, e poi si mettono a ridere guara dandosi uno con l'altro. Il libertinaggio in vita tutti a ballare il vallz, e con cið la dif fusione del potere, dei beni, dei lumi , e della civiltà si rende asfatlo completa. Frattanto a r riva il Disinganno accompagnato dal Cervello, prendono a calci la Filosofia, mandano all'o spedale dei maiti i filosofi liberali, e così fini sce la comedia. Gli spettatori nelritornare a casa vanno dicendo:èstata troppo lunga. llanouna contradanza, e poi si mettono a ridere guara

dandosi uno con l'altro. Il libertinaggio in vita tutti a ballare il vallz, e con cið la dif fusione del potere, dei beni, dei lumi , e della civiltà si rende asfatlo completa. Frattanto a r riva il Disinganno accompagnato dal Cervello, prendono a calci la Filosofia, mandano all'o spedale dei maiti i filosofi liberali, e così fini sce la comedia. Gli spettatori nelritornare a

casa vanno dicendo:èstata troppo lunga.

FINE.

 

 

 llanouna contradanza, e poi si mettono a ridere guara dandosi uno con l'altro. Il libertinaggio in vita tutti a ballare il vallz, e con cið la dif fusione del potere, dei beni, dei lumi , e della civiltà si rende asfatlo completa. Frattanto a r riva il Disinganno accompagnato dal Cervello, prendono a calci la Filosofia, mandano all'o spedale dei maiti i filosofi liberali, e così fini sce la comedia. Gli spettatori nelritornare a casa vanno dicendo:èstata troppo lunga. FINE.  143 > 702960   INDICE DEL LE III. La Libertà. VI.La Sovranità VII. La Costituzione VIII. Il Governo. X. La Rivoluzione XI.IPoleri XIV.La Patria. XVI . Conclusione. La Città della Filosofia. Scena Prima La Filosofia ed il Cer vello. Scenaseconda— La Filosofia,ilCervel Scena Terza -- La Filosofia, il Cervello , ScenaQuarta- LaFilosofia,ilCervello 23 Scena'Quinta LaFilosofia,ilCervel lo,l'insegnamentoe l'incivilimento» 116 FINE.  CAPITOLO PRIMO.La Filosofia. Pag. 11 » mampu XIII. La Civiltà. e la Giustizia MATERIE >> 83 » 91 14 II.La Società. )) 17 ivi 49 54 58 52 64 C » 96 » 101 » 105 » 128 lo e ilGoverno. 14.^ ^ » » 45 IV. L'Uguaglianza . V. I Dirilli dell'uomo 30 34 40 IX. La Leggiltimità. >> XII.Le Opinioni. XV.La Indipendenza e la Proprietà . Scena Sesta -IlCervello,laFilosofiae il Cullo 116 >> 75 94   M. DROSTE- dellaPacefralaChie sa e gli Stati gr. 8. Considerazioni sulla rivoluzione del 1848. Sulla scomunica controgliusurpatori del dominio ecclesiastico- E sul monopolio universitario. gr. 4. tonio Parenti. gr. 41. M

 

 

Leopardi. Keywords: 1150. – the coding of a name. The philosophical Leopardi. The Leopardi fascista – interpretazione fascista da Gentile dell’ultra-filosofia di Leopardi – l’ultrafilosofia di Leopardi padre. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Leopardi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689805879/in/photolist-2mN8ym7-2mMSyLM-2mLP9qE-2mLP3hz-2mLExs3-2mKQ5j7-2mKNNqN-2mKPQMm-2mKC3nj-2mKCnei-2mPNG7N-2mKEPJE-2mKDwcr-2mKEJsY-2mKDLrD-2mKjsJY-2mKbfaU-2mKiTu1-2mJq2uE-2mJd7mv-2mJd7kD-2mJ7Kmy-2mJfkMq-2mJgmew-2mJfkPu-2mJbSzH-2mJbSX6-2mJd7mf-2mJgmcC-2mJbSYD-2mJbSXr-2mJfkQb-2mJbSZf-2mJfkPj-2mJgmf8-2mJgmeG-2mJbSXm-2mJd7nN-2mKbTKy-2mKgHKe-2mJfkPe-2mJfk8z-2mJfkMk-2mJgmcx-2mJfkN2-2mJgmdu-2mJgmdK-2mJ7KkB-2mJe9QJ-2mJ4GHU

 

Grice e Lettieri – implicature – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Messina). Filosofo. Grice: “Lettieri rightly contrasts sensualism in the practical sphere of reason as ‘egoism’ – my ‘principle of conversational self-love’ – but focuses on benfeficence, and solidarity – as ‘rational’ – my principle of conversational benevolence, -- or conversational helfpfulness.” Grice: “I like Lettieri for two reasons: he uses ‘diritto razionale’ which we at Oxford don’t! – He cherishes the ‘dialogo filosofico’ as a genre as we Aristotelians at Oxford don’t – he wrote one on ‘l’intuito’ – While he wrote on ‘sensualism,’ he also explored the idea of ‘man’ and ‘ragione,’ or ragiun, as he put it in his vernacular!” Insegna a Messina. Presidente della Real Accademia Peloritana dei Pericolanti. Molto apprezzato da Mamiani,  Gioberti e Galluppi.   Saggi: “Il sensualismo” Dissertazione (Messina, Capra); “La fisiologia calunniata di materialismo” (Messina, Nobolo); “La potenza del pensiero” (Palermo, Console); “Etica e diritto naturale” (Messina, Amico); “L’intuito: dialogo filosofico” (Messina, Arena); “L'omu nun avi l'usu di la ragiuni -- cicalata di lu professuri cav. A. Catara- Lettieri (Messina, Amico); “Introduzione alla filosofia morale e al diritto razionale, -- Grice: “I like the idea of ‘rational’ right!” (Messina, Amico); “La cognizione del dovere -- poche nozioni dirette all'operaio e ad ogni classe di cittadini” (Messina, Amico); “Ricordi storici intorno al movimento filosofico in Sicilia” (Messina, Amico); “L’uomo” Pensieri” (Messina, Amico); Via Lettieri, Messina. Lettieri basis his moral system on rationality – solidarity, beneficence and all the conversational principles appealed by Grice find room in Lettieri’s system – ‘dovere verso l’altri” o “il prossimo” – The fundamental one is that of equality, as when Chomsky says that competence is an ideal natuve speaker with another one --. Grice: “Lettieri would hardly consider hiseself an Italian philosopher, seeing that he wrote a trattarello on ‘filosofia in Sicilia’ meaning that Italy does not belong to him, nor does he belong to her!” –  Antonio Catara Lettieri. Antono Catara-Lettieri. Antonio Catara-Lettieri. Lettieri. Keywords: implicatura.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lettiere: la ragione conversazionale” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690264580/in/photolist-2mKG7Nh-2mKCUJb

 

Grice e Liberatore – implicatura – L’ULIVO DELLA PACE -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo.. Grice: “One could write a whole dissertation – especially in Italy: their erudition has no bounds – about Liberatore’s choice of the sign being conventional, ‘ramo d’olivo’ = pace. It’s so obscure! Aeneas held one, against the Phyrgians – but did the Phyrgians know? And if Mars is often represented wearing an olive wreath, one would not think there is a ‘patto’ between Aeneas and the Phyrgian commander about that!”  Grice: “I like Liberatore – a systematic philosopher, as I am! His logic has the expected discussion on ‘sign.’ A conventional sign he says is a branch of olive ‘signifying’ peace – as opposed to smoke naturally meaning fire – As a footnote, one should note that in Noah’s days, the signification of the dove was ALSO natural – although not strictly ‘factive’ – but then not ALL smoke (e. g. dry ice smoke) signifies fire, as every actor knows!”  “Ma il difetto molto comune degli Economisti è il mancare di giuste idee filosofiche, e con ciò non ostante voler sovente filosofare.”Entra nel collegio dei gesuiti di Napoli e chiese di far parte della Compagnia di Gesù. Insegna filosofia. Fonda a Napoli “La Scienza e la Fede” con lo scopo di criticare le nuove idee del razionalismo, dell'idealismo e del liberalismo, dalle pagine del quale veniva sostenuta una strenua battaglia in favore del brigantaggio, interpretato come movimento politico contrario all'unità d'Italia, ovvero: "La cagione del brigantaggio è politica, cioè l'odio al nuovo governo". Fonda “La Civiltà” per diffondere Aquino. Uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Studia Aquino. Pubblica “Corso di filosofia”. Membro dell'Accademia Romana,. Combatté il razionalismo e l'ontologismo, così come le idee del Rosmini. Sostenne che il brigantaggio fu la legittima resistenza di un popolo a una conquista non solo territoriale, ma soprattutto ideologica. Difensore dei diritti della Chiesa e studioso dei problemi della vita cristiana, delle relazioni tra Chiesa e stato, tra la morale e la vita sociale.  I filosofi della sua scuola mettono in evidenza a acutezza dei giudizi, la forza degli argomenti, la sequenza logica del pensiero, la stretta osservazione dei fatti, la conoscenza dell'uomo e del mondo, la semplicità ed eleganza dello stile.  All'inizio Professore era giudicato da molti nella Chiesa cattolica il più grande filosofo dei suoi tempi. Si riteneva che vivesse santamente, e si scorgeva in lui un profondo spirito religioso. Considerato uno dei precursori del personalismo economico.

 

Saggi: “Logica, metafisica, etica e diritto naturale, e in particolare:  “Dialoghi filosofici” (Napoli); “Institutiones logicae et metaphysicae” (Napoli);“Theses ex metaphysica selectae quas suscipit propugnandas Franciscus Pirenzio in collegio neapolitano S. J. ab. divi Sebastiani Quinto” (Napoli); “Dialogo sopra l'origine delle idee” (Napoli); “Il panteismo trascendentale: dialogo” (Napoli); “Il Progresso: dialogo filosofico” (Genova); “Ethicae et juris naturae elementa” (Napoli); “Elementi di filosofia” (Napoli); “Institutiones philosophicae” (Napoli); “Della conoscenza intellettuale” (Napoli); “Compendium logicae et metaphysicae” (Roma); “Sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi” (Roma); “Risposta ad una lettera sopra la teoria scolastica della composizione sostanziale dei corpi” (Roma); “Dell'uomo” (Roma); “La Filosofia di Alighieri”; In Omaggio a Aligh. dei Cattolici ital. (Roma); “Ethica et ius naturae” (Roma, Typis civilitatis catholicae); “Lo stato italiano” (Napoli, Real tipografia Giannini); “Della composizione sostanziale dei corpi” (Napoli, Giannini); “L'auto-crazia dell'ente” (Napoli); “Degl’universali -- confutazione della filosofia di Rosmini-Serbati” (Roma); “Principii di economia politica” (Roma, Befani); “La proposta dell'imperatore germanico di un accordo internazionale in favore degl’operai”; “Le associazioni operaie”; “Dell'intervenzione governativa nel regolamento del lavoro”; “L'Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII”; “De conditione opificium”; “La civiltà cattolica spiega nei dettagli il clima di "difesa" in cui la chiesa si sente. Il ritorno ad Aquino dov’essere orientato alle sue dottrine originarie. Convinto che dopo di lui ben poco di nuovo ha prodotto il pensiero umano.  Brigantaggio. Legittima difesa del Sud. Gli articoli della "Civiltà Cattolica"  introduzione di Turco (Napoli, Giglio); “Per l'atteggiamento arroccato in difesa della Chiesa vedi ad esempio Sillabo # La "cupa scia" del Sillabo  V. Nardini, Manca di verità e si oppone ad Aquino la soluzione di un alto problema metafisico abbracciata da Liberatore” (Roma, Pallotta); “Lettere edificanti della provincia napoletana della Compagnia di Gesù, in La Civiltà cattolica, Civiltà cattolica:, antologia G. Rosa,  [ma San Giovanni Valdarno] ad ind.; G. Mellinato, Carteggio inedito Liberatore Cornoldi in lotta per la filosofia di Aquino (Roma, Volpe, I gesuiti nel Napoletano, Napoli, Dezza, Alle origini del tomismo, Milano, Devizzi, La critica all'ontologismo, in Rivista di filosofia neo-scolastica, Mirabella, Il pensiero politico di ed il suo contributo ai rapporti tra Chiesa e Stato, Milano, Scaduto, Il pensiero politico ed il contributo ai rapporti tra la Chiesa e lo Stato, in Archivum historicum Societatis Iesu, Giuseppe Rossini-Serbati, Roma G. Rosa, Storia del movimento cattolico in Italia, Bari ad ind.; Lombardi, La Civiltà cattolica e la stesura della "Rerum novarum". Nuovi documenti sul contributo, La Civiltà cattolica, Dante, Storia della "Civiltà cattolica", Roma Nomenclator literarius theologiae catholicae,  Grande antologia filosofica, Milano, C. Curci, Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica Rerum Novarum Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.,  presentazione del libro su La Civiltà Cattolica e il brigantaggio. Segno è generalmente tutto ciò, che alla potenza conoscitiva rappresenta alcuna cosa,da se distinta.Perciò taldenominazione ben siaddicealconcetto,ilquale,come sièdetto,esprimeal vivo e rappresenta alla mente l'obbietto, intorno a cui si aggira . M a il c o n c e t t o è i n t e r n o a l l ' a n i m o ; e p e r p a l e s a r s i d i f u o r a h a b i sogno di un segno esterno.Questo segno esterno consiste ne'vo i caboli;iqualitratuttiisegoi ottennero la preminenza iq.or  CAPO PRIMO ARTICOLO I. 11   dine alla manifestazione delle cose , che internamente conce piamo. C o s ì il t e r m i n e m e n t a l e , c i o è il c o n c e t t o , e d il t e r m i n e o r a l e cioè il vocabolo , convengono tra loronella generica ragione di segno.Ma sidifferenziano grandemente nella ragione specifica. I m p e r o c c h è , p r i m i e r a m e n t e il c o n c e t t o è s e g n o n a t u r a l e ; il v o cabolo è segno convenzionale.Dicesi segno naturale quello,che di per sè e per sua natura mena alla cognizione di un'altra cosa; c o m e il f u m o , p e r e s e m p i o , r i s p e t t o a l f u o c o , e g e n e r a l m e n t e o g n i effetto, riguardoallacausa.Dicesisegnoconvenzionalequello, che arbitrariamente o per patto vien destinato a dinotare alcuna c o s a ; c o m e il r a m o d ' o l i v o si a d o p e r a p e r 3.°Iltermineorale, benchè prossimamentesignifichiilcon cetto,nondimeno medianteilconcettosignificalostessooggetto. A n z i , p o i c h è d a c h i p a r l a è a d o p e r a t o p e r d i n o t a r e il c o n c e t t o n o n subbiettivamente m a obbiettivamente, cioè in quanto è espres- sione della cosa percepita;ne segue che,quanto alla significazio ne,esso siconfondequasicolconcetto,dicuiècome lavestee l'esterna apparizione. E però la Logica a buon diritto tratta per  12 > Ora niunvocaboloèdisuanaturaconnessoconundeterminatocon cetto ; e però tanta varietà di loquela si scorge presso le diverse n a z i o n i . A l c o n t r a r i o , il c o n c e t t o d i p e r s è e n e c e s s a r i a m e n t e r a p presental'obbietto,essendoneuna naturalrassomiglianza;epe rò il discorso mentale è lo stesso appo tutti. Inoltre il concetto è segno formale;ilvocaboloèsegno istrumentale.Ad intendere q u e s t a d i f f e r e n z a , è n e c e s s a r i o o s s e r v a r e , c h e il v o c a b o l o p e r m e narci alla conoscenza della cosa significala, ha mestieri d'esser prima dạ noi compreso. E perd appartiene a quel genere di se gni ,a cui può applicarsi la seguente definizione :Segno è ciò che, conosciuto,adduce allaconoscenzadiun'altracosa.Ma delcon cetto non è così:giacchè esso,senza bisogno d'esser prima cono sciuto ,col solo attuare la mente , ci mena alla conoscenza del l'obbietto, sicchè questo appunto sia ilprimo ad essere diretta mente percepito. Ciò di leggieri apparisce, tanto solo che si con sidericheilconcettononpuòpercepirsi,senon percognizione riflessa e pel ritorno della mente sopra sè stessa. Laonde quello che sipercepisce per prima e diretta cognizione, non può essere essoconcetto,ma necessariamenteèunaqualchecosadiversadal medesimo.A dinotarepertanto una taldifferenza,venne intro dotta la distinzione del segno formale e del segno istrumentale Viene in quarto luogo l'abuso del linguaggio che è il mezzo dato all'uomo per esternare ad altrui gl’interni con cepimenti dell'animo.L'apalisi de'vocaboli è ordinariamente un grande aiuto allo spirilo per rischiarare le idee,merce chè essi sovente tengonchiusisottolalorospoglia iconcelli comuni dell'uomo. Ma accade altresì che si arroghino più diquellochelorodiragionsicompele,etentinonondies. sere esaminali e giudicali dall'intellello,ma manciparselo e deltargli legge acapriccio.Per quattro maniere principalmente i vocaboli introducono falsi concetti nell'animo.Prima per la loro ambiguità e confusione. Imperocchè ci ha delle voci d'incerlo significato, le quali han bisogno d'esser delermi. nale nel senso in cui si tolgono , altrimenti ingenerano con : cetto vago e mal fermo da cui procedon poi fallaci giudizii. Tale è a cagion d'esempio la voce natura,laquale suol pren dersiadesprimereorl'essenzadiunacosa,orilmondosen sibile; or l'autore dell'universo, or lull'altro a lalento di c o    foi chel'usa.Parimenteleideesignificatepe'vocaboliso vente sono assai complesse e complicate ;e pero ove non bene sirisolvanoperviad'analisine’loroelementi,son cagioneche siformiun assaiconfusoedinformeconcetto.Secondo,tal volta i vocaboli vengono adoperati a significar mere negazio ni o prodotti arbitrarii della immaginativa ,o semplici astrazioni dell'animo ; come la voce cecità,fortuna,centauro, località, e somiglianti.Oravvienecheperdifettodidebitaconsidera zione si cada nella credenza ch'esse esprimano cose positive e reali si nell'essere che nel modo onde sou concepite.Ter. zamente , ivocaboli delle cose immateriali son formati d'ordi nario per analogia presa dagli obbielli materiali,equindi av viene che talora si confondano le une cogli altri.In quarto Juogo ne'nomi derivati sebbene spesso l'origine e l'elimoa Jogiadel vocabolocoincidecolsensoinchecomunementesi prende, tuttavia non rade volte se ne dilunga. Nel qual caso per mancanza di allenzione può avvenire che l'una coll'altro si scambi.A queste cause può aggiugnersi lanovità de'voca boli di che taluni stranamente si piacciono, e l'uso incostante che fanno di quelli stessi che fuor di ragione introdussero.La H i l o s o f i a p e r q u a n t o p u ò n e l l ' a d o p e r a r e il l i n g u a g g i o n o n d e v e scostarsi dall’uso comune,nè cambiare a capriccio il senso delle voci ricevute o da sè stessa una volta determinale. 13. Da ultimo una indebila applicazione de'mezzi di co noscenzaè radicemalnalad'errore.Accadeciòinprimadal non bene distinguere con quali facoltàdebba l'oggetto.con cepirsi;come a cagion d'esempio in chi con la fantasia volesse comprender ciò che allrimenti non si può che con l'intellelto. Dippiù si bada talora più alla vivacità e felicità della rappre sentanza, che alla fermezza delmotivo che spinge all'assen so. E così le cose che vivacemente e prestamente feriscono l'animo più di leggieri si ammettono che allre non fornite di questa dote, ma più salde per forza di argomenti.Inoltre si procede temerariamente a giudizii senza prima considerare se l'obbietto è debitamente proposto giusta le leggi e le c o n dizioni volute dalla natura .Quinci le fallaciede'sensi,lo scam biarsi per i principii proposizioni arbitrarie, il formare as siomi illegittimi, ildedurre conseguenze erronee da sofistici ragionamenti.E perciocchèloschivarquestimalirichiedela  35   36 conoscenza del dritto cammino che deve tener la mente per le vie del vero, passiamo a traltar diligentemente questa m a teria, alla quale premettiamo ilseguente articolo,che ad essa valga come d'introduzione. Cum animi nostri sensus cogitationesque animo ipso la teant , nec per sese ceteris patefiant ; h o m o , qui ad societatem cum aliis coëundam enascitur, idoneis mediis a provido naturae Auctore instructus est, ut ideas suas aliis, quibuscum vivit, m a nifestet. Haec media signa quaedam sunt ; sic enim nominan tur quaecumque ad res alias innuendas sive natura sive volun tate sunt instituta.Ompibus vere signis, quibus conceptus nostros  28 LOGICAE De idearum signis.   PARS PRIMA 29 et affectus animi patefacimus, maximopere vocabula praestant. Etsi enim suspiria , gemitus , nutus, sensa animi nostri signifi cent; minime tamen id efficiunt eadem facilitate, perspicuitate, distinctione ac varietate, quae vocabulorum propria est. Q u a m quam non diffitear gestuum loquelam , si vivax sit, vehementius commovere , propterea quod imaginationem vividius feriat, et rem veluti ponat ob oculos. Vocabulum definiri potest : vox articulate prolata ad ideam aliquam significandam . Ex quo intelligitur , ope vocabulorum proxime et immediate conceptus, vi autem conceptuum ipsa ob iecta significari. 6. Ad originem sermonis guod spectat, nemini dubium est quin , etsi vis loquendi ingenita nobis sit , verborum tamen determinatio ab arbitrio generatim pendeat. Secus si quodlibet determinatum verbum determinatam rem natura sua innueret; qui fieri posset ut verbum idem apud diversas gentes , quibus certe eadem natura inest, non idem exprimat ? De hoc nulla est controversia; at quaestio in eo est utrum absolutae necessitatis fuerit ut sermo aliquis primis hominibus a Deo communicaretur, an homo sermocinandi tantum virtute ornatus sermonem ipse repererit vel saltem reperire potuerit. Qua de re in contrarias sententias philosophi distrahuntur.Nonnulli enim non modo pos sibilitatem , sed factum etiam tuentur, atque hominem sermone destitutum sermonis auctorem fuisse autumant.Alii id neutiquam evenire potuisse arbitrantur , cum sermo sine usu intelligentiae. efforinari nequeat , et ad usum intelligentiae sermonem necessa rium esse putent. Equidem sic existimo :ad absolutam possibilitatem quod at tinet, hominem per se potuisse ex insita propensione et facultate loquendi, quam accepit, determinatum sensum vocibus quibus dam tribuere,etsicspontesua efformaresermonem .Quid enim repugnasset ut homo rem sensibus occurrentem nutu aliquo com mopstraret aliis, atque ex innata viloquendi sonum syllabis qui busdam distinctum proferret et ad commonstratam rem signifi candam libere determinaret ? Expressis autem rebus sensibilibus, ad insensibiles significandas gradatim pervenire impossibile sane non erat; cum ad has exprimendas nomina quaedam ex rebus  ;   30 LOGICAE materialibus, propter analogiam , quam homo inter utrasque per spicit, transferri facile potuissent. At si non de absoluta et abstracta possibilitate, sed de f a cto loquimur , rem aliter contigisse certum est. N a m ex sacris litteris indubie colligimus elementa sermonis primo homini a Deo tributa esse , quantum saltem sufficeret ad domesticam societa tem , in qua ille conditus est, retinendam . Cuius rei congruen tia vel inde patet, quod si, ut supra dictum est, ad divinam pertinuit providentiam opportuna scientia instruere protoparen tem ; hoc multo magis de usu sermonis dicendum sit,cuius longe maior necessitas imminebat. An sapienter cogitari poterit totius generis humani parens et magister , qui quasi principium et fun damentum constituebatur futurae societatis civilis et sacrae,sine actuali copia illorum mediorum , quae ad munus hoc adimplen dum tantopere requirebantur? Accedit, quod eruditorum vestigationes, qui de origine lin guarum tractarunt, huc tandem concludendo devenerunt, ut omnes linguae tamquam dialecti linguae cuiusdam primitivae , quae perierit, habendae sint. At si sermo inventio esset h u m a na, singulae familiae, quae diversis populis originem dederunt, linguam sibi omnino propriam atque ab aliis radicitus discrepan tem creavissent. 7. De utilitate vero, quam ex sermone pro rerum intelligen tia mens capit , permulta fabulati sunt philosophi quidam , in primisque Condillachius.Putarunt enim illum esse necessarium ad analysim et synthesim idearum habendam , nec sine ipso ideas ge nerales efformari posse.Quin etiam eo progressi sunt,ut dicerent ipsam intelligentiam nonnisi ex usu loquelae progigni. At enim haec esse ridicula optimus quisque iudicabit, modo cogitet non posse loquendi usum concipi nisi iam antea intelligentia subau diatur. Non enim quia loquimur intelligimus, sed viceversa quia intelligimus loquimur. Unde bruta,quia intelligentia carent, id circo loquendi facultate privantur. Quod si intelligentia e ser mone non pendet , poterit illa quidem suis uti viribus ad ideas sive dividendas sive componendas sive etiam abstrahendas, quin idcirco sermo velut causa aut instrumentum adhibeatur. Sed de hac re fusius erit in Metaphysica disputandum .    Vera igitur emolumenta sermonis his continentur : I. Prae terquam quod ad ideas communicandas inserviat, ac proinde ve luti vinculum sit societatis ; intellectui subvenit, quatenus loco phantasmatum verba ut signa sensibilia in imagioatione substi tuit. II. Memoriae opitulatur ad ideas semel habitas revocan das. III. Mentis attentionem figit detinetque in obiecto , quod exprimit , quae secus ad alia contemplanda statim raperetur. IV. Mentis opificia conservat, efficitque, ut illa postquam con templationis suae partus vocabulis scriptura exaratis ad retinen dum tradiderit, soluta curis ad nova speculanda impune progredi possit. Hae potissimum utilitates e sermone in hominem profi ciscuntur ; ceterae, quae a nonnullis nimium exaggerantur, sine fundamento ponuntur, et animo humano sunt dedecori. Denique ad dotes loquendi quod attinet, sermo sit perspicuus, usitatus, brevis; non ea tamen brevitate,qua obscurior sententia fiat; sed ea , q u a m rite descripsit Tullius , ubi inquit brevitatem appellandamessecum verbum nullum redundat,velcum tantum verborum est, quantum necesse est 1.  ANTICHITÀ PER L'INTELLIGENZA DELL'ISTORIA ANTICA E DEGLI AUTORI GRECI E LATINI DELL'ABATE DECLAUSTRE TRADUZIONE DAL FRANCESE. TOMO III. Wwwna IN VENEZIA CO'TORCHI DI GIUSEPPE MOLINARI ED. M. DCCC. XXVII.  1 MITOLOGICHE   SLIEHE HE KOS WIEN HOFBIBLION KA + ! 1 1 eeeeeeeeexe erele cele ;egliAteniesileeresserodellestatue.Ellafuancora piùcelebra ta presso i R o m a n i , i quali le innalzarono il più grande ed il più m a goificotempiochefossein Roma.Questo tempia, le cui rovineed anche una parte delle volte restano ancora io piedi, fu cominciato da Agrippina,eposciacompiuto da Vespasiano.Scrive Giuseppe, che gl'imperadori Vespasiano e Tito deposero nel tempio della Pace le ric chespoglie,cheaveanolevatealtempiodi Gerusalemme.In questa tempio della Pace siadunavano quelli che professavano le belle arti per disputarvisopraleloroprerogative,acciocchèallapresenzadella dea restassebanditaqualsivogliaasprezzapelleloro dispute.Questotem. pio fu rovinato da un incendio al tempo dell'imperator Commodo. PressoiGrecilaPacevenivarappresentata in questa maniera.Una donoaportavasullamanoildioPluto fanciullo.PressoiRomanipoi sitrovaperordinariorappresentatalaPace cop un ramo di ulivo PACIFERA.InunamedagliadiMarcoAurelioMinervaviene chiamata pacifera ; e in u n a di Massimino si legge Marte puciferus , qmegli,o quella che porta la pace, PACTIA.SudditodeiPersiani,alriferired'Erodoto, essendosi ricoperato a Cuma città greca,iPersiani non mancarono di mandare a d i m a n d a r l o , a c c i o c c h è l o r o f o s s e c o n s e g n a t o n e l l e m a n i. I C u m e i f o .  dea P Pace.IGreciediRomanionoravanolaPacecome unagran qualche volta colle ali,tenendo un caduceo,e con un serpente ai piedi, Ledannoancorailcornucopia,el'ulivoèilsimbolo della Pace,eil caduceoèilsimbolodel MercurioNegoziatore,peradditarelanego. ziazione,da cui n'è seguita la Pace.In una medaglia di Antonino Pio tiene in una mano un ramo di ulivo, e colla sinistra dà fuoco ad alcu di scudi,e corazze, j   P A L A M E D E .Figliuolo di Nauplio re dell'isolad'Eubea,coman daya gli Eubei nell'assedio di Troja. Vi si fece molto stimare per la s u a p r u d e n z a , p e l s u o c o r a g g i o , e d e s p e r i e n z a n e l l' a r t e m i l i t a r e ; e d i . cono che insegnasse ai Greci il formare i battagliopi, e lo schierarsi. Gli attribuiscono l'invenzione di dar la parola delle sentipeļle,quel la di molti giuochi,come dei dadi e degli scacchi,per servire di trat tenimento ugualmente all'ufficiale e al soldato nella noja di up lungo assedio.  4 ΡΑ 1 CHE tott an que 9 be 8Q CO 32 ti 8 $1 AL sto fu çerp ipcontapepte ricercare l'oracolo de'Branchidi, per sapere come doveano contenersi;el'oracolorispose,cheloconsegnassero.Aristo dico,unodeiprincipalidellacittà,ilquale noneradiquestoparere, o t t e n n e c o l s u o c r e d i t o , c h e și m a n d a s s e u n ' a l t r a v o l t a a d i n t e r r o g a r e l'oracolo,ed eglistessosifecemettere nelnumero deideputati.L'o. racolo non diede altra risposta, che quella avea data prima. Poco sod disfatto Aristodico, penso nel passeggi. The branch of ‘ulivo’ is represented in the reverse of a coin of Antonius Pius --. Matteo Liberatore. “Segno e cio che, conosciuto, adduce alla conosence di un’altra cosa” – cf. Eco’s tesi su Aquino. Liberatore. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Liberatore” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689405106/in/photolist-2mPvmTf-2mGnP2f-2mKBHiL

 

Grice e Liceti – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rapallo). Filosofo. Grice: “Liceti is a fascinating philosopher; must say my favourite of his oeuvre is “Geroglifici,” which as he knows it’s a coded message – the old Egyptian priests kept this ‘figurata’ away from the plebs!” – Grice: “Alice once wondered what the good of a piece of philosophy is without ‘illustrations;’ surely Liceti’s beats them all!” Allievo ed erede di Cremonini. Nacque prematuro (6 mesi), venendo alla luce su una nave presa da tempesta lungo le coste tra Recco e Rapallo. Sempre secondo la tradizione orale suo padre, un medicoo, lo mise in una scatola di cotone dentro un forno, come si faceva per far schiudere le uova, inventando così il prototipo della moderna incubatrice. Dopo aver compiuto i primi studi letterari a Rapallo, venne inviato a Bologna per compiere e approfondire gli studi legati alla filosofia. Insegna a Pisa. Padova, e Bologna. Ascritto ai “Ricovrati”  (oggi Accademia Galileiana di scienze, lettere ed arti).  Quando comparve in cielo una cometa, si riaccese una controversia analoga a quella suscitata dalla stella nova  ma questa volta le difese della teoria aristotelica furono assunte dal Liceti ed il compito di attaccarla, partito ormai Galileo, fu assunto dal suo successore sulla cattedra di matematica, Gloriosi, che se la prese appunto col Liceti. Questi rispose pubblicando un suo De novis astris et cometis, in cui, oltre a difendere Aristotele, critica i moderni scienziati, tra i quali anche Galileo, ma con espressioni molto rispettose e lusinghiere. A questo scritto Galileo fece rispondere dal suo amico Guiducci col Discorso sulle comete.»  Srisse numerose opere di filosofia, tra le quali “De monstruorum causis, natura et differentiis”,  (Padova), con aggiunte di G. Blaes, nei quali riprese le soluzioni aristoteliche sul problema delle anomalie genetiche, e “De spontaneo viventium ortu” nei quali sostenne la generazione spontanea degli animali inferiori.  Altri testi importanti per la ricerca furono “De lucernis antiquorum reconditis” apprezzato da Berigardus, e la “Silloge Hieroglyphica, sive antiqua schemata gemmarum anularium>” Trattò inoltre la questione dell'anima delle bestie nel “De feriis altricis animae nemeseticae disputationes” Le sue opere furono chiaramente ispirate ad Aristotele, in particolare gli studi sul problema della generazione vivente e sul cosmo, entrando talvolta in contrasto con Galilei, specialmente per quanto riguarda la struttura dei cieli e della Luna, che Liceti considerava una sfera perfetta e trasparente la cui luminosità non era un riflesso della luce solare, ma veniva generata al suo interno.Al centro di questo dissenso cosmologico, c'era, infatti, il tentativo di spiegare il fenomeno luminescente della pietra di Bologna, che Liceti considera un frammento di materia lunare. Alcuni scritti del Liceti rimasero inediti a causa delle ampie discussioni riportate sulle novità astronomiche del XVII secolo. Nella congerie immensa dei suoi scritti e commenti va notata la difesa della pietas d'Aristotele; quella pietas così vivacemente messa in forse alcuni anni più tardi dal platonicissimo cappuccino Valeriano Magno, che tacciò d'ateismo il sistema dello Stagirita. Il Liceto invece disserta «de gradu pietatis Aristotelis erga Deum et homines», e nell'opera sua «Philosophi sententiae plurimae, fidelium auditui durae, salubribus explicationibus emollitae, ad pias aures accommodantur, illaeso genuino sensu Aristotelis». E ad epigrafe dell'opera sua si compiace del distico Vulgus Aristotelem gravat impietate, Licetus Doctorem purgat. Numquid uterque pius? La città di Padova ed Spinola di Roccaforte resero omaggio al filosofo facendo erigere una statua in marmo scolpita dallo scultore padovano Rizzi. A Rapallo, sua città natale, vi è dedicata una via nel centro storico. Gli è stato dedicato il cratere “Licetus” sulla Luna.  Saggi: “De centro et circumferentia”’ “De regulari motu minimaque parallaxi cometarum caelestium disputationes”Vtini, Nicola Schiratti, Vicetiae, Domenico Amadio, Francesco Bolzetta Encyclopaedia ad aram mysticam Nonarii Terrigenae, Patauii, Gaspare Crivellari“Allegoria peripatetica de generatione, amicitia, et privatione in aristotelicum aenigma elia lelia crispis. Ad aram lemniam Dosiadae, poëtae vetustissimi et obscurissimi, encyclopaedia, Parisiis: apud C. Cottard “Ad Syringam publilianam encyclopaedia, Patauii, Pasquato, Bortolo, “Ad Epei Securim Encyclopaedia Genuensis philosophi, ac medici, Bononiae, Monti, “De centro et circumferentia, Vtini, Nicola Schiratti, “De luminis natura et efficientia, Vtini, Schiratti, “Litheosphorus, siue De lapide Bononiensi lucem in se conceptam ab ambiente claro mox in tenebris mire conservante, Vtini,  Schiratti, “Ad alas amoris diuini a Simmia Rhodio compactas, Patavii, Giulio Crivellari,“De lucidis in sublimi ingenuarum exercitationum liber, Patauii, Crivellari “De Lunae Sub-obscura Luce prope coniunctiones, “Hieroglyphica, Patavii, Sebastiano Sardi, “Hydrologiae peripateticae disputationes, Vtini,  Schiratti, Ad syringam a Theocrito Syracusio compactam et inflatam Encyclopaedia, Vtini, Schiratti, Baldassarri, La pietra di Bologna da Descartes a Spallanzani. Sviluppo di un modello scientifico tra curiosità, metodo, analogia, esempio e prova empirica, Nel nome di Lazzaro. Saggi di storia della scienza e delle istituzioni scientifiche, Garin, La filosofia,   Milano, Vallardi, Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Caspar Bartholin, Institutiones anatomicae, Lugduni Batavorum, Jean Riolan, Opuscula anatomica nova, in Id., Opera anatomica, LPombaiae Parisiorum, Bartholin, Epistolarum medicinalium centuria I et II, Hafniae (lettere); Vesling, Observationes anatomicae et epistolae medicae, Hafniae, lettere al Liceti; Dallari, I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio Bolognese, Bologna ad ind.; Edizione nazionale delle opere di Galilei, Firenze  ad indices; Acta nationis Germanicae artistarum, Rossetti, Padova, ad ind.; Rossetti, AGamba, Padova, ad ind.; Giornale della gloriosissima Accademia Ricovrata, A: verbali delle adunanze, Gamba,  Rossetti, Trieste ad ind.; Salomoni, Urbis Patavinae inscriptions, Patavii Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, Patavii, Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Modena, Renan, Averroès et l'averroïsme, Paris Taruffi, “Storia della teratologia” IBologna, Favaro, Amici e corrispondenti di Galilei, Gloriosi, in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Favaro, Saggio di  dello Studio di Padova, I, Venezia, Ducceschi, L'epistolario di Severino, in Rivista di storia delle scienze mediche e naturali, Castiglioni, Storia della medicina, Milano, Ducceschi, Un epistolario inedito di dotti padovani in Atti e memorie della R. Accademia di scienze lettere ed arti in Padova, Alberti, La prima incubatrice per prematuri, in Minerva medica varia, G. Boffito, Battaglia di marche tipografiche di  Bella e l'ultima memoria scientifica dettata da Galilei, in La Bibliofilia, Pesce, La iconografia di Liceti, in Genova. Rivista mensile del Comune, Geymonat, Galilei, Torino, Rossetti, L'ultima opera di Liceti in un manoscritto inedito della Biblioteca del Seminario vescovile di Padova, in Studia Patavina, Bertolaso, Ricerche d'archivio su alcuni aspetti dell'insegnamento medico presso l'Padova, in Acta medicae historiae Patavinae, Ongaro, Contributi alla biografia di Alpini, Tomba, Gli originali di Galileo in Physis, Ongaro, L'opera medica di Liceti, in Atti del Congresso di storia della medicina, Roma, Ongaro, La generazione e il "moto" del sangue nel pensiero di Liceti, in Castalia,Rizza, Peiresc e l'Italia, Torino A. Simili, Una dedica autografa di Galilei a Liceti e il clima delle loro concezioni scientifiche e relazioni epistolari, in Galileo nella storia e nella filosofia della scienza. Atti del Symposium internazionale, Firenze-Pisa, Firenze Mirandola, Naudé a Padova. Contributo allo studio del mito italiano, in Lettere italiane, Castellani, Marangio, I problemi della scienza nel carteggio con Galilei, in Bollettino di storia della filosofia dell'Università degli studi di Lecce, Marilena Marangio, La disputa sul centro dell'universo nel "De Terra" di Liceti, Soppelsa, Genesi del metodo galileiano e tramonto dell'aristotelismo nella Scuola di Padova, Padova, Agosto et al., Rapallo, Berti, Galileo e l'aristotelismo patavino del suo tempo, in Studia Patavina, Ongaro, Atomismo e aristotelismo nel pensiero medico-biologico di Liceti, in Scienza e cultura, Galilei e Morgagni, Padova. Brizzolara, Per una storia degli studi antiquari in Studi e memorie per la storia dell'Bologna, nZanca, Liceti e la scienza dei mostri in Europa, in Atti del Congresso della Società italiana di storia della medicina, Padova, Trieste, Padova Re, "De lucernis antiquorum reconditis": il capolavoro calcografico di Schiratti, in Ce fastu? Lohr, Latin Aristotle commentaries, Firenze, Basso, erudito ed antiquario, con particolare riguardo agli studi di sfragistica, in Forum Iulii, Basso, "Fortasse licebit". La marca tipografica di Schiratti e l'impresa accademica di Liceti, in Quaderni Artisti Cattolici Ellero, Ongaro, La scoperta del condotto pancreatico, in Scienza e cultura, Poppi, Il "De caelesti substantia" di Ferchio fra tradizione e innovazione, in Galileo e la cultura padovana, Santinello, Padova, Kristeller, Iter Italicum, I-VI, ad indices. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. sapere, De Agostini, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Al von Ruff. Fortunio Liceti. Beerbohm: “Send me a letter; I live in Rapallo.” “How should I address it.” “Beerbohm, Rapallo” “Do not worry, there is only one Rapallo.” “Vico Fortunio Liceti, Rapallo” – “Statua a Fortunio Liceti da Rizzi, Spinelli Roccaforte, Padova.  Liiri Primi Cafiu fixdecim. o... .  f JADXHn'AI : I N'D E X xstril.minnstiiiUAiTiO Stjftdsb iupon LIBRORVM- ET CAPITVM Ratfatiainquatuor librosDehis, quidiuvi- P uunt fine alimento. P1?- 1, Liber Pnmus.in quo eaptobatiffimisautonbusaf feruntur obferuationes eorum, qui vitra biduu . ab omni obo .potuque abftmuere. Abttincntiae vana: intra fepumam diem conclu- .ffaec. Caputprimum. Abfimenu, a iepfmoad decimum diem extenfj. Abftmentixi decimo ad vigefiraumdieraprotc- fe.cap.£. . . Abftinentij ad menfem produAfe. cap.4. Abttincntiae a primo ad tertium menfem produ- . Ax.cap.J. © . . . Iehmium populorum Lucomonaead quinque me .'des quotannis mire produftum. cap.d. Abftinentia Oftimeftns in muliete Patauina. c.7. Abftinentia pueli* Tufer ad feitumdecunum- Spiritusnonaliaere.cap.<5. Aerem in mitto viuente non ali aere intrinlecus quoraodocunqucattraAo.cap.7. lenem in mitto non abfumerc acrcm.cap.8. Partes animalis 4 przdommio aereas non ali aere infpirato.cap.p. nui) . . Aerem hunc, quem inffiramus, non efle alendo & creari c “ 'i*t. fpintus.cap. Ad nutricationem metaphoricam non femper cd- fequi veram ; 51 Rondelctij difficilis alfertio. cap. 11. ... Soluuntur argumenta.quibus. nititur pnor opinio, menfem protradla. cap. 8. Abftinentix ad duos annos produAx.cap.51. Ablhncntix ad tres annos protenf*. cap.i«. Hiftoria puellae Spirenfis quadriennium abftinen- . tiscap.it. . - Abftinentt* a quarto ad duodecimum annum de- duAx.cap.11. Abftinenn* vitra duodecim annos longifiime pro duA* varia exempla.cap. 1 3 Abftinenti$diuturnaeincertotemporis fpatioad- ’ i' mentr.cip.14. Difficultatem negotij nos retrahere non debere a • propofito.cap.1 j. Curanteomniaoporteatnosaliorumdogmatade Chatnxleontcm,acViperasnonahaerecap.19. propol i t c tpeudere. cap. 1 d Librifecundi Capita CCXXU. Prxfatio.inqua omnesaliorum opiniones exami- nand* breui catalogonumerantur. Liber Iccundus.tn quo examinantur (apientum vi rorum opiniones de natura , & caudis tam diu- turni lciumj. Prima opinio Argenteoj ,& aliorum cxiftimantiu abftmcntcs nomos nutriri aere inlpirato. cap. 1. Cancmlcucm, & Manucodiatam apud Indos non alucrc.cap.ao. . . Secunda opmio Medici Clariflimt ex Augento, Si .M a nardo contendentis abftinentt* ncftrosalf odoribus,fle* exhala tione aerem obfidente c a r Examinatur propofita fcntenua,&: primum often diturnon elfe in topi acre vaporem , ac cxhala- tioncm.cap.a». Exhalationem infpiratam vi calori? humant non pofle cogi in fanguincm.St^ alimentum.cap 1 j Exhalationem non alere 1eiunantcs.cap.14. Expenditurallataopiniodemonttrandoprimum Nonomnefapidu111alere.cap.1J caloris aAionein 10 humorem non elle conti- nuam ;caqueiugi,nonidco affiduam clfc debe- re nutricationem, cap.i. intus in animali aereos non efltjfcd igneos. C. J. aimores proprie non ali.cap.4. Spmtus in viuenni corpore r,ou nutriri.cap. J Odores non alere,quia non funt miftorum fpccits, prima ratio Arifiotchs aduerfus Pythagoricos c1phcatur.cap.2d. Secunda ratio Anftotclis demonttrans odores n6 alere , quia per coAioncm a calore non podint ex odoribus excrementa lcgrcgan.cap.17. b Omne gene- ra,(cd vnicum ottcnditurj nec ali omnia qiuecu__ que diffluunt in viufnteA^" reftauritionc indi- gent.cap.13. Acrem ml piratum pon efle miftum , nec adeo ut fit alendo corpori.cap. 14. Explicantur allata dogmata Galeni de eo quod ctt ipiritus aere nutriri, cap.i J. Alexandri, Nicolai, Ciceronis, ac Thcophraflirii- fla confiderantur.de eo , qupd eft att:m alerem fpiritus,& calorem; & ad A rittotclis, ac Hippo- cratis ccnfuram rediguntur.cap.x tf. Hippocratis afiettio dc triplici alimento illuftra- tlir.Cap.i7. 0 Olimpiodori.ic Platonicorum dogma 'de horni mbus acre, ac radijs folartbus enutritis expendi tur.cap.18. * primo noridari trianutrinientorum trrfsT  Omnealimentum,feuexternum,feuinternumco • coqui deberc,coftioneque aberctementispur- Odorem n aloris ita concoqui non poffe , vcab excrementis dicatur expurgari quia limplicem, l'eu nutriendo corpori omnino diflimilcm natu- ram obtineat, cap. 29. Ab odore vi caloris concoqnenris nec tenue, nec craflum fegregari excrementum.cap.j». Tertia ratio Arillotelisoftcndcns odorem nonale requiacoftioneacalorenonincraffatur.cajt Quarta ratio, qua Ariftotcles probae odorem non Ci£,&quandopropemareambulantes falfura*. re fenrianr, & alsarum faporem quos prope ab- finthii fuccus agitatur.cap, j <S. Tertia opimo doitiilimi Co/lii prxeeptoris exiftf m.mns abflinente» nofttos aqua enutrita» cap. 57. primumofle- Propoli ta fententia confideratnr, ac Ari* ditur ex autorita te Platonis ^Haiqpupoacmrantoins a,lere, ftotehs,Galeni,&Auicennp cap. 58. Aquamvi calorisnoncraflefcere,ideoqu-everH ahftinentemalerc.cap 44. Pvrauftas non ali exhalatione illi connmili crementoarugmeri fine ten^ imminutione, ca.7o. Plantae non Canemleucm non ali rore, cap.47. Manucodiatain rore non pafc1.cap.48. Argumentum duci non polle a brutomm alimen- to ad nutrimentum hominis.cap 49. Quo fcnfu verum fit Quod ftpit nutrit, cap. 50. Exhalationem acri permiftam 116 efle fapidl c 5 t Exhalationem non efle odoriferam , & Allomos noneffe,quiodoribusnutriantur,quicqurdFici nusfenfcnt.cap.51. Democritum , Homerum odonbus vitam libi prorogafle ceu medicamentis , non vt alimcn- tis.cap.53. Animo delinquentes odotibus recrearr non ut ali- mentis,fcd vt medicamentis cap.54’ Hippocratis dogma vulgatum de ctlcir nutncatio Aqua nihil inefle lcntiatur,nec epota ne per odoratum lUuitratur cap 55 * .,;  INDEXCAPI TVM. non poffc in alendi fubflantiam. cap- 59 effealendocorpori,quianonferaturadmem- Aquamcoflionenonfienfimilemalendocorpo- bra nutrimentis dicau.cap.31. Quinto confirmat Ariftotcles odorem non alere, quia nonnifi per accidens fertur w fontem ali- menti. cap. 3 J. Odor effe medicamentum , non alimentum texta ratione probatur, cap. 34 Ccnfurarefponfionum dcraonftratiombus Antro telicisab Argcntcnoallatarum.cap.jp. Rclpondetur ad argumenta, quibbs nititur fenten fupenor, ac primum oftendirur exhalatione de terra Turgentem non ubique pntfto fuiffe ab- ftinentibus, nec effe milium, cap.jd. Bxhalationetn odore tciro afferam efle , lapidam ri,vt decet alimentum cap.do. effe Aquam non effe tale mtftom/juale oportet ali roentum.capdr. Aquam effe vehiculum alimenti, alimenniracap.dx. Satisfit rationibus quibus nititut & propterea non aliquot primoque decernitur cur ablhnentium hu- aquam potarent; quoniarmadpiocualbeihc,afpm^c3- mido inftauretur huraidum Aqua nec plantas ali,nec aquatdia. campf.tArfu.mcnto, Vium non feruartccaalloroirse pvarbualnoi:mc*alorem vtcon- humorem non efleaquammecaqueum.cap.d5i Aqua non reftmn quod aqueume corporibus ef- fluxerit.cap.dd. alimento, &cauf carnem,5tlac;quxpluatpoftca.cap.39. AquaexAnflotelcquomodofit obigratia,fi noneffe.cap.37. , . ,a Exhalationem a calore non condenlan. cap.3 Exhalationem in acre cogi non poffc infanguine Qua ratione potuerit animalia pluere,ac fpeciatim vitulum,pifces,ranas,atque lemmer. cap 40. Hippocratis dogma illuftratur de cxhalatrone ve Solis attrafta ex animalium corporibus.cap.41. Rorem non effe vaporem vi caloris c6crctum,ncc alimentum cicadarum.cap.41. Mannam non fieri ex vapore vi caloris dentato in aere,nec folam alere poffc ad Hxbraic* mannas difcnmcn.cap 43. Mei non effe purum rorem concretum, nec tale quid fine alio nutrimento diu pofle hominem fa ftcrilitatis,& pilobus affumatur non vere alit cap 67. adeo ex igno, Animatu quomodo conftituantnuurtriantur aqua_> & aqua,vt moucanlur nigonee,ft vere alimentum. Hippocrati ; cui aqua cap.<8. Quod ex ciborum folidieofrleumaquam ;& quomodo bis in alimentum nonpondere reljxsndeant Hip- aflumptis excreta in • quam Quomodo , alimentumnon alat mfi dJutumAri* inlpirarcdicunturabftinentes,necvtnfquerd6 llotcl1.cap.7t.miftumnutricationi. aptumac» Rhinuccmvcnto,&aere,autrorenonah.cap4(. lorcnoftr0.cap.c7asl.oris,etfifummefr.igi.danon efle pofle genus ahmenti.cap. 45. Aquam non fieri . putantis abilincntes ali nec humore vt confumptionem tingat exungui ad humoris pociati : dequevmfu.lctaip.hdcyr. iccundc coctionis ex veneno fit, & Ariftoteli ve- ineflecaliduro c.7J. redicatur in aqua paucaluemndo idoneum.etfi ter- Aquam non efle nmoinftcuarmeat, alij fue excrementis, renis partibus ‘ cap. 74. HippocratTi'id.icatur potcntiori- Mulla quomodo folam potantes diutius vi- qua,&L.curaquamabltincntcs fi uant,qu.momnino , aqua nona- dicaturommumpotulcn Aqua Celfoqua rationenon alat cap-7d. torum imbrcilhma.li Quarta opinio Bopaiinnincaiti caloris fumrnam imbc- potuifli aquaob cilhtatcm.cap 77. & oftcnditur neque Expenditur prupoiita opinio, allata lententia» fubflantia cedit no-  & Aquam moflratem Tolam non eiTe id,quo alantur N I D E X C A P I T V M. fuffraganteHippocrate^cAriflotelc.cap. iox. Lupi fame vrgente cur terram comedani,fi ea non alumur.cap.107. Serpentes etfi latentes non ali terra , & cu r terram comedere dicantur.cap. 1 04. Bufones terra non vefci communi ,& argumento non efle ad humanum alimentum demonflran- duin dKcaci.cap. 1 05. animantiaimbecillocalorepraedita,cap.80. Columbicurtunbslateribus,&rubricavcTcantur, Aquam notlratcm non continere milium , quod fi terra nonaluntur.cap.io4. futficiat fuftinendo calori exiguo, cap.81. Elephas Ariftoteb quomodo lapidem vorer,ac ter A(Ira,&cauda;regentesmundumquid,&~quo- ram; devfuOpi)apudAfianos.cap.107. abdinentescommemoratos,nequeabfolutcqui bus exilis calor incft.aqua lola diu viuerc,ac nu- triri potTe.cap.78. Rclpondciur argumentis allatam opinionemco- niumcntibus;ac primum dilquimur an calor ex aqua fpintum gignat, collibeat , animet. cap-7p. modoinaquamagant.cap.8a. Aquahacfentiliquomodononnullanutriri dixe- rit Ariftotelcs. cap. 87. An inter plantarocunum aqua fola nutriatur, cap. 84. Cicadas excrementis non carere, nec rhintaccm. cap.Sj. Cicadas non ali rorc-cap. 8rf. Rorem non efle aquam Gcco aflcftam ,vt eo nu- triente aquam dicas nutrire.cap.87. Etfi ros alerct,non tamen ideo alere polTc aquam. cap.88. Aquamfolamcalore digetlaranon degenerarein quoddamtertium,quodiitaluncntumplanta- E» fcrro.St lapide vi calcris^c fpiritus interni,nul Sitim^acfamemclTeapetitumalimenti,vtobicdri, lumfuccuinalimentareuicducqnccrubiginiim quo fcnlu verum fit: non tamcu ideo aqua nu- alere.cap. 1 1 7. tnet,quzinlitiexpetitur,cap.5.0. Terra,&lapidesvtmiftafintjquamnoshabeamus Sapor,&fuauitasvtIitalimenticonditio,&aqua cumplantisfimilitudinem;&curvnitertiofi- rum. cap. 89. t fapida, luaui Tjuc fit, etfi non alat, cap.p 1 . Quomodo Anflotcli pituita dicatur altrc permi- tia cum cibo puro, ablque eo quod aqua; vum tribuatalendi.cap.pi. Theophraflo quomodo plantae alantur aqua pura, quxverenonalit.cap.97. Aqua etfi Galeno dicatur bilelccre, cur infangui- tur, non ideo cx cafblanutrietur.cap.i 17. QuomodoAnflotcliaquadicatureilepotiusa- SextaopiniododiillimiMediciopinantisteiunan- Cameluscurbibiturusfontempedeturbet; Stru- thiocamelusautemcurtcrram,ofla,lapides, ferrum comedat; an ca digerat fibi in alimcniu. cap. 1 08. Mures farios',& Armadillos ,Codertofquc Indi- cos non oflenderc abflincntibus noflris terram ceflblcinalimcntum cap. 109. Lacertum indicum no ait arenulis, aut lapillis, etfi ijsonuflum ventriculum gerat. cap. 1 1 o. Noii omne mutum humido pingui fcatcrc ; nec omne bumidum pingue alcrc.cap.i 1 1. Homo terram edeus non alitur luto facto ex ter- ra,&Taliua/cupituitainventriculoexundante, cap1 ii. 1  ncm,6d" in alimentum conucru nequeat. c-P4- queumquid, miltum quamaqua,&Jim- , plex cap.pf. Quomodo inaqua gigni polfint Arifloteli (lirpes, 6t animalia, cui tamenaqua non alu.cap.pd. Vrricam marinam non ali aqua lola. cap.97. Quinta opimo Clanfiimi viri putantis abtfinentes commemoratos ab terra clanddlmc comcla. tesnoflrosaciboquidemomniabflinuifle;at vmi potione vfosj vnde alimentum fibi compa- raucrint.tap. 1 1 8. Examinatur allata fentenna oflendendo abflinen- tcs noflros non vlbs , nec enutritos funlcvmo; folumque vinum alere no pofie partes corpons folidiores ; nec fuificere ad alimentum multo tempore.cap.t 19. Cap 98. Expenditurallatafententia,oflcnditurqucprimu Occurriturargumentisprobantibusabflinentcs abflinentcs noflros terra,& calce non enutritos, cap 99- Terram,& calcem nulb viucnti, ac pnefertim nui li homini alimento efle pofle.cap. 1 00. Allacc , profcillarquc opinionis fundamentadiri- noflros folovino enutritos, oflcnditurquc pn- mum quomodo,fi foio fanguine alimur,lolo vi- no ali non poflimus; quod tamen in fanguinem verti poteflt licet non abiblute id pronuncian- dumiic.cap.no. milia inter lc non iint neceflano fimilia. c. 1 14. Vteademfitaniinabbus materia generationis, alimenti ; vtque mures Thebani e terra nalcan- tui.cap.1 15. Hominis etymologia non conuinci nobis ortum, itviciumcfolaterraeflevalere,cap.1 6. Cur fi homo a Deo cx terra fola condi uis efle dica muntur,oflendendoprimumabflinentcsno- Vinumvtfitlinguisterras: nonomnifanguine., flros non comedille terram , nec ea nutritos, li- cet appeuilc illam,fuauitcrque comedille pona- tur.cap.101. nos ah poffc: an vinum fit venenum cicutz , vt fcrtur.cap.iii. De vmi,& ianguinis mutua proportione Alexan- Abflinentcs non fuifle malo habitu, & cachexiam non efle abundantiam prauorum fuccorummcc ncccflano femper fieri ab clu tcrr9.sc prxlercim uoftris iciunantibus,fi qui fuenutcacheducv Vino folo fi carccratus vixit ad vigmn dies . li fc- dri placitum explicatur, cap. 1 1 s. Vini, lafiis proportio explicaturi & vtrum ladle lolo totam vitam viuerc p0flimus.cap.n7. ba nes   . NIDEX CAPITVM. nes maxime vtantur Platoni , & graciles Gale- tia ad alimentum. cap. 143. no;nontamenabrt.nentesalipotuifle.cap.114 QuomodoexGalenoquisabfquenutrimentoper Alimentum maxime proprium an' folum ftifficut alendo corpori; vinumque vt fit alimentum ta- le,quod omni viuenti competat , brutis przfer- tuu,acplanus,cap.1 15. Vlcimum alimentum vule quod fit; an ex vino fo- lo liat; vtrum omnibus partibus alendis fuf- fic1at.cap.i2d. yinofedari famem non poflc,fitim pofle; fame fi- inul ac fiti animal angi non pofle; famemque,ac fitini ad varias partes attinere ;& quid proprie fit fames,ac ficis explicatur, cap. 1 17. manens ob virium lecons imbecillitatem diu fuificerepoflit. cap. 144. Abfiincntes an crcuennt; deque vnguium,ac pilo rumincrementomabftmentcConfolcnunca. cap.145. Fetus in vtero vt fimul non fiat animal, homo; quid ptoprie fit anteaquam humanam induat naturam; nos non ali vt aluntur plantz; Arifio- telefquc a crimine liberatur, cap. 1 4d. Crudiori fucco,& pituitae cur nullum a natura da- tum fit receptaculum, fcd cum fanguinclaba- tur.cap.147. Hippocrati vinum iedare famem vt medicamen- tum,nonvtalimentum;Galenoautemvinum OlfauaopimoCardanireferentisabflincntinm. folum nutrire inter alios liquores, non corpus vmuerfum fufficientcr alere, cap.i »8. Septima opinio decernens abflinentes noftros ali pituita,St loccis crudioribus , qui vltcrion calo- ris aftionc'in probum alimentum vertantur; quod Magni Alberti placitum recepere pluri- mi.cap.isp. Examinatur allata rententia,oflenditurque prirau abilinentes non fuiffc calore imbecillo, cui fudi nendo ad multum tempus fola pituita fufficiat. cap.1 5o. Abflinentes nec pituita craffa.cruditatibufue abu dalfe.ncc enutritos fuiffc. cap. iji. nofirorum ieiunium in copiam humoris mclan chohci cx lentis, Si eradi, humoribus exoru. irap.148. Perpenditur Cardani fententia demonfirado cauf lasdiuturaj abftinentia: redigendas non ede in aerem^ut in reliquias ingluuici,aut in mclacho ham.cap.i 49. Diluuntur Cardani rationes offendendo cicadas non aluere; comparatum cx ingluuic non fuffi ccrc ad ieiunium multorum meiifium,& anno- rum;caudasifiasinabfiinentibusnofinsnon_. concurrere; nec humorem melancholicum una cumalijsconditionibus propofitis huius abfti- nen tia: cauffam eflc.cap. 1 5 o Satisfit argumentis communientibus Alberti fen- tcntiam,&offenditurprimovoracitatemnon NonaopinioBonamicifiatuentisiciunantcsali neceflimo pendere a frigiditate , nec effe caufsa colliquamentis internarum partium, cap. ijr. cruditatum,nechaberelocuminabifinenubus Perpenditurallatafententiadcmonflrandoabiti- cap. 132. Ablfincntitim cutem noefle ita euaporationi clau fiim, vt retrocedant femperdenuo vapores in a- • I11nentum.cap.133. Vndc oriatur naulia, mappetentia,6c. ciborum o- dium ,-an hfcomnia fuerint in abflinentibus; & vtrum a pituita fedari pofTit appeti tus,& fiat femper inertia. cap. 1 34. Quo fcnfu Hippocrati, &T Galeno pituitofi dican tur medum ferre prxter conluetum, &abcs_» vtilitatem pcrcipcre.cap. t 3 5. Animalia voracia qu* fint Ariflotcli,6t_ quomo- do abundantia pituita minus cibum decoquat, cap.i ) 6. Hippocrati fines cur ieiunium tolerent,& quomo do frigidi fiaruantur.cap.137. Auiccnnx vt cibi ncceffitas fit ad infiaurationem deperditi; vt appetitus dcijciatur,& ocictur; vt vrii,& latentia bieme alamur, cap. 1 38. Humorem,qui vomitu reddebatur abftinentibus, nonfuiffcpartemeius,quoalebamur,cap.139. Calorem non ncccflano icrnpcr abfumcrchumi- dum, necnecellarionifi confumprum humniu alimentis rellaurctur, vitam Citocxtinftam iri. cap. 140. Semina fiirpium extra terram non ali humore in- ternopituita:corrcfpondentecap.141 Pullulas pituitz copiam non indicall'e,qua nutrire nentes noftros non potuiiTc abundare , nec enu- triri colliquamentis. cap. 132. Explicantur argumenta confirmantia profcilTani opinionem,5tprimodcccmiturquomcdoexfc mine dixerit Anllotclesfien languinein,offen- dendo etiam colliquamenta non nccdlario ven tnculum petere.cap. 1 5 3. An obzli gracilibus fuperuiuantin abfiinentia; id tamen haud fieri quia illi pinguedine liquata nu trantur.cap.154. Calor na tiuus fime non intendi offenditur, ficcita te non acui,ncque colliquanuus cfsc in famis, cap. 15 5. In fuinma neccffitatc ali menti colliquamenta non confluere ad ftomachum,velur adeommuno proraptuanum vmuerfi alimenti, cap. 1 ;d. Quo fcnfu Arifioteh colliquamcntum liat vt ali- mentum tnconcoifium,& an ventriculus fitlo- cus ahmenu inconcufli. cap. 157. Quomodo Anftotch diuturna fame laborantes colltquentur,&colliquamentafi adlocumci- bo deftiuatum influxerint, pro cibo corpori ap- plicentur: & Plutarchi placitum expenditur, cap. 158. Qua ratione Hippocrati ventriculus vacuus dica- tur frui corpore colliquefcentc ; ac partibuscol- liquatishuinoradventriculumdefluat,fi non alimur colliquamentis. cap. 1 59. turpuellaGermanica,necabfiinensalia.c-142. Decimaopinioputantiumabflinentesalimcflrui Appetitus rtlc habeat ad indigentiam,& mdigen fanguims portione ab vtero materno libi recon- dita.  dita.cap.tdo. Examinatur allata fententia dcmonftrando ieiu- nantibus alimento non efle menftruura beni- gnum ex vtcro matris comportatum cap.itfi. Refpondetur argumentis allata; opinionis,demon Arando fetum in vtcro non litue ; mcnftruum haud fatis ede nutriendis adultis; nec fium pel- lere. cap. 1 da.. VarioIis,& morbillis origo an fit ex menllruo fan- guine ab vtero comportato, &_ quomodo, cap.ifj. Vndacima opinio Brafauolz, aliorumque pu an- num quod circunfcrtur de abfiincntia plurium menfium,V annorum, fabulofum quid efieo, atque fiAitium. cap. 1 84. Dccimaquinu opinio exiftimantium abftinente* noftros non clfe corpora viua,fed cadaucn Dae mombus afliimpta.cap. 178. Cribratur addufta opinio,dcmonftrando pofie cor poraphyficc viuentia diu viuere fine alimentis; & a Dxinombus aflumpta cibarijs vti valere cap. 1 79. Refpondetur argumentis allatae opinionis, often- dendo quo fcnlii Ariftotcli fien non poftit vt vi uatur fine alimento; vtrum alimentis vti pofiint viuentia zquiuocc, fine anima vcgetali cap. 1 80. Dccimafexta opinio afferentium abftinentes no- ftros ellc homines, at nonviuere vitam huma- nam, led Datmomam, quz cibis non indigct,vt ait lamb!ichus.cap. 181. 7.... 8. ...  INDEXCAPI TVM. fumptionem pabuli.cap.t77J Expenditur allata opimo, monftrando quorum- abfiincntiadiuturnaveraxfuerit, quorum Libraturadduftaopinio,demonftandoDzmo- mendax, & fabulofa dici potuerit: qualeuc fit alimentum.cap.i<5j. Soluuntur argumenta profeiflse opinionis du- fla ex automate veterum, BC iuniorum— cap.irfd. Caloreminfitumnonrefrigerarialimentisintrin- fecusalfumptis.cap i6-j. Duodecima opinio Harueti, & aliorum exiftiman tiumprxfatos homines fraudolenter abftinen- tumfimulaflecapr <58. Examinatur allata opimo,demonftnndoqui dolo feieinnium fimulauermt ; & qui verea cibis ab- ftinucrint ; pucllxquc Tufca- hifioria explica- tur. cap. idp. Diluuntur argumenta virorum fublimium,often- dendo alimentum, refpirationem haud efie ad vitam fimplicitcrnecellaria, licet eam con- ferucnt.cap.170. Decimatcrtia opinio eiufdem Harueti cum alijs dicentis huiufmodi ieiunium a fopranatura- li caufia prodire , ac miraculofum edo cap. 171. nes non pofle in rebus phyficis naturz limi- tesegredi;necomnibusabftinentibus, clan- deftinum alimentum fubminiArailc cap. 182. Tolluntur argumenta fuperioris opinionis mon- ftrandoquomodoex Iamblicho, Apuleio Damon poftit dfc caula eorum , qua; perti- nent ad aftiones hominum admirabiles cap. 183. QuarationeAriftotelifiantfomniafuturorum- prxnuncia, &t_attiones hominum referantur innaturam, cafum, <V m fizmonium-. cap. 1 84. Quo icnfu cx Ariftotelc alimentum ad animatum referatur, & fit non fecundum accidens, led per fc: ac vtrum per fe includat ncccilitatem. cap. 185. Dccunafcptima opinio Apponenfi,&poft eum- Rugcni Baccomj cauflam diuturnx abftmen- tiz referentis in virtutes aftrorum , nuas vo- cant alij peculiares influentias, a quibus pen- det tum magnetis conuerfio ad polum, tum— maris xftus, tum frigiditas in hxc infera, Expenditur allata opinio , monftrando quale nam miraculofitadfcnbendumieiunium, quale cap.18<5. naturz vinbus.cap. 17,. Satisfit rationibus allata; opinionis, declarando quid fit Hippocrati Diuinum m moribus ; ablh nentes non omnes pgrotare ; nec feptioue diei abftinennain effc letalem, cap. 177. Decimaquarta opinio ex Diogene Laertio, ac De metno fiatuens ieiunantes clam ali eonfueuifie cxlitus ab Angelis cibo aliquo pretiofifiimo eap.174. Perpenditur adduflt opinio monftrando nonom nes commemoratos abftinentes enutritos effej czlitus ope A ngelorum clam illis opumum ali- mentum fuggcrentium. cap. 175. Occurritur allatis rationibus in oppofitum;& pri- mo explicatur vtrum nutrientis aninuf quiesa fua operatione fit mors. cap. 1 6. Quomodo Ariftotcli alimentum 110 fumentia ani malia,&plantzcorrumpantur; Biquaratione ignisparuusamagnocxtinguatur,finonadcon Ponderatur addufta fententia, monftrando cauf- lam adeo longi iciunij referendam non efle in- v1rtutcsaftrorum.cap.187. Diftoluuntur argumenta propoli tx fententix , aC primum Celn, BC Apponenfis au toritate libra- ta, oftenditur non femper horum notitiam aes lis auipiciandam efle. cap. 1 88. Influentias non cflecauflas iciumi.aliorumueeffe ftuum abditorum , ac fpecianm conucrfiones magnetis ad po!um.cap. 1 9. Diuturnam abftincntiam , marifque fluxum, ac refluxum non; communicare m ortu a mo- tu, lumine, aut influentijs cxli ; led hunc ab exhalationibus de terra turgentibus ; il- lam ab alia caufa pendere cap. 19*. Frigiditatem in his fublunaribus pendere non- abInfluentijs,fedacriorumimmobilitate,vt verumfitcx Ariftotde.cap.191. b } Decima  Dcciitiiofliua opinio decernens longioris abfti- nentix caudam referendam ede m ly mparhiam complexionis cum aere,6c. antipathiam cum_, cibis, cap. ipz. ludicium promitur de hac opinione, offenditur- que hominis temperamentum eam cum acre iympathiam non habere , vt fine alimentis illo fudineatur. cap ipj. Dilfoluuntur argumenta, quibus probatur ieiu- nium pendere a fympathia cum aere, & antipa- thia cum alimentis; odenditurque vi 1'ympa- t hix aerem non pode in alimentum cedere, ve- nenum vero polle, cap. 1 94. Decimanonaopiniocxiltimantiumdiuturnotem pore a cibis abdincre proprietatem cdcindiui- dualem.cap.ipy. Penditur hxc opimo, aperiendo quid Phyfiologo fentiendum (it de proprietatibus occultis tum fpccificis, tum quoque indiuidualibus appella- tis.cap. 1 pif. Soluuntur rationes viri egregii, ac demonftratur autorem problematum non dfe A phrodifxura; cur odor thuris , & rufarum alios male habeat, alios recreet; alijsaluum loluat.ahjsaddrin- gat; &T Galeni, Thcopraftique dogma expli- catur. cap. 197. Vigefima opimo Abulenfis, cui tam longa; abfii- ncntixoneocftexEcdafi quaieiunandum , anima quali ii corpore alienata canfucta munia non obeat. cap. 198. Eiaminaturallata opinio, demondrando Ecffa- dm non cdccaudam immediatam longioris ab ftincntix ; ac tandiu ici unantes haud omnes £c flafimpados fuille, cap.rpp. leant: Porphyrio, & Galeno explicat» cap.iO<5. Abdincndbusanaliquideffluatecorpore,&quid exire valeat.cap.a07. Vigcdmateriia Opinio Citefij dicenris diuturne abdmenrix caulfam fuifle conffnftioncm, fiue comnreffionem vifcerum nihil nutrimenti ad- mittentium.cap.208. Examinaturo iniopropolita,demondrandocoar ifiationcin vifcerum iciumj caufsam non ede, atpotiusctfcftum; nulloquemodofamem,fi- ti mue tollere, fed augere, cap. jop. Satisfit radonibus propoli tx fententix , aperiendo quarationearftccinflipeflore,acventremi- nus comedere podit.cap.2 1 o. Vigefimaq uarta opimo Ioannis Langij exidiman tis longum hoc iciunium a morbo pendere , ni- mirum a tabe iecons, ac ventriculi ffupore, ac omninoabatrophia.cap.ii 1. Expenditur allata fententia,odendendo caudam cur diu viuant aliqui fine cibo non ede morbo- lamaffeftionem. cap.ir*. Occurritur allatis rationibus , declarando difieren tiam iciunij fan£torum,& prophanorum: non_> femper ex morbo intermitti funiiiones vitx: quxue operationis lilio morbum fequatur. cap.i tj. VigelimaquintaopinioQucrcetanireferendsab- ilinenttx caudam in petrificationcm partium . ventrisimi,&nutricatumaliarumexaere,ac odoribus.cap. 1 14. Expenditurallata lentenda offendendo longum ieiunium haud ortum ede a pctnficatione par- tium naturahum,& a nutricatu aliarum cx aere in vlkiabdinente. cap. 1 1 5. INDEX CAPITVM. Soluuntur allatx rationes hanc opinionem robo- rantes, de dilcriminc inter Ecdafim,ac fom- num;VinterEcdafimgrauem,acleuema- gcntes.cap.aoo. viralianonaerenutrita,necalijsvitamcommu- Vigcfimapriraa opinio Podhij afferentis homines diu ab alrmemo abdincre , anima illorum pec cataphoram,& intendorem fomnum vacante a proprijsofficijs. cap.ioi. Examinatur, & improbatur opinio decernes ab- ftincntiam diuturnam abalto,&t_ profundiori fomno prodirc.cap.201. Refpondctur ad argumenta de (omni differen- dis, & de longum tempus dormientibus, cap.ioj. Vigefimalecunda opinio Benedilti, Montui,& Mercuriales dicendum caudam longi iciunij ede condri&ionem cutis, pororumque occlu- fionem quidquain ecorpore diffluere non per- uri ttentem.cap.2a4. Expenditur allata lententia demondrando vfum, ac necelficatem alimentorum non ede abfolute indaurationcm deperditi, fcd m alium finem : nec ita meatus omnes occludi pode,vt nihil ef- fluat ccorpore.cap.105. Soluuntur Beucdifli, & Montui radones , oflen- dendo cur cxlum alimends non egear; & quo- modo corpora , c quibus nihil effluat, ali va- nicade. cap.j 16. Vigefimafcxta opinio decernens abdinantes no- ftrosdiufinecibo,potuqueviuercviherbx, ac medicamendcuiuldamfamem,fiumquepellen tu.op.a17. Expenditur allata fentenda offendendo abdinen-' tesnodros nullius hcrbx,autmcdicamenu vir- tute adeo longum pruduxideiciumum. c.x 1 8. Occurntur argumentis allatam fentenuam corfir- manubus, confiderando naturam herbarum,& pharmacorum fitmem dumque pellentium cap.a 19. Vigclimaicptima opinio ex Valeriola referens caudam aiuturnxabdinendxin puram confue tudmcm.cap.ziO. Expenditur propofita fentenda , offendendo con- tuet udinem non patere tam longam abffinen- tiatrccap.2 2 r. Satisfit rationibus viri Clariffimi, offendendo qua rarionemedicamenta,&venenanonagantin_. aduetos;&quomodofc habeat confuctudo ad cibum, & potum, cap.aaa. Soluuntur argumenta Quercetani odendendo ab (linentis vilcera naturalia non fuide petnficata; libri .    •* Libri Tertij Capita centum Prifatio,inqua& difla dicendis attexuntur, tam mitti Diftnbuitur viucnrium genus m fuas fpccies fupre Ariftotcli mus.cap.r. minem Quomodo fe habeant ad alimenta propofira vi- cap.2p. ucntiura fpecies vniucrfim. cap.z. Semen animalium St in vtero, extra vtrmm . femper viuere fine alimento, cap.3. In animalium mortalium genere aurelias, 8r nym phas appellatas nunquam vllo alimento vri: co. paraturque generatio infefli ex verme cum ge- Ariflotele in tex- pofle Ariflo neratione hominis.cap.4. Semen plantarum non tota fui vita, fed tamen fine alimento viuere.cap.y. Oua diu fine alimento viuere, quamuis non diu peratione viuere ex definitionibus nflotclepromulgatis,cap. 2. 3 Deducitur hoc ipfum cx tngefimo De anima, cap.33. o- animae ab A- fexto fecundi vitam fine alimento viuant. cap.tf Ligna,fcu ramos,&arboresextra humum totam diu fine Adijcittir his definitio vira in Tamis exarata propofitam iniermiflionem nis adftruens. cap. 34. naturalibus nutricatio- alimento viuere. cap.7. Stirpes terra infixas diu, ac fpeciarim tota fine alimento viuere pofle. cap.8. Brutorum imperfeftioris naturi plurimas hieme Ariftotclihocidemplacuiflcin Moralium, cap. 33. primo Magnorum diu fine ali mento viuere pofle: ac fpeciarim icuinio,&ortu brutorum viucnrium intra ioli- diflimos,imperuiofquc lapides copertorum.c. Aues quampluresdiu abftmere incolumes, c.ro. Pifces diuturnam tolerareabftincnriam. cap. Tcrrcftrium brutorum perferorum plurima tumumagere ieiunium. cap.r Homines diu a cibo,potuque abftincrc pofle.c.r Quotuplex,quique caufla dc propofito nobis in- quirenda fit.cap.14. Quotuplex,quiquefitcommunisidea vniuerfa- , lilque forma diuturni abfhncntra. cap. 1 y. E quibufnam fontibus hauriantur argumenta 40. caufla efficiens urqs abftinentes non ali confirmantia, cap. Homines in diuturno ieiunio nutriendi Quid.dr' quomodo radicalis cap 41. humoris a calore na- ^nem intermittere pofle ratione aninra.cap.17. Nos diuabftinctes pofle a nutricatione toto co tf- penitus prohibere peffit. ponstraiiuociari corporis habita rarione.c. 1 De- d ifferentia originis xt 8. citra vitfdifpendiuhabitaquoqjrationecaloris.c. jr. iqualitatum mifli, deque Homines diu pofle nutriendi munere priuari ongtne radicalis humoris. Differentia cflentu tnum squalitatum eflcntia natiui calonsfliumidique dicalis explicatur. cap4y. 1 Pofle diuturnam nos agere vitam citra nutrica- tumex ratione vira, fcu viuentis totius, quod ex anima & corpore mediante calore conftitui. tur.cap.10. Diu intermini pofle nutricationem abhomine ra- propofi- tioneipfiusmct nutricationis. cap.11 Diu pofle intermitti funrtionem alendi ratione peramentorum, miflorumaqualium tcfcunt; a quibus feiungirur aequalitas humoris primigeni;, Differentia promulgatarum ipecierum hu , , om- natiui mons quicalorifubditusefledicitur cap.4<5. nino ratione fpirituum. cap. 1 2. Confirmatur diu fine opera nutneatus viuerepof- fe homines dc lententia principium autorum, ac pnmum Hippocratis, cap.23. Nutricatione diu intermitti ex decreto Ocian diu nos pofle 3 nutriendi munere penes durationcm. cap Qui fitiqualitas impediens confumptionem Celfi.c.14, ad aures Galeni ex illuftn fentcnria m opere it lotis ait hu- natiui , SC humidi radicalis reperiri pofle. cap. 49. & humoris naturalia 30. Quomo- ffir.cap.15, - caloris, ... I tf DEX CAPITvi dicendorum ratio , naturaque proponitur. LiberTertius,inquoexrei natura difquiruntur caufisephyficx tara longum ieiunium confti- tuentes,efficientes, conferuantes, terminantes , ac diftinguetcs cum generarim, tum fpeciarim. fpecies Hominemdiutius nutricatione intermittere pof- no- 1 6. funflio- diutunra huius abftinentii. ' Aequalitatem virium in homine diu fcruari pofle. cap. de lc de mente Ariftotelis in y. problemate prtmit 9. 1 j. diu- frOionis.aif.j6. Ariflotele fuppofuifle,ac potius exprefle 3. Laurentio nutricationem vira ncceflariam non fe.cap.3p. ef- Idipfum confirmatur ex eodem Galeno Corrtcli/ fententiam approbante, propofi- cap. 26. Confirmaturhomincmfine aflione alendi ftercpofle conii- diu de mete Galeni excorni 1 feOionis. cap.t7_ ' t.a'phor. Operationem virtutis nutririuse in atrophia ex Auicemra fententia. cap. quoque pnuatum aflionc nutriendi 18. viuere pofle intextuij.hb.i.dc Confirmatur id ipfum ex eodem tu 14-e1ufdcmoperis.cap.50. Nutricationem inviuente intermitti ho- anima. teleautorein yltimo problemate dteimtt fOio- rir.cap.51. Confirmatur hominem pofleabfquenuiricndi dccreuif- fe viuentia funflionem alendi poffeintcruutte- re,quod ena notauit Auerroes s.dcan. Marcello nutricationem in viucntibus pofle. cap.38. t. 5.C.37 intermica Colligitur forma, 8^" idea vniuerfaJit abftincnrra noftrum iciunantium. cap Quptuplex,qu*qile fit vniuerialis riuo confumpeionem cap.4z. Quotuplex efle pofllt *qualitas in — mifto. cap.4?. tarum; ra Difcrimen trium earundem xqualitatum ratione leuradicah. squalitas quantitatis diferera; vnde mnumcry fpecies 47. moris radicalis a calore nanuo. cap.48. Aequalitatem caloris quoad virtutis in homine cip.46. inter- te- inno- caloris   Quomodo aequalitas virium caloris natiui, <V tu- midi radicats fit cauda diuturni leiuiuj - cap.51. Quibus pneferrim xqualitas virium caloris, & hu- moris fit caudilciunij. cap.52. Dcijs,qux perfedeftruu ntaliam ieiunij caudam, proportionem fcdicct 'firium caloris & humo, ris.ac fpcciatim de er.tnnkcus accidentibus cap 74 ptio.cap.yj. Proportionem hanc humidi radicalis ad calorem natiuum,in qua lente humor a calore confutua- tur,in homine reperiri pofle. cap.54. Commcnfurationcm hanc humidi, & caloris in_, homine diu feruan pofle. cap.f 5. Proportio hzc natiui caloris humoris quomo- do Iit: caulla longioris abdinenti*. cap. 5 <5 . Quibus prxfertim Iit caulfaieium; liare proportio calons ad humorem, cap.57. Quomodo fe habeant ad inuiccm propofit* du* humeris radicalis pofle datui caudas iciumj eo- munes omnibus abdinentibus ab mirio enume- ratis. cap. Manifcftaturcxhis caudis diuturnum hoc ieiu- nium prodcilci rei naturam condderanti. cap.tfo. Confirmatur hoc ipfum argumento defumpto a lucernis ve tudillimis, qux noftris temporibus in fcpulchris ardentes reperiu ntur. cap.di Dexqualiratispropofit*intervirescaloris,&hu- morisvaricratecffcnriali.cap. <5i. Proportionis inter eadem vitf principia propofit* varietas edentulis. cap.fij. dunt, in quo non podunt intcrmilTum alimenti vfum repetere. cap.8 1 De caudis communibus varietatis, feu differentia rumtemporis,(eudurationismonentislongum ieiunium a fubiefto defumptis. cap. 81. Dccaudisvarietatis in durahone ieiunij abefB- cienubus,&" confcruantibus abftinenuam de- promptis. cap.Sj. De caudis varietatis in duratione ieiunij defum- ptisj finientibus,acterminantibusabdinenttf. cap.84. Dc fontibus, vnde hauriantur caudae fpeciales va- ...... INDEXCAPI TVM. De interna cauda per fe pnmo proportionem vi- DcalteracaudahuiusaHmirabilisieiunij,quanon numcalonsAchumoriseuertente.cap^y. tollituromnmo,udintardaturhumidiconfum Decaudisperaccidenseuertentibuseandemvi. numcaloris,&humoris proportionemabftine. tis procreatricem. cap.7<5. De forma, fiue idea termini Uhus, in quem definit longum ieiumum. cap.77. De his.qui coft ieiumum lani remanent, atque ad interminum ciborum vlum necedano redunt. cap.78. De his,qui ex longo iciunio tandem moriuntur cap.79. De his,qui ex longo iciunio incidunt in sgritudi- ncin.a qua conualefcere poliunt redeuntes ad caufli: in producendo iciunio. cap. 58. Aequalitatem,&proportionemcalorisnatiui,& Dehis,quiexlongioriabdinenriamorbuminci- rix durationis abdinentue quoad fingulos gra- Quibusabftinenubusaprimogeneretumsqua- dus.cap.85. litatis, tum proportionis vinum caloris & hu- Diflribuuntur gndus iciunorum penes durationis moris interni ieiumum ortum duxerit, varietatem incerta capita, cap.jd. cap.<54. Decaudisabdinenti*intrafeptunaminclude,qui Quibus abdinentibus longi ieiunij cauda fit e fe- cundo genere tuin squalitatis, tum proportio- nis,qu* funteum valido calore, cap.dj Quibus longs abdinenti* caufla fuerit squalitas, <St proportio vinum humoris, calons medio eris in tertio genere, cap . 66. De difcriinme trium horum grnerum squalita- tis,ac proportionis virium caloris, humoris in producendo 1c1un10.cap.d7. Decaudis terminantibus ieiumum generarim. cap.dS. De caud a per fe tollere valente virium caloris,^ humoris squalitatem, & odendituream non_. elfe calorcm.ncc humorem,nec animam, fed ex tnnfecus 0ccurlant1a.cap.d9. De caudis per accidens gcncratim euertentibus x- qualitatem virium caloris, humoris interni cap.70. Explicantur ex ternx cauffr per accidens xqualita tem propofium deltruentcs. cap.7 1. Afferuntur caulis interne per accidens euerten- tesxqualiutcm virium caloris,&' humon; qua rum vna offenditur ellc anima, cap.7:. Enucleatur altera interna caulla per accidens hu- lu Imodi squali tatem deilruens. cap. 73. efl primus gradus longi ieiunij,inter quas nume ratur fanguims copia in venofo genere , quam-, protulit Bottonnus mfignis Medicus . cap.87. De caudis ieiunij ad nonam diem produfti.in qui bus locum habere videtur alienatio ammz a vi- txmuneribus Ecdadsnuncupata,quamexeo* gitauit Abulenfis.cap.88. De caulfis abdinenti* ad duodecim dies proroga- te* quarum cenfu non rcmouetur caloris im- becillius a IXxftiflimo Bonainico piopofita. cap.89. De caudis abdinentix quindecim dicrum.quaru vna perhibetur ede morbola coadituuo autore Brafauolo. cap.jo. Dccauilis ieiunij viginri dierum, e quarum nume ro legitur pituitz copia cum Alagno Albcrto; attexiturquepropomisnoua hidoru longioris abdinenti* Canonici Leod1cnfis.cap.91. De caudis ieiunij trigrnu dierum, cap.92. De caudis abdinenti* quadraginta dierum, quas inter numeratur vim pouo; rluxque mirabiles hidorix longioris ieiunij lupenonbus adijciun- tur ; & fupcrnaturahs, lanctorumque vnorum abftinentia explicatur, cap.pj. vfum alimentorum, cap. 80. Dc caudis  .... ..,  INDEX CAPITVM. Decauffisieiuniiblmeflns,intcrquasreponimus AquamnonideocfTemiliumalendoaptum,quia meatuumcutisadftriaionemcumBencditto, tuitunonfentiaturiummefrigida,&gufluper & iMontuo.cap.94. Cecauflisicium»trime(IrisAexplicaturquomo- doammaliaquzdamlinenutneatuptnguclcat: Adijciturijuc promulgatu noua longiffimi ieiu nij obicruatio. cap. $>5 Decaufia leiunij fcauftns. cap.pd. De caufTis abflinentiz, quz ad annum integrum- prorugatur.cap.57. De caums abflinctise vitra annum praten fac. cp8. frater cauflas phy Ii cardudum allatas, tres alias re pennvalerediuturnihuiusiciuntj procreatri- ccs.cap.pp. Caufiarum propofitarum ablbnentix comparatio ad inuicem. cap. 1 Oj. c i libri quarti Capita ccnlunt quinque cipiatur varij liiporis.cap. 1 6. Aquispermilhnnnonedeacrem,cap.1 7. Aqu*terramnoncflepermillam,cuiterne fapo- res mnnt.cap. 1 8. Aquam motu, ac ventis non incalefccreAcurmo ta dicatur viua.cap. 1 p. Aqua hieme calida mtfli rationem no habct.c.io. Aquam non congelalcere,cui nihil iniit caloris, et fi fngotecongelatacalorediffluat,cap.21 Quomodoaquafrigidiffimaquumfit abexterno frigorevertaturinglaciem,cap.22. Pratcr qualitates aituales de genere accidentis meile cuique elemento habituales qualitates de genere fubllantias, qux funt forma;,ac differen- tia: conflitutnccs.cap.i;. Vrqualitatcs aftuofz, ac potiffimum frigiditasin Praelatio, in qua notatur difficultatum explican- darumnatura,&agendorumordo. Platonisallcrtuindeelementorumfirapliatatcct Liber Quartus, in quo enodantur difKcilia,quz ha /fenus explicatis obftare , ac obi/ci polTc viden- tur. plicatur, cap. 16. Pilees in pifcims ex lapide eonflruitis no ali aqua; & Ariilotehs locus explicatur de terra, St aqua, Decere Philofophum de re aliqua ex profeflb tra- nantem tum omnes aliorum opiniones de pro- politoexpendere,tumilluflnorestantum: vn- deinnotefeuntferibentiumfines,officia,crimi- Pifcibusinvafisvitreisconferuatis,finonaqua-y naAconemplationumvarietates cap1. Dicere Phyfiologo inter expendendas opiniones aliorum,nouasa femctiplb comminifciAvehit alienas examinare ; exquo putet coguitionum varietas,irordo.cap.2. 'Alimentum omne a viucntibus neccfiario prodi- , re, nec ali ferro llruthiocamelum: quo czno a- laturanimal,&planta, cap.;. A mortuis vt nobis alimenta,jugumenta, & femi- na fuppeditentur apud Hippocratem, exercita- tio cum acutiffimo Scahgero. cap. 4. Exper inento haud probari aurum putabile pofle nutrire.cap.y. Hominesfziiololoandiualivaleantvtiiumen- Eondcletiiratiodenutricareexaere,&aquapen ta.cap.d. Venena in alimentum nulla ratione poffe conce- dere. cap.7. - f ,Vt homoAomnino animal fuauiter olere valeat fponte nareric.cap.8. Vtfrigusnoningrediaturoperanaturz; acprzfcr diturad Anflotclis trutnnain. cap. 57. Qui Nnodo mutatio fit fimplicis in milium, ac vi- cilfiinA' omnino inter oppolita ; vnde tollitur Olimpiodouratio probans aquam alere, ca. ;8. Aqua fi non alit, quomodo Annoteli vercdicatut alimentoefle,acproindeilliusmutatiomorbo- timvtquxcunqueexputrioriunturacaloregi- ia.cap.;9- gnantur.cap.p. Quomodo aqua feruens remoto calefaciente fc- metipftin tefngcretcap. 10. Abflinen tes a cibo, potuque omni prius affligi, 8c mori fiti, quam farne, cap. 1 1 Vt aqua potabilis calore putrciccre non poffit, at- que amman.cap.i2M Ex putri fbrmaliter animatum procreari non pof- le. cap.t ;. CyprimsA^alijspifciculis fponte natis non efle ortum^utviftumexaqualbla.cap.14. Pilees feu frigida nutriri cur aquafo- Ja viucrc non dicendi, cap, 1 5. , quomodo ex ea ver- materia denfiori fitintcnfior.cap.24. Aqua: calorem non olfendia pclluciditate.c.15. ' cap. 27. Pifciumin perforatis nauiculis quodnam fitalimf tum.cap.28. quidinalimentumcedat.cap.29. Oflrca, mytulos holuturia non ali aqua^». cap.;o. Lepades,ac mugiles aqua fola non ali. cap. Sardinas,fitaphyasaquanonali.cap.;r. T Plantas marinas lola non ali aqua. cap.;;. Si vinum,(anguis^ac,cetcnquc liquores nutriant, nonideoaquamalerc.cap.;4. Anguillas non oriri, nec ali aqua pnth, fcd ca ali js decaulfisobleitari Ariflotcli.cap.;;. Aquatilia tum branchias habentia, tum fiflulam flr' fpeciatim tcflacca non ali aqua ex Anllote- lc.cap. ;d. Niucm non e(Tc aquam mes oriantur, & nutriantur, lcporefque Plinio. cap.40. Aquam vino additam quomodo Ariflotcles dicat in vinum mutari,^ vinum in aquam, qu* m- miflumperfcttigencns, atque adeo matimen- tumconuertinequit.cap.41. ) Lentem paluflrem non oriri, neque nutriri ex a- ' ; b Quomodo putredo Iit propria miflipafficv&aquf conueniat.cap.4;. ' iui; Aquam quomodo calor concoquat Hipoocntr, B ca coitione non vertitur in alimentum,cap-44- quafola.cap.42. ; 1 Vtmx   Vtnix efientiam non habeat terra participem ,ac iptunuiam,exercitatio cura lubuhiiimo Scaligc ru.cap.41. Qua ratione nix fecunditatem afferat agris, fi ter- ra particeps, non cft cap 46. Vtputredoablblutc Iit corruptio propnj caloris. _ «P47- Cur muta imperferta vmentibus in alimentum ce dere non valeant , 6c_ fpeciatim cur aqua nufia cumalimentis nonalat. cap.«3. Vt alimentum iimplicitcr huuudum efle opor- teat.cap.49. CurIitioccurratmagi»vinumquamaqua.cap. o 5 Vt litis fit defideriuin alimenti. can. 5 1. Vtfamesquatenusellleniusindigentis,quem_ anunalcin, dicimus, fit affertto lolius oris ventri culi, non ctiain aliarum partium. cap.fz.. Vtdolorfamem.aclitimprxcedat vcluti caulfa nonfubicquaturquafieffertus.cap. 5. 5 Cur pi iguedo.fit^adpes alere non pofiit cap.54. Vt medulla non Iit alimentum , fed excrementum 0fiium.cap.5j. Ieiuma per •iccidcns.Sr' apparenter calefacere.ve- rc,ac per fe calorem non acucrc,licet p>er fe fitim procreent cap. 5 <5. Vt allinentis per fe non refrigeretur vlla ratione-, calor nauuus.cap.57. Anflotclis difficilis locus explicatur de refrigerio calor.s ab alimento.cap. 58. Galeno nem alimentum non refrigerare calortm natiumn, nili per accidens, fed per fcilluin au- gere. cap.59. Vtalimentis augeatur caloris innati gradus, feu qualitas;nonfolamateriacalida exercitatio ; cumdortilfimo Fcrnelio. cap.do. Vt alimentis non pofiit caloris virtus mtfdi abfq; Vt verne melerei de ventrtenld , inteftinis f» gant alimentum non expertato fine cortioms. cap.7i. Vt folia, ttores, frurtus, & femina plantarum pars tes vere non fint, fed excrementa potius, ca.y7. Vt cx co, ouod oua,& femina citra nutricatum vi uant,colligere polfimus perferta quoque anima lia vitam polle traducere ablquc alimentorum vfu. cap.74. . ., . ., INDEX CAPITVM, co quod fubicrta calori materia augeatur. c.d 1 Vt animanutriensartumhabeatimmediatum,& Curnonfintfrequentioresnofiri abfiinentes, fed proprium, in quo edendo no v tat ur organo cor» porco.cap.dx. Calorem natiuum in nobis,quin etiam ignis riam- tnamapudnos,nonindigerencccllariohumo- ris,quo vcluti pabulo nutriatur, cap. 67. Cur calor humorem in milio, & in viuentc prxfer- tim d:palcatur,& intentum procuret, exercita- tio cum liibtililfiino Scaligcro. cap. 154. Vttn Ecllali ceffct anima nutriens ab alcndimu- nei4.capd5. Vt Ecftafis non Iit priuatio munerum animi intcl ligeutis, exercitatio cu virodortiliiino, ex Sca- ligero.cap.dd. Vehementi fiupore^hjsque plurimis de caudis de 1. Jertabanimopolleomnesnouones,&habitus, cap. 67. Vtalimentivfusnonfitadrefiaurationemdeper- di ti,fcd ad auocandum calorem a cita conlum- tione humons: exercitatio cum Magno Al- crto.cap.(58 . Cur femen maris in vtero femina: concipientis no alatur.cap.09. Vt IcmcnnonIit parsanimati,inquoeff.cap.-»o. Vt ou»iubutntancaliat ammata.cap.71 cap.8<5. raro admodum vilimtur. cap. Vc alimentorum indigentia infit viuenti quatenus miftumcfi.cap.88. CurabliinentesobxquaJiatemviriumcaloris,& humoris interni iuonantur,feu non femper to- tam vitam degant in ieiunio,fed plerunque re- deant ad ciborum vfum. cap.89. Vt agentia fecundum virtutem aequalia inuicenL. agant.cap.90. VtexGalenolubfiantiacorporis iVomninohu‘ , midum [fubltantificum dilfipetur a calore nari- uo,non iolum ab adfcititio,cxerciatio cum Car dano, cap.pi rnojC Vt Ariftoteh calor internus ablumat humidunu, fubfianttficum.cap.91. Vt cx rei natura non colligatur a calore natiuo no abfunuhumidumfubfiantificum, <Vprimo quia calor fit anima: inftrumcntum.cap.pj. Vtcalor non ideo dicatur non confumerc humi- dum quia in miftu elementa non fine in artu fe cundo,Vquahatibus rtfrartis,fubditil'que for mx luenti compolitum . cap. 94. Vtcalormfitusnonideononconliimatpartium-, lubfiantiam,quiafitearumtbrma.cap.95. - Vtcalo- Vt facultas alens pofiit a nutriendi funrtione r1.cap.75. ocia Cur materia corporis nofiri per alimentum femper non debeat innouan, vt cenfet Albertus cap. 76 Inhis,quidiuanutriendimunereociantur ftra non cfie ven triculu m,iecur,& alia membta nutricatui dicata, cap. Vt ratione caloris animal tiinrtioaem alendi diu intermittere ualeat.cap.78. V piper, pyrethrum, finapi, thapfiaque fit homi- t ne cahd10r.cap.7p. Vt viuenti non repugnet nutricationem intermit- tere, fiucvt animal pofiit abfque nutricatu vi- ucre qua viuens cfi. cap. 80. Vt tini nutricationis formahter non obrteteius pcrauonis intermifiio. cap. 8 1 Vtin atrophia faculas alens penitus ocictur cap.81. o- i Vt cx Galeni fententia nutriendi funrtio non ' homininccefiaria.cap.87. 1 Vtex Flotini lententia nutricatio iugis ' debeat in corpore viuenris.cap.84. Vteffcrtui priuatiuo caufla politiua pofiit, afiign* ri,noTqueid fecerimus in fupenonbus.cap.85. Vt mors viucntibusconuenut fecundum natura fcu quomodo interitus viuentibus fit naturalis. 77. 87. , fru- non efie-> Digil qt fit  mK cuerti naturae lr| Calor, definiendo^ non^UfrAr.cap.8*. o Vt calor iniitus igneo pro| iCrefpondcnscoi cum femetipfo coUlgaturitluod vcgcticficak.re,&hieme tiamehushabeant.cap.ioi. aa ,.:j) mi Ha.t.gMUlCifsklJlli l"v'i fcwnq..4,. -..i.-.wfjO, . « .Hi i i .k VViiiUa»: .’t.' W. r .. . «.t»» .V«m .t {}.{ioli>>* 1. :S utrori''- » . 1 . 1 ) r tluf. tvi. 11 . 5 . un. l M-k 'V' t -'iiklia^.Ohtvn.i,*!* i!,» lRttift j 1? ' m. .j.j.il r.cvt • -.• .1 r4 .1 a» c ii t.ojSjva nm.iinhijjafc. Btiftt remtr.il buUma ttiu^bi' iV. INDEX.CAP1 TVM. min vituentCe fiuniftionecs UDt inirn^» mari cap.8d. Mntehumorem abfumert.dicatur.BnOoniidoaw» rf.u.bkrAt^natnitii<f«iiciuimn abKfumnantr.rcanp ti noi Vtabmfito calore corpu* non deftru» ex co qwv mA , : eadem eiuldem rei poffitefie caulia perl^^ac. Yt accidens,cap.i03. i ' Eftpe&rum.cuiutcaulsas qoi» noujt,cur noniem tione non refp6deat, fit humiotim. perisidemprocrearevaleatcap.i04. Caloreminnatumradiolihumoriadeocon^» Perorauototiusoperu.capUtvltimum. i flriM l‘Ut '...ftUi -bvt..:; ana.y,ami»1m«i “thVt»Ws0'tV.s. t.\11.a.tm.*"'V;^0•. iiontti tJ H» .1 kf.l »bc. • Mi- >\«i>.tthtij . t .1 Sei.t e«10»rilrurfvht 1 - ? 9* i >v fp wuiMe' 1 • 7^^ **t :.i i** : ir.i * Wv • ...v . t,- 11 v -Ol'-. •e l»i5 •'•{! a.l8-t. aavttt '»wj.iW'i'i :.!.wtversqiR*t . J.vrf>u iv-ri^s tvnvr.iltbv. .Mti.t iai’.~*’nmra... ... .. ‘ -1 i* - .i . 1 .e .•Ti-V 1 ' citjh «»03 « • '...'l.i u4 VUl.tella DtUsfpk vh.l&o tv ' tVSSansUiiV. [ - •x "SlI "y t .ulmwtviM ««iiir ...kJvT^ •t 'O.i.jt i .«nmr^sk aw mpiv.fi ;.'iti:'.V, .(i .itt a orf 9 . .0 iu ' te oii. Uk ip.V '. xt^VK. .1.i,ns :ln r*e>.__ r*'. njV-bkit^rjei iTbk. » .Mbl.t tiUtAiLBi\tVi ••T.^.b.v.n' . \Bo*r»ta t.r.ift.k uiwji. TM5iimv . nuamiimtifiu .i.tfl.f ,iyi»9;rt * . . .aktVaie. tiV ,! • alqaiir p . n e«n*d vmtMrVSV. e; VyM 1 .|Tvf. 4-ul:i> I •j.r.bf I t.ini ,'lncril y:«v.:ivl>r^ atrtWb i*W~..pt'. 1 lW"llI ..• ftvftv. t.-... sno.-.vsts^a^i a> iU»iriSiLBfl' xAuitiilb ’ .ur/i-ii ittr' ,-• n..r ' ' - -~lUlV- 1 tatv.viTuue' 1 . .> jyr*1’ uiuw. - * Oa.A... ,.i1 »4>e» -.*-c tiVa humorem \ .s-u.-ue . K. INDEX ,i .1 • i/.XIA'*' 'VtrQ\i,' "i'. l 9\a.1 .•' . . r’ .av.iii.pi iA.ivr1 .As.ftla, . i) ,at ;.. yi juajm.ih. i1"  riumdicaviipfuiacunfuaitreYalcat.0^.1^ AwimtarUiAnti«naV.v,?y. .«ri*a:£•<>  NDEX TITVLORVM , ET CAPITVM OPERIS . TriumCupidinum;Voluptuofumtyrannidemin Animæ facultas,concupiscibilisvtinanima vin AmotescurAlatifingantur.cap.IX. Cur Amores Nudifingantur. cap.X. 23 De Amoristergeminipulchritudine.cap.xi.24 Amor curnoncæcus inSchemate fidus. XII 28 sa,gercnsincacuminevolucrem,& caueam De fructuarborissapientiæ,nostroinSchema Inter.viros altafapientiaprestantes,efequi nonvocedocerefintapts, fedtantum, Schema III.Gemme. Sapientium ,sciendi cupidos edocere valen: tium ,tresesseclasses.cap.xxvij. 7 7 Coruicumvirofapientiæscriptoredetegitur analogia. xxix. 78 SchematisAmorumtriumexplicatioMedica. DevolumineMufices,invnguibusCoruimy ab Alciato,consideracur. cap.X V . 3 7 Schema IV.Gemma. Explicatio viri eruditi de Amore nocturnas  Ræfatio . Amoris origo mirabilis; a Platone polica 5 7 ,de Defrondibus,&Aoribushwnanæsapientiæ. claratur. cap.IV. cap.XXV Amor voluptuolus veergabellicum,& litera 40 Amorfapiêtiæcúrnudusefictus.cap.xix.41. Decergeminasignificationeftellæprælucen. Amor sapientiæcuralatus,& quænam finteius cisin Schemate poni caput viripsallentis. Alæ. cap.*** :43 Quomodo fapientiæsymbolumsitarboranno 90 pag. 1. . P 36 AmorisEmblemanoftroperfimile,propofitum voce tantumodo docere valeant. 20 43 cap.xxxv. 5 Schema primç Gemma . De arboris 48 in Schemate piata coinparatione 65 cap.V. cap.XI. cap. VII. сар.Хxxiii. 16 busomnibus, cap.VIII, modo fcriptis. cap.XIII. geminos Amoresprobaspassomexercere, çatirascibilem ,& rationalem, cap.yl. 12 A m o r cur a veteribus Diuinitatc donatus , Explicatio Schematis ab incerto propolica consideratur.cap. X I V . Yeiundas. XXXiii. 73 83 38 cap.xxxiv. DepriscisAnulariumGemmarum Sche maribus cxplicandis. C a p .I. Amor sapientiæcur,præteralas,adhibearetiam brachiamanusquegeminas,quibusfuniculo riuin impcriolam tyrannidem exerceat. 9 Sapientiam apprehendi ab Animo Doctrinę H u m a n u s animus crga sapientiam cur se habeat sermone vocali discendi cupidos crudi. ente :primumque de biformis inferoa parte 32 fticicanentis,repræsentat(1.cap.xxx. Inter viros dostos inueniri , qui non fcriptis , at 86 Amorsapientiæcureffictusingemmapuellus Supremamonftriparshunanadeclaratur. vtAmorpusio,corporepusilo.cap.xvi.39 imocens,arq;moribusfimplex.cap.xvij.40. gallumreferente. cap.xxxi'. pientiacomparatur. cap.xxii. adarboremscientiæboni& malı,dudum a De fru&uarborisscientiæboni& mali,primæ uæ inParadiso. xxvi. cantilenas ad amicam personante perpen 62 89 duplicisecollarinaltum..cap.xxi..' 43 LicetiResponsiodeVeterumGemmarumex- Demagnoconatu,ingentiquelabore,quofa plicationcadcunda.cap.II. Amorisdifferentiætrescxplicatæ.cap.III. 3 13 Cur Amores ætate pueri fingantur a veteri sedulalectione,acintentaAufcultatione. Schema II. Gemme. ditur. cap.xxxi. Propria proponitur explicatiode viro fapien. AmorfapientiæcuringemmafiAusefteffigie DeBarbito,seulyradigitishumanispulfara pusionis,acinfantis.cap.xviii. Deo inParadiso.creatam . cap.xxiv. cedelincatæ. cap.xxvii. te , 85 88 Pror   PropositoSchematicomparauraliudFabij SeptentiamViricl.hocsensusunprám,nocon cundiatoris, cap.xxxvj, exterminatione confiftere, SchemaV.Gemmę. 94 uenire Schematis imaginibus,oftendirur. Propria Schematis explicatio prior eft, de AmicoveromọitainAmaci& defunctime. 102 De Armışoffendentibus,HeroicoAmoribel licodatis inSchemare. cap.xliv, 133 DeCun&ationebellicaperAmoremftantem ProponiturexpofitiopropriadeamoręCa. indicata,cap.xli, tofis: cap.xlvi. postulan. Amicumverum inaduerfitate dignofces, cile fót: vél Tetbydis, aut Veneris Amores:velÆgyptusludens ditur. cap.Ivii. Prima cxplicatio noftra moralis ,de formola Peleum ,velVencris ad Anchisen delatione, formofitas, do oscaffo, Şecunda Schematisexplicatio,de Amico vc  cap.lviii, cap,li. 1 107 Pulchramulier,permarevitavagarsadare D e Amoris bel lici clypeo hieroglyphicum , Cur Amor istebellicusPedes,non Equesef, Super incrementa Nili. A m i c i d e f u n é t i m e m o r i a f e m p e r i n c o r d e c o n f e r . raptaproponitur,&adhistoricamfidemrc d i g i t u r , c a p , l x i. I21 1 131 cap.ly, Amoris bellici, cap.xlii. 134 cap.xliji, cap. xlv, cap.xlix, 139 118 ro , qui dignoscitur in aduersa fortuna, III I14 cap.lix. Schema X. Gemma, exarmati,pendicur.cap. xxxvii. indignacionem.cap.liv. Coniugalis Amor armis offendentibusexpolia. 95. Proprjasententiaproponitur,quæ’est,obocu losooni Schemate noftro proprietares A m o risirascibilis,fiuemilitaris:primumquede Schema VIII.Gemme. Index Titulorum , De Amorisbellicivultufæuo,seuero,actan. ExplicatioSchematisacl.Viropropolita,de cumnontoruo,minaçique. cap.xxxix.99 105 De propriafignificationeGaleæincapito dicitiamMatriş-familias.cap.lvi. Schema VI.Gemm &. D e A m o r e civili,qui vocatur Amicitia,vta tri muliere,quæ nimium extra domum vagans ad arbitrium ,vel eft,vel euadit impudica , yanda;& Amantemnonredamatum,indi- 143 Propria explicatio G e m m æ proponitur , d e gnabundumextinguerequam affectionem, Schema VII. Gemmx . TriconepulchramNympham marinam yo, Aliena Viri cl.explicatio,de A m o r e monftran . lentematq;lubentemcomplecterte,perqs maria ferentc.cap.lxi. redamato,syumAmorem extinguente per 129 AmoremHeroicummilitiamagisinconferuatio Secunduseruditivirisensusexplicatur,& neDucis,& Exercitusoportuneceleris, & cunctantis,quaminhoftium expenditur,cap.lij. 129 moriam eonseruante, cap,lij, 1 3 9 Opinio,dicenshocesehieroglyphicumAmo SecundaŞchematisexplicatio,deAmantenon ris concupiscibilis per visam negociofam corporemilicisgeneratim.cap.xxxviij. 97 DeAmorisbelliciceleritace,perAlaşindica- ca.cap.xl, CupidineindigneferenteSibifpiculanegari aVenere,proponitur,& expenditur, filius in Schematę noftræ Gemmulæ , IN Schemą IX.Gemma Smithi anaexplicatiode Nereideper falum A m i c u s v s q u e a d A r a m A m i c o illicila 109 140 busanteadeclaratis,Concupiscibili,Ra. Secundaexplicatiofabulofa,velTethydisad rionali,& irascibilicontradistinguitur. OpiniopononshocessesymbolumAmorisvo- TerrinexplicatiophysicadeÆgyprolafciui luptuosi,expenditur,cap. xlvij. 115 entesuperincrementaNiliocap.IX. 141 Rapinapuellasdealiasrespulchrasexponit Propria declaratio prima de Amico vsque ad Aras., cap.xlviii. Fur & pudica Maire- familias. piugali,exarmatospiculisoffensjonisperpu bitrium,velimpudicaeft,velimpudicafa. equo marinoveda,proponitur,& cxpene Sententia virieruditide puella vere a Tritong 146 tccun&ashumanasresessevanas,proponi- Secundacxplicatio,deTijroneraptāpuellam tur,&explicaturprimosensu.cap.L. 123 noftratélubvndasasportāte,cap.lxii,146 Tertia 141   & CapicumOperis. Tertiamoraliseftexplicatio,depiratis,acpræ- DeorationeMentalisubhieroglyphiconudæ mortali. cap.lxviii. 1 5 9 Propria Schematisexplicatio,declarans spe tem ,& faciemintergaversain,cumligneum scipionem. cap.lxxx. De forma templi Delphici inSchemate. De consulentisDelphicumoraculumbaculo, 193 Mundi Systema,partesquevniuerfuminte. grantes,explicantur. 200 200 ASTV'S DEV DITVR ASTV. 158 Incognitiviriexplicatioindicataexsenis 168  datotibus,aliisquemaritimaclasserapienti- mulierisgenuflexæ,sedentis,& vicumque busresalicnas.cap.Ixiv. S e n t e n t i a C l . viri , d e p r i m o q u a d r i g a r u m i n 180 uentore proponitur ac expenditur. OraculorumDiuinorumpropriumest,homini, deEricthonioaPallade,ceu filiofpurio,& tanquam presentes. Schema xij.'Gemma. 163 De Papauere,simulachrosomni,aquoprima De rupe templo Delphico subiect:. cap.lxxxiij. cap. Ixxiij. 185 196 cap.Ixv. 166 cap.lxxxvj. > Cap.1xvii. 158 Propriafententiaproponitur:primumquecal sumitexordia,& inquodimidiumsuædura cap.lxxxij. giliapatratarum,perenneininconftantiam. cap.1xxxiv. cap.lxxi. cap.lxxii. Proprialententiaproponitur,& confirmatur, impuro proicão. cap.Ixvi. bus euentusfuturosdemonftrare Schema xv.Gemme. Alienadeclaratioproponitur,& explicatur. ciarim arborem in lacus propeod ntem ,& hominiscõsulentisoraculumcumpailijpar De Papilionc,lignificantebreuitatemhuma- næ vitæ.cap.Ixix. 189 De Simulachro in templo Delphico. De Canopo ,Deo Aepytiorum ,superante 170 Iouisfiguravesitaptum Terræhieroglyphicũ. cap.Ixxxviij. OratioVocalisatqueMentalisvnacon pirantes Pallas nuda ve fignct ignis Elementun . Ixxxix. Deum flectunt,ob efficaciterexorant. Schema xiv,Gemma. De Mercurij ligno,Elementum Aeris repræ de.cap.lxxiv. 174 Detribusorandimodisantiquis:ftatario,ad Beneficij,velabrutisaccepsi,Deumefegratum remuneratorem . geniculato,&sedentario. cap.Ixxv. decoreftantis,ambabusmanibusDeocor offerentis. Deque antiquo more tenendi cap.Ixxxj. I91 Pallijmotus in terga declaratur. c.lxxxv. 192 ExplicationoftradeMundi Syftemate,parti tumAquæ.cap.xci. uariælymbolummedium explicaturdevita Dc Rota,lignantehumanarumactionum,invi. 165 189 205 Schema xi. Genoma. cap.lxxviij. tionishabet humana vita. cap lxx. De Vrnasepulchrali,adquamterminantur a&iones omnes humanæ vitæ mortalis. Schema xij. Gemme. Deum Chaldæorum Ignem , viâorem om. nium aliorum Numinum Gentilitatis. buiqueintegrantibus,proponitur;primum que Zodiaci declaratur imago , pro toto Cælo.cap.lxxxvij. 179 D e oraçione Mentali vereres profanos egisse. Facici mira versio in tergus explicata. Schema xvi. Gemma , corroboratur. cap.xcij. 190 191 153 Voca- DeNepturo,repræsentantetotumElemen D e viribus & proprietatibus orationis 2 0 2 lis ,a t q u e M e n t a l i s ,D e o A c c e n d o p o r r i g e n . sentante, cap.XC. Poeta HEROV M FILII NOX £ . autoribus proponitur & Humanavitaeftmorsvndiquemiserysobfella. cap.lxxix. expenditur. 175 D e oratione Vocali , fignata per mulieremic. miamittam,quædexteralacinian tenet,fini- Schema xvy. Gemma, ExplicatioViriCl.re&taproponitur,& latius ftraserpentemporrigit.cap.Ixxvj. 177 Aras ab orantibus. cap.Ixxvij. 197   Poetabonus,ad Lgraincanerenescius:vel 207 Propria Schemaris explicatio proponitur , de canere nescio. cap.xciv. Secunda Schematis explicatio depromitur ex pium naturagenerica,Proserpinæ Schema Schema xix,Gemm &. ponendisaprefacilequedislidijstumánimo rum dilceptantium ,tum corporca violen:. NoftraexplicatiodeDucisexercituumeripli- SacrilegusBrenusadAltaresempliDelphici ciproprietate. cap.xcvii. Tertia declaratio nultra de Amoris genitabilis fcibilis,& Rationalis,explicariSchemare. produnturinSchemate.cap.c. mortem fibimetipfifponteconscisceredebuis, AuroranettensAtheraterris,prouchit oria diem . Schema xxi,Gemma. Auroradiejnuncia,celeriterorbem terrarum circuit. cap.ciij. tiabelligerantur, cap.cvii. 235 setranfuerberat. 241  absolute,frustra laboráns. Hesiodo poeta bono carmita sua ad lyram 209 adagio veçusto de viro fruftra laborante . PRINCIPATVS ANIMALIVM, Ducisexercituumproprietates: Amorisgenitalisimperiosapotestas, G Amoris tres differentia, Elementa vitalia. imperiosapotestate. cap.xcviii. vel 248 Ampli il cap,xcix. cap.xcv . 210 regna benegubernantur, Explicatio viri Cl.de Principatu animalium . 212 220 2II cap.xcvj. ·212 cap.cx. 216 altronomo Lunæ,liderumque seruante, cap.cij. phasesob- DeAjacesemetipsuminterficiente,gladiodu dum abHe&oresibidonato.cap.cxij:247 terramcum Plutoneraptoremanente,totie dem supracerráapudmatremdegente,my. numSahemapossitintelligi.cap.cix 242 245 dam fra&tam supplente,affertur,& expen ditur, cap.xciij. Schema xxų.Gemma. De CererisfiliaProserpina,sexmenses intra Amoris tresdifferentias,Irascibilis,Concupi 213 Elementa viuentium fcracia,& altricia,terna Anonymisententiade Decio proponitur,& cxpenditur,cap.cviii. obferuatoris hieroglyphicum. Schema xx Gemme, numpoflicimago Schematis interprecari. 244 Explicatio fabulosa , seu poetica viri do &i de Schema xvij Gemme. De MercurioCanicipite,Regnum Acgyptium optimegubernante, cap.cvj. 233 Schema xxiv.Gemench. De viribusSapientiæ,acEloquentiæincom. Ajaxfurens,obAchillisarmfaibinegata, Schema xxv Gemma. D e Catone Veicense,semetipfum cõfodiente, Proponitur explicatio propria ,de Brenno , Proditoremnunquamplacereviroforti,etiam cui sot vtilis prodirio nesati hoftis, Schema xvij.Gemm... Explicatiovirido&ideCicada,citharæchor Pulchra fæcunditas ,a terracalore rapta,fex menfeslaterintraterraviscera,totidem . que fupra terram in aere degit, C. Sapientia,donEloquentia litigantes,atque pugnantesanimos apsefaciley,componit. Aftrorum Lunariummotuum ,& phasium EndymioneaDianaadamato,cap.ci. 219 P r o p r i a S c h e m a t i s e x p l i c a r i o p r o p o n i t u r d e Gallorum Duce facrilego ,qui semetipsum confecerit ad Aram Apollinis in templo Index Titulorum , thologiacómunisexplicata.cap.civ.227 Propria explicatio de vegetabilium , feu stir te,fabulisquerepræsentata,cap.cv. 229 Sapientia,& fortitudine,fagaciqueprudentia De Bruto ,separiter pugione confodiente, D e l p h i c o . c a p . c x i. Schema xxvi Gemme. De offAuCæsarisaccipientiscaput Pompeij Magni a proditore,qui virum interfecerat, cap.(Xiu. 224   Schema xxvij.Gemma. Larma.fiueperfonaDramaticumPoctamoftendit. Sue prijcisacrificabantvbigfingulisfereDijs vitaprecellentibus, ta vetusta . 238 251 AftNo . 281  Schema xxxiv,Gemma, Schema xxvj.Gemma. Virtutefortunamsuperari.cap.cxxi. Dc QliadrigainAnulosignatorioPlinijSca cundilunioris,& RanafignatoriaMecæna 278 cap.cxxiii. eis. cap.cxiv. tasmaximoperedecet. Schema xxix.Gemme. cultatibusincolumem . Martialesvirimulierumraptoresprimi,par: Centauricuerentis,& fagitcantis tergeminum 284 novelfatuplenum,&excrinsecusoleolisi. GenerofasindoleseducaridebereabHeroibus ujoueperundum. cap.r8011. 258 Lætarineminemoporterefraude;quum& ip- se consimili capi valeat. cap .cxx. 2 7 5 298 Propriæ fententiæ declaratio,devitæconcem . cap. CXXV 292 267 & Capitum Operis. AmpliDominijsplendornonofuseatsideraviro Virumingenio,probitate,fortitudinequepolen? thiuminbonoPrincipe,Magnoque Mini, Stro,quem taciturnitas atque celeri. sememergeredefawienrisfortunediffi Gerimis Anulorum insculpiconsucuisse vultus gemina,fugax,dprocax,mysticerepre. JenialacaleftiSagittario. insigniumvirorum ,adillorummemoriam, cultum ,& imitationem. cap.cxv. 253 DeHominisinAlinumtransformationeper maleficālibidineabutentem.cap.cxvi.255 myfteriumexplicatur,primumquedeScr monishumanidifferentia,& velocitace. VeterumsaltatioIudicrasupervtresplenos, & extrinfecusvnitosexplicaia. Eodem Hieroglyphico denotari humanæ vitæ naturam fugacem , geminaquc differentia D e vererumludicra(alcationesuper vtrem vi. Schema xxxi.Gemms. PersonamnonattribuiPoetæLyrico,velEpi- ChironCentaurus,vtviruina&uofæfimul& contemplatiuæ vitæperitumindicet adomnia:jeaprecipueVeneriadpuritatem coniugý;dfæcunduarem prolisinNuprijs. Schema xxxviii. Gemma. Furum ex rapto viuentium antiquitus condi Schema xxxir. Genome , De SacrificioSuisapudantiquos.c.cxix.261 Fraudulentiparifraudecapiuniør: do Vitecontemplatricisverumacgenuinum hieroglyphicum. Schema xxxix.Gemma. Gandium& Mærorviciffomfibifuccedunt. Schema xxxiii.Gemme. Anonymi sententia perpendicur de Psyche Pyralidisalasbabente,ansitAnimesymbo fomquediffamati. Humani Sermonis ; do bumana vite natura inactuosapariter& incontemplatrice Schema xxrvii.Gemmt. Furacisrapacitatistypus,& inftrumen. 286 ViroruminfigniumimaginesAnulisinfculpifo: litas,adeorum memoriam ,culium , Mulierumraptoresprimos,& paffim fuissevi ros bellicolos. cxxii. imitationem . LibidinisatqueMagia prauapoteftasingens, Schema xxx.Gemma, virtutis,& vitijdistinctam ,maximeque libi. dinosam. cxxiv. coledellepropriumfymbolumDramatici. aprum cducaregenerosa indolisadolcicencs. cap.cxviii. 260 De Marlyageminatætibiæinucntorcfabula menio latjusexplicato. Schema xxxv.Gemme. Schemaxxxvi.Gemma. tionesexplicatæ. cap.cxxvi. lum absolute. cap.cxxvii. platricisintimisattributis. cap.cxxviii:299   AtuosavitaprimafpeciesBigisinludorum AliaPanosexplicatiodevniuerfoproponitur.• Circensium Schemare currentibus hieroglyphiceinterpretata. 329 332 Aftuofavitasecundaspecies,Moralis&Actiua luftaZelotypamulierisindignatio,familjemaeft: nuncupata,Quadrigarumfpectaculomy. ftice representata. Schema xliv. Gemme . 345  deEquoTroianoproposita,&expensa: PropriaSchematisexplicatio 340 primumque Darctis Phrygij deNaturalicu narratio. piditatesciendi. cap.cxliii. cap.cxxxviij. 338 . 321 VirorumHeroicavirtutepreftantiumvultus Potentiorumprædeopulenti:Tellurisoccupatio apudantiquosmerorieacimitationisergo cap.CXXX1 Dilly's Cretensis Ephemeridum inuentio , 342 400 . communis receptio. cap.cxxxii. 312 veterum, cap.cxxxiv. 343 cap.cxlv. 328 310 cap. cxliv. Achillisimagoqualis,& curinSchemace. vltionem , Bigarum cursus in stadio ve indicet Artificum vitam effe&ricem.cap.cxxxix. cóprehendere fatagientis.cap.cxxxix. 33 ! ResponsioLicetidenneac formasuisymboli Schema xli.Gemmik. Sophiftaperimitindocius,adoctisinterficitur in literario mundo . Quadrigarum cursu signariviram Adiuam, Naturaliscupidosciendiqu.erielatentesrerum præcipuequeMilicarem.cap.cxxx. 305 que Aduerfushoftesinbelloiusto,dolis S c h e m a xlij. G e m m a , expenduntur. cap.cxli. paratur,ac desingulistribuscensura pro mulgatur. cap.cxxxiij. interitus , Schema xlvij. Gemma. pafjem effigiatos. haberi. a fortioribus: Agraria Legis occafio , do egoAmicitia cogens ad iustam PerfeisimulacrocurfignaueritAlexander, cur vsiveteresin Numis . Multiplexænigmatisexplicatio:& primade potentioribus diripientibus aliorum opes. De Anulis,quos adsignandum habebatMa- gnusAlexander. cap.cxxxvi. Secunda Schematis explicatio nostra est,de robustioribus,terræ dominium ,acpofsef PanosHieroglyphica,deSermone,deque Vniuerfo declarata . TertiaexplicatiopoliticanoftraSchematis,de terrædistributionemilitibusvi&toribus,per Schema xlv. Gemma . Platonica Panos explicatio,de conditionibus, Legem Agrariam ,affertur. cap.cxlvii. 348 QuartaSchematisexplicationoftraeftphysi. Auctarium . Schema xlvi. Gemima. ca,de typo Agriculturæ. cap.cxlviii Hostiumdonfaufpectafempereffedebere.nam . Poetarum& historicorumcommunisopinio, Veriores fententiæ deSphinge proponuntur exalijs,cap.cxlij. TertiafententiaPlinij,Pausaniæque de Troia- 110Equoproponitur,& allatisanteacom Arcana Numinis,& ediftaPrincipumnonime telligentem ,acnonobferuantemmanet Schemaxlij.Gemme.' cap.cxXXV. vis:Agriculturetypus:Ægyptus: Schema xlvii.Gemma, & proprianaturaSermonishumanipropo- nitur. cap.CXXXVII. .351 QuintanoftriSchematisexplicacio,deregione 302 327 fionemfibioccupantibus.cap.cxlvi. 346 licerarij. cap.cxl. inuentis ingenia macerat. Schema x! Gemme . aqueacviribusvtendum . Aliorum opinionesdeSphingereferuntur,& Propria Schematis explicatio proponitur de Troiano Equo secundum senfa poetarum Principum,& nonintelligentesoracula. Index Titulorum, D e Schemate noftri Mercurij Pana fugientem caufas, quibus inuentiscellat, non 326 Sphinxcurinterimatnonobseruantesedi&a 325 326 Ægypti.cap.cxlix. 353 Postres i 1   & Capitum Operis. PoftreinaSchematisexplicatioest,deAmici- . CrucifixiPredicatores,Pifcatoreshominum: ciæ , ad vindictam injuriarum cxcrcitum.co. ChiorumantiquainHomerumobseruantiapu 357 Explicatio prima Smethiæ G e m m æ de Crucie cap.clxiii. 373 374 ExplicatioprimæGemmæRhodianæ,rife, PropriaSchematisexplicariodeMulaThalia rentis obseruatores cæleftium luminumn . proponitur,& comprobatur.cap.clvii.376 402 Curantiquisacerdotesofferrentaliquandola SecundaexplicatioGemmæ,dehomineforcu crificiaNuminisedentes,cap.clix. 384 licibello Cælaris Augusti nata ,Belisarja. 411  AfferturgenuinadeclaratioNumi Comitis11 391 Comica lafcime gaudet fermone Thalia : vel Sccunda noftra Schematis affertur explicatio 399 dia gentium comparari. Salute patratum . 379 natomarehumanævitænauigante ventose. 406 chariftie Sacramento.cap.clxv• 395 390 394 409 Schema lių.Gemme. cap.clxxii. cap .clxviii, 377 ad veritatis imaginem . Felicishominis,feu formuaritypus, Nawigans cum ventis in V'tre conclufis. culo. cap.cxx. 1 1 408 gențis,hieroglyphico, cap.cl. 355 VniuersalisIudicijtypus: Mirabileconuiuium in Deserto; Virosfapientespublicismonumentisefecolendos Schemą IL.Numifmatis, Schemą liv, Gemm . De Smithianagemma.cap.clxii, Animopacatofacrificandum,& fupplicandum, Fructuumatquefrugum vbertatem concors Schema lij. Gemma. Concordia,& fidedata,feruataquçmirificam Miles atrocibellafuperftesinærumnofam incidit inopiam fæpiffime. .369 duobuspiscibusmirifice,cap.clxv. QuartacxplicatioGemmæ,deSacrofan&oEu Schema lvi.Gemma. cundoadarbitrium,fincracionis guberna cap,clxxi, blica.cli, Comparantur Numismati de-Lazara duo ali NumiabAugustinopropositi.cap.cliv rá curba in deserto quinque panibus & ExplicatiovirieruditideVenere,loco,& C u pidineproponitur, cap.clv. Schema LI, Gemma , De Amore fơecundante criainferaelementa. cap.clxix. apud homines promoucri bonorum ome niumybercarem ,cap.clx, Şchemalvý,Gemma Belisarij,& Horatijpoetæpaupertas,exinfc Fortiondinis audar facinus,pro Patrie næ calamitatisfere çoinpar exprimitur. DigreffiodeCicuræmedicamentis,&veneno. MutijSczuolæRomanigrandefacinus,& inli- ResponsioLicetideCicutæviribus:& pri mum ,cusnonhabeatvimcxpurgandicor & EucharistiaSymbolum. fixiprædicatoribus hominum piscatoribus. Schema lv. Gemmila luftriss,loannisdeLazara,cap.clii. 359 De sepulchrorumdifferentijs,& Homericu. Secunda explicatio G e m m æ ,finale iudiciuin mulo, cap,cliii. 364 PoetaComici,Lyriciuelafciuiorisactus, Schema Ļ.Gemma, Celestium obferuationivacandum animo curis vacuo,quiescentequecorporeprorsus ExpendunturallarıSchematis imagines,& sensaViricl.cap.clvi, Aftronomioblernaca,& Aftrologiludicia,vc exarretieridebcant.cap.clxvii. 398 myftice referentiş.cap.clxiv. 3 9 2 TertiaexplicatioGemmæ ,desaturatainnume dePoerafcuÇomico,feulyricolafciua fupidoMaria,Terras doAeremfæcundans: carmina pangențe , cap.clviii, gnis erga Patriam Pictas atquc fortitudo detegiturinGemma cap.clxi. 387 pora çiçuræplanta :deque duplici genere Cicutarum,cap.clxxii. 413 Sale.   beatmolliendi. cap.clxxviii. etiamproba,plerumque multum nocet fibi , dum viro coniugi , C u p i d o a u o l a n s a P s y c h c fibi n o n m o r i g e r a , Amaritudomunuscælitusdatumhumanænaty. raadprocreandasmultasbonasactiones. Schema lix. Gemma . Q u a t u o r N o u i s s i m o r u m e x p l i c a t i o in G e m m a D e Mortis memoria , per Anulum Schematis De secundonouiffimo,quodeftludiciumDei poftobitumhominum ,perperdentiscorum p o f t l u d i c i u m l u e n d i s a v i t a d e f u n & is p e r perenni poft obitum , aut purgationem in cælispossidenda,perStellam ,Lunam, & Cicadam hieroglyphicefignata. 428 PeroratiototiusOperis,Caputvlcimum.440  n quo agitur de Monftris generatim. Cap. I. ^^^^J^ Onflri varia ftgnijicatio 5 (^^02 propria efi , ac noflri inflituti^. deteoitHr, Cap. 1 1. Monjlri etymologia vulgaris , quaft res eventnras monjiret^confiitatidr; vem(^propriaproponttur» Cap.III. DeMonjlroriimHnmanorumrealiexiHentia, Cap. IV. Realts extftentta Monjlrornm irrationalium natH- ram non eoredientium patefit, Cap. V. OBenditur in fiirpibus etiam revera MonBra contingere, Cap. VI De Mon''horHmcauffis generatim ijtiot ^qu^ecjue fint, Cap. VII. MonflrorumcaujfaHnalis generatim (jtiQtupLex^qucec^He fit. Cap.VIII, DeMonflrorumcattffaformaligeneratim,quotuplex^quaquefit, Cap.IX. DeMoniirorumcaufiaejfetiricegeneratim,quotaplex, qu&quefit» Cap. X. De MonflrorHm caiifiaeffeflricegeneratimtquotupleXiqucequefit, Cap XI. Propria Alonfiriffeneratim accepti definitioinvefiigatur» Cap. XII. Inventa Monfiri definitioexplicatur. Cap.XIII. Monfridivifioinfuasfpeciesfupremasmtiltiplexaffertur,fedaptior eltgitur,. ^tP J-tl BBIL   INDEX LIBER SECUNDUS. In quo fpeciatim agitur de Monftris tjumanis. PRAFATIO Attexensdi6iisdicenda^&dkendorumordinempromulgans. Cap. I. ORige^^canjfdMon^fOYPimh^manorumcommHmsqti<e^ &quotwplexejfe valeat. Cap, II. Monftrorum in humana f^ecie mutilorum realis exiftentia ex Uiflo- ricis elicitur, Cap. III. Origo , (^ prima caujfa monBri uniformis mutili educitur ex propria materits defe^u. Cap. IV. Secunda caujjfa^ C=f orfgo MonHri mutili oHenditurejfe ex dehilitate, ac defe^uvirtutis formatricis, Cap.V. Tertiacaufa,(^origoMonBrimutilijlatuiturinangufiiauteri, acloci f(stum continentis, Cap.VI. ^uartamutiliMonjlricaujfa^(^origoadmateriaineptitudinemredigitUY. Cap. VIL Q^inta Mon(iri mutiLicaujja^ (£ origo eft ex parente itidem trunco. Cap. VIII. Sexta cauffa, (3 origo Monflri mutili admorhumfoetus attinere dicitur, Cap• IX. Monflramuttlaeximaginationisparentumviexoririnonpojfc Cap. X. Monjiri uniformis excedentis redis exifientia ex hiHoricis item compro- batur, (tajia, Cap.XI.Monjiriexcedentisnatura, G?caujfa.primaeliciturexparentumphan- Cap. XII. Secunda cau^a , (^ origo Monjlri excedentis in materics nimio excejfu ejje perhibetur. CapXIII. NonomniaA^fonjlraexcedentiaexmateri^srednndantiaexoririiJed aliquaexcedeniiumfuicaajfamtertiolocoinunamateriaepenuriaobtinere. Cap.XI V. ^jiarta canfa, (^ oriuo Monjlri excedentis infkperfcetattone collocatur, Cap, X V. .^inta caujja , ^ origo Monjlri excedentis rejolvitur in iteratam ejfu^ Jionem maternifeminis in uterum citrafispeYfQ^tattonem. CapXVI. Sextacauffa, £? origo Monjtri excedemis pertinet ad anguHiam uteri„ Cap. XVil. Septima caujfi , c^ origo Adonftri excedentis exparentibus monjirofts elicitur. C^p XVIII. OUava origo , ^ caujfa Monftri excedentis in vitio nutricationis confiftcre perhibetur„ Cap. XIX. Nona ratto , (^ canfja Monftri excedentis monftratnr in animipajfio* nibus parentes aJJicientibHS : ex^rciiatio cum Cavdano , (^ Parxo. , Cap,   C A P I T U M. Cap.XX»Decimacaujfa3 (^origoMonjiriexcedentisinviolentafKaternicorpo^ ns concnljione reponimr, Cap.XXI.U/idecimacmjpi, ^origoMon^riexcedentisrefertnradmorhnm foetus, Cap. XXII. Monjlrorum ancipitis natur^efHbfillentia realis demonflratnr, Cap.XXIII. Jldonftrianctpitisorigo, C^cauUa.communisinjtntiaturj ermturque prima. ex ?nateriet diverfce dcfe^H, ac excejja. Cap.XXIV. SecmdaAlondrfancipitisorigo, ^caujjaextiteriangufiia, (^de" feSiu virtuttsformatricis explicatur* Cap.XXV. Tertia Monjtnancipitisorigo , ^cau^ainmorhofmtm, ^ffiperfce' tatiom deteqitur^ Cap. XXVI. ^iarta Mon^ri ancipitis origo , («? caujfa refertur in materi<e ine- ptitudinem, ^iteratammaterntjeminis, (^fanguinisejjluxtoftemaduterum, citra fiperfostationsm, Cap.XXVII. ^intaMonjlriancipitisorigo, ^caujfadepromiturexparentum - corpore Monjlrojb. Cap.XXVIII.SextaMonjlriancipitisorigoy C^caujfaexvehemeniiparentum imaginationei (^ vitio nutricationis in faetu enucleatur^ Cap . XXIX, Mofiflri ancipitis origo , Cs* caujja feptima reponitur in arte, peccata JSfatura^ imitante, ac nonfine ai^ilio Naturiz operante. Cap,XXX. Mon^ridijformisexiBentiaexhiHoricispromalgatur. Cap. XX Xh De Monjlri dijformis natura, ^ caujfis ; primaque illius origo refoU vitur in malam uteri conformationem^ Cap.XXXII. SecundaMonjlridijformisorigo,&caujfaJpe5latadmalumjitum placenta nuncupatas : cujus ufns explicatur, Cap.XXX11/, TertiadijformisMonfhicaujfa,(^origoexmoladepromitur. Cap.XXXIl^, ,^artaMonjiridiffhrmisorigo,(^canjfaofienditurexmotu, Cap. XXXF. ^^inta Monjlri dijformis origOj (^ caujfa flatuitur imhecillitas fa- cuttatis difcretricis, Cap. XXXyi. S.exta origo, (^ caujfa Monjiri dijformis ad nimiam materiie vifet- ditatem rediaitur, Cap. XXXf^lI. Monflrainformia , dehitammemhrorum figuram non retinentia^^ reipfa inveniri. Cap.XXXVlIl.DeAdonflrovuminformiumorigine,&caujfa; qu^primlmde» ducitur ex imbecillitatefacultatis formatricis. Cap.XXXiX.SecundaMonfirtinformisorigo, (^caujfj,exanguliiautericolli" gitur. Cap . XL. Tertia informium monfirorum caujfa , (^ origo in motu inordinato repO" nltur„.   INDEX C^p. XLL ^arta informis Monflri origoi^ caufpi d(?prmiturifi mola^ (^ fLicema , tumore utm^concuTYmie virtHtisform^trkn imhcilliime , acmatem tertceweptimdifie, Cap. XLII. ^inta informis Monflri orlgo j ($' C(^0jj4 ex imMgimtio^e parmtum vehementiexi^ltcatHr» Cap,XLIH,SexiatnformisMonftricauffa^ ^origoinnsonflrofoparentedete* gttMY, Cap.XLIV.SeptimainformisMonjlriorigQ^ ^caajfnrefertmadmenflrmYHm fliixum tempore conceptus, Cap. XLV. MonjirienormisexiHentiapatefit, Cap. XLVL Monjlra enormia^ & omnino monfira mn ejfe infantcs candidos e fareKtibus JEihioipibws ortos • necviciffm iEthiopum moremgros e cmdidis: (^decolore Aadromeds. Cap. XL VIL Monflri enormis origo , ^ caujfa prima ejje in imaginatione paren» tHmperhibetur: ^miiltadeaureocri^re Pythagorse confiderantHr, Cap.XLVIILSecundaMonfirienormisaureofemorecaujfa, (^origoreponitur tn exhalationeigneadecorporeviveniis efliMente, Cap.XLIX.TertiaMonfirienormisameofemorecaufia, ^origorefblvitHYin morbum regium, Cap. L. ,^ana Monfiri enormiter pilofi caujfa i (^ origo ex craffitiei (^ fuligi* num copia extruditptr ; ubiplura de cordepilofo Ariftomenis. Cap.LL,^intaManflrienormiterpilofiorigo, (^cauffaexparentepariterpih» Jo petenda eft. Cap. LII. Sexta Monflri enormiter Upidefcentis origo , & caujja ex intempefiei tic materiae ineptttudine dedudtur^ Cap.LIII. Mon^rimuilttformtsineademfpeciefnbfMentiapatefit; ubidecapi-' le ytrtli ^ mulieris corpori ajfixo -^ ^ de Hermapbrodttts mira quadam expla" viantur. Cap.LlV. Monfirimultiformisineademfpecie^muUerisnempeviritecaputha- benits origo , ej" cauffa prima ex hetero^e»ea feminis natura educitur j ^ defemi» nis'Vulgotnwiafculosmutatts; Qfdemnfculisefieminatis, Cap. LV. Secund.4 canfia ejufdem mo-ftlhi multiformis ^ (^ ori<To excutitur ex de^ jtdu fminis m^fcpilei Cap- LVI. Tenia Monjiri multiformis in eadsmfpecie origo , (£ cauJfarefertHf i,id pdrentumimairinMionem. CapLVH.^t^ariuorigo, (^cauffaMonfirimuliiformisineademfpecieadpa^ rent^s conjimilem natnram attinef, Cap. L V i I L Monfira mnltiformia ^diverfas animulium fpecies in ecdem ge* nere proxmoreferemta fnonefie figmsnta ^jed in rernmnatura reperiri» -'- Cap.   C A P I T U M. Cap. LIX. J^donjlYt midtiformis diverfas animaliHmfpecies in eodem geneYepYO^ ximo referentiSy canjfa^ c^ origo frima depromitur ex apparentia. Cap. LX. Secmida caujfa, G? origo Jkfanflri , mtiltiplicis fpeciei animalia referen' tts , ex imbecillitate generantis pendere demon(lrattir, Cap. LXL Tertia canjfa, Cs* origo Adonflri multiformi animalium fpecie elicitur ex deirenerata fsminis anima in nattiram alienam. Cap, LXII. .^arta Aionflri mnltiformis varias animaliam fpecies referentis origo, (^ cmffa ermtm ex materialifostus principio, Cap. LXIII. ^jtinta Monflri lotimani hrntalem effigiem habentis orioo , (^ cattjfa ex virtnt is alentis vitio elicitptr, Cap.LXIV.Ssxtahominismonflroseferinasparteshabentisoritroj (^caujfain altmentaris materiis. vitio reperitar, Cap,LXV. Septimacanjfa, (^origoMonflrihitmaniferinameffigiemhabentisex morboelicitur. Cap.LXVI• O^avacauffa, (^origoMonflrihnmaniybrtitorumejflgieminmem' bris habentiSfjx imaginatione parentum defttmitHr» Cap. LX V^II. Nona caufja , c^ origo Alonflri varias animalitim effigies habentis agnofcitnr ex parentzbfis monflrofs, Cap. LXVIII. Decima catiffa , (3 origo Monflri partes habentisbrtitorum mem-^ bra^ (^ hnmana referentes, explicatur exfeminum miHione, ac nefaria venere. Cap, LXIX. Dttbitafiones propofltam theoriam. urgentes diluuntur , (3 prima edn^a ex Ariftotele , alicubi n^gante monjlrtim fieri ex animalibus diverfs fpeciei. Cap, LXX. AlteradubitatiQ Maniliana, G? Lucretiana diluitur,negans qtiiA ejfenobiscommunecumferis, (^plantisadinvicem {nam Caftronianam ver^ bistemerefttffttltam,nonautemrationibusinnixam, latedifcujfimusinopett deFeriis Aitricis Anim3?,difputat. xxv.& xxvi. Cap. LXXl. Tertia dubitatio viri eximii negantis ex variis fpeciebus poffe ejuid uni tantum parenti congeneum nafci : Exercitatio cum acutiffimo Delrio. Cap. LXXII . Di^in^le magis explicatur origo humani monflri ex fera nafcentis, Cap. LXXIII. Vndecima cauffa, & origo Monfiri y varics fpeciei anirmliumi partes habentis, ex cacodamonis opera elicitur, Cap. LXXIV. Monflra muhiformia fuijfe conflruUa ex partibus referentibus animantia diverfl qeneris, Cap.LXXV.MonflrihttmanimembravHiorumanimaliumhabentisorigo, (^' caujfa prima in apparentiam refertur. Cap. LXXVL S^cunda Monfira diverp generis origo » (S cauffa ex imbeciUitatsj vtrtutis generamis colligitur.   INDEX Cap.LXXVII.TertiaMonflridmffigemiorigo, ^emffainMilifatefcrma- tricis repomtnr» Cap.LXXVI11. ^artacmujfa,c^origoMonflrimnlngemie?cimbecillitatcviv' tmisfeparatricis dedHcttm. Cap, LXXIX. ^inta caujfa , ^ erigo Monflri multigenei referturad femims degeneranoncm. Cap. LXXX. Sexta caujfa Monflri poligenii materice ineptitudo ejfe offenditur. Cap.LXXXI.Septimacaujfa, ^origoMonflrimultigeneidejumiturexdebili- tate virtmis alentisfoetum, Cap. LXXXII. O^tava caujfa, ^ origo Monflri diverftgenii ex inepto partium alimento educitur, Cap, LXXXIIL Nona cauffa , ^ origo Monflri multigenii ex morbofostus ad- ducitur, Cap^ LXXXIV. Decima caujfa, G? origo Monflri multtgenii ex parentum imagi' natione hauritur. Cap. LXXXV. Vndecima cauflaj Gf origo Monflri diverft generis adparentes    mon^Yofosrefertur, Cap. LXXXVI, Duodecima cauffa y (^ origo Monflripoligenii habetur infemi- " tiumpermifiione, Cap. LXXXVII. Decima tertia caujfa originis Medufaei tapitis in ovogallin<s.. Cap.LXXXVIII.Decimaquartacaujfa, (^origoMonjirimultigeniiadvim mali Diemonis refertur, Cap. LXXXIX. Monftricacodamonis eff.giem referentisexiBentia patefit. Cap»CX-Monjiricacodamonisejflgiemhabentisorigo, (^caujfaprimadefumi-^ tur ex parentum imaginatione, Cap.XCI.MonftriDismoniformisalteracaufla, ^origoexplicaturexcauffls prius addu^is. Cap. XCII. Vewv&tio totius operis.Licetus. Fortunio Liceti. Liceti. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Liceti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690416537/in/photolist-2mKGTYe

 

Grice e Liguori – implicatura critica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Personally, my favourite of Liguori’s metaphors is ‘the abyss of reason,’ since Speranza has elaborated on this: it’s Gide’s ‘mise-en-abyme’ no less, which breaks my principle of ‘conversational perspicuity’ – a mise-en-abyme text is just untextable!” -- Grice:  “Liguori has studied the metamorphosis of language in one of his philosophical noble ancestors!” “I like Liguori: he has the gift of the gab for metaphor: ‘i baratri della ragione,” “la fucina del filosofo,” “l’alambicco dell’anima,” “la condizione del senso” ‘il razionale dello irrazionale” o “le ragione dell’irrazionale” “le ambiguita della ragione,” “Trasimaco ha ragione” “Giustizia e carita” Ritratto. Frequenta il liceo classico presso i padri gesuiti dell’Istituto Massimo di Roma. Studia alla Sapienza. “Scherzi della memoria.” Si laurea con la tesi “Lo scetticismo giuridico.” Insegna a Lecce ed Ostuni. Si dedica alla storia della filosofia. Insegna a Bari, Urbino, Ferrara, Trento, Salento, Torino, Firenze, Lecce, Cassino, Napoli, e Noceto. Con “E il vero baratro della ragione umana” – cf. H. P. Grice, “Mise-en-abyme conversazionale” --  viene riconosciuto come uno studioso di Kant, Graf, Leopardi, e Cartesio. Tratta  Positivismo di Sergi,  Lombroso, Morselli e Vignoli; dello scetticismo di Rensi ponendolo in critica relazione tra Leopardi e Pirandello; ha scritto di de' Liguori e di Benedictis, detto l'Aletino. Collabora con l'Istituto Italiano per gli Studi filosofici di Napoli. Ha tenuto rapporti epistolari con Garin, Bobbio, Augias, Binni, Donini, Ferrarotti e Timpanaro. Fonda ad Ostuni (BR) il Circolo Culturale “Sic et Non”, cui aderiscono e collaborano note personalità della politica e della cultura quali Donini,  Fiore,  Radice, matematico e fondatore e direttore di “Riforma della scuola” e docenti delle Bari, Roma e Lecce. “Sic et Non” si impegna in complesse battaglie civili come quella per un dialogo tra marxisti e cattolici, ed altre incombenti questioni sociali come la campagna per il divorzio. Stringe intese, oltre che con moti uomini politici e studiosi di chiara fama, con il gruppo dei cattolici del Gallo di Genova e coi fiorentini seguaci di Giorgio La Pira, i quali si riunivano intorno alla rivista “Testimonianze” diretta da Balducci e Zolo, nonché con i ragazzi della Scuola di Barbiana, diretta da Don Lorenzo Milani. Manifesto editoriale del "Sic et Non" è la rivista Presenza, da lui diretta, che testimonia questa attività politica allora pionieristica per una piccola provincia del Sud Italia. I sette numeri pubblicati della rivista Presenza, e altra documentazione di tale impegno politico, sono attualmente depositati presso la Biblioteca Comunale di Ostuni (BR) intitolata a Francesco Trinchera e comunque ampiamente documentati nell'unico libro autobiografico dello stesso autore.  Critica e commenti sull'opera di Girolamo de Liguori Carteggio con illustri studiosi Bobbio: Il libro mi pare di grande interesse, per l’ampiezza e la serietà della ricerca su un tema, se non sbaglio, mai scandagliato a fondo, eppure importante nell'ambito più vasto della storia della filosofia positiva, della critica letteraria e della cultura torinese (argomento a me particolarmente caro). Sono convinto che si tratta di un lavoro di prim'ordine, che rende giustizia a uno studioso e a uno scrittore (e poeta) che è stato sì, ricordato più volte dai suoi discepoli, ma è stato poi dimenticato dagli storici. Credo che questo libro sia un effettivo contributo alla migliore di quel periodo della nostra storia che la cultura idealistica aveva disdegnato: un contributo di cui soprattutto noi piemontesi dobbiamo essere grati». Sebastiano Timpanaro: «[…] Mi sembra, e non lo dico per adulazione, ma con piena sincerità, un'opera di livello davvero eccezionalmente alto, per la caratterizzazione del protagonista e di tutto il suo ambiente, per tutto ciò che finora ignoto essa porta alla luce. E’ venuto fuori cosi un lavoro che molto di rado accade di leggere». Ambrogio Donini: “Mi pare, ad un primo esame, fondamentale per la conoscenza del periodo ancora poco conosciuto. Apprezzo moltissimo tale metodo di indagine e la serietà della documentazione. Uno studio di questo genere è certamente costato decenni di intensa documentazione». Guido Oldrini: ho letto subito il volume su Arturo Graf così ricco e con non poco profitto. Quando l’autore, in un punto se la prende con gli storici della filosofia italiana che trascurano il Arturo Graf, anzi noni menzionano affatto, mi sento in colpa; e tanto più in quanto io, studioso della cultura napoletana, mi son lasciato sfuggire quei nessi di Arturo Graf con Napoli che il volume di de Liguori illustra con tanta passione». Franco Contorbia: “poche volte accade di fare i conti con un libro così fatto, stratificato, totalizzante; ad apertura di pagina si avverte l’impegno, il grado di coinvolgimento appassionato con cui lei ha condotto avanti negli anni una così impegnativa ricerca peculiare, quasi il centro della sua esistenza intellettuale, il punto di arrivo (e a un tempo di partenza) di un confronto che è culturale ma anche morale e politico.La qualità di un tale lavoro, mi pare, fuori dell’ordinario». Donato Valli: «L’autore ha consegnato alla critica e alla conoscenza uno studio così complesso da poter essere considerato un esaustivo panorama della cultura del secondo Ottocento italiano e non solo italiano]». Recensioni di illustri studiosi Paolo Rossi, “L'autore… ha fatto emergere un quadro ricco e articolato dove accanto alle ombre brillano alcune luci importanti». Recensione sulla rivista «Panorama» riguardante il  di de Liguori Materialismo inquieto, edito da Laterza. Cosmacini, «Il lavoro di de Liguori è largamente meritorio oltreché ampiamente documentato». Recensione uscita su «Il Corriere della sera» riguardante il  di de Liguori Materialismo inquieto, edito da Laterza. Marti::Dalle appassionate e diuturne indagini dell’autore su Arturo Graf e il suo tempo è venuto fuori il ponderoso, massiccio volume, che ho ricevuto come caro e preziosissimo dono. Davvero lusinghiera la “presentazione” di un grande Maestro come Eugenio Garin, e accattivante e simpatica l’”Avvertenza”. Tutto il resto è da leggere». Recensione al volume di de Liguori su Graf, uscita sul «Giornale storico della letteratura italiana». Corrado Augias: «Quella di De Liguori è infatti una storia meridionale che parte da una finzione narrativa di gusto classico ma così classico da poterla ritrovare in alcuni capolavori tanto celebri che non vale nemmeno la pena di citarli. Saggi:

 

 

 

“Trasimaco ha ragione” (La Rassegna pugliese); “Giustizia e carità” “fra filosofia e vita” Ivi “Lo scetticismo giuridico di Rensi” (Rivista di Filosofia del diritto); “Una moderna enciclopedia del sapere, «La Rassegna pugliese», II“Efirov e la filosofia italiana, «Problemi», “Un Leopardi anti-progressivo” (Dimensioni); In tema di materialismo comunista, Ivi, “Gioberti e la filosofia leopardiana -- momenti del conflitto tra l’ideologia cattolico borghese e la protesta leopardiana” (Problemi); “Un episodio di solitudine. Rassegna di studi su Graf,” Ivi “Leopardi e i gesuiti -- appunti per la storia della censura leopardiana, «La Rassegna della Letteratura italiana», Quel povero “Diavolo” di Graf, «Giornale critico della Filosofia italiana», Le «Scandalose razzie». Scienza, politica, fede in Graf Ivi, Scetticismo e religiosità in una rivista militante: «Pietre» in, La filosofia italiana attraverso le riviste, A. Verri, Micella, Lecce,  “La condizione del senso”; “Per una riconsiderazione della lettura grafiana di Leopardi” «La Rassegna della Lett. It.», Il mito e la storia” – “Le ragioni dell’irrazionale in Graf, «Problemi», Quella «dubitante religiosità». Graf e il modernismo, «Giornale cr. della fil. It.», Doria tra platonismo e riformismo, «GCFI», Il sodalizio Labriola-Graf negli anni della loro formazione «Studi Piemontesi»,  Un anti-cartesiano di Terra d’Otranto: Benedictis, in, Miscellanea di Storia Ligure, Genova); “Materialismo e positivism -- questioni di metodo” (Facoltà di Filosofia, Bari); “Aletino e le polemiche anti-cartesiane a Napoli” (Rivista di storia della filosofia); “L’araba fenice: ossia la filosofia nella secondaria, «Idee», “E il vero baratro della ragione umana” – “Graf e la cultura” Prefazione di E. Garin, Lacaita, Manduria,  “Le ambiguità della ragione” – cf. Grice: ‘the equi-vocality of ‘reason’ Grice: “Liguori has a taste for unnecessary plurals: the abysses – the ambiguities -- ” -- «Idee», “Per la storia della psico-fisica in Italia”; “Il materialismo psico-fisico e il dibattito sulle teorie parallelistiche in Italia -- Masci e Faggi «Teorie e modelli», “Di una rinnovata attenzione al materialism” (Idee); “Mito e scienza nell’antropologia e nella storiografia del positivismo italiano”; “La filosofia tra tecnica e mito, Atti del Convegno della SFI, Assisi,  Porziuncola); Dimensioni», Livorno, Materialismo inquieto. Vicende dello scientismo in Italia nell’età del positivism” (Laterza Bari); “Tommasi e la filosofia zoologica di Siciliani, Rileggere Siciliani, G. Invitto e N. Paparella, Capone, LecceI Presupposti epistemologici e immagine della scienza in Morselli e Graf, Filosofia e politica a Genova nell’età del positivismo, Atti del Conv. dell’Associazione filosofica Ligure--  Cofrancesco,  Compagnia dei Librai, Genova, pMaterialismo e scienze dell’uomo; Kant e la religiosità filosofica di Martinetti, iA partire da Kant; L’eredità della “Critica della ragion pura”, A. Fabris e L. Baccelli. Introduzione di Marcucci, Angeli, Milano, Materialismo e scienze dell’uomo -- Il dibattito su scienze e filosofia, Lacaita, Manduria, La fondazione razionale della fede in Martinetti, Dimensioni, Livorno, Darwinismo e teorie dell’evoluzione nella prospettiva monistica di  Morselli, Il nucleo filosofico della scienza, Cimino, Congedo, Galatina,  L’immagine della donna nel paradigma positivistico della degenerazione, Morelli. Emancipazione e democrazia, G. Conti Odorisio, Scientif. Ital., Napoli, La cultura filosofica in Torino, Rivista di filosofia», Presupposti torinesi della singolarità filosofica di Martinetti, «Studi Piemontesi»,  E’ possibile la storia dello scetticismo?, “Segni e comprensione»”; “ filosofi delle bancarelle». Per la critica della storiografia filosofica,  «Lavoro critico»,  Il sentiero dei perplessi -- scetticismo, nichilismo e critica della religione in Italia da Nietzsche a Pirandello, La città del Sole, Napoli, La reazione a Cartesio in Napoli, Giovambattista De Benedictis, «GCFI», La revisione della storiografia sul mezzogiorno, «Segni e comprensione», Positivismo e letteratura. Antologia di testi, con Introd. e note, Graphis Bari, La lezione scettica di Rensi, Critica liberale,- La psicofisica in Italia,  La psicologia in Italia, a cura di Cimino e Dazzi, Led, Milano, Vignoli e la psicologia animale e comparata, Ivi, Pensatori dell’area torinese --Percorsi», Quaderni del Centro Frassati, Torino, Il ritorno di Stratone. Per la collocazione del materialismo leopardiano, in Biscuso e Gallo, Leopardi anti-italiano, Manifesto libri, Roma, Kant e le scienze della natura -- in margine alle lezioni kantiane di Geografia fisica, in Filosofia, Lecce, Lacaita Manduria, Cattaneo, Psicologia delle menti associate, G. de L., Riuniti, Roma, Antropologia, psicologia comparata e scienze naturali in Vignoli, «Teorie e modelli»,  Geymonat, Treccani. Antropologia e tassonomia in Kant. Da Blumembach a Buffon, Atti del Convegno sulla Geo-fisica kantiana, Congedo Lecce, Antropologia, psicologia comparata e scienze naturali in Vignoli, «Teorie e modelli»,  Cronache di filosofia del diritto in Italia. Sforza e i suoi corrispondenti, in «Quaderni di Storia dell’Torino»,  Per Mucciarelli: positivismo psicologia e storia, «Segni e comprensione», Geymonat e il “materialismo verso il basso”, GCFI, Il materialismo di Timpanaro, «Critica liberale»,  Lettere di Timpanaro a Liguori, in Il Ponte, Da Teofrasto a Stratone. L’itinerario filosofico di Leopardi, «Quaderni materialisti», Labriola e Graf -- Principio e fine di un sodalizio di vita e di pensiero, in Labriola e la sua università. Mostra documentaria per settecento anni della “Sapienza” Aracne, Roma, A. Graf, Memorie, Introduzione, commento e cura, “Gli Arsilli”, Edizioni dell’Orso, Alessandria Un catalogo per Labriola, «Critica Sociologica», Utilità dell’inutile. Dalla elaborazione concettuale alla programmazione e alla costruzione di un catalogo, «Itinerari», I Gesuiti. Le polemiche sui riti confuciani tra l’Aletino e i missionari domenicani, «Studi filosofici»,Le «imbrogliate bestemmie germaniche». Moleschott e la medicina materialistica, «Physis», La fucina del filosofo. «Segni e comprensione», Filosofia teologia e fisica di Cartesio nella Difesa della Terza lettera apologetica dell’Aletino, «Il Cannocchiale», Liguori e la filosofia del suo tempo: Spinoza, Bayle, Hobbes e Locke, «Rivista di Storia della Filosofia», “Libido Sciendi”. Immagini dell’empietà nell’apologetica cattolica tra Sei e Settecento (da Magalotti a Valsecchi), GCFI, Scherzi della memoria. Mappa di un itinerario non turistico tra politica e cultura in una provincia del Sud, Prefazione di Ferrarotti; Postafazione di Cumis, Salvatore Sciascia, Medicina e filosofia in Italia tra evoluzionismo e scientismo. Da Tommasi a Morse,  «Il cannocchiale»,, L’ ”il lambicco dell’anima”. Note sul Mind body problem in Italia nell’età del positivismo, in Anima, mente e cervello. Alle origini del problema mente-corpo, P. Quintili, Unicopoli,  L’ateo smascherato. Immagini dell’ateismo e del materialismo nell’apologetica cattolica da Cartesio a Kant, Le Monnier /Università, Le sorelle Vadalà. Quattro storie più una, Romanzo con pefazione di C. Augias Movimedia, Lecce, Pensatori dell’area torinese tra i due secoli, in Quaderni  Noce, Marco,  Lungro di Cosenza, Ateismo e filosofia. Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e sul rapporto tra fede e ragione, «Il Cannocchiale», Le metamorfosi del linguaggio nella controversistica e nella pratica missionaria, Le metamorfosi dei linguaggi, Borghero e  Loretelli, Edizioni di Storia e letteratura, Roma, Dannazione e redenzione dell'Eros. Soggetti e figure dell'emarginazione: la donna come oggetto determinante nella invenzione cattolica del peccato di lussuria in «Bollettino della Società filosofica italiana»,  Le cose che non sono, in «Critica Liberale»,   Prefazione di E. Garin, Manduria (TA), Bari, Roma, Lacaita, Gemoynat Treccani, Le Carteggio privato (corrispondenza autografa) tra Liguori e i singoli autori citati  P. Rossi, Viaggio nel Positivismo, in Panorama, Arnoldo Mondadori, Girolamo de Liguori, Materialismo inquieto. Vicende dello scientismo in Italia nell’età del positivism, Bari, Roma, Laterza, Giorgio Cosmacini, Povero medico condannato al materialismo, in Corriere della Sera,  M. Marti, Recensione a I baratri della ragione  in Giornale storico della letteratura italiana, Le sorelle Vadalà. Quattro storie più una, [Romanzo], Prefazione di Augias, Lecce, Movimedia.  Dannazione e redenzione dell’eros. Soggetti e figure dell’emarginazione: la donna come oggetto determinante nell’invenzione cattolica del “peccato” di lussuria di Girolamo de Liguori Il Cristianesimo ha maledetto la carne, ha infamato l’amore. L’atto vario e molteplice nei modi, ma uno nel principio, per il quale le creature si riproducono e a cui gli antichi avevano preposta una della maggiori fra le divinità dell’Olimpo, è, agli occhi del cristiano, essenzialmente malvagio e turpe e la malvagità e turpitudine sua possono a mala pena, nella progenitura d’Adamo, essere emendate dal sacramento. Il celibato è pel cristiano, se non altro in teoria, condizione di vita assai più pregevole e degna che non il coniugio e la continenza è virtù che va tra le maggiori. A. Graf1 Abstract The paper examines the story of Eros, from ancient Greece to the age of Enlightenment, and tries to underline relevant connections with other events of thought and religious traditions as well as European popular customs. The ideological conflict with Christian ethics and Catholic church is particularly highlighted thanks to a specific textu- al analysis, particularly during 17th and 18th centuries. Keywords: Subjects and Figures of Marginalization, Woman Condi- tion, Ethics and Christianity, St. Alphonsus M. de’ Liguori. 1 A. Graf, Il Diavolo, (nuova ed. con apparato critico, dopo l’originale, Treves 1889, in sedicesimo) a cura di C. Perrone, introduzione di L. Firpo, Salerno editrice, Roma 1981, p. 99. Avverto l’eventuale lettore che lo scritto che segue ha natura meramente divulgativa e di mera indicazione didattica nei confronti dei docenti di discipline storico-filosofiche. Nasce dall’assemblaggio di appunti per il canovaccio di uno spettacolo tenutosi a Parma al Teatro del Vicolo il 3 maggio 2013, dal titolo Eros e Poesia. M’è d’obbligo infine rimandare sull’argomento che qui espongo, agli interventi di alta e corretta divulgazione, curati per Rai Educational, di Simona Argentieri, Umberto Curi e Sergio Moravia, in Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche dell’aprile 1998. 29  1. Raccolta e catalogazione dei materiali Non partiamo dalla consueta e abusata presunzione ontologica; non di- ciamo che le cose sono, piuttosto ci limitiamo, cartesianamente, a scoprire in noi il pensiero e, col pensiero il corpo e la sua capacità di rapportarci ad altri corpi attraverso quelli che chiamiamo i sensi. Ci hanno preceduto i sensi sti: nulla è dentro la nostra mente che non ci viene fornito dai sensi. E così la fantasia, la logica, la ragione, la fede altro non sono che gli strumenti più raffinati di un corpo tra i corpi (materia) che, come l’infima creatura che emette pseudopodi, procede dal coacervato all’ameba e arriva all’uo- mo, cuspide di presunzione, anelito più che sensata pregnanza di vita.. Non lasciamoci impressionare dai prodotti di questo strumentario intellettuale: arti, religioni, presenze invisibili, futurologie improbabili, paradisi perduti o escatologici disegni, virtualità effimere come sogni, denunciate già dal fol- le di Danimarca una volta per tutte. Sono sirene lusingatrici di contro al cui canto ammaliante hanno ancora buona validità i tappi di cera nelle orecchie usati da Odisseo, navigante curioso, per escludere i suoi compagni2. Qualcuno sostiene che le cose non sono se non create. Qui noi non soste- niamo l’inesistenza delle cose: in tal caso dovremmo postulare e ammettere la trascendenza, laddove noi riteniamo l’oltre una autonoma creazione (se vogliamo mantenere il termine) del nostro pensiero. Abbiamo raggiunto (a livello di pensiero puro, non certo di pensiero soggettivo) un tale grado di evoluzione da creare dal niente, come aveva, in termini tutti romanti- ci, spiegato Fichte enunciando i tre celebri principi della sua dottrina della scienza! Ma gli sviluppi delle neuroscienze, in particolare, hanno reso sterili tali tentativi di esplicazione del reale. Idealismo e religione fanno a gara a rincorrersi nella loro foga di raggiungere la verità eterna! Meglio perciò rinchiudere i filosofi nel trittico che si sono costruiti con secolare pazienza della Metafisica, Teodicea e Ontologia. Che farnetichino in eterno sull’ori- gine dell’anima, sul rapporto col corpo e sul destino futuro della umanità. Si potrà, una volta sgombrato il terreno dalla zavorra, procedere in modo più lineare, ordinato ed onesto alla diagnosi del male di vivere: del nascere e morire. Tolta di mezzo la pretesa razionalità e la scientificità teologica (e teleologica) con la sua saccenteria, gli strumenti dei sensi come la fantasia, la fede, la ragione potranno riprendere legittimamente la loro funzione di guida o di orientamento. Se partiamo dalla nostra “condizione umana” (senza scomodare Mal- reau) vera e concreta, viene prepotente in ballo, la nostra sensualità, prima ancora che la nostra sensitività. Avvertiti da Freud, che va ascoltato con la 2 Vedi quanto scrive, F. Berto, L’esistenza non è logica. Dal quadrato rotondo ai mondi impossibili, Laterza, Roma-Bari 2010. 30  dovuta prudenza filosofica, ci accorgiamo facilmente che è l’eros la molla privilegiata delle nostre azioni o inazioni. Tanto è vero che sul terreno della storia è con l’eros che il Cristianesimo ha ingaggiato fin dalle sue prime origini la sua battaglia aperta, dagli erotici furori degli anacoreti fino ai ra- ziocinanti dogmatismi teologici dei nostri giorni. Conviene delinearne un breve profilo. 2. Profilo storico dell’Eros in Occidente. Dal mito di Venere a Maria Vergine È proprio nel mondo romano, e in quella che gli storici designano come età tardo-antica, che si compie una storica metamorfosi della mitologia pa- gana: il suo graduale trasferimento da religione delle classi colte e dominanti a religione dei campi (pagi = pagani), della plebe rurale. Indicativo tra tutti il passaggio di Venere, dea della bellezza, dell’amore e della fecondità, da un canto, a quella di Demonio, Lucifero (portatore di luce), stella del mattino, per i suoi referenti legati alla sessualità, e, dall’altro, a quella della Vergine Maria, madre di Gesù Bisogna ricordare che mentre avanza il Cristianesimo, il mito di Roma non solo permane ma, sotto mutate spoglie, cresce e si svolge fino ai nostri giorni. Perde la sua valenza politica, la sua forza sugli eventi immediati ma guadagna nell’immaginario. Entra a far parte del grande patrimonio del- la memoria collettiva. Ma in tale processo, se perde i suoi caratteri storici, obbiettivi, acquista una rinnovata immagine fantastica, rispondente alle esigenze delle masse. Soprattutto il Medioevo trasforma Roma, i suoi dei, la sua cultura in nuova mitologia sincretica, mista di elementi tradiziona- li e di apporti nuovi conferiti dalle differenti popolazioni d’Europa, attinti soprattutto alla nuova fede cristiana che diventa l’amalgama di germane- simo, usanze barbariche, romanità, orientalismi, ecc. Roma continuava ad avere un suo primato nell’immaginario o mondo incantato dei miti e delle leggende3, come l’aveva avuto in quello, storico, politico culturale e civile. Ricordiamo l’accorato rimpianto di Rutilio Namaziano Fecisti patriam diversis gentibus unam [...] Urbem fecisti quae prius orbis erat Nella cultura illuministica, tra Settecento e Ottocento, il mito di Roma si veste di forme neo classiche. Goethe, Winkelmann, e lord George Byron che 3 Cfr. F. Denis, Le monde enchanté,. Cosmographie et histoire naturelle fantastiques du Moyen Âge, richiamato da Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medio Evo, 2 voll., Loe- scher, Torino 1892-1893. Ma vedi, dello stesso, Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio evo, 2 voll., Loescher, Torino 1882. 31  ne fa la patria ideale delle genti Oh Rome! My country! City of the soul! The orphans of th heart must turne to thee, Lon mother of dead impires! Tale trasformazione della mitologia classica, porta con sé naturalmente un radicale cambiamento della maniera di concepire l’amore e di vivere l’e- ros. L’amore tra uomo e donna acquista differenti valenze e si prepara quella teorizzazione dell’amore tutto spirituale che verrà dommatizzato e praticato per tutto il Medioevo e, nella forma più angelicata e sublime, da Dante al Petrarca, ...quel dolce di Calliope labbro che amore nudo in Grecia e nudo in Roma, d’un velo candidissimo adornando, rendeva in grembo a Venere celeste. Dilagheranno per tutta Europa fenomeni di sessuofobia completamente ignoti alla società greca e latina, quale ad es. il fenomeno dell’ascetismo. Sorgerà la figura, del tutto nuova e inconcepibile per il mondo classico, dell’anacoreta e, d’altro canto, l’immagine del peccato prenderà aspetto dia- bolico orripilante, venendo a popolare tutta una nuova mitologia di presen- ze infernali che accompagnano e turbano la vita degli uomini del Medioevo. Molte e varie le rappresentazioni tipiche della diabolicità mostruosa, frutto, in particolare, del peccato di lussuria, quali il mosaico nel Battistero di Fi- renze, opera popolaresca di Coppo di Marcovaldo che tanto impressionò Dante fanciullo, il poema predantesco di Bonvesin della Riva, Il libro delle tre scritture o il De Babilonia di Giacomino da Verona e i vari “precursori” di Dante, fino alle allucinate raffigurazioni de il Giardino delle delizie di Bosch al Museo del Prado4. Ma che accadeva? Venere, scacciata, veniva ugualmente a tentare gli sciagurati che volevano sfuggirle, quali monaci ed asceti; e, come ci ricorda sempre Graf, «invadeva le loro celle ugualmente, immagine vagheggiata e detestata a un tempo». Siamo nell’epoca delle tentazioni. Ecco l’autorevolis- sima testimonianza di San Girolamo, il grande dottore della Chiesa, autore indiscutibile della Volgata, l’edizione ufficiale della Sacra Scrittura, in una sua lettera alla vergine Eustochia: 4 Si ricordi, P. Villari, Alcune leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia, «Annali delle Univ. Toscane», t. VIII, Pisa 1866, pp. 153 e sgg. Soprattutto, A. D’Ancona, I precursori di Dante, Sansoni, Firenze 1874, p. 52, in particolare. Per ulteriori e dettagliati riferimenti, cfr. il mio, I baratri della ragione. A. Graf e la cultura del secondo Ottocento, prefazione di E. Garin, Lacaita, Manduria 1986, pp. 228-248. 32  Oh quante volte, essendo io nel deserto, in quella vasta solitudine arsa dal sole, che porge ai monaci orrenda abitazione, immaginavo d’essere tra le de- lizie di Roma! Sedeva solo, piena l’anima d’amarezza, vestito di turpe sacco e fatto nelle carni simile a un Etiope. Non passava giorno, senza lagrime, senza gemiti e quando mi vinceva, mio malgrado, il sonno, m’era letto la nuda terra. [...] E quell’io, che per timor dell’inferno m’era dannato a tal vita e a non avere altra compagnia che di scorpioni e di fiere, spesso m’im- maginava d’essere in mezzo a schiere di fanciulle danzanti. Il mio volto era fatto pallido dai digiuni, ma nel frigido corpo l’anima ardeva di desideri e nell’uomo, quanto alla carne già morto, divampavano gli incendi della libidine5. E qui l’iconografia sacra ha lavorato sul santo, riempiendo di San Giro- lami, atteggiati in guise diverse, tele, altari, absidi, pale, trittici per tutto il medioevo e il Rinascimento. Da Dürer a Caravaggio, da Cima da Conegliano a Masolino, da Masaccio a Tiziano, dalle tentazioni di Giovanni Girolamo Savoldo al Perugino, fino alla compostezza gotico-geometrica di Antonello, ecc.Si assiste ad una evoluzione storica dell’eros, che si arricchisce, per così dire, dell’idea stessa del peccato. Simboleggiato dal frutto proibito, l’atto carnale tra Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre viene stigmatizzato come “peccato originale”, una sorta di marchio che da quel momento in poi mac- chierà ogni creatura. Homo vulneratus est naturaliter, sanziona definitiva- mente San Paolo! Anche se la dottrina della chiesa troverà il modo di recu- perare in positivo quella ferita, quella malattia costituzionale, con il concet- to dell’agape, nel quale l’eros si diluisce in amicizia includente la mediazione del Cristo. Ma la cosa più sorprendente è che Venere, simbolo dell’amore carnale, cantata da Lucrezio, poeta epicureo, come colei che presiede alla bellezza della fecondazione sia di piante che di animali, e perciò come voluttà d’uo- mini e di dei, subisce nel corso della storia differenti e impensabili metamor- fosi. Da un canto, come quasi tutte le divinità pagane, trapassa a popolare la mitologia cristiana di nuove figure positive e negative, arrivando a iden- tificarsi dapprima con il Demonio in persona, poi con la stella portatrice di luce, (Lucifero, angelo caduto e stella del mattino); infine, fattasi mite e mise- ricordiosa, gradualmente perdendo i suoi più accesi caratteri erotici di beltà voluttuosa, assurge addirittura al ruolo di Maria Vergine, concepita senza peccato, Madre di Gesù, figlio unigenito di Dio! Siamo di fronte a un feno- meno storico noto agli storici e agli antropologi come sincretismo religioso 5 Trad. fedele di Graf da S. Gerolamo, Epistolae, II, 22, 7, in Patrologia latina, a cura di J.-P. Migne, Parigi 1879-1970, vol. XXII, pp. 398-399. Cfr. A. Graf, Il Diavolo, cit., pp. 99-100. 33  per cui le divinità pagane continuano una loro vita, si direbbe più dimessa e quasi nascosta, nei pagi, nelle campagne tra la povera gente, trasformandosi, e sovente confondendosi, coi santi e le divinità della nuova religione cristia- na. Ne è un esempio la favola di Tanhäuser, il cavaliere francone di cui la dea Venere si innamora6. È nel mondo romano in sfacelo che gli dei di Roma si avviano alla loro metamorfosi (quello che non era accaduto agli dei ellenici). Da un canto si rintanano nei pagi, nei campi, tra la povera gente di campagna e ne conti- nuano a propiziare raccolti, a combattere carestie ad aiutare la gente misera nelle quotidiane disgrazie che affliggevano gli umili e gli indifesi; dall’altro lato, in questa storica trasformazione, raccolgono in loro tutto il male ese- crabile del mondo antico: il turpe, il diabolico, l’illecito, il peccaminoso del mondo romano di origine greca. Soprattutto l’osceno (ciò che è dietro alla scena e, pertanto, non è visibile) e il sensuale nei rapporti amorosi. Gli dei pagani si trasformano così in demoni. Si passa dalla celebrazione dell’amore fisico, cantato dai poeti, da Ovidio, Catullo (i neoteroi) a Tito Lucrezio Caro, che lo inserisce nel fluire e divenire dei fenomeni naturali, alla definitiva divaricazione della sessualità dall’amore spirituale, come aspetti di una pas- sionalità di differente e contrapposta natura. Si ricordi l’inno a Venere di Lucrezio: Aeneadum gentirix, hominum divomquae voluptas, Alma Venus, caeli subter labentia signa quae mare navigerum, quae terras frugiferentes, concelebras, per te quoniam genus omne animantum concipitur visitqae exortum lumina solis; Ma ecco come espone Arturo Graf, storico dei miti romani nel Medio- evo, la sottile trasformazione degli dei di Roma (quelli stessi che Virgilio, guida di Dante, aveva chiamati, falsi e bugiardi) in divinità o potenze demo- niache cristiane: I numi che avevano avuto altari e templi non muoiono, non dileguano, ma si trasformano in demoni, perdendo alcuni l’antica formosità seduttrice, ser- bando tutti la gravità antica, accrescendola. Giove, Giunone, Diana, Apollo, Mercurio, Nettuno, Vulcano, Cerbero e fauni e satiri sopravvivono al cul- to che loro era reso, ricompaiono fra le tenebre dell’inferno cristiano, in- gombrano di strani terrori le menti, provocano fantasie e leggende paurose. Diana, mutata in demonio meridiano, invaderà i disaccorti troppo obliosi di lor salute, e la notte, pei silenzi dei cieli stellati, si trarrà dietro a volo le 6 G. Paris, Legendes du Moyen Age, Hachette, Paris 1903, dove esamina la storia e la dif- fusione della leggenda (La légende de Tanuhäuser). Fonte delle varianti della stessa leggenda resta Guglielmo di Malmesbury (XII secolo). Vedi Graf, Il Diavolo, cit., pp. 143 e sgg. 34  squadre delle maliarde, istruite da lei. Venere sempre accesa d’amore, non meno bella demonio che dea, userà negli uomini l’arti antiche, inspirerà ardori inestinguibili, usurperà il letto alle spose, si trarrà fra le braccia, sot- terra, il cavaliere Tanhäuser, ebbro di desiderio, non più curante di Cristo, avido di dannazione7. 3. Scienza, filosofia e fantasia: il pensiero femminile e la ”teoria e pratica della dimenticanza”. Il rapporto latente tra il sapere e il credere Ogni proposta gnoseologica parte opportunamente da quelle ben note premesse che Galileo autorevolmente chiamava le “sensate esperienze”, an- che se le poneva in relazione con le “certe dimostrazioni”. Così, prudente- mente procedendo, ogni teoria della conoscenza, pur restando legata alla dimensione esperienziale, per così dire, non escludeva né poteva escludere l’elaborazione successiva di ipotesi con l’ausilio della fantasia, della fede, dell’intuizione oltre che della facoltà razionale con la quale da sempre la mente umana ha provato ad elaborare i portati sensoriali, di volta in volta vari e complicati. Proviamo a valutare, ad esempio, non le nostre idee, o i nostri elaborati razionali ma alcuni particolari sentimenti o pulsioni come l’amore, l’eroti- smo, o, addirittura, la poesia con cui ci accostiamo ad una persona o ad uno scenario naturale quale, che so? la volta celeste di kantiana memoria. Gli eroi greci per comprendere una verità nascosta, scendevano nell’Ade, entravano nel regno imperscrutabile delle ombre. Da altra prospettiva, sub specie feminae, da quel che oggi chiamiamo «pensiero femminile», ci viene incontro, spalancandoci una diversa rinnovata visuale, un modo solitamen- te desueto di scrutare l’imperscrutabile. Abbiamo davanti un continente dissepolto, il nostro Ade, tutto da esplorare. È così che – s’è detto e sostenuto da parte delle donne – «le poesie vivono delle voci narranti che, appassiona- tamente, riflettono su un passato da abbandonare»:8 Quel che sembrava finito Era nascosto entro i luoghi del cuore... Da tale prospettiva, in conclusione, «per giungere a tanto bisognava scen- dere all’Ade», come fa il viaggiatore Odisseo: «provare i dolori più cupi e le delusioni più cocenti a cui seguono le esperienze». S’entra così nell’universo del senso fantastico senza ripudiare la possibilità razionale di elaborare non 7 A. Graf, Il Diavolo, riedizione cit., pp. 52-53. 8 Utilizzo in questo paragrafo, frammettendone brani a mie riflessioni e commenti, il testo originale inedito, cortesemente messo a mia disposizione, dalla filosofa della mente G. Bussolati, Teoria e pratica della dimenticanza. 35  più ciò che è nei sensi ma quanto ribolle nella fantasia. Un esempio potrebbe fornircelo il Leopardi dell’infinito laddove dalla esperienza sensibile (la sie- pe, il vento, lo stormir delle foglie) che non si lascia elaborare razionalmente, sale, quasi spinozianamente, ad un sapere più complesso: una sorta d’amor dei intellectualis che s’apre al mistero sia della poesia che dell’amore... ...E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio e questa voce vo comparando e mi sovviene l’eterno e le morte stagioni e la presente e viva e il suon di lei.... E, ancora, entrando nel campo intricato del male di vivere, addirittu- ra nelle patologie del comportamento, delle ossessioni, delle schizofrenie, laddove ci siamo chiesti, con l’angoscia nel cuore, se questo è un uomo, pro- viamo a proporre la teoria e pratica della dimenticanza: l’obliviologia. È cer- to come un lavoro di scavo; ma non abbiamo da riportare al celeste raggio nessuna sepolta Pompei; non procediamo, in senso freudiano, a rimestare nella memoria, nel sogno, recuperando oggetti rimossi, tutt’altro. L’oggetto è diventato uno scheletro che va dimenticato, ritenuto per non posto: mai esistito. La dimenticanza è dapprima una sola pratica; quasi l’abitudine a dimenticare le chiavi di casa. Poi assurge a tecnica e, infine a teoria e pratica dell’oblio. Corre, in un certo senso, parallela alla terapia farmacologica del sonno, indotto da dosi opportune di psicofarmaci. Si tratta di togliere le fissazioni tramite la dimenticanza: di riportare il conosciuto agli elementi puri ma allo scopo di favorire un intervento di maggior forza ectoplasmica sugli oggetti e sugli eventi esterni, e per eliminare il noto processo di invec- chiamento e, infine, di morte mentale. Scendendo al piano sperimentale, abbiamo cancellato i sovraccarichi delle impressioni mnemonizzatrici e fatto sparire le figure retoriche fanta- smatiche, i “mostri” o “giganti” che si fissano e si ripetono continuamente, oberando la mente affralita. Dimenticare diventa così l’ausilio migliore del vivere senza alcun sforzo il presente. Non è la panacea, non si raggiunge il Nirvana; non si recuperano paradi- si perduti. Si vive riconquistando un più corretto rapporto col corpo, i sensi, la natura. La memoria deve servirci, non turbarci. Se è una soffitta ingombra rischia di confonderci nel suo disordine; dobbiamo far pulizia perché la vita va vissuta non sopportata E arriviamo infine a una considerazione alquanto complessa ma di facile comprensione. Quella stessa nostra propensione che chiamiamo fede altro non è, finanche nella sua forma più umile, che sempre e soltanto costruzio- 36  ne della ragione, in quanto ogni fede presuppone sempre un giudizio della ragione. Da tale considerazione deriva la plateale conseguenza che la fede non è altro, alla fin fine, che la nostra visione più o meno razionale della realtà; pertanto quella fede nel numinoso e nel fantastico che è la fede re- ligiosa dei fedeli e che alla nostra razionalità più sofisticata ripugna, è solo un puro e semplice equivoco, imposto dall’educazione, dalle convenzioni e mai può derivare dalla nostra libera scelta intelligente che in tal modo si contraddirebbe9. Credere, altro non è che atto razionale; in quanto, rigoro- samente, non c’è fede senza il sostegno della ragione. Ma, ci si chiede, fino a che punto? Il limite è il sano buon senso. Oltre c’è la follia e l’assurdo; ma follia, sempre ed esclusivamente della ragione stessa, unico vero soggetto di quanto chiamiamo fede! 4. Emarginazione femminile e non. La donna da oggetto a soggetto di pensiero Da differente angolatura l’oggetto del mistero che chiamano la verità, si svela gradatamente, di sotto il velame delli versi strani. Del resto, a ben pensare, quando penso, penso al maschile, ho sempre pensato al maschile. La storia, la civiltà tutta, occidentale e orientale, hanno pensato soltanto al maschile. Non solo: per secoli, il vero, il bene, il bello sono stati visti, si al maschile, ma ancora nella implicita insignificanza oltre che della donna, di altre figure sociali di grande rilevanza: del bambino, del disadattato o del diseredato o escluso dalla comunità, dell’alienato o del demente. Interi uni- versi come continenti inesplorati si sono schiusi appena abbiamo provato a visitarli. Erano emersi, nella dannazione dell’inferno dantesco, nei mosaici e negli affreschi allucinati di Coppo, nei battisteri, nelle chiese medioevali, nelle allucinazioni di raffiguratori fantasiosi fino al paradosso come in Bo- sch o in Goja, nei racconti favolosi delle mitiche origini di intere popolazio- 9 Cfr. P. Martinetti, Scritti di metafisica e di filosofia della religione, a cura di E. Agazzi, Ed. di Comunità, Milano 1976, vol. II, pp. 470-475, dove tra l’altro si legge: «Anche la filo- sofia è [...] sotto certi rispetti una fede; in quanto essa è uno sforzo verso l’unità sistematica che in ogni grado raggiunto si pone come una visione definitiva della realtà; ciò che non può fare che trasformandosi in una fede razionale; la fede nella dottrina kantiana. D’altra parte la fede comune non è assolutamente irrazionale; è una razionalità adatta alla mente comune, ma è una forma di razionalità; non v’è sistema di dogmi così assurdo che non tenti subito una razionalizzazione [...] Ogni esposizione d’un sistema di filosofia è, sotto questo riguardo, l’esposizione di una fede [...] Non ha quindi ragion d’essere la contrapposizione della ragione e della fede (come qualcosa di irrazionale): la fede è l’espressione stessa di una formazione razionale; ogni grado della vita razionale in quanto si esprime, si fissa e diventa una realtà operante, è una fede». Più analitica esposizione della questione si trova nel mio, Ateismo e filosofia. Considerazioni sull’ateismo latente nel pensiero moderno e contempora- neo e sul conflitto tra la fede e la ragione, «Il Cannocchiale», I (2011), pp. 32-34. 37  ni, tramandate oralmente nei miti e nelle leggende che correvano per l’Eu- ropa come fiumi carsici, uscendo di tanto in tanto al “celeste raggio”, dove l’oblio di secoli li aveva segregati....Soltanto oggi cominciamo a prenderne consapevolezza, filosofica e scientifica: scopriamo un nuovo continente spe- culativo, il pensiero al femminile come rinnovato modo di guardare la vita, la storia, la natura. Proviamo a riandare di qualche secolo addietro. Le cosiddette scienze umane ci si erano accostate per via di quel loro par- ticolare porsi dalla prospettiva del diverso, ma solo l’assurgere di quell’og- getto alla dignità di soggetto pensante e determinante trasforma del tutto la prospettiva. La partecipazione del femminile come quella del diverso, del disadattato alla ricerca della verità completa veramente il mondo storico della cultura portandolo al suo stadio più alto, fuori da ogni gilepposo pa- ternalismo o indulgente concessione caritatevole. Del tutto trascurati o stipati alla rinfusa nella soffitta anodina della eru- dizione, alcuni sprazzi di consapevole disponibilità al diverso erano emersi già nel passato, in ambito borghese progressista, presso spiriti particolar- mente sensibili. Ma restava un fatto isolato che non ha vissuto significanza o storicità. Sentite questa: siamo nel 1898: E dei disadattati all’ambiente non è giusto parlar con tanto disprezzo. Ol- trecché esercitano alcune funzioni non esercitate dagli altri, essi sono un lievito sociale utile e necessario; tengon viva nell’organismo collettivo un’inquietezza nemica delle stagnazioni prolungate, e non avvien mutazio- ne alla quale in qualche maniera non cooperino [...] che se i geni fossero pazzi davvero [...] bisognerebbe riconoscereche i più disadattati fra i disa- dattati, quali son per l’appunto i pazzi, resero alla misera umanità più di un buon servigio. Da altra banda è da considerare che un perfetto adattamento all’ambiente farebbe gli uomini supinamente contenti e tranquilli e porte- rebbe fine al moto della storia, per la ragione potentissima che chi sta bene non si muove. Lo direi il vademecum per l’onest’uomo del nostro tempo! Ma molto an- cora resta da fare: e questa è la vergogna del nostro tempo. La chiesa cat- tolica ad es., che ha chiesto, solo di recente, con un pontefice tormentato e disponibile al dialogo, perdono al mondo islamico, ha ancora da chiedere scusa alle donne, ai bambini, alle coppie di fatto, agli omosessuali, agli atei, agli agnostici, agli scienziati onesti e laici che dalle dottrine e dai dogmi della chiesa vengono quotidianamente offesi, respinti e vilipesi. 38  5. I libri proibiti e il rapporto sessuale come “peccato” contro il sesto precetto del Decalogo Tra i compiti primari che si assunsero al loro tempo gli apologisti catto- lici e i controversisti, figura subito in primo piano quello della lotta ai libri proibiti, che è come dire a tutta la prodizione libraria moderna. Prendo an- cora ad es. emblematico il santo teologo moralista e dottore autorevole della Chiesa: Alfonso de Liguori. Ne La vera sposa di Gesù Cristo10, a dimostrazio- ne di quanto possa essere pericolosa la lettura in genere, sconsiglia alle Mo- nache addirittura lo studio sia della Teologia Morale che di quella Mistica. Parimenti libri inutili ordinariamente sono, ed alle volte anche nocivi per le Religiose, i libri di Teologia Morale, poiché ivi facilmente possono inquie- tarsi con la coscienza oppure apprendere ciò che lor giova non sapere. An- che nociva può essere a taluna la lettura dei libri di Teologia Mistica, giacché può essere che ella si invogli dell’orazion soprannaturale, e così lascerà la via ordinaria della sua orazione solita, in meditare e fare affetti, e così resterà digiuna dell’una e dell’altra. Vige, come una sentenza inappellabile, il motto lapidario di San Paolo: Sapienza carnis inimica est Deo. L’amore del sapere viene paragonato ad un vizio, alla libidine sessuale: libido sciendi11. Circa i classici del pensiero che pur contengono delle verità, si domanda con San Girolamo: «Che bisogno hai di andar cercando un poco d’oro in mezzo a tanto fango, quando puoi leggere i libri devoti, dove troverai tutt’o- ro senza fango?». La lettura è importante, fondamentale anche alla via della salute, ma ha dei rigorosi limiti. Quanto è nociva la lettura de’libri cattivi, altrettanto è profittevole quella de’buoni [...]. Il primo autore de’libri devoti è lo Spirito di Dio; ma de’li- bri perniciosi l’autore n’è lo spirito del Demonio, il quale spesso usa l’arte con alcune persone di nascondere il veleno, che v’è in tali suoi libri, sotto il pretesto di apprendersi ivi il modo di ben parlare, e la scienza delle cose del mondo per ben governarsi, o almeno di passare il tempo senza tedio. Con determinate categorie di persone, l’esclusione si fa radicale. Alle suore scrive così: Ma che danno fanno i romanzi e le poesie profane, dove non sono parole 10 Cito dall’ed. Remondini, Bassano, del 1781, pp. 112-121. 11 Vedi l’uso di tale espressione nella denuncia controversistica cattolica (aristotelica) della filosofia cartesiana e moderna nel saggio di chi scrive, «Libido sciendi». Immagini dell’empietà nell’apologetica cattolica tra Sei e Settecento (Dal Magalotti al padre Valsecchi), «Giornale critico della filosofia italiana», III/1(2007), pp. 53-85. 39  immodeste? Che danno voi dite? Eccolo: ivi si accende la concupiscenza de’ sensi, si svegliano specialmente le passioni, e queste poi facilmente si gua- dagnano la volontà, o almeno la rendono così debole, che venendo appresso l’occasione di qualche affezione non pura verso qualche persona, il Demo- nio trova l’anima già disposta per farla precipitare12. Contro il risveglio delle passioni e contro “la concupiscenza dei sensi”, i controversisti scagliano i loro dardi infuocati e avviano le loro sottili disqui- zioni teologiche su quanto vada considerato peccato mortale. Ed è questo un fardello che la chiesa si porta dietro così come uno ster- corale si rotola la sua palla di escrementi. L’ossessione del sesso: la cura me- ticolosa con cui si prova da secoli a disciplinarlo, legittimarlo, canalizzarlo, evirandolo della sua essenza: la ricerca del piacere e costringendolo alla sola funzione riproduttiva. Ci serviremo non di un semplice scrittore di opere di pietà ma di un autorevole moralista della chiesa cattolica, santo per giunta, dottore della chiesa, uomo di grande pietà e d’erudizione: che Croce defini- va il più santo dei napoletani, il più napoletano dei santi. Ecco cosa scrive il nostro moralista sul sesto precetto del Decalogo e in che modo espone le sue precauzioni con cui anticipa una minuziosa tratta- zione di quanto potremo chiamare la fattispecie del peccato mortale. Il peccato contro questo precetto è la materia più ordinaria delle Confessio- ni, ed è quel vizio che riempie d’Anime l’Inferno; onde su questo precetto parleremo delle cose più minutamente; e le diremo in latino, affinché non si leggano facilmente da altri che dai confessori, o da quei sacerdoti che in- tendano abilitarsi a prendere la Confessione; e preghiamo costoro a non leg- gere né in questo né in altro libro di quella materia (che colla sola lezione o discorso infetta la mente) se non dopo tutti gli altri trattati e quando ormai sono prossimi ad amministrare il Sacramento della Penitenza13. Affronta perciò subito lo scabroso tema della fornicazione, e dei rapporti carnali con l’altro sesso con minuta casistica sessuofobica: de tactibus, de muliebre permittente se tangere, an puella oppressa teneatur clamare, an pos- sit unquam permittere sua violationem, de aspectis, de verbis, de audientibus verba turpie, ecc. Ma non manca di precisare: Ante omnia advertendum, quod in materia luxuriae (quidquid alii dicant de levi attrectatione manus foeminae, vel de in torsione digiti) non datur par- vitas materiae; ita uti omnis delectaio carnalis, cum plena advertentia, et consensu capta, mortale peccatum est. 12 La vera Sposa di G.C., 1760, pp. 113-121. 13 A. M. de Liguori, Istruzione e pratica per li Confessori, Giuseppe Di Domenico, Napo- li, MDCCLXV, I, p. 333 e sgg., anche per le citaz. successive. 40  Il pio moralista, scaltrito nella casistica giuridica, sa che bisogna scende- re nei minimi particolari per trovare la situazione peccaminosa: se grave o lieve o poco rilevante o, addirittura, del tutto inesistente; perciò distingue gli atti sessuali compiuti nel matrimonio o extra matrimonium. In situazio- ne extra coniugale, tutti i toccamenti, oscula et amplexus ob delectatione, mortale sunt. Vi sono numerosi casi dubbi da esplicitare: ne va di mezzo la salute delle anime, calate in situazioni mondane sempre diverse e comunque sempre a stretto contatto con le tentazioni della carne. Ad es., la donna o il fanciullo non peccano se si fanno toccare secondo la consueta pudicizia dettata dalla simpatia o dalla buona affettuosa disposizione; peccano invece se non si op- pongono a contatti impudichi, o a baci insistenti (morosis) e furtivi. E anco- ra: la fanciulla aggredita allo scopo di usarne violenza è tenuta a urlare ad se liberandam a turpitudine? Nel caso non invocasse aiuto con la dovuta forza e insistenza lo stupro si cambierebbe facilmente in consenso peccaminoso. Ma la questione resta controversa se debba ritenersi consenso il non aver gridato o invocato aiuto, secondo un’antica sentenza per la quale, praesume- batur puella non clamans consentiente (p. 335). Perviene infine a definizioni accurate degli atti turpi, differenziando quelli compiuti naturalmente da quelli innaturalmente. Ecco la definizione di fornicazione e di concubinaggio, quali peccati mortali: Fornicatio est coitus intersolutos ex mutuo consensu. Concubinatus autem non est aliud quam continuata fornicatio, habita uxorio modo in eadem vel alia domo; [e quella di stupro, come:] defloratio virginis ipsa invita, et ideo praeter fornicationis malitiam habet etiam injustitiae. Attraverso una minuziosa casistica quasi boccaccesca, buona – si direb- be - ad arricchire la documentazione erotica di un romanziere libertino, il moralista passa in rassegna le svariate forme di rapporti sessuali, da quelle legittime a quelle addirittura più strane e peregrine, come l’accoppiarsi in luogo sacro, quali una chiesa, il cimitero, l’oratorio, il monastero, ecc. Pone addirittura questioni dubbie sulle maniere e le condizioni in cui tale rap- porto potrebbe verificarsi. Pur ammettendosi il peccato, sorge la questio se si tratti o meno di sacrilegio. Ad es. «an copula maritalis, aut occulta abita in Ecclesia, sit sacrilegium?» Vi si potrebbero emanare tre sentenze differenti: una che ritiene irrilevante la condizione di coniugi, un’altra la situazione occulta (che l’abbiano fatto di nascosto) e una terza che ritiene essere sacri- lego l’atto in ogni caso. Addirittura se si tratta di marito e moglie, secondo alcuni teologi, l’atto consumato in chiesa potrebbe essere scusato, si ipsi sint in morali necessitate coeundi, puta si ipsi in pericolo continentitiae, vel si diu in Ecclesia permanere debeant. 41  Il lettore ne trae l’impressione che l’autore (più che dietro suggerimenti letterari coevi) vada ad estirpare direttamente dalla vita, dalle lussuriose esperienze dei peccatori, dalle situazione più impensabili, apprese nelle lun- ghe ore passate al confessionale ad ascoltare ed a sollecitare le confessioni più intime dei fedeli, tutte le forme, i modi che la secolare ricerca del piacere ha suggerito di epoca in epoca all’uomo, dalle più rozze e volgari maniere di accoppiamento fino alle più raffinate arti di amare e trarre godimento che proprio i libertini del secolo XVIII andavano perfezionando e praticando in forme sempre più sofisticate. La stessa lingua latina – ma qui dovrebbe- ro dirla i linguisti – si fa molto particolare fino all’uso di neologismi non presenti nei classici. Parlando della sodomia distingue quella propriamente detta da quella impropria ed eterosessuale Coitum viri in vase praepostero mulieris esse sodomiam imperfectam, specie distinctam a perfecta. Si quis autem se pollueret inter crura aut brachia mu- lieres, duo peccata diversa committeret, unum fornicationis inchoatae, alte- rum contra naturam. An pollutio in ore fit diverse speciei? Affirmant aliqui, vocantque hoc peccatum irrumantionem, dicentes quod sempre ac sit pollutio in alio vase quan naturali, speciem mutat. Sed probabilius sentiunt [...] quod si pollutio viri sit in ore maris est sodomia; si in ore feminae, sit fornicatio inchoata, et in super peccatum contra naturam ut mox diximus... Arriva addirittura ad ipotizzare il coito cum femina morta, che non rien- trerebbe nella fattispecie dei rapporti bestiali ma nella polluzione e in quella che Alfonso chiama fornicatio affectiva (p. 343). 6. Dalla sessuofobia all’erotismo peccaminoso: Cortigiane poetesse e libertini filosofi. L’Eros redento Prendiamo due secoli di storia molto emblematici: il Cinquecento e il Settecento. Dall’Italia delle corti signorili alla Francia della grande rivolu- zione. Due secoli in cui l’Eros vive una sua storia illustre, tra cortigiane raffinate poetesse e abati filosofi e libertini. A dirla franca alla sua maniera sull’eros e a dargli veste poetica disinibita, ci pensa subito Pietro Aretino: ma sempre da una angolatura tutta maschile. Nonostante si salvi la dignità della partner che qui giuoca un ruolo attivo di co-protagonista del rapporto amoroso, in cui l’atto sessuale si trasforma in una sticomitia drammatica non priva di poetica oscenità. Soltanto nel petrarcheggiare delle cortigiane, come la soave Veronica Franco che riceve sotto le sue lenzuola di tela d’O- landa finanche Enrico III di Valois, la donna trova finalmente il suo primo vero riscatto sul maschio, con un suo modo raffinato (di alto erotismo) di 42  pilotare la barca dell’Amorosa Dea; ad esse, tra principi, sovrani, alti prela- ti, pontefici gaudenti, spetta il compito di riscattare dall’eterna dannazione l’Eros e fargli recuperare il valore perduto col trionfo del Cristianesimo. Un recupero, tutto al femminile, del paradiso perduto. Così canta il suo ufficio amoroso, guidato da Apollo, la dolce Veronica. Febo che serve a l’ amorosa Dea E in dolce guiderdon da lei ottiene Quel che via più che l’esser Dio il bea, A rilevar nel mio pensier ne viene Quei modi che con lui Venere adopra Mentre in soavi abbracciamenti il tiene. Ond’io instrutta a questi so dar opra, Si ben nel letto, che d’Apollo all’Arte Questa ne va d’assai spazio di sopra E il mio cantar e ‘l mio scrivere in carte S’oblia in chi mi prova in quella guisa Ch’a suoi seguaci Venere comparte. Nel Settecento, cui ora vogliam far cenno, sia pur per sommi capi, le cose stavano in modo ben differente da come ce le hanno rappresentate quando a scuola ci hanno spiegato quel periodo. I libri del Marchese de Sade rap- presentano, ad es., una nuova filosofia morale e non sono la pura e semplice invenzione di tecniche erotiche pervertite, come comunemente si crede. I recenti studi hanno sfatato quella immagine del divin marchese. “La filo- sofia deve dire tutto”, egli ha affermato: tutto senza ipocrisie e fingimenti. Egli non fu né il primo né il solo a sostenere i diritti della carne, che grida la sua legittima soddisfazione contro le assurde costrizioni della cosiddetta civiltà. Il celeberrimo sadismo: ricerca del piacere attraverso il godimento per la sofferenza del partner, ha ben altre origini che le sole discendenze da Sade. Bisognerebbe intanto rifarsi alle meticolese ricerche di Jenny Skipp, dell’U- niv. di Leeds, che ha schedato tutti i testi erotici inglesi del ‘700 scoprendovi come l’uso educativo della frusta e le sculacciate a pelle nuda sui ragazzi, era praticato dai gesuiti in chiave educativa e correttiva, ma finiva per confinare molto spesso con l’erotismo portando addirittura all’orgasmo vero e pro- prio. Nacque un termine: “orbinolismo” che vuol dire “smania di frustare” (Cfr. Rodez, Memorie storiche sull’orbinolismo, 1760). Né si dimentichi, oltre la pratica, anche l’elogio cattolico, presso non solo l’ordine dei gesuiti ma anche di Scolopi e Salesiani, fatto in termini pedagogici della frusta e della sua frequente pratica a scopi educativi e correttivi: virga tua et baculus tuus salus mea fuerunt!.... A tali osservazioni sul costume del secolo va aggiunto che la proverbia- le sporcizia che caratterizzava il ménage domestico dell’epoca anche tra 43  le famiglie nobili e abbienti, non era poi così generalizzata. Soprattutto le donne avevano introdotto l’uso davvero innovativo dell’erotico bidet (che ha la forma di violino e, al tempo stesso, quella dei fianchi femminili) che permetteva loro di mantenere igiene e pulizia in quelle parti del corpo che ne avevano più bisogno. A tal proposito restano molto istruttive le pagine dei romanzi erotici e libertini, tra i quali spicca Restif de La Breton con il suo Anti Justine dove si nota l’uso frequente e generalizzato di tale strumento da toilette, prima e dopo gli incontri amorosi.. Perciò, una volta sfatata l’immagine stereotipata del Settecento illumi- nistico, astrattamente razionalista, irreligioso e dai costumi depravati, pro- viamo a riguardare sotto diversa luce e angolatura, libere da pregiudizi e remore moralistiche e confessionali, la letteratura erotica e d’amore di quel secolo che, oltre tutto, fu di Mozart, di Kant, di Bach, oltre che di Voltaire, di Rousseau e di Goethe e ci lasciò in eredità non soltanto la grande rivoluzione dell’89 ma anche quella che fu la più colossale e universale summa di sapere moderno: l’Enciclopedia, ovverosia dizionario ragionato di tutte le scienze, le arti e i mestieri contro la quale pullularono subito una serie di Anti-Enciclo- pedie anche da noi in Italia per porre un argine all’avanzata di quelle idee di libertà e di progresso civile. Il ricordare Leopardi è qui d’obbligo: Così ti spiacque il vero, dell’aspra sorte e del depresso loco che natura ci diè, per questo il tergo vigliaccamente rivolgesti al lume che il fe palese... Insomma lo zelo sessuofobico, la guerra dichiarata all’istinto sessuale porta il sacerdote, il ministro del culto cattolico, il confessore a scendere nei particolari della vita sessuale singola e della coppia, sia entro che fuori del matrimonio: a scoprire i più segreti momenti dell’intimità delle coppie fino a scrutare e distinguere, entro le fantasie erotiche più raffinate, i comporta- menti più o meno peccaminosi, cioè conformi a canoni tutti da verificare di volta in volta (casistica). Una sorta di filo invisibile lega pertanto il pio cen- sore al libertino e al peccatore o la peccatrice (lo denuncia la stessa corrente espressione possessiva: il” mio” confessore!) tanto da diventare complemen- tari, avvincersi in un legame indissolubile fino a non poter più fare a meno l’uno dell’altro14. Ma il legame tra religiosità e libertinismo, così come tra l’erotismo e la religione cattolica in particolare, si fa sempre più stretto fino a dipendere l’uno dall’altro: come, in regime capitalistico, domanda e offerta. Il cattoli- 14 Cfr., infine, “L’Asino” di Podrecca a Galantara e le critiche positivistiche e anticlericali alla morale alfonsiana, Feltrinelli, Milano 1970 (Reprint), pp. 78-79. 44  cesimo deve disciplinare a suo modo il sesso e, in genere, tutta l’attività e la fantasia umane; l’eros deve trovare entro una nuova coscienza storica la sua rinnovata voluttà. Ecco allora il piacere stesso trovar vie differenti rispetto al piacere degli antichi, allor quando quella ricerca non veniva combattuta, non era un tabù, anzi era apprezzata come uno dei più ambiti doni della na- tura. Vengono a far parte del piacere anche i marchingegni e i sotterfugi per eludere le prescrizioni correnti e i limiti che le norme religiose impongono dall’esterno. Finanche i pregiudizi - siano di ispirazione cattolica o meno - diventano materia di raffinato erotismo. L’esecrabile peccato della lussu- ria, prodotto tipico del Cristianesimo, diventa perciò stesso fonte di piacere (la Jouissance illuministica), proprio perché vietato e esecrato: soprattutto quando l’atto viene compiuto di nascosto, cogliendo quello che è diventato, dopo la mitica cacciata dal Paradiso terrestre, il frutto proibito, il godimen- to raggiunto di soppiatto e contro la legge o la morale corrente perciò più seducente e ricercato per la sua illegtittimità! La letteratura è piena zeppa di esempi e finisce per produrre un genere di scrittura narrativa particolare che chiamiamo “erotica” o “pornografica”: di libri che s’han «da leggere con una mano sola», un genere che non si spiegherebbe prima del cristianesimo e della dannazione dell’eros e del piacere e che va dai canti carnascialeschi al Decamerone, al Ruzante, all’Aretino, ai poeti dialettali: da Alvise Baffo, veneziano, al grandissimo Belli, romanesco, al dimenticato Domenico Tem- pio, siciliano (nato a Catania nel 1750) per arrivare alla letteratura erotica del romanzo libertino francese in cui confluiscono le innumerevoli forme e modi di estraniazione, di sogno, di fuga dalla realtà che delineano l’universo fantastico che sarà la base della letteratura romantica europea e soprattut- to del romanzo e della grande narrativa ottocentesca e contemporanea, da Balzac a Flaubert, a Hugo a Dumas, dal romanzo russo al nostro Manzoni, a Zola, a Verga alla miriade dei narratori dei nostri giorni15. In conclusio- ne, ma in una maniera tutta nuova, possiamo ritenere avesse davvero visto giusto il grande saggio napoletano Benedetto Croce, quando affermò che “non possiamo non dirci cristiani”: se persino l’erotismo è stato – malgré lui - influenzato e raffinato dal cristianesimo. Se ne stanno accorgendo anche in Francia dove nacque la letteratura libertina e la illuminata filosofia del piacere: dal materialista La Mettrie all’esecrato marchese De Sade16. 15 Emblematico, per quanto qui si va rilevando, il romanzo libertino, non ancora tradot- to, D.A.F. de SADE, Alina et Valcour, ovvero il romanzo filosofico (1788-1795). 16 Cfr., la Mostra: BNF, L’Enfer de la Biblioteque Nazionale. Eros au secret, Paris, 2 dic. 2007-22 mar. 2008. Ricco di 58 titoli, è venuto alla luce un significativo numero di opere e autori soltanto nel 1983 ad opera di specialisti che li vanno pubblicando e illustrando. In- tanto segnalo l’originale antologia da: J. O. de La Mettrie e D. Diderot, curata da P. Quintili, L’Arte di godere. Testi dei filosofi libertini del XVIII secolo, Manifestolibri, Roma 2006.Girolamo de Liguori. Liguori. Keyword: “Associazione Filosofica Ligure” – Keywords: implicature critica, ‘… is the true abyss of human reason” – “il baratro della ragione conversazionale” – l’anima distilata – il lambicco dell’anima”, redenzione dell’eros, la lussuria, la degenerazione, la metamorfosi dei linguaggi – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753408938/in/dateposted-public/

 

 

Grice e Lilla – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Francavilla Fontana). Filosofo. Grice: “I like Lilla; for one, he ‘revindicated,’ as he puts it, the philosophy of Vico, which, in Italy, is like at Oxford ‘revinidcare’ Locke!” Formatosi nelle scuole dei Padri Scolopi aderì alle idee cattolico liberali divulgate dai filosofi della prima metà dell'Ottocento: Gioberti, Minghetti, Balbo e Rosmini al quale dedicherà molteplici studi subendone una marcata influenza. Lascia Francavilla per l'ostentata contrarietà di tutto il clero  alle sue idee patriottiche d'ispirazione giobertiana, manifestate apertamente nel "Programma d'insegnamento filosofico" pubblicato sul giornale il "Cittadino leccese", decise di trasferirsi a Napoli ove ebbe modo di confrontarsi con le idee di Sanctis, Spaventa, Settembrini, Tari e Vera. Si laurea e insegna a Napoli. Durante questi anni videro la luce "La provvidenza e la libertà considerate nella civiltà", "Dio e il mondo", e "La personalità originaria e la personalità derivata" (Nappoli, Tip. Rocco), nei quali getta le premesse degli studi filosofici e giuridici in cui si cimenterà per tutta la vita: la storia della filosofia, la filosofia teoretica e la filosofia del diritto; sviluppando altresì e precorrendo una moderna concezione del rapporto tra "diritti umani e progresso scientifico" sin da “La scienza e la vita” (Torino, Tip. G. Borgarelli) -- titolo paradigmatico del suo saggio – cf. Grice, “Philosophical biology,” “Philosophy of Life” Insegna a Messina. Furono quelli gli anni più fecondi della produzione scientifica volta a perfezionare la sua concezione dello Stato, approfondire le fonti rosminiane, confrontarsi con le teorie evoluzionistiche di Spencer e contemporaneamente intrattenere contatti epistolari con alcuni fra i maggiori filosofi, giuristi, patrioti e storici dell'epoca quali:  Jhering, Bluntschli, Roy, Tommaseo, Capponi e molti altri. Saggi: “Kant e Rosmini” (Borgarelli, Torino); “Aquino” (Torino, Borgarelli); “Filosofia del diritto,”“Critica della dottrina utilitarista liberale empirica etico-giuridica di Mill”“Le supreme dottrine filosofiche e giuridiche di Vico ri-vendicate” -- “La pretesa persona giuridica e le funzioni personali degl’enti morali” (L. Gargiulo); “Della Riforma civile di Spedalieri” (Messina, Amico); “Le fonti del sistema filosofico di Serbati-Rosmini” (L.F. Cogliati); “Due meravigliose scoperte di Rosmin-Serbatii: l'essere possibile e l'unità della storia dei sistemi ideologici, L.F. Cogliati, Il Canonico Annibale Maria Di Francia e la sua Pia Opera di beneficenza, Messina, San Giuseppe, Manuale di filosofia del diritto, Milano, Società editrice , Pagine estratte. G.  Martucci, Il concetto dello stato  Antonio Tarantino, Diritti umani e progresso scientifico: Polacco, La "Filosofia del diritto” (G.B. Randi); “Filosofia” (Milano, Giuffré); Tarantino, “La filosofia della giustizia sociale, Milano” (Giuffré) – cfr. H. P. Grice, “Social justice” in “The H. P. Grice Papers,” Bancroft, MS. In occasione del conferimento della "Cittadinanza onoraria (di Messina) alla memoria, su nettuno press.Tarantino, Diritti umani e progresso scientifico: emeroteca.provincia.brindisi. Martucci,Il concetto dello stato, su emeroteca.provincia.brindisi.  Treccani, su treccani. Lettere a Jhering.  UN FRAMMENTO INEDITO di G. B. VICO non accordabile col supremo principio della Scienza Nuova Ilmiolavoro G.B.Vicorivendicato»meritòl'onoredi essere preso in considerazione dai due più competenti degli stu dii vichiani, ed al giudizio dei competenti bisogna dare gran peso, perchè effetto di conoscenza bene approfondita sopra un determinato autore, specialmente se si mira ricostruire la mente di G. B. Vico.Questi scrittori sono Luigi Ferri (1)e Vito Fornari i quali si trovarono in pienissimo accordo, tanto da far supporro che fosse effetto di un concetto prestabilito.L'accordo fu pie nissimo nella prima parte del lavoro di carattere puramente critico e riconobbero che la rivendicazione delle dottrine filoso fiche e giuridiche da tutte le fallaci interpetrazioni fatte in Europa Rivista Italiana di Filosofia; anno XII, Vol. 2.  (1) « Quando gli opuscoli hanno un valore così notevole come quello qui sopra indicato del prof. Lilla , è giusto segnalarli all'attenzione degli studiosi piuttosto che i volumi di gran molo o di poca sostanza. Questo lavoro dice molto in poche pagine e il suo intento è questo: rivedere i giu dizi che sulle dottrine del Vico sono stati portati in Italia , in Germania e in Francia particolarmente, ricostruire dietro indagino esatta il concetto di questa dottrina e questo intento ci pare raggiunto. Il Vico non è sem plicemente un ontologista platonico, come parrebbe dal giudizio del Gio berti,nè un razionalista kantiano,o piuttosto un precursoredelKant ,co mesembravaaBertrando Spaventa,nèunpositivistacomo furappresentatoda altri.Questi apprezzamentirisultaronodall'interpetrazioneparzialeesoggetti va di qualche parte dei pensieri filosofici del Vico che nelle sue opero non sono esposti in ordine sistematico , e che l'autore di questo lavoro con grande dili genza raccoglie e combina riferendo le formole e le parole proprie dell'autore della scienza nuova sparse nei moltiplici suoi scritti. »   era esauriente e condotta con criterii elevati. La mia interpe trazione sulla vera mente di G. B. Vico (1)fu riconosciuta vera ed adeguata tanto che il Fornarì mostrò vivissimo desiderio di veder fecondare quelle supreme linee con svolgimenti ed appli cazioni. Dominato da tale pensiero concepii il disegno di scrivere un lavoro di lena, mirante ad un triplice scopo di rivendicare, illustrare, ed integrare la mente dell'autore della « Scienza Nuova» Atalescopoindirizzaituttelemiericercheattingendo sempre maggiori lumi dalle sue opere edite ed inedito e fin anche dai manoscritti che si conservano gelosamente nella bi· blioteca Nazionale di Napoli. I grandi genii, e segnatamente il Vico che, come non ha guari, fu appellato da un poderoso intelletto di una delle più famose Università il più grande filosofo del mondo, muovono da una idea madre fecondissima ed alla quale rannodava tutte le idee secondarie e particolari. Uvità ed armonia cioè perfetto organismo è la nota caratteristica del lavoro dei sommi.Ed io vado riunendo non poche idee per ricostruire su solide basi quest'opera di architettura gigante e le mie indagini non ric scono infruttuose, e ne è prova evidentissima questo frammento inedito dal titolo « Pratica della Scienza nuova . » Non poche censure mosse la turba dei filosofanti al Vico perchè s'ispirava a concezioni idealistiche negligentando la pra tica della vita. Tale critica presenta apparenze di verità tanto che il Vico stesso no rimase impressionato,ma raffrontando dot t r i n e a d o t t r i n e si c o g l i e il g e n u i n o e l o r o v e r o s i g n i f i c a t o . L a g r a n d o idealitàdiquestamassima «lastoriaidealeeternadellenazioni» (1) « Il Lilla ha liberato la dottrina del Vico da tutte le fallaci inter petrazioni. La sua dottrina che mi pare giusta, merita di essere più larga mente svolta. » Nel volume delle Onoranze; pag. 29.  -4   è una vera esagerazione , e chi si addentra nella parte riposta del sistema Vichiano si accorgerà che non si possa ascrivere ad essa une perfetta interpetrazione astratta e specialmente raffrottandola colla psicologia sociale che sta a base del processo del filosofo napoletano. Bisogna por mente innanzi tutto alle tre fasi che percorre l'umanità nella sua storica evoluzione; età del senso, della fantasia, e della ragiono. E molto più alla dottrina del corso e ricorso delle nazioni, cioè al loro periodo d'infanzia, di giovinezza e di vecchiaia. Valga ciò a smentire l'assoluto idealismo del Vico ilquale è puramente immaginario. Tutta la seconda Scienza nuova è derivata dalla psicologia sociale evoli tiva e tutti i diritti, i costumi, le religioni, le costituzioni p o litichedeglistatisonoemanazionidiquesto principio.Nelprimo stadio tutto è divino, gli uomini inselvatichiti hanno un diritto divino,tuttoprocededagliDei;ilGoverno teocraticorappresen ato dagli oracoli, la lingua divina per atti muti di religiose cerimonie. In Giove e Giunone si personifica ciò che si riferisce agli auspicii ed alle nozzo: laGiurisprudenza è scienza d'inten d e r e i m i s t e r i d e l l a d i v i n a z i o n e ; il g i u d i z i o d i v i n o , c i o è c h e n e i templi divini,tutte le azioni sovo invocazioni agli Dei :ogni dritto è divino,ogni pena è sacrificio, ogni guerra assume carat tere religioso ed ha giudici gli Dei : od il giudizio di Dio si riduce a duello ed alle rappressaglie : tali categorie sono sim boleggiate dal lituo, dall'acqua e fuoco sopra un altare. Seguo poi un ordine di fatti eroici da cui deriva la natura eroica, o dei nati sotto gli auspicii di Giove, il costumo eroico como quello di Achille, il governo civico o aristocratico o dei for tissimi, la lingua eroica o delle armi gentilizie o stemmi.I ca ratteri eroici come Achille ed Ulisse, che personificano tutte le grandezze e i savii consigli. La giurisprudenza eroica, che stà nella solennità delle formule della legge, la ragione di stato  -5   conosciuta dai pochi provetti del governo , il giudizio eroico che consiste nell'esatta osservanza delle formule e precipua mente deriva il feudo dalla proprietà dei forti. Infine c'è un or dine di fatti umani, cui corrisponde la natura umana intelligente e perciò benigna,modesta, che riconosce per legge lacoscienza, la ragione, il dovere, e poi il costume officiale, indi il diritto umano fondato dalla ragione, il governo umano dettato dalla ragione,lalingua umana, Abbiamo motivo di credere che il Vico impressionato dalle obiezioni dei contemporanei vollo dichiarare il supremo princi pio della Scienza Nuova , cioè la storia eterna ed ideale delle nazioni con questo frammento e senza addarsene disconobbe l'efficacia positiva della Scienza nuova. Egli dotato di mente speculativa, pratica e progressiva, non si poteva mai acconciare a vivere di formule astratte e di  umana , il parlare articolato , i caratteri in telligibili, che la mente umana rivelò dai generi fantastici se parando le forme e le proprietà dai subietti. La giurisprudenza umana che mira non al certo, ma alvero delle leggi. L'auto rità umuna che nasce dalla rinomanza di persone capaci e sa pienti nelle agibili ed intelligibili cose , la ragione umana 0 ragione naturale che divide a tutte le uguali utilità. Il giu dizio umano velato di pudore naturale e mallevadore della buona •fode che ai fatti applica benignamente le leggi temperandone ilrigore.E questifattihannoancheilorosimbolinellabilanciache rappresenta le qualità civili nelle repubbliche popolari, perchè la natura ragionevole è uguale in tutti gli uomini. Questi tre ordinidifatti riposanointreprincipii, chesono:iltimore, l'amore , il dolore, simboleggiati dallo altare, dalla pace e dal l'urnacineraria,ecosì sifondarono loreligioni, imatrimoni e l'immortalità dell'anima.In questiconcetti siriassume tutta la seconda Scienza nuova. 1 -6 )   (1) Rispettaro tutto quanto i nostri maggiori operarono di grande è la disposizione più favorevole a quest'opera di conciliazione, ma perchè il ri spettonon portiadelleideeesclusiveenonsoffochilalibertàdeinostri giudizi verso lo scopo ultimo della scienza, avvicinata a questo scopo la pro duzione più perfetta dell'uomo , ci rivela la sua imperfezione , in questo modo èriconosciutalanecessitàdell'Ideale,perchè fossecriticatoemiglio rato il presente. Nello spirito del Diritto Romano.  -7 puri concetti metafisici, poichè il processo inquisitivo che egli seguiva aveva un fondamento storico e dava origine ad un temperato e ragionevole positivismo, pel quale non si poteva disgiungere la scienza dalla vita.Egli ben vedeva che la scienza fuori la vita era una vana supellettile intellettuale ,> un giuoco dialettico del pensiero e non punto proficua al beninteso pro gresso delle nazioni. Esiste un ideale di perfettibilità , supe riore , ma non indipendente dalla vita , verità questa intuita dall'antesignano della scuola storica tedesca,da Savignys,ilquale era ammiratore passionato delle istituzioni giuridiche romane nelle quali vedeva la più alta manifestazione del progresso giu ridico. Ma fatto maturo di anni e di senno confessò apertamente che per quanto possono sembrare perfette le istituzioni romane, pure comparate all'idealità mostrano la loro incompiutezza.(1) IlVico gittò le basi di una vasta costruzione scientifica fondata nel processostorico– filosofico.E dàbiasimoaldivorziofraquesti due processi metodici, in questa memoranda sentenza « Pecca rono per metà i filosofi perchè non accertarono le loro idee coll’autorità dei filogici; peccarono per metà i filologi perchè non inverarono la propria conoscenza coll'autorità dei filosofi». La storia ci rivela il certo, l'origine, le fasi o gl'incrementi degl'istituti politici, sociali giuridici, e la filosofia rivela l'ele mento razionale e addita le perfezioni ideali, cui si possono inalzare;veritáquestaintuitadaBaconedaVerulamin «Ifilosofi, >   dic'egli, scoprono molte cose belle a contemplarsi, ma impossi bile ad essere attuate, ed i giuristi ragionanı) come prigionieri nelle catene » (1) Alla mente del Vico si affacciò, un dubbio che poteva presentare questo supremo principio della scienza studiossi ripararvi con questo frammento inedito. « Tutla quesť opera è stata ragionata come una scienza puramente spe culativa intorno alla comune natura dello nazioni:peròsembra per quest'istesso mancare di soccorrere alla prudenza umana, ond'ella si adoperi perchè le nazioni, le quali vanno a cadere o non ruinino affatto , o non s'affrettino alla loro ruina ed in conseguenza mancare nella pratica , qual dev'essere di tutte le scienze , che si ravvalgono d'intorno a materie , le quali dipendano dall'umano arbitrio , che tutte si chiamano at tive. > Anche nella coscienza dei grandi vi sono delle oscil lazioni sulle loro concezioni. Il Vico nel fram . citato , dice che la scienza pratica non si possa dare dai filosofi, ma i filo sofi civili e i reggitori degli Stati possono creare costituzioni politiche e leggi, e richiamare le nazioni al loro stato di perfe zione.Nientedipiùvero:lenazionietuttoilmondo moralo creato dall'arbitrio umano non può ridursi a categorie logiche, non può essere sottoposto alla legge ferrea della necessità, e quindi la scienza puramente contemplativa o ideale non può contenere nella sua orbita le leggi relative dei fatti umani. Se quest'ordine è indipendente dalla necessità logica, può essere (1) Qui do legibus scripserunt, omnes vel tanquam Philosophi, vel tan quam Jureconsulti, argumentum illud tractaverunt. Atque Philosophi pro. ponunt multa dictu pulcra , sed ab uso remoto. Jureconsulti autem ,suae quisque patria legum , vel etiam Romanorum , aut Pontificiarum placctis abnoxüetaddicti,judiciosincerononutuntur,sedtanquam evincolis sermocinantur. Tractatus de dignite et augmentis scientiarum ; VIII,  # -8- nuova, 7 > 7   9 solo regolato o disciplinato dalle scienze pratiche ed attive e non dall'ordine puramente scientifico. Nel capitolo VIII della seconda Scienza nuova pare che il Vico incorra in un'incoe renza, in quanto si propone di trattare di una storia eterna sulla quale corre di tempo la storia di tutte le nazioni con certo originiecerteperpetuità,e poidico chelescienze pratiche possonoregolarelavita.Ma comesipuòparlared'unastoriaeterna, sulla quale sono modellate le storie di tutte le nazioni se il mondo morale, con tutti i suoi fattori , procede dall'arbitrio umano ? Questo ardito disegno del Filosofo Napoletano racchiude un pen siero riposto. Questa Storia eterna delle nazioni, modellatrice, esemplatrice di tutte le storie delle nazioni è uno dei più grandi problemi della Scienza Nuova, che è assai bisognoso di com menti illustrativi ed esplicativi. In questo capitolo si nasconde una speculazione alta, e, dirò meglio, vertiginosa. Qui il Vico si rivela come idealista , o meglio tale appare , poichè nello stabilire un ideale comune a tutte le nazioni pare che proceda con un metodo astratto e formale, cioè como un ideale fanta stico di pura creazione del cervello. Parvenza vana inganna trice! Ad un pensatore meditativo apparisce,com'è infatti, una dottrina a fondo realistico ; essa non è generata ma è ricavata da uno studio coscienzioso ed accurato dei fatti. Il diritto naturale delle genti è reale quanto la natura umana, ed è la fonte di questa dottrina. Secondo la mente del Vico non si potrà revocare in dubbio l'esistenza d'un dritto naturale, comune a tutti i popoli. Cotal diritto,comune a tutte le nazioni, ricavasi dalla psicologia sociale , la quale ci attesta la natura comune sociale dei popoli.  Questo argomento comparativo trova la sua conferma nel fatto irrecusabile che questo diritto comune,patrimonio di tutto lç genti, non poteva essere stato trasferito o comunicato da p o   polo a popolo, perchè fra loro non vi era,nè era possibile nes suna comunanza di relazione.(1)Ponendo mente all'esistenza di un diritto naturale identico a tutti, o perciò universale e necessa rio,non si può negare un sicuro fondamento all'esistenza d'una sto ria eterna nella quale corrono di tempo in tempo le storie di tutte le nazioni. Il diritto é uno, come uno è il tipo umano. Nella varietà dei costumi dei popoli vi è qualche cosa che non va ria nè si trasforma : dunque uno è il diritto, ed una è la storia ideale delle nazioni , la quale è fondata sull'unità del diritto. Dunque dalla medesimezza del costume, sigenera ildirittona turale,e da ciò nasce ildisegno di una storia eterna delle na zioni Concetto ardito e profondo, poichè in tanto è possibile una storia eterna ed ideale, in quanto vi è un tipo unico nel di ritto e nel costume. I grandi genii hanno il presentimento di certe verità che poscia approfondite dalle venture generazioni acquistano piena coscienza. Questa divinazione del Vico oggi è rifermata dalla analisi comparativa degli istituti giuridici e politici , e questa scienza divinata dal Vico è una delle più belle glorie dei nostri tempi, a cui un forte ingegno siciliano addisse il suo ingegno e ne abbozzò il primo disegno. E qui si adombrano le prime lince di un metodo armonico fra il vero e il fatto, fra la Filosofia e la Storia La Storia dei costumi deve emanare da due cause coefficienti:dall'ordine reale e dell'ordine ideale,e così si avvera ilgran principio del Vico che « verum et factum recipro cantur » Ma l'ordine ideale per non essere una chimera deve (1) Ideo uniformi nate appo interi popoli fra essi loro non conosciuti, debbono avere un motivo comune di vero. Scienza nuova,libro I. Dignitá XIII.  10   avere un'origine per quanto rimota,ma sempre realistica, non è fantasmagorico, ma ricavato,o meglio osservato nell'elemento comune che presenta il costume dei popoli,e perciò non è in fecondo e sterile,ma proficuo alla vita. (1)Questo branoètoltodalcapitolo * Incoerenze di Giambattista Vico > del mio lavoro inedito: La mente del Vico rivendicata, illustrata e inte grata.  A riassumere la dottrina giuridica di G. B. Vico  è indispensabile determinare i principi fondamentali  dell» scuola storico-filosofica da Ini splendidamente  rappresentata.   La Scienza Nuova è lu riprova più sicura della  «lenominazione apposta ; iu quel lavoro di archi¬  tettura gigante si vede adombrato il disegno del¬  l’armonia fra i principii razionali e il fatto sto¬  rico.   La psicologia sociale è il substratum delle leggi,  delle religioni, delle lingue e di tutti gli altri ele¬  menti della civiltà. In quella filosofia della storia  contenuta in germe la filosofia del diritto positivo,  perchè le costituzioni civili, sociali e politiche sono  conseguenza necessaria della vita, della cultura e  dei costumi delle varie nazioni.   Egli divide in tre grandi periodi la storia civile  delle nazioni, cioè l’età del senso, della fantasia e  •Iella ragione, e tutti i fattori deH’incivilimeiito, dalla  religione alla lingua, da questa alla giurisprudenza  c infine alla politica rispecchiano fedelmente le im¬  magini e i caratteri di quei tre grandi avvenimenti  '‘tarici. Anche nell’opera, De universi iurte et prtn-  ùfno et fine uno le ricerche del diritto filosofico som»  accompagnate dall’indagine storica e innumerevoli     fi 2    TEORICA DI VICO    applicazioni fa al diritto romano, da cui poi si eleva  ai supremi principii giuridici.   Questo sapiente indirizzo trova la ragion di es¬  sere in quel supremo pronunziato del «de antiquis¬  sima Italorum sapientia » che « verum et factum re-  eiprocantur ». Il fatto adunque deve procedere di  conserva col vero, altrimenti si cade o nel forma¬  lismo astratto o nell’imperiamo gretto.   2. E con questo criterio il Vico dà biasimo ai filosofi  ed ai filologi; mancarono per metà i filosofi perché  non accertarono le loro idee con l’autorità dei fi¬  lologi, e mancarono per meta i filologi perchè non  avverarono le loro idee con l’autorità dei filosofi.  Il vero e il fatto sono due termini convertibili, e,  perchè convertibili, l’indagine storica trova la sua  vera integrazione nei principii di ragione, e questi  hanno il loro fondamento nell’ordine dei fatti bene  accertati.   Storia e Ragione sono adunque i due fattori del  diritto filosofico^ e, quando si scinde il fatto dal vero,  si avrà del diritto un’idea esclusiva, incompiuta, o  fallace.   3. Il diritto, secondo il Vico, è un’idea umana, vale  a dire un principio ideale e storico, o meglio un  principio ideale che si attua nella storia; e tanto  è vero ciò che mette radice nell’ordine eterno del¬  l’eterna ragione o dell’eterna volontà in quanto  prescrive alia volontà umana Vaequo bono.   Secondo questa dottrina il diritto deriva da due  cause coefficienti, cioè : l’utile e l’eterna ragione ;  l’una dà la forma e l’altra la materia: «Utilità»  fiiit occasio iuris, honestas causa». Tutto ciò ri¬  sponde esattamente allo spirito del sistema vichiano;  infatti la plebe, insorgendo contro il patriziato, con¬  quistava i propri diritti, eppure era mossa dalla   DigitizedbyGoOgle     TEORICA DI VICO    63    molla dell’interesse ; sicché il progresso morale e  civile delle nazioni era occasionato dalle passioni,  «lagli interessi, i quali contribuivano a far ricono¬  scere i principii razionali: « Quao vis veri sen liu-  mann ratio virtus est quantuin cum cupiditate pu-  gnat. Quantum utilitates diligit et exquat, quao  nnum universi iuris principium unusque iincs » (1).   L’utile non è per sè stesso né onesto nè turpe, ma  pnò divenire l’uno o l’altro quando è o confonne  o disforme alla giustizia.   Ecco dunque come il diritto ha l’anima e il corpo,  la materia e la forma, ed lia un contenuto etico, che  « applica nell’utile.   4. E da ciò segue la definizione del diritto:  < Igitur iu8 est in natura utile a eterno, coni-  incusu acquale » (2). I punti salienti nei quali si rias  mine la teorica del Vico sono i seguenti : l’inda¬  gine storica, base della ricerca razionale; conver¬  tibilità. del vero col fatto ; insidenza del diritto nel  bene, incarnata nella formula dell’equo buono : ine¬  renza dell’equo buono nell’ordine eterno; futilità  in quanto è regolata dalla ria veri; l’utile è materia;  e la ragione forma del diritto.Vincenzo Lilla. Lilla. Keywords: implicature, Vico, Vico ri-vendicato, Vico ri-vendicate, Luigi Speranza, “Grice e Lilla: la semiotica di Vico” – The Swimming-Pool Library. “Il Vico di Lilla” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690083954/in/photolist-2mPTxJB-2mKFc73/

 

Grice e Limone – simbolica del potere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Atella di Napoli). Grice: “I like Limone; like me, he has explored the idea of value in terms of catastrophe – I didn’t. He has explored the poetics of philosophy – and he has investigated on a concept that Strawson and I always found fascinating, that of a person!” -- “Che cosa è, nel mondo umano, la persona?” “Tutto.” “Che cosa è, nel mondo contemporaneo, la persona?”” Nulla.” Persona e memoria, Rubbettino. La sua ricerca filosofica si inserisce nel solco del personalismo comunitario. Si laurea a Napoli e il  Roma. Studia a Parigi e a Châtenay-Malabry, sede dell'Association des amis d'Emmanuel Mounier, presso la Comunità dei muri bianchi, cui appartenevano Fraisse, Ricœur, Mounier, Domenach. Insegna a Napoli. I suoi interessi di ricerca abbracciano aspetti epistemologici, etici, filosofico-pratici e simbolici. Al centro della sua attenzione teoretica è “la persona”. Fondato la rivista "Persona” e "Symbolicum" sulla simbolica. Sonda in profondità l’idea di persona. Là dove la persona non è né la semplice nobilitazione dell’essere umano in generale, né una singola unità seriale. Della persona si può dare idea, non “concetto”, perché l’idea è aperta come la vita, mentre il concetto è chiuso. L’idea di persona, però, non è l’idea di un quid ma di un “quis” perché la persona è un “chi” non un “che” – That’s why it’s very wrong to call “the chair is red” as third-person seeing that the chair is hardly a person!” è l’idea di un’essenza che non può essere separata dalla concreta singola esistenza, originalissima e dotata di dignità. In quanto idea di un “quis”, la persona si presenta come l’altro versante del teorema d’incompletezza di Gödel. Il significato della persona si delinea all’interno di una costellazione in cui essa: -è realtà singolare e la sua idea; -è prospettiva ontologica sussistente e la sua verità; -è la parte di un tutto che solo parzialmente è parte, perché per altro verso si presenta come un tutto, in quanto è irriducibile al tutto e indivisibile in sé; -è l’eccezione istituente una regola che riesce, e non riesce, a farsene istituire; -è l’idea di qualcosa che resiste alla possibilità di essere ricondotto a un’idea; -è l’idea di un appartenere che resiste all’idea di appartenere. L’essere della persona richiama, a suo modo, il problema delle antinomie di Russell. Un tale arcipelago di paradossi costituisce, però, una forza virtuosa che interroga ogni sistema. La persona si configura come invenzione teorica, paradosso logico e misura epistemologica, e rappresenta il punto strutturale di base che istituisce la visione del gius-personalismo. Opere: “Tempo della persona e sapienza del possibile: Valori, politica, diritto (ESI, Napoli); “Tempo della persona e sapienza del possibile: Per una teoretica, una critica e una metaforica del personalismo (ESI, Napoli); La catastrofe come orizzonte del valore, Monduzzi, Milano. Bellezza e persona, su “Aisthema” “La macchina delle regole, la verità della vita. Appunti sul fondamentalismo macchinico nell’era contemporanea, in La macchina delle regole, la verità della vita (Angeli, Milano); Che cos’è il gius-personalismo? Il diritto di esistere come fondamento dell’esistere del diritto, Monduzzi, Milano. Ars boni et aequi. Ovvero i paralipòmeni della scienza giuridica. Il diritto fra scienza, arte, equità e tecnica (Angeli, Milano), Filosofia e poesia come passioni dell’anima civile. La persona fra potere e memoria in Persona, Artetetra, Capua. Persona e memoria – cf. Grice, “Personal identity” -- “Oltre la maschera” il compito del pensare come diritto alla filosofia, Rubbettino, Soveria Mannelli. Poesia Polifonia d’un vento (Salerno-Roma). Dentro il tempo del sole (Salerno-Roma). Ore d’acqua (Salerno-Roma). Incontrando il possibile re (Salerno-Roma). “Notte di fine millennio” (Bari). Fenicia, sogno di una stella a nord-ovest (Roma). L'angelo sulle città, in onore del figlio (Roma ). Le ceneri di Pasolini (Pasturana, Alessandria). Aforismi di un impiccato felice (Salerno). Aforismi del passato duemila: distruzioni per l'uso (Salerno). Ossi di limone. Aforismi di uno scostumato (Vatolla). Sierra Limone. Dai taccuini fenici di Er Limonèro (Vatolla). NV. Melchiorre, Essere persona, Fondazione A. e G. Boroli, Milano Fondazione roberto farina. Giuseppe Limone. Limone. Keywords: simbolo, simbolismo, la dimensione del simbolo,  ventennio, fascismo, simbolica del potere, mistica fascista, damnatio memoriae, la composita, la simbolica, simbolo, composito. Strawson, “The concept of a person” – Ayer: “The concept of a person” – Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Limone: la composita” --.  Luigi Speranza, “Grice e Limone: umano e persona” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752294527/in/dateposted-public/

 

Grice e Lodovici – la virtù – verso la meta – la meta è l’origine -- filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Messina). Filosofo. – Grice: “I like Emanuele Samek Lodovici – very Italian – his metamorfosi della gnosi is good!” -- samek lodovici -- one of the two. Emanuele Samek Lodovici  Il suo pensiero d'impronta metafisica si oppone al materialismo e al riduzionismo. Esperto della filosofia di Plotino, Sant'Agostino e Marx, si occupa dello gnosticismo che a suo parere si trova ripresentato in diverse filosofie e ideologie dell'età moderna e contemporanea. Figlio del bibliotecario e bibliografo Sergio Samek Lodovici, nativo di Carrara, che lo chiamò come suo fratello maggiore, noto medico e politico. Rimase in Sicilia per breve tempo per poi vivere sempre a Milano. Scampò a soli cinque anni alla tragedia di Albenga, quando dopo il naufragio di un'imbarcazione carica di bambini era stato inserito nel gruppo delle piccole salme, ma il tempestivo intervento di un medico lo salvò. Di formazione e cultura cattoliche, studiò a Milano dove si laurea con «Filosofia classica e spiritualità cristiana nel Commento di Sant'Agostino al Vangelo di San Giovanni». Insegna aTorino. Pubblicò due monografie, una su Agostino (con il contributo del C.N.R.), e l'altra sulla gnosi moderna, che gli valsero la cattedra di Filosofia a Trieste.  In una lettera Noce si riferiva così. Nella prima delle sue due opere fondamentali, Dio e mondo, inizia considerando la grave accusa rivolta da Heidegger alla metafisica, ovvero di non aver compreso che cos'è l'«essere» e di aver reificato Dio, di averlo cioè reso una «cosa». Questa critica può essere legittima ma non nei riguardi della metafisica neoplatonica nella forma in cui è stata mediata da Agostino. Individua il fulcro di tale metafisica nella dottrina della «partecipazione» delle idee col mondo, in forza della quale il rapporto di Dio col mondo è una relazione sostanziale e non oggettualità.  In Metamorfosi della gnosi, delinea una fenomenologia della cultura come influenzata da una mentalità inconsciamente gnostica. Tale mentalità ha assunto in sé le tesi dello gnosticismo antico, ovvero la sostanziale negatività del mondo, la possibilità di redenzione dalla oscurità del mondo attraverso un sapere salvifico (gnosi) e la possibilità di un redenzione del mondo realizzata, senza bisogno della grazia divina, dalla sola azione dell'uomo tramite la politica e/o la scienza.  Così nel pensiero gnostico la finitezza e la creaturalità vengono disprezzate e rifiutate, con l'ambizione di creare l'Uomo Nuovo e la Gerusalemme terrena. Insomma, sintesi del pensiero gnostico è quella formulazione che trova il proprio culmine nel «rifiuto di non poter essere Dio»; in tal modo nella visione gnostica non è più Dio, ma l'uomo gnostico a identificarsi con l'infinito, sgravato com'è da qualsiasi limite.  Da ciò appaiono evidenti gli obiettivi polemici e critici di ogni metamorfosi dello gnosticismo rappresentato nelle forme del riduzionismo antireligioso, del prometeismo marxista, della filosofia radical-relativista diffusa attraverso i media, della corruzione della memoria storica attuata anche attraverso la corruzione del linguaggio ed infine nella strategia della distruzione della famiglia, che è stata potentemente colpita in particolare con la rivoluzione sessuale e con alcuni tipi di femminismo.  Per quanto riguarda la sua pars construens, Safferma che proprio a partire dalla post-marxistica crisi del pensiero secolarista gnostico si deve delineare la necessità di ritornare alla tradizione metafisica, da lui indicata sulla linea di Platone, Plotino e soprattutto Agostino.  In sintonia con l'ermeneutica contemporanea, e pur evitandone le derive nichilistiche, riconosce la struttura storicamente condizionante del linguaggio nei confronti dell'esistenza e della conoscenza, secondo una sua favorita formula per cui «chi non ha le parole non ha le cose», e d'altra parte il filosofo riconosce anche la funzione inversa del linguaggio per cui, oltre che elemento condizionante, esso è anche il mezzo con cui l'uomo storico può trascendere i vincoli della storia e del linguaggio stesso (i baconiani «idola fori» e «idola theatri») ed esprimere le verità eterne. Rievoca la valenza dell'autocoscienza della ragione e delle sue vastissime potenzialità, sia in bene che in male, e a partire da queste, ne ricorda i limiti, i fallimenti storici e le costitutive incapacità che emergono specialmente nel momento in cui essa viene elevata ad una illuministica idolatria, concretizzandosi nella moderna vita di massa che  «ha affermato la libertà politica da ogni autorità spirituale, finendo per favorire il potere dell’uomo sull’uomo; ha affermato la libertà dell’amore dalla morale per vanificarlo nel sesso; ha affermato di lottare contro ogni religione in quanto superstizione, solo per prepararne una più esiziale, quella della scienza e del successo.»  Piuttosto, una ragione accorta deve, restando autonoma, interagire con la religione, per corroborarla e giustificarla razionalmente o per cercarvi le risposte prime ed ultime.  Tipica poi del suo pensiero  è la «cultura del ricordo», intesa come cultura non di una memoria archeologica bensì di una memoria che guardando ai fallimenti del passato possa liberare il presente dalle menzogne ideologiche e dai progetti utopistici che, ripetendosi nella storia, hanno generato i totalitarismi del XX secolo, e che oggi producono la dittatura del relativismo e del nichilismo. Così la memoria assume una funzione spirituale nel senso che  «mi rende migliore di quello che sono».  La riflessione è dunque nel complesso di carattere etico-sapienzale, consapevole che in ogni agire umano si esplica la ricerca della felicità, una ricerca che, per essere efficace e compiuta, deve però essere immune da qualsiasi utopismo onirico: è alla luce di questa precisazione che può affermare che «non vi è nessuna felicità senza virtù, in altre parole non vi è nessuna felicità senza quell'unica attività che è in grado di rendere l'uomo pienamente umano», perciò «non si può pretendere che l'acquisto della felicità non passi attraverso lo sforzo, la lotta, e in ultima analisi la sofferenza», ed è in tal modo che trovano un senso il limite umano e la sofferenza. Non sfugge al filosofo la coscienza della precarietà della felicità umana, però questa «ben lungi dallo spingerci alla tristezza per l'insaziabilità dell'uomo, va tuttavia vistaottimisticamente, come l'indizio che è un'altra la felicità conforme al livello spirituale degli esseri umani», perché «ultima hominis felicitas non est in hac vita. Saggi: “ Plotino nel In Johannis Evangelium di Agostino, in  Contributi dell'Istituto di filosofia, Vita e Pensiero, La Lettera ai Galati” in Marcione e Tertulliano, in «Aevum», Milano, Agostino, in  Questioni di storiografia filosofica, La Scuola, Brescia); Sul processo di Gesù e su Gesù e gli zeloti, Vita e Pensiero, Marxismo o Cristianesimo, Ares, Sesso, matrimonio e concupiscenza in, Etica sessuale (Milano); Tra cosmologia e metafisica. Note sul concetto di cosmo, in “Il demoniaco nella musica, Giappichelli,  La felicità e la crisi della cultura radicale ed illuministica, in  La crisi della coscienza politica e il pensiero personalista, Libreria Gregoniana, “Dio e mondo: relazione, causa e spazio” (EStudium); “Metamorfosi della gnosi” Ares,  Dominio dell'istante, dominio della morte. Alla ricerca di uno schema gnostico, in «Archivio di Filosofia», Istituto di studi filosofici, Roma, “La gnosi e la genesi delle forme, in «Rivista di Biologia», Il gusto del sapere, Universitas); “L'arte di non disperare. Il gusto del sapere  Estratti di L'arte di non disperare  M.  Picker, Il mio professore di filosofia, Studi Cattolici, G. Alabiso, La critica dell'attacco macro-strutturale al cristianesimo, Catania. Giacomo Samek Lodovici, Profili. Emanuele Samek Lodovici, Studi Cattolici, A. Sciffo, Le maschere della gnosi, «Avvenire», Gaspare Barbiellini Amidei, Il filosofo che insegna l'arte della speranza., in «Corriere della Sera», filosofo che insegna arte_della_co shtml G. Feyles, La battaglia di Samek, in «Tempi», tempi la-battaglia-di-samek Sergio Fumagalli, Emanuele Samek Lodovici e Noce: Gnosi e secolarizzazione, Santa Croce, Roma //sergiofumagalli/files/tesi.pdf  G. Taddeo, Verità e diritto, Trento G. Segre, una vita per la Verità, «la Bussola Quotidiana» /la nuova bussola quotidiana.com/it/archivioStorico Articolo-emanuele-samek-lodoviciuna vita-per-la-verit- A. Galli, Il ritorno della gnosi, in «Avvenire», G. Anna, L'origine e la meta. Ares, Milano.  Gnosticismo Cattolicesimo, Noce, Voegelin, Mathieu   su Santi, beati e testimoni, santiebeati.  Il gusto del sapere Universitas, Documentazione interdisciplinare di scienza e fede, Gnosi moderna e secolarizzazione nell'analisi” S. Fumagalli, Pontificia Università della Santa Croce, Roma, “la gnosi come vero avversario della verità di S. Restelli, sito "CulturaCattolica. Emanuele Samek Lodovici. Lodivici. Keywords. la virtù, l’amore sessuuale, il sessuale – la sessualita, il maschile, il machio, il sesso maschile, il vir, virile, virilita. Refs.: Luigi Speranza, “ Grice e Lodovici” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753706739/in/dateposted-public/

 

Lodovici: “Giacomo samek lodovici is the author of a fascinating essay on philosophical psychology. Figlio di Emanuele Samek Ludovici.

 

Grice e Lombardi – la filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Lombardi; he took seriously my idea of Philosophy’s Longitudinal Uniity, and like Passmore or Warnock, engaged iin a study of the ‘last hundred years of Italian philosophy. This shows that his interests on Kant, etc., are Italian-based, mainly!” Il padre Giovanni fu avvocato e docente di diritto e procedura penale a Napoli, già allievo prediletto di Bovio, deputato prima e dopo il fascismo, autore di scritti vari di sociologia. La madre Rosa Pignatari fu nipote di  Ciccotti, nella cui casa era cresciuta. Tradusse alcuni degli scritti di Karl Marx nelle Opere edite dal Ciccotti e la Storia del movimento operaio di Edouard Dolleans.  Laureato e libero docente in filosofia lavora in filosofia. Pubblica “Il mondo degli uomini” (Firenze, Le Monnier) Insegna a Roma. Presidente della Società Filosofica Italiana e (sin dalla fondazione) della Società filosofica romana, diresse il "Centro di Ricerca per le Scienze Morali e Sociali" presso l'Istituto di filosofia della Roma. Direttore della rivista De Homine cui si è affiancato il Bollettino Bibliografico per le Scienze morali e sociali. Membro dell’Accademia nazionale dei Lincei. Gli fu conferito il premio nazionale "Benedetto Croce" per la filosofia.  Saggi: “L'esperienza e l'uomo.”“Fondamenti di una filosofia umanistica” (Firenze: Sansoni); “Il mondo morale;”“Feuerbach” (Firenze: Nuova Italia); “Feuerbach e Marx: “Kierkegaard” (Firenze: La Nuova Italia); “La libertà del volere” (Milano: Bocca); La filosofia critica, Roma: Tumminelli; “Il problema kantiano, “Commento alla Critica della ragion pura” Kant vivo (Firenze: Sansoni); Nascita del mondo modern (Firenze: Sansoni); Concetto e problemi di Storia della filosofia” (Asti: Arethusa); “Le origini della filosofia” (Asti: Arethusa); “Libertà” (Asti, Arethusa); “Dopo lo Storicismo” (Firenze: Sansoni); “Ricostruzione filosofica” (Asti: Arethusa); “La filosofia italiana” Asti: Arethusa, Il piano del nostro sapere, Asti: Arethusa); “La posizione dell'uomo nell'universo, Firenze: Sansoni); “Problemi della libertà, Firenze: Sansoni,  Filosofia e civiltà” (Firenze: Sansoni, Saggi Manoscritti inediti Scritti vari di filosofia, Scritti politici Filosofia e Società, Firenze: Sansoni, Filosofia e Società Firenze: Sansoni, Il senso della storia” (Firenze: Sansoni); Aforismi inattuali sull'arte” (Firenze: Sansoni); Galileo: un ante-signano”(Firenze: Sansoni, scritti per l'università, Firenze: Sansoni, “Continuità e Rottura, Firenze: Sansoni, Una svolta di civiltà, n.d.: ERI, Gaetano Calabrò, Torino: Filosofia, Atti del Congresso internazionale di Filosofia, Milano: Castellani & C Editori, Il materialismo storico Atti del Congresso internazionale di Filosofia; Roma: Fratelli Bocca, Il problema della filosofia oggi Varie Taccuini di viaggio Dodici canzoni napoletane, su versi di Salvatore Di Giacomo, Firenze: Forlivesi, Torino: Edizioni di Filosofia, Treccani L'Enciclopedia italiana. Un contributo significativo per la costruzione della filosofia italiana contemporanea, Lincei, in Biblioteca di Filosofi, Sapienza Roma. Franco Lombardi. Lombardi. Keywords: la filosofia italiana, Galilei.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lombardi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753642979/in/dateposted-public/

 

Grice e Longano – dell’uomo naturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripalimosani). Filosofo. Grice: “Longano took ‘naturalness’ so seriously that he would apply it to anything: ‘man’ (‘uomo naturale’) and morals (‘morale naturale’).” “I like Longano; he is a systematic logician, as I’m not – therefore he thinks that to study semantics, which logic is, starts with studying signs – as I did in my seminars on Peirce – so Longano is the one I was referring when I mentioned what ‘people were at when they display an interest in natural versus conventional signs; he also has interesting things to say about my favourite parts of speech, syncategoremata!”” Figlio di Vito Longano e Dorotea Gentile, fu allievo di  Zurlo, si trasferì a Campobasso e quindi a Napoli dove divenne allievo di Genovesi. Fece parte della massoneria ed è considerato un importante esponente dell'illuminismo, fu sostenitore dello stretto rapporto tra anima e corpo e di una visione dell'uomo nella sua interezza. Propugnò la rinascita dell'Italia, proponendo un piano di riforme e il superamento del feudalesimo.  Opere: “Piano di un corpo di filosofia morale; ossia, Estratto d'un corso di Etica, di economia e di politica” (Napoli,“Dell'Uomo Natural Napoli, “Saggio sul commercio” (Napoli, presso Vincenzo Flauto, Raccolta di Saggi economici per gli abitanti delle due Sicilie, Napoli,  I, presso Domenico Sangiacomo,  II, presso Giuseppe Campo, “Dell'uomo e della sua morale natural -- Esame fisico, e morale dell'uomo, Napoli, Michele Morelli, Dell'uomo, e sua morale natural, Della morale naturale, Napoli, M. Morelli, Dell'uomo Religioso e cristiano,  Dell'uomo religioso, Napoli, M. Morelli, “Logica” Viaggio per lo contado di Molise ovvero descrizione fisica, economica e politica del medesimo, Napoli, Viaggio per la Capitanata, Napoli, Domenico Sangiacomo, Il Purgatorio ragionato, F. Lepore, postfazione di S. Martelli, Campobasso, Palladino, “Philosophiae rationalis elementa” “De arte logica” (Napoli, “De metaphysica” (Napoli, Orsino); De Jure humanae, Napoli, Biblioteca provinciale di Foggia; L'anno di Genovesi, su biblioteca provincial foggia. Gaetano, su webcache .googleusercontent.com A. Rao, L'amaro della feudalità: la devoluzione di Arnone e la questione feudale a Napoli” (Guida),  F. Rizzo, La civiltà del Purgatorio: riformismo e anti-clericalismo nella provincia molisana del XVIII secolo,  S. Borgna,  su delpt.unina, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Longano. Longano. Keywords: dell’uomo naturale, metafisica, logica. Luigi Speranza, “Grice e Longano: esame fisico dell’uomo” “Grice e Longano: la semiotica” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690378392/in/photolist-2mQHwBB-2mKGGCy/

 

Grice e Losano – filosofia del diritto romano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale Monferrato). Filosofo. Grice: “I like Lossano; his research overlap with that of H. L. A. Hart, but Losano is more interested in the philosophy and he is obviously more continental, as he should, given the prominence of Kelsen in the field!” Si occupa di filosofia del diritto e informatica giuridica. Si laurea a Torino. Insegna a Milano e Alessandria, e Torino. Si occupa di storia della filosofia del diritto; teoria generale del diritto; circolazione mondiale delle idee giuridiche e sociali; filosofia politica; diritti umani; geopolitica; informatica giuridica; privacy; e-publishing; edizioni di archivi storici. Pubblica un completo panorama sull'evoluzione della nozione di sistema nel diritto dalla Roma antica ad oggi. Cura carteggi di Jhering ed opere di  Jhering e di Kelsen. Curato l'edizione critica delle corrispondenza di Roesler. Come informatico giuridico, ha pubblicato un manualedi informatica giuridica e diritto informatico e un progetto di legge sulla tutela della privacy; Presidente del "Centro di calcolo automatico” a Milano. Saggi: “La dottrina pura del diritto” (Einaudi, Torino); La teoria di Marx ed Engels sul diritto e sullo stato. Materiali per il seminario di filosofia del diritto” (Milano. Anno Accademicom Cooperativa Libraria Università Torinese, Torino); “Gius-cibernetica” Macchine e modelli cibernetici nel diritto, Einaudi, Torino); Libia Materiali sui rapporti fra ideologia ed economia” (Milano. Anno Accademico Cooperativa Libraria Università Torinese, Torino); “Lo scopo nel diritto. Einaudi, Torino, Jhering, Lo scopo nel diritto” (Aragno, Torino, Corso di informatica giuridica, Cooperativa Milano), Corso di informatica giuridica; L'elaborazione dei dati non numerici, Unicopli, Milano; Il diritto dell'informatica, Unicopli, Milano Corso di informatica giuridica;  Stato e automazione. Etas Kompass, Babbage: la macchina analitica. Un secolo di calcolo automatico, Etas Kompass, Milano Scheutz: La macchina alle differenze. Un secolo di calcolo automatico, Etas Libri, Milano); Invenzioni francesi del Settecento. Testi originali con 15 tavole dell'epoca, Bottega d'Erasmo, Torino); I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extra-europei, Einaudi, Torino, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Einaudi, Torino, I grandi sistemi giuridici. Introduzione ai diritti europei ed extraeuropei, Laterza, Roma Bari, L'informatica legislativa regionale. L'esperimento del Consiglio Regionale della Lombardia, Rosenberg & Sellier, Torino Forma e realtà in Kelsen, Comunità, Milano, Automi arabi del XIII secolo. Dal "Libro sulla conoscenza degli ingegnosi meccanismi" (Maestri, Milano); Automi d'Oriente. "Ingegnosi meccanismi" arabi del XIII secolo, Milano Il diritto economico, Unicopli, Milano); L'ammodernamento giuridico, Unicopli, Milano); Corso di informatica giuridica: Informatica per le scienze sociali, Einaudi, Torino Il diritto privato dell'informatica, Einaudi, Torino, Scritto con la luce. Il disco compatto e la nuova editoria elettronica, Unicopli, Milano, L'informatica e l'analisi delle procedure giuridiche, Unicopli, Milano, Diritto e CD-ROM. Esperienze italiane, Giuffrè, Milano, Storie di automi. Dalla Grecia classica alla Belle Époque, Einaudi, Torino Saggio sui fondamenti tecnologici della democrazia, Quaderni della Fondazione Adriano Olivetti, Istituto per la Documentazione Giuridica, Firenze, Kelsen Umberto Campagnolo, Diritto internazionale e Stato sovrano. Mario G. Losano. Con un inedito di Hans Kelsen e un saggio di Norberto Bobbio, Giuffrè, Milano, Un giurista tropicale. Tobias Barreto fra Brasile reale e Germania ideale, Laterza, Roma); “Sistema e struttura nel diritto: Dalle origini alla scuola storica” (Giuffrè, Milano, Il Novecento” (Giuffrè, Milano); Dal Novecento alla postmodernità, Giuffrè, Milano U. Campagnolo, Verso una costituzione federale per l'Europa. Una proposta inedita. Giuffrè, Milano,   "Cedant arma Un giudice e due leggi. Pluralismo normative, Giuffrè, Milano, Funzione sociale della proprietà e latifondi occupati, Diabasis, Reggio Emilia, Kelsen, Scritti autobiografici. Traduzione e cura di Mario G. Losano, Diabasis, Reggio Emilia Peronismo e giustizialismo: dal Sudamerica all'Italia, e ritorno. M. Rosti, Diabasis, Reggio Emilia, Memoria dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Accademia delle Scienze, Torino Academia delle scienze editorial memorie morali Campagnolo, Conversazioni con Kelsen. Documenti dell'esilio ginevrino Giuffrè, Milano La geopolitica del Novecento. Dai Grandi Spazi delle dittature alla de-colonizzazione” (Mondadori, Milano); Kelsen Arnaldo Volpicelli, Parlamentarismo, democrazia e corporativismo” (Aragno, Torino); Alle origini della filosofia del diritto a Torino: Albini. Con due documenti sulla collaborazione di Albini con Mittermaier, Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Accademia delle Scienze, Torino accademia delle scienze/attivita editorial periodici-e-collane/ memorie/morali I carteggi di  Albini con Sclopis e Mittermaier. Alle origini della filosofia del diritto a Torino, Memoria dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Accademia delle Scienze, Torino accademia delle Scienze attivita editorial, periodici-e-collane/memorie morali Alle origini della filosofia del diritto, Il corso di Alessandro Paternostro a Tokyo. In appendice: A. Paternostro, Lexis, Torino I La Rete e lo stato” (Mimesis, Milano); Norberto Bobbio. Una biografia culturale, Carocci, Roma,  Kelsen, Due saggi sulla democrazia in difficoltà” (Aragno, Torino); “La libertà d’insegnamento in Brasile e l’elezione del Presidente Bolsonaro” (Mimesis, Milano). Mario Giuseppe Losano. Losano. Keywords: filosofia del diritto romano -- Luigi Speranza, “Grice e Losano: storia del diritto romano – what Kelsen never had!” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753178578/in/dateposted-public/

 

Grice e Losurdo – il ribelle aristocratico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannicandro di Bari). Filosofo. Grice: “Losurdo has contributed to a collection on ‘fatti normativi’ which is fascinating!” --  Grice: “I like Losurdo: describing Nietzsche as the aristocratic rebel is genial; he also engages in some linguistic botanising with his ‘linguaggio dell’impero’: something Romans and Brits know well – cf. ‘Great Britaiin’ and my little England!” -- losurdo, Italian philosopher, expert not on Grice, but Nietzsche, “Nietzsche, ribelle aristocratico” -- essential Italian philosopher. Si laurea a Urbino sotto la guida di Salvucci con la tesi, “La semantica di Rodbertus”. Direttore dell'Istituto di Scienze filosofiche e pedagogiche "Pasquale Salvucci" all'Urbino, insegnò storia della filosofia nella stessa università presso la facoltà di Scienze della Formazione. Inoltre fu presidente dell'hegeliana Società internazionale Hegel-Marx per il pensiero dialettico, membro della Società di scienze di Leibniz a Berlino (un'associazione di scienziati che si rifà alla settecentesca Accademia Reale Prussiana delle Scienze nella tradizione di GLeibniz) e direttore dell'associazione politico-culturale Marx XXI. Dalla militanza comunista alla condanna dell'imperialismo statunitense, fino allo studio della questione afroamericana e di quella dei nativi, Losurdo fu studioso anche partecipe della politica nazionale e internazionale. Di formazione marxista, descritto sia come un «marxista controcorrente» sia come un «marxista eterodosso» e un «comunista militante», la sua produzione spazia dai contributi allo studio della filosofia kantiana (la cosiddetta autocensura di Immanuel Kant e il suo nicodemismo politico), alla rivalutazione dell'idealismo classico tedesco, specie di Hegel, nel tentativo di riproporne l'eredità (sulla scia di György Lukács in particolare), alla riaffermazione dell'interpretazione del marxismo tedesco e non (Antonio Gramsci e i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa), con incursioni nell'ambito del pensiero nietzscheano (la lettura di un Friedrich Nietzsche radicale aristocratico) e di quello heideggeriano (in particolare la questione dell'adesione al nazismo di Martin Heidegger).  La sua riflessione filosofico-politica, attenta alla contestualizzazione del pensiero filosofico nel proprio tempo storico, muove in particolare dai temi della critica radicale del liberalismo, del capitalismo, del colonialismo e dell'imperialismo, nonché della concezione tradizionale del totalitarismo (Hannah Arendt), nella prospettiva di una difesa della dialettica marxista e del materialismo storico, dedicandosi anche allo studio dell'antirevisionismo in ambito marxista-leninista. Losurdo ha una visione molto critica della tradizione intellettuale europea del liberalismo, in particolare della tradizione classica e delle sue origini, sostenendo che pur pretendendo di enfatizzare l'importanza della libertà individuale in pratica il liberalismo reale è a lungo contrassegnato dalla sua esclusione di persone da questi diritti, con conseguente sfruttamento come razzismo, schiavitù e genocidio. Afferma che le origini del nazismo si trovano in quelle che considera politiche colonialiste e imperialiste del mondo occidentale. Esaminando le posizioni intellettuali e politiche degli intellettuali sulla modernità, Kant e Hegel furono i più grandi pensatori della modernità mentre Nietzsche fu il suo più grande critico.  I suoi lavori, che lui stesso fa rientrare nell'ambito della storia delle idee, riguardano inoltre l'indagine delle questioni di storia e politica contemporanee, con una attenzione critica costante al revisionismo storico e la polemica contro le interpretazioni di François Furet e Ernst Nolte. In particolare critica una tendenza reazionaria tra gli storici contemporanei revisionisti riconoscibile nel lavoro di autori come Nolte, che traccia l'impeto dietro l'Olocausto agli eccessi della rivoluzione russa; o Furet, che collega le purghe staliniane a una «malattia» originata dalla rivoluzione francese. Secondo Losurdo l'intenzione di questi revisionisti è di sradicare la tradizione rivoluzionaria in quanto le loro vere motivazioni hanno poco a che fare con la ricerca di una maggiore comprensione del passato, ma si trovano nel clima e nei bisogni ideologici delle classi politiche, come è più evidente nel lavoro dei revivalisti imperiali Johnson e Ferguson. Fornisce inoltre una nuova prospettiva su rivoluzioni come quella inglese, americana, francese, russa e quelle contro il colonialismo e l'imperialismo. Si discosta anche dalle posizioni elogiative che la maggior parte delle biografie prende nell'analisi di Gandhi e la nonviolenza.  Losurdo volge la sua attenzione alla storia politica della filosofia moderna tedesca da Kant a Marx e del dibattito che su di essa si sviluppa in Germania nella seconda metà dell'Ottocento e nel Novecento, per poi procedere a una rilettura della tradizione del liberalismo, in particolare partendo dalla critica e dalle accuse di ipocrisia rivolte a Locke per la sua partecipazione finanziaria alla tratta degli schiavi. Riprendendo ciò che afferma Arendt in Le origini del totalitarismo, per Losurdo il vero peccato originale del Novecento è nell'impero coloniale di fine Ottocento, dove per la prima volta si manifesta il totalitarismo e l'universo concentrazionario.  Controversia degli storici Losurdo critica il concetto di totalitarismo, sostenendo che fosse un concetto polisemico con origini nella teologia cristiana e che applicarlo alla sfera politica richiedeva un'operazione di schematismo astratto che utilizza elementi isolati della realtà storica per collocare la Germania nazista e altri regimi fascisti e l'Unione Sovietica e l'esperienza del socialismo reale e di altri Stati socialisti nello stesso insieme, servendo così l'anticomunismo degli intellettuali della guerra fredda piuttosto che riflettere la ricerca intellettuale.  Forte critico dell'equiparazione tra nazismo e comunismo (in particolare quello sovietico) fatta da studiosi come Furet e Nolte, ma anche da Arendt ePopper, nonché del concetto di «olocausto rosso», il suo Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, sollevò un dibattito sulla figura di Iosif Stalin, sul quale a suo avviso peserebbe una sorta di leggenda nera costruita per screditare tutto il comunismo. Porta l'esempio che nel lager vi era volontà omicida esplicita in quanto l'ebreo che vi entrava era destinato a non uscire più (vi è una despecificazione naturalistica) mentre nel gulag no (si tratta di despecificazione politico-morale) e nel primo venivano rinchiusi quelli che il nazismo chiamava Untermensch («sottouomini») mentre nel secondo (in cui afferma finissero solo una parte dei dissidenti), pur essendo una pratica da condannare, erano rinchiusi dissidenti da rieducare e non da eliminare. Losurdo afferma che «il detenuto nel Gulag è un potenziale compagno [la guardia stessa era tenuta a chiamarlo in questo modo] e dopo l'inizio del biennio delle grandi purghe che seguono l'assassinio di Kirov] è comunque un cittadino». Riprendendo anche l'opinione di Levi (internato ad Auschwitz, secondo cui il lager era moralmente più grave del gulag) e contro Solženicyn (internato in Siberia e che affermava l'equiparazione della volontà sterminazionistica),sostiene che pur essendo grave che un Paese socialista nato per abolire lo sfruttamento usi sistemi imperialisti e capitalisti, il gulag sia analogo a molti campi di concentramento occidentali (i cui governi hanno sostenuto e sostengono di essere paladini della libertà), che per certi versi furono anche più affini al lager in quanto campo di sterminio e non di rieducazione, riprendendo la storia del genocidio indiano. Egli sostiene anche che i campi di concentramento e le colonie penali britanniche erano peggio di qualsiasi gulag, accusando anche politici come Winston Churchill e Harry Truman di essere autori di crimini di guerra e contro l'umanità pari (se non peggiori) di quelli che sono stati poi attribuiti a Stalin. Losurdo ritiene inoltre che i comunisti soffrano di autofobia, cioè paura di se stessi e della propria storia, problema patologico che va affrontato, a differenza dell'autocritica sana. Despecificazione politico-morale e despecificazione naturalistica La despecificazione è l'esclusione di un individuo o di un gruppo dalla comunità dei civili. Esistono due tipi di despecificazione:  La despecificazione politico-morale (in questo caso l'esclusione è dovuta a fattori politici o morali). La despecificazione naturalistica (in questo caso l'esclusione è dovuta a fattori biologici). Per Losurdo la despecificazione naturalistica è qualitativamente peggiore rispetto a quella politico-morale. Infatti mentre quest'ultima offre almeno una via di scampo mediante il cambio di ideologia, questo non è possibile nel caso in cui sia in atto una despecificazione naturalistica, che è irreversibile in quanto rimanda a fattori biologici che sono di per sé immodificabili. A differenza di altri pensatori ritiene quindi che l'olocausto degli ebrei non è incomparabile ed è quindi disposto ad ammettere in questo caso una tragica peculiarità. La comparatistica che Losurdo offre a proposito non vuole essere una relativizzazione o uno sminuire, ma semplicemente considerare l'olocausto degli ebrei come incomparabile significa perdere la prospettiva storica e dimenticarsi dell'olocausto nero (l'olocausto dei neri) o dell'olocausto americano (l'olocausto dei nativi indiani d'America ottenuto negli Stati Uniti mediante la continua deportazione sempre più a ovest e la diffusione ad arte del vaiolo), oltre ad altri stermini di massa come il genocidio armeno.  Polemiche riguardanti Stalin Una recensione effettuata nell'aprile del 2009 da Guido Liguori su Liberazione (organo ufficiale del Partito della Rifondazione Comunista) di Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, libro in cui Losurdo critica la demonizzazione di Stalin effettuata dalla storiografia maggioritaria e cerca di sottrarlo a quella che definisce «la leggenda nera su di lui», è al centro di una polemica all'interno della redazione del suddetto quotidiano. Venti redattori inviano una lettera di protesta al direttore del giornale in cui si critica sia il tentativo di riabilitazione di Stalin presente nel libro di Losurdo sia la recensione di Liguori (giudicata troppo positiva nei confronti del libro), oltre che la scelta del direttore del giornale di pubblicare tale recensione. Il libro riceve delle recensioni critiche per le sue affermazioni e per la metodologia di lavoro utilizzata.I critici di Losurdo lo accusano di essere un «neostalinista». Grover Furr, autore di Krusciov mentì e descritto come un «revisionista storico», un «revisionista in una ricerca lunga una carriera per scagionare Stalin» e un «prezioso contributo alla scuola revisionista storica degli studi sovietici e comunisti», elogia il lavoro di Losurdo, in particolare quello su Stalin, iniziando un'amicizia reciproca. Nel  introduce Furr a un editore italiano che pubblica la traduzione italiana di Khruschev mentì, per cui scrive l'introduzione. Aveva già scritto l'introduzione e il retrocopertina del libro di Furr sull'assassinio di Sergej Mironovič Kirov che rimane inedito. Negli estratti di un convegno organizzato per rivalutare la figura di Stalin a cinquant'anni dalla morte critica le rivelazioni contenute nel rapporto segreto di Nikita Sergeevič Chruščёv, l'allora segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica. Secondo Losurdo la cattiva fama di Stalin deriverebbe non dai crimini commessi da quest'ultimo (paragod altri del suo tempo), ma dalle falsità presenti in quel rapporto che Chruščёv lesse nel corso del XX Congresso del febbraio 1956. Nella relazione al convegno dà credito a una delle accuse principali che stavano alla base della sanguinosa repressione staliniana contro gli oppositori, ovvero l'esistenza nell'Unione Sovietica della «realtà corposa della quinta colonna» pronta ad allearsi col nemico. Losurdo ribadisce di non voler riabilitare Stalin, seppur calato nella sua epoca, volendo presentare solo un'analisi dei fatti più neutrale e attuare un revisionismo sull'esperienza generale del socialismo reale ritenuta passata, ma utile da studiare per capire le dinamiche future del socialismo. Losurdo apparteneva alla corrente del marxismo-leninismo, ma ammirava anche l'interpretazione che Mao Zedong diede della pluralità della lotta di classe, da collocare nel contesto dell'attenzione che rivolge al processo di emancipazione femminile e dei popoli colonizzati. Vicino prima al Partito Comunista Italiano, poi al Partito della Rifondazione Comunista e infine al Partito dei Comunisti Italiani, confluito nel Partito Comunista d'Italia e nel Partito Comunista Italiano (), di cui è stato membro, fu anche direttore dell'associazione politico-culturale Marx XXI. Critico del liberalismo, della NATO e dell'imperialismo, in particolare quello statunitense, Losurdo contestò l'assegnazione del Premio Nobel per la pace a Xiaobo, considerato un sostenitore aperto del colonialismo occidentale, in particolare per la sua idealizzazione del mondo occidentale e per aver affermato che ci sarebbe bisogno di «300 anni di colonialismo. In 100 anni di colonialismo Hong Kong è cambiata fino a diventare ciò che è oggi. Data la grandezza della Cina, ovviamente ci vorrebbero 300 anni per trasformarla in quello che Hong Kong è oggi. E ho dei dubbi che 300 anni siano abbastanza». Saggi: “Auto-censura e compromesso” (Napoli, Bibliopolis); “La questione nazionale, restaurazione. Presupposti e sviluppi di una battaglia politica” (Urbino, Università degli Studi);“La rivoluzione e la crisi della cultura” (Roma, Riuniti); “Lukacs” Urbino, Quattro venti, Il comunismo e sui critici (Urbino, Quattro venti, La catastrofe e l'immagine” (Milano, Guerini, Metamorfosi del moderno.Urbino, Quattro venti); “La tradizione liberale. Libertà, uguaglianza, Stato, Roma, Riuniti); “Tramonto dell'Occidente? Atti del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica, Urbino, Quattro venti, Antropologia, prassi, emancipazione. Problemi del comunismo, e Urbino, Quattro venti, Égalité-inégalité. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica, Urbino, Quattro venti, Prassi. Come orientarsi nel mondo. Atti del convegno organizzato dall'Istituto Italiano per gli Studi filosofici e dalla Biblioteca Comunale di Cattolica (Urbino, Quattro venti); La comunità, la morte, l'Occidente. L’ideologia della guerra, Torino, Boringhieri, Massa folla individuo. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica, Urbino, Quattro venti, La libertà dei moderni, Roma, Riuniti, Napoli, La scuola di Pitagora,. Rivoluzione francese e filosofia, Urbino, Quattro venti); “Democrazia o bonapartismo. Trionfo e decadenza del suffragio universale” (Torino, Bollati Boringhieri, Il comunismo e il bilancio storico del Novecento, Gaeta, Bibliotheca, Napoli, La scuola di Pitagora, Gramsci e l'Italia. Atti del Convegno internazionale di Urbino, Napoli, La città del sole, La seconda Repubblica. Liberismo, federalismo, post-fascismo, Torino, Boringhieri); “Autore, attore, autorità” (Urbino, Quattro venti); Il revisionismo storico. Problemi e miti, Roma, Laterza, Utopia e stato d'eccezione. Sull'esperienza storica del socialismo reale, Napoli, Laboratorio politico, Ascesa e declino delle repubbliche, Urbino, Quattro venti, Lenin, Atti del Convegno internazionale di Urbino, Napoli, La città del sole, Metafisica. Il mondo Nascosto, Roma, Laterza, Gramsci dal liberalismo al comunismo critic, Roma, Gamberetti, Dai fratelli Spaventa a Gramsci. Per una storia politico-sociale della fortuna di Hegel in Italia” (Napoli, La città del sole); “Hegel e la Germania. Filosofia e questione nazionale tra rivoluzione e reazione, Milano, Guerini, Nietzsche. Per una biografia politica, Roma, Manifesto); “Il peccato originale del Novecento, Roma, Laterza, Dal Medio Oriente ai Balcani. L'alba di sangue del secolo americano, Napoli, La città del sole, Fondamentalismi. Atti del Convegno organizzato dall'Istituto italiano per gli studi filosofici e dalla Biblioteca comunale di Cattolica. Cattolica Urbino, Quattro venti, URSS: bilancio di un'esperienza. Atti del Convegno italo-russo. Urbino, Urbino, Quattro venti, L'ebreo, il nero e l'indio nella storia dell'Occidente, Urbino, Quattro venti, Fuga dalla storia? Il movimento comunista tra autocritica e auto-fobia, Napoli, La città del sole, poi Fuga dalla storia? La rivoluzione russa e la rivoluzione cinese oggi, La sinistra, la Cina e l'imperialismo, Napoli, La città del sole, Universalismo e etno-centrismo nella storia dell'Occidente, Urbino, Quattro venti, La comunità, la morte, l'Occidente. Heidegger e l'ideologia della guerra (Torino, Boringhieri); “Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Torino,  Boringhieri, Cinquant'anni di storia della repubblica popolare cinese. Un incontro di culture tra Oriente e Occidente. Atti del Convegno di Urbino, Napoli, La città del sole, Dalla teoria della dittatura del proletariato al gulag?, Marx e Engels, Manifesto del partito comunista, Laterza, Bari, Contro-storia del liberalismo, Roma, Laterza, La tradizione filosofica napoletana e l'Istituto italiano per gli studi filosofici, Napoli, nella sede dell'Istituto, Auto-censura e compromesso nel pensiero politico di Kant, Napoli, Bibliopolis, Legittimità e critica del moderno. Sul marxismo di Gramsci” (Napoli, La città del sole); “Il linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana” (Roma-Bari, Laterza); “Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Roma, Carocci); “Paradigmi e fatti normativi. Tra etica, diritto e politica, Perugia, Morlacchi, La non-violenza. Una storia fuori dal mito, Roma, Laterza, La lotta di classe. Una storia politica e filosofica, Roma, Laterza, La sinistra assente. Crisi, società dello spettacolo, guerra, Carocci,. Un mondo senza guerre. L'idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci. Il comunismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere, Laterza.  PCI Ancona: cordoglio per la scomparsa, su il partito comuista italiano, A. Orsi, Scienza e militanza. Un ricordo, MicroMega, Cordoglio, Il Metauro, Verso, Il linguaggio dell'Impero. Lessico dell'ideologia americana, Roma, Laterza. Il comunista contro-corrente. Un comunista eterodosso. Auto-censura e compromesso in Kant, Napoli, Bibliopolis, Hegel e la libertà dei moderni, Roma, Riuniti, Napoli, La scuola di Pitagora, Lukacs, Urbino, Quattro venti,   Dai fratelli Spaventa a Gramsci. Per una storia politico-sociale della fortuna di Hegel in Italia, Napoli, La città del sole, Nietzsche. Il ribelle aristocratico. La comunità, la morte, l'Occidente. Heidegger e l'deologia della guerra; Controstoria del liberalismo, Laterza, Revisionismo storico.  Peccato originale del Novecento.  La non-violenza. Una storia fuori dal mito.  La non-violenza. Una storia fuori dal mito, su L'Ernesto, Associazione Marx, Dalla teoria della dittatura del proletariato al gulag?, in  Marx, Engels, Manifesto del partito comunista, Editori Laterza, Bari David Broder. Jacobin. Stalin. Storia e critica di una leggenda nera. URSS: bilancio di un'esperienza. Atti del Convegno italo-russo. Urbino, Urbino, Quattro venti, Popper falso profeta, Contro Popper, Armando Editore, B. Lai e L. Albanese.  Fuga dalla storia? Il movimento comunista tra auto-critica e auto-fobia. Il linguaggio dell'impero. Lessico dell'ideologia, Lettere su Stalin; Stalin. Storia e critica di una leggenda nera,  su sissco. Stalin. Storia e critica di una leggenda nera.  A. Romano,  Canfora e lo stalinismo che non fa male, ilcannocchiale. In Memoriam, La Città del Sole, Stalin nella storia del Novecento, R. Giacomini, Teti, Una teoria generale del conflitto sociale", Intervento al Congresso Nazionale del PdCI. Il Consiglio Direttivo dell'associazione Marx  Il Nobel per la pace» a un campione del colonialismo e della guerra, il cavallo oscuro della letteratura, Open Magazine, Open Magazine, H. Arendt Controstoria del liberalismo A. Gramsci Genocidio indiano Grandi purgh, Heidegger, Marx, Nietzsche Olocausto, Stalin Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo" - blogspot.com. Intervista RAI Filosofia, su filosofia.rai. Intervist RTV Svizzera, su you tube.com. Domenico Losurdo. Losurdo. Keywords: il ribelle aristocratico. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Losurdo, e Nietzsche, ribelle aristocratico," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686031459/in/photolist-2mQtVUe-2mKbok1-2mKkkDV-2mKkwnU-2mKbFF3-2mKjqrr-2mKjfuc-2mKfHUx-2mKh7Nd-2mKjW3b/

 

Grice e Lottieri – bene commune – diritto individuale – l’eta degl’eroi – la ragione del stato -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Grice: “I like Lottieri; he has quoted Hobbes and Hume and Gauthier from a game-theoretical approach to co-operation, conversational and other – all very Griceian, if I may mayself so say it!” Allievo di Caracciolo, studia a Genova, Ginevra e Parigi, su la filosofia di Mosca. Insegna a Siena e Verona. Da vita all'Istituto Bruno Leoni, un istituto che si ispira alla tradizione intellettuale di Einaudi e Ricossa, e di cui egli è direttore del dipartimento Teoria Politica. Cura Leoni. La filosofia di Lottieri si sviluppa all'interno del liberalismo classico e, grazie allo studio degli autori elitisti, si delinea quale critica del sistema di dominio iscritto nei regimi democratici rappresentativi. Mostra l'adesione a tale prospettiva, che rapidamente evolve grazie al contatto con il libertarianismo. Il suo libertarianismo ottieri metta in discussione "la psicologia regolamentativa e anti-innovativa del burocrate", avverso a ogni forma di rischio e cambiamento. Il saggio sul libertarismo evidenzia l'adesione ai temi classici del pensiero liberale lockiano e giusnaturalista (difesa della proprietà, del mercato, dell'auto-nomia negoziale), ma anche il maturare di questioni che sono invece tutte interne al realismo politico: specie nel confronto con Schmitt, Brunner e Miglio.  Mentre il testo sul rapporto tra economia di mercato e ordine sociale/comunitario (Denaro e comunità) è una critica della sociologia, a cui è rimproverato di avere frainteso la natura inter-personale della moneta e delle relazioni di mercato, il saggio su Leone muove dal pensatore torinese per delineare una filosofia libertaria anche oltre la lettera stessa dell'autore di Freedom and the Law. In particolare, in questa fase della riflessione Leoni viene individuato come uno studioso in grado di dare una maggiore consapevolezza filosofico-giuridica alla teoria libertaria, fino ad ora elaborata per lo più da economisti e teorici politici. “Denaro e comunità: relazioni di mercato e ordinamenti giuridici nella società liberale” (Napoli, Guida) “Il pensiero libertario contemporaneo. Tesi e controversie sulla filosofia, sul diritto e sul mercato, Macerata, Liberi “Le ragioni del diritto: libertà individuale e ordine giuridico” (Treviglio Soveria Mannelli, Facco Rubbettino); “Come il federalismo fiscale può salvare il Mezzogiorno” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Credere nello Stato? Teologia politica e dissimulazione da Filippo il Bello a WikiLeaks” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Liberali e non: (cf. Griceiani e non.) percorsi di storia del pensiero politico” (Brescia, La Scuola); Guglielmo Ferrero in Svizzera. Legittimità, libertà e potere, Roma, Studium,  Un'idea elvetica di libertà. Nella crisi della modernità europea” (Brescia, Scuola); ““Beni comuni, diritti individuali e ordine evolutivo,”Torino, IBL. Nella sua filosofia sull'unificazione europea, in particolare, è cruciale l'opposizione tra l'armonizzazione spontanea emergente dal basso e l'unificazione coercitiva. Lottieri identifica quattro superstizioni o quattro credenze erronee che sotto alla base dei tentativi di creare un nuovo stato chiamato ‘Europa'. Primo, l'idea che la libertà individuale e il poli-centrismo giuridico causino tensioni e, in definitiva, conflitti; Secondo, che il mercato derivi dall'ordine giuridico creato dallo Stato; Terzo, che l'esistenza di una distinta identità europea esiga la costruzione di un singolo stato continentale; e quarto, che un'Europa unificata e più armoniosa e meglio in grado di sostenere lo sviluppo delle sue componenti più povere. Individuato come uno degl’esponenti di un liberalismo particolarmente radicale e volto a proporre una sorta di fuga dallo stato: Dario Fertlio, "Libertari 2001: la grande fuga dallo Stato, Corriere della Sera. Una disamina molto critica al limite dell'insulto personale di tale liberalismo libertarian si ha nella recensione che Vitale dedica al volume su Rothbard scritto a quattro mani da lui assieme a Enrico Diciotti (basato su un confronto assai franco tra prospettive molto diverse): una recensione che, rivolgendosi al solo Diciotti, si chiudeva con l'invito per il futuro “ad occuparsi di un autore più interessante con un autore più interessante” (E. Vitale, “Rothbard, un Trasimaco piccolo piccolo. E una modestissima proposta”, Teoria politica). P. Vernaglione, Il libertarismo. La teoria, gli autori, le politiche, Soveria Mannelli, Rubbettino). Un riferimento garbatamente polemico alle sue posizioni gius-naturaliste di si trova in D Antiseri (Laicità.. Le sue radici, le sue ragioni, Rubbettino). La stessa contrapposizione è al fondo di una discussione tra i due riguardante proprio i contenuti di quel volume://blog.centrodietica/?p=2005.  Questo saggio e una presentazione completa e approfondita della filosofia libertaria nelle sue diverse varianti, mentre si evidenzia anche un approccio libertario ai problemi eco-logici. Ce sono riserve nei riguardi delle tesi libertarie e dell'ispirazione anarchica della sua teoria del diritto. Nella sua monografia su Leoni (L'ordine giuridico dei private” (Soveria Mannelli, Rubbettino) pure Grondona sviluppa alcune critiche nei riguardi dell'interpretazione dello studioso torinese offerta da lui mentre in maggiore sintonia con le sue posizioni si trova A. Favaro (“ Dell'irrazionalità della legge per la spontaneità dell'ordinamento” (Napoli, Scientifiche). Mostra che, contrariamente a un'opinione diffusa, le distanze fra la concezione del diritto di Leoni e quella di Hayek sono notevoli. In ogni caso non e Hayek a influenzare Leoni ma il secondo a influenzare, almeno in parte, il primo. Per un'equilibrata analisi del saggio si veda: M. Grondona, "Recensione  Le ragioni del diritto", Nuova Giurisprudenza Ligure. Carlo Lottieri. Lottieri. Keywords: bene commune, diritto individuale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lottieri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753125078/in/dateposted-public/

 

Grice e Luca – l’arte d’amare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Marostica). Filosofo.  Grice: “Luca expands on Alcibiades – I have touched the topic of Alcibiade when discussing eudaemonia, as literally having to do with the eudaemon – and the expression occurs in connection with Socrate/Alcibiade -- Grice: “One good thing about Luca is that if my philosophy revolves around ‘reason,’ his does it around ‘eros’!” -- Frequenta il Liceo Ginnasio G.B. Brocchi di Bassano del Grappa. Si laurea a Firenze, con la tesi, “Platone e il problema del linguaggio” con relatore Adorno.  È stato incentrato inizialmente sulla tematica dell’’amore’ nella tradizione greco-romana del Convitto e Fedro. Mmantenuto però una costante apertura al ‘mythos’ di Omero, nella convinzione che per quanto differenti possano essere i costumi o gli statuti sociali, rimane un elemento per così dire “originario”, intrinsecamente umano, nell’approccio con il desiderio, l’amore, l’amicizia, la sessualità. In Labirinti dell’Eros, pur sviluppandosi la tematica all'interno di un arco di tempo definito, l’intento non è quello di affrontare l’argomento nella sua unita longitudinale ma di esprimere, senza costrizioni di un “per-corso pre-figurato” una distinzione logico concettuale, attraverso la quale conseguire, almeno, un punto fermo nell'amatoria. Riguarda anche lo sviluppo della tradizione pitagorico-platonica, sia nelle sue caratteristiche peculiari ed in rapporto alla metafisica, sia nell'accezione più ampia rispetto all'esigenza di dare conto "dei fenomeni" o sensibilia. Si orientata alla tarda produzione platonica e al pitagorismo di seconda generazione, che vengono analizzati anche attraverso la cosmologia. Saggi: “Il Simposio, Nuova Italia, Firenze, Platone, Fedro, Nuova Italia, Firenze, Eros e Epos: il lessico d'amore nei poemi omerici, L’amatoria, L.S. Gruppo editoriale, Quarto Inferiore (BO); “Platone e la sapienza antica. Matematica, filosofia e armonia, Marsilio, Venezia, Labirinti dell’Eros. Da Omero a Platone, con un saggio, Marsilio Venezia. Roberto Luca. Luca. Luca. Keywords: l’arte d’amare, Ovidio, il convito, I dialogui dell’amore: il convito e Fedro, l’amore degl’eroi – achille e patroclo – niso ed eurialo – la filosofia dell’amore nel convito, la morte di Patroclo, la morte di Niso, la morte di Eurialo, l’eroe tragico, Achille eroe tragico, Eurialo e Niso, eroi tragici, Enea, eroe tragico, Aiace, eroe tragico, Catone di Utica, eroe tragico, la morte di Eurialo – la morte d’Eurialo – la pederastia – Eurialo piu giovane da Niso. Luigi Speranza, “Grice e Luca: amatoria conversazionale: la massima o principio dell’amore proprio conversazionale e la massima dell’amore all’altro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luca” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753506969/in/dateposted-public/

 

Grice e Lucrezio – alma figlia di Giove – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompei). Filosofo. Grice: “By far the most important concept in Lucrezio’s philosoophy is that of clinamen that Strawson translates as the ‘swerve.’ It was saved from extinction by an Italian – as the novel tells you!” Grice: “While Strawson reads it in Latin, I prefer the version in the vulgar!” – Grice: “And by the vulgar I mean Marchetti!” Grice: “It’s amazing how well Marchetti interprets Lucezio – there is a little treatise on Epicureanism in the Lucrezio by Marchetti which is interesting. A real continuity in Italian philosophy!” -- possibly the most important Italian philosopher. Seguace dell'epicureismo. Della sua vita ci è ignoto quasi tutto: egli non compare mai sulla scena politica romana, né sembra esistere negli scritti dei contemporanei, in cui non viene mai citato, eccezion fatta per la lettera di Cicerone ad Quintum fratrem II 9, contenuta nella sezione Ad familiares, in cui il celebre oratore accenna all'edizione, forse postuma, del poema di Lucrezio, che egli starebbe curando. Ma in scrittori romani successivi egli viene spesso citato: ne parlano Seneca, Frontone, Marco Aurelio, Quintiliano, Ovidio, Vitruvio, Plinio il Vecchio, senza tuttavia fornire nuove informazioni sulla vita. Questo però dimostra che non si tratta di un personaggio inventato. Un'altra fonte che lo cita è San Girolamo nel suo Chronicon o Temporum liber, di cinque secoli dopo, in cui, ispirandosi ad alcuni dubbi passi di Svetonio, ci dice che sarebbe nato  morto suicida. Tale dato non concorda tuttavia con quanto affermato da Elio Donato, maestro di Girolamo stesso, secondo il quale Lucrezio sarebbe morto quando indossò la toga virile, nell'anno in cui erano consoli per la seconda volta Crasso e Pompeo. Questo dato ha fatto propendere a credere che Lucrezio mori  nel 55 a.C., all'età di quarantatré anni. Queste vengono comunemente considerate le uniche notizie biografiche tramandate direttamente dall'antichità.  Ignoto risulta anche il luogo di nascita, che tuttavia taluni hanno creduto essere Ercolano, per la presenza di un Giardino Epicureo in quest'ultima città, in particolare, dall'analisi di numerose epigrafi risalenti all'epoca dell'autore latino, risulta evidente un'ingente presenza del cognome Carus nell'antico territorio campano, secondo la critica recente la suddetta indagine prova fermamente (nei limiti del probabile) le origini campane di Lucrezio. Neppure la sua militanza politica sembra essere ricostruibile: il desiderio di pace accennato prima non sembra affatto ricordare il drammatico rancore dell'aristocratico, per altro solitamente stoico, che vede sgretolarsi la Repubblica e la libertà, ma il desiderio dell'"amico" epicureo, che vede nella pace e nel benessere di tutti la possibilità di fare accoliti e viver serenamente. È tuttavia rilevante il fatto che la sua opera De rerum natura sia dedicata a Memmio, fine letterato e appassionato di cultura greca, ma anche e soprattutto membro di spicco degli optimates.  Tale era, del resto, il suo desiderio di pace da auspicare alla fine del proemio della sua opera una "placida pace" per i Romani. Questo anelito così forte alla pace è peraltro riscontrabile non solo in Lucrezio, ma anche in Catullo, Sallustio, Cicerone, Catone l'Uticense e perfino in Cesare: esso rappresenta il desiderio di un'intera società dilaniata da un secolo di guerre civili e lotte intestine. La scarsità delle fonti sulla sua vita ha portato molti a interrogarsi persino sulla stessa esistenza del filosofo, a volte considerato solo uno pseudonimo sotto il quale si celava un anonimo filosofo per alcuni un amico epicureo di Cicerone, Tito Pomponio Attico, che si suicidò, o persino lo stesso Cicerone.  Secondo lo storico Luciano Canfora, è possibile ricostruire una scarna biografia di Lucrezio: nacque ad Ercolano, dove aveva una villa la famiglia nobiliare di un possibile parente, Marco Lucrezio Frontone)  appartenente quasi sicuramente all'antica famiglia nobile dei Lucretii (qualcuno ne fa invece un liberto della stessa famiglia). Studiò l'epicureismo proprio ad Ercolano, dove si trovava un centro della "filosofia del giardino", diretta da  Filodemo di Gadara, allora ospite nella villa di Lucio Calpurnio Pisone, il ricco suocero di Cesare (la cosiddetta "villa dei papiri").  Avrebbe sofferto di sbalzi d'umore, chiamati oggi disturbo bipolare, ma non sarebbe stato pazzo, ma di questo umore alterno risentì il suo lavoro. In disaccordo con le guerre civili, avrebbe lasciato Roma e non sarebbe morto suicida ma avrebbe viaggiato ad Atene, nei luoghi del maestro Epicuro, e oltre, essendo forse il suo nome conosciuto da Diogene di Enoanda, quindi quasi in Asia minore, nelle cui famose incisioni sotto il portico della sua casa si ricorda un certo "Caro" (nome poco diffuso), romano, e sapiente epicureo.  Non si sa se il poema fosse diffuso nell'oriente, quindi è possibile che Lucrezio si fosse davvero recato in Grecia. Lucrezio, spinto da una delusione d'amore, si sarebbe allontanato lasciando incompiuto il suo poema, affidato forse a Cicerone stesso (che difatti non parla effettivamente di suicidio ma afferma: «Lucretii poemata, ut scribis, ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis» ("le poesie di Lucrezio, come tu mi scrivi, sono dotate di molti lumi di talento, e tuttavia di molta arte"), ma, forse, senza impazzire e morire (che fosse suicidandosi o perché assassinato), esagerazione della fonte di Girolamo o di qualche altro avversario di Lucrezio, e sarebbe stato forse volutamente confuso dallo stesso Girolamo con Lucullo, onde screditare l'epicureismo.  Il destinatario dell'opera, Gaio Memmio, caduto in disgrazia ed espulso dal Senato per condotta immorale, andò ad Atene, causando una nuova delusione a Lucrezio, che, tornato a Roma, sarebbe morto.  La notizia di un "filtro d'amore" velenoso somministratogli da una donna di facili costumi, amante gelosa di Lucrezio, viene riportata anche da Svetonio nei confronti di Caligola e della moglie Milonia Cesonia; in questo caso è apparsa una semplice diceria, e, data l'ispirazione svetoniana (dal perduto De poetis) del passo di Girolamo su Lucrezio, anche lì sembra essere una spiegazione semplicistica, dovuta alla poca conoscenza dei disturbi psichici che si aveva all'epoca (anche per Caligola si parlò, difatti, come per Lucrezio, di epilessia e malattie fisiche misteriose che l'avrebbero fatto impazzire improvvisamente, come, nel caso di studiosi moderni, l'avvelenamento da piombo, oltre che dei detti "filtri").  Se Lucrezio soffrì di un disagio psichico, che lo avrebbe spinto a cercare sollievo nella filosofia, non fu a causa di un veleno, e se il suicidio ci fu (il che potrebbe spiegare l'abbandono improvviso del poema), la causa potrebbe essere stata di natura politica — come sarà più tardi il caso di Catone Uticense —, ovverosia la rovina del suo protettore Memmio e della sua cerchia culturale. Virgilio, che lo rispettava anche se era passato dall'epicureismo, abbracciato in gioventù, alle teorie pitagoriche, parla di lui nelle Georgiche e nelle Bucoliche, definendolo "felix" (ossia "prediletto dalla dea Fortuna") e non "folle". Secondo Guido Della Valle, la V ecloga, che parla della morte di un personaggio chiamato Dafni (a volte identificato con Cesare, a volte con Flacco, il fratello di Virgilio), potrebbe riferirsi invece alla morte dello stesso Lucrezio, definita "immatura e innaturale", cioè avvenuta per cause traumatiche. Il movente politico e morale del gesto potrebbe essere la causa del silenzio attorno ad esso e del fiorire di aneddoti per giustificarlo, dato che non si poteva cancellare la grandezza filosofica di Lucrezio, con una sorta di damnatio memoriae di solito riservata ai nemici politici.  Essi erano spesso vittime delle liste di proscrizione dei vincitori, come quella di Marco Antonio che colpirà Cicerone, e molti si toglievano la vita, in quanto morte onorevole per i costumi romani; Virgilio e Orazio, estimatori di Lucrezio, facevano parte della corte di Augusto, e dovevano quindi allinearsi alla linea culturale dettata dall'imperatore, assertore dell'antica moralità e diffusore della leggenda di Cesare (per cui venivano cancellate le espressioni scomode di dissenso), e dal suo amico Mecenate, in cui l'epicureismo, se non sfumato come in Orazio appuntocosì come ogni opera che non fosse celebrativa del princeps e della grandezza di Roma non trovava spazio, per cui Lucrezio verrà ricordato solo come grande poeta, tralasciandone l'aspetto filosofico.  Secondo Della Valle, quindi, Lucrezio si sarebbe tolto la vita come gesto di protesta contro la classe politica in ascesa, o perché condannato a morte da essa. Lucrezio, per il periodo in cui è vissuto, personaggio scomodo: gli ideali epicurei di cui era profondamente intriso corrodevano le basi del potere di una Roma alla vigilia della congiura di Catilina. In un'epoca di tensioni repubblicane, infatti, isolarsi dalla realtà politica nell'hortus epicureo significa sottrarsi ai negotia politici e uscire di conseguenza anche dalla sfera d'influenza del potere. Le più forti correnti stoiche, ostili all'epicureismo, avevano permeato la classe dirigente romana in quanto più conformi alla tradizione guerriera dell'Urbe. L'epicureismo era invece presente anche attraverso il citato Filodemo e altri in Campania, dove Virgilio avrebbe approfondito la sua conoscenza dell'epicureismo. Orazio non lo nomina, ma è evidente che lo conosce, e ideologicamente gli è più vicino di altri. La natura poetica del De rerum natura fa sì che Lucrezio col suo pessimismo esistenziale avanzi profezie apocalittiche, visioni quasi allucinate, critiche e ambigue espressioni (Grice), che accompagnano il poema. Alcuni teologi come San Girolamo ed altri, hanno dato di lui l'immagine di un ateo psicotico in preda alle forze del male. Appoggiandosi alla psicoanalisi qualcuno ha sostenuto che in certi bruschi cambiamenti di immagine e di pensiero ci fossero i sintomi di una pazzia delirante o di problemi di ordine psichico. In realtà l'ipotizzata pazzia di Lucrezio appare oggi più plausibilmente un tentativo di mistificazione per screditare il poeta, così come la presunta morte per suicidio sarebbe stato l'esito di un modo di pensare perverso, che travia chi lo segue. L'ipotesi dell'epilessia poi, viene avanzata sulla base dell'arcaica credenza che il poeta fosse sempre un invasato; elemento quest'ultimo da collegare alla credenza che gli epilettici fossero sacri ad Apollo e da lui ispirati nelle loro creazioni. Comunque altri scrittori cristiani come Arnobio e Lattanzio affermarono che egli non fosse pazzo e che non si fosse ucciso. L'ipotesi della follia e del suicidio attestata dal Chronicon di Girolamo si fondava su illazioni di Svetonio, peraltro di difficile verifica. Potrebbe anche esserci stata una confusione dovuta all'abbreviazione “Luc.,” impiegata indifferentemente nei codici latini per indicare i nomi di Lucillius, Lucullus e Lucretius. Plutarco scrisse infatti di un certo Licinio Lucullo, politico, generale e cultore dei piaceri, che morì dopo essere impazzito a causa di un filtro d'amore. L'errore di interpretazione dell'abbreviazione “Luc.” potrebbe così aver permesso lo scambio dei due personaggi. A causa dell'impossibilità di ricostruire i momenti salienti della sua vita, dunque, il progetto filosofico che egli volle esprimere è ricostruibile interamente solo dalla sua opera, considerata tra le più vigorose d'ogni età. Bisogna ora individuare le motivazioni che spinsero Lucrezio a scrivere il De rerum natura, che fondamentalmente sono due. La prima è una ragione etico-filosofica, in quanto Lucrezio, affascinato dalla filosofia epicurea, desiderava invitare il lettore alla pratica di tale filosofia, incitandolo a liberarsi dall'angoscia della morte e degli dèi. La seconda motivazione invece è di carattere storico. Lucrezio era conscio che la situazione politica a Roma peggiorasse di giorno in giorno: Roma era quadro ormai di continui scontri bellici e conseguenti dissidi; giustappunto egli, con un evidente positivismo, voleva incoraggiare il cittadino-lettore romano a non perdere la fiducia verso un successivo miglioramento della situazione. Lucrezio si proponeva di rivoluzionare il cammino di Roma, riportandolo all'epicureismo che era stato declinato in favore dello stoicismo. La prima cosa da distruggere era la convinzione provvidenzialistica stoica e più propriamente romana. Non c'era un dovere romano di civilizzare "l'orbe terrifero e de le acque", come farà dire Virgilio alla Sibilla Cumana in un colloquio con Enea. Non c'è una ragione seminale universale responsabile della vita nel cosmo, destinata a deflagrare per poi ricominciare un nuovo, identico, ciclo esistenziale, come voleva la fisica stoica, ma un mondo che non è unico nell'universo, peraltro infinito, essendo uno dei tanti possibili. Non c'è quindi nessun fine provvidenziale di Roma, essa è una Grande fra le Grandi, ed un giorno perirà nel suo tempo. La religione, considerata come Instrumentum regni, deve essere non distrutta, ma integrata nel contesto del viver civile come utile ma falsa. Egli afferma fin dal libro I del De rerum natura. Tanto male poté suggerire la religione. Ma anche tu forse un giorno, vinto dai terribili detti dei vati, forse cercherai di staccarti da noi. Davvero, infatti, quante favole sanno inventare, tali da poter sconvolgere le norme della vita e turbare ogni tuo benessere con vani timori! Giustamente, poiché se gli uomini vedessero la sicura fine dei loro travagli, in qualche modo potrebbero contrastare le superstizioni e insieme le minacce dei vati... Queste tenebre, dunque, e questo terrore dell'animo occorre che non i raggi del sole né i dardi lucenti del giorno disperdano, bensì la realtà naturale e la scienza... E perciò, quando avremo veduto che nulla può nascere dal nulla, allora già più agevolmente di qui potremo scoprire l'oggetto delle nostre ricerche, da cosa abbia vita ogni essenza, e in qual modo ciascuna si compia senza opera alcuna di dèi. Lucrezio colpiva direttamente la credenza negli dèi latini sostenendo che non c'è preghiera che schiuda le fauci di una tempesta, giacché essa è regolata da leggi fisiche e gli dèi, seppur esistenti e anche loro composti da atomi così sottili che ne assicurano l'immortalità, non si curano del mondo né lo reggono; ma la religione deve essere inglobata nella scoperta e nello studio della natura, che rasserena l'animo e fa comprendere la vera natura delle cose: infatti l'unico principio divino che regge il mondo è la Divina Voluptas, Venere: il piacere, la vita stessa intesa come animazione regge l'universo, ed è l'unica cosa in grado di fermare lo sfacelo che sta portando Roma alla fine: Marte, ovvero la Guerra.[31] Proprio per questo, egli elogia Atene, creatrice di quegli intelletti più grandi che hanno illuminato la natura e quindi l'uomo stesso, ed in ultima istanza Epicuro, sole invitto della conoscenza rasserenatrice. Non solo, egli stesso si sente quasi un poeta rasserenatore delle tempeste umane e proprio per questo si sente profondamente affine ai poeti delle origini, il cui luogo principe è in Empedocle (secondo infatti per elogi solo a Epicuro) ma con una sola grande differenza: egli non è portatore di una verità divina fra le umane genti, ma di una verità affatto umana, universale e per tutti, che attecchirà ben presto per la salvezza di Roma.[31] Epicuro è comunque, per Lucrezio, il più grande uomo mai esistito, come risulta dai tre inni a lui dedicati (chiamati anche "trionfi" o "elogi"):  «E dunque trionfò la vivida forza del suo animo. E si spinse lontano, oltre le mura fiammeggianti del mondo. E percorse con il cuore e la mente l'immenso universo, da cui riporta a noi vittorioso quel che può nascere, quel che non può, e infine per quale ragione ogni cosa ha un potere definito e un termine profondamente connaturato. Perciò a sua volta abbattuta sotto i piedi la religione è calpestata, mentre la vittoria ci eguaglia al cielo. Il De rerum natura e un poema didascalico in esametri, di genere scientifico-filosofico, suddiviso in sei libri (raccolti in diadi), comprendente un totale di 7415 versi, che illustrano fenomeni di dimensioni progressivamente più ampie: dagli atomi si passa al mondo umano per arrivare ai fenomeni cosmici. Riproduce il modello prosastico e filosofico epicureo e la struttura del poema Περὶ φύσεως di Empedocle (anche un'opera di Epicuro aveva il medesimo titolo). Secondo i filologi vi sono corrispondenze e simmetrie interne che corrisponderebbero ad un gusto alessandrino. L'opera infatti è suddivisa in tre diadi, che hanno tutte un inizio solare ed una fine tragica. Ogni diade contiene un inno ad Epicuro, mentre il secondo e il terzo libro (in quest'ultimo è presente anche un'esposizione della sua estetica) si aprono entrambi con un inno alla scienza. Essendo un poema didascalico, ha come modello Esiodo e quindi anche Empedocle, che aveva preso il modello esiodeo come massimo strumento per l'insegnamento della filosofia. Altri modelli potrebbero essere i poeti ellenistici Arato e Nicandro di Colofone, che usavano il poema didascalico come sfoggio di erudizione letteraria. Il destinatario e i destinatari Il dedicatario dell'opera è la Memmi clara propago (I 42), ovvero il rampollo della famiglia dei Memmi, che solitamente si identifica con Gaio Memmio. Più in generale, si può dire che il destinatario che l'autore si prefigge di conquistare è il giovane aperto ad ogni esperienza, che un giorno prenderà il posto dei politici e attuerà quella rivoluzione propugnata con tanto fervore da Lucrezio. Ma, almeno con Memmio, egli fallì: da adulto divenne un dissoluto, fraintendendo il significato di piacere catastematico epicureo, e fu allontanato dal Senato probri causa, cioè per immoralità. Riparò quindi in Grecia, dove scrisse poesie licenziose e dove ce lo menziona anche Cicerone (nelle Ad Familiares), intenzionato a distruggere la casa e il giardino in cui proprio Epicuro risiedette, per costruirsi un palazzo, suscitando lo sdegno degli epicurei che fecero istanza a Cicerone stesso di intervenire per impedirglielo, senza che però Cicerone ci riuscisse. In un simile progetto Lucrezio scelse di doversi rifare ad un modello di stile arcaico, che vedeva in Livio Andronico, ma soprattutto in Ennio e in Pacuvio i modelli emuli, per motivi fra loro quanto meno vari: l'egestas linguae (povertà della lingua), lo vede costretto a dover arrangiare le lacune terminologiche e tecnicistiche con l'arcaismo, ancora che proprio Lucrezio, insieme a Cicerone, sia uno dei fondatori del lessico astratto e filosofico latino, e a colmare e ancor meglio comprendere l'oscurità del filosofo con la mielosa luce della poesia. Discendendo più in profondità nelle anguste gole del poema, si notano anche altri problemi cui dovette far fronte: primo fra tutti, come tradurre parole di pregnanza filosofica in latino, che ancora non aveva termini confacenti. Finché poté, egli evitò la semplice translitterazione (ad es. "Atomus" per Ατομος) e preferì invece usare altri termini presenti già nella sua lingua magari dandogli altra accezione oppure (come mostrato anche sopra) creando neologismi. Ed è proprio grazie all'arcaismo che Lucrezio riesce a rendere possibile tutto questo: infatti era proprio dello stile arcaico il neologismo "munificenza" ed anche un certo uso (convulso a detta di antichi e moderni) delle figure di suono quali allitterazioni, consonanze, assonanze e omoteleuti. Molto importante è anche il fatto che Lucrezio non si limitò a trasmettere il messaggio di Epicuro con un arido scritto filosofico, ma lo fece attraverso un poema che, a differenza del rigoroso linguaggio razionale della filosofia, parla per squarci imaginifici. Sul piano teorico l'opera di Lucrezio si caratterizza come una puntualizzazione di quella epicurea con alcune esplicazioni che nel suo referente greco non erano abbastanza chiare. Il concetto di parenklisis che Lucrezio tradurrà con clinamen mancava di definizione chiara. Nella Lettera ad Erodoto Epicuro poneva infatti la parenklisis ma poi parla piuttosto di una deviazione per urto. Il celebre passaggio del libro II del De rerum natura dice:  «Perciò è sempre più necessario che i corpi deviino un poco; ma non più del minimo, affinché non ci sembri di poter immaginare movimenti obliqui che la manifesta realtà smentisce. Infatti è evidente, a portata della nostra vista, che i corpi gravi in se stessi non possono spostarsi di sghembo quando precipitano dall’alto, come è facile constatare. Ma chi può scorgere che essi non compiono affatto alcuna deviazione dalla linea retta del loro percorso? Lucrezio precisa poi ulteriormente le modalità del clinamen aggiungendo:  «Infine, se ogni moto è legato sempre ad altri e quello nuovo sorge dal moto precedente in ordine certo, se i germi primordiali con l’inclinarsi non determinano un qualche inizio di movimento che infranga le leggi del fato così che da tempo infinito causa non sussegua a causa, donde ha origine sulla terra per i viventi questo libero arbitrio, donde proviene, io dico, codesta volontà indipendente dai fati, in virtù della quale procediamo dove il piacere ci guida, e deviamo il nostro percorso non in un momento esatto, né in un punto preciso dello spazio, ma quando lo decide la mente? Infatti senza alcun dubbio a ciascuno un proprio volere suggerisce l’inizio di questi moti che da esso si irradiano nelle membra]»  Per quanto riguarda la sfera del vivente Lucrezio la collega direttamente agli atomi nel loro processo creativo, scrivendo:  «Così è difficile rescindere da tutto il corpo le nature dell'animo e dell'anima, senza che tutto si dissolva. Con particelle elementari così intrecciate tra loro fin dall’origine, si producono insieme fornite d’una vita di eguale destino: ed è chiaro che ognuna di per sé, senza l’energia dell’altra, le facoltà del corpo e dell’anima separate, non potrebbero aver senso: ma con moti reciprocamente comuni spira dall’una e dall’altra quel senso acceso in noi attraverso gli organi. Lucrezio riprende in maniera radicale la tesi già di Epicuro. La religione è la causa dei mali dell'uomo e della sua ignoranza. Egli ritiene che la religione offuschi la ragione impedendo all'uomo di realizzarsi degnamente e, soprattutto, di poter accedere alla felicità, da raggiungere attraverso la liberazione dalla paura della morte. Il poema ha come argomenti principali la lacerante antinomia fra ratio e religio, l'epicureismo e il progresso. La ratio è vista da Lucrezio come quella chiarità folgorante della verità «che squarcia le tenebre dell'oscurità», è il discorso razionale sulla natura del mondo e dell'uomo, quindi la dottrina epicurea, mentre la religio è ottundimento gnoseologico e cieca ignoranza, che lo stesso Lucrezio denomina spesso con il termine "superstitio". Indica l'insieme di credenze e dunque di comportamenti umani "superstiziosi" nei confronti degli dèi e della loro potenza. Poiché la religio non si basa sulla ratio essa è falsa e pericolosa. Afferma che sono evidenti le nefaste conseguenze della religione e adduce come esempio il caso di Ifigenia, dicendo poi che il mito è una rappresentazione falsata della realtà, come nell'Evemerismo. La religione è perciò la causa principale dell'ignoranza e dell'infelicità degli uomini. Lucrezio riprende i temi principali della dottrina epicurea, che sono: l'aggregazione atomistica e la "parenklisis" (che egli ribattezza clinamen), la liberazione dalla paura della morte, la spiegazione dei fenomeni naturali in termini meramente fisici e biologici. Egli opera un completamento di essa in senso naturalistico ed esistenzialistico, introducendo un elemento di pessimismo, assente in Epicuro, probabilmente da attribuirsi a una personalità malinconica. Da un punto di vista ontologico, secondo Lucrezio, tutte le specie viventi (animali e vegetali) sono state "partorite" dalla Terra grazie al calore e all'umidità originari. Ma egli avanza anche un nuovo criterio evoluzionistico: le specie così prodotte sono infatti mutate nel corso del tempo, perché quelle malformate si sono estinte, mentre quelle dotate degli organi necessari alla conservazione della vita sono riuscite a riprodursi. Tale concezione atea, materialista, antiprovvidenzialista e storica della natura sarà ereditata e rielaborata da molti pensatori materialisti dell'età moderna, in particolare gli illuministi Diderot, d'Holbach e La Mettrie, anch'essi atei dichiarati e a loro volta divulgatori dell'ateismo; Lucrezio sarà inoltre seguito da Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi. Lucrezio nega ogni sorta di creazione, di provvidenza e di beatitudine originaria e afferma che l'uomo si è affrancato dalla condizione di bisogno tramite la produzione di tecniche, che sono trasposizioni della natura. Però, il progresso non è positivo a priori, ma solo finché libera l'uomo dall'oppressione. Se è invece fonte di degradazione morale, lo condanna duramente. Lucrezio introduce nel III libro del De rerum natura una chiarificazione che nel mondo latino era stata trascurata generando non poche confusioni, circa il concetto di “animus” in rapporto a quello di “anima” «Vi sono dunque calore e aria vitale nella sostanza stessa del corpo, che abbandona i nostri arti morenti. Perciò, trovata quale sia la natura dell'animo e dell'anima quasi una parte dell'uomo -, rigetta il nome di armonia, recato ai musicisti già dall'alto Elicona, o che essi hanno forse tratto d'altrove e trasferito a una cosa che prima non aveva un suo nome. Tu ascolta le mie parole. Ora affermo che l'anima e l'animo sono tenuti Avvinti tra loro, e formano tra sé una stessa natura. Ma è il capo, per così dire, è il pensiero a dominare tutto il corpo: quello che noi denominiamo animo e mente e che ha stabile sede nella zona centrale del petto. Qui palpitano infatti l'angoscia e il timore, qui intorno le gioie provocano dolcezza; qui è dunque la mente, l’animo. La restante parte dell’anima, diffusa per tutto il corpo, obbedisce e si muove al volere e all’impulso della mente. Questa da sé sola prende conoscenza, e da sé gioisce, quando nessuna cosa stimola l’anima e il corpo. Lucrezio riprende il concetto ellenico di anima come "soffio vitale che vivifica ed anima il corpo, ciò che i greci chiamavano psyché. Questo soffio pervade tutto il corpo in ogni sua parte e lo abbandona solo “con l'ultimo respiro". L'"animus" invece è identificabile col "noùs" ellenico, traducibile in latino con mens. Dunque animus e mens paiono essere o la stessa cosa o due elementi coniugati dell'unità mentale. L'indicazione della “zona centrale del petto” come sede fa pensare al concetto di “cuore”, ricorrente ancora oggi nel linguaggio comune per indicare la sensibilità umana, centro dell'emozione e del sentimento. Parrebbe allora che l'animus sia insieme e conoscenza e emozione, mentre l'anima è soffio vitale. L'angoscia esistenziale Il De rerum natura è ricchissimo di elementi tipici dell'esistenzialismo moderno, riscontrabile specialmente in Giacomo Leopardi, che dell'opera di Lucrezio era un profondo conoscitore, anche se in realtà non è noto il lasso di tempo in cui Leopardi lesse Lucrezio. Questi elementi di angoscia hanno indotto alcuni studiosi a sottolineare il pessimismo di fondo che si opporrebbe alla volontà di rinnovare il mondo a partire dalla filosofia epicurea; in altre parole, in Lucrezio ci sarebbero due spinte contrapposte; l'una dominata dalla razionalità e fiduciosa nel riscatto dell'uomo, l'altra ossessionata dalla fragilità intrinseca degli esseri viventi e dal loro destino di dolore e morte. Altri studiosi, però ritengono che l'insistenza di Lucrezio sugli aspetti dolorosi della condizione umana non sia altro che una strategia di propaganda, per fare emergere più fortemente la funzione salvifica della ratio epicurea. S'intende, ciechi alla dottrina di Epicuro.  Sul luogo di nascita: anche se c'è chi afferma fosse nato a Roma, si ritiene quasi all'unanimità che fosse originario della Campania: di Napoli, di Ercolano, o, secondo recenti studi epigrafici, di Pompei, dove il nomen e il cognomen Tito e Lucrezio sono attestati, e la gens Lucretia aveva delle ville cfr: Biografia di Lucrezio; o perlomeno vi avesse abitato a lungo cfr. Enrico Borla, Ennio Foppiani, Bricolage per un naufragio. Alla deriva nella notte del mondo, cfr. anche la Lucrezio Caro, Tito su Enciclopedia Treccani  Sulla data di nascita: molti optano per il 98 a.C. o secondo altri 96 a.C.  Secondo alcune fonti: Lucretius testimonia vitae  Luciano Canfora, Vita di Lucrezio, Sellerio,  o secondo altri 53 a.C., cfr. Paolo Di Sacco, M. Serio, "Odi et amoStoria e testi della letteratura latina"  1 "L'età arcaica e la repubblica", Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, Sezione 2, Modulo. Testimonianze su Lucrezio  Canfora. Lucrezio, De rerum natura, Lucrezio, De rerum natura, Enrico Fichera, I "templa serena" e il pessimismo di Lucrezio: echi lucreziani nella letteratura, Roma, Bonanno edizioni, G. Lippold, Testo per Arndt-Bruckmann, Griech. u. röm. Porträts, Monaco. Enciclopedia dell'arte antica  Cfr. Gerlo, Benedetto Coccia, Il mondo classico nell'immaginario contemporaneo  Nel romanzo epistolare di Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, Nomi romani: glossario  Canfora, Cicerone, Ep. ad Quintum fratrem, II 9.  SLucrezio  Canfora, Classici: Lucrezio e il De rerum natura  Aldo Oliviero, Il suicidio di Lucrezio, su lafrontieraalta.com. Ettore Stampini, Il suicidio di Lucrezio, Messina, Tipografia D'Amico, La risposta di Virgilio a Lucrezio  Guido Della Valle (Napoli), pedagogista e docente universitario, autore di Tito Lucrezio Caro e l'epicureismo campano, Napoli, Accademia Pontaniana, Lucrezio in Enciclopedia Italiana  Lucrezio: informazioni biografiche  ibidem  La natura delle cose, Milano, Rizzoli, Eneide, libro VI.  La natura delle cose, cit. supra81.  Lucrezio, La natura delle cose,  La natura delle cose. Il De rerum natura di Lucrezio  Introduzione a Lucrezio accesso= Memmio su Enciclopedia Italiana  Lo stile di Lucrezio  C. Craca, Le possibilità della poesia. Lucrezio e la madre frigia in «De rerum natura» IBari, Edipuglia, Epicuro, Opere, E. Bignone, Laterza Lucrezio, La natura delle cose, Biagio Conte, Milano, Rizzoli,  La natura delle cose, cit. supra271.  De rerum natura, Diego Fusaro, Tito Lucrezio Caro, su filosofico.net. e rerum natura, VTasso segue Lucrezio stilisticamente, non ideologicamente: vedasi la famosa similitudine del proemio del libro IV, ripresa nel proemio della Gerusalemme liberate, La natura delle cose, cit. supra,  De rerum natura, Mario Pazzaglia, Antologia della letteratura italiana.  Lucrezio, introduzione Edizioni De rerum natura, (Brixiae), Thoma Fer(r)ando auctore, De rerum natura libri sex nuper emendati, Venetiis, apud Aldum, In Carum Lucretium poetam commentarij a Joanne Baptista Pio editi, Bononiae, in ergasterio Hieronymi Baptistae de Benedictis, De rerum natura libri sex a Dionysio Lambino emendati atque restituti & commentariis illustrati, Parisiis, in Gulielmi Rovillij aedibus, De rerum natura libri VI, Patavii, excudebat Josephus Cominus, De rerum natura libri sex, Revisione del testo, commento e studi introduttivi di Carlo Giussani, Torino, E. Loescher  (importante edizione critica, tuttora fondamentale). De rerum natura, Edizione critica con introduzione e versione Enrico Flores, 3 Napoli, Bibliopolis, Traduzioni italiane Della natura delle cose libri sei tradotti da Alessandro Marchetti, Londra, per G. Pickard. La natura, libri VI tradotti da Mario Rapisardi, Milano, G. Brigola, 1880. Della natura, Armando Fellin, Torino, POMBA. Della natura, Versione, introduzione e note di Enzio Cetrangolo, Firenze, Sansoni, La natura delle cose, Introduzione di Gian Biagio Conte, Traduzione di Luca Canali, Testo latino e commento Ivano Dionigi, Milano, Rizzoli, 1990. La natura, Introduzione, testo criticamente riveduto, traduzione e commento di Francesco Giancotti, Milano, Garzanti (Per la  specifica sul De rerum natura si rimanda a tale voce)  V.E. Alfieri, Lucrezio, Firenze, Le Monnier, A. Bartalucci, Lucrezio e la retorica, in: Studi classici in onore di Quintino Cataudella, Catania, Edigraf, M. Bollack, La raison de Lucrece. 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Traglia, De Lucretiano sermone ad philosophiam pertinente, Roma, Gismondi, 1947. Scritti letterari Luca Canali, Nei pleniluni sereni. Autobiografia immaginaria di Tito Lucrezio Caro, Milano, Longanesi, E. Cetrangolo, Lucrezio. Tragedia, Roma, Edizioni della Cometa, Tiziano Colombi, Il segreto di Cicerone, Palermo, Sellerio, 1993. Piergiorgio Odifreddi, Come stanno le cose. Il mio Lucrezio, la mia Venere, Milano, Rizzoli, Alieto Pieri, Non parlerò degli dèi. Il romanzo di Lucrezio, Firenze, Le Lettere, Epicureismo Esistenzialismo ateo Storia dell'ateismo Tito Lucrezio Caro, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Tito Lucrezio Caro, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tito Lucrezio Caro Opere di Tito Lucrezio Caro, su Liber Liber.  openMLOL, Horizons Audiolibri di Tito Lucrezio Caro, su LibriVox. Goodreads. De Rerum Natura: testo con concordanze e liste di frequenza, su intratext.com. 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Refs.: Lucretius, in The Stanford Encyclopaedia.  Alma figlia di Giove, inclita madre  Del gran germe d'Enea, Venere bella,  Degli uomini piacere e degli Dei:   Tu che sotto i girevoli e lucenti  Segni del cielo il mar profondo, e tutta  D’ animai d'ogni specie orni la terra,   Che per se fora un vasto orror soUngo :   Te Dea , fnggono i venti: al primo arrivo  Tuo svaniscon le nubi: a te germoglia  Erbe e fiori odorosi il suolo indnstre :   Tu rassereni i giorni foschi, e rendi  Col dolce sguardo il mar chiaro e tranquillo,  E splender fai di maggior lume il ciclo.  Qualor deposto il freddo ispido manto  L'anno ringiovanisce, « la soave  Aura feconda di Favonio spira,,   Tosto tra fronde e fronde i vaghi augelli.     34 T. LUCREZIO CARO   Feriti il cor da' tuoi pungenti dardi ,   Cantan festosi il tuo ritorno, o Diva;   Liete scorron saltando i grassi paschi  Le fiere , e gonfi di nuor' acqae i fìami  Varcano a nuoto e i rapidi torrenti:   Tal da' teneri tuoi rezzi lascivi  Dolcemente allettato ogni animale  Desioso ti segue ovunque il gnidi.   In somma tu per mari e monti e fiumi,  Pe'boschi ombrosi e per gli aperti campi,  Di piacevole amore i petti accendi,   E cosi fai che si conservi '1 mondo.   Or se tu sol della Natura il freno  Reggi a tua voglia , e senza te non vede  Del di la luce desiata e bella,   Nè lieta e amabil fassi alcuna cosa:   Te , Dea, te bramo per compagna all'opra,  In cui di scriver tento in nuovi carmi  Di Natura i segreti e le cagioni  Al gran Memmo Gemello a te si caro ,  In ogni tempo, e d’ogni laude ornato.   Tu dunque , o Diva , ogni mio detto aspergi  D’eterna grazia, e fa’ cessare intanto  E per mare e per terra il fiero Marte,   Tu, che sola puoi farlo : egli sovente  D’ amorosa ferita il cor trafitto  Umil si posa nel divin tuo grembo.   Or mentr’ ei pasce il desioso sguardo  Di tua beltà, ch'ogni beltade avanza,   E che l’anima sua da te sol pende,   Deh ! porgi a lui , vezzosa Dea , deh ! porgi  A lui soavi preghi , e fa'ch’ ei renda  Al popol suo la desiata pace.   Che se la patria nostra è da nemiche  Armi abitata, io più seguir non posso  Con animo quieto il preso stile,   Nè può di Memmo il generoso figlio    L I B R O l. aS   l^egar sé stesso alla comaa salate.   Tu, gran prole di Memmo, ora mi porgi  Grate ed attente orecchie, e ti prepara,  Lungi da te cacciando ogni altra cura,   Alle vere ragioni , e non volere  I miei doni sprezzar pria che gl’ intenda.   Io narrerotti in che maniera il cielo  Con moto alterno ognnr si volga c giri j  Degli Dei la natura, e delle cose  Gli alti principi , e come nasca il tutto ;  Come poi -si nutrichi, e come cresca,   Ed in che finalmente ei si risolva :   £ ciò da noi nell’ avvenir dirassi  Primo corpo, 9 materia, o primo seme,   O corpo genitale , essendo quello  Onde prima si forma ogni altro corpo:   Che d'uopo é pur che’n somma eterna pace  Yivan gli Dei per lor natura , e lungi  Stian dal governo delle cose umane ,   Scevri d' ogni dolor, d' ogni periglio ,   Biechi sol di lor stessi, e di lor fuori  Di nulla bisognosi, e che nè metto  Nostro gli alletti, o colpa accenda ad ira.   Giacca l’ umana vita oppressa e stanca  Sotto religìon grave e severa.   Che mostrando dal ciel l’altero capo  Spaventevole in vista e minacciante  Ne soprastava. Un iiom d* Atene il primo  Fu, che d’ ergerle incontra ebbe ardimento  Gli occhi ancor che mortali, e le s’oppose.  Questi non paventò nè eie! tonante  Nè tremoto che ’l mondo empia d’ orrore ,  Nè fama degli Dei, nè fulmin torto j  Ma qual acciar su dura alpina cote  Quanto s’agita più tanto più splende.   Tal dell'animo suo mai sempre invitto  Nelle difficoltà crebbe il desio   a    Digitized by Google     T. LUCREZIO CARO    a6   Di spezzar pria d'ogni altro i saldi chiostri,  E r ampie porte di Natura aprirne.   Cosi vins' egli , e con l' eccelsa mente  Varcando oltre a' confin del nostro mondo,  Fu bastante a capir spazio infinito.   Quindi sicuramente egli n’ insegna  Gid che nasca o non nasca, ed in qual modo  Ciò che racchiude l' Universo in seno  Ha poter limitato , e tcrmin certo :   E la religion co’pié calcata,   L' alta vittoria sua c’ erge alle stelle.   Nè creder già che scelerate ed empie  Sian le cose eh’ io parlo ; anzi sovente  L' altrui religion ne’ tempi^antichi  Cose produsse scelerate ed empie.   Questa il fior degli eroi scelti per duci  Deir oste argiva in Aalide indusse  Di Diana a macchiar l' ara innocente  Col sangue d' Ifigenia , allor che cinto  Di bianca fascia il beLvirgineo crine  Vid’ella a se davanti in mesto volto  Il padre, e alni vicini i sacerdoti  Celar 1’ aspra bipenne , e '1 popol tutto  Stillar per gli occhi in larga vena il pianto  Sol per pietà di lei , che muta e mesta  Teneva a terra le ginocchia inchine.   Nè giovi punto all’ innocente e casta  Povera verginella in tempo tale ,   Ch’ a nome della patria il prence avesse  All’ esercito greco un re donato ;   Che tolta dalle man del suo consorte  Fu condotta all’ aitar tutta tremante:   Non perchè terminato il sacrifizio,   Legata fosse col soave nodo  D* un illustre imeneo ; ma per cadere  Nel tempo stesso delle proprie nozze  A* piè del genitore ostia dolente    I. 1 c n o I.    27    Per dar felice e fortunato evento  All' armata navale. Error si grave  Persuader la religion poteo.   Tu stesso dall' orribili minacce  De' poeti atterrito, a i detti nostri  Di negar tenterai la fe dovuta.   Ed oh! quanti potrei fìngerti anch'io  Sogni e chimere, a sovvertir bastanti  Del viver tuo la pace, e col timóre  Il sereno turbar della tua mente.   Ed a ragion, che se prescritto il fine  Vedesse l'uomo alle miserie sue.   Ben resister potrebbe alle minacce  Delle religioni, e de' poeti.   Ma come mai resister può, s' ei teme  Dopo la morte aspri tormenti eterni.  Perchè dell' alma è a lui 1' essenza ignota:  S' ella sia nata, od a chi nasce infusa,   E se morendo il corpo anch' ella muoia?   Se le tenebre dense , e se le vaste  Paludi vegga del tremendo Inferno ,   O s' entri ad informare altri animali  Per ^divino voler, siccome il nostro  Ennio cantò , che pria d' ogn' altro colse  In riva d'Elicona eterni allori.   Onde intrecciossi una ghirlanda al crine  Fra l'italiche genti illustre c chiara?  Bench' ci ne' dotti versi affermi ancora  Che sulle sponde d' Acheronte s' erge  Un tempio sacro a gl' infernali Dei ,   Ove non 1' alme o i corpi nostri stanno.   Ma certi simulacri in ammirande  Guise pallidi in volto, e quivi narra  D aver visto l'imagine d' Omero  Piangere amaramente, e di Natura  Raccontargli i segreti e le cagioni.   Dunque non pnr de’più sublimi effetti    Digilized by Googic     >8    T. LUCREZIO CARO    Cercar le cause, e dichiarar conviensi  Della luna e del sole i morimenti ;   Ma come possan generarsi in terra  Tutte le cose, e con ragion sagace  Principalmente investigar dell' alma,   £ dell'animo uman l’occulta essenza,   E ciò che sia quel, che vegliando infermi,  £ sepolti nel sonno, in guisa n'empie  D’alto terror , che di veder presente  Parne , e d’udir chi già per morte in nude  Ossa ò converso, e poca terra asconde.   £ so ben io qual malagevol’ opra   Sia r illustrar de’ Greci in toschi carmi  L’ oscure invenzioni, e quanto spesso  Nuove parole converrammi usare,   Non per la povertà della mia lingua  Ch’ alia greca non cede , e più d’ ogn’ altra  Piena è di proprie e di leggiadre vocij  Ma per la novità di quei concetti  Ch’esprimer tento, e che nuli’ altro espresse.  Pur nondimcn la tua virtude ò tale ,   £ lo sperato mio dolce conforto  Della nostr’amistà, eh’ ognor mi sprona  A soffrir volentieri ogni fatica,   E m’induce a vegliar le notti intere,   Sol per veder con quai parole io possa  Portare innanzi alla tua mente un lume,  Ond’ ella vegga ogni cagione occulta.   Or si vano terror , si cieche tenebre   Schiarir bisogna, e via cacciar dall’ animo  Non co’ be’ rai del sol, non già co’ lucidi  Dardi del giorno a saettar poc’ abili  Fuorché 1’ ombre notturne e i sogni pallidi ,  Ma col mirar della Natura , e intendere  D’occulte cause e la velata imagine.   Tu, se di conseguir ciò brami, ascoltami.   Sappi , che nulla per diyin volere    Digitized by Googl    Pad dal nalla crearsi, onde il timore,   Che qaind'il cor d'ogni mortale ingombra ,  Vano è del tutto, e se tu vedi ognora  Formarsi molte cose in terra e ’n cielo,  nè d'esse intendi le cagioni, e pensi  Perciò che Dio le faccia , erri e deliri.   Sia dunque mio principio il dimostrarti,  Che nulla mai si può crear dal nulla.  Quindi assai meglio intenderemo il resto  £ come possa generarsi il lutto  Senz'opra degli Dei. Or se dal nnlla-  Si creasser le cose, esse di seme  Non avrian d'uopo, e si vedrian produrre  Uomini ed animai nel seti dell' acque,   Nel grembo della terra uccelli e pesci,   £ nel vano dell’ aria armenti e greggi;   Pe' luoghi culli, e per gl' inculti il parto  D'ogni fera selvaggia incerto fora;   Nè sempre ne darian gl'istessi frutti  Gli alberi , ma diversi ; anzi ciascuno  D' ogni specie a produrgli allo sarebbe.  Poiché come potrian da certa madre  Nascer le cose, ove assegnati i propri  Semi non fosser da ^Natura a tutte 1  Ma or perché ciascuna è da principi  Certi creala , indi ha il natale ed esce  Lieta a godere i dolci rai del giorno ,   Ov'è la sua materia e -i-vorpi primi:   E quindi nascer d'ogni cosa il tutto  Non può, perchè fra loro alcune certe  Cose hall l'interna facoltà distinta.   Inoltre ond' è che primavera adorna   Sempre è d’ erlie e di fior? che di mature  Biade all' estiv' arsura ondeggia il campo ?  £ che sol quando Febo occupa i segni  O di Libra o di Scorpio, allor la vite  Suda il dolce liquor che inebria i sensi?    3o    T. LUCREZIO CARO    5e non perché a'ior tempi alcuni certi  Semi in un concorrendo, atti a produrre  Son ciò che nasce, alJor che le stagioni  Opportune il richieggono, e la terra  «I Di rigor genital piena c di succo ,   Puote all’ aure inalzar sicuramente  Le molli erbette e 1' altre cose tenere ì  Che se pur generate esser dal nulla  Potessero, apparir dovrian repente  In contrarie stagioni e spazio incerto ,   Non vi essendo alcun seme , che impedito  Dall' Union feconda esser potesse  O per ghiaccio o per sol ne' tempi avversi.  Né per crescer le cose avrian mestiere  Di spazio alcuno in cui si unisca il seme,  i' elle fosser del nulla atte a nutrirsi :   Ma nati appena i pargoletti infanti  Diverrebbero adulti , e in un momento  Si vedrebber le piante inverso il cielo  Erger da terra le robuste braccia.   Il che mai non succede ; anzi ogni cosa  Cresce, come conviensi , a poco a poco,   E crescendo, conserva e rende eterna  La propria specie. Or tu confessa adunque  Che della sua materia , e del suo seme  Nasce, si nutre e divien grande il tutto.   S’arroge a ciò, che non daria la terra  Il dovuto alimento ai lieti parti.   Se non cadesse a fecondarle il seno  Dal del 1' umida pioggia, e senza cibo  Propagar non potrebber gli animali  La propria specie, e conservar la vita,   Ond' è ben verisimile, che molte  Cose molti fra lor corpi comuni  Àbbian, come le voci han gli elementi j  Anzi, che sia senza principio alcuna.   In somma ond' è che non formò Natura      LIBRO 1.    3l    Uomini tanto grandi e si robusti,   Che potesser co’ piè del mar profondo  Varcar l’ acque sonanti , e con la mano  Sveller dall’imo lor l’alte montagne,   £ viver molt’ etadi , e molti secoli? Tito Lucrezio Caro. Lucrezio. Luigi Speranza, "Grice, Lucrezio, e la natura delle cose," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e Lucrezio: implicatura atomica” – “implicatura e composizionalita” – “implicatura elementare” – “implicatura simplex” “implicatura simplice” “implicatura complessa”, “alma figlia di Giove” --. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51673686930/in/photolist-2mKntct-2mKruoH-2mJcne3-2mJbUAt-2mJ71Hh-2mJaFBc-2mJ6yhb-2mJaFB2-2mJe98k-2mJ5DsZ-2mJaUwY-2mJe9QJ-2mJe9kv-2mJ4GHU-2mJ9FBp-2mJd9Aw-2mJd9CW-2mJ5yAK-2mJe9PM-2mJe9Qd-2mJ5yx3-2mJaUx9-2mJaUvf-2mJ5yyL-2mJe9Ss-2mKnsD4-2mJ5yxd-2mJaUw2-2mJe9TQ-2mJaUxz-2mJ5yyW-2mJ5yB6-2mJ5h5Z-2mJd9zE-2mJ5yAz-2mJe9RL-2mJ9FAx-2mJe9RR-2mJe9Ra-2mJaUva-2mJ5yxi-2mJ5yz2-2mJ5ywX-2mJaUxu-2mJ5yxt-2mJd9Ar-2mJaUvR-2mJ9FEf-o6cgMk-o6bmyP

 

Grice e Luporini – i corpi di Vinci – il leopardi fascita – leopardi fascisti – ultra-filosofico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrara). Filosofo. Grice: “I like Luporini; I lerarned from him how silly Austin is when talking of ‘material object’ – a contradiction in terminis for Kant who uses ‘materie’ very strictly; Luporini’s study of Leopardi is brilliant – and he has explored the genius of Vinci, which is good!” Si recò a Friburgo, dove frequenta le lezioni di Heidegger, e poi a Berlino, dove poté seguire le lezioni di Hartmann. Si laurea a Firenze. Insegna a Cagliari, Pisa e Firenze. Dopo un in interesse per l'esistenzialismo, aderì al marxismo, iscrivendosi al Partito Comunista, per il quale fu eletto senatore nella terza legislature. Tra le altre iniziative parlamentari, fu firmatario di un progetto di legge, "Istituzione della scuola obbligatoria statale dai 6 ai 14 anni.” Fonda la rivista Società.  Collabora ai periodici politico-culturali del PCI, Il Contemporaneo, Rinascita, Critica marxista. Durante il dibattito che, a seguito degli eventi, porta alla trasformazione del PCI in PDS, si schierò decisamente contro la "svolta" di Occhetto, aderendo alla mozione "due" di opposizione interna, in un'orgogliosa difesa e per un rilancio della prospettiva e degli ideali comunisti. Il marxismo di Luporini si fonda su una critica radicale allo storicismo, sul rifiuto di ogni concezione finalistica dello sviluppo storico: il comunismo, quello marxista in particolare, non è assimilabile con la tematica tipicamente storicista del progresso come traccia dell'evoluzione umana. Egli rifiuta letture dogmatiche del marxismo e le sue deteriori forme di economicismo e meccanicismo, ma, pur apprezzando lo strutturalismo di Althusser con cui cercò di far dialogare tutto il marxismo italiano, non ne condivideva l'anti-umanismo, in quanto il pensiero di Marx conserva per lui un profondo umanesimo, anche negli scritti successivi alla "rottura epistemologica" in cui le strutture, cioè i modelli interpretativi della società, non sono astratti ma in funzione degli individui concreti, umani.  Nello stesso ambito marxista, tra i suoi obiettivi polemici vi furono quelle posizioni che proponevano una interpretazione di radicale discontinuità tra Marx e Hegel, cioè quelle di Volpe e della sua scuola. Centrale è infatti per Luporini la nozione di “contra-dizione,” la marxiana "oggettività reale", che lo pone comunque in relazione con Hegel. Marx deve essere considerato una concezione aperta e complessa, dove materialismo e dialettica compongono una sintesi mai totalizzante (da qui il suo interesse per l'elaborazione di Gramsci) e parte fondamentale di una più generale teoria dei condizionamenti umani.  Fondamentale è il concetto di formazione economico-sociale, espressione già utilizzata da Sereni, ma in senso storicistico e cioè la possibilità per il marxismo di costituire un modello per l'analisi degli specifici modi di produzione della società capitalista, nonché per la previsione scientifica delle sue varie forme. La legge generale delle formazioni economico-sociali è tratta dall’Introduzione ai Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica di Marx. La struttura economica va indagata secondo logica scientifica e bisogna stabilire un "criterio oggettivo", il momento dominante che condiziona tutti gli altri assetti produttivi.  L'approccio storico-genetico non è un continuum evoluzionistico come nella tradizione storicistica, è la fase dell'osservazione e descrizione empirica del fenomeno dalla sua origine ed è secondario rispetto all'approccio genetico-formale, cioè all'indagine che permette di stabilire la categoria dominante di una determinata fase storica della produzione. Il modello de Il Capitale può dunque aspirare all'universalità, ma anche alla flessibilità di applicazione. La formalizzazione di un “modello” attraverso il metodo genetico, individua anche il processo per cui i rapporti di produzione si riflettono in qualcos’altro, la coscienza dei singoli, le relazioni inters-oggettive (l’inter-azione’) e le radici stesse della vita morale. È palese così il contrasto di Luporini ad ogni disegno provvidenzialista e di filosofia della storia e anche in questo si rende chiaro il rapporto dialettico-oppositivo tra Hegel e Marx. Per quanto riguarda Leopardi, secondo Luporini, la sua poesia non è permeata solo di pessimismo, ma ci invita anch'essa alla resistenza attiva. La formazione filosofica di Leopardi, infatti, illuminista e materialista, permette di leggere ad esempio, nelle "magnifiche sorti e progressive" de "La Ginestra", una possibilità di rinnovamento politico-sociale non in antitesi con la concezione della 'natura matrigna', un compito storico degli esseri umani altrimenti o comunque destill'infelicità esistenziale. “Filosofia e politica: scritti dedicati a Luporini, Firenze, La Nuova Italia, Una  completa e aggiornata, L. Fonnesu, è stata pubblicata nel numero speciale dedicato a Luporini di "Il Ponte" (Firenze). Oltre agli studi sulla storia della filosofia e a un'elaborazione teorica del marxismo incentrata sui temi etici, si ricordano, fra le sue opere principali:  “Situazione e libertà” (Firenze, Monnier); “Filosofi vecchi e nuovi” (Firenze, Sansoni); “Spazio e materia in Kant” (Firenze, Sansoni); “L'ideologia comunista” (Riuniti, Roma); “Dialettica e materialismo, Roma, Riuniti,  Il soggetto e il comune, Il marxismo e la cultura italiana, in Storia d'Italia, I documenti, Einaudi. Un'incidenza notevolissima ha sugli studi leopardiani il suo saggio Leopardi progressivo.  Sulle lezioni di Heidegger e Hartmann vedi l'aneddoto in Intervista in "Repubblica", E. Sereni, Da Marx a Lenin: la categoria di formazione economico-sociale, Quaderni di Critica marxista, Realtà e storicità: economia e dialettica nel marxismo, in Critica marxista, Per l'interpretazione della categoria formazione economico-sociale, in Critica marxista, Le radici della vita morale, in  Morale e società, Riuniti, Roma); S. Lanfranchi, Dal Leopardi ottimista della critica fascista al Leopardi progressivo della critica marxista, Saggi critici in Garin, Esistenza e libertà, in Critica marxista, G. Mele, Esistenzialismo e significato della libertà, Critica Marxista, A. Zanardo, Un orizzonte filosofico materialistico, in Critica marxista, C. Rocca, Esistenzialismo e nichilismo «Belfagor», R. Mapelli, Milano, ed. Punto Rosso, Ponte, Ponte, Convegni  Quarant'anni di filosofia in Italia. "Critica marxista", Il fascicolo contiene gli atti delle due giornate di studio sulla sua filosofia oorganizzate dalla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Firenze e dalla fondazione Gramsci di Roma, Feltrinelli. Nella loro maggior parte i contributi riprendono gli interventi al Convegno promosso dall'Firenze e organizzato dal Dipartimento di Filosofia. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Senato della Repubblica; Biblioteche dei Filosofi (SNS), su picus unica. L'ultima lezione (una grande avventura intellettuale attraverso il Novecento), su hyperpoli.  Sebbene questo titolo rimandi a questioni di critica letteraria, e di fatto i risultati della critica leopardiana costituiscano l’oggetto principale da cui muove questo studio, essi saranno presentati e analizzati nelle prossime pagine innanzitutto come un ‘documento’ storico : un documento che forse non ci darà risposte soddisfacenti per comprendere meglio il pensiero leopardiano, ma contribuirà invece alla nostra riflessione sull’iter culturale e ideologico di alcuni intellettuali italiani, tra il 1940 e il 1948. Per affrontare il problema della transizione e tentare di isolare alcuni elementi di continuità e di rottura, il discorso svolgerà un percorso circolare : partendo dal saggio pubblicato da Cesare Luporini nel 1947, Leopardi progressivo, al quale, in un primo momento, si accennerà solo molto brevemente ; seguendo poi un cammino a ritroso per rintracciare l’itinerario e le origini anche abbastanza lontane del dibattito – iniziato sin da prima del Ventennio – da cui trae origine questo testo ; e tornando infine al 1947 e al libro di Luporini, molto noto, anche fuori dalla cerchia degli specialisti di Leopardi, tanto da esser divenuto un ‘classico’ studiato spesso sin dal liceo1.  2 Scrive Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo che per un vers (...) 3 Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. (...) 4 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 64. 2 La scelta dell’aggettivo progressivo, benché avesse un’eco politica particolare nella cultura comunista del primissimo dopoguerra2, era dettata dal richiamo letterario alle « magnifiche sorti e progressive » de La Ginestra di Leopardi3. Ma nella citazione di Luporini l’aggettivo perdeva il sapore amaramente ironico di quel verso leopardiano ed assumeva invece un significato totalmente positivo, per indicare una forma di fiducia nel « generale progresso dell’incivilimento »4 che, secondo il critico, emana dalla lettura complessiva di una poesia come La Ginestra e, forse soprattutto, da un’attenta analisi dello Zibaldone di Leopardi. Questa fiducia non risiede però, per Luporini, nell’individuo, bensì nella moltitudine, ovvero nel popolo e nella sua virtù, e sfocia in una dichiarazione di solidarietà tra gli uomini tutti, contro la natura, per un progresso generale della condizione umana.  3 La vivacità delle reazioni che suscitò il saggio quando fu pubblicato dà una preziosa indicazione di quanto originale e quanto importante fosse l’interpretazione proposta da Luporini. Per illustrare l’accoglienza che ricevette è particolarmente utile la recente testimonianza di Franz Brunetti, che sarebbe poi diventato professore di filosofia e specialista di Galilei, ma che allora era ancora al terzo anno di studi della Scuola normale superiore di Pisa, dove Luporini appunto insegnava. Brunetti ricorda perfettamente  il Leopardi progressivo, la cui lettura creò interesse e agitazione fra i normalisti : ne discutevano animatamente nei corridoi, nelle stanze e durante i pasti nella sala da pranzo soprattutto gli italianisti Giulio Bollati, Luigi Blasucci, Dante della Terza, che trascinavano tutti gli altri. Era lecita una definizione politica del poeta ? Era corretta siffatta operazione ideologica ? Non era forse più opportuna una ricomposizione unitaria del pensiero leopardiano […] ?  5 F. Brunetti, Il « nostro » professore Cesare Luporini, in Cesare Luporini 1909-1993, a cura di M. M (...) La discussione, animata e per certi versi lacerante, si protrasse per giorni, riecheggiando sotto le volte dei corridoi nel Palazzo dei Cavalieri. Fu però efficace, perché fece rientrare la sensazione provocatoria del saggio e ricondurre l’elemento ideologico e il « tecnicismo filosofico » nelle giuste dimensioni, sortendo d’altro canto l’effetto di mettere in discussione l’apollineità in cui la critica crociana mirava a rinchiudere la poesia e insieme il poeta. Non è un caso che da quello stesso anno [1948] anche il lavoro critico di Luigi Russo si attestò in una valorizzazione della « politicità » dei poeti, rompendo, proprio lui, il dominante schema crociano. Una pietra gettata nello stagno, una fertile provocazione intellettuale.5  4 Quanto racconta Brunetti è, per molti aspetti, significativo e rappresentativo del clima ideologico e culturale di quegli anni, e della transizione che si sta operando, anche nel piccolo mondo della critica letteraria.  6 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 38 e 92. 7 W. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni, 1947. Sebbene molto diversi, il testo di  (...) 5 Brunetti definisce il testo di Luporini un’« operazione ideologica », in quanto offre una lettura non solo eminentemente politica dell’opera leopardiana, ma una lettura esplicitamente comunista. Luporini vede in Leopardi un « anticipatore di ulteriori dottrine », « fedele ai principi della democrazia rivoluzionaria, anche più avanzata »6. In questo senso, il 1947 segna, col saggio di Luporini – e col saggio altrettanto noto di Walter Binni, La nuova poetica leopardiana, pubblicato lo stesso anno7 – una svolta decisiva nella storia della fortuna leopardiana, inaugurando la proficua stagione della critica leopardiana del secondo Novecento, segnatamente della critica detta marxista.  6 D’altra parte, Brunetti considera che l’opera di Luporini era, nel contesto culturale della seconda metà degli anni Quaranta, una vera e propria « pietra gettata nello stagno » e una « fertile provocazione intellettuale », in quanto rimetteva in questione il « dominante schema crociano ». Con quest’ultima osservazione, Brunetti non rende, tuttavia, conto di quanto fosse recente tale « dominio ». Se è vero, infatti, che il metodo crociano si era imposto nel mondo culturale di quel primissimo dopoguerra, durante tutto il Ventennio e anche durante la guerra esso era stato sì prevalente, ma solo nella cerchia, in realtà abbastanza ristretta, degli intellettuali ostili o estranei al fascismo. Di sicuro non era stato lo « schema dominante » imposto negli studi letterari, nelle riviste, nelle accademie e nelle università dell’Italia fascista.  8 Croce conia la voce « allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocab (...) 9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul mondo culturale in epoca fascista, si veda in particolare G (...) 10 Il ruolo di Vittorio Cian (1862-1951) negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di transizi (...) 11 Arturo Marpicati (1891-1961) compie studi di letteratura italiana a Firenze, pubblica alcune raccol (...) 12 Ecco quanto scriveva, ad esempio, Vittorio Cian, nel 1933, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli (...) 13 Mi sia consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili in linea : S.  (...) 7 In realtà, durante il Ventennio solo una minoranza di critici – pur trattandosi di una minoranza quantitativamente e soprattutto qualitativamente importante – aveva seguito l’idea crociana dell’autonomia dell’arte, e quindi perlopiù evitato di dare una lettura apertamente politica dei testi letterari. Erano relativamente pochi i critici che aderivano al principio secondo cui gli elementi che in un’opera d’arte contengono un messaggio dichiaratamente politico o morale sono « allotri »8, ovvero estranei alla vera poesia del testo, perché non corrispondono allo slancio primo e poetico dell’intuizione estetica. A questi si opponeva la critica di stampo fascista, nelle cui file, ben più folte, troviamo uomini di grande influenza e di grande potere nell’ambiente culturale ed accademico, come un Giovanni Gentile9, un Vittorio Cian10, ma anche un Arturo Marpicati11. Essi contestavano, anche violentemente, la lezione crociana12, mentre rivendicavano, per tutti i testi letterari, la legittimità di una lettura morale, politica, improntata all’attualità. La tendenza ad ‘attualizzare’ il significato delle opere fu portata a tal segno da far loro presentare, talvolta e anzi spesso, i classici della letteratura italiana come precursori del fascismo13.  8 Non era dunque la prima volta che si buttavano pietre nello stagno della critica crociana ; si potrebbe quasi dire, anzi, che non si era fatto altro che buttarvi pietre durante tutto il Ventennio.  14 In realtà, i primi sintomi di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un arti (...) 15 Ibid., p. 4. 9 Perciò, quando Brunetti denuncia « l’apollineità » in cui Croce rinchiude i poeti, e quando ricorda l’itinerario di Luigi Russo – che in quegli anni, dopo esser stato a lungo un fedele discepolo crociano, da Croce prende appunto le distanze14 – egli ci fa intuire non tanto una rottura, quanto una ‘transizione’ interessante. Tra i critici che erano stati antifascisti negli anni Venti e Trenta, molti cominciano, sin dai primissimi anni Quaranta, a maturare un progressivo allontanamento dalla posizione crociana, proprio perché si sentono vincolati da quell’implicito divieto di ‘allotrismo’ che caratterizza la produzione critica crociana, rivendicando la possibilità di considerare « la politicità nascosta » anche nella « grande poesia »15. Arrivati al 1947 o 1948, sembrano ormai giunti al punto di rottura. Ma quel che preme qui sottolineare è che vi è dunque una continuità, non certo nei contenuti politici – affatto diversi – ma potremmo dire nel metodo e nei presupposti teorici ed estetici che vengono opposti a Croce durante e dopo il Ventennio, ovvero nella comune rivendicazione ‘allotrica’.  10 Il testo di Luporini segna senz’altro una svolta nella fortuna critica di Leopardi nel Novecento, quando lo si studia come punto di partenza di una tradizione critica, e in questo modo esso viene generalmente e giustamente valutato. L’intento di questo lavoro sarà invece di considerarlo come punto di approdo problematico di un’altra tradizione critica, non posteriore ma anteriore, vigente nel Ventennio e di stampo generalmente fascista, con cui il testo di Luporini, nonostante le fondamentali differenze, ha in comune almeno due aspetti essenziali. Il primo è appunto l’opposizione all’estetica crociana che è già stata evocata e che potrebbe, senz’altro, esser estesa a gran parte della critica letteraria, non trattandosi di una specificità leopardiana ; il secondo è l’idea – sulla quale verterà più precisamente questo studio – di un fondamentale ottimismo leopardiano. Ora, una certa paternità del tema dell’ottimismo leopardiano, così come lo sviluppa Luporini, può essere attribuita a Giovanni Gentile e ad un suo saggio sulle Operette morali di Leopardi, scritto nel 1916. Questo, invece, è un discorso specifico, valido per la sola critica leopardiana.  11 L’ipotesi di una continuità tra l’interpretazione che Luporini dà di Leopardi nel 1947 e la produzione critica degli anni Venti e Trenta, con una comune opposizione a Croce, ma anche una comune matrice – almeno parziale – gentiliana, è convalidata sia dall’analisi dei testi, come vedremo, che dalla stessa biografia di Luporini e da quanto lui stesso racconta della propria esperienza. La vicenda umana, ideologica e culturale di Luporini in quel decennio che va dalla seconda metà degli anni Trenta alla fine degli anni Quaranta è, per molti aspetti, emblematica proprio di quel profilo di intellettuale nella transizione tra fascismo e Repubblica.  16 C. Luporini, Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale Accademia Nazi (...) 17 Il testo faceva parte di un volume scritto dai docenti del liceo dove Luporini insegnava, in occasi (...) 18 Nella sua autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra una delle p (...) 19 C. Luporini, Qualcosa di me stesso (25 maggio 1979), in Cesare Luporini 1909-1993, cit., p. 239. Qu (...) 12 Cesare Luporini (1909-1993) si è laureato a Firenze nel 1935, dopo aver studiato anche in Germania, dove fu in contatto con Heidegger e Hartmann. La sua tesi di filosofia su Kant, d’impostazione esistenzialistica, è letta e molto apprezzata da Gentile, il quale decide di presentarla, nel febbraio del 1935, all’Accademia dei Lincei di cui era socio16. Dopo aver conseguito la laurea, Luporini insegna al liceo, prima a Livorno, dove pubblica un primo testo su Leopardi, di cui dà un’interpretazione esistenzialistica e la cui impostazione reca già segni evidenti di anticrocianesimo17. Nel 1938 torna a Firenze ed entra a far parte del movimento liberalsocialista di Aldo Capitini e Guido Calogero, nel quale frequenta anche Norberto Bobbio, Renato Guttuso e Umberto Morra18. Nel 1939 Gentile lo chiama alla Scuola Normale Superiore di Pisa, dove era disponibile un posto di lettore di tedesco. C’era, tra Gentile e Luporini, un rapporto che Luporini stesso ebbe a definire « di grande franchezza politica », sin dal 1937, quando i due uomini si conobbero meglio, e fino alla morte di Gentile, avvenuta nel 194419. Luporini non aveva approvato la decisione del movimento liberalsocialista di confluire nel Partito d’Azione e si era perciò ritirato nel 1942, per aderire invece, nell’agosto del 1943, al Partito Comunista. Luporini si trovava quindi agli esatti antipodi politici di Gentile : eppure egli stesso racconta di come avesse tentato, nel 1943, di convincerlo ad abbandonare la Repubblica di Salò e avesse anche creduto di riuscire nel suo intento, definendo « tragica » ma anche « consapevole » la sua fine :  20 Ibid., p. 240. Non mi soffermerò sull’ultima fase di Gentile, tragica. Ricordo solo che, certo illusoriamente, cercai di persuaderlo a che si tirasse fuori dal fascismo, nel frattempo divenuto la Repubblica di Salò. Nel novembre del ’43, al Salviatino, dove abitava, ebbi con lui un incontro che non finiva mai, perché non riuscivo a rimanere solo con lui. Quando ce la feci, lo misi al corrente di quello che stava succedendo, dandogli delle notizie che evidentemente non gli davano le autorità fasciste – era stato anche ucciso uno del suo entourage – mentre io le avevo dalla rete clandestina in cui mi trovavo. Me ne uscii con la sensazione che forse qualcosa avevo ottenuto. Invece, non era così : due giorni dopo, venne fuori che il ministro Biggini s’era recato lì, al Salviatino, per offrirgli la presidenza dell’Accademia d’Italia, e che Gentile aveva accettato (ma, quand’ero stato da lui, non me l’aveva detto). E così s’avviò verso un destino di cui in qualche modo aveva consapevolezza.20  13 Poche settimane dopo quest’episodio, Gentile propone a Luporini di diventare bibliotecario dell’Accademia d’Italia. Ma Luporini rifiuta, sancendo così la fine del suo rapporto con Gentile : un rapporto che, nella nostra prospettiva, è senz’altro importante e che invece è stato quasi integralmente passato sotto silenzio. In realtà, di Luporini si ricorda soprattutto l’attività posteriore al 1945, in particolare quella che svolse come co-fondatore – con Bianchi Bandinelli – della rivista “Società”, e in seguito come direttore della stessa. La storia di questa rivista illustra l’evoluzione di molti intellettuali di sinistra dopo la Liberazione, proprio per il vincolo che venne rapidamente a crearsi col partito comunista. Parlando di « Società » e dei suoi intenti programmatici, Luporini dichiara nel 1979 che per lui, l’idea principale era  21 Ibid., p. 244. d’una saldatura fra quella cultura degli anni trenta di cui ho parlato – quella rottura con il passato che eravamo venuti preparando lentamente, modestamente, molecolarmente – e la cultura di quelli che venivano da fuori, soprattutto i dirigenti comunisti, e segnatamente Togliatti. Perciò, non ero d’accordo con Vittorini, con la sua idea, nel « Politecnico » d’una « nuova cultura ». I contenuti li avevamo in comune, più o meno ; però io ero per un continuismo, non assoluto, naturalmente, ma rispetto a quel che ho detto.21  22 Ibid., p. 241. 14 Per illustrare meglio le forme di questo « continuismo », bisogna rifarsi alle pagine che precedono questa citazione, in cui Luporini descrive l’ambiente culturale della Firenze degli anni Trenta e il gruppo di intellettuali antifascisti che vi frequentava. Luporini dichiara in quest’occasione che « da un certo punto di vista la vera dittatura era proprio quella idealistica » e che, nel campo specifico della letteratura e della storiografia, l’idealismo « dittatoriale » era forse più crociano che non gentiliano22. Continua poi la narrazione del proprio iterintellettuale, negli anni Trenta e Quaranta, che Luporini descrive come un percorso che consta di due tappe fondamentali, due svolte, anzi due transizioni. La prima avviene negli anni Trenta, quando Luporini prende le distanze dall’idealismo crociano e scopre l’esistenzialismo ; la seconda, negli anni Quaranta, quando dall’esistenzialismo Luporini si sposta verso posizioni marxiste.  15 Questi pochi elementi biografici offrono due spunti notevoli per l’analisi della produzione di Luporini. In primo luogo, il rapporto personale più approfondito che Luporini aveva con Gentile e non con Croce induce a riconsiderare l’influenza dell’uno e dell’altro sulla sua prima formazione, da giovane studente e studioso di filosofia e di letteratura. In secondo luogo, nell’esprimere a posteriori il programma della sua rivista « Società », Luporini formula una precisa volontà culturale ed ideologica propria di quel periodo di transizione, che consiste nel superare l’idealismo crociano e nel consentire una forma di « continuismo » tra una certa cultura anticrociana degli anni Trenta e quella degli anni Quaranta. Applicati alla critica leopardiana del dopoguerra, questi due elementi dimostrano quanto fosse complessa e problematica l’eredità della critica fascista e della critica idealista.  23 C. Luporini, Con Heidegger 1931-1933. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heideg (...) 24 G. Gentile, Manzoni e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV, Firenze, Sansoni, 1960. 16 Leopardi, d’altronde, offre una prospettiva privilegiata per analizzare il rapporto tra Croce, Gentile e Luporini. Era il poeta prediletto di Luporini : « Leopardi è stato sempre il mio autore », dichiarava Luporini nel 198923, e come tale, egli continuò a leggerlo e a rileggerlo da un capo all’altro della sua vita. Ma era anche un poeta molto amato da Gentile – benché numerose e importanti fossero le differenze tra il materialismo dell’uno e l’attualismo dell’altro – e la costanza del suo interesse per Leopardi ci è testimoniata dalla regolarità con la quale il filosofo siciliano pubblicò per più di trent’anni, tra il 1907 e il 1938, testi sul pensiero e sulla poesia di Leopardi, poi raccolti in un unico volume24. D’altro canto, invece, Leopardi non è stato un autore particolarmente apprezzato né compreso da Croce. Citiamo qui l’allegro commento di uno studioso che era stato suo discepolo, Vincenzo Gerace, e che nel 1929 dichiarava :  25 V. Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Folig (...) Croce non ama Leopardi. Non può amarlo. Gli dà forte sui filosofici nervi. Gli è d’impaccio al teorico passo, uso a scalciare stizzoso, ovunque lo trovi, quel terribile nemico della sua teoria estetica : l’intellettualismo e il moralismo nel mondo dell’arte. Or se c’è un intellettualista e un moralista convinto e di altissimo stile nella storia della nostra poesia, e tenace in teorie e in fatti, questi è Leopardi.25  26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119. 27 Ibid., p. 107. 17 Gerace allude qui senz’altro al celebre testo che Croce pubblica dapprima su « La Critica » e poi nel volume Poesia e non poesia del 192326. La principale critica che Croce rivolge alla poesia di Leopardi è di esser intrisa di elementi allotri, di momenti meditativi, filosofici, polemici, che sono, per il critico idealista, profondamente estranei alla pura ispirazione e intuizione poetica. Come tali, Croce non li considera veramente poetici, tanto che, nel suo esame complessivo dei versi leopardiani, egli considera che solo un numero relativamente ridotto corrisponda alla sua definizione di poesia. Croce non emette riserve unicamente sulla poesia di Leopardi, ma ne esprime di ancora più forti sul valore della sua filosofia. Per Croce, il pensiero leopardiano è dettato innanzitutto dal sentimento, anzi dal risentimento per una « vita strozzata », ed è dunque troppo soggettivo per essere considerato un pensiero filosofico universale. In questa prospettiva, Croce interpreta il pessimismo o ottimismo di Leopardi come un indizio dell’origine prettamente sentimentale del suo pensiero, e quindi come una prova della sua pochezza concettuale : « La filosofia », afferma Croce, « in quanto pessimistica o ottimistica è sempre intrinsecamente pseudo-filosofia, filosofia a uso privato »27.  28 I due testi si trovano oggi nel volume di G. Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operett (...) 29 Ibid., p. 164 30 Ibid., p. 163. 18 In queste pagine, Croce sta in realtà dialogando con colui che era, da molti anni ma per pochi mesi ormai, un amico ed un collaboratore, Giovanni Gentile, il quale aveva pubblicato, nel 1916 e nel 1919 due saggi – il primo sulle Operette morali, il secondo intitolato Prosa e poesia nel Leopardi – decisivi per la questione della filosofia pessimistica o ottimistica di Leopardi28. Anche Gentile, come Croce, giudica severamente la qualità filosofica del pensiero leopardiano, dichiarando che « se cerchiamo in lui il filosofo, avremo lo scettico, ironista, materialista piuttosto mediocre nell’invenzione »29. Gentile formula, tuttavia, un’interpretazione ben diversa, molto più feconda ed originale, della questione del pessimismo o ottimismo di Leopardi. Senza negare del tutto il suo pessimismo, Gentile lo ridimensiona attribuendolo storicamente e concettualmente alla sola influenza della filosofia materialista, direttamente ereditata dai Lumi. Si tratta quindi di un « pessimismo della ragione » settecentesca, che Gentile giudica, tutto sommato, superficiale e poco originale, e al quale oppone invece un « ottimismo del cuore », profondamente radicato nell’animo leopardiano. Così scrive nel 1919 : « Il Leopardi, pessimista di filosofia, e quasi alla superficie, fu invece ottimista di cuore, e nel profondo dell’animo : tanto più acutamente pessimista col progresso della riflessione, e tanto più altamente e umanamente ottimista »30.  31 Vi è, nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del resto, un (...) 32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sent (...) 33 F. Pasini, Tutto il pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna, 1928, p. 5. 19 Gentile dà particolare rilievo alla tesi di un’ultrafilosofialeopardiana31, supponendo l’esistenza di una sorta di pensiero leopardiano oltre la filosofia pessimistica e materialistica : un pensiero più autentico, perché più intimamente poetico, più spirituale e quindi, per Gentile, più leopardiano32. La rivalutazione gentiliana delle Operette morali e l’interpretazione in chiave ottimistica del pensiero leopardiano segnano un momento importante nella storia della critica, avviando un nuovo filone esegetico che gode di particolare successo durante il Ventennio. Si assiste allora, come nota un critico nel 1928, ad un « capovolgimento, del punto di vista dal quale si usava considerare Leopardi » : da « poeta del pessimismo » che era « per tutti », Leopardi « è diventato il poeta dell’ottimismo »33.  34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159. 35 Per una presentazione dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione crit (...) 20 Sin dall’Ottocento, De Sanctis aveva esaltato l’effettopositivo prodotto dalla lettura della poesia leopardiana, dichiarando che « Leopardi produce l’effetto contrario a quello che si propone. Non crede al progresso, e te lo fa desiderare ; non crede alla libertà, e te la fa amare »34. Negli anni Venti e Trenta, tuttavia, l’intento della critica leopardiana è rivelare elementi intrinsecamente positivi ed ottimistici, non nell’effetto prodotto sui lettori, ma alla matrice stessa del pensiero leopardiano. L’opposizione proposta da Gentile nel 1919, tra un pessimismo della ragione ed un ottimismo del cuore viene ampliamente ripresa e riesplorata, dando adito a tutta una serie di interpretazioni che potremmo definire irrazionali e fideistiche. Oltre il pessimismo materialista, oltre il razionalismo disperato, la cui importanza viene sistematicamente sminuita, molti critici cercano ed esaltano lo slancio ottimistico della fede leopardiana : fede nella poesia, ma anche e spesso soprattutto fede nella patria e nella stirpe italiana. In questo senso potremmo interpretare alcune letture mistiche che vengono date di Leopardi e del suo pensiero negli anni Trenta soprattutto35.  36 S. Lanfranchi, De centenaire en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leo (...) 21 Non è certo questo il luogo per analizzare questa produzione, vasta seppur povera di elementi filologici e critici realmente nuovi. Ai fini del nostro discorso, preme tuttavia osservare che un argomento ricorre sovente tra questi testi, che consiste nel dare una spiegazione prettamente contestuale e storica al pessimismo di Leopardi, negandogli di fatto un valore universale. Il motivo fondamentale del pessimismo leopardiano è, per la critica di stampo fascista degli anni Venti e Trenta, di natura politica, anzi patriottica. Morto nel 1837, Leopardi non ha assistito né agli albori del Risorgimento, né alla prima guerra mondiale, né tanto meno alla marcia su Roma : se invece fosse stato spettatore e attore di tali avvenimenti, egli – assicurano tali critici – non sarebbe stato pessimista. Questo argomento costituisce un vero e proprio topos oratorio, ripetuto centinaia di volte in occasione dei discorsi ufficiali e delle commemorazioni del Ventennio, poiché, nonostante sia fondato su un anacronismo e quindi scientificamente non abbia alcun valore, la sua efficacia retorica è notevole. E segnatamente lo si trova nel 1937, quando, in occasione del centenario della morte, il regime organizzò, spesso controllandoli e canalizzandoli, tutta una serie di festeggiamenti ufficiali, in cui Leopardi veniva molto spesso presentato come un precursore del fascismo36.  22 Vi furono però alcune celebrazioni che riuscirono a rimanere in margine delle commemorazioni ufficiali e quindi a garantire una certa libertà di espressione rispetto alla produzione su Leopardi. Tra queste, troviamo l’annuario di un liceo livornese, che nel 1938 pubblicò un numero speciale con vari studi consacrati a Leopardi. Il secondo, intitolato Il pensiero di Leopardi, era proprio il testo di Cesare Luporini, che in quel liceo appunto insegnava filosofia. In questo saggio, l’intento primo di Luporini non è solo di presentare un Leopardi esistenzialista, ma anche e forse soprattutto di contestare la posizione dell’idealismo, sia crociano che gentiliano, rivendicando innanzitutto il valore filosofico del pensiero leopardiano e quindi anche del suo pessimismo. Luporini non esita a metterlo a confronto con i maggiori filosofi dell’Occidente :  37 C. Luporini, Il pensiero di Leopardi, cit., p. 68. Tra il pessimismo del Pascal, ultima grandiosa affermazione del medioevo religioso e il pessimismo del Leopardi, c’è l’età dell’illuminismo nei suoi ideali più alti, c’è Cartesio e Kant (che pur Leopardi non conosceva), c’è insomma il pensiero moderno che fonda tutto il valore dell’uomo nella sua dignità morale e questa sua dignità morale nella verità che egli ha raggiunto colle proprie forze, rivelata alla sua ragione.37  38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza esistenzialistica [Luporini] se l’era ormai lasciata  (...) 39 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 97. 40 Ibid., pp. 101-102. 23 Sarebbe opportuno comprendere se vi siano elementi comuni tra i due testi di Luporini su Leopardi, scritti a distanza di dieci e decisivi anni. Sussistono poche tracce del Leopardi esistenzialista del 1938 nel Leopardi progressivo del 194738. Un lascito più evidente consiste invece nella condanna duratura e permanente di Croce – di cui Luporini cita esplicitamente « l’infelice giudizio » su Leopardi39. Per Luporini, non solo la poesia di Leopardi è sempre vera poesia, ma anche il suo pensiero, potremmo dire, è vero pensiero, vera filosofia. Leopardi, dice Luporini nel 1947, « fu un pensatore progressivo ; in certo modo, dentro i limiti della sua funzione di moralista, di non-tecnico della filosofia né di alcuna disciplina particolare, il più progressivo che abbia avuto l’Italia nel xix sec. »40.  24 L’interpretazione data da Gentile – che invece Luporini nel suo testo non cita mai – e la stagione di studi sul Leopardi ottimistico che essa inaugurò per il Ventennio fascista lasciano invece dietro di sé, e sul saggio di Luporini in particolare, un’eredità molto più complessa da cogliere e da valutare. Nell’insistere sul materialismo del pensiero leopardiano, Luporini intendeva senz’altro opporsi alla lettura idealistica e spirituale di Gentile. È inoltre significativa la scelta di Luporini, che non parla di un Leopardi ottimista, ma progressivo, rifacendosi perciò ad un lessico di tutt’altra connotazione ideologica. Vi sono, tuttavia, anche alcuni elementi di continuità, e ci soffermeremo brevemente su tre di questi.  41 Ibid., pp. 49 e 69. 42 S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 180. 25 Il primo sta nell’origine contestuale e storica che Luporini attribuisce al pessimismo leopardiano, il quale deriva, secondo lui, da una delusione storica : la delusione della Rivoluzione francese. « Questa delusione – scrive Luporini – non spiega solo il pessimismo storico di Leopardi, ma il suo successivo e rapido ‘pessimismo cosmico’ ; ossia spiega tutto il pensiero leopardiano. I due pessimismi nascono da un unico germe, appartengono a un unico processo di pensiero »41. Nel 1965, esprimendo un giudizio complessivamente molto positivo sul testo di Luporini, Sebastiano Timpanaro emette la principale sua riserva proprio su questa interpretazione, che giudica insufficiente in quanto non rende conto del « valore permanente del pessimismo leopardiano »42. Nella nostra prospettiva, è importante notare che la spiegazione storica, benché usasse altri mezzi e perseguisse altri fini, era già usata in modo sistematico dalla critica fascista, escludendo a priori l’idea di un pessimismo non fondato sulla storia, ma sulla condizione umana in senso universale e astorico.  43 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 50. 44 Ibid., p. 60. 26 Il secondo elemento di continuità sta nel giudizio, proprio di Luporini ma anche della critica fascista, secondo cui nonostante il pessimismo scaturito dalla delusione storica, vi fosse in Leopardi una “inconcussa e nascosta fede”43, qualcosa che lo induceva comunque a sperare. Come Gentile, anche Luporini dà un notevole rilievo a quell’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia » nello Zibaldone, ma le attribruisce contenuti affatto diversi perché in essa « sembra condensarsi la “disperata speranza” dell’individuo Leopardi »44.  45 Ibid., p. 38. Timpanaro considera che non era « accettabile » il « rimprovero » mosso a Luporini, d (...) 27 Il terzo ed ultimo elemento di continuità, tra il testo di Luporini e la produzione critica del Ventennio, sta infine nel presentare Leopardi quale un « anticipatore di ulteriori dottrine »45. In entrambi i casi, Leopardi diventa precursore politico di un’ideologia del Novecento e, in entrambi i casi, diventa precursore di un’ideologia strutturalmente ottimistica. L’ottimismo era, infatti, un aspetto culturale e ideologico programmatico per il fascismo ma, d’altra parte, il progresso – e quindi la visione ottimistica del divenire umano che lo sottende – è a sua volta un perno essenziale dell’ideologia comunista.  46 C. Luporini, Leopardi moderno, intervista a cura di F. Adornato, « L’Espresso », 1°marzo 1987, p. 1 (...) 28 Su questo punto vorremmo abbozzare le nostre prime rapide conclusioni. Parallelamente al discorso critico più tradizionale e canonico, che sin dall’Ottocento va definendo le varie fasi del pessimismo leopardiano, si possono rintracciare nel Novecento le tappe di elaborazione del mito di un Leopardi ottimista : un mito che forse proprio durante il Ventennio conosce la maggiore diffusione, ma che non muore con la caduta del regime fascista. Il suo permanere, sotto forme diverse, è forse proprio dovuto al vincolo che lo unisce ad ideologie strutturalmente ottimistiche, le quali, quando designano nel Leopardi un precursore, lo « piegano » naturalmente in questo senso. Alla luce di queste considerazioni, assumono un significato particolare le parole che pronuncia lo stesso Luporini, in un altro periodo di transizione, alla fine degli anni Ottanta, davanti al crollo del regime comunista e davanti alla crisi di quest’altra ideologia novecentesca. Non a caso, Luporini ritorna allora a studiare Leopardi, per trovarvi l’espressione del suo sgomento : « Il sapersi soli di fronte alla storia, senza speranze – senza nessuna garanzia, senza nessuna ideologia, senza nessuna consolazione »46. Siamo molto lontani dal messaggio ottimistico del Leopardi progressivo, e rimane poco delle antiche speranze (di Luporini). Rimane però quello stesso amore per Leopardi, e quel sentimento della sua ‘attualità’ più pregnante :  47 Ibid. Nella nostra epoca così confusa e in fase di assestamento, nella crisi di tutte le categorie con le quali ci siamo mossi finora, questa mi sembra un’idea liberatoria. Si può, anzi si deve, essere disillusi : ma non per questo inerti e rassegnati. Essere nichilisti e insieme attivi : ecco l’attualissimo messaggio di Leopardi.47Débat  Inizio pagina NOTE 1 Il testo Leopardi progressivo fu pubblicato per la prima volta nel volume Filosofi vecchi e nuovi : Scheler-Hegel-Kant-Fichte-Leopardi, Sansoni, Firenze, 1947. Come Luporini scrive in un’avvertenza ad una nuova edizione, datata del febbraio 1980, « questo Leopardi progressivoebbe subito una sua risonanza particolare, così che poi, nel corso di tutti questi anni, molte volte sono stato sollecitato a ripubblicarlo in edizione separata. Questa domanda proveniva da varie parti, ma soprattutto dal mondo della scuola (insegnanti e studenti), il che mi ha sempre fatto particolare piacere » (C. Luporini, Avvertenze dal 1980 al 1992, in Id., Leopardi progressivo, Roma, Editori Riuniti, 2006, p. ix).  2 Scrive Sebastiano Timpanaro a proposito del titolo scelto da Luporini : « un titolo che per un verso alludeva polemicamente alle “magnifiche sorti e progressive” derise nella Ginestra (volendo indicare che il Leopardi, nemico del falso progresso borghese-moderato, mirava ad un progresso molto più radicale, al di là dell’orizzonte politico della propria epoca e del proprio ambiente), per un altro accoglieva quell’accezione un po’ sottile e non immune da ambiguità che questo aggettivo ebbe per alcuni anni nel linguaggio politico italiano : non equivalente a “progressista” (che sapeva troppo di radicalismo borghese), ma piuttosto a “democratico avanzato”, di una democrazia destinata, senza rivoluzione, a sfociare nel socialismo. Gli equivoci politici di quest’uso di “progressivo” ne causarono la rarefazione e poi la scomparsa quando era ancora in vita Togliatti, che ne era stato, se non l’inventore, certo il massimo diffusore attraverso la formula della “democrazia progressiva” » (S. Timpanaro, Antileopardiani e neomoderati nella sinistra italiana, Pisa, ETS, 1982, p. 150).  3 Si tratta del v. 51 della Ginestra, in G. Leopardi, Poesie e prose, vol. I, Poesie, a cura di M. A. Rigoni, con un saggio di C. Galimberti, Milano, Mondadori (I Meridiani), 1987, p. 125.  4 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 64.  5 F. Brunetti, Il « nostro » professore Cesare Luporini, in Cesare Luporini 1909-1993, a cura di M. Moneti, numero speciale della rivista « Il Ponte », LXV, 11, 2009, p. 60.  6 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 38 e 92.  7 W. Binni, La nuova poetica leopardiana, Firenze, Sansoni, 1947. Sebbene molto diversi, il testo di Luporini e quello di Binni hanno in comune l’originalità dell’impostazione critica, che contribuì a rinnovare gli studi leopardiani nel dopoguerra. La migliore illustrazione e analisi di tale svolta critica si trova forse ancora nelle pagine, ormai non più recenti, di S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano, Pisa, Nistri Lischi, 1965, p. 133-137.  8 Croce conia la voce « allotrio » per indicare ciò che è estraneo all’estetica, rifacendosi al vocabolario filosofico tedesco dell’Ottocento, e al greco ἀλλóτριος, che signifca « estraneo, altrui ».  9 Per l’influenza di Giovanni Gentile sul mondo culturale in epoca fascista, si veda in particolare G. Turi, Giovanni Gentile : una biografia, Firenze, Giunti, 1996.  10 Il ruolo di Vittorio Cian (1862-1951) negli studi letterari del Ventennio e nel periodo di transizione è stato recentemente studiato da Clara Allasia in una serie di lavori, tra cui « Il virus malefico » dell’ideologia nazionale e le illusioni di un « maestro di metodo » : Vittorio Cian, in Fascisme et critique littéraire. Les hommes, les idées, les institutions, a cura di C. Del Vento e X. Tabet, vol. II, Caen, PUC (Transalpina 13), pp. 33-60.  11 Arturo Marpicati (1891-1961) compie studi di letteratura italiana a Firenze, pubblica alcune raccolte di poesie e vari testi di critica letteraria. Ma sin dalla prima guerra mondiale mette da parte l’attività letteraria – alla quale si consacra solo sporadicamente – per dedicarsi invece alla politica, dapprima a Fiume, poi nella militanza e nel regime fascisti. Assume vari incarichi prestigiosi, tra cui quello di Cancelliere dell’Accademia d’Italia dal 1929, poi di direttore, nel 1930, dell’Istituto nazionale di cultura fascista, e anche di vice segretario del Partito Nazionale Fascista dal 1931 al 1934.  12 Ecco quanto scriveva, ad esempio, Vittorio Cian, nel 1933, rivolgendosi a Croce e ai suoi discepoli : « Questi cerebrali, più o meno giovini, chierici sterili e sterilizzatori, officianti nella Cappella all’insegna dello Spegnitoio, dovrebbero ormai decidersi. O smetterla, rassegnandosi a tacere e a sparire dalla scena letteraria – e sarebbe tanto di guadagnato – oppure mettersi al passo coi tempi nuovi » (V. Cian, Rassegna bibliografica, « Giornale Storico della letteratura italiana », LI, 102, 1933, p. 120).  13 Mi sia consentito di rimandare in questa sede a due testi miei, entrambi accessibili in linea : S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, Lectures critiques et scolaires de Vittorio Alfieri, Ugo Foscolo et Giacomo Leopardi dans l’Italie fasciste, 2008 [http://tel.archives-ouvertes.fr/docs/00/37/21/89/PDF/theseversion7-12-08.pdf] ; Id., « Verrà un dì l’Italia vera », Poesia e profezia dell’Italia futura nel giudizio fascista, « California Italian Studies », II, 1, 2011 [http://escholarship.org/uc/ismrg_cisj], consultato in data 9 marzo 2012.  14 In realtà, i primi sintomi di « insofferenza » Russo li diede sin dal 1941, mentre scriveva un articolo sulla critica foscoliana recente, nel quale rivendicava la « politicità » di un testo come Le Grazie e la legittimità di una lettura che non si attenesse ad un’analisi strettamente letteraria, estetica e formale. Questo esempio viene a dimostrare quanto detto subito dopo nel nostro studio, ovvero l’ipotesi di un allontanamento progressivo dalle posizioni crociane durante gli anni Quaranta, che nel 1947-1948 giunge a compimento (L. Russo, Le Grazie di Foscolo e la critica contemporanea, « Italia che scrive », XXIV, 2, 1941, pp. 3-4).  15 Ibid., p. 4.  16 C. Luporini, Critica e metafisica nella filosofia kantiana, « Rendiconti della Reale Accademia Nazionale dei Lincei. Classe di Scienze morali, storiche e filologiche », s. VI, XI, 1935, pp. 87-115.  17 Il testo faceva parte di un volume scritto dai docenti del liceo dove Luporini insegnava, in occasione del centenario della morte di Leopardi, nel 1937 : C. Luporini, Il pensiero di Leopardi, in Studi su Leopardi, Livorno, Belfronte e C., 1938 (Pubblicazioni del R. Liceo Scientifico « Costanzo Ciano », 1), pp. 41-69.  18 Nella sua autobiografia, Norberto Bobbio cita un disegno di Renato Guttuso che illustra una delle prime riunioni clandestine del movimento, riunito nella villa di Umberto Morra, vicino a Cortona, nel 1939. Vi si vedono Bobbio, Luporini, Capitini (con davanti a sé un testo che porta la scritta « Non violenza »), Morra, lo stesso Guttuso e Calogero (con un altro testo intitolato invece « Liberalismo sociale ») (N. Bobbio, Autobiografia, Roma-Bari, Laterza, 1997, pp. 41 e 172).  19 C. Luporini, Qualcosa di me stesso (25 maggio 1979), in Cesare Luporini 1909-1993, cit., p. 239. Questo testo è la trascrizione « dell’ultima lezione tenuta, dall’autore, nella Facoltà di Lettere di Firenze, al momento dell’andata fuori ruolo » (ibid., p. 233).  20 Ibid., p. 240.  21 Ibid., p. 244.  22 Ibid., p. 241.  23 C. Luporini, Con Heidegger 1931-1933. Alcune riflessioni, oggi, tra filosofia e politica, in Heidegger in discussione, Atti del Convegno internazionale « L’eredità di Heidegger », Roma, 29-31 maggio 1989, a cura di F. Bianco, Milano, Franco Angeli, 1992, p. 39.  24 G. Gentile, Manzoni e Leopardi (1928), in Opere, vol. XXIV, Firenze, Sansoni, 1960.  25 V. Gerace, Leopardiana, in La tradizione e la moderna barbarie. Prose critiche e filosofiche, Foligno, Franco Campitelli Editore, 1929, p. 194.  26 B. Croce, Leopardi in Poesia e non poesia, Bari, Laterza, 1923, pp. 103-119.  27 Ibid., p. 107.  28 I due testi si trovano oggi nel volume di G. Gentile, Manzoni e Leopardi, cit. Il primo, Le Operette morali, fu pubblicato per la prima volta in « Annali delle Università toscane », XXXV (1916), poi come proemio di un’edizione delle Operette morali curata da Gentile nel 1918 (G. Leopardi, Operette morali, con proemio e note di G. Gentile, Bologna, Zanichelli, 1918) ; il secondo, Prosa e poesia nel Leopardi, fu invece pubblicato, dal febbraio al marzo del 1919, nel « Messaggero della domenica ».  29 Ibid., p. 164  30 Ibid., p. 163.  31 Vi è, nello Zibaldone, un’unica occorrenza del termine « ultrafilosofia », come vi è, del resto, una sola occorrenza del termine « pessimismo », ma nella critica leopardiana questi due hapax hanno goduto di grandissimo successo. Il 7 Giugno 1820, Leopardi scriveva : « E un popolo di filosofi sarebbe il più piccolo e codardo del mondo. Perciò la nostra rigenerazione dipende da una, per così dire, ultrafilosofia, che conoscendo l’intiero e l’intimo delle cose, ci ravvicini alla natura. E questo dovrebb’essere il frutto dei lumi straordinari di questo secolo » (p. 115 del manoscritto dello Zibaldone).  32 Ricordiamo, a tale proposito, il giudizio formulato da Augusto Del Noce, secondo cui Gentile « sentì se stesso come il filosofo di Leopardi, come il suo vero continuatore perché l’attualismo avrebbe realizzato quell’ultrafilosofia a cui Leopardi aspirava » : A. Del Noce, Giovanni Gentile : per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna, Il Mulino, 1990, p. 134.  33 F. Pasini, Tutto il pessimismo leopardiano, Parenzo, Coanna, 1928, p. 5.  34 F. De Sanctis, Schopenhauer e Leopardi, in Scritti critici e Ricordi, Torino, Utet, 1986, p. 159.  35 Per una presentazione dei testi, dei contenuti e degli autori di questa particolare produzione critica leopardiana, oggi poco nota, rimando alla mia già citata tesi di dottorato (S. Lanfranchi, La recherche des précurseurs, cit., in particolare le pp. 171-180).  36 S. Lanfranchi, De centenaire en centenaire. L’Italie fasciste célèbre ses poètes (Foscolo 1927, Leopardi 1937), in Fascisme et critique littéraire, cit., vol. I, Caen, PUC, 2009 (Transalpina 12), pp. 115-126.  37 C. Luporini, Il pensiero di Leopardi, cit., p. 68.  38 Secondo Sebastiano Timpanaro : « L’esperienza esistenzialistica [Luporini] se l’era ormai lasciata decisamente alle spalle ; eppure essa aveva lasciato una traccia nell’interesse per i temi leopardiani della “vitalità” e del rapporto natura-ragione, nel rifiuto di un’interpretazione troppo storicisticamente angusta del problema Leopardi ». (S. Timpanaro, Antileopardiani e neomoderati, cit., p. 149)  39 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 97.  40 Ibid., pp. 101-102.  41 Ibid., pp. 49 e 69.  42 S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 180.  43 C. Luporini, Leopardi progressivo, cit., p. 50.  44 Ibid., p. 60.  45 Ibid., p. 38. Timpanaro considera che non era « accettabile » il « rimprovero » mosso a Luporini, di aver fatto di Leopardi un « precursore del marxismo » (S. Timpanaro, Classicismo e illuminismo, cit., p. 134). Ma certe pagine del libro di Luporini e alcune formule in esse contenute (segnatamente quell’« anticipatore di ulteriori dottrine ») se non rendono « accettabile » un tale giudizio, perlomeno ne spiegano l’origine.  46 C. Luporini, Leopardi moderno, intervista a cura di F. Adornato, « L’Espresso », 1°marzo 1987, p. 116.  47 Ibid.

 

 

 

Cesare Luporini. Luporini. Keywords: corpo e mente, corpo animato – l’anima di Vinci – la mente di Leonardo – i corpi di Vinci – il Leopardi fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luporini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51753674705/in/dateposted-public/

 

Grice e Luzzago—implicature – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Nato da Girolamo e da Paola Peschiera, in una delle più importanti famiglie del patriziato cittadino, e educato alla pratica devota e all'apostolato. Nel convento di S. Antonio dei gesuiti si impegna in un corso di filosofia. Dibatte in pubblico 737 argomenti filosofici! Con l'aiuto di Borromeo partecipa a Milano ai corsi di teologia dei gesuiti di Brera. Si laurea a Padova. Desideroso di entrare a far parte della Compagnia di Gesù, le difficoltà economiche della famiglia, causate da alcune transazioni inopportune del padre, glielo impedirono. Conservatore dei Monti di Pietà, e  protettore della Compagnia delle Dimesse di S. Orsola e di altri due istituti caritativi bresciani: il Soccorso e le Zitelle. Ri-organizza e da nuovo impulse a un'altra istituzione sorta dopo il Concilio di Trento: la Scuola della dottrina cristiana. Fonda la Congregazione di S. Caterina da Siena. Per far sì che il suo operato continuasse, fonda la Congregazione dello Spirito Santo, che raccolse i membri della classe dirigente cittadina con l'obiettivo di co-operare più efficacemente e concordemente al sostegno di tutte le buone istituzioni e mantenere un clima di Concordia. Infatti, intercede per la conciliazione delle famiglie nobili bresciane spesso in conflitto.  La sua indole caritativa emerse soprattutto quando venne a far parte del Consiglio di Brescia, dove sa armonizzare le strutture governative ed organismi canonici. Nelle opere scritte vi sono indicazioni per i cavalieri di Malta, sulla carità, ispirati al modello della Compagnia di Gesù. Durante il suo viaggio a Roma esamina le strutture di beneficenza per poi proporle a Brescia. Ha la possibilità di conoscere F. Neri. In un'epistola a Morosini, e informato che Clemente VIII, prende in considerazione il suo nome per la carica di arcivescovo di Milano. Fu avviata presso la Congregazione dei riti la causa di beatificazione. Leone XIII, riconosciute le sue virtù eroiche, gli conferì il titolo di venerabile.  Dizionario Biografico degli Italiani, A. Cottinelli, Vita del venerabile patrizio bresciano: dedicata ai comitati parrocchiali, Tipografia e libreria Salesiana, A. Cistellini, Il movimento cattolico a Brescia, Morcelliana. A. Fappani, Enciclopedia bresciana, Opera San Francesco di Sales, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, S. Negruzzo, L'allievo santo: Roccio precettore, in «Annali di Storia dell'Educazione e delle Istituzioni Scolastiche», S. Negruzzo, Dalla scuola dell'ajo al collegio dei gesuiti: il caso di Luzzago, in Dalla virtù al precetto. L'educazione del gentiluomo,  Brescia, Fondazione Civiltà Bresciana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Luzzago. Luzzago. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Luzzago” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691213851/in/photolist-2mKLYZ2

 

Grice e Machiavelli – il principe – Machiavelli at Oxford -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “While Strawson prefers ‘The Prince,’ my favourite Machiavelli is the dialogo, discorso, ovvero dialogo intorno della lingua –“ Grice: “The full title makes it sound slightly analytic – ‘whether it should be called ‘florentine, Italian, or tooscana’ I mean, a stipulation!” -- Grice: “Like me, we can call Machiavelli a philosopher of language – the trend being very Florentine between Machiavelli and Varchi.” -- possibly Italy’s greateset philosopher – Noto come il fondatore della scienza politica moderna, i cui principi base emergono dalla sua opera più famosa, Il Principe, nella quale è esposto il concetto di ragion di stato e la concezione ciclica della storia. Questa definizione, secondo molti, descrive in maniera compiuta sia l'uomo sia il letterato più del termine machiavellico, entrato peraltro nel linguaggio corrente ad indicare un'intelligenza acuta e sottile, ma anche spregiudicata e, proprio per questa connotazione negativa del termine, negli ambiti letterari viene preferito il termine "machiavelliano".  L'ortografia del cognome è, purtroppo, ambigua: la versione "Macchiavelli", quella della statua a lui dedicata agli Uffizi, in attesa di chiarimenti dell'Ufficio Culturale del museo o dell'Accademia della Crusca, andrebbe considerata ugualmente corretta in lingua italiana. L'analisi della firma del filosofo, riportata qui accanto, farebbe propendere per la "c" singola[senza fonte]. «Nacqui povero, ed imparai prima a stentare che a godere.»  (N. Machiavelli, Lettera a Francesco Vettori.) Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi) nacque a Firenze, terzo figlio, dopo le sorelle Primavera e Margherita e prima del fratello Totto; figlio di Bernardo e di Bartolomea Nelli. Anticamente originari della Val di Pesa, i Machiavelli sono attestati popolani guelfi residenti almeno dal XIII secolo a Firenze, dove occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre Bernardo era tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa quanto veritieramente, figlio illegittimo: dottore in legge, risparmiatore per carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta da un suo Libro di Ricordi che è anche la principale fonte di notizie sull'infanzia di Niccolò. La madre, secondo un suo lontano pronipote, avrebbe composto laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al figlio Niccolò. Cominciò a studiare latino con un certo Matteo, l'anno dopo si dedicava allo studio della grammatica con Poppi, all'aritmetica  e l'anno seguente affrontava le prove scritte di componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca paterna: la I Deca di Tito Livio e quelle di Flavio Biondo, opere di Cicerone, Macrobio, Prisciano e Marco Giuniano Giustino. Adulto, maneggerà anche Lucrezio e la Historia persecutionis vandalicae di Vittore Uticense. Non conobbe invece il greco, ma poté leggere le traduzioni di alcuni degli storici più importanti, soprattutto Tucidide, Polibio e Plutarco, da cui trasse importantissimi spunti per la sua riflessione sulla Storia. S'interessò alla politica anche prima di avere degli incarichi istituzionali, come dimostra una sua lettera, la seconda che di lui ci è pervenutala prima è una richiesta al cardinale Giovanni Lopez, affinché si adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia dei Pazziindirizzata probabilmente all'amico Ricciardo Becchi, ambasciatore fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro Girolamo Savonarola.  Due sono le fasi che scandiscono la vita di Niccolò Machiavelli: nella prima parte della sua esistenza egli è impegnato soprattutto negli affari pubblici; nella successiva nella scrittura di testi di portata teorica e speculativa. Si apre la seconda fase segnata dal forzato allontanamento dello storico e filosofo toscano dalla politica attiva. «Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe neri, la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata, parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona fattura, ma soltanto Leonardo, col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel fine ambiguo sorriso»  (Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli)  Caterina Sforza Riario, ritratta da Lorenzo di Credi. Niccolò aveva già presentato al Consiglio dei Richiesti, la propria candidatura a segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un candidato savonaroliano. Pochi giorni però dopo la fine dell'avventura politica e religiosa del frate ferrarese, Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto il 15 giugno dal Consiglio degli Ottanta, elezione ratificata dal Consiglio maggiore, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo segretario della Repubblica, Marcello Virgilio Adriani, che il Giovio asserisce essere stato suo maestro.  Per quanto i compiti delle due Cancellerie siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei Dieci di libertà e pace, consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, ianche questa ulteriore responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il «Segretario fiorentino».  Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura italiana di Carlo VIII, la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla riconquista di Pisaresasi indipendente dopo che Piero de' Medici l'aveva data in pegno al re di Francia- e alleata di Venezia che, intendendo impedire l'espansione fiorentina, aveva invaso il Casentino, occupandolo a nome dei Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura Paolo Vitelli, e la mediazione del duca di Ferrara Ercole I, iriconsegnò il Casentino a Firenze, autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a Pontedera, dove erano acquartierate le milizie del signore di Piombino, Jacopo d'Appiano, alleato di Firenze.  In maggio scrisse il Discorso della guerra di Pisa per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire, perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli, vecchi ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i Pisani voti di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti sarìa impossibile che reggessero».  Il 16 luglio 1499 si presentò a Forlì alla contessa Caterina Sforza Riario, nipote di Ludovico il Moro e madre di Ottaviano Riario, che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di Luigi XII e dovette ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e temporeggiò finché la malaria non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo a togliere l'assedio. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento, quello che «era il più reputato capitano d'Italia» fu decapitato.  Nessuna prova vi era che il Vitelli fosse stato corrotto dai Pisani ma la giustificazione di Machiavelli, a nome della Repubblica, in risposta alle critiche di un cancelliere di Lucca, fu che «o per non havere voluto, sendo corropto, o per non havere potuto, non avendo la compagnia, ne sono nati per sua colpa infiniti mali ad la nostra impresa, et merita l'uno o l'altro errore, o tuct'a due insieme che possono stare, infinito castigo». Conquistato il Ducato di Milano, in risposta alla richieste fiorentine Luigi XII mandò suoi soldati a risolvere l'impresa di Pisa le cui mura furono bensì abbattute nel luglio del 1500 ma né gli svizzeri né i francesi entrarono in città anzi, lamentando che Firenze non li pagasse, levarono l'assedio e sequestrarono il commissario fiorentino Luca degli Albizzi, che fu rilasciato solo dietro riscatto. A Machiavelli, presente ai fatti, non restava che informare la Repubblica, che decise di mandarlo in Francia, insieme con Francesco della Casa, per cercare nuovi accordi che risolvessero finalmente la guerra di Pisa. Il cardinale di Rouen Georges d'Amboise raggiunsero la corte francese a Nevers, presentando al re e al ministro, cardinale di Rouen, le rimostranze per il cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze non aveva al momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono Luigi a intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese. Il rifiuto dei francesiche richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti accampati in Lunigiana e minacciavano la rottura dell'alleanzamise i legati fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla ribellione di Pistoia e dalle iniziative che frattanto aveva preso in Romagna Cesare Borgia, i cui ambiziosi e oscuri piani potevano anche indirizzarsi contro gli interessi fiorentini.  Occorreva, pagando, mantenere buoni rapporti con la Franciascriveva da Tours il 21 novembree guardarsi dalle macchinazioni del papa: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla Francia, Machiavelli poteva finalmente ritornare a Firenze. Quella lunga permanenza nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli De natura Gallorum, dove i francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva fortuna; nella buona insolenti più cupidi de' danari che del sangue vani et leggieri più tosto tachagni che prudenti», con una bassa opinione degli Italiani, e nel successivo Ritratto delle cose di Francia, dove, spostandosi su un piano d'analisi prettamente politica, finisce col fare della Francia l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia e il raggiunto processo di unificazione nazionale, sentito come la lezione peculiare delle "cose di Francia".  Cesare Borgia «Questo signore è molto splendido e magnifico, e nelle armi è tanto animoso che non è sì gran cosa che non gli paia piccola, e per gloria e per acquistare Stato mai si riposa né conosce fatica o periculo: giugne prima in un luogo che se ne possa intendere la partita donde si lieva; fassi ben volere a' suoi soldati; ha cappati e' migliori uomini d'Italia: le quali cose lo fanno vittorioso e formidabile, aggiunte con una perpetua fortuna»  (Machiavelli, Lettera ai Dieci) La minaccia del Borgia si fece presto concreta: fermato dalle minacce della Francia quando tentava d'impadronirsi di Bologna, si volse contro Piombino, entrando nel territorio della Repubblica e cercando di imporle tributi, dai quali Firenze fu nuovamente fatta salva dall'intervento di Luigi. Fra una missione a Pistoia e un'altra a Siena, Niccolò ebbe tempo di sposare. Marietta Corsini, donna di modesta origine, dalla quale avrà sei figli: Primerana, Bernardo, Lodovico, Guido, Piero e Baccina. Padrone di Piombino il 3 settembre 1501, il Borgia, per mezzo del suo sodale Vitellozzo Vitelli s'impadronì di Arezzo, dove si stabilì Piero de' Medici, poi delle terre di Valdichiana, di Cortona, di Anghiari e di Borgo San Sepolcro e di lì passò a investire Camerino e Urbino, chiedendo nel contempo di intavolare trattative con Firenze che, nel frattempo, vistasi stretta dai due Borgia, padre e figlio, aveva rinnovato gli accordi con la Francia. lo stesso giorno della caduta della città nelle mani di Cesare, partirono per Urbino Machiavelli e il vescovo di Volterra, Francesco Soderini, fratello di Piero: ricevuti, si sentirono ordinare di cambiare il governo della Repubblica, pena la sua inimicizia. La crisi fu superata grazie all'intervento delle armi francesi: avvicinandosi queste ad Arezzo, la città fu sgomberata e restituita, insieme con le altre terre, ai Fiorentini. Riferimento a questi casi è il breve scritto dell'anno successivo, Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati, nel quale, preso esempio dal comportamento tenuto dagli antichi Romani in caso di ribellioni, rimprovera il governo fiorentino di non aver trattato severamente la ribelle città di Arezzo. Pensa che come i Romani  «fecero giudizio differente per esser differente il peccato di quelli popoli, così dovevi fare voi, trovando ancora nei vostri ribellati differenza di peccati giudico ben giudicato che a Cortona, Castiglione, il Borgo, Foiano, si siano mantenuti i capitoli, siano vezzeggiati e vi siate ingegnati riguadagnarli con i beneficii ma io non approvo che gli Aretini, simili ai Veliterni ed Anziani non siano stati trattati come loro. I Romani pensarono una volta che i popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere e che ogni altra via sia pericolosissima.»  Di fronte a quelli che apparivano tempi nuovi e tempestosi, nei quali occorreva che uomini capaci prendessero pronte risoluzioni, come prima riforma nell'organizzazione dello Stato fiorentino fu resa vitalizia la carica di gonfaloniere, affidata a Pier Soderini, che appariva uomo accetto tanto agli ottimati che ai popolani. La prima missione che egli affidò a Machiavelli fu quella di prendere nuovamente contatto col Borgia il quale, formalmente capitano delle truppe pontificie e finanziato da quello Stato, intendeva tuttavia agire nel proprio interesse e in quello della sua famiglia, stringendo un nuovo patto col Luigi XII e ottenendone libertà d'azione nei suoi piani di espansione, non solo nei confronti di signorotti quali gli Orsini, i Baglioni e il Vitelli, già suoi alleati, ma anche contro lo stesso Bentivoglio di Bologna. Seguendo la tradizionale politica di alleanza con la Francia, Firenzepur diffidando del Valentinointendeva confermargli la sua amicizia, per non essere investita dai suoi aggressivi disegni.  Machiavelli giunse a Imola dal Borgia il 7 ottobre, confidandogli che Firenze non aveva aderito all'offerta di amicizia propostale dagli Orsini e dai Vitelli, congiurati a Magione contro il duca Valentino, e ne ricevette in cambio un'offerta di alleanza, alla quale Niccolò, affascinato dalla figura di Cesare Borgia, guardava con favore più di quanto non facesse il governo fiorentino. Fu al seguito del Valentino per tutta la durata di quei tre mesi di campagna militare e, due ore dopo l'uccisione a tradimento di Vitellozzo e di Oliverotto da Fermo, ne raccolse le parole «savie e affezionatissime» per i Fiorentini, invitati nuovamente a unirsi a lui per avventarsi contro Perugia e Città di Castello. Firenze, a questo punto, decise di mandare presso il Borgia un ambasciatore accreditato, Jacopo Salviati, così che il nostro Segretario lasciò il campo di Città della Pieve per fare ritorno a Firenze. Vitellozzo Vitelli, ritratto da Luca Signorelli. «Vitellozo, Pagolo et duca di Gravina in su muletti ne andorno incontro al duca, accompagnati da pochi cavagli; et Vitellozo disarmato, con una cappa foderata di verde, tucto aflicto se fussi conscio della sua futura morte, dava di sé, conosciuta la virtù dello huomo et la passata sua fortuna, qualche ammirationeArrivati adunque questi tre davanti al duca, et salutatolo humanamente, furno da quello ricevuti con buono volto Ma, veduto il duca come Liverotto vi mancava adciennò con l'occhio a don Michele, al quale lLeverotto era demandata, che provedessi in modo che Liverotto non schapassi Liverotto havendo facto riverenza, si adcompagnò con gli altri; et entrati in Senigagla, et scavalcati tutti ad lo alloggiamento del duca, et entrati seco in una stanza secreta, furno dal duca fatti prigioni venuta la nocte  al duca parve di fare admazare Vitellozzo e Liverotto; et conductogli in uno luogo insieme, gli fe' strangolare Pagolo et el duca di Gravina Orsini furno lasciati vivi per infino che il duca intese che a Roma el papa haveva preso el cardinale Orsino, l'arcivescovo di Firenze et messer Jacopo da Santa Croce; dopo la quale nuova, a dì 18 di giennaio, ad Castel della Pieve furno anchora loro nel medesimo modo strangolati»  (Machiavelli, Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini). La morte di Alessandro VI privò Cesare Borgia delle risorse finanziarie e politiche che gli occorrevano per mantenere il ducato di Romagna, che si dissolse tornando a frammentarsi nelle vecchie signorie, mentre Venezia s'impadronì di Imola e di Rimini. Dopo il brevissimo pontificato di Pio III, Machiavelli fu inviato a Roma per il conclave che il 1º novembre elesse Giulio II. Raccolse le ultime confidenze del Valentino, del quale pronosticò la rovina imminente, e cercò di comprendere le intenzioni politiche del nuovo papa, che egli sperava s'impegnasse contro i Veneziani, le cui mire espansionistiche erano temute da Firenze. O la sarà una porta che aprirà loro tutta Italia, o fia la rovina loro. A Roma gli giunse la notizia della nascita del secondogenito Bernardo: «Somiglia voi, è bianco come la neve, ma gli ha il capo che pare velluto nero, et è peloso come voi, e da che somiglia voi parmi bello», gli scrive la moglie Marietta. E Machiavelli, che lungamente in questo scorcio di tempo aveva frequentato la casa del cardinal Soderini, al quale forse prospettò già il suo progetto di costituire una milizia nazionale che sostituisse l'infida soldatesca mercenaria, s'avvia per Firenze.  In Francia  Ingresso a Genova di Luigi XII, Le fortune della Francia in Italia sembrarono declinare dopo la cacciata dal Napoletano ad opera dell'armata spagnola di Gonzalo Fernández de Córdoba. Firenze, alleata di Luigi XII, e timorosa delle prossime iniziative della Spagna, del papa e della nemica tradizionale, la Siena di Pandolfo Petrucci, era interessata a conoscere i progetti del re e a questo scopo alla sua corte mandò Machiavelli «a vedere in viso le provvisioni che si fanno e scrivercene immediate, e aggiungervi la coniettura e iudizio tuo». Machiavelli e a Milano per conferire con il luogotenente Charles II d'Amboise, che non credeva in un attacco spagnolo in Lombardia e rassicurò Niccolò sull'amicizia francese per Firenze.  Raggiunse la corte e l'ambasciatore Niccolò Valori a Lione il 27 gennaio, ricevendo uguali rassicurazioni dal cardinale di Rouen e da Luigi stesso. In marzo ripartiva per Firenze e di qui si recava per pochi giorni a Piombino da Jacopo d'Appiano, per sondare la posizione di quel signorotto. È di questo tempo la stesura del suo primo Decennale, una storia dei fatti notevoli occorsi degli ultimi dieci anni volta in terzine: Machiavelli non è poeta, anche se invoca Apollo nell'esordio del poemetto, ma a noi interessa il suo giudizio sull'attualità della vicenda politica italiana e su quel che attende Firenze:  «L'imperador, con l'unica sua prole vuol presentarsi al successor di Pietro al Gallo il colpo ricevuto duole; e Spagna che di Puglia tien lo scetro va tendendo a' vicin laccioli e rete, per non tornar con le sue imprese a retro; Marco, pien di paura e pien di sete, fra la pace e la guerra tutto pende; e voi di Pisa troppa voglia avete. Onde l'animo mio tutto s'infiamma or di speranza, or di timor si carca tanto che si consuma a dramma a dramma, perché saper vorrebbe dove, carca di tanti incarchi debbe, o in qual porto, con questi venti, andar la vostra barca. Pur si confida nel nocchier accorto ne' remi, nelle vele e nelle sarte; ma sarebbe il cammin facile e corto se voi el tempio riapriste a Marte»  (Decennale primo, vv 529-549) I tentativi d'impadronirsi di Pisa fallirono ancora: battuta a Ponte a Cappellese il 27 marzo 1505, Firenze doveva anche guardarsi dalle manovre dei signori ai loro confini. Machiavelli andò a Perugia l'11 aprile per conferire col Baglioni, ora alleato con gli Orsini, con Lucca e con Siena, poi a Mantova, per cercare invano accordi con il marchese Giovan Francesco Gonzaga e il 17 luglio a Siena. In settembre, fallì un nuovo assalto a Pisa e Machiavelli ne trasse spunto per presentare la proposta della creazione di un esercito cittadino. Rimasti diffidenti i maggiorenti della cittàche temevano che un esercito popolare potesse costituire una minaccia per i loro interessima appoggiato dal Soderini, Machiavelli si mosse per mesi nei borghi toscani a far leva di soldati, istruiti «alla tedesca», e finalmente, Firenze puo vedere la prima parata di una milizia «nazionale» che peraltro non avrà nessun ruolo nella successiva conquista di Pisa e si rivelerà di scarso affidamento nella difesa di Prato del 1512. Con la pace concordata con la Francia nell'ottobre 1505, la Spagna, con Ferdinando II d'Aragona, aveva preso definitivamente possesso del Regno di Napoli. I piccoli stati della penisola attendevano ora le mosse di Giulio II, deciso a imporre la sua egemonia nell'Italia centrale: nel luglio, il papa chiese a Firenze di partecipare alla guerra che egli intendeva muovere al signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, che era alleato, come Firenze, dei francesi, e perciò teoricamente amico, oltre che confinante, dei Fiorentini. Si trattava di temporeggiare, osservando gli sviluppi dell'impresa del papa al quale fu mandato Machiavelli, che lo incontrò a Nepi. Giulio II gli dimostrò di godere dell'appoggio della Francia, che aveva promesso di inviare truppe in suo aiuto, cosicché fu agevole a Machiavelli promettere aiuti a sua voltadopo però che fossero arrivati quelli di re Luigie seguì papa Giulio che, con la sua corte curiale e pochi armati se n'andava a Perugia, ottenendo, il 13 settembre, la resa senza combattimento di Giampaolo Baglioni che, con stupore e rimprovero del Machiavelli e, un giorno, anche del Guicciardini, non ebbe il coraggio di opporsi alle poche forze allora a disposizione del Papa. La corte papale, dopo aver atteso a Cesena fino a ottobre l'arrivo dei francesi e, dopo questi, dei Fiorentini di Marcantonio Colonna, entrò trionfante a Bologna l'11 novembre. Machiavelli, tornato a Firenze già alla fine d'ottobre, s'occupò ancora dell'istituzione delle milizie fiorentine: il 6 dicembre furono creati i Nove ufficiali dell'Ordinanza e Milizia fiorentina, eletti dal popolo, responsabili militari della Repubblica.  In Germania  Massimiliano I d'Asburgo Il nuovo anno si apre con le minacce del passaggio in Italia del «Re dei Romani» Massimiliano, intenzionato a ribadire le proprie pretese di dominio sulla penisola, a espellere i francesi e a farsi incoronare a Roma «imperatore del Sacro Romano Impero». Si valutò a Firenze la possibilità di finanziargli l'impresa in cambio della sua amicizia e del riconoscimento dell'indipendenza della Repubblica: fu inviato a questo scopo l'ambasciatore Francesco Vettori e lo stesso Machiavelli. Giunse a Bolzano, dove Massimiliano teneva corte,  e le lunghe trattative sull'esborso preteso da Massimiliano s'interruppero quando i Veneziani, sconfiggendolo più volte, gli fecero comprendere la velleità dei suoi sogni di gloria.  Da questa esperienza Machiavelli trasse tre scritti, il Rapporto delle cose della Magna, compost il giorno dopo il suo rientro a Firenze, il Discorso sopra le cose della Magna e sopra l'Imperatore, del settembre 1509, e il più tardo Ritratto delle cose della Magna, una rielaborazione del primo Rapporto. Rileva la grande potenza della Germania, che «abunda di uomini, di ricchezze e d'arme»; le popolazioni hanno «da mangiare e bere e ardere per uno anno: e così da lavorare le industrie loro, per potere in una obsidione [assedio] pascere la plebe e quelli che vivono delle braccia, per uno anno intero sanza perdita. In soldati non spendono perché tengono li uomini loro armati ed esercitati; e li giorni delle feste tali uomini, in cambio delli giuochi, chi si esercita collo scoppietto, chi colla picca e chi con una arme e chi con un'altra, giocando tra loro onori et similia, e quali tra loro poi si godono. In salari e in altre cose spendono poco: talmente che ogni comunità si truova ricca in publico».  Importano e consumano poco perché «le loro necessità sono assai minori delle nostre», ma esportano molte merci «di che quasi condiscono tutta la Italia [...] e così si godono questa loro rozza vita e libertà e per questa causa non vogliono ire alla guerra se non sono soprappagati e questo anche non basterebbe loro, se non fussino comandati dalle loro comunità. E però bisogna a uno imperadore molti più denari che a uno altro principe». Tanta forza potenziale, che potrebbe fare la grandezza politica e militare dell'Imperatore, è limitata dalle divisioni delle comunità governate dai singoli principi, una realtà simile a quella italiana: nessun principe tedesco vuole favorire l'imperatore, «perché, qualunque volta in proprietà lui avessi stati o fussi potente, è domerebbe e abbasserebbe e principi e ridurrebbeli a una obedienzia di sorte da potersene valere a posta sua e non quando pare a loro: come fa oggi il re di Francia, e come fece già il re Luigi, quale con l'arme e ammazzarne qualcuno li ridusse a quella obedienzia che ancora oggi si vede».  La conquista di Pisa Decisa a concludere le operazioni militari contro Pisa, Firenze mandò Machiavelli a far leve di soldati: in agosto condusse soldati prelevati da San Miniato e da Pescia all'assedio della città irriducibile. Riunite altre milizie, si incaricò di tagliare i rifornimenti bloccando l'Arno; poi, il 4 marzo del 1509, andò prima a Lucca a intimare a quella Repubblica di cessare ogni aiuto ai Pisani e, il 14, si recò a Piombino, incontrando gli ambasciatori di Pisa per cercare invano un accordo di resa. Raccolte nuove truppe, in maggio era presente all'assedio: Pisa, ormai stremata, trattava finalmente la pace. Machiavelli accompagnò i legati pisani a Firenze dove fu firmata la resa e l'8 giugno poté entrare in Pisa con i commissari Niccolò Capponi, Antonio Filicaia e Alamanno Salviati. Un ben più vasto incendio era intanto divampato nell'Italia settentrionale: stipulata un'alleanza a Cambrai, Francia, Spagna, Impero e papato si avventavano contro la Repubblica veneziana che a maggio cedeva i suoi possedimenti lombardi e romagnoli e, in giugno, anche Verona, Vicenza e Padova, consegnate a Massimiliano. Firenze, da parte sua, doveva finanziare la nuova impresa imperiale: consegnato un primo acconto in ottobre, Machiavelli era a Verona per consegnare il saldo a Massimiliano, che era stato però costretto alla ritirata dalla controffensiva veneziana, resa possibile dalla rivolta popolare contro i nuovi padroni. E Machiavelli commentava dei «due re, che l'uno può fare la guerra e non vuol farla, l'altro ben vorrebbe farla e non può», riferendosi a Luigi e a Massimiliano che se n'era tornato in Germania a chiedere soldati e denari ai principi tedeschi.  Atteso inutilmente il ritorno dell'Imperatore, se ne tornò a Firenze. Venezia si salvò soprattutto grazie alle divisioni degli alleati: mentre Luigi XII aveva tutto l'interesse di ridurre all'impotenza Venezia per avere le mani libere nella pianura padana, Giulio II la voleva abbastanza forte da opporsi alla Francia senza averne contrasto alle proprie ambizioni di espansione. Per Firenze, amica della Francia ma non nemica del papa, era necessario spiegarsi con il re francese, e Machiavelli fu mandato a Blois, dove Luigi teneva la corte, incontrandolo.  Machiavelli confermò l'amicizia con la Francia ma disse di dubitare che la Repubblica potesse impegnarsi in una guerra contro Giulio II, in grado di volgere contro Firenze forze troppo superiori: meglio sarebbe stata una mediazione che evitasse il conflitto e sottraesse, oltre tutto, Firenze dalla responsabilità di un impegno nel quale era difficile trarre un guadagno. Dovette tornare a Firenze il 19 ottobre, convinto che la guerra fosse ineluttabile. Le vittorie militari non furono sfruttate da Luigi XII e la sua indizione di un concilio a Pisa, che condannasse il papa, provocò l'interdetto di Giulio II contro Firenze. Il 22 settembre 1511 Machiavelli era ancora in Francia, ottenendo dal re soltanto un breve rinvio del concilio: dalla Francia andò a Pisa e riuscì a ottenere il trasferimento del concilio a Milano.  Il ritorno dei Medici a Firenze Le fortune di Luigi XII volgevano al tramonto: sconfitto dalla nuova coalizione guidata dal papa, era costretto ad abbandonare la Lombardia, lasciando Firenze politicamente isolata e incapace di resistere alle armi spagnole. Pier Soderini fuggì a Siena, i Medici rientrarono a Firenze: disfatto il vecchio governo, il 7 novembre anche Machiavelli venne rimosso dal suo incarico, il successivo 10 novembre fu confinato e multato della grande somma di mille fiorini e il 17 gli fu interdetto l'ingresso a Palazzo Vecchio.   Giuliano de' Medici duca di Nemours Il nuovo regime processò Pietro Paolo Boscoli e Agostino Capponi, accusati di aver complottato contro Giuliano de' Medici, condannandoli a morte. Anche Machiavelli è sospettato: arrestato il 12 febbraio 1513, fu anche torturato (gli fu somministrata la corda o, com'era chiamata allora a Firenze, la "colla"). Scrisse allora a Giuliano di Lorenzo de' Medici duca di Nemours due sonetti, per ricordargli, ma senza averne l'aria e in forma scherzosa, la sua condizione di carcerato:  «Io ho, Giuliano, in gamba un paio di geti e sei tratti di fune in sulle spalle; l'altre miserie mie non vo' contalle, poiché così si trattano i poeti  Menon pidocchi queste parieti grossi e paffuti che paion farfalle, né mai fu tanto puzzo in Roncisvalle o in Sardigna fra quegli arboreti quanto nel mio sì delicato ostello»  Giulio II moriva intanto proprio in quei giorni e dal conclave uscì eletto l'11 marzo il cardinale de' Medici con il nome di Leone X: era la fine dei pericoli di guerra per Firenze e anche il tempo dell'amnistia. Uscito dal carcere, Machiavelli cercò di ottenere favori dai Medici attraverso l'ambasciatore Francesco Vettori e lo stesso Giuliano, ma invano. Si ritirò allora nel suo podere dell'Albergaccio, a Sant'Andrea in Percussina, tra Firenze e San Casciano in Val di Pesa.  L'esilio dalla politica. «Il Principe» Qui, tra le giornate rese lunghe dall'ozio forzato, comincia a scrivere i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio che, forse nel luglio 1513, interrompe per metter mano al suo libro più famoso, il De Principatibus, dal solenne titolo latino ma scritto in volgare e perciò divenuto ben più noto come Il Principe. Lo dedica dapprima a Giuliano di Lorenzo de' Medici e, dopo la morte di questi nel 1516, a Lorenzo de' Medici, figlio di Piero "fatuo"; ma il libro uscì solo postumo, nel 1532. Certo, non doveva farsi illusioni che un Medici potesse mai essere quel «redentore» atteso dall'Italia contro «questo barbaro dominio», ma da un Medici si attendeva almeno la sua propria «redenzione» dall'inattività cui era stato relegato dal ritorno a Firenze di quella famiglia.  Sperava che l'amico Vettori, ambasciatore a Roma, si facesse interprete del suo desiderio che questi signori Medici mi cominciasseino adoperare», dal momento «che io sono stato a studio all'arte dello stato [...] e doverrebbe ciascheduno aver caro servirsi d'uno che alle spese d'altri fussi pieno d'esperienza. E della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, avendo sempre osservato la fede, io non debbo imparare ora a romperla; e chi è stato fedele e buono quarantatré anni che io ho, non debbe potere mutare natura; e della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia». Delle ombre della sua povertà, ma anche delle sue luci, Machiavelli scrive al Vettori in quella che è la più famosa lettera della nostra letteratura:   L'Albergaccio di Machiavelli a Sant'Andrea in Percussina «Venuta la sera, mi ritorno in casa ed entro nel mio scrittoio; e in su l'uscio mi spoglio quella veste cotidiana, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali; e rivestito condecentemente, entro nelle antique corti delli antiqui uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo che solum è mio e che io nacqui per lui; dove io non mi vergogno parlare con loro e domandargli della ragione delle loro azioni; e quelli per loro umanità mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia; sdimentico ogni affanno, non temo la povertà, non mi sbigottisce la morte; tutto mi trasferisco in loro. E perché Dante dice che non fa scienza sanza lo ritenere lo avere inteso, io ho notato quello di che per la loro conversazione ho fatto capitale, e composto uno opuscolo de Principatibus»  (Lettera a Francesco Vettori) Ritornato il 3 febbraio 1514 a Firenze, continuò a sperare a lungo che il Vettori, al quale spedì il manoscritto del Principe, lo facesse introdurre in qualche incarico nell'amministrazione cittadina, ma invano. Tutto dipendeva dalla volontà del papa, e Leone non era affatto intenzionato a favorire chi non si era mostrato, a suo tempo, favorevole agli interessi di Casa Medici. Machiavelli, da parte sua, scriveva al Vettori di aver «lasciato i pensieri delle cose grandi e gravi» e di non dilettarsi più di «leggere le cose antiche, né ragionare delle moderne: tutte si sono converse in ragionamenti dolci». Si era infatti innamorato di una «creatura tanto gentile, tanto delicata, tanto nobile e per natura e per accidente, che io non potrei né tanto laudarla né tanto amarla che la non meritasse più».  La guerra, ripresa in Italia dalla discesa del nuovo re di Francia Francesco I, si concluse nel settembre 1515 con la sua grande vittoria a Marignano (oggi Melegnano) contro la vecchia «Lega santa»: Leone X dovette accettare il dominio francese in Lombardia e la stipula a Bologna di un concordato che riconosceva il controllo reale sul clero francese. Si rifece impossessandosi, per conto del nipote Lorenzo, capitano generale dei Fiorentini, del Ducato di Urbino. A quest'ultimo invano dedicava Machiavelli il suo Principe: la sua esclusione dalla gestione degli affari di Firenze continuava. Si diede a frequentare gli «Orti Oricellari», latineggiamento che indica i giardini del Palazzo di Cosimo Rucellai, dove si riunivano letterati, giuristi ed eruditi come Luigi Alamanni, Jacopo da Diacceto, Jacopo Nardi, Zanobi Buondelmonti, Antonfrancesco degli Albizi, Filippo de' Nerli e Battista della Palla. Qui vi lesse probabilmente qualche capitolo di quell'Asino, poemetto in terzine che voleva essere una contaminazione fra l'Asino d'oro di Apuleio e la Divina Commedia dantesca, ma che lasciò presto interrotto: e al Rucellai e al Buondelmonti dedicò i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio. Machiavelli si era già cimentato, quando ricopriva l'incarico di segretario della Repubblica, in composizioni teatrali: una imitazione dell'Aulularia di Plauto e una commedia, Le maschere, ispirata a Nebulae di Aristofane, sono tuttavia perdute. Al 1518 risale il suo capolavoro letterario, la commedia Mandragola, nel cui prologo egli inserisce un accenno autobiografico  «scusatelo con questo, che s'ingegna con questi van pensieri fare el suo tristo tempo più suave, perch'altrove non have dove voltare el viso; ché gli è stato interciso mostrar con altre imprese altra virtue, non sendo premio alle fatiche sue.»  Intorno a quest'anno vanno collocate la traduzione dell'Andria di Terenzio e stesura della novella di Belfagor arcidiavolo o Novella del demonio che pigliò moglieil suo titolo preciso è attualmente stabilito in Favolail cui tema di fondo è la visione pessimistica dei rapporti che legano gli esseri umani, tutti intesi al proprio interesse a danno, se necessario, di quello di ciascun altro.  Il ritorno alla vita politica Lorenzo de' Medici morì, lasciando il governo di Firenze al cardinale Giulio. Costui, favorevole a Machiavelli, lo incaricò della stesura di una storia della città sotto lauta retribuzione. Machiavelli, galvanizzato dall'incarico, diede alle stampe nel 1521 l’Arte della guerra, dedicandola allo stesso cardinal Giulio. Nello stesso anno fu inviato in missione diplomatica a Carpi presso il governatore Francesco Guicciardini di cui, pur avendo opposte visioni della Storia, divenne buon amico. Nel 1525 cercò di guadagnare il favore di papa Clemente VII offrendogli le Istorie fiorentine. Nel frattempo giunsero la revoca ufficiale dell'interdizione dalla vita pubblica e l'affidamento di missioni militari in Romagna in collaborazione col Guicciardini. I  Medici furono cacciati da Firenze e venne instaurata nuovamente la repubblica. Machiavelli si propose come candidato alla carica di segretario della repubblica, ma venne respinto in quanto ritenuto colluso coi Medici e soprattutto con papa Clemente VII. La delusione per Machiavelli fu insopportabile. Ammalatosi repentinamente, cominciò a peggiorare vistosamente fino alla morte. Abbandonato da tutti, fu sepolto nel corso di una modesta cerimonia funebre nella tomba di famiglia nella basilica di Santa Croce. La città di Firenze fece costruire un monumento nella basilica stessa; esso raffigura la Diplomazia assisa su un sarcofago marmoreo. Sulla lastra frontale sono incise le parole Tanto nomini nullum par elogium (Nessun elogio sarà mai degno di tanto nome).  Pensiero Machiavelli e il Rinascimento Con il termine machiavellico si è spesso indicato un atteggiamento spregiudicato e disinvolto nell'uso del potere: un buon principe deve essere astuto per evitare le trappole tese dagli avversari, capace di usare la forza se ciò si rivela necessario, abile manovratore negli interessi propri e del suo popolo. Ciò si accompagna a un travaglio personale che Machiavelli sentiva nella sua attività quotidiana e di teorico, secondo una tradizione politica che già in Cicerone affermava: "un buon politico deve avere le giuste conoscenze, stringere mani, vestire in modo elegante, tessere amicizie clientelari per avere un'adeguata scorta di voti".  Con Machiavelli l'Italia ha conosciuto il più grande teorico della politica. Secondo Machiavelli la politica è il campo nel quale l'uomo può mostrare nel modo più evidente la propria capacità di iniziativa, il proprio ardimento, la capacità di costruire il proprio destino secondo il classico modello del faber fortunae suae. Nel suo pensiero si risolve il conflitto fra regole morali e ragion di Stato che impone talvolta di sacrificare i propri princìpi in nome del superiore interesse di un popolo. La politica deve essere autonoma da teologia e morale e non ammette ideali, è un gioco di forze finalizzate al bene della collettività e dello stato. La politica, svincolata da dogmatismi e princìpi teorici, guarda alla realtà effettuale, ai "fatti": "Mi è parso più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa piuttosto che alla immaginazione di essa". Si tratta di una visione antropocentrica che si richiama all'Umanesimo quattrocentesco ed esprime gli ideali del Rinascimento. Nel “Dialogo intorno alla nostra lingua” dà un giudizio severo su Alighieri. Alighieri è rimproverato di negare la matrice fiorentina della lingua della Commedia. Il passo assume i caratteri dell'invettiva contro Aligheri, accusato di aver infangato la reputazione di Firenze:  «Alighieri il quale in ogni parte mostrò d'esser per ingegno, per dottrina et per giuditio huomo eccellente, eccetto che dove egli hebbe a ragionare della patria sua, la quale, fuori d'ogni humanità et filosofico instituto, perseguitò con ogni spetie d'ingiuria. E non potendo altro fare che infamarla, accusò quella d'ogni vitio, dannò gli uomini, biasimò il sito, disse male de' costumi et delle legge di lei; et questo fece non solo in una parte de la sua cantica, ma in tutta, et diversamente et in diversi modi: tanto l'offese l'ingiuria dell'exilio, tanta vendetta ne desiderava. Ma la Fortuna, per farlo mendace et per ricoprire con la gloria sua la calunnia falsa di quello, l'ha continuamente prosperata et fatta celebre per tutte le province, et condotta al presente in tanta felicità et sì tranquillo stato, che se Alighieri la vedessi, o egli accuserebbe sé stesso, o ripercosso dai colpi di quella sua innata invidia, vorrebbe essendo risuscitato di nuovo morire.»  Poi, durante un altro scambio immaginario con Aligheri, Mhiavelli rimprovera il carattere "goffo", "osceno", addirittura "porco" del registro utilizzato nell'Inferno:  «Aligheri mio, io voglio che tu t'emendi, et che tu consideri meglio il “parlare” fiorentino et la tua opera; et vedrai che, se alcuno s'harà da vergognare, sarà più tosto Firenze che tu: perché, se considererai bene a quel che tu hai detto, tu vedrai come ne' tuoi versi non hai fuggito il goffo, come è quello:  "Poi ci partimmo et n'andavamo introcque";  non hai fuggito il porco, com'è quello:  "che merda fa di quel che si trangugia";  non hai fuggito l'osceno, com'è:  "le mani alzò con ambedue le fiche";  e non avendo fuggito questo, che disonora tutta l'opera tua, tu non puoi haver fuggito infiniti vocaboli patrii che non s'usano altrove che in quella»  Autografo delle Historiae Fiorentinae Per Machiavelli la storia è il punto di riferimento verso il quale il politico deve sempre orientare la propria azione. La storia fornisce i dati oggettivi su cui basarsi, i modelli da imitare, ma indica anche le strade da non ripercorrere. Machiavelli si basa su una concezione ciclica della storia: "Tutti li tempi tornano, li uomini sono sempre li medesimi". Ma ciò che allontana Machiavelli da una visione deterministica della storia è l'importanza che egli attribuisce alla virtù, ovvero alla capacità dell'uomo di dominare il corso degli eventi utilizzando opportunamente le esperienze degli errori compiuti nel passato, nonché servendosi di tutti i mezzi e di tutte le occasioni per la più alta finalità dello stato, facendo anche violenza, se necessario, alla legge morale.  Non a caso il Principe, nella conclusione, abbandona il suo taglio cinico e pragmatico per esortare i sovrani italiani, con una scrittura più solenne e venata di un certo idealismo, a riconquistare la sovranità perduta e a cacciare l'invasore straniero. Non c'è rassegnazione nel Principe, né tanto meno sfiducia nei confronti dell'uomo. La storia è il prodotto dell'attività politica dell'uomo per finalità terrene esclusivamente pratiche. Lo stato, oggetto di tale attività, nella situazione politica e nel pensiero del tempo si identifica con la persona del principe.  Di conseguenza l'attività politica è riservata solo ai grandi protagonisti, ai pochi capaci di agire, non al "vulgo" incapace di decisione e di coraggio. L'obiettivo è creare o conservare lo stato, una creazione individuale legata alle qualità e alla sorte del suo fondatore: la fine del principe può determinare la fine del suo stato, come capitò ad esempio a Cesare Borgia. Il Machiavelli ha dunque un'importanza fondamentale per la scoperta che la politica è una forma particolare autonoma di attività umana, il cui studio rende possibile la comprensione delle leggi da cui è perennemente retta la storia; da quella scoperta discende, come suo naturale fondamento, una vigorosa concezione della vita, incentrata unicamente sulla volontà e sulla responsabilità dell'uomo. Una errata interpretazione del Novecento fece del Machiavelli un precursore del movimento unitario italiano, ma la parola nazione ha assunto l'attuale significato solo a partire dalla seconda metà del Settecento, mentre il Machiavelli la usò in senso particolaristico e cittadino (es. nazione fiorentina o, nel senso più generico di popolo, moltitudine). Tuttavia, Machiavelli propugna un principato in grado di reggersi sull'unità etnica dell'Italia; così facendo, e denunciando in tal modo una chiara coscienza dell'esistenza di una civiltà italiana, Machiavelli predica la liberazione dell'Italia sotto il patrocinio di un principe, criticando il dominio temporale dei Papi che spezzava in due la penisola.  Ma l'unità d'Italia resta in Machiavelli un problema solo intuito. Non si può dubitare che avesse concepito l'idea dell'unità italiana, ma tale idea restò indeterminata, poiché non trovò appigli concreti nella realtà, restando perciò a livello di utopia, cui solo dava forma la figura ideale del principe nuovo. Machiavelli dunque intraprese un viaggio che identificò come spirituale in giro per il mondo. In seguito, tornato in patria, ebbe una nuova visione sia del "popolo" che della "nazione" (di qui quello che oggi definiamo rinnovamento culturale).  Il principe o De Principatibus. Niccolò Machiavelli nello studio, Stefano Ussi, Emblematico è il modo di trattare argomenti delicati, quali le mosse necessarie al Principe per organizzare uno stato ed ottenerne uno stabile e duraturo consenso. Per esempio vi troviamo indicazioni programmatiche, quali l'utilità nello "spegnere" gli stati abituati a vivere liberi di modo da averli sotto il proprio diretto controllo (metodo preferito al creare un'amministrazione locale "filo-principesca" o al recarvisi e stabilirvisi personalmente, metodo però sempre tenuto da conto in modo da avere un occhio sempre presente sulle proprie terre, e stabilire una figura rispettata e conosciuta in loco).  Altro elemento caratteristico del trattato sta nella scelta dell'atteggiamento da tenere nei confronti dei sudditi, culminante nell'annosa questione del "s'elli è meglio essere amato che temuto o e converso" La risposta corretta si concretizzerebbe in un ipotetico principe amato e temuto, ma essendo difficile o quasi impossibile per una persona umana l'essere ambedue le cose, si conclude decretando che la posizione più utile viene ad essere quella del Principe temuto (pur ricordando che mai e poi mai il Principe dovrà rendersi odioso nei confronti del popolo, fatto che porrebbe i prodromi della propria caduta). Qua appare indubbiamente la concezione realistica e la concretezza del Machiavelli, il quale non viene a proporre un ipotetico Principe perfetto, ma irrealizzabile nel concreto, bensì una figura effettivamente possibile e soprattutto "umana".  Ulteriore atteggiamento principesco dovrà l'essere metaforicamente sia "volpe" che "leone", in modo da potersi difendere dalle avversità sia tramite l'astuzia (volpe) che tramite la violenza (leone). Mantenendo un solo atteggiamento dei due non ci si potrà difendere da una minaccia violenta o di astuzia. Spesso alla figura evocata dal Principe di Machiavelli viene associata la figura di un uomo privo di scrupoli, di un cinismo estremo, nemico della libertà. Inoltre gli viene erroneamente associata la frase "il fine giustifica i mezzi", che invece mai enunciò. Questo perché la parola "giustifica" evoca sempre un criterio morale, mentre Machiavelli non vuole "giustificare" nulla, vuole solo valutare, in base ad un altro metro di misura, se i mezzi utilizzati sono adatti a conseguire il fine politico, l'unico fine da perseguire è il mantenimento dello Stato.  Machiavelli nella stesura del Principe si rifà alla reale situazione che gli si presentava attorno, una situazione che necessitava essere risolta con un atto deciso, forte, violento. Machiavelli non vuole proporre dei mezzi giustificati da un fine, egli pone un programma politico che qualunque Principe che voglia portare alla liberazione dell'Italia, da troppo tempo schiava, dovrà seguire. Fuori dai suoi intenti una giustificazione morale dei punti suggeriti: egli stende un vademecum necessariamente utile a quel Principe che finalmente vorrà impugnare le armi. Alle accuse di sola illiberalità od autoritarismo, si può dare una risposta leggendo il capitolo IX, "De Principatu Civili", ritratto di un principe nascente dal e col consenso del popolo, figura ben più solida del Principe nato dal consesso dei "grandi", cioè dei grandi proprietari feudali. Non esiste un unico tipo di principato, ma per ognuno troviamo un'ampia trattazione di pregi e dei difetti.  Controversie sul Principe «Quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue»  (Ugo Foscolo, Dei sepolcri) La gelida obiettività e un certo cinismo con cui Machiavelli descriveva il comportamento freddo, razionale ed eventualmente spietato che un capo di Stato deve mettere in atto, colpì i critici. Così, da una parte vi è la linea di pensiero tradizionale, secondo la quale "Il Principe" è un trattato di scienza politica destinato al governante, che tramite esso saprà come affrontare i problemi, spesso drammatici, posti dal suo ruolo di garante della stabilità dello stato. Dall'altra, troviamo un'interpretazione secondo cui il trattato di Machiavelli, che era originariamente un repubblicano, ha come vero scopo quello di mettere a nudo, e quindi chiarire, le atrocità compiute dai principi dell'epoca, a vantaggio del popolo, che di conseguenza avrebbe le dovute conoscenze per attuare le precauzioni al fine di stare in guardia e difendersi quando si dimostra necessario. Il principe è visto anche come figura assai drammatica, la quale, per il bene dello stato stesso, non si può permettere di lasciare spazio al proprio carattere, diventando così quasi un uomo-macchina. Secondo alcuni, Machiavelli venne in realtà accusato da subito di nicodemismo, e:  «...di non aver mirato ad altro, in quel libro, che a condurre il tiranno a precipitosa rovina, allettandolo con precetti a lui graditi...»  (Attribuita a Niccolò Machiavelli[28]). Machiavellismo § L'antimachiavellismo e il repubblicanesimo. Gli esponenti di questa seconda interpretazione (la cosiddetta "interpretazione obliqua", diffusa dal XVII secolo, e avanzata per la prima volta da Alberico Gentili spirandosi a Reginald Pole, poi ripresa da Traiano Boccalini e in seguito Baruch Spinoza)[31], furono numerosi soprattutto in ambito illuminista (anche se venne rifiutata da Voltaire), che vedeva in Machiavelli un precursore della politica laica e del repubblicanesimo: la sostennero, dal Settecento, Jean-Jacques Rousseau[33], Vittorio Alfieri[34], Giuseppe Baretti, Giuseppe Maria Galanti[36], gli enciclopedisti (in primis Denis Diderot[3 Opere: Discorso 8] e Jean Baptiste d'Alembert), Foscolo e Parini[, e ha avuto diffusione soprattutto nell'Ottocento, prima e durante il Risorgimento[26]; ne è un esempio quello che Foscolo scrive nei "Sepolcri": «Io quando il monumento / vidi ove posa il corpo di quel grande / che temprando lo scettro a' regnatori / gli allor ne sfronda, ed alle genti svela / di che lagrime grondi e di che sangue». Forse alcuni di essiad esempio, per quanto riguarda Foscolo, è un'ipotesi alternativa di Spongano e riportata anche da Mario Pazzagliaritenevano anche che, pur essendo Il principe un'opera fatta per i tiranni e i governanti, fosse utile lo stesso per svelare al popolo gli intrighi del potere, ritenendo valida l'interpretazione obliqua, qualunque fossero le intenzioni di Machiavelli.  In generale, per i sostenitori di questa lettura, Il principe avrebbe, come le satire (ad esempio Una modesta proposta di Jonathan Swift), uno scopo opposto a quello apparente, come avverrà anche per alcuni scritti di epoca romantica (Lettera semiseria di Grisostomo di Giovanni Berchet o alcune Operette Morali di Giacomo Leopardi).  In epoca più recente, tuttavia, nella maggioranza dei critici è prevalsa la prima interpretazione, quella tradizionale, dal quale risalta la libertà e concretezza, anche spregiudicata, del pensiero di Machiavelli, che non descrive mondi utopici, ma il mondo reale della politica dei suoi tempi,e la sua concezione anticipatrice del realismo politico e della cosiddetta realpolitik. L'interpretazione obliqua è stata riproposta in modo minoritario, ad esempio in alcuni monologhi del drammaturgo e attore Dario Fo. Il modello linguistico prescelto da Machiavelli è fondato sull'uso vivo più che sui modelli letterari; lo scopo, esplicito soprattutto nel Principe, di scrivere qualcosa di utile e chiaramente espressivo lo induce a scegliere spesso modi di dire proverbiali di immediata evidenza. Il lessico impiegato dall'autore si rifà a quello boccacciano, è ricco di parole comuni e i latinismi, seppure abbondanti, provengono per lo più dal gergo cancelleresco. Nelle sue opere ricoprono un ruolo assai rilevante anche le metafore, i paragoni e le immagini. La concretezza è una delle caratteristiche salienti, l'esempio concreto ed essenziale, tratto dalla storia sia antica che recente, è sempre preferito al concetto astratto.  In generale si parla di uno stile "fresco", come lo ebbe a definire il filosofo Nietzsche in Al di là del bene e del male, con un riferimento particolare all'uso della paratassi, a una certa sentenziosità delle frasi, costruite secondo un criterio di chiarezza a scapito di un maggior rigore logico-sintattico. Machiavelli rende evidenti concetti che, se espressi con un linguaggio più elaborato, sarebbero molto difficili da decifrare, e riesce a esprimere le sue tesi con originale capacità espositiva. Opere Discorso fatto al magistrato de' Dieci sopra le cose di Pisa, Parole da dirle sopra la provvisione del danaio, Descrizione del modo tenuto dal Duca Valentino nello ammazzare Vitellozzo Vitelli, Oliverotto da Fermo, il Signor Pagolo e il duca di Gravina Orsini, De natura Gallorum, Ritratto delle cose di Francia, Ritratto delle cose della Magna, Il Principe, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, Dell'arte della guerra, La vita di Castruccio Castracani da Lucca, Istorie fiorentine, )Riedizione Istorie fiorentine, Venezia, 1546. Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua, Decennali Mandragola, commedia teatrale Belfagor arcidiavolo, Epistolario, L'asino, Edizioni critiche in pubblico dominio:  Legazioni, commissarie, scritti di governo. Fredi Chiappelli. Laterza, Roma-Bari. Drammaturgie minori Clizia, Andria, traduzione-rifacimento dell'Andria di Terenzio Onori Nel 2009 Alitalia gli ha dedicato uno dei suoi Airbus Nella cultura di massa Il suo nome, modificato in "Makaveli", venne usato dal rapper statunitense Tupac Shakur tper firmare molte sue canzoni e un album uscito postumo. Niccolò Machiavelli viene proposto anche nel videogioco Assassin's Creed 2 e il seguito Assassin's Creed: Brotherhood, in veste di Assassino. Proprio in quest'ultimo assume un ruolo particolarmente importante, insieme ad altri personaggi dell'Italia rinascimentale. Niccolò Machiavelli è, assieme a John Dee, il principale antagonista della serie di romanzi fantasy I segreti di Nicholas Flamel, l'immortale (come capo dei servizi segreti francesi), scritta da Michael Scott. Nella mostra "Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo" (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone Centrale, promossa dall'Istituto dell'Enciclopedia Italiana e dalla sezione italiana di Aspen Institute, la sezione "Machiavelli e il nostro tempo: usi e abusi" presenta, tra altre "opere", Figurine Liebig, pacchetti di sigarette, schede telefoniche, trading card, cartoline, francobolli, giochi da tavolo e videogiochi dedicati a Machiavelli. Nella serie I Borgia di Neil Jordan è interpretato da Julian Bleach. Machiavel è una band belga, catalogabile sotto il genere progressive rock. Il nome della band è un chiaro omaggio a Niccolò Machiavelli. Nella serie I Medici è interpretato da Vincenzo Crea, Edizione nazionale delle opere Edizione Nazionale delle Opere di Niccolò Machiavelli, Salerno Editrice di Roma:  Il principe, Mario Martelli, corredo filologico Nicoletta Marcelli,  Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, Francesco Bausi, L'arte della guerra. Scritti politici minori, Giorgio Masi, Jean Jacques Marchand, Denis Fachard,  Opere storiche, Alessandro Montevecchi, Carlo Varotti,  ITeatro. Andria-Mandragola-Clizia, Pasquale Stoppelli,  Scritti in poesia e in prosa, Antonio Corsaro, Paola Cosentino, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Filippo Grazzini, Nicoletta Marcelli, coordinam. di Francesco Bausi,  ILegazioni, Commissarie, Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Matteo Melera-Morettini, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina, Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo Melera-Morettini,  Legazioni. Commissarie. Scritti di governo. Denis Fachard, Emanuele Cutinelli-Rèndina,  Legazioni. Commissarie. Scritti di governo, Jean-Jacques Marchand, Andrea Guidi, Matteo Melera-Morettini.  La famosa frase "Il fine giustifica il mezzo" (o "i mezzi"), usata spesso come esempio di machiavellismo, è del critico letterario Francesco de Sanctis, con riferimento ad interpretazioni fuorvianti del pensiero di Machiavelli espresso nel Principe. Il passo di De Sanctis, dal capitolo XV della sua Storia della letteratura italiana, dedicato a Machiavelli, recita: "Ci è un piccolo libro del Machiavelli, tradotto in tutte le lingue, il Principe, che ha gittato nell'ombra le altre sue opere. L'autore è stato giudicato da questo libro, e questo libro è stato giudicato non nel suo valore logico e scientifico, ma nel suo valore morale. E hanno trovato che questo libro è un codice di tirannia, fondato sulla turpe massima che il fine giustifica i mezzi, e il successo loda l'opera. E hanno chiamato machiavellismo questa dottrina. Molte difese sonosi fatte di questo libro ingegnosissime, attribuendosi all'autore questa o quella intenzione più o meno lodevole. Così n'è uscita una discussione limitata e un Machiavelli rimpiccinito".  Celebrazioni per il V centenario del Principe di Machiavelli, Accademia della Crusca, Opera di Santa Maria del Fiore, Libri dei battesimi: Niccolò Piero e Michele di m. Bernardo Machiavellidi Santa Trinita, nacque a dì 3 a hore 4, battezzato a dì 4  Dal Villani, nella sua Cronica. In Discorsi di Architettura del senatore Giovan Battista Nelli,La sua trascrizione del De rerum natura è nel manoscritto Vaticano Rossiano  L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano Giovio, Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat a Marcello Virgilio graecae atque latinae linguae flores accepisse»  R. Ridolfi, Lettera Riccardo Bruscagli, "Machiavelli". Il Senato romano fece distruggere Velletri e indebolì Anzio sottraendole la flotta: cfr. Livio, "La sua vicinanza a Pier Soderini, vexillifer perpetuus, si accentua progressivamente in uno sforzo di sottrarre Firenze a un immobilismo indotto dal timore di un potere esecutivo più forte e irrispettoso di una lunga tradizione di libertà repubblicano-oligarchica": Grazzini, Filippo, Ante res perdita, post res perditas: dalle dediche del Decennale primo a quella del Principe, Interpres: rivista di studi quattrocenteschi:Roma: Salerno,.  Lettera. È un'ipotesi del Ridolfi, cDiscorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, «Giovanpagolo, il quale non stimava essere incesto e publico parricida, non seppe, o, a dir meglio, non ardì, avendone giusta occasione, fare una impresa, dove ciascuno avesse ammirato l'animo suo, e avesse di sé lasciato memoria eterna, sendo il primo che avesse dimostro a' prelati quanto sia poco uno che vive e regna come loro; ed avessi fatto una cosa, la cui grandezza avesse superato ogni infamia, ogni pericolo, che da quella potesse dependere»  Nella sua Storia d'Italia, il Guicciardini esprime lo stesso giudizio di Machiavelli  Ritratto delle cose della Magna, in «Tutte le opere storiche, politiche e letterarie2»  Lettera ai Dieci,Il carcere, la tortura e il ritiro all'Albergaccio, su viv-it.org. Ottenendo un giudizio evasivo: cfr. la lettera del Vettori Lettera a Francesco Vettori,  David Quint, Armi e nobiltà: Machiavelli, Guicciardini e le aristocrazie cittadine, Cadmo, Studi italiani. De credulitate et pietate; et an sit melius amari quam timeri, vel e contra.  Il machiavellismo, su dizionariostoria.wordpress.com. Machiavellismo, Treccani, 2Citata in Niccolò Machiavelli, Periodici Mondadori, A. Gentili, De legationibus. R. Pole, Apologia ad Carolum V Caesarem de Unitate Ecclesiae  che talvolta elogiarono però anche alcuni consigli pragmatici dati al principe, come quello della religione come instrumentum regnii; ad esempio Voltaire, nel capitolo Se sia utile mantenere il popolo nella superstizione, del Trattato sulla tolleranza, afferma l'utilità, entro certi limiti, di una forma di religione razionale per il popolo  La fortuna di Machiavelli nei secoli, su windoweb «Machiavelli era un uomo giusto e un buon cittadino; ma, essendo legato alla corte dei Medici, non poteva velare il proprio amore per la libertà nell'oppressione che imperava nel suo paese. La scelta di Cesare Borgia come proprio eroe, ben evidenziò il suo intento segreto; e la contraddizione insita negli insegnamenti del Principe e in quelli dei Discorsi e delle Istorie fiorentine ben dimostra quanto questo profondo pensatore politico è stata finora studiato solo dai lettori superficiali o corrotti. La Corte pontificia vietò severamente la diffusione di quest'opera. Ci credo... in fondo, quanto scritto la ritrae fedelmente. il libro dei repubblicani (...) fingendo di dare lezioni ai re, ne ha date di grandi ai popoli». (Jean Jacques Rousseau, Il contratto sociale), «Dal solo suo libro Del Principe si potrebbero qua e là ricavare alcune massime immorali e tiranniche, e queste dall'autore son messe in luce (a chi ben riflette) molto più per disvelare ai popoli le ambiziose ed avvedute crudeltà dei principi che non certamente per insegnare ai principi a praticarne... all'incontro, il Machiavelli nelle Storie, e nei Discorsi sopra Tito Livio, ad ogni sua parola e pensiero, respira libertà, giustizia, acume, verità, ed altezza d'animo somma, onde chiunque ben legge, e molto sente, e nell'autore s'immedesima, non può riuscire se non un fuocoso entusiasta di libertà, e un illuminatissimo amatore d'ogni politica virtù» (Del principe e delle lettere,)  «Con quel libro, se la sapessimo tutta, egli si pensò forse di pigliare, come si suol dire, due colombi ad una fava: presentando dall'un lato a' suoi Fiorentini come schietta e naturale una caricata e mostruosa immagine d'un sovrano assoluto, affinché si risolvessero a non averne mai alcuno; e cercando dall'altro di tirare insidiosamente i Medici a governarsi in guisa che s'avessero poi a snodolare il collo, seguendo i fraudolenti precetti da lui con molta adornezza sciorinati in quella sua dannata opera.»  G. Galanti, Elogio di N. Machiavelli cittadino e segretario fiorentino  Alessandro Arienzo, Gianfranco Borrelli, Anglo-American Faces of Machiavelli, Voce "Machiavellismo" dell'Encyclopedie  Franco Ferrucci, Il teatro della fortuna: potere e destino in Machiavelli e Shakespeare, Fazi Editore, Mario Pazzaglia, Note ai Sepolcri, in Antologia della letteratura italiana, vol I  cfr. l'inizio del Dialogo di Tristano e di un amico.  Introduzione a: Alfredo Oriani, Niccolò Machiavelli //repubblica/rubriche/la-parola news/realpolitik Realpolitik  Video di Dario Fo che parla di Machiavelli (trasmissione tv Vieni via con me, su youtube.com. Il Principe di Niccolò Machiavelli e il suo tempo. Catalogo della mostra, Roma Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La  su Machiavelli è sterminata. Tentativi di redigerla sono stati realizzati da Achille Norsa, Il principio della forza nel pensiero politico di Niccolò Machiavelli, seguito da un contributo bibliografico, Milano Silvia Ruffo Fiore, Niccolò Machiavelli: an annotated bibliography of modern criticism and scholarship, New York‑Westport‑London 1990; Daria Perocco, Rassegna di studi sulle opere letterarie del Machiavelli, in "Lettere italiane",Emanuele Cutinelli‑Rendina, Rassegna di studi sulle opere politiche e storiche di Niccolò Machiavelli, in "Lettere italiane", Nel  l'Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani ha pubblicato in 3 volumi l'opera Machiavelli: enciclopedia machiavelliana. Di seguito una selezione di studi. Felix Gilbert, Machiavelli e la vita culturale del suo tempo, Bologna, Il mulino, Claude Lefort, Le travail de l'oeuvre Machiavel, Paris, Gallimard, Jean-Jacques Marchand, Niccolò Machiavelli. I primi scritti politici Nascita di un pensiero e di uno stile, Padova, Antenore, Riccardo Bruscagli, Niccolò Machiavelli, Firenze, La Nuova Italia editrice, Roberto Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Firenze, Sansoni, Federico Chabod, Scritti su Machiavelli, Torino, Einaudi, John Greville Agard Pocock, Il momento machiavelliano: il pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il mulino,Carlo Dionisotti, Machiavellerie, Torino, Einaudi, 1980 Gennaro Sasso, Niccolo Machiavelli, Il pensiero politico;  La storiografia, Bologna, Il Mulino (Napoli) Giuliano Procacci, Machiavelli nella cultura europea dell'età moderna, Roma-Bari, Laterza, Gennaro Sasso, Machiavelli e gli antichi e altri saggi, I-IV, Milano-Napoli, Ricciardi, Maurizio Viroli, Il sorriso di Niccolò, storia di Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, Emanuele Cutinelli-Rendina, Chiesa e religione in Machiavelli, Pisa, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Ugo Dotti, Machiavelli rivoluzionario: vita e opere, Roma, Carocci, 2003 Francesco Bausi, Machiavelli, Roma, Salerno editrice, Giorgio Inglese, Per Machiavelli. L'arte dello stato, la cognizione delle storie, Roma, Carocci, Corrado Vivanti, Niccolò Machiavelli: i tempi della politica, Roma, Donzelli, Andrea Guidi, Un segretario militante. Politica, diplomazia e armi nel Cancelliere Machiavelli, Bologna, il Mulino, 2009 Gabriele Pedullà, Machiavelli in tumulto. Conquista, cittadinanza e conflitto nei 'Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio', Roma, Bulzoni,. William J. Connell, Machiavelli nel Rinascimento italiano, Milano, FrancoAngeli,  Attilio Scuderi, Il libertino in fuga. Machiavelli e la genealogia di un modello culturale, Roma, Donzelli,. Michele Ciliberto, Niccolò Machiavelli. Ragione e pazzia, Roma-Bari, Laterza,. Altri contributi A. Montevecchi, Machiavelli, la vita, il pensiero, i testi esemplari, Milano E. Janni, Machiavelli, Milano S. Zen, Veritas ecclesiastica e Machiavelli, in Monarchia della verità. Modelli culturali e pedagogia della Controriforma, Napoli, Vivarium (La Ricerca Umanistica, Cosimo Scarcella, Machiavelli, Tacito, Grozio: un nesso "ideale" tra libertinismo e previchismo, in "Filosofia", Torino, Mursia, M. Gattoni, Clemente VII e la geo-politica dello Stato Pontificio  in Collectanea Archivi Vaticani, Città del Vaticano 2002 F. Raimondi, Machiavelli, in La politica e gli stati, Roma 2004 Pasquale Stoppelli, La Mandragola: storia e filologia. Roma, Bulzoni, 2005. Maria Cristina Figorilli, Machiavelli moralista. Ricerche su fonti, lessico e fortuna. Napoli, Liguori editore, A. Capata, Il lessico dell'esclusione. Tipologie di Virtù in Machiavelli', Manziana, 2008. Giuliano F. Commito, IUXTA PROPRIA PRINCIPIA Libertà e giustizia nell'assolutismo moderno. Tra realismo e utopia, Aracne, Roma, Mascia Ferri, L'opinione pubblica e il sovrano in Machiavelli, in «The Lab's Quarterly», Pisa. Giuseppe Leone, Silone e Machiavelli: una scuola... che non crea prìncipi, Centro Studi Silone, Pescina.  Machiavelli i Guicciardini, Lublin, Marietti, "Machiavelli l'eccezione fiorentina", Fiesole, Cadmo, 2005 Marina Marietti, Machiavel, Paris, Payot et Rivages, Enzo Sciacca, Principati e repubbliche. Machiavelli, le forme politiche e il pensiero francese del Cinquecento, Tep, Firenze 2005 Frédérique Verrier, Caterina Sforza et Machiavel ou l'origine du monde, Vecchiarelli,Emanuele Cutinelli-Rendina, Introduzione a Machiavelli, Roma-Bari, Laterza, Lettera a Francesco Vettori Letteratura italiana Francesco Guicciardini Teoria della ragion di Stato Istorie fiorentine Barbara Salutati Machiavellismo. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Niccolò Machiavelli, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Niccolò Machiavelli, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.  Niccolò Machiavelli, su hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Niccolò Machiavelli, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Niccolò Machiavelli, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Niccolò Machiavelli, su Find a Grave. Liber Liber. openMLOL, Horizons Unlimited Progetto Gutenberg. Audiolibri di Niccolò Machiavelli, su LibriVox.  di Niccolò Machiavelli, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Goodreads.   Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com.Discografia nazionale della canzone italiana, Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi. 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Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Machiavelli," per il club anglo-italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51671843062/in/photolist-2mR9Kz4-2mQerAd-2mPAuFE-2mN8u25-2mNbFJE-2mNaHiH-2mN2sRt-2mMQbzj-2mLKtaD-2mLQdrQ-2mLGMqJ-2mLQkSq-2mLQifX-2mLHFAz-2mLHFZv-2mLM9xY-2mLGJnr-2mKQ5j7-2mKNUVi-2mPCgo1-2mKNWGs-2mKCfz1-2mKRUGT-2mKhkq2-2mKbihq-2mJ4GHU-2mJdd94-2mJ9YkM-2mJcdiU-2mJcdio-2mJ4Cow-2mJcdiD-2mJ9Yk6-2mJ4Cpi-2mJ8K4w-2mJdd8h-2mJ8K5o-2mJ9Ymi-2mJ9Ykg-2mJcdi8-2mGnP2f-2mKnqKE-2mKw6Bz-np1Srw-npxAy6-m3pEkK-m4x2n3

 

Grice e Màdera – la carta del senso – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varese). Filosofo. Grice: “I like Madera; especially because he uses words I love, like ‘sense’ – ‘la carta del senso’ and soul – anima --.” Insegna a Milano. Ha insegnato a Calabria e Venezia.  È membro dell'Associazione italiana di psicologia analitica, del Laboratorio analitico delle immagini (LAI, associazione per lo studio del gioco della sabbia nella pratica analitica), e fa parte della redazione della Rivista di psicologia analitica. Fonda i Seminari aperti di pratiche filosofiche di Venezia e di Milano e PhiloPratiche filosofiche a Milano.  Studia Jung. Define la sua proposta nel campo della ricerca e della cura del senso "analisi biografica a orientamento filosofico", formando la Società degli analisti filosofi. Fondat l'”Analisi Biografica A Orientamento Filosofico”, pratica filosofica volta a utilizzare e a trasformare il metodo psico-analitico, nata agli inizi Professoree oggi praticata in diverse città.  La pratica dell'analista filosofo si rivolge alle dimensioni “sane” ed è volta alla ricerca di senso dell'esistenza dell'analizzante. L’orientamento filosofico è inteso come ricerca di senso che, a differenza della filosofia come modo di vivere dell’antichità, parte dalla biografia storicamente, culturalmente e socialmente incarnata. Questo è un tentativo di risposta alla crisi delle istituzioni tradizionalmente riconosciute come orientanti l’esistenza; l'analista filosofo si propone di riformulare su base biografica i processi formativi integrandoli con le psicologie del “profondo”. L’aver cura “terapeutica” dell’insieme della personalità e della vita dei gruppi è stato da sempre vocazione della filosofia, riproposta come contenitore di diversi approcci e discipline delle scienze umane, dalla psicoanalisi alla pedagogia. Il senso è inteso come il fattore terapeutico fondamentale.  L'analisi biografica a orientamento filosofico non si occupa della cura delle psicopatologie, a meno che l'analista filosofo non sia anche uno psicoterapeuta, psicologo o psichiatra.  Essendo una pratica filosofica, sono richiesti all'analista non solo la competenza professionale ma anche l'indirizzo vocazionale della sua vita alla filosofia, dedicandosi agli esercizi filosofici personali e comunitari.  L'ambito di esperienze e teorie da cui deriva riunisce l'eredità delle psicologie del profondo, la filosofia intesa nel suo valore terapeutico e come stile di vita, la pedagogia del corpo e le pratiche di meditazione, la psicologia sistemica, il metodo autobiografico e biografico, la narrazione delle storie di vita in una prospettiva sociologica.  Saggi: “Identità e feticismo” (Moizzi, Milano); “Dio il Mondo” (Coliseum, Milano); “L'alchimia ribelle” (Palomar, Bari); ““Jung. Biografia e teoria,” Mondadori, Milano, “L'animale visionario,” Saggiatore, Milano); “La filosofia come stile di vita,  Mondadori, Milano, Ipoc, Milano, Il piacere di vivere, Mondadori, Milano, "Che cosa è l'analisi biografica a orientamento filosofico", in Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Jung come precursore di una filosofia per l'anima”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica. La carta del senso” Psicologia del profondo e vita filosofica, Cortina, Milano,,  Ipoc,  Una filosofia per l'anima. All'incrocio di psicologia analitica e pratiche filosofiche, Ipoc, Milano   Jung. L'opera al rosso, Feltrinelli, Milano. Sconfitta e utopia. Identità e feticismo attraverso Marx e Nietzsche, Mimesis, Milano  “Che tipo di sapere potrebbe essere quello della psicoanalisi?”, in Psiche. Rivista di cultura psicoanalitica,  “Dalla pseudo-speciazione al capro espiatorio", in, Tabula rasa. Neuro-scienze e culture, Fondazione Intercultura, Pratiche filosofiche e cura di sé, Mondadori, Milano, Le pratiche filosofiche nella formazione, Adultità, Guerini, Milano Bartolini P., Mirabelli C., L’analisi filosofica: avventure del senso e ricerca mito-biografica, Mimesis, Milano-Udine  Campanello L., "L'analisi biografica a orientamento filosofico e le cure palliative”, in Tessere reti per una buona morte, Rivista Italiana di Cure Palliative, Campanello L., Sono vivo ed è solo l'inizio, Mursia, Milano  Daddi A. I., Filosofia del profondo, formazione continua, cura di sé. Apologia di una psicoanalisi misconosciuta, Ipoc, Milano,  Daddi A. I., “Principio Misericordia, perfezionismo morale e nuova etica. La proposta màderiana per l'Occidente del terzo millennio”, in Rassegna storiografica decennale, Limina Mentis, Monza,  Diana M., Contaminazioni necessarie. La cura dell'anima tra religioni, psicoterapia, counselling filosofici, Moretti, Bergamo, Galimberti U., Dizionario di psicologia. Psichiatria, psicoanalisi, neuro-scienze, voce “Biografico, Metodo”, Feltrinelli, Milano  Gamelli I., Mirabelli C., Non solo a parole. Corpo e narrazione nella formazione e nella cura, Cortina, Milano  Janigro N., La vocazione della psiche, Einaudi, Torino  Janigro N., Psicoanalisi. Un’eredità al futuro, Mimesis, Milano  Malinconico A., "Dialettica di redazione (ancora in tema di analisi biografica a orientamento filosofico)", in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Malinconico A., Psicologia Analitica e mito dell’immagine. Biblioteca di Vivarium, Milano  Montanari M., “Per una filosofia del profondo”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Montanari M., La filosofia come cura, Mursia, Milano  Montanari M., Vivere la filosofia, Mursia, Milano  Moreni L., “Intervista a tre analisti filosofi”, in, Il senso di psiche. Una filosofia per l'anima, Rivista di psicologia analitica, Sull’analisi biografica a orientamento filosofico  Analisi biografica e cura di sé  Una nuova formazione alla cura  Psiche e città. La nuova politica nelle parole di analisti e filosofi  Quattordici punti sull’analisi biografica a orientamento filosofico.  Romano Màdera. Madera. Keywords: la carta del senso, “profondo” “la grammatica profonda” “la grammatical del profondo” Tiefe Grammatik – implicatura del profondo, implicatura del superficiale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Madera” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752822935/in/datetaken/

 

Maffetone (Napoli). Filosofo.  Grice: “I like Maffetone; he tries, like I do, to defend Socrates against Thrasymacus; in the proceedings, he provides his view on the foundations of Italian liberalism – and has recently explored the topic of what he calls ‘il valore della vita.’” Si laurea a Napoli. Ha contribuito al dibattito scientifico sui temi di bioetica e etica dell'economia e della politica, alla Rawls,, tentando di ricostruire i principi del liberalismo applicandoli al contesto dell’economia. Insegna a Roma. Presidente della Fondazione Ravello.  Saggi: “I fondamenti del liberalismo” (Laterza, Etica Pubblica, Il Saggiatore); “La pensabilità del mondo” (Il Saggiatore, “Rawls” (Laterza). “Un mondo migliore. Giustizia globale tra Leviatano e Cosmopoli, “Marx nel XXI secolo,” Luiss University Press. Radio Radicale. Sebastiano Maffettone. Maffetone. Keywords: contrattualismo. Rawls on Grice on personal identity. Keywords: quasi-contrattualismo conversazionale, i due contrattanti – il contratto come mito – contratto – marxismo, comunismo, laburismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maffetone” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Magalotti – di naturali esperienze (Roma). Filosofo. Grice: “I like Magalotti – very philosophical” – Grice: “When a philosopher is a count, we don’t say that he was a professional philosopher, but not an amateur philosopher either – ‘philosopher’ does!” – Grice: “I like his ‘saggi’ on ‘natural experience’ – he is being Aristotelian: there is natural experience and there is trans-natural experience – and there is supernatural experience!” Appartenente all’aristocrazia, figlio di Orazio, prefetto dei corriere pontifici, e Francesca Venturi. Studia a Roma e Pisa, dove e allievo di Viviani e Malpighi.  Segretario di Leopoldo de' Medici, segretario dell'Accademia del Cimento (fondata da de’ Medici). Fa parte anche dell'Accademia della Crusca e dell'Accademia dell'Arcadia, Dall'esperienza al Cimento nacque i “Saggi di naturali esperienze, ossia le relazioni dell'attività dell'Accademia del Cimento”. Passa al servizio di Cosimo III de' Medici  iniziando così un'attività che lo porta a una serie di viaggi per l'Europa (raccolse in diverse opere le sue vivaci e brillanti relazioni di viaggio). Ottenne il titolo di conte e la nomina ad ambasciatore a Vienna. Si ritira alla villa Magalotti, in Lonchio. Si dedica alla filosofia, con particolare attenzione per la filosofia naturale di Galilei Opere:   “Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo, pastore arcade” “Delle lettere familiari del conte Lorenzo Magalotti e di altri insigni uomini a lui scritte, Firenze,  Diario di Francia, M.L. Doglio, Palermo, Sellerio. “La donna immaginaria, canzoniere, con altre di lui leggiadrissime composizioni inedited” (Lucca); “Lettere del conte Lorenzo Magalotti gentiluomo fiorentino dedicate all'Ecc.mo e Clar.mo Sig. Senatore Carlo Ginori Cav. dell'Ordine di S. Stefano, Segretario delle Riformagioni e delle Tratte, Lucca. Lettere contro l'ateismo, Venezia. Lettere odorose, E. Falqui, Milano. Lettere scientifiche. “Lettere” (Firenze). “Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del cimento sotto la protezione del Serenissimo Principe Leopoldo di Toscana e descritte dal Segretario di essa Accademia, Milano. “Scritti di corte e di mondo” Enrico Falqui, Roma. “Varie operette del conte Lorenzo Magalotti con giunta di otto lettere su le terre odorose d'Europa e d'America dette volgarmente buccheri”  Roma.Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Saggi di naturali esperienze fatte nell'Accademia del Cimento sotto la protezione del serenissimo principe Leopoldo di Toscana e descritte dal segretario di essa Accademia (Firenze: per Giuseppe Cocchini all'Insegna della Stella); “La donna immaginaria canzoniere del celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta dato alla luce e dedicato alle nobilissime dame italiane” (Firenze: Bonducci); “Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade” (Firenze: per Gio. Gaetano Tartini, e Santi Franchi); “Il sidro poema in due canti di Giovanni Filips tradotto dall'inglese in toscano dal celebre conte Lorenzo Magalotti ora per la prima volta stampato con altre traduzioni, e componimenti di vari autori” (Firenze: appresso Andrea Bonducci); Charles de Marguetel de Saint-Denis de Saint-Évremond, Opere slegate: precedute da un carteggio tra Magalotti e Saint-Évremond, tradotte in toscano” (Roma: Edizioni dell'Ateneo). Scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, Elogio storico nell'edizione de La donna immaginaria canzoniere del conte Lorenzo Magalotti con altre di lui leggiadrissime composizioni inedite, raccolte e pubblicate da Gaetano Cambiagi, In Lucca: nella stamperia di Gio. Riccomini, Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, POMBA,  Lorenzo Magalotti, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia” (Bari, G. Laterza). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca, Relazioni di viaggio in Inghilterra, Francia e Svezia  Lettere scientifiche ed erudite  Comento sui primi cinque canti dell'Inferno di Dante, e quattro lettere del conte Lorenzo Magalotti  Canzonette anacreontiche di Lindoro Elateo pastore arcade  Lettere scientifiche ed erudite  La donna immaginaria  Novelle  (il volume contiene anche opere di altri autori) Gli amori innocenti di Sigismondo conte d'Arco con la Principessa Claudia Felice d'Inspruch.   DICE poldo di Toscana . Lettera III. SopralaLuce.AlSignorVincenzo Vi Sopra ildetto del Galido, il Vino Signor Carlo Dati. Lettera V. 111 P relazione 13 28 un composto d'umore e di luce. Al 48 394 refazione medesimo . Lettera II. . Fiore. Al Serenissimo Principe L e o . Delveleno dellaVipera.AlSignorOt 78   ne d'osservar la Cometa l'anno 1664. Leltera VII. Donde possa avvenire , che nel giu dicar degli odori cosi sovente si prenda abbaglio. Al Signor Cavaliere Giovanni Battista d'Ambra. Lettera re Giovanni Battista d'Ambra.Lette Descrizione della Villa di Lonchio.Al Strozzi. Lettera X. Intorno all'Anima de'Bruti,Al Padre secondo. Al Padre Lettore Don A n giolo Maria Quirini. Lettera XIII. 262  INDICE 395 . : 126 Sopra un effetto della vista in occasio Al Sigoor Abate Oilavio Falconieri. . Sopra gli odori . Al Signor Cavalie Signor Marchese Giovanni Battista Sopra un passo di Tertulliano.Al Pa Sopra un passo del Concilio Niceno Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XIV. . Monsignor Leone Strozzi . Lettera XVII.. . 170 252 ra IX. VIII, Іоо Letiore Don Angiolo Maria Quirini. Lettera XI. dre Lettore Don Angiolo Maria Q u i rini.Lettera XI. Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XV. 85 157 279 Sopra la lanugine di Beidelsar. A N. N. Lettera XVI. 282 Sopra un intaglio in un diamante. A 289 300 7   Conte Ferrante Capponi . Lettera XIX. Sopra la lettera B , e perchè ella s'a doperi cosi spesso nel principio de  396 INDICE. Sopra un passo di S. Agostino.Al Si gnor Abate Lorenzo Maria Gianni. Lettera XVIII . . Sopra il Cascii . Al Signor Cavaliere Cognomi. Al Signor Tommaso Buo naventuri . Lettera X X . . 338 FINE. SilAJilUsCEn il poeta per una lelva, per la quale tutta  notte aggiratosi, la mattina in su falba si trova a piè  <l'uQa colliuciui. Kipoaatosi alquanto ^ •! per voler   aalire f quando y fattuegli incontro una lonza, un leone e  una lupa, h costretto a rifuggirsi alla selva. In questo  gli apparisce Fombra di Virgilio , il cui ajuto è da esso  caldamente implorato contro alla lupa, dalla quale il  maggior pencolo gli soprastava. Virgilio discorre lunga*  mente della pessima natura di quella 6era, onde cam«  porne lo strazio , offerendogli sè per guida | a tener altra    Digiiized by Google     a Canto   via lo conforta. Dante accetta Tofferta di Virgilio « e te-  nendogli dietro ti mette in cammino.   V. I. Nel mezzo del cammin tee.   Keir età di 35 anni. Ciò non t'aTguìtee per congetture;  ma provasi manifestameute da un luogo del tuo Convivio,  nella aposizione della canzone :   Le dolei rime eTamor, eh* io eolia;   dove 9 dividendo il cono della vita umana in quattro  parti, che tutte (anno il numero d'anni 70 « resta, che  la metà del suo corso, secondo la mente del poeta, sia  ne' 35 . Che poi questo primo verso debba intendersi  letteralmente, cioò del numero degli anni, e non alle-  goricamente, come alcuni vogliono: si dimostra da un  luogo deir Inferno , caut. XV, nel quale domandato il  poeta da Ser Bnmetto di sua venuta, esso gli risponde,  V. 49;   Lassù di sopra in la vUa serena  * JUrpos* io lui • mi smarrì *n una valle ,   1 Avanti (he Vetà mia fosse piena:   riferendoli a questa selva» nella quale racconta essersi  smarrito nel mezzo del commin del suo vivere.   V, per una selva oscura.   Forse questa selva ^ oltre al senso letterale, che fa  giuoco al poeta per 1* intraduzione del suo viaggio , ha  sotto di s^ ((ualche senso allegorico • dei quale sono ar-  ricchite molte parti di questo primo canto ; e vuol per  avventura s guilicare la selva degli eiTori , per entro  la quale assai di leggieri si perde l' uomo nella sua    Digitized by Coogle    FRIICO.    3   a<h>1etccnu; e cìie iia *1 vero nel topraccitato luogo del  •uo CoFwivio ti leggono queite formali parole ; È adunque  dà f opere, che y ticcome quello, che mai non fosse stato in  una città , non saprebbe tener le vie -, senza l' insegnamento  di colui , che le ha usate : ro/1 V adolescente » che entra nella  teloa erronea di questa vita , non saprebbe tenere il buon co/m-  mino y se da suoi maggiori non gli fosse mostrato ; nè il mo-  strar vatrebbe, se alli loro coaiafidamenti non fosse obbediente,   V. 8. Ma per trattar del ben ecc.   Del frutto, il qual ti ritrae dalla meditaiione di quel  miserabile stato pieno di pene e di rimordiinenti , mediante  la quale s' arriva alla caDtemplaaione d' Iddio , che è la  fine propostasi dal poeta.   V. 1 3. Ma po* eh* »* fui appiè ecc.   Il colle è forse inteso per la virtù , la qual si solleva  dalla bassezza della selva.   V. l6 vidi le sue spalle   VestUe già de* raggi del pianeta ecc.   Il senso letterale è aperto , volendo dire , che la cima  del colle era di già illustrata da' raggi del nascente sole.  Ma forse, che sotto questo senso n' è chiuso un altro ^  pigliando il sole per la grazia illuminante , la quale all' u-  sctr Dance dalla selva degli errori cominciava a trape-  lare con qualche raggio nella sua mente.   V. ao. Che nel lago del cuor ecc.   Por che voglia insinuare , nella passione della paura  commuoversi e fortemente agitarsi il sangue nelle due  cavità del cuore, dette volgarmente ventricoli; de' quali,     4 Canto   prrò eh’ e' parla in lingolare , pigliando la parte pel  tutto , vuol forae dir principalmente del destro , che del  sinistro i maggiore. Dante lo chiama lago , credendosi  forse che il sangue che v’ è , vi stagni , non essendo in  que’ tempi alcun lume della circolazione. Qui però cade  molto a proposito il considerare un luogo maraviglioso  del Petrarca nella seconda canzone degli occhi, finora,  che io sappia, non avvertito da altri; nel quale dice  cosa intorno alla circolazione da far facilmente credere,  eh* egli quasi quasi se l’indovinasse, arrivandola, se non  con l'esperienza, con la propria speculazione. Dice dun-  que così :   Dunque eh' i’ non mi sfaccia ,   Si frale oggetto a s\ possente fuoco  Non i proprio valor , che me ne scampi ,   Ma la paura un poco ,   Che 7 sangue vago per le vene agghiaccia ,  insalda ’l cor , perchè più tempo avvampi.   Non ha piti dubbio-, eh* e’ si parrebbe forte appassio-  nato del poeta, che volesse ostinarsi a dire, che il sen-  timento di questi versi suppone necessariamente la notizia  della circolazione del sangue ; la quale , a dir vero , so  fosse stau immaginata , non che ricooosciuu dal Petrarca,  non ha del verisimile , eh’ ella si fosse morta nella sua  mente, ma, da lui conferita e discorsa con altri, per la  grandezza del trovato avrebbe mossa fio d' allora la cu-  riosità de’ medici e de’ notomisti a procacciarne i riscontri  con resperienze. E ben degno di qualche maraviglia il  vedere , come , il poeta altro facendo , e forte altro in-  tendendo di voler dire , gli è venuto detto cosa , che  spiega mirabilmeote quesu dottrina; poiché, se ben si    Digitized by Google     FUMO.    5   considera il lento de' lopraddetti Tersi , ^ tale : Ma il  cuore rìsalda un poco, cioè ritorna al suo esser di flui-  dezza il sangue , il quale nel vagar per le vene s'ag-  ghiaccia dalla paura , e ciò a fine di farlo arder misera-  mente più lungo tempo.   Puoss' egli dilucidar più chiaramente Teffetto, che opera  nel sangue il ripassar cb* egli fa per la fornace del cuore,  dove si liquefi, s'allunga, s'assottiglia, e si stempera,  caso che nel vagar per le vene lontane o per paura,  come in questo caso nel Petrarca, o per qualsivoglia  altra cagione si fosse punto aggrumato e stretto; onde  poi, novellamente fuso, e corrente divenuto, potesse  ripigliare il nuovo giro ed allungar la vita (la qual tanto  dura, quanto dura il sangue a muoversi), e si a render  più luogo r incendio amoroso del poeta?   Ma ciò, per chiaio ch'ei sia ed aperto, ò tuttavia  assai oscuramente detto in paragone d'un luogo, del Da-  vanzati nella sua Lezione delle monete. Il luogo ò il se-  guente : Jl danojo è il nerbo della guerra, e della repuh~  hlica , dicono di gravi autori, e di jolenni* Ma a me par  egli più acconciamente detto il secondo sangue; perchè,  siccome il sangue , eh' è il rugo e la sostanza dei cibo  nel corpo naturale, correndo per le vene gì-osse nelle mi-  nute , annaffia tutta la carne , ed ella il si Bee , com* arida  terra bramata pioggia, e rifà, e ristora, qucaUunque di tei  per lo color naturale s'asciuga, e svapora: così il danajo,  eh* è sugo e sostanza ottima della terra , come dicemmo ,  correndo per le borse grosse nelle minute , tutta la gente  rineaneuina di quel danajo, cheti spende, evaviacontl-  nuatnente nelle cose , che la vita consuma , per le quali  nelle medesime borse grosse rientra , e cos't rigirando man-  tiene in vita il corpo civile delta repubblica. Quindi assai    Digitized by Coogle     6    Canto    éi leggler ti tomprende , eh* ogni ttato vuol una quantità  di moneta, che rigiri^ come ogni corpo una quantità di  sangue , che corra»   Che dunque diremo di queit* autore ? Nuli* altro ceiv  tamente , te non che , dove i profeMori delle mediche  facoludi non giunsero, se non dopo un grandissimo  guasto d* inomnerabili corpi, egli senz'altro coltello che  con la forza d'un perspicacissimo ingegno penetrò nel  segreto di questo aumiirabile ordigno, c tutto per filo e  per segno ritrovò raltisstmo magistero di quei movimenti,  che noi vita appelliamo*   V. 31 . £ qual è quei, che con Una af annata ecc.   MaravigUosa similitudine.   V. 35. CoA /'animo miò , eh* ancor fuggiva ecc.   Rara maniera d'esprimere una paura infinita. Bocc.*,  Novella 77. Allora , quasi come se *l mondo sotto i piedi  venuto le foste meno , le fuggi Canitno , e vinta cadde ro-  paa '/ battuto della terre.   V. 3 o* Si che 7 piè fermo ecc.   Solamente camminandosi a piano : dicansì quel che  vogliono 1 commentatori, in ciò manifesraniente conviensi  dalla dimostrazione e dall' esperienza. £ vero, che il piè  fermo retu sempre Ìl più basso. Onde convien dire, che  Dante non avesse ancor presa l'erta, il che si convince  anche più manifestamente da quel che segue :   V. 3 i. £d ecco, quoti al cominriar dell’ erta»   La voce quoti vuol significare ( e tanto più accompa-  gnau con l'altra al cominciar t che denota futuro), che    Digitized by Google     PRIVO. 7   Verta era ben vicina, ma non cominciata; c pure in fin  allora avea camminato , adunque a piano. Nè li opponga  quello, ch’egli dice ne* veni innanzi, y. l3.   Ma po’ eh’ i fui appii d" un colle giunto ;   poiché appiè d'un colle li dice anche in qualche distanza;  anzi t' e’ doveva comodamente vedergli le spalle, v. l 6 .   Guarda’ in alto e vidi le sue spalle ,   tornava meglio eh’ e’ ne fosse alquanto lontano. Molto  meno dà dilEcoltà il seguente v. 6 l.   Mentre eh’ i’ rovinava in basso loco;   dicendo: dunque se ora egli scende, mostra, che dianzi  saliva. Saliva , ma dopo aver prima fatto il piano , per  lo qual camminando il pie fermo sempre era il più basso.  Del resto il leone e la lonza non poteron impedirgli il  salire : solamente la lupa gli fe’ perder la speranza dell’ al-  tezza, cioè di condurti in cima del colle. Di qui avvenne  eh’ egli prete a rovinare in basso loco,   V. 3a. Una lonza ecc.   Una pantera. Per essa , come animai sagacissimo , in-  tende veritimilmente la lussuria.   V. 36. Ch’i’ fui, per ritornar, pUi volte, volto.   Bisticcio. Tibullo ti fe’ lecito anch’ egli per nn^ volta  un simile scherzo , Ub. IV , corm. VI , v. 9 .   Sic bene compones : ulli non ille puellat  Seruire.     8 Canto   £ Properzio te ne volle aacor etto cavar la voglia,  elcg. Xin, Ub. I, V. 5.   Vum tiU Jecepiiì augfiur fama puellis ,   CtTtus et in nuìlo quaeris amore moram.   V. 39 quando V amor divino   Mone da prima quelle cose belle-   Direi, che per la motta di quelle cose belle non inten-  dette altro il poeta, che rattuazione dell* idee, o tì vero  lo tpartimento dell* idea primaria nell* idee tecondarie ,  che è il diramamento dell* uno nel diverto tignificato nel  triangolo platonico. In tomma la creazione dell* univerto,  allora quando formò il mondo temibile tutta a timile al  mondo archetipo o intelligibile creato ab eterno nella  mente divina.   £ non è inveritimile, che Dante abbia voluto toccare  quetta dottrina platonica, nella quale, come appare ma-  oifettamente da altri luoghi della tua Commedia, e prin-  cipalmente nell* XI del Paradito , egli era vertatittimo ,  donde ti raccoglie e 1* intento amor delle lettere e la  pertpicacia del tuo finittimo intendimento , mentre in un  aecolo coti barbaro pot^ aver notizia delle opinioni pla-  toniche , quando i principali autori di quella tcuola o  non erano ancor tradotti dal greco idioma , o t*egli era-  no, grandittima penuria vi aveva de* codici tcritti a penna  dove vederli e ttudiarli. Na t* io ben m'avvito, tal dot-  trina Incavò egli a capello da Boezio, del qual aurore il  poeta fu ttudioiittimo , dicendo nel tuo Convivio queite  formali parole : Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia  mente» che s'argomentava di tonare » provvide ( poi ne*l  ai/o, nè Taltrui consolare valeva ) ritornare al modo» che    Digitized by Google     F ni u o.    9   alcuno sconsolato avea tenuto a consolarsi; e ansimi ad  allegare e leggere quello , non conosciuto da molti , libro  di Boezio ) ìlei quale » cattivo e discacciato , consolato si  aveva. Quivi adunque potè egli facilmente apprendere a  intender Puniverso aotto il nome di bello , e ti per la  moMa delle cose belle intender la mossa del mondo  archetipo disegnato ab eterno nella mente d'iddio. 1 versi *  di Boezio sono i seguenti: lib. Ili de consol. etc.^ metro 1\.   O qui perpetua mundum radane guhemés»   Terrarutn caeUque salar , qui te/apus ab aeuo  Ire iuhes , stabilisque nianeru das cuncta moueri ;  Quent non extemae pepulerunt fingere caussae  Materiae fluitantis opus uerum insita sutnmi  Forma boni, liuore carens : tu cuncta superno  Ducis ab exeinplo : pulcrum pulcherrimus ipse  Mundum mente gerens , similiqtte imagine formans ,  Perfectasque iubens perfectum absoluere partes.   In numeris elemento ligas , ut frigora fiamtnis y  Arida conueniant liquidis : ne purinr ignis  Fuolet , aut mersos deducane pondera terras.   Tu triplicU mediam naturae cuncta mouentem  Connectens animam per consona membra resoluis, etc.   Che poi per la motta intenda l'attuazione delle idre  mondiali, ciò si convince apertamente da un luogo ma-  raviglioso del suo canzoniere nella canzone :   Amor y che nella mente mi ragiona;   dove parlando della sua donna dice cV ella fu T idea, che  Iddio si propose quando creò il uiondo sensibile, il qual  atto di creare vien quivi espresso con la voce mosse.     IO    Canto   Però qual donna sente sua beliate ,   Biasmar , per non parer queta ed umile ^   Miri costei , eh' esemplo è d’umiltate»   Questuò colei, che umilia ogni perverso.   Costei pensò , chi mosse l* universo.   Altri forse intenderà (tutto che i comentatorì in questo  luogo se la passino assai leggìensente ) per la mussa di  quelle cose belle, la mossa data ai pianeti per gli orbi  loro; ma trattandosi d"una mossa data dall" amor divino,  panni assai più degna opera la creazione dell'universo,  che r imprimere il moto a piccol numero di stelle. Dire  dunque , che il sole nasceva con quelle stelle , eh* eran  con lui quando Iddio creò il mondo : cioè eh' egli era  in Ariete , nella qu^d costellazione fu creato secondo  Vopiniooe di molti.   V. 41 * a bene sperar vera cagione.   Di quella fera la gaietta pelle ,   L*ora del tempo , e la dolce stagione.   Può aver doppio significato : primo in questo modo ,  cioè : 51 che Vara del tempo , e la dolce stagione tu erano  cagione di bene sperare la gaietta fera di quella pelle;  cioè, Si che l'ora della mattina e la stagione di prima^  vera (avendo detto che il sole era in ariete) mi davano  buon augurio a rincer l'incontro di quella fiera, e a  riportarne la spoglia. £ in quest' altro : Sì che aggiunto  all' ora e alla bella stagione l' incontro di quella fiera  adorna di sì vaga pelle non poteva non isperar felici  successi. Così rincontro d'uno o d' un altro animale  recavasi anticamente a buono o a tristo augurio.    Digitized by Googie    F R I M O. (I   V. 45. Za vista, che m'apparve étun leone.   Il leone è preio dal poeta per limbolo della superbia.   V. 4^. £d una lupa eco.   L'ararizia.   V. Si. £ molte genti fe' già viver grame.   Ciò si può intender di coloro , l'aver de' quali è  ingordamente assorbito ddl' avwo , e per gli avari me-  desimi, che ai consumano in continui affanni per l'insa-  ziabditi della lor cupidigia, onde chiama la lupa bestia  senza pace.   V, 53 . Con la paura, eh’ uteia di sua vista.   Qui paura con bizzarra significazione vale spavento in  significato attivo, ed è forse l'unico esempio che se ne  trovi. Cosi l'addiettiva pauroso è preso attivamente, Infer.  cant. 3 , V. 8 H.   Temer si dee di sole (fucile cote ,   eh’ hanno potenza di far altrui male ,   Deir altre no , che non son paurose.   Cioè non danno paura ; ma questo non è tanto sin»  gulare , quanto il sostantivo paura in significato di ter-  rore, e f.tcllmente se ne troveranno esenipj simili cosi  ne'Crecif come nei Latini. Uno al presente me ne sov-  viene, ed ò di Tibullo, eleg. IV, lib. Il , v. q,   Stare uel insanis cautes obnoxia uentit ,   Naufraga quae uatii tunderet unda maris !   V. 60 dove il sol tace.   Verso l'onibra della selva.    I    Digilized by Google     12    Canto   V. 63 . Chi per lungo silenzio parta fioro.   Quriti è Virgilio, «otto la periona del quale pare,  che debba intendersi il lume della ragion naturale risve-  gliato nella mente del poeta dalla teologia figurata per  ranima di Beatrice de* Portinan in vita amata da Dante.   V. 63 parta fioco.   Dal sento delle parole par, che Dante •* accorgesse ,  che Virgilio era fioco dalla semplice vista, ma a bea  considerare non è così. Perchè allora eh' egli scrisse questo  verso avevaio già udito favellare, onde può ben dire  qual era la sua voce, oltre al dire eh* e* Paveva veduto.  Che poi lo faccia fioco , ciò è furila per tacciar la bar-  barie di quel secolo , in cui allorché Dante si pose a  cercar lo suo volume, cioè a leggere e studiar TEneide,  nino altro era che la cercasse o studiasse , onde poteva  dirsi Virgilio starsene muto ed in silenzio perpetuo.   V. 70. Nacqui suh JuliOt ancorché fosse tardi.   Dice esser nato sotto Giulio Cesare ancorché fosse  tordi, cioè ancorché esso Giulio Cesare rispetto al nascer  di Virgilio fosse tardi, cioè indugiasse qualche tempo  ad aver Tassoluto imperio di Roma, onde si potesse con  verità dire che la geme nascesse sotto di lui. £ vera-  mente Virgilio nacque avanti a Cristo anui 70, agridi  d'ottobre , e per conseguenza avanti che Giulio Cesare  fosse imperatore.   V. 90. Ch" ella mi fa tremar le vene e i polsi,   piglia i polsi universalmente per Parterìe, le quali  eo\ loro strigoersi e dilatarsi con contraria corrisponden-  za alla sistole e alla diastole del cuore continuamente    Digitized by Coogle    7 R I li O.    i 3   dibatt^nfti. E qui è da notare ravvedutezza deì poet  mentre dice, che gli tremavano le vene ancora, come  quegli che beni»iÌmo sapea , che per non andar mai  diigiunte dall* arterie, in una violente commozione di  queite, non può far di meno che quelle ancora tanto  quanto non •'alterino.   V. 91. A te convien tenere altro viario.   Quasi dica; ben li può luituria e tuperbia vincere,  ma superare avarizia, ciò è all* umane forze impossibile.   V. 100. Molti son gii animali 1 a cui t’ammoglia.   Molti vizj veogon congiunti con Tavanzia.   V. lOi. ... in finckè’l veltro ecc.   Questi è messer Cane della Scala veronese , onde la  sua patria, dice Dante, che sari tra Feltro e Feltro, perchè  tra Monte Feltro dello Stato d' Urbino e Feltro del Friuli  si ritrova in mezzo Verona. Fu messer Cane uomo d'alto  affare in que' tempi, e d'animo grande e liberale; ed  essendo desideroso, che la sua generosità fosse per opera  conosciuta, intraprese ad onorare e soccorrer tutti coloro,  che di gran saliere fosser dotati, fra quali ricoverò anche  il nostro poeta, allorch'e'fu di Faenze cacciato co* Chi~  bellini intorno all'anno i 3 oS.   V. io 3 * terra , nè peltro»   Peltro^ stagno raffinato con lega d’argento vivo. Qui  per metallo in genere , onde il scntimeaio è questo ;   V. io 3 . Questi non ciberà terra , nè peltro ,   Questi non si ciberà , cioè non sarà signoreggiato da  ambizione di stato > uè da cupidigia d'avere.     14 Canto triuo.   V. ic 6 . Di queìF umile Italia»   Vinile y atteso il tuo miserabile stato in que* tempi per  rintestioe discordie, ond' ella era sempre infestata.   V. 111. Là onde invidia prima ecc.   O sia la prima invidia di Lucifero contro Iddio in  Ciclo, o contro l'uomo nel paradiso terrestre, o pure:   V. IH. Là onde invidia prima dipartiìla\   Là onde da prima inridia la diparti , preso quel prima  avverbialmente.   V. iiS. Che la seconda morte ciascun ^rida.   Allude al desiderio , che hanno i dannati della morte  deir anime loro dopo quella de* corpi per sourarsi alla  crudeltà de' tormenti, onde S. Luca, cap. aa, io persona  di quelli : Monies cadile super noi, et colles operile nos.   V. lai. Anima fia ecc.   Beatrice de' Portinarì , la quale , siccome à detto di  sopra , fn io vita ardentissimamente amata dal poeta.   In questo, che segue nel primo canto, si consuma un  giorno intero , eh' è il primo del viaggio di Dante.    Digitized by Google     INFERNO.    CANTO SECONDO.    ARGOMENTO.    Si fa dall’ ioTOcar le muae e l'ajuto della propria  mente. Dipoi acconta , com' egli peniando all' impreia  di tal viaggio . cominciò a •gomrntoraeoe , e a motirare  a Virgilio eoo molte ragioni, di' e' non era dovere, ch'ei  ti mettewe ]>er niun conto a cimento >1 pericoloio. Dopo  di che narra, come Virgilio lo ripreie della tua viltà;  e con dirgli, ch'egli veniva in tuo aoccorto mandatovi  da Beatrice, tutto di buon ardire lo iraarrito animo gli  rinfranca, ond'egli ti ditpone al tutto di volerlo teguitare.   V. 4 . ATapparetfhiava a sostemr la putirà ,   Si del cammino , e ti delta pittate.   Il Boti, il Vellutello, ed altri comentatori tpiegano  qneito luogo coti ; M'apparecchiava a tiiperar le ilitE-  cultà del viaggio, e tollerar la noja della pietà, di' eraii  per farmi quei crudeliitimi tirar) , ond’ era per veder  tormentare l’anmie de’ dannati. Io però ardirei proporre    Digitized by Coogle    j6 Canto   un* alfr.i roiuMcrazionc , le a sorte Dante avesse piut-  tosto voluto dire, eh’ ci •'apparecchiava a sostcoer la  {guerra della pirtare , cioè a ftf forza al suo animo per  non prender pietà de’ peccatori, avvegnaché U crudeltà  de’ «upplizj. fosse per muovergli un certo naturai affetto  di comjiafsione , al quale ciafcun uomo fi seme ordina-  riamenTc incitare per la miseria altrui. £ veramente il  senso letterale pare , che favorisca mirabilmente questo  sentimento ; poiché , s’ei s’apparecchiava a sostener la  guerra della pietà, cioè la guerra, ch’era per Wgli la  pietà , segno è eh' e* non voleva lasciarsi vincer da  quella, ma si resistere e comb.ucere con la considera-  rione, che quegl' infelici erano puniti giustamente, anzi,  come dicono t teologi, citra meritumt mentre avendo offeso  una Maestà inBnita, e sì infinita venendo a esser la loro  colpa, questa non può con pene finite soddisfarsi. Dico  finite quanto all' intensione , non quanto all* estensione ,  la quale non ha dubbio , che durerà eternamente. E chi  porrà ben mence ad altri luoghi dell’Inferno, ne troverà  di quelli, che armano di piu salde conjetture il sentimento  da me addotto in questo passo. Tale è quello dell’Inferno,  canto XIII, dove, dopo il primo ragionamento dì Pier  delle Vigne , Dante dice a Virgilio, eh* c’ seguiti a do-  mandare all* anima del suddetto Piero qualche altro  dubbio, imperocché a lui non ne dà Tanimo, tanto si  sente strignere dalla pietà del suo infelice stato, v.   OntV io a lui : dimandai tu ancora   Di quel, che credi ^ ch‘ a me soddisfaccia ;  eh* i non potrei: tanta pietà in accora.   E piià apertamente si vede questo star su la difesa, che  fa Dante contro l’ importuna pietà de* dannati, la qual    Dìgitized by Coogle    S B C O H D O.    >7   tenta di vincerlo al canto XXIX dell’ Inferno , quando  arrivato in tu ruldina costa di Malebolge dice cosi, v. 43^   Lamenti saeltaron me diversi ,   Che di pietà ferrati avean gli strali :   Ond" io gli orecchi con te man coperti.   Il qual terzetto par, che esprima troppo maraviglio-  samente un fierissimo assalto dato dalla pietà all’ animo  del porta , e la difesa di quello con turarsi gli orecchi.  £ non solamente si troverà difendersi dalla pietà , ma  sovente incrudelire contro di essi, negando loro conforto  e compatimento. Così Inf. cant. XXXIII , richiesto da  Branca d’Oria, che gli distaccasse d' insieme le palpebre  agghiacciate , non volle farlo , v. 148.   Ma distendi ora mai in guà la mano ,   Aprimi gli occhi I ed io non gliele aperti,   E cortesia fu lui tesser villarto.   E Inf. XIV , vedendo Capaneo disteso sotto la pioggia  di fuoco, dice stargli il dovere, v. ^t.   Ma , com' io dissi lui , li tuoi dispetti  Sono al suo petto assai debiti fregi.   Io però confesso di non aver per anche si fatta pra-  tica SU questo poema , eh' e' mi sovvengano così a un  tratto tutti i luoghi, ov’ e' favella di pietà in questa prima  Cantica dell’ Inferno; e considero eh’ e’ mi se ne può  addurre taluno ora non pensato da me , il qual mostri  così chiaro il contrario, eh’ e' metta a terra tutto il pre-  sente ragionamento. E considero , che altri potrebbe ri-  spondermi , che il far dimandare da Virgilio Pier delle  Vigne , e ’l coprirsi gli orecchi con le mani posson     i8 Canto   ambedue etter effetti dell' cuer Taiiimo del poeta troppo  vinto dalla pietà, e non dall' eaier a lei repugnante ; ma  io non piglio per aaiunto di provare , che egli si picchi  di non calerti mai piegato a pietà de' dannati , anzi che  in molti luoghi confeita la aua caduta , qual è quella ,  Inf. canto V, v. 70.   Poscia eh' i' thhi il mio dottore udito  Nomar le donne antiche e cavalieri ,   Pietà mi vinse , e fui quasi smarrito.   Nel qnal luogo non meno ti pare la perdita del poeta,  che il contratto antecedente; mentre, te egli non ti fotte  potto in animo di non latciarti andare alla compattione,  non avrebbe indugiato fin allora ad arrenderli , avendone  avuta occatione molto prima , cioè tubito eh' ei vide la  miteria dei peccatori carnali. Ivi, v. 3S.   Or incomincian le dolenti note  A [armisi sentire : or son venuto ,   Xà dove molto pianto mi percuote.   Ma egli Ita forte il più eh' el potette : però , allora  ch'egli ebbe riconoteiuto quivi tanti valoroti uomini, e  coti alte donne , piegò l'aaimo alla compattione ; ond'egli  dice , eh' ei fu quoti smarrito , cioè ti perdè d' animo ,  vedendoti vinto il pretto. Per lo che concludo, che, te  bene da quetto e da muli' altri luoghi ti comprende la  vittoria della pietà , ciò non toglie il vigore alla ipoti-  zinne del preiente patto , potendo benitiimo ilare in-  lieme l'un e l'altro : cioè che Dante ti ditponeiie a  toitener la guerra della pietà , cioè a non compatire i  dannati ; e poi , come di animo gentile ed umano , di  quando in quando cedette.    Digitized by Google     SE con DO. 19   V. 8. O mente , che scru/etti ciò eK io vidi ecc.   Dopo ÌDTOcate le Muse, invoca la sua memoria, chia-  mandola mente che tcriite ciò eh' egli vide ; cioè, in cui  a' impretaero le tpecie degli oggetti vedati.   V. IO. Io cominciai;   Vi a’ intende a favellar di qncato tenore , e queata è  maniera uaitatiaaima di Dante per iafuggir la proliaaità  dell' introduaioni de' ragionamenti ; coal ed io a lui ed  egli a me ; cio^ diaai e diaac , ed infiniti altri aimili faci-  lisaimi ad intenderai.   Y. l 3 . Tu dici, de di Silvie lo parente,  CoirutlUile ancora , ad immortale  Secolo andò , e fu tentibilmente.   Tu dici. Tu hai laaciato aerino nella tna Eneide , che  Enea padre di Silvio , eaaendo ancora nel corrunibil  corpo, andò a aecolo immortale , cioè diaceae airinferno,  e ciò non fu per aogno o per eataai , ma aenaibilmente ,  cioè in carne e in oaaa.   V. 16. Però se I avversario d'agni male   Cortese fu , pensando I alto effetto ,  Ch'uscir dovea di lui, e ’l chi, e 'I guale   L’avversario d* ogni male è Iddio, e ‘I chi , Romolo fon-  dator di Roma , e 'I quale , e le aue alte qualità ; onde  il aenao de' aeguenti terzetti è tale : Se Iddio , penaando  la aerie delle coac , che doveano farai per Enea c la aua  aucceaaione, conaentì l'andata e '1 ritotoo di lui dall'Iu-  ferno : ciò non parrà punto di atrano a qualunque abbia  punto d'intendimento, conaiderando eh' egli fu eletto per  .vutore di Roma e del romano imperio.     20    C AVTO   V. 22. La qual* e *l quale ecc.   La qual Roma, e '1 qual imperio.   V. 14. U* siedv il xuff<//or del «o^ior Piero.   Qui Piero per Pontefice , onde il maggior Piero viene  a eMer Cristo , e non S. Piero , come vogliono ì coni»  mentatori; perchè s'e* parlaste di S. Piero, non direbbe  del maggiore y il qual ti dice solo comparativamente ad  altri minori ; il che toma appunto bene , però eh* e* parla  di Cristo, il quale rispettivamente a $. Piero può vcrar  mente chiamarti il maggiore*   V. aS. Per quest* andata, onde li dai tu vanto ecc.   Onde cotanto T esalti fra gli uomini per ralcissimo  privilegio concedutogli.   V. a6. Intese cose che furon cagione   Di sua vittoria , e del papale ammanto.   Allude alla predizione fatta da Anchise ad Enea nel  sesto deir Eneide ; per la quale egli intese la sua vitto-  ria, da cui dopo lunga serie di avvenimenti fu stabi**  lito in Roma il papale ammauto , cioè l'imperio sacro.   V. a8. Andovvi poi lo Vas delezione ecc.   S. Paolo, quando fu rapito al terzo cielo. £ veramente  ne recò conforto alla nostra fede con l'oculata tettimo-  niaaza delle cose credute da essa. E notiti che Dajite  da principio di questo suo discorso, fatto qui a Virgilio,  non si ristrinse a dir solo di quelli, i quali ancor viventi  pass;u*ono all* Inferno, ma di ciascuno, il quale, sendo  ancor corruttibile, andò a secolo immortale. Laonde non  solamente di Enea, ma del celeste viaggio di S, Paolo  ancora saggiamente piglia a ragionare.    ;    Digiiized by Google    SCCOHDO. ai   V. 34. Perchè se del venire C tn ahhanJono ecc.   M* abbandono oon vuol dire, d* io mi tgomento di ve«  iiire , come spiegano tutti i couieou , ma come chiosa  il Rifiorito : Perchè s* ì mi lascio andare a venire , assai  dubito del ritorno,   V. 37. E qual è quei che disvuoi ecc.   Ci mette con mirabil similitudine davanti agli occhi  i contrasti d' un' anima, che dal male al ben operar si  rivolge.   V. 41. Perchè» pensando consumai t impresa y  Che fu nel cominciar cotanto tosta.   S'accorge Dante d'averla un po' corsa» allora che nel  primo canto, senza pensar nè che, nè come, s'impegnò  ad andar con Virgilio, dicendo, v. i 3 o.   Poeta t i ti richieggio   Per quello Iddio, che tu non conoscesti,  jicciò eh* i' fugga questo male e ptggio.   Che tu mi meni là dov* or dicesti ,   Si eh* i vegga la porta di S. Pietro ,   E color, che tu fai cotanto mesti.   Onde ora confessa , che , sbigottito dalle suddette con>  siderazioni, l'amor dell'impresa, da principio con sì lieto  animo incominciata , era per tali pensieri consumato e  svanito.   V. 43. Se io ho ben la tua parola intesa ,   Rispose del magnanimo quell ombra ,  Vanima tua è da viltate offesa.   Rispose Virgilio : Con queste tue riflesiioni , s' io 1 * ho  ben'imesa, in loitanza tu ba* paura*    Digitized by Google     32    Cauto   V. Ss. I* tra tra color elle son tospeti,   Nel Limba , dove nè godono , nè dolgonti ranìme.   V. 53 . E donna mi chiamò beata e bella.   Beatrice , la quale , ticcome è detto nel IV canto , è  poeta per la grazia perSciente o consumante, secondo i  teologi dicono, anzi per la stessa teologia; e ciò, secondo  nota il Cello nella Lezione duodecima topra F Inferno,  per due cagioni : Una, perchè, siccome non ci è scienza,  la quale più alto ne levi nostro mortale intendimento  all’ altissima contemplazione d' Iddio e della teologia ,  così non avea Dante, mentre eh’ e’ visse, trovato oggetto ,  che più gli facesse scala all’ intelligenza delle celestiali  cose, che, siccome scrive io più luoghi, le sublimi virtù  e l’altre doti esimie dell' anima di Beatrice. L'altra ca-  gione , per la quale sotto il nome di Beatrice intenda  allegoricamente la teologia, è per mantener la promessa,  ch'egli avea fatta nella sua Vita Nuova; dicendo, che,  se Iddio gli avesse dato vita, avrebbe scritto di lei più  altamente, che aveste scritto altr' uomo di donna mortale.  Il che veramente ha egli molto bene osservato, avendola  posta in così bella e maravigliosa opera per la scienza  maestra in divinità.   V. 54. Tal che di comandar i la richiesi-  La richiesi. In pregai, ch'ella alcuna cosa mi comandasse.   V. 55. Lucevan gli occhi suoi più che la stella.  Più che’l sole.   V. 60. E durerà quanto 7 moto lontana.   Lontana, dal verbo lontanare. Quanto il molo lontana.  Quanto il moto s' allontana dal tempo presente : cioè la  tua fama durerà quanto dura il tempo.    Digitized by Google    SECONDO.    a3   Piglia moto per tempo ella peripatetica , definendo  Ariatotile il tempo : Tempus tJt aumenu mottu seoundwa  prius et poiierUu.   V. 6i. L’ amico mìo, e non della ventura.   Dante , il quale per aver amato di puriaaimo amore  le bellezze dell' anima mia, e non le doti eaterne, che  la fortuna coraparte a' corpi terreni e corruttibili , fu  veramente amico di me , cio^ di quel eh' era mio , e non  {Iella ventura , e non della bellezza, per la quale altri di  lui men faggio m’ averà riputata felice e ben avventurata.   V. 63. Nella diterta piaggia i impedito   Si nel cammin , che volto , e per paura.   Impedito dalla lupa, e volto indietro per paura di cita.   V. 64. E temo eh' e' non ria già zi smarrito,   Ch’ io mi sia tardi al soccorso levata.   Dubito, che postano i vizj aver già preto in lui tanto  piede , che l'ajuto celeste non giunga in tempo.   V. 67. Or muovi ecc.   Muoviti , vanne : così il Petrarca :   Or muovi , non smarrir t altre compagne.   V. 71. Vegno di loco, ove tornar disio.   Toma egualmente bene al senso letterale e allegorico ,  cioà e a Beatrice e alla teologia, il desiderio di ritornare  in cielo ; il che imitando per avventura il Petrarca nella  canzone :   Una donna più bella asstù che ’l sole ;  disse della teologia :     34    Cakto  costei batte t ale   Per tornar all* antico suo ricetto.   V. 72. Amor mi mosse ecc.   É Vamor d* Iddio , pel qual e' desidera che ciascun  nomo ti salvi, e questo è il eeoso allegorico o vero se-  condo la lettera ; la mosse la dolce memoria di quell* aniur  eh* eli* avea portato nel mondo a Dante , ond* ella il  chiamò, v. 61 , L'amico mio.   V. 73 dinanzi al Signor mio»   Avanti a Dio.   V. 74. Di te mi loderò sovente a lui.   Gran promessa, dicono alcuni, fa qui Beatrice a Vir-  gUio 1 non intendendo questi tali qual utile possa ritor-  nare dair adempimento di essa a uu* anima divisa per  sempre dalla comunicazione della grazia e della beatitu-  dine. Dice in contrario il Vellutello , che Beatrice con  tal promessa promette a Virgilio in premio quello, che  da lei dare, e da lui ricevere in quello stato si potea  maggiore ; ma non dice poi , perchè , nè di ciò adduce  alcuna prova. Na il Cello nella Lezione sopraccitata spa-  ne, che anche all* anime perdute si può (come dicono t  teologi ) giovare con levar loro qualche parte di cagione  di dolore, e in fra gli altri mudi in questo, che sentendo  elleno celebrar le lor memorie o esser qualche compas-  iione di loro in altrui, elle pigliano alquanto di conforto  ( » ei però può chiamarsi tale ) di non si vedere abban-  donate al tutto da ogn* uno , e tiiassituonieuic quelle, le  quali non son dannate per fallo alcimo enorme e brut-  to, ma solo per non aver avuto cognizione della fede      Digitized by Google    SECONDO. sS   cmtiana , come Virgilio. Diremo dunque « cYie non »ia  ▼ota d'ogni conaoUziune tal promeMa di Beatrice.   V. ^ 6 . O donna di virtù , sola , per cui   L'umana spezie eccede ogni contento  Da quel Ciel , ch'ha minor li cerchi sui.   Qui piglia itrettUaimamentc Beatrice nel «eoso allego-  rico; e dice, che per ewa, cioè per la teologia, fuomo  supera , ed è più nobile di tutte le creature contenute  dal ciel della luna;, essendo, che sopra di quello si dà  subito neir intelligenza movente Torbe lunare , la qual  •enza dubbio sì per pregio , si per eccellenza di chia-  rissimo intendimento è alT uomo superiore. £ che Dante  portasse opinione delT intelligenze moventi secondo la  dottrina d' Aristotile, è manifesto per quel clT ei dice in  altro luogo di esse. Par. cant. Vili , v. 37.   r’oiy che intendendo il terzo Ciel movete.   Ciò potrebbe anche intendersi in quest* altro senso :  O scienza, per cui l'uomo eccede, cioè trasvola con T in-  telletto dalle sublunari cose alle celestiali e divine.   V. 80. Che Vuhhidir , se già fosse , m'à tardi.   Che se io Tavessi obbedito in questo punto stesso , che  m'hai comandato, pure la mia obbedienza mi parrebbe  tarda: tale e sì fatto è il desiderio, che ho di eseguire i  tuoi cenni. Or venga qualunque si pare, e mi poni da altri  poeti forme così maravigliose e piene di si forte espressiva.   Y. 91. Jo son fatta da Dio , sua mercè» tale ^   Che la vostra miseria non mi tange ,   Nè fiamma cTesto incendio non m* assale.    Digilized by Google     l6 Canto   Io lono , la Dio mercè , talmente fatata per Tacque  della gloria, che la vostra miseria, cioè die T infeliciti  di voi altri ioaprai , non mi tocca , nè fiamma deir in-  cendio de' dannali non m' assale. E notili, die quella dei  aoapeai la chiama raiirria, non conaiaiendo in arnao do-  lorifico, ma in pura afflizione di apirito per la diiperata  viaion d' Iddio; dove quella de' dannau la chiama fiamma,  perchè tormenta poaitivamente il aenao.   V. 94. DoTina e gentil nel Ciel, che si compiange  Di questo impedimento , ov" io ti mando ,  Si che duro giudicio lassù frange.   Quella donna , il cui nome è taciuto dal poeta , è  inteaa generalmente da' commentatori per la prima grazia  detta da' maeatrì in divinità grada data; la quale, perchè  viene per mera liberalità divina, è anche detta preve-  niente, dal prevenir di' dia fa il merito dell' azioni umane.  Queata dunque addirizzando la volontà del poeta nel buon  proponimento d'uacir della aelva del peccato, e di aalire  il monte Bgurato per la virtù e per la contemplazione,  piega e rattempera il rigoroso giudicio d'iddio; onde  dice: che dal compiangerai di quella donna per l'itupe-  dimento, che trova della lupa, il buon voler del poeta,  duro giudizio laaaù frange, cioè muove Iddio a conipaa-  aione , vedendo, che gli manca più il potere, che il volere;  onde merita d'aver in ajuto la aeconda grazia deiu illu-  minante , la quale ( ipongono i commentatori ) da Dante  è chiamata Lucia , dalla luce , eh' ella n'infonde nell'ani-  ma Questa seconda grazia chiama finalmente la terza ,  detta perficiente o coniumante , espressa per Beatrice o  per la teologia; dalla quale vien condizionata la niente  umana alla contem) dazione della divina etienza : il che    Digitized by Google     SECOSDO.   Ottimamente li conacguiice col mental TÌaggio dell* In-  ferno e del Purgatorio , cioè a dire con la meditazione  di quelle pene ; •! come avviene al noetro poeta , il qual  per tal cammino li conduce alla fruizione del Paradiio ,  e ai alla contemplazione d' Iddio.   V. 97. Questa chiese Lucia in suo dimemdo,   £ disse , Ora abbisogna il tuo fedele  Di te , ed io a le lo raccoaiando.   Lucia nimica di ciascun crudele  Si mosse , e venne al loco , dov V era :  Che mi sedea con l'antica Rachele.   Questa donna, cioè la grazia preveniente, richieee con  tua dimanda Lucia , cioè la grazia illuminante , che aju-  tatte il tuo fedele , cioè Dante ; il quale in altro luogo  dice di tè , eh* egli fu fedele a creder quella, in che la  grazia illuminante TammartlTava: e Lucia ti mette tubilo  a chiamar Beatrice, la qual ti sedea con l'antica Rachele;  e ciò per tignificare, che la teologia è indivitibil compa-  gna della contemplazione, poiché Rachele (che in verità  fu moglie di Giacob ) nel vecchio teitamento ti piglia  per la vita contemplativa.   V. Io 3 . Disse: Beatrice, loda di Dio vera.   Che non soccorri quei , che t'amò tanto ,  Ch' uscio per te della volgare schiera ?   Disse , cioè Lucia Disse. Loda di Dio vera. Chiama  la teologia e la grazia vera lode d' Iddio , forte perchè  dalla prima comprende l'uomo gli ecceUi attributi di  quello, ond* avvien a intiniiarne conceui più adeguati  di qualunque altra lode, che privi del lume di lei tlamo  capaci di udirne; e dalla teconda ti nvuùfctu raltiiiiiuo  pregio delle tue miaericordie.     a8 Canto   V. ic5. eh’ uscio per le /iella volgare schiera.   Per te toma bpne nel temo allegorico e nel letterale ;  poiché Dante non t|nccò meno al tuo tempo per la pro-  fonda notitia della tacrata teienza, che per le rime e per  gli altri parti , a' quali tollerò il tuo nobilittimo ingegno  Tecceitivo amor di Beatrice.   V. ic8. Su la fiumana, ove'l mar non ha vanto ^   Qui il Fioretti , non rinvenendoti qual tia qiietta fiu-  Dtana , poitilla in queata forma : Che fiumana ? ieslia.  Ma noi , per ora latciando il Fioretti nella tua tfacciata  ignoranza , terberemo ad altro luogo la tpotizionc di  quetto verto.   V. 109. Al mondo non fur mai ecc.   Dice Beatrice , che al mondo non fu mai pertona coti  aoUecita a cercare il tuo bene e fuggire il tuo male ,  com' ella dopo tale avvito del grave pericolo di Dante  fu pretta a venir laggiù dalla tua tedia beata.   V. 114. Ch'onora te, e quei, ch’udito V hanno.   Perché le poetie di Virgilio non tolamente onoran  lui, che l’ha fatte, ma qualunque ne diviene ttudioto;  onde ditte di té medeiimo nel primo canto , T. 86.   Tu se’ solo colui , da cui io tolsi  Lo hello stile , che m’ ha fatto onore.   V. lao. Che del bel monte il corto andar li tolse.   Ti fe' ritornare indietro , quando poco di viaggio ti  rimaneva per condurti alla cima del bel monte , cioè al  tommo della virtù o della contemplaiione.    Digitized by Coogle     8ECOKDO.    39    V. i 39- Or va, eh" un tot volere è efamendue.   D’amendue noi ; il tuo cT andare , il mio di venire.   V. 143. Entrai per lo cammino alto , e tilvettro.   Spoogono i commentatori alto, cioè profondo. Io però  m'aRerrei al parere del Manetti nella tua ingegnoaa ope-  retta circa il silo, forma, e misura delf Inferno di Dante,  dove intende alio nel ano proprio tignificato, cioè d’ele-  vato e aublime ; con ciò aia coaa che egli pone Teotrata  deir Inferno in aur un monte aalvatico , per entro il cui  aeno ruoli eh’ e’ ai cominci immediatamente a acendere.  Ma di ciò non fia mio intendimento al preaente di fa-  vellare I potendo ciaacuno in queato ed in ogn’ altra par-  ticolarità del aito e della forma della atupenda architet-  tura di queato Inferno aaaai ampiamente aoddiafarai con  ana breve lettura del aoprammentovato autore.     Digitized by Google     INFERNO.    CANTO TER20.    ARGOMENTO.    ]\^0STiiA in qaetto terzo canto (*) cTettersi condotto  per lo canunino alto e ailreitro alla porta dell* Inferno»  la cui Menzione comincia ex abrupto al principio del  canto» come l'ei leggeue. Di poi, acendendo per J' in-  terne vie del monte, arrivato in quella concaviti o ca-  verna della terra, che è quali come un veitibolu dell' In-  ferno, ed è immediatamente sopra il primo cerchio, cioè  sopra il Limbo, vede quivi Tanime degli teiaurari, cioè  di coloro, che mentre vissero non furon buoni ni per  aè , nè per altri , ninna buona o rea cosa operando.  Questi dice eh’ hanno per tormento il correr perpetua-  mente in giro dietro un' insegna che tutti li guida , c    (*> Dira qvslceia di riè che dir« il CrlU con r«atorità dal  iigliolo a dal nisota dì Dante, cha dal prima vcr.o dal quinta  canta comincia la narrationa dal paama. Calli, Uh. X..    Digitized by Google     3a Cauto   chr in cotal cono ton punti e fieramente trafitti da tafani  e da moaclie. Attraversato quello spazio poi destinato  alla girevoi carriera di quegf infelici , dice essersi con-  dotto al fiume d’ Acheronte , e quivi aver veduto venir  Caronte per l'anime de' dannati, e dopo, euer tramortito  in su la riva di quello.   V. I. Per me si va ecc.   Si finge, che parli essa porta. Ferme, il senso it Per  entro me.   Y. 4 . Giustizia mosse ‘I mio aito fattore.   Veramente il motivo di fabbricar P Inferno venne dalla  giustizia, la qual si dovi far di Lucifero e degli angeli  suoi seguaci.   V. 5. Feeemi la divina potestafe.   La rowaui sapienza , e 'I primo Amore.   La Santissima Trinità, della quale spiega le persone  per gli attributi: il Padre per la potenza, per la sapienza  il Figliuolo, per l’amore lo Spirito Santo.   V. 7 . Dinanzi a me non far cose create,   Se non eterne ecc.   Seguita a parlar la porta per esso Inferno; e dice, che  avanti a lui non fu altra specie di creature se non eterne.  Per queste intendono assai concordemente i commentatori  la natura angelica ; la quale, siccome dovette esser punita  per la sua ribellione , cosi par molto verisiiuile , che il  carcere d' Inferno fosse fabbricato dopo il peccato degli  angeli; e sì dopo la loro creazione. Che poi Dante se  li chiami eterni, cioè in ritguardo dell'eternità avvenire.    Digitized by Coogle     TSUZO.    33   p«r la qaal dureranno, onde i teologi U chiamano eterni  a pitrte post^ o, come ad altri dì essi è piaciuto di no«  minarli, sempiterni, a distinzione delT eterno a parte ante,  il che si conviene solamente a Dio.   Na siami qui lecito il metter in campo una mia con-  siderazione , la qual mi dichiaro , eh' io non intendo di  proferire altrimenti, che ne’ puri termini del potrebb* es-  sere , a fine di sottoporla al savio accorgimento di quello ,  al quale è unicamente indirizzata questa mia deboi fatica.   10 discorro così : L’ Inferno ( secondo Dante ) fu creato  col mondo , e ’l mondo fu creato in istante.   V. la. Perch* io : Maestro, il seruo lor m è duro.   Onde io ( vi s’ intende , dissi ) : O Maestro , il senso  lor m* è duro. Duro , cioè aspro , e non , com* altri vo~  gliono, oscuro. Perchè leggendo Dante l’ immutabil de-  creto di non uscire della porta d’ Inferno , a ragione di  bel nuovo s’ intimorisce.   V. i3. Ed egli a me, tome persona accorta i  Qui si convien lasciar ogni sospetto.   Da questa risposta di Virgilio si conferma il detto di  sopra , che Dame non disse essergli duro , cioè oscuro ,   11 senso deir iscrizione dell’ Inferno, ma duro, cioè aspro,  spaventoso ; perchè Virgilio non piglia ora a chiosargli  la suddetta iscrizione , ma lo conforta a francamente  entrarvi. Così la Sibilla ad Enea nel VI , v. a6i.   Nunc aiwuis opus, Aenea ^ nane pectore firmo.   Ma io di qui avanti non mi fermerò a conciliare i  luoglìi simili di questo canto col sesto delP Eneide, come  benissimo noti , a chi scrivo, le non dove m'occorra di     34 Canto   fare apiccare l'eccellenia di alcuna di queati col para-  gone di quelli.   V.i8 il ien étW intelletta.   La viltà e la cognoicenaa d'iddio.   V, ai. Quivi sospiri , pimti , e ahi guai.   Ne* tre arguenti terzetti par , che Dante abbia voglia  di auperar Virgilio nell' eipreaiione della niiieria de’ dan-  nati. S'ei ae lo cavi o no , giudichilo chi farà confronto  di quello luogo con quello del VI dell’ Eneide, v. SS^,  Bine txauJiri gemi/us , et saeua sonare.   V. iq. Sempre 'n queW aria , sema tempo , tinta.   I comineo latori apirgano eoa): Tinta senza tempo, eioh  lenza variazione di tempo al contraria dell' aria noatra,  la qual ai tigne a tempo come la notte , e ai riachiara  da' raggi del aopravvegnrnte iole.   La Cruaea legge diagiuntamentr, Ària senza tempo, fintai  onde il Rifiorito apiega quel senza tempo, eterna, quaai  che il aentimento aia tale, aria eterna, e tinta. Coi) nel  canto che aegue la chiama eterna , v. i6.   JVon avea pianto , ma che di sospiri.   Che l'aura eterna facevan tremare,   Cooiidero di pii), che l'epiteto di eterna in quello  luogo del terzo canto corria[>oude al perpetuo aggirarli  delle voci de' dannati , v. a8.   Farevan un tumulto , il qual s'aggira  Sempre in quell' aria , senza tempo , tinta ;   poiclià , a’ e' a'aggira eternamente , torna molto brne il  dire, che eterna aia l'aria, nella quale s'aggira. £ poi    Digitized by Google    TXBZO.    35   nè meno può dirti, che rana deir Inferno aia tìnta senza  tempo , cioè ( come tpongono i commentatori ) eterna-  mente , perchè ancorché Dante dica di etta , Inferno ,  cant. IV, r. io.   Oscura , profonda era , t nebulosa  ’ Tanto , che , per ficcar lo viso al fondo ,   r non vi disccrnea alcuna cosa,   Ciò non toglie , eh' ella in alcuni luoghi non fotte di  continuo illuminata dal fuoco , come nel terto girone  de’ violenti , ed in queito medetimo degli teiaurad, dove  te non altro vi balenava , v. i33-   La terra lagrimota diede vento ,   Che balenò una luce vermiglia.   V. 3l. £d io, eh' avea d'errar la tetta tinta.   Cinta d’errore, adombrata dall'ignoranza di ciò ch’io  ndiva.   V. 35. Che visser sansca infamia , e sanxa lodo.   Che in queito mondo , nulla mai virtuoiamente ope-  rando, non latciaron di tè alcuna memoria.   V. 37 . Mischiate tono a quel cattivo coro   Degli jingeli , che non furon ribelli ,   Ni far fedeli a Dio , ma per te foro.   £ opinione , che nel fatto di Lucifero fotte una terza  Lizione d' angeli , la qual nè t'accottaiie a Lucifero , nè  ti dichiaraite per Iddio, ma ti teuetie neutrale. Di  queiti parla il poeta , e in pena della loro irreiolutezza  li mette con gli teiauratì.     36    Canto   V. 4 o> Cacciarla eie! , per non tster men belli:  Nè lo profondo Inferno gli riceve ,   Ck‘ alcuna gloria i rei avrebber d elli.  n tentimcnto ì tale; Pel Cielo ton troppo brutti, per  rinferno aon troppo belli ; coti ti atanno in quel mezzo,  ciof nel veaubolo di euo Inferno. Notiti ben , eh' egli  dice, V. 41.   Nè lo profondo Inferno gli riceve ;  volendo dire per Io profondo Inferno, coli, dove ti tor-  mentano i rei > i quali avrebbono alcuna gloria cT averli  in lor compagnia. Non come dicono gli i|>otitori.' ti  glorierebbero per vederti puniti del pari con etti , che  non commitero altro peccato , che d’etterti indiflfereoti  tenuti, ma alcuna gloria v'avrebbero, perchè agli occhi  loro la piccola macchia di tale indifferenza non varrebbe  ad appannare il lustro di loro eccella natura, dalla quale  ritrarrebbe alcun taggio della gloria , e ti della celette  beatitudine.   V. 47. E la lor cieca vita è tanto batta ,   Che ’nvidioti ton i ogn altra torte.   Non tolaniente di quella de' beati, ma in un certo modo  di quella de' peccatori. Tanto è riera, cioè vile ed oscura  la lor misera vita, onde dice, che misericordia e giusti-  zia gli sdegna , quella che di loro non è avuta , questa ,  che per cosi dir li disjirezza con distinguerli sì di luo-  go, come di pene da’ peccatori. E credo, che P intendi-  mento del poeta sia J* inferire , che la maggior pena di  costoro èia vergogna di non esser almeno stati da tanto,  poich’ a perder s’aveano, di perdersi, come suol dirsi,  per qualche cosa. Ond' egli arrabbuno e mordonsi le    Digitized by Coogle    T E K Z O.    37   ■lani di noo aver avnto tanto «pirito da irritar almmend  la divina giuttisia, la quale in « fatta guisa punendoli)  par loro , eh* ella « per così dir y non gli •cimi , e ai li  Timproveri e facciasi beffe della lor dappocaggine.   V. Sa 9Ìdi un insegna y   Che y girando , correva tanto ratta ,   Che d’ogni posa mi pareva indegna*   Mette costoro rutti sotto un* istessa bandiera a dinotare  la simigUanaa dell* indegna lor vita. Li fa correre per giu-  stamente punir Tozio e Taccidia del tempo, eh* e* vissero.   V. S 4 . Che ^ogni cosa mi pareva indegna.   Spiega il Vellntello, eh* egli erano indegni d* alcun  riposQ. Il Buti: Correva quest* insegna t che mai non mi  parca si dovesse posare , e forse meglio. Non credo però ,  che nè Tuno, nè Taltro la colga. 11 Daniello e'I Bonanni  •e la passano senza dirne altro. In quanto a me direi :  che la mence del poeta sia stata di pigliar in questo  luogo indegno per incapace, o altra cosa equivalente ; e  nel resto io credo, che Dance abbia forse voluto dar da  strologare a* grammatici toscani ; come fece Ennio a* La-  tini in quello indignas turres, dove da Girolamo Colonna  r indignas viene spiegato per magnaSy e dal medesimo  vien allegato in conformazione di ciò un luogo di Servio,  il quale spiegando quel verso di Virgilio nelP Egloga X  indigno cum GaUus amore periret , spone indignutn per  magnum, e quell* altro pur di Virgilio nelle Ceiri:   Verum haec sic nobìs grauia atque indigna fuere.   Nel quale Giulio Cesare Scaligero spiega indigna y  cioè inefiabile , e per trasUto , immenso.    Digilized by Google     38    Carto   V. 59 - Guardai, e vidi l’ombra di colui.   Che fece per viltatt il gran rifiuto.   Intende di Piero d«l Murrone , che fu Papa Cele-  stino V , il quale , tra per la tua sempliciti e l'altrui  sottigliezza , s* indusse a rinunziare il papato. Questi fu  ne' tempi di Dante, onde non debbe tacciarsi d' iinpietà  il poeta, sapone nell’ Inferno l'anima di colui, che non  essendo per anche dal giudizio mai non errante di Santa  Chiesa annoverato tra' santi , come poi fu , poteva leci-  tamente credersi soggetto ad errare, e si interpretarsi in  sinistro i (ini delle sue per altro santissime operazioni.   V, 63. ji Dio spiacenti , ed a’ nemici sui.   Corrisponde a quel eh' ha detto di sopra , eh’ e' non   eran nè di Dio, nè del Diavolo.   * •   V. 64 . che mai non fur vivi.   Morde acutamente con questa forma di dire la perduta  loro vita.   V. 65. Erano ignudi , e stimolati molto.   Stimolati, risguarda anche questo la lor pigrizia.   V. yS per lo fioco lume.   Traslazione mirabile di quel eh* è proprio della voce,  per esprimer con maggior forza quel che s' appartiene  alla vista. Similmente nel primo canto , v. 60 , per si-  gnificare l'ombra della selva disse, dove'l sol tace:  qui con non minor vaghezza un lume assai languido lo  chiama fioco.   V. 83. Un vecchio bianco, per antico pelo.   Forma assai rara e nobilissima per esprimer la canizie  del vecchio Caronte.    Digitized by Google     V. 84* Gridando : Guai a coi anime prave :   Non isperale mai veder lo cielo ecc.   Coinime mirabilmente otaervato, ioduceme mollo mag-  giore ipavento , l' imrodur Caronte minacciante l'anime  nell' atto d'accottarti alla riva, che introdurlo muto verao  di eaae , aiccome la Virgilio , il quale non lo fia parlar*  ae non con Enea.   V. 88 viva ,   Partili da codesti , che son morti.   Kon diaae da codette , che aon morte , perché come  anime eran vive ; ma diaae , da codesti , cioè uomini ,  de’ quali ti potea veramente dire, eh' e' foatcr morti.   V. 91 . Disse; Per altre vie, per altri porti   Verrai a piaggia , non qui , per passare :  Più lieve legno eonvien , che ti porti.   Intendono i commentatori,, che Caronte predica a Dante  la tua aalvazione , e che però gli dica, che egli arriverà  • piaggia per altre vie , per altri porti , intendendo del  porto d' Oatia poato vicino alla foce del Tevere , dove  finge il Poeta , che l'anime imbarchino per l' itola del  Purgatorio ; e che queato più lieve legno aia il vat-  tello con cui vien Vangelo a caricarle , di cui Furg.  cani, n, V. 4 ^’-   e quei s‘en venne a riva   Con un vasello snelletto , e leggiero ,   Tanto che t acqua nulla n inghiottiva.   Il Rifiorito però aaviamente contiderando (aecondo io  pento ) quanto era cota impropria il porre in bocca d'un  Demonio coti fatto vaticinio , mi tpiega queato patto in     40 Canto   diverto lentimento. Prende egli altri porti in quetro  luogo per altra condotta, cioè per altri die ti portino,  e per lo più lieve legno intende l'angelo , che pattò Dante  aJdormentato dall' altra riva , tenta che egli te n' accor-  geue. Il che toma aitai meglio al rihuto che fa di lui  Caronte ; mentre di lì a poco li vede verificato quel  eh’ egli dice, cioè che egli per altra via verrà a piaggia,  ticcome vedremo più a batto.   V. 94. £ ‘I Duca a lui ecc.   E Virgilio ditte luì.   V. 99 ave' di fiamme ruote.   Ave' con Tapottrofo per avea, non ave terta pertona  del meno nel preiente del verbo avere, come hanno  alcuni tetti.   V. 104 e‘l teme   Di lor temenza, e di lor nasciiuenti.   Gli avi e padri. Quelli tono il seme di lor semenza ,  quelli di lor nascimenti, perchè da etti immediatamente  nacquero. Coti il Rifiorito.   V. Ili qualunque s'adagia.   Qualunque ti trattiene , non qualunque » accomoda  nella barca , come tpone il Daniello , che tarebbe alato  tpropotito.   V, li». Come t Autunno si levan le foglie,   L’una appretto delF altra , infin che 'I rama  Rende alla terra tutte le sue spoglie.   Similitudine tratu da Virgilio nel VI , v. 309.   Quam multa in tyluit autwnni frigore prima  Lapta cadunt jolia etc. ;    Digitized by Googlc     TBIZO. 41   ma adattata asiai meglio da Daate, nel cui InTerno niuna  deir anime era eacluia dall'imbarco, liccome niuna delle  foglie riman tu Palbero ; al contrario di quel di Virgilio,  nel quale tutti coloro, che non eran sepolti, erano lasciati  in terra. E poi elf i grwdemente nobilitata col prose-  guimento di essa fino al restare spogliato del ramo , pa-  ragonato al restar voto il lido j dove Virgilio la regge  solamente nella prima parte del cader delle foglie , e  dell' imbarcarti fanime ; passando poi subito a quella  degli uccelli , che passano oltramare.   V. 1 18. Cori seis vanno tu per f onda bruna.   Bellissima ipotipoti , e che mette sotto agli occhi il  camminar della nave.   V. lao. Anche di qua nuova tchiera t'aduna.   Di quelli, che continuamente e per ogni stante di tempo  muojon dannati.   V. laS. Che la divina giuttizia gli tprona.   Si che la tema ti volge in detto.   Chiese innanzi Dante a Virgilio : perché quell* anime  paressero si volonterose di passare il fiume , v. qi.   Maettro , or mi concedi ,   Ch’ io tappia , quali tono , e qual cottume  Le fa parer di Irapattar ri pronte.   Ora gliene rende la ragione, mantenendogli nello stesso  temp^ la promessa, che glien' avea fatta in quc* versi 76.   le cote li fien conte.   Quando noi fermerem li nottri patti  Su la tritta riviera d Acheronte.    4     4a Canto   £ dice , che ciò accade , perché la divina giustizia le  sprona ai, che la tema §i volge in diblo. l*^eIU epoai/ione  di queato paaao i coumieotatori a* aggirano per diverae  strade t non mancando di quelli, che ae la paaaano eoo  la mera apiegaaione allegorica, lo però , fìntanto che non  trovi meglio da aoddiafarmi, atarù nella mia npinionet la  qual è : che Dante abbia preteao d'eaprimere un terri-  bile effetto delia diaperazion de' dannati , per la quale  paja ior nuir anni di precipitarai ne' tormenti , ed empier  in ai fatto modo l'atrociià delia divina giuatiziat la quale,  secondo loro , è sì vaga della loro ultima uiìaeria. Coai  abbiamo veduto di quelli i che oda rabbia, oda gelo-  sia, o da altra violenta paaaione ai tono indotti a darai  morte volontaria per un diadegnoao guato di aaziare il  fiero animo di donna o di principe contro di loro ade-  gnato. Cosi Inf. cant. i3. Pier delle Vigne, segretario  dì Federigo imperatore, dice essersi per un aioiile guato  data la mone , v.   L*anÌMO mio per disdrgnoso gusto ,   Credendo col morir fuggir disdegno ,   Ingiusto fece we , contro me giusto^   Un a’imil disperato affetto ai vede raramente eapreaio  da Seneca nel coro dell' atto primo drlT Edipo , dove  parlando in persona de' Tebanì ridotti all* ultima diapera-  aione per quell' orribile peauleoza, fa dir loro cosi : v. 88.   Prostrata iacet turba per orai,   Oratque mori : solum koc facilee  Tribuere Dei. Delubro petunt;   Jlaud ut uoto nuinina placent,   Sed iuuat ipsos satiare Deot.    Digitized by Googic     TXXZO.    45   Ancora il Boccaccio fa proromper la diaperata Fiani-  metta in una aiiuil bettemmUf tacciando gli Dii dell* in-  gordigia , ch'egli hanno, di rovinar coloro, die da esai  aono inaggtormeote odiati. Fiam. lib. 1 . Ma gl* Iddìi a  coloro , co* cfuali essi sono adirati , benché della lor salme  porgano segiu> , nondimeno gli privano del conoscimento  debito. E COSI ad un* ora mostrano di fare il lor dovere «  e saziano f ira loro»   V. 117. Quinci non passa mai anima buona»   Tutte ranime, che di qua pattano , aon dannate; però  tu Dante puoi ben comprendere la ragione , ond* egli  ai motte a rigeuard dalla tua nave.   V. i 3 o. Finito questo, la bufa campagna   TVemà forte, che dello spavento  La mente di sudore ancor mi bagna.   La terra lagrimosa diede vento ,   Che balenò una luce vermiglia ,   La quai tu vinse ciascun sentimento:   E caddi, come Vuom, cui sonno piglia,   Quetto luogo è a mio credere oteurittitno , e tengo  per fermo , che a volerne capire il vero tignificato , aia  necettario intenderlo affatto a roveteio di quel di' egli  ò arato letto e apiegato 6nora. Poiché dicono i commen-  tatori, che la luce vermiglia fu l'angelo, il qual venne,  e addormentò Dante col terremoto, e coti addormentato  lo prete e lo pattò all' altra riva. Io qui non domanderò  loro, com' e' tanno, che Dante fotte pattato dall* angelo  e non pintcotto da Virgilio o da qualche demonio , potto  che egli non ne dica da per tè nulla, dicendo tolaiueute  nel principio del IV canto , che, coin' e' fu desto, ti    Digitized by Google     44 Canto   ♦roTÒ «Ter pasiato i! fiume Acheronte. Tuttavia, perché  di ciò ftimo, che §e ne potsa addurre qualche probabi)  conjettura , mi riitrignerò domandare : «e la luce vermi>  glia naace dal vento esalato dalla buja campagna nel auo  tremare ( intendo tempre di star tu la fona della lettera,  che col tegreto dell' allegoria benÌMÌmo ao guarirti di  questi e d'altri maggiori inveritimili ) , come ti può mai  intender per etta vermiglia luce un angelo venuto dal  cielo ? E poi qual nuova virtù hanno i tuoni e baleni  di far addormentar le persone ? O qual necessità v'era  d'addormentar Dante ? E per averlo addormentato e pat-  tato dormendo, qual grande avvenimento ti cav' egli da  questo tonno ? Il Vellutello è stato a tocca e non tocca  d* indovinarla, facendo nascere non il baleno dal terre-  moto , ma il terremoto dal balenare ; ma non ha poi  •piegato come ciò post* estere , stante il sentimento dei  versi seguenti: i33.   La terra lagrimota diede vento ^   Che balenò una luce vermiglia*   Spiega il Landini; Che, cioè il qual vento balenò una  luce vermiglia. Dunque se fu il vento, che balenò , non  fu il baleno , che fe' tremar la campagna e spirare il  vento; e per conseguenza, se il baleno fu parte dell' aria  infernale, non ti può dire, eh' e' fosse l'angelo. Io però  credo, che con pochissimo la lezione del Vellutello si  farebbe diventar ottima , cioè con legger quel Che per  Perchè, o Perciocché, o Conciossiacusachè ; si che il  •enso fosse ; La buja campagna tremò , la terra lagri-  mosa diede vento ; Perchè ? Ecco : Perchè balenò una  luce vermiglia. Cosi toma quello, eh' io diceva da prin-  cipio, che a capire e a voler dar qualche sentimento a    Digitized by Google     T B K Z O. 4S   quetto luogo era necenarìo intenderlo a roretcio di  quello , eh' egli era inteso universalmente ; cioè dove gli  altri intendevano il baleno per effetto del terremoto e  del vento , intender il vento ed il terremoto per effetto  di esso baleno. In tal modo non i più veritimile , anzi  torna mirabilmente l' interpretare il baleno per la venuta  deir angelo; il quale, oltre a quello, che n’accennò Ca-  ronte quando disse, v. 91.   Per altre vie , per altri porti   y errai a piaggia , non qui , per passare ,   Più lieve legno convien , che ti porti.   si rende molto credibile, che foste più tosto egli, cioè  l’angelo , che Virgilio , o un demonio , il quale passasse  Dante, si per la gloria della luce, che balenò agli occhi  del poeta, ti perchè estendo il passar Dante di là dal  fiume opera soprannaturale e miracolosa, molto maggior  dignità è farla operar per un angelo, che per un’anima  o per uno spirito ; e ti finalmente perchè altre volte ,  quando è stata da superare qualche gran difficoltà, come  alla porta della città di Dite , dice espresso , che venne  un angelo a farla aprire. Che poi alla venuta dell’ an-  gelo la buja campagna tremaste, è nobilissimo accidente,  e proporzionata corritpondenia alla grandezza dell’ avve-  nimento. Lo stesso sappiamo esser avvenuto , quando  v’arrivò Tanima di Cristo Signor nostro per liberare i  tanti del vecchio testamento; come ti legge in S. Mattea  al cap. XXVII e al cap. XXVIII più strettamente; dove,  scrivendo la venuta d’un grandissimo terremoto , ne dà  per cagione la scesa iTun angelo ; Et ecce terraemotus  factus est ntagnus ; Angelus enim Domini descendiS de  taelo. Dove notisi, che quell' zaùn ha la stessa forza, che    1    Digitized by Coogle     46 Canto   io intendo dare a qnel che, cioè di perchè o di percioc-  ché , o di conciossiacotoché , arnia clic interroghi, nè ciò  aenia molti eaempj di prosa e di versi , come si può  vedere al Vocabolario, e più difltusamente appresso al  Cinonio.   Un simil costume si vede anche osservato da' poeti  gentili, come eh' e' lo conobbero benissimo adattato alla  dignità de’ celesti personaggi. Servio : Opinio est sub  oduentu Deorum moueri tempia. Seneca , nell’ Edipo ,  atto 1.*, scena prima, dove Creonte ragguaglia lo stesso  Edipo della risposta dell’ Oracolo , v, ao.   Vt sacrata tempia Phoehi supplici intraui pede ,   Et pias , nutnen precatus , rile summisi manus ;  Gemina Parnassi niualis mrx trucem sonitum dedit ,  Imminens Phoeboea laurus treiimie, et mouu doutuau   E Virgilio , Eneide , lib. Ili , v. 90.   Vix ea fatus eram , tremere omnia uisa repente  Limina, laurusque Dei, totusque moueri  Mons circum , et nugire adytis cortina reclusis.   Precede questo alF Oracolo d'Apollo ; luogo imitato da  Callimaco nel principio delf inno in lode della stessa  Deità , V. I.   *Oso« S Ttt’nóAAswoc iaiiaaro Só^iroq   ‘Ola, f ZXov TÒ fiéXaipoo' enàf , inàif , Sant dXtSpót,   Come s'e' egli mai scosso questo ramo £ alloro sacro ad Apolline;  Come s' e’ scossa questa spelonca l Fuara profani: fuora:   Lo Scoliaste dice, che ciò avvetiiva per la venuta dello  Dio. Le sue parole sono : itetdfigovvTOt Tov dfov. Come    Digilized by Coogle    TERZO.    47   t"e’ icotto quitto ramo, come i e' scossa questa spelonca!  Non , Quanto s' è scosso questo ramo ree. ; come traalata  il traduttore di Callhnaco, lenza ponto avvertire, che Io  Scolialte greco l’ ha inteio in lenio di coinè e non di  quanto: Olov 5 rà ’II^A.X«vo{ ) 'Atri Toó o2at, Siro(.  Or reggili le l’ interprete doveva mai tradurre otog  ovvero Sicmf per quantus; e pur era un lolenne tradut-  tore , e che li piccava iniioo di icrivere veni greci.  Virgilio nel VI fa lervire un limile avvenimento a no-  bilitar la venuta della Sibilla nelf Inferno , v. iS5.   Ecce autem primi sub lumina solit , et ortut ,   Sub pedibus mugire solum, et juca coepta numeri  St/luarum , tùtaeque canet ululare per umbram ,  Aduentante Dea : Procul , o procul ette profani.   Coll Claudiano de Rap. Froterp. , lib. 3 , alla venuta di  Plutone, V. iSa.   Ecce rrpens mugire fragor , confligere turres ,  Pronaque uibratis radicibus oppida uerti.   Che poi Dante non dica apertamente dell’ angelo ,  ciò è fatto ( come awertiice il Boti nel Comento lopra  il canto IV) con grandiiiimo accorgimento i poichò egli  non potea dire le non quel tanto, eh’ ei vide; e te dice,  che la luce vermiglia lo fe’ tramortire , vincendogli cia-  •cun tentimento, e che in questo fu panato di là dal  fiume , sarebbe stato molto improprio , eh* egli ci aveste  dato conto di quel eh’ accade durante questo suo sveni-  mento. Dico svenimento , non sonno , al contrario di  tutti gli tpositori , i quali , mi maraviglio , come in cosa  tanto manifesta abbiano preso un sì grosso equivoco.  Dice Dante , che la luce vermiglia gli vinse ciascun     48 Canto   lentimento, cadde come Tuoma preio dal loono. Dunque,  a' ei piglia la limilicudme da colui, che cade addormen-  tato, ^ troppo chiaro, ch'egli cadde per altra cagione;  che non li piglia mai il paragone dalla iteiia cola para-  gonata. Qual freddura larebbe mai queita ? Caddi addor-  mentato, come cade quegli, che l' addormenta’ Tramortito  bensì; e ciò ■' intende molto bene, come polla derivare  dallo ipavento del terremoto, e dall’ abbagliamento della  luce vermiglia ; ma non già il lonno , il quale è ami  •cacciato , come vedremo nel principio del leguente  canto, e non luaingalo per un tuono. Un caio asiai limile  li legge in Daniele al cap. X , dove egli icrive di lè  medesimo, che la vennta deir angelo, che avea combattuto  col re di Persia, avea ripieno di tale spavento quelli  eh' erano col profeta, che l'erano fuggiti; ond'egli, vinto  in ciascun sentimento e abbattuta ogni lua virtù , rimase  solo a veder la visione ; yidi auttm ego Daniel solus  uisionem. Porro uiri , jui erant mecwn non uiderunt , ted  terror nimiue irruit super eoe, et fugeruni in aiscondilum;  ego autem relictut solus nidi uisionem grandem lume , et  non remansit in me fortitudo, ted et species mea immutala  est in me , et emareui, nec habui quiiquam uirium. E poi  diremo noi. Dante esser caduto morto, per quel eh' ei  dice al canto V dell’ Inferno , v. 140.   E caddi , come corpo morto cade ?   Dunque con qual ragione or , di' e' piglia la similitu-  dine dal cadere d'uno, che l'addormenta, dir vorremo,  eh' egli si cadesse addormentato ? Nè meno volle Dante  cavarci di questo dubbio della venuta dell' angelo , fa-  cendosela narrare a Virgilio, siccome nel IX del Purga-  torio li fa dir, che Lucia Io prese dormendo, v. Sa.    Digitized by Google    TEtZO.    49    Dianzi ntìf alba i cKe precide il giorno ,   Quando f anima tua dentro dorniia ,   Sopra li fiori , onde laggiuso è adorno ,   Venne uno donna , e ditte : /' ton Lucia ;  Latcialemi pigliar cotlui , che dorme :   Si t agevolerò per la tua via.   avendo fone in ciA mira non tanto alla varietà e alla  bizzarria, quanto (come avvertUce io Smarrito ) a lalvar  la modeitia, per la quale non vuol coti pretto farti  bello d'un tì alto favore; riapetto , che manca poi nel  Purgatorio , dove la tua anima per la meditazione del-  r Inferno era divenuta piti monda , e ti pili vicina a  pervenire all' altittima contemplazione d' Iddio.   Veduto del concetto principale di quetto luogo , è  ora contegnentemente da vedere con brevità d'alcune  cote, che rimangono, per aver una piena intelligenza  anche de’ pai-ticolari tentimenti.   V. i3o. Finito quetto , la huja campagna   Tremò ri forte, che dello tpavenlo  La mente di tudore ancor mi bagna.   Qui mente per fantaiia; e 'I tento à; La fantatia, ri-  membrando l'alto tpavento, ancor ancora muove tudore,  il qual bagna me, e non \a mente, come t'accordano con  gran bontà a intendere il Vellntello e 'I Daniello. Coti  ancora vediamo quell' azione , liati dell' anima , o degli  tpiriti, che i' etprime con quetto vocabolo di fantatia,  per allungare al palato, e romper Pagrezza de’ frutti acerbi  gagliardamente immaginati , muover taliva.   V. i33. La terra iagrimota diede vento ere.     So Canto terzo.   Qurito è confuroie la volgare opioionei che crede il  terremoto produrti da aria terrata nelle vitcere della  tetra ; la qual opinione tappiamo ettere tlata leguitata  da Dante , come ti raccoglie da un luogo del XXI del  Purgatorio ; dove in perenna di Staiio rende la ragione  de' terremoti, che t'odono intorno alla falda di quella mon-  tagna con quetti versi 55 e aeg.   Trema forse quaggiù poco , od assai ;   Ma per venSo , che irs terra sì nasconda.   Non h dunque gran fatto , che , portando egli quetta  credenza, dica, che nel terremoto della buja campagna  otc) vento di terra, volendo inferire di quell' ana, che  nello tcotimento , e forte nell' aprimento della suddetta  campagna ti sprigionava.    Digitized by Google     INFERNO.    CANTO QUARTO.    ARGOMENTO.    Raccolta , eom’ an tuono Io f«ce ritornare in ,  e come trovò aver pattato il (ìamc Acheronte dalP al-  tra riva, la qual fa orlo al catino de!!' Inferno, chiamato  da lui valle dolorosa d'abiuc. Dice poi , d'eticre tcrio  nel primo cerchio <^’ etto Inferno , che è il Limbo. Di-  manda a Virgilio della venuta di Critto in quel luogo ,  ed ode la tua ritpotta. Quindi patta a veder 1' anime  de* bambini innocenti , e dopo quelle di coloro , che  visterò secondo il lume delle virtò morali ; e con la motta  per discender nel secondo cerchio , termina il canto.   V. 1 . Rufptmi t alto tonno nella lesta   Un greve tuono , ti eh' i" mi riscossi ,  Come persona, che per forza è desta.   Statuì dio della similitudine presa da chi dorme; onde  chiama sonno quello , che in realtà era tmarrimento di  spiriti , e svenimento. Chiamalo alto , a differenza del    Digitized by Google    Sì Canto   «ODDO naturale: anzi, a fine d'eeprimerlo alùiiiraot dice,  che un greve tuono a gran pena lo ritcofte , rome ai  rìacuote persona, che per forza è desta* £d ecco retta la  comparazioDe fin all' ultimo^ dopo averla fatta operar  con grandisiimo artifizio in tutte le «uè parti. Il tuono  potrebbe a prima viata parere non eaaere auto altro,  che il rumore degli alilaaimi pianti, e delle mìaere atrida  de* danoati, chiamate da Dante poco pid abbaaao tuono.   J tu la proda a mi trovai   Della valle d * abisso dolorosa ,   Che tuono accoglie d* infiniti guai.   Goal di aopra nel terzo canto , t. 3o , rasaomiglia i  gemiti degli aciauratì allo apìrar del turbo : qui , ove ai  aeote il pieno del triato coro dell' Inferno li rasaomiglia  al tuono. Potrebbe forse anclie dirai , che questo tuono  venne dall' aria del terzo cerchio della piova, dove aon  puniti i golosi ; non essendo punto fuor di ragione il  credere, che insieme con la gragnuola venisiero aoche  de* tuoni , siccome veggiamo accadere nella noatr* aria ,  il che nell* Inferno ajuu a far crescer la peoa e lo apa>  vento de* peccatori. Considero dall* altro canto , che in  sì gran lontananza , qual è quella del terzo cerchio ,  volev* essere un gran tuono per esser sentito da quei ,  eh* erano in su la riva d* Acheronte. Ma bisogna ancora  considerare, che quivi non tuona all* aria aperta, come  fa a noi , ma nel chiuso della valle ' d* abisso sotto la  volta della terra, che rintrona e rimbomba per ogni  banda, e sì lo strepito vien portato , come per cana>  le , all* orecchie di Dante ; e a chi farà rifiessione , a  qual distaiza arrivi la voce d* uno , che parli aoche  pianamente per una canoa forata, forse non parrà tanto    Digitized by Google    gUAKTo. 53   HiTerUtroile queito pensiero. Senxa che delle campane alla  campagna aperta, dov' elle abbiano il vento in favore,  •'odono dieci o dodici miglia lontano^ e rartiglierie tirate  alta marina di Livorno s'odono talvolta Hn di Firenze,  che per retta linea aWà ben cinquanta miglia di lonta*  nanaa. Più coerentemente però al costume non meno ,  che alla grandezza della fantasia di Dante, si dirà, che  il tuono non fu altro, che quello incominciato nel canto  antecedente , di cui nel ritornare il poeta in s^ , udendo  lo strascico, non rinvenendosi (come accade a chi dor-  me, e molto meno a chi è svenuto) quanto tempo fosse  stato fuori de* sensi , lo credette ( stando assai bene io  sul verisimile ) un altro tuono. E di vero, per passare il  fiume su l'ali d'una potenza soprannaturale, non vi volea  cosi lungo tempo , che giunto su l'altra riva non potesse  ancora udire il rintuono di quel tuono stesso, che scop-  piò col baleno , allorché Dante si ritrovava al di là dal  fiume ; maravigliosa osservanza di costume. Si desta na-  turalmente, perchè già il miracolo della sua trasmignv  «ione era fornito, e udendo in quello tuonare, mostra  di credere d'essere stato desto dal tuono , come farebbe  ognuno, che si abbattesse a destarsi in quel eh* e' tuona.   V, 1. Rupptmi tolto tonno ecc.   Questo luogo si vede imitato, o per meglio dire stem-  perato dal Bocc. Itb. I. Fiam, Fù it grave la doglia del  €uore t quella aspettante , thè tutto il corpo dormente  ritrosie , e ruppe il forte sonno.   V. XI. Tanto che per ficcar lo viso al fondo.   Per invece di quantunque , ed opera graziosissima-  mence. Il senso è : Tanto che , quantunque io ficcassi lo     54 C A H F o   viso al fondo. Piglia ficcar la viltà per Guare gli occhi ;  maniera aliai biiiarra.   V. i5. r tarò primo, e tu sarai teconio.   Queite parole di Virgilio aono aliai chiare quanto alla  lettera; ma vuol fon' anche lignificare euer egli nato  il primo a entrar a deicriver l' Inferno , lì come fece  nel VI dell' Eneide , e Dante dover eiiere il lecondo.  A chi lia riuicito più felicemente queito viaggio, aitai  leggiermente ai può comprendere dal paragone.   V. 15 . Ed egli a me; V angoscia delle genti.   Che son quaggiù , nel viso mi dipinge  Quella pietà, che tu per tema tenti.   Spiega r effetto dell' impallidire per la lua cagione ,  che è il compatimento de' mortali affanni de' peccatori :  forma di dire veramente poetica, anzi divina.   V. ai che tu per tema tenti.   Che tu interpreti per effetto di timore.   V. a3. Cosi ti mise, e coti mi fe' ‘ntrare   Ne! primo cerchio , che V abisso cigne.   Qui incominciamo a icender dal piano dell' atrio dell' In-  ferno , cavato lotto la volta della terra , dove abbiamo  veduto eiier puniti gli iciaurati , e corrervi il fiume Ache-  ronte. Entran dunque nel primo cerchio, che è il Limbo.   V. a5. Quivi , secondo che per ascoltare ,   Non uvea pianto , ma che di sospiri.   S* intende nel primo verto : Secomlo che ti potea  comprendere; cioè. Secondo che per l'udito ti potea    Digitized by Google    quakto. ss   Mcrorre ; poiché gli occhi non icrvivano a ditccrnerlo ,  mercé dell’ aria oicura, profonda, e nebuloia d' abliao.  Ma che vale eccetto , aalvo , fuorché , aolaniente , pid  che. Forae da magit quatti de* Latini; onde con tal par-  ticella vuol lignificare , che non v’ era maggior pianto  eh’ un leniplice lamentar di aoipiri , lecondo che l’anime  del Limbo non erano tormentate (dirò coli) nel corpo,  ma lolamente nell’ animo , per la privazione d’ Iddio.  Queito viene apiegato mirabilmente nel verio arguente a 8 .   E ciò avvenia di duol senza martiri.   V. 33 innanzi che più ondi.   Andi leconda peraona dell’indicativo preaente del verbo  Ando diauaato , dalla railice uiata andare. •   V. 34 e t' egli hanno mercedi.   Non basta, perch" e' non ebher batletmo;  Ch‘ e' porta della fede , che tu credi.   Qui mercedi lo iteaao che meriti; nè qurata è l’unica  volta, che Dante l’ ha preao in tal lignificato. Farad,  cant. XXXII, V. ^ 3 .   Dunque , senza merci di /or costume ,  iMcate son , per gradi diferenti.   Parla dell’ anime, che in quello, che tono create, h.mno  da Iddio , lenza lor merito o demerito , maggiore o mi-  nor dote di grazia. Chiama il batteaimo porta della Fede.  Coll vien chiamato da’ maeitrì in diviniti lanua Sacra-  mentoruia,   V. 37. E s' e’ fuTon dinanzi al Cristianesmo ,   Non adorar debitamente Iddio.     56 Canto   Parla de* gentili innocenti» cbe furono avanti alla ve-  nuta di Cristo ; i quali » ancorché non peccaiiero , anzi  adorassero la Divinili, non Tadoraron debitamente, cioè  secondo il verace concetto , che si dee aver d* Iddio , e  secondo il legittimo culto prescritto dalla Legge mosaica;  ma lo riconobbero o nel Sole, o nella Luna, o nelle Sta-  tue , e sì Tadororono con riti profani ed abbominevoU.   V. 41 e soi di tatuo efesi.   Che senza speme vivemo in disio.   Vi •* intende siamo. Cioè , e soì di tento , o vero » e  sol io CIÒ siamo efesi.   Questa dice Virgilio esser la sola pena di quei del  Limbo , Ira* quali ha riposto sé ancora ; Aver vivo il  desiderio, e morta la speranza.   V. 47* per ooler esser certo   Di quella fede, che vince ogni errore.   Per aver un riscontro della verità della nostra fede.   V. 49. Uscinne mai alcuno, 0 per suo merto,   O per altrui , che poi foste beato ?   Credeva Dante ( che non v* é dubbio ) U liberazione  degli antichi Padri operata da Cristo nella sua resurre-  zione ; pure da eh* egli avea sì bell* occasione di chia-  rirsi del vero , e con ottimo fine d* armarsi contro qua-  lunque titubaziooe gli potesse venire di così alto mistero,  non si potè tenere di domandar Virgilio , s* e* n* era  uscito mai alcuno. E notisi , com* egli dissimula bene il  suo animo : domanda prima di quel che sa , che non è ,  e che nulla gl* importa il sapere, cioè s* e* n* uscì alcuno  per suo proprio merito , per farsi strada a domandar»    Digilized by Google     Q U A K T O. $7   di quel, che gli preme aMaÌMÌmo Tesier fatto certo, lenza  che Virgilio potaa ombrarvi sopra od accorgersene.   V. Sa. Rispose : I* era nuovo in questo sfato ,  Quando ci vidi venire un possente ,   Con segno di vittoria incoronato.   Era di poco venuto Virgilio nel Limbo , quando ci  vide venir Cristo nostro Signore , che mori intorno a  quarantott* anni dopo la morte di esso Virgilio; il quale,  perocché si non conobbe Cristo , però non lo nomina.  Dice solo , eh* ci ci vide venire un possente incoronato  di palma. Possente dalle maraviglie, che gli vide ope«  rare in quel luogo , traendone sì gran novero d* anime ,  ond* a ragione si persuadeva , quegli non poter esser  altri , che un grandissimo , e potentissimo principe.   V, 6o. £ con Rachele , per cui tafito fe\   Vuol dire del lungo servizio di XIV anni reso a Laban  padre della fanciulla, per averla in isposa.   V. 64. JVon lasciavam rondar , perch' e* dicessi.   Ancorch* e* favellasse , badavamo a ire. Lo stesso con«  cetto lì ritrova replicato al XXIV, v, i del Purgatorio,  ma con dicitura così bizzarra , che ben duuostra la ric«  chezza della gran mente del poeta.   . Nè 7 dir l'andar , nè l'andar lui più lento  Ratea { ma ragionando andavam forte*   V. 66. La selva dico di spiriti spessi.   Qui selva per moltitudine : metafora assai f<untgliare  Dante. Così nel piiiuo di questa cantica selva chiamò   6     S8 Canto   gli errori giovanili, per entro la quale dice etieni egli  amarrito , e più apertamente nella »opraccitata apoiizione  della canzone :   Le dolci Time d amor , eh' io eolia ,   dice amarrirviii l’uomo all' entrare della tua adolezcenza.  Ancora nel primo libro , cap. XV della tua Volgare  Eloquenza, rispetto ai diversi idiomi, che si parlavano  allora in Italia, chiama quell’ opera Italica telva; e selva  finalmente chiama in primo luogo una moltitudine di  spiriti. Così abbiamo nelle scritture : Secar decurtus aqua-  rum plantauU dominus uineam iuttorum. Qui molto giudi-  ziosamente, trattandosi d'anime dannate, piglia la metafora  più ruvida di «/va. della quale, avvegnaché si sia servito  ancora S. Bernardo, è tuttavia da notare una doppia  limitazione. La prima, eh’ egli parla in quel luogo delle  anime, o più verisimilmenle delle diverse adunanze de’  nuovi cristiani, non già di quelli della circoncisione, i  quali erano toccati a S. Pietro, ma di quelli venuti corì  nudi e crudi dal paganesimo , onde oltre T esser forse  tutti per ancora e male istruiti nella fede, e peggio  riformati ne’ costumi , ve ne potevano esser molò de’ re-  probi. La seconda, che in questo luogo selva è pro-  priamente metafora di metafora, non pigliando il santo  per piante di questa selva le anime a dirittura, ma più  tosto le varie adunanze delle anime , velate prima tali  adunanze sotto l’altra metafora di vigne, per viti delle  quali vengono a intendersi le anime particolari, e di  ciascheduna di queste vigne cosi numerose ne forma,  per dir cosi, le piante d’una vastissima selva, che è la  metafora secondaria, come si vede manifestamente dalle  seguenti parole , che sono poco dopo il mezzo del    Digitized by Google     QUARTO. $9   sermone XXX su U Cantica ; Merito et Paulo inter gentet  tam ingens tylua eredita ett uinearum. Anclir appresso  gli Arabi si trova usata la stessa figura, come si può  vedere da quest* esempio d' Harireo Basrense nel suo   primo • Le sue parole sono le seguenti :   dLJLsNwc   jivervio io dunque penetrato nelt interna densissima teha  per saper la cagione di quei pianti. Nè altro intende per  sehat che una grandusima calca di gente, che s'affollava  d'intorno a un ceno romito per udirlo predicare.   V« 67. Non era lungi ancor la nostra via   Di qua dal sommo; quancT 1 vidi un foco,  CK ejairpm'o di tenebre vincia.   Credo, eh’ ei chiami sommo l'erta, per la quale d«l  piano di sopra , dove corre Acheronte , erano calati nel  Limbo; e credo, eh' ei voglia dire, ch'egli erano caiu-  minati ancor poco per la pianura di esso , quando ei  vide un fuoco , che illuminava un emisferio di tenebre.  Questo fuoco non si rinviene molto chiaraiuente, dov'egli  fosse, e come ei si stesse; nè i commentatori si fermano  troppo a esplicarlo. Pure dal chiaiuarlo col nome di lu-  miera, e dal lume, eh* aveva a rendere non meno fuori  che dentro alle mura de) castello, m'induco volentieri a  credere , eh* ella fosse una (ìsunnia librata in alto nell* aria,  come vergiamo alle volte alcune meteore di fuoco, le  quali durano a vedersi nello stesso luogo, inhn tanto  che dura la lor materia a ardere , e prestar alimento alla      bo C A K T O   6(unina , pfT cui •! rcndon vi«ibili. Nè è da star attaccato  alla fona delle parole, dicendo, che, te quetto fuoco  illuacrava un eniieferio di tenebre, bitognava, eh’ ei fotte  in terra, poiché alando in aria veniva ad lUuttrare una  porzione maggiore della mezza tfera: poiché Dante in  quetto luogo debbe intenderti come poeta , e non come  geometra; né è veritimile, eh’ ei pigli itte allora le tette  per miturare il giro dell’ aria illuminata.   V. 73. O tu, eh' onori tee.   Parole di Dante a Virgilio.   V, y(j V onrata nominanza >   Che di ior suona sii ne la tua vita ,  Grazia acquista nel ciel , che gli avanza.   La fama e ’l pregio , che riman di loro nella tua vita,  cioè nella vita mortale , la qual tu godi ancora , o Dante ,  impetra loro quetta grazia dal Cielo.   V. 81. L’ombra sua torna , eh' era dipartita.   Partitti allora dal Limbo Virgilio , quando a’ preghi  di Beatrice andò a trovar Dante nella telva oteura.   V. 84. Sembianza avean né trista, né lieta;  e però conlacevole al loro alato nè di gioja, nè di  tormento.   V. 91. Peroeehb eiaseun mero si eonviene   Nel nome, ehe sonò la voee sola;  Tannami onore , e di ciò fanno bene.   Mi fanno onore , e fanno bene a farmelo ; perchè a  tutt’ e quattro ti conviene il nome , che la voce d’ un    Digitized by Googl     QUARTO. 6l   •olo diede a me» cio^ in quello di pòeta. In «ustanza:  fanno bene a onorarmi, perchè siamo tutti poeti, e f o-  nore , che è fatto ad uno , toma sopra tutti.   Y. 94. Cast vidi adunar la bella scuola   Di quel signor dell’ altissimo canto,   D' Omero , dal quale hanno cavato tanto i poeti , e  in particolare i quattr(\ posti qui da Dante.   V. 9y. Da eh’ ehber ragionato insieme alquanto,  Volsersi a me con salutevol cenno :   £ ’l mio maestro sorrise di tanto.   Qui non accade strologar molto quello , che Virgilio  a costoro dicesse , vedendosi manifestamente ( tanto è  artifizioso questo terzetto), eh' egli li ragguagliò dell* esser  di Dante, del suo poetico spirito, e della sua profondis-  sima scienza- Ciò si discuopre dalla cortesia del saluto,  eh* essi gli fecero , e dal sorrider , che ne fece Virgilio ;  poiché quel sorrise di tanto altro sicuramente non vuol  signiBcare , che di questo , cioè di tcmto che fu fatto.  Nè quei grandissimi spiriti si sarebbero mossi a far tanto  di onore a Dante , se da Virgilio non ne fosse loro stata  fatta un* assai onorevol testimonianza, della quale essendo  frutto il cenno salutevole, esso ne sorride per compiacenza  di vedere , quanto fossero «tate autorevoli le sue parole.   V. ICO. E più d’onore assai ancor mi fenno ;   C/f ei si mi fecer della loro schiera,   St eh’ V fui sesto tra cotanto senno.   Cosi n andammo insino alla lumiera,  Parlando cose , che ’l tacere è bello ,   Si co/u era' i parlar, colà dop’ era.     6j Cauto   A chi noD aTCMC ancora Bnito d’ intendere quel , che  Virgilio ditcorreHe con Omero, e con gli altri tre,  Dante con questi tenerti finiace di dichiararlo , volendoci  in austanza dire, che da quello, che diaae di ane lodi  Virgilio, fu di comun conaentiuiento giudicato degno  d' eaaer nirsao nella prima riga, e ai annoverato tra' mag-  giori poeti , eh* abbia avuto il mondo. Più dilhcile iin.  presa stimo , che sia I' indovinare quello , eh’ e’ discor-  ressero in sesto , poiché Dante si fu accoppiato con esso  loro, non aprendosi egli ad altro, se non di' e' parlaron  cose , delle quali A bello il tacere , com' era bello il  parlare colà , dov' egli era. I commentatori hanno avuto  in tal veocrazione quest' arcano , eh' e' non si son pur  anche ardili e spiarlo con l' immaginazione. A me quadra  molto un pensiero sovvenuto al sottibssimo ingegno del  Rifiorito. Stima egli, che tutto il discorso fosse in lodar  Dante, e perchA mostra, che ancor egli favellasse, men-  tre dice , v. io3.   andammo infino alla lumiera.   Parlando cose , che ‘l tacer è hello.   Il suo parlare non fu per avventura altro , che recitare  qualcuna delle sue canzoni , secondo che da que' poeti  ( siccome s' usa per atto di gentilezza ) ne fu richiesto.  E ciò non solamente torna bene al costume , ma ( che  più si dee attendere ) al sentimento de' versi ; essendo  verissimo, che orala modestia fa diventar bello il tacere  quello, che allora bellissimo era a parlare.   V. Ila. Centi v' eran , con occhi tardi e gravi,   Di grand' autorità ne’ lor sembianti :  Parlttvan rado , e con voci soavi.    Digilized by Google    QUARTO. 63   Quello tertetto paò lerrir di norma a qualunque pi>  glia, deicrtvendo, a rappreiencare il coitnme di gran  perionaggio.   V. il5. Traemmoei co/l dalF un de' canti   In luogo aperto , luminoso , ed alto ;   Si che veder si potén tutti quotili.   Dal dire, eh' e' li trauero da un canto del caatello,  ai convince manifeicamente , eh' ei non era murato a  tondo, come alcuni si persuadono, e fra gli altri il Vel-  lutello : tanto pid eh' e' non si può nè anche dire , che  il castello era tondo bensì, ma che v' erano diverse  piazze o strade , le quali venivano a formar degli angolii  poiché non pare, che Dante figuri questo castello per  altro , che per un dilettevol prato intorniato di mura ; e  s' ei potè mettersi in luogo da poter veder tutti quanti ,  chiara cosa è , eh' e' non vi doveva essere impedimento  di mura, o di case, o d'altri edifizj. A tal che questo  canto, dond' e' si trassero Dante e Virgilio , mostra , che  la pianu delle mura non dovea esser circolare. Molto  meno è veriiimile , eh' elleno abbracciaiser il foro della  valle, come è opinione cfalcuni, i quali si lon falsamente  immaginati, che tutto il piano dello scaglione del Limbo  fosse diviso , come in due armille concentriche , una ester-  na e maggiore, dove non arrivasse il lustro della lumiera,  e quivi stessero l' anime degl' innocenti morti senza bat-  tesimo sospirando continuameote , onde dice , v. a6.   ffon avea pianto , ma che di sospiri ,   Che laura eterna facevan tremare.   minore l'altra ed interna , ed illustrata dalla lumiera , è  questa facesse prato al castello de' Savj e degli Eroi. £     64 Canto   invrrUimile I dico , tal optDÌone. Prima , perchè in pro>  porzione dell* altr* anime del Limbo y piccolisaimo è U  numero di quelle* che sono ammesse per tspecialissima  grazia dentro al delizioso castello ; per lo che* rimanendo  loro un luogo sì vasto , vi sarebbero seminate più rade  che per un deserto. Secondo* perchè in qualunque luogo  del prato si fosser tratti Dante e Virgilio* posto die nel  centro non potessero starvi per essere sfondato * e ter-  minar ivi la sboccatura del secondo cerchio * sarebbe  •tato impossibile discemer tutti quanti* a non supporre*  eh* e* sì fosser ridotti tutti in un mucchio vicino all* en-  trata * perchè da distanza assai minore , che non è quella  del solo semidiametro di questo prato * a farlo cale * qual  se lo figurano costoro , si smarrisce di vista un uomo dì  statura ordinaria. Direi dunque * che il castello fosse da  una porle del piano o pavimento del Limbo * e che per  avventura nè meno arrivasse con le mura in su la sboc-  catura del secondo cerchio- E che sia *1 vero* usciti  eh* e’ ne furono*, dice Dante, eh* e* tornarono nelf aura*  che trema* cioè in quella, dove sospirano i padani in-  nocenti, che l'aura eterna farevan tremare. Che se per  lo contrario il castrilo fosse stato abbracciato dall* armilla  esteriore* per discender nel secondo cerchio, non oc-  correva, eh’ c* ritornassero in quella, dove l’aria tre-  mava. Kè vale il dire* che per aria tremante si può in-  tender anche l'aria del secondo cerchio; perchè la sua  agitazione (si come vedremo nel seguente canto) era  altro che un semplice tremare, dicendo il poeta di questo  cerchio, v. a8.   J* venni in lungo <t ogni luce muto ,   Che mugghiai come fa mar per tempesta,   S" e* da contrari venti è combattuto.    Digilized by Google    QUARTO. 65   Ecco dunque, che il catCello era tutto dentro all* orlo  del Limbo io su la mano , tu la qual camminavano : e  torna ottimamente allo scemarti la sesta compagnia in  due , essendo Omero , Orazio , Ovidio e Lucano rimasti  dentro al castello , e Dante e Virgilio essendone usciti  o per altra porta, o per la medesima, ood* erano en-  trati , ma voltando all* altra mano , e incamminandosi per  altra via da quella, ond' erano venuti. Così si condus-  sero, dov' era il passo per discendere nel secondo cer-  chio ; si come vedremo nel canto seguente.    Dìgitized by Google     INFERNO.    CANTO QUINTO.    ARGOMENTO.    Xl }>eccato , che ii punisce in questo secondo cerchio ,  è la lussuria, come il più compatibile all' umana fragilità,  c per avventura il meno grave. Fmge il poeta di tro-  vare al primo ingresso Flinos giudicante 1' anime. Di poi  passa più oltre , e vede la pena de' peccatori carnali ,  la qual dice essere un furiosissimo , e perpetuo nodo di  vento , il qual rapisce , e porta seco voltolando in giro  queir anime. Virgilio gliene dà a conoscere alcune , che  erano già state al suo tempo , ma di Francesca da Ra-  venna intende dalla sua propria bocca la cagione della  sua morte , e insieme di quella di Paolo suo cognato ,  con r ombra del quale si raggirava per 1' aria del se-  condo cerchio.   V. I. Cori discesi del cerchio primajo   Giù nel secondo , che men luogo cinghia,  E Scatto più dolor, che pugne a guajo.    Digitized by Google    68 Canto   ^ Discesi ; Io Dante diacesi. Men luogo cinghia ; si di-  mostra peripatetico f ponendo il luogo, distinto dall* esteiH  sione della cosa locata. Quindi è , eh* ei dice il pavi-  mento del secondo cerchio cignere, abbracciare, occupar  minor luogo, in sostanza girar meno del primo, secondo  che per lo digradar della valle gii\ verso il centro si  discendeva. Così veggiamo ne* teatri dalla lor sommità i  gradi infmo all' iullmo venire , successivamente ordinati ,  sempre risirignendo il cerchio loro. C ben vero , che  quanto meno luogo cinghia, contiene in sè altrettanto  più di dolore, che non fa il primo. Poiché, dove quello  per esser solo dolor della mente , svapora in sospiri ,  questo, che alFligge il senso, pugne a guajo , cioè arriva  a trar guai , pianti e lamenti dolorosissimi.   Y. 4. 5 rauvs Afinos orriòilMente « e ringhia.   Qui orribilmente ha forza di esprimere P orrida resi-  denza , il tribunale formidabile , la fiera accompagnatura  de* ministri , e forse il ferocissimo aspetto dell* infernal  giudice. Bocc. Fdoc. Kb. 6 , 42. Quivi ancora si veggono  tutti i nostri Iddìi onorevolissimamente sopr ogn altra  figura posti. Dove notisi , che per 1 * avverbio onorevolis^  simamenie ci dà ad intendere la preminenza del luogo ,  quanto la ricchezza degli ornamenti sacri , ed ogni altra  nobile accompagnatura pertinente al culto degli Dii sud-  detti. Ringhia: accresce lo spavento, dicendosi il ringhiare  de* cani , quando irritati, digrignando i denti « e quasi  brontolando, mostrano di voler mordere.   V. 6. Giudica , e manda , secondo eh* awvinghia.   Qui avvinghiare per cignere. Ciò che Ninos ai ci-  gneise , viene spiegato appresso.    Digitized by Google    69    QUINTO   V. IO. Vede qu«l luogo Inferno è da essa.   Da in luogo di Per, ed esprime attitudine , proprietà,  c convenevolezza. Cioè qual luogo d'infemoèprr essa,  o vero convenevole ad essa. Veggasi di ciò il Cinonio.   V. li. Cignesi con la coda tante volte ^   Quantunque gradi vuol ^ rAe sia messa.   Conosce il poeta T obbligo, ch'egli ha d* uscire il piti  eh* ci può dall’ ordinario , rispetto al luogo , e a* perso-  naggi , eh’ egli ha alle mani. Quindi va trovando maniere  strane ed inusitate di significare ì loro concetti ; come  in questo luogo fa, che Minos si cinga tante volte la  coda, quanti gradi hanno a collocarsi gid 1 * anime con-  dannate. Quantunque per quanto , nome indeclinabile.  Bocc. introd. n. i. Quantunque volte , graziosissime donne ^  meco pensando riguardo ecc.   V. i3. Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:   Vanno ^ a vicenda y ciascun al giudizio:  Dicono , e odono , e poi son giù volte.   In questi tre versi è compresa un* esattissima e pun>  tualissima forma di giudizio.   V. a3. Vuoisi cosi colà » dove si puote   Ciò che si vuole ; e più non dimandare.   Le stesse parole per appunto furono usate da Virgilio  a Caronte nel canto terze, v. 9 S.   V. a 8 . t venni in luogo d* ogni luce muto.   Notisi , come stando sempre su la medesima bizzarra  traslazione d* attribuire il proprio della voce al proprio  della vista , va continuameDte crescendo» Nella selva ,     ~e Casto   dove r oicurit.\ e T ombra erano accidentali per l' im-  pedimento de' rami e delle foglie , diwe aolamcnte tacerai  la luce , V. 6o.   Mi ripigneva là , dove 'I sol tace.   Nell* atrio dell' Inferno dà al lume aggiunto di JSoco , ac-  cennando io tal guiaa , non eaier ciò per accidente > tua  per natura ; cauto HI , v. 75.   Com’ io discerno per lo fioco lume.   Qui finalmente , dove a' ò innoltrato nel profondo della  valle, muto lo chiama; e vuol denotare, che le tenebre  di queato cerchio non aono accidentali , nè a tempo ,  nè aaaottigliate da qualche apruzaolo di languidiaaima luce,  ma apeaae , folte , oatiuate , ed eterne.   V. 3l. Za bufera infernal , che mai non retta.  Mena gli spirti con la tua rapina:  Voltando , e percuotendo gli moietta.   Il Buti definiace eoa! : Bufera è aggiramento di venti ,  lo qual finge l’ autore , che sempre sia nel secondo cerchio  dell" Inferno. A chi pareaac queata voce o poco nobile ,  o troppo atrana, ricordiai , che ai parla d' un vento in-  fernale , e che merita maggior lode il cercar la forza  dell' eapreaaione , che 1' ornamento delle parole ; ed è  queata una pittura , che non richiede vaghezza di colo-  rito , ma forza; e tanto piti è bella, quanto è meno  liaciata ; estendo il naturale coti risentito , che non può  bene imitarsi , te non è fatto di colpi , e ricacciato ga-  gliardo di sbattimenti. Questa bufera adunque leva e  mena gli spiriti con due movimenti. Con uno gli aggira  secondo il corto della tua corrente, che va turno torno    Digitized by Google    ^UIHTO. 71   al cerchio ; con F altro ( e ciò fallo con la sua rapina ,  cioè col tuo grandissimo impeto ) li va voltolando in  lor medesimi. Cosi veggiamo la pillotta e '1 pallone , i  quali, se vengono spinti lentamente per Taria, son por-  tati con un solo moto ^ che è secondo la linea della di-  rezione del lor viaggio , ma dove urtino in muro , od  in legno, osi, cadendo in terra, ribalzino mcontanente,  ne concepiscono un altro , Bglio di quel novello impeto ,  che gli aggira intorno ai proprio asse.   V. 34. Quando giungon dinanzi alla mina ;   Qmvi le strida t il compianto t e*l lamento'.   Bestemmian quivi la virtù divina.   Qual sia questa rovina, i commentatori non lo dicono ,  o se lo dicono, io confesso di non intendere quello che  dicono. Crederei, che per rovina intendesse T autore il  dirupamento della sponda, giù per la quale egli era ve-  nuto ; e che questa fosse la foce , d' onde metteise il  vento , il quale foue cagione di maggiore sbatiimento a  quelle pover* anime , che vi passavano davanti. A simi-  litudine d* un legno o d'altro corpo , cui la corrente d'un  fiume ne meni a galla , il quale, se s* abbatte a passare,  dove sbocca un torrente, o altra acqua, che caschi con  impeto da grand'altezza, questa se se lo coglie sotto ^  lo tuffa e rìtufia per molte fiate , e in qua e in lè con  mille avvolgimenti T aggira , e strabalza , in fin tanto  eh' ei non è uscito di quella dirittura , e non ha ritro-  vato il filo della nuova corrente. Di dove, e come possa  quivi nascer questo vento , vedremo allora , che si dirà  della fiumana dell' eterno pianto, di cui nel canto se-  eondo mi rìserbai a discorrere in altro luogo*     71    ClISTO   V. 40. E (ome gli stornei ne portan F ali   Nel freddo tempo a schiera larga e piena ;  Così quel fiato gli spiriti mali.   Brllisùma iimiUtudlne , e cavata ( «ì come la «cgitcnte  poco appretto delle gru) con finitsimo accorgimento da  animali tenuti in niun pregio , e per ogni conto vilittimi.   V. 43. Di qua , di là , di giù , di tu gli mena :  Nulla speranza gli conforta mai  Non che di posa , ma di minor pena.   Eipretiione felicistima ed inarrivabile di quel tormento ,  e che vince quati il vedere ttetto degli occhi.   V. 48. Cori viiF io venir , traendo guai ,   Ombre portate dalla detta briga.   Qui briga vai lo ttetto che noja, fattidio, travaglio;  e briga preto nello ttetto significato d’ agitamento di  venti. Farad, can. Vili , v. 67.   £ la bella Trinacria , che caliga   Tra Pachimo e Petoro sopra '/ golfo ,   Che riceve da Euro maggior briga.   cioè sopra ’l golfo , eh’ è più battuto dallo scirocco.   V. Si. Genti, che faer nero ri gastiga^  Corrisponde al detto di sopra, v. 18.   I' venni in luogo iT ogni luce muto.   E cerumente la pena de’ carnali è pena data loro dall’ aria ,  poiché l’aria col solo agitarsi si li tormenta.   V. 54. Pu Imperadrice di motte favelle.   Ebbe imperio sopra nazioni , che parlavano diversi  idiomi. Modo usato altre volte da Dante : distinguere , o    Digitized by Google    QUINTO. 73   denotare i paeii dalle lingue , che vi ai parlano. Infer.  cant. XXXIII , V. 79.   Ahi Pila , vituperio delle genti   Del bel patte là, dove 'I ri tuona.   V. 55 . A vizio di Lutturia fu ri rotta.   Che ’l libito fe' licito in tua legge ,   Per torre ’l biatmo , in che era eondoita.   Aaaai è nota la legge della diioneatà promulgata da  Semiramide , per cui ella penaò di aottrarai all' infamia  de’ suoi vituperj.   A vizio di Lutturia fu ri rotta.   Forma di dire assai singolare.   V. 60. Tenne la terra , che ’l Soldan corregge.   Dice il Daniello , che Dante in questo luogo piglia  un equivoco ; e che abbia voluto dire, Semiramide aver  regnato in Egitto, ingannato dal nome di Babilonia, con  cui nel suo tempo chiamavasi volgarmente il Cairo , allora  signoreggiato dal snidano , non rinvenendosi dell' altra  Babilonia fabbricata da Semiramide nell’ Astiria. Di questo  errore pretende scusarlo con fargli nome di licenza lecita  a pigliarsi da' poeti grandi, tra' quali gli dà per compa-  gno Virgilio in un certo patto , non so già quanto a pro-  posito , e con quanta ragione. Se io avesti a esaminarmi  per la verità dell' intenzione , che io credo , che abbia  avuto Dante ; direi forte ancor io , come il Daniello :  tanto più che in que' tempi non ti aveva coti esatta no-  tizia della geografia, che sia sacrilegio l'ammettere, che  un poeta anche grandissimo abbia preso un equivoco in-  torno a una città, nella quale era facilittimo l’equivocare,   6     74 Cauto   intrndendoii allora comuneniente per Babilonia quella  d'Egitto; ticcome oggi per Lione templicemente ('inten-  derebbe sempre quello di Francia, e per Vienna quella  di Germania; e quanto a questo, che Babilonia vi fosse  in Egitto, e che fosse la stessa, che dagli Europei si  chiama oggi il Cairo , l' afferma Ortelio.   Il Boccaccio nel Decamerone, di tre volte, che nomina  il Soldaoo , intende sempre quello d' Egitto ; e Dante  stesso nell' XI del Farad. , t. loo.   E poi cht per la sete del martiro  Alla presenza del Soldan superba ,   Predici) Cristo , e gli altri , che 7 seguirò.   Farla di S. Francesco , il quale i certo , che parla del  Soldano d' Egitto , e non di quello di Bagadet. Il Fe-  trarca dice anch' egli nel Sonetto; L'avara Babilonia ecc.  non so che di Soldano. 1 commenti l' intendono per quel  d' Egitto ; e il Gesualdo , se non erro , lo cava da una  sua epistola , nella quale fa menzione delle due Babilo-  nie , d' Egitto e d' Assiria.   Ma chi volesse anche sostenere, che Dante non abbia  errato , potrebbe farlo con dire , che per Soldano intese  quegli stesso , che nel suo tempo signoreggiava la vera  Babilonia di Semiramide , essendo la voce Soldano nome  di dignità, e perciò convenevole ad ogni principe; e da  Cedreno si raccoglie essere stata comune ancora ai Co-  liifi di Soria , particolarmente dove parla di uno di essi,  che ebbe guerra con Alessio Comneno. Siccome e con-  verso il Soldano d' Egitto aveva titolo di Cohffa , prima  che dal Saladino fosse unito l'un, e l'altro titolo insieme,  quando egli di semplice Sultano , eh' egli era , diventò  Fun e l'altro, avendo ucciso il ColilTa nell' andar a pigliar    Digitized by Google    9 0 IRTO. 7$   da lui lecoudo il lolito l' ioicgne di Soldano. Fu anche  Soldano titolo d' ufTizio coinè ai cava da quoto luogo  del Ponti 6 cale romano citato dal Meunio ; Circa Ponti-  fiiem , aliquando ante , aliquando poit , equilabat Mare-  icallus , siile Soldanus Curiae.   lila per vedere adeiao , con quanta poca ragione il  Daniello tacci Virgilio d’un timigliante equivoco , laiciaio  di riapondere a quello eh’ ei dice , che egli nel Sileno  confondeaae la favola d* lai e di Filomena , e nel terzo  della Georgica acambiaaae Caatore da Polluce , nel che  vien Virgilio difeao molto giudiziosamente dalla Cerda ,  vediamo il terzo equivoco notato dal aoprammentovato  apositore di Dante ne’ seguenti versi dell' Egloga del  Sileno , T. 74 .   Quid loquar? aut tcyllam Nisi? aut quamfama secuta est.  Candida surtinctam latrantihus inguina monstris,  DutUhias ue rosse rales, et gurgite in allo,   Ah, timidos nautas canibus lacerasse marinis ?   Qui dice il Daniello , senza allegarne alcuna ragione ,  che Virgilio equivoca da Scilla hgliuola di Forco e  d'Ecate, o, cum’ altri vogliono, di Creteide, a quella  figliuola di Niso re di Megara. Io credo però di ritro-  varla , e dubito che si possa dir del Daniello nella spo-  sizione di questo luogo di Virgilio, quello che di Virgilio  disse il Berni nell' imitazione di cpiell’ altro d’ Omero ;   Perch’ e' m hem detto , che Virgilio ha preso  Un granciporro in quel verso d Omero,   Chi egli , con reverenza , non ha inteso.   Noteremo dunque di passaggio , come bisogna , che  quest’ autore si sia cieduto , che Virgilio parli d’ una     76 C A H T O   loU Scilla , e che a queita attribuendo i moitri marini , e  r ingordigia degli altrui naufragi , liaii dato ad intendere ,  eh' egli abbia voluto dire di quella di Forco 1 ond* egli  nota r equivoco in quelle parole :   Quid loquar ? aux tcyllam Nisi ?   Sapendo, che Scilla figliuola di Niao fu cangiata in uc-  cello , e fu , come altri vogliono , appiccata alla prora  della nave dell’ amato Minoi) e finalmente gettata in  mare, e non mai trasformata, come quella di Forco, in  moitro marino. Ma la verità ai à, che Virgilio intese di  parlare dell' una e dell' altra Scilla; e, toccando di pas-  saggio quella di Niso, si ferma a discorrer più diffusa-  mente dell' altra di Forco , come dalla lettura del luogo  è assai facile a comprendere ; ma forse il Daniello non  s’ avvide di questo passaggio , e trovandosi inaspettata-  mente nella favola di Scilla di Forco, la credette vestita  a quella di Niso , equivocando egli medesimo nell' equi-  voco immaginato di Virgilio.   V. 61. L'altra è colei, che e’ aneUe amorosa,   E ruppe fede al centr di Sicheo.   Didone , seguendo in ciò anch' egli 1 ' orribile anacro-  nismo , ed accreditando T infame calunnia d' impudiciaia  datale da VirgUio. Eneide IV, v. SSa.   IVon servata fides eineri promissa SUhaeo.   V. 64. Siena vidi, per cui tanto reo  Tempo ti volse.   Tocca di passaggio, e con maniera nobilissima la guerra  de’ Greci , e l' ultime calamità de’ Trojani,    Digitized by Google    71    Q U I » T O.   V. 69. CK amar di nostra vita dipartille.   Della morte delle quali fu cagione Amore illecitOi   V. 7». i' cominciai ; Poeta , volentieri   Parlerei a que‘ duo , che ’nsieme vanno ,   E pajon st al vento esser leggieri.   Gli accoppia ioaieme , perchè iniieme avevano peccata.  S’accorae, ch’egli erano leggieri al vento , dalla facUitè ,  anzi dalla furia, con la quale il vento li portava; e  ciò molto convenientemente, atteao il loro gravitaimo  peccato , eaaendo atati per affinità al atrettamente con-  giunti, come più abbaaao udiremo.   V. 78. Per quell' amor, eh' ei mena, t quei verratmo.   Per quell' amore , eh' e' ai portarono , il qual fu ca-  gione di queato loro eterno infelice viaggio. Efficaciaaima  preghiera , e convenientiaaima a due amanti , acongiurarli  per lo acambievole amore.   Y. 80 O anime afannate.   Aggiunto di mirabil proprietà, e aenza dubbio il più  proprio , che dar mai ai poaaa ad anime tormentate da  ai latta pena. '   V. 8a. Quali colombe dal disio chiamale   Con f ali aperte e ferme al dolce nido  Volan per F aere dal voler portale.   Grazioiiaaima aimilitudine , e piena di tenero e com-  paaaionevole affetto. Nè traendola Dante da coti gentili  animali , quali anno le colombe , vien a intaccar punto  della lode , che le gli dette poc’ anzi , per aver para-  gonato gli apiriti di queito cerchio agli atomelli e alle     ^8 Cauto   gru, 1’ una e l’altra ignobile «pezie d'uccelli, poicliè in  ciueato luogo ha maggior obbligo di far calzar la similitu-  dine all' andar di compagnia, che facevano i due amanti,  il che ottimamente si ha dalla comparazione delle co-  lombe , che ad avvilire con un paragone ignobile quegli  spiriti in generale, come fece da principio. Del resto gli  ultimi due versi di questo terzetto posson aver due sen-  timenti, l’un e l’altro bello. Il primo è: Con Vali aperte  * ferme al dolce nido volan per Vaere , cioè volan per  l’aere con l’ali aperte o ferme, cioè diritte al dolce nido;  o vero volano al dolce nido con l’ali aperte e ferme ,  descrivendo in cotal guisa il volo delle colombe, quando  con l'ali tese volano velocissimamenie senza punto dibat-  terle, e in questa maniera di volare par che si ratb-  giiri un certo non so che pid di voglia e di desiderio  di giugnere.    V. 88. O animai graziosa e benigno ,   Che visitando vai per V aer perso  Noi, che tignemmo'l mondo di sanguigno.   Ninna cosa odono o parlano pid volontieri gli annuiti  che del loro amore. Quindi è , che quest’ anima chiama  Dante grazioso e benigno per atto di gentilezza usatole  in darle campo , raccontando i suoi avvenimenti , di dar  alquanto di sfogo al dolore. Per V aer perso. Il perso è  un colore oscuro , di cui lo stesso Dante nel suo Con-  vivio sopra la canzone Le dolci rime ecc. dice esser com-  posto di rosso e di nero , ma che vince il nero ; e Inf.  caut, VII, V. io3.   L' acqua era buja molto più , che persa.    Digitized by Google     QUINTO. 79   V. 90. Noi che lignemmo il mondo di ttmguigno.   Scherza in la contrarietà di queiti due colori ; Fai  visitando per F aria di color perso noi , che , per eaiere  arati ucciai in pena del noatro Callo , tignemsno il mondo  di color di aangue.   V. 94. Uh Jttel , che udire , e che parlar ti picKe :  Noi udiremo , e parleremo a vui.   Non ì gran coaa (dice aaaai giudiiioaamente il Landino) ,  che coatei a’ indovinaaae di quello , che Dante deaide-  rava d' udire. Una , perché di niun' altra coaa , fuori  che de’ auoi avrenimenti , potea ragioneTolmente cre-  dere , eh* egli aveaae curioaità di domandarla ; 1' altra ,  perché il coatume degli amanti é creder, che tutti ab-  biano quella voglia, che hanno eaai d' udire e parlare  de’ loro amori , tanto che aenza forai molto pregare non  fanno careatla di raccontarli anche a chi non ai cura  aiperli. Che riapondeaae la donna pid tosto che l’ uomo,  ciò é molto adattato al coatume della loro loquacità e  leggerezza.   V. 96. Mentre che ’/ vento , come fa , si tace.   n ripoaarai del vento non é coaa impropria , anzi é  accidente confacevole alla natura di quello , dimoitran-  doci r eaperienza , che egli non aoffia con aibilo con-  tinuato , al come corrono i fiumi , ma a volta a volta  ricorre, come fanno Tonde marine. Oltre che non aa-  rebbe inveriaimile il dire , eh’ ei ai fermaaae per divina  diapoaizione , acciocché Dante potesse ammaestrarsi nella  considerazione di quelle pene , e riportar frutto dal suo  prodigioso viaggio. Per questa ragione vediamo nel canto  IX spedito un angelo a fargli spalancar le porte della     8o Canto   cittì di Dite, e altrove molt’ altre graxie tingolariuime,  le quali la bontà divina gli concedè, per condurlo final-  uiente alla contemplazione della aua euenza.   V. 97. Siede la terra , dove nata fui ,   Su la marina , dove ‘I Pò diicende  Per aver pace co' teguaci tui.   Bavenna ; poco lontano dalla quale il Po inette nel-  r Adriatico. Discende per aver pace co’ sui seguaci. Ma-  niera veramente poetica. Dicono alcuni , per aver pace ,  cioè per trovar pace in mare della guerra, ch'egli ha  nel auo letto da' fiumi tuoi teguaci ; perocché , fecondo  che quelli tgorgano in lui , lo conturbano e P agitano ,  onde ti può dire, che gli facciano guerra. Ma te Dante  volette ttar tu l’allegoria di quella guerra, non li chia-  merebbe legnaci ; poiché , fintante che uno è teguace  d’ un altro , non gli fa guerra, e , facendogli guerra, non  |i può chiamar più teguace. Diremo dunque , eh' ei vo-  glia dire , che il Po co' tuoi teguaci diiceode in mare  per ripoiare dal lungo corto , eh' ei fa , per giugnervi ,  a fine di unirai come parte al tuo tutto , eitendo queita  unione la lola pace , alla quale tutte le creature tono  d.a inviiibil mano guidate. Veduto della patria , è ora  da vedere chi folte coitei, che favella con Dante; per  Io che è da taperii , che quetta è Francetea figliuola di  Guido da Polenta tignor di Ravenna ; la quale , eitendo  ttata dal padre mariuta a Lanciotto figliuolo di Malatctta  da Rimici , uomo valoroto in vero , e nella teienza e  inaeitria dell’ armi eiercitatittimo , ma zoppo e deforme  d' atpetto troppo più che ad appajar la grazia e la de-  licatezza di conci non era convenevole, fu cagione, che  ella t' invaghiate di Paolo tuo cognato , il quale non    Digitized by Google     QtllJITO. 8l   meno grazioio , e arvenente del corpo , che leggiadro  dell’ animo e de' coatumi , del di lei amore ferventiiii-  mamence era preao4 Ora arvenne ^ che , mentre , tcam-  bievolmence amandosi , in gran piacere e tranquillità si  Tiveano , indistintamente usando , appostati un giorno  da Lanciotto , furono da esso colti sul fatto, e d'un sol  colpo uccisi miseramente.   V. ICO. jimor , eh’ al cor gejuU ratto s' apprende.  Prete costui della bella persona ,   Che mi fu tolta, e '/ modo ancor m' offende.   Platone nel Convivio , tra le lodi , che dà Agatone ad  Amore , dice eh’ egli i ancora delicatissimo , argumentan-  dolo da questo , eh’ egli i ancor più tenero e gentile della  Dea Ati , cioè della calamità , la quale esser mollissima  a delicatissima / argomentò Omero dal vedere , che ella ,  schifando di toccar co’ piè terra , si tiene per t ordinario  in tu le lette degli uomini. Iliad. T, v. 93.   .... Tvt pio 9 * ateahol sróStc iv fàp in' ovSit  nlAra^as , <2 A A’ apa f/j'S xai^ óvfpóv xpoara fiaùani.   Ma amore non solamente non mette mai piede in terra , o  in tu le teste , le quali , a dire il vero , non sono molto  toffei , ma di tutto V uomo la parte più gentile calpesta ,  e sceglie per tua abitazione. Negli animi dunque , e ne’  temperamenti degli uomini, e degli Dii pone il tuo trono  Amore ; nè ciò fa egli alla cieca , e senza veruna distin-  zione ■ in ogni sorta <t animo la sua tede locando , ma  quelli solamente , che in fra tutti gli altri p'ut gentili  tono , e pieghevoli con delicatissimo gusto va ritcegliendo.   suStò 9 fizaiipii(;ipfits 6 pi^a tixpiipiusnpi *Epura  Xtc araAòc óv qdp iirì TÙt fiaivit, ovff tiri npavietr.     8a Cahto   ( S, larn iravv fiaX«ut<i) cy roif fMi^xararoig  TS* S*T»T> KoÀ fiaivti Koì oisut' iw )'àf> v6$at KOÌ  XM àiiUpixfn rhf Sixqffiv iSpvxau,’  »ai oò» av f{>7( ir xóacui rati dXÀ,’ ^ riti   iv vKXtipòv vio( i;^ot<rv >* ’^XP dxtp^^iToi' ^ 9’ àt  ftoAouiùy, oÌKÌ(ixcu.   £'l Petrarca nel toaetto : Come't ccmdido piiecc., ri-  cavando con maniera più morbida lo ateaao originale, fini  di copiarlo anche nella parte tralasciata da Dante , che  rijguarda 1' avversione , che Amore ha ordinariamente  agli animi rosai e dori , dicendo :   Amor , che tolo i cuor leggiadri invesca ,   Nè cura di mostrar sua forza altrove.   E nella canaone; Amor, se vuoi, eh' io tomi ecc. , par-  lando con Amore, tocca leggiadramente in ogni sua parte  il sopraccitato luogo di Platone , dicendo dell’ impeWo ,  eh' egli ha non meno sopra gli Dii , che sopra gli uo-  mini , con questi versi :   £ s’ egli è ver , che tua potenza sia  Nel Ciri s) grande , come si ragiona ,   E neir abisso ( perchè , qui fra noi  Quel che tu vali e puoi ,   Credo, ehe’l senta ogni gentil persona).   V. loi. Prese costui della bella persona ,   Che mi fu tolta.   Lo prese del bellissimo corpo , che mi fu spogliato  dalla morte , e ’l modo ancor m’ offende , perchè mi fu  ' data violentemente, e mentre mi suva tra le braccia  del caro amante.    Digitized by Google    83    Q D I H T O.   V. io3. jimor , eh' a nullo amalo amar perdona ,   Mi prese del costui piacer sì forte ,   Che , come vedi, ancor non m' abbandona,   Belliiiiina repetizione : Àmor , eh' al cuor gentil ratto  s' apprende, prese cosuù come gentile. Amor, eh' a nullo  amalo amar perdona, prese me come amata. Mi prese del  costui piacer , del piacer di costui. Costui nel secondo  caso senza il suo segnò si trova spesse volte usato dagli  autori. Veggansene gli esempi presso il Cinonio. Questo  lungo può aver doppio significato. Hi prese del piacer di  costui, cioè del gusto, del piacimento , della gioja d’amar  costui ; e mi prese del piacer di costui , cioè del piacer  che io faceva a costui, e questo corrisponde ottimamente  al detto poco innanzi : Autor , eh' a nullo amato amar  perdona ; mostrando non tanto essersi innamorata per  genio , quanto per vaghezza d' accorgersi di piacere e  d’ esser amata, e per cert' obbligo di gentil corrispondenza.   V. io6. Amor condusse noi ad una morte.   Arroge forza con la terza replica , e con grandit-  aim' arte diminuisce il suo fallo , rovesciando sopra di  amore tutta la colpa. Tib. lib. l .° el. VII , v. aq.   Non ego te laesi prudens : ignosce fatemi,  lussi! amor. Contro quis ferat arma Deos ?   E'I Boccaccio, giornata IV, nov. I, conducendo GuU  scardo alla presenza del Principe Tancredi , non gli sa  porre in bocca nè altra, nè piò forte difesa per iscusar  sè , che r incolpare Amore. Il quale ( cioè T.ancredi ) ,  tome il vide quasi piangendo disse : Guiscardo , la mia  benignità verso te non uvea meritato l'oltraggio e la     84 Casto   vtrgogna, la quale nelle mie cose fatta m' hai; eiccome io  oggi vidi con gli occhi miei. Al quale Guiscardo niun  altra cosa ditte < te non questo : Amor può troppo più ,  che nè io ni voi pottiamo.   V. IO/. Caina attende chi'n vita ci spente.   Calila è la g)iiaccia, dove nel canto XXXII vedremo  euer paniti coloro , che bruttaron le mani col sangue  de’ lor congiunti. Dice dunque , che questa spera detta  Caina sta aspettando Lanciotto marito di lei , e fratello  di Paolo , che fu il loro uccisore.   V. Ila O latto ,   Quanti dolci pentier , quanto detto  Menò costoro al dolorato patto !   Tenerissima riflessione , e propria d* animo gentile ,  ma che non s’ abbandona a soperchia vilU col dimostrar  dolore. E qui notisi , come Dante per ancora sta forte  all’ assalto della pietA , la cui guerra si propose di voler  sostenere al principio del secondo canto, v. l.   Lo giorno te n andava , e f aer bruno  Toglieva gli animai , che tono in terra  Dalle fatiche loro; ed io Sol uno  M' apparecchiava a tottener la guerra  fi del cammino , e sì della pietose.   £ che ciò sia’l vero, dopo eh’ ei non potò pid rattener  le lagrime , dice , che in questo pietoso oflìcio egli era  insieme, v. 117, tristo e pio-, dove mette in considera-  zione , se quel tristo si potesse in questo luogo intendere  per iscellerato , malvagio , empio , e non per malcontento,  mesto , e maninconoto , come vien preso universalmente ,    Digiiized by Google    QUINTO. 8S   e (1 come io con gli altri concorro a credere etier re-  ritirailmeote alata l' intenzione del poeta. Pure nel primo  •ignificato abbiamo nel XXIV dell* Inf. triatitiimO) r. 9I.   Tra qutJt’ iniqua e trutitiima copia  Correvan genti ignude e spaventate.   E di vero tristo in aendmento d’ empio (a un belliatimo  contrapposto con pio , venendo a estere il poeta in un  medesimo tempo empio per compiagner la giusta e do-  vuta miseria de’ dannati , del cbe nel XX di questa can-  tica si fa riprender acremente da Virgilio, e gli la dire,  che è sciocchezza averne pietà , e somma scelleraggine  aver sentimenti contrarj al divino giudicio, che li pu-  nisce , V. a 5 .   Certo V piangea poggiato a un de' rocchi  Del duro scoglio , zi che la mia scorta  Mi disse : Ancor se' tu degli altri sciocchi ?   Qui vive la pietà-, quandi è ben morta.   Chi è più scellerato di colui,   Ch' al giudicio divin passion porta ?   Driaza la letta , drizza ; e vedi , a cui ecc.   E pio poteva dirsi il poeta , per non poter vincere la  naturai violenza di quell' affetto, che contro a tua voglia  lo cottrìgneva a lacrimare ; dove pigliando tristo in si-  gnificato di metto, avendo di già detto', eh' ei lacrimava,  vi vien a esser superfluo ; e non solamente tristo , ma  pio ancora ; chiarissima cosa estendo , che chi piange  r altrui miseria , n' ha rammarico e compatimento.   V. lao. Che conosceste i dubbiosi desiri ?   Pubiioti per non esserti ancora l’ un F altro diKoperd.     86    Canto   V. I3I. Ed ella a me; nerrun maggior dolore.   Che ricordarsi del tempo felice  Nella miseria , e dà sa il tuo dottore.   Quella lentenaa h di Boezio nel lecondo libro de  Consol. proia IV, Le lue parole iodo : In omni aduer si-  tate fortuna» infelùissimum genus inforlunii est , fuisse  felieeiu. Tanto che questa volta per il tuo dottore non  debbo intendersi Virgilio, come, dal Daniello in fuora,  quasi tutti gli altri si sono ingannati a credere , ma lo  stesso Boezio , la cui sopraccitata opera Dante nel suo  esilio aveva sempre tra mano , e leggeva continuamente ;  onde nel suo Convivio scrive queste formali parole :  Tuttavia , dopo alquanto tempo , la mia mente , che i ar-  gomentava di sanare , provvide ( poi nè 'I mio , I altrui  consolare valeva ) ritornare al modo , che alcuno sconso-  lato avea tenuto a consolarsi ; e misimi ad allegare e  leggere quello, non conosciuto da molti, libro di Boezio,  nel quale , cattivo e discacciato , consolato si aveva.   V. ia4- Ho , s‘ a conoscer la prima radice   Del nostro amor tu hai cotanto affetto ,  farò , come colui , che piange , e dice.   Sed si tantus amor casus cognoscere nostros ,   Et breuiter Troiae supremum audire laborem-.  Quamquam animus meminisse horret, luctuque refugit ,  Incipiam. £n. lib. Il , v. io e seg.   V. i» 7 - Noi leggiavamo un giorno per diletto   Di Lancillotto , come amor lo strinse.   Qui, prima di passar più avanti, giudico, che sia bene  chiarir l' intelligenza del rimanente di questo canto , con    Digitized by Google    QUINTO. 87   riportar la atoria di Lancellotto cavata da' romanzi fran-  zcsi dal libro di Lancilolto Du Lac , e riferita in quella  dottiatiuia acrittura di Lucantonio Bidol6 , nella quale  in un dialogo fìnto in Lione tra Aleaaandro degli liberti  e Claudio d' Erberé gentiluomo franzeae apiega inge-  gnoaamente varj luoghi diSicili de' tre noatri autori  Dante , il Petrarca , e '1 Boccaccio. Farla Claudio ( pag. 1 1  e acg.)   Dovile dunque eapere > eome avendo Galeaui figliuolo  della iella Geanda acquitlalo per sua prodezza trenta  reami , s ave a posto in cuore di non voler <t essi coronarsi ,  se prima a quelli il regno di Logres dal Re Arius posse-  duto aggiunto non aveste ■' £ per ciò , avendolo egli man-  dato a Sfidare , furono le genti deir uno e dell' altro più  volte alle mani. Dove Lancilolto avendo in favore di Artus  futa maravigliose pruove contro di Galeaui , e avuto un  giorno fra gli altri l'onore della battaglia , fu da esso  Galealto pregato, che volesse andare quella sera alloggiar  seco; promettendogli, se ciò facesse , di dargli quel dono,  che da lui addomandato gli faste. Accettò Lancilolto con  quel patto /' invito , e poi la mattina seguente , partendoti  per ritornare alla battaglia dichiarò il dono, che da Ga-  lealio desiderava : il quale fu di richiedere , e pregare esso  Gale alto , che quando egli combattendo fatte in quella  gionuila alle gerui del Re Artu superiore , e certo d averne  a riportare la vittoria , volesse allora andare a chieder  merci ad esso Re , e in lui liberamente rimetterti. La qual  cosa avendo Galeallo fatta , non solamente ne nacque tra  Lancillotto e Galealto grandissima dimestichezza e amistà ,  ma ne divenne ancora etto Galealto , per cosi cortese e  magnanimo alto , molto del Re Artu , e della Regina Gi-  nevra tua moglie familiare. Alla quale per tal pubblico     PUI5T0.   Amor, eh* a nuU* amato amar perdona, '   Mi prese del costui piacer it forte ,   Che, come vedi, ancor non m* abbandona.   Qui ribadisce :   Questi, che mai da me non fia diviso.   Nel che ti ponga niente a quante volte e in quanti  modi rioforra V espressioni d'un ferventissimo ed ostinato  amore , e con quant' arte s* ingegna d’ attrar le lacrime |  e sviscerar la pietà verso que* luiserissimi amanti.   V. i3y. Galeotto fu il libro, e chi lo scrisse.   Il libro ) e Tautor , che lo scrisse , fece tra Paolo e  Francesca la parte , che fece Galeotto tra Lancillotto e  Ginevra ; onde 1' Àzzolino nella sua Satira contro U  Lussuria :   In somma rime oscene , e versi infami  Dell' altrui castità sono incantesimo ,   E all* onestade altrui lacciuoli ed amU   Tal eh* io ti dico , e replico il medesimo .*   Se stan cotali usanze immote e fisse ,   La Poesia diventa un ruSianesùno.   E questo è quel , eh* apertamente disse  Il Principe satirico in quel verso :   Galeotto /“ il libro , e ehi lo scrisse.   Qui è da notare incidentemente , come alcuni hanno  voluto dire, che il cognome di Principe Galeotto, attri-  buito al Centonovelle del Boccaccio , possa da questa  storia esser derivato; perchè (dicono essi) ragionandosi  in codesto libro del Boccaccio di cose per la maggior   7    Digitized by Google     90 Cauto quinto.   parte alle gii dette di Ginevra e di Francesca simi-  glianti , pare , che quel cognome di Principe Galeotto  meritamente te gli convenga : in questa guisa inferir  volendo , estere il Decamerone il principal libro di tutti  quelli , che contengono in loro cose attrattive alla car>  naie concupiscenza ; che tanto è a dire , quanto dargli  titolo di Primo Ruffiano , o vero di Principe de' Ruffiani.  Na di ciò reggati più particolarmente il Ridolfi nel so-  prammentovato dialogo, ove parlando assai diffusamente  di tal opinione ti sforza di mostrare , essere molto veru  simile a credere tal disonesto cognome, come anche  quello di Decamerone estere stato posto al Centonovelle  più tosto da altri, che dal Boccaccio; il quale nel proemio  della quarta giornata avere scritte le* tue novelle senz’ al-  cun titolo apertamente si dichiara.   V. i38. Quel giorno più non vi leggemmo ovante.   Aocenna con nobil tratto di modestia l’ inferrompimento  della lettura, ed in conseguenza il passaggio da’ tremanti  baci agli amorosi abbracciamenti.Il conte Lorenzo Magalotti. Villa Magalotti. Magalotti. Keywords: di naturali esperienze, ‘naturali esperienze’ --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magalotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751098137/in/datetaken/

 

Grice e Maggi – implicatura ridicola – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pompiano). FIlosofo. Grice: “I like his portrait” – Grice: “My favourite of his essays is on the ridiculous; but his most specifically philosophical stuff is the ‘lectiones philosophicae’ and the ‘consilia philosophica.’” La famiglia aveva possedimenti e anche un negozio di farmacia. Il padre Francesco, uomo di lettere, fu il suo primo maestro.  Studia a Padova con Bagolino e frequenta attivamente gli ambienti culturali della città. Si laurea e insegna filosofia. Membro dell'«Accademia degli Infiammati», strinse amicizia con Barbaro, Lombardi, Piccolomini, Speroni, Tomitano, Varchi, entrò quindi a far parte del circolo di Bembo, frequentando insigni filosofi come Paleario, Lampridio e Emigli. Conobbe iPole, Vergerio, Flaminio e Priuli. Il dibattito sulla questione della lingua e sui temi estetici legati soprattutto all'interpretazione della Poetica aristotelica condusse alla preparazione di un commento allo scritto di Aristotele che, iniziato da Lombardi, fu proseguito, concluso e fatto pubblicare da Maggi, con altra sua opera dedicata ad Orazio, a Venezia: le “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotations”, dedicato a Madruzzo. Lascia Padova per entrare al servizio del duca Ercole II d'Este come precettore del figlio Alfonso e, insieme, per insegnare filosofia a Ferrara. Si conservano appunti delle sue lezioni sulla Poetica. Anche della vita culturale della città estense  fu protagonista, divenendo  principe dell'«Accademia dei Filareti», che vanta membri come Bentivoglio, Calcagnini, Giraldi e Cinzio, oltre a essere amico degli umanisti Pigna, Porto e Ricci, che gli diede pubblicamente merito di essere stato «il primo interprete della Poetica di Aristotele».  “Mulierum praeconium” o “De mulierum praestantia” e dedicata ad Anna d'Este, la figlia di Ercole e di Renata di Francia, che nello stesso anno fu tradotta “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne.” Comprende anche una Essortatione a gli huomini perché non si lascino superar dalle donne, attribuita a Lando, che si pone come corollario dell'orazione del Maggi.  Alla chiusura temporanea dell'Università, ritorna a Brescia, partecipando alle riunioni dell'Accademia di Rezzato, fondata da Chizzola. Abita nella quadra della cittadella vecchia, in contrada Santo Spirito. Sposa Francesca, figlia del nobile Paris Rosa,. A Brescia sede nel Consiglio Generale e fu incluso nell'elenco dei consiglieri comunali della città destilla reggenza delle podestarie maggiori del territorio. Fu destinato alla Podestaria di Orzinuovi, ma vi rinunciò, come rinunciò anche alla podestaria di Salò, e partecipò alle sedute del Consiglio Generale. Altre saggi “Un brieve trattato dell'eccellentia delle donne, Brescia, Turlini “In Aristotelis librum de Poetica communes explanationes: Madii vero in eundem librum propriae annotationes, Venetiis, Valgrisi; De ridiculis, in Horatii librum de arte poetica interpretatio, Venetiis, Valgrisi, “Lectiones philosophicae” Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms.  Expositio in libros de Coelo et Mundo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms,  Expositio de Coelo, de Anima, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Quaestio de visione, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Espositio super primo Coelo, Piacenza, Biblioteca Passerini-Landi, ms Pollastrelli, Mulierum praeconium, Modena, Biblioteca Estense, ms Estensis latinus. Oratio de cognitionis praestantia, Ferrariae, apud Franciscum Rubeum de Valentia, Consilia philosophica, Vincentii Madii et Jo. Bap. Pignae in favorem serenissimi Ferrariae ducis in ea praecedentia, Archivio di Stato, Casa e Stato,  Modena. Note  In Alessandro Sardi, Estensis latinus 88, Modena, Biblioteca Estense.  G. Bertoni, «Giornale storico della letteratura italiana», C.. Fahy, Un trattato sulle donne e un'opera sconosciuta di Lando, in «Giornale storico della letteratura italiana»,  Bruni, Speroni e l'Accademia degli Infiammati, in «Filologia e letteratura», XIWeinberg, Trattati di retorica e poetica, III, Roma-Bari, Laterza,  Enrico Bisanti,  interprete tridentino della Poetica di Aristotele, Brescia, Geroldi, Giorgio Tortelli, Quattro Maggi in cerca d'autore, in «Quaderni del Lombardo-Veneto», Padova, Vincenzo Maggi, su Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  VEnciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vincenzo Maggi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vincenzo Maggi. Maggi. Kewyords: implicatura ridicola, Eco, il nome della rosa, Cicerone, il tragico, filosofia tragica, pessimism, l’eroe tragico, Nietzsche, la tragedia per musica – I curiazi, catone in Utica – tragedia per musica --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752553559/in/dateposted-public/

 

Grice e Magi – l’uso delle parole – il mistico – I mistici – la scuola di mistica fascista – il veintennio -- filosofia italiana – filosofia fascista -- Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo. Grice: “A fascinating philosopher – “journey around the world in ten words,’ a gem!” --  Insegna a 'Urbino. Si dedica alla psicologia “trans-personale”. Fonda il Centro di Filosofia Comparativa (cf. ‘implicatura comparativa’) e “Incognita” a Pesaro, tesoreggiando ‘l’intelligenza del cuore’ e il principio dell’interiorità. Scrisse “I 36 stratagemmi” (Il Punto d'Incontro; dal, BestBUR). Il suo “Il Gioco dell'Eroe. Le porte della percezione per essere straordinario in un mondo ordinario” vede un clamoroso successo. “I 64 Enigmi. L'antica sapienza  per vincere nel mondo” (Sperling & Kupfer )è segnalato  al primo posto dei libri più attesi. Lo stato intermedio tratta l’argomento rimosso dei nostri tempi: la morte, e abbraccia l'orizzonte ampio degli ambiti cari agli autori: filosofia, mistica, psicologia transpersonale, esperienze ai confini della morte. Esce un aggiornamento ampliato del Gioco dell'Eroe con il sottotitolo “La porta dell'Immaginazione”. Vgetariano dichiarato., si focalizza sui modelli mistici per approfondirne, oltre la portata metafisica e auto-realizzativa, i concetti di efficacia ed efficienza: nel libro I 36 stratagemmi declina il taoismo nei suoi aspetti di strategia psicologica; nel saggio "Le arti marziali della parola" in La nobile arte dell'insulto (Einaudi) evidenzia come l'arte del combattimento diventi arte retorica e dialettica. Nei saggi Il dito e la luna, La via dell'umorismo e Il tesoro nascosto mostra il rilievo della comunicazione metaforica e umoristica. Elabora e sviluppa la dimensione della psicologia trans-personale all'interno del Gioco dell'Eroe, disciplina da lui creata e imperniata sulla capacità umana dell'immaginazione.  Altre saggi: “Il dharma del sacrificio del mondo” (Panozzo); “La filosofia del linguaggio eterno” (cf. Grice: ‘timeless’ meaning, versus ‘timeful’?). Urbino, “Quaderno indiano,” Scuola superiore di filosofia comparativa di Rimini, “Il dito e la luna,” Il Punto d'Incontro); I 36 stratagemmi (Il Punto d'Incontro, BestBur); Sanjiao. I tre pilastri della sapienza, Il Punto d'Incontro, Einaudi, Uscite dal sogno della veglia. Viaggio attraverso la filosofia della Liberazione, Scuola superiore di filosofia comparativa di Rimini,  La Via dell'umorismo (Il Punto d'Incontro); La vita è uno stato mentale. Ovvero La conta dei frutti delle azioni nel mondo evanescente, Bompiani,  Kauṭilya, Il Codice del Potere (Arthaśāstra). Arte della guerra e della strategia” (Il Punto d'Incontro,   "Lo yoga segreto del perfetto sovrano"; “Il Gioco dell'Eroe” (Il Punto d'Incontro); “I 64 Enigmi, Sperling); Lo stato intermedio,, Arte di Essere,. Il tesoro nascosto. 100 lezioni sufi, Sperling); Il gioco dell'eroe. La porta dell'Immaginazione” (Il Punto d'Incontro, 101 burle spirituali, Sperling); Recitato un cameo, nel ruolo di se stesso, nel film Niente è come sembra, di F. Battiato, a fianco di Jodorowsky. Jodorowsky scrive in seguito la presentazione  di La Via dell'umorismo.Blog.  «Fondai a Rimini il Centro di Filosofia Comparativa”. Per spaziare in temi altissimi con una narrazione transdisciplinare. Attraverso immaginazione, religioni, filosofie, arti e scienze».  Incognita. Advanced Creativity  Il Secolo XIX  (R. Onofrio) " 'Incognita' di Pesaro. Diario di viaggio nell'Oltre, un'immersione interiore al di là dello spazio-tempo"31  Il Secolo XIX  (R. Onofrio) "Advanced Creativity Mind School. Per capire l'entrata nell'epoca del post-umano" Per il titolo del suo album Dieci stratagemmi, Battiato si è ispirato a I 36 stratagemmi di Gianluca Magi. Il sottotitolo, "Attraversare il mare per ingannare il cielo" è il primo stratagemma dei trentasei che compongono che il libro.  Stralcio della quinta puntata (youtube)  Modelli strategici. Corriere della Sera, (E. Camurri)  wuz  Panorama (Anna Mazzone)  wuz  Panorama (O. Allegri)  Il Secolo XIX 2 (Roberto Onofrio) "Aprite le porte all'Immaginazione, c'è un mondo oltre la quotidianità"42  Gianluca Magi, I 64 Enigmi, Sperling & Kupfer, Milano: «Diversi anni fa, in un’intervista, mi chiesero perché sono vegetariano. La mia risposta fu molto sintetica (e la penso ancora così): Non mangio animali. Non riesco a digerire l'agonia».  La Repubblica (Michele Serra); Il Riformista (Luca Mastrantonio); Il Venerdì di Repubblica (Brunella Schisa)  Il Gioco dell'Eroe, Il Punto d'Incontro,. Libro/ CD con prefazione di Franco Battiato  Il Gioco dell'EroeGianluca. Scena del film ove compaiono e A. Jodorowsky (youtube)  La Via dell'umorismo, Il Punto d'Incontro, Vicenza, La Stampa (Il Premio è stato conferito dalle autorità della Repubblica di San Marino con la motivazione: «Lo scrittore che ha costruito attraverso la sua produzione e l'attività del Centro di Filosofia Comparativa di Rimini ponti di comunicazione tra le antiche saggezze d'Oriente e d'Occidente, attualizzandone, in teoria e in pratica, il loro messaggio filosofico, psicologico e spirituale per l'uomo contemporaneo»). Gli altri premi sono stati conferiti a: F. Battiato (Musica), A.  Jodorowsky (Teatro), F. Mussida (Arti visive), S. Agosti (Cinema), M. Gramellini (Giornalismo), Gabriele La Porta (Televisione).  Sito ufficiale di Gianluca Magi (in cinque lingue) Incognita ◦ Advanced Creativity "Psicologia transpersonale. Che cos'è?" Video Lectio brevis  riflessionisul Senso della vita su riflessioni. Gianluca Magi. Magi. Keywords: l’uso delle parole, il mistico, ‘implicatura comparativa’ mistico, scuola di mistica, l’uso di ‘scuola’ mistica --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Magi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752536704/in/datetaken/

 

Grice e Magnani – implicatura – la linea e il punto -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sannazzaro de’ Burgondi). Filosofo.  Grice: “I like Magnani; he has written about conceptual change, which I enjoyed!” -- Grice: “I like Magnani; his treatise on the philosophy of geometry is brilliant!” --  essential Italian philosopher, not to be confussed with Tenessee Williams’s favourite actress, Anna Magnani --. Insegna a 'Pavia, dove dirige il Computational Philosophy Laboratory. Dedicatosi allo studio della storia e della filosofia della geometriai, i suoi interessi si sono poi rivolti all'analisi della tradizione neopositivista e post-positivista. Si è poi dedicato al tema della scoperta scientifica e del ragionamento creativo. Studia tematiche riguardanti il ragionamento diagnostico in medicina in collegamento con il problema dell'abduzione, presto diventato fondamentale nella sua ricerca. La sua attenzione si è anche indirizzata verso il cosiddetto model-based reasoning. Fonda una serie di conferenze sul Model-Based Reasoning. Trattai problemi di filosofia della tecnologia e di etica, rivolti anche al tema trascurato in filosofia dell'analisi della violenza.  I suoi interessi di ricerca includono dunque la filosofia della scienza, la logica, le scienze cognitive, l'intelligenza artificiale e la filosofia della medicina, nonché i rapporti fra etica e tecnologia e tra etica e violenza. Ha contribuito a diffondere il problema dell'abduzione. La sua ricerca storico-scientifica ha riguardato principalmente la filosofia della geometria. Dirige la Collana di Libri SAPERE. Opere: “Conoscenza come dovere. Moralità distribuita in un mondo tecnologico” “Filosofia della violenza” “Rispetta gli altri come cose. Sviluppa una teoria filosofica dei rapporti fra tecnologia ed etica in una prospettiva naturalistica e cognitiva. Note  Web Page del Dipartimento di Studi Umanistici  Computational Philosophy Laboratory Web Site  [Cfr. le varie pagine dedicate a questi convegni in//www-3.unipv/webphilos_lab/cpl/index.php Computational Philosophy Laboratory], Dipartimento di Studi Umanistici, Sezione di Filosofia, Pavia, Pavia (Italia)]  Sun Yat-sen Award   Cerimonia  Book Series SAPERE Web Page  Copia archiviata, su lesacademies.org. Edizione cinese:   Philosophy and Geometry  Morality in a Technological WorldAcademic and Professional BooksCambridge University Press  Abductive Cognition  Understanding Violence  The Abductive Structure of Scientific Creativity  Author Web Page  Handbook of Model-Based Science  Logica e possibilità, su RAI Filosofia, su filosofia.rai. Filosofia della violenza, su RAI Filosofia, su filosofia.rai. Grice: “Philosophy of geometry, so mis-called – I call it the theory of the line and the point – always amused me since Ayer misunderstood it in 1936! Hoesle and Magnani prove that it’s less geometrical than you think!” --  Lorenzo Magnani. Magnani. Refs. Luigi Speranza, "Grice e Magnani," per il Club Anglo-Italiano -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685507828/in/photolist-2mLExs3-2mKAxx2-2mKgJMj

 

Grice e Magni – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I love Magni – He has gems like ‘Petrus is Petrus’ – I’m talking about his “Principia et specimen philosophiae” – The titles for the chapters are amusing, and he refers to ‘ratio essendi’ – and other stuff – *Very* amusing --.”Figlio dal conte Costantino Magni e da Ottavia Carcassola, si trasferì a Praga. Entrò nei cappuccini della provincia boema a Praga. Insegna filosofia entrando, grazie al suo insegnamento, nelle grazie dell'imperatore. Presto fu eletto Provinciale della Provincia austro-boema dell'ordine e divenne apprezzato consigliere dell'imperatore e di altri principi europei. Il re Sigismondo III gli affidò la missione cappuccina nel suo paese. Ferdinando II lo inviò in missione diplomatica in Francia. Fu uno dei consiglieri del duca Massimiliano I di iera. Dopo la battaglia della Montagna Bianca, sostenne l'arcivescovo di Praga Ernesto Adalberto d'Harrach nella cattolicizzazione della popolazione e nelle riforme diocesane. Prese parte in nome dell'imperatore ai negoziati con il cardinale Richelieu sulla successione ereditaria al trono di Mantova. Divenne consulente teologico nei negoziati per la pace di Praga e missionario apostolico per l'elettorato di Sassonia, Assia, Brandeburgo e Danzica. Riprodusse a Varsavia di fronte al re e alla corte l'esperimento di Torricelli usando un tubo riempito di mercurio per produrre il vuoto.  Riuscì a convertire il conte Ernesto d'Assia-Rheinfels e sua moglie.  Dopo che l'Praga venne affidata ai Gesuiti, entrò in contrasto con i gesuiti, che lo fecero arrestare a Vienna. Rilasciato dalla prigione per intervento dell'Imperatore e tornò a Salisburgo, dove morì quello stesso anno. Frutto della sua polemica con i protestanti è “De acatholicorum credendi regula judicium” in cui sostene che senza l'autorità della Chiesa, la Bibbia da sola non era sufficiente come regola di fede per i cristiani. Trata lo stesso argomento in “Judicium de acatholicorum et catholicorum regula credenda”, le cui debolezze argomentative scatenarono la contro-offensiva dei protestanti. Si occupa di metodologia, logica, epistemologia, cosmologia, metafisica, matematica e scienze naturali. Rifiuta i principi aristotelico-scolastici, ispirandosi alle dottrine di Platone, Agostino e Bonaventura. Altre saggi: “Apologia contra imposturas Jesuitarum,” “Christiana et catholica defensio adversus societatem Jesu,” “Opus philosophicum,” “Commentarius de homine infami personato sub titulis Iocosi Severi Medii,”:Concussio fundamentorum ecclesiae catholicae, iactata ab Herm. Conringi, “Conringiana concussio sanctissimi in christo papae catholici retorta,” “Echo Absurditatum Ulrici de Neufeld Blesa” “Epistola de responsione H. Conringii” “Epistola de quaestione utrum Primatus Rom. Pontificis, “Principia et specimen philosophiae, Acta disputationis habitae Rheinfelsae apud S. Goarem, “Organum theologicum”; “Methodus convincendi et revocandi haereticos”; “De luce mentium”; “Judicium de catholicorum ei acatholicorum regula credendi, “De atheismo Aristotelis ad Mersennum,  Demonstratio ocularis, loci sine locato: corporis successiuè moti in vacuo, Bologna, Benatij. Vedi la voce nella Enciclopedia Italiana. J. Cygan, “Vita prima”, operum recensio et bibliographia, Romae, “Opera Valeriani Magni velut manuscripta tradita aut typis impressa, «Collectanea Franciscana», A. Catalano, La Boemia e la ri-conquista delle coscienze. Harrach e la Contro-Riforma, Roma, Storia, M. Bucciantini, La discussione sul vuoto in Italia: Discussioni sul nulls, M. Lenzi e A. Maierù, Firenze,  Olschki, A. Napoli, La riforma ecclesiastica in Boemia attraverso la corrispondenza della Congregazione de Propaganda Fide, Centro Studi Cappuccini Lombardi, Biblioteca Francescana, Milano. Relatio veridica de pio obitu R.P. Valeriani Magni, Lione, Ludwig von Pastor, Storia dei papi, tRoma, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Bihl, G. Leroy.   Ad vniuerfam Philofophiam,   CAPVT I.  De Ordinc &Jl)lo Dottrimt.   Oftii Theophilcnullum entium affitmiri de alio cnte,  fedfingulanegaridefingulis : quae verd affirmanturde  entibus nonluntcntia , fed habitudmes, quaeinterce-  dunt entia:Ego enim illa duntaxat nuncupaui entia,qu3e  per al iquam potentiam pofluni efTe,6c intelligi,feorfum  abomni alioente.   Harumhabitudiuum,utdocui,aliaefuntiden:itatise(Tentiae, ut, Pe-  truseft Petrus.Alias identitatisrationis,ut Petruseft Paulo idem m ra-  tione naturaehumanae.Demum aliac funt efle aut principium , aut ter-  n)inumalicuiusmotus,vt Petrusgenerat,Paulusgenerarur.Ex quibus  duntaxat poteft demonftrari & exiftentia,& natura entium.   Verum non funt negligendae reliquae: Ille,enim,qua:referuntiden-  titatem eflentiae.fiue affirmatam,fiue negatam,inuoluunt Frequenter  niotumnoftraerationisa cognitionc imperfe&a, adperfe&ionem:  v.ghuiuspropo(itionis,Homo eftanimalrationale.-praedicatum^licec  fit identicum fubie<3:o,ipfum tamen explicat diftin&ius.   Quxautemconfiftuntin identitate rationis,fiueaffirmata, fiuene-  gata,coordinant cognofcimentum, & prsedicamenta , & in omni di-  £lione,iudicio,ac ratiocmatione praetendunt terminos,qui ab identi-  tate rationis,communi pluribus entibus,denominantur vniuerfales.   Etliceteiufmodiidentitatesrationisnon inferanturfyllogifmo,fed  cognoscantur fola collatione,feu comparatione terminorum , cogni-  torumautimmcdiate.autmedianteillationc : tamen haehabitudines  tum fubeunt illationem,cum ex identitate rationis affirmata,aut nega-  tadeduobusprincipijsalicuiusmotus, infertur proportionalis iden-  titasrationis,inter terminosillorum motuum,v.g.Quaeeft ratio enti-  tatisinter Petrum,& Paulum,eaeft mter filiosPetri,& Pauli. •   Quoniam vero in primo libro de per fe notis , per didboncm con-  nexam ordinaui in cognofcimento,& praedicamentis entia per fe no-  ta:coordinationem graduum entitatis, nomino cognofcimentum, &   A per iu*      X      2 Vakriani Magni   per iudicium conncxum exhibui in clau^diftin&asomnes cntiurn  perfenotorum pra:cipuos motusper fe notos , quorumillos. quos  quifquc confcit in fe , ennarraui (atis accurats , inlibro demeicon-  lcicntia: fupercft, ad complementum appararus Philofophici.exhibe-  re illas propofuioncs.quarum veritasnon dependeat abentium cxi-  ftentiajeda rarionc a?tcrn^ > & incommutabili, cuiufmodi debent cf-  fe i!la?,qutfin fyllogifmodenominancuc maiores: Minores enimper  fe nota? propoliciones , exararaz in cra#atu de per fe noris , habenc ve-  rit3tem,pendulam ab exifteruia Ennum; v. g. Luna mouetur, qua? , fi  corrumpatur,inducit Falfiratem iliius propofitionis, Ac vero hxc:Id,  quod mouctur,neceiIari6 mouctur ab alio : eft vera,tametfi corrum-  pancuromnia mouentia & mobilia.   Harum vero propofitionum incommutabilium funt innumera^nc-  quecft vllaclfYerentia motus, quaenon fibi vendicetpropiias verica-  te'S mcommutabiles:puta has.Id,quodLoco-mouetur 5 ncccfl'ari6 Lo-  comoueturabalio:ld,quod alteratur,nccelTari6 alteratur ab alio; U>  qnod generatur , neceflanogeneratur abalio. Veium haeomnesde-  riuanc (ibi incommutabilitatem ab hac:Id quod mouetur, ncccflariu  mouecur ab aho>oporcetergo congercre invnum craclacumillasim-  fnutabilium,quas nulla ipccialis pars Philofophiae pcrcra&ac , quate-  nuSjvbiv.g. ventum ficad tra&acum de generacionc. Ha?c, fd,quod  geiif ratur, neceflariogeneratur abalio.demonftracurperhanc : id,  <juod mouetur,necefl.ui6 mouetur abalioj quae fupponaturdcmon-  (trata m ipfo veftibulo Philofophia?,ica vc non fic opus in vllo ratiocir  nco repeteredemonftiacionem fadtam.   Hiccrgotra&atuscomple&iturhaspropofitiones ajternas, & ir>»  commucabiles>in quas neccirario refoluancur omnes lllacioncs. quas  habebir,& habere poteft vniucrfa philofophia : has nuncupaui Axio-  mata,& licniiTec denominarc Maximas,veluc, quac influanc vim iliati-  uam propofitionibus maioribus.   Exordioraucemtraclatum ab habitudinibus idcmitatis elTentiar,  deinde profequar illas,quac funt efle pi incipium & ccrminum motus,  casvero,quae funt ex idcncitareracionis,poftrcmo lococommemora-  bo.nimirum ilIas,quacafficiuncmotum:mocum,inquam,icalem cx  quo duntaxar argumentor entium exiftencias & nacuras.   Scd veiitus,nemeusftylustibi vfquequao^ue probccur, voloprius  ^cxcufareilla.qu^forcaflisexiftimabisnofaciicongrua fini,mjcintcdo  • Obijciturprimo loco oblcuritas, quxfuperec vulgarcm conditio-   nem      Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest LLC.   Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale c   Firenze.   CFMAGL. 1.6.401     j4xiowata S  ncm rhilofophantiura.-Refpondeo , quod obfcurafas obuenit vcl ab  obie&o,ve! a ftylo (cribentis.Meum ftylum audafter dico tam darum  quam quicflepoifitnatioenimfcribendicum clariratccft mihi&rco-  peccisfima,&familiaris.cxcerum grarulor rhilolophiae obfcuriracem  ab obie&o,quae aiceac plerofque ab hoc ftudio,quiReipublica: vnlius  opera,& aecace impendent in agro>in mechamcis^in bcllo & iimilibus»   Laudatur pasfim rraditio do&rinae per quarftiones , quae rnouentuc  de (uL,ie&o alicuius fcicnciae>placecque numerata partino earum.Hanc  methodum refolutiuam Ego non adhibeo, fed compofiriuam : Haec  enim exordicur a nonslimis,&,prarcendens lucem eacenus partam, re-  uelatfemperobfcuriora : qui verdmouec quxftionem,obijcit tene-  bras,quas fubmoueac,(olucndo qua^ftionem propofiram.   Uli,qui per qusftiones cradunt lcientiam,ducunt argumenta ex om-  nibus locis diale£ticis:Ego proiequor lineam mocus , tfnde dunraxac  infero enrium exiftencias,tSc nacuras,ijsargumcncis, quadola poflunt  efle dcmonftrariua,quarue,adnumerata Diale&icis , digniratem pro-  priam peflundant Memineris vero,Thcophile, argumencum, quod  inihi eft demonftratiuum, alicui fortasfis vixerit probabile:(untenim  plerique,quibus opus fu pharmaco magis.quam fyllogifmo.   Quoniam vero motiu func fubordinati > demonltrationes anrece-  dentesnancifcuntur,maiorem certitudinem , & euidentiam a lubfe-  ouentibus:fcilicer > exiftencia,& natura primi mouentis confirmatur^  iecundis,alijfque fubfequentibus.   Hxc conditio ratiocinancis ex motu,e(t oppofita illi,quae ducitur ex  nacura Quanti difcreci f 6c continui •, nam in Mathematicis vix  aliqua demonftrationum anteccdentium pendec a iubfequenti-  bus.   Tibiver6,legentimeostra£htus , occurent frequenter nonnulla  amcnegle&a , qiu? tuo iudicio debuiflenc dici; ied fcuo mehorrere  confufionera,vcl minimam,mareriaium>quas fuis locis deftinaui rra-  £Undas;Ide6,Licet fciam mulcum lucis acceflurum rci , quam expo-  no.fi eo loci cognofcacur aliquid,alio loco referuarum , ramen id fe-  pono,& pra:ftoloL loco congruo do&rinam,qua: no debec anticipari.   Nil pono moieitius obueniet cibi m m ea Philofophia, quam quod  fcpono obiediones manifeftas,dn#as ab exiftencia reru contra con-  clufionnsillacasa racionibusanernis,v.g.infero mouentem non pcfle  quietcece in termino trafeuntcqui fu fibi iCqualis in entitate.Cui co-  clufioni videcur aduerfan expeucua omniu generaciu fibi fimile in na-   A i wraj       , - r" — ta....\....^x   Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest LLC.   Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di   Firenze.   CFMAGL. 1.6.401     4 V zlcriam Mdgni.   tttra^fed (tperpendasfolutiones eiufmodi obiedlionurnjfacile/ntelli-  ges eas^fi anteuertantur , neceflai io (us deque conuerfuras vmuerlam  Philofophiam, fine quarlira euidentia. Ponofi vim a.gumenti con-  clufionisillataealTequans facile inteliigcsrcrum exiftennas, &naturas  dependcrea rationeaetcrna.a.rumpra in fyllogifmo.&fupponeslatere  aliquid in entibus concretis,vndecaptas occafionem errorrs.   Confulcoabftineoa quamplurimis, quce alioqum magna conten-  tionecontrouertuncurintei Philofophos , fi tamenhzc ncghgentu  non detrahatfcientia^quamprxtendo : Commemoroadexempkira  differentiam interdiftin&iones formalem*rationis ratiocinat*e,&mo-  dalem.Eiufmodi enim contenrione.splunbus feculis agirarae, non ha-  bent momentum ad veritatcm quaefuam,quod pofcat difpucationern  zuternam.   Noninfero cxconclufionibus.primo illatis, reliquasomnes, qur  infcrripoflunt/edillasduntaxatjquaecxponuntnaturamcntis, quoi  fub»jciturratiocinio : immopleraquc rranfilio , quxexdcmonftrati*  non obfciueprodcuntinlucem.   s : DemumnouerismenondocererespervocabuIa,fed res, confue-  ta oratione declaratas,fignifico per yocabuU vfitata,fi Hippetant , vci  adhibeo aha ad placitum meum.   Capvt ir.   -dxiomata ex identiutt ejfentiali.   Ursauternpr^miffisaggredior habitudincs identitatfs eflenti».  A Afeddebeopnusaflignarcrationemcommunem omnibus cnti'   bus quatenus hxc dodnna fit vniuetfal.ffima,   Nofti Theophile.fpecierum.quascognolcituri adhibcmus . jffiW  eflc lenfib.les a . as imag.nabiles.ali.. intelligib.tes/ enlib.lcs refeW  aliquod lenfib.le.non lolum quod aftu exiftat.fed & quod fi, p S n  t.ffimum fent.ent.: At vero imaginab.les . &,nrelh#b,lcs r-fe r ..m . J   nutum,magmantis&intcllige.Hisnonrolumentia^uexiftem  praefenua.fed abient,a,pr^erita,futura,poffib,), a , ac dcmum ab ft ra   Exphcaturuserg^Rationem.communem omnibusentibus eim  affignaredebeo.quxaffirmetur deentibuspr.fentibus affirmVk  dc pwtcri^affirmabitur defuturis , affirmaretur de poflibSus^f!   Tcnirenc     X     jixiomata S  venirent ad a£tum,qu#ue affiimatur de his, qux inrelliguntur,abftra-  hendoabimentione praeteritorum^praefentiumjfuturorum^ ac pofli-  bilium.   Dicoigitur Ensefleid,quod exerceta&um eflendi, vt v.g amans  c(l id,quod exercet adtum amandi: Ctrm cogito Theophilum , coguo  id ; quod cxercet a&um eflendi Theophilum : Leo exercet a&umel-  fendi Leonem:&: quodlibet entium exercct a&urn eflendi feipfum,fe-  cundum praecifam entitatem vniufcuiufque, ita vt Ego , quinon fuin  Theophilus, non poflim exercere a&um eflendi Theophilum:nec Leo  poteftexercereadtum eflendihominem.Qnaproprer ratio , commu-  nis omnibus entibus,abftrahit ab omni fpeciali exercitio entitatis : ita  vt nuila fit,aut poflit intelligi communis omnibuscntibus , quam quae  nuuraliter concipuur ab omnjbus , quaeue habetur in ipfo communi  vocabulo.£«i:nimirum.id.quodaaumeflendi autexercet, autexer-  cuit,aut exercebit,aut potelt exercere,concipitur vt Ens, quod aut eft,  aut fuit,aut ent,auc efle poteit.Seclufa (citra negadonem ) omni prae-  cisa rationeentitatis vllius.   Itaque id, quod non exercet a&um eflendi,non eft Ens„   Pneterita non (unt.fed fuerunt entia.   Futura nonfunt/ederuncemia. ^  PofTibilianonlunt/edpofluntefle cntia, &confequentcmil ho-   r»meflens. \   Ens vero abftraftum ab intentione praefentis, prarteriti , futuri, &C  posfibi!is,denotat praedicata cflentialia Entis,mter , quae nil eflentiali-  us ipfo exercitio eflendi.   PorioGntiopponicur Non Ens,quodeft inintelligibile noncom-  teIle&oEnte:quienimdormiensnilomnium cogitat, non ideoin-  tclligit Non-Ens,quia nil entitim intclligat. Qm autem , int?Heclo  Ente,intelligitnilcfletefidui,tiensccirecab aaueflendi , isdemum  intclHgit,feucogitatNon-Ens.   Quaproptcr dico,Rationem,communem oronibus enubus , elie  Rationcm Non-Entis,fi, poiitiua intelleaione,intellicatur fublata:  fcilicet Non Ens cft cns coguatum,vt ceflauit ab a&ueflendt vel qua -  tenusnonvcnita4aaumexiftcndi. VerumNon-ens habetfuasd.t-  fcrentias,& quidcm plures.has pcr ordinem narrabo , exorfus a mim-  ma Nonentitatcvfquead maximam.   Lapis,cxpeiscaloris,noneft calidus, arpotcftcalcre, fceatenusdi-  <icorcaiidiKin pocentia. Eflcensin potcntia cft minimus gradu*     m       Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest LLC.   Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di   Firenze.   CFMAGL. 1.6.401     6 VaUrUni Mignt   Nan-E ntitatis:nam id,dequo negatur caIor,eftens,tametfi Non-ca*  lor fit Non- Ens:non tamen lapidi cfl mcrum Non-Ens, quandoqui-  dem lapis potcft efie cahdus.   Lapis non eft vifiuus colorati,nec poteft efle vifiuus : Non eflr vifi-  uum.nccpofleefle vifiuum,eft Non Ens:at verd h*c negatio pocen*  i\x vifiua? , eft de lapide^qui eft pns;ita vt, lapidem non efle vjfiuum,  non fic mcrum Non-Ens.   Socratesccrto certius generabit filium; quifilius eftNon-homo:  non tameneftfic Non-homo.vtfunt Non-homines illi , qui none-  runt:fedefthomofuturus:At verofuntalh , qiuceflcpoflunt.ncc ta-  menerunc;quotfunt animantium,quotex hominibus,qui poflent gc-  nerarcfilios.ncctaracngcncrabtint? Haccnon funtcntia fucuta, fed  denominantur posfibilia,qua: magis rccedunt ab cntitatc, quam qu*  funt futura.   Entibus posfibilibus proxime accedunt entia prastcrita : h*c enim  fic non funt,vt nequeant efle ; nec tamen deficiunc ab omni encitatc,  quandoquidem fuerunt aliquando.   Denique illa quae neqne (unt,ncque erunt ; neque fuerunt , ncc eflc  pofliint>videntur efle mcra Non entia.-puta corpus re&ilincum bian-  gulareiid enim imposfibilc eft eflc,fuifle,aut fore.   Non-cntium autem quaedam intelliguntur oppofica negatiue alicui  cnti prxcifo,ac fignato. Vnicum vero Non-Ens incclligicur oppoli-  tum negatiue omnibus entibus abfolutc confideratis Si ribi oppono  ncgatiu* Non-Ens,id Non entitatis,nuncupatur Non-Theophiius-  Cuiulmodi fonr Non-Pcti us,Non-hic Leo, & a!ia innumcia. Non-   ^nsautcm.oppofuuiuomnibusenribus.abfolutcconfidcratis nun  cupaturNihil. Porro intell.gereaut confiderare prxfata Non ! Entia  cftcautelaamulnphcibus, grauisfimifquecrroribus.proucnicoiibus  exconfufa fub.eaione, & predicationc huiulccmodi Non-Ennunv  a quibus tibi caucbis haud d.fficulcer, f, nouucris accurat8 . qu* (uh *  lungo. ^ * iUU "   V.xeftaliquadiffcrcntiaNon cnritntis , qaamnon folcamus aut  ^ Lapis non eft, fc J potcft eflc calidus,' d nuncupatut E W in potcn-   cun L d U P m g Td. eft ' ""P 0 ^^ ****** linsi.posfibncfc.   Anti-      Early European Books, Copyright© 20 1 l ProQuest LLC.   Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di   Firenze.   CFMAGL. 1.6.401      Jlxionuts 7   Antichriftus cfl furuius , dicitur Ens fumrum.  Filiusi ; em non cognituri Mulierem,dicitur ensposfibile.  Abraham f ui t horno dieitur Ens prxreritum : Corpus reiiilineum  biangulare dicitut Ens abfolute imposfibile  Non-Theoph:Ius dicitur Negatio vniuscntis.  Nihil, dicitur, Ncgario omnium entium.   Porr6nilhorumporeftcfFc< aut fubiectum aut praedicatum reale,  fi cxciptas Ens in ootentia , & ens imposfibile fecundum quid:Iapis e-  nim, quiaftirmaturcaIidusinpotentia,quiue abfolute negaturvift-  uus.eftens.   Cetctum nil cntis eitquod fubijcias reliquis Non-entibus , quod  pcr fingulaexempla demnnftro.  Antichriftus eftfuturus.   Antichriftusftat Loco fubie&i , qui in eadem propofulone fup-  poniturNon- ens,cum aiTeratur futurus. quocirca fubiedtum illius pro-  pofitionisnon eft ens.Eadem eft conditio huius.   Filius Petri,non cognituri mulierem,eft posfibilis.   Sciiicetfubie6lumillius propofuionis noneftens , fedpoteftetfe  cns, vt fupponitur, haec etiam :   Abraham fuit Homo: ,   Habetfubiectumjquodfuppomturnoncfie , fedfuiffe Ens : dc-   naum ifta:   Corpus reSiIineum biangulare eft imposfibile , non fubijcit en<\  cum in ipfa propofuione afteratur non folum Non ens.led Sc cfie im-  posfibi)e,quod fu cns:Cauebis crgo ubi a multiplici er rore,fi lupra di-  dum confuetum modum enuntiandi ndh:beas conlcius,ennumerata  fubie&a di&arum propofitionum non erte enti3.   Hiscrgo eatenusexplicaris , ftaruo primas propofitiones vniuer-  falisfimasformatascxEnte& Non ente, abftradasab omni difte-  rentiaentitatis.   Vidcote'1 heophiIum,&tuaccuratcinfpecT:us enuntias v.gde te  ip(o,quodfis coloratus,quod fiscerta figura determinatus, quaepro-  pafuioncs non fum il!atae l & tamen dcpendent a te, vt a termino fim-  pliciterdiiao.quiaccurareinfpeaus de fe enuntiar prasrata, & aha  eiufmodi. Verum hoc loco non ccnfidero habitndmcs , quarinter-  ccdunr terminos realiter diftinaos,fed eas duntaxat, quas nos com-  minifcimur interens , relatumad lemetipfum , & ad Non ens,  cumcnim priroum , quod obiediue cadit in mentcrn noftram,   fitcns,     ftlfl      Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest LLC.   Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di   Firenze.   CFMAGL. 1.6.401     ? Valcrittni Magm   fit Ens,fiid fimpliciterdidtum,feu apprchenfum,referarur ad femet*  ipfum , fefe pertinacifiimeenuntiat, acrepetit Ens:vnde habemus  hancpropofitionem,  Ens eftens.   Qux eft prima Omnium per fe notarum incommutabilium , non  folum quia non fit lllata. fed ctiam quia non fit enuntiata , aut exarata  abaho terminofimpliciore,anobis accurate in(pe&o. Ex hac pro-  pofitione habetur hxc:   Non-Ens eft Non-ens.  Quae eft notiflima,citra vllam illationcm: ignorarem tamen illam>  fi nelcirem hanc Ens eft ens.   Porro quod ensfit ens,^£quipollere videtur huic.  Enseft feipfum.   Hinc vero fubinfero alias propofitiones:Vnam ex eo, quod ens eft  ensiinnumeras ex eo, quod ens fit (c ipfumvfic ergo argumentor;  Hocenseft ens.   Ens vero eft impo(Tibile,fit Non-ens:  Ergohoc ensnoneft Non ens.  Hoc Enseft fe ipfum:   ld autcm,quod eftlc ipfum,imposfibileeftfit ullum aliorum entiu   Ergo hoc ens non eft vllum aliorum entium, fcilicet: Hoc ens non  cft ens,nuncupatum A.nequc ensnuncupatum E,neque vJlum aliud,  ex omnibus,quae exiftunt.   Quoniam vero enri,vniuerfalisfime confiderato , licet fubfumere  quotquotfuntentium cxiftentium , 6c exindeformare propofitiones,  & ilIanones,prasfatisanalogas,vno exemplo commonftro, vt ld fiat.   Theophilus eft Thcophilus.   Theophilus eft fe ipfum,   Hmc fic argumentot   Thcophilus eft Theophilus.   Id^quodeftTheophilus.imposfibileeft.fitfimul non Thcophilus.  Ergo I heophilus non eft fimul Non -Theophilus.  Theophiluscft fc ipfum.   Id,quod eft fe ipfumiimposfibilc eft,fit vllum ahorum cntium. Er-  go Thcophilus non eft vllum nlioium cncium.   Scilicet Theophilus non ctl Pctius;non hic Lco,non hic lapis, non  vllumaliorurn cntium.   QuoddixidcTheophilo,idverificaturde quocunquc alioente,   quo-      Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest LLC.   Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di   Firenze.   CFMAGL. 1.6.401     Axio<m*t*   .quomodo libet confidermo.v.g.ens adtu eftenfac5Hi ; eft r e ipfum:  Ens m porcnua,cft cns in porcntia,.elUe iplum.  i. urrens elt curtens,cft (e jpfum.  Quin iramo aufim diceie   Non ens eft non-ens.eft fe ipfum. Sic enim argurnentor Non-Ens  cft non-ens At Non-cns cft impoflibilc fu Eus  Ergo Non ens non eft Ens.   Non-Theophiluseft non theophilus, Atnon Theophiluseft im-  poflibilcquod fit non-ens , aliud anon theophilo Ergo Non-Theo-  pfailus non eft no<i-ens,a!iud a non-Iheophilo.   N eque exiftimes harum propofitionum luillum eflc vfum in Philo-  fophuv.tu iplecxpericrisfreqnent!flimum,£ximiumque (olatium ex-c-  uidentiflima incommutabiluatehuiulmodi propohuonum : faepius e-  nim infertur condufio tam recondita, tantique momenti in Phtlofa-   phia,vt trepidi exhibeamus noftrum aflinfum. Verum conie&i   incamneceftitatem.qucc noscompellat,aut aflentiri illatfe conclufio-  m,aut negare ens effe fe ipfum,inttepidi aflentimur illatae conclufioai.  Ni>Haenimeftillatio,quae vimillatiuaranon fibi deriuet ab hacpto-  .pofuione.   Ens eft.ens.   Id vno fyllogifmo oftendo  Lunaloco-inouetur   Id, quod-loco mauetur,neceflari61oco-inoiieturabaHo:  ErgolunaLoco mouetur ab alio.   Qu6dLoco-meueatur,cernisoculocorporali, quod vcroEnslo-  co-motum incommutabiluer moueatur ab alio.cernis oculo mentali.  lraque pr^bueris affenfum duabus illis prasmiflis,& tamen trepides af-  feiuui conclu(ioni,cogeris praebere affcnfum,fi animaduertas , ex nc-  gata concli»(ione,&: conceflis pr^miflis neceffario fequi,Lunam fimul  moueri & non moueri.Quod moueatur fupponitur in minore : <juod  loco morum neceflario moucaturabalio,concediiurin maiore. Ac  impoflibile eftjunam moueri Localiter,& non moueri locabiliter, fi  non fit poflibiIe,Ens fimul effc ens,& Non-ens.id sctb eft imposfibi-  lccum cns neceffario fit ens.   Hzc confirmatio cuiufcunque illationis dicitur a Philofophis pro-  batio pet imposfib Ic   Itaqueensquodcunqucfimpliciter di&um « fefc cxerit inpropo-   fitionem hanc identicara.      Early European Books, Copyright© 201 1 ProQuest LLC.   Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di   Firenze.   CFMAGL. 1.6.401     I o VtUrUni Mtgni   EnseftHns   Enseft feipfum   Exquibuscitraillationem>habemushas*   Non-Enseft Non Ens  Non-Hns.eft fe ip(um   I:x quibus qualitcrcunqjtc ratiocinando habcmus has,  Ensnondt Non Ens  Non Ensnon eit ens   Habes ergo Thcophilcex rarione,comrauni omnibus entibus , y-  nam primam, vniuet falisfimamque propolirionem , incommutabi-  lem,per fenotam,ex quaratiocinando intuli alias. At vero nullacea-  rumillationumfunrreales,quandoquidemhabitudo , aut affirmata,  aut neg3ta,noneft realis : Negata non eft realis , quia nonnegatuc  habitudo vlla, fed ipfum Ensdealio ente : Habitudoautcm non eft  Affirmatanon eftrealis.-namtermininonfunt realiter diftin-     ens     cthpraratae enim habitudines affirmatae , funt habitudines identitatis,  inquibusens, vt fubijcitur, non diueifificatur afe , vt praedicatur.*  lllx enim propolirones , quas in Logica denominaui identicas , non  fuiil i eales, immo nec funt propofuioncs , (ed dnftiones. Vt enira  is,qui dicit, fecernit ens dictum a rdiquis Entibus, fic qui ftatuit lllud  ipfum EnsclTe feipfum>&: non e(Tc vllum aliorum entium , concipic  Ens catenuscognitum , velut fit indiuifum in fe,& d uifum ab alijs,jicl  vcro nolTe de aliquo cnte,eft dicere ens illud. Non tamen inuoluo  di&ioni mdicium, fcdaio, iudicium de illispropofitiombus non ef-  fe realcjecquidem icio eiufmodi affirmationes & negationes elle no-  titias intellectuales entium,cognitorum infra intelledioncm/ed hanc  diftin&ionem reieruo in alium locum. Grice e Grice, Grice ha Grice, Grice izz Grice, Grice hazz Grice. Valeriano Magni. Magni. Keywords: implicatura. Luigi Speranza, “Grice e Magni: ‘Paolo e Paolo: assiomi e principi metafisici” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691212061/in/photolist-2mKLYsa-2mKG3XG-2mKHdnD-2mKCnei-2mKCewV-2mKyErQ-2mKCfz1-2mPHbXQ-2mJ3q6x-2dJBzoo-2cqrM6k-DhRHD2-BGqYJH-BinZds-2dP4KZM-2dP4KYV-DvhhWW-DndBhH-Bq5Mgn-BpPvHE-CntuMM-C7qnKU-BNRo71-BirTWs-Biqj5m-C8EsDB-BirMcL-BNN8LU-BGo3aB-C6mZj3-BGr99e-C6nrry-BNPpGE-CdD3Fy-C8DcKk-C8Epi8-BiuDdH-xtDwUA-Biqi5W-BGr4Mi-CfWTwn-CfUqQk-BNLS6s-BGrdHV-BNPyd7-CfTpSR-BNPA2h-C8BmeP-BNPuhS-Biuvvi

 

Grice e Mainardini – il popolo romano – filosofia italiana – il consorzio degl’eroi --  Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “Padova tries to institute the ‘regnum’ as between Aristotle’s ‘polis’ and the modern ‘stato,’ but in which case, we wouldn’t call it ‘politeia’ anymore!” --  Grice: “When I studied change I focused on von Wright – but then there is Padova and his ‘grammatica del mutamento’!”  Nato da una famiglia di giudici e notai – il padre: ‘di Giovanni’ -- che viveva vicino al Duomo di Padova, completò i suoi studi a Parigi dove fu insignito dell'autorità di rettore. Il tempo trascorso a Parigi influì moltissimo sull'evoluzione del suo pensiero. Gli anni parigini furono molto importanti e fecondi per l'evoluzione del suo pensiero e la visione dello stato di corruzione in cui versava il clero lo portò a diventare anti-curialista.  A Parigi incontrò Occam e Jandun, con cui condivise passione politica e atteggiamento di avversione verso il potere temporale della Chiesa. Con Jandun rimase legato da grande amicizia e assieme a lui subì l'esilio.  Mainardini dopo le sue dure affermazioni contro la Chiesa venne bollato con l'epiteto di “figlio del diavolo”. Mainardini si trova a Parigi quando si sviluppò la lotta tra Filippo, re di Francia, e il Papato. Tutto ciò, assieme al vivace contesto culturale in cui si muoveva, lo portò alla compilazione della sua opera maggiore il Defensor Pacis, l'opera cui deve la sua fama e che influì moltissimo sia sul pensiero filosofico-politico contemporaneo che su quello successivo.  A Parigi sperimentò una monarchia decisa ad accrescere il proprio potere e la propria autorità su tutte le forze politiche centrifughe del momento ivi compresa la Chiesa di Bonifacio VIII. Diventato consigliere politico ed ecclesiastico di Ludovico il aro lo seguì a Roma nel 1327 in occasione della sua incoronazione imperiale e qui fu nominato dallo stesso Ludovico vicario spirituale della città. L'incoronazione imperiale avvenne ad opera del popolo romano anziché del papa inaugurando, così, quella stagione dell'impero laico che Mainardini vagheggiava e che avrebbe aperto la strada alla laicizzazione dell'elezione imperiale e alla cosiddetta Bolla d'Oro  di Carlo IV di Boemia.  Con la Bolla d'Oro fu eliminata ogni ingerenza del papa nell'elezione imperiale diventando così un fatto esclusivamente tedesco. Fu ancora con Ludovico quando questi si ritirò, dopo il fallimento dell'impresa romana, in Germania dove rimase fino alla morte. È del periodo immediatamente antecedente la sua morte la compilazione di alcune opere minori tra cui spicca il “Defensor Minor,” un piccolo capolavoro. Si può definire l'opera di Marsilio come il prodotto di tempi in cui confluiscono la virtù del cittadino, il nazionalismo francese e l'imperialismo renano-germanico. Il Difensore della pace” è la sua opera più conosciuta in cui, fra l'altro, tratta dell'origine della legge.  Il suo fondamento era il concetto di ‘pace,’ intesa come base indispensabile dello Stato e come condizione essenziale dell'attività umana. Si tratta di un'opera laica, chiara, priva di retorica, moderna e per alcuni versi ancora attuale. La necessità dello Stato non discendeva più da finalità etico-religiose, ma dalla natura umana nella ricerca di una vita sufficiente e dall'esigenza di realizzare un fine prettamente umano e non altro. Da questa esigenza nascono le varie comunità, dalla più piccola alla più grande e complessa, lo Stato. Ne deriva la necessità di un ordinamento nella comunità che ne assicuri la convivenza e l'esercizio delle proprie funzioni. Per Marsilio questa esigenza ha caratteristiche prettamente umane che non rispondono a finalità etiche ma civili, contingenti e storiche. Alla base dell'ordinamento c'è la volontà comune dei cittadini, superiore a qualsiasi altra volontà. È la volontà dei cittadini che attribuisce al Governo, “Pars Principans,” il potere di comandare su tutte le altre parti, potere che sempre, e comunque, è un potere delegato, esercitato in nome della “volontà popolare.” La conseguenza di questo principio era che l'autorità politica non discendeva da Dio o dal papa, ma dal “popolo,” inteso come “sanior et melior pars.” In questa ottica egli propone che i vescovi venissero eletti da assemblee popolari e che il potere del papa fosse subordinato a quello del concilio. Ludovico il aro Marsilio pone il problema, che tratterà anche nel Defensor Minor, del rapporto con il Papato e con i suoi principi politici costruiti.   «occulta valde, qua romanum imperium dudum laboravit, laboratque continuo, vehementer contagiosa, nil minus et prona serpere in reliquas omnes civitates et regna ipsorum iam plurima sui aviditate temptavit invadere segretamente, con i quali aveva cercato, e continua a cercare, di insinuarsi subdolamente in tutte le altre comunità e regni che aveva già tentato di attaccare con la propria enorme avidità»  (Defensor pacis) Il giudizio di Mainardini sulla chiesa come istituzione è molto negativo e lo manifesta con la crudezza di linguaggio che gli è solita quando affronta l'argomento dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa. Lo scalpore suscitato da questa opera obbligò Mainardini a fuggire presso l'imperatore Ludovico il aro, con il quale scese in Italia. Il Defensor minor si colloca fra le opere minori di Mainardini, ma si distingue per la sua importanza. Si differenzia dal Defensor pacis per essere un'opera più propriamente teologica mentre l'altra è prevalentemente politica. Lo studio condotto nel Defensor Minor riguarda la giurisdizione civile ed ecclesiastica, la confessione auricolare, la penitenza, le indulgenze, le crociate, i pellegrinaggi, la plenitudo potestatis, il potere legislativo, l'origine della sovranità, il matrimonio e il divorzio. Il Tractatus de iurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus che Mainardini compila in occasione del divorzio di Giovanni di Moravia e Margherita di Tirolo-Gorizia si trova nell'ultima parte del Defensor Minor. Le relazioni tra i coniugi erano tanto insostenibili che la sposa preferì fuggire. Intervenne l'Imperatore, imparentato con la sposa, e progettò il matrimonio tra la fuggitiva e Ludovico di Brandeburgo ma a ciò ostavano il precedente matrimonio e alcuni legami di sangue. Il “Tractatus de translatione imperii” – “Trattato della  translazione dei imperii” --  è un'opera che niente aggiunge alla fama derivatagli dal Defensor Pacis anche se ebbe una certa diffusione.  Si può considerare questo trattato come una storia sintetica dell'Impero dalla fondazione di Roma da Romolo fino al secolo XIV. In Mainardini lo “stato romano” è concepito come prodotto umano, al di fuori da premesse teologiche quali il peccato o simili. È fortemente affermato il principio della legge quale prodotto della comunità dei cittadini, legge dotata di imperatività e co-attività oltre che ispirata ad un ideale di giustizia. Questo ideale di giustizia deriva dal con-sorzio (concerto) civile, l'unico soggetto che può stabilire ciò che è giusto e ciò che non lo è. Per Mainardini, l'uomo deve essere inteso come libero e consapevole.  Nel Defensor Pacis appare diffuso un costituzionalismo affermato fortemente nei confronti sia dello Stato che della Chiesa. È tra i primi studiosi a distinguere e separare la legalita (ius) dalla moralita (ethos, mos), attribuendo il primo alla vita civile e il secondo alla coscienza. Mainardini è sempre un uomo del suo tempo, saldamente ancorato nella sua epoca, ma con intuizioni che ne fanno un uomo nuovo, anticipatore per certi versi del Rinascimento. La definizione del nuovo concetto di Stato, autonomo, indipendente da qualsiasi altra istituzione umana o, a maggior ragione, ecclesiastica è il grande merito di Mainardini.  Anche nella Chiesa viene affermata una forma di costituzionalismo contro il dilagante strapotere dei vescovi e dei papi. È ancora l'universitas fidelium a prendere, attraverso il Concilio, ogni decisione riguardante qualsiasi materia di ordine spirituale. Il nostro autore non teme di scagliarsi contro la Chiesa, a negare il primato di Pietro e di Roma, affermare la necessità del ritorno del clero a quella povertà evangelica tanto cara ad alcune sette riformiste di cui lui certamente conobbe e comprese il pensiero. Lotta contro la Chiesa ma solo per conservarne o rivalutarne il più vero, autentico e originario contenuto e significato. Quasi riformista e conservatore nello stesso tempo, riformista là dove è contro la corruzione dilagante nella Chiesa di quel periodo, conservatore là dove accetta la necessità di un ordine costituito, della religione, della morale, intese nel senso più puro.  La modernità di Mainardini consiste anche nel metodo della sua trattazione e della terminologia che usa, sempre stringata ed esaustiva, aliena da qualsiasi di quelle forme di retorica che era caratteristica degli autori medievali. Altri saggi:: “Il difensore della pace,” C. Vasoli. POMBA, Torino, BUR, Milano, Ancona E., C. Vasoli, MILANI, Padova (collana Lex naturalis;  Battaglia F., La filosofia politica del medio Evo, Milano, CLUEB Battocchio R., Ecclesiologia e politica, Prefazione di G. Piaia, Padova, Istituto per la Storia Ecclesiastica Padovana, Beonio-Brocchieri Fumagalli M.T., Storia della filosofia medievale (Bari, Laterza,), Berti E., “Il ‘regno’ di Mainardini: tra la civis romana e lo stato italiano,” Rivista di storia della filosofia medievale, Briguglia G.,  Carocci Editore, Cadili A., Amministratore della Chiesa di Milano, in Pensiero Politico Medievale, Capitani O., Medioevo ereticale, Bologna, Il Mulino, Capitani O., Il medioevo, Torino, POMBA, Cavallara C., La pace nella filosofia, Ferrara, Damiata M., Plenitudo potestas e universitas civium, Firenze, Studi francescani,  Del Prete D., Il pensiero politico ed ecclesiologico, Annali di storia, Università degli studi di Lecce Dolcini C., Bari, Laterza, Merlo M., Il pensiero della politica come grammatica del mutamento, Milano, F. Angeli, Passerin d'Entréves A., Saggi di storia del pensiero politico: dal medioevo alla società contemporanea, Milano  Piaia G., Mainardini e dintorni: contributi alla storia delle idee, Padova, Antenore, Piaia G., La Riforma e la Controriforma: fortuna ed interpretazione, Padova, Antenore, Simonetta S., Dal difensore della pace al Leviatano, Milano, UNICOPLI Toscano A., Marsilio da Padova e Niccolo Machiavelli, Ravenna, Longo, Defensor pacis Defensor minor Tractatus de translatione Imperii Tractatus de iurisdictione imperatoris in causis matrimonialibus Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Marsilio da Padova, su sapere, De Agostini. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. marsilio: essential Italian philosopher. Marsilio dei Mainardini, Marsilio di Padova. Mainardini. Keyword: il popolo italiano, consorzio conversazionale, difensore della pace, leviatano, allegoria del buon governo – allegoria del buon governo-- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mainardini" per il Club Anglo-Italiano; Luigi Speranza, “Grice e Mainardini – la massima del consorzio conversazionale.” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752043673/in/datetaken/

 

Grice e Malfitano – i quattro – il complesso sociale -- filosofia italiana – filosofi siciliana -- Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo. Grice: “Malfitano, like me, is an emergentist – each ‘complesso’ grows (cresce) and the ‘complexity’ is thus best characterised as ‘crescente,’ – Malfitano uses ‘complexities’ in the plural – a theory of ‘complessita crescenti’ – The whole point is that you get from one complex to the other.” Grice: “I like Malfitano. His theory of ‘complessita crescente’ is admirable: he distinguishes various ‘complesso’ – the material (subdivided into atomic, and the ‘crescente complessita’ of the molecular), the biological complex (which comprises the complex of the tissue, and the complex of tthe articular), the social complex, i. e.,  the human being in his inter-subjetctivity -- nd the ideological complex, the abstracta – ideation, cognition, and conviction – there is a superior geometry, too!” Nacque da Carmelo, commerciante e navigatore, e Santa Veneziano. Era l'ultimo di sette fratelli. Frequentò il Liceo Classico Tommaso Gargallo, dove iniziò a nutrire l'interesse per la materie scientifiche. Già da giovanissimo frequentava assiduamente una nota farmacia del centro storico della città natale acquisendo notevole interesse per la chimica e la biologia. Si iscrisse dunque alla facoltà di chimica dell'Università degli Studi di Catania per frequentare le lezioni del professor Alberto Peratoner. Malfitano continuò gli studi universitari a Palermo, dove si trasferì al seguito di Peratoner e ottenne la laurea nel capoluogo siciliano. Abbandona la Sicilia per spostarsi a Milano, dove intraprese una breve carriera lavorativa nel campo della chimica industriale agli stabilimenti Pirelli. Contemporaneamente frequentava la scuola di microbiologia dell'Università degli Studi di Pavia, retta all'epoca da Camillo Golgi, futuro Premio Nobel per la medicina nel 1906. Stimolato dall'ambiente favorevole, Malfitano pubblica I” Comportamento dei microrganismi sotto l'effetto delle compressioni gassose” -- Inizia in questo modo a farsi notare da colleghi e professori, sia per la materia dei suoi studi, sia per il carattere disponibile e solare, come ricorda iPensa, celebre anatomista milanese. La carriera  prese una svolta definitiva quando, durante un congresso internazionale a Pavia, venne notato dal futuro successore di Pasteur, Duclaux. Venne dunque invitato a trasferirsi a Parigi, avendo ricevuto l'offerta di un impiego all'istituto Pasteur. Una volta arrivato nella capitale francese, Malfitano si dedicò in un primo momento alla micro-biologia, pubblicando come risultati delle sue ricerche: Protease de l'aspergillus niger, Influence de l'oxygen sur la proteolyse en presence de Clorophorme e Bactericidie charbonneuse. Decise di ritornare a studiare la chimica pura, campo d'indagine scientifica che lo rese definitivamente famoso. I suoi studi sulla chimica colloidale, arrivarono a dimostrare la natura elettrochimica delle micelle, e riuscì a misurare con notevole precisione la conducibilità elettrica dei colloidi. In campo pratico, mise a punto i cosiddetti ultrafiltri, necessari per gli studi in campo teorico sui colloidi. Divenne capo di un laboratorio chimico all'Istituto Pasteur. Gli studi si interruppero durante la gran guerra. Al termine di essa,  sposò Vera, una studentessa russa.  Subito dopo il grande conflitto ebbe inizio l'elaborazione della più nota dottrina del chimico siracusano, ovvero la teoria delle “complessità crescenti,” concetto alla luce del quale Malfitano non indagò solo le micelle, ma l'esistenza in generale. Pubblicò Complexité et micelle, e Les composés micellaires selon la notion de complexité croissant. Le conclusioni non vennero accettate da subito, ma si dovette attendere l'esperimento del premio Nobel Theodor Svedberg che dimostrò l'esattezza delle intuizioni di Malfitano. Elaborò negli anni Venti una teoria che tentava di spiegare la materia, attraverso l'esame dei diversi livelli atomici e molecolari che la caratterizzano strutturalmente. La materia, secondo lo scienziato siracusano, è suddivisibile in atomi, molecole, plurimolecole (polimeri e complessi) e micelle. In ognuna delle classi citate si possono distinguere tre tipi di unità materiali: ioniche, polari e ionopolari. L'analisi compiuta sulla materia venne estesa in campo social-ogico da Malfitano. Tenta di ricondurre la complessità socio-antropologica alla complessità atomica. I quattro ordini di “complesso” che costituiscono il mondo sono dunque. Primo, il complesso materiale (suddiviso in due sub-complessi – primo sub-complesso: “complesso atomico” e secondo sub-complesso materiale: “complesso molecolare”), il complesso biologico (suddiviso in primo sub-complesso biologico: complesso istologico e – secondo sub-complesso biologico: complesso citologico). Terzo, il complesso sociale (l'essere umano). Al culmine di un'ipotetica piramide il quarto complesso: il “complesso ideologico” (suddivisi in tre complessi: il primo sub-complesso ideologico: ideazione; il secondo sub-complesso ideologico: la conoscenza, il terzonsub-complesso ideologico: la convinzione).  L'ultimo passo della speculazione e il concetto di geometria superiore, un'armonia equilibrata e simmetrica che domina gli eventi e la materia, una variabile fondamentale e al tempo stesso fuggevole dell'esistenza, un concetto che rappresenta la libertà. In ultima analisi, il compito era dunque quello di comprendere le leggi dell'armonia ordinatrice del cosmo e di preservarne la bellezza e l'equilibrio.  Soleva spesso tornare in Sicilia seppur per brevi periodi, dovette rinunciare a questa abitudine. L'aggravarsi della sua malattia, una cecità che gradualmente lo privò della vista, e le sue convinzioni anti-fasciste, non gli permisero di rivedere il paese natale dalla fine degli anni Trenta. Morì inell'alloggio assegnatogli dell'Istituto Pasteur dove aveva trascorso gran parte della sua vita. Pubblica le sue convinzioni filosofiche servendosi dello pseudonimo "Aporema", termine che indicava l'impossibilità di ottenere una risposta precisa dallo studio di un problema. Introdusse per primo a Siracusa la moda di bere il latte acido, quello che abitualmente viene chiamato yogurt, come era già frequente nella capitale francese.  Durante una tempesta patita in mare Carmelo Malfitano aveva fatto voto a Santa Lucia, patrona siracusana, di sposare un'orfana se fosse riuscito a tornare incolume sulla terraferma. Carmelo sposò per questo motivo Santa Veneziano,  orfana di entrambi i genitori. Da tale unione nacque Giovanni.  Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche122.  Antonio Pensa, Ricordi di vita universitaria (Citato nel testo Ad Repellendam Pestem Storie di Medici e di Sanità nella terra di Aretusa), Cisalpino Istituto Pasteur, su webext.pasteur.fr.   Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche. Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche124.   Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche126.   Ad repellendam Pestem Storie di Medici e Sanità, Tyche125.   Ad repellendam Pestem. Storie di Medici e Sanità nella terra di Aretusa, Tyche, Siracusa, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Malfitano is right about the ‘social complexus’ – however, as Talcott Parsons has shown there is more complexity in the social compexus than Malfitano, a Sicilian, allows!” -- Grice: the fourth stadia: -- il complesso sociale -- Giovanni Malifitano. Malifitano. Keywords: i quattro. Refs.: H. P. Grice, “Pirotology,” – “The pirotological ascent,” in “From the banal to the bizarre: a method for philosophical psychology” -- emergentismo di Grice – emergentismo di Malfitano – l’organicismo della diada in Malfitano --. Il complesso di azione e il complesso di inter-azione, il complesso sociale --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malifitano” – The Swimming-Poo Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51752411499/in/dateposted-public/

 

Grice e Malipiero – il trionfo della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale – the breach of contract – or Romolo e Remo, I due contrattanti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “I love Malipiero’s approach to philosophy: hardly a profession! As if someone were to be called ‘amateur cricketer’ – Malipiero loves (‘ama’) philosophy and it shows!” – Grice: “There is philosophical wisdom in any endevaour he finds himself in!” Grice: “One must love him for his attempted ‘confutazione’ of Rousseau’s ‘sistema del contrato sociale’ as a ‘triumph of reason’!” -- Nacque da Angelo di Troilo e da Emilia Fracassetti. Entrambi i genitori erano patrizi: il padre proveniva dalla storica casata dei Malipiero (ramo "delle Procuratie Vecchie"), mentre la madre apparteneva a una famiglia di mercanti bergamaschi nobilitata. Dichiarava di abitare in un palazzo a Santa Maria Zobenigo (ereditato dal padre dopo l'estinzione di un'altra linea della famiglia), cui si aggiungevano quattro botteghe nei centralissimi quartieri di Rialto e San Moisè; altre cinque case si trovavano tra Santa Margherita, San Gregorio e San Martino.Esordì in politica con l'elezione a savio agli Ordini. Divenne provveditore alle Pompe, ma non riuscì a prendere possesso della carica a causa della caduta della Repubblica. A questo punto, lasciò la vita pubblica per dedicarsi alla filosofia analitica del linguaggio ordinario. Fu un autore poliedrico, capace di spaziare dall'attualità politica alla letteratura e alla tragedia di ambito neoclassico. La prima opera pubblicata è il saggio di matematica “Dimostrazione sulla tri-plicazione e tri-sezione dell'angolo effettuato colla retta e col cerchio.” Più tardi si cimentò nella filosofia presentando l'opuscolo “Saggio sugli sforzi della passione nell'intelletto e su' di lei effetti nel cuore,” in cui sostiene di moderare il razionalismo perché nell'animo umano esso convivi in armonia con le passioni.  Questa idea, in contrasto con quanto asserito da Rousseau, fu ribadita ne “La felicità della nazione realizzata dal politico e dal sovrano,” uno dei suoi primi scritti in filosofia morale. In questo lavoro Malipiero prese in esame la tendenza allo sfarzo di una parte della società, analizzando come i governi avessero reagito al fenomeno in epoche diverse. Nell'opera emerge la condanna al lusso sfrenato, ma anche all'appiattimento estremo dettato da rivoluzionari e giacobini.  Lo stesso pensiero moderato è ripreso nel “Trionfo della ragione; ossia, confutazione del sistema del contratto sociale” -- ristampato, senza grosse variazioni, come “Il trionfo della verità nella difesa dei diritti del trono ossia Confutazione del contratto sociale.” Grice: “I find this interesting, since I also oppose contractualism to rationalism!” -- Qui il Malipiero cercò di dimostrare come la migliore forma di governo non fosse la democrazia, ma la monarchia.  La sua linea anti-rivoluzionaria fu affermata anche quando si tenne distante dagli organi della Municipalità istituita sul modello, o ‘sistema’ del contratto. Accolse perciò con favore l'arrivo degli Austriaci, come dimostrano il ‘Testamento della spirata libertà cisalpine” e l'annesso sonetto “Confronto fra il genio della Romana Repubblica e quello dell'Austria.” Di grande importanza è quanto emerge nella “Voce della verità,” una memoria autografa inviata al governatore austriaco Mailath von Székhely all'indomani del suo insediamento a Venezia. Nell'opera, divisa in capitoli dedicati ai problemi dell'amministrazione asburgica (polizia, zecca, commercio, diritto ecc.), si chiede quale dovesse essere il criterio di scelta per la nuova classe dirigente veneziana. Dimostrandosi critico nei confronti degli ex funzionari della Repubblica di Venezia (ceto a cui lui stesso apparteneva), nominati non in base ai meriti, ma per favoritismo, auspicava di non concedere spazio a coloro che vivevano nel lusso, poiché entravano in politica solo per il proprio tornaconto, e soprattutto verso i trasformisti che cambiavano opinioni con l'avvicendarsi delle amministrazioni.  Con questo lavoro anticipò le scelte del governo austriaco che, in effetti, estromise il patriziato dalla vita politica e assegnando le cariche amministrative a personalità lombarde o delle province ereditarie.  Si dedicò, con un certo successo, anche alla stesura di tragedie, a tema biblico, storico o mitologico, che potessero presentare allo spettatore esempi da seguire o da evitare. Tra queste “Il sacrifizio di Abramo,” “Camillo,” “Prometeo ossia La prodigiosa civilizzazione delle genti,” “Medea.” Altre opere degne di nota sono “La bottega del caffè” “Quadro critico morale, Lo scultore e la luce, azione mitologica in apoteosi del cav. Canova,” Il conte Ugolino in fondo alla torre di Pisa. Sciolti, Atabiba ed Huascar. Azione tragica di spettacolo; La Verità nello spirito dei tempi e nel nuovo carattere di nostra età (sul congresso di Verona), Zanghira e Lemanza. Quadro poetico nelle nozze Malipiero/Martinengo dalle Palle;  Elogio di Giovanni II del mr. co. Martinengo dalle Palle; Descrizione della Montagna ov'è la chiesa della Madonna della Corona nelle alture di Montebello. Fu confermato nobile dell'Impero Austriaco, assieme ai figli Angelo e Angela, nati dal matrimonio con Contarina di Vincenzo Pisani. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “I would often rely on contractualism, but [Welsh philosopher G> R.] Grice made a job out of it! I saw the cooperative principle as a matter of quasi-contract – whatever that is. And if it’s a MYTH, what’s wrong with it? Romolo mythically killed Remus because of a breach of contract, too!” Grice: “My thought exactly replicates that of Malipiero back in the good old days of Venetian republic – only there was more rhyme to reason in HIS scheme!” -- Troilo. Malipiero. Keywords: il trionfo della ragione, ossia, confutazione del sistema del contratto sociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Malipiero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702171088/in/photolist-2mJq2uE-2mLK9bU-2mKBJ8m

 

Grice e Mamiani – Beltrami contro Euclide – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Secondo Parmense). Filosofo. Grice: “I like Mamiani; unlike us at Oxford, he takes ‘science’ seriously! But in an amusingly Italian way! He has explored Newton on the apocalypse! My favourite of his treatises is the one on space which reminds me of Strawson – Beltrami, unlike Strawson, is non-Euclideian, and thinks Italian needs Euclideian verbs to match!”  Linceo. Membro dell'Accademia dei Lincei ha insegnato Storia del pensiero scientifico all'Parma, Udine e Ferrara.  Si è occupato soprattutto di Isaac Newton, del quale ha trascritto un trattato inedito sull'Apocalisse, di Cartesio e dell'origine delle enciclopedie moderne.  Saggi: “J. M. Guyau Abbozzo di una morale senza obbligazione né sanzione,” Firenze, Le Monnier, “Newton filosofo della natura” Le lezioni di ottica e la genesi del metodo newtoniano, Firenze, La Nuova Italia, “Teorie dello spazio” -- da Descartes a Newton, Milano, FrancoAngeli,  “La mappa del sapere.” La classificazione delle scienze nella Cyclopaedia di E. Chambers, Milano, Angeli, “Il prisma di Newton,” Roma, Laterza, Introduzione a Newton, Roma: Laterza, “Trattato sull'Apocalisse,” Torino, Boringhieri, I. Newton, Firenze, Giunti, Storia della scienza moderna, Roma, Laterza, Scienza e Sacra scrittura, Napoli, Vivarium.  I. Newton, Trattato sull'Apocalisse,Torino, Bollati Boringhieri, Scienza e teologia studi in memoria, Firenze, Olschki, Studi sul pensiero scientifico Ricordando Mamiani, "I castelli di Yale", Il Poligrafo, Padova 2 La Rivoluzione scientificaI domini della conoscenza: La sintesi newtoniana in Storia della Scienza, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Newton e l'Apocalisse. Grice: “Mamiani should have left Newton to the Lincolnshiremen, and concentrate on Galileo!” Maurizio Mamiani. Mamiani. Keywords: Beltrami contro Euclide. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mamiani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751960368/in/datetaken/

 

Grice e Mancini – kerygma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Schieti). Filosofo. Grice: “I like Mancini: he has expanded on the ethos of cooperation – and he has explored what he calls ‘linguaggio ontologico’ and ‘alienazione’ in connection with language – he reviewed Pittau’s philosophy of language, and published a little thing on ‘language and salvation.’ So how can you NOT like him?”  Grice: “I like Mancini; if I dwell on philosophical eschatology, he dwells on the real thing!” Grice: “He has studied Kant thoroughly; all the interesting bits, like his idea of MALEVOLENTIA!”  “La filosofia è il passaggio dal senso al significato, attraverso le mediazioni culturali, dottrinali, attraverso la struttura del puro pensare e attraverso le mediazioni della prassi.” Studia a Fano e si laurea a Milano dove insegna. Bo lo vuole ad Urbino. Studia i massimi teologi, curato le opera di Barth, Bultmann e Bonhoeffer pubblicando, su quest'ultimo, anche una biografia e un'analisi dottrinale. Ha fondato l'Istituto superiore di scienze religiose di Urbino, unico esempio, per molti anni, di "facoltà teologica" in una università laica.  Tra i filosofi, si è dedicato molto a Kant, pubblicando una Guida alla Critica della ragion pura.  In questo senso è ancora più importante "Kant e la teologia” dove  tratta la filosofia della religione kantiana, fondata su una concezione morale rigorosa resa possibile dall'Imperativo categorico, che prospetta una trascendenza per l'uomo, attraverso i postulati dell'immortalità dell'anima e dell'esistenza di Dio. Questa filosofia della religione, in cui Kant mette in rapporto la “religione razionale” con la “religione rivelata” (e che si contraddistingue per i concetti di “male radicale” e di “chiesa invisibile”), è considerata feconda. Si è anche confrontato con Marx, allora dominanti nella cultura filosofica e politica italiana. In Marx, tiene in grande considerazione il concetto di “alienazione” -- presente soprattutto nei Manoscritti filosofici. Questo concetto, che esprime l'estraneazione dell'operaio in rapporto al lavoro salariato, a causa dei modi di produzione capitalistici, capaci di sfruttare il lavoro come fosse una merce, deve essere stimolo per la Dottrina Sociale della Chiesa. Ciò che Mancini critica in Marx è l'ateismo e il materialismo, attraverso l'uso della dialettica hegeliana in una prospettiva materialistica (materialismo storico). Questa concezione infatti mette in discussione la libertà dell'uomo, inteso come persona, riducendolo all'insieme dei suoi rapporti economici. Inoltre fa parte della redazione della rivista Concilium. Fonda “Hermeneutica” ed edita da Morcelliana. La sua posizione di pensiero verte su un cristianesimo di matrice liberale e democratica d'impronta sociale, che cerca uno spazio autonomo e libero, dando una risposta da credente alla cultura laicista e marxista di quegli anni sulle orme del Concilio Vaticano II.  Opere:“Ontologia fondamentale,” La Scuola, Brescia “Rosmini” “la metafisica inedita, Argalìa, Urbino “Filosofi esistenzialisti” Heidegger, Marcel, Wahl, Gilson, Lotze), Argalìa, Urbino“Linguaggio e salvezza,” Vita e Pensiero, Milano “Filosofia della religione,”Abete, Roma “Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia”Queriniana, Brescia “Kant e la teologia,”Cittadella, Assisi “Futuro dell'uomo e spazio per l'invocazione”L'Astrogallo, Ancona “Con quale comunismo?” Locusta, Vicenza, “Con quale cristianesimo” Coines, Roma, “Novecento teologico”Vallecchi, Firenze “Teologia ideologia utopia” Queriniana, Brescia “Fede e cultura”Genova, Marietti “Come continuare a credere”  Rusconi, Milano  “Negativismo giuridico” QuattroVenti, Urbino  “Guida alla Critica della ragion pura” I, QuattroVenti, Urbino “ Lettera a un laureando” Urbino, Quattroventi “Il pensiero negativo e la nuova destra”Mondadori, Milano “Il quinto evangelio come violenza ermeneutica” in “Apocalisse e ragione”, testi di Carlo Bo e altri, Urbino, Quattroventi  “Hermeneutica” “Filosofia della prassi,”Morcelliana, Brescia “Tre follie, Camunia, Milano “Guida alla Critica della ragion pura”“L'Analitica” QuattroVenti, Urbino “Il male radicale per Kant, in “La ragione e il male. Atti del terzo colloquio su filosofia e religione”, Genova, Marietti 1 De profundis per la dialettica, in “Metafisica e dialettica”, Genova, Tilgher Tornino i volti, Marietti, Genova Giustizia per il creato, Urbino, Quattroventi, coll. "Il nuovo Leopardi" L'Ethos dell'Occidente. Neoclassicismo etico, profezia cristiana, pensiero critico moderno, Marietti, Genova Scritti cristiani. Per una teologia del paradosso, Marietti, Genova Opere postume Diritto e società. Studi e testi, Urbino, Quattroventi Come leggere Maritain, Brescia, Morcelliana  Ethos e cultura nella cooperazione di credito, Piergiorgio Grassi, Urbino, Associazione per la ricerca religiosa “S. Bernardino”, Quattroventi  Bonhoeffer; Morcelliana, Brescia  Frammento su Dio, Brescia, Morcelliana Per Aldo Moro. Al di là della politica, Carlo BoMario LuziItalo Mancini, Urbino, Quattroventi  Opere scelte. Brescia, Morcelliana Mancini Giorgio Rognini, Metafisica e sofferenza. Un itinerario critic (Verona, Mazzian); A. Milano, Rivelazione ed ermeneutica” (Urbino, Quattroventi "Biblioteca di Hermeneutica" P. Grassi, Intervista sulla teologia (Urbino, Quattroventi "Il nuovo Leopardi"; La filosofia politica” (Urbino, Quattroventi, Francesco D'Agostino, Filosofo del diritto, Urbino, Quattroventi, "Il nuovo Leopardi" G. Ripanti, P. Grassi, Kerigma e prassi, Brescia, Morcelliana, Hermeneutica, Studi in memoria, Napoli, Scientifiche, G. Crinella. Dalla teoresi classica alla modernità come problema, Roma, Studium, A. Areddu, Cristianesimo e marxismo Una rilettura in memoriam, Pistoia, Petite Plaisance tra filosofia e teologia, in "Riv. di teologiaAsprenas", I A. Pitta, G. Ripanti P. Grassi (a cura), Filosofia, teologia, politica. A partire da Mancini, Brescia, Morcelliana, Hermeneutica Mariangela Petricola, Pensare la differenza -- la questione di Dio nell'epoca della disgregazione del senso. Una rilettura in “Dialegesthai. Riv. telematica di filosofia", mondo domani.org/ dialegesthai/ mpe. M.  Petricola, Pensare Dio. Il cristianesimo differente, Assisi, Cittadella Editrice  Antonio Ascione, Fedele a Dio e alla terra. L'avventura intellettuale di Italo Mancini, Benevento, Passione Educativa  Valeria Sala, Italo Mancini. Filosofo del diritto, Torino, Giappichelli, "Recta Ratio"sapere, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Seminario in memoriam, su pesaronotizie.com. Centro socio culturale "Don Italo Mancini" presso il suo paese natale Schieti, su centroitalomancini. 15 gennaio  22 gennaio ). Pagina sul social network Facebook, su facebook.com.  cronologica, su uniurb. L'Istituto di Scienze Religiose fondato da lui su uniurb. Biblioteca personale "Ca' Fante", su uniurb. Rivista "Hermeneutica" fondata da Italo Mancini, su uniurb. A. Aguti, Italo Mancini, in Il pensiero filosofico-religioso italiano.org. Italo Mancini. Mancini. Keywords: kerygma, “male radicale” “Kant” “radical evil” --. “cooperative di credito” – “la massima della benevolenza conversazionale”, il problema del vaticano – patti laternai, ventennio fascista e patti laterani --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mancini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51751692436/in/datetaken/

 

Grice e Mangione – alcuni aspetti del nazionalismo culturale nella logica italiana – logica matematica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bagnara Calabra). Filosofo.  Grice: “I like Mangione; for various reasons: He notes that logic is more related to mathematics – indeed, for logicism mathematics IS logic – so the opposite to ‘formal’ logic is ‘material’ logic, not ‘informal’ as Ryle and Strawson want – Mangione has studied ‘categories’ and talks of ‘logica matematica’ – he has studied Frege’s ideografia, as he aptly translates his grundscrift, and he tried to improve on the ‘nationalism’ which was ubiquitous in logic in Italy in the ‘primo novecento’!” Insegna a Milano. Diresse le due collane matematiche della casa editrice Progresso tecnico editoriale di Milano, appendice della A. Martello editore. Presso l'editore Boringhieri di Torino ha diretto “Testi e manuali della scienza contemporanea. “Serie di logica matematica.”  Contribuito alla Storia della filosofia pubblicata da Geymonat per Garzanti con specifici contributi sulla storia della logica matematica. Amplia e sistematizza tali contributi nella Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni”. Il saggio costituisce un ampio ed esaustivo lavoro di ricognizione e sintesi sugli ambiti di ricerca e sui risultati della logica. Dirige la collana Muzzio scienze.  Insieme a E. Ballo, S. Bozzi, G. Lolli e P. Pagli cura Gödel (Boringhieri). Saggi: “Logica matematica” (Torino, Boringhieri); “Giocando con l'infinito: matematica per tutti, traduzione di G. Giorello (Milano, Feltrinelli); “Matematica e calcolatore, Le Scienze quaderni, Milano, “Filosofia: saggi in onore di Geymonat, Milano, Garzanti “Storia della logica, CUEM  “Storia della logica”“Da Boole ai nostri giorni” (Garzanti); “Frege. Logica e aritmetica” -- Torino, Boringhieri. E. Regny, «Breve storia di una lunga amicizia», Franco Prattico, «Pubblicate tutte le opere di Godel» dalla Repubblica, articolo disponibile sul database SWIF dell'Bari.  6.Peano(4), A.Nagy(5),     (1) Delbcedp J , Logiqìie algorithmique. Revue Philoso-  phique (1876) quindi idem. Liège et Bruxelles (1877).   (2) Liard L., Les logiciens anglais contemporains {ISIS).   — Logique. Masson, Paris.   — Cours de philosophie. Logique (1884).   (3) CouTURAT L., La logique mathémaiique de M, Peano,  " Revue de Métaphysique et de Morale „, a. 1899, p. 616.   — La logique de Leibniz d'après dea documents inédits.  Paris, Alcan, 1901.  L^ Algebre de la logique. Paris, Gautliiers-Villars, ed.  (1905).   (4) Peano G., Calcolo geometrico secondo VAusdehnungs-  léhre di H, Grassmann, preceduto dalle operazioni della  logica deduttiva, Torino (1888).   — Arithmetices principia, nova methodo exposita {1SS2) .   — I principi di geometria logicamente esposti (1889).  Torino, Bocca.   — Elementi di calcolo geometrico (1891). Principi di logica matematica (1891). R. d. M., t. I.   — Formule di logica matematica. R. d. M., t. I.   — Sul concetto di numero. R. d. M., t. I.   — Sui fondamenti della geometria (1894). R. d. M., t. 4.   — Saggio di calcolo geometrico (1896).   — Studi di logica matematica (1897).   — Les définitions matJtématiques (1900).   Formulaire mathématique.   (5) Nagy a., Fondamenti del calcolo logico. Giornale di  matematica. Voi. XXVIII. Napoli (1890).   — Sulla rappresentazione grafica delle quantità logiche.  Rend. R. Accademia dei Lincei. Voi. VI, pag. 50-56,  373-378 (1890).   — Lo stato attuale ed i progressi della logica. Rivista  italiana di filosofia. Anno VI. Voi. II, Fase, novembre-  dicembre, pag. 301-319 (1891).     64 LOGICA FOBMALE     C. Burali-Forti (1), G. Vacca, G. Vailati, A. Padoa,  M. Pieri, F. Castellano, C. Ciamberlini, Giudice,     Nagy a., Principi di logica esposti secondo le dottrine mo-  derne. Torino, Loescher (1892).   — / teoremi funzionali nel calcolo logico, Riv. di Mat.,  t. 2, pag. 177-179 (1892).   — Ueher Beziehungen zwischen logischen Ordssen. Mo-  natshefte fur Mathematik. Wien, t. 4, pag. 147-153 (1893).   — La logica tnatematica e il calcolo logico. Riv. Itai. di  Filos. Roma, t.8, I, pag. 389-395 (1893).   — I primi dati della logica. Id. Roma, t. 9, p. 33-70 (1894).   — Ueber das Jevons-Cliffordsche Problem. Monatshefbe  far Mathematik. Wien, t. 5, pag. 331-345 (1894).   — Sulla definizione e il compito della logica. Roma, Balbi  (1894).   — Alcuni teoremi intorno alle funzioni logiche. Riv. di  Mat., t. 6, pag. 21-24 (1896).   (1) BuaAn-FoKTi C, Logica matetnatica. Milano (1894).   — Exercice de traduction en symholes de Logique Mathé-  matique. Bulletin de Mathématiques élémentaires (1897).   — Sui simboli di logica matematica. Il Pitagora, pagine  1-65-129 (1890).   Padda A., Note di logica matematica. Riv. di Mat., t. 6,  pag. 105.   — Conférences sur la Logique Mathématique. Université  non velie de Bruxelles (1898).   — Essai d'une théorie algébrique des nombres entiers,  précède d'une introduction logique à une théorie déductive  quelconque. Congresso internaz. di filosofia. Parigi, 3 ag.  1900.   Vailati G., Un teorema di logica matematica. Riv. di  Mat., t. 1, pag. 103.   — Sul carattere del contributo apportato dal Leibniz  allo sviluppo della logica formale. Rivista filos. e scienze  affini. Maggio-giugno 1905 (pagg. 338-344).   Vacca G. Sui precursori della logica matematica. Riv.  di Mat., t. 6, pag. 121-183.     PARTE I - TEORIA GENERALE 65   Bettazzi, M. Chini, T. Boggio, A. Ramorino,  M. Nassò, ecc. (1) in Italia.     (1) Tutti questi ultimi A. appartengono alla scuola del  Peano, al quale si deve la prima introduzione della Lo-  gica matematica in Italia coU'opera del 1888. In essa il  Peano, esposti lucidamente gli studi dello Schrodbr, del  BooLE, ecc., dimostrò l'identità del calcolo sulle classi,  fatto da questi Autori, col calcolo sulle proposizioni del  Peirce, del Me Coll, ecc.   L'opera de\VS9 {Arithmetices principia...) contiene per la  prima volta la teoria dei numeri interi completamente  ridotta in formòle facendo ricorso ad un limitatissimo  numero di idee logiche che espresse coi simboli:  €, D, = n, u, --, A.   Di qui trasse origine la sua ideografia, in cui ogni  idea è rappresentata con un segno, e il suo strumento  analitico andò perfezionandosi rapidamente.   Nel '92 comparve il primo volume del Formulaire de  Mathémathiques; nel '94 V Introduction^ quindi la pubbli-  cazione completata, con nuove formule ed arriccbita di  numerose indicazioni storiche per la collaborazione di  valenti seguaci, procedette alacremente, raccogliendo e  trattando completamente in simboli tutte le proposizioni  della matematica. L'importanza filosofica di questo mo-  vimento scientifico non è ancora stata apprezzata conve-  nientemente dai filosofi, e l'opera del Peano comincia  solo ora a richiamare sopra di se l'attenzione degli inse-  gnanti di logica pura.   Questo ritardo filosofico è tanto più strano quanto più  chiara è la filiazione filosofica di questa ideografia.   Il Peano stesso non cessò mai di far notare che essa  " è basata su teoremi di Logica, scoperti successivamente  da Leibniz fino ai giorni nostri „.   È noto infatti che l'ideografia completa o pasigrafia fu  intravista da Leibniz, col nome di Characteristica.   Ma se, con definizioni opportune, si potè ridurre le   Pastore, Logica formale. 5     LOGICA FORMALE     3. Meriti dell' analitica moderna, — Da questo  rapido cenno dello sviluppo storico dei postulati  del càlcolo logico e degli autori che più hanno  contribuito al progresso della logica pura e sim-  bolica in largo senso della parola (simboli lette-  rali, aritmetici, algebrici, geometrici, ideografici,  ideofisici e via dicendo), e pure in mezzo alle di-  vergenze profonde e attraverso i vari modi onde  le forme logiche si manifestano e a quelli onde  vengono interpretate, è possibile scorgere il filo  conduttore.   Le dottrine più recenti sopratutto, parte cri-  ticando i metodi e i principi sui quali le antiche  erano costruite, parte proponendo metodi di di-  mostrazione più atti all'indagine logica, parte  svolgendo fuori dalla stessa analitica germi di  idee nuove che vi rimanevano prima come oscu-  rati ed occulti, sono come una successione in-  calzante di fiotti vitali che, scaturendo dalle  vette del pensiero, sono penetrati nell'organismo  della logica formale alimentandolo e sospingen-     idee di logica che si incontrano in molte parti della ma-  tematica ad un numero sempre più piccolo di idee pri-  mitive, attualmente ancora si desidera una riduzione  analoga di tutte le idee di logica che si incontrano nella  logica pura.   Questa riduzione presenta invero seriissime difficoltà,  ** ed e più facile il riconoscere quante e quali siano le  idee primitive in Aritmetica e in Geometria, che in Lo-  gica „ (Peano).   In questo saggio, continuando le ricerche cominciate  nel precedente, che mi converrà di supporre conosciuto  al lettore, tento di portare un contributo alla soluzione  del problema suddetto. Corrado Mangione. Mangione. Keyword: “logica matematica” “divertente”, “Sidney Harris” Peano, “not” “no” “and” “e” “or” “o” “if” “si” “some (at least one)” “all” “the” “il” , Mangione, simbolistica, logica simbolica, logica formale, logica materiale, semantica, semantica per un sistema di deduzione naturale, SYMBOLO, whoof and proof, w’f ‘n’ proof. -- -.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e la proclama di Mangione: logica matematica, la logica matematica deve essere divertente!” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746531946/in/datetaken/

 

Grice e Manfredi – liber de homine – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I like the “liber de homine.” It reminds me that among my unpublications there’s a ‘Why’!” Grice: “While the Italians aptly use the same particle for ‘why’ and ‘for’, the Anglo-Saxons didn’t! That must be because ‘for’ is usually otiose: “Why are you eating.” “For I am hungry, say I!” cf. “I am hungry.” – Studia a Bologna e Ferrara. Entra in contatto con circoli umanistici. Insegna a Bologna. Riceveva un compenso superiore alla media ed è il docente più citato nei Libri partitorum. Esercita l'astrologia ee attaccato da Pico (“Disputazione contro l’astrologia divinatrice””).  La sua opera “Il Perché” fu un successo per secoli.  Altre saggi: “Tractato de la pestilentia,” Bologna, Johann Schriber, “Pro-gnosticon anni 1490” (Bologna, Bazaliero Bazalieri) “Liber de homine,”  Impressum Bononiae, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Girolamo Manfredi. Keyword: divination. Those clouds mean rain – Those clouds mean death. --. Grice: “The present budget means that we will have a bad year – Prognosticon anni 1490 --. “The present budget means we’ll have a hard year, but we shan’t have.” – x means that p entails p. The year 1490. In 1491, Pico approaches Manfredi, “You said that the budget for 1490 meant that we would have a hard year, but we  didn’t!” – Girolamo Manfredi. Manfredi. Keywords: liber de homine, la tradizione pseudo-peripatetici dei problemi – il problema – la questione di ‘per che’ – Grice sulle tipi di domanda – la domanda dei bambini – la domanda di Grice a bambini, “Can a sweater be red and green all over? No stripes allowed? – The philosopher’s question – ‘why is there something rather than nothing? Why I am me and not you?  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manfredi: l’implicatura divinatrice” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746753618/in/datetaken/

 

Grice e Manicone – la filosofia del gargano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico del Gargano). Filosofo. Una delle personalità più caratteristiche del suo tempo della Capitanata. Definito il “monacello rivoluzionario” a causa della sua bassa statura, che sembrerebbe di 1,40 m, la sua indole illuministica consiste in una sete di sapere che non si placa con il dogmatismo, ma con l'esperienza diretta, lo studio approfondito dei fenomeni naturali e della scienza, un'osservazione empirica che poteva fornire una risposta valida e concreta alle varie problematiche e quindi un aiuto pratico all'uomo, al suo benessere e sviluppo, alla sua felicità. Ciò gli costò l'inimicizia di chi, seppur in pieno illuminismo, diffidava e demonizzava la scienza.  Lo sviluppo economico-sociale che teorizza Manicone consiste in uno sviluppo connesso e, per certi versi, dipendente dall'ambiente, perché egli riteneva che la natura fosse una fonte primaria di ricchezza e la sua distruzione avrebbe potuto segnare la fine dello sviluppo.  Manicone può essere considerato un profeta dello sviluppo sostenibile, perché in pieno Settecento, quando le industrie erano inesistenti, ebbe un'ampiezza di vedute che gli consentì di prevedere le conseguenze disastrose che avrebbe portato l'uso improprio e scriteriato delle risorse naturali.  Le opere in cui Manicone tratta, tra gli altri, il tema dello sviluppo sostenibile, sono La Fisica Appula (cioè dell'Apulia) e La Fisica Daunica (cioè della Daunia, antico nome della Capitanata). Secondo il “monacello”, uno dei peggiori atti compiuti dall'uomo del suo tempo era la cesinazione selvaggia dei boschi garganici, un tempo rigogliosi, come anche attesto da Orazio nelle Epistole: «Garganum mugire putes nemus». Riferisce che il disboscamento del promontorio iniziò nel 1764, con il taglio “barbaro” dei pini nel territorio “Difesa” di Vico del Gargano e la cesinazione degli ischi ad Ischitella, talmente “furiosa” che, ad inizio Ottocento, l'Abate Longano denunciò la carenza di legna da ardere per gli ischitellani.  La causa di questo disboscamento fu la volontà di destinare i suoli a coltura, anche quelli non adatti a questo scopo e più utili al pascolo e alla produzione di legname, vista la “rocciosità” della terra sul promontorio del Gargano.  Manicone spiega anche la diminuzione della fauna selvatica nel Gargano, sempre dovuta alla cesinazione, che diminuiva i nascondigli per gli animali selvatici, e li rendeva più vulnerabili.  Ne “La Fisica Appula”, il frate dedica un intero libro al Mefitismo (insalubrità dell'aria) e alle cause che lo generano. Egli sostiene che l'inquinamento può avere cause naturali o accidentali (provocate dall'uomo), può essere anche indigeno (proprio della zona) o esotico (derivante da altre zone). Secondo il Manicone le principali cause accidentali del mefitismo erano:  1. Le condizioni igieniche precarie delle strade e delle abitazioni; 2. L'insana abitudine di depositare gli escrementi nelle strade; 3. La sepoltura dei  centro abitato (consuetudine abolita con l'Editto di Saint-Cloud, ma anticipata nel 1792 a Vico del Gargano da Pietro de Finis, che fece costruire il cimitero monumentale di San Pietro); 4. Il taglio dei boschi (invece gli alberi sono importanti perché emettono ossigeno e assorbono anidride carbonica). Lo studio del frate sul territorio garganico fu talmente minuzioso da fargli notare un mutamento climatico dalla metà del Settecento all'Ottocento; in alcune zone del Gargano, ci furono sbalzi di temperatura che provocarono un sensibile calo di precipitazioni nevose e mitigarono parecchio gli inverni. Secondo il Manicone, la causa è attribuibile al disboscamento. Il taglio delle foreste avrebbe consentito al sole di riscaldare prima e maggiormente i suoli e soprattutto non avrebbe bloccato i venti provenienti da Nord e da Sud, quindi le zone meridionali rispetto alle alture garganiche si sarebbero raffreddate a causa dell'arrivo della Tramontana da Nord, mentre nel Gargano settentrionale sarebbero arrivati maggiormente i venti caldi del Sud. Un rimboschimento avrebbe reso più fertili le terre coltivabili, ma Manicone stesso, dopo aver dato questo suggerimento, esprime la consapevolezza di “aver cantato ai sordi”.  Viaggiò molto per l'Europa, studiando Medicina a Vienna e a Berlino, Scienze Fisiche a Londra e Scienze Naturali a Bruxelles.  È noto soprattutto per il suo trattato, La Fisica Appula. in cui analizza le caratteristiche fisiche delle terre di Puglia e soprattutto del Gargano.  Al Manicone è intitolato il Centro Studi e Documentazione del Parco Nazionale del Gargano sito presso il Convento di San Matteo a San Marco in Lamis.  Descrizione di Vico Del Gargano nella Fisica daunica Al tempo di Manicone la popolazione vichese era di 6131 abitanti, circa lo stesso numero di residenti effettivi attuali. L'area abitata era più ristretta e consisteva nel nucleo originario (Casale, Civita e Terra) e i quartieri nuovi di San Marco, Carmine, la Misericordia e Fuoriporta. L'incuria delle istituzioni si manifestava nella scarsa attenzione verso l'igiene delle acque del Casale (quartiere affollatissimo), originariamente buone e dolci ma inquinate dall'incuria generale; anche le strade strette e ombrose della Civita erano soggette ad abbandono e perennemente sporche. Soltanto i quartieri nuovi erano larghi, puliti e soleggiati.  Le Istituzioni mancavano anche laddove era necessario rendere più agevole il lavoro dei contadini e dei pastori vichesi, costruendo strade per diminuire gli ostacoli a cui erano sottoposti quotidianamente questi uomini quando si recavano nelle loro campagne, poste spesso in profonde valli o zone impervie.  La popolazione vichese era laboriosa e onesta e non c'erano grandi disuguaglianze economiche, tuttavia Manicone descrive i suoi compaesani come barbari e incivili, infatti non hanno riguardo per l'ambiente, ad esempio i pastori lasciano distruggere dalle loro bestie le pianticelle fruttifere e le vigne, sono dediti all'alcol e spesso ciò li porta a risse feroci.  Le donne sono laboriose come gli uomini e sempre gentili, il frate però critica fortemente l'usanza vichese, e delle donne dei paesi del Sud in generale, di urlare e strepitare ai funerali, di portare il lutto a vita e di vestire sfarzosamente i defunti; il primo comportamento denota la selvatichezza della popolazione, il secondo uso può essere anti-economico e negativo per la società e il terzo è uno spreco di denaro, dato in pasto ai vermi.  Un difetto presente in tutte le abitazioni vichesi dell'epoca era il forno in casa, che poteva provocare incendi domestici e inquinare l'aria interna. A  Vico molti boschi furono tagliati per lasciare spazio ai campi di grano, ma ciò fu improduttivo economicamente e causò lo smottamento dei terreni in pendenza, non più trattenuti dalle radici delle piante. Nella raccolta dell'ulivo, i vichesi distruggevano gli alberi, picchiando forte con i bastoni per far cadere le olive; questa errata abitudine provocava la mutilazione della pianta e una maggiore esposizione al freddo, e conseguentemente minori raccolti per gli anni successivi.  Per Manicone, il mancato sviluppo del Gargano era da imputare anche alla pigrizia e indolenza dei suoi abitanti, che non erano capaci di valorizzare i loro prodotti (olive, agrumi, vino, fichi, etc.) e talvolta acquistavano prodotti meno pregiati e ad alto prezzo da altre regioni.  Al fine di comprendere come le istituzioni del tempo fossero distanti dalle reali necessità della popolazione, è interessante la situazione che riguardò l'uso delle acque di Canneto, infatti veniva impedito ai vichesi (anche con la forza) di utilizzare l'acqua per l'irrigazione dei campi, perché avrebbero disturbato l'attività di un mulino sito nel territorio di Rodi Garganico. Il giudice diede ragione ai rodiani ma, per fortuna, questa sentenza ingiusta e ingiustificata fu annullata dalla Regia Camera.  Dalla lettura di alcune pagine delle opere di Manicone è emerso che, pur cambiando i tempi, gli usi, le risorse a disposizione, le conoscenze e le attività, l'uomo garganico (e non solo) viveva e produceva nell'ottica del profitto immediato, sottovalutando gli effetti che avrebbero potuto causare i suoi comportamenti errati nella vita della futura comunità.  Opere di Michelangelo Manicone contesto – il contesto del contesto.  "Philosophers often say that context is very important." "Let us take this remark seriously.’ "Surely, if we do, we shall want to consider this remark in its relation to this or that problem, i. e., in context, but also in itself, i. e., out of context.” H. P. Grice, "The general theory of context." Michelangelo Manicone. Manicone. Keywords: la filosofia del gargano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Manicone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747122289/in/datetaken/

 

Grice e Mannelli – gl’eroi di Virgilio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Grimaldi). Filosofo. Grice: “Like me, Mannelli loved Kant, Goethe, Schiller, Virgilio – and he has his own ‘palazzo’!” -- Fequenta il ginnasio a Cosenza. Si trasferì con la famiglia prima ad Aosta, dove terminò gli studi liceali, e poi a Roma. S’interessa sempre più al mondo politico e dopo la laurea, conseguita con il massimo dei voti, ritorna a Cosenza e  venne eletto Consigliere Provinciale.  Proprio in qualità di membro del consiglio provinciale, si adoperò in prima persona per arricchire e promuovere l'ampliamento della Biblioteca Provinciale di Cosenza  Si dedicò in tempi e con modi diversi all'attività di approfondimento e divulgazione. Firmò una versione metrica della Xenia di Goethe (Roma, Paravia.   Fu tra i maggiori contributori della più importante rivista di arti e lettere della regione, la Calabria Letteraria. Presidente dell'Accademia Cosentina, l'istituzione accademica calabrese che vanta un'esistenza plurisecolare e che nel XVI secolo ebbe come presidente Telesio.  Opere: “Inaugurandosi il monumento al caduti grimaldesi: scultura di Cambellotti, Reggio Calabria, Editore Il Giornale di Calabria, Paravia, Le storiche Terme Luigiane: passato-presente-futuro, Cosenza, Cronaca di Calabria, L'Accademia Cosentina nella sua storia secolare e nell'oggi, Cosenza, Tip. Vincenzo Serafino. Biografia in Calabriaonline.com  M. Chiodo, L'Accademia cosentina e la sua biblioteca. Società e cultura in Calabria.  Xenia Edizione Paravia. nna Vincenza Aversa, Dopoguerra calabrese: cultura e stampa, Editore Pellegrini, Catanzaro,  Accademia Cosentina Biblioteca Civica di Cosenza Goethe  Poesia "Mamma" da "Come le nuvole” su Grimaldi  Grimaldesi da ricordare, su digilander.libero. Filippo Amantea Mannelli. Mannelli. Keywords: gl’eroi di Virgilio, gl’eroe di Virgilio, l’eroe stoico, Acri, Enea come eroe stoico, gl’eroi di Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mannelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747099904/in/datetaken/

 

Grice e Mantovani – i curiazi – percorsi di comunicazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Moncalieri). Filosofo. Insegna a Roma. Membro della Società Tommaso D’Aquino. Gli ambiti delle sue ricerche spaziano sulla Filosofia della Storia, l'Ontologia, la Teologia filosofica, e loro rapporti con la scienza. Ha compiuto studi sulla storia del tomismo (cf. griceianismo). È uno dei maggiori studiosi e conoscitori del realismo dinamico e di Demaria. Opere: “Fede e ragione: opposizione, composizione?” Scaria Thuruthiyil, Mario Toso, Roma, LAS, “Quale globalizzazione?: l'uomo planetario alle soglie della mondialità,” Scaria Thuruthiyil, Roma, LAS, “Eleos: l'affanno della ragione: fra compassione e misericordia,” Roma, LAS, “Sulle vie del tempo: un confronto filosofico sulla storia e sulla libertà, Roma, LAS, “Paolo VI: fede, cultura, università,”  “An Deus sit (Summa Theologiae I, q. 2). Fede, cultura e scienza, Città del Vaticano, Libreria Vaticana, Didatttica delle scienze: temi, esperienze, prospettive,” Vaticano: Libreria editrice vaticana, “La discussione sull’esistenza di Dio nei teologi domenicani” “Oltre la crisi: prospettive per un nuovo modello di sviluppo: il contributo del pensiero realistico dinamico  Demaria. Roma, LAS,,”Momenti del logos: ricerche del "progetto LERS" (logos, episteme, ratio, scientia):  Roma, Nuova cultura, “Per una finanza responsabile e solidale: problemi e prospettive, Roma, LAS, “Una ricognizione sulla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino” in Un pensiero per abitare la frontiera: sulle tracce dell’ontologia trinitaria di Hemmerlie, Roma Incisa Valdarno, Città  Nuova Istituto universitario Sophia,  Lorenzo Cretti, La quarta navigazione: realtà storica e metafisica organico-dinamica, Associazione Nuova Costruttività -Tipografia Novastampa, Verona, Francisco de Vitoria, Sul matrimonio, Roma, Scritti teologici inediti. Demaria; Roma,Editrice LAS. Pontifical University of Saint Thomas Aquinas, su Angelicum. su avepro. glauco. L’Università Salesiana, un servizio per l’educazione e la comunicazione La Stampa Autorità accademiche «Il nostro impegno per la “civiltà dell’amore”. Come vuole don Bosco» La Stampa, su lastampa,  CRUIPRO Conferenza Rettori delle Università e Istituzioni Pontificie Romane, su cruipro.net.  redazione, Nuovi accordi di co-operazione interuniversitaria, su FarodiRoma, Pontificia Accademia di Aquino, su cultura.va. Direttorio, su S.I.T.A.. PREMI MEDITERRANEO, su Fondazione mediterraneo. org. Mantovani, “Vita tua, vita mea”: l'insegnamento di Demaria è più che mai attuale. Fondazione Adriano Olivetti. Mauro Mantovani. Mantovani. Keywords: i curiazi, percorsi di comunicazione, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mantovani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747300525/in/dateposted-public/

 

Grice e Marassi – gl’eroi di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cardano al Campo). Filosofo. Grice: “I like Marassi; he has written a ‘natural’ history of ‘man’ – which is interesting, ‘progetto uomo,’ he calls it!” -- Grice: “I like Marassi; he has explored hermeneutics in the German tradition, Schleimacher to be more specific; but has also written an essay on Heidegger; his links with me come with his idea of metaphysics and transcendental arguments which he takes from Kant, who he reads in both German and Italian, unlike I, or me.” – Grice: “He has written an introduction to a comparative study of the approaches to ‘the antique’ in both Italian and German philosophy – a fascinating topic. I suppose the Oxonian approach, indeed Cliftonian, is a mixture of both!” Allievo di Melchiorre, si laurea a  Milano con la tesi “La differenza ontologica in Heidegger, sotto la direzione di Melchiorre e con la co-relazione di Bontadini. Ha discusso “Il profilo della presenza: Heidegger e il regno della pluralità” con Melchiorre e Grassi. Insegna filosofia a Milano. Ha coordinato l'edizione dell'Enciclopedia filosofica (Bompiani, Milano).  Direttore del Dipartimento di Filosofia a Milano. Dirige la Rivista di filosofia neo-scolastica.  Dirige per la casa editrice AlboVersorio la collana Epoche ed è membro del comitato del festival La Festa della Filosofia.  Si occupa di storia dell'umanesimo (Bruni, Alberti, Vico), della scolastica, di ermeneutica (Grassi), di filosofia trascendentale, del pensiero postmoderno. I temi della sua ricerca ruotano attorno a tre temi principali: la riflessione sui modelli storico-teorici della filosofia della storia, l'interpretazione dell'umanesimo italiano (Alberti, Bruni, Vico) in riferimento alla dimensione storica e morale, l'analisi della fondazione trascendentale del sapere. Saggi: “Ermeneutica della differenza in Heidegger, Vita e Pensiero, Milano, Schleiermacher, “Ermeneutica,” Rusconi, Milano, Bompiani, Milano; Kant, “Critica del giudizio,” Bompiani, Milano, Metafisica e metodo trascendentale,”  Lotz, “La struttura dell'esperienza, Vita e Pensiero, Milano;  “Metamorfosi della storia. Momus e Alberti,” Mimesis, Milano/ Coordinamento generale e direzione redazionale della Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano. docenti.unicatt. Marassi. Massimo Marassi. Marassi. Keywords: gl’eroi di Vico, Alberti, Bruni, Vico, metamorfosi della storia – Alberti, Momus, il concetto d’eroe in Vico, l’uomo come eroe – l’eroico, l’altruismo eroico, la nudita eroica – la nudita eroica nella representazione degl’imperatori romani, la nudita eroica in Giulio Cesare, la nudita eroica dell’atleta – la postura eroica dell’eroe in nudita eroica – napoleone in nudita eroica – Mussolini in nudita eroica, la statua equestre di Mussolini, la nudita eroica del stadio dei marmori,  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marassi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747036589/in/dateposted-public/

 

Grice e Marchesini – l’educazione del soldato – l’implicatura del capitano – e l’amore sessuale alla societa eugenica  – filosofia italiana – Luigi Speranza (Noventa Vicentina). Filosofo. Grice: “Cassatta has unearthed some opinions by Marchesini which are revolutionary!” Esponente del positivismo.  Alievo di Ardigò, insegna filosofia a Padova. Direttore della Rivista di Filosofia.Diresse, anche, un Dizionario delle scienze pedagogiche, edito dalla Società Editrice Libraria di Milano. Tradusse, inoltre, un testo di Locke Pensieri, edito da Sansoni. Opere: “La vita,” – Grie: “Sounds promising: a treatise on life! Cf. my ‘Philosophy of Life’”). Montagnana, Tip. di A. Spighi, “Saggio sulla naturale unità del pensiero,” Firenze, Sansoni, “Elementi di Psicologia tratti dalle opere filosofiche di Ardigò,” Firenze, Sansoni, “ Elementi di logica” -- secondo le opere di R. Ardigò, St. Mill, A. Bain ecc., prefazione di Ardigò, Firenze, Sansoni,” Grice: “A fascinating little book: it reminded me of Strawson’s Introduction to Logical Theory! Only Strawson would rather die than axe me to foreword it!” –[ whereas Marchesini commissioned his tutor to drop a word “or two””].—Grice: “Marchesini shouldn’t be so reverential towards Ardigo.” Grice: “I count Marchesini’s oeuvre as being by Marchesini; if I want to read Ardigo, I read Ardigo!” – “Elementi di morale, ad uso anche dei licei, secondo le opere degli scienziati moderni, prefazione di Ardigò, Firenze, Sansoni, “Il positivismo e il problema filosofico, Torino, F.lli Bocca, “Le amicizie di collegio” – Grice: “I should note that Marchesini uses ‘amecizia’ in quotes! So it doesn’t really apply to my Clifton days!” --  (con prefazione di E. Morselli e in collaborazione con Obici), Roma, Società Ed. "Dante Alighieri ", “Elementi di pedagogia: Con un'appendice di cento scelte citazioni, Firenze, Sansoni, Doveri e diritti: ad uso delle scuole tecniche e complementari, Milano-Palermo, R. Sandron, “La teoria dell'utile,” principi etici fondamentali e applicazioni, Milano-Palermo, R. Sandron, “ Il Simbolismo nella conoscenza e nella morale, Torino, Fratelli Bocca Editori, “ Il dominio dello spirito, ossia Il problema della personalità e il diritto all'orgoglio, Torino, F.lli Bocca, Pedagogia, Torino, Paravia, Il principio della indissolubilità del matrimonio e il divorzio, Pakdova-Verona, Fratelli Drucker, “Elementi di logica,” ed. interamente rifusa, -- Grice: “This makes me laugh! It’s like saying: my previous, Ardigo-based stuff, was nonsense!” -- Firenze, Sansoni, Disegno storico delle dottrine pedagogiche, Roma, Athenaeum, “La dottrina positiva delle idealità,” Roma, Athenaeum, “L'educazione morale, Milano, F. Vallardi, “I problemi fondamentali della educazione,” Torino, Paravia, “I problemi dell'Emilio” di G. G. Rousseau, Firenze, R. Bemporad e Figlio, “La finzione dell'educazione o la pedagogia del Come se,” Torino, Paravia, “L'educazione del soldato, con 50 problemi per esercitazioni,” Firenze, Ed. La Voce, “Il problema della scienza nella storia delle scienze: per i licei scientifici, Milano, Signorelli, “Dizionario delle scienze pedagogiche: opera di consultazione pratica con un indice sistematico, direttore Marchesini, collaboratori: Antonio Aliotta, Giuseppe Aliprandi e altri, Milano, Soc. Edit. Libraria, Vedi Treccani L'Enciclopedia Italiana. Ultima ristampa: Firenze, Sansoni, 1968.  Mariantonella, Marchesini e la «Rivista di filosofia e scienze affini». La crisi del positivismo italiano, Collana di filosofia, Franco Angeli, Treccani L'Enciclopedia Italiana. Origine ed evoluzione del linguaggio. - La que-  stione del linguaggio è ancora un po’ oscura, ma fra  le ipotesi cbe su tale questione si proposero, si può  stabilire quale è la più legittima.   Si esclude innanzi tutto l’ ipotesi che il linguag-  gio sia stato inventato da un uomo più intelligente,  e adottato dagli altri in virtù d’nna convenzione;  ipotesi forse erroneamente attribuita a Democrito.   E si esclude altresi che il linguaggio sia stato  l’opera di una rivelazione, o di un miracolo.   Due filologi contemporanei, Renan e Max Miiller,  attribuirono l’ origine del linguaggio a una specie  d’ istinto. Nell’umanità primitiva ogni idea avrebbe  suggerito per sé stessa una parola, e la medesima  parola a tutti gli spiriti: questo istinto, col tempo,  si sarebbe atrofizzato. A proposito di questa ipo-  tesi si osservò eh’ essa non spiega nulla , essendo  questo istinto per sé medesimo inesplicabile, ed es-    b) A proposito dei sofismi di parole ricorderemo ancora quel  capitano greco clic avendo conchiuso col nemico una tregua di  dieci giorni, si credette lecito attaccarlo di notte. E ricorderemo  i seguenti sofismi di Eutidemo: — Qualcuno che si trova in  Sicilia e vede in questo momento, col pensiero, il porto d’Atene,  vede egli le due triremi che vi si trovano? E se non vede le  dne triremi, come può egli vedere il porto d'Atene? — Quelli  che imparano sono essi sapienti o ignoranti? Se sono gli igno-  ranti che imparano, devono apprendere ciò che non sanno; ma  come si può imparare quando non si sa neppure ciò che si devo  imparare? E se Clinia risponde che sono i sapienti che imparano,  la difficoltà resta la medesima: come possono i sapienti imparare  dal momento che sanno? — Chi Ba qualche cosa possiede il sa-  pere, eli’ 6 tutto: dunque chi sa qualche cosa sa tutto.    CAPITOLO III    33    scudo esso stesso, per cosi dire, un miracolo. È strano  infatti che quei 400 o 500 tipi fonetici, a cui il Mailer  ridusse le parole delle varie lingue, aspettino, a ma-  nifestarsi, le idee rispettive. Il linguaggio, disse Hum-  boldt, è il prodotto necessario dello svolgimento dello  spirito umano; e sta bene; ma questo svolgimento  non è spiegato dall’ istinto di Réuan e Max Mailer,  mentre importa appunto stabilire come il linguaggio  si produca.   Il filologo Whitney, nella sua opera sulla Vita del  linguaggio, dice che l’origine del linguaggio è dovuta  al concorso di tre cause, che s’ incontrano nella specie  umana: 1° la facoltà di emettere un’ infinità di suoni  e di riprodurli a volontà: 2° il desiderio, determinato  da un bisogno di socialità superiore, di comunicare  le idee per mezzo di segni: 3“ la facoltà di genera-  lizzare, di giudicare, di concepire dei concetti e di per-  cepirne i rapporti. E queste sono infatti le condizioni  del sorgere e svilupparsi del linguaggio, ma come ef-  fettivamente il linguaggio sia sorto e si sia sviluppato,  esse non dicono.   Si paragonò l’origine del linguaggio nelle razze,  all’origine del linguaggio nel bambino. Il bambino  per attività puramente riflessa emette un grido che  manifesta in lui un dolore, un bisogno: al grido ac-  corre la nutrice, e accorre ogni volta che il grido si  ripete; cosi si va fissando un’ associazione mentale tra  l’atto dell’ emettere il grido e il successivo accorrere  della nutrice, onde, a chiamar questa, finuli j^ uXr ri-  peterà, ma coscientemente , ìnlenzionalmew, il'^-WyoHl     Marchesini, Logica    34 ELEME NTI PI LOGICA fl   grido assumerà un significato logico. Tiù tardi altri  suoni esprimeranno il pensiero di lui, come quando  egli indicherà gli oggetti imitandone in qualche modo  l’ impressione sensibile che ne riceve; dirà ad esempio  Jcolcò per indicare il pollo, mìàou per indicare il gatto:  riprodurrà un dato sensibile, nel nostro caso uditivo,  a cui si associeranno altri dati sensibili, come quelli  visivi. Da prima designerà con questo suono non sol-  tanto gli oggetti dai quali l’ udì, ma anche altri og-  getti consimili, che hanno in comune, oltre a quelle,  altre qualità sensibili: con lo stesso suono sarà ad  esempio da lui indicato, da prima, ogni uccello. Le  distinzioni di linguaggio verranno piti tardi, mano  mano che si distingueranno e aumenteranno nel bam-  bino le percezioni.   Questa è, a larghi tratti, la formazione e lo svol-  gimento del linguaggio, nel bambino, a cui conti i-  buiscono in modo particolare gli ammaestramenti spe-  ciali che egli riceve da chi gli apprende la lingua.  Si potrà inferirne che l’origine e lo sviluppo del  linguaggio d’ una razza, avviene come nel bambino?  Con tale inferenza si dimenticherebbe un fatto im-  portantissimo, eh’ è fondamento d’una netta distin-  zione: il fatto che il fanciullo nascendo porta anche  per il linguaggio delle disposizioni funzionali orga-  niche-psichiche, diverse da quelle che potevano avere  gli uomini primitivi; il paragone adunque, e l’ infe-  renza, non reggono.   L’ipotesi piu accreditata intorno all’origine del  linguaggio è quella di Darwin, illustrata particolar-    CAPITOLO III    35    mente dallo Spencer, per cui il linguaggio è opera  dell’evoluzione, come ogni altro fatto naturale ed  umano.   Originariamente gli uomini si servivano del gesto  indicativo o imitativo ; poi, provveduti, per evoluzione  organica, di organi capaci di mandar suoni articolati,  accompagnarono questi al gesto, ed espressero cosi le  proprie sensazioni e i propri bisogni, e designarono gli  oggetti. Tale espressione e tale designazione avevano  da prima carattere essenzialmente imitativo, conser-  vatosi, quanto al suono articolato, nell 'onomatopeici;  ed erano piuttosto istintive. In progresso di tempo i  movimenti del gesto e dell’ articolazione si utilizza-  rono più largamente, e venne cosi a sostituirsi al lin-  guaggio naturale un linguaggio convenzionale.   Cominciato per evoluzione, il linguaggio di un po-  polo (come quello dell’individuo) continuò a svolgersi  pure per legge evolutiva, mediante i rapporti sempre  più ampi e riflessi che si stabilirono successivamente  tra i segni e la cosa significata. Si ebbero cosi nel  linguaggio la forma mimica , l’ ideografica, e la fone-  tica : 1 e la parola divenne per ultimo il linguaggio  per eccellenza.    1 Presso certe tribù selvagge la parola non può comprendersi  senza il gesto. Anche presso gli antichi la mimica aveva la mas-  sima importanza, come presso i sordo-muti, che devouo esprimere  il pensiero col gesto proprio, naturale e artificiale. La l'orma  ideografica, che troviamo presso gli Egiziani, i Chinesi e altri  popoli, è un disegno abbreviato e più o meno convenzionale, in  cui ogni carattere esprime direttamente un'idea. I popoli ocei-    ELEMENTI PI LOGICA    86    Innumerevoli sono le forme che la parola assunse  presso i vari popoli o razze, poiché ogni popolo o razza  ebbe la sua lingua. Tuttavia si riuscì a ricondurre  tutte le lingue a un piccolo numero di tipi, che sem-  brano corrispondere agli stadi successivi dell evolu-  zione della parola.   1° Tipo: lingue monosillabiche (es. la chinese) Sono  composte di sillabe che costituiscono ciascuna una  parola rappresentante un’idea astratta e generale.  Secondo l’ ordine nel quale i monosillabi si dispongono,  si esprimono le diverse combinazioni e modificazioni  delle idee.   2° Tipo: lingue agglutinanti o •polisintetiche , (es. le  lingue delle tribù americane). Sono composte di ra-  dici di cui le une esprimono le idee più importanti,  le altre le idee accessorie: messe insieme, cosi dal  costituire spesso una parola straordinariamente lunga  c complessa, esprimono sia le modificazioni d’un idea  principale, sia una combinazione più o meno com-  plessa di idee principali e accessorie.   3° Tipo: lingue a flessione : (es. le lingue semitiche,  e indo-europee). Sono composte di parole ciascuna  delle quali esprime un’idea principale modificata da  una accessoria; le diverse modificazioni dell’idea prin-  cipale si esprimono per il modificarsi, per l’ inflettersi,  della terminazione delle parole stesse.    dentali non se ne servono più se non per certi usi   (cifre, segni algebrici eoe.). Usano invece della scrittura fonetico,   in cui ciascun carattere è il seguo non d'nu idea uia di un suono.   Di questi tre tipi, il secondo sarebbe derivato dal  primo, per Y addizione delle radici accessorie alle ra-  dici principali; e le lingue a flessione sarebbero de-  rivate da lingue agglutinanti piu antiche, per la fu-  sione delle radici accessorie con le radici principali.   § 5. Trasformazione del significato dei termini. -  Con le parole non comunichiamo soltanto delle idee,  ma anche delle credenze, dei fatti. E poiché le no-  stre credenze, le nostre rappresentazioni dei fatti, e  la interpretazione di questi, mutano, mutano anche  i significati delle parole.   Una mutazione che si può ritenere primitiva, quanto  è costante, l' abbiamo nella trasformazione del senso di  una parola, da proprio a traslato-, ciò avviene per  quella certa somiglianza che si riconosce tra il signi-  ficato proprio, o etimologico, e quello traslato.   Una casa grande e sontuosa oggi si chiama pa-  lazzo, parola che indicava prima una costruzione dei  Romani più antichi, eretta in onore della dea Pale.  La parola palazzo oggi sopravvive, ma con significato  diverso dal primitivo.   Pagano originariamente significava 1’ abitante del  pagus , poi significò l’idolatra, l’adoratore di divinità  antiche, perché, all’epoca in cui il cristianesimo si  propugnava, mentre gli abitanti delle città erano i  primi a convertirsi alla nuova fede, gli abitanti della  campagna erano gli ultimi.   Villano si diceva, durante il regime feudale, chi  era soggetto a minori oneri, ed era, per conseguenza,  oggetto di disprezzo da parte dell’ aristocrazia mili-    38      ELEMENTI PI LOGICA   tare. A lui si attribuivano, con qualche esagerazione, I  vizi e delitti: villano divenne perciò una qualifica in-  giuriosa. _ . . 1   Il significato adunque di questi tre termini, pa- ■   lazzo , pagano, villano, si trasformò generalizzandosi J  come si trasformarono generalizzandosi., per citare an- j  cora due esempi, il termine sale, che da prima era  soltanto il cloruro di sodio, e il termine olio, che da  prima indicava soltanto l’olio d’oliva.   Nella trasformazione della parola si ha pure un .  processo inverso, di specializzazione. Cosi il termine j  vitriolo (da vitruni) che da prima significava ogni corpo j  cristallino, poi si attribui a una specie particolare.  Il termine oppio (da ònòg succo) che voleva dire un i  succo qualunque, ora indica soltanto il succo del pa- J  pavero. E il termine fecula (da foex, feccia) proprio a   significare originariamente ogni materia che si depo- j  siti spontaneamente in un liquido, poi lo si applicò al-  1’ amido che si deposita quando si agita, nell’acqua,  della farina di frumento. E il significato di questa  parola si specificò poi ancor più, venendo a indicare  un principio vegetale particolare che, come l’amido,  è insolubile nell’acqua fredda, ma è completamente  solubile nell’acqua bollente, con la quale forma una   soluzione gelatinosa. ...   Il cocchiere chiamai suoi cavalli le mie bestie-, un  cacciatore può intendere per uccelli le pernici.   V’ è adunque nel significato delle parole una tran-  sizione, della quale, nel loro uso, devesi tener conto.  Si consideri, ad esempio, il vario significato della parola lettera (lettera dell’ alfabeto, lettera missiva, let-  teratura) e della parola gusto (sentimento estetico, e  facoltà di distinguere il bello). E quanto alle meta-  fore, si consideri, ad esempio, il significato che la pa-  rola luce acquista quando si applica all’istruzione, e  la parola fuoco applicata alla collera e allo zelo: e  si considerino le parole nascere e morire , che si usano  in un senso molto piu largo che non sia quello stret-  tamente biologico.   A tale varietà di significato nelle medesime parole,  contribuiscono anche la metonimia (es. corona per re-  (/no), i suffissi (es. pregiudizio, difetto, illimitato), le pe-  rifrasi (es. padre della storia), la composizione (es.  strada-ferrata, acquavite ecc.).   Vediamo adunque come, o per circostanze acciden-  tali, o per bisogni veri, si trasformi il significato di  una parola, cosicché non sarebbe né possibile né utile  restar fedeli al significato primitivo. E ciò dicasi sia  del linguaggio tecnico di una scienza, che si muta  col progredire e con lo trasformarsi di questa, sia  del linguaggio familiare.   Non possiamo pertanto accontentarci del dizio-  nario, dove il senso di una parola è spesso piuttosto  indicato che non esattamente precisato. La precisione  del significato deriva dall’uso, nel quale pertanto trovasi  il migliore ammaestramento. Chi tenesse a sola guida  il dizionario, non riconoscerebbe somiglianze e diffe-  renze, e anche semplici sfumature di significato, di  cui il dizionario non tiene conto; come avvertiamo fa-  cilmente in chi parla una lingua di cui non ha il più  sicuro e largo possesso.    -10    — 1   ELEMENTI HI LOGICA Giovanni Marchesini. Keywords: “L’educazione del soldato” --. Marchesini. Keywords: l’educazione del soldato, con il capitano Ercole Meoli, la Societa di Genetica e Eugenica SIGE – Societa Italiana diGeneica ed Eugenica – il simbolismo – la dottrina del simbolismo – I simbolisti – I filosofi simbolisti – I artisti simbolisti – Welby, Ogden, Grice, ‘il simbolo del simbolo’ -- il cammino del cavaliere, codigo cavalleresco, cavalleria, cavallo, equites romano – tutii questi appartneno all’altro Marchesini – questo Marchesini e tradizionale --.  Resf.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745511747/in/datetaken/

 

Grice e Marchesini – postumanar, trasumanar – sovrumanar – eta degl’omini – vico -- umanar – equites romani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I don’t think Marchesini has a philosophical background, but he fascinates me! I especially liked his idea about ‘virility’ and the idea of a knightly code – ‘codice cavalleresco’ – The other field that fascinates me is his research on ‘inter-subjectivity’ in the living form – which he now extends to plants – ‘vivente’ – Surely we don’t refer to a cat as an object – and the philosophical keyword here is ‘threshold,’ that Marchesini aptly uses.” Cardine della sua proposta filosoficariconducibile, seppur con caratteristiche proprie, alla più ampia corrente del Post-humanè lo smascheramento di quell'errore prospettico che pone l'uomo al centro e a misura dei suoi predicati.  «Comincerò il mio viaggio dal prato più bello, quello che l'aria non abbandona un istante, il sole vi si intrappola da splendere pur di notte ed i profumi vergini coesistono con quelli gravidi. È qui che il dio Pan cadde la notte dei tempi, da qui iniziò il suo girovagare incerto, all'unico desiderio d'amare»  (R. Marchesini, Il dio Pan). Da sempre affascinato dalla natura e, in particolare, dal regno animale, consegue la laurea a Bologna. Parallelamente agli anni di formazione universitaria, spinto da un forte interesse verso il comportamento animale, stringe una feconda collaborazione e amicizia con l'etologo Giorgio Celli, con il quale inizia a indagare le interazioni sociali degli imenotteri. Per cinque anni conduce ricerche “sul campo” e, con l'ausilio della macrofotografia, è in grado di immortalare quegli attimi di vita animale altrimenti nvisibili all'occhio nudo: rituali di corteggiamento, di accoppiamento e di trofallassi tra gli insetti che diventeranno il viatico per tutta la sua ricerca futura.  Nei suoi studi di entomologia approfondisce l'analisi dei sistemi feromonali che saranno tema di alcune pubblicazioni e della successiva ricerca sul comportamento e sul benessere animale. Nella seconda metà degli anni ottanta, sotto la guida del professor Franco Pezza, dell'Università degli Studi di Milano, studia i metodi di allevamento, i parametri di benessere nelle aziende zootecniche, i fattori di incidenza del rischio in zootecnia, le modalità di individuazione dei sinistri, pubblicando alcuni lavori sulla medicina veterinaria delle assicurazioni.  Inizia così la sua collaborazione con diversi atenei sui temi del comportamento animale, tenendo corsi e master di etologia applicata e medicina comportamentale. Alla metà degli anni novanta entra nel Consiglio Direttivo della Società di Scienze Comportamentali Applicatedi cui diverrà Presidente focalizzando la propria attenzione sul comportamento degli animali domestici, sugli stili di relazione interspecifica, sui problemi e sulle patologie comportamentali. Osservando sul campo le espressioni comportamentali e i processi di apprendimento degli animali, inizia a considerare anacronistici e contraddittori i modelli esplicativi tradizionali.  In sintesi, quello che Marchesini propone nel panorama delle scienze cognitive è un superamento dei tre modelli interpretativi al comportamento animalequello behaviorista, quello etologico classico e quello antropomorficoin virtù di un modello mentalistico unitario (un'unità necessaria che la mente, come fenomeno unico, richiede), che valga sia per i processi consapevoli che inconsapevoli e che descriva espressione e apprendimento in termini elaborativi dell'informazione, sistemici o composizionali dellecomponenti, solutivi e non reattivi, evolutivi e relazionali nella realizzazione ontogenetica. Questo porterà alla pubblicazione di tre testi dal forte impatto innovativo: Intelligenze plurime e Modelli cognit ivi e comportamento animale ed Etologia cognitiva. Alla ricerca della mente animale. Gli assunti di base della proposta di Marchesini sono i seguenti:  il soggetto è immerso in un campo di possibilità filogenetiche che definiscono il tipo di intelligenza propensionale o specie-specificada cui l'idea di pluralità cognitiva dove le diverse intelligenze sono comparabili ma non commensurabili; il processo ontogenetico di costruzione dell'identità si realizza grazie alle dotazioni innate, che ricche di virtualità evolutive, possono essere organizzate in una molteplicità di modida cui l'idea di rapporto dimensionale o direttamente proporzionale di innato e appreso; l'espressione del soggetto è sempre proattiva, mossa cioè da un obiettivo, e quindi frutto di una condizione problematica che il soggetto cerca di risolvere attraverso ricette solutive fino al raggiungimento dell'obiettivoda cui il superamento del concetto di rinforzo. Vi è quindi una ridefinizione della soggettività animale, come possesso del suo qui e ora, e come capacità di mettere in dialogo tutte quelle istanze (ontogenetiche e filogenetiche) che gli appartengono nella sua relazione con il mondo. Bioetica e diritti animali Alla fine degli anni ottanta si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna, con l'intento di sondare il rapporto uomo-natura da una prospettiva pedagogico-filosofica.  In questi anni inizia a portare nelle scuole percorsi progettati appositamente a misura di bambini per permettere loro di conoscere la varietà del mondo animale evitando letture antropomorfiche, quelle viziate, ad esempio, dai sedimentati repertori culturali. È in questi anni che avviene uno degli snodi cardine nell'attività di Marchesini: egli si accorge che le potenzialità che è in grado di esprimere il binomio bambinoanimale (o più in generale uomoanimale) è da ricercarsi non nella performatività quanto piuttosto nelle dinamiche che la relazione, unica e irripetibile, è in grado di generare. L'animale coinvolto nelle attività didattiche non è più un oggetto dal quale attingerequasi fosse una fonte miracolosaelementi benefici al percorso formativo del bambino, ma è nel suo essere soggetto e capace di stipulare un patto con il proprio interlocutore che lo fa divenire elemento imprescindibile di ogni percorso formativo.  L'esperienza condotta all'interno delle scuole porta Marchesini alla stesura del volume Natura e pedagogia, inizialmente nato per divenire la sua tesi di laurea, ma pubblicato prima della conclusione degli studi umanistici. Le attività con i bambini lo conducono in tutta Italia portando in evidenza due aspetti:  il divorzio che si è andato realizzando tra l'uomo e le altre specie nella cultura contemporanea, con bambini che non sono in grado di relazionarsi con gli animali e spesso nemmeno conoscono le specie domestiche; la svalutazione degli animali e l'incapacità della società contemporanea di avere consapevolezza dell'importanza della relazione con le altre specie per lo sviluppo della personalità. Per Marchesini la svalutazione operata dalla società contemporanea parte dalla perdita di quel rapporto di convivenza e di ospitalità che viceversa ancora caratterizzava la cultura rurale. Nasce così il Concetto di soglia (che esprime il bisogno di uscire dalla dicotomia novecentesca dell'antropomorfismo e della reificazione dell'eterospecifico. Temi già affrontati in due saggi precedenti, Animali di città, critico verso l'antropomorfizzazione degli animali da compagnia, Oltre il Muro, critico verso la reificazione dei cosiddetti animali da utilità. Sono gli anni in cui riflette sul pensiero animalista e sulla bioetica animale fondando, insieme a colei che diventerà la sua storica collaboratrice, Sabrina Golfetto, la casa editrice Apeiron con lo scopo di creare un luogo dove ospitare riflessioni e dibattiti su tali tematiche. Sono gli anni in cui abbraccia, senza più abbandonarlo, il vegetarianesimo e dà vita assieme a Luisella Battaglia e a Margherita Hack a un'intensa attività convegnistica che confluirà nella collana Quaderni di bioetica di cui sarà direttore. Nel  sostituisce Caffo, che ne era stato fondatore e primo direttore, nella direzione di Animal Studies: Rivista Italiana di Antispecismo.  Nel maggio  esce per le Edizioni Sonda Contro i diritti degli animali? Proposta per un antispecismo postumanista. Il saggio affronta il tema dello specismo passando in rassegna le incongruenze e le incoerenze nascoste nelle maglie di un dibattito filosofico e culturale che pretende di sospendere l'antropocentrismo, rimanendo all'interno di una cornice umanistica. Il testo vede i commenti finali di Rodotà, Sax, Vallauri e Fadini. Porta la neonata zooantropologia in Italia, disciplina all'interno della quale compie una sistematizzazione sia a livello teorico, accanto alle antropologhe Eleonora Fiorani e Sabrina Tonutti, sia a livello applicativo con la delineazione di protocolli operativi nelle aree educative e assistenziali.  Per ciò che concerne la zooantropologia teorica, l'ipotesi di fondo proposta da Marchesini, e riconducibile alla sua teoria della zootropia, è che gli animali nel corso della storia non abbiano funto solo da produttori di prestazioni o di collezioni di modelli da imitare ma altresì da alterità referenziale nei processi antropopoietici. Marchesini sviluppa il concetto di "referenza animale", inteso come contributo di cambiamento offerto all'uomo dalla relazione con l'etero-specifico. Gli uccelli non hanno insegnato all'uomo l'arte di volare -- il modo di realizzare questa attività -- ma gli hanno ispirato la dimensione esistenziale del volare. Per Marchesini i predicati umanicome la danza, la musica, la cosmesi, la tecnicavanno considerati come frutti ibridi, esito cioè dell'incontro relazionale con le altre specie. Il motore della cultura umana è quindi per Marchesini rintracciabile nell'incontro con l'alterità animale che, nella forma di una vera e propria epifania, è stato capace di re-direzionare l'uomo lontano dal suo centro filogenetico e dalla sua solipsia di specie dando vita a nuove possibilità esistenziali.  Per ciò che concerne la zoo-antropologia applicata, opera una trasformazione in alcuni settori delle attività di relazione con gli animali, dalla pet therapy alla pedagogia cinofila, impostando i "protocolli dimensionali", vale a dire individuando nel rapporto delle dimensioni di relazione, ciascuna dotata di specificità sia di ordine relazionale che referenziale. In pet therapy lavorare secondo l'approccio dimensionale significa evitare l'incontro generico tra un paziente e un animale ma individuare le dimensioni di relazione che sono utili al fruitore secondo i suoi bisogni specifici e renderle operative attraverso attività specifiche. Allo scopo di formare nuovi operatori in grado di lavorare secondo i protocolli dimensionali fonda “Scuola di Inter-Azioone Uomo-Animale on sede a Bologna. Sii fa co-promotore di Carta Modena (Carta dei Valori e dei Principi della Pet-Relationship) che riceve il patrocinio del Ministero della Salute. Il documento mira a tutelare, all'interno del panorama della attività assistite dagli animali (A.A.A.) sia il fruitore, il benessere dell'animale coinvolto e il principio inter-relazionale che dal binomio scaturisce. Pubblica “Etologia filosofica: alla ricerca della inttersoggettività animale” con il quale inaugura la riflessione ontologica sul carattere dell’intersoggettività animale, vale a dire su che cosa differenzia un “oggetto” da un essere “vivente.” Rilegge l'ontologia animale in termini di "desiderio". “Essere animale” (essere vivente) significa prima di tutto "essere desiderante", una condizione di *non*-equilibrio che rende due animali protagonisti de loro divenire nonché capaci di definire il corso della filogenesi di specie.  L'etologia filosofica diviene ben presto un campo di ricerca entro il quale dialogano allo scopo di ridefinire i contorni di ciò che intendiamo con essere animale. Inizia la ricerca filosofica che va a innestarsi nella costellazione di studi definita come post-human.  È di questo period della ri-definizione dell'umano quale entità ibrida, puntualizzato nel dettato che vede l'uomo non più misura del mondo ma nemmeno misura di se stesso. In tale corrente filosofica ci sono per Marchesini le giuste premesse per poter articolare la propria riflessione in quanto il concetto di “alterità” nel progetto post-human assume un significato molto più vasto, abbracciando di fatto le entità non umane animali e macchiniche.  Collabora con la rivista Virus inaugurando una nuova estetica basata sull'ibrido come manifestazione contemporanea del sublime. In tale luce il Manifesto del Teriomorfismo rappresenta il documento attraverso il quale gli artisti rifiutano il dettato antropocentrico e riconoscono la natura ibrida di ogni processo creativo.  All'interno di tale campo d'indagine pubblica Animal Appeal e una feconda collaborazione che travalica i campi disciplinari e rivela ancora una volta i debiti che la cultura, in questo caso l'arte, ha contratto con le alterità. Conosce Salsano, storico, sociologo ed editor della casa editrice Bollati Boringhieri, che affascinato dal lavoro di Marchesini decide di pubblicare un primo saggio sul rapporto tra bios e techne dal titolo La fabbrica delle chimere (1999), testo che si pone a cavallo tra le precedenti esperienze in zooantropologia e bioetica e la nuova riflessione postumanistica.  Esce Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, testo corposo, concettualmente denso e dalla molteplicità di riferimenti, che ha suscitato un grande dibattito nel mondo accademico portando il suo autore a divenire punto di riferimento per ogni ricognizione che vada ad indagare i rapporti che intercorrono tra vivente (sia esso umano o animale) e tecnica. Sempre nel medesimo anno fonda Il Centro Studi Filosofia Postumanista allo scopo di promuovere e sviluppare le tematiche legate al post-human da diverse prospettive, arte, letteratura, cinema, new media, formazione. Innumerevoli saranno poi le pubblicazioni sul pensiero postumanista, che vedranno la pubblicazione del saggio Il tramonto dell'uomo. Inoltre, traduce, cura e scrive la postfazione dell'edizione italiana del testo The Companion Species Manifesto di Haraway.  Esce per Mimesis Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione nel quale Marchesini evidenzia come la cultura non vada pensata in modo antropocentrico come l'esito autarchico di un processo creativo interamente svolto dall'uomo, pur avvalendosi di materiale zoomorfo, ma come una rivelazione epifania ispirata dal non umano. Torna in libreria con un volume interamente dedicato al rapporto tra bios e tecnica, Tecnosfera. Proiezioni per un futuro postumano (Castelvecchi). Rilegge il connubio tra essere umano e tecnologia come una partnership emersa dal corredo filogenetico della specie Sapiens, mettendo in luce le potenzialità ibridatrici e plasmatrici della tecnologia. Da questa prospettiva, ogni invenzione, ogni scoperta, ha un effetto epifanico; apre, cioè, una nuova dimensione di imprevisto e di opportunità che modifica i confini e la percezione di ciò che definiamo umano.  Il mondo degli insetti (“as I observed squarrels” – Grice) così minuziosamente osservato risulta essere particolarmente evocativo anche da un punto di vista estetico e narrativo tant'è che dà alla luce la raccolta di racconti lirici “Il dio Pan,” frutto in parte anche delle osservazioni compiute tra gli imenotteri.  Nei brevi racconti dedicati al dio agreste della mitologia greca, cerca di sfatare il mito di una natura, da un lato meccanicistica (mera esecutrice dei dettami della genetica) e dall'altro lato bucolica e idealizzata che nulla o poco rappresenta ciò che l'autore mira ad affrescare: una natura reale, un mondo del vivente a volte crudele ma in grado di interconnettere profondamente tutti i suoi abitanti: la preda e il predatore, la cavalletta e la mantide. Il testo, recepito positivamente dall'ambiente culturale bolognese, porta Marchesini a stretto contatto con il Roversi, altra figura che influenzerà profondamente la sua attività futura portandola a spingersi in plurimi territori e a cavallo di numerosi discipline: dalla narrativa alla poesia, passando per la filosofia. Pubblica il romanzo Uscendo da Lauril e  la raccolta di racconti Specchio animale che ospita la postfazione di Leonetti. Con la pubblicazione di Uscendo da Lauril in particolare,intraprende l'esperimento di trasferire sul piano narrativo le evocazioni postumanistiche partendo dalla poetica cyber-punk. In entrambi i lavori è possibile ritrovare quegli elementi che contraddistinguono la speculazione filosoficai: la dialettica tra identità alterità, il rifiuto di qualsiasi mito della purezza originaria e di ogni forma di antropocentrismo.  Esce per la casa editrice Mursia Ricordi di animali, l'autobiografia volta a raccogliere la storia di vita dell'etologo osservata tramite la lente dei numerosi animali che ne hanno scandito le tappe fondamentali. --  è invece la volta de La filosofia del giardiniere, pubblicato dalla Graphe edizioni nella collana Parva. Il libro è composto di due parti, nella prima il lettore è condotto dalle parole a passeggiare nel giardino, novello atelier darwiniano, con stupore e riverenza. Nella seconda sono le immagini di alcuni giardini del mondo a far continuare la riflessioni sulla cura, portate avanti da Marchesini.   Roberto Marchesini nel Centro Studi di Galliera (Bologna) Progetti esteri Roberto Marchesini tiene regolarmente conferenze in diversi paesi del mondo tra i quali: Stati Uniti, dove dal  tiene annualmente una lecture presso l'Harvard, Brasile, Messico, Cile, India, Australia, Francia, dove è stato ospite della Sorbona, Spagna, Portogallo.  Cura la rubrica etologia a cadenza settimanale "Gli animali che dunque siamo" per Il Corriere della Sera. “Intelligenza emotiva versus intelligenza cognitive” in Pluriverso,  3, La Nuova Italia,  La via vegetariana per un mondo migliore, Vimercate, La spiga vegetariana, pagina 2:// novalogos/drive /File/ LIBRO% 20ANIMAL %20 STUDIES %201-  novalogos// drive/File/ animalstudies. R. Marchesini, Teriomorfismo, Bologna, Apeiron. Bioetica, diritti animali, pedagogia e scienze cognitive. Oltre al muro, Torino, Franco Muzzio Editore, Natura e pedagogia, Roma, Theoria, Il concetto di soglia, Roma, Theoria, Io e la natura, Forlì-Cesena, Macro Edizioni, La fabbrica delle chimere. Biotecnologie applicate agli animali, Torino, Bollati Boringhieri,  Bioetica e scienza veterinarie, Edizioni Scientifiche Italiane, "Intelligenza emotiva versus intelligenza cognitiva", In Pluriverso, Firenze, La Nuova Italia, Bioetica e biotecnologie. Questioni morali nell'era biotech, Bologna, Apeiron, Intelligenze plurime. Manuale di scienze cognitive animali, Bologna, Peridsa, “Il galateo per il cane” Milano, Giunti, “Modelli cognitivi e comportamento animale: Coordinate di interpretazione e protocolli applicative;; Contro i diritti degli animali? Proposta per un anti-specismo post-umanista, Alessandria, Edizioni Sonda,  Vivere con il cane. Come migliorare il rapporto fra cani, adulti e bambini, Firenze, De Vecchi, Il bambino e l'animale. Fondamenti per una pedagogia zoo-antropologica, Roma, Anicia,  Etologia cognitiva. Alla ricerca della mente animale, Bologna, Apeiron, Pluriversi cognitivi. Questioni di filosofia ed etologia, Milano, Mimesis, Geometrie esistenziali. Le diverse abilità nel mondo animale, Bologna, Apeiron,  Zooantropologia. Animali e umani: analisi di un rapporto, Como, Red, Animali in città. Manuale di zoo-antropologia urbana, Como, Red, Homo Sapiens e mucca pazza. Antropologia del rapporto con il mondo animale, Bari, Dedalo, R. Fondamenti di zooantropologia. Zooantropologia applicata, Bologna, Perdisa, Manuale di zooantropologia, Roma, Meltemi,  Il codice degli animali magici, Firenze, De Vecchi, L'identità del cane. Storia di una implicatura conversazionale tra specie; Bologna, Apeiron, L'identità del gatto. La forza della convivialità, Bologna, Apeiron, Cane & Gatto. Due stili a confronto, Bologna, Apeiron,  Etologia filosofia. Alla ricerca della inter-soggettività animale, Milano, Mimesis, Emancipazione dell'animalità, Milano, Mimesis, Posthuman. Verso nuovi modelli di esistenza, Torino, Bollati Boringhieri, Il problema del corpo, tra umanesimo e postumanesimo, in Janus,  Tecno-scienza e approccio post-umanistico, in Millepiani, R. Marchesini, Il tramonto dell'uomo. La prospettiva postumanista, Bari, Dedalo, R. Marchesini, Filosofia postumanista e antispecismo, in Liberazioni. Rivista di critica antispecista, L. Caffo, R. Marchesini, Così parlò il postumano, a cura di. E. Adorni, Aprilia, Novalogos,,R. Marchesini, Epifania animale. L'oltreuomo come rivelazione, Milano, Mimesis,  R. Marchesini, Ibridazioni e processi evolutivi, in Formazione e post-umanesimo. Sentieri pedagogici nell'età della tecnica, Milano, Raffello Cortina, Etologia filosofica. Alla ricerca della inter-soggettività animale, Milano, Mimesis, Alterità. L'identità come relazione,  Modena, Mucchi Editore, Tecno-sfera. Proiezioni per un futuro postumano, Roma, Castelvecchi, Eco-ontologia. L'essere come relazione, Bologna, Apeiron, R. Teriomorfismo, Bologna, Hybris,  Poetiche postumaniste in Polimorfismo, multimodalità, neobarocco, N. Dusi e C. Saba, Silvana Editore,,  R. Marchesini, "Ontani. Argonauta dell'ibridazione", in Ontani incontra Giorgio Morandi. Casamondo, Danilo Montanari Editore,  Il Dio Pan. Racconti lirici, Firenze, Firenze Libri, Graphe edizioni, Perugia, Uscendo da Lauril, Roma, Theoria, Specchio animale. Racconti di ibridazione, Roma, Castelvecchi, Ricordi di animali, Milano, Mursia, Il cane secondo me. Vi racconto quello che ho imparato dai cani, Alessandria, Sonda, La filosofia del giardiniere. Riflessioni sulla cura, Perugia, Graphe edizioni.  Blog ufficiale, su marchesini etologia. vegetti della letteratura fantastica, Fantas cienza Academia.edu. Sito ufficiale (Scuola di Inter-azione Uomo-Animale). Centro Studi Filosofia Postumanista diretto da. Grice: “There are two Robeto Marchesini – but only one is a philosopher. The other writes on ‘il cammino del cavalier’ and the ‘codice caavlleresco’ and the equites romani, but he is not recognized as a philosopher!” -- Roberto Marchesini. Marchesini. Keywords: terio-morfismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchesini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691135341/in/photolist-2mKLzDp

 

Grice e Marchetti – filosofia italiana – della natura delle cose -- Luigi Speranza (Empoli). Filosofo. Grice: “I love Marchetti; for once, he had to find vulgar terms for all of Lucretius’s learned ones! The Italians used to call their own tongue ‘volgare’ then --; this is not easy matter (to translate Lucretius, not to call your tongue volgare), especially since Lucretius was often unclear to himslf – talk of my conversational desideratu of conversational perspicuity [sic]!” -- Grice: “I like him because he axiomatised Galilei!” Professore a Pisa, contina le ricerche di Galileo n come iViviani. Collabora con Papa.  Scrisse rime morali ed eroiche. L’opera cui deve la sua fama è la traduzione “Della natura delle cose” di Lucrezio. Considerata come un manifesto di  razionalismo, “La natura dellle cose” influì notevolmente sul gusto arcadico per la purezza della lingua e l'eleganza dello stile.  La diffusione di idee materialiste attirò sul Marchetti l'accusa di empietà. Pur rifugiatosi nella poesia, non riuscì ad evitare le indagini del Sant'Uffizio, ispirate soprattutto da Vanni. Per altre sue opere di successo fu attaccato dagli oppositori di Galileo. Membro dell’ Accademia dei Disuniti, Accademia dell'Arcadia, Accademia dei Fisio-critici, Accademia dei Risvegliati, Accademia della Crusca e Accademia Fiorentina. Saggi: “De resistentia solidorum” (Firenze, typis Vincentij Vangelisti e Petri Matini (Grice: “Opera  abbastanza interessante, basata sulla teoria galileiana, cui Marchetti dà una struttura assiomatica – ripetto, ‘assiomatica’ -- rigorosa. Tratta in larga parte il problema dei solidi di uniforme resistenza, precedendo di mezzo secolo l'importante trattato di Grandi), “Exercitationes mechanicae” (Pisa, Ferretti); “Della natura delle comete,” “Lettera scritta all'illustriss. sig. Francesco Redi,” Firenze, alla Condotta, “Saggio delle rime eroiche morali e sacre,” dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana” (Firenze, Bindi); “Anacreonte,” radotto in rime toscane, e da lui dedicato all'altezza reale di Ferdinando principe di Toscana, In Lucca, per L. Venturini. “Della natura delle cose libri sei” (per Giovanni Pickard) Vita e poesie da Pistoja filosofo e matematico all'illustrissimo sig. cavaliere F. Feroni marchese di Bellavista patrizio fiorentino e accademico della Crusca (Venezia, aValvasense (Contiene poesie con la “Vita” scritta dal figlio Francesco). G. Costa, Epicureismo e pederastia: il  Lucrezio e l'Anacreonte secondo il Sant'Uffizio, Firenze, Olschki,  Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Mario Saccenti, “Lucrezio in Toscana: Studio su Marchetti” (Firenze, Olschki);  De rerum natura Razionalismo, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Crusca. Alessandro Marchetti. Marchetti. Keywords: implicatura, lucrezio, della natura delle cose, pederastia, il poeta filosofo, l’essamero di Lucrezio, l’essameri di Lucrezi, il poema filosofico latino, il genero filosofico nella poesia latina. Lucrezio, alma figlia di giove, inclita madre. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51638862376/in/photolist-2mNaHiH-2mF9EHo-2mKLXoX-nSNEUQ

 

Grice e Marchi – la missione di Roma – la religione civile di Mussolini -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Potenza). Filosofo. Grice: “Marchi displays a few features hardly found at Oxford: He edited a magazine, “filosofia mazziniana” – I can imagine Bradley wanting to edit “Hegeliana” at Oxford – and we do have a Gilbert Ryle Room, and an Occam Society! The other trait is illustrated by his manifesto, “La missione di Roma,” – Churchill would have equaled with something Anglian!” Generale di corpo d’armata italiano, Medaglia d'oro dei Benemeriti dell'Educazione Nazionale. Insegna a Roma. Cura la pubblicazione di diverse riviste in cui si confrontarono alcuni studiosi del primo Novecento italiano come Varisco. Tra queste Dio e Popolo e “L'idealismo realistico.” Dio e Popolo, rivista di ispirazione mazziniana, accoglie scritti miranti alla ricostruzione della filosofia religiosa di Mazzini e i rapporti tra religione e stato; nega l'ateismo e persegue l'ideale di “repubblica”. “L'idealismo realistico” raccoglie teorie filosofiche di stampo anti-gentiliano.  A lui è dedicato il Premio tesi di Laurea “Vittore Marchi”, bandito da Roma Tre per i neolaureati che abbiano sostenuto tesi su un argomento concernente il pensiero filosofico antico degne di essere pubblicate; e un parco al Municipio IV. Saggi: “La filosofia religiosa di Mazzini, in Dio e Popolo, “La missione di Roma” o, Atanòr Ed., Il concetto e il metodo della ‘storia della filosofia,’ – Grice:  “His apt implicature is that if you are an idealist, don’t shed your idealism when discussing J. J. C. Smart!” -- Filosofia e religione, La perseveranza Ed., Potenza,  La filosofia morale e giuridica di Gentile, Stabilimento Tipografico F.lli Marchi, Camerino, Relazione tra la filosofia teoretica e la filosofia pratica – Grice: “I would strongly assert that it’s the same thing: ‘Poodle is our man in practical philosophy’ sounds obscene’” --  in L'idealismo realistico, Roma, “Le prove dell'esistenza di Dio, in L'idealismo realistico, Roma, Gli è stato dedicato un parco a Roma. Gramsci (J. A. Buttigiec), G. De Turris, Fenomenologia dell'individuo assoluto, Roma, Edizioni Mediterranee. //uniroma3/news.php?news=603. Vittore Arnaldo Marchi. Vittore Marchi. Marchi. Keywords: la missione di Roma, Mazzini, filosofia mazziniana, rivista di filosofia mazziniana, gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717823923/in/photolist-2mQoEyX-2mQiU3r-2mPXNYj-2mPMBQM-2mPAuFE-2mPrb68-2mN8nen-2mLKtaD-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLGvyP-2mLQZBN-2mLKeCe-2mLDFVG-2mLCU95-2mKTjot-2mPV6V9-2mKAuZM-ErqrPW-DvhhWW-DhRHD2-nBSZNh-hJHSQv

 

Grice e Marchi – l’anima del corpo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Grice: “His ‘poesia del desiderio’ is confusing – he means tenderness, as Scruton does in his book on “Sexual arousal”” -- Grice: “Perhaps Marchi’s most provocative piece is “L’anima DEL corpo.” If I were to be tutored on that by Hardie, I can very well imagine Hardie – he was a Scot – ‘what d’you mean, ‘of’?” Psicoterapeuta di formazione reichiana, umanista, autore di scritti talvolta controversi perché a scopo provocatorio, si define Solista ed ama stare «fuori dall'Accademia».   Psicologo clinico e sociale, politologo e autore di numerosi saggi, è stato protagonista di varie battaglie per i diritti civili e sessuali, riuscendo con una sentenza della Corte Suprema sulla “Vertenza tra il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Emilio Colombo, e  Marchi”, ad ottenere la revoca dei divieti penali all'informazione e all'assistenza anti-concezionale e ad avviare la realizzazione di una rete di migliaia di consultori sessuologici e familiari pubblici. Fonda l’'AIED, guidando l'Associazione in qualità di Segretario. Ha dato per oltre quarant'anni un contributo determinante non solo alla segnalazione della pericolosità dell'esplosione demografica (da lui definita “la madre di tutte le tragedie”) e dei suoi corollari (fame, guerre, genocidi, disastri ambientali, disoccupazione di massa, migrazioni disperate, crisi energetica mondiale) ma anche al chiarimento dei meccanismi psicologici che hanno finora impedito di comprendere e di affrontare questa tragedia planetaria. Dimostrato con alcuni foto-romanzi interpretati da noti attori (Paola Pitagora, Pagliai, Gassman, Zavattini e  Valdemarin) che i messaggi mass-mediatici associati alla psicologia motivazionale sono lo strumento più efficace per indurre le masse alla regolazione delle nascite: una tesi oggi confermata da varie organizzazioni internazionali. --Presidente italiano di tre importanti Scuole di Psicoterapia da lui fondate: quella psico-corporea di Reich, quella bioenergetica di Lowen e quella umanistica di Rogers. Marchi matura un diverso punto di vista nei confronti degli approcci teorici di Reich, Lowen e Rogers (a suo parere non avevano colto fino in fondo l'importanza della coscienza e dell'angoscia della morte nella genesi delle patologie psichiche umane) e propone  una teoria della cultura e della nevrosi in un libro (“Scimmietta ti amo -Psicologia Cultura Esistenza: da Neanderthal agli scenari atomici ” Ed. Longanesi “Lo shock primario”, Ultima Ed. Rai-Erit) che viene proclamato “Libro del Mese”. Fonda a Roma l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale, oggi diretto da Filastro. Pioniere  della ricerca psico-sociale, è stato Presidente Onorario della Società Italiana di Psicologia Politica. I suoi contributi in questo campo sono stati: 1) la fondazione della Psicopolitica (un metodo di analisi psicologica dei fenomeni socio-culturali che  propone una “lettura” psicologica di tali fenomeni, diversa da quelle di carattere marxista, idealista o istituzionalista finora prevalse, con risultati fallimentari, nelle scienze sociali e politiche tradizionali); 2) l'elaborazione d'una nuova "Psicologia Politica Liberale". Si è interessato anche al teatro e alla televisione, creando programmi di cui Fellini scrisse: “Ecco una nuova televisione culturale di cui c'è, oggi, bisogno”. E per oltre due anni ha condotto un programma di psicologia su RaiUno ” La chiave d'oro” con Baldini. Guzzanti ha scritto di lui: “ è un felice incrocio tra Russell ed Allen”.  Attivista per il riconoscimento dei diritti alla contraccezione, al divorzio, all'interruzione di gravidanza e all'eutanasia, ha fondato il Centro informazioni sterilizzazione aborto) che anticipò la legge sull'aborto in Italia, e l'Associazione italiana per l'educazione demografica.  Ha costantemente sostenuto l'importanza del problema della crescita demografica e dei problemi economici, ecologici, sociali e psicologici ad essa connessi.  Pur essendo favorevole alla chiusura dei manicomi, ha criticato la legge Basaglia in quanto scaricava sulle famiglie il problema dei malati psichiatrici pericolosi; parlando dei delitti in famiglia, evidenziò come il nucleo familiare resti il luogo principale in cui avvengono gli omicidi, a suo giudizio "frutto del fallimento" della legge 180 sulla salute mentale. Propose «una riforma radicale e l'apertura di cliniche psichiatriche che non siano i vecchi manicomi ma strutture umanizzate, oltre che di centri per l'attività riabilitativa».  Aderente al Partito Radicale, ha tenuto per tredici anni la rubrica bisettimanale "Controluce" su Radio Radicale, in cui ha trattato temi che venivano altrove trattati con conformismo: il sesso e l'amore, la procreazione e la contraccezione, le malattie e la morte, il lavoro e le rendite, la libertà e l'autoritarismo.  È stato autore della "Teoria liberale della lotta di classe",  nel volume O noi o loro!.  Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale Modello, Fondatori e Storia della Scuola -- è mosso dalle radici comuni teoriche ed epistemologiche riconducibili alla fenomenologia e all'esistenzialismo, fondamentali correnti filosofiche del ‘900, e da alcuni autori significativi del movimento della psicologia umanistico-esistenziale in particolare Carl Rogers, Rank, Frankl, Binswanger, Boss, Jaspers, Minkowski. Eredita la particolare concezione dell'uomo e della vita, che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta.  Consapevole della sovrabbondanza di Scuole Psicologiche esistenti in Italia esitò prima di fondare l'Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale. Preferì lavorare nell'ambito di indirizzi già affermati, che sentiva geniali e creativi e fu l'iniziatore della Scuola Reichiana in Italia Presidente dell'Istituto di Bioenergetica W. Reich di Roma e per 6 anni Presidente dell'Istituto di Psicologia Rogersiana (FDI) e inoltre concorse a riscoprire e valorizzare l'opera pionieristica di  Rank con la pubblicazione della sua opera: "Rank pioniere misconosciuto" Melusina, Esperienze personali drammatiche e ricerche in campo clinico e antropologico imposero alla sua attenzione l'importanza dell'angoscia di morte come uno dei più importanti fattori che contribuiscono alla sofferenza psicologica e psicopatologica.  Sentì allora l'esigenza di creare una nuova Scuola che riuscisse a riconoscere la rilevanza di questa angoscia primaria dell'uomo e di sviluppare un approccio originale, pluralista e non dogmatico alla sofferenza umana, fondato sull'integrazione sinergica delle tre dimensioni, di approccio simultaneoall'essere umano in terapia verbale, corporea ed esistenziale.  Si tratta di un modello che nasce sulla scia della filosofia esistenziale, dalla quale eredita la concezione dell'uomo e della vita che rivendica all'essere umano il diritto e la capacità di scelta e, intende:  (1) offrire la possibilità di elaborare e affrontare le tremende tensioni esistenziali di ogni essere umano anche nel percorso di malattia psichica e somatica nel clima di contatto empatico, di solidarietà, convogliando nel processo terapeutico il grande potenziale di crescita e comunicazione del paziente, la sua conoscenza dei propri bisogni, la sua creatività, l'apporto decisivo della sua esperienza.  2) che si presenta multidimensionale, integrato e non dogmatico alla sofferenza umana e psichica e costantemente aperto ad arricchire la propria prospettiva teorica e clinica attraverso un confronto critico e di fertilizzazione con altri approcci psicoterapici, e interviene su 4 dimensioni fondamentali dell'esperienza umana: la dimensione empatico relazionale, che definisce il nostro modo di essere nel mondo con gli altri; la dimensione corporea, che spesso esprime sotto forma di tensioni e dolori muscolari la sofferenza psicologica; la dimensione esistenziale, che riconosce l'importanza del senso che si riesce a dare alla propria esistenza; la dimensione cognitiva, che riconosce la rilevanza sintomatica della sofferenza psicologica e psicopatologica.   Un esempio di testo provocatorio, scritto senza avere alcuna competenza in infettivologia, è il seguente sulla cospirazione dell'AIDS: AIDS......affare multi Miliardario, su mednat.org.  e Aids, la grande truffa continua  in: L. De Marchi, Il nuovo pensiero forte. Marx è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio; altri scritti di critica, più documentati, hanno riguardato le sue critiche alle prassi della chemioterapia dei tumori e gli effetti collaterali, come in Kaputt tutta la ricerca sul cancro? sempre in De Marchi, op. cit.  lo psicologo che inventò l'Aied Repubblica  Addio a  Marchi, lo psicologo che inventò l'Aied  L. De Marchi, Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali,  Luca Bagatin, articolo su Politica Magazine, su lucabagatin.ilcannocchiale. Opere:“Sesso e civiltà,” Laterza; “L’orgasmo” Lerici, Sociologia del sesso, Laterza, Repressione sessuale e oppressione sociale, Sugar, Wilhelm Reich Biografia di un'idea, Sugar, Psico-politica, Sugar, Vita e opere di  Reich, Sugar, Scimmietta ti amo, Longanesi, Lo shock primario. Le radici del fanatismo da Neandertal alle Torri Gemelle, Poesia del desiderio, La Nuova Italia, Seam, Perché la Lega, Mondadori, Il Manifesto dei Liberisti Le idee-forza del nuovo Umanesimo Liberale, Seam, Aids. La grande truffa, Roma, Seam, O noi o loro! Produttori contro Burocrati, ecco la vera lotta di classe della Rivoluzione Liberale, Bietti, Il Solista Autobiografia d'un italiano fuori dal coro, Edizioni Interculturali, Psicoterapia umanistica. L'anima del corpo: sviluppi (Franco Angeli,  Reich Una formidabile avventura scientifica e umana, Macro Edizioni, Il nuovo pensiero forte Marx è morto, Freud è morto e io mi sento molto meglio, Spirali, Svolta a destra? Ovvero non è conservatore chi combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori, Armando Curcio Editore, La Psicologia Umanistica Esistenziale Rivista delle Psicoterapie, Roma “La Sapienza”,  Associazione italiana per l'educazione demografica, Reich  luigidemarchi.blogspot.com openMLOL Horizons Unlimited srl. Radio Radicale. Istituto di Psicologia Umanistica Esistenziale IPUE, su ipue. Archivio IPUE, su luigidemarchi.wordpress.com. Archivio della rubrica "Controluce" che Marchi teneva su Radio Radicale,, Renato Vignati Luigi De Marchi, un pioniere della psicologia italiana in Psychomedia, R.Vignati Lo sguardo sulla persona. Psicologia delle relazioni umane, Libreria universitaria edizioni, Padova. Luigi De Marchi. Marchi. Keywords: l’anima del corpo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703312928/in/photolist-2mQoEyX-2mQiU3r-2mPXNYj-2mPMBQM-2mPAuFE-2mPrb68-2mN8nen-2mLKtaD-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLGvyP-2mLQZBN-2mLKeCe-2mLDFVG-2mLCU95-2mKTjot-2mPV6V9-2mKAuZM-ErqrPW-DvhhWW-DhRHD2-nBSZNh-hJHSQv

 

Grice e Marconi – linguaggio private – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “Perhaps his most brilliant exegesis on ‘Vitters’ is that about what Marconi calls ‘linguaggio private,’ as in Robinson Crusoe. Not!” -- Grice: “Marconi has attempted to ‘formalise’ dialectic – as in Oxonian dialectic – which is what Zeno was trying to do with his reductio ad absurdum.” Grice: “While Marconi starts alright, with Frege, he gets entangled with ‘Vitters;’ p’rhaps his innovative approach is best seen in phrases like ‘il significato eluso’, which may describe my implicature; but points to an etymology: ‘eluso’ is indeed ‘eluso,’ and means ‘ex-ludic,’ out of the game. The idea being that the game is a simulated fight, and by eluding a punch from your adversary, you are, well, ‘implicating’!” Professore a Torino, studia con Pareyson a Torino e con Rescher, Sellars e Thomason a Pittsburgh, dove studia  Hegel. Grice: “In Italy, it is not considered Italian to get your PhD without – not within – Italy. Similarly, at Oxford, you cannot get your B. A. Lit. Hum.  anywhere else if you want to be regarded as Oxonian. That’s why I never considered B. A. O. Williams an Oxonian!” -- Noto per i suoi contributi su ‘Vitters,’presenta diversi risultati, specie riguardo alla semantica. Su questi temi ha pubblicato “Filosofia e scienza cognitiva (Laterza). Cura con Ferraris la nuova edizione della Enciclopedia filosofica Garzanti ed è stato presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica. Saggi: “Il mito del linguaggio scientifico” studio su Vitters, Milano, Mursia,  Dizionari e enciclopedie, Torino, Giappichelli, “L'eredità di Vitters” Roma, Laterza, Lampi di Stampa; “La competenza lessicale,” Roma, Laterza,  “La filosofia del linguaggio.” Da Frege ai giorni nostri, Torino, Pomba, “Filosofia e scienza cognitiva,”Roma,  Laterza, “Per la verità: relativismo e la filosofia,” Torino, Einaudi, “Verità, menzogna” – Grice: “The etymology is an interesting one; since menzogna is cognate to my meaning, so Marconi actually means ‘truth’ versus ‘trust’ – or honesty versus dishonesty – seeing that one can ‘lie’ while asserting a truth – provided the utterer thinks ‘p’ is ‘false’.” Grice: “But this is a commissioned thing, so it shouldn’t count as it is Marconi discussing with a priest!” Trento, Il Margine,; “Flosofia e professionismo,” – Grice: “His implicature, and a right one, too, is that philosophy is a profession, which reminds me of ‘A Room with a view’: “And what, Sir Cecil, is your profession?” “I don’t HAVE a profession!” --  On the other hand, his translation of my ‘metier’ (mestiere) is an interesting one (The tiger’s métier is to tigerise). Torino, Einaudi,.“La formalizzazione della dialettica”: Hegel, Marx e la logica,”Torino, Rosenberg); “Guida a Vitters Il «Tractatus», dal «Tractatus» alle «Ricerche», Matematica, Regole e Linguaggio privato, Psicologia, Certezza, Forme di vita. Roma, Laterza, Filosofia analitica, Prospettive teoriche e revisioni storiografiche. Milano, Guerini, Vercelli, Mercurio, Scritti sulla tolleranza di Locke, Torino, POMBA, Saggi su Marconi, “Il significato eluso” saggi in onore di Marconi, numero monografico della «Rivista di estetica», Treccan Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Intervista di M. Herbstritt, Rivista italiana di filosofia analitica, sito dell'Università degli Studi di Milano. Diego Marconi. Marconi. Keywords: linguaggio privato, il significato non eluso, alusione ed elusione, eludire, aludire, l’alusion elusa, l’aluso eluso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marconi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718224484/in/photolist-2mQ81kz-2mPoj9X-2mNaqiA-Dw1w1R-BNSPQL

 

Grice e Mariano – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Capua). Filosofo. Grice: “I like Mariano: his study of Risorgimento applying the philosophy of history is brilliant” Fedelissimo allievo di Vera, insegna a Napoli. La sua indagine e  prevalentemente orientata verso l'interpretazione di Hegel. Si colloca insieme a Vera in quella tendenza che privilegia l'interpretazione sistematica e razionale. Inserì talvolta temi non strettamente legati al pensiero di Hegel affermando tra l'altro che la filosofia deve essere compiuta dalla religione" (Dall'idealismo nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane), trattando riguardo a ciò che dell'idealismo di Hegel è morto e di ciò che non può morire", argomento precedentemente trattato da Croce, il quale risponde aspramente alle argomentazioni proposte da Mariano. “Mariano non ha mai capito nulla di tutto ciò che vi è di più sostanziale in Hegel come non ha meditata seriamente nessuna grande filosofia; e (ora si può aggiungere) non ne ha mai letto le opere. Immaginarsi che il Mariano si afferma hegeliano, mentre sostiene che la conoscenza non è assoluta; che rimane insuperabile il mistero; che dio esiste fuori del mondo e sarebbe dio anche senza il mondo; e che la filosofia deve essere compiuta dalla religione! Insomma, ciò che di Hegel "non può morire" sarebbe ciò che Hegel non ha mai detto perché affatto indegno della sua mente altissima.»  Si schierò a favore del mantenimento della pena di morte in un dibattito sul tema, in accordo con iVera (La pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera Napoli. ), uno dei più autorevoli difensori del mantenimento di questa pratica. È ancora Croce che commenta con grave disappunto l'argomento. “Notiamo in ultimo che sempre riecheggiando i vaniloqui del Vera,Mariano si professa filosofico difensore della pena di morte: come se la maggiore o minore opportunità di mettere i delinquenti in segregazione cellulare, o d'impiccarli, ghigliottinarli, garrottarlie impalarli, costituisse una questione filosofica. Ma Mariano ama tutte le cause generose; e non è da meravigliare se per esse trascenda persino i limiti della filosofia.»  E anche saggista con un gusto per la "critica della critica" (cit."Storia Letteraria d'Italia, Volume III, Armando Balduino") – filosofica -- non trascurando l'arte che annetteva strettamente alla morale. Rivolse la sua indagine anche al rinascimento con un Saggio biografico critico su Bruno La vita e l'uomo. Pubblica nche una monografia "apologetica" di Vera. La sua produzione fu in un secondo momento soprattutto riferita alla storia, in particolare la storia del cristianesimo e quella delle religioni in genere, argomenti affini anche alla materia insegnata presso l'università napoletana. Non sono presenti particolari innovazioni nella sua ricerca, ma fu uno dei primi a discutere la tesi proposta da Croce riguardo alla riduzione della storia al concetto di ‘arte.  Saggi: “L’Eraclito di Lassalle: saggio sulla filosofia hegeliana” (Cf. Speranza e ill suo Grice: saggio sulla pragmatica oxoniense”),  “Il Risorgimento italiano secondo i principi della filosofia della storia,”  ““La libertà di coscienza,” Milano, Hoepli, “Vera.” Saggio critico, Roma, Civelli, “L'individuo e lo Stato nel rapporto sociale. Milano, Treves,  “Il Machiavelli di Villari, Roma,” Loescher, (cf. “Il Grice dello Speranza”), Leopardi, Roma, Tip. Botta, La pena di morte. Considerazioni in appoggio di Vera, Napoli.  IlCarlo Maria Curci, Milano, Vallardi, Augusto Vera. Necrologio, «Annuario Napoli», Dio secondo Platone, Aristotele ed Hegel, «Acc. SMP Napoli. Atti»,  Biografie del Machiavelli, 1Arte e religione,  Il brutto e il male nell'arte. Il brutto e il male nel romanzo moderno, Dall'idealismo nuovo a quello di Hegel, Motivi, risonanze e variazioni sulle dottrine hegeliane, La vita e l'uomo, I rapporti dello stato con la religione, Firenze, Civelli, Il problema religioso in Italia, Roma, Civelli, La riforma ecclesiastica in Italia, «Il diritto», Cristianesimo, cattolicesimo e civiltà, Papato e socialismo ai giorni nostri. Studio, Roma, Artero, Buddismo e cristianesimo, La Storia è una scienza o un'arte?, «Fanfulla della Domenica», La conversione del mondo pagano al cristianesimo, Il cristianesimo dei primi secoli. Capua, gli ha dedicato una strada, sede, tra l'altro, del Banco di Napoli. La Critica. Rivista di Letteratura, Storia e Filosofia diretta da  Croce, Armando Balduino, Storia letteraria d'ItaliaL'Ottocento,  III, Piccin Nuova Libraria, Piero di Giovanni, Gentile, La filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, Milano, cf. Luigi Speranza, “La pragmatica conversazionale: tra griceianismo e anti-griceianismo.” Franco Angeli, Paolo Malerba, Luciano Malusa,, sito della Società filosofica italiana  Guido Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Raffaele Mariano. Mariano. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mariano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691817114/in/photolist-2mPMBQM-2mPtnaL-2mLP3hz-2mLGRht-2mPu6xB-2mKPS8q-2mKQ5j7-2mKyErQ-ocAPht-oaG3ms-nTjTm4-nfECL9-nhsYJ6-njfC9c-nfCCMe-njanDk-nfCAoX-njaa4a-nh7Q7B-nhFmUB

 

Grice e Marin – l’ottimo precettore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice: “I like Giovanni Marin; for one, he loved, like I do, rhetoric – in his own Venetian kind of way!”  Nato dal nobile Rosso Marin, studia con profitto sotto l'insegnamento di Feltre, dal quale apprese la retorica. Frequenta il ginnasio, presso il quale recita eloquenti orazioni in encomio agli uomini illustri veneziani. Si laurea a Padova. Ambasciatore della Repubblica di Venezia presso gli Estensi e quindi presso Firenze. Rosmini, Carlo de' Rosmini, Idea dell'ottimo precettore nella vita e disciplina di Vittorino da Feltre e de' suoi discepoli, Rovereto. Giovanni Marin. Marin. Keywords: l’ottimo precettore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marin” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747107065/in/datetaken/

 

Grice e Marliani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Mariliani; especially the cavalier way in which he refers to philosophers in his brilliant “De secta philosophorum.” Austin would say that there possibly are sects and sub-sects!” Fglio del patrizio milanese Castello Marliani. Studia a Pavia sotto Pelacani. Entra nel Collegio dei intraprese una carriera nell'insegnamento della filosofia e astrologia. Attivo a Milano e Pavia.  Con l'ascesa della dinastia degli Sforza a capo del Ducato di Milano, appartenente a una famiglia ghibellina, aumenta il prestigio. Ottiene la concessione in esenzione dei diritti di sfruttamento delle acque del Secchia nei pressi di Moglia, nel Mantovano.  Alla morte del duca Francesco Sforza, scrisse una lettera al nuovo duca Galeazzo Maria Sforza in cui dichiara di essere stato richiesto da molti Studi in diverse città d'Italia, sperando di poter essere trasferito da Pavia a Milano e di ricevere un aumento di salario. Il Consiglio segreto di Milano intercedette presso lo Sforza in favore di Marliani, esaltando la sua fama anche oltre i confini del Ducato. Il duca Galeazzo Maria, dopo alcuni indugi, acconsente per conferirgli un'assegnazione annua di 1 000 fiorini, il più alto salario riconosciuto a chiunque nel Ducato. Sotto la reggenza di Ludovico il Moro ottenne i dazi di Gallarate e della sua pieve. I suoi studi lo portarono ad essere tra i più grandi scienziati dell'epoca e riuscì a mettere in discussione Bradwardine e Sassonia.  Nel suo saggio, “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasis  distingue la temperatura dell'organismo dalla quantità e dalla produzione del calore naturale del corpo e sostenne che la produzione del calore naturale è più elevata in inverno che in estate. Si reca a Novara dal conte Gaspare Vimercati, colpito da problemi respiratori e cura Rinaldo d'Este da una gravissima malattia che lo colse durante una visita alla corte milanese. Raggiunse i vertici della propria carriera e presta le sue doti di medico a Federico I Gonzaga. Le opere del Marliani furono oggetto di studio da Vinci, che lo cita in diverse occasioni nel suo Codice Atlantico.  Ebbe tre figli: Paolo, Gerolamo e Pietro Antonio, la discendenza del primo dei quali ottenne all'inizio. Saggi: “Quaestio de caliditate corporum humanorum tempore hyemis et estati set de antiperistasi,” “Disputatio cum Iohanne Arculano de materiis ad philosophiam pertinentibus,” “Quaestio de proportione motuum in velocitate,” “Algebra Algorismus de minutiis,” “De secta philosophorum,” “Probatio cuiusdam sententiae,” “Calculatoris de motu locali.” Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Marliani. Marliani. Keywords: implicatura, Vinci. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marliani e le sette filosofiche” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692205840/in/photolist-2mKS4Sh

 

Grice e Marotta – Mario l’epicuro – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Marotta; the idea of a library for the Istituto Italiano per gli studi filosofici’ at Via Monte di Dio, 11, is a geniality!” Si laurea con il massimo dei voti a Napoli, presentando la tesi,  La concezione dello stato in Hegel.” Si interessa presto di storia, letteratura e filosofia, avvicinandosi dapprima all'Istituto Italiano per gli Studi Storici fondato da Croce, poi fondando l'associazione Cultura Nuova che diresse organizzando manifestazioni e conferenze rivolte ai filosofi che richiamarono tutte le più grandi personalità della cultura Italiana.  Incoraggiato dagli auspici dell'allora Presidente dell'Accademia Nazionale dei Lincei Cerulli, di Piovani e di Carratelli, fonda a Napoli l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, del quale è Presidente. Donato, all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, la biblioteca personale, con una dotazione di oltre 300.000 volumi frutto di trent'anni di appassionata ricerca. Per i suoi importantissimi apporti al mondo della filosofia ha avuto numerosi riconoscimenti da centri di ricerca e di formazione di rilievo internazionale.  Ha vinto la sezione Premio Speciale del Premio Cimitile. Gli è stata conferita la laurea ad honorem in Filosofia dall'Bielefeld, dall'Università Erasmus di Rotterdam, dalla Sorbona di Parigi e dalla Seconda Napoli. All'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è stato conferito, nell'aula magna dell'Roma, il Prix International pour la Paix Jacques Muehlethaler, "Bidone d'Oro" per la cultura del Movimento artistico culturale "Esasperatismo Logos & Bidone". G. Capaldo, Fondatore dell’Istituto Studi Filosofici, su Diario Partenopeo, Claudio Piga (cur.), Per Gerardo Marotta. Scritti editi e inediti raccolti dagli amici di Marotta, Arte Tipografica, Napoli, Registrazioni di Gerardo Marotta, su Radio Radicale, Cinquantamila Giorni de Il Corriere della Sera. Gerardo Marotta. Marotta. Keywords: Mario l’epicuro, il concetto del stato, il risorgimento – la recezione di Hegel in Italia --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marotta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51747077695/in/datetaken/

 

Marramao – Kairós – apologia del tempo debito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catanzaro). Filosofo.  Grice: “Surely Marramao’s theory of time-relative identity is more complex than Myro’s! (Myro never read Heidegeer and was proud of it, can you believe it! He was born  in Russia and studied in the New World – so that’s understandable!” - Grice: “I like Marramao – he has philosophised on many things, usually homoerotic: Kairos – the opportune time – and its iconography, and Jesus against power” Essential Italian philosopher. Allievo di Garin,  si laurea Firenze.  Pubblicato Comunismo, laburatismo e revisionismo in Italia, rintraccia in Gentile la chiave di volta filosofica del comunismo italiano. Insegna a Napoli. -- è uscito il suo saggio Il politico e le trasformazioni, nel quale pone a confronto le tematiche del comunismo/laburismo, con le analisi delle trasformazioni. A partire da “Potere e secolarizzazione” elabora una teoria simbolica del potere (e del nesso politica-tempo) incentrata sulla ricostruzione archeologica' dei presupposti del razionalismo. Fondamentali, nel dibattito politico-culturale e filosofico le sue collaborazioni a Laboratorio politico e il Centauro. Direttore della Fondazione Basso-Issoco. Insegna a Roma. Muovendo dallo studio del comunismo italiano (comunismo e laburatismo e revisionismo in Italia, Austr-omarxismo e socialismo di sinistra fra le due guerre), analizza le categorie politiche (Potere e secolarizzazione), proponendone, in dialogo con i francofortesi (Il politico e le trasformazioni) e con M. Weber (L'ordine disincantato), una ricostruzione simbolico-genealogica. Nelle forme di organizzazione sociale si depositano significati che derivano da un processo di secolarizzazione civile di un contenuto sacro religioso, ossia dalla ri-proposizione in dimensione mondana o secolare dell'orizzonte sacro simbolico. Il laico o pro-fano ha il suo centro in un processo di temporalizzazione della storia, in virtù del quale le categorie del tempo (che traducono l'escatologia in una generica apertura al futuro: progresso, ri-voluzione, liberazione, etc.) assumono centralità crescente nelle rappresentazioni politiche. Su queste considerazioni, riprese anche in “Dopo il Leviatano, Passaggio a Occidente. Filosofia e globalizzazione, La passione del presente, Contro il potere, si è innestata via via una tematizzazione esplicita del problema della tempo, che per molti aspetti anticipa sia le tesi oggi in voga intorno all’accelerazione e al rapporto politica-velocità, sia i temi della svolta spaziale. Contro le concezioni di Bergson e Heideggeri, che delineano con sfumature diverse una forma pura della tempo, più originaria rispetto alla sua rappresentazione spaziale, argomenta l'inscindibilità del nesso spazio-tempo e, richiamandosi tra l'altro alla fisica, ri-conduce la struttura del tempo a un profilo a-poretico e impuro, rispetto a cui la dimensione dello spazio costituisce il riferimento formale per ri-solvere i paradossi. (Minima temporalia, e Kairós. Apologia del tempo debito. Lectio magistralis. Roma Tre, Enciclopedia di filosofia, Garzanti libri, Milano. Figure del conflitto. Studi in onore.  a c. di A. Martinengo, Casini, Roma, D. Antiseri, S. Tagliabue, Storia della filosofia,  Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano. Roma Tre, su host.uniroma3. Video intervista al Festival della Filosofia su asia. Giacomo Marramao. Marramao. Keywords: Grice – ontological Marxism, marxismo ontologico, lavoro e essistenza, comunismo, Kairós – apologia del tempo debito, la filosofia della storia nella antica Roma, storia lineale, storia circolare, l’eterno retorno nella scuola di Crotone, Gentile, dopo il leviatano, il comune. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Marrameo," The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746392138/in/datetaken/

 

Grice e Marsili – il cimento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo. Grice: “I like Marsili, and the founder of the ‘accademia del cimento.’ ‘Cimento’ you know, means ‘experiment,’ – only in Florence!” Si laurea a Siena. Insegna a Siena e Pisa. Conosce Galilei. Dei cimentanti. Le sue convinzioni dichiaratamente lizie gli impedirono di coglierne lo spirito innovatore. Propone un esperimento per capire se lo spazio lasciato libero nel tubo barometrico durante l'esperienza di Ruberti contenesse esalazioni di mercurio. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alessandro Marsili. Marsili. Keywords: il cimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Marsili” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685923179/in/photolist-2mQtVUe-2mQifgs-2mQjVch-2mQbx4U-2mQ8kJS-2mPTNKh-2mPVkio-2mPYy6p-2mPMBQM-2mPF8UJ-2mPAuFE-2mPyn68-2mPyUzx-2mPiqeP-2mPpwbZ-2mN8Hgb-2mN8ym7-2mN34bs-2mLKtaD-2mLP4Rj-2mLGvyP-2mLQyAA-2mLP3hz-2mLEGPt-2mPsfT9-2mKCfz1-2mGT6p1-2mGnP2f-2mKiSfx-G3tvCn-FcebeC-CRAGiK-Bq5PrV-BvUfSB-nuoDVU-nsj5ZA-ncSabS-nnvnLQ-nr43e9-nhKyUk

 

Grice e Martelli –etica e storia: l’assassinio di Giulio Cesare – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Marco in Lamis). Filosofo. Grice: “I like Martelli: he wrote on Croce, Gramsci, and Nietzsche!” Insegna a Urbino. Prtecipato a lungo alla lotta politica in formazioni marxiste nate a cavallo del Sessantotto. D Ha diretto il master interfacoltà «Management etico e Governance delle Organizzazioni». Collabora con MicroMega (periodico).  I suoi studi si sono concentrati su Nietzsche, Gramsci, e di numerosi autori del Novecento, affrontando alcune tra le più dibattute vicende e problematiche filosofico-politiche dell'ultimo secolo. Si è occupato di temi di forte attualità, elaborando l'idea di una filosofia volta ad una critica radicale del dogmatismo e del fondamentalismo religioso e in generale di ogni forma di assolutismo che minacci la libertà di pensiero, i diritti civili, le istituzioni democratiche e la pace tra i popoli. Il suo aimpegno di saggista è rivolto in particolare alla difesa della laicità, contro l'interventismo politico delle gerarchie ecclesiastiche e vaticane. Saggi: “La felicità e i suoi nemici: apologia dell'agnosticismo,” Manifesto, “Il laico impertinente: laicità e democrazia nella crisi italiana,” Manifesto, “La Chiesa è compatibile con la democrazia?” Manifestolibri, “Italy, Vatican State, Fazi, “Quando Dio entra in politica, Fazi, Senza dogmi. L'antifilosofia di Papa Ratzinger, Editori riuniti, Teologia del terrore. Filosofia, religione, politica dopo l'11 settembre, Manifesto, Il secolo del male. Riflessioni sul Novecento, Manifesto, Etica e storia. Croce e Gramsci a confronto, La città del sole, I filosofi e l'Urss. Per una critica del «Socialismo reale», La città del sole, Gramsci filosofo della politica, Unicopli, Nietzsche inattuale, Quattroventi, Filosofia e società in Nietzsche, Quattroventi, Urbino "Carlo Bo" Antonio Gramsci Friedrich Nietzsche Laicità  Il laico impertinente: il blog di Michele Martelli, su michelemartelli.blogspot.com. Michele Martelli. Martelli. Keywords: l’assassinio di Giulio Cesare, il laico, la religione civile dell’antica roma -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746130291/in/datetaken/

 

Grice e Martinetti –I veliani e l’amore alcibiadico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pont Canavese). Filosofo. Grice: “I like Martinetti; he wrote about eros, or as the Italians call it, ‘amore,’ – a different root from cupidus, too! He edited a platonic anthology.” “He also has a strange treatise on ‘the number’ which post-dates Frege!” -- «Di sé soleva dire di essere un neoplatonico trasmigrato troppo presto nel nostro secolo»  (Cesare Goretti). Professore di filosofia, si distinse per essere stato l'unico filosofo che rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà al Fascismo. Fu il primo dei quattro figli (tre maschi e una femmina, senza contare una bambina che morì piccolissima) dell'avvocato Francesco Martinetti e di Rosalia Bertogliatti. Studi Dopo aver frequentato il Liceo classico Carlo Botta di Ivrea, si iscrisse a Torino, dove ebbe come insegnanti Allievo,  Bobba, Ercole, Flechia e Graf, laureandosi con una tesi, “Il Sistema Sankhya: un Studio sulla filosofia nell’India” discussa con Ercole, docente di filosofia teoretica, pubblicata a Torino da Lattes  e, grazie all'interessamento di Allievo, risulta vincitrice del Premio Gautieri.  Dopo la laurea Martinetti fece un soggiorno di due semestri presso l'Lipsia, dove poté venire a conoscenza del fondamentale studio di Garbe sulla filosofia Sāṃkhya da poco pubblicato. Si può dunque "ipotizzare che tra gli scopi del viaggio vi fosse anzitutto quello di approfondire gli studi dell’India, iniziati a Torino con  Flechia e 'Ercole."  L'insegnamento Martinetti insegnò dapprima filosofia nei licei di Avellino, Correggio, Vigevano, Ivrea, e per finire al Liceo Alfieri di Torino. Compone la monumentale “Introduzione alla metafisica” e “Teoria della conoscenza”, ch edopo che consegue  la libera docenza in Filosofia teoretica all'Torino gli valse di vincere il concorso per le cattedre di filosofia teoretica e morale dell'Accademia scientifico-letteraria di Milano (che diventa Regia Università degli Studî) nella quale insegna. Divenne socio corrispondente della classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere, fondato da Napoleone sul modello dell'Institut de France.  Il rifiuto della politica e la critica della guerra Martinetti fu una singolare figura di intellettuale indipendente, estraneo alla tradizione cattolica come ai contrasti politici che viziarono il suo tempo, non aderì né al Manifesto degli intellettuali fascisti di Gentile né al Manifesto degli intellettuali antifascisti di Croce. Fu uno dei rari intellettuali che criticarono la prima guerra mondiale; scrisse infatti che la guerra è «sovvertitrice degli ordini sociali pratici ed un'inversione di tutti i valori morali dà un primato effettivo alla casta militare che è sia intellettualmente sia moralmente l'ultima di tutte subordinando ad essa le parti migliori della nazione strappa gli uomini ai loro focolari e li getta in mezzo ad una vita fatta di ozio, di violenze e di dissolutezze. In seguito a quelle che qualifica di circostanze pesantissime -- la marcia su Roma e la successiva nomina di Mussolini a presidente del Consiglio -- rifiuta la nomina a socio corrispondente dei reali lincei. Mentre nelle sue lezioni sviluppa un sistema di filosofia della religione, inaugura a Milano una Società di studi filosofici, formata da un gruppo di amici in piena e perfetta indipendenza da ogni vincolo dogmatico dove si riunirono autorevoli intellettuali del panorama filosofico e in cui organizzò una serie di conferenze. Le prime conferenze furono tenute da Banfi e da Fossati oltre che, naturalmente, da Martinetti, le cui tre relazioni, riunite sotto il titolo comune di “Il compito della filosofia nell'ora presente” segnano la sua rottura con Gentile. In seguito ad una denuncia per vilipendio della eucaristia» presentata a Mangiagalli, dove sottoscrivere un memoriale in difesa dei propri corsi sulla filosofia della religione. Incaricato dalla Società filosofica italiana, organizza e presiedette il congresso di filosofia. L'evento e sospeso dopo solo due giorni da Mangiagalli a causa di agitator.  Il congresso e poi chiuso d'imperio dal questore. Da un lato incise l'opposizione di A. Gemelli, fondatore dell'Università Cattolica, che fac parte del Comitato organizzatore (quale rappresentante dell'Università Cattolica) ma che, per scelta di Martinetti, non era tra i relatori. Dall'altro lato la partecipazione, fortemente voluta da Martinetti, di Buonaiuti, scomunicato "expresse vitandus" dal Sant'Uffizio, dette ai filosofi cattolici neoscolastici la scusa per ritirarsi dal congress. Le minute cronache del congresso hanno già messo in luce come Martinetti nell'assolvere al compito di organizzatore dell'incontro, assunto con una apparente riluttanza, operasse assai poco da ingenuo filosofo fuori dal mondo. Al contrario, ricorrendo a una certa qual abile ruse egli mise assieme un programma che costituiva quanto di più ostico potesse risultare ai palati dei cattolici fascisti sia dei filosofi di regime. Martinetti firma con Cesare Goretti (segretario del Congresso) una lettera di protesta al rettore Mangiagalli:  «Compiamo il dovere d'informarla che conforme al suo ordine il congresso si è sciolto senza incidenti. Sciogliendosi ha votato all'unanimità il seguente ordine del giorno di protesta: Il Congresso della Società filosofica italiana riunito in Milano: avuta comunicazione che è stato rivolto alla Presidenza un invito superiore achiudere i lavori del Congresso. Protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione italiana contro un atto di violenza che impedisce l'esercizio della discussione filosofica ed invano pretende di vincolare la vita del pensiero.»  Martinetti fu il direttore della Rivista di filosofia, ma per prudenza il suo nome non vi comparve mai come tale. Tra i collaboratori della rivista vi furono: Ennio Carando, Bobbio, Geymonat,  Fossati (che ufficialmente ne era il direttore responsabile), Solari, Levi, Grasselli, e Goretti.. Quando il ministro dell'educazione Giuliano impose ai professori  il Giuramento di fedeltà al Fascismo, Martinetti fu uno dei pochi a rifiutare fin dal primo momento: “Eccellenza!  Ieri sono stato chiamato dal Rettore di questa Università che mi ha comunicato le Sue cortesi parole, e vi ha aggiunto, con squisita gentilezza, le considerazioni più persuasive. Sono addolorato di non poter rispondere con un atto di obbedienza. Per prestare il giuramento richiesto dovrei tenere in nessun conto o la lealtà del giuramento o le mie convinzioni morali più profonde: due cose per me egualmente sacre. Ho prestato il giuramento richiesto quattro anni or sono, perché esso vincolava solo la mia condotta di funzionario: non posso prestare quello che oggi mi si chiede, perché esso vincolerebbe e lederebbe la mia coscienza.  Ho sempre diretta la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così ho sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l'uomo può avere nella vita è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col giuramento che mi è richiesto io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita; l'E.V. riconoscerà che questo non è possibile.  Con questo non intendo affatto declinare qualunque eventuale conseguenza della mia decisione: soltanto sono lieto che l'E.V. mi abbia dato la possibilità di mettere in chiaro che essa procede non da una disposizione ribelle e proterva, ma dalla impossibilità morale di andare contro ai principî che hanno retto tutta la mia vita.  Dell'E.V. dev.mo  Dr.” In una lettera a Guido Cagnola scrive:  «Ella ora saprà che io sono uno degli undici (su 1225 professori universitari! ne arrossisco ancora) che hanno rifiutato il giuramento di fedeltà e che perciò sono stati o saranno fra breve espulsi dall'università. Mi consolo d'essere in buona compagnia: Ruffini, Carrara, De Sanctis, Vida, Volterra, Buonaiuti e qualche altro. Mi rincresce non tanto la cosa, quanto il modo: e mi rincresce che si sia fatto e si faccia rumore intorno al mio nome. Ma come fare? Giurare per me era tanto impossibile quanto una impossibilità fisica: sarei morto d'avvilimento. E in un'altra lettera ad Adelchi Baratono. Io non ho voluto giurare (e così credo molti degli undici) per un motivo religioso, per non subordinare le cose di Dio alle cose della terra: dove sta per andare il rispetto della coscienza? Ciò è triste e annuncia oscuramente un avvenire triste per tutti, anche per i persecutori.»  Come scrive al proposito Fabio Minazzi:  «Martinetti ha infine opposto un netto rifiuto a sottostare al giuramento preteso e voluto dalla dittatura da tutti i docenti universitari italiani. Giustamente occorre sempre sottrarre, criticamente, questo straordinario gesto martinettiano, invero assai emblematico, da ogni ottundente e vacua retorica antifascista, onde comprenderlo in tutta la sua genesi specifica. Nel caso di Martinetti non può allora essere certamente negato, in sintonia con Alessio, il carattere dichiaratamente religioso di questa sua scelta che, non per nulla, lo ha infine indotto ad essere l'unico filosofo italiano universitario che ha avuto l'incredibile capacità critica di sottrarsi nettamente e senza compromessi all'imposizione del regime. In questa prospettiva Martinetti non ha giurato proprio perché nutriva una particolare percezione critica dello stesso "giuramento" in connessione con i suoi più profondi convincimenti morali che avevano peraltro guidato tutta la sua attività di filosofo. Tuttavia, nel riconoscere questa precisa matrice religiosa della sua scelta, non deve essere neppure negato il suo specifico valore e il suo preciso significato civile, culturale e anche filosofico.»  Scrive in proposito Amedeo Vigorelli. Una certaretorica resistenziale si è impadronita anche di Martinetti, impedendo un approfondimento più serio e radicale dei tratti originali del suo antifascism0.  L'atto di Martinetti non era cioè solo un monito contro l'oppressione totalitaria e antidemocratica, ma contro ogni forma di politica compromissoria e concordataria, contro l'ambiguo connubio fra religione e politica, sintomo di una profonda immaturità religiosa e premessa di forme più o meno larvate di condizionamento della libertà di coscienza, non sempre si ama ricordare che l'avversione di Martinetti al fascismo era innanzi tutto avversione a ogni forma di retorica nazionalistica, ma anche all'esaltazione demagogica delle masse popolari. Prima che della dittatura, Martinetti fu critico altrettanto risoluto del socialismo marxista e della democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo»  In seguito a questo suo rifiuto, Martinetti venne messo in pensione d'autorità  e si dedicò unicamente agli studi personali di filosofia, ritirandosi nella villa di Spineto, frazione di Castellamonte, vicino al suo paese di nascita. In questo lasso di tempo tradusse i suoi classici preferiti (Kant, Schopenhauer), studiò approfonditamente Spinoza e ultimò la trilogia (iniziata con la Introduzione alla metafisica e continuata  con La libertà) scrivendo Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo è del 1936; Ragione e fede. Martinetti propose come suoi successori a Milano Baratono e  Banfi. Lontano da ogni forma di impegno politico e critico severo sia nei confronti del socialismo marxista che delle degenerazioni del parlamentarismo, prese ad annotare minuziosamente sul suo diario gli episodi di corruzione e di violenza in cui erano coinvolti esponenti fascisti. così ad esempio il 28 marzo 1928, a fronte di una serie di scandali annotava "è dunque l'associaz[ione] dei malviventi d'Italia!" Come persuadersi che uno stato senza leggi, senza traccia di onestà pubblica, sostenuto soltanto dal terrore che desta nel popolo inerme un'organizzazione di ribaldi messa al servizio del despota, odiata da tutte le rette coscienze, disprezzata dagli intelligenti possa resistere, senza condurre il popolo che lo soffre all'estrema rovina? Si scagliava nei suoi appunti contro il dispotismo che accomunava socialismo marxista e fascismo: "Tutto deve servire alla propaganda e alla educazione di stato. Non vi è più libertà di pensiero, non vi è più pensiero". A questo proposito Amedeo Vigorelli evidenzia  «il valore pedagogico, di educazione alla libertà, che l'esempio morale di Martinetti ebbe per quella generazione di intellettuali antifacisti, che trovò negli anni Trenta un decisivo punto di riferimento nella “Rivista di filosofia”, da lui informalmente diretta»  L'arresto e il carcere Martinetti fu arrestato in casa di Gioele Solari, dov'era ospite, in seguito a una delazione fatta da Pitigrilli (Dino Segre), agente dell'OVRA (delazione che porterà all'arresto e alla condanna al confino di Antonicelli, Einaudi, Foa, Giua, Levi,  Mila, Monti, Pavese, Zini e di due studenti, Cavallera e Perelli, e all'ammonizione di Bobbio), e fu incarcerato a Torino per sospetta connivenza con gli attivisti antifascisti di Giustizia e Libertà, benché fosse del tutto estraneo alla congiura antifascista degli intellettuali che facevano riferimento alla casa editrice Einaudi. Al momento dell'arresto, a detta della signora Solari, Martinetti disse una frase che aveva già sentito pronunciargli più volte: "Io sono un cittadino europeo, nato per combinazione in Italia". Il suo declino fisico cominciò in seguito a una trombosi che menomò le sue capacità mentali, consecutiva ad una caduta accidentale da un pero nella tenuta di Spineto. Alla fine ubì una prima operazione alla prostata. La sorella Teresa scriveva a Cagnola: "Il Professore è da oltre un mese degente in quest'ospedale, ove venne d'urgenza trasportato ed operato in seguito ad intossicamento urico grave. L'intervento chirurgico avviene in questo caso in due tempi: operazione preliminare alla vescica, per ovviare immediatamente alla causa diretta dell'intossicamento, e susseguente operazione alla prostata che ne è la causa originale. La prima operazione già venne effettuata e con buon esito, e l'operatore non attende che il tempo opportuno per procedere alla seconda."[ Martinetti fu ricoverato all'ospedale Molinette di Torino, sfollato a Cuorgnè, dove morì,  dopo aver disposto che nessun prete intervenisse con alcun segno sul suo corpo.   Nonostante "l'invito del parroco di Spineto di non dare onore alla salma dell'eretico, ateo e scandaloso anche nella morte perché aveva disposto di essere cremato" una decina di persone seguirono l'autofurgone che portò il corpo di Martinetti alla stazione, da dove partì in treno per Torino, per la cremazione. In prossimità della morte Martinetti lascia la sua biblioteca in legato a Nina Ruffini (nipote di F. Ruffini), G. Solari e Cesare Goretti. La Biblioteca verrà poi conferita dai rispettivi eredi alla "Fondazione Piero Martinetti per gli studi di storia filosofica e religiosa" di Torino; oggi è posta nel palazzo del Rettorato alla Biblioteca della Facoltà di  Filosofia.  La sua casa di Spineto è attualmente sede della "Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti", che intende promuovere la diffusione del suo pensiero e della sua operae.  FiLa filosofia di Martinetti è un'interpretazione originale dell'idealismo post-kantiano, nella linea dell'idealismo razionalistico trascendente che va da Platone a Kant, nel senso di un dualismo panteista trascendente, un'interpretazione che lo avvicina a quel post-kantiano atipico che fu Spir, il quale (ancor più di Kant, Schopenhauer o Spinoza) fu il filosofo preferito di Martinetti, quello a cui fu più particolarmente legato, sulquale scrisse molti studi e un denso saggio monografico  e al quale fece consacrare il terzo numero della Rivista di filosofia, filosofo che fu come lui profondamente inattuale. Professò una altissima stima per l'opera di questo solitario filosofo, tanto da considerarla "immortale: in essa infatti vede un tentativo d'un rinnovamento speculativo-religioso di tutta la filosofia.  Il carattere speculativo dell'interpretazione d iMartinetti dipese da particolarissime circostanze. La speculazione di Spir esercitò sul pensiero suo un influsso profondo sin dagli inizi; e anche nella costruzione dell'idealismo trascendente diMartinetti la speculazione di A. Spir rivestì un peso pressoché decisivo. Oltre che in Kant, in Schopenhauer e in Spinoza, le radici e la linfa dell'idealismo diMartinetti si trovano nella speculazione di A. Spir. In nessun altro pensatore A. Spir occupò tanto spazio ed ebbe un pari rilievo. D'altra parte, senza perdere la configurazione sua propria, il pensiero di Spir viene trasposto da Martinetti entro la sua propria filosofia, riferito in modo diretto al suo proprio pensiero, così intimamente consonante con quello di Spir e cresciuto, per così dire, anche su di esso. Proprio questo condusseMartinetti a penetrare e nell'atto stesso a svolgere in armonia con il proprio il pensiero di A. Spir e questo si trova come penetrato e attraversato da quello diMartinetti. In nessun altro pensatore A. Spir fu tanto intimamente valorizzato e, in qualche misura, continuato in ciò che della sua speculazione parve propriamente essenziale. La lettura di Martinetti insiste sul nucleo metafisico di Spir, che gli pare incarnare "la forma pura della visione religiosa". L'affermazione fondamentale, in cui per Martinetti si riassume tutta la filosofia dello Spir, è quella della dualità fondamentale tra il vero esserel'Unità incondizionata, assoluta e trascendente in cui si esprime il divinoe l'essere apparente e molteplice rivelato dal mondo dell'esperienza. L'approccio alla rivelazione di tale realtà dualista mediante la teoria della conoscenza (l'idealismo gnoseologico di Spir) non è che premessa e introduzione all'autentico nucleo metafisico della sua filosofia, consistente in una forma di dualismo acosmista. Il dualismo di realtà e apparenza è in effetti esso stesso apparente: "non è fra due effettive realtà, ma fra un'unica realtà assoluta e l'irrealtà in cui il mondo sprofonda."»  Si può così dire che in Martinetti: «il motivo desunto probabilmente da Spir, il contrasto tra "anormale" (il mondo dell'esperienza empirico e molteplice) e "norma" (il principio d'identità, rivelazione incoativa del divino in noi) si spoglia qui dell'originario aspetto dualista per confluire in una visione coerentemente monista dell'esperienza di coscienza. Monismo coscienzialista, quello martinettiano, che non sfocia però in una forma di panteismo, in quanto il termine finale di questa unificazione formale rimane trascendente. L'unica realtà metafisica assolutasi afferma in conclusioneè l'"Unità formale assoluta", che trascende l'intero processo dell'esperienza, che di tale unità è solo un'espressione simbolica.»  Della filosofia di Spir, Martinetti mantenne sostanzialmente inalterata la morale, di derivazione kantiana, aveva d'altronde dichiarato che dopo Kant nessun filosofo serio può non essere in Etica "kantiano. L'intero percorso del pensiero martinettiano parte dal suo anticlericalismo", e aggiunge: "la natura del suo anticlericalismo lo portava a detestare la Massoneria. Ripetutamente mi disse di non essere mai stato massone, di essere anzi assolutamente contrario a questa Chiesa cattolica di segno rovesciato." Questo suo anticlericalismo l'ha portato ad un antimarxismo, il marxismo essendo "secondo i termini in cui egli si sarebbe espresso, la massima secolarizzazione concepibile della religione". E Del Noce conclude: "Ora a mio giudizio il pensiero di Martinetti si situa appunto come momento conclusivo del pessimismo religioso e come la sua posizione più coerente e rigorosa. L'antologia Il Vangeloscrive Martinetti «lasciando da parte l'elemento leggendario e dogmatico, cerca di disporre il materiale evangelico nell'ordine logicamente più appropriato. Tutto quello che i vangeli contengono di essenziale per la nostra coscienza religiosa è stato qui conservato.»  Il risultato di questo ordinamento logico è l'espunzionein quanto elaborazione teologica successiva ai lòghia di Gesù o ancora propria all'ebraismo da cui Gesù stesso non è immunedel Vangelo di Giovanni, degli Atti degli Apostoli, delle Lettere (anche le Lettere di Paolo) e dell'Apocalisse. Gesù di Nazaret, e non di Betlemme, è un profeta ebraico, l'ultimo e il più grande dei profeti. Non quindi Figlio di Dio, nemmeno resuscitato dalla morte, né apparso realmente ai suoi, Gesù in quanto Messia annuncia un regno messianico a cui succederebbe escatologicamente il regno dei cieli, quello di Dio. Tuttavia non chiarendo tale avvento escatologico, di fatto Gesù è soprattutto un maestro di dottrina morale che esorta a rinunciare al mondo per unirsi spiritualmente e interiormente a Dio, il bene supremo, amando il prossimo.  Per Martinetti bisogna aspirare ad una "Chiesa invisibile", in cui si possano compendiare i valori moralmente più elevati di tutte le culture religiose, dando vita così ad una società universale fraternamenteunita, egli scrive:  «In tutti i tempi, ma specialmente nelle età come la nostra, la vera Chiesa non risiede in alcuna delle chiese visibili che ci offrono il triste spettacolo dei loro dissensi, ma nell'unione invisibile di tutte le anime sincere che si sono purificate dall'egoismo naturale e nel culto della carità e della giustizia hanno avuto la rivelazione della verità e la promessa della vita eterna»  Gesù Cristo e il Cristianesimo fu messo sotto sequestro dalla Prefettura non appena stampato,  come Martinetti scrive a Guido Cagnola:  «Il mio libro venne terminato di stampare il 2 agosto e in tale giorno furono mandati i 3 es.[emplari] al Prefetto. Il 3 di mattina venne il permesso; alle 17 dello stesso giorno esso era ritirato. Per quali influenze? Io non lo so. Così il libro stette due mesi in sospeso: il 10 ottobre giunse (da Roma) il decreto definitivo di sequestro.»  Con decreto, “Gesù Cristo e il Cristianesimo, Il Vangelo” e Ragione e fede furono messi all'Indice dei libri proibiti della Chiesa cattolica. La rinascita del pensiero filosofico-religioso martinettiano scaturisce alla fine degli anni novanta del secolo scorso in virtù della rinnovata proposta ermeneutica di Chiara che cura l'inedito L'Amore, Il Vangelo (Genova) e Pietà verso gli animali (Genova); in particolare l'interpretazione elaborata da Chiara mette in luce gli aspetti gnostici della filosofia della religione martinettiana per poi proporne una rilettura in chiave kantiana anche attraverso un confronto con alcune sette separatiste vicine alla tradizione spirituale dei quaccheri.  Capitini rese visita a Martinetti, che a proposito della nonviolenza gli disse: "Forse se discutessi con lei mi convincerei, ma ora come ora le assicuro che se mi fosse detto che con l'uccisione di diecimila persone si estirperebbe il male che c'è in Europa, firmerei la sentenza senza esitazione."  Negli scritti La psiche degli animali e Pietà verso gli animali, Martinetti sostiene che gli animali, così come gli esseri umani, possiedono intelletto e coscienza, quindi l'etica non deve limitarsi alla regolazione dei rapporti infraumani, ma deve estendersi a ricercare il benessere e la felicità anche per tutte quelle forme di vita senzienti (cioè provviste di un sistema nervoso) che come l'uomo sono in grado di provare gioia e dolore:  «Nella relazione sulla psiche degli animali Martinetti tra l'altro affronta il problema dello scandalo morale suscitato dall'indifferenza delle grandi religioni positive occidentali di fronte all'inaudita sofferenza degli animali provocata dagli uomini: gli animali hanno una forma dell'intelligenza e della ragione, sono esseri affini a noi, possiamo leggere nei loro occhi l'unità profonda che ad essi ci lega.  Martinetti cita le prove di intelligenza che sanno dare animali come cani e cavalli, ma anche la stupefacente capacità organizzativa delle formiche e di altri piccoli insetti, che l'uomo ha il dovere di rispettare, prestando attenzione a non distruggere ciò che la natura costruisce.  Nel proprio testamento dispose che una somma significativa fosse versata alla Società Protettrice degli Animali; egli personalmente nutriva per gli animali una profonda pietà e tale sentimento lo aveva persuaso a darsi al vegetarismo, una scelta che assumeva per lui quasi il carattere di un valore religioso.  Scrive al proposito Amedeo Vigorelli:  «La scelta del vegetarianesimo non era "generica simpatia, e neppure un ideale politico, bensì meditato atteggiamento filosofico", da porsi in relazione sia con la sua profonda conoscenza della filosofia indiana sia con convinzioni radicate in una personale metafisica, sulla "unicità" della sostanza vivente e sul destino di "perennità" dello spirito.[67]»  La scelta della cremazione Martinetti fu un fautore della cremazione e una testimonianza "ci dice come Martinetti portasse sempre con sé, in una busta, le ceneri di sua madre."Secondo Paviolo, "Per i Martinetti la cremazione era una specie di tradizione familiare e la cosa appare strana in quei tempi nei quali, specie nei piccoli centri era pressoché ignota a tutti, e oggetto di scandalo per il gran rumore che, in questi casi, ne facevano i parroci." Non è però da escludere, nel caso preciso di Piero Martinetti, che questa scelta, come quella del vegetarianesimo, avesse anche una relazione con il suo interesse per la filosofia indiana, e dunque un valore filosofico e religioso. I suoi resti sono tumulati nel cimitero di Castellamonte in provincia di Torino.  Opere: Una " martinettiana" C. Ferronato si trova nel fascicolo speciale della Rivista di Filosofia Pietro Rossi: nel cinquantenario della morte, Dopo questa data, di Martinetti sono stati pubblicati. “Ragione e fede, Italo Sciuto, Gallone, Milano, Luca Natali, Morcelliana, Brescia,. Il Vangelo, Alessandro Di Chiara, il nuovo melangolo, Genova,  L'amore, Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “Pietà verso gli animali” Alessandro Di Chiara, Il nuovo melangolo, Genova, “La religione di Spinoza”  Amedeo Vigorelli, Ghibli, Milano,  “La Libertà” Aragno, Torino, Schopenhauer, Mirko Fontemaggi, Il nuovo Melangolo, Genova, “Breviario spiritual” Anacleto Verrecchia, POMBA, Torino, “L'educazione della volontà” Domenico Dario Curtotti, Edizioni clandestine, Marina di Massa, “Conoscenza in Kant”  Luca Natali, Franco Angeli, Milano, Pier Giorgio Zunino, Piero Martinetti, “Lettere”, Firenze, Olschki, “Gesù Cristo e il Cristianesimo” Castelvecchi, Roma,; edizione critica Luca Natali, introduzione di Giovanni Filoramo, Morcelliana, Brescia, “Il Vangelo: un'interpretazione” Castelvecchi, Roma,  “Spinoza, Etica, esposizione e comment”, Castelvecchi, Roma,. Il numero, introduzione di Niccolò Argentieri, Castelvecchi, Roma,  Luca Natali, Le carte di Piero Martinetti, Firenze, Olschki, “Spinoza” Francesco Saverio Festa, Castelvecchi, Roma,. Riconoscimenti Nella seduta del Senato Accademico dell’Università degli Studi di Milano del 19 settembre, è stata approvata ufficialmente la decisione del Dipartimento di Filosofia di intitolarsi alla figura di Piero Martinetti.La città di Roma gli ha intitolato una piazza il 27 gennaio, nel Giorno della Memoria. A Milano Martinetti figura tra i nuovi Giusti che saranno onorati al Monte Stella dal " nel Giardino dei Giusti di tutto il mondo. Cesare Goretti, "Piero Martinetti", Archivio della Cultura Italiana 1943, f. I81.  Simonetta Fiori, I professori che dissero "NO" al Duce, in La Repubblica,  «Ebbe molta influenza sulla scelta che Martinetti fece di iscriversi alla facoltà di Filosofia, fu suo professore, ma non un Maestro. Scrisse di lui Martinetti: "Era un uomo; quando andai a visitarlo l'ultima volta, pochi giorni prima della sua morte, mi disse di avere un'unica certezza, che dopo questa vita non c'è nulla. Le mie idee erano assolutamente opposte alle sue, su questo come su tutti gli altri punti. Ma non potei non ammirare la fermezza delle sue convinzioni"»: Paviolo.  «che morì proprio durante l'iter scolastico di Martinetti ma che ebbe con lui, forse per la comune origine canavesana, un particolare rapporto»: Paviolo 2 «Di una reale affinità tra Martinetti e i suoi maestri torinesi si può parlare forse solo in un caso: quello di Arturo Graf, del cui dualismo e pessimismo si può trovare qualche traccia nel pensiero del Nostro e alla cui poesia, piena di dolente (e a tratti cupa) riflessività filosofica, Martinetti tornerà anche negli anni maturi, come a una sorgente di ispirazione e conforto spirituale. Più documentata è l'influenza sul giovane Martinetti di un'altra singolare figura di poeta-filosofo: quel Pietro Ceretti da Intra (noto anche con lo pseudonimo poetico di Alessandro Goreni e con quello di Theophilo Eleuthero), alla cui postuma riscoperta si adoperarono intensamente Ercole e Alemanni, nell'ultimo decennio del secolo scorso e ai primi del nostro. Nel breve verbale relativo all'esame di laurea (qui il laureando è indicato come Pietro Martinetti) si dice semplicemente che il candidato ha sostenuto durante quaranta minuti innanzi alla commissione la disputa prescritta, sopra la dissertazione da lui presentata e sopra le tesi annesse alla medesima; e ha sostenuto anche la prova pratica assegnatagli dalla Commissione. La tesi ottenne la votazione di 99/110. Il lavoro di tesi non ebbe, come noto, il riconoscimento che meritavaanche a motivo di certe resistenze accademiche nel settore filologico della Torino e forse per questo lo studioso sentì il bisogno di attingere direttamente alle fonti dell'erudizione tedesca, fuori dal chiuso ambiente provinciale. Del resto il suo intent e  più filosofico che filologico, e la prima suggestione a interessarsi del “Samkhya” poté venirgli, piuttosto che dalle lezioni di Flechia, dalla conversazione con Ercole. Proprio del Samkhya, Ercole si era interessato alcuni anni primi in una breve Memoria uscita sulla Rivista Italiana di Filosofia diretta da Ferr. Di suo interesse costante per la filosofia indiana testimonia il corso di lezioni tenuto a Milano e pubblicato a Milano da Celuc, “La sapienza indiana. Corredata da un'antologia di testi Indù e Buddhisti. Ma è antefatto significativo, giacché lascia intravedere ancora una volta, questa volta sotto il rispetto particolare dei suoi primi contatti coi testi di A. Spir, l'importanza della permanenza a Lipsia nella sua formazione filosofica. Nella Lipsia conosciuta da lui sopravvive Drobitsch, lil maestro herbartiano di Spir e dalla sua Lipsia si diffondevano le edizioni di A. Spir entro il moto allora nascente in Germania dell'interesse per la filosofia sua. Il pensiero di Spir, Torino, Albert Meynier.  Anno che fu per lui particolarmente duro, vedi Lettere ai famigliari dalla Siberia dell'Italia meridionale", F. Minazzi, Il Protagora, Lettere. Prima che della dittatura fascista, e critico altrettanto risoluto del comunismo e della democrazia, di cui colse gli aspetti degenerativi dell'affarismo e dell'ultraparlamentarismo. Non si vede in chi e in che cosa un uomo come lui che, per sua scelta culturale ma anche per disposizione personale, agiva in modo disgiunto da ogni partito, movimento, gruppo avrebbe pouto trovare un legame per immettersi in un flusso di attivo anti-fascismo. Tra dittatura e inquisizione negli anni del Fascismo", in Lettere, Firenze. Ringrazio la S.V. Ill.ma della cortese partecipazione e la prego di esprimere la mia profonda gratitudine ai membri di codesta R. Accademia che hanno voluto conferirmi un sì ambito onore. Ma circostanze pesantissime, sulle quali non è il caso di [parola illeggibile] mi vietano nel modo più reciso di poterlo accettare»: Lettera al presidente dei Lincei, e a L. Mangiagalli. Il Congresso non ha altro fine che di essere una manifestazione della filosofia italiana in quanto libera e appartata da ogni contingenza del momento: come deve essere in qualunque tempo la filosofia. A T. Scotti. Che accusò Martinetti, ricambiato, di disonestà intellettuale nel riguardo della filosofia scolastica, cf. H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze. Per Martinetti. Padre Gemelli è tutto fuorché un filosofo. A B. Varisco,  in: Lettere 33.  H. Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, Il congresso di filosofia. Tutto l'affare è una montatura (come del resto anche il ritiro dei cattolici dal Congresso), la quale ha la sua origine nel fatto che io non ho permesso a Gemelli di spadroneggiare nel Congresso e di prepararvi qualcuna delle sue rappresentazioni ciarlatanesche. A B. Varisco, a C. Goretti a L. Mangiagalli. Quando Martinetti, con il rifiuto del giuramento di fedeltà al fascismo, abbandona l'insegnamento non rinuncia a quegli incarichi o a quelle adesioni che non erano a tale giuramento connesse: guarda di non compromettere quella sua creatura che era diventata La Rivista di Filosofia e non ne volle la direzione effettiva ma continua l'intensa e puntuale collaborazione redazionale sino a che le sue condizioni di salute glielo permisero. A B. Giuliano,  a G. Cagnola,  Ad.  Baratono, D. Assael, Alle origini della Scuola di Milano: Barié, Banfi, Milano. Ella già saprà certamente che io, in seguito all'affare del negato giuramento, sono stato collocato a riposo. Non appartengo quindi più all'Milano e non posso più esserle utile che indirettamente»: a C. Gadda, 17 marzo 1932, in: Lettere 114.  «del resto io sono perfettamente sereno come chi ha fatto ciò che doveva fare: e non mi sarà discaro poter d'ora innanzi applicare tutto il mio tempo ai miei studi, cioè agli studi veramente miei, fatti per mè, per la mia personalità e la mia vita»: Lettera n. 110, Piero Martinetti a Vittorio Enzo Alfieri, Sulla cui porta fece mettere un'indicazione che diceva: "Piero Martinettiagricoltore": Paviolo«Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi. In questo senso ho scritto, "richiesto da Castiglioni stesso", che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la Storia della  Filosofia. A A. Baratono, Nel registro di entrata delle Carceri Nuove di Torino egli è l'unico che nella scheda personale si faccia registrare, nell'apposita voce, come "ateo", mentre tutti gli altri non di religione israelitica (ossia Bobbio, Einaudi, Pavese, Antonicelli, Salvatorelli e così via) si dichiarano "cattolici"alcune schede, peraltro, tra cui quella di Mila, sono andate perse (il registro è conservato all'Archivio di Stato di Torino, sezioni riunite, Casa circondariale di Torino, Registro matricole)", in: Lettere.  "Martinetti veniva rinchiuso in una cella sulla cui porta veniva apposto il cartellino "Politico: sorveglianza particolare". Il giorno successivo cominciavano gli interrogatori che si ripetevano finché dopo alcuni giorni d'arresto il Martinetti veniva finalmente scarcerato.", Michelangelo Giorda, Piero Martinetti, Castellamonte, «Devo darle una notizia terrificante, relativamente. Lunedì passato 8 corrente sono caduto malamente da una pianta, per fortuna senza gravi conseguenze di nessuna specie, salvo un leggero tramortimento durato qualche ora»: Lettera n. 241, Piero Martinetti a Nina Ruffini, in: Lettere 2Cit. in: Lettere 245.  «Si può comunque, in base a testimonianze diverse, ritenere che Martinetti sia deceduto all'Ospedale Molinette sfollato a Cuorgnè, ove si tentò inutilmente di salvarlo e che il corpo sia stato immediatamente trasferito (abitudine che rimase in uso per decenni in circostanze analoghe) alla casa d'abitazione, per evitare lungaggini burocratiche e maggiori spese funerarie.  L'atto di morte recita: " il g alle ore quattro e minuti zero, nella casa posta in frazione Spineto n. 106 è morto Martinetti Piero, anni 70, residente in Torino, professore pensionato"»: Paviolo.  Paviolo.  "Per ultimo desidero di essere cremato e che le mie ceneri riposino nel Camposanto di Castellamonte", frase finale del testament, Paviolo. Il testamento di Martinetti, da lui riscritto, "in una grafia incerta e in una forma in cui non si trova lo stile abituale del nostro filosofo"(Paviolo) fu considerato da sua sorella Teresa come estorto: "Le opere che al tempo del decesso di Piero erano ancora solo allo stato di manoscritto vennero devolute ai beneficiari della biblioteca, la quale, a dirtelo in assoluta confidenza, cadde in mano a tre estranei alla famiglia, per un testamento fatto fare a nostra insaputa a Piero, a oltre un anno da che era stato colpito da un insulto di trombosi al cervello [...] la preziosa biblioteca, che per volontà recisa, assoluta di Piero a me da Lui ripetutamente espressa alcuni mesi prima che fosse colpito dalla trombosi, doveva andare all'Milano, prese altre vie e e sta presentemente ancora peregrinando in attesa di destinazione definitiva." Lettera del 25 settembre 1947 di Teresa Martinetti al cugino Giuseppe Bertogliatti, in: Paviolo Fondazione Casa e Archivio. Allo Spir, un singolare pensatore solitario, al quale mi legano tante affinità e tante simpatie, sarà dedicato il fascic. 3 della "Riv. di Filosofia", che non mancherò di spedirle a suo tempo. Quante dottrine dello Spir, specialmente nel rapporto morale e religioso, sembrano pensate per il nostro tempo! Ma esse passeranno, come passarono, inavvertite. La lucequesto passo del quarto Vangelo lo Spir volle inciso sul suo sepolcrovolle penetrare le tenebre, ma le tenebre non l'accolsero»: Lettera n. 164, Piero Martinetti a Nina Ruffini, 26 gennaio 1937, in: Lettere 155..  «io sono sempre stato un filosofo inattuale»: Lettera n. 258, Piero Martinetti a Giorgio Borsa, 1942, in: Lettere Emilio Agazzi, La filosofia di Piero Martinetti, Milano, Unicopli. Ma è stato Alessio a dimostrare l'importanza e l'anteriorità, rispetto ad altri autori, della lettura di Spir per la maturazione della metafisica martinettiana»: Vigorelli, F. Alessio, Vigorelli Vigorelli  Piero Martinetti, Breviario spirituale, Bresci, Torino,  Lettera Piero Martinetti a Guido Cagnola, Lettere. Sulla riflessione religiosa di Martinetti vedi Franco Alessio, L'idealismo religioso di Piero Martinetti, Brescia, Morcelliana, (Tesi di Pavia: relatore Michele Federico Sciacca)  Paviolo Paviolo  Amedeo Vigorelli, "Martinetti e Capitini: attualità di un confronto", in: A. Vigorelli, La nostra inquietudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Mondadori, Milano. E si conversa a lungo della inumazione e della cremazione (aveva fatto cremare il cadavere della mamma, per avere vicine le sue ceneri)" A. Capitini, Antifascismo tra i giovani, Célèbes Trapani,   Paviolo Paviolo. L'eretico Martinetti, italiano per caso", Recensione di Raffaele Liucci su Il fatto quotidiano, Libera cittadinanza  Il Dipartimento di Filosofia "Piero Martinetti a Milano  Pierluigi Battista, "Le vie dedicate ai razzisti spettano ai professori eroi che dissero no al fascismo", Corriere della Sera, S. Chiale, "Dall'attivista curda al pioniere green I nuovi Giusti del Monte Stella", Corriere della Sera, Cronaca di Milano13.  "Monte Stella I nuovi Giusti in diretta su Facebook", Corriere della Sera, 7 marzo, Cronaca di Milano9. , Commemorazione dTorino, Accademia delle Scienze, Giornata Martinettiana, Torino, Edizioni di "Filosofia", Rivista di Filosofia, E. Agazzi, "La storiografia filosofica", Rivista critica di storia della filosofia, E. Agazzi, Sandro Mancini, Amedeo Vigorelli e Marzio Zanantoni, Unicopli, Milano,. F. Alessio, L'idealismo religioso, Brescia, Morcelliana, Franco Alessio, introduzione Il pensiero di Africano Spir, Torino, Albert Meynier, Davide Assael, Alle origini della Scuola di Milano: Martinetti, Barié, Banfi, Milano, Guerrini, A. Banfi, "Piero Martinetti e il razionalismo religioso", in: Filosofi contemporanei, Firenze, Parenti, Guido Bersellini Rivoli, Il fondamento eleatico della filosofia -- Milano, Saggiatore, Guido Bersellini Rivoli, La fede laica, Appunti sul confronto religioso e politico (in Italia e nel villaggio globale), Lecce, Manni, G. Rivoli, Appunti sulla questione ebraica. Da Nello Rosselli a Piero Martinetti, Milano, Angeli, Giorgio Boatti, Preferirei di no, Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino, Einaudi,  B. Bonghi, La fiaccola sotto il moggio della metafisica kantiana. Il Kant, Milano, Mimesis,  F. Minazzi, Sulla filosofia italiana, Prospettive, figure e problemi, Milano, Angeli); ranco Bosio, "L'uomo e l'assoluto", in: Filosofie "minoritarie" in Italia tra le due guerre Ceravolo, Roma, Aracne, Remo Cantoni, "L'illuminismo religioso” in: Studi filosofici, G. Colombo, La filosofia come soteriologia. L'avventura spirituale e intellettuale di Milano, Vita e Pensiero, E. Colorni, La malattia della metafisica. Scritti autobiografici e filosofici, Torino, Einaudi, A. Noce, Filosofi dell'esistenza e della libertà, Milano, Giuffrè, M. Pra, "Momenti di riflessione sull'esperienza religiosa in Italia tra idealismo e razionalismo critico", in:  La filosofia contemporanea di fronte all'esperienza religiosa, Parma, Pratiche); C. Ferronato, "Filosofia e religione”, in: Percorsi e Figure Filosofi italiani, Salvatore Natoli, Genova, Marietti, G. Filoramo, Letture Martinetti. "Gesù Cristo e il Cristianesimo" nel pensiero religioso, "Rivista di filosofia",  P. Gervasio, Piero Martinetti: l'interpretazione di Kant nel quadro della filosofia italiana tra Ottocento e Novecento, Michelangelo Giorda, Piero Martinetti, Castellamonte, Helmut Goetz, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, La Nuova Italia, C. Goretti, Il pensiero filosofico di Piero Martinetti, Bologna, Accademia delle Scienze, 1952. Eliodoro Mariani, Esperienza ed intuizione religiosa: saggio sul pensiero di Piero Martinetti, con appendice sugli inediti, Roma, Carlo Mazzantini, L’'Oriente", Filosofia,  Valerio Meattini, Ragion teoretica e ragion pratica. Martinetti interprete di Kant, Pisa, Vigo Cursi, Franco Milanesi, La filosofia neognostica, in: "Paradigmi", G. Morelli, tesi di laurea in Filosofia (A. Aliotta), Biblioteca Facoltà di Lettere e Filosofia, Napoli); Angelo Paviolo, Piero Martinetti aneddotico. L'uomo, il filosofo, la sua terra, Aosta, Le Château Edizioni, Alfredo Poggi, Vicenza, Collezione del Palladio, 1ora Riedizione Cosimo Scarcella e Introduzione di . Mas, Milano, Marzorati, E. Rambaldi, Voci dal Novecento, Milano, Guerrini e Associati, Francesco Romano, Il pensiero filosofico di Piero Martinetti, Padova, Milani, Carlo M. Santoro, Il problema della libertà, Lecce, Edizioni Milella, Cosimo Scarcella, La dottrina politica di Piero Martinetti: aspetti teoretici ed aspetti pratici, in Il Pensiero Politico, Firenze, Olschki Editore, Cosimo Scarcella, Piero Martinetti. Politica e filosofia. Con alcuni ‘Pensieri' inediti, Napoli, Collana La Cultura delle Idee diretta da Fulvio Tessitore e Giuliano Marini, Edizioni Scientifiche Italiane, C. 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La reviviscenza neoplatonica nel razionalismo religioso (Atti del Convegno “Presenza della tradizione neoplatonica nella filosofia del Novecento”, Vercelli), Annuario Filosofico, Mursia, Milano, A.Vigorelli, La nostra inquietudine. Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi, Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Bruno Mondadori, Milano 2007. Amedeo Vigorelli, Lettore di Spinoza. Il tempo e l'eterno", in:, Spinoza ricerche e prospettive. Per una storia dello spinozismo in Italia (Atti delle Giornate di studio in ricordo di Emilia Giancotti, Urbino), D. Bostrenghi e C. Santinelli, Bibliopolis, Napoli,  A. Vigorelli, "Piero Martinetti  una apologia della religione civile", in:, Le due Torino. Primato della religione o primato della politica?, Gianluca Cuozzo e Giuseppe Riconda, Trauben, Torino, Africano Spir, Scuola di Milano G. Solari C. Goretti L. Basso A. Baratono A. Banfi, Giuramento di fedeltà al fascismo, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  P Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  siusa. archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Torino, Biblioteca della Fondazione Piero Martinetti, Torino. Fondazione Casa e Archivio Piero Martinetti, su Fondazione piero martinetti. D. Fusaro sul sito Filosofico.net.   G. Colombo, La filosofia come soteriologia.  A) La prima forma di comunione fra esseri, quella che fonda le prime forme di società, quella che sussiste anche in quei gradi della vita animale onde è esclusa ogni altra forma di socievo­ lezza, è l’amore. Che cosa non è stato detto e iscritto in ogni tempo intorno all’amore? Io non intendo qui certamente aggiun­ gere su questo argomento nuove ed inutili speculazioni : voglio   — 115 - solamente trattarne in quanto aneli’esso è nella vita umana una sorgente di importanti doveri. L’amore, qualunque possano essere le complicazioni senti­ mentali che ne mutano profondamente la natura e possono dargli finalità più elevate, non ha originariamente altro fine che la (pro­ pagazione Astica della specie. L’unione fisica di due individui di sesso diverso ha per effetto l’estensione della vita organica nel tempo : per essa l’individualità effimera si sottrae in un certo modo alla morte e celebra l’eternità sua confondendosi per un istante con la serie delle generazioni venture. La voluttà fisica non è che una forma di quel piacere che accompagna ogni esten­ sione dell’individualità, ogni fusione delle coscienze singole in un tutto capace d’una vita più alita e più larga. Sotto questo aspetto la voluttà riveste un carattere ideale e direi quasi sacro : e tutta la poesia dell’amore non è che la poesia del primo, del più universale ideale umano. Ma il desiderio antico che in questo senso trae tutti i mortali è diventato attraverso le innu­ merevoli generazioni mn istinto : e l ’ uomo avendo volto lo sguardo verso forme più alte di unità e di vita si è abituato a'Vedere in questo dovere della propagazione della vita solo il compimento d’una funzione organica e nella voluttà un .semplice fremito del senso che non deve interessare la personalità superiore e che anzi può essere per la medesima un ostacolo ed un arresto. Di qui il duplice carattere dell’amore e della voluttà : da un lato essi sono la secreta aspirazione d’ogmi vivente, il movente di una gran parte delle attività umane; dall’altro appariscono come una debolezza, una vittoria dell’essere inferiore sull’es­ sere superiore e veramente umano. Nel pudore che accompagna l’unione dei due .sessi e tutto ciò che la riflette vi è qualche cosa della riverenza che impone un sacro mistero e della vergogna che desta l’esercizio di tutto ciò ohe è vita puramente animale. Il complesso delle attività e delle facoltà che si riferiscono a questa funzione costituisce, forse in modo più marcato che iper ogni altra funzione umana, un tutto ben distinto, che si   - 116- stacca nella personalità complessiva come una personalità mi­ nore e subordinata : vi è in ogni individuo umano una perso­ nalità sessuale che, per quanto non sempre chiaramente co­ sciente, ha la sua sfera di visione, la sua vita, le sue oscure tendenze e spesso influisce in misura non indifferente sopra lo svolgimento e il destino di tutta la persona. Questa personalità sessuale è già in un certo senso, per l’individualità organica bruta chiusa, nel suo egoismo repulsivo, un essere ideale : l’in­ dividualità atta all’amore appare come qualche cosa di deside­ rabile e di bello : ed è precisamente in questo carattere di idea­ lità che circonfonde tutto ciò che all’amore serve, che ha avuto origine il senso umano della bellezza. Il « tipo » estetico che le donne in genere e molti uomini cercano di realizzare con tutti i mezzi che l’arte e la moda suggeriscono non è altro che la presentazione della personalità sessuale : questa costituisce per molti l’apice di tutte le aspirazioni e di tutti gli ideali. D’altra parte la vita non si arresta all’amore e vi sono ideali più alti che la perpetuazione fisica, della specie : quindi di fron­ te alla personalità morale ed all’umanità vera la personalità sessuale appare come qualche cosa di inferiore e di miserabile. Quando perciò essa si svolge in noi senza alcun legame od in opposizione con i nostri sentimenti più elevati, noi possiamo bensì cedere per un istante al suo fascino, ma la sua vita resta pure sempre per noi qualche cosa di straniero che più tardi rigettiamo con vergogna e con disprezzo. Non è però affatto necessario che la vita sessuale si svolga nell’uomo senza alcuna continuità e senza accordo con le sfere più alte della vita interiore. Nello stesso mondo animale essa svolge nella maternità e nella famiglia una vera attività di ordine morale che la compie e la nobilita : e nell’uomo tutta la storia dell’evoluzione della famiglia che altro è se non il moralizzamento progressivo della funzione sessuale? Così puri­ ficato ed elevato, il desiderio del senso si intreccia con i più nobili e delicati sentimenti della vita morale, con i.1 sentimento •   - 117- della, protezione e della carità, dell’amicizia, della solidarietà, della fedeltà; anzi, intellettualizzandosi vieppiù e collegandosi con le aspirazioni più elevate, diventa comunione di vita inte­ riore, di gioie alte e pure : l’amore animale e sensuale si tra­ sforma nelle forme più nobili dell’amore umano. Certo il fattore sensuale non scompare mai : l’amore platonico non esiste o, se esiste, non è una forma viva e sana dell’amore. Ma anch’esso si raffina e si assimila : il piacere medesimo del possesso di­ venta, per la confusione della spiritualità di due esseri elevati, più delicato e più profondo. Sopra tutto poi esso elimina gra­ dualmente da sè tutto ciò che urna viva sensibilità estetica e morale giudica o ignobile o incompatibile con le tendenze della personalità superiore : così sorgono le virtù dell'amore, la leal­ tà, la fedeltà, la castità. L’ amore sensuale vive del piacere dell’istante e cerca nell’oggetto suo soltanto il soddisfacimento del suo ardore : esso non è che il contatto superficiale e momen­ taneo di due personalità sessuali che si avvincono e si confon­ dono mentre le anime restano straniere l’una all’altra diffi­ denti, sordamente ostili. L’amore veramente umano si completa con l’unione delle volontà, che esige urna reciproca dedizione intiera, leale, duratura ed esclude come cose indegne la men­ zogna, l'ingiustizia e tutto ciò che diminuisce questa perfetta comunione di vita. Così è possibile un amore che sorge non dal senso, ma da tutta la personalità; un amore che purifica e no­ bilita, che ispira ad alte cose e ¡santifica la voluttà stessa. Questo concetto dell’amore traccia ad ogni uomo la via che deve seguire se egli sinceramente sdegni di degradare sè stesso ; essa, è del resto anche la via più saggia sotto l’aspetto della fe­ licità. Certo può sembrare un’ingenuità chiedere alla ragione consigli contro una passione che si mde della ragione : mentre l’eperienza quotidiana ci mostra con mille esempi come essa sconvolga talora le menti più equilibrate, soffochi i sentimenti più sacri, precipiti nell turbamento e spesso nella più irrepa­ rabile rovina esistenze, che l’educazione, l’intelligenza, i vincoli   — 118— sociali e morali sembravano assicurare contro la prevalenza di ignobili tendenze. Tanta è del resto la potenza di questo «niver­ i-sale e profondo istinto che esso è il movente secreto o palese di gran parte dell’attiviità umana : la massima parte dei ritrovi, delle feste, dei divertimenti sociali, la moda e per molti ri­ spetti anche l’arte non hanno altra ragione d’essere; e i vizi che esso alimenta danno origine ad un vero pubblico mercato e ad industrie fiorenti. Come sperare dunque che la ragione possa qualche cosa contro una volontà oscura e ribelle che sembra avere la violenza e la regolarità delle forze di natura? La mo­ rale predica contro questa passione quasi soltanto come per sod­ disfare un debito : la giovinezza, la fantasia e l’arte la rivestono dei più brillanti colori e si ridono della morale : ed anche i predicatori più severi del resto non sanno, tra un sermone e l’altro, esimersi da un sentimento che sta fra il compatimento e la malrepressa invidia. Io non credo tuttavia che qui la riflessione sia del tutto mutile. L ’ esperienza della vita insegna (e ciascuno lo ricono­ scerà in stesso) che vi sono nella vita interiore dei momenti decisivi nei quali una parola, un pensiero che sono caduti un giorno nell’anima indifferente, si risvegliano e fortificano una nobile ispirazione, soffocano una passione nascente, provocano un deciso cambiamento d’indirizzo. Questo è vero anche della pas­ sione dell’amore. Certo è inutile invocar la ragione quando la passione è ingigantita e il vizio è inveterato : ma questo non vale egualmente di tutte le passioni? La ragione non può di­ struggere l’istinto, ma può dirigerlo : e può dirigerlo se, come un medico accorto, cura il male nei suoi inizi. Ora l’origine del male sta, come già videro i saggi antichi, nelle illusioni che noi ci formiamo circa la realtà. L ’ uomo, sopratutto nella giovi­ nezza, non si precipita verso i piaceri che l’amore promette se non perchè la sua fantasia presenta al desiderio le immagini più allettatrici e riveste ila ¡realtà delle forme più ¡belle e più desi­ derabili. Lo spirito soggiace allora ad una specie di limita­   zione del proprio orizzonte : esso si chiude nei propri sogni e diventa cieco all’aspetto del vero essere delle cose. In questo appùnto può intervenire efficacemente la ragione. Lo sforzo che si deve e si può compiere in quel momento in cui sorgono le prime illusioni, è di dissipare1queste visioni ingannevoli col tenere viva e presente diinnanzi al pensiero la realtà che esse nascondono, col rievocare le esperienze dolorose, col ravvivare le intuizioni profonde che ci svelano l’intima e vera natura delle cose. In fondo a tutte le cose sta la tristezza, ha detto Amici : e veramente l’aspetto ultimo delle cose è triste, mia anche fecondo di salutare saggezza. L’aspetto supeSiciale della realtà è lieto, vario e giocondo come l’aspetto d’una folla che popola le vie d’una città in un giorno di festa. Ma quante cose sordide e tristi non nascondono anche qui le varie e splendide apparenze! Ora in nessuna parte la fantasia è tanto fertile d’in­ ganni quanto nelle cose dell'amore : ed in nessuna parte l’in- gànno è così lusinghiero ed ostinato. Tanto anzi che qualcuno hai voluto vedere nell’amore una specie d’inganno della natura ; che si serve dell’individuo per la propagazione e lo sacrifica, viìttimn volontaria, alla specie. Ma la natura non è in questo caso che la nostra natura inferiore ; noi soggiacciamo all’inganno solo perchè l’istinto ci oscura l’intelligenza e noi non sappiamo più vedere che con gli occhi della sensualità. Questa ci dipinge la via tutta sparsa di dolci desiderii e di soavi ebbrezze; l’amore ci si offre dinnanzi come un palazzo incantato pieno di misteri e di delizie. Bisogna invece che l’intelletto nastro si sforzi di mantenere sempre a sé presente questa prima, considerazione : che l’illusione sessuale ci mostra sotto un solo aspetto un es­ sere che freddamente considerato ¡nella sua 'realtà, è il più delle volte tutt’altro che desideratile. La personalità sessuale non è che un aspetto, uno stato della- persona; è una specie di trasfi­ gurazione di tutto l ’ essere che in fondo rimane così straniera alla persona come se fosse veramente un’altra personalità. Per­ ciò quando la persona amata non è per sè stessa degna di sti-   - 120- una e d’amore, l’illusione sessuale è seguita inevitabilmente da una profonda delusione : soddisfatto il desiderio l’immagine ideale, oggetto d’un’adorazione appassionata, isi risolve in un essere prosaico e volgare che ci 'meravigliamo d’avere deside­ rato. Bisogna, in .secondo luogo tener presente quest’altra, consi­ derazione : che la «tessa personalità sessuale, dato che in noi potesse persistere lo stato passionale corrispondente, è ben lun­ gi dall’essere una sorgente di gioie pure ed immutabili : la sen­ sualità è, come ogni passione, un fuoco che consuma se stesso. Un amore puramente sensuale, non potrebbe lessero che un triste ed insaziato ardore : la vita dominata dalla lussuria ap­ pare, freddamente considerata, dolorosa ed ignobile nello stesso tempo. L ’ amore d’ una donna non rende beati che quando può trasformarsi in un sentimento più alto, come accade nella fa­ miglia, od associarsi la sentimenti ideali e diventare una co­ munione morale ed intellettuale di due nobili spiriti. Anzi, nelle persone di più profondo sentire l’attrazione sessuale maschera quasi sempre un’oscura aspirazione spirituale, il bisogno d’una comunione di vita, che riempia l’anima loro, la elevi e la consoli ; è un vago presentimento ideale sperduto nella sfera sessuale. Perciò quando esse non riconoscono la vera natura del senti­ mento che le attrae e, nella loro cecità, ne cercano la soddisfa­ zione nel senso, la loro illusione finisce, il più delle volte, in una tragedia dolorosa. Bisogna in terzo luogo ancora aver presente che, mentre per ogni animo 'ben nato vi sono nella vita aspira­ zioni e soddisfazioni 'ben più alte che quelle dell’amore, l’amore è spesso l'impedimento più forte a questa vita superiore. La donna, come puro .essere sensuale, è la nemica naturale degli interessi ideali dell’uomo; essa non vive che per sè stessa e per i suoi istinti : la volontà sua egoistica è tutta tesa verso il piacere, il lusso, i godimenti della vanità. In cambio della vo­ luttà l’uomo deve il più delle volte sacrificare alla sua vanitosa ed insignificante persona il suo lavoro, il suo benessere, il suo valore spirituale e disperdere in una vita di agitazioni vane í   quelle preziose qualità che potevano servire ad un ben più no­ bile scopo. Quante nobili esistenze non ha /perduto il fuoco oscuro della sensualità! Quante volte l’influenza funesta della donna non è stata causa dei più gravi turbamenti nella vita dell’uomo; della decadenza della volontà, della rinunzia ai fini più alti, e infine della completa rovina morale! Sopratutto quindi è necessario, per resistere a queste sollecitazioni della vita inferiore, suscitare e tener vivo nello spirito qualche alto e degno amore che lo ©levi sopra la sfera della bellezza sensi­ bile. La passione ardente ohe travolge qualunque considera­ zione e saggezza puramente umana, s’arresta dinanzi alle vo­ lontà più aJlte dello spirito, che aprono all’uomo una realtà d ’ un valore infinitamente superiore. E ’ vero che non sempre noi possiamo rivolgere il nostro pensiero verso queste realità idea, li con tanta fermezza che non possa essere vinto degli ardori del senso : ma la contemplazione e ¡l’amore delle cose ideali tra­ sforma sempre il nostro modo di vivere ed apre i nostri occhi ad una luce che non va più .perduta. Quindi anche quando questo amore non è per sé abbastanza forte, esso favorisce lo svolgersi della riflessione critica e induce nell’anitmo una disposizione abituale in cui il germe della passione non trova un terreno fa­ vorevole e viene soffocato prima di svolgersi. Inoltre la con­ suetudine con una sfera più alta di vita crea un sano e salutare orgoglio che respinge da sè, senza esitare, ogni ibassezza. Un’i­ stintiva fierezza, permette al selvaggio di sopportare con viso impassibile i più aspri tormenti : un uomo che sopporterebbe la povertà, la fame e qualunque strazio per il suo dovere ed il suo onore, vorrà diventare lo zimbello dei suoi istinti e sacri­ ficare tutto quello che di grande e di safro ha per lui la vita per il possesso d’una donna? Da queste considerazioni discende anzitutto la condanna di ogni degenerazione ignobile dell’amore. L’istinto che tende ciecamente verso la sua isoddisfazione è soggetto a singolari aberrazioni : e l’istinto sessuale umano può essere anche aiutato   — 122 — in queste sue deviazioni dal ritorno atavico della associazione sua con altri istinti ed altre tendenze; per es. coll’impulso alla crudeltà. Anzi anche dall’associazione con sentimenti superiori non ignobili : come è avvenuto' per es. nell’amore omosessuale greco. La cura estrema con la quale queste tendenze vengono tenute segrete le fa apparire come eccezioni : ma coloro che se ne occupano per dovere professionale sanno che esse sono tutt’altro che rare, anche fra individui delle classi elevate. Esporre i pericoli e le vergogne a cui queste degenerazioni con­ ducono è cosa inutile : coloro stessi che vi soggiaccione li cono­ scono. Ogni animo non ignobile deve del resto essere trattenuto sull’orlo di questo abisso dal rispetto di sè stesso. Ma se ciò noni bastesse, egli deve rappresentare a sè chiaramente che, degradando la sua vita in queste turpitudini, sacrifichereb­ be a misere, bestiali voluttà tutto ciò che di migliore e di desi­ derabile può offrire la vita dell’ uomo. L ’ atto dell’ uomo non è qualche cosa che si possa isolare dalla natura sua e se ne stacchi, appena compiuto, come il frutto che cade dall’albero : esso ri­ mane anche dopo e non si cancella. Seguire l’istinto nelle sue depravazioni vuole dire rassegnarsi a diventare un essere be­ stialmente istintivo : non bisogna illudersi di potere dopo ciò conservare in sè qualche cosa di veramente elevato. E vuole dire quindi anche abbandonare la propria vita a tutte le mi­ serie dolorose che accompagnano la vita d’un essere tutto con­ finato nella sua animalità. Ma vi sono anche altre forme ddl’amore in apparenza più normali ed elevate che vengono coinvolte in questa condanna. Non parlo dell’amore prettamente mercenario, che è anch’esiso una forma di degenerazione : parlo dell’amore vago che, pure fuggendo ogni attaccamento saldo, circonda il godimento d’una parvenza di sentimentalità che sembra 'redimerlo e nobilitarlo : è l’amore per l’amore, l’amore libero che comincia generalmente fra le rosee illusioni e finisce quasi sempre nella vergogna e nel pianto. Non vi è uomo quasi che non abbia- lasciato fra- le  TM'wm-• - 123— sue spine qualche illusione di giovinezza insieme con qualche brandello di felicità e di onore, che, se avesse la magica arte dello ^scrittore, non potrebbe scrivere anch’egli, come romanzo, una pagina della 'sua vita e dedicarla a suo figlio «quando avrà vent’aoani». Non vi è da illudersi quindi che la saggezza degli altri possa sostituire totalmente l’esperienza vissuta; ma essa potrà, se non altro, aiutare a formarsi rapidamente questa esperienza e a non consumare dolorosamente anni preziosi ad inseguire un vano fantasma che ci allontana dalia felicità vera e durevole. L’amore tende per sua natura, in ogni animo ele­ vato, a stringere un’unione indissolubile; quindi il correre ap­ presso ad un amore che noi già sappiamo non poter condurre ad una simile unione è un preparare a sè stesso, a scadenza più o meno lunga, una sicura infelicità. Vero amore è soltanto l’a­ more che è legato da un senso profondo di pietà e di respon­ sabilità : e questo senso impone all’uomo di rimanere sino alla fine della vita al fianco della donna che gli si è data e di non ab­ bandonarla in balia dell’incerto destino. Perciò ogni abbandono, ogni mutamento lascia amari rimpianti e rimorsi : la slealtà e l’ingiustizia che l’uomo addossa alla propria coscienza, quando viene meno alle ¡menzognere promesse, è una bassezza che avvi­ lisce chi la commette. Del resto già sappiamo che un amore pu raímente fìsico è sempre deluso : di qui ]’universale ed infrenabile desiderio degli uomini attratti verso le donne non ancora cono­ sciute. Ma anche questo errare, dato che potesse sempre avere soddisfazione, non sarebbe che un passare continuo di delusione in delusione, di rimpianto in rimpianto. Non vi è quindi in realtà vita più triste di quella passata nei facili amori : vita che è inseparabile dal sentimento della propria degradazione, perchè l’amore che non termina in altro, che non isi associa con i senti­ menti più elevati della natura umana, è un ben misero fine : esso non è in ultimo, se lo si spoglia di tutti i fronzoli sentimen­ tali, che pretta e pura sensualità. La ricerca affannosa della donna 11011 è che la ricerca di una donna : l’amore vago e libero    — 124 — è la conquista, attraverso molte amare esperienze, di questa semplice verità : che non vi può essere amore veramente felice se non nel nobile sentimento che lega l’uomo con una sola donna per tutta la vita. Ohe l’amore pertanto, io direi al giovane dinnanzi a cui si apre questo mondo di vaghe lusinghe, non si disisoci mai in te, dai nobili principi d’urna coscienza retta e pura! Anche at­ traverso le passioni e gli errori, sii un uomo onesto! Non acqui­ stare il piacere d’un’ora a prezzo della rovina d’un povero essere debole e indifeso : questo sarebbe un tradimento vile che nes­ suna riparazione pecuniarda cancellerebbe dalla tua vita. Pensa che nessuna violenza di passione può scusare la disonestà di chi non esita, per soddisfare un desiderio, a gettare la vergogna e la disperazione in una famiglia : sebbene la leggerezza del mondo biasimi l ’ adulterio quasi sorridendo, non vi è dinnanzi alla retta coscienza morale infamia più bassa. E sopratutto pensa alla condizione di quelli che la viltà dei loro genitori ha lasciato in abbandono e che una fredda carità cresce agli stenti, alle tristezze, alle umiliazioni di all’esistenza miserabile. Se vi è un pensiero che valga a farci vergognare dei bassi amori, questo è bene il sospetto che forse ora in qualche parte del mondo vi sia qualcuno che deve a noi la vita e che ha ragione di impre­ care, in mezzo alle sue miserie, al nostro egoismo inumano. Sii dunque casto : la castità è la virtù dell’amore. Essere casti non vuol dire andare in cerca d’una virtù soprannaturale, ma saper rinunciare a ciò che è al di sotto della nostra natura, alle soddisfazioni dei sensi che sono ignobili ed ingiuste. Essere casti vuole dire anzitutto dunque essere forti, saper tenere lon­ tano da sè i vizi vergognosi che minano ila salute e corrompono la, delicatezza e la dignità del carattere : vuole dire inoltre essere giusti e pietosi e non cercare ili nostro piacere a prezzo del disonore e della rovina di altri. Se tu vuoi che l’amore non sia per te fonte di infelicità e di rimorsi, fa sì che esso sia l’armo, nia di due volontà nobili e pure, per le quali l’amore non è che l’inizio d’una comunione più alta di vita. Piero Martinetti. Martinetti. Keywords: l’amore velia, antologia platonica, amore socratico, sezione sull’Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martinetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718225454/in/photolist-2mNaqAj-2mKNNqN-2mKDGhr-2mKjsJY-2mKbfaU

 

Grice e Martini – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cambiano). Filosofo. Grice: “One would think that his ‘discorsi filadelfici’ are about brotherly love, but they were delivered at the Philadelphia American-Italian Philosophical Society!” – Grice: “He wrote on Emilio and Narciso, and a story of philosophy – starting not from Thales but Gioberti!” – Grice: “His science of the heart – scienza del cuore – is a mystery!” Compì studi classici a Chieri e poi, ospitato al Real Collegio di Torino, si rivolse allo studio delle scienze naturalistiche. Con la laurea in medicina,  cui seguirà anche quella in filosofia, ottenne l'insegnamento al predetto Istituto, prima di conseguire una brillante carriera nell'ateneo torinese. Qui, infatti, ottenne prima la docenza in fisiologia  e poi quella di medicina legale, cattedra quest'ultima, istituita di cui fu il primo insegnante in assoluto.  Di Torino fu anche rettore, negli anni in cui ebbe numerosi riconoscimenti, tra cui l'onorificenza di cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.  Ma non mancarono episodi tragici, allorché, pochi anni dopo le nozze, perse la moglie (figlia del chimico Giovanni Antonio Giobert), dalla quale ancora non aveva avuti igli, né li avrebbe avuti in seguito, visto che non si risposò, per dedicarsi completamente all'insegnamento e alla stesura di saggi e manuali nelle discipline mediche. In questo filone, il più ricco, vanno almeno segnalati gli “Elementa physiologiae” e “Lezioni di fisiologia” così come “Medicina legale”, accanto agli Elementa medicinae forensis, politiae medicae et hygienes, cui avrebbe fatto seguito il Manuale di medicina legale.  Il variegato percorso saggistico non si limitò (e non si esaurì) a studi a carattere medico-fisiologico e medico-legale. Anzi, forte del curriculum studiorum seguito fin da giovanissimo, cercò di approfondire i pensatori classici, come nel caso di un “Coompendio” dedicato a Platone, di cui peraltro riuscì a terminare il manoscritto poco prima di morire, arrivando persino a stilare,  sia pure non in forma sistematica, una Storia della filosofia.  Risultati migliori li ebbe, tuttavia, nel campo educativo-pedagogico. Questo indirizzo è testimoniato, oltre che dal saggio sulla Riforma della prima educazione dai dodici volumi dell'Emilio. Qui, facendo leva della sua vasta cultura, tratta emblematicamente di argomenti in cui si fondono, senza soluzione di continuità, il "viver sano" e il "maritaggio", il "governo della famiglia" e la felicità, le "tendenze morali" e la "moderazione nella prosperità", passando per i modi attraverso i quali "sopportare le avversità". Saggi: “Elementa physiologiae” (Pica, Torino); “Dei vantaggi che la medicina apporta alle nazioni” (Chirio, Torino); “Mdicina legale” (Marietti, Torino); “Medicina curativa” (Marietti, Torino); “Polizia medica” (Fontana, Milano); “La scienza del cuore” (Fontana, Milano); “La colera indica” (Fodratti, Torino); “Elementa medicinae forensis, politiae medicae et hygienes,”  Marinetti, Torino “Manuale d'igiene,”  Fontana, Milano “Lezioni di fisiologia,” Pomba, Torino  “Patologia generale,” Elvetica, Capolago  “Invito a' medici piemontesi all'occasione del cholera morbus,” Cassone, Torino  “Storia della fisiologia,” Cassone, Torino  “Manuale di medicina legale,”  Fontana, Milano; “Emilio,  Marietti, Torino “Della solitudine,” Marietti, Torino “Narciso o regalo agli sposi,” Marietti, Torino  “Guerra e pace dei sensi,”Tip. Marietti, Torino “Emilio o sia del governo della vita,” Tip. Fontana, Milano “Discorsi filadelfici; ossia, fasti dell'ingegno italiano,”Tip. Marietti, Torino “Riforma della prima educazione,” Marietti, Torino “Della sapienza dei greci,” Cassone, Torino; “Storia della filosofia,” Pirotta, Milano “Platone compendiato e comentato,” Elvetica, Capolago  “Alcune vite di donne celebri,” Fontana, Milano “De clarissimo viro Thoma Tosio ex ordine Oratorum sacrae facultatis professore in regio Taurinensi Athenaeo, Regia, Torino Vita del conte Gian-Francesco Napolio, Bocca, Torino  Vita Francisci Canevarii, Torino Cenni biografici di Lagrangia, Cassone e Marzorati, Torino Curatele A. von Haller, Poesie scelte, Reale, Torino  J.L. Alibert, Riflessioni sulla fisiologia delle passioni o nuova dottrina de' sentimenti morali, Marietti, Torino, F. Redi, Consulti medici, Elvetica, Capolago, D. Alighieri, La Divina Commedia, Marietti, Torino;  G. Gianelli, L'uomo ed i codici nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico. Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale»,  Milano.  G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari,  Pomba, Torino); S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere, s.e., Bologna); Emilio, Tip. Marietti, Torino);  S. Berruti, Saggio sulla vita e sugli scritti del professore cavaliere, s.e., Bologna); G. Corniani, I secoli della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, F. Predari,  Pomba, Torino G. Gerini, Due medici pedagogisti. M. Bufalini, Tip. Bona, Torino, G. Gianelli, L'uomo ed i codici nel nuovo Regno d'Italia. Commentario medico-legale, in «Politecnico. Repertorio di studi applicati alla prosperità e cultura sociale»,  Milano. Lorenzo Martini. Martini. Keywords: storia della filosofia, ingegno italiano, il cratilo di Platone -- . Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Martini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689125956/in/photolist-2mPC6Zb-2mNaHiH-2mMQbzj-2mLKeCe-2mKTjot-2mPxhsE-2mKG3XG-2mKAhjQ-2mKAuZM-2mJqjKS-F7umuM-E4u3XA-CfauoK-BpZs2v-CeUwJB-BpMtYk-BNEpJR-CjSo87-BT1Hm1-BNU92d-BWhBA9-o41Nc1-o64ha8-o41PGf-o41NYS-nNyQ22-o5Wyo3-o5X8VS-nUgG6U-nu99CS-ncVsEb-nu8gmx-ncVsRq-nu8qHt-nsnnZS-nu92TE-nu8m8X-nu8fCZ-nwbR6a-nsnoPN-nwbQn6-nu8ZcY

 

Grice e Martino – la religione civile della prima e unica Roma! – filosofia italiana – magismo filosofia Italian meridionale – filosofia del sud -- Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Martino – and his interviewees – there is indeed a ‘discepolato’ around him.” Grice: “We don’t have anything like Martino at Oxford – Hollis is the closest I can think.” Grice: “In his strictly philosophical explorations, Martino aptly clashes with Croce!” -- Dopo la laurea a Napoli con una tesi in Storia delle religioni sui gephyrismi eleusini sotto la direzione di Adolfo Omodeo, si interessa alle discipline etnologiche. Si iscrive ai GUF e alla Milizia Universitaria, collaborando a L'Universale di Berto Ricci e facendo circolare in una cerchia ristretta di collaboratori un Saggio sulla religione civile poi rimasto inedito.  L'ingresso nel circolo crociano «Erano quelli gli anni in cui Hitler sciamanizzava in Germania e in Europa, e ancora lontano era il giorno in cui le rovine del palazzo della Cancelleria avrebbero composto per questo atroce sciamano europeo la bara di fuoco in cui egli tentava di seppellire il genere umano: ed erano anche gli anni in cui una piccola parte della gioventù italiana cercava asilo nelle severe e serene stanze di Palazzo Filomarino per risillabare il discorso elementarmente umano altrove impossibile, persino nella propria famiglia».  Il suo saggio, “Naturalismo e storicismo nell'etnologia” è un tentativo di sottoporre l'etnologia al vaglio critico della filosofia storicista di Benedetto Croce. Secondo de Martino, l'etnologia solo attraverso la filosofia storicista avrebbe potuto riscattarsi dal suo naturalismo (tratto che accomuna, per de Martino, tanto la scuola sociologica francese che gli indirizzi "pseudostorici" tedeschi e viennesi). Fu lo stesso Croce a introdurre il giovane de Martino all'editore Laterza, suggerendo la pubblicazione del libro, in cui, nonostante qualche ingenuità, si può già scorgere in nuce l'idea del successivo lavoro sul "magismo etnologico". Scritto negli anni della seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1948, Il mondo magico è il libro nel quale Ernesto de Martino elabora alcune delle idee che rimarranno centrali in tutta la sua opera successiva.  Qui de Martino costruisce la sua interpretazione del magismo come epoca storica nella quale la labilità di una "presenza" non ancora determinatasi, viene padroneggiata attraverso la magia, in una dinamica di crisi e riscatto. In quel periodo, de Martino comincia a militare nei partiti di sinistra. Prima, dal 1945, lavora come segretario di federazione, in Puglia, per il Partito Socialista Italiano; influenzato da Gramsci e da  Levi, cinque anni dopo, entra a far parte del Partito Comunista Italiano. Anche per questa ragione, negli anni che seguono, de Martino comincia a interessarsi sempre di più allo studio etnografico delle società contadine del sud Italia, in contemporanea con le inchieste di Vittorini e l’opera documentaristica di Zavattini. Di questa fase, talvolta detta "meridionalista", fanno parte le opere più note al grande pubblico: Morte e pianto rituale, Sud e magia, La terra del rimorso.  Innovativo nelle sue ricerche fu l'approccio multidisciplinare, che lo portò a costituire un'équipe di ricerca etnografica. La terra del rimorso è la sintesi delle sue ricerche sul campo (il Salento) affiancato da uno psichiatra (Giovanni Jervis), una psicologa (L. Jervis-Comba), un'antropologa culturale (Amalia Signorelli), un etnomusicologo (D. Carpitella), un fotografo (Franco Pinna) e dalla consulenza di un medico (S. Bettini). Nello studio del fenomeno del tarantismo vengono utilizzati anche filmati girati tra Copertino, Nardò e Galatina. A queste monografie segue la pubblicazione dell'importante raccolta di saggi, “Furore Simbolo Valore”. E stato collaboratore di R. Pettazzoni all'Università "La Sapienza" di Roma, nell'ambito della Scuola romana di Storia delle religioni. Come ordinario di Storia delle religioni e di Etnologia, dha insegnato all'Cagliari, dove ha avuto uno stuolo di allievi. Con ACirese, Lilliu, Cases, la sua assistente CGallini, e in seguito altri studiosi, quali P.  Cherchi, G.  Angioni, P.  Clemente, e P. Solinas, saranno esponenti di una significativa, sebbene mai formalizzata, scuola antropologica all'Cagliari, della quale de Martino è considerato uno dei fondatori.  È considerato uno dei più importanti antropologi dell’età contemporanea, fondatore in Italia dell’umanesimo etnografico e dell’etnocentrismo critico.  La presenza La presenza in senso antropologico, nella definizione di de Martino è intesa come la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze necessarie per rispondere in modo adeguato ad una determinata situazione storica, partecipandovi attivamente attraverso l'iniziativa personale e andandovi oltre attraverso l'azione. La presenza significa dunque esserci (il "da-sein" heideggeriano) come persone dotate di senso, in un contesto dotato di senso. Il rito aiuta l'uomo a sopportare una sorta di "crisi della presenza" che esso avverte di fronte alla natura, sentendo minacciata la propria stessa vita. I comportamenti stereotipati dei riti offrono rassicuranti modelli da seguire, costruendo quella che viene in seguito definita come "tradizione".  11spedizione in Lucania Se si vuole rintracciare in de Martino un filo comune e unitario tra l’influenza marxista e gramsciana della “triade meridionalista” (esplicita anche attraverso la sua militanza diretta nel PCI negli anni ‘50) di Morte e pianto ritual, Sud e magia  e La terra del rimorso e gli appunti e i dossiers preparati per La fine del mondo, in cui è presente un’elaborazione filosofica più marcatamente sui piani ontologico, esistenzialista e fenomenologico e che vedranno la luce solo posteriormente dal riordino delle carte ad opera di Angelo Brelich e Clara Gallini, bisogna rendere centrale il nesso tra presenza/crisi/riscatto e il processo di destorificazione del negativo ad opera dell’ethos del trascendimento; l’immaginazione simbolica collettiva è la realizzazione di un’ethos del trascendimento che, come un mito di fondazione per il senso di appartenenza o la sacralizzazione dell’”oggetto” per scopi espiatori, rende possibile il superamento di una crisi, della “presenza” in quanto soggetto che opera nella natura, che rischia di perdersi in essa senza riscatto (escaton). Il soggetto dunque si ricolloca nella storia tramite la cultura, e la crisi si rivela esistenziale nel rapporto tra se’ e il mondo “altro da se’”. Ma la crisi affonda sempre nelle materiali condizioni di vita e nelle modalità concrete di una prassi che deve tendere e tende incessantemente alla trasformazione rivoluzionaria (che è escatologica nelle religioni) come base insopprimibile della costituzione di sè come soggetto:  “Vi è dunque un principio trascendentale che rende intellegibile l’utilizzazione e le altre valorizzazioni, e questo principio è l’ethos trascendentale del trascendimento della vita nel valore: attività dunque, ma ethos, dover-essere-nel-mondo per il valore, per la valorizzante attività che fa mondo il mondo, e lo fonda e lo sostiene.”  Costante, inoltre, nella ricerca sul campo, come nelle analisi ed elaborazioni degli ultimi anni, fu l’indagine sul valore euristico assegnato ai dati psicopapatologici, sempre legato a una riflessione critica sulla trasferibilità delle relative nozioni in contesti culturali diversi e sulle loro implicazioni sul piano antropologico e filosofico più generale: dalla figura dello sciamano come “Cristo magico” ne Il mondo magico, ai fenomeni di dissociazione e possessione (influenzato dalle letture di Shirokogoroff e PJanet) nei riti della taranta, fino alle note sulle “apocalissi psicopatologiche” ne La fine del mondo.  Il folklore progressivo Il concetto di folklore, come concezione del mondo regressiva, secondo le “osservazioni sul folklore” del Quaderno XXVII di Gramsci “un agglomerato indigesto di frammenti di concezioni del mondo e superstiti documenti mutili e contaminati”, ma anche di positiva creatività delle classi subalterne (come i canti popolari), in opposizione alla cultura dotta delle élite dirigenti, fu oggetto di riflessione dell’antropologo partenopeo a partire dal 1949, con il saggio “Intorno ad una storia del mondo popolare subalterno”, pubblicato su Società sul nr.3 di quell’anno, in cui riprende studi e indagini della nuova etnologia sovietica (Tolstov, Hippius, Cicerov, ispirati da Propp). In un saggio lo define come proposta consapevole del popolo contro la propria condizione socialmente subalterna, o che commenta, esprime in termini culturali, le lotte per emanciparsene.” Il concetto fu poi ripreso, discusso problematicamente e allargato in particolare da Cirese (in rapporto a Gramsci) e Satriani (il folklore come cultura di contestazione).  I “folkloristi” erano stati oggetto di critica di de Martino già nella sua prima opera del 1941, Naturalismo e storicismo nell’etnologia, in quanto puri descrittori e catalogatori con criterio naturalistico e non storico-culturale: per cui il folklore rimane, pur categorizzato come “progressivo”, come fenomeno di indagine antropologica nei termini più complessivi di cultura popolare.  Crisi della presenza e destorificazione del negativo In quanto alla “crisi della presenza” come spaesamento, ne La fine del mondo, Ernesto de Martino racconta di una volta in Calabria quando, cercando una strada, egli e i suoi collaboratori fecero salire in auto un anziano pastore perché indicasse loro la giusta direzione da seguire, promettendogli di riportarlo poi al posto di partenza. L'uomo salì in auto pieno di diffidenza, che si trasformò via via in una vera e propria angoscia territoriale, non appena dalla visuale del finestrino sparì alla vista il campanile di Marcellinara, il suo paese. Il campanile rappresentava per l'uomo il punto di riferimento del suo circoscritto spazio domestico, senza il quale egli si sentiva realmente spaesato. Quando lo riportarono indietro in fretta l'uomo stava penosamente sporto fuori dal finestrino, scrutando l'orizzonte per veder riapparire il campanile. Solo quando lo rivide, il suo viso finalmente si riappacificò.  In un altro esempio, per esprimere il medesimo concetto, De Martino racconta degli Achilpa, cacciatori e raccoglitori australiani, nomadi da sempre e per sopravvivenza, che avevano però l'usanza di piantare al centro del loro accampamento un palo sacro, intorno al quale celebravano un rito ogni volta che "approdavano" in un luogo nuovo. Il giorno che il palo si spezzò, i membri della tribù si lasciarono morire, sopraffatti dall'angoscia.  Il concetto di spaesamento, come una condizione molto "rischiosa" in cui gli individui temono di perdere i propri riferimenti domestici, che in qualche modo fungono da "indici di senso", viene inserito dunque da de Martino nelle sue categorie di “crisi della presenza” e destorificazione del negativo.  La crisi della presenza caratterizza allora quelle condizioni diverse nelle quali l'individuo, al cospetto di particolari eventi o situazioni (malattia, morte, conflitti morali, migrazione), sperimenta un'incertezza, una crisi radicale del suo essere storico (della "possibilità di esserci in una storia umana", scrive de Martino) in quel dato momento scoprendosi incapace di agire e determinare la propria azione. La destorificazione del negativo permette l'universalizzazione della propria condizione umana in una dimensione mitico-simbolica, mediata dalla religione e presente nel rito. Secondo Amalia Signorelli, antropologa ee collaboratrice della spedizione nel Salento,  "Il dato esistenziale che ha scatenato la crisi (morte, malattia, paura e altro ancora) viene mentalmente astratto dal contesto storico per entro il quale è stato esperito e viene ricondotto a un tempo e a una vicenda mitici".  Se il mito è narrazione, il rito è un comportamento orientato ad uno scopo e ripetuto con parole e gesti di significato altamente simbolico. È così che mito, rito e simbolo diventano un circuito volto alla soluzione della crisi, astraendo dalla storia reale in cui agisce il negativo.  Quando è il negativo a prevalere, e questo accade in fasi particolarmente drammatiche dell’esistenza umana (come la morte di una persona cara), può manifestarsi una crisi radicale, una “funesta miseria esistenziale”, per cui l’ethos del trascendimento non riesce più a risolvere la crisi nel valore e la mancata valorizzazione fa perdere anche l’operabilità sul reale. L’attività etica della valorizzazione è necessaria per impedire la destrutturazione dell”esserci”, in quanto il “vitale” vede per intero invaso il suo spazio, quello dell’intersoggettività e il rapporto con il mondo. Avviene allora che “la presenza abdica senza compenso”.  L'elaborazione del lutto ed il pianto rituale antico Magnifying glass icon mgx2.svg  Morte di Gesù negli studi antropologici e Planctus. Organizza una serie di spedizioni di ricerca in Lucania, accompagnato da un’equipe interdisciplinare, tra cui Vittoria De Palma, anche lei etnologa e compagna di vita e con l’utilizzo di strumenti quali il magnetofono e la cinepresa, innovativi rispetto all’indagine folklorica classica. Riconnettendosi a Il mondo magico, decide di concentrarsi sul lamento funebre e la “crisi del cordoglio”, ai segni, al simbolismo delle ritualità legate ad una crisi esistenziale tra le più gravi, come quella che segue la perdita di un caro, e il pianto e il dolore collettivi che rappresentano la “crisi della presenza”, della propria e di tutti, minacciata dalla morte. Il pericolo del lutto è dunque quello dell’annullamento totale.  In Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria affronta anche il senso della morte di Cristo in rapporto alla condizione esistenziale dell'uomo nel mondo ed al momento traumatico della esperienza della morte dei propri cari. Di fronte alla "crisi del cordoglio" che può portare al crollo esistenziale, emerge la esigenza di elaborare culturalmente il lutto, nella forma socialmente codificata del rito. La consolazione offerta dal credo religioso riconduce a forme sopportabili la carica drammatica del lutto, riferendola simbolicamente alla morte tragica di Cristo sulla croce, forme che consentono di ritrovarsi uguali nel dolore, ma che diventano anche promessa di resurrezione.  «È possibile interpretare la genesi del protocristianesimo come esemplarizzazione di una storica risoluzione del cordoglio che trasforma Gesù morto in Cristo risorto e il morto che torna nel morto-risorto presente nella chiesa e nel banchetto eucaristico. Le apparizioni di Cristo dopo la morte testimoniano la Resurrezione e la presenza di Cristo nella chiesa sino al compimento del piano temporale di salvezza. Dopo l'Ascensione la discesa dello S.S. inaugura l'epoca in cui il morto-risorto è con i credenti sino alla fine, per donare la spinta alla testimonianza missionaria. Il Cristianesimo diventa un grande rituale funerario per una morte esemplare risolutiva del vario morire storico e come pedagogia del distacco e del trascendimento rispetto a ciò che muore (il che poteva aver luogo solo in quanto il morto era l'unto dell'Uomo-Dio)". Abbiamo un esempio storico di soluzione della crisi e la garanzia mediante la fede della presenza del Risorto nella comunità. La celebrazione eucaristica rappresenta contemporaneamente l'evento passato di un Cristo al centro del piano temporale di salvezza (mito che garantisce e fonda la salvezza futura) e l'evento futuro della definitiva Parusia.»  De Martino indaga la persistenza, nelle realtà marginalizzate della Lucania, del pianto funebre, come “riplasmazione” del planctus irrelativo, rito antichissimo e diffuso prima del Cristianesimo in tutta l'area mediterranea. La destorificazione dell’evento luttuoso, soggettivamente vissuto, permette di riportarlo ad una dimensione mitico-rituale, e dunque al superamento della crisi.  Su questi temi si è soffermata una sua studentessa e collaboratrice, la scrittrice Muzi Epifani, nella commedia La fuga, scritta a dieci anni dalla sua scomparsa.  Saggi: “Naturalismo e storicismo nell'etnologia” (Laterza, Bari) – l’ennico – Grice: “Italians cannot pronounce ‘-tn-‘ so that the etnico becomes ‘ennico’!” --; “Il mondo magico: prolegomeni a una storia del magismo” (Einaudi, Torino); “Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria” (Einaudi, Torino);  “Sud e magia La terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud” (Feltrinelli, Milano); --  cf. Grice, magismo – two kinds of magic travel, carpet route-travelling, routeless travel – the exercise of judgment --“Furore, simbolo, valore” (Saggiatore, Milano); “Magia e civiltà. Un'antologia critica fondamentale per lo studio del concetto di magia in occidente” (Garzanti, Milano); “Mondo popolare e magia in Lucania” (Basilicata, Roma-Matera) -- Grice: “There are two types of magic actually: carpet flying and disappearance!” – “La fine del mondo -- contributo all'analisi dell’pocalissi” (Einaudi, Torino); “La collana viola” (Boringhieri, Torino); “Re-ligione, comunismo [lavorismo] e psico-analisi” (Altamura, Roma) Compagni e amici” (La nuova Italia, Firenze); “Storia e Meta-storia”“i fondamenti di una teoria del sacro” (Argo, Lecce); “Note di campo: spedizione in Lucania” (Argo, Lecce); “L'opera a cui lavoro: apparato critico e documentario alla Spedizione etnologica in Lucania” (Argo, Lecce); “Una vicinanza discrete” (Oleandro, Roma); “I viaggi nel Sud” (Boringhieri, Torino); “Panorami e spedizioni” (Boringhieri, Torino); “Musiche tradizionali del Salento” (Squilibri, Roma); “Scritti filosofici” (Mulino, Bologna); “Dal laboratorio del mondo magico” (Argo, Lecce); “Ricerca sui guaritori e la loro clientele” (Argo, Lecce); “Etnografia del tarantismo pugliese. I materiali della spedizione nel Salento” (Argo, Lecce); “Promesse e minacce dell'etnologia”; G. Angioni, Una scuola antropologica sarda?, in “Sardegna: idee, luoghi, processi culturali” (Roma, Donzelli); “Antropologia e il comunismo del lavoro”; “Marxismo e religione”, “Il folklore pro-gressivo, in l’Unita’, “Teoria antropologica e metodologia della ricerca, L'asino d'oro ; Il mondo magico, ed., Torino, Rèpaci, G. Angioni, Fare dire sentire. L'identico e il diverso nelle culture, Nuoro, Il Maestrale, M. Baldonato e B. Callieri, Soglie dell'impensabile. Apocalissi e salvezza, Rivista sperimentale di freniatria: la rivista dei servizi di salute mentale (Torino: [Milano: Centro Scientifico; Angeli). R. Beneduce, Un'etno-psichiatria della crisi e del riscatto, "aut aut", S. Fabio Berardini, Ethos Presenza Storia. La ricerca filosofica, Trento  Giordana Charuty, Le precedenti vite di un antropologo, Angeli, Milano,  P. Cherchi, Dalla crisi della presenza alla comunità (Napoli, Liguori); P. Cherchi, Il peso dell'ombra: l'etnocentrismo critico e il problema dell'auto-coscienza culturale, Napoli, Liguori, P. Cherchi, Il signore del limite: tre variazioni critiche (Napoli, Liguori); S. Matteis, Il leone che cancella con la coda le tracce. L'itinerario intellettuale, Napoli, d'If, Riccardo Di Donato, La Contraddizione felice? Martino e gli altri, ETS, Pisa, M. Epifani, La fuga. Opera teatrale, Roma,  riedita da La mongolfiera edizioni e spettacoli; F. Faeta, I viaggi nel Sud, Boringhieri, collana «Nuova Cultura», F. Cecla, Perdersi. L'uomo senza ambiente. Laterza, Bari); Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Mariannita Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice,  Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani M. Massenzio, L’antropologia, in Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, stituto dell'Enciclopedia italiana Treccani A. Momigliano, Recensione a "La terra del rimorso", in Rivista storica italiana, Quarto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico,  Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, G. Sasso, Ernesto Fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis, P.Taviani, Ridere un mondo, Roma, Aracne,. C. Zanardi, Sul filo della presenza. Fra filosofia e antropologia. Unicopli, Marco Tabacchini, Dramma e salvezza: il carattere protettivo del mito in G. Leghissa, Enrico Manera, Filosofie del mito nel Novecento, Carocci, Roma. A. Rigoli, Magia ed etno-storia, Boringhieri, Torino); B. Croce Vittorio Lanternari Claude Lévi-Strauss Diego Carpitella, “Tarantismo” -- Carlo Tullio Altan Alberto Mario Cirese G. Angioni Antropologia culturale P. Cherchi Scuola antropologica di Cagliari A. Gramsci Storia delle religioni Etnologia Pizzica, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M. Lospinoso, Enciclopedia Italiana, Appendice, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, VDizionario biografico degli italiani,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Marcello Massenzio, Ernesto De Martino e l'antropologia, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Recensione a Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria. Recensione a Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo. Pagina autore Liber Censor.net  di Ernesto de Martino, Istituto Ernesto De Martino, su iedm. Società di Mutuo Soccorso Ernesto de Martino, su sms de martino.noblogs.org. Interpretazioni dell'apocalisse: le tre edizioni de La fine del mondo di Ernesto de Martino, su L’analisi e la classe, "Intorno a una storia del mondo popolare subalterno", su Academia.edu. Grice: “The more Martino speaks of ‘meridionale’ and ‘sud’ the less I’m willing to qualify him as an Italian philosopher simpliciter – so I categorise him as a representative of ‘filosofia del sud’ or ‘filosofia meridionale’. Ernesto de Martino. Martino. Keywords: religione civile, magismo – essercizio del giudizio – viaggio magico en route – carpet route travelling – o routeless --. Luigi Speranza, “Grice e Martino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51746749229/in/datetaken/

 

Grice e Masci – critica della critica della ragione – implicatura solidale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Francavilla al Mare). Filosofo. Grice: “But perhaps more interesting that his explorations on the judicative are Masci’s conceptual analysis, and fascinating ‘natural’ history of the will, with a focus on Aristotle!” Grice: “Like Masci, I make a conceptual connetction between willing and free-will.” – or “volonta” e “liberta” in his words!” -- Grice: “I like Maci; he has philosophised on forms of intuition and instincdt – cf. my “Needs’ – and what he calls the psycho-physical materialism. Also on what he calls the psychological parallelism – He spent a few essays on quantification and measurement in atters of the soul -- -- and speaks of an ‘indirect measure’ in psychology. He has opposed ‘conoscenza’ to ‘credenza’ (cf. my knowledge and belief), and further, ‘conosecenza and pensiero’, knowledge and thought.  Nato in una famiglia della borghesia abruzzese, perse il padre Guglielmo all'età di 4 anni. Frequentò il collegio Giambattista Vico di Chieti e, completati gli studi liceali, fu allievo del professor Mola, che gli insegnò filosofia, scienze e matematica. Iniziò nel 1862 gli studi di giurisprudenza all'Napoli, dove si laureò nel 1866, ed in seguito studiò scienze politico-amministrative. Cominciò ad approfondire le sue conoscenze filosofiche grazie alle lezioni tenute da Bertrando Spaventa nella stessa città. Influenzato dalla sua formazione universitaria e dallo stesso Spaventa, al centro dei suoi primi studi c'era il pensiero di Kant e Hegel.  Ottenne la cattedra di professore reggente di filosofia presso il liceo di Chieti, prima dell'abilitazione che gli fu consegnata a Pisa. Inoltre venne nominato vincitore di un concorso della Reale Accademia delle scienze morali e politiche grazie ad un saggio sulla Critica della ragion pura. Divenne libero docente di filosofia teoretica all'Napoli e, l'anno successivo, di storia della filosofia presso l'Pavia. Abbandona l'insegnamento a Chieti per recarsi a Padova, dove era stato nominato professore straordinario di filosofia morale. All'istituto scolastico lasciò numerosi scritti sulla filosofia antica. Un anno dopo divenne Professore all'Napoli.  Ottenne la carica di rettore dell'Napoli e di consigliere comunale della medesima città. Nel corso della sua carriera politica fu eletto deputato dal collegio di Ortona al Mare per la XIX legislatura e fu un sostenitore di  Annunzio. Entra nel Senato del Regno, dove intervenne più volte sul tema dell'istruzione pubblica. Sosteneva la maggiore importanza della formazione classica rispetto a quella tecnica o scientifica nelle scuole secondarie.   Liceo scientifico "Filippo Masci" a Chieti Fu Presidente dell'Accademia di lettere ed arti della Società Reale di Napoli, socio della Regia Accademia dei Lincei, membro del Consiglio superiore dell'Istruzione Pubblica e di altre istituzioni culturali. Presso i lincei difese l'importanza di Kant e Fichte in contrasto con le parole di Luigi Luzzati che li aveva criticati per essere filosofi tedeschi. S’erige un busto commemorativo a Francavilla al Mare e il neonato liceo scientifico di Chieti fu intitolato in suo onore. Nel corso della sua carriera conobbe Scarfoglio e Annunzio, che continuò a frequentare negli anni successivi. Inoltre fu tenuto in grande considerazione da Spaventa. Compone “Pensiero e conoscenza”, in cui sono racchiusi gli aspetti più importanti della sua filosofia. Ha molteplici interessi (filosofia, psicologia, sociologia, pedagogia, diritto e storia) ed è considerato uno dei più importanti esponenti del neo-kantismo o neo-criticismo, avendo rifiutato sia alcune posizioni di Spaventa, sia l'affermato positivismo di Ardigò, che esclude ogni possibile principio a priori della conoscenza. La ripresa della filosofia di Kant e segnata dalla convinzione che e sbagliato ridurre la realtà a pura rappresentazione, ma anche dal tentativo di studiare la genesi psicologica delle categorie e quindi negare la loro formulazione numericamente rigida. Nel materialismo psico-fisico cerca di dimostrare l'unità tra anima e natura in una concezione psico-fisica della realtà, ma la sua filosofia e criticata da Gentile, anche a causa della mancata adesione al ne-oidealismo. Saggi: “Le forme dell'intuizione” (Vecchio, Chieti); “L’istinto” (Società Reale, Napoli); “Il materialismo psico-fisico”“Il parallelismo in psicologia, “Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli  Intellettualismo e pragmatismo, “Atti della Regia Accademia delle Scienze morali e politiche”, Napoli, “Quantità e misura nei fenomeni psichici”Memoria letta all'Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Reale di Napoli. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Della misura indiretta in psicologia.”Conoscenza scientifica e conoscenza matematica. Napoli: Federico Sangiovanni & Figlio, “Credenza e conoscenza”  -- “I like the latest bit, where he discusses the reciprocity of the faculties” – Grice.)  Atti dell'Accademia di Napoli”, Napoli, “Pensiero e conoscenza,”Bocca Editori, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italian astrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinariaUfficiale dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro Note  Schede di personalità abruzzesi importanti nel campo della filosofia, Regione Abruzzo).  Storia del liceo F. Masci e biografia, Liceo F. Masci).  Discorso di commiato per la morte di Masci, su notes9.senato. 15 luglio.  Alfonso Pietrangeli, Filippo Masci e il suo neocriticismo, Milani, Padova 1962. Luigi Gentile, Filippo Masci: dal criticismo kantiano al monismo psicofisico, Noubs, Chieti 2003. Giuseppe Landolfi Petrone, Masci Filippo, in Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, ATreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Filippo Masci, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Filippo Masci, su Liber Liber.  Opere di Filippo Masci, su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Filippo Masci, su storia.camera, Camera dei deputati.  Filippo Masci, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Differenza tra la Filosofiu'e'TI 11 Ut!!(!'!!#; particolari, oggetto  della Filosofia, la Gnoseologia e la Filosofia prima come parti fon¬  damentali della Filosofia generale, p. I — § II. Distinzione dei si¬  stemi filosofici, loro significato e importanza, p. 4 - § HI. Distin¬  zione delle altre parti della Filosofia generale ed applicata, partizione  e limiti della Filosofia elementare, p. i».    LOGICA    PBELIMI NARI    CAPO I.    CoNCKTTO DELLA LOGICA E SUE l'Alt TI    § I. La Logica come scienza formale e dimostrativa, sua definizio¬  ne, p. 15 — §11. Importanza della Logii*, suo rapporto con le altre  parti della Filosofia e con la scienza, p.24 — § III. Pensiero e co¬  noscenza; divisione generale della Logica, p. 2S — § IV. Nozioni pre¬  liminari sulle formo elementari, concetto, giudizio, sillogismo; for¬  me metodiche, p. 31.    CAPO II.    I PRINCIPI! LOOICI.    § I. Determinazione dei principii, p. 40 — § II. Il principio d'iden¬  tità, p. 41 — § III. Il principio di contraddizione, valore di questo  principio, p. 42 — § IV. Il principio di terzo escluso, p. 47 — § V. Il  principio della ragion sufficiente, p. 49 — § VI. Valore dei principii  logici, p. 52.               APPENDICE.    Illustrazioni filologiche.     i Logica, dialettica, annliticn, elementi, c oncetto , nota, rappresen-  zione, teoria. Teorema, •'problema/Speculativo. Astratto e concreto,    U soggetto ed oggetto, contenuto ed estensione, analisi e sintesi), p. fili.    PARTE PRIMA.    Teoria delle forme elementari.    SEZIONE PRIMA.    Il concetto.    CAPO I.    Formazioni: k natura dei. concetto.    § I. Il concetto e 1 astrazione, p. 71 — § II. L'iinagine concettuale,.  P- 13 — •} ITI. Il concetto e la parola, p. 78 § IV. Caratteri del   concetto, p. 81 — § V. Il concetto e l'essenza, p. 84 — § VI. Il con¬  cetto e il giudizio, p. 87.    CAPO H.   II. CONCETTO CONSIDERATO IN SR STESSO.    S I. Lo note , loro significato rispetto all'unità del concetto, e loro  ordine in esso, p. 00 — § IT. Concetti nstrutti e concreti; qualità,  generi, specie, forme diverse dell'astrazione, p. 04 — § III. Nota e  parte, concetti di relnzioue, p. 06 — l; IV. Contenuto ed estensione  dei concetti, rapporto tra il contenuto e 1' estensione, p. 08 §.V.   Contenuto ed estensione nei concetti di relaziono, p. 101 - § VI. Della  chiarezza del concetto, p. 103.    CAPO III.    Il concetto considerato in rapporto ad altri concetti.   § I. Rapporto d identità e diversità, concetti equipollenti e con¬  cetti reciproci, significato delle parole sinonimo ed omonimo , p. Idi     — 523 —    --§ II. Rapporto d'opposizione, concetti limitativi e privativi, con¬  cetti in opposizione contraria reciproca, p. 108 —$ III. Rapporto «li  subordinazione e coordinazione, contiguità ed interferenza dei con¬  cetti, i sistemi dei concetti, p. 113 — § IY. Subordinazione e coor¬  dinazione dei concetti di relazione, condizione e condiziauato, prin¬  cipio e conseguenza, p. 120.    CAPO IV.   Le categorie.   § I. Categorie grammaticali, logiche e gnoseologiche, classifica¬  zione aristotelica delle categorie, differenza tra le categorie logiche  e le grammaticali, p. 122 — § II. Le categorie gnoseologiche, la clas¬  sificazione kantiana, p. 120 — § III. Le categorie di .sostanza e di  causa; il numero come epicategoria, p. 120.   APPENDICE.   Grammatica e Logica.   § I. Elementi materiali ed elementi formali del linguaggio, p. 133.  — § II. Influenza del pensiero sul carattere formale della lingua,  p, 105—§IU. Influenza delle forme grammaticali sullo sviluppo del  pensiero, p. 138.    SEZIONE SECONDA.   Il Giudizio.   CAPO I.   Del giudizio in generale.   § I. Definizione logica del giudizio, le definizioni realistiche e le  logiche, teoria del Brentano, p. 140 — § II. Elementi dol giudizio,  p. 147.    CAPO II.   Della classificazione dei giudizu.   $ I. La classificazione tradizionale dei giudizii e il suo fonda¬  mento logico, p. 150 — § II. Discussione delle obiezioni contro d i  essa, p. 152 — § III. Forme dei giudizii secondo la qualità ; a) il giu¬  dizio affermativo e le varie specie d'identità da esso espresse; b) il        — 524 —    giudizio negativo, sua essenza e sue forme principali, limite della  predicazione negativa; r) il giudizio infinito, se è una forma a sé  rapporto te» l affennaaione e la negazione nel giudizio infinito,’  p. 154 - § IV. Jorme dei giudizi! secondo la quantità; a) il giudi¬  zio universale, sue forme quantitativa e modale; b) il giudizio par-   6 ÌUdUttÌV “' se sia ™specte «ordinata  de universa ' 6 ;^! 1 giudeo ind^du^e, sue forme si laro   Polme ?-’ sua ,. ,rre f ucibiIità al giudizio universale, p. ICO - § V  Forme de. giudizi, d, relazione; a) il giudizio categorico sua fun¬  zione sua irreducibilità; ») il giudizio ipotetico, se Sia .m giudeo   Ino g j 17 - 1 1 ?°|. etl ° 1 ' c> ’’ S lm,izio disgiuntivo, suo significato  logico condiziom di validità; si mostra che non iuchiudfn con  catto della re^rocità d' azione ed è un giudizio dell’estensione,   ft* e   giuiUzi. modali, critica delle obiezioni del Sigivi | deMVundt    CAPO III.   Dki GIUDIZII COMPOSTI.   S I. Natura dei giudizii composti, loro specie, p. 171 s U Ghi   notti ::rr u >i r f eiazìoue <,mogen,;u ■ 172 -§ m. (h^ CO m-   post. a relazione eterogenea, p. 174!- $ IV. Giudizii contratti, p. 175  - \ • Qnadro generale di tutte le forme dei giudizii, p. no.   CAPO IV.   Giudizi analitici e sintetici.   r t i I | GÌ j d !? ÌÌ analitici - sintetici, e sintetici a priori, p. 177 - S II  -ritmile della teoria dei giudizii sintetici a priori, significato vero  di questa teoria, p. 178 _# III, Giudizi! empirici e giudizii a priori.    CAPO V.   Delle relazioni dei concetti nei giudizii   K DELLE RELAZIONI DEI GIUDIZII.   § I. Attribuzione del predicato ni soggetto nei giudizii, p . 181 _  s I. Dipendenza delle relazioni dei giudizii dulie relazioni del loro  contenuto, relazioni immediate, e mediate, e specie della prima  tecnica dei raziocina immediati, e schema della subalternuzioue e  dell opposizione dei giudizii, p. 184.       — 525 —   CAPO VI.    Delle trasformazioni dki annui   S I. Trasformazioni quantitative e modali per subalternazione,  p. 188 — $ II. Trasformazioni quantitativo-qualitative e modali por  opposizione, p. 101 — § IH. Trasformazioni por equipollenza qua¬  litativa, per equipollenza della relazione, per equipollenza tra la  quantità o la modalità, p. 106 -§ IV. Teoria delle reciproche, suo  valore logico; teoria delle reciproche universali affermative ; caso  delle reciproche condizionali, (teorema di Hauberì.Lo reciproche uni¬  versali negative. Lo reciproche particolari affermative e negative,  p. 2(X) — § V. Teoria della contrapposizione, p. 211 - jj VI. Si prova  che le reciproche e le contrapposto delle proposizioni universali  sono, quando sono possibili, vere illazioni, p. 215.    SEZIONE TERZA.   Il Sillogismo.   CAPO I.   Ragionamento e Sillogismo.   § I. I gradi del sapere e le vie della ricerca, sillogismo e indu¬  zione, p. 217 — S II. Strutturo del sillogismo e sua definizione,  p. 22U — § III. La sillogistica aristotelica e la sillogistica delle  scuole, generalizzazione logica e generalizzazione scientifica, l'uni¬  versale come fondamento ili qualunque dimostrazione, p. 222.   CAPO II.    Il sillogismo categorico.   § I. Regole gonerali del sillogismo, p. 225 — § li. Figure sillogi¬  stiche, p. 221) — § ili. Modi generali del sillogismo, e modi speciali  di ciascuna figura, p. 232 — § IV. Valore delle figure sillogistiche,  la quarta figuro, p. 234 — § V. Specie del sillogismo; 1' entimema,   la sentenza entimematica, l'epicherema, il polisillogismo, p. 238 _   § VI. Il sorite; sorite deduttivo e sorite induttivo, p. 241 — § VII.  Rapporto tra la vorità dell’ illazione e la verità delle premesse  p. 244.     CAPO III.    II. SILLOGISMO iroTETICO E IL SILLOGISMO DISGIUNTIVO.    6? I. Il sillogismo ipotetico: impossibilità di ridurre 1 una all altra  le forme del sillogismo; sillogismo ipotetico con termine medio,  sillogismo ipotetico senza termine medio e suoi modi, p. 210 —  § II. Il sillogismo disgiuntivo e sue formo, p. 250— § III. Il dilem¬  ma, sue forme, sue regole, p. 252.    CAPO IV.    Del riii Nciptp e dui. valore del sillogismo.   § I. Esposizione ed esame delle obiezioni contro il valore dimo¬  strativo del sillogismo, p. 254 — § II. Critica della teoria del Mill,  che ogni ragionamento, e quindi anche il sillogismo, e un inferenza  dal particolare al particolare, p. 2(50 — § HI. Esame della quistione  se il sili ogismo sia la forma generale del raziocinio, p. 202 § IV.   Del p rincipio fondamentale del sillogismo; se sia materiale o for¬  male; i principii aristotelici e quelli del Lambert. Si dimostra che il  sillogismo si fonda sugli assiomi logici e sul principio della sosti¬  tuzione dell'Identico, p. 205.    PARTE SECONDA.    Teoria pei. Metodo    SEZIONE PRIMA.   Metodo sistematico   § I. Oggetto e parti del metodo; oggetto e parti del metodo si  stemutico, p. 271.   CAPO I.    La definizione.   § I. Elementi della definizione ; come 1' individuazione del con¬  cetto sia effetto della loro composizione, p. 272 — § II. Le defini¬  zioni come principii proprii nelle scienze deduttive e induttive,  p. 275 — S III. Concetti indefinibili e loro specie ; forme approssi¬  mate della definizione, e loro valore assoluto e comparativo, p. 276 —             — 527 —   •§ IV. Definizione nominale e definizione reale, specie della defini¬  zione nominale, la definizione nominale induttiva; la definizione reale,  definizioni riversibili, difficoltà opposte delle definizioni metafisiche  «d empiriche, metodo delle definizioni reali induttive, definizioni reali  deduttive, p. 281 — § V. Definizioni analitiche e sintetiche, la defi¬  nizione genetica, p. 287 — tj VI. Regole delle definizioni, P- 289.   CAPO II.   Divisione e Classificazione.   § I. Concetto della divisione, e sue regole, p. 291 — § II. Da dico¬  tomia, sue specie, suo valore logico, p. 293 — § HL La classifica¬  zione scientifica, suo fino; le classificazioni per qualità apparenti;  la classificazione tassonomica e la classificazione per serio, p. 29B —  § IV. La classificazione per tipi , sue specie; inferiorità della clas¬  sificazione per tipi alla classificazione per definizioni, p. 302 —  § V. Le classificazioni genetiche ; come siono apparecchiate dalla  fase comparativa delle scienze; Jifficoltà delle classificazioni gene¬  tiche, loro perfezione rispetto a tutte le altre, p. 303.   CAPO ID.   PnOVA DEDUTTIVA K J'HOVA INOUTTIVA.   § I. Oggetto della prova; i principii di prova e loro specie; specie  •della prova, p. 305 — § II. La prova deduttiva, sue forme logica e  causale, analitica e sintetica. Procedimenti e modi varii della prova  deduttiva analitica, p. 300 — § III. Sqhema della prova induttiva;  la teoria dell’induzione in Aristotele, Bacone, Tlume e Stuart Alili;  verità ed errore della teoria del Mill; so il calcolo dello probabilit à,  o il principio d'identità possano essere fondamento deU'induziono,  p. 311 — § IV. Differenza dell'induzione dall' associazione psicolo¬  gica; solo fondamento della logica dell'induzione la dipendenza  della realtà da principii a da cause come una legge necessaria del  pensiero e dell'essere. L'induzione come operazione inversa della de¬  duzione, limiti di questa teoria, p. 315 — § V. Delle forme di ra¬  gionamento che sembrano, ma non sono induzioni II postulato  dell'uniformità delle leggi di natura, come debba intendersi, e quali  sieno propriamente leggi ili naturu: rapporto del postulato col prin¬  cipio di causa; si mostra che questo assicura non solo l’uniformità  degli effetti, ma anche l'uniformità delle cause, p. 320 — § VI. Gradi  dell'induzione; di verse condizioni della sua val idità nelle scienze  della natura e in quelle dello spirito; l'induzione nelle Matema¬  tiche, p. 325.          — 528 —    CAPO IV.   La PROVA KNT1MKMAT1CA K L'ANALOGICA.   § I. La prova entimematica, sue specie, suo uso o valore essen¬  ziale nelle ricerche scientifiche, suo carattere deduttivo, p, 329 —  § li. Tecnica del ragionamefl4£jmjjlo£ieo, somiglianze e differenze  dall induzione, in che senso e in che limiti debba intendersi che  è un’inferenza dal particolare al particolare, p. 332 — § III. Rap¬  porto tra l'analogia c l'as sociazione psicolo gica: il nesso tra la fun¬  ziono logica e la psicologica come causa dell'uso larghissimo del¬  l'analogia nella prova scientifica, e dei facili errori ili cui è causa,  p. 336 — § IV. L a ngioma perfetta e l'impe rfetta, grudi di quest'ul-  tima, e limiti della~sua validi^, p. ,'!tt "Tj Y. L'analogia d'identità  e l'analogia «li coordinuzione, p. 340.   CAPO V.   La prova indiretta.   § I. Tecnica della prova indiretta , sue forme contraddittoria e  disgiuntiva; e rrore d ella Lo gica tradizionale che ammette solo l a  prim a : critica delle contrarie teorie del Sigsvart e del Wundt,  p. 341 — § IL La prova indiretta disgiuntiva multipla, e l’ alterna¬  tiva; la prova indiretta contraddittoria, p. 345 — § III. Paragono tra  la prova diretta e l’indiretta; casi del loro uso cumulati vo, e fun¬  zioni in essi della prova indiretta, p. 347.   CAPO VI.   1 PUINUIPII DI PROVA.   gl. Necessità che vi siano princi pii primi ; j vr indpii proprii,  1 >, 350— § II. Specie dei principii; d efinizi oni, ipotesi, postulati,  a ssio mi; caratteri logici di ciascuno di essi e loro funzioni; discus¬  sione sui caratteri dell’assioma, p. 362 — § III. Il criterio della cer¬  tezza consiste nell'inconcepibilità del contraddittorio, e nei postu¬  lati della verit à d ell' esperienza ~~e ifolLy informità della natura,  p. 368.    CAPO VII.   Sofismi .   § I. Se la Sofistica sia una parte della Logica, Difficoltà di dare  una buona classificazione dei sofismi, esame delle classificazioni di                     — 520 —    Aristotele, del Whately e dello Stuart Alili; ragioni di ridurre i .so¬  fismi a tre classi secondo che riguardano o le premesse, o l'illa¬  zione, o la conseguenza logica della prova, n. 3( il - § n. Sofismi  verbali e so fismi morali , p. Sili — § III. Sofisrnìuigici relativi alle  premesse; loro specie, premesso apparentemente vere, petizione di  principio , inversione tra principio e conseguenza, p. 307 — § IV.  Sofismi relativi all'i llazi one, loro specie, 1 'ignorano elenchi, e il ai-  auto» probare nihil probare, p. 372 — § V. So fismi r i rr» |a conse-    SEZIONE SECONDA.   Metodo inventivo.   I.    Oggetto o parti del metodo inventivo, p. 383.    CAPO I.    Dei metodi ikdutitvi.    S I- Analisi dell'idea di legge; leggi normative, causati, matemati¬  che. Definizione della legge, p. 386 § II. Oggetto della ricerca   induttiva sono le leggi causali; distinzione ili esse dalle leggi di coe¬  sistenza. Il c oncetto.sperimentale della ca usa. Caratteri fondamen¬  tali della causalità nella natura; la pluralità delle cause, lu molti-  plicità delle serie causali, hi composizione a collocazione delle causo,  la trasformazione delle cause, la causalità unilaterale e reciproca,  p. 3‘.io — s III. L osservazione scientifi ca: il suo carattere fondamen¬  tale è la prevalenza del ragionamento sulla percezione. Precetti a  cui deve conformarsi. Le tre operazioni nelle quali si risolve sono,  l'analisi, l'eliminazione, la generalizzazione. Osservazione esterna  od interna, p. 304 — § IV. L'esperimento, suo maggior valore rispetto  all induzione. Necessità di mezzi superiori di ricerca sperimentale,  i metodi induttivi, p. 401.   Masci — Logica. 34    ?■ o: t    g uenza logica della p rova: s ofismi dedu ttivi, loro specie, sofismi di  conversione e di opposizione, sofismi por inosservanza delle regole  sillogistiche circa la qualità o quantità dell'illazione in rapporto  alla qualità e quantità dello premesso, sofismi di divisione e di  composizione, sofismi a dirlo secondimi quid ad ilictum simplieiter,  et secundunr alterimi quid. p. 373 — § VI. Sofismi induttivi; sofismi _  di osservazione, loro specie; sofismi di generalizzazione, loro specie;  i sofismi di falso analogio derivanti dall'uso delle metafore sognano  il limite di transizione dai sofismi di pensiero ai verbali p. 377.      oféeeH'                 - f)30 —    CAPO II.   Dki metodi induttivi.   (muti nuaz unir)   §1.1 metodi induttivi in Bacone, Herschell e Stuart Mill, p. 404  § li. Il metodo di concordanza, p. 406 — § III. Il metodo di diffe¬  renza, e il metodo di concordanza negativa, p. 407 § IV. Il me¬   todo delle variazioni, p. 410 — § V. Il metodo dei residui; uso cu¬  mulativo dei metodi induttivi, p. 412 — § VI. Limiti del valoro dei  metodi induttivi dipendenti dalla mol teplicità delle cause p ^dOili  di uno stesso effe tto, e dalle complicazioni delle cause. Necessità  dell'integrazione deduttiva per ricollegare le parti del procedimento  induttivo, p. 414.   —* * capo in.   Dei. metodo deduttivo.    t f*TCSÌ    § I. Oggetto e forme del procedimento inventivo deduttivo ; uso  di questo procedimento nelle scienze razionali, il valore delle ijw-  tcsi in queste dipende dall'inversione del procedimento deduttivo.  Applicazione del metodo alla risolupiona dei problemi ; necessità  della dcdueione dei concetti come fondamento di esso, p, 41S —§ II  11 proce dimento deduttivo nelle scienze eimteri che causali; suppone  l'induzione anteriore delle leggi causali più semplici, o consiste o  in una riduzione o in una sintesi. Necessità j ella itjerificazioD e. p. 422—  § III. Il procedimento deduttivo da i uotegi causali. C ondizioni cIVih i-  missibilità delle ipot esi, p. 425 — § IV. Condizioni di neiificazione ;  verificazione completa e incompleta.gradi di ciascuna, osompii. p.tòO—  § V. Discussione delle cr itiche mosse all'uso dol imi unteci. Importan¬  za dello ipotesi, e largo uso di esse in ogni ramo di scienze come  condizione del loro progresso ; condizioni soggettive ed oggettivo  delle vere ipotesi scientifiche, p. 438.    CAPO rv.    Haitouti tua l'induzione e la deduzione.   § I. Divisione delle leggi in primitive e secondarie, o delle secon¬  darie in empiriche e derivate ; limiti relativi della loro estensione,  p. 442 — § 11. Si mostra con l'esame dei variimodi di spiegazione  di un fenomeno, che spiegare è dedurre. Limiti della generalizzazione  nella scienza, p. 444 — § III. Significato relativo della distinzione  delle scienze in induttive e deduttive ; tendenza generale delle scienze  a diventare deduttive ; difficoltà di tale trasformazione, ed Muti che  riceve dall'applicazione del Calcolo, p. 447.        /                — 531    CAPO V.   I P li O II 1 . K SI J,   § 1. Definizione logica del problema, distinzione dei problemi in  ipotetici ed assoluti, e modo di risolverli, p. 450 S lì. I problemi  antitetici, modi di risolverli, p. 452.   CAPO VI.   VEBISIMIOLIANZA QUALITATIVA.   S I. Verisimiglianza Qualitativa e verisimiglianza quantitativa: nor¬  me logiche della prima, p. 454 — § li. Delle ragioni di non credere  alle testimoniauzo contrarie a leggi causali note, p. 457 — § Ul. e  alle uniformità non causali, p. 450 § IV. Delle ragioni della in¬   credibilità delle coincidenze e delle serie, p. 408.   CAPO VII.   Veiusisik; manza quantitativa.   § I. II calcolo delle probabilità e le sue norme fondamentali, p. 402 —  § II. I suoi presupposti: in che senso e in che limiti è vero che il  calcolo dello probabilità suppone l'ignoranza delle condizioni qua¬  litative dell'evento, p. 404 — s? III. Il calcolo delle probabilità come  procedimento di eliminazione del caso; concetto logico del caso, p. 400 —  § IV. Eliminazione del caso rispetto all'effetto; olimiuaziona del caso  rispetto alla causa, p. 408.    capo vin.   Metodi delle Matematiche.   § I. Le Matematiche come scienze deduttive, p. 470 § II. I Me¬   todi dell'Aritmetica come metodi di formazione dei numeri; il siste¬  ma di numerazione, e le operazioni, p. 472 — § UT. L' Algebra come  scienza delle funzioni: notazioni algebriche; l'Algebra come scienza  dell'equivalenza dei modi di formazione delle quantità,p. 475 - «j IV.  La Geometria come scienza dell'equivalenza delle grandezze; i tre  metodi principali della Geometria elementare, la risoluzione delle  figure; le c ostruzioni ausilia rie, le c ostruzioni genetic he . p. 477 -  S V- L'induzione in Matematica, p. 481 $ VI. Estensione e limiti   dell applicazioue dello Matematiche allo altre scienze, p. 482.        CAPO IX.   METODI DKU.K SCIENZE BTOBIOHK.   S I. La testimonianza come nnirp [iri-mH-Jal Wvoi!i|-à 'lei fatt i sto¬  rmi; valore Tjel rritijrio I ntrinse co, la verisijjiigliuuza; necessità del  criterio estrinseco, cioè desumo dalle reiasioni di tempoo luogo del  racconto col fatto. Valore della leggenda per la storia, p. 485- S li.Mo¬  numenti; monumenti preistorici, f ihdmria o s|^ ri,i p .ts-. g m.  Monumenti storici, maggior valore di essi in confronto con lu testimo-  niuiiza; le due quistioni possibili rispetto a questa, l'autenticità e la  credibilità; Iti credibilità è tanto maggiore (pianto più è possibile  riportare il racconto alla percezione diretta come a causa- Maggior  valore della tradizione scritta e suoi limiti, L'autenticità è tanto  maggiore quanto maggiore i- la possibilità di escludere lo falsifica -  zioni e le alterazioni, i ncertezza e limiti della tradizione orale,  esempio del valore storico dell’ epopea francese, p. 489 — t? IV. I  criteriidei numero e della credibilità dei testimoni, p. 405 § V. Pas¬   saggio dai fatti alle leggi ; s cienze storiche e sociul i. p. 407.   CAPO X,     Dei metodi ueij-k scienze storiche,    ( continuazione)    § I. Tre specie di melodi por la ricerca delle leggi storiche: cri¬  tica del metodo deduttivo astratto,p. 408 SII- Critica della teoria  antropologica, p. 499 § III. Critica dell'analogia biologica, p. 501 —   § IV ' Critica dal materialismo storico . p 5j>3 — § V. Critica della  aeuola .dorica, p. 506 — § VI. L'indeterminismo storico, e la scuola  psicologica, p. 507 § VII. Il metodo deduttivo inverso o storico,   funzione essenziale dell'Induzione in esso, le leggi storiche come lci/</i  di tendenze, p, 510 § \ ili Insnflii-ionza iL-1 |n'i n• i■ < 1 i nn •( 1 1• » indutt ivo   desunta dalla natura delle uniformità accertate dalla Statìstica, p.  òli Si IX. Si mostra che lutti i metodi hanno n p valore limit ato  nella rìcercu delle leggi storiche,e che tutti possono essere utili, se  subordinati al metodo deduttivo inverso. Concetto della Filosofia  della storia, p. 516. LA SOCIETÀ, IL DIRITTO, LA MORALITÀ  CAPO I. L'aspetto sociale perla coscienza di sè, S I. L'io sociale, sua formazione, sue fasi di sviluppo, p. 1– S II. Identificazione dell'io sociale con l'io formale, l'io come principio sociale, p. 5. CAPO II. LA SoCIETA'. S I. Condizioni comuni della vita sociale animale ed umana, e condizioni proprie di questa. Le società animali, p. 7 – S II. Diffe renza tra la società umana e l'animale. La teoria biologica, e l'ato mistico-contrattualista. Se la società sia una realtà indipendente dalle coscienze individuali, p. 10 – S III. Definizione della S o cietà, p. 15. CAPO III. LE FoRME soCIALI PRIMITIVE E IL LoRo svILUPPo. S I. Il gruppo sociale primitivo, il costume, la sanzione religiosa, organizzazioneprimitivadell'assicurazionesociale,p.17– SII.Ori gine dello Stato, il diritto e lo Stato, p. 19.    – 334 – CAPO IV. DIRITTo E MoRALITA'. S I. Unità primitiva delle regole della condotta, separazione pro gressiva della religione, della morale e del diritto, p. 22 – S II. Dif ferenze tra la morale e il diritto, p. 25 – S III. Caratteri differen ziali derivati, p. 31 – S IV. Rapporto fra il diritto e la moralità; concetto dell'Etica come scienza, p. 34. SEZIONE I. La Coscienza morale. CAPO V. I GIUDIzn vALUTATivi MoRALI. S I. Giudizii di cognizione e giudizii di valutazione, i giudizii valutativimorali,p.37.– SII.La teoria dei valori in Economia, p. 40 – S III. La teoria che pone il principio della valutazione m o rale nel sentimento, p. 44 – S 1V. Una forma speciale di questa, la teoria dei valori normali, p. 48– S V. Esame della teoria sentimen talistica, p. 49 – S VI. Il senso morale, la simpatia, la pietà, p. 53. CAPO VI. I GIUDIziI VALUTATIvi MortALl. (continuazione) S I. Il sentimento non può essere principio di valutazione morale, perchè è mezzo non fine, e perchè è correlativo delle idee, e prende nome da esse. Il sentimento del rispetto morale (Achtung) secondo Kant. Si mostra che la ragione può operare sul sentimento, e che èilgiudiziodivalorequellochelodetermina,p.55– SII.Esame della teoria appetitiva e della volontaristica dei valori morali, p. 62 – S III. La teoria biologica dei valori, p. 6ò– S IV. Il carattere ra zionale della valutazione morale provato, a) dalla necessità del cre terio morale, e dalla dipendenza del sentimento da esso; b) dalla sistemazione finalistica dei valori morali; c) dal carattere scientifico dell'Etica; d) dalla idealizzazione progressiva del sentimento m o rale, p. 66.    – 335 – CAPO VII. ANALISI DELLA cosCIENZA MORALE. S I. Coscienza morale e coscienza psicologica, genesi della c o scienza morale nell'individuo, l'equazione personale della moralità, p.71– SII.Genesidellacoscienzamoralesociale,suoprocedimento dalparticolareall'universale,p.77– SIII.Contenutoedunitàdella coscienzamorale,p.81– SIV.Autoritàdellacoscienzamorale,san zione, p. 84 – S V. Sentimento morale, affinità del sentimento m o rale col sentimento religioso, p. 85 – S VI. L'idea del dovere come categoria morale ultima; essa suppone il dualismo morale, ed è la condizione del progresso morale. Critica della teoria psicologica. Dovere e diritto. La subordinazione dei doveri dipende dal grado della loro universalità. Coincidenza del dovere e del bene, p. 88. CAPO VIII. ANALISI DELLA CosCIENZA MORALE. (continuazione) S I. La volontà morale, esame della teoria che il fine giustifica i mezzi, p. 96 – S II. Il carattere psicologico e il carattere morale, p. 98 – S III. Teoria aristotelica della virtù, che è un abito, che è una medietà; critica di questo secondo carattere. Classificazione ari stotelica delle virtù. La teoria kantiana, e sua opposizione con la precedente. La loro conciliazione si può avere se si concepisce la virtù come la sintesi superiore della coscienza morale, p. 100 – S IV. Se possa concepirsi l'estinzione della coscienza morale, p., 109. SEZIONE II. Le basi della moralità. CAPO IX. LA LIBERTA' MORALE. S I. Rapporto teorico tra la libertà e la moralità, antinomia tra la libertà e la causalità, vicende storiche del problema, i tre punti di vista dai quali deve essere considerato, p. 112– S II. La libertà d'indifferenza, argomenti indeterministici, il numero infinito, il nuovo, i casi d'indeterminazione nella natura, il caso, la statistica. La li bertà intelligibile di Kant; teoria del Bergson, la causalità ridotta all'identità, e la libertà creatrice, p. 114 – S III. La libertàela te    – 336 – stimonianza della coscienza; argomenti opposti dei deterministi e degl'indeterministi; il risultato della disputa non è favorevole alla libertà d'indifferenza, p. 122. CAPO X. LA LIBERTA' MORALE. (continuazione) S I. La libertà e l'ordine morale, libertà e responsabilità, loro nesso necessario. Contro di questo non valgono nè la critica dell'idea di sanzione, che lo nega, nè l'idea dell'autonomia che non lo spiega, p. 126 – S II. La libertà d'indifferenza in contrasto con la respon sabilità, questa ammette la causalità del motivo; ilrimorso e lo sforzo morale ne sono prova, p. 129– S III. Esame del criterio della pre vedibilità degli effetti dell'azione, p. 132 – S IV. La libertà morale s'identifica con la causalità dell'io; la teoria psicologica dell'auto coscienza e quella della volontà, come potere d'inibizione e d'im pulso proprio dell'io, sono la dimostrazione di questa causalità. I n stabilità delle condizioni psicologiche della causalità dell'io, con solidamento di esse nel carattere morale, p. 135 – S V. La respon sabilità morale richiede come suo fondamento una formazione psi cologica identica per tutti, quindi non potrebbe riconoscerlo nel temperamento o nel carattere psicologico. Differenza del consenso teoretico e dell'adesione pratica in cui consiste la libertà. Rapporto della responsabilità con lo stato d'integrità della causalità dell'io,e loro variazioni correlative. Suo rapporto con l'educazione della v o lontà. La libertà e la vita sociale, intimo rapporto della libertà con la solidarietà, p. 139. CAPO XI. LA solIDARIETA' MORALE. S I. Libertà e solidarietà; suggestione individuale e suggestione collettiva della solidarietà; la solidarietà nel dolore e la solidarietà nel progresso; la solidarietà e l'eguaglianza, p. 144– S II. La soli darietà economica, sua causa la divisione del lavoro; influenza di questa causa sulle forme superiori della vita sociale; anomalie. Li bertà, solidarietà, giustizia; loro nesso necessario, giustizia ed egua glianza,p.146– SIII.Seladivisionedellavoropossaesserecon siderata come il principio morale della solidarietà nelle società superiori; solidarietà nel diritto, nella storia, nell'arte, nella scienza, nella religione. L'unità morale della natura umana, e la giustizia come condizione della solidarietà, p. 151.    – 337 – CAPO XII. LA Giustizia, S I. La giustizia come idea morale fondamentale; la giustizia come virtù, cenni storici, p. 156 – S II. La giustizia come norma; teoria aristotelica, p. 158 – S I11. Teoria dello Stuart Mill, p. 162 – S IV. La giustizia come unità della libertà e della solidarietà;lagiustizia nell'ordine economico, p. 166 – S V. Giustizia e carità; il progresso morale, p. 170. SEZIONE III. La legge morale. CAPO XIII. I sisTEM1 MoRALI. S I. Classificazione dei sistemi morali, p. 174 – S II. La morale eteronoma, p. 175– S III. La morale autonoma; isistemi sentimen talistici e gl'intellettualistici, p. 176 – S IV. I sistemi aprioristici e gli empirici, p. 177 – S V. I sistemi universalistici e gl'individuali stici, p. 181. CAPO XIV. I sistEMI MORALI. (continuazione) SI.Isistemisoggettivi,l'edonismoel'eudemonismo, p. 186– S II. I sistemi oggettivi, l' utilitarismo; utilitarismo individuale e utilitarismo sociale, l'utilitarismo nella filosofia dell' evoluzione (Spencer), p. 190 – S III. Altre forme della morale oggettiva, la morale della perfezione, la morale del progresso, la morale del vi vere secondo natura, p. 196 – S IV. La morale biologica, socialismo e individualismo biologico, p. 198 – S V. Critica della morale bio logica. Necessità di una morale razionalistica, p. 200. CAPO XV. LA LEGGE MORALE. S l. Differenza tra la legge naturale e la legge morale, carattere di obbligazione, altri caratteri della legge morale, p. 203 – S II. Concetto del Bene; la prima formula della legga morale, l'univer  MAscI– Etica. - 22   – 338 – salità. La seconda formula della legge, la finalità. La terza formula della legge, l'autonomia. Unità delle tre formule. Il sentimento m o rale,p.205– SIII.Ilcarattereformaledellaleggemoralekantiana; vecchie e nuove critiche contro di esso; parte innegabile di verità che è in esse. Risoluzione del formalismo kantiano dal punto di vista gnoseologico, p. 210 – S IV. Risoluzione del formalismo k a n tiano dal punto di vista oggettivo, p. 218 – S V. L'accentuazione formalistica della dottrina kantiana come conseguenza dell'opposi zione contro l'empirismo morale, necessità della negazione del for malismo morale, e del dissidio tra la ragione morale e il sentimento morale. Valore storico e teorico dell'etica kantiana, p. 221. PARTE SECONDA LE FORME DELLA COMUNITÀ MORALE. INTRODUZIONE S I. L'Etica come scienza sociale; suoi aspetti ideale e storico. Le diverse forme della vita sociale: la famiglia, la società civile, lo Stato, la società religiosa, p. 227. CAPO I. LA FAMIGLIA. S I. Cenni sulla storia della famiglia, la famiglia paterna, p. 230 – S II. L'idealità morale nella famiglia, p. 233 – S IIl. La famiglia dal punto di vista giuridico e dal morale; monogamia, fedeltà, indisso lubilità, divorzio. Critica della teoria che considera la famiglia come una forma transitoria della comunità morale, p. 234 – S IV. Il m a trimonio civile e il religioso; i rapporti tra i coniugi, e tra i geni tori e i figliuoli; la patria potestà, p. 243. CAPO II. - LA SociETA' CIVILE. SI. Concetto della società civile; in qual senso e in quali limiti si può dire che la società civile derivi dalla famiglia, la società ci vile e lo Stato, p. 245 – S II. Le classi sociali, gli antagonismi so ciali e lo Stato, p. 248. CAPO III. LA SoCIETA' CIVILE COME SISTEMA DEI DIRITTI PRIVAT1. S I. Diritti personali e diritti reali, loro comune fondamento. D i ritto di libertà e sue specificazioni, la personalità morale e giuridica    – 339 – della donna, limitazione della seconda nella sfera del diritto p u b blico; carattere sociale dei diritti personali, p. 251 – S II. Dei diritti reali, la proprietà, suo fondamento psicologico e suo sviluppo sto rico; impossibilità di dare un fondamento esclusivo all'una o all'altra delle sue forme, la proprietà delle opere dell'ingegno, p. 253 – S III. Le obbligazioni,lorospecie;ildirittocontrattuale,suanatura,suoi limiti,p.255– SIV.Ildirittodiassociazione,suanatura,suoifini, sua storia; le corporazioni medievali e le libere associazioni m o d e r n e . Varie specie di associazioni; le associazioni e lo Stato, p. 256. CAPO IV. DEL coNCETTO E DEI FINI DELLO STATo. S I. Necessità dello Stato, elementi ideali del concetto dello Stato, p. 259 – S II. Elementi materiali, il popolo e il territorio; fattori naturaliefattorispiritualidellanazionalità,p.260– SIII.La so vranità, suo fondamente razionale; lo Stato di diritto, la costituzione, la personalità dello Stato, p. 264 – S IV. Definizione dello Stato, p. 268 – S V. I fini dello Stato, loro distinzione in proprii e d'inte grazione, p. 270 – S VI. Limiti dell'azione dello Stato, p. 272. CAPO V. I POTERI DELLO STATO. S I. Modi varii di distinguere i poteri dello Stato, p. 273 – S II. Della divisione dei poteri, suo carattere relativo, p. 274 – S III. Il diritto punitivo, suo sviluppo storico, p. 276– S IV. Esame delle varie teorie sul fondamento del diritto di punire, p. 279 – SV. G i u stizia civile e penale, delitto e pena, la pena come limitazione della libertà; la pena di morte, l'infamia, la gogna. Valore relativo degli altri fondamenti del diritto di punire, p. 282. CAPO VI. LA cosTITUzioNE E LE FORME DELLO STATO. S 1. Le costituzioni degli Stati, definizione, loro carattere storico, moltiplicità dei loro fattori, p. 287 – S II. Le forme dello Stato, divi sione aristotelica, quali siano ancora vitali; necessità del governo rappresentativo, sue forme repubblicana e monarchica, e caratteri differenziali di queste, p. 289.    – 340– CAPO VII. LE RELAZIONI FRA GLI STATI E LA PATRIA. S I. Del diritto internazionale, se sia un vero diritto, sua distin zione in diritto pubblico e privato, p. 296 – S II. Cenni storici, p. 297 – S III. Diritto internazionale pubblico; la sovranità e le sue limitazioni; la sovranità territoriale e la libertà dei mari. Diritto di guerra e sue limitazioni. L'ideale della pace universale, p. 299 – S IV. Diritto internazionale privato, statuti personali e reali, dispo sizioni speciali, p. 304 – S V. Se l'idea di patria sia un'idea transi toria, sua necessità storica e psicologica e doveri che ne derivano. Elementi più generali di questa idea, e formazione storica diversa pei diversi popoli. Patriottismo e imperialismo, p. 307. CAPO VIII. LA CoMUNITA' RELIGIOSA, CHIESA E STATo. S I. Concetto della Religione, ReligioneeReligioni,p.313– SII. Le religioni positive e la cultura; perennità dellavitareligiosa;suo adattamento ad ogni grado di coscienza, p. 315 – S IIl. Importanza sociale delle religioni positive, e unità primitiva della società reli giosa e della civile, p. 318 – S IV. Ragioni della loro separazione, l'universalità della religione, e il principio della libertà di coscienza; impossibilità per lo Stato di subordinare la cooperazione sociale alla fede religiosa, p. 320– S V. I quattro sistemi di regolamento dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato; loro irrazionalità relativa, e confusione dei medesimi nella politica pratica, p. 322 – S VI. Dif ficoltà teoriche e pratiche del regime della separazione, p. 324 – S VII. Difficoltà speciali del regime della separazione nei paesi cat - tolici; la separazione come meta ideale nei rapporti tra la Chiesa e lo Stato, p. 326.  Nati ra e classificazione dei fatti psichici.  ?cjyi&*pfO    0D <• * ha-C   'AW&    § 1. Il fatto psichico come l'atto psicofisico, p. 10 — § II. Diffe¬  renze trai fatti psichici e i materiali; che s’intende per stato di  coscienza, conscio ed inconscio , p. 13 — § III. La teoria delle  facoltà e quella dell’ unità di composizione dei fenomeni psichici;  il rifesso psichico primitivo, le forme piu generali delle attività  psichiche cóme suoi momenti, loro distinzione progressiva, p. 10.    CAPO III.   Svi l,t'PP O DEI PATTI PSICHICI.   § I. La coesistenza e la successione nei fatti psichici, fatti  psichici primarii e secondarii; l’associazione come loro legge ge¬  nerale; fatti psichici di terzo grado, loro rapporto con gli altri.  Partizione della Psicologia, p. 19 — La subordinazione progressiva  dei fatti psichici alla coscienza è indirizzata alla conoscenza —  § II. Il mondo dello spirito oggettivo, p. 25.     —                — 486 —    PARTE PRIMA.    La Psicologia della sensibilità.    CAPO I.  Delle sensazioni in    P£w.v«   GENERALE. '*' t . "    § I. Definizione e classificazione delle .sensazioni in loro stesse  e in rapporto agli stimoli , p. 29 — § li. Rapporti fra la geu sa-  /ione e lo stimolo quanto all intensità e all’estensione: soglio e  <iifferensa;quantità negativa; stimolo, eccitazione, sensazione, p.31 —  § 111. So ggetti vità delle sensazioni: limite del principio delle energie  specifiche; moltiplicità di sensazioni per uno stesso stimolo, sen¬  sazioni di consenso. Le sinestesie. In che senso le sensazioni si  possono sostituire . p, 32 — § IV. L’ eccentricità non è, come la  spazialità, una proprietà primitiva delle sensazioni, p. 38 —  § V. Qualit à, intensità, t ono delle sensazioni. Irredncibilità delle  qualità. Lpgge di Weber sul rapporto tra la sensazione e lo sti¬  molo. La legge di Fechner,c eltica de lla medesima, p. 39 — § VI. Che  s‘ intende per tono delle sensazioni; rapporto tra la qualità e l’in¬  tensità delle sensazioni e il loro tono. p. 45.   CAPO II.   Le. sensazioni in particolare.   r % %   § I. Le sensazioni particolari si distinguono in piterne edjtf  terne. e le prime "in organiche 0 e muscolari" Le sensazioni orga¬  niche.'la coinestesia o senso vitale; le sensazioni organiche spe¬  ciali. norma li e patologiche, loro funzione biologica, loro tonalità,  loro dipendenza da stimoli periferici e da stimoli centrali e psi¬  chici, p. 48 — § li. Le s ensaz i oni musco lari; diverse teorie intorno  ad esse; si mostra che sono sensazioni centripete del movimento  eseguito, non dello stato organico del muscolo. Contenuto quali¬  tativo e tono delle sensazioni muscolari. Coinestesia, cinestesia e  cinestesi, p. 51.   <P   § III. Le sensazioni esterne; differenziazioue ed isolamento degli  organi relativi, il loro numero un fatto d'esperienza soltanto, p. 57 —    t              — 4S7 —   S IV. Il senso del tatto, sensazioni di contatto e sensazioni di  tamperàTuraT^SS^Tia ed altezza di stimolo per le sensazioni ter¬  miche: rapporti tra la sensibilità termica e la tattile. Sensazioni  di pressione, di c ontatto . di discriminazione locale. Teoria del  Weber intorno alla discriminazione; i segni locali. Le sensazioni  di forma, p. 58 - § V . 1 sensi chimici, loro carattere biologico;  mancanza di figurabili e quindi minore oggettività del loro conte¬  nuto. Il gusto, stimoli e condizioni di questo senso, varie specie di  sensazioni gustative. Loro fusione e rimemorabilità, penetrazione e  intensità. L’ olfatto, natura dello stimolo, penetrazione delle sen¬  sazioni olfattive,loro intensità e fusione, loro classificazione, e  scarso valore oggettivo, loro valore emotivo e rimemorativo. p.67.    § VI. L’ udito , stimoli delle sensazioni uditive. Qualità delle  sensazioni uditive, rumori e suoni. Percezioni spaziali dell’udito.  L'udito e il linguaggio, la musica. Altezza, intensità, timbio.  Armonia, melodia, ritmo, p. — § VII. La vista., stimoli delle  sensazioni visive, corpi luminosi, opachi, trasparenti. L'organo  visivo.Percezione di spazio e di forma; teorie empiriche e teorie  nativiste. Percezioni di luce e di colore. Colori tondamentali e  derivati, acromatismo. Somiglianze e deferenze tra la gamma dei  colori e la scala musicale. Contrasto successivo e contrasto si¬  multaneo. Luminosità proprie dei diversi colori . colori caldi e  freddi, saturi e non saturi, p. 90.    CAPO III.    Il sentimento sensiti    ivo ( -fcflt d thvsiittaxJ-   .V* * a f■* t * *    § I. Definizione del sentimento , piacere e dolore indefinibili e  di qualità opposta, soggettività dei sentimenti, finalità biologica  dei sentimenti sensitivi, loro differenza dalle sensazioni. Fisiologia  del piacere e del dolore. Dipendenza degli stati emotivi dai pre¬  sentativi, p. Ili — § IL II sentimento sensitivo e il sentimento  vitale 4 \\ punto neutro, p. 117 — § III. Dipendenza del sentimento  dallo stato del soggetto, dall’intensità dello stimolo, p. 121 —  § IV. Rapporti vari! dei sentimenti sensitivi con l'oggettività, la  frequenza, e la qualità delle sensazioni. Dimostrazione particola¬  ri raggiata del primo di questi rapporti, p. 123 § V. Sentimenti   sensitivi di natura estetica, loro dipendenza dalla forma delle sen-  j sazioni, armonia, euritmia, proporzione, p. 132.                -f<      J # 3     •> Jfw ^><1    - 488 -   CAPO IV.   s~ j—**«'■ u   L\ TEND5ì^U-B L’ISTINTO.   I *L_     § I. L’ azioni? riflessasue proprietà e differenze. Impulsività  delle sensazioni, legge di diffusione e legge di specificazione. La  tendenza, p. 134 — § II. Definizione della te nden za, sua dipendenza  dal sentimento che ne è causa; ten denze primitive e derivate; la  tendenza, come stato psichico per sè, è il prodotto dell’inibizio¬  ne, p. 137. § III. Carattere biologico della tendenza, legge di   riversione tra l’azion volontaria e la riflessa. S viluppo dell’att i¬  vi tà pratica mediante l’isolamento e la combinazione dei movi¬  menti. Differenza di s viluppo dell’attività prat ica nell’animale  e nell’uomo, e differenza di finalità. Funzione dell'imitazione in  tale sviluppo. L atti vità pratic a dir etta alle rappresentazioni,  forme dell'attenzione spontanea, p. 140 — § IV. L’istinto ; teorie  opposte sulla sua natura ed origine; teoria della lapsed intelli¬  gence (Romanes). Errori del Komaues circa la natura dei fattori  dell istinto, e circa il loro rapporto. Natura dell’esperienza che  è base dell istinto, 1 intelligema adattatine), suo carattere fram¬    mentario, sua meccanizzazione. L’istinto cpme uno sviluppo ol-  latepale deU’ attività pratica, senza continuità con le forme supe¬  riori, p. 144.    PARTE SECONDA   Le condizioni dello sviluppo psichico.   CAPO I.   L’ ATTENZIONE.   § 1. Natura dell attenzione; attenzione spontanea e attenzione  volontaria, specie della prima: attenzione esterna ed interna. Fe¬  nomeni fisici dell’attenzione, p. 135 — § II. Intermittenza e ritmi¬  cità dell’ attenzione, p. 159 — § 111. Attenzione e percezione, atten¬  zione e coscienza, p. 160 — § IV. Carattere emotivo dell’attenzione  spontanea, origine e sviluppo dell’attenzione nella serie animale,  P- *62 — § V. L’ attenzione d’esperienza: e le sue forme singolari              dell' attenzione aspettante, dell’ inversione delle imagini, e dell at  tenzione marginale, p. 164—§ VI. L’attenzione interna, p. 167.   CAPO II.   La memoria.   § I. Analisi del fatto della memoria, memoria organica e me¬  moria psicologica, loro riversione e sostituzione. Non ci è una  memoria come facoltà generale, ina un numero grande di memorie  particolari, p. 168 — § IL Condizioni della memoria, anomalie  mnemoniche, p. 17! — § 111. Stato primario e stato secondario  nella memoria, loro differenze, e loro rapporti, p. 174 — § IV. Svi¬  luppo della memoria, prova desunta dalle amnesie, p. 176  § V. La memoria psicologica e le sue leggi, p. 179 — § VI. La  collocazione nel tempo, p. 182.   CAPO 111.   L’ ABITUDINE.   Dell’abitudine dal punto di vista fisiologico e psichico,  p.183—§ li. Effetti dell’abitudine, l’attenzione e l’abitudine,  I' abitudine come educazione di tutte le funzioni psichiche, p. 184  § 111. L’abitudine e la volontà, p. 186.   PARTE TERZA   La psicologia della conoscenza.   CAPO 1.    L» PERCEZIONE.    § I. Natura della percezione, sua differenza dall’associazione:  la percezione come integrazione. Condizioni della percezione,. |per-  eezione ed appercezione^ Altre prove dell’integrazione percettiva,  p, igj)—§ IL Cause soggettive ed oggettive delle integrazioni  percettive, p. 196 — § 111. Misura del tempo della percezione,  equazione personale,[variazioni, percezione e sensazione, p. 198 —        — 490 —    § IV. Percezione sensitiva e percezione intellettiva, p. 200 —   § V. La percezione interna, p. 204 — § VI. Le illusioni percettive  e loro specie, p. 205 — § VII. Le allucinazioni, diverse ipotesi  sulle loro cause, p. 207.   CAPO II.   L’ ASSOCIAZIONE.   § I. Associazione e percezione, serie percettive e serie rappre¬  sentative, p. 209 — § II. Teorie intorno alla reviviscenza delle  rappresentazioni. Critica della teoria herbartiana, la teoria morfo¬  logica, p. 211 — § III. dell'associazione, p. 212 — § IV. Se   siano riducibili, p. 215 — § V. Condizioni prossime delle associa¬  zioni, p. 217 — § VI. Tempo di associazione, p. 224 — § VII. L’oblio,  p. 224 — § Vili. I sogni come fenome ni dell’associazione psic op ¬  a tica. Il son no. Diverse specie di sogni. Cause, p.jjgó — § IX. Rap¬  porto tra le cause positive e le negative dei sogni, la volontà nel  sogno. Sogni telepatici, p. 230.   CAPO Ili.   L’io.   § I. Associazione e coscienza, continuità e dinamismo delle serie  rappresentative, il pensiero delle cose e il pensiero dellMo. p. 232—   _,§ IL Varii significati della parola cosciente: la. fase irrelativa e   l’integrale oggettiva, p. 237 — § III. La.^u?cifenza \li sé (formale)  e 1' empirica o storica, elementi di quest’ ultima, pJ239 — § IV. (u-  deducibilità della coscienza di sè dall’associazione e dall’astra¬  zione, unità e continuità della coscienza di sè. p. 244 — § V. La_  coscienza dell’identità dell’io; funzióne della'memoria e dell’asso¬  ciazione, casi di coscienza doppia, p. 246 — § VI. La coscienza  di sè e l'astrazione come caratteri distintivi della psiche umana  dall’animale, p. 249.                 § I. L’astrazione, p. 250 — § II. Il concetto, p. 252 — § IH- U  giudizio, p. 255 —§ IV. Il principiod'identità come fondamento  del raziocinio, natura dell’identità logica e sua invenzione. Sin¬  tesi e analisi. L’intelligenza animale e l’umana. Il genio scien¬  tifico, p. 257 — § V. Dimostrazione del doppio procedimento del  raziocinio nel raziocinio quantitativo e nel qualitativo, p. 263  § VI. Le forme dell' intuizione e le categorie, p. 266 — § VII - Psi¬  cologia e linguistica: l’origine del linguaggio, p. 267—§ Vili. Rap¬  porto tra la parola e il pensiero, p. 271 - § IX. Azione reciproca  tra la parola e il pensiero. Natura logica della lingua: suo svi¬  luppo dal concreto all' astratto, p. 225.   CAPO V.    L’ IMAGINAZIONE.    § 1. Rapporto dell’imaginazione con l’intelligenza e con 1 asso¬  ciazione; l’imaginazione riproduttrice, p. 282 — § IL Rapporto del-  l’imaginazione con la sensibilità e col pensiero astratto, p. 284 —  3 HI. L’imaginazione artistica, sue funzioni, p. 287 — § IV. I,' una-  ginazione neiia scieuza^ p. 289 - § V. L’imaginazione nell’Arte:  momeuto realistico e momento idealistico. L’Arte e la Scienza,  p. 290.        CAPO li.    Relatività i>ei sentimenti.   § 1. La legge della relazione nel sentimento, p. 306 — § li-Il  sentimento e le altre funzioni psichiche, p. 310 — § III. L’ asso¬  ciazione e la memoria dei sentimenti, p. 318.   CAPO 111.   Affetti e passioni.'   § I. Gli affetti, p. 322 — § 11. Le passioni, p. 323.   CAPO IV.   Classificazione dei sentimenti.   § I. Metodo della classificazione; classificazione dello Spemi  e ilei Nahlosvski , p. 327 — § 11. La classificazione biologica e  genetica, e sua integrazione con la rappresentativa, p, 329 —  § 111. Passaggio dai sentimenti primitivi ai derivati, p. 334.   CAPO V.   1 SENTIMENTI MORVU.    § I. Le teorie intorno ai sentimenti morali, p. 338—§ II. Esame  della teorìa empirica; se il sentimento morale sia il riflesso delle  sanzioni esterne, p. 339 — § III. Impossibilità di spiegare con la  morale empirica il sacrifizio defini tivo, p. 344 — § IV. Erroi-'  logico della dottrina empirica, parte di verità che è in essa, p. 346 •   § V. La teoria razionalista; la direttrice psicologica e la socia ;;  la ragione e il sentimento, p. 348 — § VI. Classificazione ed a .a-  lisi dei sentimenti morali, p. 350 — § VII. La carità e la tu-  stizia, p. 354.             — 493 —    CAPO VI.   I sentimenti religiosi.   § 1. Natura del sentimento religioso, sua forma primitiva, di¬  rezione di sviluppo, p. 357 — § II- Il sentimento morale e il sen¬  timento religioso. Rapporto tra l’intelligenza, il sentimento e la  volontà nella religione , p. 359 — § HI. La forma superiore del  sentimento religioso, p. 362 — 8 IV. Le tre forme del sentimento  religioso, p. 364.   CAPO VII.   I SENTIMENTI ESTETICI.   § I. Il sentimento estetico e il sentimento del gioco , p. 367   II. I fattori del sentimento estetico. La simpatia estetica, p. 360—  § III. I fattori intellettuali. La verità in Arte. Idea e forma, p. 372.   CAPO Vili.   I SENTIMENTI INTELLETTUALI.   § I. Le origini dei sentimenti intellettuali ; la curiosità e il  dubbio pratico, p. 374 —-§ IL II sentimento intellettuale della  ricerca, e quello del possesso della verità, p. 377 — § III. Il sen¬  timento intellettuale e il sentimento di sé, p. 380.    APPENDICE   Dei sentimenti estetici in particolare.   1. Il sentiment o del bello ince nerale, p. 382 — § IL li sen¬  tii .ento della bellezza finita e le sue forme: la bellezza plastica,  il arioso, il drammatico, p. 383—§ IH- Il sentimento del su¬  blime, sua natura, sua forma; il sublime naturale, l’intellettuale,  il morale, p. 389 — § IV. Il sentimento del comico , sua natura,  suo rapporto col sentimento di sè e col sentimento della libertà.  Comicità ed umorismo, p. 392 — § V. Il sentimento della natura,         sue forme diverse nell' età antica e nella moderna. Perche è la  forma più evidente della catarsi estetica, p. 397.      La Psicologia della Volontà.    CAPO I.    Il desiderio e la. volontà.    § 1. Il desiderio, p. 405 — § li. Fenomeni intensivi del desi¬  derio. p. 407 —§ III. Le azioni volontarie nelle loro forme deri¬  vate e contingenti; elementi essenziali dell'atto volontario, p. 409 —  § IV. Il problema della causalità della volontà, p. 415.    CAPO 11.    Teoria della volontà.    § I. La teoria metafisica della Volontà, p. 418 — § li. La teoria  associazionista. p. 420 — § Ili. La volontà come facoltà del fine.    e dei valori razionali; la funzione d’inibizione come suo momenti    essenziale, p. 422 —§ IV. Il sentimento del conato volitivo, p. 426 —    § V. In che consistono e come sì producono l'inibizione e l’im¬    pulso, p. 429 — § VI. L’attenzione volontaria e le sue forme p&- K  tologiche. p. 433— § VII. La misura del tempo nelle volizioni, vj  p. 438. ]    APPENDICE.    Le malattie della Volontà, e l'ipnosi.    § I. L'aboulia e la forza irresistibile, il capriccio isterico, 1  p. 441 — § II. L’estasi, p. 443 — § III. Fenomeni sensitivo-rap-  presentativi, mnemonici, e volitivi dell'ipnosi; suoi gradi, p. 444 —   § IV. La suggestione normale e l’ipnotica; somiglianze e diffe¬  renze tra il sonno naturale e l’ipnosi: cause specifiche della sug¬    gestione ipuotiCa;*p. 449.                     — 495 —    CAPO III.    Temperamento e cvrattere.    § I. Natura del temperamento, suo rapporto col sentimento  vitale, sua dipendenza dall’eredità, p. 454 — § II. Il carattere,  sua natura, sua unità col temperamento, p. 456 — § III. La teoria  ippocratico-galenica dei temperamenti, e le sue interpretazioni  fisiologiche, p. 457 — § IV. La classificazione psicologica riunisce  il temperamento e il carattere: forme varie di essa, la classifica¬  zione del Ribot. p. 459 — § V. Della modificabilità del tempera¬  mento e del carattere, p. 463 — § VI. Forme patologiche, p. 465.    CAPO IV.    La volontà e le altre attività psichiche.   L’EDUCAZIONE DELLA VOLONTÀ.   § l. La Volontà e P inconscio, p. 467 — § II. Mezzi di azione  della volontà sull’ intelligenza : necessità della limitazione della  valutazione; forme patologiche, e forme estreme, ma normali, dì  questa limitazione, p. 471 - § III. Modi d’azione della volontà  sul sentimento, p. 476 — § IV. Azione delia volontà su sè stessa;  genesi della volontà comune, azione reciproca dellajiilpiUàindi-  viduale e della volontà comune, il costume, la/fm(fl*A.'   p p 7 g_§ V. Influenza della volontà iudividuajeV sulla vomW^   comune: l’educazione, la gerarchia, la dittature/<Qe sue du^rfiel  la militare e la morale, p. 483. I, * lO K ' al      ^47629  RIAssUNTOECONCLUSIONE. L’idea di giustizia comprende le eguaglianze ari¬  stoteliche, e il carattere imperativo e di necessità rilevati  dallo Stuart Mill; ma perchè sia ben compresa ha bisogno  di essere guardata in rapporto alla solidarietà morale,  dalla quale l’eguaglianza in cui consiste deve attingere la  norma. Se la giustizia si fa derivare dall’utilità sociale,  se ne assegna una derivazione che può spesso esser falsa,  (p. es. la necessità che taluno muoia pel popolo); e se si  oppongono la giustizia e la carità, si crea una scissura  nell’ordine morale, che toglie alla giustizia quel caldo sen¬  timento di simpatia che deve renderla operosa , e si fa  della carità qualche cosa che va oltre il dovere, e che può  essere anche ingiusta e nociva. Se della giustizia si fa  invece la sintesi, soggettiva e oggettiva, come virtù e come  norma, della libertà e della solidarietà, essa non solo oltre¬  passa la sfera del diritto, ma appare come la sintesi su¬  periore della moralità, come progressiva nella ragione    Digitized by    Google     — 167 —    stessa dei suoi due fondamenti. Che siano progressive la  libertà e la solidarietà è fatto indubitabile della storia  umana; la prima tende a ricomprendere tutti gli uomini  in un rapporto d’eguaglianza dal punto di vista morale; e  la seconda da questo stesso punto di vista, che è quello  del valore di fine che ogni persona morale ha in sè, tende  ad estendersi dalle opere alla persona come tale, a con¬  servarla, a promuoverla, anche quando soggiace all’avversa  fortuna e al dolore.   Noi concepiamo la giustizia come la forma dell’ unità  della libertà e della solidarietà già raggiunta dalla co¬  scienza morale; cioè come il giudizio della proporzionalità  degli utili agli sforzi, e della loro migliore ripartizione tra  gli sforzi individuali e i sociali, posto un minimum di  utilità spettante a ciascuno in forza del valore di fine che  ha la persona morale, e della solidarietà che stringe gli  uomini tra loro.    A chiarire questo concetto gioverà vederne T applicazione ad  uno dei problemi più gravi del tempo nostro, quello relativo alla  migliore distribuzione della ricchezza, che ha preso il nome di  giustizia sociale. Il Fouillée indica tre teorie intorno ad essa, la  individualistica degli economisti smithiani, la collettivista ed egua¬  litaria del socialismo , l’idealistica che cerca di con temperare i  diritti deirindividuo e quelli della società.   La teoria economica considera troppo il lavoro come merce, e  i lavoratori come cose o come macchine di produzione. Ma dal  punto di vista sociale e morale il lavoro rappresenta le energie  accumulate di esseri viventi, sensibili e consapevoli , tra i quali  ci è necessariamente la solidarietà che deriva dal fine comune e  dal lavoro comune. Di più questi esseri e queste energie sono  parte della società, e questa è una solidarietà più vasta che ab¬  braccia come abbiamo visto tutte le energie dello spirito. Nella  prima metà del secolo passato T individualismo economico ebbe  libero corso, e la merce lavoro fu considerata a parte dalla per¬  sonalità del lavoratore, e dalla solidarietà sociale. Il lavoro fu  sfruttato prevalendosi della concorrenza dei lavoratori, e fu sfrut¬  tato di più quello pagato meno, il lavoro delie donne e dei fan¬  ciulli; cosi Tingiustizia più aperta fu legge. La sorte dei lavora-    Digitized by    Google     — 168 —    tori fu abbandonata al meccanismo della concorrenza, alle leggi  che si dissero naturali, e la società si disinteressò della protezione  dei deboli. Pareva che pei seguaci di questa scuola la ricchezza  tosse tutto, l'uomo nulla. La legge di Malthus e il darwinismo  biologico fecero il resto sottomettendo la persona umana alla  concorrenza vitale, ed elevando la voluta giustizia della natura  a giustizia sociale. Della solidarietà sociale non si davano nessun  pensiero. Ma una società di esseri morali non ci è solo per la  produzione della ricchezza, e 1’ uomo è qualche cosa di più che  un accumulatore di capitale. La società umana sussiste per rea¬  lizzare l’ideale umano; P idea di giustizia è umana, e non può  quindi prendersene il modello dalla natura, perchè essa non esiste  nel senso morale se non è fondata sulla solidarietà.   Anche Peconomia collettivista inculca una giustizia che non è  quella dello spirito, ma quella della natura. Facendo della lotta  di classe una necessità sociale, e del trionfo della classe più nu¬  merosa e [più forte l'esito necessario di quella,cangia i termini  della lotta economica, non la natura; la lotta di classe non è meno  brutale della concorrenza, ed è pari o maggiore il disdegno delle  ideologie nei collettivisti e negli economisti smithiani. Se non che  1 primi non tengono conto che del solo lavoro materiale nella  produzione , e non badano che non ci è giustizia senza libertà*  Invece la parte del fattore sociale nella ricchezza, e specialmente  quella dovuta all'addizione di esso nel tempo è così grande, che  mal si potrebbe confonderla con quella che vi ha il lavoro mate¬  riale in un'epoca determinata. Basta riflettere all’importanza capi¬  tale che hanno le scoperte scientifiche in generale e le tecniche in  particolare nella produzione della ricchezza, per persuadersi che  la parte della mano d'opera è assai minore di quella che il col¬  lettivismo afferma. Questa parte sociale, ovvero buona parte di  essa è dovuta all’iniziativa individuale, alla forza individuale di  lavoro, e non sarebbe giusto di togliere ad esse quello che senza  di esse non sussisterebbe, e sopprimere lo stimolo che le fa ope¬  rare togliendo loro quello che producono. Anche solo nella pro¬  duzione della ricchezza non si può giustamente sopprimere V alea  a cui la potenza di lavoro individuale va incontro con una speciale  costituzione sociale. Poiché è impossibile sopprimere le disugua¬  glianze naturali, come la forza fisica e morale, la bellezza, il va¬  lore, il genio, così non si può prescindere dalla potenza individuale  di lavoro, perchè il prescinderne è contro la giustizia distributiva,    contro la libertà, e quindi contro il bene sociale. L'idea di giu-   Digitized by Google     — 169 —    stizia è la sintesi della libertà e della solidarietà e solo quella  forma di essa è vera, che non ripudia l’una per 1’ altra. Non si  può negare airindividuo la proprietà di quella parte di ricchezza,  che esso ha prodotto, più di quello che si possa negare a un po¬  polo la proprietà del territorio sul quale si esercitò per secoli il  suo lavoro trasformatore e creatore. Sotto questo rispetto la ne¬  gazione della proprietà individuale non sarebbe ingiustizia minore  dì quella di negare al popolo italiano o francese la proprietà  del territorio della patria in nome del diritto dei selvaggi bru¬  ciati dal sole tropicale, o di quelli agghiacciati dai geli delle  regioni circum-polari.   La giustizia, che accorda la libertà e la solidarietà, considera  il lavoro come una forza propria di un essere personale, che deve  essere padrone di se stesso. Quindi essa riconosce la libertà di  associazione e di resistenza dei lavoratori, riconosce ad essi il  diritto di trasportare dovunque la loro forza di lavoro, ed evita  che la libertà del lavoro sia manomessa con la schiavitù forzata  del lavoratore, qualunque forma questa possa assumere. D’altra  parte rassicurazione dagl’ infortunii, il riposo festivo, le ore di  lavoro, il divieto del lavoro notturno, la disciplina del lavoro  delle donne e dei fanciulli, e il riconoscimento infine del diritto  al lavoro , sono tutti atti di giustiziaci quali sostituiscono la  carità indeterminata e di pura coscienza che prima vigeva.   È in forza del principio della solidarietà che la società deve  oggi far profittare anche gli esclusi e i diseredati, dei beni stret¬  tamente necessarii alla sussistenza, e di quelli che sono inesau¬  ribili dall'uso/come i beni superiori dello spirito, la cultura.  1’ arte, la religione, È in forza dello stesso principio che la so¬  cietà deve evitare che il profitto individuale danneggi il sociale  in rapporto al futuro. La società deve conservare alle generazioni  che verranno i beneficii del passato, come la potenza di lavoro e  la sanità della razza, cosi dal punto di vista fisico che dal mo¬  rale. E rispetto al presente, il regolamento del lavoro non può  essere più quello di una volta, quando il lavoratore animato es¬  sendo la sola fonte del lavoro , e l’utensile un semplice organo  aggiuntivo dell’individuo, tutti i rapporti del contratto di lavoro  potevano essere abbandonati al regolamento privato. Oggi il la’  voro è collettivo, l’utensile si è trasformato in macchina, e la  forza di lavoro umana è diventata un accessorio della forza na¬  turale e meccanica resa dalla scienza strumento dei fini umani.    Digitized by LjOoq le     - 170 —    Il grande lavoro è oggi, pel numero e per la qualità, un* opera  sociale, e vuole quindi un regolamento sociale.   Se si considerano gli stadii dello sviluppo etico-sociale, il primo  è rappresentato da una giustizia nella quale prepondera l’elemento  della solidarietà, quindi la libertà individuale o non esiste, o è  in tutti i modi limitata dalla regola sociale. Diventati sempre  più complicati e più numerosi i rapporti sociali, si va necessa¬  riamente all* individualismo, e la giustizia s* identifica con la  libertà individuale. Nel terzo stadio, il grado di massima com¬  plicazione dei rapporti esige il loro regolamento sociale; ma questo  non deve dimenticare gl' interessi connessi con la libertà, e che  non sono più individuali che sociali. La giustizia, in questo terzo  stadio, è il contemperamento della libertà con la solidarietà, che  è anche il suo ideale.  Filippo Masci. Masci. Keywords: implicatura, critica della critica, criticismo, neo-criticismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688334027/in/photolist-2mPYm4t-2mKw3hq-2mNaqUA-2mPrdWj-2mKwdUT

 

Grice e Masi – i peripatetici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “Unlike Masi, I don’t think ontology has reached its end – il fine dell’ontologia” – Grice: “Masi has elaborated on the power of reason not from an Ariskantian perspective but from a Plathegelian one! – Masi: “Il potere della ragione: Eraclito, Platone, Hegel.” --  Grice: “It’s amazing Masi was implicating the same things as I was on S izz P and P hazz S; he even managed a coinage, ‘uni-equivocity’ – I love it!”. Figlio di Enrico Masi, generale dell'Esercito Italiano, e Leda Nutini. Ha compiuto i suoi studi a Bologna, conseguendo la maturità classica presso il liceo statale L. Galvani. Iscrittosi a Bologna, vi si laureò con lode  con una tesi sul diritto di famiglia negli Statuti Bolognesi. Assolse agli obblighi di leva e fu trattenuto alle armi in base alle disposizioni di emergenza del periodo. Congedato, riprese gli studi di filosofia a Bologna, dove conseguì la laurea con lode, discutendo co Battaglia la tesi, “Individuo, società, famiglia in Rosmini”. La tesi gli valse l'ammissione, con borsa di studio a Milano. Dopo il primo anno, fu richiamato alle armi nel periodo bellico. Ottenuto il congedo definitivo, insegna filosofia a Bologna. Participa ai principali convegni e congressi, come quelli del Centro Studi Filosofici di Gallarate, come attesta la sua collaborazione alla Enciclopedia filosofica quel Centro. Dona su collezione alla Pinacoteca comunale di Pieve di Cento. L'interesse storiografico che muove  Masi alla ricostruzione di Kierkegaard da un profondo e originale impegno teoretico, volto ad approfondire il concetto metafisico di "analogia", cui il discorso di Kierkegaard, come l'A. si propone di illustrare nel suo saggio, risulta fortemente legato. Sotto un profilo strettamente storiografico, il Masi approda, attraverso un'attenta rilettura delle "opere edificanti" di Kierkegaard, ad un'interpretazione che ridimensiona questo pensatore, scoraggiando molti luoghi comuni della critica.." (A. Baboline).  "Nel linguaggio filosofico contemporaneo l'aggettivo "platonico", riferito a una qualsiasi entità, vuole denotare l'immobilità a-storica, il suo permanere in un'assoluta identità con sé medesima al di sopra delle alterne vicende del divenire. Ciò deriva da una tradizione ermeneutica del platonismo. Uno degli aspetti più rilevanti del volume di Masi risiede appunto nello sforzo operato a de-mitizzare una tale ermeneutica... questa ricerca del Masi costituisce un lucido esempio di come oggi una filosofia, che si presenta spiritualistica e umanistica, sappia ripiegarsi a cogliere con consapevolezza trasparente e spregiudicata, le proprie radici alle fonti più vive della tradizione culturale dell'Occidente" (A. Babolin).  "Le zitelle è un libro divertente, curioso, strano. Il pregio maggiore di questo libro è di essere tutto su di uno stesso tema musicale.” Saggi:“Esistenza” (Bologna); “La verità” (Bologna); “La libertà,” Bologna, “Metafisica,” Milano, “La fine dell'ontologia,” Milano, “Disperazione e speranza. Saggio sulle categorie kierkegaardiane” (Padova, “Il potere della ragione,”  Padova, “Il problema aristotelico,” Bologna, “L'esistenzialismo,” “Grande antologia filosofica. Il pensiero contemporaneo,” Milano “Il pensiero ellenistico,” Bologna, “L'uni-equivocità dell'essere in Aristotele (Genova: Casa Editrice) – cf. Grice, “Aristotle on the multiplicity of being” -- Tilgher “Lo spiritualismo” antico. Il pensiero religioso egiziano classico, Bologna: Clueb, “Lo spiritualismo ellenistico.” La grande svolta del pensiero occidentale, Bologna: Clueb, Lo spiritualismo dalle origini a Calcedonia, Bologna: Clueb Origène o della riconciliazione universal, Bologna, “Lo spiritualismo Dalle Upanishad al Buddha, Bologna: Clueb Lo spirito magico. Saggi sul pensiero primitivo, Bologna: Clueb, Studi sul pensiero antico e dintorni, Bologna L'idea barocca. Lezioni sul pensiero del Seicento, Bologna: Clueb, Il concetto di cultura,  Bologna: Clueb, Commento al Timeo” (Bologna: Clueb); “Dell'eternità, e altri argomenti,’ Bologna: Clueb); “Penombre,” Torino: Casa Editrice A.B.C. S), “L'esile ombra, Torino: Casa Editrice A.B.C.  Le zitelle,  Milano: Todariana Editrice, Il cane cinese, Roma: Vincenzo Lo Faro Editore Il gatto siamese,  Roma: Vincenzo Lo Faro Editore. Il figlio dell'ufficiale, Marta, L'ultima estate, Firenze: Firenze Libri “La carriera di un libertino,”La dea bambina, Firenze: Firenze “Oltre le dune,” Firenze: Firenze Libri Le donne, Roma: Gabrieli); L'ignoto. Il sogno,  Firenze: L'Autore Libri, Tra le quinte del liceo. L'orologio a Pendolo, Firenze: L'Autore Libri, Il palloncino rosso e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri, La partenza, Firenze: L'Autore Libri Il sogno, Roma: Gabrieli Angelina e altri racconti, Firenze: L'Autore Libri La croce di Sant'Elpidio. Il cane cinese, Firenze Il lupo di Sestola, Firenze: L'Autore; Apollo e Dafne, Padova: L'Edicola Le stagioni e i giorni, Padova: L'Edicola, La tomba d'erba, Padova: L'Edicola Maremma tu, Milano: Todariana Editrice. Premio Montediana di poesia, A. Babolin, rec. a Disperazione e speranza, in "Riv. di Fil. Neosc.",  A. Babolin, rec. a il potere della ragione, in: "Riv. di Fil. Neosc.", F. Tombari, rec. a Le zitelle, Milano: Todariana Editrice  Nunzio Incardona. Giuseppe Masi --. Keywords uni-equivociat dell’essere in Aristotele. Giuseppe Masi. Masi. Keywords: i peripatetici, la carriera di un libertino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744527477/in/datetaken/

 

Grice e Massarenti – stramaledettamente implicaturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Eboli). Filosofo. Grice: “His dictionary of non-common ideas I would give to Austin on his birthday; he would hate it! He was all for common lingo!” -- “I like Massarenti: he can be provocative. I like his study on what he calls a ‘neologissimo’ – and the idea of the pocket-philosopher! I know I’m one! On the other hand, he has written on ‘la buona logica,’ but isn’t ‘logica’ already a value-paradeigmatic expression? His study on god-damn logic is good – since that’s what I do, with my theory of implicature. To say, “My wife is in the kitchen or the bedroom” when I know where she is – and thus when I have truth-functional grounds to utter the stronger disjunct, it’s still goddamn logic – I haven’t lied! True but misleading – aka god-dman logic!” Responsabile del supplemento culturale Il Sole-24 Ore-Domenica, dove si occupa di storia e filosofia della scienza, filosofia morale e politica, etica applicata, e dove tiene la rubrica Filosofia minima.   Armando Massarenti vive a Milano, dove dirige il supplemento culturale Domenica de Il Sole 24 Ore. Scrive L'etica da applicare. Redatta il Manifesto di bioetica laica, che ha suscitato un vasto dibattito. È stato membro dell'Osservatorio di Bioetica della Fondazione Einaudi di Roma e dal  fa parte del Comitato etico della Fondazione Veronesi, presieduto da Giuliano Amato. Direttore della rivista Etica ed economia (Nemetria). Cura e introduce diversi volumi di argomento filosofico-scientifico, come “L'ingranaggio della libertà” (Liberi libri, Macerata), la “Storia dell'astronomia” di Leopardi (Vita Felice, Milano), “Rifare la filosofia di Dewey” (Donzelli, Roma).  Per Feltrinelli cura e introduce “Laicismo indiano” (Milano), una raccolta di saggi di Sen.  Cura il numero monografico della Rivista di Estetica dedicato al dibattito su analitici e continentali e, con Possenti, “Nichilismo, relativismo, verità. Un dibattito (Rubbettino, Soveria Mannelli). Cura la collana I Grandi Filosofi (trenta volumi sui protagonisti della storia del pensiero, da Socrate a Wittgenstein, per i quali anche scrive le prefazioni, confluite ne Il filosofo tascabile. In corso di pubblicazione una serie analoga dedicata ai grandi della scienza. Scrive “Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima” per il quale gli sono stati conferiti il Premio Filosofico Castiglioncello  e il premio di saggistica "Città delle Rose. "Il lancio del nano” è anche oggetto di un esperimento didattico, promosso dalla Società Filosofica Italiana attraverso il quale viene proposto un metodo di motivare allo studio della filosofia e alla capacità di argomentare in proprio. Dal saggio è stato tratto anche uno spettacolo teatrale, per la regia di C. Longhi prodotto da Mimesis). Cura “Bi(bli)oetica. Istruzioni per l'uso (Einaudi), un dizionario di bio-etica sui generis, dal quale il regista L.Ronconi ha tratto l'omonimo spettacolo teatrale andato in scena a Torino, per il progetto Domani delle Olimpiadi. Scrive Staminalia. le cellule etiche e i nemici della ricerca, una ricostruzione del dibattito etico e scientifico sulla ricerca sulle staminali. Scrive Il filosofo tascabile. Dai presocratici a Wittgenstein. 44 ritratti per una storia del pensiero in miniatura. In contemporanea è uscito “Stramaledettamente logico. Esercizi filosofici su pellicola (Laterza, Roma-Bari) una raccolta di saggi su cinema e filosofia (di Roberto Casati, Achille Varzi) di cui ha scritto introduzione e saggio conclusivo. Insegna a Bologna, Lugano, Siena, Milano. Dirige per Mondadori la collana "Scienza e filosofia".  Fa parte delle giurie di due premi per la divulgazione scientifica: il Premio Giovanni Maria Pace, promosso dalla SISSA di Trieste, il Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica, legato al Campiello (Padova), e il premio Serono. È stato anche nella giuria del Premio del Giovedì "Marisa Rusconi", conferito ogni anno a Milano a un romanzo italiano opera prima.  Ha vinto diversi premi:  il Premio Dondi per la Storia della Scienza, delle tecniche e dell'Industria (Padova); n il Premio Voltolino per la divulgazione scientifica (Pisa); il Premio Mente e Cervello (Torino); il premio Capri, il premio Argil e il premio Capalbio; il Premio Città di Como. Altri saggi: “L'etica da applicare: una morale per prendere decisioni,” Milano, Il Sole-24 Ore libri, “Il lancio del nano” -- e altri esercizi di “filosofia minima,” Parma, Guanda); “Staminalia. “Le cellule” etiche e i nemici della ricerca, Parma, Guanda,  “Il filosofo tascabile” “dai presocratici a Wittgenstein”“ritratti per una storia del pensiero in miniatura,” Parma, Guanda, “Dizionario delle idee non comuni,”Parma, Guanda,.“Filosofia, sapere di non sapere: le domande che hanno caratterizzato lo sviluppo del pensiero” Firenze, Anna.“Perché pagare le tangenti è razionale ma non vi conviene” e altri saggi di etica politica, Parma, Guanda,.“Istruzioni per rendersi felici.”“Come il pensiero antico salverà gli spiriti moderni, Milano, Guanda,.“La buona logica.” Imparare a pensare, Milano, Cortina, “Metti l'amore sopra ogni cosa: una filosofia per stare bene con gl’altri” Milano, Mondadori, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana su italia libri.net. tangenti e moralità, su filosofia rai. Armando Massarenti. Massarenti. Keywords: stramaledettamente logico, stramaledettamente implicaturale --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massarenti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745577163/in/dateposted-public/

 

Grice e Massari – filosofia italiana – l’implicatura logistica di Petrarca e Boccaccio -- Luigi Speranza (Seminara). Filosofo. Bernardo Massari -- calabro -- Barlaam: -- Grice: “Should it be under B – Barlam, under Seminara, like Occam?”  Barlaam Calabro – di Calabria – Scrive di aritmetica, musica e acustica. E uno dei più convinti fautori della riunificazione fra le Chiese d'oriente e occidente. È considerato insieme ai suoi due allievi Leonzio Pilato e Boccaccio uno dei padri dell'Umanesimo. Studia in Galatro, Calabria. Pare che il suo successo come filosofo (un suo trattato sull'etica degli stoici è preservato) e ragione di gelosia da parte di N. Gregorio. Nell'ambito delle trattative per la ri-unificazione tra le due Chiese di Oriente e di Occidente, a lui venne affidata la difesa delle ragioni greche; in tale occasione sviluppa le sue critiche verso l'esicasmo e a sottolineare la differenza di valore tra la teologia scolastica e la contemplazione mistica. E protagonista di una violenta polemica contro i metodi ascetici e mistici di alcuni monaci dell'Athos e del loro sostenitore G. Palamas. Il dibattito divenne sempre più acceso fino a culminare in un concilio generale alla fine del quale venne costretto a sospendere ogni futuro attacco verso l'esicasmo. Epigrafe a Gerace, tutore di Petrarca e Boccaccio, inviato dall'imperatore Andronico III Paleologo in missione diplomatica a Napoli, Avignone e Parigi per sollecitare le corti europee ad una crociata contro i turchi. In quell'occasione costrue delle relazioni e una rete di amicizie su cui puo fare conto quando, in seguito alla decisione conciliare, decise di aderire alla Chiesa d'Occidente. Ad Avignone conosce Petrarca, a cui iniziò ad insegna il greco. Petrarca si adoperò per fargli assegnare la diocesi di Gerace, così e nominato vescovo di Clemente. La bolla relativa alla sua elezione al vescovato di Gerace riporta, Monachus monasteri Sancti Heliae de Capasino Ordinis Sancti Basilii Militensis Diocesis, in sacerdotio constitutum. Tutore di Petrarca e Boccaccio che da un importante contributo, attraverso la riscoperta dei testi antichi, anche a tutto ciò che non molto tempo dopo svilupa il movimento umanista. È proprio Manetti il primo a menzionarlo nella sua biografia del Petrarca. Venne inviato in missione diplomatica da Clemente in un rinnovato tentativo ecumenico. Data la grande influenza di Palamas il tentativo, ancora una volta, si risolse in un insuccesso. Fa ritorno ad Avignone dove muore. Saggi: Si occupa anche di matematica lasciandoci una “Logistica” in cui spiega le regole di calcolo con interi, frazioni generiche e frazioni sessagesimali. D. Mandaglio, Barlaam Calabro: una vocazione unionista. C. Nanni Editore (Maggio). Salvatore Impellizzeri, Calabro, Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Silvio Giuseppe Mercati, Calabro, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ratisbona. Simone Atomano. Barlaam Calabro di Seminara. BARLAAM Calabro. - Nacque a Seminara (Reggio di Calabria) sul finire del sec. XIII, probabilmente verso il 1290. Il nome Barlaam par che sia quello assunto in religione, ma non è documentato che il nome di battesimo fosse Bernardo, come si ripete sulle orme dell'Ughelli (Italia Sacra, IX, p. 395). Mancano notizie sulla sua formazione spirituale e culturale e sulla sua attività in Italia fino al suo passaggio a Bisanzio. La bolla di Clemente VI (Reg.Vat. 152, f. 161 v, ep. 72), che lo elevò al seggio episcopale di Gerace, ci informa soltanto che B. si preparò al monacato e al sacerdozio nel monastero basiliano di Sant'Elia di Capasino (Gàlatro), nella diocesi di Mileto. Certo è ormai, dopo gli studi recenti (Schirò, Jugie, Giannelli), che B. nacque e fu educato nella fede dissidente della Chiesa di Costantinopoli, cui molti continuavano ad aderire nell'Italia meridionale di quell'età, nonostante l'unione alla Chiesa cattolica proclamata dal concilio di Bari del 1098. È B. stesso a dirlo in uno degli opuscoli contro la processione dello Spirito Santo a Patre Filioque (punto fondamentale di dissenso tra le due Chiese: gli ortodossi credono che lo Spirito Santo proceda e Patre solo): "Tale è la mia fede e la mia religione riguardo alla Trinità, fede nella quale io fui allevato fin dall'infanzia e nella quale sono vissuto sin qui" (cod. Parisinus graecus 1218, sec. XV, f. 506 v). Problematica è invece la ricostruzione della sua formazione culturale. Appare infatti evidente che le conoscenze del monaco calabrese, le quali non si limitano a filosofi greci, quali Platone e Aristotele, ma si mostrano invece profonde anche riguardo al pensiero di Tommaso d'Aquino e agli ultimi sviluppi nominalistici della Scolastica occidentale, esorbitano dalla tradizione culturale dei monasteri italo-greci di Calabria e presuppongono contatti più o meno prolungati di B. con scuole filosofiche e teologiche dell'Italia meridionale e centrale.  Verso il 1328, quando il potere imperiale passò da Andronico II ad Andronico III, troviamo B. a Costantinopoli, dove egli era giunto dopo essersi trattenuto prima ad Arta, in Etolia, e a Tessalonica. Nella capitale bizantina incontrò il favore della corte: vi dominava allora Anna di Savoia, figlia di Amedeo V, sposata nel 1326 ad Andronico III, favorevole ai Latini e all'unione delle Chiese. Presto ottenne larga fama di dotto e di filosofo e divenne abate (igumeno) di uno dei più importanti conventi, quello di S. Salvatore. Si diffondevano a Bisanzio i suoi scritti di logica e di astronomia e il gran domestico Giovanni Cantacuzeno gli affidava una cattedra nell'università della capitale. Ma la sua fama crescente doveva presto urtarsi contro il tradizionale nazionalismo latinofobo dei Bizantini. Il primo scontro avvenne col più cospicuo rappresentante dell'umanesimo bizantino, Niceforo Gregoras, che teneva cattedra nel monastero di Cora. In una sfida accademica, che dovette aver luogo verso il 1331, i due dotti più in vista della capitale si trovarono di fronte a discuteresui campi più vari dello scibile, astronomia, grammatica, retorica, poetica, fisica, dialettica, logica. Di questa tenzone noi sappiamo soltanto attraverso un libello del Gregoras 02,OpiVrLO9 ~ 7rEpì GOCPL'2q (edito da A. Jahn, in Archiv für Philologie und Pddagogik, Supplementband, X [18441, pp. 485536). Il libello, una specie di dialogo mitico di imitazione platonica, o meglio lucianea, naturalmente tendenzioso, asserisce che l'agone si concluse con la completa sconfitta del dotto calabrese, che dimostrò di avere soltanto qualche conoscenza di fisica e di dialettica aristotelica e una certa superficiale infarinatura di logica. Ma nella persona di B., Niceforo Gregoras vuol mettere in ridicolo tutta la scienza occidentale limitata a poche nozioni aristoteliche e del tutto ignara di matematica, fisica e astronomia, scienze in grande onore allora a Bisanzio. Secondo il Gregoras, inoltre, in seguito a questa sconfitta, B. avrebbe abbandonato Costantinopoli per rifugiarsi a Tessalonica. Par più probabile invece che egli facesse la spola tra i due massimi centri culturali dell'impero. A Tessalonica comunque il suo insegnamento continuava con successo e tra i suoi allievi si contavano personalità di spicco come Gregorio Acindino, Nilo Cavasila, Demetrio Cidone.  Ma nemmeno presso la corte e gli ambienti ecclesiastici della capitale il prestigio di B. dovette subire un offuscamento, se proprio lui fu scelto dal patriarca Giovanni Caleca, come portavoce della Chiesa ortodossa, quando giunsero a Bisanzio, al principio del 1334, i due domenicani Francesco da Camerino, arcivescovo di Vosprum (Ker~-'), e Riccardo, vescovo di Cherson, incaricati dal papa Giovanni XXII di rimuovere gli ostacoli dottrinali che si frapponevano alla riconciliazione delle Chiese.  La discussione tra i prelati latini e il monaco calabrese si svolse ad un alto livello teologico-filosofico. B. cercava di abbattere la barriera dogmatica della processione dello Spirito Santo ricorrendo a un tipico argomento nominalistico: egli si opponeva alla pretesa di poter conoscere Dio e di poter dimostrare apoditticamente le cose divine. Ora, se Dio èinconoscibile, che valore potevano avere discussioni sulla processione dello Spirito Santo basate sui sillogismi apodittici? Sia i Latini, sia i Greci, quindi, in questioni di questo genere non potevano rifarsi che ai Padri della Chiesa, la cui fonte di scienza è la rivelazione e l'illuminazione divina. Ma poiché i Padri non sono sufficientemente espliciti riguardo alla processione dello Spirito Santo, non restava che assegnare alle divergenti dottrine un posto nelle opinioni teologiche particolari, senza fame un ostacolo per l'unione.  La posizione di B. è in netto contrasto col realismo di s. Tommaso, assunto quale atteggiamento ufficiale dalla teologia cattolica: essa si inserisce chiaramente nel movimento volontaristico contemporaneo a B., che ebbe i suoi maggiori rappresentanti in Duns Scoto e in Guglielmo d'Occam, teso a porre un netto confine di separazione tra i campi della ragione e della fede. Non è un caso che B. avesse consacrato il suo insegnamento universitario dalla cattedra di Costantinopoli all'esegesi dello Pseudo-Dionigi l'Areopagita, il rappresentante più coerente della dottrina "apofatica", della inconoscibilità, cioè, del divino, la cui autorità era riconosciuta in Oriente e in Occidente.  Le trattative non approdarono a nulla: le tesi di B. difficilmente potevano essere accettate dai legati latini, esponenti dell'ordine stesso cui apparteneva anche s. Tommaso e inviati dal papa Giovanni XXII, che, elevando agli onori dell'altare Tommaso, aveva fatto propria della Chiesa di Roma la sua dottrina.  Ma l'agnosticismo nominalistico di B. doveva anche urtare le concezioni mistiche bizantine, rappresentate allora specialmente dal monachesimo atonita. A campione di tale misticismo si ergeva Gregorio Palamas, un monaco dell'Athos, che aveva già scritto due Discorsi apodittici contro la processione dello Spirito Santo Filioque. Egli attaccava il metodo di discussione tenuto dal calabrese dinanzi ai legati latini, dichiarando perfettamente dimostrabile la posizione ortodossa in virtù della grazia illuminante che al cristiano discende dall'incamazione, per cui la conoscenza soprannaturale è eminentemente reale, più di qualunque conoscenza filosofica.  Intanto B. veniva a conoscenza delle pratiche mistiche dei monaci atoniti, che si isolavano per abbandonarsi ad una quiete contemplativa Tali pratiche consistevano nel ripetere indefinitamente la preghiera: "Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me!", trattenendo il fiato, col mento appoggiato al petto e guardando l'ombelico, fino a raggiungere la visione corporea della luce divina vista dagli Apostoli sul Tabor, nel giorno della trasfigurazione. Questa concezione psico-fisica della divinità e, soprattutto, il metodo di preghiera degli esicasti (così si chiamavano i seguaci di tal metodo) provocarono gli attacchi ironici di B., che vedeva nell'esicasmo una grossolana superstizione, i cui seguaci designò con lo sprezzante appellativo di ??? (umbilicanimi). Ma la controversia ben presto si allargò sul piano filosofico-teologico. B., coerentemente alla sua formazione nominalistica, non poteva ammettere contaminazione tra il divino e l'umano, tra l'etemo e il temporale. La luce del Tabor, per esser vista nell'ascesi, dovrebbe essere etema e coincidere con la divinità stessa, che sola è eterna e immutabile. Ma poiché la divinità è invisibile, invisibile è anche la luce taborica. Gregorio Palamas oppose una sottile dottrina emanazionistica di derivazione neoplatonica, che distingueva una sostanza divina trascendente (oùaía) e delle energie divine (gvp-'pyztcxt o Suváp.rLq), operazioni eterne di Dio, che per esse agisce nel mondo degli uomini. E appunto la luce taborica visibile agli asceti, come l'amore, la sapienza e la grazia di Dio, è una energia divina operante come intermediaria tra Dio e gli uomini, un ponte tra l'etemo e il transeunte.  Tra le due opposte tesi non poteva essere accordo. La controversia filosoficoteologica ebbe anche implicazioni politiche, come sempre avveniva a Bisanzio. B. allora mosse accusa di eresia contro il Palamas dinanzi al patriarca Giovanni Caleca, presentando il suo scritto Kwrà MoccrcrocXtocvCùv (Contro i Massaliani) in cui la dottrina del Palamas veniva assimilata a precedenti eresie. Il Palamas riuscì a ottenere una dichiarazione, favorevole alla fede esicasta, sottoscritta dai monaci più importanti dell'Athos ('0 &ytopsvrtxòq -ró[Log), mentre il patriarcato e il governo imperiale, pur non favorevoli al palamismo, preoccupati com'erano di mantenere la pace religiosa tra i pericoli incombenti dall'estemo, desideravano evitare una controversia dogmatica e cercavano di far giungere le due opposte parti a una conciliazione. Si giunse così alla riunione di un concilio in Santa Sofia, il 10 giugno 1341, presieduto dall'imperatore Andronico III in persona. La sera dello stesso giorno il concilio si chiudeva con un discorso dell'imperatore che celebrava la riconciliazione generale. Ma in realtà fu il Palamas a trionfare: la dottrina di B. venne formalmente condannata e il monaco calabrese dovette fare pubblica ammenda agli esicasti e promettere di non dar loro più molestia. Il patriarca pubblicava un'encicláca con cui condannava "ciò che il monaco B. aveva detto contro i santi esicasti" e imponeva a tutti gli abitanti di Costantinopoli e delle altre città di consegnare alle autorità gli scritti di B. perché fossero pubblicamente distrutti. Questa scottante umiliazione e la morte di Andronico III, avvenuta subito dopo, il 15 giugno 1341, indussero B. a lasciare Costantinopoli e a ritornare in Occidente.  A tal decisione forse non erano state estranee le impressioni riportate nel viaggio in Occidente, fatto nel 1339, e le conoscenze che aveva avuto occasione di fare (forse aveva conosciuto anche il Petrarca). Nel vivo della lotta esicasta, B. era stato richiamato da Andronico III, da Tessalonica, per un'importante missione diplomatica. Urgeva che l'Occidente facesse una spedizione per allontanare da Costantinopoli l'avanzata dei Turchi ottomani. Pare che allora B. avesse preparato un nuovo progetto di unione, che aveva sottoposto al sinodo di Costantinopoli, in cui ribadiva le posizioni teologiche che aveva sostenuto cinque anni prima, nelle discussioni coi legati latini del papa. Il progetto non dovette soddisfare il sinodo e d'altra parte un senso realistico della situazione politica doveva consigliare di evitare lunghe quanto inutili dispute teologiche. B. accompagnato da un esperto militare, il veneziano Stefano Dandolo, si era recato presso Roberto d'Angiò e Filippo VI di Valois per chiedere aiuti militari dal Regno di Napoli e dalla Francia, e infine presso la Curia di Avignone per ottenere il consenso papale alla crociata. Al papa aveva presentato dei memoriali in cui, facendo presenti i pericoli che sovrastavano alla cristianità tutta per l'incombenza della minaccia turca, chiedeva che i Latini, mettendo da parte i tradizionali odi, mandassero subito aiuti in Oriente per la guerra contro gli infedeli; dopo, ottenuta la vittoria, si sarebbe riunito un concilio ecumenico che avrebbe trattato dell'unione. La missione di B. era fallita sia perché il papa pretendeva la realizzazione dell'unione prima di affrontare uno sforzo militare, sia perché le condizioni politiche dell'Occidente (relazioni tese tra Filippo VI ed Edoardo III d'Inghilterra) difficilmente avrebbero permesso l'organizzazione di una crociata.  B. tornò in Calabria nel luglio 1341 e prosegui il suo viaggio fino a Napoli, dove aiutò, per la parte greca, l'umanista Paolo da Perugia nella compilazione della sua opera sulla mitologia dei pagani (Collectiones) e nell'ordinamento dei manoscritti greci della libreria angioina, che era in rapida espansione. Poi, nell'agosto, passò alla Curia avignonese, dove a Benedetto XII era successo Clemente VI, e vi restò fino al novembre del 1342. In questo periodo egli si legò di amicizia col Petrarca, a cui insegnò i primi rudimenti di greco, da lui acquistando familiarità con la lingua latina, nella quale, per la sua educazione prevalentemente greca e per la lunga dimora in Oriente, provava difficoltà ad esprimersi (Petrarca, Famil., I. XVIII, ep. 2). Allora passò anche alla fede cattolica e fu utilizzato dalla Curia per un insegnamento di greco, fino a che, pare per intercessione del Petrarca, non fu elevato al seggio episcopale di Gerace e consacrato dal cardinal Bertrando del Poggetto, il 2 ott. 1342. Oscuri e duri furono gli anni dell'episcopato nella piccola diocesi calabrese a causa di aspre dispute con la curia metropolitana di Reggio.  Ma nel 1346 gli veniva affidata la sua ultima missione diplomatica, questa volta da parte di Clemente VI, per condurre trattative unioniste con l'imperatrice Anna di Savoia, reggente l'impero di Bisanzio in nome del figlio Giovanni V. La situazione a Bisanzio rendeva però ogni trattativa impossibile. Il 2 febbr. 1347 un sinodo aveva deposto il patriarca Giovanni Caleca, divenuto avversario dichiarato del movimento esicasta, in conseguenza dell'evoluzione della situazione politica dopo la morte di Andronico III (nel 1343 aveva fatto arrestare il Palamas e l'anno successivo aveva fatto pronunciare contro di lui la scomunica da un sinodo patriarcale), e aveva confermato la condanna di Barlaam. La stessa sera Giovanni Cantacuzeno, favorevole agli esicasti, entrava nella capitale e costringeva Anna ad accoglierlo come coimperatore accanto al figlio. A B., considerato eresiarca, non restava che la via del ritorno, per lasciare ad altri la ripresa delle trattative. Rientrò ad Avignone verso la primavera del 1347 e quasi certamente vi rimase fino alla morte che avvenne al primi di giugno del 1348. Infatti la bolla di nomina del suo successore, Simone Atumano, nella sede episcopale di Gerace è del 23 giugno di quell'anno e afferma come recente la morte di Barlaam. (Archivio segreto vaticano, Reg. Clem. VI, a. VII, vol. 188, f- 31 v).  B. scrisse molto. Quantunque una parte della sua opera sia andata perduta, tuttavia si conservano ancora di lui un buon numero di opuscoli di vario contenuto, in genere brevi, ma densi di pensiero. La maggior parte di essi sono ancora inediti. Un elenco coi titoli e gli incipit si trova in Fabricius, Bibliotheca Graeca, XI,Hamburgi 1808, pp. 462-470 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI, coll. 1247-1256). I più numerosi sono quelli di carattere teologico e riguardano l'attività unionista del monaco calabrese: 3 contro la processione dello Spirito Santo Filioque, e sul primato del papa. Tali opuscoli si trovano in un gran numero di manoscritti. Ne contiene 20 (escluso uno sul primato del papa) il cod. Parisinus 1278 del sec. XV (ff. 30 r-167 v). Di essi uno solo sul primato dei papa, è stato pubblicato prima da Giovanni Luyd, con traduzione latina, Oxford 1592, e poi dal Salmasius, in greco, Hannover 1608 (riprodotto in Migne, Patr. Graeca, CLI, Coll. 1255-1280).  Due discorsi greci sull'unione delle Chiese sono stati pubblicati e illustrati da C. Giannelli, Un progetto di Barlaam Calabro Per l'unione delle chiese, in Miscellanea Giovanni Mercati, III, Città del Vaticano 1946, pp. 157-208. Il primo di essi contiene il progetto di unione elaborato da B. prima della sua missione diplomatica ad Avignone del 1339 e presentato al sinodo di Costantinopoli; il secondo, pronunciato probabilmente dinanzi al sinodo stesso, doveva illustrare il progetto contenuto nel primo. Di tenore diverso sono tuttavia i due discorsi latini recitati, o piuttosto presentati in forma di memoriali, in quell'occasione, al pontefice Benedetto XII. Essi furono editi per la prima volta da L. Allacci, De Ecclesiae Occidentalis atque Orientalis perpetua consensione...,Coloniae Agrippinae 1648, coll. 789-794 e 796-798, donde furono riprodotti dal Migne, Patr. Graeca, CLI, coll. 1332-1337, 1338-1340, e poi dal Raynaldi, Annales Ecclesiastici, ad an. 1339. Alla sua attività apologetica in favore della Chiesa cattolica svolta dopo la conversione si riferiscono varie lettere ed opuscoli, di cui cinque, in latino, si trovano in Migne, Patr.Graeca, C LI, coll. 1255-1330.  Poco ci resta degli scritti contro gli esicasti, che furono condannati alla distruzione, dopo il concilio del 1341, dalla enciclica del patriarca Giovanni Caleta (Synodicae Constitutiones, XXII, in Migne, Patr.Graeca,CLII, COI. 1241). L'opera principale, più volte rimaneggiata, che portava il titolo KotTà Mocaaa?,tocvi""v (Contro i Massaliani) da un'antìca setta ereticale a cui B. polemicamente assimilava gli esicasti, ci è nota soltanto attraverso le citazioni degli avversari. Di notevole importanza sono quindi le otto lettere pubblicate con ampia introduzione da G. Schirò: Barlaam Calabro, Epistole greche. I primordi episodici e dottrinari delle lotte esicaste, Palermo 1954, che rivelano i primi sviluppi della controversia.  Ma se più nota è l'attività teologica di B., di non minore importanza, anche se finora meno studiata, è quella filosofica e scientifica. Nell'operetta latina in due libri, Ethica secundum Stoicos ex pluribus voluminibus eorumdem Stoicorum sub compendio composita,edita per la prima volta da P. Canisius, Ingolstadt 1604, riprodotta in Migne, Patr. Graeca,CLI, coll. 1341-1364, B. dà una chiara esposizione della morale stoica e mostra ampia conoscenza di Platone. Inedita è ancora un'altra opera di carattere fìlosofico, Le soluzioni dei dubbi proposti da Giorgio Lapita (A~astq siq T&q è7rsvsy,0d'aocq ocù-ré,-,) &7rop(otq 7rocpì ro,3 ]Pe,)pytou roú Aa7r'tOou, contenuta in vari codici, di cui il più noto il Vatic.Graer.1110 (sec. XIV), ff. 80-94 v.  Di matematica trattano l'Arithmetica demonstratio eorum quae in secundo libro elementorum sunt in lineis et figuris planis demonstrata,corfimentario al secondo libro di Euclide, edito nell'euclide di C. Dasypodius con traduzione latina, Argentorati 1564, e riprodotto, nel solo testo greco, nell'edizione di Euclide curata dallo Heiberg, V, Lipsiae (Teubner) 1888, pp. 725-738; e la Aoytcr-rtx~ sive arithmeticae, algebricae libri VI, edita per la prima volta,dallo stesso Dasypodius con traduzione latina, Argentorati 15 72, e poi, con un commento, da Jo. Chamberus, Logistica nunc primum latine reddita et scholiis illustrata, Parisiis 1600, trattato di calcolo con frazioni ordinarie e sessagesimali con applicazioni all'astronomia.  Inedite sono due opere di astronomia: un commentario alla teoria dell'ecclissi solare dell'ahnagesto tolemaico, contenuto in parecchi manoscritti, in duplice redazione, e una regola per la datazione della Pasqua.  B. si occupò anche di acustica e di musica. Abbiamo di lui la confutazione al rifacimento degli 'AptovLx& tolemaici di Niceforo Gregoras, pubblicata da J. Franz, De musicis graecis commentatio, Berlin 1840.  Difficile è esprimere un giudizio preciso che illumini di piena luce la personalità di B., sia perché moltissimi dei suoi scritti sono ancora inediti, sia perché l'attenzione degli studiosi si è concentrata particolarmente sulla sua attività teologica e diplomatica, che fu occasionale, lasciando nell'ombra la sua opera di filosofo, di scienziato e di umanista, che rispondeva alla sua vera vocazione.  Sufficientemente chiara è ormai la posizione del monaco calabrese verso le due Chiese: egli fu sincero credente nella fede ortodossa fino a quando non passò al cattolicesimo, ad Avignone, in seguito alla condanna espressa dal concilio del 1341. E fu sincero unionista, anche se le sue posizioni teologico-filosofiche non dovevano contribuire alla chiarificazione dei rapporti tra le due Chiese.  A Bisanzio portò lo spirito nuovo delle più avanzate speculazioni filosofiche dell'Occidente, che preludevano all'umanesimo e alla Rinascita. Non facilmente valutabile è invece il peso che egli ebbe nell'introduzione del greco nel mondo occidentale. Certo è che, oltre alle sue lezioni avignonesi, iniziò alla cultura ellenica Paolo da Perugia e il Petrarca.  I suoi interessi per matematica, astronomia, fisica e musica, oltre che per teologia e filosofia, gli assegnano un posto eminente nella storia della cultura e lo fanno apparire uno degli spiriti più versatili della sua età.   Fonti e Bibl.: N. Gregoras, Byzantina Historia, a cura di L. Schopen, I. XI, c. 10, in Corpus scriptorum historiae Byzantinae, XXX, Bormae 1829, pp. 555-559; 1. XVIII, C. 7, C. 8, ibid., XXXI, ibid. 1830, pp. 901, 905-907; 1. XIX, c: 1, ibid., pp. 909-935; G. Cantacuzeno, Historiartum libri, a cura di L. Schopen, I. Il, capp. 39-40, ibid., XX, ibid. 1828, pp. 543-556; 'AYLOQEVILZò1; Tó~10(; in Migne, Patr. Graeca, CL, coll. 1225-1236; Filoteo, Gregorii Palamae encomium, ibid., CLI, coll. 551-656; Id., Contra Gregoram, XII, ibid., coll.1109 s.; i:uvobL>còg rópo; (Atti dei concilio del 1341), ibid., coll. 679-692; Bénolt XII, Lettres closes, patentes... se rapportant à la France, a cura di G. Daumet, Paris 1920, p. 383, nn. 633-634; D. Taccone-Gallucci, Regesti dei romani pontefici per le chiese della Calabria, Roma, 1902, pp. 202 s., n. 161; K. H. Schaefer, Die Ausgaben der apostolischen Kammern unter Benedikt XII, Klemens VI und Innocenz VI (1335-1362), Paderborn 1914, pp. 91, 138, 157, 198; F. Petrarca, Famil., I.XVIII, ep. 2, a cura di V. Rossi, III, Firenze 1937, pp. 276 s.; I. XXIV, ep. 12, a cura di V. Rossi, IV, Firenze 1942, p. 262; G. Boccaccio, Genealogia deorum gentilium, I XV, a cura di V. Romano, Bari 1951, p. 761; G. Mandalari, Fra Barlaamo Calabrese, maestro del Petrarca, Roma 1888; J. Gay, Le Pape Clément VI et les affaires d'Orient, Paris S F. 1904, pp. 115 s. Lo Parco, Petrarca e B., Reggio Calabria 1905; Id., Gli ultimi oscuri anni di B. e la verità storica sullo studio del greco di F. Petrarca, Napoli 1910; G. Gentile, Le traduzioni medievali di Platone e F. Petrarca, in Studi sul Rinascimento, Firenze 1936, pp. 23-83; M. jugie, Barlaam de Seminaria, in Dict.d'Hist. et de Géogr. Ecclés., VI, coll.817834; Id., Barlaam est-il né catholique?, in Echos d'Orient,XXXIX (1940), pp. 100-125; G. Schirò, Un documento inedito sulla fede di B. C., in Arch.stor. per la Calabria e la Lucania, VIII (1938), pp. 155-166; G. Sarton, Introduction to the history of science, III, Baltimore 1947, pp. 583-587; R. Weiss, The Greek culture of South Italy in the later MiddIe Ages, in Proceedings of the British Acadetny, XXXVII (1951), pp. 45-47; J. Meyendorff, Les débuts de la controverse hésychaste,in Byzantion, XXIII (1953), pp. 83-120; Id., L'origine de la controverse palamite: la première lettre de Palamas à Akindynos, in OEoloyca, XXV (1954), pp. 602-613; XXVI (1955), pp. 77-90; Id., Un mauvais théologien de l'Unité: Barlaam le Calabrais, in L'Eglise et les Eglises. Etudes et travaux offerts à Dom Lambert Beauduin, II, Chévetogne 1955, pp. 4764; Id., Introduction à l'étude de Grégoire Palamas, Paris 1959, pp. 65-95; Id., St. Grégoire Palamas et la mystique ortodoxe, Paris 1959, pp. 88-100; C. Giannelli, Francesco Petrarca o un altro Francesco, e quale, il destinatario del "De Primatu Papae" di Barlaam Calabro?, in Studi in onore di G. Funaioli, Roma 1955, pp. 83-97; K. M. Setton, The Byzantine background to the Italian Renaissance, in The Proceedings of the American Philosophical Society, C,1 (1956), pp. 40-45; R. J. Loenertz, Note sur la correspondance de Barlaam, évéque de Gerace, avec ses amis de Grèce, in Orientalia Christ. Periodica, XXXIII (1957), pp. 201 s.; H. G. Beck, Kirche und theologische Literatur im byzantinischen Reich, München 1959, pp. 717-719; C. Schmitt, Un pape réformateur... Bénoft XII, Quaracchi-Florence 1959, p. 320, n. 2; A. Pertusi. La scoperta di Euripide nel primo Umanesimo, in Italia Medievale e Umanistica, III (1960), pp. 104-111.

 

 

 

 

Bernardo Massari. Massari. Keywords: implicatura, logistica. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744498707/in/datetaken/

 

Grice e Mastri – implicatura – filosofia italiana – Luigi  Speranza (Meldola). Filosofo.– Grice: “One interesting fascinating bit about Mastri’s ‘Institutiones logicae’ is tha it starts with a little ABC!” Grice: “Mastri has a chapter on fallacies, too, which is fascinating!” -- Grice: “I love Mastri – of course at Oxford, if they do history of logic, they’ll focus on Occam – Axe Kneale!” Grice: “But Mastri explored quite a bit the square of opposition, and modal, too – what he says about nomen, verbum, propositio, copula, ‘regulae’ for reasoning, and so forth, is all relevant – especially seeing that his “Institutiones logicae” is just one of his outputs: he made intensive commentaries on Aristotle’s whole organon, and more importantly, also his metaphysics and his theory of the soul – so Mastri certainly knows what he is talking about!” -- Grice: “He was a logician, and so, according to the Bartlett, am I!”Saggi: “Disputationes physicorum Aristotelis” (Grignano, Roma); “Disputationes in organum Aristotelis” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in de coelo et metheoris” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in de generatione et corruptione” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in Aristotelis stagiritæ de anima” (Ginamo, Venezia); “Disputationes in Aristotelis stagiritæ libros physicorum” (Ginamo, Venezia); “Institutiones logicæ quas vulgo summulas vel logicam parvam, nuncupant” (Ginammo, Venezia); ““Disputationes in Aristotelis stagiritæ meta-physicorum” (Ginammo, Venezia); ““Scotus et scotistæ Bellutus et Mastrius expurgati a probrosis querelis ferchianis” (Succius, Ferrara);  “Disputationes theologicæ in Sententiarum” (Hertz, Storto, Valvasenso, Venezia); “Theologia moralis ad mentem dd. Seraphici et Subtilis concinnata” (Herz, Venezia); “Theologia moralis” (Milano, Mansutti), “Philosophiae ad mentem Scoti” (Pezzana, Venezia);  Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Forlivesi, Scotistarum princeps. Mastri e il suo tempo, Centro Studi Antoniani, Padova,  M. Forlivesi,  Mastri da Meldola,  riformatore degl’imperfetti, Meldola, M. Forlivesi, "Rem in seipsa cernere" (Poligrafo, Padova); T. Ossanna,Mastri conv. Teologo dell'incarnazione, Miscellanea Francescana, Roma Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M. Bonomelli, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa, Hermann Busenbaum Bonaventura Belluto Giovanni Duns Scoto. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   bumfignificarederiuatumeft. > > 4 > > > CA PVT II. quopatetfignumdicereordinem ,&adpotentiam cognoscentein Sedadhucdubiuinestdenominibusipfissubstantiuisfolitarie cuirepræsentat,&adremsignificatam,quamreprælentat:Diui sumptis;&extrapropositionemspoflintnedicitermini,nam diturporròfignuminforinale, 3 > 2 2 > > cutlycurreresubiecti,atqueitavtverbahabererationemtermi- plicabimus. ni.Refp.currere,& moueri effeverbatantum grammaticaliter atapudlogicumæquiualentnominibus cursus,& motus,vndeapud . 2 Dubium tamen estde aduerbijs, coniunctionibus,fignis quan titatis;vtomnis,aliquis&c.cafibusobliquis,&fimilibus,an rationem terminisubirepossintetiaminsecundaacceptione:Af De Terminorummultiplicitaterationefignificationis, X varijscapitibusfolentterminimultiplicari,& variæeo t rumdiuisionesatlignari,exparteniiniruinsignificationis, actufungaturmuneresubiecti,&prædicati,fediufficitaptitudo, vtadtaleinunuspossitassumi,&noneamhabeat'repugnantiam quæ reperitur in aduerbijs , conjunctionibus , & fimilibus mensubstantiuumextrapropofitionemdiceturterminusnonineo 3QuoadalteramquxsitipartemTerminusvniuersiinsumptusdi- uiditurininentalem,vocalein;&fcriptum vtnotat Tatar. tract.7.defuppofitionibuscomm.1.$.Secundosciendum,quædi- uisiolumiturextriplicipropositionuingenere;hæceniinpropo- inalteriuscognitionemvenire,vtimagorespectuCælaris,velt giumrelpectuferætranfeuntis;quadecaulaScotus2.d.3.quæft.9. & q u o l . 1 4, h o c f e c u n d u i n s i g n u m a p p e l l a t m e d i u m c o g n i t u m , q u i a vcducatincognitionem fignati,priuspetitiplumcognolci , il proprièdiciturfignum,&definiturabAuguft.citat,ea tamen definitioetiamformaliconueniet,fiprimaparsdeinatur, & di caturfignumefe,quodfacitnosinalteriusreicognitionem venire.Hæctamenfignidefcriptio,quamuisfitabAuguit,tra ParsPrimaInffit.Tract.I1. Cap.1. elfobiectum ipsiusformalispropositionismentatis, & intticuiturin HasauteintermiņiproprièfumptidefinitionesitàexplicatTatar. elepropofitionisobiectivapeream ,tanquam performamextrin vtfensussitterminumeleidsinquodtanquaminextremumpropo- secam,itaquepropofitio.mentalisînhocsensu,"nimirumob fitiocathegoricaeltinnediacerelolubilismediantecopulaverbali, iectiuèsumpradiciturhabereterminos;&extrema,quiainse &diciturimmediatè,adremonendumlitteras,&fyllabas,quia continetsubiectum,& prædicatumconftitutaineffetaliumper licetpropofitiorefoluaturinlitteras,&fyllabas,nontamenim- propofitionem formalem :quarècumintellectusenunciatbomo > m e d i a t e , & i d e ò l i t t e r æ ', & s y l l a b æ n o n d i c u n t u r t e r m i n i , e l e f t s n i m a l i n t e r n a , & f o r m a l i s p r o p o f i t i o i n f e n o n c o n t i n e t f u b tiamlicetpropofitiohypotheticaresoluaturinterminosmedia- iectum,nequeprædicatum,necterininos,sedtantumpropofitio tè,nontamenimmediatè;fedrefoluiturimmediatèinpropo- objectiua;ytetiamhicbenènotauitOuuied.Nomineautemter fitionesfimplices,exquibuscomponitur;possettamenabsque minimentalisduopossuntintelligi,fcilicetresquæmenteconcipi scrupuloetiampropofitiosimplexappellariterminus,quando tur,aciplacognitio,seuvtalijloquunturconceptusformalis, inhypotheticatenetlocumsubiecti,vtnotatArriag.Necobeit &obiectiuus;& quidemsiinprimolentufumatur,fcilicet,pró illam etiamconftareterminis,nainbenèpoteltid,quodinTeeft reconcepta,cerminusmentalisàvocali,& fcriptodifferrenon quasitotum,efleparsrespectaalteriustotius,vtpatetinphysicis videtur,eademenimprorsuseftres,quæinenteconcipitur,vo decorporerespectutotiushominis,& inalijsmultis,vtdiscur, cedeproinitur,&calamoexaratur;atinfecundosensu,fcilicet,, renticonftabit.Etiuxtahancfecundam terininiacceptionemcoproipforeiconceptudiffertàvocali,&scripto,& diuidisoletin | & subiecti,& licetinpropofitionedesecundoadiacente,qua- quiacumsitignarussignificationisvocabulorumlatinorum,conci liseftiftaPetruscurrit,lýcurritvideaturfungimunereprædi- pitfolummodovocisTonum,nonautemremperillamyocemfigni cari,retamenveranontantuinhabetrationemprædicati,fedetiam ficatam,scilicet hominem.PorròlicetLogicaproximèvertetur habetvimcopulæ,cumfaciathuncsensuinPetrusestcurrens;yn- circaterminosmentales;& vocalesnonnisirationementalium at delicetvtgeritvicesprædicati,fitterminus,nontamenvegeritvi- tendat,quiatamenterminivocalesfuntclariores,& pereosinno cescopulæ.Etfidicasinhacpropositionecurrereeftmoueri,lymo- tescuntinentales,frequentiusagitLogicusdeterminisvocalibus,at , ueri,quodeftverbum,haberetantumrationemprædicati,fi- queideonosetiaindeincepsdeiftisagemus,aceorumdiuisionesex firmantaliqui,coquiainpropofitionepoffunthaberelocumprae- expartemodisignificandi,&expartereifignificatæ:exprimo dicati &subiecti,vtfidicaturPetruseftwliquis,omniseftter-capite,quantuinadpræsensspectat,foletinprimisdiuidivocalis minussyncashegorematicus,preter,oftaduerbium, ,eftconiun-terminusinfignificatiuum,&nonsignificatiuun:ileeit,quialiquid tie &ficdealijs.ImmoFuent.cit.hacrationetenetetiamvocessignificat,vchæcvoxhomo,quinaturamfignificathumanam,ifter non significatiuasefeterminos ,nam dicimus Bliterinihil fignificet, quinihilfignificat, vtBlittri, Buf,Baf. Sedvtitadiuisio lit cat.QuinetiainArriagaobidadditlitterasipfaseseterminos,quan- reétètraditaintelligideberdeterminoinprimaacceptioneassignar dosolzaccipiuntur,namdicimusAettlittera.Verùinprobabi- tacap.præced.naminsecundaacceptioneomnesterminisuntsigni liusalijnegant,quiaaduerbia,coniunctiones,&aliaidgenusnun- ficatiui,cuniesepoflintfubiectum,&prædicatuminpropofitio quam rationefui,&forinaliterfumptafungipoffuntmunerefubie- ne:terminusigiturvocalisintotafualatitudinefumptusdiuiditur éti,&prædicati,vndeinallatispropofitionibusfemperaliquod insignificatiuum,&nonsignificatiuum:quædiuisiovtbenèper substantiuumintelligitur,incuiusvirtutefungunturilaoficiolub cipiatur,cumterminusyocalisconftituaturinrationefignifican iecti,&prædicati,vtinilapropositionePetruseftaliquisàparte tispersignificationem,videndyınettquidfitfignificare,&quidfitfi nosvenireincognitionemalterius scili tainopposicionemsequivelimus,tunccumTatar,queinseq.Arriaga, cetnaturæhumanæ,vndefignumdebetefetale,veilcoognitoper tract.1.com.3.ad1,dicendumeftadhoc,vtaliquidfitsubiectum fenfus,medianteillodeindeveniamusincognitionem rei,cuinqua inpropofitionefufficere,vtfitvoxfignificatiuanaturalitercommu- lignumhabetconnexionem;hincfignificarenilaliuderit,quàm niter,ideft,vtpoßitrepræsentarefeipfam,quodeltfignificare aliquidaliudàsedistinctumrepræsentarepotentiæcognofcenti;ex large. & eftillud,quodabfquefuipræuia Arift.definitioallatavideturiliscompeterefoluin,quandofuntin cognitionealiudnobisrepræsentat,&ineiuscognitionem du propofitione.Verumnonitarigorosèintelligendaeltilladefinitio cit,qualesfuntfpeciesimpreffa,&expreffarespectuproprijobie namvealiquadictiodicaturterininus,noneitsempernecesse,quod cti,&ininstrumentale,quodpræfuppofitafuicognitionefacitnos ; no dita,&obcantiDoctorisauthoritatem abomnibus pallim ro fitiohomoeftanimallifiatmente,diciturmentalis,sivoce,vo- cepta,nonrecipituràPonciodifput.19.Log.quæit.i,eamqu calis,lifcripto,diciturscripta;terminusergodiciturinentalis impugnatquoadveramquepartem;quoadprimamquidem cum à > > . pulaverbalis,seuverbum,vtverbum,rationemtermininequit vleiinatum,&nonyltimatum;vltimatuseltconceptus,seucogai habere,tumquiacopulanonettextremumpropofitionis,sedra- tioreisignificatæpervocemaliquam,velícripturam,vtcumaudi tioconiungendiextremi;tumquiaineampropofitiorefoluinon tavocehomoilludpercipimusanimal,quodeltrationale:nonylti poteft,cumenimfitformalis,& expreffaextremorum vnio,|matuseftconceptusipfiusvocis,velscripturæfignificantisnonyl factaeorumdissolutionemanerenonpoteft;tumdemum,quia trafeextendensadreinsignificatam,&ideodiciturnonvltimatus; > > ) > ve sensu,quodactuextraillamexerceatofficiumtermini,fedquia ludveròprimumvocatpræcisèrationemcognofcendi,quatenus intraillamfungipotefthocmunere;vndedicaturterminusnon præcisèeitquoaliudcognofcitur,&nonquodcognofcitur . Si actu,sedpotentia;necaliudprobantComplut.cit.oppofitumfu- gnumauteminftrumentaleelt,dequoagimusinpræienti,& quod itinentes. 2 >> > > Eumdimontesafignani . > > > vocalis,velscriptus,proutsubiectum,velprædicatumpropofi- fignumeffeid,quodpræterfuicognitionem,quamingeritsenpbu tionisetmentale,vocale,velscriptum.Solentextremaquoque doc.redarguit, quianoncomplectituromnefignum , quia po propofitionismentalisterminiappellari,quodquidemdepropoli- lentdariigna fpiritualia,qux deducerentin cognitionem tioneformali,quæeitactus,&fecundaoperatiointellectus,in- aliarumrerum,necpoflentpercipiafenfibusmaterialibus telligendumnoneft,nampropo.icioinhoclenluettynafimplex Quoadaliamveròpartem,inquaait;quodfignum facit 7 venire    opeiroincognitionemalteriuseam impugnat ,tanquamab Arriag. 4modificat,& facittaliterfignificare, ideltredditeius fignificatio. raticam,quiaobie£tumfacitnosincognitionemsuivenire,&ta- nem ,velvniuerfalem ,velparticularem ,velaffirmatiuam,vel metbondiciturfignum.RursusDeusipfefacitnosvenireincogni- negatiuam:& dicituraliqualiterfignificare,nonquiaverè,&pro tionemmultarumreruineasnobisreuelando nectamenabvllo priènonsignificet,sedquiafignificatumeiusnonrepræsentatur vocaturfignumilarumrerum. Prætereàcognitio eftfignum vtresperfe,sedvemodusrei",idestexercendomodificationem rei,quzcognosciturperipfam,&tamennonfacitnosincognitio- alteriusrei,quadecausanegatArriag.sect.4.efeperfectèterminum. Demvenire. AdditTatar.terminummixtumideftpartim cathegorematicum,par SednimisandacterinficiaturPoncius doctrinam D. Augustini, timfyncathegorematicum , & eftile,quiimpofitus ettad fignifi qaamomnesvenerantur .VtcommunisMagiftri,vndemirumesse candumaliquid,feualiqua,& aliqualiterfimul,vthæc voxni. nondebet,quodszpiushicAuctorminirmuobore fuffusudsoctri- hil, quæimpofitaetadfignificandamnegationemomnisentis namScotiprzceptorisaudeatimpugnare;Oprimaenimeitilla hæcenimipsanegatioeftilludaliquid,quodfignificat,quatenus descriptioquoadomnespartes,fibenèintelligatur,naimnduzæ veròillamnegationemfignificatvniuerfalitercuiuscunqueentis, folentafignariconditionesalicuius,vtalteriusreifignumdi- diciturfignificarealiqualiter,ficeciamfignificarsubiectumpro catur,vnaeft,quodnosducatinilliusreicognitionem,al- pofitionisindefinitæ,naminmaterianecessariaæquiualetvniuer caraeft,quodducatineiuscognitionem ,quatenuscognicas lali,vthomoeftanimalæquiualethuic,omnishomoeftanimal,& quarumconditionumvtramqueoprimèexprimitdefinitiofigni inmateriacontingentiæquiualetparticulari, vthomocurrit 25Auguftinotradita;namperpriinampartemdefinitionissecun- æquiualethuicaliquishomocurrit.Adhoctertiumgenusreducit damexprimitconditionem;vulceniinrein,quæinseruirede- Tolet.lib.1.cap.12.&Arriag.sect.4.omniaaduerbiav...som betproalteriusfigno,priusnoitrissensibuscognitionemsuiin- pienter,doctè,conc.Sednonplacet,quiacumdiscrimenintertermi gereredebere,pecificatautemfignumefedeberefenfibile,quia noscathegorematicum,&lyncathegorematicumsumaturpræser. vtnotarDoctor4.d.1.grætt.z.& 3.fignafenfibiliasuntmaximè timinordineadpropofitionein ipesprofianuiftoexcitareintellectumconiunctumàsensuum & perfepotefteffefubiectum,velprædicatumpropofitionis,ille ministeriodependentem,vtinalteriusreicognitionem veniat; verò,quinonpotefteffefubieétum,necprædicatum,nisicumad per alteram verò partem definitionis altera quoque conditio e x - dito , consequenter aduerbia omnia erunt termini fyncategorеinati primirur,contraquam nilvrgentinstantiæà Poncioadducta ci,quiasesólis,&fineadditononpoffinteffefubiectum ,velpre quiaobiectumfacitvenireincognitionemfui,nonalterius, dicatuinpropofitionis,&persenonsignificantaliquid,sedpotius hocfacitvenireincognitionemlui,quatenuscognicum, vtfa- aliqualiter. itlignum,sedquarenuscognoscibile ;necetiamDeushocmo- Potiorirationeadhoctertiumgenusterminimixtinomina adie doadinftarfigniducitnosinrerumcognitionem,quatenus ctiuareducipoffent,quamuisenimHurtad.disp.l.sect.10.mor cognias,foreasreuelando,quod adhucfacerepossec,etiam-dicuscontendatesseterminossyncategoremnaticos,quianonsigni spriusànobisnon cognosceretur;cognitiodeniqueeffe ficantperse,sedconsignificant,v.g.bonus,nonsignificatperse, bgnumreicognitxperipfam formale,vedicebamus,non &determinatèaliquid,nisiaddaturalicui,v.g.Petrusbonus,Ta auteminítrumeatale,quodfolumproprièdiciturfignum & menfinominumadiectiuorumfignificatiobenèconfideretur,vide abAug.definicus,&ideocognitioproprièloquendonondi bimus,quodlicetindeterminacèaliquomodofignificent,ratione einerfacerenosvenire in cognitionem rei , quam repræsen- tamenformæfignificatæfecumafferuntaliquamdeterminationem , 126,quianonducit nos in cognitionem illius rei.', quatenus nam do&us,v.g.doctrinam importat,quodnoneucnitinfignisquan cognica,leavtmediumcognitum,fedvtraciocognoscendi;so- citatisomnis,nullms,doc.quænullainprorsus,remdeterminatam lumautemfignuminftrumentaleeftillud,quodhicdefinitur. fignificant.Accedit, quodnominaadiectiuapoffuntesefaltim præ Ethocigneminftrumentaleadhucduplexeft, aliudnaturale, dicatuminpropofitionev.g.Petruseftdoctus,quodfignisquantita keit,quodexnaturasuaindependenterabhominum voluntate tisprorsusconuenirenonpotest,ergo nominaadiectiuacommodè aliquidreprzsentat,vtfumusignem,& vniuersaliteromnisef- adhoctertiumgenusterminipossuntreuocari,quodetiamtenent sutusfuamcusum,quipræsertimfisensibiliserit,diceturtic Casil.cap.3.&Arriag.cit.cumsignificentaliquid,&aliqualiter,vn şuncauzjuxtàsensumdefinitionisallaræ.An veròitaècontra deremanetfolanominasubstantiuaesseproprièterminoscategore caladicipolefignumfuieffectus,negarHurtad.disput.1.fet.4. maticos,quicquidhicdicatOuuied. quiaeicauízcognitioducatincognitionemeffectus,tamen, 7.Rursusterminuscategorematicussubdiuiditurinfimplicem bosetordinataadillumrepræsentandum .Sedplanènonmi- seuincomplexum,&compositum,seucomplexum,quamdiuisio mesordinataetcognitiocausæadnosducendumin cognitionemquidamficexplicant,quodcomplexuseftille,quiconstatex benefectusàpriori,quàmcognitioeffectusficordinataadnoti- pluribusdictionibus,vthomoalbusincomplexus,quivnicagau tiamanfzàpofteriori,quareratioHurtad.parumvalet.Acin- derdictione,vthomo,&albus,itaRoccuslib.i.introd.cap.8. quinzalij,quodliceticaresfehabeat,solatamencognitio,qux Blanc.libr.z.sect.2.AtvebenemonetTatar.tract.1.coin.4.hæcex perfectumhabetur,diciturhaberipersignum,vndesolademon- plicatiopotiusgrammaticaliseft;grammaticusenim vocemillam Hracio,pofteriori,quzeltpereffectum,diciturasigno,& ideò appellatcomplexam,quæconftatexpluribusvocibiis,&eamin Solumefectusdicipoteftfignumcausæ,nonècontra.Verùmne- complexam,quæconftatvnatantum,atnonficeftapudlogi quehocviget,licetenim cognitiohabitapereffectumvelutisen- cum ,quinonattenditvnitatem, velpluralitatem vocuin,ied Ebuioremcaula,magisproprièdicaturàligno,niltamenim- conceptuminintellectu,cuiiltæsubordinantur,vndeetiamfifint pedit,quin&cognitiohabitapercaufamposicdiciàfignoab- pluresdi&tionesinterseconnexx,fitamenininentevnumtan folutèloquendo.Poceltigituretiamcausadicifignumfuieffectus, tumgenerantconceptum,terininumconitituuntincomplexum &przsertimquandosensibiliselt,vndeàTheologisfacramentadi- vev.g.MarcusTulliusCicero,&ècontrafivnatantumfitdictio, canturfignagratia,cujusfuntcausa,itaclarècolligiturexDo- conceptumtamengeneretcomplexum,eritterminuscomplexus;vt Gore.d.1.Juzit.2.$.Defecundoprincipali,& fequiturCafil.cit.& nemo,amoSemper,quææquiualenthis,nullushomo;Sumamans,omni Atriagadifputat.3.fect.2.Aliudveroeftlignumartificiale,feuad tempore. placitum,&et:quodexhominumimpofitionealiudrepræsen- Alijproindeficexplicant,quodterminusincomplexuseftille, est,ficramisetlignum venditionisvini,fonuscampangelt cuiuspartesabinuicemfeparatænihilfignificant,autnon lignih fgrumlectionis,&voxilliusrei,adquamfignificandumeitim- cantillud,quodinintegradictionefignificabant,vtv.g.Dominus pofita.Vbitameneftaduertendumetiaminvocibusipsisnon eftterminusincoinplexus,quialicetpartes,inquaspoteltdiuidi aprumfignificationemadplacitumrepeririposse,sedetiam natu- scilicetDo,&minusfintsignificatiuæ,tamenintoto,& integra salem,veparetdegemicainfirmorum ,& latratucanum:& ideò dictionehancfignificationem nonretinent:Complexusveròeftil temiausvocalisfignificatiusfubdiuidifoletinfignificatiuumna- le,cuinsparteseandemretinentsignificationem,quamhabebant licet,&adplacitum,&hicadDialecticusmpectatnonqui- intotocomplexeo,tiamabinuiceinseparatæ,vthomoiultus, enlecundimtuamrealementitatem,vevoxelt,&fonusquidamn itaAmicusg.2.Ruuiusq.4.Complut.cap.3.Sot.lib.1.cap.9. decaufaeus,Idfecundumquodimpofituseftadresipsasfigni- Ioan.deS.Thom.lib.fum.cap.4.&alijpaflim.Athocdupliciter ledias,&conceptusmentisexprimendos,inhocenimlenluvo- inteligipoteft,velita,quodterminusincomplexusfitile,cuius seneredicunturadinftitutumDialecticum,vtdicemusdisp. partesIeparatænoneandemhabentsignificationem ,quamhabe vocibus,vbictiamdeclarabimus,perquidconstituaturratio bantinintegradictioneetiafmigillatimfumptæ,inquofenfu10 quodcorianificatiuus,&ideopersenonsignificataliquid,necpo- seca,acderevpatett.alVelscitoamipntoenlluingtitiulrla,nqoumodinpar,tevsetneortmaitnFioin veelelubecom,&prædicatum inpropofitione,sedcumalte- coinplexiseparatænonretinenteandem fignificationem,quamha consortio aliquis inde de sumpdtiæctionis Refpublica lus, , vtnotatTatar.tract.7.com .1.§.TertioSciendum ,)cio vera elt , vt conftat partibus illius fins ,cuiusfignificationem modificet wessatenusadiuncurcachegorematico

 

Bartolomeo Mastri. Mastri. Keywords: implicatura, Categories and De Interpretatione, segno, segnare, segnans, segnato, notare, nota, notans, notatum, notatura, segnatura. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mastri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691207371/in/photolist-2mKLX4i

 

Grice e Massolo – prime ricerche di Hegel – implicatura idealista di Plathegel e Ariskant -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “If I had to decide on my favourite Massolo, that would be his ‘historicity of metaphysics,’ way before when I was venturing with Strawson and Pears to lecture the erudite audience of the BBC third programme on the topic!” Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico Vittorio Emanuele II, si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini, con Allmayer. Fu autore di alcuni volumi di poesia.  In seguito ad un periodo di docenza nei licei di Perugia, Catanzaro e Livorno, insegna a Urbino e 'Pisa. Ha influenzato importanti figure del dibattito filosofico del secondo Novecento, come Luporini, Badaloni, Sichirollo, Salvucci, Cazzaniga, Barale, Bodei, Losurdo. Gli scambi epistolari avuti con numerosi intellettuali (tra cui spiccano i nomi di Gentile, Spirito, Bo, Fortini, Russo, Capitini, Weil) mostrano l’alta considerazione di cui Massolo godeva all’interno del panorama culturale del secondo dopoguerra.  Partecipa alla fondazione della rivista Società, entrando nel comitato di redazione. La rivista, nel primo anno della sua uscita, ospitò tre importanti saggi di Massolo: Esistenzialismo e borghesismo,  La hegeliana dialettica della quantità, L’essere e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana «Socrates» dell’editore Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica” di Weil, Vita di Hegel di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi studi su Hegel, inclini a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione realistica del filosofo tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo italiano (Croce e Gentile) quanto quella di Galvano Della Volpe. Nell’ambito della sua riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed originale rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia.  I suoi interessi teoretici si sono rivolti principalmente alla filosofia classica tedesca da Kant ad Hegel, della quale ha studiato, per più di un decennio, i principali momenti storico-teorici.  In antitesi all’esegesi del neoidealismo italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie di Fichte, Schelling ed Hegel il superamento della finitezza umana che Kant aveva posto a fondamento della sua filosofia, Massolo ha proceduto alla rilettura della genesi dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i dualismi kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello spirito di Hegel.  Nelle fasi più mature della sua riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della scissione della coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea della completa politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo,  Frammento etico-politico), ed il problema della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,).  Si dedica alla questione della dialettica intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità.  Tramite queste riflessioni, che lo hanno condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, Massolo ha contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha concettualizzato l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e comunicativo (La storia della filosofia e il suo significato).  Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo, Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo); “Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze, Monnier); “L’analitica di Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni); “Schelling” (Firenze, Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia, Urbino); “La storia della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica idealista” (Salvucci, Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica” e altre pagine sparse, Urbino, Montefeltro, S. Landucci, Arturo Massolo, "Belfagor, Remo Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi in onore di Arturo Massolo, Livio Sichirollo, Urbino, Argalia, Nicola Badaloni, Ricordo di Arturo Massolo, "Giornale critico della filosofia italiana", degli scritti di  Massolo, Burgio, Urbino, QuattroVenti, “Il filosofo e la città: studi Nicola De Domenico e Gianni Puglisi, Venezia, Marsilio. Arturo Massolo. Massolo. Keywords: prime ricerche di Hegel, la logica di Hegel, Gentile, implicatura idealista, Ariskant and Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massolo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744469057/in/dateposted-public/

 

Grice e Mastrofini – l’implicatura verbale di Romolo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Monte Compatri). Filosofo. Grice: “I like Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into what we may call new Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a philosopher, he focused on the philosophical terminology – it takes a PHILOSOPHER to translate a philosophical text!” – Grice: “What I like about Mastrofini” is that he mostly kept with the cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto per il volume “Le discussioni sull'usura” in cui sostenne che non è reato far fruttare il danaro e che né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione ecclesiastica vietavano di ottenere un giusto interesse per danaro dato a prestito. Questo diede luogo a molte discussioni ma anche apprezzamenti lusinghieri da economisti dell'epoca e dall'opinione pubblica.  In precedenza aveva scritto un'opera di economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa relativa all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per la riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII.   L'edificio del Collegio Romano ove  insegna. Insegna a Frascatii. Nel pieno della crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne nominato professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si trasfere definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della "Nuova Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis".  Produce le traduzioni dei capolavori di Floro, “Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e i Cesarini.  Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio dove abitava e morì, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- dotto in filologia, teologo e filosofo assai più grande che celebrato fissa le incerte leggi dei verbi investiga felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza divina S.P.Q.R.» “Dissertazione filosofica” (Roma); “Piano per riparare la moneta erosa” (Roma); “Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più famosi nell'antico e nuovo Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio); “Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso “Le Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani", Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma,  “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. IlprimofondatorediRoma,edell'imperofuRo. molo,generatodaMarte,edaRea Silvia(1).Tanto nellasuagravidanzaconfessavadi sèquesta sacerdotes sa:nèlafamanednbitòquando poco appressoilfan. ciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per a n . cennodiAmulio,non potèsoffocarsi.Imperocchèil padre Tevere ritirò dal lido le acque : ed una lupa , la sciati isuoi parti , e seguendo il suono de'vagiti , in boccò li sue mamelle a'fanciulli , presentando in se stes sa una madre . Cosi trovatili un regio pastore presso di un'arbore , e portatili in casa (2 gli educò . Di que' giorni Alba , opera di Giulo , era capitale nel Lazio : chè avea quegli dispregiata Lavinia , città del suo p a dre(3).Amulio,già quarta decima generazione da vitàdiCristosecondol'eracomune.Soprattuttosembra inc sattol'intervallodaAugustofinoaTrajano Eglilocrededi anni duecento ; laddove è di anni cento due a!l'incircd . M a forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento in lungo di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo ziodiVesta QuindièdettaSacerdotessa. (2) Nel testo in casam : questa voce può sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pasto re fosse alquanto migliore di una capanna . L'espressione ita liana comprende ogni abitazione fosse capanna o no . av. Cr  1 776 av. R. 26. na • (3) Enea dopo finita la guerra con Turno foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie . Ascanio , ossia Giulo,peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba Lunga la quale tu capitale del regno per trecento anni   Ani. dik . 3.av. Cr. essi viregnava,avendonecacciatoilgermanosuoNu mitore , dalla cui figlia Romolo era n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia Imulio suo Zio dalprincipato,el'avoloviripone. Intantoegliaman tedelfiume ede’monti,vicinoa'qualierastatoeduca to,meditavalemuradiunanuovacitt).Ma l'unoe l'altro essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual de’due le fondasse e vi dominasse . Pertanto RemoandossenealmonteAventino,elaltroalPalati no . Colui pel primo vide sci avoitoj : posteriormente videne l'altro , ma dodici :evincitore negliaugurjinal Area fin quì fatto un'abozzo di citta , piuttosto che unacittà;mancandole gliabitanti.Ma siccome riina nealevicinounbosco;eg! 2feceunasilo;edisubia tovisiadund moltitudineprodigiosadiuomini,Lati n i , e T o s c a o i p a s t o r i , e G o a n c o t r a s m a r i n i , sia d e ' F r i gj venuti con Enca , sia degli Arcadi con Evan tro . Cosi quasida varj eleinenti , ne trasse un corpo solo ; e fu per lui creato il popolo Romano . Vi quel pop lo di uomini era cosa di una sola generazione . Si chiesero dunque de’matrimonj da'confinanti; e sccome non si otteneano;furonoconlaforzaespugnati. Imperocchè finti de'giuochi equestri ,le vergini accorse per lo spets 747. incirca.FinalinenteRomoloinalzòRomachediverrebbeca.  C o . zaunacittàpienodisperanza,cheguerriera diverreb be ; tanto ripromettendogli quegli uccelli , consueti a 7 LIBio sangue e prede .Sembrava che in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo ; se non che deridendo Reno le angustie di questo , anzi condannandole con saltarle , fu trucidato ;è dubbio se per comando del fratello ; ma c e r t o e i n e fu l a p r i m a d e l l e v i t t i m e ; e c o n s a c r ò c o l s a n gue suo le fortificazioni della nuova città . > . Av. Cr. R.2 so 52 7 > ro dell'Italia e del mondo ,   PRIMO 13 (+) Spoglie opine eran quelle che un comandante toglieva all'imperadore o supremo comandante nemico uccidendolo di suamano.Questefuronocosìrare;chesenecontano ap pena tre . Le prime le riportò Romolo contro di Acrone : le seconde Cornelio Cosso contro di Tolunnio , e le terza Marco Marcello su Viridomaro . Giove poi fu detto Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime , o perchè ferisce col fulmine ; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un capitano feriva l'altro con la spada . (5) Era questo un bel mantenere le promesse ! intendere di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le vibravano opprimendola . Questo metodo di mantenere le promesse , ras somiglia a quello usato dalla fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o cone noi abbiamo tradotto , senza malizia , perchè non chiedeva danaro , ma gli scudi o li braccialetti . Potrà inai persuadere questa ragio ne?LaVergine,chequisiaddita,secondo ValerioMassi. mo 9.6.I.erafigliuoladiSpur.Tarpejoilqualeatempidi Romolo presedeva alla fortezza:c coleiera uscitaper pren. derc acqua pe’santi riti,  tacolo , furon preda , e cagione immediata di guerre . FuronoiVejentirespintiefugati:lacittàdi Ceninafu presaediroccata:inoltrelostessomonarca neriportò con le sue mani aGirve Feretrio lespoglie ooiine del r e (4 ) . M a le n o s t r e p o r t e f u r o n d a t e a S a b i n i p ë r u n a donzella ; nè già con malizia : ma chiesto avendone la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sini stre ,gli scudi forse o li braccialetti ; coloro e per m a n tenere a leila promessa e per vendicarsene la oppresse rocongliscudi(5. Ricevutiintalmodofralemurai nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia ; tanto che Romolo prego Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de'suoi . Quindi ebbe origine il tempio , e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome s'intrammiseroadessiche infierivano.Cosìfulapace riordinata , e stabilita l'alleanza con Fazio . Donde ne . .   diR. Cr. bandonati i lor domicilj , sen passarono alla nuova cit tà , consociando co'nuovi generi loro gliaviti beni per dote . Accresciute in poco tempo le forze diede il sapien tissimo re quest: forma alla Repubblica . Fu la gioven. tù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè sorgesse nelle subire guerre : fosse il consiglio su pubblici affari n e ' s e n i o r i , i q u a l i si c h i a m a v a n o P a d r i arringando dinanzi la città presso la palude della ca pra , fu di repente levato di vista . Alcuni pensano che i senatori lo trucidassero per la ferocia dell'indole di lui: (1) Dopo la morte di Romoln il trono restò privo di sovrano per un'anno, comandandointantoa vicendaiSenatoridicin que incinquegiorni.QuellospaziofuchiamatoInterreono Il magistrato a forma d'interregno ebbe luogo ancora ne'se. coli posteriori quando iconsoli occupati in lontane azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano costretti a depor.  14 LIBRO dir. seguitò,ciocchèèportentosoadire,cheinemiciab 7.av. Cr. diR. 38. l'autorità , ma perlaetaS.nuto.Ordinate intalmodo lecose,egli 743 SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che latempesta e l'oscurarsi del sole presentaro ncincidleimnaginiconediunasantaoperazione: alla nuale poco appresso diè credito Giulio Proculo coll'offermare ; che Ronolo si era a lui dato a vedere Cr 743. informa piùaugustadellaconsueta;echeimponeva che per Dio se lo prendessero . Piacere a'Numi che egli sichiamiVirinoinsulcielo.ContalmezoRoma con quisterebbe le genti .E'naturadelVerbodiesprimerel'afermazioneelanegazione.E siccome Essere e non essere esprimono appunto per se stessi l'affer mazione e la negazione; ne seguita che il verbo Essere preso nuda mente, o preceduto dalla particella non,è verbo per natura e per ec cellenza. Comunemente la voce essore è nota col nome di verbo so slantivo, perchè esprime l'esistere, o l'essere di sostanza. 2.Lequalitàche siaffermanoonegano possonoaversidistinte o no, dall'affermazione,o negazione.Nel primo caso l'affermazione o negazione si addita col verbo essere,come si è detto:ma nel secon docaso risulta un nuovo ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è riunita l'affermazione o negazione colle qualità chesi a f f e r m a n o o n e g a n o : t a l i s o n o a m a r e , g o d e r e , o d i a r e , p i a n g e r e & c. c h e significano essere nell'amore, nel gaudio, tra l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondogenere di verbi ha servito incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma alla dolcezza della Eloquenza, e del la Poesia. 3. Chi afferma e nega, o afferma e nega dise stesso,che sichia ma persona prima, o di altri a cui parla, che si chiama persona se conda, o di soggetto a cui non si parla,e si chiama persona terza. Per altro questepersone possono essere una, o più, cioè possono ri guardarsi in singolare o plurale. E 'naturale che tanto nella nostra q u a n to nella più parte delle lingue s'introducesse l'uso di finire il verbo diversamente secondo ladiversità dellepersone,e del numero.E quin di abbiamo amo ami ama,amiamo amate amano. 4. E potendo il discorso riguardare cose presenti, cose comincia te enon finite,cosepassate,piùchepassate,efuture;fubenevaria 5. Anzi siccome le proprietà si affermano o negano assolutamen te, o sottocerti rapporti e condizioni; cosi li verbidivennero parole terminate diversamente secondo la persona, il numero , i tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o relative.  S. 1. re il verbo secondo la persona,il numero, e i tempi. a I   6. Questi modisono cinque:Indicativo, Imperativo, Ottativo, Con giuntivo,ed Infinito.L'indicativo dimostra assolutamente cheuna co sa è, fu, sard; e perd vien detto ancora assoluto e dimostrativo. Cosi Pietroaña amòameràlescienze,formetuttedell'Indicativo,dichia. rano che Pietro amo ama ed amerà, assolutamente, 7. L'Imperativo esprime comando, preghiera,avviso, consiglio, esor tazione di far qualche cosa, e con una sola voce si vuol esprimere il c o m a n d o , p r e g h i e r a & c , e l ' a z i o n e c h e d e v e f a r s i. T a l e s a r e b b e a m a t u , amerai til, ameremo noi & c. Pertanto si esprime l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera & c; laddove nell'Indica tivo mancano questi rapporti. 8. L'Ottaliyo esprime desiderio di fare una cosa, giusta i varj tem pi; e per questo è detto ancora desiderativo, e tale sarebbe: Oh se amassi,ioamerei, Oh avessi amato,lo avreiamato &c. 9. Il Congiuntivo è così detto perché si adopera quando si vuo le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le particole sebbene,quantunque,conciossiacosache&c.Tále èqueldiPetr. Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel diBocc.6.7.n.2.perl'amorediDio,comechèilfattosia& c. Tra i Greci l'Ottativo ha le sue desinenze tutte diverse dal congiun tivo: ma nella lingua latina e nella nostra l'ottativo adopera le stesse voci del congiuntivo, se ben si rifletta. 10. Il verbo si dice di modo finito o deterininato finchè si conce pisceindicativo,imperativo,ottativo,congiuntivo.Ma talvoltaesprime indeterminatamente qualcheproprietàsenz'additarenepersona,nènu mero,comeamare, leggere&c,ed allora si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. 11. La varia desinenza di un verbo secondo le persone, il nume ro, i tempi, ed i modi si chiama Conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze.E siccome queste sidiversi ficano secondo la diversità dell'infinito; e l'infinito pud terminare in are, in ere lungo e breve, ed in ire; cosi tre sono le conjugazioni del. la nostra lingua. Tutti gli infinititerminati in are si dicono della pri ma conjugazione come amare, balzare, danzare: tutti quelli terminati in ere sichiamano della seconda,o l'infinito sia lungo o breve, co me temère,cadère,giacère&c,e come credere, discendere, volgere&c. I latini di queste due desinenze ne faceano due conjugazioni diver se, come docère e legere. Nè mancato è purtra gl'Italianichi abbia concepite diverse le conjugazioni secondo l'infinitolungo o breve. Ma siccome, tolta la pronunzia lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri divari, parlando regolarmente; e siccome la pronunzia concerne ilmododisignificarloinvoce,non laformadelverbo;cosìpiùra gionevoli sonoquelliche rinnisconoinuna conjugazionegl'infinitiin ere lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i verbi terminati in ire, come sentire,uscire&c.  2 canz. 29   12. Chi si propone per iscopo di presentare il prospetto de'verbi Italiani dee porre sott'occhio le varie desinenze di essi giusta i m o di, itempi, il numero, e le persone nelle varie conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per vedere però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta l'ampiezza sua, divideremo quesť opera in due parti:la prima sarà tutta di Teoria e diProspettogenerale;ed esporremoinessa 1.come leconjugazioni latine siansi trasformate e sitrasformino nellepresenti d'Italia:2.la di pendenza comune de'nostri verbi dall'infinito, e 3. per ogni conjuga zioneilprospettodiqualcheverbocheservadinormain tuttiisi mili e regolari: come del verbo amare per la prima,de'verbi temere e credere per la seconda, e de'verbi sentire ed aborrire per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo essere come principio di ogni verbo, e quindi il verbo avere che prossimo gli succede, esprimendo la sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E ciò tanto più dee farsi; che senza questi due verbi, però detti Ausiliari, non possono formarsi le tre conjugazioni divisate degli altri verbi. D a to cosi principio e norma al prospetto di tutti i verbi regolari; ver remo alla seconda parte ed esporremo ad uno ad uno per ordine al fabetico i principali tra'verbi Anomali cioè quelli che in qualche tem po escono dalla legge consueta, ed i quali servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. 13. Il prospetto sarà distinto in quattro colonne: nella prima si avranno levoci corrette,nella seconda le antiche,nella terza le poe tiche, e nella quarta lenon ben certe,gl'idiotismi e gli errori: si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte sono così della poesiache non seryano talora alla prosa. Il che si conosceràdalle note.Glierrorison sempre errori.Gl'idiotismipoi sono vociusate nel parlare e nello scrivere familiare, non perd nelle belle scritture,sebbene talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. 14. Per compimento dell'opera spesso porremo in fine del pro spettoil participio ed il gerundio.Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo; dicesi participio perchè partecipa del nome e del ver bo: e come nome si declina,e come tratto dal verbo esprime un qual che significato di questo: tali sarebbono amante, amato.Tra’Latini si aveano participj presenti, passati, futuri amans,amatus, amaturus.Pres. so noi non si hanno che li presenti, e li passati che sono amante, amato,temente, temuto.Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come fatturo,perituro&c,ma non ebbero buon successo,nè più vi si pensa.Il participio passato sarà descritto per lo più nella formazione de'tempi più che passati:laddove il participio presente si troverà nel finede'prospetti.Un talparticipiopuò esseremessoinformadiag giunto e di attributo come se io dicessi:la virtù possente,e la virtù a2  3   ,: ilparticipio si riguarda anzi come adjettivo, che qualparticipio. Per chè sia participio con ogni proprietà, dee, quando si risolva, signifi care come i participj latini: come se dicesi canto possente a diletta re: schiere seguenti le altre & c. E ciò rileva conoscere perchè non di raro si anno gli esempj anzi di adjettivi che di participi , e noi pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni rispetto. 4 15. Gerundio tra noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la qual significa le affezioni di questo, ma la quale non si declina come il nome, nel che differisce dal participio: come amando,credená do,temendo,sentendo.Da'qualiesempjrisultache ilGerundiodelle prime conjugazioni finisce in ando e delle altre in endo. L'uso di tali gerundi è frequentissimo nell'italiano in luogo ancora de'partici pj presenti.Ma veniamo all'argomento, C o m e le Congiugazioni Latine siansi trasformate e si trasformina nelle Conjugazioni presenti d'Italia. REGOLA PRIMA. Tutte le vocali latine, finali di parole intere, nè seguite da consonanti, si conservano. Così in amo amare si conserva l'O di amo, e l'E di amare. REGOLA SECONDA.Tutteleconsonantifinalisitralascianoomutano: leconsonantisonoM,S,T,NT,ST.NelcasodiNT sicambiailTin O,eperònonsilasciacheilTamant amano,amarunt amarono: m a talvolta tutto l'N T si muta in R O : amassent amassero: sebbe ne in questo e simili casi può sempre rimanere la regola di mutare il solo T in o dicendosi ancora amassono. Vedi ilprospetto di amare. REGOLA Terza.Tutti gli U finali seguiti da M o da S si cam bianoin0:possumposso:amamusamiamo:ma segliUsono segui ti da N T si cambiano in o nei presenti e nei passati, ma nei fu turi in A N .Così da legunt si trae leggono, e da amabunt ameranno. REGOLA QUARTA.Tutti gli A ovverogli E precedenti immedia tamente l'S finale si mutano in I amas ami, times temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi,e da legas tu legghi.Il che basta a conser. vare la regola,ma ora si dice anche tutema, e tu legga. Tutti gli E,ogl'I precedentigliA,oppure gliO finali,silascianoaffatto.Timea temo,timeam icma.Sentio sento:sentiam io senta,  4 è possente: il fuoco bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE. 1. Non dee sperar di comprendere il trattato che qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri ne differiscano la lettura. sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si $. II.   REGOLA QUINTA .Tuttigl'Iprecedenti gliSfinali in singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis leggi:a m a bisamerai,edinpluralesimutanoinE: legitisleggele. REGOLA Sesta.Tuttigl'IseguitidalsoloTfinalesubisconoun cambiamento secondo itempi.Ne'presentisicambiano inE,ene'fu turiinA accentatolegiilegge,creditcrede:amabitameră,timebio temerà. Per i preteriti perfetti ne diremo più innanzi. REGOLASETTIMA.TuttiiB avantil'afinalenegl'imperfettisi cambianoinV consonante,ed avanti l'O,l'I,o l'U finaledelfuturo, li B. caratteristichi della conjugazione del tempo si cambiano in R. Quindi si trae amerò da amabo,ma da belabo si forma belerò senza mutarne il primo B;perchè questo è proprio del verbo, e non della formazione del futuro. 2. Queste regole sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis est amamo reg.3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone la maniera.Dalle regole 3. e 2. è chiaro che la prima persona debba essere so e l'ultima sono.Ora dee sapersi che appunto tra gli antichi si trova non poche volte so per sono in pri ma persona.B. Jacop.Poes.Spirit.Venez. 1617. lib.4. cant.28. stanz. 12. sei  amamus es еè sumus somo este credit & c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas sentit & c. Amo reg.i. Vedo reg.4. vedireg.4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg. 2. Dicasi altrettanto di Video vides videt & c. credo ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3. Applichiamo queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate reg. 5. e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo siamo sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes.   A pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda persona es fu trasposta e non altro , facendo prece dere l'S. Quindi gli antichi dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come Petrarca,Boccacci,Albertano, edaltri:ALBERTAN.ediz.diFir.1610.cap.23.Selegaloamoglie? non domandare di scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti.E piùsotto:esìselenuloditantoamarlamoglie.PETRARC. canz. 26. v. 77. ediz.Comminiana Spirto beato,quale  6 Se,quando altruifaitale? e altrove più e più volte. IlDecamerone secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne è pieno.Senza questa origine che fa cono scerechesepersecondapersonaèvoce interaenonaccorciata,non s'intenderebbe, perchè gli antichi spesso non l'apostrofassero.Tutta viaperdistinguerla a prima vista da se pronome,econdizionale,con venne in qualche modo contrassegnarla,e si fece uso dell'apostrofo: e servendo questo a notare le voci scorciate; si riguardo se persona seconda,come scorciata,quando nonera:eperchè tutteleseconde persone singolari presenti dell'indicativo terminano inIReg.4.ese guendo le leggi generali,tal personanelverbo sostantivoavrebbe do vuto essere u n I; così poco a poco si ricongiunse se ed i in sei, ed ora si crede questa la voce intera di tal persona.E cid supposto quan do si scrive se per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno scorciodi Signornonè giovato Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e altrove spessissimo.E GUIDO Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz. di Firenz. 1715. Come io so avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj ancora nelle letterediS.CATERINA,inFr.Gi. ROLAMO daSienanel1.Tom.delledeliziedeglieruditiToscani,ed in altri:vedi vocab.diS.CATER.allavoce essere:ma so trovasipari mente persona del verbo sapere,nata da sapio sapo sao so:ovvero da scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbelaseconda.Ma torniamoall'intento:siccomesoeravoce ancora del verbo sapere, e siccome il saper vero è di tanto posteriore all'essere; così per togliere ogni equivoco, sivolle piuttosto ridurre ilso del verbo essere in sono che lasciarlo indistinto col so del verbo sa pere. Chi dunque considera che ilprimo verbo Italiano essere ha la vocesonoperesprimerelaprimasingolaree laterzaplurale,sappia chequesto è stato un maledi origine, voglio dire è provenutodalla figliolanza della Italiana dalla lingualatina,in forza delle leggiuni versali,che per tanta combinazione dicircostanze cooperaronoatras mutare l'una nell'altra .   s e i : n è c h i p r o c e d e c o n t a l v e d u t a p u ò r i p r e n d e r s i: m a i n o r i g i n e n o n vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe dovuto accentarsi. sero eepere.ALBERTAN.Giud.cap.51.Dalsaviouomo eeda temere lo nimico. Or cid fecesi per distinguere e del verbo,dalla congiunzione e, come pure dal pronomeei solitoadapostofrarsi,edallacongiunzione e seguitadall'articoloplurale iliqualiduee iriunitisirendeanopere:ma coltempo,la varietà dell'apostrofe e dell'accento pote contrassegnare e diversificareabbastanza l’edelverbodagliedi altrovalore:vediesseren.3. Trovasi ancora fra gli antichi este per è m a rarissime volte: vedi G r a di di S.GIROLAM .ediz.Fir.1729. in finealla voce este; finchè preval sero le regole generali anzidette. Da sumus uscirebbe sumo o somo,e non semo:ma siccome tut te le prime persone plurali dell'indicativo presente nelle seconde con jugazioni presero la desinenza in emo come avemo,tememo&c.,cosìda sumus fu tratto semo:ovvero siccome tutte le persone prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con laseconda per. sona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta, come amiamo da ami ed amo,temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal seconda singolare era se nel presente indicativo di essere, quindineuscisemoepoisiamo.Chi conoscegliantichisaquanto è familiare l'uso di semo.Ne allego un esempio dalla vitanuova di Dante pag.13. perchè semo noi venuti a queste donne ? E Fra Jacop. lib.1.sat,5. Uomo pensa di che semo. Di che fummo,et a che gimo. Vedi ilprospettodelverbo Essere 2.4. In forza delle regole generali la seconda plurale sarebbe estes. ma trasponendol'savantil'Ecomenelsingolareperuniformitàmag giore con sono, sei, siamo; sen'ebbe sele, e questa appunto è la vo cedegliantichi:siconsulti ilverboesserenot.5.finalmentesiag. giunse un I per dolcezza o per distinguere tal voce da alcuni so stantivi e sen ebbe siete, che ora è la voce più propria di questa per sona. Apparisce dunque per quali gradi e per quali mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del verbo essere, La terza persona si esprime con la voce e, che appunto ri sponde all'estlatino lasciatene le consonantisecondo la regola 2. ma gli antichi,prima che la lingua si modellasse in tutto,non di raro dis  7 Preferiti Imperfetti 4 Amabam amabas amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7. amavireg.2.4.7. amava reg.2.7. amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano reg.7. 2.   Temeva &c. legebam leggeva e e da sentiebam lasciatone l’I che è quel di sentio reg. 4. si ha sen leva c o m e era nelle origini prime,nelle quali, tutto risentiva di conjugazione seconda tra gl'italiani ne' verbi provenienti dalla quarta de'latini:non è raro che senteva si oda anche ora tra' contadini più corrotti che sono gli ultimi a correggersi: e finalmente fu detto sen tiya sentivi & c.lasciando l'E per l'I. 5. Perqueste regole e questi progressi apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva terminare in A amava temeva legge va sentiva. Al presente i Filosofi ed i gramatici si meravigliano,per chè la prima e terza persona singolare combinino, e perchè la prima non siasi terminata inO. Ma la meraviglia cessa, seriflettasi che al cambiarsi del latino nell'italiano, si prendevano di netto ivocaboli an tichi, nè si aveano di mira che certe regole, come le indicate di so pra,per contornarlidi nuovo.E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti levatane la terminazione latina inM ;restavano amaba lege ba ec; cosi mutato il B in V non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto: molto più che in que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. 6. Veduto come siasi introdotto l'equivoco, ora tocca ai Filosofi di emendarlo: tanto più che non siamo poi scarsissimi di esempj an tichi pe'qualisi compionoin o le persone primesingolari dell'inper fetto:de'quali mi piace allegarne qui alcuniriserbandone altri ailor verbinelprospetto.Petrar.Vit.dePontef.edImperadori: vitadiCa ligola, lo pregavo ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure leggiamo inFr. Jacop.1.4.can.38.Lacagiondelmalfuggivo.Cavalc.Epist.di S. Girol. ad Eusloch. cap. 3. ediz. Rom . 1764. E vedendomi io venir meno quasi ogni rimedio ed esser privato di ogni ajuto, gittavomi a' piedidiCristo&c.... iratoamemedesimoerigido,solomimet tevo per li diserti, e dove io trovavo più oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci.Morg.c.3.62. lo mi posavo in queste selve strane.  Da Timebam così pure si ebbe C.XI.83. Talch'io pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio,cugin,ch'i'sognavo alpresente, Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter.San.CATER.di Sien. ediz.di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego & c. e pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità pag.92.   desideravodivedervi:anzitalvoce'desideravosileggemolte volte inquelle lettere.Vita B. COLOMBIN.ediz. di Roma pag.9.lo gode voévoinonmilasciatestare,epag.96.adirviilveroioandavo a posarmi;pag.167.0 figliuoli,efratellimiei io non meritavo di es ser padre di ianla buona gente;pag. 174. E questa la compagnia che iodalesperavo,epag.299.pensavochequantoèmaggiorelasog gezione e l'unità ; lanto si vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo essere:e n.6. avere. Eram Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano reg.7. 2. Imperocchè ben è facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo tempo in V il B precedente l'A finale, potevasi cambiare in V pa rimente anche l'altro B:anzi parea tropporagionevole,perchè non si notassetanto divariodi usiinparole medesime,esifamiliari.E'poi noto, che tutto il verbo avere si scrivea ne'principi, e si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l'H precedente: ed ora per un progresso, non saprei quanto considerato,si tralascia ancora nelle vo ci,che forse ne abbisognano.  7. Ma giova esaminare ancora come siansi trasformati gl'imper fettide'verbi ausiliari:Eccolo 9. Si possono da tutto ciò comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di habco:seguiamoli via via, che'non sarà inu tilela ricerca Lasciato l'E dihabeo reg. 4,e le altre consonanti,e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era reg. 2. Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. levocicome sitraevanodallatinoinot. tima forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras Era reg. 2. in eravamo,ed eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B cambiatoinV,come dunquedivainera questa consonante. Tale aggiunta affatto manca la origine, nè fu, che una intrusione vamo ed eravate è contro per di altri verbi,che usciva , nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate &c. Il peggio no in quel modo,come amavamo , non dandosi quell'aggiunta fu che si anche alle voci era tolse la uniformità tirannodelle lingue, autorizza erano & c. Nondimeno l'uso, quel ,piùche lesemplicienaturali vamoederavale essere,n.6.Ma diciamo si trovino pur queste. Vedi que risultasse. Eccone la maniera fetto di avere, è come Haveva 8. Habebam habebas Habeva habevi era eramo erate, quantun dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo habevate habevano haveva havevamo avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2. habebatis habebant havevate havevano Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi avevireg.7. 4. 2. b   abbemo abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato per compensare la perdita dell'E nell'ha beo.Sia comunque,abbosi legge ancora in Dante Infer. 25. E quanto io l'abbo ingrado mentre io viva: E negliAMMAESTRAMENTI degli Antichi pag.97. certamente abbo provato; e più sotto:ripensola seraa quello che iolo di abbo detto.E nelle Vite de'SS.PP.ediz.Man.Fir,1731.,nellaVITA DI GIOSAFATTE ediz.Rom.1734,e nelleNoyelle anticheFir,1572l'usodi abbo èco mune .Abbi è rimaso nel Congiuntivo.E 'poi noto, che gli Antichi usa vano la seconda singolare presente dell'Indicativo ancora nel Congiun tivo, come resta tuttora in molti verbi,Così ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone singolari,e cosi temi può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj.Sopravvanza nell'uso comune abbiamo; e siccome gliAntichi finivanole voci per tali persone in eino, cosi non vi è dubbio che ne'principj sidicesse abbemo,quantunque negli scritti forse non si trovi,per la rapidità di altri cambiamenti succeduti. 10. Certamente l'uso di scambiare tutti iB nell'imperfetto di ha bere,di buon pra scorse in alcune,o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo habi ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra'poeti, e fu non meno della prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra gli Antichi. Avete rimane per ogni scrittura;le altre tre voci presto furono cam biate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo,oppure avvo per abbo, fe sentire nella pronunzia questo I quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'aja; Franc.BARBERINI edizion.Roman.pag.189. Nonveggio ancor chi contento ajail core. E Francesco SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo,cioè per lohu.S'insinud tal cambiamento nella seconda persona avi,é mutato l'V in I, se ne  habet abbi 1 habemus habe habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più sotto: ajo portato in_core & c ,ed altrove più volte:anzi usa aja per abbia:lib.1.sat.12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'aja umilitate nel core. DÁN.Parad,17.   fece huii, e col tempo hai. E questa è la causa, per la quale ora ci troviamo con hai, seconda persona del presente dell'Indicativo, senza che volgarmente se ne intenda la origine.Può notarsi però che in forza della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio i; e quindi seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi haj: e ciò sa rebbe statoopportunissimope' giorninostri,ne'quali vuolsi lasciare an che l'h precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che aj è del verbo,senza pericolo alcuno che si confondesse con l'ar ticolo plurale ai. 1. La mutazione del doppio B in V ed inIdoppio o lungo,al meno quanto al suono, porto l'altro cambiamento in aggio,aggi, ag giamo,aggia,aggiano: essendonoto che l'J lungo si cambia spessis simointalmodo:equestaè lacausaparimente,percuisidiceveg go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime origini si disse ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il prospetto di vedere. Quindi 'Imperador Feder.Rim.ant. 114. Rispondimi Signor ch'altro non chiejo. Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd tra'poeti di cre' per credo, quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di credere. Ant.Pucci nelsuo Centiloquio can.XI.terz.27. scrive: Gli comandò che giù sedesse al piano. L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per siedi: E siccome inDan.Inf.27.53.sitrovasie'persiede;parchiarocheambedue de rivino da sejo. Allego un esempio di trajamo: Boc. g.8. n.5. lo vo glio che noi gli trajamo quelle brache del tutto:da ciò ben apparisce la origine ditraggiamo &c. 12. Ridotto havi ad hai;dovea sembrare che fosse di netto stato levato l'V consonante , quando erasi inviscerato nell'j: e cið compa rendo,era facile di lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in Fr. Jacop.,in Guid.Giud.,in ALBERTANO,  Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac. 408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gli Antichi si trova ancora crejo, chiejo, sejo, trajamo,dondesonocreggio,chieggio,seggo,lraggiamo&c,enon dalla mutazione del D inG comesitiene,forsemenopropriamente daiGram matici.Cosi Fr. Jac.lib.5. c.3.12. secondo che io crejo:e nelleno te vi si legge: crejo,creggio,credo, e lib.5. can.25. 12. II E vejo li sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac. lib. sat. 3.9. la sera il vei seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista acuda disse l'anziano: Sie giù a pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano a mano, E l'anziano a pena di dugento b2   12 e generalmente negli Antichi.Cost Albertan. al càp. 12. L'avar7 semprehaelemanidistesepertorre...ivil'avaronon haesicura vita.I Grammatici han creduto,che quell'E sia stato sopraggiunto all'ha per genio della lingua,chenon amava finirele parolein accento: ma questosarebbevero,quando la parola originale della terza persona fosseha,ciòcheèfalso;essendoquestahabet,habe,have.Hae dun que non èche have,toltone ”v per simiglianza di quanto era ac caduto in hai, ed in hajo. 13. A questo proposito avverte, che non di raro fra gli Antichi si legge dae,fae, slae per dà,fa, sta, come leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae, fae,stae, si credono aggiunti per la ra gione medesima: ma egli è falso ugualmente; perchè dai ruderi an tichi della lingua può concludersi ta esistenza degl'infiniti, daire,fai re, staire, come esiste traire. Ora da quegl' infiniti daire & c. sorge n a turalissimamentedae,fae,stae,cometrae,cheancorcirimane da trai re:vedi S. III. di questa Prima Parte sotto il titolo Dipendenza delle conjugazioniitalianedall'infiniton.2.E quindi puresono levoci dai, fai,stai,come trai,che altronde sono inesplicabili.A dichiarare quanto dico sappiasi,che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st.20.scrive A chi gli dice villania & c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4. c. 1o. E che al povero dala. elib.6.c.43.5. Ch'eglièildaenteetiilricevitore: e lib.7. c.9. II.  Staendo in quest'altura dello mare: Vita S.MariaMad.É cosistaendolapoverettasìperl'amorechegid ave v a c o n c e l t o d i G e s ù C r i s t o ,si p e r l a d o g l i a ; c o m i n c i ò a p i a n g e r e . P a r i m e n t e inFr.Guitt.sileggepiùvolte faiteallapag.36,efaieallapag.54.Enel TESORETTO:ponelemente al beneche faiteperusaggio:e Franc.BARBE RINOpag.17.Faesseleidiquelpregiodegnare.NeiGRADI diS.Girolamo allavoceFailenell'indicesidichiara,chel’idifaiteè un aggiunto,e non più:ma faie,faesse,elevocislaca,daia &c.ne'verbi similipalesano il contrario:e Traire si legge in Fr. Guit.lett.2. pag.9, ma traers spiega ugualmente la originedi trae, come fae sorgerebbe ancora da faere, delquale fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E di dae, fae, stae non sono aggiunti,come si pensa, m a sono naturali;ed ora non si è cessato diaggiungerli, ma sono stati tolti. 14. Tornando alle voci hai ed hae, siccome in queste era perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma non riusci,di farlo pe rire nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di udire aemo, aele; e nel futuro dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo trovasi scritto arò,arai,arei,aresti'&c.come vedremo.Non prevalendo pero quel tentativo,siriserbarono le voci avemo,avete,etalvoltaaviamo, aviate, aggiamo,aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto; presto fu stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho,hai,ha.La terza plurale divenne harno;perchè dall'ha   bent sifece haveno, haeno, hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano,fano & c.per danno e fanno, voci similissime nella origine,com me è chiaro:vedi S. III. 12. 15. Ma passiamo ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli presenti d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi co muni ad ambe le lingue,ma terminati secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. ILatini sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI,o ilVe.Per avere dai perfetti latini lita lianocorrispondente,silasciilVI,oVe intutte lepersoneperquan to si può senza contradire alle regole generali del s. I. Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi ilsolo V , non potendosi to gliere l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singo lare risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si accentava: ma ora se la voce finisce in A, simuta in O accentato.La prima plurale sarebbe amamo come nel presente,e quin di I'M si è raddoppiato. Del resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti,scritte con un semplice M : come tememo per tememmo.Altrettantosiosserva in Fazzo degli Uber ti,nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi To scani, nella Cronica delPitti,ed in altriAntichi;indizioche pertali vie si passava dal latino all'italiano in questo t e m p o . A n z i Celso C I T T A D I ninellesueOriginidellaToscanafavellaosservaalcap.6.che iSanesiin tali personenon davanoasentire che unM ,quasipronunziandoface mo,dicemo &c,ed eglicon pari ortografia scrisse tali voci.Ma Giro lamo Gigli nel suo Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi (vuol dire un secolo dopo ilCittadini,) quell'uso era perduto. Serbate dunque anche le regole generali del n .primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit) ama(vi)mus ama(vi)stis ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono 16. Dai Latini si disse ancora amávere: toltone il ve,si ebbe Vita Lano amare, e perché non si confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o , e si e b b e a m a r o p e r a l t r a t e r z a p e r s o n a p l u r a l e . I G r a m m a t i c i h a n ereduto, che amaro sia precisamente una sincope di amarono, toltone il no.Á me perd sembra,che amaro siavoce interain sestessa, e provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa è la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora,e dirsi amàr per amaro, laddove le troncature delle troncature non sono consuete, almeno nella lingua, come ora si trova.  13 mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda come un incan to, che le terze plurali del Perfetto indicativo scorciate tre volte s e m   14 pre significhinolo stessocon quadrupla desinenza:amarono,amaron, amaro,amàr.Ma l'incanto,se ben siconsideri, non è che un caro abbagliodiun animo,chealvederprimosiappaga,stancodellemo lestiedi riflettere.Imperocchè da amarono sitragge amaron,e qui cesserebbe la troncatura:ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro , desinenza ancor buona ; si è creduto, che tal b o n tà risulti in forza di uno scorcio:laddoveamaro già eralegittima de sinenza in se stessa: e perchè tale,ammettevasi; non perchè nata da amaron,levatone l'N. A parlar dunque propriamente si hanno due desinenze,amaro,ed amarono,edognuna ammetteuno scorcio,ama rono porgendo amaron,ed amaro la voce amar,colvago incidente, che se da amaron si spicca l'N finale;ci troviamo alladesinenza se conda, la quale è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in sestessa;di qui nasce, che gli scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il DAVANZATI ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono assai più rare,spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE la desinenza in aro è quasi la comune, lad dove l'altra in arono vi è scarsa, e meno pregiata. 18. Ma proseguiamo l'esame de perfetti:eprima nella terza con jugazione. Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste udiro. proviene udiro dall'audivere,come amaro dall'amavere.E'poinoto, che nelle origini della lingua si disse in Italiano anche audire finchè l'au si chiuse in o,cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse oro, tesoro &c, e se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui debuimus debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste  udisti audi(vi)t udi audi(vi)mus u d i m m o audi(vi)stis 19. Riguardo alle seconde conjugazioni, avanti l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante,quindi regolarmente parlando tutto l'UI o l'UE si muta .in E semplice,avvertendo, che l'1 finale nella prima persona dee conservarsi secondo i canonigenerali debuisti Dovei deve, audiro devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere) debuit debuistis debuere doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero, Siccomel'U fu cambiato in E(dovei)gravatodi accento,quindinella terza persona non potea non dirsi se non dovè seguendo leregole ge Udii udirono dovemmo   nerali, o dovèt, trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que. sto nacque che per istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla voce Giudit PETRARC. Trionf.fam . c. 2. v. 119. Non fia Guiditlavedovellaardita,sièfattoGiuditta,ecome daJosafat,DANTE Infer.10.v.8.Quando daJosafat qui torneranno,sièprodottoGiosafalte comunemente.Fattosi dovei,dovė,o davèt,fecesi quindi per coerenza do veltero e dovelti: e cosi questi preteriti ebbero doppia desinenza: e si disse temci e temetti, teme e temette, temerono e temettero. 20. E' poi tanto vero, che questa è la origine di temetti, tèmel te & c , che siccome lo stesso argomento vale per le terze conjuga zioni; così talvolta si scontra ancor questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che trovasifuggi,fuggi & c; e nelle Vire de SS.PP. ediz.Man.tom.1.pag.20.fuggitte,e nellapag.125 salitlepersa li: una nolle,essendo questi ito,alla casa di una vergine Cristiana o per rubare,o per altromalfare,salitte con certi ingegni il tetto della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le desinenze in ilte come salitle & c.furono modellate affatto a norma delle altre in elle, cioè di temelle,credette & c. Quindi è che nel medesimo tom . 1. delleVit.deSS.PP.se inalcuniesemplarisileggefuggitte,inal tri,sihafuggelte:allapag.101 ediz.citat.vièfuggettiperfuggii: nella 62 ,uscite per uscì, nella 71 irrigidelle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed Antonio Pucci versificatore famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2. st. 69 ha sentelle per senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre se ne veggono in altre pagine ed opere.Simileterminazionenon potevaaver luogonellaprima conjuga zione,perchè l'amavit,secondol'usodi cavarneilvolgare,cessadove èilsecondo a,dicendosi amo,e non cessanell'I con farsentire un amavit: il che direttamente gli avrebbe causato la uniformità, che'mai non ottenne:ora la desinenza in illi ed etti & c.è del tutto abolita per l e t e r z e c o n j u g a z i o n i: r i m a n e a n c o r a l a c a d e n z a i n e t t i e d e t t e & c . p e r l e seconde conjugazioni;ma forse,almenoin piùverbi,è men cara che nelle origini della lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che soggiungeremo. 21. E giacchè consideriamoilrapporto fraledesinenze delleter, zepersonede'preteritidell'indicativo,piacemi dilatare ancor più la serie delle riflessioni,picciole sì,ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente la lingua,e suoi movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit,debuit,audivitsitragge amò,dove,udi,abolendoin tutto,quel vit finale:ma questa è piuttostola regola,che ora predo, mina.Del resto quando la linguapendeva incerta sul fissare le sue desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla cadenza del. la primaconjugazione, e tal altra a quella della seconda.E certo quell'amavit ebbe talorauna desinenza come amao:di che produco un esempio luminoso di FR.Jacop.lib. 2.can.2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò l'ordin lullo dell'amore:  / 15   E questa è la causa, per la quale oradiciamo amarono, lassaro no, e non amorono, lassorono & c. vuol dire questa è la causa, per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un o. Tutte le ter ze plurali nascono nel preterito con aggiungere alla terzasingolare un rono,o un semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma li. Così diciamo senti rono,temè rono,crede rono,sparse ro, videro & c. Pardunquela originalterza personaquellade'contadiniamà,las sà & c. e quindi sen ebbe ama rono, lassarono, e non amorono, las sorono &c.desinenza che leggesi in molti Antichi: Così nelle Vite de'PonteficidiPETRARCAvisileggeandorono,seccorono,esimili or dinariamente.Il Venturi traduttore di Dionigi di Alicarnasso è pie no di tali cadenze.Forse a dire amarono,lassarono &c.vi contribui pur la dolcezza per non avere insieme tre o finali amorono, lasso rono & c. Nel modo poi che il vit era supplito da un o nella prima con jugazione; lo fi pure nelleseconde e nelle terze: e quindi sono le voci temeo,credeo,poteo, aprio,finio, udio, e simili,tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in tutto: m a nelle altre conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosceleprimizie della lingua,meravigliasiche imo di poteo,lemeo,udio&c.fossero comunissimi.IGrammatici dissero,che l'o finale si aggiunse per licenza poetica: ma cið non ispiega perchè voci di questoconio abbiansi frequentissime ne'vecchi prosatori, come nelleStorie dei Villani,nelDavanzati,ed in altri.Dir finalmente che l’osi accresceva per non finireinaccento,era un luogo comune,un parlardiabitudine,enullapiù. Sidovevaavvertire,chequest'ori ceveasi da tutte le conjugazioni nelle terze persone singolari de'pre  16 Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ; Che n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò di tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato possessore: Nel tom.12degliScrittor.Ital.delMURATORI trovasi inserita laMemoria di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la coronazione del P e trarca:costui,che lavidediperse,cosìscrive:Poi comparve lo Sena tore in mezzo a muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na corona di lauro,ese assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore & c. Si vede in questi esempi, che si accento l a preceden te il vit,e questo vit fu supplito con un o.Più volteho notato,che presso alcuni contadini appunto ne'dintorni di Roma dicesi difforme mente amà ,lassà,&c.per amò,lasciò come ora è laregola:Toccaal filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse non sono che per lo scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto questo cie lo da'nostri antenati.   teriti , e la uniformità medesima avrebbe fatto conoscere , che era un supplemento del vil, risecato dalle voci latinecorrispondenti , o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo,udio,e simili,promiscuamente in ogni scrittura, senzascrupolodiriprensioni.E'poitantomanifestochequell'O non si aggiungeva per non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche alle prime persone della terza conjugazione,leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15 udio per udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comeinEfiniscelaterzasingolarenellaseconda conju gazione.Quindièchetroviamoamoe,teme,finie,esimilicon tan ta abbondanza di esempj.Faz.Dittam.lib.4 cap.20 23.Lachiusadelle terzepersone tutteinO,ovverotutteinE,de riyavadallevoci corrispondenti latine,finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficileabbandonareognisomiglianzanell'italiano, с  17 Passato poi Suasina , io udio & c. e cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidicochel'udiodirea unomol to savio uomo :e pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion.1568 pag.100quandoioudioleloroparole,nonmidolea&c. Gli o dunque di udio ,finio , lemeo & c. in terza persona , non sono licenze di poeti,non aggiunteper iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione , e risultati di una lingua , che in altra si trasmutava,come or ora meglio dichiareremo. Che amoe si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che rifutoe l'onor di tanta manna . V i t . d e S S . P P . T o m . 1. p a g . 2 i n c i a m p o e i n u n a p i e t r a , e f e c e a l c u no strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani male si levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag.47 udie una voce che gli disse & c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho pur detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito in su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci è facile tro yare temè,ma non temee;se non forse per la rima.Cosl Dante dis sePurg.3212 senzalavistaalquantoessermifee permife,voce interain sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare .   dopo che le altre persone omologhe del preterito si erano concordate nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai, temei,udii, tuttelesecondeinsti,amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di finale. Or come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del singolare? Questa è la origine vera degli O e d e gli E che si aggiungevano, e non le sognate fra le minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col progressodel tempo sivolle trascurare quellaparitàdicadenza,elevocisichiuseroin0,in E,inI,ac centandole finalmente, sebbene quellechiuse in O si trovino spesso tra gli Antichi senz'accento comeinFazio degliUBERTI,enelle No VELLE ANTICHE.Ed oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente,go diamo su la idea dolcissima di una lingua perfezionata. M a i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi? 24. E cid su le terze persone singolari de'preteriti: ora torniamo al verbo temere o dovere, dalle considerazioni del quale siamo qui per venuti. Si noti che doverono e temerono ammettono le tre solite scor ciature Lemeron,temero,temer,come amaron,amaro,amàr,perchè da lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera temèro prodotta da ti muere,come dovèrodadebuere:laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi faredovetter,ma non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero quelloche siadditonel 3. 17. 25. E'certo che ne'perfetti delle seconde conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre tutte le altre persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere ond'èruppero,enon daruperuntond'èrupperono,oromperonoBo'i reg.2,chepursitro ya negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche rompe,elaprimarompei;laddoverupperohal'accentonell'U, restandobrevelaE.Quindi perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella vocaleprecedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima singolare: e p e r ciddeemancarel'E diEInelladesinenza,giacchèl'E diEIintutte leconjugazionisecondeègravatodiaccento;efinalmentedee cavar seneruppi,ruppe,ruppero.Ma rompesti,rompeste,rompemmo non pos.  18 già   26.Ma diciamoqualchecosade'perfettide'verbiausiliari.Nascono fuit fusti fosti C2  sono non avere l'accento sull'E in forza dellaformazione loro,essen do in esse la E seguitata dalla doppia consonante S T , M M . Quindi non possono non esser tali come romperono , quantunque poco o nulla usate, come avviene in molti se provenissero da rompei, rompe, verbi irregolari. E per cið l'anomalia de'preteriti non può concer nere se non la prima singolare , e le due terze persone singolare e plurale de'perfetti. Questo discorso vale eziandio ne'verbi ano mali di terza conjugazione ; dicendo dell'I quanto si è detto dell'E. Potremo da ciðtantomeglio persuadersi,cheamaro,temero,&c. sono desinenze piene in se stesse , e non sincopi di amarono merono & c. fuisti Fui da Fui fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste furono 19 fuimus furo Questo tempo somiglia in tutto al preterito debui o timui della se conda conjugazione latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure essere secondo che leggesi in Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la legge di mutare l'UI:ma ciò non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando luogo a tal mutazione, sarebbe risultato fei, fe sti,fe & c, e questo è il preterito appunto del verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi talvolta le voci del preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo fare: Cosi Fazio degli UBERTI nelsuoDitcam.1.4c.8 dissefoperfu.Perildiluviochefositene broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lostilechealuifopos sibile:e Faz.nelDitlam.lib.3cap.22 infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12,scrivefoe per fu:eFra Jacop.1.2can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque una cosa con lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi debui,debuisti periva in. tuttele personel'UI,eccettol'Ifinalenellaprima perfareil cambiamen toindicato.Infuisti,fuimus&c.sièritenuto l'U,edèperitol'I:edin fuerunt è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e nesonopieniilibri,perfue.IGrammaticihancredutol'Edifue come una giunta per non terminare quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI, supplita in questo luogo per dare alla terza singolare del perfetto la desinenza in E,comune a tutte le persone simili di altri verbi di questa con jugazione, dicendosi lemè, iemelte, crede, ruppe & c. Tanto siam dunque lontani che l'e di fue siasi una giunta, che anzi era lettera distinti va della persona, ed una conseguenza dellamutazione, che aveasi a faredelUI inE,comepiùsipoteva.Equandosparìquell'E,sitol fue fu in accento la semplicefu:mą   serealmente,non si cesso di aggiungerla.Ed ora ci rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto da ogni regola di terminazione. da Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono comunissime: delle altre avei, avè, averono, se pur furono in uso, non ho presente nemmeno un e s e m pio;e solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge avi per ebbi, ed avvero per ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità, la qua le concerne, come ho detto, la sola prima singolare, e le due terze singolare e plurale, e si fece ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e s'intende pel S. 17 dal habuere: perché se ne dovea cavare ha . bero,con lapenultima breve,donde ne seguitava habe per terza sin golare, ed habi per prima; e somigliando queste due voci ad altre d e l l ' a n t i c o p r e s e n t e a b b o , a b b i & c , n o n p o t è n o n c a m b i a r s i l ’ A in E , condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo Fam.cap. : ora investighiamo, come da’pre teriti più che perfetti latini ne derivassero gl'italiani, che tanto sem brano differenti. E certamente i Latini esprimevano col tempo la qua lità che si affermava, ossia la cosa che siera fatta: e tali erano a m a yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero gliattri buti, e si disse io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo però conoscere che tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel 15 Fam . 20 disse , quantum ex tuis litteris h a beo cognitum per cognovi:od in Verr.7 63 hodie sic homines ha bent persuasum:cosìnel 4 Ac. comprehensum animo habere atque perceptum; ed altrove assai volte. Pertanto nel passare da'preteriti piùcheperfettilatiniagliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè giàsi usavadai Latinimedesimi.Abbiamopiù voltenotato,che  20 per la rima scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine, come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha stabilito ebbi , ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che incominciano ad imparare il latino quel lo scordano,facilmente ,o che per disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col participiopassato latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle originidella in rispetto della lingua latina nuo puntochiprincipiaadapprenderla come ap , o chi per disuso l'ha quasi di   menticata;cosìl'analogiaelavogliadiesprimersiinqualche modo gl'indusseadecomporre,edireioavevaamato,io avevaavuto.&c; lasciando in amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli U in 0 secondoleleggidelş ireg:2e3,dallequaliappuntorisultaamalo ed ayuto con i cambiamenti suggeriti appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più che perfetto latino è fu -eram , fu-eras,fu-erat&c:talivocisonocompostedi eram,eras,erat,e fuo fuit: quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo pertanto l'indole del tempo aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si presenta: cioè dovevasi indicare che questo era spettante alfueram; non era indeterminato,e pendente come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era piuttosto di un tempo definito e certo.E'noto che i Latini appuntocon la voce status, stata, statum upita al giorno o tempo accennavano i giorni e tempi definiti. Cic.Offic. : 37 status diessit cum hoste:o comePliniodissestatotempore.Quindiin tempo che la lingua degenerava o si decomponeva si disse io era stato,cioè in tempogiàfisso,giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo f i s s o & c, e g l i e r a s t a t o & c . L a v o c e s t a t o f u d u n q u e c o m e u n a g i u n ta o segnodi cosa passata,e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia participio se non quello dedotto da stalus, stala & c. usato in principio come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciònacque, che a poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi essuto,issulo, o suto. Quindi A l BERTAN.Giud.cap.44pag.100 ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso. AmmAESTRAM . degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in tanto onore s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e avessela veduta ; non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il più naturale: pur si disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora il seguente di che è issuta menata, di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in Boccaccio,nelle Croniche diLionardo MORELLI,nelMorgante delPulci,nell'ARIOSTO,edinaltri: ne allego un solo tratto da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me si è suto rivelato che tu & c. A fronte di tali sforzi non irragionevoli lavocestato,laqualenonera che unsegno,divenneilparticipio legittimo, esclusone ogni altro, 21    Ed eccone gli esempj.Fra JACOP. Poes, Spirit.lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7 perchè se nell'habebo si cambiavano i due B in Vrisultava havevo e quindi havevi,haveva &c.come nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il secondo B, fu necessità cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se n'ebbe averò, averai, averà & c. in forza delle regolegeneralicitate:mapresto sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo ayrai  22 Sempre serai in tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus eritis erunt avrete ayrà avranno serai sera seremo Serete seranno. LATINO habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai futuri dirò prima come derivassero quelli de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere è il futuro Ben serai crudo se gli occhi non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31 L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99 serannoquestelenovellecheioporterò.Chileg. gegliAntichitrovaquesteésimilivocinon infrequenti.Manifesta mente dunque derivano dalle latine con la giunta di un S in prin cipio per uniformarle con sono, sei, siamo & c. Del resto eris,erit, giusta le regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso al cuni popoli ancora si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta in seremo, serețe & c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore, secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Q u a n to al futuro di avere era il habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIA NO   e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza de'futuri ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò,arò per continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri di ogni verbo, esi dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno assegnarsi altra origine dei nostri futuri, sem-" plice al paro che universale. Nel nascere della lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio perfaròcomeleggonelB.Jacop.lib.2c.15, elio faraggio questaconvenenza:ediceraggioperdiròcome lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però crudele,villano,e nemico Sarabbo,amor,sempre ver te se vale &c. In alcuni villaggi d'intorno a Roma si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come farajo, amerajo & c. A ben riflettervi tali voci non senoncheamar-aggio,dicer-aggio,far-aggio &c:vuoldireaggioa fare,aggio a dire,aggio adamare:formole intutto del futuro:per chè colui,il quale ha afare, non ha fatto, nè fa, ma riserbasia fare: cioè dichiara l'azione sua come futura. E perché in luogo di aggio si disse ancora ajo; quindi è che si hanno pur le cadenze amerajo , farajo&c.Ma siccomeinprogressoabbo,aggio,ajodegenerarononelle più semplici ho, hai, ha, avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda ultimosifeceaver-ho,aver-hai,aver-ha,enelpluraleaver emo,aver-ele, lasciato l'a del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente aver-hanno:edepostol'hoziosonelmezzo ditalicomposizioni,sieb be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho,ha,come monosillabe han suono tutto raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è che poco apocosimiseancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si averò, averà & c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del futuro del verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà & c. Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let tereES,come insono,sei&c,tantocheseneavessesere,equindi  aranno, come si scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B. GIOVANNI delle Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido, arai Dio teco, e più sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai non arannofine. FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si hanno pure ne' GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel Cavalca, e comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via. FraGuit.ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far mi guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la desinenzain abbo,farabbo,amerabbo & c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son. ame 23 Ard sono   ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete, ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi lateoriadichiarataancheaglialtriverbi, ed avremo amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno, comesidisse originalmente:leLetteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son piene di questa desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua,ne fa uso ben grande nelle opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non sapreiperqual vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè prodotto amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente di temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza singolare del presente di avere era have, hae,ha.Spessoinluogodiadoperarehanelcomporre ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer -ae , far-hae,far-ae.Questadesinenzaèfrequentissimain alcuniantichi Scrittori.I nostriGrammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse un aggiunta, per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma essanonèchelaE dihave,hae;etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che anzidicendosiora averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta propriamente laE spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla desinenzaameroe per amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola italiana terminata in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno,danno,fanno, stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze plurali avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson esseun composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto perdere lo scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no,fanno & c. foggiati a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente de'verbi.Anzi aggiungo,che hanno,fanno, slan no &c.intanto si scorciano perchè nelle origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte agli scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più sottilmente questa materia, potrebbe trovareforseletraccedelfuturo delpresentenelfuturo del congiuntivo. Cosilasciatodaamavero,celavero&c.ilvepersimiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si avrebbe ed accentandoli celaro  24 54. Riguardando a tal seconda spiegazione,i nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo deriverebbero quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo ave re, che ne sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro amaro & c. 55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato , il timelo, il legito,el'auditode'Latini,altrononèche l'amatu,temitu,leggi Amaro   lu,odi lu degl'Italiani.Le altre voci italiane sono pur le latine tra dotte:ma perchèquestesono lestessedei presenti,partedelcongiuntivo, eparte dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo;cosìnon bi sogna se non investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è fatto, e si farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo de'Latini,dal quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si volge in IA, perchè nel tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dallasecondasingolareconlagiun t a d i a m o o d i a t e , a m i - a m o , a m i -a l e . D e l r e s t o s e b b e n e l ’ E f i n a l e avanti la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet dovea secondo leregole conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti ab bastanza riconosciuti: e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era questa originale,perchè meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in fine, e resta tuttavia tra’Poeti, spe cialmente per la rima:nondimeno si crede che questa sia termina zione di licenza , e non primitiva e spontanea. Tale è ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone altri men proprj ,che poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare num. 14. Nelle altre conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se condo le regole S. 1 , e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e poi tema Tema Temiamo Temiate Creda  d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami L'ITALIANO LATINO Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate Credano Credas Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami Amiamo Amiate Amino.   E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento l'EdiHabeam & c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè raddoppiato, osservate ancora le regole generali. Quanto alsim,sis,sit,simus,sitis,sint,siccomeilverbo essereèdi seconda conjugazione, e tutte le seconde conjugazioni anno il presen te del congiuntivo terminato in A nel singolare, almeno nella prima eterzapersona;quindièchesifeceiosia,tusia,o sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano. 37. Ma perchè nelle origini della lingua non era ben decisa la terminazione, con cui chiudere levocidel presente nel congiunti vo, si tento talvolta, o si dubito modificarle in tutte le conjugazioni, come nella prima. E siccome la prima era terminata in io ame ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima conjugazione in I nel presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per vada &c,in terzapersona:Lett.S.Cat.pag.31.Deh!nonsirendipiù il cuor nostro ambiguo,cieco, e negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali abbiano,temano,leggano fu Abbia  Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati. Così AB.Isac. Collaz.cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap. 12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi, enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci.Vediesserenot.17. , avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano alcongiuntivo come . tu ami   r o n o a b b i n o , t e m i n o , l e g g h i n o & c ., c h e p o i l ' u s o r a g i o n e v o l m e n t e 27 ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le cadenze , onde riconoscer ne le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe ) quelcolpo gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16  39. Quanto all'imperfetto amarem ,amares,amaret; taciutene le consonanti finali risultava amare , voce non distinta dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e siccome il per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei, sentii, e da questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi fu con progresso consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen dosiameresti,temeresti,sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres, sentires,il quale in origine non era che un lu, e perciò trovasi tal volta ameres-tu, vederes-tu per amaresti, vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di Penitenza pag.107.Avrestuoffeso intaleolal cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4 cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M , facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come daamarespro viene ameresti; o come da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di amarent in secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi coll'inserirviun'I,sen'ebbe amerieno.Amerie,ovveroameria,ecostamerienosonodunque desi nenze originali:e questa è laragione, per cui ne'Prosatori antichi, come ne'Poeti, si trova tante volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno: la quale ora è mutata in iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria, cemeria, che prevalse sopra di amerie, temerie E disse sare'io,ch'era pursaggia, Che a cosi degno amante non piacessi, Purchè mai tempo e luogo accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne nello, ipo d2   chissimo usate fin da principio.I Poeti,sovrani conoscitoridella dol cezza degl'idiomi, ritengono tuttora, usandola amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I Prosatori l'hanno quasi dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena ragione: giacchè si allontanarono davoci,lequalipresentanolaoriginelorodallalingualatina che ne era lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza ildiscorso. Inluogo di ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono. Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere,amar-ebbe,amar-ebbero,ovvero amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la desinenza è divenuta più lunga , e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune terze 40. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi,temes si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo. E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sinco p i z z a t e d e l p i ù c h e p e r f e t t o d e ' L a t i n i n e l c o n g i u n t i v o , t o l t o n e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche delle vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse Amassimo Amaste Amasseno .  del perfetto, che somigliano , come creb be,increbbe,bebbe&c.E pocovedocosaabbiaafareebbeedebbero, vocidel perfetto,convocidelsoggiuntivo,lequalihannodell'imperfet persone to, cioè che resta da fare. Possono osservarsi al verbo amare , dove trattasi della desinenza in ia , ed iano, altre incongruenze. M a l'uso ha già prevaluto,e chi parla dee parlare conl'uso. T a l e appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e restano degli esempj FraGuit.let.Ipag.8se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore. PETRAR.son.154 che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma po şteriormente di amasseno si feceamassono,edoradicesi amassero co munissimamente.Si noti che la seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non più vi resta il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è voce plurale ancora nel per fetto dell'indicativo: ed è certo un difetto con unavoce stessa espri meretempi,emoditantodifferenti.Forseènatodaciòchetalvolta s'in contra voi avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio cant.69 terz.58. Se voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che MACCHIAVELLI tanto conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama (vi)sses Ama (vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent   Ma primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E siccome questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'ottativo, e l'imperfetto del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus.8.24. : "Quel partissi addita azione già fatta.  29 gua , spesso in tal tempo usa la seconda singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle della guerra ediz. Co smopolipag.42 Farestevoidifferenzadiqualartevoiliscegliessi,e pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che voimi solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un talescriveresidirebbeartifiziosoonegligente?Glieru diti decideranno se forse era meno male così scrivere. Certo se repli chiamo nel singolare io amassi, tu amassi,perchè non farlo nel plurale? Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae conseguente:ma sealtri la dicesse ora , sarebbe uno sgraziato, un imperito . Tanta è la prepon deranza degli abusi,resi venerandi per vecchiezza. 41. L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli altri v e r b i . C o s ì d a t i m u i s s e m è t e m e s s i , d a l e g i s s e m è l e g g e s s i, d a a u d i v i s s e m udissi&c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al solito il B in V , e ľ U I in É come in timuissem , timui & c. e tutti soggiaccionoall'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj della lingua pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di amassem , e così sentissi o sentisse di sensissem . Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 c.29. loro discordano,ma provienedal latino,che eraun più che passa to; così le di lui voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un pocodi confusione:ma eglièmalediorigine,esivuol condonare:peress.SEGNERI Predic.358.10Visovviend'altroreo,che maitollerasseunaopiùtragicao piùtirannicaformaditribunale? E'chiaro che quel collerasseesprime cosa passata:tale è pur quello nelleVit.De'SS.PP.tom.1pag.83.E alloraconosceretechefuil meglio per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir,quant'io potesse. Franc.BARBER. pag. 2 ch'io gli mandasse a quello. Stor.Giosafat pag. 18 ed io non sarei savio se io tale cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel primo tom.delle DeliziedegliErudiliToscanipag.CL.sinotanoaltriesempj disi mili desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra Ch'iovi morissi,ilmeritai coll'opra. 43. Quanto agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram,fueram &c.   DIPENDENZA Delle Conjugazioni Italiane dall'Infinito, e loro somiglianza generalissima. Conjugareiverbiitalianinonèchevariarediversamentel'in finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto.Or volendo conoscere queste variazioni e somiglianzaloro generale,si avverta:Ogni infinito termina in RE amare,lemere, cre dere, sentire; e quasi tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere iparticipj presenti,il RE si muta inNTE nelle primeeseconde conjugazioni,amante,credente &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereilpar ticipio passato,aparlar generalmente,basta nella prima e terza con jugazionemutareilRE inTO ama-re,ama-to,senti-re,senti-lo.nelle altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto. 2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE dell'infinito,e lavocale precedente il RE simuta in 0 per le primepersone,edovebisognainIperleseconde;ma perle ter ze persone,toltoilRE,I'lsicambiainE nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re teme-re Crede-re a m a teme crede senti Ne'pluraliilRE dell'infinitosimutainMO,TE,NO,perleprime seconde,e terze persone. Ama-mo Teme-mo Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no Senti-mo  30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze plurali. Vedi questiverbi ne'prospetti e nel S.II.2.E per dare qui un qual ch'esempio su le terze plurali ,Baldassar CASTIGLIONE nel suo per fetto Cortigiano usd commoveno, rivesteno, discerneno , occorreno , ca deno,moveno,serveno,ed altremoltissime.NelVarchisihagiaceno, soggiaceno,ed altre.Ma ora l'uso porta che anche le vocali prece denti il RE abbiano subito de'cambiamenti ,dicendosi tutte le prime personeamiamo,temiamo,crediamo,sentiamo:enelleultimedue con jugazioni terminandosi le terze persone plurali in ono , temono , cre sente -n o 1 S. III. 1. amo temo credo sento ami temi credi Senti-re sente   3. Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne'qualivi è la doppia cadenzacome abborroeabborrisco(vediquestoverboinfine della prima parte ) sappiasi che la cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo, imperativo,e congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone, prima, seconda , e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e che poi alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste solamente, on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata,aggiuntole ilN O , segno della pluralità ne'verbi: abborrisco-no.Ossia all'infinito abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco , abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va sentiva N e plurali alla prima , o terza di ciascun singolare si aggiungono le distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'Indicativo Perlaterzapersonal'ultimoA diamasimutainOaccentato:nelle altre conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO  31 dono,sentono &c ,come se aggiungasi ilNO alle prime persone, temo,temono,credo,credono,sento,sentono,laddove essendole terze pluraliun multiplo diterza e non diprima persona singolare,non doveasiaggiungereilNO,segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come dicesi ama, amano, e non amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi ama -va t e m e -vi teme-ya senti-va crede -vi senti-vi Imperfetti dell'Indicativo 2 ) personeplurali, RONO 3 crede-va c r e d e v a -m o abborr (isco abborr(isc)i abborr(isc)e 5.ToltoilRe dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda persona: per le   senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti.mmo amo teme crede ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle seconde conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze singolari in T T E , e per le ter ze pluraliin TTERO ovvero in TTONO dicendosi Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6 sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo 8.IIRE simuta in senti-ste crede-rono senti-rono creder-o  33 ama-re t e m e - r e c r e d e -r e ama-sti teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO SSONO sentir-à senti i amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2) delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza equivoco. Vedi amare nel prospetto not.9. creder-anno sentir-anno senti-re   ama-re teme-re crede-re a m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi serti-ssimocic. BBERO 3 ) solamente nella prima conjugazione si è presoilcostume ( forse non ragionevole)dicambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE. sentire sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste sentire -ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti che le aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali sonole stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono , direi , le terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la formazione di questo tempo, Presente del Congiuntivo AMO ATE credere credere -i sentire-sti sentire-bbe  ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto dell'Ottativo Conjugazione 1." 10.SitoglieilREdell'infinito,elavocaleprecedenteilRE si muta in I, enel plurale siaggiunge 3 1 senti-sse crede-ste ama-sseroamassono teme-ssero teme-ssono crede-ssero crede-ssono 33 I alla 1) S T I 2 ) del singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe amere-m m o amere-ste amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temere-bbono NO 2 person .   La vocale precedente il re dell'infinito si muta in a in tutto il sin. golare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla secondasingolarepuòterminare comenellaprimaconjugazione;i che sarà considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Credi-amo Credi-ate Creda -no Queste sono le variazioni : gli altri tempi composti risultano da alcuno de' tempi già esposti , presi da'verbi essere ed avere , e dal participio passato del verbo particolare, il quale si usa ; e però non occorrono nuovi cambiamenti nell'infinito .Quindi si dovranno cer care nel prospetto. Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: 11. Tutte le prime persone singolari dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finisconoin 0 :tutte leseconde in I in ogni tempo: tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in mo,e le seconde in Te,eleterzeinNo oRoinalcunitempi.Maintutteleprime plurali dei presentidi ogni modo,degl'imperfetti,e futuri dell'in dicativolaMè semplice:amiamoamassimoamavamo ameremo,le miamo temessimo temevamo temeremo &c.Ma ne'perfetti dell'indi cativo e negl'imperfetti dell'Ottativo la M è doppia amammo ame remmo , temeremmo crederemmo & c. e cosi le seconde pluraliin que stid u e tempi ed anche nel presente dell' ottativo anno la S avanti ilTe finaledicendosiamásleamereste&c.!,lealtreannoilsempli ce Te.Parimente questi tre tempi possono finire in No ed in Ro nelle terze plurali:amaro amarono , amerebbero amerebbono, amas, ranno,amino. Gli Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689123226/in/photolist-2mKAgvL

 

Grice e Masullo – la scissione dell’intersoggetivo – I lottatori della tribuna -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Avellino). Filosofo. Insegna a Napoli.  Ha trascorso vari periodi di ricerca e di insegnamento in Germania. Direttore del Dipartimento di Filosofia dell'Napoli.  È stato socio dell'Accademia Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e dell'Accademia Pugliese delle Scienze.  È stato insignito della medaglia d'oro del Ministero per la Pubblica Istruzione.  Candidato nelle liste del Partito Comunista Italiano prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha ricoperto la carica di Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i primi anni della sua vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli studi superiori frequentando il liceo classico statale Giosuè Carducci. Fequenta il corso di laurea in Filosofia all'Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a Masullo. Studia l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara. Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico. Attraverso il confronto con Carbonara, Masullo si addestra al rigore concettuale e inizia ad elaborare una propria posizione originale.  Nella formazione e nella costruzione della prospettiva filosofica di Masullo si combinano diverse componenti. Il neoidealismo, crociano e gentiliano, lo sperimentalismo di Antonio Aliotta, e, tra idealismo e materialismo, il materialismo critico di Cleto Carbonara.  Masullo però, mosso dalle proprie inquietudini e dalle impressioni suscitate dai tragici eventi bellici, studia anche l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il bisogno di comprendere l'uomo concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono ad avvicinarsi alla fenomenologia.  Il soggiorno di studio a Friburgo del 1957-58 gli consente di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker, il quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf. anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro. Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo negativo, ciò che pensiero non è.  Il pensiero Intuizione e discorso è un testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia, Masullo si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere sul carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la conoscenza.  Masullo in Intuizione e discorso sostiene che i poli del fatto e dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello spirito sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro conduce ad un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni dello spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e corpo. Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi, deve riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli sono irriducibili.  Nel 1957-58 Masullo approfondisce in Germania lo studio della fenomenologia, ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i circoli husserliani capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker del quale Masullo svilupperà il concetto di "patico". Masullo stesso, tornato in Italia, traduce e commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo libriccino ormai introvabile (Logica, psicologia, filosofia. Un'introduzione alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode) il cui contenuto in parte è poi confluito nel successivo truttura, soggetto, prassi.  Masullo considera Husserl un grande esploratore della coscienza. Husserl cerca di dare un fondamento filosofico alle scienze positive indagando il modo in cui la coscienza costituisce il mondo che la scienza prende ad oggetto delle proprie particolari ricerche. Masullo però, elaborando gli stimoli dell'antropologia medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla fenomenologia alla patosofia.  Struttura, soggetto, prassi (1962, 1994) è il testo che documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è «intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia, svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante.  S. Non è possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo, esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono misurarne i vissuti.  Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura alla prassi e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e significato, crisi e ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza i grandi modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In particolare, seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la quale il fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i caratteri della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto, autodeterminazione) è l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo analizza le modalità di funzionamento.  Masullo, con i suoi studi sulla «intersoggettività» e il «fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni sull'intersoggettività. Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica Editrice,  La storia e la morte, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1965; Il senso del fondamento, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida), analizza le «operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in base alle quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella originaria struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il fondamento è la comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per permettergli di istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio Il fondamento perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi capitoli di Il senso del fondamento  e raccoglie in modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche intorno al tema della comunità-intersoggettività come fondamento. Masullo pubblica inoltre il testo Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui riprende e aggiorna il saggio su Fichte contenuto in La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il capitolo finale, Il sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una nuova fase del pensiero di Masullo, una fase in cui il tema dell'intersoggettività lascia il posto alla esplorazione delle dimensioni del vissuto del soggetto, quindi lascia il posto ai temi della paticità, del senso, del tempo.  In effetti anche i suoi corsi universitari di quegli anni rivelano questo momento di transizione. Si dedicati al tema dell'inter-soggettività ma vengono trattati anche i temi caratteristici della seconda stagione della sua riflessione. Tratta della “difettività del soggetto”; nel corso invece si occupa di “comprensione del tempo e interpretazione morale, definitivamente centrati su “i patemi della ragione e l'inter-esse etico.”  Nei studi su «tempo», «senso», «paticità» (Filosofie del soggetto e diritto del senso, Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza, Roma, Donzelli, “Paticità e indifferenza” (Genova, Il Melangolo). Sostiene che il pensiero critico, nella sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la trasformazione, il cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in Aristotele e Zenone di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di pensare la soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è tempo, prodursi delle differenze all'interno di un campo strutturato, fortemente centralizzato, l'organismo umano, portatore della coscienza di sé.  In questi studi degli anni ottanta e novanta Masullo considera le modalità affettive e psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto e diritto del senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». Masullo rivendica il «diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile diversità dal significato.  Molto più rilevante nella costruzione della sua prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza, nel quale Masullo illustra la sua concezione della frammentazione della soggettività a partire da alcune considerazioni sui concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue europee antiche e moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale dell'esperienza propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale ha un carattere prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale dell'esperienza meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il vissuto, il quale ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una parte abbiamo il giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il provare come avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa.  Ciò introduce a un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra il cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita. Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento di sé attraverso il cambiamento.  L'uomo, a differenza degli altri viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso», è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il desiderio di permanenza.  Parallelamente alla esplorazione della soggettività, in Il tempo e la grazia Masullo segue gli sviluppi di un'emergente epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e irreversibilità del tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il versante umanistico e quello scientifico convergono nel disegnare un'antropologia la cui etica non è più la moderna e rassicurante etica reattiva che salva la società con le sue formulazioni sull'ordine del mondo.  L'etica che Masullo vede in prospettiva scaturire da questo nuovo contesto è un'etica attiva che salva il tempo, cioè il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal cambiamento come «disgrazia», mutilazione. La perdita è un momento necessario nella vita di un essere, l'umano, che non semplicemente cambia, ma si rinnova e costruisce intenzionalmente il proprio futuro.  Una volta riconosciuto il diritto del senso ad essere inteso nella sua irriducibilità al cognitive;  una volta esplorato il campo del senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari epistemologici, antropologici ed etici, Masullo nel testo del 2003, Paticità e indifferenza, si chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il ruolo della filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico” ovvero, se si ricalca interamente l'etimo greco, è la “patosofia”».  Da un pensiero così articolato derivano alcune indicazioni e cautele etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo la temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di conoscenza come un qualsiasi ente. Masullo distingue la conoscenza dalla cura. Egli inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori da condividere.  Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi, personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista de Il Mattino, Claudio Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno degli ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare il futuro di questa città malata. Trova questa figura in Aldo Masullo, filosofo ma anche protagonista della vita civile e politica della città con concrete iniziative quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione nell'ambito del “Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo sulle tante debolezze della città presente che si conclude con un'analisi delle risorse che danno speranza nel futuro.  Masullo nel  ha pubblicato La libertà e le occasioni, che sviluppa il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.  L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta la contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento dell'università italiana. Masullo, per i caratteri originali del proprio insegnamento, è considerato dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli in quegli anni fu eletto deputato come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano, ed in seguito  come senatore, si occupò sempre dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come parlamentare europeo lavorò al fianco di Nilde Iotti nella Commissione legale.  All'inizio degli anni ottanta alcuni importanti provvedimenti modificano l'organizzazione didattica e gestionale dell'università (vengono istituiti i dottorati di ricerca, riordinate le scuole di specializzazione, creati i Dipartimenti). Terminato l'impegno parlamentare Masullo dirige per due mandati il nuovo Dipartimento di Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta. Anche attraverso questo incarico egli incide sulle direzioni della ricerca filosofica a Napoli.  Masullo si mette di nuovo al servizio della politica quando dopo la crisi politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi degli anni novanta si verifica un generale risveglio della coscienza collettiva. A livello locale egli dapprima anima per oltre un anno, ale “Assise di Palazzo Marigliano”, un movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli previsto dal preliminare di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto, suggerendo la demolizione e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli. Forte della popolarità acquistata con questa esperienza è capolista del PDS nelle elezioni amministrative e poi, protagonista a Napoli della innovativa esperienza della "giunta del sindaco".  A livello di politica nazionale Masullo è di nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni settanta, della Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in anni nei quali i provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono numerosi e importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo spessore del Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione assistita.  Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice: “Good connection.” (Napoli, Scientifica); “La problematica del infinito del continuo – l’infinitesmale – la categoria della quantita – flat and variable,” – Grice: “Excellent philosophical problem.” Napoli, scientifica,  “Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica  “La comunità come fondamento,” Grice: “Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but it takes a philosopher to understand that that is what stands behind ‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli, scientifica,  “Anti-metafisica del fondamento” Napoli, Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del soggetto e diritto del senso,” Genova, Marietti,  “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza,” Roma, Donzelli,  “Meta-fisica: storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all ‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the ‘physika’!” Roma, Donzelli, “La potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche, “Gografia e storia dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr. Grice: “The history of ‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,” Genova, Melangolo, -- Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential – while you may have self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo” G. Cantillo, Napoli, Scientifica,  “Filosofia morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word formation!” “tra parola e silenzio” Grice: “This is my reading between the lines – i. e. the implicature” atti del convegno (Monte Compatri), P. Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del fondamento,” Napoli, scientifica, G. Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome immobile. Intervistato, Napoli, Guida,  La libertà e le occasioni, Milano, Jaca,  I linguaggi della follia e i passi della salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi, Napoli, Scientifica,. Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La grazia della filosofia e della politica, su rainews, Napoli, chi era il più grande filosofo, su interris, A. Fioccola, Web Magazine dell'Università degli Studi di Napoli l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo, la scissione di Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal – l’innamorato di Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Matassi – la filosofia della seduzione dei giocatori di calcio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San Benedetto del Tronto). Filosofo. Grice: “I like Matassi; but then I like football – I was the football team captain at Corpus – and aesthesis, the seductor seduced – “la condizione desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è stato Professore di Filosofia morale, coordinatore scientifico della sezione Filosofia, Comunicazione, Storia e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza era stato direttore del Dipartimento di Filosofia. Si è occupato anche di Estetica musicale.  È stato Presidente della Società Filosofica Romana e ha fatto parte del comitato direttivo nazionale della Società Filosofica Italiana.  È stato nel comitato d'onore della Fondazione Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica di Rapallo, responsabile della sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro della giunta del CAFIS dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del Comitato scientifico della Fondazione Résonnance dell'Losanna.  Ha diretto la collana Musica e Filosofia per la Mimesis Edizioni di Milano e quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa editrice Epos di Palermo. Ha tenuto un blog sul "Fatto quotidiano" sui temi che legano la filosofia alle dimensioni del contemporaneo. Ha collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata alla filosofia della musica, al mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato direttore della collana Italiana per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche membro del comitato scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium philosophicum, Paradigmi,Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi sartriani, Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale, Phasis, Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et Humanitas. Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale Ad Parnassum.Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia.  Menzione speciale della giuria all'VIII premio internazionale di saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la musica.  È stato uno dei principali collezionisti al mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e della liederistica di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc).  Pensiero Si è occupato di filosofia tedesca dell'Ottocento e del Novecento, in particolare del pensiero di Hegel, delle scuole hegeliane, del Neocriticismo tedesco, del marxismo occidentale e della scuola di Francoforte. Il suo primo lavoro  è stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di filosofia del diritto e all'interpretazione fornitane daGans. Si è occupato di Lukács, iutilizzando per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij" si è poi occupato di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e del dialogo Alessio o dell'età dell'oro.  Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia della musica moderna e contemporanea e in particolare su quella di Bloch, di Benjamin e  Adorno, fino ad elaborare un'originale filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella pratica.  All'interno di tale prospettiva svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger.  Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli, Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida); “Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli, Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica (Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli, Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo, Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema” (Milano, Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo.. In: Du Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c. di Elio Matassi. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui rapporti tra democrazia e capitalismo,  Commento al concerto jazz di M. Donà, "Tutti in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a misura d'uomo. Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini, Armando, Roma, RAI Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus e Inter Il Fatto Quotidiano, s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di G. Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni filosofiche»,  M.  Latini, Doppia risonanza sul mondo (a proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a "Musica". Grice: “Unfortunately, Matassi, being Italian, or an Italian, is more interested in Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their coldness, than in Ovid’s ‘ars amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf. “La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi. Keywords: la filosofia del calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars amatoria, desiderio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matassi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703884255/in/photolist-2mLTVsg

 

Grice e Matera – implicatura – I segni del zodiac e la semiotica di Peirce -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo. Grice: “Only in Southern Italy is a philosopher also responsible for the astrological edification of the city’s cathedral!” Uno dei più grandi studiosi e divulgatori di astrologia occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna dapprima a Matera, e successivamente a Napoli.  Vive nel periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e su richiesta di Filippo IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne noto come dottore universale, profondamente versato in filosofia. In quegli anni infatti astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli astri potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra il castello e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con una casuccia di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale oggidì si chiama la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu edificato il Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava intere notti ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di Alano è il motto presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non colpendola due volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui invita a raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni, il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le vie Salvemini e Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e baroni della Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana, Altrimedia, per i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera  M. Morelli, Storia di Matera, ed. F. lli Montemurro, F. Volpe, Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario corografico del Reame di Napoli, ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri di Matera, sassiweb.  ntonio Giampietro, Personaggi della storia materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature, la collina del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia, astronomia, dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of astrology, Grice on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical chart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692257175/in/photolist-2mPZ2Vc-2mPpmMv-2mKC3nj-2mKHkna-2mKSk8n-nfKCoW-nivfse-nfKC96-nidYDE

 

Grice e Mathieu – l’uomo aniamle ermeneutico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo. Grice: “There are various things I love about Mathieu: his idea of the ‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact that life (or ‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has emphasised the irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot self-reflect, and deontic systems --.” Dopo il liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo, filosofo rappresentante dello spiritualismo ced autore di importanti studi su  Kant (un filosofo che sarebbe stato centrale nella vita intellettuale di Mathieu).  Libero docente nella filosofia, è stato professore incaricato, e  Professore di filosofia teoretica a Trieste. Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è stato membro del Comitato del CNR;  è stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi). È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan.  Ha fondato con Berlusconi,  Colletti ed altri il movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.  Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel luglio  (in connessione con la sua carica di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca filosofica:  la filosofia della scienza; la storia della filosofia; l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa della conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella scienza e nella filosofia".  Seguendo Bergson, ha valorizzato anche altre forme della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla cienza, ma non per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la realtà, e segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla scienza, e richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo, dunque, è chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della cultura. Sarebbe però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla filosofia della scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi. Ad esempio, sono ddue studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di Gödel al diritto. Gödel aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di un sistema all'interno del sistema stesso; Mathieu ritiene che, almeno analogicamente, la scoperta di Gödel possa applicarsi al problema della fondazione di un sistema deontico. Uun'autorità non può legittimarsi da sola in modo formale e, dunque, anche il diritto richiede fondamenti esterni (etici, non emici): l'efficacia e la giustizia. Ha realizzato alcune traduzioni fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla storia della filosofia è consistito proprio in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica, ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta questioni teoriche tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,” cioè il problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha curato poi le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro che si è raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale" "Leibniz e des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi di teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male.” La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere.  Di estetica è "Goethe e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua profondità e capacità genealogica.  Nei suoi volumi sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un articolo sul Corriere della Sera  rettifica sul Corriere della Sera  smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino); “L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza” (Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di R. M. Rilke, Olschki); “Dialettica della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero, Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone Francesco; Melchiorre Virgilio, Gregoriana Libreria, Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione, Spirali); “Nazionalismo”; S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia dei sistemi e origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani,  Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere, Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché punire. Il collasso della giustizia penale, Liberilibri, Introduzione a Leibniz, Laterza,  In tre giorni, Mursia,; La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano  Ideazione, il fatto quotidiano. 3del portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su archive ostorico.corriere. Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745480478/in/datetaken/

 

Grice e Maturi – implicatura – filosofia italiana – l’io e l’altro – io e l’altro – i duellisti -- Luigi Speranza (Amorosi). Filosofo.  Grice: “There are two main things I love about Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as an ‘Italian,’ or worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a member of the Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his typically Neapolitan-hegelian school account of what he calls ‘autocoscienza recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my conversational theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each ‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the ‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’ makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale, si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia hegeliana  destinata ad esercitare nel suo pensiero un'influenza duratura.  Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per uditore giudiziario.  Ottenuta l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea. Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is one. Cf. Strawson, Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.” Grice: “Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.” “L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza assoluta di Dio.” Grice: “For Kant, and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of my friends, J. F. Thomson, it is!”  “Uno sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ --  Grice: “My favourite is his description of the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The ‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy). Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The conversationalist like me, I s’ppose.”  “Una relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in. Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo, Brescia, Morcelliana, A. Gisondi, Forme dell'Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi, Croce e Gentile, Soveria Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni, "Filosofia hegeliana e religione. Osservazioni", Benevento, ed. Natan,.  Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sebastiano Maturi. Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino, Spaventa, I duellisti, l'io e l’altro – riconoscimento, la dialettica del signore e del servo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691410023/in/photolist-2mQoQhs-2mPXDFp-2mPLEqt-2mPKvMM-2mPxLC4-2mPkobg-2mNzeEc-2mNbwWj-2mLLZRD-2mLP9qE-2mLLwjC-2mLyVqx-2mKMZii-2mKTyvC-2mKw3hq-2mKbok1-2mPLygi-2mPHbXQ-2mJq2uE-E4u3XA

 

Grice e Maturi – filosofia napoletana – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Napoli). Filosofo. Grice: “People sometimes asks me how my intentionalist approach can be applied to history. I always respond: Read Maturi!” Grice: “Maturi’s ‘Interpretazioni,’ thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic --.” Grice:: “Even in London, the risorgimento had at least two interpretations! One in Woolwich, and another one elsewhere! And there is possibly a gender distinction too with “Speranza,” Wilde’s mother, being somewhat fanatic about it!” – Compe la sua formazione culturale a Napoli dove si laureò con Schipa, uno dei firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da Croce. Del suo maestro, per la lezione di rigore che gli aveva impartito, Maturi conservò un commosso ricordo ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la sua gratitudine in occasione della morte di Schipa, pronunciandone il necrologio. Seguì con attenzione ed interesse, ma anche con spirito critico, le lezioni di Croce conseguendo una laurea in filosofia con Gentile con una tesi su Maistre.  Impostato sulla lezione crociana è il saggio “La crisi della storiografia politica italiana” a cui seguì quello dedicato a Gli studi di storia moderna e contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera del “La vita intellettuale italiana.” Il suo primo lavoro Il concordato tra la Santa Sede e le Due Sicilie pubblicato fu giudicato positivamente dalla critica s di Omodeo che lo recensì ne La Critica. Frequenta la Scuola storica per l'età moderna e contemporanea diretta da Volpe e fu segretario e bibliotecario dell'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea.  Fu collaboratore dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali quella dedicata al "Risorgimento" ispirata alle sue idee liberali.  A causa di questo episodio, nonostante il suo disinteresse per la vita politica attiva, fu allontanato dall'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea.  Nei suoi saggi di storia politica i suoi punti di riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe.  Dapprima come incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne le sue lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune importanti voci nel Dizionario di politica a cura del Partito nazionale fascista, il saggio Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e l'accurata biografia Il principe di Canosa. I corsi di storia della storiografia tenuti a Pisa furono continuati a Torino quando ha la cattedra di Storia del Risorgimento e quella di Storia delle dottrine politiche che occupa sino alla sua inaspettata scomparsa.  Le sue lezioni di quest'ultimo periodo furono raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata di primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del Risorgimento. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi. Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Maurizi – la vendetta di Bacco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Maurizi; of course his ‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s rather recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good, but he is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in filosofia della storia presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e ha conseguito il dottorato di ricerca nella medesima università discutendo una tesi su Cusano e il concetto di non altro da cui è nato il volume La nostalgia del totalmente non altro. Cusano e la genesi della modernità (Rubbettino). Dopo un periodo di formazione in Germania attualmente svolge la sua attività di ricerca presso l'Università degli Studi di Bergamo. Pubblica le sue ricerche su alcune prestigiose riviste come la Rivista di filosofia neo-scolastica, il Journal of Critical Animal Studies, Dialegesthai, Alfabeta, Lettera Internazionale, e collaborando, inoltre, con i quotidiani Liberazione e L'Osservatore Romano. Ha poi partecipato alla stesura del secondo volume di L'Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico (Jaca Book, ) ed è il traduttore e curatore dell'edizione italiana di Georg Lukács, Coscienza di classe e storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di Ralph Acampora, Fenomenologia della Compassione, Edizioni Sonda, Casale Monferrato,, e ha tradotto, con G. Dalmasso,  Derrida, Teoria e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure Jaca Book, Milano,. Ha contribuito alla fondazione delle riviste scientifiche "Liberazioni" e Animal Studies. Rivista italiana di antispecismo.  Pensiero Maurizi ha suddiviso i suoi interessi di ricerca tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx, Adorno), la teoria critica della società e le implicazioni politiche di una visione "sociale" dell'antispecismo a partire da una rielaborazione del pensiero della scuola di Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno, quanto quelle su Cusano si incentrano sul tentativo di porre in evidenza il tema della storicità dell'umano non in termini di un astratto e formale "essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di Hegel portata avanti da Adorno, infatti, Maurizi sostiene la leggibilità e razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà, imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non umano, e più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da Maurizi come un antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di Marco Maurizi, che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri teorici dei diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini storico-sociali dello specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista», secondo Maurizi, consiste quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta di campo: sottolineare come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile di ogni ipotesi di trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi l'antispecismo è dunque essenzialmente politico  e non possiamo affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la questione animale da una prospettiva astrattamente morale. All'attività di filosofo, Maurizi ha così affiancato quella di attivista per i diritti animali, intrecciando l'attività speculativa con quella politica; risultato di questa attività è il libro Al di là della Natura: gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, ). Maurizi è stato inoltre fondatore delle riviste di critica antispecista Liberazioni e Animal Studies, della rivista online Asinus Novus che prende il nome dal suo breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità (Ortica, ). Nel  l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie alcuni suoi scritti che rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero sulla filosofia antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia Veritas, ). Sulla scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato sulla filosofia della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie sull'antispecismo politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo Guadagnucci Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre di Mezzo, ), da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und Tier in der Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e altri autori della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del non-identico,” Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della modernità, Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la libertà,” Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica, “Cos'è l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’ – “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” --  la musica contemporanea da Schönberg ai Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. Maurizi su questi temi per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo  Intervista su questo tema a cura del collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. Maurizi La genesi dell'ideologia specista in Liberazioni:/ M. Maurizi Per una cultura antispecista in Asinus Novus: rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.com. Intervento M. Maurizi per il primo convegno nazionale antispecista: youtube.com/watch?v=JwZiW4ngrag  Intervista a M. Maurizi e L. Caffo sulle nuove prospettive dell'animalismo: youtube Testo recensito da L. Pigliucci per la rivista "Lo Straniero" di Aprile: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress.com.Intervista di F. Pullia sul quotidiano "Notizie Radicali" Una recensione del testo: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress B. Le GocM. Maurizi, Musica per il pensiero. Filosofia del progressive italiano, Mincione, Roma.  Antispecismo Diritti degli animali Scuola di Francoforte. Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimalstudies.wordpress.com. Marco Maurizi. Maurizi. Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maurizi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703667269/in/photolist-2mQwYd8-2mQtcUw-2mQkxxa-2mQjVch-2mQaKxF-2mPYYve-2mPyW8A-2mPyn68-2mPrb68-2mNzeEc-2mLLY7G-2mLQdrQ-2mKFrQ6-2mLSNX8-2mLGRht-2mLMaMX-2mLGjg5-2mKPS8q-2mKC3nj-2mKuZ8r-2mKDA5r-2mPoBGn-2mKAuZM-2mGT6p1-2mGnP2f-E58e4H-DeWyrT-AJp6ja-mukgnR-mumBeo-mujH18-AKkszP-AKm2wa-iaPpsv-BfCsgw-A71D2h-BxbiQ5-iaPo9Z-iaP9LN

 

Grice e Mazzarella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “I love Mazzarella’s ‘necessary word’ – not precisely what I was thinking when philosophising about conversation, but for Mazzarella, the conversational motivation is to HELP in the most authentic fashion – Compared to his ‘parola necessaria,’ my principle of conversational helpfulness, while based in part in the desideratum of conversational benevolence, looks pretty lame!” -- Grice: “I like Mazzarella. The fuss he makes in translating Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the greatest living philosopher’ – he was living then –.” Grice: “Mazzarella, who is relying on somebody else’s translation, is especially focused on Heidegger’s Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’ Heidegger gets an abstract noun. But he also uses the Germanic for ‘deed.’ Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ – cognate itself with ‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from ‘factivity’ to ‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into seeing how similar these two concepts are – if indeed two concepts they are, seeing that they come from the same Roman root! But Mazzarella would know that – you wouldn’t!” –  Professore a Napoli,  è tra i principali interpreti di Heidegger. Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico.  Dopo essersi laureato presso l'Università degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila. Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui è Preside dal 2005 al 2008. Nel 2008 viene eletto deputato del Parlamento italiano, divenendo componente della VII Commissione Cultura della Camera.  Opere In una delle sue opere principali, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella indaga i processi decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia della metafisica occidentale, fino a formulare un'ipotesi "ecologica"(in senso originario, come pensiero relativo all'abitare dell'uomo) relativa alle interpretazioni del "logos" eracliteo e della categoria aristotelica della "physis" riscontrate nei saggi successivi alla cosiddetta "svolta" del pensiero di Heidegger.  In Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico, le aporie di una metafisica del fondamento sono affiancate alla dimensione tecnica della contemporaneità, intesa storicisticamente come epoca del compimento del nichilismo. Centrale diventa l'idea di un "essere-alla-vita", categoria che richiama in modo lampante l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le questioni teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti un'ontologia minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda, lasciando il posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e mantenimento della e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di intendere la cultura come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi natura prima ancora che storia”.  Pensare e credere. Tre scritti cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di Mazzarella; il rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca sullo sfondo di una prospettiva storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano esenti dalla riflessione Hegel, Schelling e la teologia dialettica contemporanea. Interessante è la prospettiva di una religione come "integrazione" e apertura all'amore fraterno, configurato nel concetto di "agape".  I suoi scritti sono in ogni caso contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di pensiero napoletana, sorta sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa di temi propri dello storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita).  In un dialogo costante con i teologi più liberali e moderni, quale ad es. Bruno Forte, Mazzarella si è occupato specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita).  In Opera media ha inoltre messo in luce un talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato.  Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger (Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli); “Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano, Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy, and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” --   “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is exploring the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia e teo-logia” --  di fronte a Cristo (Cronopio, Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger oggi, E. Mazzarella, Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia, “Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo, Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia, Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica, in Amato, M. T. Catena, N. Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di Eugenio Mazzarella265, Napoli, Guida,  Archivio degli articoli di Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae, pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he calls himself a Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” -- Mazzarella. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692028975/in/photolist-2mPsXiB-2mKRahT

 

Grice e Mazzei – implicatura – filosofia italiana – filosofia toscana – filosofia fiorentina -- Luigi Speranza (Poggio a Caiano). Filosofo.  Grice: “Not every philosopher has a city, ‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas, transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre, he was influential in the ‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone e cadetto di una nobile famiglia toscana di viticoltori, probabilmente risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI secolo, fu personaggio energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle libertà individuali, dei diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una vita avventurosa e movimentata, con alterne fortune economiche.  Sebbene sia sconosciuto al grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, ed è ritenuto dagli storici uno dei padri della Dichiarazione d'Indipendenza americana, in quanto intimo amico dei primi cinque presidenti statunitensi: George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu ispiratore, vicino di casa, socio in affari e con cui rimase in contatto epistolare fino alla morte.  Iniziato alla Massoneria, fu poi spettatore privilegiato della rivoluzione francese.  La sua figura storica è riemersa alla fine Professoregrazie all'infittirsi degli studi accademici in occasione del bicentenario della rivoluzione americana, fino ad essere onorato in occasione del 250º anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione filatelica congiunta speciale delle poste italiane e statunitensi.   Dopo gli studi compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa e poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo solo due anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a seguito di un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo irto di difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento dell'italiano, riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il commercio dei prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi lentamente nei salotti dell'alta borghesia londinese.  Una breve parentesi italiana si concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di una denuncia al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri proibiti”. L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei, ben tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù nella realtà italiana.  La Rivoluzione americana In questi circoli londinesi Filippo Mazzei conobbe Benjamin Franklin e Thomas Adams, che da lì a pochi anni sarebbero stati tra i protagonisti della rivoluzione americana.  Le colonie americane si autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite assemblee di delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento giuridico era ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli anni era probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che esistesse.  Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò nel 1778, e l'amico Carlo Bellini che tra il 1779 e il 1803 sarebbe divenuto il primo insegnante di italiano in un'università americana, il College of William and Mary in Virginia.  Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di Monticello per incontrare Thomas Jefferson, con il quale già intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua tenuta in favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per oltre 40 anni.  Il livello delle frequentazioni americane trascinò velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America.  Eletto speaker dell'assemblea parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio, composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della Virginia.  La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta fatica.  Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione.  In questo periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia.  Rientrato in Virginia nel 1783, con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette I'incarico di amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo nel 1785 lasciò per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari con molti di quelli che sono definiti “padri della patria” statunitensi e in particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del Colle, che Mazzei aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al di lei marito, il francese Justin Pierre Plumard, Comte De Rieux.  La Rivoluzione francese e le vicende europee  Targa a Pisa, sulla casa in cui morì/ A Parigi pubblicò una voluminosa opera in quattro volumi Recherches historiques et politiques sur les États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si trattava della prima storia della rivoluzione americana pubblicata in francese. L'opera è tuttora una preziosa fonte di informazioni sul movimento che innescò la rivoluzione americana.  Il successo del libro e la notorietà delle sue idee, uniti alla costante attività di propaganda a favore dei neonati Stati Uniti d'America, lo fece venire in contatto con re Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano liberale, di cui divenne prima consigliere e poi rappresentante a Parigi.  Da questa posizione privilegiata poté seguire la rivoluzione francese, di cui condannò la deriva giacobina. Preso atto della rovina economica, nel 1791 si trasferì a Varsavia, assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla stesura della costituzione.  Dopo un anno passato a Varsavia, a seguito della spartizione della Polonia nel 1792 rientrò definitivamente in Toscana, stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da cui ebbe una figlia, Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe repubblicane francesi a Pisa e poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno.  Ultimi anni Mazzei visse quietamente altri 17 anni, dedicandosi ai propri studi di orticoltura e limitandosi a frequentare una ristretta cerchia di salotti praticati da giovani liberali, di cui era ispiratore. In conseguenza del dissolvimento della Polonia operata da Russia e Prussia nel 1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio. Mazzei rimase sempre nostalgico della Virginia e dei suoi amici americani, che ne auspicavano il ritorno e con i quali mai interruppe il contatto epistolare. Nonostante i ripetuti progetti di un viaggio in America, Mazzei non fu mai capace di affrontare questa nuova avventura. Ebbe modo di assistere all'ascesa e alla caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le proprie memorie, pubblicate nel 1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a Pisa.  Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma: Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche storiche  sull’America” (Firenze, Ponte alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione Francese”“La vita avventurosa di FilMazzei, Cassa di Risparmi e Depositi, Prato. Marchione Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A inizio degli anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua figura è circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la bandiera statunitense, adottata dal Congresso  un anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce dall'importanza che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica toscana e non solo e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver discusso anche di araldica con gl’americani. Le radici storiche della bandiera americana sono, in realtà, nella Grand Union Flag.  In suo ricordo è stato istituito il premio The Bridge. La cerimonia è stata istituita a Roma per celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti d'America da vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era la frase. Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti. Paolo Russo, Nasce a Firenze un museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze, Riferito al museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia.  Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante italiano a Londra, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi Andrea, L. Corsetti, L. Stadio, Mostra di cimeli e scritti, catalogo della mostra a cura di, Poggio a Caiano, palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano. Camajani Guelfo Guelfi, un illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore, giornalista, diplomatico, Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele, Lettere alla corte di Polonia Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi Renzo, Avventuriero della Libertà, con scritti di Margherita Marchione e E. Tortarolo, Poggio a Caiano, C.I.C. Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio Luigi, Tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano, Biblioteca Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei tre mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America. Vita e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba bestie e uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Gradi Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Gullace Giovanni, Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Masini Giancarlo, Gori Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze: Bonechi,Tognetti Burigana Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico; esperienze del cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, Tortarolo Edoardo, Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di Filippo Mazzei, Milano, Angeli, Witold Łukaszewicz, Filippo Mazzei, Giuseppe Mazzini; saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione americana Rivoluzione francese Benjamin Franklin Patrick Henry Thomas Jefferson George Mason James Monroe William Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori degli Stati Uniti d'America Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Thomas Jefferson, e Francis Vigo (video), su youtube.com. Thomas Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo Filippo Mazzei Pisa, su circolo filippomazzei.net.  Mazzei, chi era costui?, su mltoscana. blogspot.com. Clan Libertario Toscano Filippo Mazzei, su mltoscana. blogspot.com. Il circolo Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson Mazzei, I processi contro  ed i liberali pisani, su idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org.  famous americans. net. Another Site about P.Mazzei and other famous Italian American, su Cleveland memory.org.  Mazzei, Thomas Jefferson e gli scultori carraresi per la costruzione del Campidoglio degli Stati Uniti di Nicola Guerra su farefuturofondazione. premio Filippo mazzei. com. Memorie della vita e delle peregrinazioni del fiorentino. Grice: “The more Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake patriotic prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the less I am leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a vengeance!” – Grice: “As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and to mine!” -- Filippo Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la rivoluzione del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702189377/in/photolist-2mLKeCe-2mKgL97

 

Grice e Mazzini – la giovine italia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo.  Grice: “Of course it is difficult for an Italian philosopher to approach the philosophy of Mazzini cooly; it would be like me approaching the philosophy of Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini’ quite helpful – the equivalent would be the pretentious sounding, “The philosophical thought of Sir Winston Churchill,’ say!” --  Grice: “Luigi Speranza loves to cherish the fact that an old street in Woolwich, of all places, is named after him, in a way ‘Speranza,’ just because Garibaldi visited!” Grice: “Luigi Speranza also cherishes the fact that Lady Wilde preferred ‘Speranza’ just to defend Mazzini!” Esponente di punta del patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribusceno in maniera decisiva alla nascita dello STATO UNITARIO ITALIANO. Le condanne subite in diversi tribunali d'Italia lo costringeno però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane sono di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello stato. Nacque a Genova, allora capoluogo dell'omonimo dipartimento francese costituito da parte del regime di Bonaparte. Il padre, Giacomo, e medico e docente universitario d'anatomia originario di Chiavari, una cittadina del Tigullio all'epoca capoluogo del dipartimento francese degli Appennini, successivamente parte della provincia di Genova, figura politicamente attiva nella scena pubblica locale, sia durante l'epoca della precedente repubblica ligure, sia, in tempi successivi, dell'Impero napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente giansenista originaria di Pegli, un comune autonomo, accorpato nel comune di Genova, fu molto legato per tutta la vita. Affettuosamente chiamato "Pippo" dalla famiglia, una volta terminati gli studi superiori presso il cittadino Liceo classico Cristoforo Colombo, si iscrisse a Genova. Si segnala per la sua ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponeno di andare a messa e di confessarsi. E arrestato perché, proprio in chiesa, si rifiuta di lasciare il posto a un generale austriaco. Lo appassiona la letteratura: si innamorò delle letture di Goethe, Shakespeare e Foscolo (pur senza condividerne la filosofia materialista), restando così colpito dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. La passione per la letteratura, insieme a quella per la musica (e un abile suonatore di chitarra), la ha  per tutta la vita: oltre agli autori citati, lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti romantici come Byron, Shelley, Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas padre e le sorelle Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova dei federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in lui il pensiero che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della patria. Cominciò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma l'attività che lo impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore genovese, sul quale inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La censura lascia fare per un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il saggio, “Dell'amor patrio d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”. Entra nella carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina.  Ho a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe Mazzini. (Klemens von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per la sua attività cospirativa e arrestato su ordine di Felice di Savoia e detenuto a Savona nella Fortezza del Priamar. Durante la detenzione idea e formula il programma di un nuovo movimento politico chiamato “Giovine Italia” che, dopo essere stato liberato per mancanza di prove, presenta e organizzò a Marsiglia dove e costretto a rifugiarsi in esilio.  I motti dell'associazione erano Dio e popolo e unione, forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista infatti, poiché senza unità non c'è forza, ha fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini. Il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per bande. Durante l'esilio in Francia, ha una relazione con la nobildonna repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova di Giovanni Sidoli, ricco patriota di Montecchio Emilia. Giuditta aveva condiviso con il marito la fede politica che, portandolo a cospirare contro la corte estense, aveva costretto la coppia a esiliare in Svizzera. Colpito da una grave malattia polmonare, muore a Montpellier.  Poiché la vedova non aveva ricevuto alcuna condanna, ritorna a Reggio Emilia presso la famiglia del marito con i suoi quattro figli: Maria, Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento dei moti dove fuggire in Francia dove conobbe Mazzini a cui si legò sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del 1831 di portare dalla parte liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la celebre lettera firmata "un italiano", il 26 ottobre 1833, insieme a Pasquale Berghini e Domenico Barberis, Mazzini fu condannato in contumacia a "morte ignominiosa" dal Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior generale Saluzzo Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo Alberto decise di concedere un'amnistia generale. Rifugiatosi  nella cittadina svizzera di Grenchen, nel canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni Ruffini.  Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove Mazzini raccolse attorno a sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia, dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani; qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley (vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron, idolo di gioventù di Mazzini), il filosofo ed economista John Stuart Mill, Thomas Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che finanziò la sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a Mazzini. Nello stesso quartiere di Mazzini visse anche Karl Marx.  Durante il soggiorno londinese Mazzini ebbe una lunga relazione di amicizia con la famiglia Craufurd, documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a Londra ebbe rapporti con la famiglia di William Henry Ashurst e con il genero di questi, il politico britannico James Stansfeld, la cui consorte Caroline Ashurst Stansfeld era sostenitrice della società "Society of the Friends of Italy". Per la causa dell'unificazione italiana Mazzini collaborò anche con il secolarista George Holyoake.  Fondò poi altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di vari stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa. Quest'ultima, fondata nell'aprile 1834 a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri, aveva tra i suoi principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. In questa occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del popolo italiano (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni europee. L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico l'agire dal basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e democratici, realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e rivoluzionaria. Sulla scia della Giovine Europa Mazzini nel 1866 fonda anche l'Alleanza Repubblicana Universale.  Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio di Belgiojoso e Giorgina Saffi, la moglie di Aurelio Saffi, uno dei più stretti collaboratori di Mazzini e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico. Mazzini continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le avversità con inflessibile costanza, convinto che questo fosse il destino dell'Italia e che nessuno avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica.  Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali Mazzini era stato a capo della breve Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e politica invocata da Mazzini. Cavour fu abile nello stringere un'alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana.  A Londra, nel 1850, per reagire alla caduta della Repubblica Romana e in continuità con essa, Mazzini fondò il Comitato Centrale Democratico Europeo e il Comitato Nazionale Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le cui cartelle portavano appunto lo stemma della Repubblica romana del 1849 e l'intitolazione del prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e l'unità d'Italia». A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli ex triumviri Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia Montecchi. La diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata conseguenza la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto a Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al nuovo parlamento di Firenze. Mazzini era candidato, nel secondo collegio, ma non poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti del 1857 (il 19 novembre 1857, in primo grado, il 20 marzo 1858 in appello); un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III. Inaspettatamente, Mazzini vinse con larga messe di voti (446). Il 24 marzo, dopo due giorni di discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne precedenti.   Il letto di morte di Mazzini, distrutto dagli aerei degli Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa del 1943  Maschera mortuaria di Mazzini, gesso, Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo Mazzini. La Camera, dopo una nuova discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. Il 18 novembre Mazzini viene rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida. Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise di rifiutare la carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a lottare per gli ideali repubblicani.  Nel 1868 lasciò Londra e si stabilì in Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due condanne a morte inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare in Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere militare di Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe in una carrozza Friedrich Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente. Questo incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo.  Costretto di nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di Giorgio Brown (forse un riferimento a John Brown) a Pisa. Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli Rosselli e zio della moglie di Ernesto Nathan, fino al giorno della sua morte, avvenuta il 10 marzo dello stesso anno, quando la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente.  Traversie della salma  Mazzini morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di Agostino Bertani: Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una folla immensa partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo, accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove venne sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno.  Le esequie furono accompagnate dalla musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo. Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di Mazzini, onde pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro qualche anno dopo. Nel 1946 avvenne la ricognizione della mummia, che fu sistemata ed esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica Italiana[26]: da allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo.  Mausoleo Benché sia incerta l'affiliazione di Mazzini alla Massoneria fu l'associazione stessa a commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano Gaetano Vittorino Grasso che lo realizzò in stile neoclassico adornandolo con alcuni simboli massonici.  Il sepolcro reca all'esterno la scritta "Giuseppe Mazzini" e all'interno sono presenti numerose bandiere tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da personalità come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta "Giuseppe Mazzini. Un Italiano" che era la firma da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze di alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso Mazzini, citati nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente Mazzini, a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi, non sia mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti degli ideali mazziniani, simili ai suoi.  La principale obbedienza italiana, l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente d'Italia, afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che pure ebbe influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società segreta, la Giovine Italia. In effetti Mazzini fu carbonaro, ma la Carboneria fu presto distinta dalla massoneria.[30]  Indro Montanelli afferma invece che probabilmente Mazzini fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della Campa, che in una "Nota su Mazzini" fa riferimento al libro dell'ex-Gran Maestro del grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille volti di massoni (Ed. Erasmo, Roma), che a119 scrive a proposito di Mazzini: «Iniziato nel 1834 a Genova, secondo G. Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia, dispense 3 e 4, pag. 23, colonna III). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo il 18 giugno 1866 ricevette l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario del medesimo Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio l'appartenenza di Mazzini alla Massoneria.»  Mazzini stesso sembrerebbe però smentire la sua partecipazione all'associazione in una lettera del 12 giugno 1867 al massone Federico Campanella, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato di Palermo, in cui, restituendogli le carte che questi gli aveva fatto recapitare scriveva. La Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni scopo nazionale. Per farne qualche cosa bisognerebbe prima una misura d'eliminazione ed una di revisione delle file, poi una formula nazionale o politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere intenda. La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo»  (Giuseppe Mazzini, Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero napoleonico. Nasce allora una nuova concezione della storia che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni, aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità.  Secondo questa visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione.[35] Da questa concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla storia degli uomini.  Napoleone I è stato, con le sue continue guerre, l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato.  La concezione reazionaria contro cui Mazzini combatté strenuamente assume un aspetto politico-religioso che troviamo nel pensiero di François-René de Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa)  al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del razionalismo.[36]  Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia nell'opera letteraria di Alessandro Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana.  Concezione mazziniana «Costituire l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana»  (G. Mazzini, Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svgMazzinianesimo. Dio e popolo «Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso. L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario. Il pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione del 1830 ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con l'età trascorsa.  Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione religiosa di Mazzini all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista (almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se, come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la sua concezione teologica da quella politica)[40] e l'assenza di intermediari tra Dio e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana, define il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso sulla sua concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la religione CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma, antica e pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale, prepara il campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico, che e fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Berto Ricci -- e dalla massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo anche al culto massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo («...L'ateismo, il materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e sorgente del Dovere per tutti...»[46]), ma anche il trascendente, in favore dell'immanente: egli crede nella reincarnazione[47], per poter migliorare di continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato.[48]  Giuseppe Mazzini e Gioacchino da Fiore Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari delle società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate calabrese Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento della Terza Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia che sarebbe rinata, libera dalle dominazioni straniere[50], come la nazione che avrebbe esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa cattolica: tema questo poi ripreso da Vincenzo Gioberti nel suo Primato morale e civile degli Italiani.  Mazzini ebbe grande interesse per Gioacchino tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica.  Religione civile La sua è stata anche definita una religione civile dove la politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità è il suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione».[38] Per lui non conta che la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che è invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica, «l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo significava per il Mazzini collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di premio, senza calcoli di utilità. Quello di Mazzini era un progetto politico, ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.».[53]  La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la meta predisposta da Dio.  Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano». Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria e Umanità.  Patria e umanità  Targa in onore di Mazzini sulla casa londinese Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation.  La futura unità europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà. Il processo di costruzione europea, secondo Mazzini, doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale.  Iniziativa italiana In questo processo unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi popoli.  Funzione della politica  Il mausoleo di Giuseppe Mazzini nel cimitero monumentale di Staglieno, realizzato dall'architetto mazziniano Gaetano Vittorino Grasso. La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; Mazzini esorta la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno.  La logica della politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare.  La rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima possibile.  La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre la Rivoluzione Francese si è concentrata esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo. Non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento dell'egoismo individuale.Questione sociale Mazzini affrontò la questione sociale negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta il marxismo, convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della democrazia. Mazzini fu tra i primi a considerare la grave questione sociale presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli indicava Carlo Pisacane, ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo scontro delle classi, ma con una loro collaborazione (interclassismo), da raggiungersi però organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli operai, il soggetto più debole. Un programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava l'autonomia culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i consensi più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più consapevoli dei propri diritti fra gli operai.  Mazzini criticò il marxismo e fu da Marx biasimato per gli aspetti dottrinali idealistici e per gli atteggiamenti profetici che egli assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del popolo. Marx, risentito per gli attacchi di Mazzini al comunismo, da lui definito col termine inglese «dictatorship» (cioè «dittatura»), lo definì in alcuni articoli teopompo, cioè «inviato di Dio e papa della chiesa democratica, dandogli anche sprezzantemente del «vecchio somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita. Forte sarà il contrasto tra Marx e l'inviato personale di Mazzini (oltre che con Garibaldi che ne prese le difese) alla Prima Internazionale. Critica i socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. La critica maggiore era rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la Rivoluzione d'ottobre del 1917 in Russia, cioè la formazione di una nuova classe di padroni politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina industriale del socialismo reale. Da queste critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi del 1871. Mentre per Marx e Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i più poveri, Mazzini punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà sull'impresa».  Mazzini puntava sul superamento in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste sia le teorie che esaltano il valore dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla.  La sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto importante e anche il fascismo, in particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come terza via corporativa tra il modello capitalista e quello marxista.  Cospirazioni e fallimento dei moti mazziniani  Mazzini in una fotografia con autografo scattata da Domenico Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non erano che terroristi e come tali furono sempre condannati.  «Trovai tutti persuasi che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda»  (Massimo d'Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia (1831) «Su queste classi [...] così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non esiste in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla sventura.»  (Camillo Benso conte di Cavour). Mazzini si trova a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso in Francia.  Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e, come nei moti del '30-31, dei francesi.  Con la fondazione della Giovine Italia nel 1831 il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato nel 1832del messaggio politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica.  Negli anni 1833 e 1834, durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo solo in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da Mazzini, che fondò al suo posto l'Associazione Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova organizzando una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a morte. Nel 1833 organizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste adesioni nell'ambiente militare.  Prima ancora che l'insurrezione iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli Giovanni e Jacopo Ruffini, amico personale di Mazzini e capo della Giovine Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Vincenzo Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono condan morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.  Tentativo d'invasione della Savoia e moto di Genova. L'incontro di Mazzini con Giuseppe Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il fallimento del primo moto non fermò Mazzini, convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta aveva messo il generale Gerolamo Ramorino, che aveva già preso parte ai moti del 1821, questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando si decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata da tempo, disperse i volontari con molta facilità.  Nello stesso tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Giuseppe Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del Sud dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli.  Mazzini, invece, poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste, aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi testimonianza della propria credenza.»  (Giuseppe Mazzini, lettera di risposta ad Angelo Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di depressione, in cui, come in gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche, pensò anche al suicidio, da cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra,  dopo essere stato espulso dalla Svizzera, riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli Bandiera.  Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli dell'ammiraglio Francesco Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società segreta, l'Esperia[63] e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Il 15 marzo dello stesso anno era loro giunta infatti la notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di Mazzini. In realtà non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già stata domata dall'esercito borbonico. Quando sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone, appresero che la rivolta era già stata repressa nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re. Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni. I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila.  Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno il brigante Giuseppe Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito.  Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta fermezza e da tanta sventura, restò commosso da quell'efferata barbarie e celebrò la memoria di quei martiri in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel loro sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo a loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la più alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita si trasfonde per tutta l'umanità. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi potete uccidere pochi uomini, ma non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo, con Aurelio Saffi e Carlo Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese. Fu l'ultima rivolta a cui Mazzini prese parte direttamente.  Moto di Milano  e sollevazione in Valtellina. Ispirato al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto di Milano, a cui tuttavia Mazzini non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe la rivolta in Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce Felice Orsini, che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato l'attentato a Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché risoltosi in una strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri.  Carlo Pisacane Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri, che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.  Il 25 giugno 1857 Carlo Pisacane s'imbarcò con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Giovanni Nicotera e Giovan Battista Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza.  Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegi gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione: perirono in 83; Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati all'ira popolare furono poi processati nel gennaio del 1858. Condan morte, furono graziati dal Re, che tramutò la pena in ergastolo.  Senso dell'impresa Pur essendo quella di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di premio», in effetti essa rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era allontanato dalla dottrina del Maestro per accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula "Libertà e associazione". Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero».  Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici... che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire»[66]. La spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione pubblica italiana la questione napoletana, la liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che il politico inglese William Ewart Gladstone definiva «negazione di Dio eretta a sistema di governo». Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana.  Appoggio a Garibaldi e ultimi tentativi Mazzini appoggiò moralmente la spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour. Dopo l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia sabauda e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.  Controversie  Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a Staglieno Conflitto con Cavour Giuseppe Mazzini, che dopo la sua attività cospirativa fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima, "deportati". Quando Napoleone III scampò all'attentato teso da Felice Orsini e Giovanni Andrea Pieri, il governo di Torino incolpò Mazzini (Cavour lo avrebbe definito "il capo di un'orda di fanatici assassini"[68] oltreché "un nemico pericoloso quanto l'Austria"),[69] poiché i due attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione. Secondo Denis Mack Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della loro rottura con Mazzini e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione. Cavour al riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo il saggista Gigi Di Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna.[73] Mazzini, intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro, pubblicato sul giornale Italia del popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento territoriale»  (Giuseppe Mazzini[74])Timori di Mazzini per la cessione della Sardegna  Estratto di articolo di giornale inglese Mazzini temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di Nizza, potesse cedere anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre Irlande”, sulla base di altri supposti accordi segreti di Cavour con la Francia, in cambio di una definitiva unificazione italiana, accordi che preoccupavano anche l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso Cavour per avere rassicurazioni sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro territorio italiano alla Francia. Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il Governo inglese, informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla Francia, protestava e chiedeva promessa formale di non cedere territorio italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.»  (da Scritti editi e inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla Francia, Mazzini affermava anche: «[...] [L]'opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la nostra, possono renderlo praticamente impossibile.»  (da Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini, Roma) Alcune affermazioni di Giovanni Battista Tuveri, esponente del cattolicesimo federalista, deputato per due volte al Parlamento Subalpino e amico di Mazzini, confermano la possibilità di accordi segreti relativi alla cessione della Sardegna alla Francia per una definitiva unificazione del resto della penisola: «Vicino a Mazzini ed a Cattaneo, ma con una propria originalità di pensiero, il Tuveri fu sempre fedele alle sue convinzioni federaliste o, in mancanza di meglio, autonomiste, né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica quando nel 1860-61 circolò insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia, intendesse cedere alla Francia anche la Sardegna»  Anche il giornale britannico "The Illustrated London News" del 27 luglio 1861 citava l'inopportunità di cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli anziani gli sfuggivano».[80] Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova fede, imbrigliava l'azione politica. Mazzini infatti non aveva «la duttilità e la mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze». Per questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di governo come fu Cavour; «[i]l compito di Mazzini fu invece quello di creare l'"animus"». Quando sembrava che il problema italiano non avesse via d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema protesta. I sacrifici parevano sterili», ma invece risvegliavano l'opinione pubblica italiana e europea. La tragedia della Giovine Italia «impose il problema italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma più moderato ma infine entrò in azione e quegli stessi ex mazziniani che avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario italiano».[81]  Le idee politiche di Mazzini furono alla base della nascita del Partito Repubblicano Italiano nel 1895. Tramite la Costituzione della Repubblica Romana, ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello per molto tempo, fu uno dei pensatori le cui idee furono alla base della Costituzione Italiana del 1948. Inoltre ebbe una grande influenza anche fuori dall'Italia: politici occidentali come Thomas Woodrow Wilson (con i suoi Quattordici Punti) e David Lloyd George e molti leader post-coloniali tra i quali Gandhi, Golda Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen consideravano Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei doveri dell'uomo come la propria "Bibbia" morale, etica e politica.[82]  Mazzini conteso tra fascismo e antifascismo  Mazzini sul letto di morte L'eredità ideale e politica del pensiero di Giuseppe Mazzini è stata a lungo oggetto di dibattito tra opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la Resistenza. Già nel settembre 1922, prima dell'avvento del fascismo, il cinquantenario della sua morte fu celebrato con una serie di francobolli. In seguito, nel Ventennio fascista Mazzini fu oggetto di citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore del regime di Mussolini.[83]. Secondo un appunto diaristico (intitolato "Ripresa mazziniana") di Giuseppe Bottai, però, l'utilizzo che ne fece Mussolini fu sempre strumentale[84].  La popolarità di Mazzini durante il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a Mussolini durante la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo del nostro interventismo».[85]  Particolare fu il caso di Bologna, città in cui i repubblicani Pietro Nenni, Guido e Mario Bergamo presero parte attivamente nel 1919 alla fondazione del primo Fascio di combattimento emiliano per poi abbandonarlo poco dopo diventando avversari del fascismo. Tra i più famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Italo Balbo (che si era laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di Mazzini" e del quale lo storico Claudio Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all'ultimo momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»), Curzio Malaparte e Berto Ricci, che nel fascismo vedeva la perfetta sintesi fra «la Monarchia di Dante e il Concilio di Mazzini».[87]  L'intellettuale mazziniano Delio Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad aderire al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito: nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal "parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal "particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore  Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio critica il Risorgimento e indicò in Mazzini un precursore del fascismo. La tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso sviluppata fino all'estremo. Mazzini, se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di Mussolini sulla funzione dell'Italia nel mondo. La rivoluzione antifascista non potrà essere che una rivoluzione "contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso, dopo la svolta unitaria del 1934 (che segnò l'inizio della politica del fronte popolare con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i socialisti), allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento operaio. I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero mazziniano anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della vita, l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata il 9 febbraio, giorno della proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che aveva avuto alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse che agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la continuità ideale fra la lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di oggi. A seguito della caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la lotta contro il nazi-fascismo vide la partecipazione dei repubblicani (il cui partito era stato sciolto dal Regime nel 1926) anche attraverso la formazione di proprie unità partigiane denominate Brigate Mazzini. Anche un comandante partigiano, proposto per la medaglia d'oro al valor militare, Manrico Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia mazziniana adottando in onore di Mazzini il nome di battaglia di "Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal patriota genovese. Altri saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri dell'uomo Fede ed avvenire Editore Mursia  Doveri dell'Uomo  Editori Riuniti university pressRoma  Pensieri sulla democrazia in Europa, trad. Salvo Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea Tugnoli, La pittura moderna in Italia, Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal Risorgimento all'Europa Mursia  Periodici diretti da Giuseppe Mazzini L'apostolato popolare Il nuovo conciliatore L'educatore Le Proscrit. Journal de la République Universelle Il tribunoNote  La Civiltà cattolica, Volume 2; Volume 18, La Civiltà Cattolica,   «La politica acquista pathos religioso, e sempre più col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F. Chabod, L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire, Paolo Rossi, Mursia, Milano 1965-1984  L'uomo nuovo in Indro Montanelli, L'Italia giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano, Susanne Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe  Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini, Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la citazione vedi anche: Memoriale Mazzini-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie White Mario, Vita di Giuseppe Mazzini su Castelvecchi Editore; Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e la religione della libertà, pag. 156, edizioni Dedalo, 1968; Francesco Felis, Italia unità o disunità? Interrogativi sul federalismo, Armando editore,, pag. 7.  Comune di Savona  Liguria magazine Archiviato il 25 gennaio  in.  Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01  Patria, nazione e stato tra unità e federalismo. Mazzini, Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche storiche, La tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta, Mazzini una vita per un sogno, Guida Editori, Il dubbio invece che si trattasse veramente di un figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (Giuseppe Mazzini: una vita per l'unità d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con cui venne comunicata a Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere qualche dubbio sulla supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata, che si trattasse di suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Salvo Mastellone, Mazzini e la "Giovine Italia", 1831-1834, Volume 2, Domus Mazziniana, 1960 («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a Ollivier, che pubblichiamo, Mazzini, pur parlando di Giuditta come della propria amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al bambino come proprio figlio:...»)  Domenico Barberis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Mazzini a Londra  È l'autrice del romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le edizioni delle poesie del marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e filosofo. Era figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del filosofo e politico William Godwin.  Susanne Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe  Miranda Seymour, Mary Shelley, caGiuseppe Mazzini, il cospiratore senza segreti  Lettere di Mazzini ad Aurelio Saffi e alla famiglia CraufordGiuseppe MazzatintiSoc. Ed. Dante Alighieri1906  Politica e storiaFilippo Buonarroti e altri studidi Pia Onnis RosaEdizioni di storia e letteraturaRoma Mazzini «pavese» e l'Unità d'Europa  Quando Mazzini scatenò il patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a Giuseppe Mazzini, Grafiche Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) 200551.  Giacomo Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni  Pensiero di Mazzini, brigantaggio.net  1946: la Repubblica nasce nel nome di Mazzini, su pri.Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. / Esule antico, al ciel mite e severo / Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu solpensandoo ideal, sei vero».  La stessa semplice scritta volle Giovanni Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla propria tomba a Firenze  Luigi Polo Friz, La massoneria italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli, Franco Angeli, Storia della Massoneria in Italia. L'influenza di Giuseppe Mazzini nella Massoneria Italiana Archiviato il 7 gennaio  in.  La stanza di MontanelliL' unità d' Italia e la Massoneria  Giuseppe Mazzini massone?  A.Desideri, Storia e storiografia, IEd. D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in A. Desideri, Ibidem  «S'identificò la storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore, rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr. J. De Maistre, Il Papa, trad. di T. Casini, Firenze)  G. Mazzini, Fede e avvenire, G. Mazzini, Fede e avvenire. Ha una visione utopica, romantica e anche sincretistica della religione, che egli considerava come il contributo, in termini di princìpi universali, delle varie confessioni e fedi alla storia collettiva.» SenatoDoveri dell'uomo, II  G. Mazzini, Dei doveri dell'uomo  Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, Mazzini il patriota scomodo  Arturo Reghini a metà strada tra fascismo e massoneria  «Noi dissentivamo su diversi punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore comune al più, se non attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche dell'oggi; sul cosiddetto socialismo, che riducevasi a una mera questione di parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai inseparabile in tutte le menti d'Europa dal moto politico io andava forse più in là di lui: sopra una o due cose delle minori spettanti all'ordinamento della futura milizia; e talora sul modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di serbar fede al Vero. Ma il differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere l'avvenire non ci toglieva d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla scelta dei rimedi» (Giuseppe Mazzini su Carlo Pisacane)  Lettera a Ernesto Forte Londra. Noi crediamo in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un miglioramento ulteriore…» (Mazzini, in E. Bratina). La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo).  Leggeva Dumas e i testi buddisti Il volto inaspettato di Mazzini  Il Foscolo, che scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un "libercolo" attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi futuri, affermava che la fama dell'abate era "santissima" fin dalla fine del sec. XVI, tanto che Montaigne, desiderava di poter vedere questa meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les papes futurs, leurs noms et formes»  G. da Fiore, Concordia Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti manoscritti di Mazzini, Impronta, Torino, Roland Sarti, Giuseppe Mazzini. La politica come religione civile, con postfazione di Sauro Mattarelli, Roma-Bari, Laterza,  A.Omodeo, Introduzione a G. Mazzini, Scritti scelti, Mondadori, Milano,  «L'Italia trionferà quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano 1956  Mazzini: comunismo vuol dire dittatura  Il "Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini  Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3°  G. Mazzini, Doveri dell'uomo, cap.XI (in Andrea Baravelli, L'Italia liberale, ArchetipoLibri,  A. Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, POMBA, 1G. Mazzini, Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e inediti, II, Imola,G. Mazzini, op. cit.  Nome col quale i greci indicavano l'Italia antica  L. Stefanoni, G. Mazzini: notizie storiche..., Presso Barbini, Ricordi dei fratelli Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza  Documentati colla loro corrispondenza, Dai torchi della Signora Lacombe, C. Pisacane. Volantino pubblicato su "Italia del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di Mazzini?, in la stampa. D. Smith, Mazzini, Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore, A. Cappa, Cavour, G. Laterza, definizione di Cavour riportata da The Morning Post. We have three Irelands, in Sardinia, Genoa and Savoy  La terza Irlanda, Gli scritti sulla Sardegna di C. Cattaneo e Mazzini, Carlo Cattaneo, Giuseppe Mazzini, Francesco Cheratzu, 8pagg. Mazzini La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The Illustrated London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le citazioni sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a Mazzini, Scritti scelti, Mondatori, Milano, (D. Fusaro)  P. Benedetti “Mazzini in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa'; Dal diario di G. Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione nazionale di Mazzini trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte pagine. O meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico tagliacarte: e ne tirava fuori brandelli di Mazzini. A quando a quando il brandello anti-francese, anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc. etc. Brandelli, mai tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia personalità; S. Luzzatto, Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Roma: Viella, ); P. Benedetti "Mazzini nell'ideologia del fascismo"  G. Belardelli, “Camerata Mazzini, presente!” Gentile, Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti tentarono di arruolarlo, Corriere della Sera; “Manifesto realista” pubblicato sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l'itinerario politico di D. Cantimori, R.  Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo: L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni.  P.Togliatti, Sul movimento di «Giustizia e Libertà», in Lo Stato operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti); M. Fatica, Amendola, Giorgio, in Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, P. Mieli, "L'Italia impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della Sera, M. Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della Sera in Arianna editrice  Mario Ragionieri Salò e l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art. cit.  Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. “Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi, Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino, POMBA); A.Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, F. Chabod, L'idea di nazione, Bari, Laterza, G. Monsagrati (Milano, Adelphi); G. Batini, Album di Pisa, Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito d'azione, Milano, Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; M. Albertini, Il Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, D. Smith (Milano, Rizzoli); S. Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); A. Desideri, Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come religione civile (Roma, Laterza, S. Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia, Marsilio); P. Galletto, Nella vita e nella storia” (Battagin);  N. Erba, Unità nazionale e Critica storica, Grasso , Padova. N. Erba, Il Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava Appendice. Storia e politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear Kate. Lettere inedite di Giuseppe Mazzini a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani a Londra, Rubbettino; Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I sistemi e la democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di Mazzini scelta di pagine dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo, repertorio dei nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche e incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo,G,M.- L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R. Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. Mazzini, sceneggiato RAI, regia di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di L. Magni.  Mazzini è interpretato da Bucci. Noi credevamo di M. Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Anita Garibaldi, miniserie di Rai 1 ; interpretato da Alessandro Lombardo. L'alba della libertà, cortometraggio, regia di Emanuela Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana Domus Mazziniana Doveri dell'uomo Mazzinianesimo Monumento a Giuseppe Mazzini (Firenze) Museo del Risorgimento e istituto mazziniano Pensieri sulla democrazia in Europa Risorgimento.  su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.  su sapere, De Agostini.  (IT, DE, FR) hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera.  GDizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera, Camera dei deputati.  Istituto Mazziniano a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia, su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini. Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana, stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51671592017/in/photolist-2mJ3q6x-2mJ3q6n-2mJbZzZ-2mJb1x1-2mJ3q6C-2mJb1wQ-2mJbZBC-2mJb2oV-2mJ7x72-2mJ3q8w-2mJb1yi-2mJ7xUQ-2mJ8L5B-2mJ7xVw-2mJ7x7Y-2mJ8LUH-2mJ7xUV-2mJ7xVG-2mJ8L6J-2mJbZAR-2mJ3q8B-2mJ3q6c-2mJ8LUC-2mJbZC9-2mJbZzP-2mJb3w1-2mJ7z8m-2mJc2E5-2mJb3xU-2mJ8N7x-2mJ7z8g-2mJ8N9S-2mJ3sa7-2mJ8Nao-2mJ3s6V-2mJ3s9A-2mJc2Fh-2mJb3yF-2mJb3xZ-2mJ7z6T-2mJb3zN-2mJ7z7z-2mJ7z7j-2mJ8Nb5-2mJ8N8z-2mJ7z8G-2mJ7z5W-2mJ8NaP-2mJ8N7H-2mJ3s8P

 

Grice e Mazzoni – implicatura – filosofia italiana – la vita attiva dei romani -- Luigi Speranza (Cesena). Filosofo. Grice: “Mazzoni is important on various fronts: he loves Dante, or Alighieri as Strawson calls him – his library in organised alphabetically; the other front I forget!” Compì i suoi studi di lettere a Bologna e quelli di filosofia a Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del papa Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire nella carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa, dove ebbe la cattedra di filosofia. Nella città della torre pendente, conobbe un giovane insegnante di matematica, Galilei, con il quale instaurò ottimi rapporti. Nel 1597 fu invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di Roma. Benché avesse da poco preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro Aldobrandini nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi sulla strada del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa della Commedia di Dante Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse alla notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a Bologna inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome, in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri. Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis philosophiam preludia pubblicato nel 1597. In questo libro egli sostiene il sistema geocentrico aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata teoria copernicana eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché Galileo Galilei, dopo averlo letto, gli inviò una lettera, datata 30 maggio 1597, nella quale difendeva Copernico e le sue teorie. Questa missiva rappresenta la più antica testimonianza dell'adesione alla teoria eliocentrica di  Galilei. Mazzoni, Prefazione, in Mario Rossi, Discorso di Mazzoni in difesa della "Commedia" del divino poeta Dante, S. Lapi.Saggi: “Discorso de' dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso in difesa della Comedia del divino Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri); “De triplici hominum vita ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi tres, quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in quibus omnes Platonis et Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo scientiarum orbe discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della Comedia di Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno alla risposta e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Giuseppe Toffanin, Jacopo Mazzoni, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Jacopo Mazzoni, su sapere, De Agostini.  Davide Dalmas, Jacopo Mazzoni, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Jacopo Mazzoni, su accademicidellacrusca.org, Accademia della Crusca.  Opere di Jacopo Mazzoni, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Jacopo Mazzoni,.  Arnaldo Di Benedetto, Iacopo Mazzoni, in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Enciclopedico Brockhaus ed Efron, Маццони, Джакомо. ostracismumlaudabithuiusceReipub.formam ciae & AJ de Repub. ses,illudaffequebantur,quodimprobimelioresessentco-Achen. oss ditione,quàmprobi,quodquidememanauitexeo,quod RE IPÛ BLICAE ROMANORVM FELICITAS cibiadis.   VITAE ACTIVAE . ficiendaerant,adConfu .pertinebat-examinarediligen ter,coacionesquotiesopusefleteuocare,SoCspopulore ferre,quicquidque'maiorparsiusfillerexequio1 9 7.66 quinetiaminhisquaeadbelliapparatum ,& caftrensem disciplinampertinet,hifummuni imperium habebant: hiseniiuseratsocijsquicquidvisunteller imperare,Trib. m i l i t u m c r e a r e , d e l e &t u n i q ; h a b e r e , a d h a e c d e h i s q u i s u b corum imperio erantin caftrisarbitratu suofupplicium fumiere,hispraeterea licebat comitante quaestore,lacse dulo imperatafaciente,publiciaeris,quantum resipsa posset,Reipub.fornianiRegiam eflë. 768 Senatusautemprimoquidemacrarijtotiusdominuserat atg;administrator:nam & redditusomnesin eiuserant potestate,& eiusdemarbitratu impensae fiebant,malefi ciaque & crimina per Italiam commiffa ,de quibus Iudi. cium publicacfieridebebat,vtputaproditionis,coniura t i o n i s, v e n e f i c i j, c a e d i s , a t q ; i n s i d i a r u m a d S e n a t u m r e f e e rebantur,eiuss;dehiseratcognitio. 769 quòdsivllaapudItaloscontrouersiadirimenda,fipubli ca,velpriuatim quispiam ,velciuitasobiurganda,ficui auxilium,autpraesidium ferendumesset,de his omnibus curam Senatusadhibebat. codemo  popularisReipub.fornia videtur. 764 Consulesenimantequàm exvrbelegioneseducerentvr 2. 765. quinimò&quaedeR.P.perpopulum tranfigenda;& có. , {{ { 1 Pin !! porro tuleritimpendere. 767 quòdfiquisadhancpartemrespexerit,probaliterdicere viderelicettuniRegiam,optimorum,populiģ;gaberna tionem:quotiesenimConsulum imperiuintueamur,Re gia,quotiesveròSenatusauthoritatem optimarum admia niftratio,quotiesautem populi poteftatem respicimus, banaruniomnium rerum ins,atq;imperiuna habebant: hisetenimcaeterioninesmagistratus praeter Tr.Ple.fa? bijciebantur,hilegationesincuriam traducebant,hicea leriterquaeerantdecidendaitatuebant,negociaģ;magna adSenatum:referebant,& penèsipsos(vtquae patresde: creuissentseduloperficerentur)curaomnis& administra tio erat . 1 1  METHODVS. 56 770 codemq;modo fiextraItalianiad aliquos legatso mitten da esset,veladaliquiddecidendum,veladfoedus facien dum,veladcohortandum,velad imperandum,autpoftre mo adresrepetendas,autadbellumindicendum,haec inyrbenyenerintagendum ,quideisrespondendumin populocommune,adeo vtquotiesquisadvrbem consuli busabfentibusprofectuseffet,prorsuseiRespub.optima tumconfilioregi,& gubernarivideretur,quodfanèmul tiGraecorum ,& Regum perfuafum habuerunt,quod ne gocia,quaeinvrbehaberentferè,omniaperŞenatum tra is incos,quimaioresmagiftratusgeffiffent,admittebatur. -774 folusautem capitedamnandipotestatemhabuit,quainre illudsanèapudeoscommemoratione digniffinum fuit, quod eorum instituto ijs quicapitis damnati fuerant ,vt on exvrbepalan egrederentur,permittebatur,acfiTribuum vnaexhis,quaeiudicium exercebantreliquafuerit,quae in nondumfuffragiumtulerit,exiliun:reosibiarbitratusuo deligendifacultasdabatur,exulesautem Neapoli ,Praene siæe,Tybure,atg;inaliaquauisfoederatorú vrbetutoelle deferebat,legeetiamcomprobandi,acsanciendiiushabe bat,& quodcaputeitisdepacedebello,defoedere,decó trouersijsdecidendis,aurcomponendisdeliberauit,atque v n u m q u o d q u è h o r u m r a t u n i, a u t i r r i t u m f a c i e b a t , q u i bus,exrebusprobaliterpofletaliquisdicere,populuni si bimaximaminR.P.partem vindicalfe,acReipub.formā Senatusipfecurabat,& prouidebat. - 771 praetereaquiddelegationibus exterarumgentium,quae ܀܀ expopuliadministrationeconfatam fuisse. 776 quòigiturpactoRespub,inpartesdiftributafueritiam ܀| sigerentur. 773 suaetianıpopulo,&eaquidemamplissimaparsreli&aest: poterant . 775 praetereapopulusipsemagistratusdignissimisquibusque Senatusvoluntate,arý;arbitriopofitumerat. -772 atq;horumquidem,quaesuperiusdictasuntnihileftcum foluseniniinRepub.& poenae,&praemijspotestatem ha ... bebat,&plerunq;inalijsetiamquaeftionibusquotiesgra priuior alicui'maleficijmulata irrogánda effet,& praesertim ditum  VITAE ACTIVAE . rendas,acperficiendasidoneushauderat. 777 conttarenimlegionibuseorumaliquidmissum,quaeillis publicesuppeditarisolebant,namq;fineS.C.neớ;frumen tum ,neq;vestimenta,nec obfonia legionibus administra r i p o t e r a n t, a d e o v t e o r u m , q u i e x e r c i t u s d u x i s s e n t e x p e ditiones,& confiliaomnia,quotieseis obftare,cum eila; maligneagereSenatusinanimum induxiffet,irritaredde rentur,& minimèadexitumperducerentur: 778 quinvtquaeilianimo& cogitationecomplexifuerant, acfibiproposuerant perficerepoflent,iliSenatus volunta tepofitum erat:namispoftquàniannuumtempuspraete rierat,autsuccessoresmittendi,autimperium prorogan dipoteftatemhabuit,acetiampenèseundem fuitducum resgestas,& dignitatemvelextollere,atý;ornare,velele uare,ac deprimere :naniTriu nphos,neộ;vtidecet a p p a rere,neġ;ducere cuiquam licebat, ni aliensus fuiffetS e longissimeabfuiflet,populicerteaflensuopuserat,quodq; eftomnium ferèmaximum ,omnesimperiodeposito,po pulo eorum quaegefferint rationem reddereoportuit, quapropterConsulibus,caeteris“;Imperatoribusminime expediebat,Se.po.què voluntatemergaseconteninere. 780 rursusianiSenatusquamuistantùminR.P.potuerit.po illius authoritatem approballet populus , 781 praetereasiquisexTrib.pleb,intercefferit,nedum Sena erat 1  natus,& ineiusfumptumerogasserneceffaria. 779 etsiquisexprouinciadecederevoluisset,quamuisdomo pulum tamen intueri,ac illius rationem habere coactus fuit:inmaximisenim ,atg; atrocissimisquaestionibus eorum maleficiorum,quaecontraRempub.conmislaca-. piteple&untur,nihilSenatus exequipotuiffet,nisiprius tusnihileorum quae decreuerat perficere:sed ne sedere quidem ,automninoincuriamvenirepoterat:Trib.autí 1 1 d i & u m est : n u n c a u t e m q u a r a t i o n e p o t u e r i n t p a r t e s illae quotiesvoluerint,sibimutuo repugnare,fibiq;inuicem opitulari,dicendum eft:enimueròConsulpoftquameani, quamsuperiusdixifacultatemadeptus, copias eduxerat, f u n i n i o q u i d e m ille c u m i m p e r i o v i d e b a t u r esse : v e r u m populi,acSenatusauxilioindigebat,acsinehisadresge 1   eratofficium idfemperexequi:quod populovisunrfuerat ciasý voluntatem quanimaximè respicere,hisomnibus cepissent,eosreleuandi;siquae difficultas,autpublicuni seei sintortunium ;quominusellentfoluendiobstitisser,loca . tionemgprorfusinducendi,ius& poteftatem habuit. 784 eodeniemodoConsuluthactionibustimidè,acminime l i b e n t e r a d u e r s a b a n t ü r t u m p o p u l u s ,t u m S e n a t u s c a n i f o ris,militiaeq;vniuersusexercitus, & finguli,quia fub c o ad seinuicemiuuandun,& impediendum adomnes rerú 217;.occasiones;exopinionePolybijeaminterseaprè,conue Bodi nichteré connexae;dispofitaeq;fuerunt,vthacnullam e Izifior,praestantiorgReipub formareperitipotuerit.' 5786name,cumhabeantomnesRefpub.inorbequandam có 11.4,.uerfionem,&mutationem :nullamipsehacfirmioremar Essen bitratuseft,fiquidem poft vniuersaliadilaniaamissis,ac f u b l a t i s a r t i b u s & f t u d i j s, a l i q u o p o s t t e n p o r i s i n t e r u a l l o rursushumanum genusauctum & propagatumfuit,quo tempore inhominibasnaturalearbitraridebemus,quod etiain inrationecarcntiumanimalium generibuscótin gerevidenius,inquorum gregibusfortiffimusquisý;m a nifestòprincipatum fibivendicat:omnesenim fortissimú & potentisfimumfectabantur,aró;itavniusdominiuni oliniigiturquisemelhonoreillodignihabitisunt inre gnisconsenescebant iufta ftudia fe& antes nullaq;propter c o s i n u i d i a , fi q u i d e m n o n m a g n a i n e i s a u t v i & tis, a u t v e  ròomnibusSenatuspraeerat. 7837 idem diem proferendi,fiquam publicanicalaniitatemac -;-- rum imperio,acpotestateeflent. *785iHaecporrò cum elfétvniuscuiusýpartium vis& facultas - T I M E T H O D V S .: 57 decáüllismultitudinemSenatusmetuebat,ad populique :voluntatem ,ftudiuni& cogitationessuasdirigebat. 787 atcontraSenatuipopulusipseobnoxius,&fubie&userat, 11.06,eumquevniuerfim,&fingulatim colere,arg;obseruaresua 249.3) permagniinteresseputauit,cum enimeffentinItaliamul bidid tave&igaliunigenera,quaeCenforesinfumptusappara 33°53.stusd;publicos locare solebant:in hisomnibus conducen 0 1 . 1 7 . d i s, & c u r a n d i s p o p u l u s i m p l i c i t u s ef fe c o n f u t u i c :h i s v e conftitutum eft. 287 H Iitus   kitusgracatiocernebatur:verumfuniperin éculisciuium w i t a n i l a g c o t e s, c a d c m q u a p o p u l u s v i c t u s r a t i o n e v t e b a n 7 8 8 l e d p o f t q u à m h o r u m filij c u m i a m c o m p a r a t a b a b e r e n t imperio,essentdifferre,& ad haec licexe etiamfpemine 3 7 : p r a e m e t u c o n t r a d i c e n t e ): i n c o n c e f u s . c o n c u b i t u s a p p e t o re,ató;itacoortaeftexRegnoTyrannis. Noći 789 atghocmanifeftèliquet,exCyri,Cam.bylifqueimperio, .:fortissinisviris coniurationes,adinuante etiam ducum En fuorumconfiliamultitudine,atg;iliusimperijquodpe nesvnum erat formafacilevedeleretureueniebat,atque indeiam optimatum principalusortunt,atqueinitium accepifient,educatiabinitioin poteltate,ang honoribus apparatus,alijsad vim mulieribus perItapra,& raptus inferendam ,alijdenių;adaliaturpialeconuertebant,atậ; itaoptimatum principatusad paucorun dominacionem hinc illorum imperioper idem quod Tyrannos oppresse ratinfortunium finişimponebatur,ncq;praetereaRegen crearelibuitsobiniuftitiac,quasuperioresvsifuerantm e tum ,neg;pluribuscommittereRempub.audebanttam re centi rei malae geftacniemoria ad suanı igitur fidem p u blicarecipiebant,atq,itapopularisforniaeffe&aeft. 794 horumpoftremofilijpluscaeterisįnR.P.pofseconten debant; atg;sinhanc cupiditatem ,maxime locupletiores incidentesmaximispecuniaelargitionibasplebem cor runipebant  1 T? VITAE ACTIVAÈ . paternis,proptereaaequabilis,communisų libertatisru ;,-des& ignari,alijvinolentiam ;& luxuriofosconuiuionum translatuseft. 793 praesidia,& rebusadvi&um pertinentibus,magis quàm pro neceffitateabundarent,ob nimiam bonorum copiam , atq;aff.uentiamcupiditatibusobsequentės,arbitratifunt oportereprincipes,ornatus& epulisabijs,quifubeoruni f :: quod& Herodotusaffirmat. 799 contrahuiuscemodiprincipesfiebantàgencrofiffimis,& 1 1 tur . duxit . 791 hiprinòadministrationcgaudentescommunivtilitate del nihilantiquiushabuere, 31.disinijinsi 7 9 2 ,S e d c u m i a n i e o r u m l i b e r i e a n d e m å p a t r i b u s p o t e f t a t e m   1METHODYSI 58 rumpebant,quaeaffirefacaalienabonaconselle,vitách; fuaespem omnem inalienisfortunisponerefacileducem elaroanimo,ace;audacise&abatut,atý;tumReipub. for mailla,cuiusconferuatio in flavum fiduciapofitaeft, nascebatur,fiquideintumplebsinvnum coactacaldem facere,ciueseijcere,profcriptorum ;agrosdiuiderein Scipiebat,donecfacuum tuufus,&erforatum,vniusiruperit *0 um reperiretur,: 2 795 quapropterhismotusrationibuseampraecaeterislau Respub.benainaliambonam non mutetur quam bona innalam,fiquidem (ytAristotelesdiçit)inbabentibusinfi.dese Symbolumfacilior efttrálitus,an quiafimilitudo ila,ali neracione. quamqaogcontrarietatemrequirit?quodquidéinEle's atme mentorumtrasmutationeliquidòparet:inhisveròReip. niutaionibus,quisfimilitudineni,& contrarietateinnes gabit) ACVLTAS R O -M A N O R V M . 797 quoadlegesveròattinet,quibusviifuntRomaní,occur rimtnobismulca,quaevtfigillatimesplicentur,røm ab otoexordientur;& inprimisantequamRomulusleges 1.2.demai. vixit . 798 pokealogesquasdamipfetulit,cum alijsfequentibusRo. gibus,quascuriatasappellarunt,fequidemconuacatoper trigintacuriaspopulo Imgalifý;curijsinseparatasepra conftitutis&sententiamrogatistegesolim ferebankor,;? quae populi congregario-comitia curiata dicebantur,à . . cocundo;quòdpopuluscoiret,& viritimlogesterret,& dicerScruiusTulliusRex hunc mioremimuutle:camépo pulo eaporekasrelictaest,vt plebiscita,& leges comitijs.  dätPolybius,quaeoninesRerumpub.forniasin seconti not atg congregat,nequacaruim vlera quàm facis fit au & a 1ist. & prouceta in sibiadherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret:fódvniufcuiufớiroboreacpotentiainterfeinui liseem obnitentesullaciuitatisparsvfquam declinaret,ne 1.Dvivein altum propenderer. 13961 ex supradi& isautem dubucabit forfan aliquis,curfaciliusa Pomp.in suriarasferretpopulusincertoiurs,incertisquelegibusparis. H 2 curiaris LECALI vinil  in1.& ler VITAE ACTIVAE. COROLLA'RIY M, 1Augusto.799:hinc&SuetoniusaitTiberiumàCaefarein forolegecu .. riaelleadeptatum,hoceftfuffragijspopulipercuriascol lectis. quidam retulerunt.'!,50367*pe: TAPE PTA LEGALIA ! I l a r u n t, a d h a e c v e r ò a d d i t a s u n t p l e b i s c i t a , S e n a t u s c o n fulta,practorumedicta,&principum placita,exquibus 1 EJSER VI. 806:Seruorumverò(cuiusorigodeiuregentiumfluxit)iuxta curiatisferrentur,iii IB":NOI 381 ? quaedam .de iur. 8oz idemparierrorelabiturybiputabat,cum quiinciuitate s u a F a c i n u s p a t r a s s e t , si i n a l i u m l o c u m p e r u e n i f f e t a c c u s a m o m .iud. ai tik d i t e r e a s u n t p r u d e n t u m d e c l a r a t i o n e s , q u a s r e s p o n s a a p p e l uorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps RegibuslegeTribuniciaRegumleges antiquataesunt,poftquècaepitpopulusRomanusincer tomagisiure& consuetudinealiquavti;quamlegelata, d o n e c d e c e m v i r i l e g e s à G r a e c i s p e t i e r u n t, q u a s i n t a b u liseburneispraescriptaşpro roftrisappofuerunt,vtfaci lius percipipoffent,atý;cum animaduerfumeffetaliquid 1 primisistislegibusdeelle;aliasduaseisdem tabulis,adie cerunt,& itaexaccidentiappellataesuntlegesduodecim 14 'ride illo crimine non potuisse exemplo Hermiodori. quidemomneiusRomanorum coaluit. 804quodquidem yniuersumrefertur,veladpersonas,velad res,vel ad a & iones . Iureconsultiverbavnatantùntfuitconditio,istig;domi defta.ho. nioalienocontranaturam subijciebantur. :.ning Liberi in li. c u m tabularum ,quarum ferendarum authorem fuiffe deccm Cic.I.v.in. virisHermodorumquendáEphefumexulanteminItalia Tus, argumentum adexules.net ibni i P E R S O N A E lib.3.f.dedos hominesautem autliberisunt,autferui. fta.ho. li ? رز inli.2.de80r rationeveròhuiusHermodorinonrectè colligitBaldus زل: { or.iu. E P'T A , 8oz inillisautêquiafummaeratobscuritas desiderataeprop habent,quodlibet faciendilegenon prohibitum ,atý;isto rum ,alijsuntliberti,alijlibertini,alijingenui. quiàmorteinvitamillosreuocarunt,appellabantur. -809 horun,autem alijciueserantRomani,quivindi&ta,censu,Vlp.cap.s. : a u t t e s t a m e n t o n u l l o i u r e i m p e d i e n t e n i a n u m i s l i s u n t, alij instic. latiniIuniani,quiexlegelunia interamicos manumisli funt,alijdeditiorum numero ,qui propter noxam torti nocételáinuentisunt,deindequoquomodo nianumisli. LIBERTINI. INGEN VI. $ 11. Ingenuorum veròalijluisunt iuris,alijverò alieno iuri fubie&i. 812 etsaviequialienoiurisubie&isuntfilijfamiliâsappellan-1.1.f.&his tur,quiinditione,& poteftatepatrissuntvelnatura,velquisútlui adop. 813 naturasuntquiexnuptijsvxoris,& maritioriuntur. NVPILAE. 814 NuptiacveròapudRomanostribusperficiebanturmodis Bəê in2: tiaepercoemptionem . 816 Mulieresautem quae in manu per coenuptionem conue nerantmatresfamiliâsvocabantur,quaeveròvsu,velfar reationeminime. 817 caeteraealiaevxoresvsuerant. 818 animaduertendumestautem maximam fuifledifferentia adoptione. farreationenempè,coemptione,&ylu,& fanèfarreatioTop.Cic. folispontificibus conueniebat. -815 coeniprioverò cereissolemnitatibusperagebatur,fese.n. ܀ 1. 2. ff.de METHODVS.; 1 I B A R I. 59 807 Liberisuntquinulliusimperiofubie&ifacultatemliberā LIBERT1. 308 Libertifuntquosdominiexiustaserui. Il convito di Platone. OPERE DEL MAZZONI SΤ Α Μ Ρ Α Τ Ε. I. Discorso de' Dittonghi di Giacopo Mazzoni all'Illu strissimo Signor ilSignorFrancescoMaria de Marchesi del Monte . In Cesena Appresso Bartolomeo Raverio 1572. in 8. Questo Discorso sitrova altresì inserito nella celebre Raccolta degliAutoridelbelParlare,impressanellaSa licata Tomo III. pag.1015. e segg. II.Discorso diGiacopo Mazzoni indifesa della Comme dia del divino Poeta Dante. In Cesena per Bartolomeo R a verii1573.in4.LadedicaèAlMoltoMag.mioSig. Osservandissimo il Sig. Tranquillo Venturelli . D a Cesena alli 15. di Giugno 1573. D e ' motivi, che indussero l’autore a scrivere questo dotto ed ingegnoso Discor so , se ne ragiona qui addietro a cart.19. e segg. III. Jacobi Mazonii Oratio in funere. Guidiubaldi Fel trii de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum Concordiam1574. in4. IV.JacobiMazonii Cæsenatis deTriplici HominumVi. ta ,Activa nempe , Contemplativa , ei Religiosa Methodi tres,Qyestionibusquinque millibus centum etnonagintase ptem distincta . In quibus omnes Platonis et Aristotelis , m u l tæveroaliorumGræcorum,Arabuin,etLatinorum inuni verso Scientiarum Orbe discordiæ componuntur. Quaomnia publice disputanda Roma proposuitAnno salutis M.D.LXXVI. Ad Philippum Boncompagnum S.R.E. Cardinalem amplissi mum .CæsenaBartholomæusRaveriusexcudebatM.D.LXXVI. in 4. Questo volume contiene le celebri Conclusioni di quasituttelescienze,cheilMazzonidifesepub blicamente nell'età di 27. anni con meraviglia di tutta  S2 . 1 DEL MAZZONI. 139 Ita   1T Della Difesa della Commedia di Dante ec. Parte Pri ma ,che contiene liprimi tre libri,pubblicata a beneficio delMondo letterato.Studioe SpesadiD.Mauro Verdoni, « D. Domenico Buccioli Sacerdoti di Cesena , e da essi dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante Pilastri Patrizio Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referen dario , Abbreviatore de Curia , e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost.CommissarioGenerale.In Cesena Per Severo Verdoni M.DC.LXXXVIII. in  140 VI A e V. DellaDifesa dellaCommedia diDante distintainseta te libri ; nella quale si risponde alle opposizioni fatte al D i s corso di M. Jacopo Mazzoni , e sitratta pienamente dello arte Poetica , e di molt altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle belle Lettere . Parte prima ; che contiene i primi tre libri.Con due Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe verendissimo Sig.ilSig. D. Ferdinando de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In Cesena Appresso Bartolomeo Raverii l'Anno MDLXXXVII. in4. . Italia . N o n seguì però questa famosa Disputa in R o ma nel 1576., com ' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna nelFebbrajo dell'anno seguente; on degliconvennemutare ilfrontispizio alsuolibro, e porvi: Quæ omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno SalutisM.D.LXXVII. Veggasi qui addietro dalla pag.35. sino a43. ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e delmeritodiquestolibro. ΤΑ e 1 . DellaDifesa dellaCommedia diDantedistinta insette libri , nella quale si risponde alte opposizioni fatte al Disa corsodiM.JacopoMazzoni, esitrattapienamentedell' Arte Poetica , e di molte altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle lettere. Parte Seconda Postuma , che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora pubblicata 4.   DELMAZZONI. 14.1 a > incuisitrova,cosìpergloriadelMazzoni,come p e r l e i n s i g n i q u a l i t à d e l P r e l a t o , c h e v i si r i l e v a n o , c r e d o ben fattodiriportarlainquestoluogo,edèlaseguente.  a beneficio delMondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD. Domenico Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata All Illustriss. e Reverendiss. Sig. Monsig. Rinaldo degl Albizzidell'una e dell'altra SegnaturaRe ferendario , Giudice della Sacra Congregazione di Propagan da , ePrelato domestico di N. S. Papa Innoc.XI. in Cese na per Severo Verdoni 1688. in 4. Nell'occasione , che D. Mauro Verdoni , illustre letterato di Cesena , ebbe ri soluto di pubblicare questa seconda parte della Difesa di Dante , vedendo che la prima era di già divenuta assai rara , si determinò d i dover ristampare anche questa , siccome fece , dedicandola a Monsig. Sante P i laseri Prelato Cesenate per dottrina e per esemplarità di costumi riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal effetto al Verdoni ed ajuto e favore . M a essendo Monsig.Pilastripassatoamigliorvitaintempo cheap pena n'eraterminata lastampa, convenne aglieditori > procacciarsi un nuovo Mecenate , cui subito ritrova rono senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di Monsig.Muzio Dandini Vescovo diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è avvenuto che quasi tutti gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a questo secondo , ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale siconserva pres so dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig.Dan dini. La dedica a Monsig.Pilastri è in data de 10. Settembre 1688.9, e quella a Mopsig.Dandino è de'17. dello stessomese edanno.Epoichèquestaprimade dica merita assolutamente d'essere tratta dall'oblivio > . ne Illuge   142 VITA 'animo fatociperultimare que sta grande impresá frastornataci da tanti ostacoli) abbia mo stimato convenientissimo debito presentarla a V. S. Illu striss. per una particella di dovuta restituzione , eriman dar(comesidice)questoFiumealsuoMare.Nepunto erriamo,sesottonone diMare ricopriamolavastità delsa pere , la profondità della prudenza , i tesori delle Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga che, se sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita, a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità , emulando la pietà de'suoi Avi, eregga agliEroidelParadisogli Altari;sovvengaleCongregazioni del Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità dal Porporato , che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami delpiosuo  > Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla scena delMondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e l'altre venerabili doti, che adornano l'animo di V. S. III., puossi senza veruna nota concludere, che sia sempre stato secondato da segnalatissimi favori nelli suoi ingegnosi parti ilnostroMazzoni; mentre questi sono stati sempre genero samente accolti, edalle prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi sino da’Chinesi iportenti di questo grandeingegno. Ondenoiinconsiderazione dellegrazietan tevoltecompartiteci,e dell tria , ' Fondatore , non potiamo, nè dobbiamo concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano , se non quello, che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1   DEL MA ZZONI. 143 Præceps illamanus Auvios superabatIberos,  zioni,eprove dell'amore che V. S. Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i religiosiattestati della sua pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari , non le consacri tuttose stesso in olocausto ? Se nontemessimo tormentar quivi la sua modestia , proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran dilezione verso la Patria , e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino legrazie,ifavori, eisovvegni conseguitidallabontà diV. S.Illustriss., ch'e Aurea dona voinens . A questoMareadunque,ladicuigentilissimaaurahacci sovvenuto a condurre alporto un Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj, abbiamo noi presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro, col solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra Patria ha saputoprodurre iMazzoni , i > Chiaramonti , i Dandini , e gli Uberti , preseduti alle pri me CattedrediRoma,diParigi,diBologna,ediPisa, ha ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimiFigli, chegli hannogenerosamenteaccolti,favoritiegraziati. Egiacche questa Difesa per se stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore , che ha saputo mettersi in tal quadraturii coll' altissimo suo sapere , che non paventa veruna offesa ; resta perciò liberaaV.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di noi, che abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e riverentissimo tributo della nostra divozione al di leigran Nome ; che non potrà mai ricor darsi e da noi , e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un eccessivo ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è , che nella Patria in vedere le affettuose dimostra f > mula di quelGrande , neque negavit quidquam peten tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est .   Cesena 10. Settemb.1688. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di Jacopo Mazzoni intorno alla Risposta ed alle opposizioni fatregli dal Sig. Francesco Patricio , per  144 V I T A. est . M a vaglia per tutti, e sia ne' fasti dell eternità a caratterid'oro registrata la grande restituzione , che ha fat to alla Patria del suo gloriosissimo , e primo seguace del Redentore,MartireePastored'EvoraS.Mancio ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata dalla dileiPietàrav vivata ; le di cui Sante Reliquie , fatte portare dalle ultime regioni del Tago , siccome hanno impietositi gli Altari , così ancora hanno indotta tal venerazione del di leiNome , che ingegnosamente si dice , meritar ella corona più preziosa di quella , che da'Romani donavasi a chi rendeva i suoi Cit tadini a Roina;ovvero che solamente lapietà diMonsig. Sante ha saputo accrescereifigliSanti allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede ogni giorno più sta bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena . V i v a d u n q u e i l n o m e d i V . S . I l l u s t r i s s. , e f i n o c h e i n o s t r i celebratissimi Rubicone e Savio tributeranno i loro liquidi argentiall'Adriatico,restiimpressa neglianimidituttila memoria di si gran Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti moteo , a cui non Atene , m a Cesena , che è pur l'Atene della Romagna,ergapertrofeounacoronadicuori. Mentrenoi. restringendocia supplicarladigradire quest'attestato delno stro umilissimo ossequio , riverentemente inchinati, la sup plichiamo anon isdegnarsidipermetterci,checipubblichid mo per sempre Di V.S.Illustriss.eReverendiss. Vmiliss.eReverentiss. Servi Obblig. D. Mauro Verdoni , e D. Domenico Buccioli > te   DEL MAZZONI. 145 tenente alla Storia del Poema Dafni , oLitiersa di Sositeo Foeta dellaPlejade. InCesena appressoBartolomeoRaverii l'annoMDLXXXVII.in4. VII. Ragioni delle cose dette , ed'alcune autorità citate da Jacopo Mazzoni nel Discorso della Storia del Poema Dafni oLitiersa di Sositeo . In Cesena per Bartolomeo R a verii 1587. in4. Del merito diquesti dueOpuscoli, e della cagione , che indusse l'autore a scriverli , si vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. IX. Jacobi Mazonii Cæsenatis , in almo Gymnasio Pisano Aristotelem ordinarie,Platonemveroextraordinem profiten tis, in universam Platonis etAristotelis Philosophiam Pre ludia , sive de comparatione. Platonis et Aristotelis . Liber Primus.AdIllustrissimumetReverendissimumCarolumAn sonium Pureum Archiepiscopum Pisanum .VenetiisM.D.XCVII. Apud Joannem Guerilium in fol. Questo volume , che dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato il suo capo d'opera , si vede al presente giacere quasi in una totale dimenticanza , colpa de' nuovi sistemi di Filosofia , che di poi si sono introdotti . Ad ogni m o d o è o p e r a d o t t i s s i m a , e q u a n t o m a i s i p o s s a d i -. re ingegnosa , e nel suo genere affatto singolare ; con tenendo quasituttiisistemidegliantichiFilosofiesa  1 Februarii anno CIDIO XXCIIX . In Exequiis Catherina M e dices Francorum Regine. Florentia apud Philippum Jun ctam M.D LXXXIX. in 4. L'Autore dedica questa sua . VIII. Jacobi Mazonii Oratio habita Florentia VIII. Idus Orazione a Don Virginio Orsino Duca di Bracciano per 1 ! i molti favori , che avea ricevuti da questo m a gnanimo eliberalissimoSignore;dallacuigentilepro pensione verso di sè dice , che sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un giorno cose molto maggiori . . mi . T   minati ed illustrati in una maniera sorprendente. X. Lettere . Una lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio Bulgarini si trova impressa a cart. 121. delle Consi derazioni del medesimo. Bulgarini sopra il Discorso di esso Mazzoni in difesa della Commedia di Dante . In Siena appresso Luca Bonetti 1583. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono a cart.218.219. e 222. delle Annotazioni , ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini sopra la prima parte della Difesa di Dante del Mazzoni . In Siena appresso Luca Bonetti 1608 . io4. Eduna indiritta aSperonSperoni staacart.355. del volume quinto di tutte l’Opere di esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia . ΟΡΕRΕΙΝΕDITΕ. XI.Dialoghi in difesa della nuova Poesia dell'Ariosto. Di questi Dialoghi fa menzione ilMazzoni medesimo allapag.20. delsuoDiscorsode'Dittonghi;edicech'era presto,aDio piacendo,periscamparli,ilchepoinon fece, forse per essersi ricreduto sovra tale materia ; giacchè allora, che fu l'ango 1571. , era molto gio XII. ConsiderazionisopralaPoeticadelCastelvetro.Que ste furono mandate dalMazzoni alBarone Sfondrato, che ne dà ilsuo giudizio inuna letterascrittaall'auto r e t r a q u e l l e d e l V a n n o z z i V o l . I. p a g . 8 2 .  146 V Ι.ΤΑ . vane . . XIII.Commentarj sopratuttiiDialoghi diPlatone.Prea se ilMazzoni a scrivere questi Commentarj per soddis fazione diFrancescoMariaII,dellaRovereDuca d'Ur bino , ed egli medesimo ne fa menzione in una lettera scritta a Giulio Veterani Ministro del Duca , come pu . re   a reinaltraaBelisarioBulgarini, cheleggesi acart.213. delle Annotazioni ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul garini.IlMazzonimedesimo poiacart.727.della DifesadiDante nomina isuoiCommentarj soprailFedone, X I V . Libri de Rebus Philosophicis , fatti ad imitazion di Varrone .Compose ilMazzoni quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio , e nel Novembre del 1590. disse a Roberto Titi che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della Difesa di Dante . Veggasi q u a n todamesenediceacart.44.e98.delpresentevo lume . X V . Censura del primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre Riccardo Simon in una lettera a M o n s i g . M u z i o D a n d i n i , c h e si l e g g e a c a r t . 9 . d e l v o l .4 . della sua Biblioteca Critica , afferma d'aver inteso da questo Prelato , che ilMazzoni avea scritto contro il primo tomo del Baronio , tosto che questo uscì in luce , il che fu l'anno 1587 , e che il manoscritto di quest'operasiconservavanellalibreria delGranDuca.  1 i 9 1 DEL MAZZONI. 147 XVI.Discorso d'una breveNavigazione, chesi puòfare da Portugallo nell'Etiopia , e nel Paese del Prete Janni . All Il.ed Ecc. Sig. Giacomo Buoncompagni General di S.Chiesa,eMarchese diVignola.Questositrovainuna Miscellanea della Biblioteca Vaticana . XVII.Discorso sopraleComete.Anche questoDiscor so,lodatissimodalSig.Guidubaldo de'Marchesidel Monte celebre Astronomo , dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici Urbinati; ma per diligen zefattenon sièpotutorinvenirealnum.513.,alle. gato dal Conte Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del Zolfo, e dietro a lui dal P. Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi . T 2 1   Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di quest'operetta si è da noi detto alla pag. 101. XVIII. La Fisica , e i Dieci Libri dell'Etica d'Aristo tile . Il Tadini scrive , che il manoscritto originale di quest'opera , mancante però e imperfetto , si conser vava alquanti anni sono presso ilSig. Gio:Antonio Al merici Nobile Cesenate . Il medesimo si afferma dal fu Dottore Giovanni Ceccaroni in alcune memorie mano scritte, comunicateci dal Ch.Sig.Arcidiacono Chia ramonti , dalle quali si apprende , che lo stesso Cecca roni avea fatta copia dell'originale inedito dell' Etica sino dal 1719.; ma sento che questa copia ancora sia andata insinistro,epiù non siritrovi. XIX.InuniversamPlatonisRempublicam Commentaria. Della Rupubblica di Platone da sé commentata fa ri cordo ilMazzoni medesimo nella lettera di ZQ  / 148 ν Ι Τ Α > gataalSig.GiulioVeterani;dicendo,che quantopri ma pensava di mandarla , o di recarla esso medesimo al Sig.Duca d'Urbino . alle La X X . Orazioni . Di varie Orazioni dal nostro autore composte in diverse occasioni , e non mai pubblicate , si è fatto memoria nel decorso di quest'opera , prima viene accennata a cart.89. , detta in Pisa nell' aprimento degli Studi in lode della Filosofia . La se conda scrittada luieloquentissimamenteper movere il Pontefice Clemente VIII. a ribenedire ilRe Arrigo IV. di Francia a cart. 99. La terza detta ne' funerali del celebrePierAngeliodaBargaacart.100. El'ultimafinal mente recitatanell'Archiginnasio Romano , facendo una comparazione tra l'antica Roma e la moderna ; . della quale sifavella acart.112. X X I ., L e z i o n i . Q u a t t r o L e z i o n i a l t r e s ì s c r i s s e i l M a z sopra   DEL MAZZONI. 149 zoni , che mai non videro la luce . Elle furono reci. tate in Firenze , due nell'Accademia Fiorentina per ri schiaramento di due luoghi di Dante ; e l'altre in quella della Crusca sopra iBrindisi ,e le feste Vinali degli Anti chi.Veggasi acart.77.94.95.e97. XXII. Lettere. Di alquante lettere del Mazzoni si conservano gli originaliin Pesaro nella libreriaGior dani , delle quali lach.me.del dottissimoSig.Annibale degliAbatiOlivierisicompiacque giàmandarmi copia; esono trescrittealCardinaleGiuliodellaRovere,una al Duca d'Urbino , due a Giulio Veterani, ed una a Piermatteo Giordani.Altre parimente originali scrittea Belisario Bulgarini si trovano in alcuni Codici esistenti nella Libreria dell'Università di Siena . Oltre aquest'opere ilTadini afferma,essercime moria , che dal Mazzoni sieno state scritte anche le seguenti , cioè I. In Homerum Paraphrasis. II. Numi smatumGræcorumInterpretatio.III.InLullum Commenta ria.IV.NaturalisPhilosophieArcana.V. Secretoperco noscere da'Bigari e Quadrigati , denari Romani , qual fa zione restassevittoriosa ne'Giuochi Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o Bianca . VI. Tractatus de Somniis . L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che fu venduto molti anni sono da certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo Cesenate ; ma che avea incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si essendo più tro vato . Forse tutti questi mss.dovettero essere in quelle dieci casse di libri del Mazzoni, che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo Mercuriali in Pisa , c o me ilDottor Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma apparire daun pubblicoDocumento rogato li2.Mag gio 598.  ) . . , . Per   Per ultimo il sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura , esservi anche al presente chi sostie. ne doversi attribuire al Mazzoni , così la Canzone c o m postainlodedelTorneamentofattoinCesenanelCar novale dell'anno 1587. , la quale incomincia Mostra l'alterafronte,come ladifesadellamedesima,chefu pubblicata sotto nome del Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di Matteo Bidello delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto sopra la C a n zoneMostra l'altera fronte.InCesena conlicenza de Su perioriPer BartolomeoRaverii1587.in8.;machenon avea avuto modo di verificare veruna di queste voci. lo per altro non averei difficoltà di credere, che così laCanzone,come ladifesapotesseresserefatturadel nostro autore , essendo la Canzone assai bella ; e la difesa molto dotta e giudiziosa , e degna assolutamente del nostro grande e celebratissimo MAZZONI . Mazzoni. Keywords: implicature, repubblica romana, the Latins on ‘vita activa’, I romani e la vita attiva. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691412553/in/photolist-2mNzeEc-2mKN13V-2mGnP2f

 

Grice e Meis – implicatura – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Filosofo.  Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li proseguì presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove fu allievo dei letterati Basilio Puoti e Francesco De Sanctis, Spaventa e Ramaglia. Si laureò e nel 1841 divenne socio dell'Accademia degli Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente nel 1848; fu poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e aprì una scuola privata di grande successo, dove insegnò anatomia, patologia, fisiologia e scienze naturali. Fu poi rettore del Collegio Medico di Napoli.  Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re.  Fu quindi costretto all'esilio: dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercitò gratuitamente la professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani; insegnò antropologia all'università ed entrò in contatto con il mondo scientifico parigino, diventando assistente di  Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica. Strinse anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientrò in Italia,  prima a Torino e poi a Modena, dove insegnò.  Tornò a Napoli e divenne assistente di De Sanctis, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto Membro straordinario del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione.  Fu deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo tra i ministeriali.   Busto di Angelo Camillo De Meis al Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando fu iniziato in Massoneria, è certo tuttavia che nfu membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico-spirituale alle scienze della natura, che egli trovò nell'idealismo di Hegel. Fu anche amico intimo e collega di Siciliani, del quale condivise in parte la speculazione intorno al positivismo.  Venne citato, di passaggio, nel romanzo di L. Pirandello Il fu Mattia Pascal.  Fu costruito il nuovo palazzo della Biblioteca provinciale di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a De Meis.  V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, De Meis Angelo Camillo, su treccani.  Il protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due eruditi, e dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che attribuiva a Camillo De Meis la tesi che due statue nella città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica (colei che si sostiene abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario). In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria libertà.  F. Tessitore, «DE MEIS, Angelo Camillo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 38, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1990. R. Colapietra, Angelo Camillo De Meis politico “militante”, Napoli, Guida Editori, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Angelo Camillo De Meis, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Angelo Camillo De Meis, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  openMLOL, Horizons storia.camera, Camera dei deputati.  Angelo Camillo De Meis di Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di Francesco De Sanctis, il filosofo abruzzese Angelo Camillo De Meis. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A men oche non si pensi al saggi in cuil Meis (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; onon si immagini che possa essere il suo pensiero, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia Pascale prednde parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. NALITICO I. Antichità — Oggettivismo. Oggettivismo primitivo — da Talete ad Anas- sagora pag. 3 Soggettivismo pratico individualista —So- fisti. Soggettivismo pratico universalista —So- crate » 4 Oggettivismo ideale assoluto — Platone . » 5 Soggettivismo incompiuto — Aristotile . . » 6 II. Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico intuitivo —Stoicismo. Epicureismo. Scetticismo. Neoplatoni- smo. Cristianesimo » 8 Oggettivismo ideale particolarista — Ro- scellino. Occam » Oggettivismo sensibile — Bacone. Condillac. Diderot,d’Holbac. . „ * * , 18 Passaggio alla soggettività — Hame. Kant. . » 2Q Oggettivismo ideale universalista —S. An- seimo. S. Tommaso. Scoto . » 24 Digitized by Google   Soggettivismo tendente alla oggettività — Cartesio .... Oggettivismo assoluto — Geulinx. Molle- branche. Spinosa 31 Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf » 34 Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant » 44 111. Tempo recente — Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant . . » 48 Soggettivismo assoluto astratto — Fichte . » 80 Oggettivismo assoluto — Schelling ...» 89 Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . » 102 CoNCHIUSlQiSE Lastoriadellamedicina . , , ,   Cosa è lo Stato?   Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana  individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società  che basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo  Stato è il grande organismo umano, l'individuo gran-  de, compiuto in sé stesso, indipendente ed assoluto.   IL   L' uomo piccolo è una scala ascendente di fun-  zioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui  mangia e beve e si nutre, veste panni, abita un nido  e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice, e la  corona della vita vegetativa.   Egli è questo il sistema dei suoi bisogni mate-  riali, vegetativi ed animali.   Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vege-  tabile compenetrato e avvolto da un animale; egli è  anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità  dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza  umana. La riproduzione è la corona della vita vege-     Digitized by VjOOQIC     — 4 —  tale ; la coscienza è la corona della vita animale ; e la  coscienza assoluta è la corona e F apice della vita  spirituale.   Come spirilo l'uomo è per prima cosa, e per  prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la  forma più naturale dello spirito : essa è il patrimonio  dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui.   Il dritto è F uomo aggrandito; egli è l'individuo  che si aggiunge una porzione della natura esterna;  ed è una estensione del suo corpo , e della sua anima;  ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione  della sua natura giuridica spirituale.   E a tutto questo sovrasta F Io, la libera coscienza,  che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro  e circonferenza del circolo umano.   L'Io è la conoscenza di se. Nella pura coscienza  l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma;  ed egli aspira a conoscere anco F interno di se, la sua  propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come  bello, e per dir così semi-infinito: nella religione,  come infinito sensibile; nella scienza, come infinito  di pensiero, e sì come pensiero infinito.   Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo ,  nelF individuo particolare.   III.   NelF uomo grande, nell' organismo politico-indivi-  duale che si chiama lo Stato, ci sono le stesse funzioni.   Ci è la funzione economica, agricola, industriale,  commerciale : produzione materiale, frumento o libro;  trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio;  nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti  gl'individui dei quali il corpo sociale è formato.     Digitized by VjOOQIC     Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'in-  dividuo, ma estesa alla società, manifestata come re-  lazione attuale fra gì' individui umani. La morale in-  dividua diventa dritto comune; materia della polizia,  e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di of-  fendere e usar vie di fatto contro un altro uomo,  perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza mo-  rale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma con-  tro tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti  contro di lui: il sentimento della comune natura u-  mana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il  dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto,  è il sentimento della fondamentale unità della natura  umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti  gli uomini civili e sensibili. La morale individua è  il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione  conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali.  Egli è dunque una relazione psichica, spirituale, poiché  spirituale è il suo fine.   Ci è la funzione giuridica, ed è la relazione del-  l'individuo coi suoi annessi naturali agli altri indi-  vidui similmente costituiti di cui la società è formata.  Quello che invade 1' altrui , non occupa solo una por-  zione di natura; egli occupa e viola l'anima di un  uomo, la quale è pur quella di tutti gli uomini, mem-  bri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si le-  vano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge,  che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La  legge penale sta di rincontro alla barbarie, alla pas-  sione violenta ed alla guerra privata; un tribunal*  criminale è in realtà una corte marziale. La legge  civile è il principio e la regola della pacifica deci-  sione: essa è la libera ragione che si leva di mezzo  agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe,     Digitized by VjOOQIC     — 6 —  e definito in forma di piato, non solo non giunge, ma  neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra  è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge,  e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi sono  tutti giudici di pace.   Ci è finalmente V Io comune , conoscenza e volere  generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui  servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni  speciali. s   IV.   Cosa è dunque lo Stato?   Lo Stato è T insieme di tutte le funzioni materiali  ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono  unificate nell'Io comune, che tutte le penetra e le  regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar  movimento, e da cui parte ogni azione generale.   Lo Stato è adunque l'Io, la coscienza sociale.  Tale è la forma: il contenuto è la virtù pubblica, il  dritto civile, il dritto penale, e la pubblica economia.   Lo Stato è il giusto, dice l'Albicini. Sì certamente;  ma il giusto non è che una parte del suo contenuto;  è un elemento della sua natura, il quale piglia neir or-  ganismo giuridico la sua forma particolare, e la sua  realtà naturale. Ma un principe non è solo un Gran-  Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare  il Codice Civile. — Giusto io lo piglio in senso di legge:  e la legge io la piglio in senso di relazione umana  in genere. — Ed io allora la piglio in senso di rela-  zione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con  le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeter-  minate e generali.   Lo Stato è la virtti; dice il Montesquieu: la virtìi  è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è     Digitized by VjOOQIC     la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate,  piene di confusione e di errori. La virtù, la morale,  non è che un elemento , ed una sfera dello Stato. Essa ò  per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e  promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per  così dire individuale, essa allora di privata diventa pub-  blica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera  delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giu-  ridica, o se anche penetra nella sfera politica, allora  essa perde man mano il suo carattere morale. Un de-  litto politico è per poco un non-senso, quando non è  che politico: e tale egli è quando l'animo è puro.  Omnia mwnda mundis: puro vuol dir non-individuale,  assoluto, generale. E allora non è a parlar di delitto  e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed im-  prudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, suc-  cesso ed insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e  le proporziona alla loro natura morale, giuridica o poli-  tica : se non che una pena politica è quasi un non-senso:  essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra,  un puro atto di difesa. — La virtù, dirà il Montesquieu,  io la piglio in senso di forza, di energia politica. —  Ed io la piglio in senso di energia magnetica, elettrica,  nervosa, muscolare. — Le antiche repubbliche erano  fondate sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla  parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma  cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il  lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,  rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete  Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo,  i francesi. — francesi, questa che voi fate non è  la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digros-  sata, non è l'idea che la determina e la informa; è il  fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo vedrete.     Digitized by VjOOQIC     — 8 —   Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ric-  chezza, dice il Fourier. Sì, certamente: anche questo  è lo Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni  maniera d'industria, e favorisce il commercio con  istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ric-  chezza non è che il sostrato , il sottosuolo dello Stato.  La ricchezza è la materia , lo Stato è il pensiero : 1' una  è il corpo , T altro è l' anima. L' anima fa il corpo , ma  non è corpo per questo; e l'Economia politica non è  la Politica, non è lo Stato.   Il principio dello Stato è la religione, è la Bibbia  degli Ebrei, diceva l'Aquila di Meaux, e per quel tempo  non volava male. Ora però, sarebbe il peggio che si  potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno  strisciar per le terre, o come talpa andar per le cieche  latebre, odiando la luce e il puro* e libero aere della  ragione. E se monsignor Dupanloup pure insiste e per-  fidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte,  è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di  Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una  quanto l'altra, ed io avrò altrettanta ragione.   Il principio dello Stato è Dio, dirà monsignor  Dupanloup. — Sì, certamente; ora finalmente ci siamo.  Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio  del corpo sociale , il Dio dello Stato. Questo è che co-  stituisce i Re, che direttamente o per suoi organi crea  tutti i poteri e le autorità politiche; e questo Dio non  abita nel cielo; lassù non v' è che il Dio della Natura:  il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed è  a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle  autorità che ne sono i ministri, il braccio e la parola.     Digitized by VjOOQIC     — 9 —     V.     Lo Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere  e volere, coscienza e azione; e la funzione dello Stato  come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere  essere Stato. Questa non è che la sua forma ; ma que-  sta forma è appunto il vero Stato; e la coscienza as-  soluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui  questa si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua  funzione essenziale.   La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta  necessità prende una esistenza naturale, e spontanea-  mente si crea il suo particolare organismo. Essa è  l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo  che si crea , e in cui si fa reale. È una creazione im-  mediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come  quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è la  coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i  poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione crea-  trice è 1' elezione.   Ma questo corpo in cui l'anima generale si tra-  duce e si concentra, in realtà non è che una pura  anima: è il semplice potere legislativo. Quest'anima  effettiva ed attuale creata dall'elezione, si crea a sua  volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito  amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il  sangue di questo corpo generale.   L' esercito amministrativo serve per eseguire o  render possibili tutte le funzioni, che compongono  la triplice natura dello Stato: la funzione economica,  la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impie-  gato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo  onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima  dello Stato.     Digitized by VjOOQIC     — 10 —   L'esercito militare ha un ufficio anche pili essen-  ziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli  serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o in-  terne, che ne minacciano la vita economica, politica  o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello  Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto  di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli  che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le isti-  tuzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto  nel primo come nel secondo caso.   I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il  corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere legisla-  tivo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il So-  vrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due  nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legisla-  tivo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello  Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro.   VI.   Sovranità, potere legislativo, potere esecutivo ; tutto  questo è forma di forma : la forma essenziale , il vero  Stato , è T Io assoluto , la coscienza e la volontà ge-  nerale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto  volere, e non è possibile una funzione puramente  formale. Si è conscii di essere questo o quello , si vuole  e si fa sempre qualche cosa : e lo Stato conosce e fa da  un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la  legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore,  V impiegato, il soldato , tutti vogliono che lo Stato sia;  vogliono che sia prospero, giusto, savio, forte di tutte  le fotze morali, e che possa tutte liberamente spie-  garle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza econo-  mica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato.     Digitized by VjOOQIC     — li —   Ma la forma prevale, e domina il contenuto. La  morale domina l'economia: la produzione non è pos-  sibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è im-  morale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica  impone alla virtù privata. L'Io, la pura funzione for-  male, domina e modifica tutte le funzioni speciali che  sono il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e  modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'al-  tro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente  relativi. Il volgo riguarda come piti eccellenti gli as-  soluti inferiori, perchè piti naturali, e di più imme-  diata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui  l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine  giuridico ; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due.  In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè  più generale, e più assoluto e divino; e quando l'ar-  monia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la  funzione formale, la funzione assoluta dell'essere,  quella alla quale appartiene il primato, e prende  sopra l' altre la mano. Scoppia la rivoluzione dal basso  o dall'alto: ribellione, colpo di stato. Slealtà, tradi-  mento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza mo-  rale lo riprova, la coscienza giuridica lo condanna;  ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che  l'approva; e se non è la coscienza politica dei con-  temporanei, sarà di certo la coscienza politica degli  avvenire. La storia approverà il colpo di stato e la  rivoluzione popolare, quando è vera funzion di essere:  quando cioè l' essere apparente dello Stato non cor-  risponde al suo vero essere , a quello che esso è nella  coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia  che rimanga al di sotto di questa misura ideale.   Invadere la proprietà d' un cittadino è ingiusto;  ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia,     Digitized by VjOOQIC     — 12 —  ed una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza  il suo essere, il benessere della comunità, o dell 7 intiero  corpo sociale. La ragione e il titolo è la pubblica  utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del  fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non  la sua vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma  non si vede il suo interno principio, l'essere generale  realizzato. Ma non è meraviglia. I nostri codici sono  poco men che tradotti dal francese, e le nostre leggi  fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua  e ne riflettono le idee.   Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale:  è un violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo  una proprietà che 1' uomo non ha creata. Ma lo Stato  anche questo può fare.   Lo Stato è funzion di essere; egli è, vale a dire  una forza : e l' elemento di questa forza è la sua cor-  rispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza  generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto  resta al di sotto o supera quello del corpo sociale. —  Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il caso  dello Stato Italiano. — Egli è perciò che quando la  società vede nella pena di morte un elemento di so-  lidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è  un errore: è una fallace utopia, una velleità teo-  rica, difetto di serietà pratica, scipita sentimentalità,  filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse, ma  certo debolezza di mente, che ad altro non condur-  rebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello  Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla co-  scienza pubblica, di cui deve render l' imagine , ed es-  sere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà pro-  gredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà  in armonia con la coscienza dei moltissimi, allora lo     Digitized by VjOO'Q IC     — 13 —  Stato sarà forte, e allora la pena ingiusta, immorale ed  inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro  indugio, abolire; perchè allora il paese, divenuto meno  incolto e per dir così più spirituale , avrà cessato di  riguardarla come un elemento di esistenza; e non sen-  tirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto barbara  e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti  ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, sa-  ranno moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne  T abolizione.   Si parla sempre dell'utilità della pena di morte.  È l'argomento dei sostenitori, ed è l'achille degli  oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un ver-  gognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Sta-  to opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e  assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso.  Ma questo sì vergognoso errore era la verità del Ri-  sorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava,  anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo:  il senso e l'utilità era tutta la sua filosofìa, ed egli  condannava allora la pena capitale come non utile. Ve-  nuto più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento  respingeva P utilità , e condannava la pena di morte  come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale;  e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua  verità: egli è il da ubi consistam della filosofia posi-  tiva. Ma se ne vergognerà di certo quando di risor-  gimento sarà passato a secolo decimonono.   Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e vio-  larne il possesso, attentare all'esistenza dello Stato,  che è quanto dire alla vita delle sue istituzioni, è  immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare  moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il"  dominio (e sia pur l'alto dominio) delle loro pro-     Digitized by VjOOQIC     — 14 —  prietà, e distruggere uno Stato. Questo il "cittadino  non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta  farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è  ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica usurpa-  zione non è giusta; è più e meglio di questo, è po-  litica; e si chiama guerra e conquista, e non più  violenza ed usurpazione.   La guerra è buona, e la conquista è giusta le-  gittima e veramente politica, (e dico buona, legittima,  giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole)  quando in esse lo Stato opera in funzione di essere:  quando guerreggia e conquista per* vivere per essere,  o per diventare quello che è in sé, e deve anche attual-  mente essere.   Vi sono società naturali, che la violenza, l'ar-  bitrio, la passione, il caso in una parola, divide in  più corpi sociali , per cui di uno si formano più Stati.  Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità po-  litica, e della loro natura storica comune.   Yi sono ancora società originariamente separate,  in cui T accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le pas-  sioni umane, col concorso di altri accidenti ed op-  portunità naturali, crea una coscienza comune. La  lingua, vale a dire la comunità e la somiglianza fon-  damentale dei dialetti (non mai la loro identità, che  non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una  finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile,  e l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata,  di quella nuova coscienza. La comune storia è il pro-  cesso per cui di un gruppo accidentale di popoli e  di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e  vivente con una interna unità e un' anima generale.  La geografia è la condizione esterna dello sviluppo,  e l' occasione più o meno accidentale di questa for-  mazione ideale.     Digitized by VjOOQIC     — 15 —  La comune coscienza che si è conservata dopo lo  spartimento dello Stato unico originario, non è più  coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e la  primiera attività; e la coscienza comune che si è svi-  luppata in un gruppo di Stati eterogenei non è che  il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso  e nell'altro questo sentimento èia nazionalità , la co-  scienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso  ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è un' anima  scissa , con due coscienze distinte ; che l' una è la co-  scienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune  di nazione. Esso è dunque in realtà due anime, due  esseri, uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato,  l'altro non è che nazione: la nazione è la possibilità  naturale dello Stato. Ma esso anche quest'altra parte  di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser  tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della  sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza  nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è perciò  che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati conna-  zionali. È la buona guerra, e la legittima conquista;  ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsa-  pevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la buona  soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo  è tempo di coscienza e di ragione, e non ammette  che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.  Questo succede quando in tutti i corpi sociali si svi-  luppa più o meno egualmente di sotto alla loro par-  ticolare e diversa coscienza politica la comune co-  scienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti fini-  scono per fondersi in un soIq corpo di nazione, in  una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale  si eleverà e si perderà ben presto nella coscienza po-  litica comune. Non è più. la soluzione forzata, è la  soluzione spontanea e razionale.     Digitized by VjOOQIC     — 16 —  Egli è nel primo modo che si sono costituite le  nazioni moderne; formazioni accidentali, prodotti di  guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze for-  tunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La co-  scienza nazionale non esisteva, è venuta dopo. L'Au-  stria felicemente accozzava delle società affatto etero-  genee, fra cui non vi è stato che un principio di fu-  sione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nel-  T Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca;  ma la vera coscienza politica è la coscienza boema,  ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una co-  scienza astratta, occasionale, non è una possibilità na-  turale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la  realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva  con lo stesso metodo delle nozze, delle guerre in-  giuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno  inomogenei, in cui pur v* era un avanzo di un'antica  lingua comune, testimone di una comune coscienza,  di politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza  di una potente antica unità; lingua avventizia e forzata,  ma che aveva finito per essere adottata; coscienza av-  ventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito per es-  sere la comune essenziale unità del mondo romano.  Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono per  formar le membra di un solo corpo morale: fatte però  le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe  l' intenzione di seguitare in questa via, ed applicare  ancora il metodo antico, barbaro, medieyale; ma si  oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza  nazionale, è la lingua, ed è la storia. La natura è la  geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed  un mezzo di unione. La Francia è fuor dei suoi confini  naturali e nazionali.   La soluzione spontanea razionale e naturale delle     Digitized by VjOOQIC     — 17 —  quistioni nazionali era serbata al secolo della ragione;  ed è l'Italia che ne ha dato al mondo l'esempio, ed è  il suo onore immortale, e il suo vero primato civile  e morale. Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia,  si appresta ad imitarlo. La natura lo richiede: la greca  penisola è un tutto geografico perfettamente circo-  scritto; si direbbe una regione, un nido apprestato  per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone;  lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte ve-  nuta a coscienza politica, tutto è comune alla Grecia;  e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è  la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e  r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca  diventi lo Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova  il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e l'Europa  delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa  del Risorgimento , custodisce e protegge con una edi-  ficante unanimità il barbaro e immondo straniero,  il musulmano oppressore.   L' Italia è stata piti fortunata. Un grand' uomo  uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un  nobile trono straniero, rammentava l'antica madre  per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava  ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una  nazione astratta, uno Statò reale. Italiano, io non so  che questo. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia  non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora  non vi è che la morale e il dritto, e le piccole pas-  sioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella  quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato  per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati  tutti gì' Italiani.   L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto,  che appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla   2     Digitized by VjOOQIC     — 18 —  coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma se quella  è forte e potente, questa è ancor debole ed incom-  pleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali  la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono  tutte egualmente amalgamate in una coscienza poli-  tica comune* Le deboli sono scomparse; ma ve n' è  qualcuna forte, che resiste e permane, ed è l'antica  coscienza piemontese.   Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro.  La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dub-  bio ancor forte, non si è pienamente trasformata. Essa  è rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente prodotto  di sé una coscienza politica italiana debole, parziale,  incompleta, poco men che astratta, piena di riserve  e di eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la  realtà e la forza che rimane alla vecchia e tenace co-  scienza piemontese, di cui la permanente è l'espres-  sione. Questo Sammarlino lo ignora ; ed è in una per-  fetta buona fede. Egli in tra v vede in lui una forte  coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza  municipale (certo indebolita da quello che era prima)  vi trova un chiaroscuro di coscienza politica italiana,  e dice: io sono quanto si può più essere italiano.  E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è  senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere,  o quanto altri sia, è una sua esagerazione. Nobile esa-  gerazione, inganno volontario e generoso, illusione  che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa  sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e  agli altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo  non ha tale abito e tal forza d'analisi da rendersi  conto del proprio essere, per cui diviene il giuoco  della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona  fede. Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno  allo stesso modo.     Digitized by VjOOQIC     — 19 —   Ma il tempo è galantuomo ; e s* egli ha potuto  sviluppare in tutto il mondo antico una coscienza  romana: se sulla vera coscienza magiara , czeca e jugo-  slava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se  finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto  del mondo francese, ha potuto (incredibile a dirsi, e  mostruoso a pensare) destare una coscienza politica  francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana  in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi  della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel mo-  mento in cui la grande storia italiana del Medio Evo  aveva termine, quando tutto intorno taceva, s'avviliva  e s'abbandonava, e la nazione intiera scendeva nella  tomba della servitù straniera e papale, egli solo non  s' abbandonava ; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,  sorgeva a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava  in sua mano il filo e creava la nuova storia italiana,  e per lui ed in lui l'Italia viveva ancora. E quando  a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e l'Italia  vi scendeva di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia,  e lottava animosamente, eroicamente, e compiva alla  fine il destino della patria: onore a cui dalla provvi-  denza della storia era visibilmente riserbato. Ah non  tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo  saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo  tanta e così grande storia, fuor di proporzione con la  materiale grandezza di quella nobile provincia, è na-  turale sia permanente e resista alla grande coscien-  za politica italiana. E sarà allora galantuomo davvero.   Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia  non vi sarà che una sola coscienza politica, allora non  vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero  e forte Stato Italiano.     Digitized by VjOOQIC     — 20 —   VII.   L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e  proprio elemento dello Stato; ed è una funzione pu-  ramente formale che domina e modera e modifica la  funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie  la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino;  fa la guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che  dev'essere, e toglie la proprietà, la vita, Tessere in-  dipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo  privato non può fare, e che gli sono permesse, dove-  rose anche talvolta y quando, divenuto uomo pubblico,  la sua coscienza s' immedesima e si confonde con la  coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e reo  tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse,  ma è lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' in-  teresse generale. La fusione e l'amalgama succede  sempre in una certa misura, ed è tanto pili completa  quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello  Stato i due interessi non ne fanno più che un solo.  Dal momento che si separano, il tiranno è perduto:  egli allora non è pih lo Stato, è un altro; è un corpo  estraneo contro a cui l'intiero organismo si solleva,  e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un pro-  cesso di guarigione. Il morbo è la tirannia, l' anarchia:  forme dello stesso disordine; tutte e due passione e  sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e due. U&rche non è  né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti, ne  tutti: V arche è la ragione.   Il principio dello Stato, la sua vita, il suo vero  essere, non è il giusto, non è il morale, non è l' eco-  nomico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come  Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e mo-     Digitized by VjOOQIC     *^     — SI —  deratrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di tutte  le funzioni sociali.   Questo è lo Stato, e qui finisce l'attività politica,  la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana, e  non è anche tutta la storia.   Sotto allo Stato vi è il dritto, la morale, la pub-  blica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo  piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo;  vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il  mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra  al mondo della natura e dell'azione.   Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta,  e la pili perfetta e più generale esistenza delle fun-  zioni a lui inferiori.   Lo Stato non è che la base e la reale possibilità  delle funzioni a lui superiori.   L'Arte è una funzione naturale, e perciò rimane  affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non  vi è una società artistica : vi sono soltanto degli artisti  e dei poeti ; e la parte dello Stalo è di render possi-  bile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la  spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto  sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte,  ed esce dalla sua natura.   L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere  immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane  Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiu-  stizia può esser sublime, atta solo a sollevare e forti-  ficare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar  l' animo umano. Ma dal momento che essa esce dalle  sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale  ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene in  nome della giustizia offesa, e della morale violata;  funzioni inferiori, che gli sono tutte e due subordi-  nate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela.     Digitized by VjOOQIC     — 22 —   L'Arte non è la religione, e può a sua posta  essere empia ed irreligiosa: ma la sua irreligione è  sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di re-  ligione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie  sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non  è più che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso  lo Stato non interviene. Egli dirige e modera le fun-  zioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non  amministra la verità religiosa che gli è superiore.   L'Arte non è la Scienza; è in un certo senso il  suo contrario : che s' ella esce dalla sua natura di senso  ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto peggio  per lei.   La Religione è una funzione dirò così spiritiforme:  la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo  carattere è di essere naturalmente universale. Egli è  perciò che mentre l'arte rimane nella sua inconsape-  vole particolarità, la religione viene a coscienza, e si  forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di  fuori e di sopra alla società politica si forma una  società religiosa. Il luogo di questa alta società non è  la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su que-  sto umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua  funzione è tutta celeste; essa è riflessione e adempi-  mento del destino umano: contemplazione della infi-  nita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito  della grande fantasia; conseguimento della infinita fe-  licità mediante il possesso dell' infinito della religione.  La funzione religiosa dello Stato è di render possibile  la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della  società religiosa.   La religione non è né scienza, né arte, ne eco-  nomia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta  inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi,     Digitized by VjOOQIC     — 23 —  miti ributtanti e triviali; può professar tutti gli errori  filosofici, astronomici, teologici, politici che vuole.  Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata  e rispettala.   Può la religione professare tutte le assurdità mo-  rali e giuridiche che le piace. Può attribuire a Dio  tutte le passioni umane, sopratutto le pili barbare,  e pih perverse e colpevoli, quelle che l'uomo mo-  derno pih si rimprovera, e maggiormente arrossisce  quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà per  lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore  religioso, il timor di Dio.   La religione può a suo beneplacito credere ed  insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei  padri, come lo insegnava e lo credeva Mosè, in un  tempo ed in un paese in cui non v' era ancora il  Dritto Romano , e il Codice Civile era di là da venire.  Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente  a Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato  un così sterminato errore. Quella era pertanto la ve-  rità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due  gradi e due forme non per anco distinte, confuse  ancora in una verità sola. Oggi la distinzione è av-  venuta: la verità giuridica del Codice Mosaico, con-  vinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità  giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che al-  l'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sotten-  trata l'astronomia di Copernico e di Galileo. Ma co-  me verità religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo  ed il comune che l' innocente è colpito col reo dalla  vendetta divina: e si crede anche oggi come tre mila  anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo  uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini.  Questo dogma non è che l'applicazione in grande del     Digitized by VjOOQIC     — 24 —  principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e  quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più cre-  dibile al popolo ed al comune, si è che quella colpa  era la curiosità di sapere, il bisogno di conoscere il  vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del dogma  religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice  Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso mo-  rale; ma non è che una offesa ed una violazione re-  ligiosa, e lo Stato non interviene per far rispettare il  Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione  succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende  possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e  la rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa  esce di questo campo, e deposto il proprio carattere, si  spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosa-  mente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo Stato  interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente  succede alle religioni che di spirituali si fanno tem-  porali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la  colpa e non dello Stato : e perciò tanto peggio per loro.   Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte  e della Religione , vi è la scienza , la filosofìa. Ma qui  l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto  universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna  forma naturale. Non vi è quindi una società filosofica,  vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del  pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non interviene  in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il  dee, né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò  che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella  sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere  il suo carattere essenziale, e cessar di essere Stato.   Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque  insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete     Digitized by VjOOQIC     — 25 —  ed anche il Demagogo? — Non già; non mai. Insegnare  non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero;  è invece agire, educare e preparare all'azione, ed  appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio  rep ugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno  scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo  conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nes-  suno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o  sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo  Stato.   11 principio politico dei Gesuiti è la Religione, la  loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette capo,  ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il  principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione;  è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello  a cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò con-  siste la libertà civile.   Il principio del Demagogo è la libertà sensibile,  e T eguaglianza materiale. Il principio dello Stato mo-  derno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta,  ideale.   Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà  del Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor  dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della  scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato.   Il giornale è una scuola, e non può quindi godere  una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella  sua propria natura, e la libertà ha il suo limite nella  natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona,  perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la  stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi  da noi. La libertà non appartiene che alla libertà.  Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella qua-  lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi     Digitized by VjOOQIC     — 26 —  e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva  e professa il principio generale, e vive dello stesso  elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza  non sono assolutamente libere che nel proprio ele-  mento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non  può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede.  E però quando io vedo un Ministro chiuder la bocca  a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale,  perchè professa delle particolari idee che in un certo  mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed  accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli abusa  delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre-  passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di  un principio particolare, religioso o scientifico, io non  lo so; so soltanto che non è il suo; e non ha come  Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro mi  scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore.   Lo Stato non è adunque che la possibilità effettiva  e naturale della vita artistica, della società religiosa,  e della pura attività scientifica. La sua funzione con-  siste nel renderle tutte e tre possibili mediante l'Istru-  zione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio ,  e non può altrimenti intervenire nell'arte, a pro-  mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica e  la poetica mediante decreto: e così non può decre-  tare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere,  una religione dello Stato: cotesto è un controsenso,  un non senso, un errore.   Sent from the all new AOL app for iOS  INDICE. BIBLIOGRAFIA - A) Opere di Angelo Camillo De Meis .... Pag. XI B) Studi sul De Meis - Opere ed articoli che a lui accen- nano - Recensioni di suoi scritti » XIX CAPITOLO I. La vita e la storia del pensiero di A. C. De Meis. Sommario I. La famiglia e i primi anni II. Nel R. Collegio di Chieti HI. La vita intellettuale a Napoli dal 1840 al 1850. Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici IV. Il De Meis a Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Pag. 2 » 3 » 5 » 6 » 11 V. Gli avvenimenti del 1 848. Il 1 5 maggio a Napoli .... » 15 VI. Le vicende del De Meis nel 1849. 11 processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico VII. A Torino «quando l' Italia era colà » . Il De Meis e i suoi amici : Bertrando Spaventa, Francesco De Sanctis, Diomede Marvasi. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intel- lettuale del De Meis e la sua « metempsicosi » Vili. L'anno 1859. Il De Meis professore all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli IX. Il De Meis a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento X. La personalità del De Meis. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria » 21 » 27 » 43 » 50 » 59 2011318   VI Indùice. XI. I momenti di sviluppo del pensiero del De Meis. Suddivi- sione delle opere Pag. 73 Sommario . . Pag. 78 » 79 » 85 » 97 » 101 » 110 Pag. 126 I. II. III. IV. V. Il «Dopolalaurea» La storia della filosofia esposta dal De Meis. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata dal De Meis Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. Il De Meis e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica , CAPITOLO III. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. CAPITOLO II. Il «Dopolalaurea» e1*orientamentofilosofico. Sommario I. // primo periodo. Gli scritti scientifici giovanili dal 1841 al 1850. Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi (1841). Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia (trad. dal ted., 1842). Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede (1843). Intorno l'asse cerebro-spinale (trad. dal lat., 1843). Considerazioni anato- miche sul salasso locale (1845). Teoria dell'ascoltazione (1848), Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali ( 1 848). Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica - Parte prima: Del principio vitale (1849); Parte seconda: Idea della fisiologia greca (1849) » 127 II. // secondo periodo. Le opere scientifico-filosofiche dal 1850 al 1863. Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo (1851). Del metodo delle scienze mediche (1853). Considerazioni sopra l'infiam- .   Sommario . 1. Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato III. L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda . . IV. La lotta contro il pensiero e contro 1' azione del partito pro- gressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo V. VI. VII. il DeMeis Contro l'abolizione della pena di morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato. Vili. Lo Stato e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l' istituto tecnico Indice. VII inazione dei vasi sanguigni (1853-1854). I mammiferi (1858). Fisiologia (1859). Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi. 1859-60. Gl'ippo- cratici e gli antippocratici (1860). Lettere fisiologiche (1860) Pag. 135 III. // terzo periodo. Le opere scientifico-filosofiche dal 1863 al 1891 . - a) La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. - b) La filosofia della natura. La creazione secondo il De Meis. La lotta del De Meis contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostra- zione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica . CAPITOLO IV. Le idee politico-sociali e pedagogiche. » 156 » 175 Pag. 204 » 205 » 211 » 221 » 228 » 237 » 239 » 244 , . .   Vili Indice. medico. L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'inse- gnamento. . . , , IX. I malefici della cattiva coltura e del « signor Mazzini » . Due discordi Sacerdoti d'idee: il De Meis e il Mazzini CAPITOLO V. Le idee estetiche e religiose. Sommario I. La coltura letteraria del De Meis. Il suo stile. Il suo episto- lario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. Il De Meis critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, del- l' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo il De Meis. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti dal De Meis IV. Ottimismo e misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero, Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo Cirelli, Anno IV, dal 10 febbraio 1841 al 2 febbraio 1842, N. 22, pp. 175-176; N. 24, pp. 191-192; N. 28, PP. 222-223; N. 32, PP. 255-256. Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. // Vigile di Chieti, anno I (1841), suPPl. al N. 22. Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, il dì 8 maggio 1841, dal tedesco voltata in italiano da A. C. De Meis, nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, anno XII, volume XXIII, Napoli, Tip. del Filiatre-Sebezio, 1842, Fascicolo 134, febbraio 1842, pp. 115-128; fascicolo 135, marzo 1842, pp. 188-192. Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale degl'Incurabili. Pre- sentato al 5° congresso degli scienziati italiani - convocato in Lucca. Na- poli, Coster. 1843, (pp. 41, in -16°). Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof. Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, 1843, (pp. XVIII - 276, 8°). Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab. Coster, 1845, (PP- 59, 8°). Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F. Vitale, 1848, (pp. 96, in -8°). [Dedicato a Luigi La Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, 1850, p. Vili [La Teoria dell'ascolta- zione (v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di A. C. De Meis presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica adunanza del 16 gennaio 1848. Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, 1848, (pp. 16). A . C. De Meis deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, (pp. 14, 8°, con la data di Napoli, 8 maggio 1848). Discorso inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato il dì 7 maggio 1848 e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, 1848. Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, 1848, (pp. 24, in -8°). Discorso di A. C. De Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, pronunciato il 18 giugno 1848, Napoli, Vitale, 1848. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica. A. C. De Meis già deputato al Parlamento. [Manifesto di pp. 4, in -8°, con la data: 13 marzo 1849]. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di A. C. De Meis già deputato al Parlamento Nazionale. Parte prima : Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, 1849, (pp. 90, 8°). [«Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione, To- rino, Pomba, 1850). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia].   Bibliografia. XIII Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli, 1849. Fisiologia generale - II - Evoluzione logica del principio vitale - Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. al- l'insegna dell'Ancora, 1849, (pp. 142, in -16°). [Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., 1850, (pp. XVI - 296, in -16°). Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, 1851, Tip. Pavesio e Soria, (pp. VIII-96, 16° picc). [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo Demaria, To- rino, 3 novembre 1853, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino, 1854, Tip. di G. Favale e Compagnia, N. 11, 1° giugno 1854, (pp. 176-192). Considerazioni sopra l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, anno VI, voi. XVII, Torino, 1853, N. 17, 10 giugno 1853, pp. 209- 228; anno VI, voi. XVIII, Torino, 1853, N. 29, 10 ottobre 1853, pp. 177-209; N. 32, 10 novembre 1853, pp. 321-336; N. 33, 20 novem- bre 1853, Pp. 379-393; N. 35 e 36, 10 e 20 dicembre 1853, pp. 465- 503; anno VII, voi. XX, Torino, 1854, N. 11, 1" giugno 1854, pp. 143- 158; N. 12, 15 giugno 1854, PP. 218-230; N. 13, 1° luglio 1854, pp. 257-263. [Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.]. / mammiferi, Volume 1°, Introduzione, [fase. 1° e 2°], Torino, 1858, Tip. del Picc. Con. d'Italia (pp. 176: incompleto). [L'opera è preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo ». Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Tip. Franco, figli e C, 1859, pp. 109, 8°. (Estratto dalla Nuova enciclopedia popolare del Pomba).   XIV Bibliografia. Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, 1860, Volume vigesimo, anno ottavo, Pp. 425-434. Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione tip. editrice, 1860, voi. vigesimosecondo, anno ottavo (pp. 20-36). [Definizione della vita], pp. 2, in -8°. [Il De Meis, sotto la data di Modena 30 aprile 1860, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (pp. 8, in -16°). [Data, Napoli 16 febb. 1861]. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico 1859-60, Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau, 1861, pp. 18, in -8°). // Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, (pp. 14, 8°). [Polemica anonima contro il gior- nale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della medicina, Prelezione di A. C. De Meis professore di storia della medicina nella R. Università di Bologna, detta il 10 dicem- bre 1863, Bologna, Monti, 1864, (pp. 62, in -8°). Della natura medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-chirur- a gica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, 1864, Serie 4 , voi. 21«, (pp. 464-469). La chimica fisiologica, Lettere, Fano, 1865 (nel giornale L'Ippocratico, III, voi. 7, estr. di pp. 65, in -8°). [Sono due lettere: I. La vita; 2. La chimica inorganica. - Il De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 22 gennaio 1865, pp. 54-57. La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, 12 febbraio 1865, pp. 103- 107; 19 febbraio 1865, pp. 115-119. La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, 2 aprile 1865, pp. 6-9. [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei Tipi animali (v. infra), [parte prima], p. 246, col titolo: / tipi naturali].   Bibliografia. XV A . C. De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti, 1865, (pp. 44, in -8°). [Reca la data: Bologna 7 novembre 1865]. / tipi VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti, 1865, (pp. 96, in -16° picc). [È, dedicato alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano. Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna, serie V, voi. I, p. 385, (pp. 12, in -8°). Delle prime linee della patologia storica, Prelezione al corso di storia della medicina per A. C. De Meis, detta l'8 gennaio 1866, Bologna, Monti, 1866 (pp. 75, in -8°). // sovrano, nella Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e lette- ratura, compilato dai proff. Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, 1868, voi. I, (pp. 79-87). [Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra il Carducci e il Fiorentino, dal CROCE, nella Critica, Vili (1910), pp. 401-421]. [Dichiarazione] nella Gazzetta dell'Emilia, anno IX, N. 68, 9 marzo 1868. [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili, N. 72, 13 marzo 1868; e fu ri- stampata dal CROCE, nella Critica, Vili (1910), pp. 416-418]. // sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti, 1868, voi. I, (pp. 185-208). [È una lettera, con la data: Bologna, 16 marzo 1868]. Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, 1868, (pp. 448, in -16°); parte seconda, Bologna, Monti, 1869, (pp. 266). (Le prime cinque lettere (1863-66) erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo II (parte seconda, pp. 46-60) fu pubblicato nella Rivista bolognese, 1868, fascicolo del novembre, pp. 971-981, poco prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, 1868 (Estratto dal fase. 8° della Rivista bo- lognese, pp. 24, in -8°. Data: Bologna 20 luglio 1868). [Fu pubblicata anche nel Morgagni, a. X, agosto 1868, pp. 549-575]. Della medicina sperimentale, Prelezione, Bologna, 1869, (pp. 29, in -8°). |Fu pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, XI, 1869, pp. 161-189]. Lo Stato, nella Rivista bolognese, 1869, pp. 3-31, 153-194 e 453-475. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, 1869, pp. 724-773. Della utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea [del 1870], (pp. 4, in -8°).   XVI Bibliografia. Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione al corso estivo 1870, Bologna, Monti, 1870, (pp. 13, in -8°). (Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali (v. infra), [parte prima], pp. 5-17). / tipi animali, Lezioni, [parte prima], Bologna, Monti, 1872, (pp. 587, in -16°); e parte seconda, 1875, (pp. 585-1143). [La «Prelezione» era 3 stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione VII ([1], 125- 156) fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da B. Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, febbraio 1872, pp. 69-93, col titolo: / tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, 1873, (pp. 126, in -16°). Del concetto della storia della medicina, Prelezione, Bologna, Monti, 1874, (pp. 26, in -8°). La medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti, 1875, (pp. 24, in -8°. Fu pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Francesco Fiorentino, Anno I, voi. I, fase. 2 aprile 1875, pp. 265-280). All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bolo- gna, Monti, 1879, pp. 20, in -8°). [È, una lettera, con la data: Bologna, '17 maggio 1879]. // canonico di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia, anno 1881, nn. 319, 320, 321, 322. [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze], N. 43, 12 febbraio 1882. [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti, 1882, (pp. 79, in -8"). [Data: 19 ottobre 1882]. Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti, 1883, (pp. 20, in -8°). Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e Garagnani, 1884, [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, 1884].   Bibliografia. XVII Bertrando Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna), a. XXIX, N. 54, 23 febbraio 1883 (>)• Francesco Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, 1884. - [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, 28 dicembre 1884, N. 359. Opu- scolo di pp. 10, in -16°, anonimo]. Spagnolismi e francesismi. Note di AngeiAntonio Meschia (-) maestro ele- mentare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti, 1884, (pp. 80, in -16° picc). Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno scolastico 1886-87, Bologna, Monti, 1886, (pp. 35, in -8°). [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal giornale L'Università, Bologna, 1887, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emi- liana, N. Primo, 12 maggio 1888; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri 3, 5, 6, 8, 10. [La pagina d'album e la polemica furono ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani, 1889]. Corso di storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, 1890, (pp. 246-250, 310-312, 487-491). [Uscì pure in un opuscolo di pp. 8, in -8°, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi, 1890]. Lettere di A. Camillo De Meis a B. Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando, (pp. 32, in -16°). [Tre lettere ed un telegramma del De Meis sono state pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione ampliata con pref. di G. CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, 1884, pp. 498-499, 570, 613, 630-631 (la prima è la dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese, 1911, pp. 11-12. Altre lettere del De Meis sono state pubblicate dal CROCE nel volume Silvio Spaventa - dal 1848 al 1861 - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica, XII (1914), pp. 85, 161, 241, 321, 405; ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zu- rigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, 1913, pp. 137-138. Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente pub- 2 blicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). ( La religione cristiana è già distrutta nel mondo  civile latino; vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico;  la riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannatu-  rale non illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed  all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del so-     ( l ) Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la laurea, pur senza  esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le apparenti contraddizioni notate  dal GENTILE, La filosofia in Italia dopo il 1850, 1. cit., p. 302.     Le idee estetiche e religiose. 295     prannaturale nel principio, poi caricatura smaccata e cinica  della religione, succede la drammatica senza soprannaturale.  Nel XVI secolo la distruzione è compiuta in Italia; in  Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione  era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi  attecchì nel secolo XVII il giansenismo, una riforma miti-  gata; ma nel secolo XVIII la Francia, divenuta centro di  coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo XVIII è il  secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia del  Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreli-  gione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e  naturale, succede la lirica moderna, che « non lascia alcun  margine fra sé e l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo  limite della poesia » ('). Anche in Germania, in parte  per riflessione spontanea e in parte per influenza del ri-  sorgimento italiano divenuto sud-europeo, si è iniziato il  risorgimento, che differisce dal latino in quanto non è la  semplice rappresentazione del naturale, ma la negazione del  soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue conse-  guenze. Secondo il De Meis, i due risorgimenti, il latino e  il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sul-  l'altro, nel XIX si fondono in un solo risorgimento, un solo  mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione, divenuta  indifferente, è appunto per questo perfettamente tollerata.  E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa  spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una  sola Europa giuridica e politica.   Il secolo XIX durerà finché duri l'uomo. S'inizia nel  secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo fin  da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-  guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la  opera del risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con-     ( 2 ) Dopo la laurea, [I], p. 200 e segg.     296 Le idee estetiche e religiose.   verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pen-  siero del suo pensiero ( 1 ). Il vangelo di Gesù è quello del  cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Di-  scorso del metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus :  il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa  cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo  ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un  solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio,  il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate moderno,  che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello  spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa sca-  turire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose dello  spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito, questo  divino, questo assoluto e universale non è che individuale.  Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi  Fichte — , che con profonda intuizione vede come l'univer-  sale e il particolare di Socrate si compenetrino in una sola  unità. E dopo Platone viene Aristotele ( 2 ), viene Giorgio He-  gel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede  con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non  durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo-  tele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale  genere umano. Giorgio Hegel, ponendosi nella posizione di  Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e trova  il processo della creazione.   Questo grande movimento, che si compie nel nord, si  era iniziato nel sud ( 3 ) ; ma il sangue del Bruno era stato ver-  sato invano ed il Vico non era stato compreso da nessuno,     ( 1 ) Pel giudizio del De Meis circa il sistema cartesiano, v. qui addietro,  pp. 282-83; ecfr. p. 301.   ( 2 ) Cfr. qui addietro, pp. 86-87.   ( 3 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 209-211.     Le idee estetiche e religiose. 297     un po' per colpa del papato e molto più pel carattere delle  loro creazioni, che erano intuizioni isolate del genio, più  che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario.  La storia del pensiero moderno è una storia tutta settentrio-  nale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel mondo  latino non giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della  grande filosofia. Cartesio, il padre della filosofia moderna,  non procede dal Bruno, non è inteso dal Vico, né dal Gio-  berti finché egli non si fu « spapificato » ; Spinoza fa rab-  brividire l'Italia e la Francia. Il De Meis riteneva che a  Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al risorgimento,  un fil di tradizione del Bruno e del Vico: la quale, così  guasta e superficiale come era diventata nelle mani degli  avvocati, pure era stata bastante a farne un paese a parte;  ma credeva che i germi gettati dal pensiero italiano avessero  germogliato in Germania. Bertrando Spaventa si era molto  preoccupato del problema della filosofia nazionale ('). E il De  Meis accoglieva in questo proposito l'opinione del suo Ber-  trando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia,  e forse di tutta l'Europa, « la Germania inclusive » ( 2 ). Ora  che la storia del pensiero filosofico moderno sia concen-  trata tutta esclusivamente nella sola Germania — conce-  dendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una opi-  nione che lo Spaventa, e a traverso lo Spaventa il De Meis,  accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro  che hanno fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore  rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni singolo  filosofo è per lui in ragione diretta della distanza che lo     (') V. BERTRANDO SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con  la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, 1909; e Fram-  menti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore biblio-  grafico di G. Daelli, Torino, 1852, nn. 32, 33.   ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 288-290.     298 Le idee estetiche e religiose.   separa dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo  proposito i giudizi circa il Rosmini e la evoluzione del  pensiero giobertiano ( l ).   Dopo Hegel, secondo il De Meis, religione e poesia  cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica. Nel  mondo latino la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto  padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo.  Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo mo-  derno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cri-  stiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale e sim-  bolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova reli-  gione. Sforzi vani, che la religione cristiana, religione di  Dio, del vero spirito, della sua trinità, della sua umanizza-  zione, è l'ultima di tutte le religioni, e solo potrà trasfor-  marsi e purificarsi.   Mentre questi vani sforzi si compiono nella Germania  volgare — non in quella pensante — , nel sud, dove un ele-  mento pensante manca, la parte più elevata, non però pen-  sante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è  un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che  da un debole raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e  pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del Cri-  stianesimo, parti infelici della riflessione travestita da imma-  ginazione ("). La riflessione, non avendo piena coscienza di  sé come nel mondo germanico, coesiste nel mondo latino a  fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al  romanzo ( 3 ), genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione,  tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo,  genere equivoco, compare per la prima volta nel principio  del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se-     (!) V. Dopo la laurea, [I], pp. 415, 435, ecc. ; II, pp. 29-35, ecc.   ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 211-218.   ( 3 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 226-252.     Le idee estetiche e religiose. 299     colo XIX, e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco,  tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero;  si sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e ger-  manico, e raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equi-  voco anch'esso, mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico  e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a cui  somiglia, equivoco: Alessandro Manzoni.   Si osservi che il De Meis, una volta stabilito che il  romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci tutti  gli individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fio-  risce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella acce-  zione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni  individuo potrebbe indifferentemente applicarsi.   Dopo lo Scott e il Manzoni, il romanzo va perdendo il  carattere epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e  prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Paul De Kock e  Edgardo Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia.   Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta co-  mincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma,  uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il  deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno  scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. « E non è  finita ancora la triplice serie » ('), osserva il De Meis, fedele  sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti prote-  stante; la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea;  l'Italia ha una ventina di milioni di analfabeti, tutti papo-  temporali ; i semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi.   Il risorgimento produce quella filosofia che è la bestia  nera del De Meis, la filosofia positiva. Era la filosofia che gli  aveva preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hege-  liana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci-     ( l ) Dopo la laurea, [I], p. 354.     300 Le idee estetiche e religiose.   liabile opposizione delle opinioni filosofiche — Pasquale  Villari, al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono  dirette nel Dopo la laurea (') ; era la filosofia che accoglieva  la teoria dell'evoluzione del Darwin; era la filosofia opposta  alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo. Mai  il De Meis si lascia sfuggire una occasione di combatterla :  trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la na-  tura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o  iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discus-  sione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia  antifilosofica ("). Il risorgimento iperscettico non può trovare  la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura esterna,  e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che è  la verità stessa. Secondo il De Meis, la filosofia sedicente  positiva è di fatto negativa, poiché nega il negabile, la cono-  scenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza del-  l'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai  pensato a negare.   Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera. Il primo  atto è il principio; la scena è in Italia: Telesio scopre l'ap-  parenza come principio. Il secondo atto è il metodo ; la scena  è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-  baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la  descrizione e la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema,  che ha pure due parti : la classificazione e la filiazione dei  fenomeni.   La filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia  fra la corrente poetica e la filosofica, ed è il sangue della     (') V. qui addietro, pp. 9 nota ( 1 ), 35-36; Dopo la laurea, passim; cfr.  PASQUALE VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico  di Milano, fascicolo di gennaio, 1866; e B. SPAVENTA, Scritti filosofici,  p. 311, nota ( 2 ), per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa pubbli-  cazione dal WYROUBOFF, dal MamIANI, dal FIORENTINO, dal TOCCO.   ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], p. 355 e segg.     Le idee estetiche e religiose. 301   filosofia; l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'in-  duzione baconiana il polmone sanguificatore ; la legge posi-  tiva il torrente della circolazione; ed essa, la filosofia, è il  cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e pensiero  speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non  avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la  natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Al-  lora questa terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà dive-  nuta un mare, ed avrà confuse le sue acque col mare della  religione, della poesia e della filosofia.   La terza parte del gran dramma della filosofia cristiana  è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa del risorgi-  mento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove alla  ricerca di un principio. Il nuovo Talete è Giordano Bruno ; il  nuovo Pitagora è il Leibnitz. Per passare dal naturalismo dina-  mico del Bruno e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dal-  l'atomismo ideale leibnitziano, dal principio naturale al prin-  cipio umano, occorreva un nuovo Anassagora, e venne Car-  tesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del mondo,  nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più em-  brione ('). Il secondo atto della filosofia moderna si volge  al metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dia-  lettica, proporzionatamente alla più perfetta natura del prin-  cipio moderno, e nell' esplorare più completamente il prin-  cipio, consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX,  che termina poco dopo la fine del secolo XVIII. L'atto terzo  è il sistema, è il principio di Cartesio e dello Spinoza, del  Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente sviluppato.  Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il si-  stema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai es-  sere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità  dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti     (') Cfr. qui addietro, PP . 282-83, 295-97.     302 Le idee estetiche e religiose.   i principi a traverso ai quali la riflessione greca è passata  non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. « E  uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un  punto nel quale il principio contiene in se il tutto % e il metodo  si confonde col processo evolutivo del principio, e il sistema  è il tutto spiegato; quando la filosofìa giunge a comprendere  il creante e il creato in un attivo processo di creazione » ('),  non ha più dove andare, a meno che non voglia indietreggiare,  come fece la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo. E  se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si  contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo  Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il  perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di og-  gettivo è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo pro-  cesso di cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filoso-  fica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è  sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima  umana. L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quan-  do della realtà vivente, ossia di se stessa, ha composto quel-  l'estratto che si chiama pensiero filosofico, allora l'azione si  arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando Aristotele ha  creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità,  lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ;  e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fan-  tasticare. Quando la Germania ha creato il vero sistema  del mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un  cristianesimo assoluto, allora la vita si congela nell'astra-  zione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma presto  si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione hegeliana,  trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento ne-  gativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri  filosofici ed aborti strani ; col secondo la medicina naturali-     (') Dopo la laurea, [I], p. 373 e segg.     Le idee estetiche e religiose. 303   stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania mate-  rialistica e naturalistica è più morta della Germania hege-  liana. Come la pura riflessione, così la pura contemplazione  è la morte. La vita è pensiero apparente, è unità di rifles-  sione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa posi-  tiva, di poesia e di filosofìa.   La storia universale è una sequela di creazioni, identiche  fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e  perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma  dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo. Ogni  creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive  di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a  cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa,  senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale,  da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare,  e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno umano  inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe-  siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano  universale, ha esso pure la sua storia, ed è una serie di  sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la reli-  gione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore  assoluto e infinito al particolare e al finito.   Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è soltanto  la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano,  natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono  due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico-  lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola  legge naturale » ('). Le forme e gli elementi naturali ed  umani sono del pari indistruttibili, e la legge comune della  loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere e  perire è destino comune agli uomini, agli animali, alle piante     ( x ) Dopo la laurea, [I], p. 113; cfr. pp. 180-84, e passim; ed / tipi  animali, [I], pp. 332-33, 336-37; ecc.     304 Le idee estetiche e religiose.   e ai sistemi planetari. Ma gli elementi della natura sono  l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si  compenetrano ; quelli dello spirito sono compenetrati ed inti-  mamente unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, va-  riando solo quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma  e natura dall'elemento preponderante e più attivo. La natura  è come una scala a piuoli ; lo spirito come una scala a corda,  che raggiunta la meta si raggruppa in se stessa.   Nell'uomo-cosmos gli elementi spirituali erano tutti in  uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza : solo  il genio, l'immaginazione era attiva da principio; poi entrò  in attività il senso. Anche la natura, poiché si muove, deve  avere il senso naturale, nella forma inferiore di senso chimico  ed in quella superiore di senso meccanico. Poi l'uomo di  sistema solare si fece pianta; nella pianta l'unico elemento  spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è il senso  meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui  l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è  il movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco comin-  ciano ad entrare in azione gli altri elementi umani : imma-  ginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera tutta  animale una piccola induzione, e per poco la famiglia umana,  e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente  nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con  questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione;  manca la riflessione della riflessione, la scienza; predomina  il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato  naturale di cui parla il Rousseau. Nel secondo tempo l'atti-  vità passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra  gli uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera  della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del  sentimento e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a  questo processo di divisione e di analisi, si compie nella  storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande ragione  avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore     Le idee estetiche e religiose. 305   che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore,  da cui riceve in contraccambio la vita. Questa seconda co-  scienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche  Aristotele parlava di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro  patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno fu arso vivo  per aver parlato di quel secondo spirito ( l ).   La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una molti-  tudine di individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito  si compone di una successione di grandi unità ("'). Il primo  stato embrionale del genere umano è la natura (il De Mteis,  hegeliano e medico, prende spesso come termine di con-  fronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e  l'animale; terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante  del genere umano. Egli con la sua piccola positiva riflessione  vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e posi-  tivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza  scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa,  ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma  a poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi  dalla prima nasce una seconda coscienza, e l'uomo intui-  tivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo e intellet-  tuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la coscienza  finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni umane  il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro  distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvo-  cato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le  due coscienze si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono  assolutamente identificati nel pensatore, perchè una volta svi-  luppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più deporla  per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come  non poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere     (') V. Dopo la laurea, [\], pp. 169-74.   ( 2 ) V. Dopo la laurea, [I], pp. 112-28, 149, 152 e segg.   Del Vecchio-Veneziani - 20.     306 Le idee estetiche e religiose.   animale. E la poesia si trasforma in estetica; la religione  in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al mondo,  perchè essa non è una combinazione di fantasia che afferra  e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una  sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che  inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima  di un solo uomo, spettatore più che autore della sua propria  trasformazione ».   È un fatto di ragione che la vita umana comincia con  l'assoluta barbarie, col puro senso materiale e col semplice  istinto naturale; e termina nella riflessione intellettuale, che  è la vera vita e l'assoluta e definitiva civiltà. È un fatto di  osservazione e di ragione che si va dall'una all'altra passando  per la forma intermedia della immaginazione. La religione  e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie civile  ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e  barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva  e civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma  intermedia. Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un  elemento di questa; è epico- religiosa nell'antichità, raggiunge  la perfezione nel risorgimento, e decade nel secolo XIX,  nel greco-romano come nel latino-germanico, per eccesso di  riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa un  elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà  come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché  duri il genere umano.   La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello spi-  rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua ci-  viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma inter-  media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog-  gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile  dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale,  più oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile,  più umana, più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la     Le idee estetiche e religiose. 307     religione epica orientale e la religione lirica occidentale,  la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia, e  vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella  religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i carat-  teri di un sistema religioso completamente sviluppato; il  politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale  risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio  evo, pone gli elementi essenziali della religione, che sono  quelli stessi del pensiero, nella vera forma religiosa; l'anti-  chità moderna, ossia il risorgimento, spezza questa forma;  il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella forma  di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio evo  è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico;  la Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma-  tica; il tempo moderno è tutto umano e tutto divino ed è  tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno il medio evo  è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata dalla  grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il risorgimento  è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel mera-  viglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il  secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il prin-  cipio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia  storica e finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene  una lirica tutta stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai  la riflessione ha superata l'immaginazione; il sentimento e  la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al  pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una  poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto  di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica e  religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 se-  colo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-  filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La  poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo     308 Le idee estetiche e religiose.   dalla forma di immaginazione per entrare in quella di filo-  sofìa, e in quella vive ed eternamente vivrà.   La forma e l'elemento della poesia e della religione è,  come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento  ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che prima  era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge  la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo  elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La  musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le arti  plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, deb-  bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più  tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura.   Certo la musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo;  ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor-  dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico  è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul-  tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è epico-  religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel risor-  gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-  stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico,  la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma ;  acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li-  rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia del-  l'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto  sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte  e poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte  oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi-  mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere, poiché  il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il risor-  gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è  il principio, quello stesso dal quale in origine usciva Funi-  verso. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico-     H V. Dopo la laurea, [I], pp. 310-333.     Le idee estetiche e religiose. 309   mincia da capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa  nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX, che  ha per necessaria preparazione il risorgimento progressiva-  mente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il se-  colo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della musica  quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la dissolve  a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia  di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me-  lodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una  scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove  allato al risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa  italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico, e tocca  ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la musica  si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero positivo  comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'imma-  ginazione.   Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della  morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo  moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro-  mana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto  nell'anima greca, ma il vero tempo moderno, il nostro se-  colo XIX, che è la continuazione e l'adempimento del risor-  gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma-  nità, che è un aspetto del sentimento della natura, prenderà  la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale la lirica,  la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità  assoluta e definitiva.   L'unificazione non è però avvenuta ancora nel campo  della poesia, né in quello della religione e della filosofia.  La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura,  sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medio-  evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.  Così è delle forme religiose (*). Analogamente delle forme   0) Cfr. qui addietro, pp. 287-88.     310 Le idee estetiche e religiose.   filosofiche : esiste presso il popolo apostolico primitivo la  filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia me-  dioevale, la scolastica del secolo XIX, e la filosofia del risor-  gimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scet-  tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo  oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non  è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche in  atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta  unità.   A questa teoria del De Meis si mossero da Silvio Spaventa  e da altri obbiezioni ('), che possono ridursi sostanzialmente  a questa : Come può lo spirito umano perdere due delle sue  funzioni essenziali, l'arte e la religione ? Il De Meis risponde  che Silvio Spaventa ha ragione se, basandosi sulla filosofia  kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto a  fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al  concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e  vita; ma ha torto se crede che la intuizione da accompa-  gnare all'ideale debba essere sempre fantastica e falsa. Nel  principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è creata  dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la vera,  non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di  qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti relati-  vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè  l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con  una intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie  di religioni tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè  l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa creare che  delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge, perchè     ( ] ) V. Dopo la laurea, II, pp. 19-46; e cfr. Poesia ed arte, Lettera di  G. FRANCESCHI al De Meis, nella Rivista bolognese, 1868, pp. 1045-51.  Il Franceschi dice che il De Meis, togliendo all'uomo la religione e la  poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli non comprende che il De Meis  intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica.     Le idee estetiche e religiose. 311   hanno un termine : e il loro termine non può essere che la  vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte  ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato  una serie di forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra,  e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute dell'arte;  e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e  fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali;  e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più  trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una serie  regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario  ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan-  tastica, più razionale, più reale della precedente. Per cui  l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in  essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fanta-  stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il cristia-  nesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli-  gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando;  e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre più  storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E  così per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando,  la religione e l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero  è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e del-  l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e  non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi-  gliante al concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso-  luta e reale intuizione. Allora la natura è concepita come  un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna  sua parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta  essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La  intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla sua  idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,  perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che  di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa si va  sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre  più veriforme fino a diventar vera ; il che avviene quando     312 Le idee estetiche e religiose.   l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto e  intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi-  nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e  trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la mo-  rale, il diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata,  perchè partecipano ancora della qualità della natura; ma la  religione e l'arte hanno per oggetto il vero; sono i gradi e  le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero ac-  quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono  unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli-  gione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per  trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte  si trasforma nella vera cognizione naturale ; la religione nella  vera cognizione spirituale. In questa trasformazione consiste  la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il limite  del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma  idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce  nell'idea.   Così termina la parabola religioso-poetica, della quale  il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana,  tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è  l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno progressi-  vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad essere,  oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno  cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e  trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in  se l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il  nuovo uomo crede e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal  suo pensiero una prima volta creato. Questo nuovo universo  è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il concetto ; ed il  concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è bello  e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capo-  lavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende  il magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume     Le idee estetiche e religiose. 313     e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò  ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa  creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così  che egli è più che mai non sia stato religioso e poeta,  quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo  parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a  traverso la piccola riflessione e la grande immaginazione,  giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva, av-  vivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della  religione e della poesia.   Naturalmente gli argomenti logici addotti dal De Meis  a sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione  e dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se si  ammette l'esistenza di un concetto assoluto, universale, defi-  nitivamente vero, al quale le intuizioni estetiche e le reli-  giose possano gradatamente adeguarsi; solo, in una parola,  se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di  storia del genere umano tracciato per convalidare queste  argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non  la storia conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione,  se pur non modifica la storia, certo la coglie nei momenti  e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli altri. E le  molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostra-  zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che  egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-  zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la  sua poesia.   Il De Meis è certo che le tre grandi correnti umane, — la  contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la  riflessi vo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide  in altre due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e  Tanti filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, nega-  tivo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — ,  dopo aver proceduto isolate fino al secolo XIX, suddivi-     314 Le idee estetiche e religiose.   dendosi in altre molte correnti o scienze pseudo-positive,  accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e del  pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità  del pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che  le due filosofie astratte si fondano in una sola filosofia con-  creta; bisogna che la corrente religioso-poetica mescoli le  sue acque con la corrente unificata della filosofia. La cor-  rente filosofica, scaturita dalla religione e dalla poesia, tor-  bida in principio, si allarga, si purifica, diviene trasparente  sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a poco,  invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione  e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la  filosofia sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della  natura : un pensiero pieno d'amore vivificherà una natura  piena di fantasia, l'amerà come natura umana, e l'adorerà  come natura divina.   Qui alcuno potrebbe chiedersi : in questa identificazione  della filosofia con la vita, non subirà la filosofia stessa un  assorbimento analogo a quello subito dall'arte e dalla reli-  gione ? La forma superiore non sarà la vita e l'azione ? Ma  il De Meis non distingue dalla vita quella sua filosofia del-  l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale  unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena  cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero,  al di sotto della coscienza. Sono cose tanto lontane —  dic'egli — e c'è di mezzo una tal nebbia di tempo avve-  nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna contentarsi  di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa  generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che  le cose passeranno così in generale ; e che tutto anderà a  terminare nella fusione di tutte le forze, di tutte le cono-  scenze, e di tutte le realtà, in una sola vita umana » {'). La  sua filosofia sarebbe forse un atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo,  un sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi  quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come natu-  rale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura.  La natura della causa esterna che move è corrispondente e  proporzionata alla natura della sfera interna che è mossa;  mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è  sempre la seconda che move se stessa con la prima natura.  Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione-  vole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la  ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità  della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la  proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e  si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita si  comunica alle altre, ed è una successione e una complica-  zione di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro  morbi umani essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani-  mali, gli umani o mentali. La patologia preistorica dice che  di questi quattro morbi il primo è stato il morbo vegetativo.  L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle mani  del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non  ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non  è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-  tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace  di colpa; egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura:  felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare.  Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua libertà  e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istin-  tiva ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volon-  taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non è più  la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è  l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa  libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua  propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso,  supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole, e     Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. 173   si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia raggiunto  tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia com-  piuto il fato umano. Così V uomo naturale diventa in prin-  cipio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La  civiltà ha certamente i suoi morbi ; e sopratutto nel mo-  mento del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce  dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa. Allora  l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il  morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più cru-  deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vege-  tativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi  riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le  cause naturali, ma operano anche per proprio conto, gene-  rano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche.  D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una corru-  zione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet-  tuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto  questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si  succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza  divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par-  ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie  e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel suo  primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi,  altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta  seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e  morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine  a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutri-  tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il  paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la  sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passio-  nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali:  ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina —  la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza morbi ;  essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la gua-  rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale     174 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno  della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica  e tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause  mistiche, che danno origine alle malattie psichiche mistiche e  religiose. La corruzione cristiana riproduce la corruzione  pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche malattie.  Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo cristia-  nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le cause  spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima  civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa-  rirà il male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi,  come era in principio l'uomo animale. Tale è il primo e più  generale risultato, la prima legge della patologia storica :  l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha quattro qua-  lità di morbi, che sono le categorie primarie della patologia.   Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro  senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la  oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo  o negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le cate-  gorie secondarie della patologia. La categoria primaria, la  natura e la qualità fisiologica del morbo, è l'essenziale, e  mai non manca, né può mancare ; invece la categoria secon-  daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e manca  infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-  lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche  la quantità innormale può mancare del tutto, perchè è sup-  plita dalla quantità normale ; nelle grandi applicazioni sto-  riche la categoria secondaria trasparisce sempre dentro alla  categoria primaria.   Le categorie primarie e secondarie ci danno la pianta  della patologia storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti.  Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i quattro  grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : appa-  recchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene-  rali non esistono veramente che nelle anime elementari o     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 175     cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di cate-  gorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste  ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A  forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie  e si consolida l'astrazione (').   La patologia storica congegnata dal De Meis è veramente  originale ( 2 ); e sebbene, volendo dedurre da pochi principi  e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia tal-  volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-  lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi  alle varie forme della civiltà umana.     IV.   Ancora il terzo periodo — b) La filosofia della natura ( 3 ).   La creazione secondo il De Meis. La lotta del De Meis contro la teoria  darwiniana. 11 suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi.  L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica.   11 De Meis non poteva limitare la sua speculazione entro  l'ambito della jatronlosofìa : dalla sua stessa concezione di     ( J ) V. Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna,  Monti, 1866, passim.   ( 2 ) Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della pa-  tologia storica, p. 63): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei  curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia  piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la  priorità ». - Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di  questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di  lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in  Italia, 1. cit., p. 526.   ( 3 ) V. qui addietro, p. 156, nota ( 1 ). Per gli argomenti trattati in questo  paragrafo, si vedano: / naturalisti (1865), La natura a volo d'uccello: Forza     176 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza  dell'ambiente intellettuale nel quale era stato educato, egli  doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una  filosofìa della natura.   Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è pensiero,  e non vede chiaro il significato di questa identità e non ne  deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le  fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse  e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio solido e  fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello in  aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia  ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi  che succedono a volumi, e rivelano una profonda conoscenza  dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali, dai  tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geo-  logia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e compa-  rata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste  scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e con  periodi storici ; sono analisi di animali e di vegetali, di specie,  di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi, di  funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato  dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si  risentono le conseguenze della incertezza fondamentale.   Il De Meis afferma che creare è diventare, è spiegare suc-  cessivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio es-  sere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e  di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto ( x ).  Ma poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e     e materia (1865), Un nuovo corpo semplice (1865), / tipi vegetali (1865),  Deus creavit (1869), / tipi animali ([parte prima], 1872; e parte seconda,  1875), Filosofia e non filosofia (1883), Darwin e la scienza moderna (1886),  ecc.   (*) V. Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, 1869, p. 736  e segg.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 177   la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad am-  mettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà,  perchè il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio.  Non resta dunque fedele alla concezione idealistica, secondo  la quale la natura è un momento del pensiero, che si risolve  interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo sviluppo  del pensiero non sarebbe né completo, né possibile.   Egli distingue nella natura due gradi e due modi di  creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,  individuale anch' essa. La prima creazione è quella che  F idea dell' uomo fa dell' individuo umano; ma 1' idea del-  l'uomo è naturale, e le idee naturali restano latenti finché  l'idea divina, prima causa di sé e della natura, le renda  attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione. Quando  l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella  natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto  al suo principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea  spirituale. Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci-  dente, cioè come individuo. Quindi, come nella natura, così  nello spirito accade una doppia creazione : quella dello spi-  rito individuale e quella dello spirito universale. Il primo  ripercorre le forme storiche passate dell'umanità sino all'at-  tuale, l'altro crea le nuove e più perfette forme storiche.  La storia della natura umana, quella della natura vivente e  quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno  stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea-  zioni : una divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale,  ma temporale e finita, universale e particolare insieme; la  terza materiale, individuale, accidentale.   Dio si realizza nel mondo, e il mondo nell'individuo;  quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo fa  nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma  più semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme  opposte, il vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una   Del Vecchio-Veneziani - 12.     178 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina  passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così  pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma  esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo  tutte idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un  mammifero passa per le forme animali inferiori e le proto-  vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così l'in-  dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre  forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra-  gionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento,  tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta  alle forme storiche già create; l'uomo di genio crea forme  nuove, opera come spirito universale, traendo da Dio l'im-  pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre ai  più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,  come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma  vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari  gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella  natura.   Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui la  forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della supe-  riore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce  il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita;  e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito  umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti inte-  ramente, cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo  superiore. E la creazione ideale è creazione sensibile ; la  creazione di una specie è produzione di molti individui in  cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione,  e la successione effettiva e naturale presuppone la succes-  sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la  natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia  tuttavia assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa-  risce la forma rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe  e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai     Le opere scientìfiche e la filosofia della natura. 179   completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si rista-  bilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa  come il tempo; la natura è più tenace.   Altra è la successione di tempo, altra di idea. La suc-  cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a  tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i  tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati.  Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo pre-  cedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia  al tipo che gli deve succedere (').   Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura,  nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità,  i corpi inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa  esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune.  Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità  diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spi-  rito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di appo-  sizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per  una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una molti-  plicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del-  l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno pros-  sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia  la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice  che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege-  tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo  elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel-  l'animale deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in-  dividuo, semplice e libero al di fuori, è molteplice e tutto  qualificato al di dentro. Le forme superiori ( 2 ) sono la chiave     ( 1 ) V. / tipi animali, [parte prima], Bologna, Monti, 1872, pp. 322-23,  332-33, 336-38, 422-23; parte seconda, 1875, pp. 670, 1098, 1101-103,  1131-132. - Cfr. Lettere sulta patologia storica, pp. 6-8.   ( 2 ) V. / tipi animali, [IJ, pp. 494-96.     180 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse  oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta spie-  gate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva  semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme  fra le quali corre una particolare e più diretta e più intima  relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in cui  l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo  empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti-  ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar-  winiano, di una inestricabile confusione.   Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il  Newton ('), così il De Meis lancia in quasi tutte le sue opere  strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista  inglese è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè  pone il cieco caso in luogo della ragione vitale ( 2 ). Egli pre-  tende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute  l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità  organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella selezione  naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una forma  nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. Il De Meis  afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la  modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in-     (') Il De Meis dice che la proposizione in cui si compendia la scienza  dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo  umano primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per  cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti ; egli nel  cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva  l'uomo». - Dopo la laurea, li, p. 195. - Cfr. ivi, pp. 26-7.   ( 2 ) V. / tipi animaci, [I], pp. 143-156; e cfr., pel giudizio del De Meis  circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, II, pp. 195-99, 257-58; Deus  creami, 1. cit., passim; Darwin e la scienza moderna, pp. 22-35; / tipi ani-  mali, [I], passim; II, pp. 760, 1079-82, 1085, e passim; Filosofia e non filo-  sofia, pp. 11-12; Lettera sulla patologia storica, pp. 6-9; ecc.     Le opere scientifiche e la filosofìa della natura. 181   genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli  non sa comprendere come si possa affermare che tale modifi-  cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi,  introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie  di Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è  qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità  più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e materiale,  è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è  quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella  selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno  di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano  tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega  le forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme  è la variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere  integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo  uno stesso animale ; la generazione è creazione ; la variabilità  deve essere determinata, perchè nella natura e nella scienza  la potenza sta nella determinazione.   Secondo il De Meis, è vero che l'individuo varia senza  legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo  accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra  la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà  dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e  solo creatore dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali,  perchè una funzione è un'idea, e per creare un'idea ci vuole  un'idea. 11 non essere non può creare l'essere, l'irrazionale  non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente non  può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non po-  trebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra  loro una differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore  dell'organica, e neppure potrebbero nascere nuove forme,  perchè ogni fonma ha un suo proprio valore assoluto, e si svi-  luppa secondo il ritmo assoluto del mondo, secondo il disegno  eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa l'unità  delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza     182 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza  antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due  storie ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra  secondaria, riflesso della prima, sviluppantesi nel seno della  natura e dell'essere vivente; gli altri, i seguaci della scienza  moderna, riflessiva, non riconoscono che la forma e la storia  intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito umano, con-  siderando la storia extramondana come un effetto ottico ope-  rato dalla intuizione.   Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vi-  tali ('). L'una consiste nel distinguere fra gli elementi comuni  a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si consi-  derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di  un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella  di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne  Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si rias-  sume tutta nella frase : una forma è simile ad un'altra perchè  il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è pel  De Meis il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della  scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con-  siste nel cogliere la forma nel suo movimento, e considerare  i vari tipi come i momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto,  il quale è l'unità, la verità, la ragione, il principio e il ter-  mine di tutte; e questo tipo è il vero animale. È la maniera  concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken. Dopo di  loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una  applicazione sistematica e conseguente alle varie forme  animali.   Il De Meis dice che egli intende di fare un tentativo  di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono  idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma     (') V. / tipi animali, [I], pp. 519-21 ; cfr. II, pp. 760-61, 796-97, 1083-  94, 1131-39.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 183     germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno, spon-  taneo. La creazione consiste nella determinazione ideale  originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimi-  tazione naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un  dato momento, aiutando le condizioni esterne da lei stessa  preparate, trasforma l'embrione in larva e la larva nell'in-  dividuo completo, facendolo attraversare una serie di forme  l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi uni-  versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-  razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e  generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura  e pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le  delimita; dei puri e semplici momenti della legge formale  fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia in-  forme a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla  serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo  intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è la  forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in  cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par-  ticolarità esiste, ma nella forma di principio, di universa-  lità, di necessità, ed in questa contraddizione consiste la  sua attività creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e si  effettua nella realtà dell'universo, e lo fa a sua immagine,  e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua evoluzione  attuale. La forma è un principio e una forza indipendente  dalla funzione (') ; e questa forza ha una legge che ne deter-  mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-  verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale  e dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è  quello intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge,  ogni sviluppo essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi,  sintesi. Al movimento puro, assoluto, astratto, corrisponde il     (0 V. / tipi animali, II, pp. 962-63.     184 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali corri-  spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo (').  E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella na-  tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La  natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essen-  ziale ; è tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione,  senza la forma della forma. La vita (antipan) è essenzialmente  opposizione fra corpo ed anima, fra molteplicità ed unità, fra  vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed animale una  doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi  psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è  teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,  poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso  e sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e  l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce  per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si riconosce  nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle cose  e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale  apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa  corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta,  universale e puramente ideale, e la opposizione è finalmente  risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano hanno  ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico essenziale.  Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è per  il De Meis il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al  labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le  forme e i tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno  stesso identico animale in via di formazione : l'uomo ( 2 ). E  dei tipi animali egli vuol tracciare la storia ideale ( 3 ), per-     W V. / tipi animali, [I], PP . 194-95, 245-48, 295-98; e II, PP . 716,  1103-104.   ( a ) V. / tipi animali, [I], p. 318.  ( 3 ) V. / tipi animali, II, pp. 906-7.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 185   seguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la descri-  zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni  tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione,  è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo  creativo, cominciando da sé, creando a mano a mano le pro-  prie determinazioni. Invece i sistematici ordinari ■(*), tutti  intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle diffe-  renze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualita-  tivi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli  più materiali, che non significano nulla appunto perchè non  passano in altre forme. Tipo è forma con significato.   Questi sistematici hanno una logica difettiva a forza di  astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il quale.  Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, arti-  ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi, iso-  latori ( 2 ). La nuova morfologia invece cerca le comunanze e  le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la tran-  sizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera  morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti gene-  rali dell'essere; poi viene la funzione ideale che la acco-  moda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e  la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo-     0) V. / tipi animali, II, pp. 873 e 913-14.   ( 2 ) V. / tipi animali, II, pp. 933-34; cfr. [I], pp. 458, 467, 481, e II,  pp. 738, 1007-8. Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie,  l'A. soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con  un organo che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei  sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti  cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non  ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per  stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e per  supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato tirerà tanto  di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto tirare ». Op. cit., II,  pp. 938-39.     186 Le opere scientìfiche e la filosofia della natura.     la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è  una funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la fun-  zione essenziale, «principiale)), a loro ignota e inconcepibile,  Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare con la  scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la  fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare  come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge-  gnose. 11 rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas-  sificare; pensare e ripensare (').   Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel vege-  tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il  centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi-  zione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due  sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga,  prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi  molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari.  11 vegetale antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dal-  l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il coti-  ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma riproduttiva  sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico  dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nel-  l'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa  l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e  sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono  riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è  il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il  radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il verte-  brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi  di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di  vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la presenza  o l'assenza di un elemento secondario.   Finché il De Meis sta fedele al suo programma di dimo-  strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali     (!) / tipi animali, [I], p. 555; cfr. II, p. 865.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 187   crede, egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni  alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della vita,  della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente  geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte  — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di tentare una  dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece, senza  avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la  nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-  loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo sem-  plice ('). Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli  tenta, senza riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal  primo momento essere. Nei Dialoghi affronta lo stesso pro-  blema in forma più concreta : ricerca il punto in cui l'essere  ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza di  chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con  lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio,  e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe  studiare un essere da lui non visto ancora, ma del quale, per  descrizione autorevole e per indizi indiretti e certi, gli fosse  nota l'esistenza e i caratteri.   11 vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui  l'uomo della natura, che in sé ricompendia tutta la natura,  si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo pensiero  eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura ?  E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retroce-  dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un  muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare:  quel muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio;  ma spazio senza materia non ci può essere. Chi dice spazio     ( ] ) / naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, gennaio 1865,  pp. 54-57; La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Ci-  viltà italiana, Firenze, febbraio 1865, pp. 103-7, 115-19; La natura a volo  d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze,  aprile 1865, pp. 6-9.     188 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir moto  è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma — la  materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo.  La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo :  da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza  fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la  materia della forza inferiore ed il germe della superiore : e  così il moto è il tempo materializzato; il tempo è lo spazio  divenuto più materiale. Sempre la materia è la realtà, il  limite di una forza; e la forza è la materia nel suo spon-  taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non  pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza  semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come  la più forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che  si comunica a tutta la massa della forza semplice, sì che  tutto diventa forza chimica reale, affinità e materia puramente  chimica ; e fa di questa affinità informe un imponderabile  informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo sem-  plice informe.   L'uomo senza influsso di esterno accidente, mentre egli  era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un punto  del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione  della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un  punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto  lo spazio. ((Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma-  teria reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale,  interminato, e con esso cominciò la natura. La forza del pen-  siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in  forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la  forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo  fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si  trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo  in vera materia, in corpo chimico imponderabile, pondera-  bile. È la materia semplice che successivamente si modifica  e si realizza; è la proprietà chimica, è la speciale natura     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 189   fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si  aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e  le dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo  incorporeo, una materia immateriale, una realità non sensi-  bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà, sono sem-  plici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla  esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza  è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal  valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma  la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad  empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano dietro  a quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie, subito  mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre pro-  prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le dissemi-  nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo spazio  è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,  ma non corpo, perchè non è ancora sensibile.   11 primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite  che è esso stesso pensiero, ed è il germe e l'origine del senso;  di questo limite fa lo spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e  il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la materia  pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui  stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice  pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa  dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un  corpo sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo,  anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un moto  reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà  tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'ani-  male ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera  sua. Di quel suo limite originario, che era un senso-pensiero,  egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo senso  farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà del-  l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo  all'origine della forza e della materia uno stesso identico     100 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano  originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori-  ginaria identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima  natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo; e in  ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la  materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden-  tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due  cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente  corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci  fa più facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle  nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af-  ferrare ciò consiste la scienza.   Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è  quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice,  omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà  la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie,  il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte  le forze del caos darà una legge e una norma, a tutte le  materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il  cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza  vitale, e la forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale.  E con questo programma egli termina il secondo dialogo,  Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia-  logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che  da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna  poi nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si  ritrasforma di natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad  un punto, e questo punto è l'io. Come in principio il punto  originario, così ora il punto individuale si trasforma tutto;  ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un atto,     (*) Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto da questa nota :  « Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », - Sappiamo già che  il De Meis lavorava spesso frammentariamente.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 191   bensì successivamente. L'io è un animale naturale, indi-  viduale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti,  molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio  intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana  universale, come quella dell'individuo umano, « si sgomi-  tola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si raggo-  mitola e torna ad arrotolarsi nella storia ». E perciò la storia  umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una  cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della  natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale  e universale ; solamente non appare e non diventa reale che  in certi punti di tempo e di spazio: in certe epoche, in  certi luoghi, in certi corpi e in certi ii.   È facile scorgere che il De Meis non è felice quando vuole  risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.  Invero non si capisce come quel suo pensiero originario,  avendo nel senso un limite interno, possa non avere anche  un limite esterno, e tutta la natura, che invece deve ancora  nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di premere  e caricare sul proprio limite, possa fare del senso-pensiero  un senso-senso ( x ), possa, in altre parole, trasformarsi da forza  in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di  star tentando la soluzione di un problema forse insolubile,  certo insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte  ed opposte, ma unite ed identiche è per lui una verità certa,  positiva, reale. Egli dichiara che non ha la pretesa di di-  mostrare, ma solo di far presentire la verità, come la pre-  sente egli stesso ( 2 ) : e certo di quella verità da lui pre-  sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una  pagina ( 3 ) che onora il suo senso poetico più che la sua     0) Cfr. Gentile, La filosofia in Italia dopo il 1850, 1. cit., PP . 299-300.   ( 2 ) V. Forza e materia, 1. cit., p. 119.   ( 3 ) V. / naturalisti, Dialogo I, 1, cit., pp. 56-7.     192 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   profondità filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale,  è l'inferno, l'anima è parte materiale e parte immateriale  ma sempre naturale, il pensiero è il paradiso, e di pensiero  noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il suo paradiso  tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco. Come  Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli  stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel-  l'uomo; solo ci dice con slancio lirico che quella è la sua  fede. Alla fede in quanto è davvero tale e solo tale, ed  è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe certo vano, se  pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai prin-  cipi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon-  damento di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si  deve chiedere se sieno suscettibili di avere dall'esperienza  una conferma o dalla logica una dimostrazione.   La risposta è negativa.   Quanto alla conferma dell'esperienza, il De Meis dice ( l )  che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle forme  e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il controllo  è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed intatta,  ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità,  e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore  ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee,  e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro  sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare  un terzo termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri  due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo termine non  può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte in  causa ( 2 ). Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non  poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non  può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere     (') V. / tipi animali, [I], p. 378.   ( 2 ) Cfr. Dopo la laurea, II, pp. 154-158.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 193   incoerenti ammettere l'esistenza di una realtà che non sia  l'idea o il pensiero.   Quanto alla dimostrazione logica dei suoi principi, ab-  biamo veduto che le rare volte in cui il De Meis la tenta  non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come quando,  dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona  come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere  come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori,  come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso  un limite interno senza avere un limite esterno; ovvero si  appiglia ad ipotesi degne di un alchimista ostinato alla ri-  cerca della pietra filosofale, come è quella della forza che  diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite ( 2 ).   La sua filosofìa della natura, riposando su principi che  possono essere oggetto di fede, ma non possono avere dal-  l'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma,  è una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa  e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun  sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,  vita della sua vita, anima della sua anima ( 3 ). Egli non  intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si proponeva  di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri raggiunta.  La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e come  base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della  forza e della materia, che contrariamente a quanto egli cre-  deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-  teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura,  si ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura  stessa o riducendola a una mera forma spirituale (').     ( J ) V. Deus creavit.  {-) V. Forza e materia.   ( 3 ) V. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere del  De Meis.   ( 4 ) Il De Meis non è d'accordo col Berkeley, che « sopprime la natura » ;   Del Vecchio-Veneziani - 13     194 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   Una costruzione speculativa della natura, quale l'idea-  lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero esigono,  dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi  compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria  l'accidente come tale non può trovar luogo.   Non si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in  tutte le assidue e lunghe meditazioni del De Meis intorno  alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era, come  egregiamente la definiva il Fiorentino ( ! ), « l'idea di con-  trapporre al predominio dell'accidente, che è il lato debole  del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale  delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega  la vita della natura... una ragione superiore, che regola lo  sviluppo dei tipi della vita naturale, finche non si dispieghi,  e non si allarghi nell'uomo e nella coscienza ».   Si trattava dunque per il De Meis di superare quello  scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini-  smo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus  ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra  una ragione superiore o una spiegazione più intima e razionale.   Il De Meis appunto dice e ridice, anche per quanto si  riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della  necessità e della certezza assoluta ( 2 ); ma in contrasto con  questa esigenza afferma anche l'indispensabilità dell'acci-  dente in tutti i momenti della creazione. Ora l'accidente,  che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente necessario,  cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella costru-  zione speculativa come elemento interno, e non esteriore,  sicché non può più dirsi propriamente accidentale ; o è la     né col Fichte, nel cui sistema la natura « c'è soltanto quanto basta per far  la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta ». Cfr. Preno-  zioni, PP . 47-8, 90.   ( x ) La filosofia contemporanea in Italia, p. 55.   ( 2 ) V. Dopo la laurea, II, p. 126; ecc.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 195     negazione della necessità razionale e della deduzione a  priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispen-  sabilità costituisce il confessato fallimento della costruzione  speculativa. Il De Meis oscilla fra le due alternative, senza  sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno  di quella avrebbe significato il riconoscimento della con-  traddittorietà della sua impresa.   Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire  nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli  anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiun-  gibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che « quando non  c'era la natura e quindi l'accidente » era impossibile al-  l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve prece-  dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza in-  flusso di esterno accidente », di scegliere un punto del tempo  e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della  materia semplice in corpo semplice ('). Gli anelli di salda-  tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo  della natura, è necessariamente compreso nel processo della  funzione ; che « ogni tipo vivente è già idealmente quello  che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo real-  mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e  d'esterni influssi » ( 2 ). E in generale tutto il processo e lo  sviluppo della natura per il De Meis consegue la realtà solo  in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla  produzione del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea  non è reale e non esiste che nel fatto ( 3 ); « il principio  e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche  elemento materiale e meccanico che lo fa reale e par-  ticolare, che è quanto dire individuale ed accidentale » (').     ( r ) Forza e materia, 1. cit., p. 106.   ( 2 ) / mammiferi, p. 67.   ( 3 ) V. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena.   ( 4 ) Degli elementi della medicina, p. 31.     196 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   Egli considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un  tipo ideale assoluto, l'uomo eterno; crede che tutte le forme  preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo crea-  tivo interno e spontaneo ; ma la creazione non consiste sol-  tanto (( nella determinazione ideale originaria di quegli schemi  indeterminatissimi », sì anche « nella loro delimitazione na-  turale, o sia accidentale ». E molte volte ripete che la natura  è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'ac-  cidente (').   Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla nostra os-  servazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del-  l'accidente che il De Meis afferma. Legato all'idea, intrin-  seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a  determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente  dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico: ha anzi  esso medesimo una necessità interiore ; è il momento della  antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi crea-  tiva. L'uomo eterno, dice appunto il De Meis, è « la forma,  l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo  stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità  esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di neces-  sità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività  creatrice » ( 2 ).   Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale  ci appariva impigliato il pensiero del De Meis. Che se anche  altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi  sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico-  nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie  di accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la  prima, accidentale in senso proprio la seconda. Il De Meis  difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene     ( x ) Deus creavit, 1. cit., p. 742, ecc.   ( 2 ) / tipi ammali, II, pp. 1080-1, e passim.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 197   a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno  ed accidentale che non era compreso nel processo della  natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e  oltre a modificare, sia pur solo superficialmente e quantita-  tivamente, le forme, e favorire la trasformazione, e provocare  la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi latenti,  « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche cosa  di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente,  esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge il De Mfeis —  nella forma latente un principio di accidente. Essa è sem-  plice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza  e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi  in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato e scolo-  rato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale.  L' accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli dà  corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e natu-  rale... » (*). Gli agenti esterni stimolano, promuovono, de-  terminano, ma Dio opera la trasformazione ("). L'accidente  può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai  veri gradi della formazione ( 3 ). Esiste dunque una storia  interna, essenziale, ed una esterna, accidentale ( 4 ); ed esi-  stono due sorta di accidente: uno necessario ed essenziale,  l'altro secondario e individuale ( 5 ): il primo, ((l'accidente  necessario, assoluto », realizza l'evoluzione creativa ideale,  intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni  realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli  individui; l'altro, «l'accidente accidentale», nasce dall'in-  treccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle cause na-     ( J ) Lettera sulla patologia storica, pp. 3, 7-9. Cfr. Deus creavit, passim.   ( 2 ) Dopo la laurea, II, p. 197.   ( 3 ) / tipi animali, [I], p. 148.   ( 4 ) / tipi animali, II, pp. 760-1. Cfr. Deus creavit, 1. cit., p. 737 e  passim.   ( 5 ) Deus creavit, I. cit., p. 768.     198 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   turali, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da  cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge-  neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi (*).  (( La natura finisce per essere, come la società umana, una  lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da  capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi ne-  cessarie ( 2 ).   Se non che arrivati a questo punto noi possiamo doman-  darci : l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro  rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del De Meis, è  veramente risolutiva ? Questo approfondimento del concetto  di accidente, questa distinzione delle due specie di esso,  interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera-  mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa  filosofia della natura si involgesse ?   L' accidente interno consiste nella indeterminazione e  molteplice possibilità della forma latente ; ma intanto il De  Mleis più volte afferma che senza il concorso di esterno acci-  dente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe  realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inse-  risca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'ac-  cidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol-  tanto per l'esistenza degli individui, ma anche per la pro-  duzione reale dei tipi nella natura. E del resto la stessa  molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente  necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si  fa nascere 1* accidente accidentale, possono essere a loro  posto in una concezione puramente causale e meccanica della  natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più  a posto in una dottrina finalistica, nella quale il termine finale  (l'uomo eterno) preesiste a tutto il processo di sviluppo e lo  genera esso medesimo.     (0 / tipi animali, II, pp. 1131-32.  ( 2 ) / tipi animali, [I], p. 145.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 199   Voler dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo  teleologico, e non saper negare che vi s*ia anche qualche cosa  di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura finisce per  essere, come la società umana, una lotteria, è contraddizione  non conciliabile tra l'intenzione e il resultato.   E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è  nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la  patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito  dal De Meis crollerebbe, se non intervenisse l'accidente  ((accidentale», perchè solo «se l'accidente, esterno o in-  terno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene,  e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o  naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta  la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera  umana, questa si altera e si di sor dima » ('). Ora si ricordi che  per il De Meis la malattia corrisponde al passaggio dall'in-  nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una forma  superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma superiore,  che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che attraverso  a questo processo, il processo è necessario, e necessari, non  accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la sintesi.  Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-  cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e  particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi-  mento degli opposti, il momento negativo non è meno neces-  sario che il positivo a dare con la negazione della negazione  la più alta realtà. Come può dunque in questa concezione  filosofica trovar luogo l'accidente « accidentale » del De  M|eis ? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente  estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere  costitutivo della natura quale dev'essere intesa in un idealismo  assoluto, cioè come pensiero o ragione ?     0) Delle prime linee della patologia storica, p. 13.     200 Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   Queste contraddizioni si collegano con una profonda, in-  conciliabile contraddizione interna del pensiero del De Meis.  È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista,  contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e  costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia  con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che  talvolta si riaffaccia: ((la metafisica ai metafisici, a noi la  fisiologia » ('). Questo è il suo conflitto intemo non superata,  che si potrebbe estendere ben oltre il suo caso individuale.   Invero se la natura è, come il De Meis sostiene, idea e  natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile:  il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la  fisiologia non può essere costruita se non è costruita prima la  metafisica. E costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso,  come altrove il De Meis riconosce ( 2 ); perchè, secondo il  principio vichiano ed hegeliano, per il De Meis il fare sol-  tanto ci dà il vero conoscere : « criterio del vero è il farlo » .   Dal che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie  alle conclusioni del De Meis intorno ai rapporti fra la teoria  e la pratica medica. Infatti come può la separazione della  jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con  l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,  perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilo-  sofia la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà  quindi contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica,  e quindi inutile come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia,  arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della verità della  jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura delle ma-  lattie, secondo voleva il Tommasi ( 3 ). Anche qui il De Meis     ( x ) Lettere fisiologiche, 1. cit., p. 35. Cfr. Dopo la laurea, II, p. 74 e  passim, là dove si riconosce come necessaria, sia pur soltanto al sapere « po-  sitivo », la « divisione del lavoro ».   ( 2 ) V. Idea della fisiologia greca, pp. 70-71 ; e altrove.   ( 3 ) V. La natura medicatrice e la storia della medicina, p. 23 e passim.     Le opere scientifiche e la filosofia della natura. 201   mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen-  siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi  principi.   Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del-  l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario  e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori  e ciò che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in  lui insoluto. Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche  Hegel aveva incontrate nel costruire la sua filosofìa della na-  tura, la quale è certo la parte più debole del suo sistema.  L'errore fondamentale del De Meis è consistito in questo :  che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della natura  hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che  le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non  consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura  compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando  per tutta la vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre  credendo di lavorare solo alla dimostrazione e alle applica-  zioni di quella, che egli stimava già scoperta da Giorgio  Hegel. Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature, citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli: “Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689147411/in/photolist-2mPVJx1-2mPMBQM-2mPpb7N-2mLQ1Vx-2mLNi1Z-2mLMaMX-2mPwdz2-2mPpVqK-2mKAoGK-27sASXB-G7oMm2-G55xdb-E4u3XA-kLb4Rq-jpofjt-jm54Cc-jhzTvz-jhQLNY-i7brtE

 

Grice e Melandri – le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone – Reale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo. Grice: “One of the ten items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice: “Melandri takes analogy more seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part of what I call ‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics, along with ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with two other concepts: proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s reading of the Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote ‘contro la comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” --  Grice: “He has studied Buehler; I like that!” --   Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in Germania. Ha poi insegnato filosofia in diversi atenei italiani (Lecce, Trieste e Bologna). Parallelamente all'attività universitaria, ha collaborato a lungofin dalla fine degli anni cinquantacon la casa editrice Il Mulino e alla rivista omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e curatele di alcuni volumi, pubblicando con essa alcuni dei suoi lavori più significativi. I suoi volumi più importanti vertono sulla fenomenologia di Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue curatele, anche presso altre case editrici (Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc.), ci sono studi che vanno dalla scienza politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di  Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica di Trier alla «metaforologia» di Blumenberg ecc.  Ha istituito un gruppo interdisciplinare di studi su Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle attività del «Centro di studi per la filosofia mitteleuropea» (con sede a Trento); partecipando  alla realizzazione di «Topoi», rivista internazionale di filosofia. Sempre in quegli anni ha dato vita agli «Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna», poi trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva e di cui è stato il primo direttore.  Tra i suoi testi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito da Giorgio Agamben "un capolavoro della filosofia europea del Novecento".  Il filo conduttore di tutta la riflessione di Melandri è il rapporto tra pensiero logico e pensiero analogico. Mentre il primo tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità elementare, legato alla "discontinuità" del principio di non contraddizione, il secondo si fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gli opposti. Ora, queste due forme di pensiero non sono affatto inconciliabili, ma complementari, in quanto fondate non su strutture assiomatiche, ma su una diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si realizza, secondo Melandri, nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a evidenziare l'«empirismo radicale» connesso alle strutture costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento fenomenologico. In ultima istanzacongiungendo istanze aristoteliche e husserlianeMelandri assume una concezione dell'essere fondamentalmente equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si presenta, al tempo stesso, come principio formale logico e funtore operativo analogico. Inoltre, Melandri espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo d'indagine e d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto dal suo  allievo, Stefano Besoli, filosofo a Bologna: «A lezione, si può dire che Melandri non parlasse, ma pensasse ad alta voce [...] dando l'illusione, quantomai benefica ed essenzialmente terapeutica, di pensare insieme con lui. Si aveva l'impressione di assistere, dunque, a un pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accadeva era un'esperienza di pensiero condivisa, giacché la condivisione era appunto la condizione stessa della buona riuscita di tale esperienza».  Saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico,” poi come introduzione a Bolzano, I paradossi dell'infinito, Cappelli, Bologna. “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,” “Alcune note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica – copredicabili – negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come copredicabili, la disgiunzione ‘o’ come copredicabili, l’implicazione ‘se’ come copredicabile -- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e Logistica”  Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli, Milano); “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze umane", in «Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto? ("Zoon Politikon. Bolk e l'antropo-genesi", in «Che Fare», “La linea e il circol: studio logico-filosofico sull'analogia” (Bologna: Mulino  rist. Macerata: Quodlibet, (prefazione diAgamben, appendice di  Besoli e Brigati,  Salvatore Limongi. Nota in margine all'episteme di Foucault» in "Lingua e stile",:La realtà e l'immagine,” (in Hans Barth, Verità e ideologia); Sulla crisi attuale della filosofia, in "Il Mulino",  L'analogia, la proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine, in "Lingua e stile", ora Quodlibet, Macerata, “L'inconscio e la dialettica,” Bologna: Cappelli, rist. come "Freud: L'inconscio e la dialettica", in Id., Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna: Pitagora;  rist. L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet. “Bühler. La crisi della psicologia come introduzione a una nuova teoria linguistica”, in “Animo ed esattezza. Letteratura e scienza nella cultura austriaca,” Marietti: Casale Monferrato, “Variazioni in tema di psicologia e scienze sociali” (Pitagora, Bologna); Appendice. Matematica e logica in psicologia: applicazione propria (determinante) o im-propria (analogico-riflettente), --  rist. in Id., L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet, "Per una filologia del sublime", in "Studi di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La novità degl’ultimi tremila anni, in "Mulino", "Faenza" e Marisa Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro il simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses are less important than the generic remarks he makes about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione, simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet, Macerata, postfazione di Guidetti) Sul concetto di descrizione nella psicologia fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in "Il Verri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento” (Mulino, Bologna); "Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia (o della principale equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in «Discipline filosofiche», "Il problema della comunicazione", in «Paradigmi», "Tempo e temporalità nell'orizzonte fenomenologico", in «Discipline filosofiche»,. "La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia esistenziale"  in “Questo nostro tempo -- studi e riflessioni sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); "Filosofia come critica della conoscenza e impegno interdisciplinare"  in "Tratti".  S. Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi su Melandri, Faenza, G. Agamben, "Archeologia di un'archeologia", in E. Melandri, La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata: Quodlibet, G. Agamben, "Al di là dei generi letterari", in E. Melandri, I generi letterari e la loro origine, Macerata: Quodlibet,  M. Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne); M. Ambrosetti, "Una lettura di Epitteto", in "dianoia", S. Besoli, "Il percorso fenomenologico", in  La fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma: Inschibboleth); S. Besoli e F. Paris (Faenza: Polaris); A. Bonfanti, Le forme dell'analogia. Roma: Aracne. F. Cimatti, "Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione", in L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet  sinistrainrete.info cultura’ M. Lagna e P. Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto soggetto-oggetto, «Philosophy Kitchen», M. Matteuzzi, "Prefazione", in M. Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne); L. Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», L. Possati, La ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. C. Sini, "Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di  Melandri edite da Quodlibet, che ne ha annunciato l'edizione completa. Discipline Filosofiche, rivista semestrale di filosofia. Melandri. Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice – analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica, aquino, kant, mill, jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach, newton, cellucci, marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice, analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702566709/in/photolist-2mLNhpo-2mLHJnw-2mLMaMX-2mLKa5N

 

Grice e Melchiorre – il corpo – filosofia italiana – la filosofia dell’amore – amante ed amato – il convito di Turolla -- Luigi Speranza (Chieti). Filosofo.  Grice: “I like Melchiorre; while I refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”. Grice: “Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian – corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea.  Terminati gli studi, nel medesimo ateneo ha iniziato la carriera accademica come assistente volontario di Filosofia della storia, per poi insegnare a Venezia.  Richiamato a Milano, ha ricoperto  la cattedra di Filosofia morale, per poi insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni sociali. -- è stato nominato professore emerito. Saggi: “Arte ed esistenza,” Firenze “Il metodo di Mounier,” Milano, “Il sapere storico,” Brescia, “La coscienza utopica,” Milano; “L'immaginazione simbolica,” Bologna, ”Meta-critica dell'eros,” Milano, “Ideologia, utopia, religione,” Milano, “Essere e parola,” Milano, “Corpo e persona,” Genova, “Studi su Kierkegaard,” Genova, “Analogia e analisi trascendentale: linee per una lettura di Kant,” Milano, “Figure del sapere, Milano, “La via analogica,” Milano, “Creazione, creatività, ermeneutica,” Brescia, “I segni della storia,” Ghezzano Fontina, “Al di là dell'ultimo,” Milano, “Sulla speranza,” Brescia, “Ethica,” Genova, “Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica,” Milano, “Qohelet, o la serenità del vivere,” Brescia, “Essere persona,” Milano, “Breviario di metafisica,” Brescia, “Il nome indicibile,” Milano, Profilo nel sito dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere persona. Natura e struttura di Armando Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni, culture. I diversi volti della verità Relazione del prof. Melchiorre al 65º Convegno del Centro Studi FilosoficiGallarate, video integrale nel sito CattedraRosmini.org. Virgilio Melchiorre, Rai EducationalEnciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche.  Grice: “Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e personi, meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, il fedro di Turolla – amore – il riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744362962/in/dateposted-public/

 

Grice e Melli – AVRELIO – filosofia italiana – la filosofia a Roma nel tempo di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as furrin; Locke ain’t!” --Opere  La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Felice Tocco, Firenze,Commemorazione di Pasquale Villari, Firenze,  La filosofia greca da Epicuro ai Neoplatonici, Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non sono amichevoli. Nel 161, essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori il senato consulto da incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere “uti Romae ne essent”. I primi semi della filosofia sono sparsi dagl’esuli achei, tra i quali era anche Polibio, venuti dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi anni dopo, nel 156 ci e l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche questa volta vedemmo come Catone s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quel abile parlatore puo esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande successo e 1' infiltrazione delle idee ateniensi e già cominciata, specialmente dopo la conquista delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della scuola di Pitagora --, Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone – e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della scuola di Empedocle --. Leontini, sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i Romani senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’ (filosofia) e degl’amanti di Sapienza (filosofi). Un motto si trova in un frammento di Ennio, nel Neottolemo. “Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam”. Col progredire della cultura, con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir i figlii presso questi pedagogi schiavi ditti ‘amanti di sapienza’. fAlcuni grandi personaggi, come Scipione Emiliano e il suo amico Lelio divieno protettori dei qesti pedagogi ateniensi detti ‘amanti della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I giureconsulti trovano un'utile disciplina nella dialettica. La riforme dei Gracchi e ispirata da idee di questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i Romani domandano a questo ‘amore di sapienza’ e 1' orientazione nelle questioni pratiche e una cultura necessaria o utile all’oratore,  al giureconsulto, agl’uomini di Stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere trattata in latino e la dottrina di Epicuro. Sono nominati un Amafinio e un Rabirio come espositori delle sue idee, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’ – sostenitore del piacere -- un certo Catius, “levis quidem, sed non inineundus tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell'edonismo presso i Romani è Lucrezio. Altri ‘amanti di sapienza’ sono M. Bruto, l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il dottissimo Varrone, che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia segue più gli Stoici che l'Accademia. Ma tutte queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gli altri ed è per noi il vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i Romani è Cicerone. Giuseppe Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745388623/in/datetaken/

 

Grice e Mercuriale – il ginnasio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli). Filosofo.  Grice: “At Corpus, as it had been at Clifton, cricket featured as my priority, -- philosophy came second!” -- Celebre per avere per primo teorizzato l'uso della ginnastica su base medica. Suoi sono anche il primo trattato sulle malattie cutanee e un'importante opera, forse la prima mai scritta, di pediatria.  Ritratto raffigurato in "De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la laurea a Padova, dove ebbe modo di conoscere Trincavella, seguì a Roma Farnese. A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo trattato sulla ginnastica.  Fu poi professore in entrambe le università dove aveva studiato. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto fecondo, in cui scrisse ben dodici libri, alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli studenti durante le lezioni. Si recò poi a Pisa, dove divenne tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Curò anche altre importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo nominò cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri medici illustri, consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della popolazione si era ammalata e il contagio restava comunque molto limitato. Dopo una settimana però la malattia ebbe un decorso impressionante, colpendo un terzo della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico stesso. Sorprendentemente però tale evento non ebbe gravi conseguenze sulla sua carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continuò a difendere la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fece restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola in cappella di famiglia, da allora nota come "cappella Mercuriali", dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia in eredità la sua biblioteca, purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di filosofia. Ricevuti i libri, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti, aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo di Mercuriali, e murata nella cappella una lapide, tuttora esistente, con le seguenti parole. Questo marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede.  Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore dell'opera ippocratica (“Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in cui discusse in modo critico le opere del medico -- “De arte gymnastica,”  la prima opera moderna che consideri scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin.  Alcune altre sue opere sono: “De morbis cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,” “De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus” (Venezia); De venenis et morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali (Liber Amicorum), Citato in M. Landi, Credere, dubitare, conoscere. De Hieronymi Mercuriale vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali (Liber Amicorum). “De arte gymnastica” Pediatria Dermatologia, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate – ‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo Mercuriale. Girolamo Mercuriale. Merucriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica,  bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691884854/in/photolist-2mNzeEc-2mKQqs3

 

Grice e Merker – il filo d’Arianna – Arianna abandonata a Nasso --– filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo. Grice: “My favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice: “The fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of context.’ --Si laurea in Filosofia all'Messina. Trascorse un periodo di ricerche in Germania. Allievo diVolpe, diviene libero docente di Storia della Filosofia e docente incaricato di Storia delle dottrine politiche all'Messina. -- docente ordinario di Storia della Filosofia nello stesso ateneo. -- ordinario all'Università La Sapienza di Roma alla Facoltà di Lettere e Filosofia, e poi alla facoltà di Filosofia.  Ha curato edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e dell'idealismo tedeschi, nonché di Marx, Engels e dell'austromarxismo. Dopo essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si è occupato dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della storia della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig.  Saggi: “Le origini della logica” (Milano, Feltrinelli); “L'illuminismo” (Bari, Laterza) – la metafora della luce della ragione ;  “Lessing e il suo tempo, con altri, Cremona, Convegno); Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti,  Storia della filosofia, La filosofia moderna. Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti); Storia delle filosofie, Firenze, Giunti Marzocco); “Marx, Roma, Riuniti); Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi); La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti); Lessing, Roma, Laterza); “Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agl’austromarxisti” (Roma, Laterza); Storia della filosofia moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della filosofia, Roma, Riuniti,  Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà, Roma, Editori, Filosofie del populismo, Roma, Laterza,  Marx. Vita e opere, Roma, Laterza,. Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma, Carocci,.La guerra di Dio. Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma, Carocci, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel, Estetica, Milano, Feltrinelli, Torino, Einaudi,  Kant, La metafisica dei costume (Grice: “My favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel, Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács, Scritti politici Bari, Laterza,  Herder, James Burnett, Lord Monboddo, Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing, Religione, storia e società, Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma, Riuniti,Forster, Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt, Stato, società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma, Scritti economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il popolo, Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La scimmia e le stelle, Roma, Riuniti,  Maj, Il mestiere dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società civile, Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un secolo, Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma, Riuniti, Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti,  Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma, Riuniti, Marx,  Engels, La concezione materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?, Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster, Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza,  Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli, Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti.  La discreta classe delle idee. E’ Merker, asul sito di Rifondazione Comunista  Il contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di  Merker, S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo, Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su uniurb. Merker. Keywords: il filo d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata, giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The Swimming-Pool Library. Entry on thegriceclub.blogspot.com -- Album on flicker: https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702174477/in/photolist-2mPXDFp-2mLFBT9-2mLQGEg-2mLKack - album “Grice e Merker” on https://www.facebook.com.

 

Grice e Messere – l’implicatura di Sileno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torre Santa Susanna). Filosofo. Ricevuti i primi rudimenti del sapere dai chierici locali, i suoi genitori (Pietro Messere e Teodora Di Leo), sebbene non agiati, decisero di fargli frequentare il seminario di Oria, assecondando così il suo vivo desiderio di intraprendere la carriera ecclesiastica, qui dimostrò sin da subito una profonda passione per lo studio. Ordinato sacerdote per poi ritornare al paese natìo, dove divenne un maestro di grande dottrina. Da autodidatta si applicò allo studio della filosofia, della matematica, della storia ecclesiastica e civile, nonché anche alla musica e al canto. Incolpato dell'omicidio di un giovane chierico, fu messo in prigione nelle carceri del Vescovo di Oria, dove rimase rinchiuso per sette anni, tuttavia non si lasciò mai abbattere dallo sconforto; anzi, procuratosi alcuni libri, il Messere si applicò allo studio della lingua greca, per la quale già aveva dimostrato una forte predisposizione. Dopo un lungo e dibattuto processo, la sentenza finale lo dichiarò innocente e assolto da qualsiasi reato. Risentito con i suoi concittadini per averlo ingiustamente ritenuto reo, dichiarò che il suo paese mai più lo avrebbe rivisto. Fu così che Gregorio Messere partì per Napoli, dove rimase fino alla morte. Nella città partenopea ebbe modo di affinare e approfondire la sua cultura, divenendo un personaggio di rilievo nel mondo intellettuale napoletano del tempo. La grande conoscenza della lingua greca gli conferì grande notorietà nonché una cattedra di Lettura Greca, che mantenne fino all'anno della morte, presso l'Università degli studi di Napoli. Tale cattedra  era stata nuovamente istituita  a spese di Giuseppe Valletta, filosofo, letterato e giureconsulto dell'epoca ed amico del Messere. Valletta aveva una profonda stima per il Messere, il quale fu assiduo frequentatore della sua casa non solo quale insegnante dei suoi figli e nipoti, ma anche perché divenuta luogo di riunioni dei più eruditi intellettuali del tempo. Fra i suoi molti allievi che assistevano alle sue lezioni, ne ebbe alcuni divenuti celebri, si annoverano Andrea, Barra, Caloprese, Gravina, Valletta, Capasso, Cerreto, Egizio, Donzelli ed altri. Vico, noto filosofo suo amico, gli dedicò un breve madrigale dal titolo Ghirlanda di timo per Argeo Caraconasio.Il mondo culturale napoletano della seconda metà del '600 fu caratterizzato da importanti innovazioni a livello filosofico, scientifico, civile e politico. Tale fervore culturale aprì la strada alla nascita di un numero notevole di accademie, che divennero luoghi di discussione aperta e di diffusione di nuove idee filosofiche e scientifiche. A Napoli le principali accademie del tempo furono soprattutto quella degli Investiganti e quella di Medinaceli. Che il Messere sia stato membro autorevole di entrambe le accademie e frequentatore di circoli e salotti letterari napoletani è testimoniato da non pochi documenti, tra cui manoscritti e altri a stampa conservati nella Biblioteca Nazionale di Napoli; le sue lezioni ebbero un così folto seguito di giovani tanto da far suscitare invidie fra i letterati fanatici dell'erudizione i quali, a furia di schernirlo per la sua ellenofilia, diffusero in Napoli addirittura la moda letteraria della macchietta dello pseudogrecista, satireggiata pure da Vico nella terza Orazione inaugurale. Fu anche tra i primi membri dell'Arcadia fondata dal Crescimbeni e dal Gravina, ove gli fu attribuito il nome pastorale greco di “Argeo Coraconasio,” “dalle campagne dell'isola Coraconaso”. E fondata a Napoli la Colonia “Sebezia” dell'Arcadia e anche qui il Messere e tra i primi iscritti.  L'aver ripristinato l'insegnamento della lingua greca in Napoli valse al Messere non solo il titolo di “ristoratore della greca erudizione”, ma contribuì alla ripresa dello studio di Omero, influenzandone il pensiero poetico e filosofico del tempo. Notevole fu l'influenza che egli ebbe sulla formazione del pensiero del Gravina. Essenziale nella vita culturale di Gregorio Messere fu anche l'amicizia con Giuseppe Valletta, suo allievo. La conoscenza che Gregorio Messere aveva della filosofia fu ugualmente vasta tanto che gli valse l'appellativo di “Socrate” e quando si riferivano a lui veniva anche chiamato il “Socrate dei nostri tempi”.  Non fu solo un insigne grecista, ma anche un poeta. Compose infatti circa 60 componimenti, tra distici, tetrastici, serenate, sonetti, madrigali ed epigrammi in italiano, utilizzando talvolta uno stile che il Lombardo definisce “stile mezzano e semplice”, di carattere pastorale. Un suo epigramma è contenuto in una lettera che Canale inviò al Magliabechi. Non mancò di scrivere componimenti di carattere burlesco e giocoso, in cui contrapponeva l'immediatezza della satira e del dialetto alla ricercatezza esasperata della poesia del Seicento. Si esercitò soprattutto nell'Accademia di Medinacoeli, dove era uso chiudere la seduta accademica con la recitazione di componimenti poetici. Compose finanche versi che celebravano importanti eventi del regno; tra i più salienti, si ricordano quelli contenuti nel volume scritto in occasione della recuperata salute di Carlo II. Da ricordare sono anche gli emblemata contenuti nel volume scritto per i funerali di D. Caterina d'Aragona, e a cui si ispirò Vico in occasione dei funerali di due uomini illustri  Tra le tante collaborazioni con letterati del suo tempo, degna di nota è quella che ebbe con Vico per la pubblicazione di un volume in occasione del genetliaco di Filippo V, tre sono i componimenti contenuti in esso. Fu anche collaboratore di una Miscellanea dal titolo Vari componimenti in lode dell'eccellentissimo signore d. Francesco Benavides conte di S. Stefano. Fatta eccezione per alcuni componimenti inseriti in Miscellanee poetico-celebrative, del Messere non esistono opere a stampa. E a ciò ne dà spiegazione il Lombardo quando afferma che egli fu uomo umile e schivo tutto dedito all'educazione dei giovani più che ai propri interessi personali, anzi la sua modestia fu tale che pensò bene di distruggere i propri scritti.  Le lezioni accademiche di cui si dispone sono quelle che  tenne nell'Accademia istituita a Palazzo Reale dal viceré duca di Medinaceli. I codici delle lezioni sono conservati attualmente presso la Biblioteca di Napoli. Due di queste lezioni trattano di poesia. Qui argomenta sulla funzione e natura della poesia, dei suoi rapporti con la storia nonché sul problema delle origini della poesia stessa. Tre altre lezioni sono di carattere storico, esattamente: due sulla vita di Nerva e una sulla vita di Decio. Il codice napoletano contiene anche un Discorso vario in cui sono presenti motivi autobiografici e una lezione sull'origine delle maschere. L'Accademia di Medinaceli non ebbe lunga vita e, nonostante la sua chiusura avvenuta a causa di rivolgimento politico, continuò ad essere personaggio illustre nel panorama intellettuale e culturale napoletano, come dimostra il fatto di essere annoverato tra i primi membri dell'Arcadia sotto la custodia Crescimbeni e successivamente della colonia napoletana “Sebezia”.  Storia della litteratura italiana  Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli  Le vite degli Arcadi illustri scritte da diversi autori, e pubblicate d'ordine delle generale adunanza da  Crescimbeni, pRoma,  (biografia scritta da G. Lombardo). C. Cantillo, Filosofia, poesia e vita civile in Messere: un contributo alla storia del pensiero meridionale, Morano, Napoli, Angelo De Prezzo, Storia delle origini di Torre Santa Susanna, Tiemme, Manduria,. Imma Ascione, Seminarium doctrinarum: l'Napoli nei documenti,  Edizioni scientifiche italiane, Napoli, Fabrizio Lomonaco, Gregorio Messere, la poesia e l'impegno civile tra Gravina e Vico, in "Diritto e Cultura", VLezioni dell'Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli: Napoli,  Michele Rak, Napoli, Istituto italiano per gli studi filosofici.  (regio esim liepierapresoNiccolaGjervasi'altirante 1.os. re ( lessen Blusere Filoloyo NamqueinTorediliuramnemláiTeradOhrantenelmio Mori in « lapoli nel 1708.       Ebbe per convincenti indizj, co di Gregorio lasospizione Fu rinchiuso perciò nulla egli fosse reo. me che di ,laddove impreseda prigioni per sette anni nelle del greco linguaggio , stessolostndio non conosceva neppur lo avanti , che inbreve con tanta sollecitudine però ,e sn tranoi il maestro ne diyenne solenne restauratore della greca erudizione. onde cadde sopra se del quale per le figure. Vi attese Lo studio delle greche lettere era a quel tempo venuto tranoi insomma decadenza,l'erudizioneerasi renduta goffa e grossolana ; onde egli adoperó ogni sua cura per richiamarla alla sua dignità primitiva. La profonda sua scienza nella mentovata favella gli seçe meritamente occupare nell'anuo 1679. la catte GREGORIO MESSER E. be Gregorio Messere i suoi natali il di 15. di Novembre del 1636 in un mediocre luogo della Re. gione de' Salentini, oggi Terra d'Otranto , detto la Torre di S.Susanna , discosta da Brindisi intorno a miglia dodici.Suoi genitori furono Pietro Messere, e Dianora di Leo amendue di onesta e civil condi zione. Il nostro Gregorio , comechè non proveduto nella sua primiera età di sufficienti maestri , seppe col proprio suo ingegno , e colla sua mente , velocis sima e disposta a d apprendere le più difficili cose supplire a somigliante difetto. Egli attese da se solo aiprofondissimi studj della filosofia delle mattemati che in buona parte , della Teologia , della Storia E c clesiastica e Civile.Nè intralascio fra la severità di sì fatte discipline l'onesto diletto della poesia e della musica , e tanto in questa ando avanti , che giunse a cantar con lode la parte di basso. Il nostro Gregorio , tutto che si fosse dedicato al Sacerdozio , gl'intervenne una disgrazia , la quale fieramente l o travaglio. S'invaghi un compagno di luididonzellafigliuoladiricco,e nobilpersonag-: gio,enefudipariamorericambiato.Ilpadre di lei , avutone sentore , lo fece assalir da due sgherri , iqualisiaccompagnavanocol Messere,ilquale go dea il favore parimenti del mentovato Signore. Ilgio vine amatore ne rimase trucidato I و Fu de'primi ad essere annoverato tra gli Arcadi col nome di Argeo Caraconessin ,e la sua vita ritrovasi descritta fra quelle degli Arcadi illustri P. 15. p.47. Scrisse a richiesta degli amici Sonetti ,Madriga li ed Epigrammi nell'una e nell'altra lingua, i quali componimenti riscossero a que'tempi non poca laude. Mirate la dottrina che si asconde Sotto il velame degli versi strani. Queste poesie furon da lui recitate nella dotta adu nanza che D. Luigi della Cerda , allora Vicerè di Napoli,tenevanelRegalPalazzo.E certamentefuscia gura , dra di greco linguaggio nell'Università de'nostri Stu dj. Bentosto si vide la studiosa gioventù correre a folla alle sue lezioni , e zione,che non solamente igiovanetti,ma puranche crebbe talmente la sua riputa persone distinte per merito di letteraria coltura , a n davano con maraviglia ad ascoltarlo. Allo studio della greca sapienza congiungeva il Messere quello delle scienze più sublimi ; perciò i più doiti scienziati che erano allora fra noi ed ancora stranieri contava egli fra i suoi amici. Tra quelli si annoverano Lionardo di Capoa , Francesco d'Andrea , Carlo Buragna e tanti altri ;'e fra gli stranieri il P. 'Mabillon il quale par la di lui con somina laude nella sua opera Iter Ita licum ;e moltissimi presso de'quali fu ilsuo nome in somma estimazione. Il suo verseggiar burlesco e maccaronico era un dotto poetare , e sempre ridondante di greca e di la tina erudizione, sicchè isuoi versi in questo genere tranne lamateria ridevole,erano molto colti egenti li, sì che avrebbe poluto egli dire con Dante : O voicheaveteglintellettisani, و . Il suo modo di comporre era quello che da' maestri vien detto mezzano e semplice, e varie poesie dettò in istile boschereccio e pastorale.Molto però egli valse nel verseggiare giocoso , ed in quella spezie di p o e sia, già inventata da Teofilo Folengio, ilquale sidisse Merlino Coccai,che volgarmente maccheronica vien chiamata . che dipartendosi quell'erudito e generoso Si gnore , seco portate avesse , con le altre cose i c o m ponimenti di quella dotta brigata, e che Gregorio nonneavesseglioriginaliserbati,enonne rima nesser che pochi in mano di alcuno de'suoi amici, Ma egli, intento qual novello Socrate ad istruire la gioventù e far rinascere fra di noi lo studio e la scienza della greca favella, la quale è detto brac cio destro della buona letteratura , poco curò le sue cose ,e poco ambi di rendersi per le stampe famoso. Dilettavasi egli infatti più della sostanza che dell' و 9 > و , e più d'istruire la gioventù S!11 renza della dottrina erudizione. diosa ,che di far pompa di lussureggiante арра Le virtù cristiane e socievoli di Gregorio pareg giarono la sua erudizione e la sua dottrina. Era elf fiiosofo e religioso al tempo stesso; ottimo Sacerdote, ed affabile senza ombra di bassezza o di poca digni tà,sprezzatore grandissimodellericchezze,talchenel 1702. pel noto fallimento del banco dell'Annunziata avendo perduto quelpiccolo avere che collesue ono rate fatiche erasi acquistato , uimase in una fredda in differenza , motteggiando giocosamente come se nulla gli fosse intervenuto. Nè minore fermezza d'animo egli nella morte di tre nipoti per sorella Biagio , Giovan Batista e Cataldo Capozzeli, giovinetti digrandisperanze iduepriminellamedicina,ed il terzo nella legalfacoltà,da lui sommamente ama. ti, ed allevati alla gloria ed alle lettere. Poco curante egli si fu dell'amicizia de'potenti, e di ogni fasto, dimostrò e di ogni civile onore. Maravigliosa era in tutto la sua temperanza , talche i suoi costumi pareano più l'ultimo fine siccome un necessario termine dell'uomo, e narrasi , che es antichi che nostri.Riguardava sendo un giorno aperto , per alcun bisogno di fabbri ca,l'avello di Giovanni Gioviano Pon'ano, ritrovan dosi ogli con un amico , lo prese vaghezza di scen dervi.Di fatti discesovi,sudettesi in una delle nicchie da riporvi i morti intorno alle pareti , e narrasi che mosso da involontaria allegrezza,dicesse: E chi sase questo è il luogo che dee a me toccare ? Somme lodi son queste certamente pel nostro Gregorio,ilqualenatoessendonelmezzo dellama gnaGrecia,nell'antica patria degli Architi, degli Aristosseni,degliEnnj,de'Pacuvj,fu intendentissimo non meno della grea, della latina e della Italiana poesia , che della più saggia Filosofia , la quale inse gnò non pur colle parole , ma col sobrio onorato *Con grandissimocordogliodi tutti gliamatori delle buone lettere , Gregorio Messere , preso di ac cidente apopletico il di 19. Frebrajo dell'anno 1708., passò a miglior vita ,e fu sepellito nella detta Cap pella del Pontano , siccome in vita avea desideralo. La sua morte fu onorata dal pianto di afflitte vedo ve , و ! Ο Φερδινάνδος ΣανΦελικιος ευγνώμων ακροανης DIAGISTRO DOCTRINAE PULAETIVNI. Ταυτην την Ακαδημιαν ο ποιησαντι e virtuoso suo contegno di vita. Fu per Γρηγοειω Μεσσερε Σαλεντινω Εν ελλαδι φανη εις ακρον ταις παιδειας εληλακοτι ilSocratede'suoitempi,edatuttiriguar chiamato . Tanta era e cosi dato con istima e con ammirazione perfetta in lui la notizia delle lettere greche, che mosse invidia e stupore in parecchi sapientissimi Greci na zionali,iquali,passando perNapoli,vollero vederlo ed ascoliarlo.Siccomeabbiamoaccennato,aluisideve in buona parte il risorgimento delle buore lettere della greca dottrina, per tanti ragguar spezialmente che si formarono sotto la sua di. devolissimi letterati sciplina,eperciòhaeglispeziale eprecipuaragio ne ai nostri elogj ed alla nostra riconoscenza. Nel n o vero de'suoi discepoli furono i Biscardi , Gennaro d'Andrea,iCalopresi,iGravina,i Majelli,iCi rilli, i Capassi , gli Egizi, e tanti altri lumi della n o stra letteratura iqua’i malagevole sarebbe qui no minare . tal ragione e di miserevoli bisognosi , a quali questo uomo incomparabile in ogni maniera di virtù distribuiya tutto ciò che al puro uopo della sua vita soperchia. va. Intervennero ai suoi funerali tutti i professo ri della R. U. non che ragguardevolissimipersonaggi. Uno di costoro già suo scolaredi nobilissimo tegnag gio , insigne per lettere e per la scienza della pittu ra e dell'architettura ,innalzò a tanto maestro la see guente iscrizione in greco ed in latino. Τα Διδασκαλω Διδακτρον. MESSERE SALENTINO GREGORIO IN GRAECA LINGVA AD SVMMVM ERVDITIONIS PROGRESSVM DE ACADEMIA HAC OPTIME MERITO) FERDINANDVS SANFELICIVS GRATVS AVDITOR ANDREA MAZZARELLĄ PA CERRETO. 157 IV.Quantunque non abbiasi cosa alcuna alle stam IV. sti.  pe di Gregorio Messere nato l'anno 1636. Torre di S. Susanna , luogo della Terra d'Otranto, tuttavia egli ha buon diritto che di lui si parli in GregorioMesso nella ro edaltriGreci st'opera. La disgrazia avvenutagli que di dover soffri re,sebbene innocente una lunga prigionia to di omicidio , lo determinò Greca, e così felicemente venir riconosciuto qual ristauratore dizione nel Regno di Napoli , e il Mabillon nel suo Iter Italicum parla con somma lode del Gregorio . Occupò egli la Cattedra di questa lingua nellaUni versità della Capitale, e la insegnò con tanto grido , che oltre la gioventù contò fra lisuoi discepolinon poche persone per coltura e per sapere distinte ; e fra i più celebri alunni da lui istruiti si noverano Gennaro di Andrea , il Caloprese Capassi ed altri molti.Benemerito , il Gravina , il perciò della Greca Letteratura congiunse na del poetare (1),e conobbe le altre scienze con gran vantaggio attenzione specialmente Religione all'epoca della sua morte accaduta ordine di persone il compianse nell' 1708. ogni funerali i Professori ai suoi , ed , ed ebbe onorata s e per sospet a studiare la lingua vi riuscì, che meritò di poi anche alla erudizione lave dei giovani che con zelo ed istruiva ed educava alle lettere ed alla insieme, perlocchè crate. La sua dottrina e le sue cristiane virtù , m a specialmente una carità generosa giunsero a tale,che appellavasi novello S o . Intervennero tutti della R. Università altri ragguardevoli poltura nella cappella dove riposano le ceneri Pontano discepolo con iscrizione Greca e Latina da un del suo composta (2). personaggi della Greca e r u (1) Fu egli ascritto fra i primi Arcadi sotto il nome di Argeo Caran conessio . (2) Biografia degli Uom . ill. del Regno di Napoli T. IV .   Allorchè nel 1747. si aprì il concorso per la C a t tedra di lingua greca

 

 

 

Grice: “When they called Messere ‘Socrate’ I hope they don’t mean Alcibiades’s implicature, ‘my dear Sileno!’” – Gregorio Messere. Messere. Keywords: implicature, Sileno, Socrates, SocrateSileno, Socrate, Silenus. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messere”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691475053/in/photolist-2mPYm4t-2mLPdUX-2mKPDck-2mKNjCv

 

Grice e Messimeri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Seminara). Filosofo. Grice: “He was of a noble family – he was into the free market – so his is a philosophical economy.” Domenico Grimaldi (Seminara), filosofo. Esponente dell'illuminismo napoletano.  Francesco Mario Pagano. Nato in una famiglia aristocratica che faceva risalire le proprie origini alla nota famiglia di Genova, ricevette la prima educazione dal padre, il marchese Pio Grimaldi, un uomo colto che aveva cominciato a introdurre criteri di conduzione innovativi nelle sue proprietà terriere, peraltro non molto estese, di Seminara. Non essendo molto ricco, il padre lo avviò agli studi giuridici, in previsione di una possibile professione forense, all'Napoli. Nella capitale napoletana Domenico fu raggiunto dal fratello minore Francescantonio, fece parte con il fratello dell'Accademia dell'Arboscello, frequenta le lezioni di economia di Genovesi. Si trasferì a Genova, dove ottenne la riammissione nel patriziato della Repubblica di Genova, ottenendo così il permesso di esercitare alcune magistrature. In Liguria, tuttavia, Grimaldi ebbe modo di approfondire gli aspetti tecnici, economici e sociali legati all'agricoltura il cui studio lo spinse a viaggi in Francia, specie in Provenza, in Piemonte e in Svizzera. Si interessò in particolare alla colture dell'ulivo e del gelso per l'allevamento dei bachi da seta. Venne accolto fra l'altro nell'Accademia dei Georgofili, che premiò una memoria, nella Società economica di Berna, un centro di cultura fisiocratica, e nella Société royale d'agriculture di Parigi.  Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra  François Quesnay, maggior rappresentante della fisiocrazia Frutto delle sue ricerche fu il Saggio di economia campestre per la Calabria Ultra, esposizione di un piano che, partendo dalle condizioni di arretratezza dell'economia calabrese del XVIII secolo, secondo la dottrina fisiocratica, ne indica i mezzi atti a la trasformare situazione economica della Calabria. All'epoca il settore produttivo più importante era l'agricoltura in quanto i posti nell'industria erano pochi, le alternative limitate all'edilizia, ai lavori pubblici e al settore terziario; l'agricoltura era tuttavia quasi esclusivamente di sussistenza, e lo scarso reddito determinava un esodo massivo dalle campagne. Per Grimaldi l'ammodernamento dell'agricoltura e l'integrazione tra agricoltura e allevamento erano le condizioni prime per avviare la produzione industriale e il commercio. il successivo aumento del reddito agrario avrebbe dovuto essere reinvestito nell'industria tessile e in quelle serica, lattiero-casearia e olearia. La presenza di industrie avrebbe innescato un circolo virtuoso in quanto avrebbe potuto richiamare un afflusso di capitali per la ristrutturazione fondiaria e l'aumento delle dimensioni delle aziende agricole, con successiva formazione e sviluppo di attività miste agricolo-manifatturiere, specialmente alimentari, con impiego di mano d'opera locale.  L'imprenditore  Vecchio frantojo ligure dismesso Attorno al 1770 Grimaldi si impegnò a tradurre in pratica questi progetti, con l'aiuto finanziario del padre, impegnandosi nel miglioramento della coltivazione degli olivi, chiamate dalla Liguria maestranze e tecnici per creare a Seminara nuovi frantoi "alla genovese"; rese poi pubblici i progetti e i risultati delle sue innovazioni con un'opera del 1773, edita nuovamente nel 1777 con una dedica a Beccadelli, marchese della Sambuca.  Si dedicò più tardi alla produzione della seta. Grimaldi, che inizialmente intendeva assegnare l'ammodernamento dell'agricoltura all'iniziativa privata, si rese conto che l'approccio utilizzato per l'ammodernamento dell'industria olearia (in questo caso, introduzione in Calabria della lavorazione della seta alla "piemontese") non sarebbe stato sufficiente nella lavorazione della seta per ostacoli di natura fiscale nel regno di Napoli, ossia del dazio sulla seta calabrese. Diede pertanto inizio a vivace polemica nei confronti dei controlli oppressivi doganali e dei monopoli statali nei settori delle manifatture e del commercio.  Il politico  Sir John Acton La riflessione sull'influenza dello stato nel mercato della seta, diede avvio al dibattito sul problema della libertà nel commercio internazionale, in particolare nel commercio del grano che aveva assunto una notevole importanza dopo la carestia del 1764. Una delle proposte più importanti di Domenico Grimaldi fu la costituzione, nella Calabria Ultra, di società economiche concepite come centri promotori il miglioramento della tecnica agraria; ma la proposta non trovò il necessario sostegno né nei proprietari terrieri né nel clero. In seguito allargò lo sguardo dalla Calabria Ultra all'intero Regno, proponendo di svolgere un'attività conoscitiva sulla struttura economica del Regno mediante la predisposizione di piani di visite alle province napoletane affidati a ispettori di nomina regia, con proposte di azione sulle "cause fisiche" dell'arretratezza, principalmente la mancanza di strutture per l'irrigazione innanzitutto nelle Puglie, per le quali suggeriva il ricorso anche al lavoro coatto.   Gaetano Filangieri Grazie alla notorietà raggiunta con i suoi saggi Grimaldi fu nominato dal primo ministro John Acton assessore al neocostituito Supremo Consiglio delle Finanze assieme a Filangieri, Palmieri, Delfico e Galanti. Il terremoto che causò gravi danni e lutti alla famiglia Grimaldi. Grimaldi fu favorevole all'istituzione della Cassa sacra, proponendo che ricostruzione fosse eseguita secondo un piano pubblico che prevedesse iniziative strutturali per l'ammodernamento della produzione agricola e industriale. Si adoperò per l'apertura a Reggio Calabria di un istituto professionale nel quale si insegnasse "l'arte di tirar la seta alla piemontese"; la scuola, diretta dal Grimaldi, ebbe un certo successo, ma venne chiusa nel L'interruzione negli anni novanta dell'attività riformatrice di Ferdinando IV di Napoli in seguito alla crisi collegata alla rivoluzione francese comportò un atteggiamento di sospetto, da parte del governo napoletano, nei confronti dell'intellettualità progressista. A Grimaldi venne rifiutata la nomina, proposta dal Galanti, di presidente della costituenda Società patriottica per la Calabria in quanto massone. Fu addirittura arrestato, come gran parte dei massoni reggini (una cinquantina circa) in seguito all'assassinio del governatore di Reggio, Giovanni Pinelli e trasferito nel carcere di Messina dove si trovava alla nascita della Repubblica Napoletana. Suo figlio Francescantonio aderì alla Repubblica Napoletana. Saggi: “Memoria ai gergofili sopra una specie di pianta pratense chiamata sulla” (Firenze); “Economia campestre per la Calabria” (Napoli: Orsini); “La manifattura dell'olio nella Calabria” (Napoli: Lanciano); “Manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scon alcune riflessioni critiche sopra il bando delle sete” (Napoli: Porcelli); “La pubblica economia delle provincie del Regno delle Due Sicilie” (Napoli: Porcelli); “Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno” (Napoli: Porcelli); “L’industria olearia, e dell'agricoltura nelle Calabrie, ed altre provincie del Regno di Napoli” (Napoli: Porcelli); “L’economia olearia antica sull'antico frantoio da olio trovato negli scavamenti di Stabia” (Napoli: Stamperia Reale); “L’Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincia” (Napoli: Porcelli). Franco Venturi, Illuministi italiani,  V: Riformatori napoletani, Napoli: Ricciardi, Antonio Piromalli, La letteratura calabrese: Dalle origini al posivitismo, Cosenza: LPE,  Istruzioni sulla nuova manifattura dell'olio introdotta nel Regno di Napoli dal marchese Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese, socio ordinario, e corrispondente dell'Accademia de' Georgofili di Firenze, della Società di Agricoltura di Parigi, e di Berna, In Napoli: presso Vincenzo Orsini, a spese di Giuseppe Maria Porcelli, Osservazioni economiche sopra la manifattura e commercio delle sete del Regno di Napoli alle sue finanze, scritte dal marchese Domenico Grimaldi, con alcune riflessioni critiche sopra del Bando delle Sete” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'un disimpegno fatto nella Ulteriore Calabria con alcune osservazioni economiche relative a quella provincial” (Napoli: Porcelli); “Piano di riforma per la pubblica economia delle provincie del Regno di Napoli, e per l'agricoltura delle Due Sicilie, scritto dal marchese don Domenico Grimaldi, Napoli: Porcelli); Piano per impiegare utilmente i forzati, e col loro travaglio assicurare ed accrescere le raccolte del grano nella Puglia, e nelle altre provincie del Regno scritto dal marchese don Domenico Grimaldi di Messimeri patrizio genovese” (Napoli: Porcelli); “Relazione d'una scuola da tirar la seta alla piemontese stabilita in Reggio per ordine di Sua Maestà, sotto la direzione del M. Grimaldi, e l'approvazione del Vicario generale delle Calabrie don Francesco Pignatelli” (Messina per Giuseppe di Stefano). L'opera apparve anonima ed è attribuita a Domenico Grimaldi da Gaetano Melzi, Note bibliografiche del fu D. Gaetano Melzi, edite per cura di un bibliofilo milanese con altre notizie,  H-R, Milano: Tip. Bernardoni)  Giuseppe Maria Galanti, Giornale di viaggio in Calabria; introduzione di Luca Addante, Soveria Mannelli: Rubbettino, A. Ubbidiente, Il pensiero e l'opera di Domenico e Francescantonio Grimaldi. Testi di Laurea. Università degli Studi di Salerno, Facoltà di Magistero. M.L. Perna, Dizionario Biografico degli Italiani,  LIX, Roma: Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Basile, «Un illuminista calabrese: Domenico Grimaldi da Seminar»a, in: Archivio Storico per la Calabria e la Lucania, Gaetano Cingari, Giacobini e Sanfedisti in Calabria, Reggio Cal., "Casa del libro", Cesare Morisani, Massoni e Giacobini a Reggio Calabria,  Reggio Cal., F. Morello,  Domenico Romeo, Alcune precisazioni su Domenico Grimaldi: un riformatore Calabrese del '700, in "Historica", Antonio Piromalli, L'attualità del pensiero e delle opere del marchese Domenico Grimaldi, Cosenza: L. Pellegrini, Domenico Luciano, Domenico Grimaldi e la Calabria, Salerno, Beniamino Carucci. Grimaldi, Domenico la voce nella Treccani L'Enciclopedia Italiana. Grice: “Isn’t ONE Sicily enough?” --   -- Giovanni Antonio Summonte, storico vissuto a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, all'interno del secondo volume della sua Historia della città e Regno di Napoli(i cui primi due volumi furono pubblicati negli anni 1601-1602 e gli altri due postumi[1]), inserisce un trattato dal titolo Dell'Isola di Sicilia, e de' suoi Re; e perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia. In questo scritto l'origine della distinzione tra due «Sicilie» separate dal Faro di Messina viene individuata nella bolla pontificia con cui papa Clemente IV investì Carlo I d'Angiò del Regno di Napoli nel 1265:  «Papa Clemente IV, il quale investì, e coronò Carlo d'Angiò di questi due Regni, chiamò quest'Isola, e il Regno di Napoli con un sol nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice, Carlo d'Angiò Re d'amendue le Sicilie, Citra, e Ultra il Faro: e questo eziandio osservarono gli altri Pontefici, che a quello successero, e si servirono degl'istessi nomi. Imperciocchè 7 altri Re, che al detto Carlo successero [...] che solo del Regno di Napoli, e non di Sicilia padroni furono, chiamarono il Regno di Napoli, Sicilia di qua dal Faro. Il Re Alfonso poi, ritrovandosi Re dell'Isola di Sicilia, per essere egli successo a Ferrante suo padre, e avendo anco con gran fatica, e forza d'armi guadagnato il Regno di Napoli da mano di Renato, si chiamò anch'egli con una sola voce, Re delle Due Sicilie, Citra, e Ultra; E questo per dimostrare di non contravenire all'autorità de' Pontefici. Ad Alfonso poi successero 4 altri Re [...] i quali furono Signori solo del Regno di Napoli, e si intitolarono, come gli altri, Re di Sicilia Citra. Ma Ferdinando il Cattolico, Giovanna sua figlia, Carlo Vimperadore e Filippo nostro re, e Signore, i quali anno [sic] avuto il dominio d'amendue i Regni, si sono intitolati, e chiamati Re delle due Sicilie Citra, e Ultra: la verità dunque è, che questi nomi vennero da' Pontefici romani, (come s'è detto) i quali cominciarono ad introdurre, che 'l Regno di Napoli si chiamasse Sicilia[2].»  La stessa tesi è sostenuta da Pietro Giannone nella sua Istoria civile del Regno di Napoli (1723), in cui si citano vari stralci della bolla pontificia, con la quale Clemente IV concesse l'investitura a Carlo d'Angiò «pro Regno Siciliae, ac Tota Terra, quae est citra Pharum, usque ad confiniam Terrarum, excepta Civitate Beneventana [...]». In un altro passo la bolla proclamava: «Clemens IV infeudavit Regnum Siciliae citra, et ultra Pharum». Secondo Giannone è dunque questa l'origine del titolo rex utriusque Siciliae, che tuttavia Carlo d'Angiò non usò mai nei suoi atti ufficiali, preferendo gli antichi titoli dei sovrani normanni e svevi[3]. Marchese Domenico Grimaldi. Grimaldi di Messimeri. Messimeri. Keywords: implicature, economia olearia antica – antico frantoio da olio a Stabia -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Messimeri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675327841/in/photolist-2mJnyCd-2mJnyBr-2mJnyCi-2mJnyCo-2mJs3zX-2mJisea

 

Grice e Micalori – Ganimede e l’implicatura sferica di Giove – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo.  Grice: “I took my ideas on longitude and latitude from Micalori” -- Grice: “By calling it ‘sfera,’ Micalori’s statement ENTAILS rather than implicates that the Romans were wrong.” Professore a Urbino.  Opere: “Della sfera mondiale” In Urbino, Marco Antonio Mazzantini, Giacomo Micalori, Antapocrisi, In Roma, Francesco Roma Cavalli.   Zeus features heavily in a lot of starlore, and the Eagle constellation is no exception.  The predominantly accepted mythos for this constellation is the abduction of Ganymede. Zeus had facilitated the kidnapping, fancying the beautiful mortal boy as his personal cup-bearer.  In the constellation, which is situated south of Cygnus on the equator, making it visible from both the Northern and Southern hemispheres, poor Ganymede can be seen hanging from the claws of the eagle as he is swiftly taken to the heavens.  The constellation appears alongside several other bird constellations. The Eagle’s wings are spread, giving it the appearance of gliding through the stars. As Hyginus states, the beak is separated from the body by a milky circle. It was also said to set “at the rising of the Lion and rises with Capricorn”. (Hyginus, Astronomy, 3.15)  Greek astronomy  Humans have a natural urge to identify familiar things amongst the twinkling stars of the mysterious abyss above us. These narratives came out of astronomical observations and ancient time tracking. The study of the sky began long before the earliest Greek sources that (sparsely) discuss them, Homer and Hesiod. They likely developed during the transition from oral to written transmission, but to what is extent is unknown.  Even though the Greeks were late to the constellation conversation (500 BC), they received a lot of their knowledge from their Eastern neighbors. The Greeks introduced the word katasterismos, or catasterism, which refers to the process of being set in the heavens. Constellations were used for navigation and an indication of seasonal change; many extravagant mythic connections were added later.  Today, there are 88 constellations officially defined by the International Astronomical Union, and many of them have been accepted since Ptolemy’s The Almagest (A.D 150).  Constellations created by the Mesopotamians between 1300-1000 BC originate in older lands, but the Greek astral mythos canon was solidified by Eratosthenes, in a work now lost to us.  Zeus and his trusted companion  The myth of Ganymede is very ancient lore, being told in the tale of Troy by Homer (Illiad 20.298ff) – albeit with no mention of an eagle escort. In the fifth Homeric Hymn to Apollo, Ganymede was said to be whisked off to Olympus by a ‘heaven-sent whirlwind’.  The eagle was not connected to this tale until the 4th century BC. The constellation was accepted as an eagle prior to this, so it is presumed that this addition was made to make the story fit the stars, probably because Ganymede is said to feature in his own nearby constellation, the water-pourer (Aquarius).Micalori. Keywords: implicatura sferica, planifesferio, Casali. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Micalori” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691873459/in/photolist-2mKQn4z

 

Grice e Miccoli – homo loquens – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Miccoli is a great philosopher – and surgeon – My favourites are his ‘Corpo dicibile,’ which trades on my idea of what it means to ‘say’ something; and his ‘Homo loquens,’ a play on Aristotle’s ‘zoon logikon,’ but which Aristotle would find otiose: man is the ‘vivente’ that speaks, or the ‘animal’ that speaks. To say that it is the ‘homo’ that speaks relies on Darwin’s classifications and phyla of homo sapiens sapiens and the rest!” La divertente commedia umana Incipit Chi si accinge alla lettura dell' Elogio della follia di Erasmo farebbe bene a non dimenticare taluni antecedenti biografici dell'autore che spiegano meglio l'ironia bonaria dell'opuscolo. Li richiamiamo. Geertsz, latinizzato secondo il costume degli umanisti in Desiderio Erasmo, nacque figlio di illegittimo coniugio. La famiglia paterna, in auge nella borghesia di Gouda, come apprendiamo dallo stesso Erasmo, si oppose alle nozze riparatrici del figlio, costringendolo, con inganno, a far intraprendere la carriera ecclesiastica al malcapitato giovanotto.  Citazioni Come umanista Erasmo si sente apparentato alla società dalla duttile forza della parola che ne saggia criticamente le valenze in termini di ironia, sarcasmo, gioco allusivo, bonarietà lungimirante, tolleranza magnanima, moralismo contenuto. Fin dalla dedica dell'opuscolo a Moro si arguisce che l'autore non vuol propinare sapientia austera e compassata, ma buon senso brioso che permei di sé la vita quotidiana della gente, fosse anche dell'imperatore Marco Aurelio che sul letto di morte, lui filosofo, esclama, a un certo momento: «Sentenzio me cacavi! La sapienza dei dotti è tanto altezzosa quanto sterile, diversamente dal buon senso che cambia in meglio l'esistenza non sofisticata. (Sotto la penna dell'insigne umanista olandese si fronteggiano al femminile Sapientia e Stultitia: la prima, per voler essere austera ad ogni costo, diventa stolta; la seconda, in quanto «forza vitale irrazionale e creatrice», si palesa veramente saggia alla resa dei conti.  L' Elogio della follia conserva un fascino di imperitura attualità. Lo si desume dall'analisi di Histoire de la Folie, dove Foucault evidenzia il confine sfumato tra ragione e sragione in epoca di alta tecnologia, e altresì dalle invettive di Nietzsche contro lo smunto bibliotecario, lo stitico correttore di bozze, il pallido burocrate stipendiato, emblemi tutti del moderno «uomo alessandrino». (Explicit Erasmo conosce e cita perfino pagine della Bibbia a riprova della bontà dei doni che Follia concede ai mortali. Un modo questo, di prendere in giro anzitempo la presunzione dispotica delle società economicistiche che intendono mantenere sotto loro tutela il cittadino «minorenne» sempre bisognoso di dande e mordacchie. Gli autori classici sono, tra l'altro, spiriti lungimiranti. A tali società alienanti di oggi e di domani Blake, con spirito erasmiano, potrebbe ripetere: «esuberanza è bellezza. La divertente commedia umana, introduzione a Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, TEN, Introduzione a "Vita di Gesù" Incipit Il contesto storico culturale della Vita di Gesù La recente edizione storico-critica delle Opere complete di Hegel consente di far chiarezza sulle discussioni e congetture che hanno tenuto a lungo il campo nella letteratura hegeliana a proposito dei cosiddetti Scritti teologici giovanili, la cui indole cronologica vengono ora sancite su base filologica e critica più accorta. Più che ai titoli apposti da Nohl ai vari frammenti e più che alle congetture sulla data probabile di tali scritti, è più fruttuoso rifarsi agli anni di formazione filosofica e teologica di Hegel nello Stift di Tubinga e reperire nel curriculum studiorum le ascendenze prossime che hanno influenzato maggiormente l'autore in una speculiare lettura dei quattro Evangelisti, da cui desume Das Leben Jesu. Citazioni Gli interessi culturali di Hegel, negli anni tubinghesi, sono prevalentemente filosofici, incentivati dalla lettura di Rousseau, Jacobi, Lessing, Kant, Fichte su temi sociopolitici ed etico-religiosi. (Hegel, studioso di filosofia, si sente chiamato a lumeggiare «spiritualmente» la situazione storica del suo tempo e a porre le premesse di carattere razionale per l'avvento di un «ordine uguale di tutti gli spiriti». Il lettore del Leben Jesu si accorge subito di trovarsi di fronte a una forma di scrittura audace, che desacralizza e sdivinizza la persona di Gesù, riducendolo a maestro di morale sublime.  [Paolo Miccoli, introduzione a Hegel, Vita di Gesù. TEN. “Filosofia della storia”, “Corpi dicibili”, “Homo louqens”. Paolo Miccoli. Miccoli. Keywords: homo loquens, corpo dicibile, corpi dicibili. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccoli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702962811/in/photolist-2mQBLt7-2mLPcxi

 

Grice e Miccolis – BRVNO – filosofi italiani al rogo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Corato). Filosofo. Grice: “Miccoli reminds me of G. Baker, who dedicated most of his life to Witters! Miccolis to Labriola.” sConsiderato uno dei massimi studiosi di Labriola.  Si trasferì a Perugia per gli studi universitari, laureandosi in filosofia a pieni voti con una tesi dal titolo «Il pensiero politico crociano e la genesi del liberalismo». Abilitatosi cum laude all'insegnamento di storia e filosofia, professore in vari licei della provincia, occupò una cattedra stabile presso l'Istituto tecnico per geometri a Perugia, accostando l'insegnamento di estetica all'Accademia di belle arti "Pietro Vannucci". Divenne responsabile del settore culturale del PCI per la regione Umbria; ma, preso dagli studî e dall'insegnamento, lasciò l'incarico, comunque seguendo sempre le vicende politiche con attenzione e passione. La sua è stata una formazione liberale: considerava suoi padri spirituali Labriola, Croce,Gobetti. Dalla fine degli anni Settanta la sua vita sarà rivolta allo studio del filosofo cassinese Labriola, da Miccolis ritenuto «un buon punto per capire la storia d'Italia». Nascerà quindi il Carteggio labrioliano, in cinque volumi, presentato da Cesa all'Accademia dei Lincei, edito per gli auspici e con il contributo dell'Istituto italiano per gli studi storici e dell'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" e favorito dalla consultazione, nel frattempo divenuta possibile, delle carte Labriola del Fondo Dal Pane, acquistato dalla Società napoletana di storia patria. Su tale monumentale lavoro è stato scritto: «un evento letterario, probabilmente l'acquisizione più importante tra le fonti della cultura italiana postunitaria; e, di più, senza esagerazione, si presenta come un capolavoro ecdotico, per accuratezza filologica ed esaustività del commento. Miccolis era certo divenuto col tempo l'esperto più sicuro della impervia grafia del suo autore, della quale conosceva ogni piega e ogni anomalia, dei contesti politici e culturali in cui Labriola si muoveva, […] della spezzettata, dispersa e contorta  labrioliana, difficile da padroneggiare: si era anche impadronito, in base a una sensibilità linguistica non comune, del "vocabolario" dell'Autore in tutte le sue sfumature, ed era perciò in grado di respingere o di dubitare di attribuzioni di testi, datazioni improbabili, letture sghembe». Miccolis scrisse inoltre sistematicamente per varie riviste (Rivista di storia della filosofia, il Giornale critico della filosofia italiana, Belfagor, Critica storica, Nuovi studi politici, etc.); numerosi sono i suoi saggi e notevoli gli ulteriori apporti documentari alla  labrioliana. Collaborò intensamente con l'Istituto italiano per gli studi storici e la Fondazione Biblioteca Benedetto Croce: aveva il compito di revisionare i carteggi crociani, e sotto il suo controllo passavano i volumi dell'Edizione nazionale delle opere di Croce. È stato anche uno dei principali animatori dell'Edizione nazionale delle opere di Labriola, per la quale aveva contribuito a definire il piano editoriale, i criteri metodologici, e il problema del rapporto tra l'opera edita di Labriola e il fondo manoscritto della Società napoletana di storia patria.  Adnkronos, Filosofi, E' morto Miccolis, massimo studioso di Antonio Labriolia, Bari, Alessandro SAVORELLI, Rivista di storia della filosofia,, fasc. 2. Opere: “ Il carteggio di Antonio Labriola conservato nel Fondo Dal Pane” «Archivio storico per le provincie napoletane»,  «Con la Sua calligrafia che mi ricorda i papiri greci...». La filologia, la guerra, la Crusca nel carteggio di Croce con Pistelli e Teresa Lodi, a c. di S. Miccolis e A. Savorelli, in Gli archivi della memoria, Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, 1996,  91–126, (rist. in Gli archivi della memoria e il Carteggio Salvemini-Pistelli, a c. di R. Pintaudi, Firenze, Biblioteca Medicea Lauenziana, Polistampa, A. Labriola, La politica italiana Corrispondenze alle « Basler Nachrichten », S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, A. Labriola, Carteggio, S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2000-2006 S. Miccolis, Labriola, Antonio, in Dizionario biografico degli italiani, A. Labriola, L'università e la libertà della scienza, S. Miccolis, Torino, Aragno, A. Labriola, Giordano Bruno. Scritti editi ed inediti S. Miccolis e A. Savorelli, Napoli, Bibliopolis, S. Miccolis, Antonio Labriola. Saggi per una biografia politica, A. Savorelli e Stefania Miccolis, Milano, UNICOPLI,  S. Miccolis, Gli scritti politici di Antonio Labriola editi da Stefano Miccolis, A. Savorelli e Stefania Miccolis, Napoli, Bibliopolis,   G. Bucci, Stefano Miccolis, il ricordo a un anno dalla morte, "Corato live", W. Gianinazzi, M. Prat, In memoriam "Mil neuf cent", n° 28, 201. A. Savorelli, Stefano Miccolis, «Rivista di storia della filosofia», fa A. Meschiari, Stefano Miccolis studioso di Antonio Labriola, «Rivista di storia della filosofia». Stefano Miccolis. Miccolis. Keywords: filosofi italiani al rogo. BRVNO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miccolis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745998220/in/datetaken/

 

Grice e Michelstädter – il giovane divino,  l’implicatura persuasiva di Platone – filosofia italiana – filosofia giudaea – filosofia nel ventennio fascista -- Luigi Speranza (Gorizia). Filosofo. Grice: “It’s difficult to grasp Michelsteadter’s implicature: his study on ‘persuasion’ is brilliant – he was a close reader of Plato, and he uses figurative language, as ‘il giovane divino.’ My favourite is his account of the persuasive rhetoric of Cicero.” Grice: “Michelsteadter plays with the etymology of persuasion, which is cognate with ‘suave,’ as it should – sweet talk, we should say – which I could make into a maxim which would not be strictly ‘conversational’ unless under the category of modus – ‘be sweet’ –But the sweetness applies in general to my framework: the emissor aims to be sweet if he is going to try to influence the other, and will be influenced by a sweeter co-emissor.”  essential Italian philosopher. Ultimo di quattro figli, da un'agiata famiglia. Il padre, Alberto, dirige l'ufficio goriziano delle Assicurazioni Generali ed è presidente del Gabinetto di Lettura goriziano. È un uomo colto, autore di scritti letterari e di conferenze, rispettoso delle usanze tradizionali ma solo formalmente, per rispetto borghese -- è, anzi, un laico, un tipico rappresentante della mentalità materialistica. Il semitismo non sembra quindi incidere molto sulla sua formazione culturale, che scoprire solo più tardi e con non poca meraviglia di avere un antenato cabalista. Iscritto al severo Staatsgymnasium cittadino, fa propria la rigida Bildung asburgica. Con le traduzioni dal greco e dal latino ha i primi approcci colla filosofia. A iniziarlo sono Schubert-Soldern, solipsista gnoseologico, secondo il quale tutto il sapere va ricondotto alla sfera del soggetto; e l'amico Mreule che gli fa conoscere Il mondo come volontà e rappresentazione, di cui resta traccia soprattutto ne La Persuasione e la Rettorica. Nella soffitta di Paternolli, oltre a Schopenhauer, legge e discute, con gli amici Nino e Rico, i tragici e i presocratici, Platone, il Vangelo e le Upanishad; e poi ancora Petrarca, Leopardi, Tolstoj, e l'amatissimo Ibsen.  Conclusde gli studi ginnasiali e progetta di iscriversi a giurisprudenza; in seguito abbandona l'idea e si iscrive alla facoltà di matematica a Vienna. Ma l'anima è giàper dirla con Leopardi nel primo giovanil tumulto verso un altrove che non riesce a riconoscere nella ferrea logica matematica. Si iscrive al corso di Lettere dell'Istituto di Studi Superiori Fiorentino, città in cui vivrà per quasi quattro anni e dove conoscerà, fra gli altri, Chiavacci, futuro curatore delle sue Opere, ed Arangio-Ruiz, noto filosofo. Continua a ritrarre, fra tratto espressionistico e schizzo caricaturale, la varia umanità in cui s'imbatte, sia nei mesi di studio che nei periodi di vacanza al mare e in montagna. Scrive moltissimo, in modo quasi ossessivo, dalle lettere ai familiari (in particolare alla sorella Paula) alle recensioni di drammi teatrali. Un evento luttuoso segna la sua vita: la morte, per suicidio, del fratello Gino. Due anni prima si era suicidata anche una donna da lui amata, Nadia Baraden. Mreule parte per l'Argentina. Questa partenza è segnata da un evento significativo, una sorta di passaggio del testimone. Si fa consegnare da Rico la pistola che porta sempre con sé. Completati gli esami, ritorna a Gorizia e inizia la stesura della tesi di laurea, assegnatagli da Vitelli, concernente i concetti di persuasione e di retorica in Platone e Aristotele. La sua attività è febrile. Oltre alla Persuasione scrive anche la maggior parte delle Poesie e alcuni dialoghi, tra cui spicca il Dialogo della salute. Il suo isolamento diventa pressoché totale, mangia pochissimo e dorme per terra, come un asceta. Vede solo la sorella e il cugino Emilio. Comunica al padre che dopo la tesi non avrebbe fatto il professore, ma che appena laureato sarebbe andato al mare, forse a Pirano o a Grado. Dopo un diverbio con la madre, impugna la pistola lasciatagli da Mreule e si toglie la vita. Sul frontespizio della tesi aveva disegnato una fiorentina, una lampada ad olio, e aggiunto in greco: apesbésthen, «io mi spensi».  Amici raccolsero i suoi saggi, ora alla Biblioteca di Gorizia. Sepolto nel cimitero ebraico di Valdirose (Rožna Dolina), oggi nel comune sloveno di Nova Gorica, a poche centinaia di metri dal confine con l'Italia. La breve vita di Michelstaedter scorrecome risulta dall'Epistolarioall'insegna di una volontà di vivere continuamente illuminata dal desiderio di un altrimenti e di un altrove metafisico che fa di lui un impulsivo, un irrequieto esploratore di linguaggi e di mezzi espressivi, capace di spaziare dalla pittura alla poesia passando per le ripide vette della filosofia. Nell'apologo dell'aerostato incluso ne La Persuasione e la Rettorica, l'essenza del pensiero occidentale, la rettorica, viene fatta risalire da Michelstaedter a un parricidio: quello di Aristotele nei confronti di Platone. Questi, nella metafora costruita da Michelstaedter, escogita un mechánema, una macchina volante per abbandonare il peso del mondo e giungere all'assoluto. Maestro e discepoli riescono a librarsi negli alti spazi del cielo, ma restano a metà strada, fra una mera contemplazione dell'essere e del tempo e la nostalgia della terra e delle cure mondane. A riportarli sulla terra ci pensa allora un discepolo più scaltro e intraprendente degli altri, Aristotele, il quale, tradendo il maestro, fa scendere il mechánema restituendo così a tutti la gioia d'aver la terra sicura sotto i piedi. Questa nostalgia del mondo intelligibile platonico fa quindi di lui un discepolo di Schopenhauer, più che di Nietzsche.  La costituzione della metafisica è per lui una storia di rettorici tradimenti, la vicenda di una verità dai grandi persuasi tanto proclamata agli uomini quanto da questi disattesa e inascoltata. Quanto io dico è stato detto tante volte e con tale forza che pare impossibile che il mondo abbia ancor continuato ogni volta dopo che erano suonate quelle parole. Lo dissero ai Greci Parmenide, Eraclito, Empedocle, ma Aristotele li trattò da naturalisti inesperti; lo disse Socrate, ma ci fabbricarono su 4 sistemi... lo disse Cristo, e ci fabbricarono su la Chiesa. La persuasione è la visione propria di chi ha compreso la tragicità della finitezza e ad essa vuol tener fermo, senza ricorrere a quegli «empiastri»i kallopísmata órphnes, gli «ornamenti dell'oscurità»che possano lenire il dolore scatenato da tale consapevolezza. L'essere è finitezza che si rivela solo nella dimensione tragica di una presenza abbacinante, ma gli uomini rigettano questa tragica consapevolezza ottundendosi, pascalianamente, nel divertissement. Persuaso è chi ha la vita in sé, chi non la cerca alienandosi nelle cose o nei luoghi comuni della società perdendo l'irrinunciabile hic et nunc del proprio esserci, ma riesce «a consistere nell'ultimo presente», abbandonando quelle illusioni di sicurezza e di conforto che avviluppano chi vive abbagliato dalle illusioni create dal potere, dalla cultura, dalle dottrine filosofiche, politiche, sociali, religiose. È questa «la via preparata» dalla quale a tutti fa comodo non discostarsi troppo; è questo restare perennemente attaccati alla vitala philopsychìaa far sì che la "rettorica" trionfi sempre. La vita, soffocata dalla ricerca dei piaceri, della potenza, finanche dalla presunzione filosofica di possedere la via e quindi la vita stessa, non vive, perché in ogni istante ciascuno rimane avvolto dalle cure per ciò che non è ancora o dal rimpianto per ciò che non è più, mancando sempre l'attimo decisivo, quello che i greci chiamavano kairós, il tempo propizio. Perciò nella vita facciamo esperienza della morte, di quella «morte nella vita» cantataquasi una danse macabrenel Canto delle crisalidi: «Noi col filo / col filo della vita / nostra sorte / filammo a questa morte».  Il pensiero di Michelstaedter procede di conseguenza, per liberare il potenziale di tragicità dell'esistenza, attraverso violente contrapposizioni concettuali (persuasione-rettorica, vita-morte, piacere-dolore), senza alcun tentativo di mediazione dialettica. Michelstaedter respinge, con un gesto iniziatico, l'idea di costruire una dottrina sistematica della persuasione e della salute, in quanto «la via della persuasione non è corsa da 'omnibus', non ha segni, indicazioni che si possano comunicare, studiare, ripetere. Ma ognuno ha in sé il bisogno di trovarla e nel proprio dolore l'indice, ognuno deve nuovamente aprirsi da sé la via, poiché ognuno è solo e non può sperar aiuto che da sé: la via della persuasione non ha che questa indicazione: non adattarti alla sufficienza di ciò che t'è dato». La salvezza individuale è possibile solo in una singolarità irripetibile, irriducibile, concentrata in sé.  Il solipsismo di Michelstaedter è perciò radicale: non ci sono vie, non ci sono cammini, c'è solo il viandante che nel deserto dell'esistenza è «il primo e l'ultimo», crocefisso al legno della propria sufficienza e schiacciato dalla croce di falsi bisogni. Poiché il mondo è negatività assoluta, al pensiero non resta che negare questa stessa negatività rifiutando i dati dell'immanenza: «Solo quando non chiederai più la conoscenza conoscerai, poiché il tuo chiedere ottenebra la tua vita». Si tratta di una sentenza di sapore quasi buddistico: non a caso Mreule enfatizzerà la figura dell'amico descrivendolo come «il Buddha dell'occidente».  Produzione artistica La produzione poetica e quella pittorica di Michelstaedter possono essere considerate un prolungamento e un completamento di questo sentimento tragico e mistico. Come nel verso poetico egli tenta di esprimere l'inesprimibile, di dire con parole ciò che sfugge al sistema di segni codificato e perciò già da sempre istituito retoricamente, così nel segno pittorico, nello schizzo rapido e scherzoso come nel ritratto composto e meditato, traluce l'impossibilità di giungere a quella che Parmenide chiamava la ben rotonda verità. Non siamo giocati solo dalle parole, ma anche dalle immagini di una realtà fatta di colori e di forme che ci sfuggono nella loro immediatezza e alterità, «come chi vuol veder sul muro l'ombra del proprio profilo, in ciò appunto la distrugge». Anche l'arte e la poesia, come la retorica filosofica, si rivelano infine per quello che sono: fragili orpelli di cui si orna l'oscurità dell'essere e che ogni linguaggio escogitato dall'uomo sarà sempre impotente a esprimere.  Saggi: “Saggi” (G. Chiavacci, Sansoni, Firenze); “Scritti scolastici, S. Campailla, Gorizia, Opera grafica e pittorica, S. Campailla, Gorizia, Il dialogo della salute e altri dialoghi, S. Campailla, Adelphi, Milano Poesie, S. Campailla, Adelphi, Milano, La Persuasione e la Rettorica, Vladimiro Arangio-Ruiz, Formiggini, Genova, edizione critica S. Campailla, Adelphi, Milano poi, con le Appendici critiche, ivi,). Epistolario, S. Campailla, Adelphi, Milano nuova edizione riveduta e ampliata, ivi,  Parmenide ed Eraclito. Empedocle, SE, Milano, L'anima ignuda nell'isola dei beati. Scritti su Platone, D. Micheletti, Diabasis, Reggio Emilia,  Dialogo della salute. E altri scritti sul senso dell'esistenza, a cura e con un saggio introduttivo di G. Brianese, Mimesis, Milano, La melodia del giovane divino, S.  Campailla, Adelphi, Milano  La persuasione e la rettorica, edizione critica, A. Comincini, Joker. Michelstaedter-Winteler, Appunti per una biografia di Michelstaedter  Michelstaedter si riferisce, nell'Epistolario, al bonno Isacco Samuele Reggio, confondendolo con il padre di questo, Abram Vita Reggio  S.Campailla, Il segreto di Nadia B., Marsilio,. Da articoli di cronaca americani dell'epoca, si apprende che il suicidio avvenne con un colpo di pistola alla tempia destra.  La persuasione e la rettorica35  La persuasione e la rettorica  Poesie La persuasione e la rettorica C. Magris, Un altro mare Il dialogo della salute, Biografie e studi critici Acciani Antonia, Il maestro del deserto. Carlo Michelstaedter, Progedit, Bari Arbo Alessandro, Carlo Michelstaedter, Studio Tesi, Pordenone (Civiltà della memoria). Arbo Alessandro, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Arbo Alessandro, Il suono instabile. Saggi sulla filosofia della musica nel Novecento, NeoClassica, Roma, Giuseppe Auteri, Metafisica dell'inganno, Università degli Studi, Catania Aurelio Benevento, Scrittori giuliani. Michelstaedter, Slataper, Stuparich, Otto/Novecento, Azzate, Giorgio Brianese, L'arco e il destino. Interpretazione di Michelstaedter, Abano Terme (PD), Francisci); Giuseppe A. Camerino, La persuasione e i simboli. Michelstaedter e Slataper, Liguori, Napoli Sergio Campailla, Pensiero e poesia di Carlo Michelstaedter, Patron, Bologna. Sergio Campailla, A ferri corti con la vita, Comune di Gorizia Sergio Campailla, Controcodice, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli Valerio Cappozzo, La passione, Les Cahiers d'Histoire de l'Art nº2, Parigi Valerio Cappozzo, Il percorso universitario di  dall'archivio dell'Istituto di Studi Superiori, in  Un'altra società. Carlo Michelstaedter e la cultura contemporanea, S. Campailla, Marsilio, Venezia, Un'introduzione, Luca Perego, Erasmo Silvio Storace e Roberta Visone, AlboVersorio, Milano); L'Essere come Azione, Erasmo Silvio Storace, AlboVersorio, Marco Cerruti, Carlo Michelstaedter, Mursia, 2Milano  (Civiltà letteraria, Sez. italiana). Marco Cerruti, Ricordi, L'Essere come Azione", Erasmo Silvio Storace, AlboVersorio, Milano N. Cinquetti, Michelstaedter. Il nulla e la folle speranza, Edizioni Messaggero, Padova Tracce del sacro nella cultura contemporanea,). Paola Colotti, La persuasione dell'impersuadibilità. Saggio su Carlo Michelstaedter, Ferv, Roma 2004. 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Eredità di Michelstaedter, Silvio Cumpeta e Angela Michelis, Forum Edizioni, Udine Laura Furlan, L’essere straniero di un intellettuale moderno, Lint, Trieste  (Vie di fuga 6). L'immagine irraggiungibile. Dipinti e disegni di Carlo Michelstaedter, Antonella Gallarotti, Edizioni della Laguna, Mariano del Friuli, Galgano Andrea, Il vortice del nulla, in Mosaico, Roma, Aracne,  Mario Gabriele Giordano, Il pensiero e l'arte di Carlo Michelstaedter, in "Riscontri", 1. Ora, revisionato, in Id., Il fantastico e il reale. Pagine di critica letteraria da Dante al Novecento, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, Innella Francesco, Michelstaedter: frammenti da una filosofia oscura, Ripostes, Salerno-Roma (I tascabili). Vincenzo Intermite, Carlo Michelstaedter. Società rettorica e coscienza persuasa, Firenze Atheneum (collana Collezione Oxenford, C. Rocca, Nichilismo e retorica. Il pensiero di Carlo Michelstaedter, ETS, Pisa  (Biblioteca di "Teoria" 2). C. 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Grice e Mieli – l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del desiderio – la Paradisaeidae di Swinton -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “Speranza has studied this; he calls it ‘Dorothea Oxoniensis,’ and indeed it is a joint endeavour with C. R. Stevenson – who *knows*!” -- «Spero che la lettura di questo libro favorisca la liberazione del desiderio gay presso coloro che lo reprimono e aiuti quegli omosessuali manifesti, che sono ancora schiavi del sentimento di colpevolezza indotto dalla persecuzione sociale, a liberarsi della falsa colpa»  (Elementi di critica omosessuale. M Attivista e scrittore italiano, teorico degli studi di genere. È considerato uno dei fondatori del movimento omosessuale italiano, nonché uno tra i massimi teorici del pensiero nell'attivismo omosessuale italiano. Legato al marxismo rivoluzionario, è noto soprattutto come eponimo del Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli e per il suo saggio Elementi di critica omosessuale pubblicato nella sua prima edizione da Einaudi nel 1977.  Mario Mieli nacque a Milano nel 1952, penultimo dei sette figli di Walter Mieli e di Liderica Salina. Il padre, ebreo e originario di Alessandria d'Egitto, viveva a Milano dalla metà degli anni venti e aveva fondato con successo un'azienda di filati, divenuta in seguito una delle più importanti nella torcitura e nella lavorazione della seta. La madre, milanese, era insegnante di lingue.  Sposati dal 1936, durante la seconda guerra mondiale i coniugi Mieli erano sfollati a Lora, frazione di Como. Mario crebbe in questa cittadina, pur mantenendo forti legami con Milano dove il padre continuava a lavorare e a risiedere.  Il giovane Mario si stabilì definitivamente nel capoluogo lombardo quando si iscrisse al liceo classico Giuseppe Parini, raggiunto due anni dopo dalla sorella minore Paola, alla quale fu sempre molto legato. Già in questi anni diede dimostrazione della sua viva intelligenza e dichiarò la propria omosessualità. Secondo quanto testimoniato dal compagno Milo De Angelis, nfondò un circolo di poesia che divenne anche un luogo di incontro per omosessuali. Fu pienamente coinvolto nella contestazione ed evocò questo periodo nel suo romanzo autobiografico Il risveglio dei faraoni.  A causa della sua miopia fu esonerato dal servizio militare alla fine del liceo, si trasferì a Londra per perfezionare l'inglese, come già avevano fatto altri suoi familiari. Qui frequentò il "Gay Liberation Front" venendo a contatto con l'attivismo omosessuale nella sua fase più intensa, subito dopo i moti di Stonewall. Tornato in Italia, fu, insieme ad Angelo Pezzana, tra i soci fondatori del celebre Fuori! a Torino, prima associazione italiana del movimento di liberazione omosessuale italiano.  Convinto assertore di una rivoluzione gay in chiave marxista, nel 1974 si allontanò dal Fuori! insieme a tutta la cellula milanese dell'associazione quando questa si legò al Partito Radicale.  Nello stesso anno fondò a Milano i Collettivi Omosessuali Milanesi e nel 1976 i Collettivi parteciparono al Festival del proletariato giovanile di Parco Lambro, dove Mieli lanciò dal palco lo slogan Lotta dura, Contronatura!. Si laureò in filosofia morale con una tesi, poi pubblicata con modifiche, da Einaudi con il titolo di Elementi di critica omosessuale e che divenne un fondamento delle teorie di genere in Italia e, in misura minore, all'estero, venendo tradotto e pubblicato in inglese nel 1980 con il titolo Homosexuality and liberation: elements of a gay critique ed in spagnolo con il titolo Elementos de crítica homosexual dall'editrice Anagrama. Elementi fu uno dei testi base dei collettivi autonomi gay.  Mieli fu uno dei primi a contestare apertamente le categorie di genere vestendosi quasi sempre con abiti femminili. Nel frattempo si dedicava al teatro, destando scandalo nella mentalità dell'epoca con opere come lo spettacolo La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì! Dava volutamente scandalo anche per il modo in cui si presentava, utilizzò anche immagini e ruoli per portare avanti la propria battaglia dei diritti individuali inalienabili. Nel corso della sua esistenza, cercò di superare i limiti, fece uso di droghe e si dette a pratiche sempre più estreme, inclusa la coprofagia.  Durante un viaggio a Londra, Mieli, vicino già all'antipsichiatria, iniziò a interessarsi di psicoanalisi; ifu nuovamente arrestato, quando, semi-nudo e in preda a una crisi psichica, fu fermato nell'aeroporto di Heathrow, in cerca di un poliziotto con cui avere un rapporto sessuale. Prima venne incarcerato, poi messo nella sezione psichiatrica del Marlborough Day hospital, assistito dai familiari venuti dall'Italia in attesa del processo. Venne ricondotto a Milano, dopo la condanna a pagare una multa, e ricoverato in una clinica psichiatrica per un mese. Una volta dimesso, su consiglio del suo psicoanalista G. Zapparoli, i genitori gli diedero un appartamento autonomo. L'anno seguente viaggiò ad Amsterdam e di nuovo a Londra e si laureò con lode in filosofia. Poco dopo lasciò l'appartamento che gli avevano trovato e interruppe la terapia psichiatrica.  Al V congresso del Fuori!, che sancì la sua rottura col movimento e con A. Pezzana, Mieli prese la parola, si dichiarò transessuale e parlò della sua esperienza di malattia mentale («sono stato definito uno schizofrenico paranoide, sono stato in ospedale, in manicomio per questo motivo») e di omosessualità. Dopo questo periodo si dedicò alla stesura degli Elementi di critica omosessuale.  Negli ultimi anni di vita si dedicò all'esoterismo e all'alchimia, abbastanza isolato dal resto del movimento omosessuale, e lavorando al romanzo Il risveglio dei faraoni. Morì suicida infilando la testa nel forno della sua abitazione di Milano dopo un lungo periodo di depressione. Tra i motivi del suo gesto estremo fu l'ostruzionismo che il padre, influente industriale milanese, aveva fatto per impedire la pubblicazione della sua ultima opera, Il risveglio dei faraoni, ritenendolo troppo autobiografico e lesivo dell'onore famigliare. A lui è intitolato il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli sorto a Roma nello stesso anno della morte.  Il pensiero Il transessualismo universale Il pensiero di Mario Mieli consiste nel ritenere che ogni persona è potenzialmente transessuale se non fosse condizionata, fin dall'infanzia, da un certo tipo di società che, attraverso quella che Mieli chiamava "educastrazione", costringe a considerare l'eterosessualità come normalità e tutto il resto come perversione. Per transessualità, non intende quello che si intende oggi nella comune accezione del termine, ma l'innata tendenza polimorfa e "perversa" dell'uomo, caratterizzata da una pluralità delle tendenze dell'Eros e da l'ermafroditismo originario e profondo di ogni individuo.  La liberazione omosessuale in chiave marxista fu tra i primi studiosi ed attivisti del Movimento di Liberazione Omosessuale Italiano, accanto a Castellano,Consoli, Modugno e  Pezzana. Tutti partivano dalla certezza che la liberazione dall'ancestrale omofobia dovesse fondarsi sulla consapevolezza della propria identità, censurata fin dalla nascita dalla cultura dominante, da loro ritenuta antropologicamente sessuofoba e pervicacemente omofoba.  Da queste basi partivano per abbattere la discriminazione pluri-secolare nei confronti di chi non si identificava nella sessualità assiomaticamente definita come naturale e normale. Abbracciò immediatamente il marxismo, cercando di rimodularlo sulle istanze della lotta di liberazione ed emancipazione omosessuale e ritenendo la società capitalista intrinsecamente omofoba. Rilettura della psicanalisi Negli Elementi di critica omosessuale, volle rielaborare alcuni degli spunti teorici della teoria della sessualità di Freud, attraverso la lettura che, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, ne aveva fatto  Marcuse. Marcuse, infatti, in opere come “Eros e civiltà e L'uomo a una dimensione aveva voluto fondere marxismo e psicanalisi. Fu proprio Freud, infatti, a sostenere che l'orientamento sessuale poteva prendere qualsiasi "direzione", riconducendo eterosessualità e "omosessualità a semplici varianti della sessualità umana in senso lato. Una non escluderebbe l'altra, e anzi, in potenza, tutti saremmo pluri-sessuali, "polimorfi" o, più semplicemente, bi-sessuali.  In base a questa riflessione, riteneva che si dovesse denunciare come assurda e inconsistente l'opposizione ideologica "eterosessuale" vs "omosessuale", essendo viziato il principio stesso di "mono-sessualità". A questa prospettiva unilaterale, che riteneva incapace di cogliere la natura ambivalente e dinamica della dimensione sessuale, Mieli ha preferito opporre un principio di eros libero, molteplice e polimorfo. Per Mieli era tragicamente ridicola «la stragrande maggioranza delle persone, nelle loro divise mostruose da maschio o da "donna.” Se il travestito appare ridicolo a chi lo incontra, tristemente ridicolissima è per il travestito la nudità di chi gli rida in faccia».  Tim Dean, psicoanalista dell'Buffalo, che redasse l'appendice dell'edizione Feltrinelli di Elementi di critica omosessuale, afferma: «Nel processo politico di ristrutturazione della società, Mieli non esita a includere nel suo elenco di esperienze redentive la pedofilia, la necrofilia e la coprofagia» e «ridefinisce drasticamente il comunismo descrivendolo come riscoperta dei corpi (...) In questa comunicazione alla Bataille di forme materiali, la corporeità umana entra liberamente in relazioni egualitarie multiple con tutti gli esseri della terra, inclusi "i bambini e i nuovi arrivati di ogni tipo, corpi defunti, animali, piante, cose" annullando "democraticamente" ogni differenza non solo tra gli esseri umani ma anche tra le specie».  A questa rivoluzione sociale sono di ostacolo determinati elementi, ritenuti da Mieli come «pregiudizi di certa canaglia reazionaria» che, trasmessi con l'educazione, hanno la colpa di «trasformare troppo precocemente il bambino in adulto eterosessuale».  Il tema della pedofilia Da provocatore dei "benpensanti", quale è stato tutta la breve vita, facendo esplicitamente riferimento a Freud, Mieli affrontò a modo suo anche il tema della sessualità infantile, per questo andando incontro a forti critiche. I bambini, secondo il pensiero di Mieli, potevano "liberarsi" dai pregiudizi sociali e trovare la realizzazione della loro "perversità poliforme" grazie ad adulti consapevoli di quanto sopra asserito: «Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l'Edipo, o il futuro Edipo, bensì l'essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l'amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata. Essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata verso il feto» (Francesco Ascoli)»  (Elementi di critica omosessuale). Nella nota 88 si legge:  «Per pederastia intendo il desiderio erotico degli adulti per i bambini (di entrambi i sessi) e i rapporti sessuali tra adulti e bambini. Pederastia (in senso proprio) e pedofilia vengono comunemente usati come sinonimi» (Elementi di critica omosessuale). Il tema dell'alterazione psichica, della follia Mieli faceva uso di sostanze stupefacenti, attraverso le quali mirava a superare lo stato di normalità in cui riteneva le persone intrappolate. Riteneva che nevrosi, follia, paranoia, delirio e, soprattutto, la schizofrenia, al pari dell'omosessualità fossero caratteristiche latenti in tutti gli esseri umani e, con riferimento a Jung, che tali condizioni permettessero «la (ri)scoperta di quella parte di noi che Jung definirebbe “Anima” oppure “Animus”». In riferimento all'omosessualità, considerava che potesse essere una porta verso il lato inesplorato della personalità, in analogia con la follia: “La paura dell’omosessualità che distingue l’homo normalis è anche terrore della “follia” (terrore di se stesso, del proprio profondo). Così, la liberazione omosessuale si pone davvero come ponte verso una dimensione decisamente altra: i francesi, che chiamano folles le checche, non esagerano».  Opere: “Comune futura,” “Elementi di critica omosessuale, Einaudi, Torino, Elementi di critica omosessuale, G. Barilli e P. Mieli, Feltrinelli, Milano,  Elementi di critica omosessuale, G. Barilli e Paola Mieli, Feltrinelli, Milano, “Il risveglio dei faraoni,” preservato da Marc de' Pasquali e Umberto Pasti, Cooperativa Colibri, Milano, “Il risveglio dei faraoni,” Alfonso Sarrio Solidago, dR, Milano,  “Oro, eros e armonia,” G. Silvestri e A.Veneziani, Edizioni Croce, Oro, eros e armonia, Gianpaolo Silvestri e Antonio Veneziani, Edizioni Croce,  “E adesso,” S. Laude, Clichy,  Teatro La Traviata Norma. Ovvero: Vaffanculo... ebbene sì!, Film “Gli anni amari, regia di A. Adriatico.. T.  Giartosio, Perché non possiamo non dirci: letteratura, omosessualità, mondo, Feltrinelli,  G. Barilli, Il movimento gay in Italia, Feltrinelli, L. Schettini, Mario Mieli, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ideologia. Progetto omosessuale rivoluzionario, in Elementi di critica omosessuale, Dizionario Biografico degli Italiani, in Treccani, Trascrizione del suo intervento in congresso nazionale del “Fuori!”, in Fuori! rancobuffoni/files/pdf/gp_leonardi_mieli.pdf  Mieli, artista contro la violenza, in La Stampa,  Elementi di critica omosessuale, Einaudi, Mario Mieli. Elementi di critica omosessuale. Milano, Einaudi, Estremo e dimenticato. Storia di un intellettuale provocatore., in Treccani Il tascabile, Mieli, Mario., Mieli, Paola. e Rossi Barilli, Gianni., Elementi di critica omosessuale Il risveglio dei Faraoni, in A. Solidago, PRIDE, Milano, dR Edizioni, Silvestri, Gianpaolo, L'ultimo Mario Mieli: Oro Eros Armonia: contributi di Ivan Cattaneo e A. Veneziani, 2 ed. riveduta e corretta, Libreria Croce, De Laude, Silvia,, Mario Mieli: e adesso,  A. Pezzana. La politica del corpo. Roma, Savelli, E. Modugno. La mistificazione eterosessuale. Milano, Kaos. S. Casi. L'omosessualità e il suo doppio: il teatro di Mario Mieli. Rivista di sessuologia (numero speciale L'omosessualità fra identità e desiderio,Francesco Gnerre. L'eroe negato. Milano, Baldini e Castoldi, M. Philopat, Lumi di punk: la scena italiana raccontata dai protagonisti, Milano, Agenzia, Concetta D'Angeli, Teatro Talento Tenacia... Mario Mi"Atti&Sipari" Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli Fuori! Marc de' Pasquali Movimento di liberazione omosessuale Omosessualità Queer Storia dell'omosessualità in Italia Studi di genere Teoria queer Transessualismo Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Mario Mieli Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Mario Mieli  Biografia, in italiano, su culturagay. Chi era Mario Mieli (articolo sul  gay.tv), su gay.tv Circolo di cultura omosessuale "Mario Mieli", su mariomieli.org. Mario Mieli. Mieli. Keywords: l’uccello del paradiso; overo, la lingua perduta del desiderio. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Mieli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703242528/in/photolist-2mLQCG1-2mLK5uQ

 

Grice e Miglio – implicatura ligure – la LIGVRIA e la PADANIA -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Como). Filosofo. Grice: “Berlin, who thought was a philosopher, ended up lecturing on the history of ideas, i..e. ideology – Miglio defines ideology so simply that would put Berlin to shame: an ideology is what politicians propagate to reach or buy consensus!” --  essential Italian philosopher. Sostenitore della trasformazione dello Stato italiano in senso federale o, addirittura, confederale, fra gli anni ottanta e i novanta è considerato l'ideologo della Lega Lombarda, in rappresentanza della quale fu anche senatore, prima di "rompere" con Umberto Bossi dando vita alla breve stagione del Partito Federalista.   Polo scolastico "Gianfranco Miglio" ad Adro. Costituzionalista e scienziato della politica, fu senatore della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.  Ha insegnato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ove fu preside della Facoltà di Scienze politiche dal 1959 al 1989. È stato allievo di Alessandro Passerin d'Entrèves e Giorgio Balladore Pallieri, sotto la cui docenza si è formato sui classici del pensiero giuridico e politologico.  Colpito da ictusnon si riprese e morì ottantatreenne nella sua stessa città natale, Como, circa un anno dopo. Il funerale si tenne a Domaso, sul Lago di Como, comune d'origine del padre e sede di una villa nella quale il professore si rifugiava spesso; in seguito Miglio è stato tumulato nel locale cimitero, a fianco dei membri della sua famiglia.   Laureatosi in Giurisprudenza all'Università Cattolica con la tesi, “Origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche nell'età moderna”, evitò l'arruolamento per la Seconda guerra mondiale a causa di un difetto uditivo congenito, e poté divenire assistente volontario alla cattedra di Storia delle dottrine politiche, che d'Entreves tenne sino alla fine degli anni quaranta nella medesima università.  Libero docente, si dedicò negli anni cinquanta allo studio delle opere di storici e giuristi, soprattutto tedeschi: dai quattro volumi del Deutsche Genossenschaftsrecht di Otto Von Gierke, ai saggi di storia amministrativa di Otto Hintze, alcuni dei quali, negli anni seguenti, vennero tradotti in italiano dal suo allievo e ferrato germanista  Schiera (O. Hintze, Stato e società, Zanichelli).  Fu di quegli anni l'incontro di Miglio con l'immensa produzione scientifica di Weber: il professore comasco fu uno dei primi ad aver studiato a fondo “Economia e Società”, l'opera più importante del sociologo tedesco che era stata completamente trascurata in Italia.  Sviluppo del lavoro scientifico Miglio storico dell'amministrazione Alla fine degli anni cinquanta, Miglio fondò con il giurista Feliciano Benvenuti l'ISAP Milano (Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica), ente pubblico partecipato da Comune e Provincia di Milano, di cui ricopri per alcuni anni la carica di vicedirettore. In un saggio memorabile intitolato Le origini della scienza dell'amministrazione, il professore comasco descriveva con elegante chiarezza le radici storiche della disciplina. L'interesse per il campo dell'amministrazione era dovuto in quegli anni alle politiche pianificatrici che gli stati andavano conducendo per l'incremento della crescita economica.  La Fondazione italiana per la storia amministrativa Ben presto Miglio sentì tuttavia l'esigenza di studiare in modo più sistematico la storia dei poteri pubblici europei e, negli anni sessanta, costituì la Fondazione italiana per la storia amministrativa: un istituto le cui ricerche vennero condotte con rigoroso metodo scientifico. A tal proposito, il professore aveva appositamente preparato per i collaboratori della fondazione uno schema di istruzioni divenuto famoso per chiarezza e organicità. In realtà, fondando la F.I.S.A. Miglio si era posto l'ambizioso obiettivo di scrivere una storia costituzionale che prendesse in esame le amministrazioni pubbliche esistite in luoghi e tempi diversi: in tal modo egli sarebbe riuscito a tracciare una vera e propria tipologia delle istituzioni dal medioevo all'età contemporanea, al cui interno sarebbero stati indicati i tratti distintivi o, viceversa, gli elementi comuni di ogni potere pubblico. Ma v'era un'altra ragione che aveva indotto Miglio a studiare i poteri pubblici in un'ottica, come scriveva lui stesso, analogico-comparativa. Servendosi di un metodo scientifico che Hintze aveva parzialmente seguito nella prima metà del Novecento, il professore comasco intendeva definire l'evoluzione storica dello stato moderno, storicizzando in tal modo le stesse istituzioni contemporanee.  La fondazione pubblicava tre collezioni: gli Acta italica, l'Archivio (diviso in due collane: la prima riguardante ricerche e opere strumentali, la seconda dedicata alle opere dei maggiori storici dell'amministrazione) e gli Annali. Tra i più autorevoli lavori storici pubblicati nell'Archivio, si ricordano il volume sui comuni italiani di Goetz e il famoso saggio di Vaccari sulla territorialità del contado medievale. Nella prima serie alcuni giovani studiosi poterono invece pubblicare le loro ricerche di storia delle istituzioni: Gabriella Rossetti, allieva dello storico Cinzio Violante, vi diede alle stampe un approfondito studio sulla società e sulle istituzioni nella Cologno Monzese dell'Alto Medioevo; Adriana Petracchi pubblicò la prima parte di un'interessante ricerca sullo sviluppo storico dell'istituto dell'intendente nella Francia dell'ancien régime; occorre inoltre ricordare il poderoso volume di Pierangelo Schiera sul cameralismo tedesco e sull'assolutismo nei maggiori stati germanici. Su tutt'altro piano si poneva invece la collezione della F.I.S.A. denominata Acta italica: al suo interno dovevano essere pubblicati i documenti relativi all'amministrazione pubblica degli stati italiani preunitari: è probabile che l'ispirazione per quest'ultima serie fosse venuta a Miglio dallo studio delle opere di Hintze: verso la fine del XIX secolo, lo storico tedesco aveva infatti scritto alcuni saggi sull'amministrazione prussiana pubblicandoli negli Acta borussica, un'autorevole collana che raccoglieva le fonti storiche dello stato degli Hohenzollern.  L'edizione dei lavori della commissione Giulini Tra i volumi degli Acta italica, occorre ricordare l'edizione dei lavori della Commissione Giulini curata da Nicola Raponi nel 1962, uno studio cui Miglio tenne molto e di cui si servì, molti anni dopo, per la stesura del celebre saggio su “Vocazione e destino dei lombardi” (in  La Lombardia moderna, Electa, ripubblicato in Miglio, Io, Bossi e la Lega, Mondadori). La commissionei cui lavori avevano avuto luogo a Torino sotto la presidenza del nobile milanese Cesare Giulini della Portaaveva il compito di elaborare progetti di legge che sarebbero entrati in vigore in Lombardia nel periodo immediatamente successivo alla guerra. Cavour, che in quegli anni ricopriva la carica di primo ministro, voleva che il governo, nel sancire l'annessione dei nuovi territori al Piemonte di Vittorio Emanuele, mantenesse separati gli ordinamenti amministrativi delle due regioni, lasciando che in Lombardia continuassero a sussistere una parte delle istituzioni austriache esistenti.  Il saggio Le contraddizioni dello stato unitario Nel saggio magistrale Le contraddizioni dello stato unitario scritto in occasione del convegno per il centenario delle leggi di unificazione, Miglio prese in esame gli effetti devastanti che l'accentramento amministrativo aveva provocato nel sistema politico italiano. La classe politica italiana non fu capace di elaborare un ordinamento amministrativo che consentisse allo stato di governare adeguatamente un territorio esteso dalle Alpi alla Sicilia. Ricorrendo a una felice similitudine, il professore scrisse che la scelta di estendere le norme piemontesi a tutta Italia fu come "far indossare a un gigante il vestito di un nano". Secondo Miglio, i nostri "padri della patria", spaventati dalle annessioni a cascata e dalle circostanze fortunose in cui era avvenuta l'unificazione, preferirono conservare ottusamente gli istituti piemontesi, costringendo la stragrande maggioranza degli italiani ad essere governati da istituzioni che, oltre ad essere percepite come "straniere", si rivelarono palesemente inefficienti.  Nel saggio, Miglio aveva però messo in luce un altro dato fondamentale; il professore scrisse che il paese, quantunque fosse stato formalmente unito dalle norme piemontesi, continuò nei fatti a restare diviso ancora per molti anni: le leggi, che il Parlamento emanava dalle Alpi alla Sicilia, venivano infatti interpretate in cento modi diversi nelle regioni storiche in cui il Paese continuava, nonostante tutto, ad essere naturalmente articolato. Era il federalismo che, negato alla radice dalla classe politica liberal-nazionale in nome dell'unità, si prendeva ora la rivincita traducendosi in forme evidenti di "criptofederalismo".[senza fonte]  Sono inoltre fondamentali, nella sua formazione i saggi di Brunner. Di Brunner fa tradurre svariati saggi, “Per una nuova storia costituzionale e sociale” (Vita e Pensiero), ma promosse anche la pubblicazione dell'opera monumentale Land und Herrschaft: in questo lavorouscito per la prima volta Brunner aveva preso in esame la costituzione materiale degli ordinamenti medievali, ponendo in evidenza i numerosi elementi di diversità tra la civiltà dell'età di mezzo e quella moderna, soprattutto nel modo di concepire il diritto.  La traduzione di Land und Herrschaft, affidata inizialmente alle cure di Emilio Bussi, sarebbe dovuta comparire nell'elegante collana della F.I.S.A. già negli anni sessanta. Interrotto negli anni seguenti, il lavoro venne invece portato a compimento solo nei primi anni ottanta dagli allievi Pierangelo Schiera e Giuliana Nobili. Pubblicato da Giuffré con il titolo di "Terra e potere", il capolavoro di Brunner apparve negli Arcana imperii, la collana di scienza della politica di cui Miglio era divenuto direttore nei primi anni Ottanta. Il professore comasco si occupò inoltre dei contributi recati alla scienza dell'amministrazione da parte di altri due storici e giuristi tedeschi: Lorenz Von Stein e Rudolf Gneist.  La chiusura della FISA Negli anni Settanta la F.I.S.A. dovette chiudere i battenti per mancanza di fondi. Il professor Miglio, ricordando a distanza di tempo la fine di quell'autorevole collana di storia delle istituzioni, ne espose le ragioni con un breve commento: "Malgrado la sua efficienza, la F.I.S.A. ebbe vita breve: gli enti che provvedevano al suo finanziamento, non scorgendo l'utilità "politica" immediata della sua attività, strinsero i cordoni della borsa".  Miglio scienziato della politica e costituzionalista Negli anni ottanta, il degenerarsi del clima politico in Italia indusse il professor Miglio ad occuparsi di riforme istituzionali; egli intendeva contribuire in tal modo alla modernizzazione del paese. Fu così che, raggruppando un gruppo di esperti di diritto costituzionale e amministrativo stese un organico progetto di riforma limitato alla seconda parte della costituzione. Ne uscirono due volumi che, pubblicati nella collana Arcana imperii, vennero completamente trascurati dalla classe politica democristiana e socialista. Tra le proposte più interessanti avanzate dal "Gruppo di Milano"così venne definito il pool di professori coordinati da Migliov'era il rafforzamento del governo guidato da un primo ministro dotato di maggiori poteri, la fine del bicameralismo perfetto con l'istituzione di un senato delle regioni sul modello del Bundesrat tedesco, ed infine l'elezione diretta del primo ministro da tenersi contemporaneamente a quella per la camera dei deputati.  Secondo il gruppo di Milano, queste e numerose altre riforme avrebbero garantito all'Italia una maggiore stabilità politica, cancellando lo strapotere dei partiti e salvaguardando la separazione dei poteri propria di uno stato di diritto. Diversamente dalla F.I.S.A., la collana Arcana imperii era incentrata esclusivamente sullo studio scientifico dei comportamenti politici. Il citato volume di Brunner costituì pertanto un'eccezione perché, come si è avuto modo di accennare, esso doveva essere pubblicato negli eleganti volumi della F.I.S.A. già negli anni sessanta. All'interno della collana Arcana imperii vennero invece inseriti saggi e contributi di psicologia politica, di etologia, di teoria politica, di economia, di sociologia e di storia. Intende costituire un vero e proprio laboratorio dove lo scienziato della politica, servendosi dei risultati portati alla disciplina dalle diverse scienze sperimentali, e in grado di conseguire una formazione che si ponesse all'avanguardia. Vi vennero pubblicati più di trenta saggi. Si ricordano, tra gli altri: il saggio di L. Ornaghi sulla dottrina della corporazione nel ventennio fascista, l'edizione degli scritti schmittiani su  Hobbes, la pubblicazione interrotta di alcune opere di Stein, il trattato di diritto costituzionale di Smend. Degni di nota anche i saggi di Mises e Hayek. I saggi di squisita fattura, non poterono tuttavia eguagliare l'elegante veste tipografica di quelli pubblicati dalla F.I.S.A., ed un identico destino parve accomunare le due collane: anche in questo caso, e infatti costretto a sospendere le pubblicazioni.  Alla sua formazione contribuirono i saggi di Stein e Schmitt sulle categorie del politico. In ogni comunità sono presenti due realtà irriducibili: lo “stato” e la “società”. La società è il terreno della libera iniziativa, ove gli uomini forti vincono sui deboli e tentano di stabilizzare le loro posizioni attraverso l'ordinamento giuridico. Lo stato è invece il luogo ove regna il principio di uguaglianza. Lo stato italiano o non può che identificarsi con la monarchia. Il re d’Italia è infatti l'unica autorità in grado di intervenire a sostegno dei più deboli. Un monarca, attraverso il potere di ordinanza, e in grado di modificare la costituzioni giuridiche cetuali all'interno del suo territorio, una politica che il re d’Italia puo condurre in porto non senza grosse difficoltà, a vantaggio del BENE COMUNE. Questo e accaduto nel granducato di Toscana e in Lombardia. Quando si sostene che il ruolo dello stato italiano dove “contro-bilanciare” quello della “società”, si ha in mente il riformismo illuminato. Ma la sua filosofia si pone all'interno di uno “stato liberale” e parte dal presupposto che la monarchia, lungi dall'essere un potere assoluto, dove comunque fare i conti con il potere della “società” attestato nel parlamento. La omunità prospera solo quando “stato” e “società” sono in equilibrio, ugualmente vitali ed operanti. Una comunità e dominata da due realtà irriducibili. Lo stato italiano è una realtà storica inserita nel tempo e, come tutte le creature e specie viventi, destinata a decadere, a scomparire ed essere sostituita da altre forme di aggregazione politica. La società non e solo economico-giuridica. E senza dubbio decisivo l'incontro con Schmitt, i cui saggi sono trascurate dagli intellettuali italiani. L'aiuto che Schmitt presta al regime hitleriano, in particolare nel sostenere la legalità delle leggi razziali in un sistema di diritto internazionale, sono più che sufficienti per oscurare in Italia la sua imponente produzione. I rapporti di Schmitt con il nazismo sono di breve durata. Prende definitivamente le distanze da Hitler. Di Schmitt apprezza i saggi di scienza politica e di diritto internazionale. Cura assieme a Schiera l'edizione italiana di alcuni saggi pubblicati dal Mulino con il titolo “Le categorie del politico”. Nella prefazione, si sofferma sui decisivi contributi portati da Schmitt alla scienza politologica.  L'antologia desta scalpore nel mondo accademico. Bobbio sostenne che destabilizza la sinistra italiana". È dall'incontro con la produzione di Schmitt che riusce quindi a fabbricarsi gli strumenti per costruire una parte importante del suo modello sociologico. L’essenza del politico è fondata sul conflitto tra amico e nemico. E uno scontro all'ultimo sangue perché la guerra politica porta normalmente all'eliminazione fisica dell'avversario. L’esempio più emblematico di scontro politico fosse la guerra civile nella storia dell aroma antica -- tra fazioni partigiane. Qui il tasso di conflittualità tra amico (Catone) e nemico (Giulio Cesare) è sempre stato altissimo. Chi ha lo stesso amico non può che avere lo stessi nemico del proprio compagno di lotta. Si crea la solidarietà tra due membri (un gruppo) che è decisivo nella guerra contro l’altro gruppo di nemici. Il rapporto politico è sempre esclusivo. Marca l'identità del gruppo in opposizione a quella degli altri. L’avvento dello stato italiano portato a due risultati di eccezionale portata storica. Primo: la fine della guerre civile all'interno del territorio (le faide e le guerre confessionali) con l'annientamento del ruolo politico detenuto sino a quel momento dalle fazioni in lotta (dai partiti confessionali ai ceti). Da quel momento il sovrano e il supremo garante dell'ordine all'interno dello stato, territorio sempre più esteso ch'esso governa servendosi di un apparato amministrativo regolato dal diritto. Il secondo grande risultato e per certi versi una conseguenza del primo: l'avvento dello stato porta all'erezione di un sistema di diritto pubblico europeo (ius publicum europeum) assolutamente vincolante per i paesi che vi aderirono. Anche in questo caso, il tasso di politicità (cioè l'aggressività delle parti in lotta, gli stati) venne fortemente limitato. La guerra legittima, intraprese solo dagli stati, vennero condotte da quel momento in base alle regole dello ius publicum europaeum. Si tratta quindi di un conflitto a basso tasso di politicità, non foss'altro perché la vittoria di una delle parti in lotta non puo portare in alcun modo all'annientamento dell'avversario, il cui diritto di esistenza era tutelato dal diritto e accettato da tutti gli stati.  La crisi dello ius publicum europaeum, divenuta palese alla fine della Grande Guerrae acuitasi ulteriormente con lo scoppio delle guerre partigiane nei decenni successivi, resero palese a lui la fine della regle de droit su cui si e fondato l'universo giuridico occidentale nei rapporti internazionali tra stati sovrani. La guerra civile e, in modo particolare, l'estrema politicizzazione avvenuta durante le guerre mondiali con la criminalizzazione degli avversari lo persuasero che la fine dello ius publicum europaeum era ormai compiuta. In questo, vide soprattutto il fallimento della civiltà giuridica occidentale nel suo supremo tentativo di fondare i rapporti umani unicamente sulle basi del diritto.  Prende atto della fine dello ius publicum europaeum ma non crede che tale processo segna la fine del diritto e la vittoria definitiva delle leggi aggressive della politica. Fondando il suo originale modello sociologico, sostenne che la comunità e sempre rette su due tipi di rapporti: l'obbligazione politica e il contratto-scambio. Lo stato e un autentico capolavoro perché, apportando un contributo decisivo alla sua costituzione, il giurista e riuscioi a regolare la politica inserendola in una norma fondata sulla RAZIONALITA del diritto, sull'IM-PERSONALINTA del comando e sui concetti di CON-TRATTO e rappresentanza -- elementi appartenenti alla sfera del contratto/scambio. Il crollo dello ius publicum europeum ha però messo in crisi la stessa impalcatura su cui si regge lo stato, che ora dimostra tutta la sua storicità. Non rimane legato all'idea dell'organizzazione statale. La civiltà occidentale, stesse attraversando una fase di transizione al termine della quale lo stato e probabilmente sostituito da altre forme di comunità ove obbligazione politica e contratto/scambio si reggeranno in un nuovo equilibrio. Lo stato e e giunto al capolinea. Il progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello di ricchezza cui erano giunti i paesi occidentali lo convinsero che negli anni successivi sono avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere anche la costituzione degli ordinamenti politici. Lo stato ha difficoltà nel garantire servizi efficienti alla popolazione. Ciascun cittadino, vedendo accresciuto il proprio tenore di vita in forza dell'economia di mercato, sarà infatti portato ad avere sempre meno fiducia nei lenti meccanismi della burocrazia pubblica, ch'egli riterrà inadeguata a soddisfare i suoi standard di vita.  L'elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva dell'economia di mercato su quella pubblica porterà in altri termini a nuove forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini saranno desti contare in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo siano oggi nei vasti stati in cui si trovano inseriti. Secondo il professore gli stati democratici, ancora fondati su istituti rappresentativi risalenti all'Ottocento, non riusciranno più a provvedere agli interessi della civiltà tecnologica del secolo XXI. Con il crollo del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, si creano in altri termini le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei cittadini, legati alla logica di mercato.  La fine degli stati moderni porterà secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi: sono i nuovi gruppi in cui sarà articolato il mondo di domani, corporazioni dotate di potere politico ed economico al cui interno saranno inseriti gruppi di cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo sarà costituito da una società pluricentrica, ove le associazioni territoriali e categoriali vedranno riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non diversamente da quanto avveniva nel medioevo. Di qui l'appello a riscoprire i sistemi politici anteriori allo stato, a riscoprire quel variegato mosaico medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar modo, delle libere città germaniche.  Il professore studiò a fondo gli antichi sistemi federali esistiti tra il medioevo e l'età moderna: le repubbliche urbane dell'Europa germanica tra il XII e il XIII secolo, gli ordinamenti elvetici d'antico regime, la Repubblica delle Province Unite e, da ultimo, gli Stati Uniti. Ai suoi occhi, il punto di forza risiedeva precisamente nel ruolo che quei poteri pubblici avevano saputo riconoscere alla società nelle sue articolazioni corporative e territoriali. Miglio dedicò i suoi ultimi anni allo studio approfondito di questi temi, progettando di scrivere un volume intitolato l'Europa degli Stati contro l'Europa delle città. Il libro è rimasto incompiuto per la morte del professore.  L'impegno politico diretto e il federalism. S iscrisse alla neonata Democrazia Cristiana, che lascia quando divenne preside della Facoltà di Scienze politiche dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Miglio rimase comunque legato culturalmente alla DC fnell'immediato domani della Liberazione, fu tra i fondatori, a Como, del movimento federalista “Il Cisalpino”, con altri docenti dell'Università Cattolica di Milano. Ispirato alle idee di Carlo Cattaneo, il programma del “Cisalpino” prevedeva la suddivisione del territorio italiano su base cantonale, secondo il modello svizzero, con la costituzione di tre grandi macro-regioni (“nord”, “sud” e “centro”).  Il suo nome e proposto per il conferimento del titolo di Commendatore dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, ma una volta informato del fatto rifiuta di accettare l'onorificenza, che venne annullata con un successivo decreto presidenziale. Si avvicina alla Lega Nord. Eletto al Senato della Repubblica come indipendente nelle liste della “lega nord” “lega lombarda” (da allora a lui fu attribuito l'appellativo lombardo di Profesùr) lavora per il partito con l'intento di farne un'autentica forza di cambiamento. Elabora un progetto di riforma federale fondato sul ruolo costituzionale assegnato all'autorità federale e a quella delle tre macro-regioni o cantoni (del Nord o, “Padania”, del Centro o Etruria, del Sud o Mediterranea, oltre alle cinque regioni a statuto speciale). Questa architettura costituzionale prevedeva l'elezione di un governo direttoriale composto dai governatori delle tre macroregioni, da un rappresentante delle cinque regioni a statuto speciale e dal presidente federale. Quest'ultimo, eletto da tutti i cittadini in due tornate elettorali, avrebbe rappresentato l'unità del paese.  I puntisalienti del progetto, esposti nel decalogo di Assago vennero fatti propri dalla Lega Nord solo marginalmente: il segretario federale, Umberto Bossi, preferì infatti seguire una politica di contrattazione con lo stato centrale che mirasse al rafforzamento delle autonomie regionali. Il dissenso di Miglio, iniziato al congresso leghista di Assago, si acuì dopo le elezioni politiche, dove fu rieletto al Senato, quando il professore si disse non d'accordo sia ad allearsi con Forza Italia, sia a entrare nel primo governo Berlusconi. Soprattutto Miglio non gradì che per il ruolo di ministro delle Riforme istituzionali fosse stato scelto Francesco Speroni al suo posto.  Bossi reagì spiegando: «Capisco che Miglio sia rimasto un po' irritato perché non è diventato ministro, ma non si può dire che non abbiamo difeso la sua candidatura. Il punto è che era molto difficile sostenerla, perché c'era la pregiudiziale di Berlusconi e di Fini contro di lui. Di fatto, il ministero per le Riforme istituzionali a lui non lo davano. (Se Miglio vorrà lasciare la strada della Lega, libero di farlo. Ma vorrei ricordargli che è arrivato alla Lega nel '90 e che, a quell'epoca, il movimento aveva già raggranellato un sacco di consiglieri regionali». In conclusione per Bossi, Miglio «pare che ponga solo un problema di poltrone e la difesa del federalismo non è questione di poltrone». In aperto dissidio con Bossi, lascia la Lega Nord dicendo di Bossi. Spero proprio di non rivederlo più. Per Bossi il federalismo è stato strumentale alla conquista e al mantenimento del potere. L'ultimo suo exploit è stato di essere riuscito a strappare a Berlusconi cinque ministri. Tornerò solo nel giorno in cui Bossi non sarà più segretario».  Nonostante ciò, moltissimi militanti e sostenitori leghisti continuarono a provare grande simpatia e ammirazione per il professore e per le sue teorie. Alcuni dirigenti della Lega tennero comunque vivo il dialogo con Miglio, in particolar modo Giancarlo Pagliarini, Francesco Speroni e il presidente della Libera compagnia padana Gilberto Oneto, al quale il professore era particolarmente legato. In particolare Miglio fu in stretti rapporti con l'ex deputato leghista Luigi Negri, col quale fondò il Partito Federalista. Eletto ancora una volta al Senato, nel collegio di Como per il Polo per le Libertà, iscrivendosi al gruppo misto.  Negli anni in cui la Lega si spostò su posizioni indipendentiste, il professore si riavvicinò alla linea del partito, sostenendo a più riprese la piena legittimità del diritto di secessione della Padania dall'Italia come sottospecie del più antico diritto di resistenza medievale.  Miglio e la mafia Nella sua originale riflessione sul contrasto tra i regimi giuridici "freddi" e "caldi" Miglio sostenne la necessità di sviluppare, all'interno delle diverse società e culture, ordini giuridici in grado di rispondere alle specifiche esigenze. In maniera provocatoria, egli giunse a dichiararsi favorevole al «mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate». La sua riflessione puntava a cogliere quali fossero le ragioni profonde alla base di mafia, camorra e 'ndrangheta (insieme a ciò che genera il consenso attorno a queste organizzazioni criminali), perché solo istituzioni che sono in sintonia con la comunitànel caso specifico, che non dimentichino la centralità del rapporto personale piuttosto che impersonale nella società meridionalepossono creare una vera alternativa al presente. Altre saggi: “La controversia sui limiti del commercio neutrale: ricerche sulla genesi dell'indirizzo positivo nella scienza del diritto delle genti,” Milano, Ispi, “La crisi dell'universalismo politico medioevale e la formazione ideologica del particolarismo statuale moderno,” in: "Pubbl. Fac. giurispr. Univ. Padova", “La struttura ideologica della monarchia greca arcaica ed il concetto "patrimoniale" dello Stato nell'eta antica, in: "Jus. Rivista di scienze giuridiche", “Le origini della scienza dell'amministrazione, Milano, Giuffrè,  “L'unità fondamentale di svolgimento dell'esperienza politica occidentale, in: "Rivista internazionale di scienze sociali", “I cattolici di fronte all'unità d'Italia, in: "Vita e pensiero", “L'amministrazione nella dinamica storica, in: Istituto per la Scienza dell'Amministrazione Pubblica, Storia Amministrazione Costituzione, Bologna, Il Mulino, Le trasformazioni dell'attuale regime politico, in: "Jus. Rivista di scienze giuridiche", “ Il ruolo del partito nella trasformazione del tipo di ordinamento politico vigente. Il punto di vista della scienza della politica, Milano, La nuova Europa editrice, L'unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, Vicenza, Neri Pozza, La trasformazione delle università e l'iniziativa privata, in: Atti del I Convegno su: Università: problemi e proposte, promosso dal Rotary Club di Milano-Centro Una Costituzione in "corto circuito", in: "Prospettive nel mondo", Ricominciare dalla montagna. Tre rapporti sul governo dell'area alpina nell'avanzata eta industriale, Milano, Giuffrè,  La Valtellina. Un modello possibile di integrazione economica e sociale, Sondrio, Banca Piccolo Credito Valtellinese, Utopia e realtà della Costituzione, in "Prospettive del mondo", Posizione del problema. Ciclo storico e innovazione scientifico-tecnologica. Il caso della tarda antichità, in Tecnologia, economia e società nel mondo romano. Atti del Convegno di Como, Como, Genesi e trasformazioni del termine-concetto Stato, in Stato e senso dello Stato oggi in Italia. Atti del Corso di aggiornamento culturale dell'Università cattolica, Pescara, Milano, Vita e pensiero, Guerra, pace, diritto. Una ipotesi generale sulle regolarità del ciclo politico, in: Umberto Curi, Della guerra, Venezia, Arsenale, Una repubblica migliore per gli italiani. Verso una nuova costituzione, Milano, Giuffrè,  Le contraddizioni interne del sistema parlamentare-integrale, in: "Rivista italiana di Scienza Politica", Considerazioni sulle responsabilità, in: "Synesis, periodico dell'Associazione italiana centri culturali", Le regolarità della politica. Scritti scelti raccolti e pubblicati dagli allievi, Milano, Giuffrè,  Il nerbo e le briglie del potere. Scritti brevi di critica politica, Milano, Edizioni del Sole 24 ore, Una Costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica, Roma-Bari, Laterza, Per un'Italia federale, Milano, Il Sole 24 ore, Come cambiare. Le mie riforme, Milano, Mondadori, Italia. Così è andata a finire, con "Il Gruppo del lunedì", Collezione Frecce, Milano, A. Mondadori, ed. Oscar Saggi, Disobbedienza civile,  Milano, A. Mondadori, Io, Bossi e la Lega. Diario segreto dei miei quattro anni sul Carroccio, Milano, A. Mondadori, Come cambiare. Le mie riforme per la nuova Italia, Milano, A. Mondadori, Modello di Costituzione Federale per gli italiani, Milano, Fondazione per un'Italia Federale, Federalismi falsi e degenerati, Milano, Sperling & Kupfer, Federalismo e secessione. Un dialogo, con Augusto Antonio Barbera, Milano, A. Mondadori, Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?, con M. Veneziani, Firenze, Le Lettere, Le barche a remi del Lario. Da trasporto, da guerra, da pesca, e da diporto, con Massimo Gozzi e Gian Alberto Zanoletti, Milano, Leonardo arte,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, Vicenza, N. Pozza, L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino. Nuova edizione, pref. di Roberto Formigoni, postf. di Sergio Romano, Varese, Edizioni Lativa, Gianfranco Miglio: un uomo libero, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Un Miglio alla libertà, audiolibro, coll. Laissez Parler, Treviglio, La Libera Compagnia PadanaLeonardo Facco Editore); li articoli, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,Gianfranco le interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino, pref. di Roberto Formigoni, coll. I libri di LiberoMiglio n. 1, Firenze, Editoriale Libero); “Padania, Italia. Lo stato nazionale è soltanto in crisi o non è mai esistito?” (Firenze, Libero); “Federalismo e secessione. Un dialogo, con Augusto Antonio Barbera, coll. I libri di LiberoMiglio n. 4, Firenze, Editoriale Libero, Disobbedienza civile, coll. I libri di Libero; Firenze, Editoriale Libero, La controversia sui limiti del commercio neutrale fra Giovanni Maria Lampredi e Ferdinando Galiani, pref. di Lorenzo Ornaghi, Torino, Aragno,  Gianfranco Miglio: scritti brevi, interviste, coll. Quaderni Padani, La Libera Compagnia Padana, Novara, Lezioni di politica. Storia delle dottrine politiche. Scienza della politica” (Bologna, Il Mulino); D. Bianchi e A.  Vitale, Bologna, Il Mulino,Discorsi parlamentari, con un saggio di Claudio Bonvecchio, Senato della Repubblica, Archivio storico, Bologna, Mulino,  L'Asino di Buridano. Gli italiani alle prese con l'ultima occasione di cambiare il loro destino -- Opere scelte” (Milano, Guerini); Considerazioni retrospettive e altri scritti, coll. Opere scelte, Milano, Guerini e Associati,  Lo scienziato della politica, coll. Opere scelte di Gianfranco Miglio, a cura e con intr. di Stefano Bruno Galli, Milano, Guerini,.Guerra, pace, diritto, La Nuova Guerra, [S.l.Milano], Editrice La Scuola, 1 Scritti politici, Luigi Marco Bassani, coll. I libri del Federalismo, Roma, Pagine, Modello di Costituzione Federale per gli italiani” (Torino, G. Giappichelli); “La Padania e le grandi regioni, L'unità economico-sociale della Padania” (Fano, Associazione Gilberto Oneto); “Il Cerchio,.C. Schmitt. Saggi, D. Palano, Brescia, Scholé  Morcelliana); “Le origini e i primi sviluppi delle dottrine giuridiche internazionali pubbliche” (Torino, Aragno); “Vocazione e destino dei Lombardi” (S.l.Milano); “Regione Lombardia, Prefazioni Gilberto Oneto, Bandiere di libertà: Simboli e vessilli dei Popoli dell'Italia settentrionale. In appendice le bandiere dei popoli europei in lotta per l'autonomia, Effedieffe, Milano, Gianfranco Morra, Breve storia del pensiero federalista” (Milano, Mondadori); “Governo della Padania, Manuale di resistenza fiscale” (Gallarate, Gilberto Oneto, “Croci draghi aquile e leoni. Simboli e bandiere dei popoli padano-alpini; Roberto Chiaramonte EditoreLa Libera Compagnia Padana, Collegno); A. Sensini, Prima o seconda Repubblica? A colloquio con A. Bozzi e Gianfranco Miglio, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, L. Ornaghi e A. Vitale, Multiformità e unità della politica. Atti del Convegno tenuto in occasione del compleanno, Milano, Giuffrè, Giorgio Ferrari, “Storia di un giacobino nordista” (Milano, Liber internazionale); M. Bevilacqua, “Insidia mito e follia nel razzismo”; "Il rinnovamento", A. Campi, “Figure e temi del realismo politico europeo, Firenze, Akropolis/La Roccia di Erec, G. Capua, Scienziato impolitico” (Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino, Alessandro Vitale, La costituzione e il cambiamento internazionale. Il mito della costituente, l'obsolescenza della costituzione e la lezione dimenticata, Torino, CIDAS, Luca Romano, Il pensiero federalista una lezione da ricordare. Atti del Convegno di studi, Venezia, Sala del Piovego di Palazzo Ducale, Venezia, Consiglio regionale del Veneto-Caselle di Sommacampagna, Cierre, F. Lanchester, Miglio costituzionalista, Rivista di politica: trimestrale di studi, analisi e commenti,  Soveria Mannelli (Catanzaro), Rubbettino. Damiano Palano, Il cristallo dell'obbligazione politica in ID., Geometrie del potere. Materiali per la storia della scienza politica italiana, Milano, Vita e Pensiero. Maroni: voglio riprendere l'eredità di Gianfranco MiglioMiglioVerde, su miglioverde.eu. Bossi a sorpresa al convegno su Miglio a Domaso:"Un grande"Ciao Como, su Ciao Como, la Repubblica/politica: È morto su repubblica. Ticinonline COMO: Lunedì a Domaso i funerali. Riletture. Ariannaeditrice. il ricordo. Terre di Lombardia, su terredilombardia.info. Francesco D'Alessandro, Cristianesimo e cultura politica: l'eredità di otto illustri testimoni, Paoline, Gianfranco Morra, La vita e le opere, La Voce di Romagna, 8 agosto 5.  Il silenzio di Miglio fa paura alla Lega  Bossi: Pensa solo alla poltrona. "Con Bossi è un amore finito"  Miglio torna nell'arena: è l'occasione buona  Gianfranco Miglio, Una repubblica mediterranea?, in  Un'altra Repubblica? Perché, come, quando, Laterza, Roma-Bari, Umberto Rosso, Miglio l'antropologo. 'Diverso l'uomo del Sud', in la Repubblica,  «Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica»TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su senato, Senato della Repubblica. Associazione Openpolis.  Istituto per la scienza dell'amministrazione pubblica, su isapistituto. Interviste Intervista sulla Secessione della Padania, su prov-varese.leganord.org. Commemorazione di Miglio nel 1º anniversario della scomparsa di Alessandro Campi, su giovanipadani.leganord.org). «Non mi fecero ministro perché avrei distrutto la Repubblica», Il Giornale, 1999, su newrassegna.camera. Interviste a Miglio sui "Quaderni della Libera Compagnia Padana" su laliberacompagnia.org. Documenti politici Sezione di approfondimento sul pensiero di Gianfranco Miglio, dal sito ufficiale della Lega Nord. Gianfranco Miglio. Miglio. Keywords: implicatura ligure. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Miglio," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Speranza “Saturdays and Mondays” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684453227/in/photolist-2mKFrQ6-2mLNi1Z-2mLJPUG-2mLHPG3-2mLExs3-2mLGjg5-2mPwdz2-2mKFeJo-2mPxhsE-2mKQW9n-2mKG3XG-2mKCnei-2mKuZ8r-2mKCfz1-2mKA5tC-2mKbpiZ-2mPHbXQ-2mJq2uE-2mHWDhw-2mHP2NY-2mHP2Pe-2mHUmVG-2mHP2P9-2mHWDhB-2mHXCjU-2mHWEdV-2mHUmVM-2mHP3jY-2mGT6p1-2mKbKME-2mKbkhx-2mKsAas-2mKn8aQ-2mKuEyp-2mKszVu-2mKrapA-2mKszby-2mKn7M5-2mGnP2f-FXFiS4-DndBhH-hSTpSd-FVhkL3-ErqrPW-DhRHD2-DvhhWW-DeWyrT-CfbuaM-BFQviK-BDuNmW

 

 

Grice e Millul --- la selezione sessuale di Nerone, il musicista – filosofia triestina – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). FIlosofo. Grice: “I have been called a Darwinist, which offended de Lalla!” -- Figlio unico di Achille de Lalla  e Anna Millul.  Il padre, nato a Napoli da famiglia originaria di Tolve, aveva intrapreso la carrriera militare, giungendo a ricoprire il grado di Tenente colonnello dell'esercito e congedandosi con il grado di Generale dell'esercito. Prese parte alla Prima guerra mondiale nonché alla Seconda guerra mondiale, dove rimase ferito alla spalla destra in Russia. Fu in seguito Dirigente dell'Istituto per la Ricostruzione Industrial. Achille de Lalla era figlio di Ludovico e di Maria Buonomo, figlia a sua volta di Alfonso Buonomo, compositore e musicista napoletano di fama.  La madre Anna Millul era nata a Roma in una famiglia ebrea originaria di Livorno. SI  laurea, allievo dinKalinowski di cui tradusse in italiano il saggio "Interpretazione giuridica e logica delle proposizioni normative".  Scappò a Parigi, prendendo parte al Maggio. Tuttavia, fu tra i primi ad intuire che il Partito Comunista francese non aveva alcuna seria intenzione politica di sostenere la Contestazione e, in anticipo sul fallimento dell'iniziativa giovanile, lasciò la Francia rientrando in Italia deluso. Fu studioso di Evoluzionismo e Politologia, e sarà proprio sulle sue teorie sull'Evoluzione umana e sul pensiero di Darwin che scrive l'opera “La selezione sessuale”. Insegna a'Siena e Napoli. A testimonianza del grande successo che riscuotevano i suoi corsi universitari, rimane la petizione indetta dagli studenti affinché il Senato Accademico li prorogasse per un biennio.  Gli ultimi anni Ritiratosi a vita privata, muore a Napoli nella tarda serata del 25 settembre  d'infarto mentre attendeva alla redazione della sua ultima opera.Est Deus in nobisContributo alla Nuova Evangelizzazione e, nelle intenzioni dell'autore, avrebbe dovuto costituire il completamento della trilogia iniziata con Evoluzione e proseguita con La Comunità Democratica.Convinto assertore della superiorità del Diritto pubblico rispetto a quello privato, si è sempre posto a tutela delle prerogative statuali.  Convinto assertore dei rischi della dilagante esterofilia in campo politico e fondamentalmente euroscettico negli ultimi anni di riavvicinamento al cattolicesimo, ideò un progetto di edificazione di un nuovo partito politico che, nelle sue teorizzazioni avrebbe assunto il nome di PARTITO CRISTIANO COMUNITARIO (DEMOCRATICO) ITALIANO PCC(D)I.  Saggi: “Il concetto legislativo di azione penale” (Jovene, Napoli); “La scelta del rito istruttorio” ( Jovene, Napoli); “Logica della prove penale” (Jovene Napoli); “La pena militare” (Jovene, Napoli); “Topografia politica della repubblica” (Scientifiche, Napoli); “Il completamento istruttorio del giudice nelle indagini preliminari in "Riv. it. dir. e proc. pen."); “Evoluzione,” “Darwin e la selezione sessuale” (Salerno, Roma); “ Selezione sessuale” (Scientifiche, Napoli); “La comunità democratica: idee per una politica nuova” (Guida, Napoli) – concetto di KRATOS --“Comunitarismo” (Guida, Napoli); “Nerone, o Musica nella antica Roma”  (Guida, Napoli); “Composizioni musicali Per pianoforte Sonata n.° 1 Suite "italiana" Sonata n.° 2 Sonata n.° 3 "napoletana" Musica da camera Sonata per violino e violoncello Sonata per violino e pianoforte Sonata per violini, viola e violoncello Note  de Lalla F., Una famiglia borghese, Ed. Ibiskos   de Lalla F., op. cit.  in "Il foro penale"  XXIII 1968  ilcambiamento,//ilcambiamento/articoli/evoluzione_2_darwin_de_lalla_millul.  ateneapoli,//ateneapoli/news/archivio-storico/reintegro-del-prof-de-lalla-il-consiglio-di-facolta--si-esprime-negativamente.  petizioni.com/petizione_pro_prof_paolo_de_lalla. Grice: “When I hear that a philosopher has written yet another trattarello on the filosofia della musica, I always thought not of Orpheus and his lute, but of NERO and his lyre!” -- Paolo de Lalla Millul. Paolo de Lalla. Lalla. Keywords: evolutionary, sexual selection, Nerone, filosofia della musica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Lalla” – The Swimming-Pool Library https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51754336125/in/dateposted-public

 

 

Miraglia (Reggio). Filosofo. Grice: “Miraglia is the type of philosopher beloved by the Oxford hegelians; but then he is a Neapolitan Hegelian!” Grice: “I always found Kant easier, but there’s nothing like a ‘filosofia del diritto’ in Kant! And Hegel’s ethics itself, compared to Kant’s is mighty more complex – that’s why I taught Kant!” Si laureaall'Napoli, dopodiché insegnò filosofia del diritto nella stessa università, ed economia politica alla Scuola superiore di agricoltura di Portici.  Seguì una corrente di pensiero eclettica, ad esso contemporanea, che mirava all'integrazione di pratiche giuridiche ed ispirazioni filosofiche. Fu sindaco di Napoli. Tra le più famose si ricordano: “Condizioni storiche e scientifiche del diritto di preda (Napoli); “Un sistema etico-giuridico” (Napoli); “Filosofia del diritto” (Napoli). Nella sua biografia ufficiale per la Treccani è nato a Reggio nell'Emilia, mentre nella sua scheda storico-professionale sul sito del Senato si riporta a Reggio di Calabria  Giuseppe Erminio. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (latinista) Sindaci di Napoli Senatori della XXI legislatura del Regno d'Italia  Luigi Miraglia, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.   I sistemi filosofici ed i principi del Diritto. I.Laspeculazionegrecaeladottrinaromana— II.La Fichte.SpedalierieRomagnosi— X.Gliscrittoridella reazione.Lascuolastoricae lascuolafilosofica.Schelling e Scleiermacher — XI.Hegel XII. Rosmini. Herbart, Trendelenburg e Krause.Le varie fasi della filosofia di Schelling. Sthal e Schopenhauer XII. Il materiali smo, il positivismo ed il criticismo. L'idea della Filosofia del Diritto. La Filosofiaelescienze.IlcaratteredellaFilosofiamo. CAPITOLO II. L'idea del Diritto ed i metodi logici. L'induzione e la deduzione. L'induzione, l'osservazione e l'esperimento. L'idea del Diritto naturale e quella del buono civile di Amari ricavate dall'induzione. L'importanza del metodo storico-comparativo secon do Vico , Amari , Post e Sumner-Maine. Parallelo fra lo sviluppo della lingua e lo sviluppo del Di. ritto.L'induzione statistica.Ilcompitodelladedu. zione. L'universale astratto e l'universale concreto come principi . . Parte Generale.  . pag. 89 . LIBRO PRIMO INDICE CAPITOLO I. derna divinato da Vico.La Filosofia del Diritto come parte della Filosofia. L'idea umana del Diritto se condo la dottrina di Vico,e le definizioni di Kant, diHegel,diTrendelenburg,diRomagnosiediRo. smini. La teoria sociale e la teoria giuridica. Il Di. ritto e la Filosofia positiva . pag.101   XII L'ides induttiva del Diritto. Lo studio della coscienza etico-giuridica dei vari popoli. Il contributo della razza ariana e della razza semi tica nella storia della civiltà.L'idea del Diritto come misura nella razza ariana. La misura riposta nel l'ordine fisico,nella legge positiva e nella ragione.pag.112 CAPITOLO IV. Il principio della personalità. Gli elementi organici e spi rituali della persona e la loro corrispondenza. La spiegazione del materialismo. La teorica dell'evolu zione. La critica dell'evoluzionismo meccanico La teorica dell'evoluzione e la Psicologia. Il sentimento fondamentale e le sensazioni. La coscienza e la sua origine.Le rappresentazioni sensibili e le rappresen tazionicoscienti.Ilpensareelecategorie.La cogni zione secondo l'empirismo oggettivo. La critica di questa teoria CAPITOLO VI. I presupposti pratici dell'idea deduttiva del Diritto. Sviluppo e partizione. L'istinto, il desiderio e la volontà.L'arbitrio e la liber. tà morale. La costanza degli atti umani rivelata dalla Statistica.Ilfine dell'uomo ed il bene.Ilbene umano ed il Diritto. La forma imperativa , proibi.  CAPITOLO III. I presupposti teoretici dell'idea deduttiva del Diritto. CAPITOLO V. Seguito dei presupposti teoretici. .pag.124 pag.140   XIII tiva e permissiva del Diritto. Il Diritto come prin cipio di coazione , di coesistenza e di armonia. La tripartizione razionale del Diritto. La divisione di Gaio Analisi critica delle principali definizioni del Diritto. Le dottrinecheriguardanoapreferenzailcontenutosen sibile del Diritto: Hobbes, Spinoza, Roussean, Stuart Mill e Spencer. Le dottrine che considerano il Di ritto come astratta forma razionale:Kant,Fichte ed Herbart. Le definizioni di Krause e di Trendelen burg.Ciò che vi è di vero nelle dottrine esaminate.pag.180 CAPITOLO VIII. Il Diritto, la Morale e la Scienza sociale. Il Diritto come disciplina etica. I rapporti fra Morale e Diritto nella storia. Critica della confusione e della separazione dei due termini. Il fondamento comune e la differenza reale. L'Etica e la vita sociale.Vico, Süssmilch ed i fisiocrati precursori della Scienza so ciale.La SociologiadiComte ed ivari indirizzi.La Sociologia di Spencer.La Sociologia come Filosofia delle scienze sociali.Le analogie tra la società e l'or. ganismo. Le relazioni fra il Diritto e la Scienza so ciale . CAPITOLO IX. Il Diritto,l'Economia sociale e la Politica. L'ordinamento sociale-economico ed i filosofi del Diritto antichi e moderni. L'Etica , la Sociologia fondata sulla Biologia, la Politica e la Storia come presup posti dell'Economia. Il carattere del fatto economi. co.I rapporti tra ilDiritto e l'Economia.Il concet.  pag.156 CAPITOLO VII. pag.203   XIV to della Politica. La Politica , la Scienza sociale , l'Etica ed il Diritto. L'idea compiuta dello Stato CAPITOLO X. Il Diritto razionale ed il Diritto positivo. Fonti ed applicazioni. CAPITOLO I.  pag.221 pay.242 La distinzione del Diritto razionale dal Diritto positivo in sé e nella storia. La consuetudine ed il costume primitivo. La giurisprudenza ed i suoi uffici. La le gislazione ed i codici. L'efficacia della legge nello spazio.L'efficacia della legge nel tempo.Esame delle diverse teorie sulla retroattività . LIBRO SECONDO -- Diritto Privato. La persona. I diritti essenziali o innati ed i diritti ac cidentali o acquisiti. Il principio dei diritti. Il di ritto alla vita fisica e morale. Il diritto alla liber tà.Idirittiall'eguaglianza,allasociabilitàed all'as sistenza. Il diritto di lavoro . CAPITOLO II. Il concetto storico dei diritti innati. I diritti dell'uomo nello stato di natura.Lo stato di na. tura dei filosofi del secolo decimottavo in rapporto . La persona ed i suoi diritti. pag.261   ХУ CAPITOLO III. Le persone incorporali. Lo scopo delle persone incorporali. La teoria della fin. CAPITOLO IV. La proprietà e i modi di acquisto. L a p r o p r i e t à e d il s u o f o n d a m e n t o r a z i o n a l e . D o t t r i n e i n torno a questo fondamento. Le limitazioni ed i tem peramenti della proprietà. I modi originari e deri vativi di acquisto CAPITOLO V. La storia della proprietà e dei modi di acquisto. L'attività procacciatrice dell'animale e dell'uomo.La storia della proprietà e la storia della persona. La proprietà collettiva.La comunità di famiglia.IlCri. stianesimo ed il valore della persona individua. Il feudo.La Riforma ed ilDiritto naturale.La com piuta individuazione ed itemperamenti della proprie tà privata. I modi di acquisto primitivi. Le distin zioni dei beni. L'usucapione, l'equità e la procedu. ra civile. .  pag.229 . ! pag.292 .pag.307 . all'ordine di natura dei giureconsulti romani e dei filosofi greci.La teorica della conoscenza ed ilmodo di concepire i diritti essenziali della persona. I di ritti innati e la Filosofia moderna. Il regime dello status e del contratto . zione e dell'equiparazione. La teoria che riguarda la persona incorporale come veicolo. La teoria del patrimonio sui juris. Le idee dei pubblicisti tede schi.Il soggetto reale nella corporazione e nella fon dazione. I diritti delle persone incorporali ed il jus confirmandi dello Stato. La teoria di Giorgi. ? pag.321   XVI CAPITOLO VI. La proprietá prediale. Il collettivismo territoriale. La teoria di Wagner sulla proprietà dei fabbricati. La teoria di Spencer sulla proprietà del suolo. La proprietà privata del suolo e la rendita. Le dottrine di George e di Loria sul la terra CAPITOLO VII. La proprietà forestale e mineraria. Le funzioni dei boschi. La libertà del taglio. Il vincolo e le sue ragioni. La proprietà mineraria e le fasi della industria. La critica degli argomenti in favo re del proprietario del suolo. La dottrina che attri buisce la miniera allo scopritore . La merce lavoro ed il suo prezzo. Il lavoro come pro prietà. La coalizione e lo sciopero. La giuria indu striale.La proprietà del capitale ed il profitto.Il collettivismo ed il mutualismo. La teoria di Marx. La critica del collettivismo e della teoria di Marx. Le coalizioni degl'intraprenditori . CAPITOLO IX. La proprietà commerciale, il diritto di autore e di scopritore. Il concetto della proprietà commerciale.La libertà dello scambio. La concorrenza. La nozione primitiva del commercio. Il diritto di autore prima e dopo l'in  pag.345 pag.366 CAPITOLO VIII. La propriatå industriale. . . pag.381   CAPITOLO X. L a c l a s s i f i c a z i o n e d e i d i r i t t i s u l l a c o s a a l t r u i. L e s e r v i t ù CAPITOLO XI. gimento dell'istituto nelle legislazioni. Esposizione critica delle varie dottrine assolute e relative. Il fon damento razionale.La critica della teoria di Ihering sulla volontà di possedere CAPITOLO XII. Le obbligazioni. zioni. Le loro varie specie e modalità. I differenti modi di estinzione . Il contratto e le sue forme.  XVII pag.407 pag.415 L'indole del possesso. La sua origine storica. Lo svol L'obbligazione. La sua origine.Le fonti delle obbliga La nozione del contratto. Le sue fasi ed il suo fonda. mento. I requisiti essenziali. I vizî del consenso ed alcune recenti teorie. L'interpretazione dei contrat ti. Le loro classificazione e le dottrine di Kant e di Trendelenburg. pag.427 ·pag.437 venzione della stampa. Il suo fondamento ed il suo carattere. La garentia del diritto dello scopritore I diritti reali particolari. e le loro specie. In quali modi le servitù nascono , si esercitano e si estinguono. L'enfiteusi. La super ficie. Il pegno e l'ipoteca. Il carattere del diritto di ritenzione Il possesso. CAPITOLO XIII. pag.447   XVIII L a libertà di contrarre ed il contratto di lavoro . La libertà di contrarre, i suoi limiti e la sua guarentigia. CAPITOLO XV. L'interesse e la sua limitazione. La libertà dell'interesse. L'usura ed i suoi procedimenti. L'usura come forma dell'ingiusto civile ed i modi di combatterla. L'usu ra come delitto.Critica della teoria di Stein.La fi gura specialedeldelittodiusura.La leggeela vita.pag.471 CAPITOLO XVI . L a s o c i e t à , l a c a m b i a l e , il t r a s p o r t o e a l c u n i c o n t r a t t i aleatori. Il contratto di società e le sue forme. La società e la CAPITOLO XVII.  CAPITOLO XIV. Il prestito usurario. persona incorporale. Il regime dell'autorizzazione e della vigilanza. La cambiale antica e la moderna. L'indole del contratto di trasporto. L'assicurazione e le nuove teorie. Il giuoco . pag.483 pag.463 . La missione sociale del Diritto privato. L'egnaglian. za delle parti nella locazione di opera. I sistemi che regolano la responsabilità dell'intraprenditore negli infortuni del lavoro. La famiglia primitiva. L accoppiamento e l'istinto di riproduzione fra gli ani. mali.Le teoriediLucrezio e diVico.Le unioni pri mitive. La famiglia femminile. L'erogamia ed il ratto. Gl'inizi e lo sviluppo della famiglia patriar   CAPITOLO XVIII. matrimonio.Le sue condizioni.Il matrimonio civile. La precedenza del matrimonio civile. I rapporti fra i coniugi. L'autorizzazione maritale. Il libro di B e bel e le idee di Spencer. I sistemi con cui si rego lano i beni nel matrimonio . L'indissolubilitá matrimoniale ed il divorzio. L'ideale dell'indissolubilità. Le esigenze concrete della vita.La quistione del divorzio in rapporto ai diritti individuali ed alle ragioni sociali e storiche. Il di. vorzio e la Chiesa. Le cause di divorzio.Le cautele.pag.547 CAPITOLO X X . La tendenza a rivivere in altri. Il fondamento e le fasi della patria potestà. La tutela,le sue specie e la cu ra.L'adozione. I figli nati fuori del matrimonio.La ricerca della paternità.La legittimazione . Idea, storia e fondamento della successione. Il concetto dell'eredità. La successione legittima e la te. stamentaria nella storia. La successione ed il culto degli antenati. Le dottrine intorno al fondamento  XIX cale. La progressiva individuazione della parentela. Il processo di specificazioneela finedella famiglia.pag.498 L'amore come fondamento del matrimonio. L'idea del CAPITOLO XIX . CAPITOLO XXI. La societá coniugale. .pag.524 La società parentale. pag.560   della successione. Il condominio domestico ed il di. ritto di proprietà come basi della successione. La successione legittima e la testamentaria. La prossimità della parentela e del grado. La capacità  XX pag.576 CAPITOLO XXII. pag.590 di succedere. Le classi degli eredi. La rappresenta zione.La capacità di testare e di ricevere per testa mento. Le specie di testamenti, La legittima. Il di ritto di rappresentazione e la successione testamen taria.L'errore nella causa finale ed impulsiva,e le condizioni.Il diritto di accrescere.La sostituzione e la fiducia. I principi comuni ad ogni specie di suc cessione.  Il mondo romano è il mondo del volere, e quindi del Diritto e della Politica.Il volere in siffatto mondo da un lato continua a mostrarsi negli ordini superiori ed infles sibili dello Stato, e dall'altro comincia a svolgersi in for ma di diritto individuale. Con il principio del volere, di sua natura soggettivo, il Diritto privato non può non sor gere, e lo Stato non può più per lunghissimo tempo conser vare le rozze sembianze d'una organica oggettività natura le. In Roma il Diritto privato ė nei suoi primi momenti stretto,ferreo ed arcano;poi è ampliato, oltre al divenire palese, giovato , supplito e corretto dall'equità , ch'è lo stesso Diritto in opposizione ad una legge, la quale non ha saputo attuarlo;alla fine è Diritto umano,e per conseguen za proclama ilprincipio,che la schiavitù,istituto delle gen tiecontronatura,nonriguardal'anima,echegliuomi ni innanzi al Diritto naturale sono liberi ed eguali.  Cicerone , il filosofo più alto del mondo romano , non avendo coscienza scientifica della manifestazione del diritto soggettivo , come atto dell'astratta potenza del volere, ė inferiore alla stessa realtà romana.Egli non è autore di una filosofia propria , e segue da ecclettico gli scrittori greci; professa il dubbio, non crede che la mente possa   Il vuoto soggetto , rappresentato dai Neoplatonici co me oggetto , riceve ora tutta la sua concretezza , ed è in seno del Cristianesimo determinato quale Verbo o mente assoluta. La Filosofia quinci innanzi s'informa al principio soggettivo. L'uomo , immagine di Dio ed in carnazione del Verbo , si riabilita ; e lo Stato antico , perdendo il suo alto significato , è costretto a rimpicco lirsi. La parte più intima dell'individuo non è più sot toposta alla potestà politica , sibbene alle nuove creden ze , che in origine si mantengono in quell'ambiente ce leste in cui sono nate , e si oppongono al mondo anco ra pagano. L'Apostolo scorge una contraddizione tra gli stimoli della carne e gl' impulsi dello spirito. Lattan zio crede che la vera giustizia sia nel culto di Dio uni co, ignoto ai gentili.Agostino parla di una città celeste, sede di verità e di giustizia, in antitesi alla città terre stre, fondazione di fratricidi e prodotto del peccato pri  6 essere assolutamente certa, é pago della semplice verosi miglianza.Nell'Etica elimina ildubbio per leconseguenze dannose, e fa appello alla coscienza immediata, in cui si ritrovano i germi della virtù, ed al consenso del genere umano , per definire l'onesto e per stabilire alcuni pre supposti speculativi di esso. Preferisce il principio etico degli Stoici, che tempera da uomo pratico ; trae il Dirit to non dalle leggi delle dodici tavole o dall'editto, mą dalla natura umana ; riproduce la teoria aristotelica del lo Stato, e si attiene alla forma mista, propria degli or dinamenti politici di Roma .Luigi Miraglia. Miraglia. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Miraglia” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Misefari – implicatura – filosofia italiana – implicature anarchica – filosofia calabrese -- Luigi Speranza (Palizzi). Filosofo. ‘Io non sono italiano; io sono calabrese!” -- . Fratello di Enzo (politico calabrese del P.C.I., storico e poeta), di Ottavio (calciatore reggino tra i più conosciuti nei primi anni del secolo; giocò nella Reggina e nel Messina) e di Florindo (biologo, attivista della Lega Sovversiva Studentesca e del gruppo "Bruno Filippi").  Dopo aver frequentato la scuola elementare del piccolo paese di nascita in provincia di Reggio Calabria, a undici anni si trasferì con lo zio proprio a Reggio Calabria. Già da adolescente, influenzato dalle frequentazioni di socialisti e anarchici in casa dello zio, partecipò attivamente alla fondazione e allo sviluppo di un circolo giovanile socialista (intitolato ad A. Babel, rivoluzionario tedesco dell'Ottocento). Iniziò a collaborare al giornale Il Lavoratore, organo della Camera del Lavoro di Reggio Calabria, firmando gli articoli come "Lo studente". Collaborò nello stesso periodo a Il Riscatto, periodico socialista-anarchico stampato a Messina; e con Il Libertario, stampato a La Spezia e diretto da Pasquale Binazzi. A causa della sua attività anti-militarista esercitata all'interno del Circolo contro la Guerra italo-turca, fu arrestato e condannato a due mesi e mezzo di carcere per «istigazione alla pubblica disobbedienza».  Fu nei due anni successivi che Bruno si convertì dal socialismo all'anarchia. Ciò avvenne soprattutto con la frequentazione da parte di Giuseppe Berti, suo professore di fisica presso l'"Istituto Tecnico Raffaele Piria".  Si trasferì a Napoli e si iscrisse al Politecnico, dopo avere studiato fisica e matematica alle superiori, e anche per non dispiacere al padre, proseguì tali studi. Pesò inoltre su questa decisione il fatto che in quegli anni, dopo la tragica distruzione della città di Reggio Calabria a causa del terremoto del 1908, il lavoro che garantiva le maggiori certezze era proprio quello dell'ingegnere. Nondimeno continuò per proprio conto gli studi a lui prediletti: politica, filosofia, letteratura, come aveva fatto fino ad allora. A Napoli si fece subito avanti nell'ambiente anarchico. Il movimento a Napoli contava allora di un centinaio di aderenti.  Si rifiuta di partecipare al corso allievi ufficiali a Benevento e fu condannato a quattro mesi di carcere militare. Diserterà una seconda volta il 28 settembre 1916, trovando rifugio nella campagna del beneventano in casa di un contadino. Tornato a Reggio Calabria, il 5 marzo 1916 interruppe una manifestazione interventista nella centrale Piazza Garibaldi, salendo sul palco e pronunciando un discorso antimilitarista. Venne per questo motivo arrestato e condotto presso il carcere militare di Acireale; sette mesi dopo venne trasferito presso quello di Benevento. Da lì riuscì ad evadere grazie alla complicità di un amico secondino. Fu tuttavia intercettato alla frontiera del confine svizzero; ancora incarcerato, riuscì nuovamente nella fuga. Tocca il territorio svizzero, ma i gendarmi lo condussero al carcere di Lugano. Giunte dalla Calabria le informazioni su di lui, essendo un uomo politico, dopo quindici giorni fu lasciato libero con la facoltà di scegliere il luogo di residenza. Indicò subito Zurigo, dove sapeva di potere rintracciare Francesco Misiano, suo caro amico e noto esponente politico socialista, anche lui accusato di diserzione. A Zurigo trovò ospitalità presso la famiglia Zanolli, dove si innamorò della giovane Pia, che diventerà sua compagna di vita.  Durante il periodo di esilio in Svizzera, Bruno svolgeva attività politica tenendo i contatti con Luigi Bertoni e con altri gruppi anarchici elvetici, collaborando anche al giornale: Il Risveglio Comunista Anarchico. Svolse una serie di conferenze in varie città della Svizzera. Bruno si autoannunciava con un suo pseudonimo anagrammatico Furio Sbarnemi. A Zurigo frequenta la Cooperativa socialista di Militaerstrasse 36 e la libreria internazionale di Zwinglistrasse gestita dai disertori Giuseppe Monnanni, Francesco Ghezzi e Enrico Arrigoni; in questi ambienti conosce anche Angelica Balabanoff.  Il 16 maggio 1918 venne arrestato per un complotto inventato dalla polizia. Fu incolpato innocentemente con l'accusa di avere fomentato una rivolta nella città e di «aver fabbricato bombe a scopo rivoluzionario». Con lui furono arrestati diversi attivisti politici, tra i quali lo stesso Francesco Misiano (che fu poi rilasciato perché socialista e non anarchico). Rimase in carcere per sette mesi, e venne poi espulso dalla Svizzera. Grazie ad un regolare passaporto per la Germania, ottenuto per ragioni di studio, si recò a Stoccarda.Lì entrò in contatto con Clara Zetkin (che gli rilascia una lunga intervista sul movimento rivoluzionario in Germania) e Vincenzo Ferrer. Nell'ottobre nel 1919 poté rientrare in patria, in seguito all'amnistia promulgata dal governo Nitti. -- è a Napoli e poi a Reggio Calabria. E un periodo intenso per la sua vita militante di Bruno Misefari. A Napoli partecipò come oratore a molte manifestazioni, si prodigò a favore dei suoi compagni colpiti dalla repressione, denunciò le provocazioni della polizia; tenne numerose conferenze e comizi. Con il dentista anarchico Giuseppe Imondi, stampò alcuni numeri del giornale: L'Anarchia. In autunno fu chiamato a Taranto a svolgere il compito di segretario propagandista presso la locale Camera del Lavoro Sindacale. Tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921 ebbe stretti contatti con Errico Malatesta, Camillo Berneri, Pasquale Binazzi, Armando Borghi, Giuseppe Di Vittorio e altri esponenti dell'anarchismo e del sovversivismo italiano. Nel 1921 si impegnò su più fronti per la campagna a favore degli anarchici Sacco e Vanzetti. Nello stesso periodo e corrispondente di: Umanità Nova, settimanale anarchico diretto da Errico Malatesta e collaborò al periodico: L'Avvenire Anarchico di Pisa. Continuò i suoi studi a Napoli con qualche salto a Reggio Calabria con la sua compagna Pia Zanolli, che sposò. Si laureò a Napoli. Successivamente si iscrisse anche alla facoltà di filosofia.  Nonostante l'avvento del fascismo, fondò un giornale libertario, “L'Amico del popolo,” che però dopo il quarto numero fu soppresso dalle autorità. Nel primo numero del giornale,scrisse un editoriale dal titolo “Chi sono e cosa vogliono gli anarchici.” Lo scritto è l'espressione del suo pensiero libertario:  «L'anarchismo è una tendenza naturale, che si trova nella critica delle organizzazioni gerarchiche e delle concezioni autoritarie, e nel movimento progressivo dell'umanità e perciò non può essere una utopia.»  Da esperto di geologia, progettò per primo in Calabria l'industria del vetro e fondò a Villa S.Giovanni, la prima vetreria in Calabria (Società Vetraria Calabrese). In quegli stessi anni subì però persecuzioni continue da parte del regime. Fu cancellato dall'Albo di categoria e non poté più firmare progetti. Gli venne mossa l'accusa di avere «attentato ai poteri dello Stato, per il proposito di uccidere il re e Mussolini». Fu prosciolto dopo venticinque giorni di carcere. La polizia ravvisò in un discorso di commemorazione durante il funerale di un amico (tra l'altro un industriale fascista, Zagarella) un'ispirazione anarchica e pertanto lo propose per l'assegnazione al confino. Fu arrestato, in carcere si sposa con Pia Zanolli, fu inviato per il confino, prigioniero a Ponza. Tuttavia sembra che tale provvedimento fosse stato determinato da altri motivi. Misefari, che era ingegnere minerario, si era attivamente impegnato nello sfruttamento su larga scala di giacimenti di quarzo, materia prima per l'industria vetraria, che fino a quell'epoca dipendeva, in gran parte, dai silicati stranieri.  Assunto come direttore tecnico della Società Vetraria Calabrese (di cui era stato finanziatore e Presidente il succitato Zagarella) egli si era dovuto ben presto scontrare con l'assenteismo e l'inettitudine del consiglio di amministrazione che si schierò contro di lui con l'intenzione di eliminarlo in qualsiasi modo, ricorrendo anche ad espedienti politici. Giustizia e Libertà, in un articolo anonimo ddal titolo «Politica e affarismo. Il caso di un ingegnere libertario», attribuisce la causa del confino alle manovre dei suoi ex soci. Durante il confino stringe amicizia con Torrigiani, Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, il quale lo affilia alla Massoneria.  L'amnistia del decennale del fascismo lo liberò dal confino dopo due anni. Ma tornato in Calabria vide il vuoto intorno a sé; scrive infatti a sua moglie: "Amnistiato sì, però a quale prezzo: la salute sconquassata, senza un soldo, senza prospettive per l'avvenire". Gli viene diagnosticata l'esistenza di un tumore alla testa. Va e viene con la moglie da Zurigo a Reggio Calabria. Riesce a trovare il capitale necessario per l'impianto di uno stabilimento per lo sfruttamento della silice a Davoli (in provincia di Catanzaro).  Le sue condizioni di salute peggiorano a causa del tumore. Perde conoscenza, viene ricoverato in stato gravissimo nella clinica romana del Senatore Giuseppe Bastianelli, e lì si spense la sera stessa. Ancora ragazzo, studente, cominciò a ribellarsi contro l'ingiustizia del mondo che lo circondava: Palizzi Superiore, un paese tra i monti dove il castello feudale dei signori locali dominava la valle, dove si ammucchiavano piccole e povere case desolate di contadini. E si ribellò a quel mondo, costruito secondo quell'immagine topografica che portava impresso nella memoria: sopra, chi comanda e non lavora, sotto, chi subisce e lavora. E ancora ragazzo cominciò a sognare un mondo in cui quella gerarchia fosse sovvertita prima, distrutta poi. Poteva scegliere di ispirarsi al socialismo marxistico o al socialismo libertario. Del primo apprezzava l'analisi dell'antagonismo tra le classi, ma mostrava perplessità circa i mezzi proposti dalla diagnosi marxistica per fronteggiare il pericolo di una rivincita dell'avversario di classe. Inclinò perciò verso il socialismo libertario.  «Nel comunismo libertario io sarò ancora anarchico? Certo. Ma non di meno sono oggi un amante del comunismo. L'anarchismo è la tendenza alla perfetta felicità umana. esso dunque è, e sarà sempre, ideale di rivolta, individuale o collettivo, oggi come domani.»  (Bruno MisefariTaccuino personale) La scelta della diserzione fu coerente con il suo obiettivo di combattere non la guerra degli stati, ma a fianco degli oppressi di tutto il mondo contro il loro nemico, tenendo alta la bandiera dell'internazionalismo. Pur sottoposto senza tregua alla persecuzione della polizia e all'inquisizione della magistratura, fu sempre al suo posto accanto a coloro che lavoravano e soffrivano. Come ogni rivoluzionario sincero e coerente, pagò col carcere e col confino la sua fede in un ideale.  Chi sono gli anarchici. SecondoMisefari, essere anarchici voleva dire per prima cosa proclamare, contro ogni violenza, l'inviolabilità della vita umana. Inoltre significava lottare per l'abolizione della proprietà privata e a favore della socializzazione dei mezzi di produzione e di scambio. Proprio per questo gli anarchici sono, di fondo, dei socialisti. A questo esperimento di vita sociale andava affiancata la lotta contro lo Stato, che ne impediva la realizzazione. E la lotta contro lo Stato non poteva essere vittoriosa se non con la rivoluzione. Dunque gli anarchici sono socialisti, antistatali e rivoluzionari. Elemento fondamentale della lotta, secondo Misefari, era l'allargamento di essa alla sfera internazionale. È comunque una lotta che non si fa violenta. Misefari è fortemente pacifista, contrario all'uso della forza e della violenza armata. L'anarchico è inoltre antireligioso: la religione infatti è considerata "fattore di abbrutimento per l'umanità".  Antimilitarismo Per Misefari la guerra è pura barbarie, speculazione capitalistica consumata in nome dello Stato.  «L'esistenza del militarismo è la dimostrazione migliore del grado di ignoranza, di servile sottomissione, di crudeltà, di barbarie a cui è arrivata la società umana. Quando della gente può fare l'apoteosi del militarismo e della guerra senza che la collera popolare si rovesci su di essa, si può affermare con certezza assoluta che la società è sull'orlo della decadenza e perciò sulla soglia della barbarie, o è una accolita di belve in veste umana.»  Religione La religione è considerata come un anestetico delle facoltà critiche della mente umana. Sarebbe proprio la religione a imprigionare le energie morali dell'uomo, a inebetire lo spirito critico e di riflessione. Perciò i popoli più religiosi sarebbero i meno progrediti e i più afflitti dalla tirannia, mentre, laddove la religione sparisce, lì è florida la libertà e il benessere.  «È il più solido puntello del capitalismo e dello Stato, i due tiranni del popolo. Ed è anche il più temibile alleato dell'ignoranza e del male.»  È forte nel pensiero di Misefari la volontà di sottolineare l'uguaglianza sociale tra uomo e donna. In anni difficili e lontani dalle battaglie del femminismo di metà Novecento, egli afferma che la donna nobilita e abbellisce la condizione di vita umana. È dovere della donna lottare per risollevarsi da una condizione di inferiorità, che è tale in virtù di un "delitto sociale" e non dovuta a leggi di natura.  «Donne, in voi e per voi è la vita del mondo: sorgete, noi siamo uguali!»  Misefari vive di sogni, di ideali. Nella sua concezione non esiste un artista, che sia poeta, filosofo, persino scienziato, che si sia mai messo al servizio della menzogna. Se tutti potevano essere vili, un artista non poteva.  «Un poeta o uno scrittore, che non abbia per scopo la ribellione, che lavori per conservare lo status quo della società, non è un artista: è un morto che parla in poesia o in prosa. L'arte deve rinnovare la vita e i popoli, perciò deve essere eminentemente rivoluzionaria. Poesia composta da Misefari:  FALCO RIBELLE. Un giovane falco che drizza il libero volo Ne l'alto, ove sono i fulgori di soli immortali Un giovane falco ribelle o piccoli, io sono. Mi spinge ne' campi ignorati, un acre desio Di sante ideali battaglie, di luce e di gloria. Mi splende nell'occhio la speme di certe vittoria, Mi parla nel core la voce sinfonica, dolce D'un caro sublime Pensiero, ch'è Bene ed Amore. Ho giovini l'ale e robuste, o venti, o cicloni, O fulmini immani feroci, vi lancio la sfida. Voi soli potete pugnare col giovine falco, Chè Luce, chè Forza, chè Vita multanime siete. Ma voi, piccoli, no. Coi vermi guazzate nel fango, Dal fango mirate del falco il libero volo.»  Frammenti «Prima di pensare di rivoluzionare le masse, bisogna essere sicuri di aver rivoluzionato noi stessi»  «Ogni uomo è figlio dell'educazione e della istruzione che riceve da fanciullo. Gli Anarchici non seguono le leggi fatte dagli uominiquelle non li riguardanoseguono invece le leggi della natura»  «Prima l'educazione del cuore, poi l'educazione della mente»  «Socialismo vuol dire uguaglianza, vuol dire libertà. Ma l'uguaglianza non può essere senza libertà; come la libertà non può essere senza l'uguaglianza: dunque socialismo e anarchia sono due termini dello stesso binomio, sono i due inseparabili fattori della redenzione proletaria.»  «Quando la giustizia non sarà la durda infame delle tirannidi, quando l'amore non sarà deriso, quando il ferro non sarà legge e l'oro non sarà dio, quando la libertà sarà religione e sola nobiltà il lavoro, allora, solo allora, il mio rifiuto della guerra sarà benedetto.»  «M'è questa notte eterna assai men grave del dì che mi mostrò viltà dei forti e pecorilità di plebi schiave. Lungi da quì il pianto: sto ben coi morti!  (epitaffio) Opere complete Bruno Misefari, Schiaffi e carezze, Roma, Morara, 1969. Bruno Misefari, Diario di un disertore, La Nuova Italia, Entrambi i testi sono stati pubblicati postumi sotto lo pseudonimo Furio Sbarnemi.  Le schede biografiche di alcuni esponenti anarchici calabresi, A/Rivista Anarchica, Antonioli, Antonioli, E. Misefari.  Antonioli,  Pia Zanolli era nata a Belluno. Dopo il matrimonio con Misefari, fu iscritta nell'albo dei sovversivi pericolosi, venendo poi arrestata col marito a Domodossola (cfr.: A/Rivista Anarchica)  Chi sono e cosa vogliono gli anarchici, ed. settembre.  Antonioli, Pia Zanolli, L'Anarchico di Calabria, Roma, La Nuova Italia, Utopia? No, Pia Zanolli, Roma, ALBA Centro Stampa, E. Misefari, biografia di un fratello, Milano, Zero in condotta, M. Antonioli, Gianpietro Berti, Santi Fedele, Pasquale Luso, Dizionario biografico degli anarchici italianiVolume 2, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, Bruno Misefari, Schiaffi, Carezze e altro, Pino Vermiglio, Laureana di Borrello, Ogginoi, Furio Sbarnemi, Diario di un disertore, Camerano (AN), Gwynplaine,,Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Horizons Unlimited srl. Bruno Misefari presso l'International Institute of Social History di Amsterdam, su iisg.amsterdam,Fondo Bruno Misefari presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso di Roma, su fondazionebasso. 04-02-. Gli anarchici contro il fascismo, celebre articolo di Giorgio Sacchetti. Bruno Misefari. Misefari. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Misefari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745319973/in/datetaken/

 

Grice e Modio – il disonore sessuale -- la filosofia del Tevere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Santa Severina). Filosofo. Grice: “Only in Italy a philosopher writes a treatise on a river – although the Isis would not be out of place for some Magdalenite!” – Grice: “His convito is a jewel!” – Seguace di Neri. Originario di Santa Severina, borgo collinare della Calabria Ulteriore, fu avviato agli studi di filosofia presso l'Archiginnasio di Napoli; in seguito passò a Roma, dove si avviò agli studi in medicina divenendo allievo di Fusconi.  Modio frequenta gli ambienti accademici, dove entrò in contatto con alcuni dei maggiori esponenti di spicco di quell'epoca come Molza e Tolomei.  Pubblica la sua prima opera letteraria più famosa dal titolo I”l convito; overo, del peso della moglie: un dialogo diegetico” (Roma, Bressani) -- ambientato a Roma durante il carnevale della città capitolina, in cui viene trattato il tema delle corna durante un convivio presieduto dall'allora vescovo di Piacenza Trivulzio e a cui parteciparono anche Gambara, Marmitta, Benci, Selvago, Raineri e Cesario. E altresì grande estimatore degli saggi di Piccolomini.  Durante la stesura in lingua volgare di un Operetta de’ Sogni, si ammala di febbre altissima. Si spense dopo qualche giorno a Roma, nella tenuta di palazzo Ricci in via Giulia.  Altri saggi: “Il Tevere, dove si ragiona in generale della natura di tutte le acque, et in particolare di quella del fiume di Roma” (Roma, Luchini) “Origine del proverbio che si suol dire "anzi corna che croci" (Roma, A. degli Antonii,” Jacopone da Todi, I Cantici del beato Iacopone da Todi, con diligenza ristampati, con la gionta di alcuni discorsi sopra di essi e con la vita sua nuovamente posta in luce” (Roma, Salviano). Prospetto autore, su edit16.iccu.. Modio, Il Tevere, cit., c. 45r  Anno di pubblicazione della medesima opera. G. Cassiani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Sex, Gender and Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being taken in the study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights the impact that recent scholarship has had in revealing innovative ways of approaching this subject.In this interdisciplinary volume, twelve scholars of history, literature, art history, and philosophy use a variety of both textual and visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics, sexual transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is divided into three sections, which work together to provide an overview of the influence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from politics and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder deals with issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part II: Sense and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the senses and emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image investigates gender, sexuality, and erotica in art and literature.Bringing to life this increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and Sexuality in Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and early modern gender and sexuality. SEX, GENDER AND SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Sex, Gender and Sexuality in Renaissance Italy explores the new directions being taken in the study of sex and gender in Italy from 1300 to 1700 and highlights the impact that recent scholarship has had in revealing innovative ways of approaching this subject. In this interdisciplinary volume, twelve scholars of history, literature, art history, and philosophy use a variety of both textual and visual sources to examine themes such as gender identities and dynamics, sexual transgression and sexual identities in leading Renaissance cities. It is divided into three sections, which work together to provide an overview of the inf luence of sex and gender in all aspects of Renaissance society from politics and religion to literature and art. Part I: Sex, Order, and Disorder deals with issues of law, religion, and violence in marital relationships; Part II: Sense and Sensuality in Sex and Gender considers gender in relation to the senses and emotions; and Part III: Visualizing Sexuality in Word and Image investigates gender, sexuality, and erotica in art and literature. Bringing to life this increasingly prominent area of historical study, Sex, Gender and Sexuality in Renaissance Italy is ideal for students of Renaissance Italy and early modern gender and sexuality. Jacqueline Murray is Professor of History at the University of Guelph. Her research focuses on premodern sexuality, at the intersections of ecclesiastical and popular lay culture, and she is currently examining the premodern experience of masculinity and male embodiment. Nicholas Terpstra is Professor of History at the University of Toronto, working at the intersections of gender, politics, charity, and religion in early modern Italy, with a focus on civil and uncivil society, religious refugees, and the digital mapping of early modern social realities and relations.SEX, GENDER AND SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALYEdited by Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraFirst published 2019 by Routledge 2 Park Square, Milton Park, Abingdon, Oxon OX14 4RN and by Routledge 52 Vanderbilt Avenue, New York, NY 10017 Routledge is an imprint of the Taylor & Francis Group, an informa business © 2019 selection and editorial matter, Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra; individual chapters, the contributors The right of Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra to be identified as the authors of the editorial material, and of the authors for their individual chapters, has been asserted in accordance with sections 77 and 78 of the Copyright, Designs and Patents Act 1988. All rights reserved. No part of this book may be reprinted or reproduced or utilised in any form or by any electronic, mechanical, or other means, now known or hereafter invented, including photocopying and recording, or in any information storage or retrieval system, without permission in writing from the publishers. Trademark notice: Product or corporate names may be trademarks or registered trademarks, and are used only for identification and explanation without intent to infringe. British Library Cataloguing-in-Publication Data A catalogue record for this book is available from the British Library Library of Congress Cataloging-in-Publication Data Names: Murray, Jacqueline, editor. | Terpstra, Nicholas, editor. Title: Sex, gender and sexuality in Renaissance Italy / edited by Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra. Description: Abingdon, Oxon ; New York, NY : Routledge, 2019. | Includes bibliographical references and index. | Identifiers: LCCN 2018045788 (print) | LCCN 2018048468 (ebook) Subjects: LCSH: Sex—Italy—History—To 1500. | Sex—Italy— History—16th century. | Sex role—Italy—History—To 1500. | Sex role—Italy—History—16th century. | Renaissance—Italy. Classification: LCC HQ18.I8 (ebook) | LCC HQ18.I8 .S494 2019 (print) | DDC 306.70945/09031—dc23 LC record available at https://lccn.loc.gov/2018045788 ISBN: 978-1-138-54244-0 (hbk) ISBN: 978-1-138-54245-7 (pbk) ISBN: 978-1-351-00872-3 (ebk) Typeset in Bembo by Apex CoVantage, LLCDedication This collection is dedicated to Konrad Eisenbichler, a true Renaissance man who produces bold and prodigious scholarship in multiple research areas with grace, ease, and erudition. For Konrad, sociability is correlated with scholarship. He has spent his career creating communities and networks of scholars around the world. These networks have been brought together through his tireless work for learned societies, publication series, and journals. Konrad not only produces scholarship but is also heavily invested in disseminating the scholarship of others. Scholarly interests often have unusual and serendipitous origins. In a certain sense, this collection began with a codpiece. Konrad’s first scholarly contribution to the field of sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy developed out of a casual conversation with a colleague who provided enthusiastic encouragement. What resulted was a presentation playfully entitled “The Dynastic Codpiece” to the Canadian Society for Renaissance Studies in 1987. He revised and published it as “Agnolo Bronzino’s Portrait of Guidobaldo II della Rovere” (Renaissance and Reformation, 1988), an article still cited thirty years later. In this truly groundbreaking interdisciplinary piece, Konrad examined the overly large codpieces worn by Renaissance men for the social and familial messages they conveyed, showing how the messages passed between the generations in competing dynastic portraits. The article established Konrad as a new and powerful voice in the study of sex, gender, and sexuality in the Italian Renaissance. It also illustrated beautifully how his scholarship is inherently interdisciplinary, bridging and incorporating history and literature with artistic representations. Konrad greets friends, colleagues, and students with warmth, good humor, and generosity. A significant manifestation of his academic hospitality is revealed in the multitude of conferences he has organized: forty between 1983 and 2018. These are special events, international in nature, and ref lecting the hostorganizer’s generosity. They are venues conducive to the exchange of ideas and the formation of friendships. It is most appropriate that the most recent of these focused on “Early Modern Cultures of Hospitality.” The themes generally ref lect Konrad’s sense of the discipline and where it is going; these conferences most often culminate in a significant collection of essays, including Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West (1996; co-edited with Jacqueline Murray) which helped to promote the study of sex, gender, and sexuality in the Middle Ages and Renaissance. Konrad has made myriad contributions to individuals and institutions. His contributions to Renaissance scholarship span social history, women’s history, religious history, and literature. He publishes equally in Italian and English,moving easily between scholarly cultures. A scholar with a global reach, he interacts with colleagues spread across North America, to Italy and Europe more broadly, as well as Australia and South Africa. The heart of his many contributions to the study of Italian Renaissance society lies in his research on sex, gender, and sexuality. In recognition of that, some of his friends and colleagues joined to celebrate Konrad’s creativity, scholarship, and friendship with essays that demonstrate the creative developments in the field since that fateful codpiece three decades ago. We are honored to dedicate this volume to Konrad Eisenbichler in recognition of his extraordinary contribution to Renaissance society and culture.CONTENTSList of illustrations Acknowledgments Notes on contributors 1 Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy: themes and approaches in recent scholarship Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraix xi xii1PART ISex, order, and disorder192 The lord who rejected love, or the Griselda story (X, 10) reconsidered yet again Guido Ruggiero213 Sexual violence in the Sienese state before and after the fall of the republic Elena Brizio354 In the neighborhood: residence, community, and the sex trade in early modern Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra535 Though popes said don’t, some people did: adulteresses in Catholic Reformation Rome Elizabeth S. Cohen75viiiContentsPART IISense and sensuality in sex and gender 6 “Bodily things” and brides of Christ: the case of the early seventeenth-century “lesbian nun” Benedetta Carlini Patricia Simons 7 In bed with Ludovico Santa Croce (1557) Thomas V. Cohen 8 Aesthetics, dress, and militant masculinity in Castiglione’s Courtier Gerry Milligan9 The sausage wars: or how the sausage and carne battled for gastronomic and social prestige in Renaissance literature and culture Laura Giannetti9597125141160PART IIIVisualizing sexuality in word and image18110 Gianantonio Bazzi, called “Il Sodoma”: homosexuality in art, life, and history James M. Saslow18311 Vagina dialogues: Piccolomini’s Raffaella and Aretino’s Ragionamenti Ian Frederick Moulton21112 Giovan Battista della Porta’s erotomanic art of recollection Sergius Kodera22713 “O mie arti fallaci”: Tasso’s saintly women in the Liberata and Conquistata Jane Tylus247Bibliography of Konrad Eisenbichler’s publications on sex and gender Index268 271ILLUSTRATIONSFigures 4.1 4.2 6.1 6.2 6.36.4 6.5 6.6 6.7 10.1 10.2 10.3 10.4 10.5 10.6Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum, 1581. Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum, 1581. Parmigianino, Visitation, pen and wash. Giovanni di Paolo, Paradise, 1445, tempera and gold on canvas, transferred from wood. Francesco Vanni, St. Catherine of Siena orally draining pus from an ill woman and being rewarded with liquid from Christ’s wound, 1597, engraving. Sodoma, Giovanni Antonio Bazzi, Scenes from the Life of Saint Catherine of Siena: The swooning of the saint, 1526, fresco. Caravaggio, Saint Francis receiving the stigmata, ca. 1595–96, oil on canvas. Bernini, The Ecstasy of St. Teresa, marble, 1645–52. Anonymous German nun, Consecration of Virgins, ca. 1500. Sodoma, Abbey of Monteoliveto Maggiore, Saint Benedict Is Tempted by a Female Devil, fresco, 1505–8. Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the Colander, fresco, 1505–8. Sodoma, Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts. Maurus and Placidus, fresco, 1505–8. Majolica plate, attributed to Master C.I., ca. 1510–20. Musée national de la Renaissance, Écouen, France. Sodoma, The Marriage of Alexander and Roxana, Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19. Sodoma, Saint Sebastian, processional banner, Pitti Palace, Florence, 1525.55 58 103 105106 108 109 110 115 186 187 189 191 193 196xIllustrations10.7 Sodoma (attributed), Allegorical Man, ca. 1547–8, oil, Accademia Carrara, Bergamo. 13.1 Luca Giordano, “Olindo e Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).202 249Tables 4.1 Residence of registered prostitutes in Bologna’s quarters 4.2 Streets with ten or more resident prostitutes in 1604, by quarter56 57ACKNOWLEDGMENTSThe editors would like to thank Vanessa McCarthy who donned two hats for this project, that of an author and that of editorial associate. Her scholarly knowledge and administrative expertise contributed significantly to the preparation of this volume, and we’re grateful for her dedication and expertise. We would like to thank the editorial team at Routledge for their support and guidance over the course of this project. Laura Pilsworth guided it through its inception and commissioning, while Lydia de Cruz shepherded it through the final stages of preparation and production, assisted by Morwenna Scott. The University of Guelph and the University of Toronto provide generous support for the research activities of Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra respectively. Thanks as well to the congenial group of scholars whose work is collected here. While editing collections is sometimes likened to herding cats, these colleagues were responsive, generous, and patient. Above all, they were enthusiastic about the opportunity to contribute to a collection which could serve as a gift to a friend and colleague, Konrad Eisenbichler, who has himself been the soul of generosity. We are honored to have worked with you all. Jacqueline Murray Nicholas TerpstraNOTES ON CONTRIBUTORSElena Brizio teaches Medieval and Early Modern Italian History at GeorgetownUniversity – Fiesole Campus and in the Internship Program at IES Abroad (Institute for the International Education of Students) in Siena. She has published on the political and institutional history of Siena in the Trecento; her current research focuses on the cultural, economic, and social power of Sienese women in the Italian Renaissance. In 2013 she was Visiting Fellow at the Centre for Renaissance and Reformation and the Pontifical Institute of Mediaeval Studies at the University of Toronto and in 2015 she was awarded a Renaissance Society of America Summer Grant to study at the Centre for Renaissance and Reformation at the University of Toronto to pursue her research on maternal inheritance. Elizabeth S. Cohen is Professor of History and Director of the Graduate Programin History at York University (Toronto). She has published widely on sexuality and gender in early modern Rome including, most recently, The Youth of Early Modern Women, co-edited with Margaret Reeves (2018); Daily Life in Renaissance Italy with Thomas V. Cohen (2001, 2017) and Words and Deeds in Renaissance Rome: Trials before the Papal Magistrates with Thomas V. Cohen (1993). Thomas V. Cohen has taught History and Humanities at York University (Toronto) since 1969. His research focuses on the history of Renaissance Rome, where he studies the cultural and political anthropology of both the city and its hinterland. His work, often microhistorical, experiments with language and narrative form, in the hope of enlarging and enriching scholarship’s rhetoric and larger art. His most recent book, co-edited with Lesley Twomey, is Spoken Word and Social Practice: Orality in Europe (1400–1700) (2015). He also translated Claire Judde de Larivière, The Revolt of Snowballs: Murano Confronts Venice, 1511 (2018).Notes on contributorsxiiiLaura Giannetti is Associate Professor of Italian at the University of Miami.Her first book, Lelia’s Kiss: Imagining Gender, Sex and Marriage in Italian Renaissance Comedy, was published in 2009; she is now writing a monograph on Food Culture and the Literary Imagination in Renaissance Italy. On her new project she has published several articles in edited volumes and leading journals such as California Italian Studies and Quaderni d’Italianistica. She is a former Villa I Tatti Fellow and Fellow at the Center for the Humanities at her own institution. She was the Charles Speroni Visiting Chair in Medieval and Renaissance Literature at UCLA in spring 2016, and a Research Fellow at the Institute for Historical Studies, University of Texas, Austin (2016–17). Sergius Kodera is Dean of the Faculty of Design at New Design University, St. Pölten, Austria. Since he received his doctorate in 1994 he has been teaching Renaissance Philosophy at the Department of Philosophy at the University of Vienna. He completed his habilitation in 2004. He has held fellowships in London (Warburg Institute), Vienna (IFK), and New York (Columbia). He has published on and/or is a translator of Renaissance authors such as Marsilio Ficino, Fernando de Rojas, Machiavelli, Leone Ebreo, Girolamo Cardano, Giovan Battista della Porta, and Giordano Bruno. Currently he is working on a book-length study on Della Porta in English. His main fields of interest are the history of the body and sexuality, magic, and media. Vanessa McCarthy completed her Ph.D. in 2015 at the Department of Historyand Women & Gender Studies Institute at the University of Toronto. She currently teaches early modern history at the Department of Historical and Cultural Studies, University of Toronto Scarborough. She is the co-editor of “Sex Acts in the Early Modern World” (Renaissance and Reformation/Renaissance et Réforme, 38/4, Fall 2015). Gerry Milligan is Associate Professor of Italian at the College of Staten Island and the Graduate Center of the City University of New York (CUNY). He has published articles on masculinity, women authors, and theatre in the Italian Renaissance. He is the author of Moral Combat: Women, Gender, and War in Italian Renaissance Literature (2018) and is co-editor with Jane Tylus of The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and Spain (2010). Ian Frederick Moulton is Professor of English and Cultural History in the College of Integrative Sciences and Arts at Arizona State University. He has published widely on the representation of gender and sexuality in early modern European literature. He is the author of Love in Print in the Sixteenth Century: The Popularization of Romance (2014) and Before Pornography: Erotic Writing in Early Modern England (2000), and editor and translator of Antonio Vignali’s La Cazzaria, an erotic and political dialogue from Renaissance Italy (2003). He is also co-editor of Teaching Early Modern English Literature from the Archives (2015).xivNotes on contributorsJacqueline Murray is Professor of History at the University of Guelph. Herresearch focuses on premodern sexuality, at the intersections of ecclesiastical and popular lay culture. She is co-editor of Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West (1996), Conflicted Identities and Multiple Masculinities: Men in the Medieval West (1999), and Marriage in Premodern Europe: Italy and Beyond (2012). Her current research examines the premodern experience of masculinity and male embodiment. She is an award-winning teacher and one of Canada’s 3M National Teaching Fellows, and has held the Donald Bullough Fellowship in Mediaeval History at St Andrew’s University. Guido Ruggiero is Professor of History and Cooper Fellow of the College ofArts and Sciences at the University of Miami. He has published on the history of gender, sex, crime, magic, science, and everyday culture, primarily in Renaissance and early modern Italy. Recent publications include The Renaissance in Italy: A Social and Cultural History of the Rinascimento which won the American Association for Italian Studies prize for the best book (2014). He has received awards from Harvard’s Villa I Tatti in Florence (1990–91, 2012), the Institute for Advanced Studies in Princeton (1981–82; 1991), and at the American Academy in Rome (2011). James M. Saslow is Professor Emeritus of Art History at City University ofNew York, as well as an author and arts journalist. His work focuses on the Italian Renaissance and Baroque period, with special interests in gender and homosexuality. A founding member of the Center for Lesbian and Gay Studies (CLAGS) at CUNY, a former national co-chair of the Queer Caucus of the College Art Association, and a board member of the Leslie-Lohman Museum, he has been writing and lecturing about historical and contemporary arts connected to LGBTQ experience for forty years. His pioneering survey, Pictures and Passions: A History of Homosexuality in the Visual Arts (1999), received two Lambda Literary awards. His most recent book, co-edited with Babette Bohn, is The Blackwell Companion to Renaissance and Baroque Art (2012). Patricia Simons is a Professor in the Department of History of Art at the University of Michigan, Ann Arbor. Her books include The Sex of Men in Premodern Europe: A Cultural History (2011) and the co-edited Patronage, Art, and Society in Renaissance Italy (1987). Her studies of the visual and material culture of early modern Europe have been published in numerous anthologies and peer-review journals, ranging over such subjects as female and male homoeroticism, gender and portraiture, the cultural role of humor, and the visual dynamics of secrecy and of scandal. Nicholas Terpstra is Professor of History at the University of Toronto, working at the intersections of gender, politics, charity, and religion. His recent publications include Religious Refugees in the Early Modern World: An AlternativeNotes on contributorsxvInterpretation of the Reformation (2015) and Cultures of Charity: Women, Politics, and the Reform of Poor Relief in Renaissance Italy (2013), which won the Marraro Prize of the American Historical Association and the Ruth Goodhart Gordan Prize of the Renaissance Society of America. He has also co-edited Mapping Space, Sense, and Movement in Florence: Historical GIS and the Early Modern City with Colin Rose (2016). Jane Tylus is Professor of Italian at Yale University. Recent books include Siena, City of Secrets (2015), Cultures of Early Modern Translation (with Karen Newman, 2015), a translation and edition of the complete poetry of Gaspara Stampa (2010), and Reclaiming Catherine of Siena: Literature, Literacy, and the Signs of Others (2009), which won the Howard Marraro Prize for Outstanding Work in Italian Studies from the Modern Language Association. She is General Editor for the journal I Tatti Studies in the Italian Renaissance. She has held visiting positions at the Scuola Normale Superiore di Pisa and Yale University, and in 2015 was Robert Lehman Visiting Professor at Villa I Tatti in Florence.1 SEX, GENDER, AND SEXUALITY IN RENAISSANCE ITALY Themes and approaches in recent scholarship Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraFrom the mid-nineteenth through the mid-twentieth centuries, the Italian Renaissance was approached almost exclusively as a period of learning, elegance, and manners as ref lected by the arts and letters of the time. In The Book of the Courtier Castiglione’s perfect courtier embodied virtù and sprezzatura, the two qualities that epitomized Renaissance masculinity. Elite men were celebrated for their bravado, skill, and insouciant nonchalance, whether these were exercised on the fields of battle, the production of art or poetry, or the seduction of women. Castiglione also details the qualities of the ideal court lady, a woman valued for her beauty and affability along with her manners, intellect, and ability to please men. These qualities were appreciated equally in another group of notable women, the courtesans whose beauty and literary accomplishments were acclaimed by poets and artists alike. Thanks in part to the enduring inf luence of Jackob Burckhardt’s Civilisation of the Renaissance in Italy (1860; English translation 1878), this idealized portrayal of sixteenth-century Italian men and women dominated twentieth-century historiography and shaped how a number of generations understood sex, gender, and sexuality in the Renaissance. The idealized creations of Castiglione and Burckhardt, their princes and poets, court ladies and courtesans, appeared as the bright stars in the Renaissance firmament, and contributed to the lure of the field. Yet all along they were chimeras, stereotypes created by Renaissance elites and perpetuated by modern scholars of Renaissance culture. Even when individuals appeared to embody these ideal qualities, they were the exceptions, standing apart from thousands of their contemporaries, urban and rural, rich and poor, educated and illiterate, respectable and disreputable. The idealized courtier, court lady, and courtesan obscure everyday life in Renaissance Italy. In the 1970s, scholars began to ask new questions that ultimately led to a recalibration of research on the history of sex, gender, and sexuality in the2Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraRenaissance. One of the earliest collections was Human Sexuality in the Middle Ages and Renaissance (edited by Douglas Radcliff-Umstead, 1978), which includes topics that are wide ranging and represent a variety of disciplinary perspectives. They include sexuality within marriage, sexual sins and eroticism, celibacy, hermaphrodites, homosexuality, and how the human body was understood. These essays from the 1970s foreground important questions about sex, gender, and sexuality in the past. Yet their scope and insights are constrained. Most essays are based on close, summative readings of literary texts from Dante and Chaucer to Shakespeare and other imaginative authors, but these close readings of texts lack the contextualization or critical perspective to enhance their insights. While the occasional essay engages with multiple sources and genres, the absence of critical theoretical and interdisciplinary analysis inhibits the development of a more comprehensive picture of how issues of human sexuality were actually addressed at this time. Significantly, however, the authors did identify emerging themes that would become central to the study of sex, gender, and sexuality. This collection opened the way to the study of topics such as the nature of the sexed human body, the complexities of celibacy as a sexuality, and the f luidity of sexualities and genders. While prescient in research subjects, the authors did not employ the theoretical and methodological tools that developed soon after publication, tools that were necessary for deeper and more complex analyses of sex, gender, and sexuality. These tools were being forged with the new theories and methodologies of the 1970s that were opening new research subjects and that led to innovations and new definitions of the individual and the self. A series of studies in that decade revolutionized scholarship and have continued to have a transformative inf luence on the understanding of the history of sex, gender, and sexuality into the twenty-first century. The most inf luential authors behind this work perceived the Renaissance to be more complex both in the quotidian aspects of daily life and also in extraordinary behaviors. In 1978, the first volume of Michel Foucault’s The History of Sexuality occasioned both excitement and consternation among historians of sex. Foucault, a philosopher and leading post-structuralist scholar, wrote extensively on social construction and social control in European society, including studies of prisons, madness, and surveillance. These perspectives informed his ref lections about the construction and control of sexuality in the European past. Indeed, Foucault’s intervention challenged scholars to reexamine their approaches to sex and sexuality. Another major contribution to the recalibrating of historical studies of sex, gender, and sexuality was John Boswell’s Christianity, Social Tolerance, and Homosexuality (1980). Boswell demonstrated that in the premodern world there were men who engaged in homosocial and/or homosexual relationships, although traditional history had obscured them behind the ecclesiastical rhetoric of homophobia. Boswell argued that there were gay men throughout premodern Europe but his methodology and conclusions were criticized as essentialist and lacking the appropriate consideration of context and cultural inf luences such as Foucault had urged. Nevertheless, despite criticismsSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 3about essentialism, Boswell did uncover homosexual (sodomitical) and homoaffective men across society, integrated into both clerical and secular societies. In this way, Boswell forged a path for scholars to search for and analyze multiple sexualities that had been overlooked by traditional history or were obscured by the absence of explicit evidence. One of the most telling criticisms levelled at both Foucault and Boswell was their neglect of gender as a category of historical analysis. Arguably, men and women experience the world differently according to how society evaluates and constructs women. This applies equally in the realm of sex and sexuality, which is neither natural nor essential. Foucault paid scarce attention to women’s alternative experience of social construction and surveillance of sex and sexuality. Similarly, while lauded for opening the past for research on homosexuality, Boswell was criticized for eliding lesbians and other non-normative women under the category “gay,” thus perpetuating their invisibility. A more refined and incisive analytical framework emerged out of these debates. What began as women’s history in the 1970s, with the goal of recuperating women in the past, transformed into the critical lens of feminist studies, which analyzed the institutions and structures that restricted or shaped their lives, or contributed to their invisibility in historical scholarship. The other significant theoretical contribution to the new study of sex, gender, and sexuality falls under the rubric of cultural studies. This is a multifaceted approach emerging from literary studies, postmodernism, discourse analysis, and other theoretical perspectives that provided scholars with new linguistic and analytical tools. This versatile and complex perspective also encouraged explicitly interdisciplinary research which suits the intricate nature of sex, gender, and sexuality. As a result, there is a richer sense of the possibilities that were available for the lived reality of sex, gender, and sexuality and an expanded ability to study and evaluate the values, beliefs, and experiences of people in the past. These innovations emerged at a time when the traditional Burckhardtian narratives were being widely criticized by political, social, and intellectual historians, and by the mid-1980s new scholarship was appearing that brought new insights to sex and gender in the Italian Renaissance. They applied methodologies that bridged differences in social and economic status, sex, sexuality, and gender, geography, and religion. While the traditional sources of high culture—art and literature in particular—continued to provide a valuable foundation for understanding the rich cultural life and artefacts of the Renaissance, new analytical approaches yielded new insights. Diverse sources of evidence—court records, letters, chronicles, and Inquisitorial documents, among others—provided access to new populations including servants and prostitutes and the inhabitants of the streets and taverns of myriad Italian towns and cities. These new critical studies were a prelude to the research that would appear in the next two decades. Guido Ruggiero’s The Boundaries of Eros: Sex Crime and Sexuality in Renaissance Venice (1985) early on demonstrated how new methodologies and new sources were able to reveal hitherto unexplored worlds of Renaissance sex, gender, and4Jacqueline Murray and Nicholas Terpstrasexuality. Ruggiero examines the wide variety of sex crimes that were committed in Venice and he analyzes the various courts and disciplinary councils which enforced the laws, including those pertaining to sexual transgressions. The records reveal an intricate and contradictory approach to regulating sexuality that extended from conventional acts such as adultery and fornication to more egregious behaviors including rape and sodomy. Ruggiero’s essays meet the challenges and opportunities posed by Foucault and Boswell, by feminist history and gender studies. His interdisciplinary reading of the evidence, ranging from the many cases discussed by the criminal courts, along with careful analysis of individual testimony, widened the scope of enquiry. Ruggiero’s discussion reveals the rich detail about individuals, as they negotiated the social norms of sexuality and gender. He brings readers to an understanding of the social context and how individuals were integrated into their local communities and that of wider Venetian society. The movement towards more sophisticated, nuanced, and focused considerations is also ref lected in Forbidden Friendships: Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence (1996) by Michael Rocke. In many ways, Rocke took on the challenge presented by John Boswell to identify men who had sex with men in their social contexts. Rather than othering them or pulling these men out of their community, Rocke engages with homosexuality as an integral part of Florentine society and culture. He examines seventy years of documentation from the “Office of the Night,” which was established to oversee denunciations of homosexual (sodomitical) activity. This allowed Rocke to trace the nature of relationships between men, how they were treated by society, how and why they were denounced to the court, and the penalties levied. His scholarship reveals that, despite the harsh evaluation of sodomy in ecclesiastical law and in various secular jurisdictions, Florence displayed remarkable tolerance. Where Boswell’s research had scanned 1000 years of European history, seeking to identify men who were possibly homosexual, Rocke analyzes deep and focused sources to identify a specific group of men, applying sophisticated theoretical and methodological tools to reveal new understandings of non-normative sexuality in the Italian Renaissance. Judith Brown’s Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy (1986) similarly contributed to the new approaches to sexuality and identity. She focused on non-normative sexuality, although in a unique context. Here the background is not the streets, homes, and markets of the large, cosmopolitan cities of Renaissance Italy. Rather, Brown’s subjects lived within the walls of a convent, separated from the worldly temptations of secular life. Yet, even in a community of women vowed to chastity, Brown finds convoluted self-identities and a sexual relationship between two women that was transgressive and multivalent. The case of the “lesbian nun” Benedetta Carlini was instantly controversial. Could two nuns possibly have a conscious lesbian sexual identity, given the social norms and religious context in which they lived? This is the same criticism that greeted John Boswell’s assertions about “gay” men in premodern Europe.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 5There was widespread agreement that categories such as gay or lesbian were products of late twentieth-century Western society and to impose them back in time was anachronistic and misleading. Moreover, in this case, the individuals evoked far more questions than those of sexual identity or sexual activity, with a relationship complicated by angelic possession and mystical visions. The debate surrounding Carlini’s activities and identities continues, as Patricia Simon’s essay in this collection demonstrates. Yet one of the most enduring contributions of Brown’s study, for the history of sexuality and gender, is her ability to cross 600 years and engage intimately with individuals of the past. This is a history of two nuns, in an out-of-the-way convent, who experienced rich and problematic inner lives, beyond what might be expected. Whether the women can be categorized as “lesbians” does not dispel the impact of recuperating lost women and a lost past, the meaning and implications of which continue to attract scholarly analysis. The profound transformation that occurred between 1978 and 1996 in the study of sex, gender, and sexuality in premodern Europe began with the recognition of new topics and moved to a more rigorous application of the intervening theoretical and methodological insights of Foucault and Boswell, of feminism and cultural studies. If the former approach is exemplified by essays collected in Human Sexuality in the Middle Ages and Renaissance (1978), the latter is evident in the essays in Desire and Discipline: Sex and Sexuality in the Premodern West (edited by Jacqueline Murray and Konrad Eisenbichler, 1996). This volume stresses that human behavior manifests both continuities and transitions that can be independently evaluated and separated from arbitrary and obsolete periodization. Many essays integrate traditional periods moving seamlessly into a premodern world. Some essays rely on traditional Renaissance evidence but deploy law, art, and literature to examine new research questions. Rona Goffen examines Titian’s frescoes to explore misogyny. Other authors address innovative, even bold or cheeky themes. Feminism and critical theory are deployed throughout the collection. The usefulness of interdisciplinarity to reveal new aspects of society and cultural experience is equally evident. Dyan Elliott’s reexamination of the reciprocity of the conjugal debt, the notion that a husband and wife have equal call on their spouse for sexual access jostles the foundations of premodern marriage. Rather than accepting the idea that a married couple’s sex life was balanced and equitable, Elliott concludes that wives were subordinate even in bed and had no right to refuse sexual intercourse. Ivana Elbl examines the doubly transgressive sexual liaisons among Portuguese sailors to Africa. Sailors, who were often already married with families in Europe, frequently formed enduring relationships with African “wives,” transgressing both Christian monogamy and establishing irregular relationships with non-Christian women. Significantly, in Africa these unions were ignored or tolerated by Portuguese leaders, ecclesiastical as much as secular. More theoretically adventuresome is Nancy Partner’s exploration of the psychological dimensions of sexuality. She applies contemporary psychological theory, in particular Freud, to assess the sexual dimensions6Jacqueline Murray and Nicholas Terpstraof mystics and their ecstatic visions. Even the realm of masturbatory pornography is probed through Andrew Taylor’s critical reading of marginalia and other physical marks and stains on manuscript pages which could ref lect the sexual responses of readers to the texts. The essays in Desire and Discipline reveal the richness, diversity, and intellectually invigorating research that in just two decades had made the new field of sex, gender, and sexuality one of the most exciting areas in Renaissance studies. While ref lecting new research areas, the roots of which can be found in the theoretical and methodological innovations in the late twentieth century, the essays in Desire and Discipline build upon traditional topics and themes and frequently employ conventional Renaissance sources, to stimulate a metamorphosis of old research perspectives into new and innovative ones. Thus, the ideal courtier has become a man subject to gender-based analysis while the lens of feminist analysis reveals the court lady to be not so much an equal but rather a pale, subordinate shadow to the courtier. Similarly, freed from her artificial manners and learning, the courtesan is revealed as a masculine fiction sanitized from the precarious and harsh life of Renaissance prostitutes. The last quarter of the twentieth century, then, was a watershed for the historiography of sex, gender, and sexuality. Pioneering scholarship foreshadowed issues that would preoccupy later scholars and set the trajectory for subsequent research. This scaffolding of new research questions, theories, and methodologies has resulted in creative approaches that are rapidly transforming the field. While monographs have been, and continue to be, written about sex, gender, and sexuality in the Renaissance, it seems that these topics, at this point in the evolution of scholarship, lend themselves more readily to the genres of essays or journal articles. The essay form allows scholars to analyze focused bodies of evidence and arrive at conclusions that are precise and demonstrable. Presumably, at some point these focused studies will coalesce into broader discussions leading to more generalized conclusions. For the moment, however, the essay collection remains the most significant means for the dissemination of research. Two essay collections in particular demonstrate the very promising new approaches to research into sex, gender, and sexuality in the twenty-first century. In A Cultural History of the Human Body in the Renaissance (2010), Katherine Crawford provides a chapter that offers redirection from the perspectives of Foucault. She points back to the important role of classical literature, mediated by Christian values, in the formation of beliefs about sexuality and marriage, and classical medical literature which defined the sexed body. In A Cultural History of Sexuality edited by Bette Talvacchia (2011), nine essays address a wide variety of questions about Renaissance sexuality as they emerge from diverse sources. Essays focus on the troubled categories of heterosexuality and homosexuality, and sex with respect to religion, medicine, popular beliefs, prostitution, and erotica. Collectively, this collection opens wide the possibilities in the study of sex, gender, and sexuality.Sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 7In order best to demonstrate how recent work has reshaped and advanced the field of sex, gender, and sexuality in Renaissance Italy, we have organized the essays of this collection into three sections. The first, “Sex, Order, and Disorder,” deals primarily with issues relating to legal and political themes, and particularly with efforts by authorities both political and ecclesiastical to channel or control sexuality. The second section, “Sense and Sensuality in Sex and Gender,” highlights recent work that has taken some of the turns that are rewriting historical narratives generally, above all histories of the senses, of the emotions, and of food. The third section, “Visualizing Sexuality in Word and Image,” considers how we work with early modern f luidity around identities and boundaries, and whether we might now be more restrictive than they were in categories that we bring to our analysis.Sex, Order, and Disorder One of the most obvious sites of sex and disorder in Renaissance Italy surely lies with the buying and selling of women’s bodies. Burckhardt’s perspective that courtesans were elegant, intellectual companions, surviving more on sexual titillation than selling their bodies, has endured, despite the inf luence of feminist research. In particular, Veronica Franco was seen as an elegant, ideal, and appropriate companion for Renaissance princes.1 Much research on courtesans has focused on Franco and her courtesan sisters. It highlights the courtesan’s learning, ability to write poetry and sing pleasing songs, and, most importantly, to entertain men while avoiding becoming common sexual property and losing their allure and their living. Tessa Storey adheres to the older view, assessing the social status of courtesans, suggesting that they were linked to “elite manhood and male honor,” idealizing the relationships between clients and courtesans who were certain that proximity to powerful men would protect them.2 However, the other side of courtesan life was a precarious one of dependence and fear of falling into common prostitution. Social and criminal vulnerability highlights the lives of all prostitutes, include high status courtesans. Even Veronica Franco was called before the courts to account for her behavior. More vulnerable courtesans and prostitutes lived precariously, prey to men of all sorts, accosted in the streets, and struggling to support themselves and maintain their dignity. The records of their appearances before the courts reveals they often managed without protectors or financial security. 3 Early on Elizabeth Cohen examined the rough and ready life of prostitutes on the streets of Rome, revealing a form of sociability and social integration.4 Diane Yvonne Ghirardo brings an innovative approach to the role and experience of urban prostitutes. She examines urban planning in Ferrara, revealing the city’s ongoing attempts over decades to maintain prostitutes in the same locales.5 Focusing on the economics of prostitution in Venice, Paula Clarke finds that regulation of prostitution became less rigorous over time, with women experiencing more freedom and the concomitant growth of the sex trade.68Jacqueline Murray and Nicholas TerpstraGuido Ruggiero opens the section “Sex, Order, and Disorder” in this collection with a broader approach to order and disorder in sexuality. He offers a rereading of Boccaccio’s often-studied story from the Decameron of Griselda, a woman who patiently endures the series of humiliations that her husband Gualtieri devises in order to test her faithfulness. The critics and creative artists who have puzzled over the tale and its meaning for centuries have focused mainly on Griselda and on issues of class and gender. Ruggiero moves a step further to ask how those who heard it in the fourteenth century might have received it as a political message. Gualtieri is not only a cruel husband. His willingness to be cruel and unjust to his spouse Griselda highlights the dangers that all may encounter when societies fall under the control of rulers who are narcissistic, vain, and insecure. Florentines could look around to other cities where lords treated citizens as Gualtieri treated Griselda; sexual and political violence were interchangeable and marriages were contracted for money rather than love. There was no reason to suppose that Florence would be exempted from that kind of cruelty and exploitation. The Griselda story offered the lessons of a Mirror for Princes, but it was also a Mirror for Merchants, warning them of what would happen when love did not animate their closest personal relationships. What Boccaccio warned the Florentines about in the fourteenth century was precisely what the Sienese were experiencing in the sixteenth. Elena Brizio observes that sexual violence remained common across Italy. Men used it as a tool to control girls, boys, married women, and widows. In the context of the wars of the 1550s, when Florence annexed Siena, its political “use” expanded greatly. Sexual violence was a means of imposing or confirming power over subordinates, and men across the political, ecclesiastical, mercantile, and professional spheres considered sexual violence a legitimate mode of operating in their social sphere, and so exercised it freely. In contrast to what Boccaccio described, the absolute ruler who came to dominate mid-sixteenth-century Siena positioned himself on the opposite side of the dynamic. Duke Cosimo I de’ Medici proclaimed strict punishments for sexual violence against both men and women in a law of 1558, threatening either death or galley servitude for those convicted. Brizio describes this setting and moves from metaphor to practice as she reviews archival sources, judicial records, and public reports to see how sexual violence was perceived before and after the law issued in 1558. Duke Cosimo I was dealing with more than just a different political milieu, and Brizio also explores whether the changes in the normative codes brought about by the Council of Trent had an impact on social attitudes to sexual violence in Siena and its locale. Normative codes were becoming more explicit and restrictive across Italy in the sixteenth century, but did they have much actual effect? Like Cohen, Ghirardo, and Clarke, Vanessa McCarthy and Nicholas Terpstra document and analyze the sex trade in a particular city. Their focus is on working-poor prostitutes’ residential patterns in early modern Bologna, and they find that on the whole these women were integrated into, rather than pushed to the margins of, their local neighborhoods and the wider city. Bologna’s activist and ambitiousSex, gender, and sexuality in Renaissance Italy 9archbishop Gabriele Paleotti was rebuffed when he attempted to impose Tridentine norms for public sexuality. The Bolognese instead approached regulation as a matter of market rather than morals, allowing those prostitutes registered with a civic magistracy to practice prostitution almost anywhere within the city walls. While about half of the 300–400 women registered clustered in specific, unofficial red-light neighborhoods, the other half lived on streets with only one or two other registered prostitutes, where their neighbors were more often workingpoor men and women. In spite of the strict normative codes that continued to be preached and publicly posted by ecclesiastical authorities, prostitutes were seldom actually shunned or marginalized because of their sex work. They were more often incorporated into the working-poor neighborhoods and the larger social fabric of early modern Bologna. These tensions between norms and practice certainly intensified as Tridentine rules became more specific, and as ecclesiastical and public regimes worked to determine whether and how to implement them. In Rome, these authorities came together in particularly complicated ways. Elizabeth Cohen explores how they attempted to address and adjudicate the various forms of sexual impropriety that their normative codes were describing in ever more precise detail. Sexual misconduct came under the jurisdiction of ecclesiastical courts, but the records of these courts do not survive in Rome. Criminal court records do survive, however, and since these took charge of some sex offenses we can see how people responded to the new rules. Cohen looks in particular at cases of adultery, which was often defined by the married status of the woman and which, like sodomy, could actually cover a broader range of actions than might be grouped today under the term. Reviewing some trials of real or imagined adulterous relationships, Cohen finds that it is impossible to determine how effective the “reforms” actually were. There was simply more driving these relationships forward than any narrow definition allows: romance, exploitation, assault, and sheer comedy all shape the court testimonies, and show that the parties in many so-called adulterous relationships were thinking less often of sex—or the pope—than authorities thought.Sense and Sensuality in Sex and Gender The possibilities for research on sense and sensuality in the Italian Renaissance are myriad. The richness and abundance of voices, producing or employing sensual outcomes, and the voices of desire and of sex and of pleasure combine into a garden of delights. Here again, recent essay collections prove particularly valuable for the variety of forms, voices, and experiences that they are able to convey. In The Erotic Cultures of Renaissance Italy (2010) Sara Matthews-Grieco gathers eight essays that ref lect upon the various ways in which visions of sensuality could circulate, including on painted furniture, decorated bedroom ceilings, or musical instruments, erotic language, or pornographic engravings. So, too, cultural practices are explored such as sensuality within marriage, music in domesticcontexts, and sexual innuendos in writing or in doodles in a book. This collection, then, reveals how creative Renaissance people could be in demonstrating desire and articulating their sensual pleasures. Sexual orientation and sexual desire have also come under scrutiny. A significant collection of essays edited by Melanie L. Marshall, Linda L. Carroll, and Katherine A. McIver, Sexualities, Textualities, Art and Music in Early Modern Italy (2014), brings together nine essays that explore sexual desire and sexual orientation through multilayered and intersecting interpretations of art, music, and texts. The result is an intriguing collection of scholarship that maximizes opportunities for interdisciplinary, collaborative research across the disciplines, as an outgrowth of work on critical theory and intertextuality. In a more literary context, marriage orations have revealed some writers not only praised marriage in conventional terms for political ends, social expediency, and the delights of family. Alongside extolling the pleasures of the marriage bed for a husband, some extend that vision of sensuality and sexual pleasure to the wife as well, challenging conventional notions that only prostitutes took pleasure in sex, and not respectable matrons.7 The sensual possibilities of homosexual activities, especially related to male prostitution, were part of Michael Rocke’s study Forbidden Friendships. He argues that male prostitution was harshly condemned, especially anal penetration, as something no adult man should permit. Nevertheless, an examination of some contemporary writers reveals an appreciation of homosexual sensuality along with defenses of sodomy and male prostitution which harkened back to the superior evaluation of homosexuality in classical literature.8 The role of pedagogical pederasty and its celebration within Renaissance mentoring systems has equally been explored in literary sources by Ian Moulton who demonstrates the currency of such studies to both a popular and educated audience.9 These studies show that while male sexuality has been visualized, both in the Renaissance, and by scholars of the Renaissance, as virile and active, it was also vulnerable and contingent. For example, castration was always a possibility in war, for medical reasons, as a consequence of vendetta, or for social or aesthetic reasons.10 Impotence also was part of male sexuality, with extensive social, economic, and political ramifications. Some of these issues are explored in Sara F. Matthews-Grieco’s edited volume Cuckoldry, Impotence and Adultery in Europe (15th–17th century) (2014). Impotence could be implicated in social unrest among urban dwellers or occasion political turmoil among the elites. It could be physiological, subject to medical intervention, or magical leading towards the Inquisition and the Renaissance’s fear of witchcraft. Six essays focus on various aspects of the social, cultural, political, medicinal, and literary discussions of impotence in Italian courts and cities, together providing an integrated and provocative view of male sexuality and sensuality. The essays in this collection’s second section, “Sense and Sensuality in Sex and Gender,” traverse back and forth between literature and the lives of men and women. Our literary accounts span what was formerly cast as the division ofhigh and low, including both Castiglione’s serious prescriptions on when a sleeve is more than just a sleeve, and also some more comic accounts by lesser-known poets of when a sausage is more than a sausage. We pair these with two microhistorical accounts of sexual pairings, one grown notorious in recent decades by the controversies that erupted when it was first published, and the other more obscurely quotidian. We aim in bringing them together to revisit what scholars may bring to such accounts, and how that shapes our readings in ways we may want now to rethink. In the first of these microhistorical studies, Patricia Simons re-examines the case of Benedetta Carlini, the early seventeenth-century nun and abbess described above and made famous in Judith Brown’s Immodest Acts (1986). When Brown identified Carlini as a lesbian, on the basis of documents that showed her as having regular orgasmic sex with a younger nun under her supervision, her work stirred controversy. Historians like Rudolph Bell firmly rejected the description of Carlini as “lesbian” on the basis that sexual activities did not imply sexual identities. Simons takes the discussion a step further, arguing that the question of identity is less important now than one related to sense and emotion. Did they—and should we—see their sex as mainly physical? Or were there registers of erotic mysticism that would have led both Benedetta and Mea to frame their contact together as expressions of a spiritual relationship? While some of their contemporaries, like some of ours, may see their religious language as pretext, what happens when we take it seriously and take them sincerely? As the example of their congregation’s patron saint St. Catherine of Siena showed, medieval mysticism provided enough of a language and model for the erotic potential of religious imagery. Thomas V. Cohen then explores another example of when we need to ask whether a transgression is always a transgression, by looking at the case of Ludovico Santa Croce, and the gang he gathered around him to prowl the streets of Rome. The life lived well needed witnesses for validation, and Ludovico’s ego amplified his other drives as he led a group of young conversi to visit the statuesque courtesan Betta la Magra. They shared food, drink, and more, and Ludovico’s boundary crossing brought him to court. But what were his transgressions? Was it just proper and improper sexual practices, was it individual intimacy moving to group sex, was it about commoners and nobles, or about Christians and those who, despite having been “made Christian” were still considered in some way ebrei ? If transgression lies in in the eyes or voices of the witness, we have here a complicated intersection of identities and codes, values and practices. The questions here, as in Benedetta Carlini’s convent, lie with what those in the bed and those around it thought about norms and deviances. Gerry Milligan brings us to what many consider the uber code of the early modern male, Baldassare Castiglione’s Book of the Courtier, the canonical text that we noted at the beginning of this essay. Milligan looks in particular at the relation Castiglione draws between clothing and masculinity. Clothing was fundamental to Renaissance discourses of gender and sexuality. While it wascommon to read that what men wore was critical to discussions of violence, military preparedness, and virtue, it’s not at all clear just how clothing was supposed to do what it did. Was it cause or effect, or sign and symbol of masculinity or effeminacy? Castiglione saw clothing choice as potentially one of life or death, and that not just for reputation alone. As Italy suffered through the invasions of French, Spanish, and Germans, it was common, albeit perhaps too easy, to correlate a soldier’s effectiveness to what he had worn. As Milligan asks, might a focus on clothing show us how aesthetics and militarism functioned in Renaissance projects of social control? Laura Giannetti then takes us from dead seriousness to dietary satire with approaches to a question that Freud might well have faced: is it ever the case that a sausage is just a sausage? Italians valued word play as much as sexual play, and found the convergence of the two absolutely compelling. Carne was meat, f lesh, and inevitably the male organ, and while mendicant preachers may have condemned all of them together, most Italians appreciated them individually for each of their meanings. Religious authorities never managed to expand the imaginative forms of their dismay at the gluttony and carnality that sausages represented; the most they could do was draw on Galen’s counsel of moderation to reinforce their message of self-denial. Yet Gianetti shows that authors and artists who were more aesthetically than ascetically driven began to explore the imaginative potential of sausages as symbols of vitality, fertility, and prowess. Their poems and stories disseminated messages of a humble meat that grew into a powerful cultural symbol.Visualizing sexuality in word and image As early as 1978, Thomas G. Benedek’s article “Beliefs about Human Sexual Function” examined ideas about the sexed body, noting in particular the persistence of the one-sex theory that women and men had parallel sex organs, with the male organs externalized and female organs internalized. Moreover, the balance of the humors—hot, cold, moist, dry—also impacted the nature of any individual’s sexual makeup. Thomas Laqueur, like previous scholars, based much of his argument on medical texts. It was not only the words, but also the images that seemed to portray inverted genitals. Laqueur’s analysis went further, however, to the conclusion that the one-sex body and the humors meant that both women and men needed to ejaculate semen for conception to occur.11 Laqueur’s suggestion that Renaissance doctors and others believed in the two-seed theory was controversial and stimulated a great deal of scholarship on both science and medicine and gender and the body. Interest in the sexed body and the physicality of sex and sexuality has continued to expand, embedding medical perspectives of the sexed body into a cultural context. In her study The Sex of Men (2011), Patricia Simons extended the critical study of men’s history to focus on the physiological construction of men. Her analysis is based upon exhaustive, interdisciplinary research includingtheoretical, textual, and visual evidence. Simons re-focuses attention on the centrality of semen to masculinity and fertility, thus rebalancing the dominant phallocentric evaluation of premodern gender. Sexual acts and sexual pleasure have embraced topics and methodologies that would have been unthinkable by earlier scholars. The collection Sex Acts in Early Modern Italy (2010), edited by Allison Levy, includes an amazing array of topics that illuminate sexual activities in new detail. Renaissance images and objects portray an imaginative array of sexual positions in sources, both textual and physical, ranging from Aretino’s writing on sexual positions to their portrayal on medicinal drug jars. Patricia Simons pushes the cultural history of sex and sexuality further in her essay about the dildo. An analysis of the physical objects is set against descriptions of their imagined use. Renaissance books were sufficiently explicit, however, that the need for visualization was unnecessary. In Machiavelli in Love (2007), Guido Ruggiero challenges some of the fundamental ideas about the history of sex and sexuality proposed by Foucault and which have subsequently dominated research. Rejecting Foucault’s assertion that sex and sexual identity were modern inventions, Ruggiero demonstrates that in fact there was Renaissance sex and Renaissance sexual identity, dismissing earlier theoretical obstructions. Using a combination of court documents and imaginative literature, he highlights the complexities of mind, body, and desire, and the formation of masculine identity. In many ways, this book moves the historical study of premodern sexuality onto a new and more sophisticated plane, one that reveals individuals in their uniqueness. In The Manly Masquerade (2003), Valeria Finucci presented one of the earliest analyses of Renaissance men as an inf lected category deploying not only feminist theory but also psychoanalytic theory to understand the constructions of masculinity from both a psychological and cultural perspective. One of the most violent and sexually problematic figures of Renaissance Italy was the brilliant goldsmith/artist Benvenuto Cellini. Margaret Gallucci presents a new twist to traditional biography by integrating a multidisciplinary analysis of Cellini, his artistic brilliance, his penchant for violence and disorderliness, and his transgressive homosexuality that was sufficiently public to result in criminal proceedings and house arrest. Following new literary criticism and sexuality and gender studies, Gallucci tries to move beyond simplistic evaluations of homosexuality and misogyny to make sense of Cellini’s complex artistic life and disorderly behaviors.12 The third section of this collection, “Visualizing Sexuality in Word and Image,” takes up these questions of sex acts, the body, and identity by focusing on four cases of creative artists who employ sexuality and gender in ways that challenge social norms and expectations, and that raise questions both then and now about identity and voice. James M. Saslow returns to the questions around sexual acts and sexual identities that emerged in disputes around the “lesbian” nun Benedetta Carlini, and to which Castiglione’s sartorial strictures allude. He argues that the case of Italian painter Gianantonio Bazzi (1477–1549) contributesto the larger ongoing controversy in queer studies over whether we can locate an embryonic homosexual self-consciousness in Renaissance culture. Bazzi’s fondness for young men gave him the nickname “Il Sodoma” and he never shied away from making this a central part of a very public persona. We have little documentary evidence for his private feelings, yet his art embodied and transmitted homosexual desires, and it is clear from the series of commissions that he attracted an audience which read and sympathized with those clues. Saslow reviews Sodoma’s artworks, patrons, and reputation over a few centuries and ref lects on what the larger stakes are both methodologically and ideologically as we weigh whether these do indeed provide sufficient evidence for a homosexual self-consciousness. Sexual agency and identity are complex enough when we are aiming to interpret what an individual says in a court room or inquisitorial investigation, or conveys in a painting or poem. What do we do when men pretend to adopt the voice of women and project desire, intent, and agency? Ian Frederick Moulton compares two such works, Pietro Aretino’s Ragionamenti and Alessandro Piccolomini’s La Raffaella, both of them written in the 1530s, and both featuring an experienced woman mentoring a younger woman on the finer points of sex and sexuality. In both, the older woman assures her younger companion that her desires are legitimate and should be acted on to the fullest, even when transgressive. In both these desires are essentially projections of male fantasies. Moulton explores what we learn from male projections of female speech, identity, agency, and particularly how male visualization and ventriloquizing exposes larger issues around the place of women and the articulation of sex and gender in early modern society. While we often emphasize the transformative effects of printing, early modern culture continued to value the oral and visual, and it brought these together in the art of memory. Sergius Kodera reaches back to classical texts that recommended erotic images as particularly memorable, and to the early modern author Giovan Battista della Porta’s L’arte del ricordare (1566) which specifically advised stories of sex between humans and animals as aides memoires. Myths of Leda, Europe, Ganymede, and others were all drawn into this work, though more overtly in the vernacular than the Latin version. Kodera follows this visualization of intercourse between humans and animals beyond the arts of memory and on to texts on cross-breeding and to the paintings of Raphael, Michelangelo, and Titian, seeing all of these as examples of a distinctively early modern embrace of variety, engagement, and hybridity in sexuality. In the final essay, Jane Tylus traces how Torquato Tasso depicted women in both the Gerusalemme liberata (1581) and the Gerusalemme conquistata (1593). While he felt that his powers as an epic poet were expanding, the later work reduces the role and influence of female characters. The shift underscores how the Liberata was more radical in its conception and execution. As he aimed to style himself more self-consciously as an epic poet in the classical tradition, Tasso moved from Virgil to Homer as his model, a move at once stylistic and also insome sense moralistic – he saw this as an answer to criticism of his language and of what he called the “fallacious artistries” that had marked the earlier poem. Gender become critical to his conception of what is true in art, though with ambivalent results – the woman who intervened with power was superseded by the woman who intervened with tears. These essays explore themes that were only emerging two decades ago. Their authors’ commitment to taking both an interdisciplinary and intersectional approach allows re-evaluation of interpretations which were in danger of becoming too rigid and which may have imposed too much on what the voices in stories, trials, letters, and images were aiming to express. Contradiction, ambivalence, and ambiguity abound. Recent work in all three areas that we have singled out has explored just how widely the gaps between prescription and reality yawn in the period, in part because of ambivalence on the part of those promoting normative regimes. Yet gaps more often emerged because these regimes aimed too far beyond what people expected and were willing to live with in their neighborhoods, their relationships, and expectations. As we move forward undoubtedly there will be new insights gleaned about the lives and loves of Renaissance people. The intellectual and evidential foundation outlined here in letters, court records, poems, pamphlets, and artworks will continue to support a rich and diverse research culture. And there are new questions on the horizon. The literary, philosophical, artistic, and existential implications of transgender are only in a nascent stage of investigation, despite the initial and hesitant foray made in Human Sexuality. Some topics and themes will percolate until new sources and new perspectives allow new insights and conclusions. As the study of sex, gender, and sexuality moves forward, the dialogue between past and present will continue, animated by sharp disagreements, punctuated by moments of clarity, and moving steadily towards a deeper understanding of lives lived in a period of creative foment. The voices gathered here, and the creative exchange they offer, advance that discourse on the lives of those who made the Renaissance a fascinating period of critical change.Notes 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12Rosenthal, The Honest Courtesan. Storey, “Courtesan Culture.” Cohen and Cohen, Words and Deeds in Renaissance Rome. Cohen, “Seen and Known.” Ghirardo, “The Topography of Prostitution in Renaissance Ferrara.” Clarke, “The Business of Prostitution in Early Renaissance Venice.” D’Elia, “Marriage, Sexual Pleasure, and Learned Brides in the Wedding Orations of Fifteenth-Century Italy.” Rocke, “‘Whoorish boyes.’” Moulton, “Homoeroticism in La cazzaria (1525).” See Finucci, The Manly Masquerade. Laqueur, Making Sex. Gallucci, Benvenuto Cellini.Bibliography Benedek, Thomas G. “Beliefs about Human Sexual Function in the Middle Ages and Renaissance.” In Human Sexuality in the Middle Ages and Renaissance. Edited by Douglas Radcliff-Umstead, 97–119. Pittsburgh: Center for Medieval and Renaissance Studies, 1978. Boswell, John. Christianity, Social Tolerance, and Homosexuality: Gay People in Western Europe from the Beginning of the Christian Era to the Fourteenth Century. Chicago: University of Chicago Press, 1980. Brown, Judith C. Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun in Renaissance Italy. 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Tellingly, he claimed that he was translating the tale because it was so very useful as a lesson on how to treat a wife that it needed to be in Latin to gain the wider circulation that the universal language of learned men merited. And, in fact, Boccaccio’s original version has been long read in that light, almost as if Petrarch’s Latin retelling determined its meaning for future generations. Recently, moreover, with more sophisticated discussions of gender, his perspective has garnered even greater purchase, with Boccaccio’s tale being criticized for its misogynistic vision of matrimony and support for a husband’s absolute power over a wife. In turn, this perspective has even colored the way some read the Decameron itself, discovering behind its laughing stories and powerful, clever women a conservative defense of traditional patriarchy. But in this essay, I want to suggest with a historian’s eye that the story of Griselda’s ideal wifely qualities and her husband’s wisdom is in reality not there in the Decameron (X, 10). For while that tale has been often read as an account of Griselda, and her virtually biblical acceptance of her husband’s will, it may well have read at the time as a story much more about the many negative qualities of Gualtieri.1 For he is presented throughout as a dangerous tyrant moved by a misguided sense of honor and a rejection of the emotion of love, which meant that he was incapable of being either a good husband or a good ruler from the perspective of fourteenth-century Florentine readers. Thus, this tale is not just concerned with love and marriage, but also crucially with rule and the rule of princes, in this casenegatively portrayed as tyrants. In a way, then, I want to argue that it is Boccaccio’s “The Prince” a century and a half before Machiavelli. Even the language of the day nicely sets up this theme: for the term signore (lord) had multiple meanings that could span the gamut of power relationships from the everyday husband as signore/lord over his wife and household, to the local signore/lord/noble with power over those below him, on to the signore/lord/ ruler (either a prince or a tyrant depending on one’s perspective), and, of course, finally on to the ultimate signore, the Signore/God. As we shall see, all these meanings are at play in Boccaccio’s version of this tale. The teller of this story of multiple signori, the irrepressible Dioneo, suggests its negative tone right from the start, immediately warning that he finds Gualtieri’s behavior in general and towards his wife “beastly.”2 He states f latly, “I want to speak about a Marquis, not all that magnificent, but actually an idiotic beast. . . . In fact, I would not suggest that anyone follow his example. . . .”3 This, obviously, is hardly the wise prince Petrarch created in his supposed translation of the tale. Dioneo then more subtly attacks him as a ruler (signore), remarking that he was a young man who spent all his time “in hawking and hunting and in nothing else.”4 Here we have echoes of an earlier tale in the Decameron, the third tale of day two, about spendthrift Florentine youths who threw away the riches left them by their aristocratic father by living the thoughtless life of young nobles hunting, hawking, and living like signori.5 Significantly, those Florentine youths, after they lost their inherited fortune, regained it by going to England and loaning money at interest to the apparently even more foolish signori there, the English nobility, like many Florentine bankers.6 Yet quickly they squandered their riches again, because, as the story stresses, they returned to living like signori, eschewing the virtù that made their Florentine merchant/banker contemporaries so successful. What, one might well ask, was this virtù that had allowed them to remake their fortune and that repeatedly brings success to the denizens of Boccaccio’s tales? At one level the answer is simple. For Boccaccio’s contemporaries virtù was a term that identified the range of behaviors that allowed one to succeed and made one person superior to another. Simply put, it marked out the best. But the simplicity of that definition quickly dissolves before the fact that largely because it was such a telling term its meaning was highly contested and f luid, in fact changing considerably over time, place, and across social divides. Speaking very broadly, in an earlier warrior society many saw virtù in aggression, direct action, often violent; and in physical strength, blood line, and blood itself, even as at the same time moralists and philosophers often saw it in more Christian behavior that rejected violence and aggression. In the cities of northern Italy in the fourteenth century this traditional vision of virtù was first expanded, then increasingly overshadowed by a vision more suited to the urban life of the day and newer merchant/banker elites. For many at the time, virtù required the control of passions—in contrast to an earlier vision that privileged their moredirect expression—and included a strong lean towards peaceful, mannered conduct that required reasonable, calculating (at times sliding into cunning) behavior that controlled the present and significantly the future as well.7 In sum, virtù, even as it was contested and changed over time, was a word of power that helped to define an urban male citizen and a truly good man. In the end, however, these youths were saved from their un-virtù -ous behavior by a virtù -ous nephew, Alessandro, who first re-established their fortunes via once again astute money-lending, and then with his virtù won a bride who turned out to be the daughter of the king of England, effectively overcoming all their foolish misdeeds. From this perspective, it is clear that the signore Gualtieri, much like Alessandro’s uncles, was not a virtù -ous or good prince, ruling as he should. Rather, by not attending to anything but his own youthful pleasures, he was acting in a way that Florentines would have easily associated with their fears about contemporary signori/tyrants; for such rulers were seen by them as ruling all too often merely to serve their own whims and selfish pleasures at the expense of their subjects. And, in fact, proudly republican Florence had recently in 1342 experienced a brush with a signore/tyrant of its own, Walter of Brienne. He had been appointed to a one-year term as ruler of the city in the hope that he would be able to overcome an economic crisis caused by the failure of the major banking houses of the city. But, as was often the case, he quickly attempted to take power permanently as a signore and was just as quickly thrown out after only ten months of unpopular rule. Almost immediately afterwards, a popular government returned to power, and it remained wary of signori of any type.8 Significantly, however, most Anglophone critics have failed to note that the Italian for Walter is Gualtieri and thus that Florence had thrown out a tyrannical Gualtieri of their own just a decade before Boccaccio completed the Decameron. Tellingly the negative behaviors often associated with contemporary tyrants are immediately linked to the tale’s Gualtieri and his marriage by Dioneo, who notes that not only did he not pay attention to anything else but his own selfish pleasures, he “had no interest in either taking a wife or having children. . . .”9 This, then, had created problems with his subjects. As they, like all good subjects, wanted him to take on the responsibilities of a mature male and ruler by marrying; for marriage was seen at the time as perhaps the most important sign of reaching full maturity and taking on the sober responsibilities of an adult male.10 Moreover, with marriage, a prince began to produce the heirs that would secure an ordered passage of power at his death, something that for his subjects was crucial. With Gualtieri’s rejection of this, in essence Dioneo had presented his readers with a questionable signore/lord/ruler who refused to give up his youthful and irresponsible ways to rule as an adult prince with virtù.11 In the end, then, although he reluctantly gave in to his subjects’ demands, he decided to do so by taking a bride without consulting with anyone. And once again this would have troubled contemporaries. Arranged marriages were the  norm in fourteenth-century Florence and more widely and crucially theywere negotiated by parents or relatives to secure broader family goals or, in the case of rulers, meaningful alliances. The immature Gualtieri instead took his marriage personally in hand to secure his selfish desires with no concern for his family, his subjects, or even love. Moreover, his lack of love in selecting his bride also evoked the negative presentation in Decameron stories of many unhappy marriages where the lack of love had led to bad matches, especially for women. Repeatedly the tales advocated avoiding this ill-fated situation by marrying for true love, exactly what Gualtieri rejected. From his perspective marrying for love and loving his wife would have endangered his un-virtù -ous life, focused on his own personal pleasures. And at the same time, it would have also signaled the end of his freedom from his responsibilities as a ruler and declare that he had acquiesced in becoming the signore/prince that his subjects desired and that Petrarch had rewritten him as being in his misleading supposed Latin translation of the tale.12 Making his disgruntlement clear, Gualtieri finally did knuckle under to his subjects’ demands, but warned them that whoever he might chose, they must honor her as their lady or feel his anger.13 The reality behind that warning was soon dramatically revealed.14 For Gualtieri had for some time been observing a pretty, well-mannered peasant girl who lived nearby. Yet crucially what made her most attractive to Gualtieri was the fact that as a humble peasant he was confident that he could dominate her so that she did not interfere with his youthful lordly pleasures, the selfish key to his marital strategy again.15 Following Gualtieri’s misplaced desires, we are drawn ever deeper into the dark morass of unhappy marriages in the Decameron. Having selected his bride without disclosing her identity to anyone and without her even being aware of it, he insisted that his subjects come with him to celebrate the matrimony. And so it was that one day they followed him to an unlikely nearby village where the peasant girl, Griselda, lived in poverty with her father. The scene is nicely set by the narrator of the tale Dioneo, as he describes how the richly attired relatives of Gualtieri and his most important subjects arrived on horseback before Griselda’s humble hut. When she, dressed in rags, rushed onto the scene, anxious to see who their lord’s new bride would be, to everyone’s surprise Gualtieri called down to her by name to ask to speak with her father. She replied modestly that he was inside and accompanied him in to the peasant hut to talk with her father, Giannucole.16 Even her father’s name reeked of Griselda’s humble status, for Giannucole is the diminutive for Giovanni. Using the diminutive for an adult male, and a pater familias at that, essentially denied him any status or honor. Gualtieri underlined the point when he did not waste any time with niceties on a person who, given that lack of status, did not warrant them from his perspective. Thus, he did not ask Griselda’s father for her hand as simple politeness required; rather he announced that he had come to marry her. Then, continuing in his high-handed ways, he turned to her and demanded that if he took her for his wife, “will you always be committed to pleasing me and never do or say anything that would upset me.”17 Once again the absenceof love in Gualtieri’s approach to his future bride is stunning, especially for the tales of the Decameron; and moreover, his lack of regard for her father, and for her is deeply troubling. Turning to Florentine history and traditions once more it seemed almost as if his way of treating Griselda and her father echoed what the citizens of Florence most disliked in the high-handed ways of local nobles/lords that they had rejected in the 1290s when they passed their revered Ordinances of Justice. These laws were ostensibly designed to punish local nobles and their ilk (labeled magnates) for just such high-handed behavior and mistreatment of common folk. And these Ordinances had become a symbolic keystone of Florentine republican government and its civic vision and would remain so across the Rinascimento. In fact, one of the few times that the Ordinances were questioned was when they were cancelled almost immediately after Walter of Brienne, the other Gualtieri and would-be Signore of Florence, was driven out. After he was expelled in 1343, the Ordinances were momentarily cancelled by a short lived aristocratic government and then almost immediately reinstated by the popular government that replaced both Gualtieri and that unpopular aristocratic moment, as a strong reminder that the city would not allow signori of any type to mistreat Florentines. And although Gualtieri did not himself revoke the Ordinances, the black legends that grew up around his rule often made him responsible for their momentary elimination and an attack on popular republic government.18 All that this implies is underlined by the famous marriage scene that follows, for Gualtieri, with his demands met, takes Griselda by the hand and leads her from her home. There in front of the whole group of his elegantly dressed subjects to their surprise and dismay he ordered her stripped naked.19 He then had her re-dressed with the aristocratic clothing and the rich accoutrements that made up a noble’s wardrobe and only then consented to marry her. As often noted, this dramatic scene in its undressing and re-dressing of his bride essentially symbolized and perhaps contributed to the rebirth that Gualtieri believed he was engineering, transforming Griselda from a humble peasant to a noble wife, using clothing as both a symbol and a tool. And indeed, the tale goes on to point out how quickly and successfully she impressed the gathering, appearing to take up easily the manner and bearing of a princess in her new noble clothing. That impression was confirmed in the days following, when, as Gualtieri’s wife, she displayed to all impressive manners and wifely virtues. In sum, once redressed she was capable of being transformed from a humble peasant to a noble princess—the very stuff of fairy tales and popular fantasy. But it is also the very stuff of Florentine beliefs at the time—the elite of the city had shifted from old noble families to a newer merchant/banker group who dominated Florence both economically and socially. Thus, a humble peasant who gained the opportunity and the dress to move at the highest social levels was an attractive conceit, demonstrating that anyone with virtù could behave as well as the old nobility. From that perspective Griselda had that delicious quality of fulfilling contemporary fantasies, even if many rich Florentines would havebeen comforted perhaps by the fact that such a leap for someone of her status was highly unlikely. Yet there is a way in which the dramatic stripping of Griselda—a theme that would have great popularity in the future in literature and art—has masked a deeper honor dynamic involved in this troubling marriage. In fact, the tale’s Florentine audience would have been aware from the first that marriages were virtually always moments when issues of honor were central. That was why fathers usually played such a significant role in such affairs: they had, in theory at least, the mature judgment to evaluate the complex calculus of family honor involved in a marriage alliance between two families without letting youthful emotions interfere. Unfortunately, from this perspective the young, selfish, self-centered Gualtieri fell far short of this ideal, as the tale made abundantly clear. Nonetheless, Gualtieri was aware of the honor dimensions of his marriage and was anxious to resolve them in his own high-handed way. Anticipating the resistance of his subjects to his marriage of a peasant and its implications for the honor of all involved—a marriage that he saw as serving his interests and not theirs—from the first he insisted that they accept his choice and “honor” it and him as their ruler. And, of course, as long as his misguided honor was a driving force replacing love in his approach to marrying Griselda, it crippled the relationship and his ability to be a good husband and suggested a similar situation vis-à-vis his subjects as a ruler where love for his subjects was also lacking. Crucially in this way of seeing things, his behavior evoked strong echoes of other husbands and princes in the tales of the Decameron whose lives were destroyed by their misguided sense of honor. In turn, such behavior echoed Florentine fears about the dangers of a central/northern Italian world where it appeared—in many ways correctly—that the days of republics like theirs were a thing of the past. They were being rapidly replaced by the one-man rule of signori who claimed to be princes, but more often than not seemed to Florentines to be self-serving tyrants like Gualtieri, more concerned with their misguided honor and selfish pleasures than just rule. Yet in the short term things seemed to be looking up for Gualtieri’s honor and his marriage. Not only did Griselda win over his subjects, she soon became pregnant and produced a daughter. But not long after the happy birth, the f laws in his personality and his treatment of his wife began to reveal a deeper, darker truth. Almost as if he feared to succumb to the success of his marriage, he decided to test his wife to assure himself that she was ready to honor all his lordly wishes, no matter how cruel and tyrannical they might be. Significantly, however, he defended these tests to Griselda as a concern for his honor, complaining that his subjects were murmuring about her lowly peasant origins and the similar baseness of her daughter. In fact, his claim was presented as false by Dioneo. Gualtieri’s honor was never questioned by his subjects in this context; actually, they are portrayed as quite happy with his bride, even as they were surprised by her success as a lady. Griselda, however, accepted his false claims, and, as a result, unhappily understood the worries about his honor thatwere supposedly tormenting Gualtieri. Thus, she replied obediently as a subject to such a lord must: “My lord (Signor mio), do with me what you will as whatever is best for your honor or contentment I will accept . . .”20 (1239). Once again one wonders how this would have played for Florentine republican readers, who saw in such one-man rule and unjust claims of honor the essence of tyranny—the greatest danger to their own republican values and way of life. And in the context of an unloving, unhappy marriage, we are faced with a man and a relationship definitely gone wrong and a poor wife whose suffering Florentines could feel.21 Things quickly go from bad to worse. Evermore the tyrant, Gualtieri deceitfully uses his honor to excuse his most outrageous demands on his wife/subject. First, he has a servant take her daughter away. And making it clear that he is acting on the lord’s orders, the servant implies that he has been instructed to kill the child. With great sadness Griselda hands over her baby. Although Gualtieri is impressed by her obedience and strength in the face of his horrible demand, nonetheless he allows her and his subjects to believe that the child has been killed, while he secretly sends it off to relatives in Bologna to be raised. Continuing his testing of her, when she gives birth to a male child and heir, he once more claims the child’s life, using again the excuse of fearing for his honor and his rule. Woman, because you have made this male child, I cannot find any peace with my subjects as they complain insistently that a grandson of Giannucole will after me become their Signore, so I have decided that if I do not want to be overthrown, I must do with him what I did to the other [child]. Moreover, given all this [I must sooner or later] leave you and take another wife.22 Dioneo, however, makes it clear to his listeners that once again this claim is false, noting that Gualtieri’s subjects were not complaining about the boy’s humble background or the loss of honor it implied. In fact, he points out that in the face of the apparent murder of both children, his subjects “strongly damned him and held him to be a cruel man, while having great compassion for Griselda.”23 Hardly the response of those anxious to see an unsuitable heir or wife eliminated or those enthusiastic about their exemplary prince, as Petrarch misleadingly portrayed him. Still, as her lord and their tyrant, both she and they had no option but to bow down before his cruel will, yet another lesson about the dangerous honor of lords and their potential for heavy-handed tyranny that would not have been lost on republican Florence. So, the second child joined the first in apparent death—while Griselda lived on sadly under the shadow of her husband’s warning that eventually he would end the whole problem of her humble birth besmirching his honor and threatening his rule by putting her aside  to take an honorable bride. And finally, after twelve years Gualtieri decided that his daughter had grown old enough to pass as his new bride; and it was time for the last tests of his wife. Thus, he acted onhis earlier promise, informing her that he was ready to dissolve their marriage in order to take a more suitable wife. Claiming that he had secured a dispensation from the pope to put her aside, he gathered his subjects together to make the announcement that he was sending her back to her father and her humble life as a peasant. Evidently, he was not content to continue his cruel testing of his wife in private; rather his cruel deeds had to be displayed before his subjects. The power to rule and the honor it required were at play and perhaps also a desire to warn his subjects that he was their signore as well and capable of similar deeds to defend his honor and assert his control over them. But considering what fourteenth-century Florentines would have made of this new outrage is again suggestive; for almost certainly they would have seen in this a cruel lord acting as a tyrant, mistreating his most loyal subject in a way that no right-thinking republican Florentine would ever accept—in sum Gualtieri was the model anti-prince. Gualtieri announced, then, before his troubled subjects and the abject Griselda, that he was renouncing her as his wife because in the past my ancestors were great nobles and lords of these lands, where your ancestors were always laborers (lavoratori ), I wish that you will no longer be my wife, but rather that you return to the house of Giannucole . . . and I will take another wife that I have found that pleases me and is befitting [to my status].24 In sum, his ancestors were nobles and rulers and Griselda’s were humble laborers; therefore, their marriage was unsuitable and he was literally suffering the dishonor of being a lord badly married. The term “lavoratori ” used to describe her ancestors, while it could be used as a synonym for a peasant, may well have suggested something more troubling yet. The more normal terminology for Griselda’s ancestors would have been contadini or villani,25 but by contrasting his nobility with her status as descended from lavoratori, Gualtieri once again was asserting status claims that would have ruff led Florentine feathers. For the people of Florence, who had fought so hard across the thirteenth century to drive out high-handed nobles like Gualtieri, had done so in the name of protecting the laborers of the city from just such high-handed behavior. In fact, the Ordinances of Justice labeled such behavior as typical of the nobility. And the Ordinances were celebrated as wise legislation designed to discipline and punish the nobility and protect lavoratori from their high-handed ways. Once again, the recent attempt to eliminate the Ordinances in 1342 and the threat that posed to the laborers of the city would have added weight to the negative valence of Gualtieri’s speech.26 All this cruel testing of Griselda calls up echoes of another person often associated with her and this tale, who had also suffered greatly under his lord, the biblical Job. In fact, commentators have often pointed to the parallels betweenGriselda’s patient suffering at the hands of her signore/lord/husband and Job’s suffering at the hands of his Signore/Lord/God as a reason for seeing her as an exemplary wife and loyal subject accepting her husband’s rightful dominance, just as Petrarch later recreated her.27 There is an immediate problem with this parallel, however, for Job’s Lord did not actually deal out the setbacks that deeply wounded him. He merely withdrew his protection and left the door open for Satan to attempt to destroy Job’s faith, ultimately without success. From that perspective Gualtieri seems more to parallel Satan than God. Despite that often-overlooked theological nicety, however, the God (Signore) of the Old Testament who allowed the testing of Job might seem to vaguely parallel at a higher level her lord (signore), Gualtieri’s, testing of Griselda. But tellingly in the Trinitarian view of time being preached aggressively in Florence when the Decameron was being written and as war loomed with the papacy, that Old Testament God and His troubling relationship with humanity following the original sin of Adam and Eve—often portrayed as dishonoring that Signore —was seen by many as no longer the order of the day. Christ’s love and his sacrificing of his honor to die as a common criminal to save humanity was seen as inaugurating a new order and dispensation, a view especially stressed by a powerful group of local preachers at the time. And the Godliness of that new age, Boccaccio’s present, was totally alien to Gualtieri and totally alien to his relationship with his wife and his subjects—for crucially, he explicitly rejected love in favor of jealously protecting his honor, much like the vengeful Lord of the Old Testament and nothing like the God of Love of the New. In a work that over and over again stresses the importance of love, love in marriage and in the best relationships between men and women, Gualtieri becomes the cruel husband, the anti-prince, the tyrant par excellence, and a ref lection of a relationship with the wrathful God of the Old Testament that no longer obtained. And, of course, this last tale of the Decameron is told by Dioneo—literally “Dio Neo,” the “new god” of love—who makes it clear that he finds Gualtieri unsuitable as a husband, ruler, and most certainly as any kind of a lover. But this was merely the prelude to his last cruel testing of poor Griselda. For Gualtieri then demanded that she return to prepare and oversee his wedding to his new bride. Once again Griselda accepted this command. But significantly Dioneo insists on making a critical clarification: Griselda accepted his cruel command not as a patient ex-wife or as a loyal subject, but out of love for Gualtieri. He explains that she accepted only because “she had not been able to put aside the love she felt for him.”28 Thus she returned to the palace as a servant, to prepare the new wedding for her beloved. Dioneo relates a number of humiliating moments in the preparations and underlines once again their injustice by noting the deeply troubled reactions of Gualtieri’s subjects to her abuse and their repeated calls for a more just treatment of her. The humiliation comes to a head when Gualtieri has his new bride brought to his palace for the wedding. Presenting her to Griselda, he cruellytwists the knife of her humiliation in public again, asking her opinion of his new lady. She answered, My lord . . . she seems to me very good and if she is as intelligent as she is beautiful, as I believe, I am certain that you ought to live with her as the most content signore in the world. But still I would pray that those wounds that you gave before to the earlier one [wife], you spare this one; because I doubt that she could resist them, for she has been raised with great gentleness, whereas the other was used to hardships from her childhood.29 Yes, Griselda has suffered and finally even she has complained. Subtly, and without ever referring to herself by name, she has pointed out finally the unjust nature of his rule over her and by implication over his subjects. It would be satisfying to claim that Griselda’s final faint demonstration of defiance caused Gualtieri to change his ways, but Dioneo has already informed us that Gualtieri was ready to act even before she spoke. Thus ignoring her comments, he declares: Griselda it is time that you finally hear the fruit of your long patience and that those who have held me to be cruel and unjust and bestial learn that it was all according to plan, wishing to teach you how to be a wife and teach others how to pick and keep a wife and [finally] to guarantee my peace as long as we would live together.30 In the end, then, even Gualtieri admits that his lordly ways have been cruel, unjust, and bestial, but he justifies them by claiming that he has taught Griselda how to be a good wife. And many commentators, following Petrarch, have taken this claim at face value, arguing that Gualtieri is the demanding but just hero of the tale and Griselda the ideal wife fashioned by his treatment of her. Yet, in fact, as the story makes clear over and over again, his cruelty did not teach her anything. She came to him, as she has just pointed out, already accustomed to suffering and accepting the hardships that life brought her as a peasant. She was born into hardship and suffering and she adapted quickly to her lord and his mistreatment because of her own inherent peasant ability to suffer and lack of a sense of honor. Indeed, one would be hard put to find a place where the tale or Dioneo suggest that she learned anything from Gualtieri. And while the fourteenth-century Florentine readers of this tale were more usually urban dwellers than peasants and thus theoretically not as inured to hardship and suffering, they were proudly not nobles either, and it is hard to imagine them accepting from local nobles the treatment that Gualtieri dished out. Moreover, it is hard to imagine that they would have felt sympathy for Gualtieri’s defense of his cruel ways, as they too would have been unlikely to feel any need for such lessons from nobles or signori to learn the patience necessary to survive as subjects (as they had recently demonstrated throwing out their own Gualtieri) or for that matter even to survive as wives.Actually, it might seem strange that finally after retaking Griselda as his wife and explaining his whole plan to his subjects and her, the couple are portrayed by Dioneo as living happily ever after. But providing an explanation for that improbable happy ending is a startling and significant admission by Gualtieri: for, as unlikely as it might seem, all his cruel tests have led him finally to a crucial transformation— the decisive often overlooked climax of the tale. He has finally discovered the emotion of love and has fallen in love with his victim, Griselda. He confesses at the last: “I am your husband who loves you more than anything and believe me when I say that there is no man more content than I in his wife.”31 Crucially with that admission, and Griselda’s ongoing love that survived his every cruelty, no longer is their marriage simply an unhappy mismatch with a wife subject to her lord/husband defending his misguided honor and selfish noble pleasures. Rather, now it is exactly the kind of marriage that the Decameron advocates over and over again. With love as its emotional base, the happy ending that the story, and the Decameron itself, requires is possible and Gualtieri, his wife, and perhaps even his subjects can live happily ever after—not a divine comedy perhaps but a human one.32 For in the end Griselda survived a cruel lord, and with her willingness to suffer and peasant patience, she, not he, for a moment at least became the true teacher, teaching a tyrant who rejected love to love and to become a true prince—in this she was perhaps more Christ-like than Job-like. Let me suggest that by contemporary Florentine standards or those of the imagined and real women listeners of Dioneo’s tale, Gualtieri’s mistreatment of his wife was anything but a model of an ideal marriage until everything changed with love at its conclusion, despite Petrarch’s claim to the contrary. In the end, then, she was a victim, but in ways that many critics have had trouble seeing. First, of course, at the hands of her cruel lord/husband. But also at the hands of the would-be aristocrat and anti-republican Petrarch. For despite his claims about what he saw as an ideal of marriage, he also retold her tale in Latin to celebrate the honor of the often cruel signori—tyrants and lords—that he cultivated for patronage and support far from the republican Florence that claimed him at times with difficulty as an honored son. Still, in the end she and love won out, a fitting conclusion to the new god of love, Dioneo, and his tale, as well as to Boccaccio’s Decameron.Notes 1 I have used for this tale and all citations from the Decameron the classic edition edited by Vittorio Branca: Boccaccio, Decameron. In this reading that looks more closely at the Marquis of Saluzzo, I am following the path breaking lead of Barolini in her article “The Marquis of Saluzzo.” But I emphasize more a Florentine perspective on the tale than Barolini and am less inclined to follow her strategy of using game theory to explain what she labels as the Marquis’ beffa. I discovered after I wrote an early draft of this essay Barsella’s excellent article “Tyranny and Obedience.” My account stresses more the marital as well as the political side of the tale and looks more closely at the Florentine political and social world of the day, while she offers a more complete analysis of the ancient and medieval theoretical literature on tyranny; but we both agree that the tale is more about Gualtieri as a tyrant than about Griselda as a model wife.2 Decameron, 1233. “Beastly” often seems to serve as code word or signal that the male so labelled has sexual appetites that are “unnatural” by Boccaccio’s standards and hence like those of a beast. If beastly is being used in that sense here, it would add another dimension to the Marquis’ rejection of marriage and the love of women, one that Boccaccio regularly paints in a negative light. Barolini provides an interesting discussion of the term drawing similar conclusions but emphasizes its echoes of Dante’s usage of the term, along with its classical and Aristotelian dimension—a perspective that would undoubtedly have had its weight for learned readers and listeners, but perhaps less for a broader audience at the time. Barolini, “Marquis of Saluzzo,” 25–26. 3 Ibid., 1233; italics mine. 4 Ibid., 1234. 5 The three are described as the young sons of a noble knight named Tebaldo from either the Lamberti or the Agolanti families—both Ghibelline families exiled from Florence in the late Middle Ages and thus suspect already in fourteenth-century Florence with its strong Guelf tradition. 6 Although it should be noted that the prospects of profits from loaning money to the English had become less appetizing after the recent failure of Florentine banks in 1342, in part caused by the King of England’s reneging on his debts to them. Actually, recent scholarship has argued that local bad loans in Tuscany and debts built up in the ongoing wars in the region were more responsible for the bank failures, but contemporary accounts tended to place a heavy emphasis on the King of England’s actions—perhaps as a way to divert attention from the more local issues involved. Barsella notes also this connection in “Tyranny and Obedience,” 74–75. 7 Ruggiero, Machiavelli, 163–211. This vision of virtù and its development across the Rinascimento in Italy is one of the central themes of my effort to reinterpret the period in my book The Renaissance in Italy. From this perspective, Boccaccio’s Decameron with its stress on virtù is a work that fits more in the world of fourteenth-century Italy than as a work of medieval literature as it is often characterized. Of course, many of his tales have medieval sources and echoes, but significantly they are rewritten with a very different set of values more characteristic of fourteenth-century Florence and the city-states of central and northern Italy. 8 Walter (Gualtieri) of Brienne actually makes an appearance in the Decameron in his own right as one of the nine “lovers” of the Sultan of Babylon’s daughter, and a quite bloody “lover” at that (II, 7). Boccaccio also wrote a quite uncomplimentary account of his life in his De Casibus Virorum Illustrium, Lib. IX, cap. 24. 9 Decameron, 1234. Dioneo, however, does follow this comment with what appears to be a compliment for this lack of desire to marry, “for which he was to be seen as very wise” (1234). Yet what follows undercuts the force of this apparently very traditional negative vision of marriage. And throughout the Decameron Boccaccio seems to provide an unusual number of tales that see well-matched marriages as positive and at least potentially happy. 10 For this see the discussion in Ruggiero, Machiavelli, 24–6, 172–73 and Giannetti, Lelia’s Kiss, 18, 131–34. 11 While the character Gualtieri had the same name as the recent Florentine would-be tyrant, this is not to argue that he was the only tyrant being referred to in the tale. In actuality Florence was surrounded by dangerous and aggressive tyrants who were capable of instilling fear in the city even if they were not named Gualtieri. As often noted, the fourteenth century, following in the footsteps of the thirteenth, was a period where republics were losing out to tyrants everywhere and Florence found themselves surrounded by aggressive signori on virtually all sides. 12 This lack of love also played a significant role in his lack of a positive relationship with his subjects, once again the micro-level of life, in this case marriage, reflecting the macro-level of life, in this case Gualtieri’s rule. Both lacked love and that stood literally at the heart of his negative consensus reality for his subjects and for the Florentine readers of his tale. 13 Clearly with the repetition of “insisting” and Gualtieri’s will, the tale is playing on will as a dangerous source of sin when misplaced as it is in this case. Of course, will from a1415 16 17 181920 2133theological perspective is the basis of all sin, which in the end is merely willing to turn away from the good and ultimately God. In this case Gualtieri might be seen as willfully turning away from love, the good and God much like Satan turned away from love, the good and God in the greatest rejection of all. At this moment in the tale with his willing misdeed, it might be argued Gualtieri confirms his fallen state. Barolini suggests that in these demands Gualtieri, unhappy with his subjects’ calls for his marriage, is setting up a beffa at their expense—a very typical form of Florentine joke that in this case punishes them for forcing him to marry against his will—and the key to the beffa is forcing them in turn to accept the peasant wife that he will pick unbeknownst to them. Although there is a logic to this perspective, it seems more likely that contemporaries would have assumed the driving force in his decision to take a peasant as a wife was his belief that she would have to be totally subservient to him, something that Barolini stresses as well. Decameron, 1235. Although the text is clear that Gualtieri entered the house alone, the discussion between Gualtieri, the father, and Griselda requires that she had entered as well. Perhaps it is significant that she is so humble that her entering the house with Gualtieri does not require mention. Ibid., 1237. The Ordinances of Justice were first passed in Florence on January 18, 1293 and while their meaning at the time has been much debated, they became with time a kind of civic monument to the ideal of Florence as a republic ruled by the popolo without the interference of the traditional Tuscan rural nobility, labeled magnates, who had once dominated the city. For the debate and the more complex reality of the Ordinances and the magnates themselves see my Renaissance, 77–82 and 94–97 and the overview of Najemy in A History of Florence, 81–89, 92–95, 135–38, and for a more detailed study see Lansing, The Florentine Magnates. Suggestively, Petrarch in his rather different retelling of the tale, softens this act of prepotency and male power that once again here strongly underlines Gualtieri’s cruelty and lack of required manners. He adds the telling detail that Gualtieri had Griselda surrounded by women of honor before she was stripped. Here we see how the tale could be changed to make it a hymn to a wise and careful husband anxious to arrange the right kind of marriage that would assure a matrimony that functioned as it should with the husband in command and the woman subservient and obedient. But Dioneo’s careful scripting of Gualtieri’s boorish and self-centered behavior in line with his high-handed ways that evoke the psychological violence of the old nobility, strongly suggest a very different vision of Gualtieri and his marriage—a negative vision in line with many of the tales about the injustices of arranged marriages in the Decameron. Decameron, 1239. One might note here that although Griselda is clearly a victim, she is hardly a heroine as often claimed by critics. There are in fact any number of actual female heroines in the Decameron whose tales were constructed to show their virtù and ability to control their own lives and virtually always their goal of winning a meaningful love in life and often in marriage. Perhaps the best example of this, and a virtual anti-Griselda tale, that gives the lie to Petrarch’s and later critics’ vision of Griselda as a model wife is the tale of Gilette of Narbonne (III, 9), who empowered by love cures the king of France and overcoming a series of seemingly impossible trials (typical of medieval lover’s tales and more normally male knights) in the end thanks to her virtù wins the love of the man she loves, her husband, Bertrand of Roussillon. In this tale he is also portrayed as a cruel lord, but Gilette is anything but passive and takes her life in her own hands to win out in the end—a model of what a woman can accomplish with real virtù in the name of love. It is suggestive also that Gilette is an upper-class non-noble from an urban setting not unlike the Florentine readers of the Decameron and much more easily accepted as active and aggressive than the humble peasant Griselda. Similar virtù overcoming a husband both cruel and foolish is presented also in tale (II, 9) where a Genoese woman, who takes the name Sigurano da Finale, passes as a male and flourishes in a series of adventures thanks to her virtù and in the end recovers the love of the husband she loves despite his murderous misdeeds.3422 23 24 2526 2728 29 30 31 32Guido RuggieroDecameron, 1241. Ibid. Ibid., 1242–43. In fact, this is the only use of the term in the tale, usually she and her father are referred to as poor and it is noted that he is a swineherd not a laborer. The title of the tale refers to her as “una figliuola d’un villano” and later when referring to her unexpected virtù, her dress and by inference her status is referred to as “villesco”: “l’alta vertù di costei nascosa sotto i poveri panni e sotto l’abito villesco.” For this see Brucker, Florentine Politics, 114; Najemy, Florence, 135–37. On the Ordinances see note 18 above. Branca actually points out the textual parallels noting that in the story of Job I:20 he states “Nudus egressus sum . . . nudus revertar” in reference to Griselda’s “ignuda m’aveste . . . Io me n’andrò ignuda . . .” (1243). In the New Oxford Annotated Bible, the famous lament of Job is rendered “Naked I came from my mother’s womb, and naked I shall return; the Lord gave, and the Lord has taken away; blessed be the name of the Lord” (Job I:20 [614]). Decameron, 1244–45. Ibid., 1246. Ibid., 1247. Ibid. Critics have from time to time referred to the Decameron as “The Human Comedy” playing on an apparent contrast with Dante’s Divine Comedy, but I would suggest that Boccaccio’s comedy was more divine than it might at first seem and Dante’s more human.Bibliography Barolini, Teodolinda. “The Marquis of Saluzzo, or the Griselda Story Before It Was Hijacked: Calculating Matrimonial Odds in the Decameron 10:10.” Mediaevalia 34 (2013): 23–55. Barsella, Susanna. “Tyranny and Obedience: A Political Reading of the Tale of Gualtieri (Dec., X, 10).” Italianistica XLII, no. 2 (2013): 68–77. Boccaccio, Giovanni. Decameron. Edited by Vittorio Branca. Turin: Einaudi, 1992. Brucker, Gene. Florentine Politics and Society 1343–1378. Princeton, NJ: Princeton University Press, 1962. Giannetti, Laura. Lelia’s Kiss: Imagining Gender, Sex, and Marriage in Italian Renaissance Comedy. Toronto: University of Toronto Press, 2009. Lansing, Carol. The Florentine Magnates: Lineage and Faction in a Medieval Commune. Princeton, NJ: Princeton University Press, 1991. Najemy, John. A History of Florence, 1200–1575. Oxford: Blackwell, 2006. Ruggiero, Guido. Machiavelli in Love: Sex, Self, and Society in the Italian Renaissance. Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 2007. ———. The Renaissance in Italy: A Social and Cultural History of the Rinascimento. New York: Cambridge University Press, 2015.3 SEXUAL VIOLENCE IN THE SIENESE STATE BEFORE AND AFTER THE FALL OF THE REPUBLIC Elena BrizioSexual violence in Renaissance and early modern Siena was widespread, barely manageable, and apparently accepted, though not always legitimized, especially when it applied to particular social classes. Both the nobility and the clergy considered it their “right” to engage in behavior that underscored their social superiority.1 This included not only the use of weapons, but also brawls, thievery, private vendettas, and sexual violence. Such behavior did not, however, pertain only to them: commoners also forcefully imposed their brutality, sexuality, and violence on less powerful victims who happened to be in the wrong place at the wrong time, or whose only fault was their vulnerability. But not all victims, whether male or female, endured violence passively. For everyone whose voice was not heard, there were many others who, in spite of their age or sex, protested the violence they had endured and described it in detail. Unlike other Italian cities, medieval Siena did not have a single government office charged with the social control of the population and the suppression of behavior deemed to be unacceptable.2 This changed in 1460 when the government established the office of the Otto di custodia (Eight in charge of Protection) to oversee behavior and public health.3 After several changes to its name and tasks, the office was abolished in 1541 by the Spanish protectorate, and then reestablished in 1554 as the Ufficiali sopra la pace (Officers in charge of the Peace) in order to settle citizen disputes and prosecute both blasphemy and violence. Yet this incarnation was also short-lived, and the office was abolished at the fall of the Republic in 1555.4 The administration of justice was entrusted first to the Captain of the People (Capitano del popolo), and then to the Captain of Justice (Capitano di giustizia), before being abolished in 1481. Some of its tasks were entrusted to the Rota court in 1503, but in the event the 1481 suppression was not definitive, and the Captain of Justice seems to have recovered some functions in the first half ofthe sixteenth century. The office of the Captain of Justice was formally revived when Duke Cosimo I de’ Medici issued an edict on the “Reformation of the Government of the City and State of Siena.” in 1561, and it acquired criminal jurisdiction over the city and the podesterie (the administrative structures into which the countryside was organized).5 The Captain of Justice also gained those tasks previously entrusted to the Criminal Judge (Giudice dei malefizi ),6 and functioned under the supervision of the Governor (Governatore).7 The Governor was now the top official in the new administration. He enjoyed “broad political and administrative functions, supervised the public order, issued regulatory actions and had the control of all sentences of tribunals.”8 All other magistrates lost their jurisdiction over criminal lawsuits.9 These frequent changes to judicial offices in Siena help us understand why documentation on crime is scattered throughout many different archival collections and series. It is also incomplete, because much material has been lost. As a result, it is not possible to analyze the Sienese records in as thorough a social or statistical way as it has been done for Florence.10 The preliminary analysis presented in this essay—which uses Sienese documents for the years just before and after the fall of the Republic (1555)—will serve to illustrate at least some cases of violence at a time in Sienese history that, from the perspective of the history of crime, still awaits detailed analysis. A preliminary analysis reveals just the tip of the iceberg. One of the questions that arises from a first glance at the documentation is why so much of the surviving documentation refers to violence in the countryside and not in the city. Perhaps extra-judicial agreements between the parties, reached in order to avoid denunciation, were more common or widespread in the city. Or, perhaps, much of the documentation for urban violence has not survived to the present day. In Siena, and especially in the Sienese countryside already devastated by war, famine, and other problems, Medicean legislation over criminal activities took a long time to be applied and become the norm. One of the reasons for this was that the countryside suffered from a very slow reconstruction process. It took not only time, but a lot of effort, to erode and limit local authorities and personal powers that, for decades after the fall of the republic, continued to impose a social code that penalized those on the lower levels of the social scale.What the law said The rubric on sexual violence in the last republican Sienese statute (1545) followed medieval precedent and listed only adultery, rape, and abduction, in that order, as crimes of violence.11 Sexual intercourse with a married woman of whatever social rank or with an unmarried virgin was punishable by the imposition of a financial penalty; abduction for the purpose of sexual violence, on the other hand, was punishable by death. The definition of sexual violence required that the abductor (raptor) marry the victim, if the father or the senior male members of her family deemed it appropriate, or alternatively that he provide her withSexual violence in the Sienese state 37a dowry. If sexual violence was perpetrated against someone’s wife or daughter, it damaged the honor of the husband and the family, so the culprit had to, somehow, adequately restore that damaged honor.12 Sexual violence by men on men, described in the statute as “a dreadful kind of violence that is used against nature on men,” demanded that the rapist be jailed and pay a fine, but if the rapist was over forty years old, he was to be burned at the stake.13 The regulation in the Duchy of Florence was similar: in 1542 Duke Cosimo I revised the law against “the nefarious, detestable, and abominable vice of sodomy” and not only increased the fines but also imposed physical punishments and even the death penalty on repeat offenders.14 Once Siena had been ceded by King Philip II of Spain to the Medici in 1557 and incorporated into the duchy of Tuscany, the 1558 revision of the Florentine law on sexual violence also applied to the city. This revised law removed the fines and imposed only physical punishments for “those who will use force and violence to women and men to satisfy their sexual desire.”15 If the violence did not lead to an effusion of blood, the culprit was to be sent to the galleys for a certain number of years to serve as a chained rower; if, on the other hand, there had been an effusion of blood the culprit was to be executed. The only exception allowed, and this only for Florentine and Sienese citizens, was commuting the sentence to the galleys into a jail term, but this only at the discretion of Duke Cosimo I. Such discretion generally depended on the social rank, personal reputation, and family honor of the culprit.The rape of women and young girls The new law was tested almost immediately. “Since this case was of such manifest enormity, and the first since the publication of Your Excellency’s last pronouncement against violence on men and women”:16 so begins a letter by Orazio Camaiani (or Camaini),17 a diligent official and Captain of Justice in the “New State” (Stato Nuovo) of Siena, to Duke Cosimo I de’ Medici in the winter of 1559. Camaiani went on to relate a case of attempted sexual violence against “a poor widow of Belforte” who, on resisting her attacker, was hit by him so hard that she bled.18 Camaiani’s information came not from first-hand observation, but from letters he had received from the vicar of Belforte (fol. 13r), a small mountain-top hamlet about 45 km west of Siena. It included all the necessary negative requirements—night, loneliness, violence. The “poor widow,” who is never named in the letter,19 had been assaulted during the night in her own home by two men who entered on purpose in order to rape her; she resisted the attack, screamed loudly, and was wounded in the head and face. Her attackers ran away without succeeding in their intent. The widow did, however, recognize one of her attackers, “a certain Terenzio Usinini, Sienese” (fol. 13r) and reported him. The Captain of Justice thus knew for whom to look. The information was sent to Duke Cosimo I, but what has survived is scattered and incomplete. It does, however, point to the many cases of violence in a territory that was still sufferingfrom the aftermath of the raids and devastations brought about by the recent Florentine conquest of Siena (1552–59) and the republic’s difficult process of submission to its new Florentine lord. We know very little about Terenzio Usinini. There is no record of his having been baptized in Siena,20 so we can assume that he was born and baptized in the countryside. He also does not appear among the very few Usinini who held secondary appointments in Sienese offices.21 His family pedigree or that fact that the family belonged to one of the major political groups in Siena, the Monte of the Riformatori, were of no help to him—in referring to Terenzio, the Captain of Justice noted that “a worst name against a person cannot be heard in the entire town.”22 In fact, Terenzio did not have a good reputation—after hearing that he had been accused of attempted rape, other women in town went to the Captain of Justice to report that he had raped them, too, or had attempted to do so. Terenzio managed to escape arrest on this occasion, but his accomplice, a priest, was not as fortunate—he was captured thanks to a peasant who tricked him with the help of a woman who was priest’s former lover. The incomplete records do not tell us what happened to either Terenzio or the priest. We can, however, determine that Terenzio seems to have been a violent highborn individual who behaved as if he were above the law and thought he could force his sexual desires upon subordinate women. This may, in fact, be to a certain extent true because Terenzio seems to have managed somehow to escape justice. While highborn locals might have been able to get away with sexual violence and escape justice, the sexual misbehavior of state officials, who were to uphold the legal system, was more problematic, especially when such officials used their power to abuse women and girls. Already in 1378, Pietro Averani from Asti, a district judge was dismissed because he had used the power of his office (sub pretextu offitii ) to rape a young virgin girl living in Siena.23 In a case from 1554, a community in the countryside asked the government in Siena to “immediately” send another commissioner to replace the current one whose violence against some local women was such that it was about to cause serious disorders. One “young, respectable, and good” local woman even went to Siena herself and, in tears, described to the magistrates how the said commissioner had come into her house at night on the excuse of seeing how the soldiers had been billeted and had started to lay his hands on her, at which point she had begun to scream and he stopped.24 Though problematic, the sexual misbehavior of this representative of the legal system seems to have elicited little more than a request for removal from the post or relocation, and no actual physical punishment meted out on the guilty party. We do not know whether this was the limit of what plaintiffs could expect. In a different case, blasphemy was added to the charge of attempted violence. This rendered the accusation much more dangerous because blasphemy was considered an “open crime,” that is, clear and public. Angela reported that Bastiano, the servant of the Bargello (that is, of the chief of police), “on many occasions requested her honor from her.”25 After beating her several times because sherefused, he entered her house while her husband was away and tried to rape her, at which point she started screaming. After threatening her, “he pointed the dagger at her throat saying ‘whore of God, if you scream I will slaughter you,’” but she continued to scream and so he left. The examples given so far point to a somewhat spontaneous, even impulsive attempt on the part of the men to engage in sex with an unwilling woman. There are also cases of carefully planned attempts. Agnoletto the Corsican, for example, not knowing how other to seduce a young woman, did so by impersonating a priest; “because he did not know how else to rape a young girl, he took the clothes the archpriest wore during Lent and, dressed like him, started confessing her in church.” This particular record continues by pointing out that Agnoletto “raped many women and did other impudent things.”26 We have further examples of premeditated rape. A notary reports that Pompeo di Giovanni from Monticello, a 45-year-old man, married and with two daughters, had engaged in “robberies, rapes and, in general, all other sorts of abuses done and committed” including “raping, together with other men, Iacoma the daughter of Filippo, his relative,” and of “having prided himself for having entered through the roof into Antonia di Censio’s house only to have sex with her and perhaps he did so, and because there was no point in screaming she, for the sake of her honor, kept quiet about it.” The notary continues his report with the comment that he “will remain silent on what Pompeo did to certain poor young women who were walking by” and then concludes by recording that Pompeo was eventually found guilty of a long list of robberies and sentenced to the gallows.27 After the Council of Trent (1545–63), a new detail enters into notarial descriptions of sexual violence: some defendants now tried to justify themselves by explaining that they had been tempted by the devil. In 1571, Sandro was accused of raping five-year-old Santina in a wheat field and causing her to bleed from her vagina.28 In his defense, Sandro told the Captain of Justice that when he went in the field to “shout at some children doing some damage,” Santina and Elisabetta came by. Sandro was then tempted by the devil to sit down and grab the said Santina and put her on his lap, and having pulled out his tail [i.e. penis] through the opening of his trousers, he inserted the second finger of his right hand into Santina’s nature [i.e., vagina] and, having seen that it could enter easily, took out his finger and started pointing his tail towards her nature and, in so doing, he could have hurt her and she shouted one or two times. Hearing the little girl scream, her uncle Domenico rushed to help her and found her crying and “totally wrecked and bloody.” He hit Sandro with a bow he had in his hands and moved him away from the girl. Sandro later confessed that since he could not put his member inside Santina’s nature, he was about to finish [i.e. ejaculate] between her thighs or in some other way as best hecould because the devil grabbed him by the hair and he [Sandro] could not stop himself, but the said Domenico stopped him. Sandro’s deposition claims that when he was raping the girl he was not his own self, but was under the control of the devil to the point that he was not physically able to do otherwise until an external force, Domenico, interrupted him and stopped the devil’s control. Referring directly to the 1558 law mentioned above, the Captain of Justice pointed out that, in cases of violence with effusion of blood, the accused must incur the death penalty. Perhaps to elicit a more merciful sentence, the Captain of Justice described Sandro as “a young man between 25 and 30 years old, a bachelor, and more a fool than a scoundrel.” The plea was successful—Sandro was spared his life and received the lighter sentence of “two or three years in the galleys.”A matter of honor, but whose honor? In a letter of March 1524 to the government in Siena, Bartolomeo di Camillo, at that time podestà (chief magistrate) of Sarteano, reported a disturbing case of rape: A certain local man, Agnolo di Ipolito, entered into the house of a certain Giovanni Baptista Tucci, a citizen of Siena, and found a daughter whose name is Iuditta, who is around fourteen-years-old and not yet married, and violently took her and because she did not consent, he started hitting her and eventually he raped her by force so that he broke her nature. 29 Podestà Petrucci then went on to say that: It seemed to me that, since I am in this town, for the honor of your Excellencies first and for my own honor secondly, I had to bring this shameful case to your attention so that it will not go unpunished. Petrucci explained how he sent soldiers to Agnolo’s house to arrest him, but the accused was defended by one of his brothers and other relatives, as well as by the town’s priors. Because the victim’s father, Giovanni Baptista Tucci, was a Sienese citizen, Sienese statutes applied and overrode Sarteano’s local customs and statute (capitoli ). Petrucci thus assumed that he had the authority, as podestà of Sarteano, to deal with the case, so “In a friendly way, I let the Priori know that I did not want to bypass their local customs, but I wanted [to uphold] my honor.” The situation quickly deteriorated and one of Agnolo’s relatives fired “two rif le shots together with offensive words” against the podestà. Another relative, Petrucci reports, “told me, answering back, that if I would have gone to his house, he would have punched not only me, but Christ himself.”Two days later, Petrucci reported that news of the rape had reached one of the subordinate judges in his podestarial team, and that this judge, together with some soldiers, went once again at Agnolo’s house to arrest him. Agnolo’s uncle, Ser Giovanni di Gabriello, threatened them, saying that if the judge tried to get in, he would throw bricks or stones at him. In his report to Siena, Petrucci underlines the fact that “Your Excellencies know that these actions are done against you, that in this place I am your delegate, and that in order to preserve your honor I am ready to give my life.” Two days after this, Cardinal Giovanni Piccolomini, archbishop of Siena, wrote from Rome to the Sienese Concistoro (the lords and main officers) in support of Ser Giovanni; perhaps as a way to show that Ser Giovanni enjoyed important connections and patronage, or perhaps as an attempt to limit more severe outcomes. “Because they had some other enmities [in town]” cardinal Piccolomini informed the Concistoro, Ser Giovanni di Gabriello and his relatives did not recognize, in the darkness of the night, the podestà ’s soldiers and so they defended themselves. He added that Ser Giovanni “in a good-natured and simple way used some inappropriate words” without realizing that he was speaking to the podestà and his soldiers. Cardinal Piccolomini continued that he was certain that the lords of Siena would recognize “the good faith of this country town and in particular of the family and household of said Ser Giovanni who have always been good servants of our city” and suggested that the lords “might show all possible leniency.” A month later, podestà Petrucci happily wrote: Magnificent, excellent and powerful lords [. . .] in order to carry out what your Excellencies have ordered [. . .] I sent for Giovan Baptista Tucci, his wife, and his daughter on the matter of what Agnolo di Ipolito had done, and about the marriage that has to be contracted between them.30 Clearly, the legal solution reached in this case of rape was for the rapist to marry his victim. The records do not indicate what Iuditta, the victim, might have thought of such a solution, or even what she felt about the entire case. There is no trace of her in the reports or the letters. What is ever-present, instead, is the matter of honor—the honor of Siena, of its magistrates, and their delegate, of the town of Sarteano and its priors and local statutes; of Agnolo’s family; of Tucci’s family; and of Iuditta’s own self, which would now be restored through marriage with her assailant. In all of this, the discourse is male while the female voice of Iuditta is completely absent.The rape of young boys Rocco from Campiglia confessed under torture that, while he was at home eating, a certain Curtio, a little boy around eight years old, entered his house and asked him for something to eat; the said Rocco grabbed him and laid him over a table and, having lifted his clothes, put his tail [penis] between the boy’s butt cheeks with the intention of knowing him carnally.The boy’s screams stopped Rocco from proceeding any further in the attempted rape. Under questioning, Rocco admitted that “he did put [his penis] between the boy’s thighs but then finished the job with his hands.”31 In light of the accusation and confession, the Captain of Justice in 1571 asked not only that the usual fine for such sodomitical activities to be levied on Rocco, but also that he be given jail time on account of “the young age of the boy.” The request for jail time may point to the Captain of Justice’s understanding of the aggravating factor in the case (the boy’s tender age) and, perhaps, to his personal feelings about it, but the bureaucratic language of the report does not allow us to delve further into the case nor to understand more fully how Rocco himself might have justified his aggression of Curtio. It does, however, point to the risks and dangers that came with child poverty (Curtio entered the house to ask for food) and the opportunistic behavior of men in the grip of sexual impulses. The charges levelled a few years earlier in 1567 against Giovanni, a 25-yearold man from Sinalunga, “strong and well-shaped,” were many and varied.32 The records tell that that he was “in jail, indicted for having carnally known a she-ass and also for having used the nefarious sin [sic] vice of sodomy.” He was also accused of having sodomized Salvatore, a boy of “around four or five years of age and of having broken his ass [sic] sex.” Salvatore was not the only boy Giovanni had attempted to sodomize; he had done the same to “another little boy [also named Giovanni] of the same age [as Salvatore] or a little more”, but this boy managed to run away crying. Under “rather rigorous torture,” Giovanni explained that he had found a she-ass along the way, moved her off the public road and into a scrub where, he felt the need to mount her and so, approaching her from the back, he put his member into her nature, but because she did not stop moving and grazing, after having kept it there for a little while, he pulled it out and climaxed as he did so. Giovanni also confessed to having taken little Salvatore to a vineyard where, having lifted his clothes, he directed his natural member into the boy’s ass [sic] sex, but because the boy was small he could not insert it more than two fingers, and because this was hurting the little boy, the boy started to struggle and scream so Giovanni let him go and climaxed outside, and he did not notice that he had broken the boy’s sex or caused an effusion of blood. An aunt of the little boy declared, instead, that when little Salvatore came home “the blood was running down his thighs and his ass [sic] sex was chapped.” Giovanni justified himself saying that when they were in a barn he told the child “if you come here, I will fuck you” and then added that “it is not true that he wanted to sodomize him.” The records conclude that “in line with the statutesof this city, it does not look as if Giovanni is subject to capital punishment,” even though blood had been spilled, “but we could condemn him to the galleys, with the approval” of the Governor. Aside from the various crimes listed in this deposition (bestiality, sodomy, child abuse, physical violence causing bleeding), there is an interesting idiosyncrasy in the records. The notary seems to have had second thoughts about some of the words he was using and seems to have felt compelled to attenuate the language; he did so by striking out some words and substituting them with more neutral, though still very precise, terms. As a result, “ass” became “sex” and “sin” became “vice.” While the first correction suggests an attempt to use terminology that is less vulgar or vernacular in favor of a more technical term, the second suggests the presence of a moral consideration whereby the Christian concept of “sin” is replaced by the more secular concept of “vice.” All the previous cases deal with sexual violence in the countryside or smaller towns in the region. The only case of sexual violence I have found in the city of Siena itself involved a young apprentice working in a slaughterhouse in the district of Fontebranda.33 Ascanio accused the butcher Lando, an associate of his employer Orlando, of having sodomized him in the slaughterhouse and having beaten him for resisting. Ascanio explained that it happened “in the workshop when we were going to stretch the tallow in the workshop dais” (fol. 169v). When Ascanio turned down Lando’s sexual request, Lando “took me by the arms, tore the lace off my leggings and lowered them. Then he lowered my head, came into me from behind, and did his wicked things [ poltronerie] to me, and once he had done them, he punched me twice in the back.” Ascanio told the court that he informed his employer Orlando, who in turn informed the shop boys working with Lando as well as other people. Ascanio’s accusation was, however, undermined by his own admission that he had already, on several occasions, been the passive partner in same-sex intercourse with soldiers in Montalcino and with a soldier in Siena in the service of Cornelio Bentivoglio (fol. 170v). In other words, Ascanio had previously been sexually active with other men. Perhaps for this reason Lando did not suspect at first that he had been arrested for having sodomized Ascanio, but thought, instead, that he had been arrested for having beaten him (fol. 171r). Questioned on the details of what happened in the slaughterhouse, Lando reported that perhaps Ascanio had misinterpreted his joking words “what do you think, come here I want to fuck you.” This led the judge to interrogate Ascanio once again, this time with his hands tied. The youth once again declared that “Lando started beating me and wanted to force me and he bent me over and sodomized me” (fol. 172r), but this time Ascanio added that he did not resent his having been beaten. Ascanio was then questioned a third time, this time in front of Lando, who maintained his defensive line saying: “I told him jokingly ‘come here, I want to fuck you’ because he did not want to come.” Interrogated again, Lando confirmed “I ordered him to bring the tallow and to stretch it up, but I did not do anything with him nor with anyone else” (fol. 172v). Ascanio, too, continued to affirm his own version of events pointingout that this happened not only at Lando’s slaughterhouse, but once also at Fontebranda (where Ascanio refused to go along with the attempted sodomy). When Lando kept saying that the accusation was levelled at him because of the beating he had given Ascanio, the latter asked the judge call other witnesses saying, “let the shop boys come here and they will tell you what I told you” (fol. 173r). In the end, Ascanio’s situation became quite complicated as he paradoxically changed from being the accuser to being the accused. He was jailed (allegedly on charges of sodomy), but on 25 December, in celebration of the Nativity, he was pardoned and released “by decree of the lords” (fol. 173r).34 Several factors worked against Ascanio. His position as an apprentice was perhaps too weak to sustain the charges he levelled against a master butcher such as Lando, or to raise doubts about the truth of Lando’s deposition. In a situation such as this, the court seems to have given credence to the more senior and more socially respectable individual. Similarly, the fact that Ascanio’s employer failed to support him in his case must have raised suspicions. Lastly, Ascanio’s admission of having previously engaged in same-sex intercourse with soldiers both in Siena and in Montalcino worked against him. Although Ascanio had the courage to denounce a superior for a sexual crime that was not uncommon, his social status and his previous sexual encounters with men not only placed his testimony in doubt, but actually served to find him guilty and put him in jail.The clergy and violence After Siena fell to Florentine forces in 1555 the Sienese government and part of the Sienese population moved to Montalcino, a small town about 40 km due south of Siena, in a last attempt to resist the conquest and preserve the centuriesold republic. Among the volumes of deliberations that have survived from the “Republic of Siena retired in Montalcino” (Repubblica di Siena ritirata in Montalcino) there is the denunciation deposited by Mona Antilia di Andrea, a woman living in Castelnuovo dell’Abate, in which she asks for justice for her eight-yearold son who, she reports, has been “damaged” ( guasto) by the French friar Carlo who worked at the ospedale (hospital or hospice) attached to the Olivetan abbey of Sant’Antimo, in the plains just below Castelnuovo.35 The Sienese authorities summoned the friar to appear in court within three days to defend himself against the accusation that “he had had sodomitical intercourse with the said young boy and had broken his ass” (“di havere fatto culifragio”). Because the friar was French, the court decided to inform the French Marshal Blaise de Lasseran-Massencome, seigneur de Monluc, who had commanded the French troops during the defense of Siena and had then moved to Montalcino with the Sienese government and exiles. A week later, Monluc was informed that the friar had been arrested in Piancastagnaio where the podestà was told to keep the Frenchman in jail and under close surveillance until further notice. About a month later, the friar was transferred to the Franciscan convent in Montalcinowhere the friars were advised of his alleged crime, told to guard him well, and await further orders. At this point, the documents fall silent and we do not know what further ensued with Friar Carlo. We are thus left with no information on what he might have said in his defense, what further evidence the mother and the boy might have brought into consideration against him, or what the final verdict might have been. What we do have, however, is the record of a mother asking for justice against a foreign clergyman who was the subject of, and possibly defended by, a powerful foreign military figure in the region, this during a difficult moment in a war that had devastated the countryside and brought about the near-total collapse of the government and the republic. Civic and moral regulations were still in effect, but the silence of the incomplete records and the transfer of the accused friar to another convent, rather than to a city jail, seem to imply that such regulations had not been strictly applied and that the friar probably escaped justice. The Sienese government, whether in exile or not, was not the only jurisdiction to deal with sexual violence by the clergy. Ecclesiastical courts also dealt with sexual crimes, as we can see from the records in the fonds of Cause criminali housed at the Archiepiscopal Archive in Siena.36 The collection includes the precepts, that is the summons to appear in court, and some of the trial records, but once again many of the files are incomplete. In fact, in the majority of documents and final sentences issued by the archbishop’s vicar are missing, so this case can only be known in its general outlines.Menica and the priest Ser Mauro Criti One case for which we do have a complete set of documents deals with the charges levelled against the priest Ser Mauro Criti, rector of Campriano di Murlo, a hamlet 17 km south of Siena.37 According to the charges brought forth by the victim’s father, the priest used an excuse to enter the accuser’s house and, finding the man’s twelve- or thirteen-year-old daughter Menica alone at home, tried to sweet-talk her by asking her if she wanted him to buy her a pair of shoes. Aware of the priest’s intentions, Menica responded with “I want God to give you a misfortune.” Ser Mauro “then reached out for her neck and kissed her and tried to do something else, but she yelled.” Menica’s shouts were heard by Laura Pasquinetti, a nine-year-old girl who arrived just in time to see the priest leave. He pretended to throw some snow against the window, and said to Menica: “Be quiet, you little beast, I’ll buy you a pair of shoes.” Menica’s father asked that the priest be justly punished, having damaged both his and his daughter’s honor, even though he had to admit that “he could not prove the fact, except as he had told it, because when it happened there was no one else at home.” Although the evidence came from two under-age girls, Menica and Laura, the court was nonetheless obliged to pursue the case. A note signed by FilippoAndreoli, secretary of the Governor of Siena, Federico Barbolano di Montauto, laid out the guidelines the vicar was to follow: The very reverend vicar of the most reverend lord archbishop of Siena will make sure that in the states of His Highness [Duke Cosimo I de’ Medici] crimes committed by priests will not go unpunished and he will not fail to ensure that both public honesty and private interest are upheld. With this note, Andreoli was referring to the 1558 Florentine law on sexual violence and Cosimo’s determination that it be applied evenly and universally. The trial, which lasted almost a year, gathered testimonies not only from the two girls who had been ocular witnesses, but also from many other people, and brought to light the fact that the priest was no saint. At first, the interrogation of Ser Mauro revolved around what he did that day. His responses claimed that his conduct had not been socially improper—he said that when he called at the house and realized that no adult was present he simply went away (fol. 4v). He stubbornly denied having thrown snow at the window, but admitted to having thrown snow elsewhere that day, as confirmed by other witnesses. Brought in for questioning once again, this time with Menica in the room, Ser Mauro reacted with surprise and fear at seeing the girl (fol. 13r), who accused him without fear (fol. 13v). From the examination of other witnesses, the vicar learned that Ser Mauro had also been physically and sexually violent with Caterina, a young girl about fourteen years old, unmarried, who had been brought up by a certain Bernardino. According to testimony, Ser Mauro had “misled and kidnaped Caterina [. . .] brought her to his house, where he kept her for several weeks, raping her and using her contrary to the law [contra forma iuris]” (fol. 23v). He also sought to take advantage of Hieronima, the servant of a priest who had previously been stationed in Campriano. Ser Mauro asked her to wash his clothes in exchange for his giving lessons to one of her sons and then added that he would “give her more affection than the other priest”, and this contrary to the law [contra forma iuris] (fol. 23v). Other witnesses reported that the priest was a confirmed card player and always had with him a deck of cards “that he says is a present from a beautiful girl” (fol. 30v). Ser Mauro denied everything, even under torture, but was found guilty nonetheless and fined 100 lire, removed from his church in Campriano, and confined in Siena for two years.Filippo and the presbyter Ser Cristofano Another case heard by the bishop’s court in Grosseto deals with a mother who brought charges against a priest who had raped her son. Monna Caterina, a thirty-year-old widow living in Campagnatico, in the outskirts of Grosseto, reported that the presbyter Ser Cristofano “has raped my little son Filippo.”38 The narrative she provides illustrates a mother’s care and a young victim’s shame. “For the past year I have sent my Filippo to his [Ser Cristofano’s] school andone evening when he came back one I noticed he was unhappy and very sad.” Caterina asked what was going on, but Filippo refused to answer. Later that evening, when she was “undressing him to put him in bed, I saw his shirt very bloody and I asked him what blood was this.” Filippo confessed that on that day, the priest had called him in his bedroom and had given him a book and he had approached him and while he pretended to teach him, he did that horrible thing on the back, and because the little boy yelled, he hit him few times. Ser Cristofano threatened the boy not to reveal anything to me nor to someone else and so, “looking carefully at the boy, I saw that he had hurt him and had broken his ass and so I decided he would not attend school anymore.” In her testimony, Caterina also reported that she heard that Ser Cristofano had raped “Monna Lena, a widow at that time” and that rumor went around the entire countryside that “he torn her behind.” But what troubled Caterina more was that she and Ser Cristofano were cousins39 —presumably, she did not understand the reason behind his “bad behavior” against his twelve-year-old nephew Filippo. When the bishop’s vicar interrogated young Filippo, the story matched closely with what his mother had reported. Both accounts pointed to a familiar closeness and confidence that the presbyter had showered on Filippo in order to sodomize him. Filippo recounted: I know Ser Cristofano of Ventura, the priest in Campagnatico and my kin, and I attended his school for a year or perhaps more and one evening, after the other pupils had left, I remained there to serve him at dinner and after he had dined he stood up and he went to sit on a chair in his bedroom and he called me. After I made the bed, we went back and he sat again on the same chair. Then he gave me an illustrated book and he put me between his legs: he untied my pants and lifted up my shirt and put his thing into my ass and caused me pain. I started to scream and asked him to let me go, but he was holding me and he was thrashing and kept telling me “be quiet, be quiet” and he closed my mouth so I could not scream and he put his thing into my ass and then he let me go. I went home and, along the way, I could not walk because he hurt me in the ass and I was bleeding and I went to bed and my mother saw my shirt and I think she believed it was scabies because at that time I had it, and then I told her: and she did not want me to go to school again and I did not go anymore. In response to a direct question, Filippo answered, “I never saw nor do I know whether Ser Cristofano did something like this to any other student.”40 Family relation was the justification Ser Cristofano used to keep Filippo back, have him serve dinner, and make the bed. Once there, he used the “illustrated book” to entice the boy enough to sodomize him, counting on the fact that Caterina, as a widow, did not have a husband to defend the family or take action against the presbyter, whose social and cultural position in town served, in part, to protect him.Reading the document with modern eyes, we note Caterina’s maternal sensitivity: she immediately realized that Filippo was unhappy and hiding something. Her understanding of her son and her emotional connection with him were strong and deep. She also had aspirations for her son, enough to send him to be educated by a learned relative who might open doors in life for the boy. In spite of this, Caterina was not about to accept her cousin’s violence against her son and reacted quickly and with determination: “I did not want him to go to his school anymore” she told the vicar’s notary, and then, perhaps to temper her rage, added “I consider him [Ser Cristofano]   wicked man [tristo]41 because he raped my little boy Filippo.” Although Filippo was about twelve years old at the time, Caterina referred to him as a citto (little boy), using a typically vague term for a child that could be adapted to the legal necessities of the moment—in her eyes, Filippo was an innocent child and not a possibly compliant youth. In fact, the records do point to Filippo’s physical weakness and to his inability to deal forcefully enough with the situation to avoid the rape—caught by surprise, he reacted strongly and screamed, but to no avail because the priest’s adult strength, his shutting Filippo’s mouth to prevent the boy from screaming, and his repeated command to the boy to “be quiet” while he raped him all contributed to overpower and subdue Filippo. The consequences of the priest’s violence were not only physical—lacerations, bleeding, pain—but also psychological—the boy’s depression and silence on his return home. While in cases of anal rape in Venice, the authorities, already in the fifteenth century, sought the help of surgeons and barbers to examine and report on the lesions and physical damage done to the victim’s body,42 this was not the case in Siena. There is no trace of such provisions in the surviving statutes of the Sienese barber surgeons’ guild.43 The only reference I have found to an obligation to report on wounded persons is a decree of February 1556 (reissued in 1563) signed Governor Ferdinando Barbolani di Montauto, which refers to wounds in a general way, and not to wounds specifically caused by sexual violence or sodomy.44 In a case of some years later, a certain Arcangelo charged the chaplain Ser Andrea with having sodomized his eight-year-old son Sabbatino, who had been a boarding student in the chaplain’s school, and with having threatened him (Arcangelo) with a weapon.45 Arcangelo reported that “one night, while sleeping in bed with Sabbatino, Ser Andrea sodomized him forcibly and against Sabbatino’s will, so that he broke his ass and then abandoned him.” As he was being raped, the young boy screamed and was heard by a neighbor. The physical damage done to Sabbatino was such that he could not walk. Archangelo heard of this from a local miller who presumably heard the news through the small talk of the neighbors, and went to the chaplain’s house to get his son and take him home. A few days later, Arcangelo went to pick Sabbatino’s things, but the chaplain refused to return them. In front of other people, the chaplain threatened Arcangelo with a hatchet while “another man who is in his house took an harquebus.” Ser Andrea’s violent behavior was not limited to Sabbatino:Arcangelo reported that “he has sodomized four more little boys,” among them two of the miller’s sons.Conclusion The case studies presented in this essay point to a much larger corpus of documents dealing with legal cases against perpetrators of crimes of sexual violence. A first observation we might draw from the evidence presented is that, ten years after the publication and implementation of the 1558 Florentine law against sexual violence, cases were still being handled with leniency towards the accused—at least in Sienese territory. In spite of mounting evidence that included precise and detailed information from the victims, supporting evidence from eye-witnesses and other people, and in spite of the use of torture (in a few cases) to extract further information or confirm previously given information, alleged culprits seem generally to have received lenient sentences that spared their life. What is also striking is that all defendants denied the allegations raised against them, even under torture. In their defense, the accused used standard diversion tactics in order to have the case dismissed or the penalty reduced. This included suggesting that the children’s allegations were reliable because of their young age, or the fact that the children may have been prompted by others to say things that were not true, or that they had been instructed on what to say in order to build a case against the accused. Was this sexual violence against minors “normal” at the time? To modern eyes, the cases and evidence presented here may seem extreme and even unbelievable, and some contemporaries probably felt the same way. Yet, as Ottavia Niccoli reminds us, we must not imagine a constant in “human nature” that might allow us to apply our criteria, our sensibility, our perceptions to people who lived five or six hundred years ago, except in very general terms. The mental frame of our ancestors was, in fact, and at least under some aspects, very different from ours.46 We can observe that those mothers, fathers, and relatives who sought justice for their victimized children did so without fear of the court, or public opinion, or the bureaucratic lengths of time the process would entail. We can also note how local communities were not sympathetic towards people in positions of authority who behaved in improper ways towards the young people they were supposed to educate, defend, and protect. The Sienese evidence suggest that these cases, unlike those in Florence or Venice, were not about voluntary choices.47 These were not cases of same-sex consensual sodomy or prostitution for profit. These were violent acts perpetrated by men in power over young people who could not defend themselves. As Patricia Labalme aptly said, “although there is herein much to pity and much toprotest, this is a story without a moral.”48 The evidence from the Sienese records points to the same conclusion.Notes 1 Di Simplicio, “La criminalità.” For the later period, Di Simplicio, Peccato penitenza perdono. 2 For the case of violent behavior in Bologna see Niccoli, Il seme della violenza. 3 Archivio di Stato di Siena (hereafter ASSi), Guida Inventario, 105, 119–23. 4 Ibid., 105. 5 Cantini, Legislazione Toscana, vol. IV, 120. 6 ASSi, Guida Inventario, 121. 7 Cantini, Legislazione Toscana, vol. IV, 120. 8 ASSi, Guida Inventario, 123. 9 Cantini, Legislazione Toscana, vol. IV, 117. 10 For social aspects, see Rocke, Forbidden Friendships. For statistical aspects, see Zorzi, “The Judicial System.” 11 Ascheri, ed., L’ultimo statuto, III. 76 “De poena adulterii, stupri et raptus,” 315. 12 Brackett, Criminal Justice, 111. 13 Ascheri, ed., L’ultimo statuto, III. 79 “De poena sogdomitarum,” 316. 14 Cantini, Legislazione Toscana, vol. I, 211–12. 15 Ibid., vol. III, 267–68. 16 Archivio di Stato di Firenze (hereafter ASFi), Mediceo del Principato (hereafter MdP) 1869, fol. 13r (February 16, 1559). 17 Giansante, “Camaiani Onofrio.” 18 ASFi, MdP 1869, fol. 27r. 19 It may be possible that she is “domina Francisca relicta quondam Michelagnoli Iacobi de Belforte” with whom Terenzio had disagreements for some quantities of wheat, ASSi, Curia del Placito 750, not foliated (November 4, 1555). 20 He does not appear in ASSi, Ms A 33, fol. 305r (battezzati), a compilation of baptismal records from church registers in the Baptistery and civic records in the office of the Biccherna. 21 ASSi, Ms A 39, fol. 203r (riseduti). 22 ASFi, MdP 1869, fol. 21bisr. 23 ASSi, Notarile ante cosimiano 99, not foliated. Pietro was also legum doctor. 24 ASSi, Concistoro 2453 ad datam (April 18, 1554). 25 ASSi, Capitano di giustizia 645, fols. 17r–19r (August 1570). 26 ASSi, Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 63, passim (1557). 27 ASSi, Biccherna 1127, fol. 24v (1544); ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 94r–v (July 1571). 28 ASSi, Governatore 436, fol. 86r–v (June 28, 1571). 29 ASSi, Concistoro 2081, not foliated (March 20–24 1524). 30 ASSi, Concistoro 2080, not foliated (April 26, 1524). 31 ASSi, Capitano di giustizia 645, fol. 78r–v (May 29, 1571). 32 ASSi, Capitano di giustizia 611, fols. 138v–139r (April 8, 1567). 33 ASSi, Capitano di giustizia 150, fols. 169v–173r (November 2, 1555). 34 It was common custom to free some prisoners during the most important religious celebrations. 35 ASSi, Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5, not numbered (April 29, 1555). 36 Archivio Arcivescovile di Siena (hereafter AASi), L’Archivio Arcivescovile di Siena, ed. G. Catoni and S. Fineschi (Rome: 1970). 37 AASi, Cause criminali 5509, insert 3 (January 23–December 6, 1569). 38 AASi, Cause criminali 5502, insert 4 (May 5–September 1, 1552). 39 “To me he is a cousin brother” (“a me è fratello consobrino”), that is, a cousin born to a sister of Caterina’s mother.40 “For a similar case, see Marcello, “Società maschile e sodomia.” 41 The Treccani Italian vocabulary defines as tristo a person who has a bad attitude. 42 In 1467 the Council of Ten issued a law that obliged doctors to report “anyone treated for damages resulting from anal intercourse”; see Ruggiero, The Boundaries of Eros, 117. 43 ASSi, Arti 37 (1593–1776). 44 ASSi, Statuti di Siena 64, fol. 72r. 45 AASi, Cause criminali 5504, insert 4 (February 19–March 5, 1559). 46 “Non dobbiamo immaginare una costanza della ‘natura umana’ che ci consenta di applicare i nostri criteri, la nostra sensibilità, la nostra attitudine percettiva a chi è vissuto cinque o seicento annifa, se non in termini generalissimi. L’attrezzatura mentale di quei nostri antenati era infatti, almeno sotto alcuni aspetti, molto differente dalla nostra.” Niccoli, Vedere, vii. 47 For Florence, see Rocke, “Il fanciullo” and Rocke, Forbidden Friendships. For Venice and the Veneto see Ruggiero, The Boundaries of Eros. 48 Labalme, “Sodomy,” 217.Bibliography Archival sources Archivio Arcivescovile di Siena (AASi) Cause criminali 5502 and 5509 L’Archivio Arcivescovile di Siena. Edited by G. Catoni and S. Fineschi. Rome: 1970. Archivio di Stato di Firenze (ASFi) Mediceo del Principato (MdP) 1869 Archivio di Stato di Siena (ASSi) Arti 37 Biccherna 1127 Capitano di giustizia 150, 611, and 645 Cause criminali 5504 Concistoro 2080, 2081, and 2453 Curia del Placito 750 Governatore 436 Guida Inventario. Rome: 1994. Manuscript A 33 and 39 Notarile ante cosimiano 99 Repubblica di Siena ritirata in Montalcino 5 and 63 Statuti di Siena 64Published sources Ascheri, Mario, ed. L’ultimo statuto della Repubblica di Siena (1545). Siena: Accademia senese degli Intronati, 1993. Brackett, John K. Criminal Justice and Crime in Late Renaissance Florence, 1537–1609. Cambridge: Cambridge University Press, 1992. Cantini, Lorenzo. Legislazione Toscana. Volume 1, 3, and 4. Florence: nella stamperia Albizziniana, 1800. Di Simplicio, Oscar. “La criminalità a Siena (1561–1808): Problemi di ricerca.” Quaderni Storici 49 (1982): 242–64. ———. Peccato penitenza perdono, Siena 1575–1800: La formazione della coscienza nell’Italia moderna. Milan: Franco Angeli, 1994.Giansante, Mirella. “Camaiani Onofrio.” In Dizionario Biografico degli Italiani 17, 1974. Labalme, Patricia. “Sodomy and Venetian Justice in the Renaissance.” Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis 52, no. 3 (1984): 217–54. Marcello, Luciano. “Società maschile e sodomia: Dal declino della ‘polis’ al Principato.” Archivio Storico Italiano 150 (1992), 115–38. Niccoli, Ottavia. Il seme della violenza: Putti, fanciulli e mammoli nell’Italia tra Cinque e Seicento. Rome-Bari: Laterza, 1995. ———. Vedere con gli occhi del cuore: Alle origini del potere delle immagini. Rome-Bari: Laterza, 2011. Rocke, Michael. Forbidden Friendships: Homosexuality and Male Culture in Renaissance Florence. New York: Oxford University Press, 1996. ———. “Il fanciullo e il sodomita: pederastia, cultura maschile e vita civile nella Firenze del Quattrocento.” In Infanzie: Funzioni di un gruppo liminale dal mondo classico all’Età moderna. Edited by Ottavia Niccoli, 210–30. Florence: Ponte alle Grazie, 1993. Ruggiero, Guido. The Boundaries of Eros: Sex Crimes and Sexuality in Renaissance Venice. Oxford: Oxford University Press, 1985. Zorzi, Andrea. “The Judicial System in Florence in the Fourteenth and Fifteenth Centuries.” In Crime, Society and the Law in Renaissance Italy. Edited by Trevor Dean and K.J.P. Lowe, 40–58. Cambridge: Cambridge University Press, 1994.4 IN THE NEIGHBORHOOD Residence, community, and the sex trade in early modern Bologna Vanessa McCarthy and Nicholas TerpstraEarly seventeenth-century Bologna was unique for its relatively tolerant legislation on female prostitution. Rome, Florence, and Venice required meretrici (prostitutes) and donne inhoneste (dishonest women) to inhabit designated areas and streets. Romans settled on the large area of Campo Marzio for their residence, Venetians ordered women to reside in the old medieval civic brothel known as the Castelletto near the city’s commercial center, the Rialto, and Florentines designated a few streets located in the poorest areas of each city quarter.1 Segregation was motivated by concerns about morality as well as the more pragmatic issues of civic disorder, noise, an  policing. Containment protected sacred spaces and pious inhabitants from the immorality and disruption of prostitutes and their clients and made it easier for authorities to locate and arrest violators, thereby increasing order as well as the fees and fines collected.2 By contrast, Bologna permitted registered prostitutes to live across the city, and the records of its prostitution magistracy demonstrates that they did. The extant annual registers from 1583 to 1630 provide a rare opportunity to map where hundreds of registered prostitutes lived in the city, and to trace individual women’s movements. Only about half lived on streets with ten or more prostitutes, and very few dwelt on streets with twenty or more. Consequently, most Bolognese could count prostitutes and dishonest women as near neighbors, and for many laboring-poor, prostitution and prostitutes per se were not a serious problem.3 Regulation and enforcement in Bologna show that secular and religious civic authorities and the general populace approached prostitution primarily as an issue of economics and public order, and only secondarily as an issue of morality and public decorum. Due to the city’s economic reliance on university students, civic authorities had long regulated prostitution as a commercial issue and prostitutes as fee- and fine-paying workers governed by a civic magistracy known as the Ufficio delle Bollette (Office of Receipts). Established in 1376, theBollette registered “Foreigners, Jews, and Whores” (Forestiere, Hebrei, et Meretrici ). After having tried civic brothels and sumptuary regulations in the fourteenth and fifteenth centuries, and residential zones in 1514 and 1525, Bolognese civic authorities of the later sixteenth century bucked prevailing trends with comparatively relaxed legislation that underscored the connections between prostitutes, Jews, and foreigners as coherent communities living and working in the local body social while remaining legally outside the body politic.4 The Bollette’s officials and functionaries negotiated between legislation, their own interests, and the needs of individual prostitutes when enforcing regulation. The hundreds of women who registered annually as prostitutes were integrated into local communities through residence and through familial, work, and affective relationships, and had greater opportunities for agency than broader cultural, religious, and social ideals would lead us to expect. There were bumps on the road to this more relaxed regime. In the late 1560s, the Tridentine reforming Bishop Gabriele Paleotti attempted to separate prostitutes and other dishonest women from most of Bolognese society through residential confinement. Citing the desire “to restrain their wickedness and uncontrolled freedoms of life” and to stop them from polluting others with their “filth,” Paleotti and the papal legate published three decrees that ordered all prostitutes, courtesans, and female procurers to live in a handful of specific city streets. Yet Paleotti was overstepping his jurisdiction. His ambitious reforms failed within eighteen months, and by 1571 the civic government had regained exclusive control over regulation.5 It returned to the more tolerant strategy employed before the bishop’s intervention: all prostitutes and dishonest women were required to register and purchase moderately priced licenses from the Bollette, but they were neither required to wear distinguishing signs nor to live in assigned streets or areas. They were free to live throughout the city. Scholars of Roman, Venetian, Milanese, and Florentine prostitution have tracked the contrasts between strict legislation and lax prosecution. Prostitutes regularly lived outside of designated streets and areas, sometimes thanks to exemptions sold by the magistrates.6 Yet these cities kept their stricter legal regimes on the books. What was distinct about a city that largely abandoned that regime? This essay examines the residential and social integration of prostitutes in Bologna’s neighborhoods. It first maps their distribution across the city in order to examine how far residential “freedom” extended in practice. While about half of registered prostitutes clustered on sixteen specific streets, the other half lived on eighty-five other streets with ten or fewer other prostitutes. It then reviews registrants’ sometimes complex and contested relationships with family, clients, lovers, friends, and neighbors using evidence recorded in the annual registers and testimonies given to the Bollette’s officials. Most were integrated into local networks through the familial, affective, and working relationships they had with other local men and women, and they gave and received support and companionship. Finally, it examines late sixteenth- and early seventeenth-century proclamations forbidding prostitutes from residing in specific city streets. Thesedecrees ref lect the civic government’s pragmatism: they were issued in response to the specific complaints of powerful convents, churches, and schools located in areas with large prostitute populations. Trial records, cultural sources, and recent scholarship on gossip and visibility shows that most neighbors were aware of what these women did and that they were not troubled by it. What they did find troubling were the displays of wealth by individual women, the noise and disorder that some brought to their neighborhoods, and instances where neighbors lost control over their communities. The Bollette provided a vehicle for handling these complaints without criminalizing the prostitutes. Taken together, the residential and legal evidence demonstrates that prostitutes lived in most workingpoor neighborhoods of early modern Bologna and that they were largely tolerated as a fact of life.The geography of early modern Bolognese prostitution The majority of registered prostitutes lived in the area between the second and third sets of city walls (see Figure 4.1), the “inner suburbs” where the urban poor typically clustered in Italian cities.7 Only a handful of prostitutes lived near the city center, usually on short alleys hidden behind larger publicFIGURE 4.1Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum, 1581.56buildings that had been licensed for prostitution in earlier centuries.8 The civic brothel noted in the 1462 Bollette regulations had been immediately south-west of the Piazza Maggiore and civic basilica of San Petronio, and some prostitutes worked by particular gates and markets, but from the sixteenth century Bolognese meretrici moved to houses across the low-rent inner suburbs.9 Table 4.1 charts the number and percentage of registrants who lived in each quarter in 1584, 1604, and 1624. The quarters differed in size and population as Figure 4.1 shows, and the larger quarters of Porta Procola and Porta Piera housed more prostitutes. Few lived by the north-western city wall in Porta Stiera, which appear on Agostino Carracci’s 1581 map (reproduced here) as dominated by fields.10 The sharp rise and fall in the number of women registering demonstrate the inconsistencies of early modern bureaucracy, with total numbers increasing by 327 from 1584 and 1604 (from 284 to 611) and then plummeting by 466 between 1604 and 1624 (from 611 to 165). Lucia Ferrante has argued that in 1604 the Bollette was operating with unusual efficiency, and perhaps even over-zealously.11 The f luctuations tell us more about where the Bollette concentrated its work than about where all the prostitutes and dishonest women actually lived. Charting residence by quarter demonstrates that prostitutes spread themselves fairly evenly throughout the outskirts of the city, and across each quarter. In 1604, registrants lived on at least 102 streets, yet only eight streets had twenty or more women, and only eight were home to ten to nineteen women (see Table 4.2). A few streets housed larger numbers, like Borgo Nuovo di San Felice, in the western quarter of Stiera by the city wall, and Campo di Bovi, located by the eastern city wall in the quarter of Porta Piera.12 Women also clustered in the ghetto after the Jews were expelled from the Papal States for a final time in 1592.TABLE 4.1 Residence of registered prostitutes in Bologna’s quarters1584Porta Piera Porta Procola Porta Ravennate Porta Stiera Total16041624Number of resident prostitutesPercent of total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of total registrantsNumber of resident prostitutesPercent of total registrants41 80 69 60 25016.4 32 27.6 24 100179 175 76 131 56132 31.2 13.5 23.3 10073 44 10 26 15347.7 28.8 6.6 16.9 100*This table includes only those women with identifiable addresses. In 1584, this was 88% of all registrants (250 of 284 total registrants), in 1604 it was 91.8% (561 of 611), and in 1624 it was 92.7% (153 of 165). Sources: Campione delle Meretrici 1584, 1604, 1624.The sex trade in early modern Bologna 57 TABLE 4.2 Streets with ten or more resident prostitutes in 1604, by quarterQuarter of Porta PieraQuarter of Porta ProcolaQuarter of Porta StieraCampo di Bovi: 36Senzanome: 36Jewish Ghetto: 21Frassinago: 21Borgo Nuovo di Fondazza: 29 San Felice: 47 San Felice by the Broccaindosso: 10 gate: 13 Avesella: 10Borgo di S. Giacomo: 20 Borgo di Santa Caterina di Saragozza: 21 Torleone: 18 Borgo degli Arienti: 14 Borgo di San Marino: 17 Bràina di stra San Donato: 13 Gattamarza: 13Quarter of Porta RavennateSource: Campione delle Meretrici 1604.This was an ironic reversal of the situation in Florence, where the ghetto was deliberately located within the old brothel precinct in 1571.13 In 1604, twentyone women lived in this area. Most streets in Bologna’s inner suburbs numbered only a few prostitutes. In 1604, 84 percent (86 of 102) of the streets on which they registered housed nine or fewer prostitutes, and these women accounted for almost half of all registrants that year (44 percent). Further, 66 percent (68 of the 102 streets) housed five or fewer. Consequently, many of these women lived on streets that were not dominated by prostitutes. A typical example of this is the south-western corner of the city (see Figure 4.2). In 1604, three of the area’s streets were heavily populated by prostitutes: Senzanome housed 36, Frassinago housed 21, and Borgo di Santa Caterina di Saragozza housed twenty-one. However, the majority of the neighborhood’s streets had five or fewer resident prostitutes and dishonest women: five women lived on Altaseda, four on Nosadella, and three on Capramozza. The surrounding streets of Bocca di lupo, Belvedere di Saragozza, Borgo Riccio, and Malpertuso had two or fewer. On these streets prostitutes mixed with day-laborers, artisans, and merchants. They rented rooms from pork butchers and shoemakers, lived in inns, and resided next to potters.14 These were their immediate neighbors, separated only by the porous boundaries of walls, stairways, doorways, and windows where they had frequent day-to-day interactions.15 Like other working-poor women, they were not confined to the streets that they lived on, but could and did move through the surrounding area buying food, engaging in chores, finding work, visiting friends, and going to the Bollette to buy their licenses.16 As Elizabeth S. Cohen writes, prostitutes were both “seen and known” in their neighborhoods.FIGURE 4.2Agostino Carracci, Bononia docet mater studiorum, 1581.Networks, neighborhoods, and communities The Bollette’s records reveal prostitutes’ affective social and familial circles. Some women were registered as living in their mother’s, sister’s, and (more rarely) cousin’s homes, while other women’s female kin, housemates, lovers, and servants bought their licenses. Notaries did not consistently record such details, making quantitative analysis difficult.17 While men regularly appear in the registers paying for licenses, the specifics of their relationships with the women were almost never recorded. The Bollette’s records, particularly testimonies in cases of debt against clients and long-term partners, provide rich information aboutThe sex trade in early modern Bologna 59women’s familial, social, and work relationships. However, the tribunal devoted more effort to investigating unregistered women suspected of prostitution, than to the hundreds of women who had bought licenses. The Bolognese evidence can be placed in the context of evidence from other northern Italian cities demonstrating how prostitutes were surrounded by family, housemates, and allies. In early seventeenth century Venice, three-quarters of 213 prostitutes noted in a census lived with other people. Most headed their own households, but some were boarders or lived with their mothers. The majority of those who headed households sheltered dependent female kin, children, and a variety of unmarried women, including servants and other prostitutes. A few heads of households (6 percent) lived with men, who were either their intimates or boarders.18 Roman parish censuses from 1600 to 1621 show similar cohabitation patterns: 47 percent of prostitutes lived with at least one family member, mostly children but also siblings, nieces and nephews, and widowed mothers.19 Everyone within the household economy benefitted from the income and goods earned by these women. Bologna’s registers give examples of sisters as registered prostitutes, like Dorotea di Savi, called “Saltamingroppa” (literally “Jump on my behind”) and her sister Benedetta, who lived together with their servant Gentile on Broccaindosso.20 Similarly, Margareta and Francesca Trevisana, both nicknamed “La Solfanella” (“The Matchstick”), lived together on Borgo di Santa Caterina di Saragozza for eight years. While Francesca registered annually from 1598 to 1605, Margareta did so only in 1602, 1604, and 1605.21 Before registering, Margareta likely enjoyed the income that her sister earned through prostitution and may have assisted in preparing for and entertaining clients. The Bollette suspected that she had, and so launched an investigation against her when she became pregnant in 1601.22 Mothers and daughters also lived and worked together, like Lucia di Spoloni and her daughter Francesca, who lived on San Mamolo by the old civic brothel area, and Anna Spisana and her mother Lucia, who lived together on Borgo degli Arienti.23 In 1604, Domenica di Loli bought licenses for her daughters Francesca and Margareta, and all three lived just south of the church and monastery of San Domenico on Borgo degli Arienti. Francesca had lived on the street since at least 1600, and while she was no longer registering in 1609, her sister still was. Margareta continued to live on Borgo degli Arienti until 1614, perhaps with her mother and sister.24 Prostitutes often lived together in rented rooms, small apartments, and inns. Residential clustering was not uncommon for unmarried women, who shared the costs of running a household through lace making, street-peddling, prostitution, and laundering.25 The largest could count as brothels, though there were relatively few of them. In 1583, twenty-one dishonest women lived in the house of Gradello on Bologna’s heavily populated Borgo Nuovo di San Felice, by the eastern wall. Yet while registrations climbed in the 1580s, the group at Gradello’s shrank to fourteen women in 1584, and eleven in 1588.26 Moreover no other large houses appeared through this period. In 1604, the street with mostregistrations was Borgo Nuovo di San Felice, with forty-seven women, and the largest single group was thirteen who gathered in the house of Lucrezia Basilia, while the rest had five or fewer.27 On the second and third most populated streets, Campo di Bovi and Senzanome, no house had more than six registered prostitutes living in it.28 These larger clusters were often inns, where prostitutes benefitted from the presence of other women and the protection of innkeepers. Inns popular with prostitutes included those of Matteo the innkeeper (“osto”) on Frassinago and of Angelo Senso on Pratello. Seven registered women lived at Matteo’s inn in 1589, and ten lived in Angelo’s inn in 1597.29 Few women stayed at inns for more than a year and most registered without surnames, but instead with reference to a town, city, or region, like Flaminia from Ancona (“Anconitana”), Francesca from Fano (“da Fano”), and Ludovica from Modena (“Modenesa”) who lived at Matteo’s place in 1598. These could have been recent migrants or women identifying by parents’ origins or using pseudonyms. The inns and brothels helped them build social networks as they secured places of their own. Yet, it was more common for women to live with one or two other prostitutes in rented rooms and small apartments. In 1597, Lucia Colieva lived with Elisabetta di Negri on Borgo di San Martino, and the following year she joined another registered prostitute, Vittoria Fiorentina, on Senzanome.30 Similarly, in 1601 Isabella Rosetti, Giulia Bignardina, and Cassandra di Campi all lived together in Isabella’s home on Frassinago. A year later Giulia had died and Cassandra was no longer registered.31 For just under ten years, Madonna Ginevra Caretta, who was unregistered, managed a small apartment where six to eight registered prostitutes lived.32 Unlike Bologna’s inns and taverns, Ginevra’s household was mobile, moving across town and back again over the years it operated. In 1588 it was located on Saragozza, in the south-western corner of the city, and the next year it moved to San Colombano in the northwest quarter of Stiera. At least one woman, Lena Fiorentina, followed Ginevra to the new street, where she remained for almost a decade before moving to Paglia.33 A few of the prostitutes lived with Ginevra for years, like Pelegrina di Tarozzi, who stayed for four years, and Chiara Mantuana, for three.34 Domenica Cavedagna, registered for thirteen years (1597–1609), ran a house on Centotrecento and then on Bràina di stra San Donato.35 Seven other prostitutes lived with her in 1604, and a year later three had left but six new women had moved in. A few stayed with her for four or five years.36 The Bollette’s registers explain why some of the women moved out of the homes run by women like Ginevra Caretta and Domenica Cavedagna. Some entered service (either domestic, sexual, or both) while others moved to different streets or left Bologna entirely to try their luck elsewhere.37 While living with other prostitutes could bring economic, professional, and even personal security, it could also bring personal rifts or increased attention from the police (sbirri ), who saw these homes as easy targets for making arrests. Men interacted with registered prostitutes as occasional clients, long-term amici, absentee husbands, jealous lovers, and as acquaintances, if not friends.Single women, whether unmarried or widowed, were financially and socially vulnerable, subject to sexual slander, to charges of magic and sorcery, and to general suspicion by neighbors and authorities alike.38 Relationships with men afforded them a degree of protection from the financial and social marginalization they experienced because of their gender, economic status, and work, and so women turned to them not just for income and companionship but also for a measure of protection. The civic government had always prohibited married women from prostituting themselves, since by doing so they committed adultery. The 1462 statutes ordered whipping and expulsion for the women, and fines of 100 lire for officials who looked the other way.39 Women living with husbands could not register with the Bollette, though abandoned wives sometimes could. Francesca di Galianti claimed in 1604 that her husband Bartolomeo di Grandi went to war three or four years previously, leaving her with a three-year-old daughter to feed. She had since given birth to a daughter with a cloth worker Giovanni, with whom she had been living for about a year “to make the expenses.”40 For the Bollette, the question of whether abandoned women like Francesca could and should register was a practical one since women who registered were women who paid fees. These women appealed to the sympathy of Bollette officials by claiming that they were married but had not seen their husbands in many years, leaving unanswered the question of whether their husbands were alive or dead. This ambiguity about the ultimate fate of their husbands would have freed them from charges of adultery at the archbishop’s tribunal (if the husband was alive) while at the same time freeing them from registration with the Bollette (if he were dead). Francesca did not state whether she thought her husband was dead or alive, and ultimately a kinsmen Vincenzo Dainesi swore that he would ensure she left her “wicked life” (“mala vita”) and take her into his home to live with him and his wife.41 The officials were satisfied with this, and so Francesca remained unfined and unregistered. In 1586, Vice Legate Domenico Toschi authorized police to seize “all married women who do not live with their husbands” caught at night in bed with their lovers (amatiis).42 Archbishop Gabriele Paleotti believed such women were clearly committing adultery, and Pope Sixtus V’s bull Ad compascendum (1586) ordered that any married person whose spouse was alive and had sex with another person—even if they had a separation from an ecclesiastical court —should be sentenced to death.43 Toschi’s decree was reconfirmed ten years later by the new vice legate, Annibale Rucellai, and a third time in 1614.44 If a woman returned to her husband, she was to be immediately deregistered and could not be allowed to practice prostitution. If she continued, she was no longer under the Bollette’s jurisdiction, but rather that of the archbishop. Stable relationships with men, referred to in Bologna as amici, “lovers,” or as amici fermi, “firm friends,” offered a measure of economic security for prostitutes by providing money, clothing, and food in varying amounts depending on the men’s own status.45 When Arsilia Zanetti sued Andrea di Pasulini, notary of thearchbishop’s tribunal, for compensation for their three-year sexual relationship (“amicitia carnale”), she noted he had given her three pairs of shoes, a pair of low-heeled dress slippers, and a few coins (a ducatone, half a scudo, and a piastra, a Spanish coin).46 Buying the woman’s licenses could also be part of the arrangement, as Pasulini had also done for Arsilia.47 Even though Bologna’s monthly rate of five soldi, and annual rate of three lire, was extraordinarily low—only onefifth of what Florentine prostitutes paid—this was another expense that women did not have to worry about and suggested commitment on the part of the men.48 Lovers and friends helped women in their interactions with the law. The cavalier Aloisio di Rossi had a three-year sexual relationship with Pantaselia Donina, alias di Salani, and when her landlord complained to the Bollette that she had not paid the rent, di Rossi acted as her procurator and ultimately paid the landlord.49 Other prostitutes maintained relationships with local, low-level arresting officers (sbirri); Elizabeth S. Cohen has uncovered many relationships between prostitutes and such men, noting that “the two disparaged professions often struck up alliances in which the women traded sex, companionship, and information for protection and money.”50 Such partnerships were not unusual in Bologna. In May 1583, the sbirro Pompilio registered Francesca Fiorentina as his “woman” (“femina”) and got her a six-month license for free.51 In 1624 three women registered as living in the “casa” of the Bollette’s esecutore, Pietro Benazzi, on Borgo di San Martino.52 Pietro registered Caterina Furlana on January 11, 1624 and paid for her one-month license. She was subsequently de-registered because “she went to stay in order to serve Pietro Benazzi.” When Caterina di Rossi moved out of her place on Borgo degli Arienti and into Pietro’s house, she paid for one month and never again.53 Though these Bollette functionaries could not keep these women’s names out of the registers, they could keep them from paying for licenses, even when they were most likely still living by prostitution, and may have protected them from harassment by other court officials. Male friends could also be rallied for support, particularly by women who had lived in one street or area for a substantial period of time, building reputations and financial and social ties with their neighbors. When Margareta Trevisana “The Matchstick” (Solfanella) was investigated by the Bollette in 1601, she had been living on Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore with her sister for at least eight years. She confessed that three years earlier she had given birth to the child of Messer Antonio Simio, a married man.54 The Bollette had investigated her then, allowing her to remain unregistered on the promise that she would reform her life and go to live with an honorable woman. In 1601 she was pregnant with the child of another man and was living with her sister Francesca, a registered prostitute.55 Margareta produced statements signed by two male neighbors who described her as a good woman (“donna de bene”) the whole time they had known her, while her parish curate confirmed that she had confessed and taken communion the previous Easter.56 On further questioning by the Bollette, the priest claimed that he had known Margareta for about ten or twelve years, having first met herwhen he lived in the same house as she and her sister. He claimed not to know what kind of life Margareta led, but admitted that she appeared pregnant, and was, as far as he knew, not married. The priest’s testimony cleared her of charges of adultery, but could not save her from registration, a three-lire fine, and probation.57 In May 1602, Margareta produced statements about her “honest life and reputation” provided by two different neighbors and another curate at Santa Caterina di Saragozza, and her name was removed from the register.58 Margareta lived on the same street for ten or twelve years, had relationships with neighbors and housemates, had a sister with whom she lived, and was able to rally four male neighbors and two parish priests to support her. She and others moved amongst family, friends, long-term lovers, and occasional clients, building relationships on reciprocal, if uneven, bonds of financial, emotional, and legal support and protection. They were not just physically a part of Bologna’s working-poor neighborhoods, but also socially and affectively integrated into their communities.Bad neighbors While Bolognese civic law tolerated prostitution and permitted prostitutes to reside throughout the city, public disorder was always a concern. Decrees published by the Bolognese legate, at the request of convents, churches, confraternities, and schools, frequently lamented the dishonest words and daily and nightly reveling by prostitutes and other disreputable people.59 Men socialized in prostitutes’ homes, eating, making music, and talking.60 While some parties remained relatively quiet, others filled the neighborhood with winefueled singing, laughing, and the sounds of dancing and of fights over games of chance. The noise was intrusive, disruptive, and alarming: blasphemous words, violent acts, and sexual slander carried through windows, over walls, and into streets, squares, and other residences. Broadsheets illustrating prostitutes’ lifecycles usually included knife fights by men who discovered that “their” woman had another lover.61 Barking dogs, brawling men, and screaming women heard through f limsy walls and open windows added to the noise of crowded squares, laneways, and streets.62 Men also fought in doorways and on streets in full sight and hearing of neighbors. To reduce these disturbances, Papal Legate Bendedetto Giustiniani forbade prostitutes from throwing parties ( festini ) or “making merry” (trebbi ) in the homes of honest people, or even from eating or drinking in taverns and inns. Other decrees forbade games of chance and betting, like dice and cards.63 Lawmakers recognized that it was less the prostitutes than the men with them who were the problem. In 1602 prostitutes were forbidden from travelling through the city at night with more than three men, under fine of 100 scudi for the men and whipping for the women.64 Eight years later, Legate Giustiniani forbade prostitutes from going through the city at night with any men, under penalty of whipping for both the men and the prostitutes.65Enclosed communities of male and female religious frequently complained about the noise of prostitution. Bolognese authorities attempted general exclusionary zones around convents in the 1560s without success and so moved to proclamations expelling prostitutes and other disreputable people from specific streets; this was similar to Florence, where the streets designated for prostitution were de facto exclusionary zones around most convents.66 Between 1571 and 1630, at least fifty proclamations cleared twenty-five distinct streets in Bologna, about one-quarter of all the streets inhabited by prostitutes in 1604. Most proclamations concerned eight specific convents on the city’s outskirts, though a few male enclosures were also protected.67 All either had elite connections or were newly built, and most were near streets heavily populated by prostitutes. In 1603 Vice Legate Marsilio Landriani forbade all prostitutes, procurers, and other dishonest women from living on a cluster of streets bordering the Poor Clares’ house of Corpus Domini, established in 1456 by S. Caterina de’ Vigri, and the Dominican convent of Sant’Agnese (est. 1223), one of the city’s richest and most prestigious convents with over 100 nuns.68 Landriani’s proclamation stated that the nuns were greatly disturbed and scandalized by the daily and nightly reveling of prostitutes, procurers, and other disreputable people, the “dishonest” words that they spoke, and the wicked examples they posed.69 Prostitutes had just over a month to move out, and those found there after the deadline would be publicly whipped, while their landlords would be fined fifty gold scudi and lose their outstanding rents.70 Yet few prostitutes were actually registered on these streets.71 While registrations generally dropped dramatically in the 1610s and 1620s, these streets declined the most, with only two prostitutes remaining by 1614.72 In 1622, the expulsion was repeated almost verbatim with the addition of two neighboring streets that housed a handful of prostitutes; none remained by 1624.73 Concerns about pollution continued, particularly around shrines. The confraternal shrine of the Madonna della Neve was built in 1479 to shelter a miraculous image of the Virgin on the street Senzanome at the south-western corner of the city.74 Senzanome had twenty-three registered prostitutes in 1594, thirty-six in 1604, and thirty-five in 1609. Yelling, singing, mocking, and jesting disturbed the peace, interrupted the Mass and other divine offices, and forced young, unmarried girls and respectable residents to hide in their houses. Confraternal brothers repeatedly complained to the legate about the noise of Senzanome’s prostitutes and other “people who have little fear of God and his most holy mother.” 75 Between 1587 and 1621 four proclamations expelled dishonest people and prostitutes from Senzanome and around Santa Maria della Neve.76 One of 1608 threatened women caught residing or lingering in the street with a fine of ten scudi the first time, and expulsion the second time.77 Men could be fined ten scudi the first time, and another ten scudi and three lashes the second time. This proclamation even named three specific women, Giulia da Gesso, Doralice Moroni, and Ludovica Giudi, “as well as every other meretrice.” 78 A year later all three of these women were still living on Senzanome, with Doralice Moroni registeredin the house of the priest Campanino and Giulia da Gesso in the house of a priest of San Niccolo.79 Moreover, they shared the street with thirty-five other registered prostitutes. Yet the prostitutes gradually did move away, and in 1614 and 1624, only two women registered on Senzanome.80 The Legate’s 1621 decree ordered dishonorable people living on Senzanome to move to Frassinago, to Borgo Novo, or to “another street appointed to similar people” where there were no convents, churches, or oratories.81 Neighbors had direct, day-to-day contact with prostitutes and knew details about their lives. Gossip—the sharing of local and extra local information— typified neighborhoods and formed the basis of community self-regulation.82 People constantly watched and listened to their neighbors from the streets, in doorways, through windows, on balconies, and through f limsy walls.83 Early modern prostitution was public and visible. Michel de Montaigne remarked that prostitutes sat at their widows and leaned out of them, while others observed that the women promenaded proudly through the streets.84 In his Piazza universale di tutte le professioni del mondo (1616), Tommaso Garzoni described how prostitutes worked to catch men’s eyes while sitting at their widows, gesturing and bantering with them.85 Some called attention to themselves by wearing brightly colored gowns with ostentatious decorations and jewels on their fingers and at their necks.86 Contemporary Italian broadsheets depict women sitting at their widows and in their doorways while older women act as go-betweens.87 Bollette testimonies show that Bolognese knew a great deal about the prostitutes who were their neighbors. Witnesses often claimed that they had seen women going through the streets or into buildings and apartments with men. In 1601, Caterina Marema told that when she lived in the same casa as Lucrezia Buonacasa, she frequently saw the tailor Gian Domenico Sesto come to stay and sleep with her.88 Others saw more intimate behavior, like Bartolomea, daughter of Antonio di Miani, who claimed that she knew her neighbors Margareta and Cornelia were “meretrici” because she saw them laughing, dancing, embracing, and kissing men. She also heard that they went to register with the Bollette.89 Still others testified more simply that “everyone in the neighborhood considers her to be a whore,” or, “everyone says that she is his whore.” Finally, some men talked with each other about their sexual relationships with women. Silvio, son of Rodrigo di Manedini, claimed that over the previous three years his friend Tarquino, a sbirro, told him repeatedly that he was “screwing” (chiavava) Lucrezia Buonacasa.90 In this case, Silvio claimed also to have first-hand knowledge of their relationship: he said that he had seen the two in bed together at Lucrezia’s house on via Paradiso and at the watch house of the sbirri. In a close knit, intensely local world like this, prostitutes and dishonest women would have been hard-pressed to keep their relationships and work a secret. In pragmatic terms, some women may not have wanted to keep their work a secret: gossip and visibility acted as advertisement and could attract better clients. Local knowledge of women’s attachments to men might also earn them a measure of respect, even if only while the relationship continued, especially ifthe man was honored locally because of his wealth or status. These relationships could bring a sort of social protection. Whether or not women or their clients and lovers made spectacles of themselves, prostitution was both seen and known. Most working-poor people were not overly scandalized by the fact that their neighbors lived by prostitution, or perhaps they had resigned themselves to living amongst them. No evidence has come to light that working-poor women and men made a concerted effort to drive prostitutes and dishonest women as a group out of their neighborhoods. Most streets on which registered prostitutes lived housed ten or fewer such women, and prostitutes may have been quieter and less given to overt public display, since they did not have to compete with each other for the attention of the men and youths who came in search of their services. With fewer women there was less of the serenading, violence, and harassment by rowdy students and drunken men that offended neighbors, and less attention from patrolling officers looking to fill their purses with rewards for arrests.91 Tessa Storey has argued that as long as Roman prostitutes maintained local order and the appearance of respectability, neighbors did not see them as an exceptional problem. A few written complaints requesting the eviction of specific prostitutes from their streets identified only the most scandalous and the loudest, on grounds that they posed bad examples by “touching men’s shameful parts and doing other extremely dishonest acts” in the streets.92 Those who were well behaved—and these were actually listed by name—were welcome to stay provided that they continued to behave. Working-poor neighbors who found the women’s work immoral or offensive or their noise and disorder overwhelming could move to one of the 100 or so other city streets that were not heavily populated by prostitutes. Even in 1604, the year when the highest number of prostitutes and dishonest women registered with the Bollette, only sixteen streets had ten or more registrants living on them, and only eight had more than twenty. At least half of all Bolognese prostitutes were more widely dispersed through the city, and this may explain why we see no concerted efforts to dispel them as a group. Beyond this, it became increasingly difficult to successfully prosecute violations like adultery or the lack of license. A 1586 order from the vice legate to the Bollette’s officials suggested that small-scale rivalries were behind too many frivolous denunciations. Henceforth, unless a woman was found in flagrante with a man, the testimonies of two neighbors of good repute and the local parish priest would be required in order to find her guilty.93Conclusion For many working-poor Bolognese men and women, living amongst prostitutes was a fact of life. Whether they respected these neighbors or not, they learned to live with them. Prostitutes and dishonest women had their places in the local kinship, social, and economic networks of their neighborhoodsand the larger city. This is not to say that they were not mocked, or that those who treated them with courtesy fully respected them. Yet while some prostitutes annoyed, overwhelmed, and frightened some neighbors with their noise, scandal, and violence, they were also the sisters, mothers, lovers, and friends of many others. Elizabeth S. Cohen has argued that “[prostitute’s] presence corresponded to an intricate engagement in the social networks of daily life. In practice, if not in theory, the prostitutes occupied an ambiguous centrality.”94 Tessa Storey suggests that restrictive legislation, especially residential confinement, elicited sympathy from Romans, who were not overly concerned about the immorality of prostitution.95 This was also true in Bologna, where prostitutes were far more widely distributed across the entire city. Religious authorities like Gabriele Paleotti found them immoral and disruptive, posing bad examples and needing to be separated and marginalized. Yet civic authorities and most lay people appear to have held more nuanced attitudes, engaging prostitutes in the body social and using bureaucratic registration to mediate their place in the body politic. The sources generated by the Ufficio delle Bollette in the later sixteenth and early seventeenth centuries reveal these women operating within networks of sociability, work, and family. They demonstrate women who fit within their communities, more uneasily at sometimes than others, and who both gave and received the resources of support, companionship, and security that characterized the community-centered world of early modern Italy.Notes 1 Cohen, “Seen and Known,” 402. Hacke, Women, Sex, and Marriage, 179. Brackett, “The Florentine Onestà,” 291–92 and 296. Terpstra, “Locating the Sex Trade,” 108–24. 2 Brackett, “The Florentine Onestà,” 290–91 and 295; Cohen, “Seen and Known,” 404– 05; Storey, Carnal Commerce, 70–94; Ruggiero, Binding Passions, 48–49. 3 For expanded analysis and archival documentation, see: McCarthy, “Prostitution.” 4 Biblioteca Universitaria Bologna (hereafter BUB), ms. 373, n. 3C, 151v–152v. Terpstra, Cultures of Charity, 205–06, 329. McCarthy, “Prostitution, Community, and Civic Regulation,” 40, 54–61. 5 Archivio di Stato di Bologna (hereafter ASB), Boschi, b. 541, fol. 170v, “Bando sopra le meretrici et riforma de gli altri bandi sopra a cio fatti” (January 31 and February 1, 1568). For more on this episode and the gendered politics of social welfare reform in sixteenthcentury Bologna: Terpstra, Cultures of Charity, 19–54, 206–07. For the comparatively loose regime in the Convertite: Monson, Habitual Offenders. 6 Cohen, “Seen and Known,” 403 and 405–08; Ruggiero, Binding Passions, 49; Brackett, “The Florentine Onestà,” 292. Terpstra, “Locating the Sex Trade,” 116-21. 7 Miller, Renaissance Bologna, 16–17. Terpstra, “Sex and the Sacred.” 8 For example, Isotta Boninsegna and Giovanna di Martini. In 1604 Polonia, daughter or widow of Domenico Galina of Modena lived on Simia, while in 1614 Maria Roversi did, and in 1630 Domenica Borgonzona lived there. ASB, Ufficio delle Bollette 1549– 1796, Campione delle Meretrici (hereafter C de M) 1584, [np] “I” and “G” sections; 1604, [np] “P” section; 1614, 190; 1630, [np] “D” section. 9 This street was called variously the “via stufa della Scimmia,” the “postribolo,” or “lupanare Nuovo,” as well as the Corte dei Bulgari. Fanti, Le vie, vol. 2, 516–17. McCarthy, “Prostitution,” 20–67.10 Biblioteca Comunale di Bologna (hereafter BCB), Gabinetto disegni e stampe, “Raccolta piante e vedute della città di Bologna,” port. 1, n. 14. http://badigit.comune.bologna.it/ mappe/14/library.html 11 Ferrante, “‘Pro mercede carnale,’” 48. 12 Borgo Nuovo di San Felice was one of the streets that Bishop Gabriele Paleotti had ordered prostitutes to live in. ASB, Boschi, b. 541, fols. 170r–171v, “Bando sopra le meretrici” (January 31 and February 1, 1568). Zanti, Nomi, 16. 13 Muzzarelli, “Ebrei a Bologna,” 862–70. 14 Francesca Ballerina rented from Giacomo the pork butcher (lardarolo) on Frassinago. Giacoma di Ferrari da Reggio, Ursina de Bertini, and Lucrezia di Grandi all lived in the house of Giovanni Pietro the shoemaker (calzolario) on Senzanome. Lucia Tagliarini lived on Frassinago in the inn of Zanino. Giovanna Querzola, alias Stuarola, lived on Nosadella between the potter (pignataro) and the shoemaker (calzolaro). C de M 1604, [np] “F”, “I”, “V”, “L”, “T”, and “G” sections, respectively. 15 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” especially 64 and 68–69. 16 Chojnacka, Working Women; Cohen, “To Pray.” 17 For instance, in 1604, 611 women registered and only eleven mothers and four sisters were recorded as purchasing licenses for their kin. McCarthy, “Prostitution,” 220–21. 18 Of the 213 prostitutes who appeared in the censuses, one-third had children. Chojnacka, Working Women, 22–24. 19 Storey, Carnal Commerce, 128–29. On widowed mothers, 114. 20 Benedetta was listed as “sorella di Saltamingroppa.” C de M 1604, [np] “B” and “D” sections. 21 C de M 1605, 175. For Francesca, see C de M 1598, 56; 1599, 49; 1600, 68; 1601, 60; 1602, 72; 1603, 72; 1604, [np] “F” section; 1605, 86. For Margareta, see C de M 1602, 201; 1604, [np] “F” section; 1605, 175. In 1605, Margareta was deregistered when she began working as a wet nurse for the Ercolani, a senatorial family. As the register reads: “Sta per balia del 40 Hercolani.” 22 C de M 1601, 140. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601). 23 C de M 1584, [np] “L” section. Both were registered under Lucia’s name. C de M 1624, [np] “A” and “L” sections. 24 C de M 1600, 73; 1604, [np] “F” and “M” sections; 1609, 171; 1614, 172. Domenica was not registered. 25 Hufton, “Women without Men.” Chojnacka, Working Women, 18–19. Cohen, “Seen and Known,” 406. 26 C de M 1584 and 1588. 27 Of those who registered, almost all gave their street and residence (44 of 47). For names of co-habitants: McCarthy, “Prostitution, Community, and Civic Regulation,” 224–25. 28 A total of twenty-seven (75 percent) of the thirty-six women who lived on Campo di Bovi identified their homes: five lived in the “casa” of Messer Filippo Scranaro, and the rest lived with two or fewer other prostitutes. A total of thirty (87 percent) of the thirtyfive women who registered on Senzanome identified their homes: six lived in the “casa” of Giulia di Sarti, called l’Orba (the Blind), who was not registered, and four lived in the “casa” of Giovanni Pietro the shoemaker. Otherwise, all the rest lived with two or fewer other prostitutes. C de M 1604. 29 C de M 1589 and 1597. 30 C de M 1597, 61 and 86 respectively; C de M 1598, 95 and 142 respectively. 31 C de M 1601, 99, 78, and 176 respectively. 32 This was between 1588 and 1597. Ginevra registered once, in January 1588, when she paid for a one-month license. C de M 1588, [np] “G” section. In 1588, six registered prostitutes lived with her, in 1589 seven did, and in 1594 and 1597 eight did. C de M 1588; 1589; 1594; 1597. 33 C d M 1589, [np] “L” section; 1594, [np] “L” section. C de M 1599, 28. Ginevra was still there in 1601, when Margareta Tinarolla lived in her home. See C de M 1601, 130.34 C de M 1594, [np] “P” section; 1597, [np] “P” section. C de M 1597, [np] “C” section; C de M 1599, 28. 35 For her first registration, see C de M 1597, [np] “D” section. 36 Eg., Gentile di Sarti, C de M 1601, 79; 1605, 100, and Domenica Fioresa, C de M 1604, [np] “E” section; 1609, 66–67. 37 Lucia Fiorentina left Ginevra’s to serve in the house of a local scholar (“Signor Dottore”). C de M 1589, [np] “L” section. Diana di Sacchi Romana lived in Ginevra’s casa in January 1594, but moved twice more that year, to Borgo Polese and then to Altaseda. C de M 1594, [np] “D” section. C de M 1594, [np] “L” section, Lucia Fiorentina. It is unclear but possible that this was the same Lucia who entered service in 1589. 38 Chojnacka, “Early Modern Venice,” especially 217 and 225. McCarthy, “Prostitution,” 253–314. 39 See ASB, Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Scritture Diverse, busta 1, “Statuti,” [np] fol. 8r. 40 ASB, Ufficio delle Bollette 1549-1796, Filza 1604, [np] “Die 21 May 1604,” fol. 1r. 41 Vincenzo is described as Francesca’s “cognatus.” Ibid., fol. 1r–v. 42 This permission was copied into the 1586 register and the 1462 illuminated statutes: C de M 1586, [np] “Z” section (28 June 1586); ASB, Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV, codici miniati, ms. 64, 28. 43 For Paleotti’s reaction, see BUB, ms. 89, fasc. 2, Constitutiones conclilii provincialis Bonon. 1586, fol. 95v, cited in Ferrante, “La sessualità,” 993. 44 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Decreto d[e]lle bolette” (November 20, 1596); Filza 1614, [np] “Dalla letura delli statuti si cava che le Donne di vita inhonesta si possono descrivere nel campione in 4 modi” (undated). 45 John Florio defines “amico” as “a friend, also a lover.” Florio, Queen Anna’s, 24. See also Cohen, “Camilla la Magra.” 46 The suit was brought to the Bollette. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Arsilia Zanetti” (November 12, 1601). For a detailed study of Bolognese registered prostitutes who took clients to the Bollette’s tribunal for debt, see Ferrante, “‘Pro mercede carnale.’” 47 Pasulini bought her two six-month licenses in July 1598 and January 1601. Arsilia’s son, Giovanni Battista, paid for the other months. C de M 1598, 48; 1599, 3; 1600, 4; 1601, 4. 48 Archivio di Stato di Firenze (hereafter ASF), Onestà, ms 1, ff. 27r–31v. Terpstra, “Sex and the Sacred,” 77. 49 Ludovico Pizzoli, the Bollette’s esecutore, claimed that for three years Rossi had purchased her licenses because he was having a continuous sexual relationship with her even while she was having sex with other men: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1606, “Cont[ra] Pantaselia Donina[m] al[ia]s de Salanis” (August 19, 1605), fol. 1r. John Florio defines “amicítia” as “amity, freindship [sic], good will.” Florio, Queen Anna’s¸ 24. The Bollette’s 1602 register confirms that Rossi paid for her licenses in person as well as giving money to Pizzoli to pay on his behalf. C de M 1601, 160; 1602, 154; 1603, 170. ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, “Molto Ill[ust]re et Ecc[ellen]te Sig[no] re” (May 14, 1601). 50 Cohen, “Balk Talk,” 101. 51 The record in the register does not say why it was given for free, only that Pomilio “solvet nihil.” C de M 1583, [np] “F” section. 52 These were Angelica Bellini, Caterina Furlana, and Caterina di Rossi. C de M, 1624, [np] “A” and “C” sections. 53 Both in Ibid., [np] “C” section. 54 This was according to the curate of her parish church. ASB, Ufficio delle Bollette 1549– 1796, Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v (June 20, 1601; July 2, 1601). For her sister Francesca’s registrations: C de M 1598, 56; 1599, 49; 1600, 68; 1601, 60. 55 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] fol. 19v (June 28, 1601) and fol. 20r–v (June 30, 1601).56 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1601, [np] “Malg[are]ta Sulfanela” (June 27, 1601). 57 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] fols. 20v–21v (July 2, 1601). 58 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] (26 June 1602). C de M 1602, 21. The Convertite confirmed this removal: ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filza 1603, [np] untitled (October 12, 1602). 59 See, for instance, BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r, untitled, begins “Non essendo conveniente che presso li Monasteri j di Monache” (March 24, 1603). McCarthy, “Prostitution,” 131–97 60 Cohen, “‘Courtesans,’” 202. 61 “Vita et fine miserabile delle meretrici” (“Life and Miserable End of Prostitutes”), ca. 1600, in Kunzle, History of the Comic Strip, 275. Giuseppe Maria Mitelli, “La vita infelice della meretrice compartita ne dodeci mesi dell’anno lunario che non falla dato in luce da Veridico astrologo” (1692), Museo della Città di Bologna, 2470 (re 1/425). 62 Cohen, “Honor and Gender,” especially 600–01. Terpstra, “Sex and the Sacred,” 71, 79–80. 63 ASB, Assunteria di Sanità, Bandi (XVI–1792), Bandi Bolognesi sopra la peste, 45, “Bandi Generali del Ill[ustrissimo] et Reverendiss[i]mo Monsignor Fabio Mirto Arcivescovo di Nazarette Governatore di Bologna,” (February 17, 18, and 19, 1575), fol. 2v; BCB, Bandi Merlani, V, fol. 64r, “Bando Sopr’al gioco, & Biscazze, alli balli nell’Hosterie, & che le Donne meretrici non vadano vestite da huomo” (December 9, 1602). 64 Ibid. 65 Thomas Fisher Rare Book Library (hereafter Fisher), B-11 04425, “Bando generale dell’Illustrissimo, & Reverendissimo Sig. Benedetto Card. Giustiniano Legato di Bologna” (June 23 and 24, 1610), “Delle Meretrici. Ca XXVIII,” 60–61. 66 In 1565, Governor Francesco de’Grassi set the exclusionary zone at 30 pertiche (approximately 114 meters), while in 1566 Francesco Bossi extended the zone to 50 pertiche (190 meters). See Martini, Manuale di metrologia, 92. ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 3, fol. 16r (February 1, 1565); ASB, Boschi, b. 541 (February 1 and 8, 1566), fol. 115r. Florence reduced its exclusionary zone from 175 to 60 meters in this time (i.e., from 300 braccia to 100): ASF, Acquisti e Doni 291, “Onestà e Meretrici” (May 6, 1561). Terpstra, “Sex and the Sacred,” 78–79. 67 These convents were San Bernardino, Santa Caterina in Strada Maggiore, San Guglielmo, San Leonardo, San Ludovico, Santa Cristina, San Bernardo, Corpus Domini, and Sant’Agnese. Proclamations also protected the new monastery of San Giorgio, the Benedictine monastery of San Procolo, the college of the Hungarians, the Jesuits and their school, the new church of Santa Maria Mascarella, and the shrine of the Madonna della Neve. McCarthy, “Prostitution,” 131–97. 68 Zarri, “I monasteri femminili,” 166, 177. Johnson, Monastic Women, 235–37. Fini, Bologna sacra, 14. 69 BCB, Bandi Merlani, V, fol. 106r, untitled, begins “Non essendo conveniente che presso li Monasterij di Monache” (March 24, 1603). 70 One-third of each fine was to go to the accuser, one-third to the city treasury, and onethird to the esecutore. 71 In 1601, one woman registered on Bocca di lupo, two on Capramozza, and four on Belvedere di Saragozza. In 1604, one registered on Bocca di lupo, three on Capramozza, and one on Belvedere di Saragozza. C de M 1601 and 1604. One of the women who lived on Belvedere in 1601 continued to do so in 1604, while another had moved three blocks west to Senzanome, and a third had moved across town to Campo di Bovi by the north-eastern wall. These were Vittoria Pellizani, Gentile di Parigi, and Angela Amadesi, called “La Zoppina.” For Vittoria: C de M 1601, 204 and 1604, [np] “V” section. For Gentile: C de M 1601, 74 and 1604, [np] “G” section. For Angela: C de M 1601, 136 and 1604, [np] “A” section. 72 These were Camilla di Fiorentini, who lived in the house of Caterina the widow, and Cecilia Baliera. C de M 1614, 288 and 39 respectively.73 See BCB, Bandi Merlani, XI, fol. 28r, untitled, begins “Non essendo conveniente, che appresso li Monasterij di Monache” (January 18, 1622). In 1624, four women lived on Altaseta and none on Mussolina. 74 Guidicini, Cose notabili, vol. III, 179–80 and volume III, 346–50. 75 The proclamation clearly states that the order was made at the insistence of the “Huomini della Madonna dalla Neve, Confraternità di essa, e persone honeste di detta strada.” BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r (August 20, 1621). 76 These were published in 1587, 1602, 1608, and 1621. BCB, Bandi Merlani, I, fol. 449r, untitled, begins “Devieto di affitare a persone disoneste nella contrada di S. Maria della Neve” (April 26, 1587); ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 15, fol. 198r, untitled, begins “Essendo la Contrada di Santa Maria dalla Neve sempre stata Contrada quieta” (January 31, 1602); ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r, untitled, begins “Havendo l’Illustriss[im]e Reverendiss[ime] Sig[nor] Car[dinal] di Bologna pien notitia” (June 6, 1608); BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando Contra le Meretrici, & Persone inhoneste” (August 20, 1621). 77 “non possa, ne possano, ne debbano sotto qual si vogli pretesto, a quesito colore fermarsi, o star ferme per detta strada, sotto il portico, suso il lor’uscio, o d’altri, o suso l’uscio dell’ Hostarie.” ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r (June 6, 1608). 78 “comanda espressamente all GIULIA da Gesso, all DORALICE Moroni, alla LUDOVICA Guidi, & ad ogn’altra MERETRICE [sic].” ASB, Legato, Bandi speciali, vol. 17, fol. 225r (June 6, 1608). 79 C de M 1609, 73, 121, and 151, respectively. 80 These were Agata Martelli, alias Bagni, from Castel San Pietro and Lena di Stefani who lived in the casa of Messer Domenico Bonhuomo. C de M 1614, 19 and 1624, [np] “L” section. 81 BCB, Bandi Merlani, X, fol. 128r, “Bando Contra le Meretrici, & Persone inhoneste” (August 20, 1621). Though Savelli did not specify which “Borgo Nuovo” they should move to, in all likelihood he meant Borgo Nuovo di stra Maggiore, which had no convents or churches on it. 82 Cohen and Cohen, “Open and Shut,” 67–68. 83 Cowan, “Gossip,” 314–16; Cohen and Cohen, “Open and Shut,” 68–69. 84 Cohen, “‘Courtesans,’” 204–05; Cohen, “Seen and Known,” 396–97. In a later article Cohen argues that “[t]hough typically noisier and more abrasive than feminine ideals would dictate, much of prostitutes’ street behavior was not radically distinct; rather it fell toward one end on a spectrum of working class practices.” Cohen, “To Pray,” 310. 85 Tommaso Garzoni, Piazza universale di tutte le professioni del mondo, nuovamente ristampata & posta in luce, da Thomaso Garzoni da Bagnacavallo (Venice: Appresso l’Herede di Gio. Battista Somasco, 1593), 598. Available online from the Università degli Studi di Torino OPAL Libri Antichi internet archive at http://archive.org/details/Scansione GIII446MiscellaneaOpal, cited in Cohen, “Seen and Known,” 397, n. 18. 86 Ibid., especially 396–97 and 399; Storey, Carnal Commerce, 172–75. 87 “Mirror of the Harlot’s Fate,” ca. 1657, reproduced on 278–79 in Kunzle, History of the Comic Strip: Volume 1 and Storey Carnal Commerce, 37. Vita del lascivo (“The Life of the Rake”), ca. 1660s, Venice, reproduced on 39–44 of Storey, Carnal Commerce. 88 ASB, Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601, [np] January 22, 1601. 89 Ibid., [np] July 23, 1601. 90 Ibid., [np] January 22, 1601. John Florio defines “chiavare” as “to locke with a key. Also to transome, but now a daies abusively used for Fottere.” He defines “fottere” as “to jape, to flucke, to sard, to swive,” and “fottente” as “fucking, swiving, sarding.” Florio, Queen Anna’s, 97 and 194, respectively. 91 On the attraction of lawmen to streets known for prostitution, gambling, and drinking: Cohen, “To Pray,” 303; Storey, Carnal Commerce, 99–100. 92 The complainants referred to themselves as honorati and gentilhuomini, curiali principali, and artegiani buoni e da bene. Storey, Carnal Commerce, 91, n. 103. She dates the two letters from 1601 and 1624.93 For the vice legate’s order, as transcribed into the 1586 register: C de M 1586, [np], untitled, begins “Ill[ustrissim]us et R[everendissi]mus D[ominus] Bononorum Vicelegatus in eius Camera” (June 28, 1586). 94 Cohen, “Seen and Known,” 409. 95 Storey, Carnal Commerce, 1–2.Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Bologna (ASB) Assunteria di Sanità, Bandi (XVI–1792) Boschi, b. 541 Legato, Bandi speciali, vol. 3, 15, and 17 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Campione delle Meretrici 1583, 1584, 1586, 1588, 1589, 1594, 1597, 1598, 1599, 1600, 1601, 1602, 1603, 1604, 1605, 1609, 1614, 1624, and 1630 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Filze 1601, 1603, 1604, 1606, and 1614 Ufficio delle Bollette 1549–1796, Inventionum 1601 Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Scritture Diverse, busta 1 Ufficio delle Bollette e Presentazioni dei Forestieri, Statuti, sec. XV, codici miniati, ms. 64 Archivio di Stato di Firenze (ASF) Acquisti e Doni 291 Onestà, ms 1 Biblioteca Comunale di Bologna (BCB) Bandi Merlani, I, V, X, and XI. Gabinetto disegni e stampe, “Raccolta piante e vedute della città di Bologna,” port. 1, n. 14. http://badigit.comune.bologna.it/mappe/14/library.html Biblioteca Universitaria Bologna (BUB) Manuscript 373, n. 3C Thomas Fisher Rare Book Library (Fisher) B-11 04425 Museo della Città di Bologna (MCB) 2470 (re 1/425)Published sources Brackett, John K. “The Florentine Onestà and the Control of Prostitution, 1403–1680.” Sixteenth Century Journal 24, no. 2 (1993): 273–300. Chojnacka, Monica. “Early Modern Venice: Communities and Opportunities.” In Singlewomen in the European Past. Edited by Judith M. Bennett and Amy M. Froide, 217–35. Philadelphia: Pennsylvania University Press, 1999. ———. Working Women in Early Modern Venice. Baltimore, MD: Johns Hopkins University Press, 2001. 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Intricately bound to the fundamental institution of marriage, it threatened honor, family, and livelihood. Traditionally, this grave offense merited harsh punishments like stoning, although by the sixteenth century these had much softened. A sin, a crime, and a breach of contract, in early modern Italy it could be prosecuted under several kinds of law. Beyond canon law’s jeopardy for both spouses, under Roman law enshrining patria potestas, adultery was overwhelmingly a wife’s transgression, to which, furthermore, she was presumed to have consented.1 So, a vengefully passionate husband or kinsmen who killed a wife found f lagrantly abed with a lover could claim immunity from prosecution for murder.2 The adulteress herself figured ambiguously as a theme in Italian paintings, prints, and stories. Nevertheless, neither law nor broader cultural norms ref lected adultery’s complexities as social experience on the ground. To juxtapose prescriptive and lived understandings and to test the crime’s notoriety, we turn to judicial records. For contrast with our culturally framed expectations and to glimpse the everyday worlds of most early modern people, this essay reconstructs four stories from adultery prosecutions in the Roman Governor’s court circa 1600. The particular crimes of these non-elite women and men involved companionship and sex, but little else was directly at stake. My accounts seek to represent both social dynamics and a vernacular culture of sexuality accessible alike to the educated and the illiterate. I highlight a cluster of adulteresses who cultivated not primarily instrumental, but rather personal, alliances outside marriage. The lovers’ choices transgressed and had consequences both at home and in the public courts. Nevertheless, their misconduct was not radically out of step with an everyday culture of sexuality that endured even in Catholic Reformation Rome. Adultery had a lengthy history as a cultural, legal, and behavioral problem. From the twelfth century, an ambivalent medieval literature on humanlove—from Andreas Cappelanus to Gottfried von Strassburg—suggested that passion and marriage did not mix. Despite the Renaissance emergence of more positive takes on sex, the notion persisted that intense eroticism was seldom the business of husbands and wives.3 The church still taught that marriage was the only licit setting for sex, while discouraging the pursuit of pleasure for its own sake. The iconography of love on domestic objects linked to betrothals and weddings promoted family policy as much as private spousal gratification.4 Although married people may not have behaved as they were told, they have left few words about sex. If conjugal relations did often tend to routine, adultery could be easily imagined by contemporaries, and by scholars since, as an agreeable alternative. Popular histories have repeatedly featured swaggering Renaissance noblemen, including prelates, who dallied sensuously with mistresses and fathered bastards. Their female partners, who ranged from servants to gentlewomen, were often married, and so adulteresses.5 A wife’s adultery posed problems for both her spousal household and her natal family, but sometimes brought them benefits as well. Under ancient Roman law still frequently cited in the Renaissance, uncertainty about paternity and corruption of the lineage was one major cost.6 Adultery also rattled the public honor of a patriarchal family that could not control its assets, including the chastity and fertility of its women. These concerns appear as conventional rhetoric, but it is far from clear how much they actually drove Renaissance husbands’ retribution. Certainly, charges of adultery were invoked to instigate violence against an inconvenient kinswoman and to cover other, less high-minded goals. On the other hand, where doctrines of sexual exclusivity could bend in practice, adulteresses might reap rewards rather than punishments for their liaisons, especially with powerful men. For example, Giulia Farnese, wife of the Roman baron Orsino Orsini and the mistress of Pope Alexander VI in the 1490s, arranged a cardinal’s hat for her brother, Alessandro, the future Pope Paul III.7 Even bastards could be absorbed and their mothers supported. In the 1460s Lucrezia Landriani, married conveniently to a Milanese courtier, bore four illegitimate children to the young Galeazzo Maria Sforza before he became Duke of Milan and took a bride. Bearing their father’s name and raised in his court, Lucrezia’s brood included Caterina Sforza, the future indomitable Countess of Forlí.8 The husbands of these high-f lying adulteresses managed their role, its perks and its costs, more and less deftly. In Florence, the husband of Bianca Cappello, the mistress and later wife of Grand Duke Francesco I, retaliated by intemperate womanizing of his own, and died at the hands of his paramour’s kinsmen.9 Husbands did not take adultery lightly, but there might be multiple stakes and more than just one bloody end. The dark emotions of adultery—jealousy and anger—struck men and women alike. Legends of aristocratic adulteresses killed in flagrante delictu by vengeful husbands arouse pity, horror, and titillation in later readers. Although the threat and the rhetoric surely circulated, documented historical examples are few.10 More modest women, too, had reason to fear even unmerited spousal violence.For example, in a miracle attested in 1522, the Madonna della Quercia of Viterbo saved a woman mortally assaulted by a suspicious husband, egged on by his mother.11 More peaceably, a Quattrocento necromantic recipe promised that to make a wife “persevere in honest alliance with her husband.”12 Moreover, although adulterers were rarely prosecuted, women deeply resented their husbands’ philandering. In the 1550s a pious Bolognese gentlewoman, Ginevra Gozzadini, asked her spiritual director if she owed the marital debt to her errant husband. Though reluctant to release his disciple from godly duties, Don Leone Bartolini allowed her to decline if her husband refused to forgo his “public adultery and also grazing on his wife like a pig and not a Christian.”13 Renaissance Italian visual and literary culture depicted four roles in adultery’s drama: the wife; the husband or cuckold; the lover; and the chorus of the public. Though shadowed by misogyny, views of women were mixed. Ancient and medieval texts widely posited female propensities to falling in love and to undisciplined and mercenary carnality. Beauty, coupled with fickle mind, made women at once temptresses and easy prey to seducers. These risky frailties in turn justified tightly constraining rules. In parallel, novelle, poetry, madrigals, and commedia dell’arte evoked both woe and delight with representations of love and romantic adventure. Magic, too, offered women and men ways to attract and bind a lover.14 Mainstream cultural norms often lumped non-conforming women together as sexual transgressors. Yet prestige and class, singled out some for celebration. Thus, as whores, prostitutes stood for the obverse of female virtue, but courtesans, especially those dubbed counterintuitively “honest,” earned renown among elite men for their manners and cultural finesse. Even Saint Mary Magdalene appeared in paintings as the brightly dressed, or undressed, playgirl who was the foil to her model penitent. The adulteress partook of this generic bad girl, at once attractive and corrupt, but her jeopardy under law invited ambivalence. For example, many early modern artists represented the Gospel story of the woman “taken in adultery.”15 Sixteenth-century Italian paintings usually depicted a beautiful, young woman, thrust by the Pharisees’ heavy legal hand to stand alone before a crowd to be judged. Although conventional language suggested that she was in some sense caught or trapped, she was still deemed to have consented to dire offense. Viewers would hear Jesus first chide her persecutors, “Let he who is without sin cast the first stone,” and then tell her to go and sin no more. All were sinners, not least the adulteress, but law must not trump Christian mercy. Among the men’s roles, not the male adulterer nor the wife’s lover, but rather the husbandly cuckold claimed a share of cultural preoccupation. The aristocratic choice between familial vengeance or instrumental accommodation often came down on the latter side. Instead of destroying the adulteress, the cuckold had his reasons for complacency. In visual imagery, art historians have shown betrayed husbands responding as much with dismayed forbearance as with hot ire. Comparing paintings of Joseph, the helpmate of the Virgin Mary, and Vulcan, the spouse of Venus, Francesca Alberti explained how the aging husbands ofexceptional wives, though vulnerable to mockery by artists and viewers, served divine ends.16 Louise Rice tracked Italian depictions of the cuckold from a nasty late fifteenth-century allegorical engraving through sixteenth-century literary parodies from Aretino and Modio, and finally to Baccio del Bianco’s drawings. These last offered whimsically ironic scenes that normalized both the cuckold and the adulteress.17 Ambivalently allotting pleasure and agency to women and complicating the revenge narrative, novelle offered socially more varied cultural constructions of adultery. In the Decameron, Boccaccio exploited these possibilities in more than twenty-five stories featuring adultery that fancifully permuted its spousal roles.18 The married women of the novelle, again almost always beautiful, pursued love and reaped their adulterous pleasures with ambiguous culpability. At the expense of dull or aging husbands, some wives schemed cleverly both to achieve their desires and to elude discovery and punishment.19 Others, honest, virtuous, and alluring, had to be tricked by would-be lovers into learning that sex outside marriage was more fun.20 Lucrezia in Machiavelli’s Mandragola found similar fortune. Although female delight was only a means to an end in the Decameron’s elegantly ironic lessons, a more literal reading of the stories at least gave a space to imagine wives’ extra-domestic enjoyment. Boccaccio’s cuckolded husbands reacted variously to adultery’s challenges to honor and to its remedies in law. In Day 4, Story 9, a gentlewoman let herself fall to her death after her vindictive husband fed her the heart of her paramour. Explained the woman, since she had given her love freely, she was the guilty one and not the lover. In a lighter vein, Day 3, Story 2 parodied the narratives of murder in f lagrante and, less directly, of Christ forgiving the adulteress. A king, discovering his wife and a groom asleep together, cut the man’s hair to mark his guilt. When the lover woke, he scotched his jeopardy by similarly tonsuring other servants. In the end, the king, rejecting a petty vendetta that would broadcast his dishonor, announced cryptically to his assembled entourage: “He that did it, do it no more, and may you all go with God.”21 In Day 6, Story 7, a hapless husband, fearing penalty if he killed his adulterous wife himself, hauled her before the public court, where, by statute, she faced a sentence of death by fire. Unlike the Gospel’s submissive adulteress, the respected Madonna Filippa staunchly defended herself with two claims. First, as in the tragedy of Day 4, she did it for her “deep and perfect” love for Lazzarino. Secondly, having gotten her husband to agree that she had always satisfied his every bodily wish, she asked: “what am I to do with the surplus? Throw it to the dogs? Is it not far better that I should present it a gentleman who loves me more dearly than himself, rather than allow it to turn bad or go to waste?” The gathered populace of Prato greeted this charming riposte with approving laughter and, at the judge’s suggestion, altered the harsh statute to punish only adulteresses who did it for money.22 Christian rules as implemented through ecclesiastical courts also ref lected more everyday cultural norms. Although by medieval canon law both spouses owed the marital debt, in customary practice expectations differed for husbandand wife. As historian Cecilia Cristellon shows, the church courts of preTridentine Venice aimed less to police sex than to stabilize marriages and to minimize scandal.23 Many proceedings, often brought by women, sought to formalize separations or annulments of couples who had long since parted company. Adultery by wife or husband was a charge to blacken character but was seldom advanced as the source of a broken marriage.24 In fact, among the lower orders, adultery was a common product of widespread, informal serial monogamy. Finding themselves for various reasons without present spouses, people readily took up new heterosexual partnerships. Although adulterous, such concubinage, sometimes with a formal blessing that made it bigamy, was often marriage-like and, in the absence of contrary evidence, usually accepted by the lay community. In the face of these popular habits, fifteenth-century church courts worked to sharpen the boundaries of marriage, and the Council of Trent’s legislation assimilated concubinage more and more to prostitution.25 Even so, ecclesiastical judges continued less to punish adulterous sex by itself than to seek better moral and spiritual discipline around marriage as a whole. Let us turn now to Rome at the end of the sixteenth century to gauge the moral climate and social textures in which our everyday adulteries took place. For some decades Catholic reformers had worked to burnish Rome’s reputation as a fitting capital for a resurgent church. Issuing repeated regulations (bandi ) to suppress blasphemy and vice, local authorities particularly targeted gambling and adultery.26 Yet these official pronouncements better registered moralistic concern than they energized a thorough cleansing of the civic body. Parallel rules sought to constrain the practice of prostitution, although that trade and fornication by the unmarried were transgressive but not criminal. The magistrates’ concerns turned mostly on guarding sacred sites from taint and restraining violence and disorder by prostitutes’ clients. Yet enforcement of decrees around illicit sex remained sporadic. Pius V’s ghetto for prostitutes of the late 1560s at the Ortaccio did not last long as either structure or policy. That moment was the reformists’ exception rather than the trend. The early sixteenth-century celebrity of Rome’s honest courtesans had certainly waned, but in 1580 the gentleman traveler Montaigne was still keen to admire and visit their kind.27 More generally, the historian of crime Peter Blastenbrei concluded that, for two decades immediately post-Trent, Rome was de facto quite accommodating of heterosexual irregularities and sometimes attracted couples seeking to escape sharper discipline elsewhere.28 All told, by 1600, reform in the papal city had subdued the Renaissance culture of f leshly pleasures, but effective suppression of non-marital sex was scarcely true on the ground. The labyrinth of Rome’s institutions and, especially, the mobile demography of its residents consistently subverted the religious and moral aspirations of its leadership.29 The city’s population swelled, from 35,000 in 1527, after the catastrophic Sack by Hapsburg imperial troops, to around 100,000 in 1600.30 Few people were native Romans. Visitors and migrants f lowed in—men and women, of all social ranks from ambassadors and nobildonne to pilgrims, cattledrivers,and servants. Many also left town. In a f luid residential geography, most people rented their accommodations and often moved house. Although many households had a nuclear core or its remnants, complete families were fewer than in many cities.31 Lodgers and informal clusters of housemates were common. People also changed jobs frequently, and some worked in one part of the city but, regularly or occasionally, ate and slept elsewhere. As a result, ordinary Romans had repeatedly to renegotiate the personnel and terms of daily life. Furthermore, Rome’s sharply skewed sex ratio yielded distinctive economic and marital dynamics. The urban population counted, roughly, only 70 women for every 100 men. Celibate clerics were not the primary culprits. Many of the surplus men came to the city to provide for the needs and comforts of a courtly society, by serving in great households of prelates or secular lords or by supplying goods.32 With males doing much of the domestic work and without a major textile industry, the market for female labor in turn was weak. Of the many men, some married in Rome to help establish themselves, but others had wives elsewhere, or were young and not ready to settle down.33 Although some, nubile, women found husbands readily, many others were left to improvise when fathers died or spouses left town for shorter or longer absences. Typically, they struggled to live piecemeal from laundry, spinning, and sewing. As in Venice, concubinage was common. Prostitution, too, though never as rampant as some hysterical reformers claimed, was another, potentally better paid recourse. Often informally and intermittently, younger, more presentable or gregarious women offered mixes of sexual, social, and domestic services to a shifting contingent of unpartnered men, and to some husbands as well. As a concubine or prostitute, a married woman faced legal jeopardy for adultery. When a husband did not, as obligated, support his wife, she had to find alternatives. Sometimes, he had wasted the dowry. Often, he had been long away, having intentionally or not abandoned his wife. A woman, in turn, unknowing if her spouse had died, often proceeded as if he had and set up new partnerships. In the absence of contrary information, neighbors tended to presume legitimacy for couples who lived appropriately, including taking the sacraments at church. Nevertheless, married women living as prostitutes, concubines, or even bigamist wives were liable, if denounced, to prosecution. The discipline and prosecution of adultery in early modern Rome has left only erratic traces. No trial records survive from the tribunal of the Vicario, who bore many of the city’s episcopal functions for the pope. 34 As an offense of “mixti fori,” however, adultery sometimes came before the criminal courts.35 Killing women for honor was rare, especially in the city, and the ferocity of the ancient law had attenuated. Going to law, though risking unwelcome publicity, became more common, even for noblemen.36 In the 1580 edition of Rome’s Statuta, carnal and associated crimes occupied a brief three pages and mostly specified due punishments.37 In practice, these penalties were often negotiated down, so the statutory guidelines are interesting mostly as a ref lection of judicial thinking and broader cultural values. This section began with sodomy and a tersepronouncement of death by burning. Next, a longer paragraph, De Adulterio e incestu, spoke first of “adultery with incest,” before turning to “simple adultery.” For this last, punishments were calibrated to the woman’s honesty and the man’s social rank. For sex with an “honest” wife, a plebian man faced a hefty fine of 200 scudi and three years of exile. A gentleman owed double the fine and the exile, and a baron triple. Notably, this scale of penalties targeted the common circumstance of high-status men making alliances with women of lower rank. On the other hand, the chance that even a middling family would successfully haul a nobleman into court was slim. Continuing, the statute declared that if the wife was poor and “inhonesta, but not a public prostitute,” the penalties were halved.38 Reputation ( fama) in the neighborhood legally determined a woman’s “honesty.”39 At the same time, where early modern criminal law recognized that virgins might resist forcible def loration (stupro), wives were still held complicit in adultery.40 Thus, every proven adulteress was, in principle, to be sequestered for correction in a casa pia for errant wives (malmaritate), where her husband or family paid her expenses. From the later sixteenth century, adultery came before the Governor’s court by two routes. By legal tradition, reiterated in the Statuta, sexual crimes involving respectable women received public intervention only when brought by a kinsman with honor at stake. Institutional justice, seeking to promote itself and to tame the violence of self-help vendetta, encouraged this recourse with some success. Thus, husbands initiated many of the Governor’s adultery trials, although typically with a keen eye to retaining spousal property.41 On occasion, angry women prosecuted their husbands for adultery.42 To note, the Governor’s criminal court in general took seriously women’s complaints, even without male backing. Their testimony as accused or witness, usually recorded under the same intimidating circumstances as men’s, bore analogous weight. Especially for offenders from the lower social ranks, adultery also came to the court’s attention by an investigation ex offitio, on the state’s initiative. Usually, a secret report by a mercenary spy or grouchy neighbor launched the case, followed by a police raid.43 Such arrests were often handled by summary justice that imposed a fine and issued an injunction against further misconduct.44 A few cases led to full trials, and my stories here of “simple adultery” are among them.45 Although these examples were not formally typical, they involved ordinary people getting into relatively routine kinds of trouble. Bodies and honor were at stake, but neither money nor property were central for either husbands or wives. All the women had engaged actually or potentially in sex with men of their own choosing outside the bonds of marriage. From the tales of these willing adulteresses who ended up in court, we can learn about a range of possibilities for extramarital adventures and about the narratives and discourses that explained them and hoped to extenuate culpability. These women, though several years married, were often young. In other Governor’s court trials around f lawed marriages the wives typically complained of mistreatment to justify their straying. In none of these four stories, however, did that rhetoric appear. The husbands, when theysuspected or learned what was afoot, were angry, but the trials were not about ending a marriage. The lovers, themselves unmarried, were among the many unattached men in Rome, and met the adulteresses through family and local connections. Also telling are the ways that neighbors and colleagues took part, both in the trysts and in their discovery and discipline. In my first two adultery stories, unhappy husbands tried, more and less cannily, to corral their wandering wives. For both, events transpired close to home. In the first case, the spouses spoke of Tridentine teachings to repair a troubled marriage. The pastoral discipline had failed to work, however, and the next time the irate husband resorted to self-help, seriously beating his incorrigible wife. The domestic violence brought the problem to public notice. In the second story, the husband confronted his wife with her misconduct reported by neighbors. When she faced down his efforts at proper spousal correction and still continued to roam, the husband turned for help to the ecclesiastical and public authorities. They, in time, intervened, but notably declined to rush into a private matter without good cause. The first tale provocatively mixed elements of Boccaccio with Catholic reform teaching to the laity. A very short trial from May 1593 recounted adultery trouble that exploded within the cramped premises of a fruit and vegetable seller in central Rome.46 After the beleaguered husband, Hieronimo, had resorted to self-help, the resulting domestic violence led an unnamed informant to alert the police. In this instance, probably because the wife, Caterina, lay injured, instead of collecting testimony at the prison, the notary first hurried to the respectable shopkeeper’s premises to interview both spouses. Husband and wife testified immediately in the heat of events and again, later, in jail. The would-be lover, the shop assistant Leonardo, nimbly decamped before the law arrived. As was common for many city dwellers, Hieronimo Ursini from Milan kept shop on the street f loor and lived upstairs with his wife, Caterina, but evidently had no children. Two garzoni (shop assistants) slept in an adjacent room. The fruitseller had good reason to suspect his young wife. By his account, Caterina, whom he spied often f lirting in the window “with this one and that one,” had repeatedly tried his patience. Worse, he once had caught her at her mother’s house, “almost in the act” of having sex with a tavern keeper. Nevertheless, Hieronimo averred piously, “I forgave her, and she promised to do no more wrong, and we confessed together to the parish priest and took communion, and I took her back and led her home, pardoning everything and keeping her always as well as possible” (ff. 1125r–v). Portraying himself as a pious and forgiving husband, Hieronimo sought to meliorate the court’s view of his later, less irenic, behavior. The testimony, which likely was approximately true, shows us a man of modest status deftly invoking good Catholic teaching. Caterina in turn confessed, “Truly, I did wrong (torto) to do what I did to my husband, because I once fell into error (errore) at my mother’s house, where I had sex with Giovanni Angelo the tavern keeper, and even so, my husband forgave me and took meback into the house” (ff. 1128r–v). Here she acknowledged not only Hieronimo’s forbearance, but also her own inclinations to illicit pleasure. Hieronimo’s jealousy thus primed, on a May morning he climbed early out of the bed that he shared with his f lirtatious wife. According to his testimony, he intended to go to a garden on the edge of the city to cut artichokes for the shop. He tried to rouse his two garzoni who were sleeping in another room. One got up, but Leonardo, also from Milan, claimed to be sick and would not rise. Suspecting the lay-a-bed of setting a “trap,” Hieronimo sent the other assistant out to collect the produce, but he himself slipped into the shop and hid behind a barrel. After a while, Leonardo entered the shop, “sighing,” according to the hidden Hieronimo, “an amorous sigh.” A few minutes later, Caterina appeared, asking where her husband was. “Gone to cut artichokes,” replied Leonardo. Immediately, said Hieronimo, Caterina began to adjust the garzone’s ruff ( fare le lattughe), and quickly the two became playful and kissed each other. The husband, seeing that “Leonardo wanted to lift her skirts and do his thing ( fare il fatto suo),” burst out of hiding shouting, “Oh traitor, oh traitor, you do this to me!” (ff. 1126r–v). Seeing his master thus enraged, Leonardo, expediently, slipped out the shop door and disappeared from the story. Caterina retreated hastily up the stairs, and Hieronimo surged after, beating her with a broomhandle, a domestic weapon of choice for women as well as men, with his fists, and with his belt. So incensed was he that he pinned her down with his knees on her belly and then on her shoulders, while hauling on her braids, so that he left her “as if dead,” swollen, bloody, and with bruises “blacker that your Lordship’s hat” (ff. 1126v–1127r). Hieronimo volunteered all these details, and one suspects that he may have shocked even himself with his ferocity. Caterina’s tale of the putative adultery and its sorry aftermath provides another perspective. Not surprisingly, she presented herself as aggrieved and “mistreated.” Nevertheless, she reported a similar account leading to the f lirtatious exchange with Leonardo. Her husband, having left early without a word, she rose two hours later. Going into the next room, Caterina rousted Leonardo to get up and open the shop, while she swept. When she went down for a basket to hold the sweepings, she found Leonardo, wrestling with a pair of sleeves. He asked for help in attaching them, and the two began laughing as they struggled with the laces. Just then, Hieronimo sprang out and began to assault his wife. Confirming Hieronimo’s confessed details and adding blows with the head of a hatchet, Caterina claimed that he wanted to kill her. But, “please God,” he had not (f. 1125v). Later, pressured by the court at a second interrogation, the wife admitted to some greater provocation of her husband. In this version, as she came into the shop, Leonardo asked that she help lace his sleeves and moaned about not feeling well. She joked that he was not going to die, and they began to play so that, as in Hieronimo’s account, the garzone had kissed her “lustfully (lusuriosamente)” on the cheek and she responded in kind (f. 1128r–v). Though more theatrical than some tales, this domestic drama had several points in common with other neighborhood adulteries. First, illicit relationssprouted very close to home. These were the settings—through work and domestic propinquity—in which wives were likely to meet other men. Perhaps surprisingly to us, these were also the spaces in which adultery—its initiations and often its consummations—took place. People understood the risks and costs of getting caught; at the same time, privacy, such as we imagine it, was simply not a reality for most people. While married, Caterina had practiced serious f lirtations first in her mother’s house and then in her husband’s, with one of their live-in employees. Even if no real sex had transpired with Leonardo, Caterina saw the wrongful pattern of her conduct. She evidently enjoyed the play and appreciation of her guilty encounters, but she gave little sign of personal feelings for her lovers. In contrast, there does seem to have been some commitment, however f lawed on both sides, between the spouses. While we may doubt that Caterina changed her ways, she did express a sense of responsibility and a belief that she should make peace with her husband. The brevity of the trial suggests that the magistrate was content to dispatch the matter quietly. Both spouses had to answer for their transgressions— Caterina’s sexual misconduct and Hieronimo’s excessive correction.47 The second story of adultery is the only one of the four where the husband himself brought his private troubles to the authorities.48 For more than six months, Bartolomeo from Genoa, alerted by friends, investigated suspicions and then sought to correct his errant wife, Isabetta from Rome. He had tried several times in previous months to enlist the help of the Vicario’s ecclesiastical tribunal, but in vain. Recently, however, he had procured a warrant, probably from the Governor’s court (ff. 832r–v, 834r). So, a police patrol met Bartolomeo outside the building where the lovers had been seen and at his direction made arrests that led to the trial.49 Events took place in a shared neighborhood and within a community of workers, several of whom testified. In this slightly larger, but still face-to-face social terrain, friends and neighbors, notably men this time, had a crucial role in managing their comrade’s disarray. On Saturday, October 22, 1604, right after the arrests, Bartolomeo, coachman to a Monsignor Dandini, complained formally against his wife and Francesco Cappelli from Florence (ff. 831r–v). Bartolomeo had married Isabetta six years earlier; although native Roman women were few, they often married men from outside who sought to establish themselves in the capital. It was a second marriage for Isabetta, who had a grown stepson and a son who lived together in another neighborhood (f. 840v). Bartolomeo lived with Isabetta and their young son near San Pantaleone in the city center. The accused lover, a twelve-year resident of Rome who served as coachman to another churchman, the Archbishop of Monreale, worked from a stable nearby. Bartolomeo’s complaint charged Isabetta with spending “unusually much ( piu dell’ordinario)” time with Francesco. According to reports from several men, including a third coachman, while Bartolomeo lay on his sick bed, Isabetta came and went late in the evening from the stables where Francesco worked. Once healthy again, Bartolomeo berated his wife for her visits and threatened her with arrest and public whipping (f. 831r). She, however, denied all charges and challenged her husband to do his worst(f. 831v). Nevertheless, Bartolomeo asked his friends to spy on her movements (ff. 833v–834r). One morning Bartolomeo’s nephew brought word that Isabetta had been spotted a few streets away going with Francesco into the Palazzo de Picchi. Bartolomeo sent a messenger to alert the city police. When they arrived, Bartolomeo told them to arrest Francesco, then descending the stairs. The husband entered the building, collected Isabetta, and sent her, too, off to jail (f. 831v). Note that the Governor’s police were willing to act, but left it to the respectable husband to hand over his wife. After the arrests, neighbors and colleagues testified to having seen Francesco and Isabetta often together over many months and hearing talk in the piazza of their being lovers. One man observed her three or four times in the last month taking advantage of walking her son to school to stop to talk with Francesco in the courtyard of the Massimi family palace (f. 837v). Another neighbor, Alfonso, intervened directly. Because, he said, Isabetta was his commare, his spiritual kinswoman, he had invited her a month earlier to his house. There, with his own wife present, Alfonso told the wayward Isabetta of the rumors that she was in love (inamorata) with Francesco and having sex with him. Alfonso urged to her to smarten up (stesse in cervello) and amend her ways, because her husband knew and had a warrant to send her to jail, and because it dishonored Alfonso himself, who had helped marry her so respectably (ff. 834r–v). In their early testimonies, the lovers took different tacks. The unattached Francesco downplayed the whole business. He acknowledged, as did Isabetta, that they had known each other in the neighborhood for three or four years. Yet Francesco dismissed her presence in his room or any adulterous reasons for it, “I cannot know the heart of that woman or why she came up” (f. 835v). Isabetta, pressed hard through several interrogations, tried ineffectually to parry the court’s questions. She garbed herself conventionally as a dutiful housewife who minded her own business and seldom went out: “I have to keep working if I want to live” (f. 841r). Accordingly, she implausibly denied knowing local geography; then, insisting that she had never set foot in the stables, she fudged the meanings of being “inside” a place (f. 839r). She invoked her own good name, though in an elaborately conditional mode: “What do you imagine, your Lordship, if I had gone out while my husband was sick, that would have been a fine honor from me” (f. 839v). Blaming her neighbors for their spiteful testimony, she invoked the chronic enmities of local life: “what fine witnesses are these? this is how they repay the courtesies and good will that I have used with them” (f. 843r). Later, however, she backtracked on some of these claims with a pathetic tale of going out at night to fetch some greens to feed the ailing Bartolomeo. Passing by the stable’s open door, she said, Francesco had called out to her, “‘how is your husband?’ I, in tears, answered that the doctor offered little hope, and then Francesco responded, ‘look, if you need anything, be it money or anything else, just ask’” (ff. 843r–v). Spun this way, the errant wife’s visit to the stable got folded into a stirring picture of her desperate efforts to help her husband and of the fellow coachman’s sympathetic offer of aid.Near the end of the trial, the accused lovers, confronted with repeated testimony to their private meetings at the stable and in the palazzo, were pushed to address the presumption that they met for sex. As a judge said in another trial, “solus con sola, one does not presume they are saying the paternoster.”50 When pressed, Francesco exclaimed, “Your Lordship, I will take 100,000 oaths that I had no carnal doings with Isabetta!” He continued, “I can show your Lordship that only with great difficulty can I go with women, and when I do, it is rarely and to my great injury (danno), because four ribs got cut by a Turkish scimitar when I served as a soldier on the galleys of the Grand Duke” of Tuscany (f. 849v). Here we have detail so baroque that we may have to believe it. Francesco aimed to suggest, with timeless logic, that his encounters with Isabetta were not, actually, sex. Whatever it was, however, he feared culpability and had tried, with various moves, to def lect it. Interestingly, Isabetta’s final remarks also denied a sexual relationship by alluding to Francesco’s behavior. In her words, “if he were as proper (netto) with other women as he is with me, he would never have had sex with any woman.” Then, reaffirming her veracity, she concluded with a shift to a rhetoric of intention and sin, “If I had done wrong (errore) and if Francesco had sex with me, I would say so freely and ask for forgiveness, but because I did not do it, I cannot say I did” (ff. 850v–851r). Much more was at stake for Isabetta than for her lover. Knowing well that, in sneaking around while her husband was ill, she had erred in the eyes of her peers, she did not counter Bartolomeo’s charges with complaints of mistreatment. Yet she stood on her word that she could not confess a lie. There the trial record ended with the usual legal instruction that both accused parties be released into the jail’s public rooms (ad largam) with three days to prepare a defense. Accumulated circumstantial evidence, rather than catching lovers in the sexual act, was sufficient for neighbors and, in turn, their publica vox et fama attesting to the offense had weight in court. Nevertheless, perhaps fearing retaliation, people appear not to have turned each other in too quickly. Once an adulterous coupling became common, local knowledge, a friend or associate might assay an informal warning to wife, husband, or lover. Consensus likely deemed these matters family business, better handled privately and with minimal scandal. In this case, Bernardino not only chose official help, but had to persist to get it. In two other stories private adultery and its public prosecution unfolded in different circumstances. Here the adulteresses took advantage of wider urban terrains when pursuing their romantic yearnings. The husbands, although present in the city, were not principal players in bringing the cases to court. Neighbors, on the other hand, took active part, facilitating the alliances or tolerating them for some time, until a moment arrived when someone alerted the authorities. These times, when the police raided an illicit rendezvous, they acted ex offitio, on the newer legal premise that the court could intervene directly, without a kinsman’s request, to ensure order among the city’s lower-status residents. In a third episode of simple adultery, prosecuted in January 1605, the husband, Giovanni Domenico, was in fact the last to know. The short trial consists of apolice report and testimonies from several neighborhood witnesses.51 Neither wife nor lover spoke on record, but procedural annotations at the document’s end register their choice not to challenge any of the witnesses. Most likely, the adulterers accepted a summary decision that ordered them to pay fines and agree formally not to consort any more. Giovanni Domenico di Mattei from Lombardy and his wife, Madalena, lived on the Tiber Island with their two young children and an orphan boy whom they kept “for the love of God” (f. 145v). Husband and wife shared a business selling doughnuts from their home (f. 143r). Giovanni Domenico also commuted daily across the city to Piazza Capranica to work as an assistant to a doughnut-maker (ciambellaro) (f. 145r). The job required his being away overnight, but every morning he returned to his family quarters, evidently bringing pastries to sell. One Wednesday morning, Giovanni Domenico came home to find that Madalena had been arrested, along with Pietro Gallo from Parma, a twenty-five-year-old barber’s garzone who lived two doors down the street (ff. 144r, 145v). According to the official report, a neighbor’s denunciation had informed the authorities that “every night after four hours (10 p.m.) Pietro habitually goes to sleep with Madalena” (f. 143r). Receiving word again last night that the barber was there, the police raided the house late on a chilly January evening. With professional savvy, the lieutenant posted men to watch the exits before knocking on Madalena’s door, which she opened after a few minutes’ delay. While a search inside found no man, a loud noise overhead alerted the police to visit the roof, but in vain. They did soon discover the barber in his nightshirt in his own bed, where he protested that he had been checking the premises above on behalf of his absent landlord. Unconvinced, the police led the two lovers off to jail (ff. 143v–145r). When Giovanni Domenico came home to the unpleasant surprise of his wife’s arrest, he learned that Pietro the barber, carrying a sword (a further offense), had been in the house at night with Madalena. The cuckolded husband went immediately to make a formal complaint and to demand, according to the protocol, the severest punishments for Pietro, Madalena, and anyone with a part in “leading him to her” (ff. 145r–v). The young orphan, Giovanni Santi, nicknamed Scimiotto (Little Monkey), also testified then under his master’s auspices. The boy explained that, during the four months that he had lived in the household, Madalena had many times sent him to invite the barber to eat, and that, when Giovanni Domenico was away, Pietro stayed to sleep. He shared the bed with Madalena and the two children, while the young witness slept on the f loor in the same room. The lover usually entered through the door, but sometimes through a window belonging to a laundress (ff. 146r–v). During her husband’s nightly absences and in plain view of the neighbors, Madalena had carried on adulterously with, like the other women, a young, unmarried man who lived nearby. The affair (amicizia) had been going on for as much as two years, according to gossip in the local wineshop (f. 148v). A hatmaker who lived in the house between the two lovers had for six months heardlocal “murmuring” that Pietro was having sex (negotiava) with Madalena. In passing back and forth, the neighbor had many times seen the barber in her house, their “talking and laughing together publicly .  .  . sometimes in the morning, sometimes after eating, sometimes toward evening” (f. 147r). Often, said the hatmaker, other men also hung out convivially at the shop, eating doughnuts, or, in season, roasted chestnuts (f. 148v). Giovanni Domenico must have been around sometimes when such sociability, presumably good for business, took place. Yet, about a month before the arrests, the hatmaker saw fit one day in his shop to warn the young barber: “the people of Trastevere say you’re having sex with the doughnut-maker’s wife; if you don’t straighten up, you’ll go to jail.” When Pietro denied it, the hatmaker replied that it was not his business, but that the barber had better mind his (f. 147r). Cesare the tavern keeper had also challenged Pietro. Several weeks ago, Cesare had gone to Madalena’s to borrow matches and found her eating with the barber and another man. Seeing the tavern keeper, Pietro had slipped away to hide. Later that day, Madalena’s small son came to Cesare’s house to get a light. Jokingly, he asked the boy: “who was sleeping with your mother last night?” (f. 148r). Later still, Pietro stormed into the tavern and began to threaten the host, saying that he should take care of his own house and not speak of others, or that he would get his head stove in. Cesare, figuring out how his words had passed from the child to his mother and to Pietro, protested that he had only spoken in jest (f. 148r). Although propinquity and opportunity during Giovanni Domenico’s regular absences clearly favored the liaison, we must guess at what drew these two lovers together. The unmarried barber could readily have found sex and even a quasi-domestic companionship elsewhere among the city’s prostitutes. The illicit pair seemed to enjoy each other’s company, alone together and also in groups. In Rome where many men were on their own, taking meals in others’ houses, sometimes in return for a contribution in food or money, was not unusual. Pietro’s sleeping over, especially when he lived so close by, was less acceptable. Interestingly, though, no one called Madalena a whore or said that she was in it for money. This suggests that there was something companionable about the connection, and that may have colored local reactions, at least initially. Some shift of neighborhood opinion in recent weeks, however, had led the hatmaker to confront Pietro and the tavern keeper to make his tactless joke to Madalena’s son. How, then, did the cuckolded husband not suspect? Seemingly, none of the neighbors said anything to him. At least, when he came home to discover the arrests, he hastily adopted a posture of righteous ignorance and mustered shreds of domestic mastery by adding his complaint to the magistrate’s file. Nevertheless, given local practices, the marriage probably muddled on. The fourth case shows a different pattern of adulterous assignation.52 The lovers had been acquainted through family connections for several years. The older married woman, infatuated with a younger man, a cloth dealer, organized their sexual trysts. Completely absent from the trial, the cuckolded husband figured only as an angry specter in his wife’s mind. Here again, a neighbor’s denunciationlaunched the official investigation. Testimonies from the two lovers and from several women neighbors arrested with them confirmed and extended the police report. On Saturday, March 23, 1602, in mid-afternoon, a police patrol raided a modest upstairs room in the Vicolo Lancelotti near the Tiber river. According to their lieutenant, an unnamed local informant reported that a married woman had been meeting a lover there on Saturdays for some months (ff. 1219r–v). The lodging belonged to Filippa from Romagna, a weaver and the wife of Hieronimo Morini, though evidently alone in Rome (f. 1220r). Two other women on their own, including Filippa’s commare Marcella, also shared the staircase. On Saturday, hearing men barge into the building, the weaver was able to warn the lovers, so that the police arrived to find the pair, both fully clothed, the man sitting on the bed and the woman standing beside him. But when the man rose, lifting his cloak from the bed, the lieutenant spotted a “shape” ( forma) betraying the couple’s activity (f. 1219r). The woman, Livia, was known to all present as the wife of Pietropaolo Panicarolo, a carpenter from Milan (f. 1224v). Confronted by the police, she threw herself tearfully on her knees and begged not to be taken to prison, because “this is the time” that her husband would kill her. The man, Marino Marcutio from Gubbio, took an officer aside, saying “I am a merchant” and offering money or whatever he wanted in order to let them go, the woman in particular (ff. 1219r–v). But the righteous policeman refused the bribe, bound the pair, and sent them to jail. The adultery’s backstory emerged from the interrogations. Livia testified that she had been married for twenty-six years, although she likely included a brief first marriage contracted when she was very young (ff. 1225r–v). That husband had died before she was old enough to go live with him, and probably she had been wed soon again to Pietropaolo. In any case, in 1602 Livia must have been at least thirty-five and maybe older. She lived with her husband, but, like Caterina and Hieronimo in the first story, they had no children. Besides Livia’s fear of Pietropaolo’s violence should he discover the adultery, we know nothing of their relationship. As in the third case, the geography in this one spread out across the center of the city. Livia lived currently not far from the Trevi Fountain and was accustomed to moving good distances around the city on her own (f. 1221v). Marino, a younger man, kept shop across town on a corner where the street of the Chiavari met the Piazza Giudea (f. 1220v). Livia had come to know Marino eight years before in her own home, where she nursed his seriously ill cousin, who later died (ff. 1227r, 1229r). Marino had also shared recreation and games with her husband, Pietropaolo, and the merchant’s parents had more recently lodged in the carpenter’s quarters during the Holy Year of 1600 (f. 1229r). Through these domestic encounters, Livia had fallen in love with Marino and had long strategized to meet him discreetly for sex. Livia had known Filippa for two years, during which time the weaver, who worked on a loom in her room, had made three cloths for the more aff luent carpenter’s wife (f. 1221r). Filippa had visitedLivia’s house to collect yarn for the loom and to deliver finished cloth, and Livia had called in the Vicolo Lancelotti, although it was a good way from her home. So, bumping into Filippa at various spots around town, Livia importuned her repeatedly for the use of her room to meet Marino (f. 1221v). Though reluctant, Filippa eventually gave in to the woman who gave her work. At risk of being charged as a go-between, the weaver said she had refused any compensation, but Livia said that she had given Filippa five giulii for the two recent assignations (f. 1227v). In Livia’s own words, she had loved and been in love (inamorata) with Marino for years, and her infatuation had propelled her to arrange a series of private encounters “not having opportunity to enjoy him ( goderlo) in my house out of respect for my husband” (f. 1225r). Livia and Marino both acknowledged having met privately a number of times at Filippa’s room, and twice in the last week that was the focus of the investigation. On the Monday before the arrests, the pair had had a rendezvous at Filippa’s house. Duly chaperoned by a nephew, who left immediately, Livia arrived first after the midday meal and joined the weaver in her room. Marino appeared about a half hour later, bringing some collars for starching as a standard cover story for his presence. After chatting brief ly, Filippa withdrew and left the pair alone. Sometimes, the door was open during the couple’s visits, but on this, as on another, occasion they had been locked inside for about an hour (f. 1221r). When later the policeman asked Filippa what the couple had been doing, she replied, “you know very well that when a man and a woman are together, it is not licit to see what they are doing” (f. 1219v). Although all the women witnesses echoed the sentiment that Livia was in love, it was not clear whether, when the couple next met on Saturday, they had sex. Livia was angry with Marino, because she thought that he was chasing another woman, and they had had words. She also insisted with dubious piety, “on Saturday I don’t commit sin, not even with my husband (il sabbato non fo il peccato, ne anco con mio marito)” (ff.1221r, 1225r). Although during the arrests Marino had tried to protect Livia, under interrogation his story aimed first to exonerate himself. He acknowledged that he had met Livia once before Christmas, twice before Carnival, and another two times during Lent, but, he insisted, only to talk. Making the implausible claim that he only sought the carpenter’s wife’s help in order to secure a “simple benefice” for his brother who was a student, he denied sex altogether (f. 1229v). Describing their emotional bond, he notably cast the feelings in terms of Livia’s warmth toward him, “she is a friend to me and loving because she has helped me (mi e amica et amorevole perche mi ha fatto de servitii ),” referring to her nursing his mother and cousin (ff. 1231v–1232r).53 To dislodge the lovers’ conf licting testimony and to convict Marino, the court proceeded to torture the adulteress in front of the merchant (f. 1234r–v). Using the lighter instruments of the sibille that compressed the hands, this formal act of judicial stagecraft intended, as in Artemisia Gentileschi’s case, to authorize the claims of the sexually compromised woman.54 The tactic failed, nonetheless, to elicit a change in Marino’s testimony that denied any sex, or touch, or kisses,or even hearing that Livia was in love with him (f. 1236v). The judge probably did not believe Marino, but legally his respectability and his adamancy held good weight. Livia’s unknown fate, on the other hand, would have lain in part with her invisible husband. If less dramatic than high culture’s renderings of adultery, adorned by the heft of law, familiar biblical tropes, and colorful narrative in paint and words, these everyday stories of wives seeking illicit moments of love and fun have their own art and pathos. For example, there is the coachman Francesco’s alleged sexual impairment due to a Turkish scimitar injury. Or the hardworking doughnut guy cuckolded by the young barber. Or Filippa the poor weaver, who got into trouble because her friend and employer Livia wore down her resistance to playing hostess to a sexual rendezvous. Paradoxically perhaps, the criminal court’s address to transgression here tells us more about what really happened, and what happened to most people some of the time than the great dramas of high art. Despite reformers’ efforts to discipline marriage and sex, a customary culture that tolerated various forms of heterosexual error persisted in Rome long after Trent. In these four cases, only one husband sought the court’s help. In the others, neighborhood informants alerted the authorities to a public disorder, but only after an adulterous liaison had been known in their midst for some time. While the Governor’s court prosecuted lovers as well as errant wives, the women usually had more to lose, but also perhaps to gain. Even if unwise, some married women broke the rules and went looking for love. What they found was usually close to home so that their adventures took place under the eyes of a local community. These neighbors knew often well before the law got involved and responded in diverse ways. Adultery posed a social problem that demanded a solution, sooner or later. Although the law had its own ambitions, in these sorts of everyday misdeeds justice did not intervene with a devastating external discipline.Notes 1 Cristellon, “Public Display,” 182–85, summarizes Italian legal and customary views of adultery. 2 Clarus, Opera omnia, 51b. 3 Besides essays in Matthews-Grieco, ed., Erotic Cultures, see Bayer, ed., Art and Love, including essays by Musacchio (29–41) and Grantham Turner (178–84). 4 Ajmer-Wollheim, “‘The Spirit is Ready’” 5 McClure, Parlour Games, 36–38. 6 Esposito, “Donna e fama,” 97–98, states this standard view. 7 Cussen, “Matters of Honour,” 61–67. 8 Lev, The Tigress of Forlì, 3–20. 9 Musacchio, “Adultery, Cuckoldry,” 11–34; on Piero’s death 17–18. 10 On wife-killing by nobleman Carlo Gesualdo in Naples, 1590, see Ober, “Murders, Madrigals”; on Vittoria Savelli in the Roman hinterland, 1563, see Cohen, Love and Death, 15–42. Killings of noble wives not caught in flagrante delictu often had motives linked to claims on property or power rather jealous rage. 11 Esposito, “Donne e fama,” 98 + n. 61.12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 2425 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 4546 47 48 49Elizabeth S. CohenGal, Boudet, and Moulinier-Brogi, eds., Vedrai mirabilia, 241. Kaborycha, ed., A Corresponding Renaissance, 172 + n. 19. Gal, Boudet, and Moulinier-Brogi, Vedrai mirabilia, 251. Examples include: Titian (1510); Rocco Marconi (1525); Palma il Vecchio (1525–28); Lorenzo Lotto (1528); Tintoretto (1545–48); Alessandro Allori (1577). Alberti, “‘Divine Cuckolds.’” Rice, “The Cuckoldries.” Boccaccio, Decameron. For example, Day 3, Story 3; Day 7, Story 2. For example, Day 3, Story 2; Day 4, Story 2. Ibid., 241–46. My translation of the quote. Ibid., 500–01. Cristellon, Marriage, the Church, 14–19, 159–90. For French parallels, see Mazo Karras, Unmarriages, 165–208. Ferraro, Marriage Wars also includes cases in secular courts, where issues of property, often pursued by husbands, have greater visibility; yet women brought many more suits than men, 29–30. In the complaints, adultery was generally subordinate to other concerns, 71. Cristellon, “Public Display,” 175–76, 180–85, Scaduto, ed. Registi dei bandi, vol. 1 (anni 1234–1605), passim. Storey, Carnal Commerce, 108-14, 242–43. Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 274–75. Cohen and Cohen, “Justice and Crime.” Sonnino, “Population,” 50–70. Da Molin, Famiglia, 93–95. Sonnino, “Population,” 62–64. See also, Nussdorfer, “Masculine Hierarchies.” Da Molin, Famiglia, 243. The unexplained disappearance of Vicariato tribunal records precludes Roman comparisons with Venice. Marchisello, “‘Alieni,’” 133–83. See also in the same volume, Esposito, “Adulterio.” Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 273, n. 160. Statuta almae urbis Romae, 108–09, for what follows. Forcibly abducting prostitutes was a crime. Ibid., 109. Esposito, “Donna e fama,” 89–90. Marchisello, “Alieni,” 137, 166–68; Esposito, “Adulterio,” 26–27. Alternatively, the legal narrative for the charge of sviamento, leading astray, shifted more blame onto the lover. For example, Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale criminale (hereafter ASR GTC), Processi, xvi secolo, busta 256 (1592), ff. 540r–62; see also, Blastenbrei, Kriminalität im Rom, 272, 275. For example, ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 25, ff. 17r–26v; (1603); busta 91, ff. 1153r–1159r (1610). In parallel, the Statuta almae urbis Romae, 110, declared that men keeping concubines were liable for fines of 50 scudi. Counts based on small numbers of surviving records do not reflect behaviour or even patterns of prosecution. Nevertheless, it may be useful to note that this type of “simple adulteries” represent about a quarter of the adultery prosecutions between 1590 and 1610. ASR GTC, Processi, xvi secolo, busta 270, ff. 1124r–1128v. References to specific folios appear in parentheses in text. The trial record ended with the usual note that those charged had three days to prepare their formal defense. I have found no record of a judgment, but it is likely that the couple were fined. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 37, ff. 830r–851r. The charge preteso adulterio (appearance of adultery) carried a lesser burden of proof.Adulteresses in Catholic Reformation Rome50 51 52 53ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 36, f. 63v. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 44, ff. 142r–149r. ASR GTC, Processi, xvii secolo, busta 17, ff. 1218r–1238r. The range of colloquial meanings for “amica” and “amorevole” was broad. Here Marino used these words to indicate friendship and affiliation, rather than romantic or sexual alliance. 54 Cohen, “Trials of Artemisia Gentileschi,” 58–59 + n. 47.Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale Processi, xvi secolo, busta 256 (1592) Processi, xvi secolo, busta 270 (1593) Processi, xvii secolo, busta 17 (1602) Processi, xvii secolo, busta 25 (1603) Processi, xvii secolo, busta 36 (1604) Processi, xvii secolo, busta 37 (1604) Processi, xvii secolo, busta 44 (1605) Processi, xvii secolo, busta 91 (1610)Published sources Ajmer-Wollheim, Marta. “‘The Spirit is Ready, But the Flesh is Tired’: Erotic Objects and Marriage in Early Modern Italy.” In Erotic Cultures of Renaissance Italy. Edited by Sara Matthews-Grieco, 145–51. Farnham: Ashgate, 2010. Alberti, Francesca “‘Divine Cuckolds’: Joseph and Vulcan in Renaissance Art and Literature.” In Cuckoldry, Impotence and Adultery. Edited by Sara Matthews-Grieco, 149–82. 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New evidence also included the testimony of the abbess’ assistant, Bartolomea Crivelli (often called Mea), who unexpectedly told the men, in explicit detail, about sexual relations between the two women. Most scholars were similarly surprised when Judith Brown published the supposedly “unique” case in 1986, in Immodest Acts: The Life of a Lesbian Nun.1 Responses were varied, the lengthiest being Rudolph Bell’s evaluation in 1987, which argued that the nuncio was already determined to silence Benedetta and that her subsequent lengthy imprisonment in the convent was imposed by the nuns rather than external authorities, a claim refuted by Brown.2 The details of the internal, civic, and ecclesiastical power plays cannot be definitively known, but the sexual dynamics are clear. Over thirty years later, it is time to reconsider this case, neither adhering to a modernist notion of strict sexual identity nor relegating Benedetta and Mea to the margins. In keeping with Konrad Eisenbichler’s ability to draw out erotic implications from literary and archival evidence, this essay respects the reality of the women’s intimacy and examines textual and visual materials in order to situate them in their spiritual and sensual context. This case offers specific details and terminology for what might be called corporeal spirituality, the unequivocal coexistence of amorous language, sexual deeds, pious rhetoric, and religious faith.3Since Benedetta’s visions entailed visitations from Christ, whom she married in a public ceremony, and messages from angels such as Splenditello, in whose voice she often spoke, Brown claimed the two nuns were engaged in a heterosexualized affair: The only sexual relations she seemed to recognize were those between men and women. Her male identity consequently allowed her to have sexual and emotional relations that she could not conceive between women. . . . In this double role of male and of angel, Benedetta absolved herself from sin and accepted her society’s sexual definitions of gender.4 Brown’s judgment associates male sex with masculine gender, and in turn a presumed dichotomy between the two women is seamlessly laminated onto their sex acts. However, this does not accord with either the women’s physical actions, or with possibilities engendered by the sensual spirituality of premodern Catholicism. The souls and f lesh of nuns were not as neatly divided as a later, secular view imagines. Despite the Foucauldian point that discourses of repression can generate the very thing they seek to silence, the presumption of religious “purity” and feminized innocence has hardly disappeared. Benedetta’s case remains nearly ignored in studies of European religion or is cited brief ly with no new interpretation.5 It is seen as an aberration on two counts: she was a nun with a sex life—considered an oxymoron—and her sexual activity was with another woman—thought to be impossible in her time and setting. Documented cases of nuns having sex with clergy or secular men, as well as anti-clerical, fictional stories about such conjunctions, are taken as ordinary, natural, feminine acts by women who were supposedly frustrated in an entirely earthly way.6 But Benedetta, it seems, must be a “unique” case, even “bizarre,” who assumed a male guise and cannot be assimilated into religious history.7 My point here is to remove her from the interdependent frameworks of deviance and heterosexuality, and to reintegrate her into a religious context. Benedetta literally acted out what was usually a world of visual and imaginary culture. Here I try to reconstruct a premodern nun’s agency and the imagination of religious women, who were not necessarily repressed victims with no recoverable history of any import. Nunneries were loci of social and economic power, particular inhabitants inf luenced secular women and male authority figures ranging from fathers to confessors, and some women like Benedetta negotiated rich emotive lives for themselves. We tend to think of nuns as women restricted by institutional confines and discourses that denied them their bodies, but Benedetta’s story urges us to examine the materiality of passion, of art, and of past lives. Only the report of the Capuchins told of Benedetta’s sexual transgressions— f lirting with two male priests as well as “immodest acts” with a woman—and only at the end of its account.8 The inquiry concluded that her visions andecstasies were “demonic illusions.”9 Along with her disturbingly erotic behavior, the inquirers were concerned by their discovery that apparent signs of her special favor, the stigmata, nuptial ring, and a bleeding crucifix, were all forged. The friars integrated Carlini’s sexual behavior with her spiritual behavior—all were sinful and diabolically inspired. In an important sense, we need to take this contemporary contextualization seriously, understanding that Benedetta’s visions were not utterly divided from her corporeal acts. The aspiring mystic, then in her early thirties, had been having regular sex with Mea for at least two years. Neither investigation was sparked byrumors of sexual sin, nor is it clear how central that particular misconduct was to her lifelong imprisonment within the convent.10 Benedetta’s story most resembles cases of what Anne Jacobson Schutte has called “failed saints,” or what Inquisitors termed “pretended holiness” (affetata santità).11 Sixteenth- and seventeenth-century penance for a nun’s sexual sin ranged from expulsion or permanent incarceration in the convent to just two years of penance there.12 No witnesses or other evidence confirmed Mea’s testimony and if she had not made a voluntary confession, no one could have uncovered the information. The demoted abbess Carlini herself renounced her past and never acknowledged Mea’s claims. The unusually visible sexual aspects may not be unique. Recalling her secular life of the 1670s, and her enjoyment of men courting her, St. Veronica Giuliani later emphatically interrupted one of her autobiographies. A sentence written in capital letters alluded to imprecise errors, implicitly sexual: “I bore great tribulation for the sins I committed with those spinsters and I did not know how to confess them.”13 Cloistered women may have enjoyed undocumented but thoroughly physical relationships in secluded spaces. From at least the twelfth to the seventeenth century, incidents of same-sex eroticism within female convents are recorded. Around 1660, nuns at Auxonne accused their mother superior of bewitching them, of wearing a dildo, of kissing, and penetrating them with fingers.14 Sixteenth- and seventeenth-century women in Italian religious refuges for convertite (ex-prostitutes) and malmaritate (abused wives) became friends and in some cases nearly half the inhabitants formed couples sharing rooms, where “officials discovered women who were sexually involved with other women.”15 Close living and supportive conditions also obtained in non- or semi-cloistered communities of pious laywomen. Bell’s critique of Brown usefully corrected various errors, while nevertheless making new mistakes. His chief point was that the male investigators “had no lack of imagination or conceptual framework for describing love between two women” and that it was the nuns rather than the Church officials who condemned Benedetta to life-long imprisonment.16 Certainly, she seems to have been a demanding, imperious abbess who could not cope with the dissension her rule engendered, perhaps in part due to newly instigated clausura. Brown’s label of “lesbian,” despite her careful acknowledgment that it was anachronistic, provoked much criticism. One reviewer of the book, using yet more historically inappropriate terms, insisted that “Carlini is heterosexual or, more properly,bisexual in both her inclinations and conduct.”17 Disagreements over labels and details should not distract from the fundamental fact that physical, sexual contact took place between two nuns. Too often, a series of dichotomies misinform discussions of sexual practices. A binary between the mind and the body, the soul and its vessel, is often mapped onto other seemingly concomitant divides, not only between masculine and feminine but also the celestial and the mundane. The presumption is that religious ideologies constantly repress bodily desires and only secular, putatively modern, frameworks are capable of acknowledging material passion. In a similar vein, a contrast is regularly drawn between “real sex” (whatever that is) and “Romantic Friendships” amongst women. Both the abbess’s visions and her sexual deeds were informed by conventions shaping the lives of all nuns as brides of Christ at a time when dualism was not naturalized. Discussing the exegetical tradition regarding the biblical Song of Songs as an allegory about the soul’s union with the divine, E. Ann Matter noted that the text was “the epithalamium of a spiritual union which ultimately takes place between God and the resurrected Christian—both body and soul.”18 Benedetta’s mysticism links her to a tradition of female spirituality “that made the body itself a vehicle of transcendence. . . . Corporeal images were the stuff with which nuns described their experiences.”19 Heterosexualization of the story is too simplistic, too ignorant of complex issues related to gender dynamics as well as intersex and transgender bodies. What Brown calls Benedetta’s “double role of male and of angel” and “her male identity” was not a consistent performance of masculinity. Speaking on occasion as an angel named Splenditello or as Christ, the nun was a medium for the divine rather than for her “self ” in a modern sense of individual identity, and none of her contemporaries, including Mea, considered her male. During sex, neither seventeenth-century woman believed the other was transformed into a man, and their sex did not necessitate resort to “instruments” or dildos, devices that so obsessed confessors. For two or more years, “at least three times a week,” when the women shared a cell as mistress and servant, they had sex, in the day as well as at night or in the early morning.20 Although Mea sought to protect herself by claiming she was always forced, and a degree of intimidation or overbearing insistence may well have been involved, she implicitly admitted pleasure. “Embracing her,” the abbess “would put her under herself and kissing her as if she were a man, she would speak words of love to her. And she would stir on top of her so much that both of them corrupted themselves.” The women did much more than engage in what Brown and Bell describe, using the dismissive misnomer, as “mutual masturbation.”21 They touched each other until orgasm, in vigorous and multiple ways, including actions that were not possible for a single person, and had no need of a phallus. Rubbing or “stirring” their genitals together to the point of “corruption,” they also manually penetrated each other and actively used their mouths. Presenting herself as more passive, Mea recounted how even during the day the abbess grabbed her handand putting it under herself, she would have her put her finger into her genitals, and holding it there she stirred herself so much that she corrupted herself. And she would kiss her and also by force would put her own hand under her companion and her finger into her genitals and corrupted her.22 A slightly later expansion of the account accentuated Benedetta’s inventive pursuit of pleasure, saying that “to feel greater sensuality [she] stripped naked as a newborn babe,” and “as many as twenty times by force she had wanted to kiss [Mea’s] genitals.”23 The document, although stressing the younger woman’s reluctance, also showed a comprehension of how satisfying the actions could be: “Benedetta, in order to have greater pleasure, put her face between the other’s breasts and kissed them, and wanted always to be thus on her.” During the day in her study, while teaching her companion to read and write, the abbess again enjoyed sensual contact, having Mea “sit down in front of her” or “be near her on her knees . . . kissing her and putting her hands on her breasts.” Despite the reticence Mea tried to convey in her statement, it was clear her lover sought mutual delight. When manually arousing Mea, Benedetta “wanted her companion to do the same to her, and while she was doing this she would kiss her.” The older woman was presented as active and insistent. If Mea tried to refuse, the abbess went to the cot “and, climbing on top, sinned with her by force,” or she would arouse herself (“with her own hands she would corrupt herself ”). Hence, in a phrase recorded only a few times in Mea’s testimony, the younger woman conceptualized her vigorous, forceful lover in standard terms, saying “she would force her into the bed and kissing her as if she were a man she would stir on top of her.” Mea probably had no sexual experience with men, so her comparison was not based on a Freudian model of the phallus or anatomical knowledge of a penis, but on a sense of gendered roles whereby the man took a physically dominant position. Benedetta and Mea enacted substantive, varied sex, in a range of modes, positions, times, and locations. Benedetta’s case spurs us to ask questions about the management of nunneries. How did seemingly “innocent” and “repressed” women learn about sexual details and inventively contravene prohibitions? A stock opposition between knowledgeable yet repressive male authorities, and ignorant nuns without any agency, cannot satisfactorily apply. Some inhabitants of nunneries shared a degree of sexual experience and innuendo with their companions. Dedicated to God after her mother survived difficult labor in 1590, Benedetta was a nine-year-old villager when she entered the religious life.24 Most other entrants (and boarders) were similarly prepubescent or in their early teens, but some were older, sexually experienced women, such as widows or former prostitutes. Heterogeneity was increased by the presence of converse, servants and lay sisters who entered at slightly older ages, did not profess, and sometimes frequented the outside world, although the growth of post-Tridentine enclosure made this less likely from the late sixteenth century onward. The popular and much reprinted Colloquies (1529) by Augustinian friar Erasmus suggested that nunneries were filled with “morewho copy Sappho’s behavior (mores) than share her talent,” and that “All the veiled aren’t virgins, believe me.”25 Through whatever means, cloistered women could have clear ideas about how to attain sexual pleasure. An anonymous nun, literate in Latin, wrote a love poem to another religious woman in the twelfth century, noting that “when I recall how you caressed / So joyously, my little breast / I want to die.”26 Confessors and canonists educated women in their obsessive sense of sexual sin. Due to the urging of questioners, or to a sense of guilt that welcomed the relief of voluntary confession, Venetian Inquisitors heard in the 1660s about how the “failed saint” Antonia Pesenti fought in the nighttime against diabolic temptations to masturbate.27 St. Catherine of Siena (1347–80) was tormented by sexual visions.28 Such a woman, who strenuously resisted association with secular men outside her family ever since she was a girl and refused to place herself on the marriage market, nevertheless had some comprehension of the conventions of sexual sin. Secular inspirations included farmyard sights, carnival songs, and oral jokes. Sermons, or the queries of a confessor, further embedded a degree of simple knowledge, horrifying yet fascinating. Nuns were governed by regulations suspicious of erotic activity in all-female environments, such as the provision since the early thirteenth century of night-lights to deter illicit entries into cells, regular checks on sleeping arrangements, supervision of female as well as male visitors, and careful control of the grille and other points of contact with the wider world. Yet those very rules made everyone aware of the possibility of contravention. Many penitentials and texts of canon law voiced a concern about nuns erotically touching or using “instruments” with each other, possibilities paradoxically furthered through inquiries in the confessional.29 Visual culture, including widely circulated prints and paintings of the damned, was another means whereby nuns were incorporated into a communal imagination regarding both sin and sensual piety. Explicit condemnations of same-sex activities led occasionally to illustrations in religious texts or on the walls of convents.30 Sensitive contact was also represented. Mutual tenderness and awe between the embracing Mary and Elizabeth at the Visitation, liturgically celebrated in the musical crescendo of the Magnificat (Luke 1:46–55) sung every day at Vespers, was powerfully pictured by artists such as Domenico Ghirlandaio, Jacopo Pontormo, and Parmigianino ( Figure 6.1).31 Saints’ lives contained legends like Catherine of Siena suckling at Mary’s breast or St. Catherine of Genoa tenderly kissing a dying woman on the mouth.32 A woman’s understanding of sex and sensuality might have been based more on discursive than experiential practices, but it could seem all the more real in its visionary presence. The chief focus of my study is legitimized, mystical eroticism in convents, leading to Benedetta’s mistaken, kinetic literalization of spiritual metaphors. Her pious and sexual performances intertwined on at least three levels of efficacy. Instrumentally, her access to the divine persuaded the younger, initially illiterate Mea to be a witness to the visionary experiences and to become a sex partner.Parmigianino, Visitation, pen and wash. Galleria Nazionale, Palazzo della Pilotta, Parma.FIGURE 6.1De Agostini Picture Library/A. DeGregorio/Bridgeman Images.Whether the ambitious nun was a self-aware manipulator throughout, or convinced by her own delusions, is neither knowable nor particularly pertinent. For some time Mea and the other nuns, the confessor, local officials, and the townspeople were all caught up in a visionary scenario they wanted to believe. At Benedetta’s funeral in 1661, the populace had to be kept away from a body they stillthought capable of miracles.33 The investigators eventually judged Benedetta a “poor creature” deceived by the devil, and she agreed that everything was “done without her consent or her will.”34 That defense of unconscious possession was already evident during the days of her acceptance by the community, but it shifted from being divine favor and spiritual rapture to becoming demonic deception. On the psychological level, the two women were provided with an effective way to cope with guilt. Until Mea “confessed with very great shame” about their sex, the angel Splenditello convinced her the women were not sinning. 35 Initially hesitating, in the presence of a host of saints led by Catherine of Siena, to obey Christ’s command to disrobe so he could place a new heart in her body, Benedetta was reassured by Jesus, who said “where I am, there is no shame.”36 The Capuchin investigators thought her putative ecstasy “partook more of the lascivious than of the divine” but the earlier inquiry, and the convent’s inhabitants like Mea, had not taken it amiss. After all, Saints Catherine of Siena, Catherine de’ Ricci (1522–90), and Maria Maddalena de’ Pazzi (1566–1607) received hearts from Christ, and numerous images in printed or painted form continued to disseminate this aspect of female sanctity’s typology.37 Secular poetry and pictures also represented the gifting of manly hearts as a token of a courtly love that metaphorically elevated carnal desire into an idealized realm, without losing sight of erotic thrill.38 Nuns were increasingly devoted to Christ’s wounded heart, and imagined their own hearts as inner loci to be entered by their heavenly groom. The crucial difference was that Benedetta’s imagination was so inventive, and her belief system so literal, that representation of her participation in this mystic ritual included physical—“lascivious”—details. Thirdly, on the affective level, Benedetta’s mysticism heightened her sense of desire, not only for union with the divine, but for sex aided by angels. Equally, it could be said that her yearnings exacerbated her mysticism. Recourse to mystical fantasy endowed her passion with a structure and rhetoric. Rather than sublimation through piety, Benedetta’s case history indicates an intensifying of acts spiritual and sexual. Much of her complex psyche is summed up by the striking act of benediction she performed after sex: as Splenditello, “he made the sign of the cross all over his companion’s body after having committed many immodest acts with her.”39 Priest, angel, nun, lover, guilty and grateful, powerful and placatory, Benedetta moved her hand over a body she rendered simultaneously sacral and sensual. Alongside a renewed disciplinary zeal regulating cloistered life, CounterReformation culture witnessed a heightening of the emotive register of piety. In doing so, the Catholic Church accentuated a venerable, central heritage that used human bodies to imagine spiritual passions. So, in the Mystic Nativity of 1500–01 (National Gallery, London), Botticelli’s angels reenact the ritual of the kiss of peace, a regular liturgical moment, but potential eroticization is indicated by its conjunction with a nuptial kiss and by the exclusion of sinners from the ritual.40 Primarily same-sex pairs kiss and embrace in Giovanni di Paolo’s midfifteenth-century panels representing eternal paradise ( Figure 6.2).41 Angels andFIGURE 6.2 Giovanni di Paolo, Paradise, 1445, tempera and gold on canvas, transferred from wood, 44.5 × 38.4 cm. New York, Metropolitan Museum of Art. Open access.souls of the blessed greet each other, and the blissful unions are all manifested as moments of physical intimacy. Men in religious costume embrace, two secular women tenderly touch, near them two Dominican nuns entwine in one unit, and angels enfold men into the sweet realm of grace. Some female mystics were blessed with a miracle of lactation.42 Catherine of Siena’s experiences especially inf luenced Benedetta because her mother was devoted to Catherine and the convent was under her aegis as its patron saint.43 That role model’s mouth drained pus from a woman’s breast and the abnegation was rewarded by what her confessor termed an “indescribable and unfathomableliquid” f lowing from Christ’s side.44 Both scenes featured in one of the prints comprising a well-disseminated series illustrating Catherine’s life, designed by Francesco Vanni and first issued in 1597, then reissued in 1608 ( Figure 6.3).45 Her confessor Raymond of Capua presented Christ as Catherine’s sensual lover: “putting His right hand on her virginal neck and drawing her towards the wound in His own side, He whispered to her, ‘Drink, daughter, the liquid from my side, and it will fill your soul with such sweetness that its wonderful effects will be felt even by the body.’” Raymond brief ly noted that an earlier confessor had written about how “the glorious Mother of God herself fills her [i.e. Catherine] with ineffable sweetness with milk from her most holy breast.”46 Nurtured at the breasts of Christ and Mary, and moaning that “I want the Body of Our Lord Jesus Christ” in church before his body f luid miraculously satisfied her so that “she thought she must die of love,” Catherine’s inf luential model of sanctity encouraged women such as her follower Benedetta Carlini to believe in sensate relief of their spiritual desires.47FIGURE 6.3 Francesco Vanni, St. Catherine of Siena orally draining pus from an ill woman and being rewarded with liquid from Christ’s wound, 1597, engraving, 25.7 × 28.9 cm. Amsterdam, Rijksmuseum. Open access.Benedetta’s maleness supposedly derived from her role-playing as Jesus or an angel, yet neither Christ nor angels were unequivocally male. In a fundamental sense, of course, Christ was masculine, the son of God endowed with visible, male genitals to prove the infant’s assumption of Incarnational humanity.48 His adult manifestation was also primarily masculine and patriarchal. Imitative adoration of their heavenly spouse could lead to mortification and even stigmatization, but nuns were not masculinized through such actions and they did not automatically become lovers of men. Stigmatized like Christ or speaking at times as though Christ was delivering a message,Benedetta was not Jesus, but his bride and servant. Cloistered women were privileged followers of Mary’s role as sponsa, the heavenly bride reenacting the Song of Songs and enjoying sensual relations with an adult, loving Christ. But when a German cleric regretfully noted that “it properly is the prerogative of his [i.e. Christ’s] brides” alone to enjoy sensual union with a celestial bridegroom, he nevertheless vicariously enjoyed a homoerotic fantasy by instructing nuns to kiss Christ “for my sake.”49 As scholars have shown, in many ways the metaphorical body of Christ was “feminine” or homoerotic or, rather, polymorphous in its sensual charge.50 Nuns imagined themselves as suckled infants, nurtured adults, mothers, spouses, female friends, all sharing an affinity as “sisters and daughters in Jesus Christ,” as Catherine de’ Ricci addressed a group of nuns in October 1571 after the death of “your dearest mother,” their abbess.51 While Christ was their child and groom, and Mary their exemplar, nuns were also enfolded in a female genealogy of succession and a feminine household of multiple sisters, daughters and mothers. Fellow nuns tenderly support Catherine of Siena when she is so affected as to faint after receiving the stigmata, painted by Sodoma in the mid-1520s for the Sienese chapel dedicated to her within the Dominican headquarters of her cult (Figure 6.4).52 Catherine is shown with exemplary female acolytes whose intimate, gentle regard for her swooning body suggests a bodily care and unselfconsciousness that requires no masculine intervention. Nuns took on more than one persona in this labile community of affection. After Benedetta married Christ in a special ceremony on May 26, 1619, a brief investigation did not distrust her mysticism, and on July 28, 1620 her religious sisters elected her abbess, head of the new Congregation of the Mother of God.53 As such, “mother” abbess Benedetta embraced her “daughter” and fellow “sister” Mea. Brown conf lates being male with taking on an angelic guise, but Benedetta took on no such “double role of male and of angel.” When using the voice of an angel, she was not adapting a role assigned to unambiguously male figures. Since theologians such as Aquinas believed angels might assume f lesh but had no natural bodies or functions, the ethereal creatures were officially asexual. Names, pronouns, and visual representations implied a degree of masculinity about God’s messengers, but often of a childlike or pubescent and androgynous kind. At the very moment when Gabriel carried the message transmitting the Logos into the body of the Virgin Mary, that archangel was often depicted as especially androgynous. It was probably to a frescoed Gabriel that the orphan,Sodoma, Giovanni Antonio Bazzi, Scenes from the Life of Saint Catherine of Siena: The swooning of the saint, 1526, fresco. Siena, S. Domenico. Scala/Art Resource, NY.FIGURE 6.4The “lesbian nun” Benedetta Carlinilater Beata, Vanna of Orvieto pointed on a church wall when she said “this angel is my mother.”54 Splenditello and Benedetta’s other angels empowered rather than masculinized her. Splenditello and company were celestial, barely gendered embodiments of winged eros or desire, rather than of a particular lover. Mea’s account moved directly from details of their sex to the statement that the mystic “always appeared to be in a trance (ecstasi ) . . . Her angel, Splenditello, did these things, appearing as a beautiful youth (bellisimo giovane) of fifteen years.”55 The attractive adolescent was endowed with the kind of homoerotic potential celebrated in contemporary paintings such as Caravaggio’s The Stigmatization of St. Francis produced in the first decade of the seventeenth century (Figure 6.5).56 Like the contemporaneous Splenditello, the seraphic spirit of celestial love who gently supports Francis is a creature ostensibly male but fundamentally symbolic of an eroticism which does not insist on singular identifications of gender or sex. The saint swoons in the arms of a lover whose pictorial form embodies the ineffable and polymorphous. Francis’s pious identification with the supreme exemplar Christ is physically and metaphorically consummated as he receives the stigmata in a mystical experience necessarily represented in erotic terms. A little more than twenty years after Mea’s confession, Gianlorenzo Bernini began work on a three-dimensional figuration of The Ecstasy of St. Teresa (Figure 6.6). With caressing gaze, divine light, a conventional arrow of Love, andFIGURE 6.5 Caravaggio, Saint Francis receiving the stigmata, ca. 1595–96, oil on canvas, 94 × 130 cm. Wadsworth Atheneum Museum of Art.Photo credit: Nimatallah/Art Resource, NY.FIGURE 6.6Bernini, The Ecstasy of St. Teresa, marble, 1645–52. Rome, S. Maria dellaVittoria. Photo credit: Alinari/Art Resource, NY.delicate gestures, Bernini’s embodiment of celestial spirit visits upon Teresa an experience of divine transport. A childlike member of the ranks of the cherubim gently strips Teresa of her worldly garments, lifting the robe so that blissful fire will sear her soul with what she called “a point of fire. This he plunged into my heart several times so that it penetrated to my entrails.”57 As Teresa described her rapture in the early 1560s, “this is not a physical, but a spiritual pain, though the body has some share in it—even a considerable share.” Corporeal sensation was certainly perceived by an anonymous critic who, around 1670, accused Bernini of having “dragged that most pure Virgin not only into the Third Heaven, but into the dirt, to make a Venus not only prostrate but prostituted.”58 Contemporaries, in other words, were quite aware of the fine line between sensuality and spirituality, a boundary crossed not only by Benedetta but by the renowned artist Bernini. Benedetta’s staging of such favors as her stigmatization and her nuptials with Christ were eroticized events akin to those depicted by artists. She involved an entire community of nuns and a local populace in earthly manifestations of the divine, just as Caravaggio did in oil paint, Bernini in marble, or preachers with words. Miracles were understood to be physically manifest, and visions subtly brought the divine into the corporeal realm. The late thirteenth-century mystic Gertrude of Helfta wondered why God “had instructed her with so corporeal a vision.” Her question was rhetorical, as any acceptable mystic knew: spiritual and invisible things can only be explained to the human intellect by means of similitudes of things perceived by the mind. And that is why no one ought to despise what is revealed by means of bodily things, but ought to study anything that would make the mind worthy of tasting the sweetness of spiritual delights by means of the likeness of bodily things (corporalium rerum).59 As the seamstress and “failed saint” Angela Mellini knew about her visions in the 1690s, “one never sees things with the eyes of the body, but everything is seen intellectually.”60 On the other hand, this reassuring statement was delivered to an Inquisitor, whereas a note written by her halting hand understood that emotional passion had very real effects. Thinking of such things as the pains she suffered in her heart, in imitation of Christ’s passion, she observed that “love makes me experience the truth of sufferings through the senses, now it beats, now it purges, now it hurts and now all sorts of torments are felt.” In order to truly convey the exactitude and reality of her sensate love, in September 1697 she sketched a diagram of her wounded heart, complete with lance, nails, hammer, cross, and crown of thorns. That drawing was produced for her confessor, a man she desired so much that she felt “great heat in all the parts of my body and particularly of movements in my genitals.”61 Like a courtier offering a heart to the beloved, and like the related love-imagery for the soul’s yearning after the divine, Angela availed herself of religious rhetoric and resorted to physical signs when lovingChrist and wooing her priest. Similarly, on Caravaggio’s canvas and in Bernini’s chapel, light is divine and natural, the ecstasy spiritual and embodied. So, too, Benedetta’s sensate and emotive life was a continuous blend of illusion and reality, spirit, and similitude. Echoing her model, Catherine of Siena, Benedetta experienced visions, stigmatization, the exchange of hearts, and a marriage with Christ. Catherine’s reception into heaven after her death, disseminated in Francesco Vanni’s engravings and various paintings, entailed a tender, intercessory greeting by Mary.62 Catherine’s charitable nursing brought her mouth into contact with one dying woman’s breast (Figure 6.3), and on another occasion she transformed an ill woman into her spouse.63 “Full of burning charity,” Catherine rushed to the hospital to tend a bereft woman, “embraced her, and offered to help her and look after her for as long as she liked.” She motivated herself by “looking upon this leper woman, in fact, as her Heavenly Bridegroom.” Benedetta took the actions of her exemplar further, embracing another woman in a relationship where each was a spouse, each a bride. At some level, she perhaps believed the words God spoke to Catherine, that “In my eyes there is neither male nor female.”64 To have an impact, mysticism had to present a degree of spectacle, and thus cross into the physical realm. The special favors bestowed on some mystics were invisible, but then other signs had to appear, especially as the Church grew more cautious about legitimizing local cults, feminine excesses, fakery, and piety which might turn out to be diabolical in origin. Lucia Broccadelli’s stigmata arrived during Lent in 1496 but only becoming visible at Easter, after Catherine of Siena’s supplication in heaven persuaded Christ “that the stigmata should be visible and palpable in me.”65 For several years, the Dominican visionary was highly favored by the lord of Ferrara, Ercole d’Este, and officials, including the Pope’s physician, examined her wounds to their satisfaction. But the fortunes of this “living saint” suffered a reversal when her ducal patron died in 1505. The sisters, chafing under her strict rule, were able to mount a counter-offensive because the stigmata had disappeared. Lucia was imprisoned for fraud within the convent for nearly forty years, until she died in 1544. A potential mystic impressing only a relatively small town and without a powerful supporter, Carlini also encountered a backlash from her fellow religious and was investigated in an even more stringent climate. Once the Counter-Reformation took hold, especially after the Council of Trent (1545–63), there was an increase in cases of women ultimately judged “failed saints” or diabolically possessed. Concomitantly, the number of female canonizations decreased, with a suspicion of women deemed credulous and excessive further abetted by Urban VIII’s more strict procedures for canonization.66 Two hundred years earlier, Catherine of Siena’s confessor, Raymond of Capua, later Master General of the Dominican Order, was persuaded of the veracity of her mystical experiences, despite the invisibility of her marriage ring and stigmata, by “watching the movements of her body when she was in ecstasy.”67 Maria Maddalena de’ Pazzi begged Christ that her mystical ring andThe “lesbian nun” Benedetta Carlini113stigmata be invisible, but the impulse for humility was neatly balanced by kinetic and audible theatre similar to Catherine’s. Her very wish not to be singled out became itself part of the record collected by her community. In May 1619, Benedetta staged an elaborate wedding witnessed by the secular elite of Pescia. The first inquiry into her holiness began the very next day. But her renewal of the ring (with saffron) and stigmata (with a large pin) only emerged in the course of the later investigation.68 Judged fraudulent by Bell, Benedetta may nevertheless have been acting in good faith, marking her body artificially only when doubts grew, trying to persuade the sceptics by secondary, external signs that she truly believed were there on her soul.69 When a Capuchin nun, the blessed Maria Maddalena Martinengo (1687–1737), piously took a needle to her own body, it was not counted diabolical. She embroidered the instruments of the Passion “with the needle threaded with silk . . . into her own f lesh, nice and big, as chalice-covers are embroidered, nor without bleeding.” 70 To retain her status and stem the tide of opposition in an increasingly fractious convent, Benedetta may have inscribed her body without thinking that the act was forgery. Self-mutilation recurs in the lives of mystics, including Angela of Foligno’s searing of her genitals, Margaret of Cortona’s desire to cut her face, and Maria Maddalena de’ Pazzi’s gouging of her f lesh.71 Benedetta’s piercing, documented by a hostile witness who came forth only after the convent turned against their imperious abbess, may have been motivated in part by a genuine element of imitatio Christi. Rather than judge her by later standards of verisimilitude and honesty, it would be more appropriate to understand her actions, and subsequent downfall, as a naïve, over-literal, and undisguised performance of spiritual conventions that found no meaningful political support amongst higher authorities or in a discordant convent. Like other aspirants to mysticism, Benedetta displayed her celestial vision through mime, “motioning with her hands as if she were taking” souls out of purgatory, for instance, but her choreography went so far as to publicly process in a prearranged mystic marriage, and to act out her erotic drive with Mea.72 Maria Maddalena de’ Pazzi also kinetically staged her exceptionality. She mimed her wedding with Christ, or in pantomime indicated to the novices under her care that she was being stigmatized. Her charges reported that “she held her hands open, staring at a figure of Jesus that she had on top of her bedstead; she looked like St. Catherine of Siena. So, we thought that at that point Jesus gave her his holy stigmata.” 73 Eroticizing a dormitory, looking at one image and mimicking another, Maria Maddalena involved her young female audience in a highly visual fantasy that drew on widely familiar iconography of female mysticism. Those visualizations were further instilled through skills of internalized sight. Trained, like all Catholics, in contemplative techniques merging the inner and outer eye, Maria Maddalena and her faithful novices witnessed the material reality of a vision. Meditative practices imagined narratives set in contemporary settings, with familiar faces, placing a premium on immediacy and recognition that was also highly valued in visual culture. Visions were regularly made tangible,when nuns cared for and dressed dolls of the Christ Child, acted out the stigmatization, wrote and performed religious plays, or, in Catherine of Bologna’s case, painted and drew images inspired by her raptures.74 To make fantasy real, to don the mantle of holy figures, was orthodox rather than perverse. Benedetta’s concrete sexualization of her religious scenario was not unique. In the early sixteenth century, a Spanish canon lawyer had justified his inordinate lust for some nuns in Rome by arguing that since, as a cleric “he was the bridegroom of the Church and the nuns were brides of the Church,” they could have “carnal relations without sin.” 75 Imprisoned until he renounced these beliefs, the educated man had muddled certain doctrines, but his conf lation of spiritual allegory and physical desire was present in the writings of many a mystic and it was visualized in numerous visions or works of art. By making her desires earthly as well as divine, Benedetta misunderstood conventions, but she did not invent outside a context. While she cannot be posited as a mainstream example of premodern religiosity, there was a logic to Benedetta’s actions that does not rely on a reading of her as a skeptical, manipulative fraud. Angelic disguise transformed the mystic aspirant Benedetta into a forceful seductress, whose tenderness and ecstatic passion was not rigidly fixed along differently sexed lines. Mea reported: This Splenditello called her his beloved; . . . [and said] I assure you that there is no sin in it; and while we did these things he said many times: give yourself to me with all your heart and soul and then let me do as I wish.76 Like the facilitating angel in the mystic encounters represented by Caravaggio and Bernini, Benedetta’s guardian angel was imagined as a beautiful, curlyhaired youth dressed in gold and white.77 The young angel was an instrument of persuasion, the abbess a figure of command and intimidation. Splenditello’s power derived from a patriarchal hierarchy in heaven, but he sounded like a youth rather than a god. His counterpart in Caravaggio’s painting does not heterosexualize that encounter; and in Bernini’s ensemble the young angel eroticizes a spiritual ecstasy that cannot be crudely reduced to phallic penetration by an adult man. Nor does Splenditello’s presence amidst the couplings of Benedetta and Mea reduce them to a differently sexed twosome. There was a third, disembodied protagonist in each of these raptures. The divine was elemental light in Caravaggio’s painting and Bernini’s sculpture. In Benedetta’s visions, as in her sex with Mea, the divine was literally articulated, through voice. Christ or Splenditello was a pivot in a triangulation of desire in which one of the results was frequent, very real sex between two women.78 The interpretation of Benedetta’s acts within the framework of a heterosexualized bride of Christ points to the need to reconsider in quite what ways Jesus was a spouse. Three kinds of marital imagery informed the regulation of female religious: liturgical, allegorical, and mystical. While all nuns were incorporated liturgically and could picture their souls as allegorical spouses of the heavenlybridegroom, only mystics experienced additional nuptials. In 1619, Benedetta’s mystic marriage was an overt, preplanned, public festival, as was her first marriage to Christ in 1599 at the age of nine, taking the veil, ring, and crown at a ceremony celebrated by a bishop, though occasionally the celebrant was an abbess.79 In a drawing by an anonymous German nun around 1500, enthroned Virgin Mary/Ecclesia replaces the priest (Figure 6.7).80 Strikingly, the figure of Christ, particularly as an adult, is absent from many such images. When he does appear, as in an illuminated manuscript of the rule of St. Benedict produced for Venetian nuns, he can bestow the nuptial crown on two Brides at once.81 Describing the ritual as one involving “the giving of a woman to a man” and using the term “heavenly husband” mistakenly suggests a scenario akin to a modern, secular, nuclear family.82 Analogy should not be confused with actuality. The acculturation entailed complex, multiple interchanges, evident in the drawing (Figure 6.7). Its scroll carries the inscription “Take this boy and take care of [i.e. suckle] me (nutri michi). I will give you your reward.”83 Like a priest offering the veil, ring, and crown, and then the eucharist, the Virgin begins to speak, licensing the earthly virgin to embrace the baby. But the infant takes over, urging the young nun to suckle him and promising her eternal reward. Her spouse is an infant, not a dominant patriarch, nor an earthly “husband.” Christ was a communal groom, and a commonly nurtured babe. He was more visible, and more often adult, in images of the allegorical and mystical levels of marriage.84 Mystic marriages of saints show the adult, or often infant, Christ as the pivotal locus of mediation, yet the rhetoric and ritual of marriage also visually and symbolically bonds two or more female charactersFIGURE 6.7Anonymous German nun, Consecration of Virgins, ca. 1500.Photo credit: Jeffrey Hamburger. Used with permissionwho are devoted to God’s son. Catherine of Siena imitated St. Catherine of Alexandria’s mystic marriage with Christ, and thereafter the subject of union became popular.85 Female saints, especially the earlier Catherine, are usually depicted in the act of espousal to an infant Christ offered by his mother Mary, just as the German nun remembered (Figure 6.7). Thereby, two holy women engineer a mystical union over the body of a small child. To say that Christ becomes “the object of exalted maternal instincts rather than sublimated sexual desire,” however, is to assume that a nurturing woman’s affection has no component of passion, and that all female desire must be focused on a male object.86 The child-groom can be shown as a young, unknowing instrument guided by his mother, as in a painting by Correggio, where the interplay of hands is particularly sensitive.87 Courtly decorum amongst adults becomes in Correggio’s visualization an intimate, gentle affair in which the child is too young to grant seigneurial permission. Held close so that his body is subsumed in his mother’s, at other times he is a virtual extension of her body, helping to connect through compositional line and symbolic gesture a succession of two or more female figures. His small arms and shoulder stand in for Mary’s left arm in a later painting by Ludovico Carracci, so that his torso becomes especially symbolic of a presence that almost need not be there.88 Guercino’s painting of 1620 depicts a gentle touch between the two women, and tender glances link the three characters, but Christ is relegated to the opposite side.89 Visual management of nuns’ fantasies could imagine them in very physical, explicit actions. A cycle on the Song of Songs painted in the mid-fourteenth century on the walls of a nun’s gallery at Chelmno in eastern Prussia imagined Sponsa eagerly pulling her spouse into her bedchamber.90 It literalizes the Canticle: “I will seize you and lead you / into the house of my mother” (8:2). Such pictures made manifest an emotive intensity that the all-female audience knew they were meant to share with other women.91 In Northern Europe, the instructional habit of elaborating the amorous interchange between Christ and the soul produced a sequential narrative version illustrated in comic-strip fashion, Christus und die minnende Seele (Christ and the loving soul), written in German in the late fourteenth century, later disseminated in printed sheets and books.92 The divine lover embraced the soul, wooed her with music, and crowned her in a ritual reminiscent of a wedding ceremony. She obeyed Christ’s command to divest herself of worldly garments when he said “If you wish to serve me, you must be stripped bare.” It is unlikely that Italian nuns like Benedetta knew this particular text or its imagery, but the practice of encouraging a religious woman’s fantasy through narrative, whether in sermons, sung words, wall paintings, prints, books, or paintings, fostered a widespread, eroticized imagination. The soul’s rapturous reach toward its divine lover from a supine position on a bed, as represented in the Rothschild Canticles, was echoed in Bernini’s marble display of Ludovica Albertoni arching up from a bed where the disarranged sheets are even more telling a sign of the soul’s ecstasy.93 Within this ideological structure, BenedettaCarlini could imagine herself as a privileged soul experiencing ecstatic union with the actual body of Mea. On one of the three occasions when she addressed Mea in Christ’s voice, “he said he wanted her to be his bride, and he was content that she give him her hand; and she did this thinking it was Jesus.”94 Even if the abbess was a manipulative faker, as a crude and cynical reading might have it, Mea believed the illusion, according to her self-protective testimony. If neither woman was skeptical at the time of the conversation, then the words and gesture performed a tangible, if unconventional, enactment of bridal mysticism. Christ was manifest in a human—and female—body rather than only present to the mind’s eye, yet the two believers went on with the corporeal pantomime. If one or both of the earthly players did think that Christ was not speaking, then at least one of them heard a marriage proposal being offered by one woman to another yet did not rebuff or denounce it at the time. Benedetta utilized the traditional metaphors and scenarios of erotic mysticism, but at certain moments she took the logic beyond doctrinal limits. She only assumed Jesus’ voice during three conversations with Mea.95 Twice she spoke “before doing these dishonest things,” first when Jesus took Mea’s hand and suggested marriage. The second time was in the choir, “holding [Mea’s] hands together and telling her that he forgave her all her sins.” “The third time it was after [Mea] was disturbed by these goings on,” and was reassured that there was no sinfulness, and that Benedetta “while doing these things had no awareness of them.” All three occasions offered comfort and framed sex, occurring either before or after their “immodest acts,” but Benedetta did not present herself as a sexually active Christ. However much bridal mysticism structured Benedetta’s actions, she never took on the persona of Christ during sex with Mea, instead acting through an angel when she used any guise at all. Perhaps she is best described as a mystic playwright, someone who wrote scripts during visionary or ecstatic experiences but who acted out rather than wrote down the dramas, for an audience that included not only Mea but also on occasion the other nuns and the local populace. Plays by nuns were performed by inmates who cross-dressed for the male roles.96 In 1553 Caterina de’ Ricci played the part of twelve-year-old Jesus speaking, with “signs of particular love,” lines from the Song of Songs to a fellow nun who was acting as St. Agnese.97 Taking multiple roles, such as Christ or angels with a variety of dialects and ages, as well as sponsa and anima, Benedetta was a consummate performer whose voice and appearance fitted the occasion.98 The mutual gestures of Benedetta and Mea literally followed the Song of Songs: “My beloved put forth his hand through the hole / and my belly trembled at his touch / I rose to open to my beloved / my hands dripped myrrh / . . . / I opened the bolt of the door to my love” (5:4–6). Mea’s account of how Benedetta “put her face between the other’s breasts and kissed them, and wanted always to be thus on her” recalls the Canticle’s enjoyment too. In the adaptation of the biblical Song in the Rothschild manuscript compiled for a nun, Sponsus delightsin breasts: “between my breasts he will abide . . . Behold my beloved speaketh to me: How beautiful are thy breasts, thy breasts are more beautiful than wine.”99 The phrase “sister my bride (soror mea sponsa)” was particularly apt. It occurs four times in the Song (4:9, 10, 12; 5:1), along with “open to me, my sister my friend” (sor mea amica mea) (5:2). Imitating the soul’s statement in Christus und die minnende Seele that “I must go completely naked,” Benedetta “stripped naked as a newborn babe.” Each recalled the Song’s bride: “I have taken off my garment” (5:3). The sequential narrative of the romance between Christ and the soul also had the womanly soul say “I cannot read a book unless you are my master” and “I will tell no-one, love, what I have heard from you,” each lines Mea could have uttered to her abbess.100 Benedetta spoke another line, taking on the voice of Christ to offer the symbolic emblem of mystical marriage: “Since you delight me, love, I set a crown upon you.” She lay on top of Mea, “kissing her as if she were a man [and] she would stir on top of her so much that both of them corrupted themselves,” an arrangement, and finale, which bears comparison with the miraculous levitation experienced by the Capuchin nun Maria Domitilla in Pavia at the very same time, 1622. She recorded that Christ united his most blessed head to my unworthy one, his most holy face to mine, his most holy breast (petto) to mine, his most holy hands to mine, and his most holy feet to mine, and thus all united to me so very tightly, he took me with him onto the cross . . . I felt myself totally af lame with the most sweet love of this most sweet Lord.101 Benedetta’s models, such as the sponsa, the anima, and Catherine of Siena, were feminine, metaphorical, or legendary, and her mistake in dogma was to take the symbolic literally. Benedetta acted as though the material was the spiritual: stripping for Christ or Mea like an obedient and pleasured soul in the Northern sequential romance; kissing a woman or suckling at a breast as did certain female mystics or saints; engaging in mutual, manual penetration of an orifice in line with the Song of Songs; proposing and performing marriage as though she could take both roles in a mystical drama. Her sex partner, Mea, was always a female figure, assigned a feminine part. Benedetta enjoyed repeated sex with a woman, not because that was the only body available to her, but because their religious beliefs were not predicated upon some exclusionary, modern notion of heterosexual identity. Through the vicissitudes of confession and documentary survival, we happen to know that in the early 1620s two under-educated women in a provincial Tuscan convent took religiously legitimized and visualized passion to a literal level. Brides of Christ, nurtured on the notion that their cells were bedchambers for nuptial union with a shared, metaphorical spouse, became in those very spaces lovers on an earthly plane. In seventeenth-century Pescia a patriarchal logic led to an alternative rite of passion. This does not mean that the women’s sexual arousal was incidentalor insignificant, but that their sensual and spiritual inspirations were neither entirely insincere nor irreligious. Benedetta Carlini was a nun, abbess, articulate angel, feminized soul, female mystic, and woman’s lover.Notes 1 Brown, Immodest Acts, 4; Bell, “Renaissance Sexuality,” with “virtually unique” on 487, Brown’s response, 503–09, and Bell’s reply, 510–11. I am grateful to Professor Bell for sharing his microfilms of the documents. The Italian of two missing frames, his figs. 1 and 2, was partly published in the Italian edition of Brown’s book, Atti impuri, esp. 184– 86. I will endeavor to place digital copies of the documents in the Deep Blue repository of the University of Michigan. Ideas here were first explored in a talk at the University of Michigan (January 2000). I am grateful for everyone’s attention in numerous audiences since then, but for conversations I especially thank Louise Marshall and Vanessa Lyon. 2 Bell, “Renaissance Sexuality,” 501–2, Brown’s response, Immodest Acts, 507. 3 Partner, “Did Mystics Have Sex?” 296–311; Salih, “When is a Bosom,” 14–32. 4 Brown, Immodest Acts, 127. 5 An exception is Matter, “Discourses of Desire,” 119–31. 6 Documented cases include Brucker, ed., The Society of Renaissance Florence, 206–12; Chambers and Pullan, with Fletcher, eds., Venice. A Documentary History, 204–05, 208. 7 Matter, “Discourses of Desire”, 122–23: “the nature of Benedetta Carlini’s sexual encounters with her sister nun is so bizarre as to defy our modern categories of ‘sexual identity.’” 8 Brown, Immodest Acts, 161–64. 9 Ibid., 110–14, 160–64; Bell, “Renaissance Sexuality,” 491. 10 Carlini’s imprisonment “in penitence” ended when she died in August 1661: ibid., 132. Upon Mea’s death in September 1660, the recorder referred to Benedetta’s fraud rather than sexual deeds: when Benedetta “was engaged in those deceits” Mea “was her companion and was always with her.” But Mea was not imprisoned: ibid., 135. 11 Jacobson Schutte, “Per Speculum in Enigmate, 187, 195 n. 11. For another case see Ciammitti, “One Saint Less.” 12 Brown, Immodest Acts, 7–8, 136; Rosa, “The Nun,” 221; Velasco, Lesbians in Early Modern Spain, 92. 13 Bell, Holy Anorexia, 70. 14 Barstow, Witchcraze, 72, and further cases, 139–41. Others include Velasco, Lesbians in Early Modern Spain, 113–24. 15 Cohen, The Evolution of Women’s Asylums, 92–93, 208–09 n. 65. 16 Bell, “Renaissance Sexuality,” 498. 17 Cervigni, “Immodest Acts,” 286. 18 Matter, The Voice of My Beloved, 142. 19 Hamburger, The Rothschild Canticles, 4. 20 Unless otherwise indicated, quotations are from Brown, Immodest Acts, 117–18, 120– 22, 162–64 passim (with emphases added). 21 Brown, Immodest Acts, 120; Bell, “Renaissance Sexuality,” 486, 495, 497, 499. 22 Ibid. 23 Ibid., 498 (“le ha voluto baciare le parti pudente”); Brown, Immodest Acts, 120. 24 Ibid., 21–22, 27–28. 25 Collected Works of Erasmus, vol. 39: Colloquies, 290. 26 Coote, ed., The Penguin Book of Homosexual Verse, 118–21 for this and another example. 27 Schutte, “Per Speculum in Enigmate,” 192. 28 Raymond of Capua, Life of St Catherine of Siena, 91–93. 29 Payer, Sex and the Penitentials, 43, 61, 99, 102, 138–39, 149–50, 172 n. 136.30 For a female couple sinning sexually in a Bible Moralisée of c. 1220, see Camille, The Medieval Art of Love, 138–39, fig. 125. For the 1468 fresco of the Inferno situated in an upper room of the convent founded by St. Francesca Romana, with a couple of indeterminate sex, but probably male, lying side by side on the lowest (and most easily seen) register, see Bartolomei Romagnoli, Santa Francesca Romana, Pl. 27. 31 Ghirlandaio’s panel is in the Louvre, Pontormo’s remains in Carmignano. 32 See n. 43 below; Jorgensen, “‘Love Conquers All,’” 102–03. 33 Brown, Immodest Acts, 137; Bell, “Renaissance Sexuality,” 502. 34 Brown, Immodest Acts, 108, 129, 130. 35 Ibid., 163–64. 36 Ibid., 63, 158, with subsequent quotations from 107, 117, 164. 37 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 165–67; Kaftal, St Catherine in Tuscan Painting, 72–77; Bianchi and Giunta, Iconografia di Santa Caterina da Siena, 112–14 and passim; Maggi, Uttering the Word, 176 n. 15; Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 147, 169; Brown, Immodest Acts, 63–64. 38 Camille, Medieval Art of Love, 111–19, and passim, including figs. 19, 55, 80. 39 Brown, Immodest Acts, 163. 40 Payer, Sex and the Penitentials, 105; McNeill and Gamer, eds., Medieval Handbooks of Penance, 81, 152. When Ercole d’Este married Renée of France in Paris in June 1528, at the Pax they kissed each other: Gardner, The King of Court Poets, 194. 41 The quotation is from Rosa, “Nun,” 222. A detail of embracing Dominican women from the panel in Siena’s Pinacoteca appears on the cover of Brown’s book. 42 Walker Bynum, Holy Feast and Holy Fast, 101, 126, 131–32, 157, 165–80, 270–73, and passim. 43 Brown, Immodest Acts, 26, 41. 44 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 141, 147–48 (hereafter quoted from 148). 45 Marciari and Boorsch, Francesco Vanni, 118–27. 46 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 179. 47 Ibid., 170–71. 48 Steinberg, The Sexuality of Christ. 49 Hamburger, The Visual and the Visionary, 390. 50 Walker Bynum, Jesus as Mother; Rambuss, Closet Devotions. 51 St. Catherine de’ Ricci, Selected Letters, 39 (no. 47). Subsequent quotations come from Letters 19, 46. 52 For the frescoes by Sodoma and an earlier one by Andrea Vanni in the same church see Riedl and Seidel, Die Kirchen von Siena, II, pt. 2, pls. VII, 596, 627–28 (and pl. 276 for Rutilio Manetti’s canvas of 1630). 53 Brown, Immodest Acts, 41. 54 Frugoni, “Female Mystics, Visions, and Iconography,” 139. 55 Brown, Immodest Acts, 163, a translation here adjusted according to the cropped photograph of the passage in Bell, “Renaissance Sexuality,” 501 (fig. 2), because Brown conflates the information on Splenditello and on another angel Radicello (a fanciullo) aged eight or nine. The common misperception is thus that Splenditello was a boy. 56 Gregori, “Caravaggio Today,” no. 68. 57 Teresa of Ávila, The Life of Saint Teresa of Ávila, 210 (ch. 29). 58 Bauer, ed., Bernini in Perspective, 53. 59 Hamburger, Rothschild Canticles, 165–66; Hamburger, Visual and the Visionary, 147. 60 Ciammitti, “One Saint Less,” 149. 61 Ibid., 150–52, fig. 3. 62 Bianchi and Giunta, Iconografia, nos. 43, 438, p. 126. 63 Raymond of Capua, Life of St Catherine, 131, 133. 64 Ibid., 108–09. During her visionary union with God, the medieval mystic Hadewijch noted that God “lost that manly beauty” so that he dissolved and “then it was to me as if we were one without difference”: Bynum, Holy Feast, 156. 65 Gardner, Dukes and Poets in Ferrara, 366–81, 401–05, 431-32, 464–67, 562.The “lesbian nun” Benedetta Carlini66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 10121Weinstein and Bell, Saints and Society, 141–42, 220–38; Bell, Holy Anorexia, 151, 170–71. Raymond of Capua, Life of St Catherine, 100, 175–6. Brown, Immodest Acts, 160. Bell, “Renaissance Sexuality,” 493. Rosa, “Nun,” 201–02. Bell, Holy Anorexia, 99, 107, 175, with other cases passim; Tibbetts Schulenburg, “The Heroics of Virginity,” 29–72. Brown, Immodest Acts, 159. Maggi, Uttering the Word, 34 (my emphasis). On Catherine of Bologna see Wood, Women, Art and Spirituality. Weyer, De praestiis daemonum, 184–85. Brown, Immodest Acts, 163; Bell, “Renaissance Sexuality,” fig. 2. Brown, Immodest Acts, 64–65, 122. On erotic triangulation, see the classic study Kosofsky Sedgwick, Between Men, esp. Ch. 1. Hamburger, Nuns as Artists, 56–61, 240 nn. 125–26; Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” esp. 43; Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 168, 172. Hamburger, Nuns as Artists, Pl. 7. Lowe, “Secular Brides and Convent Brides,” fig. 3. The phrases are in ibid., which often uses “heavenly husband” and has the other phrase on 44. But at 56ff she points out how often Christ is absent from images, although the essay’s point is to suggest parallels between the secular and religious ceremonies. Hamburger, Nuns as Artists, 56–58. Vandenbroeck, et al., Le Jardin clos de l’ame, nos. 148, 178 and fig. 106a; Hamburger, Rothschild Canticles, 113–15. Raymond of Capua, Life of St Catherine, 99–101, explicitly noting the antecedent with “another Catherine, a martyr and queen.” Hamburger, Nuns as Artists, 57, 239 n. 118. Ekserdjian, Correggio, 137–38. Emiliani and Feigenbaum, Ludovico Carracci, no. 1. In Parmigianino’s red chalk drawing of the subject for an altarpiece, c. 1523–24, the Child does not appear at all: Franklin, The Art of Parmigianino, 104–06. Stone, Guercino, 84 n. 62. Hamburger, Rothschild Canticles, 85–87, fig. 156 (and see fig. 159); Hamburger, Visual and the Visionary, 409–10, fig. 8.5. Wood, Women, Art and Spirituality, 128ff, 252 n. 31, 253 n. 37. Gebauer, “Christus und Die Minnende Seele. Both nuns and secular women were readers. Hamburger, Rothschild Canticles, 106–10, 155–62, f. 66r (Pl. 7); Perlove, Bernini and the Idealization. Bernini’s motives included wanting to atone for his brother Luigi sodomizing a boy in St. Peter’s (13–14). Brown, Immodest Acts, 163. Ibid., 163–64. Weaver, “Spiritual Fun,” 177, 181–83. Trexler, Public Life in Renaissance Florence, 194–96. Splenditello spoke in three dialects: Brown, Immodest Acts, 160. Hamburger, Rothschild Canticles, 82, 179, cf. Song of Songs 1:1, 1:12, 4:5, 4:10, 7:3, 7, 8, 12, 8:1, 10. Kunzle, History of the Comic Strip, vol. 1, 23. Brown, Immodest Acts, 162; Matter, “Interior Maps,” 64–65.Bibliography Barstow, Anne. Witchcraze. San Francisco: Pandora, 1994. Bartolomei Romagnoli, Alessandra. Santa Francesca Romana. Vatican City: Libreria Editrice Vaticana, 1994.Bauer, George, ed. Bernini in Perspective. Englewood Cliffs: Prentice-Hall, 1976. Bell, Rudolph. Holy Anorexia. Chicago: University of Chicago Press, 1985. ———. “Renaissance Sexuality and the Florentine Archives: An Exchange.” Renaissance Quarterly 40 (1987): 485–503. Bianchi, Lidia and Diega Giunta. Iconografia di Santa Caterina da Siena. Rome: Città Nuova Editrice, 1988. Brown, Judith. Atti impuri: vita di una monaca lesbica del Rinascimento. 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New York: Cambridge University Press, 1996.7 IN BED WITH LUDOVICO SANTA CROCE (1557) Thomas V. CohenLet us take two tawdry events, male affronts to women, with social history’s eye to assets, both cultural and material, and to the subtle exchanges that bound men to men, women to women, and one gender to the other. This is social history in nearly-literary mode, keen to read texts closely. We have text of two kinds—first the words on paper provided by a small tangle of criminal trials. If not the actual words spoken before and by the court or in the streets, taverns, and brothels, still these records do come close. The conventions and imperatives of the court itself, and the imperfect scribal hand have, as always, refracted actual speech, but the Roman-legal habits of verbatim transcription still offer material for close, thoughtful reading. Second comes the fabric of the city itself, for our scoundrel and his allies prowled and enjoyed their small corner of Rome, with its streets, squares, and assorted monuments, an urban backdrop and firm anchorage for memories. The urbanscape, so prominent both in what happened and in the telling, in itself invites a reading no less close than the one we accord words on paper. So, before turning to the deeds, note the spaces where they took place. We are in Rome’s Rione Regola, or Arenula, a zone sometimes little changed from the 1550s and 1560s of our stories. Nevertheless, the urbanism of first united Italy and then the Duce made drastic alterations. In the later 1880s, the wide Via Arenula ripped inwards from the Tiber, obliterating a web of streets and squares, and demolishing the church and convent of Santa Anna, right under the grand 1890 apartment where I once lived and wrote. The church survives only in the names of Via Santa Anna, and of a pleasant trattoria whose menu depicts my own abode. A second nineteenth-century destruction obliterated the ghetto, replacing it with a grand synagogue and some lumpish buildings. And then, under Mussolini, nostalgia for the Caesars erased the medieval fabric around the fish market at Pescheria, reducing tight neighborhoods to sterile archeology.So, to trace our scoundrel and his entourage, we must fall back on the old maps, especially the splendidly accurate Nolli Plan of 1747, and read street plans, the surviving urban fabric, and words in court, together. The Nolli plan shows how, from 1555, once the ghetto gates went up, a street our witnesses call the strada dritta became crucial for mobility, especially at night. It is hard today to recapture that very ancient urban street, today the Via del Portico d’Ottavia. Down by the old ghetto, it is now so wide that restaurants sprawl into it to hawk carciofi alla giudia, and, on their Sabbath, Rome’s Jews gather after services for a great chiacchiera —communal conversation. Further north, Via Arenula and the unkempt park in Piazza Cairoli, and a vague piazza before the baroque facade of San Carlo, have all smudged the profile of this street, which, in the sixteenth century, was no less tight than straight. Moreover, it was handy, skirting the ghetto to link the fishmongers’ square at Pescheria to Piazza Giudia. It then passed the palace of the Santa Croce, Renaissance in spirit but, like Palazzo Venezia, still half-medieval in shape, with an ornamental square tower today lopped short. The Santa Croce, banished by Sixtus IV, had lost their houses; readmitted, they threw up this palace, with its elegant diamond-studding on the wall. As the Nolli map shows, heading northwest, the street, at a bivio (a fork), slotted into Via Giubbonari, a curving passage today still narrow. Joseph Connors, in his “Baroque Urbanism,” discusses the extremely ancient streets of this part of Rome, pointing out how they wander eastwards from the bridge from Hadrian’s Tomb, now Castel Sant’Angelo, forking as they go.1 The Renaissance papacy used these roads often, as a way to San Giovanni in Laterano and across Rome, and palaces of the early Renaissance clustered along them. For our nocturnal misdeeds, the wide network mattered little, but the local Strada Dritta bore much social traffic. Our louche central character straddled lines—moral, social, sexual, and religious. A liminal man, he was and is hard to place, and his actions, crossing boundaries ethical and social, remind us not to put Rome and Romans into boxes. His name reveals his hybrid nature—Ludovico Santa Croce. At first glance, nothing strange there, but, as genealogies show, the civic noble Santa Croce, descending, they believe, from Publius Valerius Publicola, anti-Tarquin and one of Rome’s first consuls, in the sixteenth century named their children almost exclusively from Livy, Sallust, and Tacitus: not a Ludovico in sight. Moreover, law courts called him “the son of the late Giovanni Antonio de Franchi” so, if he was a Santa Croce, the noble house somehow adopted him.2 A friend, aware of this f limsy identity, says of him, “The said Messer Ludovico si fa romano de casa de Santa Croce et per romano il tengo.”3 Close reading: the friend does not call him a Santa Croce: just “si fa”—“he claims to be”; the friend readily affirms his Roman identity but, as to family, balks. But Ludovico, clearly, grew up some at the family’s palace. A friend recalls: “I have known him for more than twelve years in Rome and I knew him when he was a lad [ putto] here at the Santa Croce [qui alli Santa Croce].”4 Magrino, the witness, a very recent Jewish convert (Feast of the Annunciation, 1556), testifies not at the prison as is usual, but at home, asIn bed with Ludovico Santa Croce 127he is sick, and with his “here at the Santa Croce” shows how, now fatto christiano, he has moved a mere block or so beyond the ghetto gate at Piazza Giudia to lodgings near the Santa Croce palace. Ludovico is sufficiently Santa Croce that, back in Carnevale of 1557, a noble Santa Croce helped bail him out of prison.5 But he is no signore; his cronies call him messer instead. This title f lags both his status and its ambiguity. In 1557, at his first trial here, Santa Croce is “about twenty-six, as he asserts.”6 If so, then either his friend Magrino knew him longer than twelve years or, back then, age fourteen, he had become a fairly lanky putto. He was born in 1531 or so. By 1565, at the second trial, he would be thirty-four. No sign of a marriage. His loves, we will see, were all casual, among the whores. No sign, either, of a craft, trade, or civic office. He probably still lived at the palace as, for sex, he took his hireling women to the bathhouse (stufa) or bunked down with them at friends’ and seldom, if ever, took them home. So how did he pass the days? He hung out at the Pescheria, the fish market at one end of the Strada Dritta. And the company he kept: fishmongers, Jews, and recent converts. Plus prostitutes. He ate, drank, caroused, and got into abundant trouble. In 1565 the court asks for his criminal record: I have been in prison three or four times, here in Tor di Nona and in Corte Savelli. I don’t remember why. And his lordship asked him that he at least tell for what crimes and excesses he was investigated and tried. He answered: I cannot remember things that are fifteen or sixteen years old, but I know well that I have not been under investigation either for homicides or for ugly things [cose brutte]. It is true that I remember that I was in jail in Corte Savelli for having had a brawl with another gentilhomo, and for it I paid ten scudi to Messer Pietro Bello.7 Here, Ludovico is as evasive as his memory is fuzzy; cose brutte indeed came up in court. The court asks after a jailbreak.8 The fight was probably in Carnevale, 1557, when Pietro Bello was a judge on staff.9 In June, 1563, Ludovico was wounded in a brawl where he, a reluctant fighter, stabbed a spice-trader in the chest.10 In a trial of another unruly gentleman, the court asks the suspect’s serving woman if her master ever wanted to kill our Ludovico. “I don’t know,” she says, “but know that the said Ludovico was wounded once and that [my master] Pietro de Fabii rejoiced.”11 So Ludovico is a man on many margins. A self-proclaimed gentilhomo, he haunts the edge of his foster-family, in a neighborhood strung between Jews and Christians, and his socializing crosses boundaries of station, ethnicity, family, community, and moral action. So let’s join him for the evening. We begin not along the Strada Dritta, but atop Piazza Navona, by Torre Sanguigna and the Pace church, with two Christians, doublet-makers both. It was before Christmas, 1556.12 Antonio Scapuccio and Mario di Simone came offwork at the Ave Maria sunset bell. Mario, aged twenty, lived across town, by Santissimi Apostoli. With Antonio he went back three years, from their work.13 As for Ludovico, Antonio had known him since childhood: “at the time I and he were lads, we had a close friendship.”14 Antonio, via Ludovico, knew that Fabritio, another convert, kept a house where friends gathered. “Antonio brought me to the house of Fabritio, Jew-made-Christian, who sells ironware.”15 When the doublet-makers arrived, Ludovico was there, with Magrino, and one Giulio Matuccio, and the host, Fabritio.16 So began their evening. “We all decided, in agreement, to go find a Signora called Vienna Venetiana, friend of the aforesaid Giulio Matuccio.”17 Mario adds: And when we were at Vienna’s house—she lived at Torre Sanguigna— Antonio Scapuccio knocked on the door, and the mother, if I remember, said that she had hurt her arm and could not keep us company, and that we should let her off.18 Torre Sanguigna was far from Ludovico’s haunts. “We left and went to a pie-shop, also near Torre Sanguigna, and got ourselves a pasticcio. And I don’t remember which of us paid for it.”19 Magrino, a convert, adds that the pie contained a shoulder of pork.20 Ludovico stepped in, announcing as they walked: let’s fetch my whore!21 So entered Betta, a cortigiana grande, says Mario, meaning not a top-rank prostitute, but, as Magrino says disparagingly, a big tall woman—“una donna grande longaccia.”22 Betta lived near the stufa of Felice, near the Cavaglieri family palace, two blocks north of the strada dritta.23 As the five trailed after him, Ludovico vaunted his sex with her: And Ludovico said it again, while he was going with us for that woman, and he was heading to knock on her door . . . that last night he had slept with this woman, and he said that she had a fine ass and that it gripped firmly.24 At Betta’s lodgings, the men remained outside. Ludovico called or knocked and the prostitute came down, and, oddly, if she really had slept with him the night before, in error she embraced the wrong man, as if Ludovico, though a gentilhuomo, was hard to tell from the company he kept.25 “And we asked her if she wanted to come to dinner with us, showing her the pasticcio, and she said yes, and came away. And going down the street Messer Ludovico and she went arm in arm.”26 The passage illustrates handsomely some workings of Roman prostitution. Note how complex were the exchanges between these women and their customers. Roman prostitution was seldom simple sex for plain cash. Like many transactions in the economia barocca, it had wide bandwidth and complex linkages forward, backward, and across society.27 Betta here accepted a promise of food and entertainment, and furnished public gestures of affection, a gift to Ludovico, who could f launt her to posse and to street.In bed with Ludovico Santa Croce 129The party, with Betta making seven, retired to Ludovico’s hang-out, the inn at Pescheria, called after its owner Domenidio.28 It was some hour after nightfall.29 “All of us, in company, went to dinner at the aforesaid inn, and we brought with us a pasticcio, and we ate.”30 To this osteria, patrons readily brought food. After dinner, the whole group went to spend the night at Fabritio’s dwelling, near Ludovico’s own house, where Ludovico, other times that winter, sometimes brought women: “in the time that he was made Christian . . . he lent me the room.”31 On the way, the men say, Ludovico again boasted of anal sex with Betta.32 The room had but a single bed; Fabritio, leaving the bed to his gentleman guest, hospitably withdrew to a little attic, a solarello —“no great thing”—and slept.33 Magrino “gave the command to fetch from home a mattress, which we threw on the f loor.”34 Ludovico and Betta undressed at once and slipped under the covers.35 There was a bed curtain. It would have had many colors, and it was mine [Magrino’s]. And to a question he answered: It was not spread around the bed but gathered to one side.36 Ludovico, in his account, avers that the curtain was draped around the bed. 37 While Magrino settled somehow on a chair, clothed, to spend the night, the two doublet-makers and Giulio huddled on the mattress. Ludovico, meanwhile, lay snugly in one convert’s bed and another convert’s hangings, in a convert’s house. “Before the light was put out we were all joking and chatting, and Messer Ludovico told us please to put out the light.”38 And then, as men settled for the night, Ludovico thrust his arm out from the covers, making a letter “O” with his index and middle finger.39 Lest he shame Betta he said nothing, Antonio avers, but Mario claims he boasted loudly.40 Mirth erupted. Everybody laughed at that and said to one another, “He has fucked her in the ass. Fire! Fire!”41 The stake, of course. And slim regard for Betta! What is going on here? The social psychology of this scene is tangled. We have three Christian artisans, two ex-Jews on the f luid boundary of the ghetto, and one semi-gentleman half outside his noble family, a troop cemented, perhaps, by Ludovico’s leadership, occasional largess, and arrant breach of sexual and moral rules. All six men share in Betta’s humiliation. Ludovico parades his transgression and the risks he runs and, laughing, the cronies applaud and, vicariously, thrill to his vulnerability. Collusion cements this solidarity. Ludovico and Betta were the first to fall asleep.42 Much later, say the others, invited by Ludovico to join them in the bed, Magrino left the chair, climbing in still clothed, and fell asleep.43And then awoke, jostled by the bounce of sex. I could feel it when he was screwing her, and she had her bottom towards Ludovico and she was turned with her face toward me. And it was one time that I felt it, and I did not see him stick it in because it was no affair of mine. I know well that he was screwing her, and he was shoving her towards me, so that it made me wake up.44 Magrino is remembering events before Christmas, almost nine months earlier. The trial took place in August, 1557, first at the Inquisition, at the Ripetta. Halfway through, interrogations moved to the prisons of the Governor of Rome. That is why this record survives. Precisely two years later, when Paul IV died, Rome’s most tumultuous Vacant See broke out. Mobs attacked the Inquisition’s Ripetta offices, burning the papers, and ransacked the house of the tribunal’s notary.45 Later, Napoleon’s supporters would destroy the Inquisition’s later trials, so a transcript such as this is rare indeed. Both at Ripetta and later, this trial has a Holy Office feel; the magistrates treated the courtroom as a confessional, sparing neither shame nor feelings with their swift, intrusive questions. Why did the matter slip to the criminal court? The crime in question, though moral and involving converts, revealed no taint of heresy. Prostitution in mixed company was no crime and the court was after anal intercourse. He was asked if on that night he the witness heard the said Betta moaning and crying out, because the said Messer Ludovico was having intercourse and fucking her [ futuebat] from the back. He answered: “I could hear it when she was screwed the first time by Messer Ludovico. She was crying out [si lamentava]. But one can cry out for several things.” And to a question of me the notary he said: “She can cry out the way women do.” And I the notary asked, “And how do women do?” He said, “They can cry out because it pleases them and they can cry out because it hurts them too. But, one time, as I said, I felt it when he screwed her.”46 When the Inquisition hauled her in, Betta did her all to prove it wasn’t so. Her testimony about what went on in bed surely did her little good, as, on point after point, she lied elsewhere about her history with Ludovico, shown as far skimpier than others alleged. Her testimony, earthy and vehement, catches well a prostitute’s voice in court. He never did it to me in that place. It is true that Messer Ludovico told me to turn around, that he wanted to do it cunt-backwards [a potta retro], and I told him, “You want to trick me. You want to stick it in contrary-wise.” And he said no, that he wanted to do it cunt-backwards, and so I turned around and he did it to me cunt-backwards. I know where he went in, and if he was fooled, I was not fooled.47In bed with Ludovico Santa Croce 131Betta appears twice in the record. The first time, to cover for the weakness of her case, she regales the judge with promises to live in virtue. If I had consented to the other way, it would seem to me that God would not keep me on earth. And if I have done wrong in one way, I don’t want to do wrong in the other. And if I get out of this I want to go to Santa Maria di Loreto, and then to my home to do good works, and I want to go this September. And if he wants to say that he did it to me from behind against Nature, he is lying through his throat, and he is tricked, and, me, I am not tricked, because I protect myself from this the way I do from fire.48 The next morning, Betta, Ludovico, and most of the posse stayed. (Mario, sleeping clothed, had slipped off early to his shop.)49 At breakfast, the boasts went on: She never heard a word when Messer Ludovico told us that he had twice screwed Betta in the ass, but he said it at length to us. He was asked if the said Betta was at the table eating with them, how could Ludovico have said those words, since they could be heard by Betta. He answered: I will tell you. We were kidding Ludovico . . . and when he said it at the table she had not yet sat down.50 As current events show sadly, Renaissance Italy was hardly the only place where, for some admirers, the swaggering abuse of women gives callous men allure. Jump eight years ahead. It was 1565, not 1557, and Ludovico was now some thirty-four years old. Still unmarried, still at loose ends, he haunted the same tight quarter, up to little good. He had a new entourage; none of the same men turn up. At the center, as ever, sat that osteria of Domenidio, in Pesheria. His cronies were, this time, two or three fishmongers and one Cesare Vallati, son of the civic noble family that owned a palace on the square, facing its ghetto gate. The Vallati house still stands, pared back to its medieval core, which now bears sad plaques about Roman Jewish deaths at Nazi hands. Cesare was gentleman enough to hold, they said, a civic office.51 On Friday, November 23, the friends stirred up dinner at the inn. Meo, fishmonger, says: Ludovico Santa Croce came to me, as I was in Pescheria. It may have been a half-hour after dark, and he asked me if we wanted to go to dinner together at the osteria of Domenidio. I said yes and so I picked up some fish, and along with Grillo and Ludovico we went to the osteria of Domenidio, and while we were setting up to eat Cesare arrived and said, “I want to eat with you,” and so he too sat at the table and we were four in all.52Meo reports that, when he left his fish-bench, he brought sardines, while Grillo fetched clams.53 In the midst of dinner, “a Jew”—nobody names him, ever— joined the group; no sign he ate with them.54 After dinner, except Grillo, all left together. “Let’s go to the house of my whore,” said Ludovico. “We said, ‘let’s go!’ and Cesare said, ‘I want to join you.’”55 The court asks later, did Cesare and Ludovico go with sword in hand?56 Probably. The men took the strada dritta, the ghetto to their left, the Santa Croce tower to the right, over to Il Crocefisso, behind or under where the big church of San Carlo later stood.57 Ludovico’s woman of the month was Olimpia, who, it turned out, was off with an amico, a regular of hers, who, she says, felt ill, so she headed homeward with a Lorenzo stufarolo in tow.58 But when Ludovico and his cronies arrived, only the house’s mistress, Lucretia, was yet home. Olimpia calls Lucretia the house padrona; in court, Ludovico will call her a whore, whom he has known for years, presumably hooking up with tenant after tenant.59 At Olimpia’s front door, the four men, masking voices and pretending to speak Spanish, shouted, “Open up the door!” Lucretia: “They banged six or seven times, for I was not of a mind to open, ever.”60 At last I went to the window and told them that I did not want to open for them under any circumstances, and told them to change their talk because no way could I not recognize them. I knew them just fine, but, with my tenant not home, and because, I knew, they wanted nothing of me, I had no intention of opening for them. Instead, I said, I would throw water on their heads if they did not get away from the door.61 The four men loped east to Via dei Chiavari, still in Lucretia’s sight.62 There they encountered a second Lucretia. Wife of wealthy Cyntho Perusco, and mother of two children, she was returning with a servant—but with no light, lest she be seen and recognized—from a call on her procurator.63 Two men armed with swords and daggers, with their swords under their arms and the daggers in hand unsheathed, came at us and at once they stopped me and one of them put his hand to my neck, feeling my neck, thinking that perhaps I had some chain necklace or string of gems.64 And I said to them, “I am a poor woman. What do you want of me?” And I was screaming, “Thieves thieves!” When they heard that, they let go of me.65 Giovanni Maria, the servant, thought he recognized one of the four assailants: “Ah Meo, why are you doing this to us?”66 Meo at once hid his face behind his cape.67 Giovanni Maria’s assailants, Meo and the Jew, grabbed him. “They were holding on to me and they told me to keep silent, and they held the naked daggers to my neck.”68 The assailants released their quarry, only brief ly. Lucretia will tell the Governor: “When we had walked three or four paces, the same men,In bed with Ludovico Santa Croce 133with some others, made a circle around me and some of them grabbed me from one side and some from the other, putting their daggers to my throat.”69 Giovanni Maria tells the Governor: “they began punch me and shove me and they threw me to the ground.” 70 Adds Lucretia: And they took from him a pouch. In it were ten giulios, between testoni coins and giulio coins, and a gold ring that was mine, with a Jesus on the top, and on the bottom, there is a “claw of the great beast” [a fabled stone with curative powers], which was also in that pouch, and they took from it also the belt and a handkerchief. The ring contains 18 giulii of gold.71 Giovanni Maria adds that the pouch had been tied to his waist and that Lucretia had removed her ring to wash her hands.72 One of the band of four, almost certainly Cesare Vallati, as Ludovico was by now no youngster, may have had second thoughts: When this [theft] was done one of those youngsters took me by the hand and told me, “Come here. I promise you as a gentleman that I will not hurt you.” And he asked me, who was that woman. And I told him that she was not for them, and that they should let her go, and that she was the wife of Messer Cynthio Perusco.73 Ludovico had other ideas. One of the two underlings, probably not the Jew but Meo, asked him “Messer, what are we to do?” “Carry her off, carry her off!” 74 And they tried with all their might to lead me to a house, for they took me by force and they dragged me . . . But I cried out, “Thieves! Thieves! Is this how you assassinate people in the street!” And I told them that I had nothing on me and that they should come to my house, that was near there.75 The assailants hauled Lucretia into an alley.76 Lucretia was convinced that they wanted to drag her to a stufa, a bath house of the sort Ludovico haunted. As they pulled her, Lucretia fell in the mud, losing her pianelle, her clogs. “She told them that her clogs had fallen off, and they told her to keep walking, and they were making her walk up that alley, leading her, as there were three or four around her.” 77 And then, providentially, down the alley came two men, in front a servant with a torch, and, behind him, his master, Agostino Palloni, a man of substance whose house stood close to the Santa Croce palace.78 And when the light arrived, I recognized the gentleman, and I begged him for the love of God to help me. And while I was saying those words, one of those young men, who had dragged me, as he thought that the light was not coming from that side and that he would not be seen—Messer Agostino recognized one of those young men, who is called Cesare Romano.And at that Messer Agostino said, “Ah Cesare, what are you doing [che fai]. What is this! Do you see that you [tu] are doing wrong?79 Turning towards Agostino, says Giovanni Maria, Lucretia tripped on an iron grate and once more fell and then, as supplicant, grasped his cape: “Ah, Messer Agostino, don’t abandon me . . .!”80 Agostino, Lucretia, and Cesare then stood together, a threesome. First off, Cesare, to catch his social balance, tried to place Lucretia as a Roman matron. Then Agostino did the same. Giovanni Maria tells the Governor: The man whom Agostino had called Cesare asked Madonna Lucretia if she knew Cyntho Perusco. She said, “Yes, I know him, and I have two children with him, and he is my husband.” And Messer Agostino asked Madonna Lucretia if she knew Messer Francesco Calvi, and she said yes, and if he came to her house with her she would show him her daughter.81 Gentleman to gentleman! Cesare Vallati, in night’s shadow, had strayed well outside his class’s code of conduct, and Agostino’s torch jolted him back from the abyss. He switched codes as nimbly as he could. Then Messer Agostino turned to Cesare and told him, “Cesare, son, you have done wrong.” And then Cesare told Messer Agostino to leave, and said that he would have Madonna Lucretia escorted by a servant of his.82 No such thing happened, of course. After questions to Lucretia about how she came to be out after dark, Agostino, with his torch and serving man, conveyed them both back home.83 At her window, the other Lucretia, the madam, had seen and heard the fracas. Outraged, woman to woman, she strove to allay the trouble. I heard a woman who was starting to scream, and when I looked toward where I heard that cry, I looked and saw a woman with a man, and she was screaming, “What do you want with me, brothers, pull the door rope for me, pull the door rope for me!” and when I heard those words, I feared it might be some neighbor, and I knocked on the window of Diana and told her, “Listen to your sister who is screaming,” and she answered, “My sister is here at home.”84 While Cesare and Agostino parleyed, the other three miscreants probably crept away, and soon, all four were back at Olimpia’s door. This time they had luck, as Olimpia turned up, with Lorenzo her bathhouse worker, and his lute. “I came back home and I found Ludovico Santa Croce there at my door, along with Meo the fishmonger and with two others whom I did not know, but there was aIn bed with Ludovico Santa Croce 135Jew.”85 Lucretia opened for Olimpia and, willy-nilly, in came all the others, with Ludovico, as usual, in the lead.86 Note Lucretia’s version: At that moment, my tenant called Olimpia arrived, along with an amico called Lorenzo the bathhouse worker, who played the lute, and I had to pull the rope, and then there came in, along with my tenant, Ludovico Santa Croce, Meo, Cesare Vallati, and a Jew.87 We learn from Olimpia several things. For one, the Jew was a stranger, known only, presumably, by his obligatory Jew’s cap. For another, Cesare Vallati had rejoined the crew. And, for a third, while she knew Meo, Vallati, a stranger to her if not to the madam, was less central to Ludovico’s habitual posse. Neither he nor the Jew had been part of the dinner’s start; though locals, they were hangers-on. When the men entered, Lucretia, the madam, upbraided them. “And when they were up the stairs, I said to them, ‘Oh this is a fine state of affairs! Poor women cannot go in the street.’ And they told me that they weren’t the ones who did it.”88 Lorenzo, with the lute, would prove Ludovico’s undoing. The men all stayed a while in Olimpia’s room, listening to him play. And then Ludovico led Olimpia off to the Santa Anna stufa to spend the night. The other three escorted him down the block, then went their separate ways.89 We catch a bit of the denouement via Barbara, Meo’s ex-puttana, who, she tells the court, had after three years broken with him because he owed her big money on borrowed goods. Barbara had moved to Monte Savelli, just a block down-river from Pescheria.90 I went to bed without dinner because I felt ill, and while I was in bed with Annibale the fish-monger I heard passing in the street Cesare Vallati with other people whom I did not see, and he said, “Your faithful servant, Signora Barbara, my heart!” I made no answer.91 Annibale and Barbara went back, she says, three years; she swam as easily among the fishmongers as a mackerel in the sea. But Cesare Vallati, clearly, slipped through these same waters; in the intimate spaces of the city, these men and women moved up and down class lines. Annibale, when asked, would tell Madonna Lucretia what he knew about the crime. Small world!92 The very next day, Madonna Lucretia sent her servant to scout the local bathhouses. Lorenzo, the fellow with the lute, a paesano, led Giovanni Maria to Ludovico and Meo, who would be arrested on Monday, together.93 At Olimpia’s, the four men, said Lorenzo, had been “in a terrible mood and all of them distressed.”94 Agostino Palloni, meanwhile, refused to help Lucretia—“he sent word to me through Cynthio that it wasn’t a gentleman’s role to accuse anybody, and that was it was enough that I had suffered no harm.”95 Citing class solidarityhe covered for Cesare Vallati, who either f led or ducked prosecution. The Jew, luckily nameless, got away. We have neither a sentence nor knowledge what our four villains did with the rest of their lives. Our story of status slippage and hasty re-calibration, coarse male solidarity, callous abuse of women, and female resilience models a careful reading of words, places, and actions, with an eye to the density of webs and the fine-grained texture of lives in time and space, to lay out the ref lexes with which Romans navigated their city. Ludovico, uneasily perched on several margins, could build coalitions, trading his noble connections, hospitality, slovenly rapaciousness, and access to paid female sex and company for male support and applause. To Cesare he offered a pathway down, to the others perhaps a step upwards. These male solidarities in a moral grey zone show the porosity of Rome’s social boundaries and its alliances’ often easy give.Notes 1 Connors, “Alliance and Enmity,” 208–09. 2 Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale, Processi (16o secolo), busta 38, case 23, folio 568r: “Ludovicus de S. Cruce filius q. Io. Ant. d. Franchis.” Henceforth, I give busta and folio only. 3 38.23, 559v: Antonio Scapuccio, August 15, 1557, to a notary at the Holy Office. 4 38.23, 573r, Magrino, August 26, 1557, at home sick, to a notary. 5 38.23, 579v: Ludovico cites Valerio Santa Croce and noble Mario Mellino. For Magrino’s conversion at the Annunciation in 1555: 38.23, 573r, Magrino. 6 38.23, 568r. 7 Busta 103, 909r: Ludovico Santa Croce: “. . . costione con un altro gentil’homo . . .” 8 103, 909v: “fregit carceres et unde exivit.” 9 38.23, 572v: “questo carnevale [1557] . . . messer Ludovico uscii di pregione in Corte Savella.” 10 Investigazioni 80, 181v–183v, for 23–24, from June, 1563. 11 38.19, 461v: “. . . se ne reallegrava.” 12 38.23, 577v: Betta: “. . . avanti natale.” 13 38.23, 562v-563r: for age and employment; for the friendship and the workplace: 38.23, 562v–563r. 14 38.23, 559v: “eravamo regazi havevamo amicitia intrinseca insieme.” 15 38.23, 562v: Mario: “Fabritio giudio fatto Cristiano che venne li ferri.” 16 We know little about Giulio, never interrogated. Ludovico seems to place him among the converts: 38.23, 570r–v: “Vi pratica in questa casa Julio Mattuzzo, Fabritio doi o tre altri giudei facti christiani . . . de continuo li se ce vengono giudei et d’ogni sorte de generatione.” But no other witness calls Giulio a convert. 17 38.23, 563r–v: Mario. 18 38.23, 563v: Mario: “. . . lei o la madre . . . disse che era ferita in uno braccio et che non posseva abadarci et che lavessemo per scusata.” 19 Ibid.: Mario: “. . . a un pasticciero pur presso Torre Sanguigna et pigliassemo un pasticcio . . .” 20 38.23, 574r: “comprassemo una spalla de porco.” 21 38.23, 564r: Mario: “. . . disse per la strada che voleva pigliar detta cortigiana.” 22 38.23, 573v. 23 38.23, 563v: Mario: “apresso la stufa de Felice presso li Cavalieri.” 24 28.23, 561r: Antonio Scapuccio: “. . . ando con noi per dicta donna et voleva bussare la porta . . . che haveva bravo culo et teneva bene.”In bed with Ludovico Santa Croce 13725 38.23, 574: Magrino, for Ludovico’s call: “Messer Ludovico chiamandola . . .”; 38.23, 564r: Mario: “credendosi di abracciar messer Ludovico abraccio un altro in loco suo in cambio.” 26 38.23, 564r: Mario: “Mostrandoli il pasticcio et per la strada messer Ludovico et liei andavano abracciati insieme.” 27 Ago, Economia barocca. 28 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “l’ostaria de Domenidio in Piscaria.” 38.23, 574r: for the name’s origin. 29 38.23, 564r: Mario, for the time. 30 38.23, 560r: Antonio di Scapuccio: “tutti de compagnia . . . portassimo . . . un pasticcio . . .” 31 38.23, 568v: Ludovico Santa Croce: “. . . Fabritio giudio facto christiano apresso . . . [a] casa mia nel tempo che e facto christiano et lui me impresto la stantia”; 38. 560r: Antonio Scapuccio: “presso la casa de Santa Croce.” 32 28.23, 561r: Antonio Scapuccio for the boast: “et di poi che andassemo a magnar a l’ostaria . . .” 33 38.23, 574v: Magrino: “un solaretto di sopra quale era poca de cosa”; 38.23, 572r: Fabritio: “dormivo io sopra una solarello.” 34 38.23, 560r: Antonio Scapuccio: “. . . un matarazo quale lo buttassemo in terra.” 35 38.23, 574v: Magrino: “. . . spogliati si misero sotto li panni.” 36 38.23, 574v–575r: Magrino: “un paviglione che saria de piu colori quale era il mio . . . radunato da una banda.” 37 38.23, 569r. Ludovico claims to have closed the curtain: “mettevo il paviglione atorno.” 38 38.23, 564v: Mario: “et avanti che la lume fosse svitata stavamo a burlare et ciancinare . . . che di gratia volessemo svitar la lume.” 39 38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “. . . facendo un zeno con il deto grosso et con il deto indice facendo uno O designando che lui haveva chiavato nel culo dicta donna”; 38.23, 564v: Mario: “Dicendo forte con noi altri Nel proprio facendo con il detto grosso et con il indice il tondo.” 40 38.23, 561v: Antonio Scapuccio: “lui non diceva chiaramente per rispecto de dicta donna che non volea svergognarla”; Loudly: Mario: “Dicendo forte.” 41 Ibid.: Antonio Scapuccio: “. . . la chiavata in culo foco foco.” 42 38.23, 574v: Magrino: “forno primi messer Ludovico et la donna.” 43 38.23, 574r: Magrino, for sleeping clothed: “et io ancora dormi . . . vestito”; for much later: 38.23, 560r: Scapuccio: “Giovanni Maria . . . dipoi a un gran pezo . . . se ando a corigare nel medemmo lecto.” 44 38.23, 575r: Magrino: “io ho inteso quando lui la chiavava et lei teneva le natiche verso Ludovico et lei voltata con il viso verso di me et io una volta il sentia et io non lho visto metter dentro perche io non ce ho tenuto le mane. So bene che la chiavava et lui sbatteva detta [no noun] verso di me che mi fe svigliato.” 45 Hunt, The Vacant See, 183–84. 46 38.23, 575v: notary and Magrino: “. . . langere et lamentare eo quia . . . ipsam retro negotiabat et futuebat. Respondit io sentivo che le quando fu chiava[ta] la prima volta da messer Ludovico si lamentava. Ma si posseva lamentare de piu cose . . . Si posseva lamentare come fanno le donne . . . Se posono lamentare che li sappia bono et si posono lamentare che se li faccia male ancora. Ma io una volta come o detto o sentito che l’habia chiavata.” 47 38.23, 577v: Betta, August 23, 1557: “lui mai ha fato in tal loco e e ben vero che messer Ludovico mi disse che mi voltassi che me lo voleva far a potta retro et io li disse tu me voi gabare tu me voi mettere al contrario et lui disse de no che il voleva fare a potta retro et cossi io mi voltai et mi fece a potta retro. Io so dove intro. Si lui se e gabbato non me sonno gabbata io.” 48 38.25, 567r: Betta, August 21, 1557: “. . . mi parrebbe che dio non mi tenesse sopra la terra et se ho fatto male per una via, non voglio far male per laltra, et si io ne esco voglio andare a Santa Maria de Loreto et poi a casa mia a far bene . . . et se si gabba lui non mi gabbo io, perche me ne guardaro come dal fuoco.”49 38.23, 565r: Mario. 50 38.23, 576r–v: “Lei non intese mai parole .  .  . Noi davamo la baia a Ludovico .  .  . quando lui il diceva a tavola lei non se ce era messa ancora.” 51 103, 911r: Ludovico: “me pare che sia cancelliero de conservatori.” 52 103, 906v: Meo: “. . . voleamo andare a cena al’hostaria de domenedio insieme . . . et cosi righai certo piscio et . . . andammo alhosteria . . . et mentre voleamo cenare arrivo li Cesare . . . lui se messe a tavola et cenammo tutti quatro insieme.” 53 103, 907r: Meo: “portai certe sarde . . . et Grillo porto certe telline.” 54 103, 907v: Meo: “un’hebreo . . . venne . . . mentre che magnammo.” 55 103, 907r–v: Meo: “voliamo andar a casa della mia puttana et noi dicemmo andamo et Cesare ancora disse io ve voglio fare compagnia.” 56 103, 911v. 57 The present Via del Monte della Farina was then Via del Crocefisso, named for church, San Biagio del Crocefisso (or del Annulo), demolished circa 1617 to expand San Carlo: Lombardi, Roma, 222; Delli, Le Strade, 339; Gnoli, Topografia, 91; Adinolfi, Roma, 171. Olimpia probably lived towards San Biagio. 58 103, 913r: Olimpia: “da uno amico mio quella sera . . . tornai a casa et trovai Ludovico Santa Croce li alla mia porta”; 913v for the name Lorenzo. 59 103, 918r: Ludovico: “sono parecchi anni.” 60 103, 917r: Lucretia the madam: “parlando spagnolo et contrafacendo il parlare loro solito . . . apri qua la sporta che batterno sette o otto volte ch’io non li volsi mai aprire.” 61 Ibid.: “.  .  . non li volevo aprire .  .  . dovessero mutare parlare perche non potessi di non cognoscerli, . . . ma per non ci esser’ la mia pigionante in casa et sapendo che non voleano niente da me io non li volsi aprire anzi . . . haverci buttato del acqua in testa se non si fussero levati dalla porta.” 62 Ibid.: “correre verso li Chiavari.” 63 103, 889r: Lucretia the wife: “retornandome . . . senza lume et con una cannuccia in mano per non esser vista ne conosciuta.” One Cynthio Perusco lodged by the Minerva: Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma 29, 15. One puzzle: on October 7, 1567, a Cinzio Perusci by San Marcello, not the Minerva, buried a wife named not Lucretia but Ortensia. de Dominicis, Notizie biografiche, 275; And, at court, (103, 899r) Lucretia appears as “Lucretia q. Petri”—no father’s family name, no husband’s name. Is Lucretia a femina, a semi-wife? 64 Ibid., r–v: Lucretia: “Doi armati . . . me si ferno incontro et subbito me fermorno et un di loro me misse la mano al collo tastandomi il collo pensando forsi ch’io havessi qualche collana o vezza.” 65 Ibid., v: “. . . io son poveretta che volete da me strillando ai ladri ai ladri . . . me lasciorno”; the servant confirms this and notes that other men were also holding Lucretia: 103, 902r. 66 103, 902r: 25: “. . . perche questo a noi.” 67 Ibid.: “se misse la cappa inanti il viso et pero non posso saper’ ne poddi veder’ se l’era quel Meo.” 68 Ibid.: “.  .  . pugnali nudi presso alla gola.” Why daggers? The gentlemen, with their swords, held Lucretia. 69 Ibid.: Lucretia: “. . . un cerchio intorno et chi mi pigliava da un canto et chi dal altro mettendomi li pugnali alla gola.” Giovanni Maria: Ibid., 902r: “ci fermamo per paura.” 70 Ibid.: Giovanni Maria: “. . . dar de i pugni et d’urtoni et mi buttorno in terra.” 71 103, 900r: Lucretia: “. . . con un yesu di sopra et di sotto c’e l’ongia della gran bestia . . . ancho la cintura et un fazzoletto: che l’anello ci e 18 giulii d’oro.” This “yesu” may have been a monogram. Giovanni Maria confirms almost all these goods. 72 103, 902r–v: Giovanni Maria: “una scarsella che io portava cinta. . . . a tenere lavandosi la mano . . . messo in la scarsella.” 73 103, 902v: Lucretia: “. . . vi prometto da gentilhuomo de non ti far dispiacer . . . che non era per loro . . . che era moglie di Messer Cynthio Perusco.” Cesare had yet to hurt the servant.In bed with Ludovico Santa Croce 13974 Ibid,: Giovanni Maria: “messer che volemo fare . . . menavola via menavola via.” See also Lucretia: 103, 899v: “menala su menala su strascinala.” Why do we say Meo and not the Jew? Note Meo’s ongoing relationship with Ludovico, their habit of joint action, plus that prompt “Messer.” 75 103, 899v: Lucretia: “.  .  . con molta instanza di menarmi in una casa che .  .  . per forza . . . me strascinavano . . . a i ladri a i ladri a questo modo si assassina alla strada, . . . che venessero in casa mia . . .” Why this invitation? Probably demonstrate her station, not to proffer loot. 76 103, 199v: Lucretia: “per andare al arco delli catinari.” The present Via dei Falegnami then was Via dei Catinari: Gnoli, Toponomia, 69. This Arco was demolished for San Carlo ai Catinari: Gnoli, Toponomia, 11. 77 103, 903r: Giovanni Maria: “. . . gl’era cascate le pianella . . . diceano che caminasse . . . la faceano camminar . . . tre o quattro attorno.” See also Lucretia: 103, 899v: “cascai in terra in un fangho et lasciai li pianelle.” 78 For Agostino Pallone’s house, see Cohen and Cohen, Words and Deeds, 136. For the two men: 103, 903r: Giovanni Maria: “arrivò quel che portava la torcia accesa et . . . mr Agostino Palone . . . per il medesimo vicolo.” In 1577, Agostino would be buried in Santa Maria in Publicolis, the Santa Croce family church: de Dominicis, Notizie biografiche, 267. 79 103, 899v–900r: Lucretia: “. . . cognobbi detto messer . . . per l’amor de dio che me aiutasse . . . pensandosi che il lume non venesse da quella banda et de non esser visto detto mr Augistino cognobbe . . . Cesari romano, al quale disse Mr. Augustino ah Cesari che fai, che cosa e questa[!] . . .” 80 103, 903r: Giovannia Maria: “casco con una gamba in una ferrata et . . . se attacò alla cappa di Messer Augistino . . . Mr Augustino di grazia. non me abbandonate per l’amor de Dio.” 81 103, 903r–v: Giovanni Maria: “. . . se conosceva Cyntho Perusco, et lei disse si che lo cognosce et ho doi figli con lui et e mio marito et . . . se la conosceva messer Francesco Calvi et lei disse de si . . . se li andava in casa con lei che li mostraria la figlia.” 82 103, 903v: Giovanni Maria: “. . . Cesari figlio tu hai fatto male . . . che andasse via che farria accompagnare Madonna Lucretia da un suo servitore.” 83 Ibid.; Lucretia: “m’accompagno con la torcia.” 84 103, 917r–v: Lucretia the madam: “. . . guardai et viddi una donna con un’homo che cridava: che diceva che volete da me fratelli che volete da me fratelli et diceva tiratimi la corda tiratimi la corda . . . dubitando io che non fusse qualche vicina, io bussai alla fenestra della Diana . . . senti quella tua sorella che crida . . .” “Tiratimi la corda” here refers to Lucretia’s door-rope: “open up for me!” with a dative. 85 103, 913r: Olimpia: “. . . trovai Ludovico Santa Croce li alla mia porta assieme con Meo pescivendolo et con doi altri . . . ci era un’hebreo.” 86 Ibid.: Olimpia: “. . . Ludovico fu il primo”; 103, 918: Ludovico Santa Croce: “il primo io d’intrare in casa.” 87 103, 917r: Lucretia the madam: “. . . Olimpia insieme con un’ suo amico che si chiama Lorenzo stufarolo, quale sonava di liuto. Et me bisogno tirar’ la corda et alhora intro . . . Ludovico Santa [Croce] Meo Cesar Vallati et un hebreo.” 88 103, 917v: Lucretia the madam: “. . . o bella cosa, le povere donne non ponno andare per la strada et loro dissero che non erano stato.” 89 103, 913v: Olimpia, “Meo et l’altri ci accompagnorno sino alla stufa et poi se ne andorno con dio”; 914v: Meo: “insieme alla stufa et poi io me ne tornai a casa mia e Cesare e l’hebreo andorno a fare i fatti suoi.” 90 103, 922r: Barbara claims Meo has been her amico for three years; 103, 904r: Barbara: “e un mese ch’io l’ho lassato perche non mi piace piu l’amicitia sua et perche ha dieci scudi delli mei in mano.” Monte Savelli is today’s Teatro di Marcello, now stripped bare by archeology. 91 103, 922r: Barbara: “me ne andai a letto senza cena perche io me sentivo male et mentre ch’io stavo a letto con Annibale pescivendolo sentei passare per la strada Cesare 92 93 94 95Vallata con altre genti . . . et disse servitor’ Signora Barbera cor mio ch’io non li resposi altrimente” 103, 914r: Giovanni Maria: “madonna Lucretia domando a . . . pescivendolo predetto per che causa fussi preso questo messer Ludovico et .  .  . rispose che fu preso perche haveva preso una donna nella strada.” 103, 905v: Meo, on Tuesday: “io fui preso hiermatina in Ponte ch’io non so perche causa assieme con Messer Ludovico Santa Croce.” 103, 901r: Lucretia the wife: “et che stavano molto di mala voglia et tutti afflitti.” 103, 900v: Lucretia: “lui mi mando a dir per il detto Cynthio che non era offitio da gentilhomo di accusar nesuno e che mi bastava che io non havessi ricevuto mal nesuno.”Bibliography Archival sources Archivio di Stato di Roma, Governatore, Tribunale Criminale Processi (16° secolo), busta 38, case 19 Processi (16° secolo), busta 38, case 23 Processi (16° secolo), busta 38, case 25 Processi (16° secolo), busta 103Publisd sources Adinolfi, Pasquale. Roma nell’età di mezzo, rione Campo Marzo, rione S. Eustachio. Florence: Le Lettere – LICOSA, 1983. Ago, Renata. Economia barocca: mercato e istituzioni nella Roma barocca. Rome: Donzelli, 1998. Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma 29 Cohen, Thomas V. and Elizabeth S. Cohen. Words and Deeds in Renaissance Rome. Toronto: University of Toronto Press, 1993. Connors, Joseph. “Alliance and Enmity in Baroque Urbanism.” Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana 25 (1989): 207–94. de Dominicis, Claudio. Notizie biografiche a Roma nel 1531–1582, desunte dagli atti parrocchiali. Rome: Academia Moroniana, n.d. Delli, Sergio. Le Strade di Roma. Rome: Newton Compton, 1975. Gnoli, Umberto. Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna. Rome: Edizioni dell’Arquata, 1984. Hunt, John M. The Vacant See in Early Modern Rome: A Social History of the Papal Interregnum. Leiden: Brill, 2016.8 AESTHETICS, DRESS, AND MILITANT MASCULINITY IN CASTIGLIONE’S COURTIER Gerry MilliganIn two unrelated sixteenth-century texts, a Renaissance prince was described as vulnerable to assassination because of a f lawed fashion judgment. In his Historia patria (published 1503), the courtier Bernardino Corio recounted that just before Galeazzo Sforza left his castle on December 26, 1476, he put on and then took off his corazina because he felt that the chest armor made him look “too fat.”1 The lack of armored protection was crucial as Galeazzo was famously stabbed to death during mass later that day. In his analysis of the event, Timothy McCall provocatively suggests that Galeazzo’s fatally bad judgment was determined by fashion; Galeazzo, according to McCall, was inf luenced by the growing pressure to conform to cultural expectations of a slim masculine figure.2 Sixty years later, a Florentine prince was murdered by stabbing, and similar to the description of Galeazzo Sforza, a chronicler of the episode points to clothing’s role in the affair. Benedetto Varchi’s Storia fiorentina (incomplete at his death in 1565) recounts that just before Duke Alessandro de’ Medici left his bedchamber on the night of his murder in 1537, he contemplated whether he should wear his gloves “da guerra” (for war) or his perfumed gloves “da fare all’amore” (for making love).3 According to the story, Alessandro chose the love-gloves as they better matched his sablelined cape and were suited to his planned sexual escapade. He apparently chose unwisely. Elizabeth Currie argues that Varchi added this presumably invented anecdote about gloves in order to communicate—through sartorial metaphors—the gap between Duke Alessandro’s expected dutiful behavior and his actual irresponsible conduct.4 To Currie’s analysis, I add that the glove anecdote also participates in what had become a literary pattern of associating men’s clothing with physical weakness. If, in the first episode, the author indicates how a soft doublet made Galeazzo defenseless to the knife blade, in the second, the writer implies that the outcome of Alessandro’s evening might have been different had the princechosen his gloves “da guerra.” The two historiographical accounts of Galeazzo’s and Alessandro’s murders underscore not only the high stakes of men’s clothing choices but the relationship between literary representations of dress and elements of masculinity. Varchi, like so many writers of the fifteenth and sixteenth century, chose to articulate men’s dress as integral components in representations of violence, war preparedness, moral virtue, and sexuality. Clothing was thus fundamental to Renaissance discourses of masculinity. While masculine subjectivity as performed through dress has been the focus of several excellent studies by fashion and art historians, what has gone somewhat unexplored is how clothing functioned in such discourses of masculinity.5 Was, for example, clothing presented as a symptom of men’s loss of masculine virtue or did writers claim that clothing had a more active role in the imperilment of men? Did so-called effeminate clothing cause men to weaken, or was it merely a byproduct of a so-called anima effeminato? This essay will address these questions by looking at the interconnection of male dress, effeminacy, and militarism in Baldassare Castiglione’s Libro del cortegiano (Book of the Courtier). I have chosen to concentrate on Castiglione’s Courtier because of its prominent place in the history of dress and fashion as well as its role in the history of masculinity.6 The Courtier presents male dress as a high-stakes enterprise; a misstep in clothing not only had grave consequences for a man’s reputation, it was also a question of life or death. Like the gloves of Alessandro de’ Medici and the cuirass of Galeazzo Sforza, a man’s clothing choice could lead to glory or personal injury, and it could also result in (at least in Castiglione’s assessment) large-scale military defeat.Arms in the Courtier Very early in the book, Ludovico da Canossa declares arms to be the primary profession of the courtier [1.17].7 Yet, the privileged status of arms is not a settled question, and it is destabilized during a debate of arms vs. letters.8 The debate is framed by the same Ludovico, who asserts that the French only respect arms and abhor letters. Ludovico extols the value of letters by describing several successful military generals who trotted off to battle with copies of the Iliad or other literature at their side. His examples of successful and literary generals are offered as proof that the French were erroneous in their belief that literature damaged a man’s ability to fight: “Ma questo dire a voi è superf luo, ché ben so io che tutti conoscete quanto s’ingannano i Francesi pensando che le lettre nuocciano all’arme” (1.43, p. 92) (But there is no need to tell you this, for I am sure you all know how mistaken the French are in thinking that letters are detrimental to arms) (1.43, p. 51).9 Ludovico’s accusation of the misguided French could as well have been leveled against Italian contemporaries of Castiglione, since none other than Niccolò Machiavelli himself was proclaiming that letters were injurious to arms in both his Art of War as well as his Florentine Histories.10Contrary to the view of the French (and Machiavelli), Ludovico proposes that letters are beneficial to arms; letters bring glory, and glory inspires courage in warfare: “Sapete che delle cose grandi ed arrischiate nella guerra il vero stimulo è la gloria. . . . E che la vera gloria sia quella che si commenda al sacro tesauro delle lettre” (1.43, p.92) (The true stimulus to great and daring deeds in war is glory. . . . And it is true glory that is entrusted to the sacred treasury of letters) (1.43, p. 51).11 When Ludovico notes that literature, like the Iliad, could have a positive effect on soldiers, he shifts the debate that began with the hierarchy of arms and letters to the correlative and causative relationship between arms and letters.12 For Ludovico, arms and letters are “concatenate” (conjoined) (1.46). Ludovico’s assessment of the positive effects of letters on arms is troubled by the fact that France, at least since 1494, had proven itself to be militarily superior to Italy. He hedges his argument in a prebuttal, acknowledging that others might cite recent French military success as evidence against his claim: “Non vorrei già che qualche avversario mi adducesse gli effetti contrari per rifiutar la mia opinione, allegandomi gli Italiani col lor saper lettere aver mostrato poco valor nell’arme” (1.43, p. 93) (I should not want some objector to cite me instances to the contrary in order to refute my opinion, alleging that for all their knowledge of letters the Italians have shown little worth in arms) (1.43, p. 51). To this objection, Ludovico states that the defeat of literate Italians by illiterate French is the fault of only a few men: “la colpa d’alcuni pochi aver dato, oltre al grave danno, perpetuo biasimo a tutti gli altri” (1.43, p. 93) (the fault of a few men has brought not only serious harm but eternal blame upon all the rest) (1.43, p. 52). The debate of arms and letters in the Courtier raises two key points for my analysis on dress and militarism. The first is that there is an anxiety among the speakers that the actions of a “few men” can bring shame on all men.13 The book’s project of social control depends in great part on this anxiety. Indeed, the belief that massive military defeat was caused by a few deviant men gives urgency to the entire masculine normativizing process (i.e., the ideal courtier). The second point, related to the first, is that men’s ability to win wars could be affected (positively or negatively) by what are presumably unrelated aspects of a courtier’s masculine identity. Throughout the Courtier, not only letters but music, dance, and of course dress are all placed in a context of their relationship to warfare.14 When, for example, one speaker condemns music as effeminate, another will anxiously argue that music stirs soldiers to combat, and thus it is rightfully masculine (I.47). The book delineates the court and the battlefield as discrete yet interrelated spaces. The courtier-soldier is expected to shuttle between the two while performing hegemonic masculinity in both.15 The challenge is that certain practices of masculinity were viewed as causing a negative effect in one or the other space. The battlefield, in particular, is shown as vulnerable to the presence of courtly practices. Analogously, the court’s refined spaces were shown as incompatible with certain military behaviors.16 Nonetheless, the court often measured itself against a functionality in war (e.g., music was useful in war) just as men in court adopted martial aesthetics (e.g., court dress was an adaptation of the military tunic).17 There thus arises a tension within the Courtier between the masculinity of courtly practices and the masculinity of warfare, and this tension is routinely expressed as a fear that practices at court are deleterious to combat. The speakers never clearly articulate how dress, letters, and music might endanger war tactics and strategies, but they do repeatedly imply that refined behavior threatens masculinity. The reader is then left to leap the epistemological gap that assumes such a claim to be true. The cumulative effect of this rhetorical technique is that a fear of effeminacy underlies the entire project to produce an ideal courtier, and this fear is often articulated in terms of dress and aesthetics.18Aesthetics and masculinity before Castiglione The association of men’s dress and aesthetics with effeminacy has a literary tradition that stretches at least back to Classical antiquity. Craig Williams’ groundbreaking text, Roman Homosexuality, provides scores of ancient examples of writers reproaching men’s aesthetics. In Roman texts, clothing, perfumes, and grooming habits were frequent subjects of scorn. According to Williams, men’s aesthetics were invoked as part of accusations of effeminacy in what was consistently a reproach of men’s loss of dominion and self-mastery.19 More recently, Kelly Olson’s Masculinity and Dress in Roman Antiquity has provided a systematic look at dress in ancient Rome, and she usefully pinpoints specific elements of dress, perfumes, and grooming to show how the Roman man “walked a fine line” between expected grooming and dressing practice and what was considered effeminate.20 As we move into the Middle Ages and Renaissance, writers adopted these Classical condemnations of men’s dress and added their own brand of Christian morality. Renaissance legal codes and prescriptive literature justified the regulation of male dress under the auspices of protecting state expenditures, preventing deviant sexuality, or ensuring the salvation of the soul.21 For example, Francesco Pontano (f l. 1424–41), a professor in republican Siena, attacked male hair styling, cosmetics, and ornate garments as a civic and Christian moral problem.22 In his treatise Dello integro e perfetto stato delle donzelle (On the whole and perfect state of girls), a work written primarily about women’s vanities, the author states that “vain and superf luous ornament” should be disdained by all males “who want to be called real men.”23 Certain men, he states, do not care if they are esteemed as masculine, and thus they spend extraordinary amounts of time on hair and skin care.24 He complains that men multiply the effect of their grooming habits by fussing over dress as well: “Ma i maschi moltiplicano questo errore or co’ lisciamenti or con continui increspamenti di falde, e arrondolamenti de’ cappucci a diadema, e infiniti altri loro frenetichi e babionerie” (But men multiply this error, sometimes using cosmetics and at other times with their continual ruff ling of crinoline and swirls of hoods in the shape of a tiara, as well as their infinite other frenzies and buffooneries) (Pontano 22). For Pontano, so-called luxurious dress muddied the gender binary as well as presented a peril to Christian morality since, as he states, vanities and ornament debased men, who were “made to be equal to the angels” to a status “below pigs.”25 Dress imperiled the body and the very soul of men. Effeminate dress, he states, showed disrespect for God. The crowd of ornate men “non crede che Dio sia, e che non sia alcuno altro iudice che quegli del podestà ovver del capitano” (does not believe that God exists, and that there is no other judge than the podestà or commander) (Pontano 22). Pontano made so-called effeminate dress a moral and theological issue. Similarly, other writers of the fourteenth and fifteenth centuries voiced concern about the morality of dress with respect to sexuality and class status. The chronicler Giovanni Villani (c. 1280–1348) worried that men’s fashion could create dangerous alliances with foreign powers and blur class differences, and San Bernardino da Siena (1380–1444) complained that young men’s short tunics and tight hose were too erotic.26 Ironically, those same tight hose were reevaluated in the sixteenth century as evidentiary proof that the male youths of the past were uncorrupted.27 There has as yet been no systematic study of the condemnations of men’s dress in early modern Italy, but such a study would aid our understanding of possible thematic shifts. Not only did the targets of these condemnations vary (e.g., short tunics, tight hosiery), so too did the rhetoric used to vilify certain dress undergo changes. There seems to be one significant moment in the history of dress and masculinity at the beginning of the sixteenth century, when condemnations of so-called effeminate male dress shifted from threats of Christian imperilment to failed militancy.28 The anxiety over dress and militarism had real-world implications such as the standardized military uniform, just as it may have also inspired some unexpected rhetoric, such as the praise of an unkempt look.29 Most importantly, it made the abstract notions of dependency and autonomy visible; men’s clothing carried the meanings of military victory or loss. Castiglione’s Courtier has a distinct place within the normativization process of the militaristic masculine body as it is an early—possibly the earliest— example of sixteenth-century rhetoric of effeminacy, dress, and military defeat. Castiglione began writing his text during the chaotic years between the invasion of France in 1494 and the Sack of Rome in 1527. In this period of instability, he chose to point to certain courtly behaviors, including dress, in relation to the military losses that were still potentially viewed as reversible. The Courtier blames the subjugation of the Italian people on certain refined masculine behaviors that were otherwise unrelated to militarism, but so, too, it suggests that the salvation of Italy lay in the hands of this same class of men, men who often marked their class by the very dress that undermined their masculinity. There are two moments in which Castiglione suggests that men’s clothing played a role in military loss. I will analyze these passages along with other textual examples of men’s aesthetics and dress to demonstrate that Castiglione is in effect not only making pronouncements about dress but, more importantly, is establishing a practice whereby men can redeem their masculinity through speaking about the effeminizing power of aesthetics. The spoken condemnation of courtly dress purportedly critiques gender and class structures, but like the dress itself, this very speech is what marks the speaker as belonging to the properly masculine elite.30Male aesthetics and dress in the Courtier Book One: sprezzatura and gender nonconformity In Book One, the primary speaker, Count Ludovico da Canossa, says that the ideal courtier should have a manly yet graceful face. What is to be avoided, he exclaims with disgust, are certain male grooming habits: [your face] has something manly about it, and yet is full of grace. . . . I would have our Courtier’s face be such, not so soft and feminine as many attempt to have who not only curl their hair and pluck their eyebrows, but preen themselves in all those ways that the most wanton and dissolute women in the world adopt; and in walking, in posture, and in every act, appear so tender and languid that their limbs seems to be on the verge of falling apart; and utter their words so limply that it seems they are about to expire on the spot; and the more they find themselves in the company of men of rank, the more they make a show of such manners. These, since nature did not make them women as they clearly wish to appear and be, should be treated not as good women, but as public harlots, and driven not only from the courts of great lords but from the society of all noble men. (1.19, p. 27) Certo quella grazia del volto, senza mentire, dir si po esser in voi . . . tien del virile, e pur è grazioso . . . . di tal sorte voglio io che sia lo aspetto del nostro cortegiano, non così molle e femminile come si sforzano d’aver molti, che non solamente si crepano i capegli e spelano le ciglia, ma si strisciano con tutti que’ modi che si facciano le più lascive e disoneste femine del mondo; e pare che nello andare, nello stare ed in ogni altro lor atto siano tanto teneri e languidi, che le membra siano per staccarsi loro l’uno dall’altro; e pronunziano quelle parole così aff litte, che in quel punto par che lo spirito loro finisca; e quanto più si trovano con omini di grado, tanto più usano tai termini. Questi, poiché la natura, come essi mostrano desiderare di parere ed essere, non gli ha fatti femine, dovrebbono non come bone femine esser estimati, ma, come publiche meretrici, non solamente delle corti de’ gran signori, ma del consorzio degli omini nobili esser cacciati. (1.19, pp. 49–50) For Ludovico, the so-called effeminate courtiers are not by nature “molle” (soft) or “ femminile” (feminine), but they work very hard (si sforzano) to make themselvesappear to be so. Moreover, he links aesthetics to acts of despised behavior, particularly obsequious dependency. This condemned behavior occurs when, as Ludovico explains, men affect their appearance and speech around other men of rank. We can situate these despised men within the context of Ludovico’s own theory of sprezzatura. Coining a new term, Ludovico describes sprezzatura as the art of “ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi” (1.26, p. 60) (making whatever is done or said appear to be without effort and almost without any thought about it) (1.26, p. 32).31 In the case of the men who plucked their eyebrows, curled their hair, and augmented certain behaviors around men of rank, they have failed at this art. Rather than concealing a performance, as sprezzatura demands, these men drew attention to the act of ingratiating themselves to men of authority. Their failed performance of sprezzatura thus resulted in the loss of reputation and power, a point also made by Ludovico in his definition of the new term: Accordingly, we may affirm that to be true art which does not appear to be art; nor to anything must we give greater care than to conceal art, for if it is discovered, it quite destroys our credit and brings us into small esteem. (I.26, p. 32) Però si po dir quella esser vera arte che non pare esser arte; né più in altro si ha da poner studio, che nel nasconderla: perché se è scoperta, leva in tutto il credito e fa l’omo poco estimato. (1.26, p. 60) Successful sprezzatura, on the other hand, offered the courtier an ability to perform a “compelling” version of himself that masked a very different, perhaps less putatively masculine identity.32 This “manly masquerade,” however, risked pointing to both a fantastic masculine ideal as well as to the absence of that ideal.33 Dress and aesthetics, or more precisely, the discussions of dress and aesthetics in the Courtier, form a paradox in the logic of sprezzatura. When the speakers complain of the “effeminate” dress or grooming habits of men, they imply that some idealized masculine version of these men existed before the offending grooming or dressing occurred.34 However, this anchoring of essentialist manhood is dismissed in the Courtier. Instead, the speakers reaffirm that since very few men are born with the qualities of the ideal courtier, the ideal (read masculine) courtier manipulates his body, behaviors, and dress. If the ideal courtier is therefore a man who must alter his person in order to be masculine, then the ideal masculine pre-altered courtier—much like the idealized Urbino court itself—is a pastoral fantasy.35 The men who alter their hair and posture when among men of rank, in effect, draw attention to this absence of essential masculinity in all but the rarest courtiers. These men fail at a sprezzatura of masculinity not because they ornament themselves, but because they have exposed the necessity of ornamenting themselves. It is so great an infraction that Ludovico angrily condemns these men to be punished not as women but as “public harlots.” Of course, the reference to prostitution is significant for it foreshadows an episode (discussed below) in Book Four where Ottaviano explains that all courtiers must use their bodies, speech, and behavior to gain princely favors. The irony is that the principal difference between the despicable groomed courtier with plucked eyebrows and the masculine courtier with less apparently plucked eyebrows is solely aesthetic; both sell themselves for favors. The offending behavior of the groomed courtier is therefore that he has failed to conceal this economy.Book Two: foreign dress and foreign occupation Given the gravity of the punishment that Ludovico doles out to certain courtiers, it is apparent that a mistake in styling and grooming could pose a serious threat to masculinity. Thus, choosing proper male dress also caused anxiety for the upwardly mobile courtier. In Book Two, Giuliano de’ Medici expresses his personal difficulty regarding the variety of dress available to men, and he asks for assistance “to know how to choose the best out of this confusion” (2.26). Federico Fregoso responds to this question by stating that men should dress according to the “custom of the majority.” Fregoso then states that the majority of Italians wore the styles of various foreign cultures and that these foreign fashions signaled which cultures would dominate Italian men.36 But I do not know by what fate it happens that Italy does not have, as she used to have, a manner of dress recognized to be Italian: for, although the introduction of these new fashions makes the former ones seem very crude, still the older ones were perhaps a sign of freedom, even as the new ones have proved to be augury of servitude . . . Just so our having changed our Italian dress for that of foreigners strikes me as meaning that all those for whose dress we have exchanged our own are going to conquer us: which has proved to be all too true, for by now there is no nation that has not made us its prey. (2.26, pp. 88–89) Ma io non so per qual fato intervenga che la Italia non abbia, come soleva avere, abito che sia conosciuto per italiano; che, benché lo aver posto in usanza questi novi faccia parer quelli primi goffissimi, pur quelli forse erano segno di libertà, come questi son stati augurio di servitù . . . cosí l’aver noi mutato gli abiti italiani nei stranieri parmi che significasse, tutti quelli, negli abiti de’ quali i nostri erano trasformati, dever venire a subiugarci; il che è stato troppo più che vero, ché ormai non resta nazione che di noi non abbia fatto preda. (2.26, p. 158)Fregoso’s fashion advice poses a host of problems regarding identity and autonomy. By suggesting that men “follow the majority,” he undermines agency, sovereignty, and control, themes often repeated as central to masculinity by fifteenth- and sixteenth-century authors. Manliness is the ability to look like others, to disappear in the crowd; but it is also ironically defined as following the crowd’s errors. For, as Fregoso states, the majority of Italians have made a grave error and adopted foreign dress, which leads to invasion and occupation.37 If fitting in is a masculine virtue, it could even mean implicating oneself in Italy’s political and military losses. Fregoso’s concern about foreign dress is a Classical trope that has considerable fortune in the Renaissance, where French and later Imperial invasions were not infrequently associated with foreign fashions. 38 The epistemological link of fashion and invasion was so imbedded in the culture that even one hundred years after Castiglione wrote his Courtier, the Spanish priest Basilio Ponce de Leon suggested that God castigated Italy with invasion in 1494 precisely because Italian men wore French fashions.39 Within the Courtier itself, foreign fashion does not incur God’s wrath, but rather, it beckons other nations to “venire a subiugarci” (come and subjugate us). Such a logic—where large scores of men were responsible for invasion because of their fashion choice—stands in contrast to Ludovico’s claim in Book One when he claimed that the collapse of Italy was caused by a “few men.” Book Two thus broadens the guilty parties of Italy’s subjugation from a “few men” to a “majority” of (upper class) men, who, like Castiglione himself, were bedecked in the latest Spanish and French trends.Books One and Two: fashion theory and agency The first two books are differentiated also by the way they discuss men’s aesthetics. In Book One, for example, there is no association between aesthetics and military loss. Ludovico did not state that plucked eyebrows and curled hair brought about military defeat. Rather, his complaint was limited to gender nonconformity. On the other hand, Book Two draws a direct line between aesthetics (foreign dress) and military failure. This shift from Book One to Book Two might be explained by the general ideological difference that distinguishes the two books. Virginia Cox has convincingly argued that Book One proclaims that a courtier’s virtue ensures him success, while in the more cynical Book Two, success at court is depicted as at the whim of the prince.40 In particular, military bravery is praised only when it can be observed by others, particularly by the prince. To risk one’s life when no one is watching would be a waste of one’s personal resources. Virtue, therefore, is whatever the courtier makes seen in the eyes of others. In the context of Book Two, where the courtiers participate in an economy that trades in appearance of virtue rather than intrinsic virtue, clothing takes a central role in masculine identity construction. It thus follows that Fregoso attempts to draw a direct relationship between appearance and essence. He statesthat one must be attentive to what type of man he wishes to be taken for, and then act and dress accordingly, “aggiungendovi ancor che debba fra se stesso deliberar ciò che vol parere e de quella sorte che desidera esser estimato, della medesima vestirsi” (2.27, p. 160) (I would only add further that he ought to consider what appearance he wishes to have and what manner of man he wishes to be taken for, and dress accordingly) (2.27, p. 90). Such action is necessitated by the belief that external appearance (including mannerisms) communicates a person’s identity: “tutto questo di fuori dà notizia spesso di quel dentro” (2.28, p. 161) (all these outward things often make manifest what is within) (1.28, p. 90). The body makes legible the soul, and this externalization of virtue and morality is problematized by the fact that the courtier is taught to manipulate the body according to his fashion. One speaker, Gasparo Pallavicino, pushes back on the theory that dress determines personal character. He states that one should not “judge the character of men by their dress rather than by their words or deeds” (2.28, p. 90). To Gasparo’s comment, Fregoso responds that although deeds and words are more important than dress, dress is “no small index” (non è piccolo argomento) (2.28) of the man. Fregoso’s insistence that dress is ref lective of the essence of man is, however, hard to reconcile with the fact that one’s projected image, as Fregoso himself states, can be false: “avvenga che talor possa esser falso” (2.28) (although it can sometimes be false) (2.28, p. 90 translation altered to ref lect original). Despite Fregoso’s suggestions otherwise, behavior, dress, and bodily adornment do not convey an unproblematic version of the self. In the elegant fishbowl of the court, courtiers manipulate dress with the hopes that others might be duped into believing that it represents an intrinsic identity. Fregoso’s fashion theory, though not cohesive, does communicate to other men that a fashion faux pas imperils the courtier’s masculinity in two ways: it points to a perceived essential effeminacy, or it demonstrates an inability to mask this effeminacy.Book Four: Ottaviano’s paradox The last mention of dress in the Courtier is in Book Four, and it famously gives elegance of dress a virtuous purpose. In Book Four, Federico Fregoso’s brother, Ottaviano, declares that dress, manners, and pleasantries permit the courtier access to the prince so that he can provide the ruler with wise counsel. According to Ottaviano, the courtier must fashion himself with this mask of the “perfect courtier” so that he can lead the prince away from the ills of vice through deception, “ingannandolo con inganno salutifero” (beguiling him with salutary deception) (4.10, p. 213). Ottaviano’s interjection has received much scholarly attention in part because it exposes the fashioning of the perfect courtier as a performance of deceit.41 Berger, in particular, has noted how this deceit can have an effect on the integrity of the courtier: The byproduct of the courtier’s performance is that the achievement of sprezzatura may require him to deny or disparage his nature. In order tointernalize the model and enhance himself by art, he may have to evacuate – repress or disown – whatever he finds within himself that doesn’t fit the model. (20) If sprezzatura requires the courtier to deny or disparage his own nature, then there is an implicit notion that the courtier also risks destabilizing his identity, including his masculine identity.42 This is no more apparent than when we consider how a courtier’s agency is compromised by the act of sprezzatura, an act of self-fashioning that is dependent on the will of others. Ottaviano addresses this very process head on. He states that elegance of dress, along with singing, dancing, and general enjoyment, change a man and make him effeminate. Relevant here, this effeminacy has consequences not only on a courtier’s identity but also on state security: I should say that many of those accomplishments that have been attributed to our Courtier (such as dancing, merrymaking, singing, and playing) were frivolities and vanities and, in a man of any rank, deserving of blame rather than of praise; these elegances of dress, devices, mottoes, and other such things as pertain to women and love (although many will think the contrary), often serve to merely make spirits effeminate, to corrupt youth, and to lead to a dissolute life; whence it comes about that the Italian name is reduced to opprobrium, and there are but few who dare, I will not say to die, but even to risk any danger. (4.4, p. 210) anzi direi che molte di quelle condicioni che se gli sono attribuite, come il danzar, festeggiar, cantar e giocare, fossero leggerezze e vanità, ed in un omo di grado più tosto degne di biasimo che di laude; perché queste attillature, imprese, motti ed altre tai cose che appartengono ad intertenimenti di donne e d’amori, ancora che forse a molti altri paia il contrario, spesso non fanno altro che effeminar gli animi, corrumper la gioventù e ridurla a vita lascivissima; onde nascono poi questi effetti che ’l nome italiano è ridutto in obbrobrio, né si ritrovano se non pochi che osino non dirò morire, ma pur entrare in uno pericolo. (4.4, pp. 367–68) Ottaviano’s claim marks a critical shift from the other cited passages. It is the only time in the Courtier where clothing (along with other courtly behaviors) is described as rendering men effeminate. In Book One, distasteful grooming habits are practiced by those men who “wish” that they were women, and in Book Two, foreign dress beckons military defeat. In Book Four, clothing causes effeminacy, and the effeminized man loses wars. The passage is not only a significant moment in the Courtier, it is an important moment in the history ofeffeminacy. To my knowledge, it is one of the earliest Renaissance texts that figures clothing and other behaviors as the agents that cause effeminacy leading eventually to military defeat.43 Ottaviano’s brief interjection on clothing would have provided the attentive listener with (again) some troubling fashion advice. The passage forms what I call Ottaviano’s paradox: on the one hand, Ottaviano affirms that elegant dress may be necessary to ingratiate the prince and engender virtue, while on the other, he warns that dress has deleterious effects, effeminizing the courtier’s soul and bringing shame to him and Italy. If the courtier performs his requisite duties (which include ingratiating the prince with dress, dancing, music, etc.), he cannot escape losing his own masculinity. It is unclear how the reader is to navigate this paradox. Castiglione may have been genuinely concerned with the possible effeminizing effects of dress, or there may have been some irony in placing these words in the mouth of Ottaviano.44 Ottaviano had, in fact, been derided for his unusual dress in the earlier version of the book known as the seconda redazione (written 1520–21).45 Moreover, Castiglione was himself quite the fashionista. His letters tell us that he was deeply concerned with his own dress, both at court and during military operations. Many of his letters to his mother refer to his need for appropriate clothing, and on some occasions, he refers to this clothing as necessary for exercises carried out in a context of war.46 The fact that Castiglione has left us extensive writing on dress from the period raises hermeneutical questions about Ottaviano’s statement that courtly dress and activities “make spirits effeminate and corrupt youth” and eventually lead to the shame of Italy. Surely the author was not suggesting that winning wars merely a matter of changing clothing. I propose that Castiglione was less interested in changing the garments and grooming habits of Italians than he was in investigating how the rhetoric about aesthetics functioned in defining identity and motivating social groups. His book explores how courtly practices, including dress, determined the boundaries of an elite ruling class, but so too does it explain how the language used to discuss these practices could shift the values added to such practices. Thus, Ottaviano’s paradox—where the courtier is virtuous if he ingratiates the prince but loses his virtue of masculinity by doing so—is in effect a masterful demonstration of sprezzatura. When Ottaviano utters his words, he not only explains how courtliness denigrates a man for a virtuous cause, he also reveals how a courtier can assume an intentional and masculine participation in this virtuous cause. He derides the very courtly practices that he himself performs and then engenders them with virtue.47 By showing that a courtier sacrifices his masculinity on the altar of state security, Ottaviano offers a reclamation of masculinity for any courtier. The trick is, however, that the courtier must be willing to decry the very practices that make him a courtier in order to claim this masculinity. Ottaviano states, in effect, “I criticize the grooming of men as effeminizing, but I will also perform these acts for the larger good of pleasing the prince.”By way of a conclusion, we will turn to this same moment in the second manuscript edition, or seconda redazione.48 Here Ottaviano’s passage appears in Book Three (the final book of the manuscript). It is spoken by Gasparo and, most importantly, the condemned effeminate activities are not routine courtly behavior, but belong to young courtiers in love: Do you not believe that the young would be doing a much more praiseworthy thing if they were to concentrate on arms to defend the patria, their own honor, and the dignity of Italy, rather than to go around with their hair all coiffed, perfumed, and strolling through the neighborhoods with their eyes glued to the windows above without considering anything in the world except their own priorities? And what purpose do these devices and mottoes and elegances of dress serve other than vanity and frivolity? And what is the point of dancing at balls and masquerades as well as games and music (and other such things that you praise so much)? What do these things offer other than to give birth to the effeminizing of men’s spirits as well as corrupting and reducing youth to a delicious and lascivious life? Whence, as Signor Ottaviano so well says, it comes about that the effect of all this is that the Italian name is reduced to opprobrium, and one cannot find a man who dares, I will not say die, but even to risk any danger. And all of this is the cause of women. (Translation mine) Non credete voi che li giovani facessero opera più laudevole, se attendessero all’arme per difender le patrie e l’onor loro e la dignità de Italia, che andar con le zazare ben pettinate, profumati, passeggiando tutto dì per le contrade, con gli occhi alle finestre senza pensare cosa alcuna di quelle che più gl’importano? e queste imprese e motti et attillature insomma a che servano altro che a vanità e leggiereze? e danzare e ballare e mascare e giuochi e musiche e tai cose, fatte con tanta diligenzia e che voi tanto laudate, infine che partoriscono altro che effeminare gli animi, corrompere la gioventù e ridurla a vita deliziosa e lascivissma? Onde, come ben talor dice el signor Ottaviano, ne nascono poi questi effetti che il nome italiano è ridutto in obrobrio, né si truova uomo che osi non dirò morire, ma purentrare in un pericolo. E di tutto questo sono causa le donne. The manuscript passage, like that of the final 1528 version of the Courtier quoted earlier, tells us that men’s dancing, games, music, and elegance of dress are dangerous to Italian sovereignty. However, there are important differences between these two textual examples. In the seconda redazione, dressing and music, etc. are presented as the vices specific to young lovers. This characterization of lovers fits clearly within Gasparo’s stated distaste for any action that involves the courtship of women. Additionally, Gasparo explains the relationship between warfare andeffeminate behaviors in simple terms of time allocation; men should choose to spend time fighting to “defend their homelands,” but instead they focus on love. Thus, when he states that dancing, masquerades, and games effeminize men’s spirits, it follows that this causal effect is at least in part due to the fact that men are busied with these activities and not fighting. When the author adapted the passage for the final version, he changed not the effeminizing practices but the cast of the shameful men, and he removed the phrase that explains that these practices simply took up too much of the courtiers’ time. In Courtier Book Four, the list of mottoes, devices, dancing, and dress are not described as what courtiers do to woo women, but rather, they are general courtly practices. Indeed, Ottaviano mentions the previous evenings’ discussions and takes aims at these activities and practices that are described by Ludovico and Fregoso in Books One and Two.49 These courtly practices were not performed to attract only the attention of women, but also (and primarily) of men; in particular, these practices attracted the attention of other courtiers and, most importantly, the prince. What Ottaviano offers his peers is the chance to reclaim a masculinity of purpose, even while operating in a gender paradox where dress and acts necessarily effeminized the men who pursued this purpose. Ottaviano reclaimed courtly masculinity by denigrating the necessary courtly practices and dress that enabled the courtier to pursue virtue. His accusatory rhetoric allows the disempowered male to assert masculinity even in the performance of dependency. Castiglione’s book enacted the same performance as Ottaviano’s utterance; the book as a whole takes aim at dress as effeminizing while explaining that such dress typified the ideal, masculine, and virtuous courtier. These accusations of the practices of men also served the larger function of the Courtier’s normativizing project, where the “few men” who were responsible for the shame of Italy might be refashioned into warrior heroes. The nagging question is just how aesthetics figured into this degradation of Italy. It is doubtful that Castiglione (or any other Renaissance writer) would suggest that changing one’s ruff les and sleeves would be the key to defeating the French or the Habsburg empire, but why, then, we should ask, did writers frame military defeat in terms of silks and ruff les? It would seem that we still have much to learn about how aesthetics and militarism functioned in the Renaissance projects of social control.Notes 1 Corio, Storia di Milano, 2: 1398–99: “il duca se misse una corazina, quale cavò dicendo parebbe troppo grosso, puoi se vestì una veste di raso cremesino fodrata di sibelline e cinto con uno cordono di seta morella la biretta.” 2 McCall, “Brilliant Bodies,” 472. 3 Varchi, Storia Fiorentina, Vol. 3, Book 15, 186. 4 Currie, Fashion, Introduction. 5 See, for example, Simons, “Homosociality and Erotics,” Currie, Fashion, Biow, On the Importance, and Eisenbichler, “Bronzino’s Portrait.” 6 Paulicelli, Writing Fashion, 3. On masculinity and dress in the Courtier see Quondam, Tutti i colori and Currie, Fashion.7 All Italian quotes of the Cortegiano are from the Garzanti edition. All English quotes are from the Javitch edition (2002) of the Singleton translation. 8 Najemy, “Arms and Letters.” The hierarchy of arms is challenged by Ludovico himself, who states that letters are the “true and principal” adornment of the courtier. Moreover, Bembo argues that arms are actually the adornment of letters; see ibid., 211. 9 Castiglione’s references to France change from manuscript to print edition. In one of the earliest manuscript editions of the book, he calls those who do not appreciate letters, barbari. Pugliese, “The French Factor.” 10 For a discussion of Machiavelli’s position on arms and letters see Najemy, “Arms and Letters,” 207–08. For a later discussion on the danger of letters to arms see Stefano Guazzo’s “Del paragone dell’arme et delle lettere” in which an interlocutor suggests that some people fear that letters “si snervassero gli huomini Martiali,” Stefano Guazzo, Dialoghi piacevoli (Piacenza: Pietro Tini, 1587), 167. 11 See Albury, Castiglione’s Allegory, 65. 12 Ludovico is here discussing the influence of literature on war rather than the study of combat manuals. On Urbino’s master at arms, Piero Monte, who published the “first significant combat manual ever to be printed,” see Anglo, The Martial Arts, 133. 13 My reading on this passage differs from Najemy’s, which argues that Ottaviano, in Book Four, implicates the courtiers as the few bad men, responsible for Italy’s decline. 14 In Book One, Gasparo states that music and other “vanities” “effeminar gli animi” of men. Quondam’s published edition of Manuscript (L) Biblioteca Medicea Laurenziana, Ashburnhamiano 409 shows that Castiglione originally phrased his concerns differently, without using the word “effeminize”: “e cosi fatte illecebre enervare gli animi.” Quondam, Il libro del Cortegiano. 15 On hegemonic masculinity, see Connell, Masculinities, 77. 16 Although warfare is typically shown to be endangered by courtly behaviors, there are some moments in which the court is shown to be negatively affected by the presence of warriors; see Book I.17. 17 Newton, Fashion, 1–5; Blanc, “From Battlefield to Court.” 18 On effeminacy in the Courtier see Milligan, “The Politics of Effeminacy.” On effeminacy in the study of pre-modern texts, see Halperin, “How to Do.” 19 Williams, Roman Homosexuality, 125–58. 20 Olson, Masculinity and Dress; see chapter four in particular. 21 See Blanc, “From Battlefield to Court” for a discussion about several fourteenth-century chronicles that blame a sudden change in dress for battles and plague. See also Muzzarelli, Breve storia; Mosher Stuard, Gilding the Market; Sebregondi, “Clothes and Teenagers”; Muzzarelli, Guardaroba Medievale. 22 Francesco Pontano, along with his brother Ludovico Pontano, was a professor at the university of Siena. On Francesco Pontano see Marletta, “L’umanista Francesco Pontano.” 23 “Il quale tanto più è vituperoso in loro in quanto debbono in tutto essere rimoti da ogni vano e superfluo ornamento, s’eglino debbono e vogliono esser detti veri maschi.” Pontano, “Dello integro e perfetto stato,” 22. All translations are mine unless otherwise noted. 24 “Li quali non minor tempo e industria mettono raschiamenti di coteche e scialbamenti di gote e di collo e de’ vari pelatogi e scorticatogi, e di bionde e d’acque sublimate e stillate, che si facciano le femine.” Ibid. 25 “Talché oggidì l’uomo che fu fatto presso che pari agli angeli ’e di sotto a’ porci e a qualunque altro sporco e vile animale.” Ibid. On dress and gender confusion in early modern England see the essays by Epstein and Straub, Body Guards. 26 See Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” which shows how preachers such as San Bernardino da Siena complained about the erotic elements of tight hose and short doublets. Ibid., 31 cites Sermon 37 of Prediche di San Bernardino vol. 3. 27 Sebregondi, “Clothes and Teenagers,” 36. 28 Not all writers condemned male dress. Leonardo Fiorivanti states that the only way to make this “miserable world” better is to dress well and eat well, and that young men dress extravagantly and then change their dress when they reach the age to marry and29 30 31 32 33 34 35 36 37 383940 41 42 434445have children. Fiorivanti, Dello specchio, Book I, chapter 9, 27. On the other hand, Anton Francesco Doni (1513–74) and Scipione Ammirato (1531–1601) both criticize military failings while discussing men’s dress and aesthetics. In language that is contrary to modern notions of military discipline, writers such as Pio De Rossi (1581–1667) suggested that the most courageous warriors were slovenly, dirty, and untidy. De Rossi, Convito morale, 42. On Rossi see Biondi, “Il Convito.” This mechanism functions similarly to the “hypocritical rhetoric of self-censorship” identified by Carla Freccero in that an utterance pretends to do one thing while performing a different function. Freccero, “Politics and Aesthetics,” 271. On scholarly interpretations of sprezzatura see Javitch; Rebhorn, Courtly Performances; and Berger Jr., The Absence of Grace. On the “more compelling figure” see Rebhorn, Courtly Performances, 38; on the virility of sprezzatura see Berger, Absence of Grace, 11. I borrow the term “manly masquerade” from Finucci, The Manly Masquerade. How Renaissance writers characterized the pre-dressed (naked) man as masculine or effeminate is discussed by Paulicelli, Writing Fashion, ch. 3. According to Berger, Castiglione casts an idyllic, unreal version of Urbino. Berger describes how Castiglione discloses to the reader his process of casting Urbino as unreal in a “metapastoral” gesture Berger, Absence of Grace, 119–78. On this passage see Quondam, Questo povero cortegiano and Milligan, “The Politics of Effeminacy.” See Currie, Fashion; Paulicelli, Writing Fashion. On Classical examples see Williams, Roman Homosexuality. Castiglione himself cites an ancient anecdote of Darius III, King of Persia (336–330 b.c.), told by Q. Curtius Rufus, Historiorum Alexandri Magni III, 6. For Renaissance examples see Lando, Brieve essortatione, which states that the Syrians have dominated the Italians through their perfumes, and Lampugagni claims that Italians follow French fashions like monkeys, Della carrozza da nolo. Lampugnani also complains of women who seek to “dis-Italianize” themselves by adopting foreign fashions. De Leon, Discorsi novi, published in Spanish in 1605. “E, quando in Italia cominciarono a vestirsi all’usanza di Francia, molti ciò mirando con prudenza temerono, che i Francesi havessero a mal trattargli; e non s’ingannò l’anima loro, come fra pochi giorni mostrò il successo. Di modo che la natione, che lascia la sua foggia di vestito antica, e naturale per imitare quella de’ Regni stranieri, ben può temere, che Dio non la castighi con guerre, persecutione, rubamenti, e mali trattamenti che le faranno fatti da coloro, i cui habiti ella va imitando,” 628. Cox, The Renaissance Dialogue, 54. On Ottaviano’s interjection see Rebhorn, Courtly Performances, Albury, Castiglione’s Allegory, and Quondam, Questo povero cortegiano. Berger does not characterize courtliness as weak or effeminizing; he instead states that the successful performance of sprezzatura demonstrates a certain virile mastery. Berger, Absence of Grace, 1–12. In his “Education of Boys” Aeneas Silvio Piccolomini suggests that clothing can make boys soft and effeminate. He particularly warns against feathers and silk. Piccolomini, “The Education of Boys,” 71. Basilio Ponce de Leon, Discorsi (Italian Translation 1614) suggests that clothing makes spirits effeminate and soft “Legislatori antichi giudicarono così (e la isperienza lo insegna) che non tanta delicatezza di vestiti si assottigliano gli animi, e di virile, e forti divengono bassi effeminate e molli,” 626. Some assert that Ottaviano’s response might be due to his “republican” leanings. This seems to be overstated given that Ottaviano was the nephew of Guidobaldo de Montefeltro, spent much of his childhood at the Urbino court, and was himself a prince of Sant’Agata Feltria. In response to how a courtier should dress, Federico responds “Voi lasciate una sorte de abiti che se usa, e pur non si contengano tra alcuni di questi che voi avete ricordati, e sono quegli del signor Ottaviano.” Castiglione, Seconda redazione, II.26, 110.46 See, for example, letters 29 and 30. Castiglione, Le lettere, vol. I, 1497–1521. 47 Ottaviano’s censoring of courtly dress follows Carla Freccero’s analysis of “’hypocritical’ rhetoric of self-censorship,” in that it is as much about establishing identity groups as it is about a sincere rebuke of argument. Freccero, “Politics and Aesthetics,” 271. 48 For a useful review of the manuscript revisions to the text, see Pugliese, Castiglione’s “The Book of the Courtier”, 15–24. 49 “Estimo io adunque che ’l cortegiano perfetto di quel modo che descritto l’hanno il conte Ludovico e messer Federico, possa esser veramente bona cosa e degna di laude; non però simplicemente né per sé, ma per rispetto del fine al quale po essere indirizzato” (4.4) Castiglione, Il libro del Cortegiano, ed. Nicola Longo, 367.Bibliography Albury, W.R. Castiglione’s Allegory: Veiled Policy in the ‘The Book of the Courtier’. Farnham: Ashgate, 2014. Anglo, Sydney. The Martial Arts of Renaissance Europe. New Haven, CT: Yale University Press, 2000. Berger Jr., Harry. The Absence of Grace: Sprezzatura and Suspicion in Two Renaissance Courtesy Books. Stanford, CA: Stanford University Press, 2000. 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And she has shown that she is a better cook than a housekeeper, because she knew better how to put the meat (carne) in the oven than make beds or sweep the house. (V, c. 94)1 The Italian word carne with its multiple meanings of meat, f lesh, and the masculine sexual organ commonly served as a tool for clever word play in Italian literature from the Decameron to the Canti carnascialeschi and enjoyed a renaissance of its own in sixteenth-century comic prose, poetry, letters, and everyday language.2 The early modern dietary corpus reinforced the religious association between eating meat, gluttony, and lust. All nutritious food, in particular meat, created more blood than needed by the body; therefore the surplus translated into an extra production of sperm, which in turn fueled the sex drive.3 A traditional view of the link between gluttony and lust holds that biblical accounts of the Fall considered gluttony the opening door to lust, although the Garden of Eden’s transgression consisted in eating the forbidden fruit, a fig or an apple according to different versions, and not eating immoderately. Many medieval theologians and then Pope Gregory the Great, a medieval doctor of the Church, defined gluttony mainly as a desire to stimulate the palate with delicacies, while also exceeding what was considered necessary for basic nourishment and health.4 But then he drew a more precise connection between the two sins and differentorgans of the body: “when the first (stomach) fills up excessively, inevitably, the other are also excited to sin.”5 Gluttony excites the senses and therefore can carry the sinner to sins of the f lesh. In Dante’s Inferno, and following Aristotle’s Nicomachean Ethics, incontinence (of desire) was the link between gluttony and lust. Paolo and Francesca in Canto V are among the “peccator carnali, / che la ragion sommettono al talento” [Inf. 5.38–39]). Although for Dante gluttony was a sin worse than lust, the common vision at his time was that eating immoderately and lusting were both sins of carne, the f lesh.6 If early theologians’ readings discussed gluttony without referring to a particular food, it was meat that later became the preferred target of moralists and came to be associated with ideas of lasciviousness and lust. Traditionally, animals such as the boar, pig, wolf, and/or ape in late medieval and early Renaissance visual and prescriptive sources represented luxuria7 and gluttony, as inextricably and negatively bonded together.8 Sixteenth-century prints, paintings, broadsheets, and emblem books kept those associations alive in society and culture even as the associations between those animals and gluttony or voracity often surpassed their association with luxuria.9 Sins of the f lesh were often symbolized as sins of carne in the sense of meat.10 But before delving into the imaginative perceptions and symbolism attributed to meat-eating it is advisable to recall brief ly what the lived practice and experience of consuming meat in medieval and Renaissance Italy involved. Symbol of power and violence, masculinity and aggressive sexuality, luxury and abundance, meat was often associated with the aristocracy and its lifestyle.11 As Massimo Montanari and Alberto Capatti have shown, in the Middle Ages the noble table first saw a triumph of big game gained through hunting but later the preference was directed more toward smaller game such as pheasants, quails, and/or farmed animals, like geese and capons. The new court nobility of the twelfth century no longer identified with the warriors’ taste for big, bloody game.12 Gross and nutritious meat was now left to peasants, usually in the form of pork. City dwellers also enjoyed the meat of the pig in the form of sausages but strove to differentiate themselves from the rural inhabitants by buying and eating veal, beef, and small birds. Although Fernand Braudel famously called “carnivore” the period in Europe between 1350 and 1550,13 Italians of the period had other food resources and could not, and often did not care to eat meat every day. Nonetheless, eating meat, and especially good meat, remained an indicator of social elevation and offered the promise of good health. The preference of the new court nobility for small birds and farmed animals received the approval of contemporary doctors, who exalted birds as a source of exceptional nutritional value, with the caveat that it was best suited to an aristocratic diet.14 It was not just the symbolic and nutritional value that was considered important; in dietetic tracts partridges and quails excelled also for their delicate taste and their lightness. But not all agreed. Vatican librarian and gastronome Platina (1421–81) was more open to the pleasures of eating a much wider range of meats, demonstrating more catholic tastes. His De Honesta Voluptate et Valetudine(first Italian edition 1487) is full of numerous recipes that included poultry, organ meats, fowl, pork, and sausages. Still much like many doctors, cooks, and courts stewards, he agreed that meat in general was a food healthier than others and had an elevated nutritional value.15 The reputation of meat as a primary source of nourishment and good health continued in the sixteenth century, and was particularly strong among surgeons, medical practitioners, and professors of “secrets.” A Spanish “surgeon and empirical doctor”16 who lived in Rome, Giovan Battista Zapata (ca. 1520–86), claimed that all meat products sustained good health, as long as they were roasted with a rosemary oil and a mixture of other herbs and spices, and were accompanied by good wine.17 Zefiriele Tommaso Bovio (1521–1609)—a Veronese nobleman and lawyer who later became a medical practitioner—wrote a treatise at the end of the sixteenth century against the “medici rationali ” who wanted to impose a strict meatless diet on sick people. He claimed that doctors knew that eating good meat and drinking wine had the power to restore health but kept the secret to themselves for fear of losing fees from patients who recovered from illness and stayed healthy eating meat.18 The nutritional value of meat was thought to rest on the idea that meat could transform into the substance, the very carne, of the human body. The steward Domenico Romoli affirmed in his cooking manual that those who invented the eating of meat did it both for taste but especially for health reasons: they knew that “more than any other food, it is meat (carne) that makes f lesh (carne).”19 In his view eating meat meant literally giving nutriment to human f lesh.20 Renouncing meat, however, was a crucial requirement for early Christian hermits and monks. It represented unequivocally the mortification of the f lesh and contempt for the body, although numerous sources show that meat-eating in many monasteries was fairly normal. In general, the suspicion of meat running through Christian texts in the period appeared to be based on an association of the eating of meat with fears of the f lesh and sexual incontinence. San Bernardino’s preaching in the fifteenth century aggressively linked meat consumption with unruly sexuality and was particularly severe on policing widows and youths’ eating practices. He represented the extreme side of a widespread religious censure of culinary pleasures and the sense of taste, emphasizing the presumed dangers of uniting desire for meat and unruly sexuality.21 Outside of the monastic world, religious proscriptions on food dictated that for periods of fasting, such as Lent, abstinence from animal f lesh, meat, poultry, and eggs, was mandatory to mortify the body and its appetites. And Lent was not just the forty days that followed Carnival; every Friday and many vigils during the year were Lenten days when meat was proscribed as well.22 How much weight did this religious censure or the ideology of the ascetic abstention from eating meat actually have? Apparently not much in everyday life or culture. The desire for meat, originally condemned as gluttony and a carnal practice that took one away from the life of the spirit, was often identified in theliterary imagination with positive expressions of sexual desire. The longstanding Christian prohibition against eating meat associated gluttony and illicit sexuality, and the Galenic dietary theory reinforced this, claiming that the body of the meat eater would have a surplus of blood and thus an increased sex drive. Literary sources valorized the gastronomic desirability and sexual powers promised by eating meat. Slowly but surely the sexual/alimentary play on carne as food and f lesh, positively portrayed in imaginative literature and culture of the sixteenth century, battled successfully against earlier moralistic discourses insisting on restraint of the body and its instincts.23 The emerging cultural war of the period opposed a disciplining view of the body and posited the increasing importance of pleasure and taste in both life and literature, with the enjoyment of meat, carne and f lesh, at their very center.Appetite for meat in literature Returning to the courtly taste for birds in the Renaissance, the link between eating birds and the lustful consequences that followed was visible in literary texts, fresco cycles, and dietary discourses, albeit with different meanings. While Dantesque Inferno punishment scenes in late medieval Italian dietary treatises and church fresco cycles dwelt on the negative consequences of eating birds or eating too much meat, literary texts presented a competing discourse. Giovanni Boccaccio’s Decameron, novelle collections such as those by Niccolò Sacchetti (ca. 1332–1400), Giovanni Sercambi (1348–1424), Anton Francesco Grazzini (1503– 84), and Niccolò Bandello (1485–1561), and many satirical and licentious poems, all exploited the phallic meat metaphor to elicit laughter as well as sexually allusive word-play.24 Boccaccio made clear in his Conclusione to the Decameron that the obscene language he had used came from everyday usage and included words from the culinary world: It is not more shameful that I have written words that men and women spell out continuously such as hole, peg, mortar, pestle, sausage, and mortadello. Dico che più non si dee a me esser disdetto d’averle scritte che generalmente si disdica agli uomini e alle donne di dir tutto dì foro e caviglia e mortaio e pestello e salsiccia e mortadello. Many contemporary tales depict adulterous lovers or lovers-to-be enjoying meals with game, fowl, and poultry in preparation for the carnal pleasures to come. The “carne” metaphor to designate the male member had a notable literary tradition. Giovanni Sercambi’s Novelliere (written ca. 1390–1402) presents many instances of the metaphorical/sexual use of the word carne, in some cases distinguishing between “raw” and “cooked” meat to indicate the male sexual organ and actual meat.25 In the novella “Frate Puccio e Madonna Alisandra,” Pseudo-Sermini26 plays on the double meanings of food and sex and the pleasureof tasting the meat and its f lavor.27 The metaphor of “fresh meat” to indicate the male sexual organ continued unabated in the sixteenth century as seen in a laughing novella by the Sienese Pietro Fortini (ca. 1500–ca. 1562) where a lusty friar offers a pound of “carne fresca” for free to a young woman with the excuse that religion does not let him enjoy meat that day. The novella naturally ends with the friar being beaten by the woman’s husband and with the laughter of the brigata listening to the story.28 The offer of an attractive bird for a meal often opened the way to a carnal relationship. In one sixteenth-century novella by Grazzini, the priest Agostino, enamored of his parishioner Bartolomea, decided to entice her with the offer of a large and plump duck. Bartolomea, who was a woman of “easy taste” (buona cucina), let him inside her house and made love to him with the hope of gaining the duck. But the early return of her husband allowed the priest to escape with his duck, leaving her literally empty handed. Agostino bragged cleverly that she would never find another duck, or another member, so large and plump. But, as often happens in Italian novelle, women were cleverer than their lovers. Bartolomea was no exception; when Agostino came back with a duck and two capons to make peace and love again, she got her revenge. With the help of her husband she beat him and sent him away barely able to walk, keeping the birds to enjoy with her husband.29 In this novella, birds carried out their multiple roles: they were an enticing and valued meat, able to stimulate the senses at many levels but also able to transform gluttony and lust into laughter and pleasure. In sixteenth-century comedies, birds such as partridges and pheasants could serve as domestic aphrodisiacs, for both old men and young. In Donato Giannotti’s comedy Il vecchio amoroso (written ca. 1533–36), old Teodoro, in love with the young female slave his son has brought home from Sicily, organizes a banquet where the food includes delicacies like fat capons, birds (starne), and pigeons, served with wine and sweets, in order to prepare him for the rigors of lovemaking.30 The meat of birds was believed to arouse lust because it was seen as hot and moist; for this reason Messer Nicomaco, in the comedy Clizia, plans to eat a half bloody pigeon before his night of love with the young Clizia. Perhaps because of this popular belief, or perhaps because it was the most prized and elegant type of meat, Pietro Aretino, in one of his letters from Venice in 1547, invites the painter Titian to a dinner at his house with a famous courtesan, Angela Zaffetta, promising that the main dish to be served would be roasted pheasants.31 Adulterous lovers with their lascivious dinners were the protagonists of a great number of plays and novella. Some specific language used in sixteenthcentury poetry, dialogues, and comedies also suggested that the desire for meat was closely connected to the practice of sodomy.32 A type of meat that was used euphemistically to signify sodomy, either with men or women, was the young male goat or “capretto.” Pietro Aretino in his Ragionamento (1534) used the masculine gender and the diminutive form of “capretto” to indicate the act of sodomy with a nun, in obvious contrast with the word “capra,” the adult goat used to refer to vaginal sex. In describing a moment at an orgy in a convent, Aretino exploited the culinary metaphor of meat to its fullest: Tired, at the first morsel of the goat he asked for the young goat . . . I tell [you] that as soon as he got it, he stuck inside the meat knife and madly enjoyed seeing it in and out . . . stucco al primo boccone della capra, dimandò il capretto [. . .] dico che ottenuto il capretto, e fittoci dentro il coltello proprio da cotal carne, godea come un pazzo del vederlo entrare e uscire. (Emphasis mine) 33 Matteo Bandello similarly narrates a tale about Niccolò Porcellio, humanist, poet, and historian at the court of Francesco Sforza in Milan, and well known for his notorious passion for young boys. Bandello expresses Porcellio’s desire with the culinary euphemism: he loved “la carne del capretto molto più che altro cibo” (he always preferred the meat of the young male goat much more than any other food). In his final confession, he justified his vice as the most natural thing in the world because it corresponded to his natural taste, and it was a “buon boccone”: Oh, oh, Reverend Father, you did not know how to interrogate me. Playing with young boys is for me more natural than eating or drinking to a man . . . go away as you do not know what a good morsel is . . . oh, oh padre reverend, voi non mi sapeste interrogare. Il trastullarmi con i fanciulli a me è più naturale che non è il mangiar a il ber a l’uomo . . . andate andate che voi non sapete che cosa sia un buon boccone.34 Porcellio insisted that his sexual behavior—the preference for young male goat meat—was as natural as it was natural to eat and drink for humans. His narrator Bandello explained first that Porcellio was forced to marry by the Duke in order to soften the opinion people had of him as someone who always preferred “the meat of young goat.”35 The food metaphor, so widely employed in the novella, was indeed perfect to address his sexual desire as a manifestation of taste, which can vary according to different people. Contemporary literature of the Land of Cockaigne included fantastic maps of Cuccagna [Cockaigne in Italy] where meat, in all of its incarnations, for rich and for poor, was center stage, while the theatrical Battaglia fra Quaresima e Carnevale regularly ended with the victory of Carnival and meat eating.36 The carne of the lascivious goat and luxurious hot birds were generally enjoyed by the rich. Yet it was the meat of the more humble pig, in the form of sausages that became dominant in sixteenth-century literature as a food easily conducive to sexual play, gastronomical delights, and a festive world.The triumph of the sausage The Allegory of Autumn by Niccolò Frangipane, a follower of Titian, is a remarkable painting displaying a lascivious satyr who sticks one finger into a split melon and with his other hand grabs a sausage on top of a table full of other autumn produce. In the cultural imaginary and in the common understanding of the period, that sausage in hand proclaimed with a perverse smile that it was known as a type of meat that promised and was well suited for indulgence, alimentary and sexual.37 The metaphorical use of the term “salsiccia” was not new. Many tales in Sercambi’s Novelliere, fifteenth-century carnival songs, and humorous and popular print allegories of Carnival used the same metaphor associating the consumption of meat/sausages with the pleasures of the senses, especially sexual pleasures. In one novella by Sercambi, a libidinous widow living with her brother, who had not arranged for her to marry again, realizes that there is a similarity between the sausages her brother brought home and the instrument with which her dead husband had made her happy. She decides to satisfy “the need she had of a man” using those sausages as an instrument of pleasure and consumes them little by little until discovered by her brother. 38 A popular sixteenth-century print studied by Sara Matthews-Grieco shows an old lower-class woman selling a sausage during Carnival, just before the time of Lent, when both meat and sexual intercourse will have to be forgotten. While Sercambi’s humorous novella does not attack the widow, who is described as young and naturally deprived of sexual pleasure, the prints and grotesque portraits studied by Matthews-Grieco, more often cruelly satirize old lower-class women desirous of sausages. 39 Pork occupied a particular cultural space in the realm of meat of the time. Far from high-class birds, or middle-class poultry and veal, the pork sausage was the food of the poor, the peasant, or at best, the uneducated.40 Sausages, particularly pork sausages, were a food appealing to taste but otherwise problematic as gross, humid, full of fat, and unsuited to a delicate stomach—or so claimed several early modern doctors and apothecaries. Humoral physiology dictated that the f lesh of a hot and humid animal would be beneficial only to a person with a cold temperament who needed to adjust his/her complexion: people with predominantly moist/hot humors should therefore avoid pork.41 Practice was, however, more complex. Some doctors associated with the Galenic revival of the fifteenth and sixteenth centuries promoted the meat of pig as nutritious and easy to digest, although more suited to physical workers. In fact, for all the undesirable characteristics noted, the idea that pork was nourishing and healthful enjoyed wide circulation in dietaries and medical treatises. From there, it was added as a significant qualifier to the traditionally unfavorable descriptions of pigs, and ultimately found its way into comic and burlesque literature, where it merged with the well-established carnivalesque passion for fat meat and gastronomical excess. The Galenic revival maintained descriptionsof pork as gross and humid, but gave more positive press by affirming that it was a nutritious meat. Indeed, despite these warring visions, the sausage and pork continued to win their battles in both literature and life.42 Even with their negative medical and social reputation, sausages had had their partisans in the gastronomical world for at least two centuries. Platina provided a general and expected warning against the meat of pork at the beginning of Book VI (“you will find pork not healthful whatever way you cook it”) but then offered three recipes for sausages, all derived from maestro Martino: pork liver sausages, blood sausages, and the range of sausages known as the Lucanica.43 Platina was more interested in showing how to cook and smoke the meat of pork than in talking about social suitability. He included an elaborate recipe for roast piglet stuffed with a mixture of herbs, garlic, cheese, and ground pepper, beaten eggs, slowly cooked over a grill. At the end of this tempting recipe, he added the usual medical advice: “The roast piglet is of poor and little nourishment, digests slowly, and harms the stomach, head, eyes, and liver.”44 While the roast piglet was ostensibly not a fare suitable for higher classes, Platina’s detailed recipe and the ingredients used meant that the medical proscriptions against pork were losing ground to the culinary practices of courts and an emerging gastronomical culture. In a similar way, Marsilio Ficino, who considered pork a meat more suitable to laborers who already had pig-like physical features, admitted that dressing pork with expensive and luxurious spices could transform it into a valuable food.45 Significantly, in this vein, a testimony by Cristofaro da Messisbugo (late fifteenth-century–1548), steward at the court of the Este in Ferrara, showed how dressing up pork and sausages elevated such meat above its common status as a food prescribed for rustic people. Messisbugo’s cookbook, Banchetti, composizioni di vivande et apparecchio generale (published in 1549), exalted the famous “salama da sugo,” still today a renowned Ferrarese specialty. In his recipe he explained how the less noble parts of pork were mixed together with expensive spices such as cloves, nutmeg, and cinnamon to create a dish that the Este family appreciated. Apparently, the salama was served especially at wedding banquets because of the reputed aphrodisiacal quality of its spicy sauce.46 Sex, pleasure, and taste were clearly winning battles for the once-humble sausage. The salsiccia, fresh or cured, also took center stage among a group of bawdy poems on fruit, vegetables, and other humble foods, authored by three of the most representative poets writing in the bernesque style, Anton Francesco Grazzini, Agnolo Firenzuola (1493–1543), and Mattio Franzesi (ca. 1500–ca. 1555). Firenzuola composed a canzone, and Grazzini and Franzesi capitoli, praising pork sausage for its alimentary and sexual properties, and demonstrating its social primacy over “superior” foods such as pheasants and capons. And, as if in a philosophical debate, these poems regularly elicited long, scholarly, and often obscene prose comments. The erotic allusions of their verses were clearly associated with the consumption of meat during Carnival, suggesting both the literal consumption of carne as meat and of carne as f lesh of a more sexual variety.47 As we have alreadyseen, pig meat had a mixed reputation because it was considered dangerous on one hand and nutritious on the other. Imaginative literature built upon medical and gastronomical culture to produce a more complex vision that allowed considerable room for ambiguity and ambivalence. Pork never entirely lost its reputation for promoting debased gluttony and pig-like manners, but it also gained a more positive reputation as a pleasurable food suitable for both peasants and upper classes to enjoy, as these poems demonstrate.48 The “Canzone del Firenzuola in lode della salsiccia,” written between 1534 and 1538 by the Florentine poet and dramatist,49 boasts of the primacy of his writing on the sausage and plays on the double erotic sense: “Since no fanciful poet / has dared yet / to fill his gorge with the sausage” (“poi ch’alcun capriccioso / anchor non è stato oso / de la salsiccia empirsi mai la gola”).50 He concludes with an invocation to the canzone itself to go and tell the poets’ friends in Florence the secrets of this most perfect food.51 Probably written in Rome while he was a member of the academy known as the Virtuosi52 and followed by an ironic prose commentary signed by a mysterious Grappa,53 the poem recognizes its affiliation with the bernesque poets. Yet it humorously affirms that they deserved an herb crown on their head because they lauded the oven, figs, and “boiled chestnuts” but not the sausage, “the most perfect food.”54 Firenzuola presented the pork sausage produced in Bologna as a food worthy of poets but good also for rich priests and lords, learned men, and beautiful women. He argued that it had a better reputation than the highest priced meat of the time, veal. The poem blended sexual innuendos and gastronomical discussion in its overtly simple description of how to make the sausage. And following the bernesque tradition, it mocked doctors’ recommendations about when to eat certain foods and reassured readers that the sausage “is good roasted and boiled, for lunch or for dinner, before or after the meal”; all these prepositions suggested different parts of the body and different types of sexual intercourse.55 Firenzuola then adds what he labels a “beautiful secret”: never use the sausage during the hot months of summer but wait until August has passed. According to Aristotelian physiology, men who are already by nature hot and dry are less potent in the summer when the excessive heat of the season takes away their sexual force.56 Nonetheless, he argues that even old men who have lost their heat can be young again thanks to the mighty sausage.57 Finally, and appropriately, for his reportedly polymorphous tastes, Firenzuola concluded that one could make sausages with “every type of meat,” referring to all possible sexual practices.58 The sausage’s morphology, then, links it to the male member and to its features that could be seen both as gastronomic and sexual: Sausages were ordered from above / to amuse those who were born into the world / with that grease that often drips from them; and when they are cooked and swelled / you can serve them in the round dish, although a few today want them with the split bread. Fur le salsiccia ab aeterno ordinate / per trastullar chi ne veniva al mondo / con quell’unto che cola da lor spesso; et quando elle son cotte e rigonfiate, le si mettono in tavola nel tondo. / Altri son, che le vogliono nel pan fesso, / ma rari il fanno adesso; / che il tondo inver riesce più pulito, / né come il pan, succia l’untume tutto.59 When a sausage is cooked and ready to serve, Firenzuola advised, it would be best to display it on the table “nel tondo” (the round dish and, metaphorically, the bottom) although others preferred it served with the “pan fesso” (split bread or, metaphorically again, a woman’s genitals). But there are few who prefer the latter today, Firenzuola added. As a Florentine, he prefers the domestic Florentine sausage, large and firm, red and natural, and encased in clean skin. The metaphors roasted or boiled and the adjectives “tondo” and “ fesso” (round and split/foolish), refer to sodomitical and heterosexual encounters, while also alluding to different gastronomical appetites. The poem concludes in an ecumenical and procreative tone, affirming that the creation of sausages was intended to give pleasure and utility to everyone, but in the end the good sausages would always be the reason why men and women were born into this world.60 Firenzuola’s poem affirms that while the sausage is for everybody and every taste, gustatory and sexual, when served “after” and roasted it is good only for upper classes. Like other bernesque poets, he seems eager to assign a higher social status to this “popular” (and economic) food. In fact, usually it was roasted fowl and roasted meat that was theoretically reserved for upper classes. Since he is suggesting sodomy with the reference to roasted meat, that sexual practice is seen as the nobler activity, although forbidden. Elevating a lower-class food to a higher status was the perfect metaphor for speaking in favor of sodomy and introducing social values along with the sexual. What function did this type of poetic imagery serve in a period when sodomy was a crime and even the depiction of non-sodomitical sexual acts in an artistic work such as I Modi proved to be so controversial? It seems likely that images had more power to move viewers than writings, but in an era of printing reproduction, cheap copies of poetry, like the one produced in the Vignaiuoli and Virtuosi circle, could circulate outside an intended audience of intellectuals and fellow poets. It is therefore difficult to assess the impact of these texts, but the humor and the metaphorical language dedicated to meat, vegetables, and fruits may have helped allay the anxiety among authorities, both religious and civic, about the diffusion and circulation of writings exalting sodomy.61 The long Capitolo in lode della salsiccia by Anton Francesco Grazzini, which is followed by an erudite and playful prose commentary by the same author, extolled the sausage mainly from a gastronomical point of view, humorously contrasting its attractions with moralizing medical lore, and interweaving it once again with sexual innuendos.62 Presenting himself as a knowledgeable gastronome, Grazzini also praised the primacy of the Florentine sausage, superior to capons, partridges, and all the meat of birds, as well as to highly prized fish such as lampreys and eels.63 After defining it as a meal worthy of poets and emperors, and begging Greece and Rome to recognize the superiority of the sausage made in Florence, Grazzini once again lauded its colors and its appearance. In addition, much like the cookbooks of his day, he listed its ingredients: well-ground lean meat and fat from the pig, salt and pepper, cloves, cinnamon, oranges, and fennel, all stuffed in a case of animal intestines.64 However, he clarified that his intent was not to explain how to make it but to laud the sausage’s beauty, taste, and goodness. And citing the process of stuffing, “imbudellar la carne,” Grazzini took the opportunity to shift the poem from the culinary to the sexual. He saluted women who always wanted to have their body full of sausages because they are good and healthy—another battle won in the same sausage wars.65 The prose Comento sopra il Capitolo della salsiccia di maestro Niccodemo dalla Pietra al Migliaio, also authored by Grazzini, makes clear that although women love the sausage, the double sense is again a reference to sodomy. The “buona carne,” well done, well cut, and making a good show when displayed in the round dish, once again is a pretext to laud the male bottom. Furthermore, the view of the tagliere wins over all the other poetic images (including those taken from fragments of Petrarch’s poems) such as eyes, hair, breasts, or feet of Beatrice and Laura.66 A long section of the Comento on the gastronomical virtues of pork begins with a verse from a sonnet by Petrarch dedicated to the name of Laura: “O d’ogni riverentia et d’honor degna.” In this line he humorously shifts abruptly from Petrarch’s words honoring his beloved Laura to the more mundane culinary and sexual wonders of pork, the only meal worthy of poets and emperors.67 Even Petrarch’s untouchable Laura takes her blows in the sausage wars. Throughout the long prose comment on his own poem on the pork sausage, Grazzini attacked Petrarchan poetry and current medical lore regarding sausages and pork’s meat. The playful observations on the ability of the sausage to heal every illness—while maintaining a sexual overtone—reads like a learned medical prescription listing several herbs and substances used by apothecaries to prepare their confetti, pills, and tonic drinks.68 Yet Grazzini also made the straightforward culinary point that Florentine pork and lard, key ingredients in their sausages, were exceptionally good for roasting and frying as well as the essential ingredient for making the popular bread with lard called pan unto. The attraction to lard, the white fat of pork, was echoed in a poem by the author and translator Lodovico Dolce (1508–68), “Salva la verità, fra i decinove,”69 dedicated to a gift of wild boar he had received from a friend. This wild pork is defined as “a magnificent and regal gift” whose rich fatty f lavor “will make Abstinence die of gluttony and Carnival lick his fingers.” 70 His enthusiasm for lard in the poem leads to a dream where Dolce witnessed himself, in an Ovidian fashion, metamorphosed into a succulent sausage, rich with fat dripping from the extremities of his body.71 Dolce gave the transference theory of Renaissance doctors a positive spin, since eating pork actually transformed him if not into the animal itself, into its gastronomical essence and pleasure. Accordingly, his poem exploited the common ideaof closeness and fratellanza between pigs and humans in an iconic and paradoxical way that privileged the sausage.72 The third poem on sausages was written by Mattio Franzesi who dedicated it to a certain “Caino spenditore,” a friend presumably in charge of food provisioning in Florence.73 Franzesi employs the language of gastronomy in an amusing pairing with quotidian language referring to sodomy. The sausage is called “buon boccon” (excellent morsel) and “boccon sì ghiotto and divino” when it is paired again with the beloved specialty panunto, declared superior to two famous upper-class foods, the impepato and marzipan.74 Franzesi, like Dolce, describes the panunto or slices of bread with sausage inside as a divine and gluttonous morsel, definitely superior to luxury foods like the beccafico, a fat and fresh songbird.75 Moreover, the salsiccia does not cost much and can be used in many different ways to sustain a meal: it can substitute for a salad (i.e., a woman)76 and priests in particular use it often because they do not need to cook it but can just warm it up between their hands. All the affirmations in Franzesi’s poem can be read in a double sense, as gastronomical discussion or as a metaphorical way of talking about the phallussausage and its pleasures. He refers with technical precision to the gastronomical side of sausages, even when metaphorically discussing sexual acts.77 The sausage is better than prosciutto (both come from pork), when boiled (used with women), and is a good meal for sauces and “guazzetti ” (sauces). Moreover, all the birds in the world would be like truff les without pepper and confetti without sugar, if not accompanied by sausages. A meal with sausages is a meal for taste and pleasure, not a meal for nourishment. Franzesi then describes its shape, and how to make a good-tasting, good-smelling sausage, using spices, herbs, and the unique ingredient for Florentine sausages, fennel. The poem ends with a list comparing the sausage in the panunto as equal to Florentine gastronomical specialties, such as the ravigiuolo cheese with grape, cheese with pears, old wine with stale bread, and others. Exalting a humble subject fitted well with the agenda of the bernesque poetry that lauded simple foodstuffs and everyday objects. But privileging sausages over songbirds was clearly not just a rhetorical ploy because it implied a comparison between a food for rustic people and a luxury food. Franzesi, like Grazzini before him, contributed in his poem to elevating the social status of the pork sausage. It was not simply a food “da tinello,” for poor courtiers used to eating the leftovers of their lord, but a meal worthy of rich people and important prelates.78 In sum, poets, novellieri, and dramatists from the fourteenth to the sixteenth centuries took full advantage of the possibilities offered by the different meaning inherent in the word carne. It allowed them to discuss virility, sexual potency, masculinity, and sodomy under the guise of the gastronomical discourse. The sausage poems fit well with the constant preoccupation and advice of medical and dietary literature of the time on how to ensure sexual potency. The novelle discussed sexuality between men and women, endorsing a decisively masculine and traditional view that depicted women as lusty and desirous of raw carne,which is able to heal every illness and satisfy every need. The poems on sausages confirm this hierarchical vision of sexuality dominated by the mighty phallus. Yet they also endorse a concept of diverse gastronomical taste, lesso and arrosto, nel tondo or nel fesso, to offer a variety of views of sexuality that responded to every gusto. These poems on sausages were written in the cultural circle of the Vignaiuoli and Virtuosi academies, well known in the period for their substantial corpus of poetry dedicated to the comparison of fruit and vegetables to sexual organs and sexual acts. The not-so-covert sexual sense of most of those poems exalted sodomy, in their praise of peaches or carrots, or sexuality with women in poems on salads and figs. Poems on the mighty sausage covered all the bases of sexuality, although with a preference, often openly stated, for male–male sexuality. Intriguingly, the poetic and linguistic play on carne in the form of sausage allowed lengthy descriptions of an Italian and Florentine gastronomic specialty of the time, totally ignoring the negative vision of pigs as gluttonous, dirty animals presented by dietary literature. Since gluttony was the quintessential behavior represented by pigs, what better way to reclaim pork in the sausage wars than to use it to symbolize gastronomical richness and sexual variety? If sins of the f lesh were often symbolized as sins of carne in medieval times, now in a perfect reversal the pleasures of the f lesh were symbolized by the pleasures of eating meat in all of its variety, thanks in part to these sausage wars. Thus, while a moral and disciplinary vision tried to control the discourse on food and eating in medical and dietetic treatises of the sixteenth century, a counter-argument advanced playfully in literature and bernesque poetry presented carne as a metaphor for the pleasures of the senses.79 The conceptual pairing of gluttony and lust in medieval tradition began to lose ground to a much more complex world of food, taste, and pleasure, and the no longer quite so humble sausage led the way.Notes I would like to thank Jacqueline Murray and Nicholas Terpstra for inviting me to contribute to this volume in honor of Konrad Eisenbichler, a friend and scholar who always supported my work and my career. The research and writing of this essay took place when I was a fellow at the Institute for Historical Studies at the University of Texas, Austin, in 2016–17. Some of the topics of this essay were discussed at events at the University of Toronto in 2015 and University of Melbourne in 2012. Belated thanks to Konrad Eisenbichler and Catherine Kovesi. This essay is part of my forthcoming book Food Culture and the Literary Imagination in Renaissance Italy. 1 Girolamo Parabosco, La fantesca, quoted in Giannetti, Lelia’s Kiss, 143. 2 The popularity and frequency of the word carne to indicate the male sexual organ was matched in Renaissance literature and culture by the use of bird terminology to indicate the virile member as well as, less frequently, the female organ and sexual intercourse. Allen Grieco has recently catalogued and analyzed the numerous references to birds in imagery and literary sources and has studied birds and fowl as food to understand the connection between eating birds and fowl, and sexuality. He has uncovered the widely shared humoral perception of birds as a “hot” food which tended to over-stimulateThe sausage wars3 4 5 6 7891011 12 13 1415 16 1718 19173the senses. In this way he was able to give a deeper explanation of the theological link between gluttony and lust typical of the period, pointing out the reason why, in common perception, the consumption of luxurious and heating food, especially birds, stimulated the sexual function. According to the taxonomy of the Great Chain of Being, birds belonged to air and they were hot and humid: when eaten they would transfer their properties to the body and stimulate carnal appetite. See Grieco, “From Roosters to Cocks.” Albala, Eating Right, 144–47. Quellier, Gola, 15–16. Cited in Grieco, “From Roosters to Cocks,” 123. Much later, gluttony was defined as the consumption of luxury foods, particularly birds. On Dante’s conceptualization of sins see Barolini, Dante, chapter 4. The Latin word “luxuria” meant extravagant/excessive desire (for power, food, sex, money, etc.) and in the Italian form “lussuria” became the word for lust in medieval Italy. In Inferno “lussuriosi” sinners are those who had excessive love of others, thus diminishing their love for God. Gluttony is a sin of incontinence like lust. In medieval bestiary and other iconographic sources especially north of the Alps gluttony is often represented as a fat man holding a piece of meat and a glass in his hands and riding a swine or a wolf. Quellier, Gola, 15–23. For medieval bestiaries see chapter one in Cohen, Animals. In Italy church frescoes represented gluttons in Hell suffering the tantalic punishment. At the end of the sixteenth century, in the first edition of Cesare Ripa Iconologia (without images) Gluttony (Gola) is described as “donna a sedere sopra un porco perché i porchi sono golosi . . .” and Gourmandize (Crapula) is identified with a “donna brutta grassa . . .” Iconologia, 111 and 54. This helps to explain, for instance, why the famed preacher San Bernardino da Siena in his Lenten sermons in fifteenth-century Florence condemned the desire of Florentine young men for capons and partridges, claiming they opened the doors to a life of sensual foods and sensual pleasure. In particular, he linked gluttony to lust and sodomy. Bernardino da Siena, Le prediche volgari, ed. Ciro Cannarozzi (Pistoia: Tip. A. Pacinotti, 1934), II: 45–46, quoted in Vitullo, “Taste and Temptation,” 106. Montanari, “Peasants,” 179. Montanari and Capatti, La cucina italiana, 76–77. Pheasants and partridges represented the ideal components of a refined and tasty banquet, possible only for people with means. Braudel, Capitalism, 129. “Danno ottimo nutrimento, risvegliano l’appetito, massime a’ convalescenti e sono cordiali. Nuocono a gli infermi, e massime à quei che hanno la febre e fanno venir tisichi i villani.” Residing on a high position on the Great Chain of Being, they represented powerful people and, accordingly, were sternly cautioned against for rustic people, to whom, according to Pisanelli, they could be dangerous. Pisanelli, “De beccafichi, Cap. xxvi” in Trattato de’ cibi, 33. Similarly, pheasants and partridges are responsible for provoking asthma in rustic people (Cap. xxvii and xxix). In his work, Bartolommeo Sacchi, known as Platina, paid much attention to the idealistic principle of moderation derived from the Greek and Roman world, along with his interest in the revival of Epicureanism. Platina, On Right Pleasure. Eamon, Science, 163. Giovan Battista Zapata, Li maravigliosi secreti di medecina, et chirurgia, nuovamente ritrovati per guarire ogni sorta d’infirmità, raccolti dalla prattica dell’eccellente medico e chirurgico Giovan Battista Zapata da Gioseppe Scientia chirurgico suo discepolo (Venice: Pietro Deuchino, 1586; 1st ed. Rome, 1577), 37–41, quoted in Scully, “Unholy Feast,” 85. Eamon, Science, 188. Bovio, Flagello. He gives the example of a doctor whose wife was sick and how he cured her with a diet of French soup, capon, and wine but could not apply the same treatment to his other patients in fear of losing business; see 45–46. “più facilmente di carne si faccia carne che di qualunque altra sorte di cibo.” Romoli, La singolare dottrina; “Delle carni in generale,” 205r. Domenico Romoli (n.d.) previously17420 2122 2324252627 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 4041Laura Giannettiworked as a cook with the name of Panunto (oiled bread) and then became steward for Pope Julius III. For poor people and peasants in particular, pork continued to be the meat of choice; and although it had a negative reputation, in the case of people occupied in heavy physical work, pork was reputed nourishing and healthful. Florentine communal statutes of 1322 prohibited innkeepers from serving up culinary delights because they could attract men and boys and incite them to commit the unspeakable sin of sodomy. Rocke, Forbidden Friendships, 159. During Cosimo the Elder’s regime Florentine Archbishop St. Antonino—in his confessor’s manual—warned against sloth, excess food, and drink as causes of sodomy. Toscan, Le Carnaval, vol. I: 190. See Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” especially pages 31–33. Later in the seventeenth and eighteenth centuries the Church allowed consumption of eggs, butter, and cheese during famines and epidemics. See Gentilcore, Food and Health. One of the most important representatives of this tendency was the Venetian noble Alvise Cornaro who wrote the extremely successful Trattato della vita sobria in 1558. In general, moralists’ writers of the later Middle Ages and early Renaissance continued to advise against eating food that would produce excessive heating of the body. The dietetic literature, particularly the influential earlier author Michele Savonarola and the later Baldassar Pisanelli, supported the restriction of birds and fowl to particular categories of people held to be more capable of controlling the passions they induced, such as the powerful and rich or those needier of stimulation such as the sick and the ailing. Grieco, “From Roosters to Cocks,” 115. See novella “De Novo Ludo” (Sercambi, Novelliere) available online at www.classicitaliani. it/sercambi_novelle_08.htm where Ancroia enjoys her time with the priest: “la donna, come vide Tomeo fuora uscito, preso un fiasco del buon vino, una tovagliuola, alquanti pani e della carne cotta per Tomeo, et al prete Frastaglia se n’andò e con lui si diè tutto il giorno piacere, pascendosi di carne cruda e carne cotta per II bocche . . .” Apostolo Zeno in the eighteenth century attributed the author name Gentile Sermini to the two anonymous caudexes containing the novelle. Monica Marchi in her critical edition of the novelle prefers to use Pseudo-Sermini instead of the conventional name Gentile Sermini. See Marchi, “Introduzione,” in Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, 10–22. The novelle were written in the first half of the fifteenth century. “[ . . . ] non altramente fece la valente madonna Alisandra che, agustandole molto la carne e ‘l savore, per quello dilettevole giardino, preso insieme d’acordo giornata . . .” Pseudo-Gentile Sermini, Novelle, xi, 270. Fortini, Le giornate, I, xvi, 296–300. Grazzini (Il Lasca), Le Cene, I: vi, 80–94. Giannotti “Il vecchio amoroso,” II: i, 40–41. On remedies for impotence, and early modern drama, see Giannetti, “The Satyr.” “A Tiziano,” in Aretino, Lettere, 67–68. This section is partially based on Giannetti Ruggiero, “The Forbidden Fruit,” 31–52. See “Ragionamento Antonia e Nanna,” in Aretino, Sei giornate, 38. “The Roman Porcellio Enjoys the Trick Played on the Friar in Confession,” in Bandello, Novelle, vi: 125. See the discussion of the tale in Giannetti, Lelia’s Kiss, 181–82. Ibid., 181. On the battles between Quaresima and Carnival see Ciappelli, Carnevale. Albala, Eating Right, 168 and 181. The painting is now in the Museo Civico of Udine. Sercambi, “De vidua libidinosa” in “Appendice,” Novelle inedite, 417–18. Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Several novelle, from Boccaccio to Sacchetti, related the closeness in everyday life of pigs and humans in rural and urban areas and the importance of pork for sustenance, but also the negative perception of pigs and filthy and gross animals. For instance, see Sacchetti LXX, CII, CXLVI, CCXIV. For Boccaccio see “Calandrino e il porco.” Already in the Middle Ages, from the perspective of the Great Chain of Being, pork and the quadrupeds occupied a questionable position—they were not part of Air like birdsThe sausage wars4243 44 45 46 47 4849 50 51 5253 54 55 5657 58 59 60 61nor of the Earth but somewhere in between; and pig in particular occupied one of the lowest position among all quadrupeds. Grieco, “Alimentazione e classi sociali,” 378–79. Pigs were voracious animals and, according to the Galenic doctor, eating their fattening meat would transform a person in a pig, as a later image of Gola as a woman sitting on a pork would make really explicit. For instance, in the second half of the sixteenth century, Baldassar Pisanelli advised eating sausages and salami in moderation, but recognized in them some positive characteristics such as reawakening of appetite and helping to make drinking more pleasurable. Pisanelli, Trattato de’ cibi, c. 13. Platina, On Right Pleasure, Book VI, 281. Ibid., 277. Ficino, Three Books on Life, Book 2, 181. See http://lauramalinverni.wordpress.com/201702/04/i-salumi-alla-corte-estensecristoforo-messisbugo/ See the section “Sausages and Salami” in Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages.” Pietro Aretino in his comedy Il Filosofo summarizes well this new ambivalence about pork when he had one of his characters resolutely affirm: “refined sugary confections (the biancomangiari) and quails do not stimulate taste as do steaks and sausages.” Pietro Aretino, Il Filosofo, III, 15. See the text in Romai, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 313–15. Firenzuola is also author of the famous dialogue On the Beauty of Women. vv. 12–14. “Canzon, vanne in Fiorenza a quei poeti,” v. 76 The Virtuosi academy was the continuation of the Vignaiuoli academy, one of the first “academies” of sixteenth-century Italy, an informal gathering of intellectuals that met for dinner, witty conversations, music, and poetry in the early 1530s. Around 1535 or slightly later, the Vignaiuoli renamed themselves Academia della Virtù and/or Reame della Virtù and continued their activities until ca. 1540. Meetings, often held at Carnival time, featured improvised speeches and the recitation of poems, frequently accompanied by music. The Vignaiuoli was one of the first academies in Italy to privilege the usage of vernacular and became most famous for the poetic production of so-called “learned erotica,” as well as for their anti-Petrarchan and anti-classicist poetic stance. Grappa, now identified with Francesco Beccuti, comments on Firenzuola’s poem. See Grappa, Il Comento. On Beccuti see Fiorini Galassi “Cicalamenti.” The allusion here is to the poem Sopra il forno by Giovanni della Casa, De’ Fichi by Francesco Maria Molza, and In lode delle castagne by Andrea Lori. All three are poems dedicated to the female genitals. “Mangiasi la salsiccia innanzi et drieto / a pranso, a cena, o vuo’ a lesso o vuo’ arrosto / arrosto et dietro è più da grandi assai; / innanzi et lessa, a dirti un bel segreto / non l’usar mai fin che non passa Agosto.” vv. 30–35. “Perchè in estate gli uomini sono meno capaci di fare l’amore, le donne invece lo sono di più [. . .]? Perché gli uomini sono più inclini a fare l’amore d’inverno, le donne in estate? Forse perché gli uomini sono di natura più caldi e secchi [. . .]?” Aristotele, Problemi, ed. Maria Fernanda Ferrini (Milan: Bompiani, 2000), IV, 25–28, quoted in Pignatti, ed., Ludi Esegetici II, 200. “O vecchi benedetti! / questo è quel cibo che vi fa tornare giovani e lieti, et spesso ancho al zinnare” vv. 58–60. “Fassi buona salsiccia d’ogni carne: /dicon l’istorie che d’un bel torello/dedalo salsicciaio già fece farla /e a mona Pasife diè a mangiarne? Molti oggidí la fan con l’asinello . . .” vv. 46–50. vv. 61–65. “Basta che i salsiccioli/cotti nei bigonciuoli, / donne, dove voi fate i sanguinacci, / son cagion che degli uomini si facci.” vv. 72–75. On the cultural function of humor see Matthews-Grieco, “Satyr and Sausages,” 37.62 For the text of the canzone, see Grazzini, “In lode della salsiccia,” in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 227–30. For Grazzini “Comento di maestro Nicchodemo dalla Pietra al Migliaio sopra il Capitolo della salsiccia del Lasca,” see ibid., 231–309. There is no secure date regarding the writing of the Comento but it should have been written around 1539–40. See Franco Pignatti, “Introduzione,” in Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 163. 63 Ibid., vv. 22–33. 64 Ibid., vv. 76–81. 65 Ibid., vv. 94–111. 66 “La bellezza del tagliere non è come forse molti credono, e non consiste in l’esser bianco, non di buon legno, non tondo, non ben fatto, ma si bene nell’essere pieno di buona carne ben cotta e ben trinciata; . . . tolghinsi pur costoro i capelli di fin oro, la fronte più del ciel serena, le stellanti ciglia . . . come dire le Laure, le Beatrici, le Cintie e le Flore!” Grazzini, Comento di Maestro, 240–41. 67 Sonetto n. 5 of Canzoniere on the name of Laura: “Quando io movo i sospiri a chiamar voi” 68 “Perciò che quei traditori de’ medici la prima cosa levono il porco e non vogliono a patto nessuno che n’habbia l’ammalato per mantenergli bene il male addosso, sendo il porco e maggiormente la salsiccia, habile e possente a guarir d’ogni malattia e più sana che la sena, più necessaria che la cassia, più cordiale che il zucchero rosato, più ristorativa che il manicristo, et insomma ha più virtù che la bettonica.” Grazzini, Comento di Maestro, 280–81. The terzina commented is 103–05: “Io crederria d’ogni gran mal guarire/ quando haver ne potessi un rocchio intero,/ancor ch’io fussi bello e per morire.” 69 In Dolce, Capitoli. 70 “dono invero magnifico e reale,/da far morir di gola l’astinenza/e leccarsi le dita a Carnevale.” Ibid., vv. 10–12. 71 “E chi m’avesse allora allora punto/aria veduto uscir liquor divino/del corpo, ch’era pien di grasso e d’unto.” Ibid., vv. 43–45. 72 Some authors trying to dignify pork, recycled Galen’s idea expressed in De alimentorum facultatibus where he argued troublingly that pork was pleasurable because it was similar to human’s flesh. For instance “Le carni del Porco fra tutte le altre carni dei quadrupedi han vittorie in nutrire e dar più forza ai corpi perché cosi nel gusto come nello odore par che habbiano una peculiar unione e fratellanza col corpo umano si come da alcuni si è inteso che per non sapere hanno gustato la carne dell’huomo” [For taste as well as for odor, it seems that the meat of pork has a peculiar unity and likeness with the human body, as some reported, who tasted human flesh while not knowing it] in Un breve e notabile trattato del reggimento della sanità, ridotto dalla sostanza della medicina di Roberto Groppetio 362–63 v. The little volume is attached to La singular dottrina. It is not clear whether it was written by Panunto himself or not. For a similar affirmation see also: Della natura et virtù de’ cibi, 68v. Not all agreed with this troubling similarity but it was quite a common affirmation in many medical treatises and in some literary works of the time. 73 In Romei, Plaisance, and Pignatti, eds., Ludi esegetici, 316–18. 74 “Qui non è osso da buttare al cane, / e’l suo santo panunto è altra cosa/che lo impepato overo il mrzapane,” vv. 25–27. 75 “Dicon che la midolla del panunto,/incartocciata come un cialdoncino, / tal che di sopra e di sotto appaia l’unto, / è un boccon sì ghiotto e sì divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e grassellino,” vv. 38–42. It should be noted that even the luxury food, the beccafico, had strong sexual overtones. 76 The cultural discourses that surrounded salad in early modern Italy and Europe were complex and rich, ranging from sexuality and manners, to taste, gastronomy, and class identity. See Giannetti, “Renaissance Food-Fashioning.” Online at: http://escholarship. org/uc/item/1n97s00d. 77 “è un boccon sì ghiotto e sì divino, / che se lo provi ti parrà migliore/ch’un beccafico fresco e grassellino,” vv. 40–43. Franzesi, “Capitolo sopra la salsiccia,” 316–18.78 “Questo non è già pasto da tinello/ma da ricchi signori e gran prelati / che volentieri si pascon del budello.” Ibid., vv. 79–81. 79 On the disciplining vision of the sixteenth century and a counter-discourse in dramatic literature see Giannetti, “Of Eels and Pears.”Bibliography Albala, Ken. Eating Right in Renaissance Italy. Berkeley, CA: University of California Press, 2002. Aretino, Pietro. Lettere. Edited by Gian Mario Anselmi. Rome: Carocci, 2000. ———. Sei giornate. Edited by Guido Davico Bonino. Turin: Einaudi, 1975. Bandello, Matteo. Novelle. Edited by Luigi Russo and Ettore Mazzali. Milan: Rizzoli, 1900. Barolini, Teodolinda. Dante and the Origins of Italian Literary Culture. 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Vasari describes him as a gay and licentious man, keeping others entertained and amused with his manner of living, which was far from creditable. . . . [S]ince he always had about him boys and beardless youths, whom he loved more than was decent, he acquired the by-name of Sodoma.1 While sources for private feelings are scanty and often problematic for this period, and Sodoma left little first-person testimony, this and other records suggest a prima facie case for the artist’s erotic interest in other males. He is unique in Renaissance Italy as the only artist whose homosexuality was frankly avowed and widely known. His character and sexual interests offer a provocative case study of the intersections between eros and creativity, and how that sensibility was manifested in his imagery. His experiences further suggest that there were overlapping audiences eager to receive and respond to that sensibility. Sodoma exhibited other character traits also considered eccentric or insolent, and was fond of capricious pranks; the monks at Monteoliveto Maggiore, his first large commission, referred to him as “Il Mattaccio,” the “crazy fool.”2 Hewas an impudent mocker of moral decorum: Vasari reports indignantly about the nickname Sodoma that “in this name, far from taking umbrage or offence, he used to glory, writing about it songs and verses in terza rima, and singing them to the lute with no little facility.” He was also infamous for his f lamboyant clothing and for keeping an entire menagerie in his home, including pet birds, monkeys, squirrels, and race horses; Vasari called the house “Noah’s Ark.”3 He entered his horses in public contests, and we can date his sobriquet back to a series of races in Florence from 1513 to 1515. When his steed won, the heralds asked what owner’s name to announce; Bazzi replied, “Sodoma, Sodoma,” indicating that he was already known by that name and willing to be associated with it. The incident also reveals the precarious social landscape that known or suspected sodomites had to negotiate. Thumbing his nose at a mocking public backfired: a group of outraged elders incited a mob attack, during which he narrowly escaped being stoned to death.4 Anecdotes and documents notwithstanding, historians have long tried, for widely differing reasons, to chip away at the foundations of a historiographical tradition dating back to Vasari himself. For it was Vasari, unwittingly anticipating modern queer scholarship, who first understood Sodoma as having homosexual desires and assumed some connection between his sexuality and his work.5 To the prudish chronicler, that connection was negative: Vasari blamed Sodoma’s failure to achieve greatness on his excesses of character, from laziness to carnality, scolding that if he had worked harder, “he would not have been reduced to madness and miserable want in old age at the end of his life, which was always eccentric and beastly.”6 Value judgment aside, the assumption that artists’ personalities and passions are intimately imbricated with their work runs throughout Vasari’s biographies. Modern generations, beginning with the homophile Victorian critic-historians John Addington Symonds and Walter Pater, acknowledged the same connection with a positive valence, reading Sodoma’s androgynous figures and distinctive iconography as revealing glimpses into the sensibilities of a man aware of both his own desires and the gap separating that passion from social norms. The path they laid down guided post-Stonewall gay studies through the early 1980s.7 More recently, postmodern theoreticians, stressing the ever-shifting social constructions of sexuality and identity, have countered such attempts to posit any individual sexual identity or group homosexual consciousness, however embryonic and sporadic, in that era. Their methodology, inspired by scholars from Michel Foucault to Eve Sedgwick and David Halperin, dismisses such formulations as anachronistic over-reading.8 The generational shift in goals and methods, from “gay and lesbian studies” to “queer studies,” instigated an ongoing debate. These theoretical polarities have implications for the present study, which aims to excavate the embodied passions and creative process of an individual who felt homosexual desire, and to reconstruct, to whatever extent possible, an early moment in the gradual, fitful emergence of self-aware homosexual sensibilities and self-expression.Although I defer consideration of this theoretical controversy until the essay’s end, my working hypothesis parallels the nuanced historiography of Christopher Reed, who reminds us that, although readings of Renaissance homosexuality as similar to modern conceptions were convincingly challenged by Foucault’s insistence that [the modern] sexual typology was not invented until the nineteenth century, [nevertheless] no idea is without roots, and subsequent scholarship provided evidence that convinced even Foucault to recognize stages in the eighteenth, the seventeenth, and even the sixteenth century leading to the invention of homosexuality as a personality type.9 As a personality, Sodoma was among the few early modern artists who visualized homoerotic desire. This essay investigates that process along three intertwined axes: life, work, and historiography. His biography provides a unique microhistory of an early avowed homosexual and his culture’s understanding of that inclination. His works gave visual expression to his erotic sensibility, and contemporary patrons and spectators, from pederastic monks to libertine aristocrats, were ready to receive it sympathetically. Finally, I conclude with a more personal historiographical meditation on the controversy over whether embryonic homosexual consciousness can be located in early modern culture.Early religious works Arriving in Siena as a young man, Sodoma established relations with the Chigi family and the Benedictine order, who commissioned numerous works, mainly on sacred themes.10 Officially, since Christianity condemned all non-procreative sex, theological narratives offered next to no scope for “homo-representation”; but his religious pictures nonetheless provide material for queer readings. If a subject contained any potential for imagining or accentuating a homoerotic subtext, Sodoma exploited it more than any artist of his time except Michelangelo (also a lover of men), seldom missing an opportunity to foreground male beauty or intimacy in nude or suggestively clad bodies. Many images celebrate the boyish, androgynous type that was the most common object of adult male desire at the time, while a few idealize the more heroic male adult body; he often derived both figure types from classical sculptures with a homoerotic pedigree. And many members of the audience for his imagery, both clerical and lay, were likely to appreciate this eroticized beauty. The first example of the interlinked sensibilities of artist and spectators is his fresco cycle for the abbey at Monteoliveto Maggiore, outside Siena (1505–08), depicting the life of the order’s founder, St. Benedict.11 Payment records confirm several Vasarian details about the artist, from his early nickname, Mattaccio, to his use of apprentices ( garzoni ) and his fondness for extravagant finery. Although the austere life of the founder of monasticism was unpromising terrain,Sodoma found novel pretexts for inserting numerous visual features—often rare or unique inventions—that would appeal to the homosexual or bisexual gaze. Most striking in its novel and ironic departure from the subject’s nominal moral is the illustration of Benedict seeking relief from a female devil’s sexual temptation by stripping off his clothes and f linging himself into spiny briar bushes12 (Figure 10.1). Unlike the few earlier representations of this scene, Sodoma renders the vegetation soft and unthreatening: rather than conveying mortification of the f lesh, he presents in full frontal view a nude of heroic proportions, reclining comfortably in a pose modeled on classical prototypes. The all’antica beauty of the body displaces attention from the saint’s physical self-abnegation onto his potential to arouse erotic desire—precisely what Benedict is trying to suppress.13 The most personally revealing of the frescoes is the Miracle of the Colander (Figure 10.2), in which the saint and his homespun miracle (repairing a household sieve) are shunted to the left, leaving the central focus on the figure of Sodoma himself, showing off his legendary wardrobe. His self-portrait corroborates Vasari’s disdainful take on him as a fop, “caring for nothing so earnestly as for dressing in pompous fashion, wearing doublets of brocade, cloaks all adornedFIGURE 10.1 Sodoma, Abbey of Monteoliveto Maggiore, Saint Benedict Is Tempted by a Female Devil, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Gianantonio Bazzi, called “Il Sodoma”FIGURE 10.2187Sodoma, Monteoliveto, Miracle of the Colander, fresco, 1505–8.Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.with cloth of gold, the richest caps, necklaces, and other suchlike fripperies only fit for clowns and charlatans.” Here, as elsewhere, Vasari seems well informed about specific details of Sodoma’s life and work: his comment is supported by the abbey account books, which describe a garment much like the one Sodoma wears here, an embroidered gold cape listed among elaborate items of apparel as a form of payment from the monks, who had received it from a wealthy nobleman.14 The artist also surrounds himself with exotic animals, just as Vasari noted he liked to do: birds and two pet badgers. Sodoma’s sartorial tendencies and other biographical details connect him to a contemporaneous homosexual demimonde in ways that Vasari himself was perhaps unaware of, but which is well attested in social history of the period. His clothing, fondness for androgynous youths, and writing of satirical poetry are all behaviors then associated with sodomites as an identifiable group with its own recognizable customs. Research by Michael Rocke, Guido Ruggiero, and others into the prevalence of sodomy and the emergence of urban homosexual networks in early modern Italy has revealed that they were so widespread they can scarcely be called a “subculture.” As Rocke puts it, Bazzi’s brand of sexuality became “an increasingly common feature of the public scene and the collective mentality.”15 In Florence, a special sodomy court heard hundreds of casesannually until 1502; a substantial percentage of males passed through at some time in their lives.16 Hence “sodomy was . . . a common part of male experience that had widespread social ramifications.” Rocke notes that “this sexual practice was probably familiar at all levels of the social hierarchy” and among a wide range of professions.17 Among those occupations are the “beardless boys” whom Vasari blames for the artist’s nickname, probably his apprentices and workshop assistants. Artists’ studios being all-male, “the potential for homoerotic relations in such an environment was high,”18 and intimate, sometimes sexual relations between assistants or models and their masters are suggested by documents on artists from Donatello to Leonardo da Vinci and Botticelli. Closer to Sodoma’s time, the bisexual sculptor Benvenuto Cellini was taken to court by the mother of one apprentice for coercing him sexually.19 This common social pattern gives Sodoma’s behavior wider implications, since his actions were shared with countless other men. His wardrobe is the clearest exemplar of those erotic implications. Helmut Puff has documented the role of material culture in formulating and enacting sexual subcultures, and how extravagant clothing was a marker of effeminacy and sexual deviance. Exchange of rare and costly textiles or clothing could betoken homosexual relationships, either as gifts for love or payment for services.20 By the mid-fifteenth century, San Bernardino da Siena’s sermons thundered against boys’ receiving clothing and money for sex.21 Within the field of costume studies, which asserts “the centrality of clothes as the material establishers of identity itself,” clothing is understood as a set of materialized symbols with social functions and meanings. As Jones and Stallybrass have explored, clothes can either embody and reinforce submission to normative social roles (uniforms) or, when deployed in violation of sumptuary standards, mark the wearer as consciously rejecting those norms—as Sodoma did by appropriating the dress of an aristocrat.22 Thus, portraying himself in extravagant, coded finery was a subversive act of self-identification with a marginalized minority: in Andrew Ladis’s phrase, “a pose of arrant foppishness, as if the painter personified the very diabolical temptations of the f lesh that he painted and lived, not excluding what was commonly known as ‘the monastic vice’”23 —a revealing euphemism for sodomy. The artist gives freest play to erotic signifiers in the scene of St. Benedict welcoming two disciples, Saints Maurus and Placidus, amid the wealthy youths’ retinue and onlookers24 (Figure 10.3). While the disciples are modestly clothed and posed, both the epicene youth on the center axis and the African groom at right are shown da tergo, Italian for a rear view that spotlights the buttocks. The central youth and his mirror image at far left are boyish androgynes, embodying the predominant pattern of pederasty, in which mature men sought stillfeminine adolescents for anal intercourse. Thus, some viewers, at least, would have appreciated the erotic implications of the motif.25Gianantonio Bazzi, called “Il Sodoma”Sodoma, Monteoliveto, St. Benedict welcomes Sts. Maurus and Placidus, fresco, 1505–8.FIGURE 10.3Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.Reinforcing this erotic interpretation, the two youthful onlookers at center and left also sport versions of Sodoma’s own elaborate clothing, as does the groom to the right of center. They f launt the styles associated with homosexual seduction: tight multicolored stockings, long hair, and extravagant fringes, hats, and colors.26 Such clothing had long been associated with sodomites; Alainof Lille’s De planctu naturae (ca. 1160) lamented that these men “over-feminise themselves with womanish adornments.”27 San Bernardino da Siena inveighed against parents who let their sons wear short doublets and “stockings with a little piece in front and one in back, so that they show a lot of f lesh for the sodomites,” resulting in such an appealing adolescent always “having the sodomite on his tail.”28 These suggestive details may have been projections of Sodoma’s erotic mindset, but it is highly likely that they resonated with some of the monks who were his primary audience. Shifting our focus from the artist, we should also examine the mental world of his viewers. Reception theory or spectator theory asks not what did the artist put into the work, but, rather, what did the audience take out of it? What interests, beliefs, or habits of seeing did his audience have, and how did that subject-position influence their reading of his messages? As Adrian Randolph observed regarding the reception of Donatello’s homoerotic bronze David, an artwork can function as “a receptacle for the beholder’s imaginative concerns.” His and other studies have explored how reception of religious art was determined by the viewers’ gender, particularly in convents, where nuns often specified subjects relevant to their experience; these insights can be extended to male religious and to sexuality as well as gender.29 Sodoma’s audience here was exclusively male clergy, proverbially stereotyped as sodomitical.30 Temptations were exacerbated by the enforced closeness of clerical living arrangements: several scenes depicting Benedict and his monks highlight their day-to-day intimacies both emotional and physical.31 To head off such dangers, the rules of the order specified that no brother is permitted to enter the cell of another without permission of the abbot or a prior; if this is permitted, they may not remain together in the cell with the door closed. And no monk may touch another in any way . . . A light was to burn all night in the dormitory area and latrine, presumably to prevent secret trysts under cover of darkness.32 Such precautions were not entirely effective, as a few visual examples attest. A near-contemporary satirical painted plate depicts a monk pointing to a youth’s bare bottom; the caption explains, “I am a monk, I act like a rabbit” (Figure 10.4)—then, as now, a symbol of tireless sexuality, particularly homosexuality.33 A Flemish print depicts a 1559 event in Bruges in which three monks were burned at the stake for “sodomitical godlessness.”34 These starkly contrasting examples dramatize the contradictory culture within the religious world: male–male sex was acknowledged, though officially taboo and sometimes severely punished, yet often tolerated and even laughed about. Outside monastery walls, free from Church proscriptions, Sodoma found more overt opportunities to celebrate such love.FIGURE 10.4 Majolica plate, attributed to Master C.I., ca. 1510–20. Musée national de la Renaissance, Écouen, France.Photo credit: ©RMN-Grand Palais/Art Resource, NY.Secular subjects Sodoma illustrated secular subjects for private patrons and domestic settings. His most career-boosting painting depicted the Roman heroine Lucretia, whose suicide to preserve family honor after she was raped symbolized the ideal of married women’s honorable chastity; gifted to Pope Leo X, it earned the artist a papal knighthood.35 When the opportunity arose, however, as with sacred images, hepaid unusual attention to the homoerotic elements of myth and history, which offered explicit exemplars of male devotion and passion. And the audience for his best-known classical project, a fresco cycle for the papal banker Agostino Chigi, was the sophisticated, libertine Roman society who were as likely to share his sexual interests and habits of spectatorship as were the monks at Monteoliveto.36 In 1516–17, Chigi commissioned Sodoma to decorate the bedroom of his villa, now called the Farnesina. The wealthy financier’s love nest, shared with his mistress Francesca Ordeaschi, offers a revealing microcosm of the hedonistic, tolerant atmosphere of High Renaissance Rome, where even popes had mistresses and bastards, and humanist classical culture provided justification for libertine bisexuality all’antica.37 Numerous rooms were painted with erotic myths both heterosexual and homosexual.38 Given Chigi’s personality and interests, Sodoma was a sympathetic addition to his creative team. Although Sodoma married in 1510, his nickname was public knowledge by 1513, when he registered as “Sodoma” in a list of racehorse owners, and two years later had the heralds call that name. After describing our artist’s clothes, manners, and mocking spirit, including the racing incident, Vasari reports that “in [these] things Agostino, who liked the man’s humour, found the greatest amusement in the world.” The appreciative patron requested episodes from the life of Alexander the Great, historically implied as bisexual.39 The principal scene recreates a lost Greek painting of Alexander’s marriage to Roxana, known through an ancient ekphrasis—a classicizing tribute to Chigi and his beloved40 (Figure 10.5). The emperor proffers a marriage crown to the princess, while putti cavort in playful eroticism. To the right stand two idealized men: nude Hymen, god of marriage, and torch-bearing Hephaestion, Alexander’s intimate companion and, in some accounts, lover. Both figures are based on a well-known Greek statue, the Apollo Belvedere, depicting the most vigorously bisexual of the gods.41 While principally a heterosexual scene, then, the picture’s sub-theme is nude male beauty and the passion Hephaestion represents. Sodoma’s audience was predisposed to appreciate this story’s erotic duality. Many patrons and viewers had bisexual or homosexual desires; an anecdote in Castiglione’s Book of the Courtier (ca. 1514) reports that “Rome has as many sodomites as the meadows have lambs.” The erotic tone among these clerics, aristocrats, artists, and writers was light-hearted; while sodomy was outlawed, enforcement was spotty and penalties light.42 Eyewitness testimony for “queer visuality” at the Farnesina comes from raunchy bisexual author Pietro Aretino, who spent time there while Sodoma was painting. Aretino recorded an ancient statue of a satyr chasing a boy, an explicit complement to the loftier male love in Sodoma’s fresco. He wrote to Sodoma twenty-five years later, expressing nostalgia for their shared youth, and wishing that “we were embracing each other now with that warm feeling of love with which we used to embrace when we were enjoying Agostino Chigi’s home so much.”43 One glimpses the atmosphere of an affectionately demonstrative, pansexual pleasure-palace. Like the life it looked out upon, Sodoma’s picture is a mélange of sexualities, with intimacy between men given “equal time.”FIGURE 10.5 Sodoma, The Marriage of Alexander and Roxana, Villa Farnesina, Rome, fresco, 1517–19.Photo credit: Scala/Art Resource, NY.Further evidence for the casual attitude toward homosexuality—Sodoma’s in particular—is a set of epigrammatic couplets published in 1517 by Eurialo d’Ascoli, a poet in the circles around Chigi, Aretino, and Leo X, bluntly informing his readers that “Sodoma is a pederast.” The poem celebrates Sodoma’s painting of Lucretia, which earned his knighthood; only the final verses turn comic. Having praised the artist for verisimilitude that brings Lucretia back from the dead, Eurialo imagines her interpreting this miracle as an opportunity to convert the artist sexually. The narrator then asks her his own facetious question, implying that as a sodomite the artist would not normally be inspired by female subjects: Now beautiful Venus grants me the nourishment of light breezes [i.e., earthly life], So that I can reclaim you, Sodoma, from tender youths. Sodoma is a pederast; why then, Lucretia, did he make you So lifelike? He has our buttocks instead of Ganymede. Nunc mihi pulchra Venus tenui dat vescier aura, Ut revocem a teneris, Sodoma, te pueris. Sodoma paedico est; cur te Lucretia vivam Fecit? Habet nostras pro Ganimede nates.44Sodoma’s knighthood was cited by whitewashing early scholars as proof that the artist could not have been homosexual, since such sins would have disqualified him from religious honors.45 But here we see again how casually this milieu treated sexual transgressions. The fabulously wealthy Chigi married Ordeaschi in 1519, and Leo X—himself a reputed sodomite who, Vasari records, “took pleasure in eccentric and light-hearted figures of fun such as [Sodoma] was”— legitimized their four children.46 Worldly success was hardly evidence against impropriety. Eurialo’s couplets recall Vasari’s statement about Sodoma’s nickname that “he used to glory [in it], writing about it songs and verses in terza rima, and singing them to the lute.” As with clothing, Sodoma was participating in another cultural tradition that linked artists, writers, and readers of non-normative sexuality in a web of self-expression. Bawdy burlesque poetry treated all sexuality with lighthearted comedy; Sodoma’s texts have not survived, but we can garner some sense of their contents and tone from verses by contemporaries. What Deborah Parker labels “a poetry of transgression,” full of sexual innuendo and whimsical exaggeration, circulated in manuscript, public readings, and print.47 The father of burlesque poetry, Francesco Berni, was banished from Rome in 1523 for too openly mourning a young male lover.48 The genre became popular among visual artists eager to establish their intellectual credentials through writing, including such homosexuals or bisexuals as Michelangelo, Bronzino, and Cellini.49 Sodoma’s personality chimed perfectly with the genre’s subversive insolence. Bronzino’s capitolo “In Praise of the Galleys,” for example, unashamedly eroticizes the all-male world of oarsmen on ships, muscular and sweaty males confined in close quarters where sex among themselves was the only outlet: here “boiled and roasted meats are hardly ever mixed,” a common metaphor for vaginal (wet) versus anal (dry) sex. Berni, expanding on the trope that priests are sodomites, declares that their example is infecting monks, using a fruity symbol for boys’ buttocks: Peaches were for a long time food for prelates, But since everyone likes a good meal, Even friars, who fast and pray, Crave for peaches today. Le pesche eran già cibo da prelati, Ma, perché ad ognun piace i buon bocconi, Voglion oggi le pesche insin ai frati, Che fanno l’astinenzie e l’orazioni.50 The sardonic, guilt-free humor of such texts suggests, as Domenico Zanrè describes, “a marginal undercurrent operating within an official cultural environment,” and demonstrates that “certain individuals were able to produce alternative literary responses within a dominant . . . milieu that attempted to contain and, insome cases, exclude them.”51 An incident around 1530 corroborates Sodoma’s own refusal to accept derogatory comments from authority: when a Spanish soldier insulted him, the artist got revenge by drawing his portrait and identifying him to his superiors.52 San Bernardino was furious precisely because so many sodomites seemed unrepentant and unafraid of divine judgment. What enraged him and Vasari was not these men’s behavior alone, but the quality Italians call faccia tosta—“cheek” or “a big mouth”—refusal to give even lip service to official mores.53 The burlesque mode evinces the first buds of an oppositional response to social disapproval: a selfaware articulation of outsider status, and an emerging rebellion against social convention that opened a space, however narrow, for asserting alternative consciousness and self-affirming values.54 Greco-Roman texts and images served Sodoma, like other homosexual artists and patrons from Michelangelo to Caravaggio, as validation for their all’antica desires and pretexts for visualizing male beauty and eros.55 Within educated elites, a tolerant, classically inspired hedonism held its own against legal and clerical taboos until late in Sodoma’s lifetime, when the Council of Trent began its anticlassical reform (1545). In this libertine culture, an artist widely known for sexual nonconformity was able to smilingly adopt a derogatory nickname as a public identity and even f launt his sexual interests in word and image, with little harm to his string of major commissions and honors.Later religious works Sodoma’s late commissions were predominantly religious. As at Monteoliveto, these images emphasize the erotic appeal of figures who are nominally not sexual: saints, angels, and soldiers. Whereas at the monastery it was possible to analyze the reactions of a specific clerical audience, commissions for more public locations could be viewed by the whole cross-section of society, some proportion of which, as outlined earlier, would have understood and welcomed homoerotic allusion. As Patricia Simons has explained, “Renaissance imagery might appear to condemn non-normative sex . . ., but it was possible for viewers to take works in other, imaginative directions.”56 Sodoma’s best-known work, depicting Saint Sebastian (1525), epitomizes his typical traits: androgynous classicizing male beauty, emotional pathos and sensuous chiaroscuro (Figure 10.6).57 Iconographically, it offers a prime example of his sensitive antennae for elements of religious narrative with specialized appeal. Sebastian was a Roman soldier who refused to renounce Christianity, for which Emperor Diocletian, despite their intimate personal relationship, ordered him shot by archers. Saint Ambrose’s hagiography establishes their strong emotional bond, open to erotic interpretation: he notes that Sebastian was “greatly loved” by Diocletian and his co-emperor Maximian (intantum carus erat Imperitoribus).58 Sodoma paints a virtually nude, Apollo-like Sebastian with blood trickling from several wounds. He looks longingly at the angel bringing a martyr’s crown—his reward for loving sacrifice to God—with an expression that couldFIGURE 10.6Sodoma, Saint Sebastian, processional banner, Pitti Palace, Florence,1525. Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.equally connote divine or earthly ecstasy. While his bond with the emperor offered a secular hint at Sebastian’s sexual inclinations, the implied passion between Sebastian and the godhead is a more important, and universal, emotional dynamic, with a profound yet ambivalent homoerotic subtext. For all Christians, intense, loving union with Christ was the ultimate spiritual goal; for men, however, exhortation to the symbolically feminine ideal of passive, ecstatic submission to another male raised the specter of sodomy. The phallic arrows piercing Sebastian evoke sexual penetration, a symbol of the saint’s necessary, but problematic, feminization;59 they also recall Cupid’s love-inducing shafts, multiplying the signals for an erotic response. Cinquecento image-makers were expected to encourage such a passionate response because, as Simons observes in relation to Christ, for Sebastian too “the visualization of supreme beauty was necessary in order to induce reverence.”60 Theoretically, religious images could function on these two levels simultaneously, without contradiction: the lure of physical beauty would hopefully lead the viewer to a higher spiritual adoration. In practice, however, it was difficult to police the borders between earthly and heavenly passion. We know that Sebastian’s beauty was experienced as problematically titillating by at least one sex: the Florentine artist-monk Fra Bartolommeo painted a nude image of the saint so appealing that female parishioners admitted in confession that it stimulated carnal thoughts, after which it was taken down.61 It was just such temptations that the Council of Trent acknowledged when it set out to purge church imagery of eroticism. So, it is not difficult to imagine that men, as well as women, were attracted to Sodoma’s provocative Sebastian in the physical sense.62 The “seeming contradictions of deliberately evoking erotic desire in religious painting” have been parsed by Jill Burke, who sees in this practice “a deep and knowing ambivalence toward sexuality” that signals “a huge variance between official rhetoric and widely accepted practice.”63 By including formal and iconographic cues to a homoerotic response, Sodoma could appeal to men who, like himself, experienced love and desire in male terms. Like extravagant dress and burlesque poetry, pictorial ambiguity opened another narrow cultural space for expressing alternative sexuality.Historiography: a modest proposal This essay has aimed to demonstrate three propositions: that Sodoma was known for, and acknowledged, desire for men; that his work evinces a distinctive mode of seeing and representing that expresses that erotic inclination; and that contemporaneous audiences would have appreciated that sensibility. As Ruggiero asserts, It is no longer possible to ignore the general shared culture of the erotic and its omnipresence in daily exchange, nor is it possible to overlook the particular subcultures that coexisted at the time and that were such a central part of daily life.64Without claiming anachronistically that this evidence establishes anything so coherent and exclusive as a modern “gay identity,” I submit that these emerging networks and customs, alongside visual and literary production on homosexual themes, constitute early shoots of an alternative sexual consciousness that would reach critical mass only during the Enlightenment. I accept the historiographic formulation of the Renaissance as “early modern,” which stresses continuities from that culture into the modern era, presupposing a model of cultural change that is gradual and evolutionary rather than abrupt and discontinuous. To quote Reed again, “If modern ideas of sexual identity and artistic self-expression cannot be simply mapped onto the Renaissance . . . it is nevertheless true that these notions have Renaissance roots.”65 However, to seek the “roots” of anything “modern” in anything “past” has become problematic since the advent of postmodern theory. There are now, as Reed observes, “wildly varying interpretations of Renaissance art’s relationship to homosexuality”66 —more broadly, of relationships among desire, behavior, identity, and self-expression. To social constructionists, the search for glimmers of an alternative, proto-modern awareness in Sodoma’s ambiente is misguided. There can be no transhistorical connections between sexual actors in different periods, because sexual identity is not innate or fixed; rather, it is created through social discourses that define and control sexuality, an unstable product of external forces acting on the passive individual. There were no homosexual persons, only homosexual acts. Puff ’s formulation: “Sodomy was not thought of as a lifelong orientation, let alone a social identity,” is echoed by Reed’s: “[S]exual behavior in Renaissance Italy was not seen as a basis for individual identity.”67 This school coined the term “essentialist” to disparage earlier researchers who, from Symonds to John Boswell, saw sufficient commonality with those in earlier times who desired other men to justify searching the Middle Ages and Renaissance for branches of a sexual family tree dating back before 1867 (when “homosexual” was coined). Without accepting all the methodological baggage identified with an often over-simplified “essentialism,” one can still maintain that someone calling himself “Mr. Sodomite” seems a prime excavation site for evidence of such genealogical links, since his name rendered his erotic proclivity a “lifelong social identity.” Like a genetic mutation that may crop up in random individuals, and only gradually spread across a species’ gene pool, Sodoma constituted an irruption of anomalous possibilities that, while not yet fully articulated, began to diffuse new forms of sexual identity and self-expression that increased over the next several centuries. These methodological disagreements center on two questions: one external and sociological, the cultural categorization of homosexual behavior; the other internal and psychological, the conscious experience of individuals who desired other men and their degree of agency within a hostile official discourse. There was clearly a dominant conceptual structure of canon and civil law that confined homosexuality to taboo acts that might potentially tempt anyone, within whichour modern notion of inherent sexual “orientations” was not officially recognized. Just as clearly, however, no culture is monolithic, and a complex of alternatives operated alongside these formal structures. As we have seen, the elements of this quasi-underworld were in place by the sixteenth century: meeting places, distinctive behaviors, and cultural expressions.68 As Ruggiero has outlined, such “illicit worlds had their own coherent discourse,”69 which viewed male–male sexuality as an amusing peccadillo; suggested that some individuals were drawn to it by distinctive character traits; and expressed awareness of (and resistance to) the gap between official values and their own experience. The solution to this impasse lies in moving beyond an “either–or” cultural analysis to a “both–and” approach. Instead of setting arbitrarily precise boundaries to ever-shifting conceptions of sexuality, it would more accurately ref lect Sodoma’s transitional environment to acknowledge the temporal overlapping of contrasting systems of thought and behavior, and to explore the realities of those who negotiated the dialectic between them. Two tendencies in current scholarship, however, militate against such open-ended rapprochement. The first is reluctance to accept evidence for alternative sexual consciousness; the second is ascribing to cultural discourses an unrealistic power over against embodied experience. What follows is part summary, part personal statement: a roadmap out of an increasingly pointless stalemate, and a brief for greater attention to the lived experience of men-who-had-sex-with-men and its genealogical links to later generations. Two principal examples of the discord over what “counts” as evidence of sexual desire and identity are the tendency to downplay or deny evidence for Sodoma’s sexuality, and the disregard of alternative language imputing distinct personality to sodomites. First, the present examination of how Sodoma expressed his homoerotic desires depends on establishing that his nickname was in fact a marker of his sexuality, which raises the question: how reliable is Vasari? Unfortunately, as Paul Barolsky notes, “How we read Vasari depends on our sensibility and taste. We all ride our own hobbyhorses.” 70 Since the Victorians, homophobic scholars have attempted to discredit Vasari and defend a respected Old Master against any implication of immorality in “his evil-sounding sobriquet.” 71 Efforts to give it a non-sexual meaning are highly speculative: Enzo Carli supposes the nickname was simply Bazzi’s own little joke, “with which . . . he loved to glorify himself facetiously,” but it strains credibility that a heterosexual man would consider a false claim of deviancy “glorifying.” 72 When such dismissals are echoed by queer-studies scholars, the hobby-horse is epistemological caution rather than morality, but the effect is the same: to erase facets of queer history that conf lict with a higher belief—that homosexuality did not (yet) exist.73 We do have to read Vasari cautiously: despite the author’s claims, Sodoma’s wife never left him, nor did he die poor.74 Because few details in Vasari’s psychological profile are confirmed by other sources, postmodern skepticism insists that any statement not independently documented is probably false. But Vasariis generally most informed about artists close to his own time, many of his artistic facts are documentable, and details in the Vite of Sodoma and Beccafumi indicate that he visited Siena, saw artworks, and interviewed informed sources. Moreover, his characterization of Sodoma as capricious, insolent, and sodomitical is corroborated by three period sources: Eurialo d’Ascoli’s couplets, Paolo Giovio’s life of Raphael (“a perverse and unstable mind bordering on madness”), and Armenini’s account of Sodoma’s revenge for an insult.75 Thus, this essay has followed a less restrictive approach, accepting any statement that is not contradicted by external sources as possible and perhaps likely. All historical reconstructions involve judgments of probabilities; giving one’s sources “the benefit of the doubt” can make up for any loss of positivistic certainty with gains in breadth, depth, and detail. Secondly, there is linguistic evidence that particular psychological traits were becoming attached to habitual sodomites; but this suggestive vocabulary is often brushed aside to “save the phenomenon” of an episteme of acts, not personalities. I agree with Simons that “both categorical approaches are problematic.” A more subtle, inclusive view is adumbrated by Robert Mills, who demonstrates that the juridical focus on potentially universal acts was in tension with moral, Church perspectives which also sought to make an identity of the sodomite . . . by characterizing sodomy as a more enduring kind of practice, a vice for which one had a particular disposition, tendency or taste. . . . [S]uch perspectives developed unevenly, over long periods of time, [but there are] signs that some medieval thinkers . . . wished to pin the sin down to particular bodies and selves.76 Examples of how “Sodoma” might thus denote an individual with an inborn sexual preference include one of Matteo Bandello’s humorous tales (novelle), ca. 1540, in which the dying Porcellio, pressed by his confessor to admit that he performed acts “against nature,” claims to misunderstand the question because, he says, “to divert myself with boys is more natural to me than eating and drinking.” 77 Similarly, Giordano Bruno’s Spaccio della bestia triunfante (1584) praises Socrates for resisting “la sua natural inclinatione al sporco amor di gargioni” (his natural inclination toward the filthy love of boys).78 Dall’Orto has surveyed numerous Renaissance Italian terms for those who commit homosexual acts, notably inclinazione, which implies “leaning” in a particular direction.79 Similar spadework for the French cognate inclination has been performed by Domna Stanton, while numerous other French and English tropes, such as “masculine love,” have been catalogued by Joseph Cady.80 Language was clearly emerging at this point articulating distinctive traits among those drawn to sodomy: not yet an “identity” in the modern sense, but a critical shift toward notions of internal difference. If postmodernism underplays evidence of sexual self-awareness, it conversely overestimates the power of discourse, unduly minimizing individual agencyand the imperatives of the embodied self. The ability of collective discourse to enforce social norms is never absolute. It engages in perpetual dialectic with the potentially anarchic desires of society’s diverse individual members, a situation in which “lived eroticism did not always conform to the rules of social hierarchy,”81 from Romeo and Juliet to Sodoma and his apprentices. This ineluctable tension arises because discourse is inculcated into the mind, whereas sexual desire is grounded in parts of the biological organism less susceptible to rational suasion. Embodied experience is transhistorical: lust, like hunger, pre-exists cultural conditioning, and “the recalcitrant realities of human conduct”82 are insistent enough when unsatisfied to overcome any social convention. This essay has marshalled evidence that Sodoma, and his contemporaries with similar inclinations, felt a dissonance between their desires and the dictates of society, and they possessed sufficient agency to imagine alternative values—what Walter Pater viewed as a signal Renaissance development, a “liberty of the heart” that enabled nonconformists to move “beyond the prescribed limits of that system.”83 Individual bodies are not mere passive receptacles for an overpowering discourse “poured into” them, but are capable of awareness of that effort at marginalization, and of active resistance. The ultimate question lying behind such methodological differences is: why do we do queer history? Here again, divergent answers ride different hobbyhorses: postmodernists focus on epistemology, while those open to historical continuity are more interested in phenomenology. The former philosophize, “How and what can we know about Renaissance sexuality?” answering that we can comprehend little about a shifting discourse in which “sexuality” did not exist; the latter psychoanalyze, “How did it feel for sexual outsiders to negotiate this social regime?,” and seek clues in intimations of difference in life, language, and art. While the former stress chronological discontinuity, the latter seek a “usable past,” a narrative that produces affinities and resonances across time. The latter project is inherently political: as George Chauncey characterizes emerging queer studies in the late nineteenth century, claiming certain historical figures was important to gay men not only because it validated their own homosexuality, but because it linked them to others. . . . This was a central purpose of the project of gay historical reclamation.  .  . . By constructing historical traditions of their own, gay men defined themselves as a distinct community.84 Put another way, this school, and this essay, seek to recover evidence of homosexual desire and expression—however fragmentary, ambiguous, and carefully historicized—to counter centuries of suppression, and it seems ironic when social constructionism abets the same historical erasure. A final image, recently attributed to Sodoma, provides an enigmatic but tantalizing coda to this discussion85 (Figure 10.7). His hair garlanded with leaves, beard and brows untamed, “Allegorical Man” leers like a satyr while his rightJames M. SaslowFIGURE 10.7Sodoma (attributed), Allegorical Man, ca. 1547–8, oil, Accademia Carrara,Bergamo. Photo credit: Scala/Ministero per i Beni e le Attività Culturali/Art Resource, NY.hand makes the contemptuous gesture of “the fig,” an insult that, since Martial’s Epigrams (2:28), can imply that the receiver is a sodomite. The picture’s precise iconography remains unexplored; Radini Tedeschi suggests the gesture alludes to Sodoma’s nickname, and the picture may thus be a final self-portrait, literally or symbolically. If so, it contrasts poignantly with the artist’s first self-portraitforty years earlier ( Figure 10.2). Once young and beardless, his foppishness a silent assertion of nonconformity, he has aged to a still elaborately costumed but more overtly defiant graybeard, telling the world in gesture what his burlesque poems expressed in words: I am what I am, I’ve survived your derision, and I still don’t care what you think. Admittedly, this interpretation remains speculative, but it would effectively bookend the scenario of Sodoma’s life and work presented here. Our ability to entertain such a hypothesis depends, however, on more than attribution and iconography. The potential to recover the self-expression of creative Renaissance sodomites also requires a polyvalent openness to a range of both personal and cultural evidence and interpretive methods. Hearteningly, many seminal postmodern theorists are more accepting of multiplicity than their acolytes. Foucault praised Boswell’s conception of “gay,” while Carla Freccero deploys Foucault’s own theoretics against his discontinuity between early modern and modern sexuality. She approvingly cites David Halperin’s suggestion that we supplement rigidly compartmentalized ideas of identity with concepts of “partial identity, emerging identity, transient identity, semi-identity . . .,” the better to “indicate the multiplicity of possible historical connections between sex and identity.”86 Murray reassures us that “the alternative to intellectual conformity is not a lack of coherence but rather a series of interwoven, complementary . . . approaches.”87 Perhaps the most balanced and inspiring methodological f lag has been raised by Valerie Traub, who recalls that, while seeking traces of early modern same-sex eros, she assumed “neither that we will find in the past a mirror image of ourselves nor that the past is so utterly alien that we will find nothing usable in its fragmentary traces.”88 I have sought in Sodoma not a mirror-image, but a family resemblance. He is “usable” as our ancestor: someone with whom we share an identifiable lineage of desire and self-expression, in whose uniquely chronicled creative life we can recapture the origins of an increasingly prominent familial trait.Notes1 2 3 4 5This essay grew from a paper delivered at a 2007 conference at University of Toronto organized by Konrad Eisenbichler. Thanks to Patricia Simons for her constructive suggestions. Vasari, Le vite, 6: 380; Vasari, Lives, 7: 246. Vasari repeats these accusations in his Vita of Domenico Beccafumi, ed. Milanesi, 5: 634–35. Vasari, Le vite, 6: 382; Vasari, Lives, 7: 247. Vasari, Le vite, 6: 381; Vasari, Lives, 7: 246. Vasari, Le vite, 6: 389–90; Vasari, Lives, 7: 251, records the old men’s protest; for documents for the 1513 and 1515 races, see 6: 389 n. 3, 390 n. 1; Bartalini and Zombardo, Giovanni Antonio Bazzi, 44–45, nos. 15–19. A note on terminology: I use “homosexual” throughout in the narrow descriptive sense, to refer to sexual desire or behavior between persons of the same sex. Although modern audiences read “homosexual” with broader connotations of psychology and identity, here it is only shorthand for “male–male sex.” In modern typology, Sodoma would be considered bisexual, since he was also married and a father.6 Vasari, Le vite, 6: 379; Vasari, Lives, 7: 245. The artist did not die destitute or insane: see below, n. 74. 7 Fisher, “A Hundred Years,” 13–39, outlines the activist project of research into Renaissance homosexuality since the nineteenth century. 8 For an overview of this position, see Grantham Turner, “Introduction,” 8, n. 3. 9 Reed, Art and Homosexuality, 54–55. 10 Bartalini, “Sodoma.” 11 The standard English monograph remains Hayum, Giovanni Antonio Bazzi; for Monteoliveto see 93, cat. no. 4. See further on the abbey Radini Tedeschi, Sodoma, 138–47; Batistini, Il Sodoma; documents in Bartalini and Zombardo, Fonti, 15–31, no. 7. 12 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 93, no. 4.8; Batistini, Il Sodoma, no. 8. The incident is recorded by Gregory the Great, Life of St. Benedict, chap. 2. 13 Only a few illustrations of this subject are known: both a fresco by Spinello Aretino (San Miniato, Florence) ca. 1387 and a panel by Ambrogio di Stefano Bergognone, ca. 1490, show a pale, unidealized body among prominent briars. A sexual reading of the series is supported by Kiely, Blessed and Beautiful, chap. 7, “Sodoma’s St. Benedict: Out in the Cloister.” 14 Vasari, Le vite, 6: 383; Vasari, Lives, 7: 248, for the quote and cloak. The gift, along with other payments of fabrics and clothing, is transcribed by Bartalini and Zombardo, Fonti, 18–19, 266. See also Radini Tedeschi, Sodoma, 78–80. 15 Rocke, “The Ambivalence,” 57. 16 Rocke, Forbidden Friendships, 3–6; his book provides extensive data and analysis of fifteenth-century Florence. On sodomy elsewhere, see Ruggiero, The Boundaries of Eros; Crompton, Homosexuality and Civilization, chap. 9; Mormando, The Preacher’s Demons. For a Europe-wide perspective, see Crompton, Homosexuality and Civilization, chaps. 10–12; Puff, “Early Modern Europe,” 79–102. 17 Rocke, Forbidden Friendships, 112, 134. 18 Simons, “The Sex of Artists,” 81. 19 Rocke, Forbidden Friendships, 163; Crompton, Homosexuality and Civilization, 262–69. 20 Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 251–72. 21 Bernardino da Siena, Le prediche volgari, ed. Pietro Bargellini (Milan: Rizzoli, 1936), 796–97, 898, cited and discussed in Dall’Orto, “La fenice,” 5, and n. 27 and n. 28. See also Rocke, “Sodomites.” 22 Jones and Stallybrass, Renaissance Clothing, 2–7. 23 Ladis, Victims, 109. 24 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 94, no. 12. 25 On anal sex as social practice and artistic motif, see Saslow, Ganymede, chaps. 2–3; Rubin, “‘Che è di questo culazzino!’”; Grantham Turner, Eros Visible, 274–99. Sodoma’s Deposition, ca. 1510, similarly spotlights the rear view of a soldier: Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 117, no. 7. Other artists emphasized rear views, often motivated by the formalintellectual challenge of the paragone: Summers, “‘Figure come fratelli.’” When we have evidence of an artist’s sexual proclivities, as with Sodoma, it is reasonable to explore whether he imbued the motif with personal erotic interest; lacking such evidence, however, we cannot know which other artists might have done the same. Regardless of artistic intent, similar stimuli would invite similar audience responses. 26 Similar figures appear in scenes no. 1, 30, and 36 as catalogued by Batistini (Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 93–4, nos. 1, 20, 26). 27 Alain of Lille, The Plaint of Nature, trans. James Sheridan (Toronto: Pontifical Institute, 1980), 187, cited in Puff, “The Sodomite’s Clothes,” 260. 28 Bernardino, as quoted by Rocke, “Sodomites,” 12, 15; cited in Simons, The Sex of Men, 99. 29 Randolph, Engaging Symbols, 151, chap. 4. For nuns, see Hayum, “A Renaissance Audience”; for both sexes, Hiller, Gendered Perceptions. 30 On the prevalence of clerical sodomy see Boswell, Christianity, Social Tolerance; Mills, Seeing Sodomy, chap. 4; Rocke, Forbidden Friendships, 136–37. See also Parker, Bronzino, 37: “burlesque poets tended to present clerics as sodomites.”31 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 93–94, nos. 4.13, 4.14, 4.21; Batistini, Il Sodoma, nos. 13, 14, 31 (illns. 59, 60, 68). 32 The regulations are in the monastery’s fourteenth- and fifteenth-century chronicle: Regardez le rocher, 182–83, 418–19 (my translation). 33 Illustrated and discussed in Saslow, Pictures and Passions, 103–04. 34 Frans Hogenberg, Execution for Sodomitical Godlessness in Bruges, 1578; illustrated in Crompton, Homosexuality and Civilization, 327. 35 Vasari, Le vite, 6: 387; Vasari, Lives, 7: 250. 36 On the city’s licentious paganism, see Bartalini, Le occasioni, 39–86. 37 Rowland, "Render unto Caesar.” 38 Other homoerotic images are in the Sala di Psiche, where Ganymede appears twice, and one spandrel depicts Jupiter kissing Cupid; Saslow, Ganymede in the Renaissance, 135–40; Turner, Eros Visible, 109–33. 39 Vasari, Le vite, 6: 384–88; Vasari, Lives, 7: 248–50. Alexander and Hephaestion’s love is alluded to by Aelian, Various History, 12: 7, and other ancient authors. 40 Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 164–77, no. 20; Bartalini, Le occasioni, 78–81; Radini Tedeschi, Sodoma, 193–94, no. 56. 41 On Sodoma’s use of classical sources and gender ambiguity see Smith, “Queer Fragments.” 42 Baldassare Castiglione, The Book of the Courtier, book 2, chap. 61. On the sexual tone in Rome, see Crompton, Homosexuality and Civilization, 269–90; Talvacchia, Taking Positions. Leo X’s Rome also associated sartorial effeminacy with homosexuality: pasquinades mocked Cardinal Ercole Rangone and sodomite friends for “going around disguised as nymphs”: Burke, “Sex and Spirituality,” 491. 43 Aretino, Lettere sull’arte, vol. 1, no. 68 (1537), vol. 2, no. 244 (1545); Aretino, The Letters, 123–25, no. 58. Other sources record a sculpted Antinous, Hadrian’s lover: Bartalini, Le occasioni, 73–75. 44 d’Ascoli, Epigrammatum, 11v–12r; Bartalini and Zombardo, Fonti, 64–67, no. 29; Radini Tedeschi, Sodoma, 71–72. 45 Ibid., 23. 46 Vasari, Le vite, 6: 386–88; Vasari, Lives, 7: 250. On Leo’s sodomitical reputation see Giovio’s biography, in Le vite di dicenove, 141v–142v. 47 Parker, Bronzino, chap. 1; Parker, “Towards;” Rocke, Forbidden Friendships, 3–5; Tonozzi, “Queering Francesco”; Zanrè, Cultural Non-conformity, chap. 3. 48 Tonozzi, “Queering Francesco,” 589–91. 49 On these artist-authors see Parker, Bronzino; The Poetry of Michelangelo; Gallucci, Benvenuto Cellini. 50 Fisher, “Peaches and Figs,” 158–59. 51 Zanrè, Cultural Non-conformity, 1-2. 52 Armenini, De’ veri precetti, 42–43; Vasari, Le vite, 6: 393; Bartalini, Le occasioni, 17. 53 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 71-72, quoting Bernardino, in Le prediche volgari, ed. C. Cannarozzi (Pistoia: Pacinotti, 1934), 277. A document dated 1531, purportedly Sodoma’s tax declaration, is even more insolent, signed with a sexual vulgarity; Bartalini and Zombardo, Fonti, 131–33, 281–92. While now considered a seventeenth-century forgery, it demonstrates that a “legend” about Sodoma’s sexual brazenness persisted after his death. 54 See Milner, “Introduction.” 55 Sodoma depicted anther homoerotic myth distinctively: his Fall of Phaeton is almost unique in including Phaeton’s cousin Cycnus, with whom literary sources imply a loving relationship (Hayum, 135, no. 12). Suggestively, the only other artist to include Cycnus was Michelangelo. 56 Simons, “European Art,” 135. 57 Vasari, Le vite, 6: 390; Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 191, no. 24; Radini Tedeschi, Sodoma, 211–12, no. 73. 58 Acta sanctorum, 2: 629, 20 Januarii; Jacopo da Voragine’s thirteenth-century Golden Legend repeats this phrase (s.v. “St. Sebastian”).59 On arrow symbolism, including homoerotic potential, see Cox-Rearick, “A ‘Saint Sebastian,’” 160–61. 60 Simons, “Homosociality,” 38. 61 Vasari, Vita of Fra Bartolommeo. For additional complaints about sexualized Sebastians, see Bohde, “Ein Heiliger,” 86, n. 18. 62 Sodoma’s later depictions of Sebastian evoke the same erotic subtext. In his Madonna and Child with Saints, ca. 1541–44 (Hayum, Giovanni Antonio Bazzi, 257, no. 43), Sebastian stares at Jesus, who toys with the saint’s arrow—a phallic detail seen in no other image. Similarly unique is Sodoma’s Resurrection, 1535 (Hayum, 235, no. 33) in depicting the angels as nude putti. 63 Burke, “Sex and Spirituality,” 488–92. 64 Ruggiero, “Introduction,” 2. 65 Reed, Art and Homosexuality, 43. 66 Ibid., 47. 67 Ibid., 43; Puff, “Early Modern Europe,” 84–85. 68 On this alternative culture in various cities see Puff, “Early Modern Europe,” 87; Ruggiero, “Marriage,” 23–26; Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 61–64, 79. 69 Ruggiero, “Marriage, Love,” 11. 70 Paul Barolsky, “Vasari’s Literary Artifice,” 121. 71 Cust, Giovanni Antonio Bazzi, 10. 72 Carli, Il Sodoma, 9–12; Carli, “Bazzi.” 73 See, e.g., Patricia Simons, “Sodoma, Il,” 286. 74 Vasari, Le vite, 6: 379, 398, citing contradicting documents, 399 n. 1. 75 On Eurialo see above, n. 44; Armenini, n. 52. On Giovio’s biographies see n. 46; for his comment on Sodoma (“praepostero instabilique iudicio usque ad insaniae affectationem”) see Bartalini and Zambrano, Fonti, 83–86, no. 35. 76 Simons, “Homosociality and Erotics,” 48, n. 4; Mills, “Acts, Orientations,” 205. 77 Bandello, Tutte le opera, ed. Flora, 1: 95, novella 6; Bandello, Tutte le opera, trans. Payne, 1: 94–8. 78 Bruno and Campanella, Opere, 321. 79 Dall’Orto, “La fenice di Sodoma,” 74–76; Dall’Orto, “‘Socratic Love,’” esp. 34–35, 46–50. 80 Stanton, “The Threat.” See further Stanton, ed., Discourses of Sexuality; the historiographic overview by Smith, “Premodern Sexualities”; Cady, “The ‘Masculine Love.’” 81 Puff, “Early Modern Europe,” 87. 82 Brundage, “Playing,” 23. 83 Pater, The Renaissance, 3–6, 18–19; Fisher, “A Hundred Years,” 19–23. 84 Chauncey, Gay New York, 285–86. 85 Radini Tedeschi, Sodoma, 257, no. 118. 86 O’Higgins, “Sexual Choice,” 10; Halperin is quoted and discussed in Freccero, Queer, 48. 87 Murray, “Introduction,” xiv. 88 Valerie Traub, The Renaissance of Lesbianism in Early Modern England (Cambridge: Cambridge University, 2002), 32.Bibliography Acta sanctorum. Brussels, 1863. Aretino, Pietro. Lettere sull’arte di Pietro Aretino. Edited by Ettore Camesasca, 3 vols. Milan: Edizioni del Milione, 1957–60. ———. The Letters of Pietro Aretino. 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Men and sex. (What else would men think that women talk about?) Both texts are male fantasies of female pedagogy and sexual knowledge, in which male authors adopt a voice of experienced femininity to articulate imagined feminine perspectives on sex, gender relations, and gender identity. In the Ragionamenti, the women’s conversations are scandalous, but also, at times, radical and transgressive, questioning fundamental norms of gendered behavior and exploring the role of power in gender relations.3 Despite Aretino’s ambivalent misogyny, the Ragionamenti imagine possibilities of female agency and power. Piccolomini’s Raffaella, on the other hand, merely encourages women to subvert one form of male authority in order to submit to another; it imagines freeing wives from their husbands the better to subordinate them to their male lovers. Piccolomini playfully suggests that this shift is doing women a favor because it acknowledges their need for sexual pleasure.4 His text takes the subversive energy of the Ragionamenti and turns it into a safe, sly joke. Women, it turns out, do not want autonomy: they want to submit to younger, sexier men. In La Raffaella, female agency is not a threat to male dominance—it simply rewards ardent male lovers over dreary husbands.The conversations of Aretino’s Ragionamenti take place over six days. An experienced courtesan named Nanna is discussing with a younger prostitute named Antonia what way of life would be best for her teenaged daughter Pippa—should she grow up to be a nun, a wife, or a whore? Nanna spends the first three days of the dialogue recounting her own experiences in each of these roles; at the end of the third day she and Antonia decide that Pippa should be a prostitute. They reason that while nuns break their vows and wives are unfaithful to their husbands, prostitutes (for all their faults) are not hypocritical—they are simply doing the necessary work they are paid to do.5 This ends the first volume. In the sequel, having decided Pippa’s future, Nanna and Antonia teach her the things she will need to know. On the fourth day, they instruct her how to be a successful courtesan; on the fifth, they discuss men’s cruelty to women; and on the sixth they listen while a midwife teaches a wetnurse how to make a living procuring women for sex with men. In all the discussions about prostitution, Nanna’s instruction focuses not on how to satisfy men but on how to manipulate them. The condition of a prostitute is inherently hazardous, and Nanna and Antonia teach Pippa how to survive and thrive in a world of gender warfare, where men are always seeking to exploit women, sexually, physically, socially, and financially. Throughout the Ragionamenti the text takes an ambivalent attitude to its speakers. On the one hand, Nanna and Antonia are monstrous women who embody a wide range of misogynist stereotypes. They are deceitful, amoral, gluttonous, greedy, garrulous, and fickle. On the other hand, they are cunning tricksters, who use their superior intellect to dupe those who try to exploit and manipulate them. Nanna is at once a shocking figure of feminine excess and an insightful satirist who bears more than a passing resemblance to Aretino’s own persona as an epicurean scourge of powerful hypocrites.6 The Ragionamenti contain shockingly explicit descriptions of a wide range of sexual activity, but almost all of these are in the early chapters of the text, in which nuns betray their vows in endless orgies and wives betray their elderly husbands to find satisfying sex elsewhere.7 The chapters on prostitution focus not on sexual pleasure or technique, but rather on how best to earn money and swindle clients. Aretino’s whores are not particularly interested in sexual pleasure—they want money, power, and status instead. And the best way to attain all three is by selling the promise of sexual availability while deferring sexual activity for as long as possible; the ideal relationship is one where a man is paying large amounts of money without ever actually managing to have sexual relations with the woman he is buying. As Nanna puts it, “lust is the least of all the desires [whores] have, because they are constantly thinking of ways and means to cut out men’s hearts and feelings.” (“La lussuria è la minor voglia che elle abbino, perché le son sempre in quel pensiero di far trarre altrui il core e la corata.”)8 Through a series of cunning tricks, deals, and lies, Nanna ends up living in luxury in a fashionable house protected by gangs of armed men whom she employs to remove unwanted suitors.9 She survives and thrives by manipulating male desire and profiting from male gullibility.Nanna’s worldly success is, of course, a fantasy that bears little relation to the actual living and working conditions of most early modern prostitutes,10 but the Ragionamenti admit this as well. Nanna knows she is not normative, and that her position remains precarious: “I must confess that for one Nanna who knows how to have her land bathed by the fructifying sun, there are thousands of whores who end their days in the poorhouse.” (“Ti confesso che, per una Nanna che si sappia porre dei campi al sole, ce ne sono mille che si muoiono nello spedale.”)11 On the sixth day, the Midwife agrees: “A whore’s life is comparable to a game of chance: for each person who benefits by it, there are a thousand who draw blanks.” (“E so che il puttanare non è traffico da ognuno; e percìo il viver suo è come un giuoco de la ventura, che per una che ne venga benefiziata, ce ne son mille de le bianche.”)12 Consequently, Nanna makes sure to spend a lot of time warning her daughter Pippa about the many ways that men can harm the women in their power. In contrast to Aretino’s earthy dialogue of whores, Piccolomini’s La Raffaella consists of an imagined discussion between two upper-class women: Raffaella, an elderly, impoverished, but well-born woman, and Margarita, a newly married wealthy young noblewoman. The tone of conversation in La Raffaella is certainly more polite and decorous than Nanna and Antonia’s profane and bawdy language in the Ragionamenti.13 Raffaella, a friend of Margarita’s late mother, presents herself as a pious widow, eager to help Margarita adjust to the challenges of being an adult woman and the mistress of a household. Throughout her talk of pass-times, cosmetics, deportment, and fashion, Raffaella advises Margarita to take full advantage of youthful pleasures; if a woman does not enjoy herself while she is young and beautiful, she is sure to become bitter in her old age: As for God, as I said earlier, it would be better, if it were possible, to never take any pleasure in the world, and to always fast and keep strict discipline. But, to escape even greater scandal, we must consent to the small errors that come with taking some pleasures in youth, which can be taken away later with holy water. . . . And moreover, in all this I’m telling you, presuppose that this little necessary sin will bring you much honor in the world, and that these pleasures that must be taken can be managed with such dexterity and intelligence that they will bring no shame from anyone. Quanto a Dio, già t’ho detto che sarebbe meglio, se si potesse fare, il non darsi mai un piacere al mondo, anzi starsi sempre in digiuni e disciplina. Ma, per fuggir maggior scandalo, bisogna consentir a questo poco di errore che è di pigliarsi qualche piacere in gioventù, che se ne va poi con l’acqua benedetta. . . . E però in tutto quello che io ti ragionerò presupponendo questo poco di peccato, per esser necessario, procurerò quanto piú sia possibile l’onore del mondo, e che quei piaceri che si hanno da pigliarsi sieno presi con tal destrezza e con tal ingegno, ch non si rimanga vituperato appresso de le genti.14Margarita’s husband is constantly away on business; she is bored and feels neglected. By the end of the dialogue, Raffaella has convinced Margarita to embark on an adulterous affair with a young man named messer Aspasio (who bears more than a passing resemblance to Piccolomini himself ).15 It becomes abundantly clear to the reader that convincing Margarita to sleep with messer Aspasio has been Raffaella’s goal all along. As the dialogue ends, Margarita looks forward eagerly to her planned affair, completely unaware of how she has been manipulated by the older woman. She exults, Having learned today through your words that a young woman needs, to avoid greater errors, to pour out her spirit in her youth, and having heard certainly from you the good words of messer Aspasio and the love he bears me, I am resolved to give all of myself to him for the rest of my life. And thus having pledged eternal fidelity to messer Aspasio—whom she has barely met—Margarita goes on to offer the impoverished Raffaella bread, cheese, and ham as a reward for her kindness.16 Given its subject matter, it is not surprising that some readers interpreted La Raffaella as an attack on women’s moral character: older women are presented as corrupt and amoral; younger women as hedonistic and naive. Women of all ages, it seems, are concerned primarily with deceiving men to obtain sexual pleasure. Beyond its general cynicism regarding female virtue, La Raffaella also gives precise and effective direction on ways to deceive one’s husband and to discreetly carry on long-term affairs. Raffaella warns Margarita against writing love letters—especially if her lover is married.17 She recommends that her lover be unmarried, if possible (messer Aspasio is a bachelor!).18 Raffaella tells Margarita she will need a trusted servant to communicate with her lover, and that she should choose that person with great care.19 She recommends a rope ladder for giving a lover access to private rooms without anyone in the household knowing.20 Raffaella encourages Margarita to take full advantage of the pleasures that wealth and leisure can bring, but she insists that all these pleasures are worthless without the final consummation of adulterous sex: What’s love worth without its end? It’s like an egg without salt, and worse. Holidays, dinners, banquets, masques, plays, gatherings at villas and a thousand other similar pleasures are icy and cold without love. And with love they are so pleasurable and so sweet that I don’t believe that one could ever grow old among them. In every person love inspires courtesy, nobility, elegance in dress, eloquence in speech, graceful gestures, and every other good thing. Without love, they are little esteemed, like lost and empty things. E amore poi che val, senza il suo fine? Quel ch’è l’uovo senza’l sale, e peggio. Le feste, i conviti, i banchetti, le mascere, le comedie, i ritruovi di villae mille altri cosí fatti solazzi senz’amore son freddi e ghiacci; e con esso son di tanta consolazione e cosí fatta dolcezza, ch’io non credo che fra loro si potesse invecchiar mai. Amor riforisce in altrui la cortesia, la gentilezza, il garbo di vestire, la eloquenza del parlare, i movimenti agraziati e ogni altra bella parte; e senza esso son poco apprezzate, quasi come cose perdute e vane.21 The “end” of love, which in Neoplatonic treatises was seen as a beatific transcendence of earthly desires, is here clearly redefined simply as sex.22 As a result of passages like this, La Raffaella was attacked both as an insult to women and as an instruction manual for adultery.23 That the text was explicitly dedicated by Piccolomini to “the women who will read it” (“A quelle donne che leggeranno”) only made matters worse.24 Piccolomini was destined from youth for an ecclesiastical career,25 and at the time he wrote La Raffaella he was starting to make a name for himself in Italian intellectual circles.26 He had published La Raffaella under his academic pseudonym, Stordito Intronato, but this did little to conceal his identity. Responding to criticism of the dialogue, Piccolomini disavowed La Raffaella almost immediately, writing in 1540 that the text was a “joke,” written only for his own amusement.27 Clearly, he felt that La Raffaella’s scandalous reputation was not suitable for his public image and future aspirations. Unlike Aretino, who published the Ragionamenti in two installments, Piccolomini not only never published a sequel to La Raffaella, he never wrote anything like it again.28 In his retractions, Piccolomini insisted that he had meant no insult to women in La Raffaella, and compared his work to the licentious novelle in Boccaccio’s Decameron, intended to give “a certain pleasure to the mind, that cannot always be serious and grave” (“per dare un certo solazzo a la mente, che sempre severa e grave non può già stare”).29 Although Piccolomini consistently downplayed the dialogue’s significance, La Raffaella remained in print and remained popular. There were nine Italian editions in the sixteenth century, as well as three separate translations into French.30 Indeed, La Raffaella is the most frequently republished of all Piccolomini’s texts, and one of the few still in print in the twenty-first century.31 Though criticized for its licentiousness, generically La Raffaella was in the mainstream of the literature of its time. Neoplatonic dialogues dealing with love and sexuality were a staple of Italian literary and academic culture, from Bembo’s Asolani (1505) and Judah Abrabanel’s Dialogi d’amore (1535), to Sperone Speroni’s Dialogo d’amore (1542), and Tullia d’Aragona’s Dialogo . . . della infinità d’amore (1547). Along with books on love, books on the status of women and on feminine deportment were also produced in great numbers in Italy in the midsixteenth century. Advocating adultery may have been scandalous, but men telling women how to behave was commonplace. Besides internationally inf luential texts such as Juan-Luis Vives’ De institutione feminae christianae (1523)32 and Baldassare Castiglione’s Cortegiano (1528),33 there were dozens of lesser known or more specialized books, such as Giovanni Trissino’s epistle on appropriate conduct forwidows (1524),34 and Galeazzo Flavio Capella’s treatise on the excellence and dignity of women (1526).35 The vast majority of these texts were written by men, and many were prescriptive works that attempted to define appropriate female conduct.36 Of 125 works listed by Marie-Françoise Piéjus dealing with the status of women published in Italy between 1471 and 1560, only two were authored by women: Tullia d’Aragona’s 1547 Dialogo . . . della infinità d’amore and Laura Terracina’s 1550 Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso.37 Given Piccolomini’s deep engagement with academic and literary culture, it is not surprising that La Raffaella draws on a wide range of contemporary texts. The character of Raffaella herself has a strong resemblance to the central figure of the procuress from Fernando de Rojas’ La Celestina,38 and passages in Piccolomini’s dialogue closely echo debates over proper feminine dress in Castiglione’s Cortegiano.39 But arguably the most important model for La Raffaella remains Aretino’s Ragionamenti.40 To begin with, there are precise textual echoes: La Raffaella’s discussion of cosmetics closely follows passages from Aretino’s work,41 as does Raffaella’s reference to the illicit sexual activities of nuns.42 Even Raffaella’s notion, quoted above, that youthful sins can be removed with holy water, recalls a speech by Antonia about the relative insignificance of the sins committed by whores.43 Beyond her similarity to the title character of La Celestina, Piccolomini’s Raffaella also recalls the Midwife from the sixth book of the Ragionamenti. Certainly, the Midwife’s following account of her own techniques are a good description of Raffaella, who comes across as a pious churchgoer, says she loves Margarita like a daughter, and has endless advice on fashions and hairstyles: It was always my habit to sniff through twenty-five churches every morning, robbing here a tatter of the Gospel, there a scrap of orate fratres, here a droplet of santus santus, at another spot a teeny bit of non sum dignus, and over there a nibble of erat verbum, watching all the while this man and that girl, that man and this other woman. . . . A bawd’s work is thrilling, for by making herself everyone’s friend and companion, stepchild and godmother, she sticks her nose in every hole. All the new styles of dress in Mantua, Ferrara, and Milan follow the model set by the bawd; and she invents all the different ways of arranging hair used in the world. In spite of nature she remedies every fault of breath, teeth, lashes, tits, hands, faces, inside and out, fore and aft. Io che ho sempre avuto in costume di fiutar venticinque chiese per mattina, rubando qui un brindello di vangelo, ivi uno schiantolo di orate fratres, là un giocciolo di santus santus, in quel luogo un pochetto di non sum dignus, e altrove un bocconicino di erat verbum, e squadrando sempre questo e quella, e quello e questa. . . . Bella industria è quella d’una ruffiana che, col farsi ognun compare e comare, ognun figilozzo e santolo, si ficca per ogni buco. Tutte le forge nuove di Mantova, di Ferrara, e di Milano pigliano la sceda da la ruffiana: ella trova tutte l’usanze de le acconciaturedei capi del mondo; ella, al dispetto de la natura, menda ogni difetto e di fiati e di denti e di ciglia e di pocce e di mani e di facce e di fuora e di drento e di drieto e dinanzi.44 In his Novelle (1554), Matteo Bandello mistakenly attributed La Raffaella to Aretino, in part because of its resemblance to the Ragionamenti.45 Clearly, the similarity of the two texts was apparent to contemporary readers. Socially and intellectually, Piccolomini and Aretino were on friendly terms in the years immediately following La Raffaella’s publication. Piccolomini wrote to Aretino in December 1540, publicly praising his satirical attacks on the abuses of the powerful.46 And in 1541, two years after La Raffaella appeared in print, Piccolomini invited Aretino to join the newly founded Accademia degli Infiammati in Padua. As Marie-Françoise Piéjus has suggested, both the Ragionamenti and La Raffaella function as parodies of the ubiquitous conduct books addressed to women in the mid-sixteenth century. The Ragionamenti and La Raffaella are “provocative text[s], animated by an ironic cynicism that, parod[ies] point by point the lessons habitually taught to women.” By focusing on women’s sexual lives, both Aretino and Piccolomini “attest to the divorce between openly affirmed principles and the daily conduct of [their] contemporaries.”47 What makes these texts parodic is their sexual subject matter; they both, in differing ways, affirm women’s fundamental sexuality and attest to the central role of sexual desire in women’s lives. This is precisely the aspect of femininity that most of the conduct books are trying most urgently to restrain, repress, and police. The vast majority of sixteenthcentury conduct books written for women are designed to make women into good wives: chaste, silent, and obedient—pleasing to their husbands and compliant to the wishes of their male relatives.48 It is telling that these two parodic texts are both written in the voice of women. Rather than having a male author lay down the law for women (like Vives does), or imagining a conversation where women listen silently as men debate (as in Castiglione), both the Ragionamenti and La Raffaella imagine female conversations with no men present. In Ventriloquized Voices, her study of early modern male authors’ adoption of female voices, Elizabeth Harvey has argued that “in male appropriations of feminine voices we can see what is most desired and most feared about women.”49 If Harvey is right, what Aretino and Piccolomini most desired and feared about women was their sexuality—and the ways their sexuality creates possibilities for female agency. In both the Ragionamenti and La Raffaella, an older woman instructs a younger one on issues of gender and sexuality—and on ways to trick men to get what they want. In both cases, the absence of male auditors creates the illusion that the reader is privy to the secret truth of feminine speech. It is significant that both Aretino and Piccolomini imagine that the main topic that women discuss in private is their sexual relations with men. While the conversation in both the Ragionamenti and La Raffaella is wide-ranging, both dialogues arguably fail the Bechdel test—an assessment that asks whether or not a work of fiction has twonamed female characters who talk to each other about something other than their relationships to men.50 In both works, the women are constantly concerned about their interactions with men and how their actions are perceived by men. The very categories of female life as set forth in the Ragionamenti—nuns, wives, and whores—are defined by the ways in which women’s sexual relations with men (or their lack) are structured and determined. In their desire to hear the truth of female sexuality, both the Ragionamenti and La Raffaella metaphorically echo a tradition of masculine fantasy in which female genitalia are compelled to speak. In the thirteenth-century French fabliau Du Chevalier qui fist les cons parler [The Knight Who Made Cunts Speak], a poor, wandering knight who treats some bathing fairies with courtesy and discretion is rewarded with the magical power to make vaginas talk.51 He uses this power to discover the truth in situations where people are lying to him: when he encounters a miserly priest riding on a mare, he makes the mare’s vagina tell him how much money the priest is hiding. When a countess sends her maid to seduce the knight, he makes the maid’s vagina reveal the plot. Eventually, he makes even the countess testify against herself by compelling her nether regions to speak.52 The vagina, it seems, always tells the truth. This provocative trope reappears most famously in Denis Diderot’s 1748 libertine novel Les Bijoux indiscrets [The Indiscreet Jewels], in which a sultan has a magic ring that makes vaginas tell all. While there is no evidence that either Aretino or Piccolomini were aware of such tales of talking vaginas, the gender dynamics of their texts are remarkably similar. The trope of a man magically forcing a vagina to speak is culturally resonant on a number of levels. On the most basic level, these stories are fantasies of masculine power: the masterful male commands the female body to do his bidding and reveal its knowledge. There is comedy, of course, in the blurring of function between vagina and mouth—the earthy lower body inevitably tells a tale that refutes the refined upper body. It is important to note that what the vagina says does not merely contradict what the mouth says; it unerringly reveals the hidden truth of the situation. Just as the Ragionamenti and La Raffaella ironically imagine the sexual desires hidden behind a public façade of decorous femininity, in these stories, the mouth tells lies, but the vagina tells the truth of the body; it cannot lie. Indeed, in all these texts, the vagina is the truth, the essence, the thing itself. The truth of woman is her sex. The same assumption underlies Eve Ensler’s popular 1996 feminist play The Vagina Monologues, an episodic work in which women of various ages and backgrounds recount their sexual experiences, some positive, others negative. While the play was acclaimed for giving voice to women’s sexuality, it was also criticized for reducing women to their genitalia: as feminist scholars and activists Susan E. Bell and Susan M. Reverby wrote, “The Vagina Monologues re-inscribes women’s politics in our bodies, indeed in our vaginas alone.”53 But of course, in Ensler’s work, the author who wrote the lines and the actors who perform them are all women. The voices we hear are the women’s voices—not men’s imagination of what a woman’s voice might sound like if there was no man there to hearand record it. In Aretino and Piccolomini’s vagina dialogues, it is always only men talking—even if the characters are female. Piccolomini’s ventriloquized fantasy of female speech in La Raffaella is all the more remarkable given that the Academy of the Intronati,54 the organization under whose auspices he published the dialogue, was more arguably more open to women than any other sixteenth-century Italian academy. The Accademia degli Intronati [the Academy of the Stunned] was founded in 1525 by a group of six Sienese young men. The avowed object of the group was “to promote poetry and eloquence in the Tuscan, Latin and Greek languages” and their motto was: Orare, Studere, Gaudere, Neminem laedere, Neminem credere, De mundo non curare [Pray, Study, Rejoice, Harm no one, Believe no one, Have no care for the world].55 Membership in the Intronati was restricted to men, but as Alexandra Coller has argued, “women were awarded much more than a merely ornamental presence within the context of the academy [of the Intronati], whether as sources of inspiration, correspondents in educationally-oriented literary exchanges, or as discussants in female-centered dialogues.”56 Sometime around 1536, not long before he wrote La Raffaella, Piccolomini himself wrote a brief Orazione in lode delle donne [Oration in Praise of Women]. He delivered the oration to the Intronati in person on his return to Siena from Padua in 1542 and it was published three years later.57 Utterly rejecting La Raffaella’s notion that love must be sexually consummated to have any real value, Piccolomini’s oration draws heavily on the Neoplatonic idealization of love articulated in Pietro Bembo’s Asolani, and in Bembo’s concluding speech in the Fourth Book of Castiglione’s Cortegiano. In this discourse, love is primarily a spiritual discipline that paradoxically leads to a transcendence of physical desire. Women’s beauty is an earthly echo of divine Beauty, and Beauty can be used by the lover to reach a higher plane of spiritual awareness.58 Women are thus to be served, adored, and obeyed, in the way that a Courtier should serve, adore, and obey his Prince.59 Many texts written by members of the Intronati were dedicated to female patrons, including a translation of six books of Virgil’s Aeneid and Piccolomini’s own 1540 translation of Xenophon’s Oeconomicus, a classic treatise on household management.60 A text from the later sixteenth century, Girolamo Bargagli’s 1575 Dialogo de’ giuochi [Dialogue on Games], describes the activities of the Intronati in the 1530s, and attests to the support of the Academy by “many beautiful and noble ladies” (“Molte belle e rare gentildonne”).61 Some scholars have suggested that women may have even participated in meetings of the Academy, a rare occurrence in sixteenth-century Italian intellectual culture.62 An unpublished dialogue by Marcantonio Piccolomini, a kinsman of Alessandro and a founding member of the Intronati, imagines a scholarly dialogue between three Sienese gentlewomen on whether God created women by chance or by design.63 At the outset, however, not all the Intronati were so welcoming to women— at least if Antonio Vignali’s Cazzaria (1525) is any indication. Vignali’s dialogue, in many ways a defense of sexual relations between men, is a fiercely and crudelymisogynist text, a product of an exclusively male environment that denigrates women at every turn.64 The Cazzaria was a scandalous text. It was initially circulated in manuscript among the Academy’s members and was probably printed without its author’s consent. Although it was not publicly acknowledged or defended by the Intronati at any point, it was nonetheless written by one of the Academy’s founding members and was one of the most prominent products of the Academy’s early years.65 Piccolomini was surely familiar with the text— indeed, his kinsman Marcantonio Piccolomini (Sodo Intronato) appears as one of La Cazzaria’s main characters.66 However eccentric and outrageous it may be, La Cazzaria is arguably an accurate ref lection of the attitudes towards women of at least some of the Intronati’s founding members. If the Intronati’s respectful and inclusive attitude towards women represented in Bargagli’s Dialogo de’ giuochi is to be believed, things must have changed a lot by the late 1530s. But it is quite possible that the Intronati’s relatively positive public attitude towards women masked more negative private views. Perhaps Alessandro Piccolomini’s ironic attitude towards women in La Raffaella is a product of this conf lict. As we have seen, the Ragionamenti ’s attitude towards its female speakers is always ambivalent. But La Raffaella’s presentation of its speakers is much more straightforward. Raffaella is a manipulative woman who is working throughout with a very specific goal in mind—to convince Margarita to have an adulterous affair with messer Aspasio. Margarita is simply a dupe. Whatever Piccolomini’s praise of women, whatever support the Intronati gave and received from Sienese noblewomen, La Raffaella ironically suggests that women are fundamentally submissive to male desire. Raffaella’s considerable ingenuity is entirely subordinate to the schemes of messer Aspasio. She has no other function than to help him obtain his desires, and she is in many ways an abject character, forced to make her living by tricking young women into having sex with manipulative men. Piccolomini’s idealistic role as defender of women in his Orazione and elsewhere has an ironic echo in the dedicatory epistle to female readers that prefaces La Raffaella. Here Piccolomini insists that he has always been a staunch defender of women against their detractors. He claims that La Raffaella clearly shows “the appropriate life and manners appropriate for a young, noble, beautiful woman,” and holds up the character of Raffaella as proof that women are capable of “great concepts and profound statements and good judgment.”67 He decries the double standard that sees extra-marital affairs as “honorable and great” for men, and “utterly shameful for women.” He admits that if a woman were to be so foolish as to conduct an affair in a way that would arouse suspicion, that would be “a great error,” but he trusts that his female readers “will be full of so much prudence, and temperance that [they] will know how to maintain and enjoy [their] lovers” for years and years. “There is nothing more pleasing nor more worthy of a gentlewoman than this.”68 In the epistle, Piccolomini is doubling down on the joke that underlies La Raffaella as a whole: what women want most of all is satisfying sex with anattractive and f lattering young man. Anyone who helps them attain this goal becomes their greatest champion.As we have seen, Aretino’s Ragionamenti argue at length that at least some women prefer money, status, and power to sexual pleasure. But this is largely because the whores of the Ragionamenti are not comfortable, upper-class women like those in La Raffaella. Aretino’s whores want power, but his nuns and wives, whose material well-being is secured either by the Church or by their husbands, want sex. In the more elevated world of La Raffaella, the wealthy and well-born Margarita lives in luxury; all that is missing from her pleasurable life is a satisfying sexual partner. The condition of Nanna, Pippa, Antonia—and indeed of Raffaella, Piccolomini’s impoverished elderly bawd—is much more precarious. The single-minded pursuit of sexual pleasure, it seems, is a privilege of the upper classes, of those women who are not compelled to participate directly in a capitalist market for goods and services in which their sexuality is primarily a commodity used to raise capital. Aretino’s attitude to women is often disdainful and dismissive; Piccolomini almost always f latters his female readers. And yet, it is the Ragionamenti that imagine autonomous women who manage to hold their own in conf lict with men, whereas La Raffaella presents women who are entirely dominated by men in one way or another. The Ragionamenti fantasize about the ways in which women trick men; La Raffaella fantasizes about the ways women can be tricked. Aretino’s Nanna provides a powerful contrast to Piccolomini’s fantasy of feminine submission. In Book 2 of the Ragionamenti, when Nanna recounts her experiences as a wife, she does exactly what Raffaella urges Margarita to do— she takes young lovers who can satisfy her sexually in ways her impotent husband cannot. But the key difference is that Nanna makes that choice for herself—she is not tricked into it by a male suitor who is using a female confidant to manipulate her. Even before becoming a prostitute, Nanna is always looking out for herself. She tricks her lovers in the same way she tricks her husband. She plays to win and is never duped. And unlike Margarita, who promises to devote herself exclusively to messer Aspasio, Nanna’s adultery is utterly promiscuous: Once I had seen and understood the lives of wives, in order to keep my end up, I began to satisfy all my passing whims and desires, doing it with all sorts, from potters to great lords, with especial favor extended to the religious orders—friars, monks, and priests. Io, veduto e inteso la vita delle maritate, per non essere da meno di loro, mi diedi a cavare ogni vogliuzza, e volsi provare fino ai facchini e fino ai signori, la frataria, le pretaria, e la monicaria sopra tutto.69 Eventually she ends up stabbing her husband to death when he assaults her after catching her having sex with a beggar.70 It is hard to imagine Piccolomini’s wellbred Margarita acting in a similar manner should her husband ever catch her with messer Aspasio. Piccolomini’s Raffaella fits into larger trends in the ways in which Aretino’s Ragionamenti were read and assimilated into mainstream early modern culture.Broadly speaking, texts that were inspired or inf luenced by the Ragionamenti adapted Aretino’s text in ways that made it less subversive and conformed better to traditional ideas of early modern gender relations. Later editions, translations, and adaptations of the Ragionamenti focused on Book 3 of the first day, on the life of whores, and presented the text to readers simply as a catalogue of female deceit and monstrosity in which the satirical and subversive elements of Nanna’s character were downplayed in order to make her a purely negative figure.71 In a similarly reductive move, La Raffaella takes the notion that women will attempt to deceive men, and limits it to the particular case of aristocratic wives deceiving their husbands—a model which fits well into traditional discourses of courtly love that go back to the twelfth century.72 Women are represented as fundamentally passionate creatures that desire physical pleasures above all else, and these are found more naturally with young men in adulterous relationships than with respectable, mature, and neglectful husbands. Margarita’s husband spends too much time on “business” and not enough with his wife, and the well-bred and discreet messer Aspasio is the natural solution to Margarita’s problems. Raffaella the bawd is not disrupting traditional aristocratic patterns of behavior, she is facilitating them. As long as the affair remains discreet, everyone will benefit and no one will care. (Machiavelli makes much the same point in his play Mandragola, but in that case the satiric irony is obvious.) In La Raffaella the extent to which Piccolomini supports Raffaella’s argument is not clear. As we have seen, he explicitly endorses her point of view in his dedicatory epistle to his female readers. But the degree of irony in the epistle is an open question. It is enough that Piccolomini had deniability when he needed it—La Raffaella, as he later claimed, was obviously a youthful joke. Later commentators agreed that the dialogue, though seemingly immoral, was actually a witty jeu d’esprit. The nineteenth-century scholar and editor Giuseppe Zonta called La Raffaella a “jewel of the Renaissance, the most beautiful ‘scene’ that the sixteenth century has left us, in which didactic intent develops deliciously out of a comic drama” (“gioiello della Rinascita, la più bella “scena” che il Cinquecento ci abbia lasciato, dove l’intento didattico deliziosamente si svolge di su una comica trama”).73 Many things have been said about Aretino’s Ragionamenti, but no one ever claimed that they were a beautiful jewel.Notes 1 On sixteenth-century editions of La Raffaella, see Zonta, ed., Trattati d’amore, 379–82; Cerreta, Alessandro Piccolomini, 175–77. There are no known surviving copies of the 1539 edition. Zonta believes the first edition may have been published in 1540. 2 Aretino, Ragionamento della Nanna; and Dialogo di M. Pietro Aretino. 3 Moulton, Before Pornography, 132–36. 4 See the dedicatory epistle to “quelle donne che leggeranno,” Piccolomini, La Raffaella, 31. Unless otherwise indicated, all references to La Raffaella are to this edition. 5 On prostitution as a form of labor and commerce in the Ragionamenti see Moulton, “Whores as Shopkeepers,” 71–86.6 Moulton, Before Pornography, 132–36. On Aretino’s public image, see Waddington, Aretino’s Satyr. 7 Moulton, Before Pornography, 130–31. 8 Aretino, Sei giornate, 132–33. English translation: Aretino, Aretino’s Dialogues, 116. All English quotations from the Ragionamenti are from this edition. 9 Aretino, Sei giornate, 115–16; Aretino’s Dialogues, 102–03. 10 See Larivaille, La Vie quotidienne, esp. chapter 6 on the economic and personal exploitation of whores and chapter 7 on syphilis. On hierarchies of prostitution, see Ruggiero, Binding Passions, 35–37. 11 Aretino, Sei giornate; Aretino’s Dialogues, 135–36. 12 Aretino, Sei giornate, 283–84; Aretino’s Dialogues, 310. 13 Baldi, Tradizione, 106–07. 14 Piccolomini, La Raffaella, 41. All translations from La Raffaella are my own. 15 Piéjus, “Venus Bifrons,” 121. 16 Piccolomini, La Raffaella, 119. 17 Ibid., 101–02. 18 Ibid., 94. 19 Ibid., 112. 20 Ibid., 113. 21 Ibid., 110. 22 Ibid., 135 n. 120. 23 Piéjus, “Venus Bifrons,” 82–83. 24 Piccolomini, La Raffaella, 27. 25 Piéjus, “Venus Bifrons,” 86. 26 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 10–48. 27 “Molte cose che per scherzo scrisse già in un Dialogo de la Bella Creanza de le Donne, fatto di me più per un certo sollazzo, che per altra più grave cagione.” Dedicatory epistle to Piccolomini, De la Institutione. See Piccolomini, La Raffaella, 7. 28 He did publish two comedies: L’Amor costante (1540) and L’Alessandro (1545). See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 177–78, 187–88. 29 Piccolomini, De la Institutione (f. 231r-v). See Piccolomini, La Raffaella, 8. 30 Piéjus, “Venus Bifrons,” 81, 161. 31 See the 1960 bibliography of Piccolomini’s published works in Cerreta, Alessandro Piccolomini, 173–96. 32 An Italian translation of Vives’ De institutione feminae christianae was published in Venice in 1546 under the title De l’institutione de la femina. A second edition appeared in 1561. Vives’ treatise was also the model for Ludovico Dolce’s Della Institutione delle donne (Venice: Giolito, 1545). Further editions of Dolce’s text were published in 1553, 1559, and 1560. 33 Burke, The Fortunes of the Courtier. 34 Trissino, Epistola. 35 Capella, Galeazzo Flavio Capella Milanese. 36 Kelso, Doctrine for the Lady. 37 See the chronological bibliography of 125 works on women published in Italy between 1471 and 1560, Piéjus, “Venus Bifrons,” 156–65. Women did address the issue in unpublished texts, such as the collected letters of Laura Cereta (ca. 1488). See Cereta, Collected Letters. Published texts by women were more common is the later years of the sixteenth century. For an overview of “protofeminist” writing in early modern Italy see Campbell and Stampino, eds. In Dialogue, 1–13. 38 Baldi, Tradizione, 99–102. Piccolomini, La Raffaella, 11–15. 39 Piéjus, “Venus Bifrons,” 108. On the larger influence of the Cortegiano on La Raffaella, see Baldi, Tradizione, 86–90. 40 Piccolomini, La Raffaella, 9. Baldi, Tradizione, 100–07. 41 Piéjus, “Venus Bifrons,” 106, 118, 126. 42 Piccolomini, La Raffaella, 43.43 Aretino, Sei giornate, 139; Aretino’s Dialogues, 158. 44 Aretino, Sei giornate, 285, 291; Aretino’s Dialogues, 312, 318. 45 Bandello, Novelle, 1.34. Included in a list of licentious books, along with the poems of Petrarch, Boccaccio’s Decameron, and Ariosto’s Orlando Furioso. See Piéjus, “Venus Bifrons,” 83. 46 Cerreta, Alessandro Piccolomini, 43–44. Piccolomini and Aretino corresponded in 1540– 41. Five letters from Piccolomini to Aretino are included in Marcolini, ed., Lettere scritte. See also Cerreta, Alessandro Piccolomini, 253–54. 47 “De là naît, comme dans les Ragionamenti, un texte provocateur, animé pare une ironie cynique qui, parodiant point par point les leçons habituellement données aux femmes, renverse la finalité d’une conduite désormais subordonnée à la recherche du plaisir”; “Piccolomini constate, comme l’Arétin, un divorce entre les principes ouvertement affirmés et la conduite quotidienne de ses contemporains.” Piéjus, “Venus Bifrons,” 147–48. My translation. 48 Kelso, Doctrine, 78–135. 49 Harvey, Ventriloquized Voices, 32. 50 The Bechdel–Wallace test was first outlined in 1985 in Allison Bechdel’s comic strip Dykes to Watch Out For. See Alison Bechdel, “The Rule,” in Dykes to Watch Out For (Ithaca, NY: Firebrand Books, 1986), 22. Bechdel attributes the idea to her friend Liz Wallace, and says the ultimate source is a passage in Virginia Woolf ’s A Room of One’s Own. See also Selisker, “The Bechdel Test.” 51 Rossia and Straub, eds., Fabliaux Érotiques, 199–239. 52 In order to silence her vagina, the Countess stuffs it with cotton, but the Knight is able to make her anus speak as well, and all is revealed. 53 Bell and Reverby, “Vaginal Politics,” 435. 54 On the Intronati, see Constantini, L’Accademia. 55 Maylender, Storie delle accademie d’Italia, vol. 3, 354–58. 56 Coller, “The Sienese Accademia,” 223. See also Piéjus, “Venus Bifrons,” 86-103. 57 Coller, “The Sienese Accademia,” 224. A second edition of the Orazione appeared in 1549. See Cerreta, Alessandro Piccolomini, 189. 58 Moulton, Love in Print, 48–53. 59 Piéjus, ‘L’Orazione, 547. Coller, “The Sienese Accademia,” 225. 60 Piccolomini translated one of the six books of the Aeneid. For these and other examples, see Piéjus, “Venus Bifrons,” 91–96. 61 Bargagli, Dialogo de’ giuochi, 22. Piéjus, “Venus Bifrons,” 89. 62 Ibid. She cites Elena De’ Vecchi, Alessandro Piccolomini, in Bulletino Senese di Storia Patria (1934), 426. 63 Piéjus, “Venus Bifrons,” 93–96. The untitled dialogue is roughly contemporaneous with La Raffaella. 64 Vignali, La Cazzaria, 40–41. 65 Ibid., 21–26. 66 As well as appearing in La Cazzaria and being the author of the aforementioned scholarly dialogue between three women, Marcantonio Piccolomini (1504–79) also appears as the primary speaker of Bargagli’s Dialogo de’ giuochi. 67 Piccolomini, La Raffaella, 29. 68 “Io vi confesso bene, poiché gli uomini fuori di ogni ragione tirannicamente hanno ordinato leggi, volendo che una medesima cosa a le donne sia vituperosissima e a loro sia onore e grandezza, poich’egli è cosí, vi confesso e dico che quando una donna pensasse di guidare un amore con poco saviezza, in maniera che n’avesse da nascere un minimo sospettuzzo, farebbe grandissimo errore, e io piú che altri ne l’animo mio la biasmarei: perché io conosco benissimo che a le donne importa il tutto questa cosa. Ma se, da l’altro canto, donne mie, voi sarete piene di tanta prudenza e accortezza e temperanza, che voi sappiate mantenervi e godervi l’amante vostro, elletto che ve l’avete, fin che durano gli anni vostri cosí nascostamente, che né l’aria, né il ne possa suspicar mai, in questo caso dico e vi giuro che non potete far cosa di maggior contento e piú degna di una gentildonna che questa.” Ibid., 30–31.69 Aretino, Sei giornate, 89; Aretino’s Dialogues, 102. 70 Aretino, Sei giornate, 90; Aretino’s Dialogues, 103. 71 Such texts include Colloquio de las Damas (Seville, 1548); Le Miroir des Courtisans (Lyon, 1580); Pornodidascalus seu Colloquium Muliebre (Frankfurt, 1623); and The Crafty Whore (London, 1648). See Moulton, “Crafty Whores,” and Moulton, Before Pornography, 152–57. 72 On Courtly Love as a cultural phenomenon, see Newman, ed., The Meaning of Courtly Love. On the cultural origins of courtly love, see Boase, The Origin and Meaning. 73 Zonta, ed. Trattati d’amore, 377.Bibliography Abrabanel, Judah (Leone Ebreo). Dialoghi d’amore. Rome: Mariano Lenzi, 1535. Aragona, Tullia d’. Dialogo . . . della infinità d’amore. Venice: G. Giolito, 1547. Aretino, Pietro. Aretino’s Dialogues. Translated by Raymond Rosenthal. New York: Marsilio, 1994. ———. Dialogo di M. Pietro Aretino, nel quale la Nanna il primo giorno insegna a la Pippa sua figliola a esser puttana, nel secondo gli contai i tradimenti che fanno gli huomini a le meschine che gli credano, nel terzo et ultimo la Nanna et la Pippa sedendo nel orto ascoltano la comare et la balia che ragionano de la ruffiania. Turin?: 1536. ———. Ragionamento della Nanna e della Antonia, fatto in Roma sotto una ficaia, composto del divino Aretino per suo capricio a correttione de i tre stati delle donne. Paris?: 1534. ———. Sei giornate. Edited by Giovanni Aquilecchia. Bari: Laterza, 1969. Baldi, Andrea. Tradizione e parodia in Alessandro Piccolomini. Lucca: Maria Pacini Fazzi Editore, 2001. 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There was another edition in 1583; in 1602 Della Porta published a revised Latin version of the text under the title Ars reminscendi.2 Despite the fact that The Art of Remembering did not see nearly as many press runs as Della Porta’s more famous works on natural magic and physiognomy, and despite (or because of?) its brevity, his art of memory was frequently utilized by seventeenth-century preachers.3 Given its author’s dubious reputation with Catholic orthodoxy—and his constant difficulties with the Inquisition—this popularity might seem quite amazing.4 In both a series of articles and a book chapter, Lina Bolzoni has discussed The Art of Remembering; my contribution here seeks to elaborate on Bolzoni’s work by examining the function of a peculiar sequence of images appearing in Della Porta’s text—images that inf luence the entire structure and character of The Art of Remembering. Della Porta recommends the use of explicit sexual fantasies as the most powerful images for organizing the process of recollection. The use of erotic images was not uncommon in the medieval and early modern tradition of the art of memory. Yet in Della Porta’s text, images depicting sex between human beings and animals are amazingly prominent (and especially in the two Italian versions of the Arte del ricordare than in the later Latin Ars reminiscendi ). Here I will argue that Della Porta’s use of pornographic and even, in the modern sense of the word, sodomitic imagery is not merely a consequence of the more innovative aspects of his instructions for developing the capacities of memory. Rather, these images resonate in other of Della Porta’s numerous and highly inf luential texts—namely, his texts for the theater, on human physiognomy, natural magic, cross-breeding, and marvels (meraviglia) in general. Such pornographic images thus refer to the core topics of his most important texts—and, accordingly, to his general endeavors as an early modern magus.5The art of memory Basically, the art of memory consists of imagining a spatial structure—for instance, a house with different rooms (loci )—and then furnishing these spaces with objects and persons (imagines).6 The next step is to walk through the rooms of this imagined building and to assign to each one item one wishes to recall, in the precise order of movement through the architectonic structure. Originally developed in classical antiquity for public orators, this method allows a speaker to recall the general content and order of a speech, but the “art of memory” was also used to recollect specific sequences of words. In this “art,” it is crucial to visualize and memorize a mental structure, with its loci and imagines, in the greatest possible detail. To facilitate this formidable task, the masters of the art of memory frequently recommended that the images have a strong emotional nature (imagines agentes). Conspicuously, manuals for the art therefore often recommend erotically charged images as imagines agentes.7 Remembrance thus becomes dependent on—and simultaneously synonymous with—exercising vivid (and, as we shall see, predominantly male) sexual fantasies. The imaginary loci populated by a sequence of well-ordered and striking images tend to acquire a life of their own. As Bolzoni writes: “it is easy to imagine how centuries of experience in memory techniques have given scholars some idea of the complex nature of mental images and their capacity to inhabit their creators, to come alive and escape their control.”8 And yet the affective movement of the soul, produced by recalling a set of emotionally charged images, clashes with the imperative of order that is the other vital aspect of the art of memory.9 Thus—in contrast to modern literary authors who acknowledge and actively employ this same phenomenon in developing their texts—the masters of memory were faced with the arduous task of restraining the life of their own figments.10Della Porta’s mnemotechniques Della Porta’s approach to the topic is characterized by a methodical pluralism that is typical for the art of memory. Along with the basic principles outlined above, he presents different ways of organizing memory.11 For example, he recommends memorizing a group of ten to twenty women whom one has loved to organize a system of pleasant and striking mnemonic images. He contends that when employing the phantasmata of women one has made love to or one has desired, one can succeed in remembering not only one word, but an entire verse or even several verses.12 Della Porta also states one particular system as his most innovative and preferred innovative contribution to the art. For setting up the loci, he recommends memorizing little neutral cubicles eight palms long, each populated with different impressive personae: here, the sexually attractive women one has made love to or has been in love with are placed alongside cubicles occupied by friends, jesters, noblemen, and matrons.13 Della Porta accordingly recommends the use not only of men and women personal acquaintances, but also of charactertypes—especially from comedy—that during the sixteenth century were populating contemporary stage plays. In this respect, The Art of Remembering follows a widespread tradition in sixteenth-century treatises, as seen for example in Lodovoco Dolce’s contemporaneous Dialogo del modo di accrescere e conservare la memoria (1562).14 Another important precept in Porta’s Art of Remembering is that the sequence of personae must vary; for example, he suggests “a woman, a boy, a girl, a relative, an elderly man.”15 It is crucial to note that this succession of personae is as fixed as the structure of the cubicles where they are placed—which they “inhabit,” as it were. This implies that the personae become part of the spatial setting, of the architecture of the memory palace, the locus.16 These loci/personae determine the temporal sequence in which the imagines appear, and in turn the content to be memorized in the correct sequence (this content I will term the memorandum). In contrast to the fixed personae, Della Porta defines the images as “animated pictures” which we construct or spin out ( fingere/recamare) using the faculty of fantasy to represent things and words.17 The images are mobile and variable: they constitute what the personae in their fixed sequence do. And these activities must be extraordinary in every respect; clothed in lavish and shining robes, the personae’s movements should resemble larger-than-life actors, presenting the mind with a “painting that is new, strange, marvelous, unusual, pleasant, varied, and horrific (spaventevole).”18 Moreover, an image should also be composed of a variable set of living and dead objects, which, like stage props, are added to the persona—for instance, a cornucopia or a swan. Della Porta recommends the use of relatively few loci/personae, condensing the sequence of memoranda to a maximum of ten images agentes, as comic and tragic playwrights would.19 One cannot help speculating that Della Porta discloses here a vital aspect of his writing techniques as a prolific and inf luential author of comedies.20 He obviously followed the advice of his predecessors, shaping his personae in ways reminiscent of the exceedingly grotesque personae in his mannerist comedies.21 The most salient feature of these plays is that they use a limited set of characters whose social roles and statues are fixed in a set of stock scenes.22 The practicability of this system is obvious, because there is no need to memorize hundreds of loci and imagines. Yet there is one obvious difficulty. This artificial memory is rather limited, because it will only allow the practitioner to memorize one story (or a sequence of ten words).Della Porta’s ars oblivionis This limitation is, of course, a general difficulty for the art. From the time of its invention, the ars memoria has entailed an ars oblivions, an art of forgetting, that in turn allows for the memory to be organized anew. This is a difficult task, because laboriously constructed chains of association between personae, imagines, and memoranda must now be erased.23 Della Porta says that if we wish to remember a new story or a new set of words, we can assign the same set of personae, in the same sequence, the task of forging a new sequence of images.To this aim, we must imagine the fixed sequence of personae in their cubicles, with these “usual suspects” stripped naked or merely covered in white sheets, all in identical upright posture, leaning with their shoulders against the walls of their cells.24 In Della Porta’s system, the sequence of personae set in neutral cubicles is a permanent pattern. He compares the personae to the lines on a specially varnished sheet for musical compositions; it is inscribed with permanent lines, but what is written onto them can be washed off. Thus, just as the musical notes (or signs) are impermanent and can be reinscribed onto that sheet in a new order, creating a new melody, so the old imagines agentes may be erased, with the personae free to assume the pose of new imagines agentes.25 It is not only the architectonic structure that functions as locus; the personae (who are usually classified as “images”) become an aspect or a part of “place.”26 The personae assume the paradoxical role of living statues—and this oxymoron aptly circumscribes the self-contradictory function of the memory images: in order to impersonate new imagines agentes, they should be plasmatic, but at the same time their bodies must remain precisely fixed in dress, comportment, gesture, and the corresponding affects communicated by these visual traits. However, Della Porta prescribes that even when the personae are imagined naked, leaning against the wall—in order to prepare them for a new role in another story—they should not be the neutral recipients of images. Rather, they must be imagined in a highly individualized form. And their actions are not arbitrary: Della Porta prescribes constructing these stock characters of the imagination in the most fitting way with respect to “age, facial traits, occupation, and comportment (mores).”27 The personae’s actions are predetermined by their sex, social status, and concomitant habits. Moreover, these actions of the personae—who become the permanent abodes of the variable imagines—have to be related to the content of the word or the story to be remembered. Della Porta’s technique of character development was an important and original modification of the traditional system of loci and imagines.28 In this way, the formal structure of the memory is brought into a strong— and reciprocal—relationship with the content that is to be memorized. In a key example, Della Porta writes that the entire story of Andromeda can be remembered by the image of a naked, shivering, and wailing woman chained to a rock.29 The setup of highly individualized loci/personae is vital for the intricate task of memorizing a sequence of individual images. Since more than one image is required, the spatial arrangement of the personae/imagines becomes very important. The Latin version of The Art of Remembering supplies the following example: if the word to be remembered is avis (bird) and the cubicle is inhabited by the persona of a boy, then he should be Ganymede; if it is “cook” then he cooks the bird;30 if the word is taurus (bull) and a robust boy inhabits the cubicle, then we should imagine Hercules wrestling with Achelous;31 if we wish to remember horn (cornus) and a virgin inhabits the cubicle, we visualize her covered in f lowers and fruits, like a Naiad with a cornucopia in hand.32The Italian Arte del ricordare gives different examples.33 If we suppose the word “bird” to be the memorandum for a prostitute (meretrice), Della Porta suggests constructing an image of Leda during sexual intercourse with Jupiter in the guise of a swan.34 This direction is confirmed in many other examples: for instance, under the memorandum “bull” in the locus/persona of a virgin, we might imagine the rape of Europa.35 If the memorandum “bull” embodies the locus/persona of a meretrice (prostitute), then we should forge an image of Pasiphaë having sexual intercourse with the bull.36 There is no doubt that the imagery of the vernacular Arte del ricordare is more graphic, more sexually explicit, and less polished than the later Latin version. Yet all the versions recommend sexually explicit, or at least erotically charged, imagines agentes. Another striking feature of Della Porta’s examples is that all memoranda— the “bulls,” “horns”— are words with sexual connotations. Of course, uccello “bird” in Italian denotes the penis; thus, the sexual connotation is as present in the memorandum as in the image. 37 This intimate thematic connection highlights the rule that imago and memorandum must be as closely related as possible. These examples reveal that Della Porta wishes his readers to entwine their individual memories of (present or former) personal acquaintances with the stories of classical mythology to construct imagines agentes; like interlacing arches, they support the architecture of the memory palace. It seems that the thematic link between imago agens and memorandum is rather uncommon in the art of memory. Usually the imagines agentes are used as placeholders for any content; for example, one could use the imagines agentes of naked women to remember any sort of text, not only erotic topics. Della Porta’s thematic over-determination would seem to imply that his true interest lay in the actual topics to which the imagines agentes and their corresponding memoranda refer; namely, a discourse concerning the human body, the porous boundaries between human beings and animals. Inherent in these tales of sex with animals is the generation of monstrous—marvelous—offspring.Panoptic visions and living statues From a Foucaultian perspective, Della Porta’s vision of the defenseless personae in their mental prison cells has a panoptic character (though the term here is used, of course, anachronistically). Whereas gazing at naked or sparsely dressed human bodies, even in the imagination, can be considered a form of symbolic violence, it is a technique of visualization in which the different qualities of men and women of various ages, sexes, and professions become—quite brutally— reduced to their physical features, because they are bereft of their clothing and the social insignia, which denote, circumscribe, and protect their social status and their moral integrity. This practice of examining the physical features of naked men and women is echoed in the art of physiognomy of which Della Porta considered himself a master. In fact, in his lavishly illustrated works on the topic we find many depictions of the naked bodies of men and women, with textssupplying the reader with the character traits (mores) ascribed to various medical complexions; that is, the constituent factors of human bodies and their affinities within the animal world.38 Measuring and classifying naked human bodies according to their occupational and concomitant social status was a widespread artistic practice during the fifteenth and sixteenth centuries following the techniques for painters described in Leon Battista Alberti’s De pictura (On Painting, 1435). Della Porta very closely echoes and even plagiarizes Alberti, adapting Alberti’s instructions for painters into his art of memory. In order to create images that appear lifelike and therefore suited for communicating human emotions, Alberti recommends that painters first draw human figures naked and only subsequently dress them (“ma come a vestrie l’uomo prima si disegna nudo poi il circondiamo i panni”). 39 In this context, the parallels between Alberti’s and Della Porta’s ideas are obvious. In order to create emotionally charged imagines agentes they must be as lifelike as possible, which means—especially in the case of erotic imagines—that we undress the personae. Yet, whereas Alberti had pointed to the appropriate decorum of his images, Della Porta opts for larger-than-life-personae—for grotesque and exaggerated representations.40 Another point of reference between the De pictura and The Art of Remembering is that Alberti links his measurements of human bodies to the proportions of buildings. In Alberti’s context, an implied relation of architecture and body clearly results from the process of constructing representations of irregular, organic forms in central perspective. The architectural space must be circumscribed before inserting the non-geometrical figures which are to “inhabit” that space. The parallel to Della Porta’s The Art of Remembering is striking, since for him as well the personae are an integral part of the loci they inhabit. Paradoxically, Della Porta’s personae can be considered moving statues. On the one hand, they must be imbued with as much life as possible; on the other hand, they must freeze in one position, like a tableau vivant. But the idea that moving statues are sexually arousing is much older than Della Porta; Andromeda (one of the key examples in Della Porta’s The Art of Remembering) is described by Ovid as sexually arousing to Perseus, her liberator, because her naked body resembles a marble sculpture. “When Perseus saw [Andromeda], her arms chained to the hard rock, he would have taken her for a marble statue (“marmoreum esset opus”), had not the light breeze stirred her hair, and warm tears streamed from her eyes. Without realizing it, he fell in love (“trahit inscius ignes”).”41 When viewed from the perspective of contemporary theater, Ovid’s erotic statue of Andromeda brings to mind the “living statue” of Hermione in Shakespeare’s Winter’s Tale (V, 3) or Othello’s description of Desdemona’s body as “whiter skin . . . than snow” and as “smooth monumental alabaster” (Othello V, 2, 4–5). On Shakespeare’s stage, this transformational power from living being to statue (and back again, in the mode of comedy) is associated with male violence against women caused by jealousy. Such marble statues may also play an important role in imaginings of pregnant women. In a more general context, tales of walking statues are associated with magical arts, as demonstrated in Apuleius’Metamorphoses, a work closely associated with magic. Lucius, the protagonist of this second-century Roman novel, describes his arrival in Corinth, the capital of Greek witchcraft: There was nothing I looked at in the city that didn’t believe to be other than it was: I imagined that everything everywhere had been changed by some infernal spell into a different shape – I thought that the very stones I stumbled against must be petrified human beings, . . . and I thought the fountains were liquefied human bodies. I expected statues and pictures to start walking, walls to speak, oxen and other cattle to utter prophecies, . . .42 A magician’s power thus is akin to what a master of memory does: turning one thing into another. This topic is intimately linked to Della Porta’s other interests in the arts of cross-breeding, of physiognomy, and of natural magic. Yet the relationship between Della Porta’s imagines agentes and contemporary painting becomes even more striking upon a closer examination of the individual imagines agentes ref lected in contemporary media.Ovid’s Metamorphoses as represented by Titian’s paintings Virtually all the examples in Della Porta’s The Art of Remembering refer to the thicket of myths recorded in Ovid’s Metamorphoses. This is no wonder; as the most inf luential “pagan” text of the Middle Ages and beyond, the Metamorphoses43 constitute a substantial encyclopedia of the transformations of the bodies of gods and human beings—transformations caused mostly by violent sexual acts of transgression on the part of gods, heroes, or powerful men upon their helpless victims. Ovid’s text is thus a rich source for the primary task of Della Porta’s art of memory: not only to associate but to exchange one image for another. Moreover, Andromeda, Leda, Ganymede, Io, and Actaeon, to mention but a few of the imagines mentioned in the Ars reminiscendi, were highly popular subjects for contemporary artistic representation. It is thus no wonder that Della Porta explicitly refers to the paintings of Michelangelo, Rafael, and Titian in his writings.44 In the mode of synecdoche, these imagines agentes serve as abbreviations for entire stories that are reduced to one single imago agens, just as Della Porta had postulated in the case of Andromeda. Accordingly, Titian’s most famous works supply the reader with instructive illustrations for Della Porta’s The Art of Remembering. His key example, Andromeda (in Perseus and Andromeda 1554–56), is represented by Titian with a body as white as a marble statue, chained to her rock, with a vivid facial expression, her arms depicted in an unusual, expressive pattern of movement. The same applies to Europa (in Rape of Europa 1559–65), with the major difference that she is not shown in an upright position like Andromeda, but instead reclining against the back of the bull/Zeus; both female figures are naked, their sexual organs barely covered by a piece of white transparent garment. In all likelihood, this is whatDella Porta imagined as the lenzuola with which the bodies of his personae should be covered in their ground positions. Of course, Titian created many striking erotic female figures. One thinks of his many Venuses, but also his renderings of a seductive St. Mary Magdalen (1530–35) or St. Margaret (ca. 1565), paintings also remarkable for the impressive movements of their subjects’ arms as well as gesture, (lack of ) apparel, and extravagant demeanor. The myth of Actaeon is the subject of two of Titian’s most impressive paintings: the Death of Actaeon (1559) and The Fate of Actaeon (1559–75). In the latter painting, the hunter’s head is already transformed into the form of a horned stag. With the exception of Leda and the Swan (by Michelangelo), nearly all the mythological subjects mentioned in Della Porta’s treatise are represented in Titian’s most famous works. We thus do not lack examples of contemporary paintings illustrating the imagines agentes in Della Porta’s The Art of Remembering. Yet there is one notable exception: the story of Pasiphaë (on whom see below). Like the imagines agentes in The Art of Remembering, Titian’s figures seem to be frozen in their movements, despite their vividness. An entire story is reduced to one spectacular moment—a snapshot (to use an anachronistic term). This reduction is not merely a convenient tool for remembering a myth in a wink of time. It also constitutes an intervention eclipsing all other aspects of the story that are not represented in the one imago agens. Titian’s paintings, like Della Porta’s imagines, are evocations of a story in the mode of synecdoche. Alive and dead at the same time, they are fetishistic representations catering to a male gaze, for a specific set of sexual fantasies. Moreover, the fragmentation implicit in this process also allows for a reduction of different myths to a limited set of structural elements or topics which all point to one and the same topic. This is exactly what Della Porta does in the examples given in The Art of Remembering; he evokes one and the same topic (for instance, a bull) in various loci/personae and the concomitant imagines agentes they enact. Moreover, all the different topics he uses as examples for memoranda (bull, horn, bird) may be subsumed under one single general topic: sex between human beings and animals.Pasiphaë As I shall argue in what follows, the myth of Pasiphaë fulfills a paradigmatic function for Della Porta’s memory technique, since it corresponds so precisely with his preferred focus in natural magic, the mating of different species and the creation of marvelous monsters. The myth is well known. Pasiphaë falls in love with a bull, has intercourse with the animal, and conceives the Minotaur. The sexual act leading to this monstrous birth is made possible through the cunning intercession of Daedalus. This archetypal male master-engineer from classical antiquity constructs a cow-shaped wooden frame in which Pasiphaë could hide while being penetrated by the bull.45 The remarkably imaginative and colorful myth of Pasiphaë thus conjoins illicit sex, the art of the engineer, and the tale of a monstrous offspring.Pasiphaë is a woman in love with an animal. She has sexual intercourse with a real bull, with her desire thus inclined toward the animal world. Ergo, she impersonates a highly negative image of women in the patriarchal societies through which the myth has travelled. This gender bias is highlighted when we compare Pasiphaë to the rape of Europa.46 Both Pasiphaë and Europa are situated in a liminal territory of intersection between the animal, human, and divine— between bodies, souls, and noumenal entities. Indeed, Europa is an inversion of Pasiphaë’s story. Zeus here figures as a male lover and a god disguised as a bull who has sexual intercourse with the maid Europa. Her fate is oriented towards the stars. To have sex with a god in animal guise is a ticket to immortality. To have sex as a woman with a real animal leads to ostracism and to the birth of monsters. Thus, it is no wonder that there are copious visualizations in fine art of the myth of Europa, but virtually none of Pasiphaë. From the perspective of the art of memory, we may say that Pasiphae and Europa, as imagines agentes, are inversions of each other. The mode of synecdoche, whereby an imago agens embodies the stories of Europa and Pasiphaë, invites a synoptic perspective on both myths, connecting as intersecting arches in the image of a woman having sex with a bull. But this contradicts the specific image of Pasiphaë observed in the myth, where the woman engaged in sexual intercourse with the animal was a (real) bull covering a (dummy) cow. Pasiphaë in fact disguises herself in what one could call a statue of a cow-like imago in the art of memory, thus transforming the dummy cow into a caricature of a “living statue.”47 Yet this image, on face value, shows an act that can be observed frequently. The myth’s image of a cow and a bull mating (again, on face value) cannot qualify as an imago agens, nor is it clear why it should be used in Della Porta’s The Art of Remembering in the locus of the meretrice. This does not mean the wooden cow is irrelevant to the phantasmatic transactions that characterize the basic method of the art of memory, namely to exchange one image for another. For the myth of Pasiphaë points in an oblique way to Daedalus’s sublime craftsmanship, his ability to fabricate a wooden image which deceives a bull. Despite the fact that Pasiphaë is a witch (Circe’s sister), she seemingly has not been able to concoct a magical love potion that would sexually attract the bull. In order to fulfill her desire, she needs the help of a male master engineer. In Greek philosophical terminology, this ability to produce potentially eternally lasting objects (like tables) is called “poetic.” Daedalus is thus pursuing an activity that he shares with the poets. Indeed Daedalus’ prop is a powerfully poetic cow, and the image he created has the power to evoke a series of (brutally violent) images which are not the image: they are quite literally “in” the image. The dummy cow (with its dark inside where the male imagination can pursue its most graphic phantasies of penetration) is a model for the associative processes at work in the art of memory—but it is in itself not an imago agens. In marked contrast to Ovid’s version of the story, where Pasiphaë is disguised in a dummy cow, Della Porta apparently wishes his readersto create an imago agens in which a prostitute has sexual intercourse with a bull without recourse to Deadalus’ prop. Pasiphaë’s myth points to the idea that the birth of monsters, in this case the Minotaur, requires the intervention of a male mastermind, who not only helps to beget the deviant creature, but also provides the means to contain the dangers arising from it, for it is Daedalus who constructs the famous maze in which Pasiphaë’s child is imprisoned.48 This image of Deadalus as creator and container of monsters or marvels epitomizes the role Della Porta wished to assign to himself as a cunning magus.49 Here, at the crossroads between mechanical device and intervention into the organic body, Della Porta’s particular form of late Renaissance natural magic, physiognomy, and the theater unfolds. Actually, the imago agens of a woman having sex with a bull has an interesting relationship to Della Porta’s Magia naturalis. Here we learn of Della Porta’s keen interest in practices of cross-breeding between human beings and animals. To bolster his claims, he cites the usual suspects for such stories: Pliny, Herodotus, Strabo and their tales of women who were raped by billy goats, producing monstrous offspring.50 This leads him to believe that “some of the Indians have usual company with bruit beasts; and that which is so generated, is half a beast, and half a man” (Magick 2, 12, 43). Della Porta also contends that it would be possible for a man to inseminate a fowl under the right astrological constellation and the right medical complexion.51 In order to create a human/animal monster, Della Porta does not resort to the kind of contraption Deadalus constructed for Pasiphaë, but relies instead on his expertise in measuring, not the proportions of the head as did Alberti, but rather the lengths and depths of male and female sexual organs, the course of the stars, and the assessment of the medical complexions inscribed in the physical traits of human beings and celestial bodies alike. These parameters—basically a doctrine of signatures—are also the most decisive indicators in Della Porta’s texts on physiognomonics, where he postulates the close resemblance of human beings to certain animals, with attendant implications for the human character.52Apuleius’ Metamorphoses This impression is confirmed by looking at another imago agens where a woman has sex with an animal. In both the Italian and Latin versions of The Art of Remembering, Della Porta claims that we remember the woman having intercourse with the ass from Apuleius’ Metamorphoses better than we do the heroism of a Muzius Scevola.53 Apuleius’ Metamorphoses, the second-century novel better known as The Golden Ass, is an interesting source for The Art of Remembering, because Apuleius describes the sexual act between an ass (not a bull) and a woman in great detail.54 Lucius, the protagonist of The Golden Ass, is a young man obsessed by witchcraft who is transformed into an ass after he applied the magical unguent concocted by Pamphile, a powerful Thessalian witch. In the shape of an ass—although never losing consciousness that he is a man—Lucius livesDella Porta’s erotomanic art of recollectionthrough a veritable odyssey during which he is beaten and mistreated. When one of his many keepers discovers that this ass is particularly clever, he makes Lucius the object of special exhibitions and a rich woman falls in love with the ass and hires it. In contrast to Pasiphaë, this woman has sex with the animal without any recourse to a prop. Both Lucius and the woman seem to enjoy the act, in spite of his asinine and—hence proverbially large—sexual organ. This changes as soon as Lucius has to perform the act again, this time as a cruel public entertainment in an amphitheater, where a female convict, before being devoured by wild beasts, is sentenced to have intercourse with the ass. Lucius deeply resents this act and manages to escape.55 It is interesting to note that Apuleius explicitly links his salacious story of the wealthy woman who has sex with the ass to the myth Pasiphaë, given he calls the woman asinaria Pasiphaë (an ass-like Pasiphaë).56 The story is thus marked as a parody of the myth of Pasiphaë in the form of a blunt satire on late Roman mores. Upon closer scrutiny, this story of the noblewoman and the ass is—again structured by a set of inversions, an oblique evocation of the myths of the rape of Europa as well as of Pasiphaë. In Apuleius it is a man, Lucius, who has been turned into the shape of an ass—neither a god ( Jupiter) who willfully changes his shape into a bull (as in the Europa myth), nor a witch (Pasiphae) who desires a real bull and who needs the help of a male engineer to fulfill her desire. Instead, Lucius is a man who has been changed into an animal, not by a Pasiphaë (who was incapable of doing that job for herself ) but by another relative or follower of Circe—Pamphile. The sexualized content with a specific violence towards female bodies is deeply inscribed into the story of Apuleius and, consequently, in the imago agens prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering, which again condenses the stories of Pasiphaë (the prostitute has sex with a bull) and the story of the sodomite noblewoman in Apuleius, as well as including the plan to showcase the act with female convict. The extremity of this imago agens is enhanced by the fact that such acts of bestiality were a capital crime in Della Porta’s time, primarily because they were believed to engender monstrous offspring, to humanize the animal world, and simultaneously to animalize the human perpetrators.57Io: more cows Another myth Della Porta mentions in his The Art of Remembering —this time, as an imago agens for remembering the word “horns”—is the story of Io.58 Her story is most pertinent because it concerns a beautiful Naiad who is raped by Jupiter and subsequently transformed into what Ovid describes as an extremely beautiful cow. In this shape, Jupiter wishes to protect the girl he has violated from the wrath of his ever-jealous wife. Unexpectedly, however, Juno likes the animal and receives it as Jupiter’s gift. Suspecting some ruse from her husband, she proceeds to have the animal protected by Argos, the moment in the story Della Porta employs as imago agens. According to Ovid, Io did not lose consciousness of herreal identity but, rather, terrified by her transformation, she seeks the company of her (human) family. Io’s father suspects that the tame, suspiciously human cow is his daughter. He exclaims in desperation that he had been “preparing and arranging a marriage (thalamos taedasque praeparam I, v 558), hoping for a son-in-law . . . now you must have a bull from the herd for husband, and your children will be cattle (de grege nunc tibi vir, nunc de grege natus habendus. v.660).” Eventually, Juno discovers Io’s true identity, her wrath subsides, and Io is fully restored to her former human shape. Similar to Apuleius’ story of Lucius in his Metamorphoses, Ovid describes Io’s transformations from human being into cow and back again in great detail.59 Io’s story is constructed as a set of inversions of the story of Europa. Jupiter approaches Io in the form of a human being (not as a handsome bull) and he transforms not his own body but that of the maid into the shape of a beautiful cow, a body in which the sexually abused girl is deeply unhappy. However, the affinities between Lucius and Io are even more striking; their stories appear as mirrored inversions along the gender divide. Both their bodies are transformed into the shapes of animals (a cow viz. an ass), both are beautiful and attractive in that guise ( Juno unexpectedly takes a liking to the cow, the noblewoman has sex with Lucius), neither of them lose consciousness of their human nature and suffer in their shape as animals (but Io seeks the company of her father, whereas Lucius wants his girlfriend back), both are subsequently transformed into human shape again, and both were originally transformed in order to escape imminent persecution. (Io is turned into a cow by Jupiter in order to protect her from Juno’s wrath, Lucius is mistakenly transformed into an ass in order to escape from the law.) The specific aspect making the stories of Europa, Io, Pasiphaë, and Lucius so significant for Della Porta’s The Art of Remembering is the constant interplay of various but related inversions of plots. Indeed, this method is intrinsic to the modes of transformation prescribed by this particular art.60 Interchangeability arises from the set of oblique inter-textual references and inversions of plots, as amalgamated in a given imago agens.61 In the mode of synecdoche, an imago agens is designed to represent an entire story in one image. This is a constitutive strategy of Della Porta’s mnemotechnique, which aims at the thematic interconnecting of persona/locus, imago agens, and memorandum. For example, a prostitute Della Porta has slept with (persona/locus) in turn embodies Leda having sex with Jupiter (imago agens) in order to remember the word bird (memorandum). Della Porta’s personal (phallic) imagination thus becomes entwined with classical myth. Within the positional logic of loci/personae in Della Porta’s The Art of Remembering, therefore, Leda, Io, Europa, Pasiphaë, the Roman noblewoman, and the female convict all become different imagines agentes into which one and the same memorandum may be inscribed. Thus, the porous boundaries between human beings and animals integral to Della Porta’s imagines agentes not only indicate his personal taste for a bizarre and grotesque imaginary and his studiesin physiognomy; they embody the basic principles of the Renaissance natural magic tradition of which Della Porta was a late (yet inf luential) exponent. It allows for a “syn-opsis,” a viewing together of very different stories that bolsters one of the foundational tenets of Renaissance natural magic: the universal drive for wholeness permeating the entire enlivened and sexualized cosmos, where the male and female aspects strive to unite. By dint of his profound knowledge of the occult sympathies and antipathies between things, the natural magus has the power to tap and organize these cosmic erotic forces so that he may produce his marvels.62 Within this Renaissance tradition, the human imagination has not only a specific capacity of the soul for evoking and then transforming images that originate from sensory perception. The human imagination also had the power to shape the body it inhabited, as well as other bodies.The formative power of maternal longings Renaissance natural magic coopted an ancient belief in order to exemplify the extraordinary formative powers of the human imagination. If a woman was exposed to a strong sensation or harbored an intense longing during intercourse or pregnancy, this state was thought to inf luence the formation of the embryo in her womb. Renaissance magi thus believed that the image of its mother’s obsession was impressed on the fetus and the future child would physically resemble the entity she had longed for during intercourse. Della Porta makes direct reference to such ideas and related practices. Initially, it appears that he is simply repeating the highly popular theories on maternal longings encountered in authors as diverse as Ficino and Castiglione.63 In the circular reasoning characteristic of natural magic, this set of beliefs about the imagination also opened implications for purposefully shaping future children, by positively conditioning the imagination of the mother. A frequently repeated segreto for creating beautiful children recommends exposing women during intercourse and pregnancy to paintings or sculptures of beautiful children, inf luencing the future child’s shape via beautiful imaginamenta.64 Della Porta refers directly to this bedchamber practice: place in the bed-chambers of great men, the images of Cupid, Adonis, and Ganymedes; or else [.  .  .] set them there in carved and graven works in some solid matter, [. . .] whereby it may come to passe, that whensoever their wives lie with them, still they may think upon those pictures, and have their imagination strongly and earnestly bent thereupon: and not only while they are in the act, but after they have conceived and quickened also: so shall the child when it is born, imitate and expresse in the same form which his mother conceived in her mind, when she conceived him, and bare in her mind, which she bare him in her wombe.65 It is fascinating that Della Porta’s two discourses on memory and on what one could call family planning are also interconnected through his choice of visualexamples, of imagines agentes. As in The Art of Remembering, we again encounter the images of Adonis and Ganymede and of Cupid. Significantly, in contrast to Della Porta’s The Art of Remembering, where predominately female personae cater to male sexual fantasies, all of the images that Magia naturalis prescribes for pregnant women are of beautiful boys. Della Porta’s ideas on the power of maternal longings entail a creative female capacity to produce such images in the shape of children; her imagination is engaged with the future. A master of the art of memory, on the other hand, is engaged in recollecting the past. Hence, the process in the pregnant woman’s imagination constitutes an inversion of the process prescribed in Della Porta’s The Art of Remembering: the woman’s imagination allows a marble statue to come alive, whereas the (male) master of the art of memory seeks to freeze the image of a living person (preferably a sexualized woman) into an imago agens—that is, he turns the figment to stone, symbolically killing the persona just when it appears to be most alive. This excursion into beliefs about the effects of maternal longings allows us to re-contextualize the mental process structuring Della Porta’s The Art of Remembering. The imagination is a faculty of the human soul capable of producing loci and imagines agentes, to be frozen into statues, into tableaux vivants. The story of the maternal longings confirms Della Porta’s creed that the human imagination can also materialize its products; in both cases, the image may be unfrozen and directed back to its starting position to assume a new pose. The master of Della Porta’s art of memory thus arrogates for himself a phantasmatic power over life and death, inherently a much greater power that the pro-creative capacity he has ascribed to women. The asymmetric gender bias that emerges in this account is instructive. As in the story of Daedalus and Pasiphaë, the art of memory also refers to the preeminent ability of the male magus to create monsters through artificial cross-breeding, whereas the imagination of a pregnant woman requires male protection and guidance to its power to shape future children.Conclusion The evidence for my claim that Porta’s choice of memory images in his The Art of Remembering is not arbitrary, but instead it is closely related to the overreaching project he pursued as author of texts on (and a practitioner of ) natural magic, physiognomy, and the theater. A set of classical myths—Andromeda, Europa, Io, Pasiphaë, and Aktaion—handed down by Ovid, parodied by Apuleius, and painted by Titian, was put to a specific use in Della Porta’s The Art of Remembering. In the mode of synecdoche, he instructs the reader on how to reduce an entire story to a single imago agens (for instance, the image of naked Andromeda chained to her rock). The imago agens thus functions as a synopsis of the entire myth. This oscillation between the modes of synopsis and of synecdoche—entailing a constant process of re-focalization—in effect constitutes the basic cognitive operation in Della Porta’s The Art of Remembering. Since it reduces a whole welter of ancientmyths to one common narrative, the mode of synecdoche facilitates the perception of thematic or structural affinities between different myths. Accordingly, a series of imagines agentes referring to very heterogeneous stories allows a leveling in our perception of these different narratives and their content. The mode of synecdoche is conducive to focalization on a single topic via myriad topical affinities (which become highlighted in the mode of synopsis). In Della Porta’s mnemotechnique, this re-focalization of a series of stories may transpire not only through a heightening affinity, but also in the mode of inversion (for instance, in the myths of Europa and Pasiphaë). In The Art of Remembering, this results in the reduction of the stories of Io, Pasiphaë, and Europa (as well as Apuleius’ asinaria Pasiphaë ) to the topic of women having sex with animals and generating monstrous offspring (bulls, cows, asses). This topical affinity is also pertinent to the relationship between of sexualized imagines agentes and memoranda (bulls, horns, birds). The imagines agentes operate within the imagination of the master of the art of memory. This particular mental faculty not only receives such images; it also has the capacity to transform them into new images—images which in turn have the power for transforming the human body. Not only does Della Porta’s laboratory of monstrous hybridization constitute a hotbed for the literary imaginary, but the literary image also models the reader’s imagination, and once the imagination is infected by an image, these images may acquire a life of their own. This reasoning has its ultimate proof in the belief that a pregnant woman’s fantasies inf luence the form of the future child. At the thematic intersections of literature, visual art, physiognomonics, natural magic, the core topic—sex with animals and the generation of monstrous offspring—becomes embedded (in the literal sense of the word) with personal erotic experiences. The women who have intercourse with animals are impersonated by the women with whom Della Porta has had—or wished to have—intercourse. As mnemonic personae/loci and hence as slaves of his erotic fantasy, they are forced to embody any role assigned to them by their master. Della Porta is thus obliquely portraying himself in the process of recollecting his own memories—living statues of women who have sex with animals who may be seen as surrogates for him. In a series of constant mise en abimes mirroring a phallic erotic imagination, Della Porta points his readers (and himself ) towards the center of a truly mannerist Minotaur’s abode.Notes I wish to thank Marlen Bidwell-Steiner for many invaluable discussions and comments. 1 On the art of memory, see Yates, The Art of Memory; Bolzoni, The Gallery of Memory; Carruthers, The Book of Memory. 2 The Latin Ars reminiscendi was published 1602. L’arte del ricordare was purported to be the Italian translation by a Dorandino Falcone da Gioia, but this was in all probability a pseudonym for the author himself. Both texts are edited in Della Porta, Ars Reminiscendi: L’arte di ricordare. For the first English translation of the Italian version and a well-informed introduction to the text in English, see Della Porta, The Art of Remembering/L’arte del ricordare. On the differences between the Italian and the Latin versions, see in that edition2423 4 5 6 7 8 9 10 1112 13 14 15 16 17 18 1920 21 22 2324 25 26 27 28 29Baum, “Writing Classical Authority”; also Bolzoni, “Retorica, teatro, iconologia, 340, with footnote 5; Maggi, “Introduction,” in Della Porta, The Art of Remembering/L’arte del ricordare, 29–30; Balbiani on the fortuna of Della Porta’s Magia naturalis in La Magia naturalis. Bolzoni, The Gallery of Memory, 175. Valente, “Della Porta e l’inquisizione.” On which see Kodera “Giambattista della Porta,” in Stanford Encyclopedia of Philosophy. For a succinct and highly influential discussion of the medieval technique of the art, see Rhetorica ad Herennium, ed. and trans. Nüsslein, 164–80 (bk III, §§ 28–40, XVI–XXIV); Yates, The Art of Memory, 63–113. On the medieval use of memory images, Carruthers, The Book of Memory, 59, writes: “Most importantly, it is ‘affective’ in nature, that is, it is sensorily derived and emotionally charged.” See also ibid., 109, 134, and 137. Bolzoni, The Gallery of Memory, 130–31. Della Porta, Ars Reminiscendi, 75. See for instance Dolce, Dialogo del modo, 26–32. As Bolzoni, The Gallery of Memory, p. 137 (with footnote 12) has pointed out, it is interesting to note that the Ars reminscendi explicitly warns against the use of medicines or drugs for enhancing the capacitances of memory, whereas in Della Porta had presented such recipes in his Magia naturalis. Della Porta, Ars Reminiscendi, 68. On the notion of phantasmata in Della Porta, see Kodera, “Giovan Battista della Porta’s Imagination.” Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. See Dolce, Dialogo del modo, 92 and the attendant notes directing the reader to medieval sources of this method. Della Porta, Ars Reminiscendi, 70. Dolce, Dialogo del modo, 33–34, for example, does not try to assimilate the personae to the loci, but instead distinguishes between them. Della Porta, Ars Reminiscendi, 17. It is interesting to note that Della Porta does not seem to be picky about terminology, as for him very different notions—similitudo, idea, forma, simulacrum are synonyms with imago. Ibid., 79. Galileo loved exactly such character traits in Ariosto’s heroes; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 211. Della Porta, Ars Reminiscendi, 17–18. Bolzoni, The Gallery of Memory, 167 has pointed to the fact that Della Porta is here quoting almost verbatim from Leon Battista Alberti’s, De pictura, 2. 40, arguing that “the theatrical tradition becomes a point of reference to the painter who has to paint an istoria.” For a discussion of the number of loci from a different contemporary perspective see Dolce, Dialogo del modo, 39–43 with many references to earlier sources. Bolzoni, The Gallery of Memory, 162–63; Dolce, Dialogo del modo, 145, footnote 345 with much scholarly literature on the connections between the art of memory and theater. Kodera, “Bestiality and Gluttony.” Clubb, “Theatregrams,” has called these variable parts theatergrams. One possibility is to generate a locus which is then invariably used, because it is recharged with new imagines that have the capacity to store a new set of memoranda. Yet if this process of re-inscription of the extant structure proves impossible, one must destroy the entire setup. In order to do this, many masters of memory suggested methods that were outright iconoclastic; cf. Bolzoni, The Gallery of Memory, 142–44. Della Porta, Ars Reminiscendi, 18. Ibid. Carruthers, The Book of Memory, 131 on the pictorial turn of medieval art of memory. Della Porta, Ars Reminiscendi, 76. Ibid. Ibid., 17–18.30 This otherwise puzzling imago seems to be a remnant from a manuscript version of the Arte del ricordare, which refers as examples for imagines agentes to one of Boccaccio’s Novellae, on Chichibio, of the Decameron VI, 4 (Della Porta, Ars Reminiscendi, 77); in that version Della Porta also mentions two more highly salacious stories from the Decameron (III, 10 and VIII, 7); see Della Porta, Ars Reminiscendi, 79 and 95; see also Baum, “Writing Classical Authority,” 159. 31 The hero Hercules and the river god Achelous were fighting over Deianeira, the daughter of Dionysius. During the battle between the two rivals, the bull-headed river god turned first into a snake and then into a bull, whose right horn is broken by Hercules; according to one version, Hercules took that horn down to Tartarus where it was filled by the Hesperides with golden fruit and is now called Bona Dea (cornucopia). Graves, The Greek Myths, 553–54; Ovid, Metamorphoses, bk. IX, vv. 1–92. Observe that the cornucopia appears in the next imago agens. 32 Della Porta, Ars Reminiscendi, 18. 33 This increasing prurience is a general tendency in Della Porta’s works and is probably due to the increasingly intolerant intellectual climate characterizing the last decades of the sixteenth century; on this see Kodera, “Bestiality and Gluttony,” 86–87 with references. 34 Della Porta, Ars Reminiscendi, 77. 35 Della Porta here had openly referred to the myth, whereas in the Ars reminiscendi he only alluded to it—namely, by describing the iconography of one of Titian’s most famous paintings (the persona of a virgin sitting and playing on a bull and holding a crown over the animal’s head). 36 In the Latin version the prostitute was substituted with the lover of one’s wife. In the Latin version, ibid., 22, Leda is completely omitted. 37 The word ucello (bird) denotes penis, with birds commonly looming large in all kinds of erotic metaphors; on the semantics of ucellare (the word denoting prostitution, ridicule, and penis) see Alberti, “Giove ucellato,” 59–64; for similar contexts in Della Porta’s theater, see Kodera, “Humans as Animals,” 108–09. 38 Compare Schiesari, Beasts and Beauties, 61–64 for perceptive remarks on the gender bias of Della Porta’s Physiognomy. 39 Alberti, Della pittura, 122–24 (bk 2, §36) For a discussion of the relevant passages, see for instance Heffernan, Cultivating Picturacy, 71–73. 40 Bolzoni, The Gallery of Memory, 167. 41 Ovid, Metamorphoses IV, vv 671–675; 112. 42 Apuleius, Metamorphoses: The Golden Ass, Book ii, § 1, 22. 43 See Innes, “Introduction,” 19–24. 44 So does Dolce, Dialogo del modo, 146-47, mentioning Titian’s Europa and Akataion. 45 Ovid, Ars amatoria libri tres, 26–28, bk. I, v. 289–326, Ovid., Metamorphoses, bk. VIII, v. 134–36; Graves, The Greek Myths, 293–94. 46 On Europa, see ibid., 194–97. 47 A caricature of the animation of statues by Egyptian magi, as described by Hermes in the Corpus Hermeticum, an account which it is well known, and haunted many renaissance minds; for a commented edition, Copenhaver, Hermetica. 48 A labyrinth, i.e., an architectural structure designed expressly to get lost in, as opposed to orderly architectural structures—and also the inversion of the clearly represented structure of loci in the art of memory. 49 See Kodera, Disreputable Bodies, 275–93 and Della Porta, De i miracoli, 23–25, bk I, ch. 9. 50 Della Porta, Natural magick, 43, bk 2, ch. 12. 51 Kodera, “Humans as Animals,” 109–15; Della Porta, Magia naturalis libri XX, 76, bk II, ch. 12. This passage is an elaboration of Aristotle on crossbreeding, from De generatione animalium 4.3, 769b. In this case Della Porta’s credulity is greater than that of many of his educated contemporaries, who were usually more skeptical about the possibility of producing offspring through sex between humans and animals. For a very interesting24452 53 54 55 56 57 58 59 60 61 6263 64 65Sergius Koderacontemporary discussion of the topic, which clearly accentuates the ways in which Della Porta is bending his evidence, see Varchi, “Della generazione dei Mostri,” 99–106. On this see MacDonald, “Humanistic Self-Representation,” Kodera, Disreputable Bodies, and Schiesari, Beasts and Beauties. Della Porta, Ars Reminiscendi, 78–79. Cf. Apuleius, Metamorphoses lib. X, §§ 19–22. For a succinct introduction to that text, and relevant secondary literature, see Kenney in Apuleius, Metamorphoses, ix–xli. Ibid., 84–186; 190–94, bk 10, § 19–23; § 29–35. Apuleius, Metamorphoseon, bk. 10, § 19, l. 3. See Liliequist, “Peasants against Nature,” 408. On the increasing belief in the real existence of such hybrid animals in the later Middle Ages, see Salisbury, The Beast Within, 139 and 147. Ovid, Metamorphoses, bk I, vv. 588–662 and 724–45, Graves, The Greek Myths, 190–92. Just see the example of the re-transformation: Ovid, Metamorphoses, bk I, vv 737–46, trans. Mary M. Innes, 48. For Lucius’ transformations into an ass and back again, see Apuleius, Metamorphoses, 52, bk 3, § 25 and ibid., 202–03, bk 11, § 13–14. In that vein of thought, many more things could be said also on the story of Hercules and the bull-headed river god Achelous (on whom, see above, endnote 31). The Arte del ricordare mentions not only association from the same (dal simile, Della Porta, Ars Reminiscendi, 80 and 81) but also aggiungere, mancare, trasportare, mutare, partire (ibid., 85) and trasponimento dal contrario (ibid., 95). Kodera, “Giambattista della Porta,” 8–9 for a short introduction to the idea that all things in the universal hierarchy of being are moved by the (irrational) forces of attraction and repulsion they feel for one another. Porta provides an impressive description of the macrocosmic animal, the male and female aspects of which mingle in a harmonious and well-coordinated way; cf. Della Porta, Magia naturalis, bk. 1, ch. 9. Della Porta, Natural magick, 51: “Many children have hare-lips; and all because their mothers being with child, did look upon a hare.” For an earlier source see Ficino, De amore, 252. For an introduction to the history of these seemingly widespread practices and the related artwork during the Renaissance, see Jacqueline Musacchio, The Art and Ritual of Childbirth, 128–39. Della Porta, Natural magick, 53.Bibliography Alberti, Francesca. “Giove ucellato: quand les métamorphoses sefont extravagantes.” In Extravagances amoureuses. 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Posterity notwithstanding, Tasso claimed that his “poema riformato” was far superior to the earlier work largely because of “the much more certain knowledge I now have of myself as well as of my writings” (“la certa cognizione ch’io ho di me stesso e de le mie cose”).1 One result of this new certainty seems to have been if not the eradication of the Liberata’s female characters, at least the curtailing of their inf luence.2 The enchantress Armida virtually disappears after Canto 13, lamenting her failures to keep the Christian army’s strongest knight with her forever, and no longer converting to Christianity as in the surprising end of the Liberata. The princess of Antioch, Erminia, is denied her remarkable role in the Liberata as the discoverer and healer of the Christian knight Tancredi’s wounded body and the revealer of a secret plot against his captain, Goffredo. Two extraordinary Christian women are completely excised from the Conquistata: Gildippe, who dies fighting by her husband’s side in the Liberata’s twentieth canto, and Sofronia, who offered her life to save the Christian refugee community in a captive Jerusalem, and who, in turn, is saved by the Muslims’ most celebrated woman warrior, Clorinda. Only Clorinda’s tale is relatively untouched—with the exception of her rescue of Sofronia. Both the Liberata and the Conquistata tell of her strident independence and her baptism into her mother’s Christian faith as she lies dying by the hand of Tancredi, who has killed what he loved. This essay will not so much catalogue the Conquistata’s many revisions as attempt to gauge the changing role of the female body in Tasso’s epic practiceTylusand its relationship to Tasso’s growing ambivalence about the status of the “arti fallaci” in his poetry—a phrase, as we will see, that is uttered by the much altered character of Erminia toward the end of the Conquistata. And even if Clorinda and Armida continue to stand out in their memorable particularity in the Conquistata, they are joined by a new host of women who exist largely to create a “dynamic that is reassuringly familial,” as Claudio Gigante has observed, and who no longer possess the self-conscious artfulness that characterized female characters in the Liberata.3 The contrast allows us to see how potentially radical the Tasso of the Liberata was and at the same time how his transformations of women in the Conquistata are tied to his reconceptualization of himself as an epic poet.4 I will elaborate some of these arguments by turning to developments that led to the Conquistata, necessarily addressing selective incidents within both poems in order to depict the nature of Tasso’s poetic transformation. One episode in particular offers itself up for special consideration. It concerns a female figure in the Liberata who has not attracted much attention, and who, as mentioned above, is nowhere to be found in the revised poem: Sofronia.5 Willing to die in exchange for the salvation of her fellow Christians, she is rescued and subsequently exiled from Jerusalem. The contrast between this stirring episode in the Liberata and its muted aftermath in the Conquistata could not be greater, as the following pages will show. At the same time, they attest to what might be called Tasso’s desire for the organicity of his revised epic, a poem in which individual characters would be immune from the criticism launched against Sofronia herself. For according to the Gerusalemme’s first readers, the episode that centered on her in Canto 2 was “poco connesso” to the Liberata as a whole.6 This lack of continuity, in turn, has a stylistic echo in the infamous critique of Tasso’s language as “parlar disgiunto” or disjointed speech—a disjointedness even Tasso acknowledged when he claimed to have learned it from Virgil, admitting that it can tempt one to swerve dangerously from the “truth” in its pursuit of fallacious artistries.7 The path toward wholeness in the Conquistata thus marks a turn away from Virgil and toward the more narratively f luid Homer, as readers of Tasso (and Tasso himself ) have readily ascertained.8 But this path also goes through the body of the female, inscripted into the Conquistata as bearer of a new epic model of integration and personal loss. It is a body that the chastened Tasso, in his final critical writings on his poetic output, may also have recognized as his own. *  **  In the early 1680s, the prolific Luca Giordano executed a series of paintings for a Genovese palazzo recently acquired by the nobleman Eugenio Durazzo. Among the works Giordano designed for the entryway into a palace that was on the “must-see” list of every foreign visitor to Genova, were portraits of the death of Seneca and the Greek hero Perseus. But his paintings also featured a large canvas depicting an event from the Liberata’s story of Sofronia, the brave young woman who volunteers to die for her fellow Christians and who, along with the man who loves her, is saved by Clorinda. Moved by the taciturn stance of thefemale victim before her, Clorinda asks Aladino, Jerusalem’s king, to free the two Christians in exchange for her promise that she will perform great deeds in Jerusalem’s defense, and Giordano chooses to display this moment in his work9 (Figure 13.1).10 At the same time, Clorinda’s back is turned, so that the real savior of the two Christians bound at the stake seems to be a painting of Mary which angels are holding aloft—suggesting that Giordano’s work may also be about the salvific powers of art. Mariella Utili has written of Giordano’s intent to throw into relief the religious aspect of the story: “the exaltation of Christianity, which had been the basis for the immediate success of Tasso’s poem and which many other artists before Giordano had noted as well.”11 Yet with respect to the episode of Sofronia and her would-be lover Olindo, who begs to die with her, such a remark might seem ironic. For this story provoked almost more than anything else in the epic the concerns of the poem’s Inquisitorial readers, and in turn Tasso’s worries aboutFIGURE 13.1Luca Giordano, “Olindo e Sofronia,” Palazzo Reale gia’ Durazzo (Genova).Photo credit: Zeri Photo Archive, Bologna, inv. 110885.the extent to which its inclusion would threaten the Liberata’s publication. So much so, that in a telling letter written on April 3, 1576 to his friend and literary confidant Scipione Gonzaga he writes, “Io ho giá condennato con irrevocabil sentenza alla morte l’episodio di Sofronia” (“I’ve already condemned the episode of Sofronia to death, and my decree is absolute”).12 Having barely escaped death at the hands of Jerusalem’s king, Sofronia was condemned anew by Tasso. The reasons for this condemnation are several, even as the episode contains within itself a germ of the process that will define Tasso’s method in the Conquistata. One reason certainly has to do with the painting which Giordano has f loating in the sky—a touch unaccounted for in the Liberata itself, but prepared for by the odd narrative Tasso weaves in the opening of Canto 2. For the catalyst that set off a tyrant’s rage, leading him to sentence Jerusalem’s Christians to death, is indeed a work of art: an image of Mary taken from the Christians’ church by the magician and former Christian Ismeno, who is convinced of its supernatural abilities to protect the walls of the city against the Crusaders. He places Mary’s picture in a mosque so as to provide “fatal custodia a queste porte.”13 For reasons on which Tasso coyly refuses to pronounce—(“O fu di man fedele opra furtiva, / o pur il Ciel qui sua potenza adopra, / che di Colei ch’è sua regina e diva / sdegna che loco vil l’imagin copra: / ch’incerta fama è ancor se ciò ascriva / ad arte umana od a mirabil opra”; “It was either the work of a stealthy hand, or heaven interposed its potent will, disdaining that the image of its queen be smuggled somewhere so contemptible” [2: 9]14)—the immagine mysteriously disappears from the mosque into which Ismeno has smuggled it. Certain that the Christians have contrived to steal it back, Aladino plots for them universal slaughter, until the beautiful Sofronia steps forward to take the blame so that her people will not die, a confession the narrator describes as a “magnanima menzogna,” a magnanimous lie. In a letter, however, written soon after he released the poem to an official reading, Tasso seems fearful that the stolen immagine has invoked the ire not of Aladino but of Silvio Antoniano, the Roman Inquisitor and official in charge of granting the right of nihil obstat for books published in Rome. Writing to Luca Scalabrino on a later occasion, he continued to insist on excising the “episodio di Sofronia”: “perch’io non vorrei dar occasione a i frati con quella imagine, o con alcune altre cosette che sono in quell’episodio, di proibire il libro” (“I don’t want to give the friars a chance to condemn the book because of that image, or because of any other little things found in the episode”).15 Much of interest has been written of the status of images in the aftermath of Trent, some of it in regard to the poem’s second canto. As Naomi Yavneh has pointed out, Trent was preoccupied with limiting the role that excessive popular devotion played in religious life, and its stance on images was no exception: it perforce needed to clarify the extent to which “immagini” were only the simulacri for the things to which they pointed. As such, the importance of an object in referencing beyond itself—its deictic function—was accentuated by the orthodox proclamations from the 1570s and 1580s. One typical characterization of the post-Tridentine image, although from the Seicento, is offered by the JesuitGiovanni Domenico Ottonelli. He suggests that in gazing at a painting, “which represents something other than the thing which it resembles, and from which it takes its name” (“che rappresenta un’altra cosa, di cui tiene la simiglianza, e prende il nome”), one must recognize that “while the image renders visible what is invisible, the image is only worthy of honor by virtue of resemblance, not substance.”16 Moreover, as Yavneh goes on to point out, in the episode from Tasso’s Liberata, the transformation of the painting of Mary into a thing of “substance”— i.e., it alone can save Jerusalem from harm—is initiated by the renegade Christian, Ismeno, unable to leave his former religion completely behind him (“Questi or Macone adora, e fu cristiano, / ma i primi riti anco lasciar non pote; / anzi, in uso empio e profano / confonde le due leggi a se’ mal note”; “He adores Mohammed, as once he adored Christ, but cannot now abandon the first way, so often to profane and evil use confounds the two religions out of ignorance” [2: 2]). It is Ismeno who recommends that Aladino place “questa effigie lor” of Mary, “diva e madre” or goddess and mother of the Christian’s god (2: 5) into the mosque because of its talismanic status—an idolatrous reading in which the Christians, who leave their offerings before the “simulacro” do not, apparently, concur.17 One can only speculate as to what about the “immagine” in Canto 2 might have angered Tasso’s inquisitorial reader; the letter from Antoniano detailing his objections to the Liberata does not survive. But it is striking that another vergine, Sofronia, proclaims for herself the protective status Ismeno gave to the immagine of Maria. Her sacrifice thus effects a substitution originally engineered by the apostate. She too adopts the language of female uniqueness when boldly stating to the king Aladino her “crime”: “sol di me stessa, sol consigliera, sol essecutrice” (“I was the only one [who knew of it], one counselor, one executor alone”; 2: 23). When Olindo challenges Sofronia’s magnanimous lie, arguing that a mere woman would be unable to carry out the theft, she insists again on her autonomy: “Ho petto anch’io, ch’ad una morte crede / di bastar solo, e compagnia non chiede” (“I too have a heart, confident it can die but once. It does not ask for company”; 2: 30). But Tasso links her in other ways to the Madonna that Ismeno made into a singularly potent object. As commentators have noticed, Tasso compares her to the stolen image when her veil and mantle are roughly taken from her when she is led to the stake.18 Just as Mary’s image, “enveloped in a slender shroud” (“in un velo avolto”; 2: 5) was seized (“rapito”) by Ismeno, so are Sofronia’s veil and mantle seized from her (“rapit[i] a lei [Sofronia] il velo e ’l casto manto”; 2: 26). And an allusion to Mary’s face (“il volto di lei”) returns with “smarrisce il bel volto in un colore / che non è pallidezza, ma candore” (“the lovely rose of [Sofronia’s] face is lost in white which is not pallor, but a glowing light”; 2: 26). And yet the resonances between Sofronia and an inimitable female figure do not end here. Giampiero Giampieri has noted that the white coloring of Sofronia at the stake is echoed eleven cantos later when Clorinda, the third vergine of the canto, dies at Tancredi’s hands. This pale demeanor at death’s arrival in turn has its haunting origins in the phrase accompanying the suicides of Virgil’smost prominent female character, Dido, and the historical figure on whom she is partially modelled, Cleopatra. These intertextual allusions thus trace an unsettling historical trajectory, insofar as far from being “vergini,” unlike their Tassian counterparts, both women are known for their sensuality and, in Dido’s case, unrequited passion. At the same time, Clorinda, like Sofronia, occupies the role enjoyed by Dido and Cleopatra before romantic liaisons led them astray. They are all the singular, female supports of their people. When Islam’s powerful woman warrior enters Jerusalem in Canto 2, Clorinda is defined as the self-sufficient savior of a people that Sofronia and—according to Ismeno—the immagine of Mary have been before her. In greeting Clorinda, Aladino bestows on her the signal distinction of the warrior who alone can protect the city (“non, s’essercito grande unito insieme / fosse in mio scampo, avrei più certa speme”: “though a whole host should come to rescue me, I would not hope with greater certainty”; 2: 47). Not only does he concede to her his scepter (“lo scettro”) but he adds, “legge sia quel che comandi” (“let the law be what you command”; 2: 48), an honor that prompts Clorinda to ask for her reward in advance: the release of the two Christians.19 Even as Clorinda will exact bloody penalties on the Christians who attack the city to which she pledges her protection, this fantasy of female potency that begins in Canto 2 will be eclipsed outside Jerusalem’s walls when Clorinda is killed by Tancredi: Meanwhile they whispered of the bitter chance behind the city wall confusedly till finally they learned the truth. At once through the whole town the bad news made its way mingled with cries and womanly laments, as desperate as if the enemy had taken the town in battle and f lew to raze houses and temples and set the ruins ablaze. Confusamente si bisbiglia intanto del caso reo ne la rinchiusa terra. Poi s’accerta e divulga, e in ogni canto de la città smarrita il romor erra misto di gridi e di femineo pianto; non altramente che se presa in guerra tutta ruini, e ’l foco e i nemici empi volino per le case e per li tèmpi. (12: 100) The defeat of a city in wartime evoked in this moving simile is the fate that Ismeno believes Jerusalem will avoid if Mary’s image is placed in the mosque; that Sofronia believes her people will avoid if she dies at the stake; and thatAladino believes his kingdom will avoid if Clorinda agrees to defend his city. And the moment, of course, looks backward again to Virgil, and to the demise of another city, Carthage, upon the death of another singular woman. “The palace rings with lamentations, with sobbing and women’s shrieks, and heaven echoes with loud wails—even as though all Carthage or ancient Tyre were falling before the inrushing foe, and fierce f lames were rolling on over the roofs of men, over the roofs of gods” (IV: 667–71).20 The “città smarrita,” the urbs in ruin: in both Aeneid 4 and the Liberata, the figurative collapse of the city, portrayed in a simile that reveals the grim devastations of war, is tied to the death of a woman characterized as savior. And in both cases, the two cities of these respective poems will be invaded by the enemy—one during the Punic Wars that are only predicted in the Aeneid, the other in Canto 20 of the Liberata. At the same time, the simile of Canto 12 following Clorinda’s death can be said to silence the diabolical suggestion that women’s bodies might be sufficient protection for Jerusalem’s community; or in rhetorical terms, that the female body stands in an analogical relationship to the city and can procure its health. Sofronia’s self less action in Canto 2 procures temporary salvation for the Christians. But genuine salvation arrives only eighteen cantos later, when Goffredo’s troops invade Jerusalem and secure it for its “rightful” owners. In the meantime, Sofronia, like the Madonna’s image, has been withdrawn forever from the poem. Following her rescue by Clorinda, she does not refuse Olindo her hand in marriage, and with him and others “di forte corpo e di feroce ingegno” (whose bodies are robust and spirits bold; 2: 55) she is banished, so fearful is Aladino of having so much virtue nearby (“tanta virtù congiunta . . . vicina”; 2: 54). Some of the banished wandered aimlessly (“Molti n’andaro errando”; 2: 55) while others traveled to Emmaus where Goffredo’s troops are gathered. Of Sofronia and Olindo, however, no more is heard. All Tasso divulges of their fate is that they both went into exile beyond the bounds of Palestine (2: 54). Such a finale to Sofronia’s sacrificial offering ensures—intentionally, it would seem— that the episode is indeed “poco connesso” to the rest of the poem. Inserted into the beginning of the Liberata, the story of Sofronia operates as a virtually self-contained unit, ending with its main protagonist banished from Jerusalem. That the episode can be said to trace Tasso’s ambivalences regarding “tanta virtù congiunta” in not one, but three, female characters, is suggested by both Sofronia’s and the immagine’s summary dispatch from the poem—as though to insist on the heretical nature of Ismeno’s view of the painting, and the women’s views of themselves, as sufficient to protect a city.21 But there may be another link between the exiled women and the immagine. The latter is both more and less than an icon: it is a work of art, in ways which the woman themselves may replicate. Much of the threat represented by Sofronia has to do with her inscrutability, which mirrors the unknowability of the immagine’s fate and of the painting itself. Moved by generosity and “fortezza,” Sofronia exits alone among the people (“tra ’l vulgo”) after Aladino orders the Christians’ houses burned. But as she journeys publicly to meet the king, Tassointroduces some seemingly gratuitous phrases: she neither “covers up her beauty, nor displays it,” and “Non sai ben dir s’adorna o se negletta, / se caso od arte il bel volto compose” (“If chance or art has touched her lovely face, if she neglects or adorns herself, who knows”; 2: 18). Similarly, she is described in relationship to the young Olindo, who has loved her desperately from afar, as either “o lo sprezza, o no ‘l vede, o non s’avede” (“she scorns him, or does not see him, or takes no note”; 2: 16), and of her considerable beauty, she “non cura, / o tanto sol quant’onesta’ se ’n fregi” (“cares not for it, or only as much as required by honor’s sake”; 2: 14). Even as Tasso depicts her as a “virgin of sublime and noble thoughts” (“vergine d’alti pensieri e regi”), he wastes no time in adding that she is also “d’alta beltà” (2: 14), suggesting that we do not know whether Sofronia is aware of her beauty’s effect on her admirers. In short, she is the product of an artfulness that at once belies her sincerity and renders her inaccessibility to public scrutiny even more pronounced. Indeed, Sofronia is impugned throughout Canto 2 in various ways that can only force the reader to suspect if not her motive—which emerges following her struggle to balance masculine virility or “fortezza” and female modesty (“vergogna”)22—then at least her self-presentation in a public space. And because she is a woman, “amore” emerges as the vehicle through which her integrity can be compromised. Or as Tasso says in introducing Olindo and in returning to the language used only several stanzas before of the chaste image of Mary and its supposed ability to provide “fatal custodia” to the gates of Jerusalem: “tu [amor] per mille custodie entro a i più casti/ verginei alberghi il guardo altrui portasti” (“although a thousand sentinels are placed, you [Love] lead men’s glances into the most chaste of dwellings”; 2: 15). The uncertain status of Sofronia’s agency and her inability to control the reception of her offer are highlighted again after the king, furious over her assertions that she was right to steal the image, orders her to be burned: “e ’ndarno Amor contr’a lo sdegno crudo / di sua vaga bellezza a lei fa scudo” (“too slight a shield is womanly grace for Love to f ling against the crude resentment of the king”; 2: 25): as though she—or Love working through her—might cunningly be able to soften the tyrant in his resolve. The manner in which Sofronia is tied to the stake—her veil and “casto manto” stripped violently from her and used to tie “le molli braccia” (2: 26)—and the ensuing appearance of Olindo beside her, “tergo al tergo,” heighten the barely suffused sensuality of the preceding stanzas in which Sofronia’s ambiguously constructed femininity has been a muted but persistent theme. “O caso od arte.” This is the phrase that threatens to turn Sofronia into the seductress Armida, who appears two cantos later at the threshold of the Christians’ camp to lure the Crusaders away from war. Sofronia is no Armida. Yet in depicting Sofronia’s inner conf lict between “fortezza” and “vergogna,” while refusing to declare the extent of Sofronia’s artful self-consciousness, Tasso highlights the problems that emerge when a woman thrusts herself into the public gaze.23 The questioning presence of male spectators, a group into which Tasso inserts the (male) reader by way of the narrator’s interventions, ultimately pointsto the inability of Sofronia—and by extension, of the immagine of Mary and of Clorinda, who has already unknowingly inspired the passion of the Christian knight Tancredi—to control the effects of her self-presentation. Like the Didos and Cleopatras before her, she is unable to escape from the controlling system of gender that makes her into the object gazed upon and fantasized about as though she were a work of art. At the same time, what prevents Sofronia from becoming a martyr and hence giving her life for her people is another woman, Clorinda: who at first appears to the populous as a male warrior (“Ecco un guerriero [ché tal parea]”) but who is betrayed as a woman by her insignia, the tiger. When Clorinda enters into the crowded piazza where the two Christians are tied to the stake, she notes Olindo weeping “as a man weighed down with sorrow, not pain” (“in guisa d’uom cui preme / pietà, non doglia)” while Sofronia is silent, “con gli occhi al ciel si fisa / ch’anzi ‘l morir par di qua giù divisa” (“her eyes so fixed on heaven that she seems to be leaving this world before she dies”; 2: 42). Clordina’s response to this sight—a Clorinda raised in the woods and led to disdain female pastimes such as sewing and embroidery—is extraordinary: “Clorinda intenerissi, e si condoles / d’ambeduo loro e lagrimonne alquanto” (“Clorinda’s heart grew tender at this sight; she grieved with them, and tears welled up in her eyes”; 2: 43). Such tenderness leads her to ask for the two Christians as a gift in advance of her promised salvation of the city: a salvation, as we will soon know, she can never achieve. Her pity for a woman like herself—at once self-contained and yet vulnerable to others’ fantasies about her sexuality—breaks through the religious and ethnic differences on which the Liberata as a whole depends, and arguably questions for Muslims and Christians alike the very premise of the war. Clorinda will be revealed later in the poem as the daughter of a Christian mother, and in retrospect one might see her recognition of herself in Sofronia as a premonition of her true identity. Yet, at this early point in the poem, her alignment of herself with Sofronia, along with Tasso’s allusions to Virgil’s fateful women, creates a potentially scandalous community of women whose unpredictable and often unreadable actions threaten to undo the transcendental militarism on which the poem is based. The crisis of the immagine, in Ismeno’s feverish recasting of its significance, is like that of the women who are endlessly substituted for it: complete within itself, it has no deictic function, failing to refer beyond itself to heavenly powers. Sofronia, too, points only to herself (“Sol essecutrice”), a presumed self-sufficiency that Tasso’s narrator translates into inaccessibility. It creates for Sofronia the same unknowable status of the stolen painting, and an unknowability Clorinda can only admire, and in which she similarly partakes. Tasso’s simile of the city that dissolves into f lames upon Clorinda’s death ten cantos later is thus ultimately a failed simile. That he will go on to banish all of his Christian women from the end of the Liberata suggests both his attempt to contain the threat represented by the female figures of Canto 2 and his inability to integrate Christian and Muslim women alike into the culminating events of the poem. Clorinda and Gildippe are dead, Erminia is in an “albergo” somewherewithin the city, Armida utters words of conversion but only on Jerusalem’s outskirts, and Sofronia has disappeared forever. To be sure, on the one hand, Tasso’s poem generally refuses to allow any character to stand in for the whole and thus represent the city, earthly or celestial, by him or herself, as the belated “Allegoria del Poema” attests and as numerous episodes involving Rinaldo and Goffredo suggest.24 In an early letter, Tasso protests the custom of romance that allows single characters to decide the fate of entire empires: “non ricevo affatto nel mio poema quell’eccesso di bravura che ricevono i romanzi; cioè, che alcuno sia tanto superiore a tutti gli altri, che possa sostenere solo un campo” (“In my poem, I don’t allow that excess of bravura that the romance welcomes, in which one figure emerges as greater than all the others, capable of defending the battlefield all by himself ”).25 To this extent, transforming the painting of Mary or the body of Clorinda into singularly protective forces copies the excess of romanzi which Tasso claims to avoid. Only the uniting of Goffredo’s “compagni erranti” or wandering companions under “i santi segni” can win for the Christians their city (1:1). The liberation of Jerusalem is the work not of women, but of men; and not of a single man, but many. On the other hand, unlike Goffredo or Rinaldo, these “virtuous” women do indeed disappear from the poem, suffering the fate of the “poco connesso” and summarily excluded from the larger body into which Tasso incorporates his men in the “Allegoria.”26 Yet is such exclusion ultimately a penalty? While at work on the Liberata, Tasso was penning his brief pastoral play, the Aminta, where he experiments with the inaccessibility of a vergine in the figure of Silvia, whose own near-violation while tied to a tree is reminiscent, even in its phrasing, of Sofronia’s violent torture. The Liberata’s “Già ’l velo e ’l casto manto a lei rapito, / stringon le molli braccia aspre ritorte” (“they tear away her veil and her modest cloak, bind hard her tender hands behind the back”; 2.26) echoes Silvia’s victimization at the Satyr’s hands.27 But the exposure of Silvia’s and Sofronia’s bodies is in turn contrasted with the degree to which they refuse to be contaminated by the violence that surrounds them even as they are vulnerable to varying interpretations of their sincerity. The fact that following their rescues neither female character is seen again suggests an additional layer of inscrutability, as though Tasso chose to protect the privacy of his vergini from those who would compromise their virtue.28 Perhaps only in a world where epic values— the seizing of Jerusalem from the renegade Ismeno and the infidel Turks—are unequivocally positive can Sofronia’s premature departure be construed as a loss, rather than a gain. The phrase used with respect to the mosque from which Mary’s image is taken—“a vile place heaven holds in disdain”—might stand in for the contaminated city as a whole that Sofronia inhabits with other embattled Christians. Tasso’s own narrative gesture with regard to all women of “fortezza,” Clorinda included, saves them from the bitter militarism that informs the second half of his poem, preserving for them a space offstage—or above it. But Tasso continued to ponder the ideal relationship of the female body to his epic project, one which would rely on integration rather than separation. Such integration demanded a very different kind of poem from the Liberata, whoseMuslim male warriors, if not its women, are diabolical figures from whom the city must be wrested. The Conquistata has typically been glossed as a work that celebrates the Counter-Reformation Church in all its militancy. But attentiveness to the new women of the revised poem, beginning with a lamenting Mary who has stepped out of the painting to become a character, may suggest otherwise.29 *  **  Death appears in the Conquistata’s opening stanza, where the triumphant prolepsis of “compagni erranti” joining together under “santi segni” no longer exists, and where the explicit allusions to the failures of hell, Asia, and Africa to defeat the Crusaders is replaced by a description of how Goffredo’s military feats “di morti ingombrò le valli e ’l piano, / e correr fece il mar di sangue misto” (“filled the plains and valleys with the dead, and made the sea run red with blood”). With death, there is mourning—and a world, as Tasso will call it late in the poem, of “femineo pianto” female lament (23:117). And the first evidence of female mourning that we see in Tasso’s “poema riformato” is that of the Virgin Mary, who makes a surprising cameo appearance at precisely the moment occupied in the Liberata by the episode with Sofronia. Threatened, as before, by the impending arrival of Crusaders, Aladino decides that the Christian community within the walls poses a danger, and in his rage swears to put them all to death. A stolen painting no longer exists to provoke his anger, but almost immediately the subject of that painting appears, as Tasso’s narrator redirects our gaze from the cowering Christian citizens of Jerusalem to heaven, in two entirely new stanzas: Holy Compassion, you did not keep your thoughts hidden to yourself, as you gazed down from the celestial and sacred realm onto the site where the King had lain buried, and at his faithful f lock. Thus: “Lord,” you cried, “help, help—for now I alone am not sufficient to save their lives.” Upon seeing those moist eyes—the eyes that had wept for her Son who died on the cross—the Father said, “now let me turn my attention to their fear” . . . and the savage man [Aladino] tempers his insane rage. Non fu ’l pensier, santa Pietate, occulto a te ne la celeste e sacra reggia, donde guardavi il luogo in cui sepulto il Re si giacque, e la fedel sua greggia. Pero’: – Signor, gridasti, aita, aita, ch’io non basto a salvarli omai la vita. Vedendo il Padre rugiadosi gli occhi di lei che pianse in croce estinto il Figlio, – Vo’ – disse – ch’al Timor la cura or tocchi – . . . . [e] Tempra dunque il crudel la rabbia insana. (2: 11–13) 30Thanks to this heavenly intervention that happens in the blink of an eye (“ad un girar di ciglio”), Aladino will “temper his rage” by burning the fields where the Crusaders might have found food and by exiling, rather than killing, the faithful—excepting “le vergini”—from Jerusalem, who depart in tears (“gemendo in lagrimosi lutti”; 2: 53). But their laments will not endure for long. When they come upon the Crusaders in their camp, they offer their services to Goffredo and participate, presumably, in the final attack on their former city in the closing cantos of the new poem. As in Canto 2 of the Liberata, we have a threatened community, and once again Mary figures in its protection. But for those familiar with the Liberata, this episode in the Conquistata’s second canto represents a loss rather than a gain, albeit a puzzling loss. Having omitted the episode of Sofronia that apparently, he, and many of his first readers, found so troubling, Tasso leaves us with the mere shadow of the women who once occupied the status, rightly or wrongly, of Jerusalem’s saviors: a mourning mother. When Mary calls upon God to temper Aladino’s wrath, she is gazing at a tomb: “il luogo in cui sepulto/ il Re si giacque.” Jerusalem is a place of death, both past and imminent, and Mary is not celebrating her son’s resurrection, but weeping for his demise on the cross. Her grief is rehearsed again in the following canto in stanzas also new to the Conquistata, where it will be shared by other mothers—many of them Muslim. On tapestries which Goffredo shows the two ambassadors who have arrived from the enemy’s forces—one of them, Argante, “intrepid warrior” (“intrepido guerriero”; 2: 91)—is the thunderous defeat of Antioch, which the Christians have just taken. Tasso lingers not over the victorious assault on the city but on the artist’s attentiveness to women’s loss as they watch their sons die below them: talented artist, you made the faces of their mothers’ pallid and pale, for life no longer was welcome to them. From above each one gazed at her dead child, who lay on the earth by enemies oppressed, his head affixed to the enemy lance; and tears bathed their dry cheeks. And so he created great variety among these images of grief . . . con viso vi [il maestro accorto] feo pallido e smorto le madri, a cui la vita allor dispiacque. D’alto mirò ciascuna il figlio or morto che tra nemici oppresso in terra giacque, e’l capo affisso a la nemica lancia; e di pianto rigò l’arida guancia. E variò le imagini dolente . . . (3: 48–9) The resulting “istoria” tells of a “Città presa, notturno orror, tumulto, / ruine, incendi e peste”, to which the artist adds “Fuga, terror, lutto, e mal fido scampo / . . . . e correr feo di sangue il campo” (“A city seized, nocturnal horrors, tumult, ruin, firesand plague . . . flight, terror, grief, and luckless escape, and he made the field run with blood”; 50). Argante, the Christians’ enemy, is gazing on these images, and one could argue that his perspective inf lects the presentation of the tapestries, much as Aeneas’s grief in Book 1 colors his reception of the carvings in Carthage that detail the fall of Troy. Yet, elsewhere in the descriptions, we hear of the “pious Goffredo,” the “good Beomondo,” the “great Riccardo.” Moreover, the direct apostrophes to the Christian reader (“Italici e Germani uscir diresti . . .” [2: 17]) suggest that it is Tasso’s narrator—and Tasso himself—who lingers over the mournful details. In fact, the singular concentration on the Conquistata’s women as vehicles of lament suggests that Tasso is far from making their response to loss yet another diabolically tinged inspiration. Riccardo, formerly the warrior Rinaldo, now also has a mother, who like Thetis, emerges from sea-depths to comfort her son when his friend Rupert dies. The prayers of Riccardo in turn are carried by heaven to a female figure who with tearful face (“con lagrimoso volto” 21: 74) asks God, as did Mary much earlier, to bring aid by turning “your pitying face to my warrior” (“al mio guerrier pietoso ’l ciglio”; 72). But as the scenes of the tapestry suggest, women’s presence as mourners is most visible in the sections devoted to Argante, scourge of the Christians, and in the Conquistata clearly meant to be a double for Hector from Homer’s Iliad. To strengthen this parallel with the Homeric poem, Tasso had to give Argante a wife to protest his going out into battle as Andromache did with Hector, and a mother—and a Helen—who will mourn him when he dies.31 In the Liberata, this “intrepido guerriero” was killed by Tancredi after a bloody duel outside Jerusalem’s walls. The wandering Erminia, in love with Tancredi, literally stumbles over the bodies when she is escorting the spy Vafrino back to the Christians’ camp, and restores Tancredi to health with pious prayers and herbal medicines. Argante is summarily ignored by the pair until Tancredi insists that they carry his bloody corpse with them to Jerusalem: “non si frodi / o de la sepoltura o de le lodi” (do not deprive him of burial or of praise; 19: 116). But we hear no eulogies, nor do we witness Argante’s burial, and he is as arguably isolated in death as in life. The Argante of the Conquistata receives a very different fate after he dies at Tancredi’s hands. His body is given to the women of Jerusalem, who eulogize him at the close of Canto 23 as husband, father, and son, as well as fierce protector of his city. This last role is given explicitly to him by Erminia, rechristened Nicea in the Conquistata, who laments her inabilities to save him in the plaintive cry “O arti mie fallaci, o falsa spene! / A cui piú l’erbe omai raccoglio e porto / da l’ime valli e da l’inculte arene? / Non ti spero veder mai piú resorto, / per mia pietosa cura” (“O my fallacious arts, o my false hope! What use now the herbs that I gather and carry from the dark valleys and the hidden sands? I no longer hope to see you risen, saved by my compassionate healing”; 23:126). The woman who in the Liberata had collected medicinal herbs for her beloved Tancredi, and who is addressed by him as “medica mia pietosa” after she saves him from death, here reproaches herself for having failed to rescue Tancredi’s enemy Argante. Ifshe saved Tancredi and Goffredo—and the Christian cause—in the Liberata, here she can confess only her failed arts, and in the context of prophetically imagining a future of grief and destruction in the wake of Argante’s death: “Sola io non sono al mio dolor; ma sola / veggio, dopo la prima, altre ruine, / altri incendi, altre morti: e grave e stanca, / quest’alma al nuovo duol languisce e manca” (“I’m not alone in my grief, but I alone can see after this first destruction, more ruin, more fiery blazes, more deaths; and tired and heavy, this soul will languish and expire, sickened by new sorrows”; 127).32 These three weeping women—mother, wife, and friend whose arts cannot save a dead man—integrate Argante not only into the life of the city and the family, but into the future, as the women who survive him imagine their fates as vividly as the female survivors of Hector in the Iliad imagine theirs. Or as Argante’s wife, Lugeria, laments, “Ne la tenera etate è il figlio ancora, / che generammo al lagrimoso duolo, / tu ed io infelici . . . / non vedrá gli anni in cui virtù s’onora, / Né la fama tua” (“Our son whom you and I—unhappy— conceived only for tearful sorrow is still in his tender years . . . he will see the years in which virtue is bestowed on him, nor will he know your fame” (23:119). For herself, she can envision only “foreign shores” (“lidi estrani”) and service in the entourage of some proud, Christian lord. The lines closely follow those of Andromache in the Iliad, much as the lament of Argante’s mother (“Difendesti la patria, e palme e fregi / n’avesti, or n’hai trafitto il viso e ’l petto”; “You defended our country, and had honors and laurels; now your face and breast are pierced [by a lance]”) repeats that of Hecuba in Iliad 24. Thus just as in the Iliad, as Sheila Murnaghan has written, female lament has the function of tying the hero back into his community, while making it clear that the hero’s kleos or fame is achieved at women’s expense.33 Such a constitution of a larger, more sorrowful, poem can be allied in turn with Tasso’s new relationship to epic. Even for a poet as relentlessly psychoanalyzed as Tasso, the creation in the Conquistata of the familial contexts that Tasso may have longed for after the death of his mother, never knew, may come as a surprise.34 Tasso’s redefinition of the epic poet in his unfinished Giudizio del poema riformato, the last of his critical works, may instead have been in response to those readers of the pirated Liberata who complained about the inauthenticity of some of the characters’ emotions that drove the poem. In particular, he argues forcefully in the Giudizio for the new sentiment he seeks to generate throughout the Conquistata: pity, or “la commiserazione e de la purgazione de gli affetti” (“commiseration and purgation of its effects”; 165). With respect to Argante, whom he explicitly declares to have now fashioned as “most similar to Hector” (“similissimo ad Ettore”), he comments, where Argante earlier was not wretched, now he’s completely so, because he’s been changed from a foreign and mercenary soldier into the son of a king and a Christian queen, and has become the natural prince of the city: defending his father, loving his wife, and constant in his defense and in hisfaith; and so that pity that is denied him by [Christian] law can be granted out of natural and human sentiment. dove la persona d’Argante prima [nella Liberata] non era miserabile, ora è divenuta miserabilissima, perché di soldato straniero e mercenario è divenuto figliuolo di re e di regina cristiana e principe natural di quella città, difensor del padre, amator de la moglie e costante ne la difesa e ne la fede; e però quella pietà che si niega a la legge si può concedere a la natura ed a l’umanità. (164) Arguing against the likes of Dion Crisostomos who complained about the scenes of mourning in Homer (“Defunctum vero memoria honorate non lachrymis” [“the memory of the dead are not honored by tears”]), Tasso strives for a poetics “that is more humane and more appropriate to civil life” (“piú umana e piú accommodata a la vita civile”), resisting not only Dion but Plato and the Pythagoreans as “too rigid and severe” (“troppo rigida e severa”). Taking sides with that “most excellent Aristotle,” Tasso argues for a poetry that will motivate the sentiment of compassion “even for the enemy” (“ancora da’ nemici”; 178), and hence for the creation of a human community in which one takes stock not so much of differing religious beliefs, but of the parallels that make all humankind members of a single family. Thus, for example, the king Solimano is to be considered not as the emperor of the Turks, but as a valorous prince and father of a valorous and compassionate son. . . . If they were deprived of the theological virtues, they did not lack natural virtue, nor those bred by custom. non come imperator de’ Turchi, ma come principe valoroso e padre di valoroso e di pietoso figliuolo . . . quantunque fosser privi de le virtú teologiche, non erano senza le virtú naturali e quelle di costume. (177) As a result, as Alain Goddard has observed, Solimano and Argante both now fail to embody “a code of values opposed to that of strict Catholic orthodoxy” (“un code de valeurs opposé à celui de la stricte orthodoxie catholique”)35 —a failure that unleashes “a tide of ambivalence” despite the ideological claims made throughout for Catholicism’s supremacy. And the figures who help to generate such ambivalence and, in particular, compassion for those with “natural virtues” are largely Tasso’s women, as the Conquistata shapes not only a new definition of masculinity but a new role for its women.36 Tasso’s early readers may have challenged the authenticity of Armida’s conversion, the “saintliness” of Sofronia, the status of the missing “immagine,” and the rationale for Erminia’s midnight foray into the Christian camp, and her supposed self lessness when ministering to a wounded Tancredi.37 The Conquistata seems dedicated rather to making female behavior transparent and unquestionably sincere, a sincerity that Erminia/Nicea’s rebuke of her “artifallaci” confirms. The ubiquitous female mourner, for whom Mary is paradigmatic, embodies the essence of non -theatricality, conveying a spiritual intensity which Tasso himself longed to experience as clear from his late canzone to the Virgin, “Stava appresso la Croce,” in which he asks Mary to become the guarantor of his own prayerful sincerity: “Fa ch’io del tuo dolor / senta nel cor la forza” (“Grant that I may sense in my own heart the power of your grief ”), and later in the poem, “Fa ch’l duol sia verace / e ’l mio pianto sia vero” (“Enable my grief to be authentic, my lament sincere”).38 If—with the exception of Clorinda—there was no place for this expression of commiseration in the Liberata, fixated as it was on the triumphant attaining of the city, the Conquistata ensures with its weeping mothers and, on occasion, fathers and friends, that we see Jerusalem’s conquest as mixed a blessing as was the defeat of Troy. If the body recognized in the Liberata’s “Allegoria” is an exclusively militaristic one, the corpus of the Conquistata is familial, in which men are humanized, perhaps feminized, through their claims to having mothers, wives, or children. In the meantime, Erminia’s pious arts of healing, Sofronia’s daring sacrifice, and the immagine itself—aspects of feminine “artistry” not easily assimilable to this model—are gone. *  **  One final glance at Luca Giordano’s painting may help to clarify the trajectory I have attempted to chart throughout this essay. The interesting detail of Mary’s image, lifted high above the scene of impending death, can be said to resolve for Genova’s Counter-Reformation audience the identity of the “thief ” which Tasso had left in abeyance. Clearly the “mano” that perpetrated the theft was that of the queen of Heaven herself, who forcibly intervenes when her image is placed in a mosque, and who exhibits her power by rescuing not only her “immagine” but the brave Sofronia. Giordano restores Mary’s protective immagine, letting us “see” it for the first time as he rescues Mary herself from oblivion in a work that makes the exaltation of Christianity derive from her comforting presence. To this extent, the painting confirms the overtly Catholic structure on which the Conquistata insisted. But it does so by countering the very notion, emphasized by Mary herself in the Conquistata’s new second canto, that she is “not enough now to save their lives” (“io non basto a salvarli omai la vita”). Perhaps the key word in the passage is “omai”: now, as opposed to some earlier time when Mary presumably was sufficient. Reading backward from Mary’s phrase in Canto 2 of the Conquistata, one emerges with a nostalgic vision of female sanctity which the Liberata never intended to confirm; but a vision which for Tasso may have resided in a not-so-distant past before Trent, found in a work such as the Divina commedia, in which the Virgin has power to do more than weep. Her compassion can be said to have generated an entire poem, and it is thanks to her example that Beatrice is able to say to Virgil in Inferno 2, “amor mi mosse” (“love moved me and made me speak”). Giordano’s late seventeenthcentury painting willfully misreads the Liberata, as it envisions a world in which Mary can glowingly transmit her power to the two central women of Canto 2in the form of light radiating from her painting. The work of art thus comes to possess a divine, unambiguously protective status such as a renegade Christian, the wizard Ismeno, would confer on it—even if Tasso himself would not. 39 This was a world that never did exist in the Liberata. But that may finally be beside the point. Yet as Tasso tried to create a poem “senza arti fallacy,” newly directed toward the compassionate involvement of all its personaggi, Muslims and Christians alike, in the family of the “vita civile,” Mary and the women like her enable a different kind of salvation, albeit of a less dramatic kind. If threats of “parlar disgiunto” and episodic discontinuity hang over the Liberata; if the three women of Canto 2 both embodied and actualized these threats, once we arrive at the inclusive poem that is the Conquistata, the lonely isolation of heroic difference is no longer a danger. And as a result, there are no more female heroes.40Notes 1 Tasso, Lettere, ed. Guasti, 5: 72; the letter is from July 1591, when he had almost completed the Conquistata. 2 For a summary of how female characters change in the Conquistata, see Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’” 236–38. Also of interest is Picco, “Or s’indora ed or verdeggia.” 3 See Gigante’s introduction to Tasso’s Giudicio sovra la Gerusalemme riformata, xlviii, as well as his discussion of the Giudicio and Conquistata in Tasso, chapter 13. 4 That the female figures of the Liberata are intriguing mirrors for Tasso himself is not a new argument; particularly in the wake of a feminist criticism that has focused on Armida and Clorinda. In some cases, such as Stephens’ article on Erminia (“Trickster, Textor, Architect, Thief ” or Miguel’s “Tasso’s Erminia,” 62–75, a female character’s narrative and artistic capabilities are put forth as convincing evidence for self-portraits of the author/artist. 5 For two recent studies devoted to the episode of Sofronia, Giamperi, Il battesimo di Clorinda and Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 270–94; also see the few pages dedicated to Sofronia in Hampton’s Writing from History, 116–18. 6 Some early readers of the Liberata considered the episode “poco connesso e troppo presto,” a point with which Tasso concurred; e.g., the letter to Scipione Gonzaga from April 3, 1576; Lettere di Torquato Tasso, vol. I, letter #61; 153. Molinari’s edition of the Lettere poetiche of Tasso contains this letter with ample critical text; 374. The debate over the episode went on for a period of many months in 1575 and 1576; see the excellent account of Güntert, L’epos dell’ideologia regnante, 81–85. 7 The syntactic “difetto” or defect that Tasso claims he learned from reading too much Virgil is that of “parlar disgiunto”: “cioè, quello che si lega più tosto per l’unione e dependenza de’ sensi, che per copula o altra congiunzione di parole . . . pur ha molte volte sembianza di virtù, ed è talora virtù apportatrice di grandezza: ma l’errore consiste ne la frequenza. Questo difetto ho io appreso de la continua lezion di Virgilio . . .” (Lettere, vol. I, 115). Fortini calls attention to the symptomatic crisis of “parlar disgiunto” in relationship to Canto 2 in Dialoghi col Tasso, 81, describing it as “la frattura degli elementi del discorso per ottenere maggior rilievo, maggiore drammatizzazione e magnificenza.” 8 Tasso’s references to Homer in his Giudicio are extensive, as are his spirited defenses of Homer against those who would call him a liar; he often invokes Aristotle’s praise of the poet. 9 On Tasso’s impact on and interest in the visual arts more generally, see Waterhouse, “Tasso and the Visual Arts,” 146–61 and, more recently, Unglaub’s Poussin and the Poetics of Painting and Traherne’s “Pictorial Space and Sacred Time,” 5–25.Jane Tylus10 The image is item 176 in the catalogue Luca Giordano, ed. Ferrari and Scavizzi. 11 See Utili’s entry on Giordano’s Olindo e Sofronia in Torquato Tasso, 313. 12 From the letter to Scipione Gonzaga of April 3, 1576; in Lettere di Torquato Tasso, 153; Lettere poetiche, 374. This came less than a month after Tasso had informed Luca Scalabrino on March 12, that he was going to add “eight or ten stanzas” to the end of the Sofronia episode, in the hope of making it seem “more connected” (“che ‘l farà parer più connesso”); ibid., 339. 13 I use the edition of Fredi Chiappelli; II: 6. 14 Translations of the Liberata are from Jerusalem Delivered, trans. Esolen; occasionally modified. 15 Lettere, I, 164; also in Letter poetiche, 406; italics mine. 16 Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 272–73. 17 Giampieri, Il battesimo di Clorinda, 27, has noted in the “casto simulacro” of Mary a parallel with the famous Palladium of Troy: Mary’s image takes the place of the Palladium, and this substitution is extended further when Sofronia herself “porta quella salvezza che tutti si aspettavano dall’efige della Madonna” once the Madonna is gone. 18 See Yavneh, “Dal rogo alle nozze,” 150, as well as Warner, The Augustinian Epic, 86. 19 This line is echoed by Armida eighteen cantos later, when she proclaims herself Rinaldo’s “ancilla,” and observes that his word is her law: “e le fia legge il cenno” (20: 136). Intentionally or not, the line brings us full circle to the missing image of Mary, but reducing the supposed potency of that image and the women who mirror it to a gesture of submission to a “conquering” Gabriel. 20 Virgil, Eclogues, Georgiecs, Aeneid I–VI, 441. 21 The Judith echoes are relevant as well, on which see Refini, “Giuditta, Armida e il velo,” esp. 87–88. But unlike Judith, who dominates the second half of the apocryphal book of Judith, Sofronia and Clorinda disappear long before the ending. 22 “A lei, che generosa è quanto onesta, / viene in pensier come salvar costoro. / Move fortezza il gran pensier, l’arresta / poi la vergogna e ‘l verginal decoro; / vince fortezza, anzi s’accorda e face / sé vergognosa e la vergogna audace” (2: 17). 23 Eugenio Donadoni remarked on Tasso’s “incapacità di ritrarre una santa,” and while he doesn’t elaborate, he clearly has in mind the puzzling presentation of Sofronia herself. Torquato Tasso, 324. 24 As Lawrence F. Rhu nicely puts it, the “Allegoria,” first composed in 1576, probably functioned “as a guarantor of acceptable intentions in the face of potential censorship . . . rather than as a sure guide in the right direction for a comprehensive interpretation of his poem”; The Genesis of Tasso’s Narrative Theory, 56. At the same time, with regard to the conflict between the “one and the many,” the poem, with its announced attention to bring together Goffredo and his “compagni erranti,”and the Allegoria, focused on demonstrating how the bodies of the (male) warriors are eventually incorporated within the body of the army, seemingly speak with a single voice. 25 Lettere, vol. 1, 84. Interestingly, Tasso will exempt Rinaldo from this rule. 26 On the possibility that Tasso resists making his female warriors stronger than the men, see Günsberg, The Epic Rhetoric of Tasso, 128: “female valour is described essentially in terms of negative comparatives. This culminates in male supremacy over a femininity that is already fragmented, and in an act characterized by sexual overtones”—such as the deaths of Clorinda and Gildippe. 27 See Act III, scene 1, from Aminta, and Tirsi’s description of the Satiro’s would-be rape of Silvia: She is tied with her own hair, to a tree, while “‘l suo bel cinto, / che del sen virginal fu pria custode, / di quello stupro era ministro, ed ambe / le mani al duro tronco le sstringea; / e la pianta medesma avea prestati / legami contra lei . . .”; lines 1237–42; from Opere di Torquato Tasso, Volume 5: Aminta e rime scelte. 28 For a more sustained reading of the Aminta and Tasso’s protectiveness of his two main characters, see my chapter in Writing and Vulnerability, 82–95. 29 In truth, a more nuanced criticism of the Conquistata has emerged in recent years, including that of Goddard and of Residori, L’idea del poema, as well as in the recent article of Brazeau, “Who Wants to Live Forever?” Yet critics have been overly hasty to dismiss the30 31 323334 35 3637 38 39 40265later poem as the project of Tasso’s new Counter-Reformation orthodoxy. This may be the case, but surely only in part; as the Giudicio and contemporary letters attest, Tasso was involved in a continuing dialogue with ancient authors, and the Conquistata attests to his desire to write a poem that creates more of a balance between opposing forces. Gerusalemme conquistata, II: 11–12. Luigi Bonfigli’s edition, which comprises part of his five-volume Opere di Torquato Tasso, regrettably has no notes; there is still no fully annotated modern version of the poem. Shortly after Argante’s death a trio of female mourners lament his loss in a passage taken directly from Iliad 24; the fact that they appear in the Conquistata’s twenty-third canto makes the connection structural as well as thematic. See Stephens, “Trickster, Textor, Architect, Thief,” on Erminia, in which he talks about Erminia’s imitation of Helen; while he finds in the Conquistata allusions to Helen’s weaving (Canto 3), he does not consider the Homeric echoes in Canto 23. Also see my “Imagining Narrative in Tasso.” Murnaghan, “The Poetics of Loss in Greek Epic,” 217: “As she gives voice to her role as the bearer of Hector’s kleos, Andromache’s words fill in what Hector’s gloss over . . . [she] insists that the creation of kleos begins with grief for the hero’s friends and enemies alike. . . . Before it can be converted into pleasant, care-dispelling song, a hero’s achievement is measured in the suffering that it causes, in the grief that it inspires.” Ferguson’s Trials of Desire and Enterline, The Tears of Narcissus explore psychoanalytic material. Goddard, “Du ‘capitano’ au ‘cavalier sovrano,’” 240n. I want here to make note of Konrad Eisenbichler’s suggestive work with respect to new versions of masculinity articulated in early modern Europe, and especially to his generous support of the volume that Gerry Milligan and I edited for his series at the University of Toronto, The Poetics of Masculinity in Early Modern Italy and Spain (Toronto: Centre for Renaissance and Reformation Studies, 2010). The letters that take up these various episodes, surely to be read in the larger context of Tasso’s oeuvre, include a majority of the letters in Molinari’s Lettere poetiche, which date from March 1575 through July 1576. Opere di Torquato Tasso, vol. V, 583. See Traherne, “Pictorial Space and Sacred Time,” for a bracing discussion as to why Tasso refused to indulge in any ekphrasis of sacred images in his work—as in his late poem, Lagrime. In the Conquistata, Tasso adds eight stanzas (15: 41–8) representing a prophetic dream regarding Clorinda’s future baptism as a Christian—a future less certain in the Liberata, when a number of verbs suggest the possibility of an only apparent conversion (“pare,” “sembra,” etc.).Bibliography Brazeau, Bryan. “Who Wants to Live Forever? Overcoming Poetic Immortality in Torquato Tasso’s Gerusalemme Conquistata.” Modern Language Notes 129 (2014): 42–61. Donadoni, Eugenio. Torquato Tasso. Florence: La Nuova Italia, 1967. Enterline, Lynn. The Tears of Narcissus: Melancholia and Masculinity in Early Modern Writing. Stanford, CA: Stanford University Press, 1995. Ferguson, Margaret W. Trials of Desire: Renaissance Defenses of Poetry. New Haven, CT: Yale University Press, 1983. Ferrari, Oreste and Giuseppe Scavizzi, eds. Luca Giordano. Rome: Edizioni Scientifiche Italiane, 1966. Fortini, Franco. Dialoghi col Tasso. Turin: Bollati Boringhieri, 1999. Giamperi, Giampeiero. 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see also sodomyAndreoli, Andreoli 45–6 androgyny 107, 185, 187–8, 195 Andromeda 230, 232–3, 240 Angela of Foligno 113 angels, Carlini invoking 100, 104, 107–9, 114 animals, sex with 14, 43, 227, 231, 234–7, 241, 243–4n51 Antoniano, Silvio 250–1 Apuleius 232–3, 236–8, 240–1 Arenula 125–6 Aretino, Pietro: and Il Sodoma 192–3; and Piccolomini 217; Ragionamenti 14, 164–5, 211–13, 215–18, 221–2 aristocratic behaviour 221–2 Aristotle 32n2, 161, 168, 243n51, 261, 263n8 Armida 247–8, 254, 256, 261, 264n19 “arti fallaci” 248, 263 autonomy 145, 149, 211, 251 Averani, Pietro 38 badgers 187 Baliera, Cecilia 70n72 Ballerina, Francesca 68n14 Bandello, Matteo 165, 200, 217 Bandello, Niccolò 163 Bargagli, Girolamo 219–20, 224n66 Barolsky, Paul 199 bastards 76, 192 beastliness 32n2Bechdel Test 217–18, 224n50 beffa 31n1, 33n14 Belforte 37 Bell, Rudolph 11, 97, 99, 113 Bellini, Angelica 69n52 Belvedere di Saragozza 57, 70n71 Bembo, Pietro 215, 219 Benazzi, Pietro 62 Benedek, Thomas G. 12 Benedict, Saint 185, 186, 188, 189, 190 Benedictine order 70, 185 Bernardino da Siena, Saint 145, 162, 173n10, 188, 195 bernesque poetry 167–8, 171–2 Berni, Francesco 194 Bernini, Gianlorenzo 110, 111–12, 114, 116, 121n93 bestiality see animals, sex with Betta la Magra 11, 128–31 Bianco, Baccio del 78 bigamy 80 Bignardina, Giulia 60 birds: eating 163–4, 172–3n2, 174n24; symbolising the penis 231 bisexuality 100, 186, 192, 194, 203n5 blasphemy 35, 38, 63, 79 Blastenbrei, Peter 79 Bocca di lupo 57, 70n71 Boccaccio, Giovanni 8, 21–2 Bollette see Ufficio delle Bollette Bologna: Borgo degli Arienti 59, 62; Borgo di San Martino 59–60, 62; Borgo di Santa Caterina di Saragozza 57, 59; Borgo di Santa Caterina di Strada Maggiore 62; Borgo Nuovo di San Felice 56, 59–60; Borgo Riccio 57; Broccaindosso 57, 59; men’s relationships with prostitutes in 61–2; regulation of prostitutes in 61, 63–5, 68n17; residencies of prostitutes in 8–9, 53–60, 55, 56, 66–7; sausages of 168 Bolzoni, Lina 227–8 The Book of the Courtier (Castiglione) 1, 11; arms and letters in 142–4; dress and aesthetics in 146–54; homosexuality in 192; on women’s behaviour 215–16, 219 Bossi, Francesco 70n66 Boswell, John 2–5, 198, 203 Botticelli, Sandro 104, 188 Bovio, Zefiriele Tommaso 162 Bràina di stra San Donato 57, 60 Braudel, Fernand 161 Brizio, Elena 8 Bronzino (Agnolo di Cosimo) 194brothels 54, 57, 59–60, 125; see also prostitution Brown, Judith 4, 11, 97–8, 107, 120n55 Bruno, Giordano 200 Buonacasa, Lucrezia 65 Burckhardt, Jackob 1, 7 burlesque literature 166, 194–5 Cady, Joseph 200 Camaiani, Orazio 37 Campi, Cassandra di 60 Campo di Bovi 56, 60, 68n27, 70n71 canon law 75 Canossa, Ludovico da 142–3, 146–9, 154 Capatti, Alberto 161 Capella, Galeazzo Flavio 216 Cappelli, Francesco 84–6, 91 Cappello, Bianca 76 Capramozza 57, 70n71 Captain of Justice (Siena) 35–40 Caravaggio, Michelangelo Merisi da 109, 111–12, 114, 195 Caretta, Madonna Ginevra 60, 68n32, 69n37 Carli, Enzo 199 Carlini, Benedetta: becoming abbess 107; entry into religious life 101; imprisonment of 119n9; investigation into 97–9; marriage to Christ 113, 115–17; modern controversy over 99–100; sexual contact with Mea 100–1, 104, 114–15, 117–19; spirituality of 102–4, 109, 111–14 carne, multiple meanings of 12, 160–5, 170–2 Carnevale (neighbourhood) 127 Carnival 90, 102, 162, 165–7, 170, 175n52 Carracci, Agostino 55, 56, 58 Carracci, Ludovico 116 Castiglione, Baldassare 1, 11–13, 142, 145, 152, 156nn35, 38, 239 castration 10 Catherine de’ Ricci, Saint 104, 107, 117 Catherine of Alexandria, Saint 116 Catherine of Bologna, Saint 114 Catherine of Genoa, Saint 102 Catherine of Siena, Saint 11, 102, 104–7, 106, 108, 112–13, 116, 118 Cavedagna, Domenica 60 Cazzaria (Vignali) 219–20 Cellini, Benvenuto 13, 188, 194 Chauncey, George 201 Chigi family 185, 192–4 Christ: Carlini speaking as 100, 117; Carlini’s visitations from 98, 104, 111;forgiving the adulteress 77–8; gender of 107; loving union with 106, 114–16, 115, 121n81, 197 Christianity: and eating meat 162–3; and masculinity 144–5; and sexuality 185 Circe 235, 237 Clarke, Paula 7 Clement VIII, Pope 247 Cleopatra 252, 255 clergy: sexual violence by 35, 44–9, 98; and sodomy 190, 194 Clorinda 248–9; baptism of 265n40; body of 256; death of 247, 251–3, 264n26; and Sofronia 255 clothing: foreign 148–9; and masculinity 11–12, 141–2, 144–7; and military defeat 152; and sexual deviance 188–90 Cockaigne, Land of 165 Cohen, Elizabeth 7, 9, 57, 62, 67, 71n84 Colieva, Lucia 60 Coller, Alexandra 219 Colloquies (Erasmus) 101–2 “compagni erranti” 256–7, 264n24 concubines 80, 92n44 conjugal debt 5, 77–8 Connors, Joseph 126 Conquistata see Gerusalemme conquistata convents: power of 98; prostitution and 55, 63–4; sexuality within 4–5, 97, 99, 101–2 Corio, Bernardino 141 Cornaro, Alvise 174n23 Correggio, Antonio da 116 cose brutte 127 Cosimo I de’ Medici, Duke 8, 37, 46 cosmetics 144, 213, 216 Council of Trent 8–9; and adultery 79, 82; and failed saints 112; and images 250–1; nunneries after 101; and sodomy 195 Counter-Reformation 104, 112, 257, 265n29 court ladies 1, 6 courtesans: in fiction 211–12; idealized depiction of 1, 6–7; in Rome 79 courtiers: ideal 1, 6, 143–4, 146–7; sacrificing masculinity 150–2 Crawford, Katherine 6 Criminal Judge (Siena) 36 Cristellon, Cecilia 79 Crivelli, Bartolomea (Mea) 11, 97, 99–104, 109, 113–14, 117–18, 119n10 cross-breeding 14, 227, 233–4, 236, 240, 243n51 cuckoldry 77–8Currie, Elizabeth 141 Cycnus 205n55 Daedalus 234–6, 240 Dante Aligheri 2, 32n2, 34n32, 161, 163 d’Aragona, Tullia 215–16 d’Ascoli, Eurialo 193, 200 de Bertini, Ursina 68n14 de Montaigne, Michel 65 Decameron: adultery in 78; Branca’s edition of 31n1; culinary language in 163; and Dante 34n32; and della Porta 243n30; female heroines in 33n21; Griselda and Gualtieri in 8, 21–31; and La Raffaella 215; Walter of Brienne in 32n8 deceit, courtiers and 150 de’Grassi, Francesco 70n66 della Porta, Giovan Battista 14, 227; Art of Memory 228–31, 240–1, 241–2n2; and myth 234–8; and natural magic 239–40, 242n11; and nudity 231–2; and Titian 233–4 d’Este, Ercole 112, 120n40 the Devil, and sexual violence 39–40 di Loli family of prostitutes 59 Dido 252, 255 dildos 13, 99–100, 102, 166 discourse, and social norms 200–1 Dolce, Ludovico 170–1, 223n32, 229 Domenidio, inn of 129, 131 Domitilla, Maria 118 Donatello (Donato di Niccolò di Betto Bardi) 188, 190 Donina, Pantaselia 62 dress see clothing Durazzo, Eugenio 248–9 ecclesiastical courts 9, 45, 61, 78–9 effeminacy: in clothing 12, 142–7, 150, 155n14, 156n43, 188, 205n41; and military defeat 151–4 Eisenbichler, Konrad v–vi, 97, 265n36, 268–70 Elbl, Ivana 5 Elliott, Dyan 5 embodied experience 199–201 England, debts to Florence 32n6 Ensler, Eve 218 epistemological caution 199, 201 Erminia/Nicea 247–8, 255, 259–62, 263n4, 265n32 erotic forces, cosmic 239 erotica, learned 175n52 essentialism 2, 147, 198 Europa 235, 237Fabritio 128–9 faccia tosta 195 fallacious artistries 15, 248 Farnese, Giulia 76 the Farnesina 192 female bodies 7, 218, 237, 247–8, 253, 256; see also genitals, female Ferrante, Lucia 56 Ferrara 7, 112, 167, 216 Ferrari da Reggio, Giacoma di 68n14 Ficino, Marsilio 167, 239 Finucci, Valeria 13 Fiorentina, Francesca 62 Fiorentina, Lena 60 Fiorentina, Lucia 69n37 Fiorentina, Vittoria 60 Fiorentini, Camilla di 70n72 Firenzuola, Agnolo 167–9 Florence: annexation of Siena 8; bank failures in 32n6; conquest of Siena 38, 44; ghetto of 57; homosexuality in 4, 187–8; laws on sexual violence 46, 49; nobility and tyranny in 23, 25–8, 30–1, 32n11; prostitution in 53, 64, 70n66; sausages of 169–71 forgetting, art of 229–30 fortezza 253–4, 256 Fortini, Pietro 164 Foucault, Michel 2–6, 13, 184–5, 203 Fra Bartolommeo 197 France: in Book of the Courtier 155n9; humiliation of Italy 142–3, 145, 149, 152, 154, 156n38 Francesco I, Grand Duke 76 Franchi, Giovanni Antonio de 126 Francis, Saint 109 Franco, Veronica 7 Frangipane, Niccolò 166 Franzesi, Mattio 167, 171 Frassinago 57, 60, 65, 68n14 Freccero, Carla 156n30, 203 Fregoso, Federico 148–50 Fregoso, Ottaviano 148, 150–4, 155n13, 156n44 Furlana, Caterina 62, 69n52 Gabriel, Angel 107–9 Galen 12, 163, 166, 175n41, 176n72 Galianti, Francesca di 61 Gallucci, Margaret 13 gambling 63, 79 Ganymede 14, 193, 205n38, 230, 233, 239–40 Garzoni, Tomazzo 65gender: and art 14–15; Foucault and Boswell on 3 gender bias 235, 240 gender nonconformity 146, 149 genitals: of animals 237; female 39, 100–1, 111, 113, 169, 175n54, 218, 224n52; male 107; mediaeval theories about 12 Gentileschi, Artemisia 90 Gertrude of Helfta 111 Gerusalemme conquistata (Tasso) 14, 247; female characters in 257–63; as orthodox 264–5n29; and Sophronia episode 250 Gerusalemme liberata (Tasso) 14, 247; female characters in 247–8, 253–6, 263n3; Sofronia episode in 248–51, 263n6 Gesso, Giulia da 64–5 Ghirardo, Diane Yvonne 7 Giampieri, Giampero 251 Giannetti, Laura 12 Giannotti, Donato 164 Gigante, Claudio 248 Gildippe 247, 255, 264n26 Giordano, Luca 248–50, 249, 262–3 Giovanni Maria 132–5 Giudi, Ludovica 64 Giustiniani, Benedetto 63 gluttony 12, 160–4, 168, 170–2, 173nn3–9, 212 Goddard, Alain 261 Goffen, Rona 5 Gonzaga, Scipione 250, 263n6 gossip 55, 65, 87 Gozzadini, Ginevra 77 Grandi, Lucrezia di 68n14 Grazzini, Anton Francesco 163–4, 167, 169–71 Gregory the Great, Pope 160 Grosseto 46 group sex 11 Hadewijch 120n63 Halperin, David 184, 203 Harvey, Elizabeth 217 hearts, gifting of 104 Hercules 230, 243n31 Homer 14, 259, 261, 263n8, 265n32 homoeroticism: between nuns 99, 102; in master-apprentice relationship 188; in religious imagery 107–11, 120n30, 185, 188–90, 189, 195–7, 196; in in Renaissance Italian art 194–5, 205n38; in Sodoma’s secular work 192homosexuality: among clergy 190, 191; clothing denoting 188–90, 205n42; in early modern Italy 187–8; Il Sodoma and 183–4, 193–5, 199; in Renaissance scholarship 2–4, 13–14, 184–5, 198–9, 201; Saslow’s use of term 203n5; see also lesbians; sodomy honour: and adultery 75–6, 81, 85; in Decameron 21, 24, 26–31, 33n19; male 7; and sexual violence 37–41 honour killings 80, 91n10 Il Sodoma (Gianantonio Bazzi) 13–14; “Allegorical Man” 201–3, 202; biography of 183–4, 205n53; early religious works 185–90; historiography of 197–201; later religious works of 195–7, 206n62; painting of Catherine of Siena 107, 108; secular art of 191–5 Iliad 142–3, 260, 265n31 images: holy 250–3, 255, 261–2; sexual 9, 14, 227–8, 231 imagination, phallic 235, 238, 241 imagines agentes 228, 231, 233–8, 240–1, 243nn30–1 imitatio Christi 113 immagine see images, holy impotence 10 incest, laws on 81 incontinence of desire 161–2, 173n8 inns, and prostitution 57, 59–60 Inquisition 3, 10, 99, 111, 130, 227, 249–51 instruments see dildos interdisciplinarity 5 intersectionality 15 inversions 235, 237–8, 240–1, 243n48 Io 233, 237–8, 241 Italian Renaissance: idealised image of 1; scholarship on sex and gender in 3–5 Jews: and prostitutes 54, 56–7; in Rome 126–9 Job 28–9, 34n27 Kodera, Sergius 14 La Raffaella (Piccolomini) 14, 213–14; and Aretino’s Ragionamenti 211; depiction of women 214–15, 220–1; textual sources 216–17 Labalme, Patricia 49 labyrinth 243n48 lactation, miracle of 105Landriani: Lucrezia 76; Marsilio 64 lavoratori 28 Leda and the swan 14, 231, 233–4, 238, 243n36 lenzuola 234 Leo X, Pope 191, 193–4, 205n41 Leonardo da Vinci 188 lesbians, use of term for Renaissance women 3–5, 11, 99 levitation 118 Liberata see Gerusalemme liberata loci, in art of memory 228–32, 234–5, 238, 240, 242nn19, 23, 243n48 Lorenzo the bathhouse worker 132, 134–5 love: in La Raffaella 214, 222; masculine 200; Neoplatonic discourse of 215, 219 Lucanica sausages 167 Lucretia, wife of Cynthio Perusco 132–5, 138n63 Lucretia (Roman heroine) 191, 193 Lucretia the madam 132, 134–5 Lugeria 260 lust 114, 160–1, 164, 172, 173nn3–10, 201, 212 luxuria 161, 173n7 Machiavelli, Niccolò 78, 142–3, 155n10 magic: charges of 61; and love 77; natural 227, 233–4, 236, 239–41, 244n62 Magrino 126–30 male dress 142, 144–5, 148, 155–6n28; see also clothing, and masculinity male solidarity 136 malmaritate 81, 99 Malpertuso 57 manly masquerade 147, 156n33 Mantuana, Chiara 60 Marcutio, Marino 89 Marema, Caterina 65 Margaret of Cortona 113 Maria Maddalena de’ Pazzi, Saint 104, 112–13 marital debt see conjugal debt marriage: arranged 23–4, 33n19; mystical 115–16, 118; and passion 76 married women, sexual laws about 36, 61, 80, 88–9 Martelli, Agata 71n80 Martinengo, Maria Maddalena 113 marvels 227, 234, 236, 239 Mary Magdalene, Saint 77, 234 Mary mother of Christ: and Catherine of Siena 112; in Gerusalemme conquistata257–9; images of 249–54, 256, 262–3, 264nn17, 19; as mourner 262; and mystical marriage 107, 115, 116; Visitation of 102, 103 masculinity: arms and letters in 143–4; as conformity 148–9; and courtiers’ self-presentation 144–8, 150–2, 154; Renaissance 1, 11–13 masturbation 100, 102 maternal longings 239–41 Mattei, Giovanni Domenico di 86–8 Matthews-Grieco, Sara 9 Matuccio, Giulio 128–9, 136n16 Mauro Criti 45–6 McCall, Timothy 141 McCarthy, Vanessa 8 Mea see Crivelli, Bartolomea meat: eating 160–3, 165, 167, 172; and sexuality 162–5, 169; see also carne; sausages memory, art of 14, 227–33, 235, 239–41, 242n7 Meo 131–5, 139n74 Messisbugo, Cristofaro da 167 Michelangelo 14, 185, 194–5, 205n55, 233–4 militarism 12, 142–3, 145, 154, 255–6, 262 Mills, Robert 200 Minotaur 234, 236 misogyny 5, 13, 77, 211–12, 220 mixti fori 80 monogamy, serial 79 monstrous offspring 234, 236–7, 241 Montalcino 43–4 Montanari, Massimo 161 Montauto, Federico Barbolani di 46, 48 Monte of the Riformatori 38 Monteoliveto Maggiore 183, 185, 186–7, 189, 192, 195 Moroni, Doralice 64 Moulton, Ian Frederick 10, 14 Murnaghan, Sheila 260 Muslim women 247, 255, 257–8, 263 mysticism: erotic 11, 100, 102, 104, 117, 197; physical signs of 112–13 myths, classical 14, 192, 205n55, 230–1, 233–5, 237–8, 240–1 naked bodies: physiognomy of 231–2; in Titian 234 Negri, Elisabetta di 60 Neoplatonism 215, 219 Niccoli, Ottavia 49Nolli Plan 126 normative codes 8–9 Nosadella 57, 68n14 novelle 21, 77–8, 163–6, 171, 174nn26, 40, 200, 215, 217 nunneries see convents nuns: as brides of Christ 104, 107; in fiction 212; lust of clergy for 114; and prostitutes 64; sexual activities of 4–5, 97–100, 216 Office of the Night 4 Olimpia 132, 134–5, 138n57 Ordeaschi, Francesca 192, 194 Ordinances of Justice 25, 28, 33n18 Orsini, Orsino 76 Otto di custodia 35 Ottonelli, Giovanni Domenico 251 Ovid (P. Ovidius Naso) 170, 232–3, 235, 237–8, 240 Paleotti, Gabriele 9, 54, 61, 67 Pallavicino, Gasparo 150, 153, 155n14 Palloni, Agostino 133–6, 139n78 Panicarolo, Pietropaolo 89 panopticon 231 Paolo, Giovanni 104, 105 Parabosco, Girolamo 160 Parigi, Gentile di 70n71 Parker, Deborah 194 parlar disgiunto 248, 263n7 parodies 78, 217, 237 parties, prostitutes throwing 63 Partner, Nancy 5–6 Pasiphaë 231, 234–8, 240–1 Pasulini, Andrea di 61–2, 69n47 Pater, Walter 184, 201 patria potestas 75 Paul III, Pope 76 Paul IV, Pope 130 pederasty 188, 193; pedagogical 10 Pellizani, Vittoria 70n71 personae, in art of memory 228–32, 234, 242n16 Perusco, Cynthio 132, 134, 138n63 Pesenti, Antonia 102 Petrarch, Francesco 170; version of Griselda story 21, 24, 29, 31, 33n19 Phaeton, Fall of 205n55 phallus, sexuality centred around the 100–1, 171–2; see also genitals, male Philip II of Spain 37 physiognomy 227, 231, 233, 236, 239–40 Piazza Navona 127Piccolomini, Alessandro 211, 215–16, 224n60; Oration in Praise of Women 219–20; see also La Raffaella Piccolomini, Marcantonio 219–20, 224n66 Piéjus, Marie-Françoise 216–17 Pietro, Giovanni 68nn14, 27 piety, emotive register of 104 pity 49, 76, 255, 260–1 Pius V, Pope 79 Pizzoli, Ludovico 69n49 Platina (Bartolommeo Sacchi) 161–2, 167, 173n15 “poco conesso” 248, 253, 256, 263n6 poetry, and homosexuality 184, 194 Ponce de Leon, Basilio 149 Pontano, Francesco 144–5 Poor Clares 64 Porcellio, Niccolò 165, 200 pork: poetic praise of 170, 172; social attitudes to 161, 166–8, 174n21, 174–5nn40, 41, 176n72 pork sausage 166–8, 170–1 Porta Piera 56–7 Porta Procola 56–7 Porta Stiera 56–7 postmodernism 3, 184, 198–201, 203 power, in gender relations 211–12 printing, transformative effects of 14 procuresses 54, 212, 216 prostitution: behaviour associated with 63–5; and courtesans 7; and courtiers 148; in della Porta 231, 236–8, 243n36; evidence of 3; ex-prostitutes 99; in fiction 211–13, 216, 221–2; and Ludovico Santa Croce 127–8; male 10; men’s interaction with female 60–3; residential patterns in Bologna 8–9, 53–6, 55, 57; social and familial circles of 58–60, 65–7 Puff, Helmut 188, 198 queer studies 184, 199, 201 queer visuality 192 Querzola, Giovanna 68n14 Randolph, Adrian 190 rape see sexual violence Raphael (Raffaello Sanzio da Urbino) 14, 200, 233 Raymond of Capua 106, 112 reception theory 190 Reed, Christopher 185, 198 re-focalization 240Renaissance Italy see Italian Renaissance Renaissance scholarship, sexuality and gender in 1–6 Renaissance sex 3, 13 Rice, Louise 78 the Ripetta 130 Rocke, Michael 4, 10, 187–8 Rojas, Fernando 216 Roman antiquity, effeminacy in 144 Roman law 75–6 romance 9, 118, 256 Romantic Friendships 100 Rome: adultery trials in 9, 82–91; early modern street plan 125–6; prostitution in 53, 59, 66–7, 79–80, 128; regulation of illicit sex in 79–82; Renaissance demography of 79–80; sexual bohemianism in 192–3 Romoli, Domenico 162 Rosetti, Isabella 60 Rossi, Aloisi di 62, 69n49 Rossi, Caterina di 62, 69n52 Ruggiero, Guido 3–4, 8, 13, 187, 197, 199 Sacchetti, Niccolò 163 Sacchi Romana, Diana di 69n37 Sack of Rome (1527) 79, 145 saints, failed 99, 102, 111–12 same-sex eroticism see homoeroticism San Colombano 60 Santa Caterina di Saragozza 63 Santa Croce, Ludovico 11, 126–36 Santa Croce family 126, 139n78 Sarteano 40–1 sausages 11–12, 161–3, 165–72, 175n42 Savi, Dorotea and Benedetta di 59 sbirri 60, 62, 65 Scapuccio, Antonio 127–9 Schutte, Anne Jacobson 99 Sebastian, Saint 195–7, 196, 206n62 Sedgwick, Eve 184 self-expression 184, 194, 198, 203 self-fashioning 151 self-harm 113 semen 12–13 sensuality: in Renaissance Italy 9–10; and spirituality 98, 101–2, 111; women known for 252 Senzanome 57, 60, 64–5, 68nn14, 27, 70n71 Sercambi, Giovanni 163–4, 166 sex crimes 4 sex ratio, in Rome 80 sexual fantasies 227–8, 234, 240sexual identity 4–5, 11, 13, 97, 119n7, 184, 198–9 sexual innuendos 10, 168–9, 194 sexual non-conformity 195, 201 sexual positions 13 sexual violence: against women and young girls 37–8; against young boys 41–4; in art 191; in classical myth 231; by clergy 35, 44–9, 98; laws on 4, 36–7, 49; in Renaissance Italy 8 sexuality: female 217–18; Foucault on 2–3, 13; male 10, 172 (see also phallus); and meat eating 162; Neoplatonic discourse on 215; newer approaches to 3–6, 12; in poetry 194; see also homosexuality Sforza, Caterina 76 Sforza, Galeazzo 141–2 Shakespeare, William 2, 232 shrines, prostitution around 64 sibille 90 Siena: administration of justice in 35–6; Il Sodoma in 185; sexual violence in 8, 35–50; Vasari on 183 Simio, Antonio 62 Simon, Patricia 5 Simone, Mario di 127–9, 131 Simons, Patricia 5, 11–13 sin, sexual 2, 42, 99, 102 single women, vulnerability of 61 Sixtus V, Pope 61 slander, sexual 61, 63 social constructionism 198, 201 social control 2, 12, 35, 143, 154 Socrates 200 sodomy: defences of 10; in early modern Italy 187–8, 198–200, 203; and meat 164–5, 169, 171–2, 174n21; preachers against 173n10; regulating 4; Roman laws on 80–1; Sienese laws against 37, 42–4, 47–9; use of term 9; see also anal penetration; homosexuality; Il Sodoma Sofronia: episode of 247–52; Giordano’s paintings of 248, 249, 262; inscrutability of 253–6 Song of Songs 100, 107, 116–18 Speroni, Sperone 215 spirituality, sensual imagery of 97, 100, 104–12 Spisana, Anna and Lucia 59 Splenditello 98, 100, 104, 109, 114, 120n55, 121n98 Spoloni, Lucia and Francesca di 59 sponsa 107, 116–18 spousal violence, and adultery 76, 82–3 sprezzatura 1, 146–7, 150–2, 156n42 Stanton, Domna 200 statues, living 230–3, 235, 240–1, 243n47 Statuta 80–1, 92n44 Stefani, Lena di 71n80 Stiera 56, 60 stigmata 97, 99, 107, 109, 111–14 Storey, Tessa 7, 66 strada dritta 126–8, 132 stufa 127–8, 133 subcultures 187–8, 197 Symonds, John Addington 184 synecdoche 233–5, 238, 240–1 synopsis 239–41 Tagliarini, Lucia 68n14 Tarozzi, Pelegrina di 60 Tasso, Torquato 14–15; “Allegoria del Poema” 256, 262, 264n24; and female bodies 247–8; Giudizio del poema riformato 260–1; and Sofronia episode 249–50; see also Gerusalemme conquistata; Gerusalemme liberata Taylor, Andrew 6 Tedeschi, Radini 202 Teresa, Saint 109–11, 110 Terracina, Laura 216 Titian (Tiziano Vecelli) 5, 14, 92n15, 164, 166, 233–4, 240, 243n35 Torre Sanguigna 127–8 torture 41–2, 46, 49, 90 Toschi, Domenico 61 transgender 15 Traub, Valerie 203 Trevisana, Margareta and Francesca 59, 62–3 Tridentine rules see Council of Trent Tuscany, duchy of 37 Tylus, Jane 14 Ufficiali sopra la pace 35 Ufficio delle Bollette 53–62, 65–7, 69n49 Urban VIII, Pope 112 Ursini, Hieronimo 82–4 Usinini, Terenzio 37–8 Utili, Mariella 249 The Vagina Monologues 218 vaginas see genitals, female Vallati, Cesare 131, 133–6 Vanna of Orvieto 109 Vanni, Francesco 106, 112 Varchi, Benedetto 141–2 Vasari, Giorgio 183–8, 192, 194–5, 199 Venetiana, Vienna 128 Venice: prostitution in 53, 59; sex crimes in 4, 48, 79 Veronica Giuliani, Saint 99 Via del Portico d’Ottavia 126 Via Santa Anna 125 Vicario 80, 84, 92n34 Vignaiuoli 169, 172, 175n52 Villani, Giovanni 145 Virgil 14, 219, 248, 251–3, 255, 262 Virgil 263n7 virtù: in Boccaccio 22–3, 32n6, 33n21; in Tasso 253 Virtuosi 168, 172, 175n52 visions, religious 5–6, 98, 111–14 visual culture 98, 102, 113 Vives, Juan-Luis 215, 217, 223n32 Walter of Brienne 23, 25, 32n8 whores see prostitution witchcraft 10, 235–7; see also magic women: abuse of 131, 136; depictions in Renaissance culture 14, 77, 171; honest and dishonest 53–4, 56–7, 59, 64–6, 81 (see also prostitution); in the Intronati 219–20; men writing about 211–14, 217–22; men writing for 215–17; in myth 235; published and unpublished texts by 223n37; see also female bodies women’s history 3–4 word play 12 Yavneh, Naomi 250–1 Zanetti, Arsilia 61–2, 69n47 Zanrè, Domenico 194 Zapata, Giovan Battista 162 Zonta, Giuseppe 222 Giovanni Battista Modio. Modio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Modio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745705644/in/datetaken/

 

Grice e Moiso – la filosofia della mitologia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Moiso; I would think my two favourite of his treatises is one on the ‘filosofia della mitologia’ (think Beowulf!) --; the other is a consideration on Goethe on ‘nature and her forms’ – having built my career on the natural/non-natural distinction, it cannot but fascinate me!” Esperto di storia della filosofia e della scienza di fama internazionale, ha insegnato nelle Torino, Macerata e Milano. Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia post-kantiana, con particolare attenzione al pensiero di Salomon Maimon, l'idealismo tedesco, con ricerche su Kant, Fichte, Schelling e Hegel, Goethe e l'età goethiana, Achim von Arnim, il concetto di esperienza ed esperimento nel Romanticismo, la filosofia di Nietzsche nel suo rapporto con le scienze, il pensiero di E. Mach. È stato membro della Schelling Kommission per l'edizione critica di Schelling. Ha partecipato alla Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche di Rai Educational con due interventi sulla La filosofia della natura tedesca e sulla "Scienza specialistica e visione della natura nell’età goethiana". Presso l'Udine è stato istituito il Centro Interdipartimentale di Ricerca sulla Morfologia. Fondamentali per la ricerca filosofica e le oltre 100 pagine dedicate a “Pre-formazione ed epigenesis”, in “Il vivente -- aspetti filosofici, biologici e medici,” – Grice: “Interesting idea, ‘il vivente’ – we don’t have that thing in English, ‘a loose liver’ --. Verra, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Caratteristica degli suoi studi è la connessione tra ricerca storico-filosofica e impianto teoretico, fatto particolarmente evidente in suo saggio su Schelling. “La filosofia di Maimon” (Milano, Mursia); “Natura e cultura” (Milano, Mursia); “Vita, natura libertà” (Milano, Mursia); “Pre-formazione ed epigenesi nell'età goethiana, in “II problema del vivente” Aspetti filosofici, biologici e medici, Verra, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana);  Nietzsche e le scienze” (Milano, Martino)-- Grice: cf. ‘gaia scienza’ – “Tra arte e scienza” (Milano, Marino);“La natura e le sue forme,” C.  Diekamp (Milano, Mimesis); “La filosofia della mitologia,” M. Alfonso (Milano, Mimesis); “Il nulla e l'assoluto” "Annuario Filosofico", “Teleo-logia dopo Kant” in: Giudizio e interpretazione in Kant. Convegno sulla Critica del Giudizio (Macerata, Genova, Idee in Schelling, in IDEA  Colloquio, Roma, M. Fattori e M. Bianchi (Olschki, Firenze); Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper e O. Höffe  (Milano, Guerini); Le Ricerche: una svolta in Schelling?, in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi (Milano, Guerini); “Dio come persona,” in Schelling, "Ricerche filosofiche sull'essenza della libertà umana: e gli oggetti che vi sono connessi", Commentario A. Pieper e O. Höffe (Milano, Guerini); “I paradossi dell'infinito, in: "Romanticismo e modernità", Torino, La scoperta dell’osso inter-mascellare e la questione del tipo osteologico, in G. Giorello, A. Grieco, Goethe scienziato” (Torino, Einaudi); “Schelling: il romano antico nella filosofia dell'arte, in "Rivista di estetica", Torino, pensatore e narratore dell'Europa, Milano, Gargnano del Garda, Milano: Cisalpino (Acme/Quaderni); E ho visto le idee addirittura con gl’occhi, in: Goethe: la natura e le sue forme, atti del Convegno Arte, scienza e natura in Goethe; Torino (Milano, Mimesis); C.  Diekamp,  Experientia/experimentum nel Romanticismo, in M. Veneziani, Experientia” (Firenze: Olschki); “L'albero della malattia -- motivi della medicina in età romantica, in Atti della sofferenza. Atti del seminario di studi. Udine, C. Casale e G. Garelli, Itinerari,  La percezione del fenomeno originario e la sua descrizione, in: Arte, scienza e natura in Goethe. Torino, R. Pettoello, In memoriam, "Acme", Alfonso, Matteo, In guisa di introduzione. La filosofia della luce di Fichte, in "Rivista di storia della filosofia,” M. Ivaldo, La fichtiana dottrina della scienza, In memoria di  Moiso. La filosofia della natura, in "Annuario Filosofico", P. Ziche, "Un terzo più alto, la loro sintesi comune". Teorie della mediazione, In memoria di  Moiso. La filosofia della natura, in "Annuario Filosofico",  S. Poggi, Dopo Schelling, dopo Goethe. lettore di Mach, La filosofia della natura, in "Annuario Filosofico", F. Vercellone, Da Goethe a Nietzsche. Tra morfologia ed ermeneutica, in In memoria di Moiso. La filosofia della natura, in "Annuario Filosofico", Giordanetti, Interprete di Kant", in Rivista di storia della filosofia, G. Frigo, Natura della forma e storicità della sua comprensione, testimonianze di colleghi e allievi, Torino,  La responsabilità dell'uomo per la natura nel pensiero degli scienziati romantici in Testimonianze (Torino, Trauben); F. Cuniberto, Corpo e mistero, in Testimonianze (Torino, Trauben, M. Alfonso, I corsi: una lezione di ricerca, in Testimonianze (Torino, Trauben); P. Giordanetti, Il kantismo di Nietzsche, Testimonianze” (Torino, Trauben); L. Guzzardi, Tra filosofia della natura e morfologia dei saperi: un ruolo per l'enciclopedismo, in Testimonianze” (Torino, Trauben);  F. Viganò, Morfologia e filosofia: la filosofia della natura come "tropica" del reale, in Testimonianze (Torino, Trauben); A.  Potestio, Lo Schelling di Heidegger (Torino, Trauben); A. Mainardi,  L'estetica pittorica di Friedrich, Testimonianze, Torino, Trauben, A. Cazzaniga, La filosofia dell'evoluzione, testimonianze Torino, Trauben, La natura osservata e compresa: saggi in memoria, F. Viganò, Milano, Guerini,  N. Moro, In ricordo , in "Rivista di Storia della Filosofia",  J. Jantzen, In memoriam: In ricordo, Università degli Studi di Milano, Sala Crociera Alta,  La rivoluzione di Lavoisier, in Enciclopedia delle Scienze, Goethe e la natura, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Goethe poeta e scienziato, in Enciclopedia delle Scienze La ri-culturalizzazione della scienza, in Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, Scheda biografica su Mimesis. Grice: “Plato is clear about this: other than predicated of ‘shape’ (forma), ‘beautiful’ has no SENSE! Moiso learned that from Gothe –problem with Goethe is that he was interested in the German mandibule!” Grice: “Pliny understood this best: it’s one boring thing to see Apollo Belvedere, larger than life. The good thing is to see or experience a ‘symtagm’, such as ‘I lottatori’ della Tribuna – a statuary group of two males – one may say there is ONE form in the Lottatori – Goethe would say that each body is a form – and so there are two forms.  -- Francesco Moiso. Moiso. Keywords: la morfologia e la fisiologia del vivente --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moiso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702156307/in/photolist-2mLK4N4

 

Grice e Mondin – il ritorno dell’angelo – la semantica filosofica – semantica pel sistema G – interpretazione e validita -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Monte di Malo). Filosofo. Grice:“Trust an Aquino to provide a systematic philosophy! Mind, I’ve been called a systematic philosopher, too!” Grice: “At Oxford, we are very familiar with angels – but only Mondin takes angeologia seriously! Trust an Italian! Ponte Sant’Angelo comes to mind!” Dottore di Filosofia e Religione a Harvard. È stato decano della Facoltà di Filosofia presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma. Mondin membro della Congregazione dei Missionari Saveriani. Nei suoi studi, le principali figure di riferimento sono state Tommaso d'Aquino e Paul Tillich, da cui ha tratto l'ideale di un accordo e di un mutuo sostegno tra filosofia e teologia.  “Etica, Etica e politica, Filosofia, Antropologia filosofica, Manuale di filosofia sistematica, La Metafisica di Aquino e i suoi interpreti,” “Storia dell'antropologia filosofica” Antropologia filosofica e filosofia della cultura e dell'educazione; “Epistemologia e cosmologia; “Logica, semantica e gnoseologia; Ontologia e metafisica Storia della metafisica, Storia della metafisica, Storia della metafisica, “Ermeneutica, metafisica, analogia in Aquino; Storia della filosofia medievale Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale Il sistema filosofico di Aquino Corso di storia della filosofia, L'uomo: chi è? Introduzione alla filosofia. Problemi, sistemi, filosofi La filosofia dell'essere di Aquino Teologia, Piccolo trattato di mariologia “Il ritorno degl’angeli” -- trattato di angelologia, Roma, Pro Sanctitate. Ospitato su archive.is. Dizionario storico e teologico delle missioni Dizionario enciclopedico del pensiero di Aquino,  Essere cristiani oggi. Guida al cristianesimo Il problema di Dio. Filosofia della religione e teologia filosofica La cristologia di Aquino. Origine, dottrine principali, attualità Storia della teologia Storia della teologia Storia della teologia Storia della teologia, Gli abitanti del cielo Gesù Cristo salvatore dell'uomo La chiesa sacramento d'amore La trinità mistero d'amore Dizionario dei teologi Introduzione alla teologia Dio: chi è? Elementi di teologia filosofica Scienze umane e teologia Cultura, marxismo e cristianesimo I teologi della liberazione, “Il problema del linguaggio teologico dalle origini ad oggi” Filosofia e cristianesimo I teologi della speranza I grandi teologi Professore  I grandi teologi Professore  I teologi della morte di Dio Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale. Software Filosofia della cultura e dei valori Le realtà ultime e la speranza cristiana Religione Nuovo dizionario enciclopedico dei papi. Storia e insegnamenti Commento al Corpus Paulinum (expositio et lectura super epistolas Pauli apostoli) La chiesa primizia del regno. Trattato di ecclesiologia Mito e religioni. Introduzione alla mitologia religiosa e alle nuove religioni L'uomo secondo il disegno di Dio. Trattato di antropologia teologica Preesistenza, sopravvivenza, reincarnazione Teologie della prassi L'eresia del nostro secolo Società Storia dell'antropologia filosofica Antropologia filosofica. L'uomo: un progetto impossibile? Philosophical anthropology Una nuova cultura per una nuova società. In ricordo di Mondin.  Un tomista ed "oltre" del XX secolo: Battista Mondin di Pierino Montini, Congresso tomista internazionale, Roma,  nel sito "E- Aquinas" Studium thomisticum. Grice: “Mondin attempts a systematic semantics. Rather he has a section on ‘semantics’ --. The expressions have to be used carefully. System itself, should be used alla Gentzen, or as Myro does with System G in my gratitude. A semantics for System G should include an interpretation and provisions for validity and truth!” – Grice: “Most likely, as most Italian philosophers who haven’t read me do – he uses ‘system’ and ‘semantic’ in a rather pompouns way!” -- Battista Mondin. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mondin” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703623029/in/photolist-2mPpwbZ-2mLSzNn-2mLQA8J

 

Grice e Mondolfo – la filosofia romana – antica filosofia italica -- la filosofia italiana – Luigi Speranza (Senigallia). Filosofo. Grice: “Mondolfo is one of the few who have focused on ‘gli eleati’ as involving a locus – pretty much as I do when I talk of Oxonian dialectic.” Grice: “Mondolfo’s study of the politics of Risorgimento is good; especially since every Englishman seemed to endorse it!” -- essential Italian philosopher. Like Grice, Mondolfo believed seriously in the longitudinal unity of philosophy and made original research on the historiography of philosophy, especially during the Eleatic, Agrigento, and later Roman periods. Figlio di Vito Mondolfo e Gismonda Padovani, una famiglia benestante di commercianti. Aderisce alle idee marxiste e socialiste. Studia a Firenze. Si laurea con F. Tocco, discutendo una tesi su Condillac dal titolo: "Contributo alla storia della teoria dell'associazione", un saggio da cui saranno poi tratti alcuni dei suoi primi saggi di storia della filosofia. Frequenta un gruppo socialista. Insegna a Potenza, Ferrara, Mantova, Padova, Torino, e Bologna. Consigliere comunale nelle file del Partito Socialista. Collabora con la rivista "Critica Sociale" fino a quando viene soppressa dal regime fascista.  Compone "Saggi per la storia della morale utilitaria" di Hobbes ed Helvetius”; "Tra il diritto di natura e il comunismo", "Rousseau nella formazione della coscienza moderna", "Il materialismo storico in F. Engels" (Formiggimi, La Nuova Italia) "Sulle orme di Marx". E  tra i firmatari del manifesto degli intellettuali anti-fascisti, redatto da Benedetto Croce. Si dedica alla filosofia italica antica. Ciò nonostante, pur in questo periodo, grazie alla politica di Gentile che volle coinvolgere filosofi di diverso orientamento nell'impresa, collabora con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Compone la voce Socialismo. In seguito alle leggi razziali fasciste che vietavano agli ebrei di ricoprire cariche pubbliche, Mondolfo scrisse il proprio curriculum di benemerenze e vi inserì lo stesso Gentile come testimone il quale ha a propormi per il Premio Reale di filosofia presso i lincei". Gentile autorizza Mondolfo a citarlo tra i testimoni e tenta inutilmente di farlo ri-entrare tra gli esclusi dalle leggi razziali. Costretto a lasciare l'Italia Gentile scrive ad Alberini e lo aiuta a trovare lavoro in Argentina. Il suo archivio personale è depositato in parte a Firenze presso la Fondazione di Studi Storici Filippo Turati ed in parte presso Milano.  Altre saggi: Sulle orme di Marx,” – Grice: “Whitehead used to say that metaphysics has been but footnotes to Plato; and Strawson used to say that to rob peter to pay paul you must show first that pragmatics is but footnotes to Grice!” --  Grice: “But of course a footnote is not a footprint – only similar!” – Grice: “While ‘footprint’ involves Roman pressum, ‘orma’ obviates that!” --  Cappelli); “L'infinito nel pensiero dei greci, Felice Le Monnier, La Nuova Italia); “Problemi e metodi di ricerca nella storia della filosofia” (Zanichelli, La Nuova Italia, Firenze, Milano, Bompiani, “Gli albori della filosofia in Grecia,” «La Nuova Italia», Editrice Petite Plaisance, Pistoia,. La comprensione del soggetto umano nella cultura antica, La Nuova Italia (Milano, Bompiani ). Alle origini della filosofia della cultura, Il Mulino, “Il pensiero politico nel Risorgimento italiano,” Nuova accademia, Cesare Beccaria, Nuova Accademia Editrice,. “Moralisti greci: la coscienza morale da Omero a Epicuro,” Ricciardi, “Da Ardigò a Gramsci,” Nuova Accademia, “Il concetto dell'uomo in Marx,” Città di Senigallia, “Momenti del pensiero greco e cristiano,” Morano, “Umanismo di Marx. Studi filosofici, Einaudi, “Il contributo di Spinoza alla concezione storicistica, Lacaita, Polis, lavoro e tecnica, Feltrinelli, Educazione e socialismo, Lacaita, “Gli eleati,” Bompiani,. Note  Vedi Paolo Favilli, Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in.  Fu una delle prime donne italiane a conseguire la laurea (cfr. Le donne nell'Firenze). Sposò civilmente a Firenze in Palazzo Vecchio Cesare Battisti. La sorella di Ernesta, Irene, sposerà Giovanni Battista Trener, per anni collaboratore di Cesare.  Amedeo Benedetti, L'Enciclopedia Italiana Treccani e la sua biblioteca, "Biblioteche Oggi", Milano, Enciclopedia Treccani, vedi alla voce futuro di Cesare Medail, Corriere della Sera, Archivio storico.  «SOCIALISMO» la voce nella Enciclopedia Italiana, Volume XXXI, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Paolo Simoncelli41.  Paolo Simoncelli42.  Paolo Simoncelli43.  Vedi Fabio Frosini, Il contributo italiano alla storia del PensieroFilosofia, riferimenti in.  Archivio, Inventari Stefano Vitali e Piero Giordanetti. Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici.  Archivio Rodolfo Mondolfo. Inventari, Stefano Vitali e Piero Giordanetti, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali. Ufficio Centrale per i beni archivistici, Paolo Simoncelli "Non credo neanch'io alla razza" Gentile e i colleghi ebrei, Le Lettere, Firenze,  L. Vernetti, R. Mondolfo e la filosofia della prassi, Morano,  E. Bassi, Rodolfo Mondolfo nella vita e nel pensiero socialista, Tamari); A. Santucci, Pensiero antico e pensiero moderno in Mondolfo, Cappelli, Bologna); Bobbio, Umanesimo di Rodolfo Mondolfo, in Maestri e compagni, Passigli Editore, Firenze 1984. M. Pasquini, Del Vecchio, il kantismo giuridico e la sua incidenza nell'elaborazione di Rodolfo Mondolfo (Alfagrafica, Città di Castello); C. Calabrò, Il socialismo mite: tra marxismo e democrazia, Polistampa, Firenze); E. Amalfitano, Dalla parte dell'essere umano. Il socialismo di Rodolfo Mondolfo, L'asino d'oro, Roma. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere Fabio Frosini, MONDOLFO, Rodolfo, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Vita opere e pensiero Diego Fusaro, sito "filosofico.net". Fondo Rodolfo Mondolfo Università degli Studi di Milano. Biblioteca di Filosofia. Fondo Rodolfo Mondolfo Fondazione di Studi Storici Filippo Turati.  Italiani emigrati in Argentina – Antica filosofia italica. La filosofia italica sin dai tempi antichi era cosi deita, e quel che più monta, dai Greci stessi, e l'autorità non sospetta di un Platone e di un Aristotele, che non la chiamarono con altro nome,ci sembra dar peso alle ragioni di quanti la vogliono originaria, contro l'opposta opinione di chi tra noi la dice por tata dalle colonie greche. Comunque sia, certo è che in questa seconda supposizione,l'Italianonperdetuttoilsuomerito, perchè la scienza quisorse più splendida mercè ilconcorso del genio e il sussidio delle tradizioni italiane.-- Le scuole di cui essa può menar vanto sono due, la pitagorica e l'eleatica. Il nome di questa scuola deriva da quello del suo fonda tore,dicuisitieneincertacosìl'originecome iltempo della nascita; l'origine, perchè è dubbio s'ei nascesse à Şamo della Ionia od a Samo della Magna Grecia ; il tempo , perchè chi lo vuol nato nell'anno 584 av. C.,chi nel 608,e chi ancor prima, ai tempi di Numa,il quale, come ciè noto,mori nel 672, dopo quarantatrè anni di regno. Tra i filosofi che vi apparten nero,chiamati ancor essi pitagorici, con un Archita di Taranto (il più celebre di tutti), che capitanò più volte gli eserciti, e non fu mai sconfitto, si ricordano un Filolao, probabilmente di Crotone,unTimeodiLocri,edunOcellodiLucania.- Tacia mo iminori o dimen notadottrina,come Liside,Clinia,Eurite, Zeleuco e Caronda; i quali due ullimi, legislatori entrambi, di Locri l'uno, l'altro di Catania, insigni rese l'efficacia che, per loro opera specialmente, ebbe allora la filosofia negli ordini ci vili, quando, mutata la forma, i governi regi si convertirono in popolari. Il Pitagoreismo ebbe vita dal bisogno di una scienza, che, professata da uomini austeri e ornati di grandi virtû, e con giunta all'operosità civile (in ciò la consorteria pitagorica, chè tale fu veramente, distinguesi dalle indiane) servisse di criterio per una riforma riconosciuta necessaria in mezzo al guasto ognor crescente della religione, dei costumi e della libertà; lo che ci spiega le persecuzioni a cui andò soggetlo.  Scuola pitagorica. -12 Nuovo affatto è nella scienza il metodo recatovi dai pita gorici. Questo metodo (e lo stesso dicasi del linguaggio ) è il matematico; il quale consiste nell'applica re le idee di quantità   -13 alla natura interna ed esterna, ed al principio sommo della m e desima; metodo che, tutto essendo nel mondo capace di numero e di misura, non sarebbe forse tanto strano quanto a prima vista appare, se non fosse che i pitagorici all'esperienza, che la verità ci rivela nell'ordine dei contingenti, il più delle volte preferi rono il ragionamento a priori, error palese a chi consideri che dal concetto, per esempio, di circolo, di triangolo, di pen tagono, non si può argomentare che questi tipi si effettuino in natura, e chi lo fa si espone al pericolo manifesto di costruire da sè un mondo fantastico, un mondo che non esiste fuori della sua mente. Ma i pitagorici erano educati allo studio delle m a tematiche; perciò non è meraviglia cheil metodo di queste scien ze trasportassero nelle regioni della filosofia. Il gran problema metafisico dei pitagorici riducesi adunque al seguente: trovare le leggi mentali della quantità effettuate nella realtà, e con queste salire alla prima cagione. Ed ecco perchè tutto è numero nel loro sistema : i principi delle cose sono i numeri; un numero, una unità parziale è ogni cosa;un n u m e r o , u n a u n i t à g e n e r a l e il l o r o c o m p l e s s o , c i o è l ' u n i v e r s o o mondo , il quale comprendendo in sè tutti i numeri od unità parziali, à in sè la pienezza d'ogni grado di entità, epperciò è decade; e la prima cagione, il principio di tutti iprincipi delle cose, la causa che ad ogni altra causa antecede, è numero essa pure, ma il numero per antonomasia, e quindi può chiamarsi l ' v n i t à , l a d r a d e , l a t r i a d e , i l q u a d e r n a r i o ( o s o l i d o ), i l s e t t e n a r i o e la decade. Ma lasciamo da banda questo gergo simbolico,e vediamo che di sostanziale si peschi in fondo alla dottrina pi tagorica, e come s'abbia a intendere la sua formola : Ogni cosa è un numero. Che cosa è il numero per eccellenza , la Monade somma , infinita, il Dio dei pitagorici? E che sarà l'essere individuo ? Che cosailmondooduniverso?Dioèl'entecheinsècontiene la propria essenza e quella di tutti gli esseri, epperò tutti i contrari, cioè le cose più opposte e disparate (inito ed infinito, dispari e pari, uno e più, positivo e negativo , quiete e moto , loce e tenebre, bene e male ecc.), ed inoltre la moltiplicità loro insieme concilia, risultandone una suprema unità, un'armonia universale;Dio,insomma,è l'unità suprema di tutti icontrari.-- Le cose particolari,gliesseriderivatidaleisonoimmaginisue, epperò consteranno anch'esse di elementi contrari, a unità ed armonia ridotti; dunque ogni essere è un numero ed armonia parziale.- Poni assieme tutti questi numeri, tutti gli esseri finiti, e in modo che icontrarinon cozzino, ma formino un    ---14 --- solo numero , una sola unità vastissima, immagine essa pure della Monade Divina. Tale il mondo od universo dei pitagorici, il quale sarà l'assieme dei contrari, non già nell'unità somma inesistenti, ma in atto e da Dio ridotti ad armonia. Ora, in qual modo la generalità dei contrari, cioè la de c a d e , il m o n d o i n e s i s t e v a n e l l ' u n i t à p e r e c c e l l e n z a , i n D i o ? Q u i i pitagorici tacciono, di modo che nulla di positivo e certo può rilevarsi dalla loro dottrina.Bensi e'ciapprendono come l'uni verso o mondo si venisse formando per ispirazione od aspira zione.La Monade universale e suprema, contenente in sè le unità particolari, da principio era una, continua, indivisa, ma non indivisibile, e da ogni parte circondata da un vuoto im menso;ilquale,aspiratodaessa,come l'aria entraneipolmoni, siintrodussefraicontrari,ossiafralemonadi particolari,e cosi separandoli, individuolli, e produsse la grande moltiplicità delle cose mondiali. La formolaesprimentel'armoniauniversale (tuttoènumero) per la scuola pitagorica può dirsi il principio di tutta la filo sofia, dappoichè essa l'applicò in tutti tre gliordini,metafisico, logico e morale. Che cosa è l'anima umana , la quale, diceva Filolao, giace nel corpo come in un sepolcro? !, risponde il pitagorico, un numero, un'armonia, insieme conciliando essa due contrari, cioè i sensi e la ragione, che sono ilnegativo ed il positivo, l'irragionevole ed il ragionevole. E la verità, la co gnizione che cosa è mai ? Un numero, un'armonia, come fuor dell'armonia è l'errore, essendo che per l'acquisto della m e d e sima cooperano gli stessi contrari, quantunque la ragione si spinga più oltre dei sensi, i quali non escono dalla sfera dei contingenti o fenomeni. E che sarà, infine, la virtù ? Un numero , un'armonia, che risulia anch'essa dall'accordo dell'irragionevole col ragionevole, essendo la virtù riposta nella soggezione dei sensi all'impero della ragione,toltalaquale,all'armonia sotten traladisarmonia,allavirtûilvizio.- Vadasèchelavirtù ci rimena alla Monade suprema, all'ordine od armonia univer sale, che d'ogni essere è principio e fine. Critica.-- Bene esaminando la dottrina dei pitagorici, si scuopre nella medesima un error capitale, che à per sorgente l'abuso del metodo trascendentale,come quello che licondusse a trasportare nell'ordine delle realtà leastrazionidellamatema tica, e a concepir Dio quasi unità generica o numero per ec cellenza, che è come dire quale un'essenza in cui si contengono esiimmedesimano lecosetuttequante.Nè asalvarlidalpan teismo implicitobastanolealteveritàframmischiatevi,eladichia    -15 Senofanc,schernitoredeipoliteisti,iqualiammettono più dei, e degli antropomorfisti, che li fingono a loro immagine e somiglianza, insegnò che Dio è potentissimo, uno ed eterno;po tentissimo, perchè Egli è l'ente (entità, forza, energia e potenza per la scuola italica sono termini sinonimi); uno, perchè, tra più dèi uguali, nessuno è potentissimo per l'uguaglianza, e se inferiori, nessuno è potentissimo per inforiorità; eterno, perchè l'ente non può non essere, e il non ente non può divenire. Si fosse egli qui arrestato! ma fra gli altributi divini ne annovera un quinto, dal quale poi con falsa logica deduce una (1) Colonia ionica di Elea. (2) Elea ebbe un'altra scuola, fondatavi da Leucippo e Demo crito, i quali spiegavano la formazione del mondo con ammettere nel vacuo immenso una infinità di atomi eterni, il cui fortuito accozzamento avrebbe dato origine a tutte cose (atomismo). Questa scuola,chiamata fisica,non siconfonda coll'eleaticasemplicemente detta, e denominata anche metafisica per distinzione. Uno  razione di Filolao, Dio essere imperatore e duce sommo, ed eterno, potentissimo, supremo e diverso dalle altre cose; per chè d'uopo è che accetti le conseguenze chi non rinunzia al l'erroneità dei principi. E l’erroneità del principio pitagorico sta appunto nel far di Dio un tutto, un numero che comprende in sè ogni altro numero. « Il sentimento religioso e morale, scri ve il dottissimo Bertini (Idea d'una filosofia della vita) induce va i Pitagorici a collocare Dio molto al dissopra del mondo;ma il fato della logica li forzava sovente ad immedesimarli in una sola sostanza, e ricacciavali nel panteismo ». Scuola elearica. La scuola eleatica ebbe tal nome da quello della città dove sorse, poco dopo la pitagorica, per opera di Senofane, che, nato a Colofone della Ionia nell'anno 620 av. C., tardi migrò di là per l'invasione della patria,e venuto nellaMagna Grecia,pre se stanza in Elea, e vi morì nella grave età di oltre a cent'an ni.- SenofaneebbediscepoloParmenide,eParmenideZenone, buon patriota, che, condannato a morte da un tiranno, corag giosamente sostenne ilsupplizio.Questi due,d'Elea entrambi, con Melisso di Samo, il quale capitano gli Italioti (1) contro Pericle, continuarono la dottrina del primo, e vi dettero forma più rigorosa, se non incremento. D'altri nomi più famosi non la menzione la storia della filosofia eleatica (2).   -16 Una dottrina si ripugnante al senso comune non poteva menarsi per buona; perciò si levarono a impugnarla e combat terla gli empiristi, o fautori del metodo a posteriori, sostenendo controgliEleati el'esistenzarealedisostanzefinite,elaloro contingenza e varietà,elamutabilitàloro,attestatadall'evidenza dei fatti. Zenone, quel valente Zenone che Aristotele riconobbe quale inventore della dialeitica (scienza ed arte di ragionare e disputare ), come lo fu senza dubbio tra gli Occidentali, a sua volta non lasciò senza difesa la filosofia della sua scuola e del suo maestro,anzi incalzò gliavversari con molta lena e con buona copia d'argomenti diretti a dimostrare, per una parte la fallacia dei sensi e l'autonomia della ragione, per l'altra, e con sofismi ad homincm , che l'empirismo, ilquale all'autorità della ragione oppone quella dei sensi, contiene in sè contraddizioni ben più gravi di quelle che si dicevano implicite nella metafisica eleatica. Ed allora, se la memoria non ci falla, sorse la prima delle po lemiche che, per la loro importanza, ànno meritato una pagina nella storia della scienza. ~ Famoso argomento di Zenone deito l'Achille.  strana conseguenza : l'ente è tutto od intiero, epperò nulla a lui può aggiugnersi; donde segue che nulla può incominciare ad essere.Qui l'error di illazione, il sofisma del conseguente è manifesto; quanto viene all'esistenza è forse un che d'aggiunto all'infinitudine divina ? D'altronde, se nulla può nascere o di venire, che pensare degli esseri contingenti e mutabili, cosi detti perchè nei vari momenti del tempo sono e non sono, e mutano continuamente ? Senofane se la spicciò nettamente con negare a dirittura l'esistenza delle sostanze finite, e sentenziò: « Tali cose non ànno altra vita fuorchè l'apparenza, ed appartengono all'opinione. O che! sarà dunque menzognera sempre la voce dei sensi ? E ci ingannerà di continuo l'intimo sentimento ? Che si, rispondono in coro gli Eleati , quanto ci rilevano i sensi altro non è che illusione; e la ragione è il mezzo unico per giungere al vero; e il vero è che tutto è uno, e l'uno è tuito. Critica. Ma l’arte dei Zenoni, che con sofismi strani pro pugnano la falsità del vero, e quel che è più, l'incertezza del l'evidente, e, prova non dubbia di grande acume, perfin riesco no a dimostrare, contro la possibilità del moto, che nella più rapida sua corsa il più celere cavallo non raggiungerà mai una tartaruga,quantochè tardissima, la quale anche di poco la pre ceda ("), tutta l'arte dialettica, ripeto, non sarà mai da tanto che possa collocare sopra una base solida isistemi della scuola   Filosofia presso i Greci antichi. Principio, mezzo e fine; infanzia,virilità e decrepitezza, o decadimento, ecco i tre stadi o periodi, le tre età dell'antica fi losofia greca. Tra il principio e la fine corrono ben sette secoli, all'incirca; ma noi li percorreremo in minor tempo, se non ci manchi lena. da l'alete a Socrate. La prima età della filosofia greca antica incomincia con Talete, e termina al comparire della filosofia socratica. Talete, già è delio, nacque 600 anni av. C. e Socrate nel 170 ; qui dunque abbiamo press'a poco un periodo di centotrenť anni, durante i quali sorsero due scuole, la ionica e la sofistica; le quali, aggiunte alla pitagorica ed all'eleatica, ci dànno in com plesso l'antica filosofia designata col nome di italo-greca. Scuola ionica. Fondata in Mileto della Ionia, sua patria, da Talete,primo tra i filosofi greci conosciuti, ma forse non tale veramente, que sta scuola è, come vedremo, la men filosofica di tutte le pre cedenti. Nè la ragione è difficile a comprendersi da chi sappia che la scienza ebbe allor contrari i voluttuosi costumi e la ser vitù di quelle cit tà, soggette ai Lidi ed ai Persiani, e che , a giudicarnedalsilenzioe daipochicennidellastoria,coloroi quali la professavano erano ben lontani dalle virtù che adorna vano i pitagorici; virtù che col venir meno a poco a poco, pois  cleatica; e sono tre: l'idealismo logico, perchè si nega l'au torità dei sensi, per riconoscere soltanto quella della ragione; l'idealismo metafisico, perchè si esclude la materialità, ilmolte plice ed ogni mutamento; e, conseguenza di ciò, ilpanteismo, che ammette la sola esistenza dell'ente immutabile ed eterno, e cosi rimuove ogni concetto di creazione. Il primo nacque colla scuola pitagorica,mada Senofane fu recatoasistema;ilsecon do venne accolto dagli Eleati per evitare le contraddizioni della medesima, che nell'uno identificava le cose più opposte; il terzo sidirebbe comune alle due scuole,se non fosse che nell'eleatica si lasciò da banda la parte corporea e mutabile, e così si riusci a un panteismo parziale, al panteismo idealistico.Grice: You have to love Mondolfo. As a Jew he was into Sartre’s existentialism, and the rest of it – when Gentile inhibited Jews from teaching Italians, Mondolfo had to stream his energy into the study of ‘antica filosofia italica’! for our glory!” --  Rodolfo Mondolfo. Mondolfo. Keywords: antica filosofia italica. Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Mondolfo, e la filosofia greco-romana," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685325261/in/photolist-2mMVqb2-2mLQdrQ-2mLFBT9-2mLGjg5-2mPHbXQ-2mKfNvB-2mKgLKC

 

Grice e Monferrato – filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale Monferrato). Filosofo. Autore di opere di teologia e scienza e legato pontificio. Entra nell'ordine francescano nella provincia genovese. Docente presso lo studio francescano di Assisi. Compone il saggio. “Quaestio de velocitate motus alterationis” (Venezia). In esso presenta un'analisi grafica del movimento dei corpi uniformemente accelerati. La sua attività di insegnamento in fisica matematica influenza gli studiosi che operarono a Padova e Galilei che ri-propose idee simili. ‘Giovanni da Casale’, Treccani. Filosofia Filosofo del XIV secoloTeologi italiani Casale Monferrato Storia della scienza. Grice: “Casali dicusses the velocity of motion of alternation. He wisely remarks that if one takes the example of the quality of hotness, onemay conceive of a UNI-FORM hotness throughout – ‘just as a rectangular parallelolgram is formed between two equidistant lines, such that any part you wish is equally wide with another. ‘Let there be throughout a UNIFORMLY DIFFORM hotness, such that it is a triangle!” -- Giovanni da Casale Monferrato. Monferrato. Keywords: corpi inanimati, corpi animati, inerzia, un corpo animato non e un missile guidato – Grice. La liberta dei corpi animati, uniform, uniformly difform, difformly difform. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Monferrato” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744993161/in/datetaken/

 

Montanari (Roma). Filosofo. Massino Montanari.

 

Grice e Montani – il debito del segno – implicatura riflessiva -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Teramo). Flosofo. Allievo di Emilio Garroni, è Professore di Estetica alla Sapienza Roma, è stato Directeur d'Études Associé presso all'EHESS di Parigi e ha insegnato Estetica al Centro sperimentale di cinematografia di Roma. La sua ricerca si concentra oggi principalmente sui temi di filosofia della tecnica.  Allievo di Emilio Garroni, per Montani l'estetica non va considerata come filosofia dell'arte, ma come una teoria della sensibilità umana, che ha la peculiarità di essere aperta agli stimoli del mondo esterno. La riflessione di Montani si snoda in diversi passaggi e attraverso il confronto con alcuni dei protagonisti della filosofia, della linguistica, della semiotica e della teoria del cinema del Novecento, avendo sempre come punto di riferimento la filosofia critica di Kant.  Pensiero Ermeneutica e filosofia critica. Pubblica Il debito del linguaggio, in cui, partendo dal confronto con le teorie strutturaliste, in particolare quelle di Jakobson e JMukarovsky, mostra come la questione del significato del testo poetico non possa essere risolta mediante l'individuazione del codice linguistico o semiotico di riferimento, ma rimandi ad una condizione estetica della significazione. Questo tema viene ulteriormente approfondito in Estetica ed ermeneutica. Prendendo le mosse dalla filosofia critica kantiana, propone di ripensare la verità nel senso heideggeriano dell’ “a-letheia”, del “dis-velamento” dell'essere come una situazione ermeneutica strettamente legata all'effettiva esperienza del soggetto, seguendo la rilettura della filosofia di Heidegger proposta da Gadamer.La formazione e il pensiero di Montani sono stati segnati dal suo interesse per il cinema e in particolare per Vertov e Ėjzenštejn. Di entrambi ha curato l'edizione  degli scritti.  Nel testo “L'immaginazione narrative” (Guerini) coniuga l'interesse per il cinema con quello più strettamente filosofico per il tema dell'immaginazione. Propone di considerare l'immaginazione nei termini in cui, in Tempo e racconto, Ricœur parla della narrazione, ovvero come di un processo di “rifigurazione” dell'esperienza del tempo da parte dell'uomo. Per Ricoeur la narrazione ha il potere di far fare al lettore esperienza di un tempo propriamente umano. Montani fa propria la tesi di Ricoeur, applicandola però, all'ambito della narrazione cinematografica. Montani ritiene che il territorio dell'immaginazione in cui lavora il cinema sia quello dell'intreccio tra finzione e testimonianza, tra la costruzione dell'intreccio narrativo e la documentazione del reale. La trasformazione dell'esperienza del tempo avviene, così, ad un livello più profondo e creativo.  Tecnica ed estetica Con Bioestetica si inaugura la fase più recente del pensiero di Montani, dedicata all'approfondimento del rapporto tra tecnica e estetica. Attraverso il paradigma della bioestetica Montani propone di leggere i fenomeni di biopotere che caratterizzano l'epoca contemporanea a partire dalla loro natura innanzitutto tecnica ed estetica, cioè a partire dal fatto che la sensibilità dell'essere umano viene sempre più orientata ed organizzata tecnicamente. Il biopotere consiste proprio nella capacità di canalizzare la sensibilità umana. In L'immaginazione intermediale Montani prende in analisi i modi in cui il cinema risponde alle forme di anestetizzazione. Prendendo le mosse dalla spettacolarizzazione della politica emersa in seguito all'attentato delle Torri Gemelle, Montani introduce il concetto di "autenticazione dell'immagine", che non consiste nell'accertamento del referente fattuale dell'immagine (il vero, il reale) ma nella rigenerazione di un orizzonte di senso condiviso, la capacità di riferimento dell'esperienza e del linguaggio, in un'epoca caratterizzata da crescenti fenomeni di “indifferenza referenziale” La riflessione sul rapporto tra estetica e tecnica continua in “Tecnologie della sensibilità”, in cui viene teorizzata l'esistenza di una terza funzione dell'immaginazione: accanto a quella produttiva e riproduttiva vi è una funzione inter-attiva. L'immaginazione inter-attiva diventa il paradigma attraverso cui leggere l'epoca contemporanea, attraversata profondamente da fenomeni dell'inter-attività digitale e dalla proliferazione di ambienti virtuali. Saggi: “Il debito del linguaggio: l'auto-riflessività nel discorso,” – Grice: “There is the ‘debito’ and there is the ‘credito’ or ‘price’ of semiosis, too!” -- Marsilio, Venezia; -- Grice: “Actually, Montani uses ‘aesthetic self-reflection,’ using ‘aesthetic’ etymologically, as per what he calls ‘ermeneutica sensibile’ --  Fuori campo: studi sul cinema e l'estetica, Quattroventi, Urbino; Estetica ed ermeneutica: senso, contingenza, verità, Laterza, Roma);  L'immaginazione narrativa: il racconto del cinema oltre i confini dello spazio letterario, Guerini, Milano); Arte e verità dall'antichità alla filosofia contemporanea: un'introduzione all'estetica, Laterza, Roma); L'estetica contemporanea: il destino delle arti nella tarda modernià,  Carocci, Roma; Lo stato dell'arte: l'esperienza estetica; M. Carboni eMontani, Laterza, Roma); Bioestetica: senso comune, tecnica e arte” (Carocci, Roma; L'immaginazione intermediale: perlustrare, ri-figurare, testimoniare il mondo visibile, Laterza, Roma); Tecnologie della sensibilità. Estetica e immaginazione interattiva, Cortina, Milano. -- Note Montani, Il senso, Rai Scuola, su raiscuola.rai.  I percorsi dell'immaginazione. Studi in onore di Pietro Montani., Pellegrini,.  Rinaldo Censi, Cine-occhi e cine-pugni: due modi di intendere il cinema, su Nazione Indiana,  L'immaginazione estatica. Estetica, tecnica e biopolitica, su giornaledifilosofia.net. 2 lAlessandra Campo, Biopolitica come an-estetizzazione. Il significato estetico della biopolitica, su sintesidialettica. Montani, L'immaginazione intermediale, Laterza, Montani, L'immaginazione intermediale, Laterza, Anna Li Vigni, Gli occhiali per immaginare, Il Sole 24 Ore. La vita immersa nell’estetica del virtuale, su ilmanifesto. Pietro Montani. Montani. Keywords: il debito del segno, Narciso e la reflexione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Montani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703228758/in/photolist-2mLQyAA-2mPYoE5

 

Grice e Montinari – sovrumano – torna a Surriento -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo. Grice: “If I were asked to identify the main difference between the Italian philosopher and the Oxonian philosopher is that the Italian philosopher takes Nietzsche seriously! But then he lived at Torino!”  «Nelle istituzioni esistenti, sostenute da immani forze di produzione e di distruzione, viene assimilata e mercificata ogni e qualsiasi protesta, persino quella dei Lumpen, ogni tentativo di lasciare la «nave dei folli». Se il metodo di Nietzsche può ancora aiutarci, allora l'unica forza che ci è rimasta è quella della cultura, della ragione.»  Considerato uno dei massimi editori e interpreti di Nietzsche. Ha definitivamente dimostrato che Nietzsche non ha mai scritto un'opera dal titolo “La volontà di Potenza” e che le cinque diverse compilazioni che la sorella del filosofo e altri editori dilettanti hanno pubblicato sotto questo titolo sono testi del tutto inaffidabili per comprendere il pensiero di Nietzsche. Si era formato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e all'Pisa, presso la quale si laureò con una tesi, “I movimenti ereticali a Lucca.” Caduto il fascismo, divenne un attivista del Partito comunista, presso il quale si occupava della traduzione di scritti dal tedesco. Mentre visitava la Germani a Est per motivi di ricerca, fu testimone della rivolta del '53. Successivamente, in seguito alla repressione della Rivoluzione ungherese del 1956, si allontanò dall'ortodossia marxista e dalla carriera nel partito. Mantenne tuttavia la sua iscrizione al PCI, e rimase fedele agli ideali del socialismo. Collaborò con le Edizioni Rinascita, e per un anno fu direttore dell'omonima libreria in Roma. Dopo averne rivisto la raccolta di opere e manoscritti in Weimar, Colli e Montinari decisero di iniziarne una nuova edizione critica. Essa divenne lo standard per gli studiosi, e fu pubblicata in da Adelphi. Per questo lavoro fu preziosa la sia abilità nel decifrare la scrittura a mano (praticamente incomprensibile) di Nietzsche, fino a quel momento trascritta solo da "Gast“ (Köselitz).  Fonda la rivista Nietzsche-di cui fu coeditore. Attraverso le sue traduzioni ed i suoi commenti di Nietzsche, diede un contributo fondamentale alla ricerca storica e filosofica, inserendo Nietzsche nel contesto del proprio tempo.  Saggi: “Che cosa ha detto Nietzsche”  Roma, Ubaldini, ripubblicato come  “Che cosa ha detto Nietzsche,” [Grice: “I convinced Montinari that ‘veramente’ is a trouser word and should be avoided!” -- Giuliano Campioni, Milano, Adelphi. Su Nietzsche, Roma, Riuniti,  Teoria della Natura, Torino, Boringhieri, Milano, SE,  F Nietzsche, Lettere a Rohde, Torino, Boringhieri, Nietzsche, Opere, (Milano, Adelphi,  Nietzsche, Il caso Wagner: Crepuscolo degli idoli; L'anticristo; Scelta di frammenti, S. Giametta, Ferruccio Masini, Giorgio Colli, Milano, Mondadori Editore, Ecce homo; Ditirambi di Dioniso; Nietzsche contra Wagner; Poesie e scelta di frammenti postumi, Milano, A. Mondadori, Nietzsche, Schopenhauer come educatore, Milano, Adelphi, Epistolario di Nietzsche, María Ludovica Pampaloni Fama, Milano, Adelphi,  Nietzsche, Scritti, Milano, Adelphi, Arthur Schopenhauer, La vista e i colori Carteggio con Goethe,Abscondita,  Nota introduttiva a Genealogia della morale, Nietzsche e Van Gogh, due cardini del pensiero occidentale moderno di  Bettozzi (Liberal democaratici), su liberal democratici..  «Tant qu'il ne fut pas possible aux chercheurs les plus sérieux d'accéder à l'ensemble des manuscrits de Nietzsche, on savait seulement de façon vague que La Volonté de puissance n'existait pas comme telle (...) Nous souhaitons que le jour nouveau, apporté par les inédits, soit celui du retour à Nietzsche.» (Gilles Deleuze)  Aveva infatti ottenuto una borsa di studio della Scuola Normale Superiore a Francoforte sul Meno.  Rinascita Che era stato il suo maestro. Giuliano Campioni, Dizionario Biografico degli Italiani stituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Giuliano Campioni, Giuliano Campioni,B Giuliana Lanata, Esercizi di memoria, Bari, Levante Editori, (notizie su M. M. nell'articolo su Colli anche a proposito dell'Enciclopedia di autori classici, Editore Boringhieri, progettata e diretta da Colli e a cui M. M.collaborò). Paolo D’Iorio, L'arte di leggere Nietzsche, Firenze, Ponte alle grazie,Giuliano Campioni, Leggere Nietzsche. Alle origini dell'edizione critica Colli-Montinari. Con lettere e testi inediti, Pisa, Mazzino Montinari: l'arte di leggere Nietzsche Paolo D'Iorio, Pubblicato da Ponte alle grazie, Studi germanici — Di Istituto italiano di studi germanici — Pubblicato da Edizioni dell'Ateneo, Originale disponibile presso la l'Università della Virginia — "Mazzino Montinari, Nietzsche", di Francesca Tuca Giuliano Campioni, Da Lucca a Weimar: Mazzino Montinari e Nietzsche in Nietzsche. Edizioni e interpretazioni, Maria Cristina Fornari, ETS, Pisa, Die "ideelle Bibliothek Nietzsches". Von Charles Andler Montinari Pensiero di Schopenhauer Roberto Roscani Torino#Filosofi Giuliano Campioni, Mazzino Montinari, in Dizionario biografico degli italiani,  stituto dell'Enciclopedia Italiana,. Opere di Mazzino Montinari, Centro interdipartimentale di studi Colli-Montinari su Nietzsche e la Cultura Europea — Pisa, Lecce, Padova e Firenze (Centronietzsche.net), su centronietzsche.net. Grice:: “Montinari is right that ‘la volonta di potenza’ ‘n’existe pas’ – vacuous name. Torna a Surriento. Mazzino Montinari. Montinari. Refs. Luigi Speranza, “Grice e Montinari: l’implicatura di Nietzsche” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745180974/in/datetaken/

 

Grice e Monte – implicatura – la prospettiva e la filosofia della percezione -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Filosofo. Grice: “I like to illustrate a ‘scientific revolution’ with Del Monte’s refutation on the equilibrium controversy, since it involves a lot of analyticity that only a philosopher can digest!” -- essential Italian philosopher. Il marchese Guidubaldo Bourbon Del Monte (Pesaro), filosoMecanicorum liber, Suo padre, Ranieri, originario da un famiglia benestante di Urbino, discendente dalla schiatta dei Bourbon del Monte Santa Maria, fu notato per il suo ruolo bellico e fu autore di due libri sull'architettura militare. Il duca di Urbino, Guidobaldo II della Rovere, gli attribuì, per meriti, il titolo di Marchese del Monte, dunque la famiglia divenne nobile solo un generazione prima di Guidobaldo. Alla morte del padre, ottenne il titolo di Marchese. Studia matematica a Padova. Mentre era lì, strinse una grande amicizia con Tasso. Combatté nel conflitto in Ungheria, tra l'impero degli Asburgo e l'Impero Ottomano. Al termine della guerra, torna nella sua tenuta a Mombaroccio, vicino Urbino, dove passava i giorni studiando matematica, meccanica, astronomia e ottica. Studia matematica con l'aiuto di Commandino. Divenne amico di Baldi, che fu anch'esso studente di Commandino. Ispettore delle fortificazioni del Granducato di Toscana, pur continuando a risiedere nel Ducato di Urbino.  In quegli anni, corrisponde con numerosi matematici inclusio Contarini,  Barozzi e Galilei  e con alcuni di loro si dice abbia avuto anche relazioni più che professionali.  L'invenzione per la costruzione di poligoni regolari e per dividere in un numero determinato di segmento qualsiasi linea fu incorporata come caratteristica del compasso geometrico e militare di Galileo. Proprio fu fondamentale nell'aiutare Galilei nella sua carriera, che e un promessa ma disoccupato. Raccomanda il toscano al suo fratello Cardinale, che a sua volta parla con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la sua protezione, Galileo ha una cattedra di matematica all'Pisa. Guidobaldo divenne un amico fidato di Galileo e lo aiutò nuovamente quando dovette necessariamente fare domanda per poter insegnare matematica all'Padova, a causa dell'odio e della macchinazione di Giovanni de' Medici, un figlio di Cosimo de' Medici, contro Galileo. Nonostante la loro amicizia, Guidobaldo fu un critico di alcune teorie di Galileo, come quella relativa alla legge dell'isocronismo delle oscillazioni. Compone un importante saggio sulla prospettiva, “Perspectivae Libri VI”, pubblicato a Pesaro che ha ampia diffusione. E sicuramente, anche secondo il parere di Galileo, uno dei massimi studiosi di meccanica e matematica. “Mechanicorum liber”. Pisauri. Saggi: “Mechanicorum” (Pisauri, Girolamo Concordia – Venezia, Deuchino -- Mecanicorum); “Plani-sphaeriorum universalium theorica” (Pisauri, Girolamo Concordia); “De ecclesiastici calendarii restitutione" (Pisauri, Girolamo Concordia); “La prospettiva” (Pisauri, Girolamo Concordia -- Roma); “Problematum astronomicorum” Venezia, Giunta); De cochlea,” Venezia, Deuchino);  “Le mechaniche nelle quali si contiene la dottrina di tutti gl’istrumenti principali da mover pesi grandissimi con picciola forza”  (Venezia, Franceschi); “Lettere” (Venezia); “La teoria sui planisferi universali” (Firenze). Galileo (che nel frattempo era stato molto probabilmente anche suo ospite) puo occupare la cattedra di Padova, grazie anche all’intervento delduca., che nell’ambiente veneto poteva contare, oltre che sull’amicizia di un Contarini e di un Pinelli, sull’autorità e l’influenza di Monte, generale delle fanterie della Repubblica": Fondazione cardinal Francesco maria delmonte -- guidobaldo-del-monte/. A. Giostra, La stella o cometa nelle lettere a Giordani, Giornale di Astronomia. Galilei. Guidobaldo II della Rovere Mombaroccio, Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “There possibly is no equivalent to perspective for the other senses. Prospettiva, as the Italians call it. They are obsessed with it. Consider the human body. Consider Apollo del Belvedere – it is not just a body perceiving another body, there is a perspectival side to it!” Giambattista del Monte. Guido Ubaldo de’ marchesi Del Monte; Guidobaldo Del Monte. Monte. Keywords: implicature, perspective in statuary. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Monte," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685910019/in/photolist-2mKiNkD-26dDynR-HW8b7z-GNEbxc-GUC8Z8-Guv9WS-Guvagu-GRC81o-Guv9zu-E4u3XA-GNEir2-FZ7y1G-GNEika-GuviMY-FZd4Zi-GuviZb-FZd4Hg-GUCps2-GRBWqA-GRC7Zw-FZd4wp-FZddSD-FZ7KbC-GNEior-FZ7ykj-FZ7KKJ-GNEiw2-GNE2Lp-FZ7KmC-FZddTR-FZ7L1J-FZd4An-GLk2q5-Guvj5S-GuviUm-FZ7Kbh-FZddBP-GLjUhY-GNE2hD-FZdrAe-GNEiFR-GLjTPy-Guv1bq-GRC1UW-GUCoPP-GUCpnc-GUCoZt-GUCpsT-GNEbSF-GkKUAY

 

Grice e Moramarco – la tradizione massonica italiana – Luigi Speranza (Reggio nell’Emilia). Filosofo. Grice: “Unlike Moramarco, what most people know about massoneria is via “Il flauto magico”!” Grice: “Moramarco analyses massoneria aa a philosophical cult, talking about ‘brotherly link’ ‘vincolo fraterno’ – he has unearthed a few fascinating details about massoneria in Italy. Esponente della Massoneria te assertore di una sintesi religiosa tra Mazdeismo e Cristianesimo. Discende da un'antica famiglia di Altamura, di ascendenze latino-germaniche, cresciuta e ramificatasi durante il dominio dei Farnese. Studioso di Massoneria, ha scritto la Nuova Enciclopedia Massonica in tre volumi (1989-1995, seconda ed. 1997), importante testo di ricerca massonologica. Un suo precedente volume, La Massoneria ieri e oggi fu tra i primi, sull'argomento, pubblicati in Russia dopo il crollo del regime sovietico, che aveva proscritto le Logge.  Iniziato nel Grande Oriente d'Italia il 10 dicembre 1975, divenne Maestro Venerabile della Loggia Intelletto e Amore n. 723, e nel 1986 ricevette la decorazione all'Ordine di Giordano Bruno, conferita a quanti si distinguono nello studio e nella diffusione degli ideali massonici. Coordinatore scientifico del Convegno Internazionale 250 anni di Massoneria in Italia, al quale parteciparono studiosi quali Paolo Ungari, Alessandro Bausani, Aldo A. Mola, Alberto Basso, Fabio Roversi Monaco, Paolo Ricca. Il convegno fiorentino costituì la prima risposta pubblica, da parte della Comunione massonica di Palazzo Giustiniani, alle degenerazioni della P2.  Nello stesso anno, in qualità di Garante d'Amicizia tra il Grande Oriente d'Italia e la Grand Lodge of South Africa, richiese, d'accordo con il Gran Maestro Armando Corona, che tutte le Logge sudafricane, peraltro già avviate in tale direzione  (quando un gruppo di Liberi Muratori della Massoneria Prince Hall era stato ammesso nella Loggia "De Goede Hoop" di Cape Town), abrogassero l'apartheid, scelta che esse fecero, qualificandosi tra le prime associazioni bianche a superare la segregazione razziale.  Nel 1992 uscì dal Grande Oriente d'Italia, rigettandone il laicismo, per ravvivare i nuclei massonici di impronta cristiana e spiritualista, che assunsero la denominazione Real Ordine degli Antichi Liberi e Accettati Muratori (A.D. 926). Su tale concezione della Massoneria ha scritto La via massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide e cristiano (), un testo dal quale emerge, fra l'altro, l'importanza della devozione alla Vergine Maria, come madre del Cristo ed espressione umana della divina Sophia, nella genesi della spiritualità massonica.  Ha ricostruito le vicende della Gran Loggia d'Italia, l'altra associazione maggioritaria di Liberi Muratori in Italia, nel volume Piazza del Gesù. Documenti rari e inediti della tradizione massonica italiana, contribuendo in seguito alla realizzazione di programmi tematici per varie emittenti televisive, tra le quali Rossija 24 (), Reteconomy () e È TV Rete7.  Ha conseguito il 33º grado del Rito scozzese antico ed accettato e il VII del Rito filosofico italiano, che nel secondo decennio del Novecento vide tra le sue fila i neopitagorici Arturo Reghini e Amedeo Rocco Armentano. Fonda in Italia l'Antico Rito Noachita su patente ricevuta presso il British Museum dall'ex Maestro Venerabile della Loggia "Heliopolis" di Londra.  Ha realizzato una colonna sonora per i rituali massonici, dal titolo Masonic Ritual Rhapsody. presso la Loggia "Gottfried Keller" di Zurigo, è stato ricevuto come membro nell'Independent Order of Odd Fellows.  Già attivo con Joseph L. Gentili,  editore del newsletter Brooklyn Universalist Christian, in un progetto di restaurazione della Chiesa Universalista d'America, contro la deriva liberal di quel movimento, ha ricevuto il navjote zoroastriano. Nel volume Il Mazdeismo Universale propone una visione eclettica di tale religione, collegando ad essa elementi del misticismo ebraico, del dualismo platonico e cristiano, del buddhismo Mahāyāna, e riconoscendo in Gesù il saoshyant (divino soccorritore, messia) profetizzato dall'antica religione iranica, in una prospettiva teologica di tipo mazdeo-cristiano, intorno alla quale si è formata una Fraternità Mazdea Cristiana.  Si è avvicinato alle correnti latitudinaria e mistica dell'Anglicanesimo e al percorso religioso di Loyson, confluendo in una comunità religiosa di orientamento eclettico, ove ha potuto conservare la doppia appartenenza, cristiana e zoroastriana. Entro tale gruppo, che nel gennaio  ha assunto la denominazione Reformed Cloister of the Holy SpiritUnione Riformata Universalista, è un oblato di San Pellegrino delle Alpi, secondo la Regola che, ispirandosi alle tradizioni fiorite intorno alla vita di quell'eremita del Cristianesimo celtico, contempla almeno un atto quotidiano "di giustizia, o di soccorso fraterno" anche nei riguardi di animali e piante.  Laureatosi cum laude in Filosofia presso l'Bologna,, con una tesi sul pensatore indiano Sri Aurobindo (relatore il noto indologo e sanscritista Giorgio Renato Franci), nella seconda metà degli anni Ottanta si è formato in Training autogeno e Psicoterapia con la procedura immaginativa sotto la guida di Luigi Peresson.  Ha trattato dei nessi tra Zoroastrismo e Cristianesimo nei libri La celeste dottrina noachita (e I Magi eterni, di fenomenologia del sacro ne L'ultima tappa di Henry Corbin e di tanatologia in Psicologia del morire. Ha scritto sulle esperienze di autogestione dei lavoratori nel mondo e sui rapporti tra socialismo e religione per Azione nonviolenta, la rivista fondata da Aldo Capitini. Con il saggio Per una rifondazione del Socialismo partecipò al simposio "Marxismo e nonviolenza" (Firenze) nel quale intervennero, tra gli altri, Norberto Bobbio e Roger Garaudy. -- è un sostenitore della lingua ausiliaria internazionale Esperanto. Ha aderito al gruppo esperantista bolognese "Achille Tellini 1912".  In ambito narrativo, ha scritto Diario californiano e Torbida dea. Si è occupato di storia dello spettacolo, scrivendo I mitici Gufi (2001), sul celebre quartetto di cabaret degli anni sessanta, e partecipando all'allestimento del programma Gufologia per Rai Sat; con l'ex "Gufo" Roberto Brivio ha collaborato sia nella riproposta del repertorio del gruppo in teatri e circoli culturali, sia nella realizzazione di un laboratorio teatrale e musicale che vide attivamente coinvolti numerosi alunni portatori di disabilità, presso l'Istituto medio superiore in cui insegnò psicologia.  Ha inciso quattro CD, Allucinazioni amorose (meno due), Gesbitando, Come al crepuscolo l'acacia e Existenz, che contengono sue canzoni e brevi suites strumentali, ricevendo il plauso, tra gli altri, di critici come Maurizio Becker, Mario Bonanno (Musica & Parole) e Salvatore Esposito (Blogfoolk), di autori come Bruno Lauzi, Ernesto Bassignano, Giorgio Conte e dei jazzisti Giulio Stracciati e Shinobu Ito.  Nel dicembre  è stato chiamato da Luisa Melis, figlia e continuatrice dell'opera di Ennio Melis, il patron della RCA Italiana, a far parte della giuria del Premio De André.  Saggi: “La Massoneria” (Vecchi, Milano), “La Massoneria: cronaca, realtà, idee (Vecchi, Milano), “Per una rifondazione del socialismo, in: Marxismo e non-violenza (Lanterna, Genova) – PARTITO SOCIALISTA ITALIANO --; “La Libera Muratoria” (Sugar, Milano); “La Massoneria. Il vincolo fraterno che gioca con la storia” (Giunti, Firenze) Diario (Bastogi, Foggia) Grande Dizionario Enciclopedico POMBA (Torino); Antroposofia, Besant, Cagliostro, Radiestesia, ecc.). L'ultima tappa di Henry Corbin, in Contributi alla storia dell'Orientalismo, Franci (Clueb, Bologna) “La Massoneria in Italia” (Bastogi, Foggia) Enciclopedia Massonica (Ce.S.A.S., Reggio E.; Bastogi, Foggia); Psicologia del morire, in  I nuovi ultimi (Francisci, Abano Terme) Piazza del Gesù. “Documenti rari e inediti della tradizione massonica italiana” (Ce.SA.S. Reggio Emllia); Sette Lodi Massoniche alla Beata Vergine Maria (Real Ordine A.L.A.M., Reggio Emilia) La celeste dottrina noachita (Ce.S.A.S, Reggio E.) I mitici Gufi (Edishow, Reggio Emilia); “Torbida dea. Psicostoria d'amore, fantomi & zelosia (Bastogi, Foggia); Il Mazdeismo Universale. Una chiave esoterica alla dottrina di Zarathushtra (Bastogi, Foggia ) I Magi eterni. Tra Zarathushtra e Gesù (Om, Bologna ) La via massonica. Dal manoscritto Graham al risveglio noachide (Om, Bologna ) Massoneria. Simboli, cultura, storia (consulenza scientifica di M.M.) (Atlanti del Mistero/Giunti-Vecchi, Firenze ) Introduzione alla Libera Muratoria (Settenario, Bologna ) Musica Allucinazioni amorose (meno due)  (Bastogi Music Italia) (Bastogi Music Italia) Gesbitando, (Bastogi Music Italia ) Come al crepuscolo l'acacia  (Heristal Entertainment, Roma ) Existenz ((Heristal Entertainment, Roma ). Note  Aplogruppo Mola, Un valido impulso per una Massoneria "à parts entières", in 250 anni di Massoneria in Italia, F. Ferrari, La Massoneria verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco) v. )  Una breve rassegna di testi fondamentali sulla Massoneria si trova sul sito del Cesnur diretto da Massimo Introvigne. Vedi anche le recensioni di E. Albertoni ne Il Sole 24 Ore, p.1 inserto domenicale, e di G. Caprile ne La Civiltà Cattolica, 6Il volume fu pubblicato nel 1990, anno della dissoluzione dell'URSS, dalla casa editrice Progress, V. Brunelli, Massoneria: è finito con la condanna della P2 il tempo delle logge e dei "fratelli" coperti, in Corriere della sera, Il Corriere della Sera dedicò un lungo articolo allo "scisma" (v. ). Del Real Ordine A.L.A.M. si è occupato anche il centro di ricerca Cesnur, diretto dal noto storico e sociologo delle religioni Massimo Introvigne, v.//cesnur.org/religioni_italia/a/ appendice_02.htm. Il termine Real non aveva alcun riferimento alla storia italiana, ma si richiamava alla leggenda, contenuta negli Antichi doveri, secondo cui l'Ordine Massonico ricevé le sue proto-costituzioni dal re Atelstano d'Inghilterra (Æðelstan); recentemente il Real Ordine ha assunto la denominazione di Unione Cristiana dei Liberi Muratori  Rito filosofico italiano  Antico Rito Noachita  Masonic Ritual Rhapsody, Bastogi Music Italia, youtube.com/watch?v=rSs0 4kpA36U. A questa esperienza è collegata la sua iscrizione alla SIAE come autore musicale  Del percorso che lo ha condotto verso la visione di Zoroastro (Zarathushtra) si è occupata la rivista parsi di Bombay, Parsiana, così come il quotidiano torinese La Stampa v. mazdeanchristian.wordpress.com/  latitudinarismo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  v. riformati universalisti.wordpress.com// In questa comunità si ritrovano, su vari temi, idee tratte dal Manicheismo, dall'Arianesimo, dal Quaccherismo, dall'Unitarianismo, dal Giurisdavidismo e dall'universalismo hindu-cristiano del movimento Navavidhan fondato da Keshab Chandra Sen (1838-1884). Frequenti e significativi sono altresì i riferimenti al pensiero di aint-Martin e alla "religione aperta"o della "compresenza dei morti e dei viventi"elaborata da Capitini, Stracciati  Ito  E. Albertoni, Tante fedi, nessun dogma (recensione della Nuova Enciclopedia Massonica, Il Sole 24 Ore,I, inserto culturale domenicale) M. Chierici, Nasce la Lega dei Venerabili (Corriere della Sera) S. Esposito, Dalle radici del Mazdeismo all'Alleanza Mazdea CristianaIntervista con Michele Moramarco (in Secreta Magazine S. Esposito, Gesbitando: intervista con Michele Moramarco (Blogfoolk) F. Ferrari, La Massoneria verso il futuro (una conversazione con Michele Moramarco) (Bastogi, Foggi8) S. Semeraro, Tra la via Emilia e l'Est. Così parlò Zoroastro (La Stampa, Torino) S. Sari, Unico e plurimo al contempo, Dio secondo gli Zoroastriani [intervista a M.M.](Libero) G. Giovacchini, Cultura e spiritualità della Massoneria italiana nella seconda metà del '900 [prefazione di Michele Moramarco] (Tiphereth, Acireale-Roma )  Zoroastrismo Universalismo Massoneria Rosacroce michelemoramarco.  blog del Real Ordine A.L.A.M., su realordine.wordpress.com. Pagina sul sito di Heristal Entertainment, su heristal.eu. blog degli anglicani latitudinari, su riformatiepiscopali.wordpress.com. Grice: “The Romans are obsessed with what Moramarco calls ‘paganesimo romano’ – the word ‘pagano’ only makes sense in opposition to Christ. It would be very inappropriate of the greatest Italian philosopher ever, Antonino, to consider his self pagan!” -- Michele Moramarco. Moramarco. Keywords: la tradizione massonica italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moramarco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745062159/in/datetaken/

 

Grice e Moravia – ragazzi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I like Moravia: he has philosophised on what makes us ‘human,’ (“il pungolo dell’umano”) – his analysis of ‘il ragazzo selvaggio’ is sublime – and he has played with ‘reason,’ hidden and strutturata – and the universi di senso with which I cannot but agree! – provided we don’t multiply them ad infinitum!” --  Grice: “I like Moravia’s idea of ‘la ragione nascosta’ – you have indeed to seek and thou shalt find!” -- “Il Nietzsche che prediligo è il Nietzsche terreno, umano, presente nel tempo. È il Nietzsche intrepido esploratore del sottosuolo dell'uomo e dei disagi della civiltà. È il Nietzsche che fertilmente e sofferentemente (non narcisisticamente) vive e pensa il nichilismo: ma per andare oltre il nichilismo. È soprattutto il Nietzsche cheneo-illuminista forse malgrado luivuole conoscere, capire, dare un (nuovo) senso alle cose.” Professore a Firenze.  Allievo diGarin, si è formato in ambiente fiorentino conseguendovi la laurea in filosofia nel 1962 con tesi su Gian Domenico Romagnosi. Professore incaricato dal 1969, è poi diventato, nel 1975, ordinario di Storia della Filosofia all'Firenze.  Nel corso della sua carriera, si è interessato particolarmente dell'illuminismo francese e del pensiero del Novecento, della storia e dell'epistemologia delle scienze umane, con particolare attenzione all'antropologia, la filosofia della mente e l'esistenzialismo. I suoi studi e le sue ricerche hanno aperto nuove prospettive interdisciplinari fra pensiero filosofico e scienze umane.  Attualmente, le sue attenzioni sono rivolte verso l'opera e il pensiero del filosofo tedesco Friedrich Nietzsche del quale, nel 1976, pubblicò già una celebre antologia dal titolo La distruzione delle certezze e, nel 1985, una raccolta di saggi intitolata Itinerario nietzscheano. Proprio un nuovo modo di avvicinarsi e concepire il pensiero del filosofo tedesco lo hanno reso uno dei suoi interpreti più originali e più discussi.  Grazie ai suoi studi e contributi filosofici, è stato visiting professor presso l'Università della California a Berkeley, l'Università del Connecticut a Storrs e il Center for the Humanities della Wesleyan University.  Conferenziere presso altre sedi universitarie americane (fra le quali, Harvard, UCLA, Boston) ed europee (Francia, Belgio, Germania), è cofondatore della “Società italiana degli studi sul XVIII secolo”, nonché membro del Comitato direttivo delle Riviste filosofiche “Iride” e “Paradigmi”. Collabora ai giornali Corriere della Sera, Quotidiano nazionale, La Repubblica. Saggi: “Il tramonto dell'Illuminismo -- filosofia e politica” (Laterza, Roma); “La ragione nascosta” (Sansoni, Firenze); La scienza dell'uomo” (Laterza, Roma); “L’antropologia strutturale” (Sansoni, Firenze); “Esistenziale” (Laterza, Roma); “La teoria critica della società” (Sansoni, Firenze); “Gl’idéologues -- scienza e filosofia” (Nuova Italia, Firenze); “La distruzione delle certezze” (Nuova Italia, Firenze); “Linguaggio, scuola e società not ‘storia’! -- Guaraldi, Firenze); “Filosofia e scienze umane nell'età dei Lumi” (Sansoni, Firenze); “Pensiero e civiltà” (Monnier, Firenze); “Il ragazzo selvaggio dell'Aveyron.” Pedagogia e psichiatria nei testi di Itard, Pinel e dell'anonimo della "Décade" (Laterza, Roma); “Itinerario nietzscheano, Guida, Napoli); Educazione e pensiero, Monnier, Firenze, Filosofia: storia e testi, Monnier, Firenze, “L'enigma dell’animo” Laterza, Roma); Compendio di filosofia,  Monnier, Firenze, L'enigma dell'esistenza -- soggetto, morale, passioni nell'età del disincanto, Feltrinelli, Milano, L'esistenza ferita -- modi d'essere, sofferenze, terapie dell'uomo nell'inquietudine del mondo, Feltrinelli, Milano, Filosofia dialettico-negativa e teoria critica della società, Mimesis, Milano; “Ragione strutturale e universi di senso” (Lettere, Firenze); “La Massoneria. La storia, gli uomini, le idee, Mondadori, Milano); “Firenze e l’Umanesimo. Arte, cultura, comunicazione” (Lettere, Firenze); Lo strutturalismo, Lettere, Firenze); “Filosofia e psicoanalisi (POMBA, Torino); “L'universo del corpo, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma,  “Animo e realtà psichica” (Borla, Roma, "L'esistenza e il male", in:  "Mysterium iniquitatis", Gregoriana, Padova, Linterpretazione personologico-esistenziale dell'uomo", in:  La questione del soggetto tra filosofia e scienze umane, Monnier, Firenze) – PERSONOLOGIA – PIROTOLOGIA – Grice, persona -- Lettura Magistrale" al Convegno Dalla riabilitazione psicosociale alla promozione della salute(Montecatini), "S.I.R.F. News", "Mente, soggetto, esperienza nel mondo", in La filosofia italiana in discussione -- La filosofia italiana in discussione, Società Filosofica Italiana, Firenze), Bruno Mondadori, Milano, "Crisi della cultura e relazioni generazionali nel mondo contemporaneo", in Giovani e adulti: prove di ascolto, Sansepolcro (AR), "La filosofia degli idéologues. Scienza dell'uomo e riflessione epistemological, Letteratura italiana tra illuminismo e romanticismo, Convegno, Italianistica, Padova,  "Libertà, finitudine, impegno -- genesi e significato della responsabilità nel mondo", in: V. Malagola Giustizia e responsabilità (Convegno, Firenze), Dott. A. Giuffré Milano,  "Dal soggetto persona alla relazione interpersonale", Maieutica, De-mitizzazione e de- valorizzazione. La crisi della 'forma famiglia' nella società", in: Interazioni, "Illuminismo e modernità", Hiram, "Prove d'ascolto. Crisi della cultura e relazioni generazionali nel mondo contemporaneo", Studi sulla formazione, "La guerra giusta", Hiram,  "La filosofia, la conoscenza dell'umano, il dialogo col pensiero religioso", Hiram, "Esistenza e felicità", Hiram, "L'Occidente e la pace. Luci e ombre all'alba del terzo millennio", Hiram,"La filosofia e il suo 'altro'. La riflessione metafilosofica di Adorno in 'Dialettica negativa'", Iride,  "L'uomo: una storia infinita", in:  Per una scienza dell'umano, Arezzo,  "L’'interpretazione personologico-esistenziale dell'uomo" – PERSONALOGIA – Grice, PERSONA. in: L. Neuro-fisiologia e teorie della mente, Vita & Pensiero, Milano, "La scoperta dell'inconscio, l'ambiguità del freudismo e il lavoro della psicoanalisi sull'animale, Convegno "Meta-psicologia”, Napoli, La Biblioteca, Bari, "Un mondo negato. L'assolutizzazione del corpo nella psico-umanologia contemporanea", UMANOLOGIA – ibrido -- Hermeneutica, Corpo e persona, "Complessità, pluralità, confini", in: Dal coordinatore al coordinamento,Coordinatori pedagogici in Emilia-Romagna, Assessorato Servizi Sociali, Bologna, Bruno Maiorca, Filosofi italiani contemporanei. Parlano i protagonisti, Bari, Dedalo,  su sapere, De Agostini. Gran Loggia del GOI dal titolo "Tu sei mio fratello" Registrazione video della Lectio Magistralis "Al di qua del bene e del male Nietzsche esploratore dell'umano" Modena e Reggio Emilia Tavola rotonda del GOI "Pedagogia delle libertà Libertà civili" Convegno del GOI "La scienza non sia ostacolata dall'ideologia, dalla politica e dalla religione" tavola rotonda della Comunità Oasi "Significato e funzione della pena, della punizione e della penitenza nella promozione umana e sociale"  "Catturati dall'effimero?" all'interno del Convegno Giovanile alla Cittadella di Assisi" dsu arcoiris. Moravia. Keywords: ragazzi, personologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moravia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745009609/in/datetaken/

 

Grice e Mordacci – la norma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Mordacci – in a way, like I did with J. L. Mackie, Mordacci opposes both ‘assolutismo’ and ‘relativismo’ – and tries to ‘construct’ an ‘inter-personal’ reason out of a full-fledged personal reason. Whereas it would seem that we enjoin the principle of conversational helpfulness out of altruism, there is this balance between conversational self-love and conversational other-love; and we only ‘respect’ the other that respects us as ‘pesonal;’ against Apel, the logic of the inter-personal reduces, in a complex way, to the logic of the personal; without it, we would be annihilating the autonomy of the will.” Grice: “I like Mordacci’s emphasis on reason for normativity – interpersonal reason, as he calls it!” È preside della Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele dove è Professore di Filosofia Morale.  È Direttore del Centro Internazionale di Ricerca per la Cultura e la Politica Europea.  Laurea in filosofia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; Dottorato in bioetica presso l'Università degli Studi di Genova. Ha svolto attività di ricerca e insegnamento presso la Scuola di Medicina e Scienze Umane dell'Istituto Scientifico Ospedale San Raffaele. Insegnato presso l'Università Vita-Salute San Raffaele, prima presso la Facoltà di Psicologia e dal 2002 presso la Facoltà di Filosofia che ha contribuito a fondare insieme con Massimo Cacciari, Edoardo Boncinelli, Michele Di Francesco, Andrea Moro. Ha contribuito a progetti di ricerca ed è stato membro del Consiglio d'Europa per l'insegnamento della bioetica. Dal  è preside della Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, essendo stato rieletto nel giugno  per il secondo mandato.  Membro del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze per la Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri.  Dal  al  è stato membro del Comitato Scientifico per EXPO  come delegato del Rettore dell'Università Vita-Salute San Raffele.  Dal  è membro della Commissione per l'Etica della Ricerca e la Bioetica del consiglio nazionale delle ricerche e del consiglio direttiva della Società Italiana di Filosofia Morale. Si è dedicato in particolar modo dei temi: "Etica e ragioni morali", "Etica pubblica e rispetto", "Neuroetica". Attraverso l'indagine delle "ragioni morali" e dell'"identità personale" e ispirandosi alla filosofia kantiana, propone una forma di "personalismo critico" in base alla quale il fondamento dell'esperienza morale viene individuato nella ricerca, che ognuno compie, delle "buone ragioni" che danno forma alla propria individualità personale attraverso l'agire. Riconoscere ogni persona come autrice della propria identità fonda un'etica del rispetto delle persone in quanto a ogni individuo viene riconosciuto il diritto e il dovere di esprimere le proprie abilità e costruire la propria personalità.  Si è inoltre occupato di bioetica essendo anche stato coordinatore del progetto Bioetica della genetica: questioni morali e giuridiche negli impieghi clinici, biomedici e sociali della genetica umana del Miur (FIRB, Tra i suoi interessi più recenti, la disciplina della Film and Philosophy: la riflessione su come i film possono fare filosofia e se possono argomentare vere e proprie tesi filosofiche. In questo contesto ha dato vita al Laboratorio di Filosofia e Cinema presso la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, conduce il sabato pomeriggio la rubrica "Al cinema col Filosofo" su TgCom24 (stagioni - e -) e la rubrica "Imparare ad amare i film" all'interno di Cinematografo Estate () su Rai 1.  Riviste È membro del comitato scientifico dell'Annuario di Etica (ed. Vita e Pensiero), dell'Annuario di Filosofia (ed. Mimesis) e della rivista online Etica & Politica.  Dalla sua fondazione è membro del Comitato Scientifico della rivista scientifica a cura del Comitato Etico della Fondazione Umberto Veronesi.  Attività teatrale Romeo e Giulietta: nascita e tragedia dell'io moderno, Eloisa e Abelardo: passione e negazione, Occidente, o identità fragile: Paul Auster e le Follie di Brooklyn, analisi filosofiche con letture sceniche, ciclo "Aperitivi con Sophia", Teatro Franco Parenti,La violenza e l'ingiustiziaGorgia, ciclo "Filosofi a teatro" Roberto Mordacci, Teatro Franco Parenti, L'individuo, la libertà e il perdono. Hegel legge Dostoevskij, lettura scenica di Roberto Mordacci e Jean Sorel, ciclo l'Intelligenza e la Fantasia, Teatro Strehler,L'isola della verità. Divagazioni fotografiche e filosofiche, lettura scenica di Roberto Mordacci, Anna Traini e Maria Grazia Stepparava, Cluster Isole, Mare e Cibo, Padiglione P03-Expo Milano  (Rho-Fiera), Kant e il mare, lettura scenica di Roberto Mordacci e Francesca Ria, agosto  Saggi:“Bio-etica della sperimentazione,” Angeli, Milano; “Salute e bio-etica,” Einaudi, Milano); “Una introduzione alle teorie morali,” Feltrinelli, Milano,  La vita etica e le buone ragioni,Mondadori, Milano, “Ragioni personali, ragione inter-personali: Saggio sulla normatività morale,” Carocci, Milano, Elogio dell'Immoralista, Mondadori, Milano; Rispetto, Cortina, Milano. Bioetica, Mondadori, Milano. L'etica è per le persone, San Paolo, Cinisello Balsamo. Al cinema con il filosofo. Imparare ad amare i film, Mondadori, Milano. La condizione neomoderna, Einaudi, Torino,. Ritorno a utopia, Laterza, Bari,. Note  Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Governo/bioetica, su governo.  Roberto Mordacci, su Le Università per Expo,Commissione per l’Etica della Ricerca e la Bioetica, Consiglio Nazionale delle Ricerche, su cnr.  Organi della società | SIFM, su sifm. Intervista a L'accento di Socrate, su laccentodi socrate.  Rai 1, Cinematografo estate, su rai.tv.  Scienza e etica: in uscita la nuova rivista della Fondazione Veronesi, su Fondazione Umberto Veronesi.  Chi siamo  su scienceandethics. fondazioneveronesi. Feeding the Mind: Expo-Bicocca Conversation Hour, su unimib. Lettura scenica de "I Sensi del Mare", su//elbareport. 1 Pearson Imparare sempre su pearson. 1º agosto.  Bioetica Mordacci Robertoe Book Mondadori BrunoSai cos'è?FilosofiaePubIBS, su ibs. L'etica è per le personeEdizioni San Paolo, su edizionisanpaolo.  Riflessioni sul senso della vita intervista di Ivo Nardi, sito "Riflessioni", settembre. Ci vuole più rispetto intervista a Roberto Mordacci, Famiglia Cristiana. Ma l'etica non è un'intrusa, intervista a Roberto Mordacci, Avvenire, Ora smettiamola di parlare inglese, intervista a Roberto Mordacci, Il Giornale. Mordacci. Keywords: la norma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mordacci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703225018/in/photolist-2mLQxu7

 

Grice e Morelli – la filosofia del digiuno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: ‘I once told Austin, I don’t give a hoot what the dictionary says;’ ‘And that’s where you make your big mistake,’ his crass response was!” -- Grice: “I once told Ackrill, ‘should there be a manual of philosophy, must we follow it?’ He replied, “One thing is to know the manual, another is to know how to abide by it!”  Si laurea a Pavia  e l'anno dopo assolve all'obbligo di leva a Trieste dove presta attenzione alle problematiche relazionali dei militari nello svolgimento delle proprie mansioni; si è poi specializzato in Psichiatria presso l'Università degli Studi di Milano. Direttore dell'Istituto Riza, gruppo di ricerca che pubblica la rivista Riza Psicosomatica ed altre pubblicazioni specializzate, con lo scopo di "studiare l'uomo come espressione della simultaneità psicofisica riconducendo a questa concezione l'interpretazione della malattia, della sua diagnosi e della sua cura". Inoltre è direttore delle riviste Dimagrire e Salute Naturale.  Dall'attività dell'Istituto Riza è sorta anche la Scuola di Formazione in Psicoterapia ad indirizzo psicosomatico, riconosciuta ufficialmente dal Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica. Vicepresidente della Società Italiana di Medicina Psicosomatica. Partecipa a numerose trasmissioni televisive sia per la RAI sia per Mediaset (Maurizio Costanzo Show, Tutte le mattine, Matrix, ecc.) e per la radio.  Nelle sue opere ci sono molti riferimenti alle dottrine orientali. Saggi: “Verso la concezione di un sé psico-somatico. Il corpo è come un grande sogno della mente (Milano, UNICOPLI, Milano, Cortina); La dimensione respiratoria. Studio psico-somatico del respiro, inspiro, expiro – spiro --  Milano, Masson Italia, Dove va la medicina psico-somatica (Milano,  Riza); Il sacro. Antropoanalisi, psico-somatica, comunicazione, Milano, Riza-Endas, Convegno internazionale Mente-corpo: il momento unificante. Milano, Atti, Milano, UNICOPLI, Riza, I sogni dell'infinito, Milano, Riza, Autostima. Le regole pratiche, Milano, a cura dell'Istituto Riza di medicina psicosomatica, Il talento. Come scoprire e realizzare la tua vera natura, Milano, Riza, Ansia, Milano, Riza, Insonnia, Milano, Riza, Cefalea, (Milano, Riza); Lo psichiatra e l'alchimista. Romanzo, Milano, Riza, Le nuove vie dell'autostima. Se piaci a te stesso ogni miracolo è possibile, Milano, Riza, Conosci davvero tuo figlio? Sconosciuto in casa. Dal delitto di Novi Ligure al disagio di una generazione, Milano, Riza, Come essere felici, Milano, Mondadori, Cosa dire e non dire nella coppia, Milano, A. Mondadori, Come mantenere il cervello giovane, Milano, Mondadori, Come affrontare lo stress, Milano, A. Mondadori, Come amare ed essere amati (Milano, Mondadori); Come dimagrire senza soffrire (Milano, Mondadori); Come risvegliare l'eros, Milano, A. Mondadori, Come star bene al lavoro, Milano, A. Mondadori, Come essere single e felici, Milano, A. Mondadori,  Cosa dire o non dire ai nostri figli, Milano, A. Mondadori, La rinascita interiore, Milano, Riza, Volersi bene. Tutto ciò che conta è già dentro di noi (Milano, Riza); L'amore giusto. C'è una persona che aspetta solo te, Milano, Riza, Vincere i disagi. Puoi farcela da solo perché li hai creati tu, Milano, Riza); Felici sul lavoro. Come ritrovare il benessere in ufficio, Milano, Riza, I figli felici. Aiutiamoli a diventare se stessi, Milano, Riza, La gioia di vivere. Scorre spontaneamente dentro di noi, Milano, Riza, Essere se stessi. L'unica via per incontrare il benessere, Milano, Riza, Accendi la passione. È la scintilla che risveglia l'energia vitale, Milano, Riza, Alle radici della felicità. Editoriali dpubblicati su Riza psicosomatica, rivista mensile delle Edizioni Riza, Milano, Riza, Ciascuno è perfetto. L'arte di star bene con se stessi, Milano, Mondadori, Il segreto di vivere. Aforismi, Milano, Riza, Realizzare se stessi, Milano, Riza, Vincere la solitudine, Milano, Riza, Dimagrire senza fatica, Milano, Riza, Amare senza soffrire, Milano, Riza, Guarire con la psiche, Milano, Riza, Superare il tradimento, Milano, Riza, Dizionario della felicità, 6 voll, Milano, Riza, Non siamo nati per soffrire, Milano, Mondadori,L'autostima. Le cinque regole. Vivere la vita. Adesso, Milano, Riza, Conoscersi. L'arte di valorizzare se stessi. Via le zavorre dalla mente, Milano, Riza,  I figli difficili sono i figli migliori, Milano, Riza, Il matrimonio è in crisi... che fortuna!, Milano, Riza, Autostima, I consigli di Raffaele Morelli per un anno di felicità, Milano, Riza, Le parole che curano, Milano, Riza, Perché le donne non ne possono più... degli uomini, Milano, Riza, Le piccole cose che cambiano la vita, Milano, Mondadori, Come trovare l'armonia in se stessi, Milano, Oscar Mondadori,  Ama e non pensare, Milano, Mondadori, Curare il panico. Gli attacchi vengono per farci esprimere le parti migliori di noi stessi, con Vittorio Caprioglio, Milano, Riza, Non dipende da te. Affidati alla vita così realizzi i tuoi desideri, Milano, Mondadori, L'alchimia. L'arte di trasformare se stessi (Milano, Riza); Il sesso è amore. Vivere l'eros senza sensi di colpa, Milano, Mondadori, Puoi fidarti di te, Milano, Mondadori, La felicità è dentro di te, Milano, Mondadori,L'unica cosa che conta (Milano, Mondadori); La felicità è qui. Domande e risposte sulla vita, l'amore, l'eternità, con Luciano Falsiroli, Milano, Mondadori, Guarire senza medicine. La vera cura è dentro di te (Milano, Mondadori); Lezioni di autostima. Come imparare a stare beni con se stessi e con gli altri (Milano, Mondadori); Il segreto dell'amore felice, Milano, Mondadori, La saggezza dell'anima. Quello che ci rende unici (Milano, Mondadori); Pensa magro. Le 6 mosse psicologiche per dimagrire senza dieta (Milano, Mondadori); Vincere il panico. Le parole per capirlo, i consigli per affrontarlo, cosa fare per guarirlo (Milano, Mondadori) Nessuna ferita è per sempre. Come superare i dolori del passato (Milano, Mondadori); Solo la mente può bruciare i grassi. Come attivare l'energia dimagrante che è dentro di noi (Milano, Mondadori); Breve corso di felicità. Le antiregole che ti danno la gioia di vivere (Milano, Mondadori); La vera cura sei tu (Milano, Mondadori); Il meglio deve ancora arrivare. Come attivare l'energia che ringiovanisce (Milano, Mondadori); Il potere curativo del digiuno. La pratica che rigenera corpo e mente (Milano, Mondadori). Segui il tuo destino. Come riconoscere se sei sulla strada giusta (Milano, Mondadori); Il manuale della felicità. Le dieci regole pratiche che ti miglioreranno la vita (Milano, Mondadori); Pronto soccorso per le emozioni. Le parole da dirsi nei momenti difficili (Milano, Mondadori). Movie. Grice: “Should there be a ‘dizionario della felicita,’ I would perhaps follow Austin’s advice and go through it!” –. Raffaele Morelli. Morelli. Keywords: la dimensione respiratoria, inspirare, respirare, spirare, spirito, il corpo animato spira – il corpo spira – corpo spirante, corpo animato --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Morelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51744327786/in/datetaken/

 

Grice e Moretti – la segnatura romantica – i romantici di roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Moretti – he uses a good metaphor, ‘the wounded poet,’ unless we mean Owen, but he was more than wounded, even if that implicature is cancellable --.” Grice: “I like Moretti also because he wrote on ‘ermeneutica sensibile,’ which is exactly what I do.” Grice: “I like Moretti also because he uses ‘segnatura’ etymologically, when he writes of the ‘la segnatura romantica’ – talk of tokens!” Nasce nel borghese quartiere Trieste, primo di due fratelli. Ottiene il diploma di maturità classica presso il Liceo Giulio Cesare. Successivamente consegue una prima laurea in Giurisprudenza, con una tesi in filosofia del diritto, e, nel una seconda in filosofia, con una tesi in filosofia morale, entrambe presso l'Roma La Sapienza. È poi borsista presso l'Friburgo in Brisgovia, dove imposta un progetto di ricerca che, partendo dall'interpretazione di Heidegger, mira ad un'analisi critica delle categorie filosofico-estetiche del “romantico” in Germania, con particolare attenzione alle opere di autori del romanticismo di Heidelberg, quali Creuzer, Görres, i Fratelli Grimm e Bachofen, che contribuisce a tradurre e a far conoscere in Italia. Al suo rientro insegna dapprima materie letterarie nelle scuole medie e, in seguito, filosofia presso la Scuola germanica di Roma.  La sua ricerca si amplia poi al pensiero estetico di Novalis, di cui cura la prima edizione completa in lingua italiana della Opera filosofica; durante questo periodo consegue il dottorato di ricerca in Estetica presso l'Bologna. Vince la cattedra di professore associato di Estetica all'Bari; Professore a Napoli L’Orientale.  Redattore di Itinerari e Studi Filosofici, collabora con varie altre riviste filosofiche (Agalma, Rivista di Estetica, Studi di Estetica, aut aut, Nuovi Argomenti, Filosofia e Società, Filosofia Oggi, Estetica) e ha spesso partecipato a trasmissioni RAI su temi filosofici e a numerosi convegni.  Saggi: ”Il romantico: poesia, mito, storia, arte e natura” (Itinerari, Lanciano); -- roma – romantico -- “Anima e immagine: sul poetico” (Aesthetica, Palermo); “Nichilismo e romanticismo -- estetica e filosofia della storia” (Cadmo, Roma); La segnatura romantica (Roma, Hestia); “Interpretazione del romanticismo” (Ianua, Roma); “Estetica: analogia e principio poetico nella profezia romantica” -- Rosenberg & Sellier, Torino); “La segnatura romantica -- filosofia e sentimento” (Hestia, Cernusco L.); “Il genio” (Mulino, Bologna); “Il poeta ferito.” Hölderlin, Heidegger e la storia dell'essere” (Mandragora, Imola); “Anima e immagine.” Studi su  Klages, Mimesis, Milano, Heidelberg romantica. Romanticismo e nichilismo” Guida, Napoli, Introduzione all'estetica del Romanticismo, Nuova Cultura, Roma,  Il genio, Morcelliana, Brescia. Per immagini. Esercizi di ermeneutica sensibile” (Moretti & Vitali, Bergamo); Heidelberg romantica. Romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Morcelliana, Brescia, Novalis. Pensiero, poesia, romanzo Morcelliana, Brescia, Romano Guardini, Hölderlin, Morcelliana, Brescia. Novalis, Scritti filosofici, Morcelliana, Brescia. J. J. Bachofen, Il matriarcato (Marinotti, Milano); Novalis, Opera filosofica,  I, Einaudi, Torino, Un video con una trasmissione RAI. Un video con un intervento di Moretti. Giampiero Moretti. Moretti. Keywords: roma, romanzo, romanzare, romanzato – non vero. Romanticismo filosofico, I filosofi romantici italiani  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moretti: il romanticismo romano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743474602/in/datetaken/

 

Grice e Mori – la coerenza dell’intransigenza – la ripproduzione sessuata fra i antici romani -- Luigi Speranza (Cremona).  Filosofo. Grice: “I like Mori; he wrote a treatise on Stephen, better known as Virginia Woolf’s father; which reminded me of Bergmann who once called me an English futilitarian!” -- Professore a Torino e presidente della Consulta di Bioetica Onlus, un'associazione di volontariato culturale per la promozione della bioetica laica. L’etica e la bioetica con le varie problematiche connesse sono le tematiche al centro dei suoi interessi filosofici e teorici.  Mori ha studiato all’Università degli Studi di Milano, dove ha conseguito la laurea (con Bonomi e Pizzi) e il dottorato sotto Scarpelli e Jori. Insegnato ad Alessandria e Pisa, prima di essere chiamato a Torino. Studia i temi della meta-etica e della logica dell’etica con le problematiche della teoria etica. Tra i primi a occuparsi di bioetica, nella quale ha dato contributi in tutti i principali settori, con particolare attenzione all’aborto e alla fecondazione assistita. Sollecitato dai casi Welby e Englaro ha dato contributi anche sul fine-vita a difesa dell’autonomia individuale. Per primo teorizza la contrapposizione paradigmatica tra bioetica laica e bioetica cattolica, derivante dal fatto che quest’ultima propone un’etica della sacralità della vita caratterizzata da divieti assoluti, mentre l’altra avanza un’etica della qualità della vita senza assoluti e soli divieti prima facie. Presta grande attenzione al problema della liberazione animale. Fonda Bioetica. Rivista interdisciplinare (Ananke Lab, Torino). Membro di numerosi comitati, tra cui il comitato scientifico di Notizie di Politeia, di Iride del Journal of Medicine and Philosophy e altre. Saggi: “Manuale di bioetica: verso una civiltà bio-medica secolarizzata” (Lettere, Firenze); “Introduzione alla bioetica. temi per capire e discutere” (Piazza, Torino); Il caso Eluana Englaro. La “Porta Pia” del vitalismo ippocratico ovvero perché è moralmente giusto sospendere ogni intervento, Pendragon, Bologna, Aborto e morale. Per capire un nuovo diritto” (Einaudi, Torino); “La fecondazione artificiale. Una forma di riproduzione umana” (Laterza, Roma-Bari); “La fecondazione artificiale: questioni morali nell'esperienza giuridica Giuffrè, Milano); “Utilitarismo e morale razionale. Per una teoria etica obiettivista, Giuffrè, Milano, La legge sulla procreazione medicalmente assistita. Paradigmi a confronto, Net, Milano, Laici e cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto, Le Lettere, Firenze, La fecondazione assistita dopo 10 anni di legge 40. Meglio ricominciare da capo!, Ananke editore, Torino, Questa è la scienza, bellezze! La fecondazione assistita come novo modo di costruire le famiglie, Ananke Lab, Torino. Keywords: la coerenza dell’intransigenza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51745063995/in/datetaken/

 

Grice e Moriggi – la stretta di mano – Ercole e Cerbero – le tre implicature -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like it when Moriggi does substantial metaphysics; he has edited a collection on ‘why is there something rather than nothing?” – hardly rhetoric – and the subtitle is fascinating: the vacuum, the zero, and nothingness! All in Italian, to offend Heidegger!” Specializza in teoria e modelli della razionalità, fondamenti della probabilità e di pragmatism. Insegna a Brescia, Parma, Milano e presso la European School of Molecular Medicine è conosciuto al grande pubblico attraverso la trasmissione TV E se domani di Rai 3 e per alcuni interventi ad altre trasmissioni. Saggi: “Le tre bocche di Cerbero” (Bompiani. Perché esiste qualcosa anziché nulla? Vuoto, Nulla, Zero, con P.Giaretta e G.Federspil (Itaca) Perché la tecnologia ci rende umani  (Sironi) Connessi. Beati quelli che sapranno pensare con le macchine (San Paolo) School Rocks! La scuola spacca, con A. Incorvaia (San Paolo, ), con prefazione rap di Frankie Hi-nrg. Stefano Moriggi. Moriggi. Keywords: le tre bocche di Cerbero. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Moriggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743282837/in/datetaken/

 

Grice e Mosca – implicatura – filosofia italiana – filosofia siciliana Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “When Austin was defending the ‘man in the street,’ he was thinking Mosca!” -- Grice: “I like Mosca; he speaks of elites – Gellner speaks of elites, too!” -- Grice: “Do Italians consider Mosca a philosopher?” –  Saggi: “Sulla teorica dei governi e sul governo parlamentare,  Appunti sulla libertà di stampa, Questioni costituzionali, Le Costituzioni moderne; Elementi di scienza politica, Che cosa è la mafia, Appunti di diritto Costituzionale, Italia, Stato liberale e stato sindacale, Il problema sindacale,  Saggi di storia delle dottrine politiche, Crisi e rimedi del regime parlamentare, Storia delle dottrine politiche, Partiti e sindacati nella crisi del regime parlamentare, Ciò che la storia potrebbe insegnare. Scritti di scienza politica (Milano), Il tramonto dello Stato liberale (a cura di A. Lombardo, Catania) Scritti sui sindacati (a cura di F. Perfetti, M. Ortolani, Roma) Discorsi parlamentari (con un saggio di A. Panebianco, Bologna 2003).  GAETANO MOSCA     APPUNTI     DI     Diritto Costituzionale     DALLA   Enciclopedia Giuridica Italiana      MILANO   SOCIETÀ EDITRICE LIBRARIA  Via Kramer, 4 A - Qall. De Orùtofttrit, 5 4 55   1M8     Digitized by VjOOQIC     y     '.AnvAlì'1 COLLEGE LIBRARY   M.Oi! Ir.L COLLECTION OF   GAtfANO SALVEMINI   COOLIDtìE FUND   MAKCH 21, 193(>     Milano, 1907 — Tip. Indipendenta, Corso Indip. 23     Digitized by VjOOQIC     INDICE-SOMMARIO     • Parte I. — La genesi delle oottituzlenl moderiM   1. Cenni storici sulla scienza del diritto costituz   pag. 1.   2. Definizione dello Stato e della sovranità, pa^   3. Condizioni sociali che prepararono il regime i   sentativo, pag. 12.   4. Dottrine politiche che integrano l'azione del   dizioni sociali, pag. 17.   5. La costituzione inglese e sua importanza con   dello di tutte le costituzioni moderne. -  origini, pag. 24.   6. Ordinamenti politici ed amministrativi dell' ^   terra fino allMnizio del secolo decimosettin  gina 29.   7. La prima rivoluzione inglese. — La restaura:   Vhabecis corpus^ pag. 33.   8. La seconda rivoluzione inglese. — Il seconc   dei diritti e Patto di stabilimento. — Ul  svolgimento della costituzione inglese nel  decimottavo, pag. 43.   Partk II. — Lo StatMto Albertino.   9. Caratteri delle prime costituzioni moderne. —   più dirette dello Statuto Albertino, pag. 5:  10. Il re. — Sue prerogative e norme della succ<  monarchica, pag. 58.   MObCA.     Digitized by     Google     — vi-  li. Il gabinetto, i ministri ed il presidente del con-  siglio, pag. 64.   12. La responsabilità penale dei ministri, pag. 76.   13. La formazione delle due Camere. — Varii sistemi   di siiffir-agio, pag. 81.   14. La legge elettorale politica, pag. 92.   15. Prerogative e funzioni dell» due Camere, pag. 102.   16. DelPordine giudiziario, pag. 119.   17. Dei diritti individuali, pag. 124.   18. Dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato, pag. 141.  Lo studio del diritto pubblico in genere e del  diritto costituzionale in ispecie richiede anzitutto  la definizione esatta di certi concetti che, per quanto  non nuovi, non hanno acquistato ancora un signi-  ficato preciso e determinato e nello stesso tempo  accolto da tutti.   Il concetto di Stato, che è il più fondamentale  di tutti, venne ad esempio elaborato fin dalla clas-  sica antichità e corrisponde a ciò che i greci chia-  mavano nóXi(;, ed i romani respublica. Eppure     Digitized by VjOOQIC     - 8 ~   anche oggi si disputa sulla origine e la natura  dello Stato.   Fra tutte le definizioni dello Stato la migliore  mi sembra quella che lo fa consistere nella orga-  nizzazione politica e giuridica di un popolo entro  un determinato territorio, ma anche essa ha biso-  gno di spiegazioni e commenti.   Quando si dice infatti organizzazione politica di  un popolo, s' intende quella di tutti gli elementi che  dirigono politicamente un popolo ossia esercitano  funzioni statuali. Nello Stato moderno perciò vanno  compresi non solo tutti i pubblici funzionari, te-  nendo conto pure di quelli fra costoro che non  sono pubblici impiegati, ma anche i membri del  Parlamento ed i consiglieri provinciali e comunali ;  e perfino gli elettori politici e comunali, quando  sono convocati nei comizi, esercitano funzioni sta-  tuali e perciò fanno parte dello Stato.   Ma per quanto in una organizzazione statuale  democratica lo Stato possa comprendere, almeno  giuridicamente dappoiché in fatto le cose vanno  diversamente, la parte maggiore della società, pure  questa non si confonde mai intieramente collo Stato.  Perchè anche nei paesi dove vige il suffragio uni-  versale vi sono molti individui che pur fanno parte  del sociale consorzio, come le donne, i minorenni  e coloro che per condanne sono esclusi dal suffra-  gio, i quali in nessun caso partecipano alle fun-  zioni politiche o statuali.   Ma se lo Slato non è la società, esso essendo  costituito dal complesso di tutti gli elementi che  partecipano alla direzione politica di questa non è  certo al di fuori della società. Il cervello non è tutto  il corpo umano, ma ne fa parte e senza di esso il  corpo umano non può vivere. Bisogna f)erò notare  che la vita del corpo sociale ha delle analogie  non delle identità con quelle dell'individuo umano.  Infatti in questo ogni singola cellula è fissata nell'organo di cui fa parte, mentre negli organismi,  sociali più perfezionati, nei quali le funzioni sta-  tuali sono suddivise in vari organi le cui attribu-  zioni sono giuridicamente limitate, vediamo spesso-  che il medesimo individuo fa parte dello Stato-  nell'esercizio della sua pubblica funzione e é sem-  plice membro della società al di fuori della sua  funzione e di fronte a tutti gli altri organi dello  Stato. Ciò accade tanto al semplice elettore che  al magistrato ed allo stesso membro del Parla-  mento, se non vogliamo tener conto per i due ul-  timi delle poche speciali prerogative che mirano a  salvaguardarne l'indipendenza nell'esercizio delle  loro funzioni.   Molti scrittori considerano intanto lo Stato e la  società come due enti che per necessità vivono in  continuo antagonismo, per alcuni anzi lo Stato è  il perpetuo nemico della società. Dopo quanto si è  scritto risulta evidente che il loro concetto è per lo  meno inesatto e sopratutto è difettoso perchè con-  tribuisce piuttosto a confondere che a chiarire le  idee che si possono avere sull'argomento. Nondi-  meno esso non è del tutto falso e può essere anzi  riguardato come una interpretazione sbagliata di  una condizione di cose in tutto od in parte verace.  È indiscutibile infatti che in una società vi possono  essere elementi dirigenti che dalla costituzione in  vigore sono tenuti lontani dalla organizzazione  statuale. Ed allora naturalmente vi è una lotta fra  questi elementi e quelli già accolti entro lo Stato»  che può assumere la parvenza di una lotta fra Stato  e società. E può anche accadere che i progressi del  senso morale e giuridico di una società abbiano  oltrepassato quel livello che si era aggiunto nel  momento della formazione del suo organismo po-  litico: sicché questo, rimasto arretrato, permette  ai rappresentanti dello Stato un'azione che riesce    vessatoria ed arbitraria per gli altri membri della  società.   Ma in sostanza i periodi di antagonismo acuto  fra gli elementi statuali e quelli extrastatuali di una  società possono essere considerati come eccezio-  nali € sogliono ordinariamente precedere le grandi  rivoluzioni.   Tutto quanto si è detto spiega perchè lo Stato  sia l'organizzazione politica di un popolo.   Se si tiene poi presente che, in tutti i paesi che  hanno raggiunto un certo grado di civiltà, le condi-  zioni in base alle quali si arriva all'esercizio delle  funzioni statuali ed i limiti di queste funzioni sono  determinati dalla legge si vedrà facilmente come  questa organizzazione sia non solo politica ma an-  che giuridica; perchè essa crea fra i divei-si organi  dello Stato e fra coloro che esercitano le funzioni  statuali ed i semplici cittadini una serie di rap-  porti giuridici.   Questi rapporti nascono in base ad una facoltà  che lo Stato esclusivamente possiede e che si chiama  la sovranità. La sovranità consiste nel potere di  conchiudere convenzioni e trattati con gli altri  Stati e di creare il diritto e farlo eseguire in tutto  il territorio sottoposto allo Stato.   I giuristi, educati quasi esclusivamente alle con-  cezioni del diritto privato, si sono spesso trovati  in qualche imbarazzo riguardo a questo secondo  attributo della sovranità. Essi stentano a spiegai-si  come e perchè l'ente che ha facoltà di fare le  leggi, di modificarle e disfarle debba essere sot-  toposto alle leggi; e per darsi ragione di questo  fatto hanno ricorso a tante ipotesi, fra le quali la  più divulgata è quella che lo Stato sia sorto in  base ad una convenzione, ad un contratto, ad un  atto giuridico tacito od espresso, ma ad ogni modo  consentito da coloro che fanno parte del consorzio  sociale sul quale esso esercita la sua sovranità.  Prendendo a base il concetto che già si è adot-  tato sulla natura dello Stato e dei suoi rapporti  con la società non riescirà difficile di risolvere la  difficoltà accennata. Già fin dal tempo dei giure-  consulti romani si distinsero nello Stato due per-,  sonalità una di diritto privato, per la quale esso  potea contrarre obbligazioni come ogni altra per-  sona giuridica, ed un'altra di diritto pubblico che  gli conferiva l'esercizio dei poteri sovrani. L'eser-  cizio di questi poteri può produrre la conseguenza  che lo Stato imponga a tutti i cittadini degli ob-  blighi, come ad esempio quello dell'imposta e del  servizio militare, senza offrire in cambio alcun  corrispettivo diretto.   Senonchè è da osservare che nelle forme di  Stato più perfezionato e sopratutto nello Stato  rappresentativo moderno, quando si tratta d'im-  porre questi obblighi e di esercitare in genere la  funzione sovrana per eccellenza, che è quella di  fare le leggi, è necessario il consenso del capo  dello Stato e di tutte quelle forze politiche che son  rappresentate nei due rami del parlamento. Nel  momento nel quale, collettivamente e nelle forme  volute, gli elementi ai quali è affidato il potere  legislativo esercitano questa funzione, essi sono  sovrani, cioè superiori alla legge perchè la fanno  e la disfanno, in tutti gli altri momenti ed indivi-  dualmente sono soggetti alla sovranità, cioè all'im-  pero della legge.   A guardarci bene nello Stato moderno ciò non  rappresenta una vera anomalia, perchè anche nel-  l'esercizio delle altre funzioni statuali gli elementi  che le disimpegnano agiscono, sia individualmente  che collegialmente, in nome dello Stato e lo rap-  presentano nei limiti delle loro attribuzioni; men-  tre sono completamente soggetti alla sovranità  dello Stato in qualunque altra manifestazione della  loro attività personale. Tanto i membri del potere     giudiziario che gli agenti del potere esecutivo si  trovano infatti nelle condizioni accennate, colla dif-  ferenza però che, quando esorbitano dalla loro  funzione ed anche nell'esercizio della loro funzione  ,è sempre possibile di esercitare sopra di essi un  controllo che riesce malagevole, se non impossi-  bile, di fronte al potere legislativo.  Gaetano Mosca. Mosca. Keywords: implicatura, mafia. Stato liberale, stato sindacale, regime parlamentare, partito e sindacato.  Refs.: H. P. Grice: “Mosca’s liberalism;” Luigi Speranza, "Grice e Mosca," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685597428/in/photolist-2mPEQVF-2mPukhq-2mPpb7N-2mPpwbZ-2mNbBgb-2mLQdrQ-2mKFrQ6-2mLNZN1-2mPV6V9-2mKN88B-2mKhcq9-2mKjsJY-2mKbkDp-2mKbfaU-2mJq2uE-DndBhH-C91skw-CizYpn-CghbLL-Bmcsha

 

Grice e Motta – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vercelli). Filosofo. Grice: “If Mill’s claim to fame is to some his examination of Mill, Motta’s claim to fame is his examination of Rosmini!” -- Il conte Emiliano Avogadro della Motta. Nacque dal conte Ignazio della Motta e da Ifigenia Avogadro di Casanova, entrambi appartenenti a nobili famiglie di vassalli e visconti, i cui antenati risalgono a poco oltre il mille. Tra gli Avogadro vi fu anche Amedeo, inventore della legge sui fluidi. Frequenta con profitto gli studi e si laureò in utroque iure, ma proseguì lo studio in diverse aree della teologia e della filosofia, trasformando le dimore familiari in piccole accademie dove giuristi, filosofi, studiosi di diritto canonico e vescovi si riunivano, per discutere vari argomenti ed approfondire la filosofia moderna e i diversi aspetti del nascente socialismo.  Ricevette l'incarico, che già fu del padre, di riformatore degli studi del Vercellese e in un'epoca in cui si guardava ancora con diffidenza all'istruzione delle classi popolari, egli visitava ciclicamente le scuole d'ogni ordine, scegliendone accuratamente gli insegnanti, convinto che l'istruzione e l'educazione fossero un diritto di tutti e dovessero procedere simultaneamente. Assunse la carica di Consigliere di Formigliana e continuò a dedicarsi allo sviluppo culturale della natia Vercelli, ove fondò la Società di Storia Patria, per incrementare gli studi sul glorioso passato della città. Divenne membro del Consiglio Generale del Debito Pubblico e più tardi sindaco di Collobiano e “Consigliere di Sua Maestà per il pubblico insegnamento” La sua notorietà varcò i confini del Piemonte, allorché ricevette l'eccezionale invito di partecipazione alla fase preparatoria della definizione del dogma dell'Immacolata e le sue riflessioni ebbero un seguito fra alcuni importanti gesuiti, come il direttore de La Civiltà Cattolica, che fece dono a Pio IX del Saggio intorno al socialismo. Luigi Taparelli d'Azeglio, richiamandosi ad Avogadro, espresse la propria preferenza per una condanna esplicita di tali errori, da includere nella bolla di definizione del dogma, ma l'autore sollecitò apertamente la distinzione di due argomenti (definizione del dogma e condanna degli errori) dalla portata tanto diversa e lo stesso Pio IX incaricò la Commissione, che aveva già lavorato sulla definizione del dogma, di esaminare gli errori moderni e di preparare il materiale necessario per la bolla e chiese al cardinale Fornari di invitare formalmente alcuni laici a collaborare. Avogadro fu l'unico laico italiano ad essere interpellato e inviò a Roma una risposta singolare e ricca di argomentazioni. Ben presto la Commissione incaricata abbandonò la trattazione univoca dei due argomenti e la solenne definizione su Maria sarà fatta da Pio IX, mentre l'esame degli errori si trascinerà per altri dieci anni, mentre prevaleva in ambito ecclesiastico l'idea di una severa condanna.  Attività parlamentare Diventò membro attivo nella vita politica, quale deputato eletto nel collegio di Avigliana e operò nelle file dello stesso schieramento politico della Destra. La proposta avanzata in Parlamento di ridurre il numero delle feste, indusse Avogadro a scrivere un apposito opuscolo, per difendere la dignità dell'uomo che, in quanto essere intelligente e creativo, «senza tempo libero non vive da uomo, e mal lo conoscono gli economisti che altro non sanno procacciargli se non “lavoro e pane”». In Parlamento prendeva spesso la parola contro il progetto di legge che prevedeva l'obbligo del servizio militare e criticò la cessione di Nizza e Savoia alla Francia, smascherando le reali intenzioni che sull'Italia nutriva l'ambiguo Napoleone III.  Riceve la decorazione della Croce di Ufficiale dei Santi Maurizio e Lazzaro e continuò a scrivere, oltre a collaborare con l'Armonia, l'Unità cattolica, l'Apologista, il Conservatore, rivista quest'ultima stampata a Bologna e di cui è ritenuto uno dei fondatori e collaboratori. Morì in Torino”, come annotano diversi giornali e riviste, non ultima La Civiltà Cattolica, che gli dedicò un sentito necrologio. Saggi: “Saggio intorno al Socialismo e alle dottrine e tendenze socialistiche” (Torino,  Zecchi); -- partito socialista italiano -- “Sul valore scientifico e sulle pratiche conseguenze del sistema filosofico di Serbati (Napoli, Societa Editrice Fr. Giannini); “Teorica dell'istituzione del matrimonio e della guerra moltiforme cui soggiace per Emiliano Avogadro conte della Motta già Riformatore delle R. Scuole provinciali degli Stati Sardi, a spese della Societa Editrice Speirani e Tortone, Teorica dell'istituzione del matrimonio Parte II che tratta della guerra moltiforme cui soggiace, per E. Avogadro conte della Motta già deputato al Parlamento Subalpino, Torino, Speirani e Teorica dell'istituzione del matrimonio e della guerra a cui soggiace, -- che tratta delle difese e dei rimedi, con una Appendice intorno alla ricerca del principio teorico morale generatore degli uffizi e dei doveri coniugali,” Torino, Speirani e Tortone, per Emiliano Avogadro conte della Motta deputato al Parlamento Nazionale, Torino, Tipografia Speirani e Tortone, “Teorica dell'istituzione del matrimonio e della guerra a cui soggiace, Parte IV Documenti per E. Avogadro conte della Motta già deputato al parlamento nazionale (Torino, Speirani); “Gesù Cristo nel secolo XIX, Studi religiosi e sociali, Modena, Tipografia dell'Immacolata Concezione, “La filosofia di  Serbati” (Napoli, Giannini); “La festa di S. Michele e il mese di ottobre agli angeli santi, Torino, Marietti, Il mese di novembre dedicato a suffragio dei morti, Torino, Marietti); “Le colonne di S. Chiesa. Omaggi a S. Giovanni Battista e ai Santi Apostoli nel mese di giugno e novena per la festa dei Santi Principi Pietro e Paolo, Torino, Marietti); “Il mese di dicembre in adorazione al Verbo Incarnato Gesu nascente e ad onore di Maria Madre SS.ma, Torino, Marietti); “Opuscoli di carattere storico-giuridico; Rivista retrospettiva di un fatto seguito in Vercelli con osservazioni al diritto legale di libera censura, Vercelli, De Gaudenzi, Delle feste sacre e loro variazioni nel Regno sub-alpino, Torino, Marietti); “Quistioni di diritto intorno alle istituzioni religiose e alle loro persone e proprietà, in occasione della Proposta di Legge fatta al Parlamento torinese per la soppressione di alcune corporazioni, Torino, Marietti, Cenni sulla Congregazione degl’oblati dei SS. Eusebio e Carlo eretta nella Basilica di S. Andrea in Vercelli e sulla proposta sua soppressione. Per un elettore Vercellese, Torino, Marietti); “Parole di conciliazione sulla questione della circolare di S. E. Arcivescovo di Torino); “Del diritto di petizione e delle petizioni pel ritorno di S. E. l'Arcivescovo di Torino); “Lo statuto condanna la Legge Siccardi, Torino, Fontana, Erroneità e pericoli di alcune teorie ed ipotesi invocate a sostegno della proposta di Legge di soppressione di vari stabilimenti religiosi” (Torino, Speirani e Tortone); “Alcuni schiarimenti intorno alla natura della Proprietà Ecclesiastica allo stato di povertà religiosa, ed alle quistioni relative ai diritti e ai mezzi temporali di sussistenza della Chiesa. Con una Appendice intorno alla legalità nell'esecuzione della legge sulle Corporazioni religiose” (Torino, Speirani); “Considerazioni sugli affari dell'Italia e del Papa” (Torino, Speirani); “Una quistione preliminare al Parlamento Torinese” (Torino, Speirani); “Il progetto di revisione del Codice Civile Albertino e il matrimonio civile in Italia, Torino, Speirani); La Rivoluzione e il Ministero Torinese in faccia al Papa ed all'Episcopato Italiano. Riflessioni retrospettive e prospettive” (Torino, Speirani); L'Armonia, Civiltà Cattolica, Rivista retrospettiva sopra la discussione delle leggi Siccardi, Unità Cattolica, Angelo Ballestreri, segretario della Famiglia, presso l'Archivio Storico di Torino. Enciclopedia storico-nobiliare italiana, promossa e diretta dal marchese Vittorio Spreti, Milano, Avogadro di Vigliano F., Pagine di storia Vercellese e Biellese, in Antologia, M. Cassetti, Vercelli, Avogadro di Vigliano F., Antiche vicende di alcuni feudi Biellesi degl’Avogadro di San Giorgio Monferrato (e poi Conti di Collobiano e di Motta Alciata), dalla Illustrazione biellese, XIX, Biella, Corboli G., Per le nozze del Conte Federico Sclopis di Salerano e della Contessa Isabella Avogadro, Cremona, Feraboli, De Gregory G., Historia della Vercellese letteratura ed arti, parte IV, Torino, Di Crollallanza G. B., Dizionario storico-blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti,  I, Sala Bolognese, Dionisotti C., Notizie biografiche dei vercellesi illustri, Biella, Amos, Manno A., Il patriziato Subalpino. Notizie di fatto storiche, genealogiche, feudali ed araldiche desunte da documenti,  I, Firenze,  I vescovi di Italia. Il Piemonte, Savio F., Torino, Bocca, Bonvegna G., Filosofia sociale e critica dello Stato moderno nel pensiero di un legittimista italiano: Emiliano Avogadro della Motta in Annali Italiani. Rivista di studi storici, Bonvegna G., Il rapporto tra fede e ragione in Avogadro della Motta, in Sensus Communis,  Valentino V., Un difensore rigoroso dei diritti della Chiesa e del Papa, in Divinitas, rivista di ricerca e di critica teologica, Volumi e tesi sull'autore Bonvegna G., Emiliano Avogadro della Motta. Il pensiero filosofico-politico e la critica al socialismo, Tesi di laurea in Filosofia. Università Cattolica, Milano, De Gaudenzi L., Ultima parola su di una pretesa ritrattazione del Conte Emiliano Avogadro della Motta, Mortara, Cortellezzi, De Gaudenzi L., Un'asserzione delFr. Paoli D.I.D.C. tolta ad esame, Mortara, Cortellezzi,  De GaudenziG., Istruzione del vescovo di Vigevano al Ven.do Suo Clero sul Matrimonio, Vigevano, Spargella, Manacorda G., Storiografia e socialismo, Padova, Martire G., II, Roma, Omodeo A., L'opera politica del conte di Cavour, Firenze, Pirri, Carteggi delL. Taparelli d'Azeglio,  XIV di Biblioteca di Storia Italiana Recente, Torino, La scienza e la fede,  XXIV, Napoli Spadolini G., L'opposizione cattolica da porta Pia, Firenze, Storia del Parlamento Italiano, N. Rodolico,  Palermo Traniello F., Cattolicesimo conciliarista. Religione e cultura nella tradizione Rosminiana Lombardo-Piemontese, Milano, Valentino V., Il matrimonio e la vita coniugale, Facoltà dell'Italia Centrale, Valentino V., Un'introduzione alla vita e alle opere, Vercelli, Saviolo, Valentino V., Un laico tra i teologi, Vercelli, Valentino V.,  Il pensiero di V. Gioberti, Genova, Verucci G., Dizionario Biografico Italiano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  IV, Roma. Guido Verucci, Emiliano Avogadro della Motta, in Dizionario biografico degli italiani,  4, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere di Emiliano Avogadro della Motta, Emiliano Della Motta (Avogadro), su storia.camera, Camera dei deputati. DEL SOCIALISMO IN GENERALE . Origini del socialismo nel razionalismo protestantico. Le prime eresie tentarono soffocare la fede e la Chiesa ; le seconde, viziar l'una,esostituirsiall'altra.LuteroeCalvinodistrussero il principio dellafede,dellamorale,dellasocietà.Idolligermanicercarono rime dio nella scienza e nell'ecclettismo ; la loro filosofia, il loro diritto pubblico.IlprotestantismoinFranciafapiùaudaceeribelle.Combat iuto come selta religiosa produsse i liberi pensatori, che, a titolo di scuola,nedilataronoilrazionalismoempio.PrevisionidiBossuet .» 17 Il genio di Voltairee de'suoi discepoli fu essenzialmente anticristiano, Paradossi del Gioberti. La guerra del filosofismo del secolo XVIII con tro la fede e la scienza fu più radicale di quella del protestantesimo. Suo spirito non diseparatismo,ma dicosmopolismo. Da tre secoli la preponderanza nell'ordine delle idee e devoluta in Europa alla G e r m a niaeallaFrancia,colà bisogna cercare lefonti dell'errar moderno. Diverso carattere delle due nazioni.Nel razionalismo dell'una,nell'in. credulità dell'altra, stette deposto il primo articolo della carta sociali stica :Non più autorild Progressi del razionalismo e dell'incredulità nell'idealismo. Kant,ilsuoantidommatismo;isuoiseguaci.Non vollero dirsi atei, loro panteismo spurio peggiore dell'ateismo. Non vollero comparir scetticinematerialisti,masovvertironolascienzaelamoraleconl'i dealismoapriori.Hegel,el'idealismotrascendentaleepratico.I teo logi protestanti lo seguirono. Il protestantesimo avea sfigurato fin da principio l'idea di Cristo ; a cosa la ridusse Strauss. Apparente regres so in Francia dal materialismo e dalle teorie rivoluzionarie. Principio di tolleranza mal applicato in tutte le ristorazioni; indi l'indifferenti  Prefazione Saggio -76 pag . PARTE 1. . > 31 CAPO I. CAPO II. L'incredulismo e il filosofismo francese. CAPO III. e nell'indifferentismo. I tedeschi pensatori seguirono l'esempio, non la frivolezza dei volteriani.   smoreligiosuepolíticonegliordinipubblici,l'eclettismonella scien za.Gliecletticivolleromitigarel'idealismogermanico; volleroparer rispettosialcristianesimo,ma locondannarono come decrepito.La lo roreligionefilosofica.Non ebbero pensatori.Lamennais,ei razionali sti cattolici.L'idealismo o l'indifferentismo sono morbi quasi insana bili.Questicompongonoilsecondoarticolodelsimbolosocialistico: la fede all'Idea propria. Ne sorge l'amore all'indeterminato futuro, l'odioaciòcheesiste.GiudiziodiStaudenmayer.L'uomonellostato suo presente non comporta nè dommatismo assoluto, nè razionalismo assoluto.Lanaturaeilcristianesimoloeducanocollasedeecolla ra gione, somministrandogli un'ontologia reale e certa Alcune riflessioni sulle cose anzi esposte. Ilprotestantismo,ilfilosofismofrancese,e iltedesco,sono professioni d'ignoranza. Pongono fuori delle condizioni di possibilità la religione e la scienza, e abbattono la ragione individuale con un'assurda emanci pazione. Tolgono lo scopo della ricerca della verità.La fede per contro è scienza iniziale, anche negli ordini naturali promettitrice. Gli spiriti penctranti previdero da gran tempo il socialismo moderno ; i più furi bondi neproclamarono epraticaronolemassime.La religionecla so cietà reale erano già condannate in teoria dall'Idea dei sofisti, cui non possono corrispondere in fatto.La Chiesa ne è la salute, perchè pre dica la veritàpositiva, e muta le ipotesi de'sofisti.Questi falsifica rono anche iprincipiipositivi, chevollero conservare per ricostrurre la società;tolsero la possibilità dell'amore;sfigurarono leidee di libertà, di eguaglianza, di fratellanza, che portate all'assoluto si escludono m u tuamente. Il socialisino vuole ricostituire con queste l'uman genere.Gli uominididistruzione,equellidell'utopia,sortiaslagellare l'umanità colle sperienze d'applicazione. etrestadid'esistenzadellesette.Siappoggianoaun fierodommati smo.Noninventanodottrine,ma scelgonoevolgarizzanolepiùaccon ceailorofini.Sonolagerarchia,ilsacerdozio,l'esercitodella filoso fia anticristiana e antisociale, che senza di quelle non sarebbe larga mente perniciosa.Ora non sono più mere associazioni,ma trasforman dosi divennero società e governi sotterranei.Una buona storia delle sette sarebbe un gran beneficio ;come vorrebbe essere fatta.La miglior difesacontrodiquelleèfarleconoscere.IsommiPonteficilovennero facendo,furonomalsecondati.Leseltemassoniche.Veisaupte l'illu minismo.Le sette moderne teoriche ed esecutive.La Giovine Europa e Mazzini.Lorotremezzid'influenza,leloroarti,leloroforze.Non a spirano che alla propria supremazia e tirannia solto nome di repubblica sociale.Gioberti ledescrisse con somma perizia mutando l'applicazio ne.Avveniredellesette.Nonsonoessesoleilsocialismo,manesono la virtù plastica e direttrice. CAPO VI. Carattere e spirito del socialismo. È l' e t e r o d o s s i a d e l s e c o l o X I X . E s s a p o r t a a l l ' a p i c e , a l l ' u n i v e r s a l i t à , a l l'atto,leempietàedaberrazionide'secoliprecedenti.Lesueideesono  598 pag. 57 CAPO V. CAPO IV. Le sette secrete demagogiche. Esse aggiunsero alle teorie un organismo artilizioso ed attivo.Tre aspetti, 93 » 123   599 peròterreneeristrette.Èuncattolicismoumanoediabolico,chevuol esserepiùuniversaledi quello di Cristo.Ilsuo Messianismo.Le sue stoltepromesseestolteaccusecontrolasocietà.ProfessaodioaDioe a C r i s t o , o d i o a l l ' u o m o , o d i o a l l a g i u s t i z i a . S o v v e r t e il n a t u r a l e e il s u pernaturale.L'ideasocialisticanonèintieranellamente diverün10 mo,ilsolospiritodelmalenepuòabbracciareevolereiltutto.Nelle mentiumaneprendediversigradieforme.Coldomma dell'ideailso cialismo raccoglie a sè tutti gli spiriti erranti e passionati ; disordina i difensoridellaverità;esiinfiltranellementi.Potenza seduttricedel l'IdeaedelleIdee.Semisocialismo.Unitàdipensiero,discopo,difor ze morali e materiali nel socialismo,collimanti contro ilcristianesimo. FapredettodaisantiApostoli.Lamorteconfutaildomma elesperan zedelsocialismo,erendecalamitoselesue promesse.Ilcomunismo. Èdoppio;altrofilosoficoeinapparenzaeconomico,altroapertamente Jadroesensuale.Ilsoloprincipiodellacomunanza nonvaleafondare veruna società che basti a sè stessa. Esseni ; comunanze monastiche ; sistemi utopistici. Socialismo e comunismo sono due estremi della stessaidea.La Franciaètravagliatadipreferenzadalsecondo,laGer maniadalprimo,ilperchè.Ilprincipiocristianonon puòamenodi somministrare la soluzione di tutti iloro problemi sociali.Sentenza di Jouffroy PARTE II. DEGLI SCOMPARTIMENTI PRECIPUI DEL SOCIALISMO . CAPO I. Dellescuoleedeisistemisocialipiùinsigni,einparticalare dicoli.Hegel le aprì un orizzonte vasto e pratico colla sua teoria sulla storia,ecollesuevistesulmondo Germanico.Con questeinfiammdi pietistiprotestanti eipoliticiambiziosi,specialmentein Prussia.Trovo ecofranovatorianchecattolicieisraeliti.Lesettedemagogichegerma niche s'impadronirono dell'idea hegeliana di nazionalità ,ostile alla reli gione e alla civiltà romana .I sofisti la parodiarono altrove, ad adulare le proprie nazioni CATO II. Sansimonismo, umanitarismo. Il misticismo di Sansimone s'indirizza alle passioni sensuali nobilitando le, alle ambizioni ultrademocratiche esaltando le capacità individuali. : Isuoidiscepoli l'organizzarono amodo di religione panteistica umani taria.Molti eclettici dell'università francese ne adottarono iprincipii ideali,compiendo con questi lametafisica hegeliana.Leroux e l'umanita rismouniversale;gliumanitariiricusanoleideedipatriaedinaziona lità.Il principio saņsimoniano penetrò largamente in Francia,e per ogni dove;esso improntò al socialismo l'aria di religione lasciva e co smopolitica. L'emancipazione della carne era conseguenza logica del l'emancipazione del pensicro .  pag.151 dell'hegelianesimo e neoegelianesimo. Owen e Fourrier vestirono l'idea socialistica e comunistica di sistemi ri . ) 213 » 235   CAPO NI. Del svoialismo anarchico e trascendentalmente empio . Prudhon,discepolointelligenteesfacciato deisocialisti tedeschi,sveld le vere esigenze del socialismo. Professò esplicitamente l'odio a Dio, l'abolizione di ogni diritto,l'anarchia;cosa jntenda con talparola.Fla gellaisocialistiecomunisti,ma èpeggioredi loro. Lesueideefanno impressione, perchè sono l'espressione la più semplice della idea d'in dipendenza assoluta.Lecoutrier,lasua Cosmosofiamaterialistica, pro sessa il culto di sè stesso. Condanna la filosofia e la civilizzazione. Il materialismo e l'anarchia spaventano in Francia; ostinazione di certi razionalisti,che nondimenononnevogliono vedereilrimedioaddi tato già da Napoleone Del socialismo operativo o militante,e di quello latente. Il socialismo pensante sta nelle scuole panteistiche incredule, l'operativo nelle sette e fazioni rivoluzionarie. I suoi fasti recenti. Lo scopo princi pale è distrurre ilcaltolicismo. Perciò cerca di rivoluzionare moral menteematerialmentelaChiesa.Adocchial'Italiachenetieneilcen tro.Mazzini,la sua filosofia panteistica, le sue idee di nazionalità e di primato italico parodia del primato germanico di llegel. Sue contrad dizioni. È lo strumento del socialismo universale, che non vuol altro in Italia che non più Papu .P e r progredire il socialismo vesti in Italia tutteleformeeleipocrisie.Cercò dialluarviilcomunismo politico. Il socialismo latente. L'Inghilterra ne possiede grandi elementi. Cenni sull'utopiadelMoro.LaRussia. Nissuna rivoluzione eguaglia quella voluta dal socialismo. Che cosa è una r i v o l u z i o n e. D i v e r s e s p e c i e d i r i v o l u z i o n i p a r z i a l i , c h e o r a l u t t e s ' i n f o r mano dellospiritodelsocialismo.Sono ingiuste,ruinose,infrenabili nei confini voluti dai moderati, dai dottrinarii, dai liberali. Cos'è la riforma vera.Coloro non sono riformatori,ma rivoluzionarji. Possono chiamarsi semisocialisti; lo sono altri in religione, allri in filosofia, al triinpolitica.Fanno penetrareatrattiatratti l'idea,edeseguiscono per parti l'opera socialistica. Sono incoerenti.Giudizi diJoutfroye di Prudhon sui rivoluzionari al minuto. Giudizi di Quinet sui cattolici d e mocratici predicatori d'indipendenza. Non sorge dai loro sistemi la vera democrazia,ma l'anarchiaprudonianaintuttelerelazionidegliindi vidui,edellesocietà fraloro. L'indipendenza assoluta non esisteal mondo. Riepilogo. Giudizio di Sterne sul principio rivoluzionario so cialistico,eminentemente anticristiano. Il termine della rivoluzione sociale. La rivoluzione universale sociale non si compirà mai appieno. La rivolu-, zionereligiosa,comeèpromossadalsocialismo,è nataafarluogoad  600 . pag. 254 » 280 CAPOY. di questa; e del semisocialismo. > 323 CAPO IV. Della rivoluzione universale e sociale;scompartimenti precipui CAPO VI.   CAPO VII. Delpanslavismodemagogico,edelruteno. Undettonapoleonicoinverosimile,omalinteso.Ilpanslavismo.Èdop pio.L'Idearussa;lasuavivacità per forze moraliemateriali.Lesue arti.È ostileall'idealatinaecattolica.È religiosaepolitica,panslavi sticaepanscismatica.L'Italianeèminacciatadoppiamente.Calamità europea, chesièladissoluzionedellaGermanianell'anarchiareligiosa epolitica.L'idea russa,oraantirazionalisticaeantidemagogica,può col tempo mutare processo ed allearsi religiosamente al protestantesi mo,politicamentealla demagogia europea. La Chiesa non teme,ma aspeita negli ultimi tempi un grande assalto dai popoli di quelle regio ni,edallaapostasiadeipropriifigli.Quelpanslavismo sembra desti nato a chiudere l'era del socialismo nostrale. laci,esuberanti,indefinite.Laveritàel'autoritàhanno l'adesionedella maggioranza,ma sonomalconosciute.Ilclerocattolicofaquellava gliaturaperufficio,ma frapopolicoltilascienzaeladimostrazioneè necessaria. Parte dei laici. La filosofia dee essere ricondotta al suo sta 1 0 n o r m a l e , d a c u i si d i p a r t i n e g a n d o o t r a s c u r a n d o l ' o n t o l o g i a c r i s t i a n a elascienzadellasocieiàuniversale deglispiriti.In Italia bisognafar conoscere le produzioni della scienza straniera, dei paesi cioè in cui la controversiaè vivace.Bisogna svelare ilfondo dei sistemi socialistici; formolareconprecisioneiproblemi;porreinlumeiprincipiiassoluti; questinon impediscono letemperazioni pratiche. Si fa alcontrario. Esempio nella quistione capitalissima delle relazioni fra Chiesa e Stalo. Questainassolutononèquistionedilibertà,ma diautorità.Ilprinci pio di libertà non basta a spiegare l'ordine morale.Teorie del sig.A. Rosmini nelsuo libro Della Costituzione. Ilproblema religiosoviè mal formolato.Ilprogetto di costituzione rosminiana non guarentirebbe alla Chiesa nemmeno libertà;include l'indifferentismo politico;toglie all'ordine civile la base morale. Necessità della professione religiosa dello Stato. Il problema politico intorno al diritto e alla giustizia so ciale vi è del pari inesattamente formolato . Nel criticare le costituzioni gallicheRosmininonnetacciaiviziiprincipali.Qualesialaquistione politica odierna;come sia formolata dai socialisti,come da Lainennais. Le emende proposte dal Rosmini alle costituzioni da lui criticate sono vane,oinsufficientiafararginealsocialismoecomunismo.Èinutile adulare e contrastare a metà le idee di moda , se non si risolve il tema del socialismo. Esso nega Dio e le due leggi provvidenziali per cui l'uo m o è governato dall'uomo, e il diritto sulle cose materiali è diviso fra gliuomini.Idottrinariiitalianiefrancesisicontentanodimassime ge neriche, di idee dimezzate, scoza analisi c applicazione. Gli americo  601 unanuovafoggiadidemonolatria;larivoluzionescientificaproducela perdita dell'unità di senso morale; la civile,un'anarchia,e tirannia in curabile. La rivoluzione universale,se potesse compiersi,distrurrebbe inultimol'umangenere.Come ilsocialismo l'odiidiodiosatanico.Il suo termine logico sarebbe la distruzione dell'ordine di natura e di so prannatura.Ilmondo nonsaràmai tuttosocialistacome fututtopaga no,perchèlaChiesahadellepromesse infallibili;ma lenazionicivili nonnehanno,ecamminanoindolentiversograndiruine.Unaltroso cialismochesidisponeatrasformareilmondoeuropeo pag. 365 » 389 CAPO VIII. Timori, speranze, rimedii contro l'invasione delle dottrine socialistiche. Vuolsi una buona vagliatura delle idee,dei desiderii, delle speranze fal   m a n i i t a l i a n i , e g l i a n g l o m a n i f r a n c e s i, n o n c o n o s c o n o i t i p i s t r a n i e r i che vogliono imitare.Icattolici idealisti e razionalisti non comprendono che guastano e snaturano ilcristianesimo colle misture eterodosse,a vece di farne l'apologia. Quali sieno dunque le tre vagliature,or peces sarie, delle dottrine e delle voglie del secolo. САРО ІХ. Ancora alcune osservazioni sul modo di trattare ora le controversie. partitoviolento.Larivoluzionematerialeèsopita,ma l'idealesidilala. L'Italiaodierna,elaGermaniaditresecolifa.Dollinger.Èquindiur genteilbisognodigrandimanisestazionidellaverità,per mezzodella fede e dellaragione. I governi,ora materialmente forti, sono moral mentedeboli;l'epocapresentedirazionalismoediopinioniindetermi natepiegaaltermine.Ilsocialismoyuoldommiefatti,vuolsicontrap porgli la scienza della fede cristiana,continuando illavorodeipiù grandi genii del cristianesimo. Che cosa è una filosofia cristiana.La polemica dee essere trattata con franchezza; tenendo conto di tutti i principii veri e di tutti i fatti; distinguendo le ricerche di ciò che è giu sto,ediciòcheèprudente.Nondeecontentarsididebellareglierrori singoli,ma melterinlucelastoria6losofica,eilsistemauniversale dell'eterodossia.Ilpanteismoèlasostanza dell'eterodossiamoderna. Considerazionisulpanteismo,sulsuolungoregno,sullesuefasi.Non saràl'ultimoerrore.VotoumileeriservatoperunoracolodellaS.Se de,e una condanna dottrinale e solenne del socialismo e comunismo. Motivi.Insufficienze e pericoli delle discussioni scientifiche. Il sociali smo,come sistema compiuto, ha delnuovo; spesso sembra sfuggire agli anatemi degli erroriantichi che rinnova.Fra icattolici stessi sin ceri visono dubbiezze e illusioni.La gloria del nome di Cristo è avvi lita.L'ideadiCristo,equindiquelladellaChiesa,sono menomatein moltementi.Quellaèl'antidotoatuttol'erraremoderno.Lapedagogia pendeadinsinuareilnaturalismoeilsensualismo.La S.Sedespesso unì alle decisioni, e condanne dommatiche contro gli errori,le lezioni razionali a illustrar lementi dei fedeli.Esempi.Così bramerebbesi ora, perchè da molti il socialismo e comunismo non sono conosciuti quali sono.Condannati,rimarrebbero nolati d'infamia agli occhi del mondo cristiano,e resi moralmente impotenti. È quel tutto un arcano di sata nasso, alla sola S. Sede apparterrà svelarlo e conquiderlo; a lei però sola ilgiudicare dellaopportunità dei mezzi. Intanto, colle armi già prontedellafedeedellascienza,vuolsidaognunocollesueforzecom battere la rivoluzione ideale. Teologia e filosofia, rivelazione e ragione, vogliono andar congiunte, distinte, ma non parallele. Un passo del Mancini. CONCLUSIONE . D u c f i l o s o f i s m i, d u e r i v o l u z i o n i , c h e n e m i n a c c i a n o u n a p i ù t e r r i b i l e . P r e sunzionedeimoderni;giudizideiposteri.Tuttiipartitiscontenti del presentemiranoall'avvenire;ipiùsciocchisonogliaspettantieineu i r a l i. Il p r i n c i p i o c r i s t i a n o è i n c a r n a t o n e l l a C h i e s a , e s s a n o n f a q u i stioni di clericocrazia,quando parla alle genti con autorità. L'Italia e isuoiriformatorisispecchinonellaGermaniaditresecolifa.La Chie sa benefica e invitta in tutti i secoli. I fedeli hanno da incoraggirsi; fra l'idea socialistica e la cristiana sanno quale abbia la verità,e quale ot Alcuni documentiintorno allescriesegreredemagogiche. Emiliano Avogadro, conte Della Motta. Il conte Emiliano Avogadro. Emiliano Avogadro Collobiano e Della Motta. Il Conte Emiliano Avogadro della Motta. Conte Emiliino Avogadro della Motta. Avogadro di Vigliano, Motta. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Motta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742832931/in/dateposted-public/

 

Grice e Motterlini – critica della ragione economica – filosofia italiana – principio di economia dello sforzo razionale – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “I like Motterlini – he has written, echoing Kant, a critique of economic reason, which Stalnaker should read before saying I’m Kantian rather than Futilitarian!”  Specializzato in filosofia della scienza, economia comportamentale e neuro-economia, e noto per i suoi saggi in ambito psico-economico su processi decisionali, emozioni e razionalità umana e per le sue ricerche in ambito epistemologico sulla razionalità della scienza e il metodo scientifico. Insegna a Milanodove. Consigliere per le Scienze Sociali e Comportamentali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si laurea a Milano, dove porta a termine il proprio dottorato in filosofia della scienza. Ricercatore di economia politica e professore associato di filosofia della scienza presso l'Trento; Visiting Associate Professor al Department of Social and Decision Sciences della Carnegie Mellon di Pittsburgh, Visiting Research Scholar al Department of Psychology della UCLA. Professore di filosofia della scienza presso l'Università Vita-Salute San Raffaele.  Tra gli altri incarichi è collaboratore de Il Corriere Economia, Il Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore, per cui ha curato per anni il blog Controvento. È stato consulente scientifico di Milan Lab, A.C. Milan, fondatore e direttore di Anima FinLab, di Anima Sgr, centro di ricerca di finanza comportamentale e Scientific advisor di MarketPsychData, Ls Angeles.  È direttore del CRESA (Centro di ricerca in epistemologia sperimentale e applicata), da lui fondato a Milano presso la facoltà di filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele. I progetti di ricerca del centro si concentrano su vari aspetti della cognizione umana, dal linguaggio al rapporto tra mente e cervello, dall'economia comportamentale alle neuroscienze cognitive della decisione, con particolare attenzione all'indagine sperimentale multidisciplinare e alle sue ricadute pratiche e applicative (per esempio nell'ambito del policy making e dell'evidence-based policy).  A inizio, ha avviato il progetto di finanza comportamentale per Schroder Italia, dal quale è nato Investimente, un test psicofinanziario al servizio di risparmiatori, promotori finanziari e private banker, per raccogliere e quindi analizzare i dati riguardanti le decisioni di investimento e i bias cognitivi nell'ambito della gestione del risparmio.  Attualmente è direttore dell'E.ON Customer Behavior Lab e Chief Behavior Officer di E.ON Italia; stesso incarico che ricopre per il Gruppo Ospedaliero San Donato. Analizza la proposta falsificazionista, rivelando le difficoltà in cui si imbatte il progetto de-marcazionista e anti-induttivista. Affrontano quindi il modo in cui si ha preteso superare alcune di queste difficoltà, e insieme raccogliere la sfida di Duhem circa il carattere olistico del controllo empirico, tenendo conto delle immagini che il filosofo ha della sua stessa pratica e riferendosi a particolari casi storici come termine di confronto. Sull'orlo della scienza e in edizione ampliata. Nel suo “Filosofia e storia” avanza una interpretazione del progetto razionalista come il prodotto di una peculiare combinazione delle idee di Platone e Hegel. Ciò è motivo della straordinaria fecondità di Platone, ma anche di una inesauribile tensione al suo interno. Una tensione che viene illustrata affrontando la relazione tra filosofia e storia della filosofia (unita longitudinale) in riferimento alla questione della valutazione di una data metodologia in base alle 'ricostruzioni razionali' o construzioni logica a cui essa conduce. Nell'idea che la metodologia filosofica va confrontate con la storia della filosofia è contenuto il germe di una logica della scoperta in cui i canoni non siano fissati una volta per sempre, ma mutano nel tempo, anche se con ritmi non necessariamente uguali a quelli delle teorie filosofiche. Si focalizza su questioni di metodologia dell'economia da una prospettiva interdisciplinare che combina riflessione epistemologica, scienza cognitiva, ed economia sperimentale con aspetti più tecnici di teoria della scelta e della decisione individuale in condizioni d'incertezza. Le ricerche di questo periodo analizzano criticamente lo status delle assunzioni della teoria della scelta razionale, valutando l'impatto delle violazioni comportamentali sistematiche alle restrizioni assiomatiche imposte dai modelli normativi di razionalità. Avanzano quindi ragioni epistemologiche per la composizione della frattura economia e psicologia cognitiva in ambito della teoria della decisione; e suggeriscono di guardare ai recenti risultati dell'economia cognitiva in prospettiva di una nuova sintesi 'quasi-razionale' in cui i modelli neoclassici, integrati da teorie psicologiche che tengano conto dei limiti cognitivi dei soggetti decisionali, rafforzano le previsioni del comportamento economico degli esseri umani.  Neuroeconomia e evidence-based policy Le sue ricerche indagano le basi neurobiologiche della razionalità umana attraverso lo studio dei correlati neurali dei processi decisionali in contesti economico-finanziari, con particolare attenzione al ruolo svolto dalle emozioni, dal rimpianto, e dall'apprendimento sociale.  Parallelamente progetta ed esperimenta i modi in cui i risultati dell'economia comportamentale e della neuroeconomia possono informare politiche pubbliche più efficaci e basate sull'evidenza.  Queste ricerche sono oggetto dei corsi di Filosofia della scienza e di Economia cognitiva e neuroeconomia che insegna all'università San Raffaele, e hanno altresì trovato diffusione attraverso numerosi articoli divulgativi e due libri, Economia emotiva e Trappole mentali. Il suo ultimo libro è Psicoeconomia di Charlie Brown. Strategia per una società più felice. Saggi: “Sull'orlo della scienza,” – Grice: “Must say that ‘orlo’ is a genial word, wish Popper knew it!” –Lakatos, Feyerabend: Pro e contro il metodo, Cortina, Milano.  Popper, Saggiatore-Flammarion, Milano, Lakatos. Scienza, matematica e storia, Saggiatore, Milano, Decisioni mediche. Un approccio cognitive,  Cortina, Milano. Critica della ragione economica. Tre saggi: McFadden, Kahneman, Smith, Saggiatore, Milano, Economia cognitiva & sperimentale, Bocconi Editore, Milano La dimensione cognitiva dell'errore in medicina, Fondazione Smith Kline, Angeli, Milano  Economia emotiva (Emotional Economics), Rizzoli, Milano Trappole mentali, Rizzoli, Milano Mente, Mercati, Decisioni. Introduzione all'economia cognitiva e sperimentale, Egea, Milano  Psico-economia di Charlie Brown. Strategia per una società più felice, Rizzoli, Milano Alcuni articoli scientifici, Lakatos between the Hegelian devil and the Popperian blue sea. In Kampis, G., Kvasz, L., Stoeltzner, M. Considerazioni epistemologiche e mitologiche sulla relazione tra psicologia ed economia, Sistemi intelligenti, Il Mulino, Metodo e standard di valutazione in economia. Dall'apriorismo a Friedman, Studi Economici, Milano. A fMRI Study, PlosONE', Vai in laboratorio e capirai il mercato (con Francesco Guala) Prefazione a Vernon Smith, La razionalità in economia. Tra teoria e analisi sperimentale, IBL, Milano.. Neuro-economia e Teoria del prospetto, voci Enciclopedia dell'economia Garzanti, Milano. Investimente. Test dell'investitore consapevole  Recensione di Ian Hacking sulla The London Review of Books  IlSole24Ore 22.5.//ilsole24ore. com/art/cultura/-05-18/motterlini-spinta-riforme--shtml?uuid=ADAaR2J ASito personale, su matteomotterlini. Sito CRESA, su cresa.eu. I am strongly inclined to assent to a principle which might be called a Principle of Economy of Rational Effort. Such a principle would state that where there is a ratiocinative procedure for arriving rationally at certain outcomes, a procedure which, because it is ratiocinative, will involve an expenditure of time and energy, then if there is a nonratiocinative, and so more economical procedure which is likely, for the most part, to reach the same outcomes as the ratiocinative procedure, then provided the stakes are not too high it will be rational to employ the cheaper though somewhat less reliable non-ratiocinative procedure as a substitute for ratiocination. I think this principle would meet with Genitorial approval, in which case the Genitor would install it for use should opportunity arise. (5) On the assumption that it is cha~acteristic of reason to operate on pre-rational states which reason confirms, revises, or even (sometimes) eradicates, such opportunities will arise, provided the rational creatures can, as we can, be trained to modify the relevant pre-rational states or their exercise, so that without actual ratiocination the creatures  84  Paul Grice  can be more or less reliably led by those pre-rational states to the thoughts or actions which reason would endorse were it invoked; with the result that the creatures can do, for the most part, what reason requires without, in the particular case, the voice of reason being heard. Motterlini. Keywords: critica della ragione economica, principle of economy of rational effort, twice in Grice – in Reply, etc. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Motterlini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743457144/in/dateposted-public/

 

Grice e Musatti – l’erote collettivo – filosofia italiana – filosofia fascista – filosofia del ventennio – Gruppo universario fascista -- Luigi Speranza (Dolo). Filosofo.  Grice: “Musatti reminds me of Malcolm, “Tonight I had a dream,”” – Grice: “Musatti has explored the implicatures of ‘who’s afraid of the big bad wolf?’, which comes strictly from Grimm – this is a rhetorical question – and Grimm is implicating that nobody should!” -- Ccesare luigi eugenio musatti. Tra i primi che posero le basi della psicoanalisi, in Italia. Nato a Dolo, sulla riviera del Brenta, nella Villa Musatti a del nonno paterno in cui i parenti erano soliti trascorrere la villeggiatura.  Figlio di Elia, ebreo veneziano e deputato socialista amico di G. Matteotti, e della napoletana Emma Leanza, non fu né circonciso, né battezzato (durante le persecuzioni razziali si procura un falso certificato di battesimo dalla parrocchia di Santa Maria in Transpontina di Roma) e non professa mai alcun credo religioso.  Frequenta il liceo Foscarini di Venezia, poi si iscrive dapprima alla facoltà di Scienze dell'Padova per il corso di Ingegneria, e immediatamente dopo alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove si laurea in filosofia. Dopo la laurea, si iscrisse per due anni al corso di Matematica della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali di Padova, ma non sostenne esame alcuno.  Giovinezza A diciannove anni fu chiamato a Roma per il servizio di leva. Dopo un periodo di addestramento a Torino, e mandato al fronte come ufficiale, con impegni marginali. Finita la guerra tornò a Padova per terminare gli studi. Sulla cattedra di Psicologia Sperimentale c'era Vittorio Benussi, allora chiamato per chiara fama nel 1919 a insegnare a Padova dall'Graz. Si laurea in filosofia e l'anno successivo divenne assistente volontario del Laboratorio di psicologia sperimentale. Benussi si uccise con il cianuro a causa di una grave forma di disturbo bipolare, lasciando tutto nelle mani di Musatti e di Silvia De Marchi, anch'essa assistente volontaria, che poi divenne sua moglie. Il suicidio di Benussi fu scoperto da Musatti, il quale però lo nascose per paura di ripercussioni negative sulla psicologia italiana in una situazione di fragilità e precarietà accademica, sottoposta a pressioni da parte sia del regime fascista, con le sue istanze gentiliane, che della Chiesa Cattolica. Negli anni ottanta Musatti rivelò che Benussi s'era suicidato, non era morto a causa di un malore.  Nel 1928 Musatti divenne direttore del Laboratorio di Psicologia dell'Padova. Portò in Italia la Psicologia della Forma con importanti lavori di livello internazionale. Dopo aver diffuso in Italia la psicologia della Gestalt, divenne il primo studioso italiano di psicoanalisi.  Studiando la psicologia della suggestione e dell'ipnosi, introdotta in Italia da Vittorio Benussi, approdò alla psicoanalisi, sulla quale tenne il primo corso universitario italiano. Il corso si tenne presso a Padova. Divenne allora uno dei primi e più importanti rappresentanti italiani della psicoanalisi. Nell'Italia degli anni '30 le teorie di Freud non erano state accolte bene né dalle Università, né dalla Chiesa cattolica, a causa dell'ideologia culturale gentiliana assunta dal fascismo. La Società psicoanalitica italiana venne limitata anche dalle leggi razziali fasciste che colpirono i membri ebrei della società. Benché non fosse ebreo (poiché figlio di madre cattolica), fu allontanato dall'insegnamento a Urbino e declassato ad insegnante di liceo. Nominato professore di Filosofia al Liceo Parini di Milano. Si ritrova con L.  Basso, Ferrazzutto e altri vecchi socialisti con l'intento di creare un partito erede del Partito Socialista Italiano; ebbe l'incarico di trovare denaro per una prima organizzazione e di allacciare rapporti col Partito Comunista clandestino. Musatti lavorò anche durante la guerra. Nel 1944, nel periodo dell'occupazione nazista, fu tratto in salvo dall'avvocato Paolo Toffanin, fratello di Giuseppe Toffanin, che lo aiutò a trasferirsi a Ivrea, ospite dell'amico Adriano Olivetti. Con il suo sostegno fondò un centro di psicologia del lavoro. Ricoprì anche l'incarico di direttore della Scuola Allievi Meccanici, scuola aperta per formare operai meccanici specializzati. Successivamente fu richiamato dall'Esercito per andare sul fronte francese.  Ottenne all'Università degli Studi di Milano la prima cattedra di Psicologia costituita nel dopoguerra in Italia, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Vi insegnò per venti anni. A Milano ebbe il periodo più florido della sua ricerca scientifica: gli studenti affollavano le sue lezioni. Musatti fu il leader del movimento psicoanalitico italiano nei primi anni del dopoguerra. A quel periodo risale il suo “Trattato di Psicoanalisi”, pubblicato da Einaudi. Divenne direttore della “Rivista di psicoanalisi”. Presidente del Centro Milanese di Psicoanalisi fondato da Franco Ciprandi, Renato Sigurtà e Pietro Veltri, che gli verrà intitolato dopo la sua morte. Nel 1976 è diventato curatore della edizione italiana delle Opere di Sigmund Freud, della Casa Editrice Bollati Boringhieri di Torino. Vecchiaia  La località a lui dedicata Musatti scrisse anche libri di letteratura, tra cui Il pronipote di Giulio Cesare, che gli fece vincere il Premio Viareggio. Fu eletto per due volte consigliere comunale di Milano nella lista del PSIUP e fu anche consulente del Tribunale dei Minori del capoluogo lombardo. Sostenne sempre la pace, il progresso dei lavoratori, l'emancipazione femminile ed i diritti civili.  Cesare Musatti era ateo, come ebbe a dichiarare in più occasioni, l'ultima delle quali in uno dei martedì filosofici del Casinò di Sanremo. Muore nella sua abitazione di via Sabbatini a Milano. L'indomani dopo una cerimonia laica di commiato celebrata in forma strettamente privata, la sua salma e  cremata a Lambrate. Le sue ceneri sono tumulate, secondo le sue ultime volontà, nel cimitero comunale di Brinzio, località in cui era solito trascorrere i periodi di vacanza. Il suo archivio è conservato presso l'Aspi Archivio Storico della Psicologia Italiana dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.  Il comune di Dolo ha ribattezzato la sua località natale Casello 12 località Cesare Musatti e gli ha intitolato il locale istituto professionale.  Musatti e il suicidio di Benussi Anche dopo la rivelazione che si era trattato di un suicidio, non parla mai volentieri della morte del maestro. Nel generale silenzio dello studioso di Dolo emerge un'intervista. Nell'intervista Musatti confessa di sognare a volte che in una caserma dei carabinieri in cui viene tradotto, il commissario lo interroga sulla morte di tre sue mogli (si sposò quattro volte), decedute tragicamente, e di Vittorio Benussi. A fine colloquio il militare lo intima di confessare di aver ucciso il maestro per prendere la cattedra di psicologia. «Io gli rispondoprosegue Musatti, da buon psicoanalistache sicuramente nel mio subconscio mi sono sentito responsabile per questa e per altre morti. Il commissario, che non capiva nulla di subconscio, decide: “Mi spiace professore, ma devo arrestarla”. Io allora gli rispondo: ”Non è possibile commissario, perché si tratta di delitti commessi più di cinquant'anni fa, e quindi sono prescritti!”».  ‘Cesare’ è un riferimento al pro-zio Musatti, medico pediatra, uno che aveva visitato il piccolo, nato settimino. ‘Luigi’ e il nome del bonno materno (L. Leanza, morto in carcere, partecipa alla rivolta anti-borbonica); ‘Eugenio’ e il nome di un altro pro-zio paterno, lo storico Eugenio Musatti; cfr. Musatti IX-XIII. Forse la psicoanalisi è nata e morta con lui. Il nome allude alla fermata della tranvia Padova-Malcontenta-Fusina che il nonno, presidente della Società Veneta Lagunare, odierna ACTV, aveva fatto aprire per raggiungere più agevolmente Venezia.  Musatti IX-XIII.  Archivio dell'Università degli Studi di Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di Lettere e filosofia, Padova, Carriere scolastiche della Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali, Opuscolo del Centro Milanese di Psicoanalisi, a cura del Comitato Direttivo, redatto da L. Ambrosiano Capazzi Gammaro Moroni, L.Reatto, L.Schwartz, M. Sforza, M.Stufflesser, Milano  Per una storia del Centro Milanese di Psicoanalisi Chiari, Seminario presso il Centro Milanese di Psicoanalisi Cesare Musatti, Milano  Freud, Opere (Torino, Boringhieri); S. Giacomoni, Cerimonia privata per Cesare Musatti, la Repubblica, è consultabile sul  dell'Aspi, all'indirizzo web AspiArchivio storico della psicologia italiana, Università degli studi di Milano-Bicocca. D. Mont D'Arpizio, Vittorio Benussi, Padre della psicologia padovana, in La Difesa del popolo, Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze,  Mia sorella gemella la psicoanalisi, 1Pordenone, Edizioni Studio Tesi,Luciano Mecacci, Cesare L. Musatti, voce dell'Enciclopedia italiana di scienze, lettere ed arti. Il contributo italiano alla storia del pensiero. Ottava appendice, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana. Saggi: “Analisi del concetto di realtà empirica” (Solco, Città di Castello); “Forma e assimilazione,” in: Archivio italiano di psicologia, “Elementi di psicologia della testimonianza” (Rizzoli, Forma e movimento” (Ferrari, Venezia, da: Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, Gl’elementi della psicologia della forma, Gruppo Universitario Fascista, Padova, Trattato di psico-analisi (Boringhieri, Torino); Super io individuale e Super io collettivo (Olschki, Firenze); Condizioni dell'esperienza e fondazione della psicologia” (Universitaria, Firenze, Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e incursioni nel mondo delle immagini (Boringhieri, Torino); Svevo e la psicoanalisi (Olschki, Firenze); I rapporti personali Freud-Jung attraverso il carteggio, Olschki, Firenze, Commemorazione accademica, Olschki, Firenze Nino Valeri, Olschki Firenze, Il pronipote di Giulio Cesare, Mondadori Milano A ciascuno la sua morte (Olschki, Firenze); Hanno cancellato Livorno (Olschki, Firenze); Mia sorella gemella la psicoanalisi (Riuniti, Roma). Una famiglia diversa ed un analista di campagna, Olschki, Firenze,  Questa notte ho fatto un sogno, Riuniti, Roma, Chi ha paura del lupo cattivo?, Riuniti, Roma, Psicoanalisti e pazienti a teatro, a teatro (Mondadori, Milano); Leggere Freud, Bollati Boringhieri, Torino, Curar nevrotici con la propria auto-analisi, Mondadori, Milano: Geometrie non-euclidee e problema della conoscenza, Aurelio Molaro, prefazione di Mauro Antonelli, Mimesis, Milano,Treccani Enciclopedie oIstituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. siusa.archivi.beniculturali, italiana di Cesare Musatti, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Cesare Musatti. Musatti. Keywords: erote, Gruppo Universitario fascista, il collettivo di Jung, l’ego e il noi collettivo Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Musatti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743441919/in/dateposted-public/

 

Grice e Mustè – la filosofia dell’idealismo italiano – il dialogo di Socrate e il dialogo di Gentile -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Flosofo. Laurea in filosofia con la tesi, “Marx,” borsista dell'Istituto italiano per gli studi storici di Napoli, dove ha svolto attività didattica e di ricerca, collaborando con Gennaro Sasso. Redattore della “nuova serie” della “Rivista trimestrale”. Consegue il titolo di dottore di ricerca alla Sapienza. Lavora alla "Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici" dell'Università "La Sapienza" in qualità di “Segretario e Curatore dell'archivio e della biblioteca di Gentile”. È stato professore a contratto di Storia della filosofia. Insegna a Roma.  È membro del Consiglio scientifico della Fondazione Gramsci e della Commissione scientifica per la Edizione nazionale degli scritti di Antonio Gramsci. Ha collaborato con l'Enciclopedia Italiana, in particolare ai volumi: Il contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia (ottava appendice), Enciclopedia machiavelliana e Croce e Gentile. La cultura italiana e l'Europa. Ha diretto la rivista "Novecento". Fa parte del Comitato scientifico di alcune riviste, tra cui: "Giornale critico della filosofia italiana", "Annali della Fondazione Gramsci", “La Cultura”, “Filosofia italiana”. Scrive su diverse riviste scientifiche, tra le quali, con maggiore continuità: "Giornale critico della filosofia italiana", "La Cultura", "Studi storici", "Filosofia italiana". Nel  è stato nominato dal Ministero dei beni culturali Segretario del "Comitato nazionale per il bicentenario della nascita di Bertrando Spaventa". Dal  al  ha insegnato Ermeneutica filosofica, in qualità di Visiting Professor, alla Pontificia Università Antonianum.  Ricerche Le sue ricerche si sono rivolte alla storia della filosofia italiana, con contributi dedicati all'idealismo e al marxismo. Per quanto riguarda l'idealismo italiano, ha indagato i momenti e le figure fondamentali (sino al profilo complessivo pubblicato nel 2008) e le premesse nella filosofia dell'Ottocento, specie in relazione al pensiero di Vincenzo Gioberti (soprattutto con il libro del 2000 su La scienza ideale). Di particolare interesse gli studi su Bertrando Spaventa e le monografie su Adolfo Omodeo e Benedetto Croce. Ha dedicato saggi e ricerche al pensiero di Antonio Gramsci e ad altri momenti del pensiero marxista italiano: del  è la monografia su Marxismo e filosofia della praxis, che ricostruisce la storia del marxismo italiano da Labriola a Gramsci. Sono noti i suoi studi sul pensiero politico nell'Italia contemporanea, con particolare riguardo alle figure di Franco Rodano, Felice Balbo, Augusto Del Noce.  Ha approfondito lo studio dell'opera di Marx e in generale la storia della filosofia tedesca tra Hegel e Nietzsche.  Particolare attenzione ha poi rivolto (con il libro  su La storia e con altri scritti, tra cui quelli sull'evento e sulla teoria delle fonti) alle questioni specifiche della teoria della storiografia.  Metodi Conduce l’indagine teoretica in stretta relazione con gli studi di storia della filosofia e di storia della storiografia, in generale nell’ambito della storia delle idee, adottando un metodo storico-critico che spesso privilegia l’uso di fonti archivistiche e di documentazione inedita. Il suo metodo cerca di coniugare l'analisi strutturale delle opere filosofiche con la ricerca filologica sulle fonti e sulla tradizione dei testi, con particolare riguardo ai processi di lungo periodo della filosofia italiana moderna e contemporanea.  Saggi:“Storiografia” (Mulino, Bologna); “Croce, Morano, Napoli  Franco Rodano. Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino, Bologna); “Carteggio Croce-Antoni, Mulino, Bologna Politica e storia in Bloch, Aracne, Roma La scienza ideale. Filosofia e politica” (Rubbettino, Soveria Mannelli, Franco Rodano. Laicità, democrazia, società del superfluo, Studium, Roma Grice: “’superfluo’ is possibly one of the most unsuperfluous words in the Italian philosophical dictionary – cf. “I was in New York, which was black out.” -- Gioberti, Il governo federativo” (Gangemi Roma) – nazione e stato federale – federazione, governo federativo --  Franco Rodano, Cristianesimo e società opulenta, Edizioni di storia e letteratura, Roma, Il giudizio sul nazismo. Le interpretazioni -- La storia: teoria e metodi, Carocci, Roma, La filosofia dell'idealismo italiano, -- Grice: “filosofia” is superfluous here, seeing that idealism already ENTAILS philosophy!” -- Carocci, Roma, Croce, Carocci, Roma Tra filosofia e storiografia. Hegel, Croce e altri studi” (Aracne, Roma); “La prassi e il valore -- la filosofia dell'essere” Aracne, Roma “Filosofia della praxis” Viella, Roma); “In cammino con Gramsci, Viella, Roma. L'ermeneutica, in «Rivista trimestrale», Il problema del mondo nel «Tractatus» di Wittgenstein, in «Rivista trimestrale», Le fonti del giudizio marxiano sulla rivoluzione francese  in «Annali dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», L'orizzonte liberale di Dahrendorf, in «Critica marxista», Sturzo e il popolarismo – POPOLARISMO -- nel giudizio, in Sturzo e la democrazia europea, Laterza, Roma-Bari, Croce e il problema del diritto, in «Novecento», Metodo storico e senso della libertà” “La storiografia crociana, in «La Cultura», Omodeo. Il pensiero politico, in «Annali dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici», Libertà e storicismo assoluto: per un'interpretazione del liberalismo di Croce, in Croce e Gentile fra tradizione nazionale e filosofia europea, Riuniti, Roma, “La società civile democratica, in «Novecento»,  Sul giudizio politico, in «Novecento», Il marxismo politico nell'interpretazione di Noce, in «Poietica», Gioberti e Cartesio, in Bibliopolis, Napoli, Comunismo e democrazia, in La democrazia nel pensiero politico del Novecento” (Aracne, Roma); Guido Calogero, in «Belfagor», Gioberti e Leopardi, in «La Cultura», Verità e storia, in «Storiografia», “La morale”, Rosmini e Gioberti. G. Beschin e L. Cristellon, Morcelliana, Brescia, Il destino dell'evento nella nuova storia” francese, in «La Cultura», Carattere e svolgimento delle prime teorie estetiche di Croce,  «La Cultura», Liberalismo etico e liberismo economico, in Croce filosofo liberale, -- cf. Grice, “Do not multiply liberalisms beyond necessity: ‘liberalismo semiotico’” – Grice: “Muste is very witty in distinguishing between liberalism and liberrism!” -- M. Reale, LUISS University Press, Roma, La teoria della storia in Croce, in «Giornale critico della filosofia italiana», L'idea di “Risorgimento” in Gioberti, in «Quaderni della Fondazione Centro Studi Noce», Il significato delle fonti storiche, in «La Cultura»,  La storia: teoria e metodi, in «History and Theory», Il passaggio all'anti-fascismo di Croce, in Anni di svolta. Crisi e trasformazione nel pensiero politico della prima età contemporanea, F.M. Di Sciullo, Rubbettino, Soveria Mannelli, Alterità e principio del dialogo in Calogero, in L'idea e la differenza. – principio dialogo – il noi -- Noi e gl’altri, ipotesi di inclusione nel dibattito contemporaneo, M.P. Paternò, Rubbettino, Soveria Mannelli Il principio del nous nella filosofia di Calogero, in «La Cultura», La filosofia come sapere storico, in Il Novecento di Garin. Atti del Convegno di studi, G. Vacca e S. Ricci, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Gioberti, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Lo storicismo italiano nel secondo dopoguerra, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Filosofia, M. Ciliberto, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Il problema della libertà nella filosofia di Scaravelli, in «La Cultura», La libertà del volere nella filosofia di Croce, in Filosofia e politica. G. Cesarale, M. Mustè, S. Petrucciani, Mimesis, Milano, Il senso della dialettica nella filosofia di Spaventa, in "Filosofia italiana", apr.  Storia, metodo, verità, in «La Cultura»,, Gentile e Marx, «Giornale critico della filosofia italiana», Togliatti e De Luca, «Studi storici», Gentile e Socrate, (Grice: cf. caricature of Gentile as Aristotele in ‘La scuola d’Atene”) -- in La bandiera di Socrate. Momenti di storiografia filosofica italiana nel Novecento, E. Spinelli e F. Trabattoni, Sapienza Università, Roma, Gentile e Gioberti, «La Cultura», Gramsci, Croce e il canto decimo dell’Inferno di Alighieri, «Giornale critico della filosofia italiana»,, Spaventa e Gioberti, «Studi storici»,, La presenza di Gramsci nella storiografia filosofica e nella storia della cultura, «Filosofia italiana», Dialettica e società civile. Gramsci “interprete” di Hegel, «Pólemos. Materiali di filosofia e critica sociale», Marx e i marxismi italiani, «Giornale critico della filosofia italiana»,  La “via alla storia” di Ginzburg, in Streghe, sciamani, visionari. In margine a “Storia notturna” di Ginzburg, Cora Presezzi, Viella, Roma, Filosofia e storia della filosofia nella riflessione di Sasso, «Filosofia italiana», Opere Sapienza Roma. Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, su lettere uniroma1. Intervista sulla storia della "Rivista trimestrale" Intervista di Mustè su  Croce del //diacritica/letture-critiche/lo-storicismo-di-croce-e-la-morte-della-metafisica-intervista-a-marcello-muste html. Socrate e Gentile --  Se consideriamo i libri custoditi presso la biblioteca personale di Gio- vanni Gentile, troviamo, a proposito di Socrate, soprattutto opere di autori italiani, con alcuni dei quali da tempo era in corrispondenza: oltre le vecchie versioni di Eugenio Ferrai (Padova 1873-1883), vi figu- rano le edizioni dell’Apologia curate da Francesco Acri (riproposta da Augusto Guzzo nel 1925) e da Manara Valgimigli (Bari 1929); le opere di Giovanni Maria Bertini (fra cui l’edizione di Senofonte), che, come si dirà, avevano occupato la critica di Bertrando Spaventa; quindi i libri che via via, nella prima metà del secolo, erano apparsi in Italia: quelli di Giuseppe Zuccante, che Felice Tocco aveva presentato nel 1909 alla Reale Accademia dei Lincei, poi quelli di Aurelio Covotti, Pietro Mi- gnosi, Antonio Labriola, Antonio Banfi, Adolfo Levi, Vittorio Beonio- Brocchieri1. Ma a proposito di Socrate, Gentile utilizzò anche altri mo- menti della storiografia filosofica italiana, appoggiandosi, per esem- pio, ad alcuni testi dello storico del cristianesimo Alessandro Chiap- pelli e del romanista Carlo Pascal. Se allarghiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, i riferimenti principali rimangono quelli di Eduard Zeller (a cui si era prevalente- mente richiamato Spaventa), ma anche di Theodor Gomperz e di Paul Tannery. Di Zeller, Gentile possedeva i primi due volumi dell’edizione  Mi piace ricordare che la ricerca su libri, opuscoli e periodici posseduti da Gentile 1 può ora essere svolta online sul sito della Biblioteca di Filosofia della Sapienza di Roma, grazie al lavoro di digitalizzazione del catalogo compiuto sotto la direzione del dott. Gaetano Colli: cfr. Colli 2014, 5-30. Anche il catalogo dei corrispondenti dell’archivio di Gentile (custodito presso la “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici” a Villa Mirafiori) è consultabile nel progetto “Archivi on-line” del Senato della Repubblica.  40 LA BANDIERA DI SOCRATE italiana della Filosofia dei Greci curata da Rodolfo Mondolfo (apparsi nel 1932 e nel 1938); e di Tannery conservava la seconda edizione, del 1930, di Pour l’histoire de la science hellène, che la moglie Erminia aveva donato, con dedica, al figlio Giovannino. A Zeller, come si sa, dedicò un ampio necrologio nel 1908, nel quale elogiò la sua opera di storico criticandone tuttavia i princìpi neokantiani2; e avvicinandovi, ap- punto, i nomi di Tannery e quello, «così geniale», di Gomperz3. Pro- prio a Gomperz, d’altra parte, aveva fatto un più che positivo riferi- mento nella prolusione palermitana del 1907 su Il concetto della storia della filosofia, dove parlò di un «concetto equivalente al mio, che nella storia della filosofia si riassuma tutta la storia dell’umanità»4; e, nella lunga recensione che nel 1909 dedicò al Socrate di Giuseppe Zuccante, ne parlò come di «uomo di gusto», sia pure privo del «bernoccolo del filosofo», assumendone soprattutto la critica della testimonianza di Senofonte5. Gentile si trovò di fronte, fin dalla giovinezza, due modelli inter- pretativi, tra loro, per altro, connessi. In primo luogo le pagine che Ber- trando Spaventa aveva dedicate a Socrate, dapprima, nel 1856, discu- tendo sulla “Rivista contemporanea” la memoria torinese di Giovanni Maria Bertini Considerazioni sulla dottrina di Socrate6, poi nel grande corso del 1862 sulla filosofia italiana, dove aveva aggiunto, come ap- pendice, lo Schizzo di una storia della logica, nel quale riprendeva il tema socratico7. Il secondo riferimento è Antonio Labriola, la cui memoria su La dottrina di Socrate era stata ripubblicata da Benedetto Croce nel 1909 per l’editore Laterza. Per quanto, in maniera caratteristica, nel discorso preliminare del 1900 all’edizione degli Scritti filosofici di Spaventa, si limitò a un breve cenno alla discussione con Bertini8, e anche nella Prefazione del 1905 al Gentile 1975a, 159-65. Ibid., 165. Ibid., 122. Gentile 1909, 276. Bertini 1857, 1-35. Ma la memoria, a cui Spaventa si riferisce, era stata presentata nella seduta del 21 dic. 1854. Poi in Bertini 1903, 1-37. Da una lettera a Silvio Spaventa, si apprende che l’articolo di Bertrando era solo il primo di una serie di scritti socratici, che poi non realizzò: cfr. Spaventa 1898, 182-3. La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea, in Spaventa 1972, 619. Gentile 2001, 59.  2 3 4 5 6 7 8  Gentile e Socrate 41 volume Da Socrate a Hegel mancò di entrare nel merito della questione9, è da ritenere, per le ragioni che si vedranno, che l’influenza spaven- tiana pesasse in maniera determinante nella sua prima lettura di So- crate. Nell’articolo del 1856, Spaventa aveva confutato l’interpreta- zione di Bertini, cercando di definire i rapporti, da un lato, tra Socrate e la filosofia antica, e, d’altro lato, tra Socrate e la filosofia moderna. Per tale confutazione, si era appoggiato al capitolo hegeliano delle Le- zioni sulla storia della filosofia e all’opera di Zeller, ma anche, per deter- minare i caratteri generali del pensiero greco, alla traduzione francese di Claude Joseph Tissot della Storia della filosofia di Heinrich Ritter10. Tuttavia, la lettura di Socrate risultò ben diversa da quanto quei libri potevano suggerirgli. Possiamo dire, in breve, che se per Hegel è Par- menide il vero iniziatore della filosofia, perché ha sollevato il pen- siero alla massima astrazione dell’essere11, per Spaventa la filosofia inizia propriamente con Socrate, che ha scoperto la dimensione del “concetto”, superando il naturalismo immediato della precedente vita greca. La critica a Bertini si appuntava su questo aspetto. Per Bertini, di fronte all’attacco dei sofisti, Socrate aveva restaurato l’ethos greco, sal- vandolo dalla dissoluzione. Per Spaventa, le cose andavano diversa- mente. Non solo Socrate non aveva restaurato la vita greca, ma le aveva inferto «il vero colpo di grazia» (La dottrina di Socrate, in Spaventa 1972, 18), ponendo un nuovo principio, quello della «soggettività universale» (ibid., 24): caratterizzata la filosofia presocratica come indistinzione immediata di pensiero ed essere, Socrate aveva inaugurato l’antitesi dei due termini, senza tuttavia trovarne l’unità e la sintesi, e anzi la- sciando al pensiero moderno questo compito ulteriore. I sofisti, dun- que, lungi dall’essere dei distruttori, si presentavano quali profondi innovatori, anche se il loro soggettivismo era piuttosto un individuali- smo, fermo alla dimensione naturale ed empirica dell’individuo. So- crate trasformava, con la dottrina del concetto, questo individualismo in un autentico, universale soggettivismo: «in questo senso» – scriveva Spaventa – «Socrate e Cartesio, che che ne dica il professor Bertini, si rassomigliano» (ibid., 43).  9 Spaventa 1972, 3-9. Parmenide, Hegel 1981, 71-2. 10 Ritter 1835-1836. 11 Cfr. Hegel 1930, 273-83 e Hegel 1932, 40-109. Ma soprattutto, per il riferimento a  42 LA BANDIERA DI SOCRATE Da questo punto di vista, Socrate non appariva affatto come un fi- losofo pratico o morale, ma come un filosofo schiettamente teoretico. Più precisamente, il carattere della sua filosofia veniva indicato in un radicale formalismo. Bisogna prestare attenzione all’uso che Spaventa fece di questa espressione, per certi versi anticipando i temi della sua riforma della dialettica. Formalismo significava che Socrate, scoprendo il principio nuovo della «soggettività universale», lo riconosceva solo nella forma, nell’attività dialogica della ricerca della verità, in quanto presupponeva, alla maniera di tutto il pensiero antico, il contenuto og- gettivo e naturale: se per i moderni, scriveva, la soggettività è non solo «universale» ma «assoluta», «il puro rapporto del pensiero a se stesso», per Socrate «non è già il soggetto che determina l’essere oggettivo, ma l’essenza oggettiva delle cose che determina il soggetto» (ibid., 29). La visione moderna – per cui, come si chiarirà nella riforma della dialet- tica, il pensiero è negazione determinante dell’essere12 – appariva qui rovesciata, nel senso che l’essere si delineava come il cercato, come la verità ideale del soggetto. Questa tesi del formalismo era quella vera- mente decisiva nell’interpretazione di Spaventa, poiché a essa veni- vano ricondotti tutti i temi della riflessione socratica: l’induzione, il dialogo, l’ironia, e poi soprattutto l’ignoranza, interpretata come con- sapevolezza della mancanza di verità del soggetto, quasi come ammis- sione del limite storico della propria posizione. E ancora, l’eudemoni- smo socratico diventava (seguendo qui i Magna moralia) l’assenza del concetto del Bene e, quindi, la sua identificazione con l’utile. Infine, ed è un altro aspetto di rilievo (e qui la fonte era in parte aristotelica in parte hegeliana), mancava in Socrate la psicologia, cioè la cognizione della parte irrazionale dell’individuo, delle passioni: la sua soggettività «universale» non riusciva a cogliere né il contenuto del concetto né la base irrazionale dell’individuo, restando sospesa tra il particolare e l’universale e non potendo intravedere la sintesi e l’unità tra i due momenti, cioè l’autentica realtà e immanenza del concetto13. Nella memoria su La dottrina di Socrate, con la quale vinse, nel 1869, il premio della Regia Accademia di Scienze Morali e Politiche di Na- poli, Labriola non citò mai lo scritto di Spaventa, ma certo ne riprese 12 Si veda per questo aspetto Mustè 2014, 1-28. 13 La dottrina di Socrate, in Spaventa 1972, 56.   Gentile e Socrate 43 almeno un paio di aspetti14. In primo luogo riprese la tesi del formali- smo, a cui dedicò la parte centrale dello scritto e che anzi sviluppò fino alle conseguenze estreme, mostrando come «il suo [di Socrate] sapere è pura esigenza» e «quello che egli cerca deve ancora trovarlo» (La- briola 2014, 593). In secondo luogo, insisté sulla mancanza in Socrate di ogni notizia di psicologia (ibid., 609; 655), con accenti e motivi molto simili a quelli che Spaventa aveva adoperato nella polemica con Ber- tini. Ma certo mutava il quadro complessivo dell’interpretazione, anzi tutto per la scelta, molto radicale, di affidarsi esclusivamente o quasi alla testimonianza di Senofonte, non attribuendo, scriveva, «a Socrate nessun principio, massima, o opinione che non sia, o esplicitamente riferita, o indirettamente accennata da Senofonte» (ibid., 557); poi per il fatto che la tesi spaventiana del formalismo serviva ora a recidere i rapporti tra Socrate e la tradizione filosofica presocratica (ibid., 555), superando il problema stesso che aveva animato la discussione tra Spaventa e Bertini. Per Labriola, Socrate non era affatto un filosofo: «Socrate come semplice filosofo – scriveva – è un parto d’immagina- zione» (ibid., 569); e tanto meno poteva essere considerato come «il creatore del principio della soggettività» (ibid., 584), neanche di una soggettività «universale» come quella di cui Spaventa aveva parlato. Al contrario, la figura di Socrate era ricondotta a due linee fondamen- tali di lettura, tra loro convergenti: da un lato il processo di sviluppo della religione greca, dove Socrate aveva inserito l’idea della divinità «come intelligenza autrice e reggitrice del mondo» (ibid., 563), riu- scendo per questo «a isolare la sfera morale dalla naturale» (ibid., 604); d’altro lato, in relazione agli studi che allora conduceva per «una storia dell’etica greca» (ibid., 589 nota) interpretò Socrate come concreta espressione della crisi della storia greca, come l’emergere di una colli- sione tra forma della tradizione e volontà dell’individuo: per cui, sorge nell’individuo «il bisogno di rifarsi da sé quella certezza» che l’opinione comune ha smarrito, tornando a porre, con l’esercizio del dialogo, le 14 L’interpretazione di Labriola è stata analizzata da G. Cambiano, Il Socrate di Labriola e la storiografia tedesca e da E. Spinelli, Questioni socratiche: tra Labriola, Calogero e Giannantoni che si leggono rispettivamente nel primo e nel terzo volume di Punzo 2006, 31-44 e 755-93, Spinelli ricorda opportunamente un breve quanto penetrante articolo di Gabriele Giannantoni, Il Socrate di Labriola, apparso nel supplemento di “Paese sera” il 14-15 lug. 1961. Tra gli altri studi, mi limito a ricordare Cerasuolo 1987, 559-69, e le lucide osservazioni di Poggi 1981, 14-6.   44 LA BANDIERA DI SOCRATE domande induttive sulla definizione, sul «cosa è» la giustizia, la virtù, la santità. Per certi versi, Labriola seguiva la linea interpretativa di Spa- venta, ma ne modificava la prospettiva, calando Socrate non più nel centro problematico della storia della filosofia ma in quello della vita religiosa e sociale del mondo greco. A prescindere dallo sviluppo peculiare che ebbe nella memoria di Labriola, la tesi spaventiana del formalismo di Socrate restò alla base delle prime riflessioni di Gentile. Già nella tesi di laurea su Rosmini e Gioberti – dove il problema principale, sulle orme di Donato Jaja, era quello dell’intuito, e quindi della profonda differenza tra l’intuito ro- sminiano dell’essere puro e quello, platonico ma soprattutto prove- niente da Malebranche, delle idee determinate e formate (Gentile 1955a, 213) – i riferimenti a Socrate risentono della discussione di Spa- venta con Bertini. Lo si vede, soprattutto, nella nota che inserì per di- scutere la memoria di Aurelio Covotti Per la storia della sofistica greca. Studi sulla filosofia teoretica di Protagora (pubblicata nel 1896 negli “An- nali” della Regia Scuola Normale Superiore di Pisa), dove, criticando le interpretazioni di Wilhelm Halbfass e di Theodor Gomperz, ribadì la necessità di distinguere l’individualismo empirico di Protagora dal soggettivismo di Socrate, pur sottolineando la sua distanza dal kanti- smo, mancando ancora in Socrate «il concetto del pensiero come pro- duttività» (Gentile 1955a, 249-50, nota 1). Una lettura, questa, che trovò poi uno sviluppo più organico nella recensione del 1909 al Socrate di Zuccante, dove criticò «l’interpretazione soggettivistica» di Protagora, che l’autore aveva dato, insistendo piuttosto sul rapporto con Demo- crito: con riferimento a un articolo di Victor Brochard, affermò anzi che la tesi dello storico francese andava «rovesciata», perché non Demo- crito aveva appreso da Protagora i princìpi della gnoseologia sofistica, ma viceversa questo, Protagora, era stato «scolaro» di quello, di Demo- crito (Gentile 1909, 281, nota 1)15. Questo tema del rapporto tra Socrate e Protagora era d’altronde essenziale nell’equilibrio del libro, perché tanto Rosmini che Gioberti avevano appunto confuso i due momenti (l’individualismo e il soggettivismo), lasciando oscillare la figura di Socrate tra Protagora e Platone: «il Gioberti» – spiegava Gentile – 15 Gli articoli di Brochard vennero ristampati in Brochard 1912 (ma si veda la 4° edizione ampliata, Paris 1974, con l’introduzione di Victor Delbos).   Gentile e Socrate 45 «come il Rosmini, non conosce altro soggettivismo che il falso antro- pometrismo protagoreo», e perciò, aggiungeva, si vede costretto a tro- vare in Socrate Platone, «altrimenti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione di Protagora» (Gentile 1909, 258-9). Alla maniera di Spaventa, insomma, il soggettivismo di Socrate non andava confuso né con l’individualismo di Protagora né con la successiva dottrina pla- tonica delle idee. Questo atteggiamento spiega anche la presenza di Socrate nel sag- gio del 1900 su La filosofia della prassi, dove, per dimostrare che Marx aveva assunto il concetto della prassi dall’idealismo, e non dal mate- rialismo, chiamò in causa il «soggettivismo di Socrate», facendo dell’antico filosofo greco il primo idealista, anzi il primo teorico della praxis: perché, spiegava Gentile, Socrate non concepiva la verità come un bene formato da trasmettersi, ma come il risultato di un «personale lavorio inquisitivo», cioè del dialogo e dell’arte maieutica: «il sapere – concludeva – importava per Socrate un’attività produttiva, ed era una soggettiva costruzione, una continua e progressiva prassi» (Gentile 1959a, 72). Altrove scriveva che il merito di Socrate «consiste appunto nel superamento di quella dualità di volontà e intelletto, che è presup- posta così dal determinismo come dal concetto del libero arbitrio»: e arrivava ad affermare che, se avesse approfondito questo aspetto, sa- rebbe stato condotto «al concetto hegeliano dell’unità di libertà e ne- cessità razionale» (Gentile 1909, 286). Di questa singolare definizione di Socrate come primo idealista, Gentile darà una spiegazione, nel 1920, nei Discorsi di religione, quando dirà che, con Socrate, «la filosofia acquista coscienza del suo carattere idealistico», anche se questa co- scienza «si oscurerà tante volte nel corso del suo sviluppo storico» (Gentile 1965, 328): e quasi per dare un esempio di tale oscuramento, ricordava l’«idealismo ancora naturalistico» di Platone e Aristotele, che aveva ricompreso l’intuizione socratica nel realismo del «mondo delle idee» e in quello di «Dio, forma o atto puro, o pensiero del pen- siero» (ibid., 329). Questi primi riferimenti, in larga parte ispirati dalla posizione di Spaventa, cominciarono a complicarsi negli anni appena successivi, quando Gentile iniziò a elaborare la filosofia dell’atto puro, e quindi, bisogna aggiungere, ad approfondire la distanza tra dialettica del pen- sato e dialettica del pensare, tra pensiero antico e pensiero moderno. Un preludio della successiva lettura di Socrate può essere indicato,  46 LA BANDIERA DI SOCRATE d’altronde, nella lunga recensione del 1909 al Socrate di Giuseppe Zuc- cante, dove Gentile, richiamandosi implicitamente (senza mai citarla) alla posizione di Spaventa, chiarì due aspetti fondamentali della pro- pria interpretazione. In primo luogo, in un passaggio di particolare im- portanza, rielaborò e chiarì la tesi del formalismo socratico, definito appunto come la sua «gloria». Scrisse infatti: la verità è che la ricerca socratica è prevalentemente umana, perché l’uomo coi sofisti era venuto al primo piano della speculazione, segna- tamente nella rettorica. E lo stesso tentativo di sollevare a scienza la rettorica, operato dai sofisti, ne mette a nudo l’essenziale formalismo, e fa sentire il bisogno di quella più schietta e più concreta scienza dello spirito, che Socrate persegue col suo motto divino: conosci te stesso. Qui è la radice dell’unità [...] del suo interesse speculativo, teorico, e del suo interesse morale, pratico: qui anche la radice del formalismo spe- culativo e morale, a cui s’arresta lo stesso Socrate. Il quale supera la forma rettorica con l’affermazione del contenuto della rettorica (giusto, ingiusto ecc.): ma di questo contenuto non definisce altro che la forma: il concetto come universale, non intravveduto da nessuno dei filosofi precedenti: il concetto di ogni cosa (logica) e il concetto stesso del giusto (morale). In che consiste il valore di questa scoperta, che è la gloria di Socrate (Gentile 1909, 284). In secondo luogo, stabilito il senso del formalismo socratico, Gen- tile chiariva il significato della scoperta logica di Socrate, affermando che si trattava non solo, e non tanto, della scoperta del concetto, ma del «concetto del concetto», della «essenza dello spirito»: se i filosofi prece- denti sempre avevano adoperato concetto e definizione, ora Socrate sollevava il pensare a «pensiero del pensiero», conferendo agli uomini una «seconda vista», quella della schietta universalità (ibid., 285). Gra- zie a Socrate, il pensiero diventava, per la prima volta, oggetto di sé stesso, sostituendosi all’orizzonte della natura: e questo, oltre quello più limitativo dell’assenza di un contenuto assoluto, era il carattere del suo formalismo, inteso appunto come considerazione della forma logica in sé stessa. Negli scritti di questo periodo, l’accento cominciava a battere con più forza sulla continuità tra Platone e Aristotele, perché – scriveva – «con Aristotele [non] si fa un passo avanti» rispetto al metodo trascen- dente di Platone (Gentile 1975a, 202). Non solo infatti, come precisò  Gentile e Socrate 47 nella prolusione palermitana del 1907 su Il concetto della storia della filo- sofia, Platone aveva «trasformato» il concetto socratico in «idee eterne e immobili, puro oggetto della mente» (ibid., 113); ma iniziò a riportare la filosofia di Platone alla fonte eraclitea e soprattutto a quella parme- nidea, che ai suoi occhi costituiva il vero approdo del Teeteto e del So- fista: «Platone» – scriveva – «non vide mai altro che l’essere immobile e realmente immoltiplicabile, tal quale l’essere (fisico) degli Eleati. Qui si doveva arrestare una filosofia ignara della natura dello spirito» (ibid., 201, nota 1). Più che Socrate, dunque, la filosofia di Platone in- contrava, con la teoria delle idee, l’essere di Parmenide, superando in esso anche la primitiva lezione di Cratilo. Fu nel primo volume del Sommario di pedagogia (dunque nel 1912) che il giudizio su Socrate cominciò ad assestarsi. Gentile vi si soffermò in due diverse parti dell’opera: in primo luogo, nella sezione su L’uomo, a proposito dei concetti; in secondo luogo, nella parte terza, su Le forme dell’educazione. Il capitolo che dedicò al «merito di Socrate sco- pritore del concetto» finì per risultare piuttosto singolare. Riconobbe a Socrate il «merito straordinario» di avere affermato «il carattere uni- versale del vero» (Gentile 1982, 71); ma subito aggiunse che quel con- cetto non era poi il vero concetto, il conceptus sui, ma una forma che, conseguita per via induttiva, con «un processo di generalizzazione», era piuttosto irreale, astratta, lontana dalla concreta determinazione del mondo: offrì insomma del concetto socratico una lettura singolar- mente negativa, quasi rappresentandolo nella figura degli pseudocon- cetti o finzioni che, nella Logica e nella Filosofia della pratica, Croce aveva teorizzato. Di più, in un capitolo successivo, affermò che il concetto socratico, «base dell’erronea teoria platonica e aristotelica del con- cetto» (ibid., 81), presupponeva la scissione tra teoria e pratica: ne- gando dunque a Socrate proprio quel merito che, come abbiamo osser- vato, gli aveva riconosciuto nel saggio su La filosofia della prassi. La considerazione trovava uno sviluppo rilevante, come si diceva, nella terza parte dell’opera, dove Gentile poneva la figura di Socrate all’origine del concetto di «educazione negativa», collocandolo sulla stessa linea che, nell’epoca moderna, avrebbe prodotto la «possente» opera di Rousseau. A questo principio dell’educazione negativa, Gen- tile tornava a rivolgere un elogio, perché capace di implicare «l’imma- nenza del divino nell’uomo» (ibid., 198) e dunque di anticipare lo spi- rito di libertà di Rousseau: ma anche qui osservava che Platone aveva  48 LA BANDIERA DI SOCRATE convertito la maieutica socratica in un innatismo delle idee, come un ritorno dell’anima «a quella pura cognizione originaria che ella si reca in sé dalla nascita» (ibid., 200). Una critica, d’altronde, che si legava all’idea, sostenuta ancora nei Discorsi di religione, secondo cui il pen- siero antico non poté mai accedere al problema morale, perché privo del principio stesso della volontà (Gentile 1965, 357-60). In tutta la prima fase della sua riflessione, Gentile tenne fermo il Socrate di Spaventa, cioè la tesi del formalismo e della scoperta della soggettività universale, via via innestandovi i motivi essenziali nella propria filosofia: così, nell’Introduzione alla filosofia (1933) parlerà di So- crate come del «primo grande martire degl’interessi più profondi dell’uomo e della sua nobiltà e grandezza» (Gentile 1981, 7), come di colui che, con il Nosce te ipsum, aveva vinto l’antico naturalismo e sco- perto la «concezione umanistica del mondo»; e nella più tarda Filosofia dell’arte (1943) arriverà a svolgere il motivo spaventiano (e labrioliano) della mancanza di una psicologia in Socrate nella tesi, ben più radicale, dell’assenza del sentimento e, in generale, del principio dell’arte in tutto il pensiero antico (Gentile 1975b, 144-5 e 306). Ma la trasforma- zione essenziale e decisiva avvenne certamente nelle opere più siste- matiche dell’attualismo, in modo particolare nel Sistema di logica, quando Socrate, come ora vedremo, acquistò il volto più complesso di fondatore del logo astratto: che era uno svolgimento dell’idea, comun- que presente in Spaventa, che proprio in lui, in Socrate, e non in Par- menide e nei filosofi presocratici, andava indicato l’autentico inizio della filosofia occidentale. Nella Teoria generale (1916), dove il problema fondamentale era quello dell’individuo e dell’individualità, si faceva più nitido il quadro dell’intero sviluppo della filosofia greca, ponendo al centro del natu- ralismo quella che definì «la disperata posizione di Parmenide» (Gen- tile 1959b, 107), quintessenza dell’intero mondo mitico e presocratico e carattere della «seconda natura» delle idee, stabilita da Platone. Tra Parmenide e Platone, Socrate appariva come colui che aveva operato «la netta distinzione tra genere e individuo» (ibid., 59), non riuscendo certo a trovare la sintesi tra i due momenti, ma lasciando aperta, con il suo formalismo, tanto la via platonica tanto quella aristotelica. Di fronte a entrambi, a Parmenide e a Platone, Socrate era delineato come colui che «scopre il concetto come unità in cui concorre la va- rietà delle opinioni» (ibid., 106): affermazione di grande significato,  Gentile e Socrate 49 perché, almeno in senso formale, indica una rottura dell’intero natu- ralismo antico, un presagio – se così può dirsi – della sintesi e della vera individualità, che solo il pensiero moderno, osservando il con- cetto come conceptus sui e come autocoscienza, arriverà, dopo il cri- stianesimo, a compiere. Però, come si diceva, solo nei due volumi del Sistema di logica, il primo del 1917 e il secondo del 1921, la figura di Socrate acquistò una nuova luce e un più preciso significato, all’interno della dialettica del logo astratto e del logo concreto. Possiamo dire che il punto centrale della considerazione delle forme storiche del logo astratto è proprio il passaggio da Parmenide a Socrate, che è poi il passaggio dal naturali- smo antico alla logica del pensiero pensato, inteso come momento eterno e insuperabile del logo. Il punto socratico è quello fondamen- tale, se non altro perché, superando la posizione, disperata e assurda, di Parmenide, Socrate pone, nel concetto universale, l’intero circolo del pensiero antico, che in Platone (con la teoria della divisione) e in Ari- stotele (con la teoria del sillogismo) troverà solo uno sviluppo coerente e un adeguamento. All’altezza della dottrina del logo astratto, Gentile segnava con meno forza, rispetto ai testi precedenti, il distacco tra So- crate e Platone, ma indicava con molta più forza la differenza tra So- crate e Parmenide. È vero che, in un passaggio non privo di ambiguità, disse che Parmenide rappresentava «il fondatore [...] della logica dell’astratto», colui che «per primo cominciò a intendere in tutto il suo rigore il concetto del logo quale presupposto del pensiero» (Gentile 1955b, 147). Ma subito precisò che tale fondazione del logo era in verità una negazione del pensiero, perché il suo essere, privo di determina- zione e di differenza, è in realtà mancanza di pensiero, il nulla del pen- siero, il semplice immediato: e per Gentile, così come per Spaventa, non è l’essere di Parmenide a segnare l’inizio della logica, come acca- deva in Hegel, ma il concetto universale di Socrate. È con Socrate in- fatti, come ripete più volte (concordando, per altro, con quanto Croce aveva sostenuto nella Logica)16, che «nasce formalmente la scienza della logica» (Gentile 1955b, 153), che viene posto non «l’immediato essere astratto», ma la «mediazione», il «rapporto tra soggetto definito e predicato onde si definisce», per cui, concludeva, «l’astratta identità dell’essere naturale di Parmenide e di Democrito qui è vinta». E altrove  16 Croce 1981, 302-3.  50 LA BANDIERA DI SOCRATE chiariva: «la logica comincia propriamente con Socrate, quando l’es- sere spezza la dura crosta primitiva della immediatezza naturale, in cui s’era fissato nelle concezioni degli Eleati e degli Atomisti, e si me- dia nella forma più elementare possibile del pensiero: identità che sia unità di differenze» (ibid., 169). Nel concetto socratico, nella definizione, è già tutta la logica antica, che troverà nella dialettica platonica e nel sillogismo aristotelico solo uno sviluppo necessario. Più precisamente, Socrate diventa, nel Si- stema di logica, il fondatore della logica dell’astratto, che non si esprime più nell’assurda immediatezza di A (essere naturale), ma nel rapporto A=A, che indica il principio d’identità e l’intero «circolo chiuso», come lo definì, del logo astratto: rapporto che è già rapporto di pensiero, perché il primo A si distingue dal secondo A, generando la figura del giudizio, sia pure di un giudizio analitico e definitorio. Così, il passag- gio (che impegnò il secondo volume dell’opera) dal logo astratto al logo concreto indicava anche il merito e il limite della posizione socra- tica, il suo elogio e la sua critica: perché il «circolo chiuso» che Socrate aveva fondato, immettendo l’uomo nella regione del pensiero, era pur sempre un circolo, una mediazione e un movimento, e perciò inclu- deva, sia pure in maniera inconsapevole, il riferimento del pensato al pensare, dell’astratto al concreto. Lo includeva, come spiegò, nella forma «mitica» di tutto il pensiero antico, non ancora come «pensa- mento del logo astratto nel concreto», ma viceversa come «pensamento del logo concreto nell’astratto» (Gentile 1942, 178). La lettura del momento socratico sembrava così compiuta nei ter- mini fondamentali. Ma negli ultimi mesi della sua vita, Gentile delineò una intera storia della filosofia, che doveva fare parte della collana «La civiltà europea» della casa Sansoni, e di cui riuscì a scrivere solo la prima parte, fino a Platone. Di questa opera, che è stata pubblicata nel 1964 a cura di Vito A. Bellezza, ci rimane, tra le carte del filosofo, l’in- dice dell’intero lavoro (che si sarebbe dovuto concludere con la consi- derazione di Varisco, Martinetti, Croce e Gentile stesso) e il mano- scritto di un «prospetto» che si riferisce alla parte successiva e non scritta sulla filosofia antica, fino alla sezione terza, che avrebbe dovuto occuparsi di epicurei, stoici, scettici, accademici e neoplatonici17. 17 Archivio della “Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi Filosofici”, manoscritti pubblicati (1964-1967).   Gentile e Socrate 51 In questo ultimo scritto sulla filosofia antica, Socrate diventava ve- ramente il centro dell’intera considerazione, lo snodo decisivo tra na- turalismo e metafisica. Più chiara e conseguente risultava, in primo luogo, la ricostruzione della filosofia presocratica. Le due figure prin- cipali di questa epoca, Parmenide ed Eraclito, rappresentavano due aspetti complementari della medesima intuizione della natura e del cosmo, priva della luce del pensiero: nell’essere di Parmenide, che è lo stesso fuoco di Eraclito fermato nel suo eterno ardere, si riassume il peccato capitale della prima filosofia greca, che ora Gentile definiva come «misticismo» (Gentile 1964, 68), come «intellettualismo» e «for- malismo» (ibid., 74), cioè – spiegava – come il primo esempio di una filosofia «che fa lavorare il cervello, ma lascia, si può dire, vuoto e inerte il cuore». E tutto il successivo atomismo, soprattutto in Demo- crito, gli appariva come l’esito naturale di tale originaria assenza del pensiero, che finì, come doveva finire, nel «pretto materialismo», dove «il pensiero è identico alla sensazione» (ibid., 91). S’intende perché, nella linea che già era stata di Spaventa, Gentile riservasse parole di elogio alla sofistica: a Protagora, come a colui che scopre «il tarlo se- greto che rode questo essere a cui pur tutto, per chi pensa e ragiona, si riduce» (ibid., 97-8), e che costituisce, dunque, tanto l’autocritica in- terna quanto il logico compimento del naturalismo eleatico; e soprat- tutto a Gorgia, che scopre «la potenza della parola», di quell’elemento attivo e umano che l’essere di Parmenide non poteva includere né spie- gare: una potenza, quella della parola, che rappresenta l’emergere di un nuovo mondo, di cui «non siamo più soltanto gli spettatori, ma vi facciamo da attori» (ibid., 111). Sono i sofisti, perciò, che «preparano Socrate e tutta la filosofia del logo che ne deriva», che «rendono possibile la scoperta di questo nuovo mondo» (ibid., 98). E il capitolo su Socrate, come si diceva, co- stituisce il cuore di tutta l’interpretazione che qui Gentile proponeva del pensiero antico. A differenza di Labriola, anzi tutto, e in parte an- che di Spaventa, Gentile mostrava di privilegiare nettamente il Socrate di Aristotele, considerando inattendibile la descrizione di Senofonte, che ne fa «un troppo bonario e grossolano pensatore», e in fondo anche quella di Platone, che nei dialoghi presenta «un Socrate idealizzato e platonizzante» (ibid., 120): «il Socrate storico – scriveva – non è il So- crate platonico» (ibid., 122). «Più attendibile» dunque Aristotele, pur  52 LA BANDIERA DI SOCRATE «ne’ suoi cenni sommari» (ibid., 120), perché in Aristotele emerge- rebbe la vera fisionomia di Socrate, autore di una sola ma fondamen- tale scoperta, quella del concetto, o meglio della definizione e del giu- dizio, cioè del pensiero: non il termine, ma il giudizio, «quel giudizio che come atto del pensiero rivolto all’essere naturale Parmenide e i seguaci suoi avevano dimostrato impossibile» (ibid., 134). Così So- crate compie il «passo gigantesco», «trova il pensiero», e «il pensiero, per la prima volta, si viene a trovare alla presenza di se stesso: di se stesso nell’oggetto che può conoscere, e conosce» (ibid., 135). Per questo, e solo per questo, Socrate rimane per sempre «il modello da imitare» per ogni filosofo successivo, come «una delle incarnazioni più splendide dell’ideale umano, se umanità vuol dire, come vide So- crate, pensiero» (ibid., 137). La preferenza che Gentile accordava alla fonte aristotelica derivava, d’altronde, da un lungo percorso, che aveva trovato nella discussione del 1909 con Zuccante un punto di particolare chiarezza. In quella oc- casione, appoggiandosi ad alcune analisi di Gomperz e soprattutto di Joël, aveva definito i Memorabili come l’opera «più sciagurata uscita dalla penna di Senofonte: pesante, monotona, tutta infarcita di banalità e di vere caricature dello spiritoso e malizioso dialogo socratico» (Gen- tile 1909, 276), soprattutto per la tendenza ad attribuire a Socrate «una specie di prammatismo», eliminando quell’elemento «logicistico» che per Gentile ne costituiva, invece, il tratto saliente (ibid., 284). Di conse- guenza, aveva rifiutato l’intera impostazione di Labriola, che aveva as- sunto il «Socrate senofonteo» come la pietra di paragone di ogni altra testimonianza (ibid., 286)18. Non si può tacere che, in tale uso delle fonti, si celava una certa tendenziosità e forse qualche equivoco. Anzi tutto, come è facile osservare, il richiamo ad Aristotele era, in verità, un riferimento quasi esclusivo ai passi della Metafisica su Socrate come «fondatore della filosofia concettuale» e «scopritore dell’universale» (Maier 1943, 95), con una larga sottovalutazione di quanto, nella fonte aristotelica, rinviava alle dottrine etiche e morali. Anche la contrappo- sizione fra la testimonianza aristotelica e quella senofontea, seppure giustificata da un dibattito interpretativo allora in corso (si pensi alle 18 Si ricordino, a questo proposito (soprattutto con riferimento a Labriola, il cui scritto è definito «il migliore studio italiano sull’argomento», e a Joël), le osservazioni di Guido Calogero nella voce Socrate del 1936 dell’Enciclopedia italiana.   Gentile e Socrate 53 diverse letture di August Döring e di Karl Joël), trascurava i possibili legami che alcuni autori, come Heinrich Maier o Georg Busolt, ave- vano stabilito tra i passi socratici di Aristotele e i Memorabili senofon- tei19. Si trattava, insomma, di una semplificazione del ben più arduo problema delle fonti socratiche, ma di una semplificazione necessaria affinché, nel discorso di Gentile sulla filosofia antica, emergesse in piena luce il posto assegnato a Socrate, come iniziatore della logica e superatore del precedente naturalismo. Dunque Socrate appariva, nelle pagine che ora Gentile vi dedicava, come la rappresentazione vivente della scoperta del concetto come giudizio, e a questo principio del logo andavano ricondotti tutti gli aspetti della biografia. Socrate fu, pertanto, «il maggiore dei Sofisti» (Gentile 1964, 122), perché convertì la parola di Gorgia nella nuova «fede nel pensiero», restituendo a quel mondo umano, che pure i sofi- sti, con la loro opera distruttiva, avevano scoperto, il pregio dell’uni- versalità e della verità. Questo era il senso dell’ironia e del dialogo: il dialogo, possiamo dire, si superava nel logo, e si risolveva in esso, per- ché, come aveva chiarito Platone nel Teeteto, era in verità un monologo, «un interno dialogare della mente con se stessa» (ibid., 170), dove il concetto unico e universale costituiva il presupposto e la mèta, l’inizio e la fine, dentro cui i dialoganti, lungi dal distinguersi, si unificavano come simboli di un solo ritmo logico. Certo Gentile riprendeva lette- ralmente l’indicazione spaventiana del «formalismo socratico» (ibid., 123), ma in certo modo, come ora vedremo, ne metteva piuttosto in rilievo l’aspetto positivo, schiettamente logico, rispetto alla costru- zione successiva di una metafisica, culminante nell’opera di Platone. «Formalismo» significava, perciò, visione formale del concetto e del giudizio, fede nella forma del pensiero, non ancora fissato in un tra- scendente mondo delle idee. Per molte ragioni non potrebbe dirsi che Gentile trasformasse la fi- gura di Socrate in quella di un precursore dell’attualismo, come per esempio era accaduto, a proposito di Gesù di Nazareth, ad Adolfo Omodeo o a Guido De Ruggiero: la sua prosa si manteneva più sobria, 19 Si ricordi la netta affermazione del Maier, che risale all’edizione di Tubinga del 1913 del Sokrates: «debbo confessare che mi riesce incomprensibile come mai si siano potute dare tanta importanza e tanta fiducia alle sue [di Aristotele] scarse osservazioni» (Maier 1943, 81).   54 LA BANDIERA DI SOCRATE controllata, ma certamente tendeva ad assegnare a Socrate un valore unico in tutto l’orizzonte della filosofia antica20. Il «formalismo» indi- cava un merito, non un difetto. E in tutto il capitolo sull’«essere come concetto», ne sottolineò l’importanza, senza mai indicare il limite della visione socratica. Limite che emerse piuttosto nelle pagine successive, quelle sull’«essere come idea», dove, per spiegare il passaggio a Pla- tone, accennò pure al «problema centrale di Socrate», consistente nel «dualismo da vincere» tra il mondo umano e il mondo naturale, tra il concetto e l’esperienza, perché – scriveva – Socrate «non aveva saputo dir nulla di quella natura che ci sta davanti, in cui si nasce, si vive e si muore, e con cui all’uomo che pensa per concetti rimane pur sempre da fare i conti» (Gentile 1964, 162-3). Era necessario segnare il limite di Socrate, per offrire una spiegazione del passaggio successivo, quando il suo «formalismo» ripiegò in una compiuta metafisica, tornando di fatto al naturalismo e al mito eleatico dell’essere immutabile. E il lungo capitolo sull’«essere come idea», che copre quasi la metà della parte scritta dell’opera, costituisce in effetti una delle pagine più importanti, e in fondo drammatiche, che Gentile abbia composto negli ultimi giorni della sua vita. Parlò di «un nuovo abisso» (ibid., 191) che si de- lineava tra Socrate e Platone, come quello che aveva diviso la filosofia umana di Socrate da quella naturalistica che lo aveva preceduto; e ne preparò l’analisi con una sottile considerazione delle scuole socrati- che minori, culminante nella figura di Euclide, che «proveniva dall’eleatismo» e che per primo, inaugurando l’opera che sarà di Pla- tone, «trasferiva il concetto o universale socratico dalla mente dell’uomo nella realtà in sé» (ibid., 158). Di fronte al dualismo irri- solto di Socrate, tornava, fin da Aristippo o Teodoro, il vento gelido della vecchia cultura, che riempiva il «formalismo» di un contenuto antico, quello della natura, della trascendenza, del realismo. Platone stesso, in fondo, compì questa opera necessaria, appoggiandosi ai suoi veri maestri, l’«eracliteo Cratilo» (ibid., 163) e Parmenide, e ab- batté «la barriera tra l’umano e il divino», innalzandovi sopra quell’edificio possente che è la metafisica (ibid., 192-3). 20 All’analogia tra Socrate e Gesù, Gentile aveva fatto riferimento nella recensione a G. Zuccante, Socrate. Fonti, ambiente, vita, dottrina (Gentile 1909, 278). Per Adolfo Omodeo, il rinvio è a Omodeo 1913; per Guido De Ruggiero, al primo volume di De Ruggiero 1920.   Gentile e Socrate 55 Quando, in una decina di pagine di forte intensità, entrò all’interno di questo meccanismo, e cercò di spiegare con più precisione il passag- gio che si era consumato dal formalismo di Socrate alla metafisica di Platone, Gentile non mancò di osservare che la «soluzione» che la dot- trina delle idee aveva dato al «problema» di Socrate (ibid., 227), unifi- cando ciò che nel maestro si conservava diviso, era in fondo fallimen- tare, perché metteva capo a un nuovo e più duro dualismo, quello che si apriva tra eraclitismo ed eleatismo: due anime – scrisse – inconciliabili: né Platone riuscì più a mettere una a tacere, come in qualche modo erano riusciti a fare Parmenide ed Era- clito e lo stesso Socrate. [...] Il poderoso sforzo da lui tentato di strin- gere insieme le due opposte esigenze pur nella forza indomabile dell’energia con cui esse reciprocamente si escludono, non potrà non fallire (ibid., 226-7). La vicenda post-socratica delineava dunque la storia di un falli- mento; e di un fallimento, bisogna aggiungere, che aveva un prezzo elevato per la filosofia: perché l’idea di Platone altro non era che l’es- sere di Parmenide («dire idea – scriveva – è lo stesso che dire essere»; ibid., 220) e il dialogo, che Socrate aveva coltivato come ricerca sogget- tiva della verità, si irretiva nella dialettica oggettiva delle idee trascen- denti, dell’essere, nella «dialettica consistente nella relazione che hanno le idee in se stesse», in «dialettica oggettiva, che è norma e fine della soggettiva» (ibid., 221). Gentile parlava bensì di conquista del pensiero platonico, di progresso, ma in tutta la sua pagina circolava l’impressione del regresso e della decadenza, del passo indietro, della chiusura metafisica. Impressione che si fece nitida nel brano in cui, mettendo a diretto confronto i due filosofi, Socrate e Platone, affermò che il primo, di fronte all’antico naturalismo, aveva scoperto il pen- siero come «relazione», «soggetto, predicato e loro relazione», mentre l’altro quella relazione aveva ricondotta «in un’idea suprema», unica e universale, e perciò l’aveva annientata e assorbita nell’ordine ogget- tivo dell’essere che nega e dissolve il pensiero: «quest’idea – spiegava – pel fatto stesso che totalizza la relazione, l’annienta; perché l’idea delle idee, essendo unica, è irrelativa». E dunque metteva capo all’«unità massiccia, immota, morta, che è tutto un blocco, da prendere  56 LA BANDIERA DI SOCRATE o lasciare. Proprio come l’Essere eleatico. Pare pensiero, e non è» (ibid., 222-3). Che era una critica della metafisica platonica e, al tempo stesso, il più alto riconoscimento a Socrate: il quale restava, così, al centro di questa storia, come una possibilità inesplosa dell’antico, che solo il pensiero moderno, dopo il cristianesimo, avrebbe ripreso e realizzato. Nota bibliografica BERTINI, GIOVANNI MARIA, “Considerazioni sulla dottrina di Socrate.” Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, serie II, 16 (1857): 1-35. - Opere varie. Biella: Amosso, 1903. CERASUOLO, SALVATORE, “Il “Socrate” di Antonio Labriola.” In La cul- tura classica a Napoli nell’Ottocento, 559-69. Napoli: Pubblicazioni del Dipartimento di Filologia Classica dell’Università degli Studi di Napoli, 1987. BROCHARD, VICTOR CHARLES LOUIS, Études de philosophie ancienne et de philosophie moderne. Paris: Alcan, 1912. 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Keywords: la filosofia dell’idealismo italiano, popolarismo, governo federativo, democrazia, kratos – natoli, il potere – un concetto di kratos – dirrito, il principio politico, liberalismo, partito liberale italiano, comunismo,  il libero economico, il libero etico, libero politico, ri-sorgimento italiano, liberta del volere, “Gentile e Socrrate” -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mustè” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51741642252/in/datetaken/

 

Grice e Nannini – i corpi animati – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo. Grice: “Nannini has intuitions in Italian.” Grice: “I agree with Nannini about the naturalism: the ‘anima’ is there to ‘explain’ ‘spiegare’ the action, ‘l’azione’ – He is the Italian Muybridge!” – Grice: “The Nannini series is the equivalent of the Muybridge series” Studia a Firenze con Luporini e Landucci e, inizialmente, con Cesare Luporini. Ha accompagnato la sua attività di ricerca in campo filosofico ed i suoi impegni accademici con una intensa attività politica a Siena come militante del Partito Comunista Italiano. È stato Professore di Filosofia Morale all'Urbino (1986-1992) e di Filosofia Teoretica all’Università Siena (1992-), dove ha insegnato per alcuni anni anche filosofia della mente ed è stato principale cofondatore e direttore di una scuola di dottorato interdisciplinare in Scienze Cognitive. È stato inoltre più volte, dal 1989 al, visiting professor presso le Osnabrück, North London, Bremen e Oldenburg. Attualmente in pensione, è ancora pro tempore Docente Senior presso l’Siena e dal  è direttore di Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia (RiFP).  I suoi studi giovanili si sono incentrati sulla filosofia delle scienze sociali, lo strutturalismo francese e la storia del pensiero antropologico. Successivamente, rivoltosi alla filosofia analitica ed in particolare alla teoria dell’azione, ha cercato di sviluppare il “naturalismo metodologico” criticando il ritorno di neo-wittgesteiniani come G.H. von Wright alla distinzione storicistica tra scienze della natura e scienze dello spirito. Sempre muovendosi entro la filosofia analitica, ma rivolgendo il proprio interesse alla filosofia pratica, ha difeso il non cognitivismo in meta-etica. A partire dagli anni Novanta Professoresi è infine spostato dalla teoria dell’azione alla filosofia della mente. In una prima fase si è occupato soprattutto della storia del concetto di mente, per approdare dopo il 2000 ad una forma di naturalismo cognitivo basata su una soluzione fisicalistico-eliminativistica del problema mente-corpo.  Saggi: “Il pensiero simbolico” (Bologna, Il Mulino); “Cause e ragioni” -- Modelli di spiegazione delle azioni” umane nella filosofia analitica” (Roma, Riuniti); “Il Fanatico e l'Arcangelo” -- Saggi di filosofia analitica pratica, Siena, Protagon. “L'anima e il corpo” --  Una introduzione storica alla filosofia dell’animo, Roma, Laterza; “Naturalismo” cognitivo: Per una “teoria materialistica” dell’animo, Macerata, Quodlibet, “La Nottola di Minerva” -- Storie e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo” (Milano, Mimesis);“Educazione, individuo e società” Torino, Loescher ), L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena), SeB Editori. Saggi, Freud e l'antropologia, in La Cultura. Rivista di Filosofia, Letteratura e Storia, “ Il materialismo “primario”, in, Il pensiero di Luporini” ( Milano, Feltrinelli); “L'anomalia dell’animo «Rivista di filosofia», Corpi animati, nel dibattito contemporaneo, in  L’animo, Milano, Mondadori, I corpi animati e e società nel naturalismo forte, nella Civiltà delle Macchine», Realismo scientifico e ontologia materialistica, in «Giornale di metafisica»,  Nicolaci G., Perone U., Ontologia e metafisica, Il concetto di verità in una prospettiva naturalistica, in Amoretti M.C., Marsonet M., Conoscenza e verità” (Milano, Giuffré); “L’Io come Direttore Assente” (in Cardella V., Bruni D., Cervello, linguaggio, società: Atti del Convegno di Scienze Cognitive, Roma, CORISCO, Orologi, animo e cervello: Riflessioni preliminari su tempo reale e tempo fenomenico tra fisica teorica e filosofia dell’animo, in Amoretti M.C., Natura umana, natura artificiale” (Milano, Angeli); Rappresentazioni naturalizzate, in «Sistemi intelligenti», Kant e le scienze cognitive sulla natura dell’Io, in Amoroso L., Ferrarin A., La Rocca C., Critica della ragione e forme dell'esperienza’ (Pisa, Edizioni ETS); Realismo scientifico e naturalismo cognitivo, La coscienza può essere naturalizzata?, in Nannini S., Zeppi A., L’animo può essere naturalizzata?, Colle di Val D’Elsa (Siena), SeB Editori,  In-conscio, co-scienza e intenzioni nel naturalismo cognitivo, in «Sistemi intelligenti», La svolta cognitiva in filosofia, in «Reti, saperi, linguaggi: Naturalismo cognitivo: Per una teoria materialistica dell’animo, Quodlibet,  Sandro Nannini, La Nottola di Minerva: Storie e dialoghi fantastici sulla filosofia dell’animo, Mimesis. Nannini. Keywords: corpi animati, l’interazione dei corpi animati, l’ego come direttore assente, freud e il nos come dirretori assenti --. Luigi Speranza: “Grice e Nannini: il santo, l’eroe, il fanatico, l’arcangelo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702118872/in/photolist-2mLJSEC

 

Grice e Nardi – dantesco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Spianate di Altopascio). Filosofo. Grice: “The Italians are fortunate: with Alighieri they can philosophise about him!” Primogenito di una famiglia benestante, composta di nove figli, viene avviato sin dalla tenera età alla carriera ecclesiastica. Nel 1896 entra nel collegio dei frati francescani a Buggiano e nel 1900, a sedici anni, diventa chierico, assumendo il nome di frate Angelo. Uscì dal convento di Buggiano perché non aveva intenzione di continuare nella vita religiosa, avendone perduta la vocazione. Proseguì gli studi di filosofia e teologia frequentando il convento di Sant'Agostino di Nicosia in provincia di Pisa. Volendo proseguire gli studi, i genitori gli indicarono un'unica strada, quella di entrare in seminario e diventare prete. Nel 1902 Nardi venne ammesso al seminario di Pescia e il 4 marzo 1907 diventò sacerdote. Qui si avvicinò fugacemente al movimento Modernista, condannato da papa Pio X con l'Enciclica Pascendi.  Nel 1908 Nardi sostenne l'esame di concorso per una borsa di studio triennale conferita dall'opera Pia Galeotti di Pescia al fine di frequentare un corso di perfezionamento filosofico presso l'Università Cattolica di Lovanio (Belgio). Nel 1909 Nardi aveva da poco iniziato a frequentare l'Università Cattolica di Lovanio che già decise l'argomento della sua tesi di laurea Sigieri di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Dante, che venne discussa con Maurice De Wulf. La lettura dell'opera di Pierre Mandonnet, nella parte dedicata a Sigieri, non persuadeva Nardi sulla soluzione data al problema della presenza di questo averroista nel Paradiso dantesco. Due pregiudizi la inficiavano: il primo “consisteva in un'inesatta visione storica di quello che nel Medio Evo e nel Rinascimento era stato l'averroismo. Il secondo pregiudizio del Mandonnet era quello di ritenere il pensiero filosofico di Dante conforme in tutto e per tutto a quello di San Tommaso." Nel momento in cui Nardi entrava a Lovanio abbandonò il modernismo teologico, ma non abbracciò la filosofia neo-scolastica che quella Università belga stava elaborando. Non aveva senso per lui ripetere, sul finire dell'Ottocento, nell'epoca del positivismo, l'operazione culturale di San Tommaso che prevedeva l'unificazione di fede e ragione.  Il metodo di lavoro che Nardi seguì nel corso della sua vicenda di studioso e ricercatore, rimase sempre improntato al massimo rigore filosofico, risentendo come una traccia indelebile dell'esperienza di Lovanio, dove dovette affrontare studi scientifici. Per Nardi l'interpretazione del testo coincide con la libertà, ma tale atto libero non può attivarsi senza uno scrupoloso lavoro di scavo e ricerca del materiale documentario, l'esatta interpretazione filosofica dei testi.  Ottenuta un'ulteriore borsa di studio dall'Opera Pia di Pescia frequenta corsi di filosofia a Vienna, Berlino, Bonn. Oltre alla pubblicazione della propria tesi su Sigieri nella “Rivista di filosofia neo-scolastica”, Nardi vi pubblicò altri interventi spesso critici con la linea editoriale del periodico. scritto ai corsi dell'Istituto di Studi Superiori di Firenze perché voleva riconoscere in Italia la sua laurea in filosofia conseguita a Lovanio. A Firenze discuterà la tesi di laurea in filosofia dedicata alla figura del medico e filosofo padovano Pietro d'Abano. Collaborava alla “Voce”, rivista fondata da Giuseppe Prezzolini con il quale mantenne per lunghi anni una fitta corrispondenza.  Nell'autunno 1914 Nardi volle abbandonare il sacerdozio. In una successiva lettera del 1941 indirizzata al vescovo Angelo Simonetti, spiegava che era stato l'ambiente familiare a spingerlo nel 1907 a chiedere la sacra ordinazione, con preghiere e minacce. Di trasferì a Mantova per insegnare filosofia presso il liceo classico Virgilio, dove vi restò fino al quando si trasferì a Milano. Ha da Giovanni Gentile un incarico per l'insegnamento della filosofia medievale presso la facoltà di lettere dell'Roma. Tuttavia non ottenne la cattedra universitaria (se non dopo molti anni), a causa dell'art. 5 del Concordato in base al quale la curia romana escludeva i sacerdoti secolarizzati dall’insegnamento. Gli fu assegnata la “Penna D’Oro” dal presidente del Consiglio Fernando Tambroni. Nel 1962 gli fu conferita la laurea honoris causa da parte dell’Padova e da parte di quella di Oxford.  Le opere e gli studi su Alighieri si è dedicato instancabilmente per di più in mezzo secolo allo studio del pensiero di Dante, anche quando si occupava di Virgilio, di Sigieri di Brabante, di Pietro Pomponazzi. Nardi ha saputo mettere in discussione schemi consolidati, ha aperto strade nuove, ha formulato proposte inedite che ci permettono di avere una più esatta comprensione dei testi danteschi. Una costante di Nardi è di aver conservato sempre una propria autonomia, se non un vero e proprio distacco, rispetto agli ambienti culturali in cui si era trovato ad agire, fossero Lovanio, Firenze o Roma. Il coraggio con cui seppe polemicamente ribaltare tesi consolidate negli ambienti accademici, gli fruttarono ingiustamente isolamento e non adeguata considerazione rispetto alle sue acquisizioni veramente anticipatrici. Basti pensare alle sue tesi sull'averroismo latino, all'importanza data alla figura di Avicenna, di Alberto Magno, al rifiuto del preteso tomismo di Dante. E se di Gentile parlava come di un "vero e grande maestro", dandogli ragione nella sua polemica con il De Wulf (relatore della sua tesi a Lovanio), Nardi pur tuttavia non aderirà al Neoidealismo, ma vi trarrà soltanto spunti e stimoli per le sue ricerche.  L'incontro con Dante costituisce per Nardi l'episodio decisivo della sua vita intellettuale e morale. Scriverà nel 1956: "in Dante trovai il vero e primo maestro, quello a cui debbo la maggior gratitudine". Il senso della sua ricerca è stato interrogare il "miracolo" della Divina Commedia, questo "singolare poema sbocciato all'improvviso contro tutte le buone regole dell'arte e del dittare". Secondo Nardi nella commedia è custodita la Verità, che si è manifestata ad un poeta ispirato da una profetica visione. La lunga fatica del Nardi è giunta a concludere che la filosofia di Dante non si riduce a nessun sistema codificato; è una sintesi complessa tendente a superare le antinomie e che mantiene intera la sua spiccata originalità, il suo personalissimo pensiero. Per arrivare a coglierlo occorre da una parte ristabilire il preciso significato delle parole in rapporto alla terminologia filosofica e scientifica del Medioevo, e ricostruire dall'altra l'ambiente culturale e l'atmosfera spirituale nelle quali Dante si muoveva per arrivare a determinare la fonte, il libro letto da Dante.  Nardi ha gettato luce su molti elementi e suggestioni che Dante derivava dalla filosofia araba e neoplatonica. Essenziali per comprendere Dante sono Alberto Magno e Sigieri più di Tommaso; così come il neoplatonismo e la cultura araba più dello scolasticismo aristotelico. A Nardi interessava particolarmente affrontare il tema della "visione dantesca", esperienza profetica che seppe tradurre come nessun altro nel linguaggio della Divina Commedia. La visione di Dante non è finzione letteraria, è rivelazione reale dell'aldilà, concessa da Dio in virtù di un supremo privilegio. Dante visse il rapimento mistico ed estatico al terzo cielo come esperienza reale. Dante credette di essere sceso veramente nell'Inferno, salito veramente al Purgatorio e al Paradiso. Per Nardi la Commedia si distacca dagli altri scritti di Dante, perché ne è il loro compimento. Tale culmine si realizza attraverso un'esperienza eccezionale, di origine mistico-religiosa a lui soltanto riservata, una rivelazione che ha il potere di trasformare e rendere nuove tutte le altre opere precedenti.  L'opera dantesca, secondo Nardi, si deve suddividere in tre fasi: la prima fase, che termina a venticinque anni, è sotto l'influsso di Guinizzelli, assente del tutto la filosofia. La seconda fase, quella filosofico-politico, coincide con le rime allegoriche, il Convivio, il De vulgari eloquentia e la Monarchia. La terza fase, quella della poesia profetica, coincide con la Divina Commedia, poema che segna il ritorno all'unità della filosofia cristiana. Dante vi compare come profeta che deve annunciare al mondo l'avvento di un inviato di Dio per la redenzione umana. La Commedia è "poema sacro", la sua è poesia religiosa. Nardi vede in questa terza fase finalmente riconciliarsi la speranza cristiana spezzatasi con l'aristotelismo e l'avverroismo. Per Nardi l'aristotelismo è inconciliabile con il cristianesimo, e il tomismo pertanto è "il più strano paradosso del pensiero umano". La Commedia testimonia della riunificazione della filosofia con la rivelazione di Dio. Dante visse una visione profetica, esperienza che mancò ad Aristotele. L’'Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per la Filosofia.  Saggi:  “Flosofia dantesca” (Bari, Laterza) – ALIGHERI -- ; “Critica dantesca” (Milano,  Ricciardi); “Filosofia dantesca” (di Alighieri) (Firenze, Nuova Italia); “La filosofia medievale” (Roma, Ed. di storia e letteratura); “Alighieri” (Roma, Laterza).  Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,."Giornale Critico della Filosofia Italiana",  Premi Feltrinelli, su lincei,  Medioevo e Rinascimento,” Firenze, Sansoni, Alberto Asor Rosa, Dizionario della letteratura italiana del Novecento, ad vocem Sigieri di Brabante e Alessandro Achillini, Di un nuovo commento alla canzone del Cavalcanti sull'amore, “Cultura neo-latina”, Noterella poetica sull'averroismo di Cavalcanti, Rassegna filosofica, Sigieri di Brabante e le fonti della filosofia di Alighieri, in “Rivista di filosofia neoclassica” Sigieri di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Alighieri, Spianate, La teoria dell'anima o animo e la generazione delle forme secondo Pietro d'Abano, “Rivista di filosofia neoscolastica”, Vittorino da Feltre al paese natale di Virgilio, in “Atti del IV Congresso nazionale di Studi Romani”, Roma, Lyhomo (note al “Baldus” di T. Folengo), “Giornale critico della filosofia italiana”, “Nel mondo di Alighieri” (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “Sigieri di Brabante nel pensiero del rinascimento italiano” (Edizioni italiane, Roma); “Alighieri profeta, in Dante e la cultura medioevale; “Saggi di filosofia dantesca” (Bari, Laterza); “La mistica averroistica e Pico”; “L' aristotelismo padovano (Firenze, Sansoni) – i lizii -- già edita in “Archivio di filosofia, Umanesimo e Machiavellismo”, Padova); “Il naturalismo del Rinascimento, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, Roma,  Universitarie; “L'alessandrinismo nel Rinascimento, Corso di Storia della filosofia. Anno accademico,  I. Borzi e C. R. Crotti, Roma, “La Goliardica” La fine dell'averroismo, Gli scritti di Pomponazzi. “Giornale critico della filosofia italiana”, Le opere inedite di Pomponazzi. Il fragmento marciano del commento al “De Anima” e il maestro di Pomponazzi, Trapolino, Il problema della verità, soggetto e oggetto dell'conoscere nella filosofia antica e medioevale” (Universale di Roma, Roma); “La crisi del Rinascimento e il dubbio cartesiano, Corso di storia della filosofia T. Gregory, “La Goliardica” Il commento di Simplicio al “De Anima” Archivio di filosofia”, Padova, La miscredenza e il carattere morale di Vernia, Giornale critico della filosofia italiana, Le opere inedite di Pomponazzi, “Giornale critico della filosofia italiana” Le meditazioni di Cartesio, Lezioni di storia della filosofia. “La Goliardica”, Roma, Pomponazzi e la cicogna dell'intelletto, “Giornale critico della filosofia italiana” Il dualismo cartesiano, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, “La Goliardica”, Roma, Il dualismo cartesiano degl’occasionalisti a Leibniz, Corso di storia della filosofia. T. Gregory, “La Goliardica”, Roma, Ancora qualche notizia e aneddoto su Vernia, Giornale critico della filosofia italiana, Marcantonio e Zimara: due filosofi galatinesi,  “Archivio storico Pugliese” Un'importante notizia su scritti di Sigieri a Bologna e a Padova alla fine del sec. XV, “Giornale critico della filosofia italiana”, Contributo alla biografia di Feltre, “Bollettino del Museo civico di Padova”, Letteratura e cultura del Quattrocento, in “La civiltà veneziana del Quattrocento” (Firenze, Sansoni); “Appunti intorno a Trapolin, In Miscellanea” (Edizioni di Storia e letteratura, Roma); “Copernico studente a Padova”; “Studi e problemi di critica testuale. Convegno di studi di filologia italiana nel centenario della Commissione per i Testi di Lingua, Bologna, L'aristotelismo della Scolastica e i Francescani, in Studi di Filosofia Medioevale” (Storia e letteratura, Roma); “Pomponazzi e la teoria di Avicenna intorno alla generazione spontanea dell'uomo” (Mantuanitas vergilana – (Ateneo, Roma); La scuola di Rialto e l'Umanesimo veneziano, in Umanesimo Europeo e Umanesimo veneziano” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pomponazzi” (Monnier, Firenze); “I lizii di Padova” (Monnier, Firenze); “Corsi manoscritti di lezioni e ritratto di Pomponazzi, in Atti del VI Convegno internazionale di studi sul Rinascimento” (Sansoni, Firenze); “Studi su Pietro Pomponazzi” (Monnier, Firenze); “Saggi e note di critica dantesca, Ricciardi, Filosofia e teologia ai tempi di Alighieri in rapporto al pensiero del poeta, in Saggi e note di critica dantesca” (Ricciardi, Milano); “Saggi e note sulla cultura veneta del Quattro e Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova); “Saggi sulla cultura veneta del Quattro e del Cinquecento Mazzantini, Antenore, Padova, Divina Commedia, Treccani Enciclopedie,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un profilo biografico, Consulenza scientifica Società Dantesca Italiana. Bruno Nardi. Nardi. Keywords: dantesco, Alighieri, animo, Pomponazzi, Virgilio, Enea, inferno, il concetto d’animo, la filosofia romana nel secolo d’augusto – il secolo d’oro della filosofia romana – il secolo augusteo, pico, abano. Refs.: H. P. Grice, “Lasciate ogni speranza voi ch’entrate,” The Swimming-Pool Library. – Luigi Speranza, “Grice e Nardi: il paradiso filosofico” --. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717846758/in/photolist-2mN8u25-2mNbFJE-2mLQoLk-2mLEGPt-2mPrdWj-2mLDbnx-2mPCgo1-2mKAsyK-CntseF

 

Grice e Natoli – uomo tragico – origini dell’antropologia romana – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Patti). Filosofo. Grice: “I like Natoli. He philosophises on the ‘uomo tragico’ at the source of western civilisation, and also the experience of ‘pain’ at the source of it.” Si laurea a Milano, dove ha trascorso gli anni nel Collegio Augustinianum. Insegna a Venezia e Filosofia della politica alla Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Milano.  Attualmente è Professore di Filosofia teoretica presso la Facoltà di scienze della formazione dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.  Attività accademica In particolare, Salvatore Natoli è il propugnatore di un'etica neopagana che, riprendendo elementi del pensiero greco (in particolare, il senso del tragico), riesca a fondare una felicità terrena, nella consapevolezza dei limiti dell'uomo e del suo essere necessariamente un ente finito, in contrapposizione con la tradizione cristiana.  Filosofia del dolore Una particolare e approfondita analisi sul tema del dolore è stata condotta da Natoli in diverse sue opere.  Il dolore è parte essenziale della vita e per gli antichi filosofi greci era l'altra faccia della felicità:  «I greci si sentono parte e momento della più grande e generale natura, crudele e insieme divina, si sentono momento di quest'eterno e irrefrenabile fluire, ove non vi è differenza tra bene e male allo stesso modo in cui il dolore si volge nella gioia e la gioia nel dolore»  La natura infatti dava la vita e nello stesso tempo crudelmente la toglieva. Il dolore in realtà fa parte della vita ma non la nega: il dolore può essere vissuto e reso sopportabile se chi soffre percepisce non la pietà dell'altro ma che la sua sofferenza è importante per chi entra in rapporto con lui e con la sua sofferenza. Se chi soffre si sente importante per qualcuno, anche se soffre ha motivo di vivere. Se non è importante per nessuno può lasciarsi prendere dalla morte.  Secondo Natoli l'esperienza del dolore ha due aspetti: uno oggettivo, il danno («Nel momento in cui la sofferenza è motivata attraverso la colpa, colui che soffre non solo patisce il danno, ma ne diviene anche il responsabile»); e uno soggettivo, cioè come viene vissuta e motivata la sofferenza. La stessa sofferenza è interpretata in modo differente da diverse culture: per alcune il dolore fa parte della contingenza del mondo fenomenico, dell'apparenza per altre invece, è vissuto intensamente come ad esempio nel cristianesimo dove al dolore viene associata la redenzione. Vi è una circolarità tra il dolore e il senso che fa sì che, pur essendo il dolore universale, ad ognuno appartenga un dolore diverso.  Vi è dunque un senso del dolore e un non senso che il dolore causa. Il dolore infatti contraddice la ragione che non sa darsi spiegazione del perché il dolore abbia colpito proprio quell'individuo e per quali colpe quello abbia commesso e, infine, perché il dolore travagli il mondo. Il tentativo di rispondere a queste fondamentali domande fa sì che l'individuo scopra nuove forze in lui che generino un vittorioso uomo nuovo che, partendo dall'esperienza del dolore, s'interroghi sul senso dell'esistere, tenendo sempre presente però, che il dolore può segnare anche una definitiva sconfitta.  Nel dolore l'uomo può scoprire le sue possibilità di crescita ma questo non vuol dire disprezzare il piacere, sostenendo che questo, invece, ottunde gli animi. Il piacere invece affina la sensibilità come accade per chi ascolta frequentemente una buona musica. Il piacere invece è negativo quando diventa «monomaniaco, eccessivo, quando, anziché sviluppare la sensibilità, la fossilizza in un punto di eccessiva stimolazione. E l'eccessivo stimolo distrugge l'organo.» A differenza del piacere, dell'amore che è dialogo tra due, che è espansivo e affabulatorio anche quando è silenzioso, l'esperienza del dolore chiude il singolo nella sua individualità e incomunicabilità, poiché «il corpo sano sente il mondo, il corpo malato sente il corpo. E quindi il corpo diventa una barriera tra il proprio desiderio, l'universo delle possibilità, e la realizzabilità delle medesime possibilità.»  Sebbene il dolore sia "insensato" si cerca di spiegarlo con le parole spesso inutili ed allora si cerca dapprima la parola "efficace" che offre la tecnica o la parola "efficace" della preghiera, della fede, che non annulla il dolore, ma dà una speranza nel miracolo. L'efficace uso della parola per spiegare il dolore fa sì che gli uomini trovino conforto nella comune sofferenza, in quella universalità del dolore dove però ognuno rimane nella sua singolarità di senso. La parola efficace della tecnica per un verso ha alleviato il dolore ma per un altro può creare delle condizioni di vita tali per cui la stessa tecnica controlla il dolore senza togliere la malattia, creando così un'esistenza prolungata senza futuro sotto la continua incombenza della morte:  «A partire dal Settecento, ma ancor più nel corso dell’Ottocento, la tecnica è stata sempre di più associata alle filosofie del progresso: infatti ha emancipato gli uomini dai vincoli naturali, ha ridotto il peso della fatica, ha attenuato il dolore, ha accresciuto il benessere, ha conteso lo spazio alla morte differendola sempre di più… ma la tecnica, oggi, è nelle condizioni di interferire in modo profondo nei processi naturali modificandone i cicli…»  Una soluzione all'inevitabilità del dolore può essere l'adesione a un nuovo paganesimo secondo l'antica visione greca dell'accettazione dell'esistenza del finito e della morte dell'uomo.  «Il cristianesimo ha alterato l'anima pagana. Nel momento in cui il sogno di un mondo senza dolore è apparso, non ci si adatta più a questo dolore anche se si crede che un mondo senza dolore non esisterà mai. La coscienza è stata visitata da un sogno che non si cancella più, e anche se lo crede inverosimile tuttavia vuole che ci sia.»  Anche il cristianesimo infatti teorizza l'uomo finito, ma non essere naturale destinato alla morte, ma come creatura di Dio. Per il cristiano la vita finita condotta secondo il dovere porta all'accettazione della morte come passaggio a Dio. Per il neopaganesimo la vita finita è degna di essere vissuta senza speranza di infinitezza ma vivendola secondo un ethos, che non è dovere di obbedire a un comando morale con la speranza di un premio eterno, ma buona e spontanea abitudine di una condotta consapevole dell'universale fragilità umana.  Saggi: “Soggetto e fondamento” -- studi su Aristotele e Cartesio (Padova, Antenore); “La critica del linguaggio” (Venezia, Marsilio); “Ermeneutica e genealogia -- filosofia e metodo” (Milano, Feltrinelli); “L'esperienza del dolore -- le forme del patire” (Milano, Feltrinelli); “Gentile” (Torino, Boringhieri); “Vita buona vita felice -- scritti di etica e politica” (Milano, Feltrinelli); “Teatro filosofico -- gli scenari del sapere tra linguaggio e storia” (Milano, Feltrinelli); “L'incessante meraviglia -- filosofia, espressione, verità” (Milano, Lanfranchi); “La felicità -- saggio di teoria degli affetti” (Milano, Feltrinelli); “I nuovi pagani” (Milano, Saggiatore); “Dizionario dei vizi e delle virtù” (Milano, Feltrinelli); “La politica e il dolore” (Roma, EL); “Soggetto e fondamento. Il sapere dell'origine e la scientificità della filosofia” (Milano, Mondadori); “Delle cose ultime e penultime” (Milano, Mondadori); “Natura, poesia, filosofia” (Milano, Mondadori); “Progresso e catastrophe -- dinamiche della modernità” (Milano, Marinotti); “Dio e il divino” (Brescia, Morcelliana); “La politica e la virtù” (Roma, Lavoro); “La felicità di questa vita -- esperienza del mondo e stagioni dell'esistenza” (Milano, Mondadori); “L'attimo fuggente o della felicità” (Roma, Edup); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo presente” (Milano, Feltrinelli); “Il cristianesimo di un non credente” (Magnano, Qiqajon); “Libertà e destino nella tragedia” (Brescia, Morcelliana); “Stare al mondo -- escursioni nel tempo presente” (Milano, Feltrinelli); “Parole della filosofia o dell’arte di meditare” (Milano, Feltrinelli); “La verità in gioco” (Milano, Feltrinelli); “Guida alla formazione del carattere” (Brescia, Morcelliana); “Sul male assoluto -- nichilismo e idoli nel Novecento” (Brescia, Morcelliana); “I dilemmi della speranza” (Molfetta, La Meridiana); “La salvezza senza fede” (Milano, Feltrinelli); “La mia filosofia -- forme del mondo e saggezza del vivere” (Pisa, Ets); “L'attimo fuggente e la stabilità del bene – la Lettera a Meneceo sulla felicità di Epicuro (Roma, Edup); “Edipo e Giobbe -- contraddizione e paradosso” (Brescia, Morcelliana); “Dialogo sui novissimi” (Troina, Città Aperta); “Il crollo del mondo -- apocalisse ed escatologia” (Brescia, Morcelliana); “L'edificazione di sé -- istruzioni sulla vita interiore” (Roma-Bari, Laterza); “Il buon uso del mondo -- agire nell'età del rischio” (Milano, Mondadori); “Figure d'Occidente. Platone, Nietzsche e Heidegger (Milano, AlboVersorio); “Eros e philia” (Milano, AlboVersorio); “Nietzsche e il teatro della filosofia” (Milano, Feltrinelli); “Le parole ultime -- dialogo sui problemi del fine vita” (Bari, Dedalo); “I comandamenti: non ti farai idolo né imagine” (Bologna, Mulino); “Le verità del corpo” (Milano, AlboVersorio) – IL CORPO -- Sperare oggi (Trento, Margine); “Le virtù dei Giusti e l'identità dell'Europa -- la salvezza senza fede” (Feltrinelli); “Enciclopedia multimediale delle Scienze Filosofiche. Il senso del dolore.  In L'esperienza del dolore.  L'esperienza del dolore nell'età della tecnica. Siamo finiti. E anche la tecnica lo è, da Europa,  I Nuovi pagani, Saggiatore, Milano, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   Intervista per Il Rasoio di Occam, Video intervista su Asia, su asia. Dov'è la vittoria? “l'Italia civile che resta minoranza” intervista di, Il Fatto Quotidiano. Salvatore Natoli. Natoli. Keywords: uomo tragico, origini dell’antropologia romana, Gentile, corpo. Chora di Platone, antropologia degl’italiani, filosofia siciliana, Gentilefilosofoitaliano --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Natoli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716787642/in/photolist-2mN34bs-2mN8ym7-2mLJR9r-2mLJQBK-2mLGD1p-2mKkA58

 

Grice e Nicoletti – quadrature ed implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Udine). Filosofo. – Grice: “His diagramme for ‘arbor porphyriana’ is also brilliant – ending with “Plato,” “Socrates.”” -- Grice: “I especially like his squaring the square of opposition!” -- Grice: “A veritable genius, this Nicoletti.” -- Not under ‘Venezia’! -- paolo di venezia: philosopher, the son of Andrea Nicola, of Venice He was born in Fliuli Venezia Giulia, a hermit of Saint Augustine O.E.S.A., he spent three years as a student at St. John’s, where the order of St. Augustine had a ‘studium generale,’ at Oxford and taught at Padova, where he became a doctor of arts. Paolo also held appointments at the universities of Parma, Siena, and Bologna. Paolo is active in the administration of his order, holding various high offices. He composed ommentaries on several logical, ethical, and physical works of Aristotle. His name is connected especially with his best-selling “Logica parva.” Over 150 manuscripts survive, and more than forty printed editions of it were made,  His huge sequel, “Logica magna,” was a flop. These Oxford-influenced tracts contributed to the favorable climate enjoyed by Oxonian semantics in northern Italian universities. Grice: “My favourite of Paul’s tracts is his “Sophismata aurea”how peaceful for a philosopher to die while commentingon Aristotle’s “De anima.”!” His nom de plum is “Paulus Venetus.”— Paolo da Venezia  Nota disambigua.svg Disambiguazione"Paolo Veneto" rimanda qui. Se stai cercando lo scrittore e vescovo nato a Venezia, vedi Paolino Minorita.  Paolo da Venezia in una stampa ProfessorePaolo da Venezia, o Paolo Veneto, vero nome Paolo Nicoletti (Udine), filosofo. Eremitano, fu studente all'Oxford e docente all'Padova dal 1408 ove ebbe tra gli allievi Paolo Della Pergola. Divenne ambasciatore veneto presso la corte polacca. Per le sue idee teologiche e esiliato a Ravenna ma, due anni dopo, gli fu consentito di tornare a Padova.  Fu seguace di Guglielmo di Ockham e Sigieri di Brabante e autore di vari trattati, tra cui alcuni commenti ad Aristotele. Il suo trattato Logica magna fu utilizzato come testo di insegnamento della logica all'Padova e può essere considerato la maggiore opera di logica formale prodotta dal Medioevo.  Opere: “Logica,” “Commenti alle opere di Aristotele” “Expositio in libros Posteriorum Aristotelis,” “Expositio super VIII libros Physicorum necnon super Commento Averrois,” “Expositio super libros De generatione et corruptione” “Lectura super librum De Anima” “Conclusiones Ethicorum” “Conclusiones Politicorum” “Expositio super Praedicabilia et Praedicamenta.” “Scritti sulla logica: Logica Parva or Tractatus Summularum, “Logica Magna”; “Quadratura”; “Sophismata Aurea. Altre opere: “Super Primum Sententiarum Johannis de Ripa Lecturae Abbreviatio,” “Summa philosophiae naturalis,” “De compositione mundi. Quaestiones adversus Judaeos. Sermones. N Dizionario di Filosofia Treccani, riferimenti in.  Vedi «Paolo Della Pergola» in Dizionario di Filosofia Treccani.  Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, terza ed., Edizione CDE su licenza della Giulio Einaudi editore, Milano, «Paolo Veneto», in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, «Paolo Veneto», in Dizionario di Filosofia Treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Alessandro D. Conti, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Alessandro D. Conti: Esistenza e verità: forme e strutture del reale in Paolo Veneto e nel pensiero filosofico del tardo medioevo. Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma, Nuovi studi storici, A. R. Perreiah: "A Biographical Introduction to Paul of Venice". In: Augustiniana.  Paolo Veneto, Logica, Venetiis, Bartolomeo Imperatore, Francesco Imperatore,  Enrico Gori, dal sito Filosofico.net (Alessandro Conti, Paul of Venice, in E. Zalta, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information,  Stanford.Filosofia.   LOGICA PAVLI rectam atgemēdatam . Additisquotationibus* Postilisadtextusdeclarationč. NecnonTabulao figuris.  VENETI HABES INHOC ENCHIRIDIO s u m m á t o t i u s D i a l e c t i c æ ,m i r a q u a d ā b r e uitateatos facilitate a d vtilitatē s t u d e n tium conscriptam ab eximioætatis fuæ magistro Paulo Veneto Nupero diligentistudiocor Venetñs M D XLIII EMANUELE ITECA NAZ GOMA ME YOLL .pkrior 49 dla Lohan Somerilatarei long   COMO0I.۰- o (. ICO? CO ? ri 1 1   ROMA ni logica OLUTELY A parua. A Pauli VenetiHeremita Onfpiciens librorum quorundam m a gnitudinem redium constituentem in animoftudérium:necnon& aliorum nimiam breuitatem :quibus nulla fe 2 ethica reeftannexa doctrina.Ideo uolens cap.s.et mediumretinereutriusgfapiensná '5.ethic, turam extremt,compendium utile construxi iuueni t.co.6. ВB buspluribusdiuifumtractatibus, " Quorumprimusfummularum traditnotitiam. Septimuscontraprimum obiicit,folutionemad densrefponfiuam . Quia ergo doctrina quecuncka communiori ut ait t-C.4 . Philosophus in prohemio phylic.sumic exordsū ,ideo D i f l o t tractatusprimusterminūficdiffiniesincipitapriori. miningp 14 De diffinitionetermini& eiusdiuifione quide.i. Log Pa.Ve С Secundus fuppofitionum declarat mareriam . Tertiusconsequentiarumoftenditdoctrinam. Quartus terminorum uim instruir probatiuam. Quintus ligandi regulam docet obligatiuam . Sextusinsolubiliafoluendidarartem& uiam. Octauustertiòfortificatprationéargumentatiua. cap.1. prio.c.1 Erminuseftfignumorationisconftitutiuum.& Boe. utparspropinquaeiusdem ,utlyhomo,lyani in.1,de m a l .E t n o t a n t e r d i c i t u r p r o p i n q u a : q u i a o r a uocaturdictio,remotauocaturliteravelsyllaba,di 2.ecin.i Dstioigitur& nonliterauelfyllaba,eftterminus. defyllo. DiPrimadiuifioeftifta.Terminumquidameftper cate. T differē. tiohabetpartespropinquas& remotas2,propinquatop.c. 2    ciusuide ficatiuuseftilequiperfefumptusnihilrepresentat,ut s.me.te.omnis,nullus,quilibet,quicunq,alter,& confimiles. 23. *A Secundadiuifioeftifta. Terminorum quidam fi Secunda gnificantnaturaliter,&quidamadplacitum.Termi diuifiop nus naturaliter fignificās eftillequi apud omnes eiuf q u a uide d e m eft representatiuus , ficut ly h o m o , ly a n i m a l, in primor mente.Terminusadplacitumfignificanseftillequi ye.c.i.et non apud omnes eiusdem eftrepresentatiuus.ficutille ipsum. terminushomoinuoceuelinscripto,quiapudnosft.B Paul.in gnificathominem .sedapudaliasnacionesnihilsigni lo.ma.inficat.utsuntgręci& hebrei. Tertiadiuifioeftifta. i.Reefo.Terminorumquidam eftcategorematicus,etquida3 S.colū. syncategorematicus.Terminus categorematicus eft pri. 4. diui. 29.00.4 ticulariaparticulariter.Præpofitiones determinatsub certocafu.Aduerbiauerbum,& coniunctionesha minum.i.remquænonestterminusdatoqeffet,ficut TRACTATVS Secúduz sesignificatiuus,quidamnon.Terminus perlefigni Voety fácarious eftilequipersesumptusaliquidrepresen/ mologiã tasuelyhomo,lyanimal.Terminusnonpersesigni illequitamperlequàm cumaliohabetproprium fie Tertia gnificatum.utlyhomo:siueenimponaturinoratio diuifio. ne,liueextra,sempersignificarhominem.Terminus Dehac syncategorematicuseftterminushabensofficiumqui uide la perfefumptusnulliuseftfignificatiuus.utfignadistric tiusilo.butiua.utomnis,nullus,& fignaparticularia.utali mafo.2.quis,alter,&præpofitiones,& aduerbia,& coniun. 20.2.3.f.cciones.Signa namqz distributiua habent officium , 558.fal.3.quiadeterminantdistributiue,uniuersaliayłr,& par bentconiungereterminosuelorationes. Quartadi GioVide uifioeftista.Terminorum quidameftprimęintencio Pau.lo.nis,&quidamfecundæ intentionis.Terminusprimæ m a , f o l. i n t e n t i o n i s e f t t e r m i n u s m e n t a l i s f i g n i f i c a n s n o n t e r D lyhomo,fignificatsor.& pla.quorumnulluspoteft >    esseterminus.Terminusautem fecundęintētionisest terminusmentalisfignificansfolummodoterminum A uelpropofitionem,utiliterminimétales,nomen,uer bum ,participiúm ,propofitio,oratio , & huiusmodi. niseftterminusuocalisuelfcriptusfignificans folum B modoterminumuelpropofitionem.utiliterminiuo calesuelfcripti,nomen ,uerbumparticipium ,athuius modi. Sextadiuifioeftifta.Terminorum quidam funcincomplexi,&quidamcomplexi.Terminusin 6.diui complexusuocaturdictio,utlylapis,lylignum.Sed fioVide terminuscomplexuseftoratio,uthomoalbus,lor.& Paul.in placo ,deum effe. & huiusmodi. De nomine. Cap.2. literconfiderat:ideode hisreftatdiffinitio nesaffignare. Nomenestterminusfignificatiuus lo.ma.f. finetemporc cuiusnulla parsaliquid fignificat separa Diffint ta,uthomo. Iniftadiffinitioneponiturterminuslotionoie cogeneris,quiaomnenomēeftcerminus.&nonecon proqua uerso:dicitur fignificatiuus,quia termininon signifi uidepri catiuinonfuntnominaapudlogicum,licetbeneapud grammaticum .utomnis,nullus,& fimilia.Tertiodi citurfinetempore,addifferentiamuerbi& participă quæfignificantcumtempore.Quarto poniturcuius D nulaparsaliquidfignificatfeparata,addiferentiam orationis,cuiuspartesfignificantseparate mo pyo er.c.c2  S V M M V .L A R V M. 3 Quinta diuifio eftifta.Terminorum quidam eft s.diuifio primeimpofitionis,quidamsecundæ.Terminuspri. Vide m ę impofitioniseftterminusuocalisuel(criptusfigni Boe.in f i c a n s n o n t e r m i n u m . u t l y h o m o , & l y a n i m a l in u o - i . g y e r . ceuelinscripto.Terminusautemsecundęimpofitio. inprinc. L3 Viadenomine& uerboexquibusoratio с componitur & propofitio,logicusprincipa . 16.co.4   Diffini. V uusetextremorum unitiuus,cuiusnullapars TRACTATVS. A a l i q u i d s i g n i f i c a r s e p a r a t a , u tc u r r e c u e l d i s p u r i io b i. tar.Ec dicitur primo,temporaliter fignificatiuus,ad eric. i. tiw oro 1200 pin . p i disnes pofitum cum apposito ficutuerbum.cetergautem par trcuiæ ponuntur:ficut in diffinitione nominis. Ratio eft terminus significatiuus , cuius ali- B garlicantfeparatę. Orationumaliaperfecta,alia hewide Dcoratione. Cap. 4. qua pars aliquid fignificatseparata.uthomo : Ti64 . albus:deữeffe.Vltimaparticulaponiturad Piroca Jüfferentiam nominis & uerbiquorum partesnon fi cite suz & c . cogeneris,quiaomnis propofitioeftoratio& col.1. c i p i t . q u æ n o n f u n t p r o p o f i t i o n c s :n o n o b f t a n t e q u ò d i l u m g e n e r a t i n a n i m o a u d i t o r i s i u t h o m o c u r r i t. O r a boviti imperfecta.Oratioperfectaeftilaquæperfectum len no Ide uimuce cioimperfectaeftilaquæimperfectum sensumgene. ferinõis rat : N o t a n d u m q u ò d tres funt fpecies orationis perfe: C ctæ.quiaorationum perfectarum.aliaindicaciua,ut homo currit.aliaimperatiua,utdoceioannem.alia ed incel religie ineis opratiua,ututinameffembonuslogicus. fint ap te nate Deuerbo.. Cap. 3. Erbum eftcerminus temporaliter fignificati differentiamnominis quod fignificatline tempore.Se cundodicitur,&extremorumuniciuus:addifferencia participñquodfignificarcum tépore,sednon unitfup 0 - D e propofitione. - Cap. s. 2 3 gñare fectū sen bus uide ilo,ma. fol. 101. Ropofitioeitoratioindicatiua:uerum uel fals f u m significans uth o m o currit.ponitur oratio lo n o n e c o n u e r s o . S e c u n d o d i c i t u r i n d i c a t i u a. q u i a C o l a indicariuaeftpropositio,non autem imperatiua nec optatiua.Vicimoannectitur:uerum uelfallum figni D ficans:propcer tales oraciones. Cortes potest , plato in PS pro qui    aliacategoricaaliahypothetica.propofitioca diuifio. tegoricaeftilaquæhabetsubiectumprædicatum& Videin c o p u l a m t a n q u a m p r i n c i p a l e s p a r t e s f u i. u t h o m o e f t l o ,m a . f o animal.Subiectumeftlyhomo,prædicatum uero,101.col, ly animal.copula illud uerbum eft:quia coniungit 4 .  SVMMVLARV M. tum. Diciturquòdhabetimplicitumprædicatum. uidelicet,ły currens.quod patet in resoluendo illud uer bum currit.insum ,cs,eft,& fuumparticipium.Subie ctum eftdequoaliquiddicitur.uthomo.Prædicatum ucro quod diciturde altero.utanimal. Sedcopula Quid (u bicctuz fempereftuerbumfubftantiuum:fum,es,eft. De quidp. propofitione hypothetica pofteriusdicetur ad cuius tum & C differentiamponiturillaparticula:principalespartcsquidco . D fintindicatiuę.quianonsignificantuerumnecfalsum:Diffini cumsintorationesimperfectæ. Dediuifionepropofitionum. Ca. 6. luifiones fub propofitione contentas fequitur D numerare. Primaeftifta,propofitionum Prima fubiectumcum predicato. B rireftpropofitiocategorica& nonhabetprædica.Solucio E t fi d i c a t u r h o m o c u r . D u b o . fui.quiaprincipales parteshypotheticæ non funt pula, fubiectum& prædicatum:fedplurescategoricęutSecuda infradicetur. Secundadiuisioestista,Propolidiuifio. tionumcategoricarum.aliaaffirmatiua,alianega Põtcol tiua.Propofitiocategoricaaffirmatiuaeft ilainligiex.i. qua uerbum principaleaffirmatur.uthomo currit.pihe.ca Propoficio categorica negatiua eft illa in qua uer: Tertia bum principalenegatur,uthomononcurrit. S. Tertiadiuifioeftifta.Propofitionumcategori:Diffusi carumaliauera,aliafalla.Propofitiocategoricaue us&hac raeftilacuiusprimarium& adequatumfignifi-materia carðeftuerum.ut,tueshomo.hæcenimeftuera.tues uidein . homo.quiateeffehominem cftuerum .Voco filoma. . diuisio A tio.i.gi her.C. 5. . a4 1   TRACTATVS mo.ceteraautem fignificata.utteeffeanimal,teelic fubftantiam ,ethuiusmodi,funtfignificatasecundaria, & ponesillanondicitur.propofitioueranecfalla. Propofitiocategoricafallaeftillacuiusprimariam& adequátum significatumestfalsum.uttúesalinus. ria,aliacontingens.Propofitionecellariaeftila,cuius primarium '& adequatum significatum eft necefla r i u m ,u t d e u s e f t . P r o p o f i t i o c o n t i n g e n s e f t i l l a c u i u s fignificatumprimarium & adequatum eftcontigens, uttueshomo.Etuocosignificatum contingensiludC quodindifferenterpoteftefeuerum ,uelfallum.Sexo 6.diuifio ta diuifio.Propoficionum categoricarum alia alicuius uide.i. quantitatis,alianullius.Propofitiocategoricaalicu prior.n.ius quantitatiseftillaquæeftuniuersalis,particularis, 2.in pri, indefinita,uel singularis.Propofitio uniuersaliseftil lainqua subởciturterminuscommunis fignouniuer falideterminatus,utomnis homo currit.Terminum c o m m u n e m uoco in presentinomen appellatiuum & pronome pluralisnumeri.Signa uniuersaliasunt ifta, omnis,nullus,quilibet,unusgfavteros,ncuter,qualisD. :.libet,quantusliber,& huiusmodi.Propofitio particu lariscftilainquasubiiciturterminuscómunis igno  4. diui afol.158gnificatumprimarium& adequatumpropofitionts, u r e a a d f. q u o d e f t f i m i l e o r a t i o n i i n f i n i t i u e u e l c o n i u n c t i u e il 267.fecūlius.undeteeffehominem ,uelq tueshomo,diciturfiA dępris. gnificatumprimarium& adequatum illius,tuesho Quartadiuilio.Propofitionumcategoricarum alia fiouide poffibilis,aliaimpoffibilis.Propofitiocategoricapor ilo.ma.fibiliseftillacuiusprimarium& adequatumfignifiB af.167. catumestpossibile.uttucurris.Propofitiocategorica . & adequatūfi. us@ ad impoffibiliseftillacuius primarium 10.172. gnificatumeftimpoflibile,uthomoeftafinus.Quin 5.diuifiotadiuifio.Propofitionumcategoricarumalianecella   larem ,nomen propriumautpronomen demonstraci Suum fingularisnumeri.urifte,ifta,iftud.Exquibusfe B quituriamquæeftcaregoricanulliusquanticatis.Et diciturq illaquænonestuniuersalis,necparticularis, necindefinica,necfingularis,utexclusiue,& excepti uæ,& reduplicatiuę.uidelicettantumhomocur rit,omnishomopreterfor.mouetur,omnishomo in quantumhomoeftanimal. luxtaprimamsecunda Qualis,ne,uelaf,u.Quanta,par,in,fin,Primapars ficintelligitur,qadinterrogationemdepropofitionc factā r Quæ{respódeturcategorica,uelhypothetica. Secundaautemasseritquodadinterrogationefactam perQualis?refpondeturaffirmatiuauelnegatiua.Sed intertiadenotatqad interrogationem factágQuan tarmñdcatur,uniuersalis,pricularisindefinita,uclfingu laris,& hocfm exigenciampropofitionis propositę. D e d u a b u s alijs p p o f i c i o n ă d i u i f i o n i b u s. C a p . 7 . Ræterfupradictasdiuisionesdugaliądeclaran- Prima cur. Primaeftifta,Propofitionūcategoricadiuifio ut h o m o currit.Propofitio categorica m o d a l i s eft illa inquaponituraliquismodus,utpoffibileeftsor,cur  SVMMVLARVM. 5 particulari determinatus,utaliquishomo disputat.Si Idem in gnaparticulariasuntifta,aliquis,quidam ,alter,reli7.tract. A quus,& huiusmodi.Propofitioindefinitaestillainhuius in quasubijcicurterminuscômunisfinealiquofigno,utc.i.& in homo eftanimal.Propoficiofingulariseftila inqua lo.ma. . fubijciturterminus discretus,uelterminuscõiscum 107.col. pronomine demonftratiuofingularisnumeri.Exem :4. plumprimi.sor.currit.Exemplum fecundi.illehomo dispucar.Voco autemcerminumdiscretumuelsingu. с P. ultimam diuifionesponiturifteuersus.Querca,uel răaliadeinefle,aliamodalis.Propofitio catego Dricadeineficeftillainquanon ponituraliquismodus   1: Figuradeineffe.  r e r e .M o d i a u t e m s u n t s e x . c p o f f i b i l e , i m p o f f i b i l e n e Secõda.ceffarium,contingens.uerum,& falfum. Secunda diuifio.Propofitionummodalium:quædam eftinfen- fudiuilo:& quædaminfenfucompofito.Propositio modalisinfenfudiuisoeft ilainqua modus mediat interaccufatiuumcasum etuerbum infinitiuimodi.ut fortempoffibileeftcurrere.Propofitiomodalis insen fucompofitoeftillainquamodustotaliterpræcedit, uelfinalicerfubfequitur:utdeumeffeeftneceflarium . impoflibilecfthominemeffeafinum. Exhisdiui fionibusoriginanturtresfiguræ.Quarum primadici B tur deineffe.Secundamodalisdefenfudiuifo:fchabés admodum primæ.Terciamodalisdefenfucompofi to:ledacæterisdisperata.Quarum declaracionesha besin exemplohic pofito. A Glibetho currit. adaz hó ñ currit, Nurbo de currit. Lontraric. Conta dictorie dictorie subalterne, subalterne Figura: demeße Gulltra gda3 ha cuifit, TRACTATUS fubcötrarte   reasudiuisio  Lontrarie Nullú hoie3 poffibile eft! curtcit . Cótra dictorie Subalterne Subalterne de sensu dictorie Lörra mine polee curitie . Modalis desensuoiuifo. 6 fubcótraric Modalis de sensucomposito. Nec currere eftlos .Impofeeft currere for subalterne Contra fubalterne dictoric Aliquē,ho Kontrarie desensu.copoli 3 : Fig. Loncra . dictonic Cotinges& por,nó cur rere 2.Figura Quelibetho minepole? currere . Pole for currtre , A liquêhome minē ñ pole eft currere , fubcontraric   Secunda præciseproeodemuelproeisdem ,funtcontrariæinfi gura.utquilibethomo currit,nullushomo currit. Se cundaregulaeftifta.Particularisaffirmatiua& parti y cularisnegatiuadeconfimilibussubiectisprædicacis & copulis,fupponentibuspreciseproeodemuelpro eisdemsuntsubcontrariæinfigura.utquidam homo B Tertia currir,etquidāhomononcurrit. Tertiaregula,uni uerfalisaffirmatiua& particularisnegatiua,ucluni. uerfalistiegatiua& particularisaffirmatiua.deconfi milibussubiectispredicatisetcopulis,lupponentibus Quarta. precisepro eodem uelpro cisdem ,fu Tabulaomnium capitulorumhuius logicæ Pauli Veneti,in Octo Tractatusprimus estde mentis fummulisquiconti 27Defyllogism: Tractatusfecüduseft determis.Car.Ź Cap.primădediffinitioc 3 Deuerbo 3 6 Dediuifionepropofi 8. De figurispropositio pothetica po.copu. ne ciusdem.car. 16 nūtmaterialiteretqñ perfonaliter 17 14Depropofitionehy. 8 Deampliatiõibus28 po.difiuncti. 15 De pdicabilibus 10 Tractatus tertius.de eiusdem direlatiuorum . 20 126  net17.Cáp • 13 4 De oratione 5. Depropofitione 3 norumquandofuppo num deuppolitionibus có D e cognitione termi 99 Deappellationib?30 11 De conuerfione tibus fupponis& dediuisio 22 6 4 Defuppofitioneper , Denaturappõnuz7 fonali. 7 26 tractatus diuisa. 2 Denomine.3 tionum 7 Deduabusalösdiui 3.Defuppofitionema. 10 Deequipollentős 7 5 Defignisconfunden 12 Depropofitionehy 6 Derelatiuisproqui 8 .. bussupponunc 25 13 De propofitionehy. 7 Demodo fupponen 9 4 Apitulusprimû cinenscap.9. C fionibuspropõnuzs teriali:& dediuisione 17 3 16.De decem prædica ', consequentősconti.   Car.31. Tractatus quartus e t Cap.primumderesolubi 2 Depropositionibus Tractatus quintus eft tioncobligationiset De obicctionibus co tradictasreg. TABVLA uo 44  tioncconsequentiæet 4 Dehypo.descriptibio eorum diuisionibus, li 2: De regulis generali busconsequentiæfor 6 Degradupofitiuocô malis 3 De reguliscon.for. q Degraducomparati 4 Deregulispoenespro posicionesquáras34 9 Delydiffert pofitioncsnonquan 35 50 11 Deexceptiuis $1 5 Delynecessario& contingenter 4 5 32 parabiliter(õpto 46 poncs fuperius,atq 34 8.Degradusuperlati -minospertinentes& 14Delyincipit& defi : impertinentes 36 nir 42 nens.8.cap. 3. De officialibuspro Cap.primumDe diffini libus.car.39. po. dereg.eius. Car.60 inferius 47 Deregulisponcspro 10Deexclusiuis 49 uniuerfalibus 62 41 3 Deconuertibilitate 38 48 uo. tas 7 Dedecem lis alñsregu 15Delytotus 55 56 pofitioncs hypothe ticas. 17Delyabæterno 18 Dely infinitum 57 58 de probationibus ter 2 obligatorieartis:COA 12 De reduplicatiuis 53 6.Deregulispoencster 13Delyimmediate54. 37 16 Delysemper 57 8 Deregu.pancspro tinenscap.56 minorumcontinens. Cap.primum.Dediffic Cap.18.   go ciocinsolubilib?& di s Obiectionescöcrare trainsolubilia 7 5 6 Obiectiones contradi  milibus propofitioni bus regulas cap. 4. huius Cap.primum dediffini. 2 Deobiectionibuscó finitioncs.6.cap.hui? primi tracta. 5 Deexclufiuisinfolu 7 De insolubili difiun- ulti.ca.contra modos TABVLA 127 mitracta. 98 3 Deinsolubiliparticu ctaincap.8.huiuspri 8 De insolubilibusno Tractatus.8.é de obic 94 78 7 Obiectionescontra 80 8 Obiectionesaddicta eftde obiectionibus contraprimum trac. Cap.primū.Deobicctio Tractatus Septimus tra.3.tracta.continēs. continenscap.8. nibus factiscontra re propofitionum 66 3.huiusprimitrac. 85 4 DeAmilibus& diffig Obiectiones contra 68 primitrac.côtinet 87 S Dedepofitiöibuster3 Obiectionescôtrare minorum Tractatus Sextus eft m i tracta. 88 4 Dcinsolubiliuniuer Cali bus bilibus riuo ctiuo figurarum apparentibus 83 Cap.primum.Obiectio. gulasprimo& .2.ca. 7 1 gulas.5.cap.huiuspri deinsolubilibus.8. 4 Obiectionescótradif cap.habens. 81 cap.ulti.huius primi ca.7 . 92 uifioncciufdem.car.73 gulascap.7.huiuspri lariuelindefinito 77 mitra.depredicabili. 79 6 Deinsolubilicopula. trac.inmaceria syllo gilmorum 97 n a cótra dictain cap . huiuscertñ.tra,inm a Štionibusfactiscon   car . las.7.cap.huius terti las.4.cap.huius terti 1 1 7 tracta. VenetijsExpensisheredumLucæ 122  $ TABVLA teria consequentiară, tracta. 114 tëtracta. 106 6 Obiectacontraregu 3 Obiectacontraregu tracta. las,8.cap.huiustertij las.5.cap.huiusterto tracta Antonñ Iunte Florentini Mense Martio.1544. Registrum illaiquaiferi’predicaturde terrogatoezfactapqualise fuosuperiozi.vtaialeftbo. sozesvťplatopueniéterrñ Predicatioeéntialiséillai deturq rifibiť.7totaratio quafuperi’pzedicaturdein quareficpdicaturdeilliseq? feriozivelecóuersofzquod éppziapafsioilliustermini dictiévľoriadealiq°illon bomo cum quo conucrtitur. Si predicatioaccítaliséila Acchrétēmin’vniuoc'pze iquappuúvelaccñspzedir. dicabilisdeplib”ieoquod caturdegenerefpeciezpria qualeaccắtaleipuertiblrfi bľfuoidiuiduoautepuerfo  5   Eréplüpzimi:vtbóèrifibil dirurindecepdicasca.Quo Paialéalbu.exéplusivrrifi rupzimueltpredicarsitu lub bileéhoalbueaial.Etpfiľr státiecul’generaliffimúébic dedriazidiuiduodicafl'me teri’lbalubàpoiturhicter li’oicaturg pdicatioefriaťė mi?coup”.subcocpozecosp? pdicatio terminoz eiusdez s a i a t u sub cozpoze aiato ať 16 dicamentivtbóestaial.pze, aialifpesspecialissimahoľ dicatioautaccicaťeftpiedi afinuszlbiftisfuaidiuidua carioterminoxdiuerfozpze fozteszplato.bzunellus7fa dicamentorumvthomoéale uellus.Secúdupredicame bus.Termin superioradre túeftpdicamentu quátitutis liquúdicitureffeillequicon Lui'generalisfimúeftquäti. tinerillúznecóuerfoficutli tasfubýfuntduogenera16 aialrespectuisti'terminihó alternaärnulluestsuperius qzfignificatquicgdile?cuz adreliquúvzcontinuuz?di bocaliquidvltra.Lermin’in scretu.primigenerisiftefür feriozadreliquúdicitureffe fpetieslineasuperficiescoz illequicótineturabeo.nnó pustempus?locus.qR:bec ecouerfovtliforesrespectu funtindiuiduabiliuea fupfi iftiusterminibomo . hiclocus. Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea infinitesuntfdeties.f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius 7 cetera . Redicamentuzestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi, qualitas.Quartuzestforma nozuFmsubzlupza.Etdiui, vetcircaaliquidpitasfigura  us trinarius quaternarizë Animatum Jnanimatuz indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicamentuz qualitatiscu iusgeneraliffimum estquali Lozpus Jnsensibile Rarionale Jrrationale. tasfubquofuntquattuo:ge Animal rationale nera subalterna:non sebabe Soates Plato rio.Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia.Ier Substantia tia fecundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo cies.boc cozpusboc rempus 1 1   Primigeneris(petiesfune Quintumpredicamétoem grāmaticalogicazrhetorica dicamétuacióiscuiusgener quaqindividuasuntbecgrå rasubalteznafuntfer.quozu matica logicab rbetorica. nulluėsuperiusadreliquum Lertijgenerisfpessunto risspéssunt.generarehoiez redoamaritudo.albunigruz ?cozrupereequáquayindir calidúzfrigidubuidum zfic uiduafuntficgenerareboiez cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorrupereequum.Iertijz dulcedobiamaritudohocal quartigeneris(pessuntau. bumhocnigp 7buiusmodi. gereinlongudiminuereila Quartigenerisfpeciessut tum.quozumindiuiduafffic circulustriangulusquadra augereilögumficdiminuer gulus2huiufmodiquarúidi inlatu. Quitigenerisspés uidua funt.biccirculus .bicfunt calefacerez frigefacere triangulushicquadrágulus. quaridiuiduafuntficcalefa QuartiipredicamétüĊpdi cereficfrigefacer.Sertigo, camerurelatóis.Lui'gene. nerisfpeciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada. súmoueredeorsumquaruin liquidfbåfunttriagenera( diuiduafuntficmouerefurfu alterailebita63,16zsup2a ficmoueredeorfum.Sertus Primumestcaparatio.Se predicamétaépredicaméruz cuduzéfuppofitio.Lertiuzė paffioniscu’generatiffimu fuppofitio.primigenerisfpe estp  dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue modusmediatiteractumca tur.Jurtaprimamfamzvi, sumzverbúinfinitiuimodi timamdiuifionesponitifte vtfoztempoffibileécurrere versus.Quecavelip.qualif Propofitiomodatisisenfu* nevelaf.vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i taliterpcedirveifinaliter16 terrogationedepłopolinóe fegturvtdeumefTeénecessa factagquerespondeturcar rium.Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica.Se effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer nibusorigináturtresfigure rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe.Seci, fpondeturaffirmatiuavľne damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat habensadmoduprime.ter, qadinterrogationefactaze tiaveroormodąlisofenfu2 quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua particularisindefinitavelfin ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum eri inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. uifionesduealie decla    Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer.  -- Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo . non currit Lörigesest foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere poffibileeft soz.currer Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne Hullu boiez poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie Subalterne   Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit fecundefigurebere ptnll?bócurrit.necieptra  gulegeneralespriaé dictorie.Disbócurrit2gda tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit.neciftefubala zvniuerfalıfnegatiadepfitt terne.Disbó currit7quida b?fubiectis7predicatisfup bomocurrit.qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp proeisdéfuntatrarieifigu, eisdez.Znona.n.fbinfuppóit ra.vtglibzbócurrit.2nllur provtroq;reru.Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft 14 particularis affirmaria et promasculinotantum Scutqua tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib ?fubiectis 7 pdicatis fup. fituanturpropofitoea infiguraitaquattuoz ponétib?pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu fciturlerseunatura.quarum ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile nócurrit.Lertiaregľaviuě duoztrariaeffefimulvera falisaffirmatiuaapricularis benefimulfalsa.Primapars negatiavelvlisnegatiazp patzinductieinomnibus.Et ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectiszpdicatisfupponen funtfimulfalfa.Quilibzboè tib?pcirepeodezvelpejsó albusznullusboestalb”.Et sunt tradictoneifigura,vt iafimiliterDmneanimaleft quilibzbócurriteqdábóñ bomocnulluzaialefthomo curritP.ull'bócurrit?qui Secundaregulaeftiftanon dåbócurrit.Quartaregla eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa.fedbenefim cularisaffirmatia.Etviuer, vera.Patetparsprima ifin salisnegatiuaaparticularis gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis probaturquoniamistafuntfi 2predicatisfupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal sepeodezvelpeisdezftit16 bus. aliquisbononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó Aliquodanimalefthomo.Et currit2gdambócurrit.Dar aliquodanimalnonefthomo lusbomocurrit.2gdazbol Tertiaregulaeftifta.Honė mononcurrit Expdictisfegturgilenó effefimulveravelfimulfalf.  LogicaPauliUeneti. madiuifioeftiftaterminori vocaturlravelfyllaba.Pzie distributiabiitofficiuq2dtē 25boraldefinitio,sebutcomienicu damagnitudiez carituseftilequipermitesperjeigranasoatione. tediumcóftitué aligdrepritatveuboliaial.kupindistan'tbeineciligaya tezinajoftudentiuznecno LerminiplefignificatiusPericarioneperforsales aliornimia;breuitatez.gbɔ eftilequiperfefumptusni,beit perqúemymim nullafereeftaneradoctrina. bilrepresentatproisnulluseftpermainang Ideovolensmediuftinere 7files.Secundadiuifioeft , vtriusqzsapiésnäzertremi. iftatermiogquidazsignifi, ppendiumvtilecostruriiuue cantnaturalrzquidãadpla nibɔplurib,diuisuztractati, citum.Lerminusnatural'rfi bus.quorprimusfuimularu gnificansestilequiapooés traditnotitia.Secud fuppo .eiusdeestrepsentatiuusficut firionú declaratmateriá.ter ti-pregntianonditdoctrina. Poadplacitufignificanséil Quartusterminoqviistruit lequinóapudoéseiusdez é pbatiua.Quint’ligidiregu, representatiu'ficurilletermi lazdocetobligatiuaz.Sert? nusbóinvocevelinfcripto isolubiliafoluendidarartem apudnosfignificatboiem. 7via.Septimusatraprimú 13apoaliquascertasnatoer obijcitfolutionezaddensre, nibilfignificatvtfuntgreci: fpófiuaz.Dctaubotertium bebrei.Zertiadiffinitoéifta fodificarpróem argunitati, Qterminokquidaeftcatbe uá.Quiagdoctrinaquecun, gozematiczgdáfincathego 93acoiozivtaitphusinpzo rematic?.termi’cathegoze, bemiophyficozumfüiteros, maticuseftillegtampiezz duuideotractatuspzim’ter/ cialiob3ppziùfignificatum mũiicofunitsicipapioi otlibófue.v.ponarinóeft tibölianimalinte.Lermi? Gential uitdiferenmis.ut box Florin simp prout firepmimusin T é l . ( 1 6 ) 4 4 . 5 7 . 2 4 . 6 0 E":"othèque des Fontaines 60531 CHANTILLY Cedex gramaticaj. Lorical   minátdistributiverparticu! complerus eftozó vthomo lariaparticulariterÕpofitio alborozes platodeuzeffe nesdeterminatfbcertocâu 2buiusmodiic. aduerbiaverbúzcõiúctóes 4 Uia noier verbo er biitcõiungere terminosvel quibus ozatio compoi ozóes.Quarta diuifioestia tur7ppofitiologicus pzici. g terminoxquidaz eftpziei palitercófiderar.Jdeo'dbil tentiois.7quidábeitencois reftatdiffinitionesaffignare Terminuspeintentóniseft Homéestterminusfignift terminusmentalisfignificaf catiu?finetépozecuiusnulla nonterminu.i.réānonéter parsaliquidfignificatseper minusdatoq effetficutlibó ratavthomo.In iadiffinite fignificatsoztem zplatoné.å poifterminuslocogencris. ruinulluspoteffeterminus. q2ocnomen estterminus.e Lerminusaütbe itentóisé nóego.diciturfignificatinis terminusmentalisfignificát quiatermininófignificatui solimoterminilppofitone nófuntnoiaapudlogicilicz ptiliterminimentalesnon biapudgrāmaticivtomis verbtiparticipiúppofio020 nullus7fimilia. Tertiodi, zbuiusmodi.Qüitadiuifio citurfietemporeaddiffere, estistagterminozquidãcst tiñverbiaparticipüafignis peimpofitionisquidife.ter ficantcumtempore. Duar minuspeimpositois estteri toponitcuiusnullaparsali nusvocaťvèlscriptusfigni quidfignificataddifferentia ficansnoterminu.vtlibóz orationiscuiuspartesfigni, liaialivoceveliscripto.ter ficät.(Uerbúeftterminato min’autéfeimpofitioniseft požaliterfigificatiu?zertre terminusvocalisvelfcript? monvnitiuuscuiusnullap8 fignificassolúīmodoterminu aliquidfignificatseparatave velpropositionevtilitermi curritveldisputatoicifpria nirocalesvelfcriptinomen mo temporaliterfignificati, verbtiparticipitizhuiumói uusaddifferentiamnominis Sertadiuifioeftifta.Termi quodfignificatfinetempore nonquidifuntincópleri29 Secundodicitur7ertremo damcompleri.Terminusin rumvnitiuusaddifferentia complerusvocaturdictiovt participüquodfignificatcií lilapislilignum.Izterminus tempože.sednonvnitfuppo  1  fituscumappofitoficurvero quenonfuntppofitionesno · bum.cetereatparticťepo obftáteqafintindicatieq?i nuiturficur10 toenois. fignificantverumnecfalsuz . P Ropofitioeftoratioi dicitur.vtbomo predicatuz ,puma,plicare Progofitocatbegozicaet"prodicaria,madevenirate Alia iperfecta . Diario pfec bignier parte dignins e.me,ose ista quebetßbiectuzzpiedichuo ublitt taeftilaqueperfectu fenfi catucopula generat animo auditous. partes tanöspzincipaler,peplicireutimplicie. vtbomocurrit. sui.vthomo eltaial. i), Etfidicarurbomo currite Horádumotresfuntspe propofitiocatbegozicaznon Dratioefttérmin'lignifi cumfintozationesiperfecte catiu?cuiusaliqua pars ali quidfignificat.vtboalb?de uz effe.Ulria particula poni turaddifferentianominis? Propofitionuzaliacaibego verbi.grumpartesnonfigni rica:Aliaypothetica. ficant.Dzationuzaliapfecta ibiectumestubomo predica Diarioimperfectaestilla tum verolianimal.7copula aiperfectuzfenly;generari illudverbumestq:coniungit animoauditousvtbomoal fbiectumcumpzedicato. busdeumeffe d Juisiones16pposito ne contentas segtur nuerare .Pria eft ifta 5 cies orationis perfecte . Drationuzperfectar.alia indicatiuavthomo currit babz predicatum dicitur qa babzimplicicumpredicatuz v z li c u r r e n s q d p a t z i n r e r o í Aliaimperatiua.ptooce joannem . Aliaoptatiua.Desum eseltasuum participiu uendoilludverbum curritin vtinameffembonus logicus Subiectuzestoe&aliquidadfubiecit”alori ܐ fal veroqd fümfignificás.vtbô animal.Sedcopulafempererspularerreigitpilianca. currit.poniturozatolocoge verbuzfbftátiuü.l.luzeseltveteteaiomm neris.q:oisppofitioestoza De propofitioneyporbeti-inwirtelde eius. tioetnoneguerro.Secundo capofteriusdiceruraddif, d i c i t u r i n d i c a t i u a q : f o l a i d i f e r e n t i a m c u i u s p o n i t u r il la catiuaeitppofitio.nonátim particulaprincipalespartes peratianecoptatiua.Ulrimo fui. annectiturverumvelfalsuz Secundaoiuifioeftifta. fignificansproptertalesoza Propofirionuzcabegozi, tionesfoztespór.platoicipit car.Aliaaffirmatiuaaliane facit,   egineris,matiuaeftilaiquaibupäin num cathegozicarum aliane kleinesitimplicies 62 apaleaffirmat öcbócurrit. ceffariaaliacontingens,ppo diferenciaPresidurijgezo pzopoçatbegozicanegatifitionecefariaeftilacuius artean = uaeftillaiqobiipricipalene primariumzadequarumfigi gáf.vtbónocurrit.Tertia ficatumeftneceffariumvtoe diuifioeftiappofitouzcatheus est.popofitiocontingens goricaraliaveraaliafalsa. eftilacuiusfignificatumpzi, Propocatbegozicaveraéila mariumzadequatumeftcó tui?pzimariuzadeqtuligni tingensvttuesbomo.Etvo ficaruiéverúztuesbobecco fignificatumcontingensil n.eltperatueshóq2reeffe ludquodindifferenterpotest boiezcftveru.Uocosignifi esseverumvelfalsum.Sex catuprimaritizadeqtuppo tadiuifiopropofitionumca! fitionisqó eftfimileorationi thegozicaruzaliaalicui'quă ifinitiuevel piúctie illius.vn ' titatis alia nullius.P2opo ca deteeffeboiem velqotues 'thegozicaalicuiusquantitati bódicitfignificatu;primari estillaqueévniuersalispar uz7adequatúilliustuesbó ticularisindefinitavelfingu ceteraåtsignificatavtteeffe laris. Flop.vniuersalise aialteefeTbstantia7huiul, ilainquafubijciturerminosnasdistri mõisuntfignificatasecuidaria comunisfignovniuersalides  gacia.Prop cathegõicaaffer Quintàdiuifio.propofitior burinemobil 7penesillaidicieppovera terminatusvtomnisbócursliepy. necfalla.Propocathegorica rit.Terminuzcómunemvoco falfaeftillacui?pzimarius7 inprentinomenappellatiuuz adequatü fignificatum estfal fumvttuesarinus ?pionomen pluralis numeri Signa vnüerfaliafuntiaoil Quartadiuisioppónuzca nullusquilibetvnusquisqz thegoucaşialiapoffibilisali vterq;neuterqualislibzquá aipossibilir.ppocathegorica tufliberzhuiufmodi.pzopofi poffibiliseftilacui'paimari tioparticulariseftillainqua uz?adeqrufignificatúépor iubijciturterminuscóisfigno fibile vt tu curris particulari determinatusvt Propofitiocathegoricai, aliquisbodifputat.Signap, poffibiliscst¡la cuiuspama ticularia funeiaaligs gdå al rium7adequariifignificatus terreliqu’rbui?mór.pzopo eftiposibilevebóěafinus indcfinitacfiillaiqualbijcie feprobatio:ctfromloco Fifolo   1 . i terminuscómunisfinealiafip Reterfupiadictasdi gno:ytbomo estanimal. Propofitiofingulariséil, rantur.Primaeiftappofiti lainquafubijciturterminus onucatbegozicap.altadeief discret?velterminoconiunif realiamodalis.Propofitio cumpnominedemostratiuo cathegozicadeielleèillaiä fingularisnumeri.Ermprimi nonponituraliquismodus. utToutescurrit.ermfiillebo vtbỏcurrit.Diopofitioca disputar.Uocoautemtermi, thegorcamodaliscillaina numdiscretumpelfingularé ponituraliquismod?vtpof nompoziùautpnomenomo fibileefoxtemcurrer.Modiy Scromodi ftratiuúfingularisnumerivt autemfuntferscilicetporsi, ifteiftaistud.Erquib?fequi bilerimpossibileneceflariu turiamqueécatbegozicanĽ 7contingensverum7falsum liusquantitaris7diciturgil Secundadiuifio p:opositi laanoévniuersalisnecpar onummodaliumquedamcst ticularisnecidefinitanecfin infenfudiuiso quedazifer gularisvterclufiue7ercep sucompositoPropositiomo tiuevztantumbocurrit.om dalisinfenfudiuitocillaiä nisbomopzeterfoztemoue modusmediatiteractumca tur.Jurtaprimamfamzvi, sumzverbúinfinitiuimodi timamdiuifionesponitifte vtfoztempoffibileécurrere versus.Quecavelip.qualif Propofitiomodatisisenfu* nevelaf.vquanta.parifin. cópofitoéilaiquamod’to Dama psficitelligitpad i taliterpcedirveifinaliter16 terrogationedepłopolinóe fegturvtdeumefTeénecessa factagquerespondeturcar rium.Impoflibileébominė tbegozicavelipothetica.Se effeafinum. Erbisdiuifio cudaaurasseritquodaditer nibusorigináturtresfigure rogationéfactamoqualisre quanpriaordeieffe.Seci, fpondeturaffirmatiuavľne damodalisofenfudiuisore gatiua.seditertiadenotat habensadmoduprime.ter, qadinterrogationefactaze tiaveroormodąlisofenfu2 quantarespodeatvniuerfaľ pofitofiacefisdispata qua particularisindefinitavelfin ruideclaratóesbes ierobic gularis. hocfecundum eri inferiuspofito.: gètiáppoitoisppofité är zo Sequuntur figure. uifionesduealie decla    Quidam bó curri Quetz bõiez poffibile eft currere Weceffe eft roz currere Subcötrarie Lontrarie Contrarte Subcötrarie currer.  -- Lontradictorie Qutuber bomo currit Lontrarie Duídå bo . non currit Lörigesest foz.ñ Aliquesboinem Aliquéboiez poffibile eft. Có posibile eftcurrere poffibileeft soz.currer Subcontrarie Mullus bomocurrit. Impoffibilee Tozcurrere Lontradictorie dictozie Lontra Lontradictoria Snbalterne Subalterne Subalterne Hullu boiez poffibileeft. currere currere ditozie Lontra Lontraditozie Subalterne   Intigiturtåpueq funtcontrarieoisbocurrit fecundefigurebere ptnll?bócurrit.necieptra  gulegeneralespriaé dictorie.Disbócurrit2gda tita.Uniuerfalisaffirmatiua bononcurrit.neciftefubala zvniuerfalıfnegatiadepfitt terne.Disbó currit7quida b?fubiectis7predicatisfup bomocurrit.qztermininifup ponétib”precisepeodévét ponuntprecisepzoeodevĽp proeisdéfuntatrarieifigu, eisdez.Znona.n.fbinfuppóit ra.vtglibzbócurrit.2nllur provtroq;reru.Jnaliavero' bocurrit.Secidaregťaeft 14 particularis affirmaria et promasculinotantum Scutqua tuozfgula particularisnegatia de pfimi lib ?fubiectis 7 pdicatis fup. fituanturpropofitoea infiguraitaquattuoz ponétib?pcirepeodévelp alijsregulisipfarumcogno, cirdezsuntcontrarieifigu fciturlerseunatura.quarum ra.vtgdabócurrit?qdåbo primaeftianonestpossibile nócurrit.Lertiaregľaviuě duoztrariaeffefimulvera falisaffirmatiuaapricularis benefimulfalsa.Primapars negatiavelvlisnegatiazp patzinductieinomnibus.Et ticularisaffirmatiaopfilibö fecundaprobatuz.quoniazia fiectiszpdicatisfupponen funtfimulfalfa.Quilibzboè tib?pcirepeodezvelpejsó albusznullusboestalb”.Et sunt tradictoneifigura,vt iafimiliterDmneanimaleft quilibzbócurriteqdábóñ bomocnulluzaialefthomo curritP.ull'bócurrit?qui Secundaregulaeftiftanon dåbócurrit.Quartaregla eftpoffibileduofubcötraria vniuerfalisaffirmatiazpti effefimulfalsa.fedbenefim cularisaffirmatia.Etviuer, vera.Patetparsprima ifin salisnegatiuaaparticularis gulisdiscurrendo.fecunda. negatiuade pfitib lbiectis probaturquoniamistafuntfi 2predicatisfupponétib?pci mulvera.Aliquishomocal sepeodezvelpeisdezftit16 bus. aliquisbononeftalby alterneinfigura.vtglibzbó Aliquodanimalefthomo.Et currit2gdambócurrit.Dar aliquodanimalnonefthomo lusbomocurrit.2gdazbol Tertiaregulaeftifta.Honė mononcurrit Expdictisfegturgilenó effefimulveravelfimulfalfa poffibileouo contradictoria  --  patetiftareguladifcurrédo alter.Hecranonfoludefuit Pfingťaptradironia.Quar primevelfecüdefigureimo taregulaeft14.Sivniuerfaľ tertie.Etvocoibinegatio eftverafuapticularisvelin neprepofitaquandocolligit definitafibifubalternaeftde modofuemod?pzecedarfi ralnego.Unfibeffetvera uesequatur.7postpofitaqui gizboestalb?6fikreffzver coniungiturverboinfinitiui raaligshoestalbosznóez modi.eréplüpzimi.nópofsi. q:iadefactobeveraaliquis bileésoz.curreredelsoz.cur hoéalbɔ.znóiaquilzboeft rerenóépoffibileereplúfi albɔ.Eteodémódicodenei possibileésoz.nócurrerevel funtregule.quorpria reequiualetiftiptingenscft eftia.Hegpäepofitafacitz foz.nócurrergpumăregula quipollerefuocótradictozio EthneceffeeTo2.noncurrer viinoquil;bocurritequalet equiualetiftiimpossibileest isti.Aligshónócurrit.Etnó soz.currerrrecundamregur n u l l u s h o c u r r i t e q u i u a l z i s t i l a m z i f t a n o n n e c e f l e e s o z . ni aliquishomo currit. eurrercquiual;huic possibi Secundaraeftistanegató leésoz.currergtertiamrei poftpofitafacitegpoller fuo gulamzitadicaturdecete contrariopbaf.näiftaquils risquibuscunq3quare7c. bomo noncurritequipollet ( Dnuerfioeitcranspofi uftinullusbomo currit.2nul tiosubiectiinpzedicar lushomononcurritequipol rum7econuerfo:vtbomoé ictiftiquilibethomocurrit. animalanimalébomo.Etlý Lertiaregulaeftistanega diuiditurinconuersionefimi rioprepofitazpostpositatai plicemperacciisopercorra citequipolleresuofubalter, pofitionem. Lonuerfiofim no.vndebnonquilibethoñ pleresttranspositiosubieci curritequipolletistialiquis inpredicatú7e2°manentee bomocurrit.Etiftanonnul: Ademqualitateaquantitate lusbomononcurritequipol vtnulluanimalcurritnulluz letiftialiquishomononcur curréseanimal.Lonuerfiog rit.Undeversus.Precótra, acadésetranspofitiosubiec dic.postcontraprepostaz.sb tiipredicatu epomanteca gatiuisquare 7c. roz.nó currere èpossibile .6 Quipollentiarumtres ergononneceffeesoz.curre  1 . 1 4   demqlitarefzmutataquanti uerfavera?Querfensfalfa. tate.vtoishó estaialaliqd Håbé peraaliqrolanoné aialébo.Lóuerfiopptrapo fbftárianullarojaernte7ti fitioneeträfposiectiipdica befalsaaliquifubstätianon tiirecóuerfomanéteeadem énonrosaq2suutradictori qualitaterquitirate.kmura uzévertivžoisnonfubftan tistermisfinitisiterminosi tia ;estrora. finitosvtquoddaaialficurs Lotradictiopuerfiõefim ritqodanocurrensnóénon pliciarguiťpaiofic'becéve aialUtatfciafáfponóhis ranullusbõémuliē.zbecē puerhonib?puertatponun falfanullamulierébóigif, furistiosus,Fecifimpliciter Secuidobecéveranull?ce puertifeuapacci.Altopcon cusvid;ens:7becefalfanul traficfitpuerfiotota.Jng? lumensvidetcecúergorc. ponúťquattuorlrevocales Lertioßéveranuloom ? S.a.e.1.0.2fignificatplezar éibbiezljéfatfanullusbó firmatiaz.2vlemnegatiuaz éidomogac.AdpzimDICIE i.pticularezvelidefinităaf, giftanó suapuertens.fzia firmatiua.o.veropticulare; nullamulieréaligfbó.qioz velidefinitanegatiua.Luš effephilislimitatioipuerté dicitfecifimplr.i.plisnega teripuersa.Ad63picogi tiua7pticularisaffirmatiua fitdesbiectopdicatu.qziicft puertütfimplr.puertiťeua p:edicatúlyens13lyvidens pacci.i,vlisnegariazplis ens.ióficpuertiéšnullüvi affirmatiuapuertufp accñs densensécecii.Ad tertium Artopara.i.vlisaffirmatia difimiliterquiaiépuertens zpticularisvelidefinitane ei?Izianullüensiboiecdo gatiuacouertuntpoponem. m?.vľiainullobõieédom? Harzuerfionúsimplerévti quianondebétterminimuta lioz.q2vniuerfaliterfipuerfa recafumquarerc. é vera puertens é vera 7 eco plurescathcgoricar ipuerfióepaccñsestpuerfa coniunctaspnotam conditio falla.vtbeaialchó.2pueri niscopulationisdifiunctiois tensveraboéaisl.Jnquer velalicuiistarumequiualen fioneveropatrapènemécó tez.Vttuesbóituefanimal  uerfo.lzñéita i puersione p accideiis velpatraponez:ná р Ropofitioypothe, ticaeftillaģbabet   Iresigitfuntfpesypotheti Deimpoffibilitatepossibly CARnoequälentesifigifica, litateneceffitatezcoringen, do'ozaditionaťcopulatia ? tiaeiusdemnonopzdicerea difitictia.Alievero vtlocaliterqzoiscóditionilisvera cális ztörať nó funtypotheeftneceffariazoisfalraéim tice.fzcathegorice.Propofi poffibilis.Hulla atitestque tioaditionalisèillaiäjiun fitcótigens.iftereguledicte gun&plurescatbegoziceper suntdecóditionalidenomia noriaditionisvtfituesbó taalyfiquarezi. tuesaial.Propofitionü con ditionalium alia affirmati uaalianegatia.Propoaditic Dpulatiua eftillaque onalisaffirmatiuaéillaiqua babetplures cathego 5nórepared afirmaturnotaəditoiserel ricasgnotacopulationisiui plüpofitúest.Londitionalis cemcõitictas.vttuesboiz negatiuaestillaiquanotacó ditionisnegatur vtnonfitu eshotuesafinus7brempp batperaffirmatiua.Adveri ratezcóditionalaffirmatiue requiriťzfufficitg oppofitú tusedes.Dzopofitionúcopu latiuarumaliaaffirmatiuaa lianegatiua. Affirmatiuae illainquanotacopulationis affirmatureremplumpofitu eft. Hegatiuaperoeltillai quanotacopulationisnegaE pritisrepugnetåtecedentivt fituesbótuesanimal.bec vtnontuesbomoztuesasi veraeftquistarepugnanttu nus. csbomo tunoessial.An Etsempernegariua proba tecedésvocatillappoqim turperaffirmatiuam. mediate sequiturnotãcóditi Åd veritatem copulatiue onis:cófequesveroeftalta. afirmatiuerequiriturquam f'meibad itaotuesboeftafcedens? libetpartemerreveramvtcu tuesaialestconsequens.Ad eshomoatuesanimal. falfitatezconditionalis affir, Etadfalfitatem copulati, matiuerequirit.2fufficitq u e affirmatiue fufficitvnam "sistemahor oppofitum cófequentisftét partemeffefalsa;vttuesbehurinefrom cumancedentevifituesbó atucurris.  tu sedes.Hec aut ftant fimul Bd possibilitatem copula tuesbomoztunofedes.ió tiuerequiriturqualibetpar itaconditionaliseftfalfa. técepossibiléznll'äaltériiz tatomagis * welalijs   Jhiunctiuaeftillaique Deusévelfoztesmouef.Ere coñitigüturplescathe pltiftvttuesP'tunones.Et itbegorica.gozicepnotazdifunctionis; adcótingentiaeiusdemrege Detuesbomoveltuesafin? riturqualibetpartemeffeco Propofitionúdifuciuarú tingentezznullaalterirepu aliaaffirmatiuaalianegatia gnarenecétcótradictoriail ;Difiuctiuaaffirmatiuaéil, laqvtantirpseftalbɔl'ipfe a inquaaffirmaturnotadi currit.Poniturtertiapartir litctóisvtpatuit.negatiade culaqebecdifiunctiuaeftne roeftillaiquanotadifiuctó ceffariatunoesbóveltues aditsiplānisnegaturprñtuesboľ aial.ztinullapsalterirepu notá quodtuescapza.zbecsemppbat gnatzõlibyéatigés.lzboc firdresinsmeaffirmatiuagneceffetnega ióqzcötradictoriaptiuzre, Lisantca tiuanifipponeretnegatóvt pugnátvztuesbó7tunes Forritpattunonesafinusveltunoes aial.veldicatomeliusqad foipropofitioneapza.Affirmatiuaestq2nul neceffitatesdifilactiverequi ' laillannegationumtranfitin rifzfufficitcoplatiuafacta notam difiunctionis.  tropugnante poribilem.eremplüpzimivt tuesafinus.Etadfalfitatem tuesbo ztucurris.Szadi, eilisrequiriturqualspartem possibilitatemei?fufficitvna effefalfamvttucurrisl'nul partezeffeipossibiléautvná lusbaculusstatinangulo. alteriicopoisibilez.eremplu Mdposibilitatemdifüctie-figutcomkepartesplenepost primivttucurris.7tuésafi, affirmatiuefufficitvnaj par tilesramom nus.erempluzkivttuésztu temeffepossibilem.vthomo ferposibilisetideopom nes.Adneceffitatez.copla eftafinusvelantichristuseftfuficitermedpogriner tiueregritquamlib;premer Sed adimpoffibilitateeius ludvorbi uficiompor seneceffaria;vtboestaialz requirifqualibetpartéeffe totdimimurront14éria de’eit.Etadarigentiazip impoffibilemvthomoeftafialiudfornogri. husregriťzfufficitynapzar nusvelnullusdeuseft. tezelleptingentez.alteraatt Adneceffitatemdifiunctie nipofsibilezneceidéicópofi affirmatiuefufficitvnazpar bilemvttucurris7tuesbó temeffeneceffaria;veliuicé pel deus eftz tucurris. cótradici.Eréplum pzimivt 2 de partibɔcontradictozijser} Ad veritatezoifiuctiueaf, feimpoffibilez.Etadcontin Römeftiguduozycótrario afirmatiuefuficitvnazparte gentiamcopulatiuafacta siune imposfibilealiud effeveram.pttu.cshomop gtib oppofitisfitcótiges, metafarim #coco scadcon coinout:fed quo hoc eftueru ,cuno filin ilascopilgrimur,fatke porousopofiris,codicarilkidekie Erionisdifnightutplan qnoradiinch omnis,Admiños vilpropofiriones,congle:fed l Frelsabond murgiipropa Mit Saint Erine &filaceprolaindaoimportinisdefinitivaentrare difusiquefignificatia'sseéincóueniensa Popu-rariosgudworscontrariozeliuniecorigens unum idiom conigat&difiurgatriper SadcuilacopulatiuafaltonIparibusopofieasofusdeles in diversors Eticeforcimoodradilosiaoliikaepoksidaéestimat arhdheofmagisterbisincoligititommdig ogdifinitivaeritDrinsers. viétime quodpropriafueimpropriauide itq,amibe“pareddfentnene ožnnimadoprops liéefetwimmign ruenhomo neltuesani   bec.n.éneceffariatunocur iusmodi, r i s . v e l tu m o u e r i s . q 2 b e c co L e r m i n ’ e q u o c ' é t e r m i n ? 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Secundigeneris Lozpozea Jnco:pozea infinitesuntfdeties.f.binari, Lozpus aiatum rius trinarius 7 cetera . Redicamentuzestcoő ciumeltpaffiovelpafsibilis dinariopluriuztermi, qualitas.Quartuzestforma nozuFmsubzlupza.Etdiui, vetcircaaliquidpitasfigura  us trinarius quaternarizë Animatum Jnanimatuz indiuiduaverofunthicbina Sensibile Animal Tertium piedicamentum è predicamentuz qualitatiscu iusgeneraliffimum estquali Lozpus Jnsensibile Rarionale Jrrationale. tasfubquofuntquattuo:ge Animal rationale nera subalterna:non sebabe Soates Plato rio.Secundum eftnaturalis p potentiavelimpotentia.Ier Substantia tia fecundum sub z fupza.pzi mortalis Jmmortalis mumesthabitusveldispofi, Domo cies.boc cozpusboc rempus 1 1   Primigeneris(petiesfune Quintumpredicamétoem grāmaticalogicazrhetorica dicamétuacióiscuiusgener quaqindividuasuntbecgrå rasubalteznafuntfer.quozu matica logicab rbetorica. nulluėsuperiusadreliquum Lertijgenerisfpessunto risspéssunt.generarehoiez redoamaritudo.albunigruz ?cozrupereequáquayindir calidúzfrigidubuidum zfic uiduafuntficgenerareboiez cum.quarúidiuiduasuntheç ficcorrupereequum.Iertijz dulcedobiamaritudohocal quartigeneris(pessuntau. bumhocnigp 7buiusmodi. gereinlongudiminuereila Quartigenerisfpeciessut tum.quozumindiuiduafffic circulustriangulusquadra augereilögumficdiminuer gulus2huiufmodiquarúidi inlatu. Quitigenerisspés uidua funt.biccirculus .bicfunt calefacerez frigefacere triangulushicquadrágulus. quaridiuiduafuntficcalefa QuartiipredicamétüĊpdi cereficfrigefacer.Sertigo, camerurelatóis.Lui'gene. nerisfpeciesfuntmouct fur ralissimúeftrelatiovelada. súmoueredeorsumquaruin liquidfbåfunttriagenera( diuiduafuntficmouerefurfu alterailebita63,16zsup2a ficmoueredeorfum.Sertus Primumestcaparatio.Se predicamétaépredicaméruz cuduzéfuppofitio.Lertiuzė paffioniscu’generatiffimu fuppofitio.primigenerisfpe estpassio.Etb;fiĽrfergene tiessuntvicinusequale?li, rafbalternarisebūtia ;sub milequarumindiuiduasunt. zsupaav;generaricorrupia hicvicinusbocequalezboc ugeridiminuialterari7fzlo fimile dñszmagister.qxidiuidua quúconīpiärididuasütir, süthicprbiconszbicmagi tuboiezgenerariftueqmco Tertijgeneris(péssútfili? rūpi.Iertüzquartigeneris fuus7discipľ?quaruiidiui; fpetiessuntaugeriinlon duasuntbicfili?bicferubic gúdiminuiilatuquanidiui. piscipulus. dua funtficaugeriilogu fic cumouči.primi7figeneris, Secridigenerisspēsfuitpr fpessúthominezgenerarie  Secundigenerisspėssunt v3generarecourtīgeaugere OURzmolle.quarüindiuidua diminuerealterare.cfmlo, funthocdurumbocmolle. cumouere.Primizfigener b

Nicoletti. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Paolo da  Harborne, and Paolo da Venezia,” lecture for the Club Griceiano Anglo-Italiano, Bordighera. Luigi Speranza, “Grice e Nicoletti: quadratura ed implicatura” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691313096/in/photolist-2mPsU62-2mLHPna-2mKMv6z-2mKMuu9-2mKNSXR

 

Grice e Negri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mercato San Severino). Filosofo. Antimo Negri.  Antimo Negri (n. Mercato San Severino) è stato un filosofo italiano.  Allievo di Antonio Aliotta, con il quale si è laureato a Napoli prima in Lettere e poi in Filosofia, ha sempre considerato come suo maestro Giovanni Gentile, di cui tuttavia non è stato direttamente un discepolo.   L'intensità con cui Negri ha approfondito il pensiero gentiliano si è concretizzato dapprima nello studio dell'allontanamento di Michele Federico Sciacca dall'attualismo poi in testi quali: “Giovanni Gentile,” “L'estetica di Giovanni Gentile,” e “Giovanni Gentile educatore.”  Innumerevoli sono gli scritti dedicati all'idealismo hegeliano, tra cui i saggi “La presenza di Hegel,” “Ricerche e meditazioni hegeliane,” e “Hegel nel Novecento,” e le traduzioni di opere hegeliane come “La vita di Gesù” e “Le orbite dei pianeti.”  A queste traduzioni si aggiungono anche quelle di grandi classici del pensiero filosofico, economico e sociologico.   Ha ricevuto il Premio San Gerolamo.  A Negri si deve anche la valorizzazione di alcune grandi personalità della cultura italiana, come quelle di Andrea Emo, Carlo Michelstaedter e Julius Evola.   La sua carriera lo ha visto professore di Storia della filosofia in alcune delle più importanti università italiane: Bari, Perugia e Roma, dove ha lavorato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata fino alla fine del suo incarico universitario.  Nel corso della sua esperienza intellettuale è stato impegnato in un'intensa attività saggistica e pubblicistica, scrivendo sulle più importanti riviste culturali italiane e straniere, tra le quali: il «Giornale Critico della Filosofia Italiana», il «Giornale di Metafisica», «I Problemi della Pedagogia», «Rinascita della Scuola», «Dix-Huitième Siècle», «L'Enseignement Philosophique», «Studia Estetyczne», «Idealistic Studies».   Ha collaborato con molti dei maggiori quotidiani nazionali: «Il giornale d'Italia», l'«Avanti», «Il Messaggero», «Il Sole 24 Ore», «Il Tempo» e «il Giornale».  Inoltre, ha diretto varie collane di testi filosofici per la Marzorati («Ricerche filosofiche», «Testi e interpretazioni»), la Seam («Filosofi italiani del '900», «Sentieri del giorno e della notte») e la Antonio Pellicani Editore («La storia e le Idee») e riviste come gli «Studi di storia dell'Educazione» della Armando Editore.  Gli è stato assegnato, a Palermo, dall'Associazione internazionale di studi e ricerche Friedrich Nietzsche fondata da Alfredo Fallica, il «Premio Nietzsche».  Saggista sempre molto prolifico, ha continuato a pubblicare opere originali non solo nella scelta degli argomenti ma anche dei contenuti: il Discorso sopra lo stato presente degli italiani, il De persona. L'indomabilità dell'individuo e Problema Europa: Unità politiche e molteplicità culturali.  Bibliografia:  Antimo Negri, Michele Federico Sciacca: dall'attualismo alla filosofia dell'integralità, Edizioni di Ethica, Forlì.  Collegamenti esterni  «Négri, Antimo», la voce in Enciclopedie on line, sito "Treccani.it L'Enciclopedia italiana". Controllo di autorità VIAF (EN) 4947184 · ISNI (EN) 0000 0000 8083 8487 · SBN IT\ICCU\CFIV\001170 · LCCN (EN) n79038496 · GND (DE) 115429352 · BNF (FR) cb120370838 (data) · BAV ADV10280490 · WorldCat Identities (EN) n79-038496 Biografie Portale Biografie Filosofia Portale Filosofia Ultima modifica 1 anno fa di un utente anonimo PAGINE CORRELATE Bertrando Spaventa filosofo italiano Michele Federico Sciacca filosofo italiano Idealismo italiano Corrente filosofica predominante in Italia nella prima metà del XX secolo WikipediaAntimo Negri.

 

Grice e Negri – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Padova). Filosofo. Grice: “Only in Italy a philosopher philosophises on Pinocchio!” -- Grice: “I like his idea of a new ‘grammar of politics,’ even if he uses the extravagant metaphor, delightful though, ‘fabbrica di porcellana’. He has a gift for metaphor, sure!” – Grice: “’la lenta ginestra’ to qualify Leopardi’s ontology is genial!” -- Grice: “Negri reminds me of ‘pinko Oxford’!” Tra gli anni sessanta e gli anni settanta, fu uno dei maggiori teorici del marxismo operaista. Dagli anni ottanta in poi, si dedicò invece allo studio del pensiero politico di Baruch Spinoza, contribuendo, insieme a Louis Althusser e Gilles Deleuze, alla sua riscoperta teorica. In collaborazione poi con Michael Hardt, ha scritto libri molto influenti nella Teoria politica contemporanea.  Accanto alla sua attività teorica, ha svolto una intensa attività di militanza politica, come co-fondatore e teorico militante delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare Potere Operaio e Autonomia Operaia. A causa della sua attività politica è stato incarcerato e processato, all'interno del processo 7 aprile, con l'accusa di aver partecipato ad atti terroristici e d'insurrezione armata. Venne, tuttavia, assolto da queste imputazioni, per poi venire condannato a 12 anni di carcere per associazione sovversiva e concorso morale nella rapina di Argelato. Saggi: “Stato e diritto -- la genesi illuministica della filosofia giuridica e politica” (Padova, Milani); “Lo storicismo” (Milano, Feltrinelli); “Forma giuridica” (Padova, Milani); “Flosofia del diritto” (Bari, Laterza); “Il concetto di partito politico” (Padova, Moderna); “Lo stato piano e il comune” (Milano, Feltrinelli); “Il concetto d’integrazione nella storia di Italia” (Milano, Giuffrè); “Il concetto di stato” (Milano);  “Il capitale e lo stato”, “Della ragionevole ideologia” (Milano, Feltrinelli); “Incidenza di Hegel. Napoli, Morano, Enciclopedia Feltrinelli Fischer); Scienze politiche, (Stato e politica), Milano, Feltrinelli); L’organizzazione operaia” (Milano, Feltrinelli); Partito operaio contro il lavoro, in S. Bologna, P. Carpignano, Negri, “Crisi e organizzazione operaia” (Milano, Feltrinelli); “I proletariato” Proletari e Stato. L’autonomia operaia e compromesso storico, Milano, Feltrinelli); “La fabbrica della strategia” Padova, “Cooperativa libraria editrice degli studenti di Padova, Collettivo editoriale librirossi, La forma Stato, per la critica dell'economia politica della Costituzione italiana” (Milano, Feltrinelli); “Il problema dello stato e sul rapporto fra demo-crazia e sociali-smo” Milano, Unicopli-Cuem, “Il dominio e il sabotaggio: sul metodo marxista della trasformazione sociale,” Milano, Feltrinelli,  “Manifattura, società borghese, ideologia: Una polemica sulla struttura e la sovra-struttura,” Roma, Savelli, Marx oltre Marx [Grice, “Grice oltre Grice”]. Quaderno di lavoro sui Grundrisse, Milano, Feltrinelli, “ Dall'operaio massa all'operaio sociale. sull'operaismo, Milano, Multhipla, “Comunismo e guerra,” Milano, Feltrinelli, Politica di classe: il motore e la forma. Le cinque campagne oggi. Milano, Machina Libri, “Otto Dix,” Milano, Studio d'arte Grafica, “L'anomalia selvaggia: potere e potenza in Spinoza” (Milano, Feltrinelli);“Macchina tempo. Rompicapi, liberazione, costituzione,” Milano, Feltrinelli, Pipe-line. Lettere da Rebibbia, Torino, Einaudi,  Boutang, Diario di un'evasione, Cremona, Pizzoni, Le verità nomadi: lo spazio di libertà” (Roma, Pellicani); “Fabbriche del soggetto: profili, protesi, transiti, macchine, paradossi, passaggi, sovversione, sistemi, potenze: appunti per un dispositivo ontologico, in "XXI secolo. Bimestrale di politica e cultura", “Lenta ginestra: l'ontologia di Leopardi, Milano, Sugar, “Fine secolo. Un manifesto per l'operaio sociale. Milano, Sugar,” “Arte e multitude” (Milano, Politi, “Il lavoro di Giobbe. Il famoso testo biblico come parabola del lavoro umano, Milano, Sugar); “Il potere costituente. Ssulle alternative del moderno, Carnago, Sugar, Spinoza sovversivo. Variazioni (in)attuali” (Roma, Pellicani, “Dioniso, o lo stato postmoderno” (Roma, Manifestolibri);  L'inverno è finito. Scritti sulla trasformazione negata” (Roma, Castelvecchi); “I libri del rogo, Roma, Castelvecchi); Partito operaio contro il lavoro; Proletari e Stato; Per la critica della costituzione materiale; La costituzione del tempo. Prolegomeni. Orologi del capitale e liberazione comunista” (Roma, Manifestolibri); Spinoza (Roma, DeriveApprodi, Contiene: S Democrazia ed eternità in Spinoza); “Sogni Incubi”, L’incubo, Visioni. Politica e conflitti nella crisi della società del lavoro” (Milano, Lineacoop, La sovversione” (Roma, Liberal, Kairòs, alma venus, multitudo. Nove lezioni impartite a me stesso” (Roma, Manifestolibri, Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio alla politica, a cura di e con Ubaldo Fadini e Charles T. Wolfe, Roma, Il manifesto, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, con Michael Hardt, Milano, Rizzoli,  Europa politica. [Ragioni di una necessità], a cura di e con Heidrun Friese e Peter Wagner, Roma, Manifestolibri, Luciano Ferrari); “Bravo ritratto di un cattivo maestro. Con alcuni cenni sulla sua epoca” (Roma, Manifestolibri); “L'Europa e l'impero. Riflessioni su un processo costituente, Roma, Manifestolibri); “Moltitudine e impero, Soveria Mannelli, Rubbettino, Il ritorno. Quasi un'autobiografia” (Milano, Rizzoli, Guide); “Impero e dintorni” (Milano, Cortina); “Moltitudine. Guerra e democrazia nell’ordine imperiale” (Milano, Rizzoli); “La differenza italiana” (Roma, Nottetempo); Movimenti nell'impero. Passaggi e paesaggi, Milano, Cortina, Global. Biopotere e lotte” Roma, Manifestolibri, Goodbye Mr Socialism, Milano, Feltrinelli, Settanta (Roma, Derive); Approdi, Fabbrica di porcellana. Per una nuova grammatica politica, Milano, Feltrinelli, Dalla fabbrica alla metropoli” (Roma, Datanews,  Il lavoro nella Costituzione” (Verona, Ombre Corte, Dentro/contro il diritto sovrano. Dallo Stato dei partiti ai movimenti della governance” (Verona, Ombre Corte,  Comune. Oltre il privato ed il pubblico, (Grice: “Cf. Grice on ‘common language’ and ‘private language’”) Milano, Rizzoli,  Inventare il comune, Roma, DeriveApprodi, Il comune in rivolta. Sul potere costituente delle lotte (Verona, Ombre Corte); “Questo non è un Manifesto” (Milano, Feltrinelli); “Spinoza e noi, Milano-Udine, Mimesis); “Fabbriche del soggetto. Archivio (Verona, Ombre corte); Arte e multitudo (Roma, DeriveApprodi); “Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle Grazie, Galera ed esilio. Storia di un comunista” (Milano, Ponte alle Grazie, Assemblea, Milano, Ponte alle Grazie, Da Genova a domani. Storia di un comunista, Milano, Ponte alle Grazie. Antonio Negri. Keywords: implicature, potere-potenza, l’incubo, la differenza italiana, grammatica politica, assemblea, Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Negri," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685927324/in/photolist-2mQjnue-2mPY4jk-2mPyUzx-2mNbFJE-2mMQbzj-2mLLyEe-2mKNNqN-2mKbok1-2mKiTu1-2mJqjKS

 

Grice e Neri – aporia della realizzazione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “Neri is an interesting philosopher – he speaks of the aporia of the realization, which is intriguing, and considers that ‘objectivism’ started with Galileo, which is realistic!” Professore a Verona. Allievo di Banfi e Paci, rappresenta una delle ultime sintesi della Scuola di Milano, di cui riprende alcuni dei temi portanti: ricerca fenomenologica, analisi storico-politica, studi estetici. Rispetto ai suoi maestri, del cui pensiero è stato uno dei maggiori interpreti, sviluppa un percorso di ricerca originale, caratterizzato da una critica delle ideologie del Novecento e dei loro fallimenti, e da una lettura non dogmatica della storia contemporanea, volta a metterne in luce discontinuità e aporie. Forte di un'indole scettica e fedele al principio dell'epoché fenomenologica, Neri ha ripercorso le vicende della dialettica marxista, focalizzando in particolare la sua attenzione sull'Europa centro-orientale, e sulle varie forme di controcondotta e dissenso che, a partire dagli anni sessanta, sono andati germinando in quel contesto storico. I suoi autori di riferimentoHusserl e Merleau-Ponty, Bloch e Lukács, Kosík e Kołakowskirivelano la tensione intellettuale tra ricerca teoretica e storica che ha caratterizzato il lavoro di Neri, dalle principali monografie, ai saggi su aut aut e Il filo rosso, fino al materiale inedito conservato presso l'Archivio Neri, da pochi anni istituito presso l'Università degli Studi di Milano.  Durante gli anni universitari, trascorsi tra Pavia e Milano, Neri ha l'occasione di frequentare gli ultimi corsi di Antonio Banfi, ormai lontano dalla fenomenologia e intento a perfezionare (e radicalizzare) il suo umanesimo di stampo marxista, e dell'ancor giovane Enzo Paci che, in quegli stessi anni di dopoguerra, intraprende un confronto innovativo con gli esiti della ricerca husserliana, e in particolare con i contenuti della Crisi delle scienze europee, oggetto di numerosi corsi. Proprio questo "apprendistato fenomenologico", secondo l'espressione di Luciano Fausti, ha consentito a Neri di acquisire un metodo di ricerca che lo ha accompagnato, non solo nei suoi studi delle opere di Husserl, Merleau-Ponty, Patočka (dei quali traduce e cura varie pubblicazioni), ma, più in generale, nell'analisi del pensiero storico e politico novecentesco. A questi interessi va ad aggiungersi quello per l'arte e l'estetica, decisivo in questi primi anni, e dovuto in particolare agli insegnamenti di Dino Formaggio, con cui Neri si laureò. Neri continuerà a interessarsi a questi temi anche negli anni successivi, dedicando diversi scritti a Panofsky (della cui Prospettiva come forma simbolica cura nell'edizione) e a Caravaggio, e interrogandosi sul rapporto tra fenomenologia ed estetica.  Agli anni di studio, segue una fase di ricerca che lo porterà nei primi anni sessanta a Praga, ospite dell'Accademia delle Scienze della Cecoslovacchia e, in seguito, negli Stati Uniti d'America, dove è visiting scholar a Pennsylvania. A Praga, Neri entra in contatto con la giovane generazione di intellettuali cechi che, in questi anni cruciali, portano avanti l'idea di riformare il socialismo dal suo interno, a partire da una profonda reinterpretazione del materialismo e della prassi marxiana. È grazie a Neri che in Italia si diffondono le opere di Karel Kosík e di Jan Patočka che, pur così profondamente diversi, condividono con Neri l'interesse per la fenomenologia e la politica. Durante la sua esperienza americana, Neri dedica a Marx una serie di lezioni e conferenze, i cui testi inediti, facenti parte del Fondo Neri, sono conservati presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano. Analizzando il pensiero di Marx, Neri si rifà in particolar modo, oltre che all'insegnamento di Kosík, agli scritti di Gajo Petrović e alla scuola jugoslava legata alla rivista Praxis. Tornato in Italia, inizia un lungo periodo di insegnamento a Verona, durante il quale incentra i suoi corsi sulla fenomenologia post-husserliana, su Bloch, sull'idea filosofica di Europa e la sua eredità, a seguito del fallimento dei principali progetti politici novecenteschi. Escono in questi anni le sue opere più note: “Aporie della realizzazione”, sulla filosofia e l'ideologia dei paesi del socialismo realizzato, e “Crisi e costruzione della storia”, dedicato, ancora una volta, al maestro Banfi.  In più occasioni, manifesta il suo debito nei confronti dei suoi maestri milanesi, per averlo iniziato allo studio della fenomenologia. In tal senso, il passaggio dall'insegnamento di Banfi a quello di Paci è decisivo. «Al centro non era piùscrive Neri poco prima di morire, ricordando quegli anniil "disperato razionalismo" del fondatore della fenomenologia: il fuoco della rilettura era diventato il "mondo della vita" e la critica dell'obbiettivismo moderno». Un pensiero che ben si presta a una generazione di giovani studiosi che, durante gli anni sessanta, si raccolgono intorno a Paci, desiderosi di affinare un pensiero che consenta di riguadagnare un sguardo disincantato, ma non indifferente, sulla realtà sociale e culturale circostante, contro «l'asfissiante razionalismo» di Banfi e, più in generale, contro l'impronta culturale del PCI.  Neri rientra in questa nuova leva di studiosi e in questi termini si possono interpretare anche i suoi studi fenomenologici. «Con il tema del mondo della vitaribadisce Neri, in un altro tra i suoi scritti più tardila fenomenologia mostrava di saper affrontare i problemi posti dalle scienze storiche e sociali, dall'antropologia culturale e infine anche dal pensiero marxista». L'esempio di Paci, tuttavia, che cercò a tutti gli effetti di coniugare metodo fenomenologico e dialettica marxista, è seguito dall'allievo solo parzialmente, lasciando la sua impronta più visibile nel volumePrassi e conoscenza, una cui parte è dedicata ai critici marxisti della fenomenologia. Col passare del tempo, tuttavia, Neri adotta una posizione di sempre più evidente rottura, prediligendo a qualsiasi tentativo conciliatorio una critica fenomenologica del socialismo realizzato e delle sue distorsioni. A tal proposito, il confronto con Kosík e il dissenso, all'interno del socialismo reale, giocano un ruolo di primo piano.  Come si evince dalla sua “Aporie della realizzazione,” distingue due fasi e due generazioni di filosofi, all'interno della complessa crisi del socialismo in costruzione. Da una parte, la prima generazione è rappresentata da György Lukács e da Ernst Bloch. Proprio al pensiero di quest'ultimo, alle sue concezioni di storia e di utopia e ai suoi numerosi ripensamenti, Neri dedica una lunga analisi, che tornerà periodicamente anche negli anni successivi, come testimoniano i programmi dei suoi corsi universitari. A Bloch è ispirato, d'altronde, il titolo del libro, che Neri ricava da una pagina di Principio speranza. È all'interno della dialettica tra realtà e realizzazione, tra condizione presente e speranza futura, che Neri individua l'andatura del socialismo reale, della sua filosofia e della sua ideologia. Solo con la seconda generazione di filosofi, tuttavia, le aporie della realizzazione socialista vengono veramente al pettine; la malinconia di Bloch cede infatti il passo allo sguardo scettico di Kołakowski e al tentativo di Kosík di rileggere la dialettica marxista in termini concreti, al di là di ogni deriva ideologica. Dello stesso tenore è anche il libro su Banfi, Crisi e costruzione della storia, di pochi anni successivo, in cui Neri si confronta con lo stesso tema della realizzazione, inteso stavolta nei termini del tentativo banfiano di costruire un percorso storico su basi razionali, oltre la crisi della civiltà moderna, verso una nuova prospettiva umanistica. Alla luce del ritratto offertoci da Neri, che si concentra in particolare sugli anni trenta, intesi come momento cruciale per lo sviluppo della teoria banfiana, emerge un'immagine di Banfi particolarmente complessa, nella quale la svolta ideologica e l'adesione al comunismo non offuscano il perdurare di uno spirito critico e di una prospettiva europea, che si sviluppa al di là dei particolarismi delle filosofie nazionali.  L'Archivio Guido Davide Neri -- è stato creato presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano l'Archivio Guido Davide Neri. In tale archivio è raccolta un'imponente quantità di materiali inediti, che comprendono riflessioni, appunti per corsi e seminari, annotazioni di viaggio, corrispondenze. Sono considerati di particolare rilievo, in vista di futuri studi sul pensiero filosofico di Neri, i 149 quaderni, contenenti le riflessioni del filosofo, dalla metà degli anni cinquanta, fino alla sua morte. Attraverso la lettura di questi scritti, ora completamente consultabili e in corso di digitalizzazione, è possibile chiarire il rapporto e gli scambi di Neri con altri rappresentanti della filosofia milanese: da Banfi a Paci, da Dal Pra a Preti. Grande importanza rivestono anche i commenti in presa diretta su alcuni tra i più rilevanti avvenimenti storici del Novecento: dall'invasione sovietica dell'Ungheria, alla Primavera di Praga, fino al crollo del socialismo reale. A ciò si aggiungono le riflessioni sul ruolo della filosofia nella società, sul modo e l'opportunità di insegnarla, e sulla sua tenuta, di fronte alle scosse della storia.  Saggi: : “La fenomenologia della prassi  (Milano, Feltrinelli); “Il partito socialista italiano” (Milano, Feltrinelli); “Crisi e costruzione della storia” (Napoli, Bibliopolis); “Il sensibile, la storia, l'arte” (Verona, Ombre Corte, F. Tava, su Open Commons of Phenomenology. G. Scaramuzza, Presentazione, in Atti della Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la Fondazione Corrente, Milano, Materiali di Estetica, Archivi. su sba.unimi. degli scritti di in aut aut, n. Atti della Giornata di Studio e di Testimonianze svoltasi presso la Fondazione Corrente, Milano, in Materiali di Estetica, Quando tra noi  Ricordo, amici, colleghi e studenti, Pizzighettone, Viciguerra, L. Fausti, Tra scepsi e storia. Un percorso filosofico, Milano, UNICOPLI,. L.Frigerio e E.  Mazzolani, Iin Sistema Università,  A. Vigorelli, Fenomenologia e storia. A partire da Patocka: itinerario filosofico, in Leussein,  F.  Tava, Open Commons of Phenomenology. sba.unimi. Fondo librario. Grice: Mussolini used to say that Garibadi spoke of the ‘popolo’ while he speaks of the ‘nazione’ – and a nazione has a plusvalue over popolo. Il popolo e l’asino, l’asino e il popolo utile paziente e bastonato. Grice: “Neri made a great contribution or the spreading of Husserl’s interpretation of their own Galileo n Italy. Who is this Jew to tell us anything about our glorious Pisan? Husserl saw Gailei as a Platonist. Neri made a translation of Husserl’s essay on Galileo and included in a saggio with the title GALILEO in it – in this way, he gathered the attention of every Italian philosophical Galileian!” Grice: “Perhaps the best introduction to Italian socialist politics are the commentaries Neri made to the cartoons in the asino, which he entitled, bitingly, the bite of the ass!” Grice: “Oddly, bite is an attribute of ass – when a retrospective of the cartoons was held, the cliché journalese when ‘satira morente’ -- -- estetica di Diderot, senso e sensibile, il sensibile, la sensazione, il Galileo di Husserl. –Guido Davide Neri, su sba.unimi. Neri. Keywords: aporia della realizzazione, il mordo dell’asino, -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Neri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701893635/in/photolist-2mQiU3r-2mPZ2Vc-2mPVkio-2mPYm4t-2mLN3si-2mLGvyP-2mLHHHe-2mPq5pS-2mKTyvC-2mKG3XG-2mKFeJo-2mKDwcr-2mGnP2f-G3tvCn-G9arP4-FcebeC-ErqrPW

 

Grice e Nesi – implicatura – adulescentuli oratiuncula – Sono dalle celeste sphere Venere: perche  amore inspiro: dagl’elementi fuoco: perché  d’amore accendo da uoi con vocabulgreco CHARITÀ chiamata: perché col mio ardore della GRAZIA della salute viso degni.filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “I once had a fight with Nowell-Smith; he was saying that a philosopher should not be a moralist; I told him that by that token Nesi wasn’t one!” – “De moribus” Figlio di Francesco di Giovanni e di Nera di Giovanni Spinelli, si dedica interamente agli studi filosofici. Strinsge stretti rapporti con i principali umanisti fiorentini dell'epoca, tra cui Acciaiuoli e Ficino. Influenzato dall'operato di Savonarola, ricopre anche diverse cariche politiche.  Saggi: “Adulescentuli oratiuncula”; “Orazione del corpo di Cristo”; “Orazione de Eucharestia” “ Orazione sull'umiltà” “Sulla carità”; “De moribus”; “De charitate”; “Oraculum de novo saeculo, Canzoniere, Poema. Treccan Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Obviously, Nesi is not having Davidson in mind. But Nesi is wrong in identifying GRAZIA with CHARITA, ‘greco vocabull” – this is an etymological blunder. The charities were indeed three – Eglea, Eufrosina, e Talia – and they danced mainly to eroticse Mars, or more frequently Giove and Mars together --. Of course the expression ‘gratia’ is not cognate! – For Davidson, charity is what the Italians refer to ‘carità’, formed out of ‘carus’ – the spelling with ‘ch’ is a French corruption! So to be charitable, in Davidson’s interpretation, is to be kind, caro. Not graceful! --. Grice: “If Davidson doesn’t know his Greek mythology, that’s not my fault --. Instead of his singular principle of charities, I will take the liberty to sub-divide it into three maxims – The first maxim refers to the first charity, Aglae: splendour; thes second maxim refers to the second charity, Eufrosina, mirth; the third maxim refers to the third charity, Talia, cheer. In Kantian format, these counsels of prudence become: be splendorous – or try to make your conversational move one that is splendorous; be merry – or try to make your conversational move one that will carry mirth to your co-conversationalist; and ‘be cheerful’, try to make your conversational move one as if it was spawned by Thalia!” -- Giovanni Nesi. Nesi. Keywords: adulescentuli oratiuncula, principle of charity, Davidson on charity on Grice. Who was the first Englishman to use ‘charity’ as a hermeneutic principle? Butler. Grice speaks of self-love and benevolence. Benevolence – and charity? Grice is not so much concerned with Beneficenza or Malificenza, but with Benevolenza, and Malevolenza – where does charity fit? What was Ciceronian for charity. What is pre-Christian about charity? Charisma, charitas, folk etymological confusion here – caritativo – carita – caro, “le tre carità in armónico conubio” “tre carità”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nesi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690518712/in/photolist-2mLN3si-2mLz5aB-2mKHqkS

Grice e Nifo – implicatura ludicra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sessa Aurunca). Filosofo. Grice: “I like Nifo; first, because he wrote a treatise he called ‘ludicrous rhetoric;’ second, because he tried to refute Pomponazzi against the mortality of the soul – surely the soul is ‘mortal’ is a category mistake --.” Alla corte di Carlo V (L. Toro, Sessa Aurunca). Studia Padova sotto Vernia. Insegna a Padova, Napoli, Roma e Pisa, guadagnando una fama tale da essere incaricato e pagato da Leone X di difendere l’immortalità dell’animo di Leone X contro gl’attacchi di Pomponazzi e degli alessandristi. Ricompensato con la nomina a conte palatino con il diritto di assumere il cognome del Papa, Medici. La sua prima filosofia si ispira ad Averroè, modifica poi la propria visione giungendo a posizioni più vicine al domma romano. Pubblica un'edizione delle opere di Averroè corredate di un commento compatibile con la sua nuova posizione. Nella grande controversia con gli alessandristi si oppose alla tesi di Pomponazzi per il quale l'animo razionale non e separabile dal corpo materiale e, dunque, la morte di questo porta con sé anche la scomparsa dell'anima. Sostenne, invece, che l'animo di Leone X, quale parte dell'intelletto assoluto, non e distruttibile e alla morte del corpo di Leone X si fonde in un'unità eterna. Tra i suoi allievi, presso Salerno, tra gli altri, ricordiamo, Rosselli, filosofo calabrese autore di un testo molto controverso, Apologeticus adversos cucullatos (Parma), in cui cerca di affermare le sue dottrine che tendono a discostarsi da quello del suo maestro. Lo si ritiene protagonista di un curioso episodio. Pubblica il trattato “De regnandi peritia” (la perizia di regnare), che alcuni ritengono essere un plagio del più noto “Il Principe” di Machiavelli del cui manoscritto e venuto in possesso. Gli e conferita la cittadinanza onoraria di Napoli ed iessa e estesa ai figli ed agli eredi in perpetuo.A lui è dedicato il Convitto Nazionale di Sessa Aurunca, della quale e anche sindaco. Saggi:“Liber de intellectu”; “De immortalitate animi”; “De infinitate primi motoris quaestio” [cf. Bruno, Galilei, Novaro, infinito]; “Opuscula moralia et politica”; “Dialectica ludicra,” “De regnandi peritia.”  Furono poi più volte ripubblicati, in quanto ampiamente diffusi, i suoi numerosi commentari su Aristotele, di cui i più importanti sono “Aristotelis de generatione et corruptione liber Augustino Nipho philosopho Suessano interprete & expositore”; “Expositiones in libros de sophisticos elenchis Aristotelis”; “Expositiones in omnes libros de Historia animalim, de partibus animalium et earum causis ac de Generatione animalium, In libris Aristotelis meteorologicis commentaria” (Venezia, Ottaviano Scoto); Physicorum auscultationum Aristotelis libri octo”; “Super Libros Priorum Aristotelis”; “Commentarium in tres libros Aristotelis De anima”; “Dilucidarium metaphysicarum disputationum in Aristotelis Deum et quatuor libros metaphysicarum”. “Dialectica ludicra”. Biblioteca del Convitto, Dialectica; “Dialectica ludicra”; “In libris Aristotelis meteorologicis commentaria”; “In libros Aristotelis De generatione et corruptione interpretationes et commentaria, Biblioteca del Convitto Nifo di Sessa Aurunca; “In libros Aristotelis de generatione et corruptione interpretationes et commentaria.  G. Gabrieli, "Raccolta Storica dei Comuni", Istituto di Studi Atellani, Sant'Arpino, C.  De Lellis, Discorsi delle Famiglie Nobili del Regno di Napoli, Napoli, G. Paci, G. Marco, I sindaci della città di Sessa, Sessa Aurunca, Zano. La filosofia nella corte (Milano, Bompiani). Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Marco, G. Parolino, Incunaboli e cinquecentine nelle biblioteche di Sessa, Minturno, Caramanica, Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E. De Bellis, Il pensiero logico, Galatina, Congedo, Ennio De Bellis, Aspetti storiografici e metodologici, Galatina, Congedo, E. ellis,  Collana Quaderni di “Rinascimento”. Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento (Firenze, Olschki); A. Poppi, I liceii di Padova, Dizionario biografico degli italiani, Ratisbona. Grice: “I enjoyed Nifo’s rambling on dreaming – quite an complement for Descartes on clear and distinct perception!” Grice: “Part of my cooperative principle is based on Nifo – echoing Aristotle rather than Kant. Or rather echoing Kantotle. In this case, it’s Aristotle’s key concept of a ‘virtue’ – a collective virtue, like solidarity, lies at the bottom of my conversational principle of cooperation. The virtue is ONE of course, which is good. Each maxim then attends to some virtue. Nifo is better than Castiglione in that his Italian is better. He relies on Cicero, rather than on this or that court poet! So there’s VERITAS, HONESTAS, CARITAS, and the rest. Each is seen as a virtue, and the point is to find the ‘middle point’ or mesotes. A bore is a bore but if you include this or that ‘implicatura ludicra’, two gentlemen can enjoy a nice conversation. Nifo is having the Northern Italian courts in mind, away from that nefarious influence of the Pope, who had paid him to demonstrate the immortality of his soul! The virtue model of conversation is an interestin gone – “De re aulica” is the way Nifo considers this, and he makes interesting observations on how to attain a middle way, i.e .how to win frineds and lose enemies!” –Of course there are overlaps. My model is Kantian, but what is a counsel of prudence if not a nod to Aristotle’s virtue of prudentia – the principle is thus a principle of conversationl conviviality, urbanity --. There are conceptual problems with a purely Aristotelian model, rather than Ariskantian one. One is not after VIRTUE, but the MESOTES – So the ideal is not to be searched for. It’s not pure HONESTAS, but that which fits civil conversation. Oddly, Italians were more concerned with ‘vitii’, which due to their Roman dogmatic assumptions, they correlate with ‘vice’. For each vice, we should not look for the VIRTUE, but to the MESOTES --. Kant could not make head or tail of this! Agostino Nifo. Nifo. Keywords: ludica, ludicra, intellectus, animo intelligere, nous, intellectus passivus, intellectus activus, intellectus agens, intellectus possibilis, intellectus passibilis, what is so ludicrious about dialectis?– Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Nifo: la dialettica ludrica”, Grice, “Dreaming” – Malcolm, “Dreaming” --. – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701700739/in/photolist-2mPmNVF-2mNzeEc-2mLGAQC-2mLD9pe-2mLEzBt-2mLGJnr-2mKLVA3-2mKAKcc-2mKQRx3-2mKAsyK

Grice e Nizolio – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescello). Filosofo. Grice: “I read Nizolio and it’s like reading myself!” – Insegna a Brescia e Parma. Pubblica il lessico “Observationes in M. Tullium Ciceronem” (Brescia), il Thesaurus Ciceronianus” (Venezia, Facciolati) e il “Lexicon ciceronianum” (Venezia, Facciolati). Ha una lunga polemica con Maioragio per una critica portata da quest'ultimo a Cicerone che, iniziata con la Epistola ad M. A. Majoragium, prosegue con l'Antapologia e si conclude con i “De veris principiis et vera ratione philosophandi contra pseudo-philosophos” (Parma), scritto contro gli scholastici, che interessarono Leibniz al punto che questi li fece ristampare premettendogli il titolo “Anti-barbarus Philosophicus, sive Philosophia Scholasticorum impugnata” con una prefazione ed una lettera a Thomasius sulla dottrina di Aristotele, Francofurti (Roma, Bocca). E chiamato da Gonzaga a Sabbioneta. Contemporaneamente alle critiche di Ramo alla logica dei lizii, anche per lui occorre sostituire all'astrattezza di quella logica un pensiero che sia concretamente legato al reale, e a questo scopo la strada maestra sta nel ritrovare i processi del pensiero direttamente nella struttura grammaticale dell’italiano. Individua cinque principi per fare della buona filosofia. Il primo principio generale della verità e della buona filosofia consiste nella conoscenza della lingua romana, in cui sono espressi quei saggi filosofici. Il secondo principio è la conoscenza di quei precetti che si trovano nella grammatica e nella retorica di Cicerone, sostituendo la grammatica e la retorica alla metafisica, ontologia, o filosofia speculativa, dal momento che il metafisico si e preoccupato solo di ricercare il vero, senza occuparsi dell’utile, il necessario, o il pertinente delle cose trattate. Il terzo principio consiste nell’interpretare il filosofo antico come CATONE IL CENSORE, o Cicerone, o Antonino, e nello sforzarsi di comprendere il modo con il quale il popolo romano si esprime, essendoci verità in quella schiettezza – Grice: ‘slightness” -- di linguaggio. Il quarto principio generale del vero è il libero, e la vera licenza delle opinioni e del giudizio su qualunque argomento, in contro ogni domma, come richiede il vero e il naturale. Non devono essere dunque CICERONE o ANTONINO  nostril maestri, ma i cinque sensi, l'intelligenza, il pensiero, la memoria, l'uso e l'esperienza delle cose.  Il quinto principio afferma che, oltre a esporre ogni tesi con la chiarezza della lingua comune – l’italiano volgare, senza introdurre nel discorso oscurità (avoid obscurity of expression, be perspicuous [sic], avoid unnecessary prolixity [sic] o sottigliezze, occorre non trattare problemi che non hanno realtà. Esempi di invenzioni filosofichi prive di oggettività sono la “idea” platonica e la tesi del reale dell’universalie. Infatti, il reale è costituito soltanto da singoli individui e questi devono essere indagati non attraverso la loro natura propria e privata, ma attraverso la loro comune e continua successione. Si fa filosofia non astraendo, ossia togliendo da una singola realtà quel quid che viene poi analizzato come se esso fosse reale, ma comprendendo, ossia considerando insieme il singolo reale. L'universale è una vana e finta astrazione che deriva invece dalla comprensione di ogni singolare di ogni genere, accolto insieme con un atto solo, senza astrazione intellettiva, ma con il solo ausilio di un'intelligenza che comprende il singolare. In sostanza, noi non possiamo distaccare, con un'operazione dell'intelletto, un universale da ogni singolare, ma semmai passare dall'individuale al collettivo. L'operazione consiste nel sostituire alla dialettica la retorica e alla logica la grammatica ma, pur mettendo in rilievo i difetti della logica classica, non riesce a fondare una nuova logica efficace e persuasiva. Saggi: Garin, Rossi, Vasoli, “Testi umanistici su la retorica”; “Testi editi e inediti su retorica e dialettica di Nizolio, e Ramo, Milano, Bocca  “Marii Nizolii Brixellensis in M.T. Ciceronem observationes Caelii Secundi Curionis labore et industria secundo atque iterum locupletatae, perpolitae et restitutae. Ejusdem libellus, in quo vulgaria quaedam verba et parum Latina, ad purissimam Ciceronis consuetudinem emendantur, ab eodem Caelio, s.c. limatus & auctus”. Dizionario Biografico degli Italiani. Ballestri, Massimiliano. Milano, Cosmo editore, R. Battistella, umanista e filosofo, Treviso, L. Zoppelli, Il rinnovamento scientifico moderno, Como, Meroni, Rossi,  “La celebrazione della rettorica e la polemica anti-metafisica del "De Principiis" in La crisi dell'uso dogmatico della ragione, A. Banfi, Milano, Bocca); W. Fink, Logica aristotelica Universale Idea. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. G. Calogero,  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Grice: “I was slightly disappointed when I got hold of Nizolio’s overadvertised masterpiece, the “Lexicon Ciceronianum;” while Urmson liked it, I found it more to be a common-or-garden dictionary. I did not care for philosophical concepts, seeing that he starts wih “A”, ‘the first letter of the alphabet,’ as Nizzoli defines it. So, I went straight to the third tome – heavy as they are, and reprinted in London for use at public schools –‘adolescens’ – to ROMA, ROMANVS, ROMVLVS. As for his advice as to deal with the longitudinal unity of philosophy and his rhetorical, ‘Plato is my friend but a better friend is truth,’ I can’t believe it coming from one who dedicated his life to TRACE every little ‘diom’ (slogans as the London edition has it) uttered by Cicero! WhileI would expect praise against the barbarian scholastic from Roger Bacon, it sounds hypocritical coming from Leibniz. By Nizelio’s standard, Leibniz was a barbarian his self. The scholastics actually saved the books from the flames of the Longobards and the Eastern Goths (earlier on). Roma, 2. Contr. RuJ. 95. Romain montibus  posita, et convalUbus, ccenacolis  sublata atque suspensa.1. de Div.107. Certahant, Urbem  Romam  Uemamne  vocdrent, Post  led. in  Sen. 1. Roma  arx  omnium  terrarum. De Pet Cons. 40. Roma  civitas CK nationnm conventu constituta. 1. de Onu  196. Roma domus virtutis, imperii et dgnitatis. Ib, 105. Roma domidUum imperii et gloris. 4.C.11. Roma luxorbisterraruhi,et  arx  onuuum  gentium.1. Div. 101. Bmoul sexenniojpost Veios  captos a  GaUis capta. Ib, 89. Rome  et  reges  augnres,  et  postea  privati  eodem  sacerdotio  prsediti,  lempub. regionum  autoritate  rexemnt.1. Qu. Fr. 1. 18.  Roma,  ubi  tanta  arrogantia  est,  tam  im-  moderata libertas, tam  iofinita  hominum  centia. t 14. Redu  Romam  Fonteu  cansa ad  VII.  Idns  Qu. 3. de  Nat  21.  Roma in  terrisnihU  meUns.  Inoer.  Romam  conditam  01  vmpiadis  sestss  anno  tertio.   Romani. Pro  Leg. Man. 7.  Romani  pn»-  ter  ctiteras  gentes  laudis  et  glori»  avidi.  14. At  12.  Romani  cives  facti  Siculi  lege  Anto-  niL9.Fara.19.  Romani  veteres  atque  urbau  sales. 1. Tus. 3.Romani serius quam GffKci poeticam acceperant 1. Di. 95. Romaia nihU in bello sineextis agebant nihU d<»B& sine auspiciis. 1. Off. 35. Romani Toscoianos, Equos, Volscos, Sabinos, Hemicos, victoria parta non modo conservarunt, sed etiaro in ciritatem acceperantPro Mur. 74Romani tempora voluptatis laborisque dispelrtiunt,.&c.l. Tus. 1. Romani omnia aut invenerant per se sapientius, quam Greciaut accepta ab illis fcicerant meUora. 1. Div. 102. Romani omnibut rebus agendis, quod bonnm, faustum, felix, fortunatnmque essetprefabantur. Pro Cnc 99. Romani eos vendere solebant, qui mUites facti non essent 3. de Ora. 40. Romani minos qoam liitm Utteris stndebant Pro Leg. Man. 5.1. Romani omnibus navalibus puffuis Carthagienses vicerant 4. Aoad. 147. Romanorum antiqoa jurisjurandi formulaet consuetudo.1. de Or. 15. Romanoram ingenia raultnm csBteris liomiaibos omnium gentium prsstiterunt 3.39. Snavitassemkonis  Atticoram  et  Romanomm  propiia. 4. Tosc 3. Apod  priscos Romanos  morem  honc  epolaram  fiijsseantor est  Cato  in  Originibos, ut  deincepi,  qui  aocobaient, canerent  ad tibiam  virorom  daroram Uodes atqoe virtotes. Romanos, a, uro. 1. de Nat 83. Romana k 58 RO JaiioteIbBoa«t,<f«aUs8oif2li« $.S.Fo^ paU RoaiaBi ovnk religio in ftcrt etin anspida diyia. 16. Att 2. Popalnm Boaunun nanDJ saasnonSn defendenda ropnb.sed Sn pUndendo coosoBieie. 10.7. Bum non nodo Romano bomini, sed ne Perse qwden coiqaam tolerabile.7. Fam. 18. Bomaoo nsoae oommendare.16. 5. Romano more feqni.1. de Orat 24. et Ver. 5. 36. Romani ladL 4. Att. 14. NuBc Romanas res aedpe. Romilla, iribus. t. cont Ral.78. Respondit, Romilla tribo se initiam esse £se- tnram. I^, Tribos. Romalos, li, Qutnntti. 3. C. 2.Romalam»  qu  banc  aibem  condidit,  ad  deos  immorta-  les  benerolentia  famaqae  sastulimas. 1. de L. 9 Roawhis  post  exoessum  suum  dixit  Proculo  Jolio,  se deom  esse,  et  Qaoinum  vocartemplumaae  sibi  dedlcari  ia  eo loco jussit  3.C. 19. Romuhis  quem  iaauratum  m  Capitolio  pamun  ac  lacttntem,  uberibos  lopiais  inhiantem  fuisse  meministis. 3. OfF.  41.Peccavit  igitar,  paoe  vel  Qoirini toI  Bomali  duEerim. 1. de D. 107. Romuhis  puldier. Ih, 3.  Romulus  urbm  auspicato oodidit  16.31. Roamlus  non  solom  aospi-  eatoRomam condidit, sed  etiam  optimos  augur  feit 3. de  N.  5. Romnlos  auspicBs,  Numa  sacris  constitatb,  fandamenta  jeeit  ostiSB  dTitatii. 3. Off. 41. Rommlus,  cum ci visom csset utilios solum, quam cum altero regnarefiratrem interemit 1. DeOr. 37. RomaJns consitto magis et sapientfa qaam doqueotia usns est S. Div. 45. Romolas et Remus com altrice bdhui vi folminis idi oooddeiant £6. 81. t 1.107. Romulis et Remus  ambo  aagures  fberant  3. C. 19. Roorali  stataa  decoelo  taeta.  Som. 6ch>.17. Ronmlo  moriente deficere sd  bommibas  eatingaiqao visus est. Summatim quanam fine principia generalia veritatis investigande, recteque philosophandi. Item in summa quanasmint princigpeianeralia pseudo-philosophorum et perverse philosophandi. De generali omnium nominum divisione in substantiva, adjectiva propria appellativa, deq; eorum proprietatibus et differentia, nginguam facisus queinbuncdicmab ullotraditisaut cognitis, contra pseudo-philofophos. De nominibus propriis et appellativis, tam cole&li vis quam simplicibusnon cola Letivis, ac decorum proprietatibus et diferentis, contra philos-ophastros. s.De  us)0 (sem (falsis. De denominativis reliquis capitibus Ante predicamentora,vel supervalaneis vel. Universalia realia etiam five raese concedantur, tamen non fuisse facienda quin. Que numeross ed velunumtantum, hoc est, GENUS, vel plura quam quinque hoc est, septem veloflo, adiecto communi, simils, contrario, arque substantia. De nominibus substantivis et adiectivis. De eorum proprietatibus ac diferentis, contra pseudo-philosopos. De generaliomnium rerum divifione oratoria pera & deila pseudo-philosophorum falsa, simul quede voce universi anni versalis et in summa de falsirate universaslium realium ut vocant. Universalia realia nec propter scientias artes quetradendas, nec propter syllogismos eocateras argumentations formandas, nec propler predications superiorum de inferioribus faciendas necessario ese ponenda contra pseudo-philosophos. Universalia realta vere in rerum naturaese non posse. Co propter canone c, uirea Etiffime dicunt nominales. Cintra sultam illam realium opinionem de universalibus realibus, quorum rationes omnes plusquam in aneslabefaltaneur. um suffi.ientia ,quamvocant. De toris,& corum divisionibus, compositionibus quepere, contra falsissimam dialecticorum de his omnibus doctrinam. De vere philosophico e oratorio genere et de vera eius definitione. Contra falsum genus dialecticum et falsam cius definitionem. De vera specie oratoria et vera ejus definitione, contra falsam speciem dialecticam & falfam illius definitionem. De vera diferentia & vero proprio philosophicis oratoriis do simulde eisdem adversariorum vel falfsis vel inutilibus. De accidente vero quid esmedin constanter definite et simul pauca quadam de falsis universalibus, eorum vanis questionibus in universum. De preceptis dividendi et definiendi oratoriis veris et dialecticis falis. De homonymis et synonymis grammaticorum veris quid vere sint et quis verus eoru mufus, contra ftultaila aquivocado analoga dialecticorum. Ele tantum modo unum et summum et verum á generalisimum genus oralo rium, quod eft, genus rerum sex autem s a transcendentia Dialecticorum, decem pre dilameniaAristotelis,& triaLaurentiiVallaelefalsa. Quam ob levem causam Aristoteles CATEGORIAS fore predicamenta decemponenda ex iftima verii et quam non re et tetriatantum Vallusta rucrit, fimul quopactonosar borem generica ma Porphyri analonge diversam, faciendam arbitramur. GENUS rerum vere in duasrantum species divide in s ubstantias et qualitates, omnia alia accidentium dialecticorum pradicamenta sub qualitate generalitan quamo verascius specie sper econtineri. Simul de falsa universali. De o sem. De qualitale generali et omnibus e iustam comparata quam absoluta speciebus, praferrimquede qualitate speciali, quantum different a speciebus accidentium dialectic corum ,& fingillarim quærario de causa diversitatis. De nominibusscientia“ arris quid APUD LATINOS communite rad proprie significe ne, u quormo dis virum que corum accipiatur et deniq; quibus differentis attes elit entia mnter sediftinguantur, contra falas scientias et artes pseudo-philosophorum, (falla. De generalı scientiarum do atrium divisionenoftrarera, et pseudo-philosophorum. De errales Peripateticorum in generalı philosophia divisione admflis. Dialectica minter scientias ( ariesnecut universalem nec ut particularem ul lumomninolo cum habere pose sed tanquam non modo falsams ed etiaminutslem de sua pervacuam ex omni artinm do scientiarum numero ejiciendam. Metaphysicam inter scientias Cartesnecut universalem nec ut parricularem ul lumomninolo, um habere pofe, sed tanquam partim falsam, parliminutlım, partim super vacnam ab omni artium scientiarum numero removendam. De comprehensione universorufmingularium vere philosophica de oratoria et simul de abstractınoe universalium pseudo-philodophia et BARBARA contrafallam Ardo stotelis doctrinam falsode ceniis, abstrahentiam non efemendacsum. Oratoriam esse facultatem vere generalem, grammaticam sub se primo, deinde reliqua somnesarl es fcrentias vere continentem, iumpartese jusmajores breviter ex ponuntur omnes ,ở cidem,quaàPseudophilofophisuniquefueruntablatarestituuntur. De sophisticis Elenchis ab Anstoelein Rhetoricam non recte introductis et delio brofophifticorum elenchorum quid senciendum, Que et quot fintea, quarequiruntur cascientise artibus, ex quibu spendetac fitomnis eorum dividio definition o distinclıo, contra falfam de eisdem rebus Pjendophialosophorum doctrinam. De utilibus & veris argumentis de que utılı vero eorum iam tradendorum, quam usurpandorum modo, conira partım fulumpurtom inutilem ipsorum doctrinam ab Aristotele traduam in libro Topicorum. De definitionibus nominis et verbido orarionis grammaticorum veris. Pseudo-philosophorum falfis, códealis, queab Aristorele falso vel inutiliterinlibroSepiépenveids traduntur. Dentılıbus et veris argumeniationibus, de queutilido verocarumufu, contrainu tolemdo vanā Ariftotelis decudem rebus doctrmamtraditam in libris Analyticorum. Defalfa demonftratione & falfafcientia& falfa fapientia Pseudophilosophorum ( simul de inutili falfoque Pofteriorum Analyticorum libro. De vanitate eorum , quaà recentioribus Dialedicis appellantur Parva Logicalia. Libros qushodiefubArif. Nomineleguntur plerosquenonvereeflesri Roselicos, sed fubdititioscon adulterinos, contra communem Pseudophilosophorum opinionem. De Platone, Ariftotele, Galeno, Porphyrio. Deomnibus Arifterelis interpretibus Grucis, LATINIS e Arabibus: reviter quid fentiendum re&te philosophaturis. De ratione philosophandi o de corrigendis instaurandisq; Philosophia studis, qua nunc maxima exparte perveriae corruptfaunt. Nizzoli. Mario Alberto Nizolio. Nizolio. Keywords: Cicerone, lexicon ciceronianus, Antonino, Leibniz’s ‘anti-barbaro’. – Refs.: Luigi Speranza: Grice e Nizolio: il thesaurus ciceronianus” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701277378/in/photolist-2mLEyw7-2mLHFJp-2mKEd6j

 

Grice e Noce – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo. Grice: “Only in Italy, philosophy and history are so connected; it would be as if we at Oxford after the war would be only concerned with understanding Churchill!” Grice: “For us, to do linguistic philosophy was to get away from post-tramautic stress disorder acquired during what Winthrop stupidly called the ‘phoney’ war!” – Grice: “It’s not difficult to understand why Noce’s notes on Gentile were only published posthumously!” -- essential Italian philosopher. «Certo i cattolici hanno un vizio maledetto: pensare alla forza della modernità e ignorare come questa modernità, nei limiti in cui pensa di voler negare la trascendenza religiosa, attraversi oggi la sua massima crisi, riconosciuta anche da certi scrittori laici.»  (Risposte alla scristianità, da Il Sabato). Ttitolare della cattedra di "Storia delle dottrine politiche" all'Università La Sapienza di Roma.  Studioso del razionalismo cartesiano e del pensiero moderno (Hegel, Marx), analizzò le radici filosofiche e teologiche della crisi della modernità, ricostruendo con cura le contraddizioni interne dell'immanentismo.  Argomentò l'incompatibilità tra marxismo, umanesimo, ed altri sistemi di pensiero che propugnavano la liberazione secolare dell'uomo e la dottrina cristiana (affermò: "solo il Redentore può emancipare"). Sostenne tenacemente, per tali motivi, l'impossibilità del dialogo tra cattolici e comunisti e previde il "suicidio della rivoluzione". Studioso del fascismo, sostenne che tale ideologia fosse peraltro in continuità con il comunismo e fosse anch'esso un momento della secolarizzazione della modernità. Sostenne, inoltre, l'esistenza di molti punti di contatto tra il fascismo e il pensiero dei sessantottini.  Filosofo della politica, preconizzò la crisi del socialismo reale, mentre esso viveva la sua massima espansione a livello mondiale. Argomentò che tale sistema, da una parte applicava coerentemente la filosofia di Marx, ma dall'altra negava le premesse del marxismo: ciò in quantomostrava Del Nocelo stesso sistema di Marx si basava sulla contraddizione tra dialettica e materialismo storico. Ribadiva infine la necessità dei valori di verità e di moralità.  Figlio di un ufficiale dell'esercito e di Rosalia Pratis, savonese discendente di una famiglia nobile savoiarda, Augusto Del Noce nasce a Pistoia nel 1910. L'anno dopo la madre si trasferisce con il figlio a Savona e, allo scoppio della guerra mondiale, a Torino, presso una zia materna. A Torino, Augusto svolge tutta la sua carriera di studi: dapprima al noto liceo D'Azeglio, frequentato da alcuni dei futuri protagonisti della vita politica e culturale della città e della nazione (Norberto Bobbio, Massimo Mila, Gian Carlo Pajetta, Cesare Pavese, Felice Balbo e altri), poi all'Università degli Studi di Torino, Facoltà di Lettere e Filosofia, allievo di A. Faggi, Erminio Juvalta e Carlo Mazzantini con il quale si laurea nel 1932 con una tesi su Malebranche. Inizia quindi a insegnare presso istituti superiori (Novi Ligure, Assisi, Mondovì), mentre sviluppa la sua attività di studio anche con soggiorni all'estero. Legge con entusiasmo Umanesimo integrale di Jacques Maritain, che rafforza in lui, tra l'altro, una sempre più convinta opposizione al fascismo. Cerca invano di farsi trasferire a Torino e di accedere qui alla carriera universitaria. Nel 1941 si trasferisce a Roma per un distacco propostogli dall'amico Enrico Castelli. A Roma frequenta Franco Rodano che, con Felice Balbo e altri, anima l'esperienza di «Sinistra Cristiana», un tentativo di conciliazione di comunismo e Cristianesimo da quale Del Noce resta per breve tempo affascinato. Nel 1944 viene accolta la sua richiesta di trasferimento presso un istituto superiore di Torino, dove torna a risiedere. Accompagna all'insegnamento un'intensa attività di studio e di collaborazione a diversi periodici, tra cui Cronache Sociali che gli dà occasione di incontrare Giuseppe Dossetti.  Scrive e pubblica il saggio La non filosofia di Marx, che ripubblicherà vent'anni dopo nella sua opera maggiore (Il problema dell'ateismo) e nel quale fissa i termini complessivi della sua interpretazione del marxismo. Nello stesso anno cura l'edizione italiana di Concupiscentia irresistibilis di Lev Isaakovič Šestov. Inizia la collaborazione alla Enciclopedia filosofica del Centro Studi Filosofici Cristiani di Gallarate, diretta da Luigi Pareyson. Dal 1957 al 1961 è distaccato a Bologna presso il centro di documentazione diretto da Giuseppe Dossetti. Nel capoluogo emiliano frequenta Nicola Matteucci e collabora stabilmente al neonato periodico «Il Mulino». Scrive su Ordine Civile, rivista animata da Gianni Baget Bozzo, e altri alcuni saggi, uno dei quali, «Idee per l'interpretazione del fascismo», sarà all'origine delle future revisioni storiografiche di De Felice e Nolte. Partecipa al convegno organizzato dalla Democrazia Cristiana a Santa Margherita Ligure con una relazione intitolata L'incidenza della cultura sulla politica nella presente situazione italiana: sugli stessi temi Del Noce intratterrà per anni un rapporto difficile con il partito cattolico (altri interventi nei convegni di San Pellegrino e di Lucca. Partecipa a un concorso a cattedra a Trieste, ma non ottiene il posto. Pubblica Il problema dell'ateismo e l'anno successivo Riforma cattolica e filosofia moderna, Volume I, Cartesio. Partecipa alla «Giornata rensiana» con una relazione intitolata Giuseppe Rensi fra Leopardi e Pascal. Ovvero l'autocritica dell'ateismo negativo in Giuseppe Rensi, nella quale espone la sua fondamentale fenomenologia del pessimismo come pensiero religioso. Nello stesso anno vince il concorso per una cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea all'Università degli Studi di Trieste, dove divenne Professore. In quell'anno esce L'epoca della secolarizzazione, che raccoglie molti dei saggi e degli interventi degli anni sessanta. Si realizza il tanto atteso trasferimento a Roma, dove, all'Università "La Sapienza", insegna prima Storia delle dottrine politiche e poidal 1974Filosofia della politica.  Si infittisce la sua collaborazione a riviste e periodici, sui quali interviene anche riguardo all'attualità politica e culturale. Diresse la collana «Documenti di cultura moderna», dell'editore torinese Borla (poi passata alla Rusconi) proponendo al pubblico italiano autori come Marcel de Corte, Titus Burkhardt, Manuel García Pelayo, Hans Sedlmayr ed Eric Voegelin. Partecipa vivacemente al dibattito sul divorzio. Dopo la metà degli anni settanta inizia il rapporto con gli universitari di Comunione e Liberazione partecipando a convegni e incontri promossi dal Movimento Popolare. Pubblica il saggio Il suicidio della rivoluzione, dedicato al compimento e alla dissoluzione del marxismo. Con Il cattolico comunista chiude i conti con l'esperienza di Rodano (che nel frattempo ha lasciato la DC per il PCI) e dei teorici della conciliazione tra Cattolicesimo e marxismo. Dal 1978 inizia anche la collaborazione continuativa con il settimanale «Il Sabato» e contribuisce alla creazione della rivista «30 giorni», di cui rimarrà stabile collaboratore. Nello stesso anno viene candidato come indipendente nelle liste della Democrazia Cristiana per il Senato: primo dei non eletti, entrerà in Senato l'anno successivo (1984) a seguito della morte di un collega. Viene insignito del «Premio Internazionale Medaglia d'Oro al merito della Cultura Cattolica. Riceve il premio Nazionale di Cultura nel Giornalismo: la penna d'oro. Viene premiato dal Meeting di Rimini. Muore a Roma. È tumulato nel Famedio del cimitero di Savigliano. Esce “Gentile”, che raccoglie diversi saggi sul padre dell'attualismo, sul fascismo e sul suo significato nella storia, frutto di decenni di studi e rielaborazioni. L'archivio del filosofo e la sua biblioteca sono custoditi a Savigliano dalla fondazione Centro Studi Augusto Del Noce, sorta nei primi anni novanta, diretta prima da G. Ramacciotti, poi da Francesco Mercadante, da Giuseppe Riconda, e E. Randone. INella sua più celebre opera Il problema dell'ateismo (del 1964) Del Noce inizia l'analisi della storia della filosofia moderna invertendo il paradigma storicistico e positivistico che nel progressismo aveva la sua cifra comune. Il filosofo afferma infatti che tale paradigma di illuministica origine ha come prima condizione d'esistenza la postulazione dell'ateismo come necessità del progredire dei sistemi filosofici e delle scienze a prescindere dalla teologia cristiana, cioè a prescindere dalla Scolastica, anzi in più o meno esplicita opposizione alla Scolastica.  La tesi che Del Noce intende dimostrare in questa sua opera è -come evidenzia appunto il titolo- la considerazione dell'ateismo non più come «necessità» bensì come «problema» della modernità, il cui ultimo, coerente e necessario sbocco è appunto il nichilismo post-nietzscheano distaccato ormai da qualsiasi riflessione filosofica e sfociato in una pura forma di vita, in puro way of life di distruzione e auto-distruzione dell'uomo. Del Noce pone quindi innanzitutto una distinzione fra tre diverse forme di ateismo, ovvero fra l'ateismo positivo o politico diurno, i cui esempi perfetti sono stati l'illuminismo di un Diderot o l'umanesimo di un Feuerbach, l'ateismo negativo o nichilistico («notturno»), esemplificato invece dalla filosofia di Schopenhauer, e infine l'ateismo tragico, detto anche «follia filosofica», cioè la forma più rara e particolare di ateismo che Del Noce trova solo in due casi in tutta la storia della filosofia, ovvero in Nietzsche e in Jules Lequier.  Posta questa propedeutica distinzione, Del Noce inizia l'anamnesi del pensiero filosofico moderno per rintracciare la genesi di ogni forma di ateismo, impossibile da pensarsi per la filosofia antica come dimostra il fatto che anche la filosofia epicurea -considerata comunemente come ateistica- ammetteva in realtà l'esistenza degli dèi. Per Del Noce appare evidente che la crisi della Scolastica medievale non ha costituito un processo necessario per il semplice fatto che proprio colui che aveva intenzione di riformarla -cioè Cartesio- fu invece colui che in realtà la tradì e se ne allontanò: è nelle celeberrime Meditazioni metafisiche che il filosofo francese -allievo dei Gesuiti- tentò di riproporre una nuova prova dell'esistenza di Dio da opporre al naturalismo libertinista del Seicento, che predicava relativismo etico e che sostituiva il dio-logos con la Natura impersonale e senza ordine.  In realtà però Cartesio, nel suo sforzo apologetico, compì il definitivo tradimento della filosofia cristiana riattingendo ad un agostinismo privato di platonismo e considerando così le idee dei semplici «contenuti della mente». In altre parole se l'idea di Dio, quantunque logicamente necessaria, non è il riflesso intellettivo di una realtà ontologica esterna al soggetto ma è una semplice struttura logica, allora vale realmente la critica kantiana della prova ontologica di Sant'Anselmo secondo la quale non è lecito aggiungere il predicato dell'esistenza alla perfezione dell'idea se non per un paralogismo.  Del Noce in sintesi ha mostrato come il tradimento e la perdita della Scolastica, attuata innanzitutto da Cartesio, ha come punto centrale l'idea di Idea, che è passata ad essere da struttura del reale a struttura del razionale, passando quindi dal dominio dell'ontologia a quello della psicologia. Per questo non vi è alcuna spiegazione se non il rifiuto pregiudiziale di riconoscere uno statuto ontologico all'idea, cosicché non vi sarebbe appunto alcuna necessità di trapasso della Scolastica né tantomeno alcuna necessità di genesi del razionalismo; in tal senso la famosa critica di Kant varrebbe quindi solo contro Cartesio e non contro Sant'Anselmo, il cui platonismo gli permetteva ancora di inferire necessariamente la «perfezione» dell'esistenza dall'idea dell'Essere con ogni perfezione, cioè dall'idea di Dio. Prosegue la sua analisi mostrando quindi come in Cartesio, che pur nelle sue intenzioni voleva essere un defensor Fidei, già sussisteva in nuce ogni forma di illuminismo che avrebbe poi dominato nel Settecento, per questo egli parla di un pre-illuminismo cartesiano e aggiunge inoltre che proprio Cartesio, fiero avversario del libertinismo dilagante nel suo tempo, fu colui che tradusse l'ateismo libertinistico e irrazionalistico nella sua forma razionalizzata, cioè nell'illuminismo, che sarebbe stato appunto un libertinismo razionalistico. Si noti che Del Noce non pone giudizi sulla persona di Renato Cartesio, e anzi sottolinea come al suo tempo egli si poteva davvero credere il grande condottiero vincitore della battaglia culturale del Cristianesimo contro il libertinismo, ma ciò perché non era riuscito a prevedere una forma di ateismo non-irrazionalistico e non-relativistico quale fu appunto l'illuminismo settecentesco, che non si limitò più ad opporsi alla Scolastica ma che formò una propria dogmatica visione della storia in cui il Cristianesimo, rappresentato dalle leggende nere del Medioevo, era stato solo un ostacolo per lo «sviluppo» e l'«emancipazione» dell'umanità (si tenga presenta la definizione kantiana di «illuminismo»).  Da Cartesio in poi sono comunque due i percorsi filosofici che partono e che sviluppano i due aspetti compresenti in Cartesio, ovvero l'illuminismo e lo spiritualismo: da una parte infatti Condillac, Kant, Condorcet, fino a Hegel e Marx riceveranno il lascito propriamente razionalistico e sensu lato materialistico di Cartesio, dall'altra invece Pascal, Malebranche, Vico e infine Rosmini saranno gli eredi del suo patrimonio spiritualistico, inteso questo come filosofia di accordo fra ragione naturale e fede cristiana, posta la distanza epistemologica dalla Scolastica; famosa ed illuminante è a questo proposito la teoria della «visione in Dio» di Malebranche, nonché la distinzione pascaliana fra «Dio dei filosofi» e «Dio di Gesù Cristo». Andando comunque alla radice del problema del tradimento della metafisica cristiana (Tomismo) da parte di Cartesio e del conseguente illuminismo, Del Noce individua come unica possibile condizione per tale tradimento il rifiuto del peccato originale come male metafisico e quindi il rifiuto dello «status naturae lapsae» di cui proprio il Cristo sarebbe il redentore: senza alcuna natura umana da redimere, cioè senzanecessità di alcun redentore, il razionalismo ha sostituito il peccato con l'ignoranza e Dio con la ragion critica, rifacendosi così ad un pelagianesimo laicizzato che da solo rende possibile una qualsiasi forma di ateismo. Egli nota, infine, che avendo rifiutato la radice metafisica del male se ne è dovuta cercare quella fisica o psicofisica, secondo gli schemi ideologici che nel Novecento avrebbero reso la psicanalisi e la psicologia gli elementi complementari allo scientismo per una completa e non riduttiva visione del mondo senza Dio, e per una definitiva «ateologizzazione» della ragione.  Compimento e dissoluzione del marxismo Riguardo al marxismo e alla sua interpretazione Del Noce scrisse due opere, ovvero Il cattolico comunista e Il suicidio della rivoluzione, che costituiscono la continuazione de Il problema dell'ateismo in quanto in esse il filosofo analizza più dettagliatamente solo una delle linee filosofiche originate da Cartesio, quella razionalistica, cioè quella che nella storia moderna fu vincente nella sua estensione politica, nel tentativo di trovare e di dimostrare la continuità necessaria fra razionalismo, materialismo, marxismo e infine nichilismo, quest'ultimo inteso come cifra problematica della civiltà postmoderna.  La giustificazione epistemologica di questa analisi è data dal fatto incontestabile che la storia del Novecento inizia da un fatto filosofico, ovvero dal passaggio della filosofia marxiana in azione politica, ovvero dalla coerentizzazione di quella che Del Noce definisce la «non-filosofia di Marx»: da ciò appare non solo giustificato ma anche necessario portarsi sul piano storico della filosofia per comprenderne il suo portato teoretico, e così disinnescarne il suo sostrato ideologico. Si affianca a diversi filosofi, quali ad esempio Voegelin, per rintracciare l'inizio della cosiddetta secolarizzazione, il cui compimento sarebbe stato appunto il marxismo e poi il nichilismo, nel sequestro della nozione di «progresso» da parte di filosofie laiche dalla teologia di Gioacchino da Fiore, o meglio dall'interpretazione di tale teologia: ben nota è infatti la distinzione gioachimita nelle tre età della storia, l'Età di Dio-Padre (Ebraismo), l'Età di Dio-Figlio (Cristianesimo) e infine l'Età di Dio-Spirito che avrebbe dovuto superare i «limiti» del Cristianesimo ed estendere l'elezione e la salvezza in modo universale.  Di tale teologia mistica e profetica si appropriò lo gnosticismo sviluppatosi in seno al Cristianesimo stesso ed estesosi pian piano oltre i confini delle filosofie razionalistiche del Settecento e soprattutto dell'Ottocento. Del Noce nota infatti una sorta di dialettica nata all'interno dell'illuminismo settecentesco non tanto fra atei e deisti bensì fra rivoluzionari e conservatori, ovvero fra il puro giacobinismo ghigliottinatore dell'«ancien Régime» e il progressismo che caratterizzò invece la fase dell'illuminismo dopo la degenerazione della rivoluzione francese in Terrore, ovvero la fase dei cosiddetti ideologues, fra i quali Cabanis e Condorcet. Il punto attorno a cui si sviluppava tale dialettica fu appunto la differente filosofia della storia che aveva caratterizzato l'illuminismo pre-rivoluzionario e l'illuminismo post-rivoluzionario, in quanto il primo aveva escluso una qualsiasi evoluzione storica e necessaria dell'umanità e aveva anzi condannato il Medioevo con la storiografia della leggenda nera, mentre il secondo aveva invece rivalutato l'intera storia pre-illuministica (sia pagana che cristiana) considerandola come momento dialettico necessario pur se negativo della storia universale.  In questo senso Del Noce ha potuto mettere in parallelo l'opposizione fra illuminismo giacobino e spiritualismo in Francia e quella fra kantismo e hegelismo in Germania, ove spiritualismo e hegelismo sono state filosofie vincenti in quanto hanno assorbito in sé il momento rivoluzionario e negativo dell'illuminismo per poi superarlo nella formazione di quella filosofia della storia che ebbe certo in Hegel il suo culmine. Riguardo al binomio illuminismo-spiritualismo la critica vincente del secondo sul primo è stata quella di un estremo e insostenibile riduzionismo rappresentato dal sensismo di Condillac, in altre parole è stata la critica di ridurre la comprensione del mondo al pari di ciò che lo stesso illuminismo aveva accusato la religione di aver fatto. In questo contesto è la nascita della visione sociologica del mondo a rappresentare il tentativo di superare questa aporia illuministica senza tuttavia dover ritornare alla metafisica tradizionale: Del Noce insomma sostiene il trapasso dell'illuminismo in socialismo, non a caso nato in Francia, intesa questa come dottrina che dell'illuminismo mantiene il carattere utopistico (socialismo utopistico) e quindi anti-tradizionalistico, ma ne sconfessa invece il deprecabile riduzionismo che ancora non permetteva un'adeguata analisi della società ai fini della rivoluzione politica.  In Germania invece la dialettica fra kantismo e hegelismo, con netta vittoria dell'hegelismo, ha come punto di svolta la riconsiderazione hegeliana della storia come storia dell'Assoluto («storia di Dio»), secondo il ben noto schema gioachimita che vedeva in ogni momento storico un grado dimanifestazione dell'Assoluto, e quindi «necessario» pur nella sua negatività. In questo senso Hegel è colui che diede forma alla corrente tradizionalistica dell'illuminismo, ove la tradizione non è più peròcome per Tommaso d'Aquinol'insieme delle verità eterne e immutabili che solcano trasversalmente la dimensione temporale mediante il passaggio delle generazioni, ma è bensì la struttura dialettica eterna che necessita l'evoluzione delle verità, e quindi la sua temporalizzazione.  Per questo Del Noce afferma che l'idealismo hegeliano ebbe nei confronti del kantismo la medesima funzione che in Francia ebbe il positivismo comtiano nei confronti del socialismo utopistico: egli ricorda la critica di Comte nei confronti dell'illuminismo settecentesco, la sua rivalutazione della tradizione (in senso dialettico), nonché la celeberrima teoria degli stadi che costituisceancora una voltauna forma secolarizzata della teologia gioachimita. È dopo questa dettagliata analisi che Del Noce innesta il discorso sul marxismo, il quale appunto si configuròper stessa ammissione di Marxcome ripresa critica di Hegel attraverso la filtrazione di Feuerbach e della sinistra hegeliana (celebri sono le marxiane Tesi su Feuerbach) e come fusione fra la dialettica hegeliana e la politica del socialismo utopistico: alla base del cosiddetto socialismo scientifico rimane ancora il desiderio di palingenesi politica propria di Saint-Simon o di Fourier, ma onde evitare il risibile utopismo di questi ultimi ad esso Marx applicò la dialettica hegeliana con cui solamente si sarebbe potuto analizzare il capitalismo e prevederne così il «necessario» fallimento.  A tal punto però l'analisi marxiana di come potrà nascere la società comunista introduce l'elemento di distacco non solo dall'idealismo hegeliano ma anche dalla filosofia stessa, ovvero la necessità di tradurre il pensiero analitico in azione politica e di affidare alla storia invece che alla ragione il compito di dimostrare la verità delle tesi marxiane. In questo Del Noce si riallaccia a una lunga storiografia socialista, uno dei cui esponenti più noti è per esempio Lukács, che afferma la stretta e necessaria continuità fra filosofia di Marx e di Engels, politica di Lenin e politica di Stalin, senza concedere alcuna differenza né alcuna opposizione fra socialismo reale e socialismo ideale (quasi a guisa di giustificazione storica). Il fattore fondamentale di continuità fra Marx e Lenin è infatti quella struttura tipicamente gnostica che equalizza il male all'ignoranza e il bene alla conoscenza e quindi divide il genere umano fra la massa degli ignoranti e la ristretta cerchia degl’lluminati, che nella riflessione leniniana erano gli intellettuali borghesi che per una non spiegata differenza dal resto della borghesia avrebbero potuto e dovuto guidare la rivoluzione; in questo senso la politica leniniana, poi proseguita coerentemente nella politica staliniana, sarebbe stata l'incarnazione perfetta nonché l'unica incarnazione possibile della filosofia marxiana, e non invece -come è tesi di una certa apologetica socialista- un tradimento di Marx.  Ancora una volta si rifà a una lunga storiografia critica nel considerare il marxismo non come una filosofia ma come una religione, ma a ciò egli aggiunge la dimostrazione non del suo carattere di religione civile bensì di religione gnostica: in tal modo il marxismo leninista sarebbe davvero il compimento del razionalismo ove quest'ultimo è inteso come gnosticismo laico, religione non di Dio ma dell'Idea/ideale che non ha bisogno dell'Incarnazione di un Dio-Uomo in quanto l'uomo stesso avrebbe potuto e dovuto far incarnare tale Idea nel mondo attraverso la sua azione. Questo è il senso dell'appellativo delnociano di «non-filosofia» per il marxismo, giacché la contemplazione metafisica in esso viene interamente assorbita dall'azione politica, in quanto per Marx la politica è la vera metafisica al pari di come per Nietzsche lo è la morale.  Eppure è proprio questo punto a costituire secondo Del Noce la contraddizione fondamentale interna al marxismo e quindi la causa prima del suo fallimento storico: se infatti la «riconciliazione con la realtà» iniziata da Hegel, proseguita da Feurbach a portata a compimento da Marx deve rivoltare l'intera comprensione del mondo in trasformazione del mondo, cioè in rivoluzione, allora in ciò non rimane giustificato il riferimento ideologico all'avvenire come sede immaginifica della società comunista, ovvero non rimane giustificato il carattere ancora religioso del marxismo per cui esso ha sostituito il futuro all'eternità e il lavoro dell'uomo alla redenzione del dio-uomo. Il fallimento storico del comunismo, quindi, sarebbe stato non solo la dimostrazione sperimentale della falsità delle teorie marxiane ma anche il coerente compimento del marxismo come auto-distruggersi nella sua forma di religione. Con ciò si spiegherebbe per Del Noce l'attivismo comunista nonché la graduale decadenza del socialismo nel mondo fino alla sua profetizzata fine, simboleggiata dalla caduta del Muro di Berlino. È propria di lui infatti la teoria secondo cui il compimento e la dissoluzione del marxismo non siano due momenti separati o addirittura opposti, ma siano bensì il medesimo momento dispiegato coerentemente nel tempo.  L'interpretazione del fascismo Sul fascismo e sulla sua interpretazione in stretta relazione al marxismo dedicato gran parte dei suoi studi e delle sue opere, partendo appunto dalle opinioni comuni e molte volte ideologiche degli storici nei confronti del fascismo e delineando una struttura paradigmatica tanto controversa quanto precisa e fondata. È a partire dalla definizione data dallo storico tedesco Ernst Nolte di ogni movimento fascista come «resistenza contro la trascendenza», intesa come trascendenza storica e non metafisica, che Del Noce sottolinea la continuità fra questo serio giudizio e la communis opinio del fascismo come movimento reazionario, per questo tradizionalista e nazionalista, e per converso di ogni forma di tradizionalismo e di nazionalismo come rimando implicito e forse inconscio al fascismo.  Di questo fa una critica serrata, facendo notare innanzitutto le origini culturali dei due fondatori del fascismo, cioè Gentile e Mussolini, come antitetiche rispetto a ogni forma di politica reazionaria, tradizionalista e nazionalista e come invece affini rispetto al socialismo, del quale Mussolini in particolare fu un esponente. Si noti che l'obiettivo che Del Noce intende colpire e abbattere è quella generale concezione del fascismo come momento singolare e controcorrente rispetto all'intera storia moderna, dalla rivoluzione francese in poi, mentre ciò che intende mostrare è la continuità quasi necessaria che è posta fra l'hegelismo, il marxismo e il fascismo come tre momenti dell'unico processo di secolarizzazione. Il filosofo inizia quindi dall'analisi della figura storica di Mussolini e della sua formazione culturale, notando il suo giovanile anticlericalismo, il suo spontaneo confluire nel socialismo, e il seguente superamento di quest'ultimo per l'evoluzione fascista del suo pensiero. È in particolare sul concetto di «rivoluzione» che pone l'accento, essendo questo un concetto base del marxismo che però, attraverso l'incontro mussoliniano con la tedesca «filosofia dello Spirito» risorgente in Italia, dovette radicalmente trasformarsi e portarsi dal livello sociale della «classe» a quello personale del «soggetto».  È insomma l'incontro intellettuale di Mussolini con la filosofia di Gentile ad aver reso necessaria la trasformazione della rivoluzione in un senso non più finalistico o escatologico (come era nel marxismo puro, il cui fine è appunto la società comunista) ma in un senso propriamente attivistico e lato sensu solipsistico, in termini gentiliani cioè attualistico. Con ciò Del Noce può connettere la psicologia di Mussolini con il vero e proprio formalismo pratico del fascismo, il quale non aveva in realtà alcun contenuto definito, ma proclamava bensì una forma di azione tanto vaga e generale da poter attrarre a sé ogni sorta di ceto sociale (anche il proletariato) e di frangia ideologica, in alcuni momenti persino quella marxistica.  Il concetto di «rivoluzione» infatti contiene in sé già un termine finale ben preciso verso cui lo stato attuale del mondo andrebbe rivoluzionato, mentre nella politica fascista il termine rivoluzione deve necessariamente essere sostituito dal termine «riforma» (si pensi appunto alla riforma Gentile) in senso non più tradizionale, cioè come ri-formare ciò che è stato de-formato, bensì in senso creazionale, cioè come dare una nuova forma (indefinita) alle antiche cose, perciò rimane un concetto molto affine a quello di marxistico di rivoluzione, e permette l'affiancamento ideale dell'attualismo gentiliano al modernismo teologico fiorente a quel tempo e condannato come eresia dalla Chiesa. Saggi: “Teologia della storia” (Torino, Filosofia); “La solitudine di Faggi” (Torino, Filosofia); “L'incidenza della cultura sulla politica italiana, Cultura e libertà” (Roma, 5 lune); “A-teismo” (Bologna, Mulino); “Riforma e filosofia” (Bologna, Mulino, Brescia); “In contra del domma cattolico-romano” (Torino, Erasmo); “Contra il domma cattolico-romano” (Milano, UIPC); “L'amore di Dio” (Torino, Borla); “Il secolare” (Milano, Giuffrè); “Il partito comunista italiano” (Roma, Europea); “Il suicidio di un rivoluzionario” (Milano, Rusconi); “I comunisti” (Milano, Rusconi); “L'interpretazione trans-politica della storia contemporanea,” Napoli, Guida, “Secolarizzazione e crisi della modernità” (Napoli, Benincasa); “Gentile: per una interpretazione FILOSOFICA del fascismo” (Bologna, Mulino); “Da Cartesio a Serbati” -- Scritti vari di filosofia,” Milano, Giuffrè); “Esistenza e libertà.” Spir, Chestov, Lequier, Renouvier, Benda, Weil, Vidari, italiano Faggi, Martinetti, italiano Rensi, italiano Juvalta, italiao Mazzantini, italiano Castelli, italiano Capograssi” (Milano, Giuffrè); “Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione”; Scritti su l'Europa e altri, Milano, Giuffrè); “I cattolici e il progressismo,”  Milano, Leonardo, “Fascismo e anti-fascismo: errori della cultura” (Milano, Leonardo); “Il laico”; Scritti su Il sabato (e vari, anche inediti), Milano, Giuffrè); Pensiero della Chiesa e filosofia contemporanea. Leone XIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II” (Roma, Studium); “Verità e ragione nella storia. Antologia di scritti, “ I. Mina, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli); “Modernità. Interpretazione transpolitica della storia contemporanea” (Morcelliana, Brescia.). Del Noce insegna nel capoluogo piemontese. G. Bozzo. Del Noce, il filosofo della libertà politica).  Augusto Del Noce, «Idee per l'interpretazione del fascismo», Ordine Civile. E tra i componenti del comitato promotore del referendum abrogativo antidivorzista) e più tardi sull'aborto.  premio Rhegium Julii, su circolorhegiumjulii.wordpress.com. P. Armellini, Razionalità e storia, in Il pensiero politico, Roma, Aracne editrice, Massimo Borghesi, Augusto Del Noce. La legittimazione critica del moderno. Marietti, Genova-Milano.[collegamento interrotto] Luca Del Pozzo, Filosofia cristiana e politica, Pagine, I libri del Borghese, Roma, S. Fumagalli, Gnosi moderna e secolarizzazione nell'analisi di Emanuele Samek Lodovici ed Augusto Del Noce, PUSC, (scaricabile in PDF dal sito sergiofumagalli) Gian Franco Lami, La tradizione, Franco Angeli, Milano, Marietti, Genova-Milano. Enciclopedia ItalianaV Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Pietro Ratto, Ipotesi sul fondamento dell'essenza dissolutiva del marxismo e del fascismo, in Boscoceduo. La rivoluzione comincia dal principio, Sanremo, EBK Edizioni Leudoteca, Ambrogio Riili, Augusto Del Noce interprete del Marxismo. L'ateismo, la gnosi, il dialogo con Volpe e Goldmann, in Centotalleri, Saonara, il prato, Francesco Tibursi, Il pensiero di Augusto del Noce come Teoria sociale, in Andrea Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana, Societas, Roma, Nuova Cultura, Xavier Tilliette, Omaggi. Filosofi italiani del nostro tempo, traduzione di G. Sansonetti, Brescia, Morcelliana, Natascia Villani, Marxismo ateismo secolarizzazione. Dialogo aperto con Augusto del Noce, in Pensiero giurdico. Saggi, Napoli, Editoriale Scientifica,  Augusto Del Noce, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Repertori Bibliografici, su centenariodelnoce). La metafisica civile: ontologismo e liberalismo dalla rivista telematica di filosofia Dialeghesthai. P. Ratto, Laicità e Democrazia: da Del Noce a Giotto, su BoscoCeduo,  Democrazia e modernità in Augusto Del Noce, articolo dal mensile 30Giorni. L'inseparabilità dei Tre. La modernità, di Andrea Fiamma Centro Culturale,//centrodelnoce. Fondazione //fondazioneaugustodelnoce.net. centenariodelnoce. Articoli di Del Noce «Il dialogo tra la Chiesa e la cultura moderna» da Studi Cattolici. «L'errore di Mounier» da Il Tempo. «Risposte alla scristianità» da Il Sabato. «La sconfitta del modernismo» da Il Tempo. «La morale comune dell'Ottocento e la morale di oggi», tratto da Il problema della morale oggi. «Rivoluzione gramsciana», tratto da Il suicidio della rivoluzione. «Origini dell'indifferenza morale» da Il Tempo. «Le origini dell'indifferenza religiosa» da Il Tempo. «Religione civile e secolarizzazione» da Il Tempo. «Un dramma europeo: il dissenso cattolico» da Corriere della Sera. «Questi poveri cattolici minacciati dal suicidio» da Il Sabato «In stato di porno-assedio»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «La più grande vergogna del nostro secolo» da Il Sabato. «Fu vera gloria? La resistenza 40 anni dopo»[collegamento interrotto], tratto da Litterae Communionis. «Una colomba, non un santo (caso Bukarin)» da Il Sabato. «Intensità d'una gran illusione (Dossetti e dossettismo)»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «L'antifascismo di comodo» da Corriere della Sera. «Togliatti? Un perfetto gramsciano. Polemica su Gramsci»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «Il nazi contagio» da Il Sabato. «La morale catto-comunista» da Il Sabato. «Abbasso Mazzini» da Il Sabato. «I lumi sull'Italia»[collegamento interrotto] da Il Sabato. «Recensione del romanzo di Benson "Il Padrone del mondo"» dal mensile 30Giorni. «Filo rosso da Mosca a Berlino (Hitler-Stalin)» da Il Sabato. «Le connessioni tra filosofia e politica»[collegamento interrotto] da Il Tempo. «Pci, l'impossibile conversione» tratto da Prospettive nel mondo. Grice: “Unfortunately, Noce is a philosopher, like me. We cannot lay word on history. Had Hitler won, I wouldn’t have joined Austin’s Play Group. Being Italian, Noce thinks different. He thinks history is guided by philosophical principes. It wasn’t Mussolini’s charisma that led the populace, but Gentile’s attualismo puro. He makes a good point about the distinction between Hitler and Mussolini. Hitler is a Protestant, Mussolini ain’t! Most in Mussolini’s circle were just as heathen as those in Hitler’s circle – different heathenism, though. No Odin, but Giove. Not Siegrfied, but Enea! Noce does not know the first thing about this. He never socialized with any of the people he is philosophizing about. In any case, there’s Garibaldi, which is a stain to Italian history. Italians, and a Ligurian friend of mine can testify to this, never wanted the UNITY. It was forced ON them. So it’s only natural that Gentile and Noce regard the UNITY brought by Risorgimento (alla Fichte Hegel, and the idea of the NATION) that was furthered by Mussolini. Mussolini did use Garibaldi imagery – saying that his movement was ‘garibalismo puro’ – but although he (Mussolini) did write a little thing about Nietzsche, you won’t find his name in ‘dizionari di flosofia’!” Augusto Del Noce. Noce. Keywords: saggio su Gentile e il fascismo, Faggi, Serbati, Spir, Vidari, Rensi, Martinetti, Juvalta, Massantini, Catelli, Capograssi. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e del Noce," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684436022/in/photolist-2mPQGvz-2mPKvMM-2mPq8eZ-2mNzeEc-2mLP6FB-2mLz32Z-2mPV6V9-2mKHdnD-2mKjsJY-2mKbfaU-Bm5t8J-Ciy7V4-Cgh13w-Ciy8ng-BmaLAt-Cgfo3s

 

Grice e Noferi – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo.  Important Italian philosopher, especially influential at what Grice called Italy’s Oxford, i. e. Firenze“Palla Strozzi was more a mentor than a philosopher, but I would consider him both a Grecian and Griceian in spirit.” alla Strozzi   Palla e Lorenzo Strozzi. Dettaglio dell'Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano. Grazie alla ricchezza accumulata nelle ultime generazioni dalla sua famiglia, il padre puo far istruire il figlio da filosofi, e grazie all'interesse e all'intelligenza, divenne di fatto uno dei più fini uomini di cultura fiorentini. Ricco e colto, commissiona numerose opere d'arte, tra le quali la Cappella Strozzi nella Basilica di Santa Trinita, opera di Brunelleschi e Ghiberti. La cappella, progetto irrealizzato da Noferi, venne fatta erigere in la sua memoria e ne ospita la sepoltura monumentale. Per questo ambiente commissiona l'Adorazione dei Magi a Gentile da Fabriano e la Deposizione dalla Croce a L. Monaco, terminata poi da Beato Angelico che ne fece uno dei suoi capolavori. Collezionista di libri rari e conoscitore del greco e del latino, si trova nvischiato nell'opposizione strenua contro Cosimo de' Medici. Cosimo e l'uomo che per la prima volta si e di fatto preso tutto il potere cittadino, grazie a un sistema di clientelismo con uomini chiave alla guida degli uffici della repubblica di Firenze. Davanti a lui solo due strade sono possibili: l'alleanza accettando un ruolo subordinato o lo scontro frontale. Forte della sua ricchezza e fiero della propria cultura, e a capo della fazione anti-medicea assieme ad un altro oligarca indomabile, Albizi. La fortuna arriva alla sua fazione, riuscendo ad ottenere prima l'incarcerazione di de’ Medici, poi la dichiarazione del medesimo come magnate, cioè tiranno, ed il suo conseguente esilio da Firenze. Il suo obiettivo comunque non e tanto l'eliminazione di un avversario, ma la restaurazione della “liberta”. In questo e diverso d’Albizi.  Intanto de’ Medici manda già segni di prepararsi a un ri-entro, che avvenne puntuale al cambio di governo con il veloce avvicendamento dei gonfalonieri. Tra i primi provvedimenti vi è proprio la vendetta sugli avversari, con l’esilio del filosofo e d’Albizi. In questo de’ Medici e favorito anche dall'appoggio popolare che lui e la sua casata si sono saputi conquistare. Quindi parte per Padova. Il suo palazzo a Padova e un ritrovo di filosofi, nel periodo d'oro quando la città veneta era uno dei centri culturali più notevoli della penisola italiana, per certi risultati artistici più importante della stessa Firenze. Si pensi ai capolavori lasciati proprio da due fiorentini come Giotto o Donatello.  Lascia la sua raccolta di libri rari, arricchita ulteriormente durante il suo soggiorno padovano, al monastero di Santa Giustina. Muore a Padova nel suo palazzo verso il Prato della Valle. Sepolto nella vicina chiesa di Santa Maria di Betlemme. Cavaliere dello Speron d'oro nastrino per uniforme ordinaria cavaliere dello speron d'oro  Marcello Vannucci, Le grandi famiglie di Firenze, Roma, Newton Compton, R. Palmarocchi, La famiglia Strozzi, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “His main claim to philosophical fame is in his character- unlike Alibizi’s and indeed Medici. He loved freedom, and chose to settle in Padova, although his roots were well in Firenze. He built hiw palace in Padova in Prato del Vallo to gather philosophers, since what’s the good of knowing the classics if you cannot converse? He never touched a university! His ‘bibliotheca’ is legendary! Strozzi-Noferi. Noferi. Keywords: “Beautiful painting (by Gentile da Fabriano) of Noferi. Very Italian in an exotic sort of way!” – Grice. Refs.:Luigi Speranza, "Grice e Strozzi-Noferi -- Grecian, Griceian," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51743117035/in/datetaken/

 

Grice e Nola – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo. Gice: “At Oxford, we are proud of our philosophy, at Bologna, and in Italy in general, they are proud of their physicians, as they call them – students of nature!”. Di origini napoletane e zio di Molisi, insegna per lungo tempo a Napoli. Discepolo di Altomare, divenne noto per suo saggio, “Quod sedimentum sanorum, aegrorumque corporum non sit eiusdem speciei adversus Ferdinandum Cassanum et alios contrarium sentientes.” Cf. G. Marruncelli, Elementi dell'arte di ragionare in medicina” (Napoli, Gabinetto); S.  Renzi, “Storia della medicina” (Napoli, Filiatre-Sebezio); Adalberto Pazzini, La Calabria nella storia della medicina, Roma); Lavoro critico (Bari, Dedalo). La Famiglia dei Nola. Molise, Archivio storico di Crotone.  1,quemadmodum Ciuitatestunc optime gubernātur,(vtinquitPlatoinlib.de Philo.) cùm iniustidantpænas: perin so& impudenter, impugnant, accontra dicunt, optimèquoquereor,& scien tiæ, & artessehaberent. Nam ueras CLARISS. ALTIMARI discipulo,Au&ore. Med .Doctore scientiasacartesperfetè ,& breui cuns & isaffequiliceret: atqueitaetia muerèscientes, acoptimosartifices fieri. Nuncueròcumlex falso contradicentibus Statuta nullafit, no immeritòe inoptimosuiros, arbitror, impurißimumquenqueac ineruditumiuueneminuehiandere. & admodum paucos uere scientes, artifices quereperiri, cum& paffim fcribere omnibus liceat, & unicuique sententiam ferreapudvulgus. Adde, quòdnefcio quo fato datum etiam fit quibusdam, eafdem docere artes, ac publicè profiter i , qui uel omnino inertes fint, autparumeasintelligant: cùm ueròne sciant, scireautemseputant,mirumnonestfidgeipfierrent, & alios aberrarecogant. Quandoquidem oporteret (utinquitidem Plato in Alcib.) eos qui aliquid doftursiunt,priufquamdoceant,intelligere, fix OVOD SANORVM AEGRORVMQVE SEDIMENTV M IOANNE Andrea Nola Crotoniața Artium & bique   fuoq; martese dimenti ueritate mueftigauitad Hippo. es Gal.fententiam quemadmodumo non nulla alia nonminu sad Artem medicam utilia quàm necessaria, utinreliqusfuisfcriptispalàmestuidere:) Sedcum hacfole clariorafint, pateantquecun&tis Artismedicæcandidatis, quirenera medicisunt,nedum inuniuersaItalia,uerumetiaminto tafere Europaincolentibus; mea approbationenon indigent. Attem puseft ut adiftorum ignorantiam castigandam, ac in numeros errores patefaciendos, accedamus. Nosueroeo, quo scriptifunt, ordine, eos animaduertemus, etiam fiad Sedimentorum naturam manifestandam non conferant; ut discant studiosiquam maxime', nedum Artis medis ca, sed Philosophia, & Dialeticæ feimperitosese oftendant; quanto veliuore impulsitali ascribere conatifuerint. Cumuero futurun fitut hominem reprehendamin doctum, ftolidum, opinione sua sapientem,nugisinterineruditosiuuenesuersatum inuniuersauita, queso, candidiß.lector,liceatmihiuerbishuiusignorantiamcastigareasperio nibus,quibusegoutialioquinonfoleo. Cùm primiminprimapagellahicuirdănassettum Plusquamcom mentatoris, tum etiam Neotericorum opinionemdesedimento (quiz whipseait, quamuis. iaftenturfcopumattigile, longèalijsfalluntur)  Sedimentum SANORUM ægrorumý; corp. biqueconsentire, e nondissidere: hæcetenim bonos decet præcepto ses utipfeait. quod sitafieretnequehic incognitus nescio quis Ferdinandus Cassanus, tam fuisse taudaxs atque impudens, ut feuerisoppo neret, nifiexilis esset, quiomnemfunditus pudorem exuerunt, neque afuis præceptoribus malèeruditusacimpulsus, (eorumtamen opinio nefapientibus) totaususfuissetscriberenugas. Quas omnes passimin minibus artis medicecandidatis, seclusoliuore,manifestareconabor, quõhuiusuiri ignorantia, fimul quetemeritas castigetur. difcantque reliquiin posterum quàmmalum sitoptimis, aceruditiß. uirisindies utilia, Artisg; medicæapprimè necessaria,& uerissima scribentibus; O ut summ a t i m dicam, universam pene medicinam illustrantibus, fal Socontradicere. Non autem , uteaquæadoctissimoac Clariß.Alti maro præceptore meo de sedimenti in urinis scripta sunttuear, sunt et enim ad eòscitèacdo Etéconscripta, éghæc, & reliquaomniaque hactenusinluce medidit, acualidiß.auctoritatibus & rationibuscom probata, utnedumiftorumuirorumnugasnon curent, sed quorumuis etiamaliorum do tiffimorum ,fiquæ essent contradictiones paruifa. ciant, ipsea; primus omnium quosuiderim, propriainuentione cumque 1   cumque neutri, fuooptimoiudicio, ueritate mattigerint,et fimulli. Uorepercituseosdemrecentiores scriptores calumniasset, quorumnca quidem calciamentasolueredignusesset,eisquefalsotribueretcunéta quaibitemerenarrat.cõfestim,utipfeait; in fecüda ueritatë protulit quam desedimentosentit, quæquantisscateaterroribus,quantumus averitatealienafit, & Gal. sententia demonstrabimus, ubialiosprius ciuserroresin eadem f ecunda pag. conscriptos, manifeftauerimus: Aitetenim {senolle tempus contererecircaurine generationismodă, Giovanni Andrea de Nola. Nola. Keywords: Crotone, Plato, Nola-Molise, corpus sanum, focal unification, Owen, Pantzig, brennpunktbedeutung, Grice, Aristotle, Metafisica, ‘unificazione focale’ – universale: ‘sanitas’ instantiazione: corpus sanum, corpi sani. Refs.: “Grice e Nola” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742201656/in/datetaken/

 

Grice e Noto – IVPITER – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pollina). Filosofo. Grice: “Italian philosophers, must be for St. Peter, who DIED there – are obsessed with God – Noto wrote his thesis on that, evidence and lack thereof for God – the part concerining the refutation for those who deny evidence is fascinating! And typically of an Italian philosopher, he narrows down his research to ‘secolo XIII,’ where we at England and Oxford hardly existed!”Fa gli studi ginnasiali al Convento di Giaccherino e al Convento del Bosco ai Frati. Vestì il saio francescano a Fucecchio e professò. Studia filosofia a Lucca, Bosco ai Frati, il Convento di San Vivaldo, Fiesole, Siena e il Convento di Sargiano. Emise i voti a Fiesole e fu ordinato sacerdote a Siena. Andò a Parigi e frequentò l’Istituto Cattolico, la Sorbona e il Collège de France. Conseguì il Dottorato in filosofia e il Diploma di studi superiori alla Sorbona. Essendo andato a Londra per alcuni mesi ebbe il Diploma di lingua inglese che in seguito perfezionò tornando ogni anno a Londra nel periodo estivo. Pubblicò la tesi di laurea “L’evidenza di Dio nella filosofia del sec.XIII" (Ed. MILANI, Padova). Si imbarca per l’Egitto e si stabilì a Ghiza dove insegnò. Lì ricoprì gli incarichi di Guardiano e Maestro dei Chierici. Torna in Italia e fu per un anno direttore di un grande hotel di Montecatini Terme. Si trasfere a Figline Valdarno per l’insegnamento all’Istituto “Marsilio Ficino”. Si iscrisse alla Università Cattolica dove conseguì il Dottorato in filosofia valido in Italia. Aveva iniziato l’insegnamento della lingua inglese alla scuola per infermieri dell’ospedale di Figline e un corso serale per adulti. Crea un laboratorio linguistico per facilitare e perfezionare l’apprendimento delle lingue. Deceduto nell’Ospedale di Figline Valdarno per edemapolmonare acuto da miocardite in diabetico. Affetto da grave forma di diabete, si era sentito male nella notte dell’11 novembre, ma dopo aver prolungato il riposo mattutino aveva tenuto lezione fino a mezzogiorno. Prese allora poco cibo e tornò a riposarsi. Alle 18 andò alla preghiera comune e alle 18.30 tenne il corso di lingua inglese per adulti. Alle 20 mentre era a tavola fu chiamato il medico cardiologo che ordinò il ricovero urgente in ospedale. Qui alle 2.25 la sua vita è stata stroncata da un complesso attacco cardiaco polmonare.  Ai funerali, presieduti dal Padre Provinciale nella Chiesa di San Francesco in Figline erano presenti tanti religiosi e sacerdoti, i parenti, molte suore oltre che un grande pubblico di studenti e popolo che riempiva la chiesa. È stato sepolto nel cimitero di Montemurlo. Convento di Giaccherino Convento del Bosco ai Frati Convento di San Vivaldo Convento di Sargiano Montemurlo  L'evidenza di Dio nella filosofia del secolo XIII. Grice: “Noto is playing with his surname. There’s no ‘significare’ in Italian. They use ‘notare’ – Now, how is God signified? When Cicero said ‘god’ he meant Jupiter. Ask Ganymede: The literal truth is Ganymede was killed in self-inflicted accidental with a boomerang. Her mother said: “His corpse is here, but he was raped by Giove --. Taking this narrative literally – Ganymede was RAPED, so the rape is the way the god gets ‘noted’.

Noto. Keywords: IVPITER -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Noto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742384608/in/datetaken/

 

Grice e Novaro – implicatura ligure – filosofia italiana – Luigi Speranza (Diano Maria). Filosofo. Grice: “Novaro comes from my favourite area in Italy, “La riviera ligure”!” Grice: “Novaro wrote a nice little treatise on the nature of the infinite – a concept which fascinates me!” --Fratello di Novaro, nacque da famiglia economicamente agiata e dopo aver condotto brillantemente gli studi liceali, ottenendo la laurea a Torino. Si stabilì a Oneglia dove fu assessore comunale per il partito socialista. Dopo avere per breve tempo insegnato nel locale liceo, con i fratelli si occupò dell'industria olearia intestata alla madre Paolina Sasso.  Pur dedito all'attività imprenditoriale fece parte attiva della vita letteraria dei primo anni del Novecento e fondò la rivista “La Riviera Ligure,” da lui diretta fino alla sua cessazione. Ospitò nel suo giornale filosofi come Pascoli, Roccatagliata, Jahier, Boine e Sbarbaro.  Scrisse saggi di carattere filosofico e raccolse tutte le sue poesie, che hanno come tema principale il bellissimo paesaggio ligure, in un volume intitolato Murmuri ed echi che vide le stampe. Fu anche il curatore dell'edizione delle opere di Boine che sentiva affine negli interessi soprattutto di carattere etico.  Saggi: “Finito ed iinfinito” (Roma, Balbi), “Murmuro ed echo” (Napoli, Ricciardi) – cf. Grice, “Implicatura ecoica” --; “All'insegna del pesce d'oro” (Genova, Devoto). Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La Riviera Ligure Nicolas Malebranche. Tra Diano Marina e Oneglia: i luoghi dei fratelli Novaro, su parchiculturali. Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro. Scheda biografica nel sito della Fondazione Mario Novaro, Genova, su Fondazione novaro -- Se il concetto di “infinito” è stato dal sorgere della  filosofia italiana, uno degl’oggetti più costanti  degl’uomini, il progresso verso una definitiva soluzione delle difficoltà che esso presenta non e tuttavia che straordinariamente lento. A ciò à sopratutto contribuito il rilegare, come a priori, l’infinito fuori del campo  appunto della filosofia e si considera il regresso all’infinito una fallacia! Poiché quando si ammette senz’altro che, essendo l’uomo finite, non si può pretendere eh' esso arrivi a comprendere l’infinito! Hobbes, De corpore, XXVI, l ; Descartes, Principien,  ediz. Kirclimann, p. 12,14, 66 ; GALILEI, Opere (Milano, 1811) X, 350-51;  Locke, Essay on humane nnderslaning, ediz. Ward, World Library,  p. 152; Hume, Treatise, ediz. Selby-Bigge, 26. 32,39,43; cfr. anche  Jevons, Principia of Science, 2“ ediz. pp. 766-768. S’è già troncata la questione senza neanche avei’la posta. S’è lasciato intatto il mistero che sembra  involgerla. Già tutti i concetti che in qualche modo ebbero una stretta attinenza con altri concetti ontologici dovettero per questo attendere a lungo prima di venir  trattati in corretto modo analitico. La oscurità misteriosa del concetto di “infinito” si ripercorse naturalmente negli oggetti nei quali esso poteva trovare applicazione, come il tempo, lo spazio, la materia, l’universo, l’essere. Anzi si comincia dapprima ad accorgersi delle difficoltà del concetto di “infinito” non cosi in astratto, ma nell’esame degli oggetti ai quali la infinitezza pareva doversi attribuire. Tanti secoli prima della ripresa della questione per  Locke, trattarono il problema con sommo acume dialettico i veliani de Velia -- Sugli Eleati e la loro importanza, vedi specialmente la Kritische Geschichte der Philosophie del Dùhring, 3" ediz. p. 34-51. Le difficoltà che conduceno Senone di Velia a negare la realtà dello spazio non sono punto illusori. Cantor, Geschichte der Matematik, I, 170. Bei ihnen [i tropi  dei veliani] handelt es sich um Schwierigkeiten, denen in der That  -wcder der Philosoph noch der Mathematiker in aller Strenge gerecht  werden Kann [,,,] Zwei Jakrtausend und mehr haben an dieser zàhen Speise gekaut, und es ware unbillig von den Veliani des funften vorcbristlichen Iabrhunderts zu verlangen, dass sie in Klarbeit gewesen seien iiber Dinge, welche freilich anders ausgesprocben noch Streitigkeiten unserer Gegenwart bilden.  Nò altre furono quelle che spinsero poi Kant ai risultati  della estetica trascendentale. Sebbene più d’uno storico della filosofia davanti ai tropi di quell’ acutissimo filosofo  sentendo l’imbarazzo suo a confutarli, abbia stimato poterli chiamare sofismi o false sottigliezze che chi le esaminasse da vicino e colla necessaria acutezza non dovrebbe tardare a riconoscere evidentemente per tali. E più  d’uno nel confutarli à seguito, come lo Zeller, Aristotele (3) che in questo se in altro mai fu infelicissimo.   Pht/s., VI, 9. Aristotele crede di confutare Senone di Velia (V. anche  O. Apelt, Beitrdge sur Geschichte der Grieschischen Philosophie, Leipzig, p. 275) col dire che la dimostrazione da lui data riposa sulla falsa  &  i matematici, i quali spaventati dalle conti-addizioni  svelate dai veliani avevano dovuto per forza rinunciare  a far uso del concetto di “infinito” e lasciar tanto tempo infruttuoso l’ardimento di Antifonte (1), continuarono a  lungo ad aiutarsi altrimenti per non derogare alla rigorosa esattezza delle loro dimostrazioni (2). Cosi il concetto d’”infinito” non compare mai esplicitamente nella geometria degl’antichi. E Archimede ha seguaci anche dopo che il calcolo infinitesimale ha chiaramente mostrati i suoi  cosi fecondi vantaggi. Ragione principale di ciò e il non  avere l’autore stesso del concetto di “infinitesimo”, saputo mai nè pienamente giustificarlo, nè dargli  un denotato preciso, si che egli molte volte ebbe a espri-   supposizione che il tempo consti di singoli momenti (éx -J 5 v 9181 aio Èrtovi  come se la critica di Senone di Velia non valesse indifferentemente tanto per  il continuo dello spazio che per quello del tempo stesso. Cfr. Cantor,  id., 173. Er (Aristotele) lòst das Paradoxon der Duschlaufung dieser unendlich vielen Raum-punkte in endlicher Zeit, durch das neue Paradoxon, dass innerhalb der endlichen Zeit unendlich viele Zeittheile von unendlich Kleiner Dauer anzunehmen seien. Sul concetto di “infinito” in Aristotele vedi specialmente Phys., Ili, 4 - 7 , De Coelo, I, 5. Aristotele dà una divisione dei vari generi di infinito, che come sempre  0 spessissimo presso lui è più una spiegazione di parole che di concetti. Inoltre è la sua trattazione oscura e affatto manchevole. Aristotele non accetta che l’infinito *potenziale*, il quale nasce dal non trovar la  nostra immaginazione alcun limite così nel togliere come nell’aggiungere. Rifiuta l’infinito attuale. L’infinito, dice Aristotele, non è grandezza  nè à parti così, come il suono è per sò invisibile (Phya., Ili, 4 ). Non  esiste dunque in realtà, perchè non v’ è grandezza cui possa attribuirsi. Ma la contraddizione che Aristotele crede dover evitare rigettando il  concetto dell’infinito attuale è appunto nascosta invece in quello del continuo. Altrimenti Aristotele non avrebbe così leggermente creduto di aver superate le difficoltà dei veliani. li Montucla, Histoire cles recherches sur la quadrature du eercìe. Paris,  p. 44. (2) Hankel, Zur Geschickte der Matliematik ivi Alterthum und Mitelaltcr, p. 120 .  juersi sulla sua nozione in modo affatto contradittorio (1).  E se i filosofi non riuscirono a chiarire i loro concetti  riguardanti l’infinito trascurando la maggior parte di  aiutarsi con un esame accurato dalle difficoltà che incontrano anche i matematici, questi dal canto loro si  sono del pari in grau parte appagati dei risultati, senza sentire troppo acuto il bisogno di rendersi conto esatto dei concetti dei quali hanno a fare un continuo uso (2). Che anzi per le difficoltà, oscurità o contraddizioni dell infinito tranquillamente si rimettevano (1) Leibniz, anche quando si esprime più razionalmente intorno ai concetti infinitesimali, conserva pur sempre in fondo una evidente ambiguità sulla natura generale del concetto di “infinito”. Lascia infatti  alla ontologia, senza risolverla Leibniz stesso, la questione se si diano  propriamente degl’infinitamente piccoli rigorosi. E cosi tiene pure per indifferente considerare per tali gl’infinitesimi o soltanto per arbitrariamente piccoli. Leibniz inclina però più a tenere l’infinito rigoroso per una finzione. V. Leibniz, Opera omnia, ed. Dutens I, 107 e Leibniz; il/af/iema</se/»e Schriften, Gerhardt  I' , e 389, dove Leibniz pare considerare gli infinitesimi come quantità finite variabili e cfr. Gerhardt II, 288; IV, 93; V, 322; VII, 08 e 273; Erdmann 118, 128, 18-1, dove egli parrebbe ammettere l’infinitesimo *attuale*. In altri luoghi Leibniz è affatto incerto; ed. Dutens II,  267-68; Gerhardt, III, 81,499,516; IV, 63 e vedi specialmente un passo  ivi p. 91-92. (2) Infatti dopo l’adottamento del calcolo, una delle prime accademie d Europa, quella di Berlino, presieduta  da uno dei più grandi matematici, da Lagrange, apriva un concorso sul concetto dell’infinito. Dice tra altro ai concorrenti. On demande […] une thdorie clairc et precise de ce qu’ on appelle ‘influì en mathcmati jue. On sait que la haute geometrie fait un usage  continuel des infiniment grands et des infiniinent petits. Cependant les  geomètres et meme les analystes anciens, ont eviti* soicneusement tòut  ce qui approche de l’infini, et des grands analystes modernes avouent  que les termes grawleur infmie sont contradictoires. L’Acad^mie sou-  haitc donc qu’ on explique comment on a déduit tant de theorèmes  vrais d une supposition contradictoire. Nouveaux Mémoires de l’Acad.  des Sciences. Berlin, p. 12-13. come molti si rimettono tuttora, all’ongologia (1). L’unico filosofo dal quale si sarebbe potuto aspettare qualche  dilucidazione definitiva, Corate, il quale era tanto versato nelle matematiche e che di esse à dato una cosi  bella e tuttora insuperata sistematica trattazion generale,  non solo non fa fare un passo alla questione, ma neppure seppe bastantemente apprezzare i grandi meriti del lavoro di Carnot, il quale prepara la soluzione definitiva. Solo Locke e Kant sono cosi i filosofi che fecero verso di essa un passo decisive. Kant però si direbbè che lo fece in senso reazionario, chè se Locke avesse decisamente cangiato  li suo metodo empirico e psicologico con un metodo critico, come egli in realtà è qualche volta inconsapevolmente vicino a fare, avrebbe egli stesso còlto 1’ultimo futto della sua fine analisi. Ad ogni modo è merito di  Locke, oltre aver risolto l’infinitamente piccolo e grande  nel processo formale dell’animo, l’aver dimostrato come  un tale concetto sia solo propriamente applicabile a grandezze, al numero, al tempo ed allo spazio. Con ciò ogni  nebuloso abuso scolastico e metafisico di esso, era reso impossibile, e ogni sua applicazione ad altro che a concetti di grandezze diventava una pura metafora (2). Rilacendosi da Locke e approfittando della luce che Carnot getta sulla natura dell’infinitesimo, il  Duhnng à finalmente completata la razionalizzazione di  (1) V. Leibniz, passo citato, Gerhardt IV 91-92 e Montucla, Histo!re  des mathématiques III, 119. Quanto alle questioni che la ontologia può  sollevare sul concetto dell’infinito, il matematico “a droit de ne  s en pas plus embarasser que des disputes des physiciens sur la naure de 1 etendue et du movement.” (2) Locke, On human Umlerst., cap. XVII, 1 e 6, p. 147 questo concetto (1). L’infinito assoluto ha però Diihring  costantemente rifiutato come la più assurda contraddizione in tutti i suoi saggi filosofici. Soltanto-  nell’ultima suo saggio filosofico arriva egli ad una luminosa distinzione dell’infinito *assoluto* dal infinito relativo. La  sua dimostrazione è però geometrica, e non  insieme algebraica. Manca quindi di generalità. Cosi si  spiega come Diihring ritenga ancor ora inammissibile l’applicazione dell infinito al tempo, che egli à assurdamente e colla più gran forza di convinzione fatto finito nel passato (2). Diihring vide che ove il concetto di infinito  non viene dapprima reso chiaro e incontradittorio nella  matematica, la rocca in apparenza più forte rimarrebbe in piedi a difesa del mistificante concetto. La nozione di infinito non è però specificamente formale. Il concetto d’infinito appartiene a quel campo della filosofia ‘speziale’, in cui anno comuni le radici o i principi e la matematica e la logica. La. soluzione di un problema cosi universale non può esser diversa, ove esso venga formulato con la dovuta astrazione ed esattezza, sia che la si cerchi nel campo piu astratto dell’ontologia della concezione universale dell’*essere*, sia  che la si cerchi nel campo dell’algebra. Non   (1) V. Nat Uri iche Dialéktik -- questo libro d’oro di puro criticismo, la cui prima edizione è esaurita da molti anni senza che Diihring si decida a ri-pubblicarlo, malgrado il viro desiderio di molti  suoi ammiratori, quali per un esempio v. Gizicky e Riebl. Vedi  specialmente dello stesso, nei “ Xeue Grundmitteln u. Erfindungen zur  Analysis, ecc. „ il capitolo terzo. L’analisi critica dell’infinitesimo ivi  data riassumiamo noi brevemente nel numero seguente, modificandola  però nel senso della corretta legge del numero determinato. V. sotto. (2) Cursus der Philosophie, p. 18, 19, 27, 64 ; Logik und KVssenschaftstheorie, 191 segg.  è un differente problema quello di Senone di Velia, da  quello che occupa a cosi grande distanza di tempo i matematici dal seicento in poi.   2. In tutti i problemi riguardanti il concetto di “infinito”, le difficoltà ànno la loro comune radice nella contraddizione fondamentale nascente dalla posizione di un infinito numericamente dato e compiuto nel *finite* stesso. Cosi l’infinitesimo, e già prima  l’indisivibile di CAVALIERI, e pensato assurdamente quale  risultato di una infinita divisione, o come l’elemento più  piccolo d’ogni grandezza assegnabile, di cui si integra  ogni grandezza finita. Più piccolo di qualunque quantità  data e pensato l’infinitamente piccolo, e maggior d’ogni  data grandezza l’infinitamente grande, arrivando anche  qui ad una infinità compiuta, come raggiungibile per via di una sintesi successiva. Tra lo zero e una comunque  piccola grandezza dovrebbe dunque esistere qualcosa di  intermedio. Questa ibrida quantità non dovrebbe esser zero ma neppure perù una determinata quantità per quanto arbitrariamente piccola. Essa dovrebbe esser minore d’ogni quantità assegnabile o qualcosa che esprima l’ultimo irraggiungibile grado di piccolezza immaginabile e prima dello zero (1). Minore d’ogni quantità assegna-  (1) Modificando la nozione di GALILEI di “momento”, già Ilobbes define il conatus (concetto che doveva poi diventare il fondamento  della teoria newtoniana), il moto lungo uno spazio minore di qualsiasi  assegnato. Hobbes conserva, però, malgrado l’equivoca definizione, come dell infinitamente grande (De Corpore, c. VII, il, 12 e 13) cosi dell’infinitesimo un giusto concetto. Di quest’ultimo haa intesa infatti  a essenziale relatività. V. De Corpore, c. VII, 13; e c. XV, 2. Delimemus CONATUM esse motum per spatium et tempus minus q’uam quarn  bile è però soltanto lo zero (1); una quantità non può venir immaginata oltre ogni assegnabile grandezza. Tra  la quantità e lo zero non vi è cotesta assurda finzione.  A meno che il dire “minor d’ogni data quantità” abbia quod datar, id est determinatur, sine expositione vel numero assignatur  ìaest per punctum. Ad eius definitiouis explicationem meminisse oportet  per punctum non intelligi id quod quantitatcm nullam habet, sive quod  nulla ratione potest dividi (niliil enim est eiusmodi in rerum natura)  sed id cuius quantità non consideratili-, hoc est cuius neque quantitas neque pars ulta inter demonstrandum computatur. Ita ut punctum non  habeatur prò IN-DIVISIBILI. Sed prò IN-DIVISO. Sicut edam instans sumendum est prò tempore IN-DIVISO non prò IN-DIVIS-IBILE. - Similiter Conatus ita  mtelhgendus est, ut sit quidem motus sed ita ut neque tempori in quo fìt  neque lineai per quam fit quantitas, ullam comparationem habeat in demonstratione cum quantitate temporis vel line cuius ipsa est pars. Quanquam  sicut punctum cura puncto, ita conatus cum Canata comparaci potest et  unus altero maior vel minor reperiri.Vedi anche c. XXVII, 1.- 11  Poisson ammette invece nel modo più esplicito l’assurdo concetto dell infinitesimo di cui sopra è parola.  Un infiniment petit est une grandeur moindre que toute grandcur donnée de  la meme nature. On est conduit naturellement a ridde des infiniment  petits, lorsqu’on considère les variations successives d’une grandeur  soumise à la loi de continuiti. Ainsi, le temps croit par des degrés  mo.ndres qu’ aucun intervalle qu’on puisse assigner, quelque petit  quii soit. Les espaces parcourus par le différents points d’un corps  croissent aussi par des infiniment petits, car chaque point ne peut  fi er d une posdion à une autre, sans traverser touts les positions  intermédiaires, et l’on ne saurait assigner aucune distance, aussi petite  qu on voudrn, entre deux positions successives. Les infiniment petits ont donc une existence rielle, et ne sont pus seulement un mo.ven d’investigation imagini par les giometres. Traile de mécanique, Bruxelles, ’38, p. 6-7. ’ O) l’er questa ragione non pochi matematici, quali Bernouille  “oto^amente Eulero, pensarono l’infinitesimo come assolutamente nullo. Anche GALILEI, sebbene con altro linguaggio, scompone il  continuo esteso in infiniti punti inestesi o nulli senza però trovar  poi il modo di farlo generare da quelli. V. GALILEI Opere , X, 550-351  Sopra gli atomi non quanti di lui vedi Lasswitz, Galileis Thieorie der  Materie, 1 lerteljahrsschrift f wiss. Philosph. XIII,  a riferirsi non a qualcosa di effettivo o di dato, ma al nostro animo -- il nostro volere -- come ragione della infinita divisibilità, potendo noi sempre supporre una quantità più piccola di ogni qualunque piccola quantità data.  Come nella serie dei numeri noi possiamo (prova Peano) farci un concetto dell’infinito aggiungimento di unità a unità, cosi  possiamo farcene uno della possibile divisione dell'unità all’infinito. Un tal concetto non rimane tuttavia che il campo d’una operazione che non può per la sua natura venir mai compiuta. La infinita divisione come la infinita addizione non possono mai senza contraddizione considerarsi come eseguite. Non si può con un salto oltrepassare un’infinità di operazioni, ponendo l’ultima come già compiuta, che invece non può mai essere. Ciò che esiste o è dato numericamente quale totalità non può esser che in numero determinato (1). Un numero infinito come qualcosa di dato o compiuto nel finito medesimo è un CONCEPTO IMPOSSIBILE perchè vorrebbe porre ciò che insieme viene a negare. Ammesso dunque che abbia a dirsi di una quantità che essa è minore d’ogni possibile quantità data, ciò potrà solo razionalmente indicare che è pur sempre possibile suppor quella come ancor più pio¬  ti) È questa la legge formulata da Diihring sotto il nome di legge del numero determinato (Gesetz der bestimmten Anzahl). Cfr. Kant: Kritikd. reinen Vcrn.  edizione Kirchmann pag. 432. Sohald etwas als quantum discretum  angenommen wird, so ist die Menge der Einheiten darin bestimmt,  daher auch jederzeit einer Zahl gleich. Diihring però, e qui sta  il grave errore della sua teoria dell’infinito, à tralasciato come iKant di aggiungere che tale legge à valore appunto, come diciamo  noi, solo in riguardo a grandezze che si lasciano concepire come totalità, ossia in riguardo a grandezze comprese tra limiti. cola di una qualunque data comunque già piccola per  sè. La illimitatezza riposa sul concetto della infinita  possibilità della ripetizione, non è dunque un concetto di effettività, ma di mera possibilità.  Il moto nevi realizza come si crederebbe l’assurdità di una infinita divisione o di una infinità di parti nel  finito. Moto non è che il concetto di ciò che la stessa cosa si trova seguentemente prima in un luogo e poi in un altro. Nostro APPARATO SENSORIALE non fa che abbracciare un dato numero di posizioni diverse, e l’animo non trova altro che il fatto ossia la cangiata posizione. Noi non possiamo formarci nè pretendere altro chiaro concetto che quello del passaggio da un punto all’altro. Possiamo solo, ove ce ne sia l’animo, INTER-POLARE delle posizioni intermedie a piacere senza limite alcuno. Ma effettivamente  nè la natura nè noi possiamo fis:arne altro che un numero determinato. È una illusione il credere che un punto, ad esempio, nel muoversi in linea retta vei’so un altro  punto fisso, e trascorrendo secondo il concetto comune di un movimento assolutamente continuo, per ogni posizione, trascorra con ciò effettivamente, se posso dir cosi, per ogni grado di piccolezza. La posizione di infiniti punti distinti in una determinata estensione è sempre e solo una possibilità ma non mai un fatto compiuto. Di due punti immediatamente aderenti NOI ABBIAMO ASSOLUTAMENTE CONCETTO ALCUNO. Punti inestesi o coincidono,  o hanno una posizione diversa, e allora anche una determinata distanza. 11 punte non può che passare da uno ad un altro punto, comunque noi idealmente possiamo astrarre da cotesti trapassi e considerare unicamente la infinita possibilità (li posizioni diverse. La stessa illusione  è nel dire che una quantità cresce per gradi minori di ogni comunque piccola grandezza data. E vero che m  matematica le quantità continue crescono per gradi e che  ogni nuovo incremento elementare possiamo immarginarcelo già per sè stesso composto di ancor più piccoli incrementi elementari all’infinito. Ma oltre che nella realtà  bisogni. Che esistano dei limiti a questa illimitatezza che  è solo della facoltà del nostro ANIMO, è anche vero che le  quantità non constano di elementi per sè esistenti, e che  invece noi solo distinguiamo in esse delle divisioni e stabiliamo dei limiti che per sè non sono dati. Il concetto di continuità ne involge uno infinitesimale che però inchiude solo la possibilità di un infinito porre di limiti,  ma non una infinità di limiti posti. Esso è quindi come  quello dell’infiuitamente piccolo un concetto di pura posibilità.  La illimitatezza nella scomponibilità in parti che possono in ogni caso venir fatte ancora più piccole che una  qualunque piccola grandezza data, e dunque ciò che di  razionale s’ à a sostituire al concetto nebuloso dell’ infinitamente piccolo. Con ciò viene evitata quella ipostasi o per cosi dire insostanziazione di un modo di azione  del nostro animo, o di una mera possibilità, la quale è inchiusa nel falso concetto della grandezza minore di  ogni altra assegnabile, come di qualcosa realmente esistente quasi mèta irraggiungibile ma pur reale di una  infinità di operazioni. Non esiste un ultimo piccolo o  infinitesimo, ma solo una infinita possibilità di rimpicciolimento.  1 Si deve dunque pensare che il differenziale è nel calcolo una grandezza finita relativamente piccola, la quale-  nel complesso delle operazioni può e deve rappresentare  ad arbitrio ogni grado di piccolezza. Si tratta per eempio, dice Diihring, di una lunghezza. Può questa, come  infinitamente piccolo, essere secondo le circostanze un  milionesimo di millimetro ovvero una distanza solare.  L’essenziale non istà in queste eventuali determinazioni,  ma nel pensiero che in luogo di quella grandezza, scelta in relazione a un tutto come parte insignificante, possano  nelle operazioni sostituirsi altre ed altre senza limite  alcuno sempre più piccole verso lo zero (1). L’ infinito  o la illimitatezza non è dunque ipostasiata nel differenziale, si bene sta nel nostro animo che questa grandezza rappresenta qualunque grado di piccolezza oltre il suo. Razionalizzato cosi il concetto fondamentale del  calcolo, non à più ragione quella ripugnanza che i migliori matematici anno sempre sentito per quella oscura ipotesi o idea falsa, come la chiama Lagrange (2), dell’infinitamente piccolo. L’analisi è dunque, dice Diihring, un calcolo d’ approssimazione, ma si noti bene-  non di semplice approssimazione, bensì di approssimazione infinita. I sensi trascurano nel piccolo le quantità  insignificanti che loro NON SONO più PERCETTIBILI, e se fatti  più acuti procederebbero del pari in analoghe proporzioni; cosi fa il calcolo nel trascurare quantità che nelle   (1) V. l'reyeinet: Étude sur la métaphysique du haul calcul, p. 32. Cfr. Carnot : Reflexions sur la métaphysique du calcili infinitesima!, p. 16, 17 e 18.   (2) Comte: Cours de philosophie positive , I, 263. loro funzioni darebbero in ultimo per risultato una grandezza che per la sua ultima piccolezza non à importanza  alcuna. Accanto a quantità finite si trascura nel risultato  e con ragione, un infinitamente piccolo, poiché è nella  sna natura di poter venire senza fine rimpicciolito verso  lo zero (1).  3. Idealmente c’ è dunque un abisso tra l’infinitesimo  e lo zero. Non quello ma questo è il limite dell’ infinito  rimpiccoliinento, e prima dello zero non vi sono che quantità in realtà sempre finite, comunque possano secondo il bisogno venir supposte sempre più piccole verso  di esso. D’altra parte nella direzione opposta dell’ infiniitamente grande si à analogamente a distinguere tra   (1) Non altro significava il luminoso concetto di Carnot delle equazioni imperfette. Tuttavia Carnot non arriva a dar l’ultima chiarezza alla  nozione dell’infinitesimo. Infatti non avrebbe altrimenti creduto vi fosse  bisogno (per dimostrare come i risultati del calcolo in apparenza soltanto approssimativi, siano in realtà esatti) oltre che della considerazione dell’arbitrarietà del differenziale, anche di una dimostrazione della compensazione degli errori. Comte poi frantese affatto ciò che  di veramente importante e duraturo conteneva lo scritto di Carnot,  e ravvisa così il merito di lui appunto nella dimostrazione della compensazione degli errori (V. Cours de philosophie positive , I, 244 e 223), la  teoria invece dell’arbitrarietà del’infinitesimo la trova più sottile che solida (id. 2(57). l concetto della rigida uguaglianza degl’antichi venne definitivamente superato con Leibnitz e Newton. Ciò che però  non venne schiarito e rimase oggetto di tutte le lunghe innumerevoli  dispute a cui diede luogo il calcolo differenziale, e un giusto concetto di ciò che avesse a indicare la trascuranza, nelle equazioni, dell’infinitamente piccolo. Dopo Carnot la relatività del concetto del differenziale s’è sempre più fatta strada nelle menti dei matematici. Ma non  basta questo a razionalizzare l’infinitesimo. Dove colla relatività di  esso si ammette però ancora (v. ad es. Montucla : Histoire des maih.,  HII, 264-G5) che questo possa divenir minore d’ogni quantità assegnabile, s’è pur sempre lontani da una esatta concezione.  questo e 1’ infinito assoluto o transfinito (1). Qui come¬  ta si à una differenza qualitativa: nell’ un caso si à ancora a fare con delle grandezze, nell’ altro il concetto  proprio di grandezza è scomparso.  Il non aver distinto questi due concetti non à forse  meno contribuito della contraddizione di un infinito compiuto nel finito stesso, implicato nel falso concetto del  differenziale e del continuo, a rendere cosi pieno di sup¬  poste insolubili difficoltà il problema di cui ci occupiamo. All’infinitamente piccolo risponde perfettamente l’infinitamente grande. Abbiamo qui un accrescimento senza  fine come là un illimitato rimpicciolimento. In entrambi  i casi ci è data la norma di un’operazione che non deve poter mai venir considerata come compiuta, poiché essa  deve rispondere alla illimitata possibilità di ripetizione-  del nostro animo, con la quale dunque non c’è grandezza per quanto piccola o grande di cui non si possa  sempre raggiungere un’altra ancora più piccola o grande. Attribuito ad una data grandezza il concetto di infinitamente grande non indica quindi altro che essa, comunque già grande, può senza fine venir considerata  ancor sempre più grande secondo il bisogno. In ogni  aso non sarà però ella mai altro che finite. Come la  nostra sintesi benché non abbia limite, pure in fatti non può  (1) Chiamo infinito assoluto o trans-finito – tras-finito, a distinzione dell't/t/unVo  relativo (infinitamente piccolo o grande), ciò che Diihring dice illimitato (Unbegrcnzt, II) [LIMITATO/NON-LIMITATO] e Cantor, e dietro lui Wundt e Lasswitz  chiamano appunto transfinito o tras-finito (<o ). Del resto una volta riconosciute queste differenze essenziali, nulla impedisce di adoperare anche solo e indifferentemente l’espressione “infinito”, lasciando al contesto conversazionale l’ulteriore  specificazione. mai esercitarsi che nel finito. Anche l’infinitamente grande  è un concetto di mera possibilità e non mai di effettività. Non è quindi propriamente applicabile ad alcuna grandezza determinata (1). La serie progressiva dei numeri nella sua illimitata addibilità è il più chiaro esempio dell’infinitamente grande. Noi non possiamo mai arrivare  ad un ultimo membro delle serie, perchè la possibilità  di aggiungerne altri riman sempre la medesima. E nella  natura dell’infinitamente grande di non poter venir mai compiuto. La illimitatezza non è neppur qui data oggettivamente, ma sta invece in questo che la grandezza infinitamente grande può rappresentare ad arbitrio una  grandezza sempre maggiore oltre la sua. Inteso cosi è senz’altro chiaro che rinfinitamente  grande non è un infinito in atto e non può senza contraddizione venir scambiato con questo. L’aver confuse l’infinito assoluto o transfinito o trasfinito o illimitato coll’infinitamente grande  è appunto la cagione che condusse chi mirava a un esatto   (1) Locke, On bum. Underst, pag. 148. [O]ur idea of infinity  being, as I tbink, an endless growing idea, biit the idea of any quantity our soul kas being at that tirae terminated in tbat idea (l'or be it  as great as it will, it can be no greater than it is), to join infinity to it, is to adjust a standing measure to a growing bulk. id., p. 150. We can bave no more the positive idea of a body infinitely little than we have thè idea of a body infinitelv great. Our conception of infinity  being, as I may so say, a growing and “fugitive” concept, stili in a boundless  progression that can stop nowhere. e p. 295-96. Our conception of the infinity [...] return at least to that of number always to be added. But  thereby never amounts to any distinct idea of actual infinite parts. We bave, it is true, a clear idea of division, as often as we will  think of it. But thereby we have no more a clear idea of infinite parts  in matter than we have a clear idea of an infinite number, by  being able still to add numbers to any assigned nember we have. E chiaro concetto di quest’ultimo a rifiutare risolutamente  il primo, dopo averlo trovato incompatibile colla nozione  di quello. Mentre l’infinitamente grande esprime una illimitata possibilità, il transfinito o trasfinito esprime invece una effettività compiuta cui l’infinitamente grande non arriva  mai. Nel transfinito o trasfinito ogni grado di ingrandimento è già  anticipatamente dato. Esso è realmente maggiore di ogni  assegnabile grandezza, e dal finito non c’è modo di farlo  originare, sebbene ogni finito sia in esso. La facile obbiezione che nessuna grandezza è la più grande perchè  le possono sempre venir aggiunte altre unità, non tocca. L’infinito assoluto, ma solo una NOZIONE IRRAZIONALE  dell’infinitamente grande, partendo ella da un falso concetto  del transfinito o tras-finito, secondo il quale si avrebbe questo a lasciar  pensare come un tutto, ossia, contrariamente all’assunto, come finito. Il concetto di totalità applicato al transfinito o tras-finito è trascendente, benché tale non sia il transfinito o tras-finito per sé. Se l’infinito assoluto non può venir esaurito dalla sintesi empirica di nostro animo, non è questa una ragione per rifiutarne  il concetto : la sua natura consiste infatti appunto in ciò di NON POTER VENIR RAPPRESENTATO come una totalità ossia esaurito per mezzo di una sintesi empirica di nostro animo -- successiva delle sue  parti. – Cf. Speranza, ‘mise-en-abime’ – come violazione del prinzipio conversazionale – be brief. Rifiutarlo perchè non si lascia trascorrere da un  capo all altro, è rifiutare il transfinito perchè appunto  tale, ossia perchè non è finito, o perchè non si trovano endless divisibility giving us no more a clear and distinct idea of actuallv infinite parts than endless addibility, if I may so speak, gives us a clear and distinct idea of an actually infinite number, both  being only in a power stili of increasing thè nuinber, be it already as great as it will” ia esso le proprietà che dal suo concetto sono precisanente escluse. Mentre nell’infinitamente grande la sintesi empirica di nostro animo è  quella che aggiunge membro a membro. Nell’infinito assoluto troviamo noi sempre ogni ulteriore membro come già innanzi esistente prima che la nostra sintesi lo abbia  raggiunto, indipendentemente da essa. È dato quindi così il numero infinito, se “numero” può questo ancora chiamarsi – “As far as I know there are infinitely many stars” --, che è in realtà la negazione di esso e con ciò  di ogni determinazione nel grande. Il “numero” infinito  non è più nè ‘pari’ nè ‘dispari’, e neppur quindi aumentabile più, nè diminuibile. Esso è dunque qualcosa di affatto compiuto, al contrario dell’infinitamente grande che è in un continuo'flusso; e sta a questo come all’infinitamente piccolo sta lo zero. Come nello zero non c’è più  possibilità di rimpicciolimento, cosi non ce n’è più di ingrandimento nel transfinito o tras-finito. Questo è la negazione della  grandezza misurata nel grande, e lo zero la negazione della grandezza in generale e con ciò della grandezza  nella direzione deH’infinitamente piccolo (1). Lo zero come l’infinito assoluto sono non tanto quantitativamente quanto per qualità diversi da ogni altra grandezza. L’infinitamente piccolo e grande sono in un continuo flusso,  lo zero e il transfinito sono invece forme fisse ; il prin¬  cipio generativo dei primi non è applicabile ai secondi.  DaH’infìnitamente piccolo allo zero e dall’infinitamente  grande all’infinito assoluto c’è, a dir proprio, un salto (2).   (1) V. Duhring: Neue Grundmlttel, ecc., p. 430. (2) Lo zero e l’infinito assoluto o trasfinito si fanno dunque riscontro. Ed erra  «quindi Lasswitz che nega esserci qualcosa di corrispondente a que-   Nel primo caso il passaggio sta non nel rimpiccilire all’infinito per successive divisioni la quantità piccola in modo che avanzi pur sempre un resto, ma nell’ultimo atto risolutivo col quale si sottrae interamente  il resto stesso. Nell’un caso si riman sempre nel campo dell’infinitamente piccolo, nell’altro si salta propriamente dalla quantità al nulla di essa. Una quantità non viene  mai esaurita col sottrarre ripetutamente anche all’infinito una nuova parte del sempre nuovo resto. Bsogna  togliere in ima volta l’intero resto altrimenti si avrà  una convergenza continua verso l’irraggiungibile zero, ma non mai propriamente lo zero. E solo in quest’ultimo caso sarebbe veramente esaurita la grandezza. Non  bisogna prender per esaustione reale una infinita approssimazione. Ciò che e l’ESAUSTIONE è solo tale fino ad un infinitamente piccolo. Ma  questo vien da essa lasciato inesaurito. L’saustione non à luogo che con un salto alla Peano, ossia con un vero  passaggio. La inter-polabilità infinita di posizioni tra  punto e punto non toglie che da posizione a posizione  il passaggio debba rimanere E come v’è un salto da un  punto a un altro in una linea, cosi v’è da un punto al  punto ultimo col quale la grandezza finisce. Solo col   st’ultimo. (Lasswitz: Zum Problem der Continuitdt, Philosoph. Monats -  hcfte XXIV, p. 27); come pure e più erra Wundt che crede cadere nel differenziale ogni differenza essenziale tra l’infinito e il transfinito o trasfinito. Wundt: Kants Kosmologische Antinomien u. das Problem der  Unendlichke.it Philos. Studien II, 527: (che) das Intinitesimalsy.nhol ebenso gut in Siane einer unendlich zudenkenden Abnahme einer gegebener Grosse, wie im Sinne des bereits vollzogenen Processes-  dieser Abnahme gedacht werden kann. Hier fàllt niimlich ein wesen-  tlichcr Unterscbied des Infiniten und Transfiniten vollig hinweg (! !). -- passaggio allo zero si à però un risultato differente non tanto per quantità quanto per qualità dagli altri. D’altra parte lo stesso risultato qualitativamente differente si à nel secondo caso del passaggio dall’infinitamente grande al transfinito o tras-finito. Praticamente si può concliiudere è vero dal caso dell’incoutro di due rette a distanza infinitamente grande al caso delle parallele, in quanto si astrae dallo sbaglio infinitamente piccolo, e si  pone come identico il risultato solo infinitamente approssimativo. In realtà però mentre il punto d'incontro si allontana infinitamente all’vvicinarsi delle due rette al  parallelismo senza raggiungerlo, raggiunto che questo sia, esso è scomparso, essendo per sè la infinita estensione della linea LA NEGAZIONE DELLA POSSIBILITa d'uu punto d’incontro, poiché questo le farebbe finite. Ed à luogo  allora quella illimitatezza od infinità assoluta della retta,  la quale è la negazione della grandezza misurata nel  grande, come lo zero è la negazione della grandezza in  generale (1). Un indubitabile significato si lascia dare al  transfinito o trasfinito, come vedremo in séguito soltanto nella serie infinita dei processi del tempo passato. Il nostro regresso che assume qui la forma dell’infinitamente grande, procede in base al transfinito o trasfinito della realtà, poiché esso trova  e suppone necessariamente come dati sempre piu membri  della serie di quelli che esso raggiunge. Se si fosse co¬stretti a pensare l’universo infinito in estensione si avrebbe una seconda applicazione reale del nostro con¬    ti) Diihring , luogo citato.       «etto ; ma rimanendo insolubile la questione se la natura o L’UNIVERSO  o il numero dei stelle sia o no infinita (1), non si à che l’applicazione di esso  allo spazio puro. Ed ecco la dimostrazione che dà di questa Dtihring, colla quale egli stabilisce appunto la distinzione dell’infinito relativo dall’infinito assoluto. La tangente di un angolo che differisce da 90°  di una infinitamente piccola differenza, è come la rispettiva secante infinitamente grande. Ad ogni grado di riin-piccioliinento della differenza risponde un grado di ingrandimento della tangente e della secante dell’angolo. Cosi il punto in cui le linee si tagliano si fa sempre più  lontano. Rimane però sempre dato un incontro reale delle  linee fin che sia data una per quanto piccola divergenza  da 90°. Se si à invece una differenza uguale a zero ossia se non se ne à alcuna, non si à nemmanco più  propriamente una SECANTE nè una propria TANGENTE. Entrambe le linee loro corrispondenti non si tagliano più. Nel caso dello zero o, ciò che sarebbe lo stesso, per la  CO-SECANTE e la CO-TANGENTE di 0 non esiste più alcuna  grandezza, allo stesso modo che nello zero medesimo. Intatti la illimitatezza di una linea non è già una quantità della stessa j ella è invece l’assenza d’ogni determinazione quantitativa. In tal modo allo zero dall’una parte  corrisponde dall'altra l’illimitato non quanto (das grossenlose Unbegrenzte). Il caso dell’infinitamente grande  si distingue da quello dell’infinito assoluto per questo, che  la possibilità (della illimitata estensibilità) non figura  come per sè data, ma vien 'riferita alla nostra attività.  (1) Vedi sotto n. 5.  Di pio quest’ultima possibilità vien sempre rappresentata coinè dipendente di un’altra, in modo che dall’infinito  rimpicciolimento e dal grado di questo dipende l’infinito  ingrandimento e rispettivo grado costantemente corrispondente (1) Una distinzione simile a quella di Diihring à  fatto in riguardo all’infinito Cantor, seguito in ciò da Wundt (2) e seguito pure, sebbene con qualche riserva,  da Lasswitz. Ad essa fa però assolutamente difetto quella spiccata razionalità che è la caratteristica della filosofia di Diihring. Crede Cantor che la serie dei  numeri si lasci pensare non solo come compiutamente- infinita, ma come compiuta totalità. Cantor stima che si  lasci pensar radunato in un tutto ogni numero intero positivo (3). L’aver sconosciuto l’inapplicabilità del concetto di totalità al transfinito o tras-finito è la cagione dell’assurda  nozione che s’è fatto Cantor di questo. Infatti perciò  à e Cantor potuto credere che il transfinito o trasfinito pnssa trovarsi  nel finito stesso quasi come suo sostrato, e servire cosi  alla spiegazione del continuo e del NUMERO IRRAZIONALE (4).  Ma qui non si ferma Cantor : chè anzi la vera originalità della sua dottrina vede egli nelle differenze essenziali da lui trovate nel campo stesso dell’infinito assoluto (5). Si tratta infatti per lui sopratutto dell’ampliazione o proseguimento della reale serie dei numeri intieri (1) Duhrinq, luogo citato, pagine 88-80.   (2) Logik H, 127-128 (1883).   (3) Cantor: Grundlagen einer Mannichfaltigkeitslehre, p. 1-3;  Zur Lehre vom Transfinite, p. 42, 43 e 45.   (4) Grundlagen, pag. 8, 30. Zur Lehre p. 35.   (5) Zur Lehre, pag. 9 ; Grundlagen, p. 13. oltre l’infinito medesimo. Egli non ottiene solo un unico  numero intiero infinito, si bene una infinita serie di tali  numeri come benissimo tra loro distinti. Vi sarebbero cosi infinite classi di numeri ; la l a classe sarebbe la  serie dei numeri finiti 1. 2. 3... v..., ad essa terrebbe die¬  tro la 2 a classe composta di successivi numeri intieri infiniti in ordine determinato. Dopo la 2 a si verrebbe alla  3 a e alla 4 a classe e cosi all’infinito (1). In tal modo naturalmente l'infinito propriamente detto (“das eigentlicbe  Unendliche”) non sarebbe ancora il vero infinito (“das walire Unendliche”) o l’assoluto. Chè anzi Cantor espressamente fa notare che in tal guisa non si arriverà  mai a un limite ultimo, e neppure a una sia pur soltanto approssimativa comprensione dell’assoluto, il quale solo  è un infinito non più oltre aumentabile. Con ciò il transfinito o trasfinito, quantunque determinato e maggiore d'ogni finito,  avrebbe assurdamente comune col finito il carattere della  illimitata aumentabilità (1). Cantor dà per esempio del transfinito o trasfinito la totalità dei numeri finiti, confessa però  non darsi, o almeno pel nostro animo, una totalità dei numeri transfiniti, ossia l’assoluto o il vero infinito  non poter venir concepito, quantunque necessariamente  postulato. Qui dunque ritorna la difficoltà del problema, e questa volta Cantor confessa di non saperla sciogliere. Con ciò dà Cantor stesso involontariamente la miglior critica della sua teoria dell'infinito. Il suo transfinito o trasfinito del resto non è in fondo altro che l’infinito dell’animo di Spinoza e BRUNO (1) Grundlagen, p. 3.   (2) Id. p. 44 ; Zur Lehre, p.. 8, 33, 48.      Illusorie come la infinita totalità sono le altre proprietà clie Cantor crede dover attribuire ai suoi immaginari  numeri della nuova serie al  DI là DELL INFINITO. Cosi il non esser questi più soggetti alla LEGGE DI COMMUTAZIONE (p e q = q e p) (1)  è una evidente ASSURDITà che rivela una inesatta concezione dell'infinito assoluto. Questo infatti è indifferente  in riguardo al più e al meno. Ad esso non si può nè aggiungere nè togliere, come quello che non si lascia originare per via di operazioni. Per poter ad esso aggiungere qualche cosa converrebbe pensarlo dato quale compiuta totalità. Dia è falso che l'infinito si lasci concepire in tal guise. Cosicché invece di operare con esso si opera inavvedutamente con una quantità pur essa finita (2). Il concetto formulato da Diihriug dell’infinito assoluto non è nella storia dell’ONTOLOGIA del tutto senza precedenti, per quanto la critica da lui fatta dell’infinitesimo possa assai più facilmente rannodarsi a  quella del Locke e di Ivant da una parte, e dall’altra  a quella di Carnot, che non si lasci questa sua nuova  distinzione rannodare a’ suoi precedenti storici (3). Vera¬    ci) Cantor: Grundlagen, 11, 14, 15. (2) Vedi più sotto n. 7.  (3) Bradwardinus distingue nel suo trattato “De Continuo”, come espone Cantor (Geschichte d. Mathematik li, 107-109), “ zwei Unendlichkeiten, die “kathetische” und die “synkathetische”. “Katlietisch” oder  einfach unendlich ist eine Grosse die kein Ende hat.” Syn-kathetisch”  unendlich ist eine Griisse der gegenùber es eine endliche Gròsse giebt  und ein andsres gròsseres Endliche, und wieder Eines gròsser als  jenes Gròssere, und so oline dass ein Letzes sicb fiinde, welckes den  Abschluss bildete; aucli dieses ist immer eine Gròsse, aber nickt wenn  es mit Gròsserem verglicken wird. Man erkennt leicht dass das kathe-  tisck Unendliclie Bradwardinus das Ueberendliche oder Transfinite     ‘mente l’INFINITO POSITIVO di Descartes, di GIORDANO BRUNO e di Spinoza è un concetto che tradisce un’origine quasi del tutto-  ancora scolastica. L’infinito inteso coinè attributi necessario dell’essere è una concezione comune a BRUNO, e mostra chiara la sua derivazione da un altro concetto. Quantunque esso non ha in GIORDANO BRUNO questa sola origine ‘divino’ (1).   unserer neuerer Philosophen ist, dem von Anfang an das Merkmal der Begrenztheit, welches deu endlichen Gròssen zukommt fehlt, wàhrcnd  das “synkathetisch” Unendliche mit den Endlosen oder Infinitcn ùbercin stimmt, welches aus der endlichen Grosse durcli unbegrenztes Wa-  chsen hervorgelit.   (1) GIORDANO BRUNO capovolge la dottrina di Aristotele. Risolve arditamente e con grande acume il continuo ne’ minimi onde liberarsi dalle contraddizioni svelate da SENONE DI VELIA, come farà poi anche ma meno felicemente Hume, e accetta l’infinito nel grande: gli atomi e la infinità del mondo. (V. Acrotismus, art. XLII, citato dal TOCCO, Le opere di GIORDANO BRUNO, p. liti: De Minimo, I, VI). Devcsi però avvertire che il minimo è per GIORDANO BRUNO ancora una grandezza che ei pensa giustamente, come fa anche Hobbes, relativamente trascurabile nel calcolo. Il progresso infinito nelle divisioni è solo una continua possibilità  dell’animo, mai un’effettività. GIORDANO BRUNO non nega all’animo, all’immaginazione o alla ratio, a distinzione della mensì di poter ulteriormente suddividere il minimo all’infìnito, -- dum non promere subiectae credat con-  formia rei. — Intìnitae progressioni IMAGINATIONIS seu mathesis NATURA non respondet neque ullus usus ARTI-FICIALIS obsecundat.  De Min. I, 6, 7, 8. Tuttavia anche alla matematica vorrebbe GIORDANO BRUNO dare una base atomistica, facendo valere pel concetto del corpo  matematico ciò che vale per quello del corpo fisico. In questo anzi  non sa GIORDANO BRUNO liberarsi dalla influenza dell’aristotelismo, pel quale ciò che vale della materia doveva naturalmente valere dello spazio. Il suo strano tentativo ricorda l’antica dottrina delle linee indivisibili  o atomiche di Senocrate, anch’essa stabilita per evitare le stesse contraddizioni del continuo messe in chiaro dalla critica dei veliani (V. nello scritto -epì à-riuiov ypaujLùv Apelt, Beitrcige z. Geschichte d.  Griech. Philosoph. dove ne è anche data la traduzione, p. 271 e seg.)  Della dottrina atomistica di GIORDANO BRUNO riconosce giustamente il merito Lasswitz (“GIORDANO Bruno und die Atomistik”, Viertelsjahrsschift f. icissensch. Tuttavia alcune importanti considerazioni sono comuni al Cusano (1) e a quest’ultimo sulla natura dell’infinito ossia sull’esistenza di un unico infinito in riguardo  al quale non possa esservi divisione possibile uè disuguaglianza se misurato immaginariamente da misure differenti (2). L’infinito assoluto considera poi Spinoza come dato nei noti due cerchi l’uno dei quali è dentro all’altro e che non si toccano nè sono concentrici, esempio  ricavato da Cartesio (Principii , II, 33, 34, 35) e da Spinoza medesimo già illustrato nella esposizione dei principii cartesiani della filosofia. Ma come è impossibile che  la materia mossa tra due cerchi possa realmente dividersi all’infinito, cosi è impossibile farsi un concetto di una infinità assoluta di disuguaglianze come effettuata  dalla relazione di quelli. Poiché data questa infinità non  è nè può essere. Altrimenti la potremmo anche pensare effettuata in un qualunque segmento di linea da’suoi  punti infiniti. Una tale infinità non può cosi che venir riferita alla facoltà della nostra mente quale suo fondamento ; non può esser che un caso di infinita possibilità  come lo è quello dell'infinitamente grande. Philos. Vili, 33): “GIORDANO BRUNO hat darci» (lcn erkenntnisstheoretiscben Ausgangspunkt seiner Monadologie sicli das bleibendc Verdienst erworben,  den Atombegriff klar und wiederpruchslos dargestellt zu haben. So  lange das Atom nur als Letzes der Theilung gilt, blcibt es immer fraglich, ob man auf ein solches Kommen masse. Erst die Einsicht, dass  es ein Krfordcrniss dcs Erkennens istein Erstes der Znsammcnsetzung  zn liaben, macht den Atombegriff za einem nothwendigen.  (1) Cusano, Dada ignoranza, 1- 4, 5, 13, 14.   (2) Già Aristotele tiene per inapplicabile ad ogni grandezza l’intìnito attuale, ma perciò appunto ne aveva rifiutato  il concetto. Il caso (lei due cerchi si lascia ricondurre a quello d’ogni grandezza continua. Ora l’esame del continuo non  può per sè mai darci l’infinito assoluto ; il continuo riceve i termini che noi segniamo in esso senza lasciarsi  però mai esaurire da successive suddivisioni. Con ciò esso non ci dà che il campo di una regola d’operazioni infinite, rimanendo pur sempre finiti i risultati di queste. Che le parti del continuo non si lascino esprimere con alcun numero (nullo numero explicari possunt) indica solo che sarebbe, contradittorio pensare come raggiunto  il risultato d’una operazione infinita ossia da ripetersi senza fine. Il continuo non ci dà insomma che l’infinito  relativo. E così ciò che Spinoza distingue dall’infinitamente grande non è in realtà l’infinito assoluto. Esso è  soltanto lo stesso infinito relativo nella direzione opposta del primo, ossia nella direzione del piccolo (1). Ammette inoltre Spinoza che l’infinito propriamente detto può esser suscettibile di più e di meno. Ma non è esso allora cangiato nel finito? (2) e non dice egli altrove (3) che  (1) SPAVENTA, Saggi critici, p 256-7, seguendo Hegel trova la  distinzione dello Spinoza dell'infinito della immaginazione da quello dell’ANIMO veramente profonda, e ravvisava in questo ultimo fissato il concetto dell’infinito assoluto che trascende ogni determinazione. Infatti però esso non può rappresentare che lo stesso infinito della immaginazione. (2) Vedi lettera XXIX. In complesso questa importante lettera parmi mostrare molta incertezza malgrado il tono suo dommatico e tanto sicuro. I due unici esempi che Spinoza porta dei molti che ei dice  avrebbe potuto addurre dell’infinito dell’ANIMO, non sono omo-genei. La infinità dei moti che furono, e la infinità delle disuguaglianze dei due cerchi non cadono sotto uno stesso concetto. Lo stesso abbiamo  notato del transfinito o trasfinito di Cantor, il quale dovrebbe del pari esprimere appunto e l’intervallo ( 0.1) come totalità infinita, e il complesso della serie dei numeri intieri positivi. (3) Etica, I, prop. XV.  è un assurdo che un infinito possa essere il doppio di  un altro? A questo assurdo risultato arrivano tutti quelli che pensano potersi DARE L’INFINITO NEL FINITO medesimo. Di Locke s’è visto qual razionale concetto egli ha dell’infinitamente piccolo e grande. Locke non sa tuttavia considerare l’infinito altro che nella illimitata addibilità e divisibilità, per cui non intese l’infinito assoluto. Locke analizza con una grande acutezza soltanto  le funzioni dell’ANIMO in riguardo all’infinito, non però il riscontro loro oggettivo. Infatti e questo per Locke ancora Dio, il quale oltre i confini raggiungibili dal nostro ANIMO coll’illimitato progresso, riempiva  tanto l’infinito del tempo che quello dello spazio (1). Ed  è cosi che Locke puo pensare esser l’idea positiva di infinito troppo ampia per una capacità finita e angusta come la nostra (2). Kant scioglie trionfalmente tutte le difficoltà che incontra Locke nell’esame dello spazio (3), e fissa  l’idealità di questo. Una idealità che se è conseguenza  delle stesse ragioni che l’avevano fatta necessaria ai veliani, à però, un significato e una giustificazione scientifica di gran lunga superiore. Ma quanto al concetto  proprio di infinito Kant non fa un passo oltre Locke. E neppure Hume e andato più oltre sulle tracce di  quest’ultimo. E’ non sa anzi per il metodo suo empirico apprezzare la bella trattazione lockiana dell’infinito,  in cui la funzione SINTETICA dell’animo trovava una cosi   (1) Locke : Essay on Human Under ai, p. 134, 135.   (2) Id. p. 152.   (3) Id. p. 131, 135 e 154.  giusta e importante bencliè non del tutto consapevole  applicazione. Hume, senza esaminare particolarmente l’infinitamente grande, si volge in special modo a considerare  l’infinito nel piccolo (1). Ciò che più, come già GIORDANO BRUNO, imbarazza il grande scozzese è la considerazione della infinità nel continuo, ossia della infinita divisibilità, la quale egli non distingue dall’infinito esser diviso, ossia dalla infinita divisione effettuata (2). Il suo empirismo, confondendo il reale colla forma, lo porta a stabilire lo spazio come composto di punti visibili e sensibili (meno risolutamente però nella “Inquiry”) (3) ; e il tempo della  somma dei minimi delle sensazioni. Come può, si domanda egli, un infinito numero di infinitamente piccoli  non dare una grandezza infinitamente grande? o, come  può un tal numero esser compreso allo stesso modo in  una data grandezza che in una doppia di quella? Come  può passare il tempo da un punto all’altro per un numero infinito di parti reali successivamente esaurientisi ? Sono in conclusione le stesse contraddizioni svelate dapprima da Senone di Velia, l’amato di Parmende. Senone conclude col negare lo spazio e il moto. Hume invece accusa L’ANIMO STESSO senza dare soluzione alcuna definitiva (4). L’aver confuso la forma col reale, e il non aver più acutamente  esaminate le funzioni sintetiche dell’ANIMO sono la ragione della infruttuosità delle sue ricerche sull’infinito. Locke è insomma l’unico tra’ filosofi moderni, o al¬  ti) Treaiise pag. 26, 32, 39, 43.   (2) Id. pag. 26, 29; Essays, edizione World Library, p. 378-79. (3) Exsai/s, pag. 379.   (4; Hume: Essai/s, p, 380.  meno sino a Diiliring, che segna un notevolissimo progresso nella razionalizzazione del concetto di infinito. D’altra parte tra’ matematici, dopo le lunghe discussioni sulla  natura dell’infinitesimo, si fa strada, è vero, con Carnot,  e con Cauchy, in séguito, l’opinione della arbitrarietà del differenziale, ma riman pur sempre come sfondo oscuro l’infinito esatto, una sfinge che i matematici dichiarano spettare AL ONTOLOGO di interrogare. E con ciò la mente è  ben lontana ancora dal trovarsi appagata. Con Gauss  poi, e dietro a lui con Riemann e con Steiner e con  tutti i geometri anti-euclidèi, la nebbia che avvolgeva l’infinito s’è fatta ancora più fitta, e rimarrà cosi quale  indizio dello spirito mistico dell'epoca nostra, la quale  non sente quel bisogno vivo e quell’amore della chiarezza  che cosi grande aveva il secolo decimottavo (1).    (1) Nfe i filosofi del nostro secolo sono certo fatti per confortarci della mistica incertezza dei matematici e sbugiardare così il notato  carattere generale dello spirito del decimonono dicontro al secolo  precedente. (V. più sotto di Hamilton e Spencer n. 8). Dove l’universo, come presso Democrito e gl’epicurei, o presso GIORDANO BRUNO e Spinoza si stabilisce dommaticamente infinito, l’ONTOLOGIA non s’è ancor spogliata di  tutti gli elementi puramente poetici. Col criticismo mo¬  derno la questione della reale estensione dell’universo si  è fatta essenzialmente empirica. La illimitatezza della no¬  stra concezione dello spazio non ci garantisce una infi¬  nità oggettiva materiale (1). Empiricamente non si lascia  dimostrare nè la finitezza nè la infinità dell'universo;   (1) È chiaro che chi volesse supporre un riscontro materiale assolutamente completo della nostra concezione infinita dello spazio correrebbe dietro una chimera. La nostra rappresentazione dello spazio  il la sua spiegazione nella costante unità della coscienza e nella sua  libertà del porre e dell’oltrepassare continuamente il posto. Ora a  questa funzione de nostro ANIMO non si deve attribuire senz’altro un carattere oggettivo. Al contrario fa il Urtino infinito il mondo appunto perchè  è infinito lo spazio, ritenendo che la materia stia allo spazio come  questo a quella: “ e se non v’ha differenza tra spazio e spazio, non c’è nessuna ragione che solo quel breve tratto occupato dal nostro  sistema planetario sia pieno e tutto il resto dell’immenso spazio vuoto. „  Cfr. Schopenhauer (Die Welt als Wille ecc. I, 588). il quale commenta  gli argomenti affatto ineritici di GIORDANO BRUNO e vorrebbe farli servire a  dimostrare anche la infinità del tempo.  altro che il finito noi non possiamo raggiungere e non  possiamo mai giudicare se altro non vi sia più oltre da  raggiungere nella realtà. Se essa stessa abbia o no dei  limiti come gli à costantemente la nostra RAPPRESENTAZIONE. L’infinito COME TALE non può diventar oggetto DELLA NOSTRA ESPERIENZA. Ma se questa è per la sua natura limitata, non perciò dobbiamo pensar limitata la realta inconscia. Il concetto nostro dell’universo sarebbe dunque sempre solo comparativo. Certo è però che praticamente l'universo sarà per noi costantemente finito, poiché altro che in limiti finiti non può venir da noi conosciuto. Il principio della costanza della materia e della forza  non basta, come crede Rielil (1), a dimostrare la finitezza della massa dell'universo. Seia massa si fa infinita,  dice Riehl, verrebbe a mancarle con ciò ogni determinazione quantitativa, il che è incompatibile col concetto stesso di massa. Ogni determinazione le mancherebbe però naturalmente se considerata solo nella sua trascendente totalità, non mai invece nel finite. Nè d’altro che di  masse finite può aver ad occuparsi l’uomo. Il grande  principio della costanza della materia e della forza, nota ancora Riehl, diventerebbe una mera e inutile TAUTOLOGIA, data la infinità loro. Non potendo evidentemente l’infinito venir nè aumentato nè sminuito. Neppur questo è giusto. Il principio in discorso sarebbe tautologico se stabilisse appunto la costanza della materia infinita come  tale. Non se, come esso fa, stabilisce quella del finito in essa datoci. Infatti la conservazione costante del finito  (1) Riehl, Ber pMosoph. Kriticismus, III, 303-305.  non è (lata analiticamente colla inalterabilità quantitativa dell’infinito, poiché come l’infinito non è toccato da  addizione o sottrazione, cosi potrebbe, posta infinita la materia, il finito in essa assolutamente crearsi o annichilarsi senza contraddizione alcuna. G. Mentre la estensione e la massa dell’universo sono presumibilmente finite, ma nessuna necessità apriorica od empirica ci sforza a pensarle piuttosto finite che infinite. In riguardo al tempo concorrono invece necessità  dell’esperienza e dell’ANIMO a farlo nel REGRESSO assolutamente infinito. Il problema cosmologico del tempo non à tuttavia avuto sinora una soluzione definitiva. A il tempo reale mai avuto principio? Vi fu nell'universo o nell’essere un primo cangiamento? E se il tempo non à avuto principio, ed è nel passato infinito, come  può senza contraddizione venir pensata cotesta sua infinità? Che il cangiamento abbia una volta cominciato è, per  il principio di causalità, impossibile ammettere. La ausa  di un cangiamento deve cercarsi a priori in un cangiamento anteriore e cosi via all’infinito. Un cangiamento  assoluto è empiricamente impossibile e a priori inconcepibile. Vi sono nell’essere ultime ragioni dei processi, ma  non ultime cause. In ogni punto del tempo è esistita la  serie delle variazioni. Non che nel concetto di sostanza  si trovi unita necessariamente coll’esistenza l’azione, come  crede il Rielil (id. 309), e che non lasciandosi quindi  disgiungere il fare dell’essere dalla sua esistenza, venga  ad esser perciò inconcepibile la sostanza scompagnata dal  cangiaménto. Inconcepibile sarebbe solo una esistenza vuota, ossia scompagnata dalla essenza. La forza potrebbe  però concepirsi ovunque come in equilibrio stabile, e con  ciò l’universo come privo di ogni mutamento. Vi è una condizione del divenire cbe non entra mai  come membro nella serie causale -- è questa il fondamento  ultimo d’ogni fenomeno, la ragione della loro possibilità. Un tal fondamento riman quindi come fuori del tempo ossia veramente ETERNO, senza origine nè fine. Non è cosi dei cangiamenti o degli stati momentanei dell’essere. Lo stato precedente a un DATO momento nella serie molteplice dei cangiamenti, se fosse sempre esistito, non avrebbe  mai prodotto un effetto cbe si origina solo nel tempo;  auche quello deve dunque aver avuto una causa, e cosi  all’infinito. Delle cause non ve ne può essere una cbe da  sè inizi assolutamente una serie; ogni causa di cangia¬  mento è essa stessa un cangiamento, e suppone con ciò  un’altra causa, un altro stato cbe la spieghi. Tutto è seguenza nella serie, e un principio assoluto è un assurdo. Una prima causa del cangiamento per cui avvenga qualcosa cbe anteriormente non era, non è in alcun modo a  connettersi coll’esperienza. La fine della primitiva quiete nell’ essere senza una causa che la faccia cessare è  un pensiero irrealizzabile. Esprimerebbe una spontaneità incomprensibile, anche formalmente, cbe noi non  possiamo accettare sensa derogare alle leggi della conoscenza e della natura. Come la legge della causalità non conduce fuori della causalità empirica (all’Assoluto), cosi non conduce fuori del cangiamento. Esenti da mutazione rimangono soltanto la sostanza  e le sue qualità originarie, ossia in generale gli elementi, per cui solo sou possibili le variazioni. La causalità è  applicabile unicamente ai cangiamenti, di modo che causa  di un cangiamento non può mai esser che un altro can¬  giamento, non una cosa come tale. E quindi unicamente  l’ideniico che sta a base del vario FENOMENICO che non  à nè causa nè ragione, se non quella almeno che con Schopenhauer potremmo chiamare la ragione dell’essere,  o di identita. La medesimezza con sè stesso è infatti la  ragione della sua eterna esistenza. Dove non c’è variazione non c’è causa da ricercare. Poiché causa non è  che la ragion reale del cangiamento. Una variazione che  non procedesse in base a qualcosa di stabile è un assurdo.  Degli elementi non si dà quindi nè generazione nè corruzione alcuna. L’essere non è mai causa; le cause che  la scienza rintraccia sono cangiamenti, e le leggi sono la  uniformità e costanza del loro succedersi. Tanto l’essere  universale quanto la materia e la forza sono fuori della  catena causale. Nn sono per sè causa, si bene la ragione  della connessione stessa causale. E cosi l’essere non si  può porre quale ultimo anello della causalità. Tanto il  più remoto fenomeno immaginabile quanto il presente  presupponendo l’essere, il fare dell’essere. Un sistema dinamico non può mai per sè stesso originarsi da un sistema STATICO, come neminanco può a  questo passare. Sempre le forze si son misurate a vicenda, ed elementi di esse si son fatti equilibrio ed altri ànno  prodotto dei cangiamenti col lavoro meccanico; ed equilibrio e lavoro sono sempre stati necessari da una parte  per conservare i cangiamenti lenti concretatisi, ossia in  generale le forme durevoli, e d’altra parte per alimentare la vicissitudine o la vita nell’essere. Il voler dunque tro¬  vare un principio della mutazione sarebbe lo stesso che  credere che la materia una volta non sia esistita. Il sor¬  gere della coscienza a un dato momento nell'universo,  che il momento innanzi noi possiamo immaginare come  affatto privo di vita conscia, non è uua creazione assoluta, nè rappresenta una infrazione alle nostre leggi della conoscenza dell’animo. Perchè quell’apparizione della vita conscia noi  non l’abbiamo a pensare che come una combinazione di elementi, nè di elementi v'è creazione, poiché essi esistono eterni. Pensare la combinazione come occasionata  dallo svolgersi delle variazioni non à nulla di sovran¬  naturale. Certo la coscienza nella sua natura generale  non à causa; ad essa come agli elementi ultimi d’ogni  realtà è applicabile soltanto ciò che s’è detta la ragione  dell’essere. Altra è però la questione della sua fenome¬  nologia- In questa come nella fenomenologia generale la  causalità à il suo regno. Se la coscienza al pensiero si  presenta come originata dal NULLA, gli è perchè le sue  cause, nella loro natura oggettiva materiale, non possono  in essa evidentemente comparire. Gli elementi di coscienza, o meglio le disposizioni alla coscienza nella realtà  inconscia sono ora come latenti o neutralizzate: una data  combinazione materiale ecco ne suscita la luce subitanea. Il sorgere del cangiamento in generale implicherebbe  invece una derogazione alla legge fondamentale dell’ANIMO; noi non lo possiamo in modo alcuno concepire, e la realtà empirica ci costringe ad ammettere il contrario. Il variabile non è per sè stesso intelligibile senza  un identico a sostrato. La identità dell’io come dà origine alla ragione logica cosi la dà a quella del cangiamento reale. Le diiferenze come tali non possono farsi  contenuto della coscienza. Per esserlo anno a venir riferite a una totalità identica. Ammesso che cangiamenti  potessero avvenire senza conseguire ad altri, verrebbe a mancare la connessione dei fenomeni secondo leggi costanti. Il concetto di natura perderebbe la sua unità e l’ONTOLOGIA con ciò ogni fondamento. Le leggi dell’animo si incontrano invece con quelle della realtà. È chiaro che come l’animo è la condizione inevitabile  della esperienza, e con ciò del nostro mondo fenomenico,  cosi le sue leggi o funzioni generali devono anche di  quello esser leggi a priori, o assolutamente valide indipendentemente da ogni esperienza. Ciò non toglie tuttavia che coteste leggi possano venir trovate, come vengono in realtà, consone alla natura propria delle cose, ossia  non imposte loro direi quasi arbitrariamente, perchè nelle  cose sono le stesse leggi quantunque impensate. Che anzi  in riguardo al fatto dell'esperienza, in riguardo alla unità sistematica dell’essere e dell’ontologia, potrà trovarsi  necessario di veder nelle leggi che la coscienza applica a priori alle cose nuli’altro che un riverbero o meglio  null’altro che l’espressione soggettiva delle determinazioni autonome della stessa realtà inconscia. Ponendo un principio del tempo reale e con ciò un  cominciamento delle causalità non si sfugge d’ altronde  alla domanda. E perchè non prima? Se il primo cangiamento non ebbe causa, o perchè è esso avvenuto solo, mettiamo,parecchi quadrilioni di secoli fa? È vero che non si ammette una causa che l’abbia chiamato all’esistenza, ma nemruanco si dice che qualche cosa l’abhia impedito di  nascere prima. Per questo, per quanto lo si allontani dal  presente, esso riesce sempre troppo vicino. Richiamarsi  alla originarietà dell'essere come fa Duliring (1), alla sua effettività indipendente da ogni pensiero e da ogni  ragione, richiamarsi alla natura della realtà inconscia, cui il pensiero non può mai ricevere completamente in  sè stesso, mai fondare in senso assoluto, ma soltanto ammettere come fatto, non è permesso quando intanto alla  stessa effettività della natura impensata dell’essere evidentemente si contraddice. Si contraddice, dico, poiché,  lasciando da parte l'analogia del pensiero che ammesso  il cangiamento non sa vedere come esso possa originarsi  in modo assoluto, noi non abbiamo in realtà conoscenza  alcuna di un cangiamento cui un altro non preceda, ogni cangiamento che apparentemente si presenta come  tale — il nuovo nell’evoluzione — noi lo riduciamo è  vero alle forze o forme, agli elementi costanti dell’essere de’ quali non c’è ragione a domandare. Ma il perchè della  loro manifestazione appunto in un tale momento e non  in altro, è nell’ininterrotto cangiamento collaterale, occasionai e in rapporto a quello. Ben possiamo invece richiamarci noi alla assoluta autonomia della realtà, che  nulla ammettiamo contro il suo reale manifestarsi, quando  diciamo che in senso assoluto non c’è una ragione del  perchè quest’oggi, poniamo, sia proprio ora e non sia  già stato in passato o non abbia piuttosto a venire in futuro, che v’è tanto poco ragione di questo suo essere  (1) Logik. il, Wi-scnschaftsftheorsie, p. 191. presente che della esistenza stessa universale : dacché  come questa non à inai avuta fuori di sè la ragione del  suo essere, così nemmanco il suo fare, il suo divenire in¬  terno.   In qualunque punto del tempo noi fissiamo l’essere,  non lo troviamo mai privo di determinazioni, perchè que¬  ste sono autonome; e dal suo stato in dato momento di¬  pende ogni sua ulteriore evoluzione ; come però non c’ è  un momento in cui l’essere non sia, nemmanco ve n’è uno  in cui esso non abbia un suo stato determinato. E cosi  che del divenire v’ è sempre la ragione in un divenire  anteriore, ma del divenire in senso assoluto, v’è tanto  poco un perchè quanto dei suoi durevoli elementi. In ciò che esiste è la ragione di ciò che esisterà ; in ciò  che à esistito la ragione di ciò che esiste. Nella origina¬  ria nebulosa è la ragione dell’attuale disposizione del si¬  stema nostro solare, ed in altri processi cosmici ebbe  essa stessa la sua origine, i quali se la scienza non può  oggi rintracciare, non è però assolutamente impossibile  che un giorno ella trovi, e che ad ogni modo sono necessariamente avvenuti. Il cangiamento non à dunque avuto principio. Ed  ecco appunto dove sorgono specialmente gravi, e a molti  filosofi son parse insormontabili, le difficoltà del problema cosmologico del tempo. Si è sempre trovato (1), e  (1) Cusanus, Opera, Complementura theologicum, cap. 8, p. 1113. Si  enim numerare possumus decem revolutiones praeteritas, et centum,  et mille, et omnes. Si quis dixerit non omnes esse numcrabiles, sed  practeriisse infinitas, et dixerit imam futuram revolutionem in futuro  anno, essent igitur tunc infinitae et una, quod est impossibile.  Bacone, Novum Organimi , odi/.. Fcllow, p. 224. Lib. I, 48. Ne-     Kant è il filosofo che più vi à attira’ o l'attenzione, che  ponendo la mancanza d’ogni principio nella serie regressiva delle cause, si viene conseguentemente ad ammettere che un’infinità di cause si sia esaurita, una infinità  di cangiamenti sia realmente tutta trascorsaci che contraddice al concetto di infinito, ed è quindi assurdo accettare. Non solo Kant, ma anche, tra gli altri, il più  acuto forse dei filosofi post-kantiani, Duliring (1) trova qui una insuperabile contraddizione, ed è stato da essa spinto a stabilire che il cangiamento nel mondo abbia ad un dato punto cosi casualmente senza ragione  alcuna avuto un assoluto principio nell’essere, cosa evi-   quc.cogitari potest quomodo seternitas dofluxerit ad lume diem; cum distinctio illa, quae recipi consuerit. quod sit infinitum a parte ante et a parte post, nullo modo constarò possit; quia  inde sequeretur quod sit unum infinitum alio infinito maius, atque ut consumetur infinitum et vergat ad finitum. Hobbes, il quale  dichiara insolubile la questione dell’ infinito in riguardo al problema  cosmologico, ammette tuttavia cautamente la infinità del tempo nel  passato e non si lascia ritenere dalla contraddizione di un infinito maggiore di un altro che sarebbe data dalla relazione dell’infinito passato a momenti diversi della serie temporale. Non sa però pensar l’infinito assoluto in modo razionale poiché crede di vincere quella supposta  contraddizione obbiettando: « similis demonstratio est siquis ex co  quod numerorum parinm numerus sit infinitus, totidem esse conclu-  deretur numeros pares quod sunt simpliciter numeri, id est pares  et impares simul sumpti ». De corpore IV, c. XXVI, 1. La impossiblità del “regrcssus in infinitum in causis efficienticibus” REGRESSUS IN INFINITUM -- e un principio riconosciuto della scolastica. È vero però che gli scolastici lo facevano ancor più che a dimostrare un principio del tempo, o, secondo loro, del mondo, servire a dimostrare (seguendo Aristotele nella sua  dimostrazione del PRIMO MOTORE) la necessità di una prima causa assoluta. ossia ontologica. Cfr. il libro apocrifo II c. 2 della “Metafisica” di Aristotele, secondo il quale non solo la serie delle cause nel passato, ma anche quella del futuro sarebbe contraddittoria. (1) Cursus der Philosophie, Logik. luoghi citati. dentemente assurda, e tanto più per chi come lui è sur  un terreno affatto critico e scientifico. Io trovo al contrario che la illimitatezza della serie regressiva dei cangiamenti si lascia senza contraddizione alcuna concepire infinita o, più propriamente, assolutamente infinita. Dtlliring, non à compreso come l’infinito assoluto possa attribuirsi anche a ciò che è per sé numerabile. E cosi  alla infinità dei cangiamenti nel tempo ritroso, che è l’unico caso dove una tale applicazione sia necessaria, egli  à fatto invece quella ingiustificata della sua manchevole legge del numero determinato. La difficoltà da me superata sta in questo, cui nessuno, per quanto io mi sappia, à mai badato sin’ora (I). I cangiamenti infiniti di cui si discorre non involgono contraddizione perchè essi non sono nè furono mai dati come totalità, ossia come complesso di una serie infinita. Acciò la contraddizione esistesse, bisognerebbe che s’ammettesse tacitamente un principio del cangiamento. Di  fatti altrimenti nell’assenza d’ ogni principio come si può dire. Ora, in questo momento si è esaurita uua serie infinita di cangiamenti ? Ma da quando dunque?  Si pensa con un tratto indefinito di tempo di avvicinarsi di più all’ infinito del passato (2), mentre in-   (1) Questa soluzione è gù brevemente enunciata nella mia “Lettera  filosofica” a I Simirenko” (Torino, Roux, p. 15). (2) Schopenhauer, Parcrga u. Paralipomena 0“ cdiz. I, ILI : Wenn  cin erster Anfang nicht gewesen wure, so tornite die jetzige reale  Gegenwart nicht erst, jetzt seyn, sondern wiire schou liingst gewesen,  dcnn zwischen ihr und dem ersten Anfange miisscn mir irgend einen.  jedoch bestimmten und begriinzten Zeitraum annehmen, der min aber,  wenn wir den Anfung liiugnen, d. h. ihn ins Unendliclic hinaufruckén,  mit hinaufriickt », ecc. ecc.    E    43 vece noi ne rimangbiaino sempre alla medesima distanza.  Qualunque punto del tempo si scelga, anche milioni di  milioni di secoli addietro nel passato, noi siamo sempre tanto vicini lo stesso all’infinito di prima. Come noi  per quanto risalghiatno addietro non possiamo esaurire  l’infinito che fu, cosi non dobbiamo inavvertentemente  ammettere che l'essere sia ne’ suoi cangiamenti partito  da un punto per quanto distante da noi. Poiché in realtà  ogni e qualunque suo cangiamento ne à sempre avuti  dietro a sè una stessa infinità di altri. Non è che l’essere avendo dovuto compiere i cangiamenti in senso inverso di quello che noi tenghiamo nell’abbracciarli venga con ciò ad aver esaurito una infinità di variazioni. Il tempo nella sua durata bisogna considerarlo analogamente a una retta che in una direzione è assolutamente  infinita e nell’altra in ogni momento terminata, ma prolungabile a piacere all’infinito. Come non implica contraddizione far terminare a un punto una linea assolutamente infinita, cosi non la implica il passato assolutamente infinito che si termina nel presente e può prolungarsi senza limite nel futuro. L’errore di Kant e di Diiliring e di tanti altri sta  nel credere che posta la serie regressiva infinita si abbia con ciò una totalità infinita. L’infinito passato invece non è nè può essere un tutto, e non ammette quindi  alcuna determinazione numerica, pur contenendo in sè ogni  numero. Tale infinità non involge, come crede Diihring,  l'assurdo di una contata (o percorsa , come direbbe Kant) serie infinita (“den Widerspruch einer abgezàblten unendlicher Zalilenreihe”). In qual modo potrebbe una tal serie esser contata? Non s’accorge Diihring che con ciò  egli ammette già quello che ei vorrebbe dimostrare, ossia un principio del tempo reale? In verità è quella  serie non contata, ma innumerata e innumcrabile, ciò  che detto di un infinito non inchiude punto contraddizione. Il moto non à principio nel tempo, e: sino a un  punto qualunque del tempo è trascorsa una infinita serie di cangiamenti — non si equivalgono esattamente. Con  è trascorsa si vorrebbe tacitamente porre come dato ciò  che è impossibile a darsi. Di fatti la contraddizione  scompare subito che si dice: la serie dei cangiamenti nel passato è infinita. É trascorsa sembra rinchiudere l’idea di un punto iniziale della serie, dove (die  i cangiamenti non si possono considerare un tutto o come serie completa senza contraddire al concetto di ogni  assenza di principio. Una infinità di cangiamenti, una infinità  di momenti del tempo non è trascorsa, sibbene l’infinito  trascorre sempre, e in ogni momento è esistita la serie dei  processi. La successione perpetua è appunto la forma  della infinità del tempo. Se si dice che l’infinito è trascorso si scambia, a jiarlar esattamente, il suo concetto, ponendo  in vece sua quello del finito, o almeno si combinano insieme due concetti incongruenti. Poiché ammettendo che una infinità di movimenti è trascorsa o s’è esaurita nel  passato, noi raduniamo in un tutto ciò che per sua  natura non può mai venir radunato. Il concetto di infinito e quello di totalità sono incommensurabili.Una totalità è sempre raggiungibile con una sintesi successiva delle sue parti, non cosi l’infinito. Diciamo invece. Le serie dei cangiamenti del passato è infinita — quale  contraddizione nel pensare che ogni cangiamento avvenuto è stato preceduto da un altro? Dov’è qui l’assurdo  di un tatto infinito che avrebbe dietro a sè ogni momento del tempo? I fenomeni per sè non suppongono se non  i fenomeni che immediatamente li precedono ; e come non c’è qui contraddizione, cosi per quanto noi ci trasportiamo addietro nel tempo, mai la troveremo. (1)  Come à fatto il tempo reale a giungere all’ora  presente dall’infinito? È potuto giungere dall’ infinito  perchè non è mai partito. Se fosse a un dato punto partito non sarebbe potuto giungere. E tanto concepibile l’infinito verso il quale tende la serie che quello dal  quale essa procede. Nell’un caso e nell’altro si deve solo  avvertire di non fare un insieme o un complesso di ciò che non è mai dato come tale, ossia un insieme in cui ogni momento dell’ infinito fosse anticipatamente compreso. Kant nella prima ANTINOMIA (2) spiega dapprima egli stesso che l’infinità di una serie consiste nel non poter questa venir mai compiuta per mezzo di una sintesi successiva  e che il CONCETTO di fatalità non è altro che la rappre¬  si) Schopenhauer crede di sciogliere il sofisma Kantiano  con un altro sofisma, distinguendo tra assenza di principio e infinità  del tempo. Schopenhauer cosi infatti obbietta alla tesi della prima ANTINOMIA. Uebrigens besteht das Sophisma darin, dass statt der Anfangslosigkeit der  Reihe der Zustànde, ivovon zuerst die Rede, plutzlich die Endlosigkeit  (Unendliclikeit) derselben untergeschoben und nun bewiesen wird, was  Xiemand bezweifelt, dass dieser das Vollendetsein logisch widerspreclie  und dennocb jede Gegenwart das Ende de Vergangenheit sei. Das Ende  einer anfangslosen Reilic làsst sich aber immer denken, oline ihrer Anfangslosigkeit Abbruok zu tbun : wic sich aneli umgekehrt der Anfang einer endlosen Reihe denken làsst. “Die Welt als Wille” ecc.  G‘ ediz. I, 58G-87.  (2) “Kritik der reinen Venunft”, ed.  Kirchmann p. 3G4, 3GG, 3G0. 4G  sentanone della sintesi completa delle sue parti. Dunque anche secondo lui dovrebbe il concetto di totalità  non esser applicabile ad una serie infinita. Tuttavia per  dimostrare che le cose coesistenti non possono essere infinite, alla loro infinita sostituisce egli appunto il concetto contradittorio di un tutto infinito. Ed à bel giuoco  nel rigettare quindi un tale assurdo. Ecco la sua dimostrazione . un tutto infinito per venir pensato tale dovrebbe  lasciarsi esaurire per mezzo di una sintesi successive. Ma l ’infinito non può mai venir cosi esaurito, dunque  una totalità infinita di cose coesistenti non può considerarsi come data. Insomma dice Kant : una infinità  non potrebbe venir numerata ossia non potrebbe esser  finita, dunque non può esser data; vien rigettato  l’infinito semplicemente perchè è altra cosa che il finito. Non l’nfinito per sè, solo l’infinito nel finito è realmente  un assurdo, poiché come tale dovrebbe esser necessaria¬  mente dato tutto. Ogni insieme di cose deve perciò con¬  tenere soltanto un numero finito di elementi numerabili. Ma  quanto al temilo non c’è ragione di negarne la infinità ;  numerabili sono i processi da un punto a un altro della  serie, non la serie stessa in senso assoluto, perchè ella  non è mai data come un tutto,   Is eli infinito assoluto o transfinito che è proprio del  tempo, non abbiamo più veramente una grandezza ma  1 assenza di essa, poiché è data la necessità della man¬  canza di un limite nel regrèsso, ed una tale mancanza  è oggettivamente mallevata come nello schema spaziale  della mente essa lo è soggettivamente. La ragione della  infinità dello schema spaziale, come di quella della serie dei numeri sta nel soggetto ; la infinità invece della se¬  rie causale à la sua ragione nell’ oggetto o nella realtà  estramentale. E appunto solo nell’infinito del tempo passato che si lascia necessariamente attuare un significato  reale del transfinito. Poiché una simile illimitatezza assoluta è bensi anche dello spazio, ma soltanto dello spa¬  zio ideale o matematico, in quanto questo viene ogget-  tivato e lo possibilità che realmente è solo nella funzione  mentale vien naturalmente considerata come oggettiva e  per sé esistente indipendentemente da noi. L’infinità del  passato non à, come tale, determinazione alcuna quantitativa, non si lascia esprimere col numero ; in essa è  invece ogni numero e può porsi ogni determinazione rimanendo ella assolutamente indeterminata. Cosi la di¬  stanza di due punti nel tempo, per quanto grande la si  immagini, se si à riguardo alla sua relazione all’infinito  del tempo anteriore, non significa nulla per questo appunto che l’infinito assoluto essendo propriamente la  negazione di ogni grandezza nel grande non può venir  posto in relazione con altre grandezze. La nostra fan¬  tasia non può correre che all’ infinitamente grande del  passato. SOLO L’ANIMO ne intende la infinità assoluta.  Della seriedel tempo non possiamo ottenere una assurda totalità ; per padroneggiare quella bisogna uscire  dal cangiamento e volgersi al fondamento della infinità  temporale, ossia all’essere come presente in ogni mo¬  mento e come fonte d’ogni possibile.   Meravigliarsi che la più grande grandezza immagi¬  nabile non sia più vicina all’infinito assoluto che la più  piccola, è analogo al meravigliarsi che la più ampia conoscenza dei fenomeni non arrivi più vicino alla cosa in  sè che la conoscenza più limitata. Qui come là si tratta  di una differenza qualitativa che nou si lascia esaurire  pei aiiazioni di quantità. L’apparente paradosso che con una comunque grande grandezza non s’è mai più  vicini che con altra infinitamente minore al transfinito, riposa in questo, che le due grandezze vengono riferite  a quello senza mantenere di esso il giusto concetto, ma  consideiandolo invece come una quantità determinata;  nel qual caso sarebbe veramente un assurdo dire che da  esso disti ugualmente un dato punto e un altro che fosse  prima o dopo di questo. Come nel transfinito del passato  non c è assolutamente un termine, cosi esso non è raggiungibile in alcun modo; dunque tutte le grandezze  sono per riguardo ad esso insignificanti. Parimenti è un  assurdo credere di poter addizionare una unità al transfinito o trasfinito. Si può solo addizionarla al finito. L’accrescimento esisterà pertanto in riguai do ad un segmento finito di retta, ma non in riguardo alla retta stessa nella  sua infinità. In una retta infinita nelle due direzioni è  indifferente il far la divisione più in un punto che in un  altro da quello lontanissimo ; le due rette risultanti sono  sempre lo stesso transfinito e con ciò sempre uguali. Nella retta co’_a _b _m rx - A — Aoo e oo’B   ossia ( co’A-H AB ) — B oo uguale cioè (A oo — AB).  Si vede cosi contrariamente alla dottrina di Cantor. Dice Cantor. Zu einer unendlichen Zalil, wenn sie als  bestimmt und vollendet gedacht wird, selir «ohi cine endliche hinzu-  gelugt und mit ihr vereinigt werden kann, oline dass kierdurch eine  Aufhebung der letzeren bewirkt wird ; nur der umgekerte Vorgang, die  llinzufugung einer unendlicker Zahl zu einer en dlicbcn, wenn diese che oo-t-1 ( <> —J— 1 secondo la sua notazione) non è maggiore di <», nè 1-f-o è differente da essendo   co’A + A B = A B + oo. Non v’è infinito maggiore d'altro infinito: tanto sarebbe infinito il tempo ritroso se la  serie dei cangiamenti fosse terminata migliaia di secoli  fa, quanto se esso continui all’infinito a trascorrere an¬  cora. Il passato si può misurare tanto a minuti che a  secoli, e dirlo eguale, se fosse lecito così esprimersi, a  numero infinito di minuti o a uno infinito di secoli; non  pertanto sarebbe sempre lo stesso infinito nè più nè  meno. E la ragione di ciò è che la quantità transfinita  non è misurabile. La immensità supera ogni numero,  come direbbe Spinoza.   Nella infinita serie delle cause è da pensarsi un numero di esse (se tale può chiamarsi), maggiore di ogni  numero assegnabile ; oltre ogni raggiungibile anello la  natura ne offre costantemente altri ulteriori. Nella na¬  tura la contraddizione non può esistere ella non ef¬  fettua il passaggio che da un momento a un altro ; e  questo passaggio non può farsi attraverso l’infinito. Per  quanto noi risalghiamo all’indietro nella serie causale,  come non troviamo contraddizione pel pensiero, cosi non la troviamo nella realtà. Essa ci offre sempre e solo un   ziierst, gesetzt wird, bewickt die Anfhebung der letzeren, ohne dass eine  Modification der ersteren eintritt. (Grundlagen ecc. p 11); e più oltre  (p. 14): “Ist co die erste Zalil der zweiten Zalilenelasse, so iiat man:  1+01=10, dagegen u> 4 .i-=(coq-l), wo (co- 1 - 1 ) eine von co durchaus verschiedene Zahl ist. Aiif die Stellung des Endliclien konmtes also alles an. Una tale inapplicabilità della LEGGE DI COMMUTAZIONE ai numeri transfiniti o trasfiniti dovrebbe per Cantor servire inoltre a dimostrare come tali numeri debbano poter essere e pari e dispari insieme o anche nè pari  nè dispari. (Id. p. 15). 5dato cangiamento e la sua causa. II fenomeno non richiede per la sua spiegazione la totalità della serie delle  cause anteriori, si bene soltanto la causa immediata¬  mente antecedente; e il principio di ragione domanda uni¬  camente la immediata condizione e non una totalità di  condizioni. In quanto la stessa richiesta si rivolge suc¬  cessivamente alla causa della causa e cosi via all’infi.  nito, si viene a domandare costantemente una nuova con¬  dizione e questa è un nuovo membro della serie e niente  di più. Al tempo è essenziale la posizione in atto di un  solo momento.   Fatta astrazione dai cangiamenti, e supposto l’essere  affatto immoto in una rigida stabilità assoluta, noi lo  poniamo però sempre in qualunque punto del tempo ideale  che noi fissiamo ; la sua esistenza la poniamo cosi necessariamente infinita nel passato. Or come può nascere  la contraddizione se noi in uno qualunque di questi punti  pensiamo invece l’essere universale nel flusso del cangiamento? Assurda è la posizione di un tutto infinito,  quale non può qui esser dato, poiché la successione perpetua è la forma dell’infinito del tempo; noi abbiamo  qui una serie che in riguardo al nostro procedere a ri¬  troso nel tempo da fenomeno a fenomeno è infinitamente  grande, e per sé è transfinita come la tangente dell’angolo di 90° -- Wundt è condotto a credere (Philos., Stadie„ II, 520. Kant’s kosmologichen Antinonien n. das Problem des Unendl.) che l’applicazione  de concetto di transfinito non sia possibile nel problema cosmologico  del tempo. Egli crede un tal concetto trascendente, che invece non è  e cosi gli viene a mancare un concetto che esprima la infinità oggettiva ossìa 1 eternità del processo della natura. Il concetto limite del     in.   Kant crede che la sua dottrina della idealità  del tempo e dello spazio o della transcendentalità in  generale, spiegasse la supposta antinomia del problema  cosmologico, e rendesse con ciò inutile e vana la ricerca  di una soluzione. Ma appartenga o no il tempo e lo  spazio al reale in sè, riman sempre tuttavia la questione  se questo, che Kant non può a meno di accettare, si  abbia a pensai’e come fondamento di un mondo fenome¬  nico finito ovvero di uno infinito. Non vale rispondere  che la serie regressiva delle percezioni nostre non può  essere realmente infinita perchè come tale impossibile, e  neppure finita perchè nessun limite dei fenomeni può venir  concepito come assoluto, e dichiarare con ciò insolubile  la questione. Dacché l’oggetto trascendentale condiziona  realmente, come egli ammette (1) un determinato regresso  empirico, per un esempio nell’ordine dei corpi celesti ;  doveva Kant pur ammettere che rimaneva sempre a ve-  regresso infinito (o a dir proprio infinitamente grande) non è già un  concetto trascendente della creazione quale dovrebbe, secondo il  Wundt, accettare ogni spiegazione filosofica della natura (v. Wundt,  “Ueber das Kosmolog. Problm, Yiertelsjahrszeitscb. I, 128); quel suo  concetto limite nuli’ altro è invece appunto die l’infinito assoluto  del tempo oggettivo, in base al quale è possibile il nostro infinito (infinitamente grande) regresso. Il non aver considerato l’eternità  del fare della natura, e specialmente il non aver badato die l’infinito regresso è in realtà per la natura un perpetuo progresso, il cui concetto non può venir altrimenti pensato che per via del tran¬  sfinito, 6 stata la causa per cui il Wundt concepì il tempo passato  sotto il concetto deH’intinitamente grande concordando in fondo col  Kant, come il Lasswitz si trova in questo d’accordo con lui. (L. Ein  Beitrag zum Kosmol. Proli. Viertels. I, 343).  (1)  Kritik der reinen Vermnft, ediz. cit., 428.  dere se l’oggetto trascendentale determinasse un possibile  regresso finito od infinito (11. Perchè se per lui tuttii  processi compiutisi da tempo remotissimo ad ora non si¬  gnificano altro che la possibilità deirallungamento della  catena dell’esperienza dalla percezione attuale indietro  alle condizioni che la determinano nel tempo; pure egli,  per ciò che s’è sopra citato, non può negare che il possibile regresso delle nostre percezioni secondo le sogget¬  tive leggi della mente, non supponga un regresso ogget¬  tivo determinato dalla realtà inconscia indipendente¬  mente da ogni esperienza (2). Trasportati a indefinita  distanza dal nostro sistema solare, avremmo noi sempre  ancora nuove percezioni? E cosi, trasportati indefinitamente addietro nel tempo vedremmo noi necessariamente  sempre nuovi cangiamenti? Poiché la nostra necessaria  produzione dello schema dello spazio e del tempo, non  potrebbe per sè far si che noi avessimo nuove percezioni  dove l’oggetto trascendentale non le condizionasse e si  mostrasse con ciò finito. Lo spazio e il tempo ideali non  sono per sè garanti di una corrispondente possibile PERCEZIONE. Non una necessità del nostro concetto a priori del  tempo, ma il principio di causalità richiede la infinità  della serie regressiva dei cangiamenti. Poiché non si  può conchiudere la mancanza di un principio del tempo  (1) Cfr. Schopenhauer, Parerga, I, 112. (2). Die wicklichen Dinge der vergangenen Zeit si nel in dm transcendentaien Gegenstand der Erfahnmg gegeben ; sie sind aber ftir mieli  nur Gegenstànde und in der vergangenen Zeit wicklich, sofern als  ich ecc. „ ild. p. 4!0). Saranno però dunque sempre non null’altro, come dice Kant poco sotto, ma qualcosa di più della possibilità  dell’allungamento della catena dell’esperienza dalla presente percezione  indietro alle condizioni che la determinano nel tempo.   da questo, che ogni limite è necessariamente da noi  pensato come relativo. La relazione di termine e termi¬  nante è infinita come quella di soggetto e oggetto ; perciò appunto vuota ; essa nulla può aggiungere al contenuto reale cui viene applicata. Come il pensiero dell’es¬  sere impensato, che è la forma in cui comprendiamo il  reale, nulla toglie alla realtà estraraentale od in sè della  cosa, allo stesso modo la relazione mentale di limite e  limitante non può evidentemente mettere nella realtà il  suo secondo termine se nella realtà non è dato. Questo  secondo termine, il limitante, rimane, se si astrae da  ogni altra considerazione, un puro complemento ideale (1).   9. Riehl non seppe neppur egli superare o scio¬  gliere la falsa contraddizione che Kant e Dtihring, per  non dir che di loro, credettero inchiusa nella concezione  di una serie regressiva infinita di cangiamenti. Visto  che la contraddizione stava nel concetto di una infinità  la quale quei filosofi avevano pensato necessariamente   (1) Hamilton il quale (“Lectures un Metaphysics”, lettura 38; On logic I,  p 101-104) segue Kant nelle antinomie, non giunge che a questo risultato, di pensare in riguardo all’infinito del tempo e dello spazio,  che se la ragione non ci fa piegare necessariamente nè da una parte  nè dall’altra, pure in realtà il tempo e lo spazio dehban essere o  finiti o infiniti. (Cfr. del resto l’acume (!) del Mill nella sua confutazione di Hamilton, La philosnphie de IL, cap. VI, p. 90). Ho Spencer  poi, che à fatto la sua più alta educazione filosofica presso di Hamilton appunto e del suo scolare Mansel, professore di metafisica a Oxford, seguendo il maestro dichiara questioni insolubili tanto quella riguardanti l’infinità del tempo e dello  spazio che quella della divisibilità della materia e altre ancora. Egli  pensa, cerne è noto, che i concetti di spazio, di tempo, di moto, di  materia e di forza si mostrino in ultima analisi inconcepibili e ci lascino sempre del pari nell’alternativa tra due opposte assurdità, V.  cap. Ili, § 15-18  e cap. IV dei “First Principles”, la quale io stimo  certo l’opera più infelice del filosofo inglese. 54data come totalità, egli pensò di sfuggirla col negare  la numerabilità o la reale distinzione e indipendenza numerica nella catena delle cause e delle variazioni (1).  Numerabili, dice egli, sono le cose, non i processi. In  quanto le cose sono od appaiono spazialmente divise,  deve è vero valere ciò die il Duhring à formulato come  legge del numero determinato; ma altrettanto, séguita Kiehl, è certo che quella presupposizione non vale per i  processi temporali. Questi non sono, secondo lui, per sé  stessi distinti numericamente : è solo per la nostra distinzione mentale che essi ottengono una tale determina¬  tezza. Un argomento dunque che vale per il numero non  può senz’altro venir applicato al tempo, poiché mancano  in questo per sé considerato e non riferito allo spazio,  degli effettivi processi indipendenti, separati l’uno dal¬  l’altro, o posti insomma come numerabili. Noi possiamo  distinguere dei processi nel tempo soltanto in determi¬  nato numero finito, nessun processo è però indipendente   (1) Il Itielil (Ber phUosopliischc Kriticismus, li. 12f>) inclinava dapprima decisamente a porre con Duhring un principio del cangiamento. Soltanto nella seconda parte del secondo tomo, tormentato dalla necessità del principio di causalità cangiò opinione (quantunque non lo abbia fatto notare egli stesso esplicitamente);  ma per uscire dalla presunta contraddizione dell’ infinito regresso,  pensò, al contrario di prima, i processi come assolutamente, e con ciò  assurdamente continui. V. id. II, 124, 12C, 1S4. 185, 2n8; cfr. Ili, 304,  307. Si vede del resto evidentemente clic il Riehl oltre aver cangiato  di parere, non ò nemmanco ancor ora troppo certo della sua nuova teo¬  ria; poiché la tratta troppo brevemente e troppo alla larga, come se  gli scottasse di dover render più minuto conto di ragioni che a lui  stesso non possono parere troppo convincenti Ciononostante l'opera  sua e specialmente la seconda parte del secondo tomo è un lavoro  filosofico non solo di grande valore, ma anche molto attraente, il che  è una cosa assai rara.  1C  e distinto da quello che immediatamente lo precede o  segue. Rielil, non sapendo come uscire dalla sup¬  posta contraddizione à dunque rinunciato a concetti di  cui l’esatto pensiero scientifico non sa nè può lare a meno,  senza che ciò del resto gli abbia giovato per la elimi¬  nazione della temuta assurdità come più innanzi vedremo. La questione dell’infinito riguarda tanto il tempo che  lo spazio. Solo si à sempre a distinguere tra l’esistenza  loro ideale ; cioè il loro schema mentale, e la loro esi¬  stenza reale. Non numerabile possiamo noi solo pensare  lo spazio ideale, lo spazio o l’estensione materiale dobbiamo invece necessariamente porla numerabile. Poiché  estensione reale è coesistenza, e la continuità assoluta  non può essere reale ma soltanto ideale ; altrimenti essa  inchioderebbe la contraddizione dell’infinito compiuto nel  finito, chè senza parti è solo il continuo della rappresentazione. Porre la continuità assoluta come effettiva è  non spiegar nulla e mettere il mistero nella realtà, rinunciando a comprenderla. L’irriducibile noi lo dobbiamo  soltanto rilegare negli atomi sia dello spazio che del  tempo reali. I tropi degli Eleati non valgono meno con¬  tro il continuo del tempo che contro quello dello spazio;  non meno contro lo spazio percorso da un pendolo in  una oscillazione, che contro il tempo in questa impiegato. In parti ultime non si può dividere il tempo nè  lo spazio ideale, perchè essi nè sono composti nè si originano da una sintesi di parti, come in fatti non pos¬  sono venire analiticamente scomposti in ultimi elementi  semplici, e sono conseguentemente l’uno e l’altro divisibili all’infinito ; ma non è cosi del tempo e dello spazio  leali, dove la natura viene necessariamente aH'atto. Dice Diehl che solo il nostro intelletto scompone  l’accadere temporale in singoli processi, e che questi solo  per ciò ci appaiono indipendenti, che partono da cose  spaziali e si trasmettono ad altre cose nello spazio  (id. Ili, 280, 287, 309).  Un processo secondo lui può  aver indipendenza solo perchè vien riferito alle cose nello spazio e non al tempo unicamente. Ma è naturale  che tutti i processi siano nel mondo materiale (e non  vengano soltanto da noi) schematizzati per dir cosi nello  spazio, poiché essi non sono altro che cangiamenti della  realtà spaziale, e unicamente i processi della coscienza  in sè considerati possono venir riferiti al tempo come tale senza riguardo allo spazio. Difatti non pensa ora Rielil che sia concepibile una materia assolutamente  continua come lo spazio mentale, ossia non costituita  da atomi ? (v. id. Ili, 307 ; cfr. II, 278 e 284). Anche  della materia allora si dovrebbe dire che gli elementi  distinti solo la nostra mente li pone. Come può egli dunque affermare ripetutamente che soltanto la riferenza dei  processi temporali allo spazio ci faccia considerar questi  come distinti e per sè numerabili? Voler negare la numerabilità nel tempo reale o ne’ suoi processi dovrebbe  al contrario anche secondo il Riehl esser lo stesso che  negare nello spazio gli atomi o le cose ossia gli aggruppamenti durevoli degli atomi.   Ogni grandezza nella realtà à parti elementari, non  esclusi i cangiamenti; un certo gi’ado di cangiamento è  una somma di successivi cangiamenti minimali. Ma il  pensiero come per istinto sembra rifuggire dalla conce¬  zione dell’atomo o minimo temporale, perchè colla determinatezza scompare quel che di vago e di nebuloso  E ir, rdie altrimenti conserva la concezione (lei tempo, e per  cui la mente non avverte o avverte assai meno la inin¬  telligibilità di quello. Colla posizione dell'atomo o minimo,  la natura non più oltre scrutabile del tempo si affaccia  bruscamente all’intelletto. Il tempo come rappresentazione rimane naturalmente strettamente continuo pur essendo discreti i processi reali, cliè la sua continuità as¬  soluta ideale è una proprietà necessaria dipendente dalla  natura della coscienza, la quale tra due processi per  quanto infinitamente vicini interpola pur sempre la sua  unità. Non c’è un minimo concettuale del tempo come  c’è invece e si richiede il minimo reale. I n minimo nella  rappresentazione del tempo sarebbe un punto inesteso, e  considerarlo come elemento della durata tanto varrebbe  quanto rendere impossibile il concetto di questa (1).   Non deve più urtarci l’accettar gli atomi, o meglio  la concessione atomistica, per la materia, che accettarla  in riguardo alla forza e al cangiamento. Non crediamo  siano più intelligibili gli elementi materiali che quelli  del divenire. La facoltà nostra mentale di pensare gli (1) Lo Schopenhauer trattando nella quadruplice radice del principio di ragione (p 93-96) del tempo del cangiamento, mette in piena  e con ciò stridentissima luce il concetto ch’egli à della continuità  assoluta del tempo, quale egli trova acutamente espresso presso Aristotele. “ Come tra due punti v’ è ancor sempre una linea, dice egli,  così tra due ora vi è ancor sempre del tempo. È questo il tempo del  cangiamento ; esso è come ogni tempo divisibile all’ infinito e per conseguenza il cangiamento percorre in esso un numero infinito di gradi  per i quali dal primo stato nasce a poco a poco il secondo. „ Egli  conchiude con Aristotele dalla infinita divisibilità del tempo, che ogni  contenuto di esso e con ciò ogni cangiamento, o il passaggio da uno  stato all’altro deve essere infinitamente divisibile, e che dunque tutto-  ciò che diviene s’origina in fatti da punti infiniti.  atomi come ulteriormente divisibili vale per tutti e due  gli ordini senza diminuire perciò la necessità che à la  mente di ammetterli. Quel sentimento direi quasi di disagio  clic par darci questa necessità, non è in fondo che ca¬  gionato da quella nostra come ripugnanza a riconoscere  che l’analisi mentale della realtà deve a un dato punto  arrestarsi. La mente deve arrivare ed arriva, ad elementi  i quali non sono più oltre scomponibili, altrimenti il  reale potrebbe sciogliersi nel pensiero.La divisibilità ideale  non porta con sè una reale divisione. Solo il tempo ideale  può venir diviso a piacere all' infinito, e non à quindi  elementi numerabili, ma il tempo reale col suo vario contenuto fenomenico è di sua natura numerabile; quantunque noi, come ci accade per gli atomi della materia, non  arriviamo direttamente a’ suoi elementi. Non meno delle  cose o degli elementi delle cose sono anche i processi nu¬  mericamente distinti. E se in astratto la grandezza non  à divisione, essa non può tuttavia nella realtà venir  esattamente concepita che come risultante di una immediata ripetizione numerica d’uno stesso identico. L’assenza  di elementi reali è solo nel nostro pensiero che può a-  strarre da ogni divisione nel considerare una grandezza,  ed è pienamente libero di dividerla o accrescerla all’ infinito, allo stesso modo che esso procede co’ numeri. Tanto la natura che il pensiero ànno del resto la possi¬  bilità dell’infinito accrescere e interpolare ; ma ne’ loro  prodotti non possono dare che il determinato : l’infinito  si riferisce solo al loro operare, non al loro operato. Il concetto del continuo assoluto applicato al tempo  reale sarebbe del resto affatto inutile anche quando fosse giustificato. Poiché empiricamente un tal continuo noi  non lo incontreremmo mai. Il fatto che noi della sintesi  della natura (come dice Diihring in qualche luogo della “Dialettica”), non abbiamo altro che rappresentazioni di  effettività, non ci dà il diritto di fare delle possibilità  del nostro pensiero la misura della realtà. Come in sé  sia fatto il passaggio da un punto del tempo all’ altro,  non può venir inteso. Tanto varrebbe domandare perché  esiste il tempo o magari l’essere stesso nella sua -effet¬  tiva natura Voler ancora spiegare gli elementi del tem¬  po è uno sconoscere la natura del pensiero ; noi non li  possiamo ridurre ad altro perchè il tempo non è un prodotto della mente, è condizione anzi dell’esperienza, e  non à una natura puramente logica. Il passaggio è una  determinazione della realtà che noi non possiamo che  riflettere. Sarebbe lo stesso voler spiegare gli atomi della  materia; noi non possiamo che ammetterli o riconoscerli;  una pretesa spiegazione di essi è assurda poiché il pensiero non è tutta la realtà, ma vien confinato da qualcosa  che se pò dare ad esso un contenuto formale, non può  però dare il suo essere. Da un grado a un alti’O del cangiamento si fa il passaggio in quanto il cangia¬  mento stesso ci si mostra come fatto compiuto. Noi  non dobbiamo quindi illuderci col concetto misterioso del  continuo assoluto di penetrare più addentro nel fare della  natura, nel divenire dei fenomeni. Noi non possiamo mai  altro che constatare gli avvenuti cangiamenti, nuH’altro  possiamo. E cosi in realtà non conosciamo come il can ¬  giamento, ma che il cangiamento s’è fatto. Tornando ora alla soluzione di Riehl, nemmanco col fare la serie dei cangiamenti assolutamente continua  sfugge egli, secondo crede, alla temuta e presunta con¬  traddizione dell’infinito compiuto od esaurito. E 1' errore suo si fa più stridente e palese quando egli so¬  stiene che la infinità del tempo si mostrerebbe esaurita  se si dovesse pensare ad un suo fine nel futuro. Ei  crede che solo in tal caso, per evitare la contraddizione, si dovrebbe ammettere un principio assoluto del  tempo. E così fa dipendere, cosa enorme, la infinità del  regresso dalla infinità del progresso nel futuro. Ma la fine  del tempo non è invece punto contradditoria. É questa  una questione di natura empirica; e cosi secondo lui non  dovrebbe esser allora inconcepibile e contraddittorio neppure un principio del tempo. Il tempo reale, ove fossero  date le condizioni di un equilibrio universale, potrebbe  finire ad ogni momento senza assurdità alcuna. Poiché  ad ogni modo nella natura ogni fine non è della serie  infinita ma dell’ultimo cangiamento. Del resto, sia pure,  ammettiamo che i processi non siano per sé distinti e  numerabili, ma siano invece assolutamente continui. Dice Riehl che le oscillazioni di un pendolo sono  senza dubbio determinate numericamente (id. Ili, 309). Ora come risponderebbe egli alla domanda — nè vi può  in modo alcuno sfuggire — se si debba pensare che insieme sommate le oscillazioni dei pendoli che possono  dall’eternità esser mai esistiti in infiniti mondi, possano  venir compresi da un numero finito ? E se no sotto quale  concetto una tale somma o regola di somma dovrà venir  pensata? A ciò non à egli risposta.  E più ancora come risponde Riehl a quest’altra, la domanda. Il numero delle terre dall'eternità ad ora nate e morte è egli infinito o finito ? Poiché qui manifestamente  abbiamo delle esistenze separate, indipendenti, numerabili  anche secondo lui. L’unica giusta risposta è che un tal  numero è necessaria,nente infinito, o, propriamente, transfi¬  nito. Nel corso perpetuo del tempo non solo non è contraddittorio, sibbene è necessario che un infinito numero di corpi celesti (dato che le moderne teorie cosmiche  siano, come pare, inevitabili) abbia gradatamente avuto  nascita e morte. Con ciò come non vi fu un primo cangiamento, nemmanco vi fu una prima terra. Il concetto dell’infinito assoluto o transfinito è applicabile solo alla serie regressiva dei cangiamenti, non  alla progressiva. La natura di questa consistendo appunto nel crescere suo continuo verso il futuro non può  cadere, se infinita, che sotto il concetto dell’infinitamenfe  grande. Poiché in nessun punto iminaginabi'e del futuro  non si sarà compiuta, a partire da un punto qualunque  del tempo precedente, una infinità assoluta di cangia¬  menti. E ciò che si avrà sarà solo la continua possibilità  di sempre nuove mutazioni. La questione però se realmente nella natura dell’essere sia la disposizione a qnes'.o infinito futuro è affatto empirica, non essendoci, come s’è visto sopra, alcuna difficoltà che a priori ci impedisca di pensare possibile un termine d’ogni cangiamento in un qualunque momento avvenire. Il concetto del tempo per sé non ci dà alcuna soluzione; la questione  è puramente di fatto. La soggettiva possibile anzi necessaria illimatezza dello schema spaziale non porta seco  necessariamente un infinito riscontro nella esistenza materiale oggettiva. Allo stesso modo neppure la illimitatezza del tempo ideale porta con sè quella del tempo  reale ossia una serie infinita di reali cangiamenti. Essa  non ci impedisce in modo alcuno di considerare come possibile un limite del mondo nel tempo. Se noi siamo sforzati di pensare ad un tempo vuoto non è però il pensiero  di esso che gli dà un contenuto reale in ogni suo momento. Essendo che per sè stesso la vuota durata tanto è  del reale come del nulla ; sebbene la durata non rimane  mai nel nostro pensiero priva adatto di contenuto, in quanto la permanenza dell’essere, indipendentemente dallo svol¬  gersi o no esso in fenomeni, non può mai mancare di  farle riscontro. Ed è in questo una grandissima differenza tra la rappresentazione dello spazio e quella del  tempo. Mentre a niun punto arbitrario del tempo viene  a mancare il contenuto materiale, non così necessaria¬  mente ad ogni punto dello spazio. A parte i cangiamenti  in cui l’universo si svolge è evidente che non può ad.  esso venir applicato il concetto di una determinata durata. Come esso è sempre quello che è, cosi il tempo non  à a suo riguardo significato alcuno. In un qualunque  momento inesteso del tempo 1’ essere è completo, è  tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà. Se dunque nel futuro venisse realmente a mancare ogni mutazione nell’essere, questo potrebbe solo impropriamente  venir considerato come nel tempo; la durata dal punto  in cui il cangiamento sarebbe cessato à soltanto senso  perchè noi la immaginiamo misurata da quella piena di  cangiamenti della nostra coscienza.  Intanto la meccanica non ammette assolutamente la possibilità del passaggio di un sistema da uno stato dinamico ad uno statico. E cosi il tempo futuro è indubbiamente infinito nel senso di una progressione senza  fine – V. anche le considerazioni di Sleyer, “Mechanick iter l Verme” (p. 309). Tra le due infinità del passato e del futuro sta il momento presente, il quale inchiude la realtà eterna,  la realtà che fu e che sarà. La pienezza dell’essere non  ci sfugge come parrebbe a considerarlo nella infinita sua  fenomenologia. L’essere è sempre tutto presente, non c’ è  elemento di cui possa dirsi che sia stato o che abbia a  originarsi. Certamente l’interesse nostro va al suo svolgersi ne’ cangiamenti per cui solo ci si svela la sua na¬  tura e per cui solo noi ci commoviamo e viviamo. Che  per la coscienza l’essere immoto in una rigida inerzia  non avrebbe valore alcuno. Tuttavia la infinita possibilità del cangiamento è tutta nell’essere in un qualunque  punto matematico del tempo. E cosi T importanza del  tempo finito non si perde di contro alla infinità passata  e futura del processso: ogni momento del tempo ci  dà l’essere sub specie aeternitacis, nè altra mai è stata  la esistenza della realtà che quella del momento.  Solo in questa considerazione della permanenza  eterna del reale possiamo noi comprenderne la infondata e infondabile natura sistematica. Lo sguardo alla incessante evoluzione può troppo facilmente far considerare le interne determinazioni dell’ essere come transitorie. Che l’evoluzione sia tale quale noi l’andiamo scoprendo non è altrimenti a intendersi. Giova quindi, per  la concezione universale dell’esistenza, oltre che aver  riguardo allo svolgimento di un sistema parziale nel  tempo considerare gli altri sistemi parziali del cosmo  nel loro coesistente diverso grado di svolgimento, per  cui si lascia forse quasi pensare come in ogni momento  attuata nello spazio la evoluzione temporale dei singoli  mondi. Nello spazio e nel tempo, da cosa a cosa, da processo  a processo, per il filo della causalità materiale spiega  l’essere la sua unità. Alla necessaria necessità logica rispondi la effettiva unità materiale della esistenza. L’unità dello spazio e del tempo nella rappresentazione non  basterebbero per sè a escludere una radicale disparità  nel reale. Se lo spazio e il tempo fossero puramente  forme ideali nascerebbe il problema del come la realtà  non possa dare origine a duplicità di sorta. E la questione si scioglie solo in quanto si riconosce che l’unità  stessa del reale è che crea quella dello spazio e del  tempo. Le proprietà dello spazio sono esse stesse di na¬  tura meccanica, nè altrimenti potrebbero le leggi della  natura esprimersi in relazioni di spazio ; nelle necessità  spaziali è la logica immanente delle forze della natura. Due spazi differenti sono un assurdo non solo avuto  riguardo al pensiero, ma anche in riguardo alla oggettiva realtà materiale. Il pensiero per sè non trova alcun  impedimento a riunire ogni spazio in uno spazio unico  nel vuoto schema spaziale e non può trovar quindi ragione di considerarlo come disuniforme. Nella realtà poi  la pluralità degli spazi vorrebbe dire pluralità di  esseri. Ora una tale pluralità non solo non può mai  venir oggetto del nostro pensiero e per noi non può quindi   assolutamente esistere, ma è dalla realtà smentita, perchè anche l’esperienza colla omogeneità universale della  materia mostra esser l’essere uno. Le posizioni delle  distanze nello spazio reale non sono che rapporti di  forza. Ogni elemento dell’ esistenza materiale è quindi  nello stesso unico spazio. Non esistendo cosi elemento alcuno fuori d’ogni relazione cogli altri. Analogamente è del tempo reale ; la sua unità suppone quella  dello spazio materiale e dipende insieme dalla universalità del cangiamento. Per la natura radicalmente omogenea delle cose e per la temporalità d’ogni cangiamento  è uno anche il tempo oggettivo. E cosi che i principii meccanici si estendono presumibilmente e con sempre maggior certezza ad ogni massa  dell’universo, a ogni sistema di stelle fisse e gruppo di sistemi. Poiché la base dell’esistenza è di natura meccanica. Solo la sensazione come tale o il campo della coscienza ne resta fuori e riceve dalla spiegazione meccanica una eterogenea sebbene costante e parallela illustrazione. L’unità dell’essere non à riscontro in una fantasticata e contraddittoria unità cosciente universale; rifrange invece per dir cosi la sua unità in quella di molteplici  coscienze individuali. L’unità oggettiva estramentale e la  unità della coscienza: due abissi del pari inscrutabili ma  rispondentisi. Albana e all’altra sta a base e direi quasi  a tergo quella che noi non possiamo concepire che col  concetto formale di ragione o di fondamento unitivo e  subfenomenico dei due fatti. Non è meno inscrutabile  l’una unità dell’altra, sebbene quella della coscienza im¬  plica per sé quella materiale oggettiva. Infatti che cosà  di meno oltre analizzabile dell’unità radicale che con la  mutazione si appalesa esistere negli elementi dell’essere? Come spiegare la effettiva comunione delle sostanze, il  fatto che lo stalo di un atomo porti seco un dato altro  stato di un altro? Queste riflessioni ci richiamano alla  infondata originarietà delle cose, e alla natura per così  dire superficiale della conoscenza e del pensiero. Quelli  sono resti refrattari ad ogni ulteriore analisi; nè già per difetto del nostro istrumento, ma per la necessaria natura stessa del conoscere, chè altrimenti la realtà dovrebbe cessare di esistere come distinta dal pensiero. La  analisi à necessariamente de’ limiti, i quali non anno  però bisogno d’esser limiti della conoscenza nel modo in  cui falsamente per lo più vengono intesi, quasi indizi di limitatezza di contro a una sia pur solo logicamente possibile conoscenza superiore. Come non è incondizionatamente applicabile al reale  il principio di ragione, tanto meno lo sono altri concetti  essenzialmente relativi quali quelli di grandezza e di  scopo. Se l’universo è infinito, non à evidentemente per  ciò stesso determinazione alcuna quantitativa; se finito  è vero però che in relazione ad una sua parte esso à  una grandezza determinata, sebbene nell’estenzione variabile da un momento all’altro. E che possiamo quindi  dirlo più piccolo di una grandezza posta mentalmente  superiore alla sua ; che anzi possiamo anche considerarlo  infinitamente piccolo in relazione all’infinito assoluto dello  spazio ideale. Ma in sè non si potrebbe dirlo propriamente nè grande nè piccolo, perchè fuori di esso non vi  è nulla che possa darci una unità di misura. E del pari  è affatto relativo il concetto di durata e inapplicabile  perciò in modo incondizionato all’essere. Questo non  dura nè tanto nè poco; e la ragione di ciò è che esso  non è nel tempo. Considerando però la serie dei cangiamenti, al contrario di quanto ci accade per lo spazio,  lo schema ideale del tempo riceve necessariamente un  contenuto reale perfettamente corrispondente. E sciogliendo la difficoltà che più che tale a molti filosofi è  parsa sinora una stridente contraddizione, abbiamo visto  che come per mezzo del tempo si fa possibile il cangia¬  mento, il quale altrimenti sarebbe contraddittorio, cosi  per il cangiamento trova una necessaria applicazione alla  realtà oggettiva l’infinito assoluto o trans-finito. Mario Novaro. Novaro. Keywords: implicatura ligure, ‘la riviera ligure’, Grice echoing Kant, echo, implicature ecoica, Strawson’s ditto-theory of truth, Strawson’s echoic theory of truth, Skinner on echo – ecoico, eco, implicature ecoica – Luigi Speranza, “Grice e Novaro” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Riviera Ligure. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742337518/in/datetaken/

 

Grice ed Ocone – liberali d’Italia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Benevento). Filosofo. Grice: “Ocone has selected Croce as the quintessential Italian liberal! That should please Oxonians like Collingwood!” -- Grice: “I like Ocone’s idea of a liberalism without a theory – ‘liberalismo senza teoria’ – that should please J. M. Jack!” --  Grice: “Speranza has  noted that if Bennett speaks of meaning-nominalism, we could well speak of meaning-liberalism.” Grice: “While meaning-liberalism requires that the limit of one’s liberty to make a sign stand for an idea is your co-conversationalist, meaning-anarchism is Humpty Dumpty (‘I didn’t know that!’ ‘Of course you don’t’) and meaning-conventionalism is the idea that there is a repertoire on which conversationalists rely!” Si occupa soprattutto di temi concernenti il neoidealismo italiano e la teoria del liberalismo. Allievo di Franchini, è borsista dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici di Napoli negli anni 1993-1994. Qui ha l'opportunità di lavorare direttamente nella biblioteca personale di Benedetto Croce e con l'aiuto di Alda Croce, figlia del filosofo, raccoglie e analizza il materiale scritto nel mondo su di lui. Un frutto parziale e selezionato del suo lavoro vede la luce nel volume  ragionata degli studi su Croce pubblicata dalla Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli, che vince l'anno successivo la prima edizione del "Premio nazionale di saggistica Benedetto Croce", istituito dall'Istituto Nazionale Studi Crociani.  È stato direttore scientifico della Fondazione Luigi Einaudi di Roma, dalla quale è stato successivamente allontanato per le sue posizioni nazionaliste. Successivamente è entrato a far parte della Fondazione Giuseppe Tatarella ed è diventato Direttore Scientifico di Nazione Futura.  È anche membro del Comitato Scientifico della Fondazione Cortese di Napoli, del Comitato Storico Scientifico della Fondazione Bettino Craxi, del Comitato Scientifico dell'Istituto Internazionale Jacques Maritain e del Comitato Scientifico della Fondazione Farefuturo.  Attività e pensiero Fonda a Napoli, con un piccolo gruppo di laureati e laureandi della Federico II, cittadini sanniti e napoletani, il trimestrale "CroceVia" edito dalla Edizioni Scientifiche Italiane, che si propone di rinnovare il messaggio crociano e che entra in poco tempo nel dibattito culturale nazionale. Nel 2008 i suoi studi crociani prendono corpo nel volume Benedetto Croce, Il liberalismo come concezione della vita, pubblicato dall'editore Rubbettino nella collana “Maestri liberali” della Fondazione Luigi Einaudi di Roma. Il volume, presentando l'immagine originale di un Croce partecipe del processo europeo di distruzione delle categorie epistemiche, ha numerose recensioni. A partire dalla sua interpretazione di Croce, Ocone elabora la prospettiva di un liberalismo senza teoria, cioè storicistico e non fondazionistico. Il suo progetto filosofico può essere così formulato: riconquistare il liberalismo alla filosofia; ritornare in filosofia all'idealismo; ricongiungere il liberalismo con l'idealismo (si vedano, a tal proposito, gli interventi di Ocone nella polemica fra neorealisti e postmodernisti). In quest'ordine di discorso, Ocone ritiene che la critica rivolta a Croce di essere un liberale anomalo, in quanto nel suo pensiero il concetto di individuo sarebbe sacrificato, vada ribaltato: l'individualismo non è affatto consustanziale al liberalismo, ma si è legato ad esso solo in una sua prima fase di sviluppo (all'inizio della modernità). Quello di Ocone è un liberalismo che non prescinde né dal senso storico né dal realismo politico. Successivamente il pensiero di Ocone ha assunto molti caratteri propri dello scetticismo politico di Michael Oakeshott, in particolare della sua critica del razionalismo, del perfezionismo e del paternalismo. Egli ha pertanto insistito sul carattere “anticonformistico” e “eretico” del liberalismo, sulla priorità in esso del momento “negativo” o della contraddizione. La critica delle ideologie, e in particolare del “politicamente corretto”, diviene in quest'ottica il correlato pratico degli approdi antimetafisici della filosofia contemporanea. E filosofia e liberalismo finiscono per coincidere  Da ultimo, la sua riflessione ha messo a tema il significato teorico e storico dell’affermarsi dei cosiddetti “populismi” e “sovranismi”. Essi, prima di essere ostracizzati, vanno per Ocone capiti: pur in modo confuso e contraddittorio, lungi dall'essere un “incidente di percorso” incorso al processo di globalizzazione in atto, essi ne segnalano la definitiva crisi dell’ideologia portante: il globalismo. Questa ideologia può essere considerata una radicalizzazione coerente della mentalità illuministica e progressista, cioè da una parte del processo di secolarizzazione e razionalizzazione e dall'altra dello speculare e connesso relativismo e nichilismo. I “populismi” sono perciò per Ocone movimenti di reazione ai meccanismi di spoliticizzazione (e connesso “disciplinamento” in senso foucaultiano) propri della globalizzazione, che aveva definito la sua ideologia all’incrocio fra le idee di due “deviazioni” dell’autentico liberalismo: il neoliberismo, sul versante economico, e la cultura liberal sul versante di un diritto globale fortemente eticizzato. Scrive su diverse riviste scientifiche e culturali e sui maggiori organi di stampa nazionali. Attualmente è nella redazione della rivista “LeSfide”, edita dalla Fondazione Craxi, e nel Comitato editoriale dell quotidiano online “L’Occidentale”. Collaboratore de “Il Giornale” e de “Il Riformista”, è opinionista politico di “formiche.net”, “Huffpost” e “nicolaporro”. Molto seguita è la sua rubrica domenicale di riflessione politico-culturale “Ocone’s Corner” sulla rivista online “startmagazine”.  Un estratto di un suo articolo (Intervista a Remo Bodei, in C. Ocone, Prendiamola con filosofia, Il Mattino, è stato utilizzato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca come documento per la stesura della traccia della prova scritta di Italiano negli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore a.s. (Tipologia BRedazione di un saggio breve o di un articolo di giornale2. Ambito socio-economicoArgomento: La riscoperta della necessità di «pensare»).  Nella sezione Dal dopoguerra ai giorni nostri, Percorso 9f Il dibattito delle ideeDall'“impegno” al postmoderno, Dal periodo tra le due guerre ai giorni nostri) dell'antologia "Il piacere dei testi", editore Paravia, è contenuto il suo saggio "Né neorealisti né postmodernisti" da "qdR". Saggi: “Coronavirus. Fine della globalizzazione” Il Giornale, Milano); “La chiave del secolo. Interpretazioni del Novecento” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Europa. L'Unione che ha fallito, Historica, Cesena, “La cultura liberale. Breviario per il nuovo secolo” Giubilei Regnani, Roma-Cesena); “Attualità di Croce” Castelvecchi, Roma,  “Il liberalismo nel Novecento: da Croce a Berlin” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Il liberale che non c'è. Manifesto per l'Italia che vorremmo” (Castelvecchi, Roma); “I grandi maestri del pensiero laico, Claudiana, Torino); “Collingwood e l’Italia” Castelvecchi, Roma); “Il nuovo realismo è un populismo” (Il Nuovo Melangolo, Genova,  (Pietro Reichlin e Aldo Rustichini) Pensare la sinistra. Tra equità e libertà, Laterza, Roma-Bari, Liberalismo senza teoria, Rubbettino, Soveria Mannelli  (con Dario Antiseri), “Liberali d'Italia” Rubbettino, Soveria Mannelli  (con altri autori) “Le parole del tempo. Lessico del mondo che cambia” Pierfranco Pellizzetti, Manifesto libri, Roma); “Spettri di Derrida, Annali della Fondazione europea del Disegno (Fondation Adami),  Il Nuovo Melangolo, Genova); “Profili riformisti. liberali per le nostre sfide” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Marx” (Momenti d'oro dell'economia"), Roma); “La libertà e i suoi limiti. Antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio, Laterza, Roma); “Croce. Il liberalismo come concezione della vita” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Bobbio ad uso di amici e nemici” (Marsilio, Venezia); “Manifesto laico, Laterza, Roma); “Lessico repubblicano” (Fondazione Giovanni Agnelli, Torino, ragionata degli scritti su Croce; Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli. Cfr. Archivio borsisti in Istituto Italiano per gli Studi Storici  Premio Benedetto Croce, su mediamuseum. Comitato Scientifico, su Fondazione luigi einaudi.  Riccardo Ficara, La Fondazione Einaudi allontana Ocone perché "filo-sovranista", su Secolo Trentino, La Fondazione, su Fondazione Giuseppe tatarella.  Organigramma, su nazionefutura.  Fondazione Cortese di Napoli in//Fondazione cortese/  Fondazione Craxi, Comitato Scientifico dell'Istituto Maritain, sComitato Scientifico e di indirizzo, su fare futuro fondazione.  rubbettino.  Gianni Vattimo Pubblicazioni La recensione, Caffe' Europa, Duccio Trombadori, Questo don Benedetto somiglia a Nietzsche, su il Giornale, Il blog di GIANNI VATTIMO: Corrado Ocone e la filosofia classica tedesca, su Gianni vattimo. blogspot. com.  La filosofia politica è una pseudo-scienza. Parola di filosofo. E che filosofo!, su reset.  Attualità di Croce su opac.,  Europa: l'Unione che ha fallito;  opac., La natura del potere svelata dal coronavirus, su il Giornale, Coronavirus: fine della globalizzazione, Store il Giornale, Fine di una storia, il ritorno della politica? su leSfide.  Chi Siamo, su loccidentale.  MIUR Traccia della prova scritta di Italiano per gli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore anno scolastico su archivio .pubblica.istruzione.  Il piacere dei testi  QDR Magazine Qualcosa da Raccontare, La chiave del secolo: interpretazioni del Novecento, opac., La cultura liberale: breviario per il nuovo secolo; Attualità di Benedetto Croce / Corrado Ocone, su opac., Il liberalismo nel Novecento: da Croce a Berlin /su opac., Il liberale che non c'è: manifesto per l'Italia che vorremmo su opac., I grandi maestri del pensiero laico ntroduzione di Massimo L. Salvatori, su opac., Robin George Collingwood, Autobiografia / R. G. Collingwood; prefazione di Corrado Ocone, su opac., Il nuovo realismo è un populismo / Donatella Di Cesare, Simone Regazzoni, su opac., Pietro Reichlin, Pensare la sinistra: tra equità e libertà / Pietro Reichlin, A. Rustichini, su opac., “Liberalismo senza teoria”; su opac., “Liberali d'Italia”; D. Antiseri; prefazione di Giulio Giorello, su opac., Le parole del tempo; M. Barberis; P.  Pellzzetti, su opac., Spettri di Derrida opac., Corrado Ocone, Profili riformisti: 15 pensatori liberal per le nostre sfide opac., Karl Marx: teoria del capitale / [visto da opac., La liberta e i suoi limiti: antologia del pensiero liberale da Filangieri a Bobbio, opac., Benedetto Croce: il liberalismo come concezione della vita, opac., Bobbio ad uso di amici e nemici, opac., Manifesto laico / Enzo Marzo; contributi di S. Lariccia on un intervento di N.  Bobbio, su opac., Lessico repubblicano: Torino, Maurizio Viroli, su opac.,  ragionata degli scritti su Croce, opac., La genialità di Marx agli occhi dei liberisti,  riconosce i pregi dell'analisi, in archivio storico.corriere Premio al Premio Croce di saggistica, in premiflaiano Ssu corradoocone.com. Grice: “Speranza calls me a liberal, but then he calls Locke and Humpty Dumpty a liberal too.” Grice: “Mussolini set a puzzle for liberalism – the Italians, disorganized as they are, had to create a party: they called it the ‘Partito Liberale Italiano’ – which is bound to close down! It opened in 1922 – while I was at Harborne!” --  Grice: “The test of a man’s intelligence lies in his ability to name his party – partito liberale italiano – partito liberale democratico – partito liberale constituzionale – the addition of ‘italiano’ at the end of ‘partito liberale italiano’ ENTAILS that what Borolli did at Florence, by founding his ‘partito liberale’ – since he omitted to add the ‘italiano’ was not the partito liberale italiano – but fiorentino at most! Similarly, the partito liberale democratico is NOT the partito liberale italiano, nor is the partito liberale costituzionale. Mussolini had it clearer: there’s only ONE partito – partito nazionale fascitsa – the infix ‘nazionale’ means that provincials should not appy!” --  Corrado Ocone. Ocone.  Keywords: liberali d’Italia, liberalism, dal liberalism al fascismo, il partito nazionale fascista e il partito liberale  – Refs.: Luigi Speranza: “Grice ed Ocone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742710674/in/datetaken/

 

Grice ed Oddi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Figlio di Oddo degli Oddi, convinto sostenitore della scuola galenica. Professore per incarico del Senato veneziano assieme a Bottoni a Padova, dove insegna e introdusse senza ricevere emolumenti l'insegnamento della pratica clinica nell'ospedale di San Francesco Grande, precedendo così tutte le altre scuole. Commentari dell'Ateneo di Brescia  G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, coi tipi della Minerva, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dobbiamo al chiarissimo signor dottor Montesanto (Dell'origine della Clinica medica di Padova ec.) la bella ed interessante notizia, che il nostro Bottoni e il suo collega Marco Odd o, calcando le traccie luminose segnate dal famoso Giambatista Montano pochi lustri prima, diedero novella vita al la Clinica medica nello spedale di san Francesco in Padova, condotti dalla solanobilebrama di giovare.E qui avvertire mo cogli sludiosi di medicina,che ildotto autore, dopo aver dimostrato con incontrastabile evidenza che l'Università pa dovana, la prima d'ogni pubblico Studio d'Europa, vanta la fondazioneinessadiquellascuola,basedellamedica scien za,ci porge il documento luminoso,che tanto onora li ricor dati professori, e in particolare il Bottoni di cui favelliamo; il quale non essendo da tacersi, lo riporteremo come ci viene fedelmenteecon eleganza vôlto inlinguaitalianadalprelo dato signor Montesanto, che il trasse dagli Acta nationis ger manicae Facultatis medicae, quae,convocata natione, prae lecta et examinata , digna judicata sunt,ut albo nationis insererentur. Consiliariis Christophoro Sibenburger Carin thio,et Samuel Keller Hallense Saxone,anno 1578. Vol. I. p.97. Manoscritto presso la biblioteca dell'Imperiale Regia Università di Padova. dette in vita il Boltoni , non è da passarsi solto silen zio quello d'essere stato dal Duca di Urbino,unita mente ai altri quattro medici ,chiesto del suo consiglio onde togliere la città di Pesaro e il territorio da alcu ne febbri pericolose che colà infierivano.N e taceremo , come a'dinostrisidimostròbellamente(1),che il Bot Merita,a comune nostro giudizio,di essere celebrato con riconoscente memoria e di venir rammentato in questo luogo il beneficio sommo impartito alla nazione nostra dall'eccel lentissimo uomo Albertino Bottoni , professore primario di medicinapraticaestraordinaria,ilqualecondottodalla sin golare benivoglienza che da più anni a noi concede,oltre all'averci anche in quest'anno dalla pubblica cattedra con ogni cura ammaestrati,a fine di giovare vieppiù alla nostra istruzione si riuni nelloscorso inverno all'eccellentissimo Marco degli Oddi, medico ordinario dello spedale di san Francescoepubblico professore,econ esso,finitalalezio ne,si trasferi sempre a quello speilale medesimo seguitoda   toni fu,insieme al suo collega Marco degli Oddi, il primo che dopo il celebre Montano gettasse i più so noi per visitarvi parecchi infermi afflitti da diversi generi di malattie :per talguisa egliaprissil'adito ad accuratamente mostrarci come sidovessero applicare alla pratica quelle dottrine che avevano fatto il soggetto della sua pubblica lezione , esercitando così i suoi uditori in tutto ciò che al dotto e sagace medico appartiene di osservare e dipraticarea pro de'suoimalati.Cessatefinalmentelelezioni,volendo il Bottoni che neppure durante le vacanze dell'Università mancasse a noi qualche mezzo di ammaestramento,e potesse per noiesserpostoaprofittoilnostro tempo,egliinuna deter minata ora della mallina recavasi ogni giorno a quello stes so spedale :quivi,visitando alternativamente col signor Marco degli Oddi gli ammalati, andava instruendoci, ragionando intorno a qualche caso tra i più gravi da lui osservati. Il Campolongo perciò, vistosi promosso a medico di quel l'ospitale, sipropose egli pure, allafoggia de'provetti nostri precettori, di dare ogni giorno delle pratiche istruzioni: nel di susseguente alla sua nomina occupò quindiprimo di tutti con molta insolenza e temerità quel posto chesoleva essere destinato ai nostri maestri; nè, occupatolo, volle cederlo ad essi. Fermo in suo pensiero diragionare aigiovanida quel luogo, non già una sola volta, o per un giorno solamente, rinnovò la scena istessa per più giorni; e non valseroa ri muoverlo nè a piegarlo le nostre istanze, direlte a far sì ch'ei lasciasse liberi ü luogo e l'ora occupati per lo innanzi dai nostri maestri,e che per sè volesse scegliere altra ora ed altro luogo. Ma, ostinato egli oltre ogni credere, giunse, coll'insistere per le sue pratiche istruzioni , a turbare quelle solite a darsi dagli altri prima di lui. Se dal Campolongo solo avesse dovuto dipendere, tutti saremmo stati esclusi dal Mentre simili esercitazioni, con si maturo consiglio intra prese a nostro vantaggio, andavano proseguendo, un certo medicoper nome Emilio Campolongo,digiovanile età,col. lega nell Università e professore della stessa cattedra , m a in secondo luogo,di Marco Oddo,riusci,non sisa come, ottenere che la ispezione a d siedeva e la cura de'malati, cui prima pre ilsolo Oddo,venissefra entrambidivisa,permodo che quind'innanzi gli uomini fossero medicati longo, e le femmine dall'Oddo. dal Campo   l'ospitale; il che pure minacciava apertamente di voler far si che avvenisse. La quale insolenza, divenuta già intollerabile ai signori professori Bottoni ed Oddo, meritevoli per ogni riguardo di molta stima e riverenza, li costrinse a partire dallo spedale, e con essi partirono quanti vi erano studenti della nazione alemanna,rimanendo così affatto solo ilCampolongo nel luogo da lui tolto agli altri..... Informati poscia bene del fatio i governatori dello spedale , costrinsero il Campolongo con severi modi a cessare dalla sua pretesa, ingiungendogli, sepur voleva intraprendere qualche esercizio a vantaggio di taluno degli studenti, di scegliersi un'altra ora ed u n altro luogo. Cosi, mercè la prudenza dei nostri maestri e la costanza degli studenti alemanni, fu vinta l'altrui pertinacia , edinostrieserciziivennerofelicementea ricominciare. Essendosi allontanati, come sogliono, dall'Università glo ltaliani per far le vacanze presso leloro famiglie, li signori Albertino Bottoni e Marco Oddo, eccellentissimi uomini e della nostra nazione sommamente benemeriti, affinchèfar potessimo qualche profitto nello spazio di tanti mesi, conti. nuarono le loro pratiche istruzioni quasi ogni giorno nello spedale di san Francesco sino al principio delle lezioni, con gran fatica e disagio loro,econsomma utilità nostra:della qual cosa poco io dirò, potendo bene ciascuno dalla rela. zione del mio antecessore rilevare le circostanze tutte che a ciòsiriferiscono.Aggiungasi,chevenendo nellastateinvitati parecchi infermi alle terme di Abano , onde rendersi vieppiù grati a'nostri, li condussero due volte colà,dando per tutti cavalli e legno ilsignor Oddo, e quivi gl'instruirono circa il valore medico delleacque termali e deifanghi. Verso lafine poi dell'ottobre fattasi la stagione opportuna per le sezioni anatomiche, il Bottoni e l'Oddo stabilirono di aprire i cada veri di quelle donne che morissero nello spedale ; e ciò col fine d'indagare alla presenza degli scolari le sedi e le cagioni dei mali : fu però d'uopo abbandonare ben tosto que lidi fondamenti della scuola clinica in Padova , che precedette tutte l'altre in Europa. Lasciò il nostro Bot Il Bottoni e l'Oddo continuarono anche nel successivo an no 1579 ad istruire nello spedale i giovani;ed in quest'anno pure vennero ad insorgere nuovi dissidii, come ce ne informano gli atti di quell'epoca, raccontandosiivi quanto segue:   toni un monumento del suo buon gusto nelle arti in un palazzo ch'ei fece erigere dirimpetto alla chiesa degli Eremitani inPadova (intorno al quale allude la medaglia riportatadalTomasini(1),cheacquistatopo sto si utile divisamento,poichè, mentre tutto era disposto per eseguire nel giorno appresso la sezione di due donne, in una delle quali importava esaminare lo sluto dell'utero,e nell'altra,mortaditabe,volevasidainostriprecettori scuo prire per dove penetrasse una piaga fistolosa esistente al to race, il signor Campolongo loro emulo propose a'suoi uditori d'intraprendere in quel giorno medesimo l'anatomia dell'ute ro,esiserviper questa deidue suddetticadaveri.Nacque da ciò che i governatori del pio luogo, resi avvertiti dell’ac caduto e mossi dalle querele delle vecchie inferme, le quali temevano,morendo,di dover essere del pari anatomizzate, prescrisserotanto all'Oddo,quanto al Campolongo, di astenersi dall'incidere verun cadavere nell'ospitale, sotto pena di perdere lo stipendio. In onta però alle tante opposizioni promosse dalla rivalità del Campolongo contro il Bottoni e l'Oddo, perseverarono questituttavianell'utile loro impresa d'istruirenellapratica medicina i giovani, conducendoli al letto dei malati nello spe dale di san Francesco; poichè anche gli atti dell'anno 1587, compilati dal consiglieredella nazione alemanpa Pietro Paolo Höchstetter di Tubinga, ne parlano cosi:A ciascuno di noi è palese con quanta diligenzasi diportasse ilsignor Albertino Bottoni nelle sue quotidiane esercitazioni. Ogni giorno ei ci conduceva al lettodi un nuovo malato, e c'istruiva intorno aldi lui morbo, indagandone dottamente le cagioni, esponendone i segni e le indicazioni curative ,non che il prono stico :egli suggeriva inoltre non solo le più opportune medi. cine di comune uso,ma quelle altresi chela sua pratica particolare gli avea comprovate efficacissime; talche vennu ognora più a farsi manifesta la singolare bontà con cui ila più anni questo insigne uomo ci riguarda. Ond'è che,seb. bene le teorie mediche da noi apprese nelle nostrecontrade possano a tutta prima allontanarci in qualche modo dal se guire le sue lezioni,la somma sua felicità nella pratica e T'ottimo suo metodo di medicare serve però a ricondurci in. torno a lui. Marco degli Oddi. Marco degl’Oddi. Oddi. Keywords: implicature: filosofia naturale, Galeno.-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Oddi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742042781/in/datetaken/

 

Grice ed Offredi – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo. Gli era tributata grande autorità nell’ambiente filosofico. Insegna a Pavia e Piacenza. In buoni rapporti con Eugenio IV, Visconti e Sforza.  Saggi:“De primo et ultimo instanti in defensionem communis opinionis adversus Petrum Mantuanum,” S.l., Bonus Gallus,  Giambattista Fantonetti, Effemeridi delle scienze, compilate da G. netti, Paolo-Andrea Molina, Rinascimento, Istituto nazionale di studi sul Rinascimento, G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, raccolte da G. Robolini, pavese, G. Fantonetti, Effemeridi delle scienze mediche, compilate da G.  Fantonetti, Paolo-Andrea Molina.  OFFREDI CREMONENSIS   ABSOLVTISSIMA COMMENTARIA[ocr errors] VNA CVM QVAE STIONIBVS IN PRIMVM ARISTOTELIS Pofteriorum Analyticorum librum, Nunc primum mendis oinnibus expurgati, & egregijs  scolijs marginalibus illustrata,  AC DVOBVS INDICIBVS, ALTERO, Qy I RES IN COMMENTARIIS  tračtatas, altero, qui quastionum capita copiosissime comple&titur,  PRA E TERE A DVPLICI TEXTVS ARIST. INTERPRETATIONE   A V CTA IN   LVCM   RE DE V N T. A PRAECLARISS. DOCTORIS Hoc aüt contingit propter posibilitatem intellectus D  APOLLINARIS CREMONE N. noftri, qui à principio eft sicut tabula rasa, & non. 3. de anima tex. in librum primum Posteriorum  mouetur ad intelligendum , nisi de potentia ad actí cap.is.  reducatur . sic autem intelligentia non cognofcunt, Aristotelis , expofitio.  cum semper in a£tu intelligendi existant, & eodem CA P. I.  modo , & nunquam in potentia. Bruta etiam non  Mnis doctrina, & discurrunt saltem discursu pfe&to, quamuis in prin-   omnis disciplina in- cipiosint in potentia ad cognofcendum, & hoc eft  telleştiua , ex præ- propter imperfeétum eorum modum cognoscendi ;  existenti fit cogni- Concedi tamen poteft, q aliquo modo, & imper-  tione. Manifestum feétè discurrunt . Ex quo infertur, g per idem medium euidenter concludere habemus , nostrum mia  est autem hoc specu dum cognoscendi imperfe&tiorem esse modo intelitia látibus in omnibus; gentiarī,et perfectiorem modo brutorum,per hoc.f.  mathematicæ enim scientiæ   per     hunc cum difcurfu cognoscimus , qualiter neq; intelli-  modum fiunt, & aliarum unaquæq; ar- gentia, neq; bruta cognofcunt. Cũigitur intelle&tui  tium. Similiter aút & orationes,quæ p noftro sit potentia semper admixta, & cūdiscursu  Syllogismum, & quæ per Inductionem; scientiā acquirat, in discursu autem error, et recti-  Vtræq; enim per prius nota faciunt do tudo esse poffit,vbietiam eft admixta potentia, ma-   lum, ö error cötingere poffit,vt colligitur de mente e &rinam ; hæ quidem accipientes,tanğà Arift.g   . meta. cum dicit, q malum   naturaliter eft tex.6.19 B  notis,illä uerò demonstrātes uniuersale poft potentiā, & vlterius dicit, g in rebus æternis,  perid,quod eft manifestum fingulare. que  semper sunt actu , non eft malum , neque error,  Similiter aút, & Rhetoricæ persuadent: oportuit artem inuenire,qua in a&tibus rationis di-  aut enim per Exemplú, & eft Inductio: rigeretur humanus intelle&us in acquirêdo notitia  aut per Enthimema, quod quidem eft vnius, ex notitia alterius, & hæc fuit Ars Logicæ.   Cum autem triplex sit intellctus operatio, quarum fyllogismus.  secunda primam fupponit,& tertia secundāvt colli Mnis doctrina,omnisý disciplina gitur 3. de anima (Prima eft fimpliciü intelle&tio   , Tex. c.at. Secunda eft fimplicium cõpositio,vel diuisio, Tertia intellettina preexistente è co- eft cognitio discursiua.) His tribus operationibus sed priores dus gnitione fit. Id, fi omnes que tres correspondent Logicæ partes, quarum prima magis conuenite  fiant pacto consideremus,mani- habetur in lib.prædicamentorum Arist. G admi- Lui, quatenus in feftum profeito fiet. Mathematica nang; niculis ipsius scilicet lib. vniuersalium Porphiri, tellcdwet. fcientiæ illo comparantur modo, caterarú ý lib. sex principiorum , obi logicè determinatur artium vnaquaque. Sanè circa orationes de generibus, &   fpeciebus predicamentorum , prout quoque,fiueille p raciocinationes fiue per cunda eft, quæ habetur in lib.Peryhermenias, vbi de cognitione quadam fimplici cognosci habent, sem inductioncm fiunt, feruari modusidem fo- propositione determinatur, & fpeciebusipfius tàną let:in utrisq; nanque,per antea nota doctri de inftrumento aliquid compositiuè, vel diuifiuè co-  C F  na nimirum fit, quippe cum in altera tanğ gnoscendi. Tertia verò in alys Logicelibris conti-  à cognofcétibus propofitiones accipiantur, netur, qui cõmuniter Ars Noua dicuntur, vbi de  in altera per singulare iam notüipfum vni. instrumento determinatur, quo discurrere debet in  uersale oftendatur. Simili profe&to modo, telle&tus,o3. de fyllogismo, es consequenter de alijs   modis arguendi. Diuiditur autem tota illa pars hoc Goratoria rationes fuadent, aut .n.exem  modo , quia ficut in a&tionibus Nature diuersitas plis,quod est inductio,aut enthymematibus reperitur, quxdam .n. funt, qua ex neceffitate fiunt, g&quidē ratiocinatio est, facultas ipsafolet quædam vi plurimum, quedam vero raro (propter oratoria fuadere.   defe&tum aliquem in natura,ficut monftra )sicin   discursibus rationis quidam sunt , in quibus est nePro indu&tione expositionis huius libri Pofte- cefsitas, & ifti cum rectitudine rationis habentur. riorum , fub breuitate, videnda funt quædam, v3. Ală sunt , per quos vt plurimum verum concludiqua fuerit neceffitas, logicam inueniendi,& confe- tur, non tamen necessariò. Alij verò funt , in quiquenter fcienciam huius libri,Quis ordo huius libribus eft defectus rationis propter alicuius principi ad cæteros libros logica Arist.Quis libri titulus,& defe&tum. Pars logice, in qua de primis determiquid fubie&tú, & fic consequenter habebuntur ipsius natur, iudicatiua dicitur, & eft illa,quæ traditur in Non pigeat hoc cause. Quantū ad primum fciendum est primò,q libris Priorum,& Pofteriorī,dita autem' est iudiloco videre Aszi cum modus nofter cognoscendi fit medius inter mon catiua à iudicio, eo q iudicium eft cum certitudine. dum intelligentiarī, er modum Brutoră, ab vtrifq; Vocata etiam eft analetica .i.refolutoria, co gisa  diftinguitur in hoc, g intelligimus cum discursie. dicium certum de effe&tibus baberi nö poffit,nisifiat. Con quelle stravaganze ed empietà iusegnavasi cercare col commercio de'demonj , colle magie e le incantagioni i rimedj delle malattie, e le maniere di preservarsene. Meritavano maggior illustrazione e lode altri insignim e dici Cremonesi di questo secolo. Apollinare Offredi s o lenne filosofo, astrologo e medico, lettore di metafisica nello studio di Pavia e di Piacenza, caro ed accetto ad Eugenio IV,Filippo Maria Visconti eFrancescoSforza. A Filippo Maria protettor suo dedicò l’Offredi i suoi Commentarj di Aristotile sull'anima, stampati poi in Milano nel 1474, sui quali piacemi di trascrivere il giudizio che ne fece l'illustre mio concittadino ed amico I lprof. BaldassarePoli. Con quest'opera, dic'egli,pre venne l'Offredi in alcuni principj sull'origine delle i dee lo stesso Locke, ecome quegli che appartenendo a quell'onorata famiglia de'filosofi peripatetici italiani, che al melodo naturale e sperimentale aggiunsero quello della critica e delle proprie dottrine aveva proposto nuove ricerche superiori al suo secolo, e di cui van tanto glo r i o s e l e s c u o l e moderne. I n p r o v a d i c h e il p r o f. Poli ne'suoi saggi, e nella sua storia della filosofia ita liana riferisce alcune proposizioni filosofiche dell'Offredi tratte dalle opere sull'esposizione e sulle questioni de’libri d'Aristotele de anima (che ebbero poi tante edizioni), dalle quali scorgesi come l'Offredi svincolasse la filosofia dall'impero dell'autorità, e la posasse sul sentiero della libera e coscienziosa verità. Quanto alla medicina Apollinare fu celebrato per cure maravigliose fra i migliori medici del suo tempo, e pubblicava al cune opere, di cui puoi vedere i titoli nell'Arisi. Il  312   Elogia clariss. virorum Collegii Pisan.1750 negliopuscoliscientificidelCalogerà).Se condo ilVolaterrado e lo Spacchio non scrisse quest'Of fredi opera alcuna, ma Marsilio Ficino ne fa onorevole menzione in una sua lettera del lib. V , ove dice che dalla salvezza dell'Offredi dipendeva quella della filo sofia de'suoi tempi.Non ricordato pure da'vostri sto rici e biografi trovo Baccilerio Tiberio che è solo a c cennato nella Biografia medica di Parigi (1820), da cui apprendesi ch'egli fu professore di medicina a Bologna , Ferrara,Padova e Pavia, e mori -in Roma nel 1511. Scrisse un libro in latino intitolato Commentarj sulla filosofia di Aristotele e di Averroe, che non sembra es sere giammai stato impresso.Poche cose i nostri biografi ci tramandarono di Albertino de Cattanei o de Chiz zoli o Plizzoli da non confondersi coll'altro Albertino di S. Pietro del secolo X I V . IL Cattanei la dottissinio in varie scienze, dottrine e lettere, e professore straor dinario di filosofia, fisica, etica e teologia prima a P a dova nel 1450, indi a Bologna nel 1456, poi difilosofia morale e di medicina nello studio di Ferrara e di Pisa nel 1473 collo stipendio di 495 fiorini d'oro (Alidosi, Borsetti Storia del ginnasio di Bologna e di Ferrara. Fabbrucci,op.cit., inCalogera 7,27).MarsilioFicino lo chiamava doctrinæ et honestatis exemplar; morì, come pare,nel 1475,e lasciò alcune opere mediche accennate dall'Arisi. Severino Boezio 6.° secolo dell'era Cristiana, Hugues de St Victor (12.° secolo), Alberto il Grande di Bollstädt (Svevia) e Alberto di Sassonia (13.° secolo),San Tommaso (13.° secolo), Egidio Colonna (13.oe 14.°secolo), Guglielmo d'Alvernia (13.° secolo), Enrico di Gand (Henricus de Gandano)del 13.°secolo, Roberto Vescovo di Lincoln detto Testa Grossa (13.° secolo),il francese Giovanni Gianduno o da Jandun contemporaneo e amico di Marsilio da Padova e di Pietro d'Abano (14.° secolo), Giovanni Duns Scoto (14.°secolo)eAntonio d'Andrea,AntoniusAndreae Scotista(14.°secolo),ilBurleusossiaWalter Burleigh(14.°),Pietrod'AbanoossiaConcilialordifferentiarum (14.°),ilBuridano (14.°),ilCajetano (Tommaso de Vio del 14.° secolo),Gregorio di Rimini (Gregorius Ariminiensis generale degli Agostiniani nominalista del 14.° secolo), Jacopo da Forlì e Gentile dei Gentili discepolo di Taddeo fiorentino filosofi e medici del medesimo secolo; knalmente Pietro da Mantova logico, PaoloVeneto filosofo, Apollinare Offredi medico e filosofo e Pietro Trapolino da Padova uno dei maestri di Pomponazzi autore di un'opera De Ilumido Radicali, tutti del 15.0 secolo. Il Nifo e l'Achillini sono citati nelle Questioni aggiunte. Di Giovanni Marliano milanese detto ilCalcolatorefannomenzioneancheisuoilibrianterioriestampatiespeciequello Deintensione el remissione formarum . La maggior parte di questi Commentatori sono noti e annoverati sia nelle storie della Filosofia e della Letteratura, sia nelle Biografie universali, e nelle Enciclopedie. Pietro d'Abano è uno dei più citati e studiati dal Pomponazzi;è famoso e una sua accurata biografiafral'altresitrova nella Storia scientifica o letteraria dello Studio di Padova del Colle.Sopra Jacopo da Forlì che fu professore a Padova è da notarsi al proposito di questo lavoro che egli è autore di un De Intensionc  339  titolo più particolare che sta in testa alla prima pagina dopo l'indice delle Questioni si rileva che esso pure si riferisce ai corsi dati dal Pomponazzi sul De Anima a Bologna. Difatti il detto titolo è il seguente: “In nomine individuae Trinitatis incipiunt quaestiones animasticae excellentissimi artium et medicinae doctoris, domini Magistri Petri Pomponatii Mantuani philosophiam ordinariam in bononiensi Gymnasio legentis. Sventuratamente il Codice di Firenze non ha che 57 fogli invece di 267 che ne ha quello di Roma, e delle 79 Questioni di cui contiene l'indice,34 soltanto e non senza lacune vi sono trattate; queste corrispondono generalmente per l'ordine in cui si ccedono, alle prime del Codice di Roma, ma non sempre e talvolta con parole diverse. Le Questioni del Codice di Roma sono 114 ed esauriscono tutto il trattato di Aristotele, quelle del Codice di Firenze non vanno guari al di là della metà dello scritto aristotelico e nelle 34 che sono esaminate e risolute non sono comprese le più importanti dell'Indice come sarebbe quella della Immortalità dell'anima,soggetto del libro famoso che porta questo titolo. Da un opuscolo del Brunacci è accertato che a Padova ilPomponazzi comincið et Remissione Formarum , come il Pom ponazzi,manoscritto registrato dal Tommasini nelle sue Bibliothecae Palavinae manuscriptae publicae el privatae, Utini 1639 a pag. 37. L'Apollinare, Pietro da Mantova e Paolo Veneto sano più d'una volta dal Pompunazzi citati insieme; edifattosonotuttietreinpartedellalorovitacontemporanei.Paolo Venetohafiorito nella prima metà del secolo XV ed è stato professore a Padova ; la sua Somma di Logica e isuoi Commenti supra l'Organo sulla Fisica di Aristotele e specialmente sul De Anima furono celebri e c o m mendatissimi. Di esso parlano il Tiraboschi e il Papadopoli (Storia dell'Università di Padova) e Poli nel Supplemento IV al Manuale della storia della Filosofia del Tennemann. L'Apollinare fu della famiglia Offredi o degli Orfidii da Cremona (Vedi Francesco Arisi, Cremona literata Tomo I pag. 248, Parma 1702 e Tiraboschi, Storia della Letteratura italiana, TomoVI LibroI capo2,e LibroIl capo2); fiori verso la netàdel!V°secolo; ebbe fama grandissima e fu chiamato l'anima di Aristotele. Risulta dal De Anima del Pomponazzi a Carte 40 che su discepolo di Paolo Veneto « Paulus Venetus et Apollinaris ejus discipulus ». Fu difensore della filosofia Cristiana contro l'Averroismo; insegnò a Piacenza evi fu aggregato al Collegio medico. Il suo Commento al De Anima di Aristotele esiste manoscritto nella Biblioteca palatina di Firenze. Esso fu stampato più volte nel15°secolo; la prima edizioneè di Milano 1474 (Vedi il Tiraboschi e il Sassi, Storia della Tipografia milanese). In un volume stampato a Venezia nel 1492 (esistente nella Biblioteca Alessandrina di Roma) da Boneto Locatelli si trovano 1.o la Logica di Pietro da Mantova; 2.o il trattatello di questo professore sul primo e l'ultimo istante (“De primo et ultimo instante) citato dal Pomponazzi nel suo “De Anima” ; 3.o un trattato responsivo di OFFREDI Apollinare da Cremona al Mantovano in difesa della opinione comune; 4.° un commento del Menghi alla Logica di maestro Paolo Veneto. Le due opere del Mantovano portano questi titoli : l'iri praeclarissimi ac subtilissimi logicim a incipit feliciter. Incipil sublilissimus tractalus ejusdem deinslanli. Il trattato dell'Apollinare ha per titolo “Illustris philosophi et medici Apollinaris Offredi Cromonensis de primo et ultimo instanti in defensionem communis opinionis adversus Petrum Mantuanum seliciler incipil. Ecco il principio di quello del Mantovano che il Pompovazzi cita colle parole Petrus de Mantua o Mantuanus concivis meus: Incip il sublilissimus Tractatus ejusdem (Magistri Petri Mantuani) de instanti. Dicemus primo naturaliter loquentes, quod sola forma secundum se el quam libel sui proprietatem potest incipere el desinere esse. Materia enim prima est ingenita el incorrutlibilis: el non plus esl,  - 340 eil   341 sul “De Anima” un corso che non potè finire. Forse ad esso si riferiva il manoscritto che il Tommasini (Bibliothecae Patavinae publicae et privatae) dicediaverveduto nella libreria privata del Rodio ; quanto a quello di Firevze, il titolo ci avverte, come abbiam detto, che esso deriva come quello di Roma dall'insegnamento psicologico del Pomponazzi a Bologna.Si troverà nell'Appendice l'indice delle questioni che vi sono registrate. È certo in ogni modo che il manoscritto di Roma è il Commento intero del Pomponazzi sul De Anima di Aristotele, e ciò che più monta e risulta dalla data apposta alla fine del medesimo, è l'opera della sua età matura, l'espressione più completa del suo insegnamento più importante, il corso da lui dato o compiuto sul “De Anima”, nel tempo che segnò l'apice della sua attività, in quell'anno 1520 in cui egli stesso datava dalla Cappella di S. Barbaziano in Bologna il De Naturalium Effectuum Causis, fu ilvelerit de materia prima in rerum natura quam nunc sil, velminus. Secundum tamen verilalem (cioè la fede) malaria ali quando desinil esse ulinc onsccralione, plusaulem velminusali quando est de forma tam subslunliali quam accidentali. Sed hoc proposilum non destruil. Er quo sequilur quod si aliquod ens nalurale incipil vel desinil esse, ipsum incipil vel desinit esse propter cjus formam substanlialem quae incipit vel desinit esse. Premessa la eternità della materia, tutto il trattato si aggira sulle difficoltà e le antinomie che possono sorgere dalla applicazione delle categorie del moto e della quantità alla generazione e alla cessazione delle forme nella materia, e specialmente dalla relazione della materia con la forma nei virenti. La qualità delle argomentazioni giustifica la parola sublilissimus aggiunta al titolo del Trattato e ricorda i ragionamenti della Scuola Eleatica e specialmente di Zenone sul moto. Questo libro è uno dei più curiosi esempii dell'ardire pur troppo sterile quanto ai risultati o b biettivi,ma non infecondo quanto alla ginnastica della mente,con cui la Dialettica del Medio Evo e della Rinascenza si accinse alla soluzione dei problemi più difficili. Nel manoscritto di Firenze sopracitato come anche in quello che qui facciamo conoscere Pietro Mantovano è spesso designato colle iniziali P. M. Il Sig. Fiorentino è rimasto dubbioso se queste let tere indicassero Pietro Manna cremonese, che il Pomponazzi nell'Apologia chiama viracerrimi in genii gravissimique judicii. Essendo il Manna cremonese, è chiaro che il Pomponazzi non poteva chiamarlo concivis meus. Di Pietro Trapolino, il più celebre dei due Trapolini che il Pomponazzi ebbe per maestri, ecco ciò che dice il Papadopoli Libro III, Sezione 2.a capo 6 della sua storia dell'Università di Padova. Petrus Trapolinus Patavii nalus patricia genle....philosophus, malhemalicusel medicus declinante SaeculoXV celeberrimus, Medicinam in Gymnasio palrioprofessuseslutconstatex Albis gymnasticis. VixilannosLVIII; viveredesiitan. MDIX caipsadiequa caplum direplumque Patavium estab exercilu Maximiliani, in eaquererum catastrophe quaemulla conscripseralperiere. Superesiquem juvenis ediderat liber de Ilumido radicali. Di AntonioTrapolino suo precettore in medicinail Pomponazzi parla nella12a delle sue Du Vilazioni sopra il4o dei Meteorologici di Aristotele adducendo le difficoltà che egli scolaro gli opponera su certe cause della mutazione delle forme nei misti. Ivi l'autore avvicina Antonio Trapolino a Gentile Gentili, a Jacopo da Forlì e a Marsilio (di Santa Sofia) altri rinomati professori di M e dicina nell'Università di Padova. Di Pietro Roccabonella che fu pure suo maestro è menzione alla fine del De Falo. Finalmente di Francesco di Neritone altro suo professore oltre al cenno che ne fa. Grice: “Italians are rightly obsessed with Pomponazzi. They complained he looked more ‘a Jew than an Italian,’ but he predates Ryle’s Concept of Mind. One of his influences is Offredi, a lizii – who wrote not just on Aristotle’s De Anima (a manuscript Pomponazzi consulted) but who himself set to defend Pomponazzi – to prove that he was a real lizio, he wrote on Analytica Posteriora too – “Only a true lizio will comment on that!” -- Offredi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Offredi,” The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692203750/in/photolist-2mKS4ff

 

Grice ed Olgiati – classici – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Busto Arsizio). Filosofo. Grice: “I’m impressed that Olgiati dedicated a whole tract to the idea of ‘soul’ in Aquino!” Figlio di Giuseppe Olgiati e Teresa Ferrario, si formò presso Seminari milanesi. Collaborò con Gemelli e Necchi alla Rivista di filosofia neo-scolastica e fondò con loro il periodico Vita e Pensiero. Fu insignito da Pio XI del titolo di Cameriere Segreto e da Pio XII di Protonotario Apostolico. Inoltre fu, assieme ad Gemelli, uno dei fondatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Presso tale ateneo insegnò nelle facoltà di Lettere, di Magistero e di Giurisprudenza. Fu condirettore della Rivista del Clero Italiano insieme a Gemelli. Fu autore di innumerevoli scritti relativi alla religione e all'istruzione. I suoi allievi più illustri furono Melchiorre e Giovanni Reale. Tomba di Agostino Gemelli mons. Olgiati. Il libro Le lettere di Berlicche, scritto da C. S.Lewis, oltre ad essere dedicato a Tolkien, è dedicato anche a Olgiati. Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola, della cultura e dell'arte — Università Cattolica del Sacro CuoreLa storia: Le origini, su uni cattolica. Saggi: “Religione e vita” (Vita, Milano); “Schemi di conferenze” (Vita, Milano); “I fondamenti della filosofia classica” (Vita, Milano); “Il sillabario della Teologia” (Vita, Milano); “Il concetto di giuridicità in Aquino” (Vita, Milano); “Marx” (Vita, Milano); Il sillabario della morale Cristiana” (Vita, Milano); “Il sillabario del Cristianesimo, Vita, Milano) b I nuovi soci onorari della Famiglia Bustocca. Almanacco della Famiglia Bustocca per l'anno 1956, Busto Arsizio, La Famiglia Bustocca, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Olgiati. Olgiati. Keywords: classici, il gusto per l’antico, ius, Aquino, sillabario, filosofia classica, filosofia no-classica, logica classica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Olgiati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701662254/in/photolist-2mPyVEK-2mLLy7L-2mLLy6U-2mKFrQ6-2mLGwVU-DvhhWW-DhRHD2

 

Grice ed Olivetti – l’archivista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “Olivetti deals with some topics dear to me and Strawson, like subject, transcendental subject, and the rest – he also uses ‘analogy,’ which is a pet concept of mine – I have been compared to Apel, so the fact that Olivetti in his ‘conversational’ approach relies on him, helps!” - Professore a Roma -- preside della Facoltà di filosofia. Formatosi nella Facoltà di Filosofia di Roma negli anni sessanta, confrontandosi con i temi del rapporto fede e ragione nell'ambito di un collegio di docenti orientato sul versante marxista, storicista, postidealista, trovò in Zubiena il suo maestro. Con lui iniziò una collaborazione intellettuale che lo portò a studiare i temi della filosofia della religione, partecipando ai colloqui romani inaugurati dal filosofo piemontese, dapprima come segretario e poi, dopo la morte di Zubiena come organizzatore. Dopo iniziali studi di estetica religiosa e di filosofia classica tedesca, si dedicò alla ricerca di un approccio neo-trascendentale al tema della religione, insegnando filosofia morale a Bari e poi sostitundo Zubiena nella cattedra romana di filosofia della religione. Giunse dopo l'incontro decisivo col pensiero di Lévinas, ad elaborare una concezione di questa disciplina come antropologia filosofica e etica in quanto «filosofia prima anzi anteriore» su base storica, nata dalla dissoluzione in età tardo settecentesca, soprattutto ad opera di Kant e Hegel, della onto-teologia. Molta rilevanza aveva nel suo insegnamento lo studio dei classici tedeschi, in chiave storica, e da ultimo il confronto sia con la fenomenologia, specie con Lévinas e Marion, sia con la filosofia analitica. In Analogia del soggetto, la sua opera maggiore, l'autore elabora una teoria analogica del soggetto, riprendendo suggestioni di Husserl, Apel e Lévinas, confrontandosi con Heidegger e suggerendo una teoria dell'"umanesimo dell'altro uomo" su base staurologica ed etico-interinale («espropriarsi del caritatevole nell'interim interlocutivo» ibidem).  La tesi è che non esiste un'essenza dell'essere umano. Tale essenza è immaginata, e senza siffatta immaginazione l'essere e l'umano non si coapparterrebbero. Così si dice, in un certo senso la fine dell'etica. Tuttavia così si dice anche che l'etica, e non l'ontologia, è la filosofia prima, anzi anteriore. Di seguito l'autore prospetta un ripensamento del soggetto trascendentale, con un differimento dell'ergo rispetto al cogito cartesiano, partendo dal “loquor,” ovvero «dall'origine analogica di ogni logica, in modo da scomporre la presenza trascendentale in sum-prae-es-abest. Si perverrebbe così all'abbozzo di un «ripensamento dell'appercezione trascendentale, in modo tale da reimmettere il pensiero rappresentativo nella giusta traccia della rappresentazione. Attività accademica e influenza Direttore dell'Istituto degli Studi Filosofici E. Castelli e poi dell'"Archivio di Filosofia", si fece promotore di colloqui e convegni nei quali conveniva, a Roma, ogni due anni, nei primi giorni di gennaio, l'élite della filosofia della religione europea e mondiale (P. Ricœur, J.-L. Marion, V. Mathieu, S. Quinzio, V.  Melchiorre, E. Lévinas, L. Lombardi Vallauri, B. Forte, B. Casper, Ingolf Dalferth, Jean Greisch, P. Capelle, Jean François Courtine, E. Falque, Piergiorgio Grassi, Paul Gilbert, S.J. Stéphane Mosès, Paul Mendes-Flor, P. Prini, Adriaan Peperzak, Richard Swinburne, Gabriel Vahanian, Marcel Hénaff, Vincenzo Vitiello, Xavier Tilliette, Michel Henry, James Taylor, tra gli altri). Nelle sue prolusioni e nei suoi contributi introduttivi si prospettava lo sfondo su cui si sarebbero esercitati i contributi e le discussioni del Colloquio, di seguito pubblicati in numeri monografici della Rivista "Archivio di Filosofia". I temi trattati erano spesso centrali nell'elaborazione di una filosofia della religione come filosofia tout court e abbracciavano, negli anni ottanta e novanta del Novecento, temi centrali come "Teodicea oggi?", l'argomento ontologico, l'Intersoggettività, il Dono, la Filosofia della Rivelazione,il Sacrificio, il Terzo. La sua personalità riservata entro l'ambito strettamente scientifico e il rigore speculativo dei suoi scritti non ne hanno favorito una conoscenza pubblica al di là dei circuiti accademici, e il suo insegnamento ha lasciato un traccia significativa costituendo una vera e propria scuola di filosofia della religione.  Saggi: “Il tempio simbolo cosmico” (Milani, Padova); “L'esito teo-logico della filosofia del linguaggio” (Milani, Padova); “Filosofia della religione come problema storico” (Milani, Padova); “Da Leibniz a Bayle: alle radici degli Spinoza briefe, “Archivio di filosofia”; “Analogia del soggetto” (Laterza, Roma); "Filosofia della religione" in La filosofia, Le filosofie speciali (Pomba, Torino); Avant-propos, in Le Tiers, Archivio di Filosofia Archives of Philosophy, Considerazioni introduttive sul tema: Postmodernità senza Dio?, in «Humanitas»  a.c. di F.Ciglia e De Vitiis Traduzioni e curatele:  Kant I., La religione entro i limiti della sola ragione, Romam Laterza); “La religione nei limiti della sola ragione, I.Kant (Laterza, Roma); “Saggio di una critica di ogni rivelazione, con introduzione J.G. Fichte, Laterza, Roma) ; Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 79, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Francesco Valerio Tommasi, Archivio di filosofia », 7Francesco Valerio Tommasi, Le persone, infiniti fini in sé. Un ricordo lettore di Kant, « Studi Kantiani », Filosofia della religione Fenomenologia Ontologia Teologia Fede Ragione  Bruno Forte, Del sacrificio e dell'amore_In memoria, su, Tributo dell'Roma, Istituzioni collegate, su filosofia.uniroma1.  E. Giacca: un filosofo della religione", Giornale di filosofia, su giornaledifilosofia.net. Archivio di filosofia, su libraweb.net. Marco Maria Olivetti. Oivetti. Keyword: implicatura, l’archivista -- “philosophy of language.” Cratilo, teologia del linguaggio, esito teo-logico della filosofia del linguaggio, la religione razionale secondo Kant, l’idea de fine – autonomia, il regno dei fini in Kant, religione e linguaggio, l’esito teologico della filosofia del linguaggio, Jacobi.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Olivetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701272178/in/photolist-2mPSNGy-2mPZjhA-2mLJBAD-2mLN3xV-2mLEvWg-2mLEwLN-2mLJzAr-2mLN4xk-2mLEwYs-2mLyZUY-2mLGjg5-2mLCQLJ-2mFYSKW-2mFTkXC-FcebeC

 

Olivi (Undine): Enrico Palladio degli Olivi (Udine). medico e storico italiano. Anche filosofo.

 

Grice ed Opocher – giustizia – filosofia italiana – IVSTVM QVIA IVSSUM -- Luigi Speranza (Treviso). Filosofo. Grice: “There are two points that connect me with Opocher: ‘individuality’ in Fichte, since I love the problem of the in-dividuum, perhaps influenced by my tutee Strawson (“Individuals!”) – and Opocher’s ‘analisi’ as he calls it, of the ‘idea’, as he calls it, of ‘giustizia’, particularly in Thrasymachus, for which I propose an eschatological study!” -- Enrico Giuseppe Opocher (Treviso), filosofo. Con Adolfo Ravà e Giuseppe Capograssi è considerato uno dei maggiori filosofi del diritto italiani del Novecento[senza fonte].  Nacque da Enrico Giovanni, ginecologo di fama, e da Ida Cini. Durante la Grande Guerra la famiglia, timorosa dei bombardamenti, si trasferì dapprima nella periferia di Treviso, quindi a Pistoia presso una parente. Gli anni successivi riportarono un clima di serenità e agiatezza, nel quale Enrico crebbe, dividendosi tra la città natale e Vittorio Veneto, meta delle sue vacanze estive.  Dopo il liceo fu avviato, secondo il volere del padre, agli studi giuridici, benché fosse decisamente più inclinato verso la filosofia. Nel 1931 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'Padova, ma continuò a coltivare i propri interessi personali seguendo le lezioni di filosofia del diritto tenute da Adolfo Ravà. Sotto la guida di quest'ultimo stilò una tesi su La proprietà nella filosofia del diritto di G. A. Fichte, con la quale si laureò brillantemente. Ottenuta la libera docenza, vinse il concorso per la cattedra di filosofia del diritto presso la facoltà di giurisprudenza dell'Padova, succedendo a Bobbio che in Veneto era divenuto segretario regionale del Partito d'Azione. Nell'ateneo padovano insegnò ininterrottamente per quarant'anni, tenendo lezioni per i corsi di filosofia del diritto, di storia delle dottrine politiche e di dottrina dello stato Italiano.  È ricordato in maniera particolare per i suoi studi sull'idea di giustizia, e sul rapporto tra diritto e valori, nonché per la redazione di un celebre manuale, Lezioni di filosofia del diritto, prima edizione 1949, usato da generazioni di allievi.  Fu magnifico rettore dell'Università. È stato Presidente della Società Italiana di Filosofia Giuridica e Politica. Influenzato dall'amicizia con il cattolico Capograssi e col laico Bobbio, fu azionista con Bobbio e Trentin, condividendo (a Palazzo del Bo) le attività cospirative della Resistenza locale. Nel dopoguerra rimase amico stretto di Trentin e di Visentini, divenendo a sua volta il maestro di Toni Negri.   Saggi:“Individuale” (Padova, MILANI); “Esperimentato” (Treviso, Crivellari); “Giusto” (Milano, Bocca); “Filosofia del diritto” (Padova, MILANI); “Gius-to” (Padova, MILANI); “Gius-to” (Milano); Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fulvio Cortese, Liberare e federare: L'eredità intellettuale di Silvio Trentin, Firenze University Press, 2citando D. Fiorot, La filosofia politica e civile – filosofia CIVILE --.  in Scritti, G. Netto, Ateneo di Treviso, Treviso, Vedi G. Zaccaria, Il contributo italiano alla storia del Pensiero, Padova, I rettori Unipd | Padova, su unipd. Denominazione attuale: Società Italiana di Filosofia del Diritto, vedi.  Giuseppe Zaccaria, Il Rettore della tolleranza, in La Tribuna di Treviso, Toni Negri: «Un uomo davvero libero nell'università chiusa degli anni '60», in [Il Mattino di Padova] Giuseppe Zaccaria, Ricordo  Omaggio ad un maestro, Padova, MILANI, 2Giuseppe Zaccaria, Il contributo italiano alla storia del PensieroDiritto, Società Italiana di Filosofia del Diritto, su sifd. Grice: “Opocher is concerned with ‘iustum quia iussum,’ which while transparent to Cicero as analytically false a posteriori, it is just impossible to express in Anglo-Saxon or English. Both iustum and iussum come from the same root. So what is just is what is commanded. The principle of positivism. Opocher finds this all too easy, so he rather examines Fichte, who tries to express in his vernacular vulgar (Recht, Wesen, Gemein Wesen, and so forth) all the ideas of contractualism – a contract between a ego and alter – on the wake of the beheading of Marie Antoinette!” . Opocher. Keywords: giustizia – fairness, gius, il concetto di gius nel diritto romano, iustum non quia iussum – verbal aspect here --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Opocher: giustizia del neo-Trasimaco.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742604009/in/dateposted-public/

 

Grice ed Ordine – BRVNO – filosofia italiana – Luigi Speranza (Diamante). Filosofo. Professore a Calabria. Rriconosciuto come uno dei massimi studiosi del Rinascimento e Bruno. Ben noto ai lettori per i suo eccellente saggio su Bruno, è anche uno dei migliori conoscitori attuali del milieu sociale, artistico, letterario e spirituale dell'età del Rinascimento e degli inizi dell'Età moderna.Sigillo d’Ateneo dell’Urbino. Centro  di Studi Telesiani, Bruniani e Campanelliani. “L' utilità dell'inutile” (Milano, Bompiani). Opere: “La cabala dell'asino”, “Asinità e conoscenza in Bruno” (Teorie & oggetti, Napoli, Liguori, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo);  “La soglia dell'ombra -- Letteratura, filosofia e pittura in Bruno” (Venezia, Marsilio); “Contro il Vangelo armato: Bruno, Ronsard e la religione” (Milano,  Cortina); “Teoria della novella e teoria del riso” (Napoli, Liguori); “Tre corone per un re. L'impresa di Enrico III e i suoi misteri” (Milano, Bompiani). Classici per la vita. Una piccola biblioteca ideale, Collana Le onde, Milano, La Nave di Teseo, Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere” (Milano, La Nave di Teseo). Grice: “Some like Bruno, but I don’t – for one, he was a PRIEST before he was burned – no philosopher *I* know is a priest. Being a priest, as A. J. P. Kenny well knows, disqualifies you as a philosopher. Campanella was a priest too, and I’m not sure about Telesio. I mention the three because while there is a Keats-Shelley Association in Rome, only the Italians can think of ONE centro di studi TELESIANI, BRUNIANI e CAMPANELLIANI – enough to have a triple split personality!” Nuccio Ordine. Ordine. Keywords: Bruno, futilitarianism, riso, risus significant laetiia animae – il sorriso di Macchiaveli, centro di studi telesiani, divenne centro di studi telesiani, bruniani, e campanelliani! – telesio not a priest!--. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ordine: l’inutilita dell’utilitarismo di Geremia Bentham” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51741075342/in/datetaken/

 

Grice ed Orestano – l’opzione eroica – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Alia). Filosofo, self-described as a ‘Federalista siciliano’ --. Grice: “There is something pompous about Italian philosophers and their isms – Orestano’s ism is the superrealism!”  Grice: “When I was invited to deliver my lectures on the conception of value, I was hoping it was a first, but Orestano had written two big volumes on it!” – Studia a Palermo. Insegna Palermo, Pavia, e Roma. Collabora con Marinetti nella concezione del futurismo, e lavorando ad alcune pubblicazioni comuni. E inoltre vicino alle idee politiche, collaborando tra l'altro con “Gerarchia.” Invitato da Balbo nella Libia italiana, difende gli ideali e gli intenti italiani in contrapposizione al nazionalismo. E eticista, fenomenologo e promulgatore d'un'idea filosofica positivista che egli stesso denomina “super-realismo.” Si ritira a vita privata nel su palazzo di Roma per dedicarsi alla sua opera principale “Nuovi principi” (Milano, Bocca). Membro dell’Accademia d'Italia e della Società filosofica italiana e dell’Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici. Autore di noti aforismi, a lui sono intitolate una via di Roma e una scuola di Palermo. Saggi: “Opera omnia” (Padova, C. E. D. A. M.); “Comenio”, Roma, Biblioteca Pedagogica de “i Diritti della scuola”, Angiulli, Roma, Biblioteca Pedagogica de “i Diritti della scuola”, A proposito dei principi di pedagogia e didattica” (Città di Castello, Alighieri);“Un'aristocrazia di popoli -- saggio di una valutazione aristocratica delle nazionalità” (Milano, Treves); “Verità dimostrate, Napoli, Rondinella); “Opera letteraria di Benedetta, Roma, Edizioni Futuriste di Poesia); “Esame critico di Marinetti e del Futurismo” (Roma, Estratto dalla "Rassegna Nazionale"); “Civiltà europea e civiltà americana” (Roma, M. Danesi); “Nuove vedute logiche” (Milano, Bocca); “Il nuovo realismo” (Milano, F.lli Bocca); “Verità dimostrate, Milano, Bocca); “Idea e concetto” (Milano, Bocca, Celebrazioni I, Milano, Bocca Editori, Celebrazioni, 2, Padova, MILANI, “Filosofia del diritto” (Milano, Bocca, Gravia levia, Milano, Bocca); “Saggi giuridici, Milano, Bocca); “Verso la nuova Europa” (Milano,  Bocca); Prolegomeni alla scienza del bene e del male, Milano, Bocca); “Leonardo, Galilei, Tasso” (Milano, Bocca); “La conflagrazione spirituale e altri saggi filosofici” (Milano, Bocca); “Pensieri, un libro per tutti”; Studi di storia della filosofia”; “Kant”; “Rosmini-Serbatti”; “Nietzsche”; Contributi vari, studi pedagogici, studi danteschi; Aligheri e saggi di estetica e letteratura; conversazioni di varia filosofia; corsi, ricerche e conferenze, studi sulla Sicilia, Filosofia della moda e questioni sociali,  Dizionario Biografico degli Italiani, E. Guccione, L'idea di Europa in  Federalisti siciliani tra XIX e XX secolo, A. R. S. Intergruppo Federalista Europeo, Palermo, E. Guccione, Da un diario una nuova pagina di storia, in  La politica tra storia e diritto, Scritti in memoria di L. Gambino, G. Giunta” (Angeli, Milano);  Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Quando i vincitori scrivono la storia della filosofia: il caso di F. Lamendola, Arianna, O.  Castellana, Il rapport tra stato e Chiesa nel pensiero politico, Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici. I valori egoistici risultano espressi con le lettere T e e te1 Hay Ja, Un Un,, Tv Uy. Gli valori altruistici sono espresso con le lettere: i. I valori neutrali sono espresso colle lettere : Ym. Siccome non si propone di dare una teoria compiuta dei fatti concomitanti di questo o quello valore, ma solo di ANALIZZARE tal unicasi va   speciali, così, quando adopera i simboli senza l'indice soscritto, intende significare il valore egoistico – con la lettere ‘e’ sottoittesa. Questi simboli possono esprimere questo o quello BENE, ma anche questa o quella volizione a questo o quello BENE riferentisi. Per indicare una volizione, si adopera il stesso segno *fra parentesi quadratti*. Infine, si suppone, di regola ceteris paribus,che la circostanza concomitante sia sempre una sola, la quale, insieme alla volizione, formi ciò che chiamamo il “bi-nomio” della volizione. Se le circostanze sono più, allora si forma un “poli-nomio” della volizione. La precedenza di una lettera in un binomio o un polimonioindica il valore principale, sia desiderato o sia attuato. In che modo i fatti concomitanti del valore sono connessi collo scopo della volizione? Siccome ogni scopo di volizione è anche un oggetto di valutazione, la domanda può formularsi così. Come i valori possono entrare in connessione tra loro? Si noti però che la connessione deve stabilirsi prima del cominciamento della volizione, giacchè questa volizione deve tenerne conto. Le co-esistenze casuali restano naturalmente escluse. Tra lo scopo dellla volizione e l'oggetto della valutazione concomitante possono correre varie relazioni. C’e una relazione d’identità. Ciò che il  artista o un politico come Mussolini crea non soddisfa lui SOL tanto, apparirà sempre in qualche modo come un BENEFICATORE di tutta una sfera di uomini – la nazione italiana. C’e una relazione di CO-ESISTENZA di più qualità di una stessa cosa, o anche di più cose. Per esempio, un tale VUOL comprare un piano che ha (+) un bel tono. Ma il piano ha anche (-) una cattiva meccanica. O un cane da guardia molto vigile (+), il quale però morde (-). O una macchina automobile che lavora bene (+), ma che fa rumore e fumo (-) ,ecc. C’e un nesso causale, nelle sue due forme: a) lo scopo è CAUSA di conseguenze valutabili. Il politico chi, per esempio, promuove il movimento e l' industria dei forestieri, mira ad arricchire la sua nazione (+), ma anche la de-moralizz (-). b) lo scopo non si può raggiungere che come EFFETO di dati valori morali. Per esempio: un fabbricante per  . Ora torniamo alla domanda principale. In che modo il valore morale di una valutazione dipende dai valori concomitanti, e,in caso di un simple bi-nomio della volunta, dal valore concomitante? Abbiamo distinto quattro categorie di valori, “g”, “T”, “u”, e “u”, le quali si applicano anche ai fatti concomitanti. Però il caso u si può omettere, perchè non accadrà mai, CHE SI VOGLIA UN PROPRIO NON-VALORE PER sè stesso. Rimangono così tre possibilità, le quali, liberamente combinate, dànno *dodici* casi che costituiscono la tavola dei valori. Per l'esame di questi casi bisogna pensare che ad un oggetto di volizione si aggiungano gli altri come fatti concomitanti, e osservare le variazioni di valore che questo intervento produce. La VOLIZIONE ‘POSITIVAMENTE ALTRUISTICA’ (benevolenza e beneficenza) è data da una formula. Il momento più importante è qui l'associazione della circostanza concomitante u, IL PROPRIO DANNO. È evidente che l'aggiunta di questo secondo momento accresce il valore di (i) e di tanto, quanto più grande sarà il sacrificio proprio. Indicando il valore con “W” ,si avrà dunque: W(ru) > WV. Se invece si aggiunge “u”, IL DANNO ALTRUI, sia dello stesso beneficato (quando il beneficio produce pure un MALE al beneficato), sia di persone estranee al rapporto (quando per beneficare uno si danneggia altri), allora il valore della volizione con questa circostanza concomitante diventerà minore. E la formula sarà: W(ru) < W(r). Se la circostanza concomitante è pure in favore del beneficato, allora la formula sarà indubbiamente: guadagnare di più deve migliorare la condizione materiale dei suoi operai. W (rr)> Wr.   glianze. Invece L’AGGIUNTA DEL VANTAGGIO PROPRIO AL BENE ALTRUI nè diminuisce, nè aumenta il valore. La volizione egoistica è espressa dalla formula, la modificazione più grave qui si ha, quando al caso si aggiunge la circostanza del  MALE ALTRUI. Allora si avrà: W(gu)<W(9). Se la circostanza concomitante è invece “r”, il valore della volizione egoistica si eleva: W(gr) > W(g). Che poi alla volizione egoistica si aggiunga la circostanza secon aria di un ALTRO PROPRIO VANTAGGIO (plusvalia) o anche di un proprio danno, non modifica il valore di (g). Si avranno quindi le due egua W (99)= W (g)= 0 W(gu)= W(9)=0. Così pure si aumenta il non-valore, se oltre al danno principale si aggiungono altri danni. Epperò: W (UU)< W (U). Per quanto il caso sia inusitato, si può prevedere anche, che al male altrui si associ una qualche conseguenza buona, indiretta,  W (rg)= Wr. La volizione altruistica negativa o anti-altruistica è espressa con una formula. Se per attuare il danno altrui, si fa anche il danno proprio u, questa circostanza aggrava il male e aumenta il non-valore: W (uu) < W (u). W(UY) > W(u). Il fatto concomitante della propria utilità non aggiunge nè toglie al valore della volizione principale anti-altruistica. Si avrà quindi l'eguaglianza: W (ug)= W u. La somma dei risultati ottenuti si può disporre in un Quadro. W(rr) > W(v)? W(gr )> W(g)? W(ur)> W (U)? W(yg)=W(r) W(99)=W(g)=0 W(ug)=W(U) W(ru)<W(Y) W(gu)<W(g) W(UU)<WU) W(ru)>W(V) W(gu)=W(g)=0 W(uu)<W(U). Da questo quadro si rileva che le circostanze concomitanti con segno negativo non sono più feconde di effetti di quelle con segno positivo. Di queste ultime, “g” non modifica nulla, e “r” non dà risultati sicuri, come indica il punto interrogativo. L'influenza dei fatti concomitanti si può dunque riassumere così. Agisce aumentando debolmente il valore. ‘g’ non modifica nulla. ‘u’ diminuisce grandemente il valore. ‘u’ opera secondo lo scopo della volizione -- ora aumentando, ora diminuendo e ora non-modificando il valore. Si è già detto che sarebbe uni-laterale il voler giudicare del valore morale di una volizione dallo scopo ;che però, in quanto lo scopo prende parte alla determinazione del valore, l'altruismo positivo è buono, L’EGOISMO è INDIFFERENTE. L’altruismo NEGATIVO (malevolenza e maleficenza) è cattivo. Ora è importante constatare, che il senso in cui i tre momenti valutativi operano sui fatti concomitanti è completamente lo stesso La validità della tavola dei valori, dianzi tracciata, ma pure prevista. Allora il non-valore si ridurrà, nel modo indicato dalla in-eguaglianza: subisce variazioni, se cambia la qualità della volizione? Itendendo per qualità la differenza tra appetizione e repulsione, che però non deve equipararsi a una contra-posizione logica tra affermazione e negazione, i cui termini si escludano a vicenda, ma considerarsi come una doppia possibilità psicologica, di cui l'una abbia altret tanta realtà indipendente, quanto l'altra. Un'analisi della NOLIZIONE mostra, che esse si comportano egualmente come la volizione, solo che si applicano di regola ai valori “T”, “u” ed “u”, RITTENENDOSI ASSURDO (IRRAZIONALE) IL NON VOLVERE IL PROPRIO VANTAGGIO ‘g’. Indicando le nolizioni con (T) (ū) (T) = (non- T) = (U) (U = (non-- U) = ( ) (ū)=(non u) = (g). Lo stato subbiettivo di rappresentazioni ed i predisposizioni anteriore alla volizione è indicato con il concetto di “Progetto”. E siccome in questo stato abbiamo supposta anche la cognizione delle circostanze concomitanti valutabili, così al binomio della volizione o al polinomio della volizione corrisponde un binomio o un polinomio del progetto. Per indicare questi stati si adopera gli stessi simboli *senza la parentesi quadratti*. Osservando le volizioni in rapporto agli stati predisposizionali, l'analisi delle valutazioni dei fatti concomitanti può rendersi più esatta.  (ū) si possono fare le seguenti sostituzioni, che aiutano a trovare il corrispondente valore nella tavola relativa alle volizioni. Si ponga, per esempio, un bi-nomio iniziale della volizione “uu”, che esprima il mio desiderio di far male, al momento opportuno, a una persona, ma che non mi sia possible evitare, ciò facendo, conseguenze dannose pe rme,u. Se ildesiderio di non danneggiarmi prevale, allora non si avrà più il binomio (uu), ma l'altro (ūr), il quale dice che la volizione è risultata nel senso di non volere il male proprio, pur ammettendo che questa volizione abbia per circostanza concomitante y, cioè il bene altrui. In forma positiva la volizione finale sarà (gr). E così da una situazione iniziale negativa “vu” si riesce nella opposta gr (1). Questi sono i co-ordinati fra loro due bi-nomi di progetti, dai quali procedano due volizioni formalmente concordanti. Anche i due bi-nomi di queste volizioni saranno coordinati fra loro. Essaminemo la coppia dei due binomi yu-gu, dei binomi, cioè, che hanno la maggiore importanza pratica. Il primo bi-nomio esprime l'altrui bene col proprio danno. Il secondo bi-nomio esprime il bene proprio col danno altrui. Nel primo rientrano, nel senso o grado *massimale*, tutte le occasioni in cui si può affermare la grandezza morale di un uomo (magnanimita). Nel senso o grado minimale, i casi della più comune fedeltà al proprio dovere (to do one’s duty). La sezione di linea dei valori morali che comprende il MERITORIO e IL CORRETTO è tutta espressa da questo bi-nomio del Progetto. Laddove la sezione che va dal punto d'INDIFFERENZA al TOLLERABILE e al RIPROVEVOLE corrisponde alla negazione di questo binomio del progretto. Nel binomio “gu” sono espressi tutti i casi che vanno dal più SANO EGOISMO alle negazioni più delittuose dell'altruismo. Reciprocamente, la rinunzia a siffatte volizioni va dal semplicemente dove ROSO ALL’EROICO. Le volizioni che procedono da questi due bi-nomi comprendono adunque tutte le quattro classi di valori, caratterizzati in principio. I due bi-nomi anzidetti suppongono un CONFLITTO (non coooperazione) fra l'interesse proprio e l'interesse altrui. È evidente che dalla grandezza di questi interessi, dalla portata di “g” e di “Y”, dipende il valore morale della valutazione. I momenti “u” e “u” s'intendono compresi nella negazione di “g” e “y”. Intanto è certo che il VALORE EGOISTICO in cui “g” è congiunto con “u” , “W(gu)”, si trova sempre al di sotto del zero della scala, ed ha segno negativo. Mentre il valore altruistico in cui è congiunto con “u”, “W(ru)”, si trova al di sopra del zero ed ha segno positivo. Ciò posto, la funzione valutativa tra i termini dei due binomi dei pogretti si può scoprire agevolmente con una semplice osservazione. Sacrificare un piccolo interesse proprio a un grande interesse altrui ha un VALORE POSITIVO MINORE che il sacrificare a un piccolo interesse altrui un grande interesse proprio. D'altra parte chi non pospone a un grande interesse altrui un piccolo interesse proprio produce un non-valore morale più basso, che non colui il quale per una utilità propria rilevante non tien conto di utilità altrui tras curabili. Questo abbozzo di una LEGGE del valore si può esprimere nelle formule, nelle quali “C” e “C'” indicano le costanti proporzionali sconosciute, condizionate dalla qualità delle due unità “g” e “r”. Nell'applicazione di queste due formule all'esperienza si rendono necessarie talune modificazioni. Se poniamo I valori “r” o “g” eguali ai limiti 0 e 0 ,allora i calcoli diventano molto esatti. Per g per g. L’ESPERIENZA NON è però SEMPRE D’ACCORDO CON QUESTE FORMULE. Ognuno ammetterà che l'adoperarsi nell'interesse altrui si accosti l punto morale d’INDIFFERENZA, quanto più grande è quest'inteesse; e che il trascurarlo divenga nella stessa misura RIPROVEVOLE, “u” pposto costante e limitato l'interesse proprio da sacrificare. È F ,  1 W(ru) = Cg -0 Y Y g W (gu) = - C per r = 00 per r = 0 lim W (ru) = 0, lim W(ru)= 0, lim W (ru)= 0 , , limW(ru)= 0, lim W (gu) = - 0 0 limW (gu)= 0 lim W (gu)= 0 lim W (gu)= – 00.   pure evidente, che la trascuranza di un interesse altrui diviene tanto più INDIFFERENTE quanto più IRRILEVANTE è questo interesse. Epperò non si ammetterà da tutti, che il valore dell'altruismo di venga allora infinito, come nella seconda formula. Osservando però bene, questi casi non rientrano nel campo della morale. Si contrasterà pure che il valore del sacrificio di un bene proprio per l'altrui, cresca colla grandezza del bene sacrificato (formula terza). Ma l'esperienza prova che l'esitazione al sacrificio si fa maggiore quanto più grande è il bene cui si sta per rinunziare. Invece è da riconoscersi che non è esatta la quarta formula. Non si può negare ogni valore al bene che si fa ad altri, solo perchè NON si determina un CONFLITTO con un bene proprio. Le formule anzidette si debbono mitigare nella loro assolutezza, perchè si accostino di più alla realtà. Per far ciò, basta attenuare il valore di “g”, il che si può ottenere aggiungendo a “g” ogni volta una costante “c” o “c '”.  Queste formule non modificano i limiti funzionali dianzi ottenuti, ponendo r = 00, T = 0 0 g = 00. Cambia bensì la formula del quarto limite. Se g= 0: lim W (ru) = C , lim W (gu) = - ' Sin qui abbiamo considerato l'una variabile IN-DIPENDENTE dall'altra. Che avverrà però, se le variazioni si compiranno in entrambe le variabili congiuntamente, supponendo che “r” e “g” rimangano uguali fra loro per grandezza di valore? Sostituendo a “g” il simbolo “r”, le formule diverranno altri. Si avranno così le formule. T r W (ru) = 0 9 + c g +di  e Y W(gu)= W(gu)=-C' ito Y W(ru)= C y- to' . Da questo risulta che il non-valore deve crescere e diminuire nello stesso senso o grado limite di “r” e “g”, e il valore in senso o grado di limite contrario. Consultando l'esperienza, si può riscontrare agevolmente che un oggetto, per esempio un dono, abbia lo stesso valore per chi lo dà e per chi lo riceve. Ora si domanda, regalare di più avrà un valore più alto o più basso del regalare di meno? Senza dubbio più alto. E se si contrapponga vita a vita, CHI SACRIFICHI LA PROPRIA VITA per conservare quella di un altro, suscita di fatto grande ammirazione. QUESTO è però IL CONTRARIO DI ciò che quelle formule esprimono. O “c” corre adunque correggere le formule e per far ciò introducemo un esponente di “g”, più grande dell'unità, e lo indicamo colle lettere “k” e “k'”. Le due formule diverranno così, rimettendo “y” al posto di “r”.  Sicchè si avranno i seguenti limiti. A questo punto, il concetto di limite non hanno più bisogno di alcun'altra correzione. Per semplicità di espressione ponendo C= 1ek =2, la formula del binomio divienne W(gu)= T. È questa una formula a discuttere. . g2+1 ghto Y gkilt o W(gu)= W (ru)= C per r= 9 perr= g= 0  T g2+1 W (ru)= e Y e limW(ru)=00 lim W(gu) = 0 limW(ru)=0 limW(gv)=0. Preliminarmente non si ne ricava alcune conseguenze. Ogni pr getto offre a colui, che dovrà reagire con una volizione,l a doppia possibilità di fare o di tralasciare. Le due volizioni staranno, secondo la formula principale or ora  ricavata, in un rapporto di RECIPROCITà negativa, per ciò che ri guarda il loro valore morale. In secondo luogo, siccome una volizione di grande valore (positivo o negativo) o e MERITORIA O RIPROVEVOLE. Quella volizione di piccolo valore o e CORRETTA o TOLLERABILE, così potrà dirsi in generale che quanto PIù DISTANTI sono il NUMERATORE E IL DE-NOMINATORE della formula in una scala ordinale (1, 2, 3, … n), tanto più il valore della volizione e indicato dalle parti estreme superiore o inferiore della linea dei valori. Quanto più vicini o meno distanti sono invece quei numeri, tanto più l'indice del valore cadde verso il punto di mezzo di detta linea. La formula si applica inoltre anche ai casi di una volizione I cui scopo non siano accompagnati da circostanze concomitanti. Basta ridurla. W(9)=0(1). UU. Mentre la prima coppia esprime il caso di CONFLITTO D’INTERESSI, la caratteristica della seconda formula è la CONCOORDANZA O INTERSEZZIONE O COOPERAZIONE O CONDIVIZIONE gl'interessi propri con gli altrui, positive, o, come nella guerra o il duello, negativi.  Se il progetto offre l'occasione di congiungere con la mia utilità l'altrui, o se mi rappresenta un pericolo altrui nel quale scorgo un pericolo mio, la volizione corrispondente e espressa con (gr). V'è però anche la rappresentazione del desiderio di un male altrui, cui si associa anche la previsione di un danno proprio. La corrispondente volizione e espressa con “(uu)”. Il conflitto qui non esiste fra “g” e “y”, ma fra “g” e”v”, cio è fra “g” e -Y Questa riflessione ci fa subito applicare al caso attuale la formula principale del primo binomio. Così, go+1 Y. W(uu)= W (Y)= >.  Passamo ora ad esaminare un'altra coppia di binomi: gr g+1 1 T   (go+ 1)r. Mantenendo anche in questo caso il principio della RECIPROCITà negativa dei due binomi di progetto, l'altro binomio diverrà epperò la seconda formula principale così ottenuta e (1): W(uu)= -(g2+ 1)r. Le costanze rilevate in queste formule dimostrano sufficientemente che il valore morale è in relazione tanto con lo scopo principale della volizione quanto con i fatti valutabili concomitanti, com’era di sperare! Recenti studi sui valori morali in Italia. TAROZZI comunica al congresso di psicologia (Roma) un programma di etica scientifica, sotto il titolo: Sulla possibilità di un fondamento psico logico del valore etico. " I risultati dell'indagine psicologica sono capaci di assumere importanza di fondamento e di criterio nella determinazione del valore etico delle azioni umane e nell'apprezzamento etico degli individuiumani?.. Questo il problema.Tarozzi crede possibile una risposta afferma tiva,enedàleragioni. Il valore etico è il risultato di un apprezzamento morale.L'ap prezzamento morale è funzione della coscienza morale, che si forma in noi storicamente e psicologicamente. E siccome lo studio della for mazione storica si risolve pure in un'indagine psicologica,cosìla vera sede della dimostrazione del valore etico è la psicologia. A ciò non si può opporre, che il valore etico dipenda diretta mente dal fine etico, e che questo per l'assolutezza sua (o teolo gica o categorica) sia indipendente dalla causalità psicologica e antropologica.Giacchè,anche ammessa questa indipendenza del fine etico, nulla vieta che essa riceva una interpretazione psicolo gica e antropologica. Si può cioè voler sapere come sia possibile nella realtà (umana) il fine etico, e ciò conduce anche a interpretare la relazione dei valori etici con quei fini, e a trovare il criterio per la valutazione morale degl’individui umani. Fra il principio assoluto e l'atto concreto,più ancora fra quel principio e l'individuo,intercorre la eterogeneità più radicale;per giudicare quindi se l'atto compiuto o da compiersi stia in un giusto rapporto col principio,è necessaria una interpretazione psicologica. Senza questa interpretazione la valutazione etica alla stregua dei principi assoluti non può farsi. Ove poi si abbia un concetto non teologico,nè categorico del fine etico, la psicologia può darne non solo l'interpretazione, m a anche, coll'aiuto dei dati dell'antropologia e della sociologia,una vera e propria dimostrazione. L'ufficio della psicologia nella dimostrazione del fine etico è anzi assai più rilevante, perchè da questa dimo strazione dipende : 1° se il principio sia ammissibile oppur no ; 2° quale valore etico abbiano le azioni e gl'individui in base al principio dimostrato. Ma non a questo si ferma l'ufficio dellapsicologia nella morale. Volendo fondare un'etica, umanistica nelle sue basi,e umanitaria nelle sue norme, un'etica cioè rispondente alla " concezione di un significato morale della vita umana,la coscienza del quale giusti fichi, non in senso di fine, m a in senso di fondamento, i particolari propositi delle volizioni umane », la psicologia porterebbe i più decisivi elementi a una tale concezione della umanità. La psico logia è scienza sovrana nell'àmbito dell'etica umanistica ; senza di essa è impossibile la ricerca di un significato morale della vita, che assuma valore di fine dopo essere stato fondamento e criterio, e risponda alle tendenze onde la moralità positiva si svolge nella storia dell'umanità. Oltre a questo contributo diretto della psicologia all'etica, vi sono gl'indiretti, consistenti nella difesa,che solo la psicologia può fare contro lo scetticismo morale.La legittimità di una valutazione etica, che abbia forza di per sè, si suole negare da chi crede che il bene e il male siano risultato di convenzioni sociali più o meno inveterate, mutabili secondo i vari tempi e ibisogni,e non rispondenti a una costante necessità della vita e della natura umana. Per riparare dallo scetticismo si è ricorso o all'utilitarismo o alla metafisica.Ora,allo scetticismo e anche ai suoi falsi rimedi (l'uti litarismo e la metafisica) non può opporsi efficacemente che la ricerca psicologica. Essa sola, riuscendo a determinare positiva mente le concezioni fondamentali del valore morale, porge argo menti di difesa sia contro la negazione di un fondamento reale e necessario del valore etico, sia contro le affermazioni erronee od arbitrarie di esso (1). Un esempio importantissimo dà ilTarozzi dell'ufficio della psi cologia nell'etica,accennando ai problemi concernenti la ricerca dei fondamenti psicologici della solidarietà o dei fondamenti naturali di essa, come li chiamava Genovesi, opportunamente ricordato dall'autore. Questo esame particolareggiato comprende la crudeltà e le sue varie forme, la simpatia,così in generale,come nelle sue due manifestazioni principali, gli atti di cortesia e di protezione. Le dispute sulla natura umana,così conclude il Tarozzi,atten dono la loro decisione non dagli argomenti del razionalismo,ma dai fatti che la psicologia può rivelare e valutare. Quando fosse dato di stabilire, che non è generale nell'uomo l'avversionealpotente,ma “allenatureavare,fredde,crudeli., quando si potesse esplorare in un àmbito sempre più vasto l'esten sione dei fatti e degl'istinti della simpatia,sì da rendere legittimo il costituire con essi il concetto dell'umanità,questa umanità sarebbe ilfondamento diuna morale immanente,estranea,benchènonop posta, all'utilitarismo. Quando si potesse attribuire positivamente, cioè psicologicamente e antropologicamente, un valore definitivo al rapporto di solidarietà, e stabilire che esso risponde a un istinto originario,valido per se stesso,e non per l'esperienza della sua utilità,sarebbe tolta all'utilitarismo quella base consistente nella proposizione universale, che l'uomo agisce per il suo utile.Ne c'è da temere che i dubbî della ricerca psicologica si riflettano nella morale, perchè i risultati che la psicologia ci potrà offrire non avranno valore di modificazione del contenuto normativo della  morale,ma bensì tenderebbero a modificare il carattere formale di essa, come dottrina del dorer essere e come scienza. La norma Al Congresso medesimo G. Calò presenta una comunicazione intorno alla Interpretazione psicologica dei concetti etici Il Calderoni ritiene che l'assenza della ricerca e della sufficiente analisi di quello ch'è il fatto ultimo e irriducibile su cui poggia tutta la vita morale, il giudizio etico , ha impedito il costituirsi dell'etica come scienza. Molto ha anche nociuto “ la nessuna, o quasi, distinzione che si è fatta tra il giudizio etico e il giudizio teoretico o conoscitivo , La morale deve invece ricercare come ogni altra scienza, dei fatti ultimi, elementari, irriducibili su cui fondare l'edificio autonomo delle proprie investigazioni , L'elemento irriducibile, la realtà ultima,da cui deve prendere le mosse ogni dottrina morale, è un fatto psicologico,un sentimento,  non uccidere per esempio,apparterrà sempre al contenuto normativo della morale, qualunque conclusione possa trarre la psicologia intorno agl'istinti di pugnacità e di ferocia. Ma se le conclusioni intorno al fondamento umano delle tendenze alla soli darietà e alla simpatia saranno negative,l'etica sarà un sistema dottrinale, la cui imposizione presenterà i caratteri della acciden talità e della fluttuazione dei fatti sociali, oppure i caratteri tra scendentali metafisici o religiosi; e perciò la valutazione etica sarà una gradazione fondata su altra base, non su quella della realtà effettiva dei fatti umani ,. Se invece “ quelle conclusioni saranno positive,l'etica,assumendole come sue proprie, avràafondamento il significato psicologico e antropologico dell'umanità morale e potrà scientementestabilirei valori umani in relazione cone sso Infine il TAOROZZI riassume il suo credo in queste parole, che tutto si debba attendere dalla scienza, e che essa sola possa spiegare un giorno perchè abbiano universale valore massime conversazionali come queste: Non uccidere u ‘non mentire,’ “Ama il tuo prossimo. il sentimento di valore. Ogni qual volta noi giudichiamo del va lore morale d'un sentimento, d'un'azione, d'una determinazione volitiva, tale giudizio si presenta alla nostra coscienza con un sentimento particolare di approvazione o di disapprovazione.L'esame retrospettivo ci dice, che quel giudizio non risulta da un meccanico sovrapporsi dei concetti del soggetto e del predicato (buono, giusto, ecc.), dal paragone delle loro estensioni e connotazioni ri spettive, dalla rivelazione pura e semplice del loro rapporto : ciò che interviene, e ciò che più importa, è il sentimento di approva zione o di disapprovazione, di adesione o di ripugnanza. Qui si presenta un problema fondamentale. Trattasi di vedere se il sentimento di approvazione o di disapprovazione accompagni semplicemente, come effetto o come carattere, la rivelazione del rapporto in cui l'obbietto considerato è con quel predicato ; o se quel sentimento appunto renda possibile la costituzione del predi cato e quindi, mercè la capacità di riferimento propria della ragione, l'enunciazione del rapporto. Questo problema non può essere risoluto senza una analisi com parativa del giudizio conoscitivo e del giudizio valutativo.E que st'analisi mostra appunto che, mentre nella funzione conoscitiva il sentimento è un sopraggiunto, nella funzione valutatrice è,al con trario, costitutivo del rapporto. Conoscere è constatare,attingere ciò che è;mentre nel valutare, l'atteggiamento dello spirito non è di chi constata,ma di chi reagisce;non di chi afferma e riconosce l'essere,ma di chi vi aggiunge qualcosa risultante da ciò che in lui non corrisponde,ma risponde alla realtà conosciuta: è l'atteggiamento non di chi afferma o nega, ma di chi si sovrappone alla realtà, o che le assenta o che le si ribelli, sia che lodi, sia che condanni , (1). Mentre per il teoretico il sentimento è un accessorio trascura bile, per il moralista esso è la vera realtà etica, poichè il senti mento " serve a caratterizzare qualsiasi obbietto di giudizio etico: in ultima analisi, ogni giudizio etico si riduce ad approvazione o disapprovazione d'un sentimento, d'un istinto, d'una volizione, d'un'azione ; ora l'approvazione e la disapprovazione non sono che due speciali sentimenti,due forme diverse d’uno stesso sentimento, ilsentimento del valore.Ilgiudizio etico,dunque,intanto è pos sibile in quanto si compie una sintesi fra l'obbietto conosciuto e la ragione valutativa ch'esso suscita in noi:è,insomma,questa stessa reazione che costituisce tutto quanto noi diciamo di quel fatto qualsiasi ch'è assunto come soggetto del giudizio. Si direbbe che quel fatto tanto ha di realtà etica quanto e come vive nel senti mento valutativo „. Questo poi " varia e quasi si determina e si atteggia diversamente secondo gli obbietti a cui si riferisce, e di venta volta a volta sentimento del giusto, del buono, del santo, dell'eroico o dei loro contrari, di rimorso o di autosodisfazione, di rimpicciolimento o di stima di se stessi,di pace dell'anima,ecc.; di modo che può dirsi che ognuna di queste determinazioni del sentimento di approvazione e di disapprovazione ha una sua indi vidualità e che l'analisi di esse ci dà l'analisi di tutta la coscienza morale , (1). Il sentimento del valore,come fatto fondamentale della coscienza etica, si pone a norma della realtà interiore e dispone gerarchi camente i vari istinti e le varie tendenze. Un'altra sua proprietà è anche quella di avvertire ogni atto che rappresenti un non-valore come un'intima contradizione,il che dà luogo al sentimento particolare dell'obbligazione. Il sentimento del valore è dunque di sua natura tale da assu mere, di fronte al resto della realtà psichica,un'attitudine speciale e da contrapporre all'esistenza di fatto un'esistenza di diritto.Esso si distingue profondamente dal piacere e dal dolore,perchè questi sono stati subbiettivi interessanti semplicemente l'individualità del soggetto,mentre ilsentimento del valore è obbiettivo anche rispetto alla individualità del soggetto che giudica.Il sentimento del valore oltrepassa la sfera della mia utilità o del mio benessere indivi duale; sonoiochesento,manonperme.Altrocarattere diffe renziale è questo, che nei sentimenti di piacere e dolore lo stato subbiettivo è confuso con l'oggetto della rappresentazione,mentre nel sentimento del valore, l'oggetto è nettamente distinto dall'atto valutativo e può essere rappresentato come obbietto di conoscenza teorica. Ciò ch'è piacevole e spiacevole non esiste che nel sentimento e per il sentimento,mentre ciò ch'è valutato è chiaramente rappresentato di fronte all'atto giudicativo, è insomma conosciuto. Non si può valutare se non ciò ch'è ben noto, tanto è vero che la valutazione si presenta spessissimo sotto forma di preferenza e il valore viene appreso comparativamente ad altri come plus-valore o come minus valore. Sebbene il giudizio di valore abbia il suo punto di partenza nel sentimento,esso non esclude,anzi richiede necessariamente l'inter vento della funzione conoscitiva, la quale prepari il terreno su cui possa esercitarsi la funzione apprezzativa.La grande varietà dei giudizi morali osservabile fra individui diversi dipende appunto dal diverso modo come sono appresi e considerati gli obbietti,dai diversi elementi che ci pone in luce la funzione conoscitiva (1). Così, mentre l'analisi del processo della valutazione etica è com pito della psicologia morale,gli obbietti a cui le nostre valutazioni morali si riferiscono non possono esser tratti analiticamente dalla natura stessa dei nostri sentimenti di valore. Essi possono essere determinati in parte in base alla considerazione di rapporti for mali della volontà, in parte in base all'esperienza storica e sociale, quale è studiata dall'etica storica comparativa (2). 200. - Mario Calderoni, nelle sue Disarmonie economiche e disarmonie morali, si è recentemente proposto di porre in rilievo talune concordanze fra le leggi economiche del valore e della ren dita e le valutazioni morali sociali. In tal modo egli crede che l'economia politica possa apportare un contributo positivo alla scienza della morale e aiutarne il definitivo costituirsi. “ La vita morale può considerarsi, così il Calderoni, come un vasto mercato, dove determinate richieste vengono fatte da taluni uomini o dalla maggioranza degli uomini agli altri,iquali oppon gono a queste richieste una resistenza, secondo icasi,maggiore o minore, e richiedono alla loro volta incitamenti, stimoli, premi e compensi di natura determinata.Questi stimoli o incitamenti prendono la forma sociale di approvazione e di biasimo, di lodi, di gloria, di premio e punizione. Premesse alcune nozioni intorno alla legge dell'utilità marginale e alla formazione della rendita, non soltanto fondiaria, ma anche, in generale, del consumatore e del produttore, Calderoni accenna più particolarmente a due specie di disarmonie economiche che si verificano nei fenomeni di rendita. La prima è conseguenza del principio che,data la unicità del prezzo in un mercato, il compra tore e il venditore realizzano un vantaggio, rappresentato dalla differenza tra ciò che sarebbe bastato a indurli a comprare o a vendere la singola dose in questione, e ciò che, per effetto del mercato, vengono a ricevere. Ora, se i prezzi sono proporzionali ai costi marginali delle merci,essi non sono proporzionali ai costi di tutte quelle dosi che non sono al margine. Tutti coloro che si trovano più o meno lontani dal “ margine di produzione o di I mezzi di produzione si trovano infatti in quantità limitata e variano grandemente per qualità ed efficacia, sicchè la produzione si compie in condizioni differentissime da diversi individui,e l'au mento di produzione fatto con mezzi più costosi,mette quelli che impiegano i mezzi più facili in una posizione privilegiata,ch'è poi quella da cui la rendita deriva. Queste e altre considerazioni mostrano, che il fenomeno della rendita non si può correggere mai assolutamente, e che dà luogo a vere e proprie disarmonie economiche (2). La seconda specie è descritta dal Calderoni così:Supponiamo che sia raggiunta in un modo qualsiasi l'abolizione dei più stri denti ed evidenti fenomeni di rendita. In tal caso tutti iprodut  consumo si trovano a fruire di un prezzo,che basta soltanto a rimunerare quegli individui, i quali cesserebbero dal produrre se il prezzo ribassasse;e godono perciò di un vantaggio differenziale, o rendita, più o meno grande. Nè è possibile la correzione automa tica del fenomeno della rendita,mediante aumento di produzione da parte di quelli che guadagnano di più, e conseguente ribasso di prezzi,perchè non sta ad arbitrio dei produttori di ottenere in quantità indefinita le merci in quistione. tori riceverebbero retribuzioni equivalenti, per ciascun loro pro dotto,a ciò che è necessario e sufficiente per indurli alla loro produzione. E nondimeno non si potrebbe ancora affermare che all'eguaglianza di retribuzione per i produttori dei diversi prodotti corrisponda una intima ed effettiva eguaglianza nei sacrifizi o nel lavoro che il prodotto costa a ciascuno.La misurazione di questo rapporto implicherebbe la conoscenza dei bisogni e dei desideri più intensi, dei sacrifizi più gravi per ciascun individuo e porterebbe a risultati assai diversi.Dal fatto che due individui sono disposti a dar la medesima somma per una merce o a contentarsi di una data somma per un servigio, nulla può dedursi intorno alla in tensità del desiderio che hanno o del sacrificio che fanno : come dal fatto che due individuisi scambiano una merce, non puòde dursi che chi la cede la desideri meno di chi l'acquista. Dal persistere di queste differenze è condizionata un'altra serie di disarmonie economiche più sottili e più intime e per loro na tura irriducibili,perchè persisterebbero anche quando si riuscisse a stabilire rapporti equivalenti o eguali sul mercato. Dopo questi cenni Calderoni passa a rilevare le analogie tra fatti economici e fatti morali, le quali renderebbero,a suo giudizio, possibile una concezione economica della morale. Anzitutto, non meno in morale che in economia, ciò di cui effettivamente si giudica è, non il valore complessivo o generale degli atti e delle attitudini, di cui s'invoca l'adempimento o l'osservanza; ma il loro valore marginale e comparativo, valore atto a variare e col numero di questi atti effettivamente compiuto dagli uomini,e col numero altresì di quegli altri atti, cui si rinuncia per compierli  Vi è nella vita una gran quantità di atti ed attitudini,che puressendodiunaincontestabile utilità»,puressendoessen ziali alla conservazione ed al benessere della convivenza umana, non entrano nell'ambito di ciò che noi chiamiamo la morale. Perchè? Con ciò Calderoni vuole opporsi a tutta quanta la tradizione intuizionistica e kantiana in filosofia morale. Gli atti morali non hanno alcun valore assoluto, ma un valore esclusiva mente marginale e comparativo. Perchè nonostante la loro desiderabilità astratta,nonostante i van taggi totali che la società ritrae dal loro adempimento, vantaggi certamente assai maggiori,nel loro complesso,a quelli degli atti che la morale esalta; essi sono tuttavia atti di cui non è deside rabile un ulteriore aumento, la cui desiderabilità “ marginale com parata, in altre parole è zero o addirittura negativa. Gli atti prodotti dall'istinto personale di conservazione o da quello della riproduzione della specie non sono considerati virtuosi,perchè,ben lungi dal richiedere u n incitamento, essi richiedono freni, gli uomini essendo piuttosto proclivi ad eccedere che a difettare in essi, e a sacrificar loro l'adempimento di altre funzioni che sono marginalmente o comparativamente . più desiderabili , Le nostre tavole di valori contengono tutte quelle cose, per ottenere un au mento delle quali,in noi stessi o negli altri,siamo disposti a de terminati sacrifici; ma non già tutte le cose che possono apparirci desiderabili. Col crescere delle azioni virtuose esse tendono a diminuire di valore, come analogamente il diminuire delle azioni viziose tende a render meno disposti a far dei sacrifici per dimi nuirle ulteriormente; ond'è sempre concepibile un limite, natural mente molto diverso,secondo i casi,oltre al quale il vizio, di verrebbe una vizio, vviene infatti per la domanda e per l'offerta etica lo stesso che per la domanda el'offerta economica. In una società di complet ialtruisti avrebbe pregio l'egoista. L'ALTRUISMO è una virtù il cui valore è strettamente connesso colla presenza di egoisti o almeno di non altruisti nella società. Queste considerazioni confuterebbero la legge morale di Kant, che prescrive di seguire massime capaci di divenire universali. “ N e s suna virtù e nessun dovere resisterebbe ad un esame fatto rigo rosamente in base a questo criterio.Molte azioni sono per noi un dovere,appunto perchè gli altri uomini non le fanno e rimangono tali a condizione che non siano troppi gli uomini capaci e volonte rosi di imitarle... Come in una barca sopraccarica,l'opportunità di sedersi da una parte o dall'altra dipende strettamente dal nu  e la un virtù, virtù,   mero di persone sedute dalla parte opposta: se qui fosse seguito un imperativo kantiano qualsiasi, il capovolgimento della barca porrebbe tosto fine ai consigli del pilota e alle buone volontà dei passeggieri, Si può credere che si possa ovviare a questi errori particola reggiando quanto più è possibile i precetti e le sanzioni, individua lizzandole in grado estremo.M a alla stessa maniera che in un mercato nonsipuòvariareilprezzosecondogliavventori,cosìalla legge d'indifferenza del mercato , corrisponde una legge d'indifferenza morale, per cui sono stabilite regole comuni non troppo discutibili e sanzioni precise, non atte troppo a variare e applicabili alla media dei casi. La necessità di dare precetti e sanzioni generali dà luogo a fe nomeni analoghi ai fenomeni di rendita. Alla generalità e rigidità della legge morale farà contrasto la varietà delle condizioni indi viduali, per le quali si verificheranno vantaggi e svantaggi diffe renziali da individui a individui. Il dovere per ciascuno sarà di fare, non già quello che nel suo caso è il meglio o l'ottimo,ma ciò che in media è meglio che gli uomini facciano di più,di quanto ora non facciano; non agendo così egli si attirerà una sanzione, che nel suo caso, potrà anche talvolta essere “ immeritata Le pene e i premi hanno un costo marginale che cresce col cre scere della loro severità e grandezza,e colla loro estensione; mentre colla loro estensione diminuisce la loro efficacia marginale : la gloria e l'onore, come l'infamia, diminuiscono rapidamente di efficacia quanto maggiore è il numero degl'individui che ne frui scono o soffrono. Così alcuni si troveranno a godere di lode o gloria molto superiore al loro “ merito , individuale, per avere compiuto azioni, poniamo, talmente conformi al loro carattere che sarebbe piuttosto stato necessario " punirli , se si fosse voluto di Ciò premesso, il Calderoni trova le analogie fra le disarmonie economiche e morali. stoglierli dal farle. Altri subiranno invece biasimo o infamia di gran lunga sproporzionata alla loro colpa Se poi i precetti e le sanzioni fossero più particolareggiate e commisurate a ciò che è necessario e sufficiente per indurre ciascuno al ben fare, rimarrebbe ancora una gran diversità nelle condizioni individuali, delle quali non si potrebbe tener conto senza diminuire l'efficacia dei precetti e delle sanzioni medesime.E questo dà luogo all'altra specie di disarmonie morali analoghe a quelle che persi sterebbero nel campo economico,se si correggesse la legge d'indif terenza del mercato. Queste disarmonie morali infatti persiste rebbero,anche se le prime si venissero a eliminare,analogicamente a quello che è stato osservato nei fenomeni di rendita. Grice: “I love Orestano loving Benedetta” – Grice: “Orestano takes Meinong very seriously – as he should! Few outside Austria do! Meinong symbolses the I with ‘e’ from Latin ‘ego’ (Italian io), and the other with a, for Latin ‘alter, Italian altro. So we have W for value (worth), and the possibilities that ego desires the evil for alter – sadism. When ego desires the good, he is altruism. Altruism can be reciprocal. In a purely altruistic society, things go well – but Pound knows who’s against that! That’s why Orestano finds sympathy for Meinong, and so do I” --.  Francesco Orestano. Orestano. Keywords: l’opzione eroica, Alighieri, Galilei, Tasso, Vinci, concezione aristocratica della nazionalita, l’eroe Mussolini, l’eroe Enea, Weber e la teoria dell’eroe carismatico, l’ozione dell’eroe non e una ozione. It’s not an option, Calderoni.  Luigi Speranza, “Grice ed Orestano”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718248754/in/photolist-2mNCu2K-2mNaxw3V

 

Grice ed Orioli – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vallerano). Filosofo. Grice: “Only in Italy, a philosopher, rather than a cricketer, is supposed to take part in a revolution and write a book about his shire!” -- Fondatori della Repubblica Romana. “De' paragrandini metallici” (1825 (Milano, Fondazione Mansutti). Il padre, medico, lo condusse a Roma, dove si laureò brillantemente. La professione non lo attraeva molto: lo troviamo, infatti, professore di filosofia nei seminari e nei licei dell'Urbe. Da Roma si trasfere a Perugia, dove si laureò. Insegnò a Bologna. Partecipò con gli allievi all'insurrezione delle Romagne; successivamente fu eletto membro del governo provvisorio di Bologna, che fu sciolto in seguito all'intervento militare dell'Austria. Tentando di mettersi in salvo,salpò da Ancona diretto in Francia con un altro centinaio di rivoluzionari; ma il brigantino Isotta sul quale viaggiava venne catturato dall'allora capitano di vascello della marina austriaca Francesco Bandiera (padre dei due famosi fratelli Attilio ed Emilio) e tutti i rivoluzionari furono arrestati. Venne incarcerato a Venezia. Poco dopo venne liberato, forse per mancanza di risultanze gravi sul suo conto.  Iniziò così l'errare, costretto a fuggire da terra in terra, inneggiando sempre all'Italia unita. Fu professore di archeologia alla Sorbona. A Bruxelles insegnò. Soggiornò anche a Corfù, dove tenne un corso dnell'università della città.  Quando Pio IX concesse l'amnistia, poté tornare a Roma, dove tenne la cattedra di archeologia. Le sue attitudini per il giornalismo non attesero molto per farsi notare, e così fondò un periodico politico che ebbe però vita breve, La Bilancia.  Fu eletto deputato al parlamento della Repubblica Romana. Quando il governo pontificio fu restaurato, in riconoscimenti dei suoi meriti, fu nominato consigliere di stato. Pubblica molti saggi di filosofia. Tra i più famosi sono da menzionare “Dei sette re di Roma e del cominciamento del consolato” (Firenze), “Intorno le epigrafi italiane e l'arte di comporle” (Roma). Prese parte alla polemica sui sistemi di prevenzione contro i fulmini e la grandine, che coinvolse anche Bellani, Beltrami, Demongeri, Lapostolle, Normand, Majocchi, Contessi, Molossi, Nazari, Richardot, Scaramelli, Tholard e Volta. Le compagnie assicurative usarono questi studi per valutare rischi e premi per i campi agricoli.  Riconoscimenti Il comune di Vallerano (VT) lo ha onoratocon l'intitolazione di una delle vie principali del borgo antico, quella del Teatro comunale, e con l'apposizione di una lapide commemorativa sulla facciata della casa in cui lo scienziato nacque. A Viterbo un Istituto Statale di Istruzione Superiore -che comprende il Liceo Artistico e diversi indirizzi di Istituto Professionale, A. Ghisalberti, nella voce della Enciclopedia Italiana, vedi, riporta queste date di nascita e morte, A. Ghisalberti, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fondazione Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, M. Bonomelli, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti. Milano: Electa, G.  Polizzi, Alla ricerca dello «specioso» e dell’«insolito». G. Leopardi, «Lettere Italiane», Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  -- rità assai leggieri, e , se grandemente non m'inganno , assai consentanei alla ragione ), de'quali ho stiinato aver bisogno , l'enunciazione de'puri fatti che costruiscono l'istoria della dignità regale nella città de'sette colli , ha dovuto essere da   me corretta, e ridottasotto la forma seguente. 1...Come lo abbiamo già detto,lasuccessio ne al trono, mai non appartenne in Roma a fi gliuoli maschi de're precedenti. 2.° Essa appartenne sempre a'generi loro , quando ve n'ebbe di viventi (Numa,Servio , Tarquinio il Superbo ). 3.°Losposodellafigliuolamaggiorefuatutti gli altri preferito ( Servio ). 4.° Quando i generi erano morti, la succes sione passò ai primogeniti del primo genero (Tullo Ostilio, secondo lamia correzione della leggenda che lo concerne; Anco Marcio ). 4.° Quando si tratta di due re, in luogo di un solo, e diquella magistraturabinariaed a vita che si surrogò ne primitempi alla dignità regia, parimente non si rinunziò a queste m e desime regole, e se non trovansi due generi che potessero elevarsi al potere supremo,si'elevano egualmente a quello, secondo l'ordine legale due figli di genero (Reno e Romolo;Bruto e Col latino ). 7. Lafigliastradelrefuequiparataallafiglia neldrittodidareiltronoalmarito,oaʼsuoi di scendentimaschi,inun tempo,incuiprobabil mente figlie proprie non esistevano (Tullo Osti  1 103 6.° Quando non v'ebbero , nè generi , nè fi gliuolidigeneri,iltronopassò a’nipoti che s'a mò riguardare,insìfattacontingenza,come le gittimi eredi de’dritti degli ascendenti loro (Tullo Ostilio,se si preferisce l'ipotesi , nella quale egli è nipote d'una figlia di Romolo maritata ad Osto ).   11.o Fuori della serie deʼre, o de'magistrali che ne tenner le veci, tra gli stessi pretendenti che, senza ottenerla , dimandarono la dignità suprema,unodiquelli,de'qualil'antichitàciha trasmesso la memoria, è stato ugualmenle un ge nero di re (Numa Marcio);duealtri,ne'quali' non ci è dato riconoscere questa qualità, non hanno dimandato iltrono per le vie legali ma cercaronod'ottenerlocon un delitto(ifigliaoli d'Anco ); due di che solo siparla presso Plutar  104 se si ricusi di considerare 1'Ersilia dalla qualediscende,comefigliadiRomolo,e sesi rispetta la tradizione, secondo la quale l'ultim re non è che il patrigno o al più ilpadre adote tivo della seconda Ersilia ). 2 8.° In un caso,nel quale ilcapo supremo non potè far valere ildritto di successione alla sua dignità negli eredi maschi delle sue figliuole , ne in altro modo potè effettuare la trasmissione dellasuprema autoritàper viad'altredonne sue discendenti,almeno tramandò ilsuo grado nel l'erede necessario della moglie ( Bruto rispetto a Lucrezio Tricipitino suo successore nella p r e tura massima, o vogliam dire nel consolato ). 9.° Quando non vi furono eredi quali che si fossero dilatodidonna,iltrono,sempre messi in non cale imaschi,ricadde in unapersona e slranea,cioènonlegatadipiirentelacolla fami glia reale (Tarquinio Prisco ). 10.° Quando,nonostantel'aversieredi legit timi per parte di donna,una persona estranea conseguì la dignità regia , ciò avvenne contra il dritto, per la forza dell'armi ( Tazio ). lio   Non altraèl'espression'rigorosade'fatti,cosi come sono riferiti dagli antichi, o come io d o vetti correggerne la sostanza e l'enunciazione, secondo le regole di una critica, se posso dirlo, in nessun modo 'temeraria.'Le mie autorità , i miei ragiovamenti , non sofferirono contraddi zióve ne’loroparticolari,eme nechiamo felice. Si volle 'solamente avvertirmi che nel mio si stema erano alcuni fatti dubbiosi , e ricavati per conghiettura.  105 stato . co ( Voleso e Proculo ),sono statiproposti senza gran fattofermarsi sopra la proposizione; non hannopresosulseriolalorqualitàdicandidati,e sembrano'avervi rinunziato essi stessi; finalmen tefurono messi innanzi inun tempo ,nel quale tutto che concerne le leggi relative alla succes sione regia era evidentemente suggetto di contro versia , e dispuldvasi intorno alle basi stesse di questa parte della costituzione organica dello Io risposta,ioviho presentatol'analisi,per così dire più condensata,delletradizioni; lebo prese da prima quali sileggono; mi sono per 'messo unicamente qualche volta. o. Spesso la successione al trono in R o m a s'è fat ta contra ogni principio d'equità, d'utilità, e di convenienza reciproca de'cittadini : perchè ( per qui contentarmi d' un solo esempio il q u a l e a b b r a c c i a u n l u n g o p e r i o d o d ' a n u i ), n o n certamente a vantaggio del partito latino, o di quel deʼsabini, sotto la dinastia etrusca, la di gnità regia restò sempre nella fazion toscana. Grice: “Orioli philosophised on many topics. To Italian philosophers, who are OBSESSED, during their unstable political history, with political philosophy, his ‘research’ on the consulate proves helpful. He notes that Romolo had no son – so who to succeed him? Other than that, he was almost shot (Orioli, not Romolo) after trying to oppose what he called the Roman theocrazy – or theocracia – For Orioli there are various cracies: theocracia, democrazia, TIMOcrazia, and ARISTO-crazia. Francesco Orioli. Orioli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Orioli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690012070/in/photolist-2mKEPJE

 

Grice ed Ornato – filosofia italiana – la conversazione d’Antonino con Antonino -- Luigi Speranza (Carmagna Piemonte). Filosofo. “Visse vita ritirata, modesta e schiva d'onori e ricchezza intesa soltanto allo studio.” “Coltiva le scienze fisiche e matematiche, la filologia, la poesia, la musica e con singolare amore le discipline metafisiche. Sii trasferisce a Torino dove frequenta alcuni esponenti dell'aristocrazia sabauda. Tra le sue amicizie più importanti Santarosa, Sabbione ed i fratelli Balbo. – Dei concordi è insegnante di matematica nel collegio dei paggi imperiali, impiegato nella segreteria dell'Accademia delle Scienze di Torino e successivamente professore presso la Reale Accademia Militare. In seguito ai moti rivoluzionari e nominato da Santarosa Ministro della Guerra della giunta rivoluzionaria. Si rifugia in esilio a Parigi. Nella capitale francese stringe amicizia con Cousin e la sua casa è frequentata da numerosi patrioti italiani. Ottiene di poter rientrare in Italia e si ritira a Caramagna dove riceve le visite dei patrioti Pellico, Provana, Gioberti e Balbo. Si trasferisce a Torino dove morirà e verrà sepolto nel cimitero monumentale. Saggi: traduzione di Ode a Roma di Erinna, traduzione dei “Ricordi di Antonino, Picchioni, Vita, studii e lettere inediti di Leone Ottolenghi, E. Loescher. Biografiche e risultati di ricercheo, O. Becchio  G. Calogero, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ulteriori approfondimenti  possono essere reperiti nei seguenti siti:  Comune di Caramagna Piemonte, su comune.caramagnapiemonte.cn. Associazione Culturale "L'Albero Grande", su alberogrande. Due difetti o cattivi abiti, nota  qui e contrappone Antonino. L’uno, del  lasciarci guidare unicamente dalla IMPRESSIONE che fan su di noi l’oggetto  esterno, divagando da questo a quello  secondo che quello ci attrae più fortemente che questo. L’altro del lasciarci guidare unicamente dal pensiero o idea  che ci vengono in mente a caso, seguendo  quelli che eccitano più la nostra attenzione. Due stati passivi, dove l’uomo non esercita punto la volontà nè l’intelletto, ma segue ciecamente, nel primo,  il caso esterno, o nel secondo, il caso interno, cioè quella che è stata nomata di poi legge di associazione di due idee: due stati quindi dove l’uomo non ha scopo. Il primo de’ quali ha luogo nella vita puramente ANIMALE, e il secondo nel sogno. Quello,  proprio del giovane troppo dedito al  senso. Questo, del vecchio rimbambito. E quindi, dopo avere esortato sè stesso a fuggire il difetto del giovane si esorta  a fuggire quello del vecchio. Il carattere  che fa riconoscere il vecchio per rimbambito è il vaneggiare, cioè il parlar senza costrutto, ripetendo il già detto. Ma avverte sè stesso che l’uomo può essere rimbambito già an-che quando non parla ancora senza costi itto, non vaneggia ancora in parole, se egli fa delle azioni senza costrutto, o vaneggia nelle azioni: il che ha luogo  ogni volta che esse azioni non sono collegate tra sè, non hanno unità, cioè  non sono riferite tutte ad uno stesso ed unico scopo. Questo lodare la compassione senza aggiungere con Epitteto che  ella debba essere puramente esteriore  e non di cuore, è certamente una contradizione al principio stoico. La compassione essere come tutti gli altri affetti un moto irragionevole dell’anima, e contrario alla natura, il saggio non essei'c  accessibile alla compassione; una contradizione a ciò che è detto in questo  medesimo §, dovere il saggio mantenere il suo genio interno netto da passione. Ma è una di quelle contradizioni magnanime per le quali IL CUORE corregge  talvolta gli errori dell’INTELLETO. Sul  punto particolarmente della compassione, come su quello dell’affezione verso gl’amici e i congiunti e verso tutti gli  uomini e Antonino uno stoico poco fedele al  principii della sua scuola, e segue  piuttosto gl’accademici e i liceii, i quali insegnavano il sentimento della pietà  essere il carattere distintivo delle belle  e grandi anime; e quel detto di Focione, conservatoci dallo Stobeo: non  togliete nè Voltare dal tempio y nè dalla  natura umana la compassione. F< in questa  deviazione, almeno in pratica, dal rigore dell’antica dottrina del Portico [PORTICUS – stoici], Antonino e stato preceduto da altri  stoici romani illustri. Il che non potea non avvenire, perchè  secondo un antico senario greco, il cuore  soltanto del malvagio non è capace di  essere ammollito. E però il severissimo CATONE, già deliberato in quanto a sè di morire, pianse, come narra Plutarco, per pietà di tutti quelli amici e concittadini suoi che eransi pur dianzi  affidati ad un maro procelloso per non  lasciarsi cogliere in Utica da Cesare  vincitore, come avea pur pianto alcuni  anni innanzi per un fratello amatissimo,  quando trovandosi esso Catone al comando di una legione in Macedonia, alla  novella che il detto fratello era moreute in Enos città della Tracia, salpò  immantinente con piccolo e fragil legno da Tessalonica, contro l’avviso di tutti  i nocchieri, per un mare tempestosis-  simo, e giunto in Enos trovò il fratello già spento (Plut., vita di Catone).  E pianse certamente Cornelio Tacito,  benché stoico anch’egli, quando, dopo aver narrato come era vissuto e morto,  non senza sospetto di veleno, Giulio  Agricola suo suocero, aggiungeva queste  patetiche parole: « Beato te. Agricola,  che vivesti sì chiaro e moristi sì a  tempo: abbracciasti la morte con forte  cuore e lieto; quanto a te, quasi scol-  pandone il principe. Ma a me e alla  figliuola tua, oltre all’acerbezza dell’aver perduto un tanto padre, scoppia il  cuore che non ci sia toccato ad assi-  stere nella tua malattia, aiutarti man-  cante, saziarci di abbracciare, baciare,  affissarci nel tuo volto; avremmo pure  raccolti precetti e detti da stamparli nei  nostri animi. Questo è il dolore, il coltello al nostro cuore.Senza dubbio.  0 ottimo padre, per la presenza della  moglie tua amatissima, ti soverchiarono  tutte le cose al farti onore; ma tu se*  stato riposto con queste meno lagrime,  e pure alcuna cosa desiderasti vedere  al chiudere degli occhi tuoi. Fra le varie divisioni dei beni  appo gli stoici, l’una è questa, che dei  beni altri sono finali, altri efficienti,  altri e finali insieme ed efficienti. I beni finali sono parte della felicità e  la costituiscono: gli efficienti solo la  procurano: i finali ed efficienti insieme  e la procurano e sono parte di quella.  Del primo genere sono la letizia, la libertà deir animo, la tranquillità, ecc.  Del secondo, l’uom prudente ed amico;  del terzo, tutte le virtù. L’uom prudente ed amico è un bene efficiente,  perchè muove con la sua diapoaizion  razionale la tua diapoaizion razionale  (lib. V), cioè è occasione a te di buone azioni. E nello stesso modo è un  bene di quel secondo genere ogni cosa,  o sia pensiero o altro, che è occasione  a te per camminare verso la perfezione.  Di questo bene parla ora Antonino. Il  quale, per lo esser solo efficiente, e non  finale, cioè pel non essere accompagnato  ancora da quel sentimento intimo di  gioia perfetta che costituisce la felicità,  non attrae invincibilmente il tuo volere;  ed è necessario quindi, perchè operi veramente sull’ uomo, che questi si sottragga da tutte le altre cose che ne  lo possono sviare (conferisci quello che  ne insegna la teologia intorno alla grazia). E quando Antonino chiama questo  bene razionale (che è attributo generale  del bene appo gli stoici), il fa per op-  posizione al preteso bene degli Epicurei,  che è sensibile. Seneca, epistola ultima. Chi riguarda il piacere come sommo  bene, giudica che il bene sia sensibile:  noi il giudichiamo intelligibile. E più  sotto. Non è bene dove non è ragione. Tutte queste cose era necessario notare per ìscliiarimento e con-  formazione del testo, dove la maggior  parte dei cementatori ed interpreti ha  voluto cangiare la parola efficiente in  civile o vuoi sociale^ con manifesto danno  del senso e del pensiero di Antonino. Dispensazione in greco “economia” vale generalmente governo della casa, amministrazione. E perchè molte cose  si fanno pel governo della casa, le quali  da per sè sole non si farebbero (come  per esempio il risparmiare certe spese  perchè le sostanze famigliar! sopperi-  scano al mantenimento di quella), quindi  è stata applicata questa voce ad ogni  cosa che si faccia con fine provvidenziale, benché sia di nessun pregio in  sè od anche noiosa; come p. e. il gastigare i rei. È usata sovente in questo  senso dagli scrittori latini di  tarda età, e stoici ed altri, e massima-  niente dai padri della chiesa. È tra noi  disusata perchè è disusato il concetto eh’ ella esprime. Ma per provare la sua  antica cittadinanza in Italia allegherò  il passo seguente di Cavalca, l’ultimo  dei citati sotto essa voce nel V. della  Crusca (Medicina del cuore): Per divina dispensazione avviene che, per li  pessimi vizi e gravi, grave e lunga tribolazione ed infermitade arda e salvi  r anima. » Da una nota dell’ Ornato credo  che, quando la scrisse, inclina per  l’ interpretazione di questo luogo, a dar  ragione a Xilandro contro i posteriori. Se non muta poi di parere, il senso di  questa espressione con libertà di parole dovrebbe essere liberalmente cioè con  liberalità di parole, o generosamente poiché così anche lo Xilandro intende lo  £À6u0£.'iu)5 del testo. E con questo raccomandare la generosità nelle preghiere,  Antonino intenderebbe, come osserva il  Gataker, di biasimare le preghiere che  non mirano che all’interesse proprio di  chi lo fa. E però loda quella preghiera  degli Ateniesi, i quali, al dire di Pausania, solevano pregare non solo per  tutta l’Attica, ma anche per tutta la  Grecia. AUto^ nel senso peripatetico e  scolastico, è V affezione costante deWente:  e per quel carattere di costanza si di-  stingue dalla disposizione^ che è varia-  bile. Appo gli stoici è la forza o virtù  che mantien l’ente in quella affezione  costante; o, siccome essi favellano, è  spirito (intendi aria) che mantiene il corpo e il contiene: » perchè l’ente ò  corpo appo loro. La mente dell’ universo, dice Senone, penetra per tutte  le cose particolari e le mantiene e go-  verna: ma non tutte nel medesimo modo:  perchè nelle une si manifesta come abito (pietre, legni); nelle altre come natura (intendi principio organico mero: piante,  alberi); nelle altre come anima (prin-  cipio animrle mero: bruti); nelle altre ancora come mente e ragione (anima  ragionevole universale e sociale appo  Antonino; uomini. Le cose governate dair abito sono adunque i corpi  dove non è altro principio costituente  che il generale di corpo: dove per conseguenza non è altro carattere distin-  tivo che quella affezione (modo d’essere) costante por cui sono il tal corpo  anziché il tal altro. Sono la classe infima e generalissima di corpi, che noi  chiamiamo inorganica. Nelle cose go-  vernate dalla natura, oltre al carattere  generale di corpo v’ ha già il carattere  d’organizzazione. Nelle cose governato  dall’anima, oltre al carattere di cor-  poreità e di organizzazione, v’ha di più  quello di animalità ecc. Le classi si van  cosi ristrignendo e innalzando sino al-  r ultima, che ha per carattere la razionalità. In questo § il testo è. in più d’un  luogo corrotto, e verìsimilmente havvi anche qualche lacuna. Non potrei dire  precisamente quali sieno le emendazioni  seguite o fatte da lui, perchè una  sua lunghissima nota sulle difficoltà di  questo paragrafo, oltre che è piena di cancellature e in gran parte non intelligibile, è anche manchevole, essendone  stato lacerato via, non so da chi (forse  dall’Ornato. medesimo per aver mutato  parere), un mezzo foglio. Nel voltare  in italiano io mi sono discostato il meno  possibile dalle sue parole stesse e ho serbato inalterato il senso della  sua interpretazione. Questo paragrafo, essendo corrotto  in più luoghi, dei quali l’ emendazione fu  inutilmente tentata finora, è diversamente inteso dagli interpreti. L’ Ornato  lasciò scritto al principio di una lunga  nota: «di questo veramente corrotto  paragrafo non so che partito trarre. La sua interpretazione che io seguii  nel volgarizzamento vuol dunque essere accettata con quella medesima riserva  con che egli la propose. La parte che segue di questo para-  grafo è assai guasta, e fors’ anche muti-  lata. L’Ornato non la tradusse in alcun  modo, riserbandosi di farlo quando avesse  trovato una correzione che gli piacesse:  intorno a che lasciò molte note. Nel  mio volgarizzamento ho letto il testo  come fu letto dallo Schiiltz, non perchè  egli approvasse in tutto quella lezione,  ina perchè non seppe trovarne una migliore. Il testo di questo paragrafo è corrotto, e chi corregge in un modo e chi in  un altro, e chi ancora difendo la vulgata.  Io ho seguito quella fra le molte e varie  emendazioni, dalla quale parvemi almeno  di poter trarre un senso chiaro. Poi sensori tutto  il paragrafo conf. anche V, 33, e Seneca. More quid est? aut finis,  aut transitus. Tutti gli interpreti che io co-  nosco finora, compreso anche il Gata-  kero, il quale nondimeno si scosta dal  vero meno che gli altri, pigliano qui il  granchio (fan pietà Dacier o Joly  che seguono ciecamente Gasauhono,  come fa pure Barberini: il Milano poi  è la stessa pecora sempre, Hoffmann erra men grossamente com Gatakero), confondendo insieme, siccome  fossero una sola cosa, la toù 3Xou (fùaiv  e il ToO xóojjiou ’hys.u Qvixdv; quando anzi  nella distinzione di queste duo cose è fondato il senso di tutto il paragrafo. La toO  SXou qjvlcjis è la potenza creatrice o faci-  trice primitiva; lo •óyepwvixòv toO xóopiou  è la potenza governatrice, dipendente da  quella prima, generata, o formata da quella prima: siccome la natura dell’ uomo forma l’nomo, cioè la mente dell’nomo non  meno che il corpo; e la mente deH’uomo  poi gOTema il corpo. Il senso adunque  di tutto il paragrafo è questo: La natura  dell’universo decretò, determinò con deliberazione ragionevole il mondo, dan-  dogli, per così dire, un corpo ed una  mente. Ora, o questa mente, a cui è  affidato il governo del mondo, segue la  ragione (perchè la mente nel senso dello  ^ìf£|jiovixbv può anche talora essere sra-  gionevole); e allora tutte le cose che  ella fa, sono quali le ha determinate  generalmente dà principio la natura  formatrice del tutto, sono involute in  quella prima determinazione, sono conseguenza necessaria di quella prima de-  terminazione, ecc.; ovvero essa mente  non segue sempre la ragione, e allora  essendo essa soggetta a capriccio, dovrà  accadere che non solamente le cose di  minor conto che ella fa, ma anche le  cose principali sieno sragionevoli. Ma  noi non veggiamo mai che nelle cose  principali ella sia sragionevole; dunque  non può essere sragionevole nè anche  in quelle di minor conto; dunque tutte  le cose vanno secondo ragione. Godo di aver potuto deeiferare nel  manuscritto dell’Ornato e quindi trarre  in luce la precedente nota (la cui reda-  zione sarebbe certo migliore se l’ autore  avesse potuto ripulire e pubblicare egli  stesso il suo lavoro); perchè l’inter-  pretazione e illustrazione contenuta in  essa è ingegnosissima, naturalissima e  confermata da tutto quello che conosciamo della fisica degli stoici. La natura universale (n toù óXov (pdcjts), la  potenza facitricc o creatrice è il Dio puro, il quale trae  l’universo dalla sua propria sostanza, è  l’unità assoluta senza distinzioni e diversità di parti, è la natura naturane;  la potenza governatrice, la mente che go-  verna il mondo (TÓrìysixovixóv toù xó^jxou),  generata da quella prima, è all’incontro,  nell’attuale diversità delle cose,' nella  nauìra naturata, nel mondo propriamente  detto e composto di anima e di corpo, è, dico, la provvidenza, l’anima di esso  corpo. Al novero degli interpreti che frantesero questo § è ora da aggiungersi  Pierron. Ed è tanto più  da stupire che il sig. Pierron abbia egli  pure sì mal compreso, in quanto che,  avendo egli già prima tradotto la Me-  tafisica di Aristotele, dovea essere suf-  ficientemente versato nelle dottrine filosofiche delle principali scuole della  Grecia. Quasi tutti i traduttori hanno  franteso questo luogo, pigliando l’iwoia  per intelletto ragione e traducendo quindi: vide ne intellectus hoc feraf.... il senso  letterale, aggiungendo ciò che è sottin-  teso, è: vedi se la nozione (che tu hai di te  stesso come uomo) soffre cotesto, soifre  cioè che tu dica esser nato a goder dei  piaceri. Pierron, seguendo l’ esempio  di tutti i suoi predecessori, pigliò anch’egli Vhvo'.a per intelletto traducendo: vota a' il y a du bon aena à le  prétendre. Colia bontà delle singole azioni  vuotai procacciare di ben comporre la vita.  Il testo e bravissimo. Talvolta  troppo fedele alla lettera e studioso di  conservare tutta la brevità dell’ origi-  nale, avea tradotto: ai vuol comporre  la vita mettendo inaieme le azioni ad una  ad una; poi comporre inaieme la vita  accozzando le azioni ad una ad una;  poi allogando le azioni ad una ad^ una.  Non credo che so avesse potuto ripu-  lire e terminare egli stesso il suo la-  voro, si sarebbe contentato di alcuno  di questi tre modi, che tutti peccano  di oscurità e di ambiguità. A costo dì  essere men breve, io ho creduto di dover  essere piò chiaro non solo in questa  frase, ma in tutto questo paragrafo,  svolgendo un poco il concetto dell’autore siccome io l’intendo. Quasi tutti gli interpreti fran-  tendono. 0.   Nel novero degli interpreti che fran-  tesero questo luogo comprendi ora an-  che Mr. Al. Pierron, che sdgue docil-  mente- jl Gataker e lo Schultz. L’errore  sta nel legare Io i^’oioy ctv xoti up^rìae  col ófUTw che precede; laddove si   riferisce all’azione alla quale l’animale  ragionevole tendea e nella quale è stato  impedito. E ciò pare che abbia poi ca-  pito lo Schultz nella sua seconda edi-  zione del testo greco, avendo egli posto  una virgola dopo il óutù.  (15) Se tu vo/eafi ftema la debita ri-  tterva.., che da lei etesaa; cioè a dire:  se tu volesti assolutamente e non a condizione soltanto che la cosa fosse possibile; questo atto della tua volontà  fu veramente un male, perchè, come è  detto altrove, l’ animai  ragionevole non dee voler nulla che non  sìa in poter suo, ed anche il bene re-  lativo, non dee volerlo se non se con-  dizionalmente, cioè in quanto sia pos-  sibile; rimpossibilità essendo per gli  stoici sinonimo di non voluto dalla na-  tura e dal destino, al quale il savio  non dee ripugnare. Che se poi la cosa  voluta da te fu una di quelle che non  sono pur buone in senso relativo, e  quindi il volerla fu un appetito, pren-  dendo il vocabolo volere nel significato  volgare, cioè un moto del senso, piut-  tosto che della volontà ragionevole; tu  non ricevesti nocumento nè impedimento  veruno: perchè tu non sei «erwo, ma  bensì mento, ragione o volontà razionale, e come tale, in quanto operi secondo  la tua propria natura non puoi essere  impedito da nissuna forza esteriore. Così intendo questo luogo, così certamente è stato inteso dall’ Ornato (assai  diversamente dagli altri interpreti che  io conosco, Gataker, Schultz e Pierron), e questo senso  ho procurato, di esprimere traducendo.  L’Ornato lasciò una breve nota a questo  luogo, ma in essa non fa che avver-  tire le difficoltà del tradurlo, stante la  povertà dell’italiano,comparativameute  al greco, e scusare l’ oscurità e l’ ambiguità della traduzione tentata da lui. Di tutto questo paragrafo fa quattro tentativi diversi di  traduzione, tutti laboriosissimi, come  appare dalle molte cancellature e correzioni. In margine alla quarta od ultima  prova scrisse: Sta qui fermo, perche  farai peggio se cangi. Non fu quindi  senza molto bilanciare che mi risolsi a  fare io, come feci, una quinta prova,  essendomi sembrato che il miglior par-  tito fosse qui di tradurre letteralmente,  e spiegare i sensi del testo nelle note. Ad illustrazione del senso stoico di  tutto il paragrafo ricordiamoci priiniera-  inente che secondo gli stoici: c Dio, con-  siderato dal lato fisico, è la forza motrice  della materia, è la natura generale, e  r anima vivificante del mondo; conside-  rato dal lato morale, è la ragione eterna  che governa e penetra l’universo, è la  provvidenza benefica, è il principio della  legge naturale che comanda il bone e  proibisce il male. » Ricordiamoci ancora  che l’aria, come uno dei due elementi  attivi e parte essa stessa della sostanza  divina, ò dagli stoici considerata come  il principio della vita sensitiva. Dice  adunque Antonino: non contentarti ora-  mai di essere unito con Dio a quel  modo solamente che sono uniti con lui  gli esseri solamente sensitivi, cioè per  mezzo della respirazione; ma fa’ ancora  di unirti con lui a quel modo che si  appartiene agli esseri intellettivi, cioè  con cognizione e accettazione libera  dello scopo che Iddio ha proposto al-  r accettazione libera di quelli. E però, siccome tu traggi dall’aria ambiento  gli elementi della tua vita sensitiva,  traggi ancora dalla ragione ambiente  gli elementi della tua vita intellettiva. L’esistenza delle' cose dissolvendotù (Tràvxa èv [xerai^oX-^. K«ì ocùrCg  cù év ^'.r,v£xet à^.Xoicoasi, \at xaxa ti (JiOo-  p^). Qui mi pare che fosse il caso  di dovere assolutamente abbandonare  la lettera e contentarci di esprimere il  senso del testo, piuttosto che cercar  di tradurne le parole, che non sono tra-  ducibili in italiano. L’Ornato avea detto: tutte le, cose vanno soggette a mutazione.  E tu stesso ti alteri continuamente, e  peì'^isci, per cosi dire. Ma egli non era  contento, come appare dall’usato segno.  E in vero che significa quel tutte le cose  vanno soggette a mutazione f Significa, e  non può significare di più, che tutte le  cose possono essere mutate e lo saranno  effettivamente quando che sia; ma ciò  liou esprime quella condizione delle cose,  per cui non hanno stato, o modo di es-  sere che perduri pure un istante senza  mutamento, che è la vera condizione  delle cose secondo il pensiero di Anto-  nino e voluta esprimere da lui. Chi do-  vesse tradurre questo luogo in tedesco,  lo potrebbe fare, parmi, benissimo dicendo: Alle (Unge aind in unaufhorlichem  anclera-werden; come si dice in werden  non solo dai filosofi, ma anche nel lin-  guaggio famigliare, quando di una cosa  che non è ancora, ma si sta incomin-  ciando 0 si va facendo, si suol dire:  Die Saehc iat noch ini werden. Ma la  nostra lingua non ha tutta la flessibi-  lità del tedesco, uè sarebbe chiaro, uè  permesso il dire in italiano: tutte le coae  sano in un continuo mutarai. È una singolare coutradizione  di Marco nostro e di, altri stoici poate-  riori il venir cosi spesso parlando con  tanto dispregio della materia che aottoatà  alle cose (tt,? ii7:oy.e'.[xi\rng uXin?, — A"edi  anche YI, 13, e altrove). Il mondo è tut-  tavia per essi un animale perfetto e  bellissimo, il cui corpo è la materia, e  l’anima, Dio (vedi i Ricordi passim, e  specialmente X, 1). Le rughe sul volto  del vegliardo, le screpolature delle ulive  e del fico vicini ad infradiciare, la bava  del cignale ed altre sì fatte cose hanno  pure una certa grazia e venustà, perchè il mondo è perfetto, e nulla è  nelle suo parti che non conferisca alla  bellezza del tutto. Perchè dunque ora  tanto dispregio non solo per tale o tale  altra parte, ma universalmente per tutta , la materia che sottosta, quando questa  materia, che non è poi altro per gli  stoici se non se il suhstratum indeter-  minato di tutto il contingente sensibile,  è essa pure sostanza divina secondo la  scuola?  Intendi: « o tu voglia dire che  il mondo sia stato formato di atomi.  ed abbia quindi origine dal caso; o che  sia stato formato di nature (essenze,  entelechie, monadi), ed abbia quindi  per origino l’ intelligenza, o la natura,  che qui è sinonimo di intelligenza; que-  sta cosa pongo io certa anzi tutto, come  tratta dalla mia osservazione immediata,  che io sono attualmente parte di un tutto  governato da una natura. » Con altre  parole: « o tu faccia venire il mondo  dalla pluralità, o tu lo faccia venire  dall’unità, ella è cosa di fatto che io  ci ravviso attualmente una pluralità  governata da una unità. » Il qual me-  todo di filosofare, per cui, lasciata stare  la disputa intorno all’origine delle cose,  si viene ad esaminare la realtà attua-  le di esse; lasciato stare il lontano e  mediato, si viene ad osservare l’ imme-  diato e prossimo; lasciata stare la co-  gnizione dedotta, si viene a far capo  alla cognizione di fatto acquistata per  osservazione; è solenne ad Antonino. Ricordi il lettore che appo  stoici mondo, tutto, natura, Dio sono   V   sostanzialmente la stessa cosa, e però  quelle che poco innanzi furono chiamate  parti del tutto, qui sono dette della  natura. Dìo, natura, mondo, tutto sono  espressioni diverse che corrispondono a  modi diversi di considerare una stessa  cosa, e questa diversità è relativa alla  mente finita dell’uomo che non può si-  multaneamente contemplare gli aspetti  e momenti diversi delle cose, e non alla  realtà obbiettiva. Quindi ò che le espres-  sioni soprascritte sono non di rado usate  runa per l’altra, poiché sostanzialmente  significano la medesima cosa. Il mondo  KÓrfixog), dice il Laerzio, era  dagli stoici considerato: 1® come causa  0 pbtenza informatrice di tutte le cose  che sono {natura nuturans, i; t£-   Xvtxfi, -ij ToO òlo\j q>0ai<é ), la quale, come  artefice e informatrice di sé medesima,  trae da sé stessa e informa tutte le coso con suprema saviezza e divina necessità,  cioè secondo le sue leggi che sono quelle  della ragione; 2" come la totalità delle  cose informate e ordinate dalla potenza  informatrice immanente in esse e go-  vernatrice di esse (dotta allora  xòv Toù xd^fjLou) e quindi come l’opera  vivente, il vivente organismo, o corpo  organato da quella {natura naturata);   finalmente come l’unità dei due, cioè  dell’ organismo vivente e della forza or-  ganatrice e governatrice, in quanto l’uno  non si distingue dall’altra se non se  per la contemplazione della mente finita  deU'uomo. Vedi i Prolog» nell’edizione  di Torino. Fa che tu vi sottoponga col pen^  siero... di che io ragiono. Ho conser-  vato tutte le parole della interpretazione dell’ Ornato, perchè non avrei  saputo quali altre più chiare sostituir  loro; atteso che io non son sicuro di  intendere qui nè che cosa abbia voluto dire r Ornato, nò che cosa Antonino.  L’Ornato volea faro a questo luogo una  nota; ma non la fece, e non trovo altro,,  che si riferisca a questo luogo, ne’suoi  manoscritti, se non se un cenno pel  quale è indicato che egli lesse qui ò, ti  risolutamente^ ove tutti gli altri, che io  conosca, lessero &ti; e che egli intese  r Ù7TÓ0OU diversamente da tutti gli altri  interpreti. Il Gatakcr, e lo Schultz  che lo segue da vicino, non sono più  chiari. Le quali tu apprendi»,, conside-  razione del tutto. Così l’Ornato svolse ed  illustrò il pensiero di Antonino espres-  so brevissimamente e, parmì anche, poco  chiaramente nel tosto. Non ho mutato  quasi nulla alla versione di questo para-  grafo lasciata dall’ Ornato, sia perchè ho  motivo di credere che ne fosse già poco  meno che contento egli stesso, trovando  io questo paragrafo nettamente ricopiato; ^  sia perchè non avrei voluto correr pericolo (li alterarne benché minimamente il  senso, trattandosi di un luogo che egli  intese assai diversamente da tutti gli  altri interpreti. Vuol dire che non bastano le  impressioni buone che noi riceviamo per  mezzo della sensibilità, le quali possono  e sogliono venir cancellate da impres-  sioni contrarie, ma ci vuole anche il la-  voro deir intelletto che riduca quelle ad  unità e le fermi cosi nel nostro spirito,  formandone come un corpo di scienza.  Non basta l’osservazione, l’applicazio-  ne dello spirito alle cose di circostanza,  ma ci vuole ancora la contemplazione,  l’ applicazione dello spirito alle cose  permanenti, al generale immutabile.  Solo col ridurre ad unità il moltiplice,  a generalità il particolare, si possono  radicare le cognizioni nell’ anima, la  quale si compiace dell’unità, e quindi della scienza: compiacenza cui la sem-  plicità del cuore dee far rimanere se-  creta naturalmente nel cuore, ma non  artatamente celata; ed allora è l’ani-  ma veramente grave e soda e come chi  dicesse, veneranda. Sul fine del para-  grafo fa la enumerazione delle diverse  categorie alle quali si dee riferire l’og-  getto osservato. 0.   Questa nota dell’ Ornato che per le  troppe citazioni del testo greco non  può qui darsi che in parte, trovasi in-  tera nell’edizione di Torino. Grecismo, per suole accadere. Non  era possibile il tradurre altrimenti.   Del resto vada a rilento chi per la  sola ragione del non potersi tradurre  sempre colla stessa voce una stessa  parola del testo, accusa Antonino qui  ed altrove di arguzia. Gli stoici crede-  vano che, là dove è una stessa parola,  debbe essere anche una stessa idea. Ed  anche Platone (vedi il Cratilo) il credette; e il credette il Vico: e tanti j  altri il credettero: e noi il crediamo.,  Se quella idea generalissima che l’an- !  tichità avea attaccata al:p:?.eìv non si '  trova più annessa al nostro amare, ciò j  non prova altro se non che il greco e  l’italiano sono due lingue diverse. E  sap evadicelo. Il passo di Platone è nel Teeteto dove parlando dell’ uomo filosofo liberalmente educato, dice, udendo egli lodare e magnificare un  tiranno od un re, gli par di udire lodato  e magnificato un pastore, perchè egli  munga di molto latte; e l’animale cui  pasce e munge il re, gli pare anche più  ritroso e più infido di quello cui pasce  e munge il pastore; nè men rozzo nè  meno ineducato stima egli l’uno che  l’altro, mancando ad amhidue il tempo  per badare a sè, e vivendo il primo fra  le mura della reggia a quello stesso  modo che l’altro nella capanna sul monte. Del resto, il senso generale di tutto  questo paragrafo, non bene inteso, se-  condo me, dagli interpreti, mi pare che  sia: Tu dèi farti capace sempre pih cho  tu puoi vivere da filosofo in questa tua  corte come faresti in. quella tua villa .che agogni. Non incontri tu ad ogni  •passo esempi di quel che dice Platone:  uomini che vivono nei palagi come fa-  rebbe un rozzo pastore in sul monte:  ingolfati cioè quelli e questo nelle cure  materiali del governo dell’armentoV E  sottintende: se per costoro il palagio  non è altrimenti che una capanna, non  può ella con più ragiono essere la reggia per te come un ritiro filosofico? Gran ragione ha qui Antonino  • di raccomandare a sè medesimo anche  ' questo genere di contemplazione, cioè  a dire lo studio dei fenomeni, e delle  maraviglie, come egli dice sapientemente, “dell’organismo corporeo degli animali e deir uomo massimamente: perchè non è  altro studio il quale possa per via più  compendiosa e sicura condurre alla co-  gnizione della infinita sapienza, e provvidenza infinita della causa reggitrice  del mondo. Nè l’uorao può presumere  di conoscere sè medesimo, sé non co-  nosce almeno un poco di queste mara-  viglie, cioè come si formi, cresca, si  conservi, si rinnovi e deperisca il suo  corpo, quale sia la natura e il modo  di operare della causa o principio a  cui dehbonsi riferire questi fenomeni,  quali le relazioni di questa vita orga-  nica del suo corpo con quella del prin-  cipio che in lui sente, vuole, e pensa,  e come possano questo due vite modificarsi fra loro scambievolmente. In vero  chi aspira a conoscere sè medesimo,  per quanto sia dato all’uomo di pur  conoscere sè stesso, e non cura di co-  noscere un po’intimamente anche que-  sta delle due parti di che si compone  Tesser suo, porta gran pericolo di er-  rare nel vano, e di prendere astrazioni  por realtà, il che avvenne appunto agli  stoici, ignorantissimi di anatomia o  quindi più ancora di fisiologia. Perchè  uno appunto degli errori fondamentali  della loro filosofia, quello por cui mu-  tilavano la natura umana escludendo  da essa la sensibilità che riferivano al  corpo come a cosa straniera all’ uomo  propriamente, il quale per essi non era  altro che ragione e volontà; questo er-  rore, dico, è in gran parte da attribuire  alla imperfezione delle loro cognizioni,  ai loro errori circa la costituzione fisica delluomo e le relazioni in che ella  si trova colla sua costituzione morale  e intellettuale; o per dire più vera-  mente, alla loro totale ignoranza dello  leggi che governano i fenomeni dell’or-  ganismo corporeo dell’uomo, delle rela-  zioni intimissime della vita di esso organismo corporeo con quella della mente,  e della natura egualmente spirituale di  ambidue. Questi versi sono di Omero e  sono dei più famosi nell’antichità, dei  più spesso citati e ripetuti, imitati dai  poeti posteriori; o però Antonino non  li scrisse per intero, ma solo quei brani  che sono stampati in corsivo, bastando  quelli a richiamare alla memoria i versi  interi, alle diverse sentenze contenuto  in essi alludendo egli poi nella parte se-  guente del paragrafo. Con questi versi Glauco (dopo aver  detto magnanimo Tidide a che mi chiedi  il mio lignaggio?) incomincia la sua risposta a Diomede, il quale, prima di  accettare il combattimento con lui,  aveagli chiesto qual fosse la sua stirpe.  Io li ho tradotti letteralmente, giovan-  domi in parte della traduzione del Monti,  la. quale, come nota a tutti i lettori,  avrei volentieri dato qui inalterata, se  in essa fosse più fedelmente espresso,  e nell’ ultimo verso non interamente  guasto il senso delle parole di Omero. Il qual verso, voglio dire il 149\ è tradotto da Monti come segue: CosxVuom  • nasce e così muor: il che fa fare un falso  sillogismo a Glauco, il quale secondo  la traduzione del Monti, concludendo,  affermerebbe dell’wo/Ho ciò che dovea  affermare delle schiatte umane, mutando,  come direbbero i loici, nella conclusione  il piccolo termine, che nella premessa  minore- non era uomo ma schiatta o  stirpe, come disse il Monti. E pure- il  verso di Omero ò chiarissimo. Questo  strafalcione il Monti non avrebbe fatto  se, come quasi ignorante del greco, con  tante altre traduzioni avesse saputo •  consultare quella mirabilissima, non  solo per eleganza di stile ma ancora  per fedeltà, precisione e chiarezza, del  Voss, il quale in cinque bellissimi esa-  metri tedeschi traduce letteralmente i  cinque esametri greci. Anche il Pope,  sebbene i suoi lavori sui poemi di Omero,  tutto die pregevolissimi per altri rispet-  ti, non meritino il nome di traduzione,  non fece qui lo sproposito di Monti. Ed altri ancora potrei nominare dei  nostri che con nobilissimo intendimento  si diedero all’ardua impresa di recare  nella nostra lingua chi l’una e chi l’altra  di quelle poche reliquie che ci rimangono della greca poesia (dico poche  rispetto a ciò che fu divorato dal tem-  po); i quali avrebbero meglio inteso e  meglio tradotti moltissimi luoghi se  avessero potuto consultare, se non tutti  gli interpreti, cementatori ed espositori,  almeno i traduttori tedeschi. Ma basterà  che io nomini il più valente, a parer  mio, di tutti, Belletti, al quale, tranne  forse una più intima notizia del greco,  nulla mancava, non valor d’arte, non  felicità d’ ingegno, a poter fare una traduzione perfetta, o prossima alla perfezione, dei tragici greci. E in vero,  leggendo io le traduzioni del Bcllotti e  riscontrandolo diligentemente cogli originali, ebbi in moltissimi luoghi ad am-  mirarne la eccellenza, anzi direi quasi  in tutti quei luoghi dov’egli capì ab-  bastanza intimamente il suo testo e non erano difficoltà insuperabili a qual-  sivoglia traduttore. Ma anche in molti  altri luoghi io ebbi a lamentare che  egli pure non abbia saputo o potuto  giovarsi delle eccellenti traduzioni fatte  da* suoi predecessori alemanni. Nel solo  Agamennone, che anche considerato in  sè stesso e non come parte di una  grande e sublime trilogia, è forse il  più bel monumento della scena antica,  e certamente il più grande di tutti per  sublimità tragica, recondita filosofia,  splendore di immagini e copia di alti  e forti pensieri, quanti errori avrebbe  evitati il Belletti, quante meno scempiaggini avrebbe fatto dire a quella  grande anima e colossale ingegno di  Eschilo, so egli avesse solo potuto pro-  fittare della traduzione e dei Prolego-  meni di Guglielmo Humboldt? Non dirò  del libro di Federico Welcker sulla Tri-  logia di Eschilo^ che forse non era an-  cora pubblicato quando il Bellotti traducea l’ Agamennone. Ed è tanto più da  lamentare che a Bellotti siano mancati questi sussidi, quanto è meno da sperare  che sia presto per sorgere un altro in-  gegno italiano, il quale possa fare quello  che avrebbe potuto il Bellotti.   Ritornando al paragrafo di Antonino  e al luogo citato di Omero, è da notare  come siffatti pensieri intorno al poco o  niun valore della vita considerata in sè,  e di tutte le cose umane e dell’ uomo  stesso, così frequenti nei poeti ebraici;  frequentissimi in questo scritto di An-  tonino e divenuti quasi abituali nei  cristiani dei primi secoli, si trovino  pure non di rado anche nei poeti greci  più antichi, voglio dire in quelli delle  prime e più splendide epoche della greca  letteratura, sebbene i Greci fossero un  popolo di allegra immaginazione. Forse  non dispiacerà al lettore il vederne  qui raccolti alcuni esempi: nell’ Odissea la terra non nutre nulla  di più infermo che Vuomo. Nell’ottava  delle pitie di Pindaro Che  siatn noi dunque o che non siamo f Leggiero veder d* ombra che sogna. Letteralmente la seconda parte. L’uomo è l’ombra di un  sogno. Nel Prometeo di Eschilo  e non vedevi V imbecille natura a  vano sogno eguale onde è impedito il cieco  umano gregge? Nell’Aiace di Sofocle,  perocché veggo  non essere noi, quanti viviamo, altro che  larve ed ombra vana. Nel Filottete del . medesimo Sofocle, Filottete  chiama sè medesimo: ombra di un  fumo. Nella Medea di Euripide -- non ora soltanto incomincio a stimare  tutte le cose umane come un' ombra, E  vuoisi notare come appo i tragici ed  anche appo i) lepidissimo Aristofane la  parola effimeri, cioè quelli che durano  un giorno, è spessissimo usata come  sinonimo di uomini. A queste, o ad altre simili sentenze d’ antichi ed illu-  stri poeti, le quali erano nella me-  moria di tutti gli eruditi del suo tempo,  alludeva evidentemente Antonino con  quelle sue parole: il più breve detto,  anche di quelli che sono i più noti ecc., accennava poi per esempio quelli di  Omero. Questa nota fu scritta in tempo che  io, quasi appona ripatriato dopo trent’an-  ni di assenza, e mandato a stare in  un cantuccio al tutto vacuo di studi e  di lettere (prendendo i vocaboli in un  senso un po’ alto), e ridottomi a passare  nella solitudine i pochi momenti d’ozio  che r esercizio di un pubblico ufficio mi  lasciava, avea potuto, non saprei diro  perchè, immaginarmi che il valentis-  simo sig. Bellotti fosse già del numero  di quei felici che più non vivono altri-  menti sulla terra che per la memoria  di opere egregie che vi lasciarono. Avvertito ora del mio errore, non  cangio nulla a quello che ho scritto di  lui; ma aggiungo V espressione di un voto,  che deve esser quello di tutti gli amatori  delle buone lettere desiderosi di vedere  vie più chiara e più grande la rino-  manza di un nobilissimo ingegno: ed '  è che l’esimio sig. Bellotti, come sta  ora, da quanto mi dissero, rivedendo o  migliorando il suo Yolgarizzamento di  Sofocle, così possa egli poi rivedere ed  emeudare quello ancora di Eschilo, il  quale, a parer mio, ne ha maggiore bi-  sogno; perchè quello, tranne forse al-  cune eccezioni, non pecca gravemente  che nella parte lirica; laddove in questo  trovai, 0 parvemi certamente trovare,  molti luoghi da dover essere emendati  non solo nella parte lirica troppo spesso  non traducibile in italiano (come è in-  traducibile Pindaro, secondo che fu sen-  tenziato anche da G. Leopardi  non ismentito dal tentativo più audace  che felice di Giuseppe Borghi); ma  eziandio nel dialogo. Ella comjyie nondimeno..», si avea  proposto. Mi sono scostato, anche nel  senso, interamente dall’ Ornato, il quale  avea tradotto: ella rende intero e com-  piuto quanto ella avea fatto fino allora;  primieramente perchè il senso voluto  esprimere dall’ Ornato non mi sembrava  abbastanza chiaro; e poi, e principal-  mente perchè mi parve troppo grande  licenza il tradurre per quanto avea fatto  fino allora, il tò irpoTcOiv, il quale mi  sembra qui usato nel senso il più ovvio  del verbo “7rp.oT{6T)|ju”, che è quello di  proporre, e così l’ intende anche lo Schultz contrariamente al’Gataker seguito dall’ Ornato. Veggo bene le ra-  gioni che possono avere gl’indotto a interpretare a quel modo. Ma  non mi persuadono. Il pensiero di An-  tonino mi sembra chiaramente, l’anima razionale, la quale non si propone  altro che di operare sempre secondo  ciò che richiede il momento presente, e di aver caro tutto ciò che le inter-  viene, come cosa voluta dalla natura,  in qualunque istante le* sopravvenga la  morte, compie sempre interamente il  compito che ella si avea proposto, e  in modo soddisfacente a sè stessa; ella  ha tutto ciò che potea desiderare, ha  totalmente esaurita la sua parte come  attrice sulla scena del mondo; e appunto il morire quando la natura lo  vuole, è la conclusione, il compimento  della parte a lei assegnata e da lei liberamente accettata nel gran dramma  della vita universale. Bone avverte qui il Gataker aver già  Socrate usato il medesimo argomento  per indurre Alcibiade a disprezzare la  moltitudine, alla* quale peritavasi di  farsi innanzi a concionare: qual è, diss’egli, di costoro quegli che ti impau-  risce? forse Micillo il ciabattieref Trigaió  il conciatore f Trochilo il ferravecchio?  ora non sono costoro quelli dei quali si  compone V adunanza del popolo? Che se  non temi di favellare a ciascuno di essi  separatamente, che è dò.che ti fa timido  a parlar loro riuniti insieme? Il ragionamento di Socrate era giustissimo ap- >  plicato ad una moltitudine di popolo  riunito, e avrebbe anche potuto ricor-  dare ad Alcibiade l’antico detto di Solone ai:li Ateniesi conservatoci da Plu-  tarco: preni ad uno ad uno »iete tante  volpi; riuniti insieme siete tanti allocchi.  Ma il medesimo ragionamento applicato  allo cose di cui parla Marco nostro non  ò molto concludente. E una melodia,  per es., come qui avverte opportuna-  mente il Pierron, è qualche cosa di più  che una semplice successione di suoni,  e Antonino dimentica di considerare  ciò appunto per cui le note musicali  hanno potenza da commovere T anima  sì intimamente. Avverta il lettore che idea tra-  gica fondamentale ai poeti greci era la  lotta infelice della volontà e liberta  morale dell’ uomo contro l’ inflessibile  necessità; o per dir più veramente,  quella fatale retribuzione di giustizia  che risulta inevitabilmente alla vita  umana dalle leggi necessarie dell’ordine morale. Perchè quella necessità che non era punto upa cosa cieca secondo gli stoici, apjio i quali il /«<o  non era altro che la concatenazione  delle cause secondo le leggi della na-  tura, cioè della ragione e quindi della  giustizia; quella necessità, dico, non  era punto una cosa cieca neppure nella  mente dei poeti: sendo che a Nemesi  figlia appunto di essa necessità e particolarmente incaricata di vendicare i  delitti e rovesciare le troppo grandi e-  immeritate prospérità, a Nemesi^ dico,  e alla Giustizia (5“tx-ri), che erano i due  concetti più puri fra tutte le divinità  immaginate dall’ antico politeismo, il  semplice, ma sublime buon senso dei  Greci riferiva tutto ciò che risguarda  il supremo governo del mondo. L’idea  dunque della giustizia era congiunta  con quella della necessità^ sebbene in  modo diverso, anche nella mento dei  poeti, come in quella degli stoici. Cho  se Antonino non fa qui esplicitamente  alcuna allusione a quella retribuzione  di giustizia, che era l’elemento morale  della tragedia greca, ma solo allude alla inutilità della lotta contro alla necessità, e sembra così impicciolire l’i-  dea nobilissima dell’antica tragedia;  egli è perchè questa inutilità intendeano  gli stoici e i poeti allo stesso modo, e  quasi esprimevano colle medesime pa-  role; laddove intendeano in modo di-  verso quella retribuzione: e non erano  forse i poeti quelli clie la intendeano  in modo men vicino al vero. Benissimo il Gataker ricorda qui  alcuni detti memorabili di Pocione, conservatici da Plutarco, ai quali alludea  probabilmente Antonino in questo luogo.  Già condannato a morte per giudizio  iniquo de’ suoi cittadini, in proposito.  di uno che non ristava dal dirgli vil-  lanie, disse Focione: non sarà alcuno  che faccia costui cessare dal disonorar  «è medesimo? E già vicino a morire,  questa sola ingiunzione fece al figliuolo:  dimenticasse il fatto ingiusto degli Ateniesi. Quanto alle parole che seguono  di Marco nostro: mpposto che non e in-  fingenac, non debbono esser prese come,  espressione di nn sospetto nel caso  particolare di Focione, ma bensì in un  senso generale, quasi dicesse Antonino  con istoica riserva, non bastar sempre  le parole a dar certo fondamento a un  giudizio sulle disposizioni interne del-  l’animo altrui, nè doversi mai fingere,  neppur quando il fingere potesse gio-  vare a bene edificare gli uomini. Da stólto (à|*vu/jiov). Traduce inìquo, seguendo lo Schultz  che tradusse iniquum. Ma non e ben risoluto di aver bene interpretato quello “ayvofxov,” come appare dal  consueto segno. E veramente non parmi  che lo ayvcofjLov possa esser preso in  questo senso, sebbene abbia quello  ingrato, disleale, disamorato. Il senso  più ovvio di questo aggettivo è privo  di senno, stolto, inavveduto, e parmi che  41 1 reo Aurelio questo senso quadri benissimo in questo , luogo, meglio che non faccia quello di  inìquo. Dopo aver detto Antonino essere da pazzoy cioè a dire da stolto, il  volere che ì malvagi non pecchino; aggiunge che lo ammettere in tesi gene-  rale ed assoluta, poiché non si può fare  altrimenti, che essi debbano di neces-  sità peccare, e il volere ad un tempo  che essi facciano una eccezione a favor  tuo, è cosa non solo às. stolto ma anche da tiranno: da stolto perchè l’eccezione, anche di un solo caso non è  possibile ai malvagi;.da tiranno perchè  vuoi esser distinto e che ti si abbia  maggior rispetto che agli altri uomini.  Anche il Gataker intende 1’ àyvwi^ov  così; iPierron segue lo Schultz. Parole di Epitteto malissimo interpretate da Pierron, che riferisce l’àiro OavTi al padre,  quando deve essere riferito al figliuolo,  corno fece l’Ornato, seguendo Gataker e Schultz. La medesima sentenza  si trova anche nel Manuale del mede-  simo Epitteto con parole poco diverse, e fu benissimo tradotta dal Leopardi. Se tu hacer<fi per avventura un tuo Jigliolino o la moglie, dirai teco stesso:  io bacio un mortale. Manuale, Tutto è opinione. Il lettore com-  prenderà facilmente come il senso stoico  di questa frase, tante volte ripetuta  da Marco nostro, è al tutto alieno da  quello della famosa sentenza del sofista  Protagora: V uomo è misura di tutte le  cose. La sentenza del sofista si riferiva  ad ogni cosa, alla verità obbiettiva, alla  moralità come alla sensibilità, e tendea  quindi a distruggere la possibilità' di  ogni cognizione teorica, la morale come  la religione. La sentenza di Antonino al  contrario, il quale, per un errore direi  quasi magnanimo, riduceva, seguendo gli  stoici anteriori, tutta l’essenza dell’ uo-  mo alla ragione e alla volontà ragionevele, non si riforisce ad altro che alla  sensibilità, cioè ai piaceri e ai dolori  di cui essa sensibilità è soggetto. Intendi raziocinio nel senso proprio dei loici, cioè facoltà del sillogizzare, operazione propria dell’intelletto;  e nota qui il carattere esclusivo del  Portico, il quale considerava e stimava  un nulla, non che la sensibilità ma l’in-  telletto stesso, a paragone dei buon  uso della volontà, cioè della moralità  della ragione. Traducendo ho usato il vo-  cabolo raziocinio piuttosto che intelletto,  perchè in italiano il senso della parola  intelletto può essere troppo facilmente  confuso con quello di ragione, la differenza fra i due non essendo così ben determinata nella nostra lingua, come è fra i  due corrispondenti tedeschi Verstandnis e  Vernunft. Ornato. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ornato” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701273778/in/photolist-2mLLwjC-CkaHMd-2mLExs3

 

 

Oro -- Grice e Trissino – la difficolta dei segni di Trissino non favori la diffusione di sua filosofia – filosofia italiana  (Vicenza). TRISSINO-DAL-VELLO-D’ORO -- or ORO (Vicenza).  Filosofo. Ritratto di Vincenzo Catena. Persona di spicco della cultura rinascimentale, notissimo al tempo, il Trissino incarnò perfettamente il modello dell'intellettuale universale di tradizione umanistica. Si interessò, infatti, di linguistica e di grammatica, di architettura e di filosofia, di musica e di teatro, di filologia e di traduzioni, di poesia e di metrica, di numismatica, di poliorcetica, e di molte altre discipline. Nota era, anche presso i contemporanei, la sua erudizione sterminata, specie per quel che riguarda la cultura e la lingua greche, sull'esempio delle quali voleva rimodellare la poesia italiana.  Fu anche un grande diplomatico e oratore politico in contatto con tutti i grandi intellettuali della sua epoca quali Niccolò Machiavelli, Luigi Alamanni, Giovanni di Bernardo Rucellai, Ludovico Ariosto, Pietro Bembo, Giambattista Giraldi Cinzio, Demetrio Calcondila, Niccolò Leoniceno, Pietro Aretino, il condottiero Cesare Trivulzio, Leone X, Clemente VII, Paolo III, e l'imperatore Carlo V d'Asburgo. Fu ambasciatore per conto del papato, della Repubblica di Venezia e degli Asburgo, di cui fu un fedelissimo, come tutta la sua famiglia da generazioni. Scoprì e protesse l'architetto Andrea Palladio, appena adolescente, nella sua villa di Cricoli, vicino Vicenza, che venne da lui portato nei suoi viaggi e fu da lui iniziato al culto della bellezza greca e delle opere di Marco Vitruvio Pollione.Giovanni Giorgio Trissino nacque a Vicenza l'8 luglio 1478 da antica e nobile famiglia. Suo nonno Giangiorgio combatté nella prima metà Professoreil condottiero Niccolò Piccinino, che al servizio dei Visconti di Milano invase alcuni territori vicentini, e riconquistò la valle di Trissino, feudo avito. Suo padre Gaspare era anch'esso uomo d'armi e colonnello al servizio della Repubblica di Venezia e sposò Cecilia Bevilacqua, di nobile famiglia veronese. Ebbe un fratello, Girolamo, scomparso prematuramente, e tre sorelle: Antonia, Maddalena, andata in sposa al padovano Antonio degli Obizzi, ed Elisabetta, poi suor Febronia in San Pietro nel 1495 e dal 1518 rifondatrice insieme a Domicilla Thiene di San Silvestro.   Targa marmorea che Trissino fece realizzare a ricordo del suo maestro Demetrio Calcondila in S.Maria della Passione a Milano Trissino studiò greco a Milano sotto la guida del dotto bizantino Demetrio Calcondila, sodale di Marsilio Ficino, e poi filosofia a Ferrara sotto Niccolò Leoniceno. Da questi maestri imparò l'amore per i classici e la lingua greca, che tanta parte ebbero nel suo stile di vita. Alla morte di Calcondila, fece murare una targa nella chiesa di S.Maria della Passione a Milano, dove fu sepolto il suo maestro. Il 19 novembre 1494 sposò Giovanna, figlia del giudice Francesco Trissino, lontana cugina, da cui ebbe cinque figli: Cecilia, Gaspare,  Francesco, Vincenzo e Giulio.  Trissino sostene l'Impero come istituzione, come d'altronde era tradizione nella sua famiglia da generazioni, ma ciò venne interpretato in spirito antiveneziano e, per questo, egli fu temporaneamente esiliato dalla Serenissima. Nel 1515, durante uno dei suoi viaggi in Germania, l'Imperatore Massimiliano I d'Asburgo lo autorizzò all'aggiunta del predicato "dal Vello d'Oro" al proprio cognome e alla relativa modifica dello stemma gentilizio (aurei velleris insigna quae gestare possis et valeas), che nella parte destra riporta su fondo azzurro un albero al naturale con fusto biforcato sul quale è posto un vello in oro, il tronco accollato da un serpente d'argento e con un nastro d'argento tra le foglie, caricato del motto "PAN TO ZHTOYMENON AΛΩTON" in lettere maiuscole greche nere, preso dai versi 110 e 111 dell'Edipo re di Sofocle che significa "Chi cerca trova", privilegi trasmissibili ai propri discendenti.   Stemma di Giangiorgio Trissino dal Vello d'Oro come appare nel volume dedicatogli da P.F. Castelli. In quegli stessi anni intraprese diversi viaggi tra Venezia, Bologna, Mantova, Milano (dove conobbe Cesare Trivulzio, comandante francese) e Padova (dove riscoprì il De vulgari eloquentia di Dante Alighieri). Poi si recò a Firenze ed entrò nel circolo degli Orti Oricellari (i giardini di Palazzo Rucellai) in cui si riunivano, in un clima di marca neoplatonica e di classicismo erudito, Niccolò Machiavelli e i poeti Luigi Alamanni, Giovanni di Bernardo Rucellai ed altri. Qui il Trissino discusse il De vulgari eloquentia e compose la tragedia Sofonisba. Questi anni agli Orti Oricellari furono centrali, sia per quanto il poeta ricevette intellettualmente, sia per la forte impronta che lasciò sui suoi sodali: si vedano le tragedie di Giovanni di Bernardo Rucellai e il poemetto le Api (in endecasillabi sciolti, concluso dalle lodi del Trissino, cfr. il paragrafo sul Profilo religioso del Trissino) o le poesie pindariche di Luigi Alamanni, o ancora i punti di contatto fra le tante digressioni erudite sull'arte militare contenute nell'Italia liberata dai Goti che rimandano all'Arte della guerra del Machiavelli, elaborata proprio in quegli anni. Anzi, le idee linguistiche del poeta spronarono lo stesso Machiavelli a scrivere anche lui un Dialogo sulla lingua, nel quale difende l'uso del fiorentino moderno (cfr. il paragrafo Opere linguistiche).  In seguito si recò a Roma, dove stampò nel 1524 la Sofonisba (dedicandola papa Leone X), la prima tragedia regolare, e la famosa Epistola de le lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana (dedicata a Clemente VII), un arditissimo libello in cui si suggeriva l'inserimento nell'alfabeto latino di alcune lettere greche per segnalare alcune differenze di lettura (vedi sotto). Intanto il figlio Giulio, di salute cagionevole, venne avviato dal padre alla carriera ecclesiastica e, dopo il suo soggiorno a Roma sempre presso papa a Clemente VII, divenne arciprete della cattedrale di Vicenza.  Sempre a Roma, nel 1529 Trissino diede alle stampe alcuni testi fondamentali: la versione riveduta della Epistola, la traduzione del De vulgari eloquentia, Il castellano (dialogo sulla lingua, dedicato a Cesare Trivulzio ed ispirato a quello dantesco), le Rime (dedicate al cardinale Niccolò Ridolfi) e le prime quattro parti della Poetica (il primo trattato ispirato alla Poetica di Aristotele, da poco riscoperta), con le quali il programma di riforma letteraria classicheggiante avviato con la Sofonisba può dirsi quasi concluso. Per i prossimi 20 anni il poeta non stamperà più nulla.  Queste opere sollevarono un grande clamore per la loro arditezza e disorientarono (o meglio: orientarono diversamente) la nascente letteratura italiana: nessuno aveva osato finora riformare addirittura l'alfabeto, né aveva avuto ardire di cancellare l'intero sistema dei generi in uso fin dal Medioevo (le sacre rappresentazioni e il poema cavalleresco, in primis) per farne sorgere dal nulla dei nuovi, cioè poi quelli antichi (la tragedia, la commedia e il poema epico). Da questi libelli prese avvio la secolare questione della lingua italiana. A Bologna, nel corso dell'incoronazione di Carlo V a Re d'Italia e Sacro Romano Imperatore, egli ebbe il privilegio di reggere il manto pontificale a Clemente VII e Carlo lo nominò conte palatino e cavaliere dell'Ordine Equestre della Milizia Aurata.  Secondo quanto riportato dallo storico Castellini, Trissino rifiutò posizioni di potere offertegli dai pontefici a seguito dei successi riportati come diplomatico (Nunzio e Legato), ad esempio l'arcivescovado di Napoli, il vescovado di Ferrara o la porpora cardinalizia, in quanto desideroso di una propria discendenza ed essendo il figlio Giulio avviato nella gerarchia ecclesiastica. Rientrato a Vicenza sposa Bianca, figlia del giudice Nicolò Trissino e di Caterina Verlati, già vedova di Alvise di Bartolomeo Trissino. Da Bianca ebbe due figli: Ciro e Cecilia. Alla nomina di Ciro come erede universale, si scatenarono le ire di Giulio che per lungo tempo lottò in tribunale contro il padre e il fratellastro per poi morire in odore di eresia calvinista. Anche a seguito delle divergenze causate dai cattivi rapporti con Giulio, la coppia si divise quando Bianca si trasferì a Venezia, dove morì il 21 settembre 1540.  Trissino manifestò il proprio fervente sostegno all'Impero dedicando, qualche anno prima della morte, a Carlo V il suo poema in 27 canti L'Italia liberata dai Goti, il primo poema regolare destinato, come si vede fin dal titolo, ad essere importante per la Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Nel 1548 stampò anche la commedia I Simillimi, anch'essa la prima commedia regolare.  Villa Trissino di Cricoli (VI) Intanto nella villa di Cricoli alle porte di Vicenza, già dei Valmarana e dei Badoer e acquistata dal padre Gaspare, si radunava una delle più prestigiose Accademie vicentine. Qui Trissino scoprì uno dei più grandi talenti della storia dell'architettura, Andrea Palladio, di cui fu mentore e mecenate, che portò nei suoi viaggi con sé ed educò alla cultura greca e alle regole architettoniche di Marco Vitruvio Pollione.  Morì a Roma l'8 dicembre 1550 e fu sepolto nella Chiesa di Sant'Agata alla Suburra. Vennero alla luce le ultime due parti della sua Poetica, la quinta e la sesta (dedicate ad Antonio Perenoto, vescovo di Arras), che erano comunque già pronte, come si evince dalla chiusura della quarta parte. Progetta e attua una imponente riforma della lingua e della poesia italiane sui modelli classici, cioè la Poetica di Aristotele da poco riscoperta, i poemi di Omero, e le teorie linguistiche esposte di Alighieri nel “Della volgare eloquenza” riscoperto da lui stesso a Padova. Un programma in piena antitesi sia con la moda del petrarchismo di P. Bembo, sia con quella del romanzo cavalleresco incarnato supremamente dall' “Orlando furioso” di L. Ariosto, che allora infuriavano.  Il programma di riforma venne esposto attraverso saggi diversi, cioè un saggio di orto-grafia e di orto-fonetica (Epistola dele lettere nuovamente aggiunte ne la lingua italiana, dedicata a Clemente VII), un saggio di teoria della lingua italiana (Il castellano, dedicato a C. Trivulzio), due saggi di grammatica (“Dubbii grammaticali” e la “Grammatichetta”) e un manuale di teoria dei generi letterari (“Poetica”). Tali proposte (specie quella di modificare l'alfabeto inserendovi alcune lettere greche così da rendere visibili le differenti pronunce di alcune vocali e di alcune consonanti) e la riscoperta del “Della volgare eloquenza” di Aligheri) sono clamorosi e fa esplodere in Italia la secolare questione della lingua, idealmente chiusa da “I promessi sposi” di Manzoni.  Questa intensa speculazione teorica ha il suo sbocco fattuale in quattro saggi poetici, tutte molto importanti: la Sofonisba (dedicata a Leone X), la prima tragedia regolare della letteratura moderna (regolare si definisce un'opera costruita secondo le norme derivate dai testi classici, essenzialmente la Poetica di Aristotele e l'Ars poetica di Orazio), L'Italia liberata dai Goti (dedicata a Carlo V), il primo poema epico regolare, e I simillimi (dedicata al G. Farnese), la prima commedia regolare. Si aggiunga un volume di poesie d'amore e di encomio (Rime, dedicato a N. Ridolfi) di gusto anti-petrarchista e ispirato ai poeti siciliani, agli Stilnovisti, ad Aligheri e alla tradizione del Quattrocento, tutte cassate dal Bembo. Anche queste opere sollevarono un grande dibattito, ma saranno destinate ad avere un ruolo centrale nello sviluppo degl’umanita italiana ed europea, se si considera l'importanza che la tragedia e l'epica, ad esempio, hanno in tutta Europa. A lui si deve anche l'invenzione dell'endecasillabo sciolto (cioè senza rima) ad imitazione dell'esametro classico, anche questa un'invenzione destinata a fama europea. La sua produzione comprende diversi generi: innanzitutto un Architettura, incompleto, ricerche sulla numismatica, traduzioni, ed orazioni varie. Se ci si concentra solo sugli studi di teoria del linguaggio, si ha a che fare con pochi testi, ma tutti rilevantissimi, attraverso i quali struttura un coerente programma di riforma del linguaggio sui modelli classici e sul linguaggio d’Alighieri ispirato alla Poetica di Aristotele, ad Omero e al “Della volgare eloquenza”, un sistema da opporre sia alle Prose della volgar lingua del Bembo di qualche anno prima, che aveva dato come modelli solo Petrarca e Boccaccio (riducendo, quindi, i generi letterari solo alla lirica e alla novella), sia all'”Orlando furioso” di L. Ariosto, che è un romanzo cavalleresco e non un poema epico. Attraverso il proprio programma iverrà a creare una tradizione di gusto classico del tutto nuova che nei secoli a venire si affiancherà al bembismo sebbene agli inizi gli fu avversario. Il suo sistema iinfatti, vuole sopperire ai vuoti lasciati dal petrarchismo bembesco e proseguire lo sperimentalismo della tradizione antica e quattrocentesca (la cosiddetta docta varietas). Né egli e l'unico convinto di queste idee, come si dice ancora oltre, ma era affiancato da S. Speroni, B. Tasso (padre di Torquato), A. Brocardo, P. Tolomei, A. Colocci, M. Equicola e altri ancora.  Volendo sintetizzare, le sue opere si raccolgono intorno a tre date:  Dà alle stampe a Roma la tragedia “Sofonisba” (composta prima agli Orti Oricellari) e l'Epistola sulle lettere da aggiungere all'alfabeto. Tutte le sue opere stampate in vita sono scritte secondo l'alfabeto da lui congegnato e non con l'alfabeto usuale. Vengono date alle stampe sei opera: “Della volgare eloquenza”, le prime IV parti della Poetica, il dialogo “Il castellano, le Rime, i Dubbi grammaticali e la Grammatichetta.  Dà alla luce il poema L'Italia liberata dai Goti, e la commedia I simillini. Passeremo in rassegna le principali opere poetiche, tranne gli Scritti linguistici, che hanno un paragrafo apposito. La Sofonisba è in assoluto la prima tragedia regolare della letteratura europea, destinata a vasta fortuna specie in Francia. Secondo il modello antico, Trissino compone una tragedia in endecasillabi sciolti, che imitano i trimetri giambici (il verso a questa data fa la sua prima apparizione), divisa in quadri da cori rimati: alcuni cori sono canzoni petrarchesche mentre altri, invece, canzoni pindariche (che fanno anch'esse qui la loro prima apparizione e si ritroveranno nella poesia di Luigi Alamanni e poi ancora di Gabriello Chiabrera). L'argomento (con sensibile differenza dai classici antichi) è storico (preso da Tito Livio), non fantastico, mitico o biblico. L'azione, come poi sarà canonico nel teatro regolare, si svolge nello stesso posto (unità di luogo) e nello stesso giorno (unità di tempo) e prevede in scena un numero limitato di persone. Venne recitata durante il carnevale di Vicenza, messa in scena dall'amico e allievo Andrea Palladio. La proposta piacque, tutto sommato, e riscosse successo: l'endecasillabo sciolto, metro nuovo, fu approvato anche dal Bembo (come ricorda Giraldi Cinzio) e divenne da allora in poi il metro quasi canonico del teatro italiano, specie tragico (vedi sotto). Anche nelle Rime si mostra uno sperimentatore e il Petrarca, modello obbligatorio a prescindere dal Bembo, si fonde con immagini derivanti da altre epoche e da altri autori, in special modo la poesia occitana, quella siciliana, gli stilnovisti e Dante, i poeti quattrocenteschi. Nel sistema del Trissino è possibile usare ancora metri come, ad esempio, i sirventesi e le ballate (cassati dal Bembo) o anche introdurre particolari nuovi come gli occhi neri di guaiaco della donna amata, immagine inventata dal poeta su un referente quotidiano della cultura cinquecentesca e non in linea con le immagini tipiche del Petrarca (occhi di stelle e simili).  Il Castellano è un dialogo sulla lingua dedicato a Cesare Trivulzio, comandante francese a Milano. Si ambienta a Castel Sant'Angelo e ha per protagonisti Giovanni di Bernardo Rucellai (il castellano, appunto) e Filippo Strozzi, amici degli Orti Oricellari. Il Trissino espone per bocca del Rucellai il suo ideale linguistico, preso dal De vulgari eloquentia, cioè quello di un volgare illustre o cortigiano, mobile ed aperto, fondato in parte sull'uso moderno e concreto della lingua, e in parte sugli autori della tradizione letteraria. Questi autori sono soprattutto Dante e Omero poiché dotati di enargia, cioè della capacità di rendere visibili a parole ciò di cui stanno narrando. Le idee linguistiche del Trissino sollevarono grande clamore (fondate com'erano su un testo la cui paternità dantesca non era ancora assicurata) e fecero scoppiare il secolare 'dibattito sulla lingua italiana' concluso, come detto, almeno idealmente, dal Manzoni tre secoli dopo. Fra i molti che parteciparono al dibattito si ricordi il fiorentino Niccolò Machiavelli al quale il Trissino aveva letto il De vulgari eloquentia sempre agli Orti Oricellari, il Bembo, ovviamente, Sperone Speroni, Baldassarre Castiglione.  Poetica Le teorie che soggiacciono a questo vasto programma vengono esposte nella Poetica (1529), libro fondamentale non solo per il Trissino, essendo in assoluto il primo libro di poetica in Europa ad essere modellato sulla Poetica di Aristotele, destinato a fama secolare in tutto il continente. Né banale né senza rischi era, come potrebbe apparire, l'idea di resuscitare dei generi letterari di fatto morti da millenni e lontani per gusto e ispirazione dalla società rinascimentale.  Sul piano linguistico immagina una lingua di ispirazione dantesca e omerica, cortigiana e illustre, che contempli l'innovazione e la tradizione, che sia aperta a una collaborazione ideale fra varie regioni italiane e non sul predominio esclusivo del toscano trecentesco, che ottemperi anche l'inserimento di neologismi e di dialettismi.  Nella poesia lirica si appoggia, sempre dietro Dante, alla tradizione occitana, siciliana, stilnovista e dantesca e anche petrarchesca. Nella metrica saccheggia ampiamente il trecentesco Antonio da Tempo che ancora contempla ballate e sirventesi, generi cassati dal Bembo, come detto, e si mostra vicino allo sperimentalismo della poesia quattrocentesca. Discorre, inoltre, della possibilità di utilizzare in italiano metri di stile greco e latino, come fatto da lui nei cori della Sofonisba, proposta che avrà grande successo nei secoli a venire, specie nella poesia per musica e nel melodramma.  Discorre poi della tragedia, della commedia, dell'ecloga teocritea e del poema omerico, i generi resuscitati dal mondo classico. A ogni genere vengono date ovviamente le proprie regole tratte da Aristotele, cioè le unità di tempo e di luogo, per la tragedia e la commedia, e le unità narrative, per il poema epico. Vengono quindi stabilite le nette differenze fra il romanzo cavalleresco e il poema epico. Mentre il romanzo cavalleresco narra una vicenda fantastica costituita dall'intreccio di molte storie diverse (alcune delle quali destinate a non chiudersi nel poema poiché non necessarie alla conclusione generale della vicenda), nel poema epico, invece, la vicenda dovrà essere di matrice storica e dovrà essere unitaria e conclusa: essa cioè dovrà venire raccontata dall'inizio alla fine, e i pochi protagonisti dovranno ruotare tutti attorno ad essa, tutti per un solo scopo, e le loro vicende dovranno venire concluse entro l'arco del poema, non lasciando nulla in sospeso. Il genere epico, inoltre, secondo una caratteristica che gli diventerà propria, viene dal Trissino investito di un alto valore morale e politico, profondamente pedagogico, ignoto al romanzo, che lo trasformano in un percorso di formazione morale e culturale.  Per questi tre generi nuovi, il poeta propone l'endecasillabo sciolto, corrispettivo moderno dell'esametro e del trimetro giambico classici (vedi paragrafi sottostanti).  Sul piano dello stile e dei registri il poeta rimanda alle teorie dei greci Demetrio Falereo e di Dionigi di Alicarnasso, che ponevano come vertice dello stile poetico l'energia, cioè la capacità di rappresentare visivamente con le parole le cose di cui s sta narrando, prerogativa, per il Trissino, dello stile di Omero e Dante. Sempre dietro Demetrio e Dionigi, divide la lingua italiana in quattro registri stilistici e non tre, come voluto dalla tradizione medievale e bembesca (la cosiddetta rota Vergilii, secondo la quale esistono 3 registri stilistici soltanto: quello basso, esemplificato dalle Bucoliche, quello medio dalle Georgiche, e quello alto o tragico dell'Eneide). Questo veniva a reimpostare daccapo i rapporti ormai consolidati fra genere letterario e registro stilistico, e fu una novità che avrebbe causato non poco l'insuccesso di un poeta il cui punto debole fu proprio lo stile. Tornò in scena con L'Italia liberata da' Gotthi, un vastissimo poema di endecasillabi sciolti in 27 canti, stampato nel 1547 (primi 9 canti) e nel 1548 (restanti 18), ma iniziato intorno ai primi del secolo, nell'età di Papa Leone X. Esso è di fatto il primo poema epico moderno e sarà destinato, come la Sofonisba, a inaugurare un genere del tutto nuovo, in dichiarata antitesi alla tradizione medievale del romanzo cavalleresco che in quegli anni stava sfondando con Ludovico Ariosto.  L'idea che soggiace alla composizione dell'opera è illustrata nella famosa Dedica a Carlo V che precede il poema, dove il Trissino dichiara di essersi ispirato ovviamente ad Aristotele e all'Iliade di Omero. Con la guida di Omero e di Demetrio Falereo (e non di Dante, si noti), inoltre, reclama l'uso di un volgare illustre che contempli l'inserimento di voci dialettali, arcaiche o anche latine e greche, come infatti nel poema avviene. Come detto più volte, inoltre, lo scopo del poema è 'ammaestrare l'imperatore', non solo attraverso dei modelli cavallereschi, ma anche attraverso conoscenze tecniche di architettura, arte militare e via di seguito.  Il poema è ligio, insomma, a quanto stabilito nella Poetica: la trama è tratta da un accadimento storico cioè la guerra gotica tra l'imperatore bizantino Giustiniano I e gli Ostrogoti che occuparono l'Italia (per la quale il poeta segue lo storico bizantino Procopio di Cesarea), che viene raccontata dall'inizio alla fine, e i (relativamente) pochi protagonisti ruotano attorno ad essa. I personaggi, a loro volta, saranno specchio di altrettanti vizi e virtù da correggere, in questa crociata che sarebbe anche un percorso di formazione bellica e morale del suo lettore ideale, cioè Carlo V stesso. Il poema, atteso da vent'anni dai dotti italiani, fu uno dei più clamorosi fiaschi della storia letteraria italiana, come noto, anche se ebbe un impatto profondissimo. Critiche violente vennero da Giambattista Giraldi Cinzio (che ne parla nei suoi Romanzi) e da Francesco Bolognetti, ma non solo. I quali derisero il poema per la sua imitazione pedissequa dei valori dell'eroismo classico (grandezza e generosità d'animo, nobiltà e gloria), per l'attenzione estrema alla corretta applicazione delle regole aristoteliche, più che alla fluidità della narrazione o al dare un rilievo psicologico ai personaggi, assolutamente frontali. Inoltre, la ripresa parola per parola del modello omerico (ma in generale di tutte le moltissime fonti tradotte dal poeta) fu ritenuta noiosa, e la solennità dell'argomento venne a scontrarsi con la prosaicità dello stile trissiniano, del metro senza rima costruito in maniera formulare (come quello di Omero ovviamente) che rende il dettato fiacco e stereotipato. I lunghi intervalli eruditi, inoltre, in cui il poeta si dilunga nelle descrizioni degli accampamenti, dei monumenti della Roma medievale, di città, architetture, armature, eserciti, giardini, mappe geografiche dell'Italia, precetti morali, massime e apologhi eruditi e via di seguito, soffocano la narrazione epica (nella prima edizione il poema è addirittura corredato da tre cartine geografiche) e rendono il poema di difficile lettura.  Ciò non toglie, tuttavia, che l'Italia liberata abbia un posto di rilievo nella letteratura: la visione di un mondo superiore di eroi solenni e composti nella dignità del loro ideale e della loro missione, tipicamente aristocratici, anticipava le preoccupazioni morali della Controriforma.  Sarà proprio alla fine del secolo, infatti, che il poema trissiniano avrà la sua fortuna, col Tasso ma non solo.  “I simillimi” w l'ultima opera stampata dal poeta e i modelli sono indicati da lui stesso nella dedica a Farnese: Aristofane e la Commedia antica -- Menandro è stato riscoperto solo nel Novecento) -- sul modello della quale il Trissino ha fornito la favola dei cori (con l'appoggio anche dell'Arte poetica di Orazio) ma non del prologo. Dichiarata è anche l'ascendenza da Plauto (essenzialmente i Menecmi). Il testo è costruito in versi sciolti, ovviamente, mentre i cori sono costituiti anche da settenari e sono rimati.Le opere linguistiche  Frontespizio del Castellano di Giangiorgio Trissino, stampato con lettere aggiunte all'alfabeto italiano da quello Greco. I suoi saggi di filosofia del linguaggio sono essenzialmente quattro: l'Epistola, Castellano, Dubbi, Grammatichetta, oltre, ovviamente la Poetica. Accese discussioni suscita il suo esordio letterario, cioè la proposta di ri-formare l'alfabeto classico italiano, di radice latina – Lazio -- contenute nell' “Ɛpistola del Trissinω” delle lettere nuωvamente aggiunte nella lingua italiana”, dove suggerisce l'adozione di grafia dell’abecedario di vocali e consonanti della fonologia greca al fine di “dis-ambiguare” un segno diversi resi allora, e ancor oggi, con il medesimo segno grafico: e e o aperte (“ε” ed “ω”) e chiuse, z sorda e “z” sonora (“ζ”) – “Speranζa” -- nonché la distinzione dell’“i” e dell’ “u” con valore di vocale (i, u), o di consonante (j, v).  Ri-propone questa idea, sebbene ricorrendo a segni diverse, anche l'accademico della Crusca (cruschense) Salvini, sempre senza successo. Accolta fu nei secoli a venire, invece, la sua proposta di utilizzare la “z” al posto della “t” nelle vocaboli latini che finiscono in “-tione” (implicatione > “implicazione” -- oratione > orazione) e di distinguere sistematicamente il segno “u” dal signo “v” (uita > “vita”)  I punti principali dell'abecedario riformato sono i seguenti: carattere fonema Distinto da Pronuncia “Ɛ”, “ε”; E aperta [ɛ] E e E chiusa [e] “Ω” “ω” O aperta [ɔ] O o O chiusa [o] V v V con valore di consonante [v] U u U con valore di vocale [u] J j con valore di consonante J [j] I iI con valore di vocale [i] “Ӡ” “SPERANӠA” “ç” – Sperança -- Z sonora [dz] Z z Z sorda [ts]. Tali idee vengono confermate. Nel Castellano, propone il modello di una lingua cortigiana-italiana formata dagli elementi comuni a tutte le parlate dei letterati della penisola, non solo nel lessico ma anche al livello della fonetica (visibile ormai grazie al suo abecedario ri-formato). La sua teoria si appoggia ad Omero e soprattutto alla sua traduzione del “De vulgari eloquentia”, e vede amplificata nella “Poetica”, in riferimento a tutti i generi letterari, ed e illustrata materialmente nella sua Grammatichetta messa a disposizione da Trissino stesso e i Dubbi grammaticali. Alla sua tesi si dimostrano particolarmente ostili i toscani, ovviamente, visto che Aligheri stesso asserisce nel trattato che il toscano non è il volgare illustre. Tra di essi spicca il Machiavelli, come accennato, che compose un “Dialogo sulla lingua” nel quale reclama la specificità del fiorentino in opposizione a Bembo e anche a Trissino, che nella grammatica di base parte sempre dalla lingua letteraria, anche perché l'unica in grado di assicurare a livelli profondi una similarità fra i vari parlari italiani. Un esempio: se nel toscano di Poliziano è normale usare “lui” in funzione di soggetto, Bembo invece rispolvera “egli” e lo stesso fa Trissino. Machiavelli, invece, difende l'uso di “lui”, normale a Firenze. La riforma trissiniana dei segni dell’abecedario italiano, applicata sistematicamente da lui in tutti i suoi saggi (anche negli appunti!), è un prezioso documento delle differenze di pronuncia tra il tosco toscano e la lingua cortigiana, fra la lingua letteraria e la corretta pronounia Nordica (e vicentino) perché applica i propri criteri nel pubblicare i suoi saggi o nell'interpretare alcuni segni del toscano. La conseguente maggior difficoltà non favoresce la diffusione della sua filosofia e porta diverse critiche da parte dei filosofi suoi contemporanei. Sebbene sia noto come esegeta aristotelico, il Trissino si era formato, invece, sul finire del Quattrocento e nei primi del Cinquecento nelle capitali culturali italiane sature di cultura neoplatonica e mistica: non ci riferiamo solo agli anni a Milano presso il Calcondila (amico di Marsilio Ficino) o a Ferrara presso il Leoniceno, ma soprattutto a quelli trascorsi agli Orti Oricellari fiorentini e nella Roma di Leone X, figlio di Lorenzo de' Medici. Importanti sono i due ritratti che ci vengono lasciati da due contemporanei. Il primo è il quello di Giovanni di B.  Rucellai, che nel poemetto in versi sciolti Le api, dopo aver discusso dell’armonia cosmica e della dottrina ermetico-platonica dell’Anima Mundi, specifica ai vv. 698-704: «Questo sì bello e sì alto pensiero / tu primamente rivocasti in luce / come in cospetto degli umani ingegni Trissino, con tua chiara e viva voce, tu primo i gran supplicii d’Acheronte ponesti sotto i ben fondati piedi / scacciando la ignoranza dei mortali». Insomma il Trissino viene riconosciuto come un interprete del pensiero platonico e, si direbbe, democriteo. Il secondo, invece, riguarda le esposizioni rilasciate al'Inquisizione, dopo la morte del poeta, da parte del Checcozzi, il quale dichiara che il Trissino «faceva discendere le anime umane dalle stelle ne’ corpi e diede a divedere come i passaggi di quelle di pianeta in pianeta fossero stimate altrettante morti e dicesse essere pene infernali non le retribuzioni della vita futura ma le passioni e i vizi» (in B. Morsolin, Giangiorgio Trissino. Monografia di un gentiluomo letterato del secolo XVI, Firenze, Le Monnier). A questo si aggiungano ancora la ripetuta ammissione di credere nella salvezza per sola Grazia (Morsolin, confermata nell'Epistola a Marcantonio da Mula), cioè di essere a rigore un luterano, e la lunga requisitoria contro il clero corrotto contenuta contenuta nell'Italia liberata, requisitoria che però, come rilevato da Maurizio Vitale (in L'omerida italico: Gian Giorgio Trissino. Appunti sulla lingua dell'«Italia liberata da' Gotthi», Istituto Veneto di Scienze ed Arti, ), non figura in tutte le stampe del poema ma solo in quelle indirizzate forse in Germania.  Anche quindi, auspicava un riordino interno della Chiesa e una sua restaurazione morale, in linea con il generale movimento di riforma che scoppio' nel Rinascimento, con Lutero, Erasmo etc.... senza per questo farne un luterano in senso stretto. Insomma, è un tipico esponente della tradizione religiosa pre-tridentina, in cui il fervido sostegno alla Chiesa romana e la vicinanza coi papi non escludono forti iniezioni di filosofia idealista e della scuola di Crotone, di stoicismo e di astrologia, di tradizione bizantina e millenarismo, in cui Erasmo da Rotterdam, M.Lutero, Agrippa von Nettesheim, Pico, Ficino si fondono in una forma religiosa eclettica e ancora tollerata prima dell'apertura del Concilio di Trento. Le persecuzioni inizieranno dopo la sua morte  e vi verrà coinvolto, invece, il figlio Giulio, vicino al calvinismo, che subirà l'Inquisizione.  Il suo poema, una vera enciclopedia dello scibile, è molto interessante a riguardo, e queste venature di pensiero religioso inquiete ed eclettiche sono evidenti in maniera palese. Si ricordino gl’angeli che portano nomi di divinità pagane -- Palladio, Onerio, Venereo etc... -- e che non sono altro che allegorie delle facoltà umane o delle potenze naturali (Nettunio, angelo delle acque, ad esempio, o Vulcano come metonimia del fuoco) come indicato nel De Daemonius di M. Psello e nel pensiero idealista o accademico. E questo uno dei punti più bersagliati dai critici contro lui, per primo, ancora una volta, G. Cinzio. Di A. Palladio cura soprattutto la formazione di architetto inteso come filosofo umanista. Questa concezione risulta alquanto insolita in quell'epoca, nella quale all'architetto era demandato un compito preminentemente di tecnico specializzato. Non si può capire la formazione filosofica ed umanistica e di tecnico specializzato della costruzione dell'architetto Andrea della Gondola, senza l'intuito, l'aiuto e la protezione di lui. È lui a credere nel giovane lapicida che lavora in modo diverso e che aspira a una innovazione totale nel realizzare le tante opere. Gli cambia il nome in Palladio, come l'angelo liberatore e vittorioso presente nel suo poema L'Italia liberata dai Goti. Secondo la tradizione, l'incontro tra lui e Gondola ha nel cantiere della villa di Cricoli, nella zona nord fuori della città di Vicenza, che in quegli anni sta per essere ristrutturata secondo i canoni dell'architettura classica. La passione per l'arte e la cultura in senso totale sono alla base di questo scambio di idee ed esperienze che si rivela fondamentale per la preziosa collaborazione tra i due "grandi". Da lì avrà inizio la grande trasformazione dell'allievo di G. Pittoni e Giacomo da Porlezza nel celebrato Andrea Palladio. E proprio lui a condurlo a Roma nei suoi viaggi di formazione a contatto con il mondo classico e ad avviare il futuro genio dell'architettura a raggiungere le vette più ardite di un'innovazione a livello mondiale, riconosciuta ed apprezzata ancora oggi. Il sistema letterario inventato dal lui non e il solo tentativo di preservare un rapporto diretto con la cultura degl’antichi con Aligheri e con l'umanesimo del Quattrocento, che il sistema bembiano esclude. Molti altri condividevano le sue idee, infatti, come A. Brocardo, B. Tasso, anche loro intenti a inventare nuovi metri su imitazione dei classici. Tuttavia, se si eccettua forse S. Speroni, e uno dei pochi che struttura nella sua Poetica un sistema totale, onni-comprensivo, aristotelico in senso pieno, dove ogni genere è regolato in maniera specifica; e questo gli permette di essere un punto di riferimento privilegiato.  Bisogna fare a questo punto una distinzione essenziale fra le sue produzione filosofica e le sue teorie letterarie. Le opere poetiche, forse con la sola eccezione della Sofonisba e delle Rime, sono notoriamente brute. Lo stile è fiacco e prosaico e la narrazione dispersa in mille meandri eruditi, ragione per cui furono conosciute da tutti, lette e ammirate, ma non apprezzate né imitate dal punto di vista stilistico. L’invenzione del verso sciolto, che e centrale nella storia letteraria europea, infatti, non e destinata a fiorire con lui ma solo alla fine del secolo perché venisse accettata entro un poema di genere e di stile alto come quello epico. La sua filosofia, invece, trova un successo secolare, non solo in Italia ma in molti paesi europei specie nel Settecento, con la nuova moda del classicismo. Questo specie per quel che riguarda i due generi principali del mondo degl’antichi, la tragedia e l'epica, e con essi anche il verso sciolto. In Italia si può dire che ha grande fortuna col verso sciolto e col poema epico, ma minore col teatro tragico. La Sofonisba, quando usce, non era in Italia l'unica tragedia di imitazione antica, anche se era la prima: vi erano, infatti, anche quelle di Giovanni di Bernardo Rucellai, composte sempre agli Orti Oricellari. Ma la tragedia ispirata ai modelli antici non trovò terreno in Italia e fu soppiantata presto, già a metà del secolo, da quella 'alla latina' -- cioè piena di fantasmi, conflitti, colpi di scena e sangue, shakespeariana insomma), riportata in auge a Ferrara dalle Orbecche di Giambattista Giraldi Cinzio -- una linea di gusto che, alla fine del Cinquecento e nel Seicento, si sposerà in pieno col teatro gesuita, di ispirazione anche esso stoica e senecana.  Non così nell'epica e nel verso sciolto. Il poema del Trissino è nominato infatti da tutti i principali autori epici dell'epoca (e spesso in mala fede), da Bernardo Tasso (intento anche lui alla realizzazione del poema Amadigi, che nella prima stesura era in versi sciolti) e Giambattista Giraldi Cinzio (che compose contro l'Italia liberata il volume Dei romanzi), F. Bolognetti e via via fino a Tasso. Quest'ultimo parla spesso dell'Italia liberata nei Discorsi del poema eroico e, sebbene ne rilevi i limiti, la tiene presente chiaramente come modello teorico e anche in molti passaggi della Gerusalemme liberata (fra cui la famosa morte di Clorinda, ripresa da quella dell'amazzone Nicandra, ad esempio). Vale la pena specificare che il titolo di “Gerusalemme liberate”, infatti, non fu deciso dal Tasso (che nei Discorsi chiama sempre il suo poema “Goffredo”), ma dallo stampatore A. Ingegneri, che doveva aver notato la somiglianza dell'opera tassiana col poema trissiniano.  Mentre nel Rinascimento i critici iniziavano a discutere dei rapporti fra poesia epica e romanzo cavalleresco, si assiste a un lento processo di 'acclimatazione' del verso sciolto nei poemi narrativi. Dapprima viene usato nei generi minori, come le ecloghe pastorali, i poemetti georgici, gli idilli o le traduzioni, ma alla fine del secolo sarà impiegato in opere imponenti come l'”Eneide” di Caro, o nel poema sacro del Mondo creato di Tasso, o nello stile fastoso dello Stato rustico di G. Imperiale o quello classico di Chiabrera  in pieno Barocco. Anzi, proprio Chiabrera (non a caso allievo di Speroni) si può dire che sia il suo grande erede, animato come lui dal desiderio di riformare la metrica e di ricreare i generi letterari sui modelli classici. La Poetica è citata dal Chiabrera in punti importanti, sia in difesa del verso sciolto, sia dei generi metrici non bembeschi o nuovi, sia, implicitamente, nella ripresa del mito di Dante e di Omero (cfr. il paragrafo apposito in Chiabrera).  Il Trissino ebbe ancora fortuna anche nel XVIII secolo, con l'edizione in due volumi Scipione Maffei di Tutte le opere (Verona, Vallarsi, ancora oggi punto di riferimento indispensabile), e con nove tragedie intitolate Sofonisba, una delle quali d’Alfieri. Grande fu l'influenza anche nel melodramma: si contano ben quattordici Sofonisba, una delle quali di Gluck e uno di Caldara. Ma a parte la fortuna della Sofonisba, considerando che la riforma poetica dell'Accademia dell'Arcadia si ispira dichiaratamente alla poesia e alla metrica del Chiabrera, possiamo dire che il Trissino sia stato uno dei fondatori della poesia arcadica e capostipite di una tradizione letteraria, anche quella del melodramma settecentesco. Non a caso è uno degli autori più presenti nella ragion poetica di Gravina, maestro del giovane Pietro Metastasio, la cui prima opera sarà la tragedia Giustino, una riproposizione quasi parola per parola del III canto dell'Italia liberata dove si narrano gli amori di Giustino e di Sofia. PCastelli dedica la poeta una intera monografia (La vita di Giovangiorgio Trissino oratore e poeta). Si può dire, quindi, che non solo nell'epica il Trissino abbia avuto fortuna, ma anche nel teatro italiano, anche se nelle forme del melodramma e non quelle della tragedia, come tipico della tradizione italiana. Questo grazie, soprattutto, alla mediazione del Chiabrera, che seppe rendere le forme metriche del Trissino (prima fra tutte il verso sciolto) di insuperabile eleganza.  Nell'Ottocento si ricordino l'Iliade di Vincenzo Monti e l'Odissea di Ippolito Pindemonte, che proseguono la grande storia del verso sciolto nella traduzione italiana, e le considerazioni di tre grandi scrittori. Il primo è Manzoni che, meditando sul romanzo storico, rifletté anche sui rapporti fra creazione poetica e verosimiglianza storica date da Aristotele nello scritto Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione. Il secondo è G. Carducci che stronca  il poema ne I poemi minori del Tasso (in L’Ariosto e il Tasso) e il terzo è B. Morsolin che compose la biografia del poeta (Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato) che ancora oggi è indispensabile.Francia In Francia, invece, si assiste in un certo senso alla situazione opposta e le teorie del Trissino trovarono vasta eco più nel teatro che nel poema epico, questo anche perché in generale il teatro classico francese ha sempre prediletto i modelli greci ai latini e il teatro, in genere, al melodramma. Nel teatro francese l'influenza della Sofonisba sarà forte: la prima rappresentazione documentata in francese è nel castello di Blois, davanti alla corte della regina, Caterina de' Medici, non a caso una fiorentina[29]. La corte di Francia era già abituata d'altronde alla poesia italiana di stile classico da almeno trent'anni, dopo il soggiorno presso Francesco I di Francia di Luigi Alamanni. Da qui in poi si conteranno otto Sofonisba fino alla fine del Settecento, una delle quali di Pierre Corneille. Non così invece nell'epica, genere che in Francia trovò poco seguito, e nel verso sciolto, che non si acclimatò mai nella poesia francese, poco adatta per suo ritmo naturale a un verso senza rima. Il Voltaire, che amava l'Ariosto, ricorda l'Italia liberata nel suo Saggio sulla poesia epica più che altro per rilevare le pecche del poema. In Inghilterra si ricorda la fortuna del verso sciolto (blank verse) a partire dal XVII secolo, che avrà la sua consacrazione nel Paradiso perduto di Milton, e le lodi tributate al Trissino da Pope nel prologo alla Sofonisba di Thomson. In Germania si ricordano tre Sofonisba. Anche Goethe possede una copia delle Rime trissiniane  Opere: “Sofonisba, tragedia Ɛpistola del Trissino de le lettere nuωvamente aggiunte ne la lingua Italiana; De vulgari eloquentia di Alighieri; traduzione Il castellano, dialogo: Daelli; Poetica; Dubbi grammaticali; Grammatichetta; L'Italia liberata dai Goti, poema epico I simillimi, commedia Galleria d'immagini  Gian Giorgio Trissinoincisione da Tutte le opere non più pubblicate di Giovan Giorgio Trissino, Miniatura di Gian Giorgio Trissino. Incisione da Castelli La vita di Giovangiorgio Trissino, Targa a Trissino, in piazza Gian Giorgio Trissino. Targa posta sulla casa natale di Gian Giorgio Trissino, in corso Fogazzaro 15 a Vicenza, opera di Bartolomeo Bongiovanni.Medaglione posto nel salone di Palazzo Venturi Ginori, a Firenze, raffigurante Giovan Giorgio Trissino, membro dell'Accademia Neoplatonica che lì ebbe sede.  Bernardo Morsolin Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI,Margaret Binotto, La chiesa e il convento dei santi Filippo e Giacomo a Vicenza, Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino, Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato. L'incisione recita: DEMETRIO CHALCONDYLÆ ATHENIENSIIN STUDIIS LITERARUM GRÆCARUMEMINENTISSIMOQUI VIXIT ANNOS LXXVII MENS. VET OBIIT ANNO CHRISTI MDXIJOANNES GEORGIUS TRISSINUS GASP. FILIUSPRÆCEPTORI OPTIMO ET SANCTISSIMOPOSUIT. Pierfilippo Castelli, La Vita di Giovan Giorgio Trissino, ernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato; Bernardo Morsolin Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, Giambattista Nicolini, Vita di Giangiorgio Trissino, Nell'originale sofocleo "τὸ δὲ ζητούμενον ἁλωτόν", letteralmente "ciò che si cerca, si può cogliere".  Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato, Pierfilippo Castelli, La vita di Giovan Giorgio Trissino, Pierfilippo Castelli, La vita, Antonio Magrini, Reminiscenze Vicentine della Casa di Savoia. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato. Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato, Silvestro Castellini, Storia della città di Vicenza...Pierfilippo Castelli, La vita di Giovan Giorgio Trissino, 1753, nota a pag 48  Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, 1Come i saggi di Lucien Faggion ricordano, per preservare il patrimonio famigliare non era inusuale sposare cugini di altri rami della medesima famiglia.  La decisione di scegliere Ciro come proprio erede ebbe ripercussioni drammatiche per diverso tempo. Oltre al trascinarsi della causa civile intentata da Giulio al padre e a Ciro, nacque una vera e propria faida tra i discendenti Trissino dal Vello d'Oro e i parenti del ramo dei Trissino più prossimo alla prima moglie, Giovanna. Le voci che fecero risalire a Ciro la denuncia anonima alla Santa Inquisizione delle simpatie protestanti di Giulio nel 1573, spinsero Giulio Cesare, nipote di Giovanna, a uccidere Ciro a Cornedo nel 1576, davanti a Marcantonio, uno dei suoi figli. Quest'ultimo decise di vendicare il padre, accoltellando a morte Giulio Cesare che usciva dalla cattedrale di Vicenza il venerdì santo del 1583. R. Trissino, altro avversario dei Trissino dal Vello d'Oro, s'introdusse nella casa di Pompeo, primogenito di Ciro, e ne uccise la moglie, Isabella Bissari, e il figlioletto Marcantonio, nato da poco. Si vedano al proposito vari saggi sull'argomento di Lucien Faggion, tra cui Les femmes, la famille et le devoir de mémoire: les Trissino aux XVIe et XVIIe siècles. Dovette affrontare una causa civile intentatagli dai Valmarana: negli ultimi decenni ProfessoreAlvise di Paolo Valmarana perse villa e tenuta, giocandosele col patrizio Orso Badoer, che rivendette la proprietà a Gaspare Trissino. Gli eredi Valmarana tentarono di riprendersela ipotizzando un vizio all'origine, ma il tribunale diede ragione ai diritti del Trissino. Si veda Lucien Faggion, Justice civile, témoins et mémoire aristocratique: les Trissino, les Valmarana et Cricoli au XVIe siècle,.  Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o Monografia di un letterato del secolo XVI, voce Trissino nel sito Treccani L'Enciclopedia Italiana.  Paolo D'Achille, Trissino, Giangiorgio, in L'Enciclopedia dell'Italiano.  "Palladio" è anche un riferimento indiretto alla mitologia greca: Pallade Atena era la dea della sapienza, particolarmente della saggezza, della tessitura, delle arti e, presumibilmente, degli aspetti più nobili della guerra; Pallade, a sua volta, è un'ambigua figura mitologica, talvolta maschio talvolta femmina che, al di fuori della sua relazione con la dea, è citata soltanto nell'Eneide di Virgilio. Ma è stata avanzata anche l'ipotesi che il nome possa avere un'origine numerologica che rimanda al nome di Vitruvio, vedi Paolo Portoghesi, La mano di Palladio, Torino, Allemandi, 2 Dal volantino della mostra dedicata a Trissino, in occasione dell’anniversario della promulgazione dello Statuto del Comune, organizzata dalla Provincia di Vicenza, Comune di Trissino e Pro Loco di Trissino.  L. Cicognara, Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia fino al secolo di Canova, Giachetti, Losanna, 1824. Sull'autore in generale si vedano almeno tre testi fondamentali:  Pierfilippo Castelli, La vita di Giovangiorgio Trissino, oratore e poeta, ed. Giovanni Radici, Venezia, Bernardo Morsolin, Giangiorgio Trissino o monografia di un letterato del secolo XVI, Firenze, Le Monnier, Atti del Convegno di Studi su Giangiorgio Trissino, Vicenza); N. Pozza, Vicenza, Neri Pozza, Sulla Sofonisba:  E. Bonora La "Sofonisba" del Trissino, Storia Lettaliana, Garzanti, Milano, M. Ariani, Utopia e storia nella Sofonisba di Giangiorgio Trissino, in Tra Classicismo e Manierismo, Firenze, Olschki, C. Musumarra, La Sofonisba ovvero della libertà, «Italianistica», Sulle Rime:  A. Quondam, Il naso di Laura. Lingua e poesia lirica nella tradizione del classicismo, Ferrara, Panini, C. Mazzoleni, L’ultimo manoscritto delle Rime di Giovan Giorgio Trissino, in Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratura e filologia italiana, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, Sull'Italia liberata si vedano almeno (in ordine di stampa):  F. Ermini, L’Italia liberata dai Goti di Giangiorgio Trissino. Contributo alla storia dell’epopea italiana, Roma, Romana, A. Belloni, Il poema epico e mitologico, Milano, Vallardi, Ettore Bonora, L'"Italia Liberata" del Trissino,Storia della Lett. italiana,Milano, Garzanti, Marcello Aurigemma, Letteratura epica e didascalica, in Letteratura italiana,  IV, Il Cinquecento. Dal Rinascimento alla Controriforma, Bari, Laterza, Marcello Aurigemma, Lirica, poemi e trattati civili del Cinquecento, Bari, Laterza, Guido Baldassarri. Il sonno di Zeus. Sperimentazione narrativa del poema rinascimentale e tradizione omerica, Roma, Bulzoni, Renato Bruscagli, Romanzo ed epos dall’Ariosto al Tasso, in Il Romanzo. Origine e sviluppo delle strutture narrative nella cultura occidentale, Pisa, ETS, D. Javitch, La politica dei generi letterari nel tardo Cinquecento, «Studi italiani», David Quint, Epic and Empire. Politics and generic form from Virgil to Milton, Princeton, Princeton University Press, F. Tateo, La letteratura epica e didascalica, in Storia della letteratura italiana,  IV, Il Primo Cinquecento, Roma, Salerno, Sergio Zatti, L'imperialismo epico del Trissino, in Id., L'ombra del Tasso, Milano, Bruno Mondadori, aRenato Barilli, Modernità del Trissino, «Studi Italiani», A. Casadei, La fine degli incanti. Vicende del poema epico-cavalleresco nel Rinascimento, Roma, Franco Angeli,  D. Javitch, La nascita della teoria dei generi letterari, «Italianistica», Cllaudio Gigante, «Azioni formidabili e misericordiose». L'esperimento epico del Trissino, in «Filologia e Critica», Stefano Jossa, Ordine e casualità: ideologizzazione del poema e difficoltà del racconto fra Ariosto e Tasso, «Filologia e critica», S. Sberlati, Il genere e la disputa, Roma, Bulzoni, S. Jossa, La fondazione di un genere. Il poema eroico tra Ariosto e Tasso, Roma, Carocci, M. Pozzi, Dall’immaginario epico all’immaginario cavalleresco, in L’Italia letteraria e l’Europa dal Rinascimento all’Illuminismo, in Atti del Convegno di Aosta,  N. Borsellino e B. Germano, Roma, Salerno, M. De Masi, L'errore di Belisario, Corsamonte, Achille, «Studi italiani», Claudio Gigante, Un'interpretazione dell'«Italia liberata dai Goti», in Id., Esperienze di filologia cinquecentesca. 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Peter Lang,, Alessandro Corrieri, Lo scudo d’Achille e il pianto di Didone: da L’Italia liberata da’ Gotthi di Giangiorgio Trìssino a Delle Guerre de’ Goti di Gabriello Chiabrera, «Lettere italiane»,Alessandro Corrieri, I modelli epici latini e il decoro eroico nel Rinascimento: il caso de L’Italia liberata da’ Gotthi di Giangiorgio Trìssino, «Lettere italiane», Sul dibattito sui generi letterari e la Poetica (in ordine di stampa):  E. Proto, Sulla ‘Poetica’ di G. G. Trissino, Napoli, Giannini e figli, C. Guerrieri-Crocetti, Giovan Battista Giraldi Cintio e il pensiero critico del secolo XVI, Milano-Genova-Napoli, Società Dante Alighieri, G. Mazzacurati, La mediazione trissiniana, in Misure del classicismo rinascimentale, Napoli, Liguori, G. Mazzacurati, Conflitti di culture nel Cinquecento, Napoli, Liguori, A. Quondam, La poesia duplicata. Imitazione e scrittura nell'esperienza del Trissino, in Atti del Convegno di Studi su G. Trissino, N. Pozza, Vicenza, Accademia Olimpica, G. Mazzacurati, Il Rinascimento del Moderni. La crisi culturale Professoree la negazione delle origini” (Bologna, Il Mulino); M. Pozzi, Lingua, cultura, società. Saggi della letteratura italiana del Cinquecento, Alessandria, Dell’Orso, Per il rapporto fra l’epica del T. e quella del Tasso (in ordine di stampa):  E. Williamson, Tasso’s annotations to Trissino’s Poetics, «Modern Language Notes», M. Clarini, Le postille del Tasso al Trissino, «Studi Italiani», G. Baldassarri, «Inferno» e «Cielo». Tipologia e funzione del «meraviglioso» nella «Liberata», Roma, Bulzoni, R. Bruscagli, L’errore di Goffredo, «Studi tassiani», S. Zatti, Tasso lettore del Trissino, in Torquato Tasso e la cultura estense, G. Venturi, Firenze, Olsckhi, Sulla lingua e il dibattito dei contemporanei si vedano almeno (in ordine di stampa):  B. Migliorini, Le proposte trissiniane di riforma ortografica, «Lingua nostra» G. Nencioni, Fra grammatica e retorica. Un caso di polimorfia della lingua letteraria dal secolo XIII al XVI, Firenze, Olsckhi, B. Migliorini, Note sulla grafia nel Rinascimento, in Id., Saggi linguistici, Firenze, Le Monnier, B. Migliorini, Il Cinquecento, in Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni [e ristampe]. E.Bonora, "La questione della lingua", Storia Lettaliana, Garzanti, Milano, C. Segre, L’edonismo linguistico del Cinquecento, in Lingua, stile e società, Milano, Feltrinelli,  O. Castellani-Pollidori, Il Cesano de la lingua toscana, Firenze, Olschki, O. Castellani-Pollidori, Niccolò Machiavelli e il Dialogo intorno alla lingua. Con un’edizione critica del testo, Firenze, Olschki,  M. R. Franco Subri, Gli scritti grammaticali inediti di Claudio Tolomei: le quattro lingue di toscana, «Giornale storico della letteratura italiana», I. Paccagnella, Il fasto delle lingue. Plurilinguismo letterario nel Cinquecento, Roma, Bulzoni,  M. Pozzi, Trattatisti del Cinquecento, Milano-Napoli, Ricciardi,  B. Richardson, Trattati sull’ortografia del volgare, Exeter, University of Exeter,  M. Pozzi, Gian Giorgio Trissino e la letteratura italiana, in Id., Lingua, cultura e società. Saggi sulla letteratura italiana del Cinquecento, Alessandria, Edizioni dell’Orso, A. Cappagli, Gli scritti ortofonici di Claudio Tolomei, «Studi di grammatica italiana», N. Maraschio, Trattati di fonetica del Cinquecento, Firenze, presso l’Accademia,  C. Giovanardi, La teoria cortigiana e il dibattito linguistico nel primo Cinquecento, Roma, Bulzoni, M. Vitale, L'omerida italico: Gian Giorgio Trissino. Appunti sulla lingua dell'«Italia liberata da' Gotthi», Istituto Veneto de Scienze ed Arti,. Sulla traduzione di Dante e l'importanza del De vulgari eloquentia si vedano almeno (in ordine di stampa):  M. Aurigemma, Dante nella poetica linguistica del Trissino, «Ateneo veneto», foglio speciale,  C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi,Floriani, Trissino: la «questione della lingua», la poetica, negli Atti del Convegno di Studi su Giangiorgio Trissino, etc...(ora in Gentiluomini letterati. Studi sul dibattito culturale nel primo Cinquecento, Napoli, Liguori, I. Pagani, La teoria linguistica di Dante, Napoli, Liguori,  C. Pulsoni, Per la fortuna del De vulgari Eloquentia nel primo Cinquecento: Bembo e Barbieri, «Aevum», E. Pistoiesi: Con Dante attraverso il Cinquecento: Il De vulgari eloquentia e la questione della lingua, «Rinascimento», Per le trafile del codice dantesco posseduto dal Trissino, oggi alla Biblioteca Trivulziana di Milano, cfr. l'introduzione diRàjna alla sua edizione del De Vulgari Eloquentia (Firenze, Le Monnier) e G. Padoan, Vicende veneziane del codice Trivulziano del “De vulgari eloquentia”, in Dante e la cultura veneta, Atti del convegno di studi della fondazione “Giorgio Cini”, Venezia-Padova-Verona, V. Branca e G. Padoan, Firenze, Olschki, Tutti i testi del Trissino si rileggono nei due volumi intitolati Tutte le opere Scipione Maffei (Verona, Vallarsi, 1729), che non riproducono però l'alfabeto inventato riformato. Alcuni testi hanno avuto delle edizioni moderne:  La Poetica si rilegge nei Trattati di poetica e di retorica del Cinquecento B. Weinberg, Bari, Laterza, Il testo è riprodotto con l'alfabeto inventato dal Trissino. Scritti linguistici, A. Castelvecchi, Roma, Salerno (che contiene la Epistola delle lettere nuovamente aggiunte, Il Castellano, i Dubbii grammaticali e la Grammatichetta). I testi sono riprodotti con l'alfabeto inventato dal Trissino. La Sofonisba è stata curata da R. Cremante, nel Teatro del Cinquecento, Napoli, Ricciardi, Il testo è riprodotto con l'alfabeto inventato dal Trissino ed è dotato di un vasto commento e introduzione. La traduzione del De vulgari eloquentia si può leggere in D. Alighieri, F. Chiappelli, nella collana “I classici italiani”, G. Getto, Milano, Mursia, oppure, assieme al testo latino, nel 2 tomo dell’Opera Omnia curata da Scipione Maffei (vedi sotto). Per l'Italia liberata dai Goti e per I Simillimi si deve ricorrere, invece, alle prime edizioni o all'edizione del Maffei o alle ristampe sette-ottocentesche. Per l'elenco completo di tutte le stampe, ristampe, studi ed edizioni sul Trissino vedi Alessandro Corrieri, Giangiorgio Trissino., consultabile (aggiornata al 2 settembre ) presso//nuovorinascimento.org/cinquecento/trissino.pdf.  A. Palladio Trissino (famiglia). Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Encyclopædia Britannica, Inc.  Opere di Gian Giorgio Trissino, Gian Giorgio Trissino (altra versione) / Gian Giorgio Trissino (altra versione) / Gian Giorgio Trissino (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Gian Giorgio Trissino,. Opere di Gian Giorgio Trissino, su Progetto Gutenberg. Gian Giorgio Trissino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  ItalicaRinascimento: Giovan Giorgio Trissino, L'Italia liberata dai Gotthi.  L’uomo solo ha il comercio del parlare. Questo è il nostro vero e primo parlare. Non dico nostro, perchè altro parlar ci sia che quello dell'uomo. Perciò che fra tutte le cose che sono solamente a l'uomo e dato il parlare ,sendo a lui necessario solo. Certo non a gl’angeli non a gl’animali inferiori e necessario parlare. Adunque sarebbe stato dato invano a costoro, non avendo bisogno di esso.  E la natura certamente abborrisce di fare cosa alcuna invano. Se volemo poi sottilmente considerare la INTENZIONE del parlar [parabola] nostro, niun'altra ce ne troveremo, che il MANIFESTARE all’altro questo o quello CONCETTO de la mente nostra. Avendo adunque gl’angeli prontissima e neffabile sufficienzia d'intelletto da chiarire questo o quello gloriosi concetto, per la qual sufficienzia d'intelletto l'uno è TOTALMENTE  NOTO all'altro, o per sè, o almeno per quel fulgentissimo specchio, nel quale tutti sono rappresentati bellissimi e in cui avidis simi sispecchiano. Per tanto pare, che di ni uno SEGNO DI PARLARE ha mestieri. Ma chi opponesse a questo, allegando quei spiriti, che cascarono dal cielo; a tale opposizione doppiamente si può rispondere. Prima, che quando noi trattiamo di quelle cose, che Sono Che Q a bene essere , devemo essi lasciar da 3 parte, conciò sia che questi perversi non vol lero aspettare la divina cura. Seconda risposta,e meglio è,che questi demoni a MANIFESTARE fra sè la loro perfidia, non hanno bisogno di conoscere , se non qualche cosa di ciascuno, perchè è, e q u a n t o è 1 : il c h e certamente s a n no ; perciò che si conobbero l'un l'altro avanti la ruina loro. Agl’ANIMALI INFERIORI poi non fu bisogno provvedere di parlare. Conciò sia che per solo ISTINTO DI NATURA siano guidati.E poi tutti quelli animali, che sono di una medesima specie, hanno le medesime azioni, e le medesime passioni; per le quali loro proprietà possono le altrui conoscere; ma aquelli che sono di diverse specie, non solamente non e necessario loro il parlare, ma in tutto dannoso gli sarebbe stato, non essendo alcuno amicabile comercio tra essi. E se mi fosse opposto che IL SERPENTE che PARLA a la prima femina, e l'asina di Balaam PARLA, a questo rispondo, che l'ANGELO nell’asina e IL DIAVOLO nel serpente hanno talmente operato che essi animali mossero gli organi loro. E così d'indi la voce risultò distinta, come vero parlare; non che quello de l'asina fosse altro che ragghiare e quello del serpente altro che fischiare. Il testo ha: nonindigent, nisiutsciantquilibetde quolibet, quia est, et quantus est. Parrebbe più proprio il tradurre cosi:non hanno bisogno di conoscere, se non ciascheduno di ciaschedun altro, che è,e quanto è: ossia l'esistenza e il grado.  Se alcuno poi argumentasse da quello, che Ovidio disse nel quinto della Metamorfosi, che LE PICHE parlarono. Dico che dice questo FIGURATAMENTE, intendendo altro. Ma se si dicesse che le piche al presente e altri uccelli parlano, dico che è falso; perciò che tale atto NON è parlare, ma è certa imitazione del suono de la nostra voce; o vero che si sforzano di imitare noi in quanto SONIAMO ma non in quanto PARLIAMO (cf. ‘talk,’ ‘speak’, ‘speak in tongues’). Tal che se quello che alcuno espressamente dicesse, ancora la pica ridicesse, questo non sarebbe se non rappresentazione , o vero imitazione del SUONO di quello, che prima avesse detto. E così appare, agl’UOMINI SOLI essere stato dato il PARLARE; ma per qual cagione esso gli fosse NECESSARIO, ci sforzeremo brievemente trattare. Che e NECESSARIO agl’uomini il comercio. Ovendosi adunque l'uomo NON PER ISTINTO DI NATURA ma per ragione. E essa ragione o circa la separazione !, o circa il giudidizio, o circa la elezione diversificandosi in ciascuno; tal che quasi ogni uno de la sua pro . La voce del testo discretio sarebbe resa meglio dalla parola discernimento. del parlare. , pria specie s'allegra; giudichiamo che niuno intenda l'altro per la sua propria AZIONE o PASSIONE, come fanno le bestie; nè anche per speculazione l'uno può intrar ne l'altro, come l'angelo, sendo per la grossezza e opacità del CORPO mortale la umana specie da ciò ritenuta. Fu adunque bisogno che volendo la generazione umana fra sè COMUNICARE IL SUO CONCETTO avesse qualche SEGNO SENSUALE e razionale; per ciò che dovendo prendere una cosa da la ragione, e ne la ragione portarla, bisognava essere razionale; ma non potendosi alcuna cosa di una ragione in un'altra portare, SE NON PER IL MEZZO DEL SENSUALE e bisogno essere sensuale, perciò che se 'l fosse solamente razionale, non potrebbe trapassare; se solo sensuale, non potrebbe prendere dalla ragione, nè ne la ragione de p o r r e . E questo è segno c h e il s u bietto, di che parliamo, è nobile ; perciò che in quanto è suono, egli è per natura una cosa sensuale e inquanto che, secondo la volontà di ciascun , significa qualche cosa, egli è razionale 1. Iltestoha:Hoc equidem signum est,ipsum sub jectum nobile, dequoloquimur: naturasensualequi dem , in quantum sonus est , esse ; rationale vero , in quantum aliquid significare videtur ad placitum . A noi pare più giusto l'interpretare questo passo cosi. Questo segno (l'aliquod rationale signum et sensuale di cui ha parlato poche righe più sopra) è per l'appunto il nobile soggetto di cui parliamo. Sensuale per natura, in quanto è SUONO. Razionale, in quanto che, se     A che uomo fu prima dato il parlare, echedisseprima,& inche lingua. l'uomo solo fu dato il parlare. Ora istimo che appresso debbiamo investigare, a che uomo fu prima dato ilparlare,e che cosa prima disse, & a chi parlò , e dove e quando , & eziandio in che linguaggio il primo suo parlare si sciol se. Secondo che si legge ne la prima parte del Genesis , ove la sacratissima Scrittura tratta del principio del mondo , si truova la femina, prima cheniunaltro,aver parlato, cioèlapre sontuosissima EVA, la quale al DIAVOLO, che la ricercava , disse , ‘Dio ci ha commesso , che non mangiamo del frutto del legno che è nel mezzo del paradiso, e che non lo tocchiamo , acciò che per avventura non moriamo. Ma a vegna che in scritto si trovi la donna aver pri mieramente parlato, non di meno è ragionevol cosa che crediamo, che l'uomo fosse quello, che prima parlasse. Nè cosa inconveniente mi pare condo la volontà di ciascuno, significa qualche cosa. Contro la quale interpretazione stala punteggiatura, e la voce esse del testo, che sarebbe di troppo ; ma ,per com penso, il brano riesce più chiaro, e si collega meglio col senso di tutto il Capitolo. 9  Anifesto è per le cose già dette , che a pensare, che così eccellente azione de la il   generazione umana prima da l'uomo, che da la femina procedesse. Ragionevolmente adunque crediamo ad esso essere stato dato primier mente il parlare da Dio, subito che l’ebbe formato. Che voce poi fosse quella che parla prima, a ciascuno di sana mente può esser in pronto e io non dubito che la fosse quella, che è Dio, cioè Eli, o vero per modo d'interrogazione, o per modo di risposta. Assurda cosa veramente pare, e da la ragione aliena, che da l'uomo fosse nominata cosa alcuna prima che Dio ; con ciò sia che da esso,& in esso fosse fatto l'uomo.E siccome, dopo la prevaricazionedel'u m a n a generazione , ciascuno esordio di parlare comincia da heu ; così è ragionevol cosa , che quello che fu davanti , cominciasse da alle grezza , e conciò sia che niun gaudio sia fuori di Dio,ma tuttoinDio,& esso Dio tuttosiaal legrezza, conseguente cosa è che 'l primo p a r lante dicesse primieramente Dio. Quindi nasce questo dubbio,che avendo di sopra detto, l'uomo aver prima per via di risposta parlato, se risposta fu,devette esser a Dio; e se a Dio, parrebbe, che Dio prima avesse parlato, il che parrehbe contra quello che avemo detto di sopra. Al qual dubbio risponderemo,che ben può l'uo mo averrisposto a Dio, chelointerrogava, nè per questo Dio aver parlato di quella LOQUELLA, che dicemo.Qual è colui, che dubiti, che tutte le cose che sono non si pieghino secondo il voler di Dio,da cuièfatta, governata,econservata   ,   ciascuna cosa ? É conciò sia che l'aere a tante alterazioni per comandamento della natura in feriore si muova, la quale è ministra e fattura di Dio, di maniera che fa risuonare i tuoni, fulgurare il fuoco, gemere l'acqua, e sparge le nevi, e slancia la grandine ; non si moverà egli per comandamento di Dio a far risonare alcune parole le quali siano distinte da colui, che maggior cosa distinse?e perchè no? Laon de & a questa, & ad alcune altre cose credia mo tale risposta bastare. Dove,& a cuiprima l'uomo abbiaparlato. ta così da le cose superiori,come da le in feriori), che il primo uomo drizzasse il suo primo parlare primieramente a Dio , dico, che ragionevolmente esso primo parlante parlò s u bito,che fu da la virtù animante ispirato: per ciò che ne l'uomo crediamo,che molto più cosa umana sia l'essere sentito che il sentire, pur che egli sia sentito,e senta come uomo. Se adunque quel primo fabbro, di ogni perfezione principio & amatore ,inspirando il primo uomo con ogni perfezione compi , ragionevole cosa mi pare, che questo perfettissimo animale non prima cominciasse a sentire, che 'l fosse sen tito. Se alcuno poi dicesse contra le obiezioni,  11 Iudicando adunque (non senza ragione trat    , che non era bisogno che l'uomo parlasse, es sendo egli solo ; e che Dio ogni nostro segreto senza parlare, ed anco prima di noi discerne ; ora (con quella riverenzia , la quale devemo usare ogni volta,che qualche cosa de l'eterna volontà giudichiamo),dico,che avegna che Dio sapesse, anzi antivedesse (che è una medesima cosa quanto a Dio)ilconcetto del primo par lante senza parlare,non di meno volse che esso parlasse ; acciò che ne la esplicazione di tanto dono, colui, che graziosamente glielo avea do nato,se ne gloriasse.E perciò devemo credere, che da Dio proceda , che ordinato l'atto de i nostri affetti, ce ne allegriamo. Quinci possiamo ritrovare il loco, nel quale fu mandata fuori laprimafavella;perciòchesefuanimato l'uo m o fuori del paradiso , diremo che fuori : se dentro , diremo che dentro fu il loco del suo primo parlare. Ra perchè i negozj umani si hanno ad esercitare per molte e diverse lingue , tal che molti per le parole non  intesi da molti,che se fussero senza esse; però fia buono investigare di quel parlare, del quale si crede aver usato l'uomo, che nacque senza sono altrimente 1 Di che idioma prima l'uomo parld, e donde fu l'autore di quest'opera.   madre, e senza latte si nutri, e che nè pupil lare età vide,nè adulta.In questa cosa,sì come in altre molte, Pietramala è amplissima città, e patria de la maggior parte dei figliuoli di Adamo .Però qualunque si ritrova essere di cosi disonesta ragione, che creda, che il loco della sua nazione sia il più delizioso, che si trovi sotto il Sole , a costui parimente sarà licito preporre il suo proprio volgare , cioè la sua materna locuzione,a tutti gli altri; e conse guentemente credere essa essere stata quella diAdamo.Ma noi,acuiilmondo èpatria, sì come a'pesci il mare , quantunque abbiamo bevuto l'acqua d'Arno avanti che avessimo denti,e che amiamo tanto Fiorenza,che pe averla amata patiamo ingiusto esiglio, non dimeno le spalle del nostro giudizio più a la ragione che al senso appoggiamo. E benchè se condo il piacer nostro , o vero secondo la quiete de la nostra sensualità, non sia in terra loco più ameno di Fiorenza;pure rivolgendo i vo lumi de'poeti e de gli altri scrittori, ne i quali il mondo universalmente e particularmente si descrive , e discorrendo fra noi i varj siti dei luoghi del mondo , e le abitudini loro tra l'uno e l'altropolo,e'lcircolo equatore,fermamente comprendo , e credo, molte regioni e città es sere più nobili e deliziose che Toscana e Fio renza, ove son nato, e di cui son cittadino; e molte nazioni e molte genti usare più dilette vole, e più utile sermone , che gli Italiani. R i  r   tornando adunque al proposto , dico che una certa forma di parlare fu creata da Dio insie me con l'anima prima ,e dico forma, quanto a i vocaboli de le cose,e quanto a la construzione de'vocaboli , e quanto al proferir de le con struzioni; la quale forma veramente ogni par lante lingua userebbe, se per colpa de la pro sunzione umana non fosse stata dissipata, come di sotto si mostrerà. Di questa forma di par lare parlò Adamo , e tutti i suoi posteri fino a la edificazione de la torre di Babel , la quale si interpreta la torre de la confusione. Questa forma di locuzione hanno ereditato i figliuoli di Heber, i quali da lui furono detti Ebrei ; a cui soli dopo la confusione rimase, acciò che il nostro Redentore , il quale doveva nascere di loro,usasse,secondo laumanità,dela lin gua de la grazia, e non di quella de la confu sione 1. Fu adunque lo ebraico idioma quello, che fu fabbricato da le labbra del primo par lante . ' Il testo ha : qui ex illis oriturus erat secundum humanitatem ,non lingua confusionis, sed gratiæ frue retur.E deve tradursi:ilqualedovevanascere di loro secondo l'umanità , usasse della lingua della grazia , e non di quella della confusione.   Hi come gravemente mi vergogno di rin  15 e per  De la divisione del parlare in più lingue. A en ta nerazione umana : ma perciò che non possia mo lasciar di passare per essa, se ben la fac cia diventa rossa , e l'animo la fugge , non starò di narrarla. Oh nostra natura sempre prona ai peccati , oh da principio , e che mai non finisce, piena di nequizia; non era stato assai per la tua corruttela, che per lo primo fallo fosti cacciata, e stesti in bando de la p a tria de le delizie? non era assai, che per la universale lussuria, e crudeltà della tua fami glia, tutto quello che era di te, fuor che una casa sola, fusse dal diluvio sommerso , il male , che tu avevi commesso , gli animali del cielo e de la terra fusseno già stati puniti ? Certo assai sarebbe stato; ma come prover bialmente si suol dire,Non andrai a cavallo anzi terza ; e tu misera volesti miseramente andare a cavallo.Ecco,lettore, che l'uomo , o vero scordato,o vero non curando de le prime battiture, e rivolgendo gli occhi da le sferze, che erano rimase , venne la terza volta a le botte, per la sciocca sua e superba prosunzio ne. Presunse adunque nel suo cuore lo incu rabile uomo, sotto persuasione di gigante, di  ,  superare con l'arte sua non solamente la na tura,ma ancoraessonaturante,ilqualeèDio; e cominciò ad edificare una torre in Sennar, la quale poi fu detta Babel, cioè confusione, per la quale sperava di ascendere al cielo,avendo intenzione, lo sciocco,non solamente di aggua gliare,ma diavanzare ilsuo Fattore.Oh cle menzia senza misura del celeste imperio;qual padre sosterrebbe tanti insulti dal figliuolo? Ora innalzandosi non con inimica sferza, ma con paterna , & a battiture assueta , il ribel lante figliuolo con pietosa e memorabile corre zione castigò. Era quasi tutta la generazione umana a questa opera iniqua concorsa ; parte comandava, parte erano architetti,parte face vano muri,parte impiombavano,parte tiravano le corde ", parte cavavano sassi, parte per ter ra,partepermareliconducevano.E cosìdi verse parti in diverse altre opere s’affatica vano , quando furono dal cielo di tanta con fusione percossi, che dove tutti con una istessa loquela servivano a l'opera , diversificandosi in molte loquele , da essa cessavano , nè mai a quel medesimo comercio convenivano ; & a quelli soli, che in una cosa convenivano una · Il Witte osservò che in luogo di pars amysibus tegulabant, pars tuillis linebant, come leggeva erro neamente la volgata nel testo latino , si deve leggere : pars amussibus tegulabant, pars trullis (o truellis) linebant, e si deve tradurre : parte arrotavano sulle pietre i mattoni,parte con le mestole intonacavano.   istessa loquela attualmente rimase , come a tutti gli architetti una , a tutti i conduttori di sassi una,a tuttiipreparatori di quegli una, e così avvenne di tutti gli operanti; tal che di quanti varj esercizj erano in quell'opera , di tanti varj linguaggi fu la generazione umana disgiunta. E quanto era più eccellente l'arti ficio di ciascuno , tanto era più grosso e b a r b a r o il l o r o parlare . Q u e l l i p o s c i a , a li q u a l i il sacrato idioma rimase , nè erano presenti nè lodavano lo esercizio loro ; anzi gravemente biasimandolo, si ridevano de la sciocchezza de gli operanti.M a questi furono una minima parte di quelli quanto al numero ; e furono , sì come io comprendo , del seme di Sem , il quale fu il terzo figliuolo di Noè , da cui nacque il popolo di Israel, il quale usò de la antiquissima locu zione fino a la sua dispersione. e specialmente in Europa. Er la detta precedente confusione di lin gue non leggieramente giudichiamo , che allora primieramente gli uomini furono sparsi per tutti iclimi del mondo e per tutte le re gioni & angoli di esso. E conciò sia che la  P Sottodivisione del parlare per il mondo ,   , principal radice dela propagazione umana sia ne le parti orientali piantata , e d'indi da l'u no e l'altro lato per palmiti variamente diffu si, fu la propagazione nostra distesa; final mente in fino a l'occidente prodotta , là onde primieramente le gole razionali gustarono o tutti,o almen parte de ifiumi di tutta Europa. Ma ofusseroforestieriquesti,cheallorapri mieramente vennero, o pur nati prima in E u ropa, ritornassero ad essa; questi cotali por tarono tre idiomi seco ; e parte di loro ebbero in sorte la regione meridionale di Europa, parte la settentrionale , & i terzi, i quali al presente chiamiamo Greci , parte de l’Asia e parte de la Europa occuparono.Poscia da uno istesso idio ma,dalaimmonda confusione ricevuto,nac quero diversi volgari , come di sotto dimostre remo ; perciò che tutto quel tratto, ch'è da la foce del Danubio, o vero da la palude Meotide, fino a i termini occidentali (li quali da i confini d'Inghilterra, Italia e Franza , e da l'Oceano sono terminati), tenne uno solo idioma: ave gna che poi per Schiavoni, Ungari , Tedeschi, Sassoni , Inglesi & altre molte nazioni fosse in diversi volgari derivato ; rimanendo questo solo per segno, che avessero un medesimo prin cipio , che quasi tutti i predetti volendo affir mare, dicono jo. Cominciando poi dal termine di questo idioma,cioè da iconfini de gli Ungari verso oriente,un altro idioma tutto quel tratto occupò. Quel tratto poi, che da questi in qua    . si chiama Europa, e più oltra si stende,o ve ro tutto quello de la Europa che resta , tenne un terzo idioma 1, avegna che al presente tri partito si veggia ; perciò che volendo affermare, altri dicono oc, altri oil, e altri sì, cioè Spa gnuoli , Francesi & Italiani.Il segno adunque che i tre volgari di costoro procedessero da uno istesso idioma,è in pronto;perciò che molte cose chiamano per i medesimi vocaboli, come è Dio,cielo,amore,mare,terra,e vive,muore, ama ,& altri molti.Di questi adunque de la meridionale Europa , quelli che proferiscono oc tengono la parte occidentale, che comincia da i confini de'Genovesi ; quelli poi che dicono sì, tengono da i predetti confini la parte orientale, cioè fino a quel promontorio d'Italia, dal quale comincia il seno del mare Adriatico e la Sici lia.Ma quelli che affermano con oil,quasi sono settentrionali a rispetto di questi ; perciò che da l'oriente e dal settentrione hanno gli Ale manni , dal ponente sono serrati dal mare in 1 Il testo ha : A b isto incipiens idiomate , videlicet a finibus Ungarorum versus orientem aliud occupa vittotum quodabindevocaturEuropa,necnonul terius est protractum . Totum autem , quod in Europa restat ab istis , tertium tenuit idioma. E deve essere tradotto cosi : A cominciare da questo idioma, cioè dai confini degli Ungari verso oriente , un altro idioma occupò l'intero tratto che da quei confini in là si chiama Europa , e che si protrae anche più oltre. Tutto il tratto poi della rimanente Europa tenne un terzo idioma. 19    glese, e dai monti di Aragona terminati , dal mezzo di poi sono chiusi da'Provenzali,e da la flessione de l'Appennino. Noi ora è bisogno porre a pericolo 1 la ' Il verbo periclitari del testo latino qui vale mettere alla prova , cimentare.   , ragione, che avemo, volendo ricercare di quelle cose ne le quali da niuna autorità siamo aiutati, cioè volendo dire de la variazione, che intervenne al parlare , che da principio era il medesimo.Ma conciòsiachepercammininoti più tosto e più sicuramente si vada , però so lamente per questo nostro idioma anderemo,e gli altri lascieremo da parte , conciò sia che quello che ne l'uno è ragionevole , pare che eziandio abbia ad esser causa ne gli altri. È adunque loidioma,deloqualetrattiamo(come ho detto di sopra) in tre parti diviso , perciò che alcuni dicono oc , altri si, e altri oil. E che questo dal principio de la confusione fosse uno medesimo (il che primieramente provar si deve) appare, perciò che si convengono in molti vocaboli,come gli eccellenti dottori dimostrano; De le tre varietà del parlare, e come col tempo il medesimo parlare si muta , e de la invenzione de la grammatica. A   la quale convenienzia repugna a la confusione, che fu per il delitto ne la edificazione di Babel. I Dottori adunque di tutte tre queste lingue in molte cose convengono, e massimamente in questo vocabolo,Amor. Gerardo di Berneil , « Surisentis fez les aimes Puer encuser Amor.» Il re di Navara, «De'finamor sivientsenebenté.» M. Guido Guinizelli, « Nè fè amor , prima che gentil core , Nè cor gentil,prima che amor,natura.» Investighiamo adunque , perchè egli in tre parti sia principalmente variato,e perchè cia scuna di queste variazioni in sè stessa si varii, come la destra parte d'Italia ha diverso par lare da quello de la sinistra, cioè altramente parlano i Padovani , e altramente i Pisani : e investighiamo perchè quelli,che abitano più vi cini,siano differenti nel parlare,come è iMila nesi e Veronesi,Romani e Fiorentini;e ancora perchè siano differenti quelli,che si convengono sotto un istesso nome di gente,come Napole tani e Gaetani , Ravegnani e Faentini ; e quel che è più maraviglioso, cerchiamo perchè non si convengono in parlare quelli che in una medesima città dimorano , come sono i Bolo gnesi del borgo di san Felice , e i Bolognesi   della strada maggiore.Tutte queste differenze adunque,e varietàdi sermone,che avvengono, con una istessa ragione saranno manifeste. Dico adunque , che niuno effetto avanza la sua ca gione, in quanto effetto,perchè niuna cosa può fare ciò che ella non è.Essendo adunque ogni nostra loquela (eccetto quella che fu da Dio insieme con l'uomo creata) a nostro benepla cito racconcia,dopo quella confusione,la quale niente altro fu che una oblivione de la loquela prima, & essendo l'uomo instabilissimo e va riabilissimo animale , la nostra locuzione ne durabile nè continua può essere ; m a come le altre cose che sono nostre (come sono costumi & abiti),simutano;cosìquesta,secondo ledi stanzie de iluoghi e dei tempi,è bisogno di va riarsi.Però non è da dubitare che nel modo che avemo detto,cioè,che con ladistanziadeltempo il parlare non si varii, anzi è fermamente da tenere ; perciò che se noi vogliamo sottilmente investigare le altre opere nostre,le troveremo molto più differenti da gli antiquissimi nostri cittadini, che da gli altri de la nostra età, q u a n tunquecisianomoltolontani1.Ilperchèaudace mente affermo, che se gli antiquissimi Pavesi ora risuscitassero,parlerebbero di diverso parlare di quello, che ora parlano in Pavia ; nè altrimente questo , ch'io dico , ci paja maraviglioso , che  , 1Iqualicisianomolto lontani(magis....quam a coetaneis perlonginquis).   ciparrebbe a vedere un giovane cresciuto,il quale non avessimo veduto crescere.Perciò che le cose , che a poco a poco si movono , il moto loro è da noi poco conosciuto;e quanto la va riazione de la cosa ricerca più tempo ad essere conosciuta, tanto essa cosa è da noi più stabile esistimata.Adunque non ci ammiriamo,se i discorsi di quegli uomini,che sono poco da le bestie differenti, pensano che una istessa città abbia sempre il medesimo parlare usato, conciò sia che la variazione del parlare di essa città non senza lunghissima successione di tempo a poco a poco sia divenuta , e sia la vita de gli uomini di sua natura brevissima. Se adunque il sermone ne la istessa gente (come è detto) successivamente col tempo si varia, nè può per alcun modo firmarse, è necessario che il par lare di coloro, che lontani e separati dimorano, sia variamente variato ; sì come sono ancora variamente variati i costumi & abiti loro , i quali nè da natura,nè da consorzio umano sono firmati, ma a beneplacito, e secondo la conve nienzia de i luoghi nasciuti.Quinci si mossero gl'inventori de l'arte grammatica ; la quale grammatica non è altro che una inalterabile conformità di parlare in diversi tempi e luo ghi.Questa essendo di comun consenso di molte genti regulata , non par suggetta al singulare arbitrio di niuno, e consequentemente non può essere variabile.Questa adunque trovarono,ac ciò che per la variazion del parlare , il quale  DE LA VOLGARE ELOQUENZIA. 23   De la varietà del parlare in Italia da la destra e sinistra parte de l'Appennino. Gian Giorgio Trissino dal Vello d'Oro. Oro. Keywords: la riforma della lingua italiana, filosofia del linguaggio, Alighieri, lingua e linguaggio, codice di comunicazione, il parlare umano, il parlare solo umano, la prima lingua, la parlata dei genovesi, la filosofia del linguaggio in Alighieri, l’eloquenza, la filosofia del linguagio, only man speaks. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trissino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51652743276/in/photolist-2mKUm41-2mGnP2f

 

 

Grice ed Orsi – filosofia italiana – filosofia fascista – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Palma di Montechiaro). Filosofo. Grice: “Orsi uses ‘psicologia speculativa’ where I would use ‘psicologia filosofica,’ since speculativa opposes to prattica, rather!” --Allievo di Ottaviano, insegna a Catania. Pubblica nella sua attività di ricerca scritti minori di autori italiani  e il saggio “Gl’hegeliani di Napoli.” Cura l'edizione dell'opera di Ottaviano su Campailla; “La psicologia filosofica di Spaventa” – e stato nella segreteria della rivista “Sophia”. Altri saggi: “Lo spirito come atto puro,” “La filosofia moderna,” “L'uomo al bivio: immanentismo o cristianesimo? Saggio di realismo esistenziale, “Antropologia”; “Psiche e meta-fisica” “Psicologia speculativa” “Sulla psico-patia”. Grice: “The D’Orsi – and indeed a Domenico D’Orsi, back in the 1700s, are a very noble family in Sicily. D’Orsi is associated with “Sophia”, founded by Ottaviano. His interests have been many and varied – but most notably philosophical psychology, which the Italians call ‘psicologia speculativa’ as opposed to cheap scientific psychology. They have the great Spaventa, who philosophized on the most abstract issues concerning the old Roman idea of an ‘animo’. Compared to what Ryle’s and Watson’s psychological behaviourism is a no-no-no!” O’Orsi has philosophized on democracy. I democratici can be ingenuii, as I prefer them, or critici. He has also ‘cured’ the edition of Ottaviano on Campailla, and went continental to study Napoli!” Grice: “Orsi has done a lot to allow us to understand Spaventa. As most Italians, Spaventa was fascinated by the Hun, and cared to trasnalte a book that the Hun never cared to read: Lotze’s Elementi di psicologia speculativa. I can imagine Spaventa wondering what he was doing, bringing Lotze’s ‘seele’ as ‘animo’. The ‘elements’ by Lotze, as translated by Spaventa, are elementary enough – but the section on the ‘soul/body’ (anima/corpo), ‘animo/corpo, corpo animato, corpo inanimate) is interesting. But far more interesting is Orsi’s unearthing Spaventa’s “Psiche e metafisica” – not to be confused with LABRIOLA’s essay by the same name. This is a hodge podge of reflections. But mainly anti-materialistic. While an emergentist, Spaventa (as discovered by Orsi) struggles to understand the connection between ‘sentire’ and ‘sentito’ and more generally, between the ‘sentire’ as a processo fisiologico – Spaventa goes on to distinguish three levels of the ‘sentire’ – the first is the processo fisiologico itself, the second is what Spaventa, as unearthed by Orsi, calls the ‘unita distintiva del sentito’, and the third is the ‘unita reflessiva del sentito’ or ‘raprresentazione’. So if you feel cold, there’s cold qua processo fisiologico of a ‘corpo animato’ – ‘uninanimated bodies cannot FEEL cold’ – second there is the unity of COLDNESS as distinctive from say, HEAT. And third there is the concetto ‘’freddo’ – so that there is a ‘unita reflessiva del sentito’ – the expression ‘freddo’ now NAMES or represents, or stands for the sensation itself. Domenico D’Orsi. Orsi. Keywords: animo, amore, Ottaviano, Campailla, Spaventa, gl’hegeliani di Napoli, Sophia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Orsi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742674470/in/datetaken/

 

Grice ed Ortes – il verso -- filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Venezia). Filosofo. Grice: “Being English, I was often confronted with that very ‘silly’ song by Cleese and Idle, but then they were never the first! Which is good, since they are Cambridge and Ortes is Oxonian! Viva La Fenice!” --   Considerato uno dei più dotati tra i filosofi veneti settecenteschi, precursore nell'analizzare dal punto di vista della produzione complessiva alcuni aspetti come popolazione e consumo. La sua impostazione filosofica si fonda su un rigoroso razionalismo. Nel mercantilismo vide far gran confusione fra moneta e ricchezza. Fu un sostenitore del libero scambio pur con alcune restrizioni della proprietà che interessavano il clero, anche se appartenevano al passato ed è considerato per questo un anticipatore di Malthus, ma con qualche contraddizione. Malthus prevede l'aumento della popolazione, in trenta anni, in modo esponenziale, quindi molto di più dell'aumento delle sussistenze. Altre saggi: “Grandi, abate camaldolese, matematico dello Studio Pisano, Venezia, Giambatista Pasquali, “ Dell'economia nazionale” (Venezia); “Sulla religione e sul governo dei popoli” (Venezia); “Saggio della filosofia degli antichi” -- esposto in versi per musica (Venezia); “Dei fedecommessi a famiglie e chiese,” Venezia, “Riflessioni sulla popolazione delle nazioni per rapporto all'economia nazionale: errori popolari intorno all'economia nazionale e al governo delle nazioni” (Milano, Ricciardi), R. Donati (Genova, San Marco dei Giustiniani). Catalano, Dizionario Letterario Bompiani. AMilano, Bompiani, Citazionio su Treccani L'Enciclopedia Italiana. Quanto i suoi studi matematici influissero sul suo metodo economico,vedremo; qui, brevemente, come in fluissero sulle sue considerazioni filosofiche. Così, scrive egli delle opinioni (1) ed ecco si studia di ridurre a (1) “Calcolo sopra il valore delle opinioni e sopra i piaceri e i dolori della vita umana”, Venezia, Pasquali, ristampato dal Custodi,t.XXIV degli ECON. MOD.   FILOSOFIA IN FORMULE MATEMATICHE numero determinato il valore dell'opinione, che alcun gode, per possedere certa qualità che lo pone innanzi agli altri nella scelta degli oggetti piacevoli. Questa buona opi nione nasce o dai natali,come la nobiltà,la patria ecc., o dallaprofessione,come la milizia,lelettere ecc.,o da qualche prerogativa, come dall'autorità, dal merito ecc. Ciascun uomo fornito di alcuna di queste qualità gode di qualche cosa che non godrebbe se ne fosse privo. Ortes si studia di determinare il valore di questi beni recati dall'opinione. Valga un esempio. Se si chiede quanto aggiunga di valore alla nobiltà l'opinione della stessa, Ortes ragiona così: postoche larenditagiorna liera di tutte le famiglie nobili sia 20,000, quella che proviene da cariche,magistrature,commende ecc. 3,300, quella che vien data dall'opinione,cioè coll'autorità di disporre di più posti, e colla riputazione dei grandi sul volgo, a 700,posto che il numero di tutti i nobili sia 10,000, il valore di tutta la nobiltà sarebbe espresso da 20,000 + 3,300 + 700 = 2. Falostessocoin 10,000 puto per le altre opinioni,di cui dice esser pretesto la virtù,ma verofinel’interesseproprio,poichè,dipen dendo il valore delle opinioni dalla ricchezza attuale o possibile, è manifesto che si deve prima d'ogni altra cosa cercare l'utileproprio. Avverte che v'ha sempre un'opinione predominante che varið col variare dei secoli: ai tempi di Roma li bera era la conquista;sottoAugusto illusso;ilplato nismo ai tempi di Costantino; l'investitura ai tempi di Gregorio VII ; le lettere sotto Leon X ;finalmente lozio a tempi dell'autore! Strana è questa classificazione,   44 PIACERI E DOLORI. tuttavia 1?Ortes mostra come il pretesto della virtù coprisse basse mire di privato interesse. Lo stesso ozio ha il suo pretesto dell'ordine, benchè sia figlio di vana alterigia.L'uomo che dee servire a molte di queste opi nionisaràpiùcivile,ma piùtimidoefinto;chiapoche; sarà più rozzo,ma anche più sicuro e più libero. E come l’Ortes si studia di ridurre a calcolo le opi nioni,così parimenti i piaceri e i dolori. Meno originale e meno astruso è l'Ortes in questo scritto.Con molta inesattezza di idee e di lingua, espone daprincipioladottrina chetuttociòcheèconforme alla conservazione e sviluppo del nostro essere, genera piacere; il contrario,dolore; parla dei dolori e piaceri delsenso,dei dolori e piaceri dell'opinione; mostra l'uomo naturalmente soggetto al dolore, e che il piacere non è che un sollievo del dolore; con ragionamento curioso studiasi mostrare che il piacere non può mai s u perare il dolore, perchè il piacere essendo preceduto, secondo l'Ortes, dal dolore, sopito che questo sia, tutto quel di più di piacere che si volesse applicare gene rerebbe dolore contrario, come l'indigestione dopo la fame cessata, la stanchezza dopo la danza ecc.  Il calcolo del piacere e dei dolori dipende dal grado della elasticità delle fibre onde alcuno è fornito,e,quanto ai piacerie dolori d'opinione, dalla stima che ciascuno fadeglistessi. L'autore nonpretendeanovitàdidot trina, professa di avere scritto secondo la propria espe rienza, con un temperamento indolente é coisuoi sensi inun'etàdimezzo.Vedrem poi com’eglistessone ab bia dato un giudizio severo. Due altre opere filosofiche si hanno dell’Ortes : un   ragionamento delle scienze utili e delle dilettevoli per rapportoallafelicità umana;— e riflessioni su gli oggetti apprensibili, sui costumi e sulle cognizioni umane per rapporto alle lingue (1); ma si può dispensarsi dal tener dietro a questi discorsi, che, a dir vero, son pesantissimi. In sostanza l'uno si riduce a mostrare l'ufficio delle umane facoltà nella scienza e nelle arti belle,anche queste in titolandole scienze ma dilettevoli,in contrapposto delle a ltre che chi ama scienze utili; nelle scienze tiene il campo l'intelletto, nelle arti belle l'imaginazione; quelle hannoperoggettoilverocom'è,questeilveroma ela borato dalla fantasia. Quindi discorresi in quali termini sia concesso il lavoro dell'imaginazione e concludesi sul tenore dell'epigrafe : Sol la scienza del ver giova ed alletta. L'altro ebbe occasione dallatraduzione del Pope, perchè volendo ragionare delle difficoltà del tradurre, si trova così accresciuta in mano la materia, che piuttosto d’un proemio s’appiglia a farne un saggio a sè. In fatto prende la cosa da alto, e filosofeggia sulla varietà reale degli oggetti e sulla varietà nel modo di rappresentarseli, onde s'apre l'adito a discorrere delle lingue e delle loro diversità, quindi intorno l'uso della parola, e particolarmente intorno all'eloquenza. Infine ritorna donde era partito, e conclude che se il traduttore può benissimo esporre le verità apprese da altra lingua, non potrà tuttavia produrne tale impressione negli ani mi, come ne è prodotta dall'originale, se non facendo sene come nuovo autore, esprimendole cioè inmodo; tip. Pasquali.  SUL MODO DI TRADURRE. Non si può negare che osservazioni argute si tro vino spesso nell'Ortesa ncheinqueste riflessionisugli oggetti apprensibili, suicostumi, e sulle cognizioni umane per rapporto alle lingue; ma pur troppo è d'uopo cercarsele in una lettura assai noiosa. Qualche volta dà risalto a quell'idea che vedremo poi sua prediletta in economia, che cioè quello solo riesca ove siavi la pubblica persuasione, non già ove questa non corrispondaagliimpulsi; e però egregiamente dice, che allora un ammiraglio potea condurre gli’inglesi in  America, come un tempo un romito potea condurli in Soria, perchè gl’inglesi stessi voleano e avean voluto così. Qualche volta, faticosamente sì, ma pur si conduce a qualche sentenza netta e perspicua, come, p. es., dopo  GOLDONI, COLTURA ALLAMODA, PUB. OPINIONE. Adatto all'indolee ai pregi della propria  lingua. Chi volesse calcare l'autore straniero sarebbe come chi cre desse ricopiare un ritratto con soprapporvi isuoi colori, coprendone così e confondendone letinte,ecangiando il quadro in un mascherone o in un empiastro. necessità invece che gli scrittori s'accordino sempre col carattere nazionale de'lettori; e qui l’Ortes osserva, che il miglior poeta comico italiano de'suoi tempi potea bensi starsene in Francia per passar quivi meglio i suoi giorni, ma non giammai perchè il suo talento comico fosse così ben rilevato nella lingua francese a Parigi, come il fu già in Venezia nel dialetto suo veneziano. Qualche volta sembrerebbe anche gaio,come quando si lagna che, temendosi la fatica dello studio, si trascu rassero le cognizioni vere, contentandosi di dizionari, giornali, compendi o altri repertori per dilettare, diver tire,ocome diceano,per amuseare! È  USO DELLA PAROLA PEI GOVERNI avere deplorato che il mondo governisi da chi più ciarla , non da chi più sa, egli conclude: se chi preten desse governar altri senza render ragione del suo go verno,sarebbe uomo assai vano;ilsarebbe non men certamente chi pretendesse governarli per sola copia ed eleganza di voci. Qualche volta infine dimostrasi d'animo aperto e sollecito per le innovazioni. « Qui cade a proposito (così egli) d'avvertire l'errore di quelli che si figurano di richiamar nelle nazioni la verità e la ragione comune (cioè gli in teressi comuni, pubblici, universali in contrapposto ai particolari, privati, speciali) perquantovi sifosse smarrita, col rinovar quelle leggi che ne prescrivevano le modificazioni a'tempi de'lorobisavoli, progetto al tutto assurdo e impossibile. La verità e la ra » gione comune potrà ben richiamarsi per leggi, per quanto a'tempi trasandati fosse stata più riconosciuta » per sè stessa in quei costumi, di quel che il sia ai tempi presenti per costumi che la modificassero in contrario di sè medesima; giacchè essa in sè stessa è una sola di tutti i luoghi e di tutti i tempi; ma il richiamarla al presente per le sue modificazioni antiche, quando tali modificazioni debbon ad ogni tempo esser diverse, non può essere che una miseria » di mente, per cui si creda la natura non più capace » d'invenzioni in sua natura, di quel che siasi un po vero consigliere segreto che creda operar in sua rece. Chi declama contro i nuovi costumi che si vanno in » troducendo, e deplora gli usati che si van disusando; ha molta ragione se inuovi costumi son modificazioni di una ragion men comune, di quel che siano gli usatichea quellidan luogo. Ma seinuovicostumi son » tanto buone modificazioni della comun ragione, quanto gli usati che siperdono; ei declama inutilmente, come se ciòfosse contro il variar de venti, essendo l’una e l'altra cosa quanto innocente, tanto inevitabile e necessaria,e potendo,anzidovendo,quella comun ragione,per disposizione di natura e per sapienza illimitata del supremo suo artefice, praticarsi sempre per modificazioni diverse, e comparire in sembianze ché non siano giammai le stesse, essendo nondimeno la stessa per sè medesima. Senza questo una simile verità o ragione correrebbe rischio di non esercitarsi che per inganno; ed è ancor vero che talvolta con richiamare la verità, la ragione, e la religione stessa per le sole loro modificazioni esterne di tempi molto remoti, si riesce a perdere tutto il senso reale ed interno di queste virtù, incariabili per sè stesse, riducendole a quelle materiali loro modificazioni esterne, senza alcun rapporto a quell interno lor senso e significato. Si pigli intanto l'Ortes in parola, poichè avrem campo di trovarlo in seguito così reluttante a certe modificazioni che non sembra quel desso. Meglio avremo occasione di riandare alcuni suoi pensieri dello stesso libro, che con certo apparato filosofico mettono innanzi quell'armonia degli interessi, da lui tanto raccomandata nelle sue opere economiche. Ma lasciamo per ora queste meditazioni di filosofia. Gianmaria Ortes. Ortes. Keywords: verso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ortes” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690552167/in/photolist-2mPsU62-2mNaHiH-2mMYJP6-2mKHAhF-2mKDA5r-2mPvmTf

 

Grice ed Otranto – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Otranto). Filosofo. Grice: “Otranto wrote a tractatus ‘de arte laxeuterii,’ which is an art of ‘divination,’ as when we say that smoke divinates fire!” -- Grice: “Had Otranto not written ‘scritti filosofici’ we wouldn’t call him a philosopher!” – Filosofo. Sull'infanzia e sulla formazione poco è noto. Non si sa dove oggiorna e studia, né chi siano stati i suoi maestri. La sua filosofia, però, lascia immaginare una formazione molto solida. Insegna a Casole. Tradusse la liturgia di Basilio ed altri testi liturgici per volontà del vescovo. Le sue competenze linguistiche gli valeno inoltre degli incarichi diplomatici. Interprete al seguito dei legati papali Benedetto, cardinale di Santa Susanna, e Galvani. E a Nicea al seguito del re Federico di Svevia. Saggi: “L'arte dello scalpello”, con una raccolta di testi geo-mantici ed astrologici; traduzioni di testi liturgici; “Dialogo contro i giudei”; Tre monografie o syntagmata “Contro i Latini” -- su questioni dottrinali significative nella polemica fra cattolici ed ortodossi (quali la processione dello spirito santo o il pane azzimo); un'appendice ai tre syntagmata; lettere e frammenti di  lettere;.  J Hoeck-R.J. Loenertz, Nikolaos-Nektarios von Otranto Abt von Casole. Beiträge zur Geschichte der ost-westlichen Beziehungen unter Innozenz III. und Friedrich II., Ettal. M. Chronz: Νεκταρίου, ηγουμένου μονής Κασούλων (Νικολάου Υδρουντινού): « Διάλεξις κατά Ιουδαίων». Κριτική έκδοση. Athena,  L. Hoffmann: Der anti-jüdische Dialog Kata Iudaion des Nikolaos-Nektarios von Otranto. Universitätsbibliothek Mainz, Mainz, Univ., Diss., Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Homosexuality in a textual gap in what was going on in Italian Byzantine convents under Roman rules. Longobards being raped, or raping Greek monks. Nicola Nettario d’Otranto. Otranto. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Otranto” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Ottaviano – collettivismo – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Modica). Filosofo. Grice: “Perhaps with Holllinghurst, and Hogarth, of course, Ottaviano is one of the few who have cherished in the analysis of ‘la curva’ or ‘la linea’ – and it has revived a debate which should fascinate a few!” Diplomatosi a Modica, si laurea a Milano. Straordinario di Storia della Filosofia a Cagliari, poi a Napoli, ottenne la cattedra, conseguendovi la libera docenza ne passò poi a Catania, dove fonda e diresse l'Istituto di Magistero, insegnandovi. Fonda la rivista “Sophia”. Grande conoscitore della filosofia del periodo medievale, di cui peraltro ritrova e studiò molte opere inedite, elaborò una propria teoria.  Delle due saggi, “Critica dell'Idealismo” (Napoli,) e “Metafisica dell'essere parziale” (Padova), la prima ma fu ben presto censurata e poi bruciata pubblicamente a causa della sua dura critica all'Idealismo di Gentile. Questa sua opposizione a Gentile, nonché le sue critiche a Croce, gli valeno dure vessazioni accademiche.  Compone inoltre un ampio e comprensivo Manuale di storia della filosofia (Napoli). Membro dell'Accademia d'Italia, si occupa, per primo, della filosofia di Gioacchino da Fiore, esaltato d’Aligheri nella Commedia, pubblicandone un saggio. Pubblica il codice di Oxford “Joachimi Abbatis Liber contra Lombardum,” che attribuì a qualche seguace della scuola di Fiore. Mentre celebrava, a Novara, Pietro Lombardo, riprese a parlare di Fiore, presentandolo come un romantico "ante litteram" e un fautore della nazione italiana. Segnalò pure due ignorati codici gioachimiti della biblioteca Casanatense di Roma, occupandosi altresì della condanna di Gioacchino da parte del Concilio Lateranense ed evidenziandone lo sgomento suscitato. Inoltre, nella rivista Sophia, diretta da lui ed allora edita dalla MILANI di Padova, diede spazio a vari studiosi gioachimiti. Sempre sull'argomento, ritenne dapprima Gioacchino un triteista, ma, dopo aver visionato le tavole del Liber figurarum, scoperto da L. Tondelli propese invece per un'ortodossia trinitaria. Fonda e diresse un partito nazionale d'impronta social-liberale, che però non ebbe seguito. Opere principali: Pietro Abelardo. La vita, le opere, il pensiero” (Poliglotta, Roma); “Il "Tractatus super quatuor evangelia" di Fiore, Archivio di filosofia, Padova, Testi medioevali inediti. Alcuino, Avendanth, Raterio, Anselmo d’Aosta, Abelardo, Incertus auctor” (Olschki, Firenze); Joachimi abbatis Liber contra Lombardum (Scuola di Gioacchino da Fiore), Reale Accademia d'Italia Studi e documenti, Roma, Un documento intorno alla condanna di Gioacchino da Fiore” (Rondinella, Napoli); Pier Lombardo, in Celebrazioni piemontesi, Istituto d'Arte per la Decorazione e la Illustrazione del Libro, Urbino); “Critica dell'Idealismo” (Rondinella, Napoli); “Metafisica dell'essere parziale” MILANI, Padova); “La tragicità del reale, ovvero la malinconia delle cose. Saggio sulla mia filosofia” (MILANI, Padova); Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note D. D'Orsi” (MILANI, Padova); E. Scarcella, Dizionario Biografico degli Italiani, D. D'Orsi, Il filosofo della quarta età: ricordo di Ottaviano, quotidiano “La Sicilia”, Catania, di. D.'Orsi, Tra Socrate e Gesù: quattro anni fa moriva, quotidiano “La Sicilia”, Catania,. E. Scarcella,  Dizionario Biografico degli Italiani, stituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma,. Gioacchino da Fiore  Massimiliano Pace, Info Magazine. Grice: “I love Ottaviano: he had three main interests: philosophy, philosophy, and philosophy. More specifically, as a Sicilian he was not interested in Italian philosophy, which he found too continental; he loved a mediaeval – and he loved Gentile – he corresponded extensively with him! La visione cristiana di Ernesto Buonaiuti, F. Campitelli, Foligno 1924.   A proposito di un libro sul Prepositino, in «Rivista di filosofia neoscolastica», a. XX, 1928, pp. 366 – 371.  Traduzione, prefazione e note di: Anselmus Cantuariensis, Opere filosofiche, trad. pref. e note di C. Ottaviano, 3 vol., Carabba, Lanciano 1928.  Metafisica del concreto. Saggi di una Apologetica del Cattolicesimo, Angelo Signorelli editore, Roma 1929.  Ricerche lulliane, in «Estudis universitaris catalans», XIV, 1929, pp. 1 – 13.  Pietro Abelardo. La vita, le opere, il pensiero, Tipografia Poliglotta, Roma 1929.  Otto opere sconosciute di Raimondo Lullo, in «Rivista di cultura», maggio – giugno 1929, pp. 214 – 224; luglio – agosto 1929, pp. 289 – 296; tradotta in francese: L'Ars compendiosa de R. Lulle, avec une étude sur la bibliographie et le Fond Ambrosien de Lulle, Paris 1930; ristampata sempre in francese: L'Ars compendiosa de R. Lulle, avec une étude sur la bibliographie et le Fond Ambrosien de Lulle, par Carmelo Ottaviano, Librairie philosophique J. Vrin, Paris 1981.  Guglielmo d'Auxerre. La vita, le opere, il pensiero, Biblioteca di filosofia e scienze, Roma 1930.  A proposito di un libro su S. Anselmo, in «Rivista di filosofia neoscolastica», a. XXII, 1930, pp. 379 – 387.  I problemi del realismo, in «Giornale critico della filosofia italiana», n. 5, 1930.  Le “Quaestiones super libro Praedicamentorum” di Simone di Faversham, in «Memorie della R. Accademia dei Lincei» Serie VI, vol. III, fasc. IV, Roma 1930.  Traduzione, prefazione e note di: Tommaso d’Aquino, Saggio contro la Dottrina averroistica dell’unità dell’intelletto, Carabba, Lanciano 1930.  Traduzione, prefazione e note di: Tommaso d’Aquino, Saggio sull'essere e l'essenza e altri opuscoli, prefazione, traduzione e note critiche di C. Ottaviano, Carabba, Lanciano 1930.  Frammenti abelardiani, in «Rivista di cultura», fasc. 11, Prof. P, Loescher, Roma 1931, pp. 3 – 23.  Il "Tractatus super quatuor evangelia" di Gioacchino da Fiore, in «Archivio di filosofia», Parte I, Padova 1931, pp. 73 – 82.  Osservazioni critiche sui presupposti del problema della conoscenza. Il superamento dell'immanenza sulla base della nozione di individuo, in «Archivio di filosofia», n. 3, novembre 1931, pp. 35 – 47.  Il pensiero e il suo atto, in «Archivio di filosofia», n. 4, dicembre 1931, pp. 20 – 31.  La riforma della logica di Aristotele, in «Archivio di filosofia», n. 4, dicembre 1931.  Nota polemica, in «Rivista di cultura», n. 9 – 10, 1931.  Le opere di Simone di Faversham e la sua posizione nel problema degli universali, in «Archivio di filosofia», 1931.  Traduzione, curatela e note di: Tractatus de Universalibus attribuito a San Tommaso d’Aquino, a cura di C. Ottaviano, Reale Accademia d'Italia, Roma 1932.  Introduzione, traduzione, prefazione e note di: Anselmo d'Aosta, Il Monologio, Palermo 1932.  Antologia del pensiero medioevale. Per le scuole medie superiori, Ires, Palermo 1932.  Testi medioevali inediti. Alcuino, Avendanth, Raterio, S. Anselmo, Pietro Abelardo, Incertus auctor, a cura di Carmelo Ottaviano, Olschki, Firenze 1933.  Riccardo di San Vittore, la vita, le opere, il pensiero, in «Atti della Reale Accademia dei Lincei», IV, n. 4, 1933, pp. 411 – 541.  Traduzione, prefazione e note di: Bonaventura da Bagnoregio, Itinerario della mente verso Dio, traduzione, prefazione e note di C. Ottaviano, Antologia del pensiero medievale per le scuole medie superiori, Palermo 1933.  Il pensiero di Francesco Orestano, Ires, Palermo 1933.  Il superamento dell'immanenza in B. Varisco, in «Archivio di filosofia», n. 4, 1934.  Traduzione e note di: P. Abelardus, Epistolario completo. Contributo agli studi sulla vita e il pensiero di Pietro Abelardo, trad. it. e note critiche di C. Ottaviano, Ires, Palermo 1934.  Joachimi abbatis Liber contra Lombardum. La Scuola di Gioacchino da Fiore, a cura di Carmelo Ottaviano, Reale Accademia d'Italia - Studi e documenti, Roma 1934.  Critica del principio d'immanenza, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», a. XXVI, 1934, p. 559 - 577.  Il perduto “Liber de potentia, obiecto et actu” di Lullo in un manoscritto romano, in «Estudis franciscans», luglio – dicembre 1934, pp. 257 – 268.  Un documento intorno alla condanna di Gioacchino da Fiore nel 1215, Rondinella, Napoli 1935 (poi ripubblicato in "Siculorum Gymnasium", Università di Catania, 1949).  Storia, filosofia della storia, scienza della storia, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», a. XXVII, 1935, pp. 67 – 81.  Un brano inedito della Philosophia di Guglielmo di Conches, A. Morano, Napoli 1935.  Il cosiddetto “riferimento necessario alla coscienza” nell'idealismo, in AA. VV., Atti del IX Congresso nazionale di Filosofia, (Padova 20 – 23 settembre 1934), Padova 1935, pp. 348 – 363.  Novità in filosofia, Milani, Padova 1935.  Pier Lombardo, in Celebrazioni piemontesi, Istituto d'Arte per la Decorazione e la Illustrazione del Libro, Urbino 1936.  Critica dell'Idealismo, Rondinella, Napoli 1936. (Pubblicato nuovamente da Milani, Padova 1948)  Traduzione, prefazione e note di: Pietro Abelardo, L'origine delle monache; e La regola del Paracleto, traduzione, prefazione e note di Carmelo Ottaviano, Carabba, Lanciano 1936.  L'unica forma possibile di idealismo, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», a. XXVIII, 1936, p. 47 – 64.  La scuola attualista e Scoto Eriugena, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», a. XXVIII, 1936, pp. 142 – 151.  Riflessioni sulla polemica Orestano – Olgiati, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», a. XXIX, 1937, pp. 83 – 86.  Curatela di: T. Campanella, Epilogo magno (Fisiologia italiana). Testo inedito con le varianti dei codici e delle edizioni latine, a cura di C. Ottaviano, Reale Accademia d'Italia, Roma 1939.  Kritik des Idealismus, mit einer Einfuhrung von Fritz-Joachim Von Rintelen: Realismus-Idealismus?, Aschendorff, Munster 1941.  Metafisica dell'essere parziale, MILANI, Padova 1942.  L'unità del pensiero cartesiano e il cartesianesimo in Italia, MILANI, Padova 1943   Scritti (1928 – 1945) con 327 giudizi della critica italiana e straniera, Tipografia agostiniana, Roma 1946.  Panteismo o trascendenza, in «Humanitas», n. 42, 1949.  Il problema morale come fondamento del problema politico, Milani, Padova 1952.  L'idealismo trascendentale e la metafisica classica, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», XLV (1953), pp. 535 – 570.  La soluzione scientifica del problema politico, Rondinella editore, Napoli 1954.  Le incertezze della scienza moderna, Padova 1959.  Progetto di un disegno di legge per salvare la Democrazia dalla dittatura, MILANI, Padova 1961.  Dalla democrazia ingenua alla democrazia critica, MILANI, Padova 1961.  Che cosa è il social-liberalismo, MILANI, Padova 1962,  Lineamenti programmatici per una riforma della scuola italiana, MILANI, Padova 1962.  Presentazione di: Agostino Sepinski, Cristo interiore secondo San Bonaventura, presentazione C. Ottaviano. trad. di suor M. Luisa Orgiani, Politica popolare, Napoli 1964.  La tragicità del reale, ovvero la malinconia delle cose. Saggio sulla mia filosofia, MILANI, Padova 1964.  Critica del socialismo: ossia Introduzione alla teoria della proprietà per tutti, MILANI, Padova 1964.  Introduzione alla teoria delle proprietà per tutti, ovvero la mia soluzione al problema economico-politico, MILANI, Padova 1968.  Didattica e pedagogia. Ovvero la mia riforma della scuola, MILANI, Padova 1968.  La legge della bellezza come legge universale della natura. Considerazioni teoretiche e applicazioni pratiche, MILANI, Padova 1969.  Manuale di Storia della filosofia, 3 vol., La Nuova Cultura, Napoli 1970.  Manuale di storia della filosofia e della pedagogia, La Nuova Cultura, Napoli 1972.    Appunti di pedagogia contemporanea, 1974  Personalismo e collettivismo. Introduzione alla teoria della proprietà privata per tutti, Solfanelli, Chieti 1978.  Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note a cura di Domenico D'Orsi, MILANI, Padova 1999.     «Sophia: fonti e studi di storia della filosofia» Da a. 1, n. 1 (gen./mar. 1933) A a. 41, n. 1/4 (gen./dic. 1973).- Palermo: Ires, 1933-1973. - 39 v. Trimestrale. Il complemento del titolo varia in: rivista internazionale di fonti e studi di storia della filosofia; poi in: rassegna critica di filosofia e storia della filosofia. Luogo ed editore variano in: Napoli, A. Rondinella; poi in: Padova, Milani. Alcuni degli articoli più significativi scritti da Ottaviano per Sophia:  Le «rationes necessariae» in S. Anselmo, in Questioni e testi medievali , in «Sophia», n. 1, 1933, pp. 92 – 97. Novità abelardiane, in Questioni e testi medievali , in «Sophia», n. 1, 1933, pp. 99 – 101. Storicismo attualista, in «Sophia», n. 2, 1933, pp. 135 – 143. Storicismo attualista, seconda puntata, in «Sophia», n. 1, 1934, pp. 149 – 164. Controversie medievali. A proposito della paternità tomistica di un “Tractatus de universibus”, e della data del “De unitate intellectus”, in «Sophia», n. 1, 1935, pp. 134 – 140. Intorno al IX Congresso nazionale di Filosofia di Padova, in «Sophia», n. 2, 1935, pp. 285 – 287. Intorno alla critica dell'immanenza, in «Sophia», n. 2, 1935, pp. 288 – 290. Critica del principio di immanenza, in «Sophia», n. 3 – 4, 1935, pp. 543 – 569. A proposito della storia, in «Sophia», n. 3 – 4, 1935, pp. 613 – 617. I grandi idealisti contemporanei, in «Sophia», n. 3 – 4, 1935. L'idealismo sulla via di Damasco, in «Sophia», n. 3 – 4, 1935. Contraddizioni idealistiche, in «Sophia», n. 3 – 4, 1935. La fondazione del realismo, in «Sophia», n. 2 – 3, 1936. Postilla alla “Difesa del principio di immanenza”, in «Sophia», n. 2 – 3, 1936. Postilla a “Immanenza, idealismo e realismo”, in «Sophia», n. 2 – 3, 1936. Idealisti per forza, in «Sophia», n. 1 – 2, 1937. Ancora sulla fondazione del realismo, in «Sophia», n. 3, 1937. Fanatismo idealista, ovvero l'agonia dell'Idealismo, in «Sophia», n. 3, 1937. Nuova illustrazione del documento intorno alla condanna di Gioacchino da Fiore nel 1215. Postilla, in «Sophia», n. 3, 1937, pp. 360 – 365. Intorno all'idealismo e al realismo, in «Sophia», n. 4, 1937. Postilla all'art. di Chiocchetti: “A proposito dell'idealismo di C. Ottaviano”, in «Sophia», n. 3, 1939. Anti-moderno, in «Sophia», n. 3, 1939, pp. 265 – 281. Intorno alla critica all'idealismo, in «Sophia», n. 2, 1940. Intorno alla valutazione della filosofia moderna, in «Sophia», n. 4, 1940, pp. 483 – 506. La teoria delle “species” e l'idealismo immanentistico, in «Sophia», n. 1, 1943. La natura della sensazione e la fondazione del realismo, in «Sophia», n. 3, 1946. Referendum ai nostri Lettori in occasione della ripresa delle Rivista, in «Sophia», n. 1 – 2, 1944 – 45 – 46. Francesco Orestano [1873 – 1945], in «Sophia», n. 12 – 13 – 14, 1944 – 45 – 46. Il vero significato della relatività galileiana nel movimento, in «Sophia», n. 3 – 4, 1947, pp. 285 – 330. Natura pura e soprannaturale, in «Sophia», n. 2, 1949. I fondamenti logici della relatività, in «Sophia», n. 1, 1950, pp. 37 – 50. Gli argomenti probativi dell'evoluzionismo, in «Sophia», n. 2, 1950. Intorno al significato storico dell'idealismo italiano, in «Sophia», n. 1, 1951. Intorno alla legge di conservazione dell'energia, ossia del materialismo, in «Sophia», n. 1, 1951. Intuizionismo e logicismo in matematica, in «Sophia», n. 3 – 4, 1951, pp. 342 – 345. Intorno alla gratuità dell'ordine soprannaturale, in «Sophia», n. 1, 1952, pp. 39 – 45. Postilla a E. Riverso, Aporie e difficoltà del Positivismo logico, in «Sophia», n. 2, 1953. Valutazione critica del pensiero di B. Croce. 1) L'estetica, in «Sophia», n. 1, 1954. Valutazione critica del pensiero di B. Croce. 2) Lo storicismo assoluto, in «Sophia», n. 1, 1954. Bilancio di Benedetto Croce, in «Sophia», n. 2 – 3, 1954. Einstein filosofo, in «Sophia», n. 3 – 4, 1954, pp. 260 – 274. Giudizio intorno alla Logistica, in «Sophia», n. 1, 1956. Logica, matematica, poesia, in «Sophia», n. 1 – 2, 1957, pp. 3 – 32. Crolla l'idolo einsteiniano, in «Sophia», n. 2, 1960, pp. 213 – 217. Il “compagno Scioccherellov”, ossia la tragicommedia del comunismo, in «Sophia», n. 3 – 4, 1960, pp. 450 – 453. Mi intrattengo ancora con il “compagno Scioccherellov”, in «Sophia», n. 2 – 3, 1961, pp. 358 – 359. “Individui di tutto il mondo unitevi”, ossia Critica della democrazia come idea-forza, in «Sophia», n. 2 – 3, 1961. Giudizio su Benedetto Croce come uomo politico, in «Sophia», n. 4, 1961. L'assalto alla diligenza, ossia la scuola privata ecclesiastica e laica all'assalto del tesoro della Stato, in «Sophia», n. 4, 1961, pp. 437 – 439. Difesa della scuola statale, ossia l'Antistato contro lo Stato, in «Sophia», n. 1 -2, 1962, pp. 25 – 50. L'“ordine della scuola italiana”, in «Sophia», suppl. n. 2 al n. 1 -2, 1962. In difesa dell'umanità Abbasso gli scienziati, viva i filosofi!, in «Sophia», n. 1 -2, 1965. Come integrare la dottrina relativistica di Einstein, in «Sophia», n. 3 -4, 1966, pp. 233 – 274.    Scritti sull'autore  AA. VV., Carmelo Ottaviano nella filosofia del Novecento, Atti dei convegni tenuti a Milano e Catania nel 2007, a cura di Francesco Rando e Francesco Solitario, Prometheus, Milano 2008.  A. Cartia, Tempo, memoria e infinito. I temi del tragico nell'opera di Carmelo Ottaviano, a cura di Alessandro Ghisalberti e Francesco Rando, Prometheus, Milano 2013.  G. Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia 1950, p. 146.  F. Coniglione, «Sophia». Nel segno di Ottaviano: una rivista a tutto campo, in AA. VV., La cultura filosofica italiana attraverso le riviste, a cura di Piero Di Giovanni, Franco Angeli, Milano 2006, pp. 89-124.  B. Croce, Conquiste filosofiche a passo di carica e a suon di tromba, in «La Critica», XL, 1942, pp. 173 – 174.  D. D'Orsi, Il filosofo della quarta età: ricordo di Carmelo Ottaviano nel trigesimo della morte, quotidiano “La Sicilia”, Catania, del 23/02/1980.  D. D'Orsi, Tra Socrate e Gesù: quattro anni fa moriva il filosofo Carmelo Ottaviano, quotidiano “La Sicilia”, Catania, del 24/01/1984.  D. D’Orsi, Appunti autobiografici ed evoluzione filosofica di Carmelo Ottaviano, in Archivium Historicum Mothycense, V (1999), pp. 57 – 68.  D, D’Orsi, Metamorfosi di un'opera quale compendio di una vita filosofica, Introduzione a Carmelo Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note a cura di Domenico D'Orsi, MILANI, Padova 1999.  A. Del Noce, Il problema dell'ateismo, Teismo e Ateismo politici: postulato del Progresso e postulato del Peccato, Il Mulino, Bologna 1964, pp. 519 – 520 n. 8.  A. Del Noce, Giovanni Gentile, Il Mulino, Bologna 1990, pp. 35 – 36 n. 24.  R. Di Tommasi, Compendio di una vita filosofica: Carmelo Ottaviano, in Voci dal Novecento, a cura di Ivan Pozzoni, Limina Mentis Editrice, Villasanta 2010, pp. 331-378.  C. Ferro, L'«antimoderno» di Carmelo Ottaviano, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», XXXII (1940), pp. 492 – 496.  E. Garin, Cronache di filosofia italiana 1900/1943, laterza, Bari 1966, p. 460.  V. Mathieu, La filosofia del Novecento. La filosofia italiana contemporanea, Le Monnier, Firenze 1978, pp. 116 – 117.  C. Mazzantini, La riduzione ad absurdum dell'immanenza gnoseologica, in «Rivista di Filosofia Neoscolastica», Anno XXVI, Fascicolo III, maggio 1934, Vita e Pensiero, Milano.  P. Mazzarella, Il contributo di Carmelo Ottaviano agli studi di filosofia medievale, in «Sophia», n. 3 – 4, 1956, pp. 334 – 376.  P. Mazzarella, Tra finito e infinito. Saggio sul pensiero di Carmelo Ottaviano, Milani, Padova 1961.  P. Mignosi, Carmelo Ottaviano, in «La Tradizione», n. V – VIII, 1929.  F. Minazzi, Il principio di immanenza nel dibattito filosofico italiano degli anni Trenta: il confronto tra Giulio Preti e Carmelo Ottaviano, in numero monografico de «Il Protagora», Aspetti e problemi della filosofia italiana contemporanea, a cura di Antonio Quarta, XXVIII-XXIX, gennaio 1988 - dicembre 1989, IV serie, nn. 13-16, pp. 245-274.  E. Scarcella, «OTTAVIANO, Carmelo» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 79, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 2013.  M. F. Sciacca, Di una recente critica del principio di immanenza, in «Ricerche filosofiche», anno V, fasc. II, 1935, pp. 127 – 133.  M.F. Sciacca, Il secolo XX, Bocca, Milano 1942, vol. I, p. 665 n

 

 

 

Ottaviano. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ottaviano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51741935518/in/datetaken/+

 

 

Grice e Pace – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Berga). Filosofo. Grice: “I love the fact that Pace, like me, is a Protestant, and married one! This should deduce the defeasibility of non-monotonicity: ‘all Italians are Catholic;’ he surely wasn’t --- and neither is Speranza, or Ghersi, two other fervent ‘protestanti’!”  Grice: “I love Pace – in a way he reminds me of myself when I was teaching Aristotle’s Categoriae at Oxford! – A good thing about Pace is that he stopped saying that he was commenting on Aristotle – his Casaubon edition is still very readable – and tried to compose his own ‘Institutiones logicae,’ as he did – As Kneale once told me, ‘This made Pace a logician, and not just a commentator!” -- Italian essential philosopher. Studia a Padova, dove fu allievo di Menochio e Panciroli. Aderì alla religione riformata e intimorito dagli ammonimenti delle autorità religiose patavine, si rifugiò a Ginevra, il principale centro del Calvinismo. Divenne professore. Tradusse Aristotele – “In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organum: Commentarius analyticus.” A Ginevra sposò Isabella Venturina, protestante originaria di Lucca.  Ottenne la cattedra  a Heidelberg. Pronuncia una famosa prolusione, “De iuris civilis difficultate ac docendi method”. Fu coinvolto in una polemica con Gentili. Gentili, non avendo ottenuto la cattedra di Istituzioni alla quale aspirava, accusò Pace di averlo boicottato e gli rivolse delle offese in un componimento poetico indirizzato a Colli. Offeso, lo denunciò davanti al Senato accademico, costringendolo infine a lasciare Heidelberg per Altdorf. Ebbe anch'egli fastidi con le autorità accademiche di Heidelberg per le sue simpatie per il Ramismo  Insegnò a Sedan, Ginevra, Montpellier, Nîmes, Aiax, e Valence. Rese pubblica la sua abiuria al protestantesimo; quell'anno ebbe la cattedra a Padova e scrisse “De Dominio maris Adriatici”, un'opera a favore della Repubblica di Venezia che gli valse anche il cavalierato. La sua edizione dell'Organon di Aristotele, fu inclusa in un'edizione  delle opere di Aristotele edita da Casaubon ed ebbe ampia diffusione. Pubblicò a Sedan le “Institutiones logicae” e a Francoforte il suo importante commento In Porphyrii Isagogen et Aristotelis Organum, Commentarius Analyticus.  Saggi: “De dominio maris Adriatici” (Imp. Caes. “Iustiniani Institutionum libri IV, Adnotationibus ac notis doctiss. scriptorum illustrati & adaucti. Quibus adiunximus appendicis loco, leges XII tab. explicatas. Vlpiani tit. XXIX adnotatos; Caii libros II Institut. Studio & opera Ioannis Crispini At. In ac postrema editione accesserunt” Ginevra: apud Eustathium Vignon). Ἐναντιόφαν. seu Legum conciliatarum centuriae III, Spirae: typis Bernardi Albini, De rebus creditis, seu De obligationibus qua re contrahuntur, et earum accessionibus, ad quartum librum Iustinianei Codicis, Commentarius; accesserunt tres indices, Spirae Nemetum: apud Bernardinum Albinum, “Tractatus de contractibus et rebus creditis, seu de obligationibus quae re contrahuntur et earum accessionibus, ad quartum librum Iustinianei Codicis, doctissimi cuiusdam I.C. commentarius. Accesserunt tres indices, vnus titulorum, eo quo explicantur ordine descriptorum, alter eorundem titulorum ordine alphabetico, tertius rerum & verborum in toto opere memorabilium, Parisiis: apud Franciscum Lepreus, Isagogica in Institutiones imperiales,  Lyon, Barthélemy Vincent, Oeconomia iuris utriusque, tam civilis quam canonici,  Lyon, Barthélemy Vincent, Methodicorum ad iustinianeum Codicem libri,  Lyon, Barthélemy Vincent, Analysis Codicis, Lyon, Barthélemy Vincent, Artis Lullianae emendatae libri IV Quibus docetur methodus, ad inueniendum sermonem de quacumque re, Valentiae: apud Petrum Pinellum, De dominio maris Hadriatici, Lyon, Barthélemy Vincent. Benedictis, «Gentili, Scipione, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma: Istituto della Enciclopedia Italiana, C. Vasoli, Scienza, dimostrazione e metodo in un maestro aristotelico dell'età di Galilei: “Profezia e ragione” (Napoli, Morano); Aristotelis Stagiritae peripateticorum principis Organum, Morges, Operum Aristotelis”. Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. G. Acquaviva e TuScovazzi, Il dominio di Venezia sul mare Adriatico” (Milano: Giuffrè); A. Franceschini, Giurisprudenza, Venezia: Officine Grafiche di Carlo Ferrari,  Philippe Tamizey de Larroque, Jules Pacius de Beriga: compte-rendu du mémoire de M. Ch. Revillout avec documents inédits, Paris: V. Palmé,  Marine Bohar, « Giulio Pace da Beriga et sa De iuris civilis difficultate ac docendi methodo oratio. Présentation et traduction », Revue d'Histoire des Facultés de Droit. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera.  Opere openMLOL, Horizons Unlimited srl. Grice: “A very systematic logician, and especially interesting being from Vicenza. In fact, he came from Berga, the centre of Vicenza. Quite unlike our Occam who came from Surrey! My special interest is in the particular treatment of ‘interpretatio’ in general. He is one of the licei, i. e. peripathetics, which is nice. By interpretatio in general he means ‘hermeneia’. And he distinguishes then between the MATERIA – of the vehicle of expression, say, the physical sound – ‘vox’ – or any other physical channel one uses to signify something – and the FORM, the signatum itself. The term he uses is “NOTA”, so a particular bit of something – say, a tear – is a SIGN or NOTA of some affection (pathos) in the soul. From there he builds his whole system of communication. There are two types of NOTA, in terms of subject-predicate terministic logic – conjoined by the copula. He is a practical logician and does not much dwell on the topic of what relation this “NOTARE” is – But he does make the usual point that while a THING (res) gets ‘notated’ by an idea (or passion) in the soul – this notatio is ‘naturalis’. Whereas the notatio between a particular physical bit (say, a tear) and some idea or passio of the soul is artificial, as any cocrodile knows!” -- Opere. Keywords: dialettica, Aristotele, Porfirio, Boezio, categoria, praedicamentum. Giulio Pace. Pace. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pace” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692091995/in/photolist-2mPSXPb-2mPVkio-2mPQGvz-2mPKvMM-2mPAuFE-2mPiqeP-2mNzeEc-2mNaHiH-2mN8Hgb-2mN35cA-2mLLZRD-2mLFz5i-2mLGod1-2mKFrQ6-2mLGv16-2mKQW9n-2mPq5pS-2mKG3XG-2mPs71e-2mKMjs5-2mKC3nj-2mKCnei-2mKyErQ-2mPE3Bq-2mKRu2r-2mKCfz1-DhRHD2-jgWnTm-jhFt4p-jhJqzU-hSTpSd-Eoj4SX-DvhhWW-CfbuaM-CntuMM-nBVxwm-nBVKvy

 

Grice e Paci – relazione – filosofia italiana – Luigi Speranza -- (Monterado). Filosofo. Grice: “Paci’s essay on Vico by far exceeds anything that Hampshire wrote about him – magnificent title, too, “ingens sylva.” -- “There are many things I love about Paci: first, he adored Jabberwocky, as he states in his “Il senso delle parole.” Second, he loved Russell’s theory of relations, as he states it in “Relazione e significati.” Third, he agrees with me that Heidegger is the greatest philosopher of all time, as he states in his masterpiece, “Il nulla.” Grice: “Paci used to say, with a smile, that it was ironic that he was born in Monterado and that he had written an essay on ‘Il nulla,’ seeing that “Monterado is, today, well, il nulla.”” Italian essential philosopher «Avevo ben presto compreso che il costume di Paci era quello di discutere liberamente con chiunque di tutto, senza alcuna prevenzione o pregiudizio.»  (Carlo Sini). Tra i più espressivi rappresentanti della fenomenologia e dell'esistenzialismo in Italia. Nato a Monterado (provincia di Ancona), intraprese gli studi elementari e medi a Firenze e Cuneo. Nel 1930 si iscrisse al corso di filosofia dell'Università degli Studi di Pavia, seguendo soprattutto le lezioni di Adolfo Levi. Nel frattempo collaborò con Anceschi alla rivista Orpheus. Si trasferì dopo due anni all'Università degli Studi di Milano dove divenne allievo di Antonio Banfi, con il quale si laureò nel novembre del 1934 discutendo una tesi dal titolo Il significato del Parmenide nella filosofia di Platone. Collabora alla rivista Il Cantiere.  Nel 1935 iniziò il servizio militare nell'esercito, ma nell'ottobre del 1937 viene congedato. Richiamato nel 1943 come ufficiale allo scoppio della seconda guerra mondiale, venne catturato in Grecia dopo l'8 settembre 1943 e inviato presso il campo di prigionia di Sandbostel. Trasferito successivamente nella struttura di Wietzendorf, qui ebbe modo di conoscere Paul Ricœur, con il quale riuscì in quella sede a leggere Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica di Edmund Husserl e a costruire un rapporto di amicizia.  Incominciò la sua carriera di docente insegnando filosofia teoretica all'Pavia, mentre, a partire dall'anno accademico 1957-1958, successe a Giovanni Emanuele Barié all'Università Statale di Milano.  Dopo aver inizialmente collaborato con la rivista Filosofia, nel 1951 fondò la rivista aut aut, che diresse fino al 1976; il periodico costituisce una testimonianza dei suoi variegati interessi letterari e culturali. Il nome della rivista richiama dei testi più famosi del filosofo danese Søren Kierkegaard, precursore dell'esistenzialismo nel suo proposito di accogliere l'irriducibile paradossalità dell'esistenza e l'ostacolo che questa impone al sapere.  Tra i suoi allievi più famosi ricordiamo Giovanni Piana, Carlo Sini, Salvatore Veca, Pier Aldo Rovatti, Mario Vegetti, Guido Davide Neri.  Pensiero Carlo Sini individua l'inizio dell'intera speculazione filosofica di Paci già a partire dalla sua tesi di laurea: in alcune frasi della breve Prefazione vediamo il filosofo marchigiano, ancora ventitreenne, esprimere una specifica interpretazione della filosofia dell'esistenza, dimostrando già un grado elevato di comprensione del proprio tempo e delle proprie inclinazioni.  L'esistenzialismo Paci giunge perciò all'esistenzialismo attraverso lo studio di Platone. Base dell'esistenzialismo di Paci è la relazione, intesa come condizione di esistenza di tutti gli avvenimenti che costituiscono il mondo. Evento è anche l'io, che si conosce come esistenza finita ed empirica in rapporto ad altre esistenze. Dalla pura condizione esistenziale del fatto, attraverso la conoscenza, Paci definisce la condizione dell'uomo come personalità morale.  L'io conoscente è la chiara forma della legge morale che fa sì che ogni io, in quanto conosciuto e molteplice e in quanto esistenza, possa diventare soggetto singolo come soggetto di scelta etica. Poiché in virtù del principio di irreversibilitàche, insieme al principio di indeterminazione (impossibilità che il conoscente si conosca a un tempo come conosciuto e come conoscente), è uno dei punti di riferimento del sistema di Pacila forma non è mai definitiva, e al contempo ogni questione risolta pone sempre nuovi problemi, ne deriva che il realizzarsi dell'esistente "uomo" nella forma significa un continuo progresso che va dal passato, il quale non si può ripetere e non è annullato dal presente, verso il futuro. Il non realizzarsi in questa forma, non seguendo il progresso e arrestandosi a una forma di ordine più basso, costituisce l'immoralità, il male.  Il negativo come risorsa La riflessione filosofica di Paci parte dalla consapevolezza del negativo, della mancanza come base e nucleo iniziale dell'esistenza umana. Un negativo che si fonda soprattutto sulla base del tempo e della sua irreversibilità, che ci costringe a fare i conti perennemente con un passato irreversibile, con un futuro sconosciuto e con un presente inesistente perché continuamente in fuga. Ma il negativo si riflette anche nella soggettività e nella limitazione del nostro punto di vista: non possiamo avere nessuna visione della realtà che non sia filtrata dalla nostra "singolarità", dal nostro essere un io. Tuttavia questa "mancanza" eterna, questo limite, è nello stesso tempo una risorsa: il tempo, quindi, non è una condanna per l'uomo, ma è ciò che permette la sua esistenza come temporalità; d'altra parte l'alterità è risorsa proprio in quanto altro da sé. L'io infatti si riconosce solo in quanto confrontato con un altro, e sono quindi gli altri a dare conformazione e identità al nostro io, e questo processo è fruttuoso, forte e orientato se il soggetto sa e si impegna a stringere "relazioni".  Da qui si possono capire le due definizioni date alla filosofia paciana: l'una dello stesso filosofo che definiva il suo pensiero come relazionismo, e l'altra invece di Nicola Abbagnano, che lo definì "esistenzialismo positivo": positivo proprio perché cerca di capovolgere l'insensatezza e la mancanza alla base dell'esistenza in una possibilità, una risorsa di riflessione e progettualità. La vita umana per Paci si fonda infatti su un bisogno (bisogno di senso nel tempo, bisogno di altro); questo bisogno si traduce in un lavoro esistenziale, che implica un consumo: di tempo, di vita, di riflessione. Questo sistema bisogno-consumo-lavoro sta alla base di ogni vita umana. Tuttavia l'uomo ha una possibilità, una possibilità di "salvarsi" dall'insensatezza (o di provarci, quantomeno), e tale possibilità si trova nel lavoro. Il lavoro esistenziale (inteso come l'impegno che si investe nel condurre la propria vita) può infatti essere orientato dalla consapevolezza e dal continuo impegno intellettuale di ricerca di senso anche e soprattutto mediante la relazione. Questa ricerca di senso si traduce, alla base, nell'esercizio dell'epoché.  L'epoché Termine fondamentale della filosofia di Husserl, filosofo che Paci ebbe come punto di riferimento per tutta la vita, l'epoché si traduce in una ricerca di senso continua e inesausta che presuppone un abbandono di tutte le categorie di pensiero che siamo abituati ad utilizzare. In questo senso è emblematico l'episodio che Paci stesso racconta riguardo al suo approccio all'epoché. Studente di filosofia, si recò nell'ufficio di Antonio Banfi (il suo "maestro" per eccellenza) per chiedere spiegazioni sul concetto di epoché. Banfi gli chiese di descrivere un vaso che si trovava lì vicino a loro. Tuttavia, qualunque definizione Paci provasse a dare (colore, forma geometrica, uso) cadeva in una categoria di giudizio posteriore all'oggetto stesso, o comunque soggettiva (il colore dipende dalla luce, la forma geometrica si rifà a categorie astratte che l'uomo ha inventato, l'uso è indipendente dall'oggetto stesso).  L'epoché, quindi, si costituisce come ricerca di una visione "originaria". Compito difficilissimo (Husserl lo definiva impossibile ed inevitabile), l'esercizio dell'epoché non si deve tradurre in un'impossibilità di giudizio, ma nella consapevolezza che qualunque giudizio è parziale, soggettivo. Se applicata alla vita, all'esistenza, l'epoché si traduce in una continua ricerca dell'originario, della verità, di una verità ulteriore che si annida nel mondo, negli altri, negli oggetti, nei luoghi, in tutto ciò che forgia la nostra esistenza. Una verità che l'uomo può cercare, e che si annida nel percorso stesso di ricerca e riflessione, e soprattutto nella capacità di creare relazioni autentiche. In Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Paci individua nell'epoché quasi un carattere religioso, criticando la ridotta disamina del concetto da parte di Martin Heidegger ed Emmanuel Lévinas, che lo considerarono come se si trattasse di un metodo puramente gnoseologico.  Relazione e riflessione La relazione è per Paci qualcosa di fondamentale e ulteriore dotato di un profondo significato esistenziale. Paci scriveva che la relazione prescinde i due soggetti che la intrecciano: è un concetto "nuovo", "terzo", che è tanto più significativo quanto più i soggetti sono disposti a farsi mutare consapevolmente da essa e dal lavoro di riflessione che ne segue. La relazione va cercata, coltivata, resa e mantenuta continuamente autentica, anche se conflittuale. La riflessione infine, come salvezza dall'irreversibilità del tempo, ricrea e analizza il passato per ricercarne ancora il senso, e proiettare questa ricerca nel futuro di un progetto. Epoché, riflessione e relazione costituiscono, riassumendo, il lavoro esistenziale di ricerca di senso.  La filosofia di Paci si traduce dunque in una continua, consapevole e dolorosa ricerca di un senso che possa capovolgere la situazione tragica dell'esistenza mediante il lavoro, l'impegno. In questo Paci si distanzia da Jean-Paul Sartre e dalle conclusioni del filosofo francese, che Paci ammirava e considerava uno stimolo continuo per la sua riflessione. Il negativo, infine, sempre presente nell'investigazione filosofica di Paci (ancor di più nell'ultima parte della sua vita), rimane punto essenziale della ricerca umana, laica e faticosa di un senso, di una verità ulteriore.  Opere: “Il Parmenide di Platone” (Milano_ (cf. L. Speranza, “Grice, Wiggins, e il Parmenide di Platone”).  Principato, “Principii di una filosofia dell'essere” (Modena, Guanda); “Pensiero, esistenza e valore” (Milano-Messina, Principato); “L'esistenzialismo” (Padova, MILANI); “Esistenza ed immagine” (Milano, Tarantola); “Socialità,” Firenze, Le Monnier, “Ingens Sylva: saggio sulla filosofia di Vico,” Milano, Mondadori, “Filosofia antica”, Torino, Paravia, “ Il nulla” Torino, Taylor, “Esistenzialismo e storicismo, Milano, Mondadori, “Il pensiero scientifico” Firenze, Sansoni, “L'esistenzialismo,” in Luigi Rognoni e Enzo Paci, L'espressionismo e l'esistenzialismo, Torino, Edizioni Radio Italiana, “Tempo e relazione” (Torino, Taylor, Dostoevskij, Torino, Edizioni Radio Italiana, “Ancora sull'esistenzialismo” Torino, Edizioni Radio Italiana, Dall'esistenzialismo al relazionismo, Messina-Firenze, D'Anna, Storia del pensiero presocratico, Torino, Edizioni Radio Italiana, La filosofia contemporanea, Milano, Garzanti, Diario fenomenologico, Milano, Il Saggiatore, Breve dizionario dei termini greci, in Andrea Biraghi, “Dizionario di filosofia,” Milano, Edizioni di Comunità, “Tempo e verità nella fenomenologia,” Bari, Laterza, “Funzione delle scienze e significato dell'uomo, Milano, Il Saggiatore, “Relazioni e significati” Milano, Lampugnani Nigri, Idee per una enciclopedia fenomenologica, Milano, Bompiani, Enzo Paci, Fenomenologia e dialettica, Milano, Feltrinelli, Il senso delle parole, Pier Aldo Rovatti, Milano, Bompiani,. Note  Sini22.  Civita.  Sini.  Pecora356.  Storia, aut aut. 5 luglio.  Vigorelli.  Paci.  Alfredo Civita,  degli scritti di Enzo Paci, Firenze, La Nuova Italia, Andrea Di Miele, La cifra nel tappeto: note su Paci interprete di Vico, in Bollettino del Centro di studi vichiani. Anno XXXVII, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Paolo Ercolani, Enzo Paci, il caldo romanzo di una prassi teorica, in Il manifesto, Costantino Esposito, Esistenzialismo e fenomenologia. La crisi dell'idealismo e l'arrivo dell'esistenzialismo in Italia, in Il contributo italiano alla storia del Pensier oFilosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Tempo e verità nella fenomenologia di Edmund Husserl, Bari, Laterza, M. Pecora, La cultura filosofica italiana attraverso le riviste, in Rivista di storia della filosofia, Giovanni Piana, Una ricerca ininterrotta. La lezione di Enzo Paci, in L'Unità,Giuseppe Semerari, L'opera e il pensiero, in Rivista Critica di Storia della Filosofia, C. Sini, Enzo Paci. Il filosofo e la vita, Milano, Feltrinelli, C. Sini,  Enciclopedia ItalianaIV Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, A. Vigorelli, L'esistenzialismo positivo Milano, Franco Angeli, 1987. Amedeo Vigorelli, La fenomenologia husserliana Milano, Franco Angeli, aut aut Edmund Husserl Esistenzialismo Scuola di Milano Enzo Paci, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Contributo per una nuova cultura, Saggiatore; Cenni per un nostro clima, Orpheus, Problema dei giovani. Orpheus », n. 3, pp. 2-4. 3304 - In margine a un'inchiesta, « Orpheus, Appunti per la definizione di un atteggiamento, Orpheus, B. Croce, Poesia popolare e poesia d'arte, Bari 1933, « Orpheus, Il nostro realismo storico, « Il cantiere », anno I, n. 4, 24 marzo. 3402 - Valore della polemica per il realismo, « Il cantiere, Dialettica, metodo diairetico e rettorica nel Fedro di Platone, « Archivio di storia della filosofia, Arte e decadentismo,  Libro e moschetto, Nota sull'ultimo Thomas Mann, « Nuova Italia, ósi - Nota sull'Etica di Max Scheler (prima parte), « Nuova Italia, La filosofia del dolore, « Meridiano di Roma », n. 37, p. 5. 3703 - La filosofia della vita, « Meridiano di Roma », n. 42, p. 8. 3704 - La vita contro lo spirito, « Meridiano di Roma », n. 47, p. 10. 3705 - Filosofia dell'immanenza, «Meridiano di Roma, Il mondo come induzione nemica, Torino 1937, «Meridiano di Roma», n. 39, p. 11. 1938 3801 - Il significato del Parmenide nella filosofia di Platone, Messina- Milano, Principato, pp. 270. Indice: parte prima: I) I dialoghi giovanili fino al Cratilo; II) Il Fedone, il Simposio, il Fedro; III) La Repubblica. Parte seconda: I) La prima parte del Par­ menide; II) La seconda parte del Parmenide. Parte terza: I) Il Teeteto. Parte quarta: I) Il Sofista; II) Politico, Filebo, Timeo e le idee numeri. 3802 - Filosofia della natura e filosofia della scienza, « Rivista di filo­ sofia », n. 2, pp. 161-174. Ristampato in 3901, parte prima cap. IV. 3803 - Una metafisica dell'individualità a priori del pensiero, « Logos », n. 1, pp. 105-118. 3804 - Nota sull'Etica di Max Scheler (seconda parte), « Nuova Ita­ lia, Disegno di una problematica del trascendentale anteriore al pen­   siero moderno, « Archivio di storia della filosofia », n. 6, pp. 359-374. 3806 - La scuola di Marburgo, « Meridiano di Roma », n. 9, p. 1. 3807 – Appunti, Vita giovanile », anno I, n. 8, 15 maggio. 3808 - Orientamenti del pensiero contemporaneo, « Vita giovanile », anno I, n. 9, 31 maggio. 3809 - La logica del tuono, « Vita giovanile », anno I, n. 11, 30 giu­ gno. 3810 - L'idealismo di A. Banfi, « Vita giovanile », anno I, n. 12, 15 luglio. 3811 - Marconi genio latino, in Liceo scientifico G. Marconi di Parma. Annuario, anno scolastico 1936-37, Parma. 3812 - B. Spinoza, Ethica (passi scelti, collegati e tradotti), introdu­ zione e note di E. Paci, Milano-Messina, Principato. 3813 - Ree. di F. Lombardi, Kierkegaard, Firenze 1936, «Nuova Ita­ lia; Principi di una filosofia dell'essere, Modena, Guanda, pp. 317. Indice: Parte prima: I) La dialettica dell'essere; II) Il pro­ blema della fenomenologia; III) Il mondo ideale e la deduzione dell'unità e del molteplice; IV) Filosofia della natura e filosofia della scienza. Parte seconda: I) La natura come esistenza; II) L'esistenza dell'uomo; III) La scelta e la vita degli altri. Parte terza: I) L'essere spirituale; II) La filosofia e le forme dello spirito; III) La vita morale; IV) La vita dell'arte; V) La vita religiosa; Orientamenti del pensiero contemporaneo, DOTTRINA FASCISTA, II senso della storia, « Corrente di vita giovanile », anno II, n. 10, 31 maggio.   3904 - 4001 - Parole di Antonio Pozzi, « Corrente di vita giovanile », anno II, n. 13, 15 luglio. 1940 Pensiero, esistenza e valore, Messina-Milano, Principato, pp. 195. Indice: I - L'atto come problema; II - Idea e fenomeno­ logia della ragione; I I I - Temi fondamentali del pensiero di Husserl; IV - La filosofia dei valori; V - Il pensiero di Lask; VI - Scheler e il problema dei valori; VII - Personalità ed esi­ stenza nel pensiero di Kierkegaard; VIII - Il problema dell'e­ sistenza; IX - Introduzione all'esistenzialismo di Jaspers; X - Umgreifende e comunicazione nel pensiero di Jaspers; XI - Jaspers e lo scacco del pensiero; XII - Esteriorità ed interio­ rità - XIII - La vita come ricerca; XIV - Valori ed opere; XV - Concretezza e dialettica dell'essere; XVI - La struttura dell'esi­ stenza. Introduzione all'esistenzialismo di Jaspers: prima parte, La coscienza infelice, « Logos », n. 1, pp. 187-198. Seconda parte, L'Umgreifende, « Logos; La comunicazione, « Logos », n. 3, pp. 494-505. Ristampato in 4001, capp. IX, X, XI. Il problema dell'esistenza, « Studi filosofici », n. 1, pp. 93-105. Ristampato in 4001, cap. Vili. Studi su Kierkegaard, « Studi filosofici », nn. 2-3, pp. 279-291. Ristampato in 4001, cap. VII. L'atto come problema, « Studi filosofici », nn. 2-3, pp. 220- 229. Ristampato in 4001, cap. I. Arte, esistenza e forme dello spirito, « Studi filosofici », n. 4, pp. 388-417. Ristampato in 5001, cap. II. Gli studi di filosofia, « Meridiano di Roma », n. 45, p. X. U. Spirito e la filosofia dell'esistenza, « Meridiano di Roma, - Esistenzialismo gnoseologico, « Corrente di vita giovanile, Presentazione di K. Jaspers, « Corrente di vita giovanile; F. Nietzsche, Antologia, introduzione (pp. 1-108) e scelta di E. Paci, Milano, Garzanti. Platone, Teeteto, introduzione, traduzione e note di E. Paci, Milano, Mondadori. Ree. di A. Guzzo, Sic vos non vobis, Napoli 1939-40, « Studi filosofici», nn. 2-3, pp. 309-312. Ree. di G. Della Volpe, Critica dei principi logici, Messina 1940, « Studi filosofici », nn. 2-3, pp. 312-314. Ree. di N. Abbagnano, La struttura dell'esistenza, Torino 1939, « Studi filosofici », n. 4, pp. 431-434. Ree. di M. Sciacca, La metafisica di Platone, Napoli 1939, « Studi filosofici », n. 4, pp. 434-436. 1941 Il significato storico dell'esistenzialismo, « Studi filosofici », n. 1, pp. 134-150. Ristampato in 5001, cap. I. L'uomo qualunque, « Meridiano di Roma », n. 27, p. 3. Difesa della filosofia, « Atti dell'VIII Congresso di Studi Filo- sofici », a cura del Centro Didattico di Padova, Padova, Prov- veditorato. Romanticismo e antiromanticismo, « Architrave », anno I, n. 8, 1 luglio. Platone, Fedro, introduzione e commento di E. Paci, Torino, Paravia. 1942 4201 - Fenomenologia e metafisica nel pensiero di Hegel, « Studi filosofici, Personalità e forme dello spirito, in AA. VV., Studi critici, Mi- lano, Bocca, pp. 127-141. 4203 - L'attualità di Platone, in AA. VV., L'attualità dei filosofi clas- sici, Milano, Bocca, pp. 63-67. 4204 - Il significato pedagogico dell'esistenzialismo, « Tempo di scuo- la », agosto-settembre, pp. 670-674. 4205 - Ancora sull'esistenzialismo, « Gazzetta del popolo », 19 settem- bre, p. 3. 4206 - 4207 - 4208 - 4209 - 4210 - 4301 - 4302 - 4303 - 4304 - M. Heidegger, Che cosa è la metafisica, introduzione e tradu- zione di E. Paci, Milano, Bocca. L'introduzione è stata ristam- pata in 5001, cap. V. K. Jaspers, Ragione ed esistenza, prefazione e traduzione di E. Paci, Milano, Bocca. Ree. di A. Pellegrini, Novecento tedesco, Milano 1942, « Pri- mato », n. 21, p. 397. Ree. di U. Spirito, La vita come arte, Firenze 1942, « Prima- to », n. 22, p. 413. Ree. di P. Carabellese, Che cosa è la filosofia, Milano 1942, « Primato », n. 24, p. 456. 1943 L'esistenzialismo, Padova, Milani, pp. 67. Indice: I - Premes- se; II - Kierkegaard; III - Nietzsche; IV - Heidegger; V - Jaspers; VI - Abbagnano; VII - Conclusione; V i l i - Nota bi- bliografica. Socialità della nuova scuola, Firenze, Le Monnier. L'esistenzialismo in Italia, a cura di N. Abbagnano e E. Paci, « Primato », n. 1, 1 gennaio 1943, pp. 2-4. Il cavaliere la morte e il diavolo, « Tempo di scuola », febbraio, pp. 255-260.   1946 4601 - Th. Mann e la musica, « Rivista musicale italiana », n. 1, pp. 88-111. Ristampato in 4701, cap. V e in 6502, parte seconda, cap. I. 4602 - Th. Mann e la filosofia, «Studi filosofici», n. 2, pp. 97-114. Ristampato in 4701, cap. II e in 6502, parte seconda, cap. II. 4603 - Metodologia e metafisica, « Studi filosofici », nn. 3-4, pp. 205- 212. 4604 - Nascita e immortalità, « Archivio di filosofia », n. 1 (Il proble­ma della immortalità; L'uomo tra razionalismo e romanticismo, « Costume », n. 2, pp. 40-49. L'uomo di Platone, « Costume », n. 3, pp. 8-18. Ree. di L. Scaravelli, Critica del capire, Firenze 1942, « Co­ stume », n. 3, pp. 121-127. 1947 Esistenza ed immagine, Milano, Tarantola, pp. 198. Indice: I - Musica mito e psicologia in Th. Mann; II - Th. Mann e la filosofia; III - Verità ed esistenza in T. S. Eliot; IV - Rilke e la nascita della terra; V - Valéry o della costruzione; VI - L'uo­ mo di Proust. I capitoli I e II sono stati ristampati rispettiva­ mente come cap. I e cap. II della seconda parte di 6502. I ca­ pitoli III, IV, V, VI sono stati ristampati rispettivamente come cap. II della prima parte, cap. I della prima parte, cap. IV della prima parte, cap. I l i della prima parte di 6601. Verità ed esistenza in T. S. Eliot, « Indagine, Ristampato in 4701, cap. Ili, e in 6601, parte prima, cap. II. Umanesimo e forma nell'ultimo Th. Mann, « Indagine, P. Valéry, Eupalinos preceduto da l'Anima e la danza, seguito dal Dialogo dell'albero, introduzione di E. Paci, Milano, Mon- dadori. 1948 La storia come arte, in AA. VV., Il problematicismo, Firenze, Sansoni, La responsabilità e il problema della storia, « Studi filosofici », n. 2, pp. 115-127. Ristampato in 5001, cap. X. Unità ed esistenza, in « Atti del Congresso Internazionale di Filosofia » (Roma 1946), Milano, Castellani. A. L. Huxley, Scienza, libertà e pace, introduzione di E. Paci, Milano, Istituto Editoriale Italiano. Novalis, Frammenti, introduzione di E. Paci, Milano, Istituto Editoriale Italiano. Da questa introduzione è stato tratto il cap. XI di 4902. 1949 Ingens Sylva, Saggio sulla filosofia di G. 23. Vico, Milano, Mon- dadori, pp. 249. Indice: I - L'esistenza e l'opera; II - Crisi gio- vanile e dualismo; III - Medium te mundi posui; IV - Esistenza e immagine; V - Natura e pensiero; VI - Ada integer vere sa- piens; VII - Mito e arte; V i l i - Mito e filosofia; IX - Storia e metodologia della storia. Studi di filosofia antica e moderna, Torino, Paravia, pp. 248. Indice: I - Mito e logos; II - Eraclito; III - Sul Fedro; IV - Lo Stato come idea dell'Uomo nella ' Repubblica ' di Platone; V - Democrito, Platone, Aristotele; VI - Sulle opere di G. B. Vico anteriori alla ' Scienza Nuova '; Sulla ' Scienza Nuo- va'; V i l i - La malinconia di Kant; IX - Il ' Preisschrift ' di Kant; X - Negativo finito e fenomenico in Kant; XI - I Fram- menti ' di Novalis e il loro significato nella storia della filoso- fia; XII - Fenomenologia e metafisica nel pensiero di Hegel; XIII - L'eredità di Hegel.   4903 - 4904 - Filosofia e storiografia, « Rassegna d'Italia », n. 4, pp. 399- 405. Ristampato in 5001, cap. XI. L'altro volto di Goethe, « Rassegna d'Italia », nn. 11-12, pp. 1142-1144. 4905 - La concezione mitologico-filosofica del ' logos ' di Eraclito, 4906 - 4907 - 4908 - 4909 - 5001 - «Acme;  Esistenzialismo trascendentale, « Rivista di Filosofia », n. 4, pp. 419-433. Ree. di T. Wilder, The Ides of March, London 1948, « Rasse­ gna d'Italia » n. 2, pp. 210-212. Ree. di M. Grene, Dreadful Freedom, Chicago 1948, « Rasse­ gna d'Italia », n. 5, pp. 567-570. Ree. di K. Lowith, Da Hegel a Nietzsche, Torino 1949, « Ras­ segna d'Italia; Esistenzialismo e storicismo, Milano, Mondadori, pp. 312. In­ dice: I - Il significato storico dell'esistenzialismo; II - L'esi­ stenza e la aurora dello spirito; III - L'esistenza e la forma; IV - Poesia e comunicazione; V - L'esistenzialismo di Heideg­ ger e lo storicismo; VI - Il metodo e l'esistenza; VII - Giudi­ zio e valore; V i l i - La politica e il demoniaco; IX - Pensiero e azione; X - La responsabilità e la storia; XI - Filosofia e sto­ riografia; XII - Eros e natura; XIII - Il problema morale; XIV - Le forme dello spirito e il valore; XV - Il problema critico re­ ligioso. Il nulla e il problema dell'uomo, Torino, Taylor, pp. 170. In­ dice: I - Introduzione all'esistenzialismo; II - Forme e problemi dell'esistenzialismo; Neokantismo ed esistenzialismo; Mito ed esistenza;  Il nulla e il problema morale; VI - Esi­ stenzialismo positivo. Riedito con un nuovo capitolo nel 1959 (vedi 5901). Linguaggio, comportamento e filosofia, « Archivio di filosofia », n. 1 (Filosofia e linguaggio), pp. 12-26. 5002 - 5003 -   5004 - Antologia del pensiero scientifico contemporaneo, a cura di E. Paci, Firenze, Sansoni, pp. 203. 1951 5101 - Il significato dell'irreversibile, «Aut Aut», n. 1, pp. 11-17. Ristampato in 5401, cap. VII. 5102 - Il significato del significato, « Aut Aut », n. 1, pp. 46-49. Ri- stampato in 6503, prima appendice. 5103 - Marxismo e cultura, « Aut Aut; Sul significato del mito, « Aut Aut;  Ripeness is ali, « Aut Aut », n. 1, pp. 54-56. 5106 - Moby Dick e la filosofia americana, « Aut Aut », n. 2, pp. 97- 120. 5107 - Umanesimo e tecnica, « Aut Aut », n. 2, pp. 149-150. 5108 - Possibilità della critica e della storia dell'arte, « Aut Aut », n. 2, pp. 161-Problemi filosofici della biologìa, « Aut Aut », n. 2, pp. 181- 185. Il nostro giardino, « Aut Aut », n. 3, pp. 231-239. Fondamenti di una sintesi filosofica (parte prima), « Aut Aut », n. 4, pp. 318-337. Fondamenti di una sintesi filosofica (parte seconda), «Aut Aut », n. 5, pp. 403-425. Arte e metamorfosi, « Aut Aut », n. 5, pp. 442-443. Fondamenti di una sintesi filosofica (parte terza), « Aut Aut », n. 6, pp. 515-538. Dialogo e cultura, « Aut Aut », n. 6, pp. 545-546. 5116 - Empirismo e relazione in Whitehead, in « Atti del Congresso Filosofico di Bologna », Milano 1951. Ristampato in 5401, cap. V.   5117 Ree. di F. Lion, Cartesio, Rousseau, Bergson, Milano 1949, « Aut Aut », n. 1, p. 83. Ree. di M. Mila, L'esperienza musicale e l'estetica, Torino, 1950, « Aut Aut », n. 1, pp. 84-85. Ree. di I. M. Bochenski, Précis de Logique Mathématique, Bussum, 1950, « Aut Aut », n. 1, p. 86. Ree. di A. J . Ayer, Language, Truth and Logic, London, 1949, « Aut Aut », n. 1, p. 86. Ree. di J . R. Weinberg, Introduzione al positivismo logico, To­ rino, 1950, « Aut Aut », n. 1, p. 86. Ree. di B. Russell, Le Principe d'Individuation, in « Revue de Métaphysique et Morale », I, 1950, « Aut Aut », n. 1, pp. 88-89. Ree. di M. Dal Pra, Sul trascendentalismo dell'esistenzialismo trascendentale, in « Rivista critica di storia della filosofia », II, 1950, «Aut Aut », n. 1, p. 89. Ree. di D. Emmet, Time is the mind of space, in « Philosophy », n. 94, 1950, «Aut Aut », n. 1, p. 89. Ree. di L. de Broglie, Fisica e microfisica, Torino, 1950, « Aut Aut » n. 1, pp. 90-91. Ree. di « Il Politico » (Rivista di scienze politiche, Università di Pavia), nn. 1-2, 1950, « Aut Aut », n. 1, pp. 91-92. Ree. di Don Giovanni Rossi, U'omini incontro a Cristo, Assisi, 1951, « Aut Aut », n. 2, p. 186. Ree. di U. Spirito, Scienza e Filosofia, Firenze, 1950, « Aut Aut », n. 2; pp. 186-187. Ree. di Marianna Leibl, Psicologia della donna, Milano, 1950, « Aut Aut », n. 2, pp. 194-195. Ree. di D. Katz, La psicologia della forma, Torino, 1950, « Aut Aut », n. 2, p. 195. Ree. di G. Tagliabue, Le strutture del trascendentale, Milano, 1951, « Aut Aut, Ree. di G. Hegel, Propedeutica filosofica, Firenze, 1951, « Aut Aut », n. 3, p. 285. Ree. di G. Gentile, La vita e il pensiero, Firenze, 1948-1950, « Aut Aut », n. 3, pp. 284-285. Ree. di Durkheim, Hubert, Mauss, Le origini dei poteri magici, Torino, 1951, « Aut Aut », n. 3, pp. 285-286. Ree. di S. Freud, Inibizione, sintomo e angoscia, Torino 1951, « Aut Aut », n. 3, pp. 286-287. Ree. di P. M. Sweezy, La teoria dello sviluppo capitalistico, To­ rino 1951, « Aut Aut », n. 4, pp. 380-381. Ree. di A. Visalberghi, John Dewey, Firenze 1951, « Aut Aut », n. 5, pp. 465-466. Ree. di L. Borghi, /. Dewey e il pensiero pedagogico contem­ poraneo negli Stati Uniti, Firenze 1951, « Aut Aut », n. 5, p. 466. Ree. di G. Corallo, La pedagogia di Giovanni Dewey, Torino 1951, « Aut Aut » n. 5, pp. 467-468. Ree. di J. Dewey, L'arte come esperienza, Firenze 1951, « Aut Aut », n. 5, pp. 468-469. 5141 -Ree.diR.Borsari,Logicaconcreta,Firenze1951,«AutAut», n. 5, pp. 469-70. 5142 - Ree. di B. Croce, Intorno a Hegel e alla dialettica, in « Qua­ derni della critica », n. 19-20, 1951, « Aut Aut; Filosofia dell'Io e filosofia della relazione, « Aut Aut », n. 7, pp. 12-24. Ristampato in 5401, cap. II. 5202 - Schoenberg..., « Aut Aut », n. 7, pp. 47-49. 5203 - Sul problema dell'utile e del vitale, « Aut Aut », n. 7, pp. 60-65. 5204 - Civiltà e valore, « Aut Aut », n. 8, pp. 95-105. Ristampato in 5401, cap. XII.   5205 - Schemi e figure, « Aut Aut », n. 9, pp. 211-223. 5206 - Alain e la paura dell'Europa, « Aut Aut », n. 9, pp. 233-235. 5207 - Negatività e positività in Wittgenstein, « Aut Aut, Sull'estetica di Dewey, « Aut Aut », n. 10, pp. 317-330. Ri­ stampato in 5401, cap. XV. 5209 - Studi italiani di estetica, « Aut Aut », n. 10, pp. 356-366. 5210 - Relazione forma e processo storico, « Aut Aut », n. 11, pp. 409-417. Ristampato in 5401, cap. XI. 5211 - Organicità e concretezza della forma estetica, «Aut Aut», n. 11, pp. 418-422. 5212 - Presentazione di Whitehead, « Aut Aut », n. 12, pp. 507-517. Ristampato in 6501, cap. III. 5213 - Sulla concezione psicoanalitica dell'angoscia, « Archivio di filo­ sofia », n. 1 (Filosofia e psicopatologia), pp. 71-79. 5214 - Possibilità e relazione, « Rivista di filosofia », n. 4, pp. 387-398. Ristampato in 5401, cap. Vili. 5215 - Alain et notre libertà, « La nouvelle revue francaise », settem­ bre, Paris (Hommage à Alain). Ristampato, in italiano, in 5206. 5216 - Ree. di B. Berenson, Piero della Francesca o dell'arte non elo­ quente, Firenze 1950, « Aut Aut », n. 7, pp. 80-81. 5217 - Ree. di A. E. Jensen, Come una cultura primitiva ha concepito il mondo, Torino 1952, « Aut Aut », n. 8, pp. 168-169. 5218 - Ree. di Catalogo generale edizioni Laterza, Bari 1952, « Aut Aut », n. 8, pp. 169-170. 5219 - Ree. di E. Castelli, Il demoniaco nell'arte, Milano 1952, « Aut Aut », n. 8, pp. 171-172. 5220 - Ree. di C. Diano, Forma ed evento, Venezia 1952, « Aut Aut », n. 9, pp. 264-265. 5221 - Ree. di M. Bense, Die Theorie Kafkas, Witsche, 1952, « Aut Aut; Recc. di Renato Cirell Czerne, Natureza e Espirito, San Paulo 1949: idem, Filosofia corno concetto e corno historia, San Paulo 1950, « Aut Aut », n. 9, pp. 266-267. Ree. di R. Mondolfo, Il materialismo storico di F. Engels, Fi­ renze 1952, « Aut Aut », n. 9, pp. 267-268. Ree. di E. Cassirer,Storia della filosofia moderna, voi. I, Torino 1952, « Aut Aut », n. 9, p. 268. Ree. di H. Kelsen, La dottrina pura del diritto, Torino 1952, « Aut Aut », n. 10, p. 378. Ree. di E. Garin, L'umanesimo italiano, Bari 1952, « Aut Aut », n. 10, pp. 378-379. Ree. di P. Chiodi, L'ultimo Heidegger, Torino 1952, « Aut Aut », n. 12, p. 579. Ree. di B. De Finetti, Macchine che pensano (e che fanno pen­ sare), in « Tecnica e organizzazione », nn. 2-3, 1952, « Aut Aut », n. 12, pp. 579-580. Ree. di H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello stato, Mi­ lano 1952, « Aut Aut », n. 8, p. 168. 1953 L'esistenzialismo, in L'espressionismo e l'esistenzialismo, a cura di L. Rognoni e E. Paci, Edizioni Radio Italiana, Torino, pp. 87-180, Indice: I - Introduzione all'esistenzialismo; II - Hei­ degger; III - Jaspers; IV - Sartre; V - Marcel, Lavelle, Le Sen­ ne; VI - Abbagnano; VII - Esistenzialismo e letteratura. Rie­ dito come 5602. La mia prospettiva estetica, in AA. W . , La mia prospettiva estetica, Brescia, Morcelliana, pp. 139-150. La criticità della filosofia, « Aut Aut », n. 13, pp. 28-43. Ri­ stampato in 5401, cap. IV. 5304 - La relazione, « Aut Aut », n. 14, pp. 97-108. 5305 - La vita come amore, « Aut Aut; Relazione e tempo, « Aut Aut », n. 15, pp. 219-230. Un convegno di filosofia, « Aut Aut », n. 15, pp. 244-250. Prospettive empiristiche e relazionistiche in Whitehead, « Aut Aut Semantica e filosofia, « Aut Aut », n. 16, pp. 320-323. Valéry precursore della semantica, « Aut Aut », n. 16, pp. 323- 325. Implicazione formale e relazione temporale, « Aut Aut », n. 17, pp. 394-402. Ristampato in 5401, cap. XX. Sul problema della persona, « Aut Aut », n. 17, pp. 426-429. Definizione e funzione della filosofia speculativa in Whitehead, « Giornale critico della filosofia italiana », n. 3, pp. 304-334. Arte e comunicazione, « Galleria », n. 2, pp. 3-5. Ristampato in 5401, cap. XIV. Quantità e qualità, « Civiltà delle macchine », n. 6, p. 11. Ri­ stampato in 5401, cap. XXI. Sul primo periodo della filosofia di Whitehead, « Rivista di filo­ sofia », n. 4, pp. 397-415. Ristampato in 6501, cap. IV. Kierkegaard e la dialettica della fede, « Archivio di filosofia», n. 2 (Kierkegaard e Nietzsche), pp. 9-44. Ristampato in 6502, parte prima, cap. III. Ironia, demoniaco ed eros in Kierkegaard, « Archivio di filoso­ fia », n. 2, (Kierkegaard e Nietzsche), pp. 71-103. Ristampato in 6502, parte prima, cap. I. Sul principio logico del processo, « Atti dell'XI Congresso in­ ternazionale di Filosofia », Bruxelles 20-26 agosto 1953, voi. Vili, pp. 42-46. Ristampato in 5401, cap. X. La nevrosi della filosofia, « Atti del XVI Congresso Nazionale di Filosofia », Roma-Milano 1953. Ristampato in 5401, cap. VI. Ree. di Th. Mann, Nobiltà dello spirito, Milano 1953, « Aut Aut , n. 16, pp. 362-363. Ree. di H. K. Wells, Process and Unreality, New York 1950, « Aut Aut », n. 16, pp. 366-367. Ree. di J . Prévost, Baudelaire, Paris 1953, « Aut Aut », n. 16, pp. 370-371. Ree. di R. Girardet, La società militaire dans la Trance con- temporaine, Paris 1953, «Aut Aut», n. 16, p. 371. 1954 Tempo e relazione, Torino, Taylor, pp. 360. Indice: I - Intro­ duzione; I I - Filosofia dell'Io e filosofia della relazione; I I I - Angoscia dell'Io e relazione; IV - Linguaggio comportamento e filosofia; V - Negatività e positività in Wittgenstein; VI - Witt­ genstein e la nevrosi della filosofia; VII - Il significato dell'ir­ reversibile; V i l i - Relazione e situazione; IX - Possibilità e re­ lazione; X - Sul principio logico del processo; XI - Relazione forma e processo; XII - Relazione e civiltà; XIII - Dewey e l'interrelazione universale; XIV - Tempo realtà e relazione nella filosofia americana; XV - Esperienza e relazione nell'estetica di Dewey; XVI - Arte e relazione; XVII - Relazione e irrelazione; XVIII - Relazione e irreversibilità; XIX - Relazione e linguaggio filosofico; XX - Implicazione formale e implicazione temporale; XXI - Linguaggio perfetto e situazione quotidiana; XXII - Quan­ tità e qualità; XXIII - La tecnica e la libertà dell'uomo. Riedito come 6503. L'epicureismo, in Grande antologia filosofica, diretta da U. Pa­ dovani, Milano, Marzorati, voi. I, pp. 483-508. Appunti per i rapporti tra filosofia, scienza empirica e sociolo­ gia, in AA. VV., Filosofia e sociologia, Bologna, Il Mulino, pp. 89-90. Interpretazione del teatro, « Aut Aut », n. 19, pp. 21-36. Ri­ stampato in 6601, parte prima, cap. VII. Il cammino della vita, « Aut Aut; Appunti sul neopositivismo, « Aut Aut, Kierkegaard contro Kierkegaard, « Aut Aut », Angoscia e relazione in Kierkegaard, « Aut Aut; Angoscia e fenomenologia dell'eros, « Aut Aut », n. 24, pp. 468-485. Ristampato in 6502, parte prima, cap. Vili. 5410 - Il cuore della vita, « Casabella », n. 202, pp. VII-X. 5411 - Ripetizione, ripresa e rinascita in Kierkegaard, « Giornale cri- tico della filosofìa italiana », n. 3, pp. 313-340. 5412 - Unità e pluralità del personaggio, in AA. VV., Teatro, mito e individuo, Milano, Laboratorio, Whitehead e Russell, «Rivista di filosofìa», n. 1, pp. 14-25. 5414 - Il significato dell'introduzione kierkegaardiana al concetto della angoscia, « Rivista di filosofia », n. 2, pp. 392-398. Ristampato in 6502, parte prima, cap. VI. 5415 - Storia e apocalisse in Kierkegaard, « Archivio di filosofia », n. 2 [Apocalisse e insecuritas), pp. 141-162. Ristampato in 6502, parte prima, cap. V. 5416 - La tecnica e la libertà dell'uomo, « Civiltà delle macchine », I, pp. 12-14. 5417 - Ritorno alla sociologia, « Civiltà delle macchine », V, pp. 71-72. 5418 - Nota sul « Congresso intemazionale di filosofia di San Paolo », agosto 1954, « Aut Aut », n. 23, pp. 440-444. 5419 - S. Kierkegaard, Il concetto dell'angoscia, a cura di E. Paci, To- rino, Paravia. 5420 - Ree. di W. Dilthey, Critica della ragione storica, Torino 1954, « Aut Aut,  Arte e linguaggio, in AA. VV., Il problema della conoscenza storica, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, pp. 49-76. Esistenza natura e storia, « Aut Aut », n. 26, pp. 120-129. Esperienza conoscenza storica e filosofia, « Aut Aut », n. 27, pp. 196-204. Sul significato dell'opera di Einstein, « Aut Aut », n. 28, pp. 282-308. L'ironia di Tb. Mann, « Aut Aut », n. 29, pp. 363-375. Ristam­ pato in 6502, parte seconda, cap. IV. Due momenti fondamentali dell'opera di Th. Mann, « Aut Aut », n. 29, pp. 423-439. Ristampato in 6502, parte seconda, cap. III. Su due significati del concetto dell'angoscia in Kierkegaard, « Orbis litterarum », n. 10, pp. 196-207. Critica dello schematismo trascendentale (I parte), « Rivista di filosofia; Silenzio e libertà del linguaggio nel neopositivismo, « Archivio di filosofia », n. 3 (Semantica), pp. 313-324. L'appello di Einstein, « Civiltà delle macchine », V, pp. 21-22. Ree. di P. Romanelli, Verso un naturalismo critico, Torino 1953, « Aut Aut », n. 27, pp. 263-266. Ree. di E. N. Rogers, Auguste Perret, Milano 1955, « Aut Aut », n. 28, pp. 358-359. Ree. di H. Mayer, Thomas Mann, Torino 1955, « Aut Aut », n. 29, pp. 458-460. 5514 - Ree. di C. Cases, Thomas Mann e lo spirito del racconto, « No­ tiziario Einaudi », nn. 6-7, 1955, « Aut Aut », n. 29, pp. 460- 461.   5515 - 5601 - 5602 - Ree. di AA. VV., Omaggio a Th. Mann, in « Il Ponte », n. 6, 1955, « Aut Aut », n. 29, pp. 461-463. 1956 L'opera di Dostoevskij, Torino, Edizioni Radio Italiana, pp. 129. Indice: I - La notte bianca; II - La vita vivente; III - Un nomade a Pietroburgo; IV - Il puro folle; V - Satira ed epica del demoniaco; VI - Voci di fanciulli sulle tombe dei padri; VII - Viva i Karamàzov! Ancora sull'esistenzialismo, Torino, Edizioni Radio Italiana, pp. 221. Indice: I - Introduzione all'esistenzialismo; II - Heideg­ ger; III - Jaspers; IV - Marcel, Lavelle, Le Senne; V - Esisten­ zialismo teologico; VI - Aspetti letterari; VII — L'esistenza negativa in Sartre; V i l i - L'esistenza diabolica in Th. Mann; IX - La positivizzazione dell'esistenzialismo; X - Abbagnano; XI - Sartre e il problema del teatro; XII - L'esistenzialismo nella filosofia contemporanea; XIII - L'eredità di Husserl e l'esistenzialismo di Merleau-Ponty. Hegel e il problema della storia della filosofia, in AA. VV., Ve­ rità e storia: Un dibattito sul metodo della storia della filosofia, Asti, Arethusa, pp. 147-152. Nota su «Altezza reale», «Aut Aut», n. 31, pp. 52-56. Ri­ stampato in 6502, parte seconda, capitolo V. Sul senso e sull'essenza, « Aut Aut », n. 33, pp. 175-189. La natura e il culto dell'Io, « Aut Aut », n. 34, pp. 279-299. Appunti su un convegno, « Aut Aut », n. 34, pp. 315-326. Filosofia e antifilosofia, « Aut Aut », n. 35, pp. 400-406. Ri­ stampato in 5902, pp. 33-43. Filosofia e linguaggio perfetto (risposta a una lettera di A. Ve- daldi), « Aut Aut », n. 36, pp. 470-479. Funzione e significato del mito, « Giornale critico della filosofia italiana », Processo, relazione e architettura, «Rivista di estetica», n. 1, pp. 51-68. Ristampato in 6601, parte prima, cap. IX. 5612 - Sul concetto di 1 precorrimene ' in storia della filosofia, « Ri­ vista critica di storia della filosofia », n. 2, pp. 227-233. 5613 - Problematica dell'architettura contemporanea, « Casabella », n. 209, pp. 41-46. Ristampato in 6601, parte prima, cap. XIII. 5614 - Critica dello schematismo trascendentale (II parte), « Rivista di filosofia », n. 1, pp. 37-56. 5615 - Immanenza e trascendenza (Convegno promosso dall'Istituto di filosofia dell'Università di Milano), « Il Pensiero », n. 1. Inter­ venti di E. Paci: Sulla relazione Dal Pra, pp. 82-86; Sulla rela­ zione Antoni, pp. 27-31; Sulla relazione Guzzo, pp. 149-151; Sulla relazione Allmayer, pp. 172-173; Sulla relazione Spirito, pp. 201-206. 5616 - Processo esistenziale, processo naturale, processo storico, « Anais de Congresso Internacional de Filosofia de Sào Paulo », 9-15 agosto 1954, San Paolo, 1956. 5617 - 5618 - 5619 - 5701 - La scienza e Venciclopedia filosofica, « Civiltà delle macchine », II, pp. 39-40. Vivere nel tempo, « Civiltà delle macchine », III, pp. 11-12. F. Woodridge, Saggio sulla natura, introduzione di E. Paci, Mi­ lano, Bompiani. 1957 Dall'esistenzialismo al relazionismo, Messina-Firenze, D'Anna, pp. 399. Indice: I - Prospettive relazionistiche; II - Il fonda­ mento storicistico del relazionismo; III - Il consumo dell'esi­ stenza e la relazione; IV - La struttura relazionale dell'esperien­ za; V - Whitehead e il relazionismo; VI - Relazionismo e rela­ tività; VII - Relazionismo e schematismo trascendentale; Vili - La verificazione nel neopositivismo; IX - Relazionismo e natu­ ralismo; X - Orientamento estetico relazionistico; XI - Perma­ nenza ed emergenza nel linguaggio; XII - Sul significato del mito; XIII - Senso essenza e natura; XIV - Tempo e natura.   5702 - Storia del pensiero presocratico, Torino, Edizioni Radio Italia­ na, pp. 314. Indice: I - La filosofia greca e i suoi rapporti con l'oriente; II - Le origini autonome della filosofia greca; III - La scuola di Mileto o i primi pitagorici; IV - Eraclito di Efeso; V - Senofane e Parmenide; VI - Zenone di Elea e Melisso di Samo; VII - Il pitagorismo nell'età di Filolao; V i l i - Empe­ docle di Agrigento; IX - Anassagora di Clazomeno; X - La scuo­ la di Abdera; XI - Protagora di Abdera; XII - Gorgia di Leon- tini; XIII - Prodico di Ceo; XIV - Antifonte sofista; XV - Ippia di Elide; XVI - Logos e natura; XVII - Letteratura e pensiero filosofico; XVIII - Eschilo e la polis; XIX - Pensiero e poesia in Sofocle; XX - La visione filosofica in Euripide; XXI - Antifilosofia e filosofia in Aristofane; XXII - Scienza, tecnica e mito; XXIII - Natura e cultura; XXIV - Medicina e filosofia; XXV - Filosofia, arte e musica; XXVI - Filosofia e storiografia. 5703 - La filosofia contemporanea, Milano, Garzanti, pp. 267. Indice: I - L'eredità di Kant; II - Spiritualismo, positivismo e neocri­ ticismo; III - Le conclusioni dell'idealismo; IV - Storicismo e filosofia dei valori; V - Pragmatismo e realismo; VI - Processo e organicità; VII - La fenomenologia e il mondo della vita; VIII - Esistenzialismo e ontologismo; IX - Empirismo logico e fenomenologia della percezione; Fenomenologia dei processi in relazione, « Aut Aut », n. 38, pp. 105-114. Giallo e nero, « Aut Aut », n. 41, pp. 425-427. Schematismo trascendentale, « Aut Aut », n. 41, pp. 427-429. Hartmann e la tradizione ?netafisica, « Aut Aut », n. 42, pp. 486-491. Antonio Banfi, « Aut Aut », n. 42, pp. 499-501. Per la logica di Husserl, « Aut Aut », n. 42, pp. 501-505. Sul significato del platonismo in Husserl, « Acme », nn. 1-3, pp. 135-151. L'architettura e il mondo della vita, « Casabella », n. 217, pp. 53-55. Ristampato in 6601, parte prima, cap. X.   5712 - // metodo industriale, l'edilizia e il problema estetico, « La casa », Roma, ed. De Luca. Ristampato in 6601, parte prima, cap. XI. 5713 - Scienza ed umanità nella storia del pensiero scientifico italiano, in « Mostra storica della scienza italiana », Milano, Pizzi, Relazionismo e realtà sociale, « Criteri », n. 7, pp. 3-8. 5715 - Antonio Banfi, « Raccolta Vinciana. Necrologie », pp. 335-338. 5716 - L'estetica come richiamo all'esperienza (riassunto), in Atti del III congresso internazionale di estetica (3-5 settembre 1956, Venezia) Torino, Edizioni della rivista di estetica, pp. 513-514. 5717 - Recc. di E. Husserl, Ideen zu einer Phànomenologie und phà- nomenologische Philosophie, voli. I-III; Die Krisis der euro- pàischen Wissenschaften und die transzendentale Phànomeno­ logie; Erste Philosophie, Den Haag, 1950-1956, « Aut Aut », n. 38, pp. 185-187. 5718 - Ree. di C. S. Peirce, Caso, amore e logica, Torino 1956, « Aut Aut », n. 39, pp. 310-311. 5719 - Ree. di Beth Mays, Etudes d'epistemologie génétique, Paris 1957, « Aut Aut », n. 39, pp. 311-313. 5720 - Ree. di C. Cascales, L'humanisme de Ortega Y Gasset, Paris 1957, « Aut Aut », n. 40, pp. 391-394. 5721 - Ree. di P. Rossi, Bacone, dalla magia alla scienza, Bari 1957, « Aut Aut », n. 42, pp. 524-525. 5722 - Ree. di R. Pettazzoni, L'essere supremo nelle religioni primi­ tive, « Aut Aut », n. 42, pp. 525-526. 5723 - Ree. di L. Mumford, La condizione dell'uomo, Milano 1957, «Aut Aut», n. 42, pp. 530-531. 5724 - Ree. di G. Friedmann, Le travail en miettes, Paris 1957, « Aut Aut », n. 42, pp. 531-532. 5725 - Dizionario di filosofia, a cura di A. Biraghi, Milano, Edizioni di Comunità. Voci: Eleati; Eraclito; Atomismo; GIRGENTI; Anassagora; Socrate; Cinici; Cirenaici; Megarici; Platone; Aristotele; Romanticismo; Neopositivismo; Relazione; Etica; Libertà; Arbitrio; Bene; Determinismo-indeterminismo; Dovere; Respon- sabilità; Eudemonismo; Virtù; Saggezza; Azione; Violenza; Estetica; Forma; Sublime; Catarsi. In appendice a cura di E. Paci: Breve dizionario dei termini greci, pp. 631-642. 1958 Samuel Alexander, in Les grands courants de la pensée mon- diale contemporaine, a cura di M. F. Sciacca, Milano, Marzorati, pp. 27-48. Sul mio comportamento filosofico, in AA. VV., La filosofia con- temporanea in Italia, Asti, Arethusa, pp. 289-301. La dialettica in Platone, in AA. VV., Studi sulla dialettica, To- rino, Taylor, pp. 18-37; e in « Rivista di filosofia », n. 2, pp. 134-153. Ristampato in 6601, parte seconda, cap. I. Vita e ragione in Antonio Banfi, « Aut Aut », nn. 43-44, pp. 56-66. Ristampato in 6501, cap. II. In margine ad Heidegger, «Aut Aut», n. 45, pp. 106-115. Meditazioni fenomenologiche, « Aut Aut », n. 57, pp. 229-239. Schelling e noi, « Aut Aut », n. 48, pp. 323-325. Tempo e percezione, « Archivio di filosofia », n. 1 (Il tempo), pp. 19-27. Ungaretti e l'esperienza della poesia, « Letteratura », nn. 35-36, pp. 83-93. Ristampato in 7202, pp. 17-38. Fenomenologia e architettura contemporanea, « La casa », Roma, ed. De Luca. Ristampato in 6601, parte prima, cap. XII. Sul significato dei Maestri Cantori di Wagner, « L'approdo mu- sicale », n. 2, pp. 85-101. La concezione relazionistica della libertà e del valore, in « Atti del XII Congresso Nazionale di Filosofia, Venezia, voi. Ili, pp. 313-318. Ristampato in 6101, ap- pendice seconda. M. Merleau-Ponty, Elogio della filosofia, traduzione, introduzio- ne e note di E. Paci, Torino, Paravia. AA. VV., Neopositivismo e unità della scienza, introduzione di E. Paci, Milano, Bompiani. L'introduzione è stata ristampata in 6501, cap. Vili. R. Sanesi, Frammenti dall'Isola Athikte, prefazione di E. Paci, Milano, Schwarz. Ree. di G. Pedroli, La fenomenologia di Husserl, Torino, 1958, « Aut Aut », n. 47, p. 290. 1959 Il nulla e il problema dell'uomo (nuova edizione), Torino, Tay- lor, pp. 191. Al testo della prima edizione (5002) viene ad ag- giungersi qui un nuovo capitolo: Tempo, esistenza e relazione. Le pp. 123-133 di questo volume sono state ristampate in 6701. Filosofia e antifilosofia (una discussione con E. Paci), in E. Ga- rin, La filosofia come sapere storico, Bari, Laterza, pp. 33-54. Sulla fenomenologia, « Aut Aut », n. 50, pp. 75-83. Sartre e noi, « Aut Aut », n. 51, pp. 188-189. Sulla relazione lo-tu, « Aut Aut », n. 52, pp. 217-221. Esercizio sulla evidenza fenomenologic a, «Aut Aut», n. 53, pp. 279-285. Sul significato dello spirito in Husserl, « Aut Aut », n. 54, pp. 345-372. Vagine da un diario, « Archivio di filosofia », n. 2 (La diaristica filosofica), pp. 187-216. Ristampato in 6102. Filosofia e storia della filosofia, « Giornale critico della filosofia italiana », n. 4, pp. 539-542.   5910 - Wright e lo « spazio vissuto », « Casabella; Imbarazzi di B. Russell, « Inventario», nn. 1-6, pp. 257-266. Ristampato in 6501, cap. VII. Tempo e riduzione in Husserl, « Rivista di filosofia », n. 2, pp. 146-179. Per una fenomenologia della musica contemporanea, « Il Ver- ri », n. 1, pp. 3-11. La crisi della cultura e la fenomenologia dell'architettura con- temporanea, « La casa », Roma, ed. De Luca, n. 6. A. N. Whitehead, La scienza e il mondo moderno, introduzione di E. Paci, Milano, Bompiani. L. Actis Perinetti, Dialettica della relazione, prefazione di E. Paci, Milano, ed. di Comunità. 1960 Husserl sempre di nuovo, in AA. VV., Omaggio a Husserl, a cura di E. Paci, Milano, Il Saggiatore, pp. 7-27. E. Garin, E. Paci, P. Prini, Bilancio della fenomenologìa e del- l'esistenzialismo, Padova, Liviana. I testi di Paci sono: Bilan- cio della fenomenologia, pp. 75-87; Risposte e chiarimenti, pp. 97-104; Commemorazione di Husserl, pp. 141-160. Wright e lo « spazio vissuto », in Saggi italiani 1959 (scelti da Moravia e Zolla), Milano, Bompiani, pp. 131-132. Ristampato in 6601, parte prima, cap. XIII. Aspetti di una problematica filosofica, « Aut Aut », n. 55, pp. 1-9. La fenomenologia come scienza del mondo della vita, « Aut Aut », n. 56, pp. 55-83. Sullo stile della fenomenologia, « Aut Aut », n. 57, pp. 133- 142.   6007 - 6008 - 6009 - 6010 - 6011 - 6012 - 6013 - 6014 - 6015 - 6016 - 6017 - 6018 - 6019 - 6020 - 6021 - La scienza e il mondo in A. N. Whitehead, « Aut Aut », n. 57, pp. 180-186. Sulla presenza come centro relazionale in Husserl, « Aut Aut », n. 58, pp. 236-241. Il problema dell'occultamento della « Lebenswelt » e del tra­ scendentale in Husserl, « Aut Aut », n. 59, pp. 265-282. Ri­ stampato in 6301, parte prima, cap. II. La fenomenologia come scienza nuova, « Aut Aut », n. 60, pp. 349-369. Ristampato in 6301, parte quarta, cap. I. Indicazioni elementari sulla « analisi esistenziale », « Aut Aut », n. 60, pp. 403-410. Tempo e relazione intenzionale in Husserl, « Archivio di filo­ sofia », n. 1 (Tempo e intenzionalità), pp. 23-48. Coscienza fenomenologica e coscienza idealistica, « Il Verri », n. 4, pp. 3-15. Ristampato in 7501, cap. XIII. Ricordo di Luigi Stefanini, in AA. VV., Scritti in onore di L. Stefanini, Padova, Liviana, pp. 31-33. Tempo e relazione nella fenomenologia, « Giornale critico della filosofia italiana », n. 2, pp. 161-189. Scienza, tecnica e mondo della vita in Husserl, « Il pensiero critico », n. 2, pp. 1-23. Ristampato in 6301, parte prima, cap. I. Doxa e individuazione nella fenomenologia di Husserl, « Rivi­ sta di filosofia », n. 2, pp. 144-161. Nulla di nuovo tutto di nuovo, in « Casa editrice II Saggiatore. Catalogo n. 3, autunno-inverno 1959-1960 », pp. 13-48. i7 problema dell'intersoggettività, « Il pensiero », n. 3, pp. 291-325. Ristampato in 7301, parte terza, cap. II. Tre paragrafi per una fenomenologia del linguaggio, « Il pen­ siero », n. 2, pp. 145-156. Ristampato in 6601, parte seconda, cap. III. Indicazioni fenomenologiche per il romanzo, « Quaderni mila­ nesi », autunno, pp. 130-134.   6022 - 6023 - 6024 - 6101 - G. Brand, Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Hus­ serl, introduzione di E. Paci, Milano, Bompiani. E. Husserl, Teleologia universale (manoscritto E III 5), tradu­ zione di E. Paci, in « Archivio di filosofia », n. 2, pp. 9-16. Ristampato in 6101, prima appendice. Ree. di G. R. Hocke, Die Welt als Labyrinth; Manierismus in der Literatur, Hamburg, 1939, « Aut Aut », n. 56, pp. 125-127. 1961 Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bari, Laterza, pp. 276. Indice: I - Il senso della fenomenologia; II - Il signi­ ficato dell'intenzionalità; III - Tempo e riduzione; IV - Tempo e dialettica; V - Tempo e intersoggettività; VI - Mondo della vita e scienza del mondo della vita; VII - Il tempo e il senso dell'essere; Vili - La fenomenologia come teleologia universale della ragione. Appendici: I - E. Husserl, Teleologia universale (manoscritto E III 5) trad. it. di E. Paci; II - La concezione relazionistica della libertà e del valore. Diario fenomenologico (14 marzo 1956 - 30 giugno 1961), Mi­ lano, Il Saggiatore, pp. 122. Riedito con una nuova introduzio­ ne come 7302. La phénoménologie, in Les grands courants de la pensée mon­ diale contemporaine, a cura di M. F. Sciacca, Milano, Marzorati, voi. I, tomo II, pp. 435-440. Qualche osservazione filosofica sulla critica e sulla poesia, « Aut Aut», nn. 61-62, pp. 1-21. Ristampato in 6601, parte secon­ da, cap. V. Espressione e significato, « Aut Aut », nn. 61-62, pp. 162-167. Fenomenologia psicologia e unità della scienza, « Aut Aut », n. 63, pp. 214-234. La psicologia fenomenologica e il problema della relazione tra inconscio e mondo esterno, « Aut Aut », n. 64, pp. 314-334. 6102 - 6103 - 6104 - 6105 - 6106 - 6107 -   6108 - 6109 - 6110 - 6111 - 6112 - 6113 - 6114 - 6115 - 6116 - 6117 - 6118 - 6119 - 6120 - 6121 - Guenther Anders e l'intenzionalità della scienza, « Aut Aut », n. 64, pp. 365-367. Merleau-Ponty, Lukàcs e il problema della dialettica, « Aut Aut », n. 65, pp. 498-515. I paradossi della fenomenologia e l'ideale di una società razio­ nale, « Giornale critico della filosofia italiana », n. 4, pp. 411- 442. Ristampato in 6301, parte seconda, cap. III. Fenomenologia e obbiettivazione, «Giornale critico della filo­ sofia italiana », n. 2, pp. 143-152. Ueber einige Verwandtschaften der Philosophie Whiteheads und der Phànomenologie Husserls, « Revue internationale de philosophie », nn. 56-57, pp. 237-250. Ristampato (in italiano) in 6501, cap. VI. Relazionismo e significato fenomenologico del mondo, « Il pen­ siero », n. 4, pp. 28-51. Tecnica feticizzata e linguaggio, «Europa letteraria», nn. 9- 10, pp. 50-65. Per una fenomenologia dell'eros, « Nuovi argomenti », nn. 51- 52, pp. 52-76. A Fhenomenology of Eros, in AA. VV., Facets of Eros, The Hague, pp. 1-22. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, avvertenza e prefazione di E. Paci, Milano, Il Saggiatore. E. Gellner, Parole e cose, introduzione di E. Paci, Milano, Il Saggiatore. Ree. di S. Freud, Lettere 1873-1939, Torino, 1960, «Aut Aut », n. 64, p. 394. Ree. di S. Freud, Le origini della psicoanalisi, Torino, 1961, « Aut Aut », n. 64, pp. 394-395. Ree. di W. Jensen, Gradiva, Torino, 1961, « Aut Aut », n. 64, p. 395. Ree. di F. Fornari, Problemi del primo sviluppo psichico, in   6201 - 6302 - 6203 - 6204 - 6205 - 6206 - 6207 - 6208 - 6209 - 6210 - 6211 - 6212 - 6213 - « Rivista di Psicologia », IV, 1960, « Aut Aut », n. 64, pp. 395-396. 1962 L'ultimo Sartre e il problema della soggettività, « Aut Aut », n. 67, pp. 1-30. Alcuni paragrafi di questo saggio sono con­ fluiti in 6301, terza parte. Nuove ricerche fenomenologiche, « Aut Aut », n. 68, pp. 99- 112. Nota su Robbe-Grillet, Butor e la fenomenologia, « Aut Aut », n. 69, pp. 234-237. Ristampato in 6501, cap. XV. Problemi di antropologia, « Aut Aut », n. 70, pp. 275-283. Ristampato in 6501, cap. XVI. Per una sociologia intenzionale, « Aut Aut », n. 71, pp. 359- 367. Struttura e lavoro vivente, « Aut Aut », n. 72, pp. 453-457. Ristampato in 6501, cap. XVII. A proposito di sociologia e fenomenologia (risposta a una let­ tera di F. Ferrarotti), « Aut Aut », n. 72, pp. 507-510. A cominciare dal presente, « Questo e altro », n. 1, pp. 49-54. Ristampato in 6601, parte seconda, cap. VI. In un rapporto intenzionale, « Questo e altro », n. 2, pp. 25-41 Banfi, Gellner e Merleau-Ponty, « Casa editrice II Saggiatore. Catalogo n. 5 primavera 1961 - primavera 1962 », pp. 40-47. Fenomenologia e antropologia in Hegel, « Il pensiero », nn. 1-2, pp. 47-81. Ristampato in 6601, parte seconda, cap. II. Bomba atomica e significato di verità, « Il Verri », n. 6, pp. 159-162. n M. Merleau-Ponty, Senso e non senso, introduzione di E. Paci, Milano, Il Saggiatore.   1963 6301 - Funzione delle scienze e significato dell'uomo, Milano, Il sag- giatore, pp. 482. Indice: Parte prima: I - Crisi della scienza come crisi del significato della scienza per l'uomo; II - L'oblio del mondo della vita e il significato del trascendentale. Parte seconda: I - La fenomenologia come scienza nuova; II - La cor- relazione universale e la filosofia come trasformazione dell'es- sere in significato di verità; III - La fenomenologia e l'ideale di una società razionale; IV - Il paradosso estremo della fenome- nologia; V - La psicologia e la unità delle scienze; VI - Materia vita e persona nella teleologia della storia; VII - La psicologia fenomenologica e la fondazione della psicologia come scienza; V i l i - La crisi dell'Europa e la storia dell'umanità; IX - La dialettica del linguaggio e il fondamento della storia; X - Il fondamento fenomenologico della storia della filosofia; XI - Esperienza e ragione; XII - Scienza, morale e realtà economica nella lotta della filosofia per il significato dell'uomo; XIII - L'u- nità dell'uomo e l'autocomprensione filosofica. Parte terza: I - Natura e storia; I I - Soggettività e situazione; I I I - Ambiguità e verità; IV - Prassi pratico-inerte e irreversibilità; V - Uomo natura e storia in Marx; VI - Il rovesciamento del soggetto nel- l'oggetto; VII - La dialettica del concreto e dell'astratto. Pic- colo dizionario fenomenologico.  i7 significato dell'uomo in Marx e Husserl, « Aut Aut », n. 73, pp. 10-21. Questo saggio è la traduzione italiana di una confe- renza tenuta da E. Paci presso l'Accademia filosofica di Praga il 24 ottobre 1962. Il senso delle parole: Lebenswelt; Struttura, « Aut Aut », n. 73, pp. 88-94. La psicologia fenomenologica e la fondazione della psicologia come scienza, « Aut Aut », n. 74, pp. 7-19. Ristampato in 6301, parte seconda, cap. VII.   6307 - Il senso delle parole: Epoche; trascendentale, « Aut Aut », n. 74, pp. 108-111. 6308 - Il senso delle parole: Alienazione e oggettivazione, « Aut Aut », n. 75, pp. 103-104. 6309 - Sociologia e condizione umana, « Aut Aut », n. 76, pp. 7-16. 6310 - Il senso delle parole: Riconsiderazione; senso; causa; il cogito e la monade, « Aut Aut », n. 76, pp. 106-108. 6311 - Fenomenologia e antropologia culturale, « Aut Aut », n. 77, pp. 9-11. Ristampato in 6501, cap. XVIII. 6312 - Il senso delle parole: Sprachleib; soggettività linguistica; lan- gue et parole; strutturalismo, fonologia e antropologia, « Aut Aut », n. 77, pp. 100-103. 6313 - 6514 - 6315 - 6316 - 6317 - 6318 - 6319 - 6401 - Memoria e presenza dei Buddenbrook, « Aut Aut », n. 78, pp. 7-27. Ristampato in 6502, parte seconda, cap. VI. Il senso delle parole: Gradi della alienazione; strumentammo; il corpo proprio inorganico; informale e nuova figurazione; tra­ dizione e avanguardia, « Aut Aut », n. 78, pp. 91-95. Follia e verità in Santayana, « Revue internationale de philoso­ phie », n. 63, pp. 50-61. Ristampato in 6501, cap. X. Problemi di unificazione del sapere, « De Homine », nn. 15-16, pp. 65-78. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. I. Die Positive Bedeutung des Menschen in Kierkegaard, « Schweit- zer Monatshefte », n. 2, pp. 177-184. Alcuni paragrafi sul romanzo contemporaneo, «Europa lettera­ ria, Omaggio a R. Mondolfo, in AA. VV., Omaggio a R. Mondolfo, Città di Senigallia, Atti del Consiglio Comunale, seduta del 19 agosto 1962, Urbino, S.T.E.U., pp. 47-50. 1964 Problemi di unificazione del sapere, in AA. VV., L'unificazione del sapere, Firenze, Sansoni, pp. 63-76.   6402 - A. N. Whitehead, in Les grands courants de la pensée mondia­ le contemporaine, a cura di M. F. Sciacca, terza parte, voi. II, Milano, Marzorati, Annotazioni per una fenomenologia della musica, « Aut Aut, Il senso delle parole: Scientificità; irreversibilità; entropia e informazione; operazionismo; musica e modalità temporali, « Aut Aut », nn. 79-80, pp. 132-138. Teatro, funzione delle scienze e riflessione, « Aut Aut », n. 81, pp. 7-14. Ristampato in 6601, parte prima, cap. III. Il senso delle parole: Prima persona; fenomenologia e fisiologia; dualismo teatro e personaggi, « Aut Aut», n. 81, pp. 108-112. Le parole, « Aut Aut Il senso delle parole: linguaggio oggettivato; soggetto e com­ portamento; la scienza e la vita, « Aut Aut », n. 82, pp. 104- 107. Fenomenologia e cibernetica, « Aut Aut », n. 83, pp. 25-32. Ri­ stampato in 6503, terza appendice. Il senso delle parole: introduzione; cose e problemi; forme ca­ tegoriali, « Aut Aut », n. 83, pp. 93-95. Whitehead e Husserl, «Aut Aut», n. 84, pp. 7-18. Il senso delle parole: Percezione e conoscenza diretta; struttura, traduzione, e unificazione del sapere; il simbolismo e la possi­ bilità dell'errore, « Aut Aut », n. 84, pp. 97-100. Thomas Mann, Le Opere, introduzione di E. Paci, Torino, Pomba. 1965 Relazioni e significati l (Filosofia e fenomenologia della cultu­ ra), Milano, Lampugnani Nigri, pp. 228. Indice: I - Filosofia e fenomenologia della cultura; II - Fenomenologia della vita e ragione in Banfi; III - Il significato di Whitehead; IV - Logica   6502 - e filosofia in Whitehead; V - Empirismo e relazioni in White­ head; VI - Whitehead e Husserl; VII - Nota su B. Russell; V i l i - Neopositivismo, fenomenologia e letteratura; IX - Ca­ duta della intenzionalità e linguaggio; X - Follia e verità in Santayana; XI - Scienza e umanesimo italiano; XII - Fenomeno­ logia e letteratura; XIII - Fenomenologia e narrativa; XIV - Fenomenologia, psichiatria e romanzo; XV - Robbe-Grillet, Bu- tor e la fenomenologia; XVI - Problemi di antropologia; XVII - Struttura e lavoro vivente; XVIII - Sul concetto di struttura. Relazioni e significati II (Kierkegaard e Th. Mann), Milano, Lampugnani Nigri, pp. 341. Indice: parte prima: I - Ironia, demoniaco ed eros; I I - Estetica ed etica; I I I - La dialettica della fede; IV - Ripetizione e ripresa: il teatro e la sua funzione catartica; V - Storia ed apocalisse; VI - La psicologia e il pro­ blema dell'angoscia; V I I - Angoscia e relazione; V i l i - Ango­ scia e fenomenologia dello eros; IX - L'intenzionalità e l'amo­ re; X - Kierkegaard e il significato della storia. Parte seconda: I - Musica mito e psicologia in Th. Mann; II - Th. Mann e la filosofia; III - Due momenti fondamentali nell'opera di Mann; IV - L'ironia di Mann; V - Su « Altezza reale »; VI - Ricordo e presenza dei « Buddenbrook ». Tempo e relazione (nuova edizione), Milano, Il Saggiatore, pp. 386. Al testo della prima edizione (vedi 5401) si aggiungono tre nuove appendici: I - Significato del significato; II - Seman­ tica e filosofia; I I I - Fenomenologia e cibernetica. L'infanzia di J. P. Sartre, in Le conferenze dell'associazione cul­ turale italiana (1964-1965), Cuneo, Sasto, fascicolo XVI, pp. 19-30. Sull'orizzonte di verità della scienza, « Aut Aut », n. 85, pp. 7-16. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. V. Il senso delle parole: Processo; percezione non sensoriale; il tessuto della esperienza, « Aut Aut », n. 85, pp. 93-95. Sulla struttura della scienza, « Aut Aut », n. 86, pp. 27-36. Ri­ stampato in 7301, parte quinta, cap. IV. Il senso delle parole: Pubblico e privato; genesi, « Aut Aut », n. 86, pp. 91-95. 6503 - 6504 - 6505 - 6506 - 6507 - 6508 -   6509 - Struttura temporale e orizzonte storico, « Aut Aut », n. 87, pp. 7-19. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. VI. 6510 - Il senso delle parole: Logica forinole e linguaggio ordinario; metafisica descrittiva, « Aut Aut », Antropologia strutturale e fenomenologia, «Aut Aut», n. 88, pp. 42-54. Ristampato in 7301, parte quarta cap. III. 6512 - Condizione dell'esperienza e fondazione della psicologia, « Aut Aut », n. 89, pp. 82-89. 6513 - Il senso delle parole: i due volti della psicologia; sul principio della economia del pensiero, « Aut Aut », Una breve sintesi della filosofia di Whitehead, « Aut Aut », n. 90, pp. 7-16. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. VIII. Il senso delle parole: Sul problema dei fondamenti; esperienza e neopositivismo, « Aut Aut », n. 90, pp. 79-84. La voce Sul problema dei fondamenti è stata ristampata come cap. II della parte quinta di 7301. Funzione e significato nella letteratura e nella scienza, in La cultura dimezzata, a cura di A. Vitelli, Milano, Giordano, pp. 165-169. Sul concetto di struttura in Lévi-Strauss, « Giornale critico del- la filosofia italiana», n. 4, pp. 485-503. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. II. Attualità di Husserl, « Revue internationale de philosophie », nn. 71-72, pp. 5-16. Ristampato in 7301, parte prima, cap. I. 6519 - Sul problema della fondazione delle scienze, « Il pensiero », nn. 1-2, pp. 36-43. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. III. 6520 - i7 senso delle strutture in Lévi-Strauss, « Paragone », n. 192, pp. 114-125, e « Revue internationale de philosophie », nn. 73- 74, pp. 300-313. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. I. 6521 - Nota su De Saussure, in « Casa editrice II Saggiatore: Catalogo generale 1958-1965. Preceduto da un'inchiesta su ' Struttura- lismo e critica ' a cura di C. Segre », pp. LXIX-LXXIII. 6522 - Ideologia, parola negativa, in « Casa editrice il Saggiatore: sup-   6523 - 6524 - 6525 - 6601 - plemento a l catalogo generale aggiornato a l 3 0 settembre 1965 », pp. 21-75. E . Husserl, Esperienza e Giudizio, nota introduttiva di E . Paci, Milano, Silva. G. Piana, Esistenza e storia negli inediti di Husserl, prefazione di E . Paci, Milano, Lampugnani Nigri. C. Sini, Whitehead e la funzione della filosofia, prefazione di E. Paci, Padova, Marsilio. 1966 Relazioni e significati I I I (Critica e dialettica), Milano, Lampu- gnani Nigri, pp. 376. Indice: Parte prima: I - Sulla poesia di Rilke; II - Sul senso della poesia di T. S. Eliot; III - L'uomo di Proust; IV - Valéry o della costruzione; V - Sulla musica contemporanea; V I - Per una fenomenologia della musica; V I I - Interpretazione d e l teatro; V i l i - Teatro, funzione delle scien- ze è riflessione; IX - Sull'architettura contemporanea; X - L'ar- chitettura e il mondo della vita; XI - Il metodo industriale, l'e- dilizia e il problema estetico; XII - Fenomenologia e architet- tura contemporanea; XIII - Wright e « lo spazio vissuto ». Parte seconda: I - I l significato della dialettica platonica; I I - Dialettica, fenomenologia e antropologia in Hegel; I I I - T r e 6602 - 6603 - 6604 - paragrafi p e r u n a fenomenologia d e l linguaggio; I V sulla fenomenologia d e l linguaggio; V - Dialettica e nalità nella critica e nella poesia; VI - A cominciare dalpre- sente; VII - In un rapporto intenzionale; Vili - L'alienazione delle parole. Per un'analisi fenomenologica del sonno e del sogno, in A A . VV., Il sogno e le civiltà umane, Bari, Laterza, p p . 247-255. Kierkegaard vivant et la véritable signification de l'histoire, in AA. VV., Kierkegaard vivant (colloque organisé par l'Unesco du 21 au 23 avril 1964), Paris, Gallimard, pp. 111-124. Il senso delle parole: Sul problema della fondazione, « Aut Aut », n. 91, pp. 94-96. - Ancora intenzio-   Psicanalisi e fenomenologia, « Aut Aut », n. 92, pp. 7-20. Ri­ stampato in 7301, parte quarta, cap. VI. 17 senso delle parole: L'archeologia del soggetto; psicologia e problematica della scienza, « Aut Aut », n. 92, pp. 91-96. . Ayer e il concetto di persona, « Aut Aut », n. 93, pp. 7-20. Ri­ stampato in 7 3 0 1 , parte quinta, cap. IX. Il senso delle parole: Primitività della persona e azione umana; linguaggio e realtà, « Aut Aut », n. 93, pp. 97-100. Per lo studio della logica in Husserl, « Aut Aut », n. 94, pp. 7-25. Ristampato in 7301, parte terza, cap. III. Il senso delle parole: Ricerca trascendentale e metafisica; espe­ rienza temporale e riconoscimento, « Aut Aut », n. 94, pp. 101- 104. Tema e svolgimento in Husserl, « Aut Aut », n. 95, pp. 7-28. Il senso delle parole: Morfologia universale; prima persona e linguaggio, « Aut Aut », n. 95, pp. 101-104. Fondazione e costruzione logica del mondo di Carnap, « Archi­ vio di filosofia », n. 1 [Logica e analisi), pp. 95-107. Modalità, coscienza empirica e fondazione in Kant, « Il pensie­ ro », nn. 1-2, pp. 5-22. Ristampato in 7301, parte seconda, cap. III. E. Husserl, Logica formale e trascendentale, prefazione di E. Paci, Bari, Laterza. Ricordo di E. De Martino, colloquio tra E. Paci, C. D. Levi Carpitella, G. Jervis, « Quaderni dellTSSE », n. 1, pp. 5-14. Filosofia e scienza, discussione tra E. Paci, P. Caldirola, P. D'Arcais, Panikkar, « Civiltà delle macchine », I, pp. 19-30. 1967 Il nulla e il problema dell'uomo, in E. De Martino, Il mondo magico, Torino, Boringhieri, Il significato di GALILEI filosofo per la filosofia, in AA. VV., Studi Gali- leiani, Firenze, Barberi, pp. 1-28. Ristampato in 7301, parte seconda, cap. II. Fondazione fenomenologica dell'antropologia e antropologia del- le scienze, « Aut Aut », nn. 96-97, pp. 28-46. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. IV. Il senso delle parole: Fenomenologia della prassi e realtà obiet- tiva, « Aut Aut », nn. 96-97, pp. 153-154. Il ritorno a Freud, « Aut Aut », n. 98, pp. 62-73. Ristampato in 7301, parte quarta, cap.V. Il senso delle parole: Autoanalisi e intersoggettività, « Aut Aut », n. 98, pp. 104-106. Fondazione e chiarificazione in Husserl, « Aut Aut », n. 99, pp. 7-13. Ristampato in 7301, parte terza, cap.VI. Il senso delle parole: Fenomenologia ed enciclopedia, « Aut Aut », n. 99, pp. 94-96. Per un'interpretazione della natura materiale in Husserl, « Aut Aut », n. 100, pp. 47-73. Ristampato in 7301, parte terza, cap. IV. Il senso delle parole: Decezione conflitto e significato, « Aut Aut », n. 100, pp. 83-87. Natura animale, uomo concreto e comportamento reale in Hus- serl, « Aut Aut », n. 101, pp. 27-47. Ristampato in 7301, parte terza, cap. V. Il senso delle parole: Struttura e contemporaneità al nostro pre- sente, « Aut Aut », n. 101, pp. 95-98. Il senso delle parole: La motivazione, « Aut Aut », n. 102, pp. 108-110. Informazione e significato, « Archivio di filosofia » , n. 1 [Filo- sofia e informazione), pp. 37-53. Ristampato in 7 3 0 1 , parte quinta, cap. VII. Kafka e la sfida del teatro di Oklahoma, « Studi germanici » , n. 2, pp. 240-252. 3 A . CIVITA, Bibliografìa degli scritti di Enzo Paci.   Per una semplificazione dei temi husserliani fino al primo vo­ lume delle « Idee », « Studi urbinati », nn. 1-2, pp. 767-787. Ristampato in 7301, parte terza, cap. I. 1968 Inversione e significato della cultura, « Aut Aut », n. 103, pp. 7-13. Ristampato in 7301, parte prima, cap. VII. Il senso delle parole: L'altro, « Aut Aut », n. 103, pp. 108-109. Per una nuova antropologia e una nuova dialettica, « Aut Aut », n. 104, pp. 7-14. Ristampato in 7301, parte seconda, cap. VII. Il senso delle parole: L'uomo e la struttura, « Aut Aut », n. 104, pp. 93-95. Motivazione, ragione, enciclopedia fenomenologica, « Aut Aut », nn. 105-106, pp. 100-128. Ristampato in 7301, parte terza, cap. Vili. E. Paci, P. A. Rovatti, Persona, mondo circostante, motivazione, « Aut Aut », nn. 105-106, pp. 142-171. Il senso delle parole: Alienazione, « Aut Aut », nn. 105-106, pp. 198-200. Keynes, la fondazione dell'economia e l'enciclopedia fenomeno­ logica, «Aut Aut», n. 107, pp. 69-100. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. VII. Il senso delle parole: L'uomo stesso, « Aut Aut », n. 107, pp. 110-112. Vita e verità dei movimenti studenteschi, « Aut Aut », n. 108, pp. 7-14. Il senso delle parole: Razionalità irrazionale, «Aut Aut», n. 108, pp. 122-123. 6812 - Vico, le structuralisme et l'encyclopédie phénoménologique des sciences, « Les études philosophiques », nn. 3-4, pp. 408-Domanda, risposta e significato, «Archivio difilosofia», n. 1 [Il problema della domanda), pp. 11-26. La presa di coscienza della biologia in Cassirer, « Il pensiero », nn. 1-2, pp. 109-117. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. IX. The Vhenomenological Encyclopedia and the « Telos » of the Humanity, « Telos », voi. I, n. 2, pp. 5-18. Ri Hegel: Enciclopedia delle scienze filosofiche, in AA. VV., Orien­ tamenti filosofici e pedagogici, Milano, Marzorati, voi. II, pp. 909-941. 6904 - Antonio Banfi e il pensiero contemporaneo, in AA. VV., Antonio Banfi vivente, Firenze, La Nuova Italia, pp. 34-45. Ristampato in 7301, parte prima, cap.II. 6905 - II senso delle parole: Sviluppo e sottosviluppo, « Aut Aut », nn. 109-110, pp. 213-215. 6906 -Aldilà,«AutAut»,n.Ili,pp.7-14. 6907 - J7senso delle parole: Soggetto ed oggetto dell'economia, « Aut Aut » n. Ili, pp. 101-103. 6908 - L'enciclopedia fenomenologica e il Telos dell'umanità, « Aut Aut», n. 112, pp. 26-45. Ristampato in 7301, parte prima, cap. III. 6909 - Il senso delle parole: Violenza e diritto, « Aut Aut», n. 112, pp. 105-107. 6910 - Il senso delle parole: Istituzione totale, «Aut Aut», n. 113, pp. 84-86.   6911 - L'architettura come vita, « Aut Aut », n. 113, pp. 87-89. 6912 - Dialectic of the Concrete and of the Abstract, « Telos », n. 1, pp. 5-32. 6913 - Barbarie e civiltà, in « Atti del Convegno Internazionale sul tema: Campanella e Vico » (Roma 12-15 maggio 1968), Roma, Accademia nazionale dei Lincei, Quaderno, La dialettica del processo. Milano, Mondadori. 6915 - S. Veca, Fondazione e modalità in Kant, prefazione di E. Paci, Milano, Mondadori. 1970 7001 - Il senso delle parole: Ancora sul marxismo e sulla fenomenologia, « Aut Aut », nn. 114-115, pp. 129-138. 7002 - Due temi fenomenologici: I - Fenomenologia e dialettica. II • La fenomenologia e la fondazione dell'economia politica, « Aut Aut », n. 116, pp. 7-37. Ristampato in 7301, parte quarta, cap. Vili. 7003 - Il senso delle parole: La ripetizione, « Aut Aut », n. 116, pp. 113-114. 7004 - L'ora di Cattaneo, « Aut Aut », n. 117, pp. 7-19. 7005 - Il senso delle parole: Ontico e ontologico, « Aut Aut », n. 117, pp. 101-102. 7006 - Il senso delle parole: Barbarie e civiltà, «Aut Aut», n. 118, pp. 114-121. 7007 - Il senso delle parole: La figura, « Aut Aut », nn. 119-120, pp. 164-166. 7008 - Vita quotidiana ed eternità, « Archivio di filosofia », n. 1 (Il senso comune), pp. 15-22. 7009 - Intersoggettività del potere, « Praxis », nn. 1-2, pp. 87-92.   7010 - Fenomenologia e dialettica marxista, « Praxis; Sui rapporti tra fenomenologia e marxismo, in J. T. Desanti, Fe­ nomenologia e prassi, Milano, Lampugnani Nigri, pp. 105-122. Astratto e concreto in Althusser, « Aut Aut », n. 121, pp. 7-20. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. X. Il senso delle parole: Sostanza e soggetto, « Aut Aut », n. 121, pp. 100-101. La « Einleitung » nella fenomenologia hegeliana e l'esperienza fenomenologica, « Aut Aut », n. 122, pp. 7-18. Ristampato in 7301, I sez., cap. IV, seconda parte. Il senso delle parole: La fenomenologia come scienza dell'appa­ renza e della esperienza della coscienza, « Aut Aut », n. 122, pp. 94-96. Hegel e la certezza sensibile, « Aut Aut », nn. 123-124, pp. 7-18. Ristampato in 7301, sez. II, cap. IV, seconda parte. Il senso delle parole: Storia e verità, « Aut Aut », nn. 123-124, pp. 151-152. Considerazioni attuali su Bloch, « Aut Aut », n. 125, pp. 20-30. Ristampato in 7301, parte quinta, cap. XI. Il senso delle parole: Speranza e carità: l'uomo nuovo, « Aut Aut », n. 125, pp. 104-107. Per un'analisi del momento attuale e del suo limite dialettico, Aut Aut », n. 126, pp. 7-21. Ristampato in 7401, cap. VI, e in 7501. Il senso delle parole: « L'homme nu » di C. Lévi-Strauss, « Aut Aut », n. 126, pp. 105-107.   7112 - La phénoménologie et l'histoire dans la pensée de Hegel, « Pra- xis », nn. 1-2, pp. 93-100. Lo stesso testo è apparso in inglese col titolo History and Fhenomenology in Hegel's Thought, in « Telos », n. 8, pp. 77-83. 7113 - 7114 - H. Bergson, Le Opere, introduzione di E. Paci, Torino, Pomba. E. Minkowski, 17 tempo vissuto, prefazione di E. Paci, Torino, Einaudi. 7115 - P. Scarduelli, L'analisi strutturale dei miti, prefazione di E. Paci, Milano, Celuc. 7116 - E. Paci, P. A. Rovatti, R. Tomassini, S. Veca, Per una fenome- nologia del bisogno, « Aut Aut, Life-World, Time, and Liberty in Husserl, in AA.VV,. Life- World and Consciousness. Essays for A. Gurwitsch, a cura di L. E. Embree, Evanston, Northwestern Univ. Press, pp. 461-468. 7202 - 7203 - Ungaretti e l'esperienza della poesia, in G. Ungaretti, Lettere a un fenomenologo, premessa di E. Paci, Milano, Vanni Scheiwil- ler, pp. 17-38. Il senso della religione in MaxHorkheimer, in Max Horkheimer, Giuseppe Guerreschi, An Maidom e zum Schicksal der Religion, Milano, Arte Edizioni, due pagine non numerate. 7204 - A proposito di fenomenologia e marxismo. Considerazioni sul « Dialogo » di Vajda, « Aut Aut », n. 127, pp. 44-57. 7205 -17sensodelleparole:Lavoroeteologia,«AutAut»,n.127,pp. 120-122. 7206 - La presenza nella « Fenomenologia dello spirito » di Hegel, « Aut Aut », n. 128, pp. 5-22. Ristampato in 7301, sez. Ili, cap. IV, parte seconda. 7207 - Variazioni su Cattaneo, « Aut Aut », n. 128, pp. 89-96. 7208 - Il senso delle parole: Il federalismo, « Aut Aut », n. 128, pp. 97-98.   7209 - Spontaneità, ragione e modalità della praxis, « Praxis, Che cosa ha taciuto B. Croce, « Tempo », n. 50, pp. 30-34. 7211 - Ci sono strutture di strutture di strutture..., « Tempo, B. Russell, Le Opere, introduzione di E. Paci, Torino, Pomba. 7213 - J . Wahl, La coscienza infelice nella filosofia di Hegel, prefazione di E. Paci, Milano, Istituto Librario Internazionale. 7214 - S. Zecchi, Fenomenologia dell'esperienza, presentazione di E. Paci, Firenze, La Nuova Italia. 7215 - Intervista con Enzo Faci, in Parlano i filosofi italiani, « Terzo programma », fase. Ili, Idee per una enciclopedia fenomenologica, Milano, Bompiani, pp. 586. Indice: Parte prima: I - Attualità di Husserl; II - L'eredità di Banfi; III - L'enciclopedia fenomenologica e il telos dell'umanità. Parte seconda: I - Vico, lo strutturalismo e l'en­ ciclopedia fenomenologica delle scienze; II - Il significato di Ga­ lileo per la filosofia; III - Modalità, coscienza empirica e fonda­ zione in Kant; IV - Hegel e la fenomenologia. Parte terza: I - I temi husserliani fino al primo volume di Idee; II - Sul pro­ blema dell'intersoggettività; I I I - Per lo studio della logica in Husserl; IV - Per una interpretazione della natura materiale in Husserl; V - Natura animale, uomo concreto e comportamento reale in Husserl; VI - Fondazione e chiarificazione in Husserl; VII - Cultura e dialettica; Vili - Motivazione, ragione, enciclo­ pedia fenomenologica. Parte quarta: I - Il senso delle strutture in Lévi-Strauss; II - Sul concetto di struttura in Lévi-Strauss; III - Antropologia strutturale e fenomenologia; IV - Fondazione fenomenologica dell'antropologia ed enciclopedia delle scienze; V - Il ritorno a Freud; VI - Psicanalisi e fenomenologia; VII - Keynes, la fondazione della economia e l'enciclopedia fenomeno­ logica; V i l i - Fenomenologia e fondazione dell'economia poli-   tica; IX - La presa di coscienza della biologia in Cassirer. Parte quinta: I - Problemi di unificazione del sapere; II - Sul pro­ blema dei fondamenti; III - La fondazione delle scienze; IV - La struttura della scienza; V - Il significato di verità della scien­ za; VI - Struttura temporale e orizzonte storico; VII - Infor­ mazione e significato; V i l i - Whitehead in sintesi; IX - Una sintesi di Ayer sul concetto di persona; X - Astratto e concreto in Althusser; XI - Modalità e novità in Bloch. 7302 - Diario fenomenologico (nuova edizione), Milano, Bompiani, Marxismo e fenomenologia, « Aut Aut », n. 133, pp. 1-13. Ri­ stampato in 7401, cap. I. i7 senso delle parole: Attualità della « fenomenologia » di Hegel, « Aut Aut » Bisogni, paradossi e trasformazioni del mondo, « Aut Aut », n. 134, pp. 1-10. Il senso delle parole: Filosofia analitica e fenomenologia, « Aut Aut », n. 134, pp. 109-111. Il senso delle parole: I limiti dell'empirismo, « Aut Aut », n. 135, pp. 111-112. La negazione in Sartre, « Aut Aut », nn. 136-137, pp. 3-12. Il senso delle parole: L'istante, « Aut Aut », nn. 136-137, pp. 159-160. Il senso delle parole: Sul relazionismo, « Aut Aut », n. 138, pp. 117-119. Cancellare la scrittura morta per trovare la verità viva, «Tem­ po », nn. 2-3, p. 56. L'uomo deve imparare a servirsi della scienza, « Tempo », nn. 4-5, p. 56. La pelle di leopardo ideologica, « Tempo », nn. 6-7, p. 51. Enzo Paci: Cosi vedo Sartre, « Tempo », nn. 8-9, p. 70.   7315 - Amore e morte. Freud e la rivoluzione dell'uomo, «Tempo», nn. 10-11, p. 80. 7316 - L'enigma Ludwig: Visconti e Thomas Mann, «Tempo», nn. 12-13, p. 68. 7317 - L'uomo e la semiotica universale, « Tempo »,n. 14,p.71. 7318 - Ateismo nel cristianesimo e cristianesimo nell'ateismo, «Tempo », n. 15, p. 74. Letteratura e reazione, « Tempo, La presa di coscienza dell'eros e la trasformazione della società, « tempo », n. 17, p. 74. « Il Capitale » tra Shakespeare e Kafka, « Tempo », n. 18, p. 68. Un congresso di filosofi che riscoprono la dialettica, « Tempo », n. 19, p. 63. Linguaggio e silenzio in Wittgenstein, « Tempo », n. 20, p. 80. Quel superstizioso di Freud, « Tempo », n. 21, p. 73. Filosofia Arte e Letteratura, « Tempo », n. 22, p. 76. Quando la volontà è malata, « Tempo », n. 23, p. 72. Colloqui con Sartre, « Tempo », n. 24, p. 60. Un messaggio contro il male, « Tempo », n. 25, p. 68. La realtà si ritrova nella continua dialettica tra realismo e sur- realismo, « Tempo », n. 26, p. 62. Husserl e Marx a Praga, « Tempo », n. 27, p. 53. Mito e vacanza della vita, « Tempo », n. 28, p. 54. Eclisse e rinascita della ragione in Horkheimer, « Tempo », n. 29, p. 54. G. Lukàcs tra la vita e lo spirito, « Tempo », n. 30, p. 56. La situazione limite di Bataille, « Tempo », n. 31, p. 56. Il progresso economico distruggerà la specie umana, « Tempo », n. 32, p. 56.   7336 - La filosofia della vita e della cultura di Simmel e di Banfi, « Tem- po », Trovare l'uomo partendo dalla solitudine, « Tempo », n. 34, p. 58. 7338 - La musica come mediazione tra la vita e il suo significato, « Tem- po », n. 35, p. 58. 7339 - Ter Marcuse la rivoluzione continuerà con l'estetica, « Tempo », n. 37, p. 60. 7340 - Il filosofo del senso comune, « Tempo », n. 38, p. 82. 7341 - Il fallimento dell'uomo e la religione, « Tempo », n. 39, p. 80. 7342 - La vera neutralità della scienza, « Tempo », n. 40, p. 80. 7343 - La nuova via tra Pitagora e Darwin, « Tempo », n. 41, p. 80. 7344 - L'idiota di famiglia e la guarigione dell'uomo, « Tempo, L'eredità di G. Marcel è anticapitalista?, « Tempo », n. 43, p. 96. 7346 - Lukàcs inedito scoperto a Budapest, « Tempo », n. 44, p. 94. 7347 - I cervelli avranno un futuro, « Tempo », n. 45, p. 86. 7348 - Forse una nuova dialettica con la vittoria del proletariato, « Tempo », n. 46, p. 116. L'uomo tra Tolomeo e Copernico, « Tempo », n. 47, p. 94. Minkowski: psicopatologia e vita vissuta, « Tempo », n. 48, p. 84. La costruzione logica del mondo, « Tempo », n. 49, p. 90. Lenin e la filosofia, « Tempo », n. 50, p. 76. Jaspers e l'armonia di una nuova storia, « Tempo », n. 51, p. 70. 1974 Fenomenologia e dialettica, Milano, Feltrinelli, pp. 68. Indice: I - Marxismo e fenomenologia; II - La nuova fenomenologia; III - Fenomenologia dell'economia e della psicologia; IV - La   trasformazione del mondo attuale; V - Fenomenologia e costi- tuente mondiale; VI - Per un'analisi del momento attuale e del suo limite dialettico. 7402 - La filosofia contemporanea (nuova edizione), Milano, Garzanti, pp. 338. Al testo della prima edizione (vedi 5703) si aggiungono 7 nuove appendici: I - L'eredità kantiana e il marxismo; II - Lenin e la filosofia; III - Sul marxismo italiano; IV - C. Lukàcs; V - Sociologia e scuola di Francoforte; VI - Sullo strutturalismo; VII - Moore e la filosofia analitica inglese. 7403 - 7404 - 7405 - 7406 - 7407 - 7408 - 7501 - 7601 - 7602 - Vérification empirique et trascendance de la vérité, in AA. VV., Vérité et Vérification, La Haye, M. Nijhoff, pp. 59-67. Considerazioni attuali sul problema dell'utile e del vitale in Cro- ce, in AA. VV., Benedetto Croce, a cura di A. Bruno, Catania, Nicolò Giannotto Editore, pp. 341-355. Il senso delle parole: Sulla fenomenologia del negativo, « Aut Aut », n. 140, pp. 134-136. Il senso delle parole: Husserl e il cristianesimo, « Aut Aut », n. 141, pp. 133-134. Undici studiosi alla scoperta degli Evangeli, « Tempo », n. 1, p. 64. R. Osculati, Fare la verità. Analisi fenomenologica di un lin- guaggio religioso, Nota finale di Enzo Paci, Milano, Bompiani. Intervista con Enzo Paci, in La filosofia dal '45 ad oggi, a cura di Valerio Verrà, Roma, ERI, pp. 455-458. Dizionario di filosofia, Milano, Rizzoli. Voce: Esistenzialismo. Enzo Paci. Paci. Keywords: relazione. Refs: Luigi Speranza, “Grice e Paci: i principi metafisici di Vico” --. Luigi Speranza, “Grice e Paci: significato e significati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51742511685/in/datetaken/

 

Biraghi, andrea – “Dizionario di filosofia,” Milano.

 

Grice e Padovani – filosofia classica – Luigi Speranza (Ancona). Filosofo. Grice: “I like Padovani, especially his focus on what he calls ‘classical metaphysics’ (‘metafisica classica’) for what is philosophy if not footnotes to Plato?” -- essential Italian philosopher. Ffiglio di Attilio Padovani, generale di artiglieria, e di sua moglie, la ricca possidente veneta Elisabetta Rossati. Mentre, nelle parole stesse di Padovani, il padre "educò i suoi figli ad una rigorosa etica dell'onore e del dovere", ebbe un rapporto privilegiato con sua madre che fu colei che per prima lo introdusse agli ambienti letterari di Padova grazie alla vicinanza dei terreni della sua famiglia che erano posti a Bottrighe, nel Polesine, dove tutta la famiglia si trasferiva durante il periodo invernale. La solerte religiosità della madre, lo spinse a non frequentare la scuola elementare pubblica (che ella riteneva troppo "laicizzata" dopo l'unità d'Italia) ma a servirsi di un precettore, un ex abate che per primo lo instradò alla filosofia. Si iscrisse quindi al liceo di Milano dove ebbe i suoi primi contatti col positivismo che procureranno in lui e nel suo pensiero una profonda crisi nel saper controbilanciare il più correttamente possibile questa visione innovativa della vita con la teologia cattolica. Il padre lo avrebbe voluto ingegnere, ma egli terminati gli studi del liceo si iscrisse aa Milano dove seguì i corsi di Martinetti, pur prendendo a frequentare Mattiussi (convinto tomista) e Olgiati, convinto assertore della necessità di fondere insieme la metafisica classica con il pensiero moderno. Olgiati (a sinistra) con Gemelli (al centro) e Necchi. I primi due furono tra i principali ispiratori. Fu su consiglio di questi due ultimi che il alla fine decise di intraprendere la carriera filosofica, sviluppando una sua corrente di pensiero permeata di tutti gli spunti che nel corso della sua carriera aveva saputo trarre dai pensieri dei suoi insegnanti e ispiratori, basandosi molto anche sull'opera di Schopenhauer. Si laureò con una tesi su Spinoza eproseguendo poi la sua carriera in ambito universitario divenendo dapprima assistente e poi direttore della biblioteca. Divenne membro della Società italiana per gli studi filosofici e psicologici e dell'Università Cattolica del Sacro Cuore da poco fondata a Milano da Gemelli. Grazie all'influsso di Gemelli, Padovani iniziò a collaborare anche con la "Rivista di filosofia neoscolastica" di cui divenne ben presto uno dei principali rappresentanti.  Venne nominato professore di filosofia della religione e anche supplente di Introduzione alla storia delle religioni. In seguito alla riforma Vecchi, si trasferì a Padova dove divenne professore di filosofia morale, avendo per college Olgiati col quale dimostrò una particolare sintonia.  Sempre affiancato da Gemelli, anche durante gli anni della Seconda guerra mondiale riunì presso la propria casa di Milano diversi intellettuali cattolici avversi al fascismo (noti col nome di "Gruppo di Casa Padovani") come Dossetti eFanfani. Si avvicinò durante questi stessi anni al pensiero filosofico e teologico di Gemelli che puntava ad un rinnovamento attivo teorico e morale, affiancando personaggi del calibro di Giacon, Stefanini, Guzzo e Battaglia, coi quali diede vita al Centro di studi filosofici di Gallarate da cui poi scaturirà il cosiddetto "Movimento di Gallarate" per il dialogo aperto tra i filosofi. Quando Sciacca fondò il "Giornale di metafisica" egli ne fu il primo redattore.  Venne accolto come professore di filosofia morale e filosofia teoretica a Padova.  Morì ia Gaggiano. Volle per sua espressa volontà che la notizia della sua morte fosse resa pubblica a sepoltura avvenuta come estremo esempio della propria esistenza di stampo ascetico, come tale era stata la sua scelta di non sposarsi.  Il pensiero filosofico  La tomba di Elisabetta Rossati, madre di Umberto Antonio Padovani e figura ispiratrice del suo pensiero filosofico e teologico. È sepolta nel piccolo cimitero di San Vito di Gaggiano (MI) Durante gli anni del suo insegnamento a Milano, l'attività filosofica fu particolarmente prolifica: egli iniziò col pubblicare “Il problema fondamentale della filosofia di Spinoza” (Milano), poi Vito Fornari. Saggio sul pensiero religioso in Italia nel secolo XIX (Milano), “Gioberti e il cattolicesimo” (Milano) e “Schopenhauer. L’ambiente, la vita, le opera” (Milano). In questi scritti egli dimostrò di saper guardare attentamente non solo alla storia della filosofia, ma anche alle suggestioni provenienti da altri panorami filosofici e religiosi. Pubblicò il testo più importante del suo pensiero filosofico, “La filosofia della religione e il problema della vita” (riedito “Il problema religioso nel pensiero occidentale”), dove per la prima volta delineò chiaramente la matrice del suo pensiero, ovvero che la religione era l'unica strada per risolvere il problema esistenziale della vita, ovvero il male, elemento che limita le possibilità umane, rileggendo in questo la struttura originale della storiografia filosofica e della metafisica classica.  Con la pubblicazione del suo Filosofia della storia, egli si espresse anche riguardo allo studio della storia, il quale s ci rivela quotidianamente il male, ovvero i limiti dell'uomo rispetto al mondo che lo circonda, ma non è in grado (come del resto la filosofia) di fornire soluzioni. Tali soluzioni possono pervenire unicamente dalla teologia, magari nella sua declinazione di teologia della storia. Questo pensiero si acuì particolarmente con una riflessione anche sulla morte negli ultimi anni, in particolare dopo la morte della madre Elisabetta col quale egli aveva sempre avuto un forte legame.  Altre opere:  – Grice: “Cf. Hampshire’s Spinoza”) Milano, Vito Fornari; “Saggio sul pensiero in Italia,”Milano,  “La storia della filosofia con particolare riguardo ai problemi politici, morali e religiosi,” Como, “Aquino nella storia della cultura” (Como); “Il fondamento e il contenuto della morale” (Como); “Filosofia e teologia della storia” (Como); “Sommario di storia della filosofia,” Roma, P. Faggiotto,Padova A. Cova, Storia dell’Università cattolica del Sacro Cuore, Milano A. M. Moschetti, Cercatori dell’assoluto: maestri nell'Ateneo padovano, Santarcangelo di Romagna Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. And then there’s Pagani: essential Italian philosopher  difficult  to find. Padovani. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Padovani,” The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740815513/in/datetaken/

 

Grice e Paganini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo. Grice: “Paganin must be the only Italian philosopher who reads La Divina Commedia philosophically!” --  Grice: “Strawson never read Paganini’s ‘cosmological’ tract on ‘spazio’ but he should, obsessed as he was with spatio-temporal continuity. Grice: “I’ll never forget Shropshire’s proof of the immortality of the human soul – He told me he basically drew it from an obscure tract by Paganini, as inspired by the death of Patroclus – Paganini’s tract actually features one of my pet words. He speaks of the ‘domma’ of the ‘immotalita dell’anima umana’ – Brilliant!” -- essential Italian philosopher.Lucca stava passando dalla reggenza austriaca seguita al collasso napoleonico al diventare capitale del borbonico Ducato di Lucca. Compì l'intero corso dei suoi studi a Lucca, dedicandosi, fin dai tempi delle scuole secondarie, alla filosofia. Insegnò filosofia negli istituti secondari lucchesi. Prtecipò alla prima guerra d'indipendenza. Dopo la fine della guerra, col l'annessione del Ducato di Lucca da parte del Granducato di Toscana fu nominato docente nell'ateneo lucchese. In questo ufficio fu difensore della dottrina rosminiana e nonostante venisse sorvegliato dalla polizia il governo decise poi di offrirgli una cattedra a Pisa a seguito dei buoni uffici di Rosso. Gli ultimi anni della sua vita furono rattristati da due avvenimenti; la espulsione dai seminari ecclesiastici di discepoli a lui carissimi, perché rei di professare le dottrine del Rosmini e la condanna di certe proposizioni tolte ad arbitrio e senza critica dalle molte opere del filosofo di Rovereto. Morì a Pisa. Annuario della R. Pisa per l’anno accademico. sba.unipi/it/risorse/archivio-fotografico/persone-in-archivio/paganini-carlo-pagano Opere. Paganini. Keywords: Alighieri. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paganini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692032980/in/photolist-2mPXDFp-2mPNuPp-2mNaHiH-2mKRbtW

 

Grice e Pagano – eroe – filosofia italiana – filosofi agiustiziati --– Luigi Speranza (Brienza). Filosofo. Essential Italian philosopher. Uno dei maggiori esponenti dell'Illuminismo ed un precursor edel positivismo, oltre ad essere considerato l'iniziatore della scuola storica napoletana del diritto. Personaggio di spicco della Repubblica Partenopea, le sue arringhe contornate di citazioni filosofiche gli valsero il soprannome di "Platone di Napoli". Nato da una famiglia di notai,  si trasfere a Napoli. Studia sotto l'egida di Angelis, da cui apprese anche gli insegnamenti del greco. Frequenta i corsi universitari, conseguendo la laurea con il “Politicum universae Romanorum nomothesiae examen” (Napoli, Raimondi), dedicato a Leopoldo di Toscana ed all'amico grecista Glinni di Acerenza. Studia sotto Genovesi, il cui insegnamento fu fondamentale per la sua formazione, e amico di Filangieri con cui condivide l'iscrizione alla massoneria. Appartenne a “La Philantropia,” loggia della quale e maestro venerabile. Inoltre, i proventi dell'attività di avvocato criminale gli consenteno di acquistare un terreno all'Arenella, dove costitue un cercchio, alla quale partecipa, tra gli altri, Cirillo. Insegna a Napoli, distinguendosi come avvocato presso il tribunale dell'Ammiragliato (di cui diviene poi giudice) nella difesa dei congiurati della Società Patriottica Napoletana Deo, Galiani e Vitaliani pur non riuscendo ad evitarne la messa a morte. Incarcerato in seguito ad una denuncia presentata contro di lui da un avvocato condannato per corruzione che lo accusa di cospirare contro la monarchia. Venne liberato per mancanza di prove. Scarcerato ripara clandestinamente a Roma, dove e accolto positivamente dai membri della Repubblica. Insegna al Collegio Romano, accontentandosi di un compenso che gli garantiva il minimo indispensabile per vivere. Tra i suoi seguaci e allievi, il  rivoluzionario Galdi.  La libertà è la facoltà di ogni uomo di valersi di tutte le sue forze morali e fisiche come gli piace, colla sola limitazione di non impedir ad’altro uomo di far lo stesso. Il Giudice Speciale lo schernisce dopo avergli letto la sentenza di morte. Ritratto di Giacomo Di Chirico. Lasciata Roma, si sposta per un breve periodo a Milano e, dopo la fuga di Ferdinando IV a Palermo, fa ritorno a Napoli, divenendo uno dei principali artefici della Repubblica, quando il generale  Championnet lo nomina tra quelli che doveno presiedere il governo provvisorio. La vita della repubblica e corta e molto difficile. Manca l'appoggio del popolo, alcune province sono ancora estranee all'occupazione francese e le disponibilità finanziarie sono sempre limitate a causa delle sovvenzioni alle campagne napoleoniche. In questo breve lasso di tempo, ha tuttavia modo di poter realizzare alcuni progetti. Importanti in questo periodo sono le sue proposte sulla legge feudale, in cui si mantiene su posizioni piuttosto moderate e il progetto di Costituzione. Essa per la prima volta stabilisce la giurisdizione esclusiva dello stato napoletano sul diritto civile e, tra le altre cose, prevede il de-centramento amministrativo. Prevede inoltre l'istituzione dell'eforato, precursore della corte costituzionale. Il suo progetto rimase tuttavia inapplicato a causa dell'imminente restaurazione monarchica. Si distingue sostenendo altre leggi di capitale importanza come quella sull'abolizione dei fedecommessi, sull'abolizione delle servitù feudali, del testatico, della tortura. Con la caduta della repubblica, dopo aver imbracciato le armi che difendeno strenuamente gl’ultimi fortilizi della città assediati dalle truppe monarchiche, e arrestato e rinchiuso nella "fossa del coccodrillo", la segreta più buia e malsana del Castel Nuovo. E in seguito trasferito nel carcere della Vicaria e nel Castel Sant'Elmo. Giudicato con un processo sbrigativo e approssimato, e condannato a morte per impiccagione. A nulla e valso l'appello di clemenza da parte dei regnanti europei, tra cui lo zar Paolo I, che scrive al re Ferdinando. Io ti ho mandato i miei battaglioni, ma tu non ammazzare il fiore della cultura europea. Non ammazzare Pagano, il più grande filosofo di oggi. Fu giustiziato in Piazza Mercato, assieme ad altri repubblicani come D. Cirillo, G. Pigliacelli e I. Ciaia. Salendo sul patibolo, pronuncia la seguente frase. Due generazioni di vittime e di carnefici si succederanno, ma l'Italia, o signori, si farà. Italia si fara. Italia, o signori, si fara. Proclami e sanzioni della Repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione, Colletta. Esponente fra i più rilevanti dell'Illuminismo merita di essere preso in esame dalla nostra prospettiva per la visione consegnata ai Saggi politici, un'opera a carattere filosofico -- di ‘filosofia civile' per l'ispirazione complessiva e il disegno di fondo in cui i diversi elementi della sua multiforme natura sono orientati verso un unico obiettivo. E anche per la filosofia politica, che emerge in tutta la sua peculiarità da un lavoro pur dai caratteri tecnici obbligati come il Progetto di Costituzione della Repubblica napoletana, da lui personalmente redatto.  Saggi: “Burgentini”, “Oratio ad comitem Alexium Orlow virum immortalem victrici moschorum classi in expeditione in mediterraneum mare summo cum imperio praefectum”; “Gli Esuli tebani. Tragedia” (Napoli); “Contro Sabato Totaro, reo dell'omicidio di D. Giuseppe Gensani in grado di nullità aringo” (Napoli); “Il Gerbino tragedia” e “Agamennone: monodramma-lirico” (Napoli, Raimondi); “Considerazioni sul processo criminale (Napoli, Raimondi); “Ragionamento sulla libertà del commercio del pesce in Napoli. Diretto al Regio Tribunale dell'Ammiragliato e Consolato di Mare” (Napoli); “Corradino: tragedia” (Napoli, Raimondi); “De' saggi politici”(Napoli, aRaimondi); “L' Emilia: commedia” (Napoli, Raimondi); “Saggi politici de' principii, progressi e decadenza della società” (Napoli); “Discorso recitato nella Società di Agricoltura, Arti e Commercio di Roma nella pubblica seduta del di 4 complementario anno 6° della libertà, Roma, presso il cittadino V. Poggioli. “Considerazionisul processo criminale” (Milano, Tosi e Nobile); “Principj del codice penale e logica de' probabili per servire di teoria alle pruove nei giudizj criminali”; “principj del codice di polizia” (Napoli, Raffaele Di Napoli). Le opere teatrali  non furono mai rappresentate in pubblico. Le mette in scena privatamente nella sua villa dell'Arenella. Sono caratterizzate da temi prevalentemente sentimentali mascherando i temi civili che pur in esse sono presenti, con funzione quindi pedagogica nei confronti del popolo.  Intitolazioni e dediche  Statua di Mario Pagano a Brienza (PZ) Al giurista lucano sono state dedicate alcune opere letterarie come Catechismo repubblicano in sei trattenimenti a forma di dialoghi di Francesco Astore e Mario Pagano, ovvero, della immortalità di Terenzio Mamiani. Nella Corte d'Assise di Potenza fu collocato un busto marmoreo in suo onore, opera di Antonio Busciolano. Gli venne dedicato il Convitto nazionale Mario Pagano di Campobasso, con regio decreto firmato da Vittorio Emanuele II. Alcune logge massoniche furono intitolate a suo nome, come quella di Lecce e di Potenza.. Nel Venne inaugurato un busto in marmo ai giardini del Pincio (Roma), realizzato da Giuseppe Guastalla. Il suo personaggio apparve nel film Il resto di niente di Antonietta De Lillo, interpretato da Mimmo Esposito. Elio Palombi, Pagano e la scienza penalistica del secolo XIX, Giannini, Fulvio Tessitore, Comprensione storica e cultura, Guida, Petronilla Reina Gorini, Ricordanze di trenta illustri italiani, Minerva, N. Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione. Con la corrispondenza massonica e altri documenti, Palermo, Sellerio, A. Pace, Annuario, Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo Wolters Kluwer Italia, Mario D'Addio, Le Costituzioni italiane: Colombo, Ottorino Gurgo, Lazzari: una storia napoletana, Guida, Saverio Cilibrizzi, I grandi Lucani nella storia della nuova Italia, Conte, Alessandro Luzio, La massoneria e il Risorgimento italiano: saggio storico-critico, Volume 1, Forni, Vittorio Prinzi, Tommaso Russo, La massoneria in Basilicata, FrancoAngeli, Carlo Colletta, Proclami e sanzioni della repubblica napoletana, aggiuntovi il progetto di Costituzione di Mario Pagano, Napoli, Stamperia dell'Iride, Dario Ippolito, il pensiero giuspolitico di un illuminista, Torino, Giappichelli Editore, Nico Perrone, La Loggia della Philantropia. Un religioso danese a Napoli prima della rivoluzione, Palermo, Sellerio, Franco Venturi, Illuministi italiani, tomo V, Riformatori napoletani, Milano-Napoli, Ricciardi, Repubblica Napoletana Repubblicani napoletani giustiziati  Emanuele De Deo. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Considerazioni sul processo criminale, su trani-ius. Progetto di Costituzione della Repubblica Napoletana, su repubblicanapoletana. Principii del codice penale, su trani-ius. Relazione al Convegno di Brienza su Mario Pagano, del 25-27 ottobre 1999, su trani-ius. Dell origine delle pene pecuniarie. 2 7 C A P . De'progresiviavanzmenti della sovra nità per mezzo de'giudizi. Del maggior estabilimento de'giulizi. Pruovestoriche.Presode'Creci giudicava della Socieeta.  Del duello. Degli altri modi aduprati ne'divinigiu dizj. CAP. XIV. DellaFortura. Sull'ifteltosoggetto. Prüovestoriche. Coltura inquest 'ultimo period della barbarie.  Dello sviluppo della macchina; e del miglioramento del costume,delloSpirito, e delle 79 quantoelle çonferial miglioramento del costume ca,edella originedelcommercio,  di antichitd. 59 . lingue. SAG . 8q 24 de'popoli. De'giudizj degli aprichi Germani, ede' Scioglimento di una opposizione alleco Se dette. Deprincipidellagiurisprudenza de'bar De divinigiudizj. Nuova explicaziurediun famoso puntu Della legislazione di questi tempi, Dello stato delle proprietà , e dell'agri. Dellorigine dell'ospitalitit,ecome, Delle arti , e delle scienze di cotest'epur 78 barbari della mezza età  DellaReligione. De principi e progressi delle società colte. L'estinzione della indipendenza privata , la libert . civile , la moderazione del governo forma no l'esenziale colturadellenazioni. Dell'originedellaplebe, ede'suoidrit 'ti. Delle varie caçioni , dalle quali nascono gono dalla varia modificazione della macchina. 113 CAP.IX.De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore Ea lergenonfrenalalibertà,mala garantisce e ladifende  vi e polite.  i diverfi governi , e primieramente delleinterne. Dellaeducazione. Dell'esternecagioni locali,chesuldiver fo governo hanno influenza, Delclima. diverfi. Del rapporto dellasocietà colle potenze stranicre. Dellalibertà,edellecagioni ,che la tolgono. Comelaleggecivilepofanuocere alla De'diversielementi dellaCitta.Della leggeuniversale, edell'ordine cosifisico, come morale. Come leforze,edoperazionimoralifor. Come secondo i varj climi nafcono governi libertà, inducendo la servitù. Dellalibertapolitica. Delledueproprietàdiogni moderato, Deldrittoscritto,delleleggie giu e regolar governo risprudenza de'coltipopoli,  La moltiplicazione degli uomini è maggiore neglistati guerrieri , che ne'commer. Del Gusto , e delle belle arti. Del piacevole. Del rafinamentodelgusto,devarjfonti del piacere. Delle leggiagrarie dell'antiche repub Della galanteria de popoli colti. Dellagalanteriadebarbaritempi. Delle arti di lullo de'populipoliti, DelamonetatedeleFinanze: Dell'oggetto delle belle arti, edelgusto. Dell'ingegno creatore , 3DelloSpirito,ecostumedelle colte nazioni. Delle sorgenti del Genio. Qualigoverni fieno per loro natura guerrieri,equali commercianti Quali cose forminu la bellezza nelle arti imitative . L'unit. forma e la bontd , e la bellez za degli elleri. Proprieta. bliche,e della violentari partizione de poderi. Di duegeneridistati o'conquistatori, o commercianti. cianti . Di unterzogenere distato nè.com , Divisione delle belle arti. De'contrasti,opposizione,antitesi. 2Deldilicato,del forte, delsublime, dela delle grazie , e dell'intereffe Jempre vivo Decadenza delle belle arti delle nazioni, e della prima di elle , cive dello sfibramento dellamacchina dell'uomo , e delle zioni dalla prima , e del novello stato selvaggio. Generale prospetto della Storia del Reggno. Del progresso e perfezione delle belle arti. Dell'epoche progresive de'varii ramı delle belle arti. Del corso delle belle arti IN ROMA, e nella moderna Italia. conseguenze morali. Dellacorruzionede'regolarigoverni, la quile rimena la barbarie. Lagrandezza ne'popolicolti ne'barbari, la dilicatezza ,esublimitd èmaggiore. Delle Scienze , e delle arti delle nazioni corrotte. Divifone dal dispotismo. Della decadenza delle Nazioni . Delle universali cagioni della decadenza. Diversità dellaseconda barbarie delle na . De lcorso delle nazioni di Europa. Dell'inondazionede'barbari,e delri Jorgimeuto dell'europeacostura.  Le note segnate colle pa Dello ftata degli uomini , che sovravissero alle vi. focievole. cende della natura . liare .Del secondo stato della vita selvaggia. Dei varj doveri, e dritti de'compagni , coloni , Del primo stato della vita selvaggia. Del terzo fato della vita selvaggia. Delle cagioni che strinfero la sociesà fami Del vero principio motore degli uomini al vivere. Delleduespeciede'bisognififci,emorali. Della distinzione delle famiglie, dell'origine della nobiltà. Dell'incremento delle famiglie e dell'origine de famoli, e delle varie lor claffi. fervi. Del quarto stato della vita selvaggia.  re Società . 60 Della domestica religione di ciascunafamiglia. 79 Dell'origine dell'anzidetta religion domestica . Si Ricapitulazione de'diversi stati della vita selvago.  Degli affidati,e de'vafalli della mezza età. ST Paragone tracompagnoni de'Germani ,fooj de Greci,e i cavalieri erranti degli ultimi barba L'imperodomesticoficonrinnòneleprime barba 69 Dell'antropofagia y o fia del pasto delle carni u m d ri tempi. 64 gia. Della religione de'selvaggi. De'costumi de'selvaggi. 89 Del secondoperiodo delle barbare nazioni.  e di coloro, che  ghi .  ins 116 se de'pa V. blici militari consigli. Dello stabilimento del le città e del primo periodo delle barbariche società. conviti . Chene'tempi degliDei fi tennero iprimi pub. Della Teocrazia . Dello stato della religione del le prime società. Dell'influenza della religione in tutti gli affari de'barbari . la componevano .  Delprimo passo dele selvagge famiglie nelcorso civile , ossia dell'origine de vichi. Dell'origine de'tempj, é di'pubblici, ésacri Della sovranità della concione, i20 СА.  Dellidee degli antichi intorno allamonar· 143 Dellaforma dellaromana repubblicanelsecondo. Del governo de primi greci.De'costumi, delgenio di questa età,e della tral de'costumi di questa età della fo Dell'arti, .Saggio II.Dellorigineestabilimento Dello stabilimento delle città e del primo periodo .  Che ne'tempii degli Dei si tennero i primi pub blicimilitariconsigli . Della teocrazia Dello stato della religione delle prime società Dell'influenza della religione in tutti gli affari dei barbari componevano. Dell'idee degli antichi intorno alla monarchia Della forma della romana repubblica nel secondo Del governo feudale di tutte le barbare 'nazioni. Della sovranità della concione e di coloro che la Del governo de'primi Greci. De 'giudizi nel secondo periodo della barbarie di . periodo della barbarie ROMA. De'costumi,del genio di questa età edellatrasmi. Continuazione de costumi di questa età della so CAPITOLO XVIII. Del progresso delle barbare società : del terzo ed ultimo loro periodo CAPITOLO I. De'progressivi avanzamenti della sovranitàper mezzo  bari tempi esercitato da're. De'principii della giurisprudenza de'barbari. Del diritto della proprietà . grazione delle colonie de barbari Il potere giudiziario non venne negli eroici e bar. de'giudizi . cietà Delle arti e cognizioni di questa età. Del maggiore stabilimento del giudiziario potere . Del ducllo. Degli altri modi adoprati ne'divini giudizi. Dello stato della proprietà e dell'agricoltura in Dello sviluppo della macchina e del miglioramento del costume , DELLO SPIRITO ROMANO E DELLA LINGUA ROMANA. dconferi al miglioramento del costume de popoli . Dell' arti e delle scienze di cotest'epoca, dell'ori quest'ultimo periodo della barbarie . gine del commercio . De'divini giudizi Della legislazione di questi tempi . Dell'origine dell'ospitalità , e come e quanto ella Della tortura Della religione o dest   civile,la moderazione del governo formano l'es. senziale coltura delle nazioni. Dell'origine della plebe e de'suoi diritti verni , e primieramente delle interne. Delle varie cagioni dalle quali nascono idiversi go hanno influenza . Come le forze ed operazioni morali sorgono dalla Della società colta e polita. L'estinzione dell'indipendenza privata, la libertà De'diversi elementi della citt. Della educazione. Dell'esterne cagioni locali che sul diverso governo Del clima varia modificazione della macchina De'climi più vantaggiosi all'ingegno ed al valore . Secondo i vari climi nascono governi diversi . Della libertà e delle cagioni che la tolgono Della legge universale e dell'ordine cosi fisico co Delle varie specie della legge , e della legge civile . La legge non toglie la libertà, ma la garantisce. Vera idea della libertà civile. Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile. Della legge relativamente alla proprietà. Del rapporto della società colle potenzę straniere , . me morale . 9Della libertà politica Della giusta ripartizione delle possession. Delle leggi agrarie dell'antiche repubbliche,edella forme degli stati cianti commercianti Di un terzo genere di stato né commerciante ne varia ripartizione de'poderi . Leggi ed usi distruttivi della proprietà Delle varie funzioni della sovranità e delle varie. Di due generi di stati, o conquistatori o commer. Quali governi sieno per lor natura guerrieri e quali. La moltiplicazione degli uomini e maggiore negli stati guerrieri che ne commercianti conquistatore .Partizione della legge civile, qualità delle leggi Della moneta e delle finanze   Dell'arti di lusso de'popoli politi zioni  Dello spirito e costume della nazione italiana. Della passione dell'amore de'popoli colti. Della decadenza delle na. . Della corruzione delle società . Stato delle cognizioni in una nazione corrotta. Costumi e carattere delle nazioni corrotte. Della galanteria de'tempi cavallereschi . Cagioni fisiche e morali della decadenza della sociela Divisione del dispotismo. Del civile corso delle nazioni d'Europa Dell'inondazione de'barbari e del risorgimento del Discorso sull'origine e natura della poesia CAPITOLO J. Del metodo che si tiene nel presente discorso Dell'origine del verso e del canto.  Le barbare nazioni tutte son di continuo in una vio leuza di passioni, e perciò parlano cantando Origine ed analisi delle prime lingue dei selvaggi e Diversità della seconda barbarie delle nazioni dalla prima, e del novello stato selvaggio l'europea coltura barbari Dėll'interna forma ed essenza poetica, è propria mente della facoltà pittoresca de primi poeti , Della maniera di favellar per tropi , allegorie e caratteri generici   Analisi di alquante voci greche e latine le quali fu rono traportate dalle prime sensibili nozioni a rap  Della personificazione delle qualità de'corpi nata dalle prime astrazioni della mente umana. Per quali ragioni tutte le cose vennero animate Continuazione universale Della qualità patetica dell'antica poesia e de'co  Ricapitolamento di ciò che si è detto  presentarne dell'altre . La poesia è un genere d’istoria , ossia un'istoria .rica dell'antica poesia. Dell'origine della scrittura . dalle vive fantasie de'selvaggi . lori dello stile. Più distinta analisi della lingua allegorica e gene. Dell'origine della pantomimica , del ballo e della Dell ll'origine delle feste. Commedia , tragedia , satira , ditirambo furono in Conferma dell'anzidetta verità musica principio una cosa sola . Saggio del Gusto e delle belle arti Dell'oggetto delle belle arti e del gusto . Della nascita della tragedia Della tragedia. Dell'origine delle varie specie di poesia Delle belle arti. Divisione delle belle arti. Del piacevole 544 e dell'interesse sempre vivo Dell'ingegno creatore. Quali cose formino la bellezza nelle arti imitative. L'unità forma e la bontà e la bellezza degl’esseri. Del raffinamento del gusto ed e vari fonti de lpiacere. De'contrasti, opposizione, antitesi/ Del dilicato, del forte, del sublime e delle grazie. Delle sorgenti del genio. La grandezza e sublimità ċ maggiore nei barbari; la dilicatezza ne'popoli colli   Decadenza delle belle arti. Del corso delle belle arti in Roma e nella moderna Continuazione »  -- Del maggior estabilimenta del giudiziari opotere. mente  De progres sivi avanzamenti del la Sovranità per wieszo delGiudizj. Deprincipjdellagiurisprudenzadibarbari. Del Duello  Deglialtrimodiadopratine'd'ùinigiudizj. Della Tortura . Della legislazione di questi tempi . C A P. Dello stato della proprietà, e dell agricoltura in 45 Dello sviluppo della macchina, & del migliora. Il potere giudiziario non venne negli eroici; e bara bari tempi esercitata da re . quest'ultimo periodo della barbarie. De divini giudiz].mento del costume, dello spirito, e dellelina gue. Dell'arti, e delle scienze dicorest'epoca, dell origine del Commercio . L'estinzione della indipendenza privatą, la liber: D e diversi elementi della città nità per Della Religione Ultimo Dell'esternecagioni locali,che suldivariopovera Dell'originedellaplebe,ede'suoidritti. 7wotere.20 94 iebare Dellevariecagioni dallequalinasconoidiversi governi,e primieranientedell"interne. Della educazionerà civile, la moderazione del gover formand l'essenziale coltura delle nazioni. . Dell originedell'ospitalità, e come, e quanto ella confert al miglioramento del costume de popoli . leforzeed operazionimoralisorgonodala Come modificazione dellamacchina. la varia 103 lore i ed al vas P. X. Secondo i varj climi nascono governi diversi. Delle varie specie della legge, e della legge ci vile . La leggenon togliela libertà, ma carentisce la vera idea della libertà civile . Della libertà politica.  Del clima . De climipiùvantaggiosi all'ingegno, CA Come la legge positiva possa nuocere alla libertà civile . Dellaleggeuniversale, edell'ordinecasi fisico, come morale , Della legge relativamente alla proprietà. no hanno influenza: Del rapporto della società colle potenze stranie. Della libertà, e delle cagioni, che la tolgono ,Quali governi sieno per lor natura guerrieri ,e quali commercianti ,Dellapassionedell'amoredepopolicolti. Delle varie funzioni della sovranità , e delle varie forme degli stati. Di duegeneridistari,oconquistatori,ocoma mercianti. Di un terzo genere di stato nel commerciante nd conquistatore . La moltiplicazione degli uomini a maggiore negli stari guerrieri, che ne commercianti. Partizione della legge civile , qualità delle Lego gi.Dellagiust:ripartizionedelepossessioni. Dello leggiagrariedell'anticherepubbliche,edel la varia ripartizione de'poderi. Leggi , ed usi distruttivi della proprietà . Della moneta delle Finanze . Dellospiritoecostumedellecoltenazioni. 195 Della galanteria de tempi Cavalereschie. Dell arti di lusso de'popoli politi, Costumi , e carattere delle nazioni corrotte . Diversità della seconda barbarie delle nazioni dala laprima,èdelnovellostatoselvaggio , Del civile corso delle nazioni di Europa . Dell'inondazione de barbari, e del risorgimento delloeuropea coltura seri e delle crisi, per mezzo delle quali si Dell'estrinseche morali cagioni, che turbano il naturaleedordinariocorsodelleNazioni pag. Della varia efficacia delle anzidette cagioni orientale Delle varie fisiche catastrofi. Delle differenti epoche delle varie fisiche cata Ragioni del Vico contra l'antichità e la Sapienza. Dell'antichissima coltura degli Egizie de' Caldei» 87 De 'Caldei. strofi della terra Della contesa delle nazioni sulle loro antichità. Dellà successione di varie fisiche vicende  Del disperdimento degli uomini per mezzo delle naturali catastrofi  Delle morali cagioni attribuite dagli uomini igno ranti a'fisici fenomeni Delle diverse cagioni delle favoleDelle diverse affezioni degli uomini nel tempo delle crisi Delle crisi di fuoco Continuazione dell'analisi degli effetti prodotti nello spirito dallo sconvolgimento del ce Dellaverosimiglianzadelpropostosistema .   VIantichissime nazioni orientali. Del modo come sviluppossi l'uomo dalla terra Dello stato primiero della terra e degli uomini , e delle varie mutazioni sulla terra avvenute »Seconda età del mondo Originė degli uomini secondo il sistema delle . Sviluppo dell'anzidetta platonica dottrina sui due Della favola di Pandora . Dello spirito delle prime gentili religioni periodidelmondo. Prima età del mondo » 140 9 142 ed origine della secondo l'antichissima teologia Sviluppo dello spirito umano , ·religione   Dell'invenzione dell'arti,e degli usi giovevoli L'ordine della successione delle varie catastrofi Dello stato de popoli occidentali dopo 1°Atlan tica catastrofe Del diluvio di Ogige , e di Deucalione Delle morali cagioni che diedero all'anzidetta favola l'origine,ed'altre favole eziandio porto. Ricapitolazione Diunaparticolarecrisidell'Italia alla vita si ritrova solo nella mitologia Dell'Atlantica catastrofe . che alla medesima catastrofe hanno rapDello stato degli uomini, che sopravvissero'alle vicende Del terzo stato della vita selvaggia . Delecagioni,chestrinserolasocietàfamigliare, Del vero principio motore degli uomini al vivere socie Della distinzione delle famiglie, o dell'origine della  Pag. 5 della natura .  yole .Del primo stato della vita selvaggia. Del secondo stato della vita selvaggia . Delle due specie de' bisogni fisici , e morali . nobiltà .   Dell'incrementodelefamiglie,edell'origine defa Dei varjdoveri,edirittide'compagni,coloni,eservi. Degli affidati, e de vassalli della mezza età. Paragone tra'compagnoni de'Gerinani,socj de Greci, eicavalierierrantidegliultimibarbaritempi. 59 Del quarto stato della vita selvaggia . L'impero domestico si continuò nelle prime barbare  Dell'anıropofagia , o sia delpasto delle carni umane . 75 80 CAPITOLO XX. Ricapitolazione de diversistatidellavitaselvaggia.86  moli , e delle varie ior classi.  Della religione de' selvaggi . Della domestica religione di ciascuna famiglia .' Dell'origine dell'anzidenta religion domestica.  e ' . società . De costumi de'selvaggi. Del primo passo delle selvagge famiglie nel corso civile, ossia dell'origine de'vichi,ede'paghi. CAPITOLO II. Dello stabilimento delle città , e del primo periodo delle Del secondo periodo delle barbare nazioni . Dell'origine de tempj , e de'pubblici , e sacri con. viti. Chene tempjdegliDeisitenneroiprimipubblicimi CAPITOLO VI. CAPITOLO VII. Dello stato della religione delle prime società . 1 1 9 Dell influenza della religione in tutti gli affari de' baru Della sovranità della concione , o di coloro , che la componevano .  Del governo de primi Greci , litari consigli. 115 Della Teocrazia. bari . barbariche società. 1ell'idee degli antichi intorno alla monarchia . CAPITOLO XII. Della forma della Romana repubblica nel secondo pe riodo della barbarie , CAPITOLO XIIL CAPITOLO XIV . Delgovernofeudaledituttelebarbarenazioni. 151 CAPITOLO XVI. Di costuini,delgeniodiquestaetà,e della trasmi Continuazione de'costumidiquestaetàdellasocietà.164 CAPITOLO ULTIMO, Dell'arti, e cognizioni di questa età .TAPITOLO I. Del dritto dellaproprietd. pag. Í CAP. II.Dellasorgente dedritti ingenera le , e di quello della proprieta . 3Delprogresso della proprietd, e dell'ori De'costumi,delgenio diquestaetà,edel  Dellearri,ecognizionidiquesta Del progresso delle barbare focietà , offia del terzo  Della forma della Romana Repubblica nel secondo (1)Parlando Liviodell'elezione,chedoveafarsidelre per la morte di Romolo,adopra sì,fatta espressione. Summa potestatepopulo perinissa.E soggiunge. Decreverunt enim ( Senatores ), ut cum populus jussisset, id sic ratum esset sipatresauctores fierent.I.1.C.VII.Quindi tuconvocata laconcione,evenne elettoreNuma.E l'istessoautoredell' elezionediTulloOstiliodice:regempopulus jussit,patres auctores facti. I senatori ,come si è detto altrove, fiebant auctures.Perchè tutte le cose prima eran proposte nel sena to,indi allaconcione recate.Auctor è l'inventore,il propo nitore , il principio , ed origine della cosa . Vol.II. IO  145 Nox CA P. XII. periodo della barbarie . . questi furono i quiriti , cioè gli armati di asta : avvegnachè ,come gli altri popoli barbari uella concione , ne' comizi on differente affatto dal regno eroico fu il go verno de' primi Romani . ll re ad un senato prese deva,econsenatoriprendera le deliberazioni,le quali nella grand'assemblea del popolo ricevevano lasanzionedilegge(1).Il potere de'primiredi Roma era limitato così,come quello di tutti i re gnanti de' tempi eroici . La sovrana dello stato era laconcione,> checomponevasidaque'capidelle tribù,edellecurie,iqualierano dettidecuriones, e tribuni, che uniti votavano per le di loro curie , e tribù,come ne'parlamenti nostri ibaroni rappre. sentavano le di loro terre , e città . E > >   serva (1) E tal antico costume Virgilio dipinse negli eroici compagni d'Enea . Ductores Teucrim primi, et delecta juventus Consilium summis regni de rebus habebant . Scant longis adnixi hastis, et scula tenentes.  146 e poi per varj gradi , e dopo molto correr di tenipo alla libertà pervenne ,e tardi assai acqui stò il diritto alla magistratura. Prima ottenne di es Da più luoghi di Omero si ravvisa il costume medesimo de'Greci.E fu questo un generale costume di tutte le barba re genti adoprato nelle generali assemblee . Perché i barbari temendo ognora le sorprese de'nemici ,stanno sempre in su l'armi, nè confidano la di loro sicurezza personale ,anche tra' cittadini, alla legge, ma al di loro braccio soltanto,Tacito de' Germani:utturbaeplacuit,considuntarmati.Tum adne gotia,nec minus suepe ad convivia procedunt armari,Livio 1. de'Galli dice,In his nova,terribilisquespeciesvisa est,quod armati (ila mos gentis ) in concilium venerunt, Ovidio ci attesta l'istesso de'Sarmati, degli Umbrici Stobeo, 9 radunavansi que' capi coll'asta alla mano , la qua le portavan per simbolo del loro impero, non che per la propria difesa (1). i La plebe era tanto serva in Roma ,quanto pres so iGermani,iGalli,iGreci.Ella non aveva par. tenellaconcione.Questo argomento fu dalnostro gran Vico ampiamente trattato.Egli sviluppò l'in terosistemadelgovernoRomano,edispiegando il corso della storia di quel popolo ha dimostrato,che per gran tempo in Roma la plebe fu dell'intutto 9 . 21. ,   147 ser affrancata , poi consegui il bonitario dominio , cioè l'utile, e dipendente dal diretto,che inobili possedevano;quindi fece acquisto del perfetto,e compiutodominio,detto quiritario,perchèfupria de'soliquiriti,ossia de'patrizj,enobiliRomani; e finalmente ebbe voto nell'assemblea , e partecipe divennedellaRepubblica,che darigidaaristocra zia in popolare alla fin sicangiò (1).Come nel prin (1) Populus de'Latini valse da principio , quanto laos de'Greci,che significò una tribù, una popolazione,come abbiamo altrove mostrato . Quindecim liberi homines populus est.Apuleius in Apol.E Cesare dice nel 1,6. de bello Gall. si quisant privatus, aut populus eorum decreto non stetit. Ove dinota populus popolazione,tribù. Ma se populus da principio dinotò una speciale popo lazione,e tribù,nel progresso si prese tal voce per la radu nanza ditutteletribù,checomponevanolacittà.Ma ven nero rappresentate queste tribù da' capi detti Tribuni, nome che restò per dinotare militari magistrati,come tribuni milia Eum.Ma primasignificòancheicivili,cioèigiudici,onde Tribunal si disse il luogo , ove amministravasi giustizia . I Latini scrittori, che vennero in tempo , che ogni orma dell' antico stato erasi perduta , ed erasi colle cose cambiato il vam  7 . 7 pulus trasse il nome da populus pioppo . Perocchè questa p o polazione radunavasi sotto di un pioppo quando di comune interesse trattavasi, secondochè in alcune terre del regno an cor oggid) si usa, quando parlamentasi . E tal costume di radunare sotto degli alberi il popolo è ben antico , e secondo la semplicità delle prime genti.Ateneo l. 12. p. 539. scrive, che sotto di un platano i primi re della Persia davan udienza a' litiganti, e decidevano le liti. 9 E per avventura po   cinio la plebe poteva avere il diritto di suffragio ne'comizj,non avendo proprietà nè reale,nè per sonale ? Tale fu ilcorso,che fece la Bomana repub blica,come quel valentuomo dimostrò,non dissi mile da quelle dell'altre barbare nazioni (1).Egli è però vero , che un'intempestiva tirannide turbo p e r p o c o il c o r s o r e g o l a r e d i q u e l l a c i t t à . I r e p r e sero in Roma sin dall'albore de'suoi giorni van, taggio “grandissimo su gli altri prenci, e capi.Il po polo Romano era più tosto un esercito,e la città un campo,e un militare alloggiamento,quella fe roce,emarzialegenteerasempreinguerra,eco m e il l u p o , v e r a c e e m b l e m a d e l s u o g e n i o n a t i v o nutrivasi di sangue,e distruzione.Or se come ben anche Aristotile osservò parlaydo degli eroiciregni, era nella guerra maggiore il poter del re presso tut telebarbare nazioni,meraviglianonè,seilca p i t a n d e l l ' a r m i , il d u c e d e l l a g u e r r a , i l usurpato una straordinaria potenza in Roma .Il po tere esecutivo sempre ne'tempi di guerra,come il mare nelle tempeste diffondesi sulla terra,guada gpa sul poter legislativo . M a i re di R o m a sforniti di straniera milizia invanu tentarono ritenere colla  148 9 re lordelleparole,ricevendo latradizione,cheilpopolone' cominciamenti di quella repubblica nell'assemblea radunato dis poneva della pubbliche cose,s'ingannarono credendo,che la plebe ben anche quivi votasse. (1).Nel libro 2. della scienza nuova . avesse   149 forza quel potere,che avean acquistato coll’autori tà.Vennero discacciati da quella repubblica,ed ella ben tosto rientrò nel suo ordinario cammino . CAP. XIII. De'giudizj nel secondo periodo della barbarie di Roma . Le dueispezionidelapublicaasembleaerano in Roma in questa second'epoca della barbarie la guerra esterna , e la persecuzione de'ribelli cittadi ni.Ma lecoseprivate,lapersonaldifesa,lapar ticolar vendetta veniva per anche ai privati affida ta.L'impero domestico conservava ilsuo vigore. I feroci padri di famiglia non cedevano ancora la di loro sovrana , e regia autorità , se non per quella parte che rimirava la pubblica difesa , onde veniva composto l'unico sociale legame .Ma rimaneva in tatta, ed illesa la di loro sovranità riguardo alle loro famiglie , e alla privata difesa , ed offesa . Viveano ancora nello stato di privata guerra .Il ferro decideva delle loro contese,e col privato braccio prendean rendetta delle private offese.  Ilpopolo dunque,che radunavasi in Roma in quest'età nell'assemblea ,era quella popolazione, o truppa de'servi,clienti, e compagni guidata dal suo capo , e il voto suo era quello del suo signore 9 che dovea sostenere,e difendere,ubbidire,e se. guirnellaguerra,dacuinonformava persona di versa secondo le cose già dimostrate . . > .   Niun'altra nazione ci ha conservato monumenti piùchiaridellostatodellaprivata,ecivile guerra del popolo Romano . Il processo Romano è la sto riadelduello,permezzodicuiterminavano que' barbari abitatori dell'Aventino le loro contese ,Tut. ti gli atti , e le formole di tal processo altro non che i legittimi atti di pace sostituiti a que' primi violenti modi . Quando la concione , ossia il governo cominciò a mischiarsi nelle private contese , a p o c o a p o c o il d u e l l o a b o l ì , e c a n g i ò il m o d o d i contrastare , rilasciando in tutto l'apparenza medesi - ma,leformole,egliattistessi:laguerra arma tainlegale combattimento fu tramutata.Secondo chealtrovesièdeito,iriti,eleformole sonola storia dell'antichissima età delle nazioni (8). Cioc chè l'acutissimo Vico al proposito di alcune formo le dell'antico processo Romano osservd .  150 7 sono , Ma ilprocesso civile ci conservò le formole dell'antica barbarie , e non già il criminale . Il civi lenacque ne'tempi alla barbarie più vicini.Più tardi ebbe l'origine il giudizio criminale . I barbari soggettaronoprimailoro averi all'arbitrio altrui, che le proprie persone . L'ultima , cui si rinunziò dacostoro,fulavendettapersonale.Meno sisacri fica della naturale indipendenza , rimettendo nelle mani di un terzo i diritti della proprietà ,che quel li della persona . Quindi i pubblici giudizj essendo sorti nel tempo della coltura, non serban gran ve. stigj dello stato primiero .

 

 

Francesco Mario Pagano. Mario Pagano. Pagano. Keywords: eroe, massone, Italia si fara. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagano” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716791072/in/photolist-2mQ81kz-2mQ8kJS-2mPvJmk-2mN35cA-2mKFrQ6-2mKUufg-2mKAEA8-2mKG3XG-2mKCnei-2mKuZ8r-Ck9fTK

 

Grice e Paggi – filosofia italiana – filosofia ebrea – “Ebrei d’Italia” -- Luigi Speranza (Siena). Filosofo. Grice: “C. of E. folks are all over the place – but how many of them actually KNOW Hebrew!?”” -- essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna a Lasinio, Tortoli e a Ricci. Svolge per diversi anni l'attività di mercante nella sua città natale. Abbandona il commercio ed aprì un istituto. Insegnante ed educatore nello stesso istituto, sviluppando un metodo logico, facile ed ameno insieme. La Comunione israelita lo volle a Firenze, dove Paggi si trasfere con la moglie e i cinque figli. Insegna nelle Pie Scuole fiorentine, mentre i figli Alessandro e Felice avviarono una casa editrice. Tra i testi pubblicati vi furono anche le opere del padre, apparse nella collana «Biblioteca Scolastica». Scrive inoltre una grammatica e un lessico ebraici per i suoi figli. Per opera della moglie sorse a Firenze un istituto. “Ebrei d'Italia” (Livorno, Tirrena); “Una libreria fiorentina del Risorgimento” (Firenze, Ciulli). Mordecai Paggi. Paggi. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51741417580/in/datetaken/

 

Grice e Pagliaro – filosofia italiana – filosofia siciliana – la lingua dei siculi -- Luigi Speranza (Mistretta). Filosofo. Essential Italian philosopher. Linceo. Fu uno dei fondatori della scuola di romana. Fra i padri della semiologia, ha introdotto gli studi sul pensiero linguistico. Dopo il diploma al Regio Ginnasio di Mistretta, si iscrisse al corso di laurea a Palermo, dove ebbe, tra gli altri, come docenti Nazari, Pitrè, Gentile e Guastella. Si trasferì poi a Firenze dove subì l'influenza di Vitelli, Antoni e Pistelli. Partecipò volontario come sottotenente del Corpo degli arditi, e fu insignito della medaglia d'argento al valor militare. Si iscrisse all'Associazione Nazionalista Italiana e  prese parte all'Impresa di Fiume al seguito di D'Annunzio. Si laureò discutendo con Parodi e  Pasquali la tesi Il digamma in Omero. Trascorse un periodo di studio in Germania, seguendo corsi di linguistica latina di Meister. Seguì i corsi di Kretschmer a Vienna. Ritornato in Italia, conseguì la libera docenza in indoeuropeistica, quindi fu chiamato da Ceci ad insegnare, per incarico, storia comparata delle lingue romanzi a Roma. Vinto un concorso a cattedre, divenne ordinario di glottologia, nuova disciplina che ereditava il corso di Storia comparata delle lingue romanzi. Insegnò anche "Storia e dottrina del fascismo"  e "Mistica fascista.” Aderì al Partito nazionale fascista e ne fu uno degli intellettuali di spicco, presiedendo anche alcune edizioni dei Littoriali della cultura, che ogni anno raccoglievano i migliori universitari italiani. Fu primo capo redattore dell'Enciclopedia Italiana, dove curò numerose voci, fin quando non entrò in contrasto con il conterraneo Gentile, che dirigeva l'opera. Non figura tra gli accademici d'Italia, ma fu eletto al Consiglio superiore dell'educazione, dove rimase fino allo scioglimento.  Fu voluto da Mussolini alla guida del “Dizionario di politica” dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, una ponderosa opera che raccolse le migliori intelligenze del fascismo, ma anche qualche intellettuale "eretico". Il suo nome compare tra i 360 docenti universitari che aderirono al Manifesto della razza, premessa alle successive leggi razziali fasciste, anche Mauro scrive che egli dissentì dalla politica razziale del fascismo. Con la caduta del Regime fascista, fu sospeso ndall'insegnamento. Reintegrato nnella cattedra, insegnò Filosofia del linguaggio a Roma. Fu presidente della sezione "Archeologia, Filologia, Glottologia" della Società Italiana per il Progresso delle Scienze. Fu presidente del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione e prima socio corrispondente poi, socio nazionale dell'Accademia Nazionale dei Lincei. Fu anche direttore editoriale, per la Fabbri Editori, della Enciclopedia di Scienze e Arti. Fu rieletto, con larghissimi consensi, al Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, dove rimase fino al 1969. Fu nel comitato scientifico dell'Istituto nazionale di studi politici ed economici. Fu promotore e direttore della rivista Ricerche linguistiche e presiedette la sezione filologica del Centro di studi filologici e linguistici siciliani. Fu candidato alla Camera per il Partito Monarchico Popolare nella circoscrizione Sicilia orientale  e al Senato nel collegio Roma IV, ma non fu eletto. La Rai trasse un sorprendente sceneggiato per la televisione da un suo testo che dava una nuova interpretazione della vicenda di Alessandro Magno. Fu membro della giuria del premio Marzotto. Lasciò anticipatamente l'insegnamento universitario. Palermo e la città di Mistretta hanno istituito, in sua memoria, il “Pagliaro”.  Ha esplorato soprattutto l'antico e medio persiano, la lingua della Grecia classica, quindi il latino classico e medievale, nonché l'italiano dei tempi di Dante cui ha dedicato varie operee della scuola siciliana. Come critico letterario e glottologo, diede nuove, originali interpretazioni di Vico, D'Annunzio e Pirandello.  In ambito linguistico, già nel suo Sommario di linguistica ario-europea, che comprendeva oltre le lezioni dei suoi corsi universitari anche innovative linee di ricerca e nuove idee, delinea una nuova prospettiva di approccio e di indagine delle varie questioni linguistiche la quale viene condotta parallelamente ad un confronto storico-critico con l'evoluzione del pensiero filosofico dalla grecità alla filosofia classica tedesca. Al contempo, Pagliaro abbozzava in esso prime idee sulla natura del linguaggio inteso fondamentalmente come tecnica espressiva, allontanandosi così dall'idealismo crociano per avvicinarsi piuttosto al positivismo, ed analizzando in modo approfondito, ma al contempo trasversalmente alle varie discipline, la natura e la struttura dell'atto linguistico fra due inter-locutori basandosi sia sull'indagine semantica (mediante un metodo che egli chiama "critica semantica") che sull'interpretazione storico-critica, fino a considerare il linguaggio come una forma di inter-azione semiotica condizionata storicamente da una tecnica funzionale, la lingua. Nel simbolismo linguistico (soprattutto fonetico) poi, afferma Pagliaro ne” Il segno vivente” riecheggiano non solo l'individualità ed il vissuto dell'inte-rlocutore ma anche la storia dell'intera umanità a cui egli appartiene come "soggetto storico".  In estrema sintesi, si può dire che la sua teoria linguistica è una posizione unificata tra lo strutturalismo saussuriano e l'idealismo hegeliano.  Saggi: “Epica e romanzo” (Sansoni, Firenze); “Sommario di linguistica aria” (Bardi, Roma); “Il fascismo: commento alla dottrina” (Bardi, Roma); “La lingua dei Siculi” (Ariani, Firenze); “Il comune dei fasci” (Monnier, Firenze); “La scuola fascista” (Mondadori, Milano); “Dizionario di Politica,” Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma); “Insegne e miti della nazione italiana, la nazione romana: teoria dei valori politici – la romanita e la razza romana” (Ciuni, Palermo); “Il fascismo nel solco della storia” (Libro, Roma); “Le Iscrizioni Pahlaviche della Sinagoga di Dura-Europo” (R. Accademia d'Italia, Roma); ”Storia e Dottrina del fascismo” (Pioda, Roma); “Teoria dei valori politici” (Ciuni, Palermo); “Logica e grammatica” (Bardi, Roma); “Il canto V dell'"Inferno" d’Alighieri” (Signorelli, Milano); “Il segno vivente” (ERI, Torino); “La critica semantica” (Anna, Firenze); “Il contrasto di Cielo d'Alcamo e poesia popolare” (Mori, Palermo); “Linguistica della "parola"”(Anna, Firenze);  “I primordi della lirica popolare in Sicilia” (Sansoni, Firenze); “La Barunissa di Carini: stile e struttura” (Sansoni, Firenze); “Filosofia del linguaggio” (Ateneo, Roma); “La parola e l'immagine” (Scientifiche, Napoli); “Poesia giullaresca e poesia popolare” (Laterza, Bari); “La dottrina linguistica di Vico” (Lincei, Roma); “Il Canto XIX dell'Inferno” (Monnier, Firenze); “Linee di storia linguistica dell'Europa” (Ateneo, Roma); “L'unità ario-europea: corso di Glottologia,” Ateneo, Roma, Ulisse. Ricerche semantiche sulla Divina Commedia,  Anna, Firenze, “Forma e Tradizione,” Flaccovio, Palermo, “La forma linguistica,” Rizzoli, Milano, Vocabolario etimologico siciliano, Pubblicazioni del Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Palermo, Storia della linguistica, Novecento, Palermo. Commento all'Inferno di Dante. Canti I-XXVI, Herder, Roma); Romanzi Ceneri sull'olimpo, Sansoni, Firenze, Alessandro Magno, ERI, Torino, Ironia e verità, Rizzoli, Milano (raccolta di elzeviri). Sottotenente di complemento, 32º reggimento di fanteria Aiutante maggiore in 2a in un battaglione di riserva, vista ripiegare una nostra colonna d'attacco, riordinava i ripiegandi e li guidava al contrattacco, respingeva il nemico che già aveva occupato un tratto della nostra linea. In un successivo attacco, sotto un intenso bombardamento e il fuoco di mitragliatrici avversarie, dava mirabile esempio di coraggio e di fermezza indirizzando intelligentemente i rinforzi nei punti più minacciati e facilitando così la conquista di ben munite e contrastate posizioni. Monte Asolone. Cfr. M. Palo, S. Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana: da Pagliaro a Mauro, Carocci Editore, Roma,.  La scuola linguistica romana. Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Cfr. Gabriele Turi, Sorvegliare e premiare. L'Accademia d’Italia, Viella, Roma,  Cfr. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Cfr. A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto, Unicopli, Milano, Cit.  Cfr. Riunioni Del Secolo XX  Cfr. Riunioni Accademia Nazionale dei Lincei  Centro di studi filologici e linguistici siciliani » La storia, su csfls. Cfr. Mininterno Camera  Mininterno Senato //opar.unior/386/1/Filologia_dantesca_di_Pagliaro.pdf  Cfr. D. Cesare, "Premessa", Lumina. Rivista di Linguistica Storica e di Letteratura Comparata,  Cfr. pure E. Salvaneschi, "Su Attila Fáj, maestro di «molti paragoni»", Campi immaginabili. Rivista semestrale di cultura, Cfr. Tullio De Mauro, Prima lezione sul linguaggio, Editori Laterza, Roma-Bari, Tullio De Mauro, La fede del diavolo  Istituto Nastro Azzurro   Studia classica et orientalia. Oblate, Casa Editrice Herder, Roma, Münster, M. Palo, Stefano Gensini, Saussure e la scuola linguistica romana. Da Pagliaro a  Mauro, Carocci Editore, Roma, A. Vallone, "La „Lectura Dantis” di Antonino Pagliaro", in Deutsches Dante-Jahrbuch, Edited by Christine Ott, Walter Belardi: studi latini e romanzi in memoria di Antonino Pagliaro, Pubblicazioni del Dipartimento di Studi glottoantropoligici dell'Roma La Sapienza, Roma, Aldo Vallone, Enciclopedia Dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana G. Treccani, Roma, M. Durante, T. De Mauro, B. Marzullo, Pubblicazioni dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo, Palermo, Giuliano Bonfante, Antonino Pagliaro, Pubblicazioni dell'Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, Walter Belardi, Pagliaro nel pensiero critico del Novecento, Casa Editrice Il Calamo, Roma,  D.  Di Cesare, Storia della filosofia del linguaggio, Carocci Editore, Roma, Tullio De Mauro, Lia Formigari (Eds.), Italian Studies in Linguistic Historiography. Proceedings of the International Conference in Honour of Pagliaro. Rome, Nodus Publikationen, Münster, A. Pedio, La cultura del totalitarismo imperfetto. Il Dizionario di politica del Partito nazionale fascista, prefazione di A. Lyttelton, Unicopli, Milano, A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti: gentiliani e anti-gentiliani nel regime fascista, Società editrice il Mulino, Bologna, A.  Battistini, Gli studi vichiani di  Pagliaro, Guida Editori, Napoli, Tullio De Mauro,  Dizionario biografico degli italiani, Roma,, su treccani.  Enciclopedia Italiana Dizionario di Politica Linguistica Semiologia Filologia TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere dLa Scuola linguistica romana, su rmcisadu.let.uniroma. Antonino Pagliaro. Pagliaro. Keywords: i arii; la lingua degl’arii, la favella degl’arii, I fasci littori, dal lictor al littore, il littorio, l’uso dei fasci nell’Etruria non-aria, la dottrina linguistica di Vico, “scienze filosofiche – lincei” , ossesso dalla latinita della Sicilia, Cratilo, discussion di Storia Romana, Romolo, proprieta private, Cicerone, Empedocle, il fascino dei fasci – enciclopedia del fascismo, fascisti gentiliani ed anti-gentiliani, l’uso di ‘ario’ – latinita, arieta, romanita – il linguaggio, sessione sul linguaggio -- filosofia del linguaggio --.Tullio. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pagliaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702786125/in/photolist-2mLNXjb-2mLEb9W-2mLNi1Z

 

Palazzani essential Italian philosopher female?

 

Grice e Panella – del sublime – filosofia italiana -- Luigi Speranza  (Benevento). Filosofo. Grice: “Panella’s conceptual analysis of the sublime poses the implicatural question: “x is ‘bello’; e SUBLIME’ – The Romans talked of ‘pulcher’ which complicates things!” Grice: “Panella also wrote of ‘l’incubo urbano,’ to which I’ll add “l’incubo suburbano’, and ‘l’incubo exurbano’!” essential Italian philosopher. Si laurea a Pisa, dove è stato insegnante. Si è occupato di filosofia politica e storia del pensiero politico, ha insegnato Estetica nella stessa università.  È stato presidente della giuria del premio letterario "Hermann Geiger" e membro della giuria del premio letterario "ArtediParole" riservato a studenti delle scuole medie. Si è distinto anche come poeta pubblicando otto volumi di poesia, da ricordare Il terzo amante di Lucrezia Buti pubblicato a Firenze con Editore Polistampa. In collaborazione con David Ballerini ha girato due documentari d'arte, La leggenda di Filippo Lippi, pittore a Prato trasmesso da Rai2 n e Il giorno della fiera. Racconti e percorsi in provincia di Prato. Ha vinto il Fiorino d'oro del Premio Firenze. Gli è stato assegnato il premio concesso annualmente dal Ministero dei Beni Culturali per attività culturali e artistiche particolarmente rilevanti.  Collabora con l'associazione Pianeta Poesia di Firenze guidata da Franco Manescalchi nella presentazione di poeti e incontri letterari. Giuseppe Panella con Franco Manescalchi alla Biblioteca Marcellina di Firenze. Saggi:” Monografie Robert Michels, Socialismo e fascismo” (Milano, Giuffré); Lettera sugli spettacoli di Rousseau, Aesthetica. Palermo, Il paradosso sull'attore di Diderot, La Vita Felice, (Milano Saggi); Elogio della lentezza. Etica ed estetica in Valéry, Aesthetica, Palermo); “Del sublime, Frosinone, Dismisura Testi, “Il sublime e la prosa. Nove proposte di analisi letteraria” (Firenze, Clinamen, Zola: scrittore sperimentale. Per la ricostruzione di una poetica della modernità” (Chieti, Solfanelli); “Pasolini. Il cinema come forma della letteratura” (Firenze, Clinamen); “Il sosia, il doppio, il replicante. Teoria e analisi critica di una figura letteraria” (Bologna, Elara) – cfr. H. P. Grice on P. H. Nowell-Smith as J. L. Austin’s ‘straight man’ in their Saturday mornings double-acts! – il ‘replicante’ -- , I piaceri dell'immaginazione, Firenze, Clinamen, Rousseau e la società dello spettacolo” (Firenze, Pagnini); “Il mantello dell'eretico. La pratica dell'eresia come modello culturale” (Piateda (Sondrio), CFR Edizioni (Quaderno 1), “ L'incubo urbano,” Rousseau, Debord e le immagini dello spettacolo in La questione dello stile. I linguaggi del pensiero, F. Bazzani, R. Lanfredini e S. Vitale, Firenze, Clinamen); “Ipotesi di complotto. Paranoia e delirio narrativo nella letteratura” (Chieti, Solfanelli); Il secolo che verrà. Epistemologia, letteratura, etica in Deleuze” (Firenze, Clinamen); “Storia del sublime. Dallo Pseudo-Longino alle poetiche della modernità” (Firenze, Clinamen); “La scrittura memorabile. Leonardo Sciascia e la letteratura come forma di vita, Grottaminarda, Delta); “Alberto Arbasino e la "vita bassa". Indagine sull'Italia n cinque mosse, Prove di sublime. Letteratura e cinema in prospettiva estetica” (Firenze, Clinamen); “Curzio Malaparte autore teatrale e regista cinematografico” (Roma, Fermenti); “Introduzione al pensiero di Vittorio Vettori. Civiltà filosofica, poetica "etrusca" e culto di Aligheri” (Firenze, Polistampa); “Le immagini delle parole. La scrittura alla prova della sua rappresentazione” (Firenze, Clinamen); “La polifonia assoluta. Poesia, romanzo, letteratura di viaggio di Vettori” (Firenze, Toscana); “L'estetica dello choc. La scrittura di Malaparte tra esperimenti narrativi e poesia” (Firenze, Clinamen); “e Tutte le ore feriscono, l'ultima uccide, L’'estetica dell'eccesso” (Firenze, Clinamen); “Le maschere del doppio: tra mitologia e letteratura” (Editore libri di Emil); Diario dell'altra vita. Lo sguardo della filosofia e la prospettiva della felicità, Firenze, Clinamen.  Panella. Keywords: “socialism e fascismo” del sublime, cura di Mosca, Mosca, l’influenza di Mosca in Torino, Michels, il fascismo di Michels, Mussolini e Michels, Michels ed Enaudi, la radice proletaria di Benito, dal socialism al fascismo, pre-ventennio fascista, il socialismo, l’ordine di 1848, la rivoluzione, la dittadura dell’eroe carismatico, l’assenza di mediazione nel duce come proletario lui stesso, l’aristocrazia del fascismo, applicazione della teoria di Mosca sull’aristocrazia, l’aristocrazia della nazione italiana, la razza italiana, la razza Latina, I latini e l’oltre razzi italici – latini, etruschi, sabini, uschi, umbri, liguri, la questione della razza nel fascismo, la questione della razza nel ventennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panella” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740490386/in/datetaken/

 

Grice e Panunzio – implicatura – la filosofia italiana nel ventennio fascista -- Filosofia italiana – Luigi Speranza (Molfetta). Filosofo. Grice: “There’s S. Panunzio and there’s S. Panunzio – Italian philosophy can be a trick!” -- Essential Italian philosopher. Tra i maggiori esponenti del sindacalismo rivoluzionario, in quanto amico intimo di Benito Mussolini, contribuì in maniera decisiva al suo passaggio dal neutralismo all'interventismo nella Grande Guerra. Divenne in seguito uno dei massimi teorici del fascismo.  Nacque a Molfetta da Vito e Giuseppina Poli, in una famiglia altoborghese, tra le più illustri della città: «un ambiente familiare intriso tanto di sollecitazioni all'impegno civile e politico quanto di suggestioni e stimoli intellettuali».  Il periodo socialista e il sindacalismo rivoluzionario Il suo impegno politico nelle file del socialismo incominciò molto presto, quando ancora frequentava il liceo classico locale, ove ebbe come maestro il giovane Pantaleo Carabellese.  Nel dibattito interno al socialismo italiano — diviso tra "riformisti" e "rivoluzionari" — Panunzio si schiera tra i cosiddetti sindacalisti rivoluzionari, cominciando al contempo a pubblicare i suoi primi articoli sul settimanale «Avanguardia Socialista» di Labriola, quando era ancora studente dell'Università degli Studi di Napoli. Durante i suoi studi universitari il contatto con docenti come F. Nitti, N. Colajanni, I. Petrone e G. Salvioli contribuì alla formazione del suo pensiero socialista. Il suo percorso intellettuale fu altresì influenzato da Georges Sorel e Francesco Saverio Merlino, i quali avevano già da tempo incominciato un processo di revisione del marxismo.  Nel 1907 pubblica il suo primo studio, intitolato Il socialismo giuridico, in cui teorizza l'opposizione alla borghesia solidarista e al sindacato riformista da parte del sindacato operaio, il quale è destinato a trasformare radicalmente la società. Il fulcro dell'opera era costituito dalla formulazione di un "diritto sindacale operaio", spina dorsale di un nuovo "sistema socialista" fondato non su una base economica, bensì su una base etica, solidaristica:  «Il socialismo giuridico non sarebbe dunque che l'applicazione del principio di solidarietà, immanente in tutto l'universo, nel campo del diritto e della morale: in se stesso non è una idea astratta balzata ex abrupto dal cervello di pochi pensatori, ma efflusso e irradiazione ideale di tutta la materia sociale che vive e freme attorno a noi. Si laurea in giurisprudenza discutendo una tesi su L'aristocrazia sociale, ossia sul sindacalismo rivoluzionario, avendo come relatore Giorgio Arcoleo. Consegue presso lo stesso ateneo la laurea in filosofia. In questi anni di studi ed esperienze intellettuali, intensifica altresì il proprio impegno giornalistico in favore del sindacalismo rivoluzionario, collaborando — oltreché con «Avanguardia Socialista» — con «Il Divenire Sociale» di Enrico Leone, con «Pagine Libere» di Angelo Oliviero Olivetti e con «Le Mouvement Socialiste» di Hubert Lagardelle.  Il sindacato ed il diritto La concezione panunziana del sindacato quale organo e fonte di diritto — non eusarentesi quindi in mero organismo economico o tecnico della produzione — fu approfondita  allorché vide la luce la sua seconda opera, La persistenza del diritto, in cui egli «coniugava i princìpi della sua formazione positivistica con una ispirazione filosofica volontaristica». Panunzio prendeva quindi le mosse affrontando il problema del rapporto tra sindacalismo e anarchismo: la differenza tra i due movimenti risiedeva — a detta dell'autore — sul ruolo dell'autorità (fondata sul diritto) che, negata dall'anarchismo, non era invece trascurata dal sindacalismo:  «Il sindacalismo è d'accordo con l'anarchia nella critica e nella tendenza distruttiva dello Stato politico attuale, ma non porta alle ultime conseguenze le sue premesse antiautoritarie, che hanno un riferimento tutto contingente allo Stato presente. Il sindacalismo, per essere precisi, è antistatale per definizione e consenso unanime, ma non è antiautoritario. Le premesse antiautoritarie dell'anarchia hanno invece un valore assoluto e perentorio riferendosi esse a ogni forma di organizzazione sociale e politica. Il sindacalismo non è dunque antiautoritario»  (Sergio Panunzio) In sostanza, Panunzio sosteneva l'importanza fondamentale del diritto (ancorché non "statale", ma "operaio") per il sindacalismo e la futura società, dall'autore vagheggiata come un regime sindacalista federale sostenuto dall'autogoverno dei gruppi sindacali, riuniti in una Confederazione, così da formare quella che l'autore stesso chiama «una vera grande Repubblica sociale del Lavoro», retta da una «sovranità politica sindacale. Fu poi dato alle stampe Sindacalismo e Medio Evo, in cui l'autore indicava al sindacalismo operaio il modello dei Comuni italiani medievali, esempio paradigmatico di autonomia, la quale doveva essere perseguita anche dai sindacati contemporanei.  Dopo un periodo difficile, dovuto a problemi familiari ma anche a un ripensamento delle sue teorie politiche, grazie all'interessamento di Nitti, abbandonò l'attività di avvocato, inadeguata per mantenere la famiglia (aiutava principalmente — raramente pagato — i suoi compagni di partito), divenendo docente di pedagogia e morale presso la Regia scuola normale di Casale Monferrato. Nello stesso anno pubblicò inoltre la sua importante opera Il Diritto e l'Autorità, in cui erano messe a frutto le sue rielaborazioni teoriche: oltre al passaggio da un orizzonte positivistico a una concezione filosofica neocriticistica, egli ripensava lo Stato non più quale organo della coazione, ma quale depositario della necessaria autorità. Con la fine della guerra libica, cominciò a prender corpo la svolta "nazionale" del suo pensiero.  Dopo aver insegnato per un anno a Casale Monferrato e un altro a Urbino, passò alla Regia scuola normale "Giosuè Carducci" di Ferrara, ove insegna,  conseguendo al contempo la libera docenza presso l'Napoli (l'anno successivo gli fu trasferita nell'ateneo bolognese). È di quegli anni — poco prima dell'entrata dell'Italia nella Grande Guerra — l'inizio di stretti rapporti politici e intellettuali con Benito Mussolini, direttore dell'«Avanti!» e leader dell'ala rivoluzionaria del Partito Socialista Italiano. Panunzio incominciò dunque una regolare e intensa collaborazione con il quindicinale «Utopia», appena fondato dal futuro capo del fascismo per far esprimere le voci più rivoluzionarie, eterodosse ed "eretiche" dell'ambiente socialistico italiano. In questo periodo Panunzio comprende il potenziale rivoluzionario che il conflitto europeo poteva esprimere, sicché manifesterà sempre più esplicitamente il suo appoggio all'interventismo, che era invece inviso al Partito Socialista:  «Io sono fermamente convinto che solo dalla presente guerra, e quanto più questa sarà acuta e lunga, scatterà rivoluzionariamente il socialismo in Europa. Altro che assentarsi, piegarsi le braccia, e contemplare i tronconi morti delle verità astratte! Alle guerre esterne dovranno succedere le interne, le prime devono preparare le seconde, e tutte insieme la grande luminosa giornata del socialismo, che sarà la soluzione e la purificazione ideale di queste giornate livide e paurose, macchiate di misfatti e di infamie. Quest'articolo di Panunzio, apparso sul quotidiano ufficiale del Partito Socialista, suscitò una grave polemica, sicché Mussolini dovette rispondere sul numero del giorno dopo. Tuttavia la replica di Mussolini, il quale si stava convincendo dell'opportunità dell'intervento, fu «debole, sfocata, piattamente dottrinaria, per nulla all'altezza del miglior Mussolini polemista». Infatti,  «al momento di questa polemica, Mussolini era psicologicamente già fuori del socialismo ufficiale ed è indubbio che le argomentazioni di Panunzio, sia per il loro spessore teorico sia perché provenienti da un uomo di cui egli aveva grande considerazione intellettuale, furono probabilmente l'elemento decisivo che lo spinse a compiere il grande passo, il «voltafaccia» dal neutralismo assoluto all'interventismo. La Grande Guerra All'entrata dell'Italia nel conflitto mondiale, si arruolò volontario come quasi tutti gli interventisti "di sinistra" (come Filippo Corridoni e Mussolini); tuttavia, in quanto emofiliaco, fu immediatamente congedato, sicché dovette concentrarsi sulla lotta propagandistica e pubblicistica, soprattutto sulle colonne del «Popolo d'Italia» (i cui articoli erano sovente concordati con lo stesso Mussolini), in favore della guerra italiana, ritenuta dal Panunzio una guerra non «di difesa e conservazione, ma di acquisto e di conquista; non una guerra ma una rivoluzione». Una guerra anche popolare, come avevano dimostrato le grandi mobilitazioni del «maggio radioso», in contrapposizione alle posizioni conservatrici di Antonio Salandra e della classe dirigente liberale. Anche da un punto di vista più propriamente militante, Panunzio si impegnò nel ruolo di membro del direttivo del neonato fascio nazionale di Ferrara, il quale diede vita altresì al giornale «Il Fascio».  Oltre all'analisi politica e all'impegno giornalistico, Panunzio lavorò anche a una sistematizzazione filosofico-giuridica delle sue idee riguardo al conflitto, con le opere Il concetto della guerra giusta, Principio e diritto di nazionalità in Popolo, Nazione, Stato), La Lega delle nazioni e Introduzione alla Società delle Nazioni. Nel primo saggio, egli sosteneva l'utilità e la legittimità di una guerra anche offensiva, purché essa fosse il mezzo per il conseguimento di un fine più grande, ossia la giustizia e la creazione di nuovi equilibri più giusti ed equanimi. Nella seconda, invece, individuava nel principio di nazionalità la nuova idea-forza della società che sarebbe scaturita dalla guerra, una volta conclusa. Molto importante è inoltre la terza opera (La Lega delle nazioni), poiché in essa è sviluppato per la prima volta il concetto di «sindacalismo nazionale»:  «La Nazione deve circoscriversi, determinarsi, articolarsi, vivere nelle classi, e nelle corporazioni distinte, e risultare «organicamente» dalle concrete organizzazioni sociali, e non dal polverio individuale; ed essa esige, dove le nazionalità non si siano ancora affermate, e dove esse non ancora funzionino storicamente, solide e robuste connessioni di interessi e aggruppamenti di classi, a patto, però, che le classi, e le corporazioni trovino, a loro volta, la loro più compiuta esistenza, destinazione e realtà nella Nazione. Ecco la «reciprocanza» dei due termini, Sindacato e Nazione, e la sintesi organica tra Sindacalismo e Nazionalismo, e cioè: Sindacalismo Nazionale»  (Sergio Panunzio) Dalla fine del conflitto alla Marcia su Roma Terminata la guerra, Panunzio partecipò attivamente al dibattito interno alla sinistra interventista, intervenendo in particolare su «Il Rinnovamento», quindicinale recentemente creato e diretto da Alceste De Ambris. Il suo scritto più importante, che ebbe notevoli conseguenze, apparve il 15 marzo 1919: in questo, Panunzio sosteneva l'organizzazione di tutta la popolazione in classi produttive, le quali dovevano essere a loro volta distribuite in corporazioni, a cui doveva essere demandata l'amministrazione degli interessi sociali; affermava altresì la necessità di creare un Parlamento tecnico-economico da affiancare al Parlamento politico. In tale testo programmatico era chiaramente abbozzato il futuro corporativismo fascista, tanto che l'amico Mussolini, nel discorso pronunciato a Piazza San Sepolcro (alla fondazione cioè del fascismo), riprese le tesi di Panunzio per il programma dei Fasci Italiani di Combattimento:  «L'attuale rappresentanza politica non ci può bastare; vogliamo una rappresentanza diretta dei singoli interessi, perché io, come cittadino, posso votare secondo le mie idee, come professionista devo poter votare secondo le mie qualità professionali. Si potrebbe dire contro questo programma che si ritorna verso le corporazioni. Non importa. Si tratta di costituire dei Consigli di categoria che integrino la rappresentanza sinceramente politica»  (Benito Mussolini) A Ferrara, Panunzio assisté alla nascita del fascismo locale (e delle squadre d'azione), intrattenendo rapporti di amicizia con Italo Balbo (che sarebbero durati per tutta la vita) e Dino Grandi (che era stato suo allievo), pur non aderendo ufficialmente al movimento, a causa dei rapporti di quest'ultimo — per lui ambigui — con gli agrari. Risale a quel periodo, infatti, la pubblicazione delle due opere Diritto, forza e violenza e Lo Stato di diritto. Nel primo, riprendendo la tesi delle Réflexions sur la violence di Georges Sorel, l'autore precisava il suo discorso distinguendo una violenza "morale", "razionale", "rivoluzionaria", la quale doveva essere il mezzo per l'affermazione di un nuovo diritto (veicolo, dunque, di uno ius condendum), da una violenza invece gratuita e immorale. Critica da un punto di vista neokantiano il concetto hegeliano di Stato etico, lasciando intravedere tuttavia margini di sviluppo per una visione totalitaria dello Stato. A seguito dell'uscita dei fascisti dalla UIL e della conseguente creazione della Confederazione nazionale delle Corporazioni sindacali per opera di Edmondo Rossoni, Panunzio collaborò con il settimanale ufficiale della Confederazione, cioè «Il Lavoro d'Italia»[28], vergando un importante articolo sul primo numero, nel quale ribadiva le sue tesi sul sindacalismo nazionale. Dopo essersi speso invano, con l'aiuto di Balbo, per una conciliazione tra Mussolini e Gabriele D'Annunzio, appoggiò la politica pacificatrice di Mussolini, sostenne la «svolta a destra» del PNF (cioè per un ristabilimento dell'autorità dello Stato) e caldeggiò — con la caduta del primo Governo Facta — la costituzione di un governo di "pacificazione" che riunisse fascisti, socialisti e popolari (prospettiva ritenuta possibile da Mussolini stesso), scrivendo un importante articolo che individuava nel capo del fascismo l'unico in grado di stabilizzare e pacificare il Paese:  «Benito Mussolini — uno dei pochi uomini politici, checché si dica in contrario, che abbia l'italia — ha molti nemici e anche molti adulatori. L'uomo non è ancora bene conosciuto. Chi scrive può affermare con piena sincerità e obbiettività che la storia recentissima dell'Italia è legata al nome di Mussolini. L'intervento dell'Italia in guerra è legato al nome di Mussolini. La salvezza dell'Italia dalla dissoluzione bolscevica è legata a B. Mussolini. Questi sono fatti. Il resto è politica che passa: dettaglio, episodio. Anche prima di Caporetto, anche dopo Caporetto, Mussolini (è vero o non è vero?) disse dall'altra parte: tregua. Non fu, maledettamente, ascoltato. La fine della lotta ormai è un fatto compiuto. Eccedere più che delitto è sproposito grave. Ed ecco perché un Ministero in cui entrino le due parti in lotta — per la salvezza e la grandezza dello Stato — è un minimo di necessità e di sincerità»  (Sergio Panunzio[32]) Tuttavia, con il reincarico di Facta e il seguente sciopero generale del 1º agosto indetto dall'Alleanza del Lavoro (il cosiddetto «sciopero legalitario»), scrive a Mussolini mostrando la sua delusione nei confronti dei socialisti confederali, ritenendo quindi impossibile una convergenza d'intenti con il PSI e reputando ormai sempre più necessaria una svolta a destra:  «Anch'io pensavo unirci con i confederali che «senza sottintesi siano per lo Stato». Dopo lo sciopero un ultimo equivoco è finito. Bisogna mirare a destra. Diciamolo, con o senza elezioni. Confido in te e nel Fascismo, per quanto il difficile, dal lato politico, viene proprio ora. Di lì a breve, il fascismo salì al potere.  L'impegno politico e culturale durante il fascismo Una volta costituito il governo fascista, Panunzio strinse legami sempre più stretti con il movimento mussoliniano, ottenendo la tessera del PNF (su iniziativa dell'amico I.  Balbo) e venendo eletto deputato. Nello stesso anno divenne membro del Direttorio nazionale provvisorio del PNF, che lasciò dopo neanche un mese in quanto chiamato alla carica di sottosegretario del neonato Ministero delle Comunicazioni (diretto al tempo da Costanzo Ciano).  In questo periodo, inizia a interrogarsi — assieme ai massimi teorici fascisti — sulla vera natura ed essenza del fascismo, per il quale coniò la definizione di «conservazione rivoluzionaria», che sosterrà per tutta la sua vita:  «Il Fascismo non è unicamente conservazione, né unicamente rivoluzione, ma è nello stesso tempo — beninteso sotto due aspetti differenti — una cosa e l'altra. Se mi è lecito servirmi d'una frase che non è una frase vuota di senso, ma una concezione dialettica, io dirò che il Fascismo è una grande «conservazione rivoluzionaria. Quel che costituisce la superba originalità della «rivoluzione italiana», ciò che la fa grandemente superiore alla rivoluzione francese e alla rivoluzione russa, è che, ricordandosi e approfittando degli insegnamenti di Vico, di Burke, di Cuoco e di tutta la critica storica della Rivoluzione essa ha conservato il passato, realizzato il presente e orientato tutto verso l'avvenire, nei limiti della condizionalità e dell'attualità storiche. Per certi aspetti il Fascismo è ultraconservatore: ad esempio, nella restaurazione dei valori famigliari, religiosi, autoritari, giuridici, attaccati e distrutti dalla cultura enciclopedica, illuministica, che si è trapiantata arbitrariamente, anche nell'ideologia del proletariato, vale a dire nel socialismo democratico, che è il più grande responsabile della corruzione contemporanea. Per altri aspetti, il Fascismo è innovatore, e a un punto tale che i conservatori ne sono spaventati, come per esempio per la sua orientazione verso lo «Stato sindacale» e per la suademolizione dello «Stato parlamentare. Partecipò inoltre attivamente al dibattito incentrato sull'edificazione dello «Stato nuovo», fornendo importanti spunti, alcuni dei quali avranno un seguito costituzionale, come ad esempio il "sindacato unico obbligatorio", l'attribuzione della personalità giuridica (istituzionale, non civile) ai sindacati, o l'istituzione di una Magistratura del Lavoro che si ponesse quale arbitro nelle controversie tra capitale e lavoro. Fornì anche, al contempo, le basi teoriche del futuro Stato sindacale (poi corporativo):  «La nuova sintesi è l'unità dello Stato e del Sindacato, dello Statismo e del Sindacalismo. È lo Stato il punto di approdo e lo sbocco, superata la prima fase negativa, del Sindacalismo. È di questi tempi altresì l'evoluzione del pensiero panunziano riguardo a una concezione organicistica dello Stato, attraverso una critica serrata dello Stato democratico-parlamentare, uno «Stato meccanico, livellatore, astratto» (sorretto dal «principio meccanico della eguaglianza e cioè il suffragio universale»), che doveva portare a uno «Stato organico, gerarchico», fondato su un sistema sindacal-corporativo, giacché «chi è organizzato pesa, chi non è organizzato non pesa»[36]. In quest'ottica deve essere considerata, infatti, la definizione panunziana del fascismo quale «concezione totale della vita. Tutta la riflessione teorica politico-giuridica di questo periodo fu riassunta e sistematizzata nel suo volume, pubblicato nel 1925, Lo Stato fascista, il quale accese grandi dibattiti in ambiente fascista, tanto che l'autore ebbe modo di confrontarsi su questi temi — spesso polemicamente — con importanti personalità intellettuali come Carlo Costamagna, Giovanni Gentile e Carlo Curcio. n virtù di queste premesse teoriche e operative, appoggiò Mussolini durante la crisi causata dal delitto Matteotti, al fine di incrementare il processo di riforma statuale avviato dal fascismo, che si sarebbe di lì a poco concretizzato nelle leggi fascistissime volute da Alfredo Rocco e, soprattutto, nella Legge n. 563, che istituzionalizzò i sindacati, e nella redazione della Carta del Lavoro, il documento fondamentale della politica economica e sociale fascista.  Terminata l'esperienza di governo, si dedicò all'insegnamento: dopo aver vinto il concorso per un posto da professore straordinario in filosofia del diritto presso l'Università degli Studi di Ferrara, divenne ordinario e si trasferì a Perugia, di cui fu Rettore nell'anno accademico. Chiamato a insegnare dottrina dello Stato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Roma, cattedra che detenne sino alla morte. Non appena insediatosi nell'ateneo romano, incaricato dal Duce di organizzare, in qualità di Commissario del Governo, la neonata Facoltà Fascista di Scienze Politiche di Perugia, che doveva essere la «Oxford italiana» e «fascista. In tale veste, chiamò a insegnare a Perugia docenti quali Paolo Orano, Robert Michels, Angelo Oliviero Olivetti, Maurizio Maraviglia e Francesco Coppola. Fu ancora deputato. Malgrado gli impegni accademici, Panunzio continua a sostenere l'edificazione dell'ordinamento sindacale corporativo del nuovo Stato fascista attraverso i suoi articoli giornalistici, partecipando agli intensi dibattiti degli anni trenta sulla legislazione corporativa. Più precisamente, egli si situava in quell'ala sindacalista del fascismo che, nella nuova struttura statuale, perorava un potenziamento dei sindacati all'interno del sistema corporativo, affinché essi potessero intervenire più decisamente nella direzione economica del Paese. In questo periodo, grazie a opere teoriche fondamentali, Panunzio sistematizzò e definì organicamente il suo pensiero. In sostanza, lo Stato fascista, che è sindacale e corporativo, si contrappone allo «Stato atomistico ed individualistico del liberismo. Inoltre lo Stato fascista è caratterizzato dalla sua «ecclesiasticità» (o religiosità), intesa come «unione di anime, al contrario dello Stato liberal-parlamentare «indifferente, ateo e agnostico». Il giurista molfettese introdusse anche il concetto di funzione corporativa in quanto quarta funzione dello Stato (dopo le tre canoniche: esecutiva, legislativa e giurisdizionale), proprio per fornire il necessario fondamento giuridico ai cambiamenti costituzionali in atto, con la creazione dello Stato corporativo. Lo Stato fascista, infine, si configura come uno Stato totalitario, «promanando direttamente e immediatamente da una rivoluzione ed essendo formalmente uno "Stato rivoluzionario". Con l'istituzione delle corporazioni (attraverso la Legge n. 164) e la creazione della Camera dei Fasci e delle Corporazioni (Legge n. 129), Panunzio redasse la Teoria Generale dello Stato Fascista, che rappresenta la summa del suo pensiero in materia di ordinamento sindacale corporativo: in questo, egli sosteneva la funzione attiva e propulsiva del sindacato, al fine di evitare un'involuzione burocratica delle corporazioni; sosteneva altresì il suo concetto di economia mista — la quale all'intervento pubblico affiancasse una sana iniziativa privata — «ordinata, subordinata, armonizzata, ridotta all'unità, ossia unificata dallo Stato, in quanto il pluralismo economico e la pluralità delle forme economiche sono un momento ed una determinazione organica del monismo giuridico-politico dello Stato. Partecipò, con notevole peso specifico, alla riforma del Codice di procedura civile e del Codice civile. Riguardo a quest'ultimo, in particolare, il suo contributo fu decisivo, soprattutto per il terzo (Della proprietà) e quinto (Del lavoro) libro: fu lui ad ottenere che un intero libro fosse dedicato al lavoro; volle che la Carta del Lavoro fosse posta a base del codice; definì un più circostanziato concetto di proprietà, in cui se ne enfatizzava la "funzione sociale. Divenne consigliere nazionale della Camera dei Fasci e delle Corporazioni[50].  Morì a Roma, in piena guerra. L'archivio di Sergio Panunzio è stato digitalizzato ed è attualmente disponibile alla ricerca presso la Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice in Roma. Saggi: “Il socialismo giuridico” (Moderna, Genova); “La persistenza del diritto -- discutendo di sindacalismo e di anarchismo” (Abruzzese, Pescara); “Sindacalismo e Medio Evo” (Partenopea, Napoli); “Il diritto e l'autorità” ((POMBA, Torino); “Guerra giusta” (Colitti, Campobasso); “Lega dei nazioni” (Taddei, Ferrara); “Nazione e Nazioni” (Taddei, Ferrara); “Diritto, forza e violenza” (Cappelli, Bologna); “Stato di diritto” (Taddei, Ferrara); “Lo stato nazionale e sindacati” (Imperia, Milano); “Che cos'è il fascismo” (Alpes, Milano); “Lo stato nazionale nel veintennio fascista” (Cappelli, Bologna); “Sentimento di stato” (Littorio, Roma); “Dittatura” (Forlì); “Stato e diritto: l'*unità* dello stato e la *pluralità* degli ordinamenti giuridici” (Mdenese, Modena); “Leggi costituzionali del regime italiano” (Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma); “Popolo, Nazione, Stato: un esame giuridico” (Nuova Italia, Firenze); “I sindacati e l'organizzazione economica dell'impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “Sulla natura giuridica dell'Impero italiano” (Poligrafico dello Stato, Roma); “L'organizzazione sindacale e l'economia dell'Impero” (Poligrafico dello Stato, Roma); “La Camera dei fasci e delle corporazioni” (Trinacria, Roma); “Teoria generale dello stato” (MILANI, Padova); “Motivi e metodo della codificazione dello stato italiano” (Giuffrè, Milano); F. Perfetti, “La conversione all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio, Storia contemporanea»,  “Il sindacalismo ed il FONDAMENTO RAZIONALE DELLO STATO ITALIANO  (Volpe, Roma). Non c'è dubbio che tra i molti scrittori che tentarono di articolare l'ideologia del fascismo italiano e il più competenti e intellettualmente influenti, come Gentile. H. Matthews, Il frutto del fascismo” (Laterza, Bari). Fornisce con le sue teorie una patina di legittimità rivoluzionaria alla dittatura. Z. Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista” (Milano). Il filosofo più importante del fascismo.  Perfetti,  Il socialismo giuridico, LModerna, Genova, Sindacalismo e Medio Evo, Partenopea, Napoli. G. Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica in «Schema»,  L. Paloscia, La concezione sindacalista, Gismondi, Roma, Guerra e socialismo, in «Avanti!», Mussolini, Guerra, Rivoluzione e Socialismo. Contro le inversioni del sovversivismo guerrafondaio, in «Avanti!», Mussolini, La guerra europea: le sue cause e i suoi fini, in  Ver sacrum, Taddei, Ferrara. Sergio Panunzio, I due partiti di oggi e di domani, in «Il Popolo d'Italia», Perfetti, La Lega delle nazioni, Taddei, Ferrara, Un programma d'azione, in «Il Rinnovamento», Mussolini, Diritto, forza e violenza: lineamenti di una teoria della violenza” (Cappelli, Bologna); “Lo Stato di diritto, Taddei, Ferrara). Il settimanale e diretto da Rossoni e annove, tra i collaboratori più attivi e competenti, A. Casalini.  Il sindacalismo nazionale, in «Il Lavoro d'Italia», Perfetti, Renzo De Felice, Mussolini il fascista,  La conquista del potere, Einaudi, Torino. L'ora di Mussolini, in «La Gazzetta delle Puglie», «Popolo d'Italia» per espressa volontà di Mussolini.  Lettera citata in Perfetti, Che cos'è il fascismo, Alpes, Milano, Stato e Sindacati, in «Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto», gennaio-marzo Forma e sostanza nel problema elettorale, in «Il Resto del Carlino», Idee sul Fascismo, in «Critica fascista», L. Nucci, La facoltà fascista di Scienze Politiche di Perugia: origini e sviluppo, in Continuità e fratture nella storia delle università italiane dalle origini all'età contemporanea, Dipartimento di Scienze storiche Perugia, Perugia. Loreto Di Nucci, Nel cantiere dello Stato fascista, Carocci, Roma,  Renzo De Felice, Mussolini il Duce,  I: Gli anni del consenso, Einaudi, Torino, Il sentimento dello Stato, Libreria del Littorio, Roma; Il concetto della dittatura rivoluzionaria, Forlì, Stato e diritto: l'unità dello stato e la pluralità degli ordinamenti giuridici, Società tipografica modenese, Modena. Leggi costituzionali del Regime, Sindacato nazionale fascista avvocati e procuratori, Roma,  Perfetti,  XXX Legislatura del Regno d'Italia. Camera dei fasci e delle corporazioni / Deputati / Camera dei deputati storico  Il Fondo Sergio Panunzio. Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice.  Giovanna Cavallari, Il positivismo nella formazione filosofico-politica, in «Schema», Ferdinando Cordova, Le origini dei sindacati fascisti, Laterza, Roma-Bari, Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico, in «Il Socialismo giuridico: ipotesi e letture», in “Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno”, Renzo De Felice, Mussolini, 8 voll., Einaudi, Torino, Mussolini il rivoluzionario, Einaudi, Torino 1965. Emilio Gentile, Le origini dell'ideologia fascista, Il Mulino, Bologna, Laterza, Roma-Bari). A. James Gregor, Sergio Panunzio: il sindacalismo ed il fondamento razionale del fascismo, Volpe, Roma. nuova edizione ampliata, Lulu.com,. Benito Mussolini, Opera omnia, Edoardo e Duilio Susmel, La Fenice, Firenze-Roma, Leonardo Paloscia, La concezione sindacalista di Sergio Panunzio, Gismondi, Roma, Giuseppe Parlato, La sinistra fascista: storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna. Giuseppe Parlato, Il sindacalismo fascista,  II: Dalla grande crisi alla caduta del regime, Bonacci, Roma, Francesco Perfetti, Il sindacalismo fascista,  I: Dalle origini alla vigilia dello Stato corporativo, Bonacci, Roma); Francesco Perfetti, La «conversione» all'interventismo di Mussolini nel suo carteggio con Sergio Panunzio, in «Storia contemporanea», Francesco Perfetti, Introduzione, in Sergio Panunzio, Il fondamento giuridico del fascismo, Bonacci, Roma, Francesco Perfetti, Lo Stato fascista: le basi sindacali e corporative, Le Lettere, Firenze. Zeev Sternhell, Nascita dell'ideologia fascista, tr. it., Baldini e Castoldi, Milano 1993.  Fascismo Sindacalismo rivoluzionario Sindacalismo nazionale Sindacalismo fascista Corporativismo Italo Balbo James Gregor Francesco Perfetti. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Sergio Panunzio,.  Sergio Panunzio, su storia.camera, Camera dei deputati.  Sabino Cassese, Socialismo giuridico e «diritto operaio». La critica di Sergio Panunzio al socialismo giuridico in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico modern” (Giuffrè, Milano). Fervono oggi in Italia, nel campo polìtico e filosofico, le discussioni e le polemiche molto vivaci su Hegel, sulla idolatria dello Stato ovverosia sulla sua statolatria, sullo Stato considerato da Hegel come l’Ente supremo. Forti correnti antihegeliane si deiineano in Italia nel Fascismo contro le correnti e le scuole idealistiche facenti, cora’è noto, capo al Gentile e alla sua interpetràzione attua- listica, dopo (piella storica del Croce, dell’hegelismo. Non si vuole e non si deve qui parlare di filosofìa. Il concetto « hegeliano » dello Stato si prende qui nel suo aspetto sociale e politico, e da questo punto di vista è indubbio il suo nesso storico ed ideologico con lo Stato fascista. A conferma di ciò, basti notare che lo Stato fascista nega innanzi tutto e soprattutto Marx e Io Stato marxista. Non a torto e significativamente il movimento hitleriamo in Germania è e si chiama antimarxista e non antisocialista e si denomina anzi « nazionalsocialista >. Ora Marx, per costruire ia classe, negò il suo maestro, Hegel, e di Hegel prese il concetto della « società civile», risolvendolo analiticamente nelle classi, donde la lotta di classe centro del suo sistema teorico e pratico, riducendo anzi in ultima istanza la società civile in blocco alla pretesa unitaria ed omogenea classe operaia, e negò lo Slato. Se, contro la classe marxistica, si deve ricostruire e riabilitare lo Stato, è evidente, per ciò solo, il ritorno necessario da Marx ad Hegel. Sta tutta qui, per me, la parentela fra Stato fascista e Stato hegeliano. Riconosco, e lo disse, prima di tutti, un nostro filosofo, Filippo Masci, La libertà nel difillo e nella Sloria secando Kant ed Hegel, in Atti della R. Accademia di Scienze Morali ePolitiche, Napoli, 1903, che l’ideologia statale di Hegel si prestò molto bene, nelle mani delle classi reazionarie e fondiarie tedesche, alla fonda­ zione dello Stato prussiano reazionario e conservatore. Ma altro sono le dottri­ ne, altro l’uso e lo sfruttamento che di esse tanno le classi sociaii secondo i loro bisogni ed il loro spirito di classe ; per quanto sia anche giusta l’osservazione dello stesso Masci che lo Stato di Hegel per gran parte — rlducendosi la sua Filosofia del diritto molte volte e in molti punti a mera trattazione empirica di diritto co­ stituzionale positivo germanico — non faccia che, abbandonata la fliosofia pura e speculativa, trascrivere in termini di pensiero filosofico ia realtà di tallo dello Stato prussiano del suo tempo. Per cui lo Stato di Hegel si prestava per questo verso a quel tale «giuoco diclasse, di piegare lo Stato filosofico ed etico del gran­ de pensatore alla propria situazione psicologica di classe. Ma questi indubbi aspet­ ti stona e poiitici empirici dello Stalo di Hegel, che lo fanno passare (non si di­ mentichi che Hegel visse e scrisse dopo l’esperienza immediata della Rivoluzione francese, in un periodo, come oggi il Fascismo, anch’esso accusato dai superficiali e dagli stolti d, reazionarismo, di restaurazione, e appartenne al ciclo appunto della Restaurazione postrivoluzionaria) per reazionario e per il filosofo dello Stato rea­ zionario. non devono farci perdere di vista gli elementi filosofici essenziali non accidentali e fossili, e specialmente il profondo vivo e vitale concetto della . società avile.. di corporazione e del nesso fra la società civile e lo Stato. Ho piacere di notwe qui che uno scrittore tedesco, li Bindek, Sialo e Società nella moderna fllosofia poltlica, in Rio. Inlernaz. di Filosofia del diriUo, fase. Ili, 1924, a proposito del mio scritto: Slato e Sindacali, ha rilevato il mio rUerimento a Hegel per la com­ penetrazione della società con lo Stato. Gli elementi vivi e vitali non devono non separarsi attraverso la critica e la scienza dagli elementi morti e superati di Hegel Per questi ultimi non dobbiamo dimenticare i primi; anche se, per il suo tempo m cu. signorava, prima di Marx, la prassi e la teoria sviluppata poi dopo e fino a un certo punto anche offre Marx da Sorci, del Sindacalismo. la concezione hege- liana della Società era burocratica, e la concezione del governo, ossia dello Stato aulocralica. Vedi su ciò le acute osservazioni e critiche ad Hegel dei Capograssi, già da me c tate in questo scritto. Questo il giudizio obbieilivo sullo Hegel poIÌUco A non dire qui (vedi su ciò il mio volume Lo Slato di diritto, libro II cap V Lo Stalo noumeno immanente di Hegel, Città di Castello 1921) che la prima fase del pensiero politico di Hegel fu tutfaltro che reazionaria. Come pure non mi sembra che SI possa e SI debba dire che Io Stato hegeliano, per la sua statolatria, sia uno Stato panteistico, non solo antico, ma addirittura uno Stato asiatico indiano, meno nspettoso della libertà umana dello stesso Stato pagano platonicc»-aristoteìico Ve- di su ao, contro l’opinione del Masci, l’appendice al mio citato Stato di diritlo: Se lo Sialo hegeliano sia Stato moderno, pp. 169-171. C'è si diflerenza fra Stato fa­ scista e Stato hegeliano; anzi è questo il punto fondamentale per cui non si può e non si deve ridurre al tipo dello Stato hegeliano lo Stato fascista: che mentre per Mussouni, tutto è nello Stato ; nulla fuori dello Stato ; nulla contro lo Stato • ma non è vero che nulla, non dal Iato politico, ma da quello filosofico e morale, è sopra lo Stato ; per Hegel, Invece, nulla è sopra lo Stato, per la semplice ragione che lo Stato è tutto ed anzi Dio stesso realizzato nel mondo. Ma da questo a dire che lo Stato di Hegel è più che antico asiatico, ci corre. Si può e si deve dire invece che lo Stato fascista appartiene al ciclo della filosofia idealistica trascendente, mentre lo Stato hegeliano è basato sull’immanenza, donde esso è Dio stesso. Del resto, a questo proposito, sono anche note, nel campo filosofico, le premesse trascendenti ed anche le interpretazioni net senso della trascendenza dell’idealismo hegeliano. Vedi su ciò, in conformità dell’interpretazione trascendente anglo-americana deH’idealismo hegeliano, il mio libro Diritto Forza e Violenza, parte IH. Orientata verso la trascen­ denza è la fase recentissima del pensiero idealistico italiano, donde la dissoluzione t in­ terna • della posizione idealistico-attualistica visibile nei rappresentanti dì questa scuola discendenti dal Gentile. L ’idealismo attualistico, capovolgendosi la posizione del Gioberti, che dalla trascendenza andò verso l’immanenza, da Dio alla Storia, fa oggi il cammino inverso dall’umano al divino, dalla Storia all’ Idea. Vedi su ciò sinteticamente ed efficacemente la prefazione di Balbino Giuliano al volume di R ugoero Rin a l d i, Gioberti e il problema religioso del Bisorgimenlo, Firenze, Vallee- chi 1929. Sulla filosofia del diritto di Hegel, dal lato sociale e per le sue connessioni ideologiche con il Corporativismo fascista attuale, V., oltre ì miei scritti citali, par­ ticolarmente, Lo Stato di diritto, G. Passerini D’Entreves, La filosofia del diruto di Hegel, Torino, 1924. Sui rapporti fra la « volontà di tutti • di Rousseau e la ■societàcivile» di Hegele fra la ■volontà generale•dei primoe •lo «Statoi del secondo, vedi il mio Sfato di diritto libro II, i capitoli su Rousseau e sullo Stato di Hegel. Sui rapporti fra società e Stato nella concezione fascista in rapporto aile mie idee in poposito, vedi G. Leibholz, Z u den problemen des lascistisehen Verfassangsreclds, Leipzig, 1928.Nessuna delle tre forme di dit­ tatura sopra analizzate, comprende la dittatura del Duce. Che cosa essa è? Essa è una forma ideale a sé.. Essa è uno « Stato di grazia » dello spirito. È quella che io credo si debba chiamare la dittatura eroica, figura storica o se vogliamo filosofica, non figura giuridica ; ed in quanto tale, eccezionale e soprannaturale, non ordinaria e comune. Di essa non si occupano e non parlano i trattati di Dottrina dello Stato e di Diritto costituzionale. Dovete, per comprenderla, se me lo chiedete, aprire un libro, il libro degli E r o i di Tommaso Carlyle (1).Un acuto scrittore, il Michels, richiamando il concetto di Max Weber, parla; di Uomo e di Capo carismatico (2).La dittatura eroica è spirituale, non materiale, soggettiva, non oggettiva, prodotta e posta «dal popolo»; nonimposta «alpopolo». ' per cui essa è considerata dal popolo che la genera e ne èli geloso proprietario e custode, come la cosa sua più intima preziosa e per-sonale. Dobbiamo, se mai, per inquadrarla in qualche modo in una delle forme stabilite, ricollegarla, come si è dimostrato, alla dittatura rivoluzionaria. La rivoluzione è un’idea; e la dittatura rivoluzionaria è, come sappiamo, la dittatura dell’idea. Ma questa idea deve trovare il suo Uomo, il suo corpo, l’Eroe. Onde può dirsi che la dittatura eroica è la soggettività, la coscienza del­ l’idea di un popolo, nella sua marcia e nel suo cammino nella storia. LO STATO FASCISTA NELLA DOTTRINA DELLO STATO. LO STATO NUOVO. Genesi dello Stato fascista . La natura ideale del Fascismo. Il Fascismo come >conservazione revoluzionaria. Gli elementi dello Stato fascista. La restaurazione politica e rinstaurazione sociale nello Stato fascista . Sindacalismo; Nazionalismo; Fascismo. Il lato politico ed il lato sociale dello Stato. Il rapporto fra lo Stato e 1 Sindacati. Lo Stato-società ; lo Stato^asse ; lo Stato-popolo ; Io Stato-nazione. In nota; rapporti fra lo Stato fascista e lo Sta to di Hegel. Struttura e funzioni dello Stato fascista. Lo Stato sindacale-corpo rativo . Stato ed economia. La Corporazione. Lo Stato fascista neirordiiiamento giuridico. Leggi costituzionali sociali ; politiche. La Carta del Lavoro. Le istituzioni e gli organi fondamentali. Legislazione ed esecuzione. Lo Stato-Partito. Lo Stato militare ed il cittadino-soldato. I caratteri, la qualilìcazione, e la denominazione dello Stato fasci sta. La statocrazia come formula ideale dello Stato fascista. La difesa penate dello Stato fascista.. LO STATO FASCISTA NEL DIRITTO PUBBLICO POSITIVO. CONCETTI GENERALI E GL’ISTITUTI FONDAMENTALI. Criteri di metodo e dì studio. Il diritto costituzionale fascista : le leggi ; la prassi ; la dottrina ; la storia. Il metodo giuridico ed i suoi limiti. Le leggi costituzionali ; le leggi costituzionali rivoluzionarie. L ’in­ staurazione rivoluzionaria. L ’atto fondamentale della rivoluzione ; il Proclama del Quadrumvirato. I! diritto rivoluzionario : organi provvisori ; costituenti ; costituzionali. . Il Potere politico o corporativo deilo Stato ed i suoi presupposti so­ciali politi« e giuridici. La crisi della democrazia parlamentare. Re­gime parlamentare e Regime fascista. La divisione dei poteri come specificazione di organi e di funzioni, e la coordinazione dei poteri. Critica della teoria dei «tre poteri ». La fun­zione di governo, ossia corporativa o politica dello Stato. Natura dì questa funzione e sua denom inazione. L ’ Organo supremo. Dalia funzione politica alla determinazione del titolare di essa. La gerarchia degli organi costituzionali. 11 Capo dello Stato ; il Capo del Governo ; il Gran Consiglio del Fascismo. L ’ Or­gano supremo come organo complesso. Le relazioni statiche e dina­miche fra i tre elementi dell’Organo supremo. La Monarchia e il P.- N . F . La forma di governo : il Regime fascista de! Capo del Governo. La forma di governo desunta dalla posizione costituzionale dell’Organo supremo. Confronto fra il Regime fascista e l’attuale regime inglese superparlamentare a • Premier ». Perfezione e superiorità del Regime fascista nell’evoluzione delle forme di governo, in quanto piena realizzazione del regime popolare. Il Capo del Governo ; ampiezza ed intensità dei suoi poteri e delle sue attribuzioni. Sua posizione gerarchica rispetto agli altri Ministri, suoi puri collaboratori tecnici. Gerarchia in senso amministrativo e in senso costituzionale. La dinamica delle relazioni fra il Capo del Governo e gli altri organi dello Stato, ed il Partito come fulcro giuridico ed istituzione-cardine del Regime fascista. Nesso organico fra la Monarchia e il P. N. F.. L’unità sostanziale fra il Re, il Popolo, il Partito. Il Gran Consiglio. La prerogativa suprema del Re : la scelta e la nomina del Capo del Governo. (In nota; la progressiva delimitazione della competenza legislativa materiale del Parlamento e la crisi della legge formale. I gradi del potere legislativo ed il problema della gerarchia delle nor­ me giuridiche e della relativa Giurisdizione costituzionale). LE CORPORAZIONI E TEORIA GENERALE DELLA CORPORAZIONE. PRINCIPI GENERALI. Il Corporativismo concepito come principio lllosoflco. Corporativismo economico e Corjiorativismo politico. Errore <1i ridurre il Corporati­vismo al puro piano economico. Unità di Fascismo e di Corpora­tivismo. La corporazione e le Corporazioni. Sindacato e Corporazione. Sinda­calismo corporativo e Corporativismo sindacale. CHE COSA SONO E COME SONO COSTITUITE LE CORPORAZIONI. 1. L’essenza delle Corporazioni e le loro proprietà costitutive. . . 2. I,a costituzione organica delle Corporazioni. Le lunzjoni delle Corporazioni. Preponderante rilevanza della loro funzione normativa ed esame di quest’ultima. Il funzionamento pratico delle Corporazioni. Il reale e l'ideale nella C o r p o r a z i o n e. CHE COSA FANNO LE CORPORAZIONI. I compiti e i problemi delle Corporazioni. La funzione corporativa come esplicazione della potestà d’impero dello Stato. L ’unità deH’attività dello Stalo. Le « funzioni » ; gli « atti » dello Stato . Attività economica in senso materiale, ed in senso formale dello Stato. L ’attività giuridico-economica dello S t a t o . I destinatari delle norme corporative. Che cos’è la produzione. L’ese­ cuzione produttiva. Sua differenza dalla esecuzione amministrativa. 5. Lo Stato e la produzione. Piano economico e piano produttivo. Dire­ zione e gestione. L’autarchia. Autarchia economica in senso formale. L’economia corporativa come economia mista. Il diritto economico. Iniziativa privata ed autarchia. IniziaUva pri­ vata e libertà economica. La libertà come categoria spirituale e filosofica. Iniziativa privata e proprietà privata. Personalità e proprietà ; lavo­ro e proprietà. LE CORPORAZIONI ISTITUITE. IL PIANO DELLE 22 CORPORAZIONI. Il quadro delle Corporazioni ed i loro tre gruppi . Il ciclo produttivo per grandi rami di produzione come criterio co­stitutivo delle Corporazioni e della loro distinzione in tre gruppi. 154 3. La relatività come criterio per la costituzione e la classificazione del­le Corporazioni. Esplicazione di questo criterio di relatività in due leggi : la organicità decrescente e la generalità crescente delle Corporazioni. Natura strettamente « sperimentale dell’ordinamento delle Corporazioni ». Il Sindacato come elemento attivo delle Corporazioni. Statica e dinamica delle Corporazioni. Mozione presentala dal D U C E ed approvata dall'Assemblea Generale del Consiglio Nazionale delle Corporazioni. TEORIA GENERALE DEL PARTITO. CONSIDERAZIONI GENERALI DI METODO SUL PARTITO NELLA DOTTRINA DELLO STATO E NEL DIRITTO PUBBLICO. Il partito rivoluzionario nella Dottrina dello Stato e suo posto siste­matico in e s s a . Il procedimento di formazione dello Stato fascista, ossia il Partito rivoluzionario come origine immediata e formale dello Stato fascista. 3. Delimitazione dello studio de! Partito sotto l’aspetto politico e sotto l’aspetto giuridico. Criteri di metodo e degli organi dello stato. Le varie teorie sulla natura giuridica del Partito, particolarmente sul Partito come istituzione politica autarchica e come organo dello Stato. Le varie specie di istituzioni pubbliche. Nuovo concetto delTautarchia. IL PARTITO RIVOLUZIONARIO, OSSIA IL PARTITO-STATO. Il partito rivoluzionario come nozione pubblicistica a sè. .Il partito rivoluzionario nella Storia e nella Dottrina dei partiti. Se il partito rivoluzionario sia ancora un partito e de. bba chiamarsi partitoIl partito rivoluzionario come partito di regime. Partiti di governo e partiti di regime. lì partito socialista ed il Partito fascista come partiti rivoluzionari. Partito rivoluzionario e partito unico. Il partito unico nella concezione socialista e nella concezione fascista. Stato dì partiti ; Stato-partito. 5. Il partito totalitario ed il partito unico. Differenza, non identità fra le due nozioni. Il partito unico può intendersi in due sensi: a) in senso giuridico o formale come ente processuale ossia come organo della rivoluzione ; b) in senso sostanziale come ente politico ossia come organo dello Stato. La giustificazione del partito rivoluzionario. Il partito rivoluzionario come organizzazione militare . passaggio dal Partito-Stato allo Stato-partito. LA DITTATURA RIVOLUZIONARIA. Considerazioni generali sul fenomeno storico-politico della dittatura. 2. Esposizione e critica di alcune opinioni sulla dittatura. Le crisi dello Stato e le r iv o lu z io n i. Distinzione, classificazione e analisi delle varie forme dì dittatura. La dittatura costituzionale. La dittatura rivoluzionaria.. La dittatura polìtica . La dittatura e r o i c a . PARTIJP- REGIME STATO. Posizione e determinazione critica e metodica del concetto di regime 2. Il concetto di regime nella recente dottrina politica e giuridica ita­liana . Il concetto di regime in rapporto a quello di rivoluzione . Il movimento interno ossia la dialettica del regime . Le istituzioni del Partito e quelle del Regime : le istituzioni del Regime e quelle dello S t a t o . IL CONCETTO DI STATO-PARTITO. L o S t a t o - p a r t i t o . Lo Stato dei partiti ; delle leghe ; dei sindacati (Partitismo ; Leghismo, Sindacalismo). Il partito rivoluzionario ; il Partito-Stato; «la formula politica». Modernità del concetto di rivolurione e di partito rivoluzionario. L ’unità e la continuità dello Stato ; la vicenda e la successione del­le forme di g o v e r n o . Socialismo rivoluzionario ; riformismo ; bolscevismo ; Fascismo . L’esperienza sovietica russa. La classe. La Nazione. Lo Stato-oggetto; il partito-soggetto. L’esperienza fascista. Contraddizione sovietica; verità fascista. Il problema giuridico del P. N. F.. Dal Partito-Stato allo Stato-par­tito. Insurrezione e dittatura come torme logiche della Rivoluzione. Lo Stato-formae lo Stato-sostanza. Natura e scopo del P. N. F,. Istituzione ed organo dello Stato. Nuovo concetto degli organi dello Stato . L'uno politico: lo Stato; il pluralismo sociale. Sindacati. Il Partito ei S i n d a c a t i . L’università del Fascismo; suo presupposto: il partito unico .  SCRITTI FIL030F1GO-GIURIDICI E DI DOTTRINA DELLO STATO . Il Diritto e l’autorità, Torino, Pomba, 1912. . Le ragioni della Giurisprudenza pura, Roma, Rio. Inier. di Sociologia, 1914. . Il concetto della guerra giusta, Campobasso, Coluti, 1917. . L o • Slato giuridico^ nella concezione di I. Pelrone, Campobasso, Coluti, 1917. , Introduzione alla Società delle Nazioni, Ferrara, Taddei, 1920. . La Lega delle Nazioni, Ferrara, Taddei, 1920. . Lo Sialo di diritto. Città di Castello, lì Solco, 1921. . I l socialismo, la Filosofia del diriilo e lo Staio, Città di Castello, il Solco, 1921. . Lirillo, Forza e Violenza. Bologna, Cappelli, 1921. . Staio e Sindacati, Roma, Rio. Inter. di Filos. del Dir. 1923. . Consenso ed apatia, in Annaii dell'Universilà di Ferrara, 1924. . Filosofia e Polilica del diritto, Milano, Rio. di Dir. Pubb. 1924. . La Politica di Sismondi, Roma, Rio. Inlern. di Filos. del Dir., 1926. . Il Sentimento detto Stalo, Roma, Libreria del Littorio, 1929. . Diritto sindacale e corporaliuo, Perugia, La Nuova Italia, 1930. . Stalo e Diritto, Modena, 1931. . Le leggi cosittuzionu/i del Regime {Relazione al F Congresso giuridico italiano) Roma, 1932. . Popolo, Nazione e Stato, Perugia, La Nuova Italia, 1933. . Allgemeine Theorie des fase, slischen Staales, Berlino, Walter de Gruyter, 1934. SCRITTI POLITICI 1. Il Socialismo giuridico, Genova, Libreria moderna, 1907. 2. Il Sindacalismo nel passalo, Lugano, Pagine Libere, 1907. 3. La persistenza del diritlo, Pescara, Casa Ed. Abruzzese, 1910. 4. Sindacalismo e Medio Eoo, Napoli, Casa Ed. Partenopea, 1911. 5. Stalo Nazionale e Sindacali, Milano, Imperia, 1924. 6. Che cos’è il Fascismo, Milano, Alpes, 1924. 7. Lo Stato Fascista, Bologna, Cappelli, 1925. 8. Il riconoscimento rivoluzionario dei Sindacati, Roma, Il DiriUto del Lavoro 1927. 9. Sindacalismo, Torino, Pomba, 1928. 10. Rivoluzione e Costituzione, Milano, Treves, 1933. 11. La fStoria» del Sindacalismo fascista, Roma, Quaderni di segnalazione, 1933. 12. Riforma Coslltuzionale {Le corporazioni ; il Consiglio delle Corporazioni, il Se­ nato), Firenze, La Nuova Italia, 1934, 13. Economia mista {dal Sindacalismo giuridico al Sindacalismo economico), Milano, Hoepli, 1936. Dante Alighieri (1265-1321)esaltanelsuoDeMonarchia1’ordinamento gerarchico del mondo conchiuso nell’ idea imperiale ; pocoappressoMarsiliodaPadovafondasulpopolo 11dirittodidarsiunproprioordinamentogiuridico, secondo le speciali esigenze di ogni gruppo sociale, e Bartolo espone nel trattato De regimine sivitatis (1354) le varie forme dei governi, secondo l’autonomo diritto  dellecittàedeiregni;finchéEneaSilvioPiccolomini (1405-64)avantiildefinitivotramontodell’ideaim¬ periale, traccia a grandi linee, nel Libellus de ortu et auctoritateimperli(1446),ildisegnodell’ordinepoli¬ tico dell’ universo, secondo la disciplina dei gruppi so¬ vranigerarchicamentecongiuntinell’impero—A.Solmi pag.429§76.—«Sull’autonomianeldirittoromano, sivedaMarquardt,OrganisationdeVempireromain. Paris 1889 - 92, I, 105 ; e per il concetto giuridico moderno Regelsberger Pandekten, Leipzig 1893,1,105-6 e la letteratura ivi citata. Le dottrine dei giuristi medievali sono esposte dal Gierke Deut. Genossenschaf- tsrectvoiIII;Berlin1881pag.510eseg.SuDante, sarebbe da vedere il mio scritto in Bull, della Soc. Dantesca, N. S., XIV, 1907, pag.98411 ;su Marsilio e Enea Silvio, cfr.Rehni Gesch. Staatsrechtswissen schaft, Ereiburgi.B.1896Pag.185eseg.96eseg.,224eseg.; suBartolo,loscrittodelSalvemini,StudistoriciFi¬ renze1901,pag.-137-68».Solmi,Op.cit.pag.430. la cooperazione, lo stato come cooperazione – lo stato come la cooperazione ideale – cooperazione volontaria – cita. Sergio Panunzio. Panunzio. Keywords: stato, nazione, razza, popolo, popolo e nazione sono cose distinte – la nazione ha una valore plus sopra popolo. Razza e distinto a nazione – una rivoluzione basata sulla razza – la concezione della razza e della nazione, l’italianita, la romanita, il ventennio fascista – la filosofia giuridica previa al ventennio fascista – morte di Sergio Panunzio. L’altro Sergio Panunzio. Concetti. Citazione della teoria dell’aristocrazia di Mosca, non di Pareto, citazione di Labriola, critica al stato prussiano di Hegel, l’ordine di 1848, Mazzini, la revoluzione causata per comunisti, la dittatura fascista, il dittatore eroe, cita de Martinis, l’eroe non e senso sociologico di Martini, ma filosofico. Il concetto di la nazione italiana, il concetto di Roma, la luce di Roma, la storia italiana, il concetto di stato-nazione, il concetto di stato-razza. Citazione di “La mia battaglia”, citazione di Mussolini. Scritti sistematici, evoluzione della teoria dello stato fascista – positivismo, assenza di elementi mistici. La revoluzione de perturbi e morbidi comunisti al ordine del reglamento de 1848, la dittadura come reazione alla revoluzione, il concetto di stato, popolo, nazione, antichita romana, I sindicati nella antica roma, I sindicati nella Firenze medievale, il comune del comune, la citdazione della Monarchia di Aligheri, Marsilio di Padova, e Machiavelli. Definizione concise. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701619634/in/photolist-2mHsg1f-2mHo7Ma-2mLGjg5-2mLCQLJ

 

 

Grice e Panunzio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ferrara). Filosofo. Grice: “I like his ‘contemplazione e simbolo,’ for what is a symbol for if no one is going to contemplate it!?” -- Essential Italian philosopher. Figlio di Sergio, il più noto filosofo del diritto e teorico del sindacalismo rivoluzionario. Ligato alle correnti conservatrici e contro-rivoluzionarie italiane.  Studia a Roma sotto I. Zolli.  Insegna a Roma. Come Grice, alla Regia Marina, partecipa ad operazioni di guerra nel mediterraneo contro Capt. H. P. Grice, e viene insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia. Collabora con “Pagine Libere”, “L'Ultima”, “Carattere” e altre riviste specializzate in studi filosofici. Si muove nella direzione di un simbolismo esoterico pieno di sacrali e regali elementi. Fonda a Roma la rivista del tradizionalismo, “Meta-Politica” -- Pubblica saggi in una collana a cui darà il nome di "Dottrina dello Spirito Italiano". Il concetto di “meta-politica” è al centro del dibattito sulle radici europee da parte degli esponenti della destra e il culto del pagano (anti-cattocomune) di de Benoist. Cerca di ri-condurne l'orientamento tradizionale, iniziatico, e simbolico. L’imponente biblioteca del padre è donata a U. Spirito che ne custodisce in gran parte anche l'archivio di famiglia.   “Contemplazione e simbolo”; “Summa iniziatica occidentale” (Volpe, Roma); “Simmetria, Roma); “Metapolitica, “Roma eterna”, Babuino, Roma); “Luci di iero-sofia” (Volpe, I Classici Cristiani, Cantagalli, Siena); “La Conservazione Rivoluzionaria. “Dal dramma politico del Novecento alla svolta Meta-politica del Duemila”,  Il Cinabro, Catania Cielo e Terra, “Poesia, Simbolismo, Sapienza, nel poema Sacro,  Metapolitica, Roma ; Cantagalli, Siena Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis”, Gl’Eroi, Cantagalli, Siena, Vicinissimi a Dio, “Summa Sanctitatis” Siena, Cantagalli, Princípio, Appello. Storia ed Eségesi Breve. Precedente Storico e Agiografico, Roma, Scritti remoti  L’anima italiana, Sophia, Roma,  Difesa dell’Aristocrazia: Pagine Libere, Roma Gismondi, Roma, Ugo Foscolo tra Vico e Mazzini nello spirito italiano, Gismondi, Roma, Sull’esistenzialismo giuridico” (Bocca, Milano); “Tradizione, L’Ultima, Firenze; “Cosmologia degl’antichi romani, Dialoghi, Roma,  Ispirazione e Tradizione (Città tradizionali e Città ispiratrici), Carattere, Verona  Lo spiritualismo storico di L.  Sturzo (Per una rettificazione metafisica della Sociologia), Conte, Napoli Scritti, S. Benedetto, Parma   La Pianura, Ferrara, Atanor, Roma. Schena, Fasano,  Ristampe e nuove antologie  Difesa dell’Aristocrazia, Quaderni di Metapolitica,  Roma  I Quaderni di Metapolitica, Roma  Vecchie e nuove cosmologie (Avviamento alla “Scienza dei Magi”), Per una rettificazione metafisica della sociologia (Lo spiritualismo storico di L. Sturzo). Sull'autore:  Testimone dell'assoluto, “L'itinerario umano e intellettuale di Silvano Panunzio”, (Eségesi di 12 noti Scrittori Italiani), Ed. Cantagalli, Siena, Dalla metafisica alla metapolitica: omaggio,  Ed. Simmetria, Roma.  Inediti. In corso di stampa Note  Olinto Dini, Percorsi di libertà, Firenze, Polistampa, Giambattista Scirè, La democrazia alla prova, Roma, Carocci. Combattente nella guerra, rimane chiaramente,  un teorico del fascismo. S. Sotgiu,  in Il Giornale, Tradizionalismo (filosofia.   Silvano Panunzio. Panunzio. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Panunzio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51700941826/in/photolist-2mHsg1f-2mHo7Ma-2mLGjg5-2mLCQLJ

 

Grice e Paolino – dizionario filosofico portatile for gym users -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “In England, we have it easy: we have Oxford and we have Oxford. In Italy, small a country as it is, they have Bologna, Bologna, Bologna, and Nappoli, Venezia, Roma, etc.” Autore di quattro trattenimenti De' principj del dritto naturale, stampati a Napoli presso Giovanni di Simone, di un supplemento al Dizionario storico portatile di Ladvocat, ma è noto soprattutto per i due volumi della sua Istoria dello studio di Napoli, uscita anch'essa dalla stamperia di Giovanni di Simone. Si tratta della prima storia compiuta dell'Napoli, nella quale l'autore dimostra con buoni argomenti (come ricorda Tiraboschi nella sua Storia della letteratura italiana), che quello studio non fu veramente fondato da Federico II di Svevia, ma, prima di lui, dai Normanni, benché questi non le dessero veramente forma di università e non la onorassero dei privilegi che a tali corpi convengono, cosa che invece fu fatta da Federico, che così meritò la fama di suo vero fondatore.  Opere * Giangiuseppe Origlia, Istoria dello studio di Napoli,  Torino, Giovanni Di Simone, Girolamo Tiraboschi. Grice: “Paolino is a quasi-contractualist. His contractualist treatise is very accessible. Man is the political animal, so politics is in the essence. Polis means civil, so a man who is not civil is not a man. Paolino analyses a contract – in general, and then the social contract in particular. This sets him to analyise such duties which are addressed to the other members of the civitas. Paolino was alo the author of a dictionary of antiquities, which has the nice alphabetical touch about it, if you are into a first  thought on Julius Caesar or Cicero! He also traced the stadium tradition to the ‘gym,’ ‘nudare’ as he notes. And notes that it started in the cities where such as Athens or Rome where the athletes needed a place to get undress and practice. He mentions Plato’s Academy (after Hekademos) and Aristotle’s Lycaeum, after the statue of Apollo Liceo, reposing after extercise. It is good to call Platonists accademici and Aristotelians liceii then. The gyms were particularly popular in Italy – even before the great expansion of the Latins and Romans over other ethinicities. In the South of Italy especially, due to the weather, it is more natural for an athlete to feel the need to get undress as soon as possible, and philosophers followed.” --   D. Di tutte adunque le società dei Mondo non fu ch'una ftetia l'origine , perchè tut te,giusta ilvostro avviso, nonsìmisero inpiè,nèsiformarono,fenonfecondo le diverse nécessità ,e bisogne degli uomini ; anzi intutte altresìsiebbe un isteffo fine perchè n o n si r i s g uardò ad altro, fenonal commodo, edutilecommune de socj.Ma quali fonolesocietàparticolari,chesareb berostatemainelMondoinufo,semante nuta si fofle ben falda , e ftabile la società Universale(A )? (A)Eglièfuordidubbio,chegliuo mini , essendo tutti in obbligo , ed in dovere d'amarsi u vicenda; el'unocomenon nato, persemedesimo,dovendononche alproprio anche all' altrui commodo badare , quando ciòtutto esattamenteosservavano,non veni yano a comporrecheuna societàuniversale inguisa cheniundieficonsiderarsenepotea aldi fuora ; Quindi divero io non  M. La  271 safidical'Eineccio, ilqualetuttoscaglian, dosicontroilPuffendorfio, che trattiavea,e deafai malamenge inferiti tuttigliobblighi, egliumani doveridella società,soggiugneto, jto ch'era uom tenutosoddisfara tuttiquegli che Uella ,ch'è la più vera,e la più saggia, Antichitàdel e lasola infallibile maestra dell'umanaGinnasioNa   II. Cosa fossero  prudenza si lasciarono in dietro digran lunga ogni al traNazione.Quindi,giustache scrive Dion Crisosto mo agli Alessandrini sull'autorità d'Anacarside , non vi fu Città dellaGrecia,che non avesse avuto ilsuo Gin nasio. Questo folo basta di presente supporre per farci sicuramente acredere,che Napoli(Città oggi dall'eterna divina provvidenza maravigliosamente fornitadi quanto in una ben nobile,e doviziosa potrebbe mai l'uom brą mare ;e sopra tutte l'altre ben culte Città dell'Europa, e per le scienze,e per l'armi,e per lo Erano presso deGreci questiGinnasj alcuni grandi, ftatiiGinnasie magnifici edifizj con ampj portici,e stanze d'ogni ca ondeveniferopacità,luoghi coverti,e scoverti,ombre,ed altrepref così deti: eso che infinite comodità,ove la gioventù ammaestravasi qual fosse la lor forma.Oppinio non meno nell'arte Ginnica , che nelle scienze , e nelle fa  paricelebre gran trafficodi )essendostata,come tutti fuor versia asseriscono,fondata diogni contro l'altre daGreci,ebbe anch'ella-come dellaGrecia ilsuoGinnasio finda'suoicominciamenti Infatti Strabone (1),che vise . che a'suoi altempo diAugusto,scrive, giorniquestacittà aveaancora tiche Greche costumanze molte dell'an ,come leCurie,le l'Efebeo,e altre dital Fratrie, fatta ; e con queste ebbe il Ginnasio ; né v'ha scrittore al tresì osi su questo muover di buon senno,che ombra di dubbio. e nedicolorochearti liberali;onde fotto uno stesso tetto venivano a c o m avuto illuogoprendersi, per così dire, due diverse Accademie proprio per le , e due Scuole,ribut ta varj, e diversi generi di Scuole , cioè : quelle dell'arte ta comefavolo- bellica , e quelle delle scienze , e delle belle lettere . E niodimoltiçe-perchè a coloro,che applicatieranoallaGinnica,eper lebriscritori.Io gran novero loro, e per gli esercizi, che far dovea > no, come il corso, la lotta, ilsalto,il pancrazio,ildi (1) Strab.1.s. fco,   . “γύμνοω”, det idioma, senza aggiugnimento d'altro, semplicemente O tiGinnasj.Perlaqual cosaalcuni nelprogressodeltem po non badando che al semplice suono del vocabolo , con cui chiamavansi, li credettero non per altro essere edificati,cheper un talmestiere:opi statiesiprima ,forseilprimo,CraffopressoCicero nione che portò la ne (2) , e tra gli altri , che in questi ultimi secoli sostennero fi furono Girolam o Mercuriale, e Pier L a però avendo per certo,per quel, che ne scri sena.Noi Ginnica non fu po ve Galeno a Trafibolo , che l'arte fta in voga nella Grecia , che alquanto prima dell'età di Platone (3) , e che in Grecia , come manifestamen te fi ravvisa nell'ingegnoso, ed ammirabile poema di visselungamente prima di quel cele Omero,ilqualee da molti celebri scrittori, come bre filosofante avanti lo Lino , Filamone , Tamiride , e altri fioriti stesso Omero, furonvị le Scuole delle belle lettere fi no da’primi tempi; stimiamo più ragionevole il credere, che s'introdussero i giuochi Ginnici, ed Atle che dopo fatto , che am . tici,iGreci altro allor nonavessero pliare que’medesimiedifizj,fattimolto tempo prima non per altro fine, che per le Scuole , e chiamatigli per le ragioni,chetestè noiaccennammo,Ginnasj:poichè Crasso steso, il quale fu il primo , come disimo, ed A2 inge sco, facea mestieri d'uno spazio maggiore , e asai più grande diquello,che bisognava percoloro,che istrụi vansi nell'arti liberali, e venivano per questo ad occu parę buona parte di tali edifizj; erano questi dal modo, con cui in es si faceansi quegli esercizj, cioè dalla voce Greca yújrow , che tanto vale quanto nudare ,nel nostro e . Cic.l.2. de orat. Apud Anson.Vandal differt. 8.de Gymnasiarcb.  ingenuamente egli anche lo attesta, a metter in campo u n sentimento a questo del tutto opposto ; parlando del suo tempo dà atutti a conoscere, che le pubbliche Scuole delle scienze non era allora in costume d'a prirsi inaltroluogo,che ne'Ginnasi;e cheper quanto egli si studialle, non potea in niun modo fisar in cui queste erano colà state erette.Ego aliomodo interpretor(diceegli)quiprimum Palæftram e sedesdeporticusetiamipsos,Catulé,Grecosexercita tionis, eg dele&tationis cauffa , non difputationis invenisse arbitror ; et sæculis multis ante Gymnasia inventa sunt , quaminhis Philofophigarrirecæperunt; hocipsotem porecumomnia Gymnasia Philosopbiteneanttamen eo rum auditores discum audire , quam Philofophum malunt & c. Per verità non v'era Ginnasio nella Grecia,in cui non vi fossero queste Scuole;cosileggiamo,che in Ate ne nel Cinofarge (4), il quale fu un Ginnasio eretto molto prima del tempo di Platone , eranvi tra l'altre Scuole, quelle della setta Cinica, dalle quali egli anche forse ebbe il nome , e nell'Accademia eravi l'udito rio di Platone (5) come nel Liceo quello d'Aristote le(6).Anzi accolto,ovvero al di dentro d'alcuni celebri Ginnasj trovavansi non meno delle Scuole,che delle fa mose,e celebriBiblioteche;come sappiamo diquello parimente in Atene , che avea dappresso la celebre Bi blioteca di Pisistrato, rammentata da San Girolamo,e da altri (7),e quello in Rodi, della cui celebre Biblio (4) Schol.Ariftoph.PaceXenophont.inHippar.Plutar.Symphofilovi11.q.iv.Suid. Pauf.in Artic. (7) Hieron.de Beat. Pompbil. martyr. ep. Ad Marcel.14.Gell. l.vi.c.17. Lucian. adverfus indo&um. Pauliin Atricis. Ifidor.orig.hiv1.3 . a  Р еросر (s) Suid.Pauf.in Attic.Schol.Ariftoph.ad Nubes ec. (6) Ammon.vit.Aristot.Plutarch.deexilio.Cicer.q.Tufcul.l.1.C.4. . teca parla Ateneo (8);é per questa stessa ragione forse, per cui sempre a'Ginnasj accoppiavansi le Scuole delle lettere, troviamo che molti valenti uomini , e dotti scrittori applicarono in molti luoghi delle lor opere q u e fto vocabolo , a significar non altro , che queste, quasi pereccellenza;essendo lostudiodelle scienze moltopiù nobile , e sublime di tutti gli esercizi ginnici. III.  . che ebbe una con quello nello stesso tempo le ScuolenideleScuole (8) Atben.Biblioth.l.1.dipnofoph.c.1. (9) Senec.epift.76. ut 0 1 , Suppostoadunque pervero,comeloèinfatti,Tenimonianza che Napoli,come CittàGreca,ebbe ilsuo Ginnasio findiSeneca,edi da'suoi primi principi,egli convien credere anchevero,triautoriLati > . di Napoli : delle bellelettere;senza lequali nella Grecia,comeScienzechevi abbiam detto , non si formava Ginnasio ; e certamente s'insegnarono; di queste , di cui è solo or noftro assunto il favellare ,vifiorirono. parlaSenecainuna suapistola(9),nellaquale,come dalle parole ,che poco fa da noi fi allegarono di Cras fo,con lui filagna presso Cicerone di que'giovani, che al meglio delle lorlezioni lasciavano ilormaestri nel le Scuole per correre frettoloji a veder il disco, la lot ta,eglialtriginniciesercizi;cosìeglifiduole forte mente col fuo Lucilio , che nelle Scuole della nostra Città vistoavea farcerchio a'Filofofi,giovani in nove romolto pochi alparagone di quelli, che a calca tra ftullavansi nel Teatro , il quale , come egli narra , era in questa Città non guari distante dello stesso Ginnasio: Pudet autem me generis humani.(scrive egli) Quoties Scho lam intravi,prater ipfum TheatrumNeapolitanum . Il fcis,transeundum eft, Metronactispetentibusdomum lud quidem farctum est: hoc ingenti studio , quis fit Pithaules bonus,judicatur.Habet tibicen quoqueGræcus   du præco concursum:at in ilo loco,in STAL  : quo ritur, inquovirbonusdiscitur,paucissimisedent;& bi plerisque videntur nibil boni negotii babere , quod agant, inepti cu inertes vocantur. i più nobili dellaCittà non isdegnavano neppurd'inviarviper tal finei proprifigliuoli;poichèegliscrive,chepor tatosi in Napoli con Antonio Giuliano,professor diRet torica uditovaveaungiovinettomoltoriccocum utriusque lingua magistris ( per valerci delle stesse sue p a role)meditans, exercensadcaul'asRomaorandaselo quentia latinafacultatem. Quanto allaFilosofia,ladot trina di Epicuro , la quale venne da'più dotti dell' an tichitàricevuta con applauso,e fu universalmente se guita da tutti que'grandi uomini del tempo d'Augu Ito; era quella , che in queste medesime Scuole avea maggior voga ; come par che si conobbe da una Iscri zione,che nel 1685.fi rinvenne in un Cimiterio fco verto nella Valle della Sanità , non guari distante da quella Chiesa (11) sopra alcune urne,che state erano per quel che n'appariva , di Epicurei ; poichè in alcune di quelle vedeası il nome di alcuni celebri filosofanti di questasetta,scritti conGreci caratteri,einalcune altre con caratteriLatinileggevasi;manonbene,eoscuramente: E come apprendiamo da Gellio,che fa anche di questo Ginnasio onorata memoranza> vir bonusque . 3 DELLA e fiori alquanto dopo Seneca; al suo tempo in questeScuole nell'istessa guisa, che in quelle del Ginnasio di Cartagine ramme morato da molti Autori (10),s'istruivano igiovani non meno nellescienze,chenellelingue;eipiù (10) Salvion.1.7.Hieron.inCatbalog.ccap.3.JoneProph.Aug.1.2.conf.c.3.6.6.0.7, fc.8.l.s.c.8. (11) Celan.Giorn.3.dellenotiziediNap.  12STALLIVS.GAIVS.SEDES HAVRANVS.TVETVR EX EPICVREIO.GAVDI.VIGENTE CHORO Quindi tra' maestri , che in tali Scuole insegnarono le lettere umane , e le lingue , fi conta Stazio Papinio nativo diSilta,Città dell'Epiro,che fiorì circa al tem po dell'Imperadore Domiziano;padre di Publio Stazio; il quale , come dal costui poema fi ravvisa (12) espose in queste Scuole l'opere de'più celebri poeti Greci, co meOmero,Efiodo,Teocrito,ed altridiquesto gene re;etracoloro,chev'insegnaronolescienze filosofi che, deve annoverarsi senza dubbio quel Metronatte,di cui, come prima abbiam fatto vedere, fa motto Seneca; e fimorì molto giovine,che glifu contemporaneo,co me questi medesimo attestainun'altra pistola diretta al lo stesso fuo Lucilio (13);e febbene degli altrimaestri, e professori, che vi furono in questi, o in altri più anti chi tempi,dato non ci siaora di tesser un ben lungo,e distinto catalogo , poichè i lumi , e le memorie della Storia totalmente ci mancano ; non però egli è certo , che essi furono tutti di tanto sapere adorni,e di sì rara dottrina,che abbondando perciò laCittà digiovani let terati venneellada'Romaniconcordementenoncon altro titolo chiamata , che di dotta, e ftudiofa ; e così per tralasciar degli altri,che cið fecero (14) Columella in parlando di Napoli , non con altro epiteto nominol la>,che con questo: Doftaque Parthenope, Sebethide roscida lympha. E'l medesimo fece anche Marziale col seguente verso: bi ܕ di 00 .1 >1 li al  (12) Papir.Star.flvar.s.epiced.inpatr. (13) Senec.ep.93. Er (14) Oras.Epod.adCanid.Sil.Italib.12.Stor.l.3.Syluar.Ovid.Metamorpb.is.  Napoli,quanto Illo Virgilium me tempore dulcis alebat mente cari; ond'è,che niuna altra Città più della loro Costantino.Sen.ritroviam nellaStoria,che avessero eglinofino nel cadi li,chevogliomentodellorImperio maggiormentefrequentata;equel no,averTitalisopratuttolafrequentavano,se vogliam prestarfe in rifateleScuo-de aStrabone (16) che impiegavano ilpiù del lor tem le,con allega re'inpruovailpo allostudio delle lettere,edelle scienze. marmo,cheog  Et quas d o &t a Neapolis creavit. Anzi Virgilio e riguardo scienze Parthenope, studiisflorentem ignobilis oci. E tra perquelto conto iNapoletani,e per laGin > comebenrifletteilBemboinunasua pistola (15), fu mandato , e mantenuto da Augusto in questa Città a proprie spese per farvi i suoi studj. E in fat ti nella prima Egloga de' Buccolici, scrit ti anche in Napoli , egli riporta a' favori di quel Principe il suo Napoletano ozio,cioè,studioconquelleparole:Deus nobis hæc otia fecit. E confessa nella fine de'Georgici, che : che visicolei nica , la quale nel si . lor Ginnasio esercitavanoanche con vavanofofefta-somma diligenza e con tutta la magnificenza del Mon ta frequentata da'Romani;edo,divennero universalmente agli stesiRomani somma anche dagl'Im peradori fino a gi fi conserva Quindi Lucilio,che fu ilprimo tra’Latini a scrive fopra lafontere delleSatire,non solo visse,ma anche morir volle tra' .An nunziata;mo:Napoletani, comeattefta Quintiliano(17),eCicerone,il strato falso ; e quale v’ebbe anche un'abitazione(18)eVirgilio,dicui di che propria mente in efoabbiam favellato, Orazio , Livio , Marziale , Silio Ita fac cialimenzio-lico , Claudiano , e tutti gli altri tra gli antichi , ne mar che morapportatomercè dellor saperelasciaronoa'posteriillornome im in cuilafenzamortale,abitarono inNapoli perpiù tempo (19); anzi dubbio fi parla delle Scuole . molti (15) Bemb.vol.1.1.2.lett.27. (16) Strab.l.3.infin. (17) Quintil.l.10. (18) Cicer.l.8.ep.famil. (19) Crinit.de Poet.Latin.Philoftr.Icon.Sil.Ital.lib.12. IV. per  9 molti,come dal Poeta Archia narra Cicerone (20) brama rono ben' anche di esservi ricevuti per Cittadini ; cosa, che iGreci non erano molto larghi a concedere;feb bene su ciò non tuttiusassero lastesamoderazione:(21) Ma non menode'privatiCittadiniRomani,visita rono questa nostra Città glistesiImperadori ; poichè sal vo Celare,ilquale,comescrisseCicerone(22)inalcun tempo ebbe a sdegno i Napoletani, forse perchè infer matosi fra esi Pompeo nelprincipio della lor guerra, glimostrarono,come scrivePlutarco,moltisegnid'af fezione (23 ) , gli altri tutti fino a Costantino , lebbero p e r le ftese ragionianche molto cari : così che eglino molte prerogativen'ottennero(24).Ilperchè Tito ,chesuccef se a Vespasiano circa l'anno 79..dell'era Cristiana, essendo pe'violenti tremuoti accaduti al suo tempo , a cagione di unobengrandeincendiodelMonte Vesuvio(25)rovinati molti luoghi vicini ;e traquelli ,come scrivonoalcuni de'noftri Storici,in Napoli anche il Ginnasio :egli pose ogni studio per farlo con pubblico danajo ristorare : e c o munalmente fivuole,chediquestofattonefacciaanche oggi giorno una chiara, e certa testimonianza quella Gre. eLatina Inscrizione, la qualetuttaviaravvisiamoin questa città in un marmo elevato nel muro della Fonta na dell'Annunziata , ch'è la seguente , riferita anche dal Grutero(26),non cheda tuttiinostri Istorici(27),li quali vogliono, che in essa fi faccia parimente una espressa memoria dellescuole,ch'esistevanonelGinnasio.  " 100 Jens 1 CI, 22 > 1 00 TO са, fuz a . B (20) Cic.proArchia. (21) Ezechiel. Spanhem. Orb. Roman. (22) Cic. Ad Attic.l.10. ep.11. (23) Plutar.inPomp. (24) V.l'AutordellaStor. Civil.delRegn.l.1.C.4. (25) Sueton.in Tit. cap.12.b.i. (20) Gruter.pag.173.Infcript.oper.& locor.publicor. (27) Capacc.ift.l.1.c.18.Bened. di Falco Antich. Di Nap.&c. TI   -ΙΤΟΣ -ΚΑΙΣΑΡ ΕΣΠΑΣΙΑΝΟΣ: ΣΕΒΑΣΤΟΣ . ΚΗΣ ΕΞΟΥΣΙΑΣ• ΤΟΙ OE ·TIIATOE ·TO :H :TEIMHTHE OETHEAE·TOT: TYMNASIAPXHEAE ΥΜΠΕΣΟΝΤΑ •ΑΠΟΚΑΤΕΣΤΗΣΕΝ NI ·F ·VESPASIANVS ·A V G .COS.VIII.CENSOR.P. P. IBVS .CONLAPSA ·RESTITVIT Ma senza che quì noi ci distendiamo molto nepo co in far riflettere agli abbagli, ed agli errori, che co munalmente han preso tutti nella sposizione di questo marmo ; basta, che con qualche diligenza per uom si legga , per dubitare se in esso si tratti del Ginnasio ; o v ver più tosto dell'antiche Terme , come più probabil cosa essercrediamo, nel fito delle quali eglifu trovato ; ed ; il numero delpiù,il quale si vede in esso adoperato a notare gli edifizj rifatti per ordine di Tito ,par che troppo chiaramente lo ci additi ; nè per qualunque ftu dio vi fi faccia, potrà mai scorgervisi parola, che colle Scuole, o cogli esercizj letterarj abbia coerenza ; onde quanto su ciò fi dice sono tutte pure,e prette immagi nazioni de'nostri; egli v'ha però un altro marmo rife rito dal Capaccio (26), ove espressamente leggasi: SCHOLAM. CVM. STATVIS ET IMAGINIBVS  ORNAMENTISQVE. OMNIBVS SVA: IMPENSA FECIT (26) Capacc. Ift. tom.I.h.1.6.18. . E per   .I. 11 E perverità ebberoi Greciin costume di adornardi statue, e d'immagini ilor Ginnasj,con riporre quellede più celebriAtleti,edicoloro, chesieranopiùnella Ginnicą refi immortali,ne'luoghi, ove l'arte esercitava si;e quellede’gran Filosofi nelleScuole;come del Gin nasio diTolommeo celebre inAtene narraPausania(27) Per la qual cosa se non a Tito , sicuramente ad Adria no , che nell'anno 117. dell'Era volgare successe nell Imperio a Trajano;di quanto narrafi in questo marmo convien darsi il vanto:poichè questo Imperadore, come scrive Sparziano (28) inomnibus pæne urbibus,com aliquid ædificavit,o ludosedidit:efucotantoamatoda'Na poletani, che volontariamente lo elessero Demarco; ch' è quanto dire Pretore dellalor Repubblica ; come prug va il Reinesio (29) contro il Capaccio ,ed altri,che cre dettero esser questo un Magistrato:Greco;avendo avuto le colonie a fomiglianza diRoma parimente un talMa giftrato. Orciðne fachiaramenteconoscere,cheilGin nasio, e le Scuole in Napoli furono ugualmente celebridiquesteScuo non meno prima, chedopo che questa città fi:sottolefinoaCostan mise aldominio de Romani; poichè febbene i Napole tanidall'anno1428.diRoma,come sostienetraglial triilReinefio (30)finoad Augufto,edanche molto tem po dopo , toltone il tributo , che pagavano a'Romani, effendo ftati trattati da quelli con ogni piacevolezza,ed. amore ,e reputati amici anzi, che soggetti ; fossero stati dopocircail tempo di Tito,o diVespasiano,se si vuol credere al Caracciolo, ridotti in forma di Colonia, (27) PaulinAttic. Cic.definib.l.s. (28) Spart.in Adrian.cap.20. (29) Reinef.var.le&t.l.3.0.13. (30) LoMeliovariar,bection6.3.6.16 20 CO ) 210 eto 7h OV V. Continuazione CIT per col ied che cole :ftu. onde magi 0 rife : e refi B 2 Cih   e refi più soggetti,preso avessero a dismettere gli antichi Greci inftituti;tutta volta seguirono pur eglino,come manifestamentedaquantoabbiam dettoappare,adeser citarsi nella Ginnica , e tener te loro Scuole ben ordi nate ; con mantenervi ottimi professori in ogni genere di scienze. Ma inqualeregionedellanostraCittàsituatofosse le,edelGinna-questo Ginnasio,molto'vario è il sentimentodegli Au tori. Alcuni credettero, che le Scuole state foffero ove nel corso degli anni edificosi la Chiela di S.Andrea (31); non però questa oppinione quanto sia folle, e vana di leggieri si mostra ;poichè o fi vuole , che queste Scuo le fossero divise dal Ginnasio;e ciò quanto sia lungi dal (31) Summon.  le cole che di sopra abbiam detto,bastante mente lo appalesano; o fivuol credere,che queste era no , come in fatti furono,accoppiate,ed unite, anzi in corporate con quello ; e gianımai fi verrà a moftrare esservi in tal luogo apparse vestigia di tali edifizj. E' ben vero,che essisupposero laddove fuinappresso eret to ilCollegio de'RR.PadriGesuiti,vifossestatoun altro Teatro , diverso da quello , che di sopra divisam mo; maquestoanchequantosiainverisimile,anzi im possibile chiaramente appare da quel che in tutti i noftri İftoricisilegge;come dire:che Napoliatempopari mente diRuggiero Normanno dopovarj,ediversiac crescimenti diedifizj,ediabitanti,nonera,che'una Cittàmoltopicciola,etale,chefattadaquelRemi. surare , non li rinvenne il fuo giro maggiore, che di 2363.pallil;onde ove:mai figurarvifivoglianotanti diversi Teatri, e Ginnasi di quella magnificenza,ed a m piezza , ch'era solito dagli antichi edificarsi, non po trem VI. SitodelleScuo vero ,   tremmo mai concepire; senza che in sì picciolo spazio non vi farebbe rimasto luogo per abitarvi. ; seguentefillogismo:Appare eglidicono da Platone,che: il luogo proprio per liGinnasj esserdebba ilmezzo della Gittà:aveano questi,secondogliantichi,ilpiùdappresso leTerme;ecome sideduce da Stazio nelGinnasio de'Na poletani eraviun TempiodedicatoadErcole:orduppo Ito, che in Napoli il Ginnasio occupasse questaregione, veniva egli ad aver tutto ciò;perchè ella quafiil mez: zo occupava dell'antica Città;avea nel suo distretto le  chi IK er qual sopra tutti ik prese a difenderla,avendo preso,a scris vere di questo Ginnasio , che per la morte sopraggiun tagli,non potèterminare;fiappoggianodeltuttosul 13 Altri all'incontro furono di parere , che il Ginna fro occupasse propriamente quellaregione della Città,la quale per le Terme,ch'erano nelsuo distretto,chiamof fi Termenfe ;e si vede anche dagli antichi scrittori chia mata Erculense , come chiamolla S. Gregorio nelle fue pistole(32)perloTempio,cheiviancheera inonor di Ercole oveoggièlaCappelladettaS.M.adErcole e dopo fu chiamata,comeparimente or fichiama,di Forcella;non già come vogliono alcuni,ch'è troppo follia il credere dallaScuoladi Pittagora,che quivi era, la qualeavea per insegna la lettera biforcata Y ;ma si bene , giusta che fu il sentimento de'più favj, da un antico Seggio, il quale facea per avventura per sua im-. prela,queltalettera,che finoggimiriamoscolpitain un antico marmo sopra la portadella Chiesa Parrocchia ledi S.Maria a Piazza;e diede ilnome a tutto il quar . tiere.Quegli,che'fifostengono inquesta oppinione, come sivede da quel dotto libro, che Pier Lalena, 1 (32) S.Gregor.ep.59.fol.116 Terme ,   Terme,ed un Tempio ancora consecrato ad Ercole;dun que, eglino conchiudono,deve credersi di necessità, che questo così fosse.Pur tutta volta,posto che Platone non parli di quel che in fatti costumavasi nella Grecia al fuo tempo , ma soltanto di quel che bramava , che fi costumasse;poichè sappiamo per certo,che tutti iGin nasj eretti erano fuora delle porte della Città, o a can to a quelle , come lungamente pruova Meursio , e tutti gli altri, che dottamente hanno le cose deGreci co'lo roscrittiillustrato;e perchèleTerme esserpotevano, come realmente erano, secondo che or ora diremo, an che in altriluoghi di Napoli , e cosi pure il Tempio in onor di Ercole , il quale ove fifuppone accoppiato al Ginnafio,figurar non fideve moltoampio,e magni fico, ma per ben picciolo,e come un nostro Oratorio , o Cappella;nècreder,chequestofossestatosolo,ma con esso insieme congiunti,o dentro lo stesso ben molti altridellamedesima formaerettiinonordiMercurio,di Apollo ,di Cupido , e di altro Dio di questo genere ,( . , del Teatro, e Somma piazza . E per verità quiviiveg gonfi! ancheoggienellecase,chediciamodell'Anti caglia , e in tutta quella vicinanza , ove dopo fu eret: to il Tempio in onor de'Principi degli Apostoli S. Pie tro , e Paolo infino al vicolo della Porta piccola della Chiesa della Vergine Avvocata,volgarmente detta l'A nime del Purgatorio, infiniti pezzi d'opera laterizia, e condo costume era di farsi universalmente da Greci ne' Ginnasj;devequestosentimentoanche con tutta ragio ne: ributtarfi. più koNon pochifinalmentecontesero,eforsecon saldo giudizio,econ maggior fondamento,che ilGinna fio ,e 'l Teatro stati fossero in questa Città in una stes fa ,verso quella contrada,che anticamente dicevasi saparte fe $ 5 1  15 secolo, quella di Berito (35) e quella di Costantinopoli eretta teflandrini;te del pra (33) Viil Celan. notiz. di Nap. Giorn,2. (34) V.Plutar.inopusc.viramepicur.noneffebeatam.Strab.l.s.& 17.Philoftr.inPo lemon.pag.532. Spartian. In Adrian. cap.20. Sueton.in vit. Claud. Gronov. dissertat.deMuseo. (35) Juftinian. Conftitut. Ad Anteceffores $.7.6 Dioclet.h.n.c.quietate velprofeffione fe excufat.6 l.10.c.eod. (36) V.l'AutordellaStor.CiviledelRegnol.s.  dur NON Comunque però ciò sia,rientrando in nostro sen tiero;dopo che Costantino trasferì laSede dell'ImperiodeleScuolede nellanuova suaCittà,non vihadubbio,ch'egli,echedopotraj . Lita 1 10 ove crediamo noi essere stato il Ginnasio , viene ad essere per avven tura fuor delle mura ,ovvero accanto a quelle. VII. Continuazione quelli, che lo seguirono, tralasciaffero perla lorlonta-dpeolrl'taItmapelraifoede nanza, di frequentar Napoli a l l a g u i s a, che i l o r a n t e - Costantinopoli. ceffori avean fatto; e che perciò venne ella anche me- Womenerico da no da'privatiCittadiniRomani frequentata;ma nonpertempodiNero questo il suo Ginnasio fcemò dipregio :erano allora in letani,eglio an di marmi Orientali di una maravigliosa bellezza,in gui fa , che in niuna altra parte di Napoli se ne rinvenga tanta copia ; e vi si discuoprono parimente le vestigia d'alcuni edifizj, che pajono non aver fervito , che per leTerme (34).Questo sentimento vien confermato oltre modo non solo da quelche scriveSeneca a Lucilio,che come di sopra abbiam riferito,suppone in fatti ilGin nasioaccanto alTeatro;ma benanchedalcostume di giàricevutonellaGrecia,ilqualecome testédanoi notossi, era d 'erigere questi Ginnasj fuora , o vicino le 1 porte della Città; poichè comunque tra levarie op 0 pinionide'scrittorifisupponga,che fosseilsitodell' anticaNapoli,questo luogo veramente Oriente le scienze in un molto sublime grado;per tro-rientali,accre varsi inmoltiluoghidellefamoseUniversitàdegliStudj,etonelIV.eV. delle celebri Academie , di cuiquella d’Alessandria (34) CoʻLeteratiA stimonianza dal medesimo Costantino il Grande (36) portavano 10-fa S. Agoftino bilito netrai Napo 3 ita   qual cosamoltidiquesti, ed egli altri Orientalisoprattutto in questi tempi, ne'quali trovandosi la Sede dell'Imperio in Costantinopoli; rela era la‘nostra Città a quella fu bordinata , capitando continuamente in essa; questo gran cambiamento delle cose non solo non apportò niuno im pedimento allaletteratura Napoletana;ma moffii Na poletani dall'emulazione di superar gli Orientali , che è troppo naturale tra gli uomini,egli è incredibilequarto maggiormente ella fosse venuta ad accrescerli. Ciò tanto è vero, che anche nel V. secolofiori vano perciò in queste Scuole mirabilmente le scienze; e vi fioriva soprattutto lo studio dell'eloquenza , come attesta S. Agostino , che allora altresì ,vivea : perchè scrivendo egli contro gli APaolino. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Paolino” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740689183/in/datetaken/

 

Grice e Papi – la scuola di Milano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo. rice: “Papi’s ‘parola incantata’ is ambiguous, as ‘charmed word’ is, “Apriti Sesamo” is Two words, and they charm, they are not charmed! “Abracadabra” may be different!” -- essential Italian philosopher.  Studia a Milano e Stresa. Insegna a Pavia. Politicamente attivo nella corrente lombardiana del partito socialista italianoI, segue un percorso che lo ve varcare le porte del Parlamento ed assumere la vice-direzione e poi la direzione dell'Avanti! Sospettando un aumento del tenore affaristico nella politica così come lui stesso dichiara in un'intervista abbandona bruscamente la filosofia e si dedica alla filosofia. Fonda “Oltrecorrente”. Saggi: “Filosofie e società. Marx risponde a Veca, prende le distanze da Engels e rende omaggio a Papi.  E’ questa un delitto clamoroso che tenne le cronache dell’epoca deste anche per lo spessore di chi lo compì: Francesco Starace assassino evasore e falsario. Cugino del gerarca fascista Achille Starace.  Il 5 febbraio 1940 l’ing. Giovanni Castelli, 32 anni, di Busto Arsizio, industriale in maglieria, vedovo e padre di un bambino, si recò a Milano. Ma la notte non rincasò. Il giorno successivo giunge ai familiari un telegramma nel quale il Castelli li informava che andava a Bologna per affari. Il telegramma era firmato Giovanni, mentre per solito il Castelli si sottoscriveva Gianni. Questo particolare e la mancanza di altre notizie indussero il padre del Castelli a recarsi a Milano per rivolgersi alla polizia. Venne accertato che il telegramma era falso. Del Castelli nessuna traccia. Il 9 febbraio Maria Mazzocchi, (1), venne mandata dal suo convivente Francesco Starace (2) a ritirate un ombrello che aveva dimenticato al Miralago, la Venezia dei Milanesi, in via Ronchi 24. Il custode la fece entrare, considerato che l’inverno il Miralago era chiuso al pubblico. La Mazzocchi recatasi nel locale indicatole dallo Starace trovò il corpo di un uomo morto riverso sul pavimento: era il Castelli. Aperta l’inchiesta e identificata la vittima emerse che la stessa era conosciuta agli Starace perchè frequentava il Miralago.   La pubblicità del Miralago in piazzale Loreto, all’inizio di via Porpora  Ma non solo. Francesco Starace e Giovanni Castelli si frequentavano perchè avevano un’amicizia in comune: Lidia Biasin. Lo Starace aveva avuto rapporti con lei ancora sedicenne e il Castelli la concupì in un boschetto del Miralago: Lidia li aveva fatti incontrare perché entrambi, all’epoca, erano nel ramo maglieria. Lo Starace, ormai fallito, doveva 12.000 lire al Castelli. Nelle more dell’inchiesta – secondo la ricostruzione fattane dallo Starace – lo stesso avrebbe invitato il Castelli al Miralago per ricordargli le sue condotte nei confronti della Biasin e che per questo doveva pagare. La ricattatoria pretesa degenerò in una colluttazione che ebbe come suggello l’esplosione di due colpi di pistola sparati dallo Starace contro il Castelli. Caso volle che alla scena iniziale assistette il garzone di un lattaio che indicò di avere udito anche degli spari. L’arma era in dotazione in un cassetto del locale ristorante. Ma oltre ad essere accusato di omicidio lo Starace derubò la vittima del portafogli, dell’anello, di una penna stilografica in oro tanto che nè il denaro – il Castelli doveva avere con sé almeno 10.000 lire – nè gli oggetti di valore furono mai trovati. Da subito lo Starace sostenne che la sottrazione di tali oggetti era stata fatta per creare l’apparenza di una rapina ciò non di meno fu accusato di rapina In Assise i legali di Francesco Starace cercarono di ottenere l’infermità mentale dell’assistito con l’aiuto di tre dottori: il dott. Moretti Foggia aveva avuto in cura un fratello dello Starace per paralisi infantile; il prof. Medea ebbe in cura uno zio dell’imputato affetto da una grave forma di deperimento nervoso; il prof. Pini curava una zia dell’accusato affetta da psicosi malinconica. Nessuno degli avvocati della difesa, stranamente, parlò del più noto dei parenti dell’inquisito: quell’Achille Starace ormai caduto in disgrazia anche agli occhi di Mussolini. La Corte respinse le tesi dei luminari volta a sostenere una certa propensione patologica nella stirpe dello Starace e inflisse all’imputato 30 anni di carcere. Inviato a Roma per espiare la pena lo Starace, dopo il 25 luglio 1943, offrì la sua collaborazione ai tedeschi e riuscì a ottenere la libertà. In carcere era entrato in contatto con alcuni falsari. Ricercato perché aveva intrapreso la remunerativa attività in Riviera venne arrestato a Milano per essere tradotto a Genova. Ma mentre veniva condotto a Genova ammorbidì la sorveglianza di uno dei custodi con un bel po’ di milioni, ritrovandosi di nuovo libero. Subito strinse relazioni con gente  che tra il maggio 1945 all’ottobre del 1946 riuscì a spacciare circa 8 milioni di AM-lire, in biglietti da 1000, nonché carte annonarie italiane e svizzere, clichés per la stampa di biglietti da 100 lire.  Il 19 ottobre 1946 il nuovo Corriere della Sera titolava a pag. 2   Era la prima volta che il giornale faceva esplicito riferimento a una consanguineità tra Francesco Starace e Achille Starace. Addirittura si dilungò oltre a indicare che nella stamperia erano stato trovato materiale copioso tra   Nel 1949 allo Starace fu inflitta una pena di 22 anni, per l’attività di falsario. Ma tale condanna non ebbe effetto poiché, in sede di esecuzione,  gli fu computata la pena più grave comminatagli per il delitto del Miralago.1) Maria Mazzocchi, separata, fu impiegata come cassiera da Francesco Starace, allora caposala del Motta di piazza Duomo. A seguito del verificarsi di frequenti ammanchi di cassa, dei quali fu sospettato lo Starace, furono entrambi licenziati. 2) Francesco Starace, nato nel 1906 a Napoli, ex caposala del Motta di piazza Duomo, e figlio di Germano Starace gestore del Miralago. Separato. Dopo essere stato licenziato dalla Motta il padre gli aprì una bottiglieria ma abbandonò il negozio per impiantare un’industria di maglieria.  “La parola incantata”. Fulvio Papi. Papi. Keywords: il fascismo, il veintennio fascismo, filosofi fascisti, enciclopedia di filosofia, filosofia e societa, la scuola di Milano, fascismo, Giordano Bruno, fRefs.: Luigi Speranza, “Grice e Papi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740417896/in/datetaken/

 

Grice e Pareyson – implicare ed interpretare – liberalismo, risorgimento, fascismo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piasco). Filosofo. Linceo. Nato da genitori entrambi originari della Valle d'Aosta, si laureò a Torino con una tesi dal titolo “Esistenza” – su Jaspers, che poi venne pubblicata all'editore Loffredo di Napoli. Compì spesso viaggi di studio in Francia e in Germania, dove ebbe modo di conoscere personalmente Maritain, Jaspers eHeidegger. Si fece notare dai più importanti filosofi del tempo, tra i quali Gentile. Allievo di  Solari e Guzzo, dopo aver seguito in Germania i corsi di Jaspers, insegnò filosofia al Ginnasio Liceo Camillo Benso di Cavour di Torino e al liceo di Cuneo, dove ebbe come allievi alcuni futuri esponenti della Resistenza italiana, tra i quali Revelli e Vivanti. Fu arrestato per alcuni giorni, in seguito agì egli stesso nella Resistenza, insieme con Bobbio, Ferrero, Galimberti e Chiodi, continuando a pubblicare anonimamente articoli.  Nel dopoguerra insegnò al Gioberti e in vari atenei tra cui Pavia e Torino dove, conseguito l'ordinariato. Fu accademico dei Lincei e membro dell'Institut international de philosophie, oltre che direttore della Rivista di estetica, succedendo a Stefanini che la fondò  a Padova. Ebbe molti allievi, fra cui Eco, Vattimo,  Tomatis, Perniola, Givone, Riconda, Marconi,  Massimino, Ravera, Perone, Ciancio, Pagano, Magris e Zanone, segretario del Partito Liberale Italiano, ministro della Repubblica e sindaco di Torino. Considerato tra i maggiori filosofi  del XX secolo, assieme a Abbagnano fu tra i primi a far conoscere l'esistenzialismo, facente capo principalmente ad Heidegger e Jaspers, e a riconoscersi in questa visione (La filosofia dell'esistenza e Jaspers), in un quadro dominato dal neo-idealismo. Si dedicò anche a dare una nuova interpretazione dell'idealismo  non più in chiave hegeliana (Fichte), individuando in Schelling un precursore a cui l'esistenzialismo doveva la propria ascendenza, sostenendo che «gli esistenzialisti autentici, i soli veramente degni del nome, Heidegger, Jaspers e Marcel, si sono richiamati a Schelling o hanno inteso fare i conti con lui L’'esistenzialismo anda ripreso in chiave ermeneutica. Considera la verità non un dato oggettivo ma come interpretazione del singolo, che richiede una responsabilità soggettiva. Chiama la propria posizione personalismo ontologico. Si è dedicato anche a ricerche storiografiche, individuando nella filosofia post-hegeliana due correnti, riconducibili rispettivamente a  Kierkegaard e a Feuerbach, e che sarebbero sfociate rispettivamente nell'esistenzialismo e nel marxismo.  Il suo percorso filosofico ha attraversato principalmente tre fasi:  una più propriamente esistenzialista, attestata cioè su un esistenzialismo personalistico, in dialogo con Kierkegaard, che riconosca come la comprensione di sé stessi è resa possibile solo dalla propria relazione con l'Altro; una seconda incentrata sull'ermeneutica, ossia nel farsi strumento di interpretazione della verità, volgendosi ad una comprensione ontologica delle condizioni inesauribili dell'esistenza, che ripercorrendo Heidegger si tramuta da angoscia del nulla in ascolto dell'Essere; l'ultima che si richiama a un'ontologia della libertà, più vicina a Schelling, ritenuto un filosofo talmente attuale da essere persino post-heideggeriano, la cui interpretazione può essere innovata a partire da Heidegger proprio perché Heidegger ha avuto Schelling all'origine del suo pensiero. Rreinterpreta le tre fasi del suo pensiero alla luce del passaggio dalla filosofia negativa a quella positiva di Schelling, ossia il momento in cui la ragione, prendendo atto della propria nullità, si apriva allo stupore dell'estasi, in una maniera non necessaria né automatica, bensì fondata su una libertà che non esclude tuttavia la continuità. Solo ammettendo questa libertà si può approdare da una filosofia puramente critica, negativa, ad una comprensione dell'esistenza reale, oltre che della possibilità del male e della sofferenza. Il discorso sulla negatività non sarebbe affatto completo se non si parlasse della sofferenza, ma dato che la sofferenza è non solo negatività, ma è una tale svolta nella realtà che capovolge il negativo in positivo, questo fa già parte di quella tragedia cosmo-te-andrica – cosmos, theios, aner -- che è la vicenda universale. Migliorini et al., Scheda sul lemma "Pareyson", in Dizionario d'ortografia e di pronunzia, Rai Eri, Per gli accenni biografici di questa sezione, si veda Vattimo, Dizionario Biografico degli Italiani, come anche labiografia presente in centrostu di pareyson Home.html  Luciano Regolo, A Torino Gadamer ricorda Pareyson, Repubblica, Cfr. Schelling, in «Grande antologia filosofica», Milano, Marzorati, Palma Sgreccia, Una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano. Offrì un'interpretazione del proprio percorso filosofico nell'iEsistenza e persona. Tomatis; “Escatologia della negazione” (Roma, Città Nuova. cit. in: Roselena Di Napoli, Il male – cf. Grice, “ill-will” --. Roma, Gregoriana, F. Tomatis. Altri saggi: “La filosofia dell'esistenza” (Napoli, Loffredo); “L’esistenzialismo” (Firenze, Sansoni); “Esistenza e persona” (Torino, Taylor); “L'estetica idealista del fascismo” (Torino, Filosofia); “Fichte, Torino, Edizioni di «Filosofia); “Estetica. Teoria della formatività, Torino, Filosofia); “Teoria dell'arte, Milano, Marzorati, I problemi dell'estetica, Milano, Marzorati); “Conversazioni di estetica, Milano, Mursia, Il pensiero etico” (Torino, Einaudi); “Verità e interpretazione, Milano, Mursia); “L'esperienza artistica, Milano, Marzorati,  Schelling, in Grande antologia filosofica, Milano, Marzorati); “Filosofia, romanzo ed esperienza religiosa, Torino, Einaudi, La filosofia e il problema del male, in Annuario filosofico, Filosofia dell'interpretazione, Torino, Rosenberg); Kierkegaard e Pascal, Sergio Givone, Milano, Mursia); “Filosofia della libertà, Genova, Melangolo); Ontologia della libertà. Il male e la sofferenza, Torino, Einaudi. Le "Opere complete" sono pubblicate a cura del "Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson", Mursia, Milano.  Interviste principali Se muore il Dio della filosofia, Ciro Sbailò, “Il Sabato”, anno Io, filosofo della libertà, Roberto Righetto, “Avvenire” Mario Perniola, "Un'estetica dell'eccesso: Luigi Pareyson", in Rivista di Estetica, Alberto Rosso, Ermeneutica come ontologia della libertà. Studio sulla teoria dell'interpretazione di Luigi Pareyson, Milano, Vita e Pensiero, Francesco Russo, Esistenza e libertà. Il pensiero di Luigi Pareyson, Roma, A. Armando Editore, Furnari, I sentieri della libertà. Milano, Guerini e associati, Chiara, L'iniziativa. Genova, il melangolo, Ciglia, Ermeneutica e libertà, Roma, Bulzoni Editore, Tomatis, Ontologia del male, Roma, Città Nuova Editrice, Ciancio, L’esistenzialismo, Milano, Mursia Editore, FTomatis,  pareysoniana, Torino, Trauben Edizioni, Les Cent du Millénaire, Aosta, Counseil régional de la Vallée d'Aoste & Musumeci Éditeur, Ermenegildo Conti, La verità nell'interpretazione. L'ontologia ermeneutica, Torino, Trauben Edizioni,  Pareyson. Vita, filosofia,, Brescia, Editrice Morcelliana,  Musaio, Interpretare la persona. Sollecitazioni. Brescia, Editrice La Scuola, Palma Sgreccia, Una filosofia della libertà e della sofferenza, Milano, Vita e Pensiero, Paolo Diego Bubbio, Piero Coda, L'esistenza e il logos. Filosofia, esperienza religiosa, rivelazione, Roma, Città Nuova Editrice, Gianpaolo Bartoli, Filosofia del diritto come ontologia della libertà. Formatività giuridica e personalità della relazione, Roma, Nuova Cultura, Santi Lo Giudice, "Verità e interpretazione,” Atti dell'Accademia peloritana dei Pericolanti, TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  Opere openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere Dizionario di filosofia Centro studi filosofico-religiosi "Luigi Pareyson" Pubblicazioni e  critica Centro studi filosofico-religiosi orino. vita e pensiero Gianmario Lucini, sito "filosofico.net". Pareyson. Keywords: implicare ed interpretare, “Liberalismo, risorgimento, fascismo” – la filosofia politica fascista, la morale fascista, Pareyson e Gentile, fascismo, I saggi anonimi di Pareyson, ‘Liberalismo, risorgimento, fascismo’ ----  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pareyson” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740386631/in/datetaken/

 

Grice e Parinetto – implicatura ed alchimia – la bucca del culo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Grice: “Parinetto implicates, “Are witches women?” “Sono donne le streghe?” Grice: “The question may be rhetorical but it ain’t – since Italian allows for “lo strego,” and “lo stregone.”” Ha insegnato a Milano. Nella sua opera convergono tanto lo studio delle filosofie orientali (fu traduttore del Tao Te Ching di Lao Tzu) che influenze di pensatori sia classici, come (Eraclito, Nietzsche e Marx), sia contemporanei della filosofia occidentale, quali Deleuze e Guattari. È considerato uno degli interpreti eterodossi del marxismo. Particolarmente importanti sono state le sue analisi sulle persecuzioni dei movimenti ereticali e sulla stregoneria, nella cui repressione legge il tentativo di annichilimento di qualsiasi diversità sociale da parte del potere (non solo religioso ma anche economico e culturale). Ha contribuito, spesso, con queste sue analisi, alla comprensione dell'emarginazione di tutte le istanze sociali e culturali minoritarie, non solo del passato ma anche contemporanee. Altro tema centrale dell'opera è l'alchimia, intesa come sapere contrapposto alla scienza moderna e volto alla trasformazione dell'umano anziché del sociale. Ha anche una profonda cultura musicale, tanto da essere stato collaboratore di “L'Eco di Brescia” come recensionista. Fu anche collaboratore del periodico La Verità (organo della federazione bresciana del PCI).  È in via di costruzione, presso la biblioteca di Chiari, la Fondazione Parinetto, che raccoglie la sua vasta produzione. Saggi: “Alchimia e utopia, Pellicani” (Mimesis); “Corpo e rivoluzione in Marx, Moizzi-contemporanea, Faust e Marx, Pellicani” (Mimesis); “Gettare” (Mimesis); I Lumi e le streghe, Colibrì, “Marx: sulla religione, La nuova Italia, “ Il ritorno del diavolo” (Mimesis,” La rivolta del diavolo: Lutero, Müntzer e la rivolta dei contadini in Germania, Rusconi); “La traversata delle streghe nei nomi e nei luoghi e altri saggi, Colobrì, “Magia e ragione” Nuova Italia,  Marx diverso perverso, Unicopli, Marx e Shylock, Unicopli, Né dio né capitale” (Contemporanea, “Nostra signora dialettica” Pellicani,  Processo e morte di Bruno: i documenti, con un saggio, Rusconi, Solilunio: erano donne le streghe?, Pellicani, Sulla religione, Nuova Italia, Streghe e potere: il capitale e la persecuzione dei diversi, Rusconi. Curatele e traduzioni Jakob Böhme, La vita sovrasensibile. Dialogo tra un maestro e un discepolo, Mimesis, Giordano Bruno, La magia e le ligature, Mimesis, Niccolò Cusano, Il Dio nascosto, Mimesis, Dickinson, Dietro la porta, 237 liriche scelte, Rusconi, Eraclito, Fuoco non fuoco, tutti i frammenti,  Mimesis,  Rime sulla morte, Mimesis, Hegel e Hölderlin, Eleusis, carteggio, Mimesis); Il teatro della verità. Massoneria, Utopia, Verità, Mimesis, Angelus Silesius, L'altro io di dio, Mimesis,  La via in cammino: Tao Te Ching, Edizioni La vita (Felice, Milano); Voltaire, Stupidità del cristianesimo, Stampa Alternativa, Vedi per esempio Una polemica sulle streghe in Italia, riferimenti in.  Vedi per esempio la recensione a I Lumi e le streghe  Vedi di Renzo Baldo  Cfr. Fondazione Luigi Micheletti Catalogo Emeroteca, su //musil.bs. Movimenti ereticali medievali Stregoneria. Biografia da Nicoletta poidimani  Biografia da zam, su zam. Una polemica sulle streghe in Italia --  nel sito della ARFISAssociazione per Ricerca e Insegnamento di Filosofia e Storia. Parinetto. Keywords: etymologia araba d’alchimia, processo e morte di Bruno, massoneria, eretico, alienazione, la bucca del culo, anale, analita, il falo, il pene, quando l’ano appare (da fece) – metafora – da fece in vece del falo, Bruno, de magia, trattati di magia, processi a Bruno, gl’antichi romani, I corpo e la revoluzione fascista – il veintennio fascista e l’analita -- Refs.: “Grice e Parinetto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740588353/in/datetaken/

 

Grice e Parisio – L’implicatura di Cicerone – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Figline Vegliaturo). Filosofo.: Grice: “I like Parisio; he focused on rhetoric, as every philosopher should!” Come molti filosofi italiani senza titolo nobiliario, ha una vita errabonda. Dopo aver fatto un viaggio di studio a Corfù, ritorna in patria dove apre una scuola. Si trasfere a Napoli dove ottenne cariche e favori dal re Ferrandino. Risiede per qualche tempo a Roma per poi trasferirsi a Milano dove sposa la figlia del filosofo Demetrio Calcondila. Dopo aver abitato a Vicenza, Padova e Venezia, torna a Cosenza, dove fonda l'Accademia Cosentina. Recatosi a Roma, invitato daLeone X, vi insegna sia eloquenza nell'Accademia Pomponiana che latino nell'archiginnasio. Rimame a Roma fino alla morte di Leone X,  dopo di che ritorna definitivamente a Cosenza. Saggi: Q. Horatii Flacci Ars poetica, cum trium doctissimorum commentariis”; “Acronis, Porphyrionis. Adiectae sunt praeterea doctissimae Glareani adnotationes. Lugduni veneo: a Philippo Rhomano); Q. Horatii Flacci Omnia poemata cum ratione carminum, et argumentis vbique insertis, interpretibus Acrone, Porphyrione, Antonio Mancinello, necnon Iodoco Badio Ascensio viris eruditissimis. Scoliisque Angeli Politiani, M. Antonii Sabellici, Ludouici Coelij Rhodigini, Baptistae Pij, Petri Criniti, Aldi Manutij, Matthaei Bonfinis et Iacobi Bononiensis nuper adiunctis. His nos praeterea annotationes doctissimorum Antonij Thylesij Cosentini, Francesci Robortelli Vtinensis, atque Henrici Glareani apprime vtiles addidimus; Nicolai Perotti Sipontini libellus de metris Odarum, Auctoris vita ex Petro Crinito Florentino. Quae omnia longe politius, ac diligentius, quam hactenus excusa in lucem prodeunt; “Index copiosissimus omnium vocabulorum, quae in toto opere animaduersione digna visa sunt, Venetiis: apud haeredes Ioannis Mariae Bonelli, Claudius Claudianus, Claudianus De raptu Proserpinae: omni cura ac diligentia nuper impressus: in quo multa: quae in aliis hactenus deerant: ad studiosorum utilitatem: addita sunt: opus me Hercle aureum: ac omnibus expetendum, Venezia: Albertino da Lessona, Bernardino Viani e Giovanni Rosso, Clausulae, Ciceronis ex epistolis excerptae familiaribus: ac in sua genera miro ordine digestae: plenae frugis: & ad perducendos ad elegantiam stili pueros vtillimae. et recensuit & approbauit, Vicentiae: per Henricum & Io. Mariam eius. F. librarios, Valerii Maximi Priscorum exemplorum libri nouem: diligenti castigatione emendati: aptissimisque figuris exculti: cum laudatis Oliverii ac Theophili commentariis: Hermolai Barbari: Georgii Merulae: Mar. Antonii Sabellici: Raphaelis Rhegii: multorumque praeterea nouis obseruationibus: indiceque mirifico per ordinem literarum: ad inveniendas historias nuper excogitato: alteroque in usum grammaticorum ad vocabula rerumque cognitionem” (Venezia,  per Bartholomeum de Zanis de Portesio); “Habes in hoc volumine lector optime diuina Lactantii Firmiani opera nuper accuratissime castigata: graeco integro adiuncto:... Eiusdem Epitome. Carmen de Phoenice. Carmen de Resur. Domini. Habes etiam Ioan. Chry. de Eucha. quandam expositionem & in eandem materiam Lau. Vall. sermonem. habes Phi. adhorationem ad Theodo. & adversus gentes Tertul. Apologeticum, Venetiis: arte & impensis Ioannis Tacuini fuit impressum,); “Retoricae breviarium ab optimis utriusque linguae auctoribus excerptum”; “Liber de rebus per epistolam quaesitis. Henr. Stephani Tetrastichon de hoc Iani Parrhasij alijsque quibus poetas illustrauit libris... Adiuncta est Francisci Campani Quaestio Virgiliana” (excudebat Henricus Stephanus, illustris viri Huldrichi Fuggeri typographus, Davide Andreotti, Storia dei cosentini” (Napoli, Marchese); Ugo Lepore, «Per la biografia’ Biblion,  Francesco D'Episcopo, Fondatore dell'Accademia Cosentina, Cosenza: Pellegrini, A. Frugiuele, Dubbi ed ipotesi sui suoi natali, in Il Letterato: rassegna di letteratura, arte, scuola fondata e diretta da L. Pellegrini, Accademia Cosentina Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Indice. A quibus primumd C inventa rhetorica et celebrata; qualis primu apud athenienses e!o^ quentia e usus ac stadium; quale primu apud romanos; quid sit rhetorica, quid inter rhetorica et Dialc<fh*«» AnFSietoricaiitars, quod utilis sit rhetorica; Sit 'nc ars necessaria; Quae praeftarc oporteat rhetorica; Qualeseifedel eant Rhetoriesecan didati* Quae fdre eos oporteat* ti»it; quod sit officium rhetoricae; quidintero fficiumdC finem; quis rhetoricae finis; quae materia; De ciuilib * quadfaonibus, SC earuhi generibius; De circunftanda quaefacithypOi» , thefim; De tribus generibus caufar; partes Rhetoricae qumqi; Demuenrione. Zo; Qufcotrouerfiaenoconfidat zi^4z Dcconftitutionc* zz»4^ Quotfintcoftiturioncs,etquf; Deftatucomecdurah» Dedatudeiinitiuo. De datu generali Dedatutranflariuo Ex plurib conditutionibus quomcH do prmdpalequisinuemat Quae caufa dmplexfit iuneda^ quae con^ zp.do De quaedione, ratione, iudicatione &nrmamento, partes orationis; De genere deliberativo; Genus Demondratiuunit; Genus ludiciale. Figlio da Tommaso, giureconsulto e consigliere del Senato napoletano, e Pellegrina Poerio. Ha come primo maestro Pedacio, che lo avvia alla conoscenza del latino. Si trasfere a Lecce, dove il padre e stato nominato governatore, e intraprese lo studio del greco sotto la guida di S. Stiso. Si reca Corfù per frequentare la scuola di G. Mosco, dove perfeziona la conoscenza del greco. Rientrato a Cosenza, frequenta le lezioni di T. Acciarini. Ha certamente una formazione giuridica, sollecitata dal padre, di cui resta traccia nel “Vocabularium legale” (Napoli, Biblioteca nazionale), un elenco alfabetico di quesiti giuridici tratti dai giureconsulti antichi. Ma l’interesse per il diritto e le istituzioni politiche antiche deriva a Parisio anche dalla frequentazione di Pucci, allievo di Poliziano a Firenze, attivo a Napoli. Si trasfere a Napoli ma i suoi contatti con Pucci e con l’ambiente culturale napoletano risalivano a qualche anno prima. Invitato a tenere lezioni sulle “Silvae” di Stazio e nell’occasione pronuncia l’orazione “Ad patricios neapolitanos”, nella quale elogia G. Pontano. Alla frequentazione dell’ambiente pontaniano risale probabilmente l’adozione del nome latino Aulus Ianus Parrhasius.  Nominato da Ferdinando I d’Aragona maestro di camera e ricoprì incarichi nella cittadina calabrese di Taverna e a Lecce. E in rapporti di amicizia con Ferdinando II (Ferrandino), come evidenziano una lettera a lui indirizzata e l’epicedio in versi per la morte della madre, Ippolita Maria Sforza. È probabile che segue Ferrandino nella fuga da Napoli occupata da Carlo VIII ( e poi nella riconquista del Regno. Dopo la morte di Ferrandino e la salita al trono di Federico I si trova coinvolto in intrighi di corte e prefere abbandonare Napoli per trasferirsi a Roma. Arrivato a Roma  segue le ultime lezioni di P. Leto e si lega a T. Inghirami, che gli fa assegnare l’insegnamento di oratoria nello studio romano. In seguito all’uccisione di due suoi allievi, implicati nelle trame che accompagnarono il pontificato di Alessandro VI, decide di abbandonare Roma e di trasferirsi a Milano.  Nella città lombarda trova alloggio e occupazione nella scuola di A.  Minuziano. Collabora ad alcune edizioni date alle stampe da Minuziano e scrisse epigrammi contro due suoi avversari, G. Ferrari, docente di eloquenza nella scuola milanese, e il corso Damiano Nauta. Si trasfere presso C. Cotta, che gli dette l’opportunità di aprire una scuola propria e che forma con lui un sodalizio editoriale. L’allontanamento da Minuziano provoca polemiche e scambi d’accuse, di cui danno testimonianza le tre orazioni di Parisio in Alexandrum Minutianum. Sposa Teodora Calcondila, figlia dell’ateniese Demetrio, che insegna greco a Milano. Furono allievi di Parisio a Milano, oltre a Cotta, anche il figlio di Demetrio, Teofilo, A. Alciato, P. Giovio (che scrive su biografia nei suoi Elogia) e il figlio di E. Poncher, vescovo parigino all’epoca presidente del Senato milanese. Fu grazie a Poncher che ottenne la cattedra di eloquenza lasciata vacante da Ferrari, fuggito da Milano dopo la caduta di Ludovico. La polemica con Minuziano, dopo una temporanea ri-conciliazione, si riaccese in un contesto politico meno favorevole a lui, in seguito alla sostituzione del Poncher con J. Charles. A quest’ultimo Minuziano dedica l’edizione liviana data alle stampe,  per la quale Parision accusa l’avversario di aver plagiato le proprie lezioni su questo autore. La polemica degenera in una campagna denigratoria nella quale Minuziano e affiancato da Ferrari,rientrato a Milano, Nauta e R. Panato da Lodi. Replica sotto lo pseudonimo di Furius Vallus Echinate in un opuscolo stampato a Legnano da G. Giacomo assieme con la ri-edizione del commento a Claudiano. Oggetto anche di un’aggressione fisica accetta l’offerta di G. Trissino, allievo di Calcondila e si trasfere a Vicenza. Pubblica numerosi saggi: il commento al De raptu Prosperpinae di Claudiano; i carmi di Prudenzio e il Carmen Paschale di Sedulio (ambedue nella tipografia di Guillaume la Signere e con il contributo della famiglia Cotta). Ancora presso Scinzenzeler e con una prefazione di C. Cotta, il “De viris illustribus urbis Romae”, una delle compilazioni tardo-antiche trasmesse sotto il nome di Aurelio Vittore, che attribue a Cornelio Nepote (nello stesso anno Minuziano pubblica lo stesso testo fra le opere di Svetonio); il “Libellus de regionibus urbis Romae” (tip. Scinzenzeler), una versione interpolata della “Notitia regionum urbis Romae” che attribusce a un inesistente Publio Vittore. Le iniziative editoriali sono accompagnate dalla ricerca di codici antichi: nell’edizione di Sedulio dichiara di aver utilizzato un antico codice scoperto in un monastero. A un codice di Parisio fa riferimento T. Calcondila nell’edizione di Valerio Massimo a Legnano da G. Giacomo con commenti dello stesso Parisio e di altri. Riusce a impadronirsi anche di alcuni dei manoscritti bobbiesi scoperti da G. Merula e attualmente nella Biblioteca nazionale di Napoli: i codici Lat. 1 e 2 utilizzati per le edizioni di testi grammaticali di Probo e altri autori pubblicate a Milano da Scinzenzeler e Vicenza  da Zeno), e il IV.A.8 contenente l’“Ars grammatica” di Carisio, pubblicata da P. Ciminio (Napoli, G. Sultzbach). I tre codici sono custoditi nella Biblioteca nazionale di Napoli. L’attività editoriale prosegue a Vicenza, con la collaborazione della tipografia dei Ca’ Zeno. Pubblica una raccolta di clausule ciceroniane tratte dalle familiari, un manuale di retorica e la citata raccolta grammaticale. Non fa in tempo a pubblicare il “De rebus per epistolam quaesitis”, una raccolta di notazioni filologiche in forma epistolare incominciata a Milano e a cui dette forma editoriale a Vicenza. Il suo nome si legge anche nell’edizione di Lattanzio stampata a Venezia da G. Tacuino, ma non è chiaro se egli abbia realmente contributo a questa edizione. Le sue note ai primi due libri dell’ “Eneide” sono inclusi nell’edizione virgiliana stampata nel a Milano da Scinzenzeler.  Arrivato a Vicenza pronuncia “Ad municipium Vicentinum” e tenne corsi fino all’anno successivo. E ad Abano, per curare la podagra di cui soffriva. In seguito alle vicende seguite alla sconfitta di Venezia ad Agnadello si trasfere dapprima a Padova e poi Venezia, ospite da L. Michiel. Vaglia la proposta di insegnamento offertagli dalla città di Lucca, ma qualche mese dopo preferì abbandonare Venezia per la Calabria, dove arriva nel giugno dopo una sosta di alcuni mesi a Napoli, dove e accolto da A. Seripando e da altri sodali dell’Accademia Pontaniana. All’attività svolta a Cosenza viene fatta risalire quella che in seguito verrà denominata l’Accademia cosentina. Insegna ad Aiello, quale precettore dei figli del conte Antonino Siscari. Nella scuola di Taverna tenne corsi su Plauto e sui grammatici. E a Pietramala, dove apprese dal cognato Basilio Calcondila che Leone X gli assegna un incarico di insegnamento presso lo Studio romano (oltre a Calcondila, l’incarico era stato raccomandato al pontefice da Fedra Inghirami e Giano Lascari).  Arrivato a Roma  tenne i corsi. Ottenne da Leone X la dispensa dall’insegnamento e una pensione. Progetta di trasferirsi a Napoli, grazie a un legato del cardinale Luigi d’Aragona, ma le precarie condizioni di salute lo indussero a raggiungere Cosenza, dove muore. Oltre all’edizione carisiana di P. Ciminio, anche altri pubblicarono inediti di Parisio. Suo figlio da alle stampe a Napoli le lettere inviategli dal maestro, ma la stampa è attualmente irreperibile. Ne resta una copia manoscritta nel codice XXVIII.1.62 della Biblioteca dei girolamini di Napoli. Il cosentino B. Martirano pubblica a Napoli (G. Sultzbach) il suo commento all’Ars poetica di Orazio. Il “De rebus per epistolam quaesitis” e pubblicato da H. Estienne II, che nella prefazione lo presenta come il maggiore umanista della recente generazione (un giudizio ripetuto ancora da Sabbadini). Vennero date alle stampe anche le sue esegesi alle Heroides (Venezia, G. Tacuino) e le Metamorfosi di Ovidio e la “Pro Milone” di CICERONE. Lascia in eredità ad A. Seripando l’ingente biblioteca raccolta negli anni precedenti: essa contava, nell’inventario redatto dopo la morte, 567 fra codici e libri, molti con annotazioni dell’umanista. Seripando li lascia in eredità al fratello, il cardinale Girolamo. La biblioteca passa poi al convento napoletano di S. Giovanni in Carbonara, subendo perdite e dispersioni. Il nucleo più consistente è conservato nella Biblioteca nazionale di Napoli. Parte degli inediti parisiani (lettere, orazioni, prolusioni) sono stati pubblicato da Iannelli, Lo Parco, e in studi più recenti. Il De rebus per epistolam quaesitis, a cura di L. Ferreri, Roma. Fonti e Bibl.: C. Iannelli, De vita et scriptis Auli Iani Parrhasii Commentarius, Napoli; F. Lo Parco, Aulo Giano Parrasio. Studio biografico-critico, Vasto; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini e greci ne’ secoli XIV e XV, Firenze 1905, passim; F. Lo Parco, Aulo Giano Parrasio e Andrea Alciato, in Archivio storico lombardo; Due orazioni nuziali inedite, Messina; U. Lepore, Per la biografia, Biblion; M. Ferrari, Le scoperte a Bobbio in Italia medievale e umanistica,  M. Manfredini, L’inventario della sua biblioteca,  in Rendiconti dell’Accademia di Architettura, lettere e belle arti di Napoli; C. Tristano, La biblioteca di un umanista calabrese, Manziana ,  M. Lauletta, Un inedito: la Praefatio in Flaccum, in AION, Sezione filologico letteraria; L. Munzi, Prassi didattica e critica del testo in alcune prolusioni inedite, in Studi umanistici piceni, Parrhasiana, I, a cura di L. Gualdo Rosa et al., Napoli, Parrhasiana, II, a cura di G. Abbamonte et al., in AION, Sezione filologico letteraria, XXIV, M. Paladini, Appunti su Parrasio maestro, in Vichiana, Parrhasiana, III, a cura di G. Abbamonte et al., in AION, Sezione filologico letteraria, D. Pattini, Preliminari per un’edizione del commento di A. G. Parrasio alla Poetica di Orazio in Filologia e critica, L. Ferreri, L’influenza di F. Pucci nella sua formazione in Valla a Napoli, a cura di M. Santoro, Pisa-Roma. Aulius Ianus Parrhasius. Aulio Giano Parrasio. Parisio. Keywords: implicatura, implicatura retorica, Cicerone, filosofia italiana, gl’antichi romani, Livio, Catullo, Orazio, Cicerone, Stazio, l’oratoria, il gusto per l’antico in Italia. PARRHASIANA, Vico, Sabbaldini sull’importanza da Parisio, grammatica speculativa, grammatica modista, ars grammatica, probo, la grammatica, la dialettica e la retorica --.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Parisio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691307311/in/photolist-2mKMsLp

 

Grice e Parrini – implicare, interpretare – filosofia italiana – Luigi Speranza (Castel’Azzara). Filosofo. Grice: “Italians are supposed to be non mainstream and go ‘off the beaten road’ – Parrini proves they shouldn’t!” Professore a Firenze, membro di svariate istituzioni scientifiche internazionali e del comitato scientifico di alcune riviste filosofiche italiane e straniere e condirettore della collana "Epistemologica" pubblicata dall'editore Guerini e associati, fu segretario nazionale del Comitato dei dottorati di ricerca in Filosofia, nonché Presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica. Fu invitato a tenere lezioni e conferenze in Italia, in vari paesi europei, in Argentina e negli Stati Uniti d'America. Insieme a Roberta Lanfredini organizzò un Corso di perfezionamento in Epistemologia generale e applicata che si tiene, con cadenza biennale, a 'Firenze. Si occupò di filosofia analitica contemporanea, dell'epistemologia di Kant e di Husserl, di vari aspetti del pensiero scientifico e epistemologico del XIX e del XX secolo, della filosofia italiana del Novecento. Sin dai primi lavori ha sviluppato una nuova interpretazione del positivismo logico e dei suoi rapporti con il convenzionalismo e la filosofia kantiana la quale, in seguito, ha trovato ampia conferma a livello internazionale. In campo epistemologico, i suoi maggiori interessi vanno al tema del realismo, alla problematica della conoscenza a priori, alla giustificazione epistemica e alla metodologia della ricerca storico-filosofica. Nel volume Conoscenza e realtà avanzò una prospettiva filosofica cui dette il nome di "filosofia positiva" e della quale sviluppò le implicazioni circa i rapporti con l'ermeneutica, lo statuto epistemologico della logica e la natura della verità. Lasciò più di un centinaio di pubblicazioni. Saggi: “Linguaggio e teoria: analisi filosofica” (Nuova Italia, Firenze); “Una filosofia senza domma: materiali per un bilancio dell'empirismo,” – Grice: “I can’t see why Parrini is afraid of a dogma; Strawson and I loved them – and he knows it – he totally misunderstands us when he thinks we are into ‘reductionism’! But at least he cares to call me Herbert, as I never myself did! Don’t Italians know abbreviations?! H. P.!” – “In difesa di un domma” -- Mulino, Bologna, “Empirismo logico e convenzionalismo,” (Angeli, Milano); “Conoscenza e realtà: positivismo” (Laterza, Roma-Bari); “Dimensioni della filosofia. Filosofia in età antica – antica filosofia italica (Mndadori, Milano); “L'empirismo logico, Carocci, Roma); “Filosofia e scienza nell'Italia del Novecento. Figure, correnti, battaglie” (Guerini, Milano) – Grice: “Gentile was right when he distinguished between classical liceo and the rest! We don’t need no scientific education, we don’t need no thought control!” – “Fare filosofia, oggi” (Carocci, Roma). Note  "lanazione",  Scheda docente presso il Dipartimento di filosofia dell'Università degli Studi di Firenze, su philos.unifi. Paolo Parrini in SWIFSito web italiano per la filosofia, su lgxserver.uniba.Lo studio del riferimento in W. V. Quine, “Rivista di filosofia” Da Quine a Katz, I, “Rivista critica di storia della filosofia” [= Rcsf], "Vero" come espressione descrittiva, Rf, Da Quine a Katz, II, Rcsf, Di alcuni problemi di filosofia della logica, Rf, Recensione di R. G. Colodny, The Nature and Function of Scientific Theories. Essays in Contemporary Science and Philosophy (Pittsburgh, 1970), Rcsf, Recensione di M. Serres, Le Système de Leibniz et ses modale mathèmatiques, 2 voll. (Paris, 1968), Rcsf, Recensione di N. Rescher, Essays in Philosophical Analysis (Pittsburgh), Rcsf, 2 Recensione di E. P. Papanoutsos, The Foundations of Knowledge (English edition with an Introduction of J. P. Anton, New York, 1968), Rcsf,  Il carattere dei giudizi esistenziali e alcuni problemi dell'empirismo, in Atti del XXIV Congresso Nazionale di Filosofia: Bilancio dell'empirismo contemporaneo, Roma, Società Filosofica Italiana: Recensione di M. Bunge (ed.), Exact Philosophy. Problems, Tools and Goals (Dordrecht, 1973), Rcsf, Sulla traduzione italiana di "The Development of Logic" di W. C. Kneale e M. Kneale, Rcsf,  Linguaggio e teoria. Due saggi di analisi filosofica, Firenze, La Nuova Italia, Per un bilancio dell'empirismo contemporaneo: contributo alla storia del positivismo logico, Rcsf, 31: 193-239 (reworked version in 8001)  1977  7701– Edizione, con Introduzione, di A. N. Whitehead e B. Russell, Introduzione ai "Principia Mathematica", Firenze, La Nuova Italia  Recensione di K. R. Popper, Objective Knowledge. An Evolutionary Approach (Oxford), Rcsf, Recensione di J. Danek, Les Projets de Leibniz et de Bolzano: deux sources de la logique contemporaine (Laval, Quèbec), Rcsf, Le rivoluzioni scientifiche, nella serie radiofonica a c. di Paolo Rossi "Storia delle idee", Rai 3, Scienza e filosofia nell'Ottocento: la scoperta del concetto di energia, nella serie radiofonica a c. di Paolo Rossi "La scienza e le idee", Rai  Recensione di W. V. Quine, I modi del paradosso e altri saggi (Milano, 1976), Rcsf, Filosofia e scienza nella cultura tedesca del Novecento, in Storia della filosofia, diretta da M. Dal Pra, vol. X: La filosofia contemporanea: il Novecento, Milano, Vallardi: 2Materialismo e dialettica in L. Geymonat (in collaborazione con M. Mugnai), Rf,  – Linguistica generativa, comportamentismo, empirismo,"Studi di grammatica italiana", Tutte le parole per definire la realtà (a proposito del Convegno fiorentino I livelli della realtà), "L'Unità", Fisica e geometria dall' Ottocento ad oggi [Antologia di testi introdotti e commentati], Torino, Loescher: Analiticità e teoria verificazionale del significato in Calderoni, Rcsf, Una filosofia senza dogmi. Materiali per unbilancio dell'empirismo contemporaneo, Bologna, il Mulino  Introduzione a W. V. Quine, Logica e grammatica, Milano, Il Saggiatore: Scienza, vita e valori (con lettura di testi di A. Huxley e brani dal Quartetto per archi n. 15, op. 132 di L. van Beethoven) per la serie radiofonica a c. di Massimo Piattelli Palmarini, Rai 3, Lettera di risposta a M. Pera, Rovesciando si impara . "L'Espresso",  – Scienza e filosofia: diamo a ciascuno il suo, “La Stampa”. Recensione di R. S. Cohen, P. K. Feyerabend, M. W. Wartofsky (eds.), Essays in Memory of Imre Lakatos(Dordrecht, 1976), Rscf, Recensione di R. Harrè Introduzione alla logica delle scienze (Firenze), Rcsf,  Recensione di S. Lunghi, Introduzione al pensiero di K. Popper (Firenze), Rcsf, Empirismo logico e convenzionalismo, Milano, F. Angeli  Edizione, con Introduzione, di H. Reichenbach, Relatività e conoscenza a priori, Bari, Laterza, Popper indeterminista (Recensione di K. R. Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica, Milano, 1984, 3 voll.), “L'Indice [dei libri del mese]”, Edizione, con Introduzione, di H. Reichenbach, Da Copernico a Einstein, Bari, Laterza:  Recensione di T. Nickles, Scientific Discovery, Logic and Rationality e Scientific Discovery. Case Studies (Dordrecht), Rsf [= Rivista di storia della filosofia; già Rcsf], L’ultimo Preti e i suoi corsi universitari, "Quaderni dell'Antologia Vieusseux", Empirismo logico, kantismo e convenzionalismo, "Paradigmi", Edizione, con Introduzione, di M. Schlick, Forma e contenuto, Torino, Boringhieri, Recensione di A. J. Baker, Australian Realism. The Systematic Philosophy of John Anderson (Cambridge, 1986), Rsf, L'antidoto degli elettroni (Recensione di I. Hacking, Conoscere e sperimentare, Bari), "L'Indice", Preti teorico della conoscenza, Annali del Dipartimento di Filosofia dell'Università di Firenze,  (anche in Il pensiero di Giulio Preti nella cultura filosofica del Novecento, a c. di F. Minazzi, Milano, Angeli: Filosofia italiana e neopositivismo, Rf,  (also in Filosofia italiana e filosofie straniere nel dopoguerra, a c. di P. Rossi e C. A. Viano, Bologna, il Mulino: Vogliamo le prove (Recensione di A. Grünbaum, I fondamenti della psicoanalisi, Milano, 1988), "L'Indice" La psicoanalisi nella filosofia della scienza, Rsf, A ciascuno il suo sombrero (Recensione di P. [Paolo] Rossi, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, Bologna), "L'Indice", Sulla teoria kantiana della conoscenza: verità, forma, materia, in Kant, Bologna, Zanichelli, Tra empirismo e kantismo (recensione di G. Preti, Lezioni di filosofia della scienza, Milano, 1990, e P. L. Lecis, Filosofia, scienza, valori. Il trascendentalismo critico di G. Preti, Napoli,1990), "L'Indice", Induzione, realismo e analisi filosofica, Rsf, Ancora su filosofia e storia della filosofia, Rsf, Scienza e filosofia, Parte Quinta della Storia della filosofiadiretta da Mario Dal Pra, vol. X: La filosofia nella prima metà del Novecento, II edizione, Padova, Piccin Nuova Libraria: cap. XIII: Scienza e Filosofia nella cultura tedesca,  Empirismo logico e filosofia della scienza: Con Carnap oltre Carnap. Realismo e strumentalismo tra scienza e metafisica, Rf, Nota introduttiva a Evert W. Beth, Sulla distinzione kantiana tra giudizi sintetici e giudizi analitici, "Iride", Recensione di N-E. Sahlin, The Philosophy of F. P. Ramsey(Cambridge, 1990), Rsf, Il pensiero peregrinante di un monaco mancato (recensione di J-F. Lyotard, Peregrinazioni. Legge, forma, evento, Bologna), "L'Indice", Ma Madonna non è Kant (a proposito del Convegno del Centro fiorentino di Storia e Filosofia della scienza “Kant e l'epistemologia contemporanea”,"Il Sole 24 Ore", Origini e sviluppi dell'empirismo logico nei suoi rapporticon la filosofia continentale. Alcuni testi inedita; Presentazione di R. Lanfredini, Husserl. La teoria dell'intenzionalità. Atto, contenuto, oggetto, Bari, Laterza: ix-xiii     9405 – Reichenbach, la teoria della relatività e la problematica dell'a priori (giugno 1990), in Dagli atomi di elettricità alle particelle atomiche. Problemi di storia e filosofia della fisica tra Ottocento e Novecento, a c. di S. Petruccioli, "Lezioni Galileiane", vol. IV, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, Conoscenza e realtà. Saggio di filosofia positiva, Bari, Laterza, L'insegnamento medio della filosofia in Italia. Alcune considerazioni scientifico-culturali, Rsf, 5 Intervento/intervista sull'insegnamento della filosofia nella Scuola media superiore, "Corriere della Sera", Intervento/intervista sul X Congresso Internazionale  della Union of History and Philosophy of Science, F. Bordogna, Neopositivisti rivalutati al congresso, "il Sole-24 Ore",  Filosofi, vi esorto alla Bosnia, "L'Indice", Mito e scienza in Ernst Cassirer. Considerazioni introduttive, in Mito e scienza in Ernst Cassirer, a c. di P. Parrini, in “Annali del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze”, Perchè è scorretto (moralmente) dire che è uno di noi[Intervento sul Documento del Comitato nazionale di bioetica sulla sperimentazione sull'embrione], "il Sole 24 Ore", Con i “continentali” il dialogo è aperto, “il Sole 24 Ore”,Filosofia e storia della filosofia, in Filosofia analitica oggi, “Informazione filosofica”, Le origini dell’epistemologia, in Storia della filosofia, a c. diP. [Pietro] Rossi e C. A. Viano, L’Ottocento, Bari,Laterza: 570-82     9703 – Immanenzgedanken e conoscenza come unificazione. Filosofia scientifica e filosofia della scienza, Rsf, Realismo, scetticismo e analisi filosofica [Risposta a P. Leonardi], “Paradigmi”, Intervento in “Il documento dei Quaranta”: risposte e considerazioni, “L’informazione filosofica”, Per un sapere senza assoluti [su Otto Neurath], “il Sole 24 Ore”, La mia terza via nella ragnatela di concetti e credenze, “Letture”, Presentazione e Curatela con Rosaria Egidi diForme di argomentazione razionale, “Paradigmi”, Ermeneutica ed epistemologia, “Paradigmi”, Presentazione e Curatela con D. Marconi e M. Di Francesco, Filosofia analitica 1996-1998. Prospettive teoriche e revisioni storiografiche, Milano, Guerini, Dell'incertezza, ovvero del "non raccapezzarsi" [su S. Veca, Dell'incertezza. Tre meditazioni filosofiche, Milano, 1997], "Iride", Sull'insegnamento della filosofia nella scuola media superiore riformata, Rsf, Aggiornamento delle voci Causalità, Convenzionalismo, Teoria scientifica, Verità, Dizionario di Filosofia, di N. Abbagnano, terza edizione aggiornata e ampliata da G. Fornero, Torino, Pomba, Io difendo gli epistemologi, "Letture", Sulle vedute epistemologiche di Enriques (e di Croce), Rsf, Una risposta laica alla fine degli assoluti [Intervento nel dibattito sul nichilismo], "il Sole 24 Ore",  La filosofia è ancora motore di progresso [Intervento nel dibattito sulla riforma dell'università], "il Sole 24 Ore", Filosofia delle occasioni mancate [Intervento nel dibattito sulla riforma dell'università], "il Sole 24 Ore", Il conoscere tra filosofia e scienza, in Atlante del Novecento, 3 voll., con la direzione di L. Gallino, M. L. Salvadori, G. Vattimo, Torino, Pomba, Vol. III: Il declino delle certezze. Un secolo e le sue immagini: Metafisica e filosofia analitica, in Annuario di filosofia 2000: Corpo e anima. Necessità della metafisica, Milano, Mondadori: Ancora sul convegno fiorentino della SFI, Lettera alla Rst, Crisi del fondazionalismo, giustificazione epistemica e natura della filosofia, "Iride" La 'terza via' della filosofia positiva, in AA. VV., La navicella della metafisica. Dibattito sul nichilismo e la 'terza navigazione', Roma, Armando Editore: Internet non è fatto per i ‘verofobi’, "il Sole 24 Ore",  Empirismo logico, tutta un'altra storia, "il Sole 24 Ore", La verità (Discussione di Paolo Parrini e Marco Messeri), "Palomar",  Una risposta laica alla fine degli assoluti, in Nichilismo Relativismo Verità. Un dibattito, a c. di V. Possenti e A. Massarenti, Rubbettino, Soveria Mannelli: Epistemologia, filosofia del linguaggio e analisi filosofica, in La filosofia italiana in discussione, a c. di F. P. Firrao, Milano, Paravia e Bruno Mondadori, Dimensioni scientifiche e filosofiche della conoscenza. Una panoramica introduttiva, in "Annali del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Firenze": Miserie dell'epistemologia italica, in Scienza Dossier, "il Sole 24 Ore",Sapere e interpretare. Per una filosofia e un’oggettività senza fondamenti, Milano, Guerini, Conoscenza e cognizione. Tra filosofia e scienza cognitiva, Milano, Guerini, Il ‘dogma’ dell’analiticità cinquant’anni dopo. Una valutazione epistemologica, in Conoscenza e cognizione, Dimensioni della filosofia, vol. I: Filosofia in età antica, Milano, Mondadori Università (in collaborazione con Simonetta Parrini Ciolli Incompreso, o quasi, dagli Americani [K. R. Popper: “Il più grande epistemologo mai esistito?”], in Karl Popper oggi. A cento anni dalla nascita, “Reset”, L’empirismo logico. Aspetti storici e prospettive teoriche, Roma, Carocci, Popper e Carnap su marxismo e socialismo, “Nuova Civiltà delle Macchine”, Filosofia e scienza in Enriques, “Nuncius. Annali di storia della scienza”, Più realista dell’empirismo [Ricordo di Wesley C. Salmon], "il Sole 24 Ore", Crisi dell’evidenza e verità: due modelli epistemologici a confronto, in La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia, a c. di V. Possenti, Roma, Armando: Filosofi italiani allo specchio: Paolo Parrini, “Bollettino della Società Filosofica Italiana”,  Reason and Perception. In Defense of a Non-Linguistic Version of Empiricism, in Logical Empiricism. Historical and Contemporary PerspectivesNota su P. Valore, Due convegni su Giulio Preti a trent’anni dalla scomparsa, Rsf, Il pensiero filosofico di Giulio Preti, ed. by P. Parrini and L. M. Scarantino, Milano, Guerini e Associati: 11-14 (Presentazione by P. Parrini andL. M. Scarantino), Preti filosofo dei valori, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Giulio Preti: ‘A Crossing of the Ways’, in Il pensiero filosofico di Giulio Preti, Il pupazzo di garza: alcune riflessioni epistemologiche, in Il pupazzo di garza, M. Papini e D. Tringali, Firenze, Tra kantismo ed empirismo, in Scienza e conoscenza secondo Kant. Influssi, temi, prospettive, a c. di A. Moretto, Padova, il Poligrafo, Recensione di G. Preti, Écrits philosophiques (Paris), “Les Études philosophiques”, nPreti nella filosofia italiana della seconda metà del Novecento, in Giulio Preti filosofo europeo, a c. di Alberto Peruzzi, Firenze, Leo S. Olschki: L’insegnamento della filosofia tra identità disciplinare e rapporto con gli altri saperi, in Rinnovare la filosofia nella scuola, a c. di L. Handjaras e F. P. Firrao, Firenze, Clinamen: Su alcuni problemi aperti in epistemologia, “Iride”, Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento.Figure, correnti, battaglie, Milano, Guerini A due secoli da Kant: conoscenza, esperienza, metafisica della natura, in Itinerari del criticismo. Due secoli di eredità kantiana, a c. di C. Ferrini, Napoli, Bibliopolis: L’epistemologia di Popper e il “dilemma pascaliano” di Duhem, in Riflessioni critiche su Popper, a c. D. Chiffi e F. Minazzi, Milano, Franco Angeli: Verità e realtà, in La verità. Scienza, filosofia, società, a c. di S. Borutti e L. Fonnesu, Bologna, il Mulino: Generalizzare non serve [titolo redazionale per Patti chiari, amicizia lunga], “L’Indice dei libri del mese”, risposta alla recensione di Massimo Ferrari. Quale congedo da Kant?, in Congedarsi da Kant?, A. Ferrarin, Pisa, ETS, Quale congedo da Kant? Replica a una replica di Ferraris, inhttp://www. epistemologica.it/images/stories/PDF/Note%20e%20Discussioni/ Quale%20congedo%20da%20kant.pdf]     Filosofia e scienza, in Pianeta Galileo 2005, a c. di A. Peruzzi, Firenze: I filosofi e la scienza: da Kant ad Einstein, in Pianeta Galileo, A. Peruzzi, Firenze: La filosofia della scienza in Italia, in Pianeta Galileo Peruzzi, Firenze: A priori materiale e forme trascendentali della conoscenza. Alcuni interrogativi epistemologici, in A priori materiale. Uno studio fenomenologico, a c. di R. Lanfredini, Milano, Guerini Fra nichilismo e assolutismo. Alcune riflessioni metafilosofiche, “Iride”,  L’a priori nell’epistemologia di Giulio Preti, Rsf, Analiticità e olismo epistemologico: alternative praghesi, in Le ragioni del conoscere e dell’agire. Scritti in onore di Rosaria Egidi, aR. M. Calcaterra, Milano, Angeli: A proposito di offerte filosofiche, in F. D’Agostini, G. Mari, P. Parrini, La priorità del male e l’offerta filosofica di Salvatore Veca, “Iride” Revisione delle Voci: Broad, Causa, Causalità, Empiriocriticismo per l’Enciclopedia filosofica, a c. del CentroStudi Filosofici di Gallarate, Milano, Bompiani     Voci: Circolo di Berlino, Costruttivismo, de Finetti,Empirismo logico, Fisicalismo, Pap, Reichenbach per l’Enciclopedia filosofica, a c. del Centro Studi Filosofici di Gallarate, Milano, Bompiani La filosofia della scienza in Italia, Intervista a c. di Duccio Manetti per il Pianeta Galileo http://www.pianetagalileo.it/ popparrini.html     Scienza e filosofia oggi, Intervista a c. di Duccio Manetti, in Humana.mente, http://www.unifi.it/bibfil/humana.mente/     Quine e Carnap su analiticità e ontologia: una valutazione critica, in Questioni di metafisica contemporanea, a c. di S. Chiodo e P. Valore, Milano, Editrice il Castoro. L’approccio teorico-problematico nell’insegnamento della Filosofia, in Insegnare Filosofia. Modelli di pensiero e pratiche didattiche, a c. di L. Illetterati, Torino, Pomba: Presentazione di Luca M. Scarantino, Giulio Preti. La costruzione della filosofia come scienza sociale, Milano, Bruno Mondatori: ix-xv     0705 – Il convenzionalismo epistemologico al di là dei problemi geocronometrici, “Rsf”, Bisogna conoscere il passato per orientarsi nel futuro? Risposta a Marco Santambrogio, “Iride”, Per la verità, ancora una volta [su D. Marconi, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino] “Iride”,  Mente, verità e razionalità. Tre modelli epistemologici a confronto, in Razionalità, verità e mente, a c. di F. Di Lorenzo Ajello, Milano, Bruno Mondadori:  Spirito positivo e filosofia italiana, in Il positivismo italiano: una questione chiusa?, a c. di G. Bentivegna, F. Coniglione, G. Magnano San Lio, Acireale-Roma, Bonanno, Intervento alla Tavola Rotonda: Il positivismo italiano: una questione chiusa?, in Il positivismo italiano: una questione chiusa?  La rivista “Epistemologia” tra logica, scienza e filosofia, in La cultura filosofica italiana attraverso le riviste: P. Di Giovanni, Milano, Angeli: Intervista in occasione del conferimento del Premio internazionale Giulio Preti 2008, a c. di U. Maionchi e D. Manetti: http://www.pianetagalileo.it/ 2008/interviste_paolo.parrini.html   (Autopresentazione), in Storia della filosofia dalle origini a oggi, Filosofi italiani contemporanei, D. Antiseri e S. Tagliagambe, Le grandi opere del Corriere della sera, RCS libri, Milano, Bompiani: Il pensiero di Preti e la sua difficile eredità, in Pianeta Galileo a c. di A. Peruzzi, Firenze: La scienza come ragione pensante, Lectio Magistralis tenuta in occasione del conferimento del Premio internazionale Giulio Preti  in Pianeta Galileo a c. di A. Peruzzi, Firenze Verità e razionalità in una prospettiva positiva, “Annuario filosofico”, Milano, Mursia, Il principio di verificazione nell’empirismo logico, in Portale Internet della Treccani, http://www.treccani.it/Portale/sito/scuola/in_aula/scienze_umane_e_sociali/verita_della_scienza/parrini.html Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma     Scienza e Filosofia, in Pianeta Galileo a c. di A. Peruzzi, Firenze, Relativismo e oggettività. Il peso dell’esperienza, in Metafisica, persona, cristianesimo. Scritti in onore di Vittorio Possenti, G. Goisis, M. Ivaldo, G. Mura, Roma,Armando,  Epistemologia [Kant e l’epistemologia], in L’universo kantiano. Filosofia, scienze, sapere, a c. di S. Besoli, C. La Rocca, R. Martinelli, Macerata, Quodlibet: L’esperienza neoilluminista nello specifico pretiano, in Impegno per la ragione. Il caso del neoilluminismo, W. Tega, Bologna, il Mulino Integrazione della Corrispondenza Dal Pra-Parrini del Fondo Mario Dal Pra (Università di Milano): http://www.epistemologica.it/images/stories/PDF/ Parrini/Archivio%20DalPraParrini.pdf     Laggiù dove tutto è possibile (davvero), in Isole del pensiero. Arnold Böcklin, Giorgio de Chirico, Antonio Nunziante, a c. di Giovanni Faccenda, Milano, Electa Mondadori: Metafisica, sì, ma quale metafisica?, in Isole del pensiero. Arnold Böcklin, Giorgio de Chirico, Antonio Nunziante, a c. di Giovanni Faccenda, Milano, Electa Mondadori:  Il valore della verità, Milano, Guerini, Dimensioni epistemologiche del kantismo, in Continenti filosofici. La filosofia analitica e le altre tradizioni, M. De Caro e S. Poggi, Roma, Carocci:  Scienza e filosofia: eredità del passato, prospettive per il futuro, in Una storia delle scienze. Discussioni e ricerche, Atti del Convegno: “Orizzonti e confini nella ricerca epistemologica” (Centro Congressi della Sapienza, Università di Roma, Facoltà di Sociologia), G. Rinzivillo, Roma, La Sapienza: Relativismo, peso dell’esperienza e valore della verità, in “Diritto e Questioni Pubbliche”  [http://www.dirittoequestionipubbliche.org/page/2011_n11/10_mono%20II%20-%20 Parrini.pdf]    Filosofia e scienza in Italia nell’età del positivismo, Portale Treccani, 26/05/2011: http://www.treccani.it/scuola/in_aula/scienze_umane_e_sociali. Croce ha accentuato il nostro ritardo culturale?, “Il Riformista”, La pittura come scrittura filosofica. De Chirico e la metafisica, in La questione dello stile. I linguaggi del pensiero, a c. di F. Bazzani, R. Lanfredini, S. Vitale, Firenze, Editrice Clinamen: Fenomenologia ed empirismo logico, in Storia della fenomenologia, a c. di A. Cimino e V. Costa, Roma, Carocci, Salvare i fenomeni. Considerazioni epistemologiche sul caso Galileo, in Pianeta Galileo, A. Peruzzi, Firenze: Presentazione del Convegno internazionale su Giulio Preti per il centenario della nascita, in Pianeta Galileo 2011, a c. di A. Peruzzi, Firenze: 2Realismi a prescindere. A proposito di realtà ed esperienza,“Iride”, Lezione del 20/12/2012 per le “Lectiones Commandinianæ” dell’Università di Urbino)     La scrittura filosofica, in La verità in scrittura, a c. di Fabio Bazzani, Roberta Lanfredini, Sergio Vitale, Firenze, Editrice Clinamen: Etica ed epistemologia, in Etica, libertà, vita umana. Commenti al libro di Piergiorgio Donatelli, La vita umana in prima persona, “Politeia”, Verità e razionalità in una prospettiva positiva, in Filosofi italiani contemporanei, a c. di Giuseppe Riconda e Claudio Ciancio,Torino, Mursia: Presentazione del volume Sulla filosofia teoretica di Giulio Preti, a c. di L. M. Scarantino, Milano, Mimesis: A priori, oggettività, giudizio: un percorso tra kantismo, fenomenologia e neoempirismo. Omaggio a Giulio Preti, in Sulla filosofia teoretica di Giulio Preti, a c. di L. M. Scarantino, Milano, Mimesis Il problema del realismo dal punto di vista del rapporto soggetto/oggetto, in Realtà verità rappresentazione, a c. di P. L. Lecis, V. Busacchi, P. Salis, Milano, Angeli: Ontologia e epistemologia, in Architettura della conoscenza e ontologia, a c. di R. Lanfredini, Milano, Mimesis:  Kant e il problema del realismo, in Immanuel Kant, a c. di R. Pettoello, “Nuova Secondaria”  “Esercizi Filosofici”, 1: http://www.openstarts.units.it/dspace/handle Esercizi di equilibrio in filosofia, in A Plea for Balance in Philosophy. Essays in Honour of Paolo Parrini, vol. 2: New Contributions and Replies, a c. di R. Lanfredini e A. Peruzzi, Pisa, ETS: Discussione sulla materia: Una prospettiva epistemologica, “Aquinas: Rivista Internazionale di Filosofia”, Mach scienziato-filosofo, Introduzione a Ernst Mach, Conoscenza ed errore. Abbozzi per una psicologia della ricerca, Milano, Mimesis, Epistemologia e approccio sistemico. Qualche spunto per ulteriori riflessioni, “Rivista di filosofia neo-scolastica, Logical-Empiricism: an Austrian-Viennese Movement? Or an Unsolved Entanglement among Semantics, Metaphysics and Epistemology, “Paradigmi”, Fare filosofia, oggi, Roma, Carocci editore (v. Intervista: https://www.letture.org/fare-filosofia-oggi-paolo-parrini/)  Epistemologia e approccio sistemico. La dinamica della conoscenza e il problema del realismo, “Rivista di Filosofia Neo-Scolastica” Quine su analiticità e olismo. Una valutazione critica in dialogo con Sandro Nannini, in Dalla filosofia dell’azione alla filosofia della mente. Riflessioni in onore di Sandro Nannini, a c. di C. Lumer e G. Romano, Roma-Messina, Corisco Né profeti né somari. Filosofia e scienza nell’Italia del Novecento quindici anni dopo, “Filosofia italiana” Sulla filosofia degli analitici, in Prassi, cultura, realtà. Saggi in onore di Pier Luigi Lecis, a c. di V. Busacchi, P. Salis, S. Pinna, Milano, Mimesis: Scienza e arte, ovvero verità e bellezza, in TBA, a c. di P. Valore, in corso di stampa     2) Empirismo logico e fenomenologia. Uno snodo fondamentale della filosofia del Novecento, relazione su invito presentata all’International Conference “Experientia/Experimentum”, Napoli Filosofia e storia della filosofia: una prospettiva epistemica, relazione su invito presentata all’incontro “Filosofia e storia della filosofia: prospettive a confronto”, Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Esplicazione e rielaborazione dei concetti, in Metodi, stili e orientamenti della filosofia, a c. di R. Lanfredini, Carocci Editore, Roma, Paolo Parrini. Parrini. Keywords: implicare, interpretare, antica filosofia italica, Herbert Paul Grice, in difesa di un domma – indice to ‘filosofia eta antica’. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Parrini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51739504427/in/datetaken/

 

Grice e Pascoli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo. Fisologia. Grice: “An excellent philosopher. He philosophised on the will, on the soul, and on a functionalist approach.” Filosofo. Lingua. Fratello maggiore di Leone Pascoli. Insegna a Roma e Perugia. Tiene dimostrazioni anatomiche mediante dissezione di cadaveri, come il suo collega e concorrente Andrea Vesalio. Intrattenne una vasta corrispondenza con intellettuali di tutta Europa.  Le sue opere filosofiche e scientifiche seguono i metodi di Descartes et Malebranche. I suoi trattati di metafisica, medicina e matematica esibiscono una filosofia coerente e metodico che dimostra la vitalità filosofica della cultura italiana del periodo. Saggi: “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore”; “Nuovo metodo per introdursi ad imitazion de' geometri con ordine, chiarezza, e brevità nelle più sottili questioni di filosofia metafisiche, logiche, morali e fisiche” (Poletti, Andrea); “Del moto che nei mobili si rifonde per impulso esteriore, Salvioni, Giovanni Maria); “Del moto che ne i mobili si rifonde in virtù di loro elastica possanza” (Bernabò, Rocco); “Delle febbri teorica e pratica secondo il nuovo sistema ove tutto si spega per quanto e possible ad imitazione de gemetri”; “Il corpo umano o breve istoria dove con nuovo metodo si descrivono in comendio tuti gl’organi suoi ed I loro principali offij”; “De fibra mortice et morbosa nec non de experimentis ac morbis”; “Nuovo metodo per introdursi ad imitazione de geometri con ordine, chiarezza e brevita nelle piu sottil qestioni di filosofia logica, morale, e fisica. Osservazione teoretiche e pratiche inviate per lettere”; “Sofilo Molossio, pastore arcade PERUGINO e custode delg’ARMENTI AUTOMATICI in Arcadi gli difende dallo scrutinio ne che fa nella sua critica Papi” (Roma); “Anatome literarum sive palladis pervestigatio” (Roma); “SOFILO SENZA MASCHERA” (Roma); “Del moto che nei corpi si diffonde PER IMPUSLO ESTERIORE, trattato fisico matematico ad insegnare la possanza degli elementi quatro” (Roma); “Della natura dei NOSTRI PENSIERI e della natura con cui si ESPRIMONO. Riflessioni METAFISICHE” (Roma); “Del moto che nei mobile si rifonde in virtu di loro elastica possanza” (Roma); “De homine sive de corpore humano vitam habente ratione tam prospera tam afflictae valetudinis” (Roma); “Delle risposte ad acluni consulti sulla natura di varie infermita e la maniera di ben curarle con una notizia della epidemina insorta nel GHETTO GIUDEO di roma, e del congatio de’ buoi ne” (Roma); “Con una breve notizia del mal contagioso dei buoi”; “Opuscoli anonimi in difesa di Alessandro Pasocolo” – si credeno suoi soi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lalande, Dulac, Billy. Elogio. Bartelli, letto con Lic.de'Superiori decimo lustro il secondo a n no già corre,da che le suoi ceneri, filosofo perugino, sotto un'umi le sasso mute riposano inRoma,dallaPatria,ahi! pur troppo neglette. Qui nacque, quà si educa, quì sparse per decennale tempo i lumi della filosofia più sublime, insegnò ed esercitò qui Medicina. E celebratissimo perfino oltre Italia; e tanta gloria egli accrebbe alla perugina Medica Scuola, che forse questa per opera d'altrui a tanta rinoman za non 'mai pervenne : nulladimeno sulla di lui tomba alcuna corona di patrio lauro non siposò, nè del suo nome videsi ancor fregiato un'Elogio. Penso peraltro che Tu non debba di ciò do lerti , ora che siedi puro ed impassibile sull' eter no seggio dei Buoni ;dacchè se vivente fosti il più fido seguace delle profonde dottrine del forte animo di Cartesio , forse oggi di averne auta pur anco comune la sorte oltre la tomba tu ti com . piaci Al vivere suo aprì Cartesio le luci nel bel suolo di Francia , e sulle scoscese balze di S v e zia le chiuse e sebbene tornassero , dimandate le sue ceneri nelle Gallie, pure cento anni pas  opra il sesto decimo lustro Soprailsesto 0; sarono prima che di lui si leggesse un encomio . Il nostro Alessandro in Perugia nacque e Roma les ue ossar accolse, nè furono queste da'suoi concittadini manco desiderate; e solamente dopo   ottantadue anni, nella stessa sua patria, oggi al cun poco di lui si ragiona. Piacciavi, accademici valorosi, che io ne parli almeno ad onore di questa sua terra natale, ed'a gloria di quella medica fronda di cui venne meritissimamente il suo crine ricinto', che quì splendeva allora più ver de e più onorata. Nè voglio credere che siavi alcuno il quale reputi vana cosa questo mio dire; imperocchè, Lui laudando , essendomi dato di e sporre dottrine non'tutte convenevoli a' tempi ne quali si vive, ciò non torrà certamente che Egli non debba essere reputato grande Filosofo e som mo Medico: essendo che se lafilosofia e la medicina, o da meglio dire, se ogni umano sapere soggia cé par troppo a cangiamento coll'andare dei se coli, è cosa costante che la verità e l'errore só no di tutte le menti nostre retaggio ; sicchè tut ti i secoli e tutti gli uomini da non pochi lati si avvicinano sempre fra loro. Colprogrediredelsecolodecimo settimole scienze tutte di più chiara luce folgoreggianti,per la via progredivano del possibile loro migliora mento :Sciolto lo spirito umano dagli opprimen  . Se questo Elogio di Alessandro Pascoli potrà servire a qualche riparo del lungo silenzio in che ilsuo nome si stétte ; se a sprone di studiosa gioventù possa per buona ventura tornare, se del lo estinto encomiato e di Voi.,.dotti Colleghi, non tantoindegno riesca, al fine da me proposto lietamente mi stimerò pervenuto. O ti legami del Peripato, erasi finalmente avveduto della sua nobiltà; e la mente erasi accorta pote re da se stessa pensare . Sembrava che la natura tutta fosse giunta a tale momento di crisi, dalla quale aspettare si dovevano grandi cose e grandi uomini; e grandi cose e grandi uomini difatti si ebbero. Fra questimolti, fiorirono Dracke, Copernico, Ticone, Keplero, GALILEI, Bacone , e finalmente Cartesio, destinato dal cielo a compiere il bramato rinnovamento negli studii moltiplici della natura. Appena ilgrande Filosofo dell'Aja di chiarò al mondo intero non doversi alcuna cosa ritenere per vera , quando che non venga dimo,  strata per tale; appena disse'che la umana mente deve tutto in dubbiezza riporre, finchè alla cer tezza non sia pervenuta;'e di queste le fonda menta non che i caratteri stabilì ; lo studio ed il filosofare degliuomini dialtropiù nobilesplendo re si rivestirono. La geometria,la logica, lameta fisica,lafisica,elamedicinamedesimainpiù sta bile e più onoratá sede allora si collocarono . Il secolo diCartesio segnòmai sempre una delle e poche più luminose e memorande nella storia del l'umano intendimento, imperocchè ogni1 dotto partecipò del beneficio influssodi questo tempo ; ed il nostro Pascoli divenne Filosofo col divenire Cartesiano. Se non che non solo di Filosofia ma di medicina altresì ai nobilissimi studj sentissi da natura invitato; e cono scendo la forza del proprio genio, nol poterono. Comincia con Cartesio dal dubitare e quindi giunse a persuadere sè stesso , tro e  6 distrarre da quelli ne i solerti padri di gesú che accorti iniziandolo nelle regole del loro Istituto cercarono farne conquista.; nè il volere del padre il quale all'officio del foro il destinava. Vide egli bene assai per tempo come a corre merita mente il medico lauro, doveva alle filosofiche discipline tutto sè dedicare. Perchè la filosofia di ogni umano sapere è fondamento primiero. Accostumato come Cartesio a meditare più che a leggere, a pensare più che a parlare, medita sul le opera di quell sommo e le studia intensamente, facendosi propri i di lui principj , e tutta la filosoficacartesianatelasvolsee conobbe. Il discorso sul metodo, le metafisiche meditazioni, le regole per la ricerca del vero, il trattato sull’uomo di Cartesio sono a lui splendentissima face onde dirigersi nel difficile sentiero della filosofia. Cosi lo studio di questa precedette e quindi 'accompagna quello della medicina, non mai volendo egli l'uno dall'altro separare. Tra noi, ai giorni nostri tristissimi , sembra essere riserbato vedere non poca turba di gioventù male accorta gire in traccia di medica scienza senza lo inestinguibile lume del più retto filosofare, senza la conoscenza della natura , di sė medesimo, e perfino del proprio idioma nativo. Vergogna s o m ima di que'paesi e di que'tempi che vogliopsi dire illuminati! E per attribute diverse.Quin di dalla cognizione dell'Io personale passa a quella pe ressenza perfetta che è Dio. Traicanoni della filosofia cartesiana erayi quello di ritenere e gate si trovano le verità : donde poi le idee in nate,dondela concatenazione diesse, la quale incominciando da dio scende all'anima umana, quindi ai corpi, quindi ai bruti, quindi alle cose, tutte della natura.E quifa duopo ricordare che mentre Cartesio col suo dubbio universale prese la via delle speculazioni intellettuali a sta bilire i gradi della verità , Bacone da Verulamio , coldubbio stesso fondamentale, prese la via del le sensazioni, ed al fine desiderato pervenne in cammino più regolare e meno incerto. Piega alquanto piùla sua mente al Cancelliere d'Inghilterra che al pensatore dell'Aja. Ora chi potrebbe mai credere che dopo ise coli di Bacone e Condillac sorgessero nuovamente, nelle dottrine delle idee , i secoli di Cartesio e di Malebranche? Eppure oggi è cosi.Umana mente!  varsiesistenzefuoridinoi,erisultarel'uomo da un corpo e da uno spirito, sostanze interamente fra loro per essenza e ' chę i sensisieno ingannevoli guide alla umana ra gione ; e che perciò l'anima nostra ha in se stes . sa e per se stessa principj stabili, cui tutte le  1 Ora tornando al nostro laudando diciamo che parlò egli primamente della esistenza e durata d e glienti modali; poscia diquelle sostanze che nelle loro idee inchiudono essenzialmente un qual   che modo di essere';e fondo le principali massi me dellaumana certezzasullaesistenzade'corpi. Dalle essenziali proprietà degli enti corporei stu diò pur egli l uomo sotto il duplice rapporto di sua materiale e spirituale sostanza; e ragionando dell'anima, ne fissò la essenza sulla immateriali tá di lei, donde le sue potenze intelletto é vo lontà . La credette immortale; e mentre Cartesio ne tacque la dimostrazione, scrivendo in una sua lettera non essere necessario di mostrare la immortalità dell'anima tostochè siasi provata la sua spiritualenatura, non volle tacerla col pubblicare il discorso sulla immortalità dell anima umana. Da troppa vanitàdinome; ed al desiderio di piacere agli amici, motteggiando alcun poco , egli fu 'mósso a scrivere contro Papi filosofo sabinese sostenendo a tutta possa, ma non con persuasione di aninio, le dottrine del suo prediletto Cartesio sulla vita antomatica delle bestie; volendosi però nascondere bizzarramente coll'intitolare il suo saggio “ Sofilo Molossio Pastore Arcade Perugino Custode degli’armenti automatici in Arcadia'. Apparve preziosissimo a tutti questo saggio e se ne m e nò'romore in tutte le societá dotte di Roma. Tali erano i sali attici in esso 'raccolti, i vivaci sar casmi, ileggiadri concetti. Avvenne però che dopo sei annila suprema inquisizione con decreto solenne condanna l'opera del Pastore Arcadico Sofilo Molossio. Ale  8 e  e le sue ferme opinioni sull' animalitá delle bestie; protestandosi in mille modi vero seguace di PITAGORA, e vero devoto a tutto ciò che la umana credenza prescrivesi. Fu questa la sola nube che per poco offuscasse l'ottima famadel Pascoli nel corso della lunga etá sua, é questa fu del suo animo la dispiacenza più viva. песа.Applicatevidasennoafilosofare,poi che  2 per tale via depurate la mente umana da gli errori che la offuscano, e sollevata dalle passioni che la opprimono, si eleva cosi libera e tranquilla a tale grado di serenità , dove gode veramente di se medesima Stabilito avendo 9 lora fu che ilPascoli accortosi dell'errore cui con dotto lo aveva una sua male accorta vanità di spirito , ritrattò subito pubblicamente le sue opi nioni;enelSofilosenzaMaschera scuoprìilsuo vero nome Erano pure a suoi tempi, quali oggi vivono, alcuni falsi sapienti , che superbamente umili, a busando del comune adagio, id tantum scio quod nihil scio, il più irragionevole scetticismo nelle coșe tutte proclamavano , e di ogni credenza e di ogni filosofia si facevano dispregiatori e nemici , Contra tale specie di stupidi pensatori si scagliò il nostro Pascoli; e fece conoscere come filosofare non altro è se non se rettamente pensare, essendo che chi mal pensa conviene che male discorra, Sulle traccie di Platone, di CICERONE, d’AQUINO, di Cartesio, ripete a tutti conse l’apprensione, al giudizio, al discors , al metodo; e a diligente disamina tutte prendendole, formò il suo saggio di logica, seguendo ugualmente la pre diletta sua cartesiana maniera. Espnse quindi i precetti del ben' apprendere , del ben giudicare, del ben parlare, del ben disporre. Prefere il metodo analitico  che il pensiero è all anima essenziale, come alla materia è la estensione , parlò delle operazioni del nostro intelletto, le quali ridusse all' per istudiarelecose,elochiamò metodo di risoluzione o di disciplina ; si servi del metodo sintetico per insegnare ad altri, e lo disse metodo di composizione o d idottrina. Dopo che la scienza del calcolo per la invenzione de' caratteri algebrici si fece più ordinata, e di più estese applicazioni capace, lo studio delle m a tematiche divenne universale ad ogni sapiente: e di quanta utilitá si renda allo sviluppo dell'uma no intelletto ed alla ricerca del vero , ognuno di leggeri il conosce . Studio si fatto non poteva es sere dal nostro Pascoli trascurato, e sulle opere del Gottigues, dello Scohetten, di BARTOLINO; dell'Ozanam , di FARDELLA, di Cartesio si for mò matematico. Scrive il saggio di logistica od arimmetica, nel quale prendendo a trattarele quat tro operazioni fondamentali, non in cifre numeri che,ma in algebriche, intitolò il suo lavoro col nome di Arimmetica nova o speciosa: ed applicando le stesse operazioni alla dottrina de'polinomj, la quale perviensi a studiare le leggi del moto. A lui però non piace solamente seguire le dottrine di questi s o m mi, ma cerca direnderle più facili epiù sicure. Lasciò di ragionaré del moto in astratto; e col tatto, colla vista, coi sensi, in concreto lo e samino . Parla della natura, condizioni, proprietà, e leggi del moto per impulso esteriore ed in virtù di elastica forza. Quindi si lancia col pensiero, in alcuni moti possibili rispetto al vortice massimo del sole. Con tale chiarezza di principi, con tale ordine d'idee egli ne seppe parlare che meritò l'approfazione sincera ditutti i dotti e capace. Archimede, GALILEI, Gassendo, Rohault, Cartesio avevano già insegnata la strada per la quale perviensi ed alle equazioni, dette compimento alle sue fatiche sulla indole dei nostri pensieri. Pose poi mano alla fisica, od a quella scienza vastissima , la quale avvicinando al nostro pensiero le cose materiali che ne circondano, fà che lumana intelligenza al più alto grado di sublimi tà siconduca  L'uomo di fatti penetra con la sua scorta i più nascosi secreti della natura; e con leipasseggiandolaterra e con lei traversando glioceani,e su cieli passeggiando con lei,fache sopra tutto il creato sovranamente s'innalzi. La prima verità che ci insegna la fisica è che il m o to costituisce il fondamentale fenomeno de'corpi tutti. Ond'è che tutto è movimento in natura,o tutto a movimento èdisposto, o tutto di movimento è. Il grande matematico e fisico cremonese BIANCHINI glie ne dette la più solenne e pubblica testimonianza Mi si dia materia e moto, dice Cartesio, ed io imprendo tosto a crea re un mondo , il Pascoli con maggiore umilta così diceva “ Materia e moto sono i due prin n.cipali strumenti, donde con sua possanza si » valeDio,dimomento inmomento,aprodur 9. rac racoli, e miracoli di stupor infinito. Si ode oggi nelle nostre scuole far menzione di un etere comune, di un imponderabile unico ed universale, motore di tutti I fenomeni iquali hannoluo go "nei movimenti della materia e degli animali . Le scuoleAlemanne apreferenzadialtre risuo nano di questa materia unica-eterea, capace a prendere diverse forme ed aspetti, tutto pene trando investendo agitando il creato: La vide pure questa materia motrice universale: ciò che dicono oggi con tanto entusiasmo, e for se con troppa persuasione dinovità, Mesmer, Wohlfart, Sprengel ed altri sulfluido elettro-magnetico universale; ciò che con tanto calore pro e con eguale robustezza di argomenti dimo strato dal nostro Alessandro 1 e in natura, senza miracolo , continuati min & clamano Lennosseck, Prokaska, ed Ennemoser sulfluido biotico universale de corpi viventi, era stato già conosciuto non meno chiaramente dilo ro, Finalmente volle ardimentoso inalzare i suoi sguardi ai movimenti del sole e nel vastissimo campo dell'astronomia tentando alcun passo quale ché suo opinamento volle manifestare. Si dichiara del sistema astronomico di Copernico e di GALILEI oppositore fermissimo. Ma qui potrebbe dataluno dimandarsi, se il facesse egli forse per tenere dietro alle massime proclamate dalla romana corte nella quale viveva? Nò. Chè la saggia condotta dei prudenti interpreti delle sacre corte ha assai già moderata la forza di quegl’anatemi scagliati un secolo innanzi sulla tomba del riformatore di Thori, e sul capo del pensatore pisano. Potevasi allora dalle pubbliche scuole o ne communi discorsi dei dotti liberamente difendere (come ipotesi) ilmovimento terrestre e la stazione solare, senza tema di contraire brutte macz chie nell anima, o a spiacevoli incontri soggiace, re Ond'èchese con tutta la forza del suo'sapere alla copernicana sentenza si oppose, ciò fece'con intima persuasione di mente , e non per condiscendenza di basso cortigianismo. Nei e il solo che dalla credenza di Coperni colunginestasse. Imperocchè fra i moltiche ridi re potrebbonsi, quel grande onore d'Italia, quel l’astronomo profondissimo della dotta Bologna, MANFREDI, basta per valente compagno del nostro Alessandro rammemorare. Vero si fu peròche a fronte degl'ingegnosi sforzi di tanti uomini insigni, prosegui ilsuo cammino la terra, è fermo il sole si stette. Qui terminarono le fi losofiche laboriose occupazioni di lui, e conqueste sole poteva rendersi della Patria e della nazione assai benemerito : ma fu pure medico Alessandro Pascoli, è inedico di altissima riputazione. Se sono grandi i nomi dei restauratori della umana filosofia, non meno grandi furono quelli di Silvio, di Lancisi di Baglivi, di Ramazzini, e di altri che le medie che scienze ad alto grado di rinomanza condusse ro . Alessandro Pascoli visse nel tempo in cui la medicina seguiva tuttora le insegne de'Jatro-chimici, dell'Elmonzio, e del Silvio; insegne che stavano già per cangiarsi dal Santorio e dal B o relli,onde quelle trionfassero degl’átro-matematici ed e meccanici. Nè si per verrá mai a spiegareun costante ed unico vessillo sotto il quale si raccolgano in ogni tempo i cultori della medicina le che sia proprio di lei in tutte le età che trascor. rono? Grande e funesto destino, a molte scienze comune , alla medica comunissimo! Conosce in quali giorni vive; quale del secolo suo fosse dominante lospirito; epienodialtoin gegno ,nellamedicascienza sifèvalente:Carte sio aveva per dodici interi anni studiato'l'Anato mia a fine di ben conoscere l' uomo ; e il nostro Pascoli per non minore tempo applicò la sua m e n te allo studio profondo della struttura del corpo umano. Annuncia sulle prime ai dotti un trattato riguardante i cangiamenti che provengono agli organi corporei per cagione delle passioni: pensiero veramente sublime sul quale però le speranze di ognuno restarono pur troppo delase . Ai tempi del nostro Alessandro l'Anatomia non avevaancorastrettocon altrenaturaliscienzequel Putile nesso di che oggi si onora ;né quel filo sofico linguaggio, nè quelle sottili applicazioni si trovavano in essa , siccome in quella d'oggidi noi ammiriamo.Allefaticheed allementi sublimidi Scarpa , di Soemmering, di Mechel, di Portal, e dell'immortale Bichat dobbiamo la eccellenza cui oggi l'anatomico studio è pervenuto . Nè Vicq d’Azir, nè Geoffroy di Saint Ilaire', nè Blecard, nè Gall vissero in quella età; pure potevasi quel tempo chiamare il tempo delle scoperte anatomi miche . Erano già nati gli scrutatori sommi"dell’uman corpo Arveo, Senae, Asellio, Willis, Nuck,  Malpighi, Ruischio, Lancisi ed altri. Vive e studia con Redi. Ciò basta. Insieme per più tempo in Firenze si occuparono indefessamente di anatomiche dissezioni e quel dotto scrittore toscano ha caro Alessandro quanti altri mai, al grande Cosimo presentandolo quale soggetto degnissimo di tutta la considerazione sovrana. La fabbrica del corpo umano dal nostro encomiato descritta non presenta, è ver, peregrine cose. Ma l'ordine, la chiarezza, la concisione rendettero il saggio suo utile al pubblico insegnament , pel quale oggetto egli stesso si protesa averlo unicamente composto. Quando il gran Malebranche si avvenne nel libro dell'uomo di Cartesio, ed ipcontrò in questo filosofo un ge  vio simile al suo, prese (dice l'elegantissimo Fontenelle) il grande partito di rompere ogni commercio con le erudite facoltà, ed in seno del cartesianismo tutto si abbandona. Legge il saggio medesimo di Cartesio, lo medita profondamente e scrive egli pure sull'uomo. Mentre però l'uomo di Cartesio e di Malebranche fu l'uomo del metafisico e del filosofo, l'uomo nelle mani del Pascoli e l'uomo dell'anatomico e del medico. Ha somma intelligenza nell'osservare i fenomeni dellaumana vita, sicchè lemas sime del suo Cartesio con quelle modificate del gran Cancelliere d'Inghilterra, formarono in lui quello spirito di filosofia induttiva, il quale alla ricerca del vero nelle cose di fatto e perciò in medicina, è l'unica sicura via . Scrivendo dell'Uomo prese Alessandro ilgiu sto partito di primamente designarne le parti , quindi ad esse dare vita ed azione, poi de'mali a cui vanno soggette tenere ragionamento, e fi nalmente l'opportuno metodo curativo de morbi con tutta la modestia del dire proporre. In tale modo ilnostro encomiato presentò alpubblicoun tesoro di dottrina, che per molti e molti annida ogni medica scuola Italiana fu allo insegnamento de giovani:offertoe prescritto, riputatolo per il prezioso e completo deposito della medica scienza . Le opinioni di Galeno e di Silvio erano quelle che fra i cultori d'Igea in quel tempo tut tor dominavano , Stava per sorgere la setta del più   solidismo, ed Elmonzio, Cartesio, Silvio erano ancorai tre grandi nomi proferiti dalla bocca di tutti; cosicchè fra i conciliatori e moderatori di questi tre Principi delle mediche scuole si e mento etereo piú sciolti gli umori , ed il moto fer mentativo di essi prodursi . Questo elemento lá presiedere alla circolazione sanguigna, qua tutto il fonte del calore animale sostenere perenne. Era quest etere per Alessandro la fondamentale sor gente delle fermentazioni non naturali, donde le febri tutte'nascevano che ove accada condensa mento di esso,lemaligne;ovesoluzione,lebe nigne; ove infine abbia luogo latente glandolare fermento, originarsi le intermittenti opinäva. Po i te dottrine fisiche di questo etere universale espo neva', la sua azione sulla vita degli organi', finalmente l'applicazione di esso alle dottrine di Scrodéro, di Hoffmanno, di Etmullero, diLemery , e degli altri molti di quella età . E forse che non potremmo noi parlare lo stesso linguaggio, sostituendo al nome di etere cartesiano quello di elettro-magnetico? Io i l dimando Abituato il nostro Pascoli fin dall'infanziaa piegare la sua mente al metodo geometrico e a disporre le sue idee con quell'ordine e successio ne, utile al buon’acquisto di tutte le cognizioni  il nostro Pascoli . Quindi è che nelle sue opere parlasi dello spirito di Willis, del fuoco di GIRGENTI,del l'archeo di Wan -Helmonzio, del primo elemento di Cartesio :e si dice farsi per virtù di questo ele pose + 17 + 4  Oltre al suo trattato dell'uomo, che abbraccia l'intero studio della medicina , sono n u m e rosissimi i suoi Consulti, le sue Lettere , i suoi Votiemessi in oggetti di pubblica sanità.Incau se dificili di Foro canonico e civile, in Canoniz zazioni di santi uomini diede Pareri e Giudizj, che guidarono le Autorità competenti a retti e s e n sati decreti Avendo inoltre il Pascoli,saputo unire a somma dottrina, urbanità di modi nel conversare , ed umiltà di espressioni nel parlare e nello scrivere, non é a stupirsi se ai dotti d'Ita+ lia ed oltremonte rispettabile e caro addiyenisse L'amicizia che seco lui ebbero un Redi, un Magliabecchi, un Montemelini, un'Ottaviani,unLes protti, un Zannettini, un Lambertini, un Segur, un Baglivi; da quali o dedicazioni di opere, o non interrotte scentifiche corrispondenze, o laudi sincere egli ottenne, siccome fecero pure un Bian chini,un Loy,un Marini,uno Sprengel,un'Al ler ; ci ayvisano dovere riporre Alessandro Pasco li fra gli uomini grandi, che in filosofia ed in mea umane, e preciso nel descrivere gli organi, chia ro nello esporre i fatti, esatto nella diagnosi, cautissimo nella prognosi. E poi semplice quanto mai possa dirsi nel metodo del medicare, e dichiarossi nemico di ogni farragine farmaceutica, ripetendo sempre a se stesso e ad altri che a buon medico pochi medicamenti bastano o 18 di pintore pochi colori. come a buon ;  dicina fiorirono fra il terminare del secolo decimo settimo e del decimo ottavo sul cominciare, Il nostro Pascoli legge in Roma anatomia e ,edicina dalla più fiorente alla più tarda etá sua, grandi opori godendo e distintissime cariche sem pre occupando. I papi Clemente XI, Innocenzo XIII, Benedetto XIII, Clemente XII. lo hanno a medico, Archiatro lo salutarono, Protomedico lo proclamarono, lo scelsero Conclavista. Del supremo tribunale sanitario, della congregazione dei sacri riti, fè parte onorata e principale, tanta era la dottrina che quella romana corte in Lui venerava . Potrebbe forse da taluno di noi dimandarsi se il Pascoliavesse meritatosigrandeecomune conside razione come Medico pratico,quanta ne ebbe come teorico;imperocchè pur troppo è duopo riguardare la medicina sotto ilduplice aspetto diScienza edi Arte.Difatti non rade volte accade che amedico quanto ésser si voglia dottissimo, manchi quel tatto pratico, quella squisitezza di medica vista, e, dicia molo pure , quell'inesplicabile nesso di favorevoli  19 Dopo che per due lustri dalla patria Univer sità degli Studj, e dalle private Accademie le fisi che,e mediche scienzeinsegnò,Padova eRoma il chiedettero a gara , generosamente patria novella offerendogli. Il Pontefice Clemente undecimo a se chiamatolo, fece si che a Padova, cui era già sul punto di recarsi, Roma preferisse. E così Perugia lo perdette per sempre e   E quièbenforzacrederecheAlessandroPa scoli vivendo dodici lustri in Corte, in Roma,tra Grandi , tra Principi sempre ; cui furono affidati in téressantissiminegocj delle Principesche Famiglie Albani, Chigi, Rospigliosi, Sora ed altre, fosse di grande ingegno, di profonda politica, di somma costumatezza dotato; dacchè, una di queste do ti che manchi, a sorte sì grande non si pergie ne , o per poco di questa si gode. Difatti sappia m o come tra le tante virtù che lo adornarono, erano prime il decoroso contegno in che egli si tenne, l'essere del suo buon nome forte difenditore, il  20 incontri e di buone venture, che tanto valgono al la propizia riuscita dell'esercizio clinico, e su cui la opinione e la fidanza di ottimo e felice medico riposa. Nel nostro Alessandro sembra che tutto si riunisse a renderlo valente nell'arte come nella scienza rinomatissimo. Ed in vero pel lungo corso che visse all'aura del Campidoglio, non fuvvi personaggio distintocui non prestasse medica mano o medica consultazione. Oltre ai pontefi ci sopraenunciati, la regina di Polonia ed i suoi figli, gli Elettori Bavaro, Sassone, e Coloniense, la Regina d'Inghilterra, ed ogni altro Principe e Grande, (a quali sifortemente il vivere più ca le ) lui ebbero a tutela de' propri giorni bene ed ilparlar pensar bene di tutti, siche tutti rispettando ed amando, seppe da tutti rispetto riscuotere ed amore. Cosi Roma e ammiratrice di un filosofo Perugino. Ed il suo nome onorato più spesso colà che tra noi si pronuncia forse e si ripete. Lontano dagl'incanti del bel sesso, ne fuggi perfino, in quanto il potè, la medica cura. Che più? Con religiositá e fortezza di animo sostenne una completa cecitá, senza che in se stesso foss'egli meno tranquillo, nè meno fosse da altri dimandato e compianto. Che se al possedimento disua vasta dottrina, se al buon successo dell'arte sua, se al corredo delle nobili doti dell'animo che in Pascoli fece ro si bella mostra di loro, si aggiunga la felicità de' tempi nei quali visse, dovremo anche meno stupirci che potesse egli giungere al più alto grado di celebrità e di onoranza . Io voglio dire la felicità dei tempi; ossia quell buon tempo ai dotti propizio, in cui dessi sono veramente stimati, e nel quale i Principi, ei Grandi concorrono agara (siccome oggi) informar li, tosto chè i principi e i grandi bene conoscono che le scienze e le lettere sono veramente il sostegno de’ troni, e delle nazioni delle cittá dei paesi il primo ed il più luminoso decoro. Ed alla estimazione de' medici credo che non poco in ogni tempo contribuisca la buona Fidanza de'popoli, colsaldo tenersi di quel velame che agli occhi del volgo i misteri nasconde d'Igea; velame tanto utile che sia serbato; imperocchè la remozione di esso chi ne abbisogna e cui serve reciprocamente danneggia. Dopo si grandi fatiche, carico di meriti e di onori, questa misera terra abbandona e  perenne ricordanza dei posteriche cirima ve dilui? Laviva fama delle suetante virtù, ladi lui valentia nell'arte del medicare; e più ci restano i suoi numerosi volumi , depositarii immanchevoli del vasto sapere nelle fisiche e nelle mediche facoltá. Saremmo noi co tanto ingiusti per dimenticare i sudori dei dotti che ci precedettero , solamente perchè il modo loro di filosofare non è più simi le a quello de'tempi nostri? E vorremmo noi far ci riputare così creduli e così inorgogliti nel lusin garci che alle dottrine ed alle massime nostre del la filosofia e della medicina, tutti coloro che ci suc cederanno coi secoli pieghino riverenti la fronte e le venture età inalterato rispettino ciò che ad esse faremo noi pervenire? Non siavi chi lo cre da , o la storia dell'umano sapere ne disinganni, Ond' è che degli esimj ingegni, dei benemeriti cittadini, degl'insigni scrittori,sebbene lunga serie di anni da essi ci divida, serbare si debbe ricor danzavivissima,afronte decangiamentiaquali puògireincontrol'umano filosofareeilmedi co opinamento. Si, dotti Accademici, apprezziamo mai s e m prelefaticheutilide'trapassati, seneimitinoi buoni esempli, se ne rispettino i nomi ; ed il titolo a non meritarci d'ingrati, le loro tombe di verdicorone di lauro con più frequenza e con più giustizia si onorino. Rivolgendosi al Busto marmoreo dell'Encomiato, che innalzavasi nella Sala dell' Accademia. Tutto ciò che vien detto di Alessandro Pascoli in questo Elogio, come filosofo e medico , è tolto dalla let tara ed analisi fatta delle molte sue opere , in diversi tem pi pubblicate; il catalogo delle quali trovasi registrato nella Biografia dei Scrittori Perugini delchiarissimo Cavaliere Gio.Battista Prof.Vermiglioli all'Articolo Pasco li Alessandro - Noi credemmo di non trascrivere ibra ni medesimi dell'Encomiato, a conferma de' suoi detti e delle sue opinioni , e ciò per non aumentare la stampa inu tilmente; sapendo che agli eruditi medici sarebbe ridire le cose stesse le quali nelle opere delPascoli già bene conoscono , o potranno rilevare quando lo vogliano . Quello poi che riguarda la di lui vita privata e so ciale lo rilevammo dalla storia di sua famiglia , dalla Biografia sopracitata; nonchè da quella degli illustri italia ni compilata dal chiarissimo Sig. Emilio de Tipaldo, Venezia. Finalmente da non poche pregevoli notizie ms. lasciate da Francesco Aurelio Ginanneschi, giovane di Alessandro Pascoli, ed ultimo che stet te venti e più anni con lui, e perciò informatissimo della sua vita. Questo ms  trovasi presso di noi. Nacque da Domenico Pascoli, e da Ippolita Mariottini . La famiglia dei Pascoli fu originaria di Ravenna, siccome ne scris se Celso , fratello del nostro Alessandro , nella storia del la sua Casa .La prima di esse fu stampata in Roma in 8°, presso lo Zanobi, dedicata a Fabrizio Paolucci, Segretario di Stato di Clemente XI. La seconda che contiene tutta la di lui ritrattazione e pubblicata egualmente in Roma  in 8° per il Buagni, dedicata a Banchieri assessore del S. Officio. Ambedue queste operette interessanti la vita letteraria ed i sentimenti morali del Pascoli le abbiamo nella Biblioteca pubblica Scaff. Quando la Regina d'Inghilterra in Roma lo chiama a medicarla, nell'atto di presentare il polso, gli disse. É vero, Sig. Dottore, che voi non avete piacere di medicare le donne? Alla quale dimanda egli risponde. É verissimo, ma non le regine. Muore in Roma. confortato da tutti gli ajuti della Religione, Gl’ultimi18 circa dei quali in una completa cecità Fù sepolto nella Chiesa di S. Silvestro a Monte Cavallo de' RR.PP, Teatini- La Iscrizione sepolcrale umile, compostasi da se medesimo, e che trovasi tuttora sopra l'avello, è la seguente. Hic Posuit Exuvias In Die Irae Resumendas Alexander Pascoli Perusinus Verissimo. Non mi piace medicar le donne, ma non le regine”,eforsedeglialtri,chesap di Antonio Blado); Trattato della mutazione dell' altra Lettera si apprende che avea aria,in4. Roma per Alessandro Gar. Pure scritto un trattato di Rettorica danoec.Di questo opuscolopro- eprincipalmente sulla Invenzione dusse il suo giudizio il Bonciarioia dicui ne offer copia allo stessoBon una letterainedita. Perchèi Digesti si allegano morie di sua famiglia originaria di Ra iniscrittoperdueifedil paragra- venoa, epoistanziataio Perugia; eda fo per due ss congiunti. queste memɔrie medesime passate quin 2. Del partodell'Orsa . piano e non siano appassionati. Da  V. Conclusione del Tribuno della scoli,ed. Ippolita Mariottini.Termi plebe,in4.RomapergliEredidi natiigiovanilisuoistudiipressoipp. suo articolo, e dal Vincioli nell'opu scolo sullo stesso argomento. I ràstampata velan anderò. Leco- Dizionario medico,che egli di e che io farò non saranno da sco- morando in Firenze , studiò assidua »lare,elatineperqualchemese>,ma mentealloSpedaleperfareosserva »volgari, e contro tutta l'Accademia zioni anatomiche, eperpoterecosì fiorentina, massime sopra il Boccaccio, migliorareunsuo Trattatosulcangia Gennajo da Domenico Pa. egli tolse a seguire la medicina VI.VersiinLodedelleacquedi incuineotlennelemagistraliinsegne S.Galgano. Civengonoricordatidal. quandocontavasolianni21. Grisaldiioquellelettererammentateal Posciasirecòin Firenzeameglio apprendere la scienza salutare alla scuo e ciario . della Poesia,in CelsoPa. IIF. Questione di Giovanni Osma. Romapergli Eredi rino Gigliotto Magistrato. anguste ma lucrose vie del fo. PAPA scoli fratello di Alessandro, e di Leg IV.Risoluzioni di quattrodubbj. ne, dimorando in Roma scrisse le me di a suoi posteri, noi raccoglieremo le 3.4. Del Perseo, e del Pesco, e brevi notizie di Alessandro, e Leone. loro natura . Roma per gli Eredidi Nacque Alessandro in Perugia nel Gio. Gigliotti ,in Giovanni Gigliotti. E'questoun' Gesuiti, che conoscendolo di bello in opuscolo con cuisicoufutano leopi- gegno, desideravano a loro condurlo, e nionidi Plutarco, del Manuzio edel terminate gli studii legali, perch èil Sigonio, iquali credettero che il Tri- padre voleastrascinarlo miserameate buoo della plebe in Roma non fosse per le ro taliana, esoprailBoccaceio.Gioviin- buonesperanze,nonostantechesi tendernepocheparole:»Sostatotardo riducesseagliestremi.Ristabilitositor n'arisponderviperchèm'haingom- nòaprosperamealeesercitarelasua »bratotuttopiùdiunmeseunacom- professione,ecolfavoredeldottoMae »posizioncellachehofattaperun stro,potèpresentarsial Gran-Duca »miopatrone, laqualesubitochesa- CosimoI. Aggiugnel'Eloynelsuo ladi Francesco Kedi, e mentre co Da una lettera inedita di Lorenzo si sotto di lui attendevaallaclinica, al Bonciariosembracheeglisiaccin- fudamortalemalattiasorpreso,ma gesse a scrivere anche sulla Lingua i- il Redi medesimo ne concepì sempre e   èverissimo, ma non le Regine. Fu Rimpatriato nuovamente si posea anche medico straordinario deiPonte studiare le lingue greca e latina sot- fici Clemente XI. Innocenzio XIII. Be to il Canonico Guidarelli, dicuiveg. Pedetto XIII. eClemente XII. incom gasil'articolo, e le Matematiche sot- pagnia di Leprotti,ilqua to ilDottorNeri,mentrenon lascia- lemoltoprofittavade'consiglidel Pa vadiattendereancheallaMedicina scoli.Doveaesseremedicoprimario pratica, soltoLodovicoViti; nèpassò pontificio, ma per non imbarazzarsi poi molto tempo, che ottennein pa gui la giubilazione. Veggasi la dedica premessa alla sua opera de Hom inc . Marini Archiatri PontificjCaraffa de Gymn.Rom. Com , in stud. Med. Borhe. Valen.1741. enuovamentetraledisputazionimedicheraccoltedall' Halleer, per le approvazioni da farsi ne'miracoli Adaltrionorifuinnalzatoin Ro- operatiadintercessione de’ServidelSi ma, imperciocchèebbe luogo frai gnorenellaloro canonizzazione e ,esi XII.ArchiatridelCollegiode'Medici dique'prodigjdistesepurealcunedi efragliArcadicon ilnomediSofiló squisizioni.ProfessavalaMedicinacon Molossio.Varie istituzioni sanitarie lo semplicità, e dioesiche il rinomatissi ebbero a medico in Roma, ove cura mo Cardinale Alessandro Albani Camer la Regina di Polonia , ed il suo figliuo- lengo, lo ebbe in tanta stima, che non soleva conferire impiego a perugin , se non gli veniva raccomandato lo , gl’eleltori di Baviera e di Colonia, llo fante Elettorale di Sassonia elaReginad'Inghilterra,laquale dalPascolichesoleachiamareilCa nell'ultima malattia volle il Pascoli merlengo perugino. Fu avuto in isti. e narra Celso suo fratello , che nella ma anchedalcelebre Hallerche ne primavoltaincuiAlessandroletoccò parlònelleoperesue(4),edilSeguer ilpolzo, glidisse la Regina, onève àlui dedica  la sua Schedula monito. ro Pascoli, che voi non avete pia- ria ec. PA mentodegli organicorporeiper ca- ceredimedicardonne?»cuirispose: gione delle passioni . PA 171 triaunaCattedradiFilosofia,cheten- ri;nonostanteperòfucontinuamente neperapni10.,ragunandopoisem- ingraziadeglistessiPontefici,edi preincasasuaunaAccademiaaperta vennemedicodelConclavedopola diLetterati.Intantofuchiamatoaleg- mortediBenedettoXIII. eequandofu gereinPadova,ementresidispone creatoClementeXII. Vaarecarsiaqueldottissimo Studio, Inoltredal1928.al1736.aveaeserci Clemente XI.lochiamò aleggerenell' tata in Roma anche la carica di Pro ArchiginnasioRomano. Coldreca. tomedicodiquellaMetropoli,edello tosi incomiocid tosto ad iosegnare, la Stato Ecclesiastico  e la Consul Notomia,chepernoveannicontinui tasoleasemprericercareisuoivoti vi professò; ottenne poi alire catte- in qualunquebisogno di medica poli dre di Teorica e Pratica con vistosi zia.Fu similmente varie volte occu stipendi,finchènel1951.neconse patodallaCongregazionede,Riti nellaCorte, rifiutò semprequesti ono PERVGINVS VIXIT  OB.V. tica il Sig. Pietro Angelo Papi M e 1.Dellefebbri TeoricaePratica dicoeFilosofoSabinese.Roma1706. secondoilnuovosistema,ove tuttosi perilZanobj 8. spiega per quanto è possibile ad im Dopo il lungo spazio di 6. anni , mitazionede'Geometriec.Perugia fuproibitaquest'opera,el'Autore X. Della natura dei nostri pensie; Osservazioni Teoriche e Prati- ri, e della natura concuisiespri che di Medicina inviate fonde in virtù di loro elastica possan. Sofilo Molossio Pastore Arcade zaec. Roma presso Rocco Barnabò perugino, e custode degli armenti automatici in Arcadia. Gli difende dal De homine sive de corpore PA PA l pel Costantini 4.Sieguonoal- toccodascrupolopubblicòilN.VII. cunisuoidiscorsiinmateriemediche. AnatomeLiterarumsivePal. Morì santamentein Roma nella vecchia etàdi valloconquestaiscrizionenelsuotu. anni89.edopo18.annidicecità,e mulocheerasicompostaperluistesso. Le dolle opere che lasciò a' poste- ri sono : lo scrutinio che nefa nellasua cri • II. Il Corpo umano o breve Istoria dove con nuovo metodo si descrivono ladis pervestigatio ec.Romae In ultimo vannoaggiun- per lo Buagni .Vedi ilN. V. .M. HIC 0.POSVIT ,EXVVIAS IN .DIE .IRAE .RESVMENDAS ALEXANDER .PASCOLI typis CajetaniZanobii8.L'anno1715. incompendiotuttigliorganisuoi, furiprodottaperloSalvioniin4.con cd i loro principali officj ec .Perugia 1700. pel Costantini in 4.Ven.1712. qualche diversità nel titolo. VII.Sofilosenzamaschera.Roma te due Pistole del Baglivi al Pascoli : Defibrámotriceetmorbosa,necnon zionidialcuniServidi Dio.Roma de experimentis ac morbis ec. 1741. per (1)Giornale de Letterati Ven.  fusepolto in S. Silvestro di Monte Car Voti scritti per le Canoniza-. Del moto che nei mobili siri. Nuovo metodo per introdursi IX. Deimotoche nei corpi sidif ad imitazione de'Geometri con ordi- fonde per impulso esteriore ne , chiarezza e brevità nelle più , Tratta sot- to fisico matematico ad insegnare la tiliquistionidiFilosofia,Logica,Mo- possanzadegliclementi4.Roma per rale,eFisica.Ven.perAndreaPo- 'loSalvioni letti1702.in4.vediilN.X. fig. (1) o lettere mono.Riflessionimetafisichecc.Ro aglieruditissimiSignoridisuapri- ma1724.4.(2)Servedisecondapar vataAccademiaec.Ven.1702.per teall'operadataalN.I. Andrea Poletti4.,ed ivinuovamente   humanovitamhabenterationetampro- insegne;econtinuandoinessigiunse speraetamaffictaevaletudinis.Li- a cuoprirel'onorevolepostodiSegre bri tres.Romae 1728. vol.3.in4.ex per Andr. Poletti (sò posciaaRavenna ,d'onde alloscri. onori , che non versavansi allora con soilBarnabòcon varj discorsi.L' tantagenerosità,perchèalsolomeri operastessafuristampatainVenezia toconcedevansi.Scorsipochimesidi pel Polettiin4.cuisiag. suadimorainFirenze,tornòarive giunseunamemoriadelSeguerdiret- derelapatria,dacuisirecònuova. ta al Pascoli . mente in Roma sede degli studii lega XIV.Alcuniopuscolianonimiin li, versode'quali Leonecrainclina. Difesadi AlessandroPascoli, Sicre-tissimo,laquella Metropoli diportava. donosuoi, esonoinrispostaadal-sicontantasaggezza,chedivennefa triopuscoli del bresciano Cri- miliaredelDucad'WedaAmbasciado. stoforoZannettinigiàstatoscolaredel redelRediSpagnaallaCorteromu. medesimoPascoli;edinquelledispu- na. Ma circostanze politiche, cheoscu. tealtri moltiopuscolisi videro. Ma raronolariputazionediquelpocoas sennato Ministro, anche ad egli fe delle sue opere mediche si fe ce altra edizione in Venezia in due cero cambiare partitie siavviò per volume. Oltregli unacarrieradiversa.Dopodiaverevi Scritti che al Pascoli indirizzarono sitatealcunedelleprimarieCittàd'Ita , il Baglivi, ed il Seguer glilia , torno a rivedere la patria , e ad fudedicatalaseconda edizionedelle unavastissimasuppellettiledicognizio Maschere sceniche del Ficoroni. Conversando gl’uomini tra sè, ed avendo inconseguen ROMA ETCRIS EMANUELE Donde è nico il za necessità di comunicare a vicenda ipensieri, e le linguagio degl, a ز to Cà CO . Uomini partico idee,che passano intimamente loro nell'animo; nè potendo laze ciò conseguire in questo mondo sensibile, se non che in virtù di qualche oggetto atto a muovere i sensi, CONVENNERO DI COMUN CONSENSO ad unire in maniera I loro pensieri, e leloro idee, ancorche al tutto insensibili, a certi SEGNI SENSIBILI, ed in particolarealle voci, che queste, stimolando per entro agli orecchi gli organi dell'udito, destino conun a tale alte razione nell'animo, di chiode, quei pensieri, e quelle idee, che concordarono di ESPRIMERE per s i n i l i segni, o voci, chiamate comunemente termini. I termini dunque in logica non sono, se non chele semplice voci inventate dagl’uomini a piacere per esprimere con maniere sensibili le loro idee insensibili. Di qui è, che nato è tra i popoli ogni linguaggi po a rticolare.Di cosi fatto linguaggio, e delle idee, che esso esprime , rispetto alle operazioni dette dell'intellett, cioè rispetto al raziocinio umano, nel corso del libro presente facciamo esatta menzione. Alessandro Pascoli. Keywords: fisiologia, corpo, galileo, il fuco di Girgenti, Cicerone, Bianchini. Verissimo, non mi piace medicar le donne, ma non le regine” spiegazione dell’entimema in termini dell’intenzione dei communicatori – chi da il segno e chi lo receve – il segno sensibili dell’idea della cosa. Equivoco se il termine e dunque la proposizione rippresenta due idee. -- Luigi Speranza, “Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Pascoli – decadeniza divina – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Mauro di Romagna). Filosofo.. Considerato il maggior filosofo decadente, nonostante la sua formazione principalmente positivistica.  Dal Fanciullino, articolo programmatico, emerge una concezione intima e interiore del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva. D'altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del "fanciullino" presente in ognuno: quest'idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di "poeta vate", e di ribadire allo stesso tempo l'utilità morale (specialmente consolatoria) e civile della poesia.  Egli, pur non partecipando attivamente ad alcun movimento letterario dell'epoca, né mostrando particolare propensione verso la poesia europea contemporanea (al contrario di D'Annunzio), manifesta nella propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche, tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del positivismo. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata da Carducci e le nuove tematiche decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato delle sue opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi presupposti biografici e psicologici che egli stesso ri-organizzò per tutta la vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo poetico e artistico. Nacque in provincia di Forlì all'interno di una famiglia benestante, quarto dei dieci figli due dei quali morti molto piccolo di Ruggero Pascoli, amministratore della tenuta La Torre della famiglia dei principi Torlonia, e di Caterina Vincenzi Alloccatelli. I suoi familiari lo chiamano affettuosamente Zvanì. Il padre e assassinato con una fucilata, sul proprio calesse, mentre tornava a casa da Cesena. Le ragioni del delitto, forse di natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, non sono mai chiarite e i responsabili rimasero ignoti. Nonostante tre processi celebrati e nonostante la famiglia ha forti sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare evidentemente ne “La cavalla storna”. Il probabile mandante e infatti Pietro Cacciaguerra (al quale fa riferimento, senza nominarlo, nella lirica Tra San Mauro e Savignano, possidente ed esperto fattore da bestiame, che divenne successivamente agente per conto del principe, co-adiuvando l'amministratore A. Petri, sub-entrato al padre dopo il delitto. I due sicari, i cui nomi correvano di bocca in bocca in paese, sono L. Pagliarani detto Bigéca, fervente repubblicano, e M. Dellarocca, probabilmente fomentati dal presunto mandante. Sempre da lui venne scritta una poesia in ricordo della notte dell'assassinio del padre, X agosto, la notte di San Lorenzo, la stessa notte in cui morì il padre.  Sull'intricatissima vicenda del delitto Pascoli è stato pubblicato il saggio “Omicidio Pascoli”. Il complotto frutto di ricerche negli archivi locali e che, oltre a pubblicare documentazione inedita, formula l'ipotesi di uncomplotto perpetrato ai danni dell'amministratore Pascoli. Il trauma lascia segni profondi nel poeta. La famiglia comincia a perdere gradualmente il proprio stato economico e successivamente a subire una serie impressionante di lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l'anno successivo morirono la sorella Margherita di tifo, e la madre per un attacco cardiaco (di "crepacuore", si disse),  il fratello Luigi, colpito da meningite, e il fratello maggiore Giacomo, di tifo. Da recenti studi anche il fratello maggiore, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo familiare a Rimini, potrebbe essere stato assassinato, forse avvelenato. Giacomo infatti nell'anno in cui morì ricopriva la carica di assessore comunale e pare conoscesse personalmente coloro che avevano partecipato al complotto per uccidere il padre, oltre al fatto che i giovani fratelli Pascoli (in particolare Raffaele e Giovanni) si erano avvici tal punto alla verità sul delitto da essere minacciati di morte.  Le due sorelle Ida e Maria andarono a studiare nel collegio del convento delle monache agostiniane, a Sogliano al Rubicone, dove viveva Rita Vincenzi, sorella della madre Caterina e dove rimasero dieci anni: nel 1882, uscite di convento, Ida e Maria chiesero aiuto al fratello Giovanni, che dopo la laurea insegnava al liceo Duni di Matera, chiedendogli di vivere con lui, facendo leva sul senso di dovere e di colpa di Giovanni, il quale durante i 9 anni universitari non si era più occupato delle sorelle. Nella biografia scritta dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, il futuro poeta è presentato come un ragazzo solidoe vivace, il cui carattere non è stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e a cercare i mezzi per proseguire gli studi universitari, nonché nel puntiglio, sempre frustrato, nel ricercare e perseguire l'assassino del padre. Questo desiderio di giustizia non sarà mai voglia di vendetta, e Pascoli si pronuncerà sempre contro la pena di morte e contro l'ergastolo, per motivi principalmente umanitari. Dopo la morte del fratello Luigi avvenuta per meningite dovette lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino. Si trasferì a Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare. Gunse a Rimini assieme ai suoi cinque fratelli: Giacomo, Raffaele, Alessandro Giuseppe, Ida, Maria (6, chiamata affettuosamente Mariù. L'appartamento, già scelto da Giacomo ed arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del primo piano», scrive Mariù: «La vita che si conduceva a Rimini… era di una economia che appena consentiva il puro necessario». Pascoli terminò infine gli studi liceali a Cesena dopo aver frequentato il ginnasio ed il liceo al prestigioso Liceo Dante di Firenze, ed aver fallito l'esame di licenza a causa delle materie scientifiche. Grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca) ssi iscrisse all'Bologna, dove ebbe come docenti G. Carducci e G. Gandino, e diventò amico del poeta e critico S.Ferrari. Conosciuto A. Costa e avvicinatosi al movimento anarco-socialista, comincia, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una manifestazione socialista a Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico lucano G. Passannante ai danni del re Umberto I, lesse pubblicamente un proprio sonetto dal presunto titolo Ode a Passannante. L'ode venne subito dopo strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito, pensando all'assassinio del padre. Dessa si conoscono solamente gli ultimi due versi tramandati oralmente. Colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera. La paternità del componimento e oggetto di controversie. Sia la sorella Maria sia lo studioso P. Bianconi negano che avesse scritto tale ode. Bianconi la define la più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana. Benché non vi sia alcuna prova tangibile sull'esistenza dell'opera, G. Lolli, segretario della federazione socialista di Bologna e il suo amico, dichiara di aver assistito alla lettura e attribue a lui la realizzazione della lirica. Arrestato per aver partecipato ad una protesta contro la condanna di alcuni anarchici, i quali erano stati a loro volta imprigionati per i disordini generati dalla condanna di Passannante. Durante il loro processo urla. Se questi sono i malfattori, evviva i malfattori! Dopo poco più di cento giorni, esclusa la maggiore gravità del reato, con sentenza, la Corte d'Appello rinvia gli imputati Pascoli e U. Corradinidavanti al Tribunale. Il processo, in cui Pascoli era difeso dall'avvocato Barbanti, ha luogo, chiamato a testimone anche Carducci che invia una sua dichiarazione. Non ha capacità a delinquere in relazione ai fatti denunciati. Viene assolto ma attraversa un periodo difficile. Medita il suicidio ma il pensiero della madre defunta lo fa desistere, come dirà nella poesia La voce. Alla fine riprende gli studi con impegno. Nonostante le simpatie verso il movimento anarco-socialista, quando Umberto I venne ucciso da un altro anarchico, G. Bresci, Pascoli rimase amareggiato dall'accaduto e compose la poesia Al Re Umberto. Abbandona la militanza politica, mantenendo un socialismo umanitario che incoraggiasse l'impegno verso i deboli e la concordia universale tra gli uomini, argomento di alcune liriche:  «Pace, fratelli! e fate che le braccia ch'ora o poi tenderete ai più vicini, non sappiano la lotta e la minaccia.»  (I due fanciulli). Dopo la laurea con una tesi su Alceo, Pascoli intraprese la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di Matera e di Massa. Dopo le vicissitudini e i lutti, aveva finalmente ritrovato la gioia di vivere e di credere nel futuro. Ecco cosa scrive all'indomani della laurea da Argenta:  "Il prossimo ottobre andrò professore, ma non so ancora dove: forse lontano; ma che importa? Tutto il mondo è paese ed io ho risoluto di trovar bella la vita e piacevole il mio destino".  Su richiesta delle sorelle Ida e Maria, nel convento di Sogliano, riformula il proprio progetto di vita, sentendosi in colpa per avere abbandonato le sorelle negli anni universitari. Ecco a tale proposito una lettera di Giovanni scritta da Argenta, il quale, ripreso dalle sorelle per averle abbandonate, così risponde:  "Povere bambine! Sotto ogni parola di quella vostra lettera così tenera, io leggevo un rimprovero per me, io intravedevo una lagrima!."  E ancora da Matera il poeta scrive. Amate voi me, che ero lontano e parevo indifferente, mentre voi vivevate nell'ombra del chiostro. Amate voi me, che sono accorso a voi soltanto quando escivate dal convento raggianti di mite contentezza, m'amate almeno come le gentili compagne delle vostre gioie e consolatrici dei vostri dolori?  Iniziato alla massoneria, presso la loggia "Rizzoli" di Bologna. Il testamento massonico autografo del Pascoli, a forma di triangolo (il triangolo è un simbolo massonico), è stato rinvenuto. Insegna a Livorno al Ginnasio-Liceo "Guerrazzi e Niccolini", nel cui archivio si trovano ancora lettere e appunti scritti di suo pugno. Inizia la collaborazione con la rivista Vita nuova, su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a rinnovarsi in cinque edizioni. Con le sorelle Ida e Maria Vinse inoltre per ben tredici volte la medaglia d'oro al Concorso di poesia latina di Amsterdam, col poemetto Veianus e coi successivi Carmina. E chiamato a Roma per collaborare con il Ministero della pubblica istruzione. Nella capitale fece la conoscenza di A. Bosis, che lo invitò a collaborare alla rivista Convito (dove sarebbero infatti apparsi alcuni tra i componimenti più tardi riuniti nel volume Poemi conviviali), e di Annunzio, il quale lo stima, anche se il rapporto tra i due filosofi e sempre complesso. G. Bernardo, a capo del Grande Oriente d'Italia, esplicitamente dichiara l'appartenenza di Pascoli e Carducci alla massoneria, per un certo periodo nelle logge. Il nido di Castelvecchio «La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera»  (Giovanni Pascoli, La mia sera, Canti di Castelvecchio) Divenuto professore universitario e costretto dalla sua professione a lavorare in più città (Bologna, Messina e Pisa), non si radicò mai in esse, preoccupandosi sempre di garantirsi una via di fuga verso il proprio mondo di origine, quello agreste. Tuttavia il punto di arrivo sarebbe stato sul versante appenninico opposto a quello da cui proveniva la sua famiglia. Infatti si trasferì con la sorella Maria nella Media Valle del Serchio nel piccolo borgo di Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che divenne la sua residenza stabile quando (impegnando anche alcune medaglie d'oro vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo S.  Berti, matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito i vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con S. Berti, matrimonio che contempla e seguito vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo Sa. Berti, matrimonio che contempl e seguito Pascoli vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo anni di sacrifici e dedizione alle sorelle, a causa delle qualia causa delle quali ha di fatto più volte rinunciato all'amore. A tale proposito, una vinte al Concorso di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla.  Dopo il matrimonio della sorella Ida con il romagnolo S. Berti, matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito sin vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo mostra dedicata agli "Amori di Zvanì" e allestita dalla Casa Pascoli nel, getta luce sulle sue vicende amorose inedite, chiarendo finalmente il suo desiderio più volte manifestato di crearsi una propria famiglia. Molti particolari della vita personale, emersi dalle lettere private, furono taciuti dalla celebre biografia scritta da M. Pascoli, poiché giudicati da lei sconvenienti o non conosciuti.  Il fidanzamento con la cugina Imelde Morri di Rimini, all'indomani delle nozze di Ida, organizzato all'insaputa di Mariù, dimostra infatti il suo reale intento. Di fronte alla disperazione di Mariù, che non avrebbe mai accettato di sposarsi, né l'ingerenza di un'altra donna in casa sua, ancora una volta rinuncerà al proposito di vita coniugale.  Si può affermare che la vita moderna della città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica, nella sua poesia. In un certo senso, non uscì mai dal suo mondo, che costituì, in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande tema, una specie di microcosmo chiuso su sé stesso, come se ha bisogno di difenderlo da un minaccioso disordine esterno, peraltro sempre innominato e oscuro, privo di riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre. Sul tormentato rapporto con le sorelle il nido familiare che ben presto divenne tutto il mondo della sua poesia. Scrive parole di estrema chiarezza il poeta Mario Luzi. Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle quali Ida è connivente solo in parte. Si tratta in ogni caso di una vera e propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta con durezza, gli altri fratelli. In pratica difende il nido con sacrificio, ma anche lo oppone con voluttà a tutto il resto. Non è solo il suo ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Media Valle del Serchio dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura.»  ([M. Luzi]) In particolare si fecero difficili i rapporti con Giuseppe, che mise più volte in imbarazzo Giovanni a Bologna, ubriacandosi continuamente in pubblico nelle osterie, e con il marito di Ida, il quale  dopo aver ricevuto in prestito dei soldi da lui, partì per l'America lasciando in Italia la moglie e le tre figlie. Le trasformazioni politiche e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe bellica europea, gli gettarono progressivamente, già emotivamente provato dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, in una condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati, che lo conduceno in una fase di depressione e nel baratro dell'alcolismo. Abusa di vino e cognac, come riferisce anche nelle lettere. Le uniche consolazioni sono la poesia, e il suo nido di Castelvecchio, dopo la perdita della fede trascendente, cercata e avvertita comunque nel senso del mistero universale, in una sorta di agnosticismo mistico, come testimonia una missiva a G. Semeria. Io penso molto all'oscuro problema che resta. Oscuro. La fiaccola che lo rischiara è in mano della nostra sorella grande morte. Oh! sarebbe pur dolce cosa il credere che di là fosse abitato! Ma io sento che le religioni, compresa la più pura di tutte, la cristiana, sono per così dire, Tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno scosse. Mentre insegnava latino e greco nelle varie università dove aveva accettato l'incarico, pubblicò anche i volumi di analisi dantesca Minerva oscura, Sotto il velame e la mirabile visione. Assunse la cattedra di letteratura italiana a Bologna succedendo a Carducci. Qui ebbe allievi che sarebbero stati poi celebri, tra cui A. Garzanti. Presenta al concorso indetto dal Comune di Roma per celebrare il cinquantesimo dell'Unità d'Italia, il poema latino “Inno a Roma” in cui riprendendo un tema già anticipato nell'ode Al corbezzolo esalta Pallante come il primo morto per la causa nazionale e poi deposto su rami di corbezzolo che con i fiori bianchi, le bacche rosse e le foglie verdi, vengono visti come un'anticipazione della bandiera tricolore.  Scoppiata la guerra italo-turca, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso a favore dell'imperialismo La grande Proletaria si è mossa: egli sostiene infatti che la Libia sia parte dell'Italia irredenta, e l'impresa sia anche a favore delle popolazioni sottomesse alla Turchia, oltre che positiva per i contadini italiani, che avranno nuove terre. Si tratta, in sostanza, non di nazionalismo vero e proprio, ma di un'evoluzione delle sue utopie socialiste e patriottiche. Le sue condizioni di salute peggiorano. Il medico gli consiglia di lasciare Castelvecchio e trasferirsi a Bologna, dove gli viene diagnosticata la cirrosi epatica per l'abuso di alcool. Nelle memorie della sorella viene invece affermato che fosse malato di epatite e tumore al fegato.  Il certificato di morte riporta come causa un tumore allo stomaco, ma è probabile fosse stato redatto dal medico su richiesta di Mariù, che intendeva eliminare tutti gli aspetti che lei giudicava sconvenienti dall'immagine del fratello, come la dipendenza da alcool, la simpatia giovanile per Passannante e la sua affiliazione alla Massoneria. La malattia lo porta infatti alla morte, un Sabato Santo vigilia di Pasqua, nella sua casa di Bologna, in via dell'Osservanza n. 2. La vera causa del decesso fu probabilmente la cirrosi epatica. Venne sepolto nella cappella annessa alla sua dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella Maria, sua biografa, nominata erede universale nel testamento, nonché curatrice delle opere postume.   L'ultima dimora dove morì, a Bologna in via dell'Osservanza n. 2. Sul cancello si può  brevi parentesi politiche della sua vita. Venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere. L'ulteriore senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell'alveo d'ordine del tutore Carducci e al compimento degli studi con una tesi su Alceo.  A margine degli studi veri e propri, comunque, conduce una vasta esplorazione della filosofia ttraverso le riviste francesi specializzate come la Revue des deux Mondes, che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista, e la lettura dei testi scientifico-naturalistici di J. Michelet, J. Fabre e M. Maeterlinck. Tali testi filosofici utilizzano la descrizione naturalistica la vita degli insetti soprattutto, per quell'attrazione per il micro-cosmo così caratteristica del romanticismo decadente in chiave filosofica. L’sservazione era aggiornata sulle più recenti acquisizioni filosofiche dovute al perfezionamento del microscopio e della sperimentazione di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente attraverso uno stile lirico in cui domina il senso della meraviglia e della fantasia. E un atteggiamento positivista romanticheggiante che tende a vedere nella natura l'aspetto pre-cosciente del mondo umano. Coerentemente con questi interessi, vi fu anche quello per la filosofia dell'inconscio di Hartmann che apre quella linea di interpretazione della psicologia in senso anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana. È evidente in queste letture come in quella successiva di J. Sully sulla psicologia un'attrazione verso il mondo piccolo dei fenomeni naturali e psicologicamente elementari che tanto fortemente caratterizza tutta la sua poesia. E non solo la sua. La cultura filosofica ha coltivato un particolare culto per il mondo dell'infanzia, dapprima, in un senso culturale più generico, poi, con un più accentuato intendimento psicologico. I Romantici, sulla scia di Vico e di Rousseau, paragonano l'infanzia allo stato primordiale di natura dell'umanità, inteso come una sorta di età dell'oro. Si comincia ad analizzare in modo più realistico e scientifico la psicologia, portando l'attenzione del individuo in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La filosofia produce una quantità considerevole di saggi che costituirono la vera letteratura di massa. Parliamo delle innumerevoli raccolte di fiabe dei fratelli Grimm  di Andersen, di Ruskin, Wilde, Maeterlinck; o come il capolavoro di Dodgson, Alice nel Paese delle Meraviglie (cf. Pinocchio, Cuore). Oppure i libri di avventura adatti anche all'infanzia, come i romanzi di Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. Saggi sull'infanzia, dall'intento moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot, Il piccolo Lord di F.H. Burnett, Piccole donne di Alcott e i celeberrimi “Cuore” di De Amicis e “Pinocchio” di Collodi. Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la sua teoria della poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del fanciullino, ai riflessi di un vasto ambiente filosofico che e assolutamente maturo per accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui sa cogliere un gusto diffuso e un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all'Italia manca dall'epoca di Leopardi. Per quanto riguarda il linguaggio, ricerca una sorta di musicalità evocativa, accentuando l'elemento sonoro del verso, secondo il modello dei poeti maledetti Verlaine e Mallarmé.  La poesia come nido che protegge dal mondo. La poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere alla verità di ogni cosa. Il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta quindi la ragione e, di conseguenza, rifiuta il positivismo, che e l'esaltazione della ragione stessa e del progresso, approdando così al decadentismo. La poesia diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà che vengono rappresentate; ma in realtà una connessione, a volte anche un po' forzata, è presente tra i concetti, e il poeta spesso e volentieri è costretto a voli vertiginosi per mettere in comunicazione questi concetti. La poesia irrazionale o analogica è una poesia di svelamento o di scoperta e non di invenzione. I motivi principali di questa poesia devono essere "umili cose": cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. A questo si unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le cui presenze aleggiano continuamente nel “nido”, riproponendo il passato di lutti e di dolori e inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione, che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali del nido. Il duomo, al cui suono della campana si fa riferimento ne L'ora di Barga Nella vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre pressoché costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e mondo agreste, intesi come portatori di valori opposti: mentre la campagna appare sempre più come il paradiso perduto dei valori morali e culturali, la città diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima della degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente materiale. Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce dell'arretratezza economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto all'evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante come erano Parigi per la Francia e Londra per l'Inghilterra. I luoghi poetici della terra, del borgo, dell'umile popolo che ricorrono fino agli anni del primo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria lontana,che l'ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del tutto.  Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli altri scrittori, ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive. Nel 1899 scrisse al pittore De Witt. C'è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella vita semplice e familiare e nella contemplazione della natura, specialmente in campagna, c'è gran consolazione, la quale pure non basta a liberarci dall'immutabile destino». In questa contrapposizione tra l'esteriorità della vita sociale (e cittadina) e l'interiorità dell'esistenza familiare e agreste si racchiude l'idea dominanteaccanto a quella della mortedella poesia pascoliana. Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle del Serchio, non usce più (psicologicamente parlando) fino alla morte. Pur continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e accettando di succedere a Carducci sulla cattedra dell'Bologna, egli ci ha lasciato del mondo una visione univocamente ristretta attorno ad un "centro", rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra amore e morte.  Fu come se, sopraffatto da un'angoscia impossibile a dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale del componimento poetico l'unico mezzo per costringere le paure e i fantasmi dell'esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse continuare una vita di normali relazioni umane. A questo "recinto" poetico egli lavorò con straordinario impegno creativo, costruendo una raccolta di versi e di forme che la letteratura italiana non vedeva, per complessità e varietà, dai tempi di Chiabrera. La ricercatezza quasi sofisticata, e artificiosa nella sua eleganza, delle strutture metriche scelte da Pascolimescolanza di novenari, quinari e quaternari nello stesso componimento, e così viaè stata interpretata come un paziente e attento lavoro di organizzazione razionale della forma poetica attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili che premevano dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i simbolisti francesi e le altre avanguardie artistiche proclamano nei confronti della spontaneità espressiva.  Frontespizio di un'edizione del discorso socialista e nazionalista di Pascoli La Grande Proletaria si è mossa, in favore della guerra di Libia. Anche se l'ultima fase della produzione pascoliana è ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni, comprendenti gli inni Ad Antonio Fratti, Al re Umberto, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni, Andrée, nonché l'ode, aggiunta nella terza edizione, Chavez; Poemi italici; Poemi del Risorgimento; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è mossa, tenuto  in occasione di una manifestazione a favore dei feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio, nei quali il poeta trae spunto dall'ambiente a lui familiare come la Ferrovia Lucca-Aulla ("In viaggio"), nonché parte dei Poemetti. Il mondo di Pascoli è tutto lì: la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei lutti privati. Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero della morte, senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra parte queste poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che più campeggi o sul bianco della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è suono che più si distingua sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir delle piante, sul canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie. Crescano e fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae (diciamo cesti o stipe) autunnali. Dalla Prefazione di Pascoli ai Canti di Castelvecchio. Il poeta e il fanciullino. Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del Carducci, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra. Da Il fanciullino. Uno dei tratti salienti per i quali è passato alla storia della letteratura è la cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso esplicitata nello scritto omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco. Influenzato dalla psicologia di J. Sully e dalla filosofia dell'inconscio di Hartmann, dà una definizione assolutamente compiutaalmeno secondo il suo punto di vistadella poesia (dichiarazione poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in cui si svolge il dialogo fra il poeta e la sua anima di fanciullino, simbolo:  dei margini di purezza e candore, che sopravvivono nell'uomo adulto. Della poesia e delle potenzialità latenti di scrittura poetica nel fondo dell'animo umano. Caratteristiche del fanciullino. Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di campanella". "Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai nostri sensi ed alla nostra ragione". "Guarda tutte le cose con stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causaeffetto, ma intuisce. Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose. Riempie ogni oggetto della propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione), trasformandolo in simbolo. Una rondine. Gli uccelli e la natura, con precisione del lessico zoologico e botanico ma anche con semplicità, sono stati spesso cantati da Giovanni Pascoli Il poeta allora mantiene una razionalità di fondo, organizzatrice della metrica poetica, ma:  Possiede una sensibilità speciale, che gli consente di caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti più comuni. Comunica verità latenti agli uomini -- è Adamo, che mette nome atutto ciò che vede e sente (secondo il proprio personale modo di sentire, che tuttavia ha portata universale). Deve saper combinare il talento della fanciullezza (saper vedere), con quello della vecchiaia (saper dire). Percepisce l'essenza delle cose e non la loro apparenza fenomenica. La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a parlarecon la voce del fanciullo ed è vista come la perenne capacità di stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione irrazionale che permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato, almeno cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. È una realtà ontologica. Ha scarso rilievo la dimensione storica (trova suoi interlocutori in Virgilio, come se non vi fossero secoli e secoli di mezzo. La poesia vive fuori dal tempo ed esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica (il poeta-microcosmo) si interroga suun'altra realtà ontologica (il mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà circostante senza cheil proprio punto di vista personale e preciso interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso, tranne in poche poesie, in cui esplicitamente parla della sua vicenda personale. È vero che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con connotazioni di portata universale: ad esempio la morte del padre viene percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi, in quanto raffigura il male del mondo in generale. Tuttavia, nel passo XI del fanciullino, dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo sentimento e la sua visione che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il poeta rrifiuta. Il classicismo, che si qualifica per la centralità ed unicità del punto di vista del poeta, che narra la sua opera ed esprime le proprie sensazioni. il Romanticismo, dove il poeta fa di sé stesso, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia. La poesia, così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l'uomo e il poeta. Pascoli fu anche commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse inoltre la collana editoriale "Biblioteca dei Popoli". Il limite della poesia del Pascoli è costituito dall'ostentata pateticità e dall'eccessiva ricerca dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito maggiore attribuibile al Pascoli fu quello di essere riuscito nell'impresa di far uscire la poesia italiana dall'eccessiva aulicità e retoricità non solo del Carducci e del Leopardi, ma anche del suo contemporaneo D'Annunzio. In altre parole, fu in grado di creare finalmente un legame diretto con la poesia d'Oltralpe e di respiro europeo. La lingua pascoliana è profondamente innovativa: essa perde il proprio tradizionale supporto logico, procede per simboli e immagini, con brevi frasi, musicali e suggestive.  La poesia cosmica  L'ammasso aperto delle Pleiadi nella costellazione del Toro. Lo cita col nome dialettale di Chioccetta ne Il gelsomino notturno. La visione dello spazio buio e stellato è uno dei temi ricorrenti nella sua poesia Fanno parte di questa produzione pascoliana liriche come Il bolide (Canti di Castelvecchio) e La vertigine (Nuovi Poemetti). Il poeta scrive nei versi conclusivi de Il bolide: "E la terra sentii nell'Universo. Sentii, fremendo, ch'è del cielo anch'ella. E mi vidi quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una stella". Si tratta di componimenti permeati di spiritualismo e di panteismo (La Vertigine). La Terra è errante nel vuoto, non più qualcosa di certo; lo spazio aperto è la vera dimora dell'uomo rapito come da un vento cosmico. Scrive il critico Giovanni Getto: " È questo il modo nuovo, autenticamente pascoliano, di avvertire la realtà cosmica: al geocentrismo praticamente ancora operante nell'emozione fantastica, nonostante la chiara nozione copernicana sul piano intellettuale, del Leopardi, il Pascoli sostituisce una visione eliocentrica o addirittura galassiocentrica: o meglio ancora, una visione in cui non si dà più un centro di sorta, ma soltanto sussistono voragini misteriose di spazio, di buio e di fuoco. Di qui quel sentimento di smarrita solitudine che nessuno ancora prima del Pascoli aveva saputo consegnare alla poesia". La lingua pascoliana Pascoli disintegra la forma tradizionale del linguaggio poetico: con lui la poesia italiana perde il suo tradizionale supporto logico, procede per simboli ed immagini, con frasi brevi, musicali e suggestive. Il linguaggio è fonosimbolico con un frequente uso di onomatopee, metafore, sinestesie, allitterazioni, anafore, vocaboli delle lingue speciali (gerghi). La disintegrazione della forma tradizionale comporta "il concepire per immagini isolate (il frammentismo), il periodo di frasi brevi e a sobbalzi (senza indicazione di passaggi intermedi, di modi di sutura), pacatamente musicali e suggestive; la parola circondata di silenzio. Ha rotto la frontiera tra grammaticalità e evocatività della lingua. E non solo ha infranto la frontiera tra pregrammaticalità e semanticità, ma ha anche annullato "il confine tra melodicità ed icasticità, cioè tra fluido corrente, continuità del discorso, e immagini isolate autosufficienti. In una parola egli ha rotto la frontiera fra determinato e indeterminato". Pascoli e il mondo degli animali In un'epoca storica in cui il mondo degli animali rappresenta un'entità assai ridotta nella vita degli uomini e dei loro sentimenti, quasi esclusivamente relegato agli aspetti di utilizzo pratico e di supporto al lavoro, soprattutto agricolo, Pascoli riconosce la loro dignità e squarcia un'originale apertura sull'esistenza delle specie animali e sul loro originale mondo di relazioni. Come scrive Maria Cristina Solfanelli, «Giovanni Pascoli si avvede assai presto che il suo amore per la natura gli permette di vivere le esperienze più appaganti, se non fondamentali, della sua vita. Lui vede negli animali delle creature perfette da rispettare, da amare e da accudire al pari degli esseri umani; infatti, si relaziona con essi, ci parla di loro e, spesso, prega affinché possano avere un'anima per poterli rivedere un giorno. Saggi: “Myricae” (Livorno, Giusti); “Lyra romana ad uso delle scuole classiche” (Livorno, Giusti, -- antologia di scritti latini per la scuola superiore – “Pensieri sull'arte poetica, ne Il Marzocco  (meglio noto come Il fanciullino) Iugurtha. Carmen Johannis Pascoli ex castro Sancti Mauri civis liburnensis et Bargaei in certamine poetico Hoeufftiano magna laude ornatum, Amstelodami, Apud Io. Mullerum, (poemetto latino) “Epos” (Livorno, Giusti); (antologia di autori latini) Poemetti, Firenze, Paggi, “Minerva oscura. Prolegomeni: la costruzione morale del poema di Dante” (Livorno, Giusti); “Intorno alla Minerva oscura” (Napoli, Pierro); “Sull’imitare. Poesie e prose per la scuola italiana (Milano-Palermo, Sandron). (antologia di poesie e prose per la scuola), “Sotto il velame. Saggio di un'interpretazione generale del poema sacro” (Messina, Vincenzo Muglia); “Fior da fiore. Prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori” Milano-Palermo, Sandron,  (antologia di prose e poesie italiane per le scuole medie); “La mirabile visione. Abbozzo d'una storia della Divina Comedia” (Messina, Vincenzo Muglia); “Canti di Castelvecchio, Bologna, Zanichelli); “Primi poemetti, Bologna, Zanichelli); “Poemi conviviali, Bologna, Zanichelli,  Odi e Inni. Bologna, Zanichelli, Pensieri e discorsi. Bologna, Zanichelli, Nuovi poemetti” (Bologna, Zanichelli); “Canzoni di re Enzio La canzone del Carroccio” (Bologna, Zanichelli); “La canzone del Paradiso” (Bologna, Zanichelli); “La canzone dell'Olifante” (Bologna, Zanichelli); “Poemi italici” (Bologna, Zanichelli); “La grande proletaria si è mossa -- iscorso tenuto a Barga per i nostri morti e feriti (La Tribuna); “Poesie varie, Bologna, Zanichelli); “Poemi del Risorgimento, Bologna, Zanichelli); “Patria e umanità. Raccolta di scritti e discorsi” (Bologna, Zanichelli); Carmina” (Bononiae, Zanichelli); (poesie latine) Nell'anno Mille. Dramma” (Bologna, Zanichelli); (dramma incompiuto) Nell'anno Mille. Sue notizie e schemi di altri drammi” (Bologna, Zanichelli); “Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino” (Bologna, Zanichelli). “Myricae” è la prima vera e propria raccolta delle sue poesie, nonché una delle più amate. Il titolo riprende una citazione di Virgilio all'inizio della IV Bucolica in cui il poeta latino proclama di innalzare il tono poetico poiché "non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici" (non omnes arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli invece propone "quadretti" di vita campestre in cui vengono evidenziati particolari, colori, luci, suoni i quali hanno natura ignota e misteriosa. Crebbe per il numero delle poesie in esso raccolte. La sua prima edizione, raccoglie soltanto 22 poesie dedicate alle nozze di amici. La raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla vita contadina. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle tematiche del Pascoli ed evocano riflessioni profonde.  La descrizione realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In realtà questa frettolosa interpretazione della poetica pascoliana fa da scenario a stati d'animo come inquietudini ed emozioni. Il significato delle Myricae va quindi oltre l'apparenza. Compare la poesia Novembre, mentre nelle successive compariranno anche altri componimenti come L'Assiuolo. Pascoli ha dedicato questa raccolta alla memoria di suo padre ("A Ruggero Pascoli, mio padre"). La poesia-pensiero del profondo attinge all'inconscio e tocca all'universale attraverso un mondo delle referenze condiviso da tutti. Anche autore di poesie in lingua latina e con esse vinse per ben tredici volte il Certamen Hoeufftianum, un prestigioso concorso di poesia latina che annualmente si teneva ad Amsterdam. La produzione latina accompagnò il poeta per tutta la sua vita: dai primi componimenti scritti sui banchi del collegio degli Scolopi di Urbino, fino al poemetto Thallusa, la cui vittoria il poeta apprese solo sul letto di morte.  In particolare, l'anno 1892 fu insieme l'anno della sua prima premiazione con il poemetto “Veianus” e l'anno della stesura definitiva delle Myricae. Tra la sua produzione latina, vi è anche il carme alcaico Corda Fratres, inno della confraternita studentesca meglio nota come Corda Fratres. Ama molto il latino, che può essere considerato la sua lingua del cuore. Il poeta scriveva in latino, prendeva appunti in latino, spesso pensava in latino, trasponendo poi espressioni latine in italiano; la sorella Maria ricorda che dal suo letto di morte Pascoli parlò in latino, anche se la notizia è considerata dai più poco attendibile, dal momento che la sorella non conosceva questa lingua. Per lungo tempo la produzione latina pascoliana non ha ricevuto l'attenzione che merita, essendo stata erroneamente considerata quale un semplice esercizio del poeta. In quegli anni non era infatti l'unico a cimentarsi nella poesia latina (G. Giacoletti, un insegnante nel collegio degli Scolopi di Urbino frequentato da lui, vinse l'edizione del Certamen con un poemetto sulle locomotive a vapore. Ma lo fa in maniera nuova e con risultati, poetici e linguistici, sorprendenti. L'attenzione verso questi componimenti si accese con la raccolta curata da E. Pistelli col saggio di A.  Gandiglio. Esistono delle traduzioni in lingua italiana delle sue poesie latine quali quella curata da M. Valgimigli o le traduzioni di E. Mandruzzato. Tuttavia la produzione latina ha un significato fondamentale, essendo coerente con la poetica del Fanciullino, la cifra del pensiero pascoliano. In realtà, la poetica del Fanciullino è la confluenza di due differenti poetiche: la poetica della memoria e la poetica delle cose. Gran parte della poesia pascoliana nasce dalle memorie, dolci e tristi, della sua infanzia. Ditelo voi, se la poesia non è solo in ciò che fu e in ciò che sarà, in ciò che è morto e in ciò che è sogno! E dite voi, se il sogno più bello non è sempre quello in cui rivive ciò che è morto". Pascoli dunque intende fare rivivere ciò che è morto, attingendo non solo al proprio ricordo personale, bensì travalica la propria esperienza, descrivendo personaggi facenti parte anche dell'evo antico: infanzia e mondo antico sono le età nelle quali l'uomo vive o è vissuto più vicino ad una sorta di stato di natura. "Io sento nel cuore dolori antichissimi, pure ancor pungenti. Dove e quando ho provato tanti martori? Sofferto tante ingiustizie? Da quanti secoli vive al dolore l'anima mia? Ero io forse uno di quegli schiavi che giravano  la macina al buio, affamati, con la museruola?". Contro la mortedelle lingue, degli uomini e delle epocheil poeta si appella alla poesia: essa è la sola, la vera vittoria umana contro la morte. "L'uomo alla morte deve disputare, contrastare, ritogliere quanto può". Ma da ciò non consegue di necessità l'uso del latino.  Qui interviene l'altra e complementare poetica pascoliana: la poetica delle cose. "Vedere e udire: altro non deve il poeta. Il poeta è l'arpa che un soffio anima, è la lastra che un raggio dipinge. La poesia è nelle cose". Ma questa aderenza alle cose ha una conseguenza linguistica di estrema importanza, ogni cosa deve parlare quanto più è possibile con la propria voce: gli esseri della natura con l'onomatopea, i contadini col vernacolo, gli emigranti con l'italo-americano, Re Enzio col bolognese del Duecento; i Romani, naturalmente, parleranno in latino. Dunque il bilinguismo di Pascoli in realtà è solo una faccia del suo plurilinguismo. Bisogna tenere conto anche di un altro elemento: il latino del Pascoli non è la lingua che abbiamo appreso a scuola. Questo è forse il secondo motivo per il quale la produzione latina pascoliana è stata per anni oggetto di scarso interesse: per poter leggere i suoi poemetti latini è necessario essere esperti non solo del latino in generale, ma anche del latino di Pascoli. Si è già fatto menzione del fatto che nello stesso periodo, e anche prima di lui, altri autori avevano scritto in latino; scrivere in latino per un moderno comporta due differenti e contrapposti rischi. L'autore che si cimenti in questa impresa potrebbe, da una parte, incappare nell'errore di esprimere una sensibilità moderna in una lingua classica, cadendo in un latino maccheronico; oppure potrebbe semplicemente imitare gli autori classici, senza apportare alcuna novità alla letteratura latina.  Pascoli invece reinventa il latino, lo plasma, piega la lingua perché possa esprimere una sensibilità moderna, perché possa essere una lingua contemporanea. Se oggi noi parlassimo ancora latino, forse parleremmo il latino di Pascoli. (cfr. A. Traina, Saggio sul latino del Pascoli, Pàtron). Numerosi sono i componimenti, in genere raggruppati in diverse raccolte secondo l'edizione del Gandiglio, tra le quali: Poemata Christiana, Liber de Poetis, Res Romanae, Odi et Hymni. Due sembrano essere i temi favoriti del poeta: Orazio, poeta della aurea mediocritas, che Pascoli sentiva come suo alter ego, e le madri orbate, cioè private del loro figlio (cfr. Thallusa, Pomponia Graecina, Rufius Crispinus). In quest'ultimo caso il poeta sembra come ribaltare la sua esperienza personale di orfano, privando invece le madri del loro ocellus ("occhietto", come Thallusa chiama il bambino). I “Poemata Christiana” sono da considerarsi il suo capolavoro in lingua latina. In essi Pascoli traccia, attraverso i vari poemetti, tutti in esametri, la storia del Cristianesimo in Occidente: dal ritorno a Roma del centurione che assistette alla morte di Cristo sul Golgota (Centurio), alla penetrazione del Cristianesimo nella società romana, dapprima attraverso gli strati sociali di condizione servile (Thallusa), poi attraverso la nobiltà romana “(Pomponia Graecina”), fino al tramonto del paganesimo (“Fanum Apollinis”).  La sua biblioteca e il suo archivio sono conservati sia nella Casa museo Pascoli a Castelvecchio Pascoli frazione di Barga, sia nella Biblioteca statale di Lucca. A San Mauro la sua casa natale è sede di un museo dedicato alla sua memoria e dichiarata Monumento nazionale. Gli vengono dedicate importanti iniziative in tutta la Penisola. Viene coniata una moneta celebrativa da due euro con l'effige del Poeta.  Il delitto Ruggero Pascoli  Omicidio Pascoli. Il complotto (Mimesis)  F. Biondolillo, La poesia, Maria Pascoli, Autografo Memorie, Alice Cencetti,  una biografia critica, Le Lettere, G. Pascoli, L'avvento, in Pensieri e discorsi: «Che è? siamo malfattori anche noi? Oh! no: noi non vorremmo vedere quelle catene, quella gabbia, quelle armi nude intorno a quell'uomo; vorremmo non sapere ch'egli sarà chiuso, vivo, per anni e anni e anni, per sempre, in un sepolcro; vorremmo non pensare ch'egli non abbraccerà più la donna che fu sua, ch'egli non vedrà più, se non reso irriconoscibile e ignominioso dall'orrida acconciatura dell'ergastolo, i figli suoi... Ma egli ha ucciso, ha fatto degli orfani, che non vedranno più affatto il loro padre, mai, mai, mai! E vero: punitelo! è giusto!   Ma non si potrebbe trovare il modo di punirlo con qualcosa di diverso da ciò ch'egli commise?... Così esso assomiglia troppo alle sue vittime! Così andranno sopra lui alcune delle lagrime che spettano alle sue vittime! Le sue vittime vogliono tutta per loro la pietà che in parte s'è disviata in pro' di lui. Non essere così ragionevole, o Giustizia. Perdona più che puoi. Più che posso? Ella dice di non potere affatto. Se gli uomini, ella soggiunge, fossero a tal grado di moralità da sentire veramente quell'orrore al delitto, che tu dici, si potrebbe lasciare che il delitto fosse pena a sè stesso, senza bisogno di mannaie e catene, di morte o mortificazione. Ma... Ma non vede dunque la giustizia che quest'orrore al delitto gli uomini lo mostrano appunto già assai, quando abominano, in palese o nel cuore, il delitto anche se è dato in pena d'altro delitto, ossia nella forma in cui parrebbe più tollerabile?»  La storia dell'I.I.S. Raffaello. Domenico Bulferetti, L'uomo, il maestro, il poeta, Libreria Editrice Milanese,  Piero Bianconi, Pascoli, Morcelliana, Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo, Ugoberto Alfassio Grimaldi, Il re "buono", Feltrinelli, Per approfondire gli anni giovanili del Poeta e l'impegno politico vedi: R. Boschetti, "Il giovane. Attraverso le ombre della giovinezza",  realizzato in occasione della mostra omonima allestita presso il Museo Casa Pascoli di San Mauro Pascoli  Per approfondire gli anni di ricostruzione del "nido" con le sorelle e scoprire nuovi elementi che aggiornino la vecchia idea tramandata dalla sorella Mariù, in base alla quale il principale desiderio del fratello era quello di ricostruire la famiglia con le sorelle, senza alcuno slancio amoroso verso l'esterno, si veda: Rosita Boschetti, G. Gori, U. Sereni "Vita immagini ritratti", Parma, Step.  Il rinvenimento è opera di G. Ruggio, Conservatore di casa Pascoli a Castelvecchio, il documento fu acquistato dal Grande Oriente d'Italia ad un'asta di manoscritti storici della casa Bloomsbury, e la notizia fu resa nota al grande pubblico per la prima volta ne Il Corriere della Sera,  Filmato audio S. Ruotolo e G. Bernardo, Massoneria, politica e mafia. L'ex-Gran Maestro: "Ecco i segreti che non ho mai rivelato a nessuno", fanpage (archiviato il 29 marzo )., al minuto 2:28. Citazione: La loggia P2 non è stata inventata da Gelli, ma risale alla seconda metà dell'Ottocento in cui il Gran Maestro per dare una certa riservatezza a personaggi che erano i vertici del Governo, i militari di altissimo livello, poeti come Carducci e Pascoli. Si disse: «evitiamo che questi personaggi svolgano la loro attività massonica nelle logge, almeno per evitare un fastidio»  Vi fu professore straordinario di grammatica greca e latina,Vi insegnò letteratura latina come Professore. Fu nominato professore di grammatica greca e latina.  Le date sulle docenze universitarie sono prese da Maurizio Perugi, "Nota biografica", in G. Pasocli, Opere, tomo I, Milano-Napoli: Ricciardi, Rosita Boschetti, Pascoli innamorato: la vita sentimentale del poeta di San Mauro: catalogo, San Mauro Pascoli, Comune,.  Cfr. sempre Rosita Boschetti, op. cit, pag. 28. Scrive da Matera a Raffaele la lista delle sue spese. 65 lire al mese per mangiare, 25 per dormire, 7 alla serva, 2 al casino (necessità), 15 in libri (più che necessità)».  Fondazione Pascoli: la vita,  Gian Luigi Ruggio, Giovanni Pascoli. Tutto il racconto della vita tormentata di un grande poeta  Vittorino Andreoli, I segreti di casa Pascoli, recensione qui  Testo dell'"Inno a Roma"  Testo di "Al corbezzolo"  Fondazione Pascoli: la vita,  Maria Pascoli, Lungo la vita di Giovanni Pascoli  Pascoli: il lutto, il triangolo, il classico e il decadentista. Vittorino Andreoli, op. cit  Maria Pascoli, Lungo la vita (Milano, Mondadori); Giovanni Getto, poeta astrale, in "Studi per il centenario della nascita di G. Pascoli". Commissione per i testi di lingua, Bologna, Fondazione Giovanni PascoliNuovi poemetti,  A. Schiaffini, Disintegratore della forma poetica tradizionale, in "Omaggio a Pascoli",  G. Contini, Il linguaggio di Pascoli, in "Studi pascoliani", Lega, Faenza, Maria Cristina Solfanelli, Gli animali da cortile, Chieti, Tabula fati,.  Vegliante.  Alberto Fraccacreta, Le ninfe di Vegliante, su Succedeoggi.  Luigi Del Santo, Cammei Pascoliani: analisi, illustrazione, esegèsi dei carmi latini e greci minori di Giovanni Pascoli, Giuseppe Giacoletti, De lebetis materie et forma eiusque tutela in machinis vaporis vi agentibus carmen didascalicum, Amstelodami: C. G. Van Der Post, Ioannis Pascoli carmina; collegit Maria soror; edidit H. Pistelli; exornavit A. De Karolis, Bononiae: Zanichelli, Ioannis Pascoli Carminibus; mandatu Maria sororis recognitis; appendicem criticam addidit Adolphus Gandiglio, Bononiae: sumptu Nicolai Zanichelli); Poesie latine; Manara Valgimigli, Milano: A. Mondadori, Giovanni Pascoli, Poemi cristiani; introduzione e commento di Alfonso Traina; traduzione di Enzo Mandruzzato, Milano: Biblioteca universale Rizzoli, Carte pascoliane della Biblioteca Statale di Lucca, su//pascoli.archivi.beniculturali/. Museo di Casa Pascoli, su polomusealeemiliaromagna.beniculturali. Regio Decreto Legge, Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Guido De Franceschi, Giovanni Pascoli: cento anni fa moriva il massimo autore latino dell'età moderna, in Il Sole 24 ORE, 5Giuseppe Saverio Gargano, Poeti viventi italiani: G"Vita Nuova", Gargano, Saggi di ermeneutica. Del Simbolo (Sul "Vischio" di Giovanni Pascoli), in "Il Marzocco" Gargano, Poesia italiana contemporanea, in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", G.S. Gargano, I "Canti di Castelvecchio", in "Il Marzocco", Emilio Cecchi, La poesia, Napoli, Ricciardi, B. Croce, Studio critico, Bari, Laterza, G. 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Le carte di Giovanni e Maria Pascoli a Castelvecchio, in Raffaella Castagnola, Archivi letterari del '900, Firenze, Franco Cesati, Mario Martelli, Pascoli, tra rima e sciolto, Firenze, Società Editrice Fiorentina,  Pietro Montorfani e Federica Alziati, Giovanni Pascoli, Bologna, Massimiliano Boni Editore,  Massimo Rossi, Giovanni Pascoli traduttore dei poeti latini, in "Critica Letteraria", Mario Buonofiglio, Lampi e cortocircuiti. Il linguaggio binario ne "Il lampo" di Giovanni Pascoli, in "Il Segnale",  ora disponibile in Academia Andrea Galgano, Di là delle siepi. Leopardi e Pascoli tra memoria e nido, Roma, Aracne editrice,  Massimo Colella, "Conducendo i sogni, echi e fantasmi d'opere canore". Pascoli, Dandolo e l'onirismo 'conviviale', in "Rivista Pascoliana", Jean-Charles Vegliante,  L'impensé la poésieChoix de poèmes, Sesto San Giovanni, Mimésis,.  Accademia Pascoliana; Ruggero Pascoli Decadentismo Digitale purpurea Giosuè Carducci Gabriele D'Annunzio Severino Ferrari Luigi d'Isengard Augusto Vicinelli Socialismo utopico Thallusa. Treccani Dizionario biografico degli italiani --  italiana di Giovanni Pascoli, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com.  nello specchio delle sue carte. Fondazione Giovanni Pascoli. Giuseppe Bonghi.  testi con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Manara Valgimigli, Poesie latine, Mondadori,  Casa Pascoli. "Poemi conviviali". Giovanni Pascoli. Pascoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689469228/in/photolist-2mQ2SsQ-2mKC3nj

 

Grice e Pasini – implicatura – filosofia italiana – La meta-meta-for a del cavaliere perduto -- Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo. Figlio di Pietro, discendente di una famiglia originaria della val Sabbia, trasferitasi in un primo momento a Schio e poi a Vicenza, dov'era ascritta al Consiglio Nobile della città. A metà del Seicentopiù o meno all'epoca della morte di Pacealcuni Pasini di Vicenza figurano tra i mercanti di seta e panni grossi. Studia a Padova applicandosi agli studi giuridici, che ben presto trascurò per interessarsi della nuova scienzafu in contatto con Galilei e  soprattutto della filosofia, seguendo assiduamente le lezioni di Cremonini, impegnato nel commento mortalista della Fisica e del De coelo di Aristotele e seguace dell'aristotelismo critico e razionalistico di Pomponazzi, che mette in discussione l'immortalità dell'anima e alcuni dogmi cattolici. Uno dei incogniti, uno dei circoli più attive, vivaci libere. A tale adesione alcuni biografi settecenteschi attribuiscono le accuse di eresia nei suoi confronti. Come invece dimostra una serie di documenti dell'Archivio di Stato di Venezia, e un fatto di sangue a determinare il provvedimento giudiziario che lo condanna all'esilio. Per un futile contenzioso privato (un diritto di passaggio riconosciuto a dei vicini), insieme con il fratello Vittelio e alcuni sicari,  nella villa Pavaran uccise Roberto Malo e ne ferì gravemente il fratello. Condannato a cinque anni di esilio a Zara, poi ridotti di circa la metà, e assolto e liberato. Reintegrato nella società vicentina, fu vicario a Barbarano e a Orgiano, dove era già stato agli inizi della carriera. La sua vita dovette scorrere come quella di tanti nobili di provincia, tra affari privati, responsabilità amministrative, passione letteraria e interessi culturali, sempre presente l'ossequio al potere della Serenissima: dediche e composizioni sono spesso dirette a podestà, capitani e dogi. Si registra un stretto legame gl’incogniti e una grande produzione letteraria. Fece parte della corrente poetica del marinismo, che ha in Marino il proprio modello. ””Rime varie, et gli increduli, ouero De' rimedii d'amore: dialogo. Dedicate al molto illustre Giacomo Godi” (Vicenza), esordio letterario del Pasini, miscellanea di sedici componimenti in metro vario tutti di tematica amorosa e un dialogo, “Campo Martio overo Le bellezze di Lidia, dedicato al clariss. sig. Giulio da Molino, dell'illustriss. sig. Marco, componimento di quasi 900 versi settenari ed endecasillabi sciolti, uscito a Vicenza presso Grossi e dedicato a un membro dell'illustre famiglia Molino; “Rime” diuise in errori, honori, dolori, verita, & miscugli (Vicenza); Il sogno dell'illustrissimo sig. Pietro Memo.. Dedicato all'illustrissimo signor Dominico Molino, Vicenza, di carattere politico-encomiastico, racconta allegoricamente come il sogno trasporta il podestà attraverso i cieli sino alla via Lattea, dove trova gli eroi che hanno illustrato la sua famiglia; “Rime Marinistiche”, raccolta complessiva delle sue Rime, stampata a Vicenza; fanno rientrare l'autore nel filone marinista dell'epoca. “La Metafora. Il Trattato e le Rime. “Trattato de' passaggi dall'una metafora all'altra e degl'innesti dell'istesse nel quale si discorre secondo l'opinione e l'uso de'migliori, se senza commetter diffetto, si possano usare dai poeti e, oratori. Dedicato all'illustrissimo, et eccellentiss. sig. Nicola Da Ponte” (Vicenza); “Historia del cavalier perduto” romanzo erotico cavalleresco che indirizza il proprio interesse su vicende e situazioni feudali di provincia. La sua opera più nota, che si inserisce nella tradizione del romanzo barocco veneto e dei narratori incogniti, secondo una linea che intreccia avventure cavalleresche amorose a tematiche storico-politiche. -è da questo romanzo che Manzoni trasse poi spunto per la stesura de “I promessi sposi.” Vicenza nella sua toponomastica stradale, "Le Garzantine", Manzoni a Vicenza Firenze, Olschki). Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. e cantòinquestaforma. Nela vagastagion, che l'Usignolo Dolenteancoradel'anticooltraggio Contragichearmonie filagna,e plora, E chedinouoamorfecondoilsuolo Del gran Pianeta altemperato raggio Di verde giouentù gode , ès'honora, Con man prodiga Flora D'odorositesori Consuperbia pomposa. D'ogniintornospargeagemmatifiori; Ma qual donna deglialtriinmaestosa monarchia sublimarpareala Rosa. Tributariadilei, versandol’vrna, La figliuola del Sole Albanascente Le offriadiperleruggiadoseunnerabo; Etella, delapuraondanotturna. L’homaggio accoltoinfen,lieta,eridente Di sii 2   Diricca gravidanzaempieafıilgrembo; Indi , il purpu r e o l e m b o Spiegando a poco a poco , Scoprial'auratocrine Delgranlumedelcieloalprimofoco; Levolauanointornoafar rapine Preciofed'odorl'inrevicine. Superbaciterea, ch'in Regia tinta Le imporporasse il suo bel piele foglie, Incota i detti ingiuriosa eccede. Chianti Giunohomai, tuagloriaè vinta, Altrolatte il mio fangne il pregiotoglie, E'ltuofiorealmio fiors'humilia, ecede. Cositumida fiede Coninportunoorgoglio L'ambitiofo petto Dela Reginadelsuperno foglio, Chefdognandoilsuo Numeellernegletto, Lo sguardo oscura, eintorbidal'aspetto. Frome, egal carrodi vendetta ingorda Di vampe, efocbi,edisaette,elampi . Grida lontana ancor ;Figlio vendetta, Con frettolofaman richiama, elega Ilvago augel da le flellate piume , Econla voce anco la sferza accorda , Zosgrida,ebate,eimpatienteilpiega, Quevfailmondo incanutirdi brume. Delarmi ilfjero Num e Quiui a funguignalite Sai Vandalicicampi Alti Duciinfiammana, e fchiereardite; Giungeellaa lui,cuiparche'lguardoaukāpe Ambo fiam vilipeli, amboschernići, numi impotenti fon Marte, e Guinone; La tuapudica Dea,latuadiletta, Quella,chedelsu’amorresegraditi Cillenio, e Febo,elcacciator garzone, Questa del vago Adone Coleancor le memorie Solo a tuo scorno, e in vno Al mio lattedirinfratia le gloriezn. Mirà d'orgoglio altierfastoimportuno, Che di rosa anteporsi ardisce a Giuno . S'ami lamadre ,e leigradir desij, A lasuperbal'alterigiaScorna, Ela suarosaleaxuilisci ofiglio Madre ,non fia,ch'io letue ingiurie oblij (risponde) al cielo pur sagli ,e ritorna, Ch'io benfarollebumiliareilciglio: Dipiùfinovermiglio Distino ostro più grande, P e r tinger rosa altera , Dicuilagloriafoltesfaghirlande; Stella non splende , ou'è delsolla jpera , E appolaneuengnicandors'annera. Cosidetto,ellaparte, egliaccore Doue aßalitoil Vandalloferoce ColGoto afalitor pugna , e contende : Disanguinosifiumi ilprato/corre, D'urli, e di strida una mistura atroce , Che difonde terrori al Cielo ascende ; Dubbio ilsuccessopende, Alfinscompiglia,efrange il gran duce Adoino Lanemica Vandalicafalange; Mail ficroDio, ch'adostroperegrino Aspira,affrettailsyomortal destino. Cadeilprodesignor,fuggedisperso Semi viva fi getta addosso al morto; El'abbraccia,e lofringe,el bacia,e’lterge Condiluuijd'angoscia,elcrins'afferra, E Straccia, efuelleinfindaleradici; I sulerose, chelbuon sangueasperge, E checompagnefondelasuaterra, Spe r g e presag i in v n mesto , e felici. Esclama. O fioriamicia Lostuolnemico, ilfuotrionfosdegna Per sì gran danno il G o t o l a g r i m o f e j j Goiodisco ilgerman nel duoloimmersa Nela fortune gloriosa insegna Trarose inuolue il busto sanguinoso, E dono doloroso A Lutterial'invia, Cheil granmaritofcorto Esangue, efreddoogni dilettooblia, I d'amor piena, edotadiconforto, che    Così pullulerà la Rosa ORSINA. E cosìgerminò,cosìdalcielo, Per lomondo abbellir,netrasseisemi, Nelsuonataleancorgrandeiammirata: Sorge fecondo il glorioso stelo , E ne'Gallicicampi,ene'Boemi Degnirampoli Italiane traslata , D'apiinvece,adorata Schiera d'altepirtudi Lovà suggendo,efaui P o i ne compone di Reali ftudi , Onde ilmondo isuoi cafiinfaufti, e graui Persidolceliquortornisoaui. DefiudilaudedilSole,acuis'aprica solo ,e solo a'suoirai s'auanza e gode, E l'irrigailfuddordi nobilonda; Duro, einduftre cultor glièla fatica, Siepe l'ardire, il buon valor custode, El ' applauso de ' Cor i a u r a gioconda Ondeè poi,chediffonda Cosi pregiato odore E dipalma, e di Lauro Ch' ı n t a l nel g i r do e l età migliore Non neadunolaGloriainfuotesauro DalBoreaàl'Auftro, edalmar' Indo, alM auto. Scritte så in Cielo alettere difato, Là de l'eternità ne'cupi annali, Digermetal son le grandezze,eipregi. Febo m'inspira è colassu fermato, Ch'eglifioriscafolfreggiimmortali, Alteimprese,opreilluftri,èfattiegregi: Tirannieftinti,Regi Debellati,daafflitti, Regnisommersiinlutti, Espugnatecittà,Ducisconfitti, Prouinciescosse, esercitidestrutti, Pergliopresileuar, fianosuoifruti. Lietoverdeggi, eauuenturosogoda, Che'l cielgliarride, eporgelafortuna Grandi Che'l core hor m i pungete, Insegna peregrina Delmio venireimmaturo ancorSarete; Cosi auuerrà, cosilo ciel destina, Il diadema adorar veggio di Piero. Fortunata Dalmatia,borche s'innesta NeltuoceppoRealfinobilpianta, attendi pure un secolo d'Eroi. Vomiti incendihomai Chimera infesta, Stragede'campisiabelua Erimanta, Che fienconcettiipercussorisuoi; Altri indomiti buoi sbuffinofiamme in Colco, C'hauralliubbidienti Adaratronouelnouobifolco; SorganProcufti,elanguirandolenti  Ancola Famahà lingue, E filgrande, efacondo, Ei gesti degli Eroi spiega, ediftingue. Bastiàl'ORSIN valor, c'habbiagiocondo Teatro Italia, e spettatore il mondo. Gran di alimentià le r a dice prime. Beltesoroèvirtù;ma s'altaloda, Mase honori laforteancogli aduna, ViepiùchiaroSplendorne’raggiesprime Eccolohomaisublime Gemmarfi intorno,intorno Sold'insegned'impero, Manti, porpore, scettriilfanno adorno; Mafouratuttiin maestà primiero Sotto noui Tesei gliultimi accenti, Canzon chiudanlelabbra. La meta-meta-fora. itopedelabiturates.  347 daglianimal:corterdel'acquecitopedeèsolce Nec tenoftra iuberfiericenfura pudican . Sentäthaoppreffo CarullaDeXNptysPelleic Cerula verrentes abiegnis equora palmisan Verrentesperremigantı, palmisperremi son metafore di poca comienienza; perche le mani non icopano come inftrumento profimo. DS Fortetfolcodálfoco et  verriginsJalmocodel la core circulari. Sedtamen,uttentesdisimularerogat. Cenfura è traslation dal Magistrato Cenforio a } rigordell'atninre; oubetèmetaforaanch'ega, che nonficonfaconla censura; perchefebene: legesautiubescentvetant,quepermitan, AMAP H i u n t. La censura pero non era legge, nè magistrato, che hau e f l c a u c o r i t à d i far legge. Ma a f o l o gaftigauachi contrauenità a'buonicollumi, adalcuneleggi et adalcunivnitalchequi? Pinnestodiduemetaforeinvafolopredicatos poilslacione confaceuole alla vièpoiilpallaggionelnornogar dell'altropredje viè censura. tom 1 Nel terzo de arte ama ndi,  Ecco   Nequevliusitinntisim per untitabii. Nequifleprezesirefoue palmulis metaforam non producer ad extremum nec ineaintere. Sed abvnaadaliamtranfilire; hicveroraliumiprie Prorumfecurses, och Nonèdigiustitiachc Catullorefiabbando pato  1945 Epiù sottodiffe. Qui formula croftramentofumprofcidir quota Aoftrumè metafora trasportata da gli vecelli allegalee, acuimancauailproprio perfignif carlofprone, equindiancoallanaue perde notarlaprora, e proscindere è pur metafora, che Hon ha corsispondenza con legalec, ma con quellecose, chetagliano: Ecco appresso v o trappasso da metafora a metafora. Ecco VA alero inneftopuriuinell'aggionto, e nel softantiuo. Dide currum wlitanumper ladate, che viag giava PHASELLUSilleguem videtihofpittia'? Siswiffenavium celerrimus. Oprisforeivolarejouelinteo. Ognuno sà che Falelloèvna fpeciedi nauigio; nel descriver la celericà del quale nel n a a i g a r e Pau r o r e fi vale della metafora del nuotatore e fubitò palla al volo ch'è dell'uccello e quianco fåvn'innestoinquel volarepairwisin cuivuo) direnauigar coiremi:poichenen f volacon lepalme, maconl' aliscosiinnettal'operation! dellyccello con l'inftrumento dell'huomo, ch'è la mano sopra il qualpaflo il Muretto di fe.Aiuntvitiofumeffefernelsuscepram  tolco da'legamini ]? wimruna è 2349 nato da Tibulloze da Propertio speiò fenciamo lianch'elli. Propertio nella festa decimadlegiadel. cerzo ang niNini Sublime capulmafiflimunubar Afperala Mefiffimosa sperme, chehannodicomune ,Ring oluenparcela branquillità,ch'e delmare cal P6 Sempere n i m vacuos n a x i f o b r i a t o r q u e r u m a r e s. Nox fobristonguet,inpeito Pace Pasini. Pasini. Keywords: implicatura, il cavalier perduto, la metafora, “dall’una metafora all’altra,  galilei, cremonini, degl’incogniti, keplero, Manzoni, rapimento, anonimo, incognito, meta-meta-fora. Refs.: “Grice e Pasini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691984749/in/photolist-2mPyn68-2mLLZRD-2mKQW9n-2mKbpiZ

 

Grice e Passavanti – eroe – filosofia italiana – Luigi Speranza (Terni). Filosofo. Partecipa alla Grande Guerra csergente nel 4º reggimento Genova cavalleria, in cui e protagonista di incredibili atti di eroismo. Partecipa  alla occupazione di Fiume tra i legionari di Annunzio. Da soldato, da caporale, da aiutante di battaglia, fulgido, costante esempio, trascinatore d’uomini, cinque volte ferito, tre volte mutilato, mai lo strazio della sua carne lo accasciò, sempre fu dovuto a forza allontanare dalla lotta; sempre appena possibile, vi seppe tornare, ed in essa fu sempre primo fra i primi, incurante di sé e delle sofferenze del suo corpo martoriato. In critica situazione, con generoso slancio, fece scudo del suo petto al proprio comandante, e due volte, benché gravemente ferito, si sottrasse, attaccando, alla stretta nemica. Con singolare ardimento, trascinava il suo plotone di arditi all’attacco di forte, munitissima posizione nemica; impossibilitato ad avanzare, perché intatti i reticolati, fieramente rispondeva con bombe a mano, alle intense raffiche di mitragliatrici. Obbligato a ripiegare, sebbene ferito, sostava ripetutamente per impedire eventuali contrattacchi. Avuta notizia di una nuova azione, abbandonava l’ospedale in cui l’avevano ricoverato, e raggiungeva il suo reparto; trasportato dai suoi, riusciva a prendere parte anche alla gloriosa offensiva finale. Soldato veramente, più che di carne e di nervi, dall’anima e dal corpo forgiati di acciaio e di ottima tempra. Superdecorato, volontariamente nei ranghi della nuova guerra, per la maggiore grandezza della Patria, riconfermava il suo meraviglioso passato di eroico soldato. A capo della propaganda di una grande unità, seppe dimostrare che più che le parole valgono i fatti e fu sempre dove maggiore era il rischio e combatté con i fanti nelle linee più tormentate. Nella manovra conclusiva, alla testa dell’avanguardia del Corpo d’Armata, entra per primo in Korcia ed in Erseke, inalberandovi i tricolori affidatigli dal Duce. Superba figura di combattente, animato da indomito eroismo, uscì illeso da mille pericoli e fu l’idolo di tutti i soldati del III Corpo d’Armata, che in lui videro il simbolo del valore personale, della continuità dello spirito di sacrificio e della più pura fede nei destini della Patria, che legano idealmente le gesta dei soldati del Carso, del Piave, del Grappa con quelle dei combattenti dell’Italia. Mirabile esempio di coraggio sereno, di alto spirito militare e di profondo sentimento del dovere, rimase sul posto di combattimento, quantunque non lievemente ferito. Nuovamente e più gravemente ferito, prima di esser trasportato al luogo di medicazione, volle esser condotto dal comandante del gruppo, per riferirgli sulla situazione. V. Pirro, Arrone: EThyrus. L’arma dell’eternita, Roma, (Camera Deputati), L’organizzazioe economica dell’industrai eletrica, Roma, Le benemerenze e la tirannide degli idrolettrici, Roma, Risveglio e viluppo agricolo, Roma, Bonifica integrale, Roma, Per una piu armonica distribuzione di pesi fra I diversi cespiti della ricchezza e I diversi lavoatori, Roma, Precursoi. L’IDEA ITALIANA, in Piemonte, Roma, La contabilita generale dello stato italiano, Roma, lineamenti chematica di contabilita di stato, Siena, Storia di Terni, dale origi al medio-evo (Roma), Interamna de Naarti, “INTERAMNA NAHARS”, La contabilita di stato o economia di stato nella storia italiana, Giappichelli, Torino, L’ECONOMIA DI STATO PRESO I ROMANI (Giappichelli, Trino, 1936), La contabilita generale dello stato esposta per tavole sinottiche, aRosrino, Attualita economiche, Roma, La contabilita dello stato”. “Nel numero e l’univeso ma il numero e un segno che po cconviene interpretare. Elia Rossi Passavanti. Passavanti. Keywords: eroe, Annunzio, Fiume,il concetto di economia di stato, l’economia di stato presso i romani, la terni pre-romana, la terni no-romana, la terni umbra, la terni osca, la lingua umbra, l’idea italiana, economia di stato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Passavanti” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740922209/in/photolist-2mQaKxF-2mPY4jk-2mPqp6k

 

Passavanti, jacobo – libro dei sogni.

 

Grice e Passeri – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “He was Zabarella’s uncle – mine worked in the railways!” -- Grice: “It’s amazing how much a little book like Aristotle’s ‘Peri psycheos’ influenced those Renaissance and pre-Renaissance Italians! Surely they were concerned about the immortality or other of the soul!” -- genua: essential Italian philosopher. Pubblica commentarii al “De Anima” e alla “Fisica” – contro Galileo. Dimostrara la perfetta convergenza fra le idee di Aistotele e Galileo sulla dottrina dell'unità dell'intelletto. “Disputatio de intellectus humani immortalitate” (Monte Regali: Torrentino; “De anima”  (Venezia, Iunctas-Perchacinum); A. Paladini, “La scienza animastica”. At cum Latini uideantur hoc negare, nosrem itaefle comprobare possumus quoniam Aristotele cum dederitcommunem ANIMA. Animæ definitione subiungit et propriam cuiusque gradus dicendam fore et prior rem natura elTe vegetatiuam sensitiua, quod in codem intelligitur, non autem in diversis quoniam in eodem animato pofita senfiti, uaponitur vegetatiua et pofita intellectiva nimortalibusalięponátur, quiaficutise habet vegetativa in sensitiua, ita & sensitiva in INTELLECTIVA, quoniam in consequenterfe habentibus polito primo non ponitur se cundum ,atposito secundo ponicur primú. Itaq;essentiægraduúanimæcum fefecon s equantur, polita posteriori dabitur prior et per consequens communem animæ definitionem analogam esse oportet. Secundum autem anobisposicum, utintelligatur Animain scilicet intellectiuã immortalem fore secundum quidautem mortalem , intellectum quattuor modis dici, certumeft. depossibili, deinhabitu speculative et agente. Vnus quisque horum modorum arguir intelletum corruptibilé, quoniamomne quodincipit, necessariodefinit:cumautem intellectus materialis in Sphæranon detur fed tantum in puero nuper nato, cum inces perit in Socrate, ut ita dixerim necessario delinet. Similiter intellectus agens in Socrate incipit, quoniáili copulatur, ut forma & cum agens ili copulatur, intellectus in habitu, qui genitus est desinit intellectus etiam in actu speculans, cum de non speculari transeat ad speculationem, videtur genituscum autem amplius non speculator actu, definit este intellectus actu speculans . ita ut intellectus quodammodo et propter diverdos respectus quossuscipit, dicatur corruptibilis et factus secundum autem substantiam cum eadem sit substantia intellectus agentis et possibilis dicitur eternus et simpliciter immortalis, quod rationibus ab Aristotele acceptis itaefleoftendi potest. Omne enim formas omnes materiales recipiens estim materiale intellectus autem possibilis recipit omnes formas igitur est immaterialis, est autem necessarium tale recipiens esse immateriale. Quoniam quod intus eft extraneum prohibet. Pomponatius [POMPONAZZI] támenstuder destruere hanc rationem, primum enim inquitillam non concludere proptere aquòdfi intellectcus. Eus materialis esetseparatusfequeretur et suam operationem separatam fore, quia operatio ipsam essentiam consequitur:atArist. inquitsiintelligereestficutsentire,ecce quod comparat operationem intellectus operationisensus, igiturvideturhæc ratio, potiusintellectummortalē probarc,quàm immortalem. NullaefthæcratioPompo Ratij,quoniam fequereturintellectumeffe uirtutem materialem , quod di&tum Arift. omnino negat.prætereavideturcommitte refallaciam afecúdum quidadfimpliciter, propterea quòd non ualct, possibilis obie &tiuedepédet, igituromnis intellectus.At cum Alexan,velitanimam intellectiuafiue intellectum possibilemnonesseformā, sed; præparationemquandam , qux& sirecipiat omnes formas,essetamcnmortalcm,peto abilloquid per preparationemintelligat, uel intelligitpuram priuationem , uelpri-, uationem cum aptitudine, non primum: quoniam priuatio fola nihil recipit, igitur priuationem cum aptitudineillumintelli gere oportet, igitur erit forma:si forma , ergomaterialis,quarepreparatiohæc non, recipiet omnes formas. Adiungit præte rea Pomponatius,intellectus vnicam tan tum operationem habet, proptereaquòd D i j ynius  Secunda ratio, qux nostram sententiam confirmat, accipiturab Arist. in3.de Anima.13.& isiinquibus propofitain13.quesstioncan intellectus sit intelligibilis quema admodúalia materialia-intelligibilia,foluit in15. Etintelligibiliseftficutipsaintelligi biliain his quæ funt fine materia idem est, quod intelligit et quod intelligitur, quilo  unius virtutis unica est operatio cum itaq; intellectus fit vna uirtus, quęmedia est inter: pure materiales et  omnino abstractas, vna driteius operatio:esseautcm mediãexeoni titurostendere, quoniã intelligitvniuerfale infingulari et quatenusintelligitvniuerfa le, comunicat cum abstractis, quatenusin singularicomunicatcummaterialibus, primum dictum sublatum fuit, non inconuenire quòdvna virtus diuerfimodefe habens, di versasexercear operationes, secundum di & umapudme nullum eft, quoniam intel ligere fubftantiarum quæ omnino funtfe paratæ,est intelligere per essentiam ,intelli gereauté intellectusestvniuersalisperspe ciem ,fiitaq;hocintelligerenonconuenit substantiis omnino separatis, quomodo na erit media participatione extremorum, qux re erit adhucex hoc fundamento intelles Aus pure materialis. Tertia ratio accipitura quodamnorabia ti, Quoniam naturalis philosophus uide túrdare duo eusnon eftcum LATINIS interpretandus, sed intellectum esse intelligibilem, cum possi bilishabueritintellectum agentem ut formam , tunc est intelligibilis per speciem, q u x actu est scilicet per formam intellectus agentis et est intelligibilis vel uti intelligere tixet enim si intellectusintelligereturqué admodum dicútLatini,effetintellectusdo teriorisconditionis lapide, quoniamlapis per suam speciem intelligitur per se, intellectus vero per accidens, intelligendola pidem per fuam fpeciem. Quare intelle dus materialis et fi uideatur intelligibilis ficuti alia intelligibilia materialia per speciem, nontameneodemmodoquoniam intellectus intelligibilis per suam formam fit intelligents, intelligibileautem materias leminimè, dequibusfufius in explanatio neeiuslocidiximus. phy. fundamenta Metaphy.primú quòd detur abstractum in natura, nam fi Metaphy, ignoraret abstractum, eum non determinaret, alterum fundamentum eft quod naturalis supponit abstractum et  qud abstractum magnitudine ficintelligens, quod tribuítanimasticusfine quo Mera    phy. Non haberet, quodabftractum fitina telligens.Adrem fiintelleétusessetmorta lis,nondareturMetaphy.quoniam per nullam naturam posset haberi abstractum esse intelligens, intellectus enim quimor talis est non poteft habere eandem opera tionem, cum intelligere intelligentiarum, quarefieffet mortalis, non habereturco gnitioeorum, quæperessentiamsunt sep rata. Ultima ratio quæ immortalitatem animá confirmat, estquoniam felicitatéacqui ri pofle conveniunt peripatetici omnes, quam habere esset impossibile, liintellectus esset mortalis. Pomponatius discurritagés defelicitates, illam contingere hominibus, quoniam omnes lībiinuicem funt auxilio alijenimaguntsecundum intellectumpra: eticum ;alijautem secundum intellectum , Speculatiuum: rectè inhocdicit, fed,falli, tur, cum -velithominem effe hominem per intellectum, ideo homo exercet operatiot nesmorales per formam, qua est homo,& propterea inquit Averroes p moralis capitfi, nemhominisineoquod homo, quiqui demfinisest cogitatiua, ideofoelicitas non competit homini ut homo, fedut in coquoddam diuinum reperitur.10, Ethi. cap.9. Aliauita et finispotioristo, ideo nos   li er  nos cum homines fimus,non debemus h u mana curarc, sed perueniread immortale & sempiternum, peridquodinnobisdi uinum eft. Dequibusfufiusin expositione c o m .; de anima diximu s. Ianua. Marco Antonio Genua. Marco Antonio Passeri. Antonio Passeri. Passeri. Keywords: peripatetici, lizii, nous, intelletto, etimologia d’intelletto, da lego – ‘to care’, ‘to decide’. Intelleto, nous, animus vs. anima, mens, Boezio, l’intelletto, l’anima intelletiva, animistica, animastica. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Genua," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691304466/in/photolist-2mPyn68-2mKQ7M8-2mPCgo1-2mKMrVm-2mKyJgk-CfbuaM

 

Passini

 

Pasqualini difficult to find. M. Pasqualini, C. Pasqualini.

 

Grice e Pasqualotto – trasmettitore/ricevitore – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo. Grice: “I like Pasqualotto; for one, he predates Oxonians in the ‘teoria dell’informazione’!” – Grice: “I never took ‘information’ as seriously as Pasqualotto does – I do compare information with money, and refer to the stupidity of ‘false’ information – “”False’ information is no information.”” – But Pasqualotto attempts to reconstruct a ‘teoria,’ a ‘teoria dell’informazione,’ i. e. complete with a model that has room for the implicaturum, i.e. any x such that by a mittente ‘sending’ a message, he may ex-plicate such-and-such and im-plicate so-and-so.””Frequenta il Pigafetta di Vicenza, dove ha come maestro Faggin. Sotto la guida di Formaggio, si laurea in filosofia aPadova, con una tesi sull'estetica tecnologica di Bense. Diventa amico di Brandalise, Cacciari, Curi, e Duso, ed è maestro nel suo stesso liceo vicentino, dove conosce Volpi. Collabora attivamente ad alcune importanti riviste di filosofia come Angelus Novus, Contropiano, Il Centauro. -- è professore a Venezia; a 'Padova; è stato cofondatore dell'Associazione “Maitreya” di Venezia. Contribuito alla nascita della rivista “Marco Polo, rivista di filosofia orientale” --  e comparata “Simplègadi” è stato tra i promotori del Master in Studi Interculturali dell'Padova, presso il quale ha insegnato Filosofia delle Culture. Direttore scientifico della Scuola Superiore di Filosofia orientale e comparativa di Rimini. Contributo teorico Nel saggio Dall'estetica tecnologica all'estetica interculturale, Pasqualotto descrive la sua avventura intellettuale e insieme l'evoluzione del suo pensiero. In una prima fase si è formato all'estetica analitica e alla filosofia analitica del linguaggio, ma ha rilevato il loro limitato significato formale. In una seconda fase, si è rivolto al pensiero critico di Adorno e della Scuola di Francoforte, e in questo caso ha valutato che la conclusione alla quale essi giungevano, era la morte per utopia dell’estetica. In una terza fase si è rivolto al pensiero di Nietzsche, tra la fine degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta; Nietzsche nella Nascita della tragedia, considera Apollo e Dioniso come due istinti complementari, tanto da consentire di poter riuscire a «vedere la scienza con l’ottica dell’artista e l’arte con quella della vita»’, e a dare importanza alla saggezza del corpo. Ma quello Nietzscheano gli sembrò solo un tentativo eroico di coniugare filosofia e vita, che alla fine si rivela solo come uno straordinario tentativo di scrittura sulla vita. Un'insoddisfazione di fondo per gli esiti del pensiero occidentale, e la ricerca continua di nuove possibilità per il pensiero, lo hanno portato ad approfondire lo studioiniziato già in anni giovanilidi tradizioni di pensiero esterne a quella occidentale. Il buddhismo, in particolare, ha costituito un terreno ampio di indagine e di confronto con diversi temi o autori della cultura europea; ma anche il pensiero taoista e l'esperienza della filosofia indiana hanno rappresentato nel corso degli anni un importante ambito di riflessione. Infatti, in un'ulteriore quarta fase del suo viaggio intellettuale, Pasqualotto si è rivolto all’estetica orientale come meditazione, ovvero come cammino comune verso un possibile superamento della scissione tra esperienza e riflessione (250-259). In una quinta fase, Pasqualotto si è avvicinato all’estetica di Emilio Garroni come uso critico del pensiero, quale comprensione dell’esperienza in genere all’interno dell’esperienza: in un certo senso, quindi, l’estetica andava coincidendo con la filosofia. Valutando la riflessione di Garroni prossima a quella orientale, Pasqualotto arrivò a considerare l'importanza della 'meditazione' e del 'vuoto mentale’, in base ai quali, come l’assenza di pensiero non può essere pensata senza idee, così non si possono pensare idee senza pensiero, come era stato già pensato da. Dōgen. Nella sua sesta ed ultima fase,  guarda l’estetica con gli occhi della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale, quindi come un ampliamento dell’orizzonte particolare dell’estetica verso una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza. Pasqualotto, infatti, è stato il primo pensatore italiano a elaborare la valenza teoretica di una filosofia come comparazione, teorizzata con rigore in Filosofia come comparazione, distinguendola da un mero esercizio comparativo di pensieri appartenenti ad ambiti geo-filosofici differenti. Il suo pensiero ha trovato echi e possibilità di dialogo con filosofi italiani, come Giuseppe Cacciatore, Giuseppe Cognetti, Giovanni Leghissa, e stranieri come Raul Fornet-Betancourt, Heinz Kimmerle, F. Jullien, Ram A. Mall, Ryōsuke Ōhashi, R. Panikkar, G. Stenger, F. Wimmer.  Tra la fine degli anni Novanta e l'inizio degli anni Duemila ha contribuito all'introduzione in Italia della filosofia di Marco Polo sull’Oriente a cominciare dall'importante opera di Nishida L’io e il tu, e poi con gli altrettanto importanti Uno studio sul bene e Problemi fondamentali della filosofia, accompagnati sempre da un saggio interpretativo che è rimasto sostanzialmente invariato nel corso degli anni. Parallelamente ad altri autori, si è misurato dai primi anni Duemila con il tentativo di delineare temi e metodi per una filosofia interculturale che costituisce il campo di maggior impegno e interesse della sua ricerca, congiuntamente a una riflessione estetica sulle forme dell'arte dell'Asia orientale.  Riassumendo gli elementi chiave del pensiero di Pasqualotto, potremmo individuare due componenti fondamentali: il concetto di Ermenuetica interminabile e quello di Dialogo interculturale Il concetto di Ermenuetica interminabile prevede come elementi: 1. il pensiero come 'comparazione originaria'; 2. il sapere come 'ambito problematico sempre aperto', rispetto al quale non si dà mai una verità stabile, ma sempre problematica, inscritta cioè in un processo inesauribile di ricerca; 3. il concetto di 'impermanenza' (mutuata dal concetto buddhista di 'anatta') come struttura relazionale di tutto ciò che è, in base alla quale tutto ciò che è, è un ‘nodo’ di relazioni in continua trasformazione ed evoluzione processuale. Il concetto di Dialogo interculturale prevede come elementi: 1. la 'meditazione' come ‘vuoto mentale’ e ‘consapevolezza’mindfulnessdel senso critico del pensiero radicato nel presente; 2. l'aperturaconseguente alla compresenza degli elementi precedentidell’orizzonte di una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza, orizzonte tipico della filosofia interculturale. Pasqualotto precisa chiaramente la specifica forma di rapporto comparativo che viene attivato nell'orizzonte della filosofia interculturale, rapporto detto 'a tre variabili interdipendenti. L’orizzonte di una filosofia interculturale dovrebbe invece tendere a porsi come linea immaginaria di uno spazio illimitato pronto ad ospitare quelle specifiche pratiche interculturali che sono gli esercizi in atto di filosofia in quanto comparazione. Per evitare le conseguenze contraddittorie a cui conducono sia le prospettive multiculturali, sia le utopie universaliste, è necessario precisare la natura e la funzione della specifica forma di rapporto che si viene ad attivare nell’orizzonte della filosofia interculturale. La modalità di tale rapporto può essere definita 'a tre variabili interdipendenti': due sono costituite da pensieri o ambiti di pensieri tra loro diversi, e la terza è costituita da un soggetto (individuale o culturale) che li pone a confronto. L’essenziale di questa modalità di rapporto è che nessuna delle tre variabili sussiste autonomamente, prima, dopo o a parte rispetto alle altre due: in particolare, è importante evidenziare che il soggetto risulta sempre e necessariamente implicato nella pratica della comparazione, al punto che tale pratica lo forma e lo trasforma: il suo sguardo è ‘impuro’ fin dall’inizio, perché fin dall’inizio viene condizionato e prodotto da una serievirtualmente infinitadi osservazioni comparative. Fra i temi affrontati più di frequente dalla sua riflessione ricordiamo: 1. il tema dell’identità, in base al quale essa non è alcunché di rigido e identitario, ma poiché l’essente è nodo di relazioni, l’identità si dà come intreccio di infinite relazioni, ovvero come compresa in una sua problematica autonomia; il soggetto che, in quanto costitutivamente interessato da molteplici relazioni, nel suo ricercare il senso del realtà del mondo, non è un osservatore disincarnato e disinteressato, o imparziale, ma è compreso nel rilevamento di quel senso nella trasformazione di sé e della realtà; il corpo, in base al quale esso è la mente e, insieme, la condizione prima della conoscibilità del mondo; in questo senso il tragitto di Pasqualotto ha sicure relazioni al tema odierno della ‘cognizione incorporata’ e della Filosofia del corpo; il concetto di ‘processo’, in base al quale la realtà è un insieme di processi: ciò che è, in quanto 'nodo' potenzialmente infinito di relazioni, diviene processualmente, concezione che deriva direttamente dalle filosofie orientali, in particolare dal buddhismo; l’illuminismo in base al quale i limiti della ragione possono venir posti soltanto dalla ragione stessa, come era stato già perfettamente considerato dalla Dialettica dell'illuminismo; l tema delle pratiche filosofiche e della pratica artigianale;  il tema dei diritti umani che non è solo un tema accessorio rispetto al suo pensiero; su questo versante pare giocarsi una partita più grande, che, ai temi della ‘libertà condizionata', della natura dell’individuo e del fenomeno della globalizzazione  unisce una profonda preoccupazione per i destini dell’umanità. A tal proposito pare essere abbastanza pessimista, un pessimismo attivo non passivo. Egli dice, infatti, nella premessa alla nuova edizione del Tao della filosofia, queste precise parole. È da osservare tuttavia che le tematiche della filosofia comparata, della filosofia come comparazione e della filosofia interculturale non hanno avuto e continuano a non avere risonanze significative all’interno del dibattito filosofico nazionale e internazionale. Le ragioni di questa scarsa ricaduta sono molteplici e di varia natura. Forse vi sono alla base difficoltà intrinseche ai modi in cui tali tematiche sono state formulate e proposte; ma è anche da dire, a tale proposito, che finora non vi è stata alcuna proposta critica che abbia messo in luce tali ipotetiche difficoltà. È da ritenere, allora, che le ragioni di questa debolissima risonanza siano, almeno in parte ma in primo luogo, da far risalire alle rigidità delle discipline accademiche che mal sopportano non solo le contaminazioni interdisciplinari ed interculturali, ma anche i semplici ponti che tentano di mettere in comunicazione diverse discipline, culture e civiltà. In secondo luogoma, dovremmo dire, ad un secondo, più basso, livellosi dovrebbero tener presenti le ragioni o, meglio, i ‘sentimenti’ che hanno a che fare più da vicino con germi xenofobi mai estinti, con residui di fondamentalismi religiosi e con rigurgiti di tipo razzista che infestano non solo l’Italia e non solo l’Europa. Ci sembra, anzi, che le tendenze che germinano da tali poltiglie psicologiche e ideologiche si stiano facendo sempre più invadenti ed arroganti. Questa riedizione del Tao della filosofia può forse costituire un frammento ancora utile a tenere aperta qualche piccola fessura di luce in un orizzonte culturale che, nonostante le aperture imposte dalla globalizzazione, si fa sempre più stretto e più cupo. Al fondo delle intenzioni di Pasqualotto, c’è un atteggiamento ecologico e agnostico,fino addirittura a concepire la possibilità dell’essere ‘apolide’ -, e consapevoleuna consapevolezza nel senso di mindfulnessnei confronti della natura della mente e della psicologia umane, al punto che, alla disillusione per la possibilità di integrazione nella vita psicologica occidentale delle pratiche meditative orientali, si unisce la preoccupazione e l’impegno sociale e politico, forse considerando la marginalità dell’intellettuale nelle grandi vicende della contemporaneità, ma insieme sempre anche con un’apertura di orizzonte per una riflessione generale sui problemi cruciali dell’esistenza. 

 

Saggi: “Avanguardia, tecnologia ed estetica (Roma, Officina); “Teoria come utopia” (Verona, Bertani); “Storia e critica dell'ideologia, Padova, CLEUP, Oltre l'ideologia: «Il Federalista», Roma, Ist. dell'Enciclopedia Italiana); “Pensiero negativo e civiltà borghese, Napoli, Guida, Saggi di critica, Padova, CLEUP, Saggi su Nietzsche, Milano, Franco Angeli, Il Tao della filosofia. Corrispondenze tra pensieri d'Oriente e d'Occidente, Parma, Pratiche, Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio,  Illuminismo e illuminazione: la ragione occidentale e gli insegnamenti del Buddha, Roma, Donzelli, Yohaku: forme di ascesi nell'esperienza estetica orientale, Padova, Esedra, East & West. Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio, Il Buddhismo: i sentieri di una religione millenaria, Milano, Bruno Mondadori, Figure di pensiero. Opere e simboli nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio); Oltre la filosofia, percorsi di saggezza tra oriente e occidente, Vicenza, Colla; Dieci lezioni sul buddhismo, Venezia, Marsilio, Per una filosofia inter-culturale, Milano, Mimesis, Taccuino giapponese, Udine, Forum, Tra Occidente ed Oriente: interviste sull'intercultura ed il pensiero orientale (Pretto), Milano, Mimesis; Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio); “Dall’estetica tecnologica all’estetica interculturale, in Studi di estetica, Filosofia come comparazione in Simplègadi. Percorsi del pensiero tra Occidente e Oriente, Padova, Esedra). Cfr. Davis, Bret W.,.) Nishida Kitaro, L’io e il tu, Renato Andolfato, Padova, Unipress, Nishida: dialettica e Buddhismo, Postfazione,  N.  Kitaro, Uno studio sul bene, E. Fongaro, Torino, Boringhieri, Nishida Kitaro, Problemi fondamentali della filosofia: conferenze per la Società filosofica di Shinano, E. Fongaro (Venezia, Marsilio); Buddhismo e dialettica. Introduzione al pensiero di Nishida, Per una filosofia interculturale, Milano, Mimesis, Tra Oriente e Occidente. Interviste sull’intercultura ed il pensiero orientale, D. De Pretto, Milano, Mimesis,  Nietzsche o dell'ermeneutica interminabile, in, Crucialità del tempo, Napoli, Liguori, Saggi su Nietzsche, Milano, Franco Angeli, Intercultura e globalizzazione, in, Incontri di sguardi. Saperi e pratiche dell’intercultura, A. Miltenburg, Padova, Unipress, Per una filosofia interculturale, Milano, Mimesis, Identità e dialogo interculturale, Venezia, Marsilio,  Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente, Venezia, Marsilio, Dalla prospettiva della filosofia comparata all’orizzonte della filosofia interculturale, Simplègadi, East & West, Venezia, Marsilio. Interessante può essere, sotto questo aspetto, il confronto con il pensiero di E. Morin, nel suo La testa ben fatta” (Milano, Cortina,  La riforma di pensiero, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio,, voce Corpo. Illuminismo e illuminazione, Roma, Donzelli); Saggezze d'Oriente e d'Occidente come forme di vita, n Id., Oltre la filosofia, Vicenza, Colla, Interessante può essere, sotto questo aspetto, il confronto con il pensiero di Sennet, nel suo L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli,  Diritti umani e valori in Asia, Studia Patavina, Alfabeto filosofico, Venezia, Marsilio,, voce Libertà. Filosofia e globalizzazione, Milano, Mimesis, Il tao della filosofia, Milano, Luni,, Premessa.  I termini 'ecologico' e 'agnostico' non sono propri dei supo testi ma depositati nel suo insegnamento 'orale', nonché derivabile da una semplice riflessione sulle finalità e conseguenze della sua impostazione teorica Santangelo, recensione a Estetica del vuoto. Arte e meditazione nelle culture d'Oriente Revue Bibliographique de Sinologie, M. Ghilardi, E. Magno, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente. in onore, Milano-Udine, Mimesis,  E. Fongaro, M. Ghilardi, Filosofia come Pratica. A partire da Il Tao della Filosofia, in Simplegadi, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente, M. Ghilardi, E. Magno, Mimesis, A. Crisma, Dao, ossia cammino. Note in margine al percorso di riflessione di in Simplegadi, Sentieri di mezzo tra Occidente e Oriente, M. Ghilardi, E. Magno, Mimesis, M. Bergonzi, Comparatismi e dialogo interculturale fra filosofia occidentale e pensiero indiano, in Comparatismi e filosofia, M. Donzelli, Napoli, Liguori, G. Marramao, Pensare Babele. L'universale, il multiplo, la differenza, in Iride, M. Pagano, Un contributo ermeneutico per la filosofia interculturale, in Lo Sguardo: rivista di filosofia, M. Ghilardi, E. Magno, La filosofia e l'altrove: Festschrift, Milano-Udine, Mimesis, Yusa, Michiko, F. La Porta, recensione ad Alfabeto Filosofico, Daodejing,  Mandukya Upanishad, Mimesis Festival: Che cos’è la filosofia? d Schopenhauer tra Oriente e Occidente, di G. Pensiero buddhista e filosofie occidentali, Panikkar e la questione dei diritti umani, La compassione intelligente nella tradizione buddhista, Nirvana e Samsara, Covid-19 e Libertà. Anteprima di Illuminismo e Illuminazione, Anteprima di Per una filosofia interculturale, Anteprima di Taccuino. Anteprima di Alfabeto Filosofico,  su books.google. Anteprima di Dieci Lezioni sul Buddhismo, Materiali su Interculturalità e Oriente, Materiali su Interculturalità e Oriente. Giangiorgio Pasqualotto. Pasqualotto. Keywords: Marco Polo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pasqualotto” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51740451898/in/datetaken/

 

Grice e Pastore – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Orbassano). Filosofo. Grice: “A proto-Griceian.” Grice: “Pastore divides logicians by nationality, and he has a few for Italians; he does not distinguish between Welsh Russell and English Boole, though!” Grice: “Pastore has an excellent section on the ‘alleged’ imperfections of ordinary language, to which I refer to in my reference to the common place in philosophical logic.” Grice: “Pastore lists six imperfections of ordinary language, for which he notes how confusing the allegations are.” “He ends by noting the moral of the formalist: “not everything that is explicated is implicated, and not everything that is implicated is explicated!” – Grice: “The Italian philosophers he mentions make an interesting list.” Grice: “He has an earlier paragraph on “Roman logic,” which is charming.” Laureato a Torino con Graf e D'Ercole, fu insegnante di liceo e ottenne una cattedra a Torino. Fondò e diresse il “Laboratorio di logica sperimentale” a Torino. Fu collaboratore della Rivista di filosofia.  I suoi manoscritti sono conservati nell'Accademia toscana di scienze e lettere La Colombaria di Firenze. La salma del filosofo riposa nel Cimitero di Bruino.  Saggi: “La logica formale dedotta dalla meccanicia”; “Scienza” “Sillogismo e proporzione,” “Dell'essere e del conoscere,” “Il pensiero puro,” “Causa ed esperienza”; “Solipsismo,”  “Potenzia logica” “Logica sperimentale,”” L'acrisia di Kant” “La filosofia di Lenin”; “La volontà dell'assurdo. Storia e crisi dell'esistenzialismo” (Logicalia, Dioniso, “Introduzione alla metafisica della poesia,” F. Bazzani, Carte. Fondo dell'Accademia La Colombaria” (Firenze, Olschki); M. Castellana, “Razionalismi senza dogmi. Per una epistemologia della fisica-matematica” Soveria Mannelli, Rubbettino); Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F.  Selvaggi, Un filosofo triste: Annibale Pastore in Scienza e metodologia. Saggi di epistemologia, Roma, Gregoriana). “E notissima la storia della logica romana in cui assai per tempo viene a prevalere la teoria catechistica, sviluppata negli innumerevoli manuali di logica ad uso delle scuole, mutuanti l’insegnamento dalli saggi di Varrone, di Cicerone, di Aulo Gelio, e di Quintiliano. Questo indirizzo comprende altresi I saggi di Mario Vittorino, di Vegezio, e si spinge fine a quelle imporntantissimei di Boezio e di Cassiodoro che riduceno la logica all’uso d’una TABULA LOGICA o combinazione di concetti secondo le regole della silogistica BOEZIO Introductio ad categehoricos syllosigmos; de syllogism categorico-hypothetico, de divvisione, de definitione, Cassiodoro (Venezia). In tutta quanta la scolastica la sillogistica di Boezio e ripresa ed applicate con sottiissimo svolgimento. COmincia, a vero dire, per essere incompletamente conosciuta. Si complete con Pietro LOMBARDO. Quindi fa decisamente il suo ingress nell’ovcidente latino per opera di Aquino, Abano, ed Egidio Colonna – Summa theologica, cfr. JORDANO BRUNO, de specierum scrutinio; de lampade combinatoria lulliana, de porgresso et lampade venatoria legocorum, S’istende la lussureggiante vegetazione dei terministi, fra I quali appena e il caso dei ricordare il nostro Paolo Veneto, Pietro Tartareto, e Pietro Nigri. Per onore della filosofia, voglio dire che, in mezzo a tanta zavorra, I pensamenti originali sono molto piu numerosi ed important di quanto non si creda comnemente. Nizolio, Pauli Veneti, Logia parva, tractatus summlarum (Venezia). Le loro relazionei possbili con le varie posizioni di certi dischetti girevoli atorno un centro comune, sovrapposit l’uno all’altro, sui quali erano segnai I concetti fundamentale. Questo tentative di Bruno contiene in gemre tutta la teoria della quantifiicatione del predicato e la teoria della logica sperimentale. In seguito aa mie personali ricerche compiute nella biblioteva comunate di Noto (Siracusa) la priorita della dottrina della quantificazione del predicato si deve attributire al sottilissimo casista Giovanni Caramuel, che l’espose nella sua Grammatica audax. Zvsdilio, zinytofuvyio in stidyyrlid lohivsm, ztoms. Facciolati Logia protehroai, rudimenta di Logicca, Tizio, Arte di pensare. In Italia, PEANO, Calcolo geometrico secondo l’ausdehnungslehre di H. Grassmann preceduto dale operazione della logica deduttiva (Torino), arithmetics, prinicipia, nova method exposita, I principi di geometrica logicamente espsosti (Torrino Bocca) elementi di calcolo geometrico, principi di logica matematica R d M, formule di logica matematica, sul concetto di numero, sui fondamenti dlela geomentria, saggio di calcolo geometrico, studi di logica matematica, NAGYj, Fondamenti del calcolo logico, Napolo, sulla rappresentazione grafica della quantita logica, Lencei, lo stato atauale ed I progressi della logica, rivista italiana di filosofia, I principi di logica esposit secondo le dottrine modern (Torino Leoscher, I teoremi funzionali nel calcolo logico (Riv. Di Mat.) La logica matematica e il calcolo logico (Riv. Ital. Filos. Roma), I primi dati della logica (Roma), Sulla definizione e il compito della logica (Roma, Balbi), Alcuini teoremi intorno alle funzione logiche (Riv Mat.), BURALI-FORTI (-- Logica matemaitca Milano, Sui simboli di logica matemaitca (Il Pitagora), G. Vacca, G. Vailati, A. Padoa, M. Pieri, F. Castellano, C. Ciamberlini, Giudice, Padoa, Nota di Logica matemaica (Riv di Mat), Vailati, un teorema di logica matematca (riv mat), sul carattere del  della logica il sviluppo della logica formale (Rivista filos. ), Vacca, Sui precursori della logica matematica, Riv Mat, Bettazzi, Chini, Boggio, Ramorni, e Nasso. Tutt I logici italiani apparengono alla scuola del Pano, al qualse si devele la prima introduzione della logica matematica o pura in Itala. In essa introduzione, il Peone, esposti lucidamente gli studio, dimstra l’identita del calcolo sulle classi, col calcolo sulle propsizione. La sua popera contiene per la prima volta la teoria dei numeri interi completamente riditta in formole facendo ricorso ad un liitatissimo numero di idee logic ache Peano espresso coi simbolo: e, > =  + V ~ A. – sette simboli --. Di qui trae origine la sua idegografia in cui ogni idea e rappresentata con un segno, e il su strumento analitico anda perfezionadosim rapidamente. Arrichitta di numerose indicazioni storiche per la collaborazioni di valenti seguazi, procedette alacremente, raccogliendo e trattando completamente in simboli tutte le proposizioni della matematica. L’importanza filosofica di questo movimento iniziato dal Peano non e ancora stata apprezzatta convenientemen da ogni filoso, ma I saggi di Peano comincia solo ORA a richiamare sola di se l’attenzione dei filosofi. Il ritardo filosofico e tanto piu strano quanto pio chiara e la filiazione filosofica di questa ideografia. Il Peano stesso non cessa mai di far notare che la sua ideografia e casata su teoremi di logica. Ma se con definizione opportune, si pote riddure le idee di logic ache si incontrano in molte parti della mateica ad un numero sempre piu piccolo di idee primitive, attualmente ancorsa si desidera una riduzione analogia di tutte le idee di logic ache si incontrano nella LOGICA PURA. Questa riduzione presenta invero seriissime difficolta ed e piu facile il riconocere quante e quai siano le idea primitive in aritmetca e in gemoetrica che in logica. Continuando le richerche mi convene supporre consosciuto tento di portare un contribute alla soluzione del problema suddetto.  Annibale Pastore. Pastore. Keywords: implicature, logica meccanica, acrisia. Meccanica rama della fisica.  Refs: Luigi Speranza, “Grice e Pastore,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702186073/in/photolist-2mPAuFE-2mPowr2-2mN8ym7-2mLKdDg-2mLEd47-2mKuZ8r-2mKCfz1-BvUfSB-BaofQH-ogsG8n-ofMJ4G-hSTpSd/

 

Grice e Peano – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Spinetta di Cuneo). Filosofo. Grice: “As I reduce “the” to “every,” I am of course following Peano, who predates Russell!” -- important Italian philosopher. Linceo. Peano’s postulates, also called Peano axioms, a list of assumptions from which the integers can be defined from some initial integer, equality, and successorship, and usually seen as defining progressions. The Peano postulates for arithmetic were produced by G. Peano in 9. He took the set N of integers with a first term 1 and an equality relation between them, and assumed these nine axioms: 1 belongs to N; N has more than one member; equality is reflexive, symmetric, and associative, and closed over N; the successor of any integer in N also belongs to N, and is unique; and a principle of mathematical induction applying across the members of N, in that if 1 belongs to some subset M of N and so does the successor of any of its members, then in fact M % N. In some ways Peano’s formulation was not clear. He had no explicit rules of inference, nor any guarantee of the legitimacy of inductive definitions which Dedekind established shortly before him. Further, the four properties attached to equality were seen to belong to the underlying “logic” rather than to arithmetic itself; they are now detached. It was realized by Peano himself that the postulates specified progressions rather than integers e.g., 1, ½, ¼, 1 /8,..., would satisfy them, with suitable interpretations of the properties. But his work was significant in the axiomatization of arithmetic; still deeper foundations would lead with Russell and others to a major role for general set theory in the foundations of mathematics. In addition, with O. Veblen, T. Skolem, and others, this insight led in the early twentieth century to “non-standard” models of the postulates being developed in set theory and mathematical analysis; one could go beyond the ‘...’ in the sequence above and admit “further” objects, to produce valuable alternative models of the postulates. These procedures were of great significance also to model theory, in highlighting the property of the non-categoricity of an axiom system. A notable case was the “non-standard analysis” of A. Robinson, where infinitesimals were defined as arithmetical inverses of transfinite numbers without incurring the usual perils of rigor associated with them. Fu l'ideatore del latino sine flexione, una lingua ausiliaria internazionale derivata dalla semplificazione del latino classico. Nacque in una modesta fattoria chiamata "Tetto Galant" presso la frazione di Spinetta di Cuneo. Fu il secondogenito di Bartolomeo Peano e Rosa Cavallo; sette anni prima era nato il fratello maggiore Michele e successivamente nacquero Francesco, Bartolomeo e la sorella Rosa. Dopo un inizio estremamente difficile (doveva ogni mattina fare svariati chilometri prima di raggiungere la scuola), la famiglia si trasferì a Cuneo. Il fratello della madre, Giuseppe Michele Cavallo, accortosi delle sue notevoli capacità intellettive, lo invitò a raggiungerlo a Torino, dove continuò i suoi studi presso il Liceo classico Cavour. Assistente di Angelo Genocchi all'Torino, divenne professore di calcolo infinitesimale presso lo stesso ateneo a partire dal 1890.  Vittima della sua stessa eccentricità, che lo portava ad insegnare logica in un corso di calcolo infinitesimale, fu più volte allontanato dall'insegnamento a dispetto della sua fama internazionale, perché "più di una volta, perduto dietro ai suoi calcoli, [..] dimenticò di presentarsi alle sessioni di esame".  Ricordi del grande matematico (e non solo della vita familiare) sono raccontati con grazia e ammirazione nel romanzo biografico Una giovinezza inventata della pronipote Lalla Romano, scrittrice e poetessa. Aderì alla massoneria, iniziato nella loggia Alighieri di Torino guidata dal socialista  Lerda.  Morì nella sua casa di campagna a Cavoretto, presso Torino, per un attacco di cuore che lo colse nella notte.  Il matematico piemontese fu capostipite di una scuola di matematici italiani, tra i quali possiamo annoverare Giovanni Vailati, Filiberto Castellano, Cesare Burali-Forti, Alessandro Padoa, Giovanni Vacca, Mario Pieri e Tommaso Boggio. Peano precisò la definizione del limite superiore e fornì il primo esempio di una curva che riempie una superficie (la cosiddetta "curva di Peano", uno dei primi esempi di frattale), mettendo così in evidenza come la definizione di curva allora vigente non fosse conforme a quanto intuitivamente si intende per curva.  Da questo lavoro partì la revisione del concetto di curva, che fu ridefinito da Jordan (curva secondo Jordan).  Fu anche uno dei padri del calcolo vettoriale insieme a Tullio Levi-Civita. Dimostrò importanti proprietà delle equazioni differenziali ordinarie e ideò un metodo di integrazione per successive approssimazioni.  Sviluppò il Formulario mathematico, scritto dapprima in francese e nelle ultime versioni in interlingua, come chiamava il suo latino sine flexione, contenente oltre 4000 tra teoremi e formule, per la maggior parte dimostrate.  Come logico dette un eccezionale contributo alla logica delle classi, elaborando un simbolismo di grande chiarezza e semplicità. Diede una definizione assiomatica dei numeri naturali, i famosi "assiomi di Peano" che vennero poi ripresi da Russell e Whitehead nei loro Principia Mathematica per sviluppare la teoria dei tipi.  I contributi di Giuseppe Peano sulla logica furono osservati con molta attenzione da Russell, mentre i contributi di aritmetica e di teoria dei numeri furono osservati con molta attenzione da Giovanni Vailati, il quale sintetizzava in Italia il passaggio tra l'esame delle questioni fondamentali e l'applicazione di metodiche di analisi del linguaggio scientifico, tipica degli studi logici e matematici, e anche specificava gli interessi di storia della scienza, allargando la prospettiva anche agli studi sociali. Per questo Peano ebbe dei contatti molto stretti con il mondo degli studiosi di logica e di filosofia del linguaggio nonché gli studiosi di scienze sociali empiriche (Cfr. Guglielmo Rinzivillo, Giuseppe Peano, Giovanni Vailati. Contributi invisibili in Guglielmo Rinzivillo, Una Epistemologia senza storia, Roma Nuova Cultura. Ebbe ampi riconoscimenti negli ambienti filosofici più aperti alle esigenze e alle implicazioni critiche della nuova logica formale. Era affascinato dall'ideale leibniziano della lingua universale e sviluppò il "latino sine flexione", lingua con la quale cercò di tenere i suoi interventi ai congressi internazionali di Londra e Toronto.  Tale lingua fu concepita per semplificazione della grammatica ed eliminazione delle forme irregolari, applicandola a un numero di vocaboli "minimo comune denominatore" tra quelli principalmente di origine latina e greca rimasti in uso nelle lingue moderne. Uno dei grandi meriti dell'opera di Peano sta nella ricerca della chiarezza e della semplicità. Contributo fondamentale che gli si riconosce è la definizione di notazioni matematiche entrate nell'uso corrente, come, per esempio, il simbolo di appartenenza (es: x A) o il quantificatore esistenziale "".  Tutta l'opera di Peano verte sulla ricerca della semplificazione, dello sviluppo di una notazione sintetica, base del progetto del già citato Formulario, fino alla definizione del Latino sine flexione. La ricerca del rigore e della semplicità portarono Peano ad acquistare una macchina per la stampa, allo scopo di comporre e verificare di persona i tipi per la Rivista di Matematica (da lui diretta) e per le altre pubblicazioni. Peano raccolse una serie di note per le tipografie relative alla stampa di testi di matematica, uno per tutti il suo consiglio di stampare le formule su righe isolate, cosa che ora viene data per scontata, ma che non lo era ai suoi tempi. Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia Ufficiale della Corona Commendatore della corona L'asteroide  Peano è stato battezzato così in suo onore.  Il dipartimento di Matematica di Torino è a lui dedicato. Molti licei in Italia portano il suo nome, come ad esempio a Roma, Cuneo, Tortona, Monterotondo, Cinisello Balsamo o Marsico Nuovo, così come la scuola di Tetto Canale, vicina alla sua città natale. Saggi: “Aritmetica”; “Algebra” (Torino, Paravia,); “Forma matematica” (Torino, Bocca); “Calcolo differenziale”; “Calcolo integrale” (Torino: Bocca); “Analisi infinitesimale” (Candeletti); “Calcolo infinitesimale e geometria” (Torino: Bocca), “Logica della geometria” (Torino: Bocca)”; “Principio dell’arimmetica” (Torino, Paravia); “Giochi di aritmetica e problemi interessanti” (Paravia, Torino). Provai una grande ammirazione per lui quando lo incontrai per la prima volta al Congresso di Filosofia, che e dominato dall'esattezza della sua mente. Russell. Amico, Storie della scuola italiana. Dalle origini (Zanichelli, Bologna); Celebrazione, E. Luciano e C. Roero Torino); “Storia di un matematico” (Boringhieri).  L. Romano, “Una giovinezza inventata” (Torino, Einaudi); Racconta episodi del rapporto con il prozio Giuseppe.  Assiomi di Peano, Glottoteta, Lingua artificiale, Matematica, Latino sine flexion, U. Cassina Calcolatori ternari M. Gramegna  Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. E Peano stregò  Russell. The third kind of term, things, are only the entities indicated by proper names, but they have no additional relation with other terms. This leads Russell to con- sider the sole denoting concept which presupposes uniqueness- "the': Russell admits the great importance ofthis term, recognizes the merit of Peano's notation,5 and attributes to him the capacity to make possible genuine mathematical definitions defining terms which are not concepts (p. 63). the meaning of a word with its indication-refere.nce (and the meaning of a denoting concept with its denotation). Peano does something more than provide the standard notation. The pre-eminence of descriptions over other forms of denotation is definitive. The notation for descriptions is inspired in the Peanesque symbolism (i.e. "laeb"; see my 1990h), but membership of classes is replaced by propositional functions (i.e. (l£)(<I>X)), which is explained as "a certain denoting function of <l>x, which, if <1>£ is true for one and only one value ofx, denotes that value, but in any other case denotes (P).p" (m1904, p. 5). Perhaps the most interesting for us is the insistence on the indefinability of "the" (Peano's inverted iota is already used), together with the notion of denotation (p. 60). The published article adds the expression of the main definition in terms of propositional functions together with the previous manuscript definition in Peano's terms of existence and uniqueness (although not in symbolic form). The two essential definitions are (Principia, * 14.01.02): . \jI(IX)(epX) • =.(3b) : epx •=~ .x=b : \jib E ! ( 7 X ) ( e p X ) • = . ( 3 b ) : 4 > x . =• . x = b which express the conditions of existence and uniqueness essentially with Peanesque resources, i.e. in terms of quantification and identity, although adding propositional functions. Peano explicitly displays various resourses to eliminate completely the definite article (the inverted iota) from any proposition. He actually recommends this line in cases where the required conditions of existence and uniqueness are doubtful, precisely through a sort of definition "in use': The descriptor is by no means "indefinable" in his system.  Russell:  "I read Schrader on Relations and found his methods hopeless, but Peano gave just what I wanted (Letter to Jourdain, in Grattan-Guinness). If, as Russell maintained in Principia following Peano, definitions are to be always nominal, their definienda are only mere abbreviations. Russell formulates his Principle to preserve the admissible part of Bradley (his methodological and analytical resourses) and almost the entire Moore, in so far as they were compatible with the requirements of Peano's logic. The main thesis of this paper is that some of the moststimportant ideas and symbolic devices that made Russell's theory of descriptions possible are already present in writings by Peano that Russell knew well. The paper contains a detailed comparison betwee? the relevant parts of Russells theory-including manuscripts recently publIshed-and ~ome o.f F~ege and , . . ht as well as a discussion of numerous pOSSIble obJectlons that Peanos mSig s, . . fl db could be posed to the main claim. Even if Russell was not actually.m uence. y those insights, the parallelism is close enough to be worth analyzmg, espeCially in the case of Peano, whose writings are not very well known.  (r) can be clearly found in Frege and Peano, that (2) was almost admitted by Frege and was admitted explic- itly-including the symbolic expression-by Peano. THE SYMBOLIC ELIMINATION OF "THE" IN PEANO. The Peanoian origins of the symbols relevant to Russell's theory of descriptions have been noted and sometimes explained (see, .for instance, 1988a and 199Ia, Chap. 3). I will confine myself to recalling that they were the letter iota (i) for the unit class, and ~he sam~ letter inverted (1), or denied ("fa), for the only member of thiS class,.l.e. the definite article of ordinary language. Peano's ideas also evolved in three stages towards greater precision in the treatment of des~~iptions. . This last step took place explicitly in I9ooa. There Peano starts from the above-mentioned definition in terms of the unit class, but then he adds a series of "possible" definitions (the ones allowing an alternative logic al order), one ofwhich offers this equivalence: In I897a Peano introduces his fundamental d~fimt~on ~f the u:l1t class as the class such that all of its members are identical; in Peaman symbols, tx =ye (y =x). Likewise he defined indirectly the.unique mem- ber of such a class: x = "fa • = • a = tx. However, concerning the defin- ability of the definite article, he added the important ~dea that eve~ proposition containing it can be reduced to. the for,? ta eb, and thiS, again, to the inclusion of the referr~d .um~ class in the oth~r class (a ~ b), which already supposes the eLzmmatzon of the symbol t: Thu~, Peano says, we can avoid identities whose first member contams thiS symbol (I897a, p. 215)·1I Here we find the assertion that the only individual belonging to a unit II As an anonymous referee pointed out to me, one ~aj~rdifferenc~between ~eano and Russell's treatment of classes in the context of descnption theolJ' is that, while for Peano descriptions combine a class abstract with the inverse of the umt class operator, for Russell the free use of class abstracts was not available due to the discovery of paradoxes. 12 To be more precise, Peano did not write literally that the mentioned expression is meaningless, but rather "nous ne donnons pas de signification ace symbole si la classe a est nulle, ou si elle contient plusieurs individus" (I897b:269). But I take it to be equivalent in practice, given that ifwe do not meet the two mentioned conditions, the symbol cannot be used at all. I} There are, however, other additional ways ofeliminating the same symbols accord- ing to Peano, e.g. the following one, which is very similar and depends on the same hypothesis: laE b. = : a = tx. :Jx • Xc b(ibid).   class (a) such that it belongs to another class (b) is equal to the existence of exactly one element such that this element is a member of that class (b). In other words: "the only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is equal to the class constituted by x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that a is the class constituted by x, and that x belongs to b, is not an empty class"). This seems to be equivalent to Russell's celebrated defini- tion, although, of course, Peano spoke in terms of classes instead of propositional functions; that is to say, in terms of properties or predi- cates, which define .classes (without forgetting that Peano often read the membership symbol as "is"). which expresses the same idea in a way where any reference to the letter iota has disappeared. We can read now" the only member of a belongs to b" as the same as "there is at least one x such that (i) the unit class a is equal to all the y such that y =x, and (ii) x belongs to b" (or "the class of x such that they constitute the class ofy, and that they constitute the class a, and that in addition they belong to the class b, is not an empty class"). Thus, the full elimination underlay the mentioned definition, although Peano, in lacking philosophical goals, had no interest in mak- ing this point explicit. Peano was completely aware of the importance of this device as a way to reduce the definite article to logical terms, i.e. to eliminate it, as a result ofwhich the symbol would cease to be primitive. That is why he added that the above definitions "expriment la P[proposition] 1a Eb sous une autre forme, OU ne figure plus Ie signe 1; puisque toute P contenantIesigne1aestreductiblealaforme 1aEb,OU bestuneCIs, on pourra eliminer Ie signe 1 dans toute P" (I900a:352). Therefore, the general belief according to which the symbol "1" was necessarily primitive and indefinable for Peano is wrong. Second, by pointing out that in the "hypothesis" preceding the quoted definition it is clearly stated that the class "a" is defined as the unit class in terms of the existence and identity of all of their members (i.e. uniqueness): Before making more explicit the parallelism with Russell's theory, I have collected some different possible objections against this rather strong claim, in order to discuss them. I think that all of these objections are either misconceived or simply have no force with regard to my main claim as stated in the two previous paragraphs. However, I take them into consideration because they have been proposed by several people who read earlier versions of this paper and, consequently, could be pro- posed by others. Thisiswhy"a"isequaltotheexpression''tx''(inthesecondmember). The objection could still be maintained by insisting that since"a" can be read as "the unit class", Peano did not really achieve the elimination of the idea he was trying to define and eliminate, as it is shown through the occurrence of these words in some of the readings proposed above. However, as I will explain below, the hypothesis preceding the definition only states the meaning of the symbols which are used in the second member. Thus, "a" is stated as "an existing unit class", which has to be (1) It is true that the symbol "1" has disappeared, but in the definiens we still can see the symbol of the unit class, which would refer somehow to the idea that is symbolized by ''tx'', so the descriptor has not been really eliminated. The answer is very simple: for Peano there were at least two forms ofdefining this symbol with no need for using the letter iota (in any of its forms). However, the actual substitution would lead us to rather complicated expressions,14 and given Peano's usual way of working (which can be First, by directly replacing tx by its value: y 3(y = x), as defined above. Making the replacement explicit, we have: 14 Starting from this idea, we can interpret the definition as stating that "la Eb" is only an abbreviation for the definiens and dispensing with the conditions stating exist- ence and uniqueness in the hypothesis, which have been incorporated to their new place. Thus, the new hypothesis would contain only the statement of"a" and"b" as being classes, and the final entire definition could be something like the following: la Eb • =:3x 3{a =y 3(y =x) • X Eb}, a, bECls.::J :. ME b. =:3XE([{3aE[w, zEa. ::Jw•z' w= z]} ={ye(y= x)}] •XEb), a E Cis. 3a: x, yEa. ~x.y.X = y: bE CIs •~ : ... (Ibid.) understood in this way: " 'a' stands for a non-empty class su~h that all of its members are identical." Therefore, we can replace "a", wherever it occurs, by its meaning, given that this interpretation works as only a purely nominal definition, i.e. a convenient abbreviation.  characterized as the constant search for shorter and more convenient formulas), it is quite understandable that he preferred to avoid it. In fact, the operation is by no means necessary, for the symbolic expression above was already enough to obtain the full elimination of the descriptor. We must not forget that the important thing is not the intu- itive and superficial similarity between the symbols "la" and ''tx'', caused simply by the appearance of the letter iota in both cases, or the intuitive meaning of the words "the unit class", but the conditions under which these expressions have been introduced in the system, which were completely clear and explicit in the first definition.IS "k e K" as "k is a class"; see also the hypothesis from above for another example). But this by no means involves confusion with i~clusion,as. it is shown by the fact that Peano soon added four defimte properties precisely distinguishing both notions, which made it po~siblefor.hi~~.~ for Russell himself, to preserve the useful and convenient readmg is (2) The supposed elimination is a failure, for (i) it depends upon Peano's confusion of class membership and class inclusion, so that (ii) a singleton class (la) and its sole member (lX) are not clearly distinct notions; it follows that (iii) "a" is both a class and, according to the interpretation of the definition, an individual (iv), as is shown by joining the hypothesis preceding the definition and the definition itself This multiple objection is very interesting because it can be taken as proceed- ing from the received view on Peano, according to which his logic not only falls s~ort ofstrict logical standards, but also contains some import- ant confuSions here and there. However, the four points can easily be s~own t? be mistaken. (Incidentally, I think this could have been recog- mzed With pleasure by Russell himself, who always thought of Peano and his school as being strangely free oflogical confusions and mistakes.) . Fir~t, it ~n hard~y be said that Peano confused membership and mcluslOn, given that it was he himselfwho introduced the distinction in 1889 through his symbol "e" (previously to, and therefore independently of, Frege). If the objection means (which is rather unlikely) that Peano would admit the symbol for membership as taking place between two classes, it is true that this was the case when he used it to indicate the meaning of some symbols, but only through the reading "is" (e.g. full clarity that"1" (T) makes sense only before individuals, and ''t'' before classes, no matter which particular symbols we use for these notions. Thus, ''ta'', like "tx", both have to. be read as "the class consti- tuted by ...", and" la" as "the only member of a". Therefore, although Peano, to my knowledge, never used "lX" (probably because he always which could be read as " 'a and b being classes, "the only member of a belongs to b" is to be the same as "there is at least one x such that (i) 'there is at least one a such that for eve~,': and z belonging to a,.w = z' is equal to 't~ey such that y =. x' , and (ii) x belongs to b ,where both the letter Iota and the words the unit class" have disappeared from the definiens. aeCis.3a:x,yea.-::Jx,y. x=y:beCIs•~:. . l a e b . = : 3 x 3(a = t x . x e b), 15 There is a well-known similar example in the apparent vicious circle of Frege's famous definition ofnumber. the reply to objection (1). There are other, minor objections as well. (see my 199Ia, Chap. 3, §I.3)· Second, "la" does notstand for the singleton class. Peano stated with thought in terms of classes), had he done so its meaning, of course, would have been exactly the same as "la", with no confusion at all. Third, "a" stands for a class because it is so stated in the hypothesis, although it can represent an individual when preceded by the descriptor, and together with it, i.e. when both constitute a new symb.ol as a w.hol~. Here Peano's habit could perhaps be better understood by mterpretmg it in terms of propositional functions, and then by seeing" la" as being somewhat similar to <!>x, no matter what reasons ofconvenience led him to prefer symbols generally used for classes ("a" instead of"x"). There is little doubt that this makes a difference with Russell. It could even be said that while, for Peano, the inverted iota is the symbol for an operator on classes, which leads us to a new term when it flanks a term, for Russell it was only a part of an "incomplete symbol". I am not sure about Peano's answer to this, but at any rate for him the descriptor could be eliminated only in conjunction with the rest of the full express- ion "la e b", so that the most relevant point of similarity again can be found in Peano. Last, there is no problem when we join the original hypothesis and the definition: as I have pointed out in the interpretation contained in the last part of (3) If, as it seems, "a" is affected by the quantifier in the hypothesis, then it is a variable which occurs both free and bound in the formula (if it is a constant, no quantifier is needed). I am not sure about the possible reply by Peano himself Perhaps he did not always distinguish with present standards o f clarity between the several senses o f "existence" (or related differences) involved in his various uses of quantifiers,r6 but in principle there is no p'roblem when a variable appears both bound and free in the same expression, although in different occurrences. At any rate, I cannot see how this could affect my main claim; the important thing here is to recognize the fundamental similarities between the elim- ination of the descriptor in Peano and Russell. However, in the several readings I proposed I hope to have clarified a little the role of ".3" in Peano. . (5) Peano could hardly have thought that he was capable of eliminat- ing the descriptor, for he continued to use the symbol and his whole system depended on it as a primitive idea.IS The only additional reply is that only reasons ofconvenience can explain the retaining ofa symbol in a system in cases where the symbol can be defined, i.e. eliminated. (After all, Russell- himself continued to use the descriptor after its elimination by means of his theory of descriptions.) But, as we have seen, there is no doubt Peano thought that the descriptor could easily be eliminated from propositions. (4) Russell rejected definitions under hypothesis, therefore he would have rejected the Peanian definition of the descriptor. Of course, we must admit that Russell (like Frege) rejected this kind ofdefinition, but this took place especially in the context of the unrestricted variable of Principia.I ? Besides, he himself used this kind of definition for a long period once he mastered Peano's system. It was because he interpreted these definitions as Peano did, i.e. merely as -a device for fixing the meaning of the letters used in the relevant symbolic expressions. Thus, when for instance one reads, after whatever symbolic definition, things like" 'x' being ..." or" 'y' being ...", this would really be a definition under hypothesis, but, of course, only because the meaning of the sym- bols used always has to be determined somehow. Anyway, there is no point in continuing the discussion ofthis objection, given that it is hard- ly relevant to my main claim. Even if Peano's original elimination of the descriptor does not work because of its taking place in the framework of a merely conditional definition, the force of his original insight could well have influenced Russell; at any rate, it is worth knowing in itself (6) The reduction mentioned, even if it really took place, was by no means followed by the philosophical framework which made Russell's theory of descriptions one of the most important logical successes of the century. Thus, Peano did not realize the importance of the elimination. This last point can hardly be denied, but Peano's goals were very different from Russell's, so I think that to point out a "lack" like this makeslittle sense from a historical point ofview. 16 I would like to recall here that it was Peano himselfwho discovered the distinction between bound and free variables (which he respectively called "apparent" and "real"), and probably-and independently of Frege-also the existential and universal quantification (see my I988a and I99Ia for a detailed account of both achievements). 18 In his I966a (p. 659), Professor Quine wrote that "1" was a primitive and indefin- able idea in Peano. However, now that we have exchanged several letters concerning an earlier version ofthis article, I must say he has changed his mind. His letter to me ofII October 1990 contains the following passage: "I am happy to get straight on Peano on descriptions. I checked your reference and I fully agree. Peano deserves all the creditfor it thathas been heapedon Russell(except perhaps for Russell's elaboration ofthe philosophi- cal lesson of contextual definition)" (my emphasis). As for the sense in which the philo- sophical consequences of the elimination of the descriptor were not very important for Peano, I have faced the problem in my reply to objection (6). 17 And also in previous stages from 1906 onwards, through the (finally unsuccessful) attempt at a substitutional theory based upon propositions, with no classes and no propositional functions. . 19 For according to him the descriptor cannot be defined in isolation, but only in the context of the class (a) from which it is the only member (la), and also in the context of the clas~ (b) from which that class is a member, at least to the extent that the class a is included in the class b, although this supposes no confusion between membership and inclusion; see the second point of my reply to objection (2) above. I think this is just the right interpretation ofthe whole expression"1a Eb". In any case, I cannot help being convinced that none of these objec- tions seems to have any force against my main claim: that the elimin- ation of the descriptor was present in Peano with essentially the same symbolic resources as in Russell. This is equivalent to the first two claims at the beginning of this paper: (1) Peano clearly stated the conditions of existence and uniqueness as providing the true significance of the descriptor; and (2) he had enough symbolic techniques for dispensing with it, including those required for constructinga definition in use.I9   As for (3), we have a few relevant passages, but the clearest one occurs in I897b (p. 269), as I pointed out above. There we can read that" Ta" is meaningless if the conditions of existence and uniqueness are not ful- filled. Thus, even the third claim was made by Peano. Perhaps under certain different interpretations of Peano's devices it could be shown that his elimination of the descriptor was not exactly equivalent (in the tech- nical sense) to Russell's. Yet even if so, I think that from the historical viewpoint, which means to do justice both to Peano and Russell, it is important to know that Peano had these resources at his disposal,' and that they may have influenced Russell. However, we can see the heritage from Peano in a clearer way if we compare the definition with the version for classes in the same letter: . The parallelism is therefore complete, but before finishing this paper I want to insist on my main claims by resorting now to one of Russell's manuscripts from 1905, "On Fundamentals" (I90Sb).20 First, we find there a definition stated in terms similar to Peano's, and with almost exactly the same symbolic resources: Finally, I am not accusing Russell of plagiarism. I only affirm that some ofthe ideas and devices which are important for the eliminative definition of the descriptor were already present in Frege and Peano, including the conceptual and symbolic resources, and that these works are ones that Russell had studied in detail before his own theory was formulated in 1905.22 Second, the later improvement of this definition is precisely in the sense of making clearer that, although the method of the propositional function was preferable to the one of class membership, the symbolic expression of the conditions of existence and uniqueness is preserved. Even the idea -- also coming from Peano -- according to which we cannot define the expression “la" alone, but always in the context of a class (which in Russell became the form of a propositional function), appears here. Benacerraf, P., and Putnam, H., eds., Philosophy ofMathematics  (Cambridge: Cambridge U. P.). The first appearance of Russell's definition, under the form which was adopted as final, took place, not in "On Denoting", but in a letter to Jourdain of 3January 1906: 12 According to that, all other influences must be regarded as secondary. Concerning Meinong's influence, for Russell the principle of subsistence disappears as a consequence of the eliminative construction of the definite article, which was a result of the new semantic monism. Russell's later attitude to Meinong as a "main enemy" was only a comfortable recourse (v. however, Griffin I977a). As for Bacher, Russell himself admitted some influence from his nominalism (in his 1906a). In fact, Bacher I904a describes mathematical objects as "mere symbols" (p. 122), and he advises Russell to follow this line of work in a letter of April 1905 (only two months before Russell's key idea): "the 'class as one' is merely a symbol or name which we choose at pleasure" (quoted by Lackey [Russell I973a:30]). Finally, for MacColl it is necessary to mention his 1905a, which appeared in January 1905, where he spoke of "symbolic universes", which include things like round squares (p. 308), and also spoke of "symbolic existence". Russell pub- lished his I905tl as a direct response to this author, and there we can see some conclusions from the unpublished manuscripts, although still by solving peculiar cases in a Fregean context (see I990a). I agree with I. Grattan-Guinness that MacColl was an important part of the context of Russell's ideas on denoting (personal communication), but I have no room here to devote to the matter. 20 For a fuller study ofthis manuscript, see I992a. There is, however, a previous occurrence of this definition in the,manuscript "On 'JI(lX)(<I>x)•=•(:3b):<j>x.=x.X =b:'JIb. (Grattan-Guinness I977a, p. 70)21 21 Substitution" (I905d), written in December 1905, with only slight symbolic differences. I am indebted to Gregory Landini for the historical point. 'JI(t'u)•=:(:3b):xEU.=x.X =b:'JIb. Peano, G., as. Opere Scelte, ed. U. Cassina, 3 vols. (Roma: Cremonese, 1957- 59)· - - , I897a. "Studii di logica matematica". Repr. in 05,2: 201-17. - - , I897b. "Logique mathematique". Repr. in 05,2: 218-81. - - , I898a. "Analisi della teoria dei vettori". Repr. in 05,3: 187-2°7. - - , I90oa. "Formules de logique mathematique". Repr. in 05,2: 304-61. Giuseppe Peano. Peano. Keywords: implicatura, l’operatore iota. Refs.: Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’articolo definito,” -- Luigi Speranza, “Peano e Grice sull’operatore ‘iota’, Deutero-Esperanto, l’errore di Quine, il carattere non primitive dell’operatore iota. --  H. P. Grice, “Definite descriptions in Peano and in the vernacular,” Luigi Speranza, "Grice e Peano: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692216159/in/photolist-2mPEDc8-2mMRLT9-2mKS7Wc-2mKNCSe-2mKJypq-2mKJy6j-2mKCvRU-2mKyXoA-2mKfouW

 

Grice e  Pecoraro – il conflitto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Salerno). Filosofo. Grice: “He must be the only philosopher who philosophised about ecstasis!”Grice: “Many don’t consider him an Italian philosopher seeing that he got his maximal degree without (not within) Italy!” – Domenico Paladino, Vettor Pisani, Omar Galliani, Jan Knap, Giordano Montorsi, Iler Melioli, Xante Battaglia. Un'esperienza che sarà importante in seguito, quando i tratti metafisici e di rivolta dell´opera d´arte contemporanea verranno riscoperti in chiave nichilista.  Fonda "Quadranti" dedicato a G. Marotta dell´Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli.  è possibile dividere il percorso di studi e del suo pensiero in due momenti distinti.  Il primo, attivismo filosofico, comprende tutte le attività e le iniziative tese a vivacizzare e svecchiare il dibattito critico e filosofico; la divulgazione di temi e autori poco studiati --  tecnoscienza, Nichilismo, Filosofia del suicidio, Metafisica e Teatro, Vattimo, Esposito, Agamben.Contatto con Vattimo, Esposito, Givone, Volpi, Mattei, Ferraris. Studia nichilismo, suicidio e filosofia negative, politica e morale.  Una filosofia disperata e negativa, assolutamente slegata da prospettive etico-politiche. Si tratta di una filosofia fondata sul nichilismo e su una tradizione di filosofi maledetti. I voyeuristic "esteticamente salvificano di un datato phatos esistenzialista, del “tutto è vano” risultato ultimo della sua analisi filosofica del suicidio, della psicanalisi e dei lacci concettuali e storici tra nichilismo, nullae negazione.  Il risultato è una filosofia anti-fondazionale, che poggia le sue radici in una inter-soggettività pessimista e malincolica, che nega qualsiasi etica, sociale e politica estremizzando così l´accusa contro l´umano e tutte le sue costruzioni sociali, storiche e morali.  In questo orizzonte di assenza di senso, decadenza e corruzione metafisica, l´unica, eventuale, maniera di ribellarsi e resistere si concretizza, paradossalmente, nell´appello alla responsabilità e all´azione di un noi (Freud ego et nos) tragico-nichilista --  Ricerca un orizzonte di senso diverso e più profondo che lo porta, però, alla perdita quasi totale dei suoi precedenti fili conduttori.  Interessi, letture, pubblicazioni, ricerche si frammentano e perdono in intensità e chiarezza. RDecisive, in questa fase, sono le questioni etico-politiche, la critica dell´umanismo sociale contemporaneo e l´impegno filosofico. In primo luogo devono essere segnalati, per l´importanza che rivestono, i due Seminari tenuti presso l´Istituto per gli studi Filosofici di Napoli dedicato al “Bio-potere" e la Bio-politica" Riformula il concetto di bio-potere usando come chiave interpretativa il "Bios" di Esposito. La bio-politica discute e mette alla prova la sua lettura radicalmente sistematica”della volontà di potenza, avvento dell´oltre-uomo e ultrapassamento del nichilismo. Oltre a questi due temi, il rigetto del relativimo, lo studio delle relazioni tra massa e potere; l´affermazione di una visione essenzialista dell´umano, la riscoperta della psicanalisi, del movimento Modernista. Elabora di un percorso teorico che, fondandosi sulla necessità di pensare il presente e non il future di una filosofia dell’attuale  e sulla convinzione che le categorie filosofiche sono obsolete e dannose per spiegare e trasformare il mondo, si concentra in due diversi ambiti di ricerca in una complessa e non risolta tensione tra aspirazioni pluriversalistiche e l´impegno filosofico nella realtà e nella cultura. Il primo etico-morale si occupa delle condizioni di possibilità di forme dell’inter-soggettivo nell´epoca dei "diritti di tutte le cose del mondo" e della reazione alla crisi di fondamenti, delineando quindi le basi di una filosofia del dovere di stampo post-illuminista.  Il second opolitico-sociale– attraverso la critica del politicamente corretto e della retorica democratica, la de-costruzione del concetto di democrazia attraverso la ripresa dell´idea di servitù volontaria, la lotta contro il fascismo tende a ripensare il concetto di democrazia e la pratica democratica" nei sistemi di potere e, più specificamente, si dedica all´esame delle possibilità di una trasformazione radicale del pensiero filosofico e di una concezione del “politico” in senso non tecnicista e non "sinistroide-reazionario". Saggi: “I voyeuristi” (Salerno, Sapere); “Metafisica e poesia” (Roma); “Cosa resta della Filosofia?”; “Dal sacro al Profano”; “Dall´Arcaico al Frammento” “Bio-potere, Bio-politica”. Rossano Pecoraro. Pecoraro. Keywords: fascismo, voyeuristic. Leopardi, I voyeuristi, conflitto e mediazione, voir, voyant/voyeur. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pecoraro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738819567/in/dateposted-public/

 

Grice e Pelacani – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Parma). Grice: “At Oxford, Strawson used to confuse Pelacani with Pelacani!” -- Antonio Pelacani (Parma), filosofo. Fu lettore (Grice: “reader or lecturer?”) a Bologna, divenne consigliere Visconti.  In questa veste si trova più volte coinvolto in processi per eresia montati da  Giovanni XXII per gettare nella polvere il Visconti. Grande commentatore di Avicenna e Galeno. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Saggi: “Circa intellectum possibilem et agentem”; “De unitate intellectus”; Utrum primum principium sive deus ipse sit potentie infinite”; “De generatione et corruptione"; “Questiones super tre metheorum.” Antonio Pelacani. Pelacani. Keywords: passivo/attivo; non-agens/agens. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pelacani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737858332/in/datetaken/

 

Grice e Pelacani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Noceto). Filosofo.  “Dottore diabolico.” Parente di Antonio Pelacani. Della sua medesima casata un altro filosofo: Francesco Pelacani  Nato nella provincia di Parma, al comune di Noceto, la sezione di Castamezza, a pochi chilometri da Parma, nulla si sa della sua vita  sino a quando frequenta la facoltà artium philosophie et medicine a Pavia dove come titolare della cattedra di magister philosophie et loyce, delegato dal vescovo, diploma in arti un certo Bossi. Insegna a Bologna e Padova. Contesta molte regole della meccanica aristotelica e sostenne l'applicazione di nuovi strumenti matematici per sostituire le regole obsolete. In particolare condusse nuovi studi sull'ottica ne“Quaestiones de perspectiva.” Nel “Tractatus de ponderibus” si occupa di statica ed elaborò nelle “Quaestiones de proportionibus” una teoria del vuoto che si contrapponeva alle tesi del continuo dei fisici aristotelici. Si occupa anche del moto dei pianeti in “Theorica planetarum” e mette in discussione la cosmologia di Aristotele negando che si puo sostenere l'incorruttibilità dei cieli e l'interpretazione teologica dell'esistenza di un primo motore immobile, vale a dire di Dio. Nega quindi la possibilità delle dimostrazioni a posteriori dell'esistenza di Dio e dell'immortalità dell'anima individuale. Concepisce la natura o l'universo come un ente ANIMATO (‘animismo – cf. Grice on ‘mean’ and ‘mean,’ ‘Smoke ‘means’ fire”), un grande eterno animale in continuo movimento dove gl’esseri nascono per generazione spontanea e, quando gli influssi astrali sono favorevoli, vengono alla luce anche le anime intellettive umane. Riguardo alla morale,  è convinto che gl’uomini deveno conformarsi alla virtù per sua libera scelta. Per il materialismo delle sue dottrine, il dottore diabolico, com'era soprannominato, e accusato d'eresia e condannato ma ciò non gli impede d’essere apprezzato come un grande astrologo dai principi Carraresi di Padova e dalle corti dei sovrani tanto da ottenere di essere sepolto nel duomo di Parma.  Gli si attribuiscono dei commenti a Witelo per una corretta interpretazione della prospettiva e a Bradwardine nell'opera questiones super tractatu "De proportionibus" Thome Beduerdini. G. Robolini, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, Pavia. Memorie degli scrittori e letterati parmigiani raccolte da I. Affò (Stamperia reale, Bodoni), citato anche per la sua avarizia in B. Veratti, De' matematici italiani” -- Commentario storico  R. Majocchi, Codice diplomatico dell'Pavia,  Enciclopedia Garzanti di filosofia, F. Camerota, Nel segno di Masaccio: l'invenzione della prospettiva e la filosofia della percezione. Giunti, La scuola francescana di Oxford, Opere Le Quaestiones de anima” (Firenze, Olschki); “Questiones super tractatus logice magistri Petri Hispani” (Parigi, Vrin); “Quaestiones circa tractatum proportionum magistri Thome Braduardini” (Parigi, Vrin); “Questiones super perspectiva communi” (Parigi, Vrin); “Quaestiones de anima: alle origini del libertinismo,” V. Sorge, Napoli, Morano, Firenze, Sismel, Edizioni del Galluzzo. Scientia de ponderibus. Tractatus de ponderibus, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Pelacani is yet another of the Pelacani. There are at least four of them: two Antonios, una Biagio, and one Francesco. Biagio Pelacani. Pelacani. Keywords: implicature, prospettiva, filosofia della percezione, origini del libertinismo, commentario in detaglio sulla semiotica di Occam – dialettica – segno, nota, sermo. Refs.: Luigi Speranza, “Pelacani, Grice, e Shorpshire sull’immortalità dell’anima.” Luigi Speranza, “L’animismo di Pelacani e Grice, ‘smoke means fire, literally.’” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692236265/in/photolist-2mKSdUR

 

Grice e Pellegrini – l’amore come affezione dell’animo – e la sua manifestazione nel giovine nobile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sonnino). Filosofo. Grice: “I like Pellegrini: he found Aristotle’s ‘obscure’ for the youth the manual Ethica Nichomaechaea is intended for!” -- Fu, secondo Tiraboschi, uomo che da' suoi meriti e dalle promesse fattegli da più pontefici pareva destinato a' più grandi onori; ma che non giunse che ad ottenere alcuni beneficii ecclesiastici». Tenne la cattedra di filosofia a Roma. Pubblicò  il “De affectionibus animi noscendi et emendandis commentaries” e un'edizione della traduzione in latino di Lambin dell' Etica Nicomachea di Aristotele -- i “De moribus libri decem -- corredandola di un riassunto e di commenti, nei quali altera il testo di Aristotele di cui lamenta la difficoltà e l'oscurità. Benché Aristotele sconsigli lo studio dell'etica ai giovani, ancora immaturi per una retta comprensione dei principi morali, al contrario, ritiene che lo studio dell'etica debba essere impartito prima ancora di quello della filosofia della natura, in modo che i giovani possano affrontare gli studi scientifici con animo libero dalle passioni. Fu più oratore che flosofo, non pensò ad inovar cosa alcuna, e seguì costantemente insegnando i precetti del filosofo stagirita.  Saggi: “Oratio habita in almo urbis gymnasio de utilitate moralis philosophiae, cum ethicorum Aristotelis explicationem aggederetur” (Roma); “De Christi ad coelos ascensu” (Roma); “Oratio in obitum Torquati Tassi philosophi clarissimi” (Roma); G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana. C. Carella, L'insegnamento della filosofia alla "Sapienza" di Roma nel Seicento. Renazzi, Storia dell'università degli studj di Roma. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana,  Milano, Società tipografica de' classici italiani. Renazzi, Storia dell'università degli studj di Roma, Roma, Pagliarini rist. anast. Bologna, Forni. C. Carella, L'insegnamento della filosofia alla "Sapienza" di Roma nel Seicento. Le cattedre e i maestri, Firenze, Leo S. Olschki. Pellegrini scrive due important commenti su Aristotele, uno in cui enumera gl’affezioni dell’anima – dall’amore all’ira – amore, Speranza, ira, audacia, temore, dolore. Nell’introduzione, elabora un concetto generale di che cosa e un’affezione dell’anima – il corpo non e menzionato. Ma Pellegrini elabora sulla questione dell’anima e il corpo per l’affezione – che e affetato nell’affezione? Il econdo e un commentario sull’onore e la nobilitated – Due trattati sono menzionato dai storici della filosofia. Nel terzo trattato, Pellegrini elabora la questione di Tasso ‘filosofo chiarissimo’ – vide Tasso --. Finalmnte, nella sua funzione di censore papale, riceve un saggio sulla politica d’aristotele da un filosofo Tedesco. Pellegrini critica la toleranza del filosofo alla posibilita del fraudo – ma il filosofo no considera le oggezioni di seria considerazione. Pellegirni e associato al ginnasio di Roma – Il ginnasio e una istituzione laica – “for I cannot imagine naked monks, playng around!” – Grice. Keywords: implicatura. H. P. Grice, “Il Tasso di Pellegrini” --  Pellegrini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Pellegrini e Grice sulla etica nicomachea,” The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692188465/in/photolist-2mKRYGH-Ck9fTK-nViEV6-hSTpSd

 

Grice e Pennisi – lo spirito nazionale – filosofia italiana – filosofia dell’isola – filosofia della sicilia – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Catania). Filosofo. Grice: “I like Pennisi’s irreverent tone – typically Italian! – to evolution – and especially evolution of language. By obsessing with linguistic tokens, we have lost our capacity to mean otherwise than non-naturally!” Grice: “His metaphor of ‘the price of lingo’ is very apt – we win, we lose!” – Grice: “Pennisi is a Griceian at heart in that in his study of both schizo ad paranoic (both psychotic) systems of communication, he focus on what he and I call the ‘adequazione pragmatica,’ i.e. the ability or competence, to irritate Chomsky, to implicate!” Ha diretto il Dipartimento di Scienze Cognitive, Psicologiche, Pedagoche e degli Studi Culturali dell'Messina, presso cui è titolare della cattedra di filosofia del linguaggio. I suoi interessi riguardano prevalentemente la psicopatologia del linguaggio e, più in generale, la relazione tra linguaggio, evoluzione e cognizione umana. Consegue la laurea in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia a Catania  con una tesi dal titolo “I presupposti ideologici della teoria della storia linguistica di B. Terracini,” sotto la guida di  Piparo. Vince il concorso libero per ricercatore e  svolge la carica presso l'Istituto di Filosofia della Facoltà di Magistero dell'Messina. Diventa professore associato di filosofia del linguaggio nella Facoltà di Magistero di Messina. Vince la procedura di valutazione per l'ordinariato--  è direttore del Dipartimento di Scienze cognitive e della formazione della Facoltà di Scienze della Formazione e preside presso la stessa Facoltà. -- è coordinatore del Collegio di Dottorato in Scienze cognitive dell'Messina.  Aree di ricerca Psicopatologia del linguaggio. L'ipotesi di base per l'analisi del linguaggio psicopatologico parte da un confronto sistematico tra il linguaggio psicotico nelle sue due declinazioni più significativequella schizofrenica e quella paranoica con il linguaggio tipico delle patologie cerebrali e con quello caratteristico dei soggetti normali. La tesi di Pennisi è che i soggetti psicotici, a differenza di quelli con deficit cerebrali, non mostrino difficoltà visibili dal punto di vista dell’articolazione fonica, della proprietà lessicale o della capacità sintattica e semantica, ma che invece la cifra elettiva del loro linguaggio consista in un depauperamento della complessità dei significati. Questo impoverimento della dimensione della complessità si manifesta nella schizofrenia con un linguaggio privato e pragmaticamente inadeguato, e nella paranoia con un unico tema delirante che riassume e congela tutto il destino del soggetto. La psicopatologia del linguaggio rappresenta inoltre una delle sfide più difficili per le scienze cognitive, in quanto le psicosi, tra tutte la schizofrenia, sembrano a tutt’oggi resistere ad ogni tentativo di spiegazione neuroscientifica. Nella sua impostazionei, il linguaggio può essere considerato una forma di tecnologia corporea. Il linguaggio è, in particolare, la tecnologia specie-specifica di Homo sapiens che ne ha caratterizzato l'adattamento a tal punto da rischiare di minacciarne l'esistenza. La cognitività linguistica del Sapiens, infatti, modificando profondamente le regole stesse dell'evoluzione biologica se da un lato ci ha consentito di essere i dominatori naturali dell'intero pianeta, dall'altro è "ciò che beffardamente ci avvicina alla fine, il messaggero della nostra imminente estinzione. In continuità con le tesi sul linguaggio, propone un nuovo concetto di bio-politica, in antitesi con il concetto sviluppato da Foucault. In particolare, propone di investigare i fenomeni sociali e politici mediante la comprensione delle dinamiche naturali che li sottendono. L'errore di Platone è, nel sistema di idee proposto da Pennisi, l'idea di poter ingegnerizzare la società e di poterme controllare ogni possibile esito. Ancora una volta, tale illusione è data dal linguaggio e dalla razionalità linguistica che contraddistingue Homo sapiens. Accadimenti come le crisi economicheal pari di altri fenomeni socio-politicipossono essere compresi solo se si indagano i fenomeni naturali che ne stabiliscono le dinamiche, come ad esempio i flussi migratori e la riproduzione. Altre opere: “L'errore di Platone – biopolitca, linguaggio, e diritti civile in tempo di crisi” (Bologna, Mulino); “Il prezzo del linguaggio” (Bologna, Mulino); “L’isola timida: Forme di vita nella Sicilia che cambia” (Roma, Squilibri); “Le scienze cognitive del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Scienze cognitive e patologie del linguaggio” (Bologna, Mulino); “Segni di luce” (Mannelli, Rubbettino). “Psicopatologia del linguaggio: storia, analisi, filosofie della mente” (Roma, Carocci); “Le lingue utole: le patologie del linguaggio fra teoria e storia” (Roma, Nuova Italia Scientifica); "La tecnologia del linguaggio tra passato e presente, in Blityri, Pisa, ETS,  Telmo Pievani, Linguaggio, proprio tu, ci tradirai. R.  Eugeni, Per una biopolitica a-moderna. Il pensiero del potere in S. Kubricke oltre, in Le ragioni della natura” (Messina, Corisco, Franco Lo Piparo Tullio De Mauro Umberto Eco.Dip. Scienze cognitive, psic., ped. (unime), su unime. Pennisi. Keywords: filosofia dell’isola, filosofia della sicilia, filosofia siciliana, cariddi, capo peloro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pennisi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51739554110/in/datetaken/

 

Grice e Pera – il ragionere -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo. Important Italian philosopher. Si diploma in ragioneria all'Istituto "F. Carrara" di Lucca. Studia a Pisa sotto Barone. Insegna a Pisa. Convinto che le libertà civile si e riconduce alla dignità intrinseca della persona umana, che permane quale che sia la verità delle convinzioni di ciascuno, rileva come sia sbagliato fare del relativismo elitario il fondamento della società. Questa sorge grazie a quel terreno fertile rappresentato dal principio della tolleranza  Un saggio filosofico di rilievo riguarda il metodo scientifico e l'induzione. Dedicato nell’”Espresso” ai filosofi che avevano tentato di confutare Marx, il primo e Popper. Ulteriori studi furono dedicati alle teorie sui metodi di ricerca di Hume e ai metodi induttivi e scientifici. Saggi "Hume, Kant e l'induzione". Sviluppa ricerche sui primi studi di elettricità compiuti nel settecento da Volta e da Galvani. Analizza in dettaglio il rapporto tra scienza e filosofia, in particolare nel rinascimento volgare italiano (Galilei, Telesio). La metafora delle palafitte (anche usata da Vitters): come le palafitte dell'uomo preistorico, la filosofia (in particolare la teoria della relatività e la fisica atomica) non si fonda su una base solida come la roccia, ma e soggetta a modifiche e revisioni, a seguito della scoperta di nuove particelle, di nuovi fenomeni, o di nuove leggi fisiche che in parte modificano quelle precedenti della fisica classica.  C’e progresso in filosofia. Non poggerebbe su un fondamento immutabile, ma su un principio che puo essere oggetto di ulteriori analisi ed approfondimenti.. La filosofia ha validità limitata a un determinato contesto – e. g. Oxford. Secondo questo orientamento il griceianismo e modificabile. Fra le revisioni di sistemi scientifici studiate da lui vi è la rivoluzione di Telesio e Galilei che reca obsoleto il geo-centrismo. Sono poi analizzate le teorie elettromagnetiche, a partire dalle prime formulazioni empiriche di Volta e Galvani. Pera analizza il progresso della filosofia in relazione a quella del metodo, basato su procedimenti razionali ed induttivi.  Altri saggi: "Induzione, scandalo dell'empirismo", i "La scoperta scientifica: congetture selvagge o argomentazioni induttive?",  "È scientifico il marxismo?", “Il canone del razionale” Craxi. Lei mette in discussione i fondamenti stessi dello stato di diritto, la rivoluzione ha regole ferree e tempi stretti. Quei politici che, come Craxi, attaccano i magistrati di Milano, mostrano di non capire la sostanza grave, epocale, del fenomeno. Si occupa soprattutto dei problemi della Giustizia in Italia. La democrazia è quel regime di governo che permette a chi si oppone di sostituire pacificamente chi prende le decisioni a nome della maggioranza. Lo istrumento della democrazia non è soltanto il voto, ma l'argomentazione, il discorso, il confronto. Per sostituire chi governa, prima di votare occorre confutare e criticare. Allo stesso modo per governare occorre argomentare e convincere. Partecipa anche ad alcuni temi di politica locale, in particolare in Toscana e a Lucca. vivere “velut si Deus daretur”. "Se Dio esiste, ci sono limiti morali alle mie azioni, comportamenti, decisioni, progetti, leggi e così via. Il denominatore comune e il rinascimento e l’'illuminismo. Il concettio di eguaglianza fra gl’italiani i e di solidarietà sociale, che sono oggi alla base della costituzione dellea nazione italiana. È lo stesso soffio del vento di Monaco nel 1938. Defende nostra autonomia individuale, che è la condizione su cui dobbiamo sempre vigilare (da ciò il nostro liberalismo)”. Altre opere: “Apologia del metodo” (Pisa, Scientifica); “La scienza su palafitte” (Roma, Laterza); “Induzione” (Bologna, Mulino); “Il razionale e l’irrazionale nella scienza” (Milano, Saggiatore); “La rana ambigua. La controversia sull'elettricità animale tra Galvani e Volta” (Torino, Einaudi)’ “Scienza e retorica” (Roma, Laterza); “Persuasione” (Milano, Guerini); “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo” (Milano, Mondadori); “Il libero e il laico” (Siena, Cantagalli); “Etica liberale” (Milano, Mondadori); “Il liberalismo di Pannunzio” (Torino, Centro Pannunzio). La scienza non poggia su un solido strato di roccia. L'ardita struttura delle sue teorie si eleva, per così dire sopra una palude. È come un edificio costruito su palafitte. Le palafitte vengono conficcate dall'alto giù nella palude: ma non in una base naturale o "data"; e il fatto che desistiamo dai nostri tentativi di conficcare le palafitte più a fondo non significa che abbiamo trovato un terreno solido. Semplicemente, ci fermiamo quando siamo soddisfatti e riteniamo che almeno per il momento i sostegni siano abbastanza stabili da sorreggere la struttura. “Il mio e un relativismo elitario” Marcello Pera. Pera. Keywords: implicature, relativismo elitario, implicatura elitaria, ragione, filosofo come ragionere, le radici romana del ragionere, ratio, ragionere, l’assenza del concetto di ratio nella lingua greca, la ‘ratio’ di Pitagora, la ‘ratio’ della scuola di Crotone. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Pera," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685518838/in/photolist-2mPQGvz-2mPMaQM-2mPtnaL-2mPszkp-2mPpwbZ-2mN8Hgb-2mN8ym7-2mLP4Rj-2mPCgo1-2mKG3XG-2mKCrta-2mPpskp-2mPvmTf-2mKjsJY-2mKgN49-2mPHbXQ-2mKbok1-2mJq2uE-E4u3XA-Bq5Mgn-nTXjQ9-obihzh-oddDmK-obniwY-oddCEe-oddKsc-ob9cLV-nTWNqo-obnngm-nTXn7o-obrAi8-nTXmLo-oddxmi-obnk8d-obrGZK-obrLsr-nTYe3e-obrG22-nTXgE1-nTXiX7-nTYdn6

 

Grice e Peregalli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. I luoghi e la polvere Incipit All'inizio della Genesi il serpente convince Eva a mangiare con Adamo il frutto dell'albero della conoscenza. Così i loro occhi si apriranno e vedranno per la prima volta la loro nudità. Comincia in questo modo la storia della conoscenza e del desiderio. Vedere, desiderare e infine morire. Il tempo, il suo scorrere nelle nostre vene, diventa dominante. Lo splendore dell'attimo, la sua rivelazione abbagliante, ne sancisce la caducità. Il tempo corrode la vita e la esalta. Insieme alla conoscenza e al desiderio nasce anche l'amore per la fragilità dell'esistenza. Le cose si rovinano.  Citazioni Se si vuole vedere, o meglio, se nel destino è scritto che si veda a tutti i costi, se si vuole desiderare, se si vuole conoscere (così si capisce quanto poco la conoscenza abbia a che fare con principi puramente razionali), si deve diventare mortali. Gli dei sono indifferenti. Per gli uomini inizia così la differenza. Finché non conosci, finché non mangi il frutto dall'albero della conoscenza, sarai eterno. Non saprai cosa sono il bene e il male, il desiderio, l'attrazione dei corpi, la morte. Il tempo è la nostra carne. Siamo fatti di tempo. Siamo il tempo. È una curva inesorabile che condiziona ogni gesto della nostra vita, compresa la morte. La superficie di qualunque "cosa", sia essa un oggetto o un luogo, è intaccata dal tempo, riposa nel tempo. Viene corrosa, sporcata, impolverata in ogni istante. Sono la sua caducità e la sua fragilità che la fanno vivere nel trascorrere delle ore, dei giorni, degli anni. L'eternità è un miraggio, e non è la salvezza. Stare in casa significa poter assaporare il piacere di sapere che fuori c'è un paesaggio meraviglioso e, quando vuoi, apri la porta o la finestra e lo guardi. Deve esserci lo sforzo del gesto. Il desiderio va centellinato, perché sia più profondo. Il bianco è il profumo dei colori. Il bianco, ancora più del nero, laddove usato nella sua purezza, è uno dei colori più difficili che esistano, e meno imparziali. Usato in quantità massicce la sua forza ci si ritorce contro. Diventa indifferente solo in apparenza. In realtà l'indifferenza non esiste. Nulla è indifferente. È un abbaglio, un alibi. Equivale all'apatia. I vetri, il bianco sono materia, colore, carne, vita. L'ombra, come la polvere, è il nostro fondo nascosto. La si vuole cancellare. Deve essere un eterno meriggio. Così si elimina la "carnalità del luogo", il suo erotismo sottile, la sua terrestre caducità. Purtroppo in estetica la dittatura di un elemento è identica alla sua democratizzazione. Il livellamento dei luoghi conduce alla dittatura della luce e viceversa. Tutto diventa uguale nell'indifferenza. Di fronte all'ottusa sicumera che ci avvolge esiste un tempo altro che non possiamo controllare, dirigere, comandare e che può aprire nuove prospettive, trovando sentieri tortuosi, o spesso non tracciati. Nelle sacche dell'errore (che è un erramento) può ancora trovarsi un cammino. Il passato è stato messo in una teca, sigillato, perché non nuoccia. Lo si può venerare, ma lo si teme. E comunque non deve essere imitato. Gli antichi, invece, in ogni momento hanno sempre guardato indietro. Da lì traevano ispirazione. Cancellavano per ricreare. Credo che in quest'epoca falsamente luccicante e rassicurante, che vuole esorcizzare la morte e la fragilità della vita a ogni passo, e dove colori sgargianti, superfici nitide e sorde, luci accecanti circondano il nostro vivere, un sentiero possibile sia quello di cercare negli interstizi delle cose prodotte dall'uomo una crepa, una rovina che ne certifichi la fondatezza. In un mondo che teorizza le guerre "intelligenti" e gli obiettivi "mirati" la barbarie non è costituita dalle distruzioni, ma dalle costruzioni. Il decadimento fa parte dell'essere. Tutto decade, crolla, si disfa. Ma questo decadimento è un frammento di noi. Il concetto di incontaminato è fondamentalmente falso. Tutto è contaminato dal tempo e dall'uomo. Nell'attimo stesso in cui mettere le sue radici in un luogo lascia un segno e l'incanto si sbriciola. Esistono nelle città, nei paesi, nelle campagne, "rovine semplici"...Cascine abbandonate, un muro senza aperture, uno spiazzo solitario con una fabbrica dismessa, una vecchia ciminiera diroccata, una strada che non finisce, chiese, mausolei, tumuli lasciati al loro destino, attraversati dal tempo. Luoghi che apparentemente non dicono nulla di più della loro solitudine e del loro abbandono e in cui il motivo delle loro condizioni non si legge più tra le pieghe dell'architettura. Le ferite, se mai ci sono state, non mostrano la loro origine. Troviamo queste rovine dappertutto nel mondo, sparse tra le nuove costruzioni, o isolate e lontane. Quello che colpisce è la tranquillità, la pacatezza. Non servono più a nulla, non possono essere sfruttate, manipolate. Possono solo essere cancellate da una ruspa. Questa fragilità è la loro forza. Ci affascinano perché ci somigliano. Somigliano al nostro essere caduchi, alla nostra mortalità, alla sete dei nostri attimi di felicità. Nel mondo c'è un'ansia di eternità. L'idea che tutto debba tornare a risplendere com'era. È un'epoca, questa, in cui da una parte si desidera l'infinito e dall'altra ci si spaventa per la fragilità delle persone e dei luoghi. Pensare che un luogo possa cristallizzarsi in un'eternità senza tempo è una chimera che denota, mascherato di umiltà, un senso di presunzione infinito. La nostra vita è la nostra memoria. Attraverso il passato guardiamo il futuro. Se lo distruggiamo e lo ricostruiamo in modo fittizio non resterà più niente. La bellezza di un oggetto deriva in buona misura dalla sua patina. Più che la frattura tra antico e moderno, ciò che dà consistenza alla nostra vita e la rende accettabile è la patina del tempo. La certezza che le cose e i luoghi deperiscono serenamente. È questa una "decrescita" estetica, un principio che vede nella caducità la traccia della loro bellezza. Una volta le cose erano fatte per durare ed erano caduche. Quindi veniva calcolata la loro deperibilità per farle diventare sempre più belle. Oggi le cose si producono per essere effimere, e al tempo stesso si proteggono con vernici e altre sostanze, perché sembrino eterne. Una città per avere un'anima non deve essere perfettamente pulita. Devono rimanere le tracce di quello che accade. Così i resti della nostra vita possono affiorare, come i ricordi dagli angoli delle strade, dai cespugli, dai muri. La materia di cui sono fatte le cose deve plasmarsi sull'aria che si respira, deve ricevere l'ombra. La durata delle cose nel tempo non si può comperare. Il corpo va amato per quello che è. La sua fossilizzazione, invece, rischia di tradirne l'essenza, la cui forza è la caducità. Il motivo per cui ci attrae, ci eccita, ci tiene con il fiato sospeso in tutti i suoi anfratti più segreti, il suo odore, la sua superficie, il suo colore, è la sua consistenza che muta negli anni e si adatta a noi e al mondo. Parole come design e lifting hanno un suono sinistro. Dicono lo stesso. La plastificazione degli oggetti e dei corpi, il loro luccicare senza vita, come i pesci lasciati a morire sulla riva. Tracciamo un mondo che dovremmo indossare come una muta per aderirvi perfettamente e in cui però i nostri movimenti diventano falsi e rallentati, chiusi in un cofano che toglie il respiro. Corpi rimodellati che abitano e usano luoghi altrettanto rimodellati. Il museo deve introdurre la gente in un mondo speciale, in cui le opere dei morti dialogano con gli sguardi dei vivi, in un confronto duraturo e fecondo. I musei, che sorgono sempre più numerosi in quest'epoca, sono divenuti edifici-scultura. Vengono chiamati a progettarli gli architetti più accreditati del momento, che inventano dei mausolei per la loro gloria, prima ancora di sapere a cosa serviranno. In essi la gente non va tanto a vedere le esposizioni o le opere presentate quanto i monumenti stessi. Gli allestimenti museali sono un riassunto e uno specchio drammatico dell'epoca in cui viviamo. I vetri antiproiettile, l'illuminazione da stadio o catacombale, i colori sordi e luccicanti dei muri, il gigantismo insensato, le ricostruzioni senz'anima. Via la polvere, via la patina, via l'ombra, via la carne di cui siamo fatti. Tutto è asettico. Cancellando la mortalità della vita, il luogo diventa eternamente morto. L'arte è mimesi della natura. La mima, la reinventa, la accompagna fedelmente nel cammino del tempo. Non c'era contrasto e nemmeno violenza. L'abitare sulla terra era una convivenza armonica in cui l'uomo beneficiava della natura, e questa traeva profitto e bellezza dalla presenza dei disegni dell'uomo. Così nascevano i luoghi. L'occhio che guarda questi luoghi, luoghi diroccati e abbandonati, immagina il loro passato, sente attraverso la pelle consumata dal tempo l'anima che li avvolge. La patina, come la polvere, si deposita sulle cose. Dà loro vita. Le inserisce nel tempo. Un tavolo, una sedia, un bicchiere parlano del passato, delle mani che li hanno toccati, attraverso la pelle del tempo che li avvolge a poco a poco. Le tracce del passato si leggono tra le crepe dei muri, oltre l'umidità della pioggia e il calore riarso del sole.  Roberto Peregalli, “I luoghi e la polvere,” Bompiani. Roberto Peregalli. Peregalli. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Peregalli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738894063/in/datetaken/

 

Grice e Perniola – filosofia italiana – Luigi Speranza (Asti). Filosofo. Studia la filosofia del metaromanzo a Torino sotto Pareyson. Incontra Vattimo ed Eco, che si è fatto tutti gli studiosi di spicco della scuola di Pareyson. Cllegato alla all'avanguardia dei situazionisti. Insegna a Salerno e Roma.  Collabora a agaragar, Clinamen, Estetica Notizie. Fondato Agalma. Rivista di Studi Culturali e di Estetica.L'ampiezza, l'intuizione e molti-affrontato i contributi della sua filosofia gli ha fatto guadagnare la reputazione di essere una delle figure più importanti del panorama filosofico contemporaneo. Pubblica “Miracoli e traumi della Comunicazione”. Le sue attività ad ampio raggio coinvolti formulare teorie filosofiche innovative, filosofare, l'estetica di insegnamento, e conferenze. Si concentra sulla filosofia del romanzo e la teoria della letteratura. Nel suo primo saggio principale, Il metaromanzo, sostiene che il romanzo da Henry James a Samuel Beckett ha un carattere auto-referenziale. Inoltre, si afferma che il romanzo è soltanto su se stesso. Il suo obiettivo e quello di dimostrare la dignità filosofica del meta-romanzo e cercare di recuperare un grave espressione culturale. Montale gli loda per questa critica originale del romanzo come genere filosofico. Però, non solo hanno un'anima accademica ma anche una anima anti-accademica.. Quest'ultima è esemplificato dalla sua attenzione all’espressioni alternativa e trasgressiva. Un saggio importante appartenente a questa parte anti-accademico è “L'alienazione artistica”, in cui attinge la filosofia marxista. Sostiene che l'alienazione non è un fallimento di arte, ma piuttosto una condizione dell'esistenza stessa dell'arte come categoria distintiva dell'attività umana. I situazionisti (Castelvecchi, Roma) esemplifica il suo interesse per l'avanguardia. Dà conto dei situazionisti e post-situazionisti nel quale è stato personalmente coinvolto. Ha videnzia anche le caratteristiche contrastanti dei membri del movimento. In “Agaragar” continua la critica post-situazionista della società capitalistica e della borghesia. Saggio sul negativo” (Milano: Feltrinelli). – cf. Grice, “Negation and privation”. Il negativo qui è concepito come il motore della storia.  Post-strutturalismo. Offre alcuni dei suoi contributi più penetranti alla filosofia. In Dopo Heidegger. Filosofia e organizzazioni culturali sulla base di Heidegger e Gramsci, include un discorso teorico sulla organizzazione sociale. Sostiene la possibilità di stabilire un rapporto tra cultura e società nella civiltà. Come l'ex interrelazioni tra la metafisica e la chiesa, la dialettica e lo stato, la scienza e professione sono state decostruito, la filosofia e la cultura rappresentano un modo per superare il nichilismo e il populismo che caratterizzano la società. Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo contiene sezioni sulla Società dei simulacri e Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso (Transiti. Come andare dalla stessa per lo stesso). Teoria dei simulacri si occupa con la logica della seduzione. Anche se la seduzione è vuoto, è comunque radicata in un contesto storico concreto. Simulazione, tuttavia, fornisce immagini che sono valutati come tali indipendentemente da quello che effettivamente implicano riferiscono. Una immagine e una simulazione in che seducono e ancora fuori loro vuoto ha un effetto. Illustra il ruolo di tale immagine in una vasta gamma di contesti culturali, estetiche e sociali. La nozione di transito sembra essere più adatto per catturare l’aspetto culturali della tecnologia che altera la societa..Transit di oggivale a dire che vanno “dallo stesso allo stesso” evita di cadere nella contrapposizione della dialettica che avrebbe precipitare pensare nella mistificazione della metafisica”.  Postumano include altri territori nella sua ricerca filosofica. In Del Sentire -- indaga un modo di sentire che non ha nulla a che vedere con i precedenti che hanno caratterizzato l'estetica. Sostiene che sensologia ha assunto. Ciò richiede un universo emozionale im-personale, caratterizzato da un’esperienza anonima, in cui tutto si rende come già sentito. L'alternativa è quella di tornare indietro al mondo classico e, in particolare, all’antica Roma. In “Il sex appeal dell'inorganico”, riunisce la filosofia e la sessualità. La nostra sensibilità trasforma il rapporto tra una cosa e gl’esseri umani. Sex si estende oltre l'atto e i corpo. Un tipo organico di sessualità viene sostituita da una sessualità neutra, in-organica, arti-ficiale, indifferente alla bellezza o forma. Esplora il ruolo dell'eros, il desiderio e la sessualità nell’esperienza estetica e l'impatto della tecnologia. La sua è una linea che apre prospettive sulla nostra realtà contemporanea. La caratteristica più sorprendente è la sua di coniugare una rigorosa re-interpretazione della tradizione filosofica con una meditazione sul “sexy”. Si rivolge aspetti perturbanti come rapporto sessuale senza orgasmo, apice o qualsiasi rilascio della tensione. Si occupa dell’orifizio e l’organio, e la forma di auto-abbandono che vanno contro un modello comune di reciprocità erotica. Tuttavia, attingendo alla tradizione critica trascendentale, sostiene anche che ogni coniuge e una cosa, perché in costanza di matrimonio ogni affida il suo la sua intera persona all'altra al fine di acquisire un diritto pieno su tutta la persona dell'altro.  In “L'arte e la sua ombra” popone un'interpretazione alternativa dell'ombra che ha una lunga storia nella filosofia. Nell'analisi dell'arte e del cinema, esplora come l'artisti sopravviveno nonostante la comunicazione di massa e la riproduzione. Il senso dell'arte è da ricercarsi in ombra creato, che è stato lasciato fuori dallo  stabilimento arte, comunicazione di massa, mercato e mass media. La sua filosofia copre anche la storia di estetica e teoria estetica. Pubblica “Enigmi -- Il momento Egizio Nella Società e nell'arte” in cui analizza l’altra forma di sensibilità che si svolgono tra gl’uomini e le cose. La nostra società vivendo un “momento egizio”, caratterizzato da un processo di rei-ficazione. Come il prodotto di alta tecnologia assume sempre una proprietà organica, gl’uomini si trasformano in cosi, nel senso che si vedeno deliberatamente come oggetti sessuali. In L'estetica del Novecento fornisce un resoconto originale e la critica alle principali teorie estetiche caratterizzato il secolo precedente. Traccia le tendenze basate sulla vita, la forma, la conoscenza, l’azione, il sentimento e la cultura. In Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale la sensazione di Cattolica. La forma culturale di una religione universale), sottolinea l'identità culturale del cattolico (kath’holou”), piuttosto che il suo uno moralitstico e dogmatico. Propone il cattolico senza l'orto-dosso e una fede senza dogma che consente il cattolico ad essere percepito come un senso universale di sentimento culturale. “Strategie del bello: estetica italiana” analizza le principali teorie estetiche che ritraggono le trasformazioni avvenute in Italia. Mette in luce il rapporto tra i tratti storici, politici e antropologici radicati nella società italiana e il discorso critico sorto intorno a loro. La conoscenza e la cultura sono concessa una posizione privilegiata nella nostra società, e dovrebbero sfidare l'arroganza degli stabilimento, l'insolenza degli editore, la volgarità dei mass media, e il roguery plutocratico.  La filosofia dei media. La sua ampia gamma di interessi teorici  includono la filosofia dei media. In “Contro la Comunicazione” analizza l’origine, il meccanismo, la dinamica della comunicazione e suo effetto degenerative. “Miracoli e traumi della comunicazione” si occupa dell’effetto inquietante della comunicazione concentrandosi sull’evento generative: una rivolta degli studenti, la rivoluzione iraniana, la caduta del muro di Berlino, World Trade Center attacco. Ognuno di questi episodi sono tutti trattati con sullo sfondo dell’effetto miracoloso e traumatico in cui la comunicazione offusca la differenze tra il reale e impossibile, cultura alta e cultura di massa, il declino delle professione, il successo del populismo, il ruolo della dipendenza, le ripercussioni di internet sulla cultura di oggi e la società, e, ultimo ma non meno importante, il ruolo della valutazione in cui porno star sembrano aver raggiunto i più alti ranghi del chi è chi grafici. In finzione, e l'autore del romanzo Tiresia, che si ispira all'antico mito greco del profeta Tiresia, che è stato trasformato in una donna. Altra narrativa è del Terrorismo Come una delle belle arti (al terrorismo come una delle Belle Arti.  Saggi:  “Il meta-romanzo” ( Milano, Silva); “Tiresia, Milano, Silva); “L'alienazione artistica” (Milano, Mursia); “Bataille e il negativo, Milano, Feltrinelli); “Philosophia sexualis” (Verona, Ombre Corte); “La Società dei simulacra” Bologna, Cappelli); “DOPO Heidegger. Filosofia e organizzazione della cultura” (Milano, Feltrinelli, Transiti. Venite si va Dallo Stesso allo Stesso” (Bologna, Cappelli); “Estetica e politica” (Venezia, Cluva); “Enigmi. Il momento Egizio Nella Società e nell'arte” (Genova, Costa & Nolan); “Del Sentire, Torino, Einaudi); “Più che sacro, Più che profane” (Milano, Mimesis); “Il sex appeal dell'inorganico” (Torino, Einaudi); “L'estetica del Novecento, Bologna, Il Mulino); “Disgusti. Nuove Tendenze estetiche” (Milano, Costa); “I situazionisti” (Roma, Castelvecchi); “L'arte e la SUA ombra” (Torino, Einaudi); “Del Sentire cattolico. La forma culturale di Una religione universale, Bologna, Mulino, “Contro la Comunicazione” – Grice: “This poses a stupid puzzle, alla Sextus Empiricus, how can you argue against communication without communicating? But Perniola is using ‘comunicazione’ the way Italian philosophers use it: pompously! And with that I agree! ” -- Torino, Einaudi, Miracoli e traumi della Comunicazione, Torino, Einaudi, "Strategie Del Bello. Quarant'anni di estetica italiana, Agalma. Rivista di studi culturali e di estetica, Strategie Del Bello: estetica italiana” (Milano, Mimesis); “Estetica: Una visione globale” (Bologna); La Società dei simulacra” (Milano, Mimesis, Berlusconi o il '68 Realizzato” (Milano, Mimesis,.  Estetica e politica. Nuova Edizione, Milano, Mimesis); “Da Berlusconi a Monti. Imperfetti Disaccordi, Milano, Mimesis); “.L'avventura situazionista. Storia critica dell'ultima avanguardia” (Milano, Mimesis); “L'arte espansa” (Torino, Einaudi); Del Terrorismo Come una delle belle arti, Milano, Mimesis, “Estetica Italiana Contemporanea, Milano, Bompiani,“Pensare rituale”; “La sessualità, la morte, Mondo, l'umanità “Estetica: Verso una teoria di sentimento”“Di volta in volta”,  “La differenza del Filosofica Cultura italiana”,“Logica della Seduzione”, “Stili di post-politici”, differenziazione, “Venusiano Charme”, “decoro e abito da sera”. G. Borradori, ed., Ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana.  “Tra abbigliamento e nudità”, Zona  “Al di là di postmodernità”, Differentia “La bellezza è come un fulmine”,  Moderna Museet, “Riflessioni critiche”, “Enigmi di temperamento italiano”, Differentia,. “Primordiale Graffiti”, Differentia, “Urban, più di urbana”, Topographie, ed in Strata, Helsinki, “Emozione”, Galleria d'Arte del Castello di Rivoli, Milano, Charta,  “Verso visiva filosofia”, la 6a Settimana; “Burri ed Estetica”, Burri” (Milano, Electa); “Stile, narrativa e post-storia” Tema celeste,  europea, “Un estetico del Grand Style: Guy Debord”, Sostanza, Arte tra il parassitismo e l'ammirazione”, RES,  “Sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte.  “La svolta culturale e sentimento” “il Ritual nel cattolicesimo”, Paragrana,  Ripubblicato come “La svolta culturale nel cattolicesimo”, il dialogo. Annuario della filosofica ermeneutica, Ragione, Strumenti di devozione. Le pratiche e gli oggetti di Religiois Pietà;  “Ricordando Derrida”, sostanza, “La giustapposizione”, Rivista Europea.”, Celant, G., & Dennison, L.arte, architettura, cinema, performance, fotografia e video, Milano, Skira, “Cultural Turns in Estetica e Anti-Estetica”, Guarda anche Estetica Anti-art Internazionale Situazionista simulacro cyberpunk fetish abbigliamento filosofia italiana; La filosofia del sesso; filosofia occidentale;  La sessualità, la morte, mondo --  è il più utile e punto di partenza per Perniola, Fondazione desanctis Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. E. Montale, “Entra in scena il metaromanzo”. Il Corriere della Sera, Massimo Verdicchio, “Leggere Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Bredin "L'alienazione artistica" di Mario Perniola,Inverno  Massimo Verdicchio, “Leggere Perniola Reading. Un introduzione". Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Con  //notbored.org/ debord  a.html  I situazionisti, Roma, Castelvecchi, “ Pensare rituale. La sessualità, la morte, Mondo  “Pensare rituale. La sessualità, la morte” (Mondo). Verdicchio in, pensiero rituale. La sessualità, la morte, Mondo. Sulla influenza della nozione di simulacri vedere Robert Burch. “Il simulacro della Morte: Perniola al di là di Heidegger e la metafisica?”. Sentire la differenza, Extreme Beauty. Estetica, Politica, Morte. Stati di emergenza. Le colture di Rivolta in Italia. Verso, Per ulteriori interpretazioni del concetto di transito vedere Hayden White, "la differenza italiana e la politica della cultura", Ricodifica. La filosofia Nuova italiana. Catalogo Einaudi di Francoforte Fiera del Libro  Massimo Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. catalogo IAPL, Siracusa.  La Teoria Pinocchio, Perniola, il sex appeal del inorganica, Londra-New York, Continuum, Sulla ricezione della teoria di Perniola in inglese vedi Steven Shaviro, “il sex appeal della inorganica”, La Teoria Pinocchio,//shaviro.com/Blog/ Farris Wahbeh,  Critica d'arte,  Filosofie del desiderio nel mondo contemporaneo”, in Filosofia Radical (Londra),  Anna Camaiti Hostert sexy cose,//altx.com/ebr/ebr6/6cam.htm; intervista tra Sergio Contardi e Mario Perniola//psychomedia/jep/number3-4/contpern.htm  Prefazione di Per l'influenza di arte e la sua ombra vedere Farris Wahbeh, Recensione di “arte e la sua ombra” e “il sex appeal della inorganica”, The Journal of Aesthetics e Critica d'arte,  Robert Sinnerbrink, “Cinema e la sua ombra: di Mario Perniola arte e la sua ombra”, Filosofia Film, film-philosophy /sinnerbrink.pdf  Massimo Verdicchio, Thinking Ritual. La sessualità, la morte, Mondo. Con una prefazione di Hugh J. Silverman, tradotto da Massimo Verdicchio, Sulla ricezione di Enigmi. Il momento egiziana nella società e Arte vedere;  “Retorica postmoderno ed Estetica” in “Postmodernismo", la Stanford Encyclopedia of Philosophy, Edward N. Zalta (ed.),//plato.stanford.edu / voci / post modernismo   “La svolta culturale del cattolicesimo”. Laugerud, Henning, Skinnebach, L. Katrine. Gli strumenti di devozione. Le pratiche e oggetti di pietà religiosa dal tardo Medioevo al 20 ° secolo. Aarhus ulteriore lettura Giovanna Borradori, ricodifica METAFISICA. La filosofia Nuova italiana, il simulacro della Morte: Perniola al di là di Heidegger e la metafisica?, Nel sentire la differenza, Estetica, Politica, Morte, New York-London, Continuum, A. Carrera, revisione a Disgusti, in Canada Rassegna di letteratura comparata, SFilosofie del desiderio nel mondo moderno, in stati di emergenza: Culture di rivolta in Italia,la differenza italiana e la politica della cultura, in Laurea Facoltà di Filosofia, Farris Wahbeh, Rassegna di Arte e la sua ombra e il sex appeal della Inorganica, in The Journal of Aesthetics e Critica d'arte, O' Brian, L'arte è sempre scivoloso, il valore dei valori sospensione, in Neohelicon,  Civiltà, Dell'Arti Giorgio, M. Parrini, “Catalogo dei viventi italiani” (Notevoli, Venezia); Marsilio Nils Roller, simulazione, una conversazione tra Sergio Contardi e M. Perniola (//psychomedia/ jep/number3-4/contpern.htm )  Recensione di “La sessualità, la morte, World”  sirreadalot.org/religion/ religion/ritualR.htm )  Recensione di Sinnerbrink di “arte e la sua ombra” /film-philosophy il rilascio Il corpo dell'immagine /italiaoggi.com.br/not12/ ital_ ed Estetica  (//agalmaweb.org/ ) Blog su “Feeling Thing” (in italiano) (//cosachesente.splinder.com/ ). Mario Perniola. Perniola Keywords: ‘seduzione’ ‘le strategie del bello’ ‘altre il desiderio e il piacere’ sesso, sessuale, psychologia del sesso, Perniola’s misuse of ‘sesso’, eros. -– Luigi Speranza, “Grice e Perniola” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737811182/in/datetaken/

 

Grice e Perone – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “While Perone can be a pessimist, I think the party is NEVER over!” Grice: “I especially appreciate two things in the philosophy of Perone: his emphasis on the the intersection between modality and temporality: ‘the possible present’ – vis-à-vis memory – a theme in my “Personal identity” and also the implicature: what is actual is also possible” – AND his idea of an ‘interruption,’ which I take it to the rational flow of conversation!” Speranza, “The feast of conversational reason,” “The feast of reason and the bowl of soul” -- important Italian philosopher. Studia a Torino sotto Pareyson. Studia la filosofia della liberta. Insegna a Roma e Torino. Si dedica alla filosofia ermeneutica. La politica è l’invenzione dell’ordine che con-tempera il „per me“ e il „per tutti”. Studia la morale creativa, capace di forzare l’etica oltre se stessa, verso una normatività più inclusiva. la secolarizzazione;  Una metafora ha ispirato l'intero percorso di pensiero di Perone, quella della lotta di un uomo, Giacobbe, con il divino, l'Angelo (Genesi).  Nella notte del deserto, uno straniero interrompe la sua solitudine e combatte con lui in una battaglia che non ha vincitore. All’alba scopre di essere stato ferito dall'angelo.  La ferita significa anche la benedizione e un nuove nome: Giacobbe, che ha combattuto con Dio e non è stato ucciso, d'ora innanzi si chiama “Israele”.  Il racconto è la cifra dell'estrema tensione che sussiste tra il finito e l'infinito, tra il penultimo e l'ultimo, tra i singoli significati e il senso complessivo.  La filosofia ha un'obbligazione di fedeltà al finito che la conduce a non rinnegare mai le condizioni storiche del pensiero, ma anche a non rinunciare alla sua vocazione a trascenderle con l'ascolto del non immediato, il lavoro e la fatica.  Riconosciuto il moderno come condizione, il pensiero non può illudersi di potersi semplicemente installare nell'essere o nel senso, come se tra finito e infinito non si fosse consumata una cesura.  E tuttavia, ugualmente inopportuno e un appiattimento sui semplici significati storici, dimentico dell'appello dell'essere.  La necessaria protezione del finito (peiron) (protezione del finito anche nei confronti dell'essere, che in qualche modo va sfidato, perché è coi forti che è necessario essere forti)  non significare l'eliminazione di nessuno dei due contendenti. Sulla soglia  tra finite (peiron) e infinito (a-peiron), tra storia e ontologia, si realizza una mediazione, che non implica il superamento della distanza, ma la sua conservazione. Al fine di preservare la doppia eccedenza del finito (peiron) sull'infinito (a-peiron) e di questo su quello, è sbagliato cancellare la distanza tra essi, sia trasformandola in identità alla Velia, sia indebolendola fino a un punto d'in-differenza.  Così, è vero, per esempio, che la memoria non conserva che questo o quello frammento, né può pretendere di ricordare direttamente l'intero (la totalita – cf. Grice ‘total temporary state’).  Ma è altrettanto vero che questo o quello frammento non va abbandonato a una deriva nichilistica, perché nel frammento – che la memoria ricorda – non è un semplice istante, ma appunto l'essenziale (di una vita, di una storia…) a dover essere ricordato. La filosofia resta ossessionata dal tutto (cf. Grice’s ‘total temporary state’), ma questo tutto non ha l'estensione della totalità, ma l'intensione di un frammento in cui ne va dell'intero, il totto. Peiron ed apeiron, Modernità e memoria, Storia e ontologia: si tratta di *dire* sempre insieme due cose, due poli opposti, secondo una dialettica dell'et-et, dell'indugio e dell'anticipazione.  Il finito, la parte (il soggetto, il presente, il sentimento) e analizzato come una “soglia”, come un luogo che non puo nemmeno essere vissuto senza la memoria dell'altro polo. Come nel caso di Giacobbe/Israele, la ferita finite, parziale, e un luoo che porta la ferita inferta loro dall’altro polo (l’infinito, il tutto) come una benedizione. Elabora la filosofia ermeneuticamente, a partire da uno studio in profondità – spesso svolto contro-corrente, Parte integrante della sua ricerca filosofica è altresì un confronto continuo con Guardini. Opere:”Esperienza divina” (Mursia, Milano); “Storia e ontologia” (Studium, Roma); “La totalità interrotta”  (Mursia, Milano); “La memoria” (Sei, Torino); “La lotta dell’angelo e il demonio” (SEI, Torino); “Le passioni del finite” (EDB, Bologna); “Il gusto per l’antico” (Rosenberg, Torino);  “Nonostante i soggetti” (Rosenberg, Torino); “Il presente possible” (Guida, Napoli); “Sentimento vero” (Napoli, Guida); “Sentimento” (Cittadella, Assisi); ” “Umano e divino” (Queriniana, Brescia); “Il racconto della filosofia. Breve storia della filosofia, Queriniana, Brescia); Un tema che è diventato predominante nella produzione più recente è la riflessione etico-politica. Tra le sue pubblicazioni sul tema si ricordano:  “Lo sspazio pubblico” (Mulino, Bologna); “Identità, differenza, conflitto” (Mimesis, Milano); “Secolarizzare” (Mursia, Milano, Givone, I sentieri della filosofia, Torino. Una cospicua parte della sua produzione di si concentra sul finite e sul rapporto tra filosofia e narrazione. Anche il tempo e la memoria: “Il tempo della memoria” Mursia, Milano); “Memoria, tempo e storia; Il tempo della memoria, Marietti, Genova); “Il rischio del presente”; “L'acuto del presente: una poetica” (Orso, Alessandria); “Ateismo”; “Futuro”; “Memoria, Passato, Pensiero, Presente, Riflessione, Silenzio, Tempo.   Ccurato e introdotto presso Rosenberg la Scuola di Alta Formazione Filosofica: “Dialogo con l'amore”; “Metafisica”; “Dare ragioni”; “Coscienza, linguaggio, società” “Un'antropologia della modernità”; Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente,; Estraneo, straniero, straordinario. Saggi di fenomenologia responsive; “Valori, società, religione”. Vii fa esplicito riferimento, tra l'altro, in Modernità e Memoria, L'Angelo – cioè l'IN-finito, ma più in generale l'oggetto, il mondo – non è un limite che i soggetti poneno a se stessi, ma una barriera che loro è posta e che, dunque, non si lascia ultimamente inglobare dal soggetti, per quanto potente loro siano. Ai limiti estremi dell’estensione e la ptenza, i soggetti incontrano la resistenza testarda del mondo e misurano così la propria im-potenza di in-finito. Questa lotta/scontro con la barriera lascia nei soggetti una ferita che appartiene per sempre all'identità delle sue coscienze. L'Angelo può quindi essere definito quella misteriosa ulteriorità contro cui il finito urta Il tema della tensione tra cielo e terra è centrale. Come dimenticare che la teologia è forse l'unica rama della filosofia che osato vedere nella tensione tra l’uomo e il divino non una tentazione, ma un guadagno tanto per il cielo quanto per la terra?  E attiva un'originalissima interpretazione del rapporto tra il segnato e il senso. Con ‘segnato’ intendo una cristallizzazione storica di una scelta determinata, avente in sé una ragione sufficiente. Con ‘senso’ intendo una direzione capace di UNI-ficare una MOLTE-plicità in sé dispersa fra il segnato S1, il segnato S2, … il segnato Sn, in modo da costituir il segnato come un progetto e un'interpretazione della realtà. La definizione del gusto per l’antico come tempo della cesura risale in “La totalità interrotta”. Il tema è ripreso proprio in apertura di Modernità e Memoria, dove individua nella modernità l'epoca della cesura. Il modern è dunque chiamato a essere il tempo della memoria. La memoria è sempre memoria della cesura. L’uso  della categoria di ‘illuminismo non simpatizza per quella interpretazione del moderno, dimentiche della tensione. Semplicemente pone l'umano in luogo del divino come fonte di legittimazione -- puntando tutto sul continuio, anziché sul dis-continuo della storia. Per un approfondimento a tutto tondo del significato dell'ateismo, contro l'essere, ciò che è forte, è lecito essere forti, perché la minaccia non lo vince, ma lo lascia stagliarsi in tutta la sua maestà e incommensurabile grandezza. Per una trattazione sistematica del concetto di "soglia”, che svolge con particolare attenzione cfr. Il presente possibile,  («Il presente come soglia»).  Se una totalità è interrotta, non possiamo ricordare se non frammenti, e quasi istantanee del tempo. Tuttavia, se la memoria afferra brandelli e frammenti, è perché in essi vi legge il tutto, perché li pensa capaci di dar *senso* e di riscattare, perché in essi vi scorge l'essenziale. La memoria sa che non tutto può essere salvato. Ma osiamo credere che nella memoria salvata vi possa essere un senso anche per ciò che è andato perduto. Nel rivalutare la funzione dell'indugio osserva che perlopiù la filosofia non ha seguito la strada dell'indugio e del rinvio, puntando invece sulla funzione anticipative. Particolare rilievo riveste a questo proposito la distinzione che traccia tra spazio pubblico e spazio comune.  Individua anzi come rischio immanente della democrazia» il ri-assorbimento dello spazio pubblico entro la semplice logica dello spazio comune. Lo spazio pubblico si espone al rischio di un inglobamento nello spazio comune. E. Guglielminetti, ed., Interruzioni. il melangolo, Genova. https://www.theologie.hu-berlin.de/de/guardini/mitarbeiter/li, su theologie.hu-berlin.de.vips/ugo.perone, su sdaff. http://www.lett.unipmn/docenti/perone/, su lett.unipmn oportet idealismo su spaziofilosofico. http://www.spaziofilosofico/numero-05/2052/il-pudore/#more-2052, su spaziofilosofico. Ugo Perone. Perone. Keywords: implicature, peiron/apeiron, Velia, Grice on ‘other’; finito/infinito, Velia, Elea, I veliani, Guardini. Total temporary state, Israele, etimologia, la ferita di Giaccobe dopo la lotta coll’angelo, nella Vulgata. Israele, la lotta di Giacobbe e il angelo, la ferita, Giacobbe zoppo, iconografia, controversia sull’etimologia di israele, ei combatte, la tradizione di Velia, l’infinito di Velia – il continuo e il discontinuo, l’infinito della scuola di Crotone, Cicerone, l’infinito di Giordano Bruno. Infinitum, indefinititum, dal verbo, finire, finio in romano, -- I due rappresentanti della scuola di Velia, Melisso, peras, pars. Guardini, il sacro, il divino, I dei, uomo e dio, opposizione, -- la storia della filosofia di Perone, il presente possible, la totalita interrota, I soggeti, trascendentale e immanente. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Perone," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688092547/in/photolist-2mN8Hgb-2mN8ym7-2mKw3hq-2mKuZ8r-2mKgNbU

 

Grice e Persio – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo. Dei lincei. Figlio di Altobello Persio, studia a Napoli. Conosce Telesio di cui diventa discepolo, e scrive diverse saggi a difesa e chiarimento: “De naturalibus rebus” (Venezia, Valgrisio). Pubblica il “Trattato dell'ingegno dell'uomo” (Venezia, Manuzio) in cui riprendeva la teoria di Telesio di uno “spirito” come principio, movimento, vita, e intelligenza.  A Roma conosce Campanella e Galilei e pubblica “Del bever caldo costumato dagl’antichi romani” (Venezia, Ciotti) in cui riprende diverse idee già trattate in precedenza riguardo allo spirito e ai consigli per la sua conservazione. Altri saggi:  “Digestum vetus, seu Pandectarum iuris civilis: commentarijs Accursii praecipua autem philosophicae illustrates cum pandectis florentini” (Venezia, Franceschi);  “Novarum positionum in rethoricis dialecticis ethicis iure civili iure pontificio physicis  triduo habitae” (Venezia, Sambeni). “De ratione recte philosophandi et de natura ignis et caloris” (Roma, Mascardo). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Roma.  la dialettica di Telesio -- Campanella -- Gailei -- contro Cicerone -- contro Boezio itiumdialecticum,ponitAristoteles. PRO POSITIONES DIALECTICA FACVLTATE. I Dialecticesarcis magistros primos requiramus. Non Aristotelem profectò fuisse cenfendum est. Sedmultòantea,quunplurimosexstitiffe,mania i teftantibus. Sed nereferasadtā antiquos:neges etiam, Pythagora eos fuiffelogicos (quodtamen falsumn, indedeprehenditur, cùm mathematicisartibus; quae fine Logice tractarinon possant. Ittaaccuratèftuduerint) Zeno tamen Eleates, ex Platone et Laertio, inventor efficitur quod et ad Parmenidem nostrum I Dehip. Et Plar. plac.li. gularisfuit, noninfophifticisde arte ipla contentionibus, Ledin explicarione historiarum, incaricorum, Lucanum Galenus extendit. ClinomachusThurius; noftercóterraneusprimusdeaxio DIALECTICIS IN METAPHORAM enumerar Aristoteles interuitia dialectica. Grammaticum est et grammaticae syntaxeos uitium  festum est; uelcum Platone Prometheum, uelúci deorum interpretem existimabimus, quem infacrislitteris Noeum doctiexistimant;uelcumaliquotdoctis,Mofissacrú illumfacerdotisornatum ,&uestitumExhodiexpreffum. Itaque Logices exercitatio apud hebraeorum liberostin et cpoëinatum compositione, inq.aenigmatum enodatione, doctis uiris at matis seu enunciacis confcripsit fi Laërtiocredimus.quod fi berumeft, principiú doctrinehuiusciphilofophodebeatur; quaodeindecranslarakc ab Arift.inlibrudeinterpretatione Nonitaque Democritum Dialectices inventionis dispositioni SIGNARUM u tnec Protagora nelenchorumjutex Plato rum et Peripateticorum sectae manarunt. Dialecticen igitur, facultatem, seu virtutem bene differen ditenemus, hocest disputandi, disceptandi ratiocinandi. Quotiesita querationeutimur, toties dialectico munere diendiq.;ita Logicenhanc, essefacultatem, omniadisputan di,intelligendiq. Rectè itaque Aristoteles, omnes IDIOTAS quod ammodo uti Dialectice, confirmauit. Duplex itaquc; quinimmohaec, uel utiilius magistra, cólá tuitur; cùm omnis disciplinae principium sit experientia, ob item  ne patet; principem negare possumus. Quinneque Platonem ipsum cum Socrate a Dialectice's perfectaecognitionesecludimus; de cuius schola academico fungimur. Naturalis ergo logice facultas. Utenim visus et auditus facultas est naturalis, videndi, au Standis, vel uti prudentia quaeda in communi somnibusartifi cibus, quicum differunt, nonsuaquadam et propria, sedcom muni dialecticorum facultate differunt. Si, ut ait Aristoteles, finisa discipline ahabetur, quandoprac statur quod attisuiribu s continetur, dialectices finis erit, be a ne differcre. Subiecum uerò dialectices ponimus res omnes. quoduel Aristotele tefte confirinamus. Quid etiamfi. Nonens, subiectum dialectices ponamus et  iudicium. Quas Adrastus Simplicii testimonio, peripateticus nobilissimus adprobauit, ad aures fuisse Aristotelis. A servatio et inductio. dialectice itaque communisoinnibus rebus. Ratione tra: ut omnino quidlibet seu verum seu falsum quid tractari, ac ratione disputari et explicari possit. Dialectices uerò partes duas esse tenemus, inventionem, licet, necessarium, uerisimile, captiofumdari potest; nonobid enunciate logice partim necessária, partim ueri similis, pártim captiofa esse debet. Sedtota necessaria.  Genus illud verè esse dicimus, totum partibus essentiale. Unde hominem genus esse Catonis et Ciceronis. Catonem verò et Ciceronem speciem esse hominis. Cum uerò satiùs putemus; ueri et propria sermonis usum aiuris consultis et rei publicae principibus, quàm a scholis in ertium philosophorum petere; meliùs quaeduo individua, vulgò dicunt et unam speciem n, ili dua sspecies et unumge nus dixisse videri debent. Sed fideridebunt consultos, non ridebunt Platonem ne que Aristotelem, terse comparationes intelligi. Genus item et speciem adlocum de toto et partibu srectè ablegamus. Categorias etianiad inventionem dialecticam sternere uiam, melius eftut concludamus. Paronyma ad coniugatare uerti debere aestimamus. Locum ad numeramus in subiectis et tempus inadiun rum referamus. Animi sensum, aet intelligentiam, rerum similitudine mer itémq. Cicero e Quinctilianus. Quamuis itaqueo pusali quod artishuius genuncia tum scia. Differentiam,quam Porphyrius declarare adgrediebatur. Vel ad formam et causam vel ad comparatorum locum et ad invenrionem rectiùs asfcriberem. Accidentium nominee e rectiùs facta adiuncta et rerum in ctis. Quae verò cumaliquo conferantur, ad speciem opposito: seu oluit Aristoteles. Quae verò sint in uoce, NOTAS ET SIGNA en forum mentis esse: utea, quaescribuntur, eorum, quae fintin  Puocessensa ilaapudomnes eadem esse, SYMBOLA a et  ligrisnon s cadem, deprehendamus. Quo sit ut dialectices et grammatices lata differentia nis mentionem, sed syllogismi genesin et  analysin, tribuster minis et  PROPOSITIONIBUS conclusit et  terminauit.non enim AD EXTERNUM SERMONEM dirigiuoluit, sedadinternum. Aliquis homo currit. Aliquis homo non currit, nullum có subalternae dicuntur. Multòiuftiore ratione collantur. Quiai: temeffe tenemus. Ex causis itaque necessariis futurum necessarium, ex liberis liberum, ex physicis physicum effecue syllogismis maximè necessariam putamus.  Quod & Graeci Aristotelis interprete sprofitentur, inventionem illam Theophrasti et Eudemi propriam ess. Cui et Boethius desu omulta addidisse etiam, teftatur; sedutrum o m átio absolute vera; sit etiam necessaria, camietfi IN PARTIBUS SERMO consistere. Rectè igitu rin analyticis nnllam Aristoteles interpretatio sunt ambae affirmantes vel ambae negantes. Quales sunt antecedentes causae, talem euentusueritamur. Nos logicen compositorum enunciatorum et perse, et in 6. niarectè, alias dictum. Datur igitur enunciatum, compositum, feu CONIUNCTUM, praeter simplex. Quod multas sententias coniunctas habet. Cujus et sunt suae species, ar COPULTATUM difiun&um, con nexum et elatum et cetera. Accamenin DISIUNCTIONE illudtenemus, utomnis disiun paratim nulla fit neceffitasi. Nam difiunctioniş necessitate penderee partiumnonucie ritate, sed dissentione, palàm est. contineatur, cùm illatotafitanimi, eadémq .apudomnesgea tes. Haectota SYMBOLIC in voce. Logice itaque sine SYMBOLIS INTERPRETATIONIS potestinani tradictionis nomen meretur. Homo albus est. Homo non albus, tantundem. Omnis homo albus, (vidam hoino albus et contra. Quae praenotionem duplicem esse dicimus, verborum alteram, dum concluderetur ab antecedente, Quid fi hocidein dixerit Aristoteles. Rerum autem praecognitiones, &anticipationesgenera fit. Definitiones,& partitionesesteprincipiaomniumferèar, tium, uelindesumptasquasdammaximas. Principia uerò non tantum priùs nota, sed esse notiora, ait, Aristoteles; immo verò ita clara, ut contraria quoque inde  rerum uerò alteram. Et uerborum illamdicimus, quaeinomnibusdefinitionis, requiritur. Rerum verò, quae debet esse in definitione ad explicanberent. Immoeandem determinismediis et  extremis ut consta hilexplicaret. Itaque syllogismi maior et minor hanc praenotionen habes & universales esse, unde speciales illis comparatae ptotimus concipiantur et concludantur. At ve rò id praecipuèin INFORMATIONE artis integra cuerifli mum esse putamus, ut a generalibus ad specialia progresia unde modi per ee emanant. Et primum illum tenemus, quando attributum eftinessen et definitiştotius et partium. Demonstrationis et demonstratii omnísq. Explicationis et eiuste rminorum vocabuli somnino dum quod definitur in distributione ad explieta dum quod distribuitur, in demonstratione et qua vis expositione ad demonstrandum et ad exponendum quod quaeritur. Alioquini retesseresis SIGNIFICATAS. Conclusio ergo, et problema, quod concluderetur, hang duplicem haberet praecognitionem Non: acciperet aucem siant manifestissima. Cùm autem quaein scientia sunt, per se finto portet, sit, cùm quid alicuiaderit vel simpliciter vel quod ämodoerit: cia   tiasubie et i, et ineius definitione ad hibetur. mus definitioni: quoduelexempla Aristotelem .palàm faciunt. Accedit QUARTUS MODU. Perseinest quòd causa sit certa et non fortuita generalis ergo hic modus per se, quotiessci licetcaussaede suis effectibus dicuntur. PROPRIORUM ACCIDENTIUM eritne ullus. Tertius hic enim inodus affections et accidentia cognata quod ammouo sensu, Aristotelis contextum declaratum iri. Omnes itaque modos per se ab Aristotelem retinerit enemus nec ab iici duos reliquos. Unde fit, ut consequentes artes antecedentibus subalternae sint, ubi aliquid docent, superiorum decretis expli tionisuelinueniendae,ueliudicandae. Omnem disciplinam fieri autper demonstrationem , aut firmauit. Acperdefinitionem et distributionem,accuratiorem sci entiamconfici,quàm perdemonstrationem, tenemus. Quare non sequitur ,Scio ex causa', propterquamresest. quoniamilius estcausfa. Nec aliterhabere potest. ergo, Scio steriorú, e Platone ferè sumptaess e quiuisanim aduerterepoterit. Plato enim ad instituendasartes, definitionem et distri butionem proposuit. Syllogistica e demonstrationis, qualem Aristoteles cominentus est, non meminit. Tunc enimartes bene disputare, docere, demonstrare po secundus modus per se est primo contrarius. Per se est quod est in essentia et definitione attribute qui inodus distribution generis in species, aut differentias conuenit, ut pri 17 cabile. Ergo sic dialectice omnes subalternaes intin genererat: per definitionem, concedimus quod et Aristoteles rectè con per syllogisticam demonstrationem. De definitione uerò tam multa, quae differuntur inlib.Po do complectitur. Atquopacto ex Aristotelis littera Ex diffentaneo. Ideóq.no terit Son3   teritquis, cùm logicam inventioneimn ipsarum natura, qua litatéq. tota, ex causis, effectis, subiectis, adiunctis, ceterisq. Quirendam, re&tefortassis affirmet Aristototele, tamen illud falsò, quòda d percipiendam hanc disciplinam demoribus praecepit, ut paedia in auditore praecedat. Quod autem ne adolescentes quidem percipiendis moribus esse idoneos voluit Aristoteles. Falso. Certè pueros quos damui dimus diuinitate quadammen ti, confirmarunt. Quaenonprotinusquid rectum, prauúinq. fit;discar. Quincum Chrysippo putarunt et ante trienniumil  tis praeditos, utinquibusdam, multorum virorum iudicia ex E los 1 argumentis per videnda. Cùm dispositionem, ineadem uel uel syllogistico conclusionis iudicio a e vortino enunciati tandem ordinanda, ab ini stimanda et judicanda, universatio per media ad extrema exercuerit. Et hoc pacto NOSTER TELESIUS est progressus in sua philosophia conscribenda Antonio Persio. Persio.  Keywords: implicature, dialecticis, Telesio, Campanella, spirito come vita, animo come aria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Persio,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690501967/in/photolist-2mPjPna-2mKHkna

 

Grice e Pessina – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Studia a Napoli sotto Galluppi. Cura la sua storia della filosofia. Di idee liberali, prende parte ai moti. Pubblica un saggio sulla costituzione italiana che gli procura la persecuzione della polizia e il carcere. Reclsuo nell’isola di Santo Stefano, sposa la figlia di Luigi Settembrini. Fugge dal regno, insegna a Bologna. Fonda “Il Filangieri”. Dei Lincei.  Muore nella suo palazzo in via del Museo, strada che prese in seguito il suo nome: Anche il palazzo dove visse. Aula a lui intitolata.  A lui è dedicato un busto alla passeggiata del Pincio. Saggi “Che cosa e il diritto private?” (Napoli: Poligrafico); “Procedura del diritto (Napoli, Jovene); “Il naturale e il giuridico – alla regia di Napoli” (Napoli, Accademia Reale delle Scienze); Il piu privati dei diritti (Napoli, Marghieri, Diritto e privacita (Napoli, Marghieri); Il privato del diritto (Napoli, Marghieri); Che e private nel diritto privato? (Napoli: Marghieri); “Il diritto privato” (Napoli: Priore); Storia della filosofia (Milano: Silvestri); Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  La scuola italica vepne fondata da Pitagora che creò una filosofia matematica;l'anima', secondo lui,èunnumerochesimuove;l'ar monia dell'anima ,o la sua rassomiglian za con Dio costituisce la virtù; e la giustizia è l'equa retribuzione.La scuo la di Elea svolse pienamente l'idealismo pitagorico ; e la varietà , non negata da Pitagora , esclusivamente affermata dalla scuola gionica,venne assorbita dell'uni tà da Senofane , trascurata interamente da Parmenide, e negata da Zenone. Empedocle edAnassagoraseguirono l'E clettismo, ma ilprimo fupiùprocliveal pitagorismo , ed il secondo alla scuola gionica. Lo scetticismo ebbe a fautori i sofisti iquali sorgeano da tutte le scuo le ; Gorgia , discepolo di Empedocle era sofista , e tale era benanche Protagora , discepolo di Democrito ; ma questi non pensavano che a sedurre il popolo colle loro vane disputazioni e colla loro effe migata eloqueaza.  Nulla possiamo dire della Glosofia appo i Romani ; perocchè essi rivolgendo il pensiero alla guerra ed alle cose pub bliche non poteano riconcentrarsi nelle severe meditazioni filosofiche ; epperò anche quando la filosofia del dritto e laGiurisprudenza'fiorirono Del Roma do impero i Giureconsulti non fecero che freddamente seguire ora l'Epicurea, ora la stoica filosofia. E se alcuno ci obbiettasse le opere di Cicerone di Se песа > di Plinio, risponderemmo che questi pensatori saranno sempre degoi di venerazione pe"filosofi, ma che non fondarono alcun sistema puovo , Neander, origine e sviluppamento de'prin cipali sistemi gnostici. Walsch de gnostico rum systematis fonte Lewald de doctrina gnosticorum.- Olearii,dephilos.eclectica.  stitui. D. Italia. Anco in Italia ebbe il sen sualismo degli adetti ; ma in alcuni fu originale, in altri una imitazione di Locke, di Gassendi ; e di Condillac. Fra’primi possiamo annoverare Zanolli , Muratori, Bianchi,e Verri.Ilprimo diquesti,  7 2 be spazio è la relazione di due 'corpi di stanti l'uno dall'altro , che il tempo è la successione o consistenza per gli es seri creati , e che la felicità rattrovasi lo scetticismo , tentò formare i princi pii più stabili dell'umana credenza , as segnò la sola probabilità alle idee moa rali,e riconobbe che i sensi ci fanno a perti i fenomeni esteroi ed il loro ordine successivo,ma non la natura della causa. Kirwan sosténne che non possono aver luogo gli esseri senza una causa,che lo nello stato di piacere assoluto non misto a veruna pena. Da ultimo , Young, det tando un trattato sulla forza della testi monianza , la rinchiuse ne'confini della probabilità,e sostenne che essa è capace di un convincimento superiore ad ogni altra esperienza.   tentando la spiegazione di molti fenome ni intellettuali colla dottrina sulla forza attrattiva delle idee , dimostrò che tutte le umane azioni si rifondono in semplici probabilità. Muratori, che fu il solo.cu rato fra’filosofi , ed il solo filosofo fra’ curati ,7 indagando le forze dell'umano intendimento, confutò lo scetticismo m e diante una morale poggiata su’ prin cipiidella ragione e dell'amor proprio. Bianchi fa dipendere il piacere dalla cessazione del dolore.Verri avrebbe vo luto che si fosse a'suoi tempi effettuata la dottrina del sentimento o del senso morale. Fra'secondi , Baldinotti negò che si possano discoprire le essenze delle cose co’sensi o colla riflessione ed ammise il principio che ogni nostra cognizione debb'esser di fatto,Lo studio di Locke, dopo l'opera di Baldinotti attirò in Italia molti proseliti; fra'quali possiam nomi nare a cagion di onore il Sarti , il P a vesi , il Tettoni , il Capocasale ed il Briganti. Iovano molti pensatori, arversi  119   120 per fede a’principiidelLockianismo,cercaronoban dirlo; egli vi avea radicato i suoi pro fondi germi che si estesero insino al ]l'aurora del secolo presente. Fra suoi seguaci si distinsero Soave , de Toma so ,Valdastri ed altri. Il primo ; se guendo il sistema di Locke sulle idee acquisite, riguardò l'idea come l'imma gine degli obbietti, e fondò la certezza sulle treevidenze di Condillac. Valda. . stri fè derivare dalla sensibilità tutte le nostre idee , trasse il criterio del vero dal senso intimo , e sostenne nulla es servi di vero in metafisica se non fonda to sulla economia delnostro essere. An co ilRezzonico,ilCornianiedilPran di diedero opera alla propagazione del Condillachismo in Italia. Ma gli italia ni , benchè sensualisti , non si nabissa rono nelle funeste conseguenze del ma terialismo francese, perocchè risentivano ancora l'influenza della vera e sapa fi losofia,laqualemaiè,chesi scompa gni dalle verità che crediamo divina. C. Italia. Il P. Giovenale , il M a gneni , il Rufini , il Miceli ed altri p o chi seguirono l'idealismo , ed ebbero a scopo comune quello di determinare l'i deale priucipio costitutivo delle cose.Ma il P. Ermenegildo Pino diede a luce la sua Protologia che,quantunque tenuta in dispregio da'sensualisti del secolo XVIII , pure non lascia di onorare l'autore e la patria di lui.Questo libro venne diretto ad indagare ilPrimodellaveritàde'prin cipii , e delle scienze , l'Uno che in se racchiude il principio delle scienze tut te: Egli con prove ingegnose e con sot tili ragionamenti dimostra che le parole non ànno il primo senso nelle umane con venzioni , che esiste un Primo , causa ed origine dell'umana intelligenza, che il primo principio della ragione è dimo  Law ed Hutton sono isuoi più forti so. stenitori,ilprimo negando ogni realtà obbiettiva alle idee di spazio e di tem po,ed ilsecondo inclinando alle opinio ni del celebre Berkeley. è strato all'uomo , che le parole non sono 1   Borovshi , Notizia sulla vita e sul carattere di Kant Jachman ,Lettere ad un amico in torno Kant - Wasianki, Emmanuele Kant negliultimiannidellasuavita.- Biografiadi Emmanuele Kant. - Rink , Tratti della vita diKant. Bouterweck,Em.Kant.Rimem branze.- Grohman, Allamemoriadi Kant. Cousin , Lezioni sulla filosofia di Kant ( Prima Versione italiana di F. Triochera con notedelB.PasqualeGalluppi) Kant,Idee sulla maniera di apprezzare le forze vive Principiorum metaphysicorum nova dilucidatio. Considerazioni sull'ottimismo. Sogni di un uomo che vede gli spiriti -  135 - segoi delle idee , nè le idee segni delle parole, che il primo pensiero dell'uomo è il mistero nel senso dell'Uno o Primo, ovvero di Dio ; che l'analisi è la distin zione della pluralità costituita dall'Uno; e da ultimo che non già la dimostrazio ne matematica , sibbene la scienza del Primo èlaragioneprimitivadellascienza. C. Italia. Dietro l'impulso di Premo li, dietro gli sforzi di qualche altra e Università che cercava difenderlo, il misticismo ebbe in Italia parecchi col tivatori,fra'quali si distinsero il Fer. rariedilLeti.Ilprimo fèderivarela filosofia dallarivelazione,dalla esperien za,e dalla ragione,ed asseverò che ilfi losofo cristiano debhe seguir laprima in preferenzadellealtre.IlLeti, attenen dosi ad un principio rivelato o positivo, tento fopdare un sisteina cosmologico sul Genesi ; epperò , secondo lui , tutte le cose han principio da Dio , lapima si congiunge con uno spirito materiale co stituito come la vera forma delle cose m a teriali, e contenente la luce,l'acqua , la terra, che sono volatili o fissi, e for mano gli altriobbietti.:Ma la riforma  conoscendo lapropria fallacia ed illusio ne, De ti intese della massime a divinità determinare derivare di S. ,edi le idee Tomuniaso gli Secco che immediatamente attribu , seguì facendo da , le però Dio 1 6 e   Rousseau , Discorso sulla quistione se il ri sorgimento delle scienze e delle arti abbia contribuito a depurare i costumi. Discor SO sull'origine e su'fondamenti della ine guaglianza tra gli uomini Lettere scritte dalla montagna Del contratto sociale o principii del Dritto Politico Emilio o del laEducazione Jacobi,L'idealismoedil realismo Lettera a Fichte Alcune let tere contro Schelling Delle cose divine, Romanzi filosofici - Introduzione alla filosofia. Koeppen Della rivelazione considerata per rispetto alla filosofia di Kant e di Fichte Trattati sull'arte di vivere La dottrina di Schelling Sul fine della filosofia.- Guida perlalogica- SaggiodelDirittonaturale- Esposizionedellanaturadellafilosofia- Filo SofiadelCristianesimo- Politicasecondoiprin cipii di Platone Teoria del Dritto secondo i principii di Platone - Lettere ad un amico su'  C C filosofica sperimentale preoccupò gli spi riti per lo studio degli obbietti sensibi li;ed è questa appunto la ragione per cui le speculazioni del misticismo non ven nero accolte e ridotte ad una dottrina generale. tori. B. Italia. L'Eclettismo ebbe in Ita lia de'forti e valenti sostenitori. Il Pa dre Ceva confutòGassendi e Cartesio; la celebre Agnesi , prevenendo il Cou sin , disse non doversi aderire a setta alcuna , ma scegliere tra le sentenze dei filosofi quelle che rispondono alla espe rienza ed alla ragione ; il Corsini inse gnò non doversi seguitare ne i Carte siani, nè i Peripatetici , ma le migliori opinioni di tutte le sette con una spe cie di Eclettismo. S. 7. venne sostenuto in Italia da molti 'Glo L'Empirismo - Razionalismo sofi, tra' quali si distinsero Luini, G o ripi,Scarella,Ansaldi,Vico Stelli ni, e Genovesi. Luini si oppone all'ar monia prestabilita di Leibnitz accostan dosi al pensiero della forma sostanziale   9 viene le categorie di Kant, ammettendo nello spirito certe idee prime,e discer de lapercezione dellaconvenienzao di screpanza di due idee dall'assenso dissenso a tale percezione. Secondo lui,lamenteumananonpuòcompren dere come convenienti due cose che re  157 dell'anima , distingue nell'anima la so stanza 'le potenze i modi , afferma che nel percepire un oggetto noi ci distin guiamo dall'atto della percezione,che le potenze s'argomentano col ragionamen to , che le forze sono una certa condi zionata esigenza delle sostanze, che colla filosofiaè dato di scoprire nell'a nima una certa sovraesistenza , e che il razionale non debbe superare il fatto. Il Gorini , elevando la dottrina dell'as sociazione, considerò l'idea come sen plice rappresentazione dell'oggetto,e so stenne il principio logico che la cogni zione intuitiva è composta di due idee e la dimostrativa di tre. Lo Scarella concilia il principio di contraddizione e quello della ragion sufficiente, pre  pugnano fra loro , il principio della cognizione stà nel predicato che chiara mente si vede convenire o disconvenire dal soggetto. Infine egli 'distingue gli errori secondo le facoltà dello spirito, divide la psicologia in fenomenale e ra zionale, classifica le facoltà, spiega i s o gni con certe continue commozioni ce rebrali,distinguel'animaumana daquel la de'bruti,indica due specie d'appe > > al ' 158 tito,l'unasensitival'altra razionale; ed ammette l'anticipazione in noi di qualchecosainnata,chedicesi idea. Ansaldi dimostra che lo stoicismo non è atto a diminuire i momenti di infeli cità , confuta l'uomo macchina di La Mettrie,il principio dell'associazione diHartley,distingueilsentimento dal la sensazione;e provando che è impos sibile dedurre il fisico dal morale , che le facoltà dell'anima sono indipendenti da’principii dell organismo , fonda il principio morale sopra una virtù costituti va dell'ordine invariabile delle cose , lontanandosi dall'Utcheson e dalla dot    159 trina dell'amor proprio. Gerdil divise le idee in idee di modi , di sostanze , e di relazioni , pose il'criterio del ve ro nella osservazione e nella esperienza regolatedallaragione,dichiarò l'idea dell'Ente un idea di formazione , pose il criterio morale in un paturale criterio diapprovazione,che indipendentemente dalla considerazione e del proprio utile determinò il giudizio o dettame pratico in virtù di certe conosciute leggi di convenienza di che l'uomo si compiace per natura ; fè consistere l'ordine nel rapporto comune fra molti oggetti, de dusse l'immaterialità dell'apima dalla diversità tra la sostanza pensante e qua lunque sostanza corporea ,  dall'impos sibilità che la materia contenga la pri ma origine del moto di sostanza e di modo ; dedusse l'esi- stenza di Dio dalla necessaria esistenza di qualchecosa ab eterno; pose per principio che le regole della morale per condurre al buon fine debboń trarşi dal la natura umana, e collocò il fine o la e dalle nozioni  Egli si elevò ad un sistema empi rico razionale fondato sulla storia e sulla ragione, e gettò le prime fon damenta della scienza dell'Umanità. Il suo metodo è ricavato dalla psicolo gia, dalla natura della scienza , e dal la geometria , ed in esso la facoltà in ventriee, o la facoltà certa del sapere è preposta a quella dell'ordinare o comporre ; esso è l'analisi geometrica ben diversa da quella diCondillac. Il'Vieo venue a ridurre la filologia ad una vera forma di scienza e da ritrarre dalla “mitolo  . Il nostro celebre concittadino Giambattista Vico, conosciuto più a'tempi nostrichea'suoi,più daglistranieri che dalla sua patria, scrisse la Scienza nuova, monumento di gloria italiana, in cui egli avea indagato i principii fi losofici della storia , precedendo di un secolo le teorie di Hégel, di Cousin . per а gia starei felicità nel bene sommo , o nell'amore divino. direunaverastoria;eiposeil   meta fisica, che io sostanza è una vera teo logia , si è di stabilire un vero appog giato al senso comune ed all'ordine e ternodellecose,qualèDio.Da que sto priocipio egli deduce che tutte le scienze emapano da Dio , rimangono comude  3 una na velle; che e criterio del vero:nel senso 161 eercò surrogare il principio dell'auto rità universale a quello della ragione in dividuale. Questo senso comune del Vi co è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo , da tutta zione, o da tutto il genere umano. Se condo lui , il vero è diverso dal certo, inquantocchè quello è riposto nella con formità della mente coll'ordine delle cose,.equesto nella coscienza sicura dal dubbio , quello fondasi sulla ragio ne, e questo sull'autorità ; la metafisica è quella che stabilisce l'Ente e il Vero , ed è legata necessariamente alla religio Ló ne cristiana. Lo scopo della sua , inLui,etornanoaLuisolo;cheDio è l'infinito posse , nosse ,   velle > ; corpo,contiene una virtù infioita'di esten sione che va all'infinito, e che dipende dallo sforzo dell'universo;e che il co noscere chiaro in metafisica è vizio,co sicchè approfitta in metafisica colui che si sarà perduto nella meditazione di questa scienza.Nella suaPsicologiaegli distingue la sostanza intelligente dalla corporea ; indi sostiene che quella è l'a nimaedhalasuasedenelcuore,che in essa esistono le facoltà della memo ria, della fantasia, dell'umano arbi trio ; che la mente umana > l'uomo è il posse , posse , 6 - 162 nito , che tende all'infinito ; che l' Ea teè Dio, elecreatureesistonoperpar tecipazione ; che la causa unica è quel - la che per produrre l'effetto 'non abbi sogna d'altra ; che l'essenza consiste ia una indefinita virtù ; che l'anima è di versa dal corpo e dalla materia ;che il 4 > 2 pe'pervi,chesidannogli universali, oleideecomeformedellecose che queste sono create da Dio, e che l'ani ma distingue l'uomo dalle bestie. Il non intende    Vico considera l'uomo come ente fioito procedente da Dio , superiore agli altri animáli per la ragione , e in cui distin guesi la natura innocente dalla corrotta. Egli è naturalmente socievole', onde in lui un linguaggio ; la sua vita propria è quella che è consentanea alla natura ; a lui appartengono l'umanità o l'altrui commiserazione , il desiderio dell'utile, il carattere d'una comune cognazionedi natura , l'istinto alla fede , il pudore , e infine la brama dell'onore. L'uomo insomma è un essere costituito d'intel letto e di volontà , corrotto in entram bi dagli errori e dalle passioni , m a c a pace dello sforzo della mente al vero che come equo bene è il giusto , conformità della mente all'ordine è l'o è nesto.La giustizia,secondo lui è la virtù universale ; la yirtù è la stessa ragione , e distinguesi in prudenza , come , temperanza e fortezza ; e causa della . società fu l'onestà. Noi abbiamo verso Dio de'doveri a soddisfare col culto, senza onestà non può darsi società civi   164 le,lagiustiziadev'essere universaleo architettonica, perchè uno è Dio.Il Vico nella sua.Scienza nuova parte dall'idea o cognizione di Dio che illumina gli uomini etutto dispone co'suoi ordini prestabiliti.A questa idea principale si rannodano le seguenti : questo mondo è diretto dalla Provvidenza divioa;questo mondo civile fatto dagli uomini non è molto antico ; in esso tutte le nazioni convengono sulla religione , sul matri monio solenne , e sulla sepoltura ; su questi sursero le nazioni più barbare ; tutte le nazioni percorrono tre età,età degli Dei , clà degli eroi , età degli u o mini ; tre diverse lingue , geroglifica simbolica , volgare ; le nazioni furo pri ma di natura cruda , indi severa,quin di benigna , e poscia dilicala ; la for ma di governo è o teocratica o è delle repubbliche democratiche o Aristocratiche , o finalmente è quella del le monarchie ; formate le città nasco BO.le trasmigrazioni de'popoli , ed il dritto naturale delle genti; cresciute le nazioni , 'l'equità civile rafforza il drittonaturale;tutto ciò dura finchè non'sopravvengono delle grandi crisi per mutare ilmondo civile; queste vi cissitudini umane formano il corso del le nazioni nel quale si ravvisano tre età,degliDei,deglieroi,degli uomi ni,,tre specie di natura fantastica eroica, e intelligente, tre specie di costumi , religiosi colerici e officio si, tre specie di dritto naturale, di vino , eroico, umano tre specie di governo , Teocratici , Aristocratici o Democratici, e monarchici , tre specie di lingue, mentale., eroica e di parlari articolati tre specie di carat teri , geroglificii , eroici e volgari ,  aleo Vico idea gli dini lesi doè nesto nė joni atri pri -in SUI are ; elit 10 specie di giurisprudenza , divina, eroica , ed umana , tre specie di auto rità,divina,croica edumana,trespe cie di giudizi ,divini , eroici umani , tre specie di tempi, religiosi, eroici, e civili; tutte queste cose hanno apco un ricorso; il corso e ricorso è fondato sul fatto; la storia ideale non è propria de Greci e Romani , tre Tor oé Iri. del co ed ute   ma di tutto il mondo; la Scienza nuova si offre sotto gli aspetti di Teologia ra. giogata , di filosofia , di Storia delle umane idee,di criticafilosofica,disto ria ideale eterna , di sistema del dritto. naturale e dellegeộti, di scienza de'prin: cipii di storia universale.Questo grande uomo ebbe delle lodi edelleaccuse:ma sarebbe lungo edifficileilgiudicarleper vedere se le une o le altreprepondera- no ; epperò altro non faeciamo che ri mapere stupiti come intempi tantomeno civilizzati de'nostri che si addimandano ci vilissimi l'Italia abbia dato alla luce un in gegoo sì 'straordinario e maraviglioso.  1 La filosofia del Vico rimase ignota per lungo tempo all'Europa ; ma ebbe anco ra de continuatori fra'quali vennero ad altissima rinomanza lo Stellini ed il G e novesi.Lo Stellinianalizzòlefacoltàuma ne, 2 C 166 affermando che il bene o l'ottimo stato dell'anima dipende dalla proporzio ne o dall'equilibrio di tutte,e fecede rivare la virtù dall'equilibrio tra le fa coltà e le affezioni umane.Nella sua ope   rasull'originee su'progresside'costu mi dimostrò esservi tre epoche della n a tura umana, cioè quella de'sensi che ser vono all'animo, quella dell'animo che servea'sensi,equella del mutuo com mercio tra l'anima e i sensi. Lo Stelli ni integrò, per dir così, la filosofia.Vi chiana , in quantocchè Vico cercò nella storia la morale delle nazioni con quella degli individui , e Stellini fece la storia de costumi degli individui colla morale dellenazioni,comprendendo l'assoluta necessità di dedurre i principii morali dalla patura delle cose che si offre spon tanea alla nostra contemplazione,dando upa unità sistematica alla scienza della morale , e riducendo la dottrina della virtù alla sola grandezza.Filangieri,Ma rio Pagano , Ierocades ed altri prose guirono quasi in silenzio la via lumino samente segnata da Vico e da Stellini, ma colui che si fè chiaro , e fra' Vichi sti etragliempiricirazionali,ful'Abate Antonio Genovesi nostro concittadino.Egli nella suametafisicasostieneche non possiamo avere idee distinte intorno alla so stanza , che l'essenza consiste in varie proprietà , e che si distingue in reale , nozionale enominale.L'anima secon do lui,è lo stessosubbiettopensanteed intelligente,edèdotata d'intellettoe diragionedellapercezione,del giudi zio e del raziocinio ; per ben filosofare è mestiere che si faccia uso di quelle ideechepossiamo avere,che laveritàsia chiaraedevidente, maiilGlosofo non  il principio dell’au torità e dell'arte critica , cità della mente umana e della esten sione della conoscenza. Secondo lui , la > 1 1 debbe scostarsi dalle dimostrazioni stabi lite se non quándo ci si presentano delle obbiezioni, Egli dichiara imperfettala scienza teosofica e conchiude che ascen diamo al Verbo per via della ragione; segue il principio che rion sidapno nemmeno le idee intellettuali senza;un motocorrispondentenelcervello> am mette il principio del vero e del falso > il cui criterio è l'evidenza intelligibile sensuale e storica > > . della capa   ra umana  169 9 morale è mossa dal conoscere la natu in che trovansi due forze , l'una concentrica e l'altra diffusiva che entrambe dalla morale devono esser di rette alla felicità ; scopo della morale è quello di regolare e non distruggere l'uo mo ; la legge naturale è risposta de dae precetti di attribuire i proprii diritti a Dio a te ed agli altri , e di fare tutto che conviene alla felicità del genere u m a no.Egli ripone la legge morale nella ra gione e distingue questa come facoltà calcolatrice dalla regola che la governa e che consiste nel tenore dell'essenze e dei rapporti essenziali delle cose ordi nate,eperla quale v’ba un'obbliga zione perfetta che è della forza e della giustizia , ed un obbligazione imperfetta che è la legge dell'umanità.Egli dimo stra ancora che l'utile è ilpiù bello in dizio di una legge generale che punisca o premii talune azioni , e che tutti i d o veri si riducono si a rispettare le palu rali proprietà di ciascuno che ad acqui star le proprietà , purchè non s'invada 8   no le proprietà di coloro i quali sono al medesimo piano dell'universo con noi. Il Genovesi non è un pensatore origina le,ma è originale pel suo metodo, per la sua chiarezza , per la sua critica ; e se talvolta si desidera in lui maggior ordi ne , maggior precisione , ciò nasce ap punto dalla difficoltà di riunire in un sol corpo l'intera filosofia italiana.  170 S all'immaginazione- De 2 Antropologia di G. Gorini-Luini, Meditazione Ansaldi, Riflessioni sui mezzi di per fezionarelafilosofiamorale– Saggiointorno traditione principiorum legisnaturalis- ElementaLogicae,Psycholo giae , ac Theologiae naturalis , auctore J. B. Scarella Gerdil., Anti Emilio o Riflessioni sulla teoria e la pratica dell'educazione contro Rousseau - Piano degliStudii- Logicae Insti tutiones Storia delle sette de'filosofi Prin cipiidellamoralecristiana- Originedelsenso morale Memoria dell'ordine di Dio e della immaterialità delle nature intel ligenti- PhilosophicaeInstitutionesquibusEthi ca seu Philosophia practica continetur - J. B. Vici: De nostritemporis studiorum ratione- Dell'esistenza De antiquissima italorum sapientia- De uno uni versi juris principio et fine uno liber unus ; De Constantiajurisprudentisliberalter- Principii di scienza nuova Jacobi Stellini : Ethices Opera omnia PaganoSaggipolitici Discorsosull'ori gineenaturadellapoesia- Genovesi:Elemen ta metaphysicae - Elementorum artis logico criticae - La Logica pe'Giovanetti - Istituzio nidimetafisica pe'principianti--Diceosina o sia Filosofia del giusto e dell'onesto.§ 1. Per dar compimento alla espo. sizione dell'attuale filosofia italiana e insieme allo svolgimento storico de'si stemi filosofici non rimane che esporre lo stato della filosofia in Italia al secolo presente. I filosofi italiani oggdì si di vidono nelle cinque classi dei sensuali sti, degli idealisti,de'mistici,degli ecletticiedegliEmpiristi-Razionalisti.La tendenza della filosofia italiana al dì d'oggi è l'Empirismo Razionalismo benchè si ravvisiqualche avanzo di sensismo, e som   qualche imitazione dell'idealismoaleman no non che del misticismo francese e del eclettismo scozzese. È il chiarissimo Barone Pasquale Galluppi, di cui or ora ci faremo a parlare che , colla po tenza della sua dialettica, e colla seve rità del metodo analitico , rappresenta eminentememente la filosofia in Italia , movendo guerra sì all'idealismo diKant che al sensualismo del Condillac. Noi per seguire l'ordine ideologico dei di versi sistemi di filosofia esporremo pri mamente ledottrinedegliempirici;po scia verremo agli idealisti, a'mistici , ed agli eclettici; e da ultimo agli E m piristi-Razionalisti.  Poli:Supplimenti al Manuale della Storia dellafilosofiadiGuglielmoTenneman- Gio berti:Del Primato morale e civile degl'Ita liani. § 2. I capi del sensualismo italiano nel secolo presente sono il Gioia , il Romagnosi,ed ilLallebasque.Melchior   re Gioia , fondando la sua filosofia sul la ricerca de'fatti, non fece che mirare aduna scienza popolare.Procedendo in tal modo egli trovò tre facoltà fonda mentali : la sensazione , l'attenzione ed il raziocinio ; indagò l'origine delle sen sazioni e dell'istinto, ammisel?orga nizzazione e gli stimoli esterni eome cause dell'istinto,e spiegò l'anomalia dellesensazioni,eleloro leggi,por gendo un cenno storico sulle norme materiali che furono falsamente riguar date come norme misuratrici della in telligenza.Riguardo a'prodotti intellet tuali e morali , egli inclinò ad una i deologia fisiologica , che egli conchiude con una teoria del piaceree del dolore, in cui considera il dolore come n o n sempre proveniente da lesioni organiche, e il piacere come  271 non sempre effetto della cessazione del dolore , e stabilisce l'azione reale del piacere e del dolore, e le loro sorgenti come inoti maggiori o minori del moto ordinario delle fi bre. Poscia dimostra che essi influisco  no sulla felicità, sulle facoltà intellet tuali,sulle affezioni sociali, e sulle passioni ; e rettificando le nozioni false sulla vita , mostra che le sensazioni u- nite alla forza intellettuale cisvelano l'e sistenza del me e del fuor dime epro ducono certe operazioni diverse dalle semplici sensazioni ; cpperò distingue la sensazione dalla idea e dal giudizio. Nella filosofia morale, il Gioia dove soggiacerealleconseguenzedelsuo si stema empirico ; ed infatti il suo prin cipio è che la morale è la scienza della felicità, riponendo egli la felicità dell'a vanzo delle sensazioni gradevoli su’mali; e che la virtù è una somma di atti uti li disinteressati. Il sistema del Gioia è erroneo e difettoso , perchè tende a ge neralizzare ilsensualismo,favorisce il si stema del piacere , approssima l'ideolo gia alla fisica , analizza superficialmente ed inesattamente i fenomeni psicologici, e deduce da un fatto incerto una teori ca o un principio. Ma la comunicazio ne della scienza al popolo , una filoso fia pratica e sociale, una mente vasta e perspieace, un giudizio avvalorato dalla induzione ,una ammirabile chiarezza d'idee e di ragionamenti;ed una scelta erudizione, sono le doti che se fossero andate disgiun tedanonpochierroriavrebbero formato del Gioia un pensatore non mediocre. Giandomenico Romagnosi segue,  nel suo metodo , ne'suoi principii , e nelle suededuzioni,l'empirismo,ma un'em- pirismo psicologico, da lui manifestato, cercando il principio del Dritto nale nelle relazioni appoggiate Pe all'es senza ed alle reali connessioni delle co se, dimostrando che l'arte di governar la società deve riuscire l'ordine morale di fatto perfezionato , e che nella spo sizione dell'ordine teoretico e pratico debbe aver luogo la storia della natura umana e delle sue relazioni 3 nendosi la ricerca de'fenomeni e propo psicolo gici sperimentali , lasciando le astruse indagini della metafisica psicologica. E gli definendo la psicologia , la dinamica dell'uomo interiore; stabilisce le tre   funzioni psicologiche del conoscere, del volere, e dell'eseguire , dichiara l'esi stenza del me e degli altri corpi il cui carattere esclusivo è la pluralità di so stanze compresa in un sol concetto ; e dimostra che le sensazioni sono i segni reali e naturali cui in natura corrispon dono le cose e i modi di esseri reali che il sentire è diverso dall'intendere che stà nel percepire l'essere e il fare delle cose ; che il senso intimo è una facoltà occulta che unisce all'uno il moltiplice , al semplice il complesso , che perciò è suo ufficio il conformare gliatti psicologici che qualificano l'in tendere, il dettare un sentimento in ogni giudizio , l'attrarre ciò che è ana logo e respingere ciò che ripugna ; che laleggedell'umana intelligenzaè funzione in cui il senso dell'azione ri cevuta e quello della reazione corrispo sta concorrono a produrre la percezio ne dell'essere e del fare ideabile delle cose. Nulla,secondo lui,avvi d'innato o a priori riguardo alle idee che tutte  -  e > una   derivano dalla sensazione combinata col la reazione o dalla competenza dell'Io combinata con quella degli obbietti e sterni. Egli ripone il criterio del vero nel principio di contraddizione , consi dera la causa come un non so che rac chiudente il concetto d'una potenza pro duttrice di un atto o di un fatto ; ne ga le idee iunate pel principio che l'Io vedendo tutto in sè stesso non può di stinguere dall'acquisito ciò che vi si rattrova d'innato ; considera il valore della prova nella certezza , e nel dubbio , e conchiude che lo stato esterno e sensibile degli ele menti delle prove è fondamento univer sale e primitivo del loro impero. La morale, secondo lui, stànel propor zionare la natura de' mezzi secondo la speciale considerazione del fine. Il principio generale della sua morale è l'ordine della perfezione , cheper leg ge di fatto reagisce su quello della conservazione tanto coll'insegnare quan to col somministrareimezzi delmiglior  bilità , e nel dubbio nella proba >   Lallebasque (1) congiunge alla scienza del pensiere la filosofia naturale. Secondo (1) È comune opinione che sot to il nome di Lallebasque tenga celato quello del caraliere Pasquale Borrelli:  276 essere umano ; e che mira al benesse re all'utilità fisica o morale ed alla umana felicità che costituiscono l'uomo attuale e le leggi naturali per cui l'uo > mo , com 'essere perfettibile è tenuto a seguire l'ordine morale di natura. E gli distinse l'incivilimento dalla civil ne pose le basi nella natura nella religione, nell'agricoltura, nel governo, nella concorrenza ;ed il prin cipio nell'incivilimento sempre dativo. Una mente vasta, un ingegno acuto e profondo ed una dialettica rigorosa formano tutti i suoi pregi ; ma è in e qualche modo oscuro e confuso , né fu tanto innovatore quanto lo predica rono i suoi proseliti , e per l'empiri ) smo da lui professato , e per le diffi coltà della scienza, là; g  lui,lasensazioneèprimitiva, conti nuata, riprodotta ed aumentata; ed è lo stesso che l'idea , tranne che questa si adopera più di frequente a signifi care le funzionidell'intelletto. In quan to al giudizio , egli distingue quello di occupazione da quello di attenzione;e riduce ogni giudizio a quello di diver sità; considera il raziocinio come l'atto onde due idee producono un giudizio per via d'una terza. Riguardo alla vo lontà egli sostiene che il calcolo voli tivo e l'atto prelativo si risolvono in un giudizio di preferenza pel quale la volontà sisviluppa come un'azionecon cui l'animo eccita i nostri organi a pro cacciarci ciò che abbiam prescelto. In trattando della scienza etimologica,egli ripartisce le lingue in radicali e pro duttive; indaga l'origine delle parole e le loro cause,che sono l'imitazione,il bisogno , il comodo , l'arbitrio ; rico nosce due mezzi per trovare le lingue radicali : la ricerca de'popoli che han comunicato con quello per la cui lingua   han luogo le indagini etimologiche , e l'attignere dalla lingua derivata la noti zia di quelle che àn concorso a formarla. Un luogo stuolo di empiristi tenne dietro a questi tre pensatori. Gigli de finisce la filosofia la scienza di ciò che può conoscersi con esatte osservazioni e con esperienze bene istituite; Savioli è seguace di Locke e di Soave ; Troisi ri conosce ne'sensi gli strumenti delle po stre prime idee ; Mazzarella riconosce l'attività e la sensibilità come proprietà costitutive dell'essere semplice ;Bini dichiaratutte le idee provvenire all'ani ma col mezzo de'sensi ; Pezzi nega l'e sistenza delle appercezioni e delle idee astratte;Accordino fadipendere tutte le facoltà dell'anima dalla sensibilità, e riguarda l'uomo neiprimi momenti della sua esistenza come una tavola .rasa ove non è impresso alcun carattere ; Mara no distingue la percezione dall'idea e preferiscel'analisi;Abbà fadipendere le idee dal senso e dall'azione dell'ani ma ; Zelli afferma che l'uomo riceve le 278losofico sulla coscienza ; Testa afferma che il sentimento non può fallire al ve e che l'osservare la natura e fi - 279prime idee per mezzo de'nervi ; Alberii dichiara pescibile tutto che esce dalla sfera del mondo sensibile ; Passeri rico nosce l'influenza del fisico sulla rettitu dine delle nostre azionispirituali; San e chez niega alla ragione la conoscenza dell'assoluto e trae tutte le idee da' sensi ; Gatti dichiara esser la sensazione il risultamento di una conformazione spe ciale vivente; Bonfadiniriconosceilme todo induttivo come mezzo logico della verità, e spiega l'origine delle idee col ; , l'analisi e coll'astrazione ; Regulèas pre tende nell'anima altro non esservi che il sentire ; Bruschelli trae l'esistenza del mondo e di Dio dall'osservazione de' fatti che ne circondano ; Grones dichiara la metafisica la scienza delle cose astratte conoscibili per mezzo dell'osservazione costante edelleesperienzeaccurate;Piz zolato forma della filosofia una scienza fenomenical; Butlura poggia ilsapere ro, studiarne i fatti sono isoli mezzi sicu ri d'ammaestramento ; Bradi riduce la certezza alla diretta cognizione del m o do diesserespeciale degliobbietti;Fa. gnani fonda il suo sistema Glosofico sul dinamismoesullasensibilitàو;ا Bragazzi propone per facoltà d'apprendere l'os servazionede'fenomenidello spiritoeper criterio del vero la verificazione ; Costa sostiene la memoria e le altre facoltà a simiglianza della sensazione , ed ammette l'origine delle idee generali e normali dall'idea individuale ; Ferrari segue il principio dell'associabilità interna e Fel lettiquello dell'utile umanitario. L'Empirismo inItalia venne applicato alla pedagogia da lPasetti, dal Fontana, dal Tommaseo , e dal de Renzi, alla Storia da F. Rossi, alla estetica dal Cicognara,e dal Delfico;edallagenea logia delle scienze dal de Pamphilis, dal Rosselli e dal celebre medico Luigi Fer rarese che riunisce tutti i rami delle scien ze a quella dell'uomo , seguendo il prin cipio che in esse tutto èrelativoanoi. 28 f 1 1 e Gioia : Il nuovo Galateo ca Tavole Statistiche sofia ad uso delle scuole Logica Statisti Elementi di filo Ideologia Eser cizio logico - Nuovo prospetto delle scienze economiche – Del merito e delle ricompense Dell'ingiuria , de'danni , e del soddisfaci mento- Indole,estensione,evantaggidella Statistica Romagnosi:Che cosa è mente sana ? Indovinello massimo Della suprema economia dell'umano sapere Vedute fonda mentali sull'arte logica - Dell'insegnamento primitivo delle matematiche Assunto primo della scienza del dritto naturale Introduzio ne allo studio del Dritto Pubblico Universale Dell'indole e de'fattori dello incivilimento Biblicteca italiana. Vari articoli di filoso fia L'antica filosofia morale Genesi del Dritto Penale - Progetto del Codice e della Procedura Penale Lallebasquc: Introduzio De alla filosofia naturale del pensiero  la - - - cu mo Fa il - - - cato su! si dal per Ista OS ette mali Fel en -ia oi. Eila, alla 281 . ea dal Fer àa cipiidellaGenealogiadelpensiero— Borrelli: Gia Troisi: L'arte di ragionare-Istituzionimetafisiche- Mazzarel Intorno a'principii dell'arte etimologica gli : Analisi delle idee la: Corso d'Ideologia elementare Bini : Lezionilogico-metafisicomorali- Pezzi:Le zioni di filosofia della mente e del cuore , r i formata e dedotta dall'analisi dell'uomo Accordino:Elementi di filosofia Regole dell'arte logica Marano : Abbà:Elementa Lo Prin   282 . gices et Metaphysices - Zelli : Elementi di metafisica– Pungileoni:Dell'udito vista Alberic : Del nescibile Passeri : - e della Della natura umana socievole Sanchez : In fluenza delle passioni sullo scibile umano Gatti Principiid'ideologia- Bertolli:l. dee sulla filosofia delle scienze morali e poli tiche Germani:Dell'umana perfezione Scaramuzzi : Esame analitico della facoltà di sentire- Bonfadini:SullecategoriediKant Réguleas:Nuovo piano d'istruzione ideo logicaelementare- Bruschelli:Praelectiones elementares logico metaphisicae Buttura : La coscienza Logica Testa:Introduzio ne alla filosofia dell'affetto . Filosofia del l'affetto Bravi : Teorica e Pratica del Pro babile Fagnani:Storianaturale dellapo tepza umana - C Elementi dell'arte logica Baldini : Cenni sopra un nuovo corso di filo sofia elementare - Ramelli : Prospetto degli studii filosofici nelle scuole comunali Nessi: Schizzo intorno i principii di ogni filosofia De Ocheda : Filosofia degli antichi Grones : Ricerche metafisico matematiche sullalin guadelcalcolo— Pizzolato:Introduzioneal lo studio della filosofia dello spirito umano Savioli : Institutiones metaphysicae in Epitome redactae Zandonella:Elogiodi Bacone Costa : Del modo di comporrc le idee F e r rari:LamentediRomagnosi Felletti:In    torno,ad una nuova sintesi delle scienze Pasetti : Sull'educazione fisico morale F o n tana : Manuale per l'educazione umana Tommaseo : Scritti varii sull'educazione De'Renzi : Sull'indole de'ciechi Rossi : Studii Sto rici Cicognara : Ragionamenti su bello Delfico : Pensieri sulla storia e sulla incertezza ed inutilità della medesima N u o vericerchesulBello- DePamphilis:Geno grafia dello scibile considerato nella sua unità di utile e di fine Rossetti : Dello scibile e delsuoinsegnamento- Ferrarese:Saggiodi una nuova classificazione sopra le scienze del l'uomo fisico e morale Delle diverse spe cie di follte - Ricerche intorno all'origine dell'istinto Trattato della mònomania sui cidia— Esamedellostatomoraleedimputa bile de'solli monomoniaci.  Elementi di ito e dela - Paseri: Sanchez:In - - umano Bertolli: 1 orali epolis perfezione- a facoltà di oriediKant uzione Praelectiones - Buttura : -latroduzio ilosofia tiiadelPro e delap e logica- del ideo orso dinilo spetto del ali- Nessi filosofia – e sula oduzione al Grones : lin - ee umano - inEpitome Bacone elletti . For :lo S 3. Non ostante il gran numero di fautori che si procacciò l'Empirismo in Italia, pure siavvertì ilbisogno di spie gare la natura umana non dall'esperien za , ma dalla subbiettività dell'uomo ; epperò sorsero i Razionalisti a combat   284 , ilsecondo affermando l'assoluta necessità delle idee ionate , o deprincipiiapriori,ed ilterzoan nunziando esser la filosofia una scienza degli enti di ragione. Lusverli considera le facoltà come Colui il quale diede una forma siste  ! un potere di produrre qualche effetto, dipendente dalla forza spirituale;Defendiriconosce ne'sordo muti l'idea dell'ente in universale ; ed ilParma nelfondo diogniesistenzarat trova l'essere. Ceresa affermò essersi im battuti nel vero coloro i quali riposero il principio del conoscere nella pura sub biettività che è sola infinita, spontanea, positiva, e tale che l'uomo per suo m e z zo elabora la sua obbiettività. > o tere le tendenze empiriche ; ed aspira rodo a spiegare i problemi più difficili della filosofia; ma non si elevarono alle chimere ed alle astrazioni del Trascen dentalismo alemanno.IlMaggi,ilBian chetti , il Receveur , coltivarono il R a zionalismo pelsuo lato obbiettivo,il primo cercando un sommo archetipo lo gico e supremo , P   1aspira 1 dificili ronoale Trascen ilBian: tempo , di spazio , di iriposero 0 ilha etiro,il terzo an na scienza considera chetipolos afermando ionate, 0 prodare Jalla fora nesont ersale ;eld stenza rat essersi im pura possibilità dell'essere medesimo. Secon do lui , quest'idea è è innata, poiehè non proviene nè da'sensi , nè dal sentimento dell'Io , nè dalla riflessione; e da essa derivado tutte le idee acquisite diforma e di materia , di sostanza , Egli sipropone di ricondurre la filosofia dell'intelletto sulla giusta via, combattendo i sistemi che hanno perturbate lementi e disono rata la filosofia , e stabilire un criterio saldo e irremovibile alla verità ed alla certezza.IlRosminisegue ilprincipio che l'idea unica ed innata si è quella dell'Ente nell'universale. Egli preferi che riducesi a'due sce il suo metodo assiomi di non assumere nella spiegazio ne de'fattidellospiritoumano,nème no nè più di quel che è necessario a spiegarli.Egli parte dal principio che l'uomo pulla può pensare senza l'idea dell'Ente ; che quindi la qualità più g e perale delle cose è l'esistenza nella pura suk 7 spontana I suo mez 283 matica al Razionalismo si fu l'Abate A n tonio Rosmini-Serbati. Egli si di di essenza , di causa , rma siste  moto , e di estensione ; esso è il senti mento intellettuale , l'intelletto medesi mo. Ecco ipunti principali della sua teoria : l'anima ha due potenze origina li , l'intelletto che ha per obbietto es senzialelaforma elasensibilitàcheè esterna se ha per obbietto un corpo , interna se ha per obbietto l'Io ; la co scienza upisce la sensibilità all'intelletto con una sintesi primitiva , il cui effetto è la ragione scorgendo irapporti gene rali, ed è la facoltà di giudicare con giungendo l'attributo al subbietto la sensibilità esterna è tratta ad operare colla materia prima, e la ragione produce le percezioni intellettive; donde lafacoltà di generalizzare e la libertà all'indefi nito svolgimento delle facoltà dell'uomo. Egli distingue la sensazione dalla perce zione sensitiva , l'idea di una cosa dal giudizio sulla sua sussistenza>,laperce zione sensitiva dalla intellettiva , un atto dello spirito dall'avvertenza dell'atto. Finalmente dimostra che è impossibile che l'uomo percepisca una cosa diversa da sè;  I   che lo spirito comunica le sue proprie forze alle cose percepite ; che l'idea del l'essere è fonte e criterio del vero e genera la cognizione de'corpi, di noi; di Dio , ed anco la legge morale. Per tal modo l'idea dell'ente è,secondo lui, il primo principio inpato nella psicolo gia e nell'ontologia , il criterio del vero e del certo nella logica,ilprincipio su premo del bene e del dovere nella m o rale.  senti nedesi lasua Itoeso chee le quattro idee di spazio , di tempo , rigio io огро, lacr eleto to| gene CON Terce adal 0;he :cold acele 287 Non rimane che dirqualche cosa in torno al nostro concittadino Ottavio C o lecchi, seguace in qualche modo della filosofia di Kant. Il Colecchi pone di sostanza , e di causa efficiente , colle quali espone le leggi della ragione che egli dichiara comuni ad ogni»sistema fi losofico.Il principio del suo sistema è questo: l’io non potrebbe determinare la sua esistenza nel tempo senza una esi stenza interna, dal quale deriva che la cagione movente la sensibilità non può riponersi nello stesso me , cioè che il cel indef. uomo berce 7atto atto. eche   vario delle rappresentazioni nasce all'oc casione del di fuori che modifica il sen so;chelariunionedelvarionellospa e zio e nel tempo è opera della fantasia,  288 è e quindichel'unitàsinteticadell'oggetto nell'esperienza è un prodotto della fan tasia di accordo con l'intelligenza. Secondo lui , l'induzione fisica è diversa dall'in duzione matematica inquantocchè quella mena allo scetticismo e questa a cono scenze necessarie ed universali; se il rap porto tra le idee è neeessario, le idee e i termini di questo rapporto son tali anch'esse ; ogni nostra conoscenza in comincia da'sensi , e passa da questi al la intelligenza. Riguardo alle leggi della ragione egti sostiene che la ragione esi ge inogni esperienza come data la to talità delle parti dello spazio e degli arti colideltempo non confondendoquello che è con quello che appare, 2 1 / 1 1. lità delle parti del tutio dato nella di visione , la totalità delle condizioni nella catena delle cause e degli effetti, pro nunziando l'accordo delle due causalità la tota-  della natura e della libertà , il necessa rio nella serie de contingenti ed infine un ente assoluto , dotato di tutte le possibili realtà,Dio.Nellamorale,egli sostiene che il principio della propria felicità non può elevarsi alla dignità di legge morale , che le due idee del giu sto e dell'ingiusto sono originarie e non fattizie , e che le regole etiche , le qua-li dirigono l'uomo interno sopo essen zialmente diverse dalle giuridiche che dirigono l'uomo esterno.IlColecchi non è solamente seguace del Kant ; ma egli cerca armonizzare colla morale i pensa menti del Vico sulla filosofia e sulla le gislazione;anzi poichè le verità del Kantismo eran sepolte nella scienza ila lica , il Colecchi ba saputo raccogliere un seme da'principii di questa per pro durre novelli frutti e contribuire allo a vanzamento delle filosofiche discipline. Receveur:Institutionum philosophicarum ele menta Maggi : Critica sistematico-univer le e guida alla rigenerazione della filosofia. Bianchelti: Studii filosofici tuzioni logico metafisiche - Lusverli: Isti Defendi : Sul dolore estetico e sull'entusiasmo, ragionamen to- Parma:Supplimentisulsansimonismo Rosmini-Serbati: Saggio sulla felicità- Saggio sulla unità dell'educazione Opuscoli filosofici- Nuovosaggiosull'originedelleidee- Principii della scienza morale - Frammento di una storia dell'empietà pii e leggi generali di medicina e filosofia spe culativa- Colecchi:Quistionifilosofiche. Ceresa : Princi. Il sensualismo venne anco com battuto da taluni che ,seguendo l'esem pio della scuola Teologica Francese,si elevarono al misticismo e fondarono la scuola de'soprannaturalisti,chefecero prevalere la fede ed il sentimento sulla riflessione e sulla ragione. Primo fra questi , il Palmieri attacca di fronte l'em pirismo del secolo XVIII, mette in campo le idee ippate come impressioni permanenti e modifcazioni dello spirito , afferma che sonovi nello spirito delle idee e delle impressioni non avvertite  e  la teologia hanno lo stesso scopo , cercano un solo vero discutono gli stessi principii , esse non ponuo essere due scienze. Il Mastrofini si vapta autore di upa metafisica subli- . attualmente che la ragione per giudi care debbe seguire certe basi e regole impressenell'anima;erivendicando l'au torità de'libri sacri , confutando il Kan tismo e negando alla filosofia la facoltà di spiegare lo stato dell'uomo sostiene che tutti i suoi sistemi sono contraddi zionimanifeste,echeilsoloveroèil soprannaturalismo che è l'unico,enon contraddittorio , quando anche la ra gione non potesse sentirne chiaramente l'evidenza. Il Manzoni stimando incom piata la filosofia che anno gli uomini sul giusto e sull'ingiusto indipendente mente dalla Religione, e la distinzione tra la filosofa e la Religione come una imperfezione , si accosta al soprapoatu ralismo , sostenendo che la filosofia m o rale va congiunta alla teologia , che la ragione naturale è imperfetta , e che se la filosofia e .   (1) Il nome di Licinio Ventebranz è ana grammatico ed é celato in esso quello di Via cenzo Albertini  me incuiapplicalafilosofiaallateolo- gia; Ventenbranz (1)predicauna filoso fia eclettico - cristiana ; Perolari M a l mignati sostiene che la sola filosofia verissima è la morale cristiana. L 'Oli vieri ed il Pasio sostengono una morale dedotta dalla Rivelazione. Cesare Can tử dimostra che , dovendosi basare la giustizia positiva sull'assoluta, non po trà giammai mepare ad effetto questa sua condizione se non colla Religione positiva ; che l'umanità è regolata da Dio , che il linguaggio della parola fu dato da Dio all'uomo e con esso tutte le idee primitive di giustizia e di retti tudine morale. Parma pretende che o gni sistema filosofico debba dipartirsi da un dato primitivo anteriore alla di mostrazione , e che sola la filosofia re, ligiosa assume tutti gli elementi delm a terialismo , dell'idealismo e dello scet 2 292- 1   293 Riccardi fa consistere il difetto di o goi filosofia del vizio logico emorale di sostituire la parola natura alla Divinità ; e pretende la scienza essere essenzial mente religione , non potersi dar conto di alcuna cosa che risalendo a Dio , la filosofia non dover concludere contro i fatti della Rivelazione , la stessa fisica esser falsa se a questa è opposta. Il P. Ventura cerca identificare la filosofia alla Rivelazione. Secondo lui,la filoso fia 'sta tutta nel metodo , il fondamento della certezza è riposto nel senso comune, l'intelletto e la verità costituiscono un tut toiodissolvibile,l'uomo sirapporta aDio, la convenienza dell'ente coll'intelletto forma ad un tempo il sommo Vero ed il sommo Bene , l'uomo debbe conosce  ticismo , epperò , secondo lui , la teo logia è un ingrandimento dell'umana ragione , o la scienza dell'umanità illu strata da'più alti intelletti, > la filosofia non è che la reli e 2 gione , essa comprende la Teologia , 1'Etica la Logica e la Fisica e debbe re Dio mos   Vincenzo Gioberti (1) è il più recen te sostenitore del misticismo a'tempi n o stri. Egli cerca surrogare l'ontologia al ta psicologia , e il metodo sintetico al l'analitico; segue il dommatismo , cer cando dedurre ogni cosa con logica stret ta e severa ; unisce la filosofia alla teo logia , subordinando la prima alla secon da ; e distinguendo la parte razionale da quella che è superiore alla ragione, incomincia dal primo Ente,in relazione alla mente umana ; e , dopo aver pre septata una dottripa sommaria dell'asso luto si intrattiene a mostrarne lo svolgi mento in tutte le forme delle scienze umaneedivine.Secondolui,la  un tutte le sue parti decidere coll'auto rità generale. 9 > (1) Intorno al Gioberti e mestiere leggere la Nota del Mamiani SULĽ ONTOLOGIA E SUL METODO ed un articolo di G. Massari cuiètitolo:CONSIDERAZIONI SULL’INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELLA FILOSOFIA ? propo DI GIOBERTI (Progresso). V.   de e combinati con essa formapo tre realtà indipendenti dallo spirito , cioè una sostanza ed una causa prima moltiplicità di essenze e di sostanze , ed un atto col quale l'Ente si collega alle esistenze ; il nostro pensiero intuisce questa realtà con un atto semplice e simultaneo che precede ogni intuizione particolare , e per cui mezzo l'intellet to percepisce leproprietà essenziali del 1.Ente mercè la rivelazione ; l'Idea non può addivenire obbietto di riflessione senza la parola interna , quindi è neces sario l'intervento del linguaggio per ope ra della ragione ; vi è gran differenza fra l'intuizione e la riflessione , fra il. metodo ontologico e il metodo psicolo gico , e d'accanto alle facoltà che a p > > sizione : l'Ente crea le esistenze è la formola ideale che comprende tutte le nozioni dello spirito umano ; ogni suo membró esprime una realtà obbiettiva assoluta e necessaria nell'Ente , rela tiva e contingente delle esistenze; que sti due membri son legati dalla creazio una > e   non ha lasciato di cadere in molti gravi errori , specialmente quando egli  296 prendono l'intelligibile,avvidell'uomo un istinto che mira al sopra intelligibile senza poterlo giammai conoscere ;l'Ente si offre al nostro pensiero come lecido e tenebroso ; e da ciò sorge il legame e strettissimo tra la filosofia e la teologia tra’dogmi rivelatieirazionali.Egliap plica la sua formola ideale a molti blemi di logica , d'ideologia , e di m e tafisica ; prova la sua fecondità e lar ghezza in lei rattrovando la ragione e la fonte del sapere; imprende a de linearnelastoria attraversoleopinioni,le credenze, elerivoluzioni de'popoli,ed a mostrare che dessa abbraccia la ragione di tutti sistemi potevoli di filosofia.La sua filosofia offre a'nostri tempi il pri mo esempio di unametafisicaortodossa, ma arditaed originale;sicchèpuòdirsi aver egli tentato di mostrare i legami tra la filosofia e la rivelazione cattolica estimando il pro progresso 7 delle scienze spe rimentali e lo svolgimento dellaciviltà ma   attaccando il metodo psicologico, affer ma che esso fu la cagione del mate  297 e quando sostituisce al metodo a naliticoilsintetico.È principioricono ciuto da ogni sana mente che l'analisi di per sè sola non può menare allo sco primento della verità ; ma è falso che la sola sintesi si adatta a darci la no zione del vero. L'unico metodo è quel lo di conciliare l'analisi alla sintesi; pe rocchè vi sono delle idee che conoscia mo per mezzo della solaanalisi,edelle altre che conosciamo per mezzo della sola sintesi. E poi l'accagionare Rena to Cartesio di tutte le dottrine mate rialistedel secolo XVIII palesa una immoderata avversione al psicologismo che da alcuni si vuole esser l'ultimatuin > della filosofia, ma dal quale noi sti miamo doversi partire per giungere al l'ontologia,allaconoscenza delleleggi che reggono il mondo sensibile ed il mondo soprassensibile.Del resto ilGio berti evitando ed il Panteismo ed il " rialismo che nel secolo scorso ebbe lao go,   · rolar iMalmignati :Lezionifilosofiche- Par ma:SulleoperediGerbet Supplimentosul Sansimonismo- Cantù:NotiziadiG.D. Ro magnosi- Riccardi:Lapraticade'buonistudi ad uso della gioventù studiosa- Discorso alla gioventù sullo studiodellafilosofia- Ventura: De methodo philosophandi– Gioberti:Intro duzione allo studio della filosofia Errori fi losofici di Antonio Rosmini Teorica del so vrannaturale filosofia estetica Saggio sul bello e Principii di Del Primato Morale e civile Lettera sulle dottrine filosofi degli Italiani co-politiche dell'Abate de Lamenoais.  298 parallogismo nel dedurre con ragiona- menti a priori la scienza de'Gniti da quella dell'infinito, non fa altro che proclamare la verità della Rivelazione Cattolica. Palmieri : Analisi ragionata de'sistemi e de' fondamenti dell'ateismo e della incredulità Manzoni : Osservazioni sulla morale cattolica Mastrofini:Leusure Olivieri:La filoso fiamorale- Pasio:Elementaphilosophiaemo raliscumnotis- Ventebranz(Albertini):Di scorso critico intorno a'pregiudizii ed errori ed a'tanto disputati due metodi d'insegnare le scien zeastratte- Lo Spirito della Dialettica- Pe C C -  osserva che i sensualisti hanno preso una strada erronea occupandosi del la quistione sull'origine delle idee e mischiandola con quella sulla realtà dell'u mano sapere che essi non han conosciuto l'uomo che per le sole sensazioui trala sciando l'analisi dell'essere interno , che non hanno avanzato la scieoza,non potendovi essere scienza Glosofica senza la cognizione dell'uomo intelligente e m o rale; epperò caddero in errore coloro i quali lo annoverarono tra'sensualisti. Il suo metodo è di ricercare tutto che i filosofi italiani hanno scritto intor no ad esso  .1  ida e de ta scien emo 1 oried -A Pour tosul Ro studi ala ra : tro 2 cibi do, iïdi osofi civile che zione della scuola Scozzese.Oltre il Sebastia ni ed il Corradini , dobbiamo poverare S 5. Sonovi in Italia alcuni filosofi che si addano a coltivare l'eclettismo tra questi il Mamiani ed il Winspeare. Il Conte Terenzio Mamiani della Rovere, comparando , sceglien e fondendo i loro trattati , ecco l'ecletismo. Il principio che egli açco glie è di esaminare non soloi fenomeni sensibili, ma gliinterni, cioèifatti e  300 e rigettare tutte le idee non comprovate dall'esperienza come fatti esteroi , o incompiute per aver trascu rato una di queste serie ; e , secondo lui , le ultime conclusioni della filosofia razionale debbono combaciare con le o pinioni del senso comune , quindi pos sono tacciarsi di false quelle teorie che credono mostrare che il genere umano sia caduto in errore. Ora se tali sono i principii e tale è il metodo degli eclet tici e degli scozzesi , e se la scuola cui appartiene un Autore debbesi rilevare dal metodo edaiprincipii,possiamodire che l'Autoresiapprossimaall'eclettismo della scuola Scozzese. Veniamo ora al le sue principali opinioni. La filoso > venne dagli uomini cer cata ; m a questi hanno mancato di buon metodo non serbando proporzio  ni tra'diversi elementi che costituisco no lanatura;ne'filosofi italiani benme ditati e specialmente nel Galilei vi è il vero metodo sperimentale. Il Mamiani lo riduce ad un mezzo che ha > و per fia esiste , della coscienza materia  loscibile,perfineilvero elofacon sistere nelle cinque arti preparatoria inventiva , induttiva , dimostrativa , di stributiva. Egli pone il criterio di cer tezza nell'intuizione immediata , o m e glio nell'identificazione dell'oggetto con noi , distingue nella conoscenza l'atto di giudicare dall'oggetto giudicato ,e cer cando un legame tral'oggetto el'idea, lo colloca ove l'ente si converte col vero ed il conoscitore si identifica col co goito ; ammette l'intuizione immediata o l'atto di nostra mente il quale cono sce le proprie idee e le loro vicende voli attinenze , nonchè l'intuizione m e diata o l'atto di nostramente,ilquale per >  301 la certezza assoluta dell'intuizione immediata prova in un modo assoluto l'esistenza delle realtà estrinseche o i loro rapporti con lo spazio e col tem po ; fonda la certezza sulla duplice in tuizione sulsensointimoesulsenso > comune,nega che iprincipiiapodittici e gli assiomi siano atti a dimostrazione o aspiegazione,faderivarlacausa dalla' > SCO unde 1. Sofia che me èil ile to eria pos Bano di 001 clet cer cu Idee Cati dal dire 2 SIDO 080 LIO SCO   successione delle esistenze e ripone il criterio del vero nella conversione del fatto operata dalla intuizione creatrice la quale è un prodotto della nostra spontaneità e mette capo al senso comune.  302 L'ultimo che sia venuto in campo a sostenere l'eclettismo Scozzese è il Ba rone Winspeare che nello scorso anno ha pubblicato il primo volume de'suoi Sag gi di filosofia intellettuale. Dalla prefa zione ove egli fa manifesto il piano del lavoro si rileva che egli è parteggiano della scuola Scozzese,perochèladi fende dalle accuse promosse contro di essa , e sostiene che seguirla svolgendo la è il solo mezzo per far progredire la scienza filosofica. Il Barone Winspeare ha voluto ristaurare un sistema che egli stimava più atto a far progredire quelle verità necessarie al progresso dell'intelli genza ed allaosservanza della morale. Un simile tentativo gli apporta sommo ono re , perocchè lo à immaginato ed ese guito con molto studio e coscienza. Nul l'altro possiam dire intorno a lui poichè 1  و 303 è una rapida rassegna delle dottrine fi losofiche da'Greci infino al XVIII se. colo , non si può dedurre un sistema for molato ne'principii e delle sue con seguenze . - che dal solo primo volume dell'opera , - Corradini : Utilità della filosofia Prospet to delle Lezioni di filosofia razionale Seba stiani:NovumSystemaEthices- Mamiani: Del Rionovamento dell'antica filosofia in Italia Sei Lettere all'Abate Rosmini Dell'O n tologia e del metodo Lettere a P. S. Man . cini intorno alla filosofia del Dritto ed all'ori gine singolarmente delDritto di punire– Winspeare:Saggidifilosofiaintellettuale- Blanch: Articoli due sul Wiospeare nel Museo di Scieu ze e Lettere), Per dar compimento all'attuale filosofia italiana non rimane che esporre le opinioni di coloro che si diedero al- l'Empirismo -Razionalismo. Tamburini confutò Holbach , Condillac , e Kant ; ri l' pose l'obbligazione morale del bisogno  l'altra su’lim miti di essa.Riguardo alla prima,ab battendo lo .Scettismo egli prova es sere in noi reale la cognizione , esistere le facoltà intellettuali come cause delle  della perfezione che si appoggia all'uma na natura , al senso universale ed al l'ordine naturale, si oppose alle dot trine dell'amor proprio e dello interes combatté le opinioni di 'Condorcet sul progresso o meglio sull'umana per fettibilità da lui circoscritta al reale ,al possile , alla storia , e considerata non > come infinita,sibbenecomeprogressiva; stazionarla , e retrograda. 2 30% 1 se, per opera del Barone squale Galluppi che combattendo leop poste dottrine del Condillac e del Kant , ne viene salutato a buon diritto il fon datore ed ilsostenitore.Egliincomincia dal proponersi lo scioglimento di due importanti quistioni ,l'una sulla realtà dell'umana conoscenza Pa Gli sforzi del Tamburini prepararono la puova era della filosofia italiana , la quale sorse insieme coll’Empirismo-Ra zionalismo per opera 2   305 US idee , e lo spirito giungere al vero al lorchè dietro la testimonianza del senso intimo afferma ciò che è e piega ciò che non è. Ecco perchè il Galluppi appar tiene alla filosofia moderna , alla scuola psicologica di Cartesio. Nell'analisi dei fenomeni intellettuali egliammette le ve rità primitive di esperienza interna con tenenti principii a priori ed a posteriori riconosce il principio dell'oggettività della sensazione e della intuizione in mediata in quella;dimostrail passaggio dalla regione del pensiero a quella del l'esistenza per mezzo del punto di co municazione tra la conoscenza intellet tuale e la reale,pel quale egli ammette le idee universali, come leggi dello spi rito derivanti dalla sua soggettività , le quali formano i giudizii analitici e si risolvono in due ordini di conoscenze le une di esistenza e le altredi ragione, queste servendo di base alle verità de dotte, e quelle supponendo l'applica zione delle verità razionali a'dati del l'esperienza. Secondo lui,benchè tutti i    306 ) ! } giudiziipuri siecoidentici,pure lo spirito allarga la sfera delle sue conoscenze,ed il raziocinio ci istruisce,1.o perchè or dina e classifica le nostre conoscenze , 2.° perchè ci mena a conoscenze che 1 1 pon potremno avere senza di esso;per mezzo della causalità da una esistenza sperimentale ci eleviamo ad esistenze che tali non sono;lasensibilità è ester na ed interna ', questa percepisce il me e le sue modificazioni , quella ci rivela l'esistenza del fuor di me e delle sue modificazioni.Riguardo a’limitidelle no stre Conoscenze egli cerca determinarli dimostrando esserciignotel'essenzedelle cose , e la natura Divina , ed ignoto il modo onde le cause effettrici agiscono non che quello onde gli esseri produco no in sè o in altri quelle date modifi cazioni.Il sistema delle facoltà dello spirito introdotto dal Galluppi ha per iscopolaricercadelle facoltà elemen tari ; e queste sono la coscienza e la sensibilità che presentano allo spiri to gli obbietti , l'analisi che li sepa  la sintesi che li riunisce, il de siderio , e la volontà che mossa da que sto dirige le operazioni dell'analisi della sintesi. L'illustre filosofo di Tro pea professa le medesime teorie in tut ti i suoi scritti filosofici ; se non che degli elementi e nelle lezioni di fi losofia, poggiate sull'empirismo-razio dalismo , segue il metodo analitico pro cedendo dal noto all'ignoto. Egli divi de la logica in pura o scienza delle idee e mista o scienza di fatti seguendo il principio dell'identità progressiva ed istruttiva, considerando come ufficio del ragionamento il rapnodare e subordinare le nostre idee,dichiarando il sillogismo un'analisi del discorso,e stimando mol to importante l'entimema. Secondo lui, la religione naturale è l'insieme delle verità che si possono provare per mezzo della ragione,che ci svelano come dob biamo pensare di Dio,e de'suoi rapporti cogli esseri creati ; la ragione ne inse gnacheDioèeterno immutabile uno iqboito;lasua eternità,non ha  ra, e }   successione fisica , nè metafisica ; la re lazione fra Dio e le creature è quello di causalità cioè tutte le creature sono state create da Dio ;. l'esistenza di due principii eterni dell'universo è assurda; il male non ripugna alla bontà divina ; l'esistenza de'doveri ne vien manife stata dalla coscienza ed è una verità pri mitiva ; il dovere oon può defipirsi per e  ; chè è una nozione semplice , una zione soggettiva che deriva dalla natura umana ; le verità morali son necessarie ma sintetiche;ilprincipio deldovere è distinto da quello dell'utile che gli è subordinato ; la massima : si giusto è primitiva;il principio di beneficenza non basta a mostrarci i nostri doveri verso gli altri ; noi abbiamo de'doveri non solo verso gli altri;ma verso Dio e verso noi stessi , la filosofia ci m a n i festa l'immortalità dell'anima umana , il congiungimento della felicità colla virtù, verità che vengon dimostrate dal premio della virtùedellapenadelvizio, verità provate dalla naturale indistrutti 308 10 when 2   309 bilità dell'anima e dal desiderio costante negli uomini di un bene supremo , rità enunciate dalla ragione non solo ma anche dalla Rivelazione che è un'azione immediata di Dio sullo spirito umano con che Dio produce nello spirito le co noscenze che vuol produrre , e la cui possibilità deriva dalla semplice nozione dell'Oppipotenza. Egli riponendo la leg ge morale nella retta ragione che dirige la nostra volontà al nostro benessere seguendo il sistema del dovere indipen dente dall'utile, introducendo qualche cosa ! 1 d'innato nella morale , ed ammet tendo il dovere come un principio sin tetico a priori , si eleva dall'Empirismo psicologico ad un ragionevole Idealismo nella morale . Ecco le principali opinio ni professate dall'immortale Galluppi , cui va tanto debitrice l'attuale filosofia italiana de'suoi progressi , ed in cui non sappiamo se sia maggiore l'eleva tezza e l'acume d'ingegno o la forza e la potenza del ragionamento. Molti altri filosofi dietro l'esempio del ve   Galluppi pure si addissero all'Empiri smo-Razionalismo. Tedeschi la forza dell'anima come upica ed divisa , sostiene le idee assolute ed im mutabili , distingue le idee io riflesse o prodotte dall'astrazione,e spontanee o prodotte da uo intimo impulso che de mena dal sensibile all'intelligibile sino alla cognizione della sostanza. Zantede schi presenta un sistema di facoltà de dotto dal percepire dal sentire,e dal l'appetireintellettivo,sensuale,e ra zionale,considerando la logica come quellascienzachedirigela facoltàCO noscitiva a perfezionarsi , stabilisce il metodo induttivo sulla causalità e l'analogia ; la sua melafisica è la dot trina dell'Eote che s'accosta alla teoria del Vico e degli antichi italiani ; nella filosofia morale egli racchiude i prioci pii delle azioni , come la coscienza , la libera volontà , e la legge morale , e d ilprecettocomune:quod tibinon vis alio ne feceris. Mancino concepisce la filosofia-come scienza dello spiritouma considera in sul > /  311 S corpo ; la filosofia è la scienza dello spiri to umano in sè ed in tutte le sue relazioni;perconoscerel'apimaè me stiere l'analisi che scompone il partico lare per ridurlo a principii generali; la vila dell'anima stà nella cognizione-azio pe  no , e ne deduce uoa filosofia eclettica cioè equitativa e completa che accoglie il vero da per ogni dove; epperò divi de la filosofia insoggettiva cioèdirettaa disaminare le forze dell'iplendimento . ed oggettiva o diretta a disaminare gli obbiettidellaconoscenza;rionega l’Em pirismo ed il Razionalismo ; e conside ra le idee come prodotte dalle sensazio ni, dalla coscienza,e dall'attività dello spirito e Buldassarre Poli è uno de'più for ti propugnatori dell'Empirismo-Razio nalismo. Secondo lui , l'uomo consta di due elementi, apima che si riduce all'atto del giudizio o idea-volizione-coscienza;conoscere pon èchegiudicareegiudicarenonèche co Doscere,mailgiudicareèilmodo del co 2   312 noscere e il conoscere è l'effetto del giudi care, il giudizio non è una sintesi tra l'at tributo ed il subbietto perchè l'anima non ha forza sintetica potendo solo percepire e vedere,il giudizio ha le sue applica zioni come ilbello,ilbuono,ilvero,le sue perfezioni, che sono ilbuon senso,lo spirito , il gusto , l ' ingegno, il carattere l'istinto e le sue relazioni che sono i rapporti dell'anima coll'età col sesso , coll'indole , colla fisonomia , col clima, col vitto , col sodoo  colle malattie o colle altre circostanze; il giudizio è un tutto composto ed un effetto che non può sussistere senza parti componenti e senza facoltà generatrici,che sono due: volontà-intelletto ed intelletto-volontà fondate sul principio di simultanea in divisibilità;tuttele altre facoltà son modi empirici di queste due facoltàpri mitive che colle loro leggi sono attri buti dell'anima ; il giudizio e le rispet tive facoltà dell'intelletto e della volontà hanno per fattori supremi l'oggettivo ed il soggettivo messi tra loro in rap >   donde il commercio del fisico col morale nell'uomo ; la filosofia si Altri Empiristi-Razionalisti non happo pubblicate delle opere ; ma il loro si stema traspare da vari articoli di gior nali e ragionamenti disparati. Ricci è amante del metodo empiricospeculativo; porto , rannoda alla religione ed alla Teologia perocchè questi fattori dipendono da Dio ; la vita dell'anima eilgiudiziosono og gettilimitatiperfettibili;questo perfe zionamento è dato come legge di natu ra e come scopo all'anima ed alle sue facoltà , esso è riposto nel maggior a u mento ed equilibrio possibile delle fa coltà dell'anima congiunto al maggior grado possibile di scienza e di felicità, esso può ottenersi avendosi de'mezzi fa cili e corrispondenti che si riducono all'uso reiterato e frequente deglistessi atti o delle stesse funzioni; quindi l'uo mo perrendersiperfettoalmaggiorgra do deve operare e usareperquanto può delle proprie facoltà , secondo la loro natura e la loro destinazione.   Rivato limita il sapere filosofico 314  e e > cioè il pro filosofico , soste pendo che l'uomo dee tutto studiare e nel mondo esteruo e nello interno tutto riferire alla coscienza ; Riccobelli si accinge a combattere ilTrascendenta lismo di Kant sullo spazio e sul tempo ; Devincenzi pone per primo fondamento dell'Ecletismo la cognizione perfetta di tutte le filosofie e scegliere il vero da tutte; e per lui l'eclettismo è quella modesta filosofia che nulla sprezzando esamina tutte le dottrine e segue il vero ovunque il rinviene. Stefano Cusani so stiene che lo spirito umano ha due sole vie nella ricerca del vero , cedimentoempiricoedilrazionale,> che i principii assoluti sono anteriori nel loro stato fenomenale , ma contempora nei nella loro essenza alle idee necessa rie , che la tendenza filosofica del X I X secolo dev'esserel'Ontologia,echedo vrebbesi elevare una metafisica sul fon damento psicologico degli eclettici fran cesi e sul fondameuto ontologico dei filosofi alemanni.Molti altri recenti filo C Supplimenti al Manuale della Storia della filosofia di Tennemann Ricci:ArticolisulCousinismo (Antologia di Firenze)- Rivato . e sul + sofi han coltivate le scienze filosofiche pel lato d'un tal sistema ma i limiti di brevità che abbiamo imposti a poi stessi ci vietapo di noverarli. Tamburini : Introduzione allo studio della fi Josofia morale Elementa Juris Naturae Cenni sulla perfettibilità dell'umana famiglia Galluppi : Saggio sulla critica della conoscen za - Filosofia della volontà Lezioni diLo gica e Metafisica Elementi di Filosofia Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativamente a'principii delle umane conoscen ze da Cartesio insino a Kant Introduzione allostudiodellaFilosofia- Memoriasulsistema di Fichte o sul Razionalismo assoluto l'idealismo Trascendentale di Kant Tede : schi : Sulla filosofia Zantedeschi : Elementi di Psicologia empirica , di Logica e Metafisica, e di Filosofia morale Mancino · Elementi di filosofia – Poli : Saggio filosofico sopra la scuola de'mederni filosofi naturalisti Saggio di un corso di filosofia Primi ele menti di filosofia Intorno al vero e giusto spirito filosofico. Riassum317 to sempre,identico stesso nell'India, nella Grecia nel cadere del medio evo, nella filosofia moderna , e nel l'attuale filosofia. del Progresso. Gall è que gli che rappresenta eminentemente in Francia la filosofia empirica spingen dola sino al materialismo. Il raziona lismo ebbe pochi adetti, fra'quali la Baronessa de Stael ; il misticismo ebbe de’seguaci; ma quegli che più di tutti imprese a difenderlo si fu Lamennais. L'eclettismo comprende gliEcletticipro priamente detti o Cousinisti, gli eclet tici scozzesi , tra'quali Jouffroy, e i fi losofi Storici che muovono tutti dal Guizot; cosicchè tre sono i grandi campioni dell'ecletismo Cousin , Jouf ' In Francia la filosofia superando i limiti dell'ideologia e della psicologia empirica , a malgrado alcuni avanzi di sensualismo, ha cangiato la sua direzio ne ; ed ha dato luogo alle cinque scuo le degli Empiristi, de'Razionalisti,dei Mistici,degli Ecletici, e deFilosofi >   pro fondità dell'Alemagna , si presenta una lotta di varii sistemi.Qualche avanzo del sensualismo invalso nel secolo scorso as sume l'originalità italiana; ma l'Idea lismo ben presto gli fa guerra benchè numeri pochi seguai ; il misticismo non ha'che pochissimi coltivatori,e l'eclet tissimo scozzese comincia ad introdur sinelleopere de'Filosofi italiani; ma  froy e Guizot. Il sansimonismo inva se i dominii delle scienze morali e sociali ; ed a malgrado le sue stranezze attirò de'fautori, frà quali alcuni sco standosene alquanto fondarono la filoso fia del progresso continuo, che è addi venuta la filosofiapredominante in Fran cia ma che debbe esser posta in accor do colla Religione Cristiana. Il fonda tore del Sapsimonismo è Saint-Simon; e P. Leroux è quegli che lo ha tra mutato nella filosofia del progresso con tinuo. Nell'Italia , che è chiamata a tenere il giusto mezzo tra la eccessiva superfi cialità della Francia e l'eccessiva 9   l'empirismo-razionalismo combatte tutti questi sistemi e viene a fondarsi sulla ragione e sull'esperienza. Ogni sistema in Italia ha un grande ingegno che lo difende. Romagnosi segue ilsensualismo Rosmini l'idealismo , Gioberti il misti cismo , Mamiani l'eclettismo scozzese e Galluppi l'Empirismo-Razionalismo. Que sto sistema, proprio de’filosofiitaliani, che è l'ultima espressione dello svolgi mento della filosofia , debbe mirare ad una nuova formola più compiuta , e ten tare lo scioglimento de'più ardui pro blemi per mezzo dell'esperienza combi nata colla ragione ; esso abbisogna di un metodo e diun prịåcipio che spie ghi il commercio de sensi colle idee del mondo esterno col mondo interno ; ed al suo ampliamento contribuiscono non solo leversioni delle operestraniere,ma anche altri lavori filosofici degli italiani che preparano una restaurazione definiti va delle scienze filosofiche. Noi di que sto sistema abbiamo lodevolmente par lato al cominciamento del nostro lavoro; e facciam voti perchè tutti gli Italiani pensatori presenti ed avvenire di unani me consentimentosiraccolgadosottouna sola e medesima bandiera,sotto le inse goe dell'Empirismo-Razionalismo,ricono scendo per  loro capo e maestro l'immorta le filosofo di 'Tropea Pasquale Galluppi.Enrico Pessina. Pessina. Keywords: storiografia filosofica in Italia, la storia della filosofia roman, Galluppi, diritto private. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pessina” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690010515/in/photolist-2mPrdWj-2mKEPgR

 

Grice e Petrarca – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo. Grice: “There are a few studies on Petrarca and ‘filosofia’: “Petrarca platonico,” etc. – but his most important contribution is via implicatura, as when I deal with Blake or Shakespeare.” Considerato il precursore dell'umanesimo e uno dei fondamenti della letteratura italiana, soprattutto grazie alla sua opera più celebre, il “Canzoniere”, patrocinato quale modello di eccellenza stilistica da Bembo. Uomo moderno, slegato ormai dalla concezione della patria come mater e divenuto cittadino del mondo, Petrarca rilanciò, in ambito filosofico, l'agostinismo in contrapposizione alla scolastica e operò una rivalutazione storico-filologica dei classici latini. Fautore dunque di una ripresa degli studia humanitatis in senso antropocentrico (e non più in chiave assolutamente teocentrica), Petrarca (che ottenne la laurea poetica a Roma) spese l'intera sua vita nella riproposta culturale della poetica e filosofia antica e patristica attraverso l'imitazione dei classici, offrendo un'immagine di sé quale campione di virtù e della lotta contro i vizi. La storia medesima del Canzoniere, infatti, è più un percorso di riscatto dall'amore travolgente per Laura che una storia d'amore, e in quest'ottica si deve valutare anche l'opera latina del Secretum.  Le tematiche e la proposta culturale petrarchesca, oltre ad aver fondato il movimento culturale umanistico, diedero avvio al fenomeno del petrarchismo, teso ad imitare stilemi, lessico e generi poetici propri della produzione lirica volgare dell'aretino. Nacque da ser Petracco, notaio, ed Eletta Cangiani (o Canigiani), entrambi fiorentini. Il padre, originario di Incisa, appartene alla fazione dei guelfi bianchi e fu amico d’Alighieri, esiliato da Firenze per l'arrivo di Valois, apparentemente entrato nella città toscana quale paciere di Bonifacio VIII, ma in realtà inviato per sostenere i guelfi neri contro quelli bianchi. La sentenza emanata da Cante Gabrielli da Gubbio, podestà di Firenze, esilia tutti i guelfi bianchi, compreso il padre di Petrarca che, oltre all'oltraggio dell'esilio, e condannato al taglio della mano destra. A causa dell'esilio, trascorre l'infanzia in diversi luoghi della Toscana. Prima ad Arezzo, poi Incisa e Pisa, dove il padre era solito spostarsi per ragioni politico-economiche. A Pisa, il padre, che non perde la speranza di rientrare in patria, si e riunito ai guelfi bianchi e ai ghibellini per accogliere Arrigo VII. Secondo quanto affermato dallo stesso Petrarca nella Familiares, indirizzata a Boccaccio, a Pisa avvenne, probabilmente, il suo unico e fugace incontro con l'amico del padre, Alighier. La famiglia si trasfere a Carpentras, vicino Avignone, dove il padre ottenne incarichi presso la Corte pontificia grazie all'intercessione del cardinale Niccolò da Prato. Nel frattempo, il piccolo Francesco studiò a Carpentras sotto la guida del letterato Convenevole da Prato, amico del padre che verrà ricordato dal Petrarca con toni d'affetto nella Seniles. Alla scuola di Convenevole, presso la quale studiò, conobbe uno dei suoi più cari amici, Guido Sette, arcivescovo di Genova, al quale Petrarca indirizzò la Seniles. Anonimo, Laura e il Poeta, Arquà Petrarca (Padova). L'affresco fa parte di un ciclo pittorico realizzato nel corso del Cinquecento mentre era proprietario Pietro Paolo Valdezocco. Gli studi giuridici a Montpellier e a Bologna L'idillio di Carpentras durò fino ad allorché lui, il fratello Gherardo e l'amico Guido Sette furono inviati dalle rispettive famiglie a studiare diritto a Montpellier, città della Linguadoca, ricordata anch'essa come luogo pieno di pace e di gioia. Nonostante ciò, oltre al disinteresse e al fastidio provati nei confronti della giurisprudenza, il soggiorno a Montpellier fu funestato dal primo dei vari lutti che Petrarca dovette affrontare nel corso della sua vita: la morte della madre Eletta. Il figlio, ancora adolescente, compose il Breve pangerycum defuncte matris (poi rielaborato nell'epistola metrica), in cui vengono sottolineate le virtù della madre scomparsa, riassunte nella parola latina electa. Il padre, poco dopo la scomparsa della moglie, decise di cambiare sede per gli studi dei figli inviandoli nella ben più prestigiosa Bologna, anche questa volta accompagnati da Guido Sette e da un precettore che seguisse la vita quotidiana dei figli. In questi anni Petrarca, sempre più insofferente verso gli studi di diritto, si legò ai circoli letterari felsinei, divenendo studente e amico dei latinisti Giovanni del Virgilio e Bartolino Benincasa, coltivando così i primi studi letterari e iniziando quella bibliofilia che lo accompagnò per tutta la vita. Gli anni bolognesi, al contrario di quelli trascorsi in Provenza, non furono tranquilli: scoppiarono violenti tumulti in seno allo Studium in seguito alla decapitazione di uno studente, fatto che spinse Francesco, Gherardo e Guido a ritornare momentaneamente ad Avignone. I tre rientrarono a Bologna per riprendervi gli studi fino all’anno in cui Petrarca ritornò ad Avignone per «prendere a prestito una grossa somma di denaro, vale a dire 200 lire bolognesi spese presso il libraio bolognese Bonfigliolo Zambeccari. Ser Petracco morì, permettendo a Petrarca di lasciare finalmente la facoltà di diritto a Bologna e di dedicarsi agli studi classici che sempre più lo appassionavano. Per dedicarsi a tempo pieno a quest'occupazione doveva trovare una fonte di sostentamento che gli permettesse di ottenere un qualche guadagno remunerativo: lo trovò quale membro del seguito prima di Giacomo Colonna, arcivescovo di Lombez; poi del fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni, dal 1330. L'essere entrato a far parte della famiglia, tra le più influenti e potenti dell'aristocrazia romana, permise a Francesco di ottenere non soltanto quella sicurezza di cui aveva bisogno per iniziare i propri studi, ma anche di estendere le sue conoscenze in seno all'élite culturale e politica europea.  Difatti, in veste di rappresentante degli interessi dei Colonna, Petrarca compì un lungo viaggio nell'Europa del Nord, spinto dall'irrequieto e risorgente desiderio di conoscenza umana e culturale che contrassegnò l'intera sua agitata biografia: fu a Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia, Lione. Particolarmente importante fu allorché, nella città di Lombez, Petrarca conobbe Angelo Tosetti e il musico e cantore fiammingo Ludwig Van Kempen, il Socrate cui verrà dedicata la raccolta epistolare delle Familiares.  Poco dopo essere entrato a far parte del seguito del vescovo Giovanni, prese gli ordini sacri, divenendo canonico, col fine di ottenere i benefici connessi all'ente ecclesiastico di cui era investito. Nonostante la sua condizione di religioso (è attestato che dal  il Petrarca è nella condizione di chierico), ebbe comunque dei figli nati con donne ignote, figli tra cui spiccano per importanza, nella successiva vita del poeta, Giovanni e Francesca. L'incontro con Laura Secondo quanto afferma nel Secretum, Petrarca incontrò per la prima volta, nella chiesa di Santa Chiara ad Avignone, 7 (che cadde di lunedì. Pasqua Laura, la donna che sarà l'amore della sua vita e che sarà immortalata nel Canzoniere. La figura di Laura ha suscitato, da parte dei critici letterari, le opinioni più diverse: identificata da alcuni con una Laura de Noves coniugata de Sade (morta a causa della peste, come la stessa Laura petrarchesca), altri invece tendono a vedere in tale figura un senhal dietro cui nascondere la figura dell'alloro poetico (pianta che, per gioco etimologico, si associa al nome femminile), suprema ambizione del letterato Petrarca. La scoperta dei classici e la spiritualità patristica Come accennato prima, Petrarca manifestò già durante il soggiorno bolognese una spiccata sensibilità letteraria, professando una grandissima ammirazione per l'antichità classica. Oltre agli incontri con Giovanni del Virgilio e Cino da Pistoia, importante per la nascita della sensibilità letteraria del poeta fu il padre stesso, fervente ammiratore di Cicerone e della letteratura latina. Difatti ser Petracco, come racconta Petrarca nella Seniles donò al figlio un manoscritto contenente le opere di Virgilio e la Rethorica di Cicerone e un codice delle Etymologiae di Isidoro di Siviglia e uno contenente le lettere di san Paolo. In quello stesso anno, dimostrando la passione sempre crescente per la Patristica, il giovane Francesco comprò un codice del De Civitate Dei di Agostino d'Ippona e conobbe e cominciò a frequentare l'agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro, dotto monaco agostiniano e professore di teologia alla Sorbona. Dionigi regalò al giovane Petrarca un codice tascabile delle Confessiones, lettura che aumentò ancor di più la passione del Nostro per la spiritualità patristica agostiniana. Dopo la morte del padre e l'essere entrato a servizio dei Colonna, Petrarca si buttò a capofitto nella ricerca di nuovi classici, cominciando a visionare i codici della Biblioteca Apostolica (ove scoprì la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio) e, nel corso del viaggio nel Nord Europa, Petrarca scoprì e ricopiò il codice del Pro Archia poeta di Cicerone e dell'apocrifa “Ad equites romanos”, conservati nella Biblioteca Capitolare di Liegi. Oltre alla dimensione di explorator, comincia a sviluppare le basi per la nascita del metodo filologico moderno, basato sul metodo della collatio, sull'analisi delle varianti e quindi sulla tradizione manoscritta dei classici, depurandoli dagli errori dei monaci amanuensi con la loro emendatio oppure completando i passi mancanti per congettura). Sulla base di queste premesse metodologiche, lavora alla ricostruzione, da un lato, dell' “Ab Urbe condita” di Livio; dall'altro, della composizione del grande codice contenente le opere di Virgilio e che, per la sua attuale locazione, è chiamato Virgilio Ambrosiano. Da Roma a Valchiusa: l'Africa e il “De viris illustribus”; Marie Alexandre Valentin Sellier, “La farandola di Petrarca”, olio su tela, Sullo sfondo si può notare il Castello di Noves, nella località di Valchiusa, il luogo ameno in cui trascorse gran parte della sua vita fino all’anno in cui lasciò la Provenza per l'Italia. Mentre portava avanti questi progetti filologici, Petrarca cominciò a intrattenere con  Benedetto XII, un rapporto epistolare (Epistolae metricae) con cui esortava il nuovo pontefice a ritornare a Romae continuò il suo servizio presso il cardinale Giovanni Colonna, su concessione del quale poté intraprendere un viaggio a Roma, dietro richiesta di Giacomo Colonna che desiderava averlo con sé. Giuntovi nella Città Eterna Petrarca poté toccare con mano i monumenti e le antiche glorie dell'antica capitale dell'Impero Romano, rimanendone estasiato. Rientrato in Provenza, Petrarca comprò una casa a Valchiusa, appartata località sita nella valle della Sorgue nel tentativo di sfuggire all'attività frenetica avignonese, ambiente che lentamente cominciò a detestare in quanto simbolo della corruzione morale in cui era caduto il Papato. Valchiusa (che durante le assenze del giovane poeta era affidata al fattore Raymond Monet di Chermont) fu anche il luogo ove Petrarca poté concentrarsi nella sua attività letteraria e accogliere quel piccolo cenacolo di amici eletti (a cui si aggiunse il vescovo di Cavaillon, Philippe de Cabassolle) con cui trascorrere giornate all'insegna del dialogo colto e della spiritualità.  «Più o meno in quello stesso periodo, illustrando a Giacomo Colonna la vita condotta a Valchiusa nel primo anno della sua dimora lì, Petrarca delinea uno di quegli autoritratti manierati che diventeranno un luogo comune della sua corrispondenza: passeggiate campestri, amicizie scelte, letture intense, nessuna ambizione se non quella del quieto vivere. Fu in questo periodo appartato che, forte della sua esperienza filologico-letteraria, incominciò a stendere le due opere che sarebbero dovute diventare il simbolo della rinascenza classica: l'Africa e il De viris illustribus. La prima, opera in versi intesa a ricalcare le orme virgiliane, narra dell'impresa militare romana della seconda guerra punica, incentrata sulle figure di Scipione l'Africano, modello etico insuperabile della virtù civile della Repubblica romana. La seconda, invece, è un me Gli anni successivi all'incoronazione poetica, quelli compresi furono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita  daglione di 36 vite di uomini illustri improntata sul modello liviano e quello floriano. La scelta di comporre un'opera in versi e un'opera in prosa, ricalcanti i modelli sommi dell'antichità nei due rispettivi generi letterari e intesi a recuperare, oltre alla veste stilistica, anche quella spirituale degli antichi, diffusero presto il nome di Petrarca al di là dei confini provenzali, giungendo in Italia. L'alloro con cui Petrarca fu incoronato rivitalizzò il mito del poeta laureato, figura che diventerà un'istituzione pubblica in Paesi quali il Regno Unito.  Il nome di Petrarca quale uomo eccezionalmente colto e grande letterato fu diffuso grazie all'influenza della famiglia Colonna e dell'agostiniano Dionigi. Se i primi avevano influenza presso gli ambienti ecclesiastici e gli enti a essi collegati (quali le Università europee, tra le quali spiccava la Sorbona), padre Dionigi fece conoscere il nome dell'Aretino presso la corte del re di Napoli Roberto d'Angiò, presso il quale fu chiamato in virtù della sua erudizione. Approfittando della rete di conoscenze e di protettori di cui disponeva, pensò di ottenere un riconoscimento ufficiale per la sua attività letteraria innovatrice a favore dell'antichità, patrocinando così la sua incoronazione poetica. Difatti, nella Familiares, confide al padre agostiniano la sua speranza di ricevere l'aiuto del sovrano angioino per realizzare questo suo sogno, intessendone le lodi. La Sorbona fece sapere al Nostro l'offerta di una incoronazione poetica a Parigi; proposta che, nel pomeriggio dello stesso giorno, giunse analoga dal Senato di Roma. Su consiglio di Giovanni Colonna, Petrarca, che desiderava essere incoronato nell'antica capitale dell'Impero romano, accettò la seconda offerta, accogliendo poi l'invito di re Roberto di essere esaminato da lui stesso a Napoli prima di arrivare a Roma per ottenere la sospirata incoronazione.  Le fasi di preparazione per il fatidico incontro con il sovrano angioino durarono, Petrarca, accompagnato dal signore di Parma Azzo da Correggio, si mise in viaggio per Napoli col fine di ottenere l'approvazione del colto sovrano angioino. Giunto nella città partenopea a fine febbraio, fu esaminato per tre giorni da re Roberto che, dopo averne constatato la cultura e la preparazione poetica, acconsentì all'incoronazione a poeta in Campidoglio per mano del senatore Orso dell'Anguillara. Se conosciamo da un lato sia il contenuto del discorso di Petrarca (la Collatio laureationis), sia la certificazione dell'attestato di laurea da parte del Senato romano (il Privilegium lauree domini Francisci Petrarche, che gli conferiva anche l'autorità per insegnare e la cittadinanza romana), la data dell'incoronazione è incerta: tra quanto affermato da Petrarca e quanto poi testimoniato da Boccaccio, la cerimonia d'incoronazione avvenne in un arco temporale. In seguito all'incoronazione incominciò a comporre l'Africa e il De viris illustribus. Gli anni successivi all'incoronazione poetica furono contrassegnati da un perenne stato d'inquietudine morale, dovuta sia a eventi traumatici della vita privata, sia all'inesorabile disgusto verso la corruzione Avignonese. Subito dopo l'incoronazione poetica, mentre Petrarca sostava a Parma, seppe della prematura scomparsa dell'amico Giacomo Colonna (avvenuta nel settembre del 1341), notizia che lo turbò profondamente. Gl’anni successivi non recarono conforto al poeta laureato: da un lato le morti prima di Dionigi e, poi, di re Roberto ne accentuarono lo stato di sconforto; dall'altro, la scelta da parte del fratello Gherardo di abbandonare la vita mondana per diventare monaco nella Certosa di Montreaux, spinsero Petrarca a riflettere sulla caducità del mondo. Mentre soggiorna ad Avignone, conobbe il futuro tribuno Cola di Rienzo (giunto in Provenza quale ambasciatore del regime democratico instauratosi a Roma), col quale condivideva la necessità di ridare a Roma l'antico status di grandezza politica che, come capitale dell'antica Roma e sede del papato, le spettava di diritto. E nominato canonico del Capitolo della cattedrale di Parma, mentre e nominato arcidiacono. La caduta politica di Cola, favorita specialmente dalla famiglia Colonna, sarà la spinta decisiva da parte di Petrarca per abbandonare i suoi antichi protettori: fu infatti in quell'anno che lasciò, ufficialmente, l'entourage del cardinale Giovanni[63].  A fianco di queste esperienze private, il cammino dell'intellettuale Petrarca fu invece caratterizzato da una scoperta importantissima. Dopo essersi rifugiato a Verona in seguito all'assedio di Parma e la caduta in disgrazia dell'amico Azzo da Correggio, Petrarca scoprì nella biblioteca capitolare le epistole ciceroniane ad Brutum, ad Atticum e ad Quintum fratrem, fino ad allora sconosciute. L'importanza della scoperta consistette nel modello epistolografico che esse trasmettevano: i colloquia a distanza con gli amici, l'uso del tu al posto del voi proprio dell'epistolografia medievale ed, infine, lo stile fluido e ipotattico indussero l'Aretino a comporre anch'egli delle raccolte di lettere sul modello ciceroniano e senecano, determinando la nascita delle Familiares prima, e delle Seniles poi. A questo periodo di tempo risalgono anche i Rerum memorandarum libri (lasciati incompiuti), l'avvio del De otio religioso e del De vita solitaria che furono rimaneggiati negli anni successivi[64]. Sempre a Verona, Petrarca ebbe modo di conoscere Pietro Alighieri, figlio di Dante, con cui intrattenne rapporti cordiali. La vita, come suol dirsi, ci sfuggì dalle mani: le nostre speranze furon sepolte cogli amici nostri. Ci rese miseri e soli. Delle cose familiari, prefazione, A Socrate. Dopo essersi slegato dai Colonna, Petrarca cominciò a cercare nuovi patroni presso cui ottenere protezione. Pertanto, lasciata Avignone insieme al figlio Giovanni, giunse a Verona, località dove si era rifugiato l'amico Azzo da Correggio dopo essere stato scacciato dai suoi domini, per poi giungere a Parma nel mese di marzo, dove strinse legami con il nuovo signore della città, il signore di Milano Luchino Visconti. Fu, però, in questo periodo che iniziò a diffondersi per l'Europa la terribile peste nera, morbo che causa la morte di molti amici del Petrarca: i fiorentini Sennuccio del Bene, Bruno Casini  e Franceschino degli Albizzi; il cardinale Giovanni Colonna e il padre di lui, Stefano il Vecchio; e quella dell'amata Laura, di cui ebbe la notizia. Nonostante il dilagare del contagio e la prostrazione psicologica in cui cadde a causa della morte di molti suoi amici, Petrarca continuò le sue peregrinazioni, alla perenne ricerca di un protettore. Lo trovò in Jacopo II da Carrara, suo estimatore che lo nominò canonico del duomo di Padova. Il signore di Padova intese in tal modo trattenere in città il poeta il quale, oltre alla confortevole casa, in virtù del canonicato ottenne una rendita annua di 200 ducati d'oro, ma per alcuni anni Petrarca avrebbe utilizzato questa abitazione solo occasionalmente. Difatti, costantemente in preda al desiderio di viaggiare, fu a Mantova, a Ferrara e a Venezia, dove conobbe il doge Andrea Dandolo. Prende la decisione di recarsi a Roma per lucrare l'indulgenza dell'Anno giubilare. Durante il viaggio accondiscese alle richieste dei suoi ammiratori fiorentini e decise di incontrarsi con loro. L’occasione fu di fondamentale importanza non tanto per Petrarca, quanto per colui che diventerà il suo principale interlocutore durante gli ultimi vent'anni di vita, Giovanni Boccaccio. Il novelliere, sotto la sua guida, incominciò una lenta e progressiva conversione verso una mentalità ed un approccio più umanistico alla letteratura, collaborando spesso con il suo venerato praeceptor in progetti culturali di ampio respiro. Tra questi ricordiamo la riscoperta del greco antico e la scoperta di antichi codici classici. Petrarca risiedette prevalentemente a Padova, presso Francesco I da Carrara. Qui, oltre a portare avanti i progetti letterari delle Familiares e le opere spirituali ricevette anche la visita di Boccaccio in veste di ambasciatore del Comune fiorentino perché accettasse un posto di docente presso il nuovo Studium fiorentino. Poco dopo, e spinto a rientrare ad Avignone in seguito all'incontro con i Cardinali Eli de Talleyrand e Guy de Boulogne, latori della volontà di papa Clemente VI che intendeva affidargli l'incarico di segretario apostolico. Nonostante l'allettante offerta del pontefice, l'antico disprezzo verso Avignone e gli scontri con gli ambienti della corte pontificia (i medici del pontefice e, dopo la morte di Clemente, l'antipatia d’Innocenzo VI) gl’indussero a lasciare Avignone per Valchiusa, dove prese la decisione definitiva di stabilirsi in Italia. Targa commemorativa del soggiorno meneghino di Petrarca situata agli inizi di Via Lanzone a Milano, davanti alla basilica di Sant'Ambrogio. Petrarca iniziò il viaggio verso la patria italiana,  accogliendo l'ospitale offerta di Giovanni Visconti, arcivescovo e signore della città, di risiedere a Milano. Malgrado le critiche degli amici fiorentini (tra le quali si ricorda quella risentita del Boccaccio), che gli rimproveravano la scelta di essersi messo al servizio dell'acerrimo nemico di Firenze. Petrarca collaborò con missioni e ambascerie (a Parigi e a Venezia; l'incontro con l'imperatore Carlo IV a Mantova e a Praga) all'intraprendente politica viscontea.  Sulla scelta di risiedere a Milano piuttosto che nella natia Firenze, bisogna ricordare l'animo cosmopolita proprio del Petrarca. Cresciuto ramingo e lontano dalla sua patria, Petrarca non risente più dell'attaccamento medievale verso la propria patria d'origine, ma valuta gli inviti fattigli in base alle convenienze economiche e politiche. Meglio, infatti, avere la protezione un signore potente e ricco come Giovanni Visconti prima e, dopo la morte di lui, del successore Galeazzo II, che si rallegrerebbero di avere a corte un intellettuale celebre come Petrarca. Nonostante tale scelta discutibile agli occhi degli amici fiorentini, i rapporti tra il praeceptor e i suoi discipuli si ricucirono: la ripresa del rapporto epistolare tra Petrarca e Boccaccio prima, e la visita di quest'ultimo a Milano nella casa di Petrarca situata nei pressi di Sant'Ambrogio poi, sono le prove della concordia ristabilita.  Nonostante le incombenze diplomatiche, nel capoluogo lombardo matura e porta a compimento quel processo di maturazione intellettuale e spirituale iniziato pochi anni prima, passando dalla ricerca erudita e filologica alla produzione di una letteratura filosofica fondata da un lato sull'insoddisfazione per la cultura contemporanea, dall'altra sulla necessità di una produzione che potesse guidare l'umanità verso i principi etico-morali filtrati attraverso il neoplatonismo agostiniano e lo stoicismo cristianeggiante. Con questa convinzione interiore, Petrarca portò avanti gli scritti iniziati nel periodo della peste: il Secretum e il De otio religioso; la composizione di opere volte a fissare presso i posteri l'immagine di un uomo virtuoso i cui principi sono praticati anche nella vita quotidiana (le raccolte delle Familiares e, dal 1361, l'avviamento delle Seniles)le raccolte poetiche latine (Epistolae Metricae) e quelle volgari (i Triumphi e i Rerum Vulgarium Fragmenta, alias il Canzoniere). Durante il soggiorno meneghino Petrarca iniziò soltanto una nuova opera, il dialogo intitolato De remediis utriusque fortune (sui rimedi della cattiva e della buona sorte), in cui si affrontano problematiche morali concernenti il denaro, la politica, le relazioni sociali e tutto ciò che è legato al quotidiano. Per sfuggire alla peste, Petrarca abbandonò Milano  per Padova, città da cui  fugge per lo stesso motivo. Nonostante la fuga da Milano, i rapporti con Galeazzo II Visconti rimanono sempre molto buoni, tanto che trascorse tempo nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche. A Pavia seppellì il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia Francesca, nella chiesa di San Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici. Si recò a Venezia, città dove si trovava il caro amico Donato degli Albanzani[91] e dove la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri (sulla Riva degli Schiavoni) n cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Europa: si tratta della prima testimonianza di un progetto di bibliotheca publica. La casa veneziana fu molto amata dal poeta, che ne parla indirettamente nella Seniles, quando descrive, al destinatario Pietro da Bologna, le sue abitudini quotidiane. Vi risiedette stabilmente (tranne alcuni periodi a Pavia e Padova) e vi ospita Boccaccio e L. Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi, della figlia naturale Francesca (sposatasi con il milanese Francescuolo da Brossano), decise di affidare al copista Giovanni Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere. La tranquillità di quegli anni fu turbata dall'attacco maldestro e violento mosso alla cultura, all'opera e alla figura sua da quattro filosofi averroisti che lo accusarono di ignoranza.  L'episodio fu l'occasione per la stesura del trattato De sui ipsius et multorum ignorantia, in cui Petrarca difende la propria "ignoranza" in campo aristotelico a favore della filosofia neoplatonica-cristiana, più incentrata sui problemi della natura umana rispetto alla prima, intesa a indagare la natura sulla base dei dogmi del filosofo di Stagira. Amareggiato per l'indifferenza dei veneziani davanti alle accuse rivoltegli, Petrarca decise di abbandonare la città lagunare e annullare così la donazione della sua biblioteca alla Serenissima.  L'epilogo padovano e la morte.  La casa di Petrarca ad Arquà Petrarca, località sita sui colli Euganei nei pressi di Padova, dove l'ormai anziano poeta trascorse gli ultimi anni di vita. Della dimora Petrarca parla nella Seniles. Dopo alcuni brevi viaggi, accolse l'invito dell'amico ed estimatore Francesco I da Carrara di stabilirsi a Padova nella primavera.. È ancora visibile, in Via Dietro Duomo a Padova, la casa canonicale di Francesco Petrarca, che fu assegnata al poeta in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova donò poi una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere. Lo stato della casa, però, a abbastanza dissestato e ci vollero alcuni mesi prima che potesse avvenire il definitivo trasferimento nella nuova dimora. La vita dell'anziano Petrarca, che fu raggiunto dalla famiglia della figlia Francesca si alternò prevalentemente tra il soggiorno nella sua amata casa di Arquà e quella vicina al duomo di Padova,  allietato spesso dalle visite dei suoi vecchi amici ed estimatori, oltre a quelli nuovi conosciuti nella città veneta, tra cui si ricorda Lombardo della Seta, che daveva sostituito Giovanni Malpaghini quale copista e segretario del poeta laureato. Si mosse dal padovano soltanto una volta quando e a Venezia quale paciere per il trattato di pace tra i veneziani e Francesco da Carrara. Per il resto del tempo si dedicò alla revisione delle sue opere e, in special modo, del Canzoniere, attività che portò avanti fino agli ultimi giorni di vita. Colpito da una sincope, muore ad Arquà esattamente alla vigilia del suo settantesimo compleanno e, secondo la leggenda, mentre esaminava un testo di Virgilio, come auspicato in una lettera al Boccaccio. Il frate dell'Ordine degli Eremitani di sant'Agostino Bonaventura Badoer Peraga fu scelto per tenere l'orazione funebre in occasione dei funerali, che si svolsero il nella chiesa di Santa Maria Assunta alla presenza di Francesco da Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche. Per volontà testamentaria le spoglie di Petrarca furono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese, per poi essere collocate dal genero, nel 1380, in un'arca marmorea accanto alla chiesa. Le vicende dei resti del Petrarca, come quelli di Dante, non furono tranquille. La sua tomba espezzata all'angolo di mezzodì e vennero rapite alcune ossa del braccio destro. Autore del furto e Martinelli, un frate da Portogruaro, il quale, a quanto dice una pergamena dell'archivio comunale di Arquà, venne spedito in quel luogo dai fiorentini, con ordine di riportare seco qualche parte del suo scheletro. La veneta repubblica fa riattare l'urna, suggellando con arpioni le fenditure del marmo, e ponendovi lo stemma di Padova e l'epoca del misfatto. I resti trafugati non sono mai recuperati. La tomba, che versa in stato pessimo, venne sottoposta a restauro dato lo stato pessimo in cui il sepolcro versava. Il restauro però, a seguito di complicazioni burocratiche e di conflitti di competenza e questioni anche politiche, e addirittura processato con l'accusa di violata sepoltura. Avennero resi noti i risultati dell'analisi dei resti conservati nella sua tomba ad Arquà Petrarca. Il teschio presente, peraltro ridotto in frammenti, una volta ricostruito, è riconosciuto come femminile e quindi non pertinente a Petrarca. Un frammento di pochi grammi del cranio esaminato con il metodo del radiocarbonio, consente di accertare che il cranio ritrovato nel sepolcro e femminile. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella sua tomba è ancora un mistero, come un mistero è dove sia finito il suo cranio. Lo scheletro è  invece riconosciuto come autentico. Riporta alcune costole fratturate. Ferito da una cavalla con un calcio al costato. Nello studium, affresco murale, Reggia Carrarese, Sala dei Giganti, Padova. Fin dalla giovinezza, manifesta sempre un'insofferenza innata nei confronti della cultura a lui coeva. La sua passione per i classici latini liberate dalle interpretazioni allegoriche lo pone pongono come l'iniziatore dell'umanesimo italiano. In “De remediis utriusque fortune, ciò che interessa maggiormente a Petrarca è l'humanitas, cioè l'insieme delle qualità che danno fondamento ai valori più umani della vita, con un'ansia di meditazione e di ricerca tra erudita ed esistenziale intesa ad indagare l'anima in tutte le sue sfaccettature. Di conseguenza, pone al centro della sua riflessione intellettuale l'essere umano, spostando l'attenzione dall'assoluto teo-centrismo all'antropo-centrismo moderno.  Fondamentale nella sua filosofia è la riscoperta dei classici. Già conosciuti nel Medioevo, erano stati oggetto però di una rivisitazione in chiave cristiana, che non teneva quindi conto del contesto storico-culturale in cui le opere erano state scritte. Per esempio, la figura di Virgilio fu vista come quella di un mago/profeta, capace di adombrare, nell'Ecloga IV delle Bucoliche, la nascita di Cristo, anziché quella di Asinio Gallo, figlio del politico romano Asinio Pollione: un'ottica che Dante accolse pienamente nel Virgilio della Commedia. Petrarca, rispetto ai suoi contemporanei, rifiuta il travisamento dei classici operato fino a quel momento, ridando loro quella patina di storicità e di inquadramento culturale necessaria per stabilire con essi un colloquio costante, come fece nel libro delle Familiares. Scrivere a Cicerone o a Seneca, celebrandone l'opera o magari deplorandone con benevolenza mancanze e contraddizioni, era per lui un modo letterariamente tangibile (e per noi assai significativo simbolicamente) di mostrare quanto a loro dovesse, quanto li sentisse, appunto, idealmente suoi contemporanei. Oltre alle epistole, all'Africa e al De viris illustribus, opera tale riscoperta attraverso il metodo filologico da lui ideato  e la ricostruzione dell'opera liviana e la composizione del Virgilio ambrosiano. Altro aspetto da cui traspare questo innovativo approccio alle fonti e alle testimonianze storico-letterarie si avverte, anche, nell'ambito della numismatica, della quale Petrarca è ritenuto il precursore. Per quanto riguarda la prima opera, Petrarca decise di riunire le varie decadi (cioè i libri di cui l'opera è composta) allora conosciute in un unico codice, l'attuale codice Harleiano conservato ora al British Museum di Londra.  Il giovane Petrarca si dedicò a quest'opera di collazione per cinque anni, grazie ad un lavoro di ricerca e di enorme pazienza. Prende la terza decade, correggendola e integrandola ora con un manoscritto veronese del X secolo vergato dal dotto vescovo Raterio, ora con una lezione conservata nella Biblioteca Capitolare della Cattedrale di Chartres[120], il Parigino Latino acquistato dal vecchio canonico Landolfo Colonna, contenente anche la quarta decade. Quest'ultima fu poi corretta su di un codice risalente al secolo precedente e appartenuto al preumanista padovano Lovato Lovati. Infine, dopo aver raccolto anche la prima decade, Petrarca poté procedere a riunire gli sparsi lavori di recupero. Il Virgilio Ambrosiano L'impresa riguardante la costruzione del Virgilio ambrosiano è invece molto più complessa. Iniziato già quand'era in vita il padre Petracco, il lavoro di collazione portò alla nascita di un codice composto di 300 fogli manoscritti che conteneva l'omnia virgiliana (Bucoliche, Georgiche ed Eneide commentati dal grammatico Servio), al quale furono aggiunte quattro Odi di Orazio e l'Achilleide di Stazio. Le vicende di tale manoscritto sono assai travagliate. Sottrattogli dagli esecutori testamentari del padre, il Virgilio ambrosiano verrà recuperato solo quando Petrarca commissionò al celebre pittore Simone Martini una serie di miniature che lo abbellirono esteticamente. Alla morte del Petrarca il manoscritto finì nella biblioteca dei Carraresi a Padova, tuttavia, Gian Galeazzo Visconti conquistò Padova ed il codice fu inviato, insieme ad altri manoscritti del Petrarca, a Pavia, nella Biblioteca Visconteo-Sforzesca situata nel castello di Pavia. Galeazzo Maria Sforza ordinò al castellano di Pavia di prestare il manoscritto allo zio Alessandro signore di Pesaro, poi il Virgilio Ambrosiano tornò a Pavia. Luigi XII conquistò il Ducato di Milano e la biblioteca Visconteo-Sforzesca venne trasferita in Francia, dove ancora si conservano, nella Bibliothèque nationale de France, circa 400 manoscritti provenienti da Pavia. Tuttavia il Virgilio Ambrosiano fu sottratto al saccheggio francese da un certo Antonio di Pirro. Sappiamo che a fine Cinquecento si trovava a Roma, ed era di proprietà del cardinal Agostino Cusani, fu poi acquistato da Federico Borromeo per l'Ambrosiana. Il messaggio petrarchesco, nonostante la sua presa di posizione a favore della natura umana, non si dislega dalla dimensione religiosa: difatti, il legame con l'agostinismo e la tensione verso una sempre più ricercata perfezione morale sono chiavi costanti all'interno della sua produzione letteraria e filosofica. Rispetto, però, alla tradizione medievale, la religiosità petrarchesca è caratterizzata da tre nuove accezioni prima mai manifestate: la prima, il rapporto intimo tra l'anima e Dio, un rapporto basato sull'autocoscienza personale alla luce della verità divina. La seconda, la rivalutazione della tradizione morale e filosofica classica, vista in un rapporto di continuità con il cristianesimo e non più in chiave di contrasto o di mera subordinazione; infine, il rapporto "esclusivo" tra Petrarca e Dio, che rifiuta la concezione collettiva propria della Commedia dantesca. Comunanza tra valori classici e cristiani La lezione morale degli antichi è universale e valida per ogni epoca. L’umanita di Cicerone non è diversa da quella di Agostino, in quanto esprimono gli stessi valori, quali l'onestà, il rispetto, la fedeltà nell'amicizia e il culto della conoscenza. Sul legame degl’antichi è significativo il celebre passo della morte di Magone, fratello di Annibale che, nell'Africa  ormai morente, pronuncia un discorso sulla vanità delle cose umane e sul valore liberatorio della morte dalle fatiche terrene che in nessun modo si discosta dal pensiero cristiano, anche se tale discorso fu criticato da molti ambienti che ritenevano una scelta infelice porre in bocca ad un pagano un pensiero così Cristiano. Ecco un passo del lamento di Magone:   Edizione dell'Africa stampata a Venezia, nella stamperia di Aldo Manuzio. Nel particolare, l'Incipit del poema.  «Heu qualis fortunae terminus alte est! Quam laetis mens caeca bonis! furor ecce potentum / praecipiti gaudere loco; status iste procellis / subjacet innumeris, et finis ad alta levatis est ruere. Heu tremulum magnorum culmen honorum, Spesque hominum fallax, et inanis gloria fictis / illita blanditiis! Heu vita incerta labori dedita perpetuo, semperque heu certa, nec unquam Stat morti praevisa dies! Heu sortis iniquae natus homo in terris! O qual è il traguardo dell'alta sorte! Quanto l'anima è cieca davanti alle fauste imprese! Ecco la follia dei potenti, godere delle altezze vertiginose; questo stato è esposto ad infinite tempeste, ed è destinato a cadere chi si è innalzato a quelle vette. O tremante sommità dei grandi onori, fallace speranza degli uomini, vana gloria adornata da finti piaceri! O vita incerta, dedita ad una fatica incessante, come certo è il giorno di morte, né mai previsto abbastanza! O che sorte iniqua per l'uomo nato sulla terra!»  (Africa) L'agostinismo del Secretum e dell'Ascesa al Monte Ventoso  Vista del Mont Ventoux dalla località di Mirabel-aux-Baronnies. Infine, per il suo carattere fortemente personale, l'umanesimo cristiano petrarchesco trova nel pensiero di sant'Agostino il proprio modello etico-spirituale, contrario al sistema filosofico tolemaico-aristotelico allora imperante nella cultura teologica, visto come alieno dalla cura dell'anima umana. A tal proposito, il filosofo Giovanni Reale delinea lucidamente la posizione di Petrarca verso la cultura contemporanea:  «La diffusione dell'averroismo, col crescente interesse che suscitava per l'indagine naturalistica, sembra a Petrarca che distragga pericolosamente da quelle arti liberali, che sole possono dare la sapienza necessaria per conseguire la pace spirituale in questa vita e la beatitudine eterna nell'altra. La sapienza classica e cristiana, che Petrarca contrappone alla scienza averroistica, è quella fondata sulla meditazione interiore attraverso alla quale si chiarisce a sé stessa e si forma la personalità del singolo uomo. L'importanza che Agostino ebbe per l'uomo Petrarca è evidente in due celebri testi letterari del Nostro: il Secretum da un lato, in cui il vescovo d'Ippona interloquisce con lui spingendolo ad un'acuta quanto forte analisi interiore dei propri peccati; dall'altro, il celebre episodio dell'ascesa al Monte Ventoso, narrato nella Familiares, IV, 1, inviata seppur in modo fittizio a Dionigi da Borgo San Sepolcro. La forte vena morale che percorre tutte le opere petrarchesche volgare tende a trasmettere un messaggio di perfezione morale: il Secretum, il De remediis, le raccolte epistolari e lo stesso Canzoniere sono impregnati di questa tensione etica volta a risanare le deviazioni dell'anima attraverso la via della virtù. Tale applicazione etica negli scritti (l'oratio), però, deve corrispondere alla vita quotidiana  se l'umanista vuole trasmettere un'etica credibile ai destinatari. Prova di questo binomio essenziale è, per esempio, “Delle cosa familiar”, indirizzata a Cicerone. Esprime, in un tono di amarezza e di rabbia al contempo, la sua scelta di essersi allontanato dall'otium letterario di Tuscolo per addentrarsi nuovamente nell'agone politico dopo la morte di Cesare e schierarsi a fianco d’Ottaviano contro Marcantonio, tradendo così i principi etici esposti nei suoi trattati filosofici. Ma qual furore a danno di Antonio ti mosse? Risponderai per avventura l'amore alla repubblica, che dicevi caduta in fondo. Ma se codesta fede, se amore di libertà ti sprone come di sì grand'uomo stimare si converrebbe, ond'è che tanto fosti amico di Augusto? Io ti compiango, amico, e di sì grandi tuoi falli sento vergogna. Oh, quanto era meglio ad un filosofo tuo pari nel silenzio dei campi, pensoso, come tu dici, non della breve e caduca presente vita, ma della eterna, passar tranquilla vecchiezza. La declinazione dell'impegno morale nella vita attiva delinea la sua vocazione civile. Tale attributo, prima ancora di intendersi come impegno nella vita politica del tempo, dev'essere compreso nella sua declinazione prettamente sociale, quale suo impegno nell'aiutare gl'uomini contemporanei a migliorarsi costantemente attraverso il dialogo e il senso di carità nei confronti del prossimo. Oltre ai trattati morali si deve però anche registrare che cosa significa per lui nella sua stessa vita, l'impegno civile. Il servizio presso i potenti di turno (i Colonna, i Da Correggio, i Visconti e poi i Da Carrara) spinse i suoi amici ad avvertirlo della minaccia che tali regnanti avrebbero potuto costituire per la sua indipendenza intellettuale. Però, nella “Epistola ai posteri” ribadì la sua proclamata indipendenza dagli intrighi di corte. I più grandi monarchi dell'età mia m'ebbero in grazia, e fecero a gara per trarmi a loro, né so perché. Questo so che alcuni di loro parevan piuttosto essere favoriti della mia, che non favorirmi della loro dimestichezza: sì che dall'alto loro grado io molti vantaggi, ma nessun fastidio giammai ebbi ritratto. Tanto peraltro in me fu forte l'amore della mia libertà, che da chiunque di loro avesse nome di avversarla mi tenni studiosamente lontano. Nonostante l'intento autocelebrativo proprio dell'epistola, Petrarca rimarca il fatto che i potenti vollero averlo di fianco a sé per questioni di prestigio, facendo sì che il poeta finisse «per non identificarsi mai fino in fondo con le loro prese di posizioni». Il legame con le corti signorili, scelte per motivazioni economiche e di protezione, getta pertanto le basi per la figura del cortigiano. Se Alighier, costretto a vagare per le corti dell'Italia soffre sempre per la lontananza da Firenze, fonda, con la sua scelta di vita, il modello del cosmopolita, segnando così il tramonto dell'ideologia comunale fondamento della sensibilità d’Alighieri prima, e che in parte fu propria del contemporaneo Boccaccio. La sua caratteristica è l'otium, vale a dire il riposo. Parola latina indicante, in generale, il riposo dei patrizi romani dalle attività proprie del negotium, la riprende rivestendola però di un significato diverso: non più riposo assoluto, ma attività intellettuale nella tranquillità di un rifugio appartato, solitario ove potersi concentrare e portare, poi, agli uomini il messaggio morale nato da questo ritiro. Questo ritiro, come è esposto nei trattati ascetici del De vita solitaria e del De otio religioso, è vicino, per sensibilità del Petrarca, ai ritiri ascetico-spirituali dei Padri della Chiesa, dimostrando quindi come l'attività letteraria sia, nel contempo, fortemente intrisa di carica religiosa. Petrarca, con l'eccezione di due sole opere poetiche, i Triumphi e il Canzoniere, scrisse esclusivamente in latino, la lingua di quegli antichi romani di cui voleva riproporre la virtus nel mondo a lui contemporaneo. Egli credeva di raggiungere il successo con le opere in latino, ma di fatto la sua fama è legata alle opere in volgare. Al contrario di Dante, che aveva voluto affidare la sua memoria ai posteri con la Commedia, Petrarca decise di eternare il suo nome riallacciandosi ai grandi dell'antichità:  «Il Petrarca (a parte una letterina in volgare) scrive sempre in latino quando deve comunicare, anche privatamente, anche per le annotazioni ai margini dei libri. Questa scelta del latino come lingua esclusiva della prosa e della normale comunicazione scritta, inserendosi nel più ampio progetto culturale che ispira il Petrarca, si carica di valori ideali.»  (Guglielmino-Grosser182) Petrarca preferì usare il volgare nei momenti di pausa dall'elaborazione delle grandi opere latine. Difatti, come più volte definì le liriche che confluiranno nel Canzoniere, esse valgono quali nugae, cioè quale «elegante divertimento dello scrittore, a cui dedicò senza dubbio molte cure, ma a cui non avrebbe mai pensato di affidare quasi per intero la propria immortalità letteraria. Il suo volgare, al contrario di quello d’Aligheri, è caratterizzato però da un'accurata selezione di termini, cui il poeta continuò a lavorare, limando le sue poesie (da qui la limatio petrarchesca) per la definizione di una poesia «aristocratica», lemento che spingerà il critico letterario Gianfranco Contini a parlare di monolinguismo petrarchesco, in contrapposizione al pluristilismo dantesco. Dante e Petrarca Magnifying glass icon mgx2.svg IDalle considerazioni fatte, emerge chiaramente la profonda differenza esistente tra Petrarca e Dante: se il primo è un uomo che supera il teocentrismo medievale incentrato sulla Scolastica in nome del recupero agostiniano e dei classici "depurati" dall'interpretazione allegorica cristiana indebitamente appostavi dai commentatori medievali, Dante mostra invece di essere un uomo totalmente medievale. Oltre alle considerazioni filosofiche, i due uomini sono antitetici anche per la scelta linguistica cui legare la propria fama, per la concezione dell'amore, per l'attaccamento alla patria. Illuminante sul sentimento che Petrarca nutrì per l'Alighieri è la Familiares, XXI, 15, scritta in risposta all'amico Boccaccio, incredulo delle dicerie secondo cui lui odia Alighieri. Afferma che non può odiare qualcuno che conosce appena e che affronta con onore e sopportazione l'esilio. Prende le distanze dall'ideologia, esprimendo il timore di essere influenzato da un così grande esempio se avesse deciso di scrivere liriche in volgare, liriche che sono facilmente sottoposte allo storpiamento da parte del volgo. L“Africa” è un poema epico che tratta della seconda guerra punica e in particolare delle gesta di Scipione. Costituito da dodici egloghe, gli argomenti del “Bucolicum carmen” spaziano fra amore, politica e morale. Anche in questo caso, l'ascendenza virgiliana è evidente dal titolo, che richiama fortemente lo stile e gli argomenti delle Bucoliche. Attualmente, la lezione del Bucolicum petrarchesco è riportata dal codice Vaticano lat. Dedicate all'amico Barbato da Sulmona, le Epistolae metricae sono 66 lettere in esametri, di cui alcune trattano d'amore, mentre per la maggior parte si occupano di politica, morale o di materie letterarie. I Psalmi penitentiales ne accenna nella Seniles, X, 1 a Sagremor de Pommiers. Sono una raccolta di sette preghiere basate sul modello stilistico-linguistico dei salmi davidici della Bibbia, in cui chiede perdono per i suoi peccati e aspira al perdono della Misericordia divina. Il “De viris illustribus” è una raccolta di 36 biografie di uomini illustri dedicata a Francesco I da Carrara signore di Padova. Nell'intenzione originale dell'autore l'opera doveva trattare la vita di personaggi della storia di Roma da Romolo a Tito, ma arrivò solo fino a Nerone. In seguito Petrarca aggiunse personaggi di tutti i tempi, cominciando da Adamo e arrivando a Ercole. L'opera rimase incompiuta e fu continuata dall'amico e discepolo padovano di Petrarca, Lombardo della Seta, fino alla vita di Traiano. I Rerum memorandarum libri (Libri delle gesta memorabili) sono una raccolta di esempi storici e aneddoti a scopo d'educazione morale in prosa latina, basati sui Factorum et dictorum memorabilium libri dello scrittore latino Valerio Massimo. Iniziati in Provenza, furono continuati allorché Petrarca scoprì le orazioni ciceroniane a Verona, e ne fu indotto al progetto delle Familiares. Difatti, furono lasciati incompiuti dall'autore, che ne scrisse soltanto i primi 4 libri e alcuni frammenti del quinto libro. Il “De secreto conflictu curarum mearum” è una delle sue opere più celebri  e fu composta, anche se in seguito fu riveduta. Articolato come un dialogo tra lui stesso e un santo alla presenza di una donna muta che simboleggia la Verità, consiste in una sorta di esame di coscienza personale nel quale si affrontano temi intimi del poeta, da cui il titolo dell'opera. Come emerge però nel corso della trattazione, Francesco non si mostra mai del tutto contrito dei suoi peccati (l'accidia e l'amore carnale per Laura): al termine dell'esame egli non risulterà guarito o pentito, dando così forma a quell'irrequietezza d'animo che contraddistinse la sua vita. "La vita solitaria” è un trattato di carattere religioso e morale.  L'autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è strettamente religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale che favorisce la concentrazione è l'unica forma di solitudine e di distacco dal mondo che Petrarca riuscì a conseguire, non considerandola in contrasto con i valori spirituali cristiani, in quanto riteneva che la saggezza contenuta nei libri, soprattutto nei testi classici, fosse in perfetta sintonia con quelli. Da questa sua posizione è derivata l'espressione di "umanesimo cristiano" di Petrarca. Il “De otio religioso” è un'esaltazione della vita monastica, dedicata al fratello Gherardo. Simile al “De vita solitaria”, esalta però soprattutto la solitudine legata alle regole degli ordini religiosi, definita come la migliore condizione di vita possibile. Il “De remediis utriusque fortunae” è una raccolta di brevi dialoghi scritti in prosa latina. Basata sul modello del De remediis fortuitorum, trattato pseudo-senechiano composto nel Medioevo, l'opera è composta da 254 scambi di battute tra entità allegoriche: prima il "Gaudio" e la "Ragione", poi il "Dolore" e la "Ragione". Simile ai precedenti Rerum memorandarum libri, questi dialoghi hanno scopi educativi e moralistici, proponendosi di rafforzare l'individuo contro i colpi della fortuna sia buona che avversa. Il De remediis riporta anche una delle più esplicite condanne della cultura trecentensca da parte del Petrarca, vista come sciocca e superflua. Ut ad plenum auctorum constet integritas, quis scriptorum inscitie inertieque medebitur corrumpenti omnia miscentique? Cuius metu multa iam, ut auguror, a magnis operibus clara ingenia refrixerunt meritoque id patitur ignavissima etas hec, culine sollicita, literarum negligens et coquos examinans, non scriptores. Perché persista pienamente l'integrità degli scrittori antichi, chi tra i copisti guarirà ogni cosa dall'ignoranza, dall'inerzia, dalla rovina e dal caos? Per il timore di ciò si indebolirono, come prevedo, molti celebri ingegni dalle grandi opere, e quest'epoca indolentissima permette ciò, dedita alla culinaria, ignorante delle lettere e che valuta i cuochi, e non i copisti.  L’occasione per la sua “Invectivarum contra medicum quendam libri IV,” una serie di accuse nei confronti dei medici e la malattia che colpe Clemente VI. Nella Familiares, V, 19, gli consiglia di non fidarsi dei suoi archiatri, accusati di essere dei ciarlatani dalle idee contrastanti fra di loro. Davanti alle forti rimostranze dei medici pontifici nei confronti di Petrarca, questi scrisse quattro libri di accuse, una copia dei quali fu inviata poi al Boccaccio. Il “De sui ipsius et multorum ignorantia” e composta in seguito alle accuse di ignoranza che quattro lizij gli rivolgeno, in quanto alieno dalla terminologia e dalle questioni delle scienze naturali. In quest'apologia dell’umanismo risponde come lui e interessato alle scienze che interessassero il benessere dell'anima umana, e non alle discussioni tecniche e dogmatiche proprie del nominalismo. Invectiva contra cuiusdam anonimi Galli calumnia -- di carattere politico, e una nvettiva rivolta ad Hesdin, sostenitore della necessità che la sede del viscovo di Roma e Avignone. Per tutta risposta sostenne la necessità che il viscovo di Roma appartiene a Roma, sua sede diocesana e simbolo dell'antica gloria romana. Di grande importanza sono le epistole latine in prosa, in quanto contribuiscono a costruire l'immagine autobiografica idealizzata che offre di sé e quindi la sua eternizzazione. Basate sul modello di Cicerone, ricavato dalla scoperta delle “Epistulae ad Atticum” compiuta da lui a Verona, le lettere sono aggruppate in quattro raccolte epistolari: le Familiares (o Familiarum rerum libri o De rebus familiaribus libri), 350 epistole in 24 libri, dedicate a Socrate; le Seniles, 126 epistole in 17 libri, e dedicate a F. Nelli; le “Sine nominee” (cioè "senza nome del destinatario"), 19 epistole politiche in un libro; e le 76 epistole “Variae”. È rimasta intenzionalmente esclusa dalle raccolte l'epistola “Ai posteri”. Le lettere spaziano dagli anni bolognesi sino alla fine della sua vita e sono indirizzate a vari personaggi suoi contemporanei, ma, nel caso del XXIV libro delle Familiares, sono rivolte fittiziamente a personaggi dell'antichità. Sempre delle Familiares è celebre l'epistola incentrata sull'ascesa al Monte Ventoso. Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono / di quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono. Petrarca, Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono, prima quartina della lirica d'apertura del Canzoniere). Il “Canzoniere” è la storia poetica della sua vita interiore vicina, per introspezione e tematiche, al Secretum. La raccolta comprende 366 componimenti (365 più uno introduttivo. Voi ch'ascoltate in rime sparse il suono: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4 madrigali, divisi tra rime in vita e rime in morte di Laura, celebrata quale donna superiore, senza però raggiungere il livello della donna angelo della Beatrice d’Alighieri. Difatti, Laura invecchia, subisce il corso del tempo, e non è portatrice di alcun attributo divino nel senso teologico stilnovista-dantesco. Anzi, la storia del “Canzoniere,” più che la celebrazione di un amore, è il percorso di una progressiva conversione della sua anima. Si passa, infatti, dal giovanil errore (l'amore terreno) ricordato nel sonetto introduttivo Voi ch'ascoltate in rime sparse, alla canzone Vergine bella, che di sol vestita in cui affida la sua anima alla protezione di dio perché trovi finalmente pietà e riposo. L'opera, che gli richiese anni di continue rivisitazioni stilistiche -- da qui la cosiddetta limatio petrarchesca -- prima di trovare la forma definitiva sube ben varie fasi di redazioni. I "Trionfi" e un poemetto allegorico in volgare toscano, in terzine dantesche, compost a Milano -- è ambientato in una dimensione onirica e irreale (strettissimo, per scelta metrica e tematica, è il legame con la Comedia). Viene visitato d’Amore, che gli mostra tutti gl’uomini che cedeno alle passioni del cuore. Annoverato tra questi ultimi, Petrarca verrà poi liberato da Laura, simboleggiante la Pudicizia (Triumphus Pudicitie), che cadrà poi per mano della Morte (Triumphus Mortis). Petrarca scoprirà dalla stessa Laura, apparsagli in sogno, che ella si trova nella beatitudine celeste, e che egli stesso potrà contemplarla nella gloria divina soltanto dopo che la morte lo avrà liberato dal corpo caduco in cui si ritrova.  La Fama poi sconfigge la morte (Triumphus Fame) e celebra il proprio trionfo, accompagnata da Laura e da tutti i più celebri personaggi della storia antica e recente. Il moto rapido del sole suggerisce al poeta alcune riflessioni sulla vanità della fama terrena, cui fa seguito una vera e propria visione, nella quale al poeta appare il Tempo trionfante (Triumphus Temporis). Infine il poeta, sbigottito per la precedente visione, è confortato dal suo stesso cuore, che gli dice di confidare in Dio: gli appare allora l'ultima visione, un «mondo novo, in etate immobile ed eterna», un mondo al di fuori del tempo dove trionferanno i beati e dove un giorno Laura gli riapparirà, questa volta per sempre (Triumphus Eternitatis).  Già quand'era in vita fu riconosciuto immediatamente quale maestro e guida per tutti coloro che volevano intraprendere lo studio delle discipline umanistiche. Grazie ai suoi numerosi viaggi in tutta Italia, gettò il seme del suo messaggio presso i principali centri della Penisola, in particolar modo a Firenze. Qui, oltre ad aver conquistato alla causa dell'umanesimo Boccaccio (autore, tra l'altro, di un De vita et moribus domini Francisci Petracchi de Florentia), trasmise la sua passione a C. Salutati,  cancelliere della Repubblica di Firenze e vero trait d'union tra la generazione petrarchesco-boccacciana e quella attiva nella prima metà del XV secolo. Coluccio, infatti, fu il maestro di due dei principali umanisti del '400: Poggio Bracciolini, il più grande scopritore di codici latini del secolo ed esportatore dell'umanesimo a Roma; e Leonardo Bruni, il più notevole rappresentante dell'umanesimo civile insieme al maestro Salutati. Fu il Bruni a consolidare la fama di Petrarca, allorché redasse una Vita di Petrarca, seguita da quelle di Filippo Villani, Giannozzo Manetti, Sicco Polenton e Pier Paolo Vergerio. Oltre a Firenze, i soggiorni del poeta in Lombardia e a Venezia favorirono la nascita di movimenti culturali locali desti declinare i princìpi umanistici a seconda delle esigenze della classe politica locale: a Milano, dove operarono letterati del calibro di Pier Candido Decembrio e di Francesco Filelfo, nacque un umanesimo cortigiano destinato a diventare il prototipo per tutte le corti principesche italiane; a Venezia si diffuse, invece, un umanesimo educativo destinato a formare la nuova classe dirigente della Serenissima, grazie all'attività di Leonardo Giustinian e di Francesco Barbaro prima, e di Ermolao il Vecchio e dell'omonimo detto il Giovane poi. Pietro Bembo e il petrarchismo Magnifying glass icon mgx2.svgPietro Bembo e Petrarchismo. Se nel '400 Petrarca era visto soprattutto come capostipite della rinascita delle lettere antiche, grazie al letterato e cardinale veneziano Pietro Bembo divenne anche il modello del cosiddetto classicismo volgare, definendo una tendenza che si stava progressivamente già delineando nella lirica italiana. Difatti Bembo, nel dialogo Prose della volgar lingua, sostenne la necessità di prendere come modelli stilistici e linguistici Petrarca per la lirica, Boccaccio invece per la prosa, scartando Dante per il suo plurilinguismo che lo rendeva difficilmente accessibile: «Requisito necessario per la nobilitazione del volgare era dunque un totale rifiuto della popolarità. Ecco perché Bembo non accettava integralmente il modello della Commedia di Dante, di cui non apprezzava le discese verso il basso nelle quali noi moderni riconosciamo un accattivante mistilinguismo. Da questo punto di vista, il modello del Canzoniere di Petrarca non presentava difetti, per la sua assoluta selezione linguistico-lessicale.»  (Marazzini)  Gianfranco Contini, grande estimatore di Francesco Petrarca e suo commentatore. La proposta bembiana risultò, nelle diatribe relative alla questione della lingua, quella vincente. Già negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione delle Prose, si diffuse presso i circoli poetici italiani una passione per le tematiche e lo stile della poesia petrarchesca (stimolata anche dal commento al Canzoniere di Alessandro Vellutello), chiamata poi petrarchismo, favorita anche dalla diffusione dei petrarchini, cioè edizioni tascabili del Canzoniere. A fianco del petrarchismo, però, si sviluppò anche un movimento avverso alla canonizzazione poetica operata dal Bembo: prima nel corso del Cinquecento, allorché letterati come Francesco Berni e Pietro Aretino svilupparono polemicamente il fenomeno dell'antipetrarchismo; poi, nel corso del Seicento, la temperie barocca, ostile all'idea di classicismo in nome della libertà formale, declassò il valore dell'opera petrarchesca. Riabilitato parzialmente nel corso del Settecento da Ludovico Antonio Muratori, Petrarca ritornò pienamente in auge in seno alla temperie romantica, quando Ugo Foscolo prima e Francesco De Sanctis poi, nelle loro lezioni universitarie di letteratura tenute dal primo a Pavia, e dal secondo a Napoli e a Zurigo, furono in grado di operare un'analisi complessiva della produzione petrarchesca e ritrovarne l'originalità. Dopo gli studi compiuti da Giosuè Carducci e dagli altri membri della Scuola storica compiuti tra fine '800 e inizi '900, il secolo scorso vide, per l'area italiana, Gianfranco Contini e Giuseppe Billanovich tra i maggiori studiosi del Petrarca.  Petrarca e la scienza diplomatica Magnifying glass icon mgx2.svg Diplomatica. Benché la diplomatica, ovvero la scienza che studia i documenti prodotti da una cancelleria o da un notaio e le loro caratteristiche estrinseche ed intrinseche, sia nata consapevolmente con Jean Mabillon nel 1681, nella storia di tale disciplina sono stati individuati dei precursori che, inconsapevolmente, nella loro attività filologica, hanno analizzato e dichiarato l'autenticità o meno anche di documenti oggetto di studio da parte della diplomatica. Tra questi, infatti, vi furono molti umanisti e anche il loro precursore e fondatore, Francesco Petrarca. Nel 1361, infatti, l'imperatore Carlo IV chiese al celebre filologo di analizzare dei documenti imperiali in possesso di suo genero, Rodolfo IV d'Asburgo, che sarebbero stati stilati da Giulio Cesare e da Nerone a favore dell'Austria che dichiaravano tali terre indipendenti dall'Impero. Petrarca rispose con la Seniles in cui, evidenziando lo stile, gli errori storici e geografici e il tono (il tenore) della lettera (tra cui la mancanza della data topica e della data cronologica propria dei diplomi), negò la validità di questo diploma.  Onorificenze Laurea poeticanastrino per uniforme ordinario. Laurea poetica — Roma. A Petrarca è intitolato il cratere Petrarca su Mercurio. L'epistola, scritta in risposta a una missiva in cui l'amico Giovanni Boccaccio gli chiedeva se fosse vera l'invidia che Petrarca nutriva per Dante, contiene l'accenno all'incontro, in età giovanile, con il più maturo poeta: «E primieramente si noti com'io mai non ebbi ragione alcuna d'odiare cotal uomo, che solo una volta negli anni della mia fanciullezza mi venne veduto.»  (Delle cose familiari). La critica, se l'incontro sia da attribuirsi a Pisa o ad altre località, è divisa: Ariani e Ferroni, nota 6 propendono per la città toscana, mentre Rico-Marcozzi pensano a un incontro avvenuto a Genova  quando la famiglia di ser Petracco si stava dirigendo in Francia. Pacca4 opera un'interpretazione intermedia tra le due città, benché ritenga che sia più probabile Pisa come luogo effettivo dell'incontro. Dello stesso parere, infine, anche Dotti. Si legga il brano dell'epistola, in cui Petrarca ricorda il loro primo incontro e il piacevolissimo periodo trascorso nella località francese: «e noi fanciulli ancora impuberi partimmo in un cogli altri, ma fummo con speciale destinazione per imparare grammatica mandati a scuola a Carpentrasso, piccola città, ma di piccola provincia città capitale. Ricordi tu que' quattro anni? Quanta gioia, quanta sicurezza, qual pace in casa, qual libertà in pubblico, quale quiete, qual silenzio ne' campi!»  (Lettere Senili, X, 2, traduzione di G. Fracassetti)  Petrarca mostrò, nei confronti di tale scienza, sempre un'avversione innata, come è esposto nella Familiares, XX, 4, in cui il futuro autore del Canzoniere scrive a Marco Genovese che a Montpellier prima e a Bologna poi «ben altro in quegli anni fare io poteva o in se stesso più nobile o alla natura mia meglio conveniente: né sempre nella elezione dello stato quello ch'è più splendido, ma quello che a chi lo sceglie è più acconcio preferire si deve.»  (Delle cose familiari). Come però ricorda Wilkins, la scelta di Petrarca di entrare a far parte della Chiesa non fu soltanto dettata dalla cinica necessità di ottenere i proventi necessari per vivere. Nonostante non avesse mai avuto la vocazione per la cura delle anime, Petrarca ebbe sempre una profonda fede religiosa.  A sviluppare la tesi dell'identificazione di Laura con tale Laura de Sade è la stessa testimonianza di Petrarca nella Familiares, II, 9 a Giacomo Colonna, il quale cominciò a mostrarsi dubbioso sull'esistenza di questa donna (si veda Delle cose familiari, Più precisamente, nella Nota a379, Fracassetti fa riemergere la vita della presunta amata del Petrarca: «Da Odiberto e da Ermessenda di Noves nobile famiglia di Avignone nacque una fanciulla, cui fu dato il nome di Laura. Fa fatta per man di notaio la scritta nuziale fra Laura ed Ugo De Sade gentiluomo Avignonese. Due anni più tardi nella chiesa di S. Chiara di questa città, a quell'ora del giorno che chiamavano prima, il Petrarca giovane allora di poco più che ventidue anni la vide»   Si legga l'episodio di come fossero stati dati alle fiamme dei libri di Virgilio e Cicerone, cosa che suscitò il pianto nel giovane Petrarca. Al che il padre, vedendolo così affranto «d'una mano porgendo Virgilio, dall'altra i rettorici di Cicerone: "tieni, sorridendo mi disse, abbiti questo per ricrearti qualche rara volta la mente, e quest'altro a conforto e ad aiuto nello studio delle leggi".»  (Lettere Senili Il codice, dopo la morte di Petrarca passò nelle mani di Francesco Novello da Carrara, nuovo signore di Padova. Quando questa città verrà conquistata, agli inizi del '400, da Gian Galeazzo Visconti, anche il patrimonio bibliotecario petrarchesco passò nelle mani dei duchi milanesi, che lo conservarono nella loro biblioteca di Pavia. Fu poi sistemato nella Pinacoteca Ambrosiana, grazie all'intervento del suo fondatore, il cardinale Federigo Borromeo arcivescovo di Milano. Si veda: Cappelli. Da questo momento in avanti, Petrarca non esitò a chiamare Avignone la novella Babilonia di apocalittica memoria, come testimoniato dai celebri sonetti avignonesi facenti parte del Canzoniere. Oltre a motivazioni di carattere morale, ci fu anche la profonda delusione che suscitò la decisione di Benedetto XII di non recarsi a prendere possesso ufficialmente della sua sede vescovile e ristabilire così pace in Italia (Ariani). Petrarca scrisse, riguardo alla morte del vecchio amico e protettore, due lettere commoventi: la prima, al fratello di Giacomo, il cardinale Giovanni (Delle cose familiari; la seconda, all'amico A. Tosetti, soprannominato Lelius (Delle cose familiari, traduzione di G. Fracassetti). Nella Nota alla prima Fracassetti ricorda come Petrarca, nella Familiares, V, 7, avesse avuto, in sogno, il presagio della morte del Vescovo di Lombez venticinque giorni prima della sua effettiva scomparsa.  Cappelli55. Significativa la ricostruzione storico-letteraria compiuta da Amaturo,  ove si rievocano le figure di intellettuali che si legarono, tra XIII e XIV secolo, alla biblioteca capitolare veronese (Giovanni De Matociis, Dante e Pietro Alighieri, Benzo d'Alessandria, Vincenzo Bellovacense) e le rarità che essa conteneva (codici contenenti le lettere di Plinio il Giovane; parte dell'Ab Urbe condita liviana che Petrarca utilizzò per la ricostruzione filologica del codice Harleiano; le orazioni ciceroniane citate; il Liber catulliano).  Boccaccio esprimerà la sua indignatio nell'Epistola X  indirizzata a lui, ove, grazie alla tecnica retorica dello sdoppiamento e a topoi letterari, Boccaccio si lamenta col magister di come Silvano (il nome letterario usato nella cerchia petrarchesca per indicare il poeta laureato) avesse osato recarsi presso il tiranno Giovanni Visconti (identificato in Egonis):«Audivi, dilecte michi, quod in auribus meis mirabile est, solivagum Silvanum nostrum, transalpino Elicone relicto, Egonis antra subisse, et muneribus sumptis ex pastore castalio ligustinum devenisse subulcum, et secum pariter Danem peneiam et pierias carcerasse sorores». Inoltre, bisogna ricordare che la scelta di risiedere a Milano era anche uno schiaffo alla proposta delle autorità fiorentine di occupare un posto come docente nello Studium, occupazione che gli avrebbe concesso di rientrare in possesso dei beni paterni sequestrati. L'arcivescovo Giovanni II Visconti, difatti, proseguì la politica espansionistica dei suoi predecessori a danno delle altre potenze dell'Italia centro-settentrionale, tra le quali spiccava Firenze. Le ostilità tra Milano e Firenze perdureranno fino a metà '400, quando salì al potere come duca dello Stato lombardo Francesco Sforza, che intraprese una politica di alleanza con Firenze grazie all'amicizia personale che lo legava a Cosimo de' Medici.  Durante l'epidemia di peste milanese, morì il figlio Giovanni (Pacca), nato da una relazione extraconiugale. I rapporti con il figlio, al contrario di quanto avvenne con la secondogenita Francesca, furono assai burrascosi a causa della condotta ribelle di Giovanni (Dotti) accenna all'odio che Giovanni provava verso i libri, «quasi fossero serpenti»). Come ricordato nella Familiares. Si separa dal figlio Giovanni, che tornò ad Avignone in seguito a non precisati dissapori (Familiares); tre anni dopo sarebbe tornato a Milano.»  (Rico-Marcozzi)  Il ravennate Giovanni Malpaghini fu presentato  da Donato degli Albanzani a Petrarca che, rimasto colpito dalle sue qualità letterarie e dalla sua pronta intelligenza, lo prese al suo servizio quale copista. La collaborazione tra i due uomini, durata appunto si interruppe il 21 aprile di quell'anno, quando il Malpaghini decise di lasciare l'incarico presso l'Aretino. Per maggiori informazioni biografiche, si veda la biografia di Signorini.  Petrarca, nella Seniles informa il fratello Gherardo, tra le altre cose, anche della sua nuova dimora sui colli Euganei, dandone un quadro piacevole e ameno: «E per non dilungarmi di troppo della mia chiesa, qui fra i colli Euganei, non più lontano che dieci miglia da Padova mi fabbricai una piccola ma graziosa casina, cinta da un oliveto e da una vigna che dan quanto basta a una non numerosa e modesta famiglia. E qui, sebbene infermo del corpo, io vivo dell'animo pienamente tranquillo lungi dai tumulti, dai rumori, dalle cure, leggendo sempre e scrivendo. Lettere Senili.  La lettera non può essere considerata "reale", ma piuttosto una rielaborazione voluta dal Petrarca. Difatti, a quell'altezza, il giovane Petrarca non era ancora entrato in contatto con il padre agostiniano, e la scelta della data (corrispondente al Venerdì Santo) e del luogo (la salita al monte rievoca l'immagine della Passione di Gesù sul Calvario) rendono ancora più "mitica" l'ambientazione. Si veda, per quanto riguarda la ricostruzione filologica e cronologica dell'epistola, il saggio di Giuseppe Billanovich, Petrarca e il Ventoso, in Italia medioevale e umanistica,  9, Roma, Antenore,  Il ventiquattresimo libro delle Familiares è composto da lettere indirizzate a vari personaggi dell'antichità classica. Per Petrarca, infatti, gli antichi non sono lontani e irraggiungibili: la costante lettura delle loro opere fa sì che Cicerone, Orazio, Seneca, Virgilio vivano attraverso queste ultime, rendendo i rapporti tra Petrarca e i suoi ammirati scrittori classici vicini per la comunanza di sentimento.  L'Otium degli antichi romani non consisteva unicamente nel riposo dagli impegni quotidiani, indicati sotto il sostantivo di negotium. Per Cicerone, l'otium non era soltanto il riposo dalle attività forensi e politiche, ma soprattutto il ritiro nella propria intimità domestica col fine di dedicarsi alla letteratura (De officiis, III, 1). In questo caso, il modello petrarchesco è affine a quello stoicheggiante dell'oratore romano. Si veda il riassunto operato da Laidlaw,  42-52 che ripercorre la concezione all'interno della letteratura latina. Per Cicerone, nello specifico si vedano le pagine Laidlaw,  44-47.  Termine di origine catulliana, Petrarca lo prende in prestito per descrivere le liriche come "diversivo, passatempo". La questione delle nugae volgari e, più in generale, delle opere latine, è esposta nella Familiares (Delle cose familiari) Guglielmino-Grosser I  testi sono raccolti nel codice Vaticano Latino come ricordato da Santagata,  Bisogna ricordare che Il Canzoniere non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura: altre rime (dette extravagantes) andarono perdute o furono incluse in altri manoscritti (cfr. Ferroni).  L'inquietudine petrarchesca nasce, quindi, dal contrasto tra l'attrazione verso i beni terreni (tra cui l'amore per Laura) e l'aspirazione all'assoluto divino, propria della cultura medievale e della religione cristiana, come ricordato da Guglielmino-Grosser186.  Petrarca mantenne, nell'ambito della lirica volgare, quell'aristocraticismo stilistico-lessicale prima accennato, in cui si rifiutano molti usi lemmatici presenti nella tradizione poetica italiana e che Petrarca rifiuterà, accogliendone un preciso gruppo ristretto ed elitario. Come ricorda Marazzini, Si delinea una tendenza del linguaggio lirico al 'vago', inteso nel senso di una genericità antirealistica (al contrario di quanto accade nel corposo realismo della Commedia), testimoniato anche dalla polivalenza di certi termini, i quali, come l'aggettivo dolce, entrano in un numero molto grande di combinazioni diverse. Eppure la lingua di Petrarca, selezionata e ridotta nelle scelte lessicali, accoglie un buon numero di varianti canonizzando un polimorfismo...in cui si allineano la forma toscana, quella latineggiante, quella siciliana o provenzale...»   Di Benedetto170. Si ricorda anche che, seppur in forma minore, era presente nel mondo letterario italiano del '400 anche un'ammirazione verso il Petrarca volgare, come testimoniato dalle edizioni a stampa del Canzoniere e dei Trionfi uscite nel 1472 dalla bottega dei padovani Bartolomeo Valdezocco e Martino "de Septem Arboribus" (cfr. Ente Nazionale Francesco Petrarca, Culto petrarchesco a Padova.).Riferimenti bibliografici  la notte  Casa Petrarca Arezzo, Regione Toscana Wilkins Ariani21. Più specificamente Bettarini: «dopo essere stato accusato di aver falsificato un istrumento notarile, fu così condannato al pagamento di 1000 lire e al taglio della mano destra».  Dotti  Bettarini e Pacca Per informazioni biografiche, si veda la voce Pasquini.  Il ricordo di Petrarca al riguardo è riportato in Lettere Senili, Pasquini: «Quanto al Petrarca, il magistero di C[onvenevole] si colloca indubbiamente. La Casa del Petrarca, su arqua petrarca.com. Pacca Si legga il brano della Lettere Senili, Il brano è ricordato anche da Wilkins Ariani Wilkins Rico-Marcozzi. Si recò a studiare a Bologna, seguito da un maestro privato...»; e Wilkins in cui si ritiene che questo maestro avesse «l'incarico, almeno per Francesco e Gherardo, di fungere in loco parentis».  Ariani Ariani,  Wilkins, Dotti Bettarini.  Cappelli  Pacca Rico-Marcozzi; Ferroni Wilkins, Wilkins,  Rico-Marcozzi. Giacomo Colonna reclutò Petrarca per la sua corte vescovile di Lombez, in Guascogna: ne avrebbero fatto parte il cantore fiammingo Ludovico Santo di Beringen e l'uomo d'armi romano Lello di Pietro Stefano dei Tosetti, che Petrarca battezzò in seguito, rispettivamente, Socrate e Lelio.»   Ferroni Pacca Alinari:.., su alinariarchives La distinzione tra le due scuole di pensiero emerge in Ferroni,  Ariani ricorda che il primo sostenitore del filone allegorico-letterario fu il giovane Giovanni Boccaccio nel suo De vita et moribus domini Francisci Petrarche.  Ariani28. Dotti, specifica che questo san Paolo fu acquistato per procura a Roma e che il volume proveniva da Napoli.  Ariani35.  Per maggiori approfondimenti biografici, si veda la biografia di Moschella.  Moschella: «Suggello ideale dell'amicizia tra i due fu il dono, da parte di Dionigi, di una copia delle Confessiones di s. Agostino.  Billanovich Billanovich,  Wilkins  e Pacca  Wilkins; Wilkins Rico-Marcozzi. Nel frattempo aveva raggiunto Roma accolto da fra Giovanni Colonna al termine di un avventuroso viaggio, e dove nella sua prima lettera contemplando dal Campidoglio le rovine dell’Urbe, manifestò la meraviglia per la loro grandezza e maestosità, dando forma a quella riscoperta dell’antichità classica e al rimpianto per la sua decadenza che divennero i cardini etici, estetici e politici dell’Umanesimo. Pacca Dotti,  Dotti Mauro Sarnelli, Petrarca e gli uomini illustri, Treccani). Ariani Certo il privilegio toccava, del tutto straordinariamente, a un poeta che ancora non aveva pubblicato molto per meritarselo: ma la protezione dei potenti Colonna e la rete di estimatori che aveva saputo intessere per tempo sono evidentemente bastate a valorizzare al massimo le epistole metriche, la fama dell'Africa. e del De viris, le rime volgari già note...»  Dello stesso avviso anche Pacca74 e Santagata19.  Moschella. Dionigi fa ritorno in Italia; dopo un breve soggiorno a Firenze, giunse a Napoli (cfr. Petrarca, Familiares), dove l'aveva voluto il re Roberto d'Angiò, che per l'agostiniano nutriva una profonda stima, oltre a condividerne gli interessi per l'astrologia giudiziaria e per i classici latini.»   Wilkins34: «La conoscenza dell'antica tradizione e delle due o tre incoronazioni celebrate da singole città in tempi moderni, insieme all'aspirazione a diventare famoso, accese inevitabilmente in Petrarca il desiderio di ricevere a sua voglia quell'onore. Egli confidò dapprima il suo pensiero a Dionigi da Borgo San Sepolcro e a Giacomo Colonna, e ne venne a conoscenza anche qualche persona che aveva legami con l'Parigi.»   Si legga il brano della lettera dove inizia la decantazione delle lodi nei confronti del re napoletano: «E chi dico io, e lo dico con pieno convincimento, in Italia, anzi in Europa più grande di re Roberto Delle cose familiari, II, 4, traduzione di G. Fracassetti)  Wilkins; Rico-Marcozzi. Sulla base dei contraddittori racconti di Petrarca si dovrebbe dedurre che nello stesso giorno questi avesse ricevuto l’invito a cingere la corona sia dal Senato di Roma sia da Parigi e avesse chiesto consiglio al cardinal Colonna decidendo di scegliere Roma (IV 5, 6), per ricevere la laurea "sulle ceneri degli alti poeti che ivi dimorano".»  Difatti Petrarca riteneva che l'ultima incoronazione a Roma fosse stata quella di Stazio e che quindi, se vi fosse stato incoronato, sarebbe stato direttamente un successore degli antichi poeti classici da lui tanto amati (Pacca).  Cfr., ad esempio, Rico-Marcozzi; Wilkins,  Ariani, Pacca74.  Rico-Marcozzi. Sono le date fornite da Petrarca ([Familiares]), e la più probabile sembra essere la seconda; tuttavia Boccaccio situa l'evento il 17 e il documento ufficiale, il Privilegium laureationis, almeno in parte redatto dallo stesso Petrarca, reca la data. Lacultur, biografia di Francesco Petrarca, su lacultur.altervista.org.  Wilkins; Dotti. «In Avignone egli vedeva simbolicamente la corruzione della Chiesa di Cristo e l'intollerabile esilio di Pietro.»  Paravicini Bagliani.  Moschella.  Petrucci.  Wilkins,  Così Ariani, Wilkins sostiene invece che Cola sia giunto ad Avignone a Wilkins4 «Cola si intrattenne parecchi mesi e in quel periodo strinse amicizia con Petrarca. Cola era ancor giovane e poco noto; ma i due uomini avevano in comune un grande entusiasmo per la Roma antica e cristiana, una grande preoccupazione per lo stato presente della città e una grande speranza per la restaurazione dell'antica potenza e dell'antico splendore.»   Il Mondo di Petrarca Ariani,  il quale ricorda, a testimonianza della rottura coi Colonna, Bucolicum carmen, VIII, intitolato Divortium (cfr. Bucolicum carmen. Santagata16 ricorda inoltre come i legami tra Petrarca e il cardinale Giovanni non fossero mai stati buoni come con il fratello di lui Giacomo: «a differenza di Giacomo...il cardinale restò sempre il dominus. Rico-Marcozzi.  Pacca e Cappelli. Dotti, Wilkins, Ariani46.  Troncarelli.  Waley.  Pacca, Padova, sRico-Marcozzi: «Giacomo II da Carrara, signore di Padova, che  gli fece ottenere un ulteriore e ricco canonicato da 200 ducati d'oro l'anno e una casa nei pressi della cattedrale».  Ariani49.  Una prospettiva generale del rapporto tra Petrarca e Boccaccio è esposto in Rico,  Branca87.  Rico-Marcozzi: «Solo in autunno si trasferì ad Avignone, per scoprire (almeno secondo quanto affermato in Familiares) che gli si offriva la segreteria apostolica, già a suo tempo rifiutata, e un vescovado».  Ariani, Ferroni; D. Ferraro, Petrarca a Milano. Le ragioni di una scelta, Rinascimento; Firenze: Olschki, Viscónti, Galeazzo II, su treccani. Pacca, Amaturo. Ma è fuor di dubbio che tra il poeta e i suoi nuovi signori si istituiva come un patto di mutuo interesse: da un lato egli si avvantaggiava della posizione di prestigio che gli offriva l'amicizia dei Visconti; d'altro lato acconsentiva tacitamente a essere adoperato in missioni diplomatiche, non numerose invero, né discordanti con i suoi ideali civili. Ariani Cappelli La riflessione petrarchesca si indirizza sempre più ad hominem e ad vitam, all'uomo concreto nella sua circostanza concreta, si nutre di meditazione interiore, progetta un'opera capace di delineare una parabola esemplare in cui lo scrittore propone se stesso e la cultura di cui è portatore come modello capace di confrontarsi su tutti i terreni.»   Rico-Marcozzi: «il Secretum...composto in tre fasi successive. Ferroni Ariani Cappelli Wilkins Vicini Retore originario di Pratovecchio, Donato degli Albanzani fu intimo amico sia di Petrarca che di Boccaccio. Per quanto riguarda i rapporti con il primo si ricordano, oltre le missive indirizzategli dall'Aretino, anche alcune egloghe del Bucolicum Carmen, in cui è chiamato con il senhal di Appenninigena. Si veda la voce biografica Martellotti.  U. Dotti, Petrarca civile: alle origini dell'intellettuale moderno, Donzelli Editore, Wilkins,  espone dettagliatamente le trattative tra Petrarca e la Serenissima, citando anche il verbale del Maggior Consiglio con cui si procedette all'approvazione della proposta petrarchesca. Per ulteriori informazioni, si veda Gargan,  Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, Si ricordi la visita dell'amico Boccaccio, quando però Petrarca si era recato momentaneamente a Pavia su richiesta di Galeazzo II. Nonostante l'assenza dell'amico, Bocca ccio trovò una calorosa accoglienza da parte di Francescuolo e di Francesca, trascorrendo giorni piacevoli nella città lagunare (Cfr. Wilkins,  Rico-Marcozzi -- fece ritorno a Venezia dove fu raggiunto dalla figlia Francesca maritata al milanese Francescuolo da Brossano.»  Pacca,  Ma...bisogna dire che il vero valore del De ignorantia consiste nella vigorosa affermazione della filosofia morale sulla scienza naturale. Ed è questo il motivo della sua inferiorità rispetto a scrittori come Platone, Cicerone e Seneca; perché per Petrarca la cultura "è subordinata alla vita morale dell'uomo. Casa del Petrarca, Arquà.  Wilkins Ariani Wilkins, Billanovich. Petrarca designacon indicazioni esplicite anche per noi remoti quale loro custode un letterato padovano, Lombardo della Seta, mediocre per ingegno e per dottrina, ma cliente premuroso del maestro, di cui in una intima familiarità negli ultimi anni aveva lentamente conosciuto le abitudini e filialmente soddisfatto i desideri. Così...era promosso subito a buon segretario. Ariani  G. Baldi, M.  Razetti, G. Zaccaria, Dal testo alla storia, dalla storia al testo, Paravia Wilkins La tomba del Petrarca.  Canestrini e Dotti,  Millocca, Francesco, Leoni, Pier Carlo, in Dizionario biografico degli italiani,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Si veda Analisi Genetica dei resti scheletrici attribuiti a Petrarca.  Si veda inoltre Petrarcail poeta che perse la testain The Guardian sulla riesumazione dei resti di Petrarca.  Ricchissima la  al proposito: si ricordino i libri citati in, tra cui Cappelli, L'umanesimo italiano da Petrarca a Valla; i saggi curati da Giuseppe Billanovich (tra cui l'opera sua più importante, Billanovich, Petrarca letterato, uno dei maggiori studiosi del Petrarca; i libri di Pacca, Ariani e Wilkins.  Pacca e Cappelli,  Garin. Si veda il lungo articolo di Lamendola al riguardo, in cui si espone anche la chiave di lettura dei classici latini nel corso dell'età medioevale.  Dotti, Magdi A. M. Nassar, Numismatica e Petrarca: una nuova idea di collezionismo, Il collezionismo numismatico italiano. Una storica e illuminata tradizione. Un patrimonio culturale del nostro Paese., Milano, Numismatici Italiani Professionisti, Billanovich Per la datazione cronologica, cfr. Billanovich. Il Petrarca formò tra i venti e i venticinque anni il Livio Harleiano»; Le scoperte e i restauri degli Ab Urbe condita eseguiti dal Petrarca sul palcoscenico europeo di Avignone; Cappelli, Billanovich, Billanovich, Un riassunto veloce è esposto anche da Ariani63.  Cappelli42 e Ariani62.  Cappelli,  Albertini Ottolenghi,  Albertini Ottolenghi. Significativo il titolo del settimo capitolo di Ariani. Lo scavo introspettivo.  Ferroni10.  Ferroni,  Ferroni10 e Guglielmino-Grosser178.  Petrarca, Africa,  Cappelli  e Guglielmino-Grosser Dotti,: I versi vennero infatti riconosciuti bellissimi, ma tali da non convenirsi alla persona cui erano posti in bocca, in quanto degni piuttosto di un personaggio cristiano che di uno pagano.»   Santagata. Il gesto di fastidio con il quale si liberò quasi sùbito delle superfetazioni scolastiche ha il suo esatto corrispettivo nel rifiuto dell'imponente edificio logico e scientifico della filosofia Scolastica a favore di una ricerca morale orientata, con la guida determinante dell'agostinismo, verso il soggetto e l'interiorità della coscienza. Delle cose familiari, Guglielmino-Grosser, confrontando Dante, il quale non ha trasmesso ai posteri dati biografici della propria vita, e Petrarca, afferma che quest'ultimo «fornendoci una grande quantità di informazioni dettagliate sulla sua vita quotidiana, vere o false che siano, mira a trasmettere di sé un'immagine concreta».  Dotti, sulla base della Familiares delinea il senso del messaggio umanistico lanciato da Petrarca: «...parlare con il proprio animo non serve: bisogna affaticarsi ad ceterorum utilitatem quibuscum vivimus, per l'utilità di coloro con i quali viviamo in questa terrena società, ed è certo che con le nostre parole possiamo giovare: quorum animos nostris collucutionibus plurimum adiuvari posse non ambigitur (Familiares). Il colloquio umano è dunque lo strumento dell'autentico processo umanistico...Sua mercé si saldano e si congiungono gli spazi più lontani...I comuni principi morali, dunque, e l'indagine costante e irreversibile sono la molla di un processo che non può aver fine se non con la morte dell'umanità medesima, e il discorso, il colloquio e la cultura ne sono il filo conduttore.»   Viaggi nel TestoAutori della letteratura Italiana, su internetculturale. Si ricordino i celebri versi di Pd in cui l'avo Cacciaguida gli profetizza la durezza dell'esilio: Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale  Guglielmino-Grosser Guglielmino-Grosser Marazzini Santagata/ La riforma di Petrarca consiste nell'introdurre entro l'universo senza regole della rimeria coeva la disciplina, l'ordine, la pulizia formale, lo stesso aristocraticismo propri delle più compatte 'scuole' duecentesche. Luperini, Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di Petrarca secondo Gianfranco Contini.  Delle cose familiari, traduzione di G. Fracassetti, Pulsoni Giuseppe Pizzimentig Opera: Altichiero, San Giorgio battezza Servio re di Cirene; Si veda, per maggiori informazioni, Pacca,  Per maggior informazioni, si veda il saggio di Fenzi. Si veda il saggio di Dotti sulle Epistolae metricae.  Pacca,  Pacca,  Ferroni14.  Amaturo,  Cappelli Ferroni,  Pacca; Santagata; Amaturo,   Le epistolae retrodatate furono, secondo Santagata, probabilmente scritte ex novo perché fossero aderenti al progetto culturale-esistenziale idealizzato dal Petrarca.  Guglielmino-Grosser; Ferroni; Ariani; Dionisotti. Salutati e dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi.»  Dionisotti. Dopo lungo intervallo, Boccaccio compose in volgare una succinta vita di Alighieri cui fece seguire un'assai più succinta vita del Petrarca e un conclusivo paragone fra i due poeti. Cappelli,  Di Benedetto Si veda la voce enciclopedica curata da Praz e Di Benedetto Ariani Pacca, Petrarca e Bresslau,  Lettere Senili, traduzione di G. Fracassetti, M. Albertini Ottolenghi, Note sulla biblioteca dei Visconti e degli Sforza nel Castello di Pavia, in Bollettino della Società Pavese di Storia Patria,  Raffaele Amaturo, Petrarca, con due capitoli introduttivi al Trecento di Carlo Muscetta e Francesco Tateo” (Roma, Laterza); M. Ariani, Petrarca, Roma, Salerno), F. Bettarini, Petrarca, Francesco, in Dizionario biografico degli italiani,   Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Billanovich, Petrarca letterato. Lo scrittoio del Petrarca,  Roma, Storia e Letteratura,Giuseppe Billanovich, Gli inizi della fortuna di Francesco Petrarca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, G. Billanovich, Il Boccaccio, il Petrarca e le più antiche traduzioni in italiano delle Decadi di Tito Livio, in Giornale Storico della Letteratura Italiana,  Vittore Branca, Giovanni Boccaccio: profilo biografico, Firenze, Sansoni, H. Bresslau, Manuale di diplomatica per la Germania e per l'Italia, Annamaria Voci-Roth, Roma, Ministero per i Beni Culturali e Ambientali-Ufficio Centrale per i Beni Archivistici, Giovanni Canestrini, Le ossa di Francesco Petrarca: studio antropologico, Padova, Reale Stab. di Pietro Prosperini, Guido Cappelli, L'Umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma, Carocci); G. Contini, Letteratura italiana delle origini, Firenze, Sansonie, A. Benedetto, Un'introduzione al petrarchismo cinquecentesco, in Italica,  Carlo Dionisotti, Bruni, Leonardo, in U. Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Carlo Dionisotti, Salutati, Coluccio, in Umberto Bosco, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, U. Dotti, La formazione dell'umanesimo nel Petrarca (Le "Epistole metriche"), in Belfagor,  Firenze, Leo Olschki, U. Dotti, Vita del Petrarca, Roma-Bari, Laterza,  E.  Fenzi, Sull’ordine di tempi e vicende nel Bucolicum carmen di Petrarca, I generi della lettura, Firenze, Pensa Multimedia Editore, Giulio Ferroni, Andrea Cortellessa e Italo Pantani, L'alba dell'umanesimo: Petrarca e Boccaccio, in G.  Ferroni, Storia della letteratura italiana, Milano, Mondadori, Lucio Gargan, Gli umanisti e la biblioteca pubblica, in Guglielmo Cavallo, Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Roma-Bari, Laterza, Salvatore Guglielmino e Hermann Grosser, Dal Duecento al Cinquecento, in Il sistema letterario, Storia, Milano, Principato);  C.  Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico” (Bologna, Mulino); G. Martellotti, D. Albanzani, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Moschella, Dionigi da Borgo San Sepolcro, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, V. Pacca, Petrarca, Roma-Bari, Laterza, Agostino Paravicini Bagliani, Colonna, GIacomo, in Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Emilio Pasquini, Convenevole da Prato, in Dizionario Biografico degli Italiani,  28, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rime (Bari, Laterza); Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti, Firenze, Le Monnier, Francesco Petrarca, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti,  Firenze, Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti,  3, Firenze, Le Monnier, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro, Giuseppe Fracassetti,  Firenze, Monnier, Francesco Petrarca, Lettere: Delle cose familiari libri ventiquattro; Lettere varie libro unico, Giuseppe Fracassetti,  Firenze, Monnier, Lettere Senili, G. Fracassetti, Firenze, Le Monnier,  Lettere Senili, Giuseppe Fracassetti (Firenze, Monnier); Il Bucolicum carmen e i suoi commenti inediti, Antonio Avena, Padova, Società Cooperativa Tipografica, Francesco Petrarca, Africa, Léonce Pinguad, Parigi, Ernest Thorin,  E. Petrucci, Roberto d'Angio, in Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Praz, Petrarchismo, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, C. Pulsoni, Il Dante di Petrarca: Vaticano latino in Studi petrarcheschi, Padova, Antenore, F. Rico e L. Marcozzi, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,, Francisco Rico, La "conversione" del Boccaccio, in S. Luzzato e G. Pedullà, Atlante della letteratura italiana” (Torino, Einaudi); R. Sabbadini, Le scoperte dei codici latini” Firenze, Sansoni, M.Santagata, I frammenti dell'anima. Storia e racconto nel Canzoniere, Bologna, Mulino,  M.  Signorini, Malpaghini, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F. Troncarelli, Casini, Bruno, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, D. Waley, Colonna, Stefano, il Vecchio, in Dizionario biografico degli italiani Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E. Wilkins, Vita, Luca Carlo Rossi e Remo Ceserani (Milano, Feltrinelli); Donata Vicini, Musei civici di Pavia, Milano, Skira,  Petrarchismo; Pre-umanesimo Umanesimo Canzoniere Petrarchino; Biblioteca di Petrarca Incoronazione poetica Casa del Petrarca. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Petrarca, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Francesco Petrarca, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ente ufficiale per gli studi petrarcheschi in Italia, Boccaccio, Epistole e lettere, Biblioteca Italiana, F. Lamendola, Il culto di Virgilio nel medioevo, Centro Studi La Runa. Romano Luperini, Il plurilinguismo di Dante e il monolinguismo di Petrarca secondo G. Contini, V. Pacca. Catalogo dei Compositori e delle opere Musicali sulle rime di su Artemida. Le tre corone fiorentine della lingua italiana. Francesco Petrarca. Petrarca. Keywords: implicature, cicerone, I lizij, lucrezio, filosofia Latina, filosofia romana.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrarca.” Luigi Speranza, “Il dialogo filosofico – Platone, Cicerone, Petrarca e Grice.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690251670/in/photolist-2mPAuFE-2mPqp6k-2mNzeEc-2mLNkZK-2mLMfs3-2mPV6V9-2mKG3XG-2mPE3Bq-2mGnP2f-nbwQP3-nbwZwH

 

Grice e Petrone – il determinismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Limosano). Filosofo. Grice: “I like some phrases by Petrone: ‘il mondo del spirito,’ ‘idealista’, etc.’” Grice: “Some of his philosophese is totally untranslatable to Oxonian, such as ‘la nostra guerra’.”  Insegna a Modena e Napoli. Cerca di conciliare l'oggettivismo dei linzij con il soggettivismo critico. Dei Lincei. Collabora a “Cultura Sociale politica e letteraria”. In “Il Rinnovamento” si espresse criticamente sulla condenna del modernism da Pio X. Altre saggi: “Filosofia come analisi” (Pisa, Spoerri); “Psico-Genesi” (Roma, Balbi) – cfr. psico-genesi nella teoria della comunicazione di Grice --;  “I limiti del determinismo” (Modena, Vincenzi);  “Idee morali del tempo” (Napoli, Pierro); “Uno stato mercantile”;  “La premessa del comunismo” (Napoli, Tessitore); “Confessioni di un idealista” (Milano, Sandron); “Lo spirito” (Milano, Milanese); “A proposito della guerra nostra” (Napoli, Ricciardi); “Etica” (Palermo, Sandron)“Ascetica” (Palermo, Sandron); “La vita nova” (Cecchini, Roma, Storia e letteratura); “Filosofia politica”; “La terra nella economia capitalistica”; “Il latifondo siciliano”; “La legge aggraria”; “Il diritto al lume dell’idealismo critico”; “La conezione materialistica della storia” spirito”; “L’etica come intuizione” -- – contro Labriola --. “La storia interna” “Il valore della vita”, “L’inerzia della volonta”; “La’energia profonda dello spirito”; “La fase della filosofia del diritto”; “I caratteri differenziati del diritto” --  Cf. Tyrrell. (cf. A. M. G. – “Tyrrell and Tyrrell”). Avevamo già corretto le stampe di questo articolo, quando ci giunse l'ultimo numero del Rinnovamento di Milano (pieno di tutto fiele contro l'enciclica. Nella sostanza si accorda pienamente col programma dei modernisti, ma nella violenza della forma e nella irriverenza del linguaggio lo passa di molto; e trascende con  Petrone (L'Enciclica di Pio X) a stravolgimenti indegni dello spirito e del senso dell'enciclica. Ed ancora sullo stesso periodico. Ma peggio ancora spropositò su questo punto nel Rinnovamento mostrando di aver ben poco compreso e del modernismo e dell'enciclica che lo condanna. Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Igino Petrone. Petrone. Keywords: determinismo, l’eroe, Ennea, eroe stoico, l’eroe sannita, il sannio, la lega sannitica, spirito, inerza della volonta, due direzioni dell’inerzia della volonta, contro Gentile, contro Nietzsche, umano, non sovrumano, filosofia del diritto, lo spirito, liberta dello spirito, il limite della pscogenesi della morale, il principio dell’amore proprio, il principio della benevolenza, amore proprio conversazionale, benevolenza conversazionale, il sentiment morale, filosofia del diritto, communismo giuridico, la simplificazione di labriola, contro labriola, criticismo, idealism critico, meditazioni di un idealista, Gentile contro Petrone, Croce contro Petrone – l’identita sannia, psicologia del sannita, i romani contro i sannita, la prima guerra sannita, la seconda guerra sannita, la terza guerra sannitica – la repubblica romana, l’espansionismo dei romani nell’Italia, I romani contro I sanniti – bassorilievo dei sanniti, I liguri e I sannita, le popolazione italiche, economia e psicologia del Molise, il sannio, la complessita dello spirito della filosofia italiana. Il linguaggio sannita, il linguaggio umbro, il linguaggio osco – il linguaggio falisco, limosano, musanum, limosanum, un stato mercantile chiuse, Fichte contro Marx, Nietzsche, il valore della vita, il problema morale, la filosofia del diritto, diritto positivo, diritto naturale, la filosofia politica nel criticismo, azione, l’etica e l’ascetica, l’etica dell’eroe come azione, l’energia dello spirito contro l’inerza della volonta – l’inerza della volonta nell’elezione dei fini; l’inerza della volonta nell’elezione dei mezzi; il spirito contro la volonta, I limiti dei determinismo, l’indeterminismo dello spirito, la causa dello spirito, causa spirituale dell’agire umano, lo spirito umano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Petrone” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738846948/in/datetaken/

 

Grice e Pezzarossa -- eloquenza lombarda – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo. Grice: “He wrote a LOT! Including a study (or ‘ragionamento,’ as the Italians call it) on the spirit (spirito) of Italian philosophy, which reminded me of Warnock, the irishman, and his search for the soul of English philosophy!” -- Giuseppe Pezzarossa (o Pezza-Rossa – Grice: “In which case, he is in the “R”s”). Studia a Mantova. Insegna a Mantova. Co-involto nella repressione che porta al martirio di Belfiore. Di idee tendenzialmente liberali e  preoccupato sulle condizioni sociali disagiate create dalla sorgente rivoluzione industriale che pure ai suoi occhi rappresenta un'occasione di progresso.  La pubblicazione del suo saggio di filosofia gli procura guai con la Congregazione dell'Indice. Partecipa attivamente ai moti. Condanato al carcere. Pezza-Rossa e uno dei vente che partecipano alla prima riunione costitutiva del comitato rivoluzionario. Saggi: “Critica della filosofia morale” (Milano, Stamperia Reale); “Lo spirito della nazione italiana” (Mantova, Elmucci); “Saggi di filosofia” (Mantova, Caranenti). C. Cipolla, Belfiore I comitati insurrezionali del Lombardo-Veneto ed il loro processo a Mantova” (Milano, Angeli); R. Pavesi, Il confronto fra don Tazzoli e don Pezza-Rossa in una prospettiva filosofica, in Tazzoli e il socialismo Lombardo” (Milano, Angeli). La prova sull’esistenza esteriore. Confutazione dello scetticismo. Dante e la filosofia. Lo spirito della filosofia italiana. Sistema di psicologia empirica. Il fondamento, il processo e il sistema della umana esistenza. Il sistema politico e sociale della nazione italiana; il sucidio, il sacrifizio della vita e il duello, supra il suicidio, la grammatica ideologica, ossia le leggi comuni di ogni parlare dedotte da quelle del pensare, Milano, la Facolta inventrice. I romani vinti dai longobarrdi conservano la proppia legge. La filosofia dell’esperienza. Il metodo sperimentale. LoSpiritodellafilosofiaitaliana. Ragiona mento. Mantova. L'Autore non pretende io questo Ragionamento a novità di principii, nè a confutazione di scuole,ma 80 lo vien cercando le varie fasi della italiana filosofia e lo spirito,che lacondusse al grande rinnovamento opera tosi nel secolo di Galileo. Da Pitagora a Leone X , durante la fortuna ro mana,nelletenebredellabarbarie,esotto ilgiogo della scolastica,gliparvediscontrare,quando più,quando meno , sempre conosciute e conservate le tracce del metodo vero e positivo, ed intorno a questo espone le proprie impressioni, cosìsemplicemente come le eb. be a sentire.  dome che di. mostra la modestia dei padri nostri , i quali, non del Pezza-Rossa,Prof. Giuseppe. Parlando dell'antichità della filosofia italiana, osser vacome l'Italiafosselaprima,che diedeaquesta scien za un sistema, e le impose un nome : acume e   vero conoscitori,ma piuttosto amici del vero s'inti tolarono. Le basiprincipalidelloro metodo consistevanonel. l'esperienza e nella osservazione.-- Fecero quindi un altro passo onde meglio procedere nella investigazione delle verità , e fu quello di riconoscere l'ufficio, che la ragione esercita sopra i fatti, sì nel mondo esterio re che nell'interiore, sendochè, non al senso, ma alla sola ragione è dato il giudicare. Di questo modo l'an tica nostra filosofia seppe dare ai sensi , si sentimen ti ed alla ragione ciò che loro competeva , e impedi che i primi si levassero al di sopra della seconda, e questa rifiutasse l'autorità e la potenza di quelli  280 . . Così dei secoli anteriori al dominio romano ; ma la prevalenza delle scuole straniere non tardò molto a comprimere la scuola nazionale, e la sopravveguente barbarie la fece quasi dimenticare, sebbene del tutto non laspegnesse. Senonche,collaconquistadelmon dosubìleinfluenze intellettualideipopoliconquistati, accettò dottrine d'ogni maniera, egizie, asiatiche, drui diche, ma greche sopra tutto; e de fe'tale un amal gama che a stento potrebbe chiamarsi filosofia; o a meglio dire , ciascuno appigliossi a quella scuola, che meglio sffacevasi alle sue tendenze. Parrà strano, ma è pur vero, Roma corrotta,e degenerata nei costumi, affaticossi particolarmente a rialzar la morale, non tanto forse per rilevarla daddovero, quanto per palliar m e glio col suo manto la nutrita liceoza, testimonio Sede ca. La scuola pitagorica,odiata,ma temutaeammirata, appalesavasi quindi di tratto in tratto nelle manifestazioni di alcune anime forti; e Catone, il censore,va me880 acapodella nobile schiera:ilnome dipitagorico non mai cessò dal significare uomo virtuoso e incorrotto. « La qual indole morale e severa (dice il Pezza Rossa ) sotto cui presentossi la filosofia italiana, fece si ch'essa non venisse dal nascente Cristianesimo tanto combattuta, quanto lo furono tutte le altre.Il Cristianesimo infatti sorgea potente e divino, non figlio del l'umano pensiero, ma avvolto nel manto dei flosof, ma rivelatore della semplice verità. Al suo mostrarsi, tutte le scuole cadute erano in basso, e le pocbe ve rità, alle quali eran gionte, rimanevano dalle violenti polemiche siffattamente svisate , che impossibile omai tornavalosceverarecon certezzailverodalfalso.Ami carle fra loro, no concedevan le gare e i particolari interessi;ricondurle allapristinasemplicità,era impre. sa da nemmeno tentarsi.Che fece dunque il Cristiane simo ? Egli indisse guerra a tutte più o meno le spe culative dottrine,mostròchefallacierano,disutilieper piciose, e colla santità della propria morale fondò la prima di tutte le filosofie: quest'è la filosofia delle a zioni. « Scaduta la parte speculativa, non rimaneva all' italiana filosofia che la parte pratica, la parte da lei col tivata sempre con severa costanza e che meglio poteva rispondereagl'insegnamenti cristiani. Apollonio infatti, dicui S. Girolamodice, ch'era un prodigio inudito, degno di esser conosciuto in tutt'isecoli, avuto dal popoloinconcettodimago,ma filosoforeputato dalla gente di senno, Apollonio chiede a sè medesimo che cosa vogliasi in un filosofo per essere veramente pita gorico ? e quindi risponde : richiedersi elevazione d ' a nimo, gravità, costanza, buona fama, sincera amicizia, frugalità, pace, virtù.Fregiato di così belli ornamenti, il pitagorismo si proponeva in morale un lodevole fi ne, il perfezionamento della umana natura , risultante dallo specialeperfezionamentodiciascunindividuo.Nes sun'altra filosofia poteva meglio consonare al Vangelo. « I primi sapienti del Cristianesimo, prima di e dificare, trovarono però di dover distruggere il vecchio edifizio fin dalle fondamenta, e gridarono contro ogni filosofia. Tertulliano ed Origene vogliono che, dopo il Vangelo, non abbia più mestieri di ricerche, nè di curiosità dopo Cristo. Nessuna scuola è da principio ri. Se non che, distrutta colla dialettica l'arte del ragionare, e affidati gli uomini al solo senso comune, in mezzo all'incipiente barbarie, nulla presentavasi tanto naturale quanto lo scetticismo : e questo infatti mostrossi.— È notoche,sottoilnome delloscetticismo, spesso fu insegoato a sprezzare vergognosi pregiudizii; non devesi scordare che il dubbio fu il padre dell'at tuale civiltà ; e che, se il secolo di Cartesio è di Gali avesse ardito dubitare, le scienze e le arti nonsarebberoperancheripste. Foperòunoscetti cismo di sola teoria,doo dipratica;stettedel pensiero, non nelle azioni: e perciò,s'egli diede l'ultimo crollo alla filosofia speculativa, non portò alla morale un grave nocumento. Ed è appunto nella morale che la italiana filosofia sopravvisse. Il grande Boezio vide l'estrema bassezza, in cui la sapienza era caduta,e saggiamente pensò a raccorre in un sol corpo le positive cognizioni, che dal guosto generale si erano salvate, e qual breve enciclopedia de'suoi tempile presertò sotto l'smabile nome: Con solazione della filosofia;nomeche insè solo abbrac cia il carattere di tutta up'êra. Cbi cercasse le cagioni, in forza delle quali stel te viva, anche nei secoli detti barbari, la pratica filo  sparmiata : l'acqua di Talete, l'infinito di Anassimad dro, il fuoco d'Eraclito , l'omeomeria di Apassagora , l'etere infinito di Archelao, i numeri di Pitagora, gli atomi di Epicuro, gli elementi di Empedocle, tutte in somma le antiche speculazioni furono guerreggiate:i santi Padri non lemono chiamar sogoi molti pensieri di Aristotile, molti di Platone delirii. Ma in quello che gli ecclesiastici scrittori studiavano le scuole per com batterle, non poteano a meno di scontrarsi qua e colà in principii verissimi, ai quali non si poteva niegare adesione, e questi raccogliendo insieme e collocandoli sotto il patrocinio del Vangelo, se ne giovarono a com. provare l'armonia del vero filosofico col religioso. leo non   983 sofia, le troverebbe in parte della politica stessa de' barbari invasori. Semplici e rozzi, cupidi solo di bot tino, occuparodo solo il territorio, lasciando ai vinti eleggi, e costumi,ereligione,mutando l'aspetto mate riale, non quello degli spiriti; sia che l'ignoranza li rendesse inetti a far mutamenti, o sia che li movesse rispetto per genti tanto più umane,sebbene meno forti di loro.Oode che procedesse codesta loro maniera di conquista, o da calcolo, o da impotenza , egli è certo che recarono desolazione senza recare alcuna propria filosofia : a tal che la italiana , accompagnata da toote altre in epoca di prosperità, ma sola rimasta in quella della sventura, anzichè cedere e prostrarsi, potè parifi carsi, alla guisa dell'oro sul crogiuolo, e spogliarsi di quelle macchie,che la fortona le aveva apportate. Passa quindi la dimostrare come la buona filosofia pratica cominciasse a fruttare anche ottima teo ria, sebbene il risorgimento fosse ritardato dalla scolastica, ed impedito dal platonismo. Or ecco le vie (egli ripiglia) per le quali gra datamente lospirito'filosofico avanzò,guadagnandosem pre terreno.Il Leoni coavea, pelprimo, portatoalloStu dio padovano la cognizione di Aristotile genuino, e mostra to come inscientemente lo siavea contorto e dinon sue dottrinefattomaestro;quando sorsequel potente ingegno di Pomponaccio,chesidovrebbe riguardare siccome il quinto anello della gran catena filosotica ita liana, dopo Pitagors, Catone, Boezio e Dante. Pigmeo di corpo,ma dispiritogigante,penetrò meglio che altri nello spirito della patria filosofia, e siccome,a farla rinascere, conveniva, prim ad 'ogni altra cosa, abbattere il colosso peripatetico, egli coraggiosamente sostende che, secondo Aristotile, voluto sostegno della morale e del la religione, potevasi dimostrare l'anima non e s s e r e immortale , miracoli non potersi dare, non vi essere provvidenza,ma inognicosadominareildestino.Stra biliarono tutti a conclusioni di tanta conseguenza, e  pretesero che da lui solo derivassero tali dottrine,dal Peripato non mai ; accagionarono di empietà il gran Mantovano,cheavrebbe senzadubbio incontrata lama la ventura, se il cielo non avesse posto a capo della Chiesa on Leone X , e datogli un Bembo per consi gliere. La sapienza elatolleranza medicea permisero al Pomponaccio quellocheprima non era stato permesso, separare dalla teologia la fhosofia, condurre una linea di confine tra gli obbietti della fede e quelli della ra gione. L'esempio del gran maestro fa segaito da n u merosidiscepoli,tra'quali ebberofamaScaligero,Sepul. veda, Porzio, Benamico, Giovio, e dae Cardinali, il C o n tarini,cioè, ed Ercole Gonzaga. Fu imitato con isforzi contemporanei dalCesalpino,dalCremonino,dalloZa barella,eforsedaquelVanini,che,mal comprenden do ilPomponaccio, spinse lo sfrenato ingegno allo stre mo,e corse la miseranda fioe che tutti sanno.Imper ciocche, gli è pur mestieri confessarlo, la fortuna del primo e la sioistra interpretazione de'suoi principii, non solo a tutti ispirò corsggio, ma ad alcuni fio an che baldanza. Tale si fa il Cardano, a cui la fecondi ta del genio troppe più idee somministrò di quelle che ilsuo giudizio poteva ordinare;ma disse:loslu dio della natura doversi ridurre all'arte ed alla fatica, e però venne salutato come l'uomo delle in vensioni. Tale il Bruno , che proclamò sfrenatamente la filosofia del dubbio, filosofia che ovunque disseminò, viaggiando Italia, Francia, Alemagna , e che fu poscia da Cartesio abbracciata e sviluppata con tanta gloria , com' ebbe a confessare yo giudice non sospetto,Leibni. zio. Si ridestarono allora i principali pensieri de'pita gorici, e meravigliando si conobbe che la flosofia ita liana,in tutte le sue fasi, e io tatte le sue manifesta zioni, non aveva all'ultimo che un fondo solo,ilm e todo esperitivo e naturale. A questo metodo avviò l' Italia Lorenzo Valla, e il Nizzolio, e l'Aconzio, ed il Poliziano,e inalmente Tommaso Campanella,che,   285 vent'appi, sale in bigoncia, e disputa con tanta forza contro le fallacie scolastiche, che i vecchi sclamarono maravigliati: essere in lui passato lospirito diTelesio. Egli sostende che il senso è un fondamento della scien za,chedalla dimostrazionepositivaesensibilevasce la intellettiva, perciocchè sentire è sapere : la ragione tanto essere più certa, quanto più al senso vicina ; non però doversi andare cogli empirici che pretendono ra gionare perlesoleapparenzevariabili,accidentali,sfug gevolissime,ma sìanchedietroveritàcostanti,che badoo principio nell'anteriore sentimento, e del testi monio di tutti gli uomini. «Con longbeeperigliose fatichegiunse quindi f palmente l'Italiaa ridurinprincipiiquello,cheinpra tica aveva sempre tenuto;scaddero allora i sillogismi, le formole, le categorie, le ipotesi, gli a priori, con totti gli altri vincoli della ragione , e sostenuto dall' analisi e dall'esperienza,ilnuovo metodo spiegò il vo lo alle più eccelse scoperie.  36 «AllascuolaitalianaattioseCopernico ilsuo siste ma astronomico,da Galileo poscia rivendicato : da Ga- ' lileo che mostra immobile e improntato di macchie il sole, e Giove di satelliti circondato : da Galileo, che, permezzo dinuovelenti,interroga l'armonia misterio sa dei cieli,e con esperimenti sorprende la patora nei segreti delle arcane sue leggi. Torricelli, colla inven zione de'barometri e de'microscopii, apporta alla fisi ca povella vita; Cavalieri , Maurolico e Tartaglia ren dopo fruttuose le matematiche colle applicazioni. Leo pardo da Vinci dà buone leggi all'estetica; Buonarotti , l'uomo delle quattro anime, fisa il buon gusto nelle arti; Machiavelli scopre aisudditi ei ai regnanti ise. greti della politica; l'Accademia del Cimento affatica senza posa delle esperienze,le dabbie verità rischiara, e le certe diffonde; la fisica,la geografia e l'astrono mia,sposate insieme, fanno sì che un Italiano discopra il nuovo Continente, ed un altro italiano glimponga il nome. Ogoi arte insomma, ogni scienza, ogni di sciplina quasi per incanto risorge : ed è cosa per ve rità sorprendente il vedere nei dettati di quell'epoca gloriosa tantacopiosità di pensieri,da contenere, quasi in germe, tutte le altre scoperte verificate dappoi. «Conserviamo adunqueconclude l'Autore)ilpre zioso retaggio, che da'nostri maggiori ci fu tramandato e,che piùè,adoperiamo di renderlofruttuoso:accioc chè,dopoaverportataaglialtrilascienza,non venghia mo giustamente paragonatiallenubi,lequalisidis fanno in quel medesimo che d'amica pioggia feconda no lecampagne.» Esponendo i proprii pensamenti, il Pezza-Rossa, con singolare modestia,non sierige a maestro, ma sti mola ed invoglia gli altri a frugare in questa materia, pago di poter dimostrare che noi siamo ricchi di tanta domestica dottrina da non invidiare la forestiera; che il buon metodo non l'abbiamo a cercare lontano; e che sarebbe ingratitudine il disconoscere la nostra a n tica sapienza, per seguire alcune splendide fantasie ol tramontane. Giuseppe Pezza-Rossa. Giuseppe Pezzarossa. Pezzarossa. Keywords: il martirio di Belfiore; lo spirito della nazione italiana; eloquenza lombarda. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pezzarossa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738592386/in/datetaken/

 

Grice e Pezzella – Cesare deve morire – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Grice: “I like Pezzella – His “La memoria del possibile” would make Benjamin think twice! – and I do not mean HIS Benjamin, but mine!” Si laurea a Pisa con una tesi sul pensiero di Benjamin. Presso la Scuola Normale Superiore diviene ricercatore di ruolo, e lo rimane fino al, anno in cui dà le sue dimissioni anticipate. Ha collaborato a un seminario di Derrida a Parigi. Ha conseguito con la tutela di Marin il Doctorat a Parigi (Grice: “a reason why which few consider him Italian!” ) e il DEA in Réalisation cinématographique seguendo i corsi diretti dal documentarista Rouch a Nanterre. Ha insegnato Estetica ed Estetica del cinema, con affidamenti annuali provvisori, in diverse università.. Ha tenuto, su invito, un seminario a Parigi, in collaborazione con Michaud. È redattore della rivista Altraparola e collabora col Centro per la riforma dello Stato nella sede di Firenze. Il pensiero di Benjamin e quello dDebord sono punti di riferimento costanti del suo lavoro. Inizialmente ha studiato la persistenza delle forme del mito all’interno della modernità (e in tal senso si è occupato di Bachofen, iintroducendo Il simbolismo funerario degli antichi, col sostegno del Warburg Institut di Londra). L’intersezione tra mondo mitico e modernità estrema lo porta a interessarsi della poesia e del pensiero di Hölderlin e della Scuola di Francoforte. Vicino alla tradizione del pensiero dialettico, apprezza soprattutto la versione esistenziale che ne viene data nella filosofia degli anni Trenta e Quaranta, dopo i seminari di Kojève su Hegel; di Benjamin considera soprattutto la polarità tra immagine di sogno e immagine dialettica, che utilizza come strumento interpretativo di opere cinematografiche e letterarie (cfr. La memoria del possibile e Insorgenze). Per Pezzella lo spettacolo –nella formulazione teorica che ne ha dato Debord- è la forma di vita dominante del capitalismo attuale, in particolare della sua industria culturale e del cinema. Secondo la terminologia usata nel libro estetica del cinema, distingue gli stereotipi spettacolari dalle forme critiche-espressive. Si è interessato all’intersezione fra tematiche politiche e psicoanalitiche: la dialettica del riconoscimento, la formazione della soggettività nel capitalismo attuale, l’incidenza dei traumi storici collettivi sulla psiche individuale (cfr. il libro La voce minima). Ha tintrodotto in Italia il pensiero politico di Abensour, con cui condivide la rivalutazione del pensiero utopico e la rivalutazione del socialismo come prospettiva politica alternativa al populismo. Collabora alla redazione e all’edizione dei volumi di Altro Novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, per conto della Fondazione Micheletti di Brescia. Altri saggi: “L'immagine dialettica” (ETS, Pisa); “Il tragico” (Il Mulino, Bologna); “Conversazione di Narcisso con Narcisso – Conversazione con me”  (Manifesto, Roma); “Il volto di Marilyn” (Manifesto, Roma); “La memoria del possibile” (Jaca, Milano); “Estetica del cinema” (Mulino, Bologna); “Insorgenza” (Jaca, Milano, “Le nubi di Bor” (Zona, Arezzo); “La voce minima. Trauma e memoria storica” (Manifesto, Roma); “Altrenapoli” (Rosemberg, Torino”; “I fantasmi” (Cattedrale, Ancona); “Il volto dell’altro”; “L’ospite ingrate” (Quodlibet, Macerata); “I corpi del potere” (Jaca, Milano);  “Repubblica”; “Il bene comune” (Il Ponte); “Gli spettri del capitale” (Il Ponte); “Il tempo del possible”; “Attualità della Comune di Parigi” (Il Ponte); Utopia e insorgenza. Per Abensour”; “Altraparola, Micheletti, Brescia); Alle frontiere del capitale. Comunismo eretico e pensiero critico, Jaca, Milano. Pezzella. Keywords: Cesare deve morire, Narcisso, “conversations with myself”, Antonino, nubi di Bor, Freud, Narcissismus -- Refs.: Luigi Speranza: “Grice, Pezzella, Benjamin and Benjamin: la memoria del possibile,” Villa Grice – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51739466750/in/datetaken/

 

Grice e Piana – merli – filosofia italiana – Luigi Speranza (Casale Monferrato). Filosofo. Grice: “I never cease to get moved when I read Piana’s notes, “Il canto del merlo”! That’s the way to do philosophy of music – the Italianate warmth so strange to the coldness of Scruton!” Insegna filosofia a Milano. Si è trasferito a Pietrabianca di Sangineto in Calabria, dove ha continuato a scrivere e pubblicare.  È stato allievo diPaci, con il quale scrisse la sua dissertazione sulle opere inedite di Husserl. La sua posizione filosofica è caratterizzata dal concetto di fenomenologia, ("strutturalismo fenomenologico") influenzato particolarmente da Husserl, Wittgenstein, e Bachelard. Alcune indicazioni sullo strutturalismo fenomenologico sono contenute nell'articolo online in italiano e in tedesco L'idea di uno strutturalismo fenomenologico.  Il suo pensiero è orientato verso la filosofia della conoscenza, la filosofia della musica e i campi della percezione e immaginazione. Allievi di Piana sono stati, in particolare, Paola Basso, Alfredo Civita, Vincenzo Costa, E. Franzini, C. Serra, P. Spinicci.  Uno dei più acuti e originali filosofi italiani (in l'Unità), uno dei più interessanti interpreti e prosecutori, in Italia, dell'indirizzo fenomenologico (in Paese Sera). Tra i più lucidi, originali e fecondi fenomenologi italiani" (in "L'idea di Europa e le responsabilità della filosofia"). Vede l'esperienza della fenomenologia di Husserl che costituì il centro d'interesse di un grande maestro come E. Paci. Non è il caso qui di tracciare mappe di quelle vicende, credo però che non sarebbe sbagliato sostenere che Piana, in quel gioco delle parti, che è sempre l'apertura di un'esperienza plurale sul suggerimento di un filosofo autentico, si è preso quella del fenomenologo più prossimo ai temi 'duri' di Husserl, agli obbiettivi che stabiliscono la teoreticità della ricerca fenomenologica come tratto distintivo ed essenziale rispetto ad altre figure di pensiero" (in L'Unità). Considerato il più illustre filosofo della musica del nostro tempo -- in "Il significato della musica", relazione al convegno 'Approcci semiotico-testologici ai testi multimediali', Macerata. In un intervento letto durante un convegno tenuto all'Macerata. Elio Franzini ha dichiarato "Piana è a mio parere uno dei pensatori maggiori del dopoguerra italiano: mai prono alle mode, sempre originale e innovativo, come dimostrano i suoi essenziali contributi alla filosofia della musica. In sintesi un maestro in cui si ritrovano sempre momenti di autentico pensiero". Il più grande  maestro della fenomenologia italiana. Il suo stile filosofico rappresenta il centro di gravità attorno al quale tendemo a condensare gran parte di quello che di eccellente la fenomenologia italiana fa, convinti che i suoi meriti non sono ancora adeguatamente riconosciuti. La vera filosofia tende all'elementare. E dunque non ha fretta di correre oltre, indugia in quei punti rispetto ai quali si potrebbe benissimo soprassedere.In certo senso si fa custode del ricordo di cose che si potrebbero facilmente dimenticare. La filosofia è un’arte del ricordo. Ma vi è in ogni caso anche qualcosa di profondamente giusto nell’idea, che si ripropone di continuo, di una scienza che deve in qualche modo «liberarsi» dalla filosofia. È come liberarsi dai ricordie questo è spesso necessario per procedere oltre. Saggi: “Filosofia dell’esperienza”; “L’idea di uno strutturalismo fenomenologico”; “Il manifesto”; “La filosofia tende all’elementare e non ha fretta”; “L’importanza filosofica di arrivare ultimi”; “Esistenza e storia” (Nigri, Milano); “La fenomenologia” (Mondadori, Milano); “Elementi di una dottrina dell'esperienza” (Saggiatore, Milano); “La notte dei lampi”; “La filosofia dell'immaginazione” (Guerini, Milano); “Filosofia della musica” (Guerini, Milano); Mondrian e la musica, Milano, Guerini); Teoria del sogno e dramma musicale. La metafisica della musica” (Guerini, Milano); “Numero e figura: idee per una epistemologia della ri-petizione” (Cuem, Milano); “Album per la teoria della musica”; “Frammenti epistemologici”.  I suoi saggi sono racchiuse: “II strutturalismo fenomenologico e psicologia della forma”; “La notte dei lampi”; “Le regole dell’immaginazione”; “Filosofia della musica”; “Intervallo e cromatismo nella teoria della musica”; “Alle origini della teoria della tonalità”; “Teoria del sogno e dramma musicale”; “La metafisica della musica”; “Mondrian e la musica”; “Filosofia della musica”; “Estetica musicale”; “Introduzione alla filosofia”; “Interpretazione del “Mondo come volontà e rappresentazione””; “Immagini per Schopenhauer, “Interpretazione del “Tractatus” di Wittgenstein”; “Commenti a Wittgenstein”; “Commenti a Hume”; “Prroblemi della fenomenologia”; “Fenomenologia, esistenzialismo, marxismo”; “Fenomenologia”; “Stralci di vita”; “Conversazioni sulla “Crisi delle scienze europee” di Husserl”; “Fenomenologia delle sintesi passive; “Barlumi per una filosofia della musica”; “De Musica, rivista fondata da lui. Spazio Filosofico, collana fondata da lui; "La fenomenologia come metodo filosofico", “Linguaggio” Guerini, Milano); "Immaginazione e poetica dello spazio", “Metafora Mimesi Morfogenesi Progetto” (Guerin, Milano); "Considerazioni inattuali su Adorno", "Musica/Realtà",  "Figurazione e movimento nella problematica musicale del continuo", “La percezione musicale, Guerini, Milano, "Fenomenologia dei materiali e campo delle decisioni”; “Riflessioni sull'arte del comporre", “Il canto di Seikilos” (Guerii, Milano); I compiti di una filosofia della musica brevemente esposti”; De Musica,  Elogio dell'immaginazione musicale, De Musica, La serie delle seriedodecafoniche e il triangolo di Sarngadeva, De Musica; Immagini per Schopenhauer,  Il canto del merlo” – i merli – il canto dell’uccello, funzione del canto dell’uccello maschio. “Occorre riflettervi ancora”; “Considerazioni in margine a Fantasia e imagine”; “ Leggere i poeti. Note in margine a G. Pascoli”; La sociologia della letteratura (Milano); Questioni di dettaglio (Milano), Storia e coscienza di classe (Milano) E. Ricerche logiche (Milano); Storia critica delle idee (Milano); fenomenologica italiana; Fenomenologia, coscienza del tempo e analisi musicale; Variazioni dei significati” - Burnout e risorse; Musicoterapia, alle radici fenomenologiche del Cosmo antico; Fondamenti della Matematica; La scienza della felicita; La fenomenologia dell’esperienza. Scuola di Milano – scuola milanese -- Giovanni Piana. Piana. Keywords: il linguaggio di Spinicci, merli, la serie dodecafonica, il triangolo di Sarngadeva. Oltre il linguaggio, linguaggio e comunicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Piana” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51739384580/in/datetaken/

 

Grice e Piccolomini – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo. Grice: “What Piccolomini is trying to do, but knowing, is providing what I do in from the bizarre to the banal – a good functionalist interpretation of the rather poor functionalist explanation by Aristotle of what the Italians call the ‘anima,’ because it ‘animates’ the body (corpore).  Figlio dai senesi Niccolò ed Emilia Saracini. Insegna a Macerata, Perugia, Padova. Analizza il terzo libro del “Sull’anima” di Aristotele. Saggi: “Peripateticarum de anima disputationum”; “Academicarum contemplationum”. Tutore di Tasso, ricordato in “Il Costante; overo, dela clemenza”.  Formula una una teoria sincretica tra i accademici e i liceisti.  ‘Unico’ dei Filomati. Altre saggi “Universa philosophia de moribus” (Venezia, Franceschi); “Comes politicus, pro recta ordinis ratione propugnator” (Venezia, Franceschi); “Libri ad scientiam de natura attinentes” (Venezia, Franceschi); “Librorum Aristotelis de ortu et interitu lucidissima exposition” (Venezia, Franceschi); “In tres libros de anima lucidissima expositione” (Venezia, Franceschi); “Instituzione del principe”; “Compendio della scienza civile”; “Octavi libri naturalium auscultationum perspicua interpretatione” (Venezia, Franceschi); “In libros de coelo lucidissima exposition” (Venezia, Franceschi). Treccani Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E. Garin, Storia della filosofia italiana” (Torino, Einaudi); A. Malmignati, “Tasso a Padova” (Firenze, Biblioteca Riccardiana); Roma, Pieralisi (Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Conv. Soppr. (S. Maria degli Angeli, Roma, Pieralisi, Francesco Piccolomini, F.  Cavalli, La scienza politica in Italia, Venezia). Francesco Piccolomini. Piccolomini. Keywords: apollo lizio, statua di apollo lizio, in riposo dopo la palestra, il lizio, Aristotele lizio, i lizij, i lizii, gl’aristotelici, i peripatetici – gl’accademici e i lizii, gl’accademicij e i lizij. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Piccolomini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691299421/in/photolist-2mPAuFE-2mNzeEc-2mLQ1Vx-2mKMqqn-2mKyJgk-B1ZwSw-BpZrfX-BNUDky-BRdPLK-BpZs4R-B26n3t-BpZt9X-BwnxSq-BRdJLK-BYv5UR-BRdJDF-BwnzCQ-BNUCP3-B1ZvoQ-BRdKpP

 

Grice e Pico – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mirandola). Filosofo. Grice: “I liked to say: some like Pico, but Pico’s my man! Since I always preferred his cousin to the uncle!” -- philosopher who wrote a series of 900 theses which he hoped to dispute publicly in Rome. Thirteen of these theses are criticized by a papal commission. When Pico defends himself in his “Apologia,” the pope condemns all 900 theses. Pico flees to France, but is imprisoned. On his escape, he returns to Florence and devotes himself to private study at the swimming-pool at his villa. He hoped to write a Concord of Plato and Aristotle, but the only part he was able to complete was “On Being and the One,”“Blame it on the Toscana!” -- in which he uses Aquinas and Christianity to reconcile Plato’s and Aristotle’s views about God’s being and unity. Mirandola is often described as a syncretist, but in fact he made it clear that the truth of Christianity has priority over the prisca theologia or ancient wisdom found in the hermetic corpus and the cabala. Though he was interested in magic and astrology, Mirandola adopts a guarded attitude toward them in his “Heptaplus,” which contains a mystical interpretation of Genesis; and in his Disputations Against Astrology, he rejects them both. The treatise is largely technical, and the question of human freedom is set aside as not directly relevant. This fact casts some doubt on the popular thesis that Pico’s philosophy is a celebration of man’s freedom and dignity. Great weight has been placed on Pico’s “On the Dignity of Man.” This is a short oration intended as an introduction to the disputation of his 900 thesesall condemned by the evil pope --, and the title was suggested by his wife (“She actually suggested, “On the dignity of woman,” but I found that otiose.””). Mirandola has been interpreted as saying that man (or woman) is set apart from the rest of creation, and is completely free to form his (or her) own nature. In fact, as The Heptaplus shows, Pico sees man as a microcosm containing elements of the angelic, celestial, and elemental worlds. Man (if not woman) is thus firmly within the hierarchy of nature, and is a bond and link between the worlds. In the oration, the emphasis on freedom is a moral one: man is free to choose between good and evil. Grice: “This irritated Nietzsche so much that he wrote ‘beyond good and evil.’ Refs.: H. P. Grice, “Goodwill and illwillmust we have both?”  L'esponente più conosciuto della dinastia dei Pico, signori di Mirandola. L'infanzia di Pico della Mirandola, di Paul Delaroche, Museo delle belle arti di Nantes (Francia). Nacque a Mirandola, presso Modena, il figlio più giovane di Gianfrancesco I, signore di Mirandola e conte della Concordia  e sua moglie Giulia, figlia di Feltrino Boiardo, conte di Scandiano. La famiglia ha a lungo abitato il castello di Mirandola, città che si era resa indipendente e riceve da Sigismondo il feudo di Concordia. Pur essendo Mirandola uno stato molto piccolo, i Pico governano come sovrani indipendenti piuttosto che come nobili vassalli. I Pico della Mirandola sono strettamente imparentati agli Sforza, ai Gonzaga e agli Este, e i fratelli di Giovanni sposarono gli eredi al trono di Corsica, Ferrara, Bologna e Forlì. Soggiorna in molte dimore. Tra queste, quando vive a Ferrara, il palazzo in via del Turco gli permette di essere vicino agli Strozzi ed ai Boiardo. Pico compì i suoi studi fra Bologna, Pavia, Ferrara, Padova e Firenze. Mostra grandi doti nel campo della matematica e impara molte lingue, tra cui perfettamente il latino, il greco, l'ebraico, l'aramaico, l'arabo e il francese. Ha anche modo di stringere rapporti di amicizia con numerose personalità dell'epoca come Savonarola, Ficino, Lorenzo il Magnifico, Poliziano, Egidio da Viterbo, Girolamo Benivieni, Girolamo Balbi, Yohanan Alemanno, Elia del Medigo. Entra a far parte dei Idealisti Fiorentini. Si reca a Parigi, ospite della Sorbona, allora centro di studii, dove conosce alcuni uomini di cultura come Lefèvre d'Étaples, Robert Gaguin e Georges Hermonyme. Ben presto divenne celebre e si dice che ha una memoria talmente fuori dal comune che conosce l'intera Divina Commedia a memoria. e a Roma dove prepara 900 tesi in vista di un congresso filosofico (per la cui apertura compose il De hominis dignitate), che tuttavia non ha mai luogo. Sube infatti alcune accuse di eresia, in seguito alle quali fugge in Francia dove venne anche arrestato da Filippo II presso Grenoble e condotto a Vincennes, per essere tuttavia subito scarcerato. Con l'assoluzione d’Alessandro VI, il quale vede di buon occhio la sua volontà di dimostrare la divinità attraverso la magia e la cabala, nonché godendo della rete di protezioni dei Medici, dei Gonzaga e degli Sforza, si stabile quindi definitivamente a Firenze, continuando a frequentare l'Accademia di Ficino. Muore per avvelenamento da arsenico mentre Firenze viene occupata dalle truppe francesi di Carlo VIII. Sepolto nel cimitero dei domenicani dentro il convento di San Marco. Le sue ossa saranno rinvenute da padre Chiaroni  accanto a quelle di Poliziano e dell'amico Girolamo Benivieni.  Siamo vissuti celebri, o Ermolao, e tali vivremo in futuro, non nella scuola dei grammatici, non là dove si insegna ai ragazzi, ma nelle accolte dei filosofi e nei circoli dei sapienti, dove non si tratta né si discute sulla madre di Andromaca, sui figli di Niobe e su fatuità del genere, ma sui principî delle cose umane e divine. Uno studio coordinato del dipartimento di Biologia dell'Pisa, del Reparto Investigazioni Scientifiche dell'Arma dei Carabinieri di Parma dimostra che e avvelenato con l'arsenico. Il volto di Giovanni Pico ricostruito con le moderne tecniche forensi Di Pico della Mirandola è rimasta letteralmente proverbiale la prodigiosa memoria. Si dice conosce a mente numerose opere su cui si fonda la sua vasta cultura enciclopedica, e che sapesse recitare la “Divina Commedia” *al contrario*, partendo dall'ultimo verso, impresa che pare gli riuscisse con qualunque poema appena terminato di leggere.  Tutt'oggi è ancora in uso attribuire l'appellativo "Pico della Mirandola" a chiunque sia dotato di ottima memoria.  Secondo una popolare diceria, ha una amante o una concubina segreta. Tuttavia ha un rapporto amoroso con l'umanista G.  Benivieni, sulla base di alcuni scritti, tra cui sonetti, che quest'ultimo dedica a Pico, e di alcune allusioni poco chiare di Savonarola. E comunque un seguace dell'ideale dell'amor platonico, privo cioè di contenuti erotici e passionali. Anche la figura femminile ricorrente nei suoi versi viene celebrata su un piano prevalentemente filosofico. La sua filosofia si riallaccia all’idealismo di Ficino, senza però occuparsi della polemica anti-aristotelica. Al contrario, cerca di riconciliare aristotelismo e platonismo in una sintesi superiore, fondendovi anche altri elementi culturali, come per esempio la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e della cabala.  All'interno del testo delle Conclusiones si scaglia duramente contro Ficino, considerando inefficace la sua magia naturale perché carente di un legame con le forze superiori nonché di un'adeguata conoscenza cabalistica. Il suo proposito, esplicitamente dichiarato ad esempio nel “De ente et uno”, consiste infatti nel ricostruire i lineamenti di una filosofia universale, che nasca dalla concordia fra tutte le diverse correnti di pensiero sorte sin dagl’antichi, accomunate dall'aspirazione al divino e alla Sapienza. In questo suo ecumenismo filosofico vengono accolti non solo i filosofi esoterici insieme a Platone, Aristotele, i neoplatonici e tutto il sapere gnostico ed ermetico proprio della filosofia greca, ma anche i mistici. Il congresso da lui organizzato a Roma in vista di una tale "pace filosofica" inserirsi proprio in questo progetto culturale basato su una concezione della verità come princìpio eterno ed universale, al quale ogni epoca della storia ha saputo attingere in misura in più o meno diversa. In seguito tuttavia ai vari contrasti che gli si presentarono, sorti a causa della difficoltà di una tale conciliazione. Si accorse che il suo ideale e difficilmente perseguibile. Ad esso, a poco a poco, si sostitusce nella sua mente il proposito riformatore di Savonarola, rivolto al rinnovamento morale, più che culturale, della città di Firenze. L'armonia universale da lui ricercata in ambito filosofico si trasforma così nell'aspirazione ad una  moralità meno generica. A differenza di Ficino, emerge un maggiore senso di irrequietezza e una visione più cupa ed esistenziale della vita.  Al centro del suo ideale di concordia universale risalta fortemente il tema della dignità e della libertà umana. L'uomo infatti è l'unica creatura che non ha una natura predeterminata, poiché. Già il Sommo Padre, Dio Creatore, ha foggiato,  questa dimora del mondo quale ci appare. Ma, ultimata l'opera, l'artefice desidera che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori né dei posti di tutto il mondo. Tutti erano ormai pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. Dunque l'uomo non ha affatto una natura determinata in un qualche grado (alto o basso), bensì. Stabilì finalmente l'Ottimo Artefice che a colui cui nulla poteva dare di proprio fosse comune tutto ciò che aveva singolarmente assegnato agli altri. Perciò accolse l'uomo come opera di natura indefinita e, postolo nel cuore del mondo, così gli parla. Nn ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché tutto secondo il tuo desiderio e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai senza essere costretto da nessuna barriera, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Afferma, in sostanza, che Dio ha posto nell'uomo non una natura determinata, ma una indeterminatezza che è dunque la sua propria natura, e che si regola in base alla volontà, cioè all'arbitrio dell'uomo, che conduce tale indeterminatezza dove vuole. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti. Tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine. Nell'uomo nascente il Padre ripose semi d'ogni specie e germi d'ogni vita. E a seconda di come ciascuno li avrà coltivati, quelli cresceranno e daranno in lui i loro frutti. se sensibili, sarà bruto, se razionali, diventerà anima celeste, se intellettuali, sarà angelo, e si raccoglierà nel centro della sua unità, fatto uno spirito solo con Dio.Quindi, sostiene che è l'uomo a forgiare il proprio destino secondo la propria volontà, e la sua libertà è massima, poiché non è né animale né angelo, ma può essere l'uno o l'altro secondo la coltivazione di alcuni tra i semi d'ogni sorta che vi sono in lui. L'uomo non è né «angelo né bestia. La sua propria posizione nel mondo è un punto mediano tra questi due estremi; tale punto mediano, però,  non è una mediocrità (in parte angelo e in parte bruto) ma è la volontà (o l'arbitrio) che ci consente di scegliere la nostra posizione. Dunque l'uomo è la più dignitosa fra tutte le creature, anche più degli angeli, poiché può scegliere che creatura essere. Il suo secondo grande interesse è rivolto alla cabala, che viene da lui spiegata come una fonte di sapienza a cui attingere per decifrare il mistero del mondo, e nella quale Dio appare oscuro, in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo può ricavare la massima luce da tale oscurità. Non esiste alcuna scienza che possa attestare meglio la divinità che la magia. Connessa alla sapienza cabbalistica è la magia. In fatti, il mago opera attraverso simboli e metafore di una realtà assoluta  e dunque, partendo dalla natura, può giungere a conoscere tale sfera metafisica attraverso la conoscenza della struttura matematica che è il fondamento simbolico-metaforico della natura stessa.  Se la magia è giudicata positivamente per quanto riguarda invece l'astrologia egli ebbe un atteggiamento diverso, che lo porta a distinguere nettamente tra astrologia matematica o speculativa, cioè l'astronomia, e l'astrologia giudiziale o divinatrice. Mentre la astrologica speculative ci consente di conoscere la realtà armonica dell'universo, e dunque è giusta, la astrologia prattica crede di poter sottomettere l'avvenire degli uomini alle congiunture astrali. Partendo dall'affermazione della piena dignità e libertà dell'uomo, che può scegliere cosa essere, muove una forte critica a questo secondo tipo di credenze e di pratiche astrologiche, che costituirebbero una negazione proprio della dignità e della libertà umane. L’astrologica prattica (o giudiziale) attribuisce erroneamente a un corpo celeste il potere di influire sulla una vicenda umana (fisiche e spirituali), sottraendo tale potere alla Provvidenza divina e togliendo agl’uomini la libertà di scegliere. Non nega che un certo influsso vi possa essere, ma mette in guardia contro il pericolo insito nell'astrologia giudiziale di subordinare il superiore (cioè l'uomo) all'inferiore (ossia la forza astrale). La vicenda dell'esistenza umana e tanto intrecciata e complessa che non se ne può spiegare la ragione se non attraverso la piena libertà d'arbitrio dell'uomo. Tuttavia, alcuni concetti base furono ripresi e rielaborati da  Savonarola nel suo Trattato contra li astrologi.  Saggi: “Lettera a Barbaro sul modo di parlare dei filosofi”; “Commento sopra una canzone d'amore di Benivieni, “Discorso sulla dignità dell'uomo”; “Tesi su tutte le cose conoscibili”; “Novecento conclusioni filosofiche”; “cabalistiche e teologiche in ogni genere di scienze”; “Apologia”; “Heptaplus: della settemplice interpretazione dei sei giorni della Genesi”; “Expositiones in Psalmos,  “L'essere e l'uno”; “Dispute contro l'astrologia divinatrice”; “Carmi”; Auree Epistole. Sonetti, “Le dodici regole”; “Le dodici armi della battaglia spirituale”; “Le dodici condizioni di un amante” “Preghiera a Dio”; “Tutte le cose e alcune alter”. A lui si attribusce anche la paternità dell’ “Amoroso combattimento onirico di Polifilo”. Sebbene egli preferisse farsi chiamare Conte della Concordia. Fu in particolare il cardinale  Pedro Grazias, dopo essere intervenuto presso i reali Isabella e Ferdinando, ad essere incaricato da Innocenzo VIII di confutarne l'Apologia.  Fu avvelenato -- caso risolto 500 anni dopo, in Gazzetta di Modena, G. Gallello et al. Già all'epoca della sua morte si vociferò che e avvelenato (cfr. S. Critchley, Il libro dei filosofi morti, Garzanti).  Recenti indagini condotte a Ravenna dall'équipe di G. Gruppioni dell'Bologna  riscontra elevati livelli di arsenico nei campioni di tessuti e di ossa pre-levati dalle spoglie del filosofo, che avvalorerebbero la tesi dell'avvelenamento per la sua morte (cfr. Delitti e misteri del passato, L. Garofano, S. Vinceti, G. Gruppioni (Rizzoli, Milano). L’avvelenamento, la cui morte finora si ritene fosse stata causata dalla sifilide, e ad opera della stessa mano che due mesi prima avrebbe uccide Poliziano, legato a Pico da grande amicizia. Risolto il giallo della sua morte, Pisa, La sua Memoria Straordinaria. enivieni fa porre anche una lapide sulle spoglie tumulate nella chiesa di San Marco a Firenze. Sul fronte della tomba è tuttora inciso: «Qui giace Giovanni Mirandola, il resto lo sanno anche il Tago e il Gange e forse perfino gli Antipodi.” Benivieni, affinché dopo la morte la separazione di luoghi non disgiunga le ossa di coloro i cui animi in vita congiunse Amore, dispone d'essere sepolto nella terra qui sotto. Sul retro invece, in posizione poco visibile, è riportato l'epitaffio, “Girolamo Benivieni per lui e se stesso pose nell'anno Io priego Dio Girolamo che 'n pace così in ciel sia il tuo Pico congiunto come 'n terra eri, et come 'l tuo defunto corpo hor con le sacr'ossa sue qui iace”. E. Garin, Vita e dottrina (Monnier); K. Zeller, L’aristolelismo rinascimentale, edizioni Luria, F. Yates Bruno e la tradizione ermetica Laterza U. Perone, C. Ciancio, Storia del pensiero filosofico, SEI, Torino, E. Garin, Vallecchi, Sul richiamo di Pascal a Pico della Mirandola, cfr. B. Pascal, Colloquio con il Signore di Saci su Epitteto e Montagne in B. Pascal, Pensieri, Paolo Serini, Einaudi, Torino, F. Secret, I cabbalisti cristiani del Rinascimento, tRoma, Conclusiones nongentae. Le novecento tesi. A. Biondi, Studi pichiani (Firenze Olschki). Conclusiones Magicae numero XXVI, secundum opinione propria”. Fra le tesi redatte in vista del congresso filosofico di Roma, Non vi è scienza che ci dia maggiori certezze sulla divinità della magia (cit. da F. Secret, ibidem, e in Zenit studi. Pico della Mirandola e la cabala). La natura è una correlazione misteriosa di forze occulte che l'uomo può conoscere tramite l'astrologia speculative e controllare tramite la magia. Distingue due tipi di astrologia: matematica e divinatrice. Nega il valore della seconda (G. Granata, Filosofia, Alpha Test, Milano. Lo stesso Savonarola sostenne di aver scritto il suo trattato in corroborazione delle refutazione astrologice del signor conte Joan Pico della Mirandola (cit. in Romeo De Maio, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Guida, Napoli).  Indizi e prove: e Alberto Pio da Carpi nella genesi dell’Hypnerotomachia Poliphili.  Questo testo proviene in parte dalla relativa voce del progetto Mille anni di scienza in Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di Firenze, pubblicata sotto licenza Creative Commone, Mazzali,  Basileae, per Sebastianum Henricpetri, Basileae, per Sebastianum Henricpetri, Doctissimi Viri Ioannis Pici Mirandulae, Concordiae comitis, Exactissima expositio in orationem dominicam, S. Bernardini, Apologia. L'autodifesa di Pico di fronte al Tribunale dell'Inquisizione, P. Fornaciari, Società internazionale per lo studio del Medioevo latino, Galluzzo, Firenze  G. Barone, Antologia, Virgilio, Milano, Studi Dario Bellini, La profezia, Oltre la cinquantesima porta, Sometti, G. Busi, Vera relazione sulla vita e i fatti, conte della Mirandola, Aragno,  E. Cassirer, Individuo e cosmo nella filosofia del Rinascimento” (Nuova Italia, Firenze); H,  Lubac, L'alba incompiuta del Rinascimento, Jaca, Milano, V. Giovanni, La filosofia in Italia, Palermo, Boccone del Povero, F. Frigerio, "Il commento alla Canzona d'Amore di Benivieni", Conoscenza Religiosa, Firenze, Mariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri, Casale Monferrato, Edizioni Piemme, E. Garin, L'Umanesimo italiano, Laterza, Bari); S.Puledda, Interpretazioni dell'Umanesimo, Associazione Multimage, Quaquarelli, Zanardi, Pichiana. delle edizioni e degli studi, in "Studi pichiani", Olschki, Firenze, A. Sartori,Filosofia, teologia, concordia, Messaggero Padova,  Zambelli, L'apprendista stregone. Astrologia, cabala e arte lulliana in Pico e seguaci” (Marsilio, Venezia); “Le fonti cabalistiche”;  G. Busi, "Chi non ammirerà il nostro camaleonte?" La bibliotic a cabbalistica, in G. Busi, L'enigma dell'ebraico nel Rinascimento, Aragno Torino S. Campanini, Guglielmo Raimondo Moncada (Flavio Mitridate) traduttore di opere cabbalistiche, in M. Perani, Guglielmo Raimondo Moncada alias Flavio Mitridate. Un ebreo converso siciliano, Officina di Studi Medievali, Palermo ,  Susanne Jurgan e Saverio Campanini, con un testo di Giulio Busi, Nino Aragno, Torino Saverio Campanini Fondazione Palazzo Bondoni Pastorio, Castiglione delle Stiviere; cabala; Ficino Filosofia rinascimentale Mirandola Umanesimo Prisca theologia.Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il Centro di Cultura Giovanni Pico della Mirandola, L’Umanesimo, la cabala cristiana, Discorso sulla dignità dell'uomo Pico della Mirandola, Orazione sulla dignità dell'essere umano, prima parte, su panarchy.org.  I "Carmina" e l'"Oratio de hominis dignitate", su thelatinlibrary.com.The Kabbalistic Library of Giovanni Pico della Mirandola, su pico-kabbalah.eu. Giovanni Pico, dei conti della Mirandola e della Concordia. Giovanni Pico, conte della Mirandola e della Concordia. Giovanni Pico della Mirandola. Pico. Keywords: amore platonico, amore socratico, Pico e Girolamo – l’epitafio – amore platonico Ficino – la dignita dell’uomo, la concordia degl’antichi, la magia, il platonismo di Pico. Pico e Pico.  Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Pico: the dignity of man," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717891308/in/photolist-2mPoBys-2mPmNVF-2mN36eA-2mN8Hgb-2mMZCrP-2mMZCG3-2mLLZRD-2mLQc9e-2mLP4ps-2mKAijH-2mKuSJj-2mKAur7-2mKgNnk-2mKje8p-2mKgNvM-2mKkjv7-2mGnP2f-jm6WhY-jkTaV6-jkV8Kj

 

Grice e Pico – stregone – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Mirandola). Filosofo. Grice: “It is very likely that Cartesio took the idea of the malignant daemon from Pico, who was obsessed with him – with the daemon, I mean! “Demonio!”” Grice: “I like Pico. Ackrill suggested that I should translate happiness as taking ‘daemon’ seriously. Pico does: He allows Alberti’s use of ‘demonio’ as a direct translation of Roman ‘daemone,’ which is Grecian in nature.”Grice: “A daemon is always ‘maschile,’ succubus, or incubus – and stregus is gender-neutral, too, as Pico was very well aware when he allowed the burning of a few male witches at Mirandola. On the other hand, he uses Sextus Empiricus and Phyrro against Aristotle!” Grice: “Like Gentile, and Rosselli, two other Italian philosophers, he was murdered – by his successor to the county!” “A very sad thing is that he was murdered along with his son Alberto.”Grice: “The murderer, a Pico, succeeded him without much of a revolt – That’s the Renaissance forya!” ---  Important if unjustly neglected, murdered, Italian philosopher. Italian nobile e  filosofo, nipote di Pico. Figlio di Galeotto I Pico, signore di Mirandola, e Bianca Maria d'Este, figlia di Niccolò III d'Este. Come lo zio, Pico,si dedica principalmente alla filosofia, ma ha reso soggetto alla Bibbia, anche se nei suoi trattati, De monolocale divinae et humanæ sapientiæ e in particolare nei sei libri intitolati examen doctrinæ vanitatis gentium, si deprezza l'autorità dei filosofi, al di sopra tutti Aristotele. Scrive una biografia dettagliata di suo zio (“Ioannis Pici Mirandulae Vita”) e un altro di Savonarola, di cui era un seguace. Avendo osservato i pericoli a cui la società è stata esposta, al momento, lancia un avvertimento in occasione del Concilio Lateranense: Oratio ad Leonem X et concilium Lateranense de reformandis Ecclesiæ Moribus (Hagenau, dedicato a W. Pirckheimer). Muore a Mirandola, assassinato dal nipote Galeotto, insieme a suo figlio più giovane, Alessandro. L'altro figlio Giantommaso è stato ambasciatore a Clemente VII. Mentre spesso sostene che la filosofia raggiunta una parte della verità, dice in effetti, che la filosofia da solisono semplici raccolte di falsità confusi e internamente incoerenti. In possesso di un tale punto di vista, si schiera non solo con Savonarola, ma con alcuni dei padri e con i riformatori pure. Su questo punto, e insistente. Il cristianesimo è una realtà auto-sussistente e che ha poco o nulla da guadagnare dalla filosofia, le scienze e le arti. Questa tesi centrale si diffonde attraverso quasi la sua intera produzione filosofica. Scrive di non lodare o estendere il regno della filosofia, ma di demolirlo. Saggi: “De studio di Divinae et humanae philosophiae,” “De imaginatione” – Grice: “This is interesting. Pico starts by noting how Cicero mistranslated imaginatio from ‘phantasma.’ Vitters would not have agreed!” – “De pro-videntia dei,” “De rerum prae-notione,” “Quaestio de falsitate astrologiae,” “Examen vanitatis gentium doctrinae  et veritatis Christianae disciplinae, “”Strix, sive de ludificatione daemonum”; Libro detto strega o delle illusioni del demonio,” – Grice: Pico is using ‘demonio’ literally; Descartes isn’t!” – “Opera Omnia,” – C. Herbermann. P. Burke, "Stregoneria e Magia in Italia del Rinascimento: Pico e la sua Strix, " di S. Anglod,  The Damned Art: Saggi in letteratura di Magia,  Londra. Herzig, T.  "La reazione dei demoni alla sodomia: magia e omosessualità in Strix di Pico" Il Cinquecento, A. Kors e E. Peters.  La stregoneria in Europa, Una storia Documentario. Estratti dal Pico Strix., C. Schmitt, Pico e la sua critica di Aristotele. The Hague:Nijhoff); Pappalardo, L.”Fede, Immaginazione e scetticismo" (Nutrix), Turnhout: Brepols. Centro Internazionale di Cultura; Springer. Nobile, filosofo e letterato italiano. Signore di Mirandola e conte di Concordia in tre periodi differenti:, poi nuovamente per pochi mesi ed infine, ma stavolta privato di Concordia. Assassinato dal nipote Galeotto II Pico, suo successore definitivo. Succede al padre nel governo dei feudi, ricevendo conferma dell'investitura dall'imperatore Massimiliano I d'Asburgo. I fratelli, non contenti, assediano e bombardano la Mirandola e gli imprigionano. Rilasciato solo con la promessa di cessione dei domini. Si ritira a Roma. Critica il paganismo classica. Scrive una biografia dello zio  Pico, intitolata Vita, anteposta a un volume che ne raccoglieva l'Opera omnia, e riprese alcune sue dottrine, come la lotta contro l'astrologia. Seguace di Savonarola, si batte inutilmente per la sua assoluzione, e ne scrive dopo la morte una biografia. Sostenne da un lato la necessità di un rinnovamento della disciplina ecclesiastica e dall'altro i problemi della filosofia. Scrive il “De reformandis moribus,” che invia a Leone X, l'”Examen vanitatis doctrinae gentium et veritatis christianae disciplinae,” nel quale attacca la filosofia arcaica; e, non ultimo, “Libro detto strega o delle illusioni del demonio,” sulle possessioni demoniache.  L'”Examen” non attacca soltanto la filosofia arcaica, ma si scaglia ugualmente contro Aristotele ed Aquino. Dei due filosofi, contesta la fiducia nella conoscenza e nella ragione, che permetterebbero con la forza dell'intelletto di intuire la verità ultima. Al contrario, al pari della dottrina esposta dal Cusano nel De docta ignorantia, nutre una profonda sfiducia nelle capacità umane, riconoscendo alla ragione solo la possibilità di giungere a una conclusioni arbitraria. Riprendendo alcune tesi tipiche dello scetticismo di Pirrone e Sesto Empirico, nega la validità dei sillogismi e dell'induttivismo, svaluta l'idea della causalità. Nulla è conoscibile, mentre la fede può fondarsi solo su una rivelazione. Muore assassinato dal nipote Galeotto II assieme all'ultimogenito Alberto. Altri saggi: “De studio divinae et humanae philosophiae”; “Dialogus de adoratione”;  “Quaestio de falsitate astrologiae”. Litta Pompeo, Famiglie celebri di Italia. Torino, J. Delumeau, “Il peccato e la paura” (Bologna, Mulino); L. Pappalardo, "Fede, immaginazione e scetticismo" (Turnhout: Brepols). Assedio della Mirandola, Assedio della Mirandola di Giulio II, Caccia alle streghe nella Signoria della Mirandola, Sovrani di Mirandola e Concordia. Schizzo biografico a cura de Il Centro Internazionale di Cultura Giovanni Pico della Mirandola. Treccani Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Francesco Pico della Mirandola. Giovanni Francesco II Pico della Mirandola. Gianfrancesco Pico della Mirandola. Gianfranco Pico della Mirandola. Pico. Keywords. Refs: Luigi Speranza: Pico. Keywords: demonio, demonologia – read excerpts of Stryx in the Italian volgare under entry for translator.  Refs.: “Grice, Acrkill, Pico and Alberti, on ‘demonio’,” Luigi Speranza, "Grice e Pico," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia -- Gianfranco Pico della Mirandola. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716794552/in/photolist-2mN36eA-2mN8Hgb-2mMZCG3-2mMZCrP-2mLLZRD-2mLQc9e-2mLP4ps-2mKAijH-2mKAur7-2mKuSJj-2mKje8p-2mKkjv7-2mKgNvM-2mKgNnk-2mGnP2f-jm6WhY-jm54Cc-jpofjt-jkTaV6-jkV8Kj-jkW6UL-jkNtpy-jkMKsr-jkKBUB-jqf5Qu-jkNd2G-jkKfjv-jkKdnp-jkKQxG-jkKh6X-jkEKUz-jkLdEZ-jkNwNs-jkLhh8-jkTfPx-jkTLNG-jkLx4v-jkPrAy-jkPZxE-jkLtXa-jkMk5j-jkKbFk-jq4enS-jq3oMA-jkPJhj-jkLQia-jkF7DF-jrVVTK-jkGK9m-jkGnC4

 

Grice e Pieralisi – la teoria del segno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Jesi). Filosofo.  Esalta il valore della pace fra gli uomini e fra tutte le creature. L’anima è presente non solo negli esseri umani, ma anche negli animali, ai quali appunto l'anima conferisce come agl’uomini un'esistenza eterna al di là della morte. Per tali motivi sottolinea la necessità etica di trattare gli animali con rispetto ed amore. De anima belluarum: sopravvivenza? Una domanda, S. Rocco, Venezia. Della filosofia razionale speculativa parte soggettiva ossia la logica” (Pace, Roma); “La filosofia razionale pratica ovvero dei doveri naturali” (Pace, Roma); “Sui vizi capitali dell'insegnamento scientifico: riflessioni” (Pesar). Segno si chiama una cosa qualunque che colla manifestazione di se indica una qualche altre cosa. Col vedere che e quell oche dicesi segno si viene a sapere che sia anche l’altro di cui e segno. Segno arbitrario chiamasi quell oche per libera disposizione degl’uomini e stato destinato ad indicar la cos ache significa.  Nel segno naturale l’eistenza sua coll’esistenza di quell ova naturalmente congiunta. Il segno e rappresentativo sis ta in lugo della cosa che significa, la rappresenta, ne tiene le veci. Come l’imamagine de in uomo si pone in lugo dell’uomo. Ci sono cinque massime della conversazione. La prima. La parola si adopre ad esprimere ci oche l’uso stablito vi esprime. La seconda: si deve evitare la ambiguita: una parola che e equivoca non si adopria almeno nei contribuzioni alla stessa conversazione, ora cosi, or cosa. Ora nell’uno ora nell’altro dei suo significant – signati. Seppure la diversita loro non fosse tale che togliesse ogni pericolo di equivocare. La terza massima: adoprando un vocabolo oscuro, che non e di uso e non e di quell’uso che se nuo vuol fare, si fefnisca il senso nel quale se aopra, onde far nota che s’intende signare con esso. Quarta massima: nell’esporre le cosa o dimostrare la verita, la parola e usata nel senso suo priprio, evitando tropi, figure, ed altre eleganze, che, se giovano al bello, pregiudicano spesso al vero; essendoche eccitano l’immaginazione a figurarise le cosa, anziche chiamare l’attenzione a vederle nell’’esser loro ad a conoscerle quali son. Finalmente, una quinta massima. Se per la scrazesa dei termini e necessario usare una stessa parola in un senso alquanto diverso, non si tracuri, per amore di brevita, di aggiugere ad essa quant’altre parole sieno necessario perche il senso che si vuole che abbia, riesca caro e preciso. Sezioni: ‘Sopra-sezione: il segno dell’a idea. Segno. Segno naturale, segno arbitrario. Segno manifestativo e suppositivo o rappresentativo. Segno dell’idea, segno del pensiero. Il gesto – segno del pensiero. Parola e un segno articolato. La parola ha un aspetto fisico e un aspetto logico. Quanto considerate semplicemente nell’esere materialmente e un segno fisico. Se viene considerate in quate e segno di un’idea od esprime un pensiero, e presa formalmente – logicamente. Le parole sono comune o propri, di uno o piu eseri, la parola ‘pietro’ e semplice, un termine complesso e ‘uomo eminentemente virtuoso, o semplicemente, un santo. Termine categorematico e sincategorematico. Una praole che da se soli nulla significa, ma solamente se si aggiune ad altra – della quale modifica la significazione specialemnte in qualte all’estension dell’idea de cui e segno. Essempli de segno sincategoremtatico e ‘ogni’ e ‘qualche’. ‘Leone’ permesse una figura. Si usa ad indicare una spezie di animale, una costellazione in forma di leone, o un uomo che si comporta come un leone. Un termino analogo e ‘saludabile’ che si applica al cibo ed al stilo di vita. Quando il segno e sengo manfestaivo de una idea o segno suppositivo della cosa rappresentata da esse. Il segno dunque tiene nella conversazione il ugo della cosa della quali si parla, falle le loro veci, la rappresentato. Questo loro officio e quell che si chiama la loro supposizione, lo stare cio per le cose, il sustituirise, o, meglio, l’essere sostituiti ad essa. La supposizione e materiale si el segno sta per se stesso materialmente preso, La supposizone e formale se eil segno e adoprato secondo il suo esser logico, se sta per quello che chi parla ha destignato a segnare. ‘uomo’, dotato di ragione. La supposizione formale puo essere semplice o logica relae. La supposizione formale e logica si eil segno sta pr ler idea di cui e segno, e ch e la cosa da lui immediatamene espresso. ‘l’uomo e una specie’. La supposizione e relae quando starper la cosa stessa esistente in natural sotto quella forma, in cui l’essere e rappresentato dall’idea, I cui il segno e segno – ‘luomo vive. La supposizione puo esser reale, colletiva e distributaiva. La supposizione formale relae de una parola puo essere colletiva o distributive. E colletivo se la parolsta sta nel discorso per TUTTI e ciasccuno CUPULATIVAmente gli individuo di quell nome, ossia gli essere che sonne nell’estensione dell’idea dal segno espresso. Come se si dicsse, le parti equagliano il tutto. La supposizione e distributive se il termine star per tutti e ciascuno DISGIUNTIVAmente gli esseri prappresentati dall’idea, di cui e segno, star per uno di esso, o queso o quell oche sia, e cosi stat per ognunon ossia vale per ognuno chi oche e detto delle cose rappresentate dalla idea significate al segno, ‘le parti son o inferior al tutto. Gli uomini hanno forza minore di quella d’un cavallo. C’e la possibilita intrisece della origine naturale dei segno. Non pottrebe mai dimostrare deall’impossibilita in cui gli uomini si arebero trovati di costituirse un linguaggio per comuniare fra loro e manifestare recipricamente I prorpir pensiere. Sebeene molto e rilento e non sensa gravi difficolta avvrebebero tuttavia posti nella necessita di farlo putoto elevera a segni delle cosa e costituirli cosi termini logici. Quelle che per una combinazione o relazione e coll’aiuot di un gesto avverebo puotuo associare alle idea della cosa. Nessuna ripugnanza in cio si vede, e finche ripugnanza non si vede, la possibilita d’una cosa non puo essere a buon diritoo negata. La parola serve all’uomo mirabilmente per TRASFONDERE negli altri le sue conosence, per mostrare le ragione nelle quali egli ha scoperto l’essere di tante cosa, che immediatamente non apparisicono e non si possoni in loro stsse vedere e perceptire, per guidare in somma per sentitieri gia battuti alla conosecna di cose alle quali tutte ciascune da se solo sensa l’aiuto dell’altrui intelligenza I cui acquisti gl imanifesta la praola non avvrebe trovato la via di pervenire. Per intedere il discourse si tiene in cota tre fattori. Primo: al senso che colla definizione il parlante ha dichiarato di voler dare alle sue parole. Secondo: a quello que aparisce DAL CONTESTO avvervi volute significare. Terzo e finalmente, al CONCTTO che si sa ch’egli potesse avere dellle cose di cui ha parlato, perche nessuno puo volere esprimere quell che non sa. Keywords: segnare, segnato, segnante. Refs.: Luigi Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737646572/in/photolist-2mPSXPb

 

Grice e Pievani – il maschio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gazzaniga). Filosofo. Grice: “Only in Italy, Dietelmo becomes Telmo –“ Grice: “I like Pievani – he defends Darwin when everyone attacks him! Talk about rallying to the defense of the under-dogma!” Studia a Milano. Conduce ricerche in Biologia evolutiva e Filosofia della biologia, sotto N. Eldredge e I. Tattersall presso l'American Museum of Natural History, New York.  Grice: “Some Italians would not consider him an Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree without (i. e., not within) Italy!” – Insegna a Milano. Bologna, e Padova. Opere: “Il management dell'unicità, Guerini, Milano, “Homo sapiens e altre catastrofi” Meltemi, Roma); Immagini del tempo nel cinema d'oggi, Meltemi, Roma, “Sotto il velo della normalità” (Meltemi, Roma); “Il cappellano del diavolo, Scienza e idee, Milano, Cortina); “Introduzione alla filosofia della biologia” (Laterza, Roma); La teoria dell'evoluzione. Attualità di una rivoluzione scientifica, Mulino, Bologna); Chi ha paura di Darwin?, IBIS, Como-Pavia, Creazione senza Dio, Einaudi, Torino; “In difesa di Darwin. Piccolo bestiario dell'anti-evoluzionismo all'italiana” (Milano, Bompiani); “Perdere la libertà per Sante ragioni. Dal nascere al morire: la mano della Chiesa sulla nostra vita, Milano, Chiarelettere); Nati per Credere, Codice, Torino); La vita inaspettata. Il fascino di un'evoluzione che non ci aveva previsto, Raffaello Cortina, Milano,  Introduzione a Darwin (Roma, Laterza); La fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi, Bologna, Mulino,  Homo sapiens. Il cammino dell'umanità, Atlante dell'Istituto Geografico De Agostini,  “Anatomia di una rivoluzione: la logica della scoperta scientifica” (Mimesis); “Evoluti e abbandonati. Sesso, politica, morale: Darwin spiega proprio tutto, Torino, Einaudi,  Il maschio è inutile. Un saggio quasi filosofico, Milano, Rizzoli,  Libertà di migrare. Perché ci spostiamo da sempre ed è bene così, Einaudi, Torino; Lectures, Giappichelli, Come saremo. Storie di umanità, Codice, Torino, "Homo Sapiens Le nuove storie dell'evoluzione umana", LGeografica,  Homo sapiens. Le nuove storie dell'evoluzione umana, Geografica, Imperfezione. Una storia naturale, Milano, Cortina, Perché siamo parenti delle galline? E tante altre domande sull’evoluzione, Scienza, Trieste,; Sulle tracce degli antenati. L’avventurosa storia dell’umanità (Scienza, Trieste). Dietelmo Pievani. Telmo Pievani. Pievani. Keywords: il maschio, maschile, maschilita, maschilita fascista, fascist masculinities, il concetto di maschio, dysmorphismo sessuale – sessualita e mascolinita, il maschio – uso del maschio in opposizione a sostantivi astratti come mascolinita, o maschilita. i macchi, homosociale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pievani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51700953156/in/photolist-2mLCU95-2mLCWXw-2mLGqAQ

 

Grice e Piovani – Enea, eroe stoico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “Like Austin, and then again like me, Piovani could invent lingo. The whole point of ordinary-language philosophy was an attack on ‘philosophical language,’ and there we are, Austin, Grice and Piovani INVENTING unordinary philosophical language! In Piovani’s case is ‘assenzialismo’!” –Studia a Napoli. Insegna a Trieste, Firenze, Roma, Napoli. Dei lincei. Scrive su alcuni fogli del regime. La sua ricerca filosofica ha avvio all'indomani immediato della tragica conclusione della seconda guerra mondiale e di ciò porta I segni anche nell'elaborazione della propria caratterizzazione etico-politica, presto approdata alle ragioni del liberalismo democratico. Dinanzi alla drammatica conclusione dell'esito volontaristico dell'attualismo, la necessità di ripensare il modello idealistico d’Italia lo indusse ad un'intensa riflessione sul significato e sul valore dell'individuo nel suo farsi persona, che lo impegnò per tutta la vita, troncata dalla malattia. Spazia dalla filosofia del diritto al pensiero filosofico italiano, soprattutto a quello meridionale, ricopre incarichi nelle più importanti accademie italiane. Fonda il Centro di Studi Vichiani. Pratica una fenomenologia dell'individuale. Per il pensatore napoletano l'individuo non è concepito come un'entità chiusa ed ego-istica tendente all'assolutizzazione ma, al contrario, accettando egli la sua natura di vivente limitato, afferma sé stesso nella responsabilità della propria azione. Concorrono elementi esistenzialistici, l’analisi dell’esperienza comune. Di ciò è documento “Norma e società” (Napoli, Jovene). Utilizza anche temi della prima Azione blondeliana. La necessità di fondare la persona grazie a un criterio o norma, che è la ragione dell’agire e del pensare -- la logica della vita morale -- fa scoprire il tema di fondo della  filosofia morale. Il soggetto è un volente non volutosi -- vale a dire che il soggetto, per quanto approfondisca il proprio essere che è il suo esistere, deve arrestarsi dinanzi alla constatazione di essere dato, di non essersi voluto.  L’alternativa esistenziale dell’accettazione della vita ne riscatta, con la volontà di essere a fronte della possibilità contraddittoria del suicidio, l’originaria datità. Ma questa accettazione, che è la sola possibile fondazione della vita morale, rifiuta ogni ostinazione singolaristica e comporta che la vita è vita di relazione, dove questa non è conquista ma condizione consustanziale del soggetto che si accetta e dunque accetta l’altro, a iniziare dalla propria alterità rispetto a se stesso.  L’essenziale instaurazione personalitaria consente la fondazione del diritto e della morale. Entrambe formazioni storiche, fondate dinamicamente in quanto capaci di comprendere ogni forma in cui si sostanzi l’attivo desiderio dell’uomo di soddisfare l’insaziabile bisogno di valori, anch'essi costruiti dalla scelta esistenziale dei soggetti storici. Sostiene che l'essere umano non possa fare affidamento su alcun tipo di fondamento poiché, essendo un essere limitato e storico, è di fatto costretto a fondare continuamente i suoi punti di riferimento. A questo proposito assumono appunto un ruolo primario  il valore, considerate non come assoluto bensì prodotto della specificità individuale. Del resto proprio il valore esalta la responsabilità dell'azione degl’individui, che, altrimenti, verrebbe mortificata nel riferimento obbligato a qualcosa di assoluto. Si può dunque parlare di un pluralismo etico che non significa relativismo ma relatività e, dunque, rispetto. Una posizione che sembra chiaramente riprendere il pensiero di Kant e, in particolare, il tema dell'agonismo etico. Per il ricorrere di questi temi, la sua filosofia può riassumersi nella formula tra esistenzialismo ri-pensato e storicismo ri-novato. Tra questi, un numero di “Gerarchia”, su cui scrive  riferendosi alla partecipazione emotiva degl’italiani al conflitto. Questo modo di sentire e di interpretare gl’eventi deve essere posto in luce perché esso indica che un ventennio di regime fascista è riuscito a dare agl’Italiani almeno quel senso di pre-occupazione della tutela e della difesa dei propri interessi, che è il presupposto indispensabile per la formazione di una autentica e completa coscienza imperiale. Roma e Tirana, in Gerarchia, Evoluzione liberale, in Biblioteca della libertà, Piovani, Enciclopedia filosofica di Gallarate, Bompiani, Milano. Altre saggi: “Il significato del principio di effettività” (Milano, Giuffre); “Morte e trasfigurazione  dell'Università” (Napoli, Guida);“Teodicea sociale” (Padova, Milani); “Linee di una filosofia del diritto” (Padova, MILANI); “Gius-naturalismo ed etica moderna” (Bari, Laterza); “Filosofia e storia delle idee” (Bari, Laterza); “Conoscenza storica e coscienza morale” (Napoli, Morano); “Principi di una filosofia della morale” (Napoli, Morano); Oggettivazione etica e assenzialismo, Napoli, Morano); “La filosofia nuova di Vico” ((Napoli, Morano); “ Per una filosofia della morale, Milano, Bompiani); Tra esistenzialismo e storicismo: la filosofia morale (Napoli, Morano); F.Tessitore, Napoli, Società nazionale di scienze lettere e arti, D. Jervolino, Logica del concreto ed ermeneutica della vita morale. Newman, Blondel, Napoli, Morano, G.Acocella, Idee per un'etica sociale. Soveria Mannelli, Rubbettino, P. Amodio,  degli scritti su Pietro Piovani, Napoli, Liguori, G. Lissa, Anti-ontologismo e fondazione etica (Napoli, Giannini); A. Nieddu, Norma soggetto storia: saggio sulla filosofia della morale (Napoli, Loffredo); A.  Nieddu, Incontri blondellani”; “Volontà, norma, azione” (Cagliari, Editore); A. Perrucci, L'etica della responsabilità” (Napoli, Liguori, G. Morrone, La scuola napoletana: lettura critica e informazione bibliografica, Roma: Edizioni di Storia e Letteratura (Sussidi eruditi)  M. Olivetti, Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Etica Enciclopedia del Novecento, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Centro di Studi Vichiani del Cnr di Napoli. La lezione etica più che mai attuale di F Tessitore, Il Messaggero, di F Tessitore, Napoli, 1 studi vichiani. Pietro Piovani. Piovani. Keywords: “i principi metafisici di Vico”, Vico, principio. Luigi Speranza, “Grice e Piovani: I principi metafisici di Vico”, filosofia nuova di VIco, la Gerarchia, Roma e tiranna – colletivo, guerra, esperienza condivisa, ventennio del regime – il debito di Vico a Roma --- la Roma di Vico e la Roma antica – interpretazione filosofica – idealismo, Hegel --. The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737615912/in/datetaken/

 

Grice e Pirandello – e dov’è il copione? è in noi, signore – il dramma è in noi -- siamo noi – filosofia italiana – filosofia siciliana, reduzione siciliana – I ciclopu – identita personale, l’uno, nessuno, decadentismo -- Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo. Grice: “Pirandello would say he is no philosopher, but then I’m a cricketer!” --. Medaglia del Premio Nobel Premio Nobel per la letteratura. Per la sua produzione, le tematiche affrontate e l'innovazione del racconto teatrale è considerato tra i più importanti drammaturghi del XX secolo. Tra i suoi lavori spiccano diverse novelle e racconti brevi (in lingua italiana e siciliana) e circa quaranta drammi, l'ultimo dei quali incompleto. Io son figlio del Caos. E non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco Kaos. Figlio di Stefano Pirandello e Caterina Ricci Gramitto, appartenenti a famiglie di agiata condizione borghese, dalle tradizioni risorgimentali, nacque in contrada Càvusu a Girgenti..Nell'imminenza del parto che dove avvenire a Porto Empedocle, per un'epidemia di colera che stava colpendo la Sicilia, il padre decide di trasferire la famiglia in un'isolata tenuta di campagna per evitare il contatto con la pestilenza. Porto Empedocle, prima di chiamarsi così, era la Borgata Molo. Quando si decide che la borgata diviene comune autonomo. La linea di confine fra i due comuni venne fissata all'altezza della foce di un fiume essiccato che taglia in due la contrada chiamata u Càvuso o u Càusu, pantalone. Questo Càvuso appartene a metà alla Borgata Molo e l'altra metà a Girgenti. A qualche impiegato dell'ufficio anagrafe parve che non e cosa che si scrive che qualcuno e nato in un paio di pantaloni e cangia quel volgare càusu in caos. Il padre, partecipa alle imprese garibaldine. Sposa Caterina, sorella di un suo commilitone, Rocco Ricci Gramitto.  Il suo nonno materno, Giovanni Battista Ricci Gramitto, e tra gli esponenti di spicco della rivoluzione siciliana e, escluso dall'amnistia al ritorno del Borbone, fuggito in esilio a Malta dove muore. Il bonno paterno, Andrea Pirandello, e un armatore e ricco uomo d'affari di Pra', ora quartiere di Genova. La famiglia vive in una situazione economica agiata, grazie al commercio e all'estrazione dello zolfo. La sua infanzia e serena ma, come lui stesso racconta, caratterizzata anche dalla difficoltà di comunicare con gli adulti e in specie con i suoi genitori, in modo particolare con il padre. Questo lo stimola ad affinare le sue capacità espressive e a studiare il modo di comportarsi degli altri per cercare di corrispondervi al meglio.  Fin da ragazzo soffre d'insonnia e dorme  abitualmente solo tre ore per notte. E molto devoto alla Chiesa cattolica grazie all'influenza che ebbe su lui una domestica di famiglia, che lo avvicinò alle pratiche religiose, ma inculcandogli anche credenze superstiziose fino a convincerlo della paurosa presenza degli spiriti. La chiesa e i riti della confessione religiosa gli permettevano diaccostarsi ad un'esperienza di misticismo, che cercherà di raggiungere in tutta la sua esistenza.  Si allontanò dalle pratiche religiose per un avvenimento apparentemente di poco conto: un prete aveva truccato un'estrazione a sorte per far vincere un'immagine sacra al giovane Luigi; questi rimase così deluso dal comportamento inaspettatamente scorretto del sacerdote che non volle più avere a che fare con la Chiesa, praticando una religiosità del tutto diversa da quella ortodossa.  Dopo l’istruzione elementare impartitagli privatamente, fu iscritto dal padre alla regia scuola tecnica di Girgenti, ma durante un’estate preparò, all’insaputa del padre, il passaggio agli studi classici. In seguito a un dissesto economico, la famiglia si trasfere a Palermo. Frequenta il regio ginnasio Vittorio Emanuele II e dove rimase anche dopo il rientro dei suoi a Porto Empedocle. Si appassiona subito alla letteratura. Scrive “Barbaro", andata perduta. Aiuta il padre nel commercio dello zolfo, e puo conoscere direttamente il mondo degl’operai nelle miniere e quello dei facchini delle banchine del porto mercantile.  Studia a Palermo e Roma. Studia filologia sotto Monaci. Studia Bücheler, Usener e  Förster. Scrive “Foni ed evoluzione fonetica del dialetto della provincia di Girgenti.” Si trasfere a Roma, dove poté mantenersi grazie agli assegni mensili inviati dal padre. Qui conobbe L. Capuana che lo aiutò molto a farsi strada nel mondo letterario e che gli aprì le porte dei salotti intellettuali dove ebbe modo di conoscere giornalisti, scrittori, artisti e critici. Un allagamento e una frana nella miniera di zolfo di Aragona di proprietà del padre, nella quale era stata investita parte della dote di Antonietta, e da cui anche Pirandello e la sua famiglia traevano un notevole sostentamento, li ridusse sul lastrico.  Questo avvenimento accrebbe il disagio mentale, già manifestatosi, della moglie di Pirandello, Antonietta. Ella era sempre più spesso soggetta a crisi isteriche, causate anche dalla gelosia, a causa delle quali o lei rientrava dai genitori, o Pirandello era costretto a lasciare la casa. La malattia prese la forma di una gelosia delirante e paranoica, che la porta a scagliarsi contro tutte le donne che parlassero col marito, o che lei pensava che volessero avere un qualche tipo di rapporto con lui; perfino la figlia Lietta susciterà la sua gelosia, e a causa del comportamento della madre tenterà il suicidio e poi se ne andrà di casa. La chiamata alle armi di Stefano nella Grande Guerra peggiorò ulteriormente la sua situazione mentale.  Solo diversi anni dopo, egli, ormai disperato, acconsentì che Antonietta fosse ricoverata in un ospedale psichiatrico. Morirà in una clinica per malattie mentali di Roma, sulla via Nomentana. La malattia della moglie lo porta  ad approfondire, portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla psicoanalisi di Freud, lo studio dei meccanismi della mente e ad analizzare il comportamento sociale nei confronti della malattia mentale.  Spinto dalle ristrettezze economiche e dallo scarso successo delle sue prime opere letterarie, e avendo come unico impiego fisso una cattedra di stilistica dove impartire lezioni private di italiano e di tedesco, dedicandosi anche intensamente al suo lavoro letterario. Inizia anche una collaborazione con il Corriere della Sera. Il suo primo grande successo fu merito del romanzo Il fu Mattia Pascal, scritto nelle notti di veglia alla moglie paralizzata alle gambe. La critica non diede subito al romanzo il successo che invece ebbe tra il pubblico. Numerosi critici non seppero cogliere il carattere di novità del romanzo, come d'altronde di altre opere di Pirandello.  Perché Pirandello arrivasse al successo si dovette aspettare a quando si dedica totalmente al teatro. Lo scrittore siciliano aveva rinunciato a scrivere opere teatrali, quando l'amico N. Martoglio gli chiese di mandare in scena nel suo  Minimo presso il Metastasio di Roma alcuni suoi lavori: Lumie di Sicilia e l'Epilogo. Acconsente e la rappresentazione dei due atti unici ebbe un discreto successo. Tramite i buoni uffici del suo amico Martoglio anche A. Musco volle cimentarsi con il teatro pirandelliano: Pirandello tradusse per lui in siciliano Lumie di Sicilia, rappresentato con grande successo al Pacini di Catania. Cominciò da questa data la collaborazione con Musco che incominciò a guastarsi dopo qualche tempo per la diversità di opinioni sulla messa in scena di Musco della commedia Liolà nel novembre al teatro Argentina di Roma: «Gravi dissensi» di cui Pirandello scrive al figlio Stefano. La guerra fu un'esperienza dura per Pirandello; il figlio venne infatti imprigionato dagli austriaci, e, una volta rilasciato, ritorna in Italia gravemente malato e con i postumi di una ferita. Durante la guerra, inoltre, le condizioni psichiche della moglie si aggravarono al punto da rendere inevitabile il ricovero in manicomio dove rimase fino alla morte. Dopo la guerra, lo scrittore si immerse in un lavoro frenetico, dedicandosi soprattutto al teatro. Fonda la Compagnia del Teatro d'Arte di Roma con due grandissimi interpreti dell'arte pirandelliana: Marta Abba e Ruggero Ruggeri. Con questa compagnia cominciò a viaggiare per il mondo: le sue commedie vennero rappresentate anche nei teatri di Broadway.  Nel giro di un decennio arrivò ad essere il drammaturgo di maggior fama nel mondo, come testimonia il premio Nobel per la letteratura ricevuto per il suo ardito e ingegnoso rinnovamento dell'arte drammatica e teatrale. Degno di nota fu lo stretto rapporto con Abba, sua musa ispiratrice, della quale Pirandello, secondo molti biografi e conoscenti, era innamorato forse solamente in maniera platonica.  Molte delle opere pirandelliane cominciavano intanto ad essere trasposte al cinema. Pirandello andava spesso ad assistere alla lavorazione dei film; andò anche negli Stati Uniti d'America, dove famosi attori e attrici di Hollywood, come Greta Garbo, interpretavano i suoi soggetti. Nell'ultimo di questi viaggi andò a trovare, su invito, Albert Einstein a Princeton. In una conferenza stampa difese con veemenza la politica estera del fascismo, con la guerra d'Etiopia, accusando i giornalisti statunitensi di ipocrisia, citando il colonialismo contro i nativi americani. Pirandello e la politica: l'adesione al fascismo. Non aveva mai preso specifiche posizioni politiche, tranne l'ammirazione per il patriottismo garibaldino di famiglia, unica certezza in un'epoca di crisi. La sua idea politica di fondo e legata principalmente a questo patriottismo risorgimentale. Una sua lettera apparsa sul Giornale di Sicilia testimonia gli ideali patriottici della famiglia, proprio nei primi mesi dallo scoppio della Grande Guerra durante la quale il figlio e fatto prigioniero dagli austriaci e rinchiuso, per la maggior parte della prigionia, nel campo di concentramento di Pian di Boemia, presso Mauthausen. Non riuscì a far liberare il figlio malato neppure con l'intervento di Benedetto XV. Nella sua vita condivise alcune delle idee dei giovani fasci siciliani e del socialismo; ne I vecchi e i giovani si nota come la sua idea politica e stata oscurata dalla riflessione umoristica. Per Pirandello, i siciliani hanno subìto le peggiori ingiustizie dai vari governi italiani -- è questa l'unica idea forte che ci presenta.  Nella prima guerra mondiale e un interventista, anche se avrebbe preferito che il figlio non partecipasse in prima linea alla guerra, cosa che invece fa, arruolandosi volontario immediatamente e rimanendo ferito e prigioniero degli austriaci, situazione che e estremamente angosciosa per lo scrittore. Nel primo dopoguerra non adere subito ai fasci di combattimento, tuttavia pochi anni dopo esplicita l'adesione al fascismo, ormai istituzionalizzato. E ricevuto da Mussolini a Palazzo Chigi. Chiese l'iscrizione al partito fascista inviando un telegramma a Mussolini, pubblicato subito dall'agenzia Stefani. Eccellenza, sento che questo è per me il momento più proprio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l'E.V. mi stima degno di entrare nel partito nazionale fascista, pregerò come massimo onore tenermi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera. Il telegramma arriva in un momento di grande difficoltà per il presidente del consiglio dopo il ritrovamento del corpo di Matteotti. Per la sua adesione al fascismo e duramente attaccato da alcuni intellettuali e politici fra cui il deputato liberale G. Amendola che in un a saggio arriva a dargli dell'accattone che voleva a tutti i costi divenir senatore del Regno. Pur non ritrovandosi caratterialmente con Mussolini e molti gerarchi, che ritiene persone troppo rozze e volgari, oltre che poco interessati al teatro, non rinnega mai la sua adesione al fascismo, motivata tra le altre cose da una profonda sfiducia nei regimi social-democratici, così come non si interessa mai del marxismo, solo ne “I vecchi e i giovani” mostra un leggero interesse per il socialismo -- regimi nei quali si andano trasformando la democrazia liberale, che ritene a loro volta corrotta, portando ad esempio gli scandali dell'età giolittiana e il trasformismo. Pova inoltre un deciso disprezzo per la classe politica che avrebbe voluto vedere, nichilisticamente, cancellata dalla vita del Paese, e una forte sfiducia verso la massa caotica del popolo, che anda istruita e guidata da una sorta di monarca illuminato. E tra i firmatari del “Manifesto” redatto da Gentile. La sua adesione al fascismo e per molti imprevista e sorprende anche i suoi più stretti amici. Sostanzialmente egli, per un certo conservatorismo che comunque ha, guarda al Duce come ri-organizzatore della società. Un'altra motivazione addotta per spiegare tale scelta politica è che il fascismo lo riconduce all’ideale patriottico ri-sorgimentale di cui e convinto sostenitore, anche per le radici garibaldine del padre. Vede nelli una idea originale, che dove rappresentare la forma dell'Italia destinata a divenire modello. Puo apparire un punto di contatto colli fasci il sostenuto relativismo filosofico di entrambi. Ben diverso pero è il relativismo morale dei fasci, fondato sull'attivismo e il suo relativismo esistenziale che si richiama allo scetticismo razionale. Si fa interprete di un relativismo pessimistico, angosciato, negatore di ogni certezza, incompatibile con l'ansia attivistica o il relativismo ottimistico dei fasci Sempre nel solco di Amendola e dei critici anti-fascisti vi è anche un commento più pragmatico alla sua iscrizione al Partito fascista, la quale avrebbe avuto origine nel suo ricercare finanziamenti per la creazione della sua compagnia di teatro, che ha così il sostegno del regime e le relative sovvenzioni. Il governo fascista, pero, perfino dopo il Nobel, gli prefiere sempre Annunzio e Deledda, anche lei vincitrice del premio, come letterati ideali del regime. Ha molta difficoltà a re-perire i fondi statali, che Mussolini spesso non vuole concedergli. Non sono infrequenti suoi scontri violenti con autorità fasciste e dichiarazioni aperte di a-politicità. Sono a-politic. Mi sento soltanto uomo sulla terra. E, come tale, molto semplice e parco. Se vuole potrei aggiungere casto. Clamorosoe  il gesto narrato da C. Alvaro in cui a Roma strappa la sua tessera del suo fascio davanti agli occhi esterrefatti del Segretario Nazionale. Nonostante ciò, una rottura aperta col fascismo non si onsume mai. Si conclude senza troppa fortuna l'esperienza del Teatro d'Arte. Dopo lo scioglimento, in tacita polemica con il regime fascista che a suo avviso era troppo parco di sostegno ai suoi progetti teatrali, si ritira. Forse a parziale compensazione di questo mancato sostegno, e uno dei primi trenta accademici, nominati direttamente da Mussolini, della neo costituita Reale Accademia d'Italia – i reali italiani! In nome del suo ideale patriottico, partecipa alla raccolta dell'oro per la patria donando la medaglia del premio Nobel. Questa scelta di adesione ai fasci è stata spesso sia minimizzata sia accentuata dalla critica. L’ideologia fascista non ha mai parte nella sua vita o nel suo teatro, abbastanza avulse della realtà politica, così che non fu in grado di vedere e giudicare la violenza dei fasci. Il contenuto anarchico, corrosivo, pessimista e quasi sempre anti-sistema del suo teatro e guardato con sospetto da molti uomini del partito. Non lo considerano una vera "arte fascista". La critica non lo esalta, spesso considerando il suo teatro non conformi all’ideale fascista. Vi si vede una certa insistenza e considerazione della borghesia altolocata che i fasci condanno come corrotta e decadente. Gl’arzigogoli filosofici dei personaggi dei suoi drammi borghesi sono considerati quanto di più lontano dall'attivismo fascista. Anche dopo l'attribuzione del Nobel parecchi teatro e accusato dalla stampa di regime di disfattismo tanto che anche fine tra i "controllati speciali" dell'OVRA. Nonostante i suoi elogi al capo del governo, il Duce fa sequestrare l'opera “La favola del figlio” cambiato, per alcune scene ritenute non consone, impedendone le repliche. A lui e imposta, per contrasto, la regia dell'opera dannunziana La figlia di Jorio! Le sue volontà testamentarie, che negavano ogni funerale e celebrazione, metteranno in imbarazzo i fascisti e lo stesso Mussolini, che ordina così alla stampa che non ci fanno troppe celebrazioni sui quotidiani, ma che ne fanno data solo la notizia, come di un semplice fatto di cronaca. Il rifugio di Soriano nel Cimino ama trascorrere ampi periodi dell'anno nella quiete di Soriano nel Cimino, un'amena e bella cittadina ricca di monumenti storici e immersa nei boschi del Monte Cimino. In particolare  rimase affascinato dalla maestosità e dalla quiete di uno stupendo castagneto situato nella località di "Pian della Britta", a cui volle dedicare un'omonima poesia, che oggi è scolpita su una lapide di marmo posta proprio in tale località.  Ambienta a Soriano nel Cimino (citando luoghi, località e personaggi realmente esistiti) anche due tra le sue più celebri novelle Rondone e Rondinella e Tomassino ed il filo d'erba. A Soriano nel Cimino, è rimasto vivo ancora oggi il suo ricordo a cui sono dedicati monumenti, lapidi e strade.  Frequenta anche Arsoli per molti anni, soprattutto durante i periodi estivi, dove amava dissetarsi con una gassosa nell'allora bar Altieri in piazza Valeria. Il suo amore per il paese si ritrova nella definizione che egli stesso diede ad Arsoli chiamandola La piccola Parigi. Appassionato di cinematografia, mentre assiste a Cinecittà alle riprese di un film tratto dal suo romanzo Il fu Mattia Pascal, si ammala di polmonite. Ha già subito due attacchi di cuore. Il suo corpo, ormai segnato dal tempo e dagli avvenimenti della vita, non sopporta oltre. Al medico che tenta di curarlo, disse. Non abbia tanta paura delle parole, professore, questo si chiama morire. La malattia si aggrava e muore. Per lui il regime fascista vuole esequie di stato. Viene nvece rispettate le sue volontà espresse nel testamento. Carro d'infima classe, quello dei poveri. Nudo. E nessuno m'accompagni -- né parenti né amici. Il carro, il cavallo, il cocchiere e basta. Bruciatemi. Per sua volontà il corpo, senza alcuna cerimonia, e cremato, per evitare postume consacrazioni cimiteriali e monumentali. Le sue ceneri furono deposte in una preziosa anfora greca già di sua proprietà e tumulate nel cimitero del Verano. Camilleri e altri quattro dettero il via a un lento e travagliato adempimento delle sue ultime volontà (in caso non fosse stato possibile lo spargimento). Far seppellire le ceneri nel giardino della villa di contrada Caos, dove e nato. Ambrosini trasporta l'anfora in treno, chiusa in una cassetta di legno. A Palermo il corteo funebre venne però bloccato dal vescovo di Agrigento G. Peruzzo. Camilleri si reca al vescovo, che rimase inamovibile. Propose allora con successo l'idea di inserire l'anfora in una bara, che venne appositamente affittata. Il corteo, per un breve tratto a piedi e poi a bordo di una littorina, giunse a Girgenti. Dopo una cerimonia religiosa, l'anfora con le ceneri e estratta dalla bara e riposta nel Museo Civico di Agrigento, in attesa della costruzione di un monumento nel giardino della villa. Solo dopo parecchi anni dalla morte, realizzata una scultura monolitica di R. Mazzacurati, artista vincitore del concorso indetto, costituita principalmente da una grossa pietra non lavorata, le ceneri vennero portate nel giardino e versate in un cilindro di rame inserito nel terreno, che venne chiuso da una pietra sigillata con del cemento.  Una parte rimanente delle ceneri, trovata anni dopo attaccata ai lati interni dell'anfora, non essendo più contenibile nel cilindro ri-colmo e ri-aperto per l'occasione, venne dispersa, rispettando il desiderio originario di lui stesso. Davanti agli occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque sistema filosofico. (L. Pirandello, dai Foglietti). E convinto che qualunque filosofia e fallita di fronte all'insondabilità dell'uomo quando in lui prevale la bestia -- l'aspetto animalesco e irrazionale. La sua e una teoria della pluralità dell'io. Pubblica i saggi “Arte e Scienza” e “L'umorismo” -- caratterizzati da un'esposizione di stile colloquiale, molto lontana dal consueto discorso filosofico. I due saggi sono espressione di un'unica identita artistica ed esistenziale che ha coinvolto lo scrittore siciliano che vede come centrale proprio la poetica dell'umorismo. In “L'umorismo” confluiscono idee, brani di scritti e appunti precedenti. Sue varie chiose e annotazioni a L'indole e il riso di L. Pulci di A. Momigliano e parti dell'articolo di A. Cantoni nella «Nuova Antologia». Il suo umorismo si inserisce in un rigoglioso e più che secolare campo di meditazione e ricerca sull'omonimo tema; e rappresenta il momento ri-epilogativo probabilmente più soddisfacente di una serie di acquisizioni teoriche che la cultura ha chiare e consolidate . Bisogna infatti aspettare il saggio di A. Genovese, “Il Comico, l’Umore e la Fantasia o Teoria del Riso come Introduzione all’Estetica” (Bocca, Torino) per avere un saggio di ampia informazione e documentazione, di solido spessore speculative pur nell'ispirazione idealistica da cui prende le mosse. Tecnicamente persuasivo, insomma, e con ben altre fondamenta teoretiche, praltro, in un panorama di non rara fossilizzazione culturale, va detto che l'opera di Genovese è stata appaiata forse soltanto dal coraggioso saggio, e Homo ridens. Estetica, Filologia, Psicologia, Storia del Comico” (Firenze, Olsckhi). Distingue il comico dall'umoristico. Il comico e definito come avvertimento del contrario, nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà. Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario. L'umorismo, il "sentimento del contrario", invece nasce da una considerazione meno superficiale della situazione. Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro. Da quel primo *avvertimento* del *contrario* mi ha fatto passare a questo *sentimento* del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico. Quindi, mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione *evidentemente contraria* a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umoristico nasce da una più ponderata ri-flessione che genera compassione e un sorriso di comprensione. Nell'umoristico c'è il senso di un *comune sentimento* della fragilità dell’uomo da cui nasce un compatimento per la debolezze dell’altro che e anche la propria. L'umoristico è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata. Non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci fa ridere adesso ci fa tutt'al più sorridere, o piantare. La filosofia  dell'umoristico in nasce già quando pubblica le due premesse de Il fu Mattia Pascal dove richiamandosi al “Copernico” di Leopardi riprende l'ironia che attribusce l’eliocentrismo alla pigrizia del sole stanco di girare attorno ai pianeti. Si vede una notazione dell’umoristico nella contrapposizione di due sentimenti opposti. Dopo l’accettazione dell’eliocentrismo, i terrestri accetano di essere una parte infinitesimale dell'universo e nello stesso tempo la sua capacità di compenetrarsene. L'analisi dell'identità condotta da lui lo porta a formulare la teoria della crisi dell'io. Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale, ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io. Talché veramente può dirsi che due persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre, costruire in noi stessi altri individui, altri esseri con propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto. Paradossalmente, il solo modo per recuperare la propria identità è la follia, tema centrale in molte opere, come l'Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale inserisce addirittura una ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda, cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi, delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali. Questo comportamento porta presto all'isolamento da parte della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia. Abbandonando le convenzioni sociali e morali l'uomo può ascoltare la propria interiorità e vivere nel mondo secondo le proprie leggi, cala la maschera e percepisce se stesso e l’altro senza dover creare un personaggio, è semplicemente “persona”. Esemplare di tale concezione è l'evoluzione di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila.  Ancora sulla crisi dell'identità del singolo impotente con la sua razionalità di fronte al mistero universale che lo circonda, in Il fu Mattia Pascal, espone metaforicamente la sua filosofia del lanternino, tramite il monologo che il personaggio di Anselmo Paleari rivolge al protagonista Mattia Pascal, in cui la piccola lampada rappresenta il sentimento umano, che non riesce ad alimentarsi se non tramite le illusioni di fede e ideologie varie ("i lanternoni"), ma che altrimenti provoca l'angoscia del buio che lo circonda all'uomo, l'animale che ha il triste privilegio di "sentirsi vivere. Nella lanternisofia, il lanternino che proietta tutto intorno a noi un cerchio più o meno ampio di luce, di là dal quale è l'ombra nera, l'ombra paurosa che non esisterebbe se il lanternino non fosse acceso in noi, ma che noi purtroppo dobbiamo credere vera, fintanto ch'esso si mantiene vivo in noi. Spento alla fine da un soffio, ci accoglierà la notte perpetua dopo il giorno fumoso della nostra illusione, o non rimarremo noi piuttosto alla mercé dell'Essere, che avrà soltanto rotto le vane forme della nostra ragione? (Il fu Mattia Pascal, capitolo XIII, Il lanternino) La sua sfiducia verso la fede religiosa tradizionale lo porta ad accentuare così il proprio vuoto spirituale, che cercò di riempire, come il citato personaggio del Paleari, con l'interesse personale verso l'occultismo, la teosofia e lo spiritismo, che tuttavia non gli daranno la serenità esistenziale. Il contrasto tra vita e forma Luigi Pirandello svolge una ricerca inesausta sull'identità della persona nei suoi aspetti più profondi, dai quali dipendono sia la concezione che ogni persona ha di sé, sia le relazioni che intrattiene con gli altri. Influenzato dalla filosofia irrazionalistica di fine secolo, in particolare di Bergson, Pirandello ritiene che l'universo sia in continuo divenire e che la vita sia dominata da una mobilità inesauribile e infinita. L'uomo è in balia di questo flusso dominato dal caso, ma a differenza degli altri esseri viventi tenta, inutilmente, di opporsi costruendo forme fisse, nelle quali potersi riconoscere, ma che finiscono con il legarlo a maschere in cui non può mai riconoscersi o alle quali è costretto a identificarsi per dare comunque un senso alla propria esistenza. Se l'essenza della vita è il flusso continuo, il perenne divenire, quindi fissare il flusso equivale a non vivere, poiché è impossibile fissare la vita in un unico punto. Questa dicotomia tra vita e forma, accompagnerà l'autore in tutta la sua produzione evidenziando la sconfitta dell'uomo di fronte alla società, dovuta all'impossibilità di fuggire alle convenzioni di quest'ultima se non con la follia. Solo il folle, che pure è una figura sofferente ed emarginata, riesce talvolta a liberarsi dalla maschera, e in questo caso può avere un'esistenza autentica e vera, che resta impossibile agli altri in quanto non è fattibile denudare la maschera o le maschere, la propria identità (Maschere nude è infatti il titolo della raccolta delle sue opere teatrali). Questa riflessione, che si rispecchia nelle varie opere con accenti ora lievi ora gravi e tragici, è stata, ad opera soprattutto dello studioso Adriano Tilgher, interpretata come un sistema filosofico basato sul contrasto tra la Vita e la Forma, che talvolta ha fatto esprimere alla critica un giudizio negativo delle ultime opere precedenti al "teatro dei miti", accusate a volte di "pirandellismo", cioè di riproporre sempre lo stesso schema di lettura. Il relativismo psicologico o conoscitivo «La verità? è solo questa: che io sono, sì, la figlia della signora Frola Ah! E la seconda moglie del signor Ponza Oh! E come? Sì; e per me nessuna! nessuna! Ah, no, per sé, lei, signora: sarà l'una o l'altra! Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede. Ed ecco, o signori, come parla la verità. -- Dialogo finale di Così è (se vi pare)). Dal contrasto tra la vita e la forma nasce il relativismo psicologico che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel rapporto inter-personale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha con se stessa. Gl’uomini nascono liberi ma il caso interviene nella loro vita precludendo ogni loro scelta. L’uomo nasce in una società pre-costituita dove ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi. Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso. Solo per l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una forma per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal.  L'uomo dunque non può capire né l’altro né tanto meno se stesso, poiché ognuno vive portando consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente, una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.  Queste riflessioni trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo Uno, nessuno e centomila. Uno perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari. Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che ci giudicano. Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha centomila personalità diverse, invero, è come se non ne possedesse nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo io". Il relativismo conoscitivo e psicologico su cui si basa la sua filosofia si scontra con il conseguente problema dell'incomunicabilità tra i siciliani. Ogni personaggio siciliano ha un proprio modo di vedere la realtà. Non esiste un'unica realtà oggettiva, ma tante realtà quante sono i siciliani che credono di possederla. Dunque, ognuno ha una propria verità. Questa incomunicabilità produce quindi un sentimento di solitudine ed esclusione dalla società e persino da se stesso. Proprio la crisi e frammentazione dell'io interiore crea un altr’ io diverso e discordante. L’io consiste di frammenti che ci fanno scoprire di essere -- uno, nessuno – molti -- centomila --. Il personaggio come il Vitangelo Moscarda di “Uno, nessuno e – molti centomila e i protagonisti della commedia ‘a fare’, “Sei personaggi in cerca di autore” di conseguenza avverte  un sentimento di “estraneità” – alienazione o alterita – strano – etimologia -- dalla vita che lo fa sentire forestiero della vita, nonostante la continua ricerca di un senso dell'esistenza e di un'identificazione di un proprio ruolo, che vada oltre la maschera, o le diverse e innumerevoli maschere, con cui si presentano al cospetto della società o delle persone più vicine. Il peronaggio accetta la maschera, che lui stesso ha messo o con cui gl’altro tende a identificarlo. Prova ommessamente a mostrarsi per quello che lui crede di essere. Incapace di ribellarsi, pero, o deluso dopo l'esperienza di vedersi attribuita una nuova maschera, si rassegna. Il personaggio vive nell'infelicità, con la coscienza della frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che laltro lo fa vivere per come esso lo vede. Il personaggio accetta alla fine passivamente il ruolo da recitare che lui si attribuisce sulla scena dell'esistenza. Questa è la reazione tipica del personaggio più deboli come si può vedere nel romanzo “Il fu Mattia Pascal”. Il soggetto non si rassegna alla sua maschera. Accetta pero il suo ruolo con un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico. Ne fanno esempio varie opere come: Pensaci Giacomino, Il giuoco delle parti e La patente. Rosario Chiàrchiaro è un uomo cupo, vestito sempre in nero che si è fatto involontariamente la nomea di iettatore e per questo è sfuggito da tutti ed è rimasto senza lavoro. Il presunto iettatore non accetta l'identità che gl’altro gli ha attribuito ma comunque se ne serve. Va dal giudice e, poiché tutti sono convinti che sia un menagramo, pretende la patente di iettatore autorizzato. In questo modo ha un lavoro: chi vuole evitare le disgrazie che promanano da lui dovrà pagare per allontanarlo. La maschera rimane – ma almeno se ne ricava un vantaggio. L'uomo, accortosi del relativismo, si rende conto che l'immagine che di sé non corrisponde in realtà a quella che l’altro ha di lui e cerca in ogni modo di carpire questo lato inaccessibile del suo io. Vuole togliersi la maschera che gli è stata imposta e reagisce con disperazione. Non riesce a strapparsela e allora se è così che lo vuole il mondo, egli e quello che l’altro credono di percipere in lui e non si ferma nel mantenere questo suo atteggiamento sino all’ultima e drammatica conseguenza. Si chiude in una solitudine disperata che lo porta al dramma, alla pazzia o al suicidio. Da tale sforzo verso un obiettivo irraggiungibile nasce la voluta follia. La follia è lo strumento di contestazione per eccellenza della forma fasulla della vita sociale, l'arma che fa esplodere la convenzione e il rituale, riducendoli all'assurdo e rivelandone l'inconsistenza.  Solo e unico modo per vivere, per trovare l’io, è quello di accettare il fatto di non avere un'identità, ma solo frammenti -- e quindi di non essere uno ma nessuno -- accettare l'alienazione completa da se stesso. Tuttavia il colletivo non accetta il relativismo. Il soggeto chi accetta il relativismo viene ritenuto pazzo dal colletivo. Esemplari sono i personaggi dei drammi Enrico IV, dei Sei personaggi in cerca d'autore, o di Uno, nessuno e centomila.  Divenne famoso proprio grazie al teatro che chiama “teatro dello specchio”, perché in esso viene raffigurata la vita vera, quella nuda, amara, senza la maschera dell'ipocrisia e delle convenienze sociali, di modo che lo spettatore si guardi come in uno specchio così come realmente è, e diventi migliore. Dalla critica viene definito come uno dei grandi drammaturghi del XX secolo. Scrive moltissime opera, alcune delle quali rielaborazioni delle sue stesse novelle, che vengono divise in base alla fase di maturazione dell'autore:  Prima faseIl teatro siciliano Seconda faseIl teatro umoristico/grottesco Terza fase Il teatro nel teatro (meta-teatro) Quarta fase Il teatro dei miti. Generalmente si attribuisce il suo interesse per il teatro agli anni della maturità, ma alcuni precedenti mostrano come tale convinzione necessiti di una rivalutazione. Compose alcuni lavori teatrali, andati perduti poiché da lui stesso bruciati (tra gli altri, il copione de Gli uccelli dell'alto). In una lettera  alla famiglia, si legge. Oh, il teatro drammatico! Io lo conquisterò. Io non posso penetrarvi senza provare una viva emozione, senza provare una sensazione strana, un eccitamento del sangue per tutte le vene. Quell'aria pesante chi vi si respira, m'ubriaca: e sempre a metà della rappresentazione io mi sento preso dalla febbre, e brucio. È la vecchia passione chi mi vi trascina, e non vi entro mai solo, ma sempre accompagnato dai fantasmi della mia mente, persone che si agitano in un centro d'azione, non ancora fermato, uomini e donne da dramma e da commedia, viventi nel mio cervello, e che vorrebbero d'un subito saltare sul palcoscenico. Spesso mi accade di non vedere e di non ascoltare quello che veramente si rappresenta, ma di vedere e ascoltare le scene che sono nella mia mente: è una strana allucinazione che svanisce ad ogni scoppio di applausi, e che potrebbe farmi ammattire dietro uno scoppio di fischi! -- da una lettera ai familiari. È in questa dimensione che si parla di teatro mentale: lo spettacolo non è subito passivamente ma serve come pretesto per dar voce ai "fantasmi" che popolano la mente dell'autore (nella prefazione ai Sei personaggi in cerca d'autore Pirandello chiarirà di come la Fantasia prenda possesso della sua mente per presentargli personaggi che vogliono vivere, senza che lui li cerchi).  In un'altra missiva, spedita da Roma, sostiene che la scena italiana gli appare decaduta:  «Vado spesso in teatro, e mi diverto e me la rido in veder la scena italiana caduta tanto in basso, e fatta sgualdrinella isterica e noiosa -- da una lettera ai familiari. La delusione per non essere riuscito a far rappresentare i primi lavori lo distoglie inizialmente dal teatro, facendolo concentrare sulla produzione novellistica e romanziera.  Pubblica l'importante saggio Illustratori, attori, traduttori dove esprime le sue idee, ancora negative, sull'esecuzione del lavoro dell'attore nel lavoro teatrale: questi è infatti visto come un mero traduttore dell'idea drammaturgica dell'autore, il quale trova dunque un filtro al messaggio che intende comunicare al pubblico. Il teatro viene poi definito da Pirandello come un'arte "impossibile", perché "patisce le condizioni del suo specifico anfibio":: un tradimento della scrittura teatrale, che ha di contro "il cattivo regime dei mezzi rappresentativi, appartenenti alla dimensione adultera dell'eco. È in questo momento che Pirandello si distacca dalla lezione positivista e, presa diretta coscienza dell'impossibilità della rappresentazione scenica del "vero" oggettivo, ricerca nella produzione drammaturgica di scavare l'essenza delle cose per scoprire una verità altra (come è spiegato nel saggio L'Umorismo con il sentimento del contrario).  Fondò la compagnia del Teatro d'Arte di Roma con sede al Teatro Odescalchi con la collaborazione di altri artisti: il figlio S. Pirandello, O. Vergani, C. Argentieri, A. Beltramelli, G. Cavicchioli, M. Celli, P. Cantarella, L. Picasso, Renzo Rendi, M. Bontempelli e G. Prezzolini -- tra gli attori più importanti della compagnia figurano Marta Abba, Lamberto Picasso, Maria Letizia Celli, Ruggero Ruggeri. La compagnia, il cui primo allestimento risale con Sagra del signore della nave dello stesso Pirandello e Gli dei della montagna di Lord Dunsany, ebbe però vita breve: i gravosi costi degli allestimenti, che non riuscivano ad essere coperti dagli introiti del teatro semivuoto costrinsero il gruppo, dopo solo due mesi dalla nascita, a rinunciare alla sede del Teatro Odescalchi. Per risparmiare sugli allestimenti la compagnia si produsse prima in numerose tournée estere, poi fu costretta allo scioglimento definitivo, avvenuto a Viareggio. Prima faseTeatro Siciliano Nella fase del Teatro Siciliano Pirandello è alle prime armi e ha ancora molto da imparare. Anch'essa come le altre presenta varie caratteristiche di rilievo; alcuni testi sono stati scritti interamente in lingua siciliana perché considerata dall'autore più viva dell'italiano e capace di esprimere maggiore aderenza alla realtà.  La morsa e Lumìe di Sicilia Roma, Teatro Metastasio, Il dovere del medico, Roma, Sala Umberto, La ragione degli altri, Milano, Teatro Manzoni,  Cecè, Roma, Teatro Orfeo, Pensaci, Giacomino, Roma, Teatro Nazionale, Liolà, Roma, Teatro Argentina, Seconda fase: Il teatro umoristico/grottesco. Pirandello e Marta Abba Mano a mano che l'autore si distacca da verismo e naturalismo, avvicinandosi al decadentismo si ha l'inizio della seconda fase con il teatro umoristico. Presenta personaggi che incrinano le certezze del mondo borghese: introducendo la versione relativistica della realtà, rovesciando i modelli consueti di comportamento, intende esprimere la dimensione autentica della vita al di là della maschera.  Così è (se vi pare), Milano, Teatro Olimpia, Il berretto a sonagli, Roma, Teatro Nazionale, La giara, Roma, Teatro Nazionale, Il piacere dell'onestà (Torino, Carignano) La patente, Torino, Alfieri, Ma non è una cosa seria, Livorno, Rossini,  Il giuoco delle parti, Roma, Quirino, L'innesto, Milano, Manzoni, L'uomo, la bestia e la virtù, Milano, Olimpia, Tutto per bene, Roma, Quirino, Come prima, meglio di prima, Venezia, Goldoni, La signora Morli, una e due, Roma, Argentina. Nella fase del teatro nel teatro le cose cambiano radicalmente. Il teatro deve parlare anche agli occhi non solo alle orecchie, a tal scopo ripristinerà una tecnica teatrale di Shakespeare, il palcoscenico multiplo, in cui vi può per esempio essere una casa divisa in cui si vedono varie scene fatte in varie stanze contemporaneamente. Inoltre il teatro nel teatro fa sì che si assista al mondo che si trasforma sul palcoscenico.  Abolisce anche il concetto della quarta parete, cioè la parete trasparente che sta tra attori e pubblico. In questa fase, infatti, tende a coinvolgere il pubblico che non è più passivo ma che rispecchia la propria vita in quella agita dagli attori sulla scena. Ha un incontro con  Filippo. Conseguenza, oltre alla nascita di un'amicizia e che Filippo sente come accadde in passato per lui, il bisogno di allontanarsi dal regionalism dell'arte verista pur conservandone però le tradizioni e le influenze. Incontra Eduardo, Peppino e Titina De Filippo. Sei personaggi in cerca d'autore, Roma, Valle, Enrico IV, Milano, Manzoni, All'uscita, Roma, Argentina, L'imbecille, Roma, Quirino, Vestire gli ignudi, Roma, Quirino, L'uomo dal fiore in bocca, Roma, Degli Indipendenti, La vita che ti diedi, Roma, Quirino, L'altro figlio, Roma, Nazionale, Ciascuno a suo modo, Milano, Dei Filodrammatici, Sagra del signore della nave, Roma, Odescalchi, Diana e la Tuda, Milano, Eden, L'amica delle mogli, Roma, Argentina, Bellavita, Milano, Eden,  O di uno o di nessuno, Torino, di Torino, Come tu mi vuoi, Milano, dei Filodrammatici; Questa sera si recita a soggetto, Torino, di Torino, Trovarsi, Napoli, dei Fiorentini, Quando si è qualcuno, Buenos Aires Odeón, La favola del figlio cambiato, Roma, Reale dell'Opera, Non si sa come, Roma, Argentina, Sogno, ma forse no, Lisbona, Teatro Nacional. Alla fase del teatro dei miti ase si assegnano solo tre opera. La nuova colonia Lazzaro I giganti della montagna Romanzi  Copertina de Il turno,  Madella. Scrive sette romanzi:  L'esclusa, a puntate su La Tribuna (Milano, Treves); Il turno (Catania, Giannotta); l fu Mattia Pascal, Roma, Nuova antologia. Suo marito, Firenze, Quattrini. (poi Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, I vecchi e i giovani, Milano, FTreves. Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, R. Bemporad & figlio. Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad; Novelle. Le novelle sono considerate le opere più durature. I critici hanno cambiato tale opinione ritenendo le opere teatrali più degne di essere ricordate. Fare distinzione tra il contenuto di una novello o romanzo  e un dramma è difficile. Molte novelle sono state messe in opera a teatro. “Ciascuno a suo modo” deriva dal “Si gira”. “Liolà” ha il tema preso da “Il fu Mattia Pascal”; “La nuova colonia” e presentata in “Suo marito”. Analizzando le novelle si puo renderci conto che ciò che manca è una delineazione tematica, una cornice. Sono presenti un crogiolo di personaggi ed eventi.  Il tempo in cui una novella e ambientata non è definito. Alcune  si svolgono nell'epoca umbertina, poi giolittiana e del dopo-giolitti. Diversamente accade nella novella siciliana. Iil tempo non è fissato. E un tempo antico, di una società che non vuole cambiare e che è rimasta ferma. I paesaggi della novellistica sono vari. Per quella detta siciliana si ha spesso il tipico paesaggio rurale. In alcune si trova il tema del contrasto tra le generazioni dovuto all'unità d'Italia. Altro ambiente delle novelle è la Roma umbertina o giolittiana.  Il protagonista e sempre alla presa con il male di vivere, con il caso e con la morte. Non si trova mai rappresentanti dell'alta borghesia, ma quelli che potrebbero essere i vicini della porta accanto: il sarto, il balie, il professore, il piccolo proprietario di negozi che ha una vita sconvolta dalla sorte e dal dramma familiare. Il personaggio ci viene presentato così come appaie. E difficile trovare un'approfondita analisi psicologica. La fisionomia e spesso eccentrica. Per il sentimento del contrario, il personaggio ha un carattere *opposto* a come si presenta. I personaggi conversano nel presentarsi per come essi *sentono* di essere. Ma alla fine, e sempre preda del caso, che li farà apparire diverso e cambiato.  Novelle per un anno -- è uno dei più grandi scrittori di novelle, raccolte dapprima nell'opera Amori senza amore. In seguito si dedica maggiormente per tutta la sua vita, cercando di completarla, alla raccolta Novelle per un anno, così intitolata perché il suo intento e quello di scrivere 365. Novelle per un anno, Firenze, Bemporad; Milano, Mondadori); Scialle nero (Firenze, Bemporad); La vita nuda, Firenze, Bemporad, La rallegrata, Firenze, Bemporad, L'uomo solo, Firenze, Bemporad, La mosca, Firenze, Bemporad, In silenzio, Firenze, Bemporad, VII, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, Dal naso al cielo, Firenze, Bemporad, IX, Donna Mimma, Firenze, Bemporad);  Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad,  La giara, Firenze, Bemporad, Il viaggio, Firenze, Bemporad, Candelora, Firenze, Bemporad, Berecche e la guerra, Milano, Mondadori, Una giornata, Milano, Mondadori). Si svolge la produzione letteraria di Pirandello meno conosciuta dal grande pubblico, quella delle poesie che, contrariamente alla composizione teatrale, non esprimono alcun tentativo di rinnovamento sperimentale estetico, e seguono piuttosto le forme e i metri tradizionali della lirica classica, pur non rimandando a nessuna delle correnti letterarie presenti al tempo dello scrittore.  Nell'antologia poetica Mal giocondo, pubblicata a Palermo, ma la cui prima lirica risale quando Pirandello aveva appena tredici anni, emerge uno dei temi dell'ultima estetica pirandelliana del contrasto tra la serena classicità del mito e l'ipocrisia e la immoralità sociale della contemporaneità. Sono presenti, come nota lo stesso Pirandello, anche toni umoristici, specie quelli derivati dal suo soggiorno a Roma. “Mal giocondo” (Palermo, Libreria Internazionale Pedone Lauriel); Pasqua di Gea, Milano, Galli (dedicata a Jenny Schulz-Lander, di cui si innamora a Bonn, con una chiara influenza della poesia di Carducci. Pier Gudrò, Roma, Voghera, Elegie renane, Roma, Unione Cooperativa) -- il cui modello sono le Elegie romane di Goethe); Elegie romane, traduzione di Goethe, Livorno, Giusti, Zampogna, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, Scamandro, Roma, Tipografia Roma, Fuori di chiave, Genova, Formiggini, Pirandello nel cinema Inizialmente Pirandello non amava molto il cinema, considerato inferiore al teatro, e questo interesse maturò lentamente, negli anni. Il rapporto tra Pirandello e il cinema fu complesso, ambiguo, conflittuale, a volte di totale rifiuto, altre volte di grande curiosità. E fu certamente la curiosità per questa nuova modalità di narrazione per immagini, che si era già strutturata come industria cinematografica, che lo spinse a scrivere il romanzo Si gira, poi ripubblicato con il titolo Quaderni di Serafino Gubbio operatore. In questo romanzo il suo giudizio sul cinematografo è spietato sia quando teme che il pubblico abbandoni i teatri per correre a vedere su uno schermo "larve evanescenti" prodotte in maniera meccanica e fredda, sia quando descrive il mondo della produzione cinematografica popolato di personaggi volgari impeg confezionare prodotti commerciali per soddisfare il palato delle masse e gli interessi degli uomini d'affari. Nello stesso tempo la struttura stessa del racconto letterario e l'ipotesi, da lui stesso formulata, di trarne un film prefigurano un'idea di linguaggio cinematografico di grande modernità: il film nel film. Momento cruciale per la storia del cinema, nei primi decenni del suo sviluppo, fu l'avvento del sonoro. Anche in questo caso ad un iniziale rifiuto seguì una svolta significativa. In una lettera a Marta Abba, Pirandello scrisse: "L'avvenire dell'arte drammatica e anche degli scrittori di teatro è adesso là. Bisogna orientarsi verso una nuova espressione d'arte: il film parlato. Ero contrario, mi sono ricreduto" Pirandello sul set de Il fu Mattia Pascal con Pierre Blanchar e Isa Miranda Il lume dell'altra casa di Ugo Gracci. Il crollo di M. Gargiulo, Lo scaldino di A. Genina. Ma non è una cosa seria di Augusto Camerini, La rosa di Arnaldo Frateili Il viaggio di Gennaro Righelli Il fu Mattia Pascal di Marcel L'Herbier  La canzone dell'amore di Gennaro Righelli, primo film sonoro italiano è tratto dalla novella In silenzio. Come tu mi vuoi di George Fitzmaurice con Greta Garbo Acciaio di W. Ruttmann. Il fu Mattia Pascal di Pierre Chenal, Questa è la vita di Giorgio Pàstina, Aldo Fabrizifilm a quattro episodi, tutti tratti da una novella: La giara, Il ventaglino, La patente e Marsina stretta. Come prima, meglio di prima di J. Hopper Liolà di A. Blasetti Il viaggio di Vittorio De Sica Enrico IV di Marco Bellocchio Kaos di P. e V. Taviani, adattamento da Novelle per un anno, Le due vite di Mattia Pascal di Monicelli Tu ridi di P. e V.Taviani, adattamento da Novelle per un anno; La balia di Bellocchio, adattamento da Novelle per un anno; Pirandello nell'opera lirica La favola del figlio cambiato di Gian Francesco Malipiero, Liolà di Giuseppe Mulè, Six Characters in Search of an Author di Hugo Weisgall, Sagra del Signore della Nave di Michele Lizzi, Sogno (ma forse no) di Luciano Chailly. Altre opere: Mal giocondo, Palermo, Libreria Internazionale Pedone Lauriel); A la sorella Anna per le sue nozze, Roma, Tipo-Litografia Miliani e Filosini,  Pasqua di Gea, Milano, Galli,  Amori senza amore, Roma, Bontempelli); Pier Gudrò, Roma, Voghera, Elegie renane, Roma, Unione Cooperativa; Traduzione di Goethe, Elegie romane, Livorno, Giusti, Zampogna, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, Beffe della morte e della vita, Firenze, Lumachi, Lontano. Novella, in "Nuova Antologia", Quand'ero matto.... Novelle, Torino, Streglio, Il turno, Catania, Giannotta); Beffe della morte e della vita. Firenze, Lumachi, Notizia letteraria, in "Nuova Antologia", Dante. Poema lirico di G. Costanzo, "Nuova Antologia", Bianche e nere. Novelle, Torino, Streglio); Il fu Mattia Pascal, Roma, Nuova Antologia, Erma bifronte. Novelle, Milano, Treves); Prefazione a Giovanni Alfredo Cesareo, Francesca da Rimini. Tragedia, Milano, Sandron, Studio preliminare a A. Cantoni, L'illustrissimo. Romanzo, Roma, Nuova Antologia, Arte e scienza. Saggi, Roma, Modes, L'esclusa, Milano, Treves, Umorismo, Lanciano, Carabba); “Scamandro” (Roma, Tipografia); “La vita nuda” (Milano, Treves); “Suo marito, Firenze, Quattrini); “Fuori di chiave, Genova, Formiggini, Terzetti, Milano, Treves); “I vecchi e i giovani, Milano, Treves); Cecè. In "La lettura",  Le due maschere, Firenze, Quattrini, Erba del nostro orto” (Milano, Studio Lombardo); “La trappola” (Milano, Treves); “Se non così” "Nuova Antologia", Si gira ( Milano, Treves); “E domani, lunedì” (Milano, Treves); “Liolà” ( Roma, Formiggini); Se non così Con una lettera alla protagonista, Milano, Treves); “Un cavallo nella luna” (Milano, Treves); Maschere nude,  Milano, Treves, Pensaci, Giacomino, Così è (se vi pare), Il piacere dell'onestà, Milano, Treves); Il giuoco delle parti. Ma non è una cosa seria. Milano, Treves, Lumie di Sicilia. Il berretto a sonagli. La patente. Milano, Treves, L'innesto.  La ragione degli altri, Milano, Treves,  Berecche e la guerra, Milano, Facchi, Il carnevale dei morti. Firenze, Battistelli, Tu ridi. Milano, Treves); Pena di vivere così, Roma, Libreria nazionale,  Maschere nude” (Firenze, Bemporad); Tutto per bene. Firenze, Bemporad, Come prima meglio di prima. Firenze, Bemporad); “Sei personaggi in cerca d'autore -- commedia da fare” (Firenze, Bemporad); Enrico IV (Firenze, Bemporad); L'uomo, la bestia e la virtù” (Firenze, Bemporad, La signora Morli, una e due. Firenze, Bemporad, Vestire gli ignudi. Firenze, Bemporad, La vita che ti diedi. Firenze, Bemporad, Ciascuno a suo modo. Firenze, Bemporad, X, Pensaci, Giacomino! Firenze, Bemporad, Così è (se vi pare). Firenze, Bemporad, Sagra del signore della nave, L'altro figlio, La giara. Firenze, Bemporad); Il piacere dell'onestà. Firenze, Bemporad,  Il berretto a sonagli. Firenze, Bemporad,  Il giuoco delle parti. Firenze, Bemporad, Ma non è una cosa seria. Firenze, Bemporad, L'innesto Firenze, Bemporad, La ragione degli altri. Firenze, Bemporad, L'imbecille, Lumie di Sicilia, Cecè, La patente.Firenze, Bemporad, All'uscita. Mistero profano, Il dovere del medico. La morsa.  L'uomo dal fiore in bocca. Dialogo, Firenze, Bemporad, Diana e la Tuda.  Firenze, Bemporad,  L'amica delle mogli. Firenze, Bemporad, La nuova colonia. Firenze, Bemporad, Liolà. Firenze, Bemporad, O di uno o di nessuno. Firenze, Bemporad, Lazzaro (Milano, Mondadori); “Questa sera si recita a soggetto” (Milano, Mondadori); “Come tu mi vuoi” (Milano, Mondadori); “Trovarsi” (Milano Mondadori); “Quando si è qualcuno” (Milano, Mondadori); “Non si sa come” (Milano, Mondadori); “Novelle per un anno, Firenze, Bemporad, Milano, Mondadori, I, Scialle nero, Firenze, Bemporad, La vita nuda, Firenze, Bemporad, La rallegrata, Firenze, Bemporad, L'uomo solo, Firenze, Bemporad,  La mosca, Firenze, Bemporad, In silenzio, Firenze, Bemporad, Tutt'e tre, Firenze, Bemporad, 1Dal naso al cielo, Firenze, Bemporad, Donna Mimma, Firenze, Bemporad,Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad, La giara, Firenze, Bemporad, Il viaggio, Firenze, Bemporad, Candelora, Firenze, Bemporad,  Berecche e la guerra, Milano, Mondadori,  Una giornata, Milano, Mondadori, Teatro dialettale siciliano, 'A vilanza, Cappiddazzu paga tuttu, con Nino Martoglio, Catania, Giannotta, Prefazione a N. Martoglio, Centona. Raccolta completa di poesie siciliane con l'aggiunta di alcuni componimenti inediti, Catania, Giannotta, Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, Uno, nessuno e centomila, Firenze, Bemporad, Prefazione a E. Levi, Lope de Vega e l'Italia, Florencia, Sansoni, Introduzione a S.D'Amico, Storia del teatro italiano, Milano, Bompiani); In un momento come questo, in "Nuova Antologia",Giustino Roncella nato Boggiolo, in Tutti i romanzi, Milano, Mondadori, Tutti i romanzi, Milano, A. Mondadori, Novelle per un anno, Milano, A. Mondadori, Maschere nude, Milano, A. Mondadori); Lettere a Marta Abba, Milano, A. Mondadori, Saggi e interventi, Milano, A. Mondadori. Oltre al Nobel ricevette diverse onorificenze:  Cavaliere di Collare dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Collare dell'Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme Arcade Minore della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinesenastrino per uniforme ordinariaArcade Minore della Secolare Accademia del Parnaso Canicattinese — Canicattì Intitolazioni. A lui è stato dedicato un asteroide. Enciclopedia Italiana Treccani alla voce Girgenti. In A. Camilleri. Biografia del figlio cambiato, Milano,  Lettere da Palermo e da Roma, Bulzoni, Roma, Il risorgimento familiare. Medicina e Insonnia. in.. Riferimenti autobiografici a questo problema che affligge si trovano in numerose sue opere: Il turno, L'amica delle mogli, Il fu Mattia Pascal, L'uomo solo, La trappola, La giara  G. Bonghi, Biografia di Luigi Pirandello, Edizione dei classici italiani  A. Camilleri, In effetti, afferma in un lettera ai familiari da Roma. I professori di questa università, nella facoltà mia, sono d’una ignoranza nauseante (Lettere giovanili da Palermo e da Roma Bulzoni, Roma, difese pubblicamente durante una lezione un suo compagno rimproverato ingiustamente dal rettore.  M. Manotta, L. Pirandello, Pearson Italia S.p.a.,  Da Album Pirandello, I Meridiani Mondadori, Milano, A. Camilleri, Biografia del figlio cambiato, BU. La storia di Luigi e Antonietta è infatti quella di un matrimonio di una Sicilia di fine '800, combinato per interesse, da parte di due soci nel commercio dello zolfo. Antonietta porta la dote che assicura ai giovani sposi sbarcati da Girgenti in continente e approdati a Roma, una vita tranquilla e permette a Luigi di affermarsi come scrittore. Il matrimonio d'interesse è sublimato grazie alla letteratura e diventa un matrimonio d'amore con la moglie ideale (in Anna Maria Sciascia, Il gioco dei padri. Pirandello e Sciascia, Avagliano, S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato, Storia, G. Mazzacurati, Introduzione e biografia, dalla Prefazione a Il fu Mattia Pascal, Einaudi; Vita di Pirandello; Pirandello e la moglie Antonietta, G. GiudiceTipografico Torinese, M. Manotta, Pearson Paravia Bruno Mondadori, L. Pirandello, S. Pirandello, A. Pirandello, Il figlio prigioniero: carteggio tra L. e S. Pirandello durante la guerra Mondadori,  Motivazione del Premio Nobel per la Letteratura. Tutti i no di Mussolini a Pirandello. L'arci-fascista non piace al Duce; G. Afeltra, Mia cara Marta, l'amore platonico di Pirandello  Tra Pirandello e M. Abba ottocento lettere di emozioni  Einstein e l'invito. Lo scontro che nessuno vide  L. Lucignani, Pirandello, la vita nuda, Giunti, Pirandello e la prima guerra mondiale. Chiede di entrare nei Fasci (La Stampa); F. Sinigaglia, I volti della violenza a teatro, Lucca, Argot. Non e l'unico filosofo che si iscrive al partito fascista nel pieno della vicenda Matteotti. Ungaretti si iscrisse appena nove giorni dopo il funerale di Matteotti (Stato matricolare di Ungaretti, Università "La Sapienza" di Roma. La sua adesione al fascismo, G. Giudice, Pirandello (POMBA Torino); Pirandello e la politica, su atutta scuola. G. Lagorio, Troppi idiotic. E Pirandello partì; Pirandello, nudità e fascismo; Pirandello. Gli anni del fascismo; B. Mussolini, Nel solco delle grandi filosofie -- relativismo e fascismo, in Il popolo d'Italia. Le idee di Mazzini e di Sorel influenzano profondamente il fascismo di Mussolini e Gentile (S. Zamponi, Lo spettacolo del fascismo, Rubbettino. Sorel è veramente il notre maître (B.Mussolini, Il Popolo in Opera Omnia); Interviste: parole da dire, uomo, agl’altr’uomini, Rubbettino; riportato da G. Giudice. Prefazione alle Novelle per un anno, Milano, Storie dalla storia, L'oro alla patria Il Sole 24 ORE  M. Sambugar, Letteratura italiana per moduli, Incontro. R. Dombroski, L'esistenza ubbidiente – la filosofia sotto i fasci (Guida); L'Ovra a Cinecittà di Natalia ed Emanuele V. Marino,  Boringhieri, Il Post); I giganti della montagna, taote.  Così, in una bara in affitto, riportammo a Girgenti le sue ceneri. Malgrado i divieti prima del gerarca, poi del pre-fetto, e infine del vescovo. In Camilleri e lo strano caso delle ceneri di Pirandello. N. Borsellino, Il dio di Pirandello: creazione e sperimentazione, Sellerio, R. Alajmo, Le ceneri di Pirandello, Drago, in Saggi poesie, scritti varii Mondadori, Milano). I filosofi hanno il torto di non pensare alle bestie e davanti agl’occhi di una bestia crolla come un castello di carte qualunque sistema filosofico. D. Marcheschi, L'umorismo, Milano, Oscar Mondadori, X.  Marcheschi rivela che copia intere pagine del saggio da opere precedenti di L. Dumont, A. Binet, G. Séailles, G. Negri, G. Marchesini, nonché dalla Storia e fisiologia dell'arte di Ridere di T. Massarani. Vedi articolo de Il Giornale, in “Caro Pirandello, ti ho beccato a copiare.  Pirandello, L'umorismo e altri saggi, Giunti; S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato, TPirandello: guida al Fu Mattia Pascal, Carocci, Scrittori sull'orlo di una scelta spiritista  Sambugar, La sua filoofia s'inserisce in un contesto culturale in cui è presente il concetto di relativismo: la teoria della relatività di Einstein, il Principio di indeterminazione di Heisenberg, la teoria quantistica di M. Planck. Simmel fonda il suo relativismo sulla convinzione che non esistono leggi storiche obiettivamente valide. Dizionario di filosofia). E nelle arti figurative il relativismo è ripreso dal cubismo caratterizzato da una rappresentazione dell'oggetto considerato simultaneamente da diversi punti di vista. S. Guglielmino, H. Grosser, Il sistema letterario Milano, Principato, Maschere nude, I. Zorzi, Newton Compton); E. Providenti, Epistolario familiare giovanile Quaderni della Nuova Antologia, Le Monnier, Firenze, Roberto Alonge, Pirandello, Laterza, Bari, Elio Providenti, Luigi Pirandello. Epistolario, Quaderni della Nuova Antologia, Le Monnier, Firenze); U. Artioli, L'officina segreta di Pirandello, Laterza, RomaBari, Luigi Pirandello, una vita da autore, repubblicaletteraria. C. Vicentini, Il disagio del teatro (Marsilio, Venezia). La prima rappresentazione della commedia La morsa si ha a Roma, al Metastasio, ad opera della Compagnia del "Teatro minimo" diretta da N. Martoglio che la mise in scena assieme all'atto unico Lumie di Sicilia. Cedendo alle insistenze di Martoglio acconsentì a che La morsa e Lumie di Sicilia sono rappresentate nella stessa serata. I due atti unici hanno diverso esito presso il pubblico, che accolge con favore La morsa, mentre non grade Lumie di Sicilia (in Interviste, Parole da dire, uomo, agli altri uomini" di I. Pupo, Rubettino,  Legato a ricordi della fanciullezza di Pirandello.  Da. Savio, Il carnevale dei morti. Sconciature e danze macabre nella narrative, Novara, Interlinea. l mio primo libro fu una raccolta di versi, “Mal giocondo”. In quella prima raccolta di versi più della metà sono del più schietto umorismo, e allora io non so neppure che cosa e l'umorismo ("Le lettere"); “Il cinema di Amedeo Fago Pirandello NASA. Enrico 4., Firenze, Bemporad e figlio, Esclusa, Milano, Fratelli Treves, Fu Mattia Pascal, Milano, Treves, I Pirandello. La famiglia e l'epoca per immagini, E. Zappulla, Catania, la Cantinella, R. Alonge, Roma-Bari, Laterza, U. Artioli, L'officina segreta” (Bari, Laterza); R. Barilli, La linea Svevo-Pirandello, Milano, Mursia, E. Bonora, Sulle novelle per un anno in Montale e altro novecento, Caltanissetta-Roma, Sciascia, N. Borsellino, Ritratto e immagini, Roma-Bari, Laterza, N. Borsellino e W. Pedullà (diretta da), Storia generale della letteratura italiana, Il Novecento, La nascita del Moderno, Milano, Motta, F. Michele e M. Rössner, L’identità italiana, Atti del Convegno internazionale di studi pirandelliani, Graz Pesaro, Metauro, Arcangelo Leone De Castris, Storia di Pirandello (Bari, Laterza); A. Benedetto, Verga, Annunzio, Pirandello (Torino, Fògola); L. Lugnani, L'infanzia felice (Napoli, Liguori); G. Macchia, “La stanza della tortura, Milano, Mondadori,  Pirandello e dintorni, Catania, Maimone, F. Medici, Il dramma di Lazzaro. Asprenas, A.  Pagliaro,  “U ciclopu, dramma satiresco d’Euripide ridotto in siciliano (Firenze, Monnier); G. Podestà,  "Humanitas", F. Puglisi, L'arte; Messina-Firenze, D'Anna, F. Puglisi, Pirandello e la sua lingua, Bologna, Cappelli, Filippo Puglisi, L. Pirandello, Milano, Mondadori, F. Puglisi, Pirandello e la sua opera Catania, Bonanno, C. Salinari, Miti e coscienza del decadentismo italiano. D'Annunzio, Pascoli, Fogazzaro, Pirandello” (Milano, Feltrinelli); A. Sichera, Ecce Homo!Nomi, cifre e figure di Pirandello (Firenze, Olschki); R. Scrivano, La vocazione contesa” (Roma, Bulzoni, G. Taffon, Il gran teatro del mondo, in Maestri drammaturghi nel teatro italiano del '900. Tecniche, forme, invenzioni, Roma, Laterza, G. Venè, “Fascista. La coscienza borghese tra ribellione e rivoluzione” (Venezia, Marsilio); M. Veronesi (Napoli, Liguori); C. Vicentini, “Il disagio del teatro” (Venezia, Marsilio); R. Vittori, Il trattamento cinematografico dei 'Sei personaggi' (Firenze, Liberoscambio); E. Zappulla, Pirandello e la filosofia siciliana, Catania, Maimone, Filosofi siciliani del secondo dopoguerra, Catania, Maimone. Casa di Pirandello D. Fabbri Lanterninosofia  su Pirandello Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Conferenza Episcopale Italiana. nobelprize. Audiolibri di Luigi Pirandello, su LibriVox.  di Luigi Pirandello, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.:etteratura fantastica, Fantascienza. Movie Luigi Pirandello, su Internet Broadway Database, The Broadway League.Luigi Pirandello, su filmportal.de.  Centro Nazionale Studi Pirandelliani, su cnsp. Istituto di studi pirandelliani allo Studio Luigi Pirandello. E. Licastro, Pirandello fra Spengler e Wittgenstein. Luigi Pirandello. Pirandello. Keywords: e dov’è il copione? è in noi, signore – il dramma è in noi -- siamo noi – R Chiede d’entrare nei fasci, La Stampa, Gentile e Sorel, Mussolini e Nietzsche, Mussolini e Sorel. – ridotto in siciliano. U ciclopu, decadentismo, identita personale, l’io e la societa, il collettivo, l’intersoggetivo. Refs: Luigi Speranza, “Grice e Pirandello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675808450/in/photolist-2mPzFQD-2mMVzhz-2mLKtaD-2mLEqtd-2mKNNqN-2mKjsJY-2mJoZKd-2mJmMsF-2mJq2uE-2mJmM2F-2mJkynC-2mJoZHV-2mJq2vG-2mJq2uz-2mJmM3h-2mJgred-2mJoZJM-2mJkymR-2mJgreo-2mJkynN-2mJoZHp-2mJoZJX-FMciDY

 

 

Grice e Pirro – l’idealismo di Gentile – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Severo). Filosofo. Studia a Roma sotto Spirito. Studia Allmayer sotto Plebe. Insegna a Perugia e Palermo. Studia Gentile. Pubblica “L'attualismo di G. Gentile e la religione” (Sansoni). Fra i suoi saggi si ricordano anche “Filosofia e politica in Croce” (Bulzoni). Si interessa alla ricerca storiografica e svolse numerosi saggi di  su Terni. Esponente di spicco della vita culturale della città umbra, studia gli aspetti poco indagati di quella che fino ad allora era una città ancorata ad una dimensione prettamente industriale. Sotto la Giunta di G. Ciaurro, coordina il progetto per la realizzazione di un museo archeologico nel convento di San Pietro sotto. Peroni. Nei suoi studi di storia ricostrusce prima della pubblicazione de Il sangue dei vinti di G. Pansa, episodi della guerra civile tra cui l'assassinio del sindacalista Carloni e del dirigente d'azienda Corradi.  Fonda il "Centro Studi Storici", un'associazione culturale di ricerca storica a cui viene collegata la rivista “Memoria” L'obiettivo di “Memoria”  è quello di porre fine all'amnesia organizzata, facendo conoscere a tutti le vicende di una città figlia non solo dell'industrializzazione. Accanto ad un nuovo sguardo per le vicende passate “Memoria” inaugura una stagione di storiografia libera da condizionamenti ideologici e basata sulle fonti.  Suscita critiche per la ricostruzione di alcuni episodi di violenza avvenuti durante la resistenza anti-fascista, critiche che si sono particolarmente concentrate all'indomani della sua scomparsa ad opera di storici locali, che lo accusano di revisionismo. In realtà il suo lavoro è sempre stato suffragato dalla presenza della fonte documentale. Le vicende ricostruite, come ad esempio quella dell'uccisione di Corradi o Urbani, ad opera dei partigiani non sono mai trattate dalla “storiografia ufficiale”. Consigliere dell'stituto per la Storia dell'Umbria e dell'stituto di Cultura della Storia dell'Impresa Franco Momigliano, dell’Istituto per la Storia del Risorgimento italiano. Il saggio  “Regnum hominis: l'umanesimo di Gentile” fa parte della collana della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice di Roma. Un saggio dedicato al Risorgimento pubblicato da Morphema intitolato Scritti sul Risorgimento. Un saggio "Dopo Gentile dove va la scuola italiana". Il Consiglio Comunale di Terni delibera di dedicare la sala Tacito di Palazzo Carrara in Terni a Pirro. Con l'occasione si presenta il carteggio "La vita come Ricerca, la vita come Arte, la vita come Amore", titolo riferito all’omonimo saggio di Spirito. In occasione delle celebrazioni della fondazione del Liceo Tacito di Terni, gli viene dedicate nell'atrio della scuola, una targa con una dicitura tratta da una poesia di Gibran. Altre opere: "Italia e Germania nel Novecento", raccolta di saggi da “Studi Politici". Pubblica una raccolta di memorie di scritti di garibaldini intitolata "Correva l'anno 1867” “Terni e l'affrancamento di Roma nelle memorie dei garibaldini; il saggio "Filosofia e Politica e Giovanni Gentile" (Aracne). Il Comune di Terni delibera la posa di una targa in memoria presso la dimora di  Pirro. La Soprintendenza Archivistica dell'Umbria e delle Marche dichiara il suo archivio di notevole interesse culturale ai sensi del T.U. dei Beni Cultural. Viene scoperta sulla casa a Piazza Clai a Terni una targa commemorativa. Viene pubblicato da Intermedia "L'unica via è il Pensiero: scritti in memoria". Altre saggi: “Una missiva a Spirito,” “L'attualismo di Gentile e la religione” (Firenze, Sansoni); “Filosofia e politica in Croce” (Roma, Bulzoni); “Filosofia e politica in Gentile” (Firenze, Sansoni); “La riforma Gentile e il Fascismo”, Giornale critico della filosofia italiana” (Firenze, Sansoni); La politica dell’idealismo italiano” (Firenze, Sansoni); “La prassi come educazione nella gentiliana interpretazione di Marx” (Firenze, Sansoni); “Cultura e politica” (Firenze, Sansoni); “Filosofia e politica: il problematicismo” (Roma, Bulzoni); “La repubblica fascista”; “Per una storia dell'Umbria durante la repubblica fascista” (Perugia, IRRSAE, “Terni nell'età rivoluzionaria e napoleonica,”Arrone, Thyrus,  Terni e la sua Provincia durante la Repubblica Sociale” (Arrone, Thyrus); R. Ugolini, G. Petroni, dallo Stato Pontificio all'Italia unita” (Scientifiche, Napoli); “Interamna Narthium materiali per il museo archeologico di Terni” (Arrone, Thyrus); Le acque pubbliche gli acquedotti di derivazione e le utilizzazioni idrauliche del territorio di Terni nei sommari riguardi: tecnico, legislativo e storico” (Terni-Giada, ICSIM, Una scuola una città: il Liceo ginnasio di Terni” (Arrone, Thyrus); “Terni nell'età del Risorgimento” (Arrone, Thyrus); “Sull'avvenire industriale di Terni, scritti di L. Campofregoso; Perugia: CRACE/ICSIM, “Garibaldi visto da G. Gentile” (Roma, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano); "Per Garibaldi" (Arrone, Thyrus); “I Giustizieri, La Brigata Gramsci tra Umbria e Lazio, di M. Marcellini, Mursia, neRegnum hominis, L'Umanesimo di Gentile” (Collana Scientifica Fondazione U. Spirito e Renzo de Felice, Roma, Nuova Cultura); “Scritti sul Risorgimento” (G. Furiozzi), Terni, Morphema); “Dopo Gentile dove va la scuola italiana (Firenze, Lettere); La vita come ricercar, la vita come arte, la vita come amore” (Terni, Morphema); Italia Germania Saggi di Filosofia Politica, Amazon, Filosofia e Politica in G. Gentile” (Aracne, Roma); Maceo Carloni: Storia e Politica (Intermedia, Orvieto); Manifesto del convegno su G. Petroni; Garibaldi Terni Mostra documentaria e pubblicazioneIstituto della Storia del Risorgimento G. Petroni Dallo Stato Pontificio all'Italia unita. Convegno di Studio Terni, La Rivoluzione Francese, Terni, La nascita della Repubblica e gli anni della ricostruzione”; Bibliomediateca, Terni, 7ricerca storico documentaria; sezione ldella mostra in collaborazione con Archivio di Stato di Terni e Biblioteca comunale di Terni; in collaborazione con Centro per la promozione,  Istituto per la storia dell'Umbria contemporanea” (Arrone, Thyrus); Intorno alle miniere di ferro e alle ferriere dell'Umbria meridionale, scritti di Vaux et al.; Terni: CRACE/ICSIM  E. Passavanti nell'Italia del Novecento, Atti del Convegno di studi (Terni)” (Arrone: Thyrus); Convegno dei Lincei (Terni), Cesi e i primi Lincei in Umbria, atti del Convegno dei Lincei: Terni” (Arrone: Thyrus); dei Lincei, “Mazzini nella cultura italiana:”, atti del Convegno di studi, Terni” (Arrone: Thyrus); Magalott,  erudito, giureconsulto, docente di Diritto” (Arrone: Thyrus); Per Garibaldi” (Arrone: Thyrus); San Valentino patrono di Terni, atti del Convegno di studi: Terni” (Arrone: Thyrus); La vita come arte” (Sansoni, Firenze); “La vita come amore” (Sansoni Firenze); “La riforma della scuola” (Sansoni, Firenze); “Il problema dell'unificazione del sapere”; “Dal mito alla scienza” (Sansoni, Firenze); “La mia ricercar” (Sansoni, Firenze); Dall'attualismo al problematicismo” (Sansoni, Firenze); di Giovanni Gentile;  Il concetto di “pedagogia, in Scuola e Filosofia” (Sandron Palermo); “Giornale critico della filosofia italiana” (Sansoni, Firenze); “La scuola laica” (Vallecchi. Firenze); “Sistema di logica’ (Laterza, Bari); “La scuola” (Vallecchi, Firenze); “Che cos'è il fascismo”; Discorsi e polemiche” (Vallecchi Firenze); “Saggi critici” (Vallecchi, Firenze); Scritti pedagogici” (Treves, Milano); “Origini e dottrina del fascismo” (Istituto Fascista, Roma); di B. Croce  Contributo alla critica di me stesso. Napoli); Conversazioni critiche, (Laterza, Bari); “La letteratura d’Italia” (Laterza, Bari); “Cultura e vita morale” (Laterza, Bari); “Etica e politica” (Laterza, Bari); “Pagine sparse” (Laterza, Bari); La guerra civile”; “Memoria” (Thyrus, Arrone); “La storia rovesciata”, “L'umanesimo di  Gentile” (Cultura, Roma); “L'uomo e la storia (Thyrus, Arrone). Il percorso storico, "Regnum hominis". L'ospite di passaggio, la difesa. Sull'avvenire industriale di Terni; Rassegna storica del Risorgimento. La vita come Ricerca, la vita come Arte, la Vita come Amore.  Vincenzo Pirro. Pirro. Keywords: l’idealismo di Gentile, Istituto Nazionale Fascista, Origini e dottrina del fascismo, che cosa e il fascismo – discorsi e polemiche vallecchi, Firenze, Mazzini, per una storia dell’umbria durante la repubblica fascista, la repubblica fascista, gentiliana interretazione di Marx; la filosofia di Gentile, filosofia e politica in Gentile, Gentile nella grande guerra, il partito ha un capo che e dottrina vivente, Gentile e Mussolini, il concetto di stato, il concreto di Mussolini nel astratto dello stato, Pirro interprete di Gentile – la universita fascista di Bologna, la formazione dei dirigenti del regime – la repubblica fascista, storia e filosofia, la critica de Pirro alla damnatio memoriae di Croce, lo studio della filosofia nel veintennio fascista, l’origine del fascismo filosofico – Gentile, filosofo del fascismo – dizionario filosofico del fascismo, stato, spirito nazionale, italianita, romanita, propaganda, democrazia, repubblica, Italia, stato italiano -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pirro” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738640643/in/datetaken/

 

Grice e Pizzi – la regola di Boezio – filosofia italiana – la causa della cosa – abduzione e prova -- Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Grice: “About time an Italian philosopher takes ‘la regola di Boezio’ seriously!” Studia a Milano. Studia il condizionale contro-fattuale.  Insegna a Calabria e Siena, “Logica della prova” a Milano. Cura Hughes e Cresswell, che offre una panoramica completa e aggiornata della logica intensionale. Ampliando questa linea di ricerca, compila due antologie con introduzioni. Una dedicata al tempo e una dedicata al condizionale (se-ismo). Comone una serie di saggi in cui viene introdotta una logica dell'implicazione consequenziale. Il scopo della logica dell’implicazione con-sequenziale e riformulare le basi della logica connessiva nel quadro della logica modale. Questa traduzione consente di assiomatizzare un sistema G che risulta complete e decidibile mediante tableaux con un sviluppo verso una generalizzazione di questi risultati. Altri temi di ricerca csono stati il problema della definizione a della reduzione della necessita ai termini di contingenza, l'applicazione del quadrato dell’opposizione e del cubo dell’opposizione al modo, l'approccio al modo in termini di multi-imodo, cioè mediante l'impiego di un linguaggio base avente come primitivi una moltitudine d’operatori modali – contro la tesi dell’aequi-vocita di Grice. Nel campo della scienza il tema su cui lavora in modo preminente è stato quello del contro-fattuale della causa, a cui ha dedicato saggi destinati a un pubblico interessato all'epistemologia giudiziaria alla Hart/Honore – causation in the law. If you’re looking for the cause of what he did, what he did was very wrong – implicature! Sempre in questo settore compone un saggio sull’abduzione, dove analizza un caso giudiziario controverso, il disastro di Ustica. Sul tema di Ustica compone un saggio che contiene una discussione metodologica delle indagini ancora aperte sul caso, in merito alle quali cura attualmente un blog. Altre opere: “Introduzione alla logica modale” (Il Saggiatore, Milano); “La Logica del tempo” (Boringhieri, Torino); “Leggi di natura, modalita, ipotesi” (Feltrinelli, Milano); “Eventi e cause: na prospettiva condizionalista” (Giuffre', Milano); “Diritto, abduzione e prova” (Giuffre', Milano); “Ripensare Ustica, Createspace); “Implicazione logica”;  “Causalità (filosofia) “Abduzione”; “Strage di Ustica, claudiopizziit.wordpress.com. Claudio Pizzi. Pizzi. Keywords: la regola di Boezio, la tragedia d’Ustica, il se, condizionale contro-fattico, Grice, il modo, operatore di modo, cubo di Aristotele, il cubo dell’opposizione, opposizione quadratica, opposizione cubica, prova, causa, probabilita, l’idea di causa, ‘Actions and Events’ – causa ed aitia – il significato di causa in Cicerone – di causa a cosa – causa come latinismo – uso di cosa come causa – evoluzione della cosa dalla causa – della causa della cosa – implicazione, interplicazione, explicazione, interplicazione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pizzi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738904654/in/datetaken/

 

Grice e Pizzorno – la pollitica assoluta – filosofia italiana – filosofia del sindacato, filosofia fascista -- Luigi Speranza (Trieste). Filosofo. Studia a Torino. Insegna ad Urbino, Milano e Fiesole. Oltre agli importanti studi sulla materia sociologica conduce ricerche di sociologia economica e politica, in special modo sulle organizzazioni sindacali e sui conflitti di classe, sulla politica italiana e i suoi aspetti, sui rapporti tra sistemi politici ed economici nelle società industriali. Saggi: “Le classi sociali” (Il Mulino); “Comunità e razionalizzazione” (Einaudi); “Lotte operaie e sindacato in Italia, “Le regole del pluralismo”; “I soggetti del pluralismo”; “Classi, partiti, sindacati (Bologna); “Le radici della politica assoluta (Feltrinelli): “Il potere dei giudici” ("Il nocciolo", Laterza); “Il velo della diversità: studi su razionalità e riconoscimento (Feltrinelli); “Sulla maschera” (Il Mulino). Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “The reason why Pizzorno – bless his soul – does not criticize fascism, is that he possibly finds his theory of ‘communitarianism, razionalization and community, and the appeal to Tonnies’s community, almost too fascist to be true! – it’s the ‘bund’ – and other fascist conceptions that I sindacati had to fight against during the veintennio fascista!”. Grice: “The pity with PIzzorno is that he focuses on sindacati as from 1968, when he was getting drunk in Paris! He should have studied the sindicati during the veintennio fascista!” -- Grice: “I am pleased that Pizzorno quotes me. He apparently says that he is not into ‘conversation’ in the *sense* (senso) of Grice. Footnote there. When the index was compiled, Pizzorno, who was at Oxford at the time and could have asked (or axed), had no idea what my Christian name was, so he followed Speranza’s advice: ‘when you do not know the first name or Christian name use ‘John’ – so he did. (The corollary to Speranza’s corollary is: when you don’t know the surname, use ‘Smith’). So Grice, J. I became in his name index!” Alessandro Pizzorno. Pizzorno. Keywords: politica assoluta, razionalita e riconoscimento, razionalizzazione, soggetti del pluralism, lotta operaia, sindacato, la politica assoluta, fascismo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pizzorno” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738886114/in/datetaken/

 

Grice e Plantadossi – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripatransone). Filosofo. Saggi: “Conclusiones”, “Lectura super Primum Sententiarum”, “Prologi”; “Questiones”; “Questio de gradu supremo”. Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Not to be confused with FRANCESCO of Marchia. This is JOHN of Marchia. Nannini – metafisica, idea, exemplaris. Cf. H. P. Grice, “The problem of the universals. From Ripa to me.” Giovanni da Ripa. Giovanni da Ripatransone. Giovanni Plantadossi. Keywords: implicatura, universale, il problema degl’universali, A. Combes, Vignaux, Nannini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Plantadossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692212085/in/photolist-2mKS6HX

 

Grice e Plebe – il dizionario – filosofia italiana – filosofia siciliana. Luigi Speranza (Alessandria). Filosofo. Grice: “I think I love Plebe: he wrote a beautiful chapter on Cicero and Latin rhetoric for his ‘brief history of ancient rhetoric,’ and like my tutee Strawson, he approached Aristotle and modernist logic in a genial way --.” I have been criticized for titling ‘Sicilian philosophy’ anyone from Sicily, even if he left Sicily when he was three years old. In such a case, Plebe is a representative of Sicilian philosophy, my critic would say. Born in Italy, he jumped to the isle to teach … philosophy!” Seguo il verso di Orazio “Odio la massa e me ne tengo lontano”. Solo in questo sono uomo di destra. Studia a Torino. Insegna a Perugia e Palermo. Filosofo inizialmente marxista, ha una clamorosa rottura e viene annoverato fra i sostenitori dell'anticomunismo politico-culturale di quel periodo. Dopo una militanza di due anni con i socialdemocratici di Saragat, aderisce al Movimento Sociale Italiano. Rompe anche.Adere  al partito Democrazia Nazionale. Storico della filosofia, in particolare la antica filosofia italica. Riavvicinatosi al marxismo,  è editorialista del quotidiano Libero. Si define come un illuminista scettico sostenitore d'un anarchismo. Altre saggi: “Hegel. Filosofo della storia” (Torino, Edizioni di Filosofia); “La teoria del comico” (Torino, Giappichelli); “Gli hegeliani d'Italia” Vera, Spaventa, Jaja, Maturi, Gentile” (Torino, SEI); “Spaventa e Vera” (Torino, Edizioni di filosofia; “La nascita del comico: nella vita e nell'arte degli antichi italici e romani” (Bari, Laterza); “Filodemo e la musica” (Torino, Edizioni di filosofia); “Processo all'estetica” (Firenze, Nuova Italia); “Il problema kantiano” (Torino, Edizioni di filosofia); “Breve storia della retorica” Milano, Nuova Accademia); “La dodecafonia” (Bari, Laterza); “La logica formale” (Bari, Laterza); “Discorso semi-serio sul romanzo” (Bari, Laterza); “Estetica” (Firenze, Sansoni); “Storia della filosofia. Per il liceo classico” (Messina, D'Anna); “Termini della filosofia” (Roma, Armando); “Antica filosofia italica” (Firenze, Nuova Italia); “Che cosa è l'Illuminismo” (Roma, Ubaldini); “Che cosa ha veramente detto Marx (Roma, Ubaldini); “Che cosa ha veramente detto Hegel” (Roma, Ubaldini); “Atlante concettuale delle nuove filosofie: termini di denunzia, categorie dell'anti-conformismo, formule di moda, vecchi concetti in nuove filosofie” (Roma, Armando); “L'estetica italiana dopo Croce” (Padova, RADAR); “Che cosa è l'estetica?” (Roma, Ubaldini); “Che cosa è l'espressionismo?” (Roma, Ubaldini); “Dizionario filosofico” (Padova, RADAR); “Storia del pensiero” (Roma, Ubaldini); “Filosofia della re-azione” (Milano, Rusconi); “Quel che non ha capito Marx” (Milano, Rusconi); “Il libretto della destra” (Milano, Borghese); “A che serve la filosofia?” (Palermo, Flaccovio); “Un laico contro il divorzio” (Roma, INSPE); “La civiltà del post-comunismo” (Roma, CEN); “La filosofia italica” (Milano, Vallardi); “Il materialismo: fisica, biologia e filosofia oltre l'ideologia” (Roma, Armando); “Semiotica ed estetica” (Roma-Baden Baden); Il libro-Field educational Italia-Agis); “Leggere Kant, Roma, Armando); “Logica della poesia” (Palermo, Ila Palma); “Storia della filosofia” (Palermo, Ila Palma); “Manuale di estetica” (Roma, Armando); “Manuale di retorica”; Roma, Laterza); “La filosofia occidentale” (Roma, Armando); “Contro l'ermeneutica” (Bari, Laterza); L'euristica” (Roma, Laterza); “I filosofi e il quotidiano” (Roma, Laterza); “Dimenticare Marx?” (Milano, Rusconi); Politica (Milano, Rusconi); “Filosofi senza filosofia” (Roma, Laterza); “Tornerà il comunismo?” (Casale Monferrato, Piemme); “Manuale dell'intellettuale di successo” (Roma, Armando); Il quinto libro del capitale. Marx contro i marxisti” (Milano, via Senato); Gl’illuministi. Obiettivo libertà (Milano, via Senato); “Memorie di sinistra e memorie di destra. Un filosofo negli anni ruggenti” (Palermo, Qanat). Storia della filosofia: Filosofi italiani contemporanei, Bompiani, Milano); Il filosofo trasgressivo, cinema gay, Sesso, politica e frecciate di un bastian contrario, La destra fece un brutto affare. Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Armando Plebe. Plebe. Keywords: il dizionario – Gentile hegeliano – Torino SEI – storia della filosofia, antica filosofia italica, filosofia italica e filosofia romana, antica filosofia romana, filosofia dell’antica roma, azione e reazione, cicerone e la retorica Latina, la rhetorica ad herennium; Cicerone e la disputa tra retorica e filosofia; la retorica come arte nel ‘De oratore’ ciceroniano; la polemica di Quintiliano contro Seneca sulle sententiae; forma a contenuto nella retorica ciceroniana; il dialogo de oratoribus; quintiliano, la decadenza della retorica Latina; lessico logico, valore di verita, Strawson citato da Plebe, testo di Strawson tradutto da Plebe in “Logica formale”, la polemica Grice/Quine sotto Aristotele, connetivi, quantificatori, quadrato dell’opposizione, indice alla storia della filosofia antica di Plebe, approccio hegeliano alla storia della filosofia antica Latina – indice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Plebe” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51700177027/in/photolist-2mPXDFp-2mPCBQQ-2mNbFJE-2mNaHiH-2mLLZRD-2mLGRht-2mLyVqx-CkaHMd-CntuMM-CntseF

 

Grice e Poggi – implicatura – filosofia italiana – il veintennio fascista – incontro con Mussolini ad Ancona – filosofia ligure – I fatti di Sarzana – lasciato in liberta da Mussolini – massone proibiti -- Luigi Speranza (Sarzana). Flosofo. Colpito dalla violenza usata nei confronti del popolo durante le giornate milanesi e dal temporaneo esilio che dovettero subire alcuni socialisti amici di famiglia. Questo lo porta a simpatizzare per quel partito che stava nascendo e al quale si iscrise. Studia a Palermo e Genova. Pubblica “La questione morale nel socialismo: Kant e il socialismo.” Insegna a Genova. Ppartecipa come delegato al Congresso socialista di Ancona, nel corso del quale ebbe un duro scontro con il massimalista  Mussolini sul problema della compatibilità o meno del socialismo con la massoneria.  L'assemblea da in quell'occasione una larga maggioranza alla tesi di Mussolini dell'incompatibilità. Si reca nelle domeniche d'inverno al palazzo genovese di via Palestro dove Rensi animano un vero e proprio salotto, arricchito dalla presenza di illustri personalità quali il poeta e romanziere Pastorino,  Buonaiuti, Sella o Rossi. Mussolini si ricorda di quel suo leale tenace avversario e lo liberar, come attesta una registrazione esistente nel suo fascicolo personale presso l'Archivio Centrale dello Stato, lasciato in libertà dal Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato per atto di clemenza di S.E. il Capo del Governo. Saggi: “Lo stato italiani” (Firenze, Bemporad); “Cultura e Socialismo” (Torino, Gobetti); “Gesuiti contro lo stato liberale” (Milano, Unitas); “Filosofia dell'azione” (Roma, Alighieri); “Concetto del Diritto e dello Stato: saggi critici” (Padova, Milani); La preghiera dell'uomo” (Milano, Bocca); G. Meneghini, Socialismo spezzino, appunti per una storia, Massa G. Meneghini, G. Meneghini Sui luttuosi fatti del luglio v. Giuseppe Meneghini, La Caporetto del fascism Sarzana Mursia Editore Milano,  Pastorino, Mio padre Carlo Pastorino, Genova G. Meneghini, G. Meneghini,  Poggi  G. Meneghini, Poggi, Piero Pastorino, Mio padre Carlo Pastorino, Genova, Liguria Edizioni Sabatelli, Giuseppe Meneghini, Socialismo spezzino Appunti per una storia, Massa, Centro Studi Agostino Bronzi,.Fatti di Sarzana Socialdemocrazia. Anti-fascista e uomo di cultura, da Testimoni del tempo e della storia di Isa Sivori Carabelli. Alfredo Poggi. Poggi. Keywords: stati pontificii, positivismo giuridico, filosofia giuridica italiana contemporanea – il concetto di diritto, il concetto dello stato italiano – incontro con Mussolini, lasciato in liberta da Mussolini, I fatti di Sarzana, filosofia ligure, criticism kantiano, Adler, saggi sulla filosofia dell’azione. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poggi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689791889/in/photolist-2mPTxJB-2mPAuFE-2mLyVJy-2mKPS8q-2mPhuNk-2mKw3hq-2mKDGhr-2mKxnN1-2mKjsJY-2mPHbXQ-FJVKRC-FbXzmb-Ecrffr-BVvVQu-BqfWHD-Ck2izm-Ck5F6m-Ck9fTK-BvUfSB-AJp6ja-mwcBH4-my8CQ1-mwc4Gc-mwc6XV-mwctYM-mwdQhS-muiFDv-ihD8Yp-ihisHC

 

Grice e Pojero – Villa Pajero -- la setta iniziatica – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Palermo). Filosofo. Grice: “Like me, he held symposia in his villa – Villa Amato-Pojero in the Giardino Ingelse a Palermo – lots of Brits there!” StudIa a Napoli e Pisa. La sua villa ai Giardini Inglesi divenne luogo di incontro di filosofi. La sua biblioteca e punto di incontro di filosofi come Gentile, Vailati, Brentano, e Gemelli. Critica il razionalismo, incapace di comprendere la metafisica. Dizionario biografico degli italiani,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Amato Pojero. Giuseppe Pojero. Pojero. Keywords: la setta iniziatica -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pojero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737398687/in/datetaken/

 

Grice e Poli – implicatura – filosofia italiana. Luigi Speranza (Cremona). Filosofo. – e: Bologna. Insegna a Milano e Padova. Pubblica il saggio di “Filosofia elementare”, un eclettico sistema di empirismo e razionalismo.   “Saggi di scienza politico-legali” considerano il diritto un insieme di scienza in quanto trattano dei principi e di arte in quanto applicazione di un principio giuridico nella valutazione dei singoli casi. Il diritto e un'espressione provvidenziale. Si distingue in naturale e in positivo. Combatte il positivismo negli “Studii di filosofia contemporanea”, ri-vendicando la superiorità dello spirito sulla materia. “Saggio filosofico sopra la scuola dei moderni filosofi naturalisti -- coll'analisi dell'organologia, della craniologia, della fisiognomia, della psicologia comparata, e con una teoria delle idee e de' sentimenti” (Milano); “Primi elementi di filosofia” (Napoli); “Elementi di filosofia teoretica e morale” (Padova); “La filosofia elementare” (Milano); “La scienza politico-legale” (Milano), “Filosofia, Istituto Lombardo. Rendiconti); Studii di filosofia contemporanea, Istituto Lombardo. Rendiconti, Cenni sull'opera di Simone Corleo: il sistema della filosofia universale, ovvero la filosofia dell'identità, Istituto Lombardo. Rendiconti, La filosofia dell'incosciente, Istituto Lombardo. Memorie», Studi C. Cantoni, Studio della vita e delle opere. Milano, Filosofia Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Dizionario biografico austriaco. Il linguaggio, presidendeo dale grandi controversie de’ filosofi intorno alla sua origine e alla sua formazione, antro non e che elil complesso de’ segni destinati ad esprimere le nostre idee e I nostril sentimente. E comeche vari siano codesti segni per la loro indole e per la loro origine, cosi varia e la specia del linguaggio naturale, ossie delle grida, dei gesti e dell’azione, ed artificiale, ossia della parola e della scrituttura. Fra tutte le opinioni, sembra incontrastabile prima di tutto che gl’animali hanni i segni d’una specidie di linguaggio naturale nelle gride e nei moti. Ma questi signi sono o incerti e inisignificanti. O quasi sempre dubii almameno per noi, senza che sia in loro il potere di perfezionarli. In secondo luogo, e dimostrate che gl’animali quantunque forniti dell’organo della loquella e dell’udito, come anche della facultata di associare e d’imitare, non poterono mai giungere all’invenzione del linguage veramente articolato, e cio per difetto senza dubbio della facolta superior di della ragione. Sicche i pappagalli, che pur vanno ripetendo le voci umana, non hanno al pari delle scimie ne’ loro gesti una vera connessione mentale tra i suoni e le idee annessse, come il dimonstrano il loro parlare a caso ne mai correlative alle domande nuove e straordinarie, e la loro incapacita a ingrandire ed estendere il linguaggio gia appreso. In tterzo luogo e sicuro che com’e impossibile che gl’animale reseano dell’uso d’un linguaggi overamente articolato, non possedendo le idee astratte e generali delle quali esso si compone, cosi riusicrebbe loro affatto inutile, non avendo bisodno di espremiere tutti i nostri pensieri e tutti i nostri sentimenti. Baldassare Poli. Poli. Keywords: naturalisti, organologia, craniologia, fisiognomia, psicologia comparata. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Poli,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701255863/in/photolist-2mLEs8a-2mLHzhB-2mPxhsE-2mKTyvC-2mPpVqK-2mKFeJo-2mKU7b1-2mPs71e-2mPEECV-2mPoBGn-2mKBwcu-2mKAsyK-2mKCnei-2mPNG7N-2mKyErQ-2mPE3Bq-2mKDA5r-2mKw3hq-2mKDwcr-2mKEJsY-2mKxnN1-2mKA5tC-2mKAuZM-2mKCfz1-2mKjsJY-2mKbpiZ-2mKbok1-2mPLygi-2mPHbXQ-2mHGgw3-2mGT6p1-2mGnP2f-2b7eYAu-22DwUXj-243yMxV-2mES4nb-Eoj4SX-E58e4H-E4u3XA-Dw1w1R-CRAGiK-DcDDsS-DeWyrT-DndBhH-Bq6mau-CfbuaM-CkaHMd-Cntjci-Ckaz7s-CntuMM

 

Grice e Pollastri – olismo hegeliano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Studia a Firenze. Studia la filosofia della natura di Hegel. Si occupa in particolare di filosofare con le persone, campo nel quale dsvolge la filosofia. Ha uno sportello di consulenza presso il quartiere 4, Centro di Salute Mentale della ASL. Pubblica Apogeo Il pensiero e la vita, Consulente filosofico cercasi, Il filosofo in azienda e L’uomo è ciò che pensa. Fonda Phronesis Associazione Italiana per la Consulenza Filosofica, IPOC.  Collana “Pratiche Filosofiche” diretta da U. Galimberti per Apogeo e cura la collana “Dialogos”, sempre per l’editore IPOC. Insegna consulenza filosofica in numerose università italiane. Ha inoltre all’attivo ricerche in campo tradizionalmente filosofico come l’assoluto eternamente in sé cangiante. Interpretazione olistica del sistema hegeliano (La Città del Sole), alcuni articoli di filosofia politica e altri di filosofia dell’improvvisazione.  Accanto al suo impegno nella filosofia, si occupa di commenti alla musica, in particolare nel campo del jazz. Collabora con “Musica Jazz”, “Il Giornale della Musica” e “All About Jazz Italia”. Pubblica la biografia artistica di R. Tesi, Una vita a bottoni (Squilibri). Attivo in campo teatrale, come amatore ha esperienze di attore, recitando in lavori di Ionesco, Nicolaj, Feydeau, e Simon, e regista. Direge Sorelle Materassi di F. Storelli dal saggio di A. Palazzeschi, “La tettonica dei sentimenti” e “Siamo momentaneamente assenti” di L. Squarzina.  La sua teoria della consulenza filosofica e tutt'uno con una più generale concezione della filosofia e del filosofare. È all’interno di questa idea generale, che comprende una visione della società, degli orizzonti, dei destini della filosofia e il ruolo che il filosofo si svolge, che può essere inserita la sua visione della consulenza filosofica. Il punto di partenza potrebbe essere posto in un’analisi della società e nel ruolo che in essa giocano le psicoterapie e, più largamente il linguaggio e la cultura psico-terapeutica. La sua idea sembra essere quella di chi vede in corso un processo di trasformazione del dolore del male in una pato-logia psicologicamente rilevabile e curabile. Oggi, tanto i manuali psico-patologici come DSM-IV, quanto la cultura diffusa, da rotocalco (sovente però confortata da medici e psicologi che sui rotocalchi scrivono), tendono a far credere che ogni qualvolta si stia “male” ipso facto si sia “malato” e che, di conseguenza, sia necessario un terapeuta che ci guarisca. Ciò ovviamente porterebbe ad un estremo impoverimento nella capacità umana di comprendere e affrontare la vita. In un mondo in cui ogni dolore è SINTOMO e l’unica cosa che sembra avere importanza è che esso venga eliminato, la filosofia e la consulenza filosofica (che sembrano più essere due momenti di un'unica disciplina piuttosto che due cose diverse) non si presentano come pensiero risolutivo. Prendere decisioni e risolvere problemi sono due modi attraverso cui si banalizza la complessità e anche il fascino di ogni esperienza vitale umana. Se c’è qualcosa di davvero originale e inattuale che la filosofia offre agl’uomini ciò è giustappunto una prospettiva che vada oltre l’agire tecnico finalizzato, l’intervento manipolativo sulla realtà e, dunque, l’idea stessa di efficacia. Con questa impostazione non stupisce dunque che veda in modo estremamente critico la presenza del concetto di aiuto nella consulenza filosofica. Chi si concentra sull’aiutare il consulente rischia di fare semplicemente una psico-terapia mascherata e poco efficace. Concentrarsi sull’ausilio e la soluzione dei problemi posti dal consultante può disperdere la realtà e originale potenzialità della filosofia nel campo della considerazione dei problemi degli individui e della loro vita. Può annullare la capacità di ri-orientare il pensiero e l’agire che la ri-flessione filosofica porta con sé come sua assoluta specificità. Può, infine, privare gl’individui e la società di quella che è forse oggi rimasta l’ultima branca del sapere svincolata dallo strabordante e acritico dominio del produrre, del finalizzare, e della tecnica. L’onnipresenza del paradigma tera-peutico non deve fare sì che si dimentichi anche il rapporto sano che la filosofia può mantenere con la psicologia rettamente intesa. La psicologia cioè come ricerca di ciò che è proprio del comportamento umano che ogni filosofo coltiva. Come studio sull’uomo, e al pari di altre scienze umane che cercano di coglierne altre limitate ma fondamentali dimensioni (si pensi all’antropologia o alla sociologia), la psicologia e tenuta in considerazione dallo sguardo del consulente. La psicologia è stata nient’altro che una conoscenza tra le molte che la filosofia doveva comprendere, criticare, porre nel giusto posto che a essa spetta entro una comprensione filosofica del mondo. E se il filosofo non disdegna di occuparsi anche di psicologia, perché oggi il filosofo consulente dove temere oltremisura di fare riferimento anche a essa? Posta in un orizzonte conoscitivo e non terapeutico, la psicologia non è evitata, al pari di ogni altra disciplina, al consulente filosofico. Lo spazio entro cui colloca la sua azione e la sua riflessione implica una lettura della filosofia come del tutto connessa con la vita di ogni singolo uomo. Difficile cogliere la cesura tra questi e il filosofo. Se questa differenziazione ha sicuramente un valore indicativo, convenzionale, utile per distinguere chi ha fatto della riflessione il centro della vita, è difficile invece trovare una differenza essenziale tra costui e l’uomo comune. L’uomo è necessariamente filosofo. Le ragioni di questa necessità sono connesse con nell’essenza fragile, limitata, mortale dell’uomo, è da questa necessità che deriva l’urgenza dell’uomo a porsi domande, cercare senso, aspirare alla conoscenza, essere, cioè philo-sophos, amante del sapere. Ma se l’uomo è perennemente filosofo è anche perché è propria della filosofia l’incapacità di arrestarsi a un dato, a un risultato che non sia ulteriormente indagabile. La disciplina in questione così si mostra propriamente nella sua attività più che nel suo corpus di conoscenze. Anche la filosofia pratica, dunque, si conclude là dove produce qualcosa di pratico per diventare altro: morale, politica, diritto. Da questa visione se ne deduce la inapplicabilità della filosofia in generale e più specificatamente l’impossibilità di concepire la consulenza filosofica come una sorta di filosofia applicata alla vita. Il fatto è che la filosofia non si applica, oppure è sempre applicata: essendo amore per il sapere, è infatti qualcosa di perennemente in movimento- è un agire, un fare. E non c’è fare che non sia fare qualcosa. Quello della filosofia è il filosofare, vale a dire il cercare e ri-cercare, il ri-tornare sempre di nuovo sul problema, inappagati dall’apparente soluzione, il ri-flettere incessantemente per mettere a prova le nostre capacità di comprensione. Questo agire, che è pura e semplice filosofia, non può essere applicato perché lo è già sempre, non potendo avvenire senza un argomento, un tema, un problema e senza individui pensanti sui quali esso agisce, produce, come tutte le attività, effetti pratici concreti. Saggi: “L' assoluto eternamente in sé cangiante”; “Interpretazione olistica del sistema hegeliano”; “Studi sul pensiero di Hegel (La Città del Sole); “Il pensiero e la vita”; “Guida alla consulenza e alle pratiche filosofiche (Apogeo); “Consulente filosofico cercasi” (Milano, Apogeo); “L’uomo è ciò che pensa: sull’avvenire della pratica filosofica” (Girolamo, Trapani); “Il filosofo in azienda: pratiche filosofiche per le organizzazioni” (Apogeo, Milano); “Tesi. Una vita a bottoni, in A viva voce, Squilibri); “La consulenza filosofica”; “Breve storia di una disciplina atipica, in Intersezioni, Achenbach e la fondazione della pratica filosofica, in Maieusis, La consulenza filosofica tra saggezza e metodo, in“Inter-sezioni, Razionalità del sentimento e affettività della ragione”; “Appunti sulle condizioni di possibilità della consulenza filosofica”; “Discipline Filosofiche, Teoria pratica” e palle di biliardo”; “La consulenza filosofica come mappatura dell’esistenza, in “La cura degl’altro: la filosofia come terapia dell’anima” (Siena); “Il consulente filosofico di quartiere, in Autaut, Analisi di P. Rovatti, La filosofia può curare?, in Phronesis, Prospettive politiche della pratica filosofica, in Humana.mente, Improvvisare la verità. Musica jazz e discorso filosofico, in Itinera. D. Miccione, La consulenza Filosofica, Xenia. Neri Pollastri. Pollastri. Keywords: olismo hegeliano, etimologia di consultare, consolare, consultare, console – con-solus --, mutuo consiglio, Böttcher Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pollastri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738831049/in/datetaken/

 

Grice e Pomponazzi  -- l’affair pomponazzi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Flosofo. Important Italian philosopher. Di famiglia agiata. Studia a  Padova sotto Nardò, Riccobonella e Trapolino. Insegna a Padova, Carpi, Padova, Venezia, Ferrara, Mantova, e Bologna. Pubblica “De maximo et minimo”. Publica un commento al “De anima” aristotelico. Scrive il “Trattato dell’immortalita dell’anima” (Bologna), il “Il fato, il libero arbitrio e la predestinazione” (Grataroli, Basilea) e il “De naturalium effectuum causis, sive de incantationibus” (Grataroli, Basilea) oltre a commenti delle opere di Aristotele. Il “Tractatus de immortalitate animae, in cui sostiene che l'immortalità dell'anima non può essere dimostrata razionalmente, fa scandalo. Attaccato da più parti, la pubblicazione è pubblicamente bruciata a Venezia. Denunciato da Fiandino per eresia, la difesa di Bembo gli permette di evitare terribili conseguenze. E condannato da Leone X a ritrattare la sua tesi. Non ritratta. Si difende con la sua Apologia e con il Defensorium adversus Augustinum Niphum, una risposta al De immortalitate animae libellus di Nifo, in cui sostiene la distinzione tra verità di fede e verità di ragione, idea ripresa da Ardigò.  Evita ogni problema pubblicando il “De nutritione et augmentatione”, il “De partibus animalium” e il “De sensu”. Muore suicida. Per i peripatetici, l'anima è l'atto (entelechia) primo di un corpo che ha la vita in potenza. L’animo è la sostanza che realizza la funzione vitale dei corpi. Tre sono le funzioni dell'anima: la funzione vegetativa per la quale gl’esseri vegetali, animali e umani si nutrono e si riproducono; la funzione sensitiva per la quale gl’esseri animali e umani hanno sensazioni e immagini; la funzione intellettiva, per la quale gl’esseri umani comprendono.  La funzione intelletiva è la capacità di giudicare le immagini fornite dai sensi. L'atto dell'intendere si identifica con l'oggetto intelligibile, cioè con la sostanza dell'oggetto, ossia con la verità. L’intelletto possibile o passive è la capacità umana di intendere. L’intelletto attuale o attivo o agente è la luce intellettuale. L’intelleto agente contiene in atto ogni intelligibile, e agisce sull'intelletto potenziale come la luce mostra, mette in atto i colori che al buio non sono visibili ma pure esistono e dunque sono in Potenza. L’intelletto agente mette in atto una verità che nell'intelletto possibile e soltanto in potenza. L'intelletto agente è separato, non composto, impassibile, per sua essenza atto separato, esso è solo quel che è realmente. Questo è immortale ed eterno. Bisogna esaminare se la forma esista anche dopo la dissoluzione del composto. Per alcune cose nulla lo impedisce, come, ad esempio nel caso dell'anima, ma non dell'anima nella sua interezza, bensì dell'intelletto, poiché è forse impossibile l'esistenza separata dell'anima intera. I parepatetici a Padova si sono divisi in due correnti: gli’averroisti e gl’alessandrini, seguaci questi delle interpretazioni di Alessandro di Afrodisia. Gl’averroisti, secondo una concezione influenzata dall’idealismo sosteneno l'unicità e la trascendenza non solo dell'intelletto agente, ma anche dell'intelletto possibile, che per lui non appartiene agl’uomini ma è unico e comune all'intera specie umana. Gl’alessandrini manteneno l'unicità dell'intelletto agente, che fano coincidere con il divino, ma attribuisceno a ciascun uomo un intelletto possibile individuale, mortale insieme con il corpo. Va ricordato che per Aquino nell'uomo è presente un'unica anima per sua natura (simpliciter) immortale, ma per un certo aspetto (secundum quid) mortale, in quanto anche legata alle funzioni più materiali dell'essere umano.  Trae spunto da una discussione con Raguseo il quale, avendo sostenuto che la teoria d’Aquino sull'anima non si accorda con quella aristotelica, lo prega di provare le sue affermazioni mediante mezzi puramente razionali. Fecero bene gli antichi a porre gl’uomini tra le cose eterne e quelle temporali, cosicché gl’uomini, né puramente eterni né semplicemente temporali, partecipano delle due nature e stando a metà fra loro, può vivere quella che vuole. Così, alcuni uomini sembrano dei perché, dominando il proprio essere vegetativo e sensitivo, sono quasi completamente razionali. Altri, sommersi nei sensi, sembrano bestie. Altri ancora, uomini nel vero senso della parola, vivono mediamente secondo la virtù, senza concedersi completamente né all'intelletto e né ai piaceri del corpo. Gl’uomini dunque, sono di natura non semplice ma molteplice, non determinata ma bifronte – ancipitis -- media fra il mortale e l'immortale. Questa medietà non è il provvisorio incontro di due nature, una corporea e una non-corporea, che si divideranno con la morte, ma è la dimostrazione della reale unità degl’uomini. La natura procede per gradi. Gl’esseri vegetali hanno un poco di anima. Gl’animali hanno i sensi e una certa immaginazione. Alcuni animali arrivano a costruirsi case e a organizzarsi civilmente tanto che molti uomini sembrano avere un'intelligenza molto inferiore alla loro.  Vi sono animali intermedi fra la pianta e la bestia, come la spugna della scimmia non sai se sia uomo o bruto, analogamente l'anima intellettiva è media fra il temporale e l'eterno. Polemizza cogl’averroisiti che hanno scisso dalla naturale unità umana il principio razionale da quello sensitivo e con’Aquino, rilevando che l'anima, essendo unica, non può avere due modi di intendere, uno dipendente e un altro indipendente dalle funzioni dei corpi. La dipendenza dell'intelligenza dalla fantasia, che dipende a sua volta dai sensi, lega l'anima indissolubilmente al corpo e ne fa seguire lo stesso destino di morte.  È capovolta la tesi fondamentale d’Aquino. L'anima è per sé mortale e secundum quid, in un certo senso, immortale, e non il contrario, perché nobilissima fra le cose materiali e al confine con le immateriali, profuma di immortalità ma non in senso assoluto (aliquid immortalitatis odorat, sed non simpliciter). E ricorda che per Aristotele l'anima non è creata da Dio. Gl’uomini infatti sono generati dagl’altri uomini e anche dal sole. Riguardo al problema del rapporto fra ragione e fede, solo la fede, non le ragioni naturali, può affermare l'immortalità dell'anima e coloro che camminano per le vie dei credenti sono fermi e saldi,  mentre per quanto attiene i problemi etici che la mortalità dell'anima potrebbe suscitare, afferma che per comportarsi virtuosamente non è affatto necessario credere all'immortalità dell'anima e alle ricompense ultraterrene, perché la virtù è premio a sé stessa e chi afferma che l'anima è mortale salva il principio della virtù meglio di chi la considera immortale, perché la speranza di un premio e il terrore della pena provoca comportamenti servili contrari alla virtù.  Il Tractatus provoca clamore e polemiche alle quale rispose, ribadendo le sue tesi con l'Apologia, dove risponde alle critiche amichevoli di Contarini, Colzade e Fiandino. Replica con il Defensorium adversus Agostinum Niphum alle critiche di Nifo, professore di filosofia a Padova.Panizza chiese a Pomponazzi se possono esserci cause sopra-naturali di eventi naturali, in contrasto con le affermazioni di Aristotele, e se si debba ammettere l'esistenza del demonio anche per spiegare molti fenomeni che si sono verificati.  Dobbiamo spiegare questi fenomeni con cause naturali, senza ricorrere al demonio. E ridicolo lasciare l'evidenza per cercare quello che non è né evidente né credibile.  D'altra parte, poiché l'intelletto percepisce dati sensibili, un puro spirito non potrebbe esercitare un'azione qualunque su qualcosa di materiale. Uno spirito non puo entrare in contatto con il mondo. In realtà vi sono uomini che, pur agendo per mezzo della scienza, hanno prodotto effetti che, mal compresi, li hanno fatti ritenere opera di santi o di maghi, com'è successo con Abano o con Cecco d'Ascoli. Altri, ritenuti santi dal volgo che pensa avessero rapporti con gli angeli sono magari dei mascalzoni. Facessero tutto questo per ingannare il prossimo. Ma, a parte casi di incomprensione o di malafede, è possibile che fenomeni mirabolanti hanno la loro causa nell'influsso degli astir. È assurdo che un corpo celeste, che regge tutto l'universo non possa produrre un effetto che di per sé e nulla considerando l'insieme dell'universo. Cause naturali, comunque, secondo la scienza del tempo: il determinismo astrologico governa anche le religioni. Al tempo degli idoli non c'era maggior vergogna della croce, nell'età successiva non c'è nulla di più venerato. Ora si curano i languori con un segno di croce nel nome di Gesù, mentre un tempo ciò non accadeva perché non era giunta la sua ora. Ogni religione ha i suoi miracoli quali quelli che si leggono e si ricordano nella legge di Cristo ed è logico, perché non ci possono essere profonde trasformazioni senza grandi miracoli. Ma non sono miracoli perché contrari all'ordine dei corpi celesti ma perché sono inconsueti e rarissima. Nessun fenomeno ha dunque cause non naturali. L’astrologo che abbia colto la natura delle forze celesti, può spiegare tanto le cause di fenomeni che sembrano sopra-naturali che realizzare opere straordinarie che il popolino considererà miracolose solo perché incapace di individuarne la causa. L'ignoranza del volgo è del resto sfruttata da politici e da sacerdoti per tenerlo in soggezione, presentandosi ad esso come personaggi straordinari o addirittura inviati da Dio stesso. Se Dio ha creato l'universo ponendo su di esso leggi fisiche precise, sarebbe paradossale che egli stesso agisse contro queste leggi utilizzando eventi sovrannaturali come i miracoli. L’universo è controllato e determinato dall'agire degli astri e Dio agisce indirettamente muovendo questi ultimi. Sviluppa quindi una concezione dell'universo deterministica. Se tale e la forze che governa il mondo, se anche un fenomeno sopra-nturale ha una spiegazione nell'esistenza della forza naturale così potente, esiste ancora una libertà nelle scelte individuali dell'uomo? In Dio, conoscenza e causa delle cose coincidono e dunque egli è veramente libero. Gl’uomini si esprimeno invece in un mondo dove tutto è già determinato. Rifiutato il contingentismo degl’alessandrini, che salvano la libertà umana criticando gli stoici per i quali non esiste né contingenza né libertà umana, è costretto dalla sua concezione strettamente deterministica, ove tutto è regolato dalla forza naturale superiori agl’uomini, a propendere per l'impossibilità del libero arbitrio. L’argomento è difficilissimo. Gli stoici sfuggono facilmente alle difficoltà facendo dipendere da Dio l'atto di volontà. Per questo l'opinione stoica appare molto probabile. Nel cristianesimo c'è maggiore difficoltà a risolvere il problema del libero arbitrio e della predestinazione. Se Dio odia ab aeterno i peccatori e li condanna, è impossibile che non li odi e non li condanni. Così odiati e reietti, è impossibile che i peccatori non pecchino e non si perdano. Che rimane, allora, se non una somma crudeltà e ingiustizia divina, e odio e bestemmia contro Dio? E questa è una posizione molto peggiore di quella stoica. Gli stoici dicono infatti che Dio si comporta così perché la necessità e la natura lo impongono. Secondo il cristianesimo, il fato dipende invece dalla cattiveria di Dio, che potrebbe fare diversamente ma non vuole, mentre secondo gli stoici Dio fa così perché non può fare altrimenti. Espone la mortalita dell’animo con voce dolce e limpidissima. Il suo discorso e preciso e pacato nella trattazione, mobile e concitato nella polemica. Quando poi giunge a definire e a trarre le conclusioni, e rave e posato. Nulla tenero con gli uomini di chiesa, isti fratres truffaldini, domenichini, franceschini, vel diabolini riassume il suo spirito ironico e motteggiante consigliando alla filosofia credete fin dove vi detta la ragione, alla teologia credete quel che vogliono i teologi e i prelati con tutta la chiesa, perché altrimenti farete la fine delle castagne ma e serio e senza compromessi nelle sue convinzioni scrivendo nel “De fato” che Prometeo è il filosofo che, nello sforzo di scoprire i segreti divini, è continuamente tormentato da pensieri affannosi, non ha sete, non ha fame, non dorme, non mangia, non spurga, deriso, dileggiato, insultato, perseguitato dagli inquisitori, ludibrio del volgo. Questo è il guadagno dei filosofi, questa la loro ricompensa. Epperò un filosofo e un dio terreno, tanto lontano dagli altri come un uomo o e dalla sua figura dipinta e lui e pronto, per amore della verità, anche a ritrattare quel che dico. Chi dice che polemizzo per il gusto di contrastare, mente. In filosofia, chi vuol trovare la verità, dev'essere eretico. Trattati peripatetici  (Milano, Bompiani); B. Nardi (Firenze, Monnier); N. Badaloni, Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Bari, Laterza); G. Zannier, Ricerche sulla diffusione e fortuna del De Incantationibus” (Firenze, Nuova Italia);  E. Garin, Aristotelismo veneto, Peripatetici veneti” (Padova, Antenore);  M. Sgarbi, “Tra tradizione e dissenso (Firenze, Olschki); P. Vitale, “Un aristotelismo problematico: il «De fato», Aristotele si dice in tanti modi, “Lo sguardo”. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia. Petrus Pomponatius. Pomponatius. Pietro Pomponazzi. Pomponazzi. Keywords: peripatetismo veneto. Pomponazzi. Keywords: paripatetismo veneto -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice, Shropshire and Pomponazzi on the immortality of the soul," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689160403/in/photolist-2mPmNVF-2mNaHiH-2mLQ1Vx-2mKLVA3-2mKAsyK-2mKv1Ab-2mKDwbv-2mKk2pP-2mKbo8n-2mKjibQ-2mKjhGt-2mKkohW-2mKfLXX-2mKhaME-2mKhc2y

 

Grice e Pontara – se il fine giustifichi i mezzi – filosofia italiana -- (Cles). Filosofo. Grice: “I like Pontara: he wrote a whole essay on Kant’s problem about the reduction of the categorical to the the prudential imperative, “Se il fine giustifica i mezzi. Uno dei massimi studiosi della nonviolenza. Fortemente dubbioso dell’eticità del servizio militare. Insegna a Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento.  Uno dei fondatori di “Per la Pace”. Studia etica pratica e teorica, metaetica e filosofia politica. “Se il fine giustifichi i mezzi” (Mulino, Bologna). Studia Nonviolenza, Pace, Utilitarismo, in Dizionario di politica (Pomba, Torino); Neo-contrattualismo, socialismo e giustizia,  Democrazia e contrattualismo, Riuniti, Roma); Filosofia pratica, Saggiatore, Milano, Antigone o Creonte. Etica e politica (Riuniti, Roma); “Etica e generazioni future” (Laterza, Bari); La personalità nonviolenta” (Abele, Torino); “Guerre, disobbedienza civile, nonviolenza” (Abele, Torino); “Breviario per un'etica quotidiana” (Pratiche, Milano); “Il pragmatico e il persuaso, Il Ponte, Teoria e pratica della nonviolenza” (Einaudi, Torino). G. Pontara. Pontara. Keywords: Grice on the mythic status of the contract in ‘Meaning Revisited’, Grice against the quasi-contractualist, se il fine giustifichi i mezzi, contrattualismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pontara” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701655769/in/photolist-2mPpwbZ-2mLGv16

 

Grice e Ponte – implicatura maschile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lodi). Flosofo. Studia a Genova. Insegna a Pontremoli. D'impostazione tradizionalista, dopo gli studi classici vive a Pontremoli. Storico delle idee e del diritto romano arcaico, studioso di simbolismo, fonda la rivista di ispirazione evoliana “Arthos” -- cultura tradizionale, testimonianza tradizionale, a cura di “Arya”  di Genova. Cura il “Tractatus de potestate summi pontifices”; La Cronologia vedica in appendice a La dimora artica dei Veda. Tra i fondatori del movimento tradizionale romano. Collabora attivamente con “Arya”, ispirate dall'O.I.C.L. Altre saggi: “Dei italici”; “Miti italici,” “Archetipi e forme della sacralità romano-italica” (Genova, Ecig); “Il movimento tradizionalista romano” (Scandiano, Sear); “La religione dei romani” (Milano, Rusconi); “Il magico Ur” (Borzano, Sear); “I liguri: etno-genesi di un popolo” (Ecig, Genova); “La città degli dei”; “La tradizione di Roma e la sua continuità” (Ecig, Genova); "Favete Linguis!" Saggi sulle fondamenta del Sacro in Roma antica” (Arya, Genova); "Ambrosiae pocula" (Tridente, Treviso); "Nella terra del drago" note insolite di viaggio nel Regno del Bhutan (Tridente, La Spezia); “Il mondo alla rovescia” (Arya, Genova); “In difesa della Tradizione” (Arya, Genova); “Le sacre radici del potere” (Arya, Genova); “La Massoneria volgare speculative” (Arya, Genova); “Lettere ad un amico” (Arya, Genova); :Hic manebimus optime” (Arya, Genova); “Etica aria” (Arya, Genova); “Aspetti del lessico pontificale: gli indigitamenta”; “ “I lari nel sistema spazio-temporale romano”;  “Santità delle mura e sanzione divina,”; “Gl’arii”; “Via romana agli Dei”;  Centro studi La Runa. Renato del Ponte. Ponte. Keywords: implicatura maschile, ario, gl’arii, I liguri, romani, antica roma, massoneria volgare. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponte” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738808129/in/dateposted-public/

 

Grice e Ponzio – il segno dell’altro – semiotica filosofica – filosofia italiana – Luigi Speranza (San Pietro Vernotico). Filosofo. Studia a Bari sotto Semerari. Insegna a Bari. Cura Rossi-Landi. Studia la fenomenologia della relazione interpersonale. Insegna a Brindisi, Francavilla Fontana, Terlizzi. Studia Scienze dei linguaggi e linguaggi delle scienze. Intertestualità, interferenze, mutuazioni.  Pubblica “Enunciazione e testo letterario nell'insegnamento dell'italiano come lingua straniera” (Guerra, Perugia);  Linguistica generale, scrittura letteraria e traduzione, Da dove verso dove. L'altra parola nella comunicazione globale, A mente. Processi cognitivi e formazione linguistica, Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio; Introduzione a M. Bachtin (Bompiani); “Il discorso amoroso” (Mimesis) e Bachtin e il suo circolo (Bompiani, collana “Il pensiero Occidentale” diretta da G. Reale); Summule logicales (Bompiani); Manoscritti matematici (Spirali); La filosofia come professione, come istituzione, presuppone una filosofia propria del linguaggio, che si esprime nella tendenza del linguaggio al plurilinguismo dialogico, alla correlazione dialogica delle lingue e dei linguaggi di cui sono fatte, una filosofia del linguaggio, in cui ‘del linguaggio’ è da intendersi come genitivo soggettivo: un filosofare del linguaggio, che consiste nella pluri-discorsività dialogizzata. I campi di suo studio e di sua ricerca sono la semiotica e filosofia del linguaggio. Filosofia del linguaggio è l'espressione che meglio esprime l'orientamento dei suoi studi e come egli affronta i problemi relativi alla semiotica dal punto di vista della filosofia del linguaggio, alla luce degli sviluppi delle scienze dei segni, dalla linguistica alla bio-semiotica.  In tal senso il suo approccio può essere più propriamente definito come di pertinenza della semiotica generale, anche se si occupa di semiotica generale, in termini di critica. La semiotica generale supera l'illusoria separazione tra le discipline umanistiche, da una parte, e quelle logico-matematiche e le scienze naturali, dall'altra, evidenziando invece la condizione di inter-connessione. La sua ricerca semiotica si riferisce a diversi campi e discipline, praticando un approccio che è trasversale e inter-disciplinare, o come direbbe lui stesso "in-disciplinato".  Si occupa di semiotica, di linguistica e delle altre scienze dei linguaggi e dei segni, nel senso della filosofia del linguaggio, intendendo ‘del linguaggio’ non come indicazione dell'oggetto della filosofia, della filosofia che si occupa del linguaggio, ma come “la filosofia” del linguaggio stesso, come la sua attitudine al filosofare. Filosofia del linguaggio e intesa come filosofia del dialogo, apertura all'altro, disposizione all'alterità, arte dell'ascolto, messa in crisi del mono-linguismo, del mono-logismo, inventiva, innovazione, creatività che nessun ordine del discorso, nessuna de-limitazione dei luoghi comuni dell'argomentare, può controllare o impedire. Il genere, come ogni insieme, uniforma indifferentemente, cancella le differenze tra coloro che ne fanno parte, e implica l'opposizione altrettanto indifferente con coloro che fanno parte del genere opposto. Ogni genere a cui l'identità si appella per affermare la sua appartenenza, per esempio comunitaria, etnica, sessuale, nazionale, di credo, di ruolo, di mestiere, di condizione sociale, è in opposizione a un altro genere: bianco/nero; uomo/donna; comunitario/extra-comunitario; co-nazionale/straniero; professore/studente. Afferma che ogni differenza-identità, ogni differenza di genere, al suo interno, è cancellazione della differenza singolare e ogni genere. Ogni identità presuppone, in quanto basato sull'indifferenza e sull'opposizione, prevede il conflitto.  L'unica differenza non indifferente e non oppositiva è la differenza singolare, fuori identità, fuori genere, come d“sui generis” è l'alterità. Alterità intesa come relazione con l'altro, alterità assoluta, di unico a unico, in cui ciascuno è in-sostituibile e non indifferente. Un'alterità che l'identità rimuove e censura, relega nel privato, ma che ciascuno vive e riconosce come vera relazione con l'altro. Altre saggi “La relazione inter-personale” (Adriatica, Bari), “L’altro” (Adriatica, Bari); “Linguaggio e relazioni sociali” (Adriatica, Bari); Produzione linguistica e ideologia sociale (Donato, Bari); “Persone, linguaggi e conoscenza” (Dedalo, Bari); “Filosofia del linguaggio e prassi sociale” (Milella, Lecce); “Dialettica e verità -- Scienza e materialismo storico-dialettico” (Dedalo, Bari); “La semiotica in Italia” (Dedalo, Bari); “Marxismo, scienza e problema dell'uomo” (Bertani, Verona); “Scuola e pluri-linguismo (Dedalo, Bari); “All’origini della semiotica” (Dedalo, Bari); “Segni e contraddizioni” (Bertani, Verona);“Spostamenti, Percorsi e discorsi sul segno” (Adriatica, Bari); “Lo spreco dei significanti. L'eros, la morte, la scrittura” (Adriatica, Bari); Fra linguaggio e letteratura” (Adriatica, Bari); “Segni per parlare dei segni” (Adriatica, Bari); Filosofia del linguaggio, Adriatica, Bari, Interpretazione e scrittura. Scienza dei segni ed eccedenza letteraria” (Bertani, Verona); “Dialogo sui dialoghi (Longo, Ravenna); La filosofia del linguaggio (Adriatica, Bari); “La tartaruga” (Ravenna, Longo); “Filosofia del linguaggio”; “Segni valori ideologie” (Adriatica, Bari); “Dialogo e narrazione” (Milella, Lecce); “Tra semiotica e letteratura” (Bompiani, Milano); “La ricerca semiotica (Bologna, Esculapio); Il dialogo della menzogna” (Roma, Stampa alternativa, Scrittura, dialogo e alterità” (Nuova Italia, Firenze); Fondamenti di filosofia del linguaggio (Laterza, Roma); “Responsabilità e alterità” (Jaca, Milano); “La differenza non indifferente. Comunicazione e guerra, Mimesis, Milano);  “Il segno dell'altro: eccedenza letteraria e prossimità” (Scientifiche, Napoli); I ricordi, la memoria, l'oblio. Foto-grafie senza soggetto (Bari, Sud); Comunicazione, comunità, informazione -- comunicazione mondializzata e  tecnologia (Manni, Lecce); “I tre dialoghi della menzogna e della verità (Scientifiche, Napoli); “La rivoluzione bachtiniana. Il pensiero di Bachtin e l'ideologia contemporanea” (Levante, Bari); “Metodologia della formazione linguistica” (Laterza, Roma); “Che cos'è la letteratura?” (Milella, Lecce); “Elogio dell'infunzionale -- critica dell'ideologia della produttività” (Castelvecchi, Roma); “Semiotica della musica. Introduzione al linguaggio musicale” (Graphis, Bari); “La coda dell'occhio. Letture del linguaggio letterario” (Graphis, Bari); Basi. Significare, inventare, dialogare” (Lecce, Manni); “La comunicazione” (Graphis, Bari); “Fuori campo: il segno del corpo tra rappresentazione ed eccedenza (Mimesis, Milano); Il sentire nella comunicazione” (Meltemi, Roma); Semiotica dell'io” (Meltemi, Roma); “I segni e la vita la semiotica” (Spirali, Milano); “Uomini, linguaggi, mondo” (Milano, Mimesis); “Il linguaggio e le lingue. Introduzione alla linguistica generale” (Bari, Graphis); “I segni tra globalità e infinità. Per la critica della comunicazione globale (Bari, Cacucci); “Semioetica (Roma, Meltemi); “Linguistica generale, scrittura letteraria e traduzione” (Perugia, Guerra); “Semiotica e dialettica, Bari, Sud); “La raffigurazione letteraria (Milano, Mimesis); Semiotica globale. Il corpo nel segno (Bari, Graphis); Testo come ipertesto e traduzione letteraria, Rimini, Guaraldi); Tesi per il futuro anteriore della semiotica. Il programma di ricerca della Scuola di Bari-Lecce, (Milano, Mimesi); Dialoghi semiotici (Napoli, Scientifiche); “La cifrematica e l'ascolto” (Bari, Graphis); “Fuori luogo. L'esorbitante nella riproduzione dell'identico” (Roma, Meltemi); “A mente. Processi cognitivi e formazione linguistica” (Perugia, Guerra); Lineamenti di semiotica e di filosofia del linguaggio (Bari, Graphis); Tre sguardi su Dupin” (Bari, Graphis); “Scrittura, dialogo, alterità” (Bari, Palomar); “Linguaggio, lavoro e mercato” (Milano, Mimesis); “La dissidenza cifrematica” (Milano, Spirali); Contexto, Da dove verso dove. La parola altra nella comunicazione globale (Perugia, Guerra); “La visione ottusa” (Milano, Mimesis); “L’analisi, la scrittura” (Bari, Graphis); Interpretazione e scrittura, Scienza dei testi ed eccedenza letteraria” (Multimedia, Lecce); “In altre parole, Mimesis, Milano); “La filosofia del linguaggio, Edizioni Laterza, Bari); “Marxismo e umanesimo. Per un'analisi semantica delle Tesi su Feuerbach (Dedalo, Bari); “Manoscritti matematici (Dedalo, Bari); Saggi filosofici, Edizioni Dedalo, Bari); Marxismo e filosofia del linguaggio (Dedalo, Bari); Freudismo, Dedalo, Bari); Semiotica, teoria della letteratura e marxismo (Dedalo, Bari); Il linguaggio, Bari, Dedalo); “Linguaggio e classi sociali. Marxismo e stalinismo (Dedalo, Bari); Il metodo formale e la teoria della letteratura” (Dedalo, Bari); “L'alienazione come fenomeno sociale” (Riuniti, Roma); “Il linguaggio come pratica sociale” (Dedalo, Bari); “Polifonie” (Adriatica,  Bari); Scienze del linguaggio e plurilinguismo. Riflessioni teoriche e problemi didattici” (Adriatica, Bari); Scienze del linguaggio e insegnamento delle lingue e delle letterature. Annali del convegno (Adriatica, Bari); “Tractatus. Summule logicales” (Adriatica, Bari); “La significanza del senso, in “Idee”,  “La genesi del senso”;  Il linguaggio questo sconosciuto. Iniziazione alla linguistica (Adriatica, Bari); Il linguaggio come lavoro e come mercato” (Bompiani, Milano); Segni (Laterza, Bari); “Umanesimo ecumenico (Adriatica, Bari); “Semiosi come pratica sociale” (Napoli, Scientifiche Italiane, Napoli); “Semiotica e ideologia” (Milano, Bompiani); “Uccelli, Stampa alternativa, Baria); “Il mio ventesimo secolo, Adriatica Bari); “Sulla traccia del grice” “Idee”, Emmanuel Lévinas, Su Blanchot, Palomar, Bari); “Maschere. Il percorso bachtiniano fino alla pubblicazione dell'opera su Dostoevskij (Dedalo, Bari); Idea e realtà dell'Europa: Lingue, letterature, ideologie, “Annali della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere”, Schena, Fasano (Brindisi), Comunicazione, comunità, informazione” (Manni, Lecce); “Paul Valéry, Cimitero marino, in “Athanor”,  Il Mondo/il Mare, e in “L'immaginazione”,  Problemi dell”opera di Dostoevskij  (Sud, Modugno (Bari); Lisa Block de Behar, Al margine (Sud, Modugno Bari) Michail Bachtin, Problemi dell'opera di Dostoevskij  Sud, Bari); “Significato, comunicazione e parlare comune” (Marsilio, Venezia); “La scrittura e l'umano, Saggi, dialoghi, conversazioni” (Bari, Sud); “Per una filosofia dell'azione responsabile” (Manni, Lecce); “Vivant, Riflessioni su Lévinas” (Bari, Edizioni dal Sud); “Marxismo e filosofia del linguaggio” (Manni, Lecce); “Il metodo della filosofia”; “Saggi di critica del linguaggio” (Graphis, Bari); “Disoccupazione strutturale, “Millepiani”, “Lingua, metafora, concetto”; “Vico e la linguistica cognitiva” (Sud, Bari); Meditazioni  (Sud, Bari); “Dall'altro all'io” (Meltemi, Roma); Vita, Athanor. Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura, Meltemi, Roma); “Linguaggio e scrittura” (Meltemi, Roma); “Trattato di logica. Summule logicales (Bompiani, Milano); “Il linguaggio come lavoro e come mercato” (Bompiani, Milano); “Basi della semiotica”; “Nel segno” (Bari, Laterza); “Mondo di guerra, Athanor; “Semiotica, Filosofia, Arte, Letteratura” (Roma, Meltemi); “Ideologia” (Meltemi, Roma); “Il freudismo” (Milano, Mimesis); Karl Marx Manoscritti matematici, edizione critica con intruduzione, Spirali, Milano, Renato Fucini, Le veglie di neri e All'aria aperta, ed. critica Leonard G. Sbrocchi, Bari, Edizioni Dedalo); “Metodica filosofica e scienza dei segni” (Milano, Bompiani); “Semiotica e ideologia” (Milano. Bompiani); Qohélet: versione in idioma saletino e trad. Italiana, Caputo, Lecce, Milella); In dialogo. Conversazioni (Milano, Esi, Athanor.  Umano troppo disumano, Roma, Meltemi, Linguaggi, Scienze e pratiche formative. Quaderni del Dipartimento di Pratiche linguistiche e analisi di testi, Lecce, Pensa Multimedia, La filosofia del linguaggio (Bari, Laterza);  La filosofia del linguaggio come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca scientifica” Bari, Edizioni dal Sud, Athanor. La trappola mortale dell'identità, Roma, Meltemi e letture critiche, Bari, Sud, Calefato, Logica, dialogica, ideologica. I segni tra funzionalità ed eccedenza, Semiosi, infunzionalità, semiotica” (Milano, Mimesis); “La filosofia del linguaggio come arte dell'ascolto”; “Sulla ricerca” (Bari, Sud,); Lingua e letteratura, conoscenza e coscienza”; “Identità e alterità nella dinamica della coscienza storica”; “Tutto il segnico umano è linguaggio; Per Qohélet emigrato nel Sud è la vanità ad essere nienzi: dentr  il dialetto è straniera la parola dei re Frank Nuessel, “Virtual; Dal silenzio primordiale al brusio della parola”; “lla ricerca della parola “vissuta”; Tutt'altro”; “Infunzionalità ed eccedenza come prerogative dell'umano” (Milano, Mimesis). Augusto Ponzio. Ponzio. Keywords: il segno dell’altro, semiotica filosofica, segno, segnico, il segnico, l’amore, lo spreco del segno, Vico e la linguistica cognitive; Landi; sottiteso, Grice, pragmatica, metafora, vailati. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ponzio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738109076/in/datetaken/

 

Porta -- there may be another!

 

Grice e Porta – implicatura magica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Figlio d’Antonella Della Porta, di origine milanese, interprete di noti sceneggiati Rai (da Sheridan, a Davide Copperfield, a Maigret) e dal baritono Arturo La Porta, di famiglia pugliese (sul Gargano), diretto da Von Karajan e in grandi compagnie con M. Callas, B. Gigli, T. Gobbi, G. Di Stefano, G. Simionato, R.Tebaldi, al cinema (La signora dalle camelie, Casa Ricordi) e in tv (Andrea Chénier di M. Landi, La traviata di M. Lanfranchi).  Studia Bruno a Roma. Cura “De umbris idearum” e il “Cantus Circaeus” in “Il nolese di ghiaccio” (Bompiani).“Ti presento Sophia”Altri saggi: “La Magia”; “Coincidenze miracolose, Storia della magia,e la trilogia di A come anima, A come amore e C come cuore; Dizionario dell'inconscio e della magia” (Sperling); “Tu chiamale se vuoi coincidenze” (Lepre). “Ricerca sul mito”  “Sulle orme degli antenati”  “Incontri nella notte, “Segnali”; "Immagini da leggere"; “Bellitalia”. “Parlato semplice”  “Bruno”,  “Storia della Magia”  “Storia della cavalleria”   “Il mare di notte”, “Inconscio e Magia”, “Inconscio e Magia Psiche”,  “Guarire insieme”. Studia il rapporto tra la filosofia antica romana e psicologia junghiana. Collabora a “Abstracta”. “La Magia”; “L’Arte della Memoria” “Anima Mundi” Insegna a Siena.Scuola di Psicoterapia Psicosintetica ed Ipnosi Ericksoniana “H. Bernheim” di Verona.Istituto di Comunicazione Olistica Sociale, Bari.  Filoteo Giordano Bruno di Nola, Il canto di Circe, Roma, Atanor, Ombre delle idee, Roma, Atanor,  Itinerari magici d'Italia. Una guida alternativa, Centro, Roma, Mediterranee, I grandi del mistero, Firenze, Salani,  Storia della magia mediterranea, Roma, Atanor, Un'avventura nel Rinascimento” (Milano, Fiore d'oro); “L'essenza dell'amore” (Roma, Atanor); Meyrink iniziato, Roma, Basaia); “Morte di un bacio” (Roma, Lucarini); “I tarocchi di Bruno. Le carte della memoria” (Milano, Jaca); “Racconti di tenebra” (Roma, Newton); “Bruno: tra magia e avventure, tra lotte e sortilegi la storia appassionante di un uomo che, ritenuto mago dai contemporanei, fu condannato per eresie dall'Inquisizione e arso vivo sul rogo” (Roma, NCompton, La battaglia della montagna bianca, Chieti, Solfanelli, PFantasmi. Storie e altre storie sulle orme di M. R. James” (Roma, Compton); L’incubo e del terrore” (Roma, Compton); “Misteri di pietra” (Roma, Grapperia); “Racconti per amore” (Roma, Lucarini); “Bruno: avventure di un pericoloso maestro di filosofia” (Milano, Bompiani); “Roma magica e misteriosa”; Dalla sedia del diavolo ai fantasmi di villa Stuart, dalla cripta dei Cappuccini alla Porta Magica di piazza Vittorio: un viaggio affascinante nel cuore segreto della città eterna e dei suoi dintorni” (Roma, Compton); “Misteri. Quasi un manifesto della letteratura del mistero e del segreto” (Milano, Camunia);  Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano, Rizzoli); Storia della magia. Grandi castelli, grandi maghi, grandi roghi” (Milano, Bompiani); “Il ritorno della grande madre” (Milano, Saggiatore); “La magia” (Roma, Marsilio); “Coincidenze miracolose” (Roma, Idealibri); “Donne magiche” (Roma, Idealibri); A come anima, Milano, Pratiche, La quiete del Terrifico, Fasano, Schena, C come cuore. Pagine per lenire il mal d'amore, Milano, Pratiche, Intervista Ettore Bernabei, Roma, Edizioni Eri, S come seduzione; “Dizionario dell'eros e della sensualità” (Milano, Saggiatore); P come passioni” (Dizionario delle emozioni e dell'estasi” (Milano, Tropea); “Dizionario dell'inconscio e della magia” (Milano, Sperling); L'armonia del dolore, Roma, Pagine, Agguato all'incrocio, Milano, Tu chiamale se vuoi coincidenze. Quaranta storie realmente accadute” (Roma, Lepre); “Il mistero di Dante”;  "Qui trovo libertà autentica", su ecoradio.  Gabriele La Porta. Porta. Keywords: implicatura magica, Bruno, filosofia antica, Jung, il mistero di Dante, il mistero d’Alighieri, Roma, etimologia di roghi, maestro pericoloso, seduzione, sensualita, amore, estasi, storia della cavalleria, Atanor, Roma. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738737449/in/datetaken/

 

Grice e Porta – implicatura fisionomica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vico Equense), filosofo. Grice: “He is the one with the funny illustrations of men and animals! The Italian way to comment on Aristotle!” Figlio di Nardo Antonio e di una patrizia della famiglia Spadafora, riceve le basi della sua formazione culturale in casa, dove si era soliti discutere di questioni scientifiche, e dimostra immediatamente le sue notevoli innate capacità, che poté sviluppare attraverso gli studi grazie alle condizioni agiate della famiglia: il padre era infatti proprietario terriero e armatore di navi. Prima il padre e poi il fratello maggiore Gian Vincenzo ebbero a partire dal 1541 la carica di scrivano di mandamento.  La famiglia ha una casa a Napoli a via Toledo (il palazzo Della Porta), una villa a Due Porte, nelle colline intorno a Napoli, e la villa delle Pradelle a Vico Equense. Tra i suoi maestri vi sono il classicista e alchimista Pizzimenti, e i filosofi Altomare e Pisano. Pubblica “Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium”. Pubblica un saggio di crittografia, il “De furtivis literarum notis” dove escrive un esempio di sostituzione poli-grafica cifrata con accenni al concetto di sostituzione poli-alfabetica. Per questo è ritenuto il maggiore crittografo italiano. Quando già la sua fama e consolidata, presenta il suo saggio sulla crittografia a Filippo II e viaggia in Italia. Ha un saggio, “Sull'arte del ri-cordare” – ars reminiscendi (Sirri, Napoli).  Fondato intanto i segrettari, l'Academia Secretorum Naturae, Accademia dei Segreti, per appartenere alla quale e necessario dimostrare di effettuare una scoperta. L'accento viene tuttavia posto più sul meraviglioso che sul scientifico. Le raccolte di segreti costituivano un genere letterario che aveva incontrato una straordinaria fortuna con l'avvento della stampa a caratteri mobili. Per “segreto” si intende conoscenza arcana, ma anche ricetta, preparazione di farmaci e pozioni d’effetto straordinaro, riguardante un argomento di medicina, chimica, metallurgia, cosmesi, agricoltura, caccia, ottica, costruzione di macchine, ecc.  Colui che insegna a padroneggiarli e chiamato professore di segreti. I segrettari sono però sospettati di occuparsi di temi riguardanti la magia e l'occultismo, sicché  e indagato dall'Inquisizione e il circolo dei segrettari chiuso. A lui e tuttavia concesso di continuare gli studi di filosofia naturale. Pubblica “Pomarium” sulla coltivazione degli alberi da frutta. Pubblica “Olivetum”. Entrambi inclusi nella sua enciclopedia sull'agricoltura.  Pubblica  “De humana physio-gnomonia, della fisionomia degl’uomini” (Cacchi, Vico Equense).  Ritiene che l'animo non è impassibile rispetto ai moti del corpo e si corrompe per la passione. In “De ea naturalis physio-gnomoniae parte quae ad manum lineas spectat” (Trabucco, Napli) studia con attenzione i segni delle mani dei criminali. Un tale segnio non e frutto del caso ma importante indizio per comprendere appieno il carattere degl’uomini. Pubblica “Phyto-Gnomonica” (Salviani, Napoli) dove evidenzia l'analogia tra piante e animali, stimolato dai contatti con alcuni alchimisti, poderoso saggio sulle proprietà dei vegetali messe in analogia con le varie parti del corpo umano, basato sull'antica dottrina delle segnature.  Corredata da tavole illustrate, estende il concetto di “fisio-gnomica” alle piante -- elencandole a seconda della loro localizzazione geografica.  Ravvisa collegamenti occulti tra la morfologia delle piante e quella dei minerali, degl’uomini, e persino, indirettamente, degli astri e dei pianeti dell'astrologia, in una sorta di zoo-morfismo.  Affascinato ed entusiasta per il gran Paracelso e per i suoi dottissimi seguaci perché la spagiria produce al mondo rimedi non mai più per l'addietro caduti negli umani intelletti.  Onde da solleciti investigatori de' secreti della natura applicati a morbi, ritrovano soblimi ed infiniti rimedi, onde la medicina, così gran tempo ristretta negli angusti suoi termini, or, allargando fuori, ha ripieno il mondo de' suoi meravigliosi stupori. La sua villa e frequentata da Campanella. Amico di Sarpi. Conosce anche Bruno. Per ordine dell'inquisitore veneziano doverichiedere il permesso per le sue pubblicazioni a Roma. Si incontra con Sarpi e con Galileo. Incontra i Cesi.  Pubblica la “Taumatologia” (Sirri, Napoli); “Criptologia” (Sirri, Napoli). Scrive ancora un saggio di ottica (“De refractione optices"), uno di agricoltura (“Villae”), uno di astronomia -- “Coelestis Physio-Gnomoniae” (Paolella, Napoli) e “Della celeste fisonomia” (Paolella, Napoli) --  uno di idraulica e matematica -- “Pneumaticorum” (Carlino, Napoli) --, uno di arte militare (“De munitione”), uno di meteorologia -- “De aeris transmutationibus” (Paolella, Napoli) --, uno di chimica -- “De distillatione” (Camerale, Roma) -- e uno sulla lettura della mano (“Chirofisonomia). Nel campo dell'ottica esercita notevoli contributi, indagando le proprietà degli specchi concavi e convessi, conducendo un minuzioso studio delle lenti descrivendo la costruzione di ingenti apparecchi ottici, tra cui la camera oscura ed il telescopio. Intraprese inoltre studi di chimica pratica che includono la fabbricazione di smalti, di polveri da sparo e di cosmetici. I numerosi esperimenti che ci descrive indicano un’attitudine che lo pone fra i principali chimici dell’epoca.  I suoi studi sono caratterizzati principalmente dalla ricerca di farmaci dagli effetti eccezionali, utili ad esempio per la memoria, per produrre sogni piacevoli o incubi, rimedi contro l’impotenza e la sterilità. Dei Lincei. Rivendica l'invenzione del telescopio, resa nota da Galilei. Fa parte anche di un circolo dedicato alla letteratura dialettale napoletana (Schirchiate de lo Mandracchio e 'Mprovesante de lo Cerriglio), e gl’oziosi. Raccogge esemplari rari del mondo naturale e coltiva piante esotiche. La sua villa e visitata dai viaggiatori e ispira Kircher a radunare una simile collezione nel suo palazzo a Roma. Commediografo e scrisse “Le commedie” (Stampanato, Bari, Laterza), in prosa, una tragi-commedia, una tragedia e un dramma liturgico; “Della chirofisonomia” (Napoli, Bulifon); “Claudii Ptolomaei Magnae Constructionis” (Vivo, Napoli); “Il Teatro” (Sirri, Napoli); “Villae” (Palumbo e Tateo,  Napoli);  “Elementorum Curvilineorum” (Cavagna e Leone, Napoli);  Accusato di plagio da Bellaso, che era stato il primo ad aver proposto questo tipo di cifratura dieci anni prima. U. Eco, R. Fedriga, Storia della filosofia: Dall'Umanesimo a Hegel, Laterza Edizioni Scolastiche, W.  Eamon, Il professore di segreti. Mistero, medicina e alchimia nell'Italia del Rinascimento, A. Paci, Carocci,.M.  Fumagalli, “Semplicisti e stillatori: l'arte degl’aromatari” (Milano, SGS,.Gnome, su treccani.  L. Turinese, “Zoo-morfismo, fisiognomica e fito-gnomica: antesignano della bio-tipologia in medicina,  in “Il cenacolo alchemico” (A. Paolella e G. Rispoli, Napoli, Il Faro di Ippocrate); D. Verardi, La scienza e i segreti della natura a Napoli nel Rinascimento: La magia naturale” (Firenze); A. Paolella, La Spagiria, ne Il Cenacolo alchemico, A. Paolella e G. Rispoli, Napoli, ed. Il Faro di Ippocrate); A. Paolella, Carteggio linceo, in "Bruniana & Campanelliana", Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Convegno di Vico Equense, M. Torrini, Napoli), P. Piccari (Milano, Angeleli); G. Giudice, “II mago dell'arcana sapienza” (Milano, BVia Senato); A. Paolella, “I Meteorologica di Telesio, Porta e Cartesio -- tra credenza e scienza,  Roma,  Associazione geofisica italiana, A. Paolella, L’astrologia: la Coelestis Physiognomonia” (Poligrafici, Pisa); in "Atti del Convegno L’Edizione nazionale del teatro e l’opera, Salerno M. Montanile, A. Paolella, Appunti di filologia dellaportiana, Istituto italiano per studi filosofici, Napoli, R. Sirri, A. Paolella, Convegno, Roma, Scienze e Lettere, M. Santoro, La "Mirabile" Natura. Magia e scienza (Napoli-Vico Equense) Atti del Convegno, Pisa-Roma, Serra, R. Vivo, Tecnica e scienza, Serra, Pisa-Roma, in "La "Mirabile" Natura. Napoli-Vico Equense M. Santoro. Serra, Pisa-Roma, "La "Mirabile" Natura. Atti del Convegno, Vico Equense, dei Segretarii. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Ioan. Baptista Porta neapolitano autore (Neapoli, apud Ioa. Mariam Scotum);vulgò De ziferis, Io. Baptista Porta Neapolitano auctore (Neapoli, apud Ioan. Baptistam Subtilem,  vulgo de ziferis, altero libro superaucti, et quamplurimis in locis locupletati. Porta, il mago dell'arcana Sapienza. Filologia. Filologia dellaportiana. Giovanni Battista Della Porta. Porta. Keywords: implicatura fisionomica -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738705704

 

Grice e Portaria – Eurialo e Niso, ovvero, dello spirito – filosofia italiana – Luigi Speranza – la coarta (Todi). Filosofo. Grice: “I like Portaria, but then anyone with an interest in Anglo-Saxon ‘soul’ should! – if a philosopher, that is! Unlike Anglo-Saxon soul who God knews where it comes from, the Romans had spiritus, and animus anima, which is cognate with animos in Greek meaning ‘wind’ – so that leans towards a hylemorphic conception where the body (corpus) is what has the ‘materia’ and the ‘breath’ is the ‘forma’ --  Italian philosophers would ignore this – and more so now when Davidson is in vogue! – if it were not for Aligheri who has Portaria in “Paradiso” – there is indeed a serous philosophical confrontation between a Platonic and an Aristotelian conception of the soul as seen in the controversy between Aquino and Portaria! Portaria uses the same linguistic tools: ‘is spiritus’ synonym with ‘anima’? Or must we speak of ‘homonymy.’ And add ‘medium’ into the bargan! Portaria is less canonical than Aquino and should interest Oxonians much, oh so much, more!” – Unfortunately, he was from Todi and donated all his manuscripts to Todi, which many skip in their Grand tour – although it IS on the Tevere as any member of the “Canottiere del Tevere” will know!” -- Grice: “My name is Grice – Paul Grice – Matteo’s name is Matteo Bentivgna dei Signori d’Acquasparta e Portaria. Nacque da una delle grandi famiglie delle Terre Arnolfe, quella dei Bentivegna, feudatari di Acquasparta e Massa Martana, trasferitisi a Todi. Studia a Bologna. Insegna a Roma. Alighieri lo nomina, biasimandolo, tramite le parole di Findanza  in opposizione a Ubertino da Casale: “Ma non fia da Casal né d'Acquasparta/là onde vegnon tali alla scrittura/ch' uno la fugge, e l'altro la coarta” (Par. XII, 124-126). Società dantesca. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia dantesca. Matteo d’Acquasparta. Matteo Portaria d’Acquasparta. Portaria. Keywords: filosofi citati d’Alighieri nella Commedia (Par. XII, 124: ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali alla scrittura, ch' uno la fugge, e l'altro la coarta.). Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Portaria” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738696969/in/datetaken/

 

Grice e Porzio – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Grice: “His name was plain “Porta,” but in Latin that was latinised as ‘portius,’ and then this vulgarized as ‘porzio’!” – But then who wants to be called “Door”?”  Studia a Pisa sotto Nifo. Scrive sul celibato dei preti (“De celibate”), sull'eruzione del Monte Nuovo (“Epistola de conflagratione agri puteolan”i) e sul miracoloso caso di digiuno di una ragazza tedesca (“De puella germanica”). I suoi saggi principali, fra cui il trattato di etica, “An homo bonus vel malus volens fiat” e in particolare il “De mente humana,” nel quale sostene la mortalità dell'anima secondo un'esegesi d’Aristotele. Proprio queste sue dottrine mortaliste, troppo facilmente accostate e sovrapposte a quelle sostenute da Pomponazzi nel “De immortalitate animae”, contribuirono a creare una leggenda biografica secondo la quale egli sarebbe stato allievo e quindi semplice epigono di Peretto. In ogni caso, al di là di una innegabile tendenza materialista nella sua esegesi d’Aristotele, evidente anche nel suo saggio, il “De rerum naturalium principiis,” sua produzione è caratterizzata anche da interessi teologici del tutto svincolati dai peripatetici e che sono particolarmente evidenti nei due commenti al pater noster che probabilmente non estranei ai fermenti evangelici della riforma italiana. Tra peripatetici, naturalisti e critici,"De' sensi" e il "Del sentire, studi ittiologici. Porta. Portius. Porcius. Simone Porzio. Porzio. Keywords: implicatura.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Porzio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691202426/in/photolist-2mPwPqK-2mNaHiH-2mKLVA3-2mKNMDV-2mKCnei

 

Grice e Possenti – Romolo e Remo – radice dell’ordine civile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Studia a Torino. Insegna a Venezia. Dei Aquinensi. Fonda l’Annuario di filosofia. Centro di Ricerca sui Diritti Umani. Attrato dalla storia delle civiltà, ispirato da Vico. Studia l’idea di un Assoluto impersonale.  Incontra l'istanza metafisica e umanista attraverso Aquino, intuendo le possibilità speculative e liberanti incluse metafisica dell'essere. Tre sono gli ambiti primari della sua ricerca: metafisica, pensiero teoretico e ritorno al realismo; personalismo; filosofia politica. Studioso d’Aquino, del tomismo. Professoree della grande tradizione della filosofia dell'essere, orienta l'attenzione critica verso Gentile, il neo-parmenidismo italiano, ricercando una razionalità attenta alla storia ma non consegnata interamente alla furia del tempo. Dunque il ritorno all'eterno invece che l’eterno ritorno di Nietzsche e la ripresa del tema della creatio ex nihilo, assente in molta filosofia moderna. Il suo approccio legge metafisica e nichilismo come due nuclei che tendono ad escludersi – i veliani -- di cui il primo è la fisiologia e il secondo la patologia. Individua pertanto nella destituzione dei valori e nella riduzione della ragione a volontà l'esito ultimo del nichilismo. Questo vuole liberare Italia dalla metafisica, ritenuta distrutta dal criticismo, ma il compito della filosofia dell'essere è preparare una ripresa della metafisica dell'esistenza, tale che possa di nuovo tenere un posto nella storia della civiltà. Una presentazione ampia della sua è in “Storia della filosofia”; Filosofi italiani contemporanei, D. Antiseri e S. Tagliagambe, Bompiani, si veda anche nichilismo e filosofia dell'essere, intervista, a c. di G. Mura, “Euntes docete.” La riscoperta della metafisica esistenziale è un tentativo di mettere in luce la parzialità di non poche posizioni che hanno proclamato la fine della metafisica occidentale: Gentile, e Severino. Essi hanno operato come reagente per la riconquista della metafisica e per la critica del nichilismo, di cui offre una determinazione diversa da quelle di Nietzsche e di Heidegger (con applicazioni anche all'ambito del nichilismo giuridico). Il rigetto del nichilismo e l'analisi dell'antirealismo, del logicismo, del dialettismo e del razionalismo che affliggono la filosofia, gli conducono a giudicare concluso e senza possibilità di ripresa il ciclo della metafisica nel cammino di Gentile.  La base prima della filosofia dell'essere sta nell'asserto ‘l'ente è'. Questo il grande tema da cui occorre partire. Dall'ente appunto e non dall'essere vuoto dei moderni. In tal modo crollano l'identità tra Logica e Metafisica della modernità razionalistica, l'idea di dialettica come generazione logico-apriorica del sapere, e l'idea di divenire come entrare-uscire dal nulla. Qui opera un'adeguata semantizzazione dell'essere (dell'ente), rigettando l'errore primordiale di trattare la questione dell'essere come questione di essenza, il che presuppone la negazione della potenzialità. Ma se questa è presente, niente in senso proprio va in nulla ma si trasforma. Si svolge verso un positivismo in cui la filosofia è capace di progresso. È andata così delineandosi la tesi che nello svolgimento della metafisica dagl’antichi a noi sia emersa, dopo la seconda navigazione platonica (vedi Fedone), proseguita e perfezionata da Aristotele, una terza navigazione che si esprime nella Seinsphilosophie che ha toccato un punto di apogeo in Aquino e nei grandi tomisti. In tale prospettiva è possibile tracciare un'essenziale "storia della metafisica" quale progressiva penetrazione della verità dell'essere, culminante nella metafisica dell'actus essendi. Si tratta di una metafisica trans-ontica che, prendendo le mosse dall'ente, procede verso l'essere stesso (Esse ipsum per se subsistens), e che individua la struttura originaria nella partecipazione dell'ente all'essere. Le sue posizioni speculative sono consegnate alla trilogia “Nichilismo e Metafisica. Terza navigazione, Il realismo e la fine della filosofia moderna, e Ritorno all'essere. Addio alla metafisica moderna. Esse sono discusse da ca. 20 autori in, “La Navicella della metafisica. Dibattito sul nichilismo e la terza navigazione (Armando, Roma) Cottier, Dummett, Berti, Riconda, e poi in Realismo Metafisica Modernità. “In margine al realismo e la fine della filosofia moderna”, C. Dalfino e R. Pozzo, CNR-Iliesi, Roma.  La possibilità di guadagni per sempre rigetta l'idea fallibilista (Popper et alii), secondo cui ogni sapere (riportato poi solo a quello delle scienze) riposa su palafitte perennemente rivedibili.  La metafisica ha per oggetto non il concetto di essere, ma l'esistenza. Il filosofo deve sempre e nuovamente ribattezzarsi nelle sue acque, fuggendo l'oblio dell'essere e liberandosi dal sistema che intende racchiudere in sé la totalità. Un problema centrale per lui è la possibilità di una conoscenza filosofica autonoma, che non proceda solo sull'imbeccata che possano darle le scienze ed altre forme di conoscenza, nonostante la necessità del dialogo tra filosofia e scienze, in quanto non esiste un solo sapere.  L'unità plurima o polivalente della ragione si applica anche al nesso tra filosofia e il sacro. Nell'incontro tra compito della ragione e elezione del cristianesimo si individua un criterio di apertura e stimolo per la filosofia nella sua ricerca di senso. Il principio della persona è più fondamentale del principio della responsabilità (Jonas) e del principio-speranza (Bloch), e a fortiori delle filosofie dell'impersonale o inter-soggetivo. Il concetto di persona si presta efficacemente in una serie di problemi in cui le nozioni di individuo, di soggetto, di coscienza risultano inadeguate. La persona è originaria e primitiva, e raggiunge una profondità e permanenza che non hanno le altre categorie appena citate o l'uso che spesso ne è stato fatto. Si veda il dossier sul “Principio Persona” con contributi di G. Grandis, M. Ivaldo, A. Madricardo, M. Pera, in “Studium”,  L'idea di persona è essenziale per maneggiare le grandi difficoltà insite nell'antropologia, in specie da quando in Occidente si cerca di elaborare un'etica procedurale di norme senza base antropologica, che è il grande equivoco dei moderni.  Fa parte del vasto movimento del personalismo, volto alla riscoperta integra della persona. Compito del personalismo ontologico è di valorizzare ed integrarele filosofie del ‘personalismo incompiuto' (Habermas, Rawls, Bobbio, L. Ferry, Parfit), allontanandosi da quelle dell'esplicito anti-personalismo, Nietzsche e Foucault in specie, ma pure Hegel, Heidegger, Severino nei quali forte è l'empito anti-personalistico.  Le assise della persona vanno ricercate nell'ontologia, onde essa è una sostanzialità aperta alla relazione, ma non riducibile a sola relazione. Le persone sono nuclei radicali di vita e realtà che non possono essere dedotti da alcunché e che anzi fonda l'agire e lo sperare dell'essere umano  Esse come totalità concrete è alla base di una filosofia che oggi deve fare i conti con la centralità del tema antropologico, con le problematiche bio-etiche (ad es. concernenti lo statuto dell'embrione), e con le concezioni in cui il soggetto e la natura umana non sono intesi come un presupposto ma come un prodotto della prassi.  Il personalismo quale insieme di scuole e correnti filosofiche che assegnano speciale valore e dignità alla persona, non è in senso proprio un'invenzione del ‘900, ma originariamente della patristica, del Medioevo cristiano e dell'Umanesimo. Qui sono state elaborate in certo modo per sempre le idee fondamentali sulla persona e dischiuso come nuovo guadagno il suo spazio di realtà.L'epoca dell'antropocentrismo moderno non è stata un'epoca di riscoperta della persona. Un antropocentrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte domande della vita ed è tanto più impotente, quanto più le domande sono profonde, Se la controversia sulla persona si accende di nuovo in molti ambiti, è perché l'idea-realtà di persona attraversa un momento di eclissi e richiede nuovamente la fatica del concetto. Assolutamente primario è il nesso persona-tecnica, in cui la seconda è spesso animata da volontà di potenza, valendo come una potenza senza etica. La presenza nel Comitato Nazionale di Bioetica gl’induce a dedicare attenzione ai temi di biotecnologie, la rivoluzione biopolitica, l'influsso pervasivo del materialismo e del biologismo.  Il personalismo si declina poi in ambito sociale come concezione egualitaria e comunitaria (personalismo comunitario) quale fondamento del’'ordine politico proiettato verso la cosmopoli, la pace e il rispetto dei diritti umani.  Entro un dialogo critico con le tradizioni del liberalismo e dell’illuminismo, opera per mostrare il contenuto di nozioni centrali del politico come quelle di ragion pratica, bene comune, popolo, democrazia, legge naturale, diritti dell'uomo, laicità, ai fini di una rinnovata filosofia pubblica in pari col suo oggetto. Uno specifico rilievo è stato assegnato al problema teologico-politico secondo due direttrici: la ripresa post-moderna di un ruolo pubblico per le grandi religioni; l'idea che la loro deprivatizzazione anche in Occidente può contribuire ad un positivo rapporto fra religione e politica, nella prospettiva di una piazza pubblica non agnostica ma attenta alla matrice teologica della società civile. Con la filosofia politica si opera il passaggio dal piccolo mondo dell'io al grande mondo' della società, verso la società aperta della famiglia umana. Sulla scia di diagnosi attive dagli anni ‘50 del Novecento (H. Arendt, J. Maritain, L. Strauss, Y. Simon, E. Voegelin) ritiene che la filosofia politica vada riportata al suo compito primario di pensare la buona società, lottando contro la crisi concettuale che procede all'ingrosso da Weber e dall'attacco al diritto naturale. In particolare è stata condotta una critica radicale a Kelsen, alla sua concezione relativistica dei valori e della democrazia, al suo intento di dissolvere l'idea di ragion pratica, tolta la quale l'ambito della prassi precipita nell'irrazionalismo e tutto è affidato al volere (Cfr. il dossier Cristianesimo e liberalismo nell'epoca postmarxista, “Humanitas”, con interventi di G. Campanini, V. Zanone, R. Esposito, M. Ivaldo. Esso raccoglie parte del dibattito sollevato da “Le società liberali al bivio” che vide interventi di O. Savona, C, Vigna, R. Cubeddu, E. Berti, L. Pellicani, U. Scarpelli. Si sostiene l'importanza della filosofia e dell'antropologia per la democrazia, sulla base dell'idea che la costruzione del cosmo umano è compito della ragion pratica. Insufficiente risulta una sfera pubblica moralmente neutrale, consegnata al binomio del diritto positivo e la morale procedurale. La rinascita della filosofia politica avviene riprendendo competenza sui suoi problemi, tra cui massimo è quello della pace: la pace necessaria che non c'è e la guerra inammissibile che c'è. Occorre disarmare la ragione armata: ciò suggerisce che vada cercata un'organizzazione politica del mondo oltre la sovranità degli stati-nazione verso un'autorità politica mondiale o cosmo-politica, di cui l'ONU è lontana immagine.  Altre opere: “Frontiere della pace” (Milano); “Filosofia e società. Studi sui progetti etico-politici contemporanei, Massimo, Milano Giorgio La Pira e il pensiero di san Tommaso, Studia Universitatis sancti Thomae in Urbe, Roma); “La Pira tra storia e profezia. Con Tommaso maestro, Marietti, Genova-Milano  La buona società. Sulla ricostruzione della filosofia politica, Vita e Pensiero, Milano); Una filosofia per la transizione. Metafisica, persona e politica in J. Maritain” Massimo, Milano); “La filosofia dell'essere” Vita e Pensiero, Milano); Tra secolarizzazione e nuova cristianità” (EDB, Bologna); “Le società liberali al bivio”; “Lineamenti di filosofia della società” (Marietti, Genova); “Oltre l'Illuminismo”; “Il messaggio sociale” (Paoline, Roma); “Razionalismo critico e metafisica”; “Quale realismo?” (Morcelliana, Brescia); “Dio e il male, Sei, Torino); “Cattolicesimo e modernità. Balbo, Del Noce, Rodano, Ares, Milano); “Approssimazioni all'essere. Scritti di metafisica e di morale” (Il Poligrafo, Padova); “Il nichilismo teoretico e la morte della metafisica” (Armando, Roma); “Terza navigazione. Nichilismo e metafisica” (Armando, Roma); “Filosofia e Rivelazione, Città Nuova, Roma); “La filosofia dopo il nichilismo” (Rubbettino, Soveria); “Religione e vita civile. Il cristianesimo nel postmoderno, Armando, Roma); “L'azione umana. Morale, politica e Stato in Jacques Maritain” (Città Nuova, Roma); “Essere e libertà” (Rubbettino, Soveria); “Radici dell'ordine civile” (Marietti, Milano); “Il principio-persona” (Armando, Roma); “Profili del Novecento. Bobbio, Noce, La Pira, Lazzati, Sturzo, Effatà, Cantalupa); “Le ragioni della laicità” (Rubbettino, Soveria); “L'uomo post-moderno”; “Tecnica, religione e politica” (Marietti, Milano); “Dentro il secolo breve. Paolo VI, La Pira, Giovanni Paolo II, Mounier, Rubettino, Soveria Nichilismo giuridico. L'ultima parola?, Rubbettino, Soveria. La rivoluzione biopolitica. La fatale alleanza tra materialismo e tecnica, Lindau, Torino. Pace e guerra tra le nazioni. Kant, Maritain, Pacem in terris, Studium, Roma. I volti dell'amore, Marietti, Milano-Genova. Il realismo e la fine della filosofia moderna, Armando, Roma); “Diritti umani”; “L'età delle pretese” (Rubbettino, Soveria); “Ritorno all'essere. Addio alla metafisica moderna” (Armando, Roma); “La critica del marxismo” (Massimo, Milano);  “Epistemologia e scienze umane” (Massimo, Milano); “Storia e cristianesimo” (Massimo, Milano); “Contemplazione evangelica e storia” (Gribaudi, Torino); “Maritain oggi, Vita e Pensiero, Milano); “La filosofia dell'essere, Il Cardo, Venezia Nichilismo Relativismo Verità. Un dibattito” (Rubbettino, Soveria); “Laici o laicisti? Dibattito su religione e democrazia” (liberallibri, Firenze); “La questione della verità. Filosofia, scienze, teologia” (Armando, Roma); Ragione e verità. L'alleanza socratico-mosaica” (Armando, Roma);” Nostalgia dell'altro. La spiritualità di Pira” (Marietti, Milano); Pace e guerra tra le nazioni” (Guerini, Milano); “Natura umana, evoluzione, etica” (Guerini, Milano); Governance globale e diritti dell'uomo” (Diabasis, Reggio Emilia); “Ritorno della religione? Tra ragione, fede e società” (Guerini, Milano); “Diritti Umani e libertà” (Religiosa, Rubbettino); in onore (Armando); Perché essere realisti? Una sfida filosofica (Mimesis, Milano-Udine. A. Giuliano, Filosofi a un bivio. Ora rialziamo lo sguardo, su avvenire, A. Lavazza, Neuroscienziati, cercate l'anima. Vittorio Possenti. Possenti. Keywords: radice dell’ordine civile – romolo e remo -- il principio Speranza, prima navegazione, seconda navegazione, terza navegazione, Gentile, comunita, Severino, Aquino, umanesimo, seconda navigazione --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Possenti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737204867/in/datetaken/

 

Grice e Pozza – presupposizioni ed implicature – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo. Grice: “I like Pozza; he uses ‘pragmatic’ quite a bit, by which he means Grice, of course!” Figlio di Luigi, ufficiale della Marina, regione Veneto, e di Cecilia Pontrelli, pugliese, durante gli studi al liceo di Taranto, Tommaso, un insegnante di matematica di stile tradizionale gli stimola il gusto per i problemi matematici e per l'eleganza formale delle dimostrazioni. Studia a Bari dove si laurea con una tesi su Serra avendo come relatore Vallone. Coniuga l'amore per i sistemi formali con l'amore per Leopardi, Carducci (maestro di Serra) e Annunzio (e tra i classici predilisse Tasso e Vita nuova di Alighieri).  Studia a Bari sotto Landi, Pisa, e quindi Metodi formali a Milano. Una svolta nella sua carriera intellettuale è segnata dalla partecipazione agl’incontri di San Giuseppe organizzati a Torino da Bobbio. A partire da qui sviluppa nuove idee in filosofia del diritto, specie su Kelsen, e sulla formalizzazione della logica deontica con particolare attenzione all'assiomatizzazione dei principi di una teoria generale del diritto in collaborazione con L. Ferrajoli per i suoi Principia Juris. Organizza a Taranto gli incontri Info Giure Taras, Logica Informatica e Diritto, al quale partecipano alcune delle figure più rappresentative del diritto, dell'informatica e della logica, tra cui Alchourron, Martino, Ferrajoli, Conte, Busa, Comanducci, Jori, Filipponio, Elmi, Guastini e Sartor. Insegna a Taranto, mantenendosi scientificamente attivo e partecipando a conferenze di società filosofiche italiane (specialmente la Società Italiana di Logica e Filosofia della Scienza e la Società Italiana di filosofia Analitica, dal convegno nazionale fino al convegno di Genova. Insegna a Lecce. Tra le principali influenze nei suoi studi di linguistica e semiotica testuale vi sono quella di  Petöfi che lo invita a filosofare con lui. La sua scelta è però quella di restare in Italia. Insegna a Verona, Padova, Bolzano e, per le sue lezioni di logica deontica, a Petöfi e Kelsen, l'influenza maggiore viene dalle grandi opere di Frege, Russell e Carnap, ai cui  dedica uno studio continuo, con particolare attenzione alla visione filosofica. Pubblica un contributo di sapore neo-positivista, discutendo e formalizzando alcune argomentazioni in fisica quantistica. Un legame tra i suoi interessi in linguistica e il suo lavoro in logica formale è dato dalla sua teoria formale degli atti linguistici basata su una connessione originale tra logica intuizionistica, usata per gl’atti linguistici assertori, e logica classica, usata per i contenuti proposizionali. Presentando la sua teoria di una formalizzazione della “pragmatica,” define un modello Frege-Reichenbach-Stenius per il trattamento formale dell’asserzione, mostrando che il problema principale di questa teoria è la limitazione introdotta da Frege (e accettata da Dummett) per cui il segno di asserzione si può usare solo per formule elementari assertorie. Ma, come molti filosofi sostengono, esistono atti linguistici composti. Per permettere il trattamento di un atto linguistici composto o molti-modale e ovviare alla limitazione del modello Frege-Reichenbach-Stenius, introduce il connettivo pragmatico che permette la costruzione di una formule assertive complessa. Il contenuto della formula assertiva è dato dall'interpretazione classica e dai connettivi vero-funzionali. Il connettivo pragmatico, che connetta due atti linguistici assertori semplice in uno complesso,  ha invece una interpretazione intuizionistica. Il connetivo pragmatico non ha cioè un valore di verità – o sattisfazione fatica -- ma un valore di giustificazione. In fatti, un atto assertivo non è, in quanto *atto*, vero o falso, ma può essere “giustificato” o non giustificato. In questo modo, il sistema formale distingue l'asseribilità di un atto assertorio dal valore di verità della proposizione asserita. Oltre a spiegare l'irriducibilità del segno fregeano di asserzione a un trattamento in termini di logica classica e introdurre una fondazione formale della teoria dell’atto linguistico, dà anche una soluzione originale del problema della compatibilità tra logica classica (Grice) e logica non-classica (Strawson) o intuizionista. A questo saggio seguono  altri sulla logica erotetica, deontica, e sub-strutturale. La sua filosofia suscita interesse in diversi campi, dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della fisica alla logica e all'informatica, (specie a partire dalla sua collaborazione con Bellin). Alla sua teoria formale della “pragmatica,” oltre ai saggi di Anderson e Ranalter è dedicato un numero di Fondamenta Informaticae. La sua influenza si estende così oltre che alla filosofia della fisica e alla filosofia del linguaggio anche alla logica e all'informatica, specie con convegni in suo onore organizzati a Verona. Ricordi di personalità internazionali e di amici sono raccolti in un sito in suo onore. Altre saggi: “Un'interpretazione pragmatica della logica proposizionale intuizionistica”; “Problemi fondazionali nella teoria del significato (Olschki, Firenze); “Una fondazione pragmatica della logica delle domande”; “Parlare di niente”; “Termini singolari non denotanti e atti illocutori”; “Idee”;  “Una logica pragmatica per la concezione espressiva delle norme”;  “Logica delle Norme” (S.E.U., Pisa); “Il problema di Gettier: osservazioni su giustificazione, prova e probabilità” (SIFA, Genoa); “Come distinguere scienza e non-scienza”; “Verificabilità, falsificabilità e confermabilità bayesiana” (Carocci, Ferrajoli); Principia juris. Teoria del diritto e della democrazia.  La sintassi del diritto” (Bari: Laterza). Carlo Dalla Pozza. Carlo Pozza. Pozza. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozza”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737989261/in/photolist-2mPUHFB-2mLGvyP-2mKTyvC-2mKDwcr-2mGnP2f-G3tvCn

 

Grice e Pozzo – il ginnasio -- implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Sudia a Milano. Consegue il dottorato a Saarlandes (“a reason why Italians don’t consider him Italian” – Grice) e la abilitazione a Trier – Grice: “A reason why Italians don’t consider him an Italian philosopher, since he earned his maximal degree without, and not within, Italy.” Insegna a Verona e Roma, all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee.

 

Studia i peripatetici, la storia della logica dal Rinascimento, la storia delle idee e la storia dell’università di Bologna -- ha portato avanti la creazione di infrastrutture di ricerca per una migliore comprensione dei testi filosofici e che hanno plasmato il patrimonio culturale d’Italia. Caratteristica specifica del suo approccio alla lessicografia all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee è l’uso della IT per la documentazione e l’elaborazione di dati linguistici e testuali in italiano.  Hegel: Introductio in Philosophiam: Dagli studi ginnasiali alla prima logica (Firenze: La Nuova Italia). Associazione per l’Economia della Cultura “Storia storica e storia filosofica della filosofia nel XX e XXI secolo,” Schiavitù attiva, proprietà intellettuale e diritti umani. Riccardo Pozzo. Pozzo. Keywords: il ginnasio – implicature, identita nazionale, filosofia italiana, patrimonio italiano, storiografia filosofica, storia della filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pozzo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738187238/in/dateposted-public/

 

Grice e Pra – hegeliani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Montecchio Maggiore). Filosofo. Studia a Padova sotto Troilo. Insegna a Rovigo, Vicenza, e Milano. Partecipa attivamente alla Resistenza, nelle file di "Giustizia e Libertà", guadagnandosi due croci di guerra al merito partigiano, ed ha collaborato alla ricostruzione politica e culturale del Paese, con un'opera didattica e scientifica sempre sorretta da un'alta ispirazione morale.  Medaglia d'oro quale benemerito della Scuola, della Cultura e dell'Arte, membro dell'Accademia dei Lincei, dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, dell'Accademia Olimpica di Vicenza, nonché membro autorevole della Società Filosofica Italiana, della quale è stato anche Presidente nazionale. Studia lo scetticismo, la logica medioevale, Hume, Condillac, la logica hegeliana, Marx, il pragmatism  italiano, la storia della storiografia filosofica). Ha sempre connesso la sua attività storiografica con l'esplicitarsi di interessi teorici che lo hanno portato ad elaborare,un'originale linea di pensiero denominata "trascendentalismo della prassi", poi evoluta in una forma di razionalismo storicista e critico. Il suo interesse fondamentale si è infatti sempre rivolto al chiarimento del rapporto tra teoria e prassi in una prospettiva anti-metafisica che lo ha fin dai suoi esordi posto in contrasto con le posizioni dell’idealismo italiano, e più in generale con ogni forma di dogmatismo teoricistico per favorire la libera esplicazione dell'iniziativa pratico-razionale dell'uomo.  Fondato la Rivista di storia della filosofia, un riferimento costante e prestigioso nell'ambito degli studi del pensiero occidentale. Autore di un fortunato Sommario di storia della filosofia per licei (La Nuova Italia, Firenze) e poi direttore di una monumentale Storia della filosofia (Vallardi, Milano).  Elabora una posizione che viene indicata come trascendentalismo della prassi.  Successivamente, avvicinandosi a Preti, propone uno storicismo critico, più attento alle strutture della ragione con cui l'esperienza storica si struttura. Altre sagi: “Il realismo e il trascendente” (Padova, Milani); “Amore di Sapienza”; “Aviamento elementare allo studio della storia della filosofia, della scienza e della pedagogia per i licei e gli istituti magistrali” (Vicenza, Commerciale); “La didache”; “Insegnamento del Signore alle genti per mezzo dei dodici apostoli. Documento cristiano del I secolo” (Vicenza, Commerciale); Educare, Verona, La Scaligera, Pensiero e realtà, Verona, La Scaligera, “Scoto Eriugena ed il neo-platonismo medievale” (Milano, Bocca); Condillac, Milano, Bocca, Il pensiero di Maturi, Milano, Bocca, Necessità attuale dell'universalismo” (Vicenza, Collezioni del Palladio); “Valori e cultura immanentistica” (Padova, Milani); “Hume, Milano, Bocca); “La storiografia filosofica antica” (Milano, Bocca); “Lo scetticismo” (Milano, Bocca); Giovanni di Salisbury, Milano, Bocca, Amalrico di Bène, Milano, Bocca); Autrecourt, Milano, Bocca); “Dewey” (Milano, Bocca); “Il problema del linguaggio nella filosofia medioevale” (Milano, Bocca); “Prassi. Appunti delle lezioni di Storia della filosofia a cura di M. Reina. Milano, La Goliardica; Il pensiero filosofico di Marx, D. Borso, Shake ed., Milano); “La filosofia occidentale”; “Compendio di storia della filosofia con larga scelta di passi dagli autori,”; “La filosofia antica” “La filosofia medioevale” (Firenze, Nuova Italia); “Sommario di storia della filosofia per i licei classici” (Firenze, Nuova Italia); “La dialettica in Marx: Introduzione alla critica dell'economia politica, Bari, Laterza, Profilo di storia della filosofia” (Firenze, Nuova Italia); “Piccola antologia filosofica,  Firenze, Nuova Italia); “La dialettica hegeliana e l'epistemologia” (Milano, CUEM); “Hume e la scienza della natura umana, Roma-Bari, Laterza); “Logica e realtà. Momenti del pensiero medieval” (Roma-Bari, Laterza); “Storia della Filosofia, G. Scalabrino Borsani, La filosofia indiana, Milano, Vallardi, Paolo Beonio-Brocchieri, La filosofia cinese e dell'Asia orientale, Milano, Vallardi, Gabriele Giannantoni, Armando Plebe, Pierluigi Donini, La filosofia greca (Milano, Vallardi, La filosofia ellenistica e la patristica Cristiana(Milano, Vallardi, La filosofia medievale (Milano, Vallardi); La filosofia moderna” (Milano, Vallardi,  P. Casini, N. Merker, La filosofia moderna” (Milano, Vallardi); “La filosofia contemporanea” (Milano, Vallardi); La filosofia contemporanea. Il Novecento, Milano, Vallardi); “La filosofia della seconda metà del Novecento, Padova, Piccin Nuova libraria-Vallardi); “Logica, esperienza e prassi. Momenti del pensiero moderno e contemporaneo” (Napoli, Morano); “Il problema del realismo nella storia del pensiero, Milano, Unicopli); La storiografia filosofica e la sua storia. Testi per il corso di storia della filosofia I. A.A. con. Santinello, E. Garin, L. Geldsetzer e L. Braun, Padova, Antenore, Hume. La vita e l'opera, Roma-Bari, Laterza); A. Banfi, Relazioni dall'incontro A. Banfi: le vie della ragione, Milano,  con D. Formaggio e P.  Rossi, Milano, Unicopli); “Studi sul pragmatismo italiano” (Napoli, Bibliopolis); “Studi sull'empirismo critico di Preti” (Napoli, Bibliopolis); “Filosofi del Novecento, Milano, Angeli); “I problemi di metodo nella storiografia filosofica, in Panorami filosofici. Itinerari del pensiero, Padova, Muzzio); “Ragione e storia. Mezzo secolo di filosofia italiana” (Milano, Rusconi); “Storia della storiografia” (Milano, Angeli); “La guerra partigiana in Italia. D. Borso, Firenze, Giunti-INSMLI); “Dialettica hegeliana ed epistemologia analitica, E. Colombo, Brescia, Morcelliana); “Il trascendentalismo della prassi, la filosofia della Resistenza” (Milano-Udine, Mimesis); F. Cambi, Razionalismo e prassi a Milano Milano) N. Badaloni,  Studi offerti a Pra” (Milano, Angeli); L. Bianchi,  degli scritti di Pra, in La storia della filosofia come sapere critico. Studi offerti, Milano, A. Montesperelli, Introduzione, in E. MirriL. Conti, Filosofi nel dissenso, Foligno,  M. Mirri, Fra Vicenza e Pisa. Esperienze morali, intellettuali e politiche in Il contributo dell’Pisa e della Scuola Normale Superiore alla lotta anti-fascista ed alla guerra di Liberazione, Pisa, A. Pacchi, Il filosofo e l’educatore, in In onore, Montecchio Maggiore, F. Cassinari, Filosofia e storia della filosofia, Conversazione con F. Papi, «Itinerari filosofici»,  E. Rambaldi, Ricordo «Rivista di storia della filosofia», E. Garin, Mario Dal Pra, «Rivista di storia della filosofia», A. Santucci, Filosofo e storico della filosofia, «Rivista di storia della filosofia», E.I. Rambaldi, L’esistenzialismo positivo  «Rivista di storia della filosofia»,  M. Torre, La "Rivista di storia della filosofia", Milano, G. Paganini, Dall’empirismo classico all’empirismo critico, Le ricerche tra storia e teoria, Giordanetti, Il fondo manoscritto di Mario Dal Pra, «Rivista di storia della filosofia»,  E.I. Rambaldi, Et vos estote parati. Mario Dal Pra, la vigilia, «Rivista di storia della filosofia», G. Barreca, L’archivio Mario Dal Pra, «Rivista di storia della filosofia», E. I. Rambaldi, Mario Dal Pra in Enciclopedia filosofica, Milano,  Id., Mario Dal Pra giovane insegnante a Vicenza, «Rivista di storia della filosofia»,M. Rigamonti, Gli Hume, «Rivista di storia della filosofia»,M. Parodi, C. Selogna, Per una filosofia minore. Il pensiero debole, «Rivista di storia della filosofia», P. Vona, Ricordo, Rivista di storia della filosofia», E. Rambaldi, Filologia e filosofia nella storiografia, in «ACME»,E. Franzina, Partigiano. Dal fascismo alla Resistenza e alla sua storia, in «Belfagor», Descrizione, in "Rivista di storia della filosofia",Ricordo di Pra, Informazione filosofica, sito "studifilosofici". G. BarrecaGiordanetti, Fondo Mario Dal Pra, Milano, Cisalpino.Dal Pra, Mario» in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Presentiamo  Pra: l'uomo, il filosofo. Una mostra biografico-documentaria dall'archivio inedito Università degli Studi di Milano, Biblioteca di Filosofia, D. Borso, Una via religiosa alla Resistenza, "Humanitas",  Fascicolo speciale in memoria  anniversario della fondazione della Rivista, in Rivista di storia della filosofia, Milano, Angeli,. D. Borso, 'fucino', "Rivista di storia della filosofia", G. Bisogno, Anselmo in Italia: tra Mario Dal Pra e Sofia Vanni Rovighi, in «Dianoia. Rivista di filosofia del Dipartimento di Filosofia e Comunicazione dell'Bologna»,  Riconoscimenti l'Accademia dei Lincei gli ha conferito il Premio Feltrinelli per le Scienze Filosofiche.Scuola di Milano  u TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. OpereVincitori del Premio Feltrinelli Filosofia Università  Università  Premi Feltrinelli 1950-, su lincei. Mario Dal Pra. Pra. Keywords: hegeliani, storiografia della filosofia antica, la filosofia antica, la filosofia italica antica, la filosofia romana, la filosofia romana antica, Antonino, Crotone, Velia, Filolao, Vico, Croce, la storia della filosofia, filosofia della storia della filosofia, storiografia filosofica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pra” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738561129/in/dateposted-public/

 

Prepostino da Cremona summa theological Manichean, caraterismo.

 

Grice e Prestipino – per una antropologia filosofica – filosofia italiana – filosofia siciliana -- Luigi Speranza (Gioiosa Marea). Filosofo. Insegna a Siena. Studia il socialismo, marxismo ed estetica. Saggi: “La teoria del mito e la modernità di Vico” (Palermo, Montaina); “L'arte e la dialettica in Volpe” (Messina, D'Anna); “Che cos'e la filosofia: strutture e livelli del conoscere” (Gaeta, Bibliotheca); “Per una antropologia filosofica: proposte di metodo e di lessico” (Napoli, Guida); “Marxismo (e tradizione gramsciana) negli studi antropologici,  Natura e società” (Roma, Riuniti); “Da Gramsci a Marx” (Roma, Riuniti); “Modelli di strutture storiche” (Bibliotheca, Narciso e l’automobile, La Città del Sole, Realismo e Utopia” (Roma, Riuniti); Tre voci nel deserto. Vico Leopardi Gramsci” (Roma, Carocci); Scheda su aracneeditrice, Da una sponda all’altra del Mediterraneo: memorie di militanza comunista. Intervista a Prestipino. Art. in: Historia Magistra. Rivista di storia critica, Risorgimento italiano e dialettica storica in Gramsci, dal Calendario del Popolo Autori Aracne Editrice. Giuseppe Prestipino. Prestipino. Keywords: antropologia filosofica, Vico, Volpe, Gramsci,  Narciso e l’automobile, Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prestipino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737844566/in/datetaken/

 

Grice e Preti – retorica e logica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pavia). Filosofo. Grice: “I like Preti. He wrote “Retorica e logica,” which I enjoyed since this is what I do: I find the rhetoric (the implicature) to the logic (the explicature).” Grice: “Preti was a bit of a Stevensonian, with his ‘Praxis ed empirismo, and I mean C. L. Stevenson, not the Scots master of narrative!”. Studia a Pavia sotto Levi, Villa e Suali. Studia Husserl. Insegna a Pavia e Firenze. I suoi saggi nella rivista banfiana "Studi Filosofici", lo videro coinvolto in una polemica sull'immanenza e la trascendenza. In “Fenomenologia del valore e Idealismo e positivismo, emerge con evidenza quell'impostazione tesa a conciliare istanze razionalistiche ed empiristiche. In “Praxis ed empirismo” presenta in maniera relativamente organica, per quanto rapidamente, alcuni temi al confine tra pensiero teoretico, filosofia morale e filosofia politica. Il suo saggio “Retorica e logica: le due culture” è un saggio a cavallo tra la ricostruzione storico-filosofica e il saggio teoretico, con il quale si intende dimostrare, prendendo le mosse dalla polemica aperta da C. P. Snow, l'inconciliabilità tra le due forme di cultura che si intrecciano nel dibattito occidentale, quella logico-scientifica e quella umanistico-letteraria, e la necessità di far prevalere la prima sulla seconda al fine di non cedere a nuove forme di oscurantismo elitario e fanatico. Inoltre, affianca costantemente alla propria attività di autore quella di curatore di classici del pensiero filosofico.  Il suo stile, volutamente trascurato, è rapido, nervoso e semplice, in implicita polemica con il bello scrivere e l'ermetismo tipico delle scuole idealistiche italiane. Tenta trovare una via alternativa al rapporto fra un pensiero unitario e inglobante (di tradizione hegeliano-crociana), e uno invece dualistico, nel distinguo fra saperi umanistici e scientifici. Il rifiuto di una strenua dicotomia non deve annullare bensì esaltare le differenze.  Saggi: “Fenomenologia del valore” (Principato, Milano); “Idealismo e positivismo” (Bompiani, Milano); “Linguaggio comune e linguaggi scientifici” (Bocca, Milano); “L’universalismo” (Bocca, Milano); “Praxis ed empirismo, Einaudi, Torino); “Alle origini dell'etica contemporanea:  Smith, Laterza, Bari); “Storia del pensiero scientifico, Mondadori, Milano); “Retorica e logica, Torino, Einaudi); “Che será, será” (Firenze, Il Fiorino, Umanismo e strutturalismo. Scritti di estetica” (Liviana, Padova); “Lo scetticismo e il problema della conoscenza, “Rivista critica di Storia della Filosofia”, Saggi filosofici” (Nuova Italia, Firenze); “In principio era la carne” (Angeli, Milano, “Il problema dei valori: l'etica di Moore” (Angeli, Milano); “Flosofia della scienza” (Angeli, Milano); “Morale e metamorale. (Grice: “moralia e transmoralia”); Saggi filosofici inedita” (Angeli, Milano);  L'esperienza insegna... Scritti civili d sulla Resistenza” (Manni, San Cesario, Lecce, In principio era la carne, Luca Maria Scarantino, "Rivista di Storia della Filosofia", Notizie sull'operosità scientifica e sulla carriera didattica, F. Minazzi, "Il Protagora" Filosofare onestamente, andando là dove il pensiero ci porta. Lettere a Gentile, F. Minazzi, "Il Protagora", Ci terrei tanto a venire a Firenze. Lettere a Garin, F. Minazzi, "Il Protagora", Qui a Firenze si muore nel silenzio e nella solitudine. Lettere a Pra, Minazzi, "Il Protagora". E. Franzini, Il mito delle due culture e la filosofia dei giornali, in "La Tigre di Carta", A. Zanardo,  Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, F. Minazzi, G. Preti:, Angeli, Milano), Pra, Studi sull'empirismo critic” Bibliopolis, Napoli, Pier Luigi Lecis, Filosofia, scienza, valori: il trascendentalismo” (Morano, Napoli, F. Minazzi, Filosofia del Novecento (Angeli, Milano); F. Minazzi, “L'onesto mestiere del filosofare” (Angeli, Milano); F. Minazzi, “Il cacodemone ne-oilluminista. L'inquietudine pascaliana di reti” (Angeli, Milano); A. Peruzzi, Filosofo europeo, Olschki, Firenze); P. Parrini e L. Scarantino, “Preti” (Guerini, Milano); V. Tavernese,  Preti. La teoria della conoscenza nel saggio postumo In principio era la carne, Firenze Atheneum, Scandicci,  L. Scarantino,  La costruzione della filosofia come scienza sociale, Bruno Mondadori, Milano); F. Minazzi, Suppositio pro significato non ultimato. G neorealista logico studiato nei suoi scritti inediti, Mimesis, Milano  Fabio Minazzi,  Le opere e i giorni. Una vita più che vita per la filosofia quale onesto mestiere, Mimesis, Milano  Franco Cambi, Giovanni Mari, Intellettuale critico e filosofo attuale, Firenze); Il contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Minazzi e Sandrini, Il razionalismo critico europeo, Mimesis, Milano. F. Minazzi, Sul bios theretikòs (Mimesis, Milano, F. Maria, Un punto di vista cattolico, Stamen, Roma.  E. Franzini, Il mito delle due culture e la filosofia dei giornali. Giulio Preti. Preti. Keywords: retorica e logica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Preti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736985077/in/datetaken/

 

Grice e Preve – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Valenza). Filosofo. Important Italian philosopher. He is the tutor of Fusaro, of Torino. “Il comunitarismo è la via maestra che conduce all'universalismo, inteso come campo di confronto fra comunità unite dai caratteri del genere umano, della socialità e della razionalità,” da Elogio del Comunitarismo.Di ispirazione marxiana ed hegeliana, ha scritto numerosi volumi e saggi di argomento filosofico, pubblicati in Italia e all'estero. Il padre, che al momento della nascita di Costanzo è mobilitato, lavora come funzionario delle Ferrovie dello Stato mentre la madre, casalinga, proviene da una famiglia ortodossa di origine armena. Viene cresciuto dalla nonna materna in lingua francese, e attraverso di lei inizia a conoscere la cultura e la lingua greca; come vedremo, entrambe queste circostanze avranno un grande rilievo nella vita di Preve. Personalmente non è credente, pur riconoscendo l'importanza del fenomeno religioso. Studia a Torino. Sotto Garrone sull’elezione politica italiana”. Studia Hegel, Althusser, Sartre, e Marx. Scrive "L'illuminismo greco e le sue tendenze radicali e rivoluzionarie: enogenesi della nazione greca fra Settecento e Ottocento. Il problema della discontinuità con la grecità classica e con la grecità bizantina”. Insegna a Torino.  Fermo sostenitore della lettura dei testi filosofici nella lingua originale, apprende latino. Concilia l’esistenzialmente il comunismo, il marxismo e la filosofia.  Membro del Centro Studi di Materialismo Storico. Pubblica “La filosofia imperfetta” (Angeli, Milano). Questo testo testimonia la sua adesione di massima alla proposta filosofica dell'Ontologia dell'essere sociale du Lukács, ed anche, indirettamente, il suo distacco definitivo dalla scuola di Althusser. Fonda “Metamorfosi”. Spazia da un esame dell'operaismo italiano da Panzieri a Tronti e Negri, all'analisi del marxismo dissidente nei paesi socialisti, alla discussione sulla filosofia di Lukács, alla critica delle ideologie del progresso storico, all'indagine sullo statuto filosofico della critica marxiana dell'economia politica. Contribuisce ad organizzare,  un congresso internazionale dedicato al centenario della morte di Marx (Milano), e vi svolge una relazione sulle categorie modali di necessità e di possibilità in Marx. Da quest'esperienza nasce una rivista chiamata “Marx 101”, che uscirà nei due decenni successivi in due serie di numeri monografici e di cui e membro del comitato di redazione. Collabora al mensile teorico “Democrazia Proletaria”, organo dell'omonimo partito, che poi diverrà insieme con i fuoriusciti dal partito comunista italiano la seconda componente politica e militante del Partito della Rifondazione Comunista). Sarà iscritto a Democrazia Proletaria soltanto per un breve periodo, facendo parte della direzione nazionale; nella battaglia politica fra i sostenitori di una scelta ecologista (M. Capanna) e neocomunista, sostiene la seconda con una serie di articoli. Quando le componenti di Democrazia Proletaria e dell'Associazione Culturale Marxista confluiscono nel Partito della Rifondazione Comunista, abbandona la militanza politica diretta. Con la pubblicazione di otto volumi consecutivi usciti presso l'editore Vangelista di Milano, affronta il suo tentativo personale di coerentizzazione di un paradigma filosofico marxista globale. Si verifica infatti una discontinuità nella sua produzione. Opta per l'abbandono di ogni “ismo” di riferimento, uscendo del tutto “dalla cosiddetta Sinistra” e dalle sue procedure di “accoglimento e cooptazione”.  Ritenendo che la globalizzazione nata dall'implosione dell'Unione Sovietica non si lasci più “interrogare” attraverso le categorie di Destra e di Sinistra, ma richieda altre categorie interpretative, Preve diviene inoltre un convinto sostenitore della necessità di superare la dicotomia sinistra-destra. Questa posizione, condivisa da alcuni intellettuali e movimenti internazionali, è stata criticata da molti, tra cui lo scrittore Valerio Evangelisti, che ne ha sottolineato l'ambiguità ideologica.  Autore e saggista molto prolifico, ha dedicato le sue ultime riflessioni a temi come il comunitarismo, la geopolitica, l'universalismo, la questione nazionale, oltre ovviamente ad un'ininterrotta attenzione al rapporto marxismo-filosofia. Cerca di opporsi alla deriva post-moderna seguita dalla stragrande maggioranza della sinistra italiana (in particolare dagli intellettuali legati al partito comunista italianoI) con un recupero dei punti alti della tradizione marxista indipendente, del tutto estranea alle incorporazioni burocratiche del marxismo come ideologia di legittimazione di partiti e di stati (soprattutto l'ultimo Lukács, l'ultimo Althusser, Bloch, Adorno). Dopo la fine del socialismo reale, che chiama comunismo storico novecentesco, ed in dissenso con tutti i tentativi di sua continuazione/rifondazione puramente politico-organizzativa, ha invece lavorato su di una generale rifondazione antropologica del comunismo, marcando sempre più la discontinuità teorica e politica con i conglomerati identitari della sinistra italiana (Rifondazione Comunista in primis, ma anche la scuola operaista e T. Negri in particolar modo). I suoi interventi sono apparsi sia su riviste legate alla sinistra alternativa (L'Ernesto, Bandiera Rossa) che su riviste come Indipendenza e Koiné, dove sostene l'esplicito superamento del dualismo destra-sinistra, approdando a posizioni antitetiche a quelle di  Bobbio. Collabora con la rivista Comunitarismo, prima, e Comunità e Resistenza, poi. È stato fino alla morte redattore del quadrimestrale Comunismo e Comunità.  Al di là delle prese di posizione sulla congiuntura politica, tre cardini della sua filosofia sono l'interpretazione della storia della filosofia, l'analisi filosofica del capitalismo e la proposta politica per un comunismo comunitario universalistico.  Rileggendo l'intera storia della filosofia soprattutto occidentale, utilizza una deduzione sociale delle categorie del pensiero non riduzionistica, che gli permette di discernere la genesi particolare delle idee dalla loro validità universale. Infatti quello di lui è un orizzonte aperto universalisticamente alla verità, intesa hegelianamente come processo di auto-coscienza storica e sintesi di ontologia e assiologia, dell'esperienza umana nella storia. Nella sua proposta di ontologia dell'essere sociale riconosce razionalmente la natura solidale e comunitaria degl’uomini e l'autonomia cognoscitiva della filosofia, contrastando ogni forma di riduzionismo nichilistico, relativistico o partigianamente ideologico. Viene definito «strenuo difensore dello statuto veritativo della filosofia da una parte, e deciso oppositore di ogni fraintendimento relativistico dall’altra. Intende il capitalismo come totalità economica, politica e culturale da indagare in tutte le sue dimensioni. Propone di suddividerlo filosoficamente e idealisticamente in tre fasi: capitalismo astratto, capitalismo dialettico con una protoborghesia illuministica o romantica, una medio0borghesia positivistica e poi  esistenzialistica, e una tardo-borghesia sempre più individualistica e libertaria; capitalismo speculativo (post-borghese e post-proletaria) in cui il capitale si concretizza come assoluto, espandendosi al di là delle dicotomie precedenti a destra economicamente, al centro politicamente e a sinistra culturalmente.  Nell'analisi filosofica del capitalismo, più volte insiste sulla critica al politicamente corretto, dove studia il concetto consterebbe dei seguenti punti nella sua concezione (dove è considerato un'arma del capitalismo per attrarre fasce deboli a sé, nonché un'ideologia di fondo dell'occidente imperialista). ‘Americanismo’ come collocazione presupposta, anche sotto forma di benevola critica al governo statunitense. Religione olocaustica: Non aderisce al negazionismo dell'Olocausto e condanna i genocidi, ma considera la shoah un fatto non unico, utilizzato dal sionismo per legittimare le azioni di Israele tramite il senso di colpa dell'Europa. Auschwitz non può e non deve essere dimenticato, perché la memoria dei morti innocenti deve essere riscattata, e questo mondo nella sua interezza appartiene a tre tipi di esseri umani: coloro che sono già vissuti, coloro che sono tuttora in vita, e coloro che devono ancora nascere. Ma Auschwitz non deve diventare un simbolo di legittimazione del sionismo, che agita l'accusa di anti-semitismo in tutti coloro che non lo accettano radicalmente, e che non sono disposti a derubricare a semplici errori i suoi veri e propri crimini. Teologia dei diritti umani, che considera (come altri filosofi marxisti come Losurdo, o comunitaristi) solo un grimaldello e un paravento del capitalismo per imporsi ed eliminare, in realtà, i diritti dei popoli e dei lavoratori, attuando il liberismo e l'imperialismo globali. “Antifascismo in assenza completa di fascismo. L’antifascismo, positivo un tempo, è considerato un fenomeno dannoso e a favore del sistema capitalistico, visto che il fascismo (da lui deprecato soprattutto per la colonizzazione imperialistica dell'Africa e la mascalzonaggine imperdonabile dell'invasione della Grecia, è stato ormai sconfitto, volto a creare tensioni tra le diverse forze anti-sistema, e a fungere da nuova ideologia della sinistra post-comunista e post-stalinista (dopo il graduale abbandono del marxismo-leninismo avvenuto  per gli effetti della de-stalinizzazione), che diviene così inutile. Falsa dicotomia Sinistra/Destra come "protesi di manipolazione politologica". Derivata dal precedente, questa teoria punterebbe a indebolire le critiche anticapitalistiche, impedendo l'unione tra comunisti, comunitaristi e socialisti nazionalitari contro il capitale. Al contempo, anche per le nette e costanti affermazioni contro i tribalismi, i razzismi e i nazionalismi soprattutto coloniali, è da ritenersi estranea al cosiddetto rossobrunismo (i cosiddetti nazionalboscevichi) di cui fu tacciato dal citato V. Evangelisti, che a suo dire si configurerebbe come una folle somma dei difetti degli estremismi opposti. L'unione di sostenitori rasati del razzismo biologico con sostenitori barbuti della dittatura del proletariato sarebbe certamente un buon copione di pornografia hard, ma non potrebbe uscire dal piccolo circuito a luci rosse del sottobosco politico.  La sua proposta politica va nella direzione di un comunismo comunitario universalistico, da intendersi come correzione democratica e umanistica del comunismo, dal momento che quello storico sarebbe stato reo di non aver messo in comune innanzitutto la verità. Quello tratteggiato da lui è un sistema sociale che costituisce una sintesi di individui liberati e comunità solidali. Non è inteso come inevitabile sbocco storicistico o positivistico di una storia che si svilupperebbe linearmente, né tuttavia in modo aleatorio, bensì in potenza, a partire dalla resistenza alla dissoluzione comunitaria innescata dall'accumulazione individuale di merci. Qui il problema dell'auspicabile democrazia viene impostato su basi antropologiche, scommettendo sulle potenzialità ontologiche della bontà degpotenzialml’uomini, ente politico-comunitaria (zόoa politika); razionali e valutativi della giusta misura sociale (zόa lόgon échon) e generica, in senso marxiano (Gattungswesen), cioè in grado di costruire diversi modelli di convivenza sociale, compreso quello in cui gl’uomini, affermando la priorità etica e comunitaria per contenere i processi economici altrimenti dispiegantisi in modo illimitato e dis-umano, può realizzare le sue potenzialità ontologiche immanenti, attualmente alienate. La liberazione avverrebbe quindi a partire dal suo radicamento comunitario in cui agisce collettivamente, pur rimanendo l'individuo stesso l'unità minima di resistenza al potere. Adere al partito comunista italiano, ma presto si allontanò (essendo ostile al compromesso storico tra PCI e DC, promosso da Berlinguer e Moro), entrando poi a far parte della Commissione culturale di Lotta Continua. In seguito si iscrisse a Democrazia Proletaria durante la sua ultima fase. Dopo lo scioglimento della Democrazia Proletaria, e in seguito alla confluenza di quest'ultima in Rifondazione Comunista, si è sempre più allontanato dall'attività politica in senso stretto. In seguito manifestò critiche verso l'operaismo e il trotskismo che animavano talvolta queste esperienze della post-sinistra extraparlamentare.  Se dal punto di vista teorico si era già distanziato dalla sinistra italiana a seguito della dissoluzione dell'Unione Sovietica e della svolta della Bolognina, il distacco emotivo definitivo dalla sinistra avvenne con il bombardamento NATO in Jugoslavia durante la guerra del Kosovo, che ricevette il beneplacito del governo italiano.  Considera questo fatto come la fine della legalità costituzionale italiana riferendosi alla violazione dell'articolo 11 e un atto di tradimento verso i valori fondanti della Repubblica Italiana. Sul tema scrisse Il bombardamento etico. Saggio sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente. Molto clamore ha suscitato (anche tra le file della sinistra alternativa) la sua adesione ad alcune tesi del Campo Antimperialista per l'esplicito sostegno da questi fornito alla resistenza irachena. È stato uno dei filosofi di riferimento del comunismo comunitario, nonché animatore della rivista Comunismo e Comunità. Altre saggi: “La classe operaia non va in paradiso: dal marxismo occidentale all'operaismo italiano, in “Alla ricerca della produzione perduta” (Bari, Dedalo); “Cosa possiamo chiedere al marxismo”; “Sull'identità filosofica del materialismo storico”;  “Marxismo in mare aperto”; “Rilevazioni, ipotesi, prospettive” (Milano, Angeli); “La filosofia imperfetta”; “Una proposta di ricostruzione del marxismo ” (Milano, Angeli); “La teoria in pezzi”; “La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia” (Bari, Dedalo); “La ricostruzione del marxismo fra filosofia e scienza”; “La cognizione della crisi. Saggi sul marxismo di Althusser” (Milano, Angeli); “La rivoluzione teorica di Althusser, in Il marxismo” (Pisa, Vallerini); “La passione durevole” (Milano, Vangelista); “La musa di Clio vestita di rosso, in Trasformazione e persistenza. Saggi sulla storicità del capitalismo” (Milano, Angeli); “Il filo di Arianna. Quindici lezioni di filosofia marxista” (Milano, Vangelista); “Il marxismo e l’eguaglianza”, Urbino; “Quattro venti”; “Il convitato di pietra”; “Saggio su marxismo e nichilismo” (Milano, Vangelista); “L'assalto al Cielo”; “Saggio su marxismo e individualism” (Milano, Vangelista); “Il pianeta rosso”; “Saggio su marxismo e universalismo” (Milano, Vangelista); “Ideologia Italiana”; “Saggio sulla storia delle idee marxiste in Italia” (Milano, Vangelista); “Il tempo della ricercar” “Saggio sul moderno, il postmoderno e la fine della storia” (Milano, Vangelista); “L'eguale libertà”; “Saggio sulla natura umana” (Milano, Vangelista); “Oltre la gabbia d'acciaio”; “Saggio su capitalismo e filosofia” (Milano, Vangelista); “Il teatro dell'assurdo”; “Cronaca e storia dei recenti avvenimenti italiani”; “Una critica alla cultura dominante della sinistra nell'attuale scontro tra berlusconismo e progressismo” (Milano, Punto Rosso); “Strategia politica”; “Premesse teoriche alla critica della cultura dominante della sinistra esposta nel Teatro dell'assurdo” (Milano, Punto Rosso); “Il marxismo vissuto del Che”; “Lettere di Che Guevara a Tita Infante” (Milano, Punto Rosso); “Un elogio della filosofia” (Milano, Punto Rosso); “Quale comunismo?”; “Uomini usciti di pianto in ragione” (Roma, Manifesto); “La fine di una teoria”; “Il collasso del marxismo storico del Novecento” (Milano, UNICOPLI); “Il comunismo storico novecentesco”; “Un bilancio storico e teorico” (Milano, Punto Rosso); “Nichilismo Verità Storia”; “Un manifesto filosofico della fine del XX secolo” (Pistoia, CRT); “Gesù. Uomo nella storia, Dio nel pensiero” (Pistoia); “Il crepuscolo della profezia comunista. A 150 anni dal “Manifesto”, il futuro oltre la scienza e l'utopia” (Pistoia, CRT); “L'alba del Sessantotto”; “Una interpretazione filosofica” (Pistoia, CRT); “Marxismo, Filosofia, Verità” (Pistoia, CRT); “Destra e sinistra. La natura inservibile di due categorie tradizionali” (Pistoia, CRT); “La questione nazionale alle soglie del XXI secolo”; “Nota introduttiva ad un problema delicato e pieno di pregiudizi” (Pistoia, CRT); “Le stagioni del nichilismo. Un'analisi filosofica ed una prognosi storica” (Pistoia, CRT); “Individui liberati, comunità solidali. Sulla questione della società degli individui” (Pistoia, CRT); “Contro il capitalismo, oltre il comunismo”; “Riflessioni su di una eredità storica e su un futuro possibile” (Pistoia, CRT); “La fine dell'Urss”; “Dalla transizione mancata alla dissoluzione” (Pistoia, CRT); “Il ritorno del clero. La questione degli intellettuali oggi”( Pistoia, CRT); “Le avventure dell'ateismo. Religione e materialismo oggi” (Pistoia, CRT); “Un nuovo manifesto filosofico. Prospettive inedite e orizzonti convincenti per la filosofia” (Pistoia, CRT); “Hegel Marx Heidegger. Un percorso nella filosofia” (Pistoia, CRT); “Scienza, politica, filosofia. Un'interpretazione” (Pistoia, CRT); I secoli difficili. Introduzione al pensiero filosofico dell'Ottocento e del Novecento, Pistoia, CRT); “L'educazione filosofica. Memoria del passato, compito del presente, sfida del future” (Pistoia, CRT); “Il bombardamento etico. Saggio sull'interventismo umanitario, l'embargo terapeutico e la menzogna evidente” (Pistoia, CRT); “Marxismo e filosofia. Note, riflessioni e alcune novità” (Pistoia, CRT); “Un secolo di marxismo. Idee e ideologie, Pistoia, CRT); “Un filosofo controvoglia. Introduzione a G. Anders, L'uomo è antiquato” (Bollati Boringhieri); “Le contraddizioni di Bobbio. Per una critica del bobbianesimo cerimoniale” (Pistoia, CRT); “Marx inattuale. Eredità e prospettiva” (Torino, Boringhieri); Verità filosofica e critica sociale. Religione, filosofia, marxismo” (Pistoia, CRT); “Dove va la sinistra?” (Boninsegni, Roma, Settimo Sigillo); “Comunitarismo filosofia politica” (Molfetta, Noctua); “La filosofia classica tedesca, Dialettica e prassi critica. Dall'idealismo al marxismo (Molfetta, Noctua); “L'ideocrazia imperiale americana” (Roma, Settimo Sigillo); Filosofia del presente. Un mondo alla rovescia da interpretare” (Roma, Settimo Sigillo); Filosofia e geopolitica” (Parma); All'insegna del Veltro, Del buon uso dell'universalismo. Elementi di filosofia politica” (Roma, Settimo Sigillo); Dialoghi sul presente. Alienazione, globalizzazione destra/sinistra, atei devoti. Per un pensiero ribelle” (Napoli, Controcorrente); “La comunità ritrovata. Rousseau critico della modernità illuminista, Torino, Libreria Stampatori); “Marx e gl’antichi greci” (Pistoia, Petite plaisance); “Il popolo al potere. Il problema della democrazia nei suoi aspetti filosofici” (Casalecchio, Arianna); “Verità e relativismo. Religione, scienza, filosofia e politica nell'epoca della globalizzazione” (Torino, Alpina); Elogio del comunitarismo” (Napoli, Controcorrente); “Il paradosso De Benoist. Un confronto politico e filosofico” (Roma, Settimo Sigillo); “Storia della dialettica” (Pistoia, Petite plaisance); “La democrazia in Grecia. Storia di un'idea, forza di un valore, in Presidiare la democrazia realizzare la Costituzione. Atti del seminario itinerante sulla difesa della Costituzione, Bardonecchia, Susa, Bussoleno, Condove, Borgone Susa, Edizioni Melli-Quaderni); “Sarà Dura!, Storia critica del marxismo. Dalla nascita di Karl Marx alla dissoluzione del comunismo storico novecentesco” (Napoli, La città del sole); “Il presente della filosofia italiana, Pistoia, Petite plaisance, Storia dell'etica, Pistoia, Petite plaisance,  “Hegel anti-utilitarista” (Roma, Settimo Sigillo); Storia del materialismo, Pistoia, Petite plaisance, Una approssimazione a Marx. Tra materialismo e idealismo, Saonara, Il Prato); Ri-pensare Marx. Filosofia, Idealismo, Materialismo” (Potenza, Ermes); Un trotzkismo capitalistico? Ipotesi sociologico-religiosa dei Neocons americani e dei loro seguaci europei, in Neocons. L'ideologia neoconservatrice e le sfide della storia, Rimini, Il Cerchio); “Alla ricerca della speranza perduta. Un intellettuale di sinistra e un intellettuale di destra "non omologati" dialogano su ideologie e globalizzazione” (Roma, Settimo Sigillo);  La quarta guerra mondiale, Parma, All'insegna del Veltro, L'enigma dialettico del Sessantotto quarant'anni dopo, in La rivoluzione dietro di noi. Filosofia e politica prima e dopo il '68, Roma, Manifesto); “Il marxismo e la tradizione culturale europea, Pistoia, Petite plaisance, Nuovi signori e nuovi sudditi. Ipotesi sulla struttura di classe del capitalismo contemporaneo” (Pistoia, Petite plaisance, Logica della storia e comunismo novecentesco. L'effetto di sdoppiamento” (Pistoia, Petite plaisance); “Elementi di Politicamente Corretto. Studio preliminare su di un fenomeno ideologico destinato a diventare in futuro sempre più invasivo e importante, Petite Plaisance,  Filosofia della verità e della giustizia. Il pensiero di Kosík, con Cesana, Pistoia, Petite plaisance, Lettera sull'Umanesimo, Pistoia, Petite plaisance, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Pistoia, Petite plaisance, Lineamenti per una nuova filosofia della storia. La passione dell'anticapitalismo, con Luigi Tedeschi, Saonara, Il Prato,.Dialoghi sull'Europa e sul nuovo ordine mondiale, Saonara, Il Prato, Collisioni. Dialogo su scienza, religione e filosofia, Pistoia, Petite plaisance,  Karl Marx: un'interpretazione, Nova Europa). Prefere non definirsi marxista ma appartenente alla "scuola di Marx", e «allievo indipendente di Marx» (C. Preve, Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli,  Personalmente, non sono credente né praticante. Non credo in nessun Dio personale, considero ogni personalizzazione del divino una indebita e superstiziosa antropomorfizzazione, e sono pertanto in linea di massima d’accordo con Spinoza. Ma ritengo anche la religione, così come la scienza, l’arte e la filosofia, dati permanenti dell’antropologia umana in quanto tali desti durare tutto il tempo in cui durerà il genere umano  (Elementi di politicamente corretto. Convegno, Lukács e la cultura europea (II intervento)  Relazione Congresso Nazionale di DP (terzultimo intervento)  Destra e Sinistra: confronto tra C. Preve e D. Losurdo; Carmilla: I rosso-bruni: vesti nuove per una vecchia storia  Democrazia comunitaria o democrazia proprietaria?”; “Considerazioni sulla geopolitica”; “Il bombardamento etico dieci anni dopo”; Fonte: A. Monchietto, Lucio Colletti; Marxismo, Filosofia, Scienza. L'“ultimo” filosofo marxista su la RepubblicaTorino  Addio al filosofo, In memoria, D. Fusaro  Un lutto veramente grande per noi di Gianfranco La Grassa, La Sala Rossa ricorda la figura e raccogliendosi in un minuto di silenzio, Preve, Con Marx e oltre il marxismo; Comunismo e Comunità » Laboratorio per una teoria anticapitalistica  A. Volpe e P. Zygulski, Verità e filosofia, in A. Monchietto e G. Pezzano, Invito allo Straniamento. I. filosofo, Pistoia, Petite Plaisance,  Preve, Elementi di politicamente corretto. E qui concludiamo con una serie di previsioni artigianali. Ricordo al lettore che questo non è ancora un Trattato di Politicamente Corretto, che ho peraltro intenzione di scrivere, in cui i cinque punti principali indicati (americanismo come collocazione presupposta, religione olocaustica, teologia dei diritti umani, anti-fascismo in assenza completa di fascismo, dicotomia Sinistra/Destra come protesi di manipolazione politologica) verranno discussi in modo più analitico e preciso. Da Intellettuali e cultura politica nell'Italia di fine secolo, Rivista Indipendenza, Da Gli Usa, l’Occidente, la Destra, la Sinistra, il fascismo ed il comunismo. Problemi del profilo culturale di un movimento di resistenza all’Impero americano, Noctua Edizioni, 2003.  C.Preve: audio congressi DP (RadioRadicale)  Intervista politico-filosofica (G. RepaciC. Preve)  «La costituzione italiana è stata distrutta per semprre con i bombardamenti sulla Jugoslavia, e da allora l’Italia è senza costituzione, e lo resterà finché i responsabili politici di allora non saranno condan morte per alto tradimento (parlo letteralmente pesando le parole), con eventuale benevola commutazione della condanna a morte a lavori forzati a vita. Eppure, questi crimini passano sotto silenzio, perché si continuano ad interpretare gli eventi di oggi in base ad una distinzione completamente finite (C. Preve, Elementi di politicamente corretto) Bobbio, Né con Marx né contro Marx, Riuniti, Roma,Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma, Alessandro Monchietto, Marxismo e filosofia in Preve, Editrice Petite Plaisance, Pistoia, P. Zygulski, C. Preve: la passione durevole della filosofia, presentazione di Giacomo Pezzano, Pistoia, Editrice Petite Plaisance, Monchietto e Pezzano, Invito allo Straniamento. I. Costanzo Preve filosofo, Pistoia, Petite Plaisance, Zygulski, Costanzo Preve e l'educazione filosofica, in Educazione Democratica,  Foggia, Edizioni del Rosone, gennaio,  Alessandro Monchietto, Invito allo Straniamento. II. Marxiano, Pistoia, Petite Plaisance, Massimo Bontempelli); F.  Bentivoglio, Il senso dell'essere nelle culture occidentali, Milano, Trevisini); Formenti, Il socialismo è morto. Viva il socialismo!, Meltemi, Milano). Costanzo Preve. Preve. Keywords: fascismo, antifascism – antifascism in assenza completa di fascismo, comunita, comunitarismo, la mascalzonaggine imperdonabile dell’invasione a Grecia;colonizzazione imperialista,storia dell’etica, storia ontologico-sociale della filosofia, vico anti-capitalista. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Preve," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684463462/in/photolist-2mKbok1-2mGnP2f-2mEd2LM-E58e4H-CfbuaM-C6j6p5-CdDphy-CfWJ4K-C6n5m7-BiosLy-CfUqUZ-BiyBqX-BGr8AF-BiuDHk-C6n22G-BGo4ac-CfT5uH-BinZFS-CfX854-C8EFGv-C8AG9k-C8EyDT-BGreRB-BNPngs-C8EyKe-CfWNyr-BinFbf-BGr6t4-C6ndRU-BGrkKR-CfUrBk-Biry7Y-CfWVBe-BNPcuy-C8EfEg-C8BXHK-C6iijj-Biotmm-BXesRa-B87iXx-B87iTp-C5w76F-C3dpu7-BXetE4-BUVNSb-B87kea-C3dpwG-BUVMeG-BXeqJ4-BCoJa1

 

Grice e Prini – il volo d’Icaro – filosofia italiana – Luigi Speranza (Belgirate). Filosofo. Grice: “I like Prini, but I won’t expect his “Discorse e situazione” to be about Firth’s context of utterance!” -- “Pensare è infatti la maniera più profonda del nostro desiderare. "Ventisei secoli nel mondo dei filosofi"). Tra i maggiori esponenti dell'esistenzialismo.  Studia ad Arona e Pavia sotto Lorenzi. Studia Sorbatti sotto Levi e Sciacca. Studia Plotino. Prini s'è legato al gruppo di filosofi che Sciacca aveva riunito intorno a se. Quando Sciacca si trasferì a Genova tutto il gruppo lo segue. Insegna a Genova, Perugia, Roma e Pavia. Scrive “Verso una nuova ontologia” e “Discorso e situazione”. “Lo scisma sommerso” analizza la spaccatura sotterranea che si è creata nella Chiesa cattolica tra il magistero ufficiale e la fede e le scelte di vita dei credenti. Un tema che diviene centrale è il tema del male. Scrive “Ventisei secoli nel mondo dei filosofi” -- «un ripensamento, una sorta di commiato personale dagli autori e dai problemi che gli erano stati cari per tutta la vita. Accanto al discorso apofantico, che definisce in modo univoco il suo oggetto e che vuol dimostrare le sue verità in modo necessario, apre lo spazio per la ‘conversazione’. Nel testo Verso una ontologia, risalire la dimenticanza della conversazione ad Aristotele, il quale ritene i discorsi semantici non vero-funzionali e quindi estranei al campo del linguaggio sino del metalinguaggio della filosofia. In “Discorso e situazione” definisce in modo più dettagliato gl’ambiti della conversazione. Nella molteplicità dell’uso logico della ragione, delinea un esame sistematico delle diverse forme della conversazione razionale “situata”, ossia in relazione al suo proprio oggeto o topico ed al suo proprii conversatori, e precisamente la verifica come forma della prova del discorso oggettivo o scientifico, la categoria della testimonianza e la determinazione particolare come ‘forma’ della ‘prova’ della conversazione. È stata un ricerca non inutile, credo, se ha messo in luce, per un verso, contro lo scientismo, la pluralità dell’uso della ragione, e per un altro verso, la fondamentale convergenza di quelle forme del discorso razionale in una dottrina della verità ostensiva dell’essere, o un’ontologia semantica. Gl’uomini di cui la filosofia deve occuparsi sono gl’italiani concreti. In “Il corpo che siamo” studia i corpi degl’italiani come elementi costituiti della inter-soggettività in un’unità psico0fisica del resto. Già Serbatti fa questo movimento verso i corpi, parlando di sentimenti fondamentali corporei. In “Il paradosso di Icaro” elabora la distinzione tra mero bisogni dei corpi e desideria o volonta. I bisogni, cioè le necessità di avere, si distingueno dalla volontà di essere autenticamente.  Il domandare intorno al senso di ciò che è e di ciò che si *è* un domandare che mette in questione anche i domandanti stessi.  In ‘L’ambiguita dell’essere’ caratterizza l’essere come ’ambiguo’: necessità assoluta (al modo di Velia), bontà o finalità assoluta, o come libertà od opposizione assoluta. Cerca queste tre modalità, ritenendole tutte essenziali all'essere e, insieme, non deducibili l’una dall'altra. Definie questa sua concezione problematicismo ontologico. Dal momento che l’essere è in sé ambiguo, esso non si lascia completamente definire e dimostrare dal discorso apofantico e si presta alla conversazione. C’è un carattere ludico nell'atteggiamento del credente, quando pretende di poter mettere tra parentesi la propria fede e di essere anch'egli, nella ricerca della verità, come dice Husserl, ein wirklicher Anfänger, un vero e proprio principiante.  Fa una distinzione tra il nucleo del messaggio evangelico e le forme che esso ha via via assunto nella storia, critica delle posizioni più tradizionaliste della Chiesa, specialmente in filosofia (si veda in particolare “La filosofia cattolica italiana del Novecento”), invito al dialogo tra la Chiesa e la modernità tutta intera, e proposta di una nuova inculturazione, oggi, di quel messaggio evangelico. Un passagio di “ Lo scisma sommerso” mostra in modo disambiguo ciò che ha in mente. Per questa mentalità generata dalla civiltà della scienza esistono uno spazio e un tempo scientifici nei quali è impossibili proporsi di trovare, per esempio, il periodo storico di una presunta prima coppia progenitrice di tutto il genere umano o l'ubicazione dell'Eden, di cui parlano in un senso simbolico che è da determinare i primi racconti della Genesi. E andando soltanto un poco in profondità nella coscienza giuridica moderna, post-illuministica, del rapporto tra colpa e castigo, chi potrebbe oggi accettare l'idea, trasmessa dalla teologia penale di Agostino nell'interpretazione della Lettera ai Romani di Paolo, che l'umanità intera abbia ereditato da Adamo non solo la pena eterna del suo peccato, ma anche la responsabilità della sua stessa colpa?»  Altre saggi: “La metodologia della testimonanza” (Roma, Studium); “Verso una ontologia della conversazione” (Roma, Studium); “Serbatti: i sentimenti fondamentali corporei, ” (Roma, Armando); “Discorso e situazione” (Roma, Studium); “Il paradosso d’Icaro” (Roma, Armando); “L’ambiguità dell’essere” (Genova, Marietti); “Storia dell'esistenzialismo” (Roma, Studium); “Il corpo che siamo: introduzione all'antropologia etica” (Torino, SEI); “Plotino e l'umanesimo interiore” (Milano, Vita e Pensiero); “Il potere” (Roma, Studium); “La filosofia italiana” (Roma, Laterza); “Lo scisma sommerso” (Milano, Garzanti); “Terra di Belgirate”; Torino, Sosso); “Ventisei secoli nel mondo dei filosofi” (Caltanissetta, Sciascia); “Un filosofo che canta i Salmi. “Croce e Gentile”, Il Prini sommerso; Il desiderio di essere. L'itinerario filosofico; L'ontologia del desiderio” l M. Flematti, “Prini”. Pietro Prini. Prini. Keywords: il volo d’Icaro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737756981/in/datetaken/

 

Grice e Prodi – il cane di Pavlov – filosofia italiana – Luigi Speranza (Scandiano). Filosofo. Grice: “While he likes semiotics, Prodi is the Italian C. L. Stevenson, who read English at Yale! No philosophy background!” -- Figlio di Mario ed Enrica, maestra. Studia e insegna a Bologna. A Bologna fonda il progetto Biologia cellulare del Svilupa un approccio semiotico alla biologia.  Con Il neutrone borghese, ha pubblicato anche alcuni romanzi e racconti, tra cui Lazzaro, biografia romanzata (con riflessi autobiografici) di L. Spallanzani. Il saggio “Il cane di Pavlov”; “Opera narrativa” (Diabasis, Reggio Emilia). Altre opere: “Scienza e potere” (Il Mulino, Bologna); “La scienza, il potere, la critica” (Mulino, Bologna); “Oncologia sperimentale” (Esculapio, Bologna); “Le basi materiali della significazione” (Bompiani, Milano); “La biologia dei tumori” (Abrosiana, Milano); “Soggettività e comportamento” (Angeli); Orizzonti della genetica” (L'Espresso); “Il neutrone Borghese” (Bompiani, Milano); Patologia Generale (CEA, “La storia naturale della logica” (Bompiani, Milano); “L'uso estetico del linguaggio” (Mulino, Bologna); Lazzaro: il romanzo di un naturalista del '700” (Camunia, Brescia); “Oncologia” (Esculapio, Bologna); “Gli artifici della ragione” (Sole 24 ore, Milano); “Il cane di Pavlov” (Camunia, Brescia); “Alla radice del comportamento morale” (Marietti, Milano); “Teoria e metodo in biologia” (Clueb, Bologna); “L'individuo e la sua firma”; “Biologia e cambiamento antropologico” (Mulino, Bologna); “Il profeta” (Camunia, Brescia); Conferenza "Prodi”, Repubblica  Apprezzato anche da G. Dossetti, La parola e il silenzio” (Paoline,  in riferimento ad un articolo che si rifaceva ai geni invisibili della città di G. Ferrero. Sul sottotitolo (i “geni invisibili” della città. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giorgio Prodi. Prodi. Keywords: il cane di Pavlov. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prodi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737954863/in/datetaken/

 

Grice e Prospero – implicatura laica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pescosolido), filosofo. Studia e Insegna a Roma. Studia Kelsen. Collabora con “L'Unità”. I suoi interessi sono principalmente rivolti al sistema istituzionale italiano e la filosofia politica della sinistra. La sua filosofia e aspramente criticate da Travaglio, che lo ha accusato di "pagnottismo". Tra i punti di dissenso, vi è la posizione nei confronti della democrazia diretta, e nei confronti della fiducia riposta daTravaglio, e dal Movimento 5 stelle di Grillo, nella intrinseca infallibilità del giudizio espresso dagli elettori e del popolo della Rete.  Sinistra Italiana. Saggi: “La politica post-classica”; “Il nuovo inizio”; “Nostalgia della grande politica”; “La democrazia mediata”; “Sistemi politici e storia”; “Il pensiero politico della destra” (Newton Compton); “I sistemi politici” (Newton Compton); “Politica e vita buona, Euroma la Goliardica, Sinistra e cambiamento istituzionale”; “Storia delle istituzioni in Italia” (Riuniti); “Il fallimento del maggioritario”; “La politica”; “Teorie e profili istituzionali” (Carocci); “Lo stato in appalto. Berlusconi e la privatizzazione del Politico (Manni); “Politica e società globale” (Laterza); “L'equivoco riformista” (Manni); “Alle origini del laico” (Angeli); “La costituzione tra populismo e leaderismo” (Angeli); “Filosofia del diritto di proprietà” (Angeli); “Perché la sinistra ha perso le elezioni” (Ediesse); “Il comico della politica”; “Nichilismo e aziendalismo nella comunicazione di Berlusconi” (Ediesse); “Il libro nero della società civile”; “Il nuovismo realizzato” (Bordeaux); “Gramsci” (Bordeaux). Addio al mito del capo, Il Manifesto, Contropotere del Quirinale, Left-avvenimenti, C. Prodi, l'errore più grande della sinistra europea è stato dimenticare il lavoro, il manifesto, Bruno Gravagnuolo, Grillo, il travaglio di Marco nel duello tv con Prospero l'Unità  Gli organismi di Sinistra Italiana, da "Sinistraitaliana.si"  Sinistra Italiana rispolvera il Pci: nascono le nuove Frattocchie. Ma a Testaccio. Michele Prospero. Prospero. Keywords: implicatura laica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Prospero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738325049/in/datetaken/

 

Grice e Pucci – implicatura – l’utopia di Pucci -- filosofia italiana (Firenze). Filosofo. Scrive alcuni trattati dove ambiva a una filosofia universale di stampo utopistico. Molto polemico contro le principali dottrine religiose dell'epoca, tanto da essere tacciato di eresia e giustiziato dall'Inquisizione romana.  Della potente e ricca famiglia fiorentina dei Pucci. Scolto da un improvviso mutamento et cambiamento che lo fa decidere a darsi allo studio delle cose celesti ed eterne e a scoprire i reali motivi dei contrasti filosofici che lacerano l'Italia.  Assiste personalmente alla strage degl’ugonotti nella notte di San Bartolomeo, decise di aderire alle tesi protestanti. Controversie dottrinali gli procurarono l'espulsione dalla comunità calvinista alla quale aveva aderito in primavera. Discute del peccato originale e ha altresì contestato l'autoritarismo del concistoro della comunità. Quest'ultima gl’rimprovera, oltre a importanti punti dottrinali come la concezione del peccato originale, della fede e dell'eucaristia, la sua pretesa di pro-fetizzare, ricordandogli che, con la scomparsa dei primi apostoli, il carisma profetico non puo più esistere. Su invito di F. Betti, incontra F. Sozzini. Pubblica un manifesto, e poi scrive a N. Balbani una lettera in cui espone la sua teoria dell'innocenza naturale dell'uomo, già discussa con Sozzini, secondo la quale tutti gl’uomini nascono et restano innanzi all'uso della ragione e del giudizio. Grazie alla redenzione operata da Cristo, il peccato originale non può causare la dannazione quando siamo ancora nel grembo materno. Il battesimo del bambino, che e naturalmente innocente per la naturale bontà della natura umana, per quanto non censurabile, è inutile. L'eventualità della dannazione è un problema dell'adulto che, raggiunta l'età della ragione, è in grado di distinguere il bene dal male. L’uomo è buono per natura e a causa dell'amore di Dio verso il genere umano, che ha creato l'uomo di natura buona, si fonda la filosofia. Il fondamento della filosofia, et bontà vera, è propriamente la fidanza generale in Dio del cielo e della terra, una fiducia fondata sulla conoscenza di Dio che è comune a tutti gl’uomini, una fede che si contrappone alla concezione della fede protestante, che consiste invece in una fidanza particulare che il singolo protestante ripone in Dio. È del resto la tesi sostenuta da Sozzini nel suo De Jesu Christo servatore. Sostene di aver tratto le proprie concezioni in virtù del dono dello Spirito Santo che, attraverso visioni, lo ispira permettendogli di preconizzare il prossimo avvento del regno di Dio che provoca la conversione di tutti i popoli, qualunque fosse la loro religione, sotto un'unica confessione. La redenzione operata da Cristo riguarda infatti tutti gl;uomini, anche i non cristiani, perché esalta la loro naturale bontà. La salvezza non costitusce un dubbio tormentoso ma è un obbiettivo che può essere raggiunto abbandonandosi con fiducia alla fede in Dio, è la fede naturale che ha Adamo, uomo naturale e immortale perché fatto a immagine e somiglianza di Dio nella mente e nello spirito. Affermata la bontà naturale della specie umana, ne discende che debba essere escluso tanto che il peccato si trasmetta nelle generazioni, quanto che possa esistere una pre-destinazione semplice o doppia che sia, una per gl’eletti e una per i dannati stabilita ab aeterno. Sozzini rispose al Pucci con il “De statu primi hominis ante lapsum”, obiettando che la somiglianza di Adamo con Dio risiede nel fatto di essere il dominatore di tutte le cose della natura, e non nella sua immortalità. Se Adamo, l'essere naturale per eccellenza, finisce col peccare, ciò dimostra che non era affatto innocente, visto che Adamo peca per sua libera scelta. La natura dell'uomo  non è diversa da quella d’Adamo. La salvezza degl’uomini risiede nella sua volontà di scegliere il bene, ed è sulla sua libera volontà, non sulla sua natura, che si fonda la sua etica. Il suo saggio principale e “La Forma d'una repubblica”. Per porre rimedio alla confusione e agli scandali regnante nella filosofia, e necessario un libero e santo concilio al quale si vede che tutti gl’uomini da bene di tutte le province inclinano, ma che viene rifiutato dai potenti prelati che oggi comandano non solo nella religione, ma anche nella repubblica. Per preparare questo concilio, è necessario che gl’uomini dabbene, all'interno di ogni singolo stato, si organizzino in un'unione, in un collegio o comunità nella quale essi si governino secondo un principio comune, i, senza alienarsi da i loro principi e magistrati civili e senza entrare in polemica contro la confessione religiosa vigente. Questi uomini, infatti, d'animo et tal volta anche di corpo alienato da gl’ordini et usanze di quelle repubbliche nelle quali è sono nati et allevati, conviene ch'e' vivino come forestieri nel loro natio terreno, o forastieri interamente per gli altrui paesi, è necessario ch'e' si portino molto saviamente e discretamente con i principi e magistrati de' luoghi dove essi habitano. Si tratta di un'aperta giustificazione del nicodemismo, seppure teorizzata come mezzo provvisorio allo scopo di raggiungere un fine superiore nell'interesse di tutti i cristiani. L'insieme di questi collegi avrebbe formato di fatto una repubblica cattolica, cioè universale, che, con l'esempio dei retti comportamenti dei suoi aderenti, avrebbe col tempo acquisito il consenso della grande maggioranza della popolazione di ogni singolo stato, promuovendo così il rinnovamento dei costumi e delle diverse confessioni, fino a rifondare un'unica religione cristiana.  Gli elementi essenziali di questa rinnovata e unificata religione dovranno essere la fede «in un solo Dio del cielo e della terra, creatore et governatore dello Universo, nel Cristo morto e risorto per redimerci, nella giustizia divina che premia i buoni e punisce i malvagi, la testimonianza degl’apostoli, il rispetto dei dieci comandamenti, l'orazione domenicale e le opere di carità. Tutte le questioni dottrinarie che storicamente dividevano le confessioni cristiane sono sfumate dal Pucci, che vuole che sui problemi del battesimo, dell'eucaristia, della Trinità e dell'incarnazione non si utilizzino sottigliezze e non si creino divisioni.  I membri di queste comunità dovranno essere tutti gl’uomini maggiorenni e laicigli ecclesiastici, infatti, sono evidentemente incapaci di superare le divisioni che essi stessi hanno creatoorganizzati sotto un capo temporaneo, provosto o console, assistito da un censore, che non deve avere alcun'autorità particolare, ma dovrà proporre le risoluzioni da approvare all'unanimità nell'assemblea generale dei membri: quando non vi fosse unanimità, si deciderà a sorte fra le diverse opzioni. Le donne, dovendo essere sottoposte ai mariti, possono assistere ma non hanno alcun'autorità né diritto di voto.  Il collegio ha anche il potere di punire le cattive condotte dei singoli membri, sino all'espulsione. Le diverse comunità si sarebbero tenute in contatto epistolarea questo scopo era costituito l'incarico di un cancellieree, attraverso delegati, si sarebbero riunite in diete da tenersi periodicamente nelle terre «di qualche gentilhomo o signore» aderente a un collegio di una delle maggiori città europee «come Francoforte, Lione, Parigi et simili, perché qui i convenuti alla dieta sarebbero passati inosservati più facilmente. Se gli aderenti ai collegi devono manifestare un formale ossequio alle autorità costituite, essi devono anche proporre una sia pur cauta propaganda per far guadagnare alla comunità nuove adesioni. Ciascuno deve mantenere il segreto della sua attività tramite giuramento, essere amico dei compagni e nemico di chi è loro nemico. Per saldare insieme i membri, è opportuno che essi si sposino nello stesso ambiente, con donne «sane e gagliarde per averne una buona discendenza, evitando però rapporti sessuali frequenti che, secondo il Pucci, sono nocivi alla salute fisica degli uomini e a quella morale delle donne. Nella famiglia, il padre riveste il ruolo di capo e di sacerdote laico: battezza egli stesso i figli in età audulta, i quali dovranno crescere in una decorosa austerità, studiando nelle scuole consigliate dalla comunità ed evitando carriere immorali, come quella ecclesiastica o avvocatesca. Fu a Cracovia, dove incontra F. Sozzini e altri dissidenti religiosi. Le sue idee però non trovarono successo in nessuna confessione calvinista o luterana, né fra gli anabattisti e i sociniani. In compenso qui conosce Dee. Anche qui la sua indole (Dee lo descrive come pericolosamente chiacchierone e utopico) non venne accolta positivamente e deluso dai protestanti si ri-converte al cattolicesimo dopo un incontro con Ippolito Aldobrandini. Srive “De Christi servatoris efficacitate in omnibus et singulis hominibus”, “L'efficacia salvifica del Cristo in tutti e in ogni uomo”, dedicato a Clemente VIII. Qui ri-assunge e sviluppa tutte le sue teorie su una chiesa universale ed ecumenica. Ogni uomo ha il diritto di professare una chiesa di Cristo, e Dio, grazie al suo amore universale per l'intera umanità, dove aiutare ad abbattere le barriere che separavano le chiese. Condotto in carcere a Roma, dove conosce Bruno e Campanella. E condannato a morte per eresia, decapitato e poi bruciato sul rogo al campo de' fiori  Il puccismo però gli sopravvisse nella chiesa luterana grazie a Huber. Lettera in A. Rotondò, Studi e ricerche di storia ereticale italiana del Cinquecento  Lettere, documenti e testimonianze  In D. Cantimori, Per la storia degli eretici italiani, L.Felici, La riforma protestante” (Carocci); Opere Lettere, documenti e testimonianze  (Firenze, Olschki); Sulla predestinazione (Firenze, Olschki); C. Cantù, “Gli eretici d'Italia” (Torino, Tipografic); Per la storia degl’eretici italiani, D. Cantimori ed E. Feist, Roma, Reale Accademia d'Italia, D. Cantimori, Eretici italiani” (Firenze, Sansoni, A. Rotondò, “Storia ereticale italiana (Torino, Giappichelli); Una disputa di antropologia filosofica sul primo uomo. Di fronte al naturalismo di F. Sozzini, Milano, Cusl, P. Carta, “Eresia -- Documenti sul processo e la condanna” (Padova, Milani); “Cultura politica” (Stango, Firenze G. Caravale, Il profeta disarmato. L'eresia” (Bologna, Mulino); M. Biagioni, L’Informatione della religione christiana, Torino, Claudiana,  V. Vozzi, l’Informatione della religione christiana. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Pucci. Keywords: etymologia d’eretico; il profeta disarmato, nicodemismo, decapatizazione a Tornona, Roma. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Pucci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691563953/in/photolist-2mPTxJB-2mKBzba-2mKDA5r-2mPNG7N-DndBhH-2mKNM4g-2mKuJyP-2mKuJqC-2mKre9p-ETqNtt-D4QXHL-D41J73-o7nNJE-nXsZFJ-nCEAAa-ncTeBF-ncTe6v-nu72SS-nqAmJ

 

Grice e Puccinotti – il boezio – filosofia sperimentale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino). Flosofo. Studia a Pavia e Roma. Insegna a Urbino,  Macerata, Pisa.  Il Granduca Leopoldo II di Toscana lo inserì in una commissione incaricata di studiare l'ipotesi di introdurre sul litorale pisano le risaie, dal punto di vista della medicina civile. Espose le sue analisi nel saggio “Sulle risaie in Italia e sulla loro introduzione in Toscana”, conclusioni che saranno alla base del Regolamento sulla cultura del riso in Toscana. Opere: “Storia della febbre intermittente perniciosa (Roma), “Boezio” (Firenze); “Storia della medicina” (Firenze). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Crusca. “Opere filosofiche”; “Del preteso paganesimo di Boezio”; “In Galileo sono due filosofie, la speculative e la sperimentalel; Galileo divise la fisica della metafisica:; Schema della filosofia speculative di Galilei nella gionarata prima dei dialoghi de’ massimi sistemil La filosofia della storia riconosce se stessa per la filosofia della scienza; Diffeti delle tendenze filosofiche – e come corrreggerli; Il sentiment di amore nazionale negl’Italiani esisteva anche quando l’Italia era divisa; Occorre oddi dare ai Congressi un principio filosofi e un fine civile; Del principio filosofico. Le filosofie son molte; ma una formula accettata e comune a tutti i filosofi ancora non esiste. Se domanda che agli scienzati si lasci la lora filosofia sperimentale; Si propone il sistema conciliativo delle due filosofie tramezzate dale matematiche; consigli ai discepoli. Invece delle filosofe spectulative adoprino le matematiche per completare la filosofia sperimentale. Fisici e metafisici, La scienza della natura non si fa cogli universali della metafisica; la filosofia della storia vien sempre dopo la storia, ossia dopo I fatti; per la scienze naturali le aspirazione agl’universali della metafisica ponno essere un fine, ma il rncipio in esse altro non e che l’osservazione, l’experienza, ed il calcolo. Indecisi I filosofi nel conceptire e applicare il principio dell’unita; condotti sull’esere umo il fisiologo e il filosofo, il primo puo fisicamente innoltrarse nei fenomeni piu elevate della corporeita animale e trovarvi una dimostrabile azione, attrativa di qualche imponderabile. Corrispondenza fra il carattere filosofico delle opera d’Areteo e quello della sua eta. Puccinotti. Keywords: il boezio, Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Puccinotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736813322

 

Grice e Punzo – erote – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli), filosofo. Si laurea a  Napoli con una tesi su Kant alla luce della dottrina tomistica, una in erpetologia sul sistema nervoso dei serpenti, e una tsulla morale nelle lettere di Paolo.  Fonda la Lega Nazionale Contro la Distruzione degli Uccelli, e l'associazione culturale Trifoglio" di cui pubblica Il Trifoglio. Visse per circa vent'anni sull'isolotto disabitato di Vivara, contribuendo a preservarlo da possibili scempi e tutelandone il patrimonio ambientale. Per il suo impegno a favore di Vivara ricevette  il "Premio Mediterraneo" conferitogli da un'agenzia dell'ONU. Filosofo dai molteplici interessi che spaziarono dalla Commedia dantesca, alla botanica, all'ornitologia e alla zoologia, anche un profondo conoscitore del latino. Dedica gran parte della sua vita intellettuale alla filosofia. Per lui, la pedagogia costituisce uno dei compiti più importanti al quale una società deve adempiere poiché l'educazione delle giovani generazioni e, in particolare, dell’adolescente, rapresenta il punto fondativo di ogni aggregato umano. In tale prospettiva il fanciullo, per potersi sviluppare al meglio, deve essere educato al bello attraverso la contemplazione della natura. La sua filosofia ha come culmine la definizione del concetto di religioso assoluto, inteso come elemento distintivo della spiritualità umana poiché capace di definire l'identità dell'individuo rispetto alle altre forme di vita.   Nota sull'episodio dantesco di Brunetto Latini, Napoli, Ed. Carlo Martello, Contributo per un superamento dei tradizionali schemi sessuologici, Napoli, Tip. G. Genovese, Nuovo contributo per un superamento dei tradizionali schemi sessuologici, Napoli, Martello, “Lettere erotologiche,”  Napoli, Martello, “Dialogo dell'amore olarrenico,” Napoli, Martello, L'altro viaggio, Napoli, Denaro; Il guardiano del verde isolotto. Olarrenismo; pseudomorfismo sessuale, Parisessualismo nevrotico; parisessuonevrotici; parisessualismo sostitutivo; line generali per una tipologia della vita erotico-affetiva. Tipi eerotio-effettivi meterotici – telerotici, caterotici; schema generale per un superamento delle fondamentali impostazione sessualogiche; critica della dottrina delle perversioni sessuali; critica del concetto di perversioni sessuali; critica del significato patologico attributo all’eros; cirtica della condanna morale implicita; superamento della dottrina delle perversione sessuali; essenza e significato della sessualita psichica; amore e sessualita, struttura della sessualita psichica, l’eros come anistonia psico-sessuale, la gradualita della sessualita psichica; principi per una classificazione dell’epitomia psico-sessuali; orientamento per una classificazione psicologica delle anisotnoia psico-sessuali, complessione psico-eterante egotropica ed eterotropica, orarrenismo eroticol maschilita complementare e maschilita olarrenica, amore elorrenico, la casistica, la storia e la filosofia, concezione etico-psicologica, etico-sociale, sessologia, tendenze erotiche, Zenone, amato da Parmenide; Alcibiade amato da Socrate. Il caso di Callia e Autolico citato nel Fedone, il simposio di Senofonte, Diogene Laerzio, Ariano, Atico, amore virile, virilta, virtu, maschio, Nicomaco, amato da Teofrasto, trattarello sull’amore di Teofrasto, trattarello sull’amore di Aristotele (erotikos a) dove si discute quattri questioni (tetra), peripatetici sull’amore, Eraclide, Clearco, e Geronino. Prolegomeni erotoligici. Schema genrale per un superamento del concetto d’omosessualita – critica e superamento di stesso – fondamentale discriminazione dei fenomeni confuse come omosessualita -- Giorgio Punzo. Punzo. Keywords: erote. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Punzo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738226409/in/datetaken/

 

Grice e Purgotti – implicatura metrica – filosofia italiana. Luigi Speranza (Cagli), filosofo. Figlio di Nicola e Rosa Morbidi.  Dei Lincei. Dei Georgofili di Firenze. Studia a Roma sotto Imerio Cibo di Amelia e Pallieri. Insegna a Perugia. Spazia dalle scienze fisico-chimiche all'idrologia minerale, dalle scienze matematiche alle filosofiche con particolare riguardo alla teoria degli atomi.  “Questa memoria la patria che dagli scritti e dalle virtu del sommo scienziato ebbe tanto lustro ed onore nato in Cagli. Qui riposa insigne chimico e matematico esempio raro di virtu domestiche e civile.  Pubblica nel Giornale Scientifico Letterario di Perugia; “Lettere ad un amico intorno a vari filosofici argomenti”; “Riflessioni sulla teoria degli atomi”; “Trattato di chimica applicato specialmente alla medicina e alla agricoltura”; “Trattato elementare di chimica applicata specialmente alla medicina”; “Trattato elementare di chimica applicata specialmente alla medicina e alla agricoltura”; “Intorno all'azione dell'acido solfo-idrico sul solfato di protossido di ferro”; “Osservazioni intorno a varie inesattezze che allignano nei moderni corsi di matematica elementare”; Riflessioni sopra un opuscolo che porta per titolo se si possa difendere, ed insegnare non come ipotesi, ma come verissima, e come tesi la mobilita della terra, e la stabilita del sole da chi ha fatta la professione di fede di Pio IV”; “Elementi di aritmetica, algebra e geometria”; “Studi chimici sulle acque minerali di Valle Zangona”; “Intorno agli usi ed effetti delle acue minerali”; “Riflessioni sulla teoria degl’atomi”; “Chimica”; “Analisi delle acque minerali di S. Gemini”; “Aritmetica e algebra”; “Chimica organica”; “Saggio di filosofia chimica”; “Geometria”; “Problemi tratti dagli elementi di Aritmetica”; “Algebra e Geometria”; “Nozioni elementari ragionate del calcolo aritmetico ad uso dei giovanetti”; “Intorno al primitivo insegnamento della scienza delle quantità”; “Chimica inorganica”; “Metalli delle terre aride e metalli propriamente detti”; “Elementi di aritmetica ragionata ad uso dei giovanetti”; “Elementi di aritmetica, algebra e geometria”; “Analisi delle acque minerali di S. Gemini”; “Lettere filosofiche: principalmente risguardanti l'elementare insegnamento delle scienze”; “Chimica inorganica”; “Metalloidi”; “Compendio di nozioni farmaceutiche ad uso degli studenti”; “Esposizione delle avvertenze teorico-pratiche le più interessanti per ben preparare, conservare ed apprestare i farmaci”; “Sul fluido bio-tico e le sue influenze nei moti delle tavole e dei pendoli indovini e nel magnetismo animale e nelle manifestazioni spiritualiste”; “Nozioni elementari intorno all'algorismo sui numeri interi estratte dal trattato di aritmetica ragionata”; “Chimica in-organica”; “Metalli”; “Chimica organica e nozioni le più interessanti di chimica agraria e filosofia”; “Studi chimici sulle sorgive minerali del distretto di Civita Ducale presso il Velino nel secondo Abruzzo Ulteriore”; “Sull'acqua salino-ferruginosa di Giano”; “Chimiche ricerche”; “Elementi di algebra”; “Elementi di aritmetica”; “Elementi di geometria” “I segreti dell'arte di comunicare le idee negl’elementi delle scienze esatte ed i difetti che anche attualmente vi sono coperti dal falso manto della matematica evidenza svelati dalla filosofica investigazione”;“Esercizi aritmetici” “Idrologia minerale del distretto di Civita Ducale nel secondo Abruzzo Ulteriore”“Studi chimici sulle sorgive minerali del distretto di Civita Ducale presso il Velino nel secondo Abruzzo ulteriore”“Intorno ai meta-fisici”“Idrologia narnese o rapporto degli studi chimici sulle acque potabili e minerali di Narni fatti per cura dell'inclita giunta municipale della stessa città”;“Delle acque minerali di San Galgano di Perugia”; “Memorie istoriche per il conte Gio. Battista Rossi-Scotti. Seguite dai relativi studi analitici intorno alla nutrizione”; “Frammenti tratti dalla chimica animale”; “Sulle sorgenti acidule-ferro-manganesiache di Monte Castello Vibio”; “Studi chimici seguiti da una relazione intorno alle loro virtù medicamentose”;; “Intorno dei corpi organici naturali inserito nell'Apologenico”; “Osservazioni”; “Intorno all’azioni cata-litica”; “La forza”; “Intorno agl’esami liceali”; “Vaganti idee”; “Delucidazioni intorno alla forza”; “Euclide e la logica naturale. Riflessioni”; “Compendio di nozioni farmaceutiche”; “Raccolta di cognizioni teorico-pratiche per ben preparare, conservare ed apprestare i farmaci, le quali sono utili al medico, e indispensabili al farmacista”; “Trattatello sull'arte di ben scrivere le ricette nell;italiano usando i pesi metrici”; “Intorno ai saggi idrotimetrici delle acque potabili”; “Esame critico della forza”; “Sulla necessità di escludere lo studio della geometria dai pubblici ginnasi e l'Euclide dai licei”; “Intorno alle odierne difese degl’antichi errori nell'insegnamento delle matematiche”; “Cicaloate polemiche”; “Intorno alla combustione”; “Cosa e la fisiologia”; “Uno scherzo scientifico”; “Dizionarietto biografico cagliese. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sebastiano Purgotti. Purgotti. Keywords: implicatura metrica, filosofia chimica ad uso dei giovanetti, il fluido bio-tico nella manifestazione degli spiriti, algorismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Purgotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737760683/in/datetaken/

 

Grice e Quarta – utopici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Leverano). Filosofo. Essential Italian philosopher. Filosofo dell'utopia fu uno dei maggiori studiosi di Moro, sul quale scrisse “Una re-interpretazione dell'utopia.” Insegna a Salento. Studioso di Platone sul quale scrisse L'utopia platonica: Il progetto politico di un grande filosofo. Fonda il Centro di ricerca sull'utopia. Altri saggi: Tommaso Moro; Una reinterpretazione dell'utopia (Dedalo); Thomas More,  ECP L'utopia platonica; Il progetto politico di un grande filosofo,  Dedalo, Globalizzazione, giustizia, solidarietà,  Dedalo, Una nuova etica per l'ambiente, Dedalo, “ Homo utopicus, La dimensione storico-antropologica dell'"utopia.” Dedalo,  Filosofo dell'utopia. Grice: “Strictly, utopia is no-where, or erehwon if you must!” Luigi Speranza, “As in Lennon, “He’s a real nowhere man!” --. Gilbert and Sullivan, “Utopia, Ltd.” Quarta. Keywords: utopici, Campanella, erewhon. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Quarta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737471576/in/datetaken/

 

Grice e Quattromani – implicatura – filosofia italiana. Luigi Speranza (Cosenza). Filosofo. Essential Italian philosopher. Nacque da Bartolo ed Elisabetta d'Aquino, parente diTelesio. Cresciuto in un ambiente strettamente collegato alla cultura e alla nobiltà cosentina, viene educato alle idee religiose valdesiane del suo maestro Fascitelli.  Come si desume dal suo epistolario, si trasfere a Roma. Qui frequenta la Biblioteca Vaticana e ha modo di intessere relazioni con diversi esponenti del panorama intellettuale e culturale romano. I suoi primi studi riguardarono il Canzoniere di Petrarca, con particolare riferimento alle sue fonti. Dopo un breve soggiorno a Napoli, torna a Cosenza. Da qui scrive a B. Rota, per suggerirgli alcune correzioni alla seconda edizione accresciuta delle sue Rime. Effettua una serie di spostamenti tra la sua città natale e Roma. Il periodo è contrassegnato da alcune sue epistole, a carattere storico-letterario/ Risiede a Napoli. Rientrato a Cosenza scrive a Cavalcanti, che sarà con lui consulente della Congregazione dell'Indice, e  assume la direzione della Accademia cosentina, cui Quattromani da nuovo impulso, sia dal punto di vista squisitamente letterario, sia incentivando l'attenzione per la filosofia.  A Napoli pubblica "La philosophia di Telesio” che dedica a Carafa e le rime dedicate a Bernaudo. Rimonta, invece, la sua traduzione de Le historie del Cantalicio, nelle quali il nome è celato dietro lo pseudonimo di «Incognito Academico Cosentino».  Il suo ultimo periodo di vita lo trascorre a Cosenza, dove muore. Altre saggi: Manoscritti, Vaticano, Sonetto di Ms. della Casa. Oratione di Marco Catone., Giudizio sopra alcune stanze di Tasso, Vaticano, Commento a tre sonetti del Casa, lettera ad A. Caro, lettera a F. Mauro, lettera al S. Principe della Scalea, lettera a Ardoino, lettera a V. Bombino, Lettera a F. A. d'Amico, Lettera a Fabrizio Marotta, Oratione di Marco Catone, Lettera a Gio. Maria Bernaudo,  Lettera a G.V. Egidio, Lettera a V. Bilotta, Parallelo tra il Petrarca et il Casa, Della metafora, Parallelo tra il Petrarca et il Casa Poetica di Orazio, Sentimento della Poet.ca d'Orat. La Poetica d'Orazio, Oratione di Marco Catone, A T. Tasso Il Monta.no Acc.co Cose. Della metafora, Lettera ad Horatio Pellegrino, Lettera a Teseo Sambiase  Lettera alla Duchessa, Lettera a Teseo Sambiase, Lettera a Teseo Sambiase, Lettera a T. Sambiase, Lettera a T. Sambiase, Lettera a G. Sirleto, Cosenza, Biblioteca Civica, ex libris: “Bibliothecae Marchionis D. Matthaei de Sarno”, Istoria della Città di Cosenza, Biblioteca privata della Famiglia De Bonis,  Lettere al G. Bernaudo da una raccolta favoritami da F. Bombini, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Fondo Palatino, Luoghi difficili del Bembo Napoli, Biblioteca Nazionale, manuscripta autographa Summontis et aliorum aetate eius clariorum, Lettera a S. Reski, Roma, Biblioteca Angelica, rilegato con Gab. Barrii Francicani De Antiquitate et situ Calabriae, Roma, Apud Iosephum de Angelis); Annotationes Barrium Stampe “La philosophia di Bernardino Telesio” Ristretta in brevità, et scritta in lingua toscana dal Montano academico cosentino alla Eccellenza del Sig. Duca di Nocera Con Licenza de' Superiori. Marchio ed. In Napoli Appresso Gioseppe Cacchi al ilustre S. G. Bernaudo, in a a le rime del Sig. Gio. Batt. Ardoino Academico Cosentino in morte della Signora Isabella Quattromani sua moglie con Licenza de' Superiori Marchio ed. in Napoli Appresso Gioseppe Cacchi. Le historie de Monsig. Gio. Battista Cantalicio vescovo di Civita di Penna, et d’altri delle guerre fatte in Italia da Consaluo Ferrando di Aylar, di Cordoua,  detto il gran Capitano tradotte in lingua Toscana a richiesta di Gio. Maria Bernavdo in Cosenza per L. Castellano. Le historie de G. Cantalicio, vescovo di Civita di Penna e d’Atri Dele guerre fatte in Italia da Consalvo Ferrando de Aylar, di Cordova, detto il gran capitano, tradotte in lingua Toscana a richiesta di Gio. Maria Bernaudo nuouamente corretta, et ristampata, in Cosenza per Leonardo Angrisano, e L. Castellano, ad istanza di Enrico Bacco, libraro in Napoli. Le historie di Monsig. G. Cantalicio, vescovo d’Atri et Civita di Penna, delle guerre fatte in Italia da Consalvo Ferrando di Aylar, di Cordova, detto il gran Capitano, tradotte in lingua toscana  a richiesta di G. Bernaudo, Napoli Apresso Gio Giacomo Carlino Ad istanza di H. Bacco, alla Libraria dell'Alicorno rime di mons. Gio. Della Casa. Fregio In Napoli, Appresso Lazaro Scoriggio, lettere divise in due libre Et la tradottione del Quarto dell'Eneide di Virgilio del medesimo Auttore all'Illustrissimo & Eccellentissimo Signor Marchese della valle, &c in Napoli, Per Lazzaro Scoriggio. Il IV libro di Vergilio in verso Toscano. “Trattato della Metafora”; Parafrasi Toscana della Poetica di Orazio. Traduzione della medesima Poetica in verso toscano. Alcune annotazioni sopra di essa, alcune poesie toscane, e latine, Fregio in Napoli, Mosca con Licenza de' Superiori.Gabrielis Barrii Francicani: De Antiquitate et situ Calabriae nunc primum ex authographo restitutos ac per capita distributi. Prolegomena, Additiones, et Notae. Quibus accesserunt animadversions, Roma, S. Michaelis ad Ripam Sumptibus Hieronymi Mainardi Superiorum permissu. Scritti vari, editi per la prima volta in Napoli da M. Egizio ed ora riveduti, riordinati e ripubblicati in più nitida edizione da L. Stocchi, Castrovillari, Dalla Tipografia del Calabrese, A questo proposito, in un'articolata lettera inviata, da Roma a Cosenza,  illustra a M. Ferrao le ragioni per cui l'opera del Petrarca merita la sua attenzione, e la ricerca che stava compiendo sui poeti provenzali, riferendo che di ciò aveva già parlato con P. Manuzio, edizione veneziana di Giolito de' Ferrari  Stessa cosa si verifica per la seconda edizione, mentre soltanto postumo, nell'edizione napoletana compare quale traduttore. , “Scienza” e “scienza della letteratura” in S. Quattromani, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, R. Sirri e M. Torrini, Napoli L. Borsetto, La “Poetica d'Horatio” tradotta. Contributo alla studio della ricezione oraziana tra Rinascimento e Barocco, in Orazio e la letteratura italiana, Roma Eadem, Enciclopedia oraziana, Eadem, “Pulzelle” e “Femine di mondo”. L'epistolario postumo, Alla lettera. Teorie e pratiche epistolari dai Greci al Novecento, A. Chemello, Milano Capacius I.C., Illustrium mulierum et illustrium litteris virorum Elogia, Neapoli, Carlinus & C. Vitale, Chioccarello B., De illustribus scriptoribus Regni Neapolitani Cornacchioli T., Nobili, borghesi e intellettuali nella Cosenza del Quattrocento, Cosenza Cozzetto F., Aspetti della vita e inventano della biblioteca attraverso un documento cosentino del Seicento, in «Periferia», Crupi P., Storia della letteratura calabrese. Autori e Testi, Cosenza  De Franco L., De Franco L., La biblioteca di un letterato del tardo Rinascimento: S. «Annali dell'Istituto Universitario Orientale», De Frede C., I libri di un letterato calabrese del Cinquecento (S. Quattromani, Napoli De Frede C., Un letterato del tardo Cinquecento e i suoi libri (S. Quattromani,-in «Atti dell'Accademia Pontaniana», Debenedetti S., Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino  Matteo Egizio, Napoli (rist. in S. Quattromani, Scritti vari, editi per la prima volta in Napoli da Matteo Egizio ed ora riveduti, riordinati e ripubblicati in più nitida edizione da L. Stocchi, Dalla Tipografia del Calabrese, Castrovillari Filice E.E., Cosenza  Fratta A., Il “Ristretto”  nell'ambito delle traduzioni scientifico-filosofiche del secondo Cinquecento, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana, R. Sirri e M. Torrini, Napoli Gorni G., Un commento inedito alle “Rime” del Bembo.  Telesio, Della Casa, Quattromani interprete di Tasso, Gli amori del Quattromani, il disegno culturale. La critica e le lettere; “Telesio, Bari Zangari D., Di un manoscritto inedito di S. Quattromani e delle sue relazioni col Tasso; Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Sertorio Quattromani. Quattromani. Keywords: implicature, la philosophia di Bernardino Telesio, Orazio, Poetica, Tratatto della metafora, Il Quarto di Virgilio, Petrarca. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Quattromani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51738064054

 

Grice e Quinto – gli scolari – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pieve di Cadore). Filosofo. Essential Italian philosopher. Studia a Conegliano e Milano sotto Pupi -- contrassegnate dall'adozione di un rigoroso metodo filologico, studia la storia del concetto di “scolastica”. Saggo: «“Timor” e “timiditas”. Note di lessicografia d’Aquino», La lingua del Lazio: Latino patristico e latino scolastico. Dalla comprensione della lingua del Lazio all'interpretazione del pensiero», Sui quattro sensi della Scrittura, I quattro sensi della Scrittura, Medioevo, «Il “timor” nella lingua della scolastica», Archivum Latinitatis Medii Aevil, Per la storia del trattato tomistico “de passionibus animi”. Il “timor. “Le “scholae” del medioevo come comunità di sapienti», Scholastica”. Storia di un concetto, Padova. “Lectio, disputatio, praedicatio”: la triade dell'esercizio scolastico secondo Aquino, “In principio erat uerbum”. Testi sul timore di Dio dal ms. PRivista di Storia della Filosofia  «“Teologia allegorica” e “teologia scolastica” in alcuni commenti all'“Historia scholastica” di P.  Comestore. in memoria, Riccardo Quinto. Quinto. Keywords: gli scolari. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Quinto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51737409396/in/dateposted-public/

 

Grice e Raimondi – il gatto persiano – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli), filosofo. Figlio del cremonese Alessandro. Insegna a Roma,  contribusce alla rinascita dell’idealismo contro i parepatetici, che dominano la filosofia. Pubblica la Data di Euclide. Le coniche di Apollonio di Perga. Autore di molti commentari, specialmente su alcuni libri della Synagoge, nota anche come Collectiones mathematicae, di Pappo di Alessandria e sui trattati di Archimede. Membro dell'accademia fondata da Aldobrandini, nipote di Clemente VIII. -- è celebre soprattutto per essere stato il primo direttore scientifico della Stamperia orientale medicea, o Typographia Medicea linguarum externarum, fondata a Roma da Ferdinando de' Medici. L'attività principale svolta dalla stamperia e, con l'appoggio di Gregorio XIII, la pubblicazione di saggi nelle per favorire la diffusione delle missioni cattoliche in Oriente. Forma un gruppo di ricerca costituito da Vecchietti,  inviato pontificio ad Alessandria d'Egitto e in Persia, dal fratello Gerolamo, da P. Orsino di Costantinopoli, neo-fita ebreo convertito, e di Tommaso Terracina. In un periodo in cui Roma intrattene buone relazioni diplomatiche con la dinastia Safavide, al potere in Persia  essi riuscirono a recuperare diversi manoscritti della Bibbia in lingue orientali. Sono portati a Roma più di una ventina di testi biblici ebraici e giudeo-persiani, tra cui i libri del Pentateuco, tra i pochi sopravvissuti ai giorni nostri.  La tipografia si trasfere a Firenze, in conseguenza dell'elezione di Ferdinando a Granduca di Toscana. E avviata la stampa delle opere. Sono pubblicate dapprima una Grammatica ebraica e una Grammatica caldea. Seguirono: una edizione arabo dei Vangeli, di cui furono tirate tremila copie; un compendio del Libro di Ruggero di al-Idrisi;  Il canone della medicina di Avicenna. Ill Granduca gli vende la Stamperia, chi  a sua volta la cedette al figlio di Ferdinando, Cosimo II, salito al trono. La Stamperia chiuse poiché la realizzazione di volumi nelle lingue orientali non si e rivelata economicamente conveniente. Uno degli ultimi saggi pubblicati fu una grammatica araba intitolata “Liber Tasriphi”. Il suo grande progetto, he egli peraltro non riuscì a realizzare, fu quello di pubblicare una Bibbia poliglotta comprendente le sei lingue principali del cristianesimo orientale: siriaco, armeno, copto, ge'ez, arabo e persiano. I manoscritti appartenuti alla stamperia orientale medicea sono disseminati in diverse istituzioni: la Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, la Biblioteca apostolica vaticana, la Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli, la Biblioteca nazionale Marciana di Venezia. Giovanni Battista Vecchietti, su iliesi.cnr.  L'editoria del Principe, ovvero la stampa ufficiale delle istituzioni laiche e religiose. Per la dedicazione al re Ruggero II di Sicilia.  Tipografia Medicea Orientale, su thesaurus.cerl.org.  A.  Piemontese, La Grammatica persiana, K. Bibas, La Stamperia medicea orientale, in, Un Maestro insolito, Firenze, Vallecchi); Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Liber Tasriphi compositio est Senis Alemami: Traditur in eo compendiosa notitia coniugationum verbi Arabici, Roma, Medicae, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, manoscritti persiana. Giovan Battista Raimondi. Giambattista Raimondi. Raimondi. Raimondi. Keywords: il gatto persiano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Raimondi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Raio – ermeneutica dell’io e del tu – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. filosofo. Insegna a Napoli. Si occupa in particolare dell'ermeneutica. Saggi: “Antinomia e allegoria”; “Il carattere di chiave”, “Ermeneutica del simbolo” (Napoli, Liguori); “Il simbolismo tedesco. Kant Cassirer Szondi” (Napoli, Bibliopolis); “Conoscenza, concetto, cultura” (Firenze, La Nuova Italia); “Metafisica delle forme simboliche” (Milano, Sansoni); L'io, il tu e l'Es. Saggio sulla "Metafisica delle forme simboliche" (Macerata, Quodlibet); Rivista "Studi filosofici".  Giulio Raio. Raio. Keywords: ermeneutica dell’io e del tu, Szondi --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Raio” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735603647/in/datetaken/

 

Grice e Raulica – l’implicatura del barone di Raulica -- l’origine dell’idee – il fondamento della certezza – filosofia italiana – filosofia siciliana – filosofia sicula -- Luigi Speranza (Palermo). Essential Italian philosopher. Grice: “Italian philosophers can be fun: there’s ventura, and there’s Bonaventura, who was actually fidanza, i.e. fidence, as in confidence.” Filosofo. Noto per il suo sostegno alla causa della rivoluzione siciliana. Figlio di Paolo Ventura, barone di Raulica, avvocato e consigliere della Suprema Corte di Giustizia del Regno di Sicilia e di Caterina Platinelli, studia a Palermo. Insegna a Roma. Si distinse come apologeta, scrittore e predicatore, soprattutto grazie alla sua "Orazione funebre di Pio VII. La sua carriera da filosofo inizia come esponente della corrente contro-rivoluzionaria. Teatino. Intraprese l'attività di predicatore. La sua eloquenza, sebbene a volte esagerata e prolissa, e veemente e diretta ed ottenne grande fama. Con l'elezione di Pio IX al soglio pontificio, acquisì un ruolo politicamente prominente. Sostenne la legittimità storica e giuridica della rivoluzione siciliana. Auspica la ri-fondazione del Regno di Sicilia indipendente all'interno di una con-federazione italiana di stati sovrani. Ministro pleni-potenziario e rappresentante del governo siciliano a Roma.  La sua posizione a Roma divenne delicata per via della proclamazione della repubblica romana  e dell'esilio di Pio IX. Rifiuta l'offerta di un seggio all'assemblea costituente, maoltre ad invocare la separazione tra potere temporale e spirituale riconosce la repubblica romana a nome del governo rivoluzionario di Palermo. Saggi: “La scuola de' miracoli: ovvero, Omilie sopra le principali opere della potenza e della grazia di Gesù Cristo, figliuolo di Dio e Salvatore del mondo”; “Il tesoro nascosto: ovvero, Omilie sopra la passione del Nostro Signor Gesù Cristo”;  La Madre di Dio, madre degli uomini: ovvero, Spiegazione del mistero della SS. Vergine a piè della croce”; “Le bellezze della fede ne' misteri dell' Epifania: ovvero, La felicità di credere in Cristo e di appartenere alla vera chiesa”; “I disegni della divina misericordia sopra le Americhe: panegirico in onore di Martino de Porres, terziario professo dell'ordine de'  predicatori”; “Il potere politico”; “Saggio sul potere pubblico, o esposizione della legge naturali dell'ordine sociale”; “Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare”; “La ragione filosofica”; “La tradizione e i semi-pelagiani della filosofia: ossia, Il semi-razionalismo svelato”; “Saggio sull'origine delle idee e sul fondamento della certezza”; “Della falsa filosofia”; “Nuove omelie sulle donne del Vangelo”; “Corso di filosofia: ossia, Restaurazione  della filosofia”; “Sopra una Camera di Pari nello stato pontificio”; “La questione sicula sciolta nel vero interesse della Sicilia, Napoli e dell'Italia”; “Memoria pel riconoscimento della Sicilia come stato sovrano ed indipendente”; “Menzogne diplomatiche, ovvero esame dei pretesi diritti che s'invocano del gabinetto di Napoli nella questione sicula”; “Discorso funebre pei morti di Vienna la religione e la libertà”; “Raccolta di elogi funebri e lettere necrologiche; Il pensiero politico d'ispirazione cristiana dell'Ottocento. Atti del seminario Erice, E. Guccione, Firenze. Andreu F. Gioacchino Ventura: Saggio Biografico, "Regnum Dei", Bergamaschi G., Padre Gioacchino Ventura: fra tradizionalismo e neotomismo, Milano, Cremona Casoli G., Un illustre siciliano”; "Rassegna Storica del Risorgimento", Cultrera P., Generale dell'ordine dei Teatini, Palermo); Giurintano C., Aspetti del pensiero politico nel "De jure publico ecclesiastico"; Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, Palermo, Guccione E., Democrazia. Murri, Sturzo e le critiche di Gobetti, Palermo-Sao-Paulo, Ila-Palma, Guccione E., Alle radici della democrazia” Palermo); Guccione E., Un omaggio clandestine; in  "Nuova Antologia", Pastori P., “La rivoluzione napoletana in "Rassegna Siciliana di Storia e Cultura", S. Romano, La vita e il pensiero politico, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Regione Siciliana. Martinucci P., Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale. Gioacchino Ventura dei baroni di Raulica, Gioacchino Ventura Da Raulica. Gioacchino Ventura di Raulica. Raulica. Keywords: l’origine dell’idee – il fondamento della certezza, la legge naturale dell’ordine sociale, la sicilia come stato sovrano ed independente. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Raulica” – The Swimming-Pool Library, Villa Spearnza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735573662/in/datetaken/

 

Grice e Reale – erote demone mediatore – il gioco delle maschere nel convito – filosofia italiana – Luigi Speranza (Candia Lomellina). Filosofo.  Ho la ferma convinzione che Platone e il più grande filosofo in assoluto comparso sulla terra, e che il compito di chi lo vuole comprendere e fare comprendere agli altri, pur avvicinandosi sempre di più alla verità, non può mai avere fine”. Studia a Casale Monferrato e Milano sotto Olgiati. Insegna a Parma e Milano. Fonda il Centro di ricerche di Metafisica.  La sua tesi di fondo è la seguente: la filosofia greca ha creato quelle categorie e quel peculiare modo di pensare che hanno consentito la nascita e lo sviluppo della scienza e della tecnica dell'Occidente.  I suoi interessi spaziano lungo tutto l'arco del pensiero antico pagano e cristiano, e i suoi contributi di maggior rilievo hanno toccato via via Aristotele, Platone, Plotino, Socrate e Agostino. Studia ognuno di questi autori andando, in un certo senso, contro corrente e inaugurandone una lettura nuova.  La ri-lettura che da di Aristotele contesta l'interpretazione di Jaeger, secondo il quale gli scritti aristotelici seguirebbero positivisticamente un andamento storico-genetico che partirebbe dalla teologia, passerebbe per la metafisica, per approdare infine alla scienza; Reale ha sostenuto invece la fondamentale unità del pensiero metafisico dello Stagirita.  Ne La Filosofia antica, mette in evidenza come il pensiero di Teofrasto si diffuse per l'aspetto scientifico con un'ampiezza del tutto paragonabile a quella del maestro Aristotele, rivelando però uno scarso spessore nella speculazione filosofica. Da Stratone in poi, ciò provocò un ripiegamento della scuola peripatetica verso l'ambito della fisica e delle scienze empiriche.  Per quel che riguarda Platone, importando in Italia gli studi della scuola platonica di Tubinga, ha messo in crisi l'interpretazione romantica di Platone stesso, che risale a Schleiermacher, e ha voluto rivalutare il senso e la portata delle dottrine non scritt, vale a dire gli insegnamenti che Platone ha tenuto solo oralmente all'interno dell'Accademia e che conosciamo dalle testimonianze dei discepoli. In questo senso, Platone risulterebbe essere il testimone e l'interprete più geniale di quel peculiare momento della civiltà che passa dalla cultura dell'oralità a quella della scrittura. Negli studi su Plotino, contesta la tesi di fondo di Zeller che vede nel grande neoplatonico il principale teorico del panteismo e dell'immanentismo. Al contrario rilegge Plotino come il campione della trascendenza metafisica dell'Uno.  L'interpretazione che ha dato di Socrate, analogamente, si propone di risolvere le aporie della cosiddetta questione socratica, entrata in un vicolo cieco dopo gli studi di O. Gigon, secondo cui di Socrate non possiamo sapere nulla con certezza. Inaugura, invece, un nuovo modo di interpretare Socrate, non solo cercando di risolvere dall'interno le testimonianze contraddittorie degli allievi, ma soprattutto guardando al contesto della filosofia italica prima di Socrate e dopo Socrate: in questo modo, balzerebbe agli occhi la scoperta socratica del concetto di animo o anima come essenza e nucleo pensante dell'uomo. Socrate dice che il compito dell'uomo è la cura dell'anima: la psicoterapia, potremmo dire. Che poi oggi l'animo e interpretata in un altro senso, questo è relativamente importante. Socrate per esempio non si pronuncial sull'immortalità dell'anima, perché non ha ancora gli elementi per farlo, elementi che solo con Platone emergeranno. Ma, nonostante ancora oggi si pensa che l'essenza dell'uomo sia l’animo. Molti, sbagliando, ritengono che l’animo e una creazione semitica: è sbagliatissimo. Per certi aspetti il concetto di animo e di immortalità dell'animo è contrario alla dottrina semitica che parla invece di risurrezione dei corpi degl’uomini. Che poi i primi pensatori della patristica utilizzano categorie della filosofia antica, e che quindi il suo apparato concettuale sia in parte basato sulla filosofia antica non deve far dimenticare che il concetto dell’animo è una concezione aria. L'Occidente viene da qui. Infine, per quanto riguarda all’africano Agostino,  tende a ricollocarlo  nel contesto neoplatonico dell’antichità e quindi nel momento dell'impatto del dell’ebraismo con filosofia aria italica cercando di scrostarlo di tutte le successive interpretazioni dell'agostinismo medioevale. Ritiene, poi, che la cifra spirituale che caratterizza la filosofia d’Occidente sia costituita dalla filosofia italica. È stato infatti il logos a caratterizzare le due componenti essenziali della filosofia d’Occidentre e precisamente a fornire gli strumenti concettuali per elaborare l’ebraismo, dando luogo, così, a quella peculiare mentalità da cui sono scaturite la scienza e la tecnica. Ma se la cultura d’non si capisce senza la filosofia aria degl’italici, questa a sua volta non si capisce senza la metafisica come studio dei veliani dell’unità dell'essere. Il lavoro che svolge, studiando i filosofi italici, vuole anche servire a un confronto fra la metafisica antica e quella moderna. La preferenza che accorda a Platone dipende dal fatto che il filosofo ateniese è, con la seconda navigazione di cui parla nel Fedone, il creatore di questa problematica. Si fa così portavoce di un meditato ritorno alle radici della nostra cultura attraverso la riproposta dei classici filosofi italici. E in sintonia con la Scuola di Tubingarinnova l'interpretazione, mettendo in luce la primaria importanza delle dottrine non scritte di cui riferiscono gli allievi di Platone stesso (Aristotele in primis). In “Per una interpretazione di Platone” fa affiorare l'immagine di un Platone diverso, un Platone orale e in certo senso dogmatico. Del resto, non è forse Platone stesso (ad esempio, nella Lettera VII) a garantirci che la sua filosofia dev'essere ricercata altrove rispetto agli scritti? Lo stesso corpus degli scritti platonici, giuntoci nella sua interezza (circostanza, questa, unica nella storiografia della filosofia antica), non presenta, invero, quell'unità sistematica che ci si dovrebbe attendere, il che, ancora una volta, depone a favore della tesi secondo cui Platone cerca altrove, e precisamente nelle dottrine non scritte. Studia anche la metafisica di Aristotele, smaschererebbe la tesi fatta valere da Jaeger, secondo cui l'opera non presenta un'unitarietà ma sarebbe piuttosto una sorta di zibaldone filosofico -- e, in particolare, il libro XII risalir ebbein forza del suo spiccato interesse teologico alla giovinezza dello Stagirita. Lungi dal risolversi in un coacervo di scritti risalenti a differenti epoche e contesti, la Metafisica di Aristotele rileva Reale è profondamente unitaria. Al centro c'è la definizione della metafisica come scienza della causa e del principio, dell'essere in quanto tale, della sostanza, dei dei e della verità. In “La saggezza antica” sostiene che tutti i mali di cui soffre l'uomo d'oggi hanno proprio nel nichilismo la loro radice e che «un'energicquesti mali implicherebbe il loro sradicamento, ossia la vittoria sul nichilismo, mediante il recupero di un ideale e di un valore supremo, e il superamento dell'ateismo. Ma quello che egli propone non è affatto un ritorno a-critico a certe idee della antica filosofia italica, ma l'assimilazione e la fruizione di alcuni messaggi della saggezza antica, che, se ben recepiti e meditati, possono, se non guarire, almeno lenire i mali degl’uomini, corrodendo le radici da cui derivano. In una siffatta prospettiva, può acquistare un valore eminentemente filosofico anche la filosofia in lingua Latina in Seneca, a suo parere ingiustamente trascurato da una lunga tradizione che non gli avrebbe riconosciuto alcuna cittadinanza filosofica, per il mero fatto di avere nato in una lontana provincial romana. In “La terapia dell'anima” (Bompiani, Milano) riprende, ancora una volta, l'idea che la filosofia degli antichi in questo caso, quella di Seneca puo costituire un 'farmaco' per l'animo dilaniato degl’uomini. Oltre al campo specifico della filosofia anticasi occupa a vario titolo anche della storia della filosofia generale: per esempio, nella stesura del noto Manuale di filosofia per i licei edito dalla Scuola oltre alla direzione delle collane filosofiche Classici della filosofia, Testi a fronte della Bompiani e I Filosofi per Laterza.  Oltre a questo, i suoi principali scritti sono: “ Il concetto di filosofia prima e l'unità della Metafisica di Aristotele” (Vita e Pensiero, Milano); “Aristotele” (Laterza, Bari); Storia della filosofia antica,  Vita e Pensiero, Milano); “Il pensiero occidentale dalle origini (Scuola, Brescia); Per una nuova interpretazione di Platone” (CUSL, Milano); “Proclo” Laterza, Bari); “Filosofia antica, Jaca, Milano); “Saggezza antica, Cortina, Milano); “Eros demone mediatore. Il gioco delle maschere nel "Simposio" di Platone” (Rizzoli, Milano); “Platone. Alla ricerca della sapienza segreta” (Rizzoli, Milano, Bompiani, Milano, La nave di Teseo, Milano); “La Metafisica di Aristotele” (Laterza, Bari); Raffaello: La "Disputa", Rusconi, Milano); “Corpo, anima e salute. Il concetto di uomo" (Collana Scienza e Idee, Cortina, Milano); “Socrate. Alla scoperta della sapienza umana” (Rizzoli, Milano); “Il pensiero antico, Vita e Pensiero, Milano); ““Radici culturali e spirituali dell'Europa” (Cortina, Milano); “Storia della filosofia romana” (Bompiani, Milano, Collana Il pensiero occidentale, Bompiani); “Valori dimenticati dell'Occidente” (Bompiani, Milano); “ L'arte di Riccardo Muti e la Musa platonica” (Bompiani, Milano); “Agostino” (Bompiani, Milano); “Wojtyla un pellegrino dell'assoluto” (Bompiani, Milano); “Auto-testimonianze e rimandi dei Dialoghi di Platone alle dottrine non scritte" (Bompiani, Milano); “Storia del pensiero filosofico” (Scuola, Brescia); “Salvare la scuola nell'era digitale” (Brescia, Scuola); “Responsabilità della vita. Un confronto fra un credente e un non credente” (Milano, Bompiani); “Mi sono innamorato della filosofia” (Milano, Bompiani); “Romanino e la «Sistina dei poveri» a Pisogne” (Milano, Bompiani); “Cento anni di filosofia. Da Nietzsche ai nostri giorni” (Scuola, Brescia); Introduzione, traduzione e commentario della Metafisica di Aristotele, su archive.org, Bompiani, Traduzioni e commenti Reale ha tradotto in italiano e commentato molte opere di Platone, di Aristotele e di Plotino (la sua nuova edizione delle Enneadi è stata pubblicata  nella collana "I Meridiani" della Mondadori. Pubblica per Bompiani il poderoso volume I presocratici, da lui presentato come la prima traduzione integrale. Nonostante in Italia ne fosse già uscita una traduzione da Giannantoni edita da Laterza. Sostene la presenza di lacune e manomissioni nel Giannantoni, lacune e manomissioni che sarebbero dovute, a parere di Reale, all'ossequio all'ideologia e all'egemonia culturale marxista, secondo cui in quel periodo gl’intellettuali di area comunista dominano la scena in campo editoriale. Canfora, in risposta alle accuse di Reale, sostene la natura pubblicitaria e l'inconsistenza del ragionamento. Si sostene che, se influenza c'è stata nel Giannantoni, essa è stata di matrice idealistica, hegeliana e crociana. Qualsiasi omissione è da evitare, specie se non è segnalata nel testo. Con riguardo alla presunta irrilevanza di taluni tagli operati da Giannantoni sottolinea come i capretti a volte segnano la storia della filosofia più di alcuni filosofi e togliere questi animali dai frammenti, così come far sparire dei cavolfiori, si tasformarsi in una censura. Di Seneca, cura le opere in "Seneca. Tutti gli scritti". Interprete di Platone, La Stampa, Ripensando Platone e il Platonismo” (Milano, Vita e Pensiero). Dimostra la profonda unità concettuale di questi saggi di filosofia prima, mettendo in luce come Jaeger e condizionato dal positivismo e dalla teoria dell'evoluzione della cultura secondo le tre tappe di teologia-metafisica-scienza. Il concetto di filosofia prima e l'unità della "Metafisica" di Aristotele” (Milano, Bompiani); Storia della filosofia antica. La fondazione della botanica e il suo guadagno essenziale. Verso una nuova immagine di Platone, Milano, Vita e Pensiero, Cfr., in particolare, Il paradigma romantico nell'interpretazione di Platone, di H. Krämer, Napoli,  La filosofia antica, Milano,  Jaca. Ha ragione, bisogna imparare ad accettare la morte, Corriere della Sera.  Il concetto di filosofia prima e l'unità della metafisica di Aristotele, Milano, Vita e Pensiero ,La filosofia di Seneca come terapia dei mali dell'anima, Milano, Bompiani, In memoriam. Pur riconoscendo a Giannantoni una statura di studioso di prim'ordine, sostiene che molti marxisti non presentano talune cose nella loro effettiva realtà. Pur non potendosi parlare di complotto, nel testo di Laterza curato da Giannantoni mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale italiana decine e decine di passi che elenco in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei veliani e crotonensi. Ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti filosofi. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto. Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Naturalmente, sul piano pubblicitario, si comprende la auto-esaltazione. La mia traduzione è più completa della tua, come il mio bucato è più bianco del tuo. Ma anche la pubblicità bisogna saperla fare. Ci sono lauree brevi da poco istituite in proposito. Particolarmente inconsistente appare il ragionamento. Eccolo nella sintesi fornita dal suo intervistator.  Giannantoni e molto bravo, e questo lo sapevamo anche senza il supporto di Reale, Laterza è innocente del sopra menzionato reato ideologico. La colpa è della penetrazione comunista. Sembra quasi di sognare. Ma questa è la caricatura dell'antica cantilena sui comunisti padroni dell'editoria italiana. Per confutare questa sciocchezza Bobbio si limita a trascrivere i titoli del catalogo Einaudi. E infatti come negare l'affiliazione bolscevica di Bobbio? Che pena. Si fa riferimento all'osservazione secondo la quale le omissioni di Giannantoni riguardano aspetti poco rilevanti per un marxista come il frammento 23 di Orfeo -- un mal-ridotto frustulo papiraceo in cui si fa cenno ad un rituale misterico. Queste, e consimili, sono le omissioni rimproverate dal neo-presocratico Reale. Sembrra del tutto irrilevante sapere se Kant, quando scrive la Critica della ragion pratica, mangia capretto o una particolare minestra. Alla storia della filosofia questo poco interessi. Ma sapere se un *orfico* mangia capretto e significativo dal punto di vista filosofico. Se l’orfico s’astene, allora e vegetariano e, come tale, non ha condiviso la ritualistica italica in cui si consumeno le carni offerte ai dei e si lasciano ai dei gl’aromi per segnare la distanza tra gl’uomini e i dei. In sostanza, l’orfico crede, evitando il capretto, in una filosofia in cui gl’uomini e i dei sono legati. Non è un capretto né una vacca quello che manca in Giannantoni. Mancano in un'edizione chiamata l'unica integrale decine e decine di passi che elenco in 4 pagine all'inizio della mia traduzione dei Presocratici. Ci sono inoltre indebite aggiunte assenti nell'originale. Una raccolta di tal fatta, nata assemblando anche vecchie versioni e tagliando pure molte note di queste ultime, ha l'effetto di svuotare le idee forti di codesti autori. Svuotare, ironizzare, occupare uno spazio e toglierlo ad altri, evitare un vero confronto. Ecco la vecchia tattica che rimane ancora molto viva. Laudatio. Roberto Radice, Claudio Tiengo, Seconda navigazione. Omaggio, Vita e Pensiero, Milano); G. Grampa, "Ritornare a Crotone: intervista a sulla sua «Storia della filosofia antica»", Vita e Pensiero. RDizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il mio Platone bocciato. Il cattolico amico di Platone. Critico il Platone di Reale il marxismo non c'entra. La dittatura culturale del marxismo, in Corriere della Sera, Treccani Storia della filosofia antica. Dalle origini a Socrate. Ospitato su gianfrancobertagni. Giovanni Reale, Storia della filosofia antica. Platone e Aristotele. Storia della filosofia antica. I sistemi dell'Età ellenistica. Giovanni Reale. Reale. Keywords: Crotone, Velia, Crotonensi, la scuola di Crotone, la scuola di Velia, I veliani, Parmenide, Girgentu – filosofia siciliana – magna Grecia non e Sicilia --. I confine della magna Grecia – filosofia italica, filosofia italiana – la filosofia nella peninsula italiana in eta anticha – filosofia Latina, filosofia romana. Catalogo di Nome di Filosofi Italici, il poema di Parmenide, il poema di Girgentu, il poema di Velia, la porta rossa di Velia, Zenone di Velia, Filolao di Taranto, Gorgia di Lentini, Archita di Taranto, studi degl’antichi italici da I romani, Etruria e Magna Grecia, le radice etrusche della filosofia romana, fisiologia, teoria dela natura, uomo, la moralia, la colloquenza o dialettica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reale” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690133489/in/photolist-2mKFrQ6-2mPsfT9-2mPxhsE-2mPhuNk-2mPsh7f-2mKLGeD-2mPpVqK-2mPE3Bq-2mPpskp-2mKxnN1-2mKAuZM-2mKbpiZ-2mKjsJY-2mPHbXQ-2mJf6ru-2mJjdUS-2mJf6sS-2mJf6qx-2mJjdWF-2mJkrgk-2mJf6td-2mJf6qs-2mJkrer-2mJoFqJ-2mJnD8P-2mJkrhc-2mJjdXH-2mJkrfo-2mJoFtu-2mJoFsC-2mJoFsh-2mJkrgq-2mJoFur-2mJjdWR-2mJf6sm-2mJf6qN-2mJf6qH-2mJjdWq-2mJnD9a-2mJoFuG-2mJoFt9-2mJjdXs-2mJf6rp-2mJoFs7-2mJnD6V-2mJoFqP-2mJf6sM-2mJkrhh-2mJf6qT-2mGT6p1

 

Grice e Reghini – implicatura – il numero sacro crotonense – e il simbolismo duodecimale del fascio littorio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice: “It’s difficult to call Reghini a philosopher; yes, he was interested in Pythagoras – but to what extent can, in spite of Russell, number GROUND a whole philosophy?” Studia a Pisa. Insegna a Roma. Promotore del Crotoensismo, e affiliato a vari gruppi dell'esoterismo italiano. Entra nella Società Teosofica e ne fonda la sezione romana. Più tardi, fonda a Palermo la Biblioteca Teosofica-Filosofica. E iniziato al Rito di Memphis di Palermo, rito massonico di supposta origine egizia ed entra a Firenze nella loggia Lucifero, dipendente dal Grande Oriente d'Italia. Ha una breve adesione al martinismo papusiano, che in Italia e diretto da Sacchi, verso le carenze della cui maestranza e pubblicistica apporta una demolizione magistrale. E chiamato d’Armentano, che lo avvia allo studio della scuola di Crotone. Entra nel Supremo Consiglio Universale del Rito filosofico italiano, dal quale però si dimise, non ha infatti un'alta opinione dello stato della massoneria in Italia. Insignito del 33° e massimo grado del Rito Scozzese Antico e Accettato, entra a far parte come membro effettivo del Supremo Consiglio d'Italia, di cui e Gran cancelliere e Segretario generale.  Gli anni della Grande Guerra vedeno discepoli e maestri della Schola Italica Pitagorica partire volontari per il fronte. Non rimase inerte innanzi al sorgere dell’istanze interventiste. Partecipa attivamente alla manifestazione romana del maggio, culminata in Campidoglio, tesa ad ottenere la dichiarazione di guerra. Accolto nell'Accademia Militare di Torino come allievo ufficiale del Genio parte volontario per il fronte, ottenendo sul campo il grado di capitano del Genio. Lui ed il suo maestro Armentano creano a Roma l'Associazione Pitagorica, che riprende le fila di precedenti esperienze e si richiama operativamente al sodalizio pitagorico. Fonda e anima varie riviste, con interventi sagaci e ricchi di dottrina; scrisse sul papiniano “Leonardo”, dando vita ad “Atanór, Ignis, e UR, con Colazza,  Evola come direttore, Parise, ed Onofri. Contrasti d'idee e caratteriali prevalser nel rapporto di collaborazione fra lui ed Evola, provoca la scelta evoliana di allontanamento di questi, assieme a Parise, dalla rivista “UR” (rivista sórta a esprimere al pubblico della cultura italiana l'intento dell'occulto Gruppo di Ur; dove il Maestro fiorentino pubblica con l'eteronimo di Pietro Negri. E se ne ebbero anche strascichi giudiziari. Infatti Evola tenta di farlo incriminare per affiliazione massonica (affiliazione che costituiva reato dopo l'imposizione di scioglimento dell’associazioni segrete decretata dal regime fascista. Ma il potere giudiziario opta infine per un accordo tra i due onde evitare uno scandalo. Per via del condizionamento repressivo fascista vòlto all'emarginazione di tanti esponenti dell'esoterismo italiano (Armentano parte per il Brasile), ormai isolato si ritira dalle attività pubbliche e a Budrio si dedica all'insegnamento nel Circolo Quirico Filopanti”, alla meditazionein chiave pitagorica delle scienze matematiche.  Ottenne tuttavia riconoscimenti  dei Lincei e dall'Accademia d'Italia, per la sua opera sulla restituzione della geometria pitagorica. Il Crepuscolo dei Filosofi regalato dal suo autore, Papini all’amico Arturo al suo ingresso nella loggia fiorentina ‘Lucifero.” Nel frontespizio una dedica ad inchiostro, scolorito dal tempo, Al fratello Reghini il suo G Papini, in Reghini, pitagorico, su ilmanifesto  Rito filosofico italiano, Del Massa, “Pagine esoteriche” (Finestra, Trento). In questa qualità firma il decreto del suo scioglimento (riprodotto in: L. Sessa, I sovrani grandi commendatori e storia del supremo consiglio d'Italia del Rito scozzese antico ed accettato, Palazzo Giustiniani (Bastogi, Foggia), in seguito all'approvazione alla Camera dei deputati del progetto di legge sulla disciplina delle associazioni, presentato da Mussolini, mirante allo scioglimento della massoneria. Iacovella, "Il barone e il pitagorico”, Vie della Tradizione, Cfr. la recensione fatta ne da Guénon. Altri saggi: ““Parola sacra e parola di passo dei gradi”; “Il mistero massonico” (Atanor, Roma); “Geometria pitagorica” (Basilisco, Genova); “Il numero sacro nella tradizione pitagorica”; “Il numero sacro e la geometria pitagorica”;  Il fascio littorio, ovvero il simbolismo duodecimale”; “Il fascio etrusco” (Basilisco, Genova); “Il numero sacro nella tradizione crotonese” (Ignis, Roma); “Del Numero”; PrologoAssociazione culturale Ignis, Del Numero; Dell'equazione indeterminata di secondo grado con due incognite” (Archè/pizeta); “Della soluzione dell'equazione di tipo Pell x2-Dy2=B e del loro numero” (Archè/pizeta);“Il numero triangolare, il numero quadrato, il numero piramidale  a base triangolare, il numero piramidale a base quadrata” (Archè/pizeta); “Dizionario Filologico” (Associazione culturale Ignis"), Cagliostro, ("Associazione culturale Ignis"), “Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix, Genova); “Paganesimo, Scuola di Crotone, Massoneria” (Mantinea, Furnari, Messina); “Per la restituzione della massoneria crotonense italica (Raffaelli, Rimini); “La tradizione crotonense massonica” (Melita, Genova);  “Trascendenza di spazio e tempo”, Mondo Occulto (Napoli, ASEQ). Cura “De occulta philosophia” di C. Agrippa (Fidi, Milano);  I Dioscuri, Genova; La Sapienza pagana e pitagorica  (La Cittadella.  I Libri del Graal. Geminello Alvi, Reghini, il massone pitagorico che ama la guerra, Corriere della Sera, R. Paradisi, Il pitagorico che sogna l’impero, L’Indipendente, N. Luca, "Un intellettuale neo-pitagorico tra massoneria e fascismo" (Atanòr, Roma); Parise, "Nota sulla vita di A. Reghini", in calce a “Considerazioni sul rituale dell'apprendista libero muratore” (Phoenix, Genova); R. Sestito, “Il figlio del sole” (Ancona, Associazione Culturale Ignis); Via romana agli Dei Amedeo Rocco Armentano, Evola  Parise, Schiavone,  a metà strada tra fascismo e massoneria, su archiviostorico.info. Centro De GiorgiScuola Normale Superiore di Pisa, Breve biografia su mathematica. Boni, Omaggio su rito simbolico; Un pitagorico dei nostri tempi; N. Bizzi, La Tradizione occidentale. Grandi massoni. Illustre matematico e anti-fascista -- grande oriente. Pitagorico, su ilmanifesto. Arturo Reghini. Reghini. Keywords: implicature, il fascio etrusco, scuola di Crotone, il fascio littorio, simbolismo duodecimale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Reghini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51675866520/in/photolist-2mMRo9E-2mJphgK-2mJgHMU-2mJkQY8-2mJqjKS-2mJphgV-2mJgHMP-2mJn4Bp-2mJn4Bj

 

Grice e Regina – uomini complementari – potenza e valore – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sabbioneta). Filosofo.  Grice: “When Urmson said that for Prichard, duty cashed out in interest, he was right! But we must wait for Regina to emphasise Kierkegaard’s punning on interest – which literally means, ‘being in between’! The interesting (sic) thing is that Kierkegaard exploits the old Roman aequi-vocation between the alethic (being in between) and the practical (Prichard, ‘duty as interest’). Studia a Milano sotto Severino, laureandosi con una tesi su Lavelle e Heidegger.  Insegna a Macerata, Verona, e Cagliari. Progetto «Tempus», relativo all'organizzazione presso l'Sarajevo e Mostar di un master sulla tolleranza religiosa.. “Ripresa, pentimento, perdono», Verona); L'essere umano come rapporto. L'antropologia filosofica e teologica di Kierkegaard”; Forum, Conferenza Episcopale Italiana, Progetto culturale della Chiesa. Insegna a Verona. Si basa su Kierkegaard, Nietzsche e Heidegger (“the greatest living philosopher” – Grice). In Heidegger evidenzia l'importanza del ruolo sapienziale assegnato alla finitezza dell'uomo.  In Kierkegaard vede invece da cui partire per costruire una ontologia e una antropologia basate su una concezione dell'essere: l'esse come inter-esse. L'essere come inter-esse -- nella doppia valenza ontologica ed etica) pone il pensante in rapporto con un'ulteriorità che, nel trascenderlo, ne accentua e personalizza il differire. La metafisica fondata sull’inter-esse cessa di essere onto-teologia, ossia nient'altro che proiezione idolatrica della logica umana.  Sarajevo; “Dal nichilismo alla dignità dell'uomo” (Vita e Pensiero, Milano); “Esistenza e sacro” (Morcelliana, Brescia); “L'arte dell'esistere” (Morcelliana, Brescia, L. Romera, “Acta Philosophica”, recensione a U. Noi eredi dei cristiani e dei Greci (Poligrafo, Padova). Il termine è stato acquisito da  Heidegger; “Gesù e la filosofia” (Morcelliana, Brescia); “L'uomo complementare. Potenza e valore” (Morcelliana, Brescia); “Servire l'essere” (Morcelliana, Brescia); “La differenza viva: per una nuova concettualità” (Sentiero, Verona); “Noi eredi dei Greci” (Il Poligrafo, Padova); “La soglia della fede: la domanda su Dio” (Studium, Roma); “L'arte dell'esistere” (Morcelliana, Brescia). Umberto Regina. Regina. Keywords: uomini complementari – potenza e valore, essere ed interesse, esse ed interesse, Prichard, duty and interest, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Regina” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735483692/in/datetaken/

 

Grice e Renier – implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Treviso). Filosofo. Essential Italian philosopher. Da antica famiglia patrizia veneziana figlio di Luigi e Fanny Venturi. Studia in Camerino, Urbino, ed Ancona, sempre seguendo gli spostamenti del padre, magistrato. Studia a Bologna, sotto Carducci, Torino, e Firenze, sotto Bartoli. Insegna a Torino. Fonda il Giornale storico della litteratura e la filosofia italiana, «profondendovi, negli studi particolari, nelle rassegne, negli annunci analitici e in un ricchissimo notiziario, un vero inesauribile tesoro di cultura, di notizie, di rilievi. Cura importanti edizioni critiche e monografie. I suoi saggi critici spaziano attraverso tutta la letteratura e la filosofia italiana. Atre opere: “Il tipo estetico della donna nel Medio Evo” (Ancona, Morelli); Isabella d'Este Gonzaga” (Roma, Vercellini); “Mantova e Urbino” (Torino, Roux); La cultura e le relazioni letterarie d'Isabella d'Este Gonzaga (Torino, Loescher); “Svaghi critici” (Bari, Laterza); A. Luzio, Rodolfo Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d'Este Gonzaga, Sylvestre Bonnard). L. Vendittis, Letteratura italiana. I critici,  Milano, Marzorati, U. Renda, P. Operti, Dizionario storico della letteratura italiana (Torino, Paravia); Letteratura italiana. Gli Autori,  Torino, Einaudi. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Rodolfo Renier. Renier. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Renier” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736526318

 

Grice e Rensi – implicatura – filosofia italiana. Luigi Speranza (Villafranca di Verona). Filosofo. Grice: “Only in Italy a philosopher gets his obituary when he is alive!” Studia a Verona, Padova, e Roma. Insegna a Genova. Iscrittosi al Partito Socialista Italiano, si reca a  Milano per assumere la direzione del giornale La lotta di classe, collaborando assiduamente anche alla turatiana Critica Sociale e alla Rivista popolare. A seguito delle misure repressive adottate dal governo e per sfuggire alla condanna del Tribunale Militare per aver preso parte ai moti operai milanesi, stroncati dall'esercito con la strage del generale sabaudo Fiorenzo a Beccaris, e costretto a cercare rifugio in Svizzera. Frutto dell'esperienza ticinese e la pubblicazione de “Gl’Anciens Régimes e la democrazia diretta” (Colombi, Roma) in cui difende il principio della democrazia diretta del sistema istituzionale federalista. Collabora con numerosi articoli ai fogli radicali Il Dovere di Bellinzona, la Gazzetta Ticinese e L'Azione di Lugano, nonché alla rivista socialista e pacifista Coenobium. Rientra in Italia per stabilirsi a Verona dedicandosi alla filosofia. A seguito della campagna libica, vi fu la rottura col partito socialista, poiché  si era schierato con l'interventismo di L. Bissolati. Pubblica “Il fondamento filosofico del diritto” (Petremolese, Piacenza). Altri due volume, “Formalismo e a-moralismo giuridico” (Cabianca, Verona) e “La trascendenza: studio sul problema morale” (Bocca, Torino), ove sviluppa un idealismo trascendente. Insegna a Bologna, Ferrara, Firenze, Messina. L'esperienza della grande guerra manda in crisi la sue convinzione idealistica, conducendolo verso lo scetticismo, la cui prima formulazione sono i “Lineamenti di filosofia scettica” (Zanichelli, Bologna). Sostene che la guerra distrue la fede ottimistica nell'universalità della ragione, sostituendola con lo spettacolo tragico della sua pluri-versalità, vale a dire dell'irriducibile conflittualità dei diversi punti di vista. Espose nella “Filosofia dell'autorità” (Sandron, Palermo) la traduzione politica di questa concezione. Poiché tutti i punti di vista politici sono sullo stesso piano, quello che anda al potere lo fa con un atto di forza, tacitando tutti gli altri punti di vista. In questo saggio si è scorta una prima giustificazione dell'autoritarismo fascista. Tuttavia, dopo una prima simpatia per il fascismo, ne divenne un fiero avversario quando Mussolini con metodi anti-democratici comincia a perseguire il disegno dittatoriale. Sottoscrisse il Manifesto degli intellettuali anti-fascisti di Croce, pagando questa scelta con la sospensione,  dalla cattedra di filosofia a'Genova. Arrestato e rinchiuso in carcere. Solo un abile stratagemma escogitato dall'amico e collega Sella, che pubblica sul Corriere della Sera il necrologio del filosofo, diffondendo così la falsa notizia della sua morte, indusse il duce a rimetterlo prontamente in libertà. Il dittatore teme l'ondata di sdegno sollevatasi per i metodi oppressivi del regime. Per la sua coerenza agli ideali di libertà, sube il definitivo allontanamento dalla cattedra e, fino alla sua scomparsa, comandato, da vigilato speciale, presso il centro bibliografico dell'ateneo genovese, per la compilazione della biografia ligure. Nonostante il doloroso distacco dalla scuola dove aveva insegnato per diciassette anni, continua la sua attività filosofica e collaborando al quotidiano socialista genovese Il Lavoro, l'unico foglio che accoglie testi di personalità che non hanno fatto atto di sottomissione al fascismo.  Ricoverato al Ospedale Galliera mentre infuria  il bombardamento della flotta inglese sulla città, per essere operato d'urgenza. Tuttavia l'azione militare danneggia alcune sale dell'edificio e i medici doveno rinviare l'intervento, una fatalità che non lascia scampo a Rensi. Ai funerali pochi amici ed ex allievi poterono seguire per breve tratto il carro funebre. La polizia, che vieta quest'ultimo devoto omaggio, disperse il funerale, schedando alcuni discepoli. Rensi, anche morto, tura il potere. Sulla tomba nel Cimitero monumentale di Staglieno un'epigrafe riassume uno stile di vita ed esprime il suo dissenso, la sua resistenza e indipendenza intellettuale. Etsi omnes, non ego. Anche se tutti, non io. La sua filosofia si è sviluppata  dopo l'approdo allo scetticismo in direzione del realismo e del materialismo critico. Un realismo materialistico quindi, che considera derivato, con una certa libertà interpretative, dal criticismo. Arrriva ad ipotizzare che Kant puo pensare alla "cosa in sé" come a una più nascosta essenza materiale delle cose stesse.  La sua filosofia non e esente da paradossi concettuali e da mutamenti continui che lo hanno portato a cadere in alcune contraddizioni e incoerenze. Ma va anche considerato che al di sopra di esse a dominare è comunque un forte pessimismo, che non è solo esistenziale, ma anche gnoseologico. Sia il mondo, sia la mente umana sono irrazionali. Ma supponiamo che un tale fatto esteriore ai nostri orologi, destinato al controllo di questi, non esistesse, e che i nostri orologi continuassero a discordare. Come potremmo allora, in mancanza di quel fatto esteriore obbiettivo e nel discordare dei singoli nostri orologi, conoscere l’ora che è? Ora questo è appunto il caso delle nostre ragioni. Non c’è l’oggetto esterno ad esse, l’esterno modulo-ragione, su cui controllarle e che le giudichi, ed esse discordano tra di loro. Come conoscere l’ora che è della ragione? Per esempio egli ha sostenuto che siccome la filosofia ha una storia che si snoda nel tempo, ciò significa che un pensiero vero e unico non può esistere e che perciò nel suo procedere ed evolvere essa nega continuamente sé stessa. Contro l'idealismo di Gentile allora imperante, che considerala storia una realizzazione progressiva dello spirito e della ragione, ha una visione negativa della storia, come assurdo, caso e vana ripetizione.  C'è storia dunque perché ogni presente, ossia la realtà, è sempre falsa, assurda e cattiva, e perciò si vuol venirne fuori, passare ad altro, quel passare ad altro in cui, unicamente, la storia consiste. C'è storia, insomma, l'umanità corre nella storia, per la medesima ragione per cui corre un uomo che posa i piedi su di un sentiero cosparso di spine o di carboni ardenti. La sua critica della religione si sviluppa poi in un'aperta apologia dell'ateismo. Sembra quasi di poter cogliere uno dei tratti dell'ateismo in un saggio Sopra lo amore di Ficino. Ficino  proponeva una visione dell'amore come amore eterno che ritorna come desiderio di ogni grado ontologico di ritornare al bene e al Tutto. Propone una nuova interpretazione di questa tipica teologia platonica, vedendo nell'amore ipotizzato da Ficino in realtà un preludio a quelle che diventeranno due tra le più influenti correnti filosofiche: l'idealismo e il volontarismo. L'amore come totalità dei diversi, o come volontà nelle vesti di matrice essenziale del tutto, mette da parte il bisogno dell’amore trascendete e sussurra l'ipotesi di un ateismo, forse professato tra le righe dai più celebri filosofi.  Filosofo profondamente problematico e inquieto, fine però per approdare a un forte pessimismo ontologico ed esistenziale, che lo spinse verso derive spiritualistiche, forse latenti nelle sue riflessioni fin dalle origini nelle “Lettere spirituali”. In quest'opera, come anche nell “La morale come pazzia” (Guanda, Modena) delinea una sorta di mistica dei valori e un'etica concepita come l'azzardo dell'uomo che scommette sul bene in un universo cieco e indifferente. Nella sua “Autobiografia intellettuale” suddivide in tre periodi la sua evoluzione: un primo misticismo idealistico, un secondo relativismo scettico materialistico e ateo, un terzo misticismo spiritualistico come ultimo approdo del suo pensiero.  Il primo e un misticismo di tipo platonico, in cui sono presenti anche elementi di San Paolo e di Malebranche. Scrive “Le Antinomie dello spirito” (Petremolese, Piacenza); “Sic et Non -- Metafisica e poesia” (Romaa, Roma); “La trascendenza. Studio sul pensiero morale”. Il secondo nasce dal suo sconcerto di fronte alle violenze della grande guerra e lo porta alla negazione di qualsiasi razionalità della realtà. Pensa infatti che se gl’uomini ricorrono sistematicamente alla violenza per risolvere i loro conflitti questo significa che la ragione in sé non esiste, e che si tratta dell'illusione dell'uomo di pensare che si possa dare ordine al caos. L'irrazionalità della realtà si trova espressa in “Lineamenti di filosofia scettica”; “La filosofia dell'autorità”; “La scepsi estetica” (Zanichelli, Bologna); “Polemiche anti-dogmatiche” (Zanichelli, Bologna); “Interiora rerum – la filosofia dell’assurdo” (Milano, Unitas); “Realismo” (Milano, Unitas); “Apologia dell'ateismo” (Formiggini, Roma); e “Le aporie della religione”. Il secondo periodo è altresì caratterizzato da un avvicinamento al positivismo materialistico e dal rifiuto dell'idealismo di Croce e di Gentile. In esso va registrata anche una rivisitazione del panteismo di Spinoza, che interpreta alla maniera dei teologi, quindi come ateistico perché avrebbe negato il Dio personalizzato dei monoteismi. Pensa anche di realizzareuna sintesi di scetticismo e realismo perché se solo la scepsi è il modo reale e utile di porsi di fronte al mondo, essa è anche l'unica verità possibile. Si tratta anche del momento di punta del nichilismo, perché si afferma che siccome l'unica cosa certa e stabile è la morte, ed essa è il nulla, solo il nulla possiede una verità. Prevale una forma di misticismo che non sorge, però, improvvisamente, essendo già chiaramente presente nelle opere maggiormente influenzate dallo scetticismo. Quest'ultimo fu, infatti, sempre sollecitato da un'innata, profonda religiosità, sicché non stupisce che il filosofo si apra alla voce del divino, poiché cerca nella negazione assoluta un criterio positivo che consenta la negazione stessa. A questo periodo appartengono: “Critica della morale”; "Critica dell'amore e del lavoro”; “Paradossi di estetica e dialoghi dei morti” (Corbaccio, Milano); “Frammenti di una filosofia del dolore e dell’errore, del male e della morte” (Guanda, Modena); “La filosofia dell'assurdo” e “Gorgia -- Autobiografia intellettuale – la mia filosofia – testamento filosofico” (Corbaccio, Milano). Isolato in vita nel mondo filosofico italiano, nel quale domina l'idealismo crociano-gentiliano, trova la comprensione di pochi intellettuali a lui affini. È stato quest'ultimo a creare la formula dello scettico credente, che in forme diverse ha dominato i pochi studi sul suo pensiero. Oggi ha trovato la collocazione nell'ambito del nichilismo..  Per alcuni tale collocazione resta comunque riduttiva rispetto alla vastità della sua filosofia, che andrebbe ancora approfondito. La trascuratezza nei suoi confronti sta nel fatto che la cultura italiana è stata a tutto il XX secolo dominata dall'idealismo e dall'esistenzialismo. Legato alla cultura socialista, si caratterizza per una certa dose di eclettismo e per una forte componente umanitaria, distante dal materialismo storico marxiano e riconducibile, più agilmente, nel novero dei pensatori vicini al socialismo utopista. Se durante l'attività politica in Italia aderisce all'idea della lotta di classe, l'esperienza svizzera lo porta a riconsiderare tale concezione dei rapporti di forza nella storia, ridimensionandone la portata. Infatti, l'antagonismo tra proletariato e borghesia e circoscrivibile ad alcune realtà contingenti e non costituirebbe un'invariante delle relazioni socio-politiche. E se, da un lato, il suo realismo politico lo porta ad apprezzare le teorie elitistiche del conservatore G. Mosca, dall'altro, la matrice umanitaria e socialista emerge nell'esaltazione degli istituti della democrazia diretta, caratterizzanti il sistema costituzionale americano e quello svizzero, considerati come gli unici in grado di far emergere la volontà popolare e di permettere l'emancipazione delle classi lavoratrici. L'elogio ai regimi federalisti appena citati, e il contingente recupero di Cattaneo sono sintomatici di un altro aspetto del suo orizzonte culturale: la feroce critica dell'istituto monarchico (tanto nell'accezione assolutista, quanto in quella temperata del costituzionalismo borghese ottocentesco), appannaggio di una vicinanza con il programma del Partito Repubblicano Italiano. Mostra un pessimismo storico verso il Risorgimento, la disapprovazione intransingente del ruolo, ritenuto ambiguo e ostile al riscatto sociale del proletariato, della casa regnante dei Savoia e l'appartenenza alla Massoneria.  Influenze "Atomi e vuoto e il Divino in me", queste parole di Rensi hanno ispirato M.  Lobaccaro nella composizione della canzone Rosa di Turi dei Radiodervish. Altri saggi: “Una Repubblica italiana: il Canton Ticino, "Critica sociale", Milano), “L'immoralismo di Nietzsche” (Carlini, Genova); “Il genio etico ed altri saggi” (Laterza, Bari); “Sulla risarcibilità del danno morale” (Cooperativa,Verona); “L’istinto morale”, Riuniti, Bologna); “L'orma di Protagora” (Treves, Milano); “Principi di politica impopolare” (Zanichelli, Bologna); “Introduzione alla scepsi etica” (Perrella, Napoli); “Teoria e pratica della reazione politica” (Stampa, Milano); “L'amore e il lavoro nella concezione scettica” (Unitas, Milano); “Dove va il mondo?, «Inchiesta fra gli scrittori italiani», Libreria Politica Moderna, Roma); “L'irrazionale, il lavoro, l'amore” (Unitas, Milano); "Terapia dell'ateismo" (Castelvecchi, Roma);  “Apologia dello scetticismo” (Formiggini, Roma); “Autorità e libertà: le colpe della filosofia” (Politica, Roma); “Il materialismo critico” (Sociale, Milano); “Spinoza” (Formiggini, Roma); “Scheggie: pagine di un diario intimo” (Bibl. Ed., Rieti); “Cicute: dal diario di un filosofo” (Atanòr, Todi); “Impronte: pagine di un diario” (Italia, Genova); “Raffigurazioni -- schizzi di uomini e di dottrine” (Guanda, Modena); “Le aporie della religione” (Etna, Catania); “Sguardi: pagine di un diario” (Laziale, Roma); “Passato, presente, future” (Cogliati, Milano); “Motivi spirituali platonici” (Gilardi, Milano); “Scolii: pagine di un diario” (Montes, Torino); “Vite parallele di filosofi: Platone e Cicerone” (Guida, Napoli); “Critica della morale” (Etna, Catania); “Figure di filosofi: Ardigò e Gorgia” (Guida, Napoli); “Poemetti in prosa e in verso” (Ist., Milano); "La morale come stato d'eccezione?" (Castelvecchi, Roma); “Trasea, contro la tirannia” (Oglio, Milano); “Lettere spirituali” (Bocca, Milano); “Sale della vita -- saggi filosofici” (Oglio, Milano); “La religione -- spirito religioso, misticismo e ateismo” (Sentieri Meridiani, Foggia); “Contro il lavoro -- sggio sull'attività più odiata dall'uomo” (Gwynplaine, Camerano);  “Le ragioni dell'irrazionalismo” (Orthotes, Napoli); “Su Leopardi” (Bruni, Torino). – “L'Intellettuale Dissidente, Pastorino, Uomini e idee della Massoneria. La Massoneria nella storia d'Italia, Roma, Atanor sub voce.  (in ordine cronologico), Giuseppe Rensi,  Istituto di Studi filosofici, Roma); M.  Untersteiner, Interprete del pensiero antico, Bocca, Milano); La scepsi estetica (Zanichelli, Bologna); N. Cuneo, Conti e C., Cuneo); Un moralista, Italia, Raffaele Resta, SIAG, Genova); A. Poggi (Azzoguidi, Bologna); “Il problema generale della giustizia e della giustizia penale” (Vallardi, Milano); P. Rossi, “L’deale di Giustizia” (Bocca, Milano); E. Buonaiuti, “Lo scettico credente” (Partenia, Roma); C. Mignone, “Leopardi e Pascal” (Corbaccio, Milano); P. Nonis, La scepsi etica, Studium, Roma, G. Morra,; Lauretta Rensi, Scetticismo e misticismo nel pensiero di Rensi, Ciranna, Siracusa, F. Tecchiati, Alla "Mostra internazionale del libro filosofico", La Voce di Calabria, Palmi, R. Bassanesi, La coscienza tragica” Filosofia, Torino); E. Alpino, La collaborazione di Rensi alla rivista "Pietre", Marzorati, Milano); Girolamo De Liguori, Lo scetticismo giuridico” (Giuffrè, Milano); A. Noce, "Tra Leopardi e Pascal, ovvero l'auto-critica dell'ateismo negativo", in Una giornata rensiana, Marzorati, Milano,  M. Sciacca, Una giornata rensiana” (Marzorati, Milano); G. Perano, Il problema della verità nello scetticismo di Rensi” (Lateranense, Roma); E. Mas, Tra democrazia e anti-democrazia” (Bulzoni, Roma); A.  Santucci, Un irregolare: Tendenze della filosofia italiana nell'età del fascismo, O. Pompeo, Faracovi, Belforte, Livorno); G. Rognini, “Dal positivismo al realismo” (Benucci, Perugia); L'inquieto esistere” (EffeEmmeEnne, Genova); F. Boriani, La questione morale nel positivismo” (Melusina, Roma); U. Silva, “La ribellione filosofica” (Genova, G. Liguori); Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo. La coerenza critica, Il sentiero dei perplessi. Scetticismo, nichilismo e critica della religione in Italia da Nietzsche a Pirandello, La Città del Sole, Napoli, Willy Gianinazzi, Intellettuali in bilico, Milano, Ed. Unicopli, Nicola Emery, Lo sguardo di Sisifo: Giuseppe Rensi e la via italiana alla filosofia della crisi: con una nuova  rensiana, Marzorati, Settimo Milanese, 1Francesco Mancuso, Tra democrazia e fascismo, Aracne, Roma, P. Serra, Tra dissoluzione del socialismo e formazione dell'alternativa nazionalista” (Angeli, Milano); F. Meroi (Olschki, Firenze); “L’eloquenza del nichilismo, SEAM, Formello); G. Pezzino, Scacco alla ragione” (C.U.E.M.C., Catania); “A. Castelli, Un modello di Repubblica; la politica e la Svizzera (Mondadori, Milano); N. Greco, politica, autorità, storia, Viaggi d icarta, Palermo); P. Serra, “La rivolta contro il reale, Città Aperta,  Enna); A.  Montano, “Ethica ed etiche” (Napoli); G. Barbuto, Nichilismo e stato totalitario: libertà e autorità” (Guida, Napoli); M. Greco, la filosofia morale, Viaggidicarta, Palermo, F. Mancuso; A. Montano, Irrazionalismo e impoliticità Rubbettino Editore, Soveria Mannelli, F. Meroi, filosofia e religione nel primo Novecento, Edizioni di storia e letteratura, Roma). D. Lobagueira,   Documenti, Trento); Armando Mascolo, Il corso infernale della storia. L'influenza di Schopenhauer nella filosofa, in F. Ciracì, D. Fazio, Schopenhauer in Italia, Lecce, Pensa MultiMedia, R. Bruni, “Il leopardismo filosofico” (Firenze, Le Lettere); “Filosofo della storia, Firenze, Le Lettere,.E. Bignami E. Buonaiuti B. Croce A. Ghisleri Manifesto degli intellettuali antifascisti Ad. Tilgher (Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Rensi, il filosofo dimenticato. scomodo nichilista di Franco Volpi l'"irregolare" di Orazio Martinetti. Giuseppe Rensi. Rensi. Keywords: filosofia dell’autorita, autorita e liberta, Gorgia, Gorgia ed Ardigo, Santucci, Tendenze della filosofia italiana nell’eta del fascismo, Gentile, necrologio, Ardigo, Platone, Cicerone, Ficino, Bradley, Bosanquet, diritto e forza, filosofia della storia, Gogia, Elea, Velia, Elea ed Efeso, Gorgia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rensi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51686039204/in/photolist-2mKNNqN-2mKAuZM-2mKjsJY

 

Grice e Resta – della fiducia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bari). Grice: “I like Resta; I was reading a book on golf that the Italians define, as I would cricket, as the game of ‘fiducia,’ so it is nice to see that Resta has tried to formulate some ‘rules,’ as we would call them, for trust. The cover of the essay is especially fascinating, as it depicts two acrobats on a circus ring. Where ‘fiducia’ becomes a matter of life and death – or a vital evolutionary tract, if often ‘ciecco,’ as Resta puts it. His research reminds me of Warnock on ‘trust’ in “The object of morality.”  Essential Italian philosopher. Filosofo. Nominato Alfiere del Lavoro. Studia  a Bari. Insegna a Bari e Roma. Dirige il Seminario sulla cultura giuridica della Fondazione Basso-Issoco, nonché delle riviste "Sociologia del Diritto" e "Politica del Diritto".  Spazia  dai temi classici della filosofia dfino a temi di particolare attualità quali quelli riguardanti l'infanzia, i diritti dei minori e il bio-diritto. Particolarmente interessanti sono i saggi nei quali indaga sul significato e sui risvolti giuridici del concetto di "farmaco" come anti-doto necessario alla violenza. Saggi: “Conflitto e giustizia” (Bari, De Donato); “Diritto e sistema politico” (Torino, Loescher); “L' ambiguo diritto” (Milano, Angeli); “Poteri e diritti, Torino, Giappichelli); “La certezza e la Speranza -- diritto e violenza” (Roma, Laterza). Le stelle e le masserizie. Paradigmi dell'osservatore” (Roma, Laterza); “L'infanzia ferita” (Bari, Laterza); “Il diritto fraterno” (Bari, Laterza); “Diritto vivente” (Bari, Laterza); “Le regole della fiducia” (Bari, Laterza); biodiritto. Eligio Resta. Resta. Keywords: della fiducia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Resta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736276056/in/datetaken/

 

Grice e Restaino – Antonino e compagnia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Alghero). Grice: “Only in Italy, a philosopher writes on cartoons!” Filosofo. Studia e insegna a Cagliari e Roma. Studia la storia della filosofia  e dell'estetica. Il suo saggio forse più noto è una “Storia del fumetto: da Yellow Kid ai manga” (POMBA, Torino) che non ha mancato anche di suscitare alcune polemiche, fino al punto che un gruppo di appassionati di fumetti ha lanciato una petizione chiedendo alla casa editrice il ritiro del saggio, accusato di contenere gravi lacune ed errori.  Ettore Gabrielli, Petizione contro l’POMBA per il libro Storia del Fumetto, Lo Spazio Bianco, Andrea Plazzi, Il fantasma del fumetto, in il Mulino, Bologna, Mulino. La fortuna di Comte, Comte sansimoniano, in Rivista critica di storia della filosofia, Comte scienziato, Comte filosofo, Mill e la cultura filosofica, La Nuova Italia, Firenze, Mill: Scritti scelti, Principato, Milano, Scetticismo e senso comune” (Laterza, Bari); Hume, Riuniti, Roma, Filosofia e post-filosofia” (Angeli, Milano); Storia dell'estetica” (Pomba, Torino); “Storia della filosofia, fondata da Abbagnano, in collaborazione con Fornero e Antiseri, La filosofia contemporanea, Pomba, Torino); La filosofia anglo-americana, in La Filosofia della seconda metà del Novecento, G. Paganini, Piccin-Vallardi, Padova, Storia della filosofia, Pomba Libreria, Torino, La Rivoluzione Moderna. Vicende della cultura tra Otto e Novecento, Salerno, Roma); Giovanni Franco Restaino. Restaino. Keywords: Antonino e compagnia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Restaino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736775309/in/datetaken/

 

Grice e Ricordi – essere per amore – filosofia italiana. Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Se è vero che Shakespeare ha "inventato l'umanità", è altrettanto vero che egli l'ha poi divisa, il più delle volte, tra due grandi generi di rappresentanti: e questi passano davvero per le categorie dei platonici e degli aristotelici. Filosofo. Figlio di Ferruccio Merk Ricordi, in arte Teddy Reno e la produttrice e distributrice cinematografica Vania Protti. Studia a Roma e Napoli. Studia l’ermeneutica. Debuttato con Ronconi, con il quale ha lavorato nei primi anni della carriera. Attore con Stoppa, Lavia, e Filippo. Inizia la carriera registica che lo ha visto spesso anche interprete nei propri allestimenti. Questi sono stati salutati sempre da un forte e caloroso successo di critica e pubblico. Si dedicato a Shakespeare, alla drammaturgia antica, al teatro tedesco dell'età romantica, ma anche e costantemente ai contemporanei introducendo autori come Rohmer, Amann, Norén.  Si ricordano Medea e Fedra di Seneca, Trio in mi bemolle di Rohmer e Dopo la festa di J. Amann, Anfitrione di H. Kleist e Don Giovanni e Faust di C. Grabbe, “Canti nel deserto” e Gli inganni dell'infinito di G. Leopardi, “Le ceneri di Roma e Orgia di Pasolini, Creditori di A. Strindberg e Demoni di L. Norén, Romeo e Giulietta, Macbeth e Amleto di Shakespeare, Lame e Nerone di G. Manfridi. Pubblicat su Leopardi, Shakespeare, Schiller e il concetto di teatralità: “Lo spettacolo del nulla” (Bulzoni) e Essere e libertà (Bulzoni). Pubblica"Le mani sulla cultura" (Gremese), una denuncia assai netta dell'egemonia storica della sinistra sulle arti, che si ravvisa in modo particolare nel "Teatro politico" del Novecento. Direttore del Teatro Stabile d'Abruzzo a L'Aquila; inaugurando il corso di questo importante Teatro ha diretto e interpretato Edipo Re di Sofocle e Anfitrione di Kleist, e insieme dedicato vari incontri al Teatro di Poesia.  Consigliere di amministrazione del Teatro di Roma.  Collabora a Liberal, per le cui edizioni pubblicato il saggio "Ideologia di Amleto” (Liberal). Pubblica "Shakespeare filosofo dell'essere" (Milano, Mimesis), saggio che si riassume nella tematica di una nuova “Filosofia del dramma”. Questo saggio rappresenta il sui progetto dedicato alla drammaturgia esistenzialista. Pubblica "Filosofia del bacio" (Mimesi), e "Pasolini filosofo della libertà" (Mimesis). Pubblica il suo saggio teoretico più rilevante, "L'essere per l'amore" (Mimesis).  Dante per Roma e nel mondo. Inizia un Progetto filosofico su Alighieri. -saggistico ma anche teatrale e comunicativo, che vorrà sostenere fino al centenario della morte del Poeta. Inizia quindi nell'estate  con la rassegna "Dante per Roma", con la lettura in luoghi significativi della "Città Eterna" -- Mausoleo di Cecilia Metella, Arco di Giano, Terme di Caracalla e Terme di Diocleziano -- di sette Canti dell'Inferno. Realizza un primo documentario per Rai5. La rassegna si chiude on la lettura di sette Canti del Paradiso, ricevendo il plauso della critica e grande riscontro dal pubblico.  Pubblica “Filosofia della Commedia di Aligheri,” dedicato alla cantica dell'Inferno. “Il grande teatro shakespeariano” (Mimesis); “Filosofia della Commedia di Dante. L’Inferno – Il Purgatorio ” (Mimesis) “Dante per Roma: Inferno” Rai; La grande magia di Dante può essere capita soltanto ascoltandola a viva voce", in Spettacol iLa Repubblica. Intervista di Grattarola. Franco Ricordi. Ricordi. Keywords: essere per amore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ricordi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735282057/in/dateposted-public/

 

Grice e Righetti – la ragione ecologica, o l’etica dello spazio filosofia italiana -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Si concentra soprattutto sui temi dell’estetica. Fonda “La Stanza Rossa” sull rapporto arte-comunicazione. Affianca alle ricerche precedenti altri filoni di indagine, volti prevalentemente all’ambito della riflessione meta-etica.. Studia l’ecologia. Pubblica «Iride», «Dianoia» e «Millepiani».   Ecoinciviltà. La ragione ecologica spiegata all’umanità civile” (Mucchi, Modena); “La ragione ecologica: intorno all’etica dello spazio” (Mucchi, Modena); “Etica dello spazio -- per una critica ecologica al principio della temporalità” (Mimesis, Milano); “Dall’assenza d’opera all’estetica dell’esistenza” (Mucchi, Modena); “Forme della “verità”: follia, linguaggio, potere, cura di sé” (Liguori, Napoli); “La fantasia e il potere” (Mucchi, Modena); “La Stanza Rossa. Trasversalità artistica” (Costa, Milano); “Soggetto e identità. Il rapporto anima-corpo” (Mucchi, Modena). Cf. Grice, “From the banal to the bizarre: method in philosophical psychology.” Stefano Righetti. Righetti. Keywords: la ragione ecologica, o l’etica dello spazio, linguaggio, la pietra di bismantova. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Righetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736728734/in/dateposted-public/

 

 

Grice e Rignano – filosofia italiana – filosofia fascista – filosofia italo-giudea -- Luigi Speranza (Livorno). FIlosofo.  Grice: “I love Rignano, but I would not consider him a philosopher, in that he never attended a course on philosophy!” Figlio di Giacomo e Fortunata Tedesco. Studia a Pisa e Torino. Laureato, si interessò subito ai problemi filosofici collegati alla ricerca scientifica. Fondatore della Rivista di Scienza. Fonda a Bologna “Rivista di Scienza per Zanichelli. La rivista assunse il nuovo titolo di “Rivista di sintesi scientifica.” (cf. Grice on einheit der wissenschaft). La rivista nasce con il proposito di opporsi alla eccessiva specializzazione a cui era giunta la ricerca scientifica danneggiata per questo da criteri troppo specifici e restrittivi. Gli  fondatori, e in particolare Rignano, si proponevano di superare il particolarismo delle scienze per una visione più estesa gettando un ponte fra cultura umanistica e quella scientifica ed elaborando una "sintesi" (o unita o continuita) tra le scienze della natura e le scienze dell'uomo.  In questo modo la filosofia, libera da legami nei confronti dei sistemi prefissati, poteva dedicarsi a promuovere la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad impostare in modo più ampio i problemi delle teorie. Nei numerosi saggi che pubblica su “La rivista de sintesi scientifica” ebbe modo di mettere in rilievo le sue capacità di divulgatore e di condurre i suoi studi in completa autonomia dal mondo accademico ufficiale elaborando la sua conceziomei filosofica ispirate soprattutto dalla corrente positivistica. Chiese a Freud un'esposizione della psicoanalisi con le indicazioni di quali rami del sapere potessero essere interessati alle teorie e all'esperienze psicoanalitiche. Freud scrive “Das Interesse an der Psychoanalyse” che fu pubblicato in due puntate sulla rivista. Si interessò di psicologia e biologia ed è noto soprattutto per la sua ipotesi della "proprietà mnemonica" secondo la quale la sostanza vivente sarebbe in grado di "ricordare" le condizioni fisiologiche delle iniziali situazioni fisiche determinate dall'ambiente esterno e quindi di riprodurle nel prosieguo della vita biologica.  Questa sua teoria consentiva a lui di operare nella biologia un compromesso tra una visione meccanicistica della realtà naturale e una finalistica, vitalistica. Per il meccanicismo infatti non è possibile pensare che nell'ambito degli organismi viventi vi sia il proposito immanente di conseguire una finalità ma d'altra parte è innegabile he nel mondo organico sia presente una sorta di teleo-nomia particolare per ogni essere vivente tale da giustificare l'idea che, durante il periodo di adattamento all'ambiente, questi conservi una specie di traccia fisica mnemonica persistente e trasferibile ereditariamente. Si interessa anche di filosofia della psicologia – o psicologia filosofica --  ma quando intese indicare lo statuto epistemologico della teoria psicologica, il tipo di scientificità che ad essa competeva, in modo da definire i rapporti con la scienza naturale da una parte e con quella umana dall'altra, si orientò verso soluzioni “intermedie”, che spesso complicavano più che risolvere i problemi"  Coerentemente al suo programma di sintetizzare opposti sistemi, elaborò anche una concezione economica di tipo socialista marxista che fosse in accordo con il liberismo. Altre saggi: “Per una riforma socialista del diritto successorio” (Bologna, Zanichelli);  “Di un socialismo in accordo colla dottrina economica liberale” (Torino, Bocca); “Sulla trasmissibilità dei caratteri acquisiti: ipootesi d'una centro-epigenesi” (Bologna, Zanichelli); “L'adattamento funzionale e la teleologia psico-fisica” (Bologna: Zanichelli); “Che cos'è la co-scienza?” (Bologna, Zanichelli); “Il fenomeno religioso” (Bologna, Zanichelli); “Il socialismo” (Bologna, Zanichelli); “Dell'attenzione: Contrasto affettivo e unità di co-scienza” (Bologna, Zanichelli); “Dell'origine e natura mnemonica delle tendenze affettive” (Bologna, Zanichelli); “Per accrescere diffusione ed efficacia alle università popolari” (Milano, Compositrice); “La vera funzione delle università popolari” (Roma, Antologia); “Vividità e connessione” (Bologna, Zanichelli); “L'evoluzione del ragionamento” (Bologna, Zanichelli); Il nuovo programma dell'Un. pop. milanese: primo anno d'esperimento, Como, Cooperativa comense A. Bari, Le forme superiori del ragionamento” (Bologna, Zanichelli); “Democrazia e fascismo” (Milano, Alpes). “Dizionario di filosofia, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Eugenio Rignano. Rignano. Keywords: diritto successorio, vitalismo, democrazia e fascismo, liberismo, liberalismo, socialismo, “Scientia”, filosofia italo-giudea -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rignano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715544078/in/photolist-2mMVFvG-2mKKMUe-2mKRcBH/

 

Grice e Rigobello – l’allargamento interpersonale della razionale – filosofia italiana. By Luigi Speranza (Badia Polesine). Filosofo. “Il nostro rapporto con gli altri deve sempre farci essere un interrogativo per loro.” Fra i principali rappresentanti italiani del personalismo. Dopo gli studi liceali, all'Padova conseguì dapprima la laurea in filosofia, quale allievo di Stefanini e Padovani. Insegna a Padova, Perugia e Roma. Spazia dalla metafisica, all'etica e la filosofia politica, alla storiografia. Collaboratore a Studium. Ripensa il personalismo partendo dal presupposto per cui esso, potendo anche costituire un possibile complemento integrativo ed estensivo alla metafisica non potesse comunque considerarsi una dottrina filosofica definita bensì una posizione che mettesse in primo piano il concetto di "persona" (cf. Strawson, “Il concetto di persona”). Il personalismo non e in contraddizione con la metafisica  bensì ne poteva costituire un proficuo ampliamento psicologico, etico, antropologico. Il suo contributo più originale consiste, quindi, nel "personificare" (proprio per il tramite del personalismo) la ragione metafisica attraverso quel processo di integrazione sopra invocato fra l’esistenzialismo e la filosofia classica. Ri-esamina nel suo evolversi, nonché compara criticamente e storicamente, il concetto di “persona” alla luce della storia della filosofia fino ad arrivare alla filosofia greca e romana chiamando in causa anche l'ermeneutica, la filosofia morale e la sua storia. Ne risulta, quindi, che il concetto di “persona” deve anzitutto essere inteso in un senso giuridico. Non deve essere confuso con quello derivante dal concetto di esistenza della filosofia esistenzialistica, che nega la possibilità che le persone possamp governare la loro vita, in quanto ritenute prive di auto-dominio. Infine, le persone, pur nella sua reale concretezza, non e una sostanza. Tutto ciò ha costituito una delle tematiche principali in cui s'è venuta a delinearsi la sua filosofia, la persona e l’interpretazione".  La seconda tematica della sua attività di ricerca scaturisce dagli insegnamenti, per certi versi antitetici fra loro, dei due suoi maestri, ovvero quelli di Stefanini, grazie ai quali egli individua un primo polo di convergenza delle sue riflessioni filosofiche attorno alla nozione fenomenologica di un “mondo della vita”, e quelli di Padovani, incentrati sulla metafisica tradizionale e ruotanti attorno alla nozione di trascendenza con i suoi limiti. Ogni altra questione filosofica sembra snodarsi o essere compresa fra questi due poli di convergenza che egli sintetizza nella trascendenza, la legge morale, e il mondo della vita". Altro ambito tematico apre la prospettiva personalistica al dialogo col mondo moderno e contemporaneo, con l'etica, la politica, la religione, puntualizzando in particolare la sua valenza etica e politica nell'analisi della realtà sociale in cui le persone viveno ed agisce, nonché esprime il suo dissenso non su basi ideologiche ma come critica del sistema dominante. Questo tematica puo quindi chiamarsi "in dialogo con il mondo contemporaneo".  Come esponente di punta del personalismo italiano, storicamente rappresentato da Stefanini, Carlini,  Sciacca e Pareyson, rivolvela sua attenzione ad una ri-visitazione originale del personalismo comparato con l'etica e la politica, grazie a cui è emersa, oltre alla limitatezza della dimensione trascendentale, sia quella rilevanza civica assunta dalla persona umana come testimone della sua epoca che la sua responsabilità di cittadini. Mette in evidenza come il personalismo si distingua nella critica mossa al sistema idealista, che non ha attecchito nella filosofia d'oltralpe.  Riprende le e tematiche più tipiche della struttura delle persone umane e le relative implicazioni metafisiche in “Prossimità e ulteriorità” (Rubbettino). Inoltre, da sempre interessato anche all'ermeneutica pubblica “L'apriori ermeneutico” ((Rubbettino). Altre saggi: “Oltre lo storicismo” (Studium); “Ricchezza e povertà della metafisica classica” (Humanitas); “Il problematicismo di Spirito come empirismo coscienziale assoluto: note sul significato del nostro tempo, in Rassegna di Umanesimo e antropocentrismo; La disponibilità come abito etico del rapporto autorità-libertà, Istituto editoriale del Mezzogiorno, Napoli, Kant e l'indirizzo idealistico, Il problema del linguaggio storiografico, Perugia, “Condizionamenti socio-logici e linguaggio morale” in Sociologia e filosofia,. Socrate e la formazione dell'uomo politico, in Civitas,  Esperienza di fede e struttura del sapere, Studium, Croce, perché possiamo e non possiamo dirci crociani, Coscienza. Mensile del movimento ecclesiale di impegno culturale, La riflessione sull'etica, Etica oggi: comportamenti collettivi e modelli culturali, A. Re e A, Poppi, Fondazione Lanza & Gregoriana, Roma,  Il tempo nello spiritualismo, Il concetto di tempo. Società filosofica italiana, Caserta, Giovanni Casertano, Loffredo, Napoli, “Persona, trascendentale, ermeneutica” in Filosofi italiani contemporanei, G. Riconda e C. Ciancio, Mursia, Milano); La storia nella coscienza della gioventù, AVE, Roma); L'intellettualismo in Platone (Liviana Editrice, Padova); Platone, Senofonte, Aristotele: il messaggio di Socrate” (La Scuola, Brescia); “Introduzione di una logica del personalismo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia dell'Padova, Liviana Editrice, Padova, L'itinerario speculativo dell'umanesimo contemporaneo, Quaderni dell'Istituto di Pedagogia dell'Padova, Liviana Editrice, Padova); L'educazione umanistica e la persona. Saggio di una filosofia dell'insegnamento umanistico” (Scuola, Brescia); “Determinazione ed ulteriorità nel Kant pre-critico” (U. Silva, Milano-Genova); “I limiti del trascendentale in Kant” (Silva, Milano); “La certezza morale, lfilosofia morale tenute all'Perugia nell'A.A. 1CLEUP, Perugia); “Legge morale e mondo della vita” (Abete, Roma); La morale radicale” (Perugia, Perugia); “Struttura e significato” (Garangola, Padova); “Antropologia” (Antenore, Padova); “Modelli storiografici di morale” (Frama Sud, Chiaravalle Centrale); “Ricerche sul trascendentale kantiano” (Antenore, Padova); “Dal romanticismo al positivismo” (Marzorati, Milano); “Il regno dei fini” (Bulzoni, Roma); “Il personalismo” (Città Nuova, Roma); “L'impegno ontologico” (Armando, Roma); “Il futuro della libertà” (Studium, Roma); “Politica e promozione umana” (Scuola, Brescia); “Perché la filosofia” (La Scuola, Brescia); “Studi di ermeneutica” (Città Nuova, Roma); “Verso una nuova didattica della storia” (Sei, Torino); “Persona e norma nell'esperienza morale” (Japadre, L'Aquila); “Certezza morale ed esperienza religiosa” (Vaticana, Vaticano); “Kant. Che cosa posso sperare” (Studium, Roma); “Lessico della persona umana” (Studium, Roma); “L'immortalità dell'anima” (La Scuola, Brescia); “Soggetto e persona: ricerche sull'autenticità dell'esperienza morale” (Anicia, Roma); “Autenticità nella differenza” (Studium, Roma); “Attualità della lettera ai Romani” (AVE, Roma); “Dio oltre i saperi. Tra teologia e filosofia” (San Paolo, Milano); “Interiorità e comunità. Esperienze di ricerca in filosofia, Studium, Roma, Oltre il trascendentale, Pubblicazioni della Fondazione "Ugo Spirito", Roma, L'altro, l'estraneo, la persona, Città Nuova Editrice, Roma,  La persona e le sue immagini, Città Nuova Editrice, Roma, L'estraneità interiore, Studium, Roma, Le avventure del trascendentale. Contributi al LV Convegno del Centro studi filosofici di Gallarate, Rosenberg, Torino); “Umanità e moralità” (Studium, Roma); “Immanenza metodica e trascendenza regolativa” (Studium, Roma); “L'apriori ermeneutico: domanda di senso e condizione umana” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Prossimità e ulteriorità: una ricerca ontologica per una filosofia prima” (Rubbettino Editore, Soveria Mannelli); “L'insuperabile singolarità dell'avventura umana: dalla determinazione completa alla rottura metodologica” (Ramo, Rapallo); “Vita e ricerca. Il senso dell'impegno filosofico, intervista L. Alici” (La Scuola, Brescia); “L'intenzionalità rovesciata: dalle forme della cultura all'originari” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Struttura ed evento: tempo di vivere, tempo di dare testimonianza alla vita, la vita come testimonianza” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Dalla pluralità delle ermeneutiche all'allargamento della razionalità” (Rubbettino, Soveria Mannelli); “Ciascuno di noi nell'incontro con l'altro deve essere tale da suscitare curiosità e interesse di conoscenza reciproca (Presentazione a Alici, Grassi, Salmeri, Vinti (Studium); “La filosofia come testimonianza, Rivista bimestrale, Studium, Roma. Berti ebbe per qualche mese Rigobello come docente supplente di filosofia quando era ancora studente liceale. Cfr. E. Berti, "Origini del pensiero di Rigobello", in: Alici, Grassi, Salmeri e Vinti, “La filosofia come testimonianza” (Studium. Cfr. Berti, "Origini del pensiero", in Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, La filosofia come testimonianza, Studium, Roma,,Cfr. pure il contributo di Borghesi, "La dialettica tra struttura e significato", nella stessa collectanea.  Oltre quelli delle Parti II e III, si vedano soprattutto i vari contributi presenti nella Parte I della collectanea in suo onore: Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, la filosofia come testimonianza,  Studium, Roma, Cfr. Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, cit.  Cfr. i vari contributi presenti nella miscellanea:  Estraneità interiore e testimonianza. Studi in onore, A.  Pieretti, ESI-Edizioni Scientifiche Italiane, Perugia); Cfr. pure "Biografia, pensiero e opere", Bollettino della Società Filosofica Italiana  nella rubrica Filosofi allo Specchio,  Cfr. Alici, Grassi, Salmeri, Vinti, cit.  Per questi aspetti centrali del pensiero, si vedano soprattutto i contributi presenti nella prima parte della collectanea in suo onore: L. Alici, O. Grassi, G. Salmeri e C. Vinti, La filosofia come testimonianza, Studium, Cfr. L. Alici, O. Grassi, G. Salmeri e C. Vinti, Ricordo, Umanità e moralità, in Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia, In memoriam: In ricordo straneità interiore e testimonianza. Studi in onore, A. Pieretti, Scientifiche Italiane, Napoli-Perugia, L. Alici, O. Grassi, G. Salmeri e C. Vinti, Rigobello, la filosofia come testimonianza, giornate-studio in suo onore, evento organizzato a Perugia in collaborazione con l'Roma Tor Vergata e la LUMSA, Perugia/Roma, i cui atti sono stati pubblicati, Alici, Grassi, Salmeri e Vinti,  Studium, G.Dotto, Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano, E. Baccarini, Passione dell'originario: fenomenologia ed ermeneutica dell'esperienza religiosa, studi in onore” (Studium, Roma). Vita e ricerca. Il senso dell'impegno filosofico (Interviste), L. Alici recensione di G. Din, Padova. Video di un'intervista a cura di Valentini, fatta a Roma -  Armando Rigobello. Rigobello. Keywords: l’allargamento del razionale, ‘struttura e significato’, il regno dei fini, comunita, Grice on human vs. person, Strawson, the concept of the person, Ayer, the concept of a person. In personam, persona sui iure, persona populum (Cicero).  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rigobello” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736691639/in/dateposted-public/

 

Grice e Rimini – il significato totale – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Rimini). Filosofo. Il primo a conciliare gli sviluppi delle idee di Occam ed Aureolo. Questa sua sintesi ha un impatto duraturo. Insegna a Bologna, Padova e Perugia, e Rimini. Da lezioni sulle Sentenze di Lombardo. Oltre alla sua opera principale, il Commento alle Sentenze di Lombardo scrive diversi trattati, tra cui: “De usura,” “ De quatuor virtutibus cardinalibus” – cf. Grice, philosophy, like virtue, is entire --  e un estratto del commento alle sentenze, il “De intentione et remissione formarum,” un’appendice sulla IV distinctio del I libro del Commento alle Sentenze, una Tabula super epistolis B. Augustin. Mnifesta una certa attitudine sincretistica tra gli sviluppi d’Occam ed Aureolo. Mostra analoga tendenza anche nella ri-costruzione e dell'analisi del processo della percezione animale e unama e il conoscere umano, nelle quali si fondono in maniera originale elementi etero-genei desunti da Aristotele, Agostino e Ockham. Causa un grave fraintendimento della sua filosofia, è qualificato come tortor infantium (torturatore dei bambini), per la supposizione di aver condannato alle pene eterne i bambini che muoiono senza il battesimo. In realtà espone tale dottrina senza pronunciarsi. Talvolta è indicato quale antesignano dei nominalisti. Altre saggi: “Gregorii Lettura super Primum et Secundum Sententiarum”; “De imprestanciis venetorum”. L. Mazzali, E. Gori, Manuale di Filosofia Medievale, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di filosofia, Gregorius Ariminensis. Gregorio da Rimini. Rimini. Keywords: complesso significabile, semplice, complesso, animale, pane, l’animale percezione del pane, Socrate is seated, truth-functionality, scuola italiana, scuola di Bologna, studi generali in Italia, studio di Rimini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rimini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689613415/in/photolist-2mPMBQM-2mPyn68-2mPvn8a-2mPiqeP-2mKS2e5-2mKCMei-23WGnxf-E4u3XA-BNXFPx-B8NzEb-BxCpRq-ACvZaD-BxCnkJ-nNA42u-o5MkBM

 

Grice e Rinaldini – filosofia italiana. By Luigi Speranza (Ancona). Filosofo. Nato in una famiglia aristocratica originaria di Siena, studia a Bologna. Aservizio di  Urbano VIII, ottenne da Barberini, nipote del Papa, la supervisione delle fortezze di Ferrara, Bondeno e Comacchio. Insegna a Pisa. Amico di Galilei e Borelli, il quale lo soprannomina Simplicio per la sostanziale fedeltà all'aristotelismo tradizionale. E in corrispondenza. Uno dei soci fondatori dell'Accademia del Cimento. Tuttavia ha numerose controversie con i suoi amici e con Redi e Ruberti. Nonostante il conformismo, si oppone alla teoria della virtù zoo-genetica delle piante, sostenuta dagl’altri accademici del Cimento, precedendo Malpighi con l'ipotesi che anche gl’insetti delle galle nascessero da uova deposte da individui della stessa specie.  Insegna a Padova. Saggi: “Philosophia rationalis, atque entità naturalis.” Un'altra delle sue glorie è la sua proposta di scala termo-metrica utilizzando come riferimento fisso il congelamento e l’ebollizione dell'acqua all'ordinaria pressione atmosferica. Ppropone di dividere l'intervallo in 12 gradi. Altre saggi: “Opus algebricum” (Ancona, Salvioni); “Opus mathematicum” (Bologna, Dozza); “Mathematica italiana”; “Geometra promotus” (Padova, Frambotti); “Ars analytica mathematum” (Firenze, Cocchini); “Ars analytica mathematum” (Padova, Pietro Maria Frambotto); “De resolutione atque compositione mathematica” (Padova, Frambotti); “Philosophia rationalis, naturalis, atque moralis opus in quo praesertim physica vniuersa ex accuratis naturalium effectuum observationibus deducta et ubi rei natura patitur geometrice demonstrata exhibetur” (Padova, Frambotti); “Ad artem quam ipse conscripsit mathematum analyticam paralipomena” (Padova, Frambotti); “Commercium epistolicum (Padova, Frambotti). Redi scienziato e poeta alla corte dei Medici, Lo sviluppo delle ricerche sulle galle,  F. Redi scienziato e poeta alla corte dei Medici  C.  Pighetti, Il vuoto e la quiete: scienza e mistica: E. Cornaro e C. Rinaldini, Milano: Angeli); Dizionario biografico degli italiani, Roma, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Museo Galileo di Firenze. Carlo Renaldini. Carlo Rinaldini. Rinaldini. Keywords: cimento, cimentare, provando e riprovando, del Cimento, filosofia naturale, filosofia razionale, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rinaldini” – The Swimming-Pool Library. 51736002006

 

Grice e Riondato – il metodo dell’etologia – filosofia italiana. Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Studia a Padova sotto Stefanini, Ferrabino, Padovani e Diano.  Studia l’Aristotele neo-latino. Uno dei galileiani. Ezio Riodato. Riondato. Keywords: il metodo dell’etologia, morale, morale classica, Aristotele neo-latino, Epitteto, l’enuniciazione, dell’interpretazione in Aristotele, crisi, metafisica e scienza in Aristotele. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Riondato” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736231788/in/datetaken/

 

Grice e Riverso – la forma del segno – filosofia italiana (Napoli). Filosofo. Studia a Napoli. Insegna a Salerno e Napoli. Ha spaziato dalla filosofia critica ed analitica, alla logica formale, è stato esperto in problemi di linguistica, di filosofia delle scienze e delle culture. Altri saggi Colpa e giustificazione nella reazione anti-immanentistica del "Roemerbrief" barthiano, Teologia esistenzialistica, La costruzione interpretativa del mondo, L’epistemologia genetica, Metafisica e scientismo, Filosofia e analisi del linguaggio, Dalla magia alla scienza, Conoscenza e metodo nel sensismo degl'ideologi, L’esperienza estetica,  la filosofia d’Occidente, Corso di storia della filosofia, Natura e logo, La razionalizzazione dell'esperienza,  La filosofia analitica, La filosofia,  Individuo, società e cultura. La psicologia del processo culturale, L’immagine dell'Universo. Astronomia e ideologia, Il pragmatismo, La spiritualità, Il linguaggio nella filosofia romana antica, Democrazia, iso-nomia e stato,  Una corrente filosofica; riferimento e struttura; Il problema logico-analitico in Strawson, Democrazia e gioco maggioritario, Filosofia del tempo,  La civilta e lo stato; Alle origini del pensiero politico, La carica dell'elettrone, Esperienza e riflessione, Forma culturale e paradigma umano; Le tappe del pensiero filosofico nella cultura d’Occidente, Paradigmi umano e educazione, Filosofia del linguaggio, Dalla forma al significato, Cose e parole, Come Bruno inizia a parlare: Diario di una maestra di sostegno, La rimozione dell'eros nel giansenismo, Civiltà, libertà e mercato nella città italica antica. (Roma). Un viaggio al centro dell'immaginario religioso e mistico che ha influenzato l'umanità,  morale e dottrina, Cogitata et scripta,  Filosofo del linguaggio, La Tribuna. Semiosi iconica e comprensione della Terra. Emanuele Riverso. Riverso. Keywords: la forma del segno, la tappa, le tappe, riferimento, ri-ferire, vico, animale raggionavole, magia e scienza, Giordano Bruno. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Riverso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702587144/in/photolist-2mLKfuq-2mLHNRM-2mLKgRJ-2mLMgSh

 

Roccoto be identified.

 

Grice e Rodano: immunità e comunità – filosofia italiana – i comunisti – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Fondatore del “catto-comunismo.”  E tra i fondatori del Movimento dei Cattolici Comunisti, poi Sinistra Cristiana. Studia a Roma. Frequenta la “Scaletta”. Milita nell'Azione Cattolica e nella FUCI, allora presieduta da Moro. Entra in contatto e collabora con anti-fascisti d'ispirazione cattolica (Ossicini, Pecoraro, Tatò e altri), comunista (P. Bufalini, A. Amendola, P. Ingrao, L. Radice e altri), del Partito d'Azione e liberali (U. Malfa, P. Solari, M. Fiorentino fra gl’altri).  Partecipa al Movimento dei Cattolici Anti-Fascisti. Con Ossicini e Pecoraro tra i promotori e dirigenti del “Partito Co-Operativista Sin-Archico” (poi “Partito Comunista Cristiano”) e ne redige i principali documenti. Fa parte, con Alicata e Ingrao, del triumvirato dirigente le due distinte organizzazioni clandestine, comunista e comunista cristiana. Scrive saggi sull’Osservatore Romano. Arrestato dalla polizia fascista in una generale retata dei militanti del partito comunista cristiano, e deferito al tribunale speciale con altri suoi dirigenti. Il processo non ha luogo per la caduta del fascismo e tutti vengono liberati poco dopo. Nel periodo badogliano ha intensi scambi d'idee con i compagni di partito e altre personalità anti-fasciste sulla linea da seguire. Stringe amicizia con Luca e Pintor. Collabora al “Lavoro”, diretto da Alicata (comunista), Vernocchi (socialista) e Gaudenti (cattolico). Sotto l'occupazione nazista di Roma fonda il “Movimento dei Cattolici Comunisti” e ne redige i documenti teorico-politici; scrive articoli sui 14 numeri usciti alla macchia di Voce Operaia, organo dello stesso movimento dei cattolici comunisti. Liberata Roma, il movimento di cattolici comunisti prende il nome di Partito della Sinistra Cristiana. Vi confluiscono i cristiano-sociali di G. Bruni. Vi partecipano anche Fe. Balbo, Sacconi, Barca, Amico, Chiesa, Valente, Mira, Tatò, Tedesco, Parrelli, Tranquilli, Rinaldini.  Stringe un rapporto di amicizia e collaborazione (che non sarà privo di momenti di dissenso critico) con Togliatti. Su Voce Operaia, pubblicata adesso legalmente, scrive numerosi saggi. In quattro di essi sostiene la prosecuzione dell'IRI e ciò segna l'inizio della sua amicizia con R.  Mattioli. S'incontrano, a casa di Rodano e con la sua mediazione, Togliatti e G. Luca, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano. A conclusione di un congresso straordinario, il partito della sinistra cristiana si scioglie. Sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al partito comunista italiano il compito di affrontare la questione cattolica, superando le pre-giudiziali a-teistiche e del dogmatismo marxista. Si adopera perciò per ottenere modifiche nello statuto del partito comuista italiano, che consentano l'iscrizione e la militanza in esso indipendentemente dalle convinzioni ideo-logiche e religiose, modifiche che saranno adottate dal partito comunista italiano nel suo congresso. Entrato nel partito comunista italiano,  scrive su periodici ufficiali di tale partito o ad esso vicini. Particolarmente numerosi i suoi saggi su Rinascita. Vi ha largo spazio l'invito ai cattolici a lavorare in politica e nelle altre dimensione della storia comune degli uomini in spirito di laicità, evitando quindi improprie commistioni con la fede religiosa. Questa posizione approfondita nel corso di tutta la sua opera ed essenziale per comprenderla contrasta con la linea della Chiesa di Pio XII, che coglie l'occasione di due suoi saggii sulla condizione economica del clero (Rinascita) per comminargli l'interdetto dai sacramenti, accusandolo di fomentare la lotta di classe all'interno delle gerarchie (L'interdetto e tolto sotto Giovanni XXIII). Cura i saggi politici di “Lo Spettatore Italiano”. Scrive sul Dibattito Politico, diretto da M. Melloni e U. Bartesaghi, teso a una difficile mediazione tra le posizioni politiche del mondo cattolico e di quello comunista e socialista, nel distinto riconoscimento dei rispettivi valori e motivi ideali. Vi collaborano tra gli altri G. Chiarante, Magri, Baduel, Salzano.  Durante il pontificato di Giovanni XXIII opera, tramite Togliatti, per la trasmissione ai dirigenti della proposta, primo, cauto sondaggio reciproco tra mondo cattolico e movimento comunista italiano.  A conclusione di un congresso straordinario, il PSC si scioglie. Rodano sostiene, con argomentato vigore, che non è più utile una formazione cattolica di sinistra, poiché incombe alla classe operaia nel suo insieme e perciò al PCI il compito di affrontare accolta, di uno scambio di messaggi in occasione del  compleanno di papa Roncalli. L'iniziativa sarà il primo segno di disgelo tra URSS e Santa Sede. Si svolge un serrato dialogo tra Rodano e Augusto Del Noce, che mette in chiaro la diversità delle rispettive posizioni. Fonda, con C. Napoleoni, La Rivista trimestrale, affrontando nodi teorici e politici di fondo. Ancora con Napoleoni, e con Michele Ranchetti, dirige la Scuola Italiana di Scienze Politiche ed Economiche,  rivolta a militanti del movimento dell'epoca. Collabora alla rivista “Settegiorni”, diretta da Ruggero Orfei e Piero Pratesi, in cui fra l'altro scrive una serie di interventi d'intensa riflessione teologica, le Lettere dalla Valnerina. Chiusasi l'esperienza della Rivista Trimestrale, Rodano scrive sui Quaderni della Rivista Trimestrale, diretti da M. Reale, cui collaborano, insieme a F. Sacconi, E. Salzano, V. Tranquilli, G. Gasparotti, F. Rinaldini, M. Reale, R. Agata, C. Vincenti, A. Montebugnoli, P. Padoan, S. Sacconi, A. Zevi, Giaime e Giorgio Rodano, e altri.  Lo si considera l'esponente più autorevole del “catto-comunismo”: "i rapporti di Rodano con il mondo cattolico sono stati indagati a fondo. Quelli con Togliatti (che furono rapporti personali assai intensi) assai poco, come quelli con Berlinguer (all'Istituto Gramsci si conservano tre vaste memorie che scrive per Berlinguer), anche se il rapporto stretto di questi con A. Tatò è sufficiente a delinearne l'influenza".  Nella stagione del compromesso storico proposto da E. Berlinguer e oggetto prima di attenzione, poi di cauta convergenza da parte di A. Moro, Rodano elabora i fondamenti teorici di una politica diretta a non ridurre l'incontro tra le grandi forze storiche del comunismo, del socialismo e del cattolicesimo democratico a una mera operazione di governo, ma a farne una strategia di lungo periodo di trasformazione della società. Quella stagione e quelle prospettive vengono improvvisamente troncate dall'assassinio di Moro. S'intensificano, all'epoca, i suoi contatti personali con esponenti del PCI, del PSI, della DC e di altri partiti (La Malfa, Malagodi, Visentini), su problemi politici a breve e lungo termine. Pubblica alcuni libri, scrive articoli su vari periodici e sul quotidiano Paese Sera, quasi settimanalmente. Altre saggi: “Sulla politica dei comunisti” (Boringhieri, Torino); “Questione demo-cristiana e compromesso storico” (Riuniti, Roma), “Lenin da ideologia a lezione” (Stampatori, Torino); “Lettere dalla Valnerina” (P. Pratesi, La Locusta, Vicenza); “Lezioni di storia possibile (V. Tranquilli e G.Tassani, Marietti, Genova); “Lezioni su servo e signore” (V. Tranquilli, Riuniti, Roma); “Cattolici e laicità della politica” (V. Tranquilli, Riuniti, Roma); “Cristianesimo e società opulenta” (M. Mustè, Ed. di Storia e letteratura, Roma) Saggi sono spubblicati in numerosi periodici e quotidiani, tra i quali l'Osservatore Romano, Primato, Voce Operaia  Rinascita Il Politecnico, Unità, Vie nuove, Società, Cultura e realtà, Lo Spettatore Italiano, Il Contemporaneo, Il Dibattito Politico, Argomenti, La Rivista Trimestrale, Settegiorni, Quaderni della Rivista Trimestrale, Paese Sera, Città Futura, Nuova Società, e Il Regno. I saggi più importanti, pubblicati sulla Rivista Trimestrale e sui successivi Quaderni, sono “Risorgimento e democrazia, Il processo di formazione della società opulenta”; “Il pensiero cattolico di fronte alla società opulenta”; “Egemonia riformista ed egemonia rivoluzionaria”; “Nota sul concetto di rivoluzione”; “Significato e prospettive di una tregua salariale; “Il centro-sinistra e la situazione del paese”; “Marx, A proposito del convegno delle ACLI a Vallombrosa”; “Su alcune questioni sollevate dal movimento studentesco; “Con Dopo Praga: considerazioni politiche sulla storia del movimento operaio, A proposito dell'autunno caldo”; “Considerazioni sulla dialettica sociale dell'opulenza”; “La peculiarità del partito comunista italiano”; “Dopo il congresso del partito comunista italiano: il nodo al pettine”, “I germi di comunismo”; “La questione demo-cristiana”; “La proposta del compromesso storico”; “Dopo la morte di Mao Tse-tung: la lezione di una grande esperienza (con V. Tranquilli); “Considerazioni sulla strategia dei comunisti italiani”; “Egemonia e libertà delle opinioni”; “Considerazioni sui fenomeni di eversione giovanilistica”; “La politica come assoluto”; “Note sulla questione giovanile”; “La giovinezza, specificità umana e condizione storica Dopo la lettera di Berlinguer al vescovo di Ivrea: laicità e ideologie”; “Alla radice della crisi”; “L'incompatibilità tra capitalismo e democrazia”; “È possibile una soluzione reazionaria?” “Idee e strumenti della manovra reazionaria”; “Roluzione”; “Filosofia della storia”; Rivoluzione in Occidente e rapporto con l'URSS,  Il senso di una grande lezione: per una lettura critica di Lenin”; “Per un bilancio del compromesso storico”; “Innovazione e continuità”; “Contratti e costo del lavoro: imprese e sindacati, partiti e istituzioni”; “La chiesa di fronte al problema della pace”. P.  Craveri, Una critica pregnante, in Mondoperaio, Teorico del compromesso storico Archiviolastamp. Noce: Lettera a F. Rodano (lRegno-attualità,); Maria Lisa Cinciari: Cattolici comunisti (in Enciclopedia dell'anti-fascismo e della resistenza, Milano); L. Bedeschi: Cattolici e comunisti (Feltrinelli, Milano); M. Cocchi, P. Montesi: Per una storia della Sinistra cristiana (Coines, Roma), Casula: Cattolici-comunisti e Sinistra cristiana (Il Mulino, Bologna); G. Tassani: Alle origini del compromesso storico (EDB, Bologna); G. Ruggieri, R. Albani: Cattolici comunisti? (Queriniana, Brescia); M. Repetto: Il movimento dei cattolici comunisti: problemi storici e politici (in Quaderni della Rivista Trimestrale);: Ricordo, F. Broglio, "Un cristiano nella sinistra", in "Nuova Antologia", G. Giannantoni, M. Alema, P. Ingrao: Dibattito in Rivista Trimestrale, Nuovo Spettatore Italiano, G. Bella: “Lo Spettatore Italiano” (Morcelliana, Brescia); M. Papini: Tra storia e profezia: la lezione dei cattolici comunisti (Univ., Roma); E. Landolfi, Rodano, La rivoluzione in Occidente, Palermo, Ila Palma, M. Raimondo: solitudine e realismo del comunista cattolico (Galzerano, Salerno); M. Tronti: Una riflessione, (in Rivista Trimestralen. M. Manacorda: lettore di Marx in Critica marxista, C. Napoleoni, Cercate ancora, Ed. Riuniti, R. Valle); C. Napoleoni, Teoria politica, A. Noce: Il comunista (Rusconi, Milano); V. Tranquilli: Fede cattolica e laicità della politica  (in Teoria Politica); V. Tranquilli: Realtà storica e problemi teorici della democrazia  (in Bailamme,.M. Reale: Sulla laicità. Considerazioni intorno alle relazioni fra atei e credenti (in Novecento, R. Bellofiore: Pensare il proprio tempo. Il dilemma della laicità in Claudio Napoleoni  (in Per un nuovo dizionario della politica, Ed. Riuniti, Roma, L. Capuccelli); M. Lucente: La riflessione teorica di Rodano dalla Sinistra Cristiana alla “Rivista Trimestrale” (Tesi di laurea in scienze politiche, Milano); Istituto Gramsci: Convegno commemorativo di Rodano, Roma), M. Mustè, “Critica delle ideologie e ricerca della laicità” (Mulino); R. Albani: La storia comune degli uomini. Rileggendo Rodano (in Testimonianze, M. Papini: La formazione di un giovane cattolico nella seconda metà degli anni Trenta: Tra la Congregazione mariana “La Scaletta” e il liceo “Visconti” (in Cristianesimo e storia, V. Possenti: Cattolicesimo e modernità. Balbo, Noce, Rodano (Milano, M. Mustè: Fra Del Noce e Rodano: il dibattito sulla società opulenta, La Cultura, M. Mustè: Rodano: laicità, democrazia, società del superfluo (Studium, Roma). "Cristianesimo e società opulenta", a cura e con introduzione di Marcello Mustè (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, V. Parlato: L'utopia in Manifesto, E. Melchionda: Gli anni di Rodano (in Aprile,  Gabriele De Rosa, "Franco Rodano; il cristianesimo e la società opulenta", in "Ricerche di storia sociale e religiosa", anno G. Chiarante: Tra De Gasperi e Togliatti. Memorie (Carocci, Roma; M. Pandolfelli: Marxismo, Scienze politiche, Roma. S.d.). G.Tassani:"Il Belpaese dei Cattolici", Cantagalli,"La traccia e la prospettiva teorica di  Rodano". R. Moro. FRodano e la storia del 'partito cattolico' in Italia", in A. Botti, Storia ed esperienza religiosa. Urbino, Quattro Venti, Hanno detto di lui: la sua vita testimonia, in modo esemplare, quanto possa essere forte, nell’uomo, la dedizione all’impegno intellettuale e ai grandi ideali, tra i quali la politica intesa nel senso più nobile e più alto dell’accezione. Portatore d’una fede religiosa profondamente sentita e sofferta, ha avuto costantemente con sé il dantesco “angelo della solitudine”: durante l’intera sua vita, infatti, mai si è sottratto al rovello e al dubbio; mai ha preferito la comoda via dei pigri, degli opportunisti e dei neutrali. La sua prima “scelta di campo” nell’Italia divisa in due,  fu doppiamente coraggiosa: la resistenza al nazi-fascismo ed il tentativo di conciliare nel Movimento dei cattolici comunisti i valori della tradizione cristiana e cattolica con quelli della rivoluzione d’ottobre. E così continuò senza paura e con sacrificio personale in tutti questi anni promuovendo con le sue tesi, tra consensi e dissensi, un continuo dibattito. La sua “inquietudine” fu, dunque, sincera e feconda, sorretta da uno spirito virile, ma al fondo sensibile ed umanissimo. Certamente sarà ricordato dallo storico del futuro con queste sue peculiarità di intellettuale originale, pugnace e coraggioso. In questo modo l’ho visto e conosciuto, e così rimarrà per sempre nella mia memoria. S. Pertini, Quaderni della Rivista Trimestrale,. “ritengo che la sua vita e la sua opera abbiano fornito una prova concreta e significativa della validità di due principi che egli ha serenamente professato e praticato e che, anche con il suo personale contributo, sono acquisiti al patrimonio teorico e ideale del Partito comunista. Il primo è la distinzione e l’autonomia reciproca della politica e della fede religiosa (o della convinzione filosofica o del “credo” ideologico). Il secondo è l’affermazionefatta da Togliatti, formulata in una tesi approvata dal X congresso del partito e sviluppata poi nelle tesi del XV congressosecondo la quale un cristianesimo genuinamente vissuto non soltanto non si oppone, ma è anche in grado di sollecitare un’azione che può contribuire alla battaglia per la costruzione di una società più umana, più libera e più giusta di quella capitalista. E. Berlinguer, Quaderni della Rivista Trimestrale. C’era nella sua avversione al misticismo, all’indistinto, all’anarchismo, una grande lezione di umanesimo storico e costruttivo. La drammaticità con cui sentiva i rischi di un capovolgimento della democraziavissuta nei suoi angusti limiti democraticisticiin corporativismo e in anarchia, e, quindi, la possibilità di una replica autoritaria, è tuttora inscritta nella nostra vita quotidiana, nella fase che stiamo attraversando. Bene: distinguere per collegare; stabilire i confini del campo di ciascuno, da cui discende l’autonomia della politica dalla religione e dalle ideologie. Per questo ritengo che occorra respingere le sollecitazioni di quanti pensano di poter rimuovere la questione di fondo posta da Rodano. Quella questione oggi riguarda, a mio avviso, il confine mobile tra progresso e conservazione” A. Occhetto, Quaderni della Rivista Trimestrale, Per chi ha seguito, anche talvolta dissentendo, il pensiero di Rodano e lo ha spesso messo a confronto con la visione di Moro, appare chiaro che gli insegnamento di Rodano come quelli di A. Moro non hanno solo valore per la ricostruzione storica di una fase politica conclusa, ma hanno invece valore e significato come guida per la costruzione di un processo di allargamento della democrazia, di sviluppo e di confronto e di un dialogo che sono ancora più che mai attuali, perché attuali e non risolti sono i grandi problemi nazionali che richiedono sì maggioranze e governi più efficaci e risoluti, ma anche un più largo consenso popolare da realizzarsi col confronto, col dialogo, con la partecipazione, sia pure a vario titolo, ad un unico disegno di tutte le forze politiche rappresentative dell’intera realtà popolare. G. Galloni, Quaderni della Rivista Trimestrale, “benché creda che la storia sia opera di molti, e non di singole personalità pur spiccatissime, ho sempre ritenuto che il ruolo esercitato da Rodano nella vicenda italiana di questi decenni sia stato assolutamente fuori del comune, e portatore di cambiamento come a pochissimi altri è stato dato. Ciò dico soprattutto in riferimento alla storia e alle trasformazioni del partito comunista italiano, nei cui confronti Rodano ha esercitato una funzione liberatrice e maieutica che, se non temessi di far torto alla complessità del processo di un grande movimento di massa e agli innumerevoli apporti di cui esso è sostanziato, non esiterei a definire demiurgica.»  R. Valle, Quaderni della Rivista Trimestrale. Lasciamo ad altri le banalità sul consigliere del principe o sul consulente per i rapporti con il mondo cattolico o con il Vaticano. Togliatti ne fu attratto e interessato certo, anche perché l’esperienza di Rodano, le sue riflessioni, le sue frequentazioni arricchivano il Partito di qualcosa che altrimenti non sarebbe venuto. Forse qualcosa di analogo era stato per Gramsci e per Togliatti l’incontro con Godetti. Che conoscesse e stimasse Ottavini, che fosse intimo di Luca, non era importante perché ciò rappresentava un “canale”. E iuttosto decisivo che un giovane così ascoltasse e parlasse, che si trovasse a casa sua tra i comunisti, che per farlo soffrisse fino alla persecuzione vaticana, riuscendo sempre ad essere fedele nel senso più pieno del termine. G. Paietta, Quaderni della Rivista Trimestrale. Rrimane uno dei pochi uomini la cuia filosofia rende possibile l’appellativo di femminista anche per un appartenente al sesso maschile. La sua continua attenzione dalla questione femminile derivava, certo, da una molteplicità di circostanze. Vi influiva la ricerca su quello che egli stesso define il processo di umanizzazione dell’uomo, nel cui quadro la liberazione della donna costitusce ben più di una semplice componente o misura, ma piuttosto una delle condizioni decisive per una reale, generale fuoruscita dall’alienazione e dallo sfruttamento umano. Oggi più d’uno ambirebbe, revanchisticamente, a considerare conclusa la stagione femminista. E invece il vero problema per le donne, per la democrazia, per il mutamento, è la perpetuazione e il saldo attestarsi a un livello superiore del femminismo. Per questo il messaggio che può ben a ragione essere definito femminista nell’accezione più onnicomprensiva ed elevata, risulta tuttora rivolto alla speranza e soprattutto all’impegno: quell’impegno per cui egli ha consumato generosamente, e certo positivamente anche per la causa femminile, tutta intiera la sua vita. G. Tedesco, Quaderni della Rivista Trimestrale. Il mio primo interrogativo riguarda le scelte politiche che egli ha fatto, ponendosi come cattolico in contrasto con alcune direttive ecclesiastiche. Dove ha trovato forza e serenità, pur con sofferenza, per queste opzioni non rinunciando alla sua fede e alla sua appartenenza ecclesiale, sempre professata? Non ho trovato altra risposta che la sua fede teologale. La fede di Franco non era credenza dottrinale, magari utilizzata ideologicamente, o sottomissione alla gerarchia che poi si muta in ribellione; era adesione cosciente e ferma a Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, ancora vivente nella Chiesa. Questa fede comporta quel “sensus fidei” (ne ha parlato il Vaticano II nella Lumen Gentium) che diventa giudizio pratico nelle concrete situazioni per scelte che siano conformi alla volontà di Dio. È il discernimento di cui parla san Paolo nella Lettera ai Romani (12, 2) e che tanta parte ha nella dottrina spirituale cristiana. D. Torre, Quaderni della Rivista Trimestrale, Il rapporto con la chiesa, sia come comunità di fede che come istituzione, senza mediazioni di un partito cattolico rappresentava per Rodano un’occasione e una garanzia per depurare il movimento comunista non solo dall’ateismo scientista, ma anche di una visione totalizzante della rivoluzione politica e sociale. Il mito del regno dei cieli sulla terra e di una storia senza alienazioni. Corrispettivamente il movimento comunista e il portatore necessario di una trasformazione della società che non si presentasse come inveramento e compimento della razionalità illuministica, della rivoluzione borghese, ma anche e soprattutto come loro rovesciamento dialettico, e perciò offre un fondamento storico e materiale ad un mondo in cui le persone diventano centro e misura, liberate dalla rei-ficazione capitalistica, e perciò stesso base reale di un pieno sviluppo di un cristianesimo, non integralista, ma consapevole, diffuso, praticabile. L. Magri. E. Melchionda, in "Aprile", Dall'utopia alla secolarizzazione, G. Vassallo, Il consigliere di Berlinguer che ama la Contro-Riforma. Giornalista politico  P. Franchi, Corriere della Sera, Archivio storico. Treccani L'Enciclopedia italiana". Franco Rodano. Rodano. Keywords: immunità e comunità – filosofia italiana – i comunisti, il laico, democrazia, revoluzione, lotta di classe, societa opulenta, peculiarita dei comunisti italiani, anti-fascismo, arrestato dai fascisti. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rodano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736193243/in/dateposted-public/

 

Grice e Romagnosi – filosofia italiana. Luigi Speranza (Salsomaggiore Terme). Filosofo. Important Italian philosopher. L'etica, la politica ed il diritto si possono bensì distinguere, ma non disgiungere. Non esiste un'etica pratica, se non mediante le buone leggi e le buone amministrazioni. Figlio di Bernardino e Marianna Trompelli, studia a Piacenza e Parma. Insegna a Parma e Pavia. Membro "Società letteraria di Piacenza" dove legge i suoi saggi: “Discorso sull'amore considerato come motore precipuo della legislazione”; “Discorso sullo stato politico della nazione italiana”; “L’opinione pubblica. Uno degl’Ortolani. Pubblica la “Genesi del diritto penale”; Cosa è eguaglianza e, Cosa è libertà; Primo avviso al popolo, che mostrano simpatie rivoluzionarie. Il suo incarico gli procura contrasti con il principe di Trento, il conte Pietro Vigilio Thun. Questi gli concede comunque il titolo di consigliere aulico d'onore. Schiere contro i principi della rivoluzione francese. Accusato di giacobinismo, è incarcerato a Innsbruck. Scrive “Delle leggi dell'umana perfettibilità per servire ai progressi delle scienze e delle arti”. Scopre gli effetti magnetici dell'elettricità. Romagnosi anticipato la scoperta dell'elettromagnetismo. Pubblica “Quale e il governo più adatto a perfezionare la legislazione civili”.Fonda il Giornale di giurisprudenza universale. Pubblica le Istituzioni di Diritto amministrativo e Della costituzione di una monarchia costituzionale rappresentativa. Rerduna intorno a Milano una scuola alla quale si formarono alcuni dei nomi più illustri del Risorgimento italiano: G. Ferrari, C. Cattaneo, C. Cantù, e Defendente e G. Sacchi. Collabora alla Biblioteca Italiana. Pubblica l’Assunto primo della scienza del diritto naturale. E arrestato e incarcerato a Venezia con l'accusa di partecipazione alla congiura ordita da S. Pellico, P. Maroncelli e F. Confalonieri. Pubblica Dell'insegnamento primitivo delle matematiche e Della condotta delle acque.  Pubblica le Istituzioni di civile filosofia ossia di Giurisprudenza Teorica. Dirige gl’Annali Universali di Statistica  Tra i maggiori filosofi italiani, nel rinnovamento del pensiero giuridico italiano richiesto dalla necessità di codificare i nuovi interessi delle classi borghesi emersi con la Rivoluzione francese e consolidati nel successivo Codice napoleonico, è legata alla fondazione di una nuova scienza del diritto pubblico, penale e amministrativo, con uno spirito scientifico settecentesco illuministicamente volto all'unificazione delle scienze giuridiche, naturali e morali. Studia pertanto la vita sociale nelle sue componenti storiche, giuridiche, politiche, economiche e morali. Considera l'uomo nelle forme della sua esistenza storica, nei modi in cui concretamente pensa e agisce in un contesto sociale determinato. In questo modo lo studio della storia rivela lo sviluppo dell'incivilimento umano.  Nella “Genesi del diritto penale”, opera che gli dette notevole fama e non solo in Italia, riprendendo tesi di Beccaria, pone i problemi dell'utilità della punizione, della natura della colpa e del diritto. Dà una giustificazione razionale della società che gli appare un'unione necessaria tra gli uomini, dialetticamente rapportati nel rispetto di una disciplina condivisa. L'uomo è lo stesso sia nello stato di natura che in quello di società, malgrado le diversità delle forme sociali. Pertanto gli uomini hanno un diritto di socialità importante e sacro, quanto quello della conservazione di se stesso. La società è per lui l'unico stato naturale dell'uomo, respingendo così la dottrina di uno stato di natura anteriore allo stato sociale. Il cosiddetto stato di natura è solo un diverso stato sociale nella storia dell'umanità.  Nell'Introduzione allo studio del diritto pubblico universale, premesso che ogni complesso giuridico di basarsi sul bisogno della comunità, sostiene che lo scopo del diritto e il rafforzamento delle strutture civili e politiche della società.  Nell'Assunto primo della scienza del diritto naturale, riprende temi già sviluppati nella Genesi del diritto. Sostiene che nella natura è tanto il principio di individualità quanto quello di socialità e pertanto lo sviluppo umano avviene naturalmente verso uno stato di società, l'unico in cui si sviluppa l'incivilimento - termine ricorrente nei suoi scritti - un continuo processo verso stadi più avanzati di perfezionamento morale, civile, economico e politico.  E ancora nel Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento, con esempio del suo risorgimento in Italia si pone il problema di quale sia il motore del progresso umano nella storia: la tesi è che la società umana è l'organismo fattore di progresso, essendo in sé dotata di forze agenti in particolari condizioni storiche e ambientali. Lo sviluppo civile, suddiviso dal Romagnosi in quattro periodo, l'epoca del senso e dell'istinto, l'epoca della fantasia e delle passioni, l'epoca della ragione e dell'interesse personale e l'epoca della previdenza e della socialità, vede un costante trasferimento, agl’organismi pubblici rappresentativi, delle funzioni sociali come se la natura si trasferisse progressivamente nella funzione rappresentativa. Il punto d'arrivo della civiltà è una forma sociale in cui prevalgono la proprietà e il sapere. Tale processo non è lineare. Il diritto romano si afferma in condizioni civili arretrate. Ma, come una macchina i cui meccanismi migliorano nel tempo, la sua azione progressivamente perfezionata fa sorgere dal fondo delle potenze attive un sempre nuovo modo di riazioni e quindi di effetti variati. L'incivilimento appare così una cosa complessa risultante di molti elementi e da molti rapporti formanti una vera finale unità simile a quella di una macchina, la quale scindere non si può senza annientarla. Il motore di siffatta macchina è il commercio, sviluppato a sua volta dal progresso dello stato sociale. Guardando allo sviluppo storico nazionale, vede nel Medioevo l'epoca in cui la città diviene luogo di aggregazione di possidenti, artisti, commercianti e dotti, favorendo le condizioni per la nascita dello stato italiano anche se ai comuni medievali manca uno spirito politico nazionale perché presero la strada dal ramo industriale e commerciale per giungere al territoriale. Essi dunque ripigliarono l'incivilimento in ordine inverso. In quest'ordine trovarono i più gravi ostacoli avendo dovuto separare la professione delle armi da quella delle arti e della mercatura. Per questo bisogna sempre porsi il problema di un corretto modo di sviluppo e ora, nella società industriale, l'incivilimento è una continua disposizione delle cose e delle forze della natura pre-ordinata dalla mente ed eseguita dall'energia dell'uomo in quanto tale disposizione produce una colta e soddisfacente convivenza. Nella Collezione degli articoli di economia politica e statistica civile si trova espressa la fiducia nella sviluppo capitalistico e nella libera concorrenza economica, difesa contro le tesi del Sismondi che vede nello sviluppo industriale una spaventosa sofferenza in parecchie classi della popolazione. I poteri pubblici fano rispettare le corrette regole della libertà di con-correnza, cosa che non avviene in Inghilterra dove ora si favorisce il popolo contro i mercanti, ora i possidenti e i mercanti contro il popolo e intanto si applica ancora il protezionismo. E inoltre un paese in cui non si applica il diritto romano, fonte di equità civile. La mentalità empirica degl’inglesi non consente loro di pre-vedere ma solo di constatare i fatti. Polemizza col Saint-Simon, dottrinario che ostacola la libera con-correnza, assegna ogni ramo d'industria a guisa di privilegio personale, favorisce il popolo miserabile contro i produttori e abolire il diritto di eredità. I saintsimoniani vogliono far lavorare e poi lavorare senza dirmi il perché. Progresso non è che lavoro. Questo è l'ultimo termine, questo è il premio. L'uomo, secondo Saint–Simon, dovrebbe sempre progredire lavorando con una indefinita vista e senza stimolo. Ma voler far progredire l'industria e il commercio col togliere la possidenza è come voler far crescere i rami col distruggere il tronco. La proprietà ha un carattere naturale e, come la natura è la base di ogni società, negare la proprietà significa distruggere ogni possibilità di convivenza civile.  Partendo dalla sua vasta esperienza giurisprudenziale e politica, auspica una nuova forma di filosofia civile, che studia le forme e condizioni dell'incivilimento storico della nazione italiana, scoprendo la legge massima e unica delle vicende politiche, sociali e culturali dei popoli.  Riguardo al problema gnoseologico, per Romagnosi la conoscenza proviene dai sensi ma la sensazione non è di per sé ancora conoscenza, la quale si ottiene solo quando l'intelletto ordina e interpreta le sensazioni secondo proprie categorie, definite logìe, con cui diamo segnature razionali alle segnature positive. Chiama compotenza questa mutua concorrenza di sensazioni provenienti dall'esterno e di elaborazione della nostra mente. Le logìe non sono idee già formate nel momento della nostra nascita, ma a loro volta sono il risultato della riflessione operata sull'esperienza empirica. Sono dunque a posteriori rispetto alle sensazioni passate e a priori rispetto alle sensazioni attuali. Pertanto la conoscenza è in definitiva un a posteriori con un contenuto base empirico. Ma cosa conosciamo in realtà? I sensi non danno conoscenza delle cose in sé, ma di ciò che percepiamo delle cose. Conosciamo la rappresentazione che ci formiamo della cosa. Se il fenomeno non e copie esatta del reale, tuttavia e UN SEGNO a cui corrisponde in natura un’essere reale. Pertanto, una cosa esiste fuori di noi, non e una creazione di un io trascendentale.  Non essendoci evidentemente posto per una metafisica nella sua costruzione filosofica, e attaccato dagl’spiritualisti e in particolare da Serbati. Può a buon diritto essere considerato il precursore del positivismo italiano. Considera la contrapposizione di classico e romantico – nata nell'immediatezza della restaurazione e trascinatasi per oltre un ventennio con implicazioni letterarie, linguistiche e anche politiche - come impropria. Cerca di dare una soluzione alla controversia attraverso la sua concezione ilichiastica, cioè relativa al tempo, della letteratura, secondo la quale la filosofia e consone all'età e al gusto del popolo italiano, e suggere che le opere contemporanee dovessero corrispondere sempre al pensiero moderno di un popolo. L'ilichiastismo si rifà in sostanza alle sue concezioni sulla formazione della civiltà. Così espose la sua dottrina in Della Poesia, considerata rispetto alle diverse età della nazione italiana. Sei tu romantico? Signor no. Sei tu classico? Signor no. Che cosa dunque sei? Sono “ilichiastico”, se vuoi che te lo dica in greco, cioè adattato alle età. Misericordia! che strana parola! spiegatemela ancor meglio, e ditemi perché ne facciate uso, e quale sia la vostra pretensione.  La parola “ilichiastico” che vi ferisce l'orecchio è tratta dal greco, e corrisponde al latino “aevum”, “aevitas”, e per sincope, “aetas”, “eta,” la quale indica un certo periodo di tempo, e in un più largo senso, il corso del tempo. Col denominarmi pertanto “ilichiastico,” io intendo tanto di riconoscere in fatto una filosofia relativa all’età, nelle quali si sono ri-trovato  e si trovera il popolo italiano, quanto di professare principj, i quali sieno indipendenti da fittizie istituzioni, per non rispettare altre leggi che quelle del gusto, della ragione e della morale.  Ma la divisione di romantico e classico, voi mi direte, non è dessa forse più speciale? Eccovi le mie risposte. O voi volete far uso di queste due parole, ‘classico’ e ‘romantico,’ per indicare nudamente il tempo, o volete usarne per contrassegnare il *carattere* della filosofia nelle diverse età. Se il primo, io vi dico essere strano il denominare ‘classica’ la filosofia antica, e filosofia romantica la media e moderna. L’eta antica (palio-evo), l’eta media (medio-evo), e l’eta moderna (neo-evo), sono fra loro distinti non da una divisione artificiale e di convenzione, ma da una effettiva rivoluzione. Se poi volete adoperare le parole di ‘classico’ e di ‘romantico’ per contrassegnare il carattere della filosofia italiana nelle diverse età, a me pare che usiate di una denominazione impropria. Quando piacesse di contrassegnare la filosofia coi caratteri delle tre diverse età (paleo-evo, medio-evo, neo-evo), parmi che dividere si potrebbe in filosofia eroica (filosofia antica), teocratica (filosofia del medio-evo), e civile (neo-evo, moderna eta). Questi caratteri hanno successivamente dominato tanto nella prima coltura, che fu sommersa dalle nordiche invasion dei barbari longobardi, quanto nella seconda coltura, che fu ravvivata e proseguita fin qui. Questi caratteri non esistettero mai puri, ma sempre mescolati. Dall'essere l'uno o l'altro predominante si determina il genere, al quale appartiene l'una o l'altra produzione filosofica. Vengo ora alla domanda che mi faceste, se io classico o romantic. E ponendo mente soltanto allo spirito di essa, torno a rispondervi che io non sono (né voglio essere) né romantico, né classico, ma adattato  alla mia eta, ed al bisogno della ragione, del gusto e della morale. Ditemi in primo luogo. Se io fossi nobile ricco, mi condannereste voi perché io non voglia professarmi o popolano grasso, o nobile pitocco? Alla peggio, potreste tacciarmi di orgoglio, ma non di stravaganza. Ecco il caso di un buon italiano in fatto di filosofia. Volere che un filosofo italiano sia tutto classico, egli è lo stesso che volere taluno occupato esclusivamente a copiare diplomi, a tessere alberi genealogici, a vestire all'antica, a descrivere o ad imitare gli avanzi di medaglie, di vasi, d'intagli e di armature, e di altre anticaglie, trascurando la coltura attuale delle sue terre, l'abbellimento moderno della sua casa, l'educazione odierna della sua figliuolanza. Volere poi che il filosofo italiano sia affatto romantico, è volere ch'egli abiuri la propria origine, ripudj l'eredità de' suoi maggiori per attenersi soltanto a nuove rimembranze specialmente germaniche. Voi mi domanderete se possa esistere questo terzo genere, il quale non sia né classico né romantico? Domandarmi se possa esistere è domandarmi se possa esistere una maniera di vestire, di fabbricare, di “con-versare”, di scrivere, che non sia né antica, né media, né moderna. La risposta è fatta dalla semplice posizione della quistione. Ma questo terzo genere e desso preferibile ai conosciuti fra noi. Per soddisfarvi anche su tale domanda osservo primamente che qui non si tratta più di qualità, bensì di bellezza o di convenienza. In secondo luogo, che questa quistione non può essere decisa che coll'opera della filosofia del gusto, e soprattutto colla cognizione tanto dell'influenza dell'incivilimento sulla filosofia, quanto degli uffizj della filosofia a pro dell'incivilimento. Non è mia intenzione di tentare questo pelago. Osservo soltanto che questo terzo genere non può essere indefinito. E necessariamente il frutto naturale dell'età nella quale noi ci troviamo, e si troveranno pure i nostri posteri. Noi dunque non dobbiamo sull'ali della metafisica errare senza posa nel caos dell'idealismo, per cogliere qua e là l’ idea archetipo di questo genere. Dobbiamo invece seguire la catena degli avvenimenti, dai quali nella nostra età, essendo stata introdotta una data maniera di sentire, di produrre, e quindi di gustare e di propagare il bello, ne nacque un dato genere, il quale si poté dire perciò un frutto di stagione di nostra età. Per quanto vogliamo sottrarci dalla corrente, per quanto tentiamo di sollevarci al di sopra dell’ignoranza e del mal gusto comune, noi saremo eternamente figli del tempo e del luogo in cui viviamo. Il secolo posteriore riceve per una necessaria figliazione la sua impronta dal secolo anteriore. E tutto ciò derivando primariamente dall'impero della natura che opera nel tempo e nel luogo, ne verrà che il carattere filosofico, comunque indipendente dalle vecchie regole dell'arte, perché flessibile, progressivo, innovato dalla forza stessa della natura, e necessariamente determinato, come è determinato il carattere degl’animali e delle piante, che dallo stato selvaggio vengono trasportate allo stato domestico.  Posto tutto ciò, l'arbitrario nel carattere della filosofia cessa di per sé. Si puo allora disputare bensì se il bello ideale coincide o no col bello volgare; se il gusto corrente possa essere più elevato, più puro, più esteso; ma non si potrà più disputare se le sorgenti di questo bello debbano essere la mitologia pagana piuttosto che i fantasmi cristiani, i costumi cavallereschi piuttosto che gl’eroici, le querce, i monti o i castelli gotici, piuttosto che gli archi trionfali, le are e i templi romani. Il carattere attuale sarà determinato dall'età attuale e dalla località. Vale a dire dal genio nazionale italiano eccitato e modificato dalle attuali circostanze, il complesso delle quali forma parte di quella suprema economia, colla quale la natura governa le nazioni della terra…  Finisco quest'articolo col pregare i miei concittadini a non voler imitare le femminette di provincia in fatto di mode, e ad informarsi ben bene degli usi della capitale. Leggano gli scritti teoretici, e soprattutto le produzioni della filosofia settentrionale, e di leggieri si accorgeranno che se havvi in essa qualche pizzo di romantica poesia, niuno si è mai avvisato né per teoria né per pratica di essere né esclusivamente romantico né esclusivamente classico nel senso che si dà ora abusivamente a queste denominazioni. Troveranno anzi essersi trattati argomenti, e fatto uso di similitudini e di allusioni mitologiche anche in un modo, che niun latino o romano o italiano antico meridionale si sarebbe permesso. Il solo libro dell'Alemagna della signora di Staël ne offre parecchi esempi.  Il pretendere poi presso di noi il dominio esclusivo classico, egli è lo stesso che volere una poesia italiana morta, come una lingua italiana morta. Quando il tribunale del tempo decreta questa pretensione, io parlo con coloro che la promossero. Durante il periodo del Regno italico, e niziato massone nella Loggia "Reale Giuseppina" di Milano, di cui fu in seguito Oratore e Maestro Venerabile. Fu Grande Esperto all'atto della fondazione del Grande Oriente d'Italia, esponente di primo piano della Massoneria di Palazzo Giustiniani, Grande Oratore aggiunto del Grande Oriente d'Italia e in questa funzione autore di vari discorsi massonici. Saggi: Genesi del diritto penale; Che cos'è uguaglianza; Che cos'è libertà, Introduzione allo studio del diritto pubblico universale; Principi fondamentali di diritto amministrativo,  Della costituzione di una monarchia nazionale rappresentativa, Dell'insegnamento primitivo delle matematiche, Della condotta delle acque, Che cos'è la mente sana?, Della suprema economia dell'umano sapere in relazione alla mente sana, Suprema economia dell'umano sapere, Della ragion civile delle acque nella rurale economia, Vedute fondamentali sull'arte logica, Dell'indole e dei fattori dell'incivilimento con esempio del suo risorgimento in Italia, Collezione degli articoli di economia politica e statistica e civile, Opere, con annotazioni di Alessandro De Giorgi, vol. 1, Milano, Perelli e Mariani, Opere, Milano, Perelli e Mariani, La scienza delle costituzioni,  I Discorsi Libero-Muratori, L'Acacia Massonica, Scritti filosofici, Milano, Ceschina, Scritti filosofici, Firenze, Le Monnier); S. Stringari, Romagnosi fisico; F. Lanchester, Romagnosi costituzionalista, Giornale di storia costituzionale, Macerata: EUM-Edizioni Università di Macerata, V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma); Studi in onore, Milano, Giuffrè, Per conoscere Romagnosi, Milano, Unicopli, E.A. Albertoni, La vita degli Stati e l'incivilimento dei popoli nel pensiero politico di Gian Domenico Romagnosi, Milano, Dott. A. Giuffrè Editore, 1979. Italo Mereu, L'antropologia dell'incivilimento in G.D. Romagnosi e C. Cattaneo, Piacen za, Pubblicazioni della Banca di Piacenza, Elio Palombi, Introduzione alla Genesi del Diritto penale (Milano, Ipsoa, A. Tarantino, Natura delle cose e società civile. Rosmini e Romagnosi, Roma, Edizioni Studium, Treccani Dizionario di storia, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, L'Unificazione, Dizionario biografico degli italiani, Il contributo italiano alla storia del Pensiero. Gian Domenico Romagnosi. Romagnosi. Keywords: scienza simbolica, scienza simbolica degl’antichi romani, il vico di Romagnosi, la terza Roma, la prima Roma, la prima eta, la terza eta, la logica di Genovese, la matematica, Sacchi, Cattaneo, incivilamento, gl’italiani, la nazione italiana. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Romagnosi," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51684466767/in/photolist-2mPpwbZ-2mLH24C-2mPE3Bq-2mKbpiZ

 

Romanoto be identified.

 

Grice e Roncaglia – alla palestra – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma), filosofo. Studia a Roma e Firenze sotto Gregory e Maierù. Insegna a Tuscia e Roma. Si dedica alla storia logica fra il Medioevo e Leibniz. Altri saggi: “Intero e frammentazione” (Roma, Laterza,). Rivista di filosofia dell'intelligenza artificiale e scienze cognitive; “Palaestra Rationis. Discussioni su natura della copula e modalità” (Firenze: Olschki); Università Roma Tre. Dimissioni organi consultivi MiBACT. Note a margine del concorso per 500 funzionari del Ministero Beni Culturali: mezzo bibliotecario per ogni biblioteca? E la tutela di libri e manoscritti chi la fa? Tuscia. Gino Roncaglia. Roncaglia. Keywords: palestra. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Roncaglia” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736744995/in/datetaken/1         

 

Grice e Ronchi – filosofia della comunicazione – filosofia italiana – By Luigi Speranza (Forlì). Flosofo. Si laurea a Bologna e conseguito il dottorato a Milano sotto Sini. Insegna all’Aquila. Dirige “Filosofia al presente” per Textus, di L’Aquila e “Canone Minore” per Mimesis Edizioni di Milano, cirige la scuola di filosofia Praxis a Forlì. Si dedica alla passione (“Sapere passionale”, Spirali, Milano) e alla questione della comunicazione intesa filosoficamente come partecipazione alla verità e fondamento ontologico della stessa pratica filosofica (“Teoria critica della comunicazione: dal modello veicolare al modello conversativo” Mondatori, Milano, -- Grice: “I like ‘conversativo.”Almost a Spoonerism for ‘conservative’!” --; “Filosofia della comunicazione. Il mondo come resto e come teo-gonia” (Boringheri, Torino). Propone  una revisione del modello veicolare o standard della comunicazione e una critica al paradigma linguistico del vivente. Al problema della raffigurazione e al suo rapporto col dicibile nel pensiero occidentale antico, moderno e contemporaneo è invece dedicato “Il bastardo: figurazione dell’invisibile e comunicazione indiretta” (Marinotti, Milano). Grice: “This shows a distinction between ‘ingelese italianato.’ To call indirect communication bastard would be a bit too much at Oxford!” --. Grazie ai suoi studi su Bergson si è segnalato come una voce significativa della cosiddetta “Bergson renaissance”. – cf. Grice, “Speranza e la cosidddetta “Grice renaissance””. In “L’interpretazione” (Marietti, Genova) e  “Una sintesi” (Marinotti, Milano) guarda a Bergson come a un filosofo in grado di dare risposta a questioni tuttora aperte del dibattito filosofico. Bergson non è un filosofo irrazionalista, spiritualista, ostile alla scienza e ai suoi metodi. Per lui la filosofia è un metodo rigorosamente empirista, che consente la massima precisione possibile nella descrizione dei fenomeni. Bergson è anzi il filosofo che cerca di emancipare la scienza da quanto di “metafisico” era ancora inconsapevolmente presente nelle sue pratiche. Con le sue celebri nozioni di “durata” e di “memoria” (cfr. Grice, “Personal identity: my debt to Bergson”)  ha costruito un nuovo modello di intelligibilità del divenire, alternativo a quello aristotelico, in grado finalmente di spiegare, senza riduzionismi, il “vivente” quale e descritto dalla biologia evoluzionista.  Il pensiero bergsoniano è presentato come uno snodo essenziale della filosofia del Novecento. La sua dirompente attualità è mostrata attraverso un confronto sistematico con la fenomenologia, l’esistenzialismo, l’ermeneutica, il pensiero della differenza e l'epistemologia della complessità. Al tempo stesso però,  Bergson è ricollocato dall’interno della tradizione filosofica occidentale, come un capitolo, tra i più alti, dell’indagine filosofica sulla natura: un capitolo che continua l’opera di quei filosofi e di quei teologi che, dai neoplatonici a Cusano fino a Grice e Gentile, hanno provato a pensare la natura come vita vivente e come divinità immanente.  Impegnato in una definizione e riabilitazione del filosofico contro il pericolo della sua dismissione (“Come fare: per una resistenza filosofica”, Feltrinelli, Milano), proprio grazie al confronto con Bergson e ai filosofi “amici” di quest’ultimo (Grice, and Grice’s immediate sources: Gallie and Broad),  define la sua posizione filosofica inscrivendola in una costellazione ben precisa, ancorché minoritaria (“Canone minore: verso una filosofia della natura”, Feltrinelli, Milano). Empirismo radicale, realismo speculativo e “pragmatica” “trascendentale” sono le definizioni che, più di altre, esprimono il senso e la direzione della sua ricerca, improntata com'è a criticare quella che chiama “la linea maggiore della filosofia” e che definisce dualistica, soggettivistica e antropo-centrica. In una parola: moderna.  Da Kant sino a Derrida, la filosofia è stata infatti caratterizzata dal primato accordato alla finitudine, alla contingenza, all'intenzionalità griceiana, alla negazione e al linguaggio e la semiotica. La filosofia di questa linea maggiore è, in fondo, un’antropo-logia cui oppone una filosofia del processo radicalmente monista e immanentista che contesta la tesi dell' "eccezione umana" e che non pone come apriori il principio della correlazione soggetto-mondo (anche nella versione offertane dall'ermeneutica e dalla fenomenologia). Alla svolta trascendentale kantiana è opposta quella cosmologica whiteheadiana e, al dispositivo aristotelico potenza/atto, dispositivo insufficiente a cogliere la natura naturans, la nozione di gentiliana di “actus purus”. La linea minore della filosofia è, infatti, anche e soprattutto una linea megarica che, alla potenza logico-linguistica e umana troppo umana dei contrari, sostituisce una potenza che non può non esercitarsi (sia essa quella dell’Uno di Plotino, della sostanza di Spinoza o della durata di Bergson). La filosofia della linea minore è una filosofia del processo (categoria che oppone all’aristotelica Kinesis) che, pur confutando il nulla e il possibile come pseudo-problemi, non sacrifica il carattere creativo e dinamico del reale. Il problema filosofico del rapporto uno-moltida sempre al centro della riflessione cioè risolto nei termini di una co-generazione reciproca fra i differenti per natura, in cui questa differenza non di grado tra il principio e il principiato funziona come causa dell’immediato essere uno dei molti ed esser molti dell’uno, ossia come la causa di quella unità cangiante di tutte le cose che  chiama “immanenza assoluta”.  Altri saggi: Luogo comune. Verso un'etica della scrittura (Bocconi) La scrittura della verità. Per una genealogia della teoria (Jaca, Milano);  – modello conversativo. Grice: “As I say, I like ‘conversativo;’ perhaps I should adopt it! ‘conversative,’ rather than the pompous ‘conversational’!). Liberopensiero. Lessico filosofico della contemporaneità (Fandango, Roma); Brecht. Introduzione alla filosofia (et al., Correggio ) Zombie outbreak: la filosofia e i morti-viventi (Textus, L'Aquila ); Credere nel reale (Feltrinelli, Milano); Dispositivi (Orthotes, Napoli) -- realismo speculativo, Sini, Gentile. Ronchi. Keywords: filosofia della comunicazione, immanenza, in defense of the minor league, natura naturans, Gentile, atto puro. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ronchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736047293/in/datetaken/

 

Rosatti Marcello vitali rosatti --

 

Grice e Rosselli – il veintennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Important Italian philosopher. There is a Rosselli Circle in Rome. Fu il teorico del "socialismo liberale", un socialismo riformista non marxista direttamente ispirato dal laburismo britannico e dalla tradizione storico-politica, italiana e non, del radicalismo liberale e libertario. Fondò a Firenze il foglio clandestino Non Mollare e nel 1926, insieme al socialista Pietro Nenni, la rivista milanese Il Quarto Stato. Fonda il movimento antifascista Giustizia e Libertà, che combatté per la Repubblica nella Guerra civile spagnola, all'interno della Colonna Italiana Rosselli, costituita assieme agli anarchici. Ucciso in Francia insieme con il fratello Nello da assassini legati al regime fascista. Da un'agiata famiglia, figlio del livornese Giuseppe Emanuele "Joe" Rosselli e della veneziana Amelia Pincherle, sorella di C. Pincherle, architetto e pittore, oltreché padre dello scrittore A. Moravia. Sia la famiglia paterna che quella materna, fermamente legate agli ideali repubblicani e mazziniani, erano state politicamente attive, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento italiano: Pellegrino Rosselli, tra l'altro zio della futura moglie di Ernesto Nathan (Sindaco di Roma), fu un seguace e stretto collaboratore di Giuseppe Mazzini nei suoi ultimi anni di vita (morì difatti in clandestinità nella sua casa pisana) ed un Pincherle fu nominato ministro durante la breve esperienza della Repubblica di San Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d'una massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da D. Manin e N. Tommaseo.  I Rosselli avevano abitato per un considerevole periodo a Vienna, dove Giuseppe Emanuele studia composizione musicale e dove e nato il primogenito Aldo Sabatino. In seguito, si trasferirono a Roma, dove il padre, rinunciando alle sue aspirazioni artistiche, si dedica alla vita mondana, mentre la madre ottenne dei discreti successi come autrice di drammi teatrali. Qui, dopo la propria nascita, venne alla luce Sabatino Enrico "Nello".  I due coniugi si separarono. Le condizioni economiche della famiglia hanno subito un grave tracollo a causa della leggerezza del padre. Amelia si trasferì con i suoi tre figli a Firenze, dove frequentarono le scuole. Mostra in quel periodo poco interesse per gli studi e la madre lo ritira dal ginnasio, facendogli frequentare la scuola tecnica. L'entrata in guerra dell'Italia fu accolta con entusiasmo dai Rosselli, decisamente interventisti. Il fratello Aldo e arruolato come ufficiale di fanteria e muore in combattimento ricevendo una medaglia d'argento alla memoria. Collabora al foglio di propaganda «Noi giovani», fondato da Nello, anche se l'editoriale Il nostro programma, che apre in gennaio il primo numero del giornale, e redatto con buone probabilità. Il manifesto, che l'ingenuità di due ragazzi indirizza verso una fiduciosa speranza in un mondo migliore, propone sin da allora alcuni tratti fondamentali della sua personalità, ossia un amore incondizionato per l'umanità e la spinta all'azione nel solco dello spirito mazziniano, che lo inserisce nel filone dell'interventismo democratico. Per «Noi giovani», licenza i primi articoli, uno sulla rivoluzione russa, il secondo sull'entrata in guerra degli Stati Uniti.  Il primo saggio, “Libera Russia”, esalta il risveglio del paese di Gorkij, Tolstoj e Dostoevskij, supremi interpreti di un rinnovamento in atto già dal secolo precedente, per cui la rivoluzione non e che il punto culminante di una lunga preparazione all'avvento di una società più giusta. Vi e tutta una massa che sale lentamente, inesorabilmente. La marcia si puo ritardare ma non impedire. Dei recentissimi eventi, inoltre, viene esaltata la componente pacifica, la loro attuazione relativamente non violenta.  Il saggio Wilson mostra tutta la fiducia nutrita per l'uomo che definì il conflitto come “a war to end wars”  (una guerra per porre fine alle guerre), uno slogan che rappresenta bene le sue speranze di e di tutta la famiglia Rosselli.  E chiamato alle armi. Frequenta a Caserta il corso allievi ufficiali e venne assegnato a un battaglione di alpini in Valtellina. La guerra finisce senza che egli avesse dovuto sottomettersi al battesimo del fuoco e venne congedato col grado di tenente. Il contatto con militari e molto importante per lui. Apprezza la massa furon posti in grado di comprendere tante cose che sarebbero loro certamente sfuggite nel loro isolamento di classe o di professione. Diplomatosi all'Istituto tecnico, si iscrive a Firenze al corso di Scienze sociali, laureandosi a pieni voti con una tesi sul sindacalismo e si prepara a sostenere anche gli esami di maturità classica per ottenere il diritto di frequentare altri corsi universitari. Tramite il fratello Nello conosce G. Salvemini, professore a Firenze, che e da allora un costante punto di riferimento per entrambi i fratelli. Gli fa rivedere il suo saggio sul sindacalismo rivoluzionarioi, chei giudica non un saggio critico, equilibrato, sostanzioso, ma in essa e incapsulata un'idea fondamentale: la ricerca di un socialismo che fa sua la dottrina liberale e non la ripudiasse. Savvicina al Partito Socialista Italiano, simpatizzando, in contrapposizione all'allora maggioritaria corrente massimalista di G. Serrati, per quella riformista di F. Turati, che egli ha poi modo di conoscere personalmente a Livorno durante lo svolgimento del Congresso del Partito, che sance la definitiva scissione dell'ala di sinistra interna filo-bolscevica che prenderà il nome di Partito Comunista d'Italia, e scrive svariati articoli per “Critica Sociale”. Mussolini sale al potere. I riformisti di Turati sono espulsi dal Partito Socialista Italiano. Si trasfere a Torino, dove frequenta il gruppo della “Rivoluzione liberale», in quel momento fortemente impegnata in senso anti-fascista, e con la quale incomincia a collaborare. Conosce G. Matteotti, del “Partito Socialista Unitario”, nel quale erano confluiti P. Gobetti e la componente riformista espulsa dal Partitot Socialista Italiano.  E. Rossi. A Firenze, il gruppo dei socialisti liberali che si raccoglie intorno alla figura carismatica di Salvemini inaugura il Circolo di Cultura. Oltre ai Rosselli vi sono P. Calamandrei, E. Finzi, G. Frontali, P. Jahier, L. Limentani, A. Niccoli ed E. Rossi. Gli ex-combattenti del circolo adereno all'associazione anti-fascista “Italia libera”. Si laurea a Siena, con “Prime linee di una teoria economica dei sindacati operai” e parte per Londra, stimolato dal desiderio di conoscere la capitale del laburismo, di seguire i seminari dei Fabiani e di assistere, a Plymouth, al congresso delle unioni operaie. A Londra vi e anche Salvemini, che tene un corso sulla storia della politica estera italiana al King's. Tornato in Italia grazie anche ai buoni uffici di Salvemini, si impiega come assistente volontario a Milano. Prosegue la sua collaborazione a “Critica Sociale” di Turati. Vi pubblica un articolo, invitando il Partito socialista a rompere con il marxismo, che giudicava espressione di cieco e tortuoso dogmatismo, per mettersi piuttosto sulla linea di un sano empirismo all'inglese. Collabora con la rivista del Partito Socialista Unitario, «Libertà», scrivendo proprio un saggio sul movimento laburista inglese. Dopo il delitto Matteotti s'iscrisse al Partito Socialista Unitario. Spera invano che in Italia si costituisse una seria opposizione anti-fascista moderata in grado di offrire un'alternativa politica alla borghesia che guarda con simpatia al fascismo: una di queste avrebbe potuto essere l'Unione democratica nazionale di G. Amendola, alla quale adere il fratello Nello. D’Inghilterra invia al giornale del Partito Socialista Unitario la «Giustizia», le corrispondenze sull'evolversi della situazione politica inglese, successiva alla vittoria elettorale dei conservatori e alla rottura dell'alleanza tra laburisti e liberali. E pessimista sulle condizioni politiche dell'Italia. La secessione aventiniana non produce effetti, con i suoi sterili tentativi di accordo con il re, con i generali e i fascisti dissidenti. Del resto i fascisti stano re-agendo e lo dimostrano anche devastando il Circolo di Cultura di Salvemini che, come non basta, venne chiuso dal prefetto con una singolare motivazione. L sua attività provoca il giusto risentimento del partito dominante. Lasciato l'incarico a Milano, insegna a Genova. Scrisse a Salvemini. Forse non ha apparentemente alcuna positiva efficacia, ma io sento che abbiamo da assolvere una grande funzione, dando esempi di carattere e di forza morale alla generazione che viene dopo di noi. Appare così con la collaborazione di E. Rossi, G. Salvemini, P. Calamandrei, N. Traquandi, D. Vannucci e di Nello Rosselli, che ne ha proposto il nome, il foglio clandestino “Non Mollare”. Alcuni redattori della rivista Non Mollare sono N.Traquandi, T. Ramorino, C. Rosselli, E. Rossi, L. Emery, N. Rosselli. La denuncia di un tipografo provoca la repressione e la dispersione di alcuni tra i redattori del foglio. E. Rossi riusce a fuggire a Parigi, il Vannucci in Brasile, Salvemini e arrestato a Roma e denunciato per vilipendio del governo fascista. In attesa del processo, messo in libertà provvisoria, a causa delle minacce dei fascisti, a passò la notte a Firenze, in casa dei Rosselli, che non sono ancora fra i sospettati. Gli squadristi però, venuti a conoscenza del fatto, devastano l'abitazione il giorno dopo. Scrive Rosselli a G. Ansaldo. Io sono di ottimo umore e l'altra sera ho financo bevuto alla distruzione compiuta! Se i signori fascisti non hanno altri moccoli, possono andare a dormire. Aspetteranno a lungo la mia rinuncia alla lotta. Ormai preso di mira dai fascisti, e aggredito a Genova mentre si recava all'Università e poi disturbato durante la sua lezione, con la richiesta del suo allontanamento. Si attiva infine lo stesso Ministro dell'economia, G Belluzzo, che chiese il suo licenziamento. A questo punto, prefere dimettersi.  Pochi giorni dopo, ia Firenze, sposò con rito civile Marion Catherine Cave, una laburista venuta a Firenze a insegnare nel British Institute, conosciuta da Rosselli al Circolo della Cultura salveminiano. Lapide commemorativa: «In via Ancona 2 vive il martire antifascista e qui ebbe sede la redazione del Quarto Stato rivista socialista a difesa della libertà e della democrazia. I due sposi viveno a Milano, dove fonda con P. Nenni la rivista «Il Quarto Stato. La rivista ha vita breve, venendo chiusa con l'entrata in vigore della legge sui provvedimenti per la difesa dello stato fascista italiano. Scopo della pubblicazione e il tentativo di rappresentare un punto d'incontro di tutte le forze socialiste e di sviluppare temi di politica culturale al cui centro e il perfezionamento degl’uomini e l'elevamento della vita dei cittadini.  Con C. Treves e G. Saragat costitue un triumvirato che, costitue clandestinamente il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, che prese il posto del Partito Socialista Unitario, sciolto d'imperio dal regime fascista a causa del fallito attentato a Mussolini da parte del suo iscritto T. Zaniboni. L. Bova, Filippo Turati, Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Ferruccio Parri a Calvi in Corsica dopo la fuga in motoscafo da Savona.  Oganizza con I. Oxilia, S. Pertini e F. Parri l'espatrio di F. Turati a Calvi in Corsica, con un motoscafo partito da Savona. Mentre Turati, Pertini e Oxilia proseguirono per Nizza, Parri e Rosselli, ritornati con il motoscafo a Marina di Carrara, sono arrestati, nonostante tentassero di sostenere di essere reduci da una gita di piacere. E accusato anche di aver favorito la fuga di G. Ansaldo, di C. Silvestri, di C. Treves e di G. Saragat.  Venne detenuto nelle carceri di Como  poi inviato al confino di Lipari in attesa del processo. Quando e ricondotto da Lipari a Savona per essere processato, nell'isola siciliana giunge il fratello Nello, condannato a 5 anni di confino.  Al processo si difese attaccando il regime fascista. Il responsabile primo e unico, che la coscienza degli uomini liberi incrimina è il fascismo che con la legge del bastone, strumento della sua potenza e della sua nemesi, inchioda in servitù milioni di cittadini, gettandoli nella tragica alternativa della supina acquiescenza o della fame o dell'esilio. La sentenza, rispetto alle previsioni, e mite: dieci mesi di reclusione e, avendone già scontati otto, avrebbe potuto essere presto libero. Ma le nuove leggi speciali permisero alla polizia di infliggergli altri 3 anni di confino da scontare a Lipari. La vita al confino trascorrecon le letture di Benedetto Croce, di Rodolfo Mondolfo, dell'epistolario di Marx ed Engels e di Imanuele Kant.  Intanto, si prepara la fuga, che venne organizzata dall'amico di Salvemini A. Tarchiani. Evase da Lipari con F. Nitti ed E. Lussu, con un motoscafo guidato dall'amico Italo Oxilia diretto in Tunisia, da cui poi i fuggiaschi raggiunsero la Francia.   F. Nitti narra  l'avventurosa evasione in “Le nostre prigioni e la nostra evasione”, mentre Rosselli racconta le vicende del confino e dell'evasione in “Fuga in quattro tempi”. A Parigi, con Lussu, Nitti, e un gruppo di fuoriusciti organizzati da Salvemini, e fra i fondatori del movimento anti-fascista "Giustizia e Libertà". :Giustizia e Liberta” pubblica diversi numeri della rivista e dei quaderni omonimi ed e  attiva nell'organizzazione di diverse azioni dimostrative, tra cui il volo sopra Milano di Bassanesi. Critica appassionatamente il marxismo ortodosso, colonna portante della stragrande maggioranza dei vari schieramenti politici socialisti. Il socialismo liberale propugnato da lui si caratterizza quale una creativa sintesi della tradizione del marxismo revisionista, democratico e riformista (quello, tra gli altri, di Bernstein, W. Sombart, Turati e Treves), ed il socialismo non marxista, libertario e de-centralista (come quello di F. Merlino, Salvemini, G. Cole, R. Tawney e O. Jászi).  Attacca dirompente contro lo stalinismo della Terza Internazionale che, con la formula del socialfascismo accomuna  socialdemocrazia, liberalismo borghese e fascismo. Non stupisce perciò che uno fra i più importanti stalinisti, P.Togliatti,  define il socialismo liberale un "magro libello anti-socialista" e Rosselli un ideologo reazionario che nessuna cosa lega alla classe operaia. Giustizia e Libertà adere  alla Concentrazione Anti-Fascista, unione di tutte le forze anti-fasciste non comuniste (repubblicani, socialisti, CGL) che intende promuovere e coordinare ogni possibile azione di lotta al fascismo. Pubblica i "Quaderni di Giustizia e Libertà".  Dopo l'avvento del nazismo in Germania Giustizia e Liberta sostenne la necessità di una rivoluzione preventiva per rovesciare i regimi fascista e nazista prima che questi portassero a una nuova tragica guerra, che a Giustizia e Liberta sembra l'inevitabile destino dei due regimi.  Bandiera della Colonna Italiana, nota anche come Centuria Giustizia e Libertà, che sostenne i repubblicani nella guerra civile spagnola. Scoppie in Spagna la guerra civile tra i rivoltosi dell'esercito filo-monarchico, che effettuarono un colpo di stato, e il legittimo governo repubblicano del Fronte Popolare di ispirazione marxista. E subito attivo nel sostegno alle forze repubblicane, criticando l'immobilismo di Francia e Inghilterra. Fascisti e nazisti aiutano F. Franco con uomini e armi agli insorti. Combatte la sua prima battaglia. Cerca poi di costituire un vero e proprio battaglione (intitolato a G. Matteotti).  La prima formazione italiana, che prende poi, dopo l'uccisione dei due fratelli, il nome di Colonna Italiana Rosselli, annovera tra i 50 e i 150 uomini, reclutati fra gli esuli italiani in Francia dal movimento Giustizia e Libertà e dal Comitato Anarchico Italiano. Tra questi c'erano anche gli anarchici U. Marzocchi e C. Berneri. U. Marzocchi scrive sulla comune esperienza antifascista di anarchici e di militanti di Giustizia e Libertà, "Carlo Rosselli e gli anarchici".  In un discorso, pronuncia la frase che poi diverrà il motto degli antifascisti italiani: "Oggi qui, domani in Italia". È con questa speranza segreta che siamo accorsi in Ispagna. Oggi qui, domani in Italia. Fratelli, compagni italiani, ascoltate. È un volontario italiano che vi parla dalla Radio. Non prestate fede alle notizie bugiarde della stampa fascista, che dipinge i rivoluzionari come orde di pazzi sanguinari alla vigilia della sconfitta. A contrasti con gl’anarchici si dimette da comandante della Colonna e fonda il battaglione Matteotti. Soggiorna a Bagnoles-de-l'Orne per delle cure termali, dove fu raggiunto dal fratello. Sono uccisi da una squadra di cagoulards, miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra francese, su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di G. Ciano. Con un pretesto sono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. Carlo muore sul colpo, Nello (colpito per primo) venne finito con un'arma da taglio.. I corpi vennero trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti a essere prosciolti.  Sono sepolti nel cimitero monumentale parigino del Père Lachaise. I familiari ne traslarono le salme in Italia, a Trespiano. Salvemini tenne il discorso commemorativo alla presenza del presidente della Repubblica. La tomba riporta il simbolo della spada di fiamma, emblema di GL, e l'epitaffio scritto da Calamandrei. Giustizia e liberta. Per questo morirono per questo vivono. L'unico suo saggio pubblicato mentre era in vita è "Socialismo liberale", scritto durante il confino a Lipari, in una situazione di semi-prigionia. Questo saggio si pone in una posizione eretica rispetto ai partiti della sinistra italiana del suo tempo -- per i quali Il Capitale di Marx, variamente interpretato, era ancora considerato come la Bibbia. Indubbiamente è presente l'influsso del laburismo inglese, da lui ben conosciuto. In seguito ai successi elettorali del partito laburista, Rosselli era infatti convinto che l'insieme delle regole della democrazia liberale fossero essenziali non solo per raggiungere il socialismo, ma anche per la sua concreta realizzazione (mentre nella tattica leninista queste regole, una volta preso il potere, debbono essere accantonate): pertanto, la sintesi del pensiero rosselliano è: "il liberalismo come metodo, il socialismo come fine". C. Pisacane, L'idea di rivoluzione propria della dottrina marxista era fondata sulla concezione della dittatura del proletariato (che, in realtà, già ai tempi di Rosselli si sta traducendo, in Unione Sovietica, nella dittatura del vertice di un solo partito). Essa viene respinta da Rosselli, a favore di una rivoluzione che, come si nota nel programma di GL, è un sistema coerente di riforme strutturali mirate alla costruzione di un sistema socialista che non rinnega, ma anzi esalta, la libertà individuale e associativa. Nella riflessione degli ultimi anni, Rosselli, alla luce dell'esperienza spagnola (difesa dell'organizzazione sociale di Barcellona compiuta dagli anarchici durante la guerra civile) e dell'avanzata del nazismo, radicalizza le sue posizioni libertarie.  Rosselli, influenzato dalle idee di Mazzini e di Carlo Pisacane, propugna il socialismo liberale: il fine è il socialismo, il metodo il liberalismo, un metodo che garantisce la democrazia e l'autogoverno dei cittadini. Il liberalismo deve svolgere una funzione democratica, il "metodo liberale" è il complesso di regole del gioco che tutte le parti in lotta si impegnano a rispettare, regole dirette ad assicurare la pacifica convivenza dei cittadini, delle classi, degli Stati, a contenere le lotte (peraltro desiderabili se limitate). La violenza è giustificabile come risposta ad altra violenza (per questo era giusta la lotta contro il franchismo e sarebbe stata auspicabile in Italia una rivoluzione violenta in risposta al fascismo); il socialismo è una logica conclusione del liberalismo: socialismo significa libertà per tutti. Rosselli ha fiducia che la classe del futuro sarà la classe proletaria, la borghesia deve fare da guida al proletariato: il fine è la libertà per tutte le classi.  Archivio Rosselli Bio, su archiviorosselli.  N. Tranfaglia, Dall'interventismo a Giustizia e Libertà, Bari, Laterza,  Il Circolo di Cultura fu rifondato a liberazione di Firenze appena avvenuta, per iniziativa del Partito d'Azione e dei soci superstiti e intitolato ai Fratelli Rosselli. Assunse così il nome di Circolo di Cultura Politica Fratelli Rosselli. La sua prima manifestazione fu presieduta da P. Calamandrei. Con questo nome è tuttora operante a Firenze. Con decreto del Presidente della Repubblica è stata costituita ed eretta in Ente Morale la Fondazione Circolo Rosselli per sostenerne l'attività.  A. Martino: Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, Savona, e Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R.Questura, Gruppo editoriale L'espresso, Roma. Commissione di Milano, ordinanza contro lui (“Intensa attività antifascista; tra gli ideatori del giornale clandestino Non Mollare uscito a Firenze. Favoreggiamento nell'espatrio di Turati e Pertini”). In: A. Pont, S. Carolini, L'Italia al confine, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano, ANPPIA, La Pietra,  Cfr. Commissione di Firenze, ordinanza contro N. Rosselli (“Attività antifascista”). In: A. Pont, S. Carolini, L'Italia al confino  Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali,  Milano, ANPPIA, La Pietra, Cfr. La storia sotto inchiesta: Fuga da Lipari, un esilio per la liberta trasmesso da Rai Storia. Il discorso di Rosselli su Romacivica.net  in.  G. Fiori, Casa Rosselli, Einaudi); M. Franzinelli, “Il delitto Rosselli”; “Anatomia di un omicidio politico, Mondadori, Milano). Altre saggi: “Oggi in Spagna, domani in Italia” (Einaudi, Torino); “Scritti politici e autobiografici (Polis, Napoli, Z. Ciuffoletti e V. Caciulli (Lacaita, Manduria); Lettere G. Salvemini, N. Tranfaglia, «Annali della Fondazione Luigi Einaudi, Torino); “Socialismo liberale” (Einaudi); Il Quarto Stato» di P. Nenni e Rosselli, D. Zucàro, SugarCo, Milano, Epistolario familiar, iSugarCo, Milano); Socialismo liberale, J. Rosselli (Einaudi, Torino); Socialismo liberale, J. Rosselli, introduzione e commento di N. Bobbio, «Attualità del socialismo liberale» e «Tradizione ed eredità del liberalsocialismo», Einaudi Tascabili. Saggi, 1Scritti dell'esilio. I. «Giustizia e libertà» e la concentrazione antifascista Costanzo Casucci, Collana Opere scelte” (Einaudi, Torino); “Scritti politici, Z. Ciuffoletti e P. Bagnoli, Guida, Napoli, -- una grossa anteprima del libri consultabile in rete. Scritti dell'esilio. Lo scioglimento della concentrazione antifascista, C. Casucci, Einaudi, Torino; Liberalismo socialista e socialismo liberale, N. Terraciano (Galzerano, Casalvelino Scalo), Giustizia e libertà, Giuliana Limiti e Mario di Napoli, prefazione di Pietro Larizza, Roma, con la tesi sul sindacalismo (Firenze). Scritti scelti, G. Furiozzi, “Quaderni del Circolo Rosselli”, Alinea Editrice, Firenze); G. Salvemini, Scritti Vari", G. Agosti e A. Garrone, Feltrinelli, Milano, Opere scelte, Cultura e società nella formazione, buona anteprima del pensiero di Salvemini con i rapporti e la grangia politica correlata R. Gremmo "Alla Cagoule" Silenzi e segreti d'un oscuro delitto politico. Storia Ribelle, Biella. A. Garosci, "Vita di Carlo Rosselli", U, Roma, Giustizia e Libertà, A. Levi, "Ricordi” La Nuova Italia, Firenze («Quaderni del Ponte»). S. Merli, "Il dibattito socialista sotto il fascismo. Lettere di R. Morandi, Rivista storica del socialismo», ricompreso in Id., "Fronte antifascista e politica di classe. Socialisti e comunisti in Italia,  De Donato, Bari, Movimento operaio; N. Tranfaglia, "Dall'interventismo all'antifascismo", «Dialoghi del XX», Cfr. il n. 8. informazioni su volume "Rosselli e l'Aventino: l'eredità di Giacomo Matteotti", «Il movimento di liberazione in Italia», Cfr. stralcio di "L’Aventino. L'opposizione diventava per la prima volta opposizione, minoranza; come minoranza, avrebbe potuto darsi una psicologia virile, d'attacco. Ma aveva troppi ex nelle sue file, era troppo appesantita da uomini che avevano gustato le gioie del potere e della popolarità.»  «Fu questo il miracolismo dell'Aventino. Credere di poter vincere con le armi legali l'avversario che ha già vinto sul terreno della forza. Pregustare le gioie del trionfo mentre si riceve la botta più dura. Evitare tutti i problemi. Gobetti dice. L’Aventino ha un mito, il mito della cautela" -- sperando che la borghesia dimentichi Quanto alle masse popolari, che si mostravano nei primi giorni in stato di effervescenza, guai a chi avesse tentato metterle in movimento! Solo i comunisti e le minoranze giovani chiesero lo sciopero generale. Ma le opposizioni non vollero, per non spaventare la borghesia e il sovrano. Carlo Rosselli dall'interventismo a «Giustizia e Libertà»" (Laterza, Bari, Biblioteca di cultura moderna); in appendice: scritti di Carlo Rosselli e Lettera di Carlo Rosselli a P. Nenni; "Dal processo di Savona alla fondazione di Gustizia e Liberta, Le fonti di «Socialismo liberale»", «Il movimento di liberazione in Italia», M.  Lolli, "Alcuni appunti per una lettura del «Socialismo liberale» di Rosselli", «Il pensiero politico», Santi Fedele, "Lo «Schema di programma» di «Giustizia e Libertà», Belfagor, P. Bagnoli, "L'esperienza liberale di Carlo Rosselli,, Italia Contemporanea, L'antifascismo rivoluzionario dei «Quaderni di Giustizia e Libertà»", «Ricerche Storiche», Santi Fedele, "Storia della concentrazione anti-fascista prefazione di N.  Tranfaglia, Feltrinelli, Milano); M. Garbari, "I «vinti» della Resistenza. Nel quarantesimo del sacrificio di Carlo e Nello Rosselli", «Studi Trentini di Scienze Storiche», a"«Quarto Stato» di Pietro Nenni e Rosselli", Tavola rotonda fra R. Bauer, U. Grimaldi, G. Spadolini, D. Zucàro, «Critica Sociale», L. Valiani, "Il pensiero e l'azione”, Nuova Antologia, N. Tranfaglia, "L'anti-fascismo", «Mondo Operaio», R. Vivarelli, "Gaetano Salvemini", «Il pensiero politico», Poi compreso Giovanni Spadolini, "Carlo Rosselli nella lotta per la libertà", con lettere tra Egidio Reale e Carlo Rosselli, «Nuova Antologia», A.  Colombo, "Carlo Rosselli e il «Quarto Stato»", «Nord e Sud», "Giustizia e Libertà nella lotta antifascista e nella storia d'Italia", Atti del convegno internazionale organizzato a Firenze dall'Istituto storico della Resistenza in Toscana, dalla Giunta regionale toscana, dal Comune di Firenze, dalla Provincia di Firenze, La Nuova Italia, Firenze); R.  Bauer, "Carlo Rosselli e la nascita di GL in Italia". J. Petersen, "Giustizia e Libertà in Germania". Pierre Guillen, "La risonanza in Francia dell'azione di GL e dell'assassinio dei Rosselli". F. Rosengarten, "Carlo Rosselli e Silvio Trentin, teorici della rivoluzione italiana". M. Salvadori, "Giellisti e loro amici degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale". Santi Fedele, "Giellisti e socialisti dalla fondazione di GL alla politica dei fronti popolari". Pier Giorgio Zunino, "Giustizia e Libertà e i cattolici". A. Garosci, "Le diverse fasi dell'intervento di Giustizia e Libertà; U. Marzocchi, “Gli’anarchici"; citazione sottostante da un articolo di U. Finetti «Infatti considera una barbarie le stragi di anarchici in Catalogna, tra cui l'uccisione di C. Berneri, l'anarchico che lo affiancava nella guida della Prima colonna italiana formata da tremila anti-fascisti, i primi accorsi” e si ricorda, nel prosieguo, anche la ferma presa di posizione delle Brigate partigiane di Giustizia e Libertà quando E. Canzi e rimosso da comandante unico della XIII zona operante nel piacentino e grazie a questa presa di posizione e reintegrato dopo un breve arresto. Le Brigate partigiane di Giustizia e Libertà sono  in gran parte influenzate dal pensiero di Rosselli.  U. Tommasini, "Testimonianza --  L'eredità di Giustizia e Libertà". M. Piane, "Rapporti tra socialismo liberale e liberalsocialismo". T. Codignola, “Giustizia e Liberta e Partito d'azione". N. Tranfaglia, "C. Rosselli", in "Il movimento operaio italiano; “Dizionario biografico", F. Andreucci e T. Detti, Editori, Roma, A.  Colombo, "C.  Rosselli e il socialismo liberale", «Il Politico», P. Bagnoli, "Di un dissidio in «Giustizia e Libertà». Lettere di M. Levi, R. Giua, N. Chiaromonte, A. Garosci  «Mezzosecolo», n. 3, Centro studi Piero Gobetti, Istituto Storico della Resistenza in Piemonte, Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, Annali 1Luigi Cirillo, "Il socialismo", Fasano, Cosenza); E.  Lussu, "Lettere  e altri scritti di «Giustizia e Libertà»", M. Brigaglia, Editrice Libreria Dessì, Sassari.informazioni su Storia della Sardegna di Manlio Brigaglia, son presenti correlazioni fra i succitati personaggi. "Le componenti mazziniana e cattaneanea in Salvemini e nei Rosselli. G. Belloni",   Convegno, Domus Mazziniana, Pisa. Arti Grafiche Pacini & Mariotti, Pisa,  Comprende: A. Colombo, "Il «Quarto Stato»" A. Varni, "Derivazioni mazziniane nella concezione sindacalista di Carlo Rosselli", Lucio Ceva, "Aspetti politici dell'azione di Carlo Rosselli in Spagna",  G. Tramarollo, "Rosselli e la gioventù del regime",  Paolo Bagnoli, "Il revisionismo rosselliano", in "Guida alla storia del PSI. La ripresa del pensiero socialista tra eresia e tradizione", M. Talluri, «Quaderni del Circolo Rosselli», Giuseppe Galasso, "La democrazia da Cattaneo a Rosselli", Le Monnier, Firenze («Quaderni di storia», A.  Rosselli, Una tragedia italiana" (Bompiani, Milano); F. Kostner, "Carlo Rosselli e il suo socialismo liberale", Lalli, Poggibonsi, Linee politiche; P. Bagnoli, "Tra pensiero politico e azione", Passigli, Firenze, A. Colombo, "Carlo Rosselli e il socialismo liberale", in "Padri della patria. Protagonisti e testimoni di un'altra Italia", FrancoAngeli, Milano, («Ricerche storiche» ). Franco Invernici, "L'alternativa di «Giustizia e Libertà». Economia e politica nei progetti del gruppo di Carlo Rosselli", Angeli, Milano («Studi e ricerche storiche»). L. Valiani, "Da Mazzini alla lotta di liberazione", «Nuova Antologia», D. Scacchi, A.  Colombo, presentazione di G. Spadolini, Casagrande, Lugano,  («Quaderni europei», I). R. Vivarelli, "Le ragioni di un comune impegno. Ricordando Gaetano Salvemini, Carlo e Nello Rosselli, E.  Rossi", «Rivista Storica Italiana», G. Spadolini, "Carlo e Nello Rosselli. Le radici mazziniane del loro pensiero", Passigli, Firenze, 1 («Letture Rosselli», 2). C. Malandrino, "Socialismo e libertà. Autonomie, federalismo, Europa da Rosselli a Silone" (Angeli, Milano); F. Bandini, "Il cono d'ombra. Chi armò la mano degli assassini dei fratelli Rosselli", SugarCo, Milano, Arturo Colombo, "I Rosselli, due guardiani per l'albero della libertà",, "Voci e volti della democrazia. Cultura e impegno civile da Gobetti a Bauer", Le Monnier, Firenze («Quaderni di storia»), Nel nome dei Rosselli. Quaderni del Circolo Rosselli», Angeli, Milano,  G. Muzzi. "A più voci, G. Arfé, C. Casucci, A. Garosci, F. Malgeri, L. Rapone, Scritti dell'esilio", Il Ponte, Il carteggio dei Rosselli con Carlo Silvestri", G. Gabrielli, «Storia Contemporanea», Santi Fedele, "E verrà un'altra Italia. Politica e cultura nei «Quaderni di Giustizia e Libertà»" (Angeli, Milano, Collana di Fondazione di studi storici F. Turati); Z. Ciuffoletti, Il mito della rivoluzione russa e il comunismo", in "Socialismo e Comunismo,  Il Ponte, Paolo Bagnoli, "La lezione rosselliana, La nuova storia. Politica e cultura alla ricerca del socialismo liberale, Festina Lente, FNicola Tranfaglia, "Sul socialismo liberale"; "Dilemmi del liberalsocialismo", M. Bovero, V. Mura, F. Sbarberi, La Nuova Italia, Roma, («Studi Superiori,  Scienze Sociali»). Atti del convegno "Liberalsocialismo: ossimoro o sintesi?", organizzato ad Alghero Dipartimento di Economia istituzioni e società dell'Università Sassari. -- fu pubblicato il primo numero di “Libertà”, periodico legato all'ala socialista del movimento antifascista, il sottotitolo fu la frase di Marx ed Engels: Alla società borghese, con le sue classi e con i suoi antagonismi di classe, subentrerà un'associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno sarà la condizione del libero sviluppo di tutti e, su invito C. Treves, R. Mondolfo e A. Levi, Rosselli scrive un articolo “Il partito del lavoro in Inghilterra” che fu pubblicato sul numero tre in cui Rosselli riafferma una parte del suo pensiero del periodo. Il partito laburista in base agli elementi che lo compongono può definirsi come una federazione di gruppi economici e di gruppi politici. In realtà è l'organizzazione politica federativa ed associativa del movimento operaio più vecchio e potente del mondo.»  S. Suppa, "Note su Carlo Rosselli: temi per due tradizioni", in I volume "dilemmi del liberalsocialismo, Del Puppo D., Il Quarto Stato, L'attualità di Carlo Rosselli e del socialismo liberale. Dialoghi tra: G. Bosetti, V. Foa, S. Maffettone, E. Marzo, N. Tranfaglia, Supplemento a di Croce Via, Edizioni Italiane, Napoli, Atti del dibattito svoltosi a Napoli  in occasione della presentazione italiana del volume "Liberal socialism", lavoro di Nadia Urbinati, tradotto da William McCuaig, Princeton University Press, Princenton Nadia Urbinati, "La democrazia come fede comune", «il Vieusseux», P. Bagnoli, Rosselli, "Piero Gobetti e la rivoluzione democratica. Uomini e idee tra liberalismo e socialismo", La Nuova Italia, Firenze («Biblioteca di Storia», 55). Costanzo Casucci, "La caratteristica ", con un vademecum, «Belfagor»,  Simone Visciola, Giuseppe Limone, "I Rosselli. Eresia creativa, eredità originale", Napoli, Guida, Piero Graglia, "Unità europea e federalismo. Da Giustizia e Libertà ad Altiero Spinelli", il Mulino, Bologna) "Il dibattito europeista e federalista in «Giustizia e Libertà»", «Storia Contemporanea», Lisetto D., Le élites. Una teoria tra l'elitismo democratico e la democrazia partecipativa", «Scienza & Politica», Pagine scelte di economia, S. Visciola e A.De Ruggiero, Firenze, Le Monnier,  Salvo Mastellone, "Il partito politico nel socialismo liberale «Il pensiero politico», Gianbiagio Furlozzi, "Carlo Rosselli e G. Sorel", «Il pensiero politico», L'eredità democratica da Bignami a Rosselli", Angeli, Milano,  Salvo Mastellone, La rivoluzione liberale del socialismo»". Con scritti e documenti inediti. Olschki, Son riportati testi pubblicati da Carlo Rosselli non inseriti nel  I delle «Opere scelte». "Rosselli. Dizionario delle idee", S. Bucchi, Riuniti, gennaio Antonio Martino, Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R. Questura, Roma, Gruppo editoriale L'espresso, Mimmo Franzinelli, "Il delitto Rosselli. Anatomia di un omicidio politico", Mondadori, Milano  Diego Dilettoso, "La Parigi e La Francia di C. Rosselli. Sulle orme di un umanista in esilio", Biblion, Milano. P. Bagnoli. Il socialismo delle libertà. Polistampa, Milano,  P. Bagnoli. Socialismo, giustizia e libertà. Biblion, Milano, Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  G. Iacchini, Socialismo liberale ma... vero!, dMovimento Radical Socialista 55esima brigata Garibaldi. Archivio dei Rosselli. I fratelli Rosselli, genesi di un delitto impunito. C. Berneri. Vite parallele di Massimo Ortalli (da "Umanità Nova" Fondazione Rosselli, Centro di ricerca, Circolo Rosselli Firenze,  "Gaetano Pecora" Socialista e liberale.Bilancio critico di un grande italiano, su politicamagazine. Valdo Spini, "Perché i Rosselli parlano ancora a questa Italia", sul sito repubblica. Carlo Alberto Rosselli. Keywords: sindacalismo, sindacalismo revoluzionario, laburismo, partito laburista, I fabiani, Mill, Bonini, liberalismo, sindacato, sindicato nella storia italiana, sindacato in Roma antica. Refs.: Luigi Speranza, “Rosselli e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Rosselli. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735739686/in/dateposted-public/

 

Rosselli – il veintennio fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Ucciso da assassini legati al regime fascista. Figlio del livornese Giuseppe Emanuele e della veneziana Amelia Pincherle, sorella di Carlo, architetto e pittore, oltreché padre dello scrittore Alberto Moravia. Sia la famiglia paterna che quella maternafermamente legate agli ideali repubblicani e mazziniani, sono stati politicamente attive, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento italiano: Pellegrino Rosselli, tra l'altro zio della futura moglie di E. Nathan, sindaco di Roma, e un seguace e stretto collaboratore di Mazzini ed un Pincherle e nominato ministro nella Repubblica di San Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d'una massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da D. Manin e N. Tommaseo. Diresse iil mensile Noi. Discusse con Salvemini la tesi di laurea su “Mazzini e il movimento operaio”. Pubblica numerosi articoli su riviste storiche italiane e il saggio “Mazzini e Bakunin”.  Pubblica il saggio “Pisacane nel Risorgimento italiano”.  La raccolta dei suoi “Saggi sul Risorgimento italiano e altri scritti”, pubblicata da Einaudi. Inizia giovane a far politica e fu col fratello tra i fondatori del giornale "Noi giovani". Col fratello e con P. Calamandrei, e col patrocinio di G. Salvemini, fonda il Circolo di Cultura, chiuso dai fascisti. Fa parte dei fondatori del gruppo fiorentino di Italia libera, fra cui, oltre al fratello, E. Bocci, L. Rochat, D. Vannucci, N. Traquandi. Adere alla fondazione dell'Unione nazionale delle forze liberali e democratiche promossa da G. Amendola, e partecipa alla fondazione del primo giornale antifascista clandestine, “Non Mollare”. Arrestato e condannato a 5 anni di confino a Ustica. Rilasciato, venne nuovamente arrestato e condannato a 5 anni di confino a Ustica e Ponza, dopo la fuga da Lipari del fratello. Ottenne, su intercessione di G. Volpe (probabilmente in buona fede) il passaporto, con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra cui P. Calamandrei, parve sospetta e motivata dal fine di arrivare attraverso lui al rifugio del suo fratello. Assassinato a Bagnoles-de-l'Orne da una squadra di cagoulards, miliziani della Cagoule, formazione eversiva di destra su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di G. Ciano. Con un pretesto vengono fatti scendere dall'automobile, poi colpiti da raffiche di pistola. Carlo muore sul colpo, Nello (colpito per primo) viene finito con un'arma da taglio. I corpi vengono trovati due giorni dopo. I colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti ad essere prosciolti.  Commissione di Firenze, ordinanza contro Rosselli (“Attività antifascista”). In: A.  Pont, L'Italia al confine, Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali, Milano (ANPPIA/La Pietra),  Ustica celebra la libertà dei Rosselli, profilo di G. Volpe, profile nel sistema informatico dell'Archivio di stato di Firenze. G. Fiori, Casa Rosselli, Einaudi, M. Franzinelli, Il delitto Rosselli. Anatomia di un omicidio politico” (Mondadori, Milano. Opere: “Saggi sul Risorgimento e altri scritti” (Torino, Einaudi); “Inghilterra e regno di Sardegna” (Torino, Einaudi); “Mazzini e Bakunin -- dodici anni di movimento operaio in Italia” ( Torino, Einaudi); “Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano” (Torino, Einaudi); Z. Ciuffoletti, “Un filosofo sotto il fascismo. Lettere e scritti vari” (Firenze, La Nuova Italia); A. Colombo, I colori della libertà fra storia, arte e politica” (Milano, Angeli); G. Belardelli (Catanzaro, Rubettino); S.Visciola, “La Scuola di storia moderna e contemporanea. La prima fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità, Maestri dell'Italia civile, L. Rossi, Roma, Carocci, S. Visciola, “Soi "maestri". Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due guerre, in I Rosselli: eresia creativa eredità originale, S. Visciola e G. Limone, Guida, Napoli, S. Visciola, Uno filosofo salla ricerca della libertà in tempi difficili. Appunti sparsi per una biografia complessiva ancora da scrivere, in I fratelli Rosselli. L'antifascismo e l'esilio, A. Giacone ed E. Vial, Roma, Carocci,,  G. Tramarollo, “Tra mazzinianesimo e socialismo”,  G. Belardelli, Un filosofo antifascista” (Passigli, Firenze,  («Il filo rosso»). Il carteggio di i Rosselli con C. Silvestri, G. Gabrielli, Storia, M. Franzinelli, “Il delitto Rosselli -- Anatomia di un omicidio politico” (Mondadori, Milano). Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Sabatino Enrico Nello Rosselli. Nello Rosselli. Rosselli. Keywords: risorgimento, Mazzini, operaismo, movimento operaio, risorgimento italiano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736396679

 

Grice e Rosselli – apologeticus – implicature cucullate -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gimiliano). Filosofo. Far dobbiamo onorevole menzione di lui, letterato insigne del suo tempo e filosofo di grido, Cattedratico in Napoli ed in Salerno; il quale, a dir del Barrio, partitosi pel genio di visitare l'Africa, e ucciso dal proprio schiavo. Della famiglia di cui è stata la madre del celeberrimo G. Scorza, matematico distintissimo, istruttore, autore di merito, ed illustratore della scienza per metodi ed invenzioni, morto non ha guari in Napoli. Conchiudendo adunque, pare non dubbio essere stato il Nifo calabrese di origine, ed avere avuto tra noi i primi rudimenti di letteratura, tali da avergli dato a vivere. Dal contesto di scrittori calabresi, contemporanei alcuni, e vivuti altri dopo breve tempo della morte di lui, a cui noto veniva per recente tradizione, chiaramente se ne rivela il vero. Dscepolo del celebre Nifo, per la sua dottrina e prescelto a leggere filosofia per più anni a Salerno. Saggi: “Apologeticus adversus cucullatos Philosophiae declamatio ad Leonem X Oratio habita Patavi in principio suarum disputationum; “De propositione de inesse secundum Aristotelis mentem libellu; “Universalia Porphiriana” (Calabria, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, L. Accattatis, Di questo filosofo si occupano nei loro studi, tra gli altri, Zambelli e De Franco. "Rosselli di Gimigliano. Dalle origini a noi" (O/esse) che ricostruisce la sua vita e le sue opera. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tiberio Russiliano-Sesto. Tiberio Rosselli. Rosselli. Keywords: apologeticus, adversus cucullatos philosophiae; de propositione de inesse, universalia porphiriana.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosselli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691969244/in/photolist-2mPsU62-2mPpwbZ-2mLQdrQ-2mKQRx3-2mKjgQZ-2mPHbXQ-25zsJeW-25zsJeL-nphXNB-nqHNYv

 

Rossetti (Vasto). Grice: “A philosopher can also discover a ‘antro di pipistrelle.”” Filosofo, illuminista poliedrico, poeta estemporaneo, tragediografo, archeologo e speleologo, da Martuscelli. Figlio di Nicola Rossetti e Maria Francesca Pietrocòla. Studia a Napoli e Roma. Si trasfere a Elba. Ceelbra la liberazione del Granducato di Toscana con il canto estemporaneo“La superbia dei Galli punita” (Firenze, Gio). Si sposta in Sardegna, sotto la protezione del viceré Carlo Felice. A Sassari compose e rappresenta la tragedia “Morte di San Gavino” (Oristano, Arborense). Si sposta in Provenza, a Nizza, dove scopre la piramide di Falicon, che gli ispira un poemetto in 165 ottave, “La grotta di Monte-Calvo” (Parma). In seguito, si trasfere a Torino, dove conosce Caluso, e si stabilisce a Parma. Inizia a dirigere “Il Taro”. Altri opera. In occasione d'essere l'augusto imperator de' francesi Napoleone I coronato re d'Italia. Cantata (Parma, Luigi); La note” (Parma, Paganino); “Alla tomba di Hoffsteder” (Parma, Luigi); “Ode Saffica” (Parma, Giuseppe Paganino); “Le nozze d’Esculapio De Cinque” (Lanciano, Carabba); “Annibale in Capua (Napoli, Flautina);  A. Lombardi, Storia della letteratura italiana” (Venezia); F. Andreola, Biografia degli uomini illustri del regno di Napoli,  N. Gervasi,  La famiglia Pietrocola di Vasto; L. Spadaccini, Rossetti e le sue battaglie per la libertà”; Rossetti e quei versi ispirati dalla cacciata dei francesi, G. Catania, Rossetti e la grotta del monte Calvo, E. Mugoni, Il fratello perduto, in Studi medievali e moderni. Nei panni dello speleologo ante litteram, si avventura in una cavità del monte Calvo, scoprendo nelle viscere della terra un antro, che ama definire fascinoso ed insieme orribile. Ne celebra la scoperta con la pubblicazione di un poemetto di 165 ottave, “La grotta del monte Calvo”; dato alle stampe a Torino, per i tipi di Domenico Pane, Parma. A Pezzana subentra nella direzione. Si mostra più attento alle notizie scientifiche e contribue ad introdurre nel periodico notizie leggere, come favole e indovinelli che il più delle volte incensano il nome di Napoleone. Con la sua direzionei supplementi al periodico, da semplici elenchi riguardanti le vendite per espropriazioni forzate, si trasformamo in pagine che arricchiscono i contenuti culturali e di svago della testata. L. Marchesani, Storia di Vasto, Apruzzo Citeriore, Napoli, Torchi dell'Osservatore Medico, retro copertina di P. Spadaccini, “Rossetti e la Grotta di Monte Calvo: tra mistero e leggenda, Lanciano, Il torcoliere, D. Martuscelli. Saggi: “Opere” (Parma, Paganino); “Ai liberatori dell'Italia. Ode di Tavanti; Chiari nella Condotta, L. Anelli, Ricordi di storia vastese, Arte della stampa, G. Oliva, “Abum di famiglia: documenti, testimonianze, immagini” (Lanciano, Carabba); P. Spadaccini, Rossetti e la grotta del monte Calvo: tra mistero e leggenda”; Lanciano, IL torcoliere, Eleonora Mugoni, Il fratello perduto: Gabriele e Domenico Rossetti, in Studi medievali e moderni. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Domenico Rossetti. Rossetti. Keywords: il fratello perduto, la Dora, L’Emonia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossetti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716356440/in/photolist-2mPC6Zb-2mMZQZW-2mLQ1Vx-mMHj7J

 

Grice e Rossi – filosofia italiana – la volonta e la temperanza -- Luigi Speranza (Appignano del Tronto). Filosofo. Grice: “Rossi touches many Griciean points: universalia, strength of will, and etc. – he also commented, like I did, on Aristotle’s metaphysics.” Attivo filosofo fra Aureolo e Rimini, dalla parte di Occam e Cesena, e oppositore di Giovanni XXII, nelle dispute dei fraticelli, che portarono alla sua espulsione dall'ordine. Ha idee innovative e spesso influenti in teologia filosofica, filosofia naturale, metafisica e teoria politica.  Soprannominato come "doctor succinctus" e "doctor praefulgidus", come osservabile dalle iscrizioni su uno degli affreschi del convento di Bolzano, e studiato e commentato soprattutto per alcune tesi risalenti del suo Commento alle Sentenze, i Libri Quattuor Sententiarum dichiarazioni autorevoli sui passi biblici che l'opera riune di Lombardo. Le sue vedute contribuiscono all'evoluzione della filosofia basso-medievale. Appignano del Tronto fa parte all'epoca della Marca di Anconada. Nacque da una famiglia con il nome di Rossi (Rubeus). Studia sotto Duns Scoto. Insegna a Perugia. Sottoscrive la risoluzione con la quale viene dichiarata lecita la tesi secondo la quale Cristo e gli apostoli non mai possedeno beni. Prende parte attiva alle lotte interne riguardanti la povertà che divide l'ordine. Insieme a Michele da Cesena, Occam e Bonagrazia di Bergamo, sostenne una regola di assoluta povertà per i successori di Cristo e per la chiesa. Si ribella a Giovanni XXII, sostenendo il suo avversario, l'imperatore Ludovico. I francescani che rifiutano la condanna della critica dei frati minori della bolla Cum inter nonnullos di Giovanni XXII sono accusati di eresia. Questo avvicina l'ordine allo schieramento anti-papale rappresentato da Ludovico. Questi era divenuto ostile a Roma  dopo che Roma rifiuta la conferma e l'incoronazione come imperatore dopo l'elezione a re di Germania, preferendogli Federico I. Ludovico scomunicato, rispose con un Appello. Con esso Roma fra l'altro, viene accusato di eresia, quindi delegittimato per la sua presa di posizione nella disputa sulla povertà. Lo scontro divenne acceso, la conciliazione di Cesena  al capitolo di Lione falle. Cesena venne convocato e trattenuto ad Avignone insieme a Bonagrazia da Bergamo ed Occam.  Rossi come lector nello Studium generale dell'Ordine, sottoscrive una protesta redatta da Cesena  contro l'operato di Giovanni XXII. Ludovico i giunge in Italia, prende la corona imperial. Dichiarato deposto Giovanni XXII. Nomina Pietro da Corbara, con il nome di Niccolò V.  Scomunicato da Giovanni XXII, Rossi decide di raggiungere, fuggendo, Ludovico a Pisa con i suoi con-fratelli prigionieri. Ancora una volta si ribella per protestare contro la sua scomunica. A Pisa i quattro pubblicano un documento, l'”Appellatio maior”, nel quale Giovanni XXII e dichiarato eretico per la sua posizione nella questione della povertà. Lui e i suoi compagni andano però perdendo le simpatie all'interno dell'Ordine. Il tentativo di Cesena di impedire lo svolgimento del capitolo generale convocato a Parigi falle, mentre la riunione dell'Ordine conferma la scomunica di Cesena ed elesse, quale nuovo ministro generale Guiral Ot, ovvero Geraldo di Oddone, favorevole alla Curia. Lui e i suoi compagni sono condannati ed e formalmente confermata la loro scomunica. Rossi ispira la protesta espressa nelle “Allegationes religiosorum virorum”, che dichiara invalida la deposizione di Cesena e l'elezione di Oddone, per l'esclusione di metà degli aventi diritto alla partecipazione al capitolo. I quattro francescani, con Marsilio da Padova, entrano a far parte della curia di Ludovico. Con lui, raggiunsero Monaco di iera, ove si stabilirono nel convento. Perseguitato dalle autorità ecclesiastiche in Italia, fa una ritrattazione formale (che doveva servire da esempio per tutti i dissidenti successivi) e si riconcilia con la chiesa e con l'ordine.  Nel Improbatio, si concentra sulla determinazione di quando e dove i diritti di proprietà hanno origine per sostenere la convinzione che Cristo vive in povertà assoluta. Distingue tra due tipi di proprietà: la proprietà prima della caduta di Adamo, e la proprietà dopo. La proprietà prima della caduta di Adamo, nota anche come la proprietà dello stato pre-lapsario, momento in cui tutte le creature di Dio si rallegrarono nella felicità, sono profondamente collegati tra loro, e condivisa nella creazione di Dio. La proprietà dopo la caduta d’Adamo è stata causata dal primo peccato d’Adamo, rendendo la questione del “diritto di proprietà” distintamente umana. Giovanni XII nega che l'origine della proprietà era legato agl’esseri umani, sostenendo che e il peccato d’Adamo in sé ad esserne la causa. Rossi convene che, senza peccato non ci sarebbero il diritto di proprietà. Tuttavia, il peccato non porta immediatamente al concetto di “diritto di proprietà”. Sostenne che la legge umana è responsabile della formazione del concetto di “diritto di proprietà” non la legge divina. Usa la storia di Caino e Abele, citando volontà corrotta di Caino per sostenere la sua convinzione. Fiorirono una serie di studi nel contesto della filosofia naturale in relazione alla dottrina aristotelica del movimento applicata al moto del proiettile. Per Aristotele un corpo inanimato si muove spontaneamente verso il loro luogo naturale. Un corpo in movimento deve alla presenza continua, e per contatto, di un motore che dirige il corpo verso un’altra direzione. Già Giovanni Filopono mosso logiche obiezioni a questa dottrina.  Con la definizione di un “impeto”, la discussione prosegue, ripresa d’Aquino.  Solo con Rossi si giunse a conclusione. La sua teoria sul moto del proiettile o moto para-bolico, indicato come virtus de-relicta (forza rimanente), è descritta nelle sezioni di suoi commenti sulle Sentenze che spiegano la consacrazione dell'Eucarestia, in una quaestio sull’efficacia dei sacramenti. Il moto di un corpo è causato da una forza lasciata dal corpo che agiva su di essa forza, quella forza residua impressa al proiettile durante il lancio. A differenza della teoria dell'inerzia che ha lo scopo di spiegare solo il fenomeno naturale, la sua teoria della virtu de-re-licta è una spiegazione che include i fenomeni naturali e sopra-naturali. Questa virtu “derelicta” spiega diversi tipi di moto perpetuo e finite ed è destinato a tener conto delle variazioni innaturali. Gli elementi chiave della de-re-licta virtu includono:  Un corpo viene messo in moto da un altro corpo, che lascia la forza rimanente in corpo in movimento. All'inizio di un dato movimento, la ‘de-re-licta’ virtu puo lavorare con o contro la naturale disposizione del corpo in movimento. Se funziona *contro* il corpo in movimento, la virtus derelicta si dissipa ed eventualmente lascia il corpo, cessando il moto. Se funziona *con* il corpo in movimento, la virtus derelicta rimane nel corpo, provocando il potenziale moto perpetuo. Ci sono stati diversi filosofi prima del suo tempo, come ad esempio Richard Rufus di Cornovaglia che sembrano disporre già di versioni della “virtus derelicta”. Quindi non è chiaro se questa teoria sia veramente originta autonomamente da lui. Tuttavia, filosofi come Buridano e Odonis utilizzano la teoria di Rossi per affinare i propri concetti di virtus derelicta, confermando che gioca un ruolo chiave nell'evoluzione della filosofia sulla fisica. Nel secondo libro dei Commentari sulle Sentenze, si focalizza su come la volontà potrebbe agire contro la ragione con conseguente colpevolezza morale. Se la volontà potrebbe o agire prima, o contro giudizio razionale. La volontà è la causa dell'azione. Dopo che l’agente elabora un giudizio, la sua volontà decide di agire sia in conformità con tale giudizio o *contro* di esso. La volontà e il termine medio tra giudizio e azione. Senza di volonta, il giudizio richiederebbe un'azione, negando il concetto di libero arbitrio e colpevolezza morale. Inoltre, la volontà dell’agente è sotto una legge che *obbliga* a compiere un atto buono. Senza questo impegno non ci sarebbe peccato, o colpevolezza morale. Per rispondere a come la volontà dell’agente puo andare contro tale obbligo, distingue tra l’atto apprensivo e l’atto gidicativio. L’atto apprensivo è necessario per far funzionare la volontà. L’atto apprensivo è frutto della cognizione intellettuali e del giudizio. L’atto giudicativo è formato dalla *conoscenza* più complessa in cui il ragionamento si applica giudiziosamente. La volontà non richiede un atto giudicativo da eseguire. Ciò spiega come gl’esseri umani sono in grado di peccare. La volontà non dipende da un giudizio *razionale*. Per evitare l'obiezione che il giudizio è necessario per il ragionamento e non può essere ignorato nel processo deliberativo, offre un'ulteriore distinzione tra *conoscenza* apprensiva e *conoscenza* giudicativa, e due tipi di giudizi riflettenti razionali. Queste distinzioni consentono un giudizio da selezionare su un'altra causa della forza che riceve da essere *selezionato* dalla volontà. Altri saggi: “Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, una confutazione alla bolla papale di Giovanni XII. Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum. Affronta i principali temi: le relazioni delle persone divine all'interno della trinità e il rapporto tra il creatore e il mondo, la libertà di dio nel creare, la pre-scienza divina e la pre-destinazione alla salvezza. “Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis Quaestiones praeambulae et Prologus” -- Riflette sullo statuto scientifico della teologia e della metafisica. Distingue primi libri prima ad decimam Questes super metaphysicam. Repertorium biblicum Medii Aevi, IMatriti Visita triennale di O. Civelli, Picenum seraphicum, A. Ratisbona, Chronica de ducibus ariae, G. Leidinger, in Mon. Germ. Hist., M. Firenze, Compendium chronicarum fratrum minorum, in Arch. franc. hist., A. Emmen, in Lex. fA. Heysse, Descriptio codicis Bibliothecae Laurentianae Florentinae S. Crucis, Plut. A. Heysse, Duo documenta de polemica inter Gerardum Oddonem et Michaelem de Caesena, Perpiniani, Monachii,  in Arch. franc. hist., A. Pompei, Enciclopedia filosofica, Venezia, cfr. anche impeto, A. Possevino, Apparatus sacer, Venezia; A. Tabarroni, Paupertas Christi et apostolorum. L'ideale francescano in discussione Roma A. Teetaert, Deus et homo ad mentem I. Duns Scoti. Acta Congressus scotistici Vindobonae, Roma; C. Dolcini, “Crisi di poteri e politologia in crisi” (Bologna); “C. Dolcini, Il pensiero politico di Michele da Cesena,  Faenza, Roma C.Schabel, Il determinismo, Picenum Seraphicum. C. Schabel, “La virtus derelicta e il contesto del suo sviluppo” in C. Schabel, “La dottrina sulla predestinazione di Rossi,” Picenum Seraphicum, F. Giambonini, Giovanni dalle Celle, L. Marsili, Lettere, Firenze, Repertorium Commentariorumin Sententias Petri Lombardi, F. Tinivella, Enciclopedia cattolica, Vaticano, F. Gonzaga, De origine seraphicae Religionis franciscanae, G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli, G. Mazzuchelli, Gli scrittori d'Italia, Brescia, G. Sbaraglia, Scrittori francescani piceni; G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci, Roma; I.A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae aetatis, Firenze; L. Wadding, Annales minorum, Quaracchi, L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum quibus accessit syllabus illorum qui ex eodem Ordine pro fide Christi fortiter occubuerunt, priores atramento, posteriores sanguin. christianam religionem asseruerunt, recensuit Fr. Lucas Waddingus ejusdem Instituti Theologus, ex Typographia Francisci Alberti Tani, Roma,  Ludger Meier, De schola franciscana Erfordiensi. N. Glassberger, Chronica, in Analecta franciscana, II, Ad Claras Aquas; N. Schneider, N. Mariani, “Francisci de Marchia sive de Esculo, Quodlibet cum quaestionibus selectis ex commentario in librum Sententiarum, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Sententia et compilatio super libros Physicorum Aristotelis, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Mariani, Due Sermoni, Archivum Franciscanum Historicum Nazareno Mariani, Francesco di Appignano OFM, Contestazione, Appignano del Tronto, Nazareno Mariani, Francisci de Esculo, OFM, Improbatio contra libellum Domini Johannis qui incipit Quia vir reprobus, ed. (= Spicilegium Bonaventurianum) Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia, “Quaestiones super Metaphysicam”; Spicilegium Bonaventurianum), Grottaferrata; N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Distinctiones primi libri a prima ad decimam”; Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N.  Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi; “Distinctiones primi libri a undecima ad vigesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata, N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi. Distinctiones primi libri a vigesima noa ad quadragesimam octavam, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani, Francisci de Marchia sive de Esculo, “Commentarius in IV libros Sententiarum Petri Lombardi”; “Quaestiones praeambulae et Prologus, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata); N. Mariani, Franciscus de Esculo, “Improbatio”, Grottaferrata); N. Mariani, “Questioni sulla metafisica”, Spicilegium Bonaventurianum, Grottaferrata; N. Minorita, Chronica. Cividali, Il beato G. dalle Celle, in Mem. dell'Accad. dei Lincei,   Gauchat, Cardinal Bertrand de Turre, Ord. min. conc.   "Quaestiones in Metaphysicam", F. Serino. Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, R. Lambertini, “La proprietà di Adamo”; “Stato d'innocenza ed origine del dominium nel Commento alle Sentenze e nell'”Improbatio” di F. d'Ascoli, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo, IC  R.F. Bennett, H. Offler, Guillelmi de Ockham Opera politica, Mancunii S. Baluze G.D. Mansi, Miscellanea novo ordine digesta, Lucae S. Cipriani, Dizionario ecclesiastico (Torino); Collectanea franciscana, T. Nani, W. Duba, D. Carron, G. Etzkorn, “Francisci de Marchia, “Quaestiones in secundum librum Sententiarum”, Reportatio, Quaestiones,  Leuven; W. Eckermann, Hugolini de Urbe Veteri Commentarius in quattuor libros Sententiarum.  Francesco d'Ascoli, Francesco della Marchia, Francesco d'Appignano, Francisco de Esculo, Franciscus Pignano, Franciscus Rubeus, Francesco Rossi, Schneider, A proposito della teoria dell'mpetus nella filosofia della natura. G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci a Waddingo aliisve descriptos; cum adnotationibus ad Syllabum matyrum eorundem ordinum, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma, L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Roma, Napoli, Biblioteca Nazionale. Explicit fratris Francisci de Marchia super primum Sententiarum secundum reportationem factam sub eo tempore, quo legit Sententias Parisius anno Domini; Commento ai primi sette libri della “Metaphysica” di Aristotele, N. Minorita, Cronaca, G. Pamiers, Quodlibet  “Acta, gesta et facta fuerunt praedicta coram religiosis et honestis viris, fratribus Ordinis Minorum”, Francisco de Esculo, in sacra theologia doctore et lectore tunc in conventu Fratrum Minorum de Avenione. M. Lambert, Povertà francescana;  La dottrina dell'assoluta povertà di Cristo e degli apostoli nell'Ordine francescano, Biblioteca Francescana, Cf. MS Firenze, Biblioteca Laurenziana, Santa Croce, pluteo, sinistra,  Appellatio maior, N. Minorita, Chronica. Cui appellationi et provocationi incontinenti adhaeserunt et eam approerunt religiosi viri frater Franciscus de Esculo, doctor in sacra pagina. F. d'Ascoli, Occam, Enrico di Talheim e Bonagrazia da Bergamo, Allegationes religiosorum virorum, Baluze-Mansi in Miscellanea, Lucca e dallo Eubel in Bullarium Franciscanum, Roma,  R. Lambertini, “Rossi e Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile, Convegno su Francesco d'Appignano; Jesi, Terra dei Fioretti;  Lambertini, F. d'Appignano ed Occam: alcuni aspetti di un rapporto non facile in AConvegno su F. d'Appignano; Jesi, Edizione Terra dei Fioretti;  G. Filipono, Commentari alle opere di Aristotele, “Sulla generazione e corruzione”; “Sull'anima”; “Analitici primi”; “Analitici secondi”; “Le Categorie, Fisica, Meteorologia  Fabio Zanin, Francis of Marchia, Virtus Derelicta.   --  "How is Strength of the Will Possible? (cfr. H. P. Grice, “I’ll show Davidson how continentia and temperantia are POSSIBLE!”). Dopo la grande edizione critica di N. Mariani, Grottaferrata, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Centro Studi Francesco d'Appignano. Francesco Rossi della Marca. Rossi. Keywords: continentia, temperanza, giudizio, giudicazione, volonta, volere, atto apprensivo, appresione, atto giudicativo, conoscenza apprensiva, conoscenza giudicativa, decisione, libero arbitrio, colpavolezza morale, agire l’atto buono, possibilita della colpavolezza morale, la legge, la volonta sotto la legge, giudizio razionale, agire razionale, ragionamento, conclusione, sillogismo pratico, elezione, la caduta d’Adamo, la teoria dell’elezione e la deliberazione, i peripatetici, virtus de-re-licta, teoria del moto, moto perpetuo, virtus contro il corpo, virtus con il corpo, volonta con il giudizio, volonta contro il giudizio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736603825/in/datetaken/

 

Grice e Rossi – l’implicatura di Lucrezio – filosofia italiana -- Luigi Speranza (San Giorgio la Montagna). Filosofo. "il più grande e puro metafisico" nelle parole di Vico. Vive a Montefusco. Studia a Napoli. Scrive diverse saggi tra cui il più importante rimane Della mente sovrana del mondo.  Altri aggi: Considerazioni di alcuni misteri divini, raccolti in tre dialoghi,  Dell'animo dell'uomo,  Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tommaso Rossi. Rossi. Keywords: implicature moderna, argumenti contro Lucrezio, Lucrezio, De rerum natura, animi degl’uomini, anime degl’uomini, animo/anima, corpi degl’uomini, corpi degl’animali, degl’affetti degl’uomini, il senso, il moto, i corpuscoli. Ossessione con Lucrezio come filosofo romano.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735678786/in/datetaken/

 

Grice e Rossi – lo storicismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Studia  a Torino sotto Abbagnano, Napoli, e Milano. Insegna a Cagliari e Torino. Studia lo storicismo, l’illuminismo, e il positivismo. Saggi: “Lo storicismo” (Einaudi, Torino); “Storia e storicismo” (Lerici, Milano); “La storiografia Saggiatore, Milano); “Oltre lo storicismo (Saggiatore, Milano); “Storia della filosofia”, Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cf. Grice, “Speranza e l’opera di Grice in Italia.” Rossi. Keywords: lo storicismo, la critica della ragione storica, la storia della filosofia – l’antichita – filosofia romana, filosofia antica, gl’antichi, la filosofia romana, filosofia italica – indice al volume ‘L’antichita’ nella ‘Storia della filosofia” – “L’antichita” – storiografia filosofica – l’origine della filosofia italica, l’origine della filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734837492/in/datetaken/

 

Grice e Rossi – l’implicatura di Vico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Urbino). Filosofo.  Studia ad Ancona, Bologna, e Firenze sotto Garin. Insegna a Città di Castello e Milano. Lavora all'Enciclopedia dei ragazzi presso la casa editrice Mondadori.  Insegna a Cagliari, Bologna, e Firenze. Si occupa di storia della filosofia e della scienza, con particolare riguardo al Cinquecento e al Seicento, pubblicando saggi. Cura edizioni di diversi autori, tra i quali Cattaneo (Mondadori) e Vico (Rizzoli). Le collaborazioni con giornali vanno dalla rubrica "Scienza e filosofia" sul settimanale Panorama alla rubrica "Storia delle idee" per il supplemento culturale La Domenica del quotidiano Il Sole 24 ore. Della "rivoluzione scientifica" sostiene che la scienza vive un vero e proprio mutamento di paradigma. Il carattere rivoluzionario dei mutamenti nel modo di fare scienza avvenuti all'epoca di Galilei grazie a una serie di fattori: la visione della natura, non più divisa tra corpi naturali e "artificiali", la dimensione continentale (e, in prospettiva, mondiale) della cultura scientifica, l'autonomia da Roma, la pubblicità dei risultati. Un'altra importante novità e costituita dal formarsi di un'autonoma comunità scientifica, "una sorta di autonoma Repubblica della Scienza dove non esiste l'ipse dixit".  Si dedica al tema della memoria, in chiave filosofica e storica, in “Il passato, la memoria, l'oblio”. Analizza e denuncia l'esistenza di diverse forme di "ostilità alla scienza" (il "primitivismo" e l'"anti-scienza") che, come forma di reazione allo sviluppo tecnologico e industriale, propugnano come soluzione di tutti i mali il ritorno a un mondo pre-moderno idealizzato e il rifiuto della razionalità. Socio corrispondente dell'Accademia Pontaniana di Napoli. Dei lincei. Saggi: “Acocio” (Milano, Bocca); “Favole antiche” (Milano, Bocca); “Dalla magia alla scienza” (Bari, Laterza); “Clavis Universalis: arti della memoria e logica combinatoria” (Milano, Napoli, R. Ricciardi); “I filosofi e le machine” (Milano, Feltrinelli); “Galilei” (Roma-Milano, CEI-Compagnia Edizioni Internazionali, “Il pensiero di Galilei: una antologia dagli scritti, Torino, Loescher); “Le sterminate antichità: studi vichiani” (Pisa, Nistri-Lischi); “Storia e filosofia: saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi); “Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli, A. Morano); “La rivoluzione scientifica” (Torino, Loescher, Pisa, Edizioni ETS,  “Immagini della scienza,” Roma, Editori Riuniti); “I segni del tempo: Storia della nazione italiana in Vico” Milano, Feltrinelli); “I ragni e le formiche: un'apologia della storia della scienza,” Bologna, Il Mulino); “Storia della scienza,” Torino, Pomba, “La scienza e la filosofia dei moderni: aspetti della rivoluzione scientifica,” Torino, Boringhieri, “Paragone degli ingegni moderni e post-moderni,”Bologna, Il Mulino, “Il passato, la memoria, l'oblio: sei saggi di storia delle idee” (Bologna, Mulino); “La filosofia,” Torino, Pomba, “Naufragi senza spettatore: l'idea di progresso,” Bologna, Il Mulino, “La nascita della scienza” Roma, Laterza, “Le sterminate antichità e nuovi saggi vichiani,” Scandicci, La Nuova Italia, “Un altro presente: saggi sulla storia della filosofia,” Bologna, Il Mulino); “Bambini, sogni, furori: tre lezioni di storia delle idee, Milano, Feltrinelli); “Il tempo dei maghi: Rinascimento e modernità, Milano, R. Cortina, Speranze, Bologna, Il Mulino, Mangiare, Bologna, Il Mulino,  Un breve viaggio e altre storie: le guerre, gli uomini, la memoria (Milano, Cortina); saggi in onore di Paolo Rossi, Antonello La Vergata e Alessandro Pagnini, Nuova Italia, Firenze, Segni e percorsi della modernità: saggi in onore, F. Abbri e M. Segala, Dipartimento di Studi Filosofici dell'Siena, Antonio Rainone, «Rossi Monti, Paolo» in Enciclopedia ItalianaVI Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Ferdinando Abbri, Nuncius, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Un maestro, Pisa, Edizioni della Normale, Tra Banfi e Garin: la formazione, in Rivista di filosofia, Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche -- Per una scienza libera, intervista. Storia Moderna, : memoria e reminiscenza, sul  RAI Filosofia, su filosofia.rai. Il Fondo Rossi nella biblioteca del Museo Galileo. Paolo Rossi. Paolo Rossi Monti. Monti. Keywords: Cattaneo, Aconzio, Vico, Galilei, nato Paolo Rossi, adottato dalla zia materna, Monti, Vico, Vinci, Garin, Banfi, la storia della nazione italiana, Vico e la storia della nazione italiana, favola antica, dalla magia alla scienza, bruno.  – Refs. Luigi Speranza, “Grice e Rossi: l’implicatura di Vico” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51667660922/in/photolist-2mHGgw3-E4u3XA-2mKr38G-BNZ85J-ALFv7d-AxxzTD-AZWYJA-ApRtxq-Axw9LB-B3MNUK-A6poSZ-BcuYTZ-ApQAXh-ApiFAg-Bah84L-AxtCpu-BcuKBD-B1z6ph-B3gchn-B3QKYi-ApmdTH-Axwy9t-AscfFc-AxwmBa-Bcutrc-AewDtF-B26qKh-A6ZQf4-Bajmv1-A6q9QZ-Apk84E-AeC6uP-Bcvwwt-Bbwckk-B27ZJG-oaRQwU-nTsKH2-nTt1ft-oaWxtt-o8NdWA-o7k5vN-nKMCbE-o58rvZ-nUfS4K-nVy125-nbpW4V-nbpUW6-nsWw87-nbpHBc-nt44Az

 

Grice e Rosso – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Corleone). Flosofo. Vive a Palermo. Scrisse tre saggi. Il primo e “Varie cose notabili occorse in Palermo ed in Sicilia”. Il secondo e “Descrizione di tutti i Luoghi Sacri della felice Città di Palermo”. Descrive le chiese di Palermo. Questo saggio e ricordato in vari altri saggi. Il terzo saggio e “Diario Palermitano”. Il comune di Palermo gli dedica una via.  Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Mira/bibl Siciliana. D. Ciccarelli e M. Valenza, La Sicilia e l'Immacolata: non solo 150 anni. Atti del convegno, T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia, Electa, pagine  Roma. Istituto di studi bizantini e neo-ellenici, Rivista di studi bizantini e neo-ellenici. G. Marzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia: Opere storiche inedite. Valerio Rosso. Rosso. Keywords: filosofia siciliana, filosofia italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rosso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734795297/in/datetaken/

 

Grice e Rota – la lavagna del grupo di giocco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vigevano).  Filosofo. Italian philosopher. Grice: “Many Italian philosophers would not consider Rota an Italian philosopher seeing that he earned his maximal degree without (not within) Italy! And right they would, too!” Saggi: “Pensieri discreti” (Garzanti). Dizionario biografico degl’italini. F. Palombi, “La stella e l’intero – la ricercar di Rota tra matematica e fenomenologia” (Boringhieri); D. Senato, “Matematico e filosofo” (Springer)Gian-Carlo Rota. Rota. Aune: “I left the play group when I realised that Grice could care less about blackboards!” -- Keywords: il primate dell’identita, Whitehead, fenomenologia, Husserl, Heidegger, tra fenomenologia e matematica, la stella e l’intero, discrezione, indiscrezioni, combinatoria e filosofia, la lavagna del gruppo di giocco. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Rota," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/

 

Grice e Rotondi – Roma antica – filosofia italiana. – Luigi Speranza (Vicovaro).  Filosofo. I primi anni di attività della sua “libreria delle occasione” sono piuttosto travagliati in quanto le autorità fasciste, infastidite dalla tipologia eterodossa dei testi in vendita, operano diversi sequestri e infliggono sanzioni. Costretto a chiudere la libreria per evitare il richiamo alle armi della Repubblica Sociale Italiana. Considerato disertore, si rifugia con la famiglia a Vicovaro. Individuato in seguito ad una delazione, riesce fortunosamente a sfuggire alla cattura e si allontana verso le montagne che circondano il paese, inseguito dappresso da Tedeschi. Disperando di potersi salvare, si nasconde nei pressi di una casa abbandonata, popolarmente ritenuta abitata dagli spirit  e qui avviene l'evento fondamentale sopra descritto che cambierà la sua vita e le sue convinzioni, aprendolo alla conoscenza del mondo spirituale. Improvvisamente ha una visione folgorante nel Cielo. Sedetti a contemplare la scena. Una catena di globi luminosi dall'alto scendevano fin giù, penetravano nella terra, poi altri che risalivano e poi ridiscendevano come per riunirsi in un misterioso convegno. Si sentivano delle voci indistinte. Si trattiene ad osservare tale spettacolo misterioso salvandosi, in questo modo, dal rastrellamento in corso nel vicino paese di Roccagiovine. Questo primo decisivo contatto con il paranormale  raccontato in "Il protettore invisibile". Tale evento rappresenterà l'inizio del suo studio e del suo interesse nei confronti dell'esoterismo e della spiritualità. Pubblica massime, proverbi e aforismi di Roma antica. Dà alle stampe “L’arte del silenzio e l’uso della parola”, un originale e lungimirante saggio il cui intento si manifesta già dalla dedica, firmato con lo pseudonimo di Vico di Varo, derivato chiaramente dal suo paese natale. Viene incaricato di redigere un opuscolo commemorativo in occasione dell'inaugurazione in Vicovaro del Monumento in onore delle vittime della strage nazista delle Pratarelle. Svolge una funzione di aggregazione e catalizzazione culturale in anni difficili in cui certi ambiti di studio venivano guardati con sospetto, quando non con manifesta ostilità.  Partecipa e svolge un ruolo tutt'altro che secondario nel Cerchio Firenze, una delle più importanti esperienze para-psicologiche collettive italiane. Lui la sua libreria,  sono ormai un punto di riferimento di tutto un mondo culturale in espansione e finalmente libero da ogni censura. Pubblica  titoli presso diverse case editrici (Mediterranee, Astrolabio, Sugarco, S.A.S.), firmandoli oltre che con il suo vero nome con il pseudonimo ‘Amadeus Voldben’, acronimo di “Volontario del Bene”. Tale nome d’arte sta ad indicare la missione che si e prefisso e che delinea nel libriccino “I volontari del bene”, vera e propria bibbia per tutti coloro che si riconoscono nel progetto di diffusione del bene.  Oltre al valore intrinseco degli scritti, sono le riunioni e la sua stessa presenza in libreria a suscitare curiosità e interesse presso un pubblico molto ampio che vede in lui una guida spirituale in grado di fornire suggerimenti mai banali e, da educatore, sempre comprensibili. Dietro la sua apparente severità, che è semplicemente rifiuto della superficialità, traspare la disponibilità e l'umanità, accessibili a chiunque si sforzi di varcare il civico 82 di via Merulana. Si caratterizza da una produzione culturale ed una serena consapevolezza. Regala gemme di saggezza e consigli. Oltre ai testi pubblicati lascia altri scritti, alcuni pronti per la stampa altri bisognosi di revisione, che vengono pubblicati da i quali si sono impegnati a proseguire l'attività in libreria, mantenendosi fedeli all'impostazione originaria da lui delineata. La libreria riceve il riconoscimento di "negozio storico" da parte del Comune di Roma.  Opere: Saggezza ” (I della collana Le Perle, ristampato da Astrolabio. L'arte del silenzio e l'uso della parola, ristampato dalla Libreria Rotondi; Saggezza di Roma antica, collana Le Perle). Saggezza dell'antica Grecia, collana Le Perle). Amore e saggezza nel pensiero,  collana Le Perle). Il giardino della saggezza, collana Le Perle). “Dopo Nostradamus: le grandi profezie sul futuro dell'umanità” (Mediterranee); “Un'arte di vivere: via segreta alla serenità” (Mediterranee); “La coppa d'oro: insegnamenti dei maestri, fonte di luce e di energia, SAS; Le influenze negative: come neutralizzarle, SugarCo,,  Il protettore invisibile: la guida che ci aiuta nei momenti difficili della vita, Mediterranee, La voce misteriosa, Astrolabio; Lo scopo e il significato della vita: perché si nasce, perché si vive, perché si muore, Mediterranee, I prodigi del pensiero positivo: il suo potere e la sua azione a distanza, Mediterranee, Il destino nella vita dell'uomo, Mediterranee, La re-incarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee, La potenza del creder e la gioia d'amare: i prodigi della fede e dell'amore, Mediterranee,  Una luce nel tuo dolore, Mediterranee); “Guida alla padronanza di sé, Mediterranee, La magica potenza della preghiera, Mediterranee); La chiave della vita, Mediterranee,  La presenza divina in noi, Mediterranee, Le leggi del pensiero: l'energia mentale e l'azione della volontà, Mediterranee); Le grandi profezie sul futuro dell'umanità, Mediterranee. La potenza creatrice del pensiero, Mediterranee, Pensieri per una vita serena, Mediterranee); “Ricordo dei nostri martiri. Commemorazione in occasione dell'inaugurazione del monumento ai martiri delle PratarelleVicovaro, Tipografia Seti, Roma); “I Volontari del Bene” (Libreria Rotondi Editrice, Roma); “Reincarnazione e fanciulli prodigio, Mediterranee, Roma, La reincarnazione: verità antica e moderna, Mediterranee); “La voce misteriosa”; “Le perle”. L’arte del silenzio e l’uso della parola. La Libreria Rotondi è segnalata in molte pubblicazioni, tra cui la Guida ragionata alle librerie antiquarie e d'occasione d'Italia, C. Messina, Roma); A. Voldben, Il protettore invisibile, Edizioni Mediterranee, Roma,  La sua partecipazione agli incontri del Cerchio Firenze 77 è ricordata in “Oltre l'illusione, Roma, Mediterranee, e “Oltre il silenzio” L. Campani Setti, Roma, Mediterranee). Dopo Nostradamus, I prodigi del pensiero positivo, Le influenze negative, Il protettore invisibile: Molte persone si rivolgevano a Rotondi per ricevere consigli. Una testimonianza letteraria di questa consuetudine si trova nel romanzo di  Giovetti Weimar per sempre (Mediterranee, Roma) in cui il personaggio si reca presso la Libreria delle Occasioni per ricevere suggerimenti su questioni spirituali e libri. Libreria Rotondi, Libreria delle Occasioni (La libreria fondata da Rotondi) La piccola miniera (da Il Corriere della Sera) Il libraio di via Merulana e i globi luminosi (da La Repubblica) Cerchio Firenze  (Esperienza parapsicologica collettiva) Andiamo alla scoperta (da La Piazza di Castel Madama.  ‘Vico di Varo’. Amedeo Rotondi. Rotondi. Keywords: Roma antica, antica Roma, le perle, Vicovaro, filosofia fascista, il veintennio fascista. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rotondi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736417395/in/datetaken/

 

Grice e Rovatti – i giocchi e gl’uomini – filosofia italiana – Luigi Speranza (Modena). Filosofo.  Grice: “I do not know any other philosopher other than me or Austin who, like Rovatti, is obsessed wiith the concept of a ‘game’!” Studia fenomenologia a Milano con Paci. Insegna a Trieste. Si occupa dei rapporti tra fenomenologia e marxismo pubblicando “Critica e scientificità in Marx” e poi focalizzando in vari saggi il tema dei bisogni con riferimento anche alla psicoanalisi. Le questioni concernenti il “pensiero debole” diventano il punto di partenza di “La posta in gioco”; “Abitare la distanza”, “Il paiolo bucato”; “La follia in poche parole”; “ L'esercizio del silenzio” Possiamo addomesticare l'altro?”; “Inattualità del pensiero debole”. Queste questioni riguardano soprattutto la possibilità di una «logica paradossale» e si articolano intorno ai temi del gioco, dell'ascolto e dell'alterità, tutti collegati alla questione della soggetto. Saggio su Paci.  Dalla filosofia del gioco nascono anche “Per gioco”; “La scuola dei giochi” (Bompiani, Milano); “Il gioco di Wittgenstein” (EUT, Trieste). Si interessa alla consulenza filosofica, con “La filosofia può curare? La consulenza filosofica in questione” (Cortina, Milano). Altre saggi: “Il coraggio della filosofia” in «aut aut».  Tiene una rubrica sul quotidiano "Il Piccolo" di Trieste, “Etica minima”. Racoglie "scritti corsari" (cfr. Pasolini) in vari saggi: “Etica minima – saggi quasi corsair sull’anomalia italiana” (Cortina, Milano);“Noi, i barbari – la sottocultura dominante” (Cortina, Milano); “Un velo di sobrietà” (Saggiatore, Milano); “Accanto a una sensibile sintonia”. Si manifesta nella sua filosofia una particolare attenzione sul rapporto tra potere e sapere; “Gli egosauri” (Elèuthera, Milano); “Le nostre oscillazioni” (Collana Edizioni alpha beta Verlag, Merano); “L’intellettuale riluttante, Elèuthera, Milano); “Restituire la soggettività. Lezioni sul pensiero di Basaglia, alphabeta, Merano); “Inattualità del pensiero debole” (Forum, Udine); “La posta in gioco: il soggetto” (Bompiani, Milano); “Consulente e filosofo. Osservatorio critico sulle pratiche filosofiche” (Mimesis, Milano). “Possiamo addomesticare l'altro? La condizione globale” (Forum, Udine); “Abitare la distanza. Per una pratica della filosofia” (Feltrinelli, Milano); “Scenari dell'alterità, Bompiani, Milano); “Il decline della luce” (Marietti, Genova); L'università senza condizione” (Cortina, Milano); “La follia in poche parole” (Bompiani, Milano); “Fare la differenza” (Triennale di Milano, Milano); “Il paiolo bucato. La nostra condizione paradossale” (Cortina, Milano); “Introduzione alla filosofia contemporanea, Bompiani, Milano); “Lettere dall'università, Filema, Napoli); “Per gioco: piccolo manuale dell'esperienza ludica” (Cortina, Milano); “Trasformazioni del soggetto: un itinerario filosofico” (Poligrafo, Padova); “Dizionario dei filosofi contemporanei, Bompiani, Milano); “Elogio del pudore. Per un pensiero debole” (Feltrinelli, Milano Intorno); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano); “Bisogni e teoria marxista” (Mazzotta, Milano); “Critica e scientificità in Marx: per una lettura fenomenologica di Marx e una critica del marxismo di Althusser (Feltrinelli, Milano);  “La dialettica del processo” (il Saggiatore, Milano). aut aut. Pier Aldo Rovatti: il pensiero debole, sul  RAI Filosofia, su filosofia.rai. Pier Aldo Rovatti. Rovatti. Keywords: i giocchi e gl’uomini --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovatti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735500411/in/datetaken/

 

Grice e Rovella – Querce – filosofia siciliana. Filosofia italiana – Luigi Speranza. (Palazzolo Acreide). Filosofo. Appartene ad una famiglia contadina. Studia a Ispica e Catania sotto Carbonara con un saggio di estetica, sul rapporto fra contenuto o materia e forma. Insegna a Noto e Palazzolo.Pubblica “L'uomo” (Giannini, Napol). In una serrata discussion affronta la metafisica ed espone il suo convincimento che la ricerca senza condizioni, attraverso l'intelligenza attiva e creatrice può aprire all'uomo orizzonti creativi, seppur rischiosi. La metafisica imprigiona in schemi rigidi e vincolanti. Pervenire all'autocoscienza è il compito più degno degl’uomini, che pur problematico in sé non rimaneno imprigionati nel problematicismo. Altre opera: “Deneb” (Caltanissetta, Roma), romanzo filosofico che narra la pulsione verso l'oltre, attenuando, così, la precedente critica verso la metafisica e aprendo verso il mistero che comporta il confronto con tre donne che rappresentano tre volti diversi della verità. La stella “Deneb” è metafora della pulsione verso l'alto. Abbondano i riferimenti autobiografici da cui emerge l'attaccamento alla casa natia, che non abbandona, alla famiglia e soprattutto ad un modello di vita contadina morigerata e sobria. Lo stile   è affabulante. L'autocoscienza e il trionfo della morte  in Gentile in Il pensiero di Gentile (Enciclopedia Italiana, Roma). Qui si esamina il momento finale della vicenda umana e filosofica di Gentile alla cuia filosofia e sempre legato. “L'errore del cerchio” (Siracusa). Predomina il colloquio interiore, lo scavo nella coscienza e nella memoria. Procede come un giallo. Un tema attraversa gli avvenimenti, la libertà e la necessità di un suo contenimento. “La fattoria delle querce” (Caruso, Siracusa). L’epopea della famiglia siciliana Capobianco, governata da una donna e sviluppata attraverso un intrigo di personaggi e di vicende. I discendenti Capobianco sono identici agli ante-nati, e la ricerca della genealogia è il problema più assillante per i personaggi. Il mito dell'eterno ritorno dell'identico li e caro. Rimane sempre legato ai miti. Fisiognomica, astrologia, venti, odori e turbamenti fanno di questa opera un esempio di scrittura immaginifica e personale. Filosofia di non di facile consume traccia una “Imago Siciliae”. Nella stessa aura de La fattoria sono scritti i racconti. Cambia di nuovo argomento, inizia quella che lui chiama “la fase cristica”, in cui la figura di Cristo e il rapporto fra le religioni sono il tema dominante. “L'ora del destino, dramma in due atti” (Accademia Casentinese di Lettere, Arti, Scienze ed economia, Castello di Borgo alla Collina, Arezzo,  L'Ora in persona di una donna consola il crocifisso che muore quando una congiuntura astrale perviene al suo compimento. In “Vita di Gesù” (Prospettive d'Arte, Milano) Gesù è visto nella sua umanità. La narrazione segue lo sviluppo dei vangeli sinottici, con qualche incursione negli apocrifi. L'autore, che pur ne ha le competenze,si tiene lontano dalle problematiche gesuologiche e cristologiche. Vuole narrare un Gesù “così come parla al cuore”.  L'Angelo e il Re, con prefazione di Pazzi per i tipi di Palomar Bari.I nove mesi di gravidanza di Maria vergine sono narrati con un andamento che si mescola di esoterismo e sapienza umana. Maria spesso, nel mistero del suo concepimento, nella sua realtà quotidiana, vive le vicende del suo quartiere, con le sue amiche, con qualche momento di gioia esaltata e prorompente, con un tratto zingaresco. Attratto da zingari e vagabondi di passaggio, come incarnazione di una libertà che abbiamo smarrita. “Le Madri” (Utopia, Chiaramonte Gulfi). Vi si sente l'eco di J. Bachofen. Breve raro capolavoro, pieno di mistero e poesia, di un potere magico; “Asvamedha” (Utopia, Chiaramonte Gulfi) raccoglie racconti; “Inizio d'amore” (Studi Acrensi, Palazzolo Acreide) raccoglie altri racconti che l'autore pubblicò in varie riviste letterarie nazionali, a cura dell'Istituto Studi Acrensi Palazzolo Acreide. I racconti, dice l'autore, vivono nell'aura dei romanzi di questo periodo.  “La vigna di Nabot, dramma in quattro quadri” (Associazione Amici di G. Rovella, Palazzolo Acreide) narra le vicende del ersonaggio che incontriamo nel primo libro dei Re Cap. 21. La prepotenza dei potenti e la sacralità della terra dei padri sono il filo conduttore del dramma. Nabot muore per una questione di coerenza. E. Scuderi, La fattoria delle Querce, in Le Ragioni critiche, G. Menichelli in Esperienze letterarie,  R. Jacobbi, Il miracolo Deneb, in Arenaria, Palermo, V. Vettori, Il miracolo di Deneb e le profezie di Ruggero, Arenaria, Monachino Ester, Considerazioni su un romanzo di Rovella, in Le Ragioni critiche, Catania, E. Messina, Dal bagolaro alla sequoia” (Romeo, Siracusa); E. Messina, Alle radici del pensiero. La presenza dei suoi maestri” (Romeo, Siracusa). Giuseppe Rovella. Rovella. Keywords: romanzo filosofico, querce. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rovella” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51736086914/in/datetaken/

 

Grice e Rovere – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pesaro). Essential Italian philosopher. The family originates in Albisola, Savona, Liguria. Filosofo. Il giure civile del popolo italiano ha nel testo delle leggi positive e speciali autorità sufficiente da soddisfare la giustizia ordinaria e da risolvere i dubii e acquetare le controversie intorno agli interessi e agli ufficii d'ogni privato cittadino. Di quindi nasce che possono alcuni curiali riuscire segnalati e famosi al mondo con la sola abilità del pronto ricordare, dell' acuto distinguere e dell'interpretare acconcio e discreto. Al giure delle genti occorre, invece, assai di frequente la discussione delle verità astratte. Perocché esso è indipendente e superiore all'autorità delle sopra citate leggi. Ssi connette immediatamente al giure naturale che è al tutto razionale e speculative. Spesso gli è forza di riandar col pensiero sulle fondamenta medesime dell'ordine sociale umano, e spesso altresì non rinviene modo migliore per risolvere i dubii e acquetare le discrepanze fuor che indagare i grandi pronunziati della ragione perpetua del diritto, chiariti, dedotti e applicati mercé della scienza. Poco importa se i metafisici si bisticciano. Ma non va senza danno del genere umano il discordare e il traviare de' pubblicisti. E già si disse che il fine criterio degli uomini illuminati coglie il certo e il sodo della scienza, ma non la crea e non l'ordina. La demenza degli uonini fa talvolta scandalosa la verità. Laonde ella ebbe a pronunziare di se medesima: non venni a recare la pace in mezzo di voi, sibbene la spada. Lo stato essere certa congregazione di famiglie la qual provvede con leggi e con tribunali al bene proprio e alla propria tutela; tanto che sieno competentemente adempiuti i fini generali della socialità e i particolari di essa congregazione. Lo stato italiano non esiste per la contiguità sola delle terre e delle abitazioni, ma per certo congiungimento e unità delle menti e degli animi degl’italiani.Il che riconosciuto e fermato, se ne ritrae ciò che pel diritto  è primo principio ed assioma, non potersi da niuno e sotto niuna ragione arrogare la facoltà di offendere e menomare l'autonomia interna ed esterna dello stato italiano insino a tanto che questo non provoca gli altri ad assalirlo con giusta guerra. Ed eziandio in tal caso è lecito di occupare temporalmente il suo territorio e dominare il suo popolo nei limiti della difesa e dell'equo rifacimento dei danni. L'uomo individuo può nel servaggio e nelle catene serbare con isforzo la libertà dello spirito e compiere in altro modo e sotto altre condizioni certa eroica purgazione e certo mirabile perfezionamento della sua parte interiore e immortale. Ma ciò è impossibile all’intero popolo italiano, il quale nel servaggio di necessità si corrompe ed abbietta, e quindi Gravina chiama assai giustamente la libertà della nazione italiana sacrosanta cosa e di giure divino. L'anima non è vendibile e non è nostra, dicevano i teologanti per dimostrare da più parti la iniquità del contratto. E neppure la libertà è vendibile; e se l'usarla e abusarla è nostro, non è tale la facoltà e il principio infuso da Dio con l'alito suo divino e che al dire di Omero vale una mezza anima. Lo stato italiano possiede onninamente se stesso. Niuno fuori di lui può attribuirsene la padronanza. Quindi il popolo italiano o vivono in se od in altri; cioè a dire, o provedono ai propri fini con leggi e ordini propri e componendo un individuo vero e perfetto della universa famiglia umana. Ovvero entrano a parte d'altra maggior comunanza con ugualità di diritto e d'ufficio, come quelle riviere che ne' più larghi e reali fiumi confondono le acque e perdono il nome. Questa è la generale e astratta dottrina che danno la ragione e la scienza. La patria italiana, impertanto, significa quella contrada e quella congregazione di uomini a cui ciascuno degli abitanti e ciascuno dei congregati sentesi legato per tutti i doveri, gl'istinti, i diritti, le speranze e gli affetti del vivere comune. La patria italiana, considerata nella sua morale e profonda significazione, è il compiuto sodamento di ciascuno verso di tutti e di tutti verso ciascuno. Se la patria italiana non ha debito né possibilità di nudrire del suo ogni giorno tutti i suoi indigenti, spietata cosa sarebbe inibire a questi di procacciarsi altrove la sussistenza. Prediletta opera delle mani di Dio e la nazione italiana. La nazione italiana è pura, domandano essi, e tutta omogenea. Questo e il puro principio della nazionalità italiana. Lo Stato italiano, dipendente come si sia da un altro non è, a propriamente parlare, autonomo. E e perciò, a rigore di definizione, neppure la denominazione di Stato italiano gli si compete. I prìncipi non sono, del certo, scelti da Dio immediatamente, ma sono da Dio immediatamente investiti della sovranità italiana. Il popolo italiano indica l'uomo a cui vuole obbedire e in quell'uomo è subito la pienezza della sovranità italiana che da Dio gli proviene. Perocché come da Dio è istituito il fine della socievole comunanza, così è istituito il mezzo nella autorità del comando. È sicuro che nella lunghezza dei secoli le volontà e i giudizi umani si accostano all'assoluto del bene sociale, quanto che la via che viene trascorsa non procede diritta e spedita ma declina e torce continuo fra molti errori e molte misere concussioni. La libertà della nazione italiana, essendo naturale ed essenziale agli uomini e necessaria concomitanza d'ogni bontà, è doveroso per tutti il serbarla integra nella sostanza. E perciò, né il privato individuo si può vendere ad altro privato, né tutto il corpo de' cittadini assoggettarsi pienamente e perpetuamente al dominio d’altra nazione. Poco o nessun valore ha il dissentimento dei piccioli e deboli, quando anche piglino ardire di esprimerlo; e chi investiga la storia dell’antica Roma, ritrova che delle proteste loro giacciono grandi fasci dimenticati negli archivi delle Cancellerie.Dacché siete i più forti, correte poco rischio di vivere ex lege alla maniera dei Ciclopi. Ma confessare il diritto e contro il diritto procedere, non è conceduto a nessuno. E parlavano meglio quegli Ateniesi che alle querele dei Milesi rispondevano senza sturbarsi. Il diritto è cosa pei deboli e non già pei forti e pei valorosi. Il popolo italiano è autonomo. Con altri vocaboli, lo stato italiano, vero è libero ed inviolabile.E la patria italiana, nel significato morale e politico, è sinonimo di stato italiano -- in quanto questo compone uno stretto e nativo consorzio in cui ciascun cittadino ha debito e desiderio insieme di effettuare il grado massimo di unimento sociale e civile.  S'incominci dall'avvisare chi sono costoro che si querelano della libertà dello stato italiano e ne temono danni così spaventevoli. Costoro sono i medesimi da cui si alzano lagni e rimproveri cotidiani per qualunque libertà, eccetto la propria loro. Vogliono limitare la stampa, limitare la libera concorrenza, limitare il parlamento e in fine ogni cosa col pretesto volgare ed ovvio che il parlamento, il commercio, la stampa abusano di loro facoltà e trasvanno più d'una volta e in più cose. La volontà umana, dite, è corrotta e inchinevole al male. Può darsi. Ma privata di libertà so che depravasi molto di più e i padroni non meno che i servi. Non è lecito agli uomini di esercitare nessun diritto qualora difettino pienamente delle facoltà e dei mezzi correlativi. Perciò il fanciullo, il mentecatto, l'idiota cade naturalmente sotto l'altrui tutela, e per ciò medesimo la parte meno educata del volgo ed offesa di troppa ignoranza, o posta in condizione troppo servile, non ha nel generale facoltà e mezzi proporziod esercitare diritti politici. DEsaminato il fine del viver comune, fatta rassegna d'alcuni principii direttivi, più bisognevoli al nostro intento e poco o nulla noti agl’ntichi romani, segue senza più che noi trapassiamo a contemplare l'ottimo ordinamento civile. Cosi noi delineeremo qnalche fattezza dell'incivilimento umano, contemplandolo nella natura primitiva ed universale del popolo italiano, ed avvisandoci di non iscambiare l'alterato e il mutabile col permanente ed inalterato; e per converso, di non dar nome d'errore emendabile e di accidente transitorio a ciò che appartiene alle condizioni salde e durevoli della comunanza civile. Chè nel primo difetto cadono i troppo retrivi ed i pusillanimi; nel secondo, i novatori audaci e leggeri. Gl’antichi romano con molto senno incominciano dall'insegnar quello che spetta al buono stato della famiglia, perché della comunanza umana l'individuo compiuto non è lo scapolo, ma l'ammogliato con prole o vogliam dire la famiglia, rimossa la quale non rimane intermezzo alcuno che tempri l'amor proprio e la fiera e violenta natura nostra.  L'organizzazione tanto è più eccellente quanto meno cede alle esterne azioni ed impressioni ed anzi modifica con maggior efficacia ed appropria a sé quelle azioni.  È da confessare che un gran trovato fece lo spirito umano e giovevole soprammodo alla prosperità del viver sociale, quando mise in atto quello che fu domandato governo rappresentativo o parlamentare. Se dirai: carattere della nazione italiana è la continuità e circoscrizione del suolo d’Italia. E la nazione e nella lingua, la letteratura e le arti. Se le origini e la schiatta; le colonie sono tal membro e così vivace del corpo della patria onde uscirono, da non potersene mai dispiccare, e la guerra americana fu dalla banda dei sollevati iniqua e parricida. Gran questione poi insorge sulle genti di confine, le quali compongonsi il più delle volte di schiatte anfibie, a cosi chiamarle. Quindi noi vogliamo, per via d'esempio, i Nizzardi essere italiani e i Francesi li fanno dei loro. La compagnia civile comincia là solamente dove gli animi si accostano, e sorge desiderio di regolato e comune operare. La giustizia apre e chiude i congressi degli Dei, non quelli degli uomini. La voce “nazione italiana” nel suo peculiare e pieno significato vuol dire unimento e società d'uomini che la natura stessa con le sue mani à fatta e costituita mediante il sangue e la singolarità delle condizioni interiori ed estrinseche. Per talché quella società distinguesi da tutte le altre per tutti gli essenziali caratteri che possono diversificare le genti in fra loro, come la schiatta, la lingua, l'indole, il territorio, le tradizioni, le arti, i costumi. “Nazione italiana” vuol significare certo novero di genti per comunanza di sangue, conformità di genio, medesimezza di linguaggio atte e preordinate alla massima unione sociale.   (Lo stipite umano è ordinato esso pure a spandere discosto da sé le propagini e i semi; e ogni germe nuovo dee nudrirsi del terreno ove cade, non del tronco da cui si origina. Sieno rese grazie publicamente da tutta l'Italia a voi, o Valdesi, che l'antica madre mai non avete voluto e potuto odiare e sconoscere insino al giorno glorioso che fu da Dio coronata la vostra costanza, e un patto comune di libertà vi riconciliava con gli emendati persecutori.  S'io credessi quelle armi che assiepano il Foro, dice Cicerone, starsene qui a minacciare e non a proteggere, cederei al tempo e mi terrei silenzioso. Ma il fatto fu che quelle armi nel Foro inducevano per se sole una fiera minaccia, tanto che Cicerone parla poco e male, e la paura ammazza l'eloquenza. Dal riscontro, per tanto, di tutte le storie, senza timore mai d'eccezione, e più ancora dalla ripugnanza intima di certi termini, quali sono felicità a servitù, spontaneità e costrizione, ricavasi questa assoluta sentenza che tra le nazioni civili il governo straniero non può vantarsi mai né della legittimità interiore, né della esteriore che emana dall'assentimento espresso o tacito delle popolazioni. Non può aver luogo prescrizione, dove i diritti innati o fondamentali dell'uomo ricevono sostanziale ingiuria ed offesa; e di si fatti è per appunto la indipendenza o dimezzata o distrutta. Ogni cosa nell'uomo è principiata dalla natura e poi dalla ragione e dall'arte è compiuta.Voi stesso l'avete udito? Poerio: E come nò, se rinchiuso era con lui in una prigione medesima? Pignatelli: E fu la vigilia della sua morte? Poerio: Appunto fu la vigilia. Sapete che valica la mezzanotte, una voce improvvisa e sepolcrale veramente rompevane il sonno chiamando forte per nome alcuno di noi; e quella chiamata voleva dire: vieni, ti aspetta il carnefice. La notte pertanto che seguitò quel mirabil discorso di M. Pagano gli sgherri gridarono il nome suo, e fu menato al patibolo. Pignatelli: Stava per mezzo a voi quell'omerica figura del conte di Ruvo? Poerio: Nò, ma in Castello dell'Uovo insieme con altri uffiziali e con l'intrepido Mantonè. Nel Castel Nuovo e in quella carcere proprio dove era F. Pagano, stava il fratel vostro maggiore, principe di Strangoli, stava io, il Conforti, Cirillo, Granali, Eusebio Palmieri, Vincenzo Russo e due giovinetti amorevoli e cari, cioè l'ultimo figliuolo dello Spanò ed un marchese di Genzano, bello come l'Appollino e di cui sentiva il Pagano particolare compassione. V'à una cagione suprema di tutte le cose, cagione assoluta e però insofferente di limiti e incapace d'aumento e di defficienza. Ma se niun difetto può stare in lei, ella è il bene infinito e comprende infinitamente ogni specie di bene. Ciò posto, la cagione suprema è altresì infinita bontà che raggia il bene fuor di sé stessa e ne riempie la creazione ed ogni ente se ne satura, a dir così, per quanto fu fatto capace. Tale contenenza di bene è poi sempre difettiva perché sempre è finita. Di quindi si origina il male. Non si chieda dunque perché Dio è permettitore del male, ma chiedasi in quella vece perché piacque a Dio, oltre all'infinito, che sussistesse pure il finito. (Se il vivere nostro presente fosse condito di molto diletto e noi incapaci di conoscere e desiderare con ismania istintiva l'eternità, forse potrebbesi giudicare senza paradosso aver noi sortito quella porzioncella sola e frammento di beatitudine, brevissima ma sincera e inconsapevole della propria caducità. (p. Col presupposto della immortalità, bene avvertiva il Bruno, alcun desiderio naturale non è indarno e alcuna lacrima non cade senza conforto. Con la immortalità non è affetto generoso perduto, non ferita dell'animo a cui non si apparecchi altrove copioso balsamo. Per entro il corso interminato e magnifico de'nostri destini, ogni male vien riparato, ogni speranza risorge, ogni bellezza rifiorisce, ogni felicità si rinnova e giganteggia ne'secoli. Poerio: Quando fosse possibile strappare dal cuor dell'uomo il concetto e la speranza della immortalità, il consorzio civile medesimo pericolerebbe di sciogliersi e i piaceri e le utilità stesse della vita presente verrebbero gran parte impedite o affatto levate di mezzo. I dotti e i legisti barbareggiavano sempre peggio, e pareva in loro una sorta di necessità tramutata in diritto, e niun discepolo mai se ne querelava; e le lettere cadevano in tale grettezza, che nelle prose del Giordani si appuntavano parecchie mende di stile, ma nessuno accusava la tenuità dei concetti e la critica angusta e slombata. Il Colletta era stimato dai più uno storico sovrano e poco meno che un Tacito redivivo, ed altri istituivano paragone tra il Guicciardini e il Botta, tra il Goldoni ed Alberto Nota. Tale il gusto e il criterio comune. Pochi grandi intelletti non mancavano neppure a quei giorni. Basti ricordare Bartolini nella scultura; Leopardi e Niccolini nella poetica; Rossini, Bellini, Donizetti nella musica. In Italia scemando il sapere e la potenza meditativa, crebbe l'amore spasimato ed irragionevole della bellezza dell'abito esterno, lasciando a digiuno la mente e poco nudriti e mal governati gli affetti. Letteratura vasta, soda e ben definita, e parimente larghe scuole e ben tratteggiate e scolpite mancano alla patria nostra da quasi tre secoli e piuttosto ne abbiamo avuto cenni e frammenti, e ogni cosa a pezzi, a sbalzi e a modo d'assaggio. Miei degni signori, il cibo che v'apparecchio è scarso, scondito e di povera mensa, ma è letteratura e non metafisica. Non appena l'esilio mi astrinse a lasciare l'Italia e fui spettatore d'altro ordine di civiltà e uditore d'altri maestri, subito mi si aprì dentro l'animo l'occhio doloroso della coscienza, ed ebbi della mia ignoranza una paura ed una vergogna da non credere. Per giudicare alla prima prima che tutto è vecchio e trito in un libro convien sapere dell'autore se nel generale à l'abito di pensar di suo capo. Ed egli evoca nuovi spiriti di più sublime natura, i quali entrano a uno a uno dentro la torre. Spirito del mare. Che vuoi? Barone. Sapere l'essenza del bene e la fonte della felicità. Spirito del mare. Perché lo chiedi al mare? Barone. Perché tu sai o puoi sapere ogni cosa; tu nei silenzj della notte tieni misteriosi colloquj con la luna e con le stelle che in te si riflettono; e tu pur ricevi nell ' ampio tuo seno i fiumi tutti del mondo, i quali ti raccontano le geste antiche dei popoli e le più antiche vicende dei continenti per mezzo a cui essi fluiscono senza posa. Spirito del mare. lo non so nulla (sparisce). Barone. Che tu venga malmenato in eterno dallo spirito delle procelle, e che i tuoi membri immortali sieno rotti e squarciati mai sempre dalle taglienti creste degli ardui scogli.  La coda del cavallo bianco dell' Apocalisse. Che vuoi? Barone. Sapere in che consiste il bene, e dove è la fonte della felicità. La coda. Perché lo chiedi a me? Barone. Tu sai la fine ultima delle cose, e tu comparirai poco innanzi della consumazione del secolo. La coda. Quando io comparirò, io ondeggerò nelle sfere, simile alla caduta del Niagara e più tremenda della coda delle comete. Ogni mio crine rinserra un destino; e ogni mio moto è un cenno di oracolo; ò trascorsi tutti i cieli di Tolomeo e i cieli di Galileo e i cieli di Herschel; ò lambita con la mia criniera la faccia delle stelle, e l'ò distesa sulle penne de' turbini; molte cose ò conosciute, ma non quel che tu cerchi: io non so nulla (sparisce). Dagli Arabi si travasò il mal gusto ne' Catalani e ne' Provenzali, e una vena non troppo scarsa ne fu derivata ne' primi nostri verseggiatori. Dante egli pure non se ne astenne affatto; e noi peniamo a credere che a quel genio sovrano venisse scritta la canzone lambiccatissima della Pietra. Sa ognuno che nel seicento, con lo scadere dell' arte, ricomparvero quelle freddure e mattie, e ogni cosa fu piena di acrostici, d'anagrammi, d'allitterazioni e altrettali sciempiezze. Ma per buona ventura cotesta sorta vanissima di pedanteria non sembra ai moderni pericolosa; e dico ai moderni italiani, perché appresso gli stranieri non ne mancano esempj; e molti anno letto in un vivente poeta francese di gran nomea certi capricci di metri e di rime i quali dimostrano come in lui siensi venuti rinnovando tutti gli umori e le vertigini dei seicentisti. E nemmanco ci pare immune dalle stranezze di cui parliamo quel concepimento del Goethe di ordire la tragedia del Fausto con questa singolar legge che ogni scena fosse dettata in metro diverso ed una altresì in nuda prosa, onde potesse affermarsi che niuna maniera del verseggiare ed anzi dello scrivere umano (per quanto ne è capace il tedesco idioma) mancasse a quel dramma; nuova maniera e poco assai naturale e graziosa di porgere idea e figura del panteismo. Non può né deve il poeta scompagnarsi mai troppo dalle opinioni e dai sentimenti comuni dell'età sua; chè da questi principalmente è suscitato l'estro di lui, con questi accende e innamora le moltitudini. D'ogni altro pensiero ed affetto, ove li possieda e li senta egli solo, avrà pochi intenditori, pochissimi lodatori; e la favella delle Muse langue e muor sulle labbra se non suona ad orecchie benevole e a cuori profondamente commossi. In Inghilterra il Milton fierissimo repubblicano e segretario eloquente del gran Cromvello, à quasi sempre poetato di cose mistiche e teologiche e nulla v'à di politico, nulla d'inglese e di patrio, né nel Paradiso perduto, né in altri suoi canti. Riuscirà sempre a gloria grande e invidiata d'Italia che la Gerusalemme del Tasso compaja tanto più bella e mirabile quanto più in lei si contempla e considera intentivamente la perfezione del tutto. Certo, il Valvasone è meno forbito ed armonioso del Tansillo, meno fluido del Tasso seniore, meno corretto, proprio e limato de' più corretti e limati rimatori toscani; ma non per ciò si capisce come questa minor perfezione di forma, abbia potuto oscurare nel giudicio de' raccoglitori e de' critici il gran merito dell'invenzione. Che il Milton siasi giovato dell' Angeleide non so, quantunque fra i due poemi si vengan trovando molti e singolari riscontri che non è facile a credere casuali; ma questo io so bene che a rispetto della guerra degli angeli episodicamente introdotta nel Paradiso perduto, il Valvasone non perde nulla ad esser letto dopo l'Inglese e con quello essere paragonato; il che non avviene del sicuro né per l' Adamo dell'Andreini né per la Strage degl'Innocenti del cavaliere Marino, due componimenti che dicesi aver suggerito a Milton parecchi pensieri e l'ideal grandezza del suo Lucifero. L'ingegno poetico, in versificare ciascuno di quei subbietti, tende a spiegare una novità, un' altezza e una leggiadria suprema di concetto, di sentimento, di fantasia e di stile. Dove mancasse l'una di tali eccellenze, l'arte sarebbe difettosa e quindi increscevole. Ci venne osservato (cosa che per addietro non ben sapevamo) la critica letteraria incominciata in Italia con Dante essere morta col Tasso e gli amici suoi; e come cadde con quel mirabile intelletto la nostra primazia nel ministero delle Muse, così venne meno la filosofia estetica; e il nuovo dell' arte non fu capito, l'antico fu dalla pedanteria svisato e agghiadato. L'arte critica antica ebbe ultimi promulgatori due grandi ingegni, il Muratori e il Gravina. Della critica nata dipoi con le nuove speculazioni e con le nuove forme di poesia, non conosciamo in Italia alcun degno scrittore e rappresentatore. Dopo Omero nessun poeta, per mio giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare, gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati così nel profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della drammatica e l'indole propria degl' ingegni settentrionali impedirono a Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie poetiche e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E veramente nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto di rado; e tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro significate, manca quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante di Beatrice. Il poeta è dall'ispirazione allacciato e padroneggiato sì forte, da non saper bene sottomettersi all'arte ed alla meditazione. Il troppo incivilirsi dei popoli aumentando di soverchio l'osservazione e la critica e affinandovisi l'arte ogni giorno di più per effetto medesimo dell' esercizio e dell' esperienza e per desiderio di novità, mena il poeta a scordar forse troppo l'aurea semplicità degli antichi, il sincero aspetto della natura e i veri e spontanei moti dell'animo. Il compiuto e l'ottimo della poesia consiste in racchiudere dentro ai poemi con vaga e proporzionata unità di composizione tutto quanto il visibile ed il pensabile umano per ciò che in ambedue è più bello e più commovente. Consiste inoltre nel figurare e ritrarre cotesto subbietto amplissimo e universale con la maggior novità e la maggiore sublimità e leggiadria di concepimento, di fantasia, d'affetto e d'elocuzione che sia fattibile di conseguire. Laonde poi il concepimento, così nel complesso come nelle sentenze particolari, dee riuscir succoso, vario ed inaspettato e pieno di recondita dottrina e saggezza; l'affetto dee correre, quanto è possibile, per tutti i gradi e le differenze, e toccare il sommo della tenerezza e commiserazione e il sommo della terribilità. Tasso, anima pia e generosa, ma in cui (non so dir come) nulla v'era di popolare. Quindi egli s'infervorò della maestà teocratica dei pontefici e aderì alla nuova cavalleria cortigiana e feudale; quindi pure accettò con zelo e con osservanza scrupolosa l' ortodossia cattolica, e nella vita intellettuale quanto nella civile, fu dall' autorità dei metodi e degli esempj signoreggiato. Da ciò prese nudrimento e moto il divino estro suo e uscirono le maraviglie della Gerusalemme. Nel Tasso poi sono tutti i pregi e tutta quanta la luce e magnificenza della poesia classica, e spiccano altresì in lui alcuni attributi speciali del genio italiano in ordine al bello. In perpetuo si ammirerà nella Liberata ciò che l'arte, i precetti, l'erudizione e la scienza possono fare, ajutati e avvivati da una stupenda natura poetica. L'Ariosto significa la commedia umana quale la veggiamo rappresentarsi nel mondo, laddove Dante fece primo subbietto suo il soprammondano, e in esso figurò e simboleggiò le cose terrene. E come il gran Fiorentino nelle fogge variatissime de' tormenti e delle espiazioni dipinse i variatissimi aspetti delle indoli e delle passioni, il simile adempiva l'Ariosto sotto il velo dei portenti magici e delle strane avventure. Ma certo qual narrazione di fatti umani riuscirà più vasta, più immaginosa e più moltiforme di quella dell' Orlando furioso? Quivi sono guerre tra più nazioni, nascimenti e ruine di molti regni, conflitto sanguinoso di religione e di culto, infinita diversità e singolarità di costumi, e tutto il Ponente e il Levante offrono larga scena e strepitoso teatro a cotali imprese e catastrofi. Quivi sono dipinte la vita privata e la pubblica, le corti e le capanne, i castelli ed i romitaggi; quivi s'intrecciano gradevolmente la cronica, la novella e la storia, e ciò che il dramma à di patetico, l'epopeia di maestoso, il romanzo di fantastico. Non credo che in veruna straniera letteratura possa come nella nostra volgare annoverarsi una sequela così sterminata di poemi eroici e di romanzeschi, parecchj de' quali brillerebbero di gran luce, ove fossero soli e non li soverchiasse la troppa chiarezza di Dante, dell'Ariosto e del Tasso. Né reputo presontuoso il dire che, per esempio, la Croce racquistata del Bracciolini o il Conquisto di Granata di Girolamo Graziane sostengono bene assai il paragone o con l'Araucana dell' Ercilla o coi medesimi Lusiadi di Luís Vaz de Camões ai quali ànno accresciuta non poca fama le sventure e le virtù del poeta; e per simile, io giudico che l' Amadigi del Tasso il vecchio o l'Orlando innamorato del Berni, non temono di gareggiare con la Regina Fata di Spenser e con quanto di meglio in tal genere ànno prodotto l'altre nazioni. Ma non è da tacere che in quasi tutti questi nostri poemi riconoscesi agevolmente l'uno o l'altro dei tipi che nel Furioso e nella Gerusalemme ricevettero perfezione, ed a cui poca giunta di novità e poche profonde mutazioni si fecero dagl'ingegni posteriori; e ne' poemi eroici singolarmente a niuno è riuscito di ben cantare i difetti del Tasso, molti in quel cambio li esagerarono. Scusabile mi si fa Marino e scusabili gl'Italiani, quand'io considero lo stato di lor nazione sotto il crudele dominio degli Spagnuoli, e fieramente mi sdegno con questi medesimi che nella patria loro ancor sì potente e sì fortunata, plaudivano a que' delirj e incensavano il Gongora, meno ingegnoso assai del Marino e di lui più strano e affettato. In fine, gioverà il ricordare che all'Italia serva, scaduta e dilapidata, rimaneva pur tanto ancora di prevalenza intellettuale appresso l'altre nazioni che de' trionfi più insigni e delle lodi più sperticate del cavalier Marino furono autori i Francesi; e per lungo tempo assai nessuno de' lor poeti seppe al tutto purgarsi della letteraria corruzione venuta d'oltre Alpe; testimonio lo stesso Cornelio, alto e robustissimo ingegno, ma nel cui stile nondimeno avria dovuto il Boileau ritrovare assai spesso di quel medesimo talco del quale parevangli luccicare i versi del Tasso. Dal Marino incominciò a propagarsi nel mondo una poesia fantastica e meramente coloritrice, la quale cerca l'arte solo per l'arte, fassi specchio indifferente al falso ed al vero, alle cose buone ed alle malvage, alle vane e giocose come alle grandi e instruttive; sente tutti gli affetti e nessuno con profondità, e nell'essere suo naturale od abituale, canta di Adone, come di Erode e così delle favole greche come delle bibliche narrazioni] Fiorirono in tale intervallo tre ingegni eminenti che forse mantennero alla lirica nostra una spiccata maggioranza su quella d'altre nazioni. Ognuno, io penso, à nominato ad una con me il Chiabrera, il Filicaja ed il Guidi. Dal solo Chiabrera fu l'Italia regalata di tre nuove corone poetiche; mercechè veramente nelle sue mani nacque e grandeggiò prima la canzone pindarica, poi la canzone anacreontica e infine il sermone oraziano; né mal s' apporrebbe colui che attribuisse al Chiabrera eziandio la rinnovazione del Ditirambo. Il Filicaja venne a tempi ancora più disavventurati, e quando più non era possibile discoprire ne' suoi Fiorentini un segno e un vestigio pure dell'antica fierezza repubblicana. Ma il senso del bene morale e la pietà religiosa fervevano così profondi nell'animo suo che bastarono a farlo poeta. Mai né in questa nostra patria, né fuori sonosi udite canzoni così ben temperate di splendore pindarico e di maestà scritturale come quelle del Filicaja. Nel Guidi allato a concetti ed a sentimenti spesso comuni e rettorici, splende una forma non superabile di novità, di bellezza e magnificenza. Certo, se ad Alessandro Guidi fosse toccato di vivere in seno di una nazione forte e gloriosa, non ostante la poca fecondità e vastità di pensieri, io non so bene a qual grado di eccellenza non sarebbe salita la lirica sua; perché costui propriamente sortì da natura Yos magna sonaturum, e ce ne porge sicura caparra la sua canzone alla Fortuna. A me sonerà sempre caro ed insigne il nome di Alfonso Varano, perché da lui segnatamente, a quello che io giudico, s'iniziò il corso della poesia moderna italiana; e forse la patria non gli si mostra ricordevole e grata quanto dovrebbe. Chi trovasse non poca similitudine tra la mente del Varano e quella del Young, credo che male non si apporrebbe. Anime pie e stoiche ambidue, e dischiuse non pertanto agli affetti gentili, diffondono ne' lor versi un religioso terrore e un' ascetica melanconia che nell'Inglese riescono cupi, inconsolati e monotoni, e nell'Italiano s'allegrano spesso alla vista del nostro bel sole, e dai pensieri del sepolcro volano con gran fede alla pace e serenità della gloria immortale. Varano poi insieme col Gozzi restituì alla Divina Commedia il debito culto; il Gozzi con li scritti polemici, egli con la virtù dell' esempio; ed ebbe arbitrio di dire a Dante ciò che questi a Virgilio: Tu séi lo mio maestro e il mio autore. Se non che il cantore delle Visioni chiuse e conchiuse l'intero universo nel sentimento della pietà e nei misteri del dogma, e non ben seppe imitare del suo modello la nervosa brevità e parsimonia, la varietà inesauribile e la peregrina eleganza. Se taluno dei suoi piuttosto scarsi scolari volle talora celebrare in Rovere. l'ultimo anello della catena che dal Galluppi si continua in Rosmini e Gioberti, unanime e il consenso dei suoi maggiori contemporanei e dei posteri nell'affermare il valore pressoché nullo della sua vasta produzione filosofica. Rosmini e più scolastico, Rovere più civile. Quello quasi sterile in politica, questo molto feconda, risolvendo i problemi più ardui e interessanti della vita sociale. Quello fu timido, questo coraggiosa; quello arriva a rifiutare sul terreno pratico le-conseguenze de' suoi principii per un pregiudizioso rispetto di casta non evitando il disonore di una ritirata e la deformità del sofisma; Rovere, per lo contrario tutta intrepido si sostenne colla gloria di una vittoria, colla dignità di una rigorosa coerenza, e colla bellezza di una vera argomentazione. Rosmini in un bel momento di sua ragione scrive stupende pagine sulla riforma del clero; poi ha la debolezza di ritirarle, impaurito dalle minaccia dell'Indice. Rovere è oggi quel che era ne' primi giorni della sua vita pubblica, e non sa temere altro autorevole indice che quello del buon senso. Nel suo saggio, intitolalo Di un nuovo diritto europeo, si ammira il coraggio della coscienza di un filosofo, e la prudenza d'un uomo di Stato. Riguardo poi ai pregi della forma, Rosmini fu semplicemente filosofo, Mamiani un filosofo-oratore; nel primo spicca la pura meditazione, nel secondo si unisce il genio che feconda il deserto delle speculazioni metafisiche, delle avanzate astrazioni. In Rosmini vi ha una ricchezza povera, cioè una stiracchiatura di poche idee in molte parole, quasi diffidi della memoria, e dell'abilità del lettore. In Rovere vi ha una povertà ricca, cioè molte idee in poche parole; il che appaga l'amor proprio del lettore, e ne fa liete tutte le potenze della ritentiva e della ragione. A“D'un nuovo diritto europeo” (Scolastica, Torino); “Dell'ottima congregazione umana e del principio di nazionalità italiana ” (Subalpina, Torino); Pagano, ovvero, della immortalità, Dai Torchi della Signora De Lacombe”; “Prose letterarie” (Barbera, Firenze). Terenzio Mamiani della Rovere. Rovere. Keywords: confessioni di un metafisico, il rinnovamento della filosofia antica italiana, vico, cuoco. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e della Rovere," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689532679/in/photolist-2mNzeEc-2mPqEYR-2mPsUUV-2mPBcdN-2mKCnei-2mKySTi-2mKbiLm-DvhhWW-DhRHD2-C91EC7-nE2Dmk-nu5Fd6-ncSxYn-nune7i-npzGmo-nrgohw

 

Grice e Ruberti – la natura abhorre il vuoto – la tromba di Gabriele -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pideura). filosofo. Figlio di Gaspare, originario di Bertinoro e tessitore, e Giacoma  Torricelli-Roberti, faentina. Studia a Faenza e Roma sotto B. Castelli. Srive a Galilei una lettera di risposta a sue richieste a Castelli, che assente in quei giorni aveva lasciato allo studente il compito di segretario. In tale lettera colse l'occasione per presentarsigli, che egli ammira grandemente. Il vivere da vicino le vicende del processo a Galileo gl’indusse a dedicarsi più strettamente alla matematica nonostante padroneggiasse gli strumenti teorici e fosse un abile costruttore di cannocchiali.  Divenne segretario di G. Ciampoli, un intellettuale devoto a Galileo, che segue nei suoi incarichi governativi nelle Marche e nell'Umbria. Castelli presenta a Galilei il saggio di Roberti, “De motu gravium” suggerendogli di impiegarlo come discepolo e assistente. Così e e divenne assistente di Galileo e su domanda e insistenza di Galilei si trasferì nella sua abitazione. Alla morte di Galilei, Ferdinando II gli nomina matematico del Granducato di Toscana. Studia geometria, dove anticipa il calcolo infinitesimale. Si dedica alla fisica, studiando il moto dei gravi e dei fluidi e approfonde l'ottica. Possede un laboratorio nel quale realizza egli stesso lenti e telescopi. Si dedica anche allo studio dei fluidi, giungendo ad inventare il barometro a mercurio chiamato "tubo di Torricelli" o "tubo da vuoto”. Tale invenzione si basa nella misurazione della pressione atmosferica attraverso l'uso di questo tubo che, proprio sotto la spinta di tale pressione, viene riempito dal mercurio fino all'altezza costante di 760 mm (esperimento effettuato sul livello del mare). Proprio da questa invenzione nasce l'unità di misura della pressione "millimetri di mercurio" (mmHg) e l'uguaglianza: 1 Atm = 760 mmHg (la pressione di un'atmosfera corrisponde a 760 millimetri di mercurio). Pubblica “Opera Geo-Metrica”, della quale “De motu gravium” costituisce la seconda parte.  Si dice faentino e tale era considerato dalle persone che lo conoscevano, ma le ricerche compiute già subito dopo la sua morte nei registri battesimali di Faenza non ebbero esito. Ciò da adito ad un secolare dibattito, durante il quale varie altre località romagnole rivendicarono l'onore di avergli dato i natali. Rossini ricostrusce l'albero genealogico della famiglia, originaria di Pideura, nel contado faentino, risalendo di due secoli oltre la nascita di Ruberti. Bertoni, del liceo che da Ruberti prende nome, trova nel registro dei battezzati della Basilica di San Pietro in Vaticano il suo atto di battesimo. Ciò che trae in inganno i filosofi e il fatto che Ruberti assume il cognomen Torricelli della madre anziché del padre. Si sa che il nome del padre e Gaspare. Pertanto, si cercano notizie di un inesistente Gaspare Torricelli. Viceversa, si hanno notizie di una Giacoma Torricelli e si riteneva che fosse la zia paterna. E invece la madre. La lettera a Galilei, conservata alla Biblioteca Nazionale di Firenze fra i Manoscritti Galileiani, è il primo documento nel suo carteggio. Rappresenta un documento fondamentale per studiare la vita e l'opera dello scienziato faentino. Descrive la propria formazione scientifica. Si dichiara a conoscenza dei fatti che portano a breve alla condanna di Galilei e dichiara la propria 'fede' galileiana. Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Col.mo  Nella absenza del Rev.mo Padre Matematico di N. Sig.re, sono restato io; humilissimo suo discepolo e servitore, con l'honor di suo secretario. Fra le lettere del quale havendo io letta quella di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma, a lei ne accuso, conforme l'ordine datomi, la ricevuta, e a lui Rev.mo ne do parte in compendio. Potrei nondimeno io medesimo assicurar V. S. che il Padre Abbate in ogni occasione, e con il Maestro di Sacro Palazzo e con i compagni di quello e con altri prelati ancora, ha sempre procurato di sostenere in piedi li Dialoghi di lei Ecc.ma, e credo che sia stato causa che non si è fatta precipitosa resolutione.  Io sono pienissimamente informato d'ogni cosa. Sono di professione matematico, ben che giovane, scolaro del Padre R.mo di 6 anni, e duoi altri havevo prima studiato da me solo sotto la disciplina dei Gesuiti. Son stato il primo che in casa del Padre Abbate, et anco in Roma, ho studiato minutissimamente e continuamente sino al presente giorno il libro di V. S., con quel gusto che ella si puol imaginare che habbia havuto uno che, già havendo assai bene praticata tutta la geometria, Apollonio, Archimede, Teodosio, et che havendo studiato Tolomeo et visto quasi ogni cosa del Ticone, del Keplero e del Longomontano, finalmente adhere, sforzato dalle molte congruenze, al Copernico, ed era di professione e di setta galileista.  Il Padre Grienbergiero, che è molto mio, confessa che il libro di V. S. gli da gusto grandissimo e che ci sono molte belle cose, ma che l'opinione non la loda, e se ben pare che sia, non la tien per vera. Il Padre Scheiner, quando gliene ho parlato, l'ha lodato, crollando la testa. Dice anco che si stracca nel leggerlo per le molte disgressioni. Io gli ricordo le medesme scuse e diffese che V. S. in più lochi va intessendo. Finalmente dice che V. S. si porta male con lui, e non ne vol parlare.  Del resto io mi stimo fortunatissimo in questo, d'esser nato in un secolo nel quale ho potuto conoscere et riverir con lettere un Galileo, cioè un oracolo della natura, et honorarmi della padronanza et disciplina d'un Ciampoli, mio amorevolissimo signore, eccesso di meraviglia, o se adopri la penna o la lingua o l'ingegno. Haverà quanto prima il Padre R.mo la carissima di V. S., e le risponderà. Intanto V. S. Ecc.ma mi fa degno, ben che inetto, d'esser nel numero de' servi suoi e de' seguaci del vero; che già so che il Padre R.mo, o a bocca o per lettere me gli haverà altre volte offerito per tale. E per fine a V. S. faccio con ogni maggior affetto riverenza.  Roma, Di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma Sig.r Gall. Gal. La lettura approfondita delle “Due nuove scienze” di Galilei dei cui ultimi capitoli segue direttamente la stesura ad Arcetri, gli ha suggerito molti sviluppi dei principi della meccanica ivi stabiliti. Tali sviluppi sono esposti nel trattato dal titolo “De motu gravium”. Nell’ “Opera Geometrica” conceve il  principio del barometro, costruendo quello che ora è chiamato tubo di Torricelli e individuando il "vuoto torricelliano". Con Viviani dimostra che il vuoto esiste in natura e che l'aria ha un peso ponendo quindi fine alle millenarie discussioni filosofiche sull'horror vacui. Un'unità di misura della pressione è stata chiamata Torr in suo onore e corrisponde a millimetri di mercurio. L'unità di misura del Sistema Internazionale è invece il pascal, in onore di un altro illustre fisico Blaise Pascal, che fa fiorire numerose ricerche sperimentali dalla estesa e definitiva teoria della pressione atmosferica descritta da Torricelli.  La parola “barometro” coniata da R. Boyle è oggi quasi sempre associata al nome di Torricelli che risulta quindi fra i più celebri scienziati italiani nella storia. Essendo in diretto contatto con Cavalieri inizia a lavorare con la Geometria degli indivisibili e ben presto supera, secondo lo stesso Cavalieri, il suo maestro. E abilissimo nell'utilizzarne le tecniche, cioè il metodo degli indivisibili, come anche il metodo d'esaustione, che e in uso presso gl’antichi, fra tutti il grande Archimede, di cui e entusiasta ammiratore. A lui dobbiamo la riscoperta del matematico siracusano.  Per il gusto di imitare i classici, dimostra in 21 modi diversi un teorema di Archimede: 11 con il metodo d'esaustione, 10 con il metodo degli indivisibili.  Spesso i risultati ottenuti con la geometria degli indivisibili venneno poi confermati con altre dimostrazioni, a causa della controversia sulla loro fondatezza.  Il fatto interessante è che lo stesso Archimede elabora una sorta di geometria degli indivisibili, ma non la ritiene rigorosa, e perciò dimostra sempre i suoi risultati con il metodo d'esaustione. Tutto ciò si è scoperto quando si scopre un palinsesto con un'opera sconosciuta di Archimede, il Metodo meccanico, nel quale espone questi procedimenti. -- è famoso per la scoperta del solido di rotazione infinitamente lungo detto “la tromba di Gabriele”, da lui chiamato "solido iperbolico acutissimo", avente l'area della superficie infinita, ma il volume finito. La tromba di Gabriele e considerato per molto tempo un paradosso "incredibile" per molti, incluso lui stesso, che cerca diverse spiegazioni alternative, anche perché l'idea di un secchio che è possibile riempire di vernice, ma impossibile da pitturare è senz'altro singolare. Il solido in questione ha scatenato un'aspra controversia sulla natura dell'infinito, che ha coinvolto anche il filosofo T. Hobbes. In questa disputa alcuni sostenneno che il solido conduce all'idea di un infinito completo. -- è stato pioniere nel settore delle serie infinite. In “De dimensione parabolae" considera una successione decrescente di termini positivi {{0},{1},{2}} e mostra che la corrispondente serie tele-scopica {{0}{1})+{1}{2})+}converge necessariamente a {{0}-L{0}-L}, dove “L” denota il limite della successione. In questo modo riuscw a dare una dimostrazione dell’espressione per la somma della serie geometrica. A Faenza, è presente una statua (ubicata di fronte alla chiesa di San Francesco) che lo raffigura con in mano un barometro a mercurio (curiosità sulle proporzioni: l'altezza del barometro è inferiore a quella reale, che deve essere di almeno 76 cm. Per la storia della scoperta della sua vera origine vedi anche Registrazione del convegno per il quarto centenario della nascita, M. Fidio, C.  Gandolfi, Idraulici italiani, Biblioteca Europea di Informazione Cultura.In questa sperimentazione venne preceduto di qualche anno da G. Berti, che conduce un esperimento barometrico utilizzando acqua anziché mercurio. Cfr. L'esperimento di Berti, realizzato a Roma Moon: Torricelli  G.  Rossini, Convegno di studi torricelliani in occasione dell’anniversario della nascita, Faenza, Lega, G. Bertoni, La sua faentinità e il suo vero luogo di nascita, in Studi e ricerche del Liceo Torricelli, Faenza, Ragazzini, F. Toscano, L'erede di Galileo. Vita breve e mirabile, Milano, Sironi).A .Alexander, Infinitamente piccoli. La teoria matematica alla base del mondo moderno, Torino, Codice edizioni,  Barometro di Torricelli, Equazione di Torricelli, Legge di Torricelli Torr, Tromba di Torricelli, Treccan Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Crusca. Evangelista Torricelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Scienze, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Museo della Storia della Scienza, Firenze. Evangelista Torricelli Ruberti. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruberti” – The Swimming-Pool Library  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692027983/in/photolist-2mKR9ZM-nrgohw-npzGmo

 

Grice e Rucellai – gl’amori di Linceo – filosofia imperfetta -- filosofia italiana (Firenze). Filosofo. Crusca. Discepolo di Galilee  e in certa guisa il depositario e spositore delle opinioni metafìsiche professate dal suo maestro. Di più: in cui la scuola di Galilei ha uno dei maggiori lumi. Afferma di essere amico e confidente di Galilei ma ciò non corrisponde al vero. In verità si incontrano solo una volta quando e suo ospite nella villa di Arcetri. Men che meno e suo studente. Quanto poi alla metafisica di Galilei, i dialoghi filosofici parlano da soli.  Quando comincia a comporre i dialoghi presero persino a chiamarlo "il nostro sapientissimo Socrate". Ma anche questa era una bufala. Il fatto è ogni volta che compone un dialogo, ama recitarlo al suo palazzo davanti a un pubblico scelto di personaggi del bel mondo fiorentino. Che al suo palazzo, uno dei più ricche di Firenze, si mangia e e beve gratis. Quindi più dialoghi recitav, più si gozzoviglia. Per questo lo incitano a continuare.  La verità è che in filosofia non vuole, non segue la ragione. Chiudendo gl’occhi alla scienza, in qualunque punto, non dice nero né bianco. Altro che discepolo di Galilei anche se a Firenze, a questa panzana, ci credeno in molti.  Non è un caso dunque se i dialoghi sono pubblicati non per meriti filosofici ma linguistici. I dialoghi sono citati dal vocabolario della Crusca ed ottimo avviso e il farne spoglio abbondante perché la loro favella è veramente d'oro e, se lo stile procede talvolta prolisso, è sempre chiarissimo ed elegante e à gran ricchezza di voci e frasi convenienti agli studj speculativi.  Forse è proprio per la sua grande abilità nel farsi credere che, nel Granducato, la sua stella sembra non tramontare mai. Ambasciatore toscano prima presso Ladislao IV e poi lFerdinando III. Intendente della Biblioteca Laurenziana. Tutore di Francesco Maria. Acclamato Priore dell'Accademia della Crusca con l’alias di “Imperfetto” Strano perché lui, invece, e un perfetto: un perfetto bugiardo. Altre saggi: “Descrizione della presa d'Argo e de gl’amori di Linceo con Hipermestra”; Opuscoli inediti di celebri autori toscani, Prose e rime inedite di Rucellai Tommaso Buonaventura, Degl’officii per la società umana”; “Della provvidenza”; “Della morale”, Crusca. Orazio Ricasoli-Rucellai. Ruscellai. Keywords: gl’amori di Linceo --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rucellai” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734569882

 

Grice e Ruffolo – il possibilismo -- filosofia italiana (Cosenza). Filosofo. Torna a Roma dal fronte della campagna greco-albanese della seconda guerra decorato con quattro medaglie al valore per diverse intrepide azioni contro il nemico, in cui e ferito con arma da fuoco trapassante il petto. Organizza in seno al ministero dell'interno una cellula di resistenza partigiana, che gli vale l'attestazione di partigiano combattente e una medaglia di bronzo al valore partigiano.  Per via della delazione di un componente del gruppo di resistenza e arrestato dalla banda Pollastrini-Koch e incarcerato alla pensione Jaccarino in via Romagna. Trasferito in Regina Coeli condivide la cella con Pintor e Salinari discutendo del dopo liberazione. Trasferito a via Tasso e interrogato da Kappler. L'iniziale sentenza di morte e commutata in deportazione. Qualche ora prima dell'ingresso degl’alleati in Roma, all'abbandono di Roma da parte dei tedeschi, usce dal carcere insieme per essere avviato su uno dei trei torpedoni in attesa a Piazza San Giovanni per essere deportato in Germania. Un quarto torpedone e invece quello destinato all'eccidio di La Storta dove e ucciso Buozzi. Lee SS gli impedeno il suo proposito di salire proprio sul quarto torpedone, scostato dagl’altri, avvalorando la tesi che l'eccidio e pre-meditato e non una reazione impulsiva del comandante. Costretto a salire su uno dei restanti tre torpedoni, si getta mentre il convoglio e in marcia. Riusce a far perdere le tracce e a liberarsi nonostante le SS avessero fermato il convoglio e lo insegueno nella campagna nei pressi di Ficulle. Dell’arresto e prigionia da conto in "Roma -- storia della mia cattura e fuga dalle SS [dai nazisiti]" (Roma). Al termine della guerra, ha la carriera di notaio a Grosseto. Uomo colto, conversatore brillante con battute spesso umoristiche. In occasione della trasmissione "Testimoni oculari" di S. Zavoli, circa la detenzione a Via Tasso, venne intervistato il fratello Sergio. La sua condizione di laringectomizzato per il tumore alle corde vocali, e probabile causa della mancata intervista. Tuttavia non è citato nella trasmissione, in quanto il fratello omise di nominarlo nell'intervista, causando uno spiacevole dissapore familiare, tenuto conto delle drammatiche e indimenticabili circostanze di quei momenti vissuti insieme. Amico e intrattenne corrispondenza tra gli altri, con  Orlando, Levi, Ragghianti, I. Baldini, A. Trombadori, F. Valeri, M.  Morante, C. Cassola, M. Melloni (Fortebraccio), A. Guercio, A. Ripellino, F. Gabrielli, e M. Stern.  Notevole la mole dei suoi saggi e il cui interesse di pensiero, investe gli argomenti più disparati. Altri saggi: “La Cosmologica” (Roma, Signorelli), opera poetico-filosofica. Fonda la “metafisica possibilista” basata sulla teoria della relatività generale e della fisica dei quanti; "America come pretesto" (Roma, Ventaglio); "Il possibilismo: suggerimento filosofico eutimistico-terapeutico” (Roma, Mancosu); "Guazzabuglio"; “Quadri di una esposizione” (Roma, Barone); “Guazzabuglio” (Roma, Croce);“Oltre gl’ali di Icaro” (Roma, C. Mancosu). Nicola Ruffolo. Ruffolo. Keywords: Icaro, Cosmologica, possibilismo, guazzagublio, lo specchio del diavolo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruffolo” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735363301/in/datetaken/

 

Grice e Ruggiero – romolo e remo – filosofia meridionale --  filosofia italiana (Napoli). Filosofo. Nato alla fazione di Bruciano, fiiglio di Eugenio  e di Filomena d'Aiello. Scrive “Critica del concetto di cultura”, cui Croce rimprovera la mancata distinzione tra “cultura” e “falsa cultura”. Idealista, senza aderire all'attualismo di Gentile. Liberale, pur non risparmiando critiche alla classe politica espressa dal Partito liberale. Insegna a Messina e Roma. Avendo aderito all'idealismo con Gentile, la sua rivendicazione dei valori del liberalismo lo rese un esponente di spicco dell'opposizione al fascismo. Per non perdere la cattedra presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Autore, tra le altre opere, di una imponente Storia della filosofia  e di una Storia del liberalism. Socio degl’Esploratori Italiani. Indaga nella storia della filosofia romana la potenza di libertà costruttrice del mondo degl’uomini, e, auspicando in tempi oscuri il ritorno alla ragione, e ad Italia maestro ed apostolo di fede nell'umanità.  Saggi: Storia della filosofia,” “La filosofia greca'” Bari, Laterza); “Cristianesimo, Bari, Laterza); “Rinascimento, riforma e controriforma, Bari, Laterza); La filosofia moderna. Cartesianismo (Bari, Laterza); L’Illuminismo, Bari, Laterza); Da Vico a Kant, Bari, Laterza); L'età del Romanticismo, Bari, Laterza); Hegel, Bari, Laterza); La filosofia contemporanea, Bari, Laterza); Critica del concetto di cultura, Catania, Battia; La filosofia contemporanea, Bari, Laterza,  Il pensiero politico italiano meridionale (Bari, Laterza); L'impero britannico dopo la guerra, Firenze, Vallecchi, “Storia del liberalismo” (Bari, Laterza, La filosofia contemporanea” (Bari, Laterza); “Filosofi del Novecento” (Bari, Laterza); “L'esistenzialismo” (Bari, Laterza); “Scritti politici, R. De Felice, Bologna, Cappelli,  La libertà, F. Mancuso, Napoli, Guida); Lettere a Croce (Bologna, Mulino); B. Croce, La Critica, I filosofi che dissero "NO" al Duce, in La Repubblica, Un ritratto filosofico, Napoli, Società editrice); L'impegno di un liberale” “Tra filosofia e politica, Firenze, Monnier); Treccani, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.    M. Griffo, La coscienza critica del liberalismo; V. Sgambati, Tra ethos e pathos. Guido De Ruggiero. De Ruggiero. Ruggiero. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruggiero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51715422601/in/photolist-2mPmmR4-2mNaHiH-2mMV4pg-2mLEcbk-2mPCgo1

 

Grice e Rusca – filosofia italiana (Venezia). Studia filosofia. Vicario generale di Padova della Congregazione del Sant'Uffizio. Ricopre quindi il ruolo di Inquisitore. Scrive “Syllogistica methodus” ; “De caelesti substantia”; “De fabulis palaestini stagni ad aures Aristotelis peripateticorum principis e l' Epitome theologica”. Vescovo di Caorle. Uno dei presuli che più si spese per le necessità della sua diocesi. È infatti ricordato per gli imponenti restauri della cattedrale che volle fossero eseguiti per salvare l'edificio dall'imminente rovina. Durante questi restauri ricopre il soffitto della cattedrale con stucchi e diede all'edificio una struttura barocca. La riconsacrarla, apponendo alle pareti dodici croci in cotto, tuttora conservate. Inoltre fa completare la realizzazione dei nuovi reliquiari per le insigne reliquie dei santi patroni (Stefano protomartire, Margherita di Antiochia e Gilberto di Sempringham) e provvide al rinforzo della struttura del campanile. Al completamento di tutti i lavori, volle che alle solenni celebrazioni presenziassero musici provenienti da Venezia. A memoria di tutto ciò, resta la lapide, ora affisse alla parete sinistra del duomo. D. O.M. LÆVITÆ STEPHANO PROTOMARTYRI FR·PETRVS MARTYR RVSCA EPVSCONSECRAVITMARINO VIZZAMANO PRÆTORE M·D·C·L·XV·III CAL SEP· -- A Dio ottimo massimo al levita Stefano proto-martire fra' P. Rusca vescovo consacra essendo podestà M. Vizzamano. Ricordato per la sua premura nel risollevare le sorti economiche. Ripristina  la mensa episcopale e provvide al sostentamento dei sacerdoti istituendone la confraternita. Si adopera per correggere i comportamenti dei fedeli e dei sacerdoti stessi. Fa erigere nella cattedrale un altare dedicato a Sant'Antonio di Padova. In Duomo a Caorle resta la pala d'altare del Santo con la lapide, affissa alla parete destra dove sorgeva l'altare, che recita: ILL.MI ET RMI EPI CAPRVLEN. VNAM MISSAM LECTAM QVOTIDIE, ET DVAS CANTATAS QVOLIBET MENSE AD HOC ALTARE S. ANTONII CELEBRARI CVRANTO TENENTVR VT IN ACTIS D. OCTAVII RODVLPHI NOT. VEN. DIEI XIV MENSIS IAN. MDCLXXI AB INCAR. FR. PETRVS MARTYR RVSCA EPVS CAPRVLEN. EREXIT VNIVIT DISPOSVIT. Illustrissimi e reverendissimi vescovi caprulensi, abbiate cura che una messa letta quotidiana e due cantate in qualsivoglia mese siano celebrate a questo altare di S. Antonio, ne sono tenuti come dagli atti del signor Ottavio Rodolfo notaio veneziano del giorno 14 mese di gennaio 1671 dall'Incarnazione. Fra' Pietro Martire Rusca vescovo di Caorle eresse, unì, dispose. Consacra la chiesa di Santa Maria Elisabetta al Lido di Venezia.  R. Rusca, Il Rusco, overo dell'historia della famiglia Rusca, N. Marta, Venezia, Bonaventura Perissuti, Notizie divote ed erudite intorno alla Vita ed all' insigne Basilica di S. Antonio di Padova, Padova,  Flaminio Corner, Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia, e di Torcello, G. Manfrè, Padova, G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptores trium ordinum S. Francisci, S. Michaelis ad ripam apud Linum Contedini, Roma. T.  Bottani, Saggio di Storia della Città di Caorle, Bernardi, Venezia, G. Musolino, Storia di Caorle, La Tipografica, Venezia, Paolo Francesco Gusso e R. Candiago Gandolfo, Caorle Sacra, Marcianum Press, Venezia,    F.  Ughelli, Italia sacra sive de episcopis Italiæ, et insularum adjacentium. Pietro Martire Rusca. Rusca. Keywords: “Syllogistica methodus”, “Aures Aristotelis peripateticorum principis”; Defensionem Vestigationum Peripateticum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusca” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734521406/in/datetaken/

 

Grice e Rusconi – attacco e contrattacco – filosofia italiana (Meda). Filosofo. Insegna a Trento e Torino. “La teoria critica della società” -- Istituto storico italo-germanico. Altre saggi: “Crisi di sistema e sconfitta operaia” (Einaudi); “Scambio, minaccia, decisione”; “Sociologia politica (Mulino); Se cessiamo di essere una nazione (Mulino), in cui ripercorre il dibattito sul concetto di nazione – “la nazione italiana”; Resistenza e post-fascismo (Il Mulino); “Come se Dio non ci fosse” (Einaudi), “Italia – lo stato di potenza, la potenza civile (Einaudi) Cefalonia. Quando gli italiani si battono (Gli struzzi  Einaudi); “L'azzardo” (Mulino); “Cavour: fra liberalismo e cesarismo (Il Mulino); “Cosa resta” (Laterza ); “Seduzione” (Feltrinelli ); “Attacco” (Mulino). Gian Enrico Rusconi. Rusconi. Keywords: romanita, italianita, il concetto di nazione in Hegel, “God save the queen” – the national anthem – l’inno nazionale -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Rusconi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734745883/in/datetaken/

 

Grice e Ruta – corpori sani – l’intersoggetivo e la psiche sociale – filosofia fascista – filosofia meridionale -- filosofia italiana (Belmonte Castello). Filosofo. Insegna a Napoli. Conosce e frequenta Croce. Sviluppa una filosofia in armonia con l'ideologia del regime fascista. Saggi: “Il gusto d'amare” (Millennium); “Insaniapoli” (Campus); “Il segreto di Partenope” (Napoli, Millennium);“L’inter-soggetivo e la psiche sociale” (Milano, Sandron); “Il ritorno del genio di Vico” (Bari); “Politica e ideologia” (Milano, Corbaccio); “La necessità storica dell'Italia nuova” (Napoli); “Diario e lettere” (Bari); “La nascita della tragedia ovvero Ellenismo e pessimismo” (Bari). Enrico Ruta. Ruta. Keywords: l’intersoggetivo e la psiche sociale, corpori sani, il concetto di necessita storica in hegel – il concetto del sociale – il carattere del popolo italiano, lo stato italiano – la missione del popolo italiano – la patria italiana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ruta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734727223/in/datetaken/

 

Grice e Sacchi – filosofia italiana – filosofia longobarda -- Luigi Speranza (Casa Matta di Siziano). Filosofo. La sua saggistica e molto abbondante e abbraccia i campi più diversi della filosofia. A differenza di altri poligrafi del tempo la sua filosofia si basa su una solida formazione e un sapere quasi enciclopedico, per cui i suoi saggi, pur influenzati -soprattutto nella forma- dalle mode culturali del tempo, mantengono anche oggi un indubbio valore. A Pavia conduce i suoi studi, che dapprincipio si indirizzarono alla filosofia. Tra i suoi maestri vi e Romagnosi. Corrispondente di Fauriel e Gioia. Si trasfere a Milano. Collabora a varie riviste. Dirige «Cosmorama pittorico». Socio della Reale Accademia delle Scienze di Torino. Saggi:  “La Storia della filosofia greca” (Pavia, Capelli) La Collezione dei Classici Metafisici, Mascheroni” (Pavia, Bizzoni);  “I Lambertazzi e i Geremei, o le fazione di Bologna – cronaca di un trovatore” (Milano, Stella); “La pianta dei sospiri” (Milano, Silvestri);  Le Antichità romaniiche d'Italia, Diritto pubblico universale, o sia Diritto di Natura e delle Genti, Biblioteca Scelta di opere dal latino); “Uomini Utili e Benefattori del Genere Umano” (Milano, Silvestri);  I voti dell'Italia. I. Cesare,  "L'Omnibus Pittoresco", La mia vita (Pavia, Bizzoni); Filosofia (Milano, Cisalpino); Elogio del sensismo, Pavia, Bizzoni, Della filosofia di Socrate” Pavia, Bizzoni,  I trovatori e le galanterie nel Medio evo, Milano, Ripamonti Carpano, Oriele o Lettere di due amanti” (Pavia, Bizzoni); “Lodi Orcesi, Milano, Silvestri, Biblioteca Braidense  Marcellina, C. Béchet, Geltrude. Romanzo italiano con note storiche, Milano, Bettoni, Diritto pubblico universale di Gio. Maria Lampredi volgarizzato, Milano, Silvestri); “I fregi simbolici di San Michele in Pavia", Antichita romantiche [romaniche] d'Italia, e Giu Milano, Stella); “Della condizione economica, morale e politica degli italiani nei bassi tempi”; “Saggio intorno all'architettura simbolica, civile e militare in Italia”’ “Saggio intorno all'origine de' Longobardi, alla loro dominazione in Italia, alla divisione dei due popoli ed ai loro usi, culto e costume” (Milano, Stella); “Della condizione economica, morale e politica degli Italiani ne' tempi municipali”; “Sulle feste, e sull'origine, stato e decadenza de' municipii italiani nel Medioevo” (Milano, Stella); “Annali universali di statistica economia pubblica, storia, viaggi e commercio; “Sull’'indole della letteratura italiana; ossia della letteratura civile, con un'appendice intorno alla poesia eroica, sacra e alle belle arti” (Pavia, Landoni); “ Intorno alle dighe marmoree o murazzi alla laguna di Venezia ed alla istituzione del porto franco” (Milano, Editori degli Annali Universali delle Scienze e dell'Industria, Miscellanea di lettere ed arti, Pavia, Bizzoni); “L'arca di Sant'Agostino: monumento in marmoora esistente nella chiesa cattedrale di Pavia, colle illustrazionii” (Pavia, Fusi); “Intorno alle costumanze, alle arti, agli uomini e alle donne illustri d'Italia” (Milano, Stella); “Intorno alla pasta, alla smania musicale del secolo, a Volta e a' progetti pel monumento da erigersegli in Como ed a qualche buona o cattiva moda della capitale: lettera inutile” (Milano, Stella); “Cose inutile” (Milano, Visaj); “Teodote: storia” (Milano, Nervetti); “Le belle arti in Milano nell'anno 1832, Nuovo Raccoglitore, Questioni sull'architettura rituale in relazione alle opinioni del conte Cordero di San Quintino e dell'avvocato Robolini", in Annali Universali di Statistica”; “Le arti e l'industria in Lombardia” (Milano, Visaj); “Del bello” (Milano, Silvestri); Instituti di beneficenza a Torino (relazione), Milano, a Società degli editori degli annali universali delle scienze e dell'industria, Lezioni d'un parroco sul cholera” (Milano, Bravetta, Gli asili dell'infanzia: loro utilità ed ordinamento. Memorie popolari italiane” (Milano, Manini); “Novelle e racconti, Milano, Manini); “L' Arco della Pace a Milano descritto e illustrato e pubblicato per la fausta inaugurazione fatta da S.M.I.R.A. Ferdinando 1, Milano, Manini; B. Luino, Cosmorama pittorico, Le streghe. Dono del folletto alle signore, Milano, Manini); “Amori e vicende dei quattro sommi poeti italiani: Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso. Studi storici-biografici” (Milano, Vallardi). Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Defendente Sacchi. Sacchi. Keywords: Lombardi, longobardi, filosofia lombarda – pagenismo Lombardo – lingua lombarda – simbolo Lombardo --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sacchi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735126254

 

Grice e Sacchi – IL PLATINA. Garin.  Bartolomeo Sacchi, detto il Plàtina (Piadena, 1421 – Roma, 21 settembre 1481), è stato un umanista e gastronomo italiano.   Indice 1 Biografia 2                                                 Opere 2.1                                                   Manoscritti 3                                                Note 4                                                      Voci correlate 5                                              Altri progetti 6                                               Collegamenti esterni Biografia Nacque a Piadena, un paese vicino a Cremona chiamato in latino Platina, da cui prese il soprannome.[1] Della sua giovinezza si conosce poco: intraprese la carriera delle armi militando al servizio di Francesco Sforza e Niccolò Piccinino come mercenario, ma presto si trasferì a Mantova per avviarsi agli studi umanistici. Nella città dei Gonzaga fu discepolo di Ognibene da Lonigo, che aveva assunto la guida della Casa Gioiosa dopo Iacopo da San Cassiano, succeduto a Vittorino da Feltre morto nel 1446[2].  Cominciò la sua carriera nel 1453 come precettore dei figli di Ludovico III Gonzaga. Al marchese dedicò il primo scritto di cui abbiamo notizia: il Bartholomaei Platinensis Divi Ludovici marchionis Mantuae somnium, un'operetta sotto forma di dialogo in lode delle cure prestate da Ludovico nella trascrizione delle opere di Virgilio.  Secondo l'uso umanistico Sacchi scelse come nom de plume quello della propria città natale, cambiandolo presto da Platinensis a Platina. Per quanto nel 1456 ottenesse dal duca di Milano Francesco Sforza – tramite l'intercessione della moglie di Ludovico Barbara di Brandeburgo – un salvacondotto per andare in Grecia a perfezionare le proprie conoscenze del greco antico e dell'antichità classica, mutò parere quando seppe che Giovanni Argiropulo, celebre umanista di orientamento platonico, sarebbe venuto a Firenze in qualità di docente di filosofia, preferendo stabilirsi nella città medicea.[3]  Nel 1457 si recò quindi a Firenze per ascoltare le lezioni dell'Argiropulo, entrando a far parte dell'ambiente culturale locale e stringendo amicizia con celebri umanisti quali Marsilio Ficino, Poggio Bracciolini, Francesco Filelfo, Cristoforo Landino, Leon Battista Alberti, Giovanni Pico della Mirandola e molti altri. Divenne inoltre precettore presso la famiglia Medici pur legandosi alla famiglia Capponi, di parte repubblicana. Di Neri Capponi tradusse i Commentari aggiungendo una nota biografica probabilmente più tarda.  Degli autori antichi predilesse in particolare Virgilio, che studiò molto approfonditamente, curando tra l'altro una raccolta, perduta, dei modi di dire greci presenti nei testi dell'autore mantovano. A Ludovico III Gonzaga spedì un codice delle Georgiche e una copia miniata delle opere virgiliane, incitandolo a far erigere in città un monumento al suo poeta più noto.[4] Il Platina tenne l'orazione funebre di Ludovico Gonzaga (1478)[5].  Non fu solo educatore, ma anche umanista, studioso di letteratura e tradizioni popolari: sul finire del 1461 si trasferì a Roma al servizio del giovane cardinale Francesco Gonzaga, in qualità di suo segretario; divenne abbreviatore dei papi Pio II e Paolo II con alterne fortune: nel 1467 venne infatti imprigionato e sottoposto a tortura, con l'accusa di congiura contro il Papa, e, assieme ad altri abbreviatori, di avere idee pagane. Per vendetta ritrasse in modo sfavorevole la personalità di Paolo II nella biografia scritta un decennio dopo.  Uscito prosciolto dal processo all'inizio del 1469, vide salire le proprie fortune sotto il papato di Sisto IV, che lo nominò nel 1478 direttore della Biblioteca Vaticana dove scrisse il Liber de vita Christi ac omnium pontificum, una raccolta delle biografie dei pontefici vissuti sino ad allora. Negli stessi anni pubblicò il De principe, il De vera nobilitate e il De falso et vero et bono.   De honesta voluptate et valetudine Il suo lavoro principale resta tuttavia un breve trattato di gastronomia, il De honesta voluptate et valetudine. Il De honesta voluptate et valetudine fu stampato una prima volta a Roma da Han tra il 1473 e il 1475 (i più propendono per il 1474), anonimo e senza note tipografiche, e subito dopo, nel 1475, a Venezia (Platine de honesta voluptate et valetudine, Venetiis: Laurentius de Aquila, 1475) con indicazione di autore e note tipografiche. L'edizione più "corretta", fra le antiche, secondo l'italianista Emilio Faccioli, rimane quella pubblicata a Cividale del Friuli nel 1480, prima opera stampata da Gerardo da Fiandra in Friuli. In quest'opera, il Platina trascrive in latino tutte le ricette - originariamente scritte in lingua volgare - di Maestro Martino, il più celebre cuoco del XV secolo, di cui il Platina loda l'inventiva, il talento, la cultura. La forza iconoclasta di Martino, spinge il Platina su inedite, quanto avveniristiche, analisi sulla gastronomia, sulla dieta, sul valore del cosiddetto "cibo del territorio" e persino sull'utilità di una regolare attività fisica.[6]  Morì a Roma il 21 settembre 1481, forse a causa della peste. Fu sepolto nella basilica di Santa Maria Maggiore.  Opere Divi Ludovici Marchionis Mantovae somnium (ca. 1454-1456), a cura di A. Portioli, Mantova 1887. Oratio de laudibus illustris ac divi Ludovici Marchionis Mantovae (ca. 1457-1460), in F. Amadei, Cronaca universale della città di Mantova, a cura di G. Amadei, E. Marani e G. Praticò, vol. II, Mantova 1955, pp. 226–234. Vita Nerii Capponi (ca. 1457-1460), in Rerum Italicarum scriptores, vol. XX, Milano, 1731, cols 478-516. Commentariolus de vita Victorini Feltrensis (ca. 1462-1465), in Il pensiero pedagogico dello Umanesimo, a cura di E. Garin, Firenze, 1958, pp. 668–699 Oratio de laudibus bonarum artium (ca. 1463-1464), in T. A. Vairani, Cremonensium monumenta Romae extantia, vol. I, Roma 1778, pp. 109–118. Vita Pii Pontificis Maximi (1464-1465), a cura di G.C. Zimolo, in Rerum Italicarum scriptores, 2nd ser., vol. III.3, Bologna 1964, pp. 89–121. Dialogus de flosculis quibusdam linguae Latinae (ca. 1465-1466), a cura di P. A. Filelfo, Milano, 1481. De honesta voluptate e valitudine (ca. 1466-1467) De honesta voluptate et valetudine, Stampata in Venetia, [Bernardino Benali], nel anno del signore MCCCCLXXXXIIII adi XXV de agusto. Il piacere onesto e la buona cucina. A cura di Emilio Faccioli, Collana NUE n.189, Einaudi, Torino, I a cura di 1985, pp. XXXIII-267. De honesta voluptate et valitudine. Un trattato sui piaceri della tavola e la buona salute. Nuova edizione commentata con testo latino a fronte. A cura di Enrico Carnevale Schianca, B.A.R. Serie I, Vol. 440, Olschki, Firenze, 2015, ISBN 9788822263797, pp. VI-590. Historia urbis Mantovae Gonziacaeque familiae (1466-1469), a cura di P. Lambeck (1675), riedito in Rerum Italicarum scriptores, XX, Milano, 1731, cols 617-862. Tractatus de laudibus pacis (1468), in W. Benziger, Zur Theorie von Krieg und Frieden in der italienischen Renaissance, Frankfurt a.M. 1996, part 2, pp. 1–21. Oratio de pace Italiae confirmanda et bello Thurcis indicendo (1468), a cura di Benziger, Zur Theorie, parte 2, pp. 95–105. Panegyricus in laudem amplissimi patris Bessarionis (1470), in Patrologia Graeca, vol. CLXI, 1866, cols CIII-CXVI. De principe (1470), a cura di G. Ferraù, Palermo 1979. De falso et vero bono, dedicato a Sisto IV (ca. 1471-1472), Collana Edizione nazionale testi umanistici, Storia e Letteratura, Roma, 1999, ISBN 9788887114317, pp. 284. Liber de vita Christi ac omnium pontificum (ca. 1471-1475), prima edizione Venezia, 1479; edizione critica: G. Gaida, in Rerum Italicarum, scriptores, 2nd ser., vol. III.1, Città di Castello 1913-1932; in latino e inglese: Lives of the Popes, vol. I, a cura di A. F. D’Elia, Cambridge (MA) 2008; edizione in latino della vita di Paolo II: Bartolomeo Platina. Paul II. An Intermediate Reader of Renaissance Latin, a cura di Hendrickson et al. Oxford (OH) 2017 De optimo cive (1474), a cura di F. Battaglia, Bologna 1944. Un trattato o lettera polemica contro Battista de’ Giudici (1477); perduto, ma parzialmente citato in una replica successiva in B. De’ Giudici, Apologia Iudaeorum; Invectiva contra Platinam, a cura di D. Quaglioni, Roma 1987, pp. 94–127. Plutarco, De ira sedanda, tradotto da Platina (ca. 1477), in Vairani, Cremonensium monumenta, pp. 119–135. Vita amplissimi patris Ioannis Melini (ca. 1478), a cura di M.G. Blasio, Roma 2014. Lettere: Platinae custodia detenti epistulae (1468–69), a cura di Vairani, Cremonensium monumenta, pp. 29–66; edizione critica: Lettere, a cura di D. Vecchia, Roma 2017. A cura di Platina: Giuseppe Flavio, Historiarum libri numero VII, Roma 1475. Practica, traduzione e commento di Angelo Capparoni, Istituto di Storia della Medicina dell'Università di Roma, Roma, 1960. Manoscritti  Libri Tres de Principe, manoscritto, XV secolo. Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti Vocabula Bucolicorum, Vocabula Georgicorum (ca. 1460-1461), MS Berlin, Staatsbibliothek, Lat. qu. 488, foll. 58r-59v, 59v-65r Liber privilegiorum (ca. 1476-1480), MS Archivio segreto Vaticano, A.A. Arm. I-XVIII, 1288-1290 Epitome ex primo [-XXXVII] C. Plinii Secundi libro De naturali historia (ca. 1462-1466), e.g. MS Siena, Biblioteca comunale, L.III.8, foll. 73r-357v De vera nobilitate (ca. 1472-1477), in Platina, Hystoria de vitis pontificum, Venezia, 1504, foll. C5v-D3v. Dialogus de falso ac vero bono, dedicato a Paolo II (1464-1465), e.g. Milan, Biblioteca Trivulziana, Mss., 805 Dialogus contra amores (de amore) (ca. 1465-1472), in Platina, Hystoria de vitis pontificum, Venezia, 1504, foll. B8r-C5r (a cura di L. Mitarotondo, tesi di dottorato, Università di Messina, 2003) Libri Tres de Principe, XV secolo, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Fondo manoscritti, ms. E 66 sup. (3), ff. 41r-168r. Note ^ Per una biografia dettagliata cfr. S. Bauer, The Censorship and Fortuna of Platina's Lives of the Popes in the Sixteenth Century, Turnhout, Brepols 2006, pp. 1-88. ^ Su Iacopo vedi P. d'Alessandro e P.D. Napolitani, Archimede Latino. Iacopo da San Cassiano e il corpus archimedeo alla metà del Quattrocento, Paris, Les Belles Lettres 2012. ^ E. Faccioli, Notizie biobibliografiche, in B. Platina, Il piacere onesto e la buona salute, Torino, Einaudi, 1985, p. XXV ^ E. Faccioli, cit., p. XXVI ^ Kate Simon, I Gonzaga. Storia e segreti, Ariccia, 2001. ^ Di questa edizione del 1480, è stata presentata, nel 1994, una bella riproduzione in facsimile a cura dalla Società filologica friulana. Voci correlate Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca Vaticana Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Bartolomeo Sacchi Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Bartolomeo Sacchi Collegamenti esterni Plàtina, Il, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Plàtina, Bartolomèo Sacchi, detto il-, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata Stefan Bauer, SACCHI, Bartolomeo, detto il Platina, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 89, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2017. Modifica su Wikidata Opere di Bartolomeo Sacchi, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Bartolomeo Sacchi, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata (FR) Bibliografia su Bartolomeo Sacchi, su Les Archives de littérature du Moyen Âge. Modifica su Wikidata (EN) Bartolomeo Sacchi, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata «Platina - Relations with Pomponio Leto, in Repertorium Pomponianum, Roma nel Rinascimento (2008) Stefan Bauer, Quod adhuc extat. Le relazioni tra testo e monumento nella biografia papale del Rinascimento, in «QFIAB», 91, 2011, pp. 217–248 (articolo sul Platina). Stefan Bauer, The Censorship and Fortuna of Platina's "Lives of the Popes" in the Sixteenth Century, Turnhout, Brepols, 2006. Predecessore                                   Bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana                                                    Successore                                                  Emblem Holy See.svg Giovanni Andrea Bussi                          1475 - 1481                                                 Zanobi Acciaiuoli                                              Controllo di autorità                                          VIAF (EN) 99950542 · ISNI (EN) 0000 0001 1031 663X · SBN SBLV202706 · BAV 495/19383 · CERL cnp01880929 · LCCN (EN) n82210621 · GND (DE) 118898027 · BNE (ES) XX1401765 (data) · BNF (FR) cb12074003w (data) · J9U (EN, HE) 987007266528205171 (topic) · NSK (HR) 000085592 · CONOR.SI (SL) 145454179 · WorldCat Identities (EN) lccn-n82210621   Portale Biografie   Portale Letteratura Categorie: Umanisti italianiGastronomi italianiItaliani del XV secoloNati nel 1421Morti nel 1481Morti il 21 settembreNati a PiadenaMorti a RomaStoria della cucinaUmanisti alla corte dei GonzagaScrittori di gastronomia italiani[altre]. Grice: “Wikipedia doesn’t have it as FILOSOFI ITALIANI, but gastronomist – so one has to be careful. We include him here just as a nod to Garin. There are gaps about FILOSOFI ROMANI, too, which has to be taken into account.

 

Grice e Sacheli – implicatura axiofenomenista dei parnasesi – filosofia siciliana -- filosofia italiana (Canicattì). Filosofo. Nato da Vincenzo e Calogera Rinaldi. Studia a Caltanissetta. Iniziato in Massoneria nella loggia Felice Cavallotti di Girgento. Si laurea a Palermo sotto G. Colozza e C. Guastella. Insegna a Bologna, Girgenti, Caltanissetta, Bressanone, Genova, Cagliari e Messina. Con i suoi saggi diede un apporto all'approfondimento all'interpretazione della filosofia di Aquino. Numerose sono i suoi saggi filosofiche. "La carità del natio loco" lo spinge a scrivere sulle tradizioni, i miti e le leggende di Canicattì, collaborando con la rivista Sicania e pubblicando i risultati delle sue ricerche nelle “Linee di folklore canicattinese” (Acireale, Popolare). Altri saggi: “Indagini etiche: i criteri, il problema dell'etica” (Milano, R. Sandron);  Atto e valore” (Firenze, Sansoni); “Ragion pratica: preliminari critici” (Firenze, Sansoni); “Crisi della Pedagogia” (Roma, Perrella); “Concetto di didattica, Messina, G. Anna);. Ottaviano, Sophia: rassegna critica di filosofia e storia della filosofia, MILANI, V. Gnocchini, “L'Italia dei Liberi Muratori”. Erasmo, G. Ferrante, Calogero. Angelo Sacheli. Sacheli. Keywords: membro dei parnasensi, parnaso di canicatti, massoneria, liberi muratori, folklore canicattinese, filosofia siciliana, loggia felice cavallotti di Girgento, implicatura fenomenista, fenomenismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sacheli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735118779/in/datetaken/

 

Grice e Saitta – l’animo – filosofia fascista – il veintennio fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gagliano Castelferrato). Filosofo. Allievo di Gentile, seguace e interprete del suo idealismo attuale. Nato da Giovanni Saitta e Angela Confalone, una famiglia di agricoltori e proprietari terrieri, studia a Nicosia, Monreale, e Palermo. Frequentando le lezioni di Gentile, si accosta al suo idealismo. Si laurea in filosofia. Insegna a Terranova, Lucera, Cagliari, Sassari, Fano, Faenza, Bologna, Firenze, e Pisa. Dirigge “Vita Nuova”, dell’Università fascista di Bologna, cura la rubrica Noi e gli altri Spunto polemico, firmando i suoi interventi con lo pseudonimo di "Rusticus", distinguendosi per i toni accesi e le posizioni anti-clericali e anti-concordatarie, che lo portarono a scontrarsi con cattolici. Adere infatti a una concezione movimentistica e rivoluzionaria del regime fascista, che interpreta come il compimento del valore romantico del Risorgimento, intendendo la nazione italiano in senso hegeliano quale sintesi tra cittadino italiano individuale e l’universale della romanita. Col suo attivismo riusce a esercitare una forte capacità di attrazione. Così si sviluppa quella tendenza a preferire la sua scuola di storia della filosofia dove la preparazione di tipo scolastico e le esigenze tecniche erano minori, ma dove si sente un calore ideale, una passione filosofica, un fervore per la italianita, e una forza di convinzione spesso dura, e più che dura, ma più vicina a quei sentimenti e a quelle esigenze fasciste, una decisione innovatrice suggestiva e che sembra offrire un orientamento vitale per la soluzione di quei problemi. Accogliendo la concezione gentiliana dell'atto come perenne auto-creazione dello spirito italiano che tutto comprende, sviluppa una visione attualistica dell'idealismo non riducibile a una teoria statica, bensì intesa come azione e continuo dinamismo. Questo lo porta a esaltare la libertà creativa della ragione umana contro ogni forma di oggettività e di dogmatismo. Da qui la sua accentuazione della polemica anti-religiosa, e la riscoperta, nel solco delle tesi formulate da Spaventa e dallo stesso Gentile, della corrente immanentistica della filosofia rinascimentale italiana che egli pone a fondamento della genesi dell'idealismo moderno.  Questo immanentismo, per il quale Dio si esprime nell'attività dello spirito umano, è un reale umanismo che rende possibile la libertà dell'individuo, nella quale consiste la coscienza illuministica, da lui contrapposta a quella tradizionale, oppressiva e decadente, della trascendenza.  Per difendere la libertà del soggetto da ogni autoritarismo e sopraffazione, si è schierato tuttavia non solo contro il dualismo platonico, la teologia di impianto aquinistico e la neoscolastica, ma in parte anche contro lo stesso idealismo di Hegel che finisce per oggettivare la ragione facendone un sistema assoluto da lui ritenuto all'origine dello schiavismo. Persino nell'attualismo di Gentile e rimasto un retaggio del trascendente, quando esso attribuisce lo spirito ad un Io assoluto anziché ai singoli individui. Sono costoro i veri creatori di valori spirituali, coloro cioè in cui va identificato il soggetto trascendentale. In tal modo intende preservare la portata stessa dell'atto creativo dello spirito dell'idealismo gentiliano, rivestendolo di significati empirici, positivistici, contigenti. Altre saggi: “Lo spirito come eticità” (Bologna, Zanichelli); “La coscienza illuministica (Genova, Orfini); “Libertà ed esistenza (Firenze, Sansoni); “L’immanenza (Bologna, Zuffi); “La scolastica e la politica dei Gesuiti (Torino, Bocca); Le origini dell’aquinismo (Bari, Laterza) Gioberti (Messina, Principato); Ficino (Messina, Principato); “L'educazione dell'umanesimo in Italia (Venezia, La Nuova Italia); “Filosofia italiana ed umanesimo (Venezia, La Nuova Italia); “Aquino” (Firenze, Sansoni); “La teoria dell'amore e l'educazione del Rinascimento (Bologna, U.P.E.B.); “L'illuminismo della sofistica” (Milano, Bocca) Il pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento (Bologna, Zuffi); “L’Umanesimo italiano” (Bologna, Tamari). E.  Centineo, Ricordo, Giornale critico della filosofia italiana, Firenze, Sansoni,  Sorbelli, L'Archiginnasio: bollettino della Biblioteca comunale di Bologna,  direzione di F. Bergonzoni, Regia tipografia dei fratelli Merlani, Università degli studi di Firenze, S. Salustri, L'Università fascista di Bologna: un modello di Accademia per il regime?, in Accademie e scuole: istituzioni, luoghi, personaggi, immagini della cultura e del potere” (Milano, Giuffrè); V. Pisani, Paideia, Casa Paideia, R. Pertici, Storia della storiografia,  Jaca, L. Mangoni, “L'interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo” (Bari, Laterza). Cantimori ricorda con commozione l'irrequietezza spirituale della sua scuola e la sua attenzione volta ad argomenti quasi ignorati dalla cultura Italiana – B. Bandini, Storia e storiografia: studi su Delio Cantimori. Atti del convegno tenuto a Russi, Riuniti).  Cit. in R. Pertici, Storia della storiografia, “Forse meglio di ogni altro, intese dell'attualismo l'istanza realmente umanistica, e di un "reale umanismo” “E questa appunto volle sotto-lineare e difendere contro ogni mistificazione. Così lo vediamo ridurre tutta la dialettica gentiliana a lotta sempre risorgente fra ragione umana liberatrice e costruttrice di una società di uomini liberi, e la coscienza tradizionale cristallizzata nelle oppressioni di strutture portatrici di una filosofia di morte. Ricordo.  La filosofia come celebrazione della soggettività è quasi tutta sbozzata con Ficino. Con lui, anziché col Campanella, come da altri è stato frequentemente ripetuto, s'inizia la conoscenza illuministica, Ettore Centineo, Ricordo, Giornale critico della filosofia italiana», Firenze, Sansoni, G. Morra, L'immanentismo assoluto, Giornale critico della filosofia italiana», E. Garin, Cronache di filosofia italiana” (Bari, Laterza); R. Melchiorre, Storiografi italiani (Villalba di Guidonia, Aletti). Attualismo, Filosofia rinascimentale, Idealismo italiano, Delio Cantimori Gentile  Ricordo.  Giuseppe Saitta. Saitta. Keywords: filosofia fascista, l’universita fascista di Bologna, le reviste filosofiche fasciste, Vita Nuova, immanenza e non trascendenza, lo spirito italiano, l’universale dell’italianita, l’universale della romanita, l’amore di Ficino, Campanella, Cantimori, contro la scolastica, animo, l’animo, vita nuova, contratto sociale, Rousseau, Firenze. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Saitta” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735339190/in/datetaken/

 

Grice e Saliceto – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cinisello Balsamo). Grice: “Since Sua Eccellenza Verri-Visconti calls himself a hyphenated philosopher, I who amn’t, shall list him under Visconti!” Esential Italian philosopher. Like Grice, he wrote on ‘happiness.’ Like Grice, he wrote on ‘pleasure.’ Like Grice, he was a very clubbable man. Ritratto tagliato Barone di Rho. Consorte Marietta Castiglioni Vincenza Melzi d'Eril. Figli Teresa, Alessandro (da Marietta Castiglioni). Filosofo. Considerato tra i massimi esponenti dell'illuminismo, è altresì ritenuto il fondatore della scuola illuministica milanese. Nacque a Cinisello Balsamo dal conte Gabriele Verri-Visconti, magistrato e politico conservatore e da Barbara Dati della Somaglia, membri della nobiltà milanese. Ha tre fratelli: Alessandro, Carlo e Giovanni.  Avviati gli studi nel Collegio dei gesuiti di Brera, e uno dei ‘trasformati’. Si arruola nell'esercito e prende parte alla Guerra dei Sette Anni. Fermatosi a Vienna, intraprende la redazione delle Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano, che gli varranno il primo incarico di funzionario. Pubblica le “Meditazioni sulla felicità.” Devienne a Milano uno dei ‘pugni’, nucleo redazionale del ‘Caffè,’ destinato a diventare il punto di riferimento del riformismo illuministico. Tra i suoi saggi più importanti per “Il Caffè” si  ricordano “Elementi del commercio”; “Commedia”; “Medicina”; “I parolai”. Ha rapporto epistolari anche con gl’enciclopedisti. d'Alembert visita i pugni. Parallelamente all'impresa editoriale, intraprende la scalata del governo d’Austria allo scopo di mettere in prattica le riforme propugnate nel “Caffe”.Membro della Giunta per la revisione della "ferma" (appalto delle imposte ai privati) del Supremo Consiglio dell'Economia. Fonda la Società patriottica. “Meditazioni sull'economia politica”. Il discorso sull'indole del piacere -- e del dolore”; “i Ricordi” e le “Osservazioni sulla tortura”. Il suo è uno stile asciutto e libero, pieno di trattenuto vigore. Con Giuseppe II al trono d'Austria, gli spazi per i riformisti milanesi si riducono, e lascia ogni incarico pubblico, assumendo un atteggiamento sempre più critico. Pubblica la “Storia di Milano.” All'arrivo di Napoleone, prende parte alla fondazione della Repubblica Cisalpina, culla del tricolore italiano. Muore durante una seduta notturna della municipalità. Grazie a lui Milano divenne il più importante centro degl’illuministi. L'ipotesi di civiltà che scature da lui e forse troppo avanzata per poter essere adeguatamente raccolta dalla nostra cultura; e comunque lo colloca a pieno titolo tra le espressioni più alte degl’illuministi. Il suo grande merito e aver creato in Lombardia un centro di aggregazione illuminista:“Il Caffè dei pugni” Ciò che desta curiosità rimane il titolo con cui lui scelse di intitolare la sua testata, dovuta al rilevante fenomeno della diffusione di caffè (bar), come luoghi dove poter intraprendere un libero e attuale dibattito culturale, politico e sociale. Con i suoi articoli sul dolore e il piacere, sottoscrive la dottrina di Helvétius, nonché il sensismo di Condillac, fondando sulla ricerca della felicità e del piacere l'attività degl’uomini. Gl’uomini tendeno a sé stessi al piacere e sono pervasi dal dolore. I suoi piaceri non sono altro che momentanee interruzioni del dolore. La felicità degl’uomini non è quella personale o soggetiva, ma quella a cui partecipa il “collettivo,” quasi eutimia o atarassia. Per quanto riguarda la politica e l'economia, lui è controverso. Per quanto riguarda l'ambito economico, negli Elementi del Commercio e nella sua più grande opera economica Meditazioni sull'economia politica, enuncia (anche, per primo, in forma matematica) la legge di domanda e offerta, spiega il ruolo della moneta come merce universale, appoggia il libero scambio e sostenne che l'equilibrio nella bilancia dei pagamenti è assicurato da aggiustamenti del prodotto interno lordo (quantità) e non del tasso di cambio (prezzo). Di conseguenza, può essere visto come un marginalista. Si nota, però, come assuma atteggiamenti di difesa del concetto di proprietà privata e del mercantilismo. Verri-Visconti ritiene che solo la libera concorrenza tra eguali possa distribuire la proprietà private. Tuttavia pare favorevole principalmente alla piccola proprietà, per evitare il risorgere delle disuguaglianze. Verri con le Osservazioni sulla tortura esprime la sua contrarietà all'uso della tortura. Define ingiusto e antistorico un modello così efferato di giurisprudenza e auspicando l'abolizione di questi metodi. Non pubblica l’opuscolo per non inimicarsi, con le pesanti critiche alla magistratura in esso contenute, il senato di Milano (tribunale) presso cui si sta decidendo dell'eredità del padre. “Dei delitti e delle pene” di Beccaria prende in gran parte le mosse proprio dalle bozze delle Osservazioni sulla tortura, oltre che dagli articoli de Il Caffè. E proprio a causa di questo furto di idee che i due pugni arrivano al più acceso scontro. Nella versione definitiva e aggiornata dell’ “Osservazioni,” che sono in conclusione un invito ai magistrati a seguire la dottrina illuminista invece di irrigidirsi sulle posizioni conservatrici, la sua dialettica è cruda e basilare. La tortura è una crudeltà. Se la vittima è innocente, subisce sofferenze non necessarie. Se la vittima e colpisce un _colpevole_ *presumibile* rischia di martoriare il corpo di un possibile innocente. L’accusato rinuncia nella tortura alla sua difesa naturale istintiva. Viola la legge di natura. Apre il suo saggio con la ricostruzione del processo agl’untori, presentandolo sia come documento dell'ignoranza di un secolo non guidato dai lumi, sia come emblema del modo in cui una legge sbagliata porta a una evidente ingiustizia. Questa ricostruzione forne la base per la Storia della colonna infame di Manzoni, che però la presenta come testimonianza di ciò che accade quando uomini ingiusti detenneno un grande potere, come all'epoca era quello del senato milanese. Il saggio non arrivea mai ad avere il successo che invece ebbe Dei delitti e delle pene, vuoi perché la maggior parte delle osservazioni in essa sviluppate erano già contenute nell'opera di Beccaria, vuoi per via del  suo stile, dotto e di difficile comprensione, che rendeva di per sé ardua la diffusione della sua filosofia, che pure conteneva molti ulteriori spunti rispetto all'opera del collega. La Borlanda impasticciata con la concia, e trappola de sorci composta per estro, e dedicata per bizzaria alla nobile curiosita di teste salate dall'incognito d'Eritrea Pedsol riconosciuto, festosamente raccolta, e fatta dare in luce dall'abitatore disabitato accademico bontempista, Adorna di varii poetici encomii, ed accresciuta di opportune annotazioni per opera di varii suoi co-accademici amici; “Il Gran Zoroastro ossia Astrologiche Predizioni”; “Il Mal di Milza, Diario militare,” Elementi del commercio”; “Sul tributo del sale nello Stato di Milano”; “Sulla grandezza e decadenza del commercio di Milano”; “Fronimo e Simplicio; ovvero, sul disordine delle monete nello Stato di Milano”; Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano”; “Orazione panegirica sula giurisprudenza Milanese”; “Meditazioni sulla felicità colletiva” – cfr. Grice, Notes on happiness –; “Bilancio del commercio dello stato di Milano, Il Caffè, Sull’innesto del vajuolo, Memorie storiche sulla economia pubblica dello stato di Milano, Riflessioni sulle leggi vincolanti il commercio dei grani, Meditazioni sulla economia politica con annotazioni, Consulta su la riforma delle monete dello Stato di Milano, Osservazioni sulla tortura, Ricordi a mia figlia, Considerazioni sul commercio nello Stato di Milano – “Sull'indole del piacere e del dolore” -- Manoscritto da leggersi dalla mia cara figlia Teresa Verri per cui sola lo scrissi, Storia di Milano, Piano di organizzazione del Consiglio governativo ed istruzioni per il medesimo, “Precetti di Caligola e Claudio”; “Memoria cronologica dei cambiamenti pubblici dello stato di Milano”; “Delle nozioni tendenti alla pubblica felicità” – felicita pubblica – felicita private --; “Pensieri di un buon vecchio che non è letterato, Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri;  L'Edizione Nazionale delle Opere, Ministero per i beni e le attività culturali ha deciso di avallare un'Edizione nazionale delle sui saggi. Il comitato, finanziato pubblicamente, dalla Fondazione Cariplo e da Banca Intesa Sanpaolo, è presieduto da C. Capra e composto da una ventina di studiosi e si basa sull'Archivio donato dai Visconti alla Fondazione Per La Storia Del Pensiero Economico. Angolani Bartolo, Gli Scritti di argomento familiare e autobiografico; Rivista di storia della filosofia. (Firenze: La Nuova Italia). Carteggio di Pietro e Alessandro Verri  Cfr. Ricuperati, Il genere della biografia, Società e storia. (Milano: F. Angeli,  "Il Caffè", Introduzione. Giordanetti, Piero, a cura di, “Sul piacere e sul dolore”. Kant discute Visconti (Milano, Unicopli); “Giordanetti, “Le arti belle. Sulla fortuna di Visconti, Visconti e il suo tempo, C. Capra, Bologna, Cisalpino); Renzo Villata, M. Gigliola, Il processo agli untori di manzioniana memoria e la testimonianza (ovvero... due volti dell'umana giustizia), Acta Histriae Storia di Milano, Cronologia della vita di Pietro Verri, su storiadimilano. Vèrri, Pietro nell'Enciclopedia Treccani, su treccani. Ricordi a mia figlia, su classicitaliani. CatalogoSellerio, su Sellerio. Salerno editrice. Scheda del libro: Delle nozioni tendenti alla pubblica felicita, su salerno editrice. Pensieri di un buon vecchio che non è letterato, su classic italiani. Carlo Capra, Risultati e prospettive, in Rivista di storia della filosofia, Scritti di economia, finanza e amministrazione, I Discorsi e altri scritti degli, Storia di Milano, Scritti di argomento familiare e autobiografico, Scritti politici, Carteggio di Pietro e Alessandro. Caffè. In Venezia, P. Pizzolato); “Mediazioni sulla economia politica con annotazioni” (Venezia,Giovanni Battista Pasquali); “Meditazioni sulla economia politica” (Livorno, Stamperia dell'Enciclopedia Livorno); “Sull'indole del piacere e del dolore” (Milano, G. Marelli); “Storia di Milano” (Milano, Società tipografica de' classici italiani); “Carteggio di  F. Novati, A. Giulini, E. Greppi, G. Seregni, Milano, L. F. Cogliati, Milesi & figli, Giuffrè); “Viaggio a Parigi e Londra. Carteggio di Pietro ed Alessandro Verri, Gianmarco Gaspari, Milano, Adelphi); “Appunti di diritto bellico” (Paolo Benvenuti, Roma, A. Benedetto, “Visconti repubblicano: gl’articoli, Poesia, letteratura e politica, Alessandria, Edizioni dell'Orso, A. Cavanna, Da Maria Teresa a Bonaparte: il lungo viaggio, C. Capra, I progressi della ragione” (Bologna, Il Mulino); “Meditazioni sulla felicità, Pavia-Como, Ibis); “Discorso sull'indole del piacere e del dolore, G. Spada, Londra, Traettiana, Diario Militar, Milano, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Filosofico. Storia di Milano. Sua Eccellenza il conte Pietro Verri Visconti di Saliceto. Keywords: diritto bellico. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Saliceto – “Grice e Visconti: il piacere” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. #visconti https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4420380244640603 #griceevisconti https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702952334/in/photolist-2mLP9qE-2mLQeeb-2mLFAmb-2mLM99A-2mLFAni-2mLKFF5-2mLFAoq-2mLM98d-2mLQecH-2mLM99W-2mLQecC-2mLQebv-2mLP9ps-2mLFAnd-2mLP9r6-2mLFAkV-2mLQeem-2mLQebF-2mLFAo5-2mLFAov-2mLQeer-2mLP9q4-2mLQedQ-2mDddVQ-2mDddUN-2mD9Vcs-2mD9VdE-2mD4uWN-2mD8LBS-2mD9VcN-2mDc9b5-2mDddWS-2mD4uXz-2mD4uYg-2mDddV9-2mDc9bq-2mD8LBr-2mD8LC8-2mD4uYw-2mD9VdV-2mD4uWH-2mDddVu-2mDddVj-2mD4uXK-2mDc9a8-2mD8LBm-2mDddW6-2mDc9aZ-2mD9VcH-2mD4uXV

Grice e Salutati – Ercole al bivio – filosofia italiana (Stignano). Filosofo. Vedo che ignori quanto sia dolce l'amor di patria: se ciò fosse utile alla difesa e all'ampliamento della patria, non ti sembrerebbe un crimine penoso, nè un delitto scellerato, il fracassare con la scure il capo del proprio padre, o ammazzare i fratelli, o cavare con la spada dal grembo della moglie il figlio prematuro. Ad Andrea di Conte. Cancelliere di Firenze, Figura culturale di riferimento dell'umanesimo a Firenze, in qualità di discepolo del Boccaccio e precettore di P. Bracciolini e LBru .ni.  Considerato uno dei più importanti uomini di governo tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo, Coluccio Salutati, nei suoi anni di cancelliere della Repubblica di Firenze, svolge un importantissimo ruolo diplomatico nel frenare le ambizioni del duca di Milano G. Visconti, intenzionato a creare uno stato comprendente l'Italia centro-settentrionale. Nel contesto di questa lotta elabora la sua dottrina della “libertas fiorentina”. Oltre all'impegno politico, svolge un importante ruolo nella diffusione dell'umanesimo petrarchesco e boccacciano, divenendone l'esponente più importante e il praeceptor della prima generazione degl’umanisti. Il suo lascito più importante presso i posteri fu la codificazione civile dell'umanesimo, cioè l'uso dello spirito e dei valori dell'antichità classica all'interno dell'agone politico internazionale. Grazie a Salutati (autore tra l'altro di un vastissimo epistolario e di trattati politici, filosofici e letterari), difatti, il mito della florentina libertas, cioè di quel complesso di valori ispirati alla libertà promosso dall'ordinamento politico fiorentino, si rafforza enormemente sotto il suo cancellierato, ed e utilizzato quale strumento diplomatico per accrescere il prestigio di Firenze presso gli altri stati d’Italia. Costretto, a pochi mesi dalla sua nascita, ad abbandonare il luogo natìo per raggiungere il padre Piero (detto dal Villani di buoni costumi e di prudenzia laudabile) a Bologna, ove il genitore serviva il signore della città T. Pepoli, che a sua volta garantiva protezione alla famiglia Salutati. Nella città felsinea compe per volontà paterna (ma più probabilmente di Pepoli che, morto Piero, prende sotto la sua protezione la famiglia e il giovane Coluccio in particolare), studi, benché fosse maggiormente interessato alle discipline letterarie, e seguì le lezioni di logica e di grammatica di P. Moglio. Lascia Bologna a causa anche della caduta di Pepoli e ritorna a Stignano, dove un rogito testimonia la sua presenza. Gli anni successivi all'allontanamento da Bologna,  gli videro esercitare il mestiere di notaio in vari centri toscani (specialmente in Valdinievole), coltivando, come si vedrà nella sezione dedicata alla passione umanistica, lo studio dei classici, come dimostra la lettera a L. Gianfigliazzi , colto politico fiorentino col quale discute su Valerio Massimo e altri autori antichi.  Nel frattempo, la sua carriera amministrativa lo spinse ad intraprendere anche la carriera politica: cancelliere del Comune di Todi prima, della Repubblica di Lucca poi, ed infine, dopo essere giunto a Firenze ed avervi esercitato per breve periodo l'incarico di scriba omnium scrutinorum, Cancelliere di quella città, tenne, pertanto, nelle sue mani la carica più importante della diplomazia della Repubblica fiorentina, divenendo un personaggio di spicco della politica italiana di fine Trecento. Costantemente rieletto e confermato con le stesse ingerenze, lo stesso stipendio e i soliti privilegi, lascia nell'Ufficio un numero grande di minutari e registri, di lettere e istruzioni, per lo più di sua mano, e solo in parte de' suoi coadiutori, che non sembrano molti. Da questi libri e da altri della Cancelleria, apparisce com'egli fosse costantemente in Palazzo, presente a innumerevoli atti del Comune, dei Consigli, degli uffici più svariati. La frattura in seno alla Chiesa Cattolica spinse Urbano VI a firmare la pace coi fiorentini. Le relazioni tra Santa Sede all'epoca ad Avignone e la Repubblica fiorentina degenerarono rapidamente a causa della volontà di Gregorio XI di ritornare a Roma e ripristinarvi l'autorità della Chiesa. La paura che si formasse, nel centro Italia, un forte stato ecclesiastico allarma sia Firenze (intimorita di essere inglobata nel nuovo stato) che le città degli Stati Pontifici, che a causa della lontananza del Papato avevano acquisito una grande forza ed indipendenza. La guerra finì frettolosamente a causa della scissione interna alla Chiesa stessa tra cardinali, fatto che porta alla nascita del gravoso Scisma d'Occidente. Urbano VI assolve Firenze dalla scomunica per avere alleati contro Clemente VII.  Tra gli scomunicati, c'e anche lui, in quanto figura chiave della politica dell'epoca. Coluccium Pieri de Florentia, excellentissimum cancellarium comuni Florentie, riceve l'assoluzione da parte del Papa tramite i legati S. Pagani, vescovo di Volterra, e F. d'Orvieto, frate appartenente all'ordine degli Eremitani. Firenze, mentre stava stipulando la pace con Urbano VI, fu sconvolta dalla rivolta del popolo minuto che, già soggiogato e perseguitato dalla prepotenza politico-economica del popolo grasso, fu sobillato dagli operai salariati (i ciompi) a rivoltarsi. Si ebbero i primi scontri e i ciompi, risultati vincitori, imposero Michele di Lando quale gonfaloniere di Giustizia e riformatore della Signoria in senso democratico. L'animosità degli sconfitti si fece sentire molto presto: dopo aver chiuso gli opifici riducendo alla fame gli operai, la grande borghesia e l'aristocrazia riuscirono a trarre dalla loro parte Michele di Lando che, dopo aver disperso i capi dei ciompi, si dimise dalla carica di gonfaloniere e ridando il potere ai magnati, tra i quali primeggiarono gli Albizi che instaureranno un regime oligarchico durato fino alla venuta di Cosimo de' Medici. Dall'epistolario di Coluccio, sappiamo che egli informò D. Bandini di Arezzo dei tumulti avvenuti in città e stimando gli uomini assurti al potere quali degni e pieni di considerazione. L'atteggiamento emerso in quest'epistola, datata il mese d'agosto, si rivelerà contrario a quanto Coluccio in realtà pensasse del nuovo governo. Marco Cirillo ci descrive lo stato d'animo del Cancelliere e la sua scelta di rimanere in tale carica nonostante l'avversione per i Ciompi. Dalle lettere di Coluccio Salutati si evince come il cancelliere non fosse soddisfatto del governo instaurato dal Popolo Minuto, ed è probabile che il cancelliere conoscesse anche i “piani politici” di chi voleva ritornare al potere. Questo ci permette di ipotizzare che, la decisione di ritornare al proprio ufficio si legava sia alle necessità familiari dell'umanista, sia all'amore che egli nutriva per il proprio lavoro ma anche, alla conoscenza dell'imminente ritorno del Popolo Grasso al potere, unito alla convinzione della mancanza di conoscenze politiche adeguate per governare una città come Firenze da parte dei Ciompi stessi (Cirillo)  Ha un ruolo decisamente più attivo ed importante nell'animare Firenze perché si difendesse dalle ambizioni di conquista di Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano, desideroso di sottomettere l'intera Penisola al suo controllo schiacciando le resistenze delle Signorie dell'Italia Settentrionale. Galeazzo sposta infatti le sue attenzioni sulla Repubblica di Firenze, e Coluccio giocò un ruolo importante in questa situazione spronando il popolo fiorentino a difendere la sua tradizionale libertà (la florentina libertas) e rispondendo egli stesso dalle accuse dei nemici attraverso l'opera Invectiva in Antonium Loscum. La situazione per i fiorentini, all'inizio del conflitto, era alquanto drammatica, in quanto si ritrovarono praticamente circondati dai domini di Gian Galeazzo e solo l'ausilio di bande mercenarie, guidate da Giovanni Acuto, riuscirono a frenare i piani di dominio del Visconti. La guerra, che riprese dopo una momentanea tregua, vide la formazione di una vasta coalizione antiviscontea di cui fecero parte tutti gli stati italiani del centro-nord, tenuti assieme dalla politica estera fiorentina e da quella veneziana. Nonostante gli alleati fossero stati gravemente surclassati dalle forze milanesi, i fiorentini riuscirono a salvare la loro indipendenza resistendo a dodici anni di guerra, cioè fino alla morte improvvisa di Gian Galeazzo a causa della peste, lasciando Firenze in una posizione di potenza nell'Italia centro-settentrionale.  Gli ultimi anni e la morte Coluccio trascorse gli ultimi anni della sua vita terrena celebrato sia per la sua posizione di guida dell'umanesimo, sia per l'abilità politica dimostrata contro il Visconti, ma anche in grandi amarezze a causa dei lutti (morte della seconda moglie e la morte di alcuni dei suoi figli in occasione della pestilenza). Quando poi morì, la Signoria, il giorno successive, gli fece celebrare funerali solenni in Santa Maria del Fiore, ponendo sulla sua bara una ghirlanda d'alloro per le sue virtù poetiche. I suoi discepoli Leonardo Bruni suo successore, Poggio Bracciolini, futuro cancelliere e Pier Paolo Vergerio lo piansero amaramente, ricordandolo come un padre e come il più grande decoro di Firenze. Coluccio umanista La guida dell'umanesimo italiano e per trent'anni, dopo la morte del Petrarca e del Boccaccio, il più autorevole umanista italiano, unico erede di quei grandi (Dionisotti)  Miniatura che ritrae proveniente da un codice della Biblioteca Laurenziana a Firenze. Alla morte del Boccaccio, sia per ragioni anagrafiche (era di una generazione sita tra quella di Petrarca e Boccaccio e la successiva degli umanisti), sia per la propria grandezza letteraria e filosofica, fu il principale esponente dell'umanesimo italiano, come ricorda infatti C. Dionisotti e altri studiosi, quel «trait d'union tra la generazione che aveva vissuto in prima linea il rinnovamento petrarchesco e quella dei nuovi umanisti già pienamente quattrocenteschi» Salutati ebbe, sia per il ruolo istituzionale sia per quello culturale, rapporti anche con i Paesi europei: tenne corrispondenza con un colto cortigiano di Carlo VI di Francia, Jean de Montreuil, e con l'arcivescovo di Canterbury Thomas Arundel, conosciuto mentre il presule inglese si trovava a Firenze. Fecondo scrittore, apologeta "diplomatico" della classicità contro gli attacchi degli aristotelici e di alcuni ecclesiastici ostili all'antropologia umanista, Coluccio alternerà il suo magistero culturale con quello politico, difendendo la libertà repubblicana di Firenze adottando lo stile e il genere degli antichi trattatisti.  La formazione umanistica Nonostante Lino avesse preso definitivamente l'attività notarile, come testimonia il suo primo rogito effettuato nella nativa Stignano, l'amore per la cultura e la letteratura non venne meno. Anzi, a partire dalla fine degli anni sessanta, Coluccio divenne il segretario di Francesco Bruni, amico a sua volta di Francesco Petrarca; iniziò, come esposto dalla Senile un rapporto epistolare a distanza, che permise al Salutati di avvicinarsi alle proposte umanistiche del poeta Aretino. Nel periodo che intercorse tra questa prima epistola e la morte del Petrarca, Coluccio entrò sempre più nella mentalità classicista del maestro, grazie anche ai contatti che egli ebbe con l'altro grande umanista e allievo del Petrarca stesso, Giovanni Boccaccio, quest'ultimo animatore del circolo umanista di Santo Spirito a Firenze. Seguendo la scia del maestro Boccaccio, sinceramente pianto dal Salutati al momento del trapasso, il Cancelliere della Repubblica continuò il suo magistero a Santo Spirito, tenendovi lezioni cui partecipavano umanisti non solo fiorentini (si ricordano, tra i più importanti, Niccolò Niccoli, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini), ma anche di altre regioni italiane (quali il vicentino A. Loschi e il già ricordato P. Vergerio). Nel convento degli agostiniani Salutati, aiutato nel suo magistero culturale dal coltissimo frate Luigi Marsili[40], non si fece soltanto portavoce degli ideali dell'umanesimo classicista petrarchesco, ma continuò a tenere in alta considerazione Dante Alighieri, deprecato da una cerchia dei giovani umanisti in quanto scrittore volgare e pessimo latinista. La fondazione della cattedra di greco a Firenze. Oltre al suo compito di formazione dei giovani umanisti che andranno a diffondere il nuovo sapere presso gli altri centri culturali italiani, Salutati ebbe il merito non solo di affidare le cattedre tradizionali dello Studium fiorentino ad umanisti discepoli di Petrarca (quali Giovanni Malpaghini), ma soprattutto quello di far rifiorire in Italia il greco classico. Grazie all'incontro avvenuto a Venezia tra i giovani umanisti Roberto de' Rossi e Giacomo Angeli da Scarperia e i due colti bizantini M. Crisolora e D. Cidone, inizia, usufruendo dei poteri di Cancelliere, ad intessere rapporti con Crisolora per invitarlo ufficialmente a Firenze quale docente di greco classico nello Studium. Questi, giunto nell'Europa Occidentale per conto dell'imperatore Manuele II Paleologo per cercare alleanze contro i turchi ottomani, cercò di instaurare rapporti di amicizia con gli Stati che visitava trasmettendo la conoscenza del greco classico ai nascenti circoli umanistici, edotti di latino ma non della lingua di Omero. Pertanto Crisolora accettò l'offerta del Salutati, rimanendo nella città toscana e lasciando in eredità ai suoi discepoli (e amici) fiorentini gl’Erotematà, compendi linguistici di greco classico caratterizzati da una sinossi con la grammatica latina. L'umanesimo incontra durante la sua diffusione, il sospetto e l'ostilità di alcuni ambienti religiosi a causa della libertà e responsabilità etica del singolo uomo che Coluccio andava insegnando, e del suo progetto di conciliare la natura della cultura classica con quella cristiana. I principali antagonisti dell'umanesimo fiorentino, il camaldolese Giovanni di San Miniato e il domenicano Giovanni Dominici (quest'ultimo poi cardinale), intendevano sostanzialmente mantenere l'istruzione e la morale rigidamente nelle mani della gerarchia, rifiutando la ventilata autonomia spirituale dei pagani e riaffermando la loro interpretazione allegorica. Le humanae litterae non sono antitetiche agli studia divinitatis Coluccio, davanti a questi attacchi, sostenne la necessità, anche da parte dei laici, di avere coscienza di ciò che dicono e professano nella vita attiva, ribadendo il valore positivo di questo modello di vita e combattendo il vuoto nominalismo tomista che la cultura ecclesiastica ufficiale difendeva strenuamente quest'ultimo visto come nocivo perché, avendo ormai intriso la stessa Bibbia di sillogismi filosofici, allontanava dalla Verità gli uomini:  «Senza la capacità di intendere in fondo i termini, la lingua, non si dà conoscenza della scrittura, della parola di Dio. Ogni conoscenza seria è comunicazione. In tal modo gli studia humanitatis come mezzo per ritrovare nella lettera l'inseparabile spirto, nel corpo l'anima indisgiungibile, sono strettamente connessi con gli studia divinitatis.  La disputa sulla verità teologica della poesia, genere privilegiato nella conoscenza di Dio, è quello che gli impegna maggiormente. Seguendo il tracciato delle Genealogie deorum gentilium del maestro Boccaccio, risponde alle accuse dell'immoralità della poesia a G. di San Miniato, in una lettera affermando non solo che ogni verità proviene da Dio stesso, ma anche che Dio ha usufruito della poesia attraverso i salmisti, Giobbe e Geremia: per cui la poesia è il genere letterario più vicino a Dio. Tale tesi verrà poi ulteriormente rinforzata nell'incompiuto “De laboribus Herculis”, in cui si arriva a sostenere una vera e propria poesia teologica, per cui anche gl’antichi poeti pagani, con le loro opere, si avvicinavano a Dio .Il poema epico del Petrarca, per la sua incompletezza e il latino ancora un po' rozzo, suscita delusione nei simpatizzanti dell'umanesimo. Forma, impiegando gran parte delle sue retribuzioni, una biblioteca di più di 100 volumi, collezione molto grande per l'epoca e simbolo del suo fervore culturale. Possedetun manoscritto delle tragedie di Seneca ricopiato ottimamente di suo pugno con l'aggiunta dell'Ecerinide del preumanista padovano A. Mussato, ma anche esemplari di autoriquali Tibullo e Catullo ed una rarissima copia delle Ad familiares di Cicerone, coperta dall'amico e cancelliere milanese P. Capelli a Vercelli. A questa scoperta in terra di Lombardia, si aggiunse anche le Epistole ad Atticum, rendendolo il primo dopo secoli a possedere entrambe le raccolte di lettere di Cicerone. R. Sabbadini riporta che, nella sua biblioteca, e il primo a possedere il De agricultura di Catone, il Centimeter di Servio, il commento di Pompeo all'Ars maior di Donato, le Elegie di Massimiano e le Differentiae pseudo-ciceroniane, mentre F. Tateo continua elencando i Dialoghi di Gregorio Magno e l'esame dei vari manoscritti di Cicerone, di Lattanzio, di Agostino, di Seneca, di Ovidio e di Stazio in suo possesso.  Nonostante questa passione da bibliofilo, che rese la sua biblioteca la più significativa dopo quella del Petrarca agli albori del XV secolo, non sfoggia mai eccellenti doti filologiche, al contrario del Petrarca stesso o del suo discepolo L. Bruni. Cerca, inoltre, di avere da parte di Lombardo della Seta, fedele discepolo del Petrarca, una copia dell'Africa perché fosse poi pubblicata. I suoi sforzi e dei primi umanisti risultarono sempre più insistenti nel corso degli anni settanta: Lombardo ha timore a pubblicare un'opera rimasta in un testo incompiuto ed incerto, rischiando così di oscurare la gloria del Petrarca. Quando poi giunge a Firenze il sospirato poema epico dell'Aretino, è afflitto dalle sospensioni, dalle lacune e certamente anche dalla pesantezza d'ala del poema tanto vantato e sognato. La delusione, trasmessa in una lettera a Francescuolo da Brossano, spinselo a non farsi più editore e commentatore dell'opera. Intervenne anche nel campo della paleografia. Nel vivo studio dei classici, fa un'introduzione fondamentale: dopo aver adottato, per gran parte della sua vita, una scrittura cancelleresca e una libraria semi-gotica', legge e trascrive un codice delle Lettere di Plinio il Giovane contenente nessi e legature che si erano persi. L’uso di -s diritta in fine di parola, i nessi e le legature ae, ę e &, di cui si era persa memoria. Con questo esperimento inizia la storia della scrittura umanistica. Composto da 344 lettere, l'epistolario di Coluccio, documento fondamentale di questa lunga ed efficace opera di rinnovamento» culturale, tratta dei temi più disparati. Organicamente, la raccolta si divide in due filoni: le lettere private, indirizzate ad amici e conoscenti, e quelle pubbliche, scritte a nome della Repubblica diFirenze. Stilisticamente, l'epistolario di Coluccio spicca per l'uso di uno stile che si allontana da quello delle lettere medioevali, fitte della retorica della ars dictandi, per lasciare il posto ad una serenità cordiale e stoica che si richiamava alle Familiares di Cicerone e al repertorio lessicale degli altri autori classici, determinando così quello che è stato definito «latino misto»[63].  Epistolario privato Nella prima categoria, le lettere scritte a nome dell'umanista Coluccio mettono in mostra le tendenze socio-culturali del primo umanesimo italiano. Da un lato, la percezione del divario cronologico tra i contemporanei e gli antichi, eredità diretta della sensibilità petrarchesca; dall'altro, l'esposizione in più punti del suo pensiero, dalla rivendicazione del valore della vita attiva contro i monaci e quegli ecclesiastici che sottolineavano invece l'eccellenza della vita claustrale al valore della poesia. Immancabile è la tematica politica, esposta nella lunga lettera a Carlo di Durazzo e ritenuta essere il sunto del pensiero politico del primo umanesimo. Le lettere dell’Epistoloario pubblico, scritte in qualità di cancelliere della Repubblica, sono di carattere puramente politico, in quanto rivolte a contrastare l'azione egemonica di Gian Galeazzo Visconti. Riprendendo i modelli dei classici latini (Seneca, Sallustio, Cicerone), Coluccio additava Gian Galeazzo quale tiranno in contrasto con la florentina libertas. Il tono di queste lettere doveva essere così grave e tagliente che, secondo la tradizione, il duca di Milano rispondeva che un'epistola del Salutati era più deleteria di una sconfitta militare di Milano in campo aperto. Dal punto di vista più tecnico, il saggio  svolto presso la cancelleria di Firenze ha reso Coluccio Salutati uno dei più noti cancellieri del Medioevo; tale notorietà si deve al metodo di lavoro che egli ha adottato nel trentennio in cui ha ricoperto tale carica. Effettivamente, i cambiamenti che il Salutati ha apportato, soprattutto nel campo dell'epistolografia politica medievale, pur non essendo certo radicali, ebbero una notevole influenza su molte corti d'Europa. La letteratura sull'argomento è unanime nell'affermare che, Coluccio Salutati, pur utilizzando la formula prevista dall'epistolografia cancelleresca medievale, che prevedeva: la Salutatio, il Proverbium, la Narratio, la Petitio e la Conclusio; ebbe modo di personalizzare ogni fase dell'epistola in base alle proprie esigenze narrative. È frequente perciò trovare nelle sue lettere una Salutatio piuttosto breve ed un Proverbium soprattutto quando egli esprimeva teorie politichepiuttosto lungo. Epistola a F. Zabarella, filosofo padovano, il “De Tyranno” basato sull'omonimo trattato di Bartolo da Sassoferrato e sul “Polycraticus” di Giovanni di Salisbury) riflette sulla nascita della tirannide e sulla liceità dell'assassinio del tiranno stesso. Indotto a fare questa riflessione su spunto di A. dell'Aquila, che gli chiese la liceità dell'assassinio di Giulio Cesare e dalla volontà di difendere la scelta dantesca di porre Bruto e Cassio nelle fauci di Lucifero, ammette la liceità di un tale gesto nei confronti di un despota, ma negandola però al generale romano, in quanto e un benemerito capo di stato, che fu tradito dagli stessi uomini che erano stati da lui beneficiate. L’Invectiva contro A. Loschi, cancelliere dell'ormai defunto Gian Galeazzo e autore di una “Invectiva in florentinos”, ha un tono più concreto rispetto al teorico “De Tyranno”. Nell'”Invectiva”, mostra la partigianeria repubblicana sostenitrice della “florentina libertas”, emula dell'Atene di Pericle fautrice della concordia partium tra lei e i suoi alleati. Gli ricorda come Firenze sia nel giusto perché è sottoposta alle leggi, che non possono essere violate, mentre a Milano il diritto è strumento arbitrario nelle mani di un vero e proprio tiranno, che sta al di sopra delle leggi. “De seculo et religione”, epistola all’amico Niccolò di Lapo da Uzano si articola in due parti ed è datata. Gl’invia una lettera d'accompagnamento insieme al testo da lui realizzato. Tratta di una esortazione assai fervida alla vita claustrale. Rvendica anche la validità della vita quale laico, in quanto strada valida nell'ambito gerarchico delle occupazioni umane, a cui egli rimane ancora legato. L'opera, esaltante la vita ritirata prendendo spunto anche da Cicerone, Livio, Macrobio e Omero, tratta anche della condanna morale di cui è afflitta Roma, dai papi fino ai predicatori. Il “De fato et fortuna” e un’epistola divisa in cinque parti, iespone l'argomento del libero arbitrio e del rapporto che esiste tra quest'ultimo e gli avvenimenti che possono ostacolarne i progetti. La tematica, assai complessa ed erede di una lunga tradizione filosofica (i modelli sono Alberto Magno, Aquino e il “De bona fortuna” di Aristotele), si sviluppa nel tentativo di dimostrare come l'esistenza umana si inquadri in una causa prima, Dio, la quale opera in comunione, talvolta incontrandosi, talvolta scontrandosi, con la volontà dell'uomo. In “De Nobilitate legum et medicine” propone una gerarchia del sapere, proponendo la legge come valore supremo sulla medicina, intesa come mera tecnica. Come l'anima è superiore al corpo, così la legge (che si rifanno al campo della volonta dello spirito) e superiori alla medicina, che fa parte della meccanica. La legge, infatti, regola la vita sociale, determina il con-vivere civile, stabilisce l'ordine e deve essere ottima perché puo produrre uomini migliori. Continua affermando che la legge, dal momento che appartengono alla sfera dello spiritualo e quindi celeste, e legate direttamente a Dio. Gl’uomini, perciò, possono collaborare con Dio nella costruzione perfetta della società grazie al fatto che ogni uomo e ispirato dalla divinità medesima. Il “De Laboribus Herculis,” opera di grande impegno intellettuale, e un vasto saggio di poesia. Diviso in 4 parti, intende continuare il progetto culturale di Boccaccio della genealogia, vale a dire una difesa della poesia a livello universale basata sulle vicende terrene dell'eroe mitologico Ercole, re-interpretate in senso allegorico e indirizzate verso la via della virtù. Si basò su Ercole per la radice etimologica del nome greco, risalente ad “ερος κλερος”, cioè uomo forte e glorioso. Come già scrive a Giovanni di San Miniato, infatti, la poesia ha un valore universale in quanto il senso interpretativo supera la dimensione culturale in cui è stato scritto. Per cui la opera di un pagano, se piene di valori positivi, non devono essere rigettate, ma accolte in quanto provenienti da Dio stesso. “Carmen de morte Francisci Petrarce” e un carme commemorativo del Petrarca e accennato in varie epistole a Roberto Guidi conte di Battifolle, a B. Imola e a F. Brossano, del quale è quasi dubbio il completamento. “De verecundia” e un trattarello in forma epistolare indirizzato ad A. Baruffaldi sulla natura positiva o negativa della verecundia, cioè il rispetto. Grazie agli studi genealogici di F. Novati, si puo ricostruire l'ascendenza e la discendenza del cancelliere fiorentino. Coluccio Ignota, figlia di un tal Lino Piero Lino Coluccio; Piera di Simone Riccomi, A.Corrado, Giovanni Sorella ignota, sposata a uno dei Giovannini di Stignano sposata ad uno dei Dreucci di Pistoia  Piero morto di peste, Andrea morto di peste, Bonifazio - Monna Checca de' Baldovinetti Arrigo  Margherita d'Andrea de' Medici Antonio, Duccia di Guernieri de' Rossi; Nonnino Filippo, Simone Lionardo, chierico Salutato, chierico Lorenzo. A lungo si è ritenuta corretta la data, Campana  Martelli, Nuzzo, e altri studiosi dimostrano che la data corretta è Villani, Coluccio Salutati XXVII racconta l'ascesa politica ad una delle più prestigiose cariche politiche fiorentine. Nominato segretario grazie all'influenza del Gonfaloniere Bonaiuto Serragli, e eletto Cancelliere in sostituzione di N. Monaci, uomo politico con cui il Serragli fu in disputa.  Si veda Epistolario per le addolorate missive inviate dal Bruni e da Poggio all'amico in comune N. Niccoli, ‘tali parente’ nell'epistola di Bruni; ‘patris nostri’ in quella di Poggio). In Ivi,  l'istriano P. Vergerio, in una lettera a F. Zabarella, lo descrive come il primo e straordinario decoro di Firenze -- urbis illius primum atque precipuum decus, Linum Colucium Salutatum -- Della stessa opinione anche: Cappelli, in cui si ricorda, al momento dei funerali, il commosso addio dell'allievo P. Vergerio, che lo chiama  communis omnium magister -- maestro comune di tutti noi -- Luogo significativo per continuare le riunioni dei nuovi umanisti, in quanto vi viveva quel fra' Martino da Signa erede universale degli scritti del Boccaccio. Boccaccio dispose per testamento di lasciare la sua biblioteca all'agostiniano M. Signa con l'indicazione che alla morte del frate i volumi fossero negli armaria del convento fiorentino di Santo Spirito. Così avvenne. La grandezza di Alighieri, ma anche di Petrarca e dello stesso Boccaccio, sono messi in discussione dal più acceso degli umanisti classicisti, N. Niccoli, all'interno dei Dialogi ad Petrum Histrum di L. Bruni. L'accusa principale consisteva nella barbaria del loro latino e nel, caso di Alighieri, nel fraintendimento del senso di alcuni passi virgiliani. Solamente il suo intervento riesce a capovolgere la situazione, salvando Alighieri dalle accuse feroci del Niccoli. Come anche risulta da un dialogo del Bruni, che di quella polemica anti-dantesca è il documento principe, il suo intervento riusce ad assicurare la continuità, proporzionata all'età nuova, della tradizione dantesca a Firenze. I contatti tra Costantinopoli e Firenze sono facilitati dalla presenza, nella capitale bizantina, di G. da Scarperia, che decise di riaccompagnare Crisolora in patria per apprendere greco da lui stesso. La visione laica dell'umanesimo non si deve confondere con la proposta laicista, dal punto di vista etico e antropologico. Mantenendo sempre un'attenzione ossequiosa verso la Roma e una sincera devozione verso le verità romana, intende nel contempo esaltare e rivendicare la responsabilità umana al di fuori di qualsiasi determinismo meccanicista e ponendo in valore la libertà personale del singolo» (Cappelli85). Abbagnano19 sintetizza in modo più stringente il rapporto tra libero arbitrio e volontà divina, affermando che il primo sia «conciliabile con l'infallibile ordine del mondo stabilito da Dio».  Si è condensato, in questi due punti, l'attacco generale del mondo contro l'umanesimo. La questione sul valore della poesia riguarda la disputa con Giovanni di San Miniato (cfr. Epistolario, 3, Fratri Johanni de Angelis; quella con Dominici riguarda il valore positivo dell'umanesimo (cfr. Epistolario, Il codice fa parte della sua biblioteca entra nelle mani del cancelliere fiorentino igrazie alle pressioni che esercita su G. de Broaspini. Della stessa opinione anche Francesco Novati che, in Epistolario, giunge alla stessa conclusione del Sabbadini in quanto vi trova delle suoi postille autografe del Salutati. L'epistola è importante perché, dopo l'elogio di Carlo per la fortunata impresa militare della conquista del Regno di Napoli e il paragone con gl’eroi antichi, enumera i doveri di un buon sovrano: cercare l'unità sacra; gestire con moderazione il potere e imparare a gestire le proprie emozioni -- incipe prius tibi quam aliis imperare; rege te ipsum, noli regendorum subditorum studium tuimet derelinquere moderamen -- per evitare di cadere nei vizi e di essere classificato come un tiranno. Esaltandolo alla virtù, alla temperanza e alla giustizia, insomma tratteggia il modello del sovrano ideale, cavalleresco, formato sull'esempio dei classici -- continua è la comparazione con gli antichi statisti e sovrani) e timorato di Dio. Le informazioni, ricavate attraverso una minuziosissima ricerca d'archivio da parte del Novati, sono prese in ordine sparso da; Epistolario, Tavole genealogiche ove vengono fornite indicazioni biografiche sui nonni, genitori e figli. Per consultare le informazioni sui fratelli del cancelliere, si consulti sempre Epistolario, Riferimenti  Dionisotti. Villani. Fu avviato agli studî giuridici, inameni a lui che era pierius (così foggia il suo patronimico: figlio di Pietro, e devoto alle pieridi, le muse. Eloquentissimo legum doctori domino Loygio de Gianfigliaziis. Reverendo patri et domino domino Francisci Bruni de Florentia summi pontificis secretario, domino suo, si lamenta della sua mansione di cancelliere nella cittadina umbra. Vero è che invalse l'uso di chiamare Cancelleria Fiorentina l'ufficio del quale era capo il Dettatore, che aveva la particolare ingerenza di scrivere le lettere e di trattare le faccende della politica esterna.  Unum dicam, quod emerserunt et ad tante sunt reipublice gubernacula sublimati, quos oportuit pro salute cunctorum. Dirò una cosa, cioè che al governo di una così grande repubblica emersero e vi sono uomini, i quali bisognò vi sono per la salvezza di tutti. E così favorevole al governo in quanto fu uno dei pochissimi a non essere proscritto dalle cariche istituzionali.  Siena si sottomise a Gian Galeazzo in funzione anti-fiorentina, mentre il signore di Milano (duca per investitura imperiale) si allea con Lucca e altre città umbro-marchigiane. La prima epistola riportata dal Novati in cui Coluccio risponde ad una missiva del Certaldese cfr. Epistolario Facundissimo domino Iohanni Boccacci de Certaldo ma i toni sono troppo famigliari per essere la prima epistola scambiata tra i due. Inclyte cur vates, humili sermone locutus, de te pertransis? te vulgo mille labores percelebrem faciunt: etas te nulla silebit. Perché, o celebre poeta, che hai cantato nel volgare idioma, avanzi nel corso del tempo? Mille fatiche ti rendono celebre presso il volgo: nessuna epoca tacerà sul tuo conto. Egrigio viro Franciscolo de Brossano domini Francisci Petrarce genero, Ep. ove piange sia la scomparsa del Petrarca, ma annuncia anche quella del Boccaccio. Fallebar enim, et dum Franciscum fleo, dum suis laudibus intentus decantantes, novo commento, veterum pene dimissa sententia, depingo Camenas, ecce nove lacrime nobis merore novi funeris occurrerunt, incepti cursum operis reprimentes. Vigesima quidem prima die decembris Boccaccius noster interiit. Infatti ero ingannato, e mentre piango Francesco e mentre, attento alle sue lodi, adorno le Camene con un nuovo commento, quasi tralasciata la sentenza degl’antichi, ecco che nuove lacrime si aggiunsero a noi con il dolore di una nuova morte, frenando il corso di un'opera che inizia. Il nostro Boccaccio spira. Tateo. Cappelli,  ricorda anche che e solito mettere a disposizione dei suoi allievi la sua stessa biblioteca personale. Pertanto, i luoghi di incontro erano due: Santo Spirito e l'abitazione del Cancelliere. Gl’animatori di questi incontri, il Salutati e il Marsili, l'uno nella propria casa, l'altro nella sua cella di Santo Spirito, ricevano i nobili fiorentini, e li iniziavano al gusto delle lettere antiche. Sabbadini riporta che l'erudito greco era già a Firenze. Garin sintetizza, prendendo spunto dal De saeculo et religione e dall'Epistolario, l'ideale di vita attiva propria dell'essere umano inteso come cittadino del mondo. Terrestre è la vocazione umana. L'impegno nostro è nella costruzione della città terrena, nella società. Insiste sul valore della educazione. Essa insegna a ritrovare sub corticem il valore intenzionale dei termini, smarrito nella consuetudo, penetrando l'espressione nel suo significato intimo come direzione spirituale. Parola e cosa non possono disgiungersi. Noli, venerabilis in Christo frater, sic austere me ab honestis studiis revocare. Noli putare quod, cum vel in poetis vel aliis Gentilium libris veritas queritur, in vias Domini non eatur. Omnis enim veritas a Deo est, imo, quo rectius loquar, aliquid est Dei. Non volere, o venerabile fratello in Cristo, allontanarmi in modo così austero da studi degni di ammirazione. Non voler ritenere che, quando si cerca la verità o nei poeti o in altri libri degli scrittori pagani, non si cammini lungo le vie del Signore. Ogni verità, infatti, proviene da Dio e, per parlare fino in fondo rettamente, alcuna cosa è propria di Dio. Nullum enim dicendi genus maius habet cum divinis eloquiis et ipsa divinitate commertium quam eloquium poetarum. Nessun genere letterario, infatti, ha un maggior legame con le parole divine e con la stessa divinità quanto la parola dei poeti. Il manoscritto di Vercelli fu alla fine portato a Firenze, ove rimane, unica copia carolingia esistente delle Epistole di Cicerone. Gargan ritiene che la sua filologia non fu di altissima classe. Billanovica. Fitta la corrispondenza con Seta, come testimonia la prima lettera inviata dal cancelliere fiorentino. Insigni viri Lombardo...optimo civi patavino, Cappelli Cesareo. Epistola Coluci Salutati florentina ad Carolum regem Neapolitanum. Villani riporta la veemenza con cui fulmina Gian Galeazzo con le sue lettere, riportando tra l'altro la testimonianza di E.  Piccolomini cui quest'aneddoto è attribuita la paternità. Sia la citazione che il contesto in cui fu scritto il De Tyranno sono esposti in Canfora. In altri termini, se Cesare, pur giunto al potere in modo tirannico o violento, seppe poi legittimare tale potere attraverso un esercizio virtuoso di esso (ex parte exercitii) in grado di suscitare l'approvazione popolare, la sua uccisione non fu legittima. Lo e quella di un tiranno che esercita come tale. Per la figura di Loschi, si rimanda alla voce biografica Viti.  Canfora ipotizza l'aiuto di L.Bruni nello sviluppare il paragone Firenze-Atene, in quanto non e  molto esperto di quella lingua e di quella cultura. Così rivolgendosi al cancelliere milanese A. Loschi, nella Invectiva in Antonium Luschum, dopo aver contrapposto i guasti del regime tirannico milanese ai vantaggi di quello libero e repubblicano di Firenze, glorifica la sua città come "fiore d'Italia" e come esempio di vita serena e armoniosa. Si riporta interamente il breve messaggio d'accompagnamento. Mitto tibi munusculum istis paucis noctibus correctionis studio lucubratum. In quo si quid proficies tu vel alii, laus sit omnium conditori Deo, cui placeat me in tuis sanctis orationibus commendare. Vale felix et diu. Colucius tuus. Ti mando un piccolo pensiero composto in queste poche notti dopo un'opera di revisione. Attraverso questo trattato, se tu o altri ne trarrete giovamento, la lode di tutti voi sia per lodare Dio, al quale è piaciuto che io mi affidi alle tue sante orazioni. Sta felice a lungo. Il tuo Coluccio. Nel De Nobilitate ribade, attraverso un discorso più ampio e articolato, la distinzione della medicina, designate come arte meccanica, ossia tecnica, dalla giurisprudenza, considerata scienza della vita spirituale e quindi superiore all'altra. La legge e veramente un sigillo divino, con cui dopo il primo peccato Dio ha offerto alle comunità degl’uomini la vita per riconquistare il bene. Ispirate da Dio agli uomini, inscritte nell'anima umana, la legge ha un'altra superiorità, rispetto alla legge meccanica naturale. La legge inter-soggetiva puo essere conosciuta nella sua pienezza integrale, con una certezza che non si trova mai nella scienze della natura. Si riporta, come testimonianza, quanto scritto nell'epistolario in cui annuncia a B. Imola il suo Progetto. Sed ut ad Franciscum nostrum redeam, opusculum metricum de ipsius funere iam incepi. Ma per ritornare al nostro Francesco, inizio a stendere un opuscolo metrico sulla cerimonia funeraria dello stesso. Antiche Filippo Villani, Le vite d'uomini illustri fiorentini, G. Mazzuchelli, Venezia, G. Pasquali, Moderne; N.Abbagnano, “La filosofia del Rinascimento” in Nicola Abbagnano, Storia della filosofia,  Milano, TEA, G. Billanovich, Gli inizi della fortuna di Petrarca, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Bernhard Bischoff, Paleografia latina. Antichità e Medioevo, Stefano Zamponi, Padova, Antenore, A. Bosisio, Il Basso Medioevo, in F. Curato, Storia Universale,  Novara, Istituto geografico De Agostini, V. Branca, Giovanni Boccaccio: profilo biografico, Firenze, Sansoni, A. Campana, Lettera del cardinale padovano (Bartolomeo Uliari). Canfora, Prima di Machiavelli. Politica e cultura in età umanistica, Roma, Laterza, G. Cappelli, L'Umanesimo italiano da Petrarca a Valla, Roma, Carocci editore, A.  Cesareo, L'Epistolario ed il carteggio con Francesco Petrarca come esempio di latino umanistico: una ricerca filologico-letteraria, G. Contini, Letteratura italiana delle origini” (Firenze, Sansoni); E. Carrara, Lino Coluccio di Piero, in Enciclopedia Italiana,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,Daniela De Rosa, Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Loredana Chines, G. Forni, G. Ledda, Dalle Origini al Cinquecento, in Ezio Raimondi, La letteratura italiana” (Milano, Mondadori); C.  Dionisotti, Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Luciano Gargan, Gli umanisti e la biblioteca pubblica, in Guglielmo Cavallo, Le biblioteche nel mondo antico e medievale, Bari, Laterza, Eugenio Garin, L'umanesimo italiano, 3ª ed., Roma-Bari, Laterza, Mario Martelli, Schede per Coluccio Salutati, in Interpres, Demetrio Marzi, La cancelleria della repubblica fiorentina, Rocca San Casciano, Licinio Cappelli,  Armando Nuzzo, Coluccio Salutati. Epistole di Stato. Primo contributo all’edizione: Epistole in Letteratura Italiana Antica, Manlio Pastore Stocchi, Pagine di storia dell'Umanesimo italiano, Milano, FrancoAngeli,,  Marco Petoletti, Boccaccio e i classici latini, in Teresa De Robertis, C. Monti, Marco Petoletti et alii, Boccaccio autore e copista, Firenze, Mandragora, Francesco Petrarca, Lettere Senili, Giuseppe Fracassetti,  2, Firenze, Le Monnier, Coluccio Salutati, Epistolario, Francesco Novati, 4, in 5 tomi, Roma, Forzani e C. tipografi del Senato, Si sono consultati: Epistolario,. Epistolario,  Epistolario,  Epistolario, Epistolario, Remigio Sabbadini, Le scoperte dei codici latini, Firenze, G.C. Sansoni, Achille Tartaro e Francesco Tateo, Il Quattrocento. L'età dell'umanesimo, in Carlo Muscetta, La letteratura italiana, 3, tomo I, Bari, Laterza, Si sono presi in considerazione: F. Tateo, La cultura umanistica e i suoi centri, E. Wilkins, Vita del Petrarca, Luca Carlo Rossi e Remo Ceserani, Milano, Feltrinelli,   edito per la prima volta negli Stati Uniti col nome diLife of Petrarch, Chicago, University of Chicago Press, Cesare Vasoli, Le filosofie del Rinascimento, Paolo Costantino Pissavino, Milano, Mondadori, Paolo Viti, Loschi, Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani,  66, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, Palazzo Salutati Francesco Petrarca G. Boccaccio Umanesimo Repubblica di Firenze L. Bruni. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Marco Cirillo, Il tiranno in Coluccio Salutati, umanista del Trecento, Biblioteca dei Classici italiani di G. Bonghi. Lino Coluccio Salutati. Coluccio Salutati. Salutati. Keywords: i duodici fatiche d’Ercole, gl’antichi, la legge non-naturale, la legge naturale, della buona fortuna, libero arbitrio, la vita sociale, la con-vivenza, Bruto e Cassio nell’inferno, la morte di Cesare, l’assassinio di Cesare, tirano, la libertas fiorentina, stato fiorentino, la repubblica fiorentina, la fiore d’Italia, Boccaccio, Petrarca, Aligheri, I primi umanisti, l’umanesimo laico, basato contro il determinismo ecclesiastico, la biblioteca di Salutati, Livio, Cicerone, autori latini, la lingua Latina, difesa della lingua Latina, l’interpretazione di Virgilio da Aligheri, difesa della filosofia pagana, il valore permanente della filosofia degl’antichi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Salutati” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734433516/in/datetaken/

 

Grice e Sanctis – lo stile filosofico – filosofia italiana -- Essential philosopher. He considers philosophy as a branch of the belles lettresand his field of expertise is when stylists stopped using an artificial Roman, and turned to ‘Italian.’ Grice: “I really do not like de Sanctis; when an author becomes philosophical, he says that he has been infested of the philosophical pest!” -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e de Sanctis," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Sanctis. Keywords: storia della filosofia, il saggio filosofico, il poema filosofico, il tema filosofico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanctis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689329145/in/photolist-2mNzeEc-2mLLZRD-2mPrdWj-2mLGRht-2mPu6xB-2mKTjot-2mPsXiB-2mPCgo1-2mKBwcu-2mPpskp-2mKDA5r-2mKw3hq-2mKBjJ6-2mKbfAt-2mGnP2f-nBNy96

 

Grice e Sanseverino – il segno naturale -- la logica scolastica --  filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Considerato uno fra i massimi precursori del neo-tomismo. Si trasfere a Nola per frequentare la scuolaa dove suo zio era rettore. Studia ilosofia con l'intento di confrontare i vari sistemi filosofici, fra cui godeva particolare credito in Italia, all'epoca, quello razionalista. Lo studio comparato dei vari sistemi gli permise una conoscenza più approfondita della scolastica, soprattutto di Aquino, e del legame intimo tra la Scolastica e la Patristica. Restaura la filosofia scolastica. Insegna a Napoli. Venne incaricato da Ferdinando II di preparare un manuale ufficiale per le scuole del Regno delle Due Sicilie. Scrive allo scopo il manuale "I principali sistemi della filosofia del criterio”. Profondo conoscitore di Aquino da alle stampe interessanti saggi sui filosofi moderni. Inizia ad occuparsi più specificamente di Aquino con “L’origine del potere e il diritto di resistenza, cui fa seguito “In difesa dell'angeologia contro i sofismi”. Esce il ponderoso I principali sistemi della filosofia del criterio” un'ampia e dottissima disquisizione sulla filosofia illuminista e su quella a lui contemporanea (fra cui quella dello stesso Gioberti) confutata sulla base della logica. Il suo capolavoro. Si tratta del celebre saggio, “Philosophia antiqua” che ha per oggetto la storia della logica. “In compendium redacta ad usum scholarum clericalium. Venne pubblicata a Napoli “Elementa”, “Antropologia”, “Teologia.  Altre saggi: “Sopra alcune questioni le più importanti della filosofia” (Napoli); “Il razionalismo” (Napoli); “I razionalisti” (Napoli); “L'origine del potere e il diritto di resistenza, (Napoli, Giannini); “In difesa dell'angeologia contro i sofismi” (Napoli, Manfredi); “Elementa philosophiae theoreticae” (Napoli, Manfredi); “Philosophia antiqua” (Napoli, Manfredi); “Institutiones seu Elementa philosophiae antiquae” (Napoli, Manfredi); “In compendium redacta ad usum scholarum” (Napoli, Manfredi); “Le dottrine de' filosofi antichi” (Napoli); U. Dovere, Tentativo di ricostruzione, in Doctor communis, P. Naddeo, Le origini del aquinismo” (Società editrice italiana, Torino); P. Orlando, Aquino a Napoli e G. Sanseverino, in Asprenas, P. Orlando, Vita e opere di Gaetano Sanseverino secondo i documenti, in Aquinas, P. Orlando, L'Accademia tomista a Napoli, storia e filosofia, in Saggi sulla rinascita del tomismo, Roma, Ed. Pontificia Accademia teologica romana, C.Matarazzo, Per una rivoluzione del cuore. La visione dell'umano in Leopardi nella lettura critica di Sanseverino tra antropologia e istanze pastorali (Polidoro, Napoli). Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gaetano Sanseverino. Sanseverino. Keywords: segno naturale, Boezio, Aquino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanseverino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689994340/in/photolist-2mNzeEc-2mLQc9e-2mKEJsY-o5Xazf

 

Grice e Santilli – dal soggettivo all’inter-soggettivo – filosofia italiana (Sant’Elia Fiume Rapido). Filosofo. Figlio del medico santeliano Silvestro, sindaco del paese. Si trasfere a Napoli. Segue il corso liceale presso la Scuola di Francesco Murro. Discepolo di Galluppi e amico, fra gli altri, Settembrini, Fiorelli e Sanctis. Si laurea in filosofia. Apre una Scuola di Diritto Morale e Costituzionale.  Fervente giobertiano, e attivo propugnatore, nei circoli culturali napoletani, di un'Italia federate. A frequenti rapporti epistolari con Mamiani, Gizzi e Cousin. Quest'ultimo lo introduce nel giro culturale del socialismo utopistico ma modula il suo socialismo secondo i propri valori umanitari, rifiutando la logica della lotta di classe. Ha comunque a scrivere che nel Regno di Napoli occorre una savia distribuzione della ricchezza. Presidente della Società Dantesca e prolifico filosofo. Fonda "L'Enciclopedico" in cui vivacemente sostene che occorreva occuparsi della piaga della povertà. La nazione italiana vuole pane e lo dimanda incessantemente, lo chiede nel pianto dell'indigenza, tra le sciagure della desolazione, lo chiede non a titolo di preghiera, ma diritto necessario, assoluto. Il popolo italiano non capisce la speculativa astrazione di alcune verità filosofica, non sa i titoli di libertà, di costituzione, di uguaglianza. Una riforma che dimentica affatto la fisica prosperità del popolo italiano non è che riforma di solo nome. “Le idee" e testo di studio nelle scuole di Toscana; "Sul realizzamento del pensiero"; "Sviluppo filosofico dell'autorità"; "Cenno psicologico sull'attività dello spirito"; "Individuo e Società"; "Princìpi dell'imanità razionale"; "Il socialismo in economia" e "Lavoro, industria e capitale". Si batté politicamente per l'ottenimento della Costituzione da parte di re Ferdinando II .  Malvisto e considerato individuo pericoloso dalla polizia e ucciso a baionettate da soldati che fanno irruzione nella sua abitazione in Largo Monteoliveto, accanto a Palazzo Gravina. Venne ucciso a seguito della delazione di una donna, che lo indica come il predicatore alla soldataglia. Lo ricordano due epigrafi: una sulla facciata della sua casa natia e una sulla facciata della sua palazzina in Largo Monteoliveto. Di lui scriveno Sanctis, Pepe, Settembrini, Vannucci, Massari, Grosso, Guzzardella, Mandalari che volle raccogliere i suoi saggi in "Memorie e Saggi” (Roma). F. Peruta. “Il Giornalismo Italiano del Risorgimento”; I. Ghiron, Della Peruta, “Storia del quindici maggio in Napoli; L. Settembrini "Memorie e saggi”; M. Mandalari, Memorie, Roma. A. Guzzardella, “Martire del Risorgimento” Milano, Isaia Ghiron, Il valore italiano, Tip. nazionale degli editori Ghione e Lovesio, F. Peruta, Il Giornalismo Italiano del Risorgimento, Angeli,. Benedetto Di Mambro, in Sant'Elia Fiume Rapido, il Sannio, Casinum e dintorni Roccasecca,. L. Settembrini, Ricordanze della mia vita, A. Morano. Angelo Santilli. Santilli. Keywords: dal soggettivo all’inter-soggetivo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Santilli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689367738/in/photolist-2mKBwcu

 

Grice e Santorio – filosofia italiana – il pendolo di Santorio – Luigi Speranza (Capodistria). Filosofo. Padre della fisiologia sperimentale. Il primo a comprendere l'importanza dell'esperimento e dell'adozione dei parametri quantitativi per valutare i quali inventa alcuni dispositivi tra cui il termometro e il tachimetro. Studia sperimentalmente la struttura della materia, di cui descrisse la struttura corpusculare e meccanica, anticipando le ricerche di Galilei. Studia a Padova. A Venezia fa amicizia con Sarpi, Sagredo e Galilei. Adatta il pendolo alla pratica, precedendo gli esperimenti condotti da Galileo con i pendoli. Poniere nell'impiego delle misurazioni fisiche in medicina; il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia usata per studiare l'equilibrio omeostatico e le trasformazioni metaboliche Tra i soggetti che si prestarono alla sperimentazione vi fu anche Galilei. Insegna a Padova. Pubblica descrizioni di congegni termometrici e di precisione che divennero di largo uso nella pratica medica. Pioniere nell'impiego delle misurazioni fisiche. Il suo dispositivo più famoso fu una grande bilancia (stadera medica) usata per studiare le trasformazioni metaboliche in soggetti sperimentali tra i quali vi fu lo stesso Galileo. Pioniere nell'uso del metodo sperimentale di cui comprese l'importanza e la necessità replicando i suoi esperimentil Considerato a torto il fondatore della iatromeccanica, ne e uttavia ispiratore con i suoi importanti studi sul metabolismo e sulla termoregolazione umana. E il primo a quantificare la perspiratio insensibilis e ad usare il termometro clinico che egli stesso idea.  Santorio invent anche altri strumenti (pulsilogio, igrometro, "letto artificioso", "eolopila medica", "termometro lunare") intesi a tradurre in numero e determinare con esattezza matematica i parametri vitali umani. I suoi saggi hanno numerose edizioni, diffusione europea e ampia popolarità. Classico il “De statica medica” -- uno dei saggi più importanti della storia della fisiologia; “Methodi vitandorum errorum omnium qui in arte medica contingunt liNunc primum ccessit eiusdem authoris De inventione remediorum liber (Aubert); “Ars de statica” (Leida, D.Lopes de Haro); “Commentaria in artem Galeni”; “Nova pulsuum praxis morborum omnium diagnosim prognosim et medendi aegrotis rationem statuens, sine eorum relatione”; “Commentaria in primam fen primi libri canonis Auicennae”; “Commentaria in primam sectionem Aphorismorum Hippocratis”; “Societate si politica”. Galilei -- Storia della Scienza di Firenze. A. Castiglioni, “Storia della Medicina” (Mondadori, Milano); A/ Pazzini, “Storia della Medicina” (Libraria, Milano); L. Premuda, “Storia della Medicina” (Milani, Padova); L. Premuda, “Storia della fisiologia” (Del Bianco, Udine). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Santorio Santorio. Santorio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Santorio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735247445

 

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Grice e Sanzo – natura ed artificio – filosofia italiana (Roma). Flosofo. Insegna a Brindisi, Milano, e Salento. Fonda Apollo Licio”. Sube il fascino dell’esistenzialismo e il orazionalismo. Rivolve la propria attenzione ai rapporti tra filosofia, scienza e società. Si occupa di filosofi quali Becquerel, Boutruox, Corbino, Couturate Curie, Enriques, Fermi, Frola, Geymonat, Peano, Vailati. Sui fondamenti della geometria” (Brescia,  La Scuola, Collana "Il Pensiero"); “L’artificio della lingua, -- Grice: “I like that: it’s my Gricese, a language I invent and which makes me the master; there’s the arbitrary and there’s the artificial, and Sanzo, reconstructing Peano’s project, fails to distinguish this” -- Milano, F. Angeli, Collana di Epistemologia, G. Cimino; G. Sava, Il nucleo filosofico della scienza, Galatina, Congedo, Collana di Filosofia, Scritti di fisica-matematica, Torino, POMBA, I Classici della Scienza, Poincaré e i filosofi” (Lecce, Milella); O. Corbino, Scienza e società, Saggi raccolti e commentati, Manduria, Barbieri, Collana di Filosofia Hermes/Hestia, Scritti di fisica-matematica” (Milano, Mondadori, "I Classici del pensiero", Unione Tipografico, Torino, Scientia, Rivista di sintesi scientifica,  Apollo Licio”, Museo Galilei, Firenze. Ubaldo Sanzo. Sanzo. Keywords: apollo licio, trovato al ginnasio liceo di Atene, figgurante il dio in atto di riposo dopo un gran sforzo. natura ed artificio, l’artificio della lingua, convenzionalismo, filosofia della lingua.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sanzo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51735242585/in/dateposted-public/

 

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Grice e Sarno – sentire – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo. Interprete di Bruno e Campanella. Collabora al Giornale critico della filosofia italiana con saggi su Bruno, Campanella e Vico. Medita sulla violenza. Si suicida con un colpo di rivoltella. Si interessa a Bruno e Campanella. Il suo punto di partenza è l’opposizione tra un sentimento sempre identico a se stesso, essenzialmente interiore (sensus sui) ed un sentire esteriore, che si tramuta nelle cose di cui ha esperienza, che si presta e si dona tutt’intero alle cose, affinché esse vivano in lui. Atre saggi: “Pensiero e poesia” (Laterza, Bari); “Filosofia poetica” (Laterza, Bari); “Filosofia del sentire” (Pescara, Tracce); “Sulla violenza” (Bari, Laterza); M. Perniola, “L’enigma” (Costa,  Genova); A. Marroni, “Filosofo del “farsi altro”. D'Angelo, L'estetica italiana” (Laterza, Bari); A. Marroni, La passione per il presente in “Filosofie dell'intensità. un maestro occulto della filosofia italiana” (Mimesis, Milano); A. Marroni, "I carmina in foliis volitantia" in Agalma, Giornale Critico di Filosofia Italiana. Antonio Sarno. Sarno. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sarno” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734571263/in/datetaken/

 

Grice e Sarpi – la metafisica del fenice – l’arte del bien conversar -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Very important Italian philosopher. Definito d’Acquapendente come oracolo, autore della celebre “Istoria del Concilio tridentino” subito messa all'Indice. Fermo oppositore del centralismo monarchico di Roma, difendendo le prerogative della repubblica veneziana, colpita dall'interdetto emanato da Paolo V. Rifiuta di presentarsi di fronte all'Inquisizione romana che intendeva processarlo e sube un grave attentato che si sospetta essere stato organizzato dalla curia romana, "agnosco stilum Curiae romanae", che nega tuttavia ogni responsabilità.  L'infanzia e una ritiratezza in sé medesimo, un sembiante sempre penseroso, e più tosto malinconico che serio, un silenzio quasi continuato anco co' coetanei, una quiete totale, senza alcun di quei giuochi, a' quali pare che la natura stessa ineschi i fanciulli, acciò che col moto corroborino la complessione: cosa notabile che mai fosse veduto in alcuno. Poi, così serve in tutta la sua vita, et all'occasioni dice non poter capir il gusto e trattenimento di chi giuoca, se non fosse affetto d'avarizia. Un'alienazione da ogni gusto, nissuna avidità de' cibi, de' quali si nutre così poco, che restava meraviglia come stasse vivo. Nell'anno in cui proseguivano le sedute del Concilio di Trento, Carlo V e in guerra con i prìncipi protestanti tedeschi e il Parlamento inglese adotta un Libro di preghiere d'ispirazione luterana. Figlio di Francesco di Pietro Sarpi, di famiglia di lontane origini friulane (precisamente di San Vito al Tagliamento) e mercante a Venezia eppure, scrive Micanzio, per la sua indole violenta più dedito all'armi ch'alla mercatura. La madre, veneziana, d'aspetto umile e mite e Isabella Morelli. Rimasta vedova, fu accolta con il suo figlio e l'altra figlia Elisabetta nella casa del fratello A. Morelli, prete della collegiata di Sant'Ermagora.  Con lo zio, uomo d'antica severità di costumi, molto erudito nelle lettere d'umanità addottrinando nella grammatica e retorica molti fanciulli della nobiltà, fa i primi studi, imparando presto e con facilità. A dodici anni, nel 1564, anno dell'istituzione, dopo la chiusura del Concilio, dell'Indice dei libri proibititra i tanti, vi finirono il Talmud e il Corano, il De Monarchia di Dante e le opere di Rabelais, Folengo, Telesio, Machiavelli ed Erasmo, passa alla scuola di G. Capella, t dell'Ordine dei Servi di Maria, seguace delle dottrine di Duns Scoto. Capella gli insegna logica, filosofia e teologia, finché il ragazzo fece così rapidi progressi che il maestro istesso confessa non aver più che insegnargli. Con altri maestri veneziani apprese la matematica, la lingua greca e l'ebraica. Con la familiarità e co' studii entra Panco in desiderio di ricevere l'abito de' servi, o perché gli paresse vita conforme alla sua inclinazione ritirata e contemplativa, o perché vi fosse allettato dal suo maestro, malgrado l'opposizione della madre e dello zio che lo voleva prete nella sua chiesa, entra nel monastero veneziano dei servi di Maria. Continua ancora a studiare con il Capella, rimanendo alieno dalle distrazioni proprie della sua età finché in occasione della riunione a Mantova del capitolo generale dell'Ordine servita,  mandato in quella città «ad onorar il congresso e far vedere che gl'ordini non sono oziosi, ma spendono il tempo in sante e lodevoli operazioni, difendendo 318 delle più difficili proposizioni della filosofia naturale. Il qual carico con che felicità lo sostenesse e con che giubilo e stupore di quella venerabile corona, si può dall'evento argomentare. Essersi così distinto agli valse la nomina a teologo da parte del duca di Mantova. Prencipe di grandissimo ingegno, così profondamente erudito nello scienze, che difficilmente si discerne qual fosse maggiore, o la prudenza di governare, o l'erudizione di tutte le scienze et arti, sino nella musica, mentre il G. Boldrino gli affida la cattedra. Stabilito nel convento di San Barnaba, perfeziona la conoscenza della lingua ebraica e inizia, col puntiglio consueto, ad applicarsi agli studi storici. E certo a motivo di quest'interesse che a Mantova frequenta M. Olivo, già segretario di E. Gonzaga, cardinale e legato pontificio nelle ultime sessioni del concilio di Trento, la cui caduta in disgrazia presso Pio IV coinvolse anche l'Olivo che fu dagl’inquisitori molto travagliato, col tenerlo longamente in carcere dopo la morte del cardinale suo signore, ma che ora, dopo la morte del pontefice, vive privatamente in Mantova. Il gusto principale che riceva in conversare con lui e perché lo trovava d'una moderazione singolare, erudito, e che, per esser stato col cardinale a Trento, ha gran maneggio in quelle azioni e sa tutte le particolarità de' negozii più secreti, et ha anco molte memorie, nell'intendere le quali riceve molto piacere. Sono gli anni in cui in Italia continua con vigore la repressione inquisitoriale di Pio V. P. Carnesecchi venne decapitato. Gl’brei sono espulsi dallo Stato pontificio tranne che da Roma e da Ancona, nei ghetti delle quali vennero costretti a risiederee. E impiccato l'umanista A. Paleario. Il papa scomunica Elisabetta d'Inghilterra, oorganizzò la Lega contro i turchi, ottenendo la vittoria navale di Lepanto e a Parigi, a migliaia di ugonotti sono massacrati. Fa la sua professione, entrando ufficialmente nell'Ordine servita. Anche di lui l'Inquisizione si occupa seguito della denuncia di un confratello che lo accusa di sostenere che dal primo capitolo del Genesi non si può ricavare l'articolo di fede della Trinità. Ma, poiché effettivamente di trinità divina non vi è traccia nel Vecchio Testamento, l'Inquisizione gli diede ragione, archiviando il caso. Dopo aver ricevuto nel convento mantovano il titolo di baccelliere, e invitato a Milano da C. Borromeo il quale, dopo aver ottenuto dalle autorità contro la volontà del Senato, il riconoscimento del tribunale e della polizia diocesana, avvia un processo di riforma del clero. Ottenne di essere trasferito nel convento dell'Ordine servita di Venezia, dove e incaricato dell'insegnamento della filosofia e continuò i suoi studi scientifici. Nella grande epidemia di peste, che imperversa a Venezia,  facendo 50.000 vittimetra le quali Tiziano frimase immune dal contagio. Dopo essersi addottorato a Padova, e nominato reggente del convento di Venezia e priore della provincia veneta. Durante il Capitolo a Parma, nel quale venne rieletto priore G. Tavanti, tenne una dissertazione di fronte ai cardinali protettori dell'Ordine, A. Farnese e G. Santori. Uno dei tre saggi, insieme con C. Franco e A. Giani, incaricati di preparare una riforma della regola. Il carico suo speziale e d'accommodare quella parte che tocca i sacri canoni, le riforme del concilio di Trento, allora nuove, e la forma de' giudizii quella parte tutta ove si tratta de' giudizii accommodatamente allo stato claustrale. Lascia in questo carico in Roma fama di gran sapere e di molta prudenza, non solo nelle corti de' due cardinali suddetti, co' quali, per ordine contenuto in un breve apostolico di Gregorio XIII, conviene conferire ogni legge che si fa, ma anco e necessario molte volte trattar col pontefice medesimo. Sbrigato da quale peso ritorna al suo governo. Si tenne a Bologna il nuovo Capitolo dell'Ordine servita e viene eletto procuratore generale, la suprema dignità di quell'ordine dopo il generale il carico porta seco di difender in Roma tutte le liti e controversie che vengono promosse in tutta la religione. Dove pertanto trasferirsi a Roma dove conobbe e prende strettissima familiarità col padre Bellarmino poi cardinale, e dura l'amicizia sin al fine della vita, grazie al quale forse puo prendere visione di diversa documentazione relativa alle istruzioni date ai legati pontifici durante il Concilio di Trento. Conosce anche il dottor Navarro, teologo difensore dell'arcivescovo di Toledo, B. Carranza, accusato di eresia, il gesuita N. Bobadilla e il cardinale Castagna, poi Urbano VII. Ha occasione di passare a Napoli per presiedere Capitoli e conversare con quel famoso ingegno G. Porta, il quale, anco nelle sue opere mandate in luce, fa onorata menzione del padre Paolo come di non ordinario personaggio. Scaduto il periodo di carica a procuratore generale dell'Ordine servita, ritorna a Venezia, frequentandovi i circoli intellettuali che si riunivano nella bottega di B. Sechini e nella casa del nobile veneziano A. Morosini, dove conobbe anche G. Bruno. A Padova frequenta la casa di G. Pinelli, il ricetto delle muse e l'academia di tutte le virtù in quei tempi, dove iincontrare Galileo e Bruno, il quale s'intrattenne a Padova più di tre mesi, poco prima di essere arrestato a Venezia.  Si dove scegliere il generale dell'Ordine servita, e fra i due principali candidati, L. Baglioni e G. Dardano, si espresse a favore del primo. Il rancore spinse Dardano a denunciarlo al Sant'Uffizio, accusandolo di negare efficacia allo Spirito Santo, di avere rapporti sospetti con ebrei e allegando una lettera che fgli scrive da Roma, nella quale sono contenute alcune parole in discredito della corte, come che in quella si viene alle dignità con male arti, e di tenerne esso poco conto, anzi abominarla. Senza nemmeno essere chiamato a Roma per discolparsi, e subito prosciolto da ogni accusa. Ma il cardinale di Santa Severina, G. Santori, protettore dell'Ordine e capo del Sant'Uffizio, mostrò però implacabile indignazione autilizzando tutta la sua autorità per escludere gli amici dalli gradi et onori con maniere così strane e fini così bassi, ch'io non ardisco poner i casi che mi sono stati dati in nota, perché troppo gran scandalo arrecherebbono al mondo. Continua i suoi studi mentre non cessano le rivalità nell'Ordine servita, del quale venne eletto priore,  Montorsoli, che morì tre anni dopo, succedendogli così, Dardano, accanito avversario del Sarpi. Questi, deciso a uscire dall'Ordine per sottrarsi all'inimicizia dalla quale si sentiva circondato, cerca di ottenere un vescovato, prima a Caorle e poi a Nona, in Dalmazia, che però gli vengono rifiutati a causa delle negative informazioni che di lui il Dardano e L. Gagliardi, preposito della casa veneziana dei gesuiti, diedero al papa. Esse ssente mormorare alle volte che egli con alcuni facci una scoletta piena d'errori. Non solo: nel Capitolo,  Dardano l’accusa di portare una berretta in capo contra una forma che sino sotto Gregorio XIV disse esser proscritta; che portasse le pianelle incavate alla francese, allegando falsamente esserci decreto contrario, con privazioni divote; che nel fine della messa non recita lo Salve Regina. E assolto anche da queste accuse. La Repubblica veneziana, stretta a nord dall'Impero, in Italia dalla prevalenza spagnola e papale, in Oriente dalla potenza turca, e ormai avviata a quel lungo declino politico ed economico che a la sua sanzione. Alla prudente politica dei patrizi, rasseglla compromissione con l'Impero e il papato, si sostituì quella degli innovatori, i cosiddetti «Giovani», decisi a sottrarre la Serenissima all'invadenza ecclesiastica nell'interno e a rilanciarne le fortune commerciali nell'Adriatico, compromesse dal controllo dei porti esercitato dallo Stato pontificio e dalle azioni degli Uscocchi, i pirati cristiani croati appoggiati dall'Impero. Iil Senato veneziano proibì la fondazione di ospedali gestiti da ecclesiastici, di monasteri, chiese e altri luoghi di culto senza autorizzazione preventiva della Signoria. Un'altra legge proibiva l'alienazione di beni immobili dai laici agli ecclesiastici, già proprietari, pur essendo solo un centesimo della popolazione, di quasi la metà dei beni fondiari della Repubblica, e limita le competenze del foro ecclesiastico, prevedendo il deferimento ai tribunali civili degli ecclesiastici responsabili di reati di particolare gravità. Avvenne che il canonico vicentino S. Saraceno, colpevole di molestie a una nobile parente, e l'aristocratico abate di Nervesa, Brandolini, reo di omicidi e di stupri, sono incarcerati. Paolo V emana due brevi richiedenti l'abrogazione delle due leggi e la consegna al nunzio pontificio dei due ecclesiastici, affinché secondo il diritto canonico fossero giudicati da un tribunale ecclesiastico.  Il nuovo doge Leonardo Donà fece esaminare i due brevi da giuristi e teologi, fra i quali il Sarpi, affinché trovassero modo di controbattere alle richieste della Santa Sede. Il 28 gennaio venne nominato teologo canonista proprio il Sarpi e lo stesso giorno il suo scritto: Consiglio in difesa di due ordinazioni della Serenissima Repubblica, venne inviato al Papa. Difese le ragioni della Repubblica con numerosi saggi. Sono di questi mesi la Scrittura sopra la forza e validità delle scomuniche, il Consiglio sul giudicar le colpe di persone ecclesiastiche, la Scrittura intorno all'appellazione al concilio, la Scrittura sull'alienazione dei beni laici agli ecclesiastici e altri ancora, poi raccolti nella sua successiva “Istoria dell'interdetto”. In quell saggio è contenuta anche un saggio sulla validità della scomunica, attaccato da Bellarmino, al quale rispose allora con l'Apologia per le opposizioni do Bellarmino.  Mentre F. Micanziosuo iniziava a collaborare dopo che Paolo V scomunica il Consiglio veneziano e fulminato con l'interdetto lo Stato veneto, pubblica il Protesto del monitorio del pontefice, nel quale il breve papale Superioribus mensibus è definito nullo e di nessun valore, mentre impede la pubblicazione della bolla pontificia. Obbedendo alle disposizioni del papa, i gesuiti rifiutano di celebrare le messe a Venezia e la Repubblica reage espellendoli insieme con cappuccini e teatini. Parteno la sera alle doi di notte, ciascuno con un Cristo al collo, per mostrare che Cristo parte con loro. Concorse moltitudine di populo e quando il preposto, che ultimo entra in barca, dimanda la benedizione al vicario patriarcale si leva una voce in tutto il populo, che in lingua veneziana grida loro dicendo "Andé in malora!". A Roma si spera che l'interdetto provocasse una sollevazione contro i governanti veneziani ma i gesuiti scacciati, li cappuccini e teatini licenziati, nissun altro ordine parteno, li divini uffizi sono celebrati secondo il consueto il senato e unitissimo nelle deliberazioni e le città e populi si conservano quietissimi nell'obbedienza. Venezia era alleata, in funzione anti-spagnola, con la Francia, ed era in buoni rapporti con l'Inghilterra e con la Turchia. Fingendosi veneziani, soldati spagnoli, per provocare la rottura delle relazioni turco-veneziane, sbarcano Durazzo, saccheggiandola, ma la provocazione e facilmente scoperta e i turchi offreno a Venezia l'appoggio della loro flotta contro il papa. L'Inquisizione l’intima di presentarsi a Roma per giustificare le molte cose temerarie, calunniose, scandalose, sediziose, scismatiche, erronee ed eretiche contenute nei suoi saggi ma naturalmente si rifiuta. Invano il papa che scomunica Sarpi e Micanziosi dichiara favorevole a portare guerra a Venezia. La sua unica alleata, la Spagna, minacciata da Francia, Inghilterra e Turchia, non puo sostenerla in quest'impresa e si giunse così alle trattative diplomatiche, favorite dalla mediazione del cardinale F. Joyeuse. Venezia rilascia i due ecclesiastici incarcerati e ritira il suo protesto al papa in cambio della revoca dell'interdetto, mentre le leggi promulgate dal Senato veneziano restarono in vigore e i gesuiti non possono rientrare nella Repubblica. Riceve K. Schoppe, molto intimo dei segreti affari della Curia romana, il quale gli confide che il papa, come gran prencipe, ha longhe le mani, e che per tenersi da lui gravemente offeso non puo succedergli se non male, e che se sino a quell'ora avesse voluto farlo ammazzare, non gli mancavano mezzi. Ma che il pensiero del papa e averlo vivo nelle mani e farlo levare sin a Venezia e condurlo a Roma, offerendosi egli, quando volesse, di trattare la sua riconciliazione, e con qual onore avesse saputo desiderare. Asserendo d'aver in carico anco molte trattazioni co' prencipi alemanni protestanti e la loro conversione». Schoppe, ambiguo provocatore, intende convincerlo  a mettersi nelle mani dell'Inquisizione come miglior partito che puo prendere, tanto parvero strane le due proposte di far ammazzare o prender vivo il padre. I disegni omicidi sono reali. Circa le 23 ore, ritornando al suo convento di San Marco a Santa Fosca, nel calare la parte del ponte verso le fondamenta, e assaltato da cinque assassini, parte facendo scorta e parte l'essecuzione, e resta l'innocente  ferito di tre stilettate, due nel collo et una nella faccia, ch'entrava all'orecchia destra et usciva per apunto a quella vallicella ch'è tra il naso e la destra guancia, non avendo potuto l'assassino cavar fuori lo stillo per aver passato l'osso, il quale restò piantato e molto storto. I sicari, fuggendo, trovano rifugio nella casa del nunzio pontificio e la sera s'imbarcano per Ravenna, da dove proseguirono per Ancona e di qui raggiunsero Roma. Si conoscono i loro nomi: l'esecutore materiale dell'attentato e R. Poma, già mercante veneziano, poi trasferitosi a Napoli e di qui a Roma, dove divenne intimo del cardinale segretario di Stato S. Caffarelli-Borghese e dello stesso Paolo V. E co-adiuvato da tre uomini d'arme, tali A. Parrasio, Giovanni da Firenze e P. Bitonto, mentre «a spia, o guida e M. Viti, solito offiziare in Santa Trinità di Venezia, che non lascia dubitare quanti mesi precedessero questo bel effetto prima che fosse mandato alla luce. Poi che Viti la quadragesima antecedente, sotto specie d'aver gusto delle predicazioni del padre maestro Fulgenzio, anda ogni mattina in convento de' servi alla porta del pulpito, che risponde alla parte di dentro, e cortesemente tratta con lui, ricercandolo anco di qualche dubbio di coscienza. E continua di poi sempre a salutarlo et anco andar in convento a visitarlo, parlandogli sempre di cose spettanti all'anima. Il pugnale non ha tuttavia leso organi vitali e riusce a sopravvivere. Il chirurgo G. Acquapendente, che l'opera, dice di non aver mai medicato una ferita più strana, rispondendo allora con la famosa espressione. Eppure il mondo vuole che sia data stilo Romanae Curiae. Le conseguenze furono la rottura della mascella e vistose cicatrici nel volto. Il Senato, dichiarandolo persona di prestante dottrina, di gran valore e virtù gli concede una casa in piazza San Marco ove possa risiedere con il Micanzio e altri frati, e una sovvenzione affinché possa acquistare una barca e provvedere alla sua sicurezza personale. Rifiuta la casa ma si servì da allora di una barca che gli evitas i pericolosi tragitti a piedi per le calli veneziane.  Poco più di un anno dopo, e sventato un secondo attentato, ordito, sembra su mandato di L. Margotti, da G. Francesco de Antonio da Viterbo, i quali, fatta una copia della chiave della sua camera vuoleno secretamente introdurre nel monasterio due o più sicarii e la notte trucidare l'innocente. Inizia a corrispondere con personalità soprattutto di fede calvinista o gallicana: fra questi ultimi, Leschassier e Gillot, che pubblica gli Actes du concile de Trente, dimostrando le pressioni papali sui vescovi riuniti a concilio, e fra gli altri l'italiano F. Castrino, i francesi Villiers, Casaubon, Thou, Mornay, i tedeschi Achatius e Dohna. Attraverso il dialogo diretto con gli intellettuali  acquiesce quella straordinaria ampiezza di orizzonti e di interessi, quella solida conoscenza dei problemi dello stato che gli permite di arricchire la sua cultura storica, giuridica e scientifica e lo conduce a incidere sulla sua posizione filosofica, ad approfondirne la crisi, risolvendola poi con l'accoglimento di nuove prospettive e di nuove idealità; spalancandogli un mondo nuovo, che gli fac sentire più soffocante, più viziata, la vita italiana. Incontra a Venezia Bedell, che rifere di lui e del Micanzio come essi sono completamente dalla nostra parte nella sostanza della religione e, C. Dohna inviato da Cristiano I di Anhalt-Bernburg, e G. Diodati, per valutare la possibilità di introdurre a Venezia la Riforma. La traduzione in lingua italiana del Nuovo Testamento, viene diffusa a Venezia proprio in questo periodo.  Altre polemiche suscitano, le prediche quaresimali di F. Micanzio che vengono interpretate a Roma come un attacco alla fede cattolica. -- è anche preoccupato per la tregua stipulata tra la Spagna e i Paesi Bassi, perché vede in essa un indebolimento di questi ultimi che, o prima o dopo, resteranno sopraffatti dalle arti spagnole, mentre gli spagnoli ne potrebbero trarre beneficio anche in vista del loro dominio in Italia. Spera in un'alleanza generale di Francia, Inghilterra, principi protestanti, Paesi Bassi, Savoia e Venezia che portasse alla guerra contro l'Impero cattolico ispano-tedesco e cancellasse il dominio papale e spagnolo in Italia. Se sarà guerra in Italia, va bene per la religione; e questo Roma teme. LInquisizione cessa e l'Evangelio ha corso. E ha bene anche per le libertà civili di Venezia: qui, anche se il giogo ecclesiastico è assai più mite che nel rimanente d'Italia, in quella parte nondimeno che tocca la stampa è l'istesso appunto che negli altri luoghi. Nessuna cosa si può stampare se non veduta e approvata dall'Inquisizione. Dove si ragiona di alcun papa, non permettono che si dica alcuna di disonore, se bene vera e notoria. Non permettono che alcuno separato dalla Chiesa romana sia lodato di qualsivoglia virtù, né nominato se non con vituperio. Secondo la versione ufficiale, sebbene sfinito, volle alzarsi per il mattutino, come al solito, e celebrare la Messa. Fatto chiamare il priore del convento, lo prega che lo raccomandasse alle preghiere dei confratelli e che gli portasse il Viatico. Gli consegna tutte le cose concesse a suo uso. Si fa vestire, si confessa e passò il resto del mattino facendosi leggere da fra Fulgenzio e da Fra Marco i Salmi e la Passione di Cristo narrata dagli Evangelisti. Gli e quindi amministrato dal priore, alla presenza della Comunità, il Viatico. E visitato dal medico che gli dice che ha poche ore di vita. Sorridendo, rispose: Sia benedetto Dio. A me piace ciò che a Lui piace. Col suo aiuto faremo bene anche quest'ultima azione -- quella di morire. E udito ripetere più volte, con soddisfazione: Orsù, andiamo dove Dio ci chiama. Secondo alcuni le sue ultime parole sarebbero state. Esto perpetua, riferendosi a Venezia (v. Bianchi-Giovini, Esistono tuttavia altre versioni della sua morte che lo fanno apparire più vicino al culto protestante. Figura assai complessa di filosofo, occupa indubbiamente un posto di primo piano nella storia della filosofia italiana. Fu uno dei più grandi filosofi. La sua prosa è una delle più maschie ed efficaci di tutta la filosofia nostra, che non conosce lenocini né fronzoli, che scolpisce le figure con raro risalto, che ha un magnifico potere ri-evocatore allorché descrive dispute e contrasti, ch'è impareggiabile nel sarcasmo, tutto contenuto in un'unica espressione, tre o quattro parole. G. Papini, parlando della Istoria del Concilio di Trento, la define un modello di lucidità narrative e di prosa semplice, esatta e rapida. Lascia orme indelebili nella filosofia, nella matematica, nell'ottica, nell'astronomia, nella medicina ecc. Galilei e suo grande amico, e non disdegna di appellarlo: Mio Maestro. Dinanzi al primo avvertimento a Galilei, lui, che non visse abbastanza a lungo per assistere alla condanna scrive. Verrà il giorno, e ne sono quasi certo, che gl’uomini, da studi resi migliori, deploreranno la disgrazia di Galileo e l'ingiustizia resa a sì grande uomo. Scopre la dilatabilità della pupilla sotto l'azione della luce e le valvole delle vene. I suoi biografi parlano anche di scoperte nel campo dell'anatomia, dell'ottica, ecc. L'invenzione del telescopio dice Bianchi-Giovini il Galilei la dovette per certo ai lumi somministratigli da lui, se pure questi non ne fu il primo inventore, come pensano alcuni. Sopra la sua sapienza matematica si cita l'autorevole giudizio di Galilei. Galilei non esita a dire della ‘fenice’: del quale posso senza iperbole alcuna affermare che niuno l'avanza in Italia in cognizione di queste scienze matematiche contro alle calunnie ed imposture di B. Capra, in ediz. naz., Firenze, La teoria di Galilei delle maree, successivamente dimostratasi erronea, riprende le sue idee, esposte nei Pensieri naturali, metafisici e matematici. G. Porta, dopo aver dichiarato di avere appreso alcune cose da lui, lo proclama splendore ed ornamento non solo della città di Venezia e dell'Italia, ma di tutto il mondo. (Magia naturalis).  D. Passionei gli define dottissimo oltre ogni espressione. In uno studio il cui intento era quello di misurare il Q.I. di 300 personaggi famosi. si posiziona al quinto posto, al pari del più noto matematico Pascal. Alla grande intelligenza unì anchecome riconosciutagli da tuttiun'esemplare integrità di vita. A.  Jemolo, dopo essersi rivolto varie domande intorno alla sua ortodossia, da questa risposta. Gli elementi ci mancano per una risposta perentoria: noi non possiamo dissipare l'alone di mistero che lo circonda. Questo non c'impedisce di ammirare l'uomo e l'opera. Fondamentalmente lo scontro con la Curia romana e legato ad un progetto politico volto a contenere il potere di Roma in ambito esclusivamente spirituale e a pro-muovere un'alleanza tra Venezia e la Francia in un'ottica anti-imperiale. Per questo intrattenne contatti con i riformati. Inoltre la sua visione di Roma e un vago ritorno verso la chiesa primitive. Egli quindi e indotto a condannare il potere temporale, il processo di mondanizzazione del clero, la superiorità del papa sul Concilio. Stringe amicizia con Dominis, arcivescovo di Spalato, che tende all'apostasia. La sua Istoria del Concilio Tridentino costituisce il suo capolavoro storico ed offre la prima imponente ricostruzione del Concilio di Trento. L’opera e ondannata dalla Congregazione dell'Indice e quindi posta all'Indice dei libri proibiti. Sono intercettate dal nunzio pontificio a Parigi R. Ubaldini compromettenti carteggi di lui con l'ambasciatore veneziano A. Foscarini e con l'ugonotto F. Castrino; carteggi ben presto inviati a Roma per essere messi a disposizione del Sant'Uffizio, ma anche da utilizzare per far ammettere una buona volta al governo veneziano quanto da tempo da Roma si viene denunciando, che lui che si proclamava più cattolico del Papa e come tale difeso ufficialmente dai responsabili politici veneziani. Altri non era che un protestante, al servizio delle forze ereticali europee. Dunque infedele e ipocrita. Una taccia di ipocrisia che non da tregua alla sua figura lungo i secoli, come stanno a provare innumerevoli esempi, da G. Aleandro, che ricevuta da Peiresc la sua Istoria dell'Interdetto appena edita risponde all'illustre erudito francese con fare perentorio che lui e nero ministro del diavolo che si dice esser padre delle menzogna, se ben egli veramente non credeva né nel diavolo né in Dio,  al prelato friulano G. Fontanini con la sua velenosa Storia arcana della sua vita a D. Passionei, che crede di avere le carte per dimostrare che l'idea del furfante e di introdurre il calvinismo in Venezia, come ancora ricorda A. Mercati. Un parere analogo si trova anche nella recente Storia della Chiesa di Hertling e Angiolino Bulla, dove viene definite un ipocrita che fino all'ultimo fa la parte del religioso, sebbene nel suo intimo si fosse da tempo allontanato dalla Chiesa. Saggi: “Trattato dell'interdetto di Paolo V nel quale si dimostra che non è legittimamente pubblicato”; “Apologia per le opposizioni fatte da Bellarmino ai trattati et risolutioni di G. Gersone sopra la validità delle scomuniche; Considerationi sopra le censure della santità di Paolo V contra la Serenissima Repubblica di Venezia, Istoria del Concilio Tridentino,  Il trattato dell'immunità delle chiese (De iure asylorum), Discorso dell'origine, forma, leggi ed uso dell'Uffizio dell'Inquisizione nella città e dominio di Venezia, Trattato delle materie beneficiarie, Opinione di Servita, come debba governarsi la Repubblica Veneziana per havere il perpetuo dominio, Venezia, La storiografia recente attribuisce lo scritto al patriziato veneziano medesimo. Scritti giurisdizionalistici, Istoria del Concilio Tridentino (Geneua, Aubert); Pagnoni Editore, Milano, Gambarin, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, G. Gambarin, IScrittori d'Italia, Bari, Laterza, G. Gambarin, Scrittori d'Italia Bari, Laterza, Istoria del Concilio Tridentino, testo critico di Giovanni Gambarin, introduzione di R. Pecchioli, Collana Biblioteca, Sansoni, Firenze, Lettere a Simone Contarini ambasciatore veneto in Roma, pubblicate dagli autografi, Monumenti storici pubblicati dalla R. Deputazione veneta di storia patria. Miscellanea, Venezia, Fratelli Visentini, Pagine scelte, Arturo Carlo Jemolo, Vallecchi, Firenze, Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, 1, Bari, Laterza,  Lettere ai protestanti, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, Antologia degli scritti politici e storici. Francesco T. Roffarè, MILANI, Padova, “Istoria dell'Interdetto e altri scritti editi e inedita” (Scrittori d'Italia Bari, Laterza); R. Amerio, “Scritti filosofici e teologici” (Scrittori d'Italia, Bari, Laterza); “Pensieri naturali, metafisici e matematici. anoscritto dell'iride e del calore; Arte di ben pensare, Pensieri medico-morali, Pensieri sulla religione, Fabula e Massime e altri scritti. Edizione integrale commentate, L. Sosio, Ricciardi, Milano-Napoli, Scritti giurisdizionalistici” (Scrittori d'Italia, Bari, Laterza); “Lettere ai Gallicani, B/ Ulianich, Wiesbaden, F. Steiner,  La Repubblica di Venezia la casa d'Austria e gli Uscocchi, Bari, Laterza, Scritti scelti: Istoria dell'Interdetto, Consulti, Lettere, Giovanni Da Pozzo, Collezione di Classici Italiani, POMBA, Torino); Storici, Politici, e Moralisti, G. Cozzi, Collana La Letteratura Italiana. Storia e Testi,  Milano-Napoli, Ricciardi, Istoria del Concilio Tridentino seguita dalla Vita, Corrado Vivanti, Collana NUE Einaudi, Torino, Collana Piccola Biblioteca. Einaudi, Torino, “Pensieri” Gaetano e Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Torino, “Considerazioni sopra le censure di Paolo V contro la Repubblica di Venezia e altri scritti sull'Interdetto”, G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, “Lettere a Gallicani e Protestanti, Relazione dello Stato della Relazione, Trattato delle Materie Beneficiarie. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Gli ultimi consulti. G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Dai Consulti, il carteggio con l'ambasciatore inglese sir Dudley Carleston. G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Dal Trattato di pace et accomodamento e altri scritti sulla pace d'Italia. G. Cozzi, Collana Classici Ricciardi, Einaudi, Torino, Consulti, Corrado Pin, Pisa, Poligrafici, Letteratura e vita civile. Collana I Classici del Pensiero Italiano; “Della potestà de' prencipi”; Collana I Giorni, Marsilio, Venezia, “Scritti filosofici inedita, tratti da un manoscritto della Marciana”; G. Papini, Collana Cultura dell'anima, R. Carabba, Lanciano, Manoscritti Consulti: in Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Fondo manoscritti, O. Ceretti, Cinque pugnali non bastano a troncare la sua parola, in Historia, Touring club italiano, F. Micanzio, Vita,  in «Istoria del Concilio tridentino», Torino F. Micanzio. Scrive tra l'altro nella lettera. E che volete ch'io speri in Roma, ove li soli ruffiani, cenedi et altri ministri di piaceri o di guadagni hanno ventura? I cenedi sono gl’uomini che si prostituiscono. F. Micanzio, cit. G, Cozzi, Sarpi, F. Micanzio, Istoria dell'interdetto e altri scritti editi e inediti, F. Micanzio, dove stilo può significare sia stile che stiletto  Ivi  G. Cozzi, Lettere a Groslot de l'Isle, in «Lettere ai protestanti», Lettera a Francesco Castrino, in «Lettere ai protestanti», Citato in C. Rizza, Peiresc e l'Italia, Torino, Giappichelli, Corrado Pin, “Senza maschera: l'avvio della lotta politica dopo l'Interdetto”; L. Hertling e A. Bulla, Storia della seconda Roma La penetrazione dello spazio umano ad opera del cristianesimo” (Città Nuova, Borgna Romain, F.Lucien, F. Micanzio, Vita,  dell'ordine de' Servi e theologo della serenissima republ. di Venetia, Leida, in “Istoria del Concilio tridentino” (Torino, Einaudi); F. Griselini, “Memorie anedote spettanti alla vita ed agli studj del sommo filosofo e giureconsulto” (Losanna, Bousquet); F. Griselini, “Del suo genio in ogni facolta scientifica e nelle dottrine ortodosse tendenti alla difesa dell'originario diritto de' sovrani né loro rispettivi dominj ad intento che colle leggi dell'ordine vi rifiorisca la pubblica prosperita” (Venezia, Basaglia); Zerletti, “Storia arcana della vita servita da Fontanini  in partibus e documenti relative (Venezia); “Cassani, Le scienze matematiche naturali” (Venezia; A. Bianchi-Giovini, Basilea, R. Morghen, G. Getto, Firenze, Olschki; M. Gliozzi Relazioni scientifiche con G. Porta, G. Cozzi, Tra Venezia e l'Europa” (Collana Piccola Biblioteca, Torino, Einaudi); V. Frajese, “Scettico. Stato e Chiesa a Venezia, Bologna, Il Mulino); I. Cacciavillani, I consulti sulla Vangadizza, Padova, MILANI, Cacciavillani, Venezia, Fiore, I. Cacciavillani,  Sarpi. La guerre delle scritture de la nascita della nuova Europa, Venezia, Fiore, I. Cacciavillani, Sarpi giurista, Padova, C. Pin, Ripensando Paolo Sarpi, Venezia, Ateneo veneto, Concilio di Trento Fulgenzio Micanzio. Dizionario di storia, Dizionario biografico degli italiani. Paolo Sarpi. Sarpi. Keywords: l’arte del bien pensar, Locke, impression, reflection, metaphysics, Bibioteca Marciana, pensieri, pensiero, logica, bien pensare, galilei, hobbes, metodo, sensismo, il fenice di Venezia, scritti filosofici inedita.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scarpi” –  peri il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689510274/in/photolist-2mNaHiH-2mKuKk1-2mKCgGX-2mKCfz1-2mKfs4E-nmxEnc/

 

Grice e Sasso – da Crotone a Velia – la Potenza e il atto di Gentile – Gentile megarico -- Lucrezio di Machiavelli – allegoria e simbolo di Vico -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Studia  a Roma. Si laurea sotto Antoni e Chabod con “Machiavelli”. Studia con Carabellese, Ruggiero, Scaravelli, Nardi,  Pettazzoni, Sapegno, Gabetti, Perrotta e Sanctis.  Insegna ad Urbino e Roma. Studia l’idealismo italiano (Croce) e Machiavelli. Si occupa di ontologia, Alighieri, Platone, Polibio, Lucrezio, Guicciardini, Shakespeare e Mann. Presidente della "Fondazione Giovanni Gentile", Lincei. Altri saggi: “Machiavelli e Borgia. Storia di un giudizio” (Roma, Ateneo); “Machiavelli” (Napoli, Morano); “La storia della filosofia” (Bari, Laterza); “La ricerca della dialettica” (Napoli, Morano); “Lucrezio: progresso e morte” (Bologna, Mulino); “L'illusione della dialettica” (Roma, Ateneo); “Guicciardini” (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma); “Essere e negazione, Napoli, Morano); “Machiavelli e gl’antichi” (Milano, Ricciardi); “Tramonto di un mito: l'idea di progresso” (Bologna, Il Mulino); Per invigilare me stesso. I Taccuini di lavoro di Croce, Bologna, Il Mulino); “L'essere e le differenze nel "Sofista” (Bologna, Il Mulino); “Variazioni sulla storia di una rivista italiana: "La Cultura"; Il Mulino); “Machiavelli, Bologna, Il Mulino, Comprende: Il pensiero politico, Napoli, IISS, Bologna, Il Mulino, Premio Viareggio di Saggistica, La storiografia. La fedeltà e l'esperimento, F. Scarpelli, F.S. Trincia e M. Visentin interrogano Sasso, Bologna, Il Mulino); Filosofia e idealismo,  Napoli, Bibliopolis, Comprende: Croce, Gentile, Ruggiero, Calogero, Scaravelli, Paralipomeni, Secondi paralipomeni, Ultimi paralipomeni, Tempo, evento, divenire” (Bologna, Il Mulino); “Gentile: La potenza e l'atto” (Firenze, La Nuova Italia); Le due Italie di Gentile, Bologna, Il Mulino); “La verità, l'opinione, Bologna, Il Mulino, Ernesto De Martino fra religione e filosofia, Napoli, Bibliopolis); Il guardiano della storiografia. Profilo di Chabod (Bologna, Il Mulino [Napoli, Guida, del Profilo di F Chabod, Bari, Laterza); Dante. L'imperatore e Aristotele, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo); Fondamento e giudizio. Un duplice tramonto?, Napoli, Bibliopolis); Il principio, le cose, Torino, Aragno,  Delio Cantimori. Filosofia e storiografia, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore); “Dante, Guido e Francesca, Roma, Viella); “Le autobiografie di Dante, Napoli, Bibliopolis, Discorsi di Palazzo Filomarino, raccolti da M. Herling, premessa di N. Irti, Napoli, IISS, Il logo, la morte, Napoli, Bibliopolis); “Ulisse e il desiderio. Il canto XXVI dell'Inferno, Roma, Viella); “La voce dei ricordi, Napoli, Bibliopolis); “Decadenza” (Roma, Viella); “Machiavelli: I corrotti e gli inetti” (Milano, Bompiani); “Allegoria e simbolo” (Torino, Aragno); “La lingua, la Bibbia, la storia. Su "De vulgari eloquentia" (Roma, Viella); Su Machiavelli. Ultimi scritti, Roma, Carocci, Croce. “Storia d'Italia” Napoli, Bibliopolis,  La 'Storia d'Italia' di Bendetto Croce.  Napoli, Bibliopolis. "Forti cose a pensar mettere in versi". Studi su Dante, Torino, Aragno, Purgatorio e Anti-purgatorio. Un'indagine dantesca, Roma, Viella,. Croce e le letterature, Napoli, Bibliopolis, Biografia e storia. Saggi e variazioni, Roma, Viella,. Note  il Mulino RivisteLa Cultura, su mulino. Premio letterario Viareggio-Rèpaci, Croce. Dibattito, Il Cannocchiale, G. Arnaldi, G. Calabrò, A. Jannazzo, G, Sasso, V. Stella, F. Valentini, M. Visentin. G. Arnaldi, Gennaro Sasso. Uno specialista di più specialità, in Id., Conoscenza storica e mestiere di storico, il Mulino, IISS-Napoli, A. Bellocci, Verità e doxa: la questione dello sguardo e della relazione ne Il logo, la morte; A. Bellocci, Laicismo della verità, della doxa e tolleranza; Leussein, A. Bellocci, L'impossibilità della differenza e i paradossi dell'identità; Archivio di filosofia, A. Bellocci, Il problema della 'non' relazione ne Il principio, le cose, Giornale critico della filosofia italiana, A. Bellocci, La verità, l'opinione. Lo ''specchio'' della verità e l'eterna opinione metafisica, Filosofia italiana,  R. Berutti, Annotazioni critiche sull’essere ovvero sul non essere essere del discorso che lo concerne. Il problema dell'ontologia,, Pólemos,  M. Capati, Paragone. Letteratura, M. Cardenas, L'auto-noema. Il giudizio tra attualismo e neo-eleatismo, Filosofia italiana,  C. Cesa, Sasso interprete di Gentile, Archivio di storia della cultura, A. De Vicentiis, Storiografia e pensiero politico nelle "Istorie fiorentine" di Machiavelli: Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, F. Fronterotta, L'essere e le differenze. In margine al Sofista, Novecento, M. Herling M. Reale, Storia, filosofia e letteratura. Studi in onore Bibliopolis, Napoli,  G. Inglese, Machiavelli: una storia del suo pensiero politico, Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano, Enciclopedia machiavelliana, Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani, Roma, Enciclopedia filosofica (a cura del Centro Studi Filosofici di Gallarate), Milano, S. Maschietti, Dire l'incontrovertibile. Intorno all'analisi filosofica, Giornale di filosofia, F. Mignini, Essere e negazione. Giornale critico della filosofia italiana, Crisi e critica" dello storicismo. Filosofia e storiografia, Novecento, Filosofia e storia della filosofia, Filosofia italiana, X N. Parise, Sulla relazione. Critica della metafisica, L. Passerino Editore, Gaeta. N. Parise, Figure della scissione. A proposito di Allegoria e simbolo, filosofia,  N. Parise, L’aporia del nulla, Filosofia italiana, G. Perazzoli, Il concetto di laicità. in G. Perazzoli, Miligi, Laicità e filosofia, Mimesis, Milano Udine, Pietroforte, Problema del nulla e principio di non contraddizione. Intorno a "Essere e negazione" Novecento,  J. Salina, Neoparmenidismo e teorie della verità, Filosofia italiana, F. Scarpelli, Nulla, anamnesi, riflessivita (Il Cannocchiale, F. Tessitore, interprete di Croce, in Id., La ricerca dello storicismo. Mulino, IISS-Napoli,  F. Vander, Critica della filosofia italiana contemporanea. Dialettica e ontologia: i termini di una contrapposizione, Marietti, Genova; M. Visentin, Tempo e giudizio. La Cultura,M. Visentin, Sull'identità e sull'essenza del laicismo italiano. A proposito del "Le due Italie di Giovanni Gentile", Giornale critico della filosofia italiana, M. Visentin, Il neo-parmenidismo italiano. Considerazioni intorno alla verità, l'opinione', in Id., Il neo-parmenidismo italiano. II. Dal neoidealismo al neoparmenidismo, Bibliopolis, Napoli, M. Visentin, Aletheia e doxa oltre Parmenide, in Id., Onto-Logica: sull'essere e il senso della verità, Bibliopolis, Napoi, M. Zanetti, Critiche al divenire. Filosofia italiana, X S. Zurletti, Lo specchio di Perseo, Chaos Kosmos, Vico e il simbolo», «Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche», costituzione mista, Benedetto Croce, Dante, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, eternità del mondo,  Sanctis, Lucrezio in Machiavelli, in Enciclopedia machiavelliana, G. Sasso, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Roma Dalla concordia discors alla polemica: filosofia e psicologia di una vicenda, Ripensando la Storia d'Europa, Ripensando la Storia d'Italia, in Croce e Gentile, la cultura italiana e europea, M. Ciliberto.Gennaro Sasso. Sasso. Keywords: Potenza ed atto in Gentile – Lucrezio in Macchiavelli, simbolo ed allegoria in Vico, la scuola di Velia, veliati, veliani, parmenide, scuola di Crotone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sasso” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734778984

 

Grice e Sava – filosofia italiana (Belpasso). Filosofo. Enciclopedia Popolare Italiana. Saggi:“Sui pregi”, “Doveri dei medici”, A. Prezzavento. Roberto Sava. Sava. Keywords. Refs.: dovere, i doveri – pregi. Luigi Speranza, “Grice e Sava” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Scala – filosofia italiana – filosofia siciliana  (Noto). Filosofo. Membro di la commissione creata da Gregorio XIII per la riforma del calendario. Insegna a Padova. Saggi: “L'Efemeridi di Gioseppe Scala Siciliano, per anni dodici, le quali cominciano dall'anno di Christo nostro Sig.  & finiscono nel fine di dicembre dell'anno. Alle quali sono aggiunti i canoni, ò introduttioni dell'efemeridi, ridotto all'uso delle presenti efemeridi (Venezia, Giunti); Ephemerides Iosephi Scalae Siculi Noetini ad annos duodecim, incipientes ab anno Domini. Vnà cum introductionibus ephemeridum ab eodem d. Iosepho Scala, ad vsum suarum, restitutis” (Venezia, Giunta). Col suo nome è oggi chiamato il Gruppo Astrofili di Noto  Santi Correnti, Quello che la Sicilia ha dato all'Italia. Biografia degli uomini illustri di Sicilia ornata de' loro rispettivi ritratti, Napoli, Corrado Spataro, L'astronomo netino e la nuova scienza. Calendario gregoriano. Giuseppe Scala. Scala. Keywords: calendario gregoriano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scala” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690487407/in/photolist-2mPC6Zb-2mLNXjb-2mLP9qE-2mKHg38-2mKCewV-FKiWA6-FcebeC-E58e4H-2mKR9Cp-FjcgRv-G8Exy4-D41J73-CkaHMd-Ck9fTK-CdDizG-CdAEaL-CfWKjF-yPkGGd-2dxgYk4-o8VGVi

 

Grice e Scalea – filosofia italiana (Morano Calabro). Filosofo. Figlio del principe di Scalea, marchese di Misuraca e barone di Morano, dal quale eredita i titoli, e di Anna Beatrice Carafa, dei principi di Belvedere. Studia sotto Caloprese.  Divulga il razionalismo, difende alcuni colleghi, anche loro seguaci di Cartesio, ed ha un'accesa polemica con Doria sullo spinozismo. Saggi: “Della filosofia degl’antichi” (Mosca, Napoli); “De origine mali”; “De bono” Dizionario di filosofia, riferimenti in A. Mirto, Calabria letteraria, F. Lomonaco, Vita, e studj scritta da lui medesimo in una Lettera, Il Melangolo, Genova. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Francesco Maria Spinelli, principe di Scalea, Scalea. Keywords: bonum, ‘il bono’ the good, filosofia degl’antichi, vico, doria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scalea” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691436373/in/photolist-2mKN88B

 

Grice e Scalfari – l’implicatura di Teseo – Roma fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Civitavecchia). Filosofo.  Considerato, anche dai suoi avversari, uno dei più grandi filosofi italiani. Professorecontribuì, con altri, a fondare il settimanale l'Espresso ed è fondatore del quotidiano la Repubblica. I campi principali dell'analisi di Scalfari sono l'economia e la politica. La sua ispirazione politica è socialista liberale, azionista e radicale. Punti forti dei suoi articoli recenti sono la laicità, la questione morale, la filosofia. Frequenta il Liceo Mamiani di Roma -- è a Sanremo (dove la famiglia, di origini calabresi, si era trasferita temporaneamente, essendo il padre direttore artistico del Casinò) che completa gli studi liceali, al liceo classico Cassini, avendo come compagno di banco I. Calvino. Sentimentalmente legato a S. Rossetti, già segretaria di redazione de L'Espresso (e poi di Repubblica), che sposerà dopo la scomparsa della moglie Simonetta.  -- è ateo.  Tra le suoi esperienze c'è “Roma Fascista” -- organo del Gruppo Universitario Fascista. Collabora con riviste e periodici legati al fascismo, come “Nuovo Occidente”. Nominato caporedattore di “Roma Fascista”, pubblica una serie di corsivi sulla prima pagina in cui lancia generiche accuse verso speculazioni da parte di gerarchi del Partito Nazionale Fascista sulla costruzione dell'EUR. Questi saggi portarono alla sua espulsione dai GUF. Di fronte al gerarca, intenzionato a perseguire gli speculatori, aveva ammesso come i suoi corsivi fossero basati su voci generiche. Si l’accusa poi di essere un imboscato, e lo prese materialmente per il ero strappandogli le mostrine dalla divisa del partito. Dopo la fine della seconda guerra mondiale entra in contatto con il Partito Liberale Italiano. Diventa collaboratore a Il Mondo e L'Europeo, di M. Pannunzio e A. Benedetti. Licenziato dalla BNL per una serie di articoli sulla Federconsorzi non graditi alla direzione. Partecipa all'atto di fondazione del Partito Radicale. Nello stesso anno nasce il settimanale L'Espresso: è direttore amministrativo e scrive articoli di economia.  Somma la carica di direttore responsabile de L'Espresso a quella di direttore amministrativo. Il settimanale arriva in cinque anni a superare il milione di copie vendute. Il successo giornalistico si fuse con il piglio imprenditoriale, dato che  continuò a gestire anche la parte organizzativa e amministrativa. Pubblica insieme  l'inchiesta sul SIFAR che fa conoscere il tentativo di colpo di stato chiamato piano Solo. Lorenzo li querela e i due giornalisti vengono condannati rispettivamente a 15 e a 14 mesi di reclusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta da V. Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato. Lui e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato. Dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso. Sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel, dopo 45 anni, ammette che "quella firma era stata un errore".  In quegli anni critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani, Razza padrona.  Fondazione e direzione de la Repubblica. Dopo aver già tentato inutilmente di varare un quotidiano insieme a I. Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata, fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole il 14 gennaio di quell'anno. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori Editore, apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.  L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della scalata del titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il lodo Mondadori, resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per averelusione, malgrado la richiesta di assoluzione fatta da V. Occorsio, che era riuscito a leggere gli incartamenti integrali prima che il governo ponesse il segreto di Stato.  Scalfari e Jannuzzi evitano il carcere grazie all'immunità parlamentare loro offerta dal Partito Socialista Italiano: alle elezioni politiche del 1968 Scalfari viene eletto deputato, come indipendente, nelle liste del PSI, segreteria Mancini, mentre Jannuzzi diviene senatore. Stato eletto sia nella circoscrizione di Torino che in quella di Milano, opta per la seconda e aderisce al gruppo del PSI. Resta deputato. Dopo la candidatura al Parlamento, aveva lasciato la direzione de L'Espresso. Sottoscrive la lettera aperta a L'Espresso contro il commissario Luigi Calabresi. Nel, dopo 45 anni, ammette che "quella firma era stata un errore".  In quegli anni critica accanitamente le manovre di Eugenio Cefis, prima presidente dell'ENI e poi di Montedison, appoggiando spesso chi gli si opponeva; tra questi vi fu Sindona nel suo scontro con Mediobanca per il controllo di Bastogi. Soprattutto contro Cefis è indirizzato il celebre libro-inchiesta pubblicato da Scalfari e da Giuseppe Turani, “Razza padrona”. Fondazione e direzione de la Repubblica. Dopo aver già tentato (inutilmente) di varare un quotidiano insieme a Indro Montanelli, che aveva respinto la proposta definendola piuttosto azzardata, Scalfari fonda il quotidiano la Repubblica, che debutta nelle edicole. L'operazione, attuata con il Gruppo L'Espresso e la Arnoldo Mondadori  apre una nuova pagina del giornalismo italiano. Il quotidiano romano, sotto la sua direzione, compie in pochissimi anni una scalata imponente, diventando per lungo tempo il principale giornale italiano per tiratura.  L'assetto proprietario registra negli anni ottanta consolidamenti della posizione dello stesso Scalfari e l'ingresso di Carlo De Benedetti, nonché un vano tentativo di acquisizione da parte di Berlusconi in occasione della "scalata" del titolo Arnoldo Mondadori Editore, finito con il "lodo Mondadori", resosi necessario a causa del fatto che (come accertato dalla magistratura in seguito) Silvio Berlusconi, a capo della Fininvest, aveva corrotto uno dei tre giudici per avereun pronunciamento favorevole nella disputa con De Benedetti per il controllo della Mondadori: tale accordo fu fortemente voluto da G. Andreotti, grazie all'intermediazione di Giuseppe Ciarrapico. Sotto la guida di Scalfari, "Repubblica" apre il filone investigativo sul caso Enimont, che dopo due anni verrà in buona parte confermato dall'inchiesta di "Mani pulite". Contro Craxi, a differenza che con Spadolini e con De Mita, Scalfari s'era speso sin dall'inizio del decennio precedente, considerandolo l'archetipo della questione morale contro cui si scagliava l'anima della sinistra rappresentata da Berlinguer. Di questi invece elogiò lo "strappo" con l'Unione Sovietica in occasione del golpe polacco, pur restando essenzialmente estraneo alla tradizione comunista e rimanendo su posizioni legate all'intellettualità laica e alla tecnocrazia. In tal senso vanno lette alcune sue importanti iniziative, tutte sostenute per il tramite di "Repubblica": sponsorizza il "governo del Presidente", candidandovi il governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi, già negli anni ottanta; indica al presidente Scalfaro il commissario PSI a Milano Giuliano Amato come viatico per la sua scelta a premier. Apprezza G. Rossi come commissario delle aziende travolte nel turbine di Tangentopoli. incomincia, dapprima in solitaria, la sua ventennale battaglia contro Silvio Berlusconi. Sconfitto Vittorio Sgarbi, è il primo a percepire e ad avvertire il pubblico circa la potenziale pericolosità di Beppe Grillo --  è il primo a preconizzare una possibile, futura alleanza fra Matteo Renzi e Matteo Salvini.  Ritiro dalla direzione de la Repubblica Scalfari, padre del quotidiano la Repubblica e della sua ascesa editoriale e politico-culturale, abbandona il ruolo di direttore, dopo che già da tempo aveva ceduto, insieme a Caracciolo, la proprietà a Carlo De Benedetti; gli subentra Ezio Mauro. Non scompare dalla testata del giornale, poiché continua a svolgere il ruolo di editorialista dell'edizione domenicale. I suoi editoriali sono entrati oramai nella consuetudine del giornale, tanto da essere soprannominatianche per la loro lunghezza"la messa cantata della domenica" Cura altresì una rubrica su L'Espresso (Il vetro soffiato). Venerdì di Repubblica annuncia di voler abbandonare dopo l'estate la sua storica rubrica Scalfari risponde, ringraziando i lettori per l'affetto ricevuto e gli stimoli da loro pervenuti per le sue riflessioni. Gli subentra Michele Serra.  Su RaiSat Extra è andato in onda per qualche tempo, ogni giovedì, un programma dal titolo La Scalfittura, in cui Scalfari teneva colloqui politici. Le sue "interviste" con Francesco hanno causato per due volte la smentita da parte della sala stampa vaticana in relazione alle parole attribuite da al Pontefice. Scalfari ha ribattuto di aver scritto virgolettati "come se fossero usciti dalla bocca del Papa", senza aver preso appunti o registrato durante i colloqui, sostenendo che quello era stato il suo metodo di lavoro per quasi cinquant'anni. il Vaticano ha smentito un’altra intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco, a seguito della pubblicazione di un suo articolo su Repubblica, negando che Francesco l’avesse rilasciato un’intervista sostenendo che il contenuto dell’articolo fosse il frutto di una sua ricostruzione. Ciononostante, Francesco continua periodicamente a concederegli interviste esclusive. Riceve varie onorificenze. Premio Trento per "Una vita dedicata al giornalismo", il "Premio Ischia" alla carriera, il Premio Guidarello al giornalismo d'autore e, di recente, il Premio Saint-Vincent -- è stato nominato Cavaliere di gran croce dal presidente della Repubblica  Oscar Luigi Scalfaro mentre  ha ricevuto una delle più prestigiose onorificenze della Repubblica francese diventando Cavaliere della Legione d'onore (successivamente è stato promosso ufficiale). Premio Viareggio. Saggi: ” Petrolio in gabbia” (Bari, Laterza), “I padroni della città” (Bari, Laterza); “Le baronie elettriche” (Bari, Laterza); “Rapporto sul capitalismo in Italia, Bari, Laterza, Il potere economico in URSS, Bari, Laterza); “Storia segreta dell'industria elettrica, Bari, Laterza); “L'autunno della Repubblica. La mappa del potere in Italia, Milano, Etas Kompass,  Il caso Mattei. Un corsaro al servizio della repubblica, Bologna, Cappelli, Razza padrona. Storia della borghesia di Stato, Milano, Feltrinelli, Interviste ai potenti, Milano, Arnoldo Mondadori, Come andremo a incominciare?, Milano, Rizzoli, L'anno di Craxi (o di Berlinguer?), Milano, Mondadori, La sera andavamo in Via Veneto. Storia di un gruppo dal «Mondo» alla «Repubblica», Milano, Arnoldo Mondadori Collana Super ET, Torino, Einaudi, Incontro con Io, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi,, Denis Diderot, Il sogno di d'Alembert seguito da Il sogno di una rosa, Collana La memoria, Palermo, Sellerio); “Alla ricerca della morale perduta, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi); “Il labirinto, Milano, Rizzoli, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi); “L’Illuminismo” a cura di, Roma, Laterza, La ruga sulla fronte, Milano, Rizzoli, Collana ET Scrittori, Torino, Einaudi,  Roma, la Repubblica,  Dibattito sul laicismo, Roma, La Biblioteca di Repubblica,  L'uomo che non credeva in Dio, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Per l'alto mare aperto. La modernità e il pensiero danzante, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, Scuote l'anima mia Eros, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi,,Enrico Berlinguer, La questione morale. La storica intervista, Reggio Emilia, Aliberti,.ed. ampliata, Prefazione di Luca Telese, Aliberti,. Vito Mancuso-E. Scalfari, Conversazioni con Carlo Maria Martini, Collana Campo dei fiori, Roma, Fazi, La passione dell'etica. Angelo Cannatà, Collezione I Meridiani, Milano, Mondadori, Francesco-E. Scalfari, Dialogo tra credenti e non credenti” (Torino, Einaudi); L'amore, la sfida, il destino. Il tavolo dove si gioca il senso della vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi,, Racconto autobigrafico, Collana Passaggi, Torino, Einaudi, L'allegria, il pianto, la vita, Collana Supercoralli, Torino, Einaudi, L'ora del blu, Torino Einaudi, Il Dio unico e la società moderna. Incontri con Francesco e Martini, Torino, Einaudi, liberoquotidiano, libero quotidiano news commenti-e-opinioni Vittorio feltri ritratto fuoriclasse_re giornalisti diversi.html. ilfoglio, il foglio uffa news benvenuti al-grand-hotel-scalfari-splendida-vista sul secolo-di-carta- la7, la7/dimartedi/video/da-montanelli-e-scalfari-ho-imparato-che-bisogna-scrivere-per-farsi-capire-marco-travaglio Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Mimesis,, diviso in quattro capitoli: la Politica, l'Arte, la Religione, la Filosofia.  Scheda sul  storico della Camera dei deputati, su storia.camera. Sull'amicizia tra Scalfari e Calvino leggiamo. Caro Eugenio, le tue lettere sono come manate sulla schiena e io ne ho bisogno di manate sulla schiena, specie di questi tempi. Mi viene l'acquolina in bocca pensando alle ghiotte discussioni che faremo quando ci ritroveremo insieme", cfr. Angelo Cannatà "Eugenio Scalfari e il suo tempo", Mimesis,  P. Guzzanti, Guzzanti vs De Benedetti. Faccia a faccia fra un gran editore e un giornalista scomodo, Aliberti. Cfr. Corriere della Sera,  La Repubblica: Mirella Serri, I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte, Milano, Corbaccio, “Ero fascista e felice”, intervista, Il Foglio, pasqualericcio. Nel corso dell'inchiesta riferisce di un colloquio avuto conAurigo. Mi disse che gli ordini (le disposizioni relative al 'Piano Solo') contemplavano anche l'ipotesi di una eventuale resistenza da parte del prefetto (gli ordini dicevano che bisognava mettere il prefetto, qualora avesse resistito a questa iniziativa dei carabinieri, in condizioni di non nuocere". Fonte: A. Cannatà, Mimesis, Calabresi e quella firma, su repubblica.  F. Tamburini, Un siciliano a Milano, Longanesi, da ultimo citato da F. Bortoli su corriere della sera attacchi corriere F. Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo,  e Al. Mazzuca, Penne al vetriolo, Bologna, Minerva,  Nei cui confronti C.Caracciolo e C. Benedetti dicono che ebbe un innamoramento, in seguito non più condiviso dallo stesso editore della Repubblica che ormai non lo considerava "un grande politico": intervista alla Stampa. Scrive Scalfari: Gelli è Belfagor, il messaggero del diavolo; ma il diavolo, cioè Belzebù, chi è? Belzebù è, in una certa misura, lo stesso partito socialista, elemento importante di quel quadro politico e di quella inamovibilità". A.Cannatà, Mimesis, Caro Craxi tu lo sai chi è Belzebù, Repubblica  le invasioni barbariche Voto Renzi perché l'avversario è Grillo, youtube.com, youtube Rep, su rep.repubblica.  E. Mauro dal pulpito di Repubblica officia la democrazia e aspira a diventare papa, Panorama. "Le interviste vanno comunque reinterpretate", su youtube.com.  ll Vaticano ha smentito un’altra intervista di Eugenio Scalfari a papa Francesco, sIl Vaticano smentisce Eugenio Scalfari che fa dire al Papa che l'inferno non esiste, su ilmessaggero. 31 marzo  (archiviato il 31 marzo ).  Rep, su rep.repubblica. 1º marzo.  Premio Viareggio, su repubblica Dettaglio Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., Quirinale:  C. Mauri, Il cittadino, Milano, SugarCo, G. Perna, una vita per il potere, Milano, Leonardo, Angelo Cannatà, Eugenio Scalfari e il suo tempo, Milano-Udine, Mimesis, F.  Bucci, L'intellettuale dilettante, Roma, Dante Alighieri, Giampaolo Pansa, La Repubblica di Barbapapà, Milano, Rcs Libri,  G.  Valentini, La Repubblica tradita, Roma, PaperFirst, F. Recanatesi, La mattina andavamo in piazza Indipendenza, Milano, Cairo Editore, A. Mazzuca, Penne al vetriolo. I grandi giornalisti raccontano la Prima Repubblica, Bologna, Minerva, La Repubblica Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. L'Espresso. Eugenio Scalfari. Scalfari. Keywords: l’implicatura di Teseo, il labirinto. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scalfari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734747384/in/datetaken/

 

Grice e Scarano – l’implicatura di scenofilace – filosofia italiana (Brindisi). Filosofo. Studia a Bologna, Padova e a Venezia. Fonda l’Accademia Veneziana. Scrive il saggio “Scenophylax” (Venezia), nel quale tratta della convenienza di restituire alla tragedia e alla commedia la lingua del Lazio. P. Camassa, Brindisini illustri, Brindisi, A. Sordo, Ritratti brindisini. Scarano. Keywords: scenofilace – il tragico – il comico – scenofilace, custode, sacristano, custode dei vasi -- siria. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scarano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734956415/in/datetaken/

 

Grice e Scaravelli – tra critica e metafisica – filosofia italiana (Firenze). Filosofo. Si laurea a Pissa sotto Carlini. Insegna a Roma, e Firenze. Muore suicida. Profondo conoscitore di Kant, approfondisce nei suoi studi pubblicati con molta riluttanza e quasi solo per esigenze concorsuali in particolare i temi relativi ai rapporti tra la filosofia kantiana e la fisica, i problemi relativi alla Critica del Giudizio ed anche i temi dell'idealismo.  Biblioteca personale, Villa Mirafiori. Saggi: “Critica del capire”, Firenze, Sansoni, Saggio sulla categoria kantiana della realta, Firenze, Le Monnier, La prima meditazione di Cartesio (Firenze, La Nuova Italia); “La critica del giudizio” (Pisa, Scuola Normale Superiore); M. Corsi, “Critica del capire”; “L'analitica trascendentale” (Firenze, La nuova Italia); “La Biblioteca”; “L' attualità E. Mirri, Napoli, Sientifiche); M. Visentin, “Le categorie e la realtà” (Firenze, Le lettere); G.  Sasso, “L’idealismo” (Napoli, Bibliopolis); “La storia come metodo, Convegno a Roma); “Il problema del giudizio storico); “Soveria Mannelli, Rubbettino, pensatore europeo, M. Biscuso e G. Gembillo, Messina, Siciliano, G. Sasso,  il giudizio, in Filosofia e idealismo. Paralipomeni, Napoli, Bibliopolis,  S. Palermo, Tra critica e metafisica. Lettore di Kant, Pisa, ETS,   Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M.  Biscuso, La  completa dei suoi scritti, su giornale di filosofia.net. Luigi Scaravelli. Scaravelli. Keywords: paralipomena, la storia della filosofia di Scaravelli, criticismo, critica del capire, giudizio storico, storia cme metodo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scaravelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701205587/in/photolist-2mLEcGW-2mLEcbk-2mLKJ9d

 

Grice e Scarpelli – filosofia fascista – Gentile e il fascismo giuridico – Soleri --  il tropico, il clistico, il neustico, ed il frastico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Filosofo. Studioso di analisi del linguaggio. Uno dei massimi esponenti della filosofia analitica, insegnando in varie università italiane anche Teoria generale del diritto, dottrine dello Stato, Filosofia morale e Filosofia della politica ed occupandosi costantemente, per l'intera vita, di problemi di etica e politica. La sua filosofia può essere raccolto attorno a due grandi temi: la semiotica del linguaggio prescrittivo e il metodo. Contribuisce in misura fondamentale alla cosiddetta svolta prescrittivistica in campo semiotico ed è fautore di una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico. Oltre ad approfondire lo studio del metodo del ragionamento morale, si impegna attivamente in relazione a questioni di etica e bioetica quali per esempio l'aborto e l'eutanasia. Compiute inoltre studi sulla democrazia e i concetti di libertà politica e di partecipazione politica. Da una famiglia pugliese trasferitasi poi in Lucchesia, figlio di un magistrate, frequenta il liceo. Studia a Torino. La sua formazione è all'insegna dell’idealismo dominante in Italia e fondata, tra gli altri, su Croce e Gentile. Durante gli anni universitari, desta il suo interesse Allara,della scuola civilistica torinese, e la filosofia del diritto. Segue le lezioni del corso di Filosofia del diritto di Bobbio. Si laurea sotto Solari con “Il concetto di persona”. Già in questo lavorolo ricorda Bobbio, molti anni più tardi, nel ritratto dell'allievo rivela un orientamento critico verso le versioni organicistiche della filosofia al tempo in auge. Risale a questo anno la pubblicazione nella Rivista del diritto commerciale di un saggio intitolato “Scienza giuridica e analisi del linguaggio”. In questo saggio precorre il celebre saggio di Bobbio che porta lo stesso titolo e che è considerato il manifesto della scuola analitica italiana. Prende le distanze dalle correnti filosofiche idealistiche, organicistiche ed attualistiche accreditate sul continente per accostarsi al positivismo logico e, più in generale, alla filosofia analitica e agli studi di semiotica. È tra i primi a proporne una applicazione in campo giuridico e ad evidenziare la rilevanza della analisi del linguaggio per la teoria e la dogmatica giuridica. Assistente di Bobbio; in seguito, collabora con Bobbio in seminari, “La giustizia nel materialismo storico” e “L’interpretazione giuridica”. La giustizia e il marxismo sono temi a cui dedica il saggio intitolato “Esistenzialismo e marxismo” (Taylor, Torino) il quale reca come sottotitolo “sulla giustizia”. Sostene che la filosofia e mondana, legata esclusivamente a ciò che gli uomini sono e fanno al mondo. La scelta e l’impegno sono la basi della esistenza di ciascun uomo. Insegna a Milano un seminario, “La dottrina dello stato italiano”, al fianco di Treves. Si dedica al “Contributo alla semantica del linguaggio normativo” (Accademia delle Scienze, Torino). Insegna a Perugia, Pavia, Torino. Sviluppa “La teoria generale del diritto”, dettagliata fino alla scansione dei paragrafi. Tra i saggi, “La mia meta-etica e la mia esperienza etica” dove ricercar la razionalità interna dell'etica e quella della sua fondazione. Ricopre numerose cariche in istituzioni dedite alla ricerca e partecipa a numerosi convegni, incontri di studio e simposi di rilievo nazionale ed internazionale. Membro del Centro di studi metodologici di Torino e socio corrispondente dell'Accademia delle scienze di Torino e socio dell'Istituto Lombardo Accademia delle scienze e delle lettere. Direttore dell'Istituto per la Scienza per la amministrazione pubblica. Ha fatto parte dei consigli direttivi della Rivista internazionale di filosofia del diritto e di Sociologia del diritto. Entra a far parte del comitato di redazione della Rivista di filosofia di cui cura numeri monografici dedicati al concetto di libertà, alla logica deontica e alla bioetica. È stato condirettore della collana Diritto e cultura moderna e direttore della collana Luoghi critici per le edizioni di Comunità. Presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica è stato vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica ed è stato nominato presidente onorario della Società italiana di filosofia analitica. Contribuisce alla nascita, dovuta all'iniziativa soprattutto di Geymonat, del Centro Studi metodologici di Torino. In qualità di affiliato, riceve il compito di fare una relazione sulla Enciclopedia delle scienze unificate; lavoro a cui fanno seguito negli anni Cinquanta alcuni contributi sulla analisi del linguaggio così come concepita dal movimento del positivismo logico. In questi anni Scarpelli si avvicina sempre di più alla filosofia anglosassone e in particolare agli studi oxoniensi sul linguaggio della morale e della politica, partecipando anche ad incontri di studio ad Oxford. Seguendo inizialmente le ricerche di Morris, è fra i protagonisti della cosiddetta svolta linguistica della filosofia italiana. Studia Hare. A Hare dedica alcuni lavori; sono da ricordare anzitutto le note, che in realtà sono ampi saggi di analisi del linguaggio normativo e contributi di meta-etica, ai due saggi di Hare. Intraprende un vivace dibattito sul concetto di libertà politica che porta alla stesura di vari lavori; tra essi, si può ricordare anzitutto il saggio dal titolo Libertà come fatto e come valore  ed il volume La libertà politica.  Si devono a Scarpelli i primi studi in Italia sulla analisi del linguaggio giuridico in cui v'è una sistematica applicazione degli strumenti della semiotica ai suoi tre livelli: la sintattica (lo studio dei rapporti tra i segni), la semantica (lo studio dei rapporti tra i segni e i significati), la pragmatica (lo studio dei rapporti tra i segni e i loro utenti). Tutta la speculazione e la produzione scientifica di Scarpelli è basata sulla tesi della grande distinzione tra linguaggio descrittivo e linguaggio prescrittivo; ma negli anni si evolve progressivamente il livello a cui è individuato il tratto differenziale tra l'uno e l'altro, individuato dapprima sul piano pragmatico e poi sul piano semantico. L'esposizione compiuta del pensiero scarpelliano sulla significanza del linguaggio prescrittivo si ha nell'opera del Semantica, morale e diritto, trasfusa nella voce Semantica giuridica dello stesso anno. L'idea che il linguaggio prescrittivo (le norme, i comandi, gli ordini, le preghiere, ecc.) abbiano significato trae origine dalla distinzione tra il principio di significanza e il principio di verificazione. Alcuni spunti in tal senso sono rintracciabili già nel Contributo alla semantica del linguaggio normativo il cui nucleo concettuale ancora vicino al positivismo logico sta nell'intuizione che gli enunciati normativi, quantunque non possano essere verificati o falsificati, debbano nondimeno riferirsi alla realtà. Questa idea è alla base anche del libro Cos'è il positivismo giuridico in cui propone una giustificazione etico-politica del positivismo giuridico, criticando sia la versione bobbiana del positivismo giuridico come approach sia la versione proposta da Hart. Altri saggi: R. Guastini, Variazioni su temi , Con un'appendice bibliografica, in «Materiali per una storia della cultura giuridica italiana», Nota Bibliografica, in Filosofia analitica Donatelli e L. Floridi, Lithos, Roma), con anche l'indicazione delle note sul “Monitore dei Tribunali” e dei saggi comparsi su alcuni giornali, quotidiani e periodici: “L'Opinione”, “Panorama”, “Il Sole 24 Ore”, “Il Mondo economico”); M. Jori, i«Rivista idi filosofia del diritto», N. Bobbio, La mia Italia, Polito, Passigli, Firenze,  Semantica del linguaggio normativo, in Filosofia del diritto (Lucia), Cortina, Milana. Altri saggi: “Filosofia analitica e giurisprudenza” (Istituto Cisalpino, Milano); “Il problema della definizione e il concetto di diritto” (Istituto Cisalpino, Milano); “Filosofia analitica, norme e valori” (Comunità, Milano); “Validità, legittimità, effettività del diritto, e positivismo giuridico” (Cluep, Perugia); “Cos'è il positivismo giuridico” (Comunità, Milano); “Diritto e analisi del linguaggio” (Comunità, Milano); “Letture filosofiche e politiche. Introduzione agli studi politici” (Cisalpino-Goliardica, Milano); “Linguaggio e legge naturale. Il tempo e la pena” (Giuffrè, Milano); “L'etica senza verità” (Mulino, Bologna); “La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a  Bobbio” (Comunità, Milano); “Il linguaggio del diritto” (Led, Milano); “Bioetica Laica” (Mori, Milano); “Scienza del diritto e analisi del linguaggio” (“Rivista del diritto commerciale”); “Giurisprudenza italiana”; “L'Unità della scienza”; Rivista di filosofia, Il giudice e la legge, Occidente; “Il potere giurisdizionale nello stato e in particolare nella costituzione italiana”; “Liberalismo e democrazia nella Costituzione italiana”; “Occidente. Rivista di studi politici”; “Elementi di analisi della proposizione giuridica”. Jus, Congresso di studi metodologici promosso dal Centro di Studi metodologici, Ramella, Torino); “Diritto naturale vigente” Occidente. Rivista di studi politici, “Alcuni problemi della teoria analitica del valore” Rivista di filosofia); “Linguaggio valutativo e prescrittivo” (Jus); “La Filosofia di Gentile” (Ramella, Torino); Responsabilità del magistrato, Occidente. Rivista di studi politici); “Behaviourism, positivismo logico e fascismo” (Rivista di cultura e di politica); “Il grande cambiamento”, Rivista di cultura e di politica, Etica e linguaggio, Rivista di filosofia, “Società e natura” (Rivista idi filosofia del diritto); “Il concetto di SEGNO” (Rivista di filosofia); “L’analisi del linguaggio, Rivista di filosofia, La natura della metodologia giuridica, Rivista di filosofia del diritto (incluso anche in Filosofia e scienza del diritto. Atti del II Congresso nazionale di filosofia del diritto (Giuffrè, Milano), La «Filosofia del diritto» di Widar Cesarini Sforza, Rivista di diritto civile, I compiti della filosofia del diritto, in La ricerca filosofica nella coscienza delle nuove generazioni, Carlo Arata e altri, Il Mulino, Bologna, I fondamenti e il metodo della analisi del linguaggio, in Il pensiero contemporaneo. Filosofia, epistemologia, logica, Rossi-Landi, Comunità, Milano, Retribuzione (Enciclopedia Filosofica, Sansoni, Firenze);  La definizione nel diritto, Jus); “Imperativi e asserzioni (Grice: “Or is it indicatives and imperatives?”) Rivista di filosofia, La libertà, la democrazia e il magistrato, Monitore dei Tribunali,  Relazione, in Dibattito bolognese sui valori, Edizioni di Filosofia, Torino,  Libertà, ragione e giustizia, Rivista di filosofia, Marxismo, sociologia neopositivistica e lotta delle classi, Quaderni di Sociologia, Il permesso, il dovere e la completezza degli ordinamenti normativi (a proposito di un libro di Amedeo G. Conte), Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, La dimensione normativa della libertà, Rivista di filosofia, 1Positivismo logico e società contemporanea, Rivista di filosofia,  Libertà come fatto e come valore, Rivista di filosofia, Illuminismo e legislazione, La Magistratura, La proposizione giuridica come precetto re-iterato, Rivista di filosofia del diritto, Quaderni della Rivista “Il politico”; Il positivismo giuridico (Pavia), Milano, Giuffrè, L'educazione del giurista, Rivista di diritto processuale, Semantica giuridica, voce del Novissimo digesto italiano, POMBA, Torino (Semantica, morale e diritto, Giappichelli, Torino); Problemi e idee circa l'insegnamento del diritto; Gruppo di lavoro per il diritto G. Pugliese, in Le scienze dell'uomo e la riforma universitaria, Laterza, Bari,  I magistrati e le tre democrazie, Rivista di diritto processuale, Le argomentazioni dei giudici: prospettive di analisi, Il Foro italiano, suppl. ai Quaderni. La formazione extralegislativa del diritto nell'esperienza italiana. Atti delle giornate di studio di Ancona, “Moore in Italia,” (cf. Luigi Speranza, “Grice in Italia”), Rivista di filosofia,  La grande divisione e la filosofia della politica, introduzione a F. Oppenheim, Etica e filosofia politica, Il Mulino, Bologna,  Il metodo giuridico, Rivista di diritto processuale  (riedito come voce della Enciclopedia Feltrinelli-Fisher. Diritto, Crifò, Feltrinelli, Milano); Dovere morale, obbligo giuridico, impegno politico, Rivista di filosofia, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano); Impegno politico e conoscenza sociologica, Quaderni di Sociologia, Il diritto nella società industriale: una strategia di accostamento, Rivista di diritto processuale; Il diritto della società industriale. Obbligazione politica e libertà di coscienza. Convegno, Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Pergia), Giuffrè, Milano, Dizionario di filosofia, Mondadori, Milano, La facoltà di scienze politiche di Milano e il potere negativo, Politica del diritto, Autonomia e diritto di resistenza, Studi sassaresi, Giuffrè, Milano, Insegnamento del diritto, filosofia del diritto e società in trasformazione, Rivista di diritto pubblico, L'educazione giuridica, Libreria Universitaria, Perugia,  Per una sociologia del diritto come scienza, Sociologia del diritto, La sociologia del diritto: un dibattito, Giuffrè, Milano, e in Diritto e trasformazione sociale, Laterza, Bari, La conoscenza sociologica, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio e ragione, Convegno Nazionale di Filosofia (Pavia), Società filosofica italiana, Roma, Democrazie e competenze, Amministrare, Giuffrè, Milano, Introduzione. La Filosofia. La filosofia dell'etica. La filosofia del diritto di indirizzo analitico in Italia e Introduzione all'analisi delle argomentazioni dei giudici, in Diritto e analisi del linguaggio, Milano, Comunità); Il sistema giuridico, Sociologia del diritto, Etica, linguaggio e ragione, Rivista di filosofia, Convegno del PSI di Milano, in I socialisti e la cultura. Materiali e contributi per una politica culturale alternativa, Marsilio, Venezia, Le condizioni meta-giuridiche della partecipazione, Convegno di Studi di Scienza dell'amministrazione, Giuffrè, Milano  L’entità strane dette norme” ed i guastini di Guastini, Sociologia del diritto, S. Romano, teorico conservatore, teorico progressista, in Le dottrine giuridiche di oggi e l'insegnamento di S. Romano, P. Biscaretti di Ruffìa, Giuffrè, Milano,  La partecipazione popolare nella Costituzione repubblicana: prevenzione sociale e controllo della criminalità. Convegno di Senigallia, Giustizia e Costituzione, IDizionario di sociologia, in Milano, Sala del Grechetto, pubblicata in POMBA Panorama di Lettere e Scienze, Hobbes e l'obbligazione politica come obbligazione in coscienza” (Giuffrè, Milano); Idea dell'università e diritto allo studio, Il diritto allo studio nel quadro dei rapporti fra Università e Regione, Quaderni della Regione Lombardia, Teoria formale o teoria strutturale del diritto. Per la dissoluzione della metafora formalistica” (Giuffrè, Milano); La partecipazione politica, Sociologia del diritto, La meta-etica e la sua rilevanza etica, Rivista di filosofia,  Intervento in Giudici separati? Magistratura, società e istituzioni, Convegno Emilio Alessandrini (Senigallia), Giustizia e Costituzione, La critica analitica a Kelsen, Rivista di filosofia (La cultura filosofico-giuridica del novecento, C. Roehrssen, Istituto delle Enciclopedia italiana, Roma); La responsabilità politica, Società Italiana di Filosofia giuridica e politica. Pavia (Giuffrè, Milano); Responsabilità politica o virtù repubblicana, in Garanzie processuali o responsabilità del giudice, Angeli, Milano, Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visione dell'uomo, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Interventi (pubblicati senza essere rivisti dall'autore) nella giornata di studi su Le ragioni della libertà: degenerazione dello stato burocratico e risposte neoliberali per l'Italia, Einaudinotiziecircolare ai soci della Fondazione Einaudi, Il tempo e la pena, in Piacere e felicità: fortuna e declino. Atti del 3º Convegno di studiosi di Filosofia morale (Chiavari-S. Margherita Ligure), R. Crippa, Liviana Editrice, Padova, Filosofia e diritto, in La cultura filosofica italiana nelle sue relazioni con altri campi del sapere. Atti del convegno di Anacapri, Guida Editori, Napoli,  B. Leoni e l'analisi del linguaggio, Il politico. Rivista italiana di Scienze politiche,  La democrazia e il segreto, in Il segreto nella realtà giuridica italiana. Atti del convegno nazionale, Roma, Milani, Padova, La teoria generale del diritto: prospettive per un trattato, in La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Noberto Bobbio, Uberto Scarpelli, Comunità, Milano,  L'interpretazione premesse alla teoria dell'interpretazione giuridica, in Società norme e valori” (Giuffrè, Milano); “Auctoritas non veritas facit legem, in Linguaggio persuasione verità: atti del Congresso nazionale di filosofia tenutosi in Verona, Milani, Padova  (anche in Rivista di filosofia,  Intervento in Il Welfare State possibile. Saggi e interventi di F. Barone, prefazione di Enrico Mattei, Le Monnier, 1 Scienze dell'uomo e potere sull'uomo: oltre la libertà e la dignità, in Baudrillard e altri, Sapere e potere, I, Viviana Conti, Multhipla edizioni, Milano, Un filosofo a disagio, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie, Voci: Diritto, Interpretazione, Istituzione, Norma, Validità, in Gli strumenti del sapere contemporaneo, Le discipline e  I concetti (POMBA, Torino); Le porte della stalla, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, Gli orizzonti della giustificazione, Rivista di filosofia (Etica e diritto, Laterza, Roma-Bari.) Scienza, sapere, sapienza, Rivista internazionale di filosofia del diritto, Di alcune difficoltà culturali e di una tentazione perversa inerenti ai “diritti degli animali”, in “I diritti degli animali”. Atti del convegno nazionale Genova, Silvana Castignone e Luisella Battaglia, Centro di Bioetica, Genova, La filosofia nella Facoltà di Giurisprudenza, Rivista di filosofia, La bioetica. Alla ricerca dei principi, in Biblioteca della libertà, Un modello di ragione giuridica: il diritto reale razionale, Faralli e Pattaro, Giuffrè, Milano); Dalla legge al codice, dal codice ai principi” (Accademia delle Scienze di Torino. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche (Rivista di filosofia). La Camera di consiglio come scuola, Quadrimestre. Rivista di diritto privato, Cosmo e universo, in Corpo e cosmo nell'esperienza morale. Atti del Convegno tra studiosi di Filosofia morale (Pietrasanta), Romeo Crippa, Padeia, Brescia,  Eutanasia. Intervista, Hospital,  Il concetto di libertà politica in Entreves, Rivista di filosofia del diritto, Amministrazione della giustizia, rapporti umani e funzioni del diritto, in Amministrazione della giustizia e rapporti umani. Convegno di Sassari, Maggioli, Rimini, Beccaria e l'Italia civile, L'Indice penale, Classi logiche e discriminazione fra i sessi, Lavoro e diritto, Hobbes e lo stato totalitario, Bollettino della Società Filosofica italiana. Nuova Serie (intervento nella Tavola Rotonda su Attualità e presenza di Hobbes, in Hobbes oggi, A. Napoli, FrancoAngeli, Milano, Introduzione ai lavori in Interpretazione e decisione. Diritto ed economia. Atti del XVI Congresso nazionale della Società italiana di Filosofia giuridica e politica (Padova), F.  Gentile, Giuffrè, Milano, Intervento in Diritto di sciopero, autonomia collettiva ed intervento del legislatore (Viareggio), Rivista giuridica del lavoro e della previdenza sociale, Il diritto pubblico italiano di S. Romano, Materiali per una storia della cultura giuridica,  Il positivismo giuridico rivisitato, Rivista di filosofia,  La bioetica: alla ricerca dei principi” (Giuffrè, Milano); Bioetica: prospettive e principi fondamentali, in La bioetica. Questioni morali e politiche per il futuro dell'uomo, Convegno, Roma, Bibliotechne, Milano, I compiti dell'etica laica nella cultura italiana di oggi, Notizie di Politeia, Relazione su  Stevenson, ‘Ethics and Language', in Il neo-illuminismo italiano. Cronache di filosofia, Pasini e Rolando, Il Saggiatore, Milano,  Diritti positivi, diritti naturali: un'analisi semiotica, in Diritti umani e civiltà giuridica. Convegno a Perugia, S. Caprioli e F. Treggiari, Stabilimento Tipografico Pliniana Perugia, Etica della libertà, Bioetica. Rivista interdisciplinare,  Filosofia del diritto, in La Filosofia,  Le filosofie speciali, diretta da Pietro Rossi, Torino, POMBA, Il linguaggio giuridico: un ideale illuministico, in Nomografia. Linguaggio e redazione delle leggi. Contributi al seminario promosso dalla Banca d'Italia e dalla prima cattedra di filosofia del diritto dell'Milano, Paolo Di Lucia, Giuffrè, Milano, La mia meta-etica e la mia esperienza etica, in Scritti per Uberto Scarpelli, Letizia Gianformaggio e M. Jori, Giuffrè, Milano, Il linguaggio e la politica dei giuristi, Notizie di Politeia, Sui compiti della filosofia del diritto, Notizie di Politeia, Formanti, dSentenza del Tribunale di Milano, 2soc. Acc. Compra Vendita immobili S.A.C.V.I. c. Della Beffa, su Locazione di coseLocazione di immobili urbaniProroga ecc., in Giurisprudenza,  Nota a sentenzaDegli effetti dell'abolizione del commissariato alloggi e di una possibile applicazione dell'azione surrogatoria, Il Foro Padano, Note bibliografiche a Renato Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Jovene, Napoli, Carattere della prestazione e carattere dell'interesse, Rivista del diritto commerciale, Tacita riconduzione e novazione, Rivista del diritto commerciale, Il cosiddetto conflitto tra diritti personali di godimento e l'art. 1380 del codice civile, Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, I discorsi politici, Roma,in Quaderni di Sociologia, Recensione a Bellezza, L'esistenzialismo positivo di Gentile, Firenze, Rivista di filosofia, Piovesan, Analisi filosofica e fenomenologia linguistica, Padova, e Lumia, Empirismo logico e positivismo giuridico, Milano, in Rivista di filosofia. Pasquinelli, Nuovi principi di epistemologia, Milano, in Rivista di filosofia, Introduzione alla semantica, Bari, in Rivista di filosofia, Recensione a Antiseri, Dopo Wittgenstein: dove va la filosofia analitica, Roma, in Rivista di filosofia, Nuovi libri: Orecchia, La filosofia del diritto nelle università italiane: Saggio di bibliografia, Milano,  in Rivista di filosofia, Logica simbolica e diritto, Milano, in Rivista di filosofia. Rivista di filosofia, Recensione a FannSymposium on L. J. Austin, London, Rivista di filosofia, Recensione a Gulotta, Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano. Uberto Scarpelli. Scarpelli. Keywords: fascismo, la filosofia di Giovanni Gentile – la difensa di Scarpelli contro Solari, “Behaviourism, positivism logico e fascismo” nell “Mulino”-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Scarpelli” – /The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734017741/in/datetaken/

 

Grice e Sciacca – l’idea della libertà – fondamento della coscienza etico-politica – filosofia siciliana -- filosofia italiana  (Messina). Filosofo. Studia a Palermo sotto Renda. Insegna a Palermo. Volse il suo interesse verso il criticism, a cui dedica “La funzione della libertà nella formazione del sistema kantian” a cui fece seguito, “La libertà come fondamento della coscienza etico-politica” (Palumbo, Palermo), che reproduce la memoria in appendice. Società filosofica italiana Altri saggi: “Filosofi che si confessano” (Anna, Messina); “La steresis nella filosofia dell'azione” (Accademia di Scienze, Lettere ed Arti, Palermo); “Il concetto di tiranno, dagl’antichi italici a Salutati” (Manfredi, Palermo); La visione della vita nell'Umanesimo di Salutati” (Palermo); “Politica e vita spirituale” (Palumbo, Palermo); “Gli Dei in Protagora” (Palumbo); “Esistenza e realtà” (Palumbo, Palermo); “Scetticismo” (Palumbo, Palermo); Ritorno alla saggezza” (Palumbo, Palermo); “L'uomo senza Adamo” (Palumbo); “Sapere e alienazione” (Palumbo, Palermo); “Il Segno, quel Segno” (Cappelli, Bologna); Reale accademia di lettere scienze e arti", «La filosofia per cambiare il mondo», La Repubblica.  A. Bono, Alessandria della Rocca, M.K.N., la tradizione del criticisimo, in P. Giovanni, Le avanguardie della filosofia italiana, Angeli, Società Filosofica Italiana", A. Plebe, P. Giovanni. Giuseppe Maria Sciacca. Sciacca. Keywords: Grice, ‘Negation and Privation’, negation, privation, negatio, privatio, the use of ~ to stand for both negatio and privatio – privatio as mere negatio (~), plus implicatum -- steresis, l’idea della libertà – fondamento della coscienza etico-politica -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sciacca” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734847820/in/datetaken/

 

 

Grice e Sciacca – antifilosofia e contra-implicatura – filosofia fascista – il veintennio fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Giarre). Filosofo. La filosofia non asciuga lacrime né dispensa sorrisi, ma dice la sua parola sulla verità delle lacrime e dei sorrisi. Dopo gli studi liceali classici si trasferì a Napoli, dove si laurea sotto Aliotta. Insegna a Napoli, Pavia, e Genova. Fonda “Il Giornale di Metafisica”. Molto intenso e il suo rapporto filosofico e di stima reciproca con il filosofo fascista Gentile, un sodalizio testimoniato dalla fitta corrispondenza tra i due filosofi, da cui però ben presto Sciacca si allontana, in particolare dal filone idealista, per condurre la sua propria ricerca filosofica in modo più ampio, tanto da condurlo a studiare per un certo periodo, grazie alle sue conoscenze pure in campo teologico, sia la corrente del misticismo che quella dello spiritualismo. Accademia di studi italo-tedeschi, Merano. Profondo conoscitore di Serbati, promotore della fondazione del "Centro Internazionale di Studi Rosminiani" di Stresa. Una delle principali figure dello spiritualismo, a cui pervenne dopo i primi interessi per l'attualismo ed i successivi, più impegnativi studi sullo spiritualismo, anche interpretandolo in modo originale, delineando un particolare percorso di continuità che, rifferendo alla metafisica classica, perviene a concepire un'apertura del soggetto personale come creatur averso l'attualità assoluta dell'essere nell’integralità. E ricordato principalmente attraverso P. Ottonello. Saggi: “S. Agostino” (Morcelliana, Brescia); “L'Anima” (Morcelliana, Brescia); Filosofia morale” (Bocca, Torino); Atto ed essere (Bocca, Torino); Interpretazioni rosminiane Marzorati, Milano); Come si vince a Waterloo” (Marzorati, Milano); “La filosofia e la scienza nel loro sviluppo storico. Per i licei” (Cremonese, Roma); “Platone Marzorati, Milano. Filosofia e anti-filosofia (Marzorati, Milano);  Chiesa e civiltà (Marzorati, Milano); Critica letteraria (Marzorati, Milano); L'oscuramento dell'intelligenza Marzorati, Milano. Studi sulla filosofia antica. Con un'appendice sulla filosofia medioevale Marzorati, Milano. Ontologia triadica e trinitaria. Discorso metafisico-teologico Marzorati, Milano. L'Insegnamento della filosofia: atti del II Convegno di studi, Messina, maggio Editrice peloritana, Messina. Reflexiones inactuales sobre el historicismo hegeliano Fundación Universitaria Española, Madrid. Ontologia triadica e trinitariaL'Epos, Palermo. Atto ed essereL'Epos, Palermo.  Il magnifico oggiL'Epos, Palermo. In Spirito e VeritàL'Epos, Palermo.  La clessidraL'Epos, Palermo. L'ora di Cristo L'Epos, Palermo. La principale fonte biografica qui seguita è: PCfr. CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansoni; CSFG-Centro di Studi Filosofici di Gallarate, Dizionario dei Filosofi, Firenze, Sansoni); M. Schiavone, L'idealismo, A. Negri, “Dall'atto all'integralità” (Forlì, Ethica); E. Pignologni, Genesi e sviluppo del rosminianesimo, Milano, Marzorati); Bologna, Quaderni del Giornale di Metafisica, Stresa, Rivista Rosminiana, Incontrare Sciacca, Venezia, Marsilio, P. Ottonello, “L'anticonformismo costruttivo” (Venezia, Marsilio); M. Shiavone, L'idealismo, Collana di studi filosofici rosminiani, Domodossola; Milano, Sodalitas, Ospitato su Bontadini e la metafisica. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Michele Federico Sciacca. Sciacca. Keywords. Refs.: Grice e Sciacca” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734123673/in/datetaken/

 

Grice e Scupoli – la lotta coll’angelo – la lotta dell’angelo e il demonio -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Otranto). Filosofo. Very important Italian philosopher. Ricevette come nome di battesimo Francesco. Entrò nell'ordine dei teatini per ricevere gli ordini sacri. Fu discepolo di sant'Andrea Avellino, appartenente al suo stesso ordine.  Risale l'accusa di violazione della regola, per cui e arrestato per un anno e sospeso a divinis. Per la sua assoluzione dove attendere quasi la morte. Intanto, sopporta l'ingiusta accusa e la pena conseguente con umiltà e umanità. Il combattimento spirituale. Con l’orazione porrai la spada in mano a Dio, perché combatta e vinca per te. La preghiera è dunque l’arma di tutte le vittorie. Essa è la debolezza di Dio e la forza dell’uomo perché il cuore del Padre non sa negare nulla di buono ai suoi figli. “Il combattimento spirituale – I cinque mezzi per raggiungere la perfezione” è un trattato di strategia spirituale che conduce l'uomo alla perfezione. Scupoli indica *cinque* mezzi per raggiungere la perfezione spirituale: Sfiducia in sé. Pienissima confidenza in Dio. Combattimento e uso metodico delle facoltà per correggere i propri difetti, quindi per trionfare del demonio e per conquistare le virtù. Preghiera e meditazione. Comunione.   Spiritualità. Scupoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Scupoli," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716140515/in/photolist-2mMYJP6

 

Selvatico-Estense?

 

Grice e Semerari – il principio del dialogo in Socrate – filosofia italiana (Taranto). Filosofo. Grice: “Wheereas it would be considered in bad taste at Oxford, the Italians pun on names – and there is an essay on the ‘seme’ of ‘semerari’ Witty!” -- Grice: “Perhaps Semerari is right and the philosopher MUST metaphorise. What better title to an essay on Calabellse than ‘La sabbia e la roccia”?” -- Grice: “I like Semerari: His ‘principio del dialogo in Socrate” is reprinted in his invaluable collection on “Dialogo.”” – Grice: “In a way, we may say that Calogero, Semerari, and myself, belong to the school of the philosophy of conversation – not to mention Apel!”. Si laurea a Roma sotto Carabellese. Insegna a Bari. Collabora ad «aut aut», “Critica storica», «Giornale critico della filosofia italiana», «Clizia», «Historica», « Rivista di filosofia del diritto», «Rivista di filosofia», «Il pensiero», «Archivio di filosofia» e altre riviste specialistiche. Fonda «Paradigmi». Si dedica per lo più a Spinoza, a Schelling, alla fenomenologia di Husserl e Merleau-Ponty e al materialismo storico di Marx. Altri saggi:“Lo spinozismo” (Vecchi, Trani); “Storia e storicismo: saggio sul problema della storia in Carabellése,” Vecchi, Trani; “Storicismo e ontologismo ” Lacaita, Manduria, Dialogo, storia, valori: studi di filosofia” (Ciranna, Siracusa); “Interpretazione di Schelling, Libreria scientifica, Napoli;  “L'esistenzialismo italiano” (Grice: “This reminds me of parochial Warnock and his “English philosophy,” or Sorley for that matter!”) -- Cressati, Bari; “Questioni di etica” (Adriatica, Bari; “Responsabilità e comunità umana. Ricerche etiche, Lacaita, Manduria); “La filosofia come relazione, Quaderni di cultura, Sapri; Ferruccio De Natale, Guerini, Milano); “Scienza nuova e ragione” (Lacaita, Manduria; Furio Semerari, Guerini, Milano Da Schelling a Merleau-Ponty. Studi sulla filosofia contemporanea” (Cappelli, Bologna); “La lotta per la scienza, Silva, Milano; Francesco Valerio, premessa di Fulvio Papi, Guerini e Associati, Milano, Spinoza, Marzorati, Milano; Esperienze del pensiero moderno, Argalia, Urbino; La filosofia dell'esistenza in Kant, Adriatica, Bar;  Introduzione a Schelling” (Laterza, Bari); Filosofia e potere (Dedalo, Bari); Civiltà dei mezzi, civiltà dei fini. Per un razionalismo filosofico-politico, Bertani, Verona;  La scienza come problema: dai modelli teorici alla produzione di tecnologie” (De Donato, Bari); “Insecuritas. Tecniche e paradigmi della salvezza, Spirali, Milano); “La sabbia e la roccia. L'ontologia critica di P. Carabellése” (Dedalo, Bari); “Dentro la storiografia filosofica” (Dedalo, Bari); Sartre. Teoria, scrittura, impegno” (Sud, Bari); Novecento filosofico italiano. Situazioni e problemi, Guida, Napoli; “Skepsis. Studi husserliani” (Dedalo, Bari); Filosofia Guerini e Associati, Milano Confronti con Heidegger, Dedalo, Bari); La filosofia come scienza rigorosa, Laterza, Bari, Frammenti di diario; l'anno di Istanbul, Schena, Fasano. “La cosa stessa.” Seminari fenomenologici (Dedalo, Bari); “Dommatismo e criticism”, “Deduzione del diritto naturale” (Laterza, Bari); Pensiero e narrazioni. Modelli di storiografia filosofica” (Dedalo, Bari; Frammenti di diario; l'anno del Messico, Schena, Fasano); “Fenomenologia delle relazioni, Palomar, Bari); “Ragione e storia. Studi in memoria” F. Tateo, Schena, Fasano;  Dalla materia alla coscienza. Studi su Schelling in ricordo, Carlo Tatasciore, Guerini, Milano; ‘La certezza incerta” Scritti su Semerari con due inediti dell'autore, Furio Semerari, Guerini, Milano; Augusto Ponzio, Il significato della filosofia per Giuseppe Semerari, in "BariSera", Luciano Niro, Giuseppe Semerari. Il problema morale, Atheneum, Firenze, F. Silvestri, Il seme umanissimo della filosofia. Sul pensiero di Semerari, Mimesis, Milano). Treccani  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giuseppe Semerari. Semerari. Keywords: fascismo, Gentile, neo-idealismo come intrinseccamente fascista, Croce, Vico, intersoggetivo, io-tu, dialogo, dialogo autentico, comunita, valore comunitario, comunita umana, vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Semerari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734035483/in/datetaken/

 

Grice e Semmola – filosofia italiana (Napoli). Filosofo. Grice: “I find it difficult to sea if Semmola endorses formalism or informalism in his monumental “Logica.”” Grice: “While Ayer never liked it, metaphysics is very popular in Italy, as Semmola’s monumental “Metafisica” testifies.” Grice: “It’s good to see philosophy as an institution, in the Italian way of using this word, as per Semmola, “Istituzione di Filosofia.” Figlio di Giovanni, uno dei più grandi esponenti della scuola napoletana. Partecipa ai moti di Marigliano. Saggi:“Istituzioni di Filosofia,” “Logica,” “Metafisica” (Biblioteca, Napoli). Mente divinatrice ardente spirito investigatore che nello studio della natura morbosa dell'uomo produsse miracoli di arte e di scienza scolare e presto emulo del suo gran più ai giovann conchiuse alla novità delle dottrine una sapienza antica procacciandosi fama in patria e fuori di sommo maestro in medicina ne rifulse lo ingegno incomparabile dalla cattedra nell'università napoletana nelle accademie e negli ospedali nei consessi legislativi e nei congressi scientifici nella parola negli scritti membro della commissione legislativa riunita in Firenze principale autore di un codice sanitario italiano inviato unico plenipotenziario alla conferenza sanitaria internazionale di Vienna deputato e poi senatore nel patrio parlamento onorato due volte di medaglia d'oro dal proprio governo per le cure ai colerosi da quello del Brasile per la guarigione del suo imperatore Socio di gran numero di accademie italiane e straniere Insignito di molti tra i maggiori gradi cavallereschi. Muore nella fede catolica avita. Questo marmo per voce del comune Si fa eco della pubblica solenne onoranza cittadina. Le spoglie mortali riposano nella cappella mortuaria di famiglia ove le vollero la vedova ed i figliuoli a rendere vieppiù paghi la loro pietà ed il riconoscente affetto. Mariano Semmola. Semmola. Keywords: istituzioni di filosofia, l’istituzione della logica, l’istituzione della metafisica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Semmola” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691776126/in/photolist-2mLNimn-2mLEK4t-2mKUqRH-2mKPS8q-2mKEHpR/

 

Grice e Serbati – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rovereto). Filosofo. Important Italian philosopher. Figlio di Pier Modesto e di Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa in Valle di Ledro. Frequenta  l’Imperial Regio Ginnasio.Studia a Padova. A questo proposito i famigliari raccontavano come, fin dalla più tenera età, leggesse alla luce della sua aureola.  E in occasione della venuta a Rovereto del Vescovo di Chioggia per consacrare le chiese di Santa Maria del Carmine e di Santa Croce, appartenente all'omonimo Monastero, che, prendendo parte alla cerimonia, ottenne il diaconato. Mostra una profonda inclinazione per la filosofia, incoraggiato in tal senso da Pio VII.  Si trasfere a Milano dove strinse un profondo rapporto d'amicizia con Manzoni che di lui ebbe a dire -- è una delle sei o sette intelligenze che più onorano l'umanità. Manzoni assistette Rosmini sul letto di morte, da cui trasse il testamento spirituale "Adorare, Tacere, Gioire". La sua filosofia destarono l'ammirazione, tra gli altri, anche di G. Stefani, N. Tommaseo e V. Gioberti dei quali pure divenne amico. Dopo aver dovuto lasciare il Trentino, per motivi di forte ostilità per le sue posizioni incontrati da parte del vescovo di Trento fonda al Sacro Monte Calvario di Domodossola la congregazione religiosa dell'Istituto della Carità, detta dei "Rosminiani". Le Costituzioni della nuova famiglia religiosa, contenute in un libro che cura per tutta la vita, sono approvate da Gregorio XVI. A Borgomanero svolge la sua attività di insegnamento e di guida spirituale in un collegio rosminiano, il "Collegio Rosmini", regolato dalla Congregazione della Provvidenza Rosminiane. Svolge una missione diplomatica per conto del Re di Sardegna Carlo Alberto presso la Santa Sede. E presidente dell'Accademia Roveretana degl’Agiati ed il suo posto, anni dopo la sua morte, dal 1872 al 1888, fu assunto da don Francesco Paoli, suo segretario ed esecutore delle volontà, già direttore di Casa Rosmini. Tra le sue volontà del vi e anche quella di donare a Rovereto un terreno nell'attuale zona di Santa Maria per costruirvi l'ospedale cittadino, e Paoli onora tale decisione. Porta avanti tesi filosofiche tese a contrastare sia l'illuminismo che il sensismo. Sottolineando l'inalienabilità dei diritti naturali della persona, fra i quali quello della proprietà privata, entrò in polemica con il socialismo e il comunismo, postulando uno Stato il cui intervento fosse ridotto ai minimi termini. Nelle sue teorie il filosofo seguì le concezioni di Sant'Agostino e Aquino, rifacendosi anche a Platone.  I suoi esordi filosofici si ricollegano a P. Galluppi, sia pure polemicamente, in quanto Rosmini avverte con ogni chiarezza come risulti insostenibile una posizione di integrale sensismo gnoseologico.  La necessità di concepire una funzione ordinatrice dell'esperienza, e a questa precedente, porta Rosmini a guardare con interesse la filosofia di Kant. Tuttavia non è soddisfatto di ciò che lui chiama l'innatismo kantiano, legato ad una pluralità imbarazzante e precaria di categorie. Le quali, d'altra parte, gli sembrano fallire lo scopo di far conoscere il reale quale esso è, per la necessaria introduzione di modifiche soggettive nell'atto stesso del conoscere.  Il problema filosofico di Rosmini si configurava perciò come quello di garantire oggettività alla conoscenza. La soluzione non potrà essere trovata, stante il rifiuto della trascendentalità kantiana e dei connessi sviluppi, se non in una ricerca ontologica, in un principio oggettivo di verità, che riesca ad illuminare l'intelligenza in quanto le si proponga con immediata evidenza, universalità e immutabilità.  Questo principio è per Rosmini l'idea dell'essere possibile, che da indeterminato contenuto dell'intelligenza, quale originariamente è, si fa determinato allorché viene applicato ai dati forniti dal senso. Essa precede e informa di sé tutti i giudizi con cui affermiamo che qualche cosa particolare esiste. L'idea dell'essere, dunque, costituisce l'unico contenuto della mente che non abbia origine dai sensi, ed è perciò innata (“Saggio sull'origine delle idee”).  Ma qui i problemi del kantismo, che sembrano superati o almeno messi da parte, si riaffacciano con urgenza: di fronte al mero ricevere dati, di cui parlava il sensismo, ha chiarito che la mente umana nel suo uso conoscitivo formula giudizi, in cui l'idea dell'essere ha funzione di predicato, cioè di categoria, e la sensazione è il soggetto, di cui si predica qualche cosa. Nel giudizio, inoltre, il predicato si determina e la sensazione si certifica: se questa è la funzione propria del giudicare, ogni concetto non può sussistere che come predicato di un giudizio; né a questa necessità sembra potersi sottrarre il concetto di essere, che è dato solo nell'attività giudicante, come forma del giudizio.  Tuttavia non accetta tale riduzione, ed esclude proprio il predicato di esistenza della funzione del giudizio, continuando ad attribuirgli una natura oggettiva e trascendente. È l'essere trascendente che si rivela all'uomo, lo illumina e gli permette di pensare. Chi lo nega come il nichilismo cade in una vuota posizione nullista.  Accanto a questa ontologia la sua etica si sviluppa come etica caritativa (Principio della scienza morale). Dedica alla politica una breve ma intensa fase della sua vita. Seguì Pio IX riparato a Gaeta dopo la proclamazione della Repubblica Romana, ma la sua formazione attestatasi su ferme posizioni di cattolicesimo liberale e tale per cui e costretto a ritirarsi sul Lago Maggiore, a Stresa. Tuttavia, quando Pio IX vuole istituire una commissione incaricata della preparazione del testo per la definizione del dogma dell'immacolata concezione, nonostante ben due suoi saggi (Le cinque piaghe della Chiesa e La costituzione secondo la giustizia sociale) sono all'Indice. Chiamato a prendere parte a tale commissione, e favorevole allo stato liberale (vagheggiando la monarchia costituzionale), al costituzionalismo e anche alla separazione tra stato e chiesa, sebbene non assoluta. Critica lo Statuto Albertino proprio per il suo porre ancora il cattolicesimo come religione di stato, elogiandone comunque il tentativo distensivo nei confronti della Santa Sede. Critica la legge laicista ed anti-clericale. Si convince della sostanziale bontà della maggior parte delle conquiste dell'età moderna, criticandone solo le modalità: in tale ottica, critica sia la rivoluzione francese che l'Ancient Regime, riconoscendo invece la sostanziale bontà dei princìpi sanciti, distinguendoli dalle successive de-generazioni rivoluzionarie, in polemica con chi, da una parte e dall'altra, sostene una società perfettista. Continua a vivere a Stresa, fecondo nel perseguire il perfezionamento del suo sistema di pensiero con saggi come “Logica” e “Psicologia”. J. Ratzinger, quando la questione rosminiana era ancora ben accesa, nell'ambito di una serata organizzata a Lugano, dice. Nel confronto con le parole classiche della fede che sembrano così lontane da noi, anche il presente diventa più ricco di quanto sarebbe se rimanesse chiuso solo in se stesso. Vi sono naturalmente anche tra i teologi ortodossi molti spiriti poco illuminati e molti ripetitori di ciò che è già stato detto. Ma ciò succede ovunque; del resto la letteratura dozzinale è cresciuta in modo particolarmente rapido proprio là dove si è inneggiato più forte alla cosiddetta creatività. Io stesso per lungo tempo avevo l'impressione che i cosiddetti eretici fossero per una lettura più interessante dei teologi della chiesa, almeno nell'epoca moderna.  Ma se io ora guardo i grandi e fedeli maestri, da Mohler a Newman a Scheeben, da Rosmini a Guardini, o nel nostro tempo de Lubac, Congar, Balthasarquanto più attuale è la loro parola rispetto a quella di coloro in cui è scomparso il soggetto comunitario della Chiesa.  In loro diventa chiaro anche qualcos'altro: il pluralismo non nasce dal fatto che uno lo cerca, ma proprio dal fatto che uno, con le sue forze e nel suo tempo, non vuole nient'altro che la verità. Per volerla davvero, si esige tuttavia anche che uno non faccia di se stesso il criterio, ma accetti il giudizio più grande, che è dato nella fede della Chiesa, come voce e via della verità.  Del resto io penso che vale la stessa regola anche per le nuove grandi correnti della teologia, che oggi sono ricercate: teologa africana, latinoamericana, asiatica, ecc. La grande teologia francese non è nata per il fatto che si voleva fare qualcosa di francese, ma perché non si presumeva di cercare nient'altro che la verità e di esprimerla più adeguatamente possibile.  E così questa teologia è diventata anche tanto francese quanto universale. La stessa cosa vale per la grande teologia italiana, tedesca, spagnola. Ciò vale sempre. Solo l'assenza di questa intenzione esplicita è fruttuosa. E di fatto non abbiamo davvero raggiunto la cosa più importante se noi ci siamo convalidati da soli, ci siamo accreditati da soli e ci siamo costruiti un monumento per noi stessi.  Abbiamo veramente raggiunto la meta più importante se siamo giunti più vicino alla verità. Essa non è mai noiosa, mai uniforme, perché il nostro spirito non la contempla che in rifrazioni parziali; tuttavia essa è nello stesso tempo la forza che ci unisce. E solo il pluralismo, che è rivolto all'unità, è veramente grande. Pio VIII dice a Rosmini, in udienza. È volontà di Dio che voi vi occupiate nella filosofia. Tale è la vostra vocazione. Ella maneggia assai bene la logica, e la Chiesa al presente ha gran bisogno di filosofi. Dico, di filosofi solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugl’uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli colla ragione, e per mezzo di questa condurli alla religione. Tenetevi certo, che voi potrete recare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandovi nello scrivere, che non esercitando qualunque altra opera del Sacro Ministero. Gregorio XVI, successore di Pio VIII, in risposta alla lettera che Antonio Rosmini gli aveva indirizzato. Diletto Figlio, a te il nostro saluto e la nostra Apostolica Benedizione. Abbiamo volentieri e con animo lieto ricevuto la tua lettera con i sensi della tua devota sommissione a Noi e alla Sede Apostolica in cui ci parli della pia Società, chiamata Istituto della Carità e che con le tue fatiche è stata fondata nel territorio della diocesi di Novara con l'approvazione del Vescovo. E soprattutto ci hai anche informato che il medesimo Istituto è stato da poco chiamato anche dal Vescovo di Trento nella sua diocesi e che qui molti ecclesiastici, di provate virtù, vi hanno aderito. Per questi fatti davvero rendiamo il nostro umile grazie a Dio autore di ogni bene. E quantunque questo Istituto non sia stato ancora confermato dall'autorità di questa Santa Sede, tuttavia speriamo in bene di esso e ci allietiamo che lo stesso si dilati con il consenso dei nostri Venerabili Fratelli nell'Episcopato. Quindi, per quanto riguarda le Sante Indulgenze connesse a questo istituto, che domandi siano concesse, ricevi diletto figlio il nostro Rescritto unito a questa lettera, da cui sicuramente comprenderai che rispondiamo positivamente alla tua richiesta. Ti assicuriamo anche che ci è pervenuto il libro sopra i Principi della Dottrina Morale da te edito e mandatoci in omaggio e ti dichiariamo il grazie del nostro animo per il dono. Tuttavia per la tensione nelle gravissime fatiche del Governo Apostolico non abbiamo ancora letto lo stesso libro, ma siamo certamente persuasi che esso sia in tutto conforme alla più sana dottrina e utilissimo alla sua difesa. Continua dunque, diletto figlio, lo studio e prosegui a spendere le tue fatiche ad onore di Dio per l'utilità della Chiesa; in Cielo sarà copiosa la ricompensa per la tua opera. Frattanto la paterna carità con cui ti abbracciamo nell'umanità di Cristo sia pegno dell'apostolica benedizione, che sgorgante dall'intimo del cuore ti impartiamo.»  (Da Breve pontificio di Gregorio P.P.XVI,) Pio IX rivolgendosi al Vescovo di Cremona dopo il decreto Dimittantur opera omnia parlando di Rosmini disse:  «Non solo è un buon cattolico, ma santo: Iddio si serve dei santi per far trionfare la verità. Leone XIII, al tempo delle aspre e dolorose lotte che si svolgevano intorno al pensiero rosminiano sul finire del diciannovesimo secolo, in una lettera indirizzata agli arcivescovi di Milano, Torino e Vercelli, fra l'altro scrisse:  «Ma non vogliamo che con questo abbia a patir detrimento il religioso Sodalizio della Carità; il quale come per lo innanzi spese utilmente le sue fatiche a beneficio del prossimo, secondo lo spirito dell'Istituto, così è desiderabile che fiorisca in avvenire e prosegua a rendere ognora più abbondanti frutti. Col decreto del Sant'Uffizio "Post Obitum"  firmato da Leone XIII, vennero condannate, in quanto "non conformi alla verità cattolica", 40 proposizioni contenute nelle opere del Rosmini, le quali la Sacra Congregazione romana "giudicò doversi riprovare, condannare e proscrivere, nel proprio senso dell’autore", chiarendo inoltre che non era lecito "a chicchessia di inferire, che le altre dottrine del medesimo Autore, che non vengono condannate per questo decreto, siano per veruna guisa approvate".  Giovanni XXIII, negli ultimi anni della sua vita, meditò in ritiro spirituale le rosminiane "Massime di Perfezione Cristiana", assumendole come propria regola di condotta. Anche Paolo VI prestò interesse nel Rosmini: in occasione del 150º anniversario di fondazione dell'Istituto della Carità inviò un messaggio all'allora padre generale, in cui elogiava l'intuizione del Rosmini nel dare un grande peso alla missione caritativa già nel nome del nativo istituto religioso, appunto l'Istituto della Carità. Pubblicamente Paolo VI lo cita durante il discorso tenuto alla Federazione Universitaria Cattolica Italiana  riguardante la cultura cattolica e l'Europa. Inoltre sotto il suo pontificato venne tolto il divieto di pubblicazione dell'opera Dalle Cinque Piaghe della Santa Chiesa.  Alla morte di Paolo VI venne eletto Giovanni Paolo I, laureato in sacra teologia alla Gregoriana con il saggio, “L'origine dell'anima umana”. È bene precisare che Luciani e fortemente critico nei riguardi del pensiero rosminiano, solo successivamente cambiò opinione, rivolgendo nei riguardi di Rosmini parole di ammirazione e stima.  Tuttavia fu con il pontificato di Giovanni Paolo II che il pensiero rosminiano ha potuto liberarsi delle aspre critiche e delle condanne che accompagnavano l'Istituto della Carità fin dai tempi della sua fondazione. Nella Lettera Enciclica Fides et ratio, Giovanni Paolo II l’annoverato tra i pensatori più recenti nei quali si realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e Parola di Dio». Ne ha inoltre concesso l'introduzione della causa di beatificazione, conclusasi nella sua fase diocesana novarese.   Ratzinger da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede emana il famoso documento Nota ai Decreti dottrinali sul Rev.do sac. Antonio Rosmini Serbati. La nota si concludeva confermando la validità del decreto Post obitum sulle quaranta proposizioni, e allo stesso tempo con la riabilitazione di Rosmini:  «Il Decreto dottrinale Post obitum non si riferisce al giudizio sulla negazione formale di verità di fede da parte dell'Autore, ma piuttosto al fatto che il sistema filosofico-teologico del Rosmini era ritenuto insufficiente e inadeguato a custodire ed esporre alcune verità della dottrina cattolica, pur riconosciute e confessate dall'Autore stesso. Si possono attualmente considerare ormai superati i motivi di preoccupazione e di difficoltà dottrinali e prudenziali, che hanno determinato la promulgazione del Decreto Post obitum di condanna di quaranta proposizioni. E ciò a motivo del fatto che il senso delle proposizioni, così inteso e condannato dal medesimo decreto, non appartiene in realtà alla sua autentica posizione, ma a possibili implicanze. Resta tuttavia affidata al dibattito teoretico la questione della plausibilità o meno del sistema rosminiano stesso, della sua consistenza speculativa e delle teorie o ipotesi filosofiche e teologiche in esso espresse. Nello stesso tempo rimane la validità oggettiva del Decreto Post obitum in rapporto al dettato delle proposizioni condannate, per chi le legge, al di fuori del contesto di pensiero rosminiano, in un'ottica idealista, ontologista e con un significato contrario alla fede e alla dottrina Cattolica. Il documento ribadisce la diversità di linguaggio e apparato concettuale del sistema rosminiano rispetto al tomismo, l'assenza di apparato critico nelle opere postume e la permanente "difficoltà oggettiva di interpretarne le categorie, soprattutto se lette nella prospettiva neotomista".  Benedetto XVI autorizza la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto sul miracolo della guarigione di Ludovica Noè, attribuito alla sua intercessione. Tra quelli portati dalla postulazione dei padri rosminiani, si è scelto di dare maggiore impulso a quello della guarigione della suora sopracitata, poiché il medico che la curò si convertì in seguito all'accaduto.  Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, a margine del Convegno sulla sfida educativa tenuto a Milano, ha tenuto un intervento intitolato "Istanze educative e questione antropologica" in cui riconosce le sue istanze pedagogiche. A. Bagnasco ha presieduto a Stresa la celebrazione eucaristica per il suo Dies Natalis. Nel corso dell'Angelus domenicale e ricordato per la sola carità intellettuale e perché testimonia la virtù della carità in tutte le sue dimensioni e ad alto livello. Avversario del sensismo e dell'illuminismo e mentore e maestro intellettuale di quattro pontefici eletti consecutivamente: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I e II.  Nulla osta della Congregazione per la dottrina della fede che consente l'inizio della causa di beatificazione. Apertura del processo informativo diocesano dopo la nomina dei censori teologi e delle commissioni storiche in Novara. C. Papa diventa postulatore della causa succedendo a R. Belti, storico dell'Istituto e già Direttore del Centro di Studi Rosminiani di Stresa. Chiusura del Processo informativo Diocesano. 2Consegna del Trasunto alla Congregazione per le cause dei Santi. Apertura del Trasunto. Decreto di Validità del processo diocesano. Schema per la stesura della Positio. Consegna del lavoro sul Post obitum curato dal Postulatore. Il Relatore generale approva il lavoro sul Post obitum e il lumen oculorum tuorum Consegna del lavoro sul Post obitum alla Congregazione per la Dottrina della Fede.Il giorno dell'anniversario della morte di Rosmini viene pubblicata sull'Osservatore Romano la Nota della Congregazione per la dottrina della fede sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del Rev.do sacerdote Antonio Rosmini Serbati, a firma del cardinal Joseph Ratzinger e di mons. Tarcisio Bertone.  Rilascio del Nihil obstare per la Causa di Beatificazione.  Il Relatore approva e firma la Positio.  Conclusione della stampa e consegna alla Congregazione per le cause dei santi della Positio. Consegna del Trasunto super miro alla Congregazione per le cause dei santi. Validità dell'inquisizione diocesana sul processo super miro. Presentazione fattispecie super miro. Revisa della fattispecie con firma del sotto-segretario. Relatio et vota del Congresso Storico (con esito positivo). Relatio et vota del Congresso teologico super virtutibus (con esito positivo). Ordinaria della Congregazione per le cause dei santi: esito affermativo. Ponente della Causa  R. Fisichella.  Benedetto XVI autorizza la Congregazione per le Cause dei Santi a promulgare il decreto di esercizio eroico delle virtù. La Consulta medica della Congregazione per le Cause dai Santi, si esprime con esito affermativo (all'unanimità 5 su 5) circa l'inspiegabilità scientifica dell'evento di guarigione avvenuto a Sr. Ludovica Noè. Il presunto evento miracoloso è avvenuto. Al termine del dibattito, i Consultori si sono unanimemente espressi con voto affermativo (7 su 7), ravvisando nella guarigione in esame un miracolo operato da Dio per intercessione Benedetto XVI autorizza la pubblicazione da parte della Congregazione per le Cause dei Santi del riconoscimento della virtù eroica di Rosmini. A Novara si celebra la beatificazione dando lettura del decreto di Benedetto XVI che l’iscrive tra i beati. La beatificazione è avvenuta a Novara: appositamente è stato fatto allestire il Palasport della città, unico luogo capace di raccogliere un numero di fedeli così significativo.  Con il pontificato di Benedetto XVI le beatificazioni vengono preferibilmente celebrate dai cardinali, per rendere ancora più piena la comunione tra loro e il successore di Pietro, e viene privilegiato il luogo in cui il candidato agli onori degli altari ha vissuto. Così, in qualità di delegato pontificio, la celebrazione è stata officiata da  J. Martins, allora prefetto della congregazione per le Cause dei Santi. A fianco dell'altare erano disposti gli spalti da cui hanno concelebrato circa 400 sacerdoti, non soltanto rosminiani.  A prendere parte alla processione e celebrare sull'altare, insieme al preposito generale James Flynn c'era il segretario generale dell'IstitutoDomenico Mariani con gli allora componenti della Curia Generalizia dell'Istituto della Carità, il Vicario per la Carità SpiritualeCrish Fuse, il Vicario per la Carità IntellettualeGiancarlo Taverna Patron, il Vicario per la Carità TemporaleDavid Tobin, l'allora preposito della Provincia Italiana don U. Muratore (profondo conoscitore di Rosmini) e il postulatore della Causa di Beatificazione, C. Papa.  Hanno partecipato alla celebrazione anche il cardinale ex prefetto della Sacra Congregazione per i vescovi G. Re, il cardinale arcivescovo di Torino S. Poletto, il vescovo di Novara, mons. R. Corti, l'arcivescovo di Trento, mons. L. Bressan, il vescovo rosminiano mons. Antonio Riboldi e fra gli altri anche G. Zaccheo (che sarebbe improvvisamente scomparso due giorni dopo), vescovo della Diocesi di Casale Monferrato, mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea (che durante la III sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II fece per primo il nome di Rosmini), l'allora segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana G. Betori, G. Lajolo, presidente del Governatorato della Città del Vaticano, l'allora rettore della Pontificia Università Lateranense, mons. Rino Fisichella, il Vicario Episcopale per la Vita Consacrata dell'arcidiocesi di Milano monsignor Ambrogio Piantanida e il preposito generale dei barnabiti, padre Giovanni Maria Villa.  Tra i numerosissimi fedeli (più di diecimila) accorsi da diverse parti del mondo per presenziare alla celebrazione, hanno preso parte anche personalità politiche.  Tra queste il senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro, l'allora presidente del Senato, Franco Marini, e Arturo Parisi, al tempo Ministro della Difesa. Rosmini è il primo beato della Provincia del Verbano Cusio Ossola.  In occasione della beatificazione sono stati moltissimi i quotidiani e periodici italiani e esteri che hanno dedicato articoli, pagine e interi numeri alla figura di Rosmini. Sono numerosissimi i suoi saggi. Certamente il più importante a livello ascetico e spirituale e le “Sei massime di perfezione”, su cui anche Giovanni XXIII fa delle riflessioni prima di morire. Gli costarono la messa all'Indice dei libri proibiti le opere "Delle cinque piaghe della santa chiesa" e "Dalla costituzione secondo la giustizia sociale". In filosofiia meritano di essere ricordato il “Saggio sull'origine delle idee”. Altri saggi: “Principii della scienza morale”; “Filosofia della morale”; “Antropologia in servigio della scienza morale”; “Filosofia della politica”; “Trattato della coscienza morale”; “Filosofia del diritto”; “Teodicea”; “Sull'unità d'Italia”; “Il comunismo e il socialismo”. Le sei massime di perfezione sono formulate per definire il fondamento spirituale sul quale ogno uomo puo avere un cammino nella perfezione. Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste (Matteo 5,48). 1. Desiderare unicamente ed infinitamente di piacere a Dio, cioè di essere giusto. 2. Orientare tutti i propri pensieri e le azioni all'incremento e alla gloria della Chiesa di Cristo.  3. Rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per disposizione di Dio riguardo alla Chiesa di Cristo, lavorando per essa secondo la chiamata di Dio.  4. Abbandonare se stesso nella provvidenza di Dio.  5. Riconoscere intimamente il proprio nulla.  6. Disporre tutte le occupazioni della propria vita con uno spirito di intelligenza. Di particolare interesse e “Le cinque piaghe della santa Chiesa". Mostra odi discostarsi dall'ortodossia dell'epoca. Per tale ragione il saggio fu messo all'Indice e ne scaturì una polemica nota col nome di "questione rosminiana". L'opera eriscoperta al Concilio Vaticano II. Il primo a parlare al Concilio di Rosmini e L. Bettazzi. Mi sia consentito ricordare Rosmini, molto legato ad Aquino. Ma anche studioso e amante del suo tempo, e che certamente guadagna a Cristo non pochi uomini. Tutto questo mi sembra si accordi con le cose che sono state già dette da non pochi padri su questo schema in generale, che cioè gl’uomini non si aspettano dalla Chiesa soluzioni particolari, ma piuttosto la presentazione di valori che li aiutino a trascorrere questa vita umana più nobilmente e con maggiore sicurezza. Parlando della libertà, esaltare i valori dell'umiltà. Parlando del matrimonio, il ruolo della Fortezza. Parlando dei problemi economici e di molti altri problemi, l'efficacia di un certo disprezzo delle cose. Occorre dunque mettere in luce la necessità dell'ubbidienza, della castità, della povertà, non solo nella vita e nell'esempio (e nella Bozza di Documento!) dei religiosi, aiuto agl’uomini di questo tempo, perché possano vivere la loro vita umana nel modo migliore e più efficace. Il primo e principale compito dunque per gl’uomoni che coltivano la sapienza dev'essere, alla luce del Magistero, l'amore delle Scritture e l'amore di questo mondo in un colloquio franco e aperto. Paolo VI dice. I suoi saggi sono pieni di pensiero, una filosofia profondo, originale che spazia in tutti i campi: quello filosofico, morale, politico, sociale, sopra-naturale, religioso, ascetic -- filosofia degna di essere conosciuta e divulgata. È stato anche un profeta. Le Cinque piaghe della Chiesa (una volta la chiesa non aveva piacere che si mettessero in luce le sue mancanze, le sue debolezze). Previde partecipazione liturgica del popolo. La sua filosofia indica uno spirito degno di essere conosciuto, imitato e forse invocato anche come protettore dal Cielo. Ve lo auguriamo di cuore. “Delle cinque piaghe della santa chiesa” è suddiviso in cinque capitoli corrispondenti ciascuna ad una piaga, paragonata alle piaghe di Cristo. In ogni capitolo la struttura è la medesima:  un quadro ottimistico della Chiesa antica segue un fatto nuovo che cambia la situazione generale (invasioni barbariche, nascita di una società cristiana, ingresso dei vescovi nella politica) la piaga i rimedi. La prima piaga e la divisione del popolo dal clero nel culto pubblico. Nell'antichità romana, il culto era un mezzo di catechesi e formazione e il popolo partecipava al culto. Poi, le invasioni barbariche, la scomparsa della lingua dei romana, la scarsa istruzione del popolo, la tendenza del clero a formare una casta hanno eretto un muro di divisione tra il popolo e i ministri di Dio. Rimedi proposti: insegnamento della lingua romana, spiegazione delle cerimonie liturgiche, uso di messalini in italiano. La seconda piaga e l’nsufficiente educazione del clero. Se un tempo i preti erano educati dai vescovi, ora ci sono i seminari con piccoli libri e piccoli maestri: dura critica alla scolastica, ma soprattutto ai catechismi. Rimedio: necessità di unire scienza e pietà. La terza piaga e la disunione tra i vescovi. Critica serrata ai vescovi dell'ancien régime: occupazioni politiche estranee al ministero sacerdotale, ambizione, servilismo verso il governo, preoccupazione di difendere ad ogni costo i beni ecclesiastici, schiavi di uomini mollemente vestiti anziché apostoli liberi di un Cristo ignudo. Rimedi: riserve sulla difesa del patrimonio ecclesiastico, accenni espliciti di consenso alle tesi dell'Avenir sulla rinunzia alle ricchezze e allo stipendio statale per riavere la libertà. La quarta piaga e la nomina dei vescovi lasciata al potere temporale. Compie un'approfondita analisi storica sull'evoluzione del problema e critica i concordati moderni con cui la S. Sede ha ceduto la nomina al potere statale (e, accenna prudentemente, per avere compensi economici). Rimedi: propone un ritorno all'elezione dei vescovi da parte dei fedeli. La quinta piaga e la servitù dei beni ecclesiastici. Sostiene la necessità di offerte libere, non imposte d'autorità con l'appoggio dello Stato, rileva i danni del sistema beneficiale, propone la rinuncia ai privilegi e la pubblicazione dei bilanci.  ARovereto gli ha dedicato il liceo che frequentò quando ancora si chiamava Imperiale e Regio Ginnasio. Borgomanero ospita l'Istituto Rosmini. Domodossola ospita il liceo delle Scienze Umane "Antonio Rosmini (istituto parificato). Roma ospita la sede dell'Istituto Comprensivo. Torino ospita la biblioteca Antonio Rosmini del polo biomedico universitario che in passato fu un istituto scolastico attivo fino alla fine del XX secolo. Trento, dove si trova il liceo "A. Rosmini". M. Farina,  I. Prosser  I. Prosser Marcello Bonazza, L'Accademia Roveretana degli Agiati, su agiati, Accademia Roveretana degli Agiati, «Don Francesco Paoli  artefice della rinascita dell'Accademia e suo president. Ragionamento sul comunismo e socialismo, G. Grondona, Genova, Questa tesi fu messa in discussione da G. Abbà a cui Rosmini controbatté nel Diario filosofico di Adolfo, Riv. rosminiana, Pagani Rossi. Nota sul valore dei Decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere).  Angelus: Rosmini, esempio per la Chiesa, su agensir, Biografia di Antonio Rosmini, su vatican.va.  Istituto Antonio Rosmini, su rosmini-borgomanero. Liceo delle Scienze Umane su cercalatuascuola.istruzione. Istituto Comprensivo Antonio Rosmini, su ic-rosmini.edu. Biblioteca Rosmini, su biomedico.campusnet.unito.  su vivoscuola. M. Farina, Gl’Agiati, Brescia, Morcelliana Edizioni,  Italo Prosser, El pra' de le Móneghe: cronistoria del monastero di Santa Croce nell'antico comune di Lizzana, Rovereto (Trento), Stella, 2Approfondimenti Michele Federico Sciacca, La filosofia morale di Antonio Rosmini, Torino, Fratelli Bocca, Giovanni Pusineri, Rosmini (Edizione riveduta e aggiornata da Remo Bessero Belti), Stresa, Edizioni Rosminiane Sodalitas, Michele Dossi, Profilo filosofico di Antonio Rosmini, Brescia, Morcelliana, Alfeo Valle, Antonio Rosmini. Il carisma del fondatore, Rovereto, Longo Editore, Paolo Marangon, Il Risorgimento della Chiesa. Genesi e ricezione delle "Cinque piaghe" di A. Rosmini, collana Italia Sacra, Roma, Casa Editrice Herder, Antonio Rosmini, Frammenti di una storia della empietà, a c. di Alfredo Cattabiani con una nota filologica di M. Albertazzi, Trento, La Finestra, Fulvio De Giorgi, Rosmini e il suo tempo. L'educazione dell'uomo moderno tra riforma della filosofia e rinnovamento della Chiesa Brescia, Morcelliana, Michele Dossi, Il Santo Probito, La vita e il pensiero di Antonio Rosmini, Trento, Il Margine, Paolo Gomarasca, La forma morale dell'essere. La poiesi del bene come destino della metafisica, Milano, Angeli, F.Paoli, Antonio Rosmini, Virtù quotidiane, Verona, Edizioni Fede & Cultura, Maurizio De Paoli,  Maestro e profeta, Milano, Edizioni San Paolo, Piero Sapienza, Eclissi Dell'educazione? La sfida educativa nel pensiero di Rosmini, Roma, Libreria Editrice Vaticana, Giuseppe Goisis, Il pensiero politico di Antonio Rosmini e altri saggi fra critica ed Evangelo, S. Pietro in Cariano, Gabrielli, Comunità di San Leolino, Una profezia per la Chiesa. Verso il Vaticano II, Panzano in Chianti, Edizioni Feeria-Comunità di San Leolino Umberto Muratore, Rosmini per il Risorgimento. Tra unità e federalismo, Stresa, Edizioni Rosmininane Sodalitas,. C.Bergamaschi, Antonio Rosmini. La perfezione della vita cristiana, Stresa, Rosminiane Sodalitas,. Luciano Malusa, Antonio Rosmini per l'unità d'Italia. Tra aspirazione nazionale e fede cristiana, Milano, FrancoAngeli,. Domenico Fisichella, Il caso Rosmini. Cattolicesimo, nazione, federalismo, Roma, Carocci); U. Muratore, Apologia della fedeltà. In difesa dei valori etici e spirituali, Stresa, Rosminiane Sodalitas,. Luciano Malusa, Stefania Zanardi, Le lettere di Antonio Rosmini-Serbati, un "cantiere" per lo studioso. Introduzione all'epistolario rosminiano, Venezia, Marsilio Editore,. Stefania Zanardi, La filosofia di Antonio Rosmini di fronte alla Congregazione dell'Indice Milano, FrancoAngeli. Treccani Dizionario di storia, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Crusca, Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati. Antonio Rosmini. Rosmini. Serbati. Keywords: gl’agiati. Refs.: Luigi Speranza, “Rosmini e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51658456610/in/photolist-2mPqEYR-2mPvmTf-2mGRYwQ-2mGT6p1

 

Grice e Serra – filosofia italiana – economia filosofica – storia della economia romana – massoneria -- Luigi Speranza (Dipignano). Filosofo mercantilista. Considerato il primo filosofo dell’economia politica in Italia, e uno dei primi in Europa. A lui va il merito di avere composto per primo un trattato scientifico, seppure non sistematico, sui principi e sulla politica economica. Poco si conosce della sua vita: laureato probabilmente in utroque, imprigionato nelle carceri della Vicarìa di Napoli forse a causa della sua partecipazione al complotto architettato da Campanella per liberare la Calabria ma più probabilmente dietro accusa di falso monetario.  Mentre e in carcere compose “Breve trattato delle cause che possono far abbondare li regni d'oro e d'argento dove non sono miniere” e lo dedica al vice-ré di cui spera l'aiuto. Riusce a farsi ricevere dal nuovo viceré, III duca d’Osuna, per proporgli un programma di riforme utili al Regno. L’incontro fu infruttuoso e e ri-mandato nelle carceri della Vicarìa, dove probabilmente muore. Essendo molto gravi le condizioni finanziarie del Regno di Napoli -- esausto il tesoro pubblico e l'onere del fisco già così gravoso da indurre molti a lasciare la città per sottrarvisi -- M. Santis propone di limitare l'esportazione della moneta e di abbassare i tassi di cambio con le piazze estere. La polemica con Santis è alla base della proposta di Serra. Dimostra con esempi tratti dalla antica storia romana  l'inutilità e anzi il danno di questi presunti rimedi. Da ciò trae occasione per spiegare la vera causa della prosperità della nazione italiana. Analizza la causa della scarsità di moneta nel Regno di Napoli e il fattore che puo invertire questa tendenza economica. Il primo ad analizzare e comprendere appieno il concetto di bilancia commerciale incluso il bene di servizio e il bene del movimento di capitale. Spiega come la scarsità di moneta nel Regno di Napoli e causata dal deficit della bilancia dei pagamenti. Utilizzando le sue scoperte e in grado di respingere l'idea per cui la scarsità di denaro e dovuta al tasso di cambio. La soluzione prospettata al problema e indicata nella promozione attiva delle esportazioni. Serra segna il distacco dalla concezione moralistiche scolastica per passare ad una spiegazione laica ed è assolutamente innovativa per l'epoca tanto che Croce la define lampada di vita. E F. Galiani a scoprirlo, tessendone un elogio in una nota del suo celebre trattato Della Moneta. Chiunque legge questo trattato, scrive, resta sicuramente sorpreso ed ammirato in vedere quanto in un secolo di totale ignoranza dell’economia filosofica ha Serra chiare e giuste le idee della materia di cui scrisse e quanto sanamente giudicasse delle cause de nostri mali e de soli rimedi efficaci. Galiani paragona Serra a Melon e a Locke, considerandolo superiore per avere vissuto molti anni prima in un'epoca di ignoranza dell’economia filosofica.  Egli, che in vita era stato del tutto trascurato e per secoli, tranne appunto quell'elogio di Galiani, completamente dimenticato, dopo molto tempo è stato finalmente riscoperto. L. Addante, Cosenza e i cosentini: un volo lungo tre millenni, Rubbettino, F. Martelloni, Regno di Napoli e Terra d'Otranto, Aspetti economici e sociali di una crisi, in C. Perrotta, La scienza è una curiosità. Scritti in onore di U. Cerroni, Manni, R. Benini, B. Croce, Storia del Regno di Napoli, Laterza. Avendo ottenuto di parlare al vice-ré duca d’Ossuna per comunicargli cose utili allo stato, e udito, presenti i consiglieri, ma, giudicandosi che avesse detto ciarle e chiacchiere senz'altro concludere, e ri-mandato al suo carcere. O. Parise, Vita e pensiero del primo economista moderno, Ecra,  Destefanis, Illuministi Italiani, F. Galiani, Milano-Napoli, F. Galiani, Della moneta, Napoli, F. Salfi, Elogio, primo filosofo di economia civile, in L. Addante, Patriottismo e libertà. L'Elogio di F. Salfi, Cosenza, P. Custodi. Scrittori classici italiani di economia politica, Milano, G. Pecchio, Storia della economia pubblica in Italia, Lugano, Narrazioni tratte dai giornali del governo di P. Girone duca d'Ossuna vice-ré di Napoli scritti da F. Zazzera, Archivio storico italiano, G. Savarese, Trattato di economia politica, Napoli, F. Ferrara, Prefazione, in Trattati italiani, Torino, L. Bianchini, Della scienza del ben vivere sociale e della economia pubblica e degli Stati, Napoli, D. Andreotti, Storia dei cosentini,  Napoli, L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, Cosenza; T. Fornari, Studii (Pavia); L. Amabile, T.  Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia” (Napoli); A. Marco, Teorie economiche, Memorie del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, classe di lettere e scienze storiche e morali, R. Benini, Sulle dottrine economiche, Appunti critici, in Giornale degli economisti,  Economisti, A. Graziani, Bari, G. Arias, Il pensiero economico di Antonio Serra, in Politica, B. Croce, “Storia del Regno di Napoli” (Bari); Economisti napoletani, G. Tagliacozzo, Bologna, L. Einaudi, Saggi bibliografici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma, J. Schumpeter, Storia dell'analisi economica, Torino, L.  Rosa, I critici, Atti del Congresso storico calabrese, Napoli, G. Galasso, Economia e società nella Calabria” (Guida); O. Nuccio, Rivista storica del Mezzogiorno, R. Colapietra, Introduzione, in Problemi monetari negli economisti filosofici napoletani, R. Colapietra, Roma A. Aquino, L’approccio monetario all'analisi della bilancia dei pagamenti, in Studi economici,  R.  Colapietra, Genovesi in Calabria, Rivista storica calabrese, Manoscritti napoletani di P. Doria, GGalatina,  T. Toscano, La disputa sui cambi esteri del Regno di Napoli, Rivista di politica economica, C.  Rije, ed. anast., Napoli, S. Ricossa, Cento trame di classici dell’economia, Milano, O. Nuccio, Il pensiero economico italiano, Sassari, Il Mezzogiorno agli inizi del Seicento, L. De Rosa, Roma-Bari, Alle origini del pensiero economico in Italia, I, Moneta e sviluppo negli economisti napoletani, A. Roncaglia, Bologna, E. Zagari, Moneta e sviluppo, A. Rosselli, La teoria dei cambi,  A. Landolfi, D. Luciano, V. Valentia, A. Placanica, Storia della Calabria (Roma); A. Roncaglia, Rivista italiana degli economisti, L. Addante, Repubblicanesimo e mito di Venezia, Istituzioni e sviluppo economico, A. Roncaglia, La ricchezza delle idee: storia del pensiero economico, Roma-Bari, E. Grilli, Visto da Grilli, Roma, R. Villari, Politica barocca. Inquietudini, mutamento e prudenza, Roma); A. Roncaglia, Serra, in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Economia, Roma,  R. Villari, Un sogno di libertà. Napoli nel declino di un impero, Milano; O. Parise, Vita e pensiero del primo economista moderno, Roma; L. Addante, La politica del Breve trattato (Soveria Mannelli). Mercantilismo Storia del pensiero economico. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Economia. Antonio Serra. Serra. Keywords: massoneria, circolazione degl’idee massoniche, mito di Venezia, economia romana, Machiaveli, mercantilismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Serra” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732951347/in/datetaken/

 

Grice e Settala – i problemi sessuali d’Aristotele: desiderio e piacere -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo. Profisico. Figlio di Francesco e Giulia. Studia a Brera e Pavia. Insegna a Milano. Si prodigò in occasione della famosa peste dei I promessi sposi. Manzoni lo nomina una prima volta  quando parla del figlio, Senatore Settala, medico, membro, insieme a A. Tadino del tribunale della sanità ai tempi della vicenda di Renzo e Lucia; e tra i primi ad accorgersi che la strana malattia che si diffonde nella zona lecchese, e la peste. Saggi: “In librum Hippocratis Coi de aeribus, aquis, [et] locis, commentarii V. Appositus est Graecus Hippocratis contextus ope antiquorum exemplarium, restitutus et emendatus cum indice rerum et verborum locupletissimo una cum nova eiusdem in Latinum versione” (Colonia: Ciotti); “Problemata di Aristotele” (“Commentariorum in Aristotelis problemata” -- septem primas sectiones – secundam heptadem -- continens, ab eodem Latine facta”) (Francoforte sul Meno: Wecheli, Marnio, Aubri);  “Animaduersionum et cautionum medicarum libri septem quorum materiam sequens pagina indicabit” (Milano, Bidell); “De peste et pestiferis affectibus libri quinque (Milano, Bidell); “De ratione instituendae et gubernandae familiae libri quinque” (Milano, Bidell); “Della ragion di stato” (Milano: Bidelli); “Cura locale de' tumori pestilentiali, che sono il bubone, l'antrace, o carboncolo, ed i furoncoli contenente tutto quello che si ha da fare esteriormente nellquesti mali tolta dal libro della cura della peste” (Milano, Bidelli); “Preseruatione dalla peste” (Brescia: Fontana); “Anti-rotario romano con l'aggionta dell'elettione de semplice e prattica delle compositioni e di due trattati, vno della teriaca romana, l'altro della teriaca egittia aggiontoui in questa vltima impressione auertenze e osseruationi appartenenti alla compositione de medicamenti” (Milano: Bidelli); “Auertenze, et osseruationi appartenenti al curar le ferrite” (Milano: Cardi); “Compendio per curare ogni sorte de tumori esterni et cutanee turpitudini, raccolto da osseruationi fisice, & chirurgice” (Milano: Monza); Statistica medica di Milano Milano, Guglielmini e Redaelli, Belloni, C. Borromeo e la Storia della Medicina, in San Carlo e il suo tempo: convegno, Milano). Edizioni di Storia e Letteratura,  Bartolomeo Corte, Notizie istoriche intorno a medici scrittori milanesi, Milano,  Filippo Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium seu acta, et elogia virorum omnigena eruditione illustrium, qui in metropoli Insubriae, oppidisque circumjacentibus orti sunt, Mediolani, Paolo Sangiorgio, Cenni storici sulle due Pavia e di Milano e notizie intorno ai più celebri medici, chirurghi e speziali di Milano dal ritorno delle scienze sino all’anno. Opera postuma, F. Longhena, Milano, Salvatore De Renzi, Storia della medicina italiana, Napoli, E. Ferrario, Intorno alla vita ed alle opere mediche Cenni, Milano, P.  Capparoni, Profili biobibliografici di medici e naturalisti celebri italiani, Roma, Cava, La peste di S. Carlo. Note storico mediche sulla peste, Milano, Ricerche Firenze Ferro, La peste nella cultura lombarda, Milano, G. Cosmacini, Il medico e il cardinale, Milano. G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, Firenze,  Molini,  L. Facchin, Ludovico Settala: un intellettuale barocco fra scienza e arte Treccani Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Mellerio, Ludovico Settala, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, openMLOL, Horizons Unlimited srl. Patricio Milanese. Ludovicus Septalius. Ludovico Settala. Settala. Keywords: ragion di stato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Settala” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690979997/in/photolist-2mKKMt4

 

Grice e Severino – oltre il linguaggio, oltre l’aporia di Parmenide – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Intende collocarsi oltre ogni filosofia permeata dal nichilismo. Figlio di un militare originario di Mineo e una bresciana di Bovegno in alta Val Trompia, si laurea a Pavia  come alunno dell'Almo Collegio Borromeo, discutendo una tesi su metafisica, sotto la supervisione di Bontadini. Insegna a Milano e Venezia, uno dei Lincei. Critica sia il capitalismo sia il comunismo, fonti della vita inautentica in quanto espressioni di dominio della tecnica, come d'altronde il fascismo, ma anche la sinistra in quanto non è più social-democrazia, rilasciando anche dichiarazioni sul suo punto di vista sul passato e sull'avvenire dell'Italia. Le spiegazioni della crisi del nostro tempo rimangono molto in superficie anche quando vogliono andare in profondità. Il fenomeno di fondo, che non viene adeguatamente affrontato, è l'abbandono, nel mondo, dei valori della tradizione occidentale; e questo mentre le forme della modernità dell'Occidente si sono affermate dovunque. Un abbandono che si porta via ogni forma di assolutoe innanzitutto Dio. Muore, dicevo, ogni forma di assolutezza e di assolutismo, dunque anche quella forma di assoluto che è lo stato, che detiene il monopolio legittimo della violenza. Questo grande turbine che si porta via tutte le forme della tradizione è guidato dalla tecnica ed è irresistibile nella misura in cui ascolta la voce che proviene dal sottosuolo del pensiero filosofico del nostro tempo. Il turbine travolge anche le strutture statuali. Investe innanzitutto le forme più deboli di stato. La trasformazione epocale di cui parlo non è indolore: il vecchio ordine non intende morire, ma è sempre più incapace di funzionare, soprattutto in Paesi come l'Italia. E il nuovo ordine non ha ancora preso le redini. È la fase più pericolosa (non solo per l'Italia). Criticando "l'assolutismo religioso e comunista", oltre che tacciando la magistratura di "ingenuità", poiché processando una classe politica a fondo ha rivelato la contiguità anche con la criminalità organizzata, figlia della guerra fredda e, secondo  Severino, impossibile da debellare integralmente in pochi anni senza debellare lo Stato stesso, causando notevoli problemi.  «L'Italia è uno Stato acerbo. Ha 150 anni su per giù. Ma soprattutto ha alle proprie spalle una storia di frazionamento politico-economico-sociale, dove si sono imposte forze che hanno avuto nel mondo un peso ben maggiore di quello dell'Italia unita.. Sull'evasione fiscale: Una tara storica, come prima le dicevo. L'evasione fiscale è un furto ai danni di tutti. Se c'è da costruire una strada io devo metterci anche la parte degli evasori. Certo, molti artigiani e piccoli imprenditori, se non evadessero, fallirebbero. Tutti sanno queste cose. Però conosco anche tanti cattolici ai quali molti uomini di Chiesa facevano capire che se non avessero ritenuto "giusto" pagare le tasse dello Stato, avrebbero fatto bene a non pagarle. Questo Papa, da buon pastore, sta cercando di cambiare le cose. Ma non vorrei che si perdesse di vista che la "corruzione" di fondo è l'"evasione" del mondo dal passato dell'Occidente. Oltre alle citate critiche, Heidegger parlando con Fabro a Roma ebbe a dire a proposito di "Ritornare a Parmenide" di Severino: Ha immobilizzato il mio Dasein. Già da molto prima prima, alcuni appunti di lavoro heideggeriani testimoniano come Heidegger seguisse  Severino (da uno studio di Alfieri e Herrmann). --  è stato criticato do Odifreddi, in risposta a un giudizio critico su un'opera di Odifreddi, ovvero l'introduzione scritta all’ABC della relatività di Russell, dove venivano citati alcuni filosofi (tra cui Severino e Croce) in maniera non congrua e "alla rinfusal Odifreddi l’ accusa invece di non considerare l'importanza della scienza (come già fecero i neoidealisti, come Croce e Gentile), a differenza di filosofi che studiano a fondo alcune teorie. Nel dialogo con A. Chiara, Oltre l'uomo e oltre Dio, la filosofia della necessità si contrappone alla filosofia della libertà. Fa spesso riferimento a pensatori come Velia, Leopardi,  e Gentile. Leopardi e Gentile sono all'apice della follia del nichilismo. Considera Leopardi e Gentile come i due più grandi geni che hanno portato all'estremo la concezione del mulla ovvero l'entrare e l'uscire degli enti dal nulla.  Affronta il problema dell'essere. Tutte le filosofie costituitesi precedentemente sono caratterizzate da un errore di fondo: la  fede del divenire. Sin dagli antichi, infatti, un ente (ovvero un qualcosa che è) e considerato come proveniente dal nulla, dotato di esistenza e successivamente ritornante nel nulla.  Rifacendosi a Velia,  è stato definito come un neo-veliano, di cui sarebbe l'unico esponente, peraltro criticato in senso anti-metafisico da G. Sasso e M. Visentin, i quali sostengono, rovesciando la sua tesi, come, contrariamente all'opinione diffusa, in Velia esista invece un deciso rifiuto della metafisica.. Riflettendo sull'opposizione assoluta tra essere e non-essere, dato che tra i due termini non vi è nulla in comune, ritiene evidente che l'essere non può non rimanere costantemente uguale a se stesso, evitando di rimanere alterato dall'altro da sé. Anzi, essendo l'essere la totalità di ciò che esiste, non può esserci altro al di fuori di esso dotato di esistenza (Severino rifiuta, quindi, il concetto di differenza ontologica così come è stato avanzato da Heidegger). Per Severino, quindi, tutta  la storia della filosofia occidentale è basata sull'errata convinzione che l'essere possa diventare un nulla, sebbene alcuni filosofi tentano di negare tale assunto.  Ma, mentre Velia tenta di risolvere il conflitto tra il divenire e l'immutabilità dell'essere affermando l'illusorietà del divenire (negando l'esistenza delle cose del mondo e cadendo quindi in un'aporia), sceglie una via differente, portandolo a delle tesi estreme.  Dato che l'essere è, e non può mai diventare un nulla, ogni essente è eterno. Ogni cosa, ogni pensiero, ogni attimo e eterno. Il di-venire non può, quindi, che rappresentare l'apparire degli eterni stati dell'essere, così come i fotogrammi di una pellicola si susseguono sino a formare lo svolgimento completo di un film. Gl’essenti entrano ed escono del cerchio dell'apparire. Quando un essente esce dal cerchio dell'apparire, non diviene un nulla, ma si sottrae semplicemente all’inter-soggetivo. Dunque, l’essente esiste anche quando scompaie ovvero non si perceive. Vedere senza vedere, dice Sperduto in una tragicommedia. Afferma che il di-venire dell’essente è come lo scorrere dell’essente sulla superficie di uno specchio. L’essente, infatti, esiste  prima di entrare nel campo inter-soggetivo dello specchio e ovviamente continua ad esistere anche dopo esserne uscite. Il di-venire e l’ immagine inter-soggetiva dell’essere. Questo si estende anche a ogni essente che nel divenire si manifesta.  La dimostrazione dell'eternità di tutti gli essenti, si basa sostanzialmente sul principio di non contraddizione, ma non nella versione che ne dà Aristotele nel De Interpretatione. In essa anzi il discorso del tramonto del senso dell'essere trova la sua formulazione più rigorosa e più esplicita. Bisogna invece ritornare a Velia correggerne l'esito aporetico, dimostrando che l'evidenza fenomenica non è in contrasto col principio di non contraddizione, ma scoprendo anche che il divenire così come uscire dal nulla e ritornare nel nulla, non appare affatto, non è affatto evidente. Di qui si potrà proseguire su una via -- quella indicata da Velia, il sentiero del giorno. Consideriamo la proposizione di Velia -- è infatti l'essere, il nulla non è. Tale proposizione esprime l'opposizione assoluta tra i "essente" e "non essente". Pertanto ogni essente, in quanto ent-e, è assolutamente opposto al nulla e non ci può essere uno stato in cui un ente non sia, come pensa invece il principio di non contraddizione aristotelico -- è necessario che l'essente sia, quando è, e che il non-essente non sia, quando non è". Quest'enunciato esprime il pensiero di una condizione, in cui l'essente è nulla, in cui essere=nulla. Questa impossibile ed impensabile contraddizione costituisce una follia essenziale. Infatti il pensiero occidentale pensa sì, consapevolmente, l'essente come essere, ma insieme come di-veniente, cioè che esca dal nulla e ritorni nel nulla. Ad esso sfugge invece che ciò equivale a pensare l'ente come nulla; e questo è il nichilismo più proprio, la follia che si annida nell'inconscio della filosofia. L’essere non è un ente tra gli enti. Esso rappresenta piuttosto l'apparire ontologico degli enti, e per questo motivo viene definito un transcendens rispetto all'ente. Rigetta questa concezione. Afferma che la totalità dell'essere è costituita dalla totalità degli enti. La vera differenza ontologica è quindi quella che si costituisce tra l'essere (l'ente) diveniente e quello immutabile.  L'essere che appare e scompare non è lo stesso essere immutabile, ma è anch'esso eterno. Entrambi esistono, ma in differenti dimensioni. L'essere come fondamento è una struttura eterna e non soggetta ad alcun mutamento.  Tutto è avvolto (fino alla morte) dal nichilismo Un po' tutti i filosofi che l'hanno avuto sottomano hanno inteso il nichilismo come allontanamento dalla verità, e l'hanno dunque declinato a seconda dell'idea di verità a cui stavano pensando. Nella prospettiva severiniana dell'eternità di tutte le cose, il nichilismo è dunque il credere che le cose siano mortali, ovvero che l'essere possa non essere,ed uscire e rientrare nel nulla, ovvero credere nel di-venire delle cose. Credere infatti che le cose escano dal nulla e vi ritornino equivale ad identificare l'essere con il nulla: quindi si parla di pura "follia". Al di fuori della follia appare l'eternità di ogni cosa e di ogni evento. Al di fuori del nichilismo il sopraggiungere dell'ente è il comparire o lo sparire dell'eterno. Il divenire dell'essere è un'opinione senza verità. L'Occidente non domina il mondo casualmente o perché ha una possibilità offensiva superiore; ma, al contrario, ha una possibilità offensiva superiore perché domina il mondo che crede nelle sue stesse imprescindibili idee guida (scienza, potenza, tecnica, salvezza, ecc.) e quindi in una cultura che ritiene più avanzatae dove dunque l'avanzamento non è una virtù morale, ma la capacità di capire e fare più cose per sopravvivere all'imprevedibilità dell'esistenza. Ritiene che la filosofia abbia sempre cercato riparo contro il terrore che scaturisce dall'imprevedibilità dell'esistenza perché innanzitutto si è sempre creduto nell'evidenza del divenire degli enti, del loro uscire dal nulla e rientrarvi. Anche le grandi forme di epistème che tendono a dare un ordine ed una configurazione prestabiliti all'esistenza, si muovono sullo stesso terreno.  L'intera storia dell'Occidente è quindi storia del nichilismo. La radicale distruzione dell'epistème operata da parte della filosofia e la rapida ascesa della scienz ai vertici del sapere sono conseguenze inevitabili di questa forma di pensiero (la civiltà della tecnica è, infatti, la forma estrema di volontà di potenza). Tutto ciò che appare appare in maniera necessaria ed il progressivo manifestarsi degli eterni non segue, quindi, una sequenza casuale. Ciò significa che la libertà dell'uomo non esiste, ma appare all'interno di quell'essente (anch'esso eterno) che è il nichilismo. Ed è proprio all'interno dell'Occidente che appare il "mortale" come noi lo conosciamo.  Ma l'Occidente è destinato al tramonto, per fare spazio al destino della verità, la verità che testimonia la follia della fede nel divenire. Solo all'interno del destino della verità la morte acquista un significato inaudito: in realtà la morte è la persuasione dell'assentarsi dell'eterno.  Da quanto detto precedentemente appare chiaro come non ci sia posto per il Dio comunemente inteso. Nel corso della storia della filosofia,  l'affermazione dell'esistenza di qualcosa di immutabile (tra cui Dio in tutti i diversi modi nei quali filosofia e religione lo hanno concepito) è sempre stata fatta partendo dal presupposto che il di-venire non significhi necessariamente la nascita dal nulla e il tornare nel nulla delle cose che in esso si presentano. Quest'affermazione è, inoltre, sempre avvenuta con l'intento di risolvere le varie contraddizioni che quel presupposto implica e di inventare un rimedio per l'angoscia che il pensiero dell'annientamento provoca. Questo genere di immutabilità è, quindi, di segno diverso da quella che compete agli enti sulla base dell'impossibilità assoluta che qualcosa si annulli. Per questo motivo è impossibile che esista un Dio. A maggior ragione è impossibile che esista un dio dotato della capacità di creare gli enti dal nulla e di mantenerli in esistenza grazie alla sua libera volontà (altrettanto libero potrebbe essere, per Dio, l'annichilimento"diverso dal concetto fisico di annichilazione -, e cioè la volontà di far cessare la durata della loro esistenza per farli ritornare nel nulla).  Essendo ogni ente eterno, non può esserci né creazione né annientamento, e quindi neanche un Dio comunemente inteso. Alla luce del destino della verità, ogni ente, anche il più insignificante, acquista un significato inaudito. L'uomo si porta quindi radicalmente al di là del super-uomo e della volontà di potenza. L’uomo è un super-dio, ben più grande del Dio della tradizione religiosa. L'inconciliabilità fra la dottrina dell'Essere e il Tomismo è stata sostenuta da C. Fabro. Barzaghi, con cui ha più volte dialogato pubblicamente, ha mostrato la possibilità di utilizzare le intuizioni  sull'eternità dell'essente proprio per affermare l'esistenza di Dio e ricondurre il pensiero del filosofo all'alveo cristiano da cui si è staccato (entrambi sono stati alunni, all'Università Cattolica, del filosofo cattolico e apologeta G. Bontadini). Pur non rivedendo pubblicamente il suo punto di vista sull'esistenza di Dio, apprezza ed elogia la proposta di Barzaghi.  Con “La Gloria” giunge, tra le altre cose, alla dimostrazione necessaria dell'esistenza degli "altri". Quando Cartesio infatti scopre che la carta vincente della scienza è la conferma delle ipotesi da parte dell'esperienza, e cioè da parte della presenza certa a me da parte delle cose, si apre il problema della fondazione dell'esistenza appunto di altre dimensioni che come la mia accolgono l'accadere del mondo, ma che a differenza della mia non sono apparenti, non sono cioè da me visibili. I fallimenti dei tentativi di soluzione a tale problema (eminentemente proposti ad opera della fenomenologia, sì che questo problema fu certamente uno dei più cogenti all'interno del discorso filosofico di Husserl), a cominciare da quello di Cartesio, si determineranno essenzialmente per l'assenza del senso autentico dell'essente e del senso dell'oltrepassamento. L'oltrepassamento dell'attualità nella costellazione infinita di cerchi finiti dell'apparire del destino è necessità dell'esistenza di un altro apparire finito, diverso da quello attuale.  Nella Gloria, perviene alla fondazione del senso autentico dell'oltrepassamento, dopo aver stabilito nelle opere precedenti che il divenire autentico (cioè non nichilistico) non è il crearsi e l'annullarsi dell'essente, ma il comparire e lo sparire di ciò che è eterno. Ma è in questa sede innanzitutto fondamentale precisare, a partire da considerazioni svolte dallo stesso Severino in Destino della Necessità (che le cose della "terra" (termine con il quale Severino designa la dimensione degli essenti che via via appaionoe che, per contro, il nichilismo pensa come fuoriuscenti dal nulla ed al nulla ritornanti) "incominciano" ad apparire (il loro apparire esce cioè dall'ombra del non-apparire ed entra nel cerchio dell'apparire). Con "cerchio dell'apparire" si intende, qui, la totalità degli enti che appaiono: è, cioè, l'apparire in quanto ha come contenuto tutto ciò che appare (ossia è l'apparire "trascendentale"); l'apparire delle cose della terra, quell'apparire incominciante di cui sopra, è, perciò, la relazione tra il cerchio dell'apparire (l'apparire trascendentale) e una parte del suo contenuto.  È altrettanto fondamentale precisare che l'incominciare della terra (a sua volta eterna), non aggiunge alcunché al tutto eterno che è, con Velia, appunto, “non incompiuto” (ouk atelePombaon), “non manchevole” (oulon achineton). Anche l'incominciante apparire, difatti, è eterno: il suo incominciare è il suo entrare nel cerchio dell'apparire. Entrandovi, naturalmente, apparema questo apparire dell'entrare è lo stesso entrare, ossia è quello stesso di cui si dice che, eterno, entra nel cerchio dell'apparire. E, così come ogni ente, anche l'appartenenza della terra al cerchio dell'apparire è eterna. L'eterna appartenenza al cerchio dell'apparire entra nel cerchio eterno dell'apparire. Entrandovi, appare, e quest'ultimo apparire è lo stesso apparire incominciante in cui consiste l'incominciante appartenenza della terra al cerchio dell'apparire. L'apparire incominciante è cioè apparire di sé stesso (e di tutte le altre cose che incominciano ad apparire), ed è questa autoriflessione dell'apparire incominciante ciò che entra nel cerchio dell'apparire e incomincia a far parte del contenuto di questo cerchio.  Ma ogni essente che incomincia ad apparire (ogni oltrepassante) è destinato ad essere oltrepassato: diventerebbe, altrimenti, condizione indispensabile dell'apparire degli essenti e quindi originarietà che sarebbe dovuta apparire già da sempre. Un oltrepassante che sia non oltrepassabile è impossibile, perché altrimenti esso dovrebbe iniziare ad appartenere allo sfondo (e  intende, con questo termine, quel complesso di significati, o costanti persintattiche costanti sintattiche di ogni significato –, senza i quali non apparirebbe nulla, motivo per cui non possono non essere sempre presenti. Tra questi ad esempio vi sono i significati esseree e nulla. Inoltre, la serie progressiva degli essenti che via via appaiono è necessariamente finita; infatti, se in direzione del passato fosse estensibile all'infinito, ci vorrebbe un percorso infinito, e quindi mai concluso, per giungere al momento attuale. C'è quindi un primo passo compiuto dalla terra.  La totalità attuale di ciò che è destinato ad apparire è, per quanto sopra esposto, necessariamente oltrepassata. Ma in che senso?  Essa non è, difatti, oltrepassata dall'apparire infinitogiacché l'apparire infinito (l'infinito oltrepassarsi da parte delle forme proprie dell'apparire finitodove la Gloria è proprio questo infinito dispiegarsi) non è un oltrepassamento incominciante, ma è l'oltrepassamento già da sempre ed eternamente compiuto della totalità del finito. La totalità attuale dell'incominciante è, dunque, necessariamente oltrepassata da un incomincianteil quale non può apparire attualmente, ma è tuttavia necessario che appaia (in quanto l'incominciare è incominciare ad apparire), e che quindi è necessario che appaia sopraggiungendo in un cerchio diverso, altro, dal cerchio originario dell'apparire. La totalità simpliciter degli essenti-che-sono-degli-oltrepassanti (la totalità dell'oltrepassante, cioè, che include come parte la totalità attuale dell'oltrepassante) non può essere a sua volta oltrepassata, perché ciò che la oltrepasserebbe sarebbe un oltrepassante non incluso nella totalità dell'oltrepassante; e se l'oltrepassante (cioè l'incominciante) che oltrepassa la totalità degli oltrepassanti non fosse a sua volta oltrepassato, esso sarebbe quel contenuto impossibile che è, appunto (per quanto sopra esposto), l'incominciante non-oltrepassabile.  Poiché la terra oltrepassa anche l'attualità dell'apparire del cerchio originario, sopraggiungendo in un cerchio diverso, il contenuto incominciante che appare nel cerchio originario dell'apparire attuale, è oltrepassato (infinitamente) in due direzioni:  (a) In quanto contenuto incominciante, esso è oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale del cerchio originario (o, per utilizzare il suo lessico, lungo la Gloria del dispiegamento infinito della terra che si inoltra nel cerchio originario). Ma non è in quanto tale contenuto è attuale che esso viene oltrepassato lungo il dispiegamento infinito del contenuto attuale.  (b) In quanto contenuto attuale (in quanto, cioè, alla sua attualità) il contenuto incominciante è oltrepassato invece in un altro cerchioe in un'infinità di altri cerchi dell'apparire. L'oltrepassante-incominciante, qui, entra nell'apparire non attuale. Anche questa seconda direzione dell'oltrepassamento è un dispiegamento infinito nella Gloria, ma, appunto, nella gloria che consiste nell'infinito sopraggiungere, nel cerchio originario, della costellazione infinita degli altri cerchi. La gloria è l'unità di queste due dimensioni. La dimensione dell'essente, che incomincia cioè ad apparire nel cerchio originario, è necessariamente oltrepassata da un'altra dimensione dell'essente (perché l'incominciante non può incominciare ad appartenere all'essenza dello Sfondo, non incominciante e non tramontante, del cerchio originario); ma anche l'attualità dell'essente che incomincia ad apparireossia anche l'apparire (che, in quanto tale, è apparire attuale) dell'essente che incomincia ad apparireincomincia ad apparire, sì che (per lo stesso motivo) è necessariamente oltrepassata in un altro cerchio dell'apparire; e anche la sintesi tra l'attualità del cerchio originario e l'attualità in sé dell'altro cerchio incomincia ad apparire nel cerchio originario, quando in esso incomincia ad apparire ciò che ne oltrepassa l'attualità; e dunque (per lo stesso motivo) tale sintesi è oltrepassata in un terzo cerchio (e, cioè, l'attualità in sé dell'altro cerchio non è oltrepassata solo nel cerchio originario, ma necessariamente in un terzo cerchio)e così all'infinito.  In definitiva, l'oltrepassamento dell'attualità di un cerchio non avviene solo lungo la dimensione "verticale" del singolo cerchio, ma anche lungoquella "orizzontale" della costellazione di cerchi del Destino.  L'oltrepassamento hegeliano, invece, conserva "idealmente", cioè astrattamente, ciò che oltrepassa, e non realmente, determinandone la distruzione. In un contesto siffatto è fondata l'impossibilità dell'esistenza degli "altri", perché l'altro, che è il mio oltrepassante, determinerebbe il mio superamento, e mi consegnerebbe ad una dimensione puramente ideale. Infatti nel sistema hegeliano l'esistenza degli altri significa l'esistenza di soggetti empirici, sensibili, che è quindi comunque interna all'esistenza produttiva dell'unico io. Il nichilismo è un essente che incomincia ad apparire, ed è quindi destinato ad essere oltrepassato. L'essente che oltrepassa il nichilismo è l'essente che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità. Il nichilismo è, infatti, pensare e vivere le cose come nulla in quanto delle cose non appare il legame alla struttura originaria della verità, e quindi non appare l'eternità. L'essente, o la dimensione di essenti, che porta al tramonto l'isolamento del senso delle cose dalla verità è la gloria (cioè la manifestazione) della verità stessa. L'ampiezza dell'isolamento non coinvolge solo il legame tra i singoli essenti e la verità, ma anche il legame tra gli infiniti cerchi dell'apparire, il loro passato e il futuro del percorso che la terra è destinata a compiere in essi. Nella Gloria non si è Dio, perché Dio crea ed annienta le cose anche e soprattutto quando ama; e dunque appartiene al regno dell'errore perché l'amore è volontà e la volontà è voler alterare il senso proprio ed eterno, cancellarne l'identità. Dio è, quindi, infinitamente meno della più umbratile tra le cose vere. Tutto è oltre Dioe oltre ogni forma di mortalità, compresa la vita umana come credenza nel poter creare e annientare gli essenti.  Opere: “La struttura originaria” (Brescia, La Scuola; Nuova ediz. riveduta, Introduzione del Milano, Adelphi); “Fichte” (Brescia, La Scuola, poi in Fondamento della contraddizione,  Milano, Adelphi, Filosofia della prassi, Milano, Vita e Pensiero,  Milano, Adelphi, “Ritornare a Parmenide” in «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Ritornare a Parmenide. Poscritto, in «Rivista di filosofia neoscolastica», poi in Essenza del nichilismo, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Essenza del nichilismo. Saggi, Brescia, Paideia, Milano, Adelphi, Gli abitatori del tempo. Cristianesimo, marxismo, tecnica (Roma, Armando,  Téchne); “Le radici della violenza” (Milano, Rusconi, IMilano, Rizzoli); “Legge e caso, Piccola Biblioteca Milano, Adelphi,); “Destino della necessità. Κατὰ τὸ χρεών, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi); “A Cesare e a Dio” (Milano, Rizzoli, La strada, Milano, Rizzoli); “La filosofia antica, Milano, Rizzoli); “La filosofia moderna, Milano, Rizzoli, “ Il parricidio mancato,Collana Saggi. Milano, Adelphi, La filosofia contemporanea. Da Schopenhauer a Wittgenstein, Milano, Rizzoli,  Traduzione e interpretazione dell'«Orestea» di Eschilo, Milano, Rizzoli,  La tendenza fondamentale del nostro tempo, Milano, Adelphi, “Il giogo. Alle origini della ragione: Eschilo, Biblioteca Filosofica n.6, Milano, Adelphi); “Antologia filosofica dai Greci al nostro tempo, Milano, Rizzoli); “La filosofia futura, Milano, Rizzoli); “Il nulla e la poesia. Alla fine dell'età della tecnica: Leopardi, Milano, Rizzoli); “Filosofia. Lo sviluppo storico e le fonti” (Firenze, Sansoni); “Oltre il linguaggio” (Milano, Adelphi); “La guerra” (Milano, Rizzoli); “La bilancia” (Milano, Rizzoli); “Il declino del capitalismo” (Milano, Rizzoli); “Sortite -- sui rimedi e la gioia” (Milano, Rizzoli); “Metafisica” (Milano, Adelphi); “Pensieri sul Cristianesimo” (Milano, Rizzoli); “Tautótēs, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi,  La filosofia dai Greci al nostro tempo” (Milano, Rizzoli); “La follia dell'angelo” (Milano, Rizzoli); “Leopardi -- Cosa arcana e stupenda” (Milano, Rizzoli); “La tecnica” (Milano, Rizzoli); “La buona fede” (Milano, Rizzoli); “L'anello del ritorno” (Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi); “Crisi della tradizione occidentale” (Milano, Marinotti); “La legna e la cenere, ovvero, dell’esistenza” (Milano, Rizzoli); “Il mio scontro con la Chiesa” (Milano, Rizzoli); “La Gloria. ἄσσα οὐκ ἔλπονται: risoluzione di destino della necessità (Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); “Oltre l'uomo e oltre Dio” (Genova, Melangolo, Lezioni sulla politica. I Greci e la tendenza fondamentale del nostro tempo” (Milano, Marinotti); Tecnica e architettura” (Milano, Cortina); Dall'Islam a Prometeo, Milano, Rizzoli); Fondamento della contraddizione, Milano, Adelphi,. Nascere. E altri problemi della coscienza (Milano, Rizzoli,  Milano, BUR,. Sull'embrione, Milano, Rizzoli, Il muro di pietra. Sul tramonto della tradizione filosofica, Milano, Rizzoli); Ricordati di santificare le feste” (Milano, AlboVersorio); “L'identità della follia” (Milano, Rizzoli). “Oltrepassare” (Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); Etica e Scienza” (Milano, Editrice San Raffaele,  Immortalità e destino, Milano, Rizzoli, La buona fede. Sui fondamenti della morale, Milano, Rizzoli, Volontà, fede e destino, D. Grossi, Milano-Udine, Mimesis); L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica, e sulla pena di morte, Milano, AlboVersorio, La ragione, la fede, Milano, AlboVersorio,  L'identità del destino. Milano, Rizzoli, Il diverso come icona del male, Torino, Bollati Boringhieri,  Democrazia, tecnica, capitalismo, Brescia, Morcelliana,  Discussioni intorno al senso della verità, Pisa, ETS, La guerra e il mortale, L. Taddio, Milano-Udine, Mimesis. Macigni e spirito di gravità. Riflessione sullo stato attuale del mondo, Milano, Rizzoli,. L'intima mano, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi); Volontà, destino, linguaggio. Filosofia e storia dell'Occidente, U. Perone, Torino, Rosenberg e Sellier, Istituzioni di filosofia, Brescia, Morcelliana); Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,; Milano, BUR,. La bilancia. Milano, BUR, Del bello, Milano, Mimesis,,  La morte e la terra, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi,. Capitalismo senza futuro, Rizzoli, Milano,. Educare al pensiero, Brescia, La Scuola,. Pòlemos, Milano, Mimesis, Intorno al senso del nulla, Milano, Adelphi,. L'etica del capitalismo e lo spirito della tecnica. E la pena di morte, Milano, AlboVersorio, La potenza dell'errare. Sulla storia dell'Occidente, Milano, Rizzoli,. Il morire tra ragione e fede, Venezia, Marcianum, Parliamo della stessa realtà? Per un dialogo tra Oriente ed Occidente, Milano, Jaca, Sul divenire. Modena, Mucchi,. Piazza della Loggia. Una strage politica, I. Bertoletti, Brescia, Morcelliana,. In viaggio con Leopardi. La partita sul destino dell'uomo, Milano, Rizzoli,. Dike, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi,. Cervello, mente, anima, Brescia, Morcelliana, Storia, Gioia, Biblioteca Filosofica Milano, Adelphi, Il tramonto della politica. Considerazioni sul futuro del mondo, Milano, Rizzoli); “L'essere e l'apparire” Brescia, Morcelliana, Dell'essere e del possibile, cMilano, Mimesis,.  Sulla verità e la morte, Milano, Rizzoli, Il nichilismo e la terra, Milano, Mimesis, Testimoniando il destino, Biblioteca Filosofica, Milano, Adelphi,  Ontologia e violenza. Milano, Mimesis,  Aristotele, I principi del divenire. Libro primo della Fisica (Brescia, La Scuola). Filosofo dell'eterno. Il mio ricordo degli eterni. Autobiografia, Milano, Rizzoli,  Parmenideo, su la Repubblica,  Scianca, Addio a Emanuele Severino: ecco chi era il grande filosofo dell'essere, su Il Primato Nazionale,  Bovegno, il filosofo cittadino onorario, su giornaledibrescia  «L'esperimento di Barzaghi è importante e va seguito con attenzione. [...] Immerso nell'alienazione, il cristianesimo è come una casa invisibile di cui qualcuno dice, indicando un banco di nebbia: "Là c'è una casa". Che cosa si riuscirebbe a vedere se la nebbia (l'alienazione) diradasse? Forse una casa. Ma forse nulla. Nel primo caso, il cristianesimo avrebbe ancora qualcosa da dire, e di grande» (E. Severino, Nascere. E altri problemi della coscienza religiosa).  «Rigoroso fino alla fine. Solo un po' più triste», in Bresciaoggi,  Emanuele Severino, il tributo si celebrerà a Palazzo Loggia, in Bresciaoggi. Ecco perché la giovane Italia va in malora", su il Fatto Quotidiano, P. Odifreddi, La scienza sotto tiro, su la Repubblica, D. Fusaro e D. Didero, Filosofico.net. Gianluca Miligi et al., "Sguardo su Emanuele Severino", su filosofia.)  "filosofo poetante" cf. La Guerra,  occorre riconoscere che le sue posizioni, qualunque sia il giudizio che si pensa di dover dare su di esse, non sembrano aver avuto, perlomeno fino ad ora, un vero e proprio seguito tra coloro che si occupano professionalmente di filosofia.» (Cfr. Mauro Visentin, Il neoparmenidismo italiano. Le premesse storiche e filosofiche, Napoli, Bibliopolis)  Neoparmenidismo, su filosofia.  Se noi potessimo mai non essere, già adesso non saremmo. La prova più certa della nostra immortalità è il fatto che noi ora siamo. Perché ciò dimostra che su di noi il tempo non può nulla: in quanto è già trascorso un tempo infinito. È del tutto impensabile che qualcosa che è esistito una volta, per un momento, con tutta la forza della realtà, dopo un tempo infinito possa non esistere: la contraddizione è troppo grossa. Su questo si fondano la dottrina cristiana del ritorno di tutte le cose, quella induista della creazione del mondoche si ripete continuamente a opera di Brahma, e dogmi analoghi di Platone e altri filosofi.» (A. Schopenhauer)  D. Sperduto, Vedere senza vedere ovvero Il crepuscolo della morte, Schena ed., Fasano di Brindisi, "Ritornare a Velia", in Essenza del Nichilismo, Brescia, Aristotele, Liber de Interpretatione, essenza del nichilismo, follia estrema ed estremamente nascosta: la persuasione che gli essenti, in quanto tali, escano dal loro non essere e vi ritornino: la persuasione che vi sia un tempo in cui l'essente (prima di essere e dopo il suo essere) sia nulla, che il non niente sia niente: la persuasione che è il culmine in cui si mantiene l'intera storia dell'Occidente. sDestino della necessità, Milano, Adelphi, L'alienazione dell'Occidente. Quadrivium, Genova); “La struttura originaria, Milano, Adelphi, Sito web Amadori F., Il libero arbitrio, "Filosofia" Antonelli A., Verità, nichilismo, prassi. Roma, Armando, Berto F., La dialettica della struttura originaria, Padova, Poligrafo, Crapanzano G.E., L'immutabilità del diveniente. Roma, Gruppo Albatros Il Filo, Cusano N., Capire Severino. La risoluzione dell'aporetica del nulla, Milano, Mimesis Cusano N., Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, Brescia, Morcelliana,. Dal Sasso A., Dal divenire all'oltrepassare. La differenza ontologica, Roma, Aracne, Dal Sasso A., Creatio ex nihilo. Tra attualismo e metafisica” (Milano, Mimesis); Giovanni B., Sul divenire. Gentile e Severino, Napoli, Scientifica,. De Paoli M., “Furor Logicus” (Milano, Angeli); Aporia del fondamento, Napoli, Città del Sole); Fabro C., L'alienazione Genova, Quadrivium, Goggi G., Al cuore del destino. Milano, Mimesis Goggi, G., Vaticano. Magliulo, N., Quaestiones disputatae, Milano-Udine, Mimesis,. Mauceri, L., La hybris originaria. M. Cacciari Napoli-Salerno, Orthotes Editrice,. Messinese L., L'apparire del mondo. sulla struttura originaria Milano, Mimesis, L. Messinese, Il paradiso della verità. Pisa, ETS,. Messinese L., Stanze della metafisica. Carlini, Bontadini, Brescia, Morcelliana,. Messinese L., Né laico, né cattolico. Severino, la Chiesa, la filosofia, Bari, Dedalo,. Petterlini A., Brianese G. e Goggi G., Le parole dell'Essere. Per Emanuele Severino, Milano, Mondadori, Poma P., Necessità del divenire. Una critica a Emanuele Severino, Pisa, ETS,. Saccardi F., Metafisica e parmenidismo – I veliani, Il contributo della filosofia neoclassica, Napoli-Salerno, Orthotes,. Scilironi C., Ontologia e storia, Abano Terme, Francisci, Scurati M., Pensare l'identità.  Milano, Alboversorio, Simionato M., Nulla e negazione. L'aporia del nulla (Pisa, Plus); Soncini U., Il senso del fondamento in Genova, Marietti, Spanio D., Il destino dell'essere. Brescia, Morcelliana,. Sperduto D., Vedere senza vedere ovvero Il crepuscolo della morte, Fasano di Brindisi, Schena Editore, Sperduto D., Maestri futili? Gabriele D'Annunzio, Carlo Levi, Cesare Pavese, Roma, Aracne, Sperduto D., Il divenire dell'eterno. Su Severino (e Dante), Prefazione di L. Messinese, Roma, Aracne,. Testoni I., Emanuele Severino, La follia dell'angelo, Milano, Mimesis, Tarca L.V., Verità, alienazione e metafisica. Rilettura critica della proposta filosofica di Emanuele Severino, Treviso, Mevio Washington, Valent I., Cura e salvezza. Saggi dedicati, Bergamo, Moretti &amp; Vitali, Visentin M., Tra struttura e problema. Note intorno al pensiero di E. Severino, Venezia, Marsilio [ora in Il neoparmenidismo italiano, IDal neoidealismo al neoparmenidismo, Napoli, Bibliopolis, Metafisica Ontologia Episteme Nichilismo Leopardi  Velia Valent Galimberti. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Associazione spazio interiore ambiente, V. Ursini. Emanuele Severino. Severino. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Severino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51717861318/in/photolist-2mUvtTW-2mU9Yr9-2mTTTX6-2mTWT7L-2mTsNRZ-2mTcXro-2mSEtHs-2mSg7gF-2mS8HB8-2mS3yF6-2mRFcpq-2mRw6pM-2mRh74B-2mQPiYS-2mPQGvz-2mPFSS9-2mPEQVF-2mPrb68-2mPkobg-2mPnrMV-2mNzeEc-2mN8ym7-2mN9ZxJ-2mMJokF-2mLP4Rj-2mKG6xL-2mLMNn5-2mLNSQH-2mLKLVL-2mKGVU3-2mKwuhr-2mKMdFR-2mKC3nj-2mKuZ8r-2mKgT2F-2mJTejc-2mJPC2N-2mKuzCc-2mGT6p1-2mEiqh9-2mLKKZn-2mLEdXM-2mPCgo1-2mKGTYe-2mKBsEN-nUhtcD

 

Grice e Sforza – iustum/iussum – tra idealismo e positivismo -- filosofia italiana –  Luigi Speranza (Forli). Filosofo. Direttore del Resto del Carlino. Insegna a Roma. Autore di importanti saggi di filosofia del diritto quali Il concetto, il diritto e la giurisprudenza naturale, Filosofia del diritto e filosofia della storia, Idee e problemi di filosofia giuridica, ecc. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Widar Cesarini Sforza. Sforza. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sforza” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691577846/in/photolist-2mKToRT-2mKHdnD-2mKTyvC-2mKQdR6-2mKNRbN-2mKSjhd-2mPsUUV-2mKw3hq-2mKDwcr-ogrXod-ofU45L-noi1fT-nfGJgU

 

Grice e Sgalambro – della misantropia – filosofia dell’isola di Sicilia – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lentini). Filosofo. important Italian philosopher. La sua filosofia è nichilista, definizione spesso respinta da lui stesso, ma talvolta anche accettata, e si può piuttosto definire un'originale sintesi tra la filosofia della vita di Schopenhauer e il materialismo e pessimismo di Rensi, con le influenze dell'esistenzialismo sui generis di Cioran, di alcuni temi della scolastica e della teologia empia e naturalistica di Vanini e Mauthner. Noto anche per la collaborazione con F. Battiato. Da una famiglia benestante (il padre era un farmacista), osserva un riserbo quasi conventuale nella sua vita privata, fornendo tuttavia alcuni elementi biografici nelle sue interviste o presentazioni. Dopo l'infanzia trascorsa a Lentini, si trasferisce a Catania. S’iscrive a Catania. Dicedo di non iscrivermi in filosofia perché la coltivavo già autonomamente. Mi piace il diritto penale e per questo scelsi la facoltà di Giurisprudenza. Inoltre non si trova d'accordo con la cultura filosofica dominante allora nelle accademie, troppo legata all'idealismo di Croce e Gentile. Erano loro che occupavano tutto lo spazio culturale. Ma io non mi ritrovo affatto in quei sistemi complessi e completi, dove ogni cosa era già stata incasellata. Per me, filosofare e una destructio piuttosto che una costructio. Sono uno che noto le rovine, piuttosto che la bellezza. Questo e un po' scomodo, e non certamente accademico. Il reddito che proveniva da un agrumeto (lasciatogli in eredità dal padre) non basta più, così sceglie di integrarlo compilando tesi di laurea e facendo supplenze nelle scuole. Il matrimonio è un momento, come dice Hegel, in cui la realtà determinata entra in un individuo. Dunque il matrimonio non coincide semplicemente con l'amore per una persona, ma con la durata. Ecco dove sta l'essenza, quasi teologica, del matrimonio. E dichiaratamente ateo anche se crede nella reincarnazione, come ricordato anche da Battiato, e ha avuto un funerale religioso. Vive da solo nella sua casa catanese. Che non ci sia niente di peggiore del mondo, non si deve dimostrare. Ripete spesso che non possedeva titoli né lauree per i biglietti da visita e quindi come sia riuscito a diventare un filosofo e  «un mistero» che egli stesso stenta a spiegarsi. Il suo primo contatto con un saggio filosofica avviene quando legge “La formazione naturale nel fatto del sistema solare” di Ardigò. Inizia a collaborare a “Prisma”. Il suo primo saggio è “Paralipomeni all'irrazionalismo” dove, influenzato da Rensi, sviluppa un attacco all'idealismo crociano allora in piena egemonia. S’ispira anche all'ironia di Karl Kraus di cui ama lo stile aforistico. Se Karl Kraus avesse scritto Il Capitale lo avrebbe fatto in tre righe. Scrive per “Incidenze”“Crepuscolo e notte” (Messina, Mesogea), un saggio di "esistenzialismo negativo". Scrive anche per la rivista Tempo presente. Decide di organizzare la sua filosofia in un saggio sistematica. Manda “La morte del sole” con un biglietto di due righe ad Adelphi. “E lì è rimasto.” “Ma siccome io sono fatto in questo modo, non ho chiesto niente. Poi è arrivata una telefonata. Mi chiedevano di andare a Milano, per prendere contatto con l'editore. R. Calasso mi dice che “La morte del sole” (Milano, Adelphi) non e maturo, e marcio: ed e esattamente così. Pubblica “Trattato dell'empietà: (Adelphi, Milano); Anatol (Adelphi, Milano), Del pensare breve (Adelphi, Milano) Dialogo teologico (Adelphi, Milano), Dell'indifferenza in materia di società (Adelphi, Milano), La consolazione (Adelphi, Milano), Trattato dell'età – una lezione di metafisica (Adelphi, Milano), “De mundo pessimo” (Adelphi, Milano); “La conoscenza del peggio” (Adelphi, Milano); “Del delitto” (Adelphi, Milano) e “Della misantropia” (Adelphi, Milano). Viene avvicinato al nichilismo. Talvolta ha respinto la definizione, mentre altre volte l'ha accettata, nel senso di un nichilismo attivo e demolitore, non passivo e chiuso. Indubbiamente questa visione è nell'intimo di me stesso. Per un nichilista le cose -- il Papa, Mussolini, un vaso di terracotta -- si equivalgono. Questo non significa che non si ha il senso di ciò che vale. Significa piuttosto che si prova a romperlo come si può, per esempio con il martello del pensare. Intanto con alcuni amici avvia una piccola attività editoriale a Catania. Nasce così la De Martinis. All'interno di questa casa editrice, si occupa di saggistica, pubblicando un paio di propri testi – “Dialogo sul comunismo” (Martiniis, Catania) e “Contro la musica – sull’ethos del ascolto” (Martiniis, Catania) -- e ristampando Vanini e di Julien Benda.  Suscita polemiche una sua intervista a F. Battistini sulla mafia, dove critica anche L. Sciascia e il mito dell'anti-mafia militante (che tra l'altro fu criticata da Sciascia stesso. L'immagine della Sicilia. C'è, come no? Ma cercarla in faccende di Cuffaro e di Gabanelli è come cercare un tesoro fra le spine dei fichi d'India. Cercare che cosa, poi? La griglia mafiosa è una gabbia. È chiaro che ha ragione la Gabanelli e che Cuffaro vuole cancellare a suo modo la mafia, con un tratto di parole. Ma contesto che la mafiosità sia una chiave di conoscenza. Non cambio idea. La mafia è un concetto astratto. E gl’astratti si distruggono con la logica, non con la polizia. La polizia può arrestare la mafia. Eliminarla, mai. Quello che importa è la Mafia maiuscola, concetto generale e perciò indistruttibile. La mafia in sé non mi fa venire in mente nulla. Come la patria, i morti di Solferino. Cose vetuste. Sciascia e lo scrittore sociale, un maestro di scuola che vuole insegnarci le buone maniere sociali. Ma rivisitarlo oggi è come rileggere Pellico. La sua funzione si è esaurita. La mafia è l'unica economia reale di quest'isola. Ci sono fenomeni della storia, ricchezze che non si possono fare con le mani pulite. Qui la ricchezza è sempre stata fondiaria, senza investimenti. La ricchezza è per sua natura sporca. Basta col gioco della spartizione -- è mafioso o no? Domande da periodo di lotte religiose -- è luterano o cattolico? In Sicilia sono arrivati anche i laici, per fortuna. Definisce poi C. Fava "quel piagnone", affermando che "i famosi Cavalieri", soprannome dato dal padre di Fava a quattro imprenditori catanesi considerati collusi con Cosa nostra, erano l'unica economia possibile» per la città. -- è tornato in maniera sarcastica sull'argomento. Considero la Sicilia come un fenomeno estetico e non ne cambierei nulla. In questo senso potrei dire che mi considero un mafioso. E attaccato da F. Ferrarotti che lo define un neo-reazionario e di "intolleranza aristocratica e silenzio sulla mafia. Alla sua isola ha dedicato “Teoria della Sicilia”. Là dove domina l'elemento insulare è impossibile salvarsi. Ogni isola attende impaziente di inabissarsi. Una teoria dell'isola è segnata da questa certezza. Un'isola può sempre sparire. Entità talattica, essa si sorregge sui flutti, sull'instabile. Per ogni isola vale la metafora della nave. Vi incombe il naufragio. Oltre ai saggi per Adelphi, pubblica per Bompiani Teoria della canzone, Variazioni e capricci morali, e due raccolte di poesie, frammenti di una biografia per versi e voce e Marcisce anche il pensiero (frammenti di un poema), nonché L'impiegato di Filosofia, nel quale ironicamente afferma di aver rinunciato alla filosofia ritrovandosi più filosofo che mai, curioso libretto stampato in un museo della stampa con caratteri mobili, edito da La Pietra Infinita. Pubblica “Del metodo ipocondriaco” (Il Girasole, Valverde), Quaternario (racconto parigino), la raccolta di poesie Nell'anno della pecora di ferro, e Dal ciclo della vita. La matematica è il tribunale del mondo. Il numero è ordine e disciplina. Ciò con cui si indica lo scopo della scienza, tradisce col termine la cosa. L'ordine, già il termine ha qualcosa di bieco, che sa di polizia, adombra negli adepti le forze dell'ordine cosmico, i riti cosmici. L'autentico sentimento scientifico è impotente davanti all'universo. L'inflazione che caccia nelle mani dell'individuo, in un gesto solo, miliardi di marchi, lasciandolo più miserabile di prima, dimostra punto per punto che il denaro è un'allucinazione collettiva. Avviene l'incontro con F. Battiato, del tutto casualmente, perché presentavano insieme un volume di poesie dell'amico comune A. Scandurra. Battiato gli chiede un appuntamento per proporgli di scrivere il libretto di “Il cavaliere dell'intelletto”. Un anno fa non ci conoscevamo neppure. Da allora non abbiamo fatto altro che lavorare insieme. Lui e anche un filosofo, ma per me è un talento che mi stimola e arricchisce. Mi sembra impossibile tornare a scrivere i testi delle mie cose. In mezzo a tutto questo, mi capitò tra i piedi Battiato. Per un certo verso direi che è stato uno di quegli incontri che ti portano fuori strada, ma questa è una percezione che ho avuto molto tardi. A volte trovo che è come se tutto quel tempo io lo abbia perduto. La questione sta nel vedere se sia possibile recuperarlo. Accetta e risponde ironicamente all'invito di Battiato chiedendogli di scrivere insieme un disco di musica pop. Tra lui e Battiato si sviluppa un sodalizio artistico e umano, anche se non sempre facile. Anche perché io non sono un grande seguace dell'amicizia. Con Battiato abbiamo avuto lunghe liti, che duravano parecchio. Poi uno dei due, in genere lui, telefonava e il rapporto riprendeva. Tutti i litigi erano per un rigo da cambiare in una canzone. Io non accetto le esigenze della musica e per lui questo e costoso. Il suo impegno in politica? Non ho mai capito come si sia potuto lasciare tentare, tutti i giorni ho cercato di convincerlo a levarsi, solo ora per fortuna sta tornando in se stesso. Collabora a quasi tutti i progetti di Battiato, per cui scrive:  i libretti delle opere Il cavaliere dell'intelletto su Federico II di Svevia, Socrate impazzito, Schopenhauer e Telesio, Campi magnetici; L'ombrello e la macchina da cucire, L'imboscata, Gommalacca, Ferro battuto, Dieci stratagemmi, Il vuoto, Apriti sesame, Perduto amor, Niente è come sembra, Auguri don Gesualdo Bufalino). Benché affermasse che la canzone era per lui "una distrazione", scrive testi di canzoni anche per Patty Pravo (Emma), Alice (Come un sigillo, Eri con me), Il movimento del dare, Marie ti amiamo, Non conosco nessun Patrizio, (Facciamo finta che sia vero ed Aurora).  Dopo essere intervenuto anche ai concerti di Battiato, si cimenta lui stesso con la musica e pubblica il singolo. In una rappresentazione de L'histoire du soldat di Igor' Stravinskij interpreta la voce narrante, con Battiato nella parte del soldato e Giovanni Lindo Ferretti in quella del Diavolo.  Pubblica Fun club, prodotto da F. Battiato e Saro Cosentino. Un alleggerimento che considero doveroso. Dobbiamo sgravare la gente dal peso del vivere, invece che dare pane e brioches. Questa volta, mi sono sgravato anch'io. E poi, la musica leggera ha questo di bello, che in tre minuti si può dire quanto in un libro di 400 pagine o in un'opera completa a teatro.Dà la voce all'aereo DC-9 Itavia nell'opera Ultimo volo di Pippo Pollina sulla strage di Ustica.  La canzone della galassia, cantata assieme al gruppo sardo-inglese Mab.  Torna ad esibirsi in un pub di Catania, assieme al S. Fazio e S. Cantarella. Finita l'esibizione alla presenza di Pippo Russo e F. Battiato, seguì il concerto delle Lilies on Mars, band formata da due ex componenti del gruppo MAB (Masia e Cristofalo), band che si era esibita con Battiato in Il vuoto.  Di passaggio (L'imboscata) recita: La stessa cosa sono il vivente e il morto, lo sveglio e il dormiente, il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli e quelli mutando son questi. Interviene in Shakleton, da Gommalacca. In Invito al viaggio (da Fleurs) recita: «Ti invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto. I soli languidi dei suoi cieli annebbiati hanno per il mio spirito l'incanto dei tuoi occhi quando brillano offuscati. Laggiù, tutto è ordine e bellezza, calma e voluttà; il mondo s'addormenta in una calda luce di giacinto e d'oro; dormono pigramente i vascelli vagabondi, arrivati da ogni confine per soddisfare i tuoi desideri. I fiori del male. Corpi in movimento, Campi magnetici, recita. Se io, come miei punti, penso quali si vogliano sistemi di cose, per esempio, il sistema: amore, legge, spazzacamino e poi non faccio altro che assumere tutti i miei assiomi come relazioni tra tali cose, allora le mie proposizioni, per esempio, il teorema di Pitagora, valgono anche per queste cose. D. Hilbert, Lettera a Frege. Partecipa a quasi tutti i tour di F. Battiato:  Recita versi in latino sul brano di Battiato  Canzone chimica: «Bacterium flourescens liquefaciens, Bacterium histolyticum, Bacterium mesentericum, Bacterium sporagenes, Bacterium putrificus.  Esegue una nuova versione con il testo riadattato in chiave filosofica. Accetta il consiglio. Canta due brevi strofe dei suoi versi nella canzone La porta dello spavento supremo, Dieci stratagemmi di Battiato. Quello che c'è ciò che verrà ciò che siamo stati e comunque andrà tutto si dissolverà Sulle scogliere fissavo il mare che biancheggiava nell'oscurità tutto si dissolverà. La porta dello spavento supremo. Il sogno; “Teoria della canzone, Milano, Bompiani, Frammenti di una biografia per versi e voce), Bompiani, Milano, Poesie, A. Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Segrete (AContiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita, Opus postumissimum; Firenze, Giubbe Rosse, Dolore e poesia (Contiero, Reggio Emilia, La Pietra Infinita,  Contro la musica. (Sull'ethos dell'ascolto) e Dialogo sul comunismo), Quaternario. Racconto parigino” (Valverde, Girasole); “Frammenti di una biografia” (Milano, Bompiani); “La consolazione, L'impiegato di filosofia” (Reggio Emilia, La Pietra Infinita); “Nell'anno della pecora di ferro” (Valverde, Girasole); Marcisce anche il pensiero. Frammenti di un poema, Opus postumissimum” (Milano, Bompiani); “Teoria della canzone” (Milano, Bompiani); Variazioni e capricci morali” Milano, Bompiani,  Dal ciclo della vita” (Valverde, Girasole); Devozione allo spazio in Giuseppe Raciti, Dello spazio, Catania, CUECM, Sciascia e le aporie del fare in Sciascia. Scrittura e verità, Palermo, Flaccovio, Carpe veritatem, La filosofia delle università” (Milano, Adelphi); “Empedocle o della fine del ciclo cosmico” in A. Grado, Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà” (Catania, Maimone); “Gentile o del pensare” in A. Grado, “Grandi siciliani. Tre millenni di civiltà(Catania, Maimone); Post scriptum in P. Barcellona, Lo spazio della politica. Tecnica e democrazia” (Roma, Riuniti); “Un discorso coerente sui rapporti tra Dio e il mondo” (Catania, De Martinis); “La filosofia dell'autorità” (Catania, De Martinis); quarta di copertina prefazione in A. Scandurra, Trigonometria di ragni, Milano, All'Insegna del Pesce d'Oro, La malattia dello spazio in Insulæ. L'arte dell'esilio, Genova, Costa &amp; Nolan, “Vanini e l'empietà” Vanini, “Confutazione delle religioni” (Catania, De Martinis); “Breve introduzione in Giuseppe Tornatore, Una pura formalità, Catania, De Martinis, Piccola glossa al “Trattato della concupiscenza” in Bossuet, Trattato della concupiscenza, Catania, De Martinis, Klaus Ulrich Leistikov, Mantrana. Un gioco, Catania, De Martinis); “Gentile e il tedio del pensare in Giovanni Gentile, L'atto del pensare come atto puro” (Catania, De Martinis); Manlio Sgalambro, Il bene non può fondarsi su un Dio omicida in C. Martini U. Eco, In cosa crede chi non crede?, Roma, Liberal, Sciascia e le aporie del fare in L. Sciascia. La memoria, il futuro, M. Collura, Milano, Bompiani, T. Ottonieri, Elegia sanremese, Milano, Bompiani, La morale di un cavallo in O. Cappellani, La morale del cavallo, Scordia, Nadir, PM. Cosentino, I sistemi morali, Catania, Boemi, postfazione in Domenico Trischitta. Il miraggio in celluloide, Catania, Boemi, Piccole note in margine a Salvo Basso in S. Basso, Dui, Catania, Prova d'Autore, Il fabbricante di chiavi L. Ingaliso, Nell'antro del filosofo. Dialogo, Catania, Prova d'Autore, postfazione in Alessandro Pumo, Il destino del corpo. L'uomo e le nuove frontiere della scienza medica, Palermo, Nuova Ipsa, Sodalizio in Franco Battiato. L'alba dentro l'imbrunire (allegato a F. Battiato. Parole e canzoni), Vincenzo Mollica, Torino, Einaudi, Del vecchio in Riccardo MondoLuigi Turinese, Caro Hillman. Venticinque scambi epistolariTorino, Bollati Boringhieri, I malnati, Porretta Terme, I Quaderni del Battello Ebbro, seconda di copertina, Lettera a un giovane poeta in Luca Farruggio, Bugie estatiche, Roma, Il Filo, prefazione in Toni Contiero, Reggio Emilia, Aliberti, Teoria della Sicilia in Guido Guidi Guerrera, Battiato. Baiso, Verdechiaro, M. Falzone, F. Battiato. La Sicilia che profuma d'oriente, Palermo, Flaccovio, Una nota in F.  Battiato, In fondo sono contento di aver fatto la mia conoscenza (allegato a Niente è come sembra), Milano, Bompiani, L’ethos della musica in Bruno Monsaingeon, Incontro con Nadia Boulanger, Palermo, rue Ballu, prefazione in Arnold de Vos, Il giardino persiano, Fanna (PN), Samuele, Manlio Sgalambro, prefazione in Angelo Scandurra, Quadreria dei poeti passanti, Milano, Bompiani, seconda di copertina Sull'idea di nazione in Catania. Non vi sarà facile, si può fare, lo facciamo. La città, le regole, la cultura, Catania, ANCE, Dicerie in F. Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani, postfazione in C. Guarrera, Occhi aperti spalancati, Messina, Mesogea, Di un fantasma e di mari, Catania, Prova d'Autore, Nota in Georges Bataille, W.C., A. Contiero, Massa, Transeuropa, Massa, prefazione in Giampaolo Bellucci, Un grappolo di rose appese al sole, Villafranca Lunigiana, Cicorivolta, prefazione in Pourparler, Catania, Prova d'Autore, Apologia del teologo in F. Presutti, “Deleuze e Sgalambro: dell'espressione avversa” (Catania, Prova d'Autore); Riflessione in M. Scuriatti, Mico è tornato coi baffi, Milano, Bietti, Presentazione in A. Rotoletti, Circoli di conversazione a Biancavilla, Modugno, Arti Grafiche Favia, Il senso della bellezza in F. Battiato, Jonia me genuit. Discografia leggera, discografia classica, filmografia, pittura, Firenze, Della Bezuga, Moralità plutarchee in Domenico Trischitta, Catania, Il Garufi, La città dei morti in Luigi Spina, Monumentale. Un viaggio fotografico all'interno del gran camposanto di Messina, Milano, Electa, prefazione in Ghesia Bellavia, Fermo immagine, Catania, Il Garufi, Sulla mia morte in F. Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani); Fun club, Milano, Sony,Sony, feat. Mab, La canzone della galassia, Milano, Sony, L'ombrello e la macchina da cucire, Breve invito a rinviare il suicidio, Piccolo pub, Fornicazione, Gesualdo da Venosa, Moto browniano, Tao, Un vecchio cameriere, L'esistenza di Dio) in F. Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, Milano, EMI, Di passaggio, Strani giorni, La cura, Amata solitudine, Splendide previsioni, Ecco com'è che va il mondo, Memorie di Giulia, e Di passaggio in F. Battiato, L'imboscata, Milano, Polygram,  voce (Canzone chimica) in Franco Battiato, L'imboscata live tour (registrazione video di un concerto), Milano, Polygram, Emma Bovary in Patty Pravo, Notti, guai e libertà, Milano, Sony, Casta diva, Il ballo del potere, La preda, Il mantello e la spiga, È stato molto bello, Quello che fu, Vite parallele, Shackleton in F. Battiato, Gommalacca, Milano, Polygram, Medievale, Invito al viaggio in F. Battiato, Fleurs. Esempi affini di scritture e simili, Milano, Universal, La quiete dopo un addio, Personalità empirica, Il cammino interminabile, Lontananze d'azzurro, Sarcofagia, Scherzo in minore, Il potere del canto, Personalità empirica in F. Battiato, Ferro battuto, Milano, Sony, Invasione di campo in  Invasioni, Come un sigillo in F. Battiato, Fleurs, Milano, Sony, Non dimenticar le mie parole in F. Battiato, Perduto amor, Milano, Sony, voce (Shackleton, Accetta il consiglio) in F. Battiato, Milano, Sony, Tra sesso e castità, Le aquile non volano a stormi, Ermeneutica, Fortezza Bastiani, Odore di polvere da sparo, Conforto alla vita, 23 coppie di cromosomi, Apparenza e realtà, La porta dello spavento supremo)  in F.Battiato, Dieci stratagemmi. Attraversare il mare per ingannare il cielo, Milano, Sony, in Un soffio al cuore di natura elettrica (registrazione audio e video di un concerto), Milano, Sony, Il vuoto, I giorni della monotonia, Aspettando l'estate, Niente è come sembra, Tiepido aprile, Io chi sono?, Stati di gioia e dell'adattamento in italiano di Era l'inizio della primavera (da Tolstoj) in F. Battiato, Il vuoto, Milano, Universal,  Il movimento del dare, Milano, Sony, testi (Tutto l'universo obbedisce all'amore, Del suo veloce volo (da Antony Hegarthy, Frankenstein) in F. Battiato, Fleurs 2, Universal, testo (Marie ti amiamo) in Carmen Consoli, Elettra, Milano, Universal, 'U cuntu in F. Battiato, Il tutto è più della somma delle sue parti, Milano, Universal, testo (Non conosco nessun Patrizio!) in Milva, Non conosco nessun Patrizio!, Milano, Universal,  Facciamo finta che sia vero) in Adriano Celentano, Facciamo finta che sia vero, Milano, Universal,  Eri con me) in Alice, Samsara, Arecibo,  tUn irresistibile richiamo, Testamento, Quand'ero giovane, Eri con me, Passacaglia, La polvere del branco, Caliti junku, Aurora, Il serpente, Apriti sesamo) in F. Battiato, Apriti sesamo, Milano, Universal,  Strani giorni, in F. Battiato, Milano, Polygram, Patty Pravo, Emma Bovary, Milano, Sony, F, Battiato, Milano, Polygram, Il ballo del potere, Emma, L'incantesimo in Franco Battiato,Milano, Polygram, Sarcofagia, In trance) in F. Battiato, Milano, Sony, testo in F. Battiato, Il vuoto, Milano, Universal, F. Battiato feat. Carmen Consoli, Tutto l'universo obbedisce all'amore, Milano, Universal,  F. Battiato, Inneres Auge, Milano, Universal, F. Battiato, Passacaglia, Milano, Universal; Il cavaliere dell'intelletto, i Palermo, testi e attore in Martin Kleist, Socrate impazzito Catania) testi e attore in Franco Battiato, Fano, attore in Igor' Fëdorovič Stravinskij, L'histoire du soldat, inedito, (Roma,  libretto e voce (Corpi in movimento, La mer) in Franco Battiato, Campi magnetici. I numeri non si possono amare, Milano, Sony, (Firenze) voce (Volare è un'arte, Negli abissi, Pratica di mare, A tu per tu con il Mig, Verso Bologna, Simulacro) in P. Pollina, Ultimo volo. Orazione civile per Ustica, Bologna, Storie di Note, Bologna) attore Carlo Guarrera, Frammenti per versi e voce, Catania, Battiato, Telesio. Opera in due atti e un epilogo, Milano, Sony,  Cosenza, Martino Alliata in F. Battiato, Perduto amor, Giarre, L'Ottava, nobile senese, in F. Battiato, Musikanten, Giarre, L'Ottava, F. Battiato, “Niente è come sembra” (Milano, Bompiani); Intervento in D. Consoli, La verità sul caso del signor Ciprì e Maresco, Zelig, intervento in F. Battiato, Auguri don Gesualdo, Milano, Bompiani,  intervento in M. Perrotta, Sicilia di sabbia, Movie Factory,  intervento in F. Battiato, Attraversando il bardo. Sguardi sull'aldilà, Milano, Bompiani,  Videoclip attore in Battiato, L'ombrello e la macchina da cucire, attore in Franco Battiato, Di passaggio, attore in Franco Battiato, Strani giorni, attore in Franco Battiato, Shock in my town, attore in Franco Battiato, Running against the grain, attore in F. Battiato, Bist du bei mir, attore in Franco Battiato, Ermeneutica, attore in Battiato, La porta dello spavento supremo, attore in F. Battiato, Il vuoto, attore in Franco Battiato, Inneres Auge, F. Battiato, F. Niso, Comunità dello sguardo (Torino, Giappichelli); L. Ingaliso, “Nell'antro del filosofo” (Catania, Prova d'Autore);  A. Cantello, Uno scherzo mimetico che possa introdurre ad una filosofia, Mas Club, L'ultimo chierico, Messina, Mesogea,  Caro misantropo. Saggi e testimonianze Antonio CarulliFrancesco Iannello, Napoli, La Scuola di Pitagora,  Salvatore Massimo Fazio, Regressione suicida. Dell'abbandono disperato di Emil Cioran, Barrafranca, Bonfirraro,  Breve invito all'opera, Davide Miccione, Caltagirone,  Lettere da Qalat,  A. Carulli, Introduzione a Sgalambro, Genova, Il Melangolo,  Antonio CarulliPiercarlo Necchi, La piccola verità. Quattro saggi (Milano, Mimesis); S. Zavoli, Le ombre della sera in Di questo passo. Cinquecento domande per capire dove andiamo, Torino, Nuova ERI, C. Rizzo, De consolatione theologie in M. Iiritano, S. Quinzio. Profezie di un'esistenza, Soveria Mannelli, Rubettino, A. Matteo, il dovere dell'empietà in Della fede dei laici. Il cristianesimo di fronte alla mentalità postmoderna, Soveria Mannelli, Rubettino, S. Lanuzza, Il filosofo insulare in Erranze in Sicilia” (Napoli, Guida); P. Aprile, Giù al sud. Perché i terroni salveranno l'Italia, Segrate, Piemme, Marco Risadelli,A. Nizza, Polisofia, Roma, Nuova Cultura, Per la critica della notte. Saggio sul Tramonto dell’Occidente (Milano, Mimesis); E. Arosio, Ora, il mondo in L'Espresso, S. Lanuzza, Il pensiero ipocondriaco in Il Ponte, Gerd Bergfleth, Finis mundi, A. Corda, filosofo irregolare in Arenaria, G. Raciti, Maestro cattivo per elezione in Ideazione, F. Raffaele, Intorno alla creatività filosofica. A colloquio con in Parolalibera, F. Nisio, l'unico che canta. Mille sguardi, II in Democrazia e diritto. Guerra e individuo, M. Faletra, Dialogo, Cyberzone F. Presutti,  Il cavaliere dell'intelletto in Freetime. Sicilia,  M. Faletra, La pistola,  in//peppinoimpastato.com/visualizza.asp M. Faletra, L'azzardo del pensiero o il filosofo della crudeltà:Cyberzone Faletra, In ricordo, Artribune, Tesi di laurea S. Fazio, Cioran e Sgalambro: un confront, Catania, BattiatoSgalambro. Tra musica e filosofia, Palermo, L'impossibilità di essere consolati. L'itinerario tragico, Genova, Filmografia G. Cionini, Il consolatore, G. Cionini, M. Faletra, M. Bellone, F. Battiato su Storia della musica  Repubblica, adesso il filosofo diventa crooner  Intervista a Battiato e Sgalambro YouTube  Intervista a Manlio Sgalambro: Il filosofo rock che dà del “lei” a Battiato livesicilia |  l'ultima intervista  "Teoria della canzone", Bompiani, e la prefazione a "La filosofia delle università", Adelphi, il ricordo commosso di Cacciari. Con lui incontro straordinario, Il Fatto Quotidiano. A un tratto ci si accorge di quella cosa che chiamiamo pensare”: Addio a Sgalambro. La sua ultima intervista.  cfr. "De mundo pessimo", "Frammenti di storia dell'empietismo", "Trattato dell'empietà" Adelphi  GAP Speciali. Un viaggio oltre il luogo commune Rai Scuola  Mariacatena De Leo &amp;  Ingaliso, Nell'antro del filosofo: dialogo con Manlio Sgalambro (Prova d'autore È morto Manlio Sgalambro, il filosofo di F. Battiato, radiomusik, F. Battiato choc a Napoli. Sento la fine vicina, meglio cogliere il giorno. Il filosofo che canta il nichilismo  Giovanni Tesio, "In ginocchio davanti", TuttoLibri,  "La conoscenza del peggio", Adelphi  La scrittura aforistica,  LaRecherche  G. Calcagno, Il filosofo è uno spione da La Stampa F. Battistini,  Sciascia addio, non servi più, Corriere della Sera. C. Formenti, Ferrarotti accusa: neoreazionario in “Corriere della Sera”,   Battiato: note per un filosofo (da La Stampa).  Così Sgalambro canta la sua filosofia (da La Stampa dSito ufficiale, su sgalambro.altervista.org. MetaBrainz Foundation. Il filosofo cantante maestro dell'ironia. Sono un uomo felice di stare su quest'Isola, iRepubblica, Incontro in Le conversazioni di Perelandra. Manlio Sgalambro. Sgalambro. Keywords: Telesio, Vanini, Gentile, Ardigo, Croce, Empedocle, Gorgia, Lentini, Rensi, filosofia dell’autorita. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Sgalamabro," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689168583/in/photolist-2mPkhvE-2mKAuZM

 

Grice e Siciliani – la critica della filosofia zoological – filosofia italiana (Galatina). Filosofo. Figlio di un commerciante di pelli. Studia a Otranto, Lecce e Napoli, dalla quale fugge dopo essere stato segnalato alla polizia a causa delle sue simpatie liberali. Si laurea a Pisa sotto lStudiati, stringendo inoltre un proficuo rapporto di collaborazione con Puccinotti, che influsce molto sua filosofia. Sringe rapporti di profonda amicizia con personalità importanti e influenti della cultura, quali: S. Centofanti, F. Pacini, G. Capponi, M. Bufalini e altri.  Seguendo la sua vocazione, orienta i propri studi verso le discipline filosofiche e ottenne la cattedra di Filosofia speculativa e morale nel Regio liceo di Firenze. A Firenze sposa la letterata e filantropa Cesira Pozzolini – il fratello Giorgio Pozzolini combatte nelle maggiori battaglie risorgimentali affiancando Garibaldi e Bixio. Iniziato in massoneria nella loggia fiorentina "La Concordia.” Nominato professore di filosofia a Bologna. Divenne docente ordinario della stessa disciplina sempre nell'Ateneo felsineo. A Bologna tenne anche il secondo corso italiano di sociologia. Qui, inoltre, strinse amicizia con G. Carducci, anch'egli accademico a Bologna ed entra in contatto con Fiorentino e Spaventa. Dirige la Rivista bolognese di scienze, lettere, arti e scuole. Ne abbandonò la direzione per divergenze maturate in seno alla direzine generate, probabilmente, dall'impostazione (eclettica) che Siciliani intende dare alla Rivista e che contrastava con l'indirizzo idealistico voluto da Fiorentino. A Bologna istitue un centro di studi pedagogici, contribuendo all'elevazione della pedagogia al rango di scienza. Convinto assertore della valorizzazione della persona e perciò la sua azione educativa, per giungere alla conquista della libertà e del carattere morale da parte del soggetto da educare, prevedeva l'intervento della famiglia e della società. Altro sua filosofia fondamentale e il principio dell'autodidattica che, pur non escludendo l'azione dell'educatore, mette in primo piano il protagonismo del soggetto da educare. Ricevette onoranze e attestati di stima da parte di molti studiosi europei e americani, mentre in Italia la sua fama fu oscurata da giudizi negativi, espressi anzitutto da Gentile che vede in lui un'espressione benché autonoma del positivism. Di recente è stata rivalutata l'influenza vichiana sul suo pensiero. A lui è dedicata la Biblioteca civica di Galatina, nella quale è conservato il "Fondo Siciliani" la raccolta, cioè, dei libri appartenuti al filosofo. A lui è dedicato anche il Liceo di Lecce. Di formazione giobertiana,  si accosta a Vico già negli anni fiorentini, tentando di inaugurare una filosofia mediana (detta della terza via) che individuasse una sintesi tra opposte e differenti discipline. Dal suo punto di vista, infatti, ogni filosofia contiene del buono e delle esagerazioni. Metodo della filosofia mediana e  dunque, quello di salvare ciò che c'è di buono della filosofia per rigettarne le astrattezze e le esagerazioni.  Con il saggio “Zoologia filosofica” (Napoli) approde nel più ampio dibattito, ricevendo apprezzamenti e pareri favorevoli dai più illustri scienziati internazionali. Nel frattempo approfonde e da il suo contributo speculativo alle nuove discipline che muovano alla ricerca di un'identità epistemologica: la sociologia (“Socialismo, darwinismo e sociologia” (Bologna); “Teorie sociali e socialismo” (Firenze) e la psicologia – “Prolegomeni alla psicogenia” (Bologna). Sanctis confere a Siciliani la presidenza di congressi a Firenze, Venezia, Genova, Milano, e Roma. Queste esperienze lo portano a un approfondimento sempre maggiore della filosofia alla quale contribue a conferire un indirizzo scientifico, positivista e ampiamente laico (v. le sue opere Rivoluzione e pedagogia moderna, La scienza nell'educazione). “Filosofia della scienza” (Firenze); “Il metodo numerico e la statistica” (Firenze); “Della legge storica” (Firenze); “Della libertà ed unità organica della filosofia” (Firenze); “Della fisiologia sperimentale” (Pisa);” “Medicina filosofica”  (Firenze); “I principi metafisici Vico” (Firenze); “Il triumvirato: Alighieri, Galilei e Vico (Firenze); Ai popoli salentini e al gonfalone di Galatina un saluto e un augurio (Firenze); “Il criterio filosofico” (Bologna); Critica del positivismo (Bologna); Le fonti storiche della filosofia positiva in Italia in Galileo (Bologna) Gli hegeliani in Italia (Bologna); La condanna del positivismo (Bologna); Della pedagogia all’educazione in Italia (Bologna); L’educazione (Bologna); Sul rinnovamento della filosofia in Italia (Firenze); “La scienza dell'educazione nelle scuole italiane come antitesi alla pedagogia (Bologna); Dei massimi problemi della pedagogia (Roma); Il sacro secondo i dettami della filosofia(Firenze); L’nsegnamento della pedagogia (Torino); Della pedagogia scientifica (Milano); Rivoluzione e pedagogia moderna (Torino); Storia critica delle teorie sociali (Bologna); Fra vescovi e cardinali (Roma); Rivoluzione e pedagogia (Torino); “L’educazione secondo i principi della sociologia” (Bologna); Rinnovamento e filosofia internazionale (Bologna); La nuova biologia (Milano) Le questioni contemporanee e la libertà morale nell'ordine giuridico (Bologna). G. Calogero,  Enciclopedia Italiana, V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia. G. Calogero. Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G. Invitto e N. Paparella, “Rileggere Pietro Siciliani” (Lecce); Capone Galatinesi illustri, Guida Biografica, Galatina, Tor Graf Galatina,  Carteggio familiar, F. Luceri, Centro Studi Salentini, Lecce,  P. Siciliani e Ce. Pozzolini. Filosofia e Letteratura, Convegno/ Galatina/ Treccani L'Enciclopedia italiana, Psicologia filosofica. Pietro Siciliani. Siciliani. Keywords: la psicogenia di Vico, ateneo felsineo, l’unita organica della filosofia, zoologia filosofica, psicogenia, “I principii metafisici di Vico”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siciliani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689771009/in/photolist-2mKDA5r-2mGnP2f

 

Grice e Signa --  la ruota di Venere – filosofia italiana (Signa). Filosofo. Insegna retorica (“ars dictaminis”) a Bologna e Padova. Vive ad Ancona, Venezia, Bologna, Padova, e Firenze. Tra i saggi più significativi si ricordano il saggio storico “L’assedio d’Ancona” (Viella, Roma), il “Bon Compagno”; “Rethorica novissima”; “Scacchi e il “Libellus de malo senectutis et senis”, nel quale, con spirito arguto, prende in giro le affermazioni di Cicerone che idealizzavano la vecchiaia”; la “Rota Veneris” (Salerno), un saggio di epistolo-grafia amorosa; “Liber de amicitia”; “Ysagoge Boncompagnus; “Tractatus virtutum”; “Palma Oliva Cedrum Mirra Quinque tabulae salutationum”;  “Bonus Socius e Civis Bononiae. P. Garbini, Roma, Salerno, Gabrielli, Le epistole di Cola di Rienzo e l'epistolografia, Archivio della Società romana di storia patria, Gaudenzi, Sulla cronologia delle opere dei dettatori bolognesi da Buon Compagno a Bene da Lucca, Bullettino dell'Istituto storico italiano, G. Manacorda, Storia della scuola in Italia, Palermo, F.Tateo,  Enciclopedia dantesca,  Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Boncompagno da Signa, su ALCUIN, Ratisbona.  S. Wight: Boncompagno's charter doctrine (Bologna), in: Medieval Diplomatic and the 'ars dictandi', Scrineum. Keywords: “ars dictaminis” – o rettorica --. Bon Compagno da Signa. Signa. Keywords: rota veneris – erotica – ermafrodita – erma: mercurio, afrodita, venere, afrodisiaco. Luigi Speranza, “Grice e Signa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733693876/in/datetaken/

 

Grice e Simioni – amanti – filosofia italiana (Venezia). Fiosofo. Tra i principali studiosi di Pirandello, inizia la sua attività politica militando nelle file del socialismo. Venne espulso dal partito per indegnità morale. Collabora con l’United States Information Service. Si trasfere a Monaco di iera per approfondire gli studi per poi ritornare a Milano. Leader di un collettivo operai-studenti, mentre lavora alla Mondadori, fonda il collettivo politico metro-politano milanese. Teorizza lo scontro aperto, e si considera il progenitore delle brigate rosse. Insieme a circa settanta persone, tra cui componenti del collettivo ed elementi del dissenso, partecipa al convegno di Chiavari nella sala Marchesani, adiacente la pensione Stella Maris, nel quale un gruppo di partecipanti dichiara la propria adesione ad una visione politica. La data di questo convegno viene da taluni considerata come la data di nascita delle brigate rosse. Altri affermano che la formazionesia nata con il convegno di Pecorile (Reggio Emilia). L'ultima attività, prima di passare alla completa clandestinità, a compe come redattore di "Sinistra proletaria", l'ultimo dei quali riporta in copertina uno sfondo rosso con disegnato al centro un cerchio nero attorniante le sagome di quattordici mitra. Fonda la scuola di lingue Hyperion, la quale secondo alcuni ha la funzione di una vera centrale internazionale. Si afferma che e anche il capo del Super-clan, organizzazione nata da una costola delle brigate rosse. Si insere nella vita cittadina, ricominciando a frequentare gli ambienti progressisti e divenendo vicepresidente della fondazione Abbé Pierre. E proprio quale accompagnatore dell'Abbé Pierre, e ricevuto da  Giovanni Paolo II in udienza privata. Si avvicina al buddhismo tibetano. Si apparta nella campagna di Truinas, nella Drôme, dove gestì un B&B. Craxi, alludendo alla esistenza di un grande delle brigate rosse (l'eminenza grigia ipotizzata da alcuni che dall'estero avrebbe guidato, come un burattinaio, molte delle azioni sul suolo italiano), dichiara che costui poteva essere cercato tra quei personaggi che avevano cominciato a fare politica con noi e poi sono scomparsi, magari sono a Parigi a lavorare per il partito armato, frase che venne da molti ritenuto indicasse come grande proprio lui. L'organizzazione di sinistra extraparlamentare Lotta Continua lo accusa di essere un confidente della polizia e in contatto con i servizi segreti.. Durante la fase iniziale di Mani pulite, e accusato da Larini di essere il grande, accuse respinte da lui che le ritenne parte di un'azione contro Craxi, vista la comune militanza nel socialismo. Hyperion e realmente una scuola di lingue o la stanza di compensazione di diversi servizi segreti?  A. Ferrari, In teleselezione dalla Francia gli ordini ai italiani? Corriere della Sera Entrambi gli edifici sono proprietà della curia  Il convegno di Pecorile in Anni di Piombo. Il nucleo storico delle brigate rosse. E morto il misterioso grande, La Tribuna di Treviso,  S. Fratini, Hyperion: scuola di lingue chiacchierata, -ANSA, repubblica/ cronaca/ 10/27/ news/caso_moro_il_bierre_franceschini_moretti_una_spia_ riduttivo_si_sentiva_lenin. Dalla lotta al buddhismo, in Critica Sociale, Anni di piombo Superclan Hyperion (Parigi) Venezia Anni di piombo. Corrado Simioni. Simioni. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Simioni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734275929/in/dateposted-public/

 

Grice e Simoni – gl’eretici italiani – gl’acuti – i nobili -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucca). Filosofo. Figlio di Simoni, un mercante di seta, la cui famiglia era originaria di Vagli, in Garfagnana e Polissena, donna di una famiglia originaria di Vimercate. Studia con Bendinelli e Paleario, due umanisti in dore di eresia. Il secondo fine sul rogo a Roma. Legge sostenuto dal padre e dal patrizio veneziano Mocenigo peregrina nei maggiori studi d'Italia: Bologna, Pavia, Ferrara, e Napoli. Si laurea a Padova. Diversi ma tutti autorevoli i suoi professori: da Maggi a Cardano, da Boldoni ad Brasavola. La sua formazione e di stampo aristotelico, come s'insegnava nello studio padovano, con una forte esigenza razionalistica che aveva riflessi nel campo religioso, tale da mettere in dubbio l'immortalità dell'anima e a creare sospetti di eresia tra i professori e gli studenti di quella Università. Con questa preparazione, Simoni fece ritorno a Lucca, dove fu tra i fondatori del Collegio medico, esercitò la professione medica e sembra aver scritto i suoi primi saggi di argomento filosofico. Nall'infanzia del Simoni, Lucca ha vissuto un periodo concitato di aperti conflitti sociali e poi di tentativi di riforme politiche e religiose, portate avanti dal gonfaloniere F.Burlamacchi e dal circolo di intellettuali riuniti intorno a P. Vermigli, priore di San Frediano. Quando ritorna a Lucca, quella fervida attività era già stata spenta dalla reazione cattolica guidata dal vescovo inquisitore Guidiccioni, ma certo quelle idee di Riforma circolano ancora sotterraneamente, e forse lui stesso le aveva già raccolte durante i suoi trascorsi nelle diverse università da lui frequentate.  Sta di fatto che fu chiamato dalle autorità lucchesi a dare spiegazioni sulle proprie opinioni. Per tutta risposta  «non fidandosi troppo delle sue forze», cerca la salvezza con la fuga: munito solo di un cavallo e dei propri risparmi, dopo aver preso commiato dalla famiglia, fugge, accompagnato da un servitore, alla volta di Ginevra. Negli atti ufficiali della Repubblica di Lucca, la sua condanna per eresia risulta formalizzata. A Ginevra, patria del calvinismo, si forma una numerosa colonia di emigrati italiani e tra questi non pochi erano i lucchesi. La comunità italiana era inserita in una propria chiesa e Simoni vi ebbe l'incarico di catechista. Preso a benvolere dall'influente teologo T. Beza, ottenne di insegnare filosofia a Ginevra: un incarico dapprima senza compenso, poi retribuito insieme con la nomina a Professore. Anche il padre Giovanni si stabilì a Ginevra: in quello stesso periodo gli venne aumentato lo stipendio, ottenne un alloggio gratuito e, nell'Accademia fu istituita appositamente per lui la cattedra.  A Ginevrà pubblica i primi saggi. Presso Crespin apparve il suo “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” è il commento al “De sensu et sensibilibus” di Aristotele. In esso define la verità filosofica -- una premessa tipica dell'aristotelismo padovanoma poi cerca di dimostrare che la ragione, indagando la natura, può giungere a Dio, rivelando le verità di fede. In tal modo, sostiene che anche ogni questione ha natura razionale e, qualora sorgano contrasti, la ragione è in grado di comporli, indicando la via da seguire per una corretta interpretazione: una conseguenza, seppure non esplicita uonel s commento, della prevalenza della ragione sulla fede, è che il dogma espressione della tradizionale subordinazione della ragione alla fede non ha motivo di esistere. Il suo aristotelismo che poco concede alla teologia si conferma con i successivi commenti all'Etica Nicomachea e al De anima, mentre Simoni condusse una lunga e dura polemica contro il filosofo J. Schegk. Questi, proprio all'opposto del Simoni, usa argomenti tratti dalla  scolastica per dimostrare la realtà della teoria, allora caldeggiata in ambienti luterani, della ubiquità del corpo di Cristo. Simoni risponde con argomenti di carattere fisico dimostrando l'irrealtà di tale assunto. Unn solo corpo fisico non può che occupare, nello stesso tempo, un unico spazio determinato. Anche Cristo, in vita, e soggetto alla legge naturale. Dopo la morte, Cristo mantenne soltanto una natura divina. Non è sostenibile l'idea che Dio possa mutare una legge naturale. Ente perfetto e primo motore immobile come l'aveva delineato Aristotele Dio agisce sulla natura unicamente attraverso la sua perfezione che indirizza al bene gl’esseri naturali.  Il suo carattere collerico e l'alta considerazione che ha di sé lo porta a una lite clamorosa con N. Balbani, un altro lucchese. Durante il matrimonio della figlia di questi, Simoni lo coprì d'insulti, con grave scandalo delle autorità di Ginevra, che fecero imprigionare Simoni e lo espulsero dall'Accademia. A nulla valsero le suoi scuse presentate -- è del resto probabile che la severità del Consiglio e del Concistoro ginevrino e motivata anche dalla freddezza e dallo suo spirito d'indipendenza dimostrato che pure si dichiarava calvinista, in materia di religione. Tuttavia Beza gli mantenne ancora la sua amicizia e lo forne di una lettera di raccomandazione con la quale si dirige alla volta di Parigi.  A Parigi ottenne una buona accoglienza. I calvinisti qui chiamati ugonottierano ancora tollerati e le lusinghiere referenze gli fecero ottenere una cattedra di filosofia al Collège Royal, dove le sue lezioni ottenneno subito un grande concorso di pubblico. Come scrisse al Beza, alle sue lezioni assistevano sei o settecento uomini barbati, dottori, professori, et altri di robba lunga, preti, frati, giesuiti et altra simil razza d'uomini. Si ha congratulazioni di Ramo, che volle incontrarlo e lo chiama “felicissimum et praestantissimum ingenium italicum”, non però quelle del collega Charpentier, che teme che fosse stato mandato da Ginevra per turbare questa scuola. Sapeva che la sua permanenza a Parigi era precaria: «il nome di Ginevra mi nuoce più che il nome di ugonotto», né poteva valere molto la protezione del cardinale Odet de Coligny, passato al calvinismo. Riferiva di aver rifiutato offerte sostanziose da parte cattolica per insegnare in loro collegi, a prezzo di una sua conversione, e di attendersi un prossimo editto che avrebbe affrontato il problema della convivenza tra cattolici e ugonotti.  Un editto effettivamente ci e, emanato da Carlo IX, con il quale si proibiva ai protestanti l'insegnamento pubblico. Così, perduti anche i suoi saggi che gli furono sequestrati, e costretto ad abbandonare la Francia. Si apre un nuovo periodo di difficoltà. Non potendo insegnare a Ginevra, cerca di ottenere un incarico a Zurigo e a Basilea, sollecitando in tal senso altri emigrati italiani come l'editore Perna e l'umanista Curione, ma invano. I sospetti di anti-trinitarismo che gravano sul suo conto, da quando, hfatto ha isita nel carcere di Berna all'«eretico» Valentino Gentile poco prima che questi venisse giustiziato, e il recente scandalo provocato a Ginevra non agevolavano il suo inserimento nelle élite intellettuali delle città svizzere.  Ottenne bensì una raccomandazione dal Bullinger per un posto di insegnante a Heidelberg, ma anche qui rimase poco tempo: la sua amicizia con l'anti-trinitario T. Erastus, il suo aristotelismo senza compromessi dal nulla, nulla si crea, sostenne in una pubblica lezione, cosicché anche Cristo era stato creato da Dio Padre e il suo carattere spigoloso gli alienarono ogni simpatia e dove riprendere la via di Basilea. Ottenne una cattedra straordinaria di filosofia all'Lipsia. Se puo fregiarsi della stima d’Augusto I, non eguale considerazione ottenne dai suoi colleghi, che fecero gruppo a sé e lo isolarono. Non si perse d'animo: molto popolare tra gli studenti per la vivacità delle sue lezioni e lo spirito critico che infondeva negli allievi, fonda, all'interno dell'Università, un'accademia sul modello umanistico italiano, battezzandola degl’acuti. Degl’acuti, entra a far parte un gruppo di suoi studenti. Le discussioni dovevano vertere sulla interpretazione di passi aristotelici. I giovani così raggruppati intorno a lui dettero ben presto dello spirito critico e dell'idea di esser superiori agl’altri, che il vivace professore ha finito per insinuare nei loro animi. Pasquinate anonime contro un professore, e il giorno dopo, un litigio clamoroso tra questo e il Simoni, iniziano una serie di incidenti che ha termine con la soppressione degl’acuti. La soppressione degl’acuti, decisa dal Senato universitario, testimonia i difficili rapporti intercorrenti tra l'Università e lui, che per altro in città era reputato ospite illustre, professionista affermato e ricercato, uomo di mondo e di cultura dalla posizione prestigiosa, che gode della stima e del rispetto dei suoi concittadini, e la cui fama oltrepassa la frontiera del paese che gli dava ospitalità. Infatti, oltre a insegnare filosofia e ad avere allievi anche illustri, come il prìncipe Radziwiłł, esercita la professione medica, vantando clienti di riguardo.  Pubblica il suo saggio filosofico più originale, la “De vera nobilitate”, dedicato ad Augusto I. La vera nobiltà è la virtù dell'anima umana, la quale è intesa aristotelicamente come forma del corpo. La virtù dell'anima è perciò strettamente legata alla particolare costituzione del corpo, trasmessa nell'individuo di generazione in generazione dal seme del padre, che costituisce la causa efficiente del singolo essere. Non per nulla da ‘genere’ deriva ‘generoso’. Se pure non ogni nobile e generoso, chi è generoso è considerato nobile. Le differenze sociali tra gl’uomini e le conformazioni dei loro corpi sono egualmente corrispondenti per necessità naturale. La natura vuole infatti fare diversamente il corpo dei liberi da quelli dei servi. Questi robusti e con deformità necessarie al loro particolare utilizzo. Quelli diritti e belli, perché non desti tali fatiche, ma alla vita civile. L’educazione svolge una funzione per la formazione dell'uomo, ma resta inferiore a quella naturale. Di due giovani, di diversa estrazione sociale ma educati allo stesso modo, il nobile risulta meglio formato, in quanto la natura lo ha costituito di una materia superiore. L'educazione ha lo stesso effetto della medicina. Fa recuperare la propria condizione di salute, ma non può migliorarla oltre il limite fissato dalla natura. Viene da sé che le famiglie nobili d’Italia diano lustro alla nazione italiana, formando l'élite della società civile sotto l'aspetto culturale e politico. Questo avviene nella nazione italiana, di antica civiltà in sostanza. Presso i barbari non può esistere nobiltà. Il barbaro e giustamente detto servo per natura e in quanto servo non porta in lui nessuna virtù, essendo nato per servire sotto una tirannia e non in un regio e civile governo. La virtù dei nobili non possono consistere nell'accumulare ricchezze, ma essa e ugualmente attiva e pratica. E la virtù civili del politico, che si occupa del benessere dei cittadini, quelle del medico, che si occupa della salute degli individui, del fisiologo, che studia la natura e infine del metafisico, che studia le cose divine. Queste ultime, insieme alla virtù della contemplazione, è però meglio riservarle nella vita che ci attende dopo la morte, quando quei problemi saranno facilmente risolti. Queste cose sono irrise dai politici, tra i quali, non tra gli angeli, si discute di nobiltà. Nel frattempo, è opportuno dedicarsi alle cose di questo mondo ed essere utili alla società degl’uomini. Si loda Socrate il quale, trascurate le altre parti della filosofia, coltiva quella sola che era più adatta ai costumi degli uomini e alle istituzioni civili. Che la vera nobiltà si debba esprimere nell'attività pratica e civile è ribadito più volte. La nobiltà spunta fuori dalla società civile, non dalla solitudine e la virtù spirituale, come quelle mostrate dai mistici e dai contemplativi, non e virtù nobile propria dell'essere umano. Questa virtù discende direttamente da Dio e perciò non derivano da generazione spermatica naturale del padre, non sono frutto della carne e del sangue il fondamento della vera nobiltà e non essendo ereditarie non puo essere considerata virtù nobile.  Naturalmente, ai innobili non possono essere affidati incarichi di responsabilità nel governo della società, ma al più solo l'esercizio di magistrature minori. Derivando dal sangue la nobiltà, non si può diventare autenticamente nobili attraverso conferimenti onorifici, anche se concessi da un sovrano mentre, al contrario, un autentico nobile non può essere privato della fama e dell'onore, perché in lui opera sempre quella forza e quell'efficacia naturale ricevuta dai suoi antenati. Dopo questa applicazione dei principi aristotelici al vivere civile e al governo dello Stato, che deve essere affidato a chi per natura fa parte degl’ottimati, si dedica a trattare temi propriamente medici. Appare a Lipsia il suo “De partibus animalium” ove descrive la conformazione del feto, la “De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium”; l'”Artificiosa curandae pestis methodus” ; la “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium febrium natura” -- temi di drammatica attualità, a Lipsia, investita da un'epidemia di peste. Ottene il permesso di esercitare la professione medica all'interno dell'Università, pur senza ottenere, oltre quella straordinaria di filosofia, anche una cattedra di medicina. Presenta ad Augusto I una proposta di riforma universitaria. S'indica la necessità di una maggiore cura nell'assunzione dei professori, che dovevano dimostrare non solo di possedere la necessaria scienza, ma anche capacità didattiche. Dovevano anche essere obbligati a tenere un maggior numero di lezioni s'imponevano multe ai professori inadempienti mentre la durata dell'anno accademico veniva prolungata.  Particolare cura dedica all'insegnamento. Dovevano tenere lezioni cinque professori, tra i quali un chirurgo che avrebbe tenuto esercitazioni di anatomia e fatto dimostrazioni pratiche di cura delle diverse affezioni. La qualità dell'insegnamento teorico anda migliorata. Ritene che corressero troppe affermazioni dogmatiche, che sarebbero dovute essere verificate dalla pratica e dal rigore della dimostrazione dialettica. A questo proposito opina che avrebbe giovato un'accurata conoscenza delle opere di Aristotele. Non mancavano poi critiche severe sull'attuale andamento dell'Lipsia. I rettori erano scelti grazie alle loro aderenze, si promuovevano studenti immeritevoli, vi era scarsa pulizia, la farmacia universitaria era mal tenuta. Tali proposte e simili critiche non potevano che alimentare ancor più l'ostilità dei colleghi. Egli non sembrava preoccuparsene: la stima dell'Elettore Augusto si manteneva immutata, se lo fece nominare Professore di filosofia e lo promosse a suo primo medico personale. Avvenne tuttavia che, su sollecitazione della chiesa luterana, la quale aveva preparato una confessione di fede che in particolare tutti funzionari e gli impiegati, a vario titolo, dello Stato avrebbero dovuto firmare, l'Elettore pretese tale sottoscrizione anche dal professor Simoni, ottenendone un netto rifiuto.  Racconta lo stesso Simoni che, avendo «rifiutato costantemente di sottoscrivere quella che i teologi sassoni denominarono Formula di Concordia, il Principe Elettore rivolse il suo sdegno contro di me». Al che il Simoni «decise di andarsene e, nonostante l'Elettore cercasse d'impedirlo, diede l'ultimo saluto a quelle popolazioni. Si trasferì a Praga, dove venne assunto quale medico personale di Rodolfo II. Tale incarico e il carattere cattolico dell'Impero di cui era ora suddito rendeva necessario un chiarimento sulle sue posizioni religiose, poiché era nota la rottura avvenuta a Ginevra con i calvinisti e a Lipsia con i luterani. Simoni si adeguò facilmente alla nuova situazione e abiura pubblicamente le passate convinzioni, ritrattò quanto nei suoi scritti poteva esservi di eretico e abbraccia formalmente il cattolicesimo. Si tratta di una scelta di convenienza, seppure comprensibile nel clima torbido delle persecuzioni e dell'intolleranza. Lo scrisse lui stesso all'amico N. Selnecker, un teologo luterano. Confesso di aver abiurato, anche se non avrei voluto farlo neppure a costo del mio sangue. Di tale mio atto altri comunque sono i responsabili. In nessun altro modo avrei potuto infatti salvare la mia vita, quella di mia moglie e dei miei figli che speravo di poter condurre con me»la moglie morì poco dopo e i tre figli rimasero affidati a Lipsia al nonno materno«io, un italiano perseguitato a causa della religione luterana, dichiarato nemico della patria, esposto per decreto del Senato all'agguato di sicari. E ricordò la sorte di chi non si era piegato a compromessi. I che vidi con questi occhi il Paleologo, esule per causa di religione, condotto su richiesta del legato pontificio dalla Moravia a Vienna, e di qui trascinato in catene a Roma (si sente dire che ormai è stato crudelmente arso sul rogo), io che ero circondato da ogni parte da infinite difficoltà e pericoli di ogni genere, che cosa avrei dovuto fare? Questa lettera non venne agli occhi dei gesuiti, che vantarono il successo ottenuto con la presunta conversione del medico famoso, il quale avrebbe promessoa dir lorodi collaborare nella lotta agli eretici. La loro soddisfazione non dovette però durare a lungo, o forse essi stessi credettero poco alla conversione del Simoni, se lo storico gesuita Sacchini  poteva qualificarlo di «miserabile uomo che in disprezzo di ogni religione sprofondò nell'empietà», mentre tra i protestanti Beza, alla notizia della sua conversione, commentò di essere sempre stato convinto che l'unico Dio fosse in realtà Aristotele. J. Monau, dopo aver ricordato i suoi continui trascorsi da cattolico si è fatto calvinista, da calvinista antitrinitario, da antitrinitario luterano, e ora di nuovo papista. lo tratteggia da uomo profano ed empio, come indicano sia i suoi costumi, sia i suoi discorsi, sia tutta la sua vita. Forse egli stesso sente di essere circondato da un clima di diffidenza se non di disprezzo, perché prende la risoluzione di lasciare le terre dell'Impero per trasferirsi in Polonia.  Sembra che sia stato un altro italiano, N. Buccella, medico personale del re Stefamo Báthory, a raccomandarlo come medico della corte di Cracovia. Buccella, di fede anabattista, gode di notevole considerazione, né la sua fama di eretico gli aveva pregiudicato l'esercizio della professione in quella Polonia che era ancora un paese tollerante. Il prestigioso incarico e la fama stessa di cui da tempo godeva gl’apre le porte della migliore società. Riprese a pubblicare alcuni saggi: la “Disputatio de putredine” è una confutazione, sulla scorta di Aristotele, delle teorie d’ Erastus, mentre la “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta” è una relazione sulla morte di un borgomastro. Sulla malattia di quest'ultimo torna nel “Simonius supplex” insieme con una delle solite polemiche che lo videro ora opporsi al medico di Squarcialupi. Una nuova svolta nella sua  si verifica con la malattia e la morte del re Stefano. Báthory si sente male nel suo castello di Grodno, e nel consulto tenuto dal Buccella e da Simoni emersero serie divergenze. Bucella giudica molto grave le condizioni di Stefano/ Simoni ritenne che non ci fosse nessun pericolo. Due giorni dopo le condizioni del re si aggravarono e i due medici si trovarono d'accordo nell'imporre un salasso al re ma in contrasto sulla dieta. Simoni e favorevole a fargli bere del vino, che Buccella intendeva invece proibire. Nemmeno nella diagnosi si trovarono d'accordo. Per Buccella, il re soffre di asma. Per Simoni, di epilessia. Sopravvenne una nuova grave crisi e il re perse conoscenza. Pur giudicando molto gravi le sue condizioni di salute, Simoni rassicura i circostanti, perché, a suo dire, non c'era ancora pericolo di morte. Appena pronunzia queste parole che il re spira. Lascia il castello e non volle assistere all'autopsia, sostenendo che fosse inutile, poiché l'epilessia “ab infernis partibus ducit originem” e non lascia tracce nel cadavere. Coordinata da Buccella, l'autopsia e effettuata da Zigulitz, che accerta una grave alterazione dei due reni. La ri-cognizione dello scheletro di Báthory conferma che la morte avvenne per de-generazione renale, uremia e calcolosi. Cracovia: chiesa di San Francesco pubblica a sua difesa lo “Stephani primi sanitas, vita medica, aegritudo, mors” che e violentemente contestato dal “De morbo et obitu serenissimi magni Stephani” scritto da Chiakor su ispirazione di Buccella. La polemica prosegue a lungo, coinvolgendo altri amici di Buccella, e degenerando in insulti e attacchi sulle convinzioni filosofiche dei due protagonisti. Contro Simoni, tra gli altri, e indirizzato l'opuscolo “Simonis Simoni lucensis, primum romani, tum calviniani, deinde lutherani, denuo romani, semper autem athei summa religio”. Alla fine, Sigismondo III ri-conferma Buccella nella carica di medico curante, escludendo Simoni da ogni incarico di corte. Da allora, le notizie su lui si fanno scarse. Pur senza avere incarichi ufficiali, mantenne una ricca clientela e godette della considerazione di  Rodolfo, dei principi Radziwiłł, di Pavlowski e dei gesuiti, dai quali si fa ri-ilasciare un salva-condotto per rientrare in Italia e recarsi a Roma. Precauzione necessaria, con i suoi trascorsi: una precauzione maggiore e però quella di rinunciare al viaggio. La sua vita agitata ha così fine a Cracovia, come lo ricordava la lapide posta sulla sua tomba nella chiesa di San Francesco. La data di nascita si deduce dalla lapide sepolcrale, poi andata distrutta in un incendio, posta nella chiesa di San Francesco, a Cracovia, nella quale era scritto che il Simoni «ultimum diem clausit III, aIl testo della lapide è in S. Ciampi, Viaggio in Polonia, Queste notizie biografiche si apprendono da saggio di Simoni, “Scopae, quibus verritur confutation”. Per secoli gli storici discuteno del luogo della sua nascita. M. Verdigi, Simone Simoni, filosofo e medico, C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, C. Lucchesini, Come scrive egli stesso: S. Simoni, “Synopsis brevissima” C. Madonia, Simone Simoni da Lucca,  G. Tommasi, “Sommario della storia di Lucca”; A. Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese”; A. Fabris, “La filosofia di Simoni” n M. Verdigi, Simone Simoni,  S. Simoni a Teodoro di Beza, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, e in M. Verdigi, Simone Simoni, cS. Simoni a Teodoro di Beza, in M. Verdigi, Simone Simoni, D. C. Madonia, Simone Simoni,  F. Pierro, La vita errabonda di uno spirito einquieto. Simone Simoni, S. Simoni, Simonius supplex  in C. Madonia, Simone Simoni da Lucca, M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese. Il paleo-logo e decapitato in carcere  e il cadavere arso pubblicamente a Roma, nel campo de' fiori. M. Firpo, Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo di un eretico lucchese; F. Sacchini, Historia Societatis Jesu, in M. Verdigi, Simone Simoni, T. di Beza, lettera a R. Gwalther, in A. Pascal, Da Lucca a Ginevra, J. Monau, lettera a J. Crato, in D. Caccamo, “Eretici italiani” Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto. Simone Simoni, C. Madonia, Simone Simoni da Lucca. Altre saggi: “In librum Aristotelis de sensuum instrumentis et de his quae sub sensum cadunt commentarius unus” (Genevae, Crispinum); “Commentariorum in Ethica Aristotelis ad Nicomachum, liber primus” (Genevae, apud Ioannem Crispinum); “Interpretatio eorum quae continentur in praefatione Simonis Simonij Lucensis, Doct. Med. & Phil. cuidam libello affixa, cuius inscriptio est: Declaratio eorum quae in libello D. D. Iacobi Schegkii, & c.” (Genevae, Crispinum); “Phisiologorum omnium principiis Aristotelis De anima libri tres” (Lipsiae, Võgelin); Antischegkianorum liber unus, in quo ad obiecta Schegkii respondetur, vetera etiam nonnulla, dialectica & phisiologica praesertim, errata eiusdem, male defensa & excusata inculcantur, novaque quam plurima peiora prioribus deteguntur, Basileae, apud Petrum Pernam, Responsum ad elegantissimam illam modestissimamque praephationem Jacobi Schegkii, cui titulum fecit Prodromus antisimonii” “Ad amicum quendam epistola, in qua vere ostenditur, quid causae fuerit, quod responsum illud, quo maledicus, & multis erroribus refertus Iacobi Schegkij doctoris & professoris Tubingensis liber plene refellitur, nondum in lucem prodierit, Parisiis, in vico Jacobaeo; “De vera nobilitate” (Lipsiae, Rhamba); “De partibus animalium, proprie vocatis Solidis, atque obiter de prima foetus conformatione” (Lipsiae, Rhamba); “De vera ac indubitata ratione continuationis, intermittentiae, periodorum febrium humoralium” (Lipsiae, Bervaldi); “Artificiosa curandae pestis methodus, libellis duobus comprehensa” (Lipsiae, Steinmann); “Synopsis brevissima novae theoriae de humoralium frebrium natura, periodis, signis, et curatione, cuius paulo post copiosissima et accuratissima consequentur hypomnemata; annexa eiusdem autoris brevi de humorum differentiis dissertatione. Accessit eiusdem Simonis examen sententiae a Brunone Seidelio latae de iis, quae Jubertus ad axplicandam in paradoxis suis disputavit” (Basilea, Pernam); “Historia aegritudinis ac mortis magnifici et generosi domini a Niemsta” (Cracovia, Lazari); “Disputatio de putredine” (Cracovia, Lazari); “Commentariola medica et phisica ad aliquot scripta cuiusdam Camillomarcelli Squarcialupi nunc medicum agentis in Transilvania” (Vilna, Velicef); “Simonius supplex ad incomparabilem virum, praeclarisque suis facinoribus de universa republica literaria egregie meritum Marcellocamillum quendam Squarcilupum Thuscum Plumbinensem triumphantem”; “Pars  in qua de peripneumoniae nothae dignitione curationeque in domino a Niemista, de subiecto febris, de rabie canis, de starnutamento, de infecundis nuptiis agitur” (Cracovia, A. Rodecius); “D. Stephani primi Polonorum regis magnique Lithuaniae ducis vita medica, aegritudo, mors” (Nyssae, Reinheckelii); “Responsum ad epistolam cuiusdam G. Chiakor Ungari, de morte Stephani primi”; “Responsum ad Refutationem scripti de sanitate, victu medico, aegritudine, obitu, D. Stephani Polonorum regis, Olomutii, Scopae, quibus verritur confutatio, quam advocati Nicolai Buccellae Itali chirurgi anabaptistae innumeris mendaciorum, calumniarum, errorumque purgamentis infartam postremo emiserunt, Olomutii, typis F. Milichtaler, Appendix scoparum in N. Buccellam, F. Sacchini, Historiae Societatis Iesu, Antverpiae, Ex officina filiorum Martini Nutii, Sebastiano Ciampi, Viaggio in Polonia, Firenze, presso Giuseppe Galletti, Cesare Lucchesini” (Lucca, tGiusti); G. Tommasi, Sttoria di Lucca” (Firenze, Vieusseaux); A. Pascal, “Da Lucca a Ginevra. Studi sull'emigrazione religiosa lucchese, Rivista storica italiana, D. Cantimori, “Un italiano a Lipsia” Studi Germanici», F. Pierro, La vita errabonda di uno spirito inquieto” (Minerva, Torino); D. Caccamo, “Eretici italiani” (Firenze, Sansoni); M. Firpo, “Alcuni documenti sulla conversione al cattolicesimo dell'eretico lucchese Simoni”, “Annali della Scuola normale superiore di Pisa»,  Madonia, Rinascimento», Firenze, Sansoni, C. Madonia, Il soggiorno in Polonia, in «Studi e ricercheI», Verdigi, Lucca, G. Tiraboschi su Simone Simoni, in Biblioteca Modenese, Modena,  S. Ciampi, Viaggio in Polonia, sC. Lucchesini, Della storia letteraria del Ducato lucchese,  G. Tommasi, Sommario della storia di Lucca,  su books.google. S. Simoni, Antischegkianorum liber unus, su books.google. S. Simoni, De vera nobilitate, su books.google. S. Simoni, Artificiosa curandae pestis methodus. Simone Simoni. Simoni. Keywords: eretici italiani. Luigi Speranza, “Grice e Simoni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733807058

 

Grice e Sini – la filosofia del segno – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Grice: “I like Sini; especially his “I segni dell’anima,” since this is, in a nutshell, what my philosophy has been all about: the signs of the soul!” Studia a Milano sotto Barié e Paci, con il quale si laurea. Insegna ad Aquila e MilanoMembro per del Collegium Phaenomenologicum di Perugia, della Società Filosofica Italiana e socio dei Lincei, dell'Istituto lombardo di scienze e lettere. Insignito per una sua opera del Premio della Presidenza del Consiglio dello Stato Italiano. Collabora al Corriere della Sera e la Rai. Dirige per Versorio la collana "Pragmata", membro del comitato scientifico del festival La Festa della Filosofia. Premiato da Milano con l'Ambrogino d'oro. Con Grice, tra i primi a segnalare all'attenzione l'importanza della teoria del segno di Peirce. Propone un filone di ricerca sulla convergenza dei percorsi di Peirce e Heidegger sul filo dell'ermeneutica benché la sua formazione didattica fosse di orientamento prevalentemente fenomenologico. La sua proposta teoretica si concentra sul tema della scrittura e sulla centralità dell' abecedario come forma logica della filosofia nella lingua del Lazio. In “Figure dell'enciclopedia filosofica” rende conto della radicalità del gesto istitutivo di Lucrezio e della nascita della filosofia romana in modo da illuminare la genealogia della nostra civiltà e le figure del suo destino. Questo saggio si misura con nodi problematici e profondi della nostra cultura. Si mostra la verità del gesto filosofico di Lucrezio nel tratto tecnologico dell’abecedario che trasforma la relazione al mondo in cosità (de rerum natura). La pratica del concetto, infatti, in-forma il paradigma dell'oggettività (in rerum natura) e traduce la sterminate antichità dell'umano all'interno dell'ambito crono-topico della visione logica elaborata dalla scansione dell’abecedario del mondo con la conseguente nascita del tempo e del sapere storico. All'educazione mitologica dei corpi dei uomini si sostituisce l'educazione dei animi nella ri-mozione delle qualità sensibili della vita vissuta. Prima operazione di ingegneria genetica che comporta sia la nascita del soggetto morale nella paideia del bio-politico (come Nietzsche intuisce) sia il conseguente destino nichilista rivelato dal dis-incanto. Ma l'intreccio, che dalla pre-istoria conduce ai nostri giorni, rinvia al desiderio e all'iscrizione originaria che danza nelle figure del sesso e della morte. La soglia così dischiusa, annunciata dalla verità analogica dell'evento mimato nella generazione, permette il passaggio del movente desiderante nel desiderio di vita eternal. Platone e la logica disgiuntiva hegeliana rappresentano i due poli più rilevanti di questa consapevolezza lancinante. Addirittura, tutta la filosofia platonica è probabilmente da pensare come la domanda più alta e profonda che sia mai stata posta alla sapienza di Dioniso.  E così, dagli ominidi alla società dell'informazione, sul filo delle pratiche che ne circoscrivono le traiettorie, la trama del senso transita al segno disegnando le coordinate del nostro tempo e il predominio della visione scientifica e delle sue figure che dileguano la consistenza dell'inter-soggetivito, profilando nel rituale pubblico del potere finanziario, e nella conseguente imposizione dell'universalità oggettiva, un paradosso costitutivo che nasconde nuove e positive opportunità ancora tutte da scoprire (e attualmente mascherate dalla deleteria mercificazione imperante). Delineando nuove occasioni di senso, le figure dell'enciclopedia invitano a sognare più vero, vale a dire ad abitare la conoscenza filosofica nell'esercizio dell'evento del significato nella concretezza delle sue pratiche. Ethos di una nuova scrittura della soggezione del mortale al desiderio, nell'apertura al transito della vita. Approfondisce la questione del logos (parola, ragione) e della tecnica facendo del primo il fondamento ultimo, della seconda l'essenza. Una posizione di rilievo e in controtendenza all´interno del panorama di questa specifica area della filosofia contemporanea. Altre saggi: “I greci” ((Nuova Accademia di Belle Arti Editrice, Milano), “La funzione della filosofia” (Marsilio, Padova); “La fenomenologia” (Nigri, Milano); “Storia della filosofia” (Morano, Napoli); “Il pragmatismo (Laterza, Roma); “Segno” (Mulino, Bologna); “Passare il segno” (Saggiatore, Milano); “Kinesis. Saggio d'interpretazione (Spirali, Milano)”; “Il Metodo” (Unicopli, Milano); Parola e silenzo” (Marietti, Genova); “Segni dei animi” (Laterza, Bari); “Segno ed immagine” (Spirali, Milano); “Segni dei uomini” (Egea, Milano): “L'espressione e il profondo” (Lanfranchi, Milano)”, Etica della scrittura (Il Saggiatore, Milano, Mimesis, Milano); “Pensare il Progetto” (Tranchida, Milano); “Filosofia teoretica” (Jaca, Milano) Variazioni sul foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura” (Hestia, Como), “L'incanto del ritmo” (Tranchida, Milano Filosofia e scrittura (Laterza, Roma); “Scrivere il silenzio: Wittgenstein e il problema del linguaggio” (Egea, Milano); “Teoria e pratica del foglio-mondo (Laterza, Roma-Bari) Gli abiti, le pratiche, i saperi (Jaca Book, Milano) Scrivere il fenomeno: fenomenologia e pratica del sapere (Morano, Napoli) Ragione (Clueb, Bologna) Idoli della conoscenza (Cortina, Milano La libertà, la finanza, la comunicazione (Spirali, Milano) La scrittura e il debito: conflitto tra culture e antropologia” (Jaca, Milano); “Il comico e la vita” (Jaca, Milano); “Figure dell'enciclopedia filosofica. Transito verità” (Jaca, Milano), “L'analogia della parola: filosofia e metafisica;  La mente e il corpo: filosofia e psicologia; Origine del significato: filosofia ed etologia; La virtù politica: filosofia e antropologia; Raccontare il mondo: filosofia e cosmologia; Le arti dinamiche: filosofia e pedagogia  La materia delle cose: filosofia e scienza dei materiali (Cuem, Milano); “La verità e la vita” (Ghibli, Milano) Del viver bene: filosofia ed economia (Cuem, Milano); “Distanza un segno: filosofia e semiotica” (Cuem, Milano); “Il gioco del silenzio
 (Mondadori, Milano); “Il segreto di Alicia” (AlboVersorio, Milano); “Eracle al bivio: semiotica e filosofia” (Bollati Boringhieri, Torino); “Da parte a parte. Apologia del relativo (Ed.  ETS, Pisa) L'uomo, la macchina, l'automa: lavoro e conoscenza tra futuro prossimo e passato remoto (Bollati Boringhieri, Torino) L'Eros dionisiaco (Versorio, Milano); “Figure d'Occidente” (Versorio, Milano); “La nascita di Eros” (Versorio, Milano, ); “Spinoza” (Time, Milano ); E. Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio della filosofia” (Ets, Pisa); “Il filosofo e le pratiche. In dialogo con Sini (E.Redaelli,  BrovelliCrippa, Valle,  Redaelli), Milano, CUEM. Vincenzo Comerci, Filosofia e mondo. Il confronto di Sini, Milano, Mimesis.  Cristiano, La filosofia di Sini. Semiotica ed ermeneutica  (Milano, Mimesis) Collana Pragmata, in AlboVersorio, Cfr. Copia archiviata, su unimi).  Logos e techne, tecnologia e filosofia, Sini Noema, Treccani Enciclopedie o Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Nòema la rivista online di filosofia diretta da Rossella Fabbrichesi e Carlo Sini, su riviste.unimi. Archivio Carlo Sini il luogo ove i materiali relativi ai passati corsi universitari del prof. Sini ed altro ancora, su archiviocarlosini. Lectio Magistralis di Carlo Sini su La Différance, Arcoiris TV, Riflessioni sul Senso della Vita. Intervista di Ivo Nardi,  Riflessioni Collana Pragmata, Versorio. Carlo Sini. Sini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701305297/in/photolist-2mPrb68-2mPukhq-2mPpb7N-2mPpwbZ-2mNzeEc-2mMQbzj-2mLKtaD-2mLP6FB-2mLFz5i-2mLQdrQ-2mLP9qE-2mLPa8B-2mLFBT9-2mLLerS-2mLEGPt-2mLLeDF-2mLNg8K-2mLNeAm-2mPu6xB-2mKRfHn-2mKMjs5-2mPsfT9-2mKyErQ-Ng2dT2-28DhAYd-DndBhH-Bq6mau-BvUfSB-FKiWA6-FcebeC-CRAGiK-BpXH8h-CfbuaM-Ckaz7s-CntuMM-CntseF-BUPaNy-q8gsC7-q7XSd8-pQKmoV-m3tK8a

 

Grice e Siracusa – i bagni di Pozzuoli – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo. Grice: “We know William was from Ockham but we call him Ockham; similarly, Alcaldino was from Siracusa, so we should call him Siracusa!” -- Vissuto vicino alla corte degli Hohenstaufen. Sebbene non vi siano certezze sull'esatto anno di nascita di Alcadino, a parere di un suo biografo, egli sarebbe nato a Siracusa. Suo padre lo manda a studiare a Salerno, presso la celebre scuola medica. Dopo gli studi in lettere, si cimenta in quelli di filosofia, raccogliendo attorno a sé una serie di seguaci. Quindi, in seguito alla conclusione del corso regolare degli studi, e scelto per fare da insegnante filosofia presso la stessa scuola salernitana.  Divenuto uno dei più stimati filosofi della scuola, e chiamato alla corte di Enrico VI , che nel frattempo era entrato in possesso del regno di Sicilia, ed e assunto come filosofo del sovrano. Dopo la morte di Enrico, divenne il filosofo  di lui figlio, Federico II, che lo rese degno di confidenza e apprezzamento. Oltre alle ordinarie attività legate alla prosa filosofica, si occupa anche di poesia. Scrive un saggio in versi sui bagni minerali di Pozzuoli, il “De Balneis Puteolanis”. In questo poema filosofico rimato vengono descritti con precisione il luogo, le qualità e le virtù dei suddetti bagni. Scrive inoltre due opere nelle quali celebrava le gesta di Enrico VI e Federico II.  Altri saggi: “De Balneis Puteolanis”; “De Triumphis Henrici Imperatoris De His Quae a Friderico II Imperatore Praeclare ac Fortifer Gesta Sunt. P. Panvini di S. Caterina Salvatore De Renzi.  P. Panvini di S. Caterina, Biografia degli uomini illustri della Sicilia, Giuseppe Emanuele Ortolani, Tomo I, Napoli, S. De Renzi, “Storia documentata della scuola medica di Salerno” (Napoli). Siracusa. Keywords: i bagni di Pozzuoli. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Siracusa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733795423/in/datetaken/

 

Grice e Sirenio – libero arbitrio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Brescia). Filosofo. Insegna Bologna. “De fato” (Venetiis, Giordano Ziletti). Sirenio. Keywords: libero arbitrio, contingetia, possibilitas, necessitas, ‘secundum philosophorum opinionem” -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sirenio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691552363/in/photolist-2mKNHBr

 

Grice e Solari – iustum/iussum – filosofia italiana – Luigi Speranza (Albino), Filosofo. Frequenta il prestigioso Collegio San Francesco di Lodi retto dai Barnabiti per poi proseguire gli studi a Messina, da dove poi si trasferì presso Torino. Si forma nel Laboratorio di Economia Politica di Martiis, per poi scegliere la filosofia del diritto sotto la guida di Carle. Anche membro di una tra le istituzioni culturali più prestigiose a livello nazionale: l'Accademia Nazionale dei Lincei. Autore di un idealismo sociale e studioso di Pagano, esponente della scuola di filosofia del diritto dell'Torino, dove tenne questa cattedra quando succedette a Carle all’anno in cui fu sostituito da  Bobbio. Ha tra i suoi allievi lo stesso Bobbio, Treves, Scarpelli, Gobetti, Entrèves, Pareyson, Firpo, Colli, Leoni, Einaudi e Goretti.  Per tutta la vita si dedica esclusivamente all'insegnamento universitario, rifiutando qualsiasi incarico pubblico (non diventa nemmeno preside della sua facoltà); le cattedre da lui ricoperte sono state nelle Messina, Cagliari e Torino. Presta il giuramento di fedeltà al fascismo. Saggi: “La scuola del diritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche” (Torino, Bocca); “L'idea individuale e l'idea sociale nel diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto” (A.T.U., Torino); “Filosofia del diritto privato”; “Lezioni di filosofia del diritto”; “Studi storici della filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino).  S. Fiori, Il professorie che dice "NO" al Duce, in La Repubblica, Lezioni di filosofia del diritto; G. Carle e G. Solari, raccolte da G. Bruno” (A.T.U., Torino); “Studi storici di filosofia del diritto” (Giappichelli, Torino); “Nella cultura” (FrancoAngeli, Milano); A. Contu, “Questione sarda e filosofia del diritto in Solari” (Giappichelli, Torino); D.  Cugini, “Commemorazione” (Albino); “Agostino, Il problema del diritto e dello Stato nella filosofia del diritto di Hegel (Giappichelli, Torino); L. Firpo, La filosofia politica (Laterza, Bari). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gioele Solari. Solari. Keywords: Giorgio Guglielmo Federico Hegel, Spaventa, hegelianismo, iustum/iussum – storia della filosofia del diritto romano – cicerone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Solari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733503931/in/datetaken/+

 

Grice e Soleri – funzionalità veritativa dei connettivi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pagliero di San Damiano Macra). Filosofo. Studia a Milano sotto Olgiati. Insegna a Saluzzo. Saggi: “Il problema metafisico del male” (in “Sapienza”); “Inevitabilità e decisività del problema teologico”; “La proprietà” (S.E.I. Torino); “Telesio, La Scuola, Brescia); “Lucrezio, La Scuola, Brescia); “Antonino” (La Scuola, Brescia); “L'immortalità dell'anima” (S.E.I., Torino); “Economia e morale” (Borla, Torino); “Essere, atto, valore in”; “Il problema del valore” (Morcelliana, Brescia); “Incisività e decisività del problema teologico”, in “Studia Patavina”, “Orizzonte della metafisica”; D. Ettore, “Soleri” (Saluzzo). Soleri. Keywords: Telesio, Lucrezio, Antonino, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soleri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734127339/in/datetaken/

 

Grice e Somenzi – il naturale, il innaturale, il sovranaturale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Redondesco). Filosofo. Ufficiale meteorologo dell'Aeronautica. Partecipa alla Resistenza, lavora all'ufficio studi dello Stato maggiore. Si divide tra la carriera militare e quella accademica, optando infine per la cattedra di filosofia a Roma. Tra i suoi allievi vi e Cordeschi.  Partendo da un interesse per l'operazionismo, dirige i suoi studi teorici alla cibernetica e fu tra i primi a interessarsi di intelligenza artificiale e a studiare i rapporti mente-cervello e mente-macchina.  Saggi: “La filosofia della scienza” (Milano, Bocca); “La meccanica quantistica” (Milano, Bocca); “L' operazionismo” (Milano, Comunità); “La scienza nel suo sviluppo storico” (Torino, ERI); “Automi” (Torino, Boringhieri); “Tra fisica e filosofia” (Roberto Donolato, Abano Terme, Piovan); “La materia pensante” (Milano, CLUP Città Studi); Fonte: A. Rainone, Enciclopedia Italiana, riferimenti in. Saggi in onore, Roma, Union Printing, antologia e testimonianze, Mantova, Fondazione Banca agricola mantovana, Cibernetica Intelligenza artificiale  A. Rainone, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Un maestro del domandare, di Cd Del Bello, da Giano, sito "Metodologia". Filosofo al servizio della scienza, Corriere della Sera, Archivio storico. Vittorio Somenzi. Somenzi. Keywords: naturale, sovranaturale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Somenzi”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734110694/in/datetaken/

 

Grice e Sordi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Centenaro di Ferriere). Filosofo. Figlio di Agostino e Giovanna Taschieri, si fa religioso nella Compagnia di Gesù e ben quattro dei suoi fratelli seguirono il suo esempio.  Entra nel seminario di Piacenza, dove frequenta le classi ginnasiali. Vince il concorso per l'ammissione al Collegio Alberoni di Piacenza, dove rimase fino al quando fu costretto a lasciare per motivi di salute. Rientrò in seminario e, sotto la guida di V. Buzzetti, approfonde la filosofia d’Aquino la cui filosofia era andata in disuse. S’insegna la filosofia del secolo: Sarti, Soave, Draghetti, Condillac, Wolfe, Storkenau).  Divenne sacerdote ed entrò nella Compagnia di Gesù appena ricostituita, fece il noviziato nella Casa di Sant'Ambrogio a Genova, dove incontrò Azeglio che attraverso i colloqui con il Sordi conobbe e stimò la filosofia di San Tommaso, di cui prima aveva sentito parlare con disprezzo e incominciò a rivedere la sua formazione filosofica.  Divenne insegnante di filosofia nel Collegio di Ferrara e passò a Reggio Emilia come insegnante di logica, metafisica ed etica e con la carica di prefetto della biblioteca civica. A Reggio Emilia si distinse e acquisce stima e fama tanto che il padre Generale della Compagnia Luigi Fortis lo propone al padre Pavani, provinciale d'Italia, come professore di logica nel Collegio Romano. Il Pavani, però prega il padre Generale di desistere dal suo proposito per motivi di opportunità “si leverebbe un gran rumore tra i professori del Collegio Romano tanta è la prevenzione contro il padre Sordi perché tomista.”  Dal 1829 al 1834 venne mandato a Modena, al collegio San Bartolomeo, come professore di logica, metafisica ed etica. Ispirandosi ai rivolgimenti culminati con la cattura di C. Menotti, pubblica “Catechismo delle rivoluzioni”. Stringe amicizia con G. Pecci. Attraverso quest'amicizia puo esercitare il suo influsso anche su suo fratello, Pecci che, divenuto poi Papa, con l'Enciclica Aeterni Patris propone a tutte le scuole cattoliche le dottrine d’Aquino. Inviato a Forlì e poi a Spoleto dove insegna. Nominato Rettore del Collegio di Orvieto. Ritornò a Modena come Rettore; carica che esercitò per tre anni, e poi rimase ancora a Modena come Ministro e Padre Spirituale degli alunni. Rettore del Collegio San Pietro di Piacenza, dove già e stato aperto anche l'AloisianumIstituto di formazione filosofica per giovani gesuiti dell'area Lombardo Veneta. E ancora a Piacenza, quando il Collegio venne preso d'assalto dai rivoluzionari: “Scoppiarono allora alte grida diAbbasso i gesuiti. Morte ai gesuiti. Mortee qui aggiungevano i nomi or dell'uno or dell'altro Padre del collegio.” Così si legge nel racconto di padre Lombardini, testimone oculare degli avvenimenti. J. Roothaan lo chiama a Roma, desideroso di vedere finito un testo di filosofia che doveva realizzare insieme a Carminati. Nominato Preposto della Provincia Romana. Governa quella Provincia con rara prudenza e grande spirito di bontà. Passa al Collegio degli scrittori della Civiltà Cattolica con l'incarico di scrittore e padre spirituale della comunità. Contribuì in questi tre anni al fiorire della rivista componendo con padre Taparelli una serie di articoli. Chiamato all'Aloisianum di Verona come Prefetto degli studi dei giovani religiosi che qui studiavano filosofia. Uno dei più insigni rappresentanti del tomismo, il movimento di rinnovamento della filosofia d’Aquino, che, partito da Piacenza con  V. Buzzetti, si diffuse in tutta l'Italia tramite i fratelli Sordi, alunni dello stesso Buzzetti. I due fratelli, entrati nella Compagnia di Gesù, portarono il rinnovamento tomista, cioè le grandi idee di San Tommaso studiate e sviluppate ai fini di rispondere agli interrogativi più profondi dell'uomo moderno. La sua azione in favore del neotomismo e particolarmente efficace per gli incarichi prestigiosi a lui affidati, per il suo insegnamento presso numerosi Collegi dove i suoi scritti di filosofia, trascritti, venivano usati come testo; inoltre molte delle persone da lui avviate allo studio di San Tommaso sono state i protagonisti del rinnovamento tomista e i diretti collaboratori nella preparazione dell'enciclica "Aeterni Patris" in cui Leone XIII esorta a rimettere in uso la sacra dottrina d’Aquino e a propagarla il più largamente possibile. Il suo fratello, Domenico, diffuse il tomismo nella provincia napoletana, dove opera in varie città (Napoli, Lecce, Maglie, Salerno, Sora, Arpino, Andria). Al Collegio Massimo di Napoli e collaboratore d’Azeglio promuovendo la diffusione della filosofia d’Aquino fra gli alunni, alcuni dei quali furono protagonisti del rinnovamento della cultura cattolica. Fra questi va ricordato Curci fondatore della “Civiltà Cattolica”, che descrive il suo insegnante con dovizia di particolari nelle sue “Memorie” eMatteo Liberatore, cofondatore del periodico “Scienza e Fede”, redattore di “La Civiltà Cattolica” e uno degli estensori dell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Altre saggi: “Appendice al capitolo XII del Catechismo del senso comune” del Rorbacher L'Amico d'Italia  (Genova); “Theses ex universa Philosophia” (Parma); “Catechismo delle Rivoluzioni” (Modena, Soliani); “Lettere intorno al Nuovo saggio sull'origine delle idee di Serbati” (Modena, Vincenzo Rossi); “I primi elementi del sistema di V. Gioberti dialogizzati tra lui e un lettore dell'opera sua – Bergamo, Natali, Allocuzione di Pio IX con in fine esposizione della materia a modo di catechismo” (Roma, Apostolica); “I misteri di Demofilo” (Torino Castellazzo) e De Gaudenzi, Circolare del R.Provinciale ai Superiori della Provincia Romana –Roma, Civ. Cattolica. De studio Theologiae in nostra societate –Roma, Civ. Cattolica,  Recensione all'opuscolo di Giacomo Oddo “l'Indipendenza, il Cattolicesimo e l'Italia, MilanoRoma, Civ, Cattolica La libertà al tribunale della ragioneRoma, Civ. Cattolica. Se per essere indipendenti abbisogna che il Papa abbia il potere temporale. Di un sacerdote cattolico, Roma Civ. Cattolica. Il movimento nazionale, istruzione popolare in occasione di un opuscolo pubblicato nell'Umbria da un preteso prete galantuomo Roma Civ. Cattolica, opuscolo di  48 Il Sillabo di S. S. Pio Papa IX esposto in forma di catechismo da lSerafino Sordi della Compagnia di Gesù Verona, Vigentini e Franchini); “Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Gioberti (Piacenza, Tedeschi); “Una proposta al Clero Italiano”; “Ragionamenti sul Gesuita Moderno” (Torino, Castellazzo e De Gaudenzi); “La scomunica: Nel Messaggero di Modena, Lettera sull'Austria, Bergamo, Dottrine di S. Alfonso dei Liquori difese contro le impugnazioni di Rosmini Monza. “Ontologia” (Dezza); “Theologia naturalis” (Dezza); “Manuale di logica” (Pesce). Opere inedite riportate da Dezza in Alle origini del Neotomismo”: “Ethica generalis et specialis”; “Psicologia”; “Sull'origine delle idee”; “Sulla materia e sulla forma”; “Sull'evidenza”; “Intorno alla filosofia a noi prescritta da S. Ignazio”; “Esortazioni al clero (presso don Ballerini PC). Alle origini del Neotomismo, Dezza, I neotomisti; E. Silva, Ferriere, cenni storici, R. Comandini, “Nuovi contributi alla conoscenza di V. Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola -- saggio sulla rinascita del Tomismo”; Dezza, I neotomisti italiani”; Dezza, “ Alle origini del Neotomismo, Breve storia della Provincia veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostril; “La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP; Breve storia della Provincia Veneta della Compagnia di Gesù dalle sue origini fino ai giorni nostri A. M. D. G C. Cenacchi, Tomismo e Neotomismo a FerraraLiber. Edit. Vaticana La Civiltà Cattolica, R. Comandini, Nuovi contributi alla conoscenza del canonico Vincenzo Buzzetti e dei discepoli cresciuti alla sua scuola Saggio sulla rinascita del Tomismo Libr. Edit. Vaticana, F. Cordani, Una grande cultura piacentina dimenticata, PC Ed. Berti C. M. Curci, Memorie di Curci, G. Barbera Editore, FI C. M. Cornoldi, Memorie Autobiografiche (Archivio Aloisianum) F. Dante, Storia della Civiltà Ed. Studium Roma.Dezza, A MI.Dezza, I neo-tomisti italiani del XIX secolo, Bocca ed. MI.  La chiesa di S. Pietro in Piacenza Studi per il IV cent. dalla fond. TEP); Giarelli, Storia di Piacenza dalle origini ai nostri giorni,  II Ed. Porta PC L. Ferrari, I fratelli Sordi e il Neotomismo in Italia in il filosofo canonico V. Buzzetti nel centenario della morte, PC G. Martina, La Chiesa nell'età dell'assolutismo, del liberismo, del totalitarismo, Morcelliana BS. U. Padovani, “Importanza della critica filosofica di S. Sordi a V. Gilbert” (“Riv. Di Filosofia Neoscolastica, MI ed. Vita e Pensiero A. Monti, "La Compagnia di Gesù nel territorio della Provincia Torinese, Chieri); Giovanni Paolo II, enciclica Fides et Ratio; S. Panareo, L'istruzione in terra d'Otranto sotto i Borboni, B. Perazzoli, Studi sul Rosminianesimo nell'Ottocento, Ed. Rosminiane Sodalitas, L. Pozzi, S: Sordi filosofo neotomista, Studia Patavina Riv. Di Filos.e Teologia.  V. Rolandetti, Da Buzzetti all'Aeterni Patris Conv. Intern. Tomistico (Trento); V. Rolandetti, Buzzetti teologo, Libr. Ed. Vat. E. Silva, Ferriere, cenni storici, UTEP, PC, D. Sordi, Pochi e brevi cenni sulla vita menata nel secolo da P.S.Sordi, man. Inedito G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione del neo-tomismo nella cultura, PC altervista.org G. Tononi, Condizioni della Chiesa nei ducati parmensi. M. Volpe, I Gesuiti nel Napoletano  Aeterni Patris Aloisianum Carlo Maria Curci Collegio Alberoni Compagnia di Gesù Jan Roothaan La Civiltà Cattolica L. Taparelli d'Azeglio Matteo Liberatore Neotomismo  Sordi, su Treccan iEnciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Serafino Sordi. G. Sordi, Il contributo dei gesuiti piacentini Serafino e Domenico Sordi alla diffusione del neotomismo nella cultura cattolica, PC su serafinosordi. altervista. La Civiltà Cattolica Taparelli d'Azeglio e il rinnovamento della Scolastica al Collegio Romano] italia La Civiltà Cattolica; Intorno alle origini del rinnovamento tomistico in Italia” (Taparelli e Sordi). La rinascita del tomismo a Napoli  (parte primaI collaboratori del Taparelli; “Il peripato in azione”; “Il contributo della Compagnia di Gesù alla preparazione dell'enciclica “Aeterni Patris.” Serafino Sordi. Sordi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sordi” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733431716

 

Grice e Soria – l’opuscolo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sant'Andrea a Lama). Filosofo. Figlio da Enrico e da Maria Elisabetta delle Sedie da Calci, la famiglia paterna risiedeva da tempo a Sant'Ilario in Campo, nell'isola d'Elba. Appartenente alla corrente del sensismo. Insegna a Pisa. Combate il cartesianesimo ed esalta Galilei. Scrive il saggio “Rationalis Philosophiae Institutiones”. Direttore della Biblioteca di Pisa. Pubblica a Pisa la “Raccolta di opuscoli filosofici e filologici.” Il saggio comprende “Dell’immaterialità delle nature intelligenti”; “Della potenza che ha lo spirito umano di determinar se medesimo chiamata libertà”; “Il virtuoso regime del proprio corpo è un bene indispensabile per la felicità della vita” e “Della natural dipendenza della salute corporea dall'Ilarità dello Spirito”; “Della Simpatia” – “Dialogo tra un Cav. Francese, e un Italiano” e l’”Esame del Giudizio di Monsieur Du Fresnoy circa Buonarroti”; “Sulle metamorfosi degl'insetti”; “Degl'influssi celesti”; “Dissertazione Accademica sull'Innesto”; “La teoria de' fosfori, e de' loro divarj.  Allievo di Grandi, segna il passaggio della scuola galileiana verso l'illuminismo. De Soria individual nello sviluppo economico il centro dell'interesse dell'attività politica. È sepolto nella chiesa di Sant'Andrea a Lama, in provincia di Pisa, paese di origine della madre.  Ugo Baldini, De Soria, Giovanni Gualberto, in "Dizionario biografico degli italiani", Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, Soria è attestato anche a Livorno ed è appartenuto a una nota famiglia locale. L.S. Olschki, Firenze). Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Gualberto De Soria. Soria. Keywords: l’opuscolo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Soria” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733483688/in/datetaken/

 

Sorrentino, Andrea. Vico. Bordon, La retorica di Vico.  Andrea SORRENTINO, G. B. V. e le razze mediterr.inee: in Bulletin italien di Bordeaux, a. XVII, n. 2, avril - juin 1917, pp. 96-101. 19. Alberto ScrocCA, G. B. V. e un suo recente critico: in Rassegna nazionale di Firenze, 1-16 agosto e i...

 

Grice e Sorrentino – la persona come paradigma di senso – filosofia italiana (Carbonara di Nola). Flosofo. Tra i massimi esperti italiani di teologia filosofica, ma oltre alle letture di carattere teologico-religioso, è anche ideatore di una filosofia autonoma ed originale. -- è infatti convinto che si debba ricercare una connessione tra le varie forme di sapere, spesso rinchiuse nell'ambito dei propri specialismi e pertanto sterili. Studia a Milano. Si laurea in Filosofia presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Consegue la laurea in teologia presso la facoltà teologica "San Luigi" di Napoli. Insegna a Salerno. Sviluppa tematiche come il dibattito sulla religione, inteso nel senso di una problematizzazione e di una tematizzazione del religioso nella società a partire dal tardo Illuminismo. Cerca di inquadrare la filosofia relativa all'etica e alla religione. Da qui parte il tentativo di una tematizzazione filosofica della dimensione simbolica. Il motore della ricerca è il tentativo di giungere ad una forma di connessione dei saperi che possa superare le difficoltà e le incomprensioni del mondo contemporaneo, non solo in ambito filosofico.  Altre saggi: “La teologia della secolarizzazione: chiesa, mondo e storia”; “La filosofia della religione, Ermeneutica e filosofia trascendentale”; “Filosofia ed esperienza religiosa”; “Realtà del senso e universo religioso”; “Per un approccio trascendentale al fenomeno religioso”; “La dottrina della fede”; “Il valore della vita”; “Dialettica”; “Obbedire al tempo”; “L'attesa”; “La dialettica nella cultura romantica”; “Religione e religioni”; “Il prisma della rivelazione”; “Una nozione alla prova di religioni e saperi”; “L'eredità dell'Illuminismo e la critica della religione”; “Diversità e rapporto tra culture”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto tra le religioni”; “Nichilismo e questione del senso”; “Teologia naturale e teologia filosofica”; “La libertà in discussione”; “Le ragioni del dialogo. Grammatica del rapporto fra le religioni, “La persona come paradigma di senso”; “Dibattito sull'eredità di Mounier”; “La teologia politica in discussione” (Salerno, Giornale di filosofia della religione,. Sergio Sorerntino. Sorrentino. Keywords: la persona come paradigma di senso, H. P. Grice, P. F. Strawson. Luigi Speranza,”Grice e Sorrentino”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733226741/in/photolist-2mPuiXc-2mPkhvE-2mNzeEc-nzsayP-nz4c3s

 

Sorrentino, Vincenzo.

 

Sotione (Roma). Filosofo. Teacher of Seneca. In glossary to Roman philosophers, in “Roman philosophers.”

 

Grice e Sozzini – razionalismo, e moi -- filosofia italiana – (Siena). Socinianism, Nella prima meta del sedicesimo sicolo nacquero in questa casa Lelio e Fausto Sozzini letterati insigni filosofi sommi della liberta di pensiero strenui propugnatori contro il soprannaturale vindice della umana ragione fondarono la celebre scuola Socinian precorrendo di tre secoli le dottrine del modern razionalismo – I liberali senesi ammiratori reverenti questa memoria posero 1879. Fausto. Fausto Sozzini. Lelio Sozzini. Sozzini. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Sozzini, rationalism, and moi”, Luigi Speranza, “Grice e Sozzini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51734101860/in/datetaken/

 

Grice e Spadaro – conversazione coll’angelo – filosofia italiana (Messina), Filosofo. Laureato a Messina, entra subito dopo nel noviziato della Compagnia di Gesù. Insegna lettere a Roma. Riceve l'ordinazione presbiterale e il 24 maggio 2007 pronuncia i voti solenni nella Compagnia di Gesù. Consegue la licenza in Teologia Fondamentale, il diploma in Comunicazioni Sociali, il dottorato di ricerca in Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Completa la sua formazione negli Stati Uniti, nella Provincia dei gesuiti di Chicago. Comincia a scrivere per la rivista La Civiltà Cattolica e entra a far parte in maniera stabile della redazione. Si occupa soprattutto di teoria della letteratura e di critica letteraria, in particolare legata ad autori contemporanei italiani (tra questi, Pavese, Bassani, Luzi, Tondelli. Tra le materie che tratta vi sono anche la musica, l'arte contemporanea, il cinema e le nuove tecnologie della comunicazione e il loro impatto sul modo di vivere e pensare (in particolare su, Second Life, sulla lettura digitale, sui vari social networks, sulla filosofia hacker o sulla cyberteologia).  Ha fondato Bomba Carta, un progetto culturale che coordina iniziative di scrittura creativa, produzione video e lettura anche su internet. È curatore della collana di poesia L'Oblò delle edizioni Ancora. Insegna presso il Centro Interdisciplinare di Comunicazione Sociale della Pontificia Università Gregoriana --  è a capo del comitato scientifico "La sfida e l'esperienza" che raccoglie docenti e manager interessati ai temi della spiritualità e dell'innovazione. Viene incaricato di coordinare le attività culturali della Compagnia di Gesù in Italia. -- è il relatore principale al primo evento organizzato dai Gesuiti sulla musica rock nel quale riabilita la dignità musicale (non liturgica) del genere nel suo complesso, limitandone la condanna alla valutazione di rari e singoli casi. Diviene Rettore della Comunità dei gesuiti de La Civiltà Cattolica. -- è annunciata la sua nomina a direttore della rivista.. Nel numero del 1º ottobre  della rivista è apparso il suo articolo di presentazione nella nuova veste di direttore.  La sua attività in Rete è legata, oltre alla presenza nei social network, anche allun sito personale e di due blog: uno dedicato alla CyberTeologia e uno dedicato a Flannery O'Connor. Benedetto XVI lo nomina consultore del Pontificio Consiglio della Cultura e anche consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. Riceve a Caserta il prestigioso premio "Le Buone Notizie Civitas Casertana", uno dei più importanti premi di giornalismo italiani, unico nel suo genere a livello internazionale.  Ad agosto  incontra più volte papa Francesco per conto de La Civiltà Cattolica e di altre 15 riviste della Compagnia di Gesù. Il contenuto delle conversazioni è stato pubblicato sotto forma di intervista a settembre  ed ampiamente ripreso dalla stampa internazionale.  Dedicato un articolo all’utopia. L'articolo analizza il significato di  utopia nel contesto culturale italiano, ne analizza la storia, e ne mette in evidenza pregi e limiti.  La sua conclusione è che dalla descrizione e dalle valutazioni compiute comprendiamo bene come  rappresenti un sogno illuminista di descrivere il mondo, che però si scontra con le difficoltà di accreditarsi come compendio di sapere credibile, mantenendo nel contempo anonimato, flessibilità e continua apertura a nuovi collaboratori. Nello stesso tempo questa «utopia» rovescia il sogno dell'enciclopedia tradizionale, intesa come costruzione autorevole, organica e integrata del sapere. Infatti  è come un organismo vivente: cresce (al ritmo del 7% ogni mese), si ammala, è sottoposta a composizioni e scomposizioni interne, ad accrescimenti e riduzioni continue. Ma soprattutto  nasconde un'altra utopia, a suo modo, ambigua. La democrazia assoluta del sapere e la collaborazione delle intelligenze molteplici che dà vita a una sorta di intelligenza collettiva. Questa utopia potrebbe nascondere una nuova forma di torre di Babele, che ha il suo tallone di Achille non solo nell'inaffidabilità, ma anche nel relativismo. Concede un'intervista a Wikinotizie,  Intervista al gesuita 2.0, nella quale commenta l'articolo e spazia sulle tematiche inerenti  e il mondo della rete internet.  Altri saggi: “Tracce profonde. Il viaggio tra il reale e l'immaginario” (Roma, Città Nuova); “Radio on. Tra le colonne sonore  (Napoli, Giannini); “Lo sguardo presente. Una lettura teologica dell’amore” (Rimini, Guaraldi); “Attraversare l'attesa” (Reggio Emilia, Diabasis); “Laboratorio″. La nuova narrativa italiana (Reggio Emilia, Diabasis); “Un'acuta sensazione d'attesa” (Padova, Messaggero di Sant'Antonio); “A che cosa «serve» la letteratura?” Leumann (To)-Roma, Elle Di Ci La Civiltà Cattolica,  Premio Capri per la sezione Letteratura e Premio Crotone sezione Giovane critici italiani); “Lontano dentro se stessi. L'attesa di salvezza” (Milano, Jaca). Connessioni. Nuove forme della cultura al tempo di internet” (Bologna, Pardes); “La grazia della parola. La poesia, Milano, Jaca); Nella melodia della terra” (Milano, Jaca); “Abitare nella possibilità. L'esperienza della letteratura” (Milano, Jaca), “L'altro fuoco. L'esperienza della letteratura” (Milano, Jaca); Alla ricerca del lupo. Genio, tensioni, vanità (Bologna, Pardes); “Nell'ombra accesa. Breviario poetico di Natale (Milano, Ancora); Web 2.0 Reti di relazione, Milano, Paoline,. “Svolta di respiro. Spiritualità della vita” (Milano, Vita & Pensiero). Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete, Milano, Vita & Pensiero); “Lasciami correre via, Padova, Messaggero); “Traversate di un credente, Milano, Jaca); “La dodicesima notte (Milano, Ancora); La freschezza più cara. Poesie (Milano, Rizzoli); Canto una vita immense (Milano, Ancora); “Un Dio sempre più grande. Pregare” (Milano, Ancora). obio, su laciviltacattolica. Saggi su "La Civiltà Cattolica", su antoniospadaro.net. Antonio Spadaro, BombaCarta, su bombacarta.com. accesso=16 agosto.  Antonio Spadaro, L'OblòAncora, su ancoralibri. Orazio La Rocca, I gesuiti benedicono il rock: "La musica di Springsteen & Co parla all'anima", Repubblica. cogliere pienamente la sfida digitale. Cyberteologia, Nomina di consultori del Pontificio Consiglio della Cultura, Rinunce e nomine, su Bollettino della Santa Sede, Bollettino della Santa Sede.  Su La Civiltà Cattolica la mia intervista a Papa Francesco, su cyberteologia, Intervista a papa Francesco. Cyberteologia, sul  RAI Filosofia, su filosofia.rai. Antonio Spadaro. Spadaro. Keywords: conversazione coll’angelo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spadaro” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733432523/in/datetaken/

 

Grice e Sparti – il riconoscimento – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Insegna a Siena, Pisa, Milano e lBologna. Fonda “Studi culturali. Collabora a "Iride", "Paradigmi", "Rivista di estetica", "Rassegna italiana di sociologia", ed "Intersezioni". Concentra la sua attenzione sull'estetica dell'improvvisazione.  Saggi: “Se un leone potesse parlare. Indagine sul comprendere e lo spiegare” (Firenze, Sansoni); “Sopprimere la lontananza uccide” “Interpretazione” (Firenze, Nuova Italia) “Epistemologia delle scienze sociali” (Roma, Nuova Italia); “Soggetti al tempo. Identità personale fra analisi filosofica e costruzione sociale” (Milano, Feltrinelli); “Identità e coscienza” (Bologna, Mulino); “Wittgenstein politico” (Milano, Feltrinelli); “Epistemologia delle scienze sociali” (Bologna, Mulino); “L'importanza di essere umani: etica del ri-conoscimento” (Milano, Feltrinelli); “Suoni inauditi. L'improvvisazione nel jazz e nella vita quotidiana” (Bologna, Il Mulino); “Musica in nero. Il campo discorsivo del jazz” (Torino, Bollati); “Il corpo sonoro. Oralità e scrittura nel jazz” (Bologna, Il Mulino); “L'identità incompiuta: paradossi dell'improvvisazione musicale” (Bologna, Mulino); “Sul tango. L'improvvisazione intima” (Bologna, Mulino). Davide Sparti. Sparti. Keywords: identita personale, interpretare, improvvisare nella vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sparti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733803154/in/photolist-2mPxgim-2mKTjot

 

Grice e Spaventa – l’origine italico dello spirito filosofico – Luigi Speranza (Bomba). Filosofo. Nacque da un'agiata famiglia borghese. Sua madre, Maria Anna Croce, e pro-zia di Croce. Studia a Chieti. Ottenuto l'incarico di docente di matematica, si trasfere a Montecassino. La sua formazione continua a Napoli. Studia i filosofi tedesci in tedesco – Grice: “Which is the right thing to do – and which Ryle, or Strawson, for that matter – are unable to!”  Si avvicina ai circoli liberali e a pensatori come Colecchi e Antonio Tari. Fonda una scuola  di filosofia. Inoltre partecipa alla redazione de “ Il Nazionale”. Dopo l'abrogazione della Costituzione da parte di Ferdinando II, e costretto a lasciare Napoli. Si trasferire prima a Firenze, quindi a Torino. Divenne giornalista scrivendo su Il Progresso, Il Cimento, Il Piemonte, Rivista Contemporanea. Si avvicina al pensiero di Hegel. Polemizza con La Civiltà Cattolica, rifiutando l'idea del sacro come passo necessario per lo sviluppo umano.  In tal modo condivise con altri esuli napoletani gli stessi fermenti patriottici e liberali che avevano nell'idealismo hegeliano il loro motivo ispiratore. In Napoli la filosofia di Hegel penetra nelle menti de' cultori della scienza, i quali mossi come da santo amore si affratellavano e la predicano. Né i sospetti già desti della polizia, né le minacce e le persecuzioni valsero ad infievolire la fede in questi arditi difensori della indipendenza del pensiero. I numerosi studenti raccolti da tutti i punti del Regno nella grande capitale disertano le cattedre, ed accorrevano in folla ad ascoltare la nuova parola. Era un bisogno irresistibile ed universale, che li spinge ad un ignoto e splendido avvenire, all'unità organica dei diversi rami della cognizione umana. I filosofi, partecipavano al general movimento, ed ambivano soprattutto, come gl’antichi italiani, di essere veri filosofi. Chi può ridire la gioia, le speranze, l’entusiasmo di quel tempo? Chi può ridire l’affetto col quale si amano i maestri e gli allievi, e insieme procedeno alla ricerca della verità? E un culto, una religione ideale, nella quale si mostrano degni nepoti dell'infelice Nolano. “Studii sopra la filosofia di Hegel” (Torino) «Rivista Italiana». Insegna a Modena, Bologna e Napoli. Vuole liberare la cultura filosofica italiana dal suo provincialismo, attraverso la diffusione nella penisola dell'idealismo di Hegel. Sostene una politica laica e legata ad un forte senso di un stato unitario, considerato come sorgente dei princìpi e dei valori ispiratori di un armonioso sviluppo di civilita, da cui la comunità dei cittadini devono trarre l'alimento necessario per una crescita ordinata e corretta. Circola l’idealismo, che dimostra il percorso dinamico della filosofia e il suo ritorno in Italia dove ha origine. Riforma la dialettica hegeliana per salvare l'identità di essere e pensiero escludendo ogni presupposto oggettivo esterno al pensare. Recupera l'aspetto pratico nel processo conoscitivo che evita la caduta in un astratto idealismo. La filosofia italiana del Rinascimento, connotata dal naturalismo e dall'immanentismo, ha precorso la filosofia, giungendo attraverso Spinoza agli idealisti tedeschi Fichte, Schelling, Hegel. il ritorno in Italia della filosofia con la terza Roma e  con la riappropriazione dei filoni spiritualistici europei da parte di Rosmini e Gioberti. Mentre per la critica tradizionale la filosofia italiana e caratterizzata dalla sua ininterrotta fedeltà alla linea platonica, Spaventa cerca di dimostrare, con gli studi dedicati al umanesimo rinascimentale che la filosofia, laica e idealistica, generalmente associata alla Riforma in realtà e nata in Italia. Interpreta con chiave di lettura hegeliana questo progressivo passaggio dello spirito filosofico italiano e il suo ritorno, sottolineando la continuità del razionalismo di Cartesio col principio innatistico di Campanella della cognitio abdita, dell'empirismo di Locke con la campanelliana cognitio illata o nozione acquisita, dell'immanentismo Spinoza col panteismo di Bruno, del criticismo con la metafisica della mente di Vico. Poi Galluppi e  Rosmini si sarebbero riappropriati inconsciamente di quello stesso spirito permeato dal kantismo, come Gioberti di quello dell'idealismo. Ripigliare il sacro filo della nostra tradizione filosofica italiana, ravvivare la coscienza del nostro libero pensiero nello studio dei nostri maggiori filosofi, ricercare nelle filosofie delle altre nazioni i germi ricevuti dai primi padri della nostra filosofia italiana e poi ritornati fra noi in forma nuova e più spiegata di sistema, comprendere questa circolazione del pensiero italiano, della quale in gran parte noi avevamo smarrito il sentimento, riconoscere questo ritorno del nostro pensiero a sé stesso nel grande intuito speculativo del nostro ultimo filosofo Hegel, sapere insomma che cosa noi fummo, che cosa siamo e che cosa dobbiamo essere nel movimento della filosofìa, non come membri isolati e scissi dalla vita universale del popolo, nè come avvinti al carro trionfale d'un popolo particolare, ma come nazione libera ed eguale nella comunità universale. Tale, o signori, è stato sempre il desiderio e l'occupazione della mia vita. Prolusione alle lezioni di Storia della filosofia a Bologna (Modena, Tipografia Governativa) Uno dei suoi propositi, giustificato dalla stessa tesi della circolazione della filosofia italiana, e il tentativo di far uscire gli intellettuali italiani dal provincialismo stagnante in cui versavano, apportando loro gli elementi più innovativi del pensiero idealistico d'oltralpe, per dare un fondamento filosofico-culturale al processo rivoluzionario dell'unificazione nazionale. La rivoluzione storica da attuare non e il programma neo-guelfo del primato morale e civile di Gioberti che ripudia in blocco la filosofia moderna, ma anda intesa hegelianamente come sttoria della libertà, nella quale lo spiritualismo non significa un'involuzione, bensì un riallineamento alle nazioni più avanzate. Son molti ancora in Italia i quali tacciano di astratta e oscura la filosofia alemanna e, reputandola contraria alla natura speculativa dell'ingegno italiano, si accontentano di una maniera di sapere che non ha nessuna connessione con la nostra tradizione filosofica -- è un perpetuo oltraggio alla memoria de' nostri sommi ed infelici pensatori, e la principal cagione del decadimento della scienza tra noi. Costoro dimenticano la storia del pensiero italiano, della quale furono gli eroi e martiri i nostri filosofi; non ricordano i roghi di Bruno e di Vanini, la lunga prigionia di Campanella, e l'umile pietra che, nel tempio de' Gerolomini in Napoli, ricopre le ceneri di Vico, luce del nostro mondo intellettuale. Non i nostri filosofi degli ultimi duecento anni, ma Spinoza, Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, sono stati i veri discepoli di Bruno, di Vanini, di Campanella, di Vico, ed altri illustri. (Principii di Filosofia). Non si limita a recepire passivamente l'hegelismo, ma da avvio ad una sua profonda revision. Introduce temi originali che cerca di riprendere dalla tradizione autoctona italiana.  In particolare, cerca di rispondere alle critiche di Trendelenburg, il quale non vede come dal primo momento della logica hegeliana, quello dell'essere puro e indeterminato, puo scaturire il divenire dialettico dello spirito, se non tramite un'indebita intromissione dal di fuori. Per dimostrare l'identità dell'essere col spirito, e quindi che l'Idea è intrinseca alla realtà storica, avente come scopo la libertà, sostenne l'esigenza di mentalizzare o kantianizzare» la logica di Hegel, unificando quest'ultima con la fenomenologia, cioè col percorso conoscitivo del singolo individuo umano, che diventa progressivamente auto-cosciente di avere in se stesso, nello proprio spirito, tutta la realtà assoluta logicamente articolata. Riforma così la dialettica hegeliana nell'ottica di Kant e Fichte, ritenendo prevalente l'atto soggettivo (no inter-soggetivo) della coscienza trascendentale rispetto ad ogni presupposto oggettivistico o inter-soggettivistico), valorizzando inoltre il momento finale dello spirito rispetto alle fasi precedenti della logica e della natura, situate fuori dall'auto-coscienza. È lo spirito la protagonista di ogni originaria produzione.  In maniera simile a Fischer, infatti, la deduzione hegeliana, che dalla contrapposizione di essere e nulla faceva scaturire il divenire, venne intesa in senso kantiano e fichtiano dando il primato alla sintesi unificatrice del divenire: è lo spirito, nel suo perenne fluire, che dà luogo all'essere, il quale, originariamente indeterminato e perciò in-concevibile, si rivela un non-essere, essendo posto all'interno dello spirito stesso. Per questo primato assegnato all'atto del concivere, fa da apripista all'idealismo attuale di Gentile. Per contrastare l'avanzata del positivismo che e penetrato in Italia dopo la raggiunta unità nazionale, di fronte all'esaurirsi delle spinte ideali che caratterizzano il Risorgimento, si impegna nella valorizzazione dell'aspetto pratico del processo spirituale, per evitare la caduta in un «stratto idealismo, che non cura né pregia lo sperimento. In particolare riprese da Vico una concezione pratica e storica della metafisica dell'assoluto, intendendo l'auto-coscienza hegeliana (quale Begierde, cioè appetizione») come umanità, ovvero impeto che agisce nel soggetto umano. Analogamente puo sostenere, nel tracciare LA STORIA DELLO SPIRITO ITALIANO che è il soggetto umano a dare concretezza e coscienza di sè al processo storico. La Riforma della modernità che abolisce i vecchi principi della filosofia scolastica si basa per l'appunto sull'immanenza di Dio e sulla capacità della coscienza umana di auto-determinarsi e di accedere direttamente all'Infinito, come enunciano Bruno e Campanella. Il riconoscimento del valore infinito dell'uomo ha ripercussioni anche sulla concezione etico-politica, stimolando studi e interessi sulla filosofia hegeliana del diritto.  Permase una viva concezione etica dello stato italiano, che lo indusse a rinvenire nell'idealismo hegeliano la sintesi tra la corrente post-illuministica, basata sull'arbitrio individuale soggetivo e su una concezione meramente contrattualistica dello Stato, ed il cattolicesimo liberale, fondato viceversa sull'arbitrio divino e sull'aderenza dogmatico-confessionale al principio d'autorità. Il suo liberalismo rigetta l'individualismo o soggetivismo che privilegia l'interesse del singolo portandolo a servirsi dell'organismo universale per i propri fini, distruggendo la società. Allo stato italiano spetta dunque la funzione pedagogica di promuovere gli interessi DI TUTTI, di ogni italiano, tutelando la famiglia, in cui si forma l'individuo o soggeto, e al contempo la società civile.  La famiglia e la società civile hanno la loro verità nello stato. Dove lo stato italiano non è altro che famiglia (lo stato patriarcale italiano), o una istituzione di pubblica sicurezza (polizia italiana), non solo lo stato italiano non è il vero stato, ma né la famiglia né la società civile esistono nella loro vera forma. Lo stato italiano è l'unità del principio della famiglia e del principio della società civile (della naturalità umana e del libero volere, del diritto e della moralità). Non è una semplice associazione fondata mediante il libero arbitrio soggetivo, o il patto inter-soggetivo etc, né una associazione puramente naturale. È tutto ciò insieme. È assoluta soggettività etica dei individui.. Assoluta, perché è sostanza; soggettività, perché è saputa e voluta dagli individui liberamente come la loro stessa essenza etica e universalità. Dove manca tale sapere e volere, lo stato italiano non è libera soggettività, e l'individuo non ha vero valore (individualismo moderno). In altri termini, è la sostanza nazionale, conscia veramente e realmente di se medesima; lo spirito del popolo (come tale, come spirito etico) nella sua vera e perfetta esistenza. Studi sull'etica hegeliana. Poiché il potere stesso dello stato italiano può essere utilizzato da un individuo o da una classe in vista dei suoi interessi di parte, accetta il modello costituzionale, sebbene non privo di conflitti tra particolarità e universalità, nel quale la personalità dello stato italiano e elevata sopra la lotta sociale. Ripudiando l'astratto cosmopolitismo, lo stato italiano va dunque inteso come l'immanenza di dio, dell'universalità dello spirito italiano calato nella concretezza della nazionalità del popolo italiano, tutti uguali, ratelli dell'umana famiglia. È con Spaventa soprattutto che la filosofia in Italia cessa d'essere esercitazione accademica e vacua speculazione, si avvia a diventare organica visione del mondo, da cui derivi e consegua una morale, si avvia cioè a diventare religione laica, dando inizio a quel largo movimento di distacco di intellettuali dalla chiesa cattolica. (G. Arfé, L'hegelismo napoletano e Spaventa, in «Società», Firenze. E uno dei maggiori teorici che si sforzarono dare un un'impronta ideale e spirituale al percorso risorgimentale verso l'unità d'Italia, non limitata all'ambito filosofico, come riconobbero in seguito storici e studiosi del Risorgimento. Con lui e De Sanctis e giunta al culmine quella motivazione politica della nazione italiana che e la caratteristica in forza della quale il movimento sorto a Napoli supera i limiti di un episodio regionale. Da noi, gl’italiani, al contrario che in Inghilterra e in Francia, l'hegelismo non è stato solo una filosofia ma un elemento della vita civile della nazione italiana nel momento culminante del suo Risorgimento. (S. Landucci, L'hegelismo in Italia nell'età del Risorgimento, in «Studi storici», Roma. Influsce profondamente, attraverso la mediazione di Jaja, anche l'idealismo italiano di Gentile, il quale porta a termine il lavoro di kantianizzazione o mentalizzazione di Hegel avviato da lui, trasformando la sua dottrina in un compiuto attualismo o filosofia dell'atto, basata cioè sul perenne dinamismo dell'atto del pensiero. Gentile cura inoltre la pubblicazione della spaventiana prolusione e introduzione alle lezioni di filosofia nella Napoli, ri-nominandola significativamente “La filosofia italiana”, ritenendola un saggio di carattere non solamente storiografico, ma soprattutto fenomenologico, in cui cioè lo spirito della filosofia italiana esprime la sua ritrovata coscienza di sè. Gentile si confronta ampiamente con lui nella propria riforma della dialettica hegeliana, oltre a raccogliere e sistemare alcuni suoi scritti inediti, tra cui un frammento giudicato uno snodo importante verso la genesi del proprio attualismo, contribuendo alla riscoperta e alla rinascita degli studi intorno alla dottrina spaventiana. Anche l'idealista Croce, che dopo la morte dei genitori anda a vivere da Silvio Spaventa, segue le sue lezioni, apprezzandone soprattutto lo spirito profondamente liberale. Altri di suoi scolari, o allievi sono Fiorentino, Maturi, Jaja, Masci, Tocco, Labriola, ed Alfonso. Nuovi studi sono sorti in occasione del bicentenario della nascita di Spaventa e De Sanctis. Altri saggi: “La filosofia di Kant e la sua relazione colla filosofia italiana” (Unione Tipografica, Torino); “Principii di filosofia” (Ghio, Napoli); “Studi sull'etica di Hegel” (Università, Napoli); “La filosofia di Gioberti” (Tasso, Napoli); “Saggi critici di filosofia, politica e religione” (Bruno, Roma); “La dottrina della conoscenza di Bruno” (Università, Napoli); “Principi di etica” (Pierro, Napoli); “La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia europea” G. Gentile, Laterza, Bari. “Logica e metafisica” G. Gentile, Laterza, Bari. Opere, G. Gentile, raccolte e aggiornate da Italo Cubeddu e Simona Giannantoni, "Classici della Filosofia", Sansoni, Firenze. Opere, saggio introduttivo, prefazioni, note e apparati di Francesco Valagussa, postfazione di Vincenzo Vitiello, Bompiani, Milano. Quattro articoli sulla filosofia tedesca (Kant, Fichte, Schelling, Hegel), Giuseppe Landolfi Petrone, Il Prato,  Edizione critica delle Opere psicologiche inedite D. D'Orsi: Lezioni di antropologia, Psiche e metafisica  Elementi di psicologia speculativa, Sulle psicopatie in generale. Cit. in B. Spaventa, Antologia degli scritti, G. Vacca, Bari, Laterza. Piero Di Giovanni, Giovanni Gentile: la filosofia italiana tra idealismo e anti-idealismo, Angeli, Gentile e Spaventa, su treccani.  Il contributo italiano alla storia del pensiero, su treccani. Nel tempo che gl’ustriaci — ‘i tedeschi’ dicemo generalmente in Italia — dimorano non solo nelle contrade lombarde e venete, ma anche in Toscana, io non ho il coraggio di dire: filosofia tedesca. (nota di B. Spaventa).  Principii di Filosofia, Napoli, Ghio. Le tradizioni filosofiche nell'Italia unita, di G. Rota.  U. Perone, G. Ferretti, C. Ciancio, Storia del pensiero filosofico,  Torino, SEI, Cit. di Giovanni Gentile in Della vita e degli scritti di Spaventa, pScritti filosofici” (Napoli, Morano); Altri saggi: “Sulle psicopatie in generale,  o La legge del più forte, in cui si confrontava tra l'altro col darwinismo.  Studi sull'etica hegeliana, Napoli, Stamperia della R. Università, Il concetto di nazione (nazionalità) segna in lui un superamento della filosofia hegeliana della storia basata sul susseguirsi di popoli-guida (cfr. Carratelli, Storia e civiltà della Campania (Napoli, Electa); “Studii sopra la filosofia di Hegel”; “Unificazione nazionale ed egemonia culturale, G. Vacca (Bari, Laterza); E. Garin, “La fortuna nella filosofia italiana” in  L'opera e l’eredità di Hegel (Bari, Laterza); I. Cubeddu, Da Spaventa a Gentile: Kant e l’idealismo, in "La tradizione kantiana in Italia", Atti del convegno della Società filosofica italiana  (Messina, G.B.M.); La raccolta gentiliana delle sue opere venne riedita e curate da I. Cubeddu e S. Giannantoni, e ri-stampata da F. Valagussa e V. Vitiello. Coscienza nazionale, treccani.  G. Gentile, Bertrando Spaventa (Firenze, Vallecchi); G. Vacca, Politica e filosofia (Bari, Laterza); R. Bartot, L'hegelismo di Spaventa (Firenze, Olschki); I. Cubeddu, Edizioni e studi (Firenze, Sansoni); T. Serra, Etica e politica (Roma, Bulzoni); R. Franchini, Dalla scienza della logica alla logica della scienza” (Napoli, Pironti); E. Garin, “Filosofia e politica” (G. Tognon, Napoli, Bibliopolis); E. Garin, Napoli, Bibliopolis,  L. Gentile, “Coscienza nazionale” (Chieti, Noubs); G. Origo “Perpetuazione e difesa della filosofia italica” (Roma, Bibliosofica); A. Savorelli, Il contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia (Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana); Attualismo Hegelismo Idealismo italiano Idealismo tedesco Treccani. Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Dizionario biografico degli italiani,   D. Fusaro, “Spaventa: Il far intendere Hegel all'Italia, vorrebbe dire ri-fare l'Italia”.  Gentile e Spaventa, su treccani. Scritti filosofici. G. Gentile. Gli hegeliani di Napoli e il Risorgimento. Bertrando Spaventa. Spaventa. Keywords: italianita, Englishry, Englishness, English nation, the English, the English tongue, the tongue of the English, the tongue of the Anglians, the English spirit, the English ghost.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spaventa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688298272/in/photolist-2mLLZRD-2mLQdrQ-2mLGRht-2mPsfT9-2mPsXiB-2mPsh7f-2mKw3hq-2mPpskp

 

Grice e Spedalieri – dei diritti dell’uomo – filosofia italiana (Bronte). Filosofo. Figlio Vincenzo e da Antonina Dinaro, studia nell'Oratorio di S. Filippo Neri di Bronte e nel seminario di Monreale. Insegna filosofia a Monreale. Alcune sue tesi, considerate eretiche a Palermo, sono invece approvate e stampate a Roma con il titolo di “Propositionum theologicarum specimen”. Trasfere a Roma. Pio VI gli diede il titolo di beneficiato della Basilica Vaticana che comporta una modesta rendita mensilee l'incarica di scrivere la storia del prosciugamento dell'Agro pontino, “De' bonificamenti delle terre pontine”. Contro l'Enciclopedia degli illuministi, usce la sua “Analisi dell'Esame critico sulle prove di Dio”, il “Ragionamento sopra l'arte di governare”, e “Ragionamento sull’influenza del sacro nella società e nella civilita”.  Scrive la “Confutazione della dottrina della caduta dell’impero romano”, contro Gibbon che imputa la caduta all'influenza negativa del sacro. Nel saggio più importante “Dei diritti dell'uomo”, pubblicata a Roma ma, per volontà del papa, con la falsa indicazione di Assisi, si rifece alla concezioni rousseauiane relativamente alla dottrina di un contratto sociale come origine della società. Contesta la tesi di un originario stato di *natura* a cui occorrerebbe tornare, perché soltanto all'interno della società e civilta gl’uomini possono realizzare i suoi bisogni di felicità e di perfezione. Lo stato, a cui è destinato l'uomo dalla natura, è la società e la Civilta. Ciò e dimostrato e vuol dire che gl’uomini non possono rinunziare, generalmente parlando, alla società e a la civilita senza opporsi alla sua propria natura. È parte essenziale della costituzione sociale il principato. Il popolo degl’uomini non ha diritto di disfare il principato. La forma migliore di governo è il principato. Al principe il popolo degl’uomini affida tre facoltà: giudicare, di decretare e di eseguire. Il popolo degl’uomini non può togliergli il principato a suo beneplacito, cioè quando gli pare, per motivi leggieri, senza motivi, perché violerebbe il patto sottoscritto, a meno che il principe non violi la condizione essenziale del contratto stipulato, il “do ut facias”, a meno che il principe non faccia ciò che si era impegnato a fare in cambio della proprietà del principato, ossia, custodire i diritti naturali di ciascuno degl’uomini del popolo, e dirigere tutte le operazioni del principato alla felicità degl’uomini sudditi e cittadini. Questa è la base del contratto. Se invece il principe prendesse a distruggere i diritti naturali di ognuno, a sostituire il capriccio alle leggi, e ad immergere nella miseria i poveri sudditi, il contratto resterebbe sciolto da sé. Lo scioglimento del contratto non significa che il popolo eserciti per proprio conto il governo, ma che debba investirne un altro con auspici migliori. Ma chi deciderà che il contratto stabilito con il principe sia nullo? Intanto, osserva che il contratto siasi sciolto già da sé stesso, si dee legalmente dichiarare. Prima della quale dichiarazione, a niuno è permesso di sottrarsi dall'ubbidienza del principe. E il diritto di far tale dichiarazione non appartiene a verun privato, né alla unione di alcuni, né anco alla moltitudine. Solo un corpo che rappresenti *ogni suddito* può dichiarare lo scioglimento del patto con il principe. Questo vero corpo e formato da ogni magistrato, ogni ordine de' cittadini, ogni persona illuminata, proba, e non soggetta all'impeto del momento. La colta nazione italiana nella costituzione fondamentale, che dà a sé stessa, e che inerisce nel contratto che fa con la persona che vuole innalzare al principato, e che questa giura di mantenere, sempre, forma un corpo o sia un collegio che rappresenta permanetutti ogni cittadino. Laonde basta che la dichiarazione si faccia da questo corpo per esser legale. Qualora il principe resista e voglia mantenere il potere non più riconosciutogli, comportandosi così da tiranno. Il corpo della nazione italiana mai però un singolo cittadino italiano puo legittimamente giungere fino all'estrema soluzione di condannarlo a morte. Si mostra avverso sia al dispotismo illuminato che rifiuta tanto il principio della sovranità del popolo quanto il primato del sacro nel governo dello stato, sia i princìpi laici della rivoluzione. La garanzia di assicurare i diritti fondamentali di ogni uomo italiano è data dalla natura che ha come princìpi essenziali l'amore e la carità verso il prossimo. Polemizza anche contro i giansenisti che accusa di giacobinismo e di spirito sovvertitore dei troni.  Gli rispose con asprezza Tamburini in “Lettere teologico politiche”. Il riconoscimento che la sovranità deriva dal popolo degl’uomini e che questi uomini italiani, attraverso i suoi delegati, possa giungere a rovesciarne il potere, gli procurarono violente critiche e inimicizie da parte dei circoli reazionari e in parte anche moderati, e al saggio, che ha alla sua uscita una notevole diffusione, il divieto di pubblicazione in tutta Italia. Puo nuovamente circolare, anche se in Italia, mutato il clima politico e culturale, venne nuovamente ignorato. L. Geymonat, “Il pensiero filosofico-pedagogico italiano, Filosofi e pedagogisti estranei all'illuminismo in Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico” (Milano, Garzanti); G. Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani: o come che sia aventi relazione all'Italia. Milano: Coi torchi di L. di Giacomo Pirola, N. Nicolini, op. cit..  C. Giurintano, Società e Stato (Palermo). A. Pisanò, “Una teoria comunitaria dei diritti umani: i diritti dell'uomo” (Milano). bronteinsieme Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Melanzio Alcioneo, arcadi. Nicola Spedalieri. Spedalieri. Keywords:gl’arcadii, diritti degl’uomini. Refs.: Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spadalieri sul contratto conversazionale.” H. P. Grice, “A critique to conversational quasi-contrastualism.” Luigi Speranza, “Grice e Spedalieri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690092790/in/photolist-2mKFeJo

 

Grice e Speranza – implicatura ed implicatura -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Albalonga). Filosofo. Speranza, Ugo -- Speranza, Alessandro -- Speranza, Ettore -- Speranza, Gianni -- Speranza, Paola -- Speranza, Anna-Maria -- Speranza-Ghersi –Ghersi-Speranza, Anna-Maria -- Speranza lui speranza: luigi della --. Italian philosopher, attracted, for some reason, to H. P. Grice. Speranza knows St. John’s very well. He is the author of “Dorothea Oxoniensis.” He is a member of a number of cultivated Anglo-Italian societies, like H. P. Grice’s Playgroup. He is the custodian of Villa Grice, not far from Villa Speranza. He works at the Swimming-Pool Library. Cuisine is one of his hobbiesgrisottoa alla ligure, his specialty. He can be reached via H. P. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Vita ed opinion di Luigi Speranza,” par Luigi Speranza. A. M. Ghersi Speranza -- vide Ghersi-Speranza. Ghersi is a collaborator of Speranza. Grice: “It’s easy enough to list Speranza’s publications.” Speranza, like Mill, was fortunate to belong to a literary familyand he would read Descartes’s Meditations, which drew him to philosophy. His studies in logic drew him to semanticsHis first love was Oxonian analysis as summarised in Hartnack’s essay on ‘contemporary’ philosophy. One of Speranza’s earliest essays is on Plato’s Cratylus, relying mainly on Cassierer, but also drawing from Austin’s Philosophical Papesr. Spearnza’s idea is that “ … mean …” is a dyadic relation and what’s behind Plato’s theory of forms. This was Speranza’s contribution to a seminar in ancient philosophy. For his contribution on medieaval philosophy, Speranza drew on the modistae, and the Patrologia Latina for the use of ‘intentio’ in various writers, up to AquinoSperanza finds it fascinating that the earliest modistae do find a conceptual link between the ‘intentio’ and the ‘significatio.’ For a seminar on scepticism, Speranza contributed with a paper on Gricedrawing on Sextus Empiricus and Bar-Hillel. It relates to Grice’s problem with the conversational category of fortitude. Speranza concludes that a phenomenalist account is possible, but there are two other options: ‘silence’ (“not to participate in the conversational game”) or the utterance of non-alethic utterances, such as questions and commands. For a seminar on political philosophy, Speranza contributed with an essay on ‘Contractualism’ from Rousseau onwards --. For a seminar on phenomenology and the social sciences, Speranza contributed with an essay on ‘The conversational unit,’ the idea that the emic approach is preferable to the etic approach. For a seminar on argumentation theory on Habermas, Speranza contributed with a “German Grice,” the idea of a ‘strategy’ is a momer. Grice is into co-operative proceduresand those who provide taxonomies of rationality should be made aware of this. For “The Carrollian,” Speranza contributed with “Humpty Dumpty’s Impenetrability.” The idea that Davidson is right and Alice does not mean that there is a knock-down argument, or that she should change the topiche draws on Grice’s collaborator at Oxford, D. F. Pears, for his insights on “Intention and belief.” At the request of the editor of a bibliographical bulletin, M. Costa, Speranza contributed with reviews of oeuvre by R. M. Hare (“Sub-atomic particles of logic”), J. F. Thomson (“if and If”) and work on the English philosopher H. P. Grice (J. Baker, etc.). His review on Way of Words spramg from the same project, and it is an ‘invitation.’ For a congress of philosophy, Speranza presented “On the way of conversation,” playing on Grice’s “way of words”“Surely there’s more than words to conversation.” Speranza focuses on what Grice amusingly calls a ‘minro problem,’ that of expression meaningSperanza’s example: “How do you find Bologna?” “I haven’t been mugged yet” was inspired by a remark of an attendant to the conference. For a congress on conversational reasoning, Speranza contributed with “First time at Bologna?” providing twenty five possible answers“first time in the region, actually.” Etc. Speranza, following Grice, refers to this sort of reasoning as a sort of ‘brooding’to ‘brood’ is to ‘reason’ in a calculated fashion. As an invitation project, Speranza collaborated with “Rational face to rational face: a study in conversational pragmatics from a Griceian perspective.” In his essay “Post-modernist Grice,” he deals with the unary and dyadic connectors. For a congress on “Current Issues,” Speranza presented his “The feast of reason,” three steps in the critique of conversational reason. The first step is empirical, the second is quasi-contractualist, and the third is rational, undersood weakly and strongly. For an essay on relativism, Speranza presented an essay on ‘The cunning of conversational reason.’ Speranza maintains Grice’s jocular references to Kant -- the Conversational Immanuel. For an essay on desirability, Speranza explored the issues connected with mise-en-abyme and self-reflectionsome of these were published. There is published correspondence with members of what Speranza calls the Grice Club. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Speranza, villaThe Swimming-Pool Library, H. P. Grice’s Play Group, Liguria, Italia. Luigi Speranza, “Grice e la storia della filosofia italiana.” Speranza has done crucial research on Griceianism, unearthing some documents by O.Wood, J. O. Urmson, P. H. Nowell-Smith, and many many others – not just H. P. Grice. Vide: The Grice Papers, BANC, MSS.

 

Spirito – la filosofia dello spirito – filosofia fascista – ventennio fascista -- I corpi – corpo e corporazione -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Arezzo). Filosofo. Studia sotto Gentile. Firma il manifesto degli intellettuali fascisti. Teorico del corporativismo. Insegna a Pisa, Messina, Genova e Roma. Tra i principali filosofi a Roma insieme con Antoni, allievo di Croce, Calogero, filosofo del "dialogo" (Cf. Grice – “dialogo” vs. “conversazione”) -- e Nardi grande studioso di filosofia di Aligheri e medievale. Rinomate sono non tanto le sue lezioni quanto i suoi pomeriggi di discussione del giovedì. Tre ore, non di lezione, ma di discussione serrata su un problema filosofico; uno soltanto per un intero anno. Uno, per esemptio, e dedicato al concetto di sogno. Ai giovedì nell'aula grande dell'Istituto di Filosofia interveneno tante e diverse persone: gli studenti, i numerosi assistenti e inoltre partecipanti di varie età convinzioni e provenienze. Ascolta tutti, rilancia e guida la discussione verso nuove prospettive interpretative. Pubblica saggi connessi a quei giovedì. Tra le altre: “Il Problematicismo”; “La Vita come Ricerca” (Rubbettino); “La Vita come Amore”, “Cattolicesimo e Comunismo”, fino a l’autobiografica “Vita di un Incosciente”. Volendo indicare un tratto distintivo della sua filosofia, essa consiste nella curiosità e nel rispetto per qualsiasi posizione. Non esiste una parola definitive. La ricerca della verità dove essere portata sempre ulteriormente avanti.  In questo senso vanno interpretate le sue riflessioni che spaziano dai campi della speculazione filosofica. Tra i vari livelli di ricerca, spicca la riflessione sulle strutture dello stato. Allontanandosi nettamente dal liberalismo filosofico, non vede alcuna contra-posizione tra la figura dell'individuo o cittadino e quella dello stato. Con un passo oltre questa interpretazione, che giudica dis-organica e arbitraria, vede lo stato come figura entro cui i cittadini vieneno a realizzarsi. Il binomio stato/cittadino diventa così un'equazione, in cui il secondo termine viene a risolversi e quindi realizzarsi pienamente nel primo. Caratterizza lo stato non come una semplice sovra-struttura disciplinatrice, ma come un organismo che esprime un'unica volontà e compone tutti i dissidi dei cittadini. In questo senso, l'unica via percorribile nella realizzazione di tale modello è la via corporativa in cui lo stato -- al meno due cittadini -- diventa stato di al meno due produttori. Lo stato rappresenta il luogo in cui interesse pubblico o comune ed interesse privato o soggetivo del cittadino vengono a coincidere. In esso non deve venire annullata quella sorgente di vita che sono i cittadini.  Questa concezione è stata definita immanenza dei cittadini nello stato, volta alla mobilitazione dei cittadini nelle e per le strutture create dallo stato. L’economia è politica. Deve garantire la sub-ordinazione alle scelte sociali. Inquadra il ruolo che assegna allo stato in termini di intervento pubblico o comone. Ben lungi dal prospettare una situazione paragonabile al collettivismo, è lontano anche dagli eccessi dis-organici che imputa al sistema liberale.  Il funzionario di stato, che in prospettiva dove andare a sostituire il capitalista privato, e giudicato non come un agente del collettivismo o del capitalismo statale (che sappiamo cosa produce col sovietismo), ma un semplice delegato tecnico, che si fa garante di una diversa realtà: assicurare socialmente il controllo della produzione e la stessa proprietà dei mezzi produttivi. Altre saggi: “Il diritto penale italiano”; “Il nuovo diritto penale”; “Critica dell'economia liberale, “L'idealismo italiano e i suoi critici” – Grice: “A delightfull read, especially for us Oxonians, since he manages to quote extensively from the Proceedings of the Aristotelian Society, seeing that Ryle hated idealism!” --); “I fondamenti dell'economia corporativa”; “Capitalismo e corporativismo” (Rubbettino); Scienza e filosofia”; Dall'economia liberale al corporativismo, “La vita come arte,  Critica della democrazia” (Rubbettino); “Il comunismo, Dall'attualismo al problematicismo”, Memorie di un incosciente” (Rusconi, Milano); “Pareto” (Cadmo, Roma); “Critica della democrazia” (Luni, Milano); “Il corporativismo: dall'economia liberale al corporativismo; “M. Rodotà, Passeggiando in bicicletta; Bighellonando dentro il Verano, Corriere della Sera, L. Stefano, Filosofo, Giurista, Economista, Volpe Roma, “Individuo e stato”,  A.  Negri, “Dal corporativismo comunista all'umanesimo scientifico. Itinerario teoretico” (Manduria, Lacaita, F.Tamassia, Roma, A. Russo, Positivismo e idealismo” (Roma); G. Dessì, “Filosofia e rivoluzione” (Milano, Luni); A.  Russo, “Dal positivismo all'anti-scienza” (Milano, Guerini); H. Cavallera, “La ricerca dell'incontrovertibile, Formello, SEAM); D. Breschi, Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito -- dal fascismo alla contestazione” (Rubbettino), A. Cammarana, Roma, Pagine,  A. Cammarana, “Teorica della reazione dialettica: filosofia del postcomunismo” (Roma). V. Pirro, Ricordo, in Studi Politici (Bulzoni, Roma). Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia machiavelliana, P. Bettineschi, L'esperienza storica e l'intrascendibilità del conoscere. Sul sapere di non sapere,  Rivista di filosofia neo-scolastica,, Problematicismo Corporativismo Fascismo Corporazione proprietaria. Treccani, Dizionario di storia, Dizionario biografico degli italiani, Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ugo Spirito. Spirito. Keywords: stato/cittadini, pathos romantico, romanticism e nuovo ordine, sindicalismo, fascismo da sinestra, filobolcevicco, corporativismo, attualismo, stato fascista, equilibrio liberta/autorita, gentile e spirito, i filosofi fascisti, filosofia e revoluzione, romanticismo, proprieta, filosofia come pedagogia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spirito” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718471510/in/photolist-2mPwZGS-2mPkobg-2mPpmMv-2mPoj9X-2mPszkp-2mPqp6k-2mNzeEc-2mNbFJE-2mNaHiH-2mMQbzj-2mLKtaD-2mLLZRD-2mLFz5i-2mLGnHy-2mLLy7L-2mLLy6U-2mLGvyP-2mPkhvE-2mN84eK-2mMyyfB

 

Grice e Spisani – la contestazione – filosofia italiana (Ferrara), Filosofo. Si laurea a Padova con una tesi di sull'attualismo italiano: “Natura e spirito nell’idealismo attuale” (Milano, Fabbri). In seguito collabora a Urbino. A Bologna fonda “Rassegna di Logica”  e il Centro superiore di logica e scienze comparate. In una lettera Carnap critica una sua decisione di non pubblicare un'opera. Morì suicida. Altri saggi: “Neutralizzazione dello spazio per sintesi produttiva” (Bologna, Cappelli); “Implicazione, Endo-metria e universo del discorso” (Bologna) e “Introduzione alla teoria generale dei numeri relativi, con ingresso dei numeri moltiplicatori e divisori, legati alla logica e alla matematica trascendentale” (Bologna, Centro di logica e scienze comparate, analisi matematica). C'è una relazione divisoria che ipotizza il valore “M,” numero logico trans-infinito all'origine della neutralizzazione dello spazio trans-finito. ℵ va verso successivi aumenti. Ma è la relatività dei numeri, espressa nel calcolo per valori di posizione, che ne individua la direzione inversa."  In “Introduzione alla teoria dei numeri relative” spiega le sue scoperte in forma di dialogo. Tra gli interlocutori la misteriosa figura della piovra Clipso.  Logo-fenica.  Altri saggi: “Il numero nell'istanza ontologica del rapporto d'identità” (Imola, Galeati); “Logica ed esperienza” (Milano, Marzorati); “Logica della contestazione” (Bologna, Cappelli).  Sulla storia della pubblicazione della Teoria generale, importanti ricerche erano già pronte. Allora, dice: “Ne discuto con Carnap. Carnap sottopone i risultati dell'indagine. Carnap spiega anche le ragioni che mi induceno a non diffonderne le conclusioni. Carnap risponde che quella scelta gli sembra affatto ingiustificata: l'operas crises non poteva rimanere nel silenzio. Tuttavia non cambiai parere. Non avrei pubblicato, e glielo confermai. “Dai numeri naturali ai numeri relativi, moltiplicatori e divisor” B. Gallo, “Un uomo genial”, Nuova Ferrara, L'ha vegliato prima di suicidarsi, di Carlo Gulotta, la Repubblica, sezione Bologna, Archivio. Franco Spisani. Spisani. Keywords: il concetto di numero, numero naturale, numero relativo, logica autogenetica, numero relative moltiplicatore, numero relative divisore, opposto, contradittorio, regole e segni, contestazione, esperienza, limiti della metafisica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Spisani” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733750694/in/datetaken/

 

Grice e Sraffa – la mia implicatura – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). An Italian noble -- vitters, and Grice --  L.cited by H. P. Grice, “Some like Vitters, but Moore’s MY man.” Vienna-born philosopher trained as an enginner at Manchester. Typically referred to Wittgenstein in the style of English schoolboy slang of the time as, “Witters,” pronounced “Vitters.”“I heard Austin said once: ‘Some like Witters, but Moore’s MY man.’ Austin would open the “Philosophical Investigations,” and say, “Let’s see what Witters has to say about this.” Everybody ended up loving Witters at the playgroup.” Witters’s oeuvre was translated first into English by C. K. Ogden. There are interesting twists. Refs.: H. P. Grice, “Vitters.” Grice was sadly discomforted when one of his best friends at Oxford, D. F. Pears, dedicated so much effort to the unveiling of the mysteries of ‘Vitters.’ ‘Vitters’ was all in the air in Grice’s inner circle. Strawson had written a review of Philosophical Investigations. Austin was always mocking ‘Vitters,’ and there are other connections. For Grice, the most important is that remark in “Philosohpical Investigations,” which he never cared to check ‘in the Hun,’ about a horse not being seen ‘as a horse.’ But in “Prolegomena” he mentions Vitters in other contexts, too, and in “Causal Theory,” almost anonymouslybut usually with regard to the ‘seeing as’ puzzle. Grice would also rely on Witters’s now knowing how to use ‘know’ or vice versa. In “Method” Grice quotes verbatim: ‘No psyche without the manifestation the ascription of psyche is meant to explain,” and also to the effect that most ‘-etic’ talk of behaviour is already ‘-emic,’ via internal perspective, or just pervaded with intentionalism. One of the most original and challenging philosophical writers of the twentieth century. Born in Vienna into an assimilated family of Jewish extraction, he went to England as a student and eventually became a protégé of Russell’s at Cambridge. He returned to Austria at the beginning of The Great War I, but went back to Cambridge in 8 and taught there as a fellow and professor. Despite spending much of his professional life in England, Vitters never lost contact with his Austrian background, and his writings combine in a unique way ideas derived from both the insular and the continental European tradition. His thought is strongly marked by a deep skepticism about philosophy, but he retained the conviction that there was something important to be rescued from the traditional enterprise. In his Blue Book 8 he referred to his own work as “one of the heirs of the subject that used to be called philosophy.” What strikes readers first when they look at Vitters’s writings is the peculiar form of their composition. They are generally made up of short individual notes that are most often numbered in sequence and, in the more finished writings, evidently selected and arranged with the greatest care. Those notes range from fairly technical discussions on matters of logic, the mind, meaning, understanding, acting, seeing, mathematics, and knowledge, to aphoristic observations about ethics, culture, art, and the meaning of life. Because of their wide-ranging character, their unusual perspective on things, and their often intriguing style, Vitters’s writings have proved to appeal to both professional philosophers and those interested in philosophy in a more general way. The writings as well as his unusual life and personality have already produced a large body of interpretive literature. But given his uncompromising stand, it is questionable whether his thought will ever be fully integrated into academic philosophy. It is more likely that, like Pascal and Nietzsche, he will remain an uneasy presence in philosophy. From an early date onward Vitters was greatly influenced by the idea that philosophical problems can be resolved by paying attention to the working of language  a thought he may have gained from Fritz Mauthner’s Beiträge zu einer Kritik der Sprache 102. Vitters’s affinity to Mauthner is, indeed, evident in all phases of his philosophical development, though it is particularly noticeable in his later thinking.Until recently it has been common to divide Vitters’s work into two sharply distinct phases, separated by a prolonged period of dormancy. According to this schema the early “Tractarian” period is that of the Tractatus Logico-Philosophicus 1, which Vitters wrote in the trenches of World War I, and the later period that of the Philosophical Investigations 3, which he composed between 6 and 8. But the division of his work into these two periods has proved misleading. First, in spite of obvious changes in his thinking, Vitters remained throughout skeptical toward traditional philosophy and persisted in channeling philosophical questioning in a new direction. Second, the common view fails to account for the fact that even between 0 and 8, when Vitters abstained from actual work in philosophy, he read widely in philosophical and semiphilosophical authors, and between 8 and 6 he renewed his interest in philosophical work and wrote copiously on philosophical matters. The posthumous publication of texts such as The Blue and Brown Books, Philosophical Grammar, Philosophical Remarks, and Conversations with the Vienna Circle has led to acknowledgment of a middle period in Vitters’s development, in which he explored a large number of philosophical issues and viewpoints  a period that served as a transition between the early and the late work. Early period. As the son of a greatly successful industrialist and engineer, Vitters first studied engineering in Berlin and Manchester, and traces of that early training are evident throughout his writing. But his interest shifted soon to pure mathematics and the foundations of mathematics, and in pursuing questions about them he became acquainted with Russell and Frege and their work. The two men had a profound and lasting effect on Vitters even when he later came to criticize and reject their ideas. That influence is particularly noticeable in the Tractatus, which can be read as an attempt to reconcile Russell’s atomism with Frege’s apriorism. But the book is at the same time moved by quite different and non-technical concerns. For even before turning to systematic philosophy Vitters had been profoundly moved by Schopenhauer’s thought as it is spelled out in The World as Will and Representation, and while he was serving as a soldier in World War I, he renewed his interest in Schopenhauer’s metaphysical, ethical, aesthetic, and mystical outlook. The resulting confluence of ideas is evident in the Tractatus Logico-Philosophicus and gives the book its peculiar character. Composed in a dauntingly severe and compressed style, the book attempts to show that traditional philosophy rests entirely on a misunderstanding of “the logic of our language.” Following in Frege’s and Russell’s footsteps, Vitters argued that every meaningful sentence must have a precise logical structure. That structure may, however, be hidden beneath the clothing of the grammatical appearance of the sentence and may therefore require the most detailed analysis in order to be made evident. Such analysis, Vitters was convinced, would establish that every meaningful sentence is either a truth-functional composite of another simpler sentence or an atomic sentence consisting of a concatenation of simple names. He argued further that every atomic sentence is a logical picture of a possible state of affairs, which must, as a result, have exactly the same formal structure as the atomic sentence that depicts it. He employed this “picture theory of meaning”  as it is usually called  to derive conclusions about the nature of the world from his observations about the structure of the atomic sentences. He postulated, in particular, that the world must itself have a precise logical structure, even though we may not be able to determine it completely. He also held that the world consists primarily of facts, corresponding to the true atomic sentences, rather than of things, and that those facts, in turn, are concatenations of simple objects, corresponding to the simple names of which the atomic sentences are composed. Because he derived these metaphysical conclusions from his view of the nature of language, Vitters did not consider it essential to describe what those simple objects, their concatenations, and the facts consisting of them are actually like. As a result, there has been a great deal of uncertainty and disagreement among interpreters about their character. The propositions of the Tractatus are for the most part concerned with spelling out Vitters’s account of the logical structure of language and the world and these parts of the book have understandably been of most interest to philosophers who are primarily concerned with questions of symbolic logic and its applications. But for Vitters himself the most important part of the book consisted of the negative conclusions about philosophy that he reaches at the end of his text: in particular, that all sentences that are not atomic pictures of concatenations of objects or truth-functional composites of such are strictly speaking meaningless. Among these he included all the propositions of ethics and aesthetics, all propositions dealing with the meaning of life, all propositions of logic, indeed all philosophical propositions, and finally all the propositions of the Tractatus itself. These are all strictly meaningless; they aim at saying something important, but what they try to express in words can only show itself. As a result Vitters concluded that anyone who understood what the Tractatus was saying would finally discard its propositions as senseless, that she would throw away the ladder after climbing up on it. Someone who reached such a state would have no more temptation to pronounce philosophical propositions. She would see the world rightly and would then also recognize that the only strictly meaningful propositions are those of natural science; but those could never touch what was really important in human life, the mystical. That would have to be contemplated in silence. For “whereof one cannot speak, thereof one must be silent,” as the last proposition of the Tractatus declared. Middle period. It was only natural that Vitters should not embark on an academic career after he had completed that work. Instead he trained to be a school teacher and taught primary school for a number of years in the mountains of lower Austria. In the mid-0s he also built a house for his sister; this can be seen as an attempt to give visual expression to the logical, aesthetic, and ethical ideas of the Tractatus. In those years he developed a number of interests seminal for his later development. His school experience drew his attention to the way in which children learn language and to the whole process of enculturation. He also developed an interest in psychology and read Freud and others. Though he remained hostile to Freud’s theoretical explanations of his psychoanalytic work, he was fascinated with the analytic practice itself and later came to speak of his own work as therapeutic in character. In this period of dormancy Vitters also became acquainted with the members of the Vienna Circle, who had adopted his Tractatus as one of their key texts. For a while he even accepted the positivist principle of meaning advocated by the members of that Circle, according to which the meaning of a sentence is the method of its verification. This he would later modify into the more generous claim that the meaning of a sentence is its use. Vitters’s most decisive step in his middle period was to abandon the belief of the Tractatus that meaningful sentences must have a precise hidden logical structure and the accompanying belief that this structure corresponds to the logical structure of the facts depicted by those sentences. The Tractatus had, indeed, proceeded on the assumption that all the different symbolic devices that can describe the world must be constructed according to the same underlying logic. In a sense, there was then only one meaningful language in the Tractatus, and from it one was supposed to be able to read off the logical structure of the world. In the middle period Vitters concluded that this doctrine constituted a piece of unwarranted metaphysics and that the Tractatus was itself flawed by what it had tried to combat, i.e., the misunderstanding of the logic of language. Where he had previously held it possible to ground metaphysics on logic, he now argued that metaphysics leads the philosopher into complete darkness. Turning his attention back to language he concluded that almost everything he had said about it in the Tractatus had been in error. There were, in fact, many different languages with many different structures that could meet quite different specific needs. Language was not strictly held together by logical structure, but consisted, in fact, of a multiplicity of simpler substructures or language games. Sentences could not be taken to be logical pictures of facts and the simple components of sentences did not all function as names of simple objects. These new reflections on language served Vitters, in the first place, as an aid to thinking about the nature of the human mind, and specifically about the relation between private experience and the physical world. Against the existence of a Cartesian mental substance, he argued that the word ‘I’ did not serve as a name of anything, but occurred in expressions meant to draw attention to a particular body. For a while, at least, he also thought he could explain the difference between private experience and the physical world in terms of the existence of two languages, a primary language of experience and a secondary language of physics. This duallanguage view, which is evident in both the Philosophical Remarks and The Blue Book, Vitters was to give up later in favor of the assumption that our grasp of inner phenomena is dependent on the existence of outer criteria. From the mid-0s onward he also renewed his interest in the philosophy of mathematics. In contrast to Frege and Russell, he argued strenuously that no part of mathematics is reducible purely to logic. Instead he set out to describe mathematics as part of our natural history and as consisting of a number of diverse language games. He also insisted that the meaning of those games depended on the uses to which the mathematical formulas were put. Applying the principle of verification to mathematics, he held that the meaning of a mathematical formula lies in its proof. These remarks on the philosophy of mathematics have remained among Vitters’s most controversial and least explored writings. Later period. Vitters’s middle period was characterized by intensive philosophical work on a broad but quickly changing front. By 6, however, his thinking was finally ready to settle down once again into a steadier pattern, and he now began to elaborate the views for which he became most famous. Where he had constructed his earlier work around the logic devised by Frege and Russell, he now concerned himself mainly with the actual working of ordinary language. This brought him close to the tradition of British common sense philosophy that Moore had revived and made him one of the godfathers of the ordinary language philosophy that was to flourish in Oxford in the 0s. In the Philosophical Investigations Vitters emphasized that there are countless different uses of what we call “symbols,” “words,” and “sentences.” The task of philosophy is to gain a perspicuous view of those multiple uses and thereby to dissolve philosophical and metaphysical puzzles. These puzzles were the result of insufficient attention to the working of language and could be resolved only by carefully retracing the linguistic steps by which they had been reached. Vitters thus came to think of philosophy as a descriptive, analytic, and ultimately therapeutic practice. In the Investigations he set out to show how common philosophical views about meaning including the logical atomism of the Tractatus, about the nature of concepts, about logical necessity, about rule-following, and about the mindbody problem were all the product of an insufficient grasp of how language works. In one of the most influential passages of the book he argued that concept words do not denote sharply circumscribed concepts, but are meant to mark family resemblances between the things labeled with the concept. He also held that logical necessity results from linguistic convention and that rules cannot determine their own applications, that rule-following presupposes the existence of regular practices. Furthermore, the words of our language have meaning only insofar as there exist public criteria for their correct application. As a consequence, he argued, there cannot be a completely private language, i.e., a language that in principle can be used only to speak about one’s own inner experience. This private language argument has caused much discussion. Interpreters have disagreed not only over the structure of the argument and where it occurs in Vitters’s text, but also over the question whether he meant to say that language is necessarily social. Because he said that to speak of inner experiences there must be external and publicly available criteria, he has often been taken to be advocating a logical behaviorism, but nowhere does he, in fact, deny the existence of inner states. What he says is merely that our understanding of someone’s pain is connected to the existence of natural and linguistic expressions of pain. In the Philosophical Investigations Vitters repeatedly draws attention to the fact that language must be learned. This learning, he says, is fundamentally a process of inculcation and drill. In learning a language the child is initiated in a form of life. In Vitters’s later work the notion of form of life serves to identify the whole complex of natural and cultural circumstances presupposed by our language and by a particular understanding of the world. He elaborated those ideas in notes on which he worked between 8 and his death in 1 and which are now published under the title On Certainty. He insisted in them that every belief is always part of a system of beliefs that together constitute a worldview. All confirmation and disconfirmation of a belief presuppose such a system and are internal to the system. For all this he was not advocating a relativism, but a naturalism that assumes that the world ultimately determines which language games can be played. Vitters’s final notes vividly illustrate the continuity of his basic concerns throughout all the changes his thinking went through. For they reveal once more how he remained skeptical about all philosophical theories and how he understood his own undertaking as the attempt to undermine the need for any such theorizing. The considerations of On Certainty are evidently directed against both philosophical skeptics and those philosophers who want to refute skepticism. Against the philosophical skeptics Vitters insisted that there is real knowledge, but this knowledge is always dispersed and not necessarily reliable; it consists of things we have heard and read, of what has been drilled into us, and of our modifications of this inheritance. We have no general reason to doubt this inherited body of knowledge, we do not generally doubt it, and we are, in fact, not in a position to do so. But On Certainty also argues that it is impossible to refute skepticism by pointing to propositions that are absolutely certain, as Descartes did when he declared ‘I think, therefore I am’ indubitable, or as Moore did when he said, “I know for certain that this is a hand here.” The fact that such propositions are considered certain, Vitters argued, indicates only that they play an indispensable, normative role in our language game; they are the riverbed through which the thought of our language game flows. Such propositions cannot be taken to express metaphysical truths. Here, too, the conclusion is that all philosophical argumentation must come to an end, but that the end of such argumentation is not an absolute, self-evident truth, but a certain kind of natural human practice. Sraffa. Keywords. Refs.: H. P. Grice, “Il gesto della mano di Sraffa.” Speranza, “Sraffa’s handwave, and his impicaturum”; Luigi Speranza, “L’implicatura di Sraffa,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733734529/in/datetaken/

 

Grice e Stabile – critica della ragione borghese – filosofia italiana (Sapri). Duplicato. Filosofo. Laureatosi a Napoli con una tesi sulla filosofia del valore, divenne ricercatore a Salerno. Pubblica saggi in "Prassi e teoria", "Aut Aut", "Studi di filosofia politica e diritto", "il Centauro", "Ombre rosse", riviste tra le più prestigiose nel panorama della pubblicistica filosofica italiana. Collabora alla direzione della collana di testi e studi "Relox" di Bibliopolis di Napoli. Salerno dedica un convegno di studi alla sua memoria: "La saggezza moderna. Temi e problemi”. Il fondo rappresenta solo una piccola porzione della sua biblioteca. Infatti la consistenza attuale si aggira intorno ai 650 volumi altri libri sono in possesso di Salerno. Tuttavia la consistenza maggiore ricopre il periodo intorno a cui si è formata la sua personalità. I libri del fondo sottolineano l'interesse verso la critica marxista (moltissimi i volumi degli Editori Riuniti). Degni di attenzione alcuni esemplari caratteristici come ad esempio quelli della collana "I gabbiani" del Saggiatore o ancora la collana quasi completa degli "Opuscoli” della Feltrinelli, i volumi della collana "Biblioteca di nuova cultura" della Mazzotta, e quelli della "Scienza nuova" della Dedalo: collane radicalmente trasformate nei successivi anni o sostituite da altre. Talora nate solamente per offrire testi economici che rispondessero ai bisogni di una maggiore diffusione culturale. Sono presenti anche dei volumetti allegati a periodici di partito (PCI e PSI) e le pubblicazioni dell'Istituto di Filosofia dell'Salerno.  Altri saggi: “Valore morale e società” (Salerno); “Soggetti e bisogni” (Firenze, La Nuova Italia); “Saggezza e prudenza: studi per la ricostruzione di un'antropologia” (Napoli, Liguori); “Piccolo trattato sulla saggezza” (Napoli, Bibliopolis); “Umanesimo e rivoluzione” (“Prassi e teoria: rivista di filosofia della cultura”), “La saggezza moderna: in memoria” (Napoli, Edizioni scientifiche italiane). Storia della filosofia, Salerno.  P. Charron Storia della filosofia,  Salerno. Giampiero Stabile. Stabile. Keywords: Grice’s ‘Needs, need, bisogno, bisogni, bisoin, complex etymology, durf, tharf -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stabile” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733716119/in/datetaken/

 

 

Grice e Stefani – senso compost – filosofia italiana (Pergola). Filosofo. Grice: “I may well say that my idea of a propositional complex owes much to Stefani’s obsession with ‘sensus’ simplex or ‘divisus, and ‘sensus compositum’ –“ “The opposite of ‘com-posito’ is de-posito, though!” --  Grice: “I like his diagrammes; The Boedlian have loads of his mss!” Grice: “He has a figure for the ‘figura quadrata,’ –“. Grice: “He has a figure for ‘suppositio.’” – Il membro più noto di una famiglia di insegnanti marchigiani. Avviato alla carriera ecclesiastica nella città natale, ma presto strasfere a Venezia. Il suo saggio più importante è il “De sensu composito et diviso”. Insegna a  Rialto. Altri saggi: “Dubia in consequentias Strodi,” “In regulas insolubilium,” “De scire e dubitare,” “Compendium logicae,” “Logica,” “Tractatus de sensu simplice, sensu composito, et sensu diviso”,Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Fonte: Dizionario di filosofia, riferimenti. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Stefani. Keywords: senso semplice, senso composito, senso deposito, senso diviso.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefani.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701107182/in/photolist-2mPxLC4-2mLLZRD-2mLDFVG-Eoj4SX-DndBhH-27qzaqL

 

Grice e Stefanini – l’interpersonalismo -- idealism filosofico – filosofia fascista – veintennio fascista -- filosofia italiana (Treviso). Filosofo. Grice: “Italians are obsessed with personalismo, I am with interpersonalismo!” “L’essere è personale.” “Tutto ciò che non è personale nell’essere rientra nella produttività della persona, come mezzo di manifestazione della persona e di *comunicazione* o conversazione *tra* due persone,” “La mia prospettiva filosofica). Figlio di Giovanni, che gestisce una tintoria, e Lucia de Mori, diplomata maestra elementare -- è attivo nelle associazioni e nei movimenti cattolici del trevigiano, iscrivendosi a Gioventù Cattolica dove assumerà presto l'incarico di presidente diocesano. Qui maturerà la vocazione di educatore, seguendo, in particolare, gli insegnamenti contenuti nell'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Opera pure nel sindacato cattolico dei lavoratori.  Dopo il diploma presso il Liceo Classico Antonio Canova, dove ha fra gli altri Paolo Rotta come insegnante di storia e filosofia, nello stesso anno si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Padova. Nell'ateneo patavino, la corrente del positivismo è tra le più seguite, ma in controtendenza decide di scrivere la propria tesi sull’interpersonalismo, aavendo Aliotta come relatore, con cui si laurea in filosofia . Nel periodo di studi padovano, inizia a frequentare anche il circolo di Zanella e inizia a insegnare. Mentre completa gli studi universitari, inizia già a respirarsi aria di guerra in Italia, ma come molti giovani, pur favorevole ad una posizione di neutralità nei confronti della guerra, viene comunque chiamato alle armi. Terminato il conflitto, uscendone con il grado di capitano e una croce al merito di guerra, studia l’estetica di Gravina. Eletto consigliere del Comune di Treviso ma, la violenza dello squadrismo fascista investe anche il trevigiano. Si oppone con fermezza a tale ideologia, dimettendosi e dedicandosi completamente all'insegnamento, che ora è la sua occupazione principale e che condurrà sempre secondo una pedagogia ispirata ai principi cristiani, costantemente attento e sensibile sia ai bisogni che agli interessi degli studenti. Nello stesso periodo, si dedica con scrupolo alla stesura di apprezzati testi didattici di storia e filosofia, nonché di pedagogia secondo un indirizzo cristiano. Conseguita la libera docenza in pedagogia ottiene, per incarico, l'insegnamento di questa disciplina a Padova. Oltre ad iscriversi al Partito Nazionale Fascista, affianca l'insegnamento nelle scuole pubbliche a quello universitario fino a quando, vinto l'ordinariato, ha una cattedra di storia della filosofia a Messina che tiene fino a quando si trasferisce a Padova. Al contempo, tiene per incarico l'insegnamento di estetica a Padova e quello di pedagogia all'Venezia, nonché sarà preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'ateneo patavino.  Nel dopoguerra, riabilitato alla propria cattedra e all'insegnamento universitario, si dedica prevalentemente allo studio e la ricerca, ma partecipando anche alla riorganizzazione della filosofia italiana, in particolare promuovendo incontri, convegni e riunioni all'Istituto Aloisianum dei padri gesuiti di Gallarate, che diventerà poi il Centro di studi filosofici di Gallarate, per primo diretto da Carlo Gianon.  Socio corrispondente dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, nonché socio effettivo dell’Accademia patavina di scienze, lettere ed arti, ricevette il premio della R. Accademia d'Italia per le discipline filosofiche, e il premio Marzotto per la filosofia, nonché fu membro dei consigli direttivi della Società filosofica italiana e del Centro Studi filosofici di Gallarate. Fonda a Padova la Rivista di estetica, della quale ha potuto dirigere solo il primo fascicolo e a cui gli subentrerà Pareyson. Gli saranno intitolate delle scuole medie statali di Treviso e Padova, nonché l'ex Istituto magistrale di Mestre. Uno dei maggiori rappresentati dello spiritualismo, riesamina storicamente e criticamente diverse correnti del pensiero filosofico, fra cui lo storicismo, la filosofia dell'azione, l’idealismo, la fenomenologia, l'esistenzialismo, lungo il corso della storia della filosofia, da Bonaventura ed Aquino a Gioberti, Rosmini ed altri, sulla scia della sua prima formazione incentrata su uno stretto connubio fra prospettiva storica e dimensione teoretica.  Interessato pure all'estetica, su cui ha scritto molti lavori, il contributo più importante è frutto della sua costante riflessione su personalismo e spiritualismo, grazie alla quale il rapporto soggetto-oggetto viene interpretato in termini di alterità, di altro da sé, prospettivaquestache permetterà di concepire il singolo individuo come membro di una comunità. Questo rapporto soggetto-oggetto, da un tale punto di vista, sarà concepito come il momento fondante di ogni comunità di esseri umani in relazione fra loro. Le più importanti problematiche connesse a questi principi di base, saranno poi affrontate nella “Metafisica della persona” – cf. Strawson, “The concept of a person” -- e “Inter-personalismo”. Strettamente connesse a queste tematiche filosofiche, poi, sono quelle didattico-pedagogiche aperte e portate avanti pressoché durante l'intero suo periodo di attività, dai primi anni formativi fino agli ultimi della maturità, in continuo ripensamento e progressiva rivisitazione.  Per quanto concerne poi la sua vasta produzione, ricordiamo solo che dà alle stampe le seguenti, notevoli pubblicazioni: “L'esistenzialismo” “Spiritualismo”, “Il dramma filosofico”; “Metafisica della persona”; “Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico”; “Inter-personalismo”; “Estetica”; “Trattato di estetica. Viene pubblicata la raccolta di scritti intitolata “Inter-Personalismo”. Dizionario Biografico degli Italiani.L. Corrieri, Uun pensiero attuale” (Prometheus, Milano). Citando sue testuali parole. L’opera del Blondel è più arte che filosofia. I passaggi più ardui superati con immagini ardite, anziché con logiche dimostrazioni; affermate le più inconciliabili antitesi affinché queste rendano vivo e tragico il contrasto; i mezzi dialettici atti più a trascinare che a convincere: tutto ciò ci conferma pienamente nella nostra interpretazione. L'opera del Blondel è, più che una dottrina filosofica, un romanzo psicologico che descrive le esitazioni e le incertezze, le vane pretese e le supreme aspirazioni dell'umana volontà, che alfine si appaga e riposa in Dio. Per ciò che al di là del filosofo si riesca ad afferrare l'uomo, al di là del sistema si riesca ad afferrare il programma generoso del credente, la filosofia dell'azione può essere efficacemente educativa, può esercitare nella coscienza contemporanea l'influsso salutare che essa si era proposta. “L'azione” (Padova). Il quale, a sua volta, prende le mosse dalle concezioni personalistiche mounieriane e giobertiane; cfr. G. Piaia, cit. Opere principal: Il problema della conoscenza in Cartesio e Gioberti, Torino, Sei, Il problema religioso in Platone e S. Bonaventura. Sommario storico e critica di testi, Torino, Sei,Idealismo cristiano, Padova, R. Zannoni Editore, Platone (Padova, Milani); Il problema estetico in Platone, Torino, Sei, Imaginismo come problema filosofico (Padova, Milani); “Problemi attuali d'arte” (Padova, Milani); “La Chiesa Cattolica, Milano-Messina, Principato, Vincenzo Gioberti. Vita e pensiero, Milano, F.lli Bocca,  Metafisica dell'arte” (Padova, Liviana); “La mia prospettiva filosofica, Treviso, Canova); Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico. Esposizione e critica costruttiva” (Padova, Milani); Aubier, Estetica, Roma, Edizioni Studium, Trattato di Estetica”; “L'arte nella sua autonomia e nel suo processo” (Brescia, Morcelliana); Personalismo educativo, Roma, F.lli Bocca). Dialettica dell'immagine. Studi sull'imaginismo di Luigi Stefanini, a cura dell'Associazione filosofica trevigiana, Genova); L. Caimi, Educazione e persona” (Scuola, Brescia); Glory Cappello, Dalle opere e dal carteggio del suo archivio, Europrint, Treviso, Per una antropologia in Luigi Stefanini: metafisica, personalismo, umanesimo, Glory Cappello, ER. Pagotto, Padova,. M. Lasala, Una ragione vivente. L'immagine e l'ulteriore, in  Frammenti di filosofia contemporanea, I.v.a.n. Project, Limina Mentis, Villasanta, M. De Boni, Le ragioni dell’esistenza. Esistenzialismo e ragione (Mimesis, Milano); A. Rigobello, Scritti in onore (Liviana, Padova). Rivista Rosminiana,treccani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Stefanini. Stefanini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stefanini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733901795/in/photolist-2mPxLC4

 

Grice e Stella – iustum/iussum – filosofia italiana (Sernaglia della Battaglia). Filosofo. Grice: “What is it with Italian philosoophers that they are all into what at Oxford we would call jurisprudence?” Grice: “It seems like all Italian philosophers are like Italian versions of H. L. A. Hart!”. Filosofo. Studia a Treviso e  Milano, sotto Crespi.Insegna a Catania e Milano. I suoi studi si diregeno su alcune tipologie di reati, successivamente sugli elementi strutturali del reato.  Il suo contributo scientifico più noto, presso gli operatori del diritto penale e la comunità accademica, è “La spiegazione causale dell’azione umana” (Milano), in cui  ricostruisce il problema del nesso di causalità prospettando il criterio della sussunzione sotto una *legge* come strumento per la soluzione di casi dubbi. Solo mediante una legge di copertura, atta a spiegare il rapport causale fra la condotta dell’attore ed il effetto e possibile formulare un giudizio sulla responsabilità dell’attore. Ad es., solo dopo aver dimostrato, sulla base di una legge, che l'ingestione di un determinato farmaco determina casualmente malformazioni del feto, e possibile imputare alla ditta produttrice il reato di lesioni gravissime, colpose o dolose. In difetto di questa spiegazione causale non puo formularsi alcuna responsabilita. a regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" trovasse applicazione anche in un processo. Il principio venne accolto in tema di nesso causale dalla corte suprema di cassazione, anche a sezioni unite. Oggi è norma codicistica. Dirige riviste giuridiche di diritto penale e fu fra i curatori di raccolte normative di largo successo presso la comunità forense. Si interessa anche nella teoria generale del diritto ed la filosofia del diritto, mediante pubblicazione di scritti maggiormente agili rispetto alle monografie ed ai saggi penalistici, rivolti ad un pubblico relativamente più vasto. Esercita la professione di avvocato, partecipa in qualità di difensore di alcuni imputati, al processo del Petrolchimico di Porto Marghera, dove fa applicazione, dal principio della spiegazione causale. Altri saggi: “L'alterazione di stato mediante falsità” (Milano);  “La descrizione dell'evento” (Milano); “Giustizia” (Milano); “Dei giudici” (Milano); “ll giudice corpuscolariano” (Milano); “Le ingiustizie” (Bologna); “il galantumo del diritto, Corriere della Sera, Federico Stella. Stella. Keywords: Grice, implicature della descrizione d’azione umana, H. L. A. Hart, J. L. Austin, responsibity, aspets of reason, alethic reason. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stella”. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732161382/in/photolist-2mPoRfW-2mPrcpg-2mPqEYR-FXFiS4-Eoj4SX-BNWJaB-CdDizG-CdAEaL-CfWKjF-Aph69c-ApTd44-ApVvbg-ApPzuj-B11YKQ-Asadbr-ArBZyV-Axqfia-nfLxee-nijWnd-nfLAda

 

Grice e Stellini – de ortu morum -- filosofia italiana (Cividale). Filosofo. La sua fama è dovuta soprattutto al “Saggio dell’origine e del progresso de’ costume e delle opinion a’ medesimi pertinenti – con quale ordine si sviluppassero le facolta degli uomini, ed appetite ne uscissero loro connaturali” (Siena, Porri). La sua concezione morale è di stampo aristotelico e sotto alcuni aspetti può essere considerato uno dei precursori della sociologia. A lui è stato dedicato il liceo classico di Udine e che nella sua biblioteca contiene gli scritti autografi. Enciclopedia Treccani, su treccani. Dizionario biografico friulano, su friul.net. Stellini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Stellini” – The Swimming-Pool Library https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689466733/in/photolist-2mKC2Ci

 

Grice e Sterlich – i georgofili -- filosofia italiana (Chieti). Filosofo. Figlio di Rinaldo De Sterlich, marchese di Cermignano, e della marchesina aquilana Margherita Alfieri, studia a Napoli nel Collegio dei Nobili, gestito dalla Compagnia di Gesù. E proprio questa esperienza che lo portò a concepire la sua profonda ostilità verso i Gesuiti, che fu uno dei tratti caratteristici del suo pensiero filosofico. La cura dei beni ereditati dal padre (di cui era l'unico figlio maschio) lo portarono a dover compromettere le sue aspirazioni letterarie. Ma la cultura rimase sempre la sua prima passione e per superare l'isolamento culturale che gli venne imposto dal dover vivere a Chieti, comincia a costituire la sua biblioteca. Questa crebbe in misura esponenziale di anno in anno, tanto che conta 12.000 volumi, divenendo così una delle migliori biblioteche del Regno. Il suo intento e di mettere la stessa a disposizione di Chieti per la sua crescita culturale. Sfortunatamente il suo desiderio fu reso vano dall'incuria di chi gestì la stessa dopo la sua morte. Cospicue parti di quella grande biblioteca sono stati individuate in tutta Italia: nella Biblioteca di Pescara, nella Biblioteca di Chieti, nella Biblioteca di Napoli, etc. Aggiornatissimo sui dibattiti culturali e commentarista di Montesquieu, Rousseau, Voltaire, e di altri illuministi. Di questa partecipazione all’illuminismo  è testimonianza un copioso scambio di lettere con Genovesi, Battarra, Lami, Bianchi, e Torres. Questo carteggio è un documento prezioso per delineare l’illuminismo. Lasciò anche alcune testimonianze del suo pensiero: due Dialoghi di Fra' Cipolla e la Nanna. In essi trova largo spazio la sua antipatia per i Gesuiti. Tramite la solida amicizia con Lami, e membro della Crusca e uno dei Georgofili.  L'illuminismo nell'epistolario (Sestante, Bergamo). Romualdo de Sterlich. Sterlich. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Sterlich” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733598859

 

Grice e Steuco – la filosofia perenne di Pitagora, Cicerone, Ovidio, Virgilio, Plinio – filosofia italiana (Gubbio). Filosofo, acuto esegeta dei testi biblici e profondo conoscitore della lingua romana, si oppone tenacemente alla riforma protestante e prese parte al Concilio di Trento. Entra nella congregazione dell'Ordine dei Canonici Agostiniani a Bologna, poi a Gubbio. Inviato a Venezia, dove, per l'ampia conoscenza della lingua romana e l'acume filologico, gli e affidata la biblioteca di Grimani, della quale una buona parte del patrimonio librario era appartenuto a Pico. Pubblica saggi contro Lutero ed Erasmo, accusandoli di fomentare la rivolta contro la Chiesa. Questi lavori rivelano il solido sostegno che dà alla tradizione della prima Roma. Parte della sua produzione include un intenso lavoro filologico sull'Antico Testamento, culminato con la pubblicazione del Veteris testamenti recognitio, per il quale egli si basa su manoscritti della biblioteca Grimani, utili a correggere Gerolamo. Nel revisionare e spiegare il testo, mai devia dal *significato letterale* e storico.  Contemporanea a quest’esegesi e la composizione di un saggio d'impianto enciclopedico, la “Cosmopœia”. La sua filosofia polemica ed esegetica destarono l'attenzione favoravole di Paolo III, e questi lo ordina  bibliotecario della collezione papale di manoscritti e stampe del Vaticano. Si reca a Lucca con Paolo III e Carlo V. Adempe attivamente con scrupolo il suo ruolo di bibliotecario del Vaticano. Nel frattempo a Roma redatta i Commenti al Vecchio Testamento riguardanti i Salmi di Giacobbe, aiutando ad annotare e correggere i testi di parte della Vulgata alla luce degli originali ebraici. A questo periodo risale la composizione del celeberrimo saggio, “De perenni philosophia” nella quale mostra che molte delle idee esposte dai filosofi italici antichi – l’orfismo italico, la scuola di Crotone, Parmenide e i velini della scuola di Velia, Plutarco, Numenio, gli Oracoli sibillini, i trattati ermetici e i frammenti teosofici -- e essenzialmente correto. Questo saggio contiene una polemica indiretta a margine, poiché elabora un numero di questi argomenti per sostenere molte posizioni poste in questione in Italia da riformatori e critici. Come umanista ha un profondo interesse per le rovine di Roma, e nell'operare un rinnovamento urbano dell'Urbe. A tal proposito, degne d'essere menzionate, sono una serie di brevi orazioni in cui raccomanda di risistemare l'acquedotto conosciuto come Aqua Virgo, in modo da supplire adeguatamente il fabbisogno di acqua fresca per la città. Mandato da Paolo III a presenziare il Concilio di Trento, che doveva celebrarsi a Bologna, affidandogli il compito di sostenere l'autorità e le prerogative papali. Muore a Venezia durante un periodo di sospensione del Concilio. “De perenni philosophia”.  Concilio di Trento Esegesi biblica Ermetismo (filosofia) Teosofia. Treccani Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Guido Steuchi.  Stucchi. Guido Steuco. Steuco. Keywords: Crotone, i velini – I crotonensi --. Cicerone, ovidio, Virgilio, plinio, roma, aqua virgo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Steuco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732115302/in/datetaken/

 

 

Grice e Taddio – fenomenologia ereetica – filosofia italiana (Udine). Filosofo. Si occupa in particolare di fenomenologia della percezione, ontologia e teoria della conoscenza a cavallo tra estetica e metafisica. È direttore editoriale, con Pierre dalla Vigna, della casa editrice Mimesis Edizioni. Luca Taddio nasce a Udine nel 1974. Dopo i primi studi artistici si laurea in Filosofia a Trieste, successivamente, trascorre un periodo di studio presso il dipartimento di Filosofia dell'Edimburgo: completa la sua formazione aTrieste conseguendo il titolo di dottore di ricerca. È stato allievo dello psicologo sperimentale Paolo Bozzi e del filosofo Giorgio Derossi.  Il primo libro, Spazi immaginali (Prefazione di Maurizio Ferraris), è un testo di narrativa filosofica che si inserisce all'interno della tradizione del realismo magico: l'esistenza viene espressa da una sequenza di istantanee emergenti dallo spazio immaginale.  Tutti gli scritti dell'autore sono di matrice realista: Fenomenologia eretica è un libro incentrato sull'analisi di un unico esempio considerato dall'autore paradigmatico per l'intera tradizione fenomenologica, la percezione di un cubo. L'analisi critica dell'esperienza è sviluppata, da un lato, in rapporto alla fenomenologia sperimentale e, dall'altro, in risposta alle critiche alla fenomenologia.  A partire di Magritte, ne “Il mistero” viene applicata la teoria della percezione diretta, elaborata in “Fenomenologia eretica” al problema della raffigurazione pittorica. L'insegnamento di estetica alla facoltà di Architettura lo porta a realizzare il saggio “L'affermazione dell'architettura” (Mimesis). La relazione filosofia-architettura sta al centro di altri due volumi da lui curati: “Costruire abitare pensare” (Mimesis) e “Città metropoli territorio” (Mimesis). Il concetto di affermazione e preso in esame in un numero di aut aut dedicato all'architettura.  In Verso un realismo” (Jouvence) si delinea un'ontologia della meta-stabilità. Sul tema del realismo avvia un articolato confronto. Le riflessioni sul realismo si sono sviluppate in diversi direzioni: politica, architettura, cinema, ontologia ed epistemologia (v. Alfabeta; “aut aut”; “Cinema&Cie”; “Teoria & Modelli”; “La Filosofia Futura”. Fonda “Mimesis”. La società è detentrice dei marchi editoriali di Mimesis in Italia. Progetta e realizza la rivista di approfondimento culturale Scenari. Crea e dirige il Festival Mimesis Territori delle idee.  A partire da una prima formazione politica di stampo liberal-socialista lavora in direzione di un rilancio della cultura cosmopolita in rapporto alle nuove forme di partecipazione democratica  (interventi: Festival Vicino Lontano, Pop Sophia, Radio Radicale). Palazzo Reale, Genova. Insegna a Udine. Saggi: “Spazi immaginali” (Campanotto Editore); “ Fenomenologia eretica”, “Saggio sull'esperienza immediata della cosa” (Mimesis); “Il mistero”; “La natura della rappresentazione” (Mimesis);  “Osservazioni sulla stabilità tra estetica e metafisica” (Jouvence); “Un mondo sotto osservazione” (Mimesis); “La guerra e il mortale (Mimesis); “Quale filosofia per il partito democratico e la sinistra” (Mimesis); “La Terra e il Sacro” (Mimesis);  “Un metodo pericoloso” (Mimesis); “Manifesto per una sinistra cosmopolita” (Mimesis); “Radicalmente liberi” (Mimesis); “L'apparire della Cosa, La Fenomenologia Eretica, Uno scandalo per il pensiero, su  I lsole24ore.com.  “aut aut”. “Ma il realismo non è tutto nuovo”, su corriere.  È il crepuscolo delle tradizioni, su corriere.  Sinistra e Realismo, su alfabeta Vuoti di sapere, su autaut.il saggiatore.com. Passione politica e democrazia. "Marionette al potere" Curi, Marramao, Palazzo Reale Genova, Intervista. Artribune. Luca Taddio. Taddio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taddio” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732614953/in/datetaken/

 

Grice e Tagliabue-Remo – le strutture del trascendentale – il concetto di gusto nell’estetica italiana -- filosofia italiana (Milano), filosofo. Nato da padre ignoto, studia a Milano. Dopo diverse collaborazioni a riviste come critico letterario e teatrale, si occupa lui stesso di filosofia a partire da due saggi del dopoguerra, “Le strutture del trascendentale: piccolo inchiesta sul pensiero critic, dialettico, esistemziale” (Milano, Bocca), e Il concetto dello stile. Saggio di una fenomenologia dell’arte” (Milano, Bocca), che gli fecero avere il posto di professore a Milano e Trieste. Collabora al Convegno, ma scrisse anche su La Lettura e La Rassegna d'Italia, e Rivista critica di storia della filosofia, Rivista di filosofia, Belfagor, Giornale critico della filosofia italiana, Rivista di estetica, Il pensiero, Aretusa, Lingua e stile, Studi di estetica, Studi tedeschi, aut aut ecc.  Si occupa di germanistica, gnoseologia, semantica, estetica e poetica, attraverso numerosi saggi di taglio fenomenologico.  Come per Baratono e  Banfi, la sua analisi dell'estetica e delle scelte poetiche e stilistiche degli artisti si distacca dall'impostazione di Croce e poi di Calogero per orientarsi verso l'aspetto pratico, influenzato anche dall'esistenzialismo positivo di Abbagnano, del fare arte, che non può ridursi alla sola conoscenza, ed è fortemente legato alla tecnica, intesa anche come gesto manuale e meccanico, e allo stile, inteso come rapporto tra gli elementi formali e quelli contenutistici dell'opera -- sede, inoltre, dell'unità nel rapporto tra percezione e immaginazione. Organizza le teorie d'artista e le dottrine estetiche non tanto in senso cronologico, ma per tipi: estetica vitalistica, estetica psicologistia, estetoca formalistica, estetica fenomenologica, ecc.  In “Linguistica e stilistica di Aristotele” e “Demetrio, dello stile”  si occupa di retorica e stilistica antiche. “Aristotelismo e Barocco” (Milano, Bocca); “Il Barocco e noi”; “Anatomia del Barocco” (Palermo, Aesthetica) indagano sul barocco artistico e letterario” (Milano, Bocca). Si occupa anche di estetica, del pre-criticismo, della polemica Nietzsche-Wagner, di Goethe, Musil, Roth, Kafka ecc. Critico con la contestazione studentesca, eppure non evita il confronto con il movimento. Altre saggi: “I processi di Galileo e l'epistemologia” (Milano: Bocca); “Dai romantici a noi” (Milano: Marzorati); ““Il concetto del "gusto nell'Italia’ (Firenze: La Nuova Italia);  “Linguistica e stilistica di Aristotele” (Roma, Ateneo); “Fenomenologia dei giudizi di valore” (Trieste: Istituto di Filosofia); “La semantica e i suoi problemi” (Trieste: Istituto di Filosofia); “Demetrio, dello stile” (Roma: Ed. dell'Ateneo); “La nevrosi: Saggi sul romanzo” (Casale Monferrato: Marietti); “Nietzsche contro Wagner” (Pordenone: Tesi); “Geologia letteraria” (Milano: Garzanti); “Goethe e il romanzo” (Torino: Einaudi); “Il gusto nell'estetica” (Palermo: Centro studi di estetica); “Arte e alienazione. Il ruolo dell'artista nella societa” (Milano: Marzorati); “I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica” (Milano: Rizzoli); “Sul sentimento del bello e del sublime” (Milano: Rizzoli); “Sul gusto” (Genova: Marietti). "Esercizi filosofici", L. Russo, L’estetica del Settecento, in "Aesthetica Pre-Print"; Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Ritratto di un genio politicamente scorretto. C. Magris, Corriere della Sera. Guido Morpurgo-Tagliabue. Morpurgo-Tagliabue-Remo. Tagliabue. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tagliabue” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732605248/in/datetaken/

 

Grice e Tagliagambe – la mediazione della representazione – filosofia italiana (Legnano). Filosofo. Studia a Milano su Geymonat con cui si è laureato con la lode attraverso una tesi sull'interpretazione della meccanica quantistica di Reichenbach. Ha proseguito i suoi studi specializzandosi in Fisica quantistica all'Università degli Studi Lomonosov di Mosca sotto la direzione di Ja.P. Terleckij e poi presso l'Accademia delle Scienze dell'URSS, Istituti di Filosofia e di Fisica  dove si è perfezionato in Filosofia della fisica con la supervisione di Fock e Terleckij.  La sua attività scientifica e didattica si è sviluppata attraverso un variegato percorso universitario che l'ha portato ad insegnare presso diversi atenei dal 1974 al 2008 e a collaborare con differenti centri di ricerca ed enti istituzionali come consulente scientifico. Si è concentrato sul rapporto tra filosofia e fisica quantistica in particolare sul concetto di realtà fisica e sui rapporti tra materialismo dialettico e sviluppi della fisica. Rivolve l'attenzione sui temi del rapporto tra realtà osservata e sistema osservante, le interazioni reciproche e il ruolo del linguaggio, della comunicazione inter-soggettiva, della mediazione linguistica e della semiotica nel pensiero. Elaborato il ruolo e il significato di interfaccia, il rapporto tra intelligenza naturale e intelligenza artificiale, in particolare il ruolo progressivamente avuto dalle tecnologie di informazione e comunicazione. Elabora i contributi sul profondo significato del concetto di "margine", sia esso su un essere vivente, un'interfaccia o il rapporto tra corpo e mente, nei sistemi sociali e nella comunicazione. Studia le forti interconnessioni tra artificiale e naturale, il profondo senso dell'interdisciplinarità, e il saggio Il Sogno di Dostoevskij, attraverso una visitazione storica dal dibattito tra lo scrittore e lo scienziato Secënov, fino alle recenti scoperte della neuro-fisiologia, mettendo a fuoco il senso del rapporto tra le mente e il corpo e il significato e la funzione dell'inconscio. Ricostrusce e interpretato l'intenso scambio dialogico tra Pauli e il fondatore della psicologia analitica Jung, nel quale emerge il profondo rapporto tra filosofia, fisica e psicanalisi. L'analisi tra visibile e invisibile, il ruolo dell'arte e il senso epistemologico dello spazio intermedio e del confine sono stati da lui sviluppati anche attraverso un'esegesi del pensiero di Florenskij.  Le ricadute della sua filosofia sulle scienze sociali ed economiche trovano approfondimenti nelle opere dedicate all'analisi dei sistemi organizzativi socio-economici. L'attività presso la facoltà di Architettura l'ha portato a riflettere sulla'"epistemologia del progetto", sulla relazione tra possibilità e realtà, sul rapporto tra l'Io, lo spazio, il tempo, l'ambiente, tra urbs e civitas, sul concetto di paesaggio, sul ruolo delle città globali e sul nesso tra globale e locale. Gli sviluppi delle tecnologie digitali e poi della rete come fenomeno prima tecnologico poi culturale e sociale vengono elaborati e incorporati nella sua filosofia. La sua riflessione teorica è indirizzata anche ai temi dell'apprendimento e dell'organizzazione della conoscenza soprattutto alla luce delle reali esperienze della scuola, dei processi di modernizzazione e innovazione che la coinvolgono e delle nuove esigenze che essa deve affrontare Dirige il rifacimento del manuale di filosofia di Geymonat e pubblicato da Garzanti Scuola con il titolo La realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica. Collabora dal  con il CNI per il premio Scintille dedicato all'innovazione a Pisa, Cagliari, Roma La Sapienza, Sassari: Facoltà di Architettura di Alghero, Vicepresidente CRS4, Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca per la Riforma, CIES, FIESEC, Direttore del progetto “Scuola digitale” della Regione Sardegna.Vedi Materialismo e dialettica nella filosofia sovietica. Vedi Scienza e marxismo in Urss.  Vedi La mediazione linguistica. Il rapporto pensiero-linguaggio. Vedi Epistemologia del confine  Vedi Il Sogno di Dostoevskij  (vedi Un confronto su materia e psiche  Vedi recensione Corriere della Sera che cita che con quest'opera va avanti sul progetto di esplorare una originalissima epistemologia del confine. La tecnica e il corpo. Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico. Individui e imprese: centralità delle relazioni. L'albero flessibile. La cultura della progettualità. “Lo spazio intermedio” (Bocconi, Milano) riprende, rielabora ed estende il concetto di confine. La didattica e la rete. Più colta e meno Gentile.. Nuovi percorsi per l'obbligo formative. La realtà e il pensiero 1. La ricerca filosofica e scientifica, Garzanti Scuola. Altre saggo: “ L'interpretazione materialistica della meccanica quantistica. Fisica e filosofia” (Feltrinelli, Milano); Scienza, filosofia, politica” (Feltrinelli, Milano); “Materialismo e dialettica” (Loescher, Torino); “Scienza e marxismo” (Loescher, Torino); “La mediazione linguistica: il rapporto pensiero-linguaggio” (Feltrinelli, Milano); “Lo spiritismo.. (Boringhieri, Torino); L'impresa tra ipotesi, miti e realtà (ISEDI, Torino); “Epistemologia del confine” (Il Saggiatore, Milano); “La politica che non c'è. Idee guida per un progetto tra razionalità e valori” (Demos, Cagliari); “Il sequestro dell'identità” (CUEC, Cagliari); “La città possible” (Dedalo, Bari); “Epistemologia del cyber-spazio, Demos, Cagliari,  L'albero flessibile. La cultura della progettualità, Masson, Milano, Il profilo del tempo, ‘Nuova civiltà delle Macchine', Organizzazioni. Soggetti umani e sviluppo socio-economico, (in collaborazione con G.Usai), Giuffré, Milano, La didattica e la rete, Pitagora, Bologna); “La comunicazione nell'era di Internet” (Etas Libri, Milano); “Il destino del marxismo: dall'idolatria al rifiuto” (Luiss,  Roma), “La vittoria di Babele: dalla filosofia naturale alla separazione dei linguaggi”; “Civiltà delle machine”; “Il sogno di Dostoevskij. Come la mente emerge dal cervello” (Cortina, Milano); “Filosofia della scienza (Cortina, Milano)”; “Percorsi per l'obbligo formative” (PLUS, Pisa); “L’unitario” (Cultura, Teramo); “Le due vie della percezione e l'epistemologia del Progetto” (Angeli, Milano); “Più colta e meno gentile. Una scuola di massa e di qualità” (Armando, Roma); “Florenskij” (Bompiani, Milano); “La tecnica e il corpo” (Angeli, Milano); Individui e imprese: centralità delle relazioni” (Giuffrè, Milano); “Saper fare la scuola: il triangolo che non c'è” (Einaudi, Torino)”; Storia della filosofia,  Filosofi italiani” (Bompiani, Milano); Storia della filosofia”; “Un confronto su materia e psiche” (Cortina, Milano); “La libertà, le lettere, il potere” (Rubbettino, Soveria Mannelli); La realtà e il pensiero. La ricerca filosofica e scientifica” (Garzanti Scuola). Silvano Tagliagambe. Tagliagambe. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tagliagambe” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Taglialatela – filosofia italiana (Mondragone). Flosofo. Studia al Seminario vescovile di Sessa. Ordinato sacerdote, insegnò teologia al Seminario vescovile di Cava dei Tirreni. Lasciato il sacerdozio, tenta di arruolarsi nelle truppe di Garibaldi, per poi decidere di predicare nell'Italia meridionale i nuovi ideali del movimento unitario. Nominato professore di teologia a Napoli. A seguito della soppressione di tale cattedra apre una scuola privata.  Incomincia da questo periodo a riscoprire lo studio e la saggistica, in particolare riprendendo e sposando le tesi di Gioberti, che lo affascina. Su questo indirizzo filosofico è stato imperniato il manuale Istituzioni di filosofia dche, seppur non prescelto come testo d'insegnamento liceale, in quanto particolarmente complesso, ricevette le lodi di Spaventa.  Non manca, in seguito, avendo aderito al protestantesimo, di compiere opere missionarie, in particolare in Puglia e in Abruzzo. A tal riguardo è documentato il viaggio di Pescasseroli sul quale scrisse Croce, che segnala anche come e considerato, assieme a Mazzarella e Caporali, fra le menti più forti del movimento protestante in Italia. Altre opere:: “Istituzioni di filosofia” (Diogene, Napoli); “Apologia delle dottrine filosofiche di Gioberti” (Diogene, Napoli); “La scienza, la vita e di Sanctis” ( Diogene, Napoli); “Garibaldi” (La Speranza, Roma); “Il Papa-re nelle profezie e nella storia” (La Speranza, Roma); “In Dio” ((La Speranza, Roma); “Fede, speranza e carità” (La Speranza, Roma); “Teoria evangelica della vita” (La Speranza, Roma); D. Ciampoli, Taglialatela” (Unione, Roma); B. Croce, Pescasseroli, Laterza, Bari); R. Fiore, Civiltà Aurunca, G. Iurato, Pietro Taglialatela. Dalla filosofia del Gioberti all'evangelismo anti-papale” (Claudiana, Torino); Gioberti Protestantesimo in Italia, Dizionario biografico dei protestanti in Italia". Sito della Società di studi valdesi. Apologia della dottrinadi Gioberti. Pietro Taglialatela. Taglialatela. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taglialatela” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732962169

 

Grice e Tagliapietra – sincerita – filosofia italiana (Venezia). Filosofo. Dopo la maturità classica al Foscarini di Venezia, ha compiuto studi di medicina e di filosofia, laureandosi in filosofia teoretica all'Università Ca' Foscari con una tesi discussa con Emanuele Severino e Romano Madera. In quegli stessi anni perfeziona gli studi di ermeneutica biblica sotto la guida di Carlo Enzo. Insegna a Sassari e Milano. Fonde nelle sue ricerche un'indagine storico filosofica sul pensiero antico, sulla tradizione apocalittica, con un'attenzione a temi contemporanei legati al mondo delle immagini e della comunicazione, allo studio del linguaggio e delle metafore, nonché all'intreccio storico e teorico fra teatro e filosofia. In quest'ultima prospettiva si orientano i suoi studi sull'idea di sincerità e sul significato della bugia nel quadro di una costruzione drammaturgica dell'individuo, sul ridere e sulla natura del personaggio comico. Cura per Feltrinelli, Boringhieri e Mondadori edizioni importanti: L'Apocalisse di Giovanni, raccolte di scritti sull'Illuminismo e sul tema della catastrofe; il Fedone o sull’anima (Feltrinelli, Milano); “L’apocalisse di Gioacchino da Fiore” (Feltrinelli, Milano); Voltaire, Rousseau, Manzoni, Volney, Feuerbach, Mercier. Cura Valent. Collabora saltuariamente a Il Gazzettino, il quotidiano della sua città, e ha collaborato a varie testate giornalistiche (Capital; Panorama; Il Sole 24 Ore; l'inserto culturale "Saturno" de Il fatto quotidiano, ecc.), con interventi di carattere culturale o legati all'attualità sociale e politica. Con “La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità” vince il Premio Viareggio per la saggistica. -- è stato conferito il premio di filosofia Viaggio a Siracusa per “Gioacchino da Fiore e la filosofia”. È direttore del Giornale critico di storia delle idee. È fondatore e direttore a Milano del Centro di Ricerca Inter-Disciplinare di Storia delle Idee (CRISI), e di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine di Palazzo Arese Borromeo. Altre opere: “La metafora dello specchio. Lineamenti per una storia simbolica” (Feltrinelli, Milano, Bollati Boringhieri, Torino); “Il velo di Alcesti: la filosofia e il teatro della morte” (Feltrinelli, Milano); “Filosofia della bugia: figure della menzogna nella storia del pensiero occidentale” (Bruno Mondadori, Milano); “La virtù crudele: filosofia e storia della sincerità” (Einaudi, Torino); “La forza del pudore: per una filosofia dell'inconfessabile” (Rizzoli, Milano; “Il dono del filosofo: sul gesto originario della filosofia” (Einaudi, Torino); “Icone della fine: Immagini apocalittiche, filmografie, miti (Il Mulino, Bologna); “Sincerità” (Raffaello Cortina, Milano); “Gioacchino da Fiore e la filosofia, il Prato, Padova); “Non ci resta che ridere (Il Mulino, Bologna); “Alfabeto delle proprietà: filosofia in metafore e storie” (Moretti, Bergamo); “Esperienza: filosofia e storia di un'idea” (Cortina, Milano); “Filosofia dei cartoni animati. Una mitologia contemporanea” (Boringhieri, Torino); Cartografia intellettuale dell'Europa, “La migrazione dello spirito” (Mimesis, Milano); “Tempo a termine e tempo senza fine: breve storia figurale della temporalità” (Mimesis, Milano); “Non desiderare la donna e la roba d'altri” (Mulino, Bologna); “Il senso del dolore. Testimonianza e argomenti” (San Raffaele, Milano); “Zerologia. Sullo zero, il vuoto e il nulla” (Mulino, Bologna); “Apocalisse di Giovanni” (Feltrinelli, Milano);  “La verità e la menzogna: sulla fondazione morale della politica” (Mondadori, Milano); “Che cos'è l'Illuminismo? I testi e la genealogia del concetto” (Mondadori, Milano); “ Il sacro” (Gallone, Milano); “La catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del disastro” (Mondadori, Milano); “La fine di tutte le cose” (Boringhieri, Torino); “La storia e l'invenzione” (Prato, Padova); “Le rovine, ossia meditazione sulle rivoluzioni degli imperi” (Mimesis, Milano); “L'uomo è ciò che mangia” (Boringhieri, Torino); “Montesquieu a Marsiglia” (Inschibboleth, Roma); “Bisogna sempre dire la verità?” (Cortina, Milano); “L’idea della fine” (Agalma); “Il rischio e il limite”; Magazine (Energia), Pearson. “Il gesto di Socrate”; “Il pudore e l'enigma”; Spazio Filosofico, Tipologia del riso, Fillide, Corpo di pazienza, “Esser contro”, XÁOS. Giornale di confine, Il dono del filosofo. Il dono della filosofia, XÁOS. Giornale di confine, Il giallo della filosofia, XÁOS. Il volto del potere, in XÁOS, La Lotteria di Babele. Appunti filosofici su caso e fortuna nella società della comunicazione, XÁOS. Giornale di confine, L'apocalisse delle immagini. Esegesi del cinema a partire da "Fino alla fine del mondo", XÁOS, La gola del filosofo. Il mangiare come metafora del pensare  XÁOS. Dire la verità. L'insistenza della critica, Giornale critico di storia delle idee,  L'uomo è un animale che esita. Intervista di M, Dotti, in Vita, Presentazione. Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia in Inschibboleth, Presentazione. Icone della fine. Immagini apocalittiche, filmografie, miti Del senso della fine. Dialogo con M. Dotti, in Communitas, Cultura: futuro, progresso e possibilità Lezione magistrale al Festival di Filosofia (Modena ), Inganni. Finzioni di verità e storia naturale dell'intelligenza. La filosofia della sincerità, di Vincenzo Pinto  Il riso è il proprio dell'uomo. Commento in margine a Non ci resta che riderem di Tugnoli  Se essere sinceri è una virtù crudele. Uno studio fra storia e filosofia, di Galimberti, in "La Repubblica", La virtù crudele. Filosofia e storia della sincerità, di C. Tugnoli, in "Dialeghestai. Rivista telematica di filosofia",  Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterarioviareggiorepaci. Giornale Critico di Storia delle Idee  Home page del Centro di Ricerca in Storia delle IdeeCRISI  Home page di ICONE, Centro Europeo di Ricerca di storia e teoria dell'immagine, su centro europeo palazzo borromeo. Ciclo di dieci lezioni teoriche, dette "Decadi", tenuto nell'Aula Tafuri di Palazzo Badoer, a Venezia, nel quadro del Laboratorio di Progettazione Architettonica dello IUAV diretto da Renato Rizzi e costituente il  I, Libro dello Studio, del progetto "Lampedusa. La cattedrale di Solomon". Andrea Tagliapietra. Tagliapietra. Keywords: Gioacchino da Fiore, l’apocalisse, dell’anima, Manzoni, inventare, storia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tagliapietra” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731484947/in/datetaken/

 

Grice e Tamburino – filosofia siciliana -- filosofia italiana (Caltanissetta). Flosofo. Figlio del giudice Fabrizio e di Agata Adelicia Tramontana, entra nella compagnia di Gesù,resta a Caltanissetta dopo aver ricevuto gli ordini, e incaricato dell'insegnamento nel locale collegio gesuitico. Trasferito nel collegio di Messina, passa in quello di Palermo. Resse i collegi gesuitici di Caltanissetta, Monreale e Palermo. Esaminatore delle curie arcivescovili di Palermo e Monreale, consigliere e qualificatore nel Sant'Uffizio della Inquisizione spagnola, ossia di esaminatore dei reati prima della loro attribuzione alla competenza dell'Inquisizione.  Durante un soggiorno romano, quale rappresentante della provincia gesuitica siciliana alla undicesima congregazione generale della compagnia di Gesù, conosce Greuter, che lavora per la casa generalizia dei gesuiti. Il teologo siciliano, apprezzandone le doti, gli affida l'incarico di incidere le immagini della Madonna. Realizza finalmente il progetto, da qualche anno vagheggiato, di dare alle stampe le notizie preparate dal confratello O. Gajetano, riguardanti appunto i luoghi del culto mariano nell'isola, facendo illustrare l'opera con tavole riproducenti le relative icone della Madonna. Così accanto alla sua imponente produzione filosofica, restano anche due edizioni, una in latino ed una in volgare, di un volume con 36 incisioni del ‘600, di raro pregio per la raffinatezza dei disegni di Greuter. Di queste due edizioni si trovano rari esemplari che, per le limitazioni derivanti dall'esaurimento delle matrici, sono, per buona parte, prive delle pagine in cui sono stampate le incisioni. Nella conoscenza del peccato attribuisce importanza primaria alla “cognitio singulorum,” cioè alla capacità di valutazione dei singoli. Diverso è, infatti, il peso delle colpe a seconda se a commettere l'infrazione è l'individuo colto oppure l'ignorante. Nel individuo colto prevale la vis ratiocinandi, la forza della ragione. Nell’ignorante, la vis sentiendi, la forza del sentimento. Ancora differenza c'è tra l'”actio humana” e l'”actio hominis”. La azione umana e compiuta in perfetta consapevolezza. Nell’azione di un uomo la coscienza è spesso condizionata dal patire passionale, che può essere violentum – violento --, coactum – costretto – co-azione- o necessarium – necessario -- venendo così a mitigare la colpa. Nel trasporto passionale c'è dell'involontario, spesso frutto di ignoranza che rende la coscienza erronea. Il tutto si traduce in una interpretazione benignista della prudenza o epi-eìcheia, riprendendo in un certo modo la tradizione di Aquino. A sostenere questa intensa produzione sul probabilismo, col rientro da Palermo a Genova di Diana, rimane. I suoi saggi hanno ampia diffusione fino al riconoscimento della validità delle tesi probabiliste da S. Alfonso de' Liguori che con la sua Theologia Moralis mette sostanzialmente fine al rigorismo giansenista.  Il probabilismo incontra ostilità negli ambienti religiosi più vicini al rigorismo dei giansenisti. A contrastare le tesi del probabilismo i più influenti furono i domenicani, che spinsero Retz, a farsi portavoce presso il papa per l'emanazione di un provvedimento di condanna. Alessandro VII, sollecitato più volte, condenna il probabilismo. Sono censurate solo le tesi più estreme. Un'altra condanna del probabilismo e promulgata da Innocenzo XI. Però questa volta il gesuita siciliano non sube sanzioni ad personam, così passa alla storia della morale, come padre della probabilità tenue. Con esso si chiuse il periodo d'oro della esportazione della cultura teologica siciliana. Fu sancita la completa ri-abilitazione del gesuita siciliano con la pubblicazione di Verità Vindicata che Niceti diede alle stampe a Roma. Altre opere: I suoi saggi sono stati riuniti nella Opera Omnia. “Methodus Expeditae Confessionis; Opuscola Tria de Confessione”; “Comunione et Sacrificio Missae”; “Expedita Decaloghi Explicatio. Libris decem digesta; “De Sacrificio Missae Expedite Celebrando Libri tres”; “Della Consolazione della Filosofia”; Juris Divini. Naturalis et Ecclesiastici Expedita Moralis Explicatio, Complectens Tractationes tres, de Sacramentis, quae sunt de Jure Divino, de Contrattibus, quos dirigit Jus Naturale, de Censuris et Irregularitate, quae sunt de Jure Ecclesiastico. Tractatus de Bulla cruciata. Sanctissimae Deiparae Cultus in Sicilia. (Nomen sublatum) Ragguagli delli Ritratti della SS. Vergine Nostra Signora più celebri, che si riveriscono in varie Chiese nell'isola di Sicilia. Opera postuma del R. Ottavio Cajetano della Compagnia di Gesù. Trasportato nella lingua volgare. Germana Doctrina R.Thomae Tamburini S. J. perspicue refellens impugnationes R.Vincentii Baronii adversus illam allatas;  Tractatus in Quinque Ecclesiae Praecepta; “Tractatus de Jubileo Manoscritto; “Additamentum continens aliquot epistolas, et levem vindicationem contra Joannem Sinichium hybernum authorem libri Saul et Rex. Manoscritto. Bibl. Naz. Roma. Fondo Gesuitico, Traduce “La consolazione della Filosofia” L'Anno dei Giorni Memorabili, da G. Nadasi della Compagnia di Gesù., S. Burgio, “Il probabilismo in Sicilia”, Catania, Soc. Storia Patria, V. Contenson, Theologiae mentis of cordis, Tolosa, T. Deman, Probabilisme, Colonia, C. Hebermann, Enciclopedia cattolica, R. Appelton Company, M. Petrocchi, Il problema del lassismo nel secolo XVII, Roma, Storia e letteratura, J. Sinnichins, Saul et Pax, Lovanio, Nempaei, Tommaso Tamburino, Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Tommaso Tamburino. Tamburino. Keywords: prudenza, probabilismo tenue, azione di un uomo singolare, la forza del ragionare, la forza del sentire, il necesario, il costretto (co-actum), il violento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tamburino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733185005

 

Grice e Tafuri: il bizarro – filosofia italiana (Soleto). Filosofo. Versatile e bizzarro ingegno, che dopo studi a Napoli e Parig si ritira nella sua natia Soleto nel Salento dove ha un cenacolo di allievi filosofi del platonismo esoterico. Il Socrate di Soleto e una personalità eclettica ed un affascinante intellettuale, amante della conoscenza e studioso e di molteplici campi del sapere: alchimia, filosofia, astronomia, astrologia, medicina, fisiognomica, magia naturale. Al centro dei suoi interessi vi e l'interesse e lo studio dei fenomeni della natura, l'anima del mondo, il miracolo e le meraviglie del creato e l'unicità irripetibile di ogni essere umano. Considerato alla stregua di un Nostradamus salentino e onorato e temuto per le sue capacità divinatorie e fisiognomiche tanto da attribuirgli poteri occulti e demonologici. Un suo ritratto col rosso copricapo della Sorbona si trova nel dipinto ad opera del galatinese Lavinio Zappa della Madonna del Rosario nella navata sinistra della Chiesa Matrice di Soleto. Sepolto dapprima nella chiesetta di S. Lorenzo delli Tafuri adiacente alla sua abitazione e poi, dopo la demolizione della cappella nel Monastero di San Nicola in una cassa di legno con lo stemma della famiglia. Sull'architrave della sua casa natale è inciso il motto, Humile so et humilta me basta dragon diventaro se alcun me tasta. Con quest'iscrizione esprime e manifesta ai cittadini e a chiunque passasse dalla sua dimora la sua mite natura caratteriale, mortificata dalle ingiurie e maldicenze in conseguenza delle quali poteva trasformarsi, ironicamente, attraverso alchimia e magia, in un dragone. Nella Soleto e diffusa la consuetudine di incidere sulle architravi delle finestre, sui cornicioni dei balconi o all'interno di uno stemma, delle epigrafi con la finalità di motto. Un proverbio, una citazione, un passo letterario, filosofico, o religioso, e un pensiero personale descrivevano la personalità e le attitudini del padrone di casa o invitavano il passante a riflettere su un tema o un monito saggio e profondo. Lo stemma della famiglia, presente sulla porta della casa natia, è costituito da un albero di quercia con due fulmini che si scagliano contro ma non lo colpiscono. Un'aquila bicipite scolpita sopra fa pensare ad un'origine albanese della famiglia. Infatti molte famiglie albanesi e greche di confessione cristiano-ortodossa e cattolica sono costrette a fuggire ed alcune emigrarono nel Salento a causa dell'avanzata dei turchi che occupano i loro territori.  "Del salentin suol gloria ed onore" lo definie Tommasi. E davvero egli e, tra i filosofi che fioreno in Puglia il più universalmente noto. Partito da Soleto per Napoli per approfondirsi nella matematica dopo la preparazione ricevuta a Zollino da Stiso, vi torna famoso in tutto il mondo e pieno di gloria.  Desideroso solo di pace fisica e mentale, apre una ‘scuola’ di filosofia. Tra i suoi allievi:  Cavazza, Vernaleone, Scarpa, Corrado. Assiduo verso gli infermi, esercita con zelo e successo la professione di medico ma mentre era di modello coi suoi saggi, di ammirazione e rispetto coi suoi consulti fu dalla ignoranza popolana ritenuto un mago perché cultore di scienze inusitate quali l'Astronomia e l'Astrologia. Tornando da Padova, cioè dai più grandi centri culturali del tempo, sollevò certo le gelosie interessate di coloro che non sapevano rassegnarsi al suo prestigio professionale. A ciò si aggiunse il vigile sospetto della Curia Arcivescovile messa sull'avviso dal Concilio di Trento. Egli che porta per tutto il mondo l'amore per il suolo natio col nome di Matteo da Soleto, proprio in patria ebbe a difendersi da accuse di stregoneria come spesso avviene a chi, uomo di scienza, si rende filantropo. Fu più volte interrogato per le sue capacità di previsione del futuro (divinatorie) ma fu sempre rilasciato innocente.  Il Codice Vaticano. è testimonianzapressoché l'unica superstite del suo impegno speculative. Da questo capostipite molti furono i Tafuri medici o giureconsulti che da Soleto trasferirono poi la loro residenza a Gallipoli, Nardò e Lecce Galatone. Così troviamo nel "Liber baptesimorum" dell'Archivio Parrocchiale di Soleto un Clericus Phisicus Honofrius Taphurus filius eccellentissimi Doctori Francisci che è padrino al battesimo di Carrozzini. Il pronipote di Onofrio, Vincenzo Maria e sindaco di Gallipoli  mentre il fratello di Onofrio, dottore in giurisprudenza, vive presso la corte di Napoli dove morì. Svariati giureconsulti, medici e sindaci a Lecce e Galatone. Ricordiamo, non per ultimo, fra Diego da Lequile (al secolo Diego Tafuri. Manni, La guglia, Luigi Galante, Nuove rivelazioni da un manoscritto, in 'Il filo di aracne'  Galatina,  Manni, La guglia, l'astrologo, Bernari  Istoria scrittori Regno di Napoli, Bernari. Bernari, A., Il mago di Soleto: Matteo Tafuri, Milano, De Tommasi, G.B., "Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli" Napoli, del Balzo di Presenzano, A., I del Balzo ed il loro tempo, Napoli, Manni, L., Guida di Soleto, Galatina, Manni, L., La guglia di Soleto, Galatina,  Manni, L., La guglia, l'astrologo, la macàra, Galatina, Montinari, M., Soleto, Fasano, Tafuri, G.B., Istoria degli Scrittori del Regno di Napoli, Napoli, 1D. Bacca "Personaggi del sole culturale", Lecce 2008  Alchimia Galatina Giovanni Battista Della Porta Orsini Orsini Del Balzo Guglia di Raimondello Soleto. G. B. Tafuri. Matteo Tafuri. Tafuri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tafuri” – The Swimming-Pool Library.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691279336/in/photolist-2mKMjs5

 

Grice e Tarantino – filosofia italiana (Gravina), filosofo. Noto per i suoi studi sul padre e per fondare insieme la sezione dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli di cui è stato anche presidente. Ha saggi sulla pedagogia, la psicologia e l'Umanesimo. Dopo la laurea, diviene insegnante per i licei italiani; in particolare, insegna al liceo Federico II di Svevia di Altamura dove uno dei suoi studenti e Rubini. Nominato dirigente scolastico del Liceo classico Cagnazzi di Altamura, porta la scuola al più alto numero di studenti mai raggiunto. In qualità di dirigente scolastico, si reca a Tokyo  per una "visita preparatoria di incontro tra scuole". Durante la sua permanenza si verifica un violento terremoto, che gli causò paura e notevoli disagi con un volo di ritorno pagato 4000 euro e un'assistenza a quanto pare insufficiente da parte delle autorità consolari del posto. Dirigente scolastico del Liceo classico Luca de Samuele Cagnazzi, Presidente di circoscrizione del Lions Club Puglia Consigliere di Club del Lions Club Altamura Host Presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (IISF) di Napoli. Altri saggi: “Speranze e proposte formative.  La lezione di Giuseppe Tarantino, Bari); Dietro la ruota. Infanzia pregiata, Levante, Lezioni di volo, Bari,  L'inconscio e la coscienza nel pensiero di Tarantino, Bari,. L'Umanesimo mediterraneo. Orizzonte storico-culturale per la costruzione di una cittadinanza cosmopolita, Storia antica e moderna dell'Ordine del Tempio, Nisroch, L'Umanesimo scientifico di Tarantino, Aracne). Filippo Tarantino. Tarantino. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tarantino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732938004

 

Grice e Tarantino – l’inconscio e la coscienza – filosofia italiana (Gravina). Fosofo. Docente a Pisa. Figlio di Filippo Tarantino, nobile locale, e Arcangela Maria Letizia Spagnuolo. Studia nel ginnasio e compì gli studi superiori a Pisa, dapprima come studente all'università della stessa città e successivamente come allievo della Scuola normale superiore di Pisa. Inizia gli studi sotto la guida di F. Fiorentino. Si laurea e segue a Napoli il maestro Fiorentino fino alla sua morte.  In sua memoria dedica al suo maestro “I Saggi Filosofici” pubblicato nel gennaio; ottenne la docenza in filosofia teoretica. Inizia ad acquisire notorietà grazie ai saggi critici che pubblica sul Giornale Napoletano. Insegna Liceo Antonio Genovesi di Napoli. Lavor all'opera “Saggio sulla Volontà”. Insegna al Marciano, al Genovesi e Pisa. Insegna anche alla Scuola di Pedagogia, dove tra i suoi insegnanti figura Gentile. La sua notorietà cresce sempre più grazie ad alcuni suoi saggi critici pubblicati sulla Rivista di Filosofia Scientifica di Morselli, il più noto dei quali è su Locke. Tra i suoi studenti di Pisa più noti figurano Nicola ed Accadia. Torna nella sua città natale Gravina. Dona alla biblioteca Santomasi una parte cospicua dei suoi libri. A lui è stato intitolato il liceo. Altre opere: “Appunti di Filosofia ad uso dei giovani del Liceo” (FToso, Aversa); “Saggi filosofici” (Napoli, Vincenzo Morano); “Studio storico suLocke” in Rivista di Filosofia, Milano-Torino, F.lli Dumolard); “Saggio sul criticismo e sull'associazionismo” (Napoli, Morano,); In morte di Calderoni, Vecchi, Trani, Saggio sulla volontà, Napoli, Gennaro); “Saggio sulle idee morali e politiche di Hobbes” (Napoli, Giannini); “Il problema della morale di fronte al positivismo e alla metafisica” (Pisa, Valenti); “Il principio dell'etica e la crisi morale contemporanea” (Napoli, Tessitore); “Il concetto dello stato ed il principio di nazionalità” (Napoli); “Discorso preposto alle traduzioni dal latino, dall’inglese e dal francese di G. Sottile” (Napoli); “Vinci e la scienza della natura”, Nel centenario di L. da Vinci, La politica e la morale. Discorso (Pisa, Tipografia editrice cav. F. Mariotti); “”Sulla riforma universitaria, in «Rivista di filosofia».  Cfr. Gabriele Turi, Giovanni Gentile: una biografia, Firenze, Giunti,  (Parzialmente consultabile in Google Libri.)  tarantino-inconscio,  tarantino-inconscio-, tarantino-inconscio-, F.Tarantino, L. Dibattista, A. Recchia-Luciani, L’inconscio e la coscienza nel pensiero di Tarantino,  F. Tarantino, Adda, Filippo Tarantino, Speranze e proposte formative. La lezione di Tarantino, Bari, Levante, B. Amato, Orazione funebre in onore di Tarantino. Giuseppe Tarantino. Tarantino. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tarantino” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51716123265/in/photolist-2mPq8eZ-2mMYDFF-2mKN3Um

 

Grice e Taranto – la colomba d’Archita – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo. Grice: “I was insulted, if not offended by the Cambridge Dictionary of Philosophy having ‘Anchita’ as Greek! The manw as born in Taranto, Italy, and died in Taranto, Italy! – He was a Tarantoian!” – “My favourite of his philosophical tracts is “Della colomba,” – Strawson pointed out to me that since this is a mechanical (mechanical-mechanical) pigeon, I should have used ‘scare-quote’ gesture!” -- Ricerca Archita filosofo, matematico e politico greco antico Lingua Segui Modifica (LA)  «Magnum in primis et praeclarum virum»  «Uomo fra i primi grande e illustre»  (Cicerone, De senectute). Appartenente alla seconda generazione della scuola di Crotone, ne incarnò i massimi principi secondo l'insegnamento dei suoi maestri Filolao ed Eurito. Figlio di Mesarco (o di Estieo o di Mnesagora, a seconda delle fonti), nacque a Taranto, città della quale fu "stratego massimo" nella prima metà del IV secolo a.C. proprio nel periodo in cui la città raggiungeva l'apice del suo sviluppo economico, politico e culturale.  Archita condusse una vita austera, improntata a uno stretto autocontrollo nel rispetto delle rigide regole della setta pitagorica, ma non priva di umana socievolezza: racconta Eliano che spesso quello s'intratteneva a scherzare con i figli dei suoi schiavi e con questi stessi non disdegnava di sedere assieme a banchetto. Abile uomo politico, si tramanda che fosse stato nominato per sette volte stratego (στρατηγός) della città-stato di Taranto riuscendo ad essere un condottiero sempre vittorioso nelle sue battaglie. Probabilmente fu anche stratego "autocrate" (αὐτοκράτωρ, autocrator) della Lega italiota, ricostituitasi dopo la morte di Dionisio I di Siracusa, e che ebbe come sede Eraclea sotto l'effettivo controllo di Taranto. Non si sa se, nonostante il divieto della costituzione cittadina, fosse stato nominato consecutivamente; i suoi mandati vengono datati tra il II e il III viaggio di Platone, quindi potrebbero essere stati ricoperti anche uno di seguito all'altro. Attua una politica di sviluppo che porta Taranto a diventare la metropoli più ricca e importante della Magna Grecia. Con l'edificazione di monumenti, templi e edifici diede nuovo lustro alla città. Potenziò il commercio stringendo relazioni con altri centri, come l'Istria, la Grecia, l'Africa. Durante il suo governo, si dedica allo sviluppo dell'economia favorendo l'agricoltura e insegnando egli stesso ai contadini i precetti per migliorare i raccolti. Spesso ricordava loro che Apollo non concesse altro a Falanto che fertili campi e amava ripetere. Se vi si domanda come Taranto sia diventata grande, come si conservi tale, come si aumenti la sua ricchezza, voi potete con serena fronte e con gioia nel cuore rispondere: con la buona agricoltura, con la migliore agricoltura, con l'ottima agricoltura. Nel campo legislativo promulgò diverse leggi per favorire una più equa distribuzione delle ricchezze, basandola sui principi dell'armonia matematica. Uomo di multiforme ingegno, si interessa di scienza, musica ed astronomia e studiò matematica con Eudosso di Cnido. La vastità di queste competenze in Archita si spiega con il fatto che la scuola pitagorica concepiva la matematica, o meglio l'aritmogeometria, fondamento della realtà naturale e l'universo come un cosmo, ordinato cioè secondo principi mistico-matematici dai quali si generava un'armonia musicale poiché la musica stessa si basava su precisi rapporti matematici. Credettero che i principi delle matematiche fossero i principi di tutti gli esseri. Ora, i principi delle matematiche sono i numeri. Pensarono quindi che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutte le cose, e che tutto quanto il cielo fosse armonia e numero. (Aristotele, Metafisica) Non a caso Archita è stato il primo a proporre il raggruppamento delle discipline canoniche (l'aritmetica, la geometria, l'astronomia e la musicanel quadrivium, l'ordinamento che Boezio riprese in epoca medievale). Infine, la partecipazione alla scuola pitagorica, configurata come una setta mistica, era riservata a spiriti eletti e implicava che gli iniziati che la frequentassero avessero disponibilità di tempo e denaro per trascurare ogni attività remunerativa e che potessero dedicarsi interamente a complessi studi: da qui il carattere aristocratico del potere politico che i pitagorici esercitarono nella Magna Grecia fino a quando non furono sostituiti dai regimi democratici. Archita conobbe Platone quando il filosofo ateniese soggiornò a Taranto nel suo primo viaggio verso Siracusa, dove ebbe un confronto piuttosto acceso con il tiranno Dionigi Isulla realizzazione di una possibile riforma filosofica del suo governo. L'amicizia con Archita fu preziosa per Platone quando compiendo questi il suo terzo e ultimo viaggio in Sicilia nel tentativo di realizzare la sua riforma, il nuovo tiranno Dionigi il Giovane lo cacciò dall'Acropoli facendolo vivere nella casa di Archedemo, vicino ai mercenari che mal lo sopportavano. Fu grazie ad Archita, il quale inviò il tarantino pitagorico Lamisco a Siracusa per convincere l'amico Dionigi il giovane a liberare Platone, che il filosofo poté tornare ad Atene.  Lo stesso Platone raccontò così quegli avvenimenti:  "Sembra che Archita si sia recato presso Dionisio; perché io, prima di ripartire avevo unito Archita e i Tarantini in rapporti di ospitalità e di amicizia con Dionisio. (Platone, Lettera VII). E così con un terzo invito Dionisio mi mandò una trireme per agevolarmi il viaggio, e insieme mandò un amico di Archita, Archedemo, che egli riteneva fosse il più apprezzato da me tra quei di Sicilia, e altri Siciliani a me noti. (Platone, Lettera VII) Altre lettere poi mi giungevano da parte di Archita e dei Tarantini, che facevano grandi elogi dello zelo filosofico di Dionisio, e anche avvertivano che, se non fossi andato subito, avrei causato la completa rottura di quell'amicizia che io avevo creato tra loro e Dionisio, e che era di grande importanza politica." (Platone, Lettera VII) vennero in molti da me, fra cui alcuni servi di origine ateniese, e quindi miei concittadini; essi mi riferivano che calunnie circolavano su di me fra i peltasti, e che alcuni minacciavano, se riuscivano a cogliermi, di sopprimermi. Escogito allora qualche mezzo di salvezza: mando ad avvertire Archita e gli altri amici di Taranto in che condizione mi trovo. E quelli, colto un pretesto per un'ambasceria, mandano uno dei loro, Lamisco, con una nave e trenta rematori. Costui, appena giunto, intercede per me presso Dionisio, dicendogli che io volevo partire e nient'altro che partire; Dionisio accondiscese e mi lasciò andare, dandomi i mezzi per il viaggio" (Platone, Lettera VII) Archita muore a seguito di un naufragio probabilmente nel corso di operazioni di guerra nelle acque di fronte a Mattinata sul Gargano e lì fu sepolto, come riferisce Orazio: Te maris et terrae numeroque carentis harenae mensorem cohibent, Archyta, pulveris exigui prope litus parva Matinum munera. Te misuratore del mare e della terra e delle immensurabili arene, coprono, o Archita, pochi pugni di polvere presso il lido Matino. Nonostante sia vissuto dopo Socrate, viene considerato un continuatore dei filosofi presocratici, perché appartenne alla Scuola pitagorica e si mantenne aderente al pensiero di Pitagora, tant'è che basò le proprie idee filosofiche, politiche e morali sulla matematica. Al riguardo, infatti, così recitano due suoi frammenti. Quando un ragionamento matematico è stato trovato, controlla le fazioni politiche e aumenta concordia, quando c'è manca l'ingiustizia, e regna l'uguaglianza. Con ragionamento matematico noi lasciamo da parte le differenze l'un con l'altro nei nostri comportamenti. Attraverso essa i poveri prendono dai potenti, ed i ricchi danno ai bisognosi, entrambi hanno fiducia nella matematica per ottenere un'azione uguale." (Giamblico, de comm. Math.). Per essere bene informato sulle cose che non si conoscono, o si devono imparare da altri o bisogna scoprirle da sé. Ora imparando si deduce da qualcun altro e ciò è straniero, mentre scoprendo da sé è proprio. Scoprire senza cercare è difficile e raro, ma con la ricerca è maneggevole e facile, sebbene chi non sa cercare non può trovare. (In C. Dollo, Istituto e museo di storia della scienza Archimede” (Olschki). A lui sono tradizionalmente attribuiti molti testi spuri, mentre sono sopravvissuti soltanto alcuni frammenti originali, conservati nelle opere di Ateneoe Cicerone e provenienti dai suoi discorsi morali, che delineano un filosofo più originale nel suo pensiero etico rispetto alla dottrina pitagorica e piuttosto influenzato da quella platonica. Archita viene considerato l'inventore della Meccanica razionale e il fondatore della Meccanica. Si dice che abbia inventato due straordinarie apparecchiature meccaniche.  Un'apparecchiatura era un uccello meccanico, la famosa «colomba di Archita», l'altra sua invenzione era un sonaglio per bambini. Il primo è descritto dallo scrittore e critico latino Aulo Gellio, e ne tentò la ricostruzione uno studioso tedesco, Wilhelm Schmidt. Pare si trattasse d'una colomba di legno, vuota all'interno, riempita d'aria compressa e fornita d'una valvola che permetteva apertura e chiusura, regolabile per mezzo di contrappesi. Messa su un albero, la colomba volava di ramo in ramo perché, apertasi la valvola, la fuoruscita dell'aria ne provocava l'ascensione; ma giunta ad un altro ramo, la valvola o si chiudeva da sé, o veniva chiusa da chi faceva agire i contrappesi; e così di seguito, sino alla fuoruscita totale dell'aria compressa.  Il secondo giocattolo, la raganella, ebbe fortuna: è ancora in uso e spesso si vede nelle fiere popolari di giocattoli. Nella forma originaria era costituita da una piccola ruota dentata fissata ad un bastoncino. Sulla ruota, da dente a dente, saltava una molla cui era congiunto un pezzo di legno. Aristotele consigliava questo giocattolo ai genitori perché, divertendo e captando l'attenzione dei bambini, li distoglieva dal prendere e rompere oggetti domestici.  Si dice anche che Archita abbia inventato la carrucola e la vite, anticipando Archimede, ma non si hanno conferme storiche a tale riguardo. Il più importante risultato ottenuto da Archita è una soluzione tridimensionale del problema della duplicazione del cubo. Precedentemente, Ippocrate di Chio aveva ricondotto questo problema ad un problema di proporzionalità: se a è il lato del cubo che si vuole duplicare, allora il problema consiste nel trovare due valori x e y medi proporzionali tra a e 2a, ovvero tali che  {\a:x=x:y=y:2a} Trovati questi due valori, x rappresenta il lato del cubo con volume doppio. La costruzione geometrica utilizzata da Archita per risolvere questo problema è uno dei primi esempi dell'introduzione del movimento in geometria: in esso si considera una curva, conosciuta come curva di Archita, generata dall'intersezione della superficie di un cilindro e di un semicerchio in rotazione rispetto a uno dei suoi estremi. Si dedica anche alla teoria delle medie, e diede il nome odierno alla media armonica (prima conosciuta come media sub-contraria). Inoltre, dimostrò che tra due numeri interi che sono nel rapporto {\{\frac {n}{n+1}}} non è possibile trovare nessun altro intero che sia una media geometrica. Il risultato ha applicazione alla teoria delle scale musicali (vedi sotto).  FisicaModifica Apuleio riporta un argomento di fisica trattato da Archita: la natura della riflessione della luce sopra uno specchio. Platone pensa che dai nostri occhi partano dei raggi luminosi che vanno a mescolarsi con quelli che colpiscono lo specchio. Archita concorda col fatto che i raggi partano dai nostri occhi, ma senza combinarsi con alcuna cosa.  Più felici furono le sue deduzioni sul rumore. Egli capì che provenivano dalle vibrazioni prodotte dall'urto dei corpi nell'aria. Da tale scoperta, formulò l'ipotesi che anche i corpi celesti, dotati di continuo movimento, dovessero produrre rumore. Questo rumore però, non sarebbe udibile dai sensi umani, essendo non intervallato, ovvero continuo nel tempo.  Molto interessanti sono gli studi di carattere sperimentale che condussero a conoscere le cause che diversificano i suoni acuti dai gravi, diversità che sono in funzione della rapidità della vibrazione. Tanto più rapida è la vibrazione, tanto più acuto è il suono che ne proviene, e viceversa. Esperimenti furono eseguiti con flauti, zufoli, tamburelli, e si constatò come anche la voce umana seguisse questo principio. Nell'ambito della teoria musicale sviluppata dalla scuola pitagorica (ed esposta per la prima volta da Filolao), tre contributi sono sicuramente dovuti ad Archita.  Il primo è la teoria secondo cui l'altezza dei suoni è determinata dalla loro velocità di propagazione. Secondo Archita, una bacchetta che oscilla più velocemente (oggi diremmo con frequenza più alta) produrrebbe un suono che si propaga con maggiore velocità nell'aria, e che di conseguenza è percepito come "più alto", rispetto a una bacchetta che oscillasse più lentamente. Questa teoria, per quanto non corretta dal punto di vista fisico e percettivo, rappresenta il primo tentativo di attribuire parametri quantitativi alla propagazione del suono, e fu ripresa da molti autori successivi (inclusi Platone e Aristotele). Il secondo contributo è di natura specificamente matematica. Archita conosceva la relazione fra intervalli musicali e frazioni che conduce alla costruzione della scala pitagorica. Uno dei problemi teorici connessi a quella costruzione era il perché gli intervalli dovessero essere progressivamente suddivisi secondo quelle particolari proporzioni, anziché suddividere semplicemente ogni intervallo in due sottointervalli uguali. Per comprendere la natura del problema si deve ricordare che per definizione gli intervalli musicali si compongono moltiplicandofra loro i rapporti corrispondenti (ad esempio, l'ottava 2:1 si può ottenere componendo una quinta 3:2 con una quarta 4:3, infatti 3:2 x 4:3 = 2:1). Quindi per suddividere un intervallo a:b in due parti uguali si deve trovare il medio proporzionale fra a e b, ossia il numero x tale che a:x = x:b (ciò equivale a cercare la radice quadrata del rapporto a:b). Archità osservò che l'intervallo di doppia ottava (4:1) si può suddividere in due sottointervalli uguali (rappresentati dal rapporto 2:1), ma dimostrò matematicamente che nessun rapporto del tipo superparticulare {\displaystyle {\frac {n+1}{n}}} - genere a cui appartengono tutti gli intervalli fondamentali della scala pitagorica (2:1, 3:2, 4:3, 9:8) - ammette un medio proporzionale fra i numeri interi: quindi nessuno di quegli intervalli può essere suddiviso in due parti uguali (se si mantiene l'ipotesi che ogni intervallo musicale corrisponda a un rapporto fra numeri interi)[36].  Infine, Archita descrisse la costruzione delle scale musicali nei tre generi diatonico, cromatico ed enarmonico. Diversamente dalla scala pitagorica, il tetracordo diatonico proposto da Archita è formato dai rapporti 9:8, 8:7 e 28:27 (quello pitagorico contiene invece due intervalli di tono uguali, 9:8, e un semitono di 256:243). Nel tetracordo cromatico di Archita figurano gli intervalli 5:4, 36:35 e 28:27, e in quello enarmonico gli intervalli 32:27, 243:224 e 28:27. Questi valori sono riportati da C. Tolomeo, che (a distanza di oltre 500 anni) afferma che si basa sulla necessità teorica di descrivere tutti gli intervalli consonanti con rapporti superparticulari (e tuttavia nel tetracordo enarmonico figurano rapporti che non appartengono a quel genere). Gli studiosi moderni hanno invece ipotizzato che Archita avesse voluto descrivere matematicamente le scale musicali effettivamente in uso nella pratica a lui contemporanea, sulla base dell'osservazione diretta delle tecniche di accordatura usate dai musicisti. Archita si propose di superare il problema dei commi musicali. Affermò che l'ottava poteva essere divisa in 12 semitoni uguali ed indicò un divisore che ne consentisse la partizione, cioè un numero prossimo ad un terzo di л. In effetti il divisore dell'ottava della scala temperata, la radice dodicesima di 2 =1,0594630943592…. è prossima a л/3=1,0471975 postulato sia da lui che da Aristosseno. La divisione dell'ottava a cui Archita pervenne è la seguente: л/3, Л 4/11, Л 3/8, Л 2/5, Л 3/7, Л 5/11, Л 9/19, л/2, Л 7/13, Л 4/7,Л 3/5 Л 7/11, nell'ordine: seconda minore, seconda maggiore, terza minore, terza maggiore, quarta giusta, quarta eccedente, quinta giusta, sesta minore, sesta maggiore, settima minore, settima maggiore, ottava. Il divisore proposto da Archita porta a differenze con la scala temperata dell'ordine delle decine di centesimi di semitono.  AstronomiaModifica È trattata da Archita in un passo di Eudemo da Rodinel suo commento alla Fisica di Aristotele, nel quale si discute il problema della dimensione dell'universo. Per Archita l'universo è infinito, poiché, egli dice:  Se mi t rovassi all'ultimo cielo, cioè a quello delle stelle fisse, potrei stendere la mano o la bacchetta al di là di quello, o no? Ch'io non possa, è assurdo; ma se la stendo, allora esisterà un di fuori, sia corpo sia spazio (non fa differenza, come vedremo). Sempre dunque si procederà allo stesso modo verso il termine di volta in volta raggiunto, ripetendo la stessa domanda; e se sempre vi sarà altro a cui possa tendersi la bacchetta, è chiaro che anche sarà interminato.In Enciclopedia Garzanti di Filosofia Archita. Museo Nazionale e archeologico di Taranto  Christoph Riedweg, Pitagora: vita, dottrina e influenza, Vita e Pensiero, Francesco Paolo De Ceglia, Bari. Seminario di storia della scienza, Scienziati di Puglia: Adda, Cicerone, De senectute, Eliano, Varia istoria; Ateneo; Dizionario di filosofia, Treccani alla voce corrispondente  Luigi Pareti, Storia della regione Lucano-Bruzzia nell'Antichità, Storia e Letteratura, Ettore M. De Juliis, Magna Grecia: l'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla conquista romana, Edipuglia. E. Juliis, Magna Grecia: l'Italia meridionale dalle origini leggendarie alla conquista romana, Edipuglia srl,  Ai tarantini, citato in La Voce del Popolo, Dizionario della civiltà, Gremese Editore, Ubaldo Nicola, Atlante illustrato di Filosofia, Giunti. “κόσμος” nasce in ambito militare per designare l'esercito schierato ordinatamente per la battaglia (in Sesto Empirico, Adv. Math.)  Christiane L. Joost-Gaugier, Pitagora e il suo influsso sul pensiero e sull'arte, Edizioni Arkeios, André Pichot, La nascita della scienza: Mesopotamia, Egitto, Grecia antica, Edizioni Dedalo,Cfr. anche Ruggiero Bonghi, Delle relazioni della filosophia colla società: prolusione, F. Vallardi, Secondo una tradizione apocrifa Archita trasse dalla filosofia platonica la convinzione della immortalità dell'anima. Al contrario Cicerone ritiene che Platone si recò in Sicilia per conoscere le dottrine pitagoriche che apprese da Archita e che condivise divenendo lui stesso pitagorico. Cfr. Cicerone, De Repubblica, De finibus bonorum et malorum, Tuscolanae disputationes, D. Laerzio, Platone, Lettera VII  Vita di Platone.  G. Urso, «La morte d’Archita e l'alleanza fra Taranto e Archidamo di Sparta», Aevum, M. Taddei, I robot di Leonardo da Vinci: la meccanica e i nuovi automi nei codici svelati, ed. Leonardo, A. Gellio, Notti Attiche, Aristotele, Pol., R. Pitoni, Storia della fisica, Società tipografico-editrice nazionale, Boyer, Carl B., Storia della Matematica, Apuleio, Apologia, 15  Platone, Timeo, A  Giambico, in Nicom., 9Francesco Paolo De Ceglia, Università di Bari. Seminario di storia della scienza,Scienziati di Puglia: dda, 2007 p.1ifica Carl A. Huffman, Archytas of Tarentum. Pythagorean, Philosopher and Mathematician King, Cambridge University Press, (l'edizione più completa dei frammenti) M. Timpanaro Cardini, I Pitagorici, testimonianze e frammenti, La Nuova Italia, Firenze Platone, Lettere, Mondadori, Milano Del Grande, Archita e i suoi tempi, Taranto, Cressati  Paris A. Olivieri, Su Archita tarantino, memoria letta all'Accademia Pontaniana  A. Frajese, Attraverso la storia della Matematica, Veschi, RomaStante, I problemi di terzo grado e Archita da Taranto,  Lecce A.Tagliente, “La colomba d’Archita”, Scorpione, Taranto A.Tagliente, Il mistero del trattato perduto, Scorpione, Taranto A. D. Abbaiatore, Scritture Musicali greche, Teoria armonica ed Acustica, Taranto nella civiltà, Napoli Taranto e il Mediterraneo, ISAMG Taranto, Filosofia e scienze, Napoli Eredità, Taranto, Alessandro il Molosso e i condottieri, Taranto, C.Teofilato, "Interpretazione di Archita" dalla rassegna "Vecchio e Nuovo" di Lecce, A. Mele, Archita, i suoi tempi e il suo pensiero, in Taranto tra Classicità e Umanesimo, Scorpione Editrice Taranto Voci correlateModifica Personalità legate a Taranto Raganella (strumento musicale) Eudosso di Cnido. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. A buon diritto chiamare l'inventore de'moderni palloni arrostatici. Però un secolo prima al padre Lana G, C. Scaligero,a proposito della colomba volante d'Archita, della quale parla Orazione l l e sue odi, indica il modo di costruirla. Nulla di più facile, egli dice: basta comporre la sostanza con midolla di giunco, e diligentemente coprirla colla pelle adoperata dai battiloro. Mediante un facile meccanismo sipuò dar movimento alle ali.19 Scaligero scordò di avvertire che bisognava riscaldare l'aria interna con un lumicino quando rolevasi farla volare. Cosi 500 anni prima dell'era nostra, trova il modo di far salire nell'ariaun pallone in forma di colomba, dacchè tutto fa credere che I mezzi impiegati da questo filosofo fossero gl'identici che quelli impie gatioggigiorno per levarei palloni. Quanto al ritorno della colomba, obbediente alla voce d'Archita, questa evidentemente è una favola. Sempre, aun fatto sorprendente, l'immaginazione aggiunge circostanze impossibili;ma ciò che io credo innegabile è che l'areostalo era conosciuto a tempi detti favolosi, e che, amio parere, sono reminiscenzedi una civiltà perduta, che i poetichiamarono regno degli dei. Quegli ignivomi draghi. SULLA COLOMBA Entre a pišivago, e più superbo volo pel Regno aereo l'ali fu e spandea, e di spirto novello acquisto fea La Colomba d'Archita inversoilPolo, Volgendo a caso i suoi begli occhi al suolo Del terzo Ciel la vezzofetta Dea, La vide, e per rapirla già scendea Da quel de' dei seggio beato, e solo. Allor gridd, e quafi fu per dire: Oh così foffepur lamia. Colomba! Fattafi Citerea con gran desire, Di legno fols'avvide: esserl'augello. ARCHITA. Juan. Juven. Ital. Sacr. in Tarentin. Mitrop.  Lamb. in Schol. Horat. Od.) regnasse più di un ' Ann o. I nuove grazie adorna il fuo bel volto D LLi:etasengiva in maestà reale Astrea, mirando venerato, e colto Fa più volte Prefetto della sua Patria, ancorchè le Leggi comandassero, che nessuno in tempo di sua vita Quel delle Leggi fue pregio immortale. Quando Prudenza, il dolce fuon disciolto, figlia d' eccelsa mente, e trionfale, Non titurbar, le diffe, fe sia tolto Il primier di regnare ordine uguale. Tempo verrà,che in arme,e intoga imperi più d'un'anno al suo ftuoi, mai sempre intento Archita a nuove glorie, e a bei pensieri. E a Leila Diva: in cento modi, e certo Muta pur Leggi, e Faftimiei primieri, Purchè Archita mio regni, io mi contento. Diogen. Laert. in Vit. Archyt. In Joan. Buno. not. ad Philip. Cluver. ARCHITA FILOSOFO PITTAGORICO, E MATEMATICO E PERITISSIMO. Odar chi mai tanto ti può, che basti, Alma immortal degnillima d' Impero? Chi dir di tue virtudi il volo altero, Per cui fovra ogni Saggio alto poggiasti? Del Ciel le stelle, e i moti lor sì vasti, tu delle cose le cagioni, e'l vero, e quanto il mare, e l'universo intero circonda, e abbraccia, chiaro a noi mostrasti, Tu, ch'eccedi de'Savj i bei consigli Già di ogni uman pensier reso inaggiore, 'Quanto il Sol delle stelle avanza irai, tu, che te stesso, e null? altro somigli, coll'auree del tuo fuon note canore tu sol di tue virtù cantar potrai. Diogen. Laert. in vit. Archyt. Foreft.Joan. Juven. Tarentin. Lambin in Scbol. Horat. Od. Nicol. Parth. Giannet. in Geograph. Lib. 4. Cap. 7. SEN. TARENTINO, Scrivendo contro il Piacere. O So, chemente all'Von dona, e Tume aquella; SENTIMENTI D'ARCHITA chi dietro alsuo piacer brutale corre, e del sensorio fà l'alma ancella, bruto diventa agli altri bruti eguale, tutto perdendo il bel, che aveva in ella. Senza lume si vago, e rilucente Joan. Juven. Tarentin. Lib.3. Cap. 2. Mente, ch'èper fuo pregio trionfale della divinità parte più bella. Che quando avvien, che sopra l'alma impero abbia il piacere, allor cieca è lamente 'E cieca la ragion, cieco è 'l pensiero. Oprano i Bruti, e senza il suo primiero Lume fia, chel'uom bruto anchedivente. E pur ESER,   Diogen. Lacrt. in vit. Archyt. Foreft. Tom.1. Lib. 8. Cap. 4. Joan. Juven. Tarentin. Mille a mille empj nemici, incampo scendete pure, e con terribil grido, no uche con quel dell'armi orrido lampo Fate tremar dell'onde Jonie illido. ESERCITO TARENTINO NON MAI VINTO, ESSENDO CAPITANO. Là nel Galelo col suo nobil Campo Itene or lieti delle forze usate, Faran del vostro fuol le schiere armate, Finchè Archita fia duce, alta vendetta. ARCHITA v'aspetta il bravo duce. E già lo strido de' corni i' fento, en el cercarlo scampo già cader vi vegg'io pel colpo infido. Ed alla patria, che il trionfo aspetta, le tolte spoglie in vostro onormostrate. Se per ostil cadeste atra disdetta, LA,   ARCHITA D'ESSER CAPITANO, PER SOTTRARSI ALL'INVIDIA, L'ESERCITO DETARENTINI E' FATTO PRIGIONE DA NEMICI. Arme il fulgore insiem spaventa, e sfida co’luoi deftrieri i cavalier; già scende sangue da larga vena in terra infida. Mira Tarento mio, quei, che fen muore, hàgli spinti l'invidia a tante pene. LASCIANDO DO Di guerra sonar le trombe orrende? di come il rio Marte all'alte strida Di quel Drappello, e questo i cuori accende, Perchè col ferro fuo l'un l' altro ancidas arme, arme fre me ognun: già di tremende e quei, che'l braccio (tende alle catene son dolci figli,  oimè, del tuo dolore! Freme contro d'Archita ilrio livore, E lull'alme innocenti il mal senviene. Diogen: Laert, in vit. Archyt. Joon. Juven. Tarentin.AR.: ad altri venduto, ed alla fine è riscattato offri; buon Savio, foffri. Ecco fortuna S Di mortal sfavillando atro disdegno sue forze impiega, e l'arme sue raduna, Per far del tuo valor {terminio indegno. Già l'empia, oime! con faccia torva, e bruna Scocca saette últrici, e ben al sogno Colpito hà omai; ve come in preda d'una Ti dà vile ciurmaglia in fragil legno. TARENTINO ARCHIT. A peregrinando per imparare, è preso dà'Corsari, serveMa chefie; se delcuorle forti tempre Alexand.ab Alexand, Joan. Juven. Tarentin. Di. Pur non è fazia no,schiavo al servaggio Ti mena ancor, perchè nel duoldistempre Ilmagnanimo tuo nobil coraggio. Rassoda più ne'colpi suoil'Vom faggio, E di sua libertà gode mai sempre! PLATONE DOPO AVER CAMMINATO L'EGITIO, VIENE IN ITALIA PER IMPARAR SOTTO LA DISCIPLINA Edesti pur, come il gran Nilo altero, D a perenne sboccando occulta fonte Ogni arginedisprezzi, edogniponte, E i campi ad ipopdar si apra il sentiero. E d ivi asperto di sudor la fronte Delle scienze falisti all' arduo monte, E ti fur quelle il folo premio intero. Ed or, per fullescienze alzare un volo Sotto 1:aurea d'Archita arte gentile, Cerchi il Galeso, e l Tarentino luolo? DunqueinEgittoEroenonv hàfimile, Cic.de finib.bonor. molor.Lib.s. Foreft:Tom. I..Lib. 8. Joan.Juven. Tarentin. DOPS V D'ARCHITA TARENTINO. Si, vedesti 1 Egizio, e 'l Greco Impero, ARCHI. Nèingegno inGrecia,alsoloArchita,alsolo Suo noro ingegno,anche oltreBattro,eTile.    A ARCHI. Pri,Fortuna,perun solmomento Gli occhi, cui buja notte orrida cuopre, E mira,leiltuo folleafproardimento Contro Savio maggior sua forza adopre. Questi è il gran Plato, e quegli fon qu e cento Folle ! RePlato al tuo servil flagello ARCHITA TARENTINO RISCATTA PLATONE PRESO D A CORSARI. Empj ladron, per le cui mani, ed opre Schiavo il facefti; or com 'ei fparge al vento Gl’infranti lacci, e in libertà li fcuopre? C o m e il trionfo, che del suo fervaggio Ornar credefti, e de' suoi guai far bello, Qual peve dilegudfli al caldo raggio? Menalti, a un cenno fol d' Archita il saggio Cara tornò la libertà di quello. Joan. Juven.T'arentin. e   Se avvien, che della gloria i m i diftempre L a bella gloria è tua, fe Plato apprese Che del tuo Figlio al nome accrebbe ilvanto, Cic.de finib.bon.domal.Lib.5.* Lib 1.Fiscula Joan.Juven. Tarcntin. ARCHI.  (52 ARCHITA MAESTRO DI PLATONE. C Figlio di puro core, e viva Immago, che vero io canto, efoldiluimi appago, Diceva un giorno Atene in dolci tempre, Dal tuo gran Figlio Archita il pregio fanto, E B alme di virtude auree contefe. Ella è mia pure, e téco i fafti io canto: Poich?Ei tal lume in tutto il m o n d o accese, Nel gaudio, el corc infuperbito, e pago Pel mio Plato or fen vada,un don si vago A te,Tarento mio,debbo maifempre. ARCHITA CAMPA PLATONE DALLA MORTE INTENTATAGLI DA DIONISIO TIRANNO. AR,  Due Polato ilscan Plato,ahimè,quelfaggio, t Veloce (ahi laffo !) a tramontar quel raggio Det rio fallir le pene: omai trionfi Si bella dote, e vinca ancor Sapienza. Si diffe Archita; e i fieri petti, e tronfi. Placando al gran poter d'aurea Eloquenza, Morrà, perchè un Tiranno indegno d'ostro Sogna fofpetti, e teme indarno oltraggio? Correrà, che dà lume al secol nostro? Ed io,perchèpiù viva,ancor non mostro, No n m ostro, a n c o r dell'anima il coraggio? No, che non porterà l'alma Innocenza < Plato all'ombra viveade'suoi trionfi. Cic. Lib. 5. Tuscul. Diogen. Laeft. Vit.Archyt., o Platon. Juan. Juven. Tarentin. Ital. Sacr. in Torentin. Metrop. Plutar. in Platon. Sabell. Ennead. ARCHITA TARENTINO A PLATONE. Se amica pioggia a temprar mai l'ardore Scende dal Ciel,non giace no più china La fronte lor, ma col nacio colore S'innalza si, che al Ciel più si avvicina; Lasso ! calo io restai, allor che infermo Starteneudjfrapene,o mio buon Plato Senza ajuto languendo, e senza schermo. Ma orchedicuavitaalprimostato Fatto hai ritorno, io mi rinfranco, e fermo Pertemi rendo, cfon, qualpria,beato. Q Diogen. Laert.in vit.Archyt. Joan.Juven. Tarentin. Lib.3. Cap. 2. Val Yenza umor giglio languisce,o fiore, E scolorito à terra ilcapo inchina, Questo il vermiglio onor,quello ilcandore Perdendo a poco a poco in sua ruina: PLA. Q A te del loro autor duce sì pio in mezzo del cammino elle si stanno, pss.) Ma giugnere alla meta orgogliosette Ben le vedrai, fe nuovo spirto avranno, PLATONE MANDA ISUOI COMMENTARY AD ARCHITA TARENT INV. Veste assai più, che dell'ingegno mio, Opre de'tuoi fudori,onde a be'studj Delle più gloriofe alte virtudi La mia mente infiammaiti,el buon deslo, Opre dunque son elle ora imperfette. Raroè peròl'onor,seateverranno; Più raro, le giammai fien da te lette. Diogen Lacrt. in vit. Archyt. Platon.in Epist. Vengono,Archita.O:tu leleggi,e inudi Sensi del tuo faver poi mi dischiudi Con quellalibertà,concuileinvio, PLA, Gloria dai tuoisi provvidifudori, soffri in regnar, grida la Patria,e uffici Mostra di quel,che sei,Signor de cuori, E tumalgradoimperi?etilamente Non fei;la Patria hà in te parte del tutto. Non oscuro è il linguaggio; odi mia mente: O rendi alla tua Patriailben,ch'èsuo, O delsuobenfà,ch'ellan'abbiailfrutto. Cic definib.bonor.comalor.Lib.2. Lib. lade Offic. Joan. Juven. Tarentin. Lib.i. in Prefate do Lib.z. Cap.2. Platon. in Epif. gi  PLATONE TÀRENTINO. V Nmalele folo (AD ARCHITA O n, a se folo no, nasce agli Amici, Nafce alla Patria l'Uom, nasce aMaggiori, E dal bel nascer suo giorni felici Speran questi, e sperar voglion tesori. O r foffri, o Figlio, o tu, che tanta elici D e' gran pubblici affari? ah che fol tua  SULLA  AD ARCHITA TARENTINO, Del buon governo, eloro fren spogliace. O naufragar, dall'empie arti indiscrete di piggior duce a morte ria guidate: El soffriran del cuorletempre? ahfiamma D'amor mostrate, evoilaPatriabella Reggete:omai con quell'ardor,che infiammar Così lungi da leistrage rubella Sen fuggirà,qualCervioa icolpi,o Damma, O, che viver a voinon maipotrete; Se non vivrete ad altri se se pensate Goder mai signoria, nè servirete Alle pubbliche cose,alle private, O vacillar ben presto le vedrete E poi fia vostra gloria il ben di quella. In argument. 9. ad Epift. 9. Platon, D'ARCHITA A d d e Archita, e vidjo senza conforto E scorse fino all' ultimo confine La Terra, e il Cielcoll'artifue divine, Archita il grande, il nostro padre è morto! Del mar le Dive usciro al pio lamento. SULLA MORTE. Pianger lo stuol da rio dolore assorto. Oimè,dicean,chi dall'Occafo all'Orto, CAdele Dell'alte sue virtudi,e pellegrine, Pallido il viso, e lacerato il crine, E in lor leggendo i gran pubblici danni Pianfero', e poi partiro, e di Tarento GiunteallaReggia:orvestiinegri panni Da e r,bella Città: per tuo tormento Aichita è morto ahi sulbel fior degli anni ! Horat. Lib. 1. od. 28. E Diede il Popot Matin l'ultime prove se'l crudo suo destino unqua vi spiacque Le bell*ossadiLui,chetantopiacque Abbian lieve la terra; e poi partite. Horat. Lib. 1. od. 28. Joan.Juven.Tarentin.Lib.3.Cap.za SUL  INVITO A RIMIRARE IL TUMULO D'ARCHITA PRESSO AL LIDO MATINO, Ccop Urna funefta.Alme ben nate, Cui di pietà l'amabil forza muove, Deh fermatevi alquanto, e rimirate, Pria di ftendere il passo agile altrove. Qui le fante d Archita ossa onorate Giaccion sepolte, e qui spargendo nuove: Piogge d'amaro pianto, di pietate del passato dolore in segno ah dite:. th Allor, che in mar precipitò, smarrite Sue forze,einfrantoilleguoinmezzo all'acques   Di Natura le fonti più segrete; Chi dall'onda fatal raplo diLete L e naufraghe virtudi, e l ebbe accanto; Chi le vie seppe drittamonte torte, i PercuilaLuna appar',elSols’asconde,  (60 ) Aili ah yoi le face offa, e'l cener fanto Di quell Almagentilahicitogliete, C h e fù si chiara al M o n d o, e vi godete Della vera fapienza il facro immanto. Chi a noi mostrò con tanto studio, e tanto Horat.Lib. i.od.28.. Joan. Juven.Tarentin. SUL SEPOLCRO EUDOS D.ARCHITA TARENTINO. Chi 'n Terra,e 'n Ciel la ferma, emobilsorte; chi com e il foco, el Aere, el suolo, e l'onde s'abbraccin, seppe, orquìsengiace. Oń Morte, Oh duri fastí, ohcieche ombre profonde? S quanto mai dibelloinCielfiadditag; Ne panni no,ma nella mente fiede. Diogen.Laert.in vit.Eudox. Foreft. Tom.1. Lib. 8.Cap.4 Joan.Juven,Tarentin. Q. EUDOSSO DA GNIDO FAMOSISSIMO MATEMATICO DISCEPOLO ARCHITA NON FU'RICEVUTO DA PLATONE ALLA D Mira come in udir fuo ftile adorno La tuafuperbia,e'lfolleardireondanni. No, non doveviil gran Figliuol d'Archita SUA SCUOLA,PER ESSER POVERO, Vefti, o Platon, che tu schernisti un giorno Perchè di povertà fentia gli affanni Questi è colui (fe pur nol fai)che intorno Del fuo grave faver difpiega i vanni, Gnido vi fpenda il più bel fiordegli anni; E come giusta ad immortal tuo fcorno Si vilmente scacciar dalla tua fede Qualor baffamenava umile vita. Poichè virtude, onde 1 U o m farli erede. Archita.  Archita da Taranto. Taranto. Keywords: la colomba d’Archita, Platone, magna Grecia, piccione viaggiatore, il vuolo della colomba --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Taranto” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51681989882/in/photolist-2mSsmMU-2mN5uFu-2mLJPUG-2mKxrDy-2mKDXUP-2mK6d1R-2mK487q-2mK2Mvw-2mK6cZt-2mJXH25-2mK2Mwt-2mK6d2x-2mK7kLK-2mK6d2n-2mK6cY1-2mK7kNy-2mJXH3T-2mK4863-2mK6cXV-2mK6cZJ/

 

 

Grice e Tari – l’origine del linguaggio – filosofia italiana (Villa Santa Maria Capua Vetere). Filosofo. Di famiglia originaria di Terelle, nel Frusinate, nacque in palazzo Mazzocchi, anch'essa rientrante in Terra di Lavoro, da un impiegato che si trovava lì di passaggio. Il palazzo natìo ove aveva schiuso gli occhi anche l'archeologo Alessio Simmaco Mazzocchi, situato nella via Mazzocchi. Studia a Montecassino, dove conobbe Spaventa. Si trasferì a Napoli dove si laurea. Ben presto però all'avvocatura preferì la filosofia, la letteratura e la musica, unendosi all'amico Spaventa, a Cusano, a Sanctis e ad altri filosofi liberali e collaborando a vari giornali letterari partenopei. Entra per concorso nella Regia Napoli, divenendo il primo cattedratico di estetica in Italia, nello stesso periodo in cui vi insegnavano anche Sanctis, Settembrini, Spaventa e  Bovio. Si dedica a vari rami della filosofia e delle scienze del linguaggio per Detken, saggi di Brothier, Moindron  e Noel. Il suo sistema estetico, variamente criticato, in particolare per la scarsa originalità, si caratterizza per una vivacità espressiva, con ricche e talvolta variopinte esemplificazioni, che peraltro ne resero celebri e molto frequentate le lezioni. Croce define Tari il lieto giullare della filosofia. Tari non ha mai nemici, riuscendo a farsi ben volere sia dagli amici sia dagli avversari, che prende a braccetto, e li mena a spasso con sé, divertendosi a contradirli e a sentirsi contradetto. Quasi ad avallare la definizione sopra riportata,  ha anche a rilevare che la sua bizzarra genialità gli fa trovare piacere nei ravvicinamenti e collegamenti più disparati e più comici: della frase sublime con la scherzosa, del ricordo solenne con l'aneddoto salace, del linguaggio latino o del tedesco col vernacolo napoletano. Parla in gergo, ma in gergo che è quintessenza di cultura e stravagante miscuglio di elementi geniali. Filosofo di professione ed uomo di dottrina enciclopedica, nonostante tutta la sua perizia filosofica, la sua sterminata dottrina e il suo molto acume, e soprattutto un bizzarro artista. La sua concezione metafisica non gli concede una trattazione veramente logica dei problemi. Ma la sua personalità, vibrante di commozione innanzi alle opere dell'arte, riboccante di entusiasmo, dotata di bontà e di nobiltà di sentire, gli ispira una filosofia che e di una specie assai rara nella nostra letteratura. L'essenza giocosa si mischia, confondendosi, con un'acuta critica, che si rivolgeva a tutti i campi in cui l'estetica si sostanzia e, in particolare, ad una delle arti al quale e più attratto: la musica.  Tra il serio e il faceto, infatti, pubblica un saggio su “Serietà e ludo” e compone un saggio musicale, con tanto di note, dal titolo in tal senso emblematico di “Lezioni di estetica generale”. Questo indirizzo lo porta ad occuparsi anche sulla celebre pastorale di Beethoven. Altre saggi: “Estetica ideale” (Fibreno, Napoli), “Ente spirito e reale: confessioni filosofiche” (Regia Università, Napoli); “Melodramma, dramma” (Regia Università, Napoli); “Serietà e ludo” (Regia Università, Napoli), “Critica” (Vecchi, Trani); “Estetica e metafisica” (Laterza, Bari); “Estetica esistenziale” (Morano, Napoli); “L'estetica reale” (Prometheus, Milano), “Dizionario dei cittadini notevoli di Terra di Lavoro antichi e moderni” (Forni, Bologna).  i (Ed. Spartaco, Santa Maria Capua Vetere); A. Perconte Licatese, “Storia e monumenti di Santa Maria Capua Vetere” (Stampa Sud, Curti.); “Storia popolare della filosofia” (Detken, Napoli); “Origine del linguaggio” (Detken, Napoli); “Il contratto” (Detken, Napoli); B. Croce, La letteratura della Nuova Italia. Saggi critici” (Laterza, Bari); “Lezioni di estetica generale” (Tocco, Napoli); “La sinfonia pastorale” ( (Regia Università, Napoli); M. Leotta, Istituto Italiano per gli Studi Storici, Napoli); F. Solitario, La Critica di Croce. Contributo per un recupero” (Prometheus, Milano); F. Solitario, “Cultura filosofica” (Prometheus, Milano); Treccani Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Archivi di Teatro Napoli, Antonio Tari. Tari. Keywords: ‘origine del linguaggio.” Refs. Luigi Speranza, “Grice e Tari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732279381

 

Grice e Tartarotti – filosofia italiana (Rovereto). Filosofo. Divenne famoso per aver contrastato i processi contro le streghe e per aver osteggiato la devozione per il vescovo del XII secolo Adelpreto, mettendone in discussione santità e martirio. Figlio del giureconsulto Francesco Antonio e da Olimpia Camilla Volani, discendente dell'antica famiglia dei Serbati.  Impersonò la figura dell'intellettuale che non si lascia limitare dal luogo nel quale nasce, cioè nel Trentino, lontano dai grandi centri culturali del tempo. Egli seppe anzi sfruttare le opportunità e le peculiarità della città di Rovereto, al confine tra mondo tedesco e italiano, in un periodo storico nel quale rifiorirono i commerci e i rapporti economici, grazie al suo trovarsi su una delle principali vie di comunicazione in Europa. Suo merito fu la capacità di saper tessere legami con intellettuali italiani e stranieri che risiedevano a Venezia, Roma, Salisburgo, Torino, Brescia, Vienna, Innsbruck. Utrecht e Parigi.  Studiò inizialmente nell'Imperial Regio Ginnasio di Rovereto e poi continuò come autodidatta. Si interessò di filosofia, che seguì presso l'Padova sino a quando difficoltà economiche familiari non lo obbligarono a tornare nelle città natale.  Al suo ritorno si interessò personalmente per far insediare nella Città della Quercia la stamperia del tipografo veronese Pierantonio Berno e, nel 1730, fondò la prima accademia cittadina, l'Accademia dei Dodonei. Compì viaggi a Verona, dove conobbe Scipione Maffei e altri studiosi, poi ad Innsbruck, dove rimase alcuni mesi come precettore, e in seguito si trasferì a Roma, come segretario del Cardinale Domenico Silvio Passionei.   Casa dove abitò Girolamo Tartarotti, in Via Garibaldi 61, a Rovereto, prima di trasferirsi in Via della Terra. Durante le sue permanenze roveretane, visse nella stessa casa dove abita G. Vannetti e dove questi iniziarono a tenere un vivace salotto letterario che portò, probabilmente su ispirazione dello stesso Tartarotti, alla nascita dell'Accademia degli Agiati. Il soggiorno romano fu relativamente breve, per contrasti col Cardinale, quindi fece ritorno a Rovereto. Morì il fratello Jacopo, e si trasferì a Venezia, come collaboratore del futuro Doge Marco Foscarini. Ebbe discussioni anche con Foscarini e tornò ancora una volta a Rovereto, da dove non si allontanò più.  I viaggi di Girolamo Tartarotti furono in definitiva relativamente pochi e di breve durata, e trascorse la maggior parte della sua vita matura a Rovereto. Si dimostra poco propenso ad accettare l'aiuto di ricchi mecenati che lo avrebbero limitato nella sua libertà e approfittò delle occasioni che gli venivano offerte lontano dalla sua città per comprare libri o incontrare altri studiosi.  Lo studioso Sin dagli anni giovanili Tartarotti si dedicò agli studi letterari interessandosi della poesia toscana e scrivendo egli stesso varie composizioni poetiche. Approfondì tematiche della filosofia scolastica e scrisse trattati critici nei confronti di questa. Collaborò con Angelo Calogerà per la sua Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici, e venne in polemica con Trento dimostrando, in una sua pubblicazione, che la città tridentina divenne sede episcopale solo nel IV secolo e non al tempo dei primi apostoli.  Pubblica “Congresso notturno delle Lammie”, il suo saggio più noto, nel quale dichiara inesistente la stregoneria come la si vuole descrivere al suo tempo, e questo sulla base della logica, della scienza e della stessa ortodossia dei cattolici. Pubblica nei “Rerum Italicarum scriptores” le sue conclusioni relative alla cronaca di Dandolo e correggendone le fonti nelle sue basi documentarie. Continua nelle indagini storiche alla quali aveva dedicato gran parte della sua vita e arrivò a dimostrare, ad esempio, che era sbagliata la venerazione dei trentini per Adelpreto, Vescovo di Trento. La sua tesi era spiegata nella Lettera intorno alla santità e martirio di Alberto vescovo di Trento. Uno dei suoi ultimi lavori, sempre legato a questo tema: Notizie istorico-critiche intorno al B.M. Adalpreto vescovo di Trento venne messa al rogo su disposizione del principe vescovo Francesco Felice Alberti di Enno. Intanto la sua salute peggiora, e muore senza sapere del suo libro bruciato a Trento. Sempre amante dei libri, quando non gli fu possibile viaggiare per acquistarli personalmente si affidò a contatti che col tempo divennero per lui preziosi per procurarseli. A Verona poté contare su Ottolino Ottolini, a Brescia su Gianmaria Mazzucchelli, a Modena su Ludovico Antonio Muratori e a Venezia su Gian Rinaldo Carli. A Rovereto fu molto vicino a Giuseppe Valeriano Vannetti, segretario dell'Accademia Roveretana degli Agiati, e anche da lui ebbe aiuti per procurasi i testi dei quali aveva bisogno per i suoi studi. Al Vannetti fu legato anche per altri motivi, essendo stato per vari anni precettore di Bianca Laura Saibante, futura moglie di Giuseppe Valeriano, e del fratello di lei, Francesco. Si procura libri anche grazie a donazioni, eredità e prestiti.  Al momento della sua morte, per esplicita volontà testamentaria, la sua ricca biblioteca venne donata all'Ospedale dei Poveri Infermi di Loreto, retta dalla Confraternita dei Santi Rocco e Sebastiano. La Confraternita tuttavia, poco dopo, decise di metterla in vendita, offrendola per primo al Comune di Rovereto. In quell'occasione Giuseppe Valeriano Vannetti e Francesco Saibante si spesero affinché tale importante acquisizione culturale per Rovereto avesse successo, e l'atto di compravendita venne registrato. Tre anni dopo la morte di Tartarotti, venne così creata la prima biblioteca aperta al pubblico a Rovereto. Le intenzioni dello studioso non furono queste, tuttavia fu proprio il nucleo dei suoi testi ad essere destinato a questa importante iniziativa culturale, perché sino a quel momento esistevano in città solo biblioteche appartenenti a privati, come ad esempio quella dei Rosmini, dei Vannetti, dei Saibante, oppure conservate in conventi; si stava formando anche quella dell'Accademia Roveretana degli Agiati, sicuramente molto importante, ma nessuna di queste destinata alla consultazione di chiunque.  Il totale delle opere appartenenti a Tartarotti che confluì nella biblioteca ammontava originariamente a 2.027 volumi e a 13 manoscritti. Per quanto riguarda i luoghi di pubblicazione dei volumi, quasi il 30% di essi proveniva da Venezia.  I volumi raccolti durante tutta la vita da Girolamo Tartarotti costituirono così il primo nucleo della Biblioteca Civica di Rovereto, che in seguito fu a lui dedicata.  Tartarotti e gli agiati Lo studioso, come sopra ricordato, fu molto attivo a Rovereto e si spese per portare una maggior apertura culturale in città facilitando l'arrivo di un tipografo, fondando l'Accademia dei Dodonei, svolgendo il ruolo di precettore per due dei fondatori dell'Accademia Roveretana degli Agiati, ma non divenne mai un socio di quella istituzione.  Le ragioni del suo rifiuto di far parte di quell'Accademia, che pure rispondeva a molte delle esigenze che sentiva anche sue, furono diverse. La principale fu la forte inimicizia con S.  Maffei, e il fatto che l'uomo di lettere veronese fosse entrato tra i primi come socio aggregato dell'associazione. Questo fece sì che non partecipasse alle riunioni del nascente sodalizio culturale roveretano. Si riporta qui una piccola selezione di alcuni suoi lavori da non intendersi come fonti di questa pagina ma come approfondimento e confronto. “Ragionamento intorno alla poesia lirica Toscana”; “Delle disfide letterarie, o sia pubbliche difese di conclusion”; “De auctoribus ab Andrea Dandulo laudatis in Chronico Veneto”; “Apologia del Congresso notturno delle Lammie”; “Memorie antiche di Rovereto e dei luoghi circonvicini”, “Apologia delle Memorie antiche di Rovereto”; “Lettera seconda di un giornalista d'Italia ad un giornalista oltramontano sopra il libro intitolato: Notizie istorico-critiche intorno al b.m. Adalpreto Vescovo di Trento, Alcune opere sono pubblicate nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici: “Relazione d'un manoscritto dell'Istoria manoscritta di Giovanni Diacono veronese”; “Dissertazione intorno all'arte critica”; “Lettera al sig. N.N. intorno alla sua tragedia intitolata il Costantino; Lettera intorno alla differenza delle voci nella lingua italiana. Altre opera: “Osservazioni sopra la Sofonisba del Trissino con prefazione del cav. Clementino Vannetti, La conclusione dei frati francescani riformati (postumo, Annotazioni al Dialogo delle false esercitazioni delle scuole d'Aonio Paleario. Annotazioni  Ipotesi avanzata da Gianmario Baldi, Direttore della Biblioteca civica G. Tartarotti e membro dell'Accademia Roveretana degli Agiati G. Baldi, Fonti  M. Farina,  Mostra Tartarotti, Mostra Tartarotti, L. Muratori, Rerum Italicarum scriptores. Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, Tartarotti, (check). R.Trinco, Mostra Tartarotti, Sito Biblioteca Civica G. Tartarotti, su biblioteca civica. Rovereto  Comune di Rovereto. G. Baldi, La Biblioteca civica Girolamo Tartarotti di Rovereto: contributo per una storia” (Calliano,Trento); Manfrini, Marino Berengo, La letteratura italiana Storia e testi" XLIV tomo I, Milano-Napoli, Ricciardi, L. Franchini, Adversum malleum maleficarum, biografia del filosofo pre-illuminista roveretano” (Rovereto, Stella); N. Cusumano, “Ebrei e accusa di omicidio rituale --. Il carteggio tra Tartarotti e B. Bonelli” (Milano, Unicopli); M. Farina, “Gl’Agiati” (Brescia, Morcelliana),  R. Filosi, La Biblioteca di Girolamo Tartarotti: intellettuale roveretano del Settecento: Rovereto, Palazzo Alberti, Rovereto, Provincia autonoma, Servizio beni librari e archivistici,Comune di Rovereto, Biblioteca civica G. Tartarotti, Renato Trinco, San Marco in Rovereto: la chiesa arcipretale tra storia, arte e devozione, Mori, La grafica, Gl’Agiati Roveretani, Biblioteca civica G. Tartarotti Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario biografico degli italiani, Girolamo Tartarotti. Tartarotti. Keywords: accusa di omicidio rituale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tartarotti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732517033

 

Grice e Tataranni – il gusto per l’antico – filosofia italiana (Matera), filosofo. Lucano di origine, esponente dell'Illuminismo napoletano. Figlio di Angelo Bruno e Nunzia Pistoia. Non sappiamo a quale ceto appartenesse la sua famiglia, ma sicuramente essa era fornita dei mezzi economici e delle relazioni sociali necessarie per avviare il figlio verso la carriera ecclesiastica. Non a caso, quando fu battezzato  nella Chiesa cattedrale di Matera, i suoi genitori scelsero come padrini i nobili Giovan Battista Ferraù e Giovanna Cordova. Sin da ragazzo matura quella che doveva essere la sua vocazione, tanto che divenne prima allievo e poi docente del seminario diocesano materano. Sebbene avesse una posizione di un certo rilievo sia in ambito ecclesiastico, sia in ambito educativo, non mostra alcun tentennamento nell'accettare l'invito di Michele Imperiali, principe di Francavilla, che lo vuole a Napoli per affidargli la direzione della sua Paggeria. Grazie all'incarico conferitogli dal principe di Francavilla, accrebbe ancor di più la stima di cui già godeva, stringendo rapporti amichevoli con le personalità più illustri ed autorevoli del tempo, incardinate nella Reale Accademia delle Scienze e Belle Lettere. Ha la possibilità di frequentare proprio tali stimolanti dibattiti, che del resto avrebbero formato l'humus delle sue future riflessioni, in qualità prima di Direttore della Paggeria, poi della scuola militare del Real Collegio militare, ufficialmente Reale Accademia Militare, fortemente voluta da re Ferdinando IV, che mostrò di aderire al generale clima di rinnovamento e consolidamento delle istituzioni militari del Regno. Proprio in questi anni Onofrio Tataranni ebbe l'onore di esserne il direttore, partecipando vivamente, dunque, al graduale svilupparsi e moltiplicarsi dell'alveo della cultura politica riformatrice, che ancora auspicava un reale cambiamento all'interno dello stesso apparato monarchico. Così, nell'arco di un settennio, pubblicò delle opere molto significative, in cui era evidente il suo tracciato ideale di società. Tuttavia, in seguito agli avvenimenti, quindi dopo il Concordato e dopo la fallita congiura di C. Lauberg, le sue posizioni rispetto alla politica e allo Stato cambiarono considerevolmente. Con questa disillusione coincide il silenzio dell'intellettuale materano, che in quegli anni si limita, a quanto noto, a proseguire i suoi studi come Direttore. La delusione, si può ipotizzare, lo spinse a tacere fino alla proclamazione della Repubblica Napoletana, quando dichiarava sicuro dell'importanza dell'istruzione del popolo e del nuovo cittadino, elabora il Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, nel quale incoraggiava il popolo a difendere i principi della Rivoluzione a vantaggio dell'umanità intera. Il catechismo vinse il primo premio indetto dal governo provvisorio e venne adottato come catechismo ufficiale della Repubblica Napoletana, ebbe il compito di educare i sudditi a divenire cittadini.  Alla caduta della Repubblica, nel giugno, riuscì a porsi in salvo, rifugiandosi a Matera, nei cui tribunali, in tale periodo, venivano esaminate le posizioni di ben 1370 rei di Stato lucani, 228 dei quali furono condanll'esportazione e sette a morte. Comunque, a Matera puo contare su solide relazioni interne al locale Capitolo cattedrale. Più volte tiene a sottolineare l'importanza della triade Dio-Ragione-Sentimento, in una sorta di compromesso tra Illuminismo, sensismo e religione.  Inoltre, caratteristica del suo pensiero è una forte connotazione politica, mirando alla figura del sovrano quale principale esempio per i sudditi, capace di governare un Regno che si sarebbe dovuto fondare su solidi valori, legati all'importanza della famiglia, della civiltà contadina e della piccola proprietà terriera, quest'ultima ottenuta con un giusto ed onesto lavoro. È da evidenziare come il Tataranni avesse maturato idee di una peculiare modernità, al punto da convincersi che il passaggio verso una nuova stagione dell'umanità sarebbe potuto avvenire attraverso la Costituzione di una «Dieta Universale»: egli sosteneva, infatti, che, ad ogni rappresentante di questo nuovo organismo, essa avrebbe espresso i giusti diritti del suo Monarca, al fine di raggiungere la felicità comune e la pubblica sicurezza, ponendosi, negli ordini e nelle attività sociali, sull'unica distinzione del merito. Notevole importanza e, poi, assegnata al ruolo dell'educazione e dell'istruzione, poiché affermal'importanza dello studio delle humanae litterae, unico mezzo, per i giovani, per riscoprire i principali temi della letteratura e della filosofia morale antica ed attualizzarli. Inoltre, egli si faceva anche sostenitore dell'istruzione scientifica, dando priorità alla geometria e, ancora una volta, seguendo il modello greco, suggeriva di avviare gli alunni sin «dall'età più tenera» al processo educativo, seguendo le direttive di grandi pensatori. Il sacerdote-riformatore auspicava tutto questo in un contesto socio-economico che riservasse particolare attenzione all'attività agraria e ad una pratica religiosa «semplice pura e brieve. Dunque, predica il ritorno alla religione delle origini, costruita sull'aiuto reciproco tra gli individui, in modo che gli’uomini si rassomiglino in qualche modo all'ente supremo d'infinità bonta. Pertanto, affermava che i sacerdoti dovessero essere esenti dalle pubbliche cariche e che come gli altri uomini dovessero essere soggetti alla giurisdizione dei giudici laici nelle loro cause civili. La prima, monumentale, opera fu il Saggio d'un filosofo politico amico dell'uomo (Napoli). Con la composizione di questo saggio, Tataranni si propone di delineare il suo tracciato ideale di società, confidando nella figura del sovrano. Infatti, già il titolo dell'opera risulta molto significativo, in quanto l'autore si presentava come un filosofo con atteggiamento “filantropico” nei confronti di Ferdinando IV, al fine di mostrargli la retta direzione per guidare un giusto governo ed attuare delle riforme interne allo stesso apparato monarchico, favorevoli alle idee democratiche.  La fiducia che ripone nei riguardi del monarca veniva ancora espressa nel “Ragionamento sul carattere religioso di Carlo III umiliato a Ferdinando IV re delle Due Sicilie” (Napoli). Si tratta di un panegirico riferito al padre del sovrano, Carlo di Borbone, che, spentosi l'anno precedente, veniva proposto come esempio da seguire al suo erede. In tal senso, egli si rivolgeva ancora pieno di ammirazione nei confronti di Ferdinando IV nel “Ragionamento sulle sovrane leggi della nascente popolazione di S. Leucio umiliata alla maestà di Ferdinando IV re delle Due Sicilie” (Napoli). Nella “Brieve memoria sull'educazione nazionale della nobile gioventù guerriera l'autore affrontava il tema, a lui caro come Direttore di istituti di formazione, dell'educazione dei giovani.” Negli anni Novanta, benché il canonico avesse raggiunto un'età avanzata, non solo decise di aderire alla Repubblica Napoletana, ma, convinto dell'importanza che rivestiva la formazione del popolo e del nuovo cittadino, decise di scrivere, come detto, un Catechismo Nazionale pe'l Cittadino, che fu dato alle stampe. Archivio Diocesano di Matera, Cattedrale, Battesimi Antonio Lerra, Catechismo nazionale pe’l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico XV.  Antonio Lerra XVII.  Chiosi, Lo spirito del secolo. Politica e religione a Napoli nell'età dell'illuminismo, Napoli, Giannini); S. Bruno, "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea, in "Studi Meridionali", Cronache di una rivoluzione: Napoli (Angeli, Milano); A. Lerra, L'albero e la croce. Istituzioni e ceti dirigenti nella Basilicata, Napoli, ESI, Salvatore Bruno, Il catechismo nazionale pe' il cittadino" (noterelle di storia napoletana), in Scritti in onore di Romualdo Trifone, Storia Meridionale,  II, Sapri, Ed. del Centro Librario, S. Bruno, "Catechismo nazionale pe' il cittadino". Contributo alla storia della Repubblica Partenopea, in Studi Meridionali, L. Guerci, Istruire alle verità repubblicane. La letteratura politica per il popolo nell'Italia in rivoluzione” (Bologna, il Mulino); G. Caserta, Teologo della rivoluzione napoletana, Napoli, Vivarium, Rosaria Capobianco, La pedagogia dei catechismi laici nella Repubblica napoletana, Napoli, Liguori Editore, Antonio Lerra, Catechismo nazionale pe' l cittadino. Progetto di cultura politica e ruolo dell'antico, Manduria-Roma-Bari, Lacaita, Antonio D'Andria, Onofrio Tataranni. Un riformatore napoletano in limine, in Sguardi sul Mezzogiorno in età moderna e contemporanea, Quaderni eretici | Cahiers hérétiques. Studi sul dissenso politico, religioso e letterario, fascicolo  Illuminismo in Italia Repubblica Napoletana. Storia della Basilicata  Un'analisi dei concetti politici nel Catechismo, su nuovomonitorenapoletano. L'indice ragionato del Filosofo Politico amico dell'Uomo La Brieve memoria in edizione integrale. Onofrio Tataranni. Tataranni. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tataranni” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732260711/in/dateposted-public/

 

Grice e Telesio – filosofia italiana (Cosenza). Filosofo. Mentre le sue teorie naturali sono state successivamente smentite, la sua enfasi sull'osservazione fece il primo dei moderni che alla fine hanno sviluppato il metodo scientifico.  Telesio è nato da genitori nobili. Istruito a Milano dallo zio, Antonio, lui stesso uno studioso e poeta di eminenza, e poi a Roma e Padova. I suoi studi hanno incluso tutta la vasta gamma di argomenti, classici, scienza e filosofia, che costituivano il curriculum degli rinascimentali sapienti. Così equipaggiata, inizia il suo attacco sul aristotelismo medievale che poi fiorì a Padova e Bologna. Fonda l’Accademia Cosentina. Per un certo periodo ha vissuto nella casa di Alfonso III Carafa, duca di Nocera. La sua grande opera e “Sulla natura delle cose secondo i loro propri principi,” seguito da un gran numero di opere di importanza sussidiaria. Le opinioni eterodosse, che ha mantenuto suscitano l'ira di Roma per conto del suo amato aristotelismo, e poco tempo dopo la sua morte i suoi saggi sono stati immessi sul Index. Invece di postulare materia e forma, si basa l'esistenza sulla materia e la forza. Questa forza ha due elementi opposti: calore, che si espande, e fredde, che i contratti. Questi due processi rappresentano tutte le diverse forme e tipi di esistenza, mentre la massa su cui opera la forza rimane la stessa. L'armonia del tutto consiste nel fatto che ogni cosa separata sviluppa in sé e per sé conformemente alla sua natura e allo stesso tempo il suo moto avvantaggia il resto. I difetti evidenti di questa teoria, che solo i sensi possono non comprendere materia stessa, che non è chiaro come la molteplicità dei fenomeni potrebbe derivare da queste due forze, pensato non è meno convincente di Aristotles caldo/freddo, secca spiegazione / umido, e che ha addotto alcuna prova per dimostrare l'esistenza di queste due forze, sono stati sottolineato a suo tempo. Inoltre, la sua teoria della terra fredda a riposo e il sole caldo in moto  destinato a confutazione per mano di Copernico. Allo stesso tempo, la teoria e sufficientemente coerente per fare una grande impressione sulla filosofia italiano. Va ricordato, però, che la sua obliterazione di una distinzione tra superlunar e fisica sublunare ce ertamente abbastanza preveggente anche se non riconosciuto dai suoi successori come particolarmente degno di nota. Quando Telesio continua a spiegare la relazione tra mente e materia, e ancora più eterodossa. Forze materiali sono, per ipotesi, in grado di sentire. Questione deve anche essere stato fin dal primo dotato di coscienza. Per la coscienza esiste, e non avrebbe potuto essere sviluppato dal nulla. Questo lo porta a una forma di ilo-zoismo. Anche in questo caso, l'anima è influenzata dalle condizioni materiali. Di conseguenza, l'anima deve avere un esistenza materiale. Inoltre dichiara che tutta la conoscenza è sensazione ("non-ratione sensu sed") e che l'intelligenza è, quindi, un agglomerato di dati isolati, in sensi. Non lo fa, però, riesce a spiegare come solo i sensi possono percepire la differenza e identità. Alla fine del suo schema, probabilmente in ossequio alla teologiche pregiudizi, aggiunta un elemento che e completamente estraneo, vale a dire, un impulso più alto, un'anima sovrapposta da Dio, in virtù della quale ci sforziamo di là del mondo sensibile. Questa anima divina non è affatto un concetto completamente nuovo, se visto nel contesto di Averroestic o tommasiana teoria percettiva.  Il suo intero sistema mostra lacune nella sua tesi, e l'ignoranza dei fatti, ma allo stesso tempo è un precursore di tutte le successive dell'empirismo e segna chiaramente il periodo di transizione da autorità e la ragione di sperimentare e individuale responsabilità. Il ricorso a dati sensoriali  Telesio e il capo del grande movimento italiano del sud, che protesta  contro l'autorità accettata della ragione astratta e semina i semi da cui spuntavano i metodi scientifici di Campanella e Bruno, di Bacon e Descartes, con i loro risultati ampiamente divergenti. Egli, quindi, abbandona la sfera puramente intellettuale e ha proposto un'indagine sui dati forniti dai sensi, dai quali ha ricoperto che tutta la vera conoscenza viene veramente (la sua teoria della percezione sensoriale era essenzialmente una ri-elaborazione della teoria di Aristotele dal De anima). Nota all'inizio del Proemio del primo libro della terza edizione del De Rerum Natura Iuxta propria principia Libri Ix... che la costruzione del mondo e la grandezza dei corpi in esso contenuti, e la natura del mondo, è da ricercare non dalla ragione, come è stato fatto dagl’antichi, ma è da intendersi per mezzo di osservazione. Mundi constructionem, corporumque in eo contentorum magnitudinem, naturamque non ratione, quod antiquioribus factum est, inquirendam, sed sensu percipiendam. Questa affermazione, che si trova sulla prima pagina, riassume ciò che molti studiosi moderni hanno generalmente considerato filosofia telesiana, e spesso sembra che molti non leggere oltre per nella pagina successiva si imposta il suo caldo teoria/freddo della materia informata, una teoria che non è chiaramente informato dall’osservazione. L’osservazione (sensu percipiendam ) è un processo dell’anima molto iù grande di una semplice registrazione dei dati. L’osservazione comprende anche l’analogia. Anche se Bacon è generalmente accreditato con la codificazione di un induttiva metodo che sottoscrive pienamente l'osservazione come procedura primaria per l'acquisizione di conoscenze, non era certamente il primo a suggerire che la percezione sensoriale dovrebbe essere la fonte primaria per la conoscenza. Tra i filosofi naturali del Rinascimento, questo onore è generalmente conferito a Telesio. Bacone si riconosce Telesio come il primo dei moderni. “De Telesio autem bene sentimus, atque eum ut amantem veritatis, e Scientiis utilem, e nonnullorum Placitorum emendatorem &amp; novorum hominum primum agnoscimus”. Da Bacon De principiis atque originibus) per mettere l'osservazione di sopra di tutti gli altri metodi di acquisizione delle conoscenze sul mondo naturale. Questa frase spesso citata da Bacon, però, è fuorviante, perché semplifica eccessivamente e travisa l'opinione di Bacone di Telesio. La maggior parte del saggio di Bacon è un attacco a Telesio e questa frase, invariabilmente fuori contesto, facilita un malinteso generale della filosofia naturale telesiana dando ad essa un timbro baconiana di approvazione, che era lontano dalle intenzioni originali di Bacon. Bacone vede in Telesio un alleato nella lotta contro l'antica autorità, ma ha poco positivo da dire su specifiche teorie di Telesio. Ciò che forse colpisce di più De Rerum Natura è il tentativo di Telesio di meccanizzare il più possibile. Si sforza di spiegare tutto chiaramente in termini di materia informati dalla calda e fredda e per mantenere i suoi argomenti il più semplice possibile. Quando i suoi colloqui si rivolgono agli esseri umani che introduce un istinto di auto-conservazione per spiegare le loro motivazioni. E quando discute la mente umana e la sua capacità di ragionare in astratto su argomenti immateriali e divine, aggiunge un'anima. Per senza anima, tutto il pensiero, dal suo ragionamento, sarebbe limitato alle cose materiali. Ciò renderebbe Dio impensabile e chiaramente questo non era il caso, per l'osservazione dimostra che la gente pensa di Dio. Telesii, Bernardini, “De Rerum Natura Iuxta Propia Principii, Libri IX” (Horatium Saluianum, Napoli). Altre opere: “De Somno”;  “De la quae in aere fiunt de Mari De cometis et Circulo Lactea respirationis De USU. Gli appunti Riferimenti N. Van Deusen, Telesio: primo dei moderni De La sua, Quae in aere Sunt, &amp; de Terrae motibus piena facsimile digitale. Bernardino Telesio. Telesio. Keywords: empirismo, teoria della percezione, l’anima d’Aristotele, l’analogia, l’uomo e gl’animali, la ragione, I antici, contro I antici, osservazione, percezione, la tradizione empirista italiana, il Telesio di Bacone. Refs.: Luigi Speranza, “Telesio e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, *Villa Grice, Liguria, Italia.. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51690478447/in/photolist-2mKHdnD-2mKRW4R-2mKjcFb/

 

Grice e Tessitore (Napoli). Filosofo.  Grice: “If there’s Oxonian dialectic and Athenian dialectic, there is, to follow Fulvio Tessitore, the ‘scuola napoletana.’” Si è laureato in giurisprudenza (la sua tesi ricevette dignità di stampa) presso l'Università degli Studi di Napoli, allievo di Pietro Piovani. -- è libero docente "per meriti eccezionali" in Filosofia del diritto; l'anno successivo diventa Professore. Ha dapprima insegnato Storia delle dottrine politiche; quindi, in poi, Storia della filosofia. È stato preside della Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Salerno. Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Federico II di Napoli, della quale è stato anche rettore. Socio dell'Accademia dell'Arcadia col nome di Echione Cineriano. È inoltre socio nazionale dell'Accademia dei Lincei e di numerose altre accademie. Ha diretto il Centro di studi vichiani del CNR dal  ed oggi fa parte del Consiglio scientifico dello stesso Centro.  È presidente della Fondazione Pietro Piovani per gli studi vichiani e del Consorzio interuniversitario "Civiltà del Mediterraneo". Presidente del Comitato Tecnico Scientifico della Fondazione Internazionale D'Amato onlus. Socio dell'Istituto per l'Oriente “Carlo Alfonso Nallino” di Roma. È vicepresidente della Fondazione "Guido e Roberto Cortese". Siede inoltre nel Consiglio Direttivo dell'Istituto italiano per gli studi storici fondato da Croce. È stato componente del Consiglio Scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani. Membro del Consiglio Universitario Nazionale, in cui è stato presidente del Comitato di Lettere, Lingue e Magistero, vice presidente della Fondazione Teatro di San Carlo, componente del Consiglio Generale della Fondazione Banco di Napoli del Consiglio direttivo e vice presidente della CRUI, la Conferenza permanente dei Rettori delle Università italiane.  È Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica. È stato senatore della Repubblica italiana nella XIV legislatura nelle file dei Democratici di SinistraL'Ulivo e deputato nella XV Legislatura nelle file del L'Ulivo. È medaglia d'oro della Scuola dell'arte e della cultura e della Scienza e della cultura. È autore di una vastissima  di oltre 1500 titoli, tra i quali 26 volumi, ai quali sono stati assegnati numerosi premi.  Opere: “Aspetti del neo-guelfismo napoletano” (Morano, Napoli); “Crisi e trasformazioni dello Stato: rcerche sul pensiero gius-pubblicistico italiano” (Morano, Napoli); “Fondamenti della filosofia politica ” (Morano, Napoli); “La storia delle idee” (Le Monnier, Firenze); “Profilo dello storicismo politico” (POMBA, Torino); “Lo storicismo” (Laterza, Roma); “Meinecke” (Laterza, Roma); “Filosofia, storia e politica in Cuoco, Marco, Lungro); “Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo” (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); Interpretazione dello storicismo, Scuola Normale Superiore, Pisa); Contributi alla storiografia arabo-islamica Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); La mia Napoli. Frammenti di ricordi e di pensieri, Grimaldi, Napoli); Letture quotidiane” (Editoriale scientifica, Napoli) che raccolgono articoli di giornali quotidiani. Trittico Anti-hegeliano da Dilthey a Weber. Contributo alla teoria dello storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “Da Cuoco a Weber. Contributi alla storia dello storicismo, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma. Fonda il “Bollettino del Centro di Studi Vichiani”, Archivio di Storia della Cultura, Civiltà del Mediterraneo, pontaniana.unina. 18 settembre. Curriculum su filosofia.unina.,Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tessitóre. Fulvio Tessitore. Tessitore. Keywords: Cuoco. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tessitore” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732224826/in/datetaken/

 

Gruce e Testa – la nemica fortuna – filosofia italiana (Borgonovo Val Tidone). Filosofo. Nasce nella nobile famiglia Testa dal giudice Giuseppe e dalla madre N.D. Vittoria Brigidini. Viene battezzato nella Chiesa della Collegiata  alla presenza dei genitori e del conte Andrea Arcelli, padrino e parente di Alfonso. Sacerdote, rifiutò la cattedra filosofica a Pisa  e preferì lavorare a Parma, divenendone presidente dell'area filosofica.  Deputato al Parlamento Sabaudo. Alfonso Testa. Storia di un povero pretazzuolo di Fausto Chiesa, pubblicato dalla Libreria internazionale Romagnosi di Piacenza. Treccani Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alfonso Testa. Testa. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Testa” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701756894/in/photolist-2mPqp6k-2mLNXjb-2mLQdrQ-2mLP9qE-2mLQ1Vx-2mPrdWj-2mLH24C-2mKDwcr-2mKxnN1-2mKgZYb-2bsBYca-2brg4da-PinuJ1-Pinux9-235t9QC-25GubxU-G5ZTNP-25DHLSh-FJVKRC-FcebeC

 

Grice e Thaulero – il problema d’una antropologia filosofica – autorita e risentimento -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Abruzzese, figlio del barone Carlo, nobile di Chieti e patrizio teramano, e di donna Maria Clemente. Consigue la maturità classica al Liceo Massimo di Roma. Si iscrisse alla "Sapienza" di Roma, dove si laurea a pieni voti con una tesi in Filosofia del Diritto, Una metodologia cristiana del diritto, relatore Vecchio e ottenne il Diploma di perfezionamento con lode in Filosofia del Diritto nella Scuola di Perfezionamento di Filosofia del Diritto dell'Roma, con la tesi “La fictio juris in Bartolo da Sassoferrato” (relatore: Sforza). Assistente volontario di Perticone, ordinario di Storia contemporanea a Scienze politiche, usufruì di una borsa della Humboldt-Stiftung che gli consentì lunghe permanenze di studi in Germania per approfondire i suoi studi sulla problematica dei valori. Sturzo gli affidò insieme ad Addio la direzione del “Bollettino di Sociologia”, poi divenuto “Sociologia”, divenendo uno dei maggiori collaboratori dell'Istituto creato dal fondatore del Partito Popolare Italiano. Inviato al Congresso di Sociologia di Amsterdam e fra i fondatori della Società Italiana di Scienze Sociali.  Consigue la libera docenza in Filosofia Morale e ricopre vari incarichi presso Salerno. Vinse il concorso a cattedra per Filosofia Morale del Magistero di Salerno.  Morì in un incidente automobilistico insieme alle figlie Maria Gabriella e Maria Elisabeth.  Gli è stata intitolata la scuola di Cologna Spiaggia (Roseto degli Abruzzi). Altri saggi: “Società e cultura” (Giuffré, Milano); “Il mare ha voce, ha voce il vento” (Storia e Letteratura, Roma); “Il darsi dell'Origine nell'esperienza sociale e religiosa” (Studium, Roma); Intorno al concetto di sociologia generale, in Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, A. Giuffré, Milano); “Il problema del risentimento” (Sociologia, Bollettino dell'Istituto Luigi Sturzo, N. 1, A. Giuffré, Milano); “Scienze sociali e Sociologia” (Sociologia, Bollettino dell'Istituto Sturzo, Anno A. Giuffré, Milano); “La Sociologia storicista (Sociologia, Bollettino dell'Istituto Sturzo, A. Giuffré, Milano); “Razionalità e storia” (Civitas); “L'autorità” (Sociologia); “Il problema dell'autorità” (Convegno di Cultura Europea, Bolzano); “Conoscenza e sociologia, in Rivista di Sociologia, Appunti per la settimana sociale dei cattolici d'Italia, in Rivista di Sociologia, Sociologia religiosa, in Rivista di Sociologia, Cristianesimo e storia, in Rivista di Sociologia, “Pregiudizio e religione, in Rivista di Sociologia,  Roma, “Metafisica della scienza e sociologia”, in Rivista di Sociologia, Roma, “Analisi culturale ed ecumenismo” in Rivista di Sociologia, Roma, Religione e pregiudizio” (Cappelli, Bologna); “Il problema di un'antropologia filosofica, in Rivista di Sociologia,  IGuida, Napoli, Corso di lezioni ciclostilate, con la traduzione, in appendice, di un saggio di Scheler). Religione e pregiudizio. Analisi di contenuto dei libri cattolici di insegnamento religioso in Italia Cappelli, Bologna, Nota introduttiva a Hartmann, Etica -- Fenomenologia dei costumi, in Esperienze, Osservazioni in margine ad una ricerca su pregiudizio e religione, in Rivista di sociologia, Prospettive culturali e sociologiche dell'impegno sociale (Relazione tenuta alla Consulta dei Movimenti Effettive e Seniores della Gioventù di Azione Cattolica). Un nuovo indirizzo storiografico nella analisi della struttura socio-economica (Relazione tenuta in occasione del convegno Ignazio Rozzi e l'agricoltura, Teramo, promosso dal Centro di Studi Storici Abruzzo Teramano), in Rivista di Sociologia, Riflessione sull'Università televisiva, in Informazione Radio TV. Studi, documenti e notizie, Speciale Televisione e Istruzione, RAI, Sociologia ed esperienza religiosa e politica Ricerche di Storia sociale e religiosa. Discendente del Beato Johannes Thauler  Il Tempo, V. Mathieu, Salerno, G. De Rosa,Seconda Attesa, Vicenza, G. De Rosa, La storia che non passa: diario politico, Soveia Mannelli, Vincenzo Filippone-Thaulero. Thaulero. Keywords: autorita e risentimento. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Thaulero” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692497310/in/photolist-2mKQoNA-2mKP1GB-2mKP25W-2mKTyvC

 

Grice e Tilgher – il relativismo filosofico – filosofia italiana (Resìna). Filosofo. Nato da padre vetraio tedesco e madre valdostana, visse a Roma dove fu amico e collaboratore di E. Buonaiuti (studioso di storia del cristianesimo ed esponente del modernismo italiano), fino alla morte. Lavora come bibliotecario all'Alessandrina e collabora ad alcuni giornali (tra gli altri, Il Mondo e il Popolo di Roma), molti dei quali vennero poi soppressi dal regime fascista. I suoi principali saggi sono: “La crisi mondiale”, “Estetica”; e “La filosofia delle morali”, nella quale delinea la sua originale visione individualistica. Collabora al giornale satirico “Il Becco giallo”. E tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali anti-fascisti, redatto da Croce. Da ricordare, anche, tra i suoi diversi saggi anti-fascisti, “la stroncatura di Giovane Gentile”, che, soprattutto nell'ironico e irriverente sottotitolo, esprime un dissacrante giudizio sulla propaganda con l'eloquente frase, di ascendenza bruniana, “Lo spaccio del bestione trionfante”. Opera anche come critico letterario e teatrale. E tra i primi a notare l'originalità del teatro pirandelliano, nonostante i tentativi di contestazione da parte del regime fascista.  In ambito filosofico, afferma che non esiste una scienza morale unica bensì una pluralità di morali che emergono da un fondo caotico in virtù di un'iniziativa che in parte è creatrice di valori e in parte effetto di coincidenze casuali, anche se fortunate. In lui riaffiora il dualismo manicheo di bene e di male, ribelle a ogni composizione dialettica propria a ogni comodo, quanto illusorio e superficiale ottimismo. Considera mitico, utopistico, il concetto del progresso che non considera come altrettanto reali "il regresso, la caduta e la colpa".  Nella nota “Antologia dei Filosofi Italiani del dopoguerra”, oltre a suoi saggi incluse brani tratti dai saggi di Aliotta, Buonaiuti, Evola, Martinetti, Mignone, Nobile, e Rensi.  A Ercolano gli è stato intitolato l'Istituto d'Istruzione Superiore. Altri saggi: “Arte, Conoscenza e Realtà” (Torino, Bocca); “Teoria del Pragmatismo trascendentale” (Torino, Bocca); “Filosofi antichi” (Todi, Atanor); “La crisi mondiale”, “Saggi di socialismo e marxismo” (Bologna, Zanichelli); “Voci del tempo” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Relativisti contemporanei” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Studi sul Teatro contemporaneo” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Ricognizioni, Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “La scena e la vita, Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Lo Spaccio del Bestione trionfante: stroncatura di Gentile. Un libro per filosofi” (Torino, Gobetti); con un saggio di Antimo Negri, La Mandragora, Prefazione di Gabriele Turi, Roma, Storia e Letteratura); “La visione greca della vita, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, Giordano); “Saggi di etica e di filosofia del diritto” (Torino, Bocca); “Homo faber” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere, col titolo “Storia del concetto di lavoro nella civiltà occidentale, Firenzelibri); “La poesia dialettale napoletana, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, Estetica, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, Etica di Goethe, Roma, Maglione, Filosofi e Moralisti del Novecento, Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Studi di poetica, Roma, Libreria di Scienza e Lettere, Cristo e Noi, Modena, Guanda); “Critica dello Storicismo, Modena, Guanda,Antologia dei filosofi italiani del dopoguerra, Modena, Guanda); “Filosofia delle Morali” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Moralità. Punti di vista sulla vita e sull'uomo” (Roma, Libreria di Scienza e Lettere); “Le orecchie dell'aquila: studio sulle fonti dell'attualismo di Gentile” (Roma, Religio); “La filosofia di Leopardi” (Roma, Religio); Raoul Bruni, Torino, Aragno,  (con l'aggiunta di altri scritti leopardiani mai riuniti in volume),  “Il casualismo critico, Roma, Bardi); “Mistiche nuove e Mistiche antiche, Roma, Bardi); “Tempo nostro, Roma, Bardi); “Diario politico” (Roma, Atlantica); “Marxismo socialismo borghesia, Firenze libri); Carteggio Croce-Tilgher, A.Tarquini, Bologna, Il Mulino); “Pirandello, con testi di Gramsci” (Pisa, Scuola Normale Superiore, Einstein, S. Trappetti e F. Secci, Dalia Edizioni, La Stampa di Torino. Redazione,  “Spaccio della bestia trionfante” è un saggio del Bruno, costituita da tre dialoghi di argomento morale, pubblicata a Londra. Le bestie trionfanti sono i segni delle costellazioni celesti, rappresentate da animali -- è necessario spacciarle, ovvero cacciarle dal cielo in quanto rappresentano vecchi vizi che occorre sostituire con moderne virtù. Una nota dell'OVRA su un presunto tentativo di contestare Pirandello nella tournée in Argentina si riferisce una grave dichiarazione confidenziale fatta dal noto letterato anti-fascista a B. Cassinelli, dichiarazione che rileva non solo l'animosità biliosa di Tilgher contro Pirandello ma anche e soprattutto un piano prestabilito da oltre tre mesi da rinnegati contro degl’italiani che si apprestano a far conoscere ai nostri co-nazionali in Argentina, le ultime novità letterarie degli autori italiani. L. Sedita, “Pirandello, l'a-politico spiato” (Belfagor), che riproduce la nota, sottolinea l'enfasi negativa con cui in essa si presenta il noto letterato anti-fascista Tilgher e con cui ci si sofferma soprattutto sul suo perdurante odioso atteggiamento di sfida e di ribellione al fascismo. E significativo, alla luce degli studi di Canali, che il tramite tra la polizia politica e Tilgher sia stato Cassinelli. Cassinelli divenne amico di Pirandello che ne parla con deferenza in due lettere all’Abba. Dizionario Biografico degli Italiani  G. Rensi, Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte” (Napoli, Orthotes); Istituto d'Istruzione Superiore ATilgher, su adrianotilgher.edu. Gianni Grana, Tilgher critico, in, Letteratura italiana. I critici,  V, Marzorati, Milano; R. Laz., Enciclopedia ItalianaII Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Tilgher com'era, Napoli, Edizioni del delfino, Ernesto Buonaiuti Modernismo teologico Manifesto degli intellettuali antifascisti Traccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Adriano Tilgher. Tilgher. Keywords: le orecchie dell'aquila, lo spaccio del bestione trionfante. Refs.: Luigi Speranza, ‘Grice e Tilgher’ – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691568566/in/photolist-2mKNNqN-2mKQcxV-2mKJHtH-2mKQbFj/

 

Grice e Timossi – filosofia italiana (Genova). Filosofo. Studia a Genova. Svolge attività di ricerca e di insegnamento seminariale presso l'Ateneo genovese. I suoi principali interessi sono rivolti alle cosiddette questioni di frontiera, che riguardano la filosofia, la teologia, la storia della scienza, l'epistemologia e la religione. In questo ambito, si propone di dimostrare la possibilità di una metafisica cognitiva e in particolare di una rinnovata teologia naturale o filosofica che proceda dai rivoluzionari risultati e dalle conoscenze della scienza contemporanea.  È inoltre noto per i suoi studi critici sull'ateismo. Studioso di logica, ha pubblicato uno dei manuali introduttivi più letti in Italia ("Imparare a ragionare. Un manuale di logica", Marietti).  Presidente del Consiglio Scientifico della Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare e membro del Comitato di Gestione della Fondazione Compagnia di San Paolo di Torino. Academia Ligure di Scienze e Lettere.  Altri saggi: “Dio è possibile? Il problema dell'esistenza di un'Entità superiore” (Padova, Muzzio); “Dio e la scienza moderna. Il dilemma della prima mossa” (Milano, Mondadori); “Prove logiche dell'esistenza di Dio d'Aosta a K. Gödel. Storia critica dell'argomento ontologico” (Milano, Marietti); “L'illusione dell'ateismo. Perché la scienza non nega Dio” (Cinisello Balsamo, San Paolo); Imparare a ragionare. Un manuale di logica” (Milano, Marietti); “Decidere di credere. Ragionevolezza della fede” (Cinisello Balsamo, San Paolo); “Nel segno del nulla. Critica dell'ateismo” (Torino, Lindau); “Perché crediamo in Dio. Le ragioni della fede" (Cinisello Balsamo, San Paolo); “Credere per scommessa. La sfida di Pascal tra matematica e fede” (Bologna, Marietti, Centro Editoriale Dehoniano. Timossi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Timossi” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733093345/in/datetaken/

 

Grice e Tincari – iustum quia iussum – filosofia italiana (Roma). Filosofo. persio. Philosopher of law, Bergamo. Persio Tincari. Tincari. Keywords: iustum quia iussum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tincari” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731374567/in/datetaken/

 

Grice e Toderini – filosofia italiana  (Venezia). Flosofo. Figlio di Domenico Maria e di Anna Maria Cestari, discendeva dai conti palatini Gagliardis dalla Volta.  Letterato, pubblica “Letteratura turchesca” (Venezia, Tosti), frutto della sua permanenza a Costantinopoli, la prima trattazione occidentale di storia della letteratu turca.Tra gli altri scritti, in particolare di erudizione e di filosofia morale, si ricordano la Filosofia frankliniana delle punte preservatrici dal fulmine, particolarmente applicata alle polveriere, alle navi, e a Santa Barbara in mare del 1771 e “L'onesto uomo; ovvero, saggi di morale filosofia dai principii della ragione”. è ricordato in “I Dogi di Venezia nella vita pubblica e private” di A. Mosto (Giunti Martello. La Dogaressa Pisana morì con gran dolore del Doge "circa le hore ventidue colta da una gagliarda convulsione al petto et abbattuta dalla lunga penosa malattia sofferta". Per tutti i tre giorni di esposizione si conserva così fresca e rubiconda nel volto che sembrava anziché morta assorta in un dolce riposo. Fu solennemente tumulata ai S.S. Giovanni e Paolo nella tomba comune dei Mocenigo. Il Doge la seguì dopo nove giorni di malattia in seguito a una infezione determinata da una risipola alla gamba sinistra. Ai solenni funerali fatti alla sua statua ai S.S. Giovanni e Paolo venne commemorato da Pietro Berti ed a quelli fattigli dalla Scuola di San Rocco, cui apparteneva, da Toderini. Cfr. Le sue opere registrate dal «Sistema Bibliotecario Nazionale». Giambattista Toderini. Toderini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Toderini” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692047215/in/photolist-2mKRfHn

 

Grice e Tocco – filosofia italiana (Catanzaro), filosofo. Studia a Napoli con Spaventa e a Bologna, con Fiorentino. Insegna a Roma, Pisa e Firenze.  Si pose nelle sue “Ricerche platoniche” (Catanzaro) il problema della cronologia degli scritti platonici. Nella sua monografia su Bruno, nega che il filosofo di Nola potesse essere considerato un martire del libero pensiero, quanto piuttosto l'interprete dei nuovi bisogni di razionalizzazione delle teorie filosofiche, in linea con l'impulso delle ricerche scientifiche in atto ai suoi tempi. Contribuisce alla pubblicazione dei saggi di Bruno, individuandone tre fasi di sviluppo: una fase neo-platonica, una fase panteistica e una atomistica.  Sostenitore del neokantismo, rifiuta  ogni costruzione metafisica e privilegia le esigenze della ragione pratica. Altri saggi: “L'eresia nel Medioevo” (Firenze); “Bruno” (R. Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento in Firenze); “Le fonti più recenti della filosofia del Bruno”, "Rendiconti della R. Accad. dei Lincei. Classe di scienze morali, storiche e filologiche",  “Le opere inedite di Bruno” (Accademia di scienze morali e politiche della Società Reale, Napoli); Studi francescani (Napoli); Studi kantiani (Palermo). M. Ferrari, I dati dell'esperienza. Il neo-kantismo nella filosofia italiana” (Firenze, Olschki); G. Raio, Lezioni su Kant” (Napoli, Liguori); Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Felice Tocco. Tocco. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tocco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732830314

 

Grice e Tolomei – la filosofia della percezione – filosofia italiana  (Pistoia), filosofo. Appartenente alla Compagnia di Gesù. Nato a Villa Camberaia tra Pistoia e Firenze fu di nobili origini. All'età di quindici anni fu mandato a studiare a Firenze dove studiò legge presso l'Pisa. Entra a far parte dell'ordine dei Gesuiti e venne ordinato a Roma. Divenne esperto di ben undici lingue tra le quali latino, greco, ebraico, siriaco, arabo, inglese, illirico e francese.  Iniziò la sua carriera teologica esponendo le Sacre scritture nelle letture pubbliche presso la Chiesa del Gesù a Roma. All'età di trent'anni venne eletto alla carica di procuratore generale dell'Ordine dalla Congregazione Generale, ufficio che tenne per cinque anni, fino a quando cioè non ottenne la cattedra di filosofia al Collegio Romano. Le sue letture, che ebbero sempre un vasto uditorio, vennero poi date alla stampa con il titolo “Philosphia mentis et sensuum” nella quale, pur nel pieno rispetto dell'aristotelismo, accolse gran parte delle scoperte naturalistiche della sua epoca, esponendole nelle sue lezioni. Le letture vennero ristampate in Germania dove ottenne l'encomio dell'Accademia di Lipsia e di Leibniz.  Insegnamento Successivamente ottenne la cattedra di teologia alla Pontificia Università Gregoriana (allora ancora Collegio Romano) e rinnovò le tematiche relative alla controversia sul concetto di dogma già iniziate dal cardinal Bellarmino circa un secolo prima. Le letture relative a queste lezioni furono tutte redatte in un manoscritto di ben sei volumi in folio che tuttavia non vennero mai pubblicati dall'autore. Eletto successivamente rettore del Collegio Romano e del Collegio Germanico, ricopre la carica di Consultore presso la Congregazione dei Riti.  La nomina a cardinale Venne con sua sorpresa nominato cardinale da Clemente XI ed ottenne il titolo di Santo Stefano al Monte Celio. Chiamato al servizio del Pontefice per giudicare gli errori in materia di dogmatica si occupò della pronuncia di condanna dell'eresia del teologo francese, esponente del giansenismo P. Quesnel.  In qualità di cardinale fu uno degli elettori del conclave di nomina di Innocenzo XIII e di Benedetto XIII.  TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Battista Tolomei, su Find a Grave. Opere di Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. David M. Cheney, Archivio storico della Pontificia Università Gregoriana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Battista Tolomèi, Tolomei. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tolomei” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689194446/in/photolist-2mKACFG-2mGnP2f-AJp6ja

 

Tomatis e Grice – il paradosso filosofico -- filosofia italiana (Carrù). Filosofo. Iinsegna alla Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università degli Studi di Salerno come Professore in Filosofia teoretica. Francesco Tomatis ha studiato nelle Torino, Heidelberg, Perugia e Macerata. Laureatosi in Filosofia teoretica all'Torino con Gianni Vattimo e Luigi Pareyson (1991), dottore di ricerca all'Perugia, seguito da Ferretti e Riconda, di cui è stato assistente all'Torino,  è stato borsista del Centro studi filosofico-religiosi Pareyson ricercatore della Alexander von Humboldt-Stiftung all'Freiburg im Breisgau, Professore allo Studio teologico interdiocesano di Fossano e professore ospite in alcune Università europee e americane (Madrid, Córdoba, Mendoza.Membro dei comitati scientifici del Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson di Torino, della Fondazione centro studi Augusto Del Noce di Savigliano, dell'Accademia estetica internazionale di Rapallo, dell'Istituto Xavier Tilliette, della Internationale Schelling-Gesellschaft.  Fonda a Cuneo il Seminario angelus novus. Fonda la rivista “Paradosso”. Scrive sulle pagine culturali di “Avvenire”. Cura una rubrica sul mensile delle vallate occitane d'Italia “Ousitanio Vivo”, di cui è collaboratore, e collabora a “La Rivista del Club alpino italiano”. Garante scientifico internazionale dell'associazione Mountain Wilderness International. Istruttore di Kung Fu classico cinese, frequentando la Scuola Kung Fu Chang, allievo diretto dei maestri Ignazio Cuturello e Roberto Fassi.  Pensiero Ha dedicato le sue ricerche a Schelling, Nietzsche, Heidegger, Pareyson, Einaudi, Lao Tzu e Yang Chengfu approfondendo in particolare il problema ontologico della libertà e del male, del tempo e dell'escatologia, dei principi e del non-sapere. Ha poi elaborato una filosofia esperienziale, sperimentata soprattutto in montagna, che intende l'esistenza come esperienza personale della verticalità del limite, e una filosofia ermeneutica del dialogo interculturale, particolarmente attenta alla teologia cristiana trinitaria e al pensiero taoista cinese. Saggi: “Kenosis del logos. Ragione e rivelazione” (Città Nuova, Roma); “Ontologia del male” (Città Nuova, Roma); “L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio da Anselmo a Schelling, Roma, Città Nuova Editrice,  pareysoniana, Trauben, Torino, Pareyson. Vita, filosofia, Morcelliana, Brescia,  Escatologia della negazione, Roma, Città Nuova, Friedrich Schelling. Invito alla lettura, San Paolo, Cinisello Balsamo, Filosofia della montagna, Prefazione di Armando Torno, Postfazione di Reinhold Messner, Milano, Bompiani, Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano, Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao Tzu, Bompiani, Milano, Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale, Bompiani, Milano, Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in Luigi Einaudi, Città Nuova, Roma,, Corpo e preghiera. La Via del T'ai Chi Ch'üan, Roma, Città Nuova); La via della montagna, Bompiani, Milano, Curatele Luigi Pareyson, Essere, libertà, ambiguità, Mursia, Milano, G. Riconda, Xavier Tilliette, Del male e del bene, Città Nuova Editrice, Roma, Bruno Forte, Vincenzo Vitiello, La vita e il suo oltre. Dialogo sulla morte, Città Nuova Editrice, Roma, Luigi Pareyson, Iniziativa e libertà, Mursia, Milano, M.Baudino, White-out, Museo Nazionale della Montagna, Torino, Nietzsche, Su verità e menzogna, Bompiani, Milano,  Schelling, Sui principi sommi. Filosofia della rivelazione Bompiani, Milano,,Luigi Pareyson, Prospettive di filosofia moderna e contemporanea, Mursia, Milano, Recensioni Kenosis del logos. Ragione e rivelazione nell'ultimo Schelling, Pref. di X. Tilliette, Città Nuova, Roma  [recensito da: B. Forte («Avvenire», G. Baget Bozzo («Il Sole-24 Ore», A. Giordano («La Guida»,Bogo («la masca», G. Pirola («La Civiltà Cattolica»); D'Agostini («La Stampa. Tuttolibri», F. Viganò («Informazione filosofica»,  S. Sotgiu («Diorama letterario», 1B. Forte («Asprenas», Tilliette («Gregorianum», E. Guglielminetti («Filosofia e teologia», Ontologia del male. L'ermeneutica di Pareyson, Pres. diCoda, Città Nuova, Roma), recensito da: G. Baget Bozzo («Il Sole-24 Ore», G. Ricci («Avvenire»,  A. Ribero («AdOvest», S. Sotgiu («Diorama letterario», M. Micelli («Informazione filosofica», F. Russo («Acta philosophica», G. Garelli («La Guida»,].  L'argomento ontologico. L'esistenza di Dio da Anselmo a Schelling, Città Nuova, Roma  [recensito da: M. Schoepflin («Avvenire», F. Dal Bo («Con-tratto», F. Pepino («la Bisalta», pareysoniana, Trauben, Torino [recensito da: G. Garelli («La Guida»,F. Russo («Acta philosophica», F.P. Ciglia («Il Pensiero», Escatologia della negazione, Città Nuova, Roma  [recensito da: G. Garelli («La Guida», F. Pepino («la Bisalta»), M. Schoepflin («Avvenire A. Folin («Tuttolibri»,), M.C. Di Nino («Dialegesthai», mondodomani.  dialegesthai/)].  Pareyson. Vita, filosofia,, Morcelliana, Brescia [recensito da: G. A[schero] («La Guida», M. Schoepflin («Il Giornale», [N. Orengo] («La Stampa. Tuttolibri», M. Schoepflin («Avvenire»,  F. Pepino («Cuneo Provincia Granda»,  F. Russo («Acta philosophica», O argumento ontológico. A existência de Deus de Anselmo a Schelling, tr. port. bras. di S.J. Schirato, Paulus, Sâo Paulo Brasil, Filosofia della montagna, Bompiani, Milano  [recensito da: G. Reale («Corriere della sera», E. Billò («Unione Monregalese», V. Mathieu («Il Giornale», Vasta («La Sicilia», U. Curi («Messaggero Veneto», L. Caveri («Peuple Valdotain»,A. Zaccuri («Letture»), D. Anghilante («Ousitanio Vivo», G. Lingua («Cuneo Provincia Granda», G. Brunod («PMNet», oin pmnet), M. Schoepflin («Il Foglio» A. Rosa («TorinoSette», A. Parodi («La Stampa), G. Pulina («Girodivite», A. Rigobello («L'Osservatore romano», ].  Come leggere Nietzsche, Bompiani, Milano [recensito da: M. Schoepflin («Jesus», ), M. Del Vecchio («Diorama letterario», G. Pulina («Recensioni filosofiche», recensionifilosofiche)].  Dialogo dei principi con Gesù Socrate Lao Tzu, Bompiani, Milano   [recensito da: M. Iacona («Secolo d'Italia», E. Billò («L'Unione monregalese»), G. Aschero («La Guida»), M. Schoepflin («Giornale di Brescia»), M. Schoepflin («Avvenire», D. Monaco («Filosofia e teologia», Libertà di sapere. Università e dialogo interculturale, Pref. di G. Reale, Bompiani, Milano  [recensito da: G. Giorello («Corriere della Sera. Magazine»,  E. Castagna («Avvenire», M. Iacona («Il Borghese», ), A. Torno («Corriere della Sera», *)].  Verso la città divina. L'incantesimo della libertà in Luigi Einaudi, Città Nuova, Roma, [recensito da: F. Chittolina («La Guida», [M. Schoepflin] («Il Giornale di Brescia», G. Tarantino («Secolo d'Italia», 6.11., p.9); M. Iacona («Il Giornale d'Italia»,  D. Monaco («L'occhio», F. Chittolina («La Voce del Popolo», F. Ranucci («Conquiste del lavoro»,  «Jesus»); S. Bondi («Panorama», E. Di Nuoscio («Europa», D. Anghilante («Ousitanio vivo»); F.S. Festa, («»,,// ); G. Bartoli («Dialegesthai», 10.7.,//mondodo mani.org/dialegesthai/; D. Monaco («Filosofia e teologia»,, 1,  ];Lubrano («Il Nostro Tempo». Centro studi filosofico-religiosi Luigi Pareyson  Studio teologico interdiocesano di Fossano  Accademia estetica internazionale di Rapallo Istituto Xavier Tilliette  Ousitanio VivoIl Giornale  La Rivista del Club alpino italiano  Prof. Francesco Tomatis curriculum, pubblicazioni, biografia intellettuale. Pagina docente nel sito dell'Università degli Studi di Salerno. Tomatis. Keywords: paradosso. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tomatis” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732410263/in/datetaken/

 

Grice e Tomitano – I precetti della conversazione civile – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Fondatore di accademie letterarie, autore di commenti alle opere di Aristotele e autore di scritti di logica, alcuni dei quali ancora inediti. Da una famiglia originaria di Feltre, frequenta il corso di filosofia a Padova dove si laurea. Deputato dal Senato Veneto a leggere l'Organon di Aristotele alla scuola di logicadi Padova. Nel periodo in cui rimase a Padova strinse amicizia, fra gli altri, con Speroni, Bembo, Sadoleto, Giovio, Navagero, Fracastoro e Manuzio. Fece parte degl’infiammati, il cui proposito era scrivere compiutamente in lingua veneziana. Le discussioni degl’infiammati sono alla base dei Quattro libri della lingua toscana. Scrive anche due brevi dissertazioni matematiche: il Moisè-Geometria, la dimostrazione del teorema due rette possono avvicinarsi all'infinito senza mai unirsi, intuito dal profeta ebreo per grazia divina, e “Introductio cosmographiae”, lezioni di geometria a fondamento della cosmografia tolemaica. Accusato dal Santo Uffizio di eresia per la sua espositione letterale a parafrasi al vangelo secondo Matteo. Dimostra che quella parafrasi non era sua, ma edita a sua insaputa da un nobile signore N., con cui era assai famigliare. Creduto e assolto, ma da allora in poi i suoi saggi divennero alquanto conformisti.  Lascia Padova e si trasfere a Venezia. I saggi più importanti del periodo veneziano, a parte la biografia di Baglioni, sono il “De morbo gallico” e il carme encomiastico “Thetis” in onore di Enrico III. Altre saggi: “Introductio ad sophisticos elenchos Aristotelis. Eiusdem brevis methodus diluendorum paralogismorum per divisionem, praeter illa quae Aristoteles habuit in Elenchis. Quam methodum B. Tomitanus ex dialogis Platonis et ex Aristotele nuper invenit, adiecta sunt Famigerata veterum Sophismatum exernpla, ad exercitationem adolescentium” (Venezia); “Ragionamenti della lingua toscana, dove si parla del perfetto oratore e poeta volgari, dell'eccellente flosofo Tomitano, diuisi in tre libri. Nel primo libro si pruova la filosofia esser necessaria allo acquistamento della retorica e della poetica. Nel secondo libro si ragiona dei precetti dell'oratore. Nel terzo libro si ragiona delle leggi appartenenti al poeta, e al bene parlare” (Venezia, Farri); Quattro libri della lingua toscana, dove si prova la filosofia esser necessaria al perfetto oratore e poeta con due libri nuouamente aggionti, de i precetti richiesti al conversare con eloquenza” (Padova, Pasquati); “Sonetti e Canzoni, in Rime diuerse di molti eccellentiss. autori nuouamente raccolte. Libro primo, con nuoua additione ristampato” (Venezia, Ferrarii); “Esposizione letterale del testo di Mattheo Evangelista” (Venezia); “Sopra le Pistole di S. Paolo” (Venezia); “Moisè”; “Geometria (Mantova); Introductio Cosmographiea (Venezia); Prediche del reuerendissimo monsignor Cornelio Musso, vescouo di Bitonto, fatte in diuersi tempi, et in diuersi luoghi. Nelle quali si contengono molti santi euangelici precetti, non meno utili, che necessarij alla interior fabrica dell'huomo cristiano. Con la tavola delle cose più notabili in esse contenute” (Venezia, Gabriel Giolito de Ferrari et fratelli); “Oratione recitata per nome de lo Studio de le Arti padovano ne la creatione del Serenissimo Principe di Vinetia M. Marcantonio Trivisano, Venezia,Clonicus, sive de Reginaldi Poli laudibus, Venezia Consiglio sopra la peste di Vinetia. Al Magnifico M. Francesco Longo del Clarissimo M. Antonio” (Padova); Corydon, sive de Venetorum laudibus, et Carmen ad Laurentium Priolum Venetorum Principem” (Venezia, Breznicio); “Animadversiones aliquot in primum librum Posteriorum Resolutoriorum. Contradictionum solutiones in Aristotelis et Averrois dicta, in primum librum Posteriorum Resolutoriorum. In novero Averrois Quaesita demonstrativa Argumenta, Venezia,Consiglio de l'eccell. m. Bernardino Tomitano sopra la peste di Vinetia, Padova, appresso Gratioso Perchacino, De morbo gallico, inVenezia, Vita e fatti di Astorre Baglioni; “Quattro libri della lingua thoscana, ove si prova la philosophia esser necessaria al perfetto oratore et poeta con due libri nuovamenti aggionti dei precetti richiesti a lo scrivere et parlar con eloquenza” (Padova); “Thetis”; “In adventu Regis Henrici III Galliae Christianissimi et IV Poloniae Serenissimi ad felicissimam Venetiarum urbem, Venezia, Ziletti). Aristotelis opera omnia cum commentariis Averrois. Animadversiones et solutiones Et alia plura” (Venezia, Iuntas). I primi due libri sono tesi a dimostrare che la filosofia è necessaria all'oratore e al poeta. Il terzo libro ha per argomento i precetti della retorica necessari alla scrittura e all'oratoria. L'ultimo libro è dedicato alla prosa d'arte ("locutione oratoria, et de' suoi ornamenti, con la ragion de i motti, facetie et apologi").  A. Poppi. Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana” (Soveria Mannelli, Rubbettino); “Ricerche sulla teologia e la scienza nella Scuola padovana”A. Poppi; “Oratione prima alli Signori de la S. Inquisitione di Venetia” (Padova); e Oratione seconda alli Signori medesimi, Venezia). Quest'opera è nominata solo da Doni nella sua Prima Libraria, un repertorio dei libri italiani stampat..L'opera del Tomitano, pertanto, deve essere stata scritta. È una biografia in otto libri su Astorre Baglioni, il capitano ucciso con Marcantonio Bragadin a Famagosta. La filosofia rimase ignota ai contemporanei del Tomitano ed è in gran parte ancora adesso inedita. Ne sono stati stampati solo alcuni brani. Storia della letteratura italiana di Girolamo Tiraboschi, della Compagnia di Gesù, bibliotecario del serenissimo Duca di Modena, Firenze, Molini e Landi, Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, POMBA, su sapere, De Agostini. Opere Aulo Greco, Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Bernardino Tomitano. Tomitano. Keywords: i precetti della conversazione civile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tomitano” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733048755

 

Grice e Toritto – filosofia italiana (Napoli). Filosofo. Grice: “I like Caravita; Locke – England’s, and Oxford’s, greatest philosopher, had his sponsor, and so does Italy’s – not Bologna’s – Vico, and he was Caravita!”. Appartenente a una famiglia nobile resa illustre in passato da insigni giureconsulti. Fiscale consigliere della reale Giurisdizione. Insegna a Napoli. Compone il saggio: “Nullum ius romani pontificis in Regnum neapolitanum” contro le pretese feudali della Santa Sede sul regno di Napoli – “Niun diritto compete al sommo pontefice sul regno di Napoli: dissertazione istorico-legale illustrate con varie note” (Aletopoli, Napoli), messa all'Indice. Ha inoltre l'incarico di raccogliere tutte le leggi del Regno in un Codice Filippino; il Codice Filippino, e tuttavia rimasto incompiuto per l'occupazione austriaca di Napoli. In filosofia e seguace dell'anti-aristotelismo di Capua. La sua abitazione divenne il centro della diffusione della filosofia di Cartesio a Napoli. Titolo di merito di Caravita, come peraltro del figlio Domenico, è l'essere stato amico e protettore di Vico, a favore del quale si adopera per fargli ottenere la cattedra di retorica e perché e accolto nell'Accademia Palatina.  Altri saggi: “Ragioni a pro della fedelissima città e Regno di Napoli contr'al procedimento straordinario nelle cause del Sant'Officio, divisate in tre capi. Nel I si ragiona del grave pregiudicio della real giuridizione, Nel II si tratta dell'ordinaria maniera di giudicio, che tener si dee nel regno, e nel III si dimostra il pregiudicio, che fa alla real giuridizione, ed al regno un editto in cui si stabilisce il tribunal della 'nquisizione. Napoli. Dizionario biografico degli italiani. Ma l’ anti-marinismo ebbe anche, secondo la moda del tempo, il suo salotto nel palazzo Toritto nel quartiere dei Vergini. Quivi, più che nell’Accademia.. Armellini, Mariano. Bibliotheca Benedictino[-]Casinensis.... Stefano...raccolti da don Nicolò Caravita. Napoli, Roselli, ed.

 

 

Caravita was an Arcadian. Tiberius by Filippo Anastasio, Caligula, and Claudius by Paolo Doria. The second volume continues the biographical model with twenty-six essays dedicated to individual emperors. Nicolò Caravita. Niccola Caravita Nicola Caravita. Nicola Caravita dei duchi di Toritto. Caravita-Toritto. Toritto. Keywords. impiegatura da salotto, diritto, anti-popism – il laico --, anti-aristotele, contro Aristotele, concetto assolutista di sovereignty contro Aquino, quartiere dei Vergini – Capua.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caravita” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51733042450/in/datetaken/

 

Grice e Torlonia –filosofia italiana (Roma), filosofo. Figlio del duca Marino e di Anna Sforza Cesarini, figlia del VI principe di Genzano Francesco. Appartene a una delle più facoltose famiglie nobiliari romane. Il padre, duca di Poli e di Guadagnolo, e titolare del feudo di Bracciano e vive a Roma nel palazzo Torlonia in via Bocca di Leone. La madre porta in dote la villa Ludovisi a Frascati. Sposa Francesca Ruspoli, figlia di Bartolomeo e nipote del III principe di Cerveteri Francesco. Dal loro matrimonio nacque Clemente. Nannarelli, amico intimo e su biografo così lo descrive. I capelli castani, abbondanti e finissimi, il pallore e la gracilità del volto. Ma se la fronte e di filosofo, l'occhio e d'artista, o meglio, di contemplatore. Svelto nella persona, di eccellente statura, incede frettoloso a testa alta e pensierosa. Si esprime con eleganza in francese, inglese e tedesco e studia diligentemente il greco e il latino. Spirito avido di conoscenze, e attratto dalla chimica e dalla botanica. Nelle sue passeggiate nella campagna romana raccoglie e cataloga piante e fiori. Appassionato di archeologia, colleziona monete di epoca romana e trascrive antiche iscrizioni. Scio della Pontificia Accademia di Archeologia. Pronuncia un discorso in occasione del natale di Roma. Religioso fervente, è introdotto da Passaglia allo studio della patrologia e delle sacre scritture. La famiglia lo tollera, ma lo considera visionario e innovatore pericoloso. Da Platone e da Plotino, approde a Kant e Fichte. Gli torna in contemplazione entusiastica, gli si face poesia. E in contatto con un gruppo di filosofi, suoi coetanei, oggi identificati come i filosofi della Scuola romana che di sera si ritrovavno al caffè Nuovo, a piazza San Lorenzo in Lucina (Palazzo Ruspoli). Novello mecenate, ha raccolto intorno a sé questo gruppo di giovani spinti dal comune ideale di ricondurre la filosofia agli antichi splendori di Roma. Tra questi, ci sono Gnoli, Ciampi, Maccari, e Nannarelli. Vuole riuniti idealisti e classicisti, nella fiducia che, temperata la nebulosità metafisica degli uni e la gretta sensibilità degli altri, e prendendo il meglio d'ambedue le scuole, puo scaturire a grado a grado una filosofia italiana, profonda e intima d'idea e di sentimento, nitida, elegante di forma. Scrisse sulla filosofia dell’amore platonico, sui fiori, sulla contemplazione del divino. Ama Schiller, Goethe, Lenau, e Leopardi. Declama Aligheri e Tasso. Il suo saggio meritata le lodi di Gregorovius. Suoi saggi apparvero nella raccolta “I fiori della campagna romana, stampata a Firenze e nella “Strenna romana. Giovanni Costa, Trebbiatura nella campagna Romana, A Monte Mario, nei casali Mellini, sotto l'Osservatorio Astronomico, apre a sue spese una scuola rurale elementare. Straordinario precursore della alfabetizzazione delle classi povere, cre una Associazione promotrice delle scuole di campagna. A questa scuola rurale dedica un elogio in latino. Nannarelli accorse al suo capezzale. Lo ude recitare il Salmo 41 e versi di Lenau; e Platone, e Fichte. Raccomanda alla moglie di mandare il figlio Clemente al collegio di marina di Genova. Nannarelli tenta di raccogliere intorno a sé i Poeti della Scuola romana che furono decimati nel numero, per le morti precocima si trasferì a Milano. Secondo le ferree disposizioni ricevute da Torlonia, il suo cameriere distrusse tutte le carte dell'archivio personale. Gnoli conserva i manoscritti di tre saggi di Torlonia, inedite. S. Negro, Seconda Roma, Vicenza, Neri Pozza, Domenico Gnoli, op. citata in.  Ferdinand Gregorovius, Passeggiate per l’Italia. Domenico Gnoli, I Poeti della Scuola romana” (Bari, Laterza); Fabio Nannarelli, Giovanni Torlonia” (Firenze, Le Monnier); Giuseppe Cugnoni, Vita di D. Giovanni Torlonia”  (Velletri, Cella); F. Ulivi, “I poeti della Scuola Romana” (Bologna, Cappelli). Torlonia. Keywords: la filosofia dell’amore di Platone in Fichte e Leopardi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Torlonia” – The Swimming-Pool Library.

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Torre (Forli). Grice: “I like Torre; his epitaph reads, ‘nuovo Aristotele,’ which is what it was! There is a nice ‘via’ in Forli after him that leads to the varsity! He was a Galen, and philosophised on both the soul and the body!” – Filosofo. La sua fama se deve al commentario alla Ars parva di Galeno -- è noto, in particolare, per i suoi studi di embriologia. Infatti, dopo il recupero di Aristotele, le cui opere avevano spinto verso un rinnovato interesse per l'osservazione diretta, si e avviato un dibattito tra i sostenitori dell'autorevolezza degli studi antichi e i fautori dell'empiria. Questo processo si conclude proprio con Torre, che cerca di conciliare l'embriologia aristotelica con la fisiologia galenica. Mostra che le differenze esistenti sono di scarsa rilevanza nei confronti della medicina pratica. Insegna a Padova. Explicit questio de intensione et remissione formarum secundum famosissimum artium et medicine doctorem magistrum Jacobum de Forlivio qui 1414 pridie ydus februarii ab hac vita ad superiora migravit. Scripta vero per me fratrem Bellinum de Padua. Si tratta della conclusione del celebre “De intensione et remissione formarum”. Saggi: “De intensione et remissione formarum”; “Expositio in Avicennae aureum capitulum de generatione embryi ac de extensione graduum formatione foetus in utero in Aphorismos Hippocratis Expositio Physica I-IV; “Quaestiones extravagantes Super I, II, III Tegni Galeni. G. Vescovini, Medicina e filosofia a Padova, Arti e filosofia. Studi sulla tradizione aristotelica e i "moderni", Vallecchi, Firenze. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Super aphorismos Iacobi Foroliuiensis in Hippocratis Aphorismos et Galeni. Jacopo da Forlì. Giacomo da Forli. Iacobus Foroliviensis. Jacopo della Torre. Giacomo della Torre. Torre. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Torre” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732133946/in/datetaken/

 

Grice e Trabucco – filosofia italiana (Caltagirone). Filosofo. Non abbiamo grandi notizie della sua vita, della quale sappiamo solo che esercitò con successo la medicina a Caltagirone, soprattutto durante l'epidemia. Per il suo contributo fu creato nobile da Fernando d'Aragona. Alcune sue opere sono conservate nella Biblioteca Comunale di Caltagirone, città che gli ha anche dedicato una strada.  Opere "De Morbis puerorum et mulierum"  Chaudon, L. M., Dictionnaire universel, historique, critique, et bibliographique, v. Amico e Statella, V. M., Dizionario topografico della Sicilia, Palermo. Libro d'oro della nobilità dell'imperial casa amoriense, Roma,  s.v. Amati, A., Dizionario corografico dell'Italia. Trabucco. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trabucco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732778369/in/dateposted-public/

 

Grice e Tragella (Trezzano sul Naviglio). Filosofo. Figlio di Giovanni, medico chirurgo, e d’Amalia Santagostino. Studia a Gorla Minore, Milano, e Torino. Si occupa di serbare la memoria sdella battaglia di Magenta con la costruzione di una cappella espiatoria all'interno della chiesa per accogliere le spoglie dei caduti. Ricovero vecchi poveri Sito Lombardia Beni Culturali.  Viviani, cfr. Tunesi, Morani Le stagioni, op. cit..  Cesare Tragella, Lettera a Romolo Murri in: R. Murri, L. Bedeschi, Carteggio. II. Lettere a Murri. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, Le stagioni di un prete, Le stagioni di un prete, «Rivista di Storia e Letteratura Religiosa», A. Viviani, Dalle ricerche la prima storia vera, Magenta, Zeisciu. Cesare Tragella. Tragella. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tragella” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732115761

 

Trapaninapola (Roma). Filosofo italiano. Trapaninapola. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trapaninapola” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732111711/in/datetaken/

 

Grice e Trapè – filosofia italiana  (Montegiorgio). Flosofo. Uno dei massimi studiosi della filosofia semiotica d’Agostino. Si laurea a Roma con una “Il concorso divino in Colonna” (Tolentino). Insegna a Roma. Promosse la fondazione dell'Istituto Patristico Augustinianum.  Fondato la "Biblioteca Agostiniana" che si occupa della volgarizzazione di  S. Agostino (Città Nuova) e il "Corpus Scriptorum Augustianorum", che pubblica le opere dei filosofi scolastici agostiniani.  Altri saggi: “Il concorso divino in Colonna” (Tolentino); “Introduzione a S. Agostino e le grandi correnti della filosofia contemporanea. Atti del congresso Italiano di filosofia Agostiniana, Roma, Tolentino; Varro et Augustinus praecipui humanitatis cultores, Latinitas Augustinus et Varro, Atti del Congresso di studi varroniani, Rieti); “Escatologia e anti-platonismo” Augustinianum, “Agostino filosofo e teologo dell'uomo”; Bollettino dell’Istituto di filosofia (Macerata); Agostino: L'ineffabilità di Dio, in  «La ricerca di Dio nelle religioni (EMI, Bologna); “La Aeterni Patris e la filosofia” (Atti del Congresso Tomistico, Roma); Agostino, l'uomo, il pastore, il mistico” (Roma, Città Nuova); Patrologia III, Casale Monferrato, Dizionario patristico e di antichità cristiana, Casale Monferrato, Introduzione e commento alla Lettera apostolica «Hipponensem episcopum», Roma, Introduzione ad Agostino, Roma,  L'amico, il maestro, il pioniere, Carlo Cremona, apostolo della cultura.Agostino Trape. Trapè. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trapè” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732098051/in/dateposted-public/

 

Grice e Trasci – colloquio con me stesso -- filosofia italoalbanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bisignano). Filosofo.  “Spera in Deo” Baffa Trasci nacque in una famiglia di origine arbëreshë a Bisignano, figlio di Pietro Antonio ed Elisabetta Anna Trentacapilli, donna pia e molto religiosa, erede di una famiglia da più secoli ascritta al patriziato locale. Pur essendo il primogenito della famiglia e, dunque, contravvenendo alle regole del maggiorascato, a causa della salute cagionevole venne avviato alla carriera ecclesiastica nel locale Seminario, proseguendo gli studi a Roma e Napoli. Fu nella città partenopea che si lega particolarmente alla Compagnia di Gesù divenendo in breve tempo uno dei confessori più vicini a Isabella della Rovere, principessa di Bisignano. Per non essere distolto dai propri studi filosofici si ritira volontariamente a vita privata, dapprima nella Tuscia e poi ospite nel Castello di Proceno, presso Viterbo di proprietà della nobile famiglia Sforza. Ancora nei primi Professore una lapide marmore posta nella rocca ne ricordava la sua permanenza. Da tale esilio usce in pochissime occasioni, assistito dal nipote Stanislao Baffa Trasci. Fu durante la reclusione nella Rocca di Proceno che ha modo di conoscere Galilei ospite nel palazzo durante un suo viaggio verso Roma. Dopo esser stato vescovo di Umbriatico,venne creato Vescovo di Massimianopoli in partibus infidelium da Alessandro VII. Saggi: “Colloquio con me stesso”, di Ottaviano. Universam Aristotelis philosophiam; Summa Aristotelicha; Summa Theologica Dogmatica Tomassetti, Cenno storico sulla vita di S.E. Ferrante Baffa Trasci Illustrissimo Vescovo di Massimianopoli  Roma); C. Nutarelli, Proceno-Memorie storiche, Acquapendente, D. Baffa Trasci Amalfitani di Crucoli, erudito italoalbanese Professore or mai dimenticato,  MIT Cosenza. Ferrante Marco Antonio Baffa Trasci. Ferruccio Baffa-Trasci. Trasci. Keywords: “conversazione con me stesso”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trasci” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732954125/in/photostream/

 

Grice e Treves – giudici e giustizia nella filosofia italiana – ventennio fascista -- filosofia italiana (Torino). Filosofo. Compie gli studi al Liceo M. D'Azeglio e poi nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Torino, dove entra in contatto, fra gli altri, con Bobbio, Foa, Luzzati, Entrèves, e simpatizza con il gruppo di Giustizia e Libertà abbracciando i principi del socialismo liberale. Laureatosi sotto la guida di G. Solari con una tesi su Henri de Saint-Simon e conseguita la libera docenza, insegna dapprima a Messina, dove viene arrestato per sospetta attività antifascista. Trasferito a Urbino viene escluso dal concorso bandito sulla sua cattedra.  Insegna a Parma, si trasferisce a Milano. Protagonista della rinascita post-bellica della sociologia in Italia, coopera attivamente col Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale e col suo segretario generale Adolfo Beria di Argentine, coordinando fra l'altro una vasta ricerca su “L'amministrazione della giustizia e la società italiana in trasformazione” da cui escono dodici volumi di vari autori. Presiede questo Comitato facendosi attivo promotore della sociologia del diritto. Fonda  la rivista italiana della disciplina, di cui ottiene il riconoscimento accademico e che insegna a Milano. Difende una posizione filosofica relativista e prospettivista, influenzata da Mannheim, Mills e Kelsen, del quale ultimo introduce in Italia la Dottrina pura del diritto. Alieno dal dogmatismo e paladino di una concezione critica della scienza, rifiuta ogni visione metafisica del diritto in favore di una visione metodologica che sfocia nella sociologia del diritto intesa come scienza prevalentemente empirica, non avalutativa, ma ispirata a valori, nel suo caso quelli di libertà e giustizia sociale -- è considerato insigne maestro per un'intera generazione di filosofi e sociologi del diritto. Due sono i problemi che la sociologia del diritto deve affrontare: da un lato la posizione, la funzione e il fine del diritto nella società vista nel suo insieme; dall'altro la società nel diritto, cioè quei comportamenti effettivi che possono essere conformi e difformi rispetto alle norme, ma comunque forniscono informazioni su come una società vive le regole che si è data. Del primo problema si sono occupate soprattutto le dottrine sociologiche e politologiche, mentre sul secondo si sono soffermate le dottrine giuridiche anti-formalistiche. Saggi: “Il diritto come relazione” (Torino); “Diritto e cultura” (Torino); “Spirito critico e spirito dogmatico” (Milano); “Libertà politica e verità” (Milano); “Giustizia e giudici nella società italiana” (Bari); “Introduzione alla sociologia del diritto” (Torino); “Sociologia del diritto -- Origini, ricerche, problem” (Torino); “Sociologia e socialism - ricordi e incontri” (Milano); “Dizionario biografico dei giursti italiani” (Bologna, Il Mulino); Il magistero; in La Nuova Antologia, A.Colombo, La lezione in La Nuova Antoogia, V. Ferrari, Sociologo del diritto, in Rivista internazionale di filosofia del diritto, in Ratio Juris,  ss. V. Ferrari, Morris L. Ghezzi Morris L. Ghezzi, La scienza del dubbio. Volti e temi di sociologia del diritto (Mimesis, Milano-Udine), M. Losano, Sociologo tra il vecchio e il nuovo mondo, Unicopli, Milano); P. Marconi, Il legato culturale, in Sociologia del diritto, A. Tanzi, dalla filosofia alla sociologia del diritto, ESI, Napoli, C. Nitsch, Renato Treves esule in Argentina. Sociologia, filosofia sociale, storia. Con documenti inediti e la traduzione di due scritti di Treves, Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, Sociologia del diritto, Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Samuele Renato Treves. Renato Treves. Treves. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Treves” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732056751/in/dateposted-public/

 

Grice e Tria – filosofia italiana (Laterza). Filosofo. Figlio di Francesco e Margherita Geminale, completa i suoi studi di filosofia, teologia e ambe leggi a Napoli e Roma. Uditore di diritto canonico presso il monastero benedettino di Cava de' Tirreni rimase al servizio di questa abbazia anche quando fu trasferito a Roma, fu nominato vicario generale di monsignor L. Gherardi, vescovo di Loreto e Recanati, e tale rimase. Più tardi, con monsignor Giuseppe Firrao, ebbe l'incarico di "nunzio straordinario" alla Corte del Portogallo.  Quando monsignor Firrao, per questione di salute, fu trasferito in Svizzera, Tria andò con lui a Lucerna. Durante la sua permanenza in Svizzera intraprese un'importante missione in Svezia e Germania.  Fu eletto vescovo di Cariati e Cerenzia ed entra in carica presiedendo il sinodo).  Fu trasferito poi a Larino. Partecipa al concilio di Benevento. Nominato «consulente del Sacro Offizio» e nel dicembre dello stesso anno fu nominato arcivescovo di Tiro.  Divenne «esaminatore di Vescovi» e fu insignito del titolo di cavaliere dell'Ordine di San Giacomo per i suoi meritori servigi resi alla Corte di Lisbona. Il suo erudito lavoro include:  “Memorie storiche civili di Larino (Roma); “Accommodamento tra il Papato e la Corte Reale di Napoli” (Roma), “Benedetto XIII”. Memorie storiche degli scrittori  regno di Napoli, Napoli, Tipografia dell'Aquila di V. Puzziello, Diocesi di Larino Pietro Pollidori Giovan Battista Pollidori. Giovanni Andrea Tria. Tria. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tria” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691157511/in/photolist-jkEKUz-jkGK9m-js45BA-2mKLGeD-Eoj4SX-CntuMM-B81GRb-nYmKDe-o12Njk-nFRxoj-nHwvZT-jkJZJm-jkK47d-jfURKx-jhV5Hs-i6ET1i-i5G95S

 

Grice e Trincheri – filosofia italiana (Pieve di Teco). Filosofo. Nacque da una famiglia benestante che aveva in possesso alcuni ettari di terreno.  Appassionato alli romantici, e riconosciuto e si afferma all'interno della cerchia dei letterati del suo tempo grazie alla brillante difesa in favore di Manzoni, quando quest'ultimo pubblica  la sua prima tragedia, Il Conte di Carmagnola. E con il sostegno del suo maestro e amico Goethe, famoso filosofo e scrittore romantico, che riusce a far valere la proprio opinione positiva nei confronti dell'autore dei Promessi sposi. Poche altre notizie biografiche si conoscono a proposito della sua vita che, a causa di un incidente in cui fere a morte il suo amico, Andrea Speranza, crolle in una situazione estremamente travagliata.  Trincheri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Trincheri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731216227/in/photolist-2mPj1ia

 

Grice e Troilo – la conflagrazione – filosofia italiana (Perano). Filosofo. Insegna a Palermo e Padova. Lincei. Partito dal positivismo del suo tutore Ardigò, pervenne a una sorta di metafisica, da lui chiamata realismo assoluto, che richiama il panteismo di Bruno e di Spinoza. L'essere eterno infinito, tutt'uno con lo spirito assoluto, è il presupposto e il principio unificatore degli esseri relativi. Trascendente e indeterminato, l'essere si immanentizza e si determina nella realtà e negli individui, oggettivandosi di fronte ai soggetti come assolutamente altro da questi.  Opere: “Il misticismo”; Idee e ideali del positivism, La filosofia di G. Bruno”; “Il positivismo e i diritti dello spirito”; “Figure e studi di storia della filosofia”; “Lo spirito della filosofia”; “Le ragioni della trascendenza o del realismo assoluto”. Società Filosofica Italiana Sezione di Sulmona, riferimenti in Garin, Cronache di filosofia italiana, Laterza, Roma-BariPra F. Minazzi, Ragione e storia nella filosofia italiana (Rusconi, Milano); Cappelli, L'orizzonte filosofico: Idealismo e Positivismo nella prima metà Professore Pra. Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Erminio Troilo, biografia e  nel sito della Società Filosofica ItalianaSezione di Sulmona "Giuseppe Capograssi". Erminio Troilo. Troilo. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Troilo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732888265/in/datetaken/

 

Grice e Tronti – dello spirito libero – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Considerato uno dei principali fondatori ed esponenti del marxismo operaista teorico. Insegna a Siena, vive a Roma.  Fonda “Quaderni Rossi” e “Classe operaia”. Anima l'esperienza radicale dell'operaismo. Tale esperienza, che va considerata per molti versi la matrice della sinistra si caratterizza per il fatto di mettere in discussione le organizzazioni del movimento operaio (partito e sindacato) e di collegarsi direttamente, senza intermediazioni, alla classe in sé e alle lotte di fabbrica. Influenzato da Volpe, s’allontana di Gramsci, o almeno dalla sua versione ufficiale promossa dal PCI togliattiano. Ri-apre la strada rivoluzionaria. Di fronte all'irruzione dell'operaio-massa sulla scena delle società, il suo operaismo propone un'analisi delle relazioni di classe. Mette l'accento sul fattore inter-soggettivo. La sua filosofia, debitrice anche all’’Operaio” di Jünger, trova una sistemazione con la pubblicazione di “Operai e capitale” (Einaudi, Torino), un saggio di forte impatto letterario che esercita un'influenza notevole sulla contestazione e più in generale sull'ondata di mobilitazione. Fu proprio la sconfitta della spontaneità operaia e dell'ondata di mobilitazione, colta anticipatamente da lui e non invece da altri operaisti come Negri (di qui la rottura tra loro) a indurlo a spostare la sua riflessione sul problema del politico, ovvero della direzione e della mediazione politica. Pubblica “L’autonomia del politico” (Feltrinelli, Milano),  una teoria politica realista che, in un'originale commistione di Marx e Schmitt, e capace di colmare i limiti della inter-soggettività sociale. Si tratta di una fase più intellettuale che politica. Fonda l'influente rivista Laboratorio politico. Riavvicinatosi al PCI di Berlinguer, e finalmente riabilitato dal gruppo dirigente del partito, entrando a far parte più volte del Comitato centrale. Eletto al Senato della Repubblica nelle liste del Partito Democratico della Sinistra, membro della Commissione parlamentare per le riforme istituzionali.  Non avendo condiviso le trasformazioni post-comuniste del partito, la sua filosofia assume toni pessimistici, concentrandosi sulla fine della politica moderna e sulla critica della democrazia. Presidente del Centro per la Riforma dello Stato. Eletto al Senato nelle liste del Partito Democratico per la Lombardia.  è tra i parlamentari a firmare un emendamento contro l'articolo 5 del disegno di legge Cirinnà riguardante l'adozione del configlio. Altri saggi: “Hegel politico” (Istituto dell'Enciclopedia italiana, Roma); ““Soggetti, crisi, potere” (Cappelli, Bologna); “Il tempo della politica” (Editori Riuniti, Roma); “Con le spalle al futuro: per un altro dizionario politico” (Editori Riuniti, Roma); “Berlinguer: il principe disarmato” (Sisifo, Roma); “La politica al tramonto” (Einaudi, Torino); “Cenni di Castella” (Cadmo, Fiesole); “Teologia e politica al crocevia della storia” (AlboVersorio, Milano); Passaggio Obama. L'America, l'Europa, la Sinistra, Ediesse); “La democrazia dei cittadini. Dai cittadini per l'Ulivo al Partito Democratico” (Ediesse); “Non si può accettare” (Ediesse); “Noi operaisti, Derive Approdi); “Dall'estremo possible” (Ediesse); “Per la critica del presente” (Ediesse); “Dello spirito libero. Frammenti di vita e di pensiero, Il Saggiatore); “Il nano e il manichino. La teologia come lingua della politica” (Castelvecchi); “Il demone della politica” (Il Mulino); “Tra materialismo dialettico e filosofia della prassi”; “La città futura” (Feltrinelli, Milano); ““Cromwell” (Il Saggiatore, Milano); “Operaismo e centralità operaia” (Editori Riuniti, Roma); “Il politico. Da Machiavelli a Cromwell; da Hobbes a Smith” (Feltrinelli, Milano); “Il destino dei partiti, Ediesse); “Rileggendo "La libertà comunista", “Un altro marxismo” (Fahrenheit 451, Roma); “Classe operaia. Le identità: storia e prospettiva” (Angeli, Milano); Per la critica della democrazia politica” “Guerra e democrazia, Manifesti, Roma; Politica e destino, Sossella, Roma);  Finis Europae. Una catastrofe teologico-politica, Bibliopolis, Napoli). Ne La politica al tramonto, un capitolo porta il titolo «Karl und Carl», per sottolineare, anche qui allusivamente, la necessità di completare Marx con Schmitt", Autobiografia filosofica, in Storia della filosofia, Filosofi italiani contemporanei, Le Grandi Opere del Corriere della Sera, Bompiani, Milano. Unioni civili: i numeri che mettono a rischio le adozioni gay, su Termometro Politico, plus.google.com/+ termometro politico/. Unioni civili, 30 senatori Pd contro le adozioni. E Gay pubblica la lista: "Scrivi al malpancista". Loro: "Squadristi", su Il Fatto Quotidiano. Le piume, le fidanzate, lo zio comunista. I 60 anni di R. Zero, Altri Mondi  Mario Alcaro, Dellavolpismo e nuova sinistra, Dedalo, Bari, C. Preve, La teoria in pezzi. La dissoluzione del paradigma teorico operaista in Italia (Dedalo); R. Gobbi, Com'eri bella, classe operaia. Storia fatti e misfatti dell'operaismo italiano, Longanesi, Milano, Rita di Leo, Per una storia di Classe Operaia, in «Bailamme», S. Mezzadra, Operaismo, in R. Esposito e C. Galli, Enciclopedia del pensiero politico. Autori, concetti, dottrine, Laterza, Roma-Bari; Basso C., Gozzini C. e Sguazzino D.,  delle opere e degli scritti. Dipartimento di Filosofia-Università degli Studi di Siena, Siena; Alfonso Berardinelli, Stili dell'estremismo. Critica del pensiero essenziale, Editori Riuniti, Roma) F. Pozzi, G. Roggero, G. Borio, “Futuro anteriore: dai Quaderni rossi ai movimenti globali. Ricchezze e limiti dell'operaismo italiano, DeriveApprodi, Roma, Steve Wright, L’assalto al cielo. Per una storia dell’operaismo,  Edizioni Alegre, Roma); Cristina Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma, F. Pozzi, G.Roggero, Guido Borio, Gli operaisti, Derive Approdi, Roma, A. Peduzzi, Lo spirito della politica e il suo destino. L'autonomia del politico, il suo tempo, Ediesse-Crs, Roma, Giuseppe Trotta e Fabio Milana, L'operaismo degli anni Sessanta. Da «Quaderni rossi» a «classe operaia», cd con la raccolta completa della rivista «classe operaia»  DeriveApprodi, Roma); Peduzzi, A Cartagine poscia io venniincubi sulla teoria marxista, Arduino Sacco editore, Roma,; M. Filippini, Mario Tronti e l'operaismo politico degli anni Sessanta, EuroPhilosophie,. F. Milanesi, Nel Novecento, Storia, teoria, politica nel pensiero (Mimesis, Milano); Abecedario (Carlo Formenti), Derive Approdi, Operaismo Quaderni Rossi Classe operaia (rivista) Raniero Panzieri Toni Negri Massimo Cacciari Pietro Ingrao Centro per la Riforma dello Stato. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere su senato, Senato della Repubblica.  Mario Tronti, su Openpolis, Associazione Openpolis.  Registrazioni di Mario Tronti, su RadioRadicale, Radio Radicale..  Centro per la Riforma dello Stato,  "Storia e critica del concetto di democrazia" (intervento di Tronti,disponibile anche in file audio, su globalproject Sito web italiano per la filosofia:  su lgxserver.uniba. Conricerca-Futuro Anteriore, su alpcub.com."Lotta contro gli idoli" (intervento di Tronti per Rai Educational, su emsf.rai. Intervista "La lotta di classe c'è ancora", La Repubblica,  "Sono uno sconfitto, non un vinto. Abbiamo perso la guerra del '900", La Repubblica. Mario Tronti. Tronti. Keywords: L’implicatura di Hobbes --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tronti” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51714471172/in/photolist-2mMQbzj

 

Grice e Tulelli – l’equilibrio: per una metafisica dell’etica -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Zagarise). Filosofo. Al Tulelli sono ad oggi intitolate una via nel Comune di Zagarise e una nel Comune di Catanzaro nel quartiere Sant'Elia, una sala della Biblioteca di Catanzaro. Targa commemorativa in suo onore, inoltre, posto davanti alla casa comunale di Zagarise un busto che lo raffigura realizzato da Calveri. Zagarise Busto creato dallo scultore Mario Calveri, installato davanti al Comune di Zagarise. Figlio dal marchese Gaetano e Anna Gallelli, studia presso il Convento del Ritiro dei Filippini a Zagarise e poi frequenta a Catanzaro il Real Liceo-Ginnasio e il Corso Teologico presso il Pontificio Seminario Teologico Regionale San Pio X. Visse a Napoli dove compì studi filosofici e apre una scuola dove insegna filosofia morale ed estetica. La richiesta di poter istituire una scuola fu inviata alle autorità competenti, le quali, prima di concedere le relative autorizzazioni, chiesero al vescovo di Catanzaro dettagliate notizie in merito alla condotta religiosa, morale e politica del richiedente, la risposta inviata loro fu. Elemento di condotta soda, casta e onesta. Tra gli allievi della sua scuola molti furono appartenenti a famiglie di alto rango sociale e tra questi è possibile annoverare i figli del re Borbone che, in segno di stima, gli fecero dono di un orologio da camera di manifattura francese opera dei fratelli Japis. Fu molto amico di L. Settembrini, il quale lo cita nelle sue "Lezioni di letteratura italiana", gli trasmitte l’amore per la filosofia e gl’ideali patriottici. Allievo di Puoti e di Galluppi del quale studia e diffuse il pensiero, evidenziando il parallelismo con Kant, così come divulgò quello di altri filosofi, tra cui Capasso, Rossi e Masci. Insegna filosofia morale a Napoli Federico II dietro l’impulso di  Sanctis, iniziando un periodo di vero splendore per l’ateneo napoletano. Cadde il Regno delle Due Sicilie e, favorevole alla formazione di uno stato unitario, porta avanti una battaglia a livello morale e giuridico per l’abolizione della pena di morte che fino ad allora era in vigore in tutti gli Stati d’Europa tranne il Granducato di Toscana. La stessa a abolita con l'adozione del codice penale del Regno d'Italia -- il cosiddetto Codice Zanardelli. La fine della dominazione borbonica fu colta come un’occasione di rinnovamento sociale e morale ed egli instillò nei suoi insegnamenti la consapevolezza che il rinnovamento politico dovesse essere accompagnato a quello morale, egli riscontra nella popolazione un’evidente scarsità intellettuale e un sentimento religioso che si manifestava mediante pratiche di culto sempre più lontane dall’essere ricche di valori spirituali e una società sempre più formalista, cerca di contrastare questa tendenza in affinità a Gioberti.  E un patriota e un liberale. La sua attività di filosofo fa si che la sua notorietà e la sua reputazione crescessero, e inoltre un oppositore degli hegeliani napoletani, e a capo degli oppositori degli Spaventiani e rappresentante del movimento filosofico del quale nella prima metà dell'ottocento fanno parte Galluppi, Colecchi, Cusani e Grazia. Sul suo valore si sono pronunciati, fra gli altri, anche il Croce ed il Russo. Socio Ordinario dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli a l’Accademia Reale Pontaniana/ In relazione all'Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, Tulelli e il senatore E. Pessina, in qualità di soci dell'accademia, di collocare nell'atrio dell'Università degli Studi di Napoli un busto in marmo raffigurante Galluppi, realizzato da B. Calì e inauguratp con una cerimonia a cui presero parte il rettore Paolo Emilio Imbriani, dei rappresentanti e diversi studenti. Della stessa accademia oltre ad esserne socio ne fu anche tesoriere come si evince dalla Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n cui è contenuta la ri-elezione per quell'anno alla suddetta carica (omissis) S.M., sulla proposta del Ministro della Pubblica Istruzione, ha, con RR. decreti fatte le nomine e disposizioni seguenti: (omissis) Tulelli Paolo Emilio, socio della Società Reale di Napoli, approvata la sua rielezione a tesoriere dell'Accademia di scienze morali e politiche della predetta Società; (omissis). Socio Corrispondente dell’Accademia Cosentina Accademia di scienze, lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici. Visse a Napoli. Nelle sue ultime volontà traspare chiaramente un radicato e forte legame con la sua terra di origine, infatti i primi due punti del suo testamento furono: volendo lasciare una prima testimonianza di affetto a Catanzaro, col fine di promuovere e favorire nel mio nativo comune di Zagarise l’educazione morale e l’istruzione letteraria e scientifica. Dispose inoltre che fosse destinata una somma in dote ad una ragazza indigente di Zagarise e che il resto del patrimonio del filosofo fosse suddiviso tra i suoi parenti.  Il documento, disponibile presso l’Archivio Notarile di Napoli, e depositato nel capoluogo campano presso lo studio del notaio M. Mazzitelli sito in via S. Giovanni numero 19.  Dondazione di libri alla città di Catanzaro al fine di fondare una biblioteca pubblica Paolo Emilio Tulelli volle donare a Catanzaro alcuni libri affinché potessero rappresentare una base di partenza per la costituzione di una biblioteca auspicando che il suo gesto potesse rappresentare un’esortazione a contribuire al suo ampliamento, una volta istituita, da parte di altri uomini generosi e amanti della cultura. Catanzaro accetta il legato che, in caso contrario, si sarebbe dovuto destinare ad ampliare il patrimonio della biblioteca del Real Liceo di Catanzaro o ad un erede del de cuius nel caso in cui il anche direttivo del liceo non avesse accettato la donazione. I libri furono trasferiti da Napoli a Catanzaro a spese del comune, così come indicato nelle ultime volontà del filosofo, e venne istituita la biblioteca comunale che venne denominata Biblioteca Municipale di Catanzaro "Onestà e lavoro", ma che oggi è conosciuta come Biblioteca comunale F. De Nobili. Volendo lasciare una prima testimonianza di affetto a Catanzaro ove ebbi i primi semi del mio sapere e le prime aspirazioni alla libertà della patria italiana, lego al comune i miei pochi libri col fine espresso ed incondizionato di formare il primo fondo ad una biblioteca pubblica da fondarsi in loco adatto a vantaggio della gioventù studiosa e dei cultori della letteratura e della scienza. Istituzione di una rendita per far studiare un giovane meritevole del comune di Zagarise Per quanto concerne il comune natio, nell’intenzione di promuovere l’educazione morale, l’istruzione letteraria e scientifica nello stesso, istituì una rendita annuale, denominata Monte o Istituto Tulelli per far si che dei giovani meritevoli del suddetto comune potessero studiare e conseguire la laurea. A perenne ricordo di ciò egli dispose nelle sue ultime volontà che fosse realizzata una breve iscrizione su una lastra di marmo e che la stessa fosse posta in un luogo pubblico del comune di Zagarise. Col fine di promuovere e favorire nel mio nativo comune di Zagarise l'educazione morale e l'istruzione letteraria e scientifica e così sospingere quei miei concittadini sulla via della civiltà, istituisco un Monte o Istituto per l'educazione ed istruzione dei giovinetti di detto Comune da elevarsi dal Real Governo in Ente Morale e giuridico con la dotazione di annue lire duemila di rendita al 5 per cento iscritto al gran libro dei Regno d'Italia. All'uopo destino due certificati di rendita a me intestati dell'annua rendita di L. millesettecento con la data di Firenzee l'altro dell'annua rendita di L. trecento della stessa data e sotto il N. 649. Sì fatta annua rendita sarà unicamente ed esclusivamente impiegata per l'educazione e istruzione nelle lettere e nella scienza di un giovinetto fatto volta per volta per modo che si dirà qui appresso nato a Zagarise da genitori ivi domiciliati almeno da dieci anni compiti, dell'età non minore di anni sette, che sappia almeno leggere e scrivere e mostri in generale attitudine e buona disposizione agli studi. Saggi: “I principi sostanziali ed informatori della scienza” (Napoli, Regia Università); “Dei sistemi morali e della loro possibile riduzione” (Napoli, Regia Università); “La moralità della scienza e della vita” (Napoli, Regia Università); “Elogio di V. Buonsanto” (Napoli, Fibreno); “Filadelfos di G. Gemelli: Accademia di scienze morali e politiche” (Napoli, Regia Università); “L’infallibilità della ragione umana considerata nella triplice sfera della scienza, politica, e della religione” (Napoli, Regia Università); “La morale indipendente” (Napoli, Regia Università); “L’educazione popolare in Italia” (Napoli, Vaglio); La filosofia morale (Napoli, Regia Università); “Metafisica dell’estetica” (Napoli, Regia Università); “Una formula metafisica” (Napoli,  Regia Università);  “Galluppi” (Napoli, Regia Università); “Papasso e Rossi” (Napoli, Cutaneo); “Libero Stato” (Napoli, Regia Università); “Estetica” (Napoli, Vaglio); “Capasso” (Napoli, Tramater); “La rosa di Gerico” (Napoli, Poligama); “Metafisica dell'etica” (Napoli, Regia Università); “Dei sistemi filosofici”; “L’equilibriio”; “La pena di morte” (Napoli, Regia Università); Baldacchini” (Regia Università, Napoli”, Elogio di Cilento. Sulla Bella di Camarda, poema di Cappelli (Napoli); “Armonia della libertà politica e della Scienza morale”; “ Preso da immenso desiderio e ardente”; “Padre, partisti, forse desolato”; “Aspirazione a Dio”. Il pensiero morale di Tulelli, C. Nardi. Società Napoletana di Storia Patria,  Lettere a Milli, F. Adamoli. Collana "Fondo Milli" il Poeta  Via a Zagarise  Via a Catanzaro. La famiglia dona a Zagarise un'opera raffigurante il filosofo. Discorso di Paolo Emilio Imbriani all'inaugurazione del busto di Galluppi posto nell'Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli  Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia, Zagarise e dintorni, F. Faragò.  Lira italiana. Cavaliere Paolo Emilio Tulelli. Paolo Emilio Tulelli. Tulelli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tulelli” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732624534

 

Grice e Turco – l’agnella, commedia nuova -- filosofia italiana (Asola). Flosofo. Nacque da una delle più antiche e nobili famiglie di Asola, allora fiorente cittadina della Repubblica di Venezia, dove ricoprì importanti cariche politiche in qualità di deputato, oratore e avvocato della Comunità.  La sua prima opera poetica, la Commedia Nova intitolata Agnella, venne rappresentata ad Asola durante i festeggiamenti per la visita dei duchi di Nemours e Beaulieu e altri illustri francesi al loro seguito. L'opera venne in pubblicata in seguito prima a Treviso, poi a Venezia. Contemporaneo ed amico di P. Manuzio che in una lettera encomia la sua Canzone in lode di Carlo V scritta in occasione della morte di quest'ultimo:  «Letta la vostra Canzone scritta in morte del Gran Carlo V, veramente Signor Carlo onorato, non troppo benigna stella, essendo voi dotato di si pellegrino ingegno e di tante altre lodevoli qualità, vi condanna a scrivere dove tra molte tenebre non può risplendere la vostra virtù, con la quale potevate illustrare voi stesso ed il secolo nostro eccitando in altri il desiderio di assomigliarvi: laddove hora, avendo voi il campo ristretto per esercitare le vostre più nobili parti, non veggo come possano apparire effetti degni di voi ed alla vostra nobile industria corrispondenti»  Questa lettera fu in seguito stampata in Venezia da Lelio Gavardo che, sempre a Venezia, pubblicò una tragedia in versi, intitolata Calestri. Altre poesie furono stampate anche in Il Sepolcro de la illustre signora Beatrice di Dorimbergo (Brescia Fabbio, Ludovico ManginiStorie Asolane, Lettera di Paolo Manuzio a Carlo Turchi, Lett. Volg. Venezia. Carlo Turco. Turco. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Turco” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732619369/in/datetaken/

 

Grice e Turoldo – filosofia italiana (Coderno). Filosofo. Figura profetica, resistente sostenitore delle istanze di rinnovamento culturale, di ispirazione conciliare.itenuto da alcuni uno dei più rappresentativi esponenti di un cambiamento spirituale, il che gli ha valso il titolo di coscienza inquieta. Riceve con intensità le caratteristiche della semplice cultura umana del suo ambiente nativo e prevalentemente contadino. Colse e fece propria la dignità delle condizioni povere della sua terra, che costituirono una solida radice informante tutto lo sviluppo della sua sensibilità e della sua attività futura. Accolto tra i Servi di Maria nel convento di Santa Maria al Cengio a Isola Vicentina, sede triveneta della Casa di Formazione dell'Ordine Servita: dove trascorse l’anno di noviziato. Emise la professione religiosa; il 30 ottobre 1938 pronunciò i voti solenni a Vicenza. Incomincia gli studi filosofici a Venezia.  Nel santuario della Madonna di Monte Berico di Vicenza e ordinato presbitero da  Rodolfi, arcivescovo di Vicenza. Assegnato al convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso in Milano. Su invito di I. Schuster, arcivescovo della città, tenne la predicazione domenicale nel duomo milanese. Insieme con il suo confratello, compagno di studi durante tutto l’iter formativo nell’Ordine dei Servi e amico Camillo de Piaz, si iscrisse al corso a Milano e conseguì la laurea con una tesi dal titolo, “La fatica della ragione: Contributo per un'ontologia dell'uomo”, redatta sotto la guida di Bontadini. Sia Bontadini sia Carlo Bo gli offriranno il ruolo di Assistente universitario, a Milano, il secondo a Urbino. Durante l'occupazione nazista di Milano collabora attivamente con la resistenza creando e diffondendo dal suo convento il periodico clandestino l'Uomo. Il titolo testimonia la sua scelta dell'umano contro il dis-umano, perché la realizzazione della propria umanità: questo è il solo scopo della vita. La sua militanza dura tutta la vita, interpretando il comando evangelico essere nel mondo senza essere del mondo come un essere nel sistema senza essere del sistema. Rifiuta sempre di schierarsi con un partito.  Il suo impegno nel dialogo senza preconcetti e nel confronto di idee talvolta anche duro, si tradusse in particolare nel far nascere, insieme con Piaz, il centro culturale la Corsia dei Servi (il vecchio nome della strada che dal convento dei Servi conduceva al duomo). Uno dei principali sostenitori del progetto Nomadelfia, il villaggio nato per accogliere gli orfani di guerra con la fraternità come unica legge, fondato da Saltini nell'ex campo di concentramento di Fossoli presso Carpi, raccogliendo fondi presso la ricca borghesia milanese. Si rende noto al grande pubblico con due raccolte di liriche “Io non ho mani” (che gli valse il Premio letterario Saint Vincent) e “Gli occhi miei” lo vedranno, presentato nella collana mondadoriana Lo Specchio da Giuseppe Ungaretti.  A seguito di prese di posizione assunte da politici locali e da alcune autorità ecclesiastiche, deve lasciare Milano e soggiornare in conventi dei Servi dell’Austria e della iera. Venne dai superiori dell’Ordine assegnato al convento della Santissima Annunziata di Firenze, e qui incontrò personalità affini al suo modo di sentire, quali fra Giovanni Vannucci, padre Ernesto Balducci, il sindaco Giorgio La Pira, e molti altri che nell’ambiente fiorentino animano un tempo in cui si accendono speranze di rinnovamento a tutti i livelli. Ma anche da Firenze sarà costretto ad allontanarsi e trascorrerà un periodo di peregrinazioni all’estero.  Rientrato in Italia, venne assegnato al convento di Santa Maria delle Grazie, nella “sua” Udine. Ma con il rientro in Italia aveva portato con sé un progetto, nato a contatto con le nuove generazioni nate all’estero dagli emigrati friuliani: realizzare un film che raccontasse la nobiltà della povera vita rurale del suo Friuli. Il film con il titolo “Gli ultimi” e ispirato al racconto Io non ero fanciullo scritto da Turoldo in precedenza, venne concluso con la regia di Vito Pandolfi. Presentato a Udine, il film tuttavia fu ben presto rifiutato dall’opinione pubblica friulana, che lo ritenne addirittura offensivo. Incomincia a cercare un sito dove dare avvio a una nuova esperienza religiosa comunitaria, allargata alla partecipazione anche di laici. Questo luogo, con le indicazioni ricevute da amici, venne individuato nell’antico Priorato cluniacense di Sant'Egidio in Fontanella. Ottenuto il consenso del vescovo bergamasco C. Gaddi, nvi si insediò ufficialmente. Costruì accanto allo storico edificio del Priorato una casa per l’ospitalità, che chiamò Casa di Emmaus, titolo ispirato all’episodio della cena a Emmaus, in cui Gesù risorto si manifestò ai due discepoli nello spezzare il pane. La casa costituì un simbolico richiamo alla semplice accoglienza, senza distinzioni di censo, di religione, o altro: aspetti che caratterizzarono tutta la presenza e la sua multiforme opera. Costituì inoltre un punto di riferimento per molti protagonisti della storia culturale e civile italiana. Per molte personalità del mondo ecclesiale e di altre confessioni cristiane; un solido incentivo al rinnovamento di linguaggi e di strutture; un laboratorio di creazioni liturgiche e celebrative, di cui continuano a essere testimoni la versione metrica per il canto dei Salmi e migliaia di inni liturgici. Insieme con altri frati, impegnati particolarmente in iniziative di rinnovamento spirituale e culturale, diede avvio alla pubblicazione di una rivista, il cui titolo è ispirato all’Ordine dei Servi di Maria, “Servitium”, e ad altre pubblicazioni che si ricollegavano all’esperienza editoriale della Corsia dei Servi. La pubblicazione della rivista continua tuttora con cadenza bimestrale, unitamente all’edizione di altre proposte librarie edite sotto l’omonimo marchio Servitium.  Innumerevoli furono gli interventi di padre David sui media, dalla carta stampata alle trasmissioni radio e televisive; innumerevoli i luoghi e le circostanze in cui è stato chiamato a intervenire con la sua avvincente parola. Da ricordare in particolare i suoi “viaggi della memoria” nei luoghi della Shoah, tra cui spicca quello a Mauthausen. In quell'occasione compose una preghiera, poi recitata nella cerimonia conclusiva, pubblicata successivamente nel libro “Ritorniamo ai giorni del rischio”. Colpito alla fine degli anni ottanta da un tumore del pancreas, visse con lucida consapevolezza e trasparente coraggio l’ultimo periodo della vita, dando una incoraggiante testimonianza sul cammino verso “sorella morte”. Migliaia di persone sfilarono accanto alla bara in cui era esposto il corpo di padre I funerali a Milano videro la partecipazione di una numerosa folla nella chiesa di San Carlo al Corso, dove presiedette le esequie il cardinale C. Martini, che, qualche mese prima della morte, aveva consegnato a Turoldo il primo "Premio Giuseppe Lazzati", affermando la propria opinione secondo la quale la chiesa riconosce la profezia troppo tardi. Un secondo rito funebre venne celebrato nel pomeriggio a Fontanella di Sotto il Monte, presente ancora una folla che copriva tutta la collina circostante l’antico Priorato. Nel piccolo cimitero locale riposa ora sotto una semplice croce lignea, in mezzo alla sua gente. Servitium dedicò perciò alla sua figura un quaderno a frate dei Servi di santa Maria e ugualmente fece nel decennale.  La grande passione. Opere: Poesia e opere letterarie «Lungo i fiumi..» I Salmi Milano, San Paolo, O sensi miei...: (Poesie (Milano, Rizzoli). Sul monte la morte, Servitium, La morte ha paura, Servitium,  poesie, Milano, Garzanti Teatro, Servitium,  I giorni del rischio (con Salmodia della speranza e rappresentazione in Duomo a Milano con Moni Ovadia), Servitium,   Salmi e cantici. Nuova edizione riveduta della versione metrica per il canto di Turoldo, Servitium,  La passione di San Lorenzo, Servitium (La terra non sarà distrutta, Servitium,  Luminoso vuoto. Scritti, Servitium, David M. Turoldo, Loris F. Capovilla, Nel solco di Giovanni, lettere inedite” (Servitium. Saggistica e spiritualità. Lettere dalla Casa di Emmaus, Servitium, La parabola di Giobbe, Servitium, Santa Maria.Servitium, Mia chiesa, una terra sola, Servitium,  Il dramma è Dio: il divino la fede la poesia. Milano, Rizzoli, Come i primi trovadori, Servitium, Colloqui con Giovanni, Servitium, Profezia della povertà, Servitium, Chiamati ad essere, Servitium, È Natale, Servitium, Mio amico don Milani, Servitium, Pregare, Servitium, Anche Dio è infelice, San Paolo,.Amare Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, Padre del mondo, Servitium,  Povero sant’Antonio, Il Messaggero, Padova. Narrativa Mia infanzia d’oro (con “Ritratto d’autore” Servitium,...e poi la morte dell'ultimo teologo Torino, Gribaudi. “Gli ultimi” Regia: Vito Pandolfi; soggetto: Turoldo; sceneggiatura: Vito Pandolfi e David Maria Turoldo. Tra le tante, ci fu "un'iniziativa che fu tentata pochi giorni prima della morte di Moro e che è stata evocata da B. Craxi nel corso della sua audizione nella prima Commissione d'inchiesta. In quella circostanza, l'onorevole Craxi affermò che fu chiamato da Turoldo, che gli chiedeva sostanzialmente di domandare alla Nunziatura apostolica di dichiararsi disponibile come sede per far svolgere una trattativa. Turoldo chiese due giorni di silenzio stampa e insistette molto, con veemenza, affermando che era la sola via possible. (XVII Legislatura, Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Resoconto stenografico, “Tra i memoriali di Mauthausen”, in “Ritorniamo ai giorni del rischio. Maledetto colui che non spera”, Milano, Corriere "E Turoldo nascose le armi dei partigiani" La vita, la testimonianza Morcelliana. C. Piaz e la Corsia dei Servi di Milano, Morcelliana, Turoldo e gli organi divini. Lettura concordanziale di “O sensi miei...”, Olschki, Una vita con gli amiciIl mondo delle amicizie di Turoldo, documentario R. Salvi, Roma, Rai-Educational, A. D'Elia, La peregrinatio poietica prefazione di Dante della Terza, Firenze, Leo s. Olschki, Marco Cardinali, Il Dio Inseguito. Viaggio alla scoperta della poesia di David Maria Turoldo, Edizioni Pro Sanctitate, Roma, O. Romero E. Balducci C. De Piaz N. Fabbretti. Treccani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. David Maria Turolo. David M. Turoldo. David Turoldo. Giuseppe Turoldo. Turoldo. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Turoldo” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692449799/in/photolist-2mKTjot

 

Grice e Tuveri – filosofia sarda -- filosofia italiana (Collinas). Filosofo. Figlio un noto avvocato. Studia a Cagliari. Di idee repubblicane comincia l'attività in polemica con molti intellettuali monarchici e conservatori. Federalista, al Parlamento Subalpino si oppose alla fusione della Sardegna col Piemonte, e e in forte contrapposizione con Gioberti per le posizioni anti-repubblicane e anti-mazziniane.  Fonda La Gazzetta Popolare, collabora con numerosi giornali e assunse la direzione del Corriere di Sardegna. Sindaco, propose il nome di Collinas. Lotta contro il centralismo del Regno di Sardegna chiedendo maggiore autonomia, soprattutto fiscale, per i piccoli comuni. Amico di Cattaneo e Mazzini, solleva la cosiddetta questione sarda, promuovendo un riscatto della Sardegna e del popolo sardo contro uno stato giudicato centralista e oppressivo.  Scrive numerosi saggi filosofici. Assessorato della pubblica istruzione della Regione autonoma della Sardegna  promouove la ristampa dei suoi saggi, editore C. Delfino, con una introduzione di Bobbio. Saggi: “Pintor” (Torino, Tipografia G. Cassone); “Specifici contro il codinismo, Cagliari, Arcivescovile, Del diritto dell'uomo alla distruzione dei cattivi governi. Trattato filosofico, Cagliari, Tipografia Nazionale, Il governo e i comuni, Cagliari, Tipografia Nazionale, Esazioni e compulsioni, Cagliari, Timon); La questione barracellare, Cagliari, Timon, Della libertà e delle caste, Cagliari, Corriere di Sardegna, Sofismi politici, Napoli, Rinaldi); “Il veggente; Del dritto dell'uomo alla distruzione dei cattivi governi, Aldo Accardo, Luciano Carta, Sebastiano Mosso; introduzione di Norberto Bobbio, Della libertà e delle caste; Sofismi politici, Maria Corona Corrias e Tito Orru, Opuscoli politici. Saggio delle opinioni politiche del signor deputato sardo Giovanni Siotto Pintor; Specifici contro il codinismo, Girolamo Sotgiu, Il governo e i Comuni; La questione barracellare, Lorenzo Del Piano e Gianfranco Contu, Scritti giornalistici. Questione sarda, federalismo, politica internazionale, questione religiosa, Lorenzo Del Piano, Gianfranco Contu e Luciano Carta, Per la vita e i tempi di Tuveri e altre opere, A. Delogu,  Fonte: "Centro di studi filologi sardi". Scheda sul sito della Camera  Indipendentismo sardo,  Il governo e i comuni, Cagliari, Tipografia Nazionale, Google Libri. Della libertà e delle caste, Cagliari, Tipografia del Corriere di Sardegna, DaTuveri all'intuizione della concorrenza istituzionale, di A. Bomboi. Venezia; Tuveri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Tuveri: implicature sarda” – The Swimming-Poo Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731951146

 

Grice ed Ubaldi – la grande sintesi – filosofia italiana (Foligno). Italian philosopher. Filosofo. Present un sistema dell'evoluzione dell'universo considerando la legge dell'evoluzione umana. Chiara i rapporti d'involuzione ed evoluzione fra le tre dimensioni della materia, dell'energia e dello spirito, in un processo d'unificazione fra le ipotesi della scienza. Cerca di spiegare il senso della vita, la funzione del dolore e la presenza del male. Candidato al premio Nobel, all'ultimo gli fu preferito Sartre. Il suo sistema filosofico e considerato da Einstein come risulta da un carteggio dolce e leggero e il suo saggio principale, La grande sintesi, e giudicata un quadro di filosofia scientifica e antropologica etica, che oltrepassa di molto i consimili tentative. Nato in una regione influenzata dalla vicinanza con Assisi e impregnata di spiritualità francescana, inizia la scuola, prosegue gli studi a Roma e si laurea. Fa voto di povertà e gli appare Cristo. L'apparizione si sarebbe ripetuta insieme a Francesco di Assisi. Il giorno di Natale dello stesso anno avrebbe ricevuto il primo di numerosi messaggi. Insegna a Modica e Gubbio. Nel suo saggio “La grande sintesi” espose il suo pensiero, messo all'indice, poi riammesso da Giovanni XXIII.  La sua vita può essere considerata distinta in quattro periodi. Nel primo period cerca le risposte nella filosofia, nella religione e nella scienza senza trovarla. Il secondo periodo si caratterizza da una sperimentazione pratica a contatto col mondo, d'osservazione della realtà della vita. Nel terzo periodo scrisse i volumi della sua opera pubblicati in italiano e nel quarto la parte restante.  Ritiene che esiste un'unica sostanza, la cui essenza e il movimento e che si manifesta come materia statica, energia dinamica e spirito vitale. L'uomini sono chiamati ad evolversi ampliando la percezione delle sue coscienze, che da inviduale deve farsi conscienza collettiva, per farsi poi coscienza cosmica. In tale processo si delinea il futuro stato organico-unitario degl’uomini, generato da una etica, effetto di una consapevolezza razionale e non di un emotivo pacifismo. Gl’uomini si inserirebbe nel fenomeno universale dell'evoluzione tramite la reincarnazione.  Considera la sua filosofia la manifestazione del proprio destino e della propria ascesa evolutiva, proponendosi attraverso di essa di arrivare ad una conoscenza utilizzabile per risolvere i problemi della vita, in maniera consapevole e dignitosa. La grande legge della vita è quella dell'Amore, tale che la si dovrebbe seguire in ogni situazione: cercare ciò che unifica. Per questo fare il male significa voler andare contro la corrente del sistema, perpetuando la separazione, produttrice di sopraffazione e violenza, sino all'auto-distruzione. Fare il bene, invece, vuol dire cercare di armonizzarsi con tutto e con tutti, perseguendo quel processo di unificazione che ci riporta al centro dell'essere, che è rappresentato dalla presenza dell'ordine e della giustizia del pensiero divino. In tal senso il segreto della felicità consiste nell'inquadrarsi nell'ordine divino e la preghiera autentica consisterebbe nella docile accettazione della Legge, cooperando con la Sua azione. Così pure, il lavorare rappresenterebbe il diventare cooperatori del funzionamento organico dell'universo.  Il fine dell'esistenza è rappresentato dall'evoluzione. Si tratta dell'evoluzione etica, iscritta nel movimento dell'evoluzione dell'universo. L'universo viene così inteso come un'inestinguibile volontà d'amare, di creare e di affermare, in lotta col principio opposto dell'inerzia, dell'odio e della distruzione. L'etica viene concepita come dimensione ascendente, a tante dimensioni quante sono le posizioni dell'essere lungo la scala evolutiva. In tale compito evolutivo fondamentale sono gli idealiaventi la funzione di orientamento e di guida -, aventi il compito di anticipare una realtà futura da raggiungere. In questa fase evolutiva l'impegno deve essere quello della spiritualizzazione, consistente nel seguire gli ideali, che si sono configurati storicamente nelle religioni e nelle morali. Ciò può avvenire cercando di praticare la comprensione reciproca e ricercando la fratellanza universale. Si tratta di un "cammino ascensionale", frutto di libertà e volontà, attraverso le quali da un lato si struttura la nostra personalità dall'altro la vita collettiva progredisce servendosi di tali progressi.  La legge delle unità collettive rappresenta un principio evolutivo fondamentale, quello per cui tendiamo ad unioni sempre più ampie: dalla coppia alla famiglia, dalle nazioni alle unioni di popoli, sino all'unione di tutti gli esseri viventi del pianeta, pur mantenendo diversità e multiformità. Per questo, la via è quella del superamento di ogni separazione: la separazione da sé stessi, dagli altri, dal mondo. L'evoluzionismo è, per tutto ciò, ben diverso da quello di Darwin: guarda all'avvenire ed intuisce oltre l'evoluzione organica già compiuta dall'essere umano. È più ampio di quello di Teilhard de Chardin, in quanto concepisce anche un processo involutivodallo spirito, attraverso l'energia, sino alla materiache motiva e sorregge la via di ritorno, evolutiva, come processo di unificazione, che dalla presenza del divino nella materia, attraverso l'energia, ascende verso la spiritualizzazione. È caratterizzato eticamente, come tensione spirituale verso il superuomo che è presente in ognuno di noi, differentemente dal superomismo di Nietzsche, sospinto dal desiderio di espandere solo le potenzialità dell'io.  La produzione della sua opera si basa sul metodo intuitivo, attraverso il quale la coscienza, facendosi umile e ricettiva, riesce a penetrare per vie interiori l'intima essenza dei fenomeni, diversamente dal metodo obiettivo che se pur ha il vantaggio di giungere a conclusioni più universali è nato senza ali, in quanto basato sulla distinzione tra l'io e il non io, tra il soggetto e l'oggetto, tra la coscienza e il mondo esteriore. I suoi scrittiseguendo le sue stesse dichiarazionisarebbero passati da una forma ispirata, collegata ad una forma di contatto telepatico con le noùri (correnti di pensiero), a livello "supercosciente", al controllo razionale dell'ispirazione ("metodo dell'intuizione razionalmente controllata"). Tale metodo avrebbe consentito di esaminare sia la materia che lo spirito nella loro armonia, unificando scienza e fede, considerate due aspetti della stessa verità. Elenco degli scritti Ciclo italiano  La grande sintesi I grandi messaggi. La grande sintesi Le nouri ("correnti di pensiero") L'ascesi mistica. Frammenti di pensiero e di passione: La nuova civiltà del terzo millennio Problemi dell'avvenire (Il problema psicologico, filosofico, scientifico). Ascensioni umane. Dio e universo. Profezie (L'avvenire del mondo)’ Commentari (raccolta dei giudizi della stampa sui volumi precedenti). Problemi attuali. Il sistema (Genesi e struttura dell'universo). La grande battaglia. Evoluzione e Vangelo; La legge di Dio; La tecnica funzionale della legge di Dio; Caduta e salvezza; Principi di una nuova etica; La discesa degli ideali; Un destino seguendo Cristo; Come orientare la propria vita; Cristo; Storia di un uomo” (Bocca, Milano); Ascenzioni umane. Verso l'armonia con l'ordine cosmico” (Mediterranee, Roma); Cristo e la sua legge” (Mediterranee, Roma); “La grande sintesi. Sintesi e soluzione dei problemi della scienza e dello spirito (Edizioni Mediterranee, Roma); “Le noùri: dal superumano al piano concettuale umano” (Mediterranee, Roma); La nuova civiltà del terzo millennio. Verso la nuova era dello spirito, Edizioni Mediterranee, Roma); Problemi dell'avvenire. La civiltà dello spirito, Edizioni Mediterranee, Roma); L'ascesi mistica. Dal piano concettuale umano al superumano, Edizioni Mediterranee, Roma); Dio e Universo” (Edizioni Mediterranee, Roma); Storia di un uomo, Edizioni del centro studi italiano di para-psicologia, Recco (Ge) Il Sistema, Edizioni del centro studi italiano di parapsicologia, Recco(Ge) La legge di Dio, Edizioni del centro studi italiano di parapsicologia, Recco (Ge),  La tecnica funzionale della legge di Dio” (Centro di parapsicologia, Recco);La discesa degli ideali” (Om, Città di Castello); "Un destino seguendo Cristo" (Om, Città di Castello); "Evoluzione e Vangelo", Centro Culturale Pietro Ubaldi, Foligno); G.Arcidiacono, PUbaldi e la scienza moderna, in Atti del Convegno, Roma, A. Elenjimittan, "La missione ecumenica", in Atti dell'8º Convegno sul pensiero di Pietro Ubaldi, Roma "I grandi iniziati del nostro tempo", Rizzoli, Milano); F. Lanari, "Il pensiero"Relazioni tenute nei quattro convegni dedicati a Pietro UbaldiRoma, Ed. Mediterranee, Roma); F. Lanari  "Profeta del terzo millennio", Atti dell'8º Convegno Roma Filippo Liverziani, "Pietro Ubaldi e le Nòuri", in Atti dell'8º Convegno sul pensiero di Pietro Ubaldi, Roma); U. Pasquale Magni, "Scienza e mistica", in Atti dell'8º Convegno, Roma); A. Marocchino, "Pietro Ubaldi profeta della intesi tra Metafisica e Nuova Fisica", in Atti dell'8º Convegno,, Roma Luca Marzetti, La scala di Giacobbe, Perugia. G. Mollo, “Bio-sofo dell'evoluzione umana” (Ed. Mediterranee, Roma); G. Mollo, "La formazione dell'uomo evoluto nel pensiero di Pietro Ubaldi", in "Pedagogia e Vita", nGaetano Mollo, "La visione del mondo tra scienza e fede", in Atti dell'8º Convegno Roma); G. Mollo, "La visione dell'universo. La prospettiva", in "Rivista di teosofia", G. Mollo, "Il rapporto tra scienza e fede. La prospettiva di Ubaldi", in "Rivista di teosofia",  Lorenzo Ostuni, Fisica e metafisica di Pietro Ubaldi in relazione all'uomo contemporaneo, in Atti dell'8º Convegno, Roma); R. Pieracci, La Grande Sintesi (Mediterranee, Roma); R. Pieracci, "Mistico dell'Umbria" (Eugubina, Gubbio); A. Pieretti, "La civiltà del terzo millennio", Bollettino storico della città di Foligno, C. Splendore, "La Legge Ciclica dell'evoluzione nel pensiero diUbaldi", in Atti del Convegno sul pensiero di Pietro Ubaldi, Roma. Centro culturale di Foligno, su pietroubaldi.com. Comune di Foligno per la divulgazione della sua filosofia, presieduto da G. Mollo, su gaetanomollo.  L'opera di Pietro Ubaldi, su cesnur.org. in Massimo Introvigne, PierLuigi Zoccatelli, Le religioni in Italia (sezione "Spiritismo, parapsicologia, ricerca psichica"), sul sito Cesnur.(Center for Studies on New Religions. Pietro Ubaldi. Ubaldi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Ubaldi e Grice,” per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689506789/in/photolist-2mNaHiH-2mLGod1-2mKCewV

 

Grice ed Unicorno – arimmetica universale – filosofia italiana -- (Bergamo). essential Italian philosopher; unicorno (n.), Filosofo. Unicorno. Keywords: arithmos, numerus, numero, number. Opere: De l'arithmetica universale, In Venetia, Francesco senese De Francesch. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691952949/in/photolist-2mKQLG6

 

Grice e Vacca – filosofia italiana (Bari). Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is “L’ala del silenzo”great title, from Alighieriabout litotes and understatement --.Deputato della Repubblica Italiana LegislatureIX, X Gruppo parlamentarePCI CollegioBari Sito istituzionale Dati generali Partito politicoPartito Comunista Italiano, Partito Democratico della Sinistra, Partito Democratico Titolo di studiolaurea in giurisprudenza e filosofia del diritto Professione docente universitario. Filosofo. Si laureò in filosofia del diritto discutendo una tesi sulla filosofia politica e giuridica di Croce. Fin dagli anni giovanili ha sempre svolto una intensa attività di organizzatore di cultura, culminata con l'impegno dedicato alla casa editrice De Donato. Membro del comitato centrale del Partito Comunista Italiano è poi stato nella direzione del Partito Democratico della Sinistra. Libero docente in Storia delle dottrine politiche, vinse la cattedra di tale disciplina presso l'Bari. -- è stato nel consiglio di amministrazione della RAI. Deputato per il PCI nella IX e X Legislatura nella circoscrizione elettorale Bari-Foggia. In occasione delle elezioni comunali, si è candidato a sindaco con il sostegno della coalizione di centro-sinistra, ma è stato sconfitto da Simeone Di Cagno Abbrescia. Ha ricoperto incarichi di partito in Puglia e a livello nazionale.  Ha rivolto poi i suoi studi alla storia del marxismo contemporaneo. Dirige la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, diventandone poi Presidente fino al. Membro del Cda dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana presiede la Commissione scientifica dell’Edizione degli scritti di Gramsci. Professore di Storia delle dottrine politiche nell’Bari, si è occupato in particolare dell'idealismo novecentesco e dell'hegelismo italiano nella seconda metà del XIX secolo, con particolare riferimento alla genesi del marxismo in Italia. Saggi: “Politica e filosofia in Spaventa” (Bari, Laterza); Lukàcs o Korsch?, Bari, De Donato, Marxismo e analisi sociale, Bari, De Donato, Scienza, Stato e critica di classe. Galvano Della Volpe e il marxismo, Bari, De Donato); Politica e teoria nel marxismo italiano, Antologia critica (Bari, De Donato); PCI, Mezzogiorno e intellettuali. Dalle alleanze all'organizzazione, a cura di, Bari, De Donato,  Saggio su Togliatti e la tradizione comunista, Bari, De Donato, Osservatorio meridionale. Temi di politica culturale” (Bari, De Donato, Quale democrazia. Problemi della democrazia di transizione, Bari, De Donato, Criticità e trasformazione. Korsch teorico e politico,  Bari, Dedalo, Gli intellettuali di sinistra e la crisi, a cura di, Roma, Editori Riuniti, Comunicazioni di massa e democrazia, a cura di, Roma, Editori Riuniti, L'informazione negli anni Ottanta, Roma, Editori Riuniti, Il marxismo e gli intellettuali. Dalla crisi di fine secolo ai Quaderni del carcere, Roma, Editori Riuniti, Tra compromesso e solidarietà. La politica del PCI (Roma, Editori Riuniti); Gorbačëv e la sinistra europea, Roma, Editori Riuniti, Tra Italia e Europa. Politiche e cultura dell'alternativa, Milano, Angeli, Gramsci e Togliatti, Roma, Editori Riuniti,  Dal PCI al PDS. Intervista, Bari, Delphos, Togliatti sconosciuto, Roma, l'Unità, Pensare il mondo nuovo. Verso la democrazia, Cinisello Balsamo, San Paolo, Per una nuova Costituente, Milano, PasSaggi Bompiani, Vent'anni dopo. La sinistra fra mutamenti e revisioni, Torino, Einaudi, Da un secolo all'altro. Mutamenti della politica nel Novecento, Milano, Bompiani, Appuntamenti con Gramsci. Introduzione allo studio dei Quaderni del carcere, Roma, Carocci,  Gramsci e il Novecento (Roma, Carocci); Presente futuro. Idee per lo sviluppo ecosostenibile della Puglia, Bari, Dedalo, X. Riformismo vecchio e nuovo, Torino, Einaudi, In tempo reale. Cronache del decennio, Bari, Dedalo, Ritorno in Puglia. Tre anni di volontariato politico, Bari, Palomar, Federalismo, sviluppo economico e coesione sociale in Puglia, e con Luigi Masella, Lecce. Martano, L'unità dell'Europa. Rapporto  sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo, Roma, Nuova iniziativa editoriale,  Il dilemma euroatlantico. Rapporto della Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Roma, Nuova iniziativa editoriale, Dalla Convenzione alla Costituzione. Rapporto 2 della Fondazione Istituto Gramsci sull'integrazione europea, a cura di, Bari, Dedalo,  I dilemmi dell'integrazione. Il futuro del modello sociale europeo. Rapporto sull'integrazione europea, e con José Luis Rhi-Sausi, Bologna, Il mulino); “Il riformismo italiano: dalla fine della guerra fredda alle sfide future” (Roma, Fazi); “Gramsci tra Mussolini e Stalin” (Roma, Fazi); cura di Gramsci, Nel mondo grande e terribile. Antologia degli scritti Torino, Einaudi, Studi gramsciani nel mondo.  e con Giancarlo Schirru, Bologna, Il mulino,  Perché l'Europa? Rapporto sull'integrazione europea, e con José Luis Rhi-Sausi, Bologna, Il mulino, Studi gramsciani nel mondo. Gli studi culturali, e con Paolo Capuzzo e G. Schirru (Bologna, Il mulino) Le forme e la storia. Scritti in onore di B. De Giovanni, e con M. Montanari e Franca Papa, Napoli, Bibliopolis, Il Novecento di Eugenio Garin. Atti del Convegno di studi, e con Saverio Ricci, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,.  Studi gramsciani nel mondo. Gramsci in America Latina, e con Dora Kanoussi e Giancarlo Schirru, Bologna, Il mulino, Vita e pensieri di Antonio Gramsci.  Collana Storia, Torino, Einaudi,,Collana ET Storia, Einaudi, Moriremo democristiani? La questione cattolica nella ricostruzione della Repubblica, Roma, Salerno); “Il fascismo in tempo reale: studi e ricerche di A. Tasca sulla genesi e l'evoluzione del regime fascista, con D. Bidussa (Milano, Feltrinelli); Togliatti e Gramsci. Raffronti, Pisa, Edizioni della Normale, Modernità alternative. Il Novecento di Antonio Gramsci, Torino, Einaudi,.Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione, Scritti e discorsi, G. Vacca con M. Ciliberto, Bompiani, Milano  Quel che resta di Marx, Salerno Editore, Roma,  L'Italia contesa. Comunisti e democristiani nel lungo dopoguerra,  Marsilio, Venezia   Giuseppe Vacca, su storia.camera, Camera dei deputati. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732826190

 

Grice e Vaccarino – l’errore del filosofo – filosofia italiana (Pace del Mela).  Essential Italian philosopher. Grice: “I appreciate his metaphor of the ‘chemistry of the mind,’ la ‘chimica del pensiero,’and the idea that philosophers commit only ONE mistake (“l’errore dei filosofi”)!”.Flosofo. Figlio primogenito di Antonino Vaccarino, titolare di un importante saponificio, e di Caterina Tracuzzi. Laureato a Milano. Fonda “Sigma” pubblicata a Roma. Fonda “Methodos”, trimestrale di metodologia e di logica simbolica. Si occupa prevalentemente di logica ed epistemologia. Pubblica una serie di articoli sulla rivista Archimede su invito di Geymonat. Abilitato alla libera docenza in Filosofia della scienza, ma assorbito dai suoi studi e da altre attività non si dedica all'insegnamento. Ha incarico di tenere il corso di Storia della filosofia antica presso Messina. Riceve anche quello di Filosofia della scienza. Nominato professore associato di Filosofia della scienza, ma non ottenne mai la cattedra di ordinario. Partecipa a vari congressi. In quello di Amsterdam ebbe l'occasione di conoscere Joseph Maria Bochenski e incaricarlo di dirigere la sezione di logica simbolica di Methodos. A quello di Parigi partecipa insieme con S. Ceccato, V. Somenzi e F. Rossi-Landi con i quali era in stretti rapporti di amicizia. Contribusce alla fondazione della rivista Methodologia nata per iniziativa della Società di Cultura Metodologica Operativa di Milano, presieduta da Felice Accame. Molto vicino alle vedute filosofiche dei neo-positivisti, ma in seguito si capì che per dare soluzione ai problemi posti dalla tradizionale filosofia bisogna anzitutto effettuare un'indagine sul metodo scientifico onde spiegare perché è l'unico considerabile come valido. Sviluppa in questo senso sulla “Sigma” una teoria che chiama della "meta-conoscenza", in quanto ricondotta a una disciplina avente per oggetto la conoscenza. Successivamente si convince che per procedere in modo effettivamente scientifico bisogna eliminare ogni a-priorismo effettuando un'analisi sistematica dei significati di tutte le parole di cui ci avvaliamo e riconducendoli alle operazioni mentali e non mentali da cui sono costituiti. Sotto questo profilo i suoi interessi si incontrarono con quelli di S. Ceccato e della scuola pperativa. Ma mantenne una posizione autonoma, ritenendo che la ricerca di base deve puntare su una semantica e non su una ricerca di tipo cibernetico, come invece sostene Ceccato. Però accetta e condivide il concetto che bisogna occuparsi del modo come operiamo a livello mentale per descrivere i significati. Perciò respinge vedute allora in auge, come quelle della filosofia analitica, che riconducendo i significati semplicemente all'uso che se ne fa parlando, li lascia in analizzati assumendoli implicitamente come prius, in quanto tali, dogmatici. Si dedica assiduamente a queste ricerche, pervenendo alla elaborazione di un metodo generale di analisi dei significati. Le sue ricerche conduce, tra l'altro, all'introduzione di una formulistica idonea alla definizione delle operazioni mentali, prospettando una sorta di chimica della mente. La vastità e la complessità delle sue indagini lo costringe a procedere a molti ripensamenti e revisioni.  Pubblica “La chimica della mente”. In cui espone i principali risultati a cui e pervenuto. Vince il premio L'Inedito con il racconto “Lo sporco”, pubblicato da Marsilio. Prospetta ampliamenti e modifiche delle sue teorie nel saggio “Analisi dei Significati”, pubblicato a Roma da Armando. Pubblica presso la CULP di Milano “Scienza e Semantica Costruttivista”, dedicato a una critica di correnti vedute professate da filosofi della scienza.  I suoi interessi si rivolgeno anche alla codificazione di una logica contenutistica in grado di fissare i criteri di compatibilità e incompatibilità tra i significati in riferimento alle loro operazioni costitutive. In tal modo la logica diviene una filiazione della semantica. La summa dei suoi lavori di semantica è pubblicata a Rimini in “Dalle operazioni mentali alla semantica”. Nella prefazione al volume Introduzione alla semantica edito da Falzea a Reggio Calabria, Si lo considera l'ultimo dei grandi illuministi. Opere: “L'errore dei filosofi” (D'Anna, Messina); “La chimica della mente” (Carbone, Messina); “Analisi dei significati” (Armando, Roma); “Scienza e semantica costruttivista” (Cooperativa Libraria Universitaria del Politecnico, Milano); “Introduzione alla semantica” (Falzea, Reggio Calabria); “Scienza e semantica” (Melquiades, Milano); “Prolegomeni: dalle operazioni mentali alla semantica” (Ciddo, Rimini); “Lo sporco. Il pulito, duepunti edizioni. Repubblica  Semantica Filosofia della scienza  Centro Internazionale Di Didattica Operativa onlus, su ciddo. Methodologia on-line, su methodologia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731101657/in/dateposted/

 

Grice e Vaccaro (Palermo). Essential Italian philosopher. Grice: “My favourite of his books is ‘eteropie,’ a pun on homotopos.” Filosofo. Laureato a Palermo, inizia l'attività di docenza presso lo stesso ateneo prima come professore a contratto, poi come ricercatore e dal 2006 come professore associato. Titolare del corso di Filosofia politica e supplente di Scienza politica nella Facoltà di Scienze della formazione dell'ateneo palermitano.  -- è pro-rettore dell'Palermo per la “politiche di solidarietà sociale e di cooperazione per lo sviluppo”; inoltre è condirettore della collana “Eterotopie” dell'editore Mimesis di Milano, membro fondatore della “Società Italiana di Filosofia Politica” e del Centro interdisciplinare in Bio-politica, Bio-economia e Processi di Soggettivazione a Salerno. Vicepresidente dell'ONG palermitana della Cooperazione Internazionale Sud-Sud. I suoi ambiti di ricerca si orientano sulla teoria critica (soprattutto Adorno e Benjamin della Scuola di Francoforte) e sulla decostruzione post-strutturalista francese (principalmente Foucault e Deleuze) dai quali ricava strumenti di analisi da mettere alla prova nel campo della globalizzazione, della governance e dei diritti umani.  Opere Decostruzione di una realtà macchinica, in Il camaleonte e l'iscrizione, Palermo, Ila Palma, Il capitalismo regolato statualmente, curatela con Franco Riccio e A. Caruso (Milano, Angeli); “Oltre la pace: saggi di critica al complesso politico militare, curatela con F. Magno (Milano, Angeli); “Adorno e Foucault: congiunzione disgiuntiva” (Palermo, ILA Palma); “Il pensiero (check) anarchico (Verona, Demetra); “Il secolo deleuziano” (Milano, Mimesis Edizioni); “Il pianeta unico” (Milano, Elèuthera); “Anarchismo e modernità” (Pisa, BFS); “CruciVerba: lessico per i libertari” (Milano); “Zero in condotta, Globalizzazione e diritti umani” (Milano, Mimesis); “Biopolitica e disciplina” (Milano, Mimesis); “Lo sguardo di Foucault” (Roma, Meltemi); “Governance e democrazia” (Milano, Mimesis). Vaccaro Prof. Salvatore delegato alle politiche di solidarietà sociale e di cooperazione per lo sviluppo, su Università degli Studi di Palermo.  Mimesis Edizioni: collane. Archiviato iPalermo: scheda docente., su scienzeformazione.unipa. Biblioteca nazionale di Firenze: catalogo autore., su opac.bncf.firenze..  Foucault: scheda autore., su portail-michel-foucault.org. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732796325

 

Grice e Vailati – semantica filosofica – filosofia italiana (Crema). Essential Italian philosopher. an important figure in the history of formal semantics, influenced by Peano, who in turn influenced Whitehead and Russell, and thus Grice. Filosofo. Si laurea a Torino. Qui insegnò, dopo aver lavorato come assistente di Peano e Volterra. Lscia il suo posto universitario e così poté proseguire i suoi studi in modo indipendente, e si guadagna da vivere insegnando matematica. Lascia circa 200 saggi e recensioni che toccano un'ampia gamma di discipline. La sua opinione nei confronti della filosofia e che essa fornisse una preparazione e gli strumenti per il lavoro scientifico. Per questa ragione, e perché la filosofia dove essere neutrale fra opposte convinzioni, concezioni, strutture teoriche, ecc., il filosofo dovrebbe evitare l'uso di un linguaggio tecnico specialistico, ma dovrebbe usare il linguaggio che la filosofia adotta in quelle aree in cui è interessata. Ciò non vuol dire che il filosofo debba soltanto accettare qualunque cosa egli trovi. Un termine del linguaggio ordinario potrebbe essere problematico, ma le sue carenze dovrebbero essere corrette piuttosto che sostituite con qualche nuovo termine tecnico.  Il suo pensiero sulla verità e sul significato e influenzato da filosofi come Peirce e Mach. Con cautela distinse fra significato e verità. La questione di determinare che cosa vogliamo dire quando enunciamo una data proposizione, non solo è una questione affatto distinta da quella di decidere se essa sia vera o falsa. Tuttavia, dopo aver deciso cosa si vuole dire, l'azione di decidere se ciò è vero o falso è cruciale. Vailati ebbe un pensiero positivista moderato, sia nella scienza che nella filosofia:  "La tattica adottata dai pragmatisti in questa loro guerra contro l'abuso delle astrazioni e delle unificazioni consiste, come è noto, nel proporre che, anche nelle questioni filosofiche, come si fa sempre in quelle scientifiche, si esiga, da chiunque avanzi una tesi, che egli sia in grado di indicare quali siano i fatti che, nel caso che essa fosse vera, dovrebbero, secondo lui, succedere (o esser successi), e in che cosa essi differiscano dagli altri fatti che, secondo lui, dovrebbero succedere (o essere successi) nel caso che la tesi non fosse vera. Le influenze e i contatti di Vailati furono molti e vari, e spesso fu etichettato come "l'italiano pragmatista". Egli deve molto a Peirce e James (fu uno dei primi a distinguere i loro pensieri), ma egli subì anche l'influenza di Platone e Berkeley (che egli vide come precursori importanti del pragmatismo), Leibniz, V. Welby-Gregory, Moore, Russell, Peano eBrentano. Vailati corrispose con molti dei suoi contemporanei.  La prima parte della sua opera comprende scritti sulla Logica matematica; in essi focalizza l'attenzione sul suo ruolo in filosofia e distinguendo fra logica, psicologia ed epistemologia; la dottrina recente pone Vailati e il suo allievo M. Calderoni nella categoria storiografica del «pragmatismo analitico» italiano.  I suoi principali interessi storici riguardarono la meccanica, la logica e la geometria; egli diede un importante contributo in molti campi, compreso lo studio della meccanica post-aristotelica greca, dei predecessori di Galileo, della nozione di definizione e del suo ruolo nell'opera di Platone e Euclide, delle influenze matematiche sulla logica e sull'epistemologia, e sulla geometria non-euclidea di Saccheri. E particolarmente interessato ai modi in cui quelli che potrebbero essere visti come gli stessi problemi sono inquadrati e trattati in periodi differenti. Il suo lavoro di storico della scienza fu strettamente connesso con quello filosofico: per le due attività, infatti, utilizzò gli stessi pensieri e metodologie di fondo. Vailati vedeva lo studio storico e lo studio filosofico come differenti nell'approccio ma non nell'argomento; crede, inoltre, che dovesse esserci cooperazione fra filosofi e scienziati nell'approfondimento degli studi storici. Ritene anche che una storia completa richiedesse che si tenesse in conto anche il background sociale pertinente. Il superamento delle teorie scientifiche, grazie a nuovi risultati, non comporta la loro distruzione, perché la loro importanza aumenta proprio per il fatto di essere superate. Ogni errore ci indica uno scoglio da evitare mentre non ogni scoperta ci indica una via da seguire. La posizione di Vailati sulla storia della scienza ricalca quella di una serrata critica al positivismo, in un contesto teorico dove il pragmatismo ammette nuovi strumenti di comprensione e anche di valutazione della scienza, come mostrano anche le vicende di M. Calderoni (I. Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Mario Calderoni, Roma, IF Press, e di Peano, il quale vanta certe affinità con il pensiero filosofico del periodo (G. Rinzivillo, G. Vailati, Storia e metodologia delle scienze in Una epistemologia senza storia, Roma, Nuova Cultura, e Peano, Contributi invisibili in Una epistemologia senza storia, I. Pozzoni, Il pragmatismo analitico (Villasanta, Liminamentis); Peano, In Memoriam, Boll. di matematica,  I. Pozzoni, Cent'anni di Vailati” (Liminamentis, Villasanta); M. Zan, “La formazione di Vailati” (Congedo Editore, Galatina (Lecce); G. Sava, La psicologia tra Vailati e Brentano, in "Il Veltro", Roma, Giuseppe Giordano, Giovanni Vailati filosofo della scienza, Firenze, Le Lettere, Ivan Pozzoni, Il pragmatismo analitico italiano di Giovanni Vailati, Liminamentis Editore, Villasanta,  Lucia Ronchetti, L'archivio in Quaderni di Acme, Bologna, Cisalpino, Scritti filosofici. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; giovanni-vailati.net. Fondo archivistico e librario conservato presso Milano, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giovanni Vailati, Vailati. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vailati: la semantica filosofica," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Valent – la forma del linguaggio – filosofia italiana (Treviso). “Some like Vitters, but Valent’s my man.”Grice. Grice: “Valent wrote the only legible introduction to Vitters’s thought!”Essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna a Catania e Venezia. Si occupa di ontologia, logica dialettica, linguaggio, storia e interpretazione delle grandi categorie della filosofia occidentale. Dai primi studi sull'empirismo-scetticismo, sul pensiero italiano e sull'analisi del linguaggio (Wittgenstein), è giunto ad indagare attorno alla teoria della negazione e del divenire in chiave dialettica. Sulla base di tali premesse, che orientavano verso una rilettura dei canoni e dei presupposti del rapporto ragione-follia, si è impegnato a ridisegnare, insieme con un gruppo di psichiatri e psicologi del Centro Psico-sociale di Orzinuovi cresciuti nel solco dell'esperienza critica inaugurata da Basaglia, un modello della psiche adeguato alla comprensione e alla cura della malattia mentale, dando vita a quello che è stato definito l'approccio dialettico-relazionale. Collabora con il gruppo teatrale "Scena Sintetica" nella messa in scena di testi filosoficamente rilevanti (Parmenide, Eraclito, Melville, Severino, Galimberti). Presso Moretti è in corso di stampa l'edizione delle sue opera. La sua filosofia muove da un'originale riformulazione di alcune questioni legate alla filosofia di Severino, alla tradizione neo-idealistica italiana (Gentile) ma anche neo-scolastica (Bontadini), e dipendenti dalla riconsiderazione speculativa del concetto del negativo. Descrivendo la sua formazione si define «resciuto a una scuola filosofica di ispirazione ontologica, screziata da un netto disegno dialettico e pungolata dallo scrupolo fenomenologico. Analizzando le implicazioni concettuali e pratiche della negazione così com'è stata pensata in uno dei punti più alti e rilevanti della tradizione dialettica, ovvero nella Scienza della logica di Hegel, critica l'idea intellettualistica della negazione intesa come esclusione, proponendo al contrario una negazione come inclusione e una filosofia animata dal principio di ospitalità. Il "no" della negazione, lungi dal dar vita a una realtà separata, è ciò che innerva il reale nella sua essenza metamorfica e vitale, nella sua splendida apertura alla novità, alla trasformazione e al cambiamento di cui il filosofo è appassionato investigatore. A questo scopo e in evidente autonomia rispetto all'impianto destinale della filosofia della necessità di Severino, esplora la categoria modale della possibilità, cercando di mettere in discussione sia l'opposizione frontale tra realtà e irrealtà, sia la priorità assoluta della positività del reale nonostante la negatività dell'irreale. L'esserci e non l'essere è, per Valent, che legge Hegel con Wittgenstein, la determinatezza semantica e sintattica, il plesso grammaticale e vitale che ricongiunge l'esperienza intesa come luogo dell'emergere della differenza e dell'incalzare degli eventi con la teoria della razionalità quale analisi del permanere e della necessità. Ecco che di contro all'ontologia fondamentale di Severino si fa largo l'idea di una micro-ontologia intesa non come una “ontologia del piccolo”, bensì, piuttosto, nel senso che non c'è nessun evento che non si disponga per virtù propria in una peculiarità di significato, nel vigore elementare e insieme metamorfico di un qui. Ma micro-ontologia anche come ontologia del remoto, dell'avverso-diverso, dell'improbabile, dell'anonimo, del folle: di tutto ciò che insieme si ritiene minore nella capacità di realtà. Con la proposta di una micro-ontologia intendeva sottolineare l'autonomia e la resistenza del diamante della dialettica come principio di determinazione semantica fondato sulla relazione-negazione inclusiva e situato nella prospettiva strategica propria dell'esserci, rispetto al rischio delle ricadute nella mistica dell'essere e di quella totalità assoluta che, in quanto tale, appare separata e isolata, esercitando la sua imposizione distruttiva al di fuori della logica della relazione e dell'inclusione. Di contro all'autentico totalitarismo di questa idea di totalità assoluta propone la ripresa del detto eracliteo del Panta δια pánton, ossia di quel tutto attraverso il tutto che è la forma radicale della illacerabile relazionalità della vita. Solo se ogni differenza tra gli umani è un modo differente di essere il tutto allora le discriminazioni tra piccolo e grande, forte e debole, femmina e maschio, nero e bianco, ricco e povero, sano e malato, non avranno ragione d'essere (se non in quanto differenti manifestazioni dell'identico, invece che differenze di principio e di valore. Opere: Verità e prassi (Vannini, Brescia); La forma del linguaggio. Studio sul Tractatus logico-philosophicus” (Francisci, Abano Terme (Padova), Invito a Wittgenstein, Mursia, Milano; “Asymmetron, Quaderni de "Il Palazzo della Grande Utopia", Milano Dire di no. Filosofia Linguaggio Follia, Teda, Castrovillari (Cosenza); Dire di no. Scritti teorici, Opere (Moretti, Bergamo); “Asymmetron: microntologie della relazione. Scritti teorici 2, in Opere di Italo Valent V, a c. di Tagliapietra, Moretti & Vitali, Bergamo. Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura, in Opere di Italo Valent VI, a c. di Tagliapietra, Moretti&Vitali, Bergamo. La forma del linguaggio. Studio sul "Tractatus logico-philosophicus. Scritti su Wittgenstein, Sophón. Aforismi per l'anima, a c. di Valent, con un saggio di Andrea Tagliapietra, Moretti&Vitali, Bergamo. Opere. La filosofia, prima di ogni altra definizione dotta, è amore per la realtà. In ricordo, in "XÁOS. Giornale di confine", Dire di no. Scritti teorici, Panta διαpánton. Scritti teorici su follia e cura. Italo Valent. Valent. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valent”, The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731887331/in/datetaken/

 

Grice e Valeri -- uno  spazio tra se e se – l’antropologia filosofica come ricerca dell’intersoggetivo -- filosofia (Somma Lombardo). Essential Italian philosopher. Grice: “I especially like his idea of anthropology, alla Kant, as the search for the subject.” “Tra se e se.” Filosofo. Laureatosi in filosofia a Pisa, quale allievo pure della Scuola normale superiore, discutendo una tesi sul pensiero di Lévi-Strauss, con relatore  Barone, si rivolse agli studi di antropologia, conseguendo un dottorato di ricerca a Pisa. Le sue ricerche riguardarono molti argomenti, fra cui, i sistemi politici, la parentela e il matrimonio, la ritualità, così come l'antropologia sociale ed economica, la storia comparata degli usi e costumi dei popoli, che condusse lungo la linea di pensiero del suo maestro Lévi-Strauss. Gli è stato assegnato per i suoi studi e le sue ricerche di antropologia culturale, il premio ”Guggenheim Fellowship“ per le scienze sociali.  Fra i molti suoi lavori. Cura pure diverse voci antropologiche per l'Enciclopedia Einaudi.  Tra le sue molte opere pubblicate postume, il saggio “Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto” che può considerarsi una sua autobiografia intellettuale.  Saggi: Uno spazio tra sé e sé. L'antropologia come ricerca del soggetto (Roma); S. Ghiaroni, "Società, soggetto, sacrificio. La teoria del sacrificio di Valeri", in Studi e materiali di storia delle religioni,  S. Ghiaroni, ”Società, Soggetto, Sacrificio. La teoria del sacrificio di Valerio Valeri tra Hawaii e Indonesia“, Studi e materiali di storia delle religioni,   Dal titolo: Natura e cultura: introduzione alla teoria dello scambio e della parentela di Claude Levi-Strauss, Pisa, A. A. Per notizie biografiche più esaustive, riferirsi alle  xxvii-xix dell'opera: in merito alla rilevanza di Valeri come studioso e ricercatore; Valerio Valeri. Valeri. Keywords: antropologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valeri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732762370/in/datetaken/

 

Grice e Valla – volutta – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). essential Italian philosopher. Filosofo. Nato da genitori di origini piacentine (il padre era l'avvocato Luca della Valle), riceve la sua prima educazione a Roma e Firenze, imparando il greco da G. Aurispa e da R. Aretino. Lo guida lo zio materno Melchiorre Scribani, un giurista funzionario in Curia.  La sua prima opera e il De comparatione Ciceronis Quintilianique ("Confronto fra Cicerone e Quintiliano"), in cui elogia il latino di Quintiliano a scapito di quello di Cicerone, andando contro all'idea corrente e mostrando già in questo primo scritto il suo gusto per la provocazione. Quando muore lo zio, spera di ottenere un impiego nella Curia Pontificia. Ma i due autorevoli segretari A. Loschi e P. Bracciolini, ferventi ammiratori di Cicerone, si opponeno all'assunzione/ Grazie all'aiuto di A. Beccadelli, detto il Panormita, e chiamato ad insegnare retorica a Pavia, succedendo al maestro bergamasco G. Barzizza. Questi anni furono fondamentali per lo sviluppo della sua filosofia. Pavia e infatti un vivo centro culturale e egli puo approfondire le sue conoscenze giuridiche, osservando inoltre l'efficacia del procedimento di analisi critica dei testi, che lo Studio pavese applicava con rigore. Acquire una grande reputazione con il dialogo “Della volutta”, nel quale si oppone fermamente alla morale stoica e all'ascetismo, sostenendo la possibilità di conciliare la morale ricondotto alla sua originarietà, con l'edonismo, recuperando così il senso della filosofia di Lucrezio, che sottolinea come tutta la vita dell'uomo sia fondamentalmente volta alla volutta, intesa non come istintività, ma come calcolo dei vantaggi e svantaggi conseguenti ad ogni azione. A conclusione del dialogo,sottolinea, però, come per l'uomo la suprema voluttà e la ricerca spirituale. Si tratta di un saggio considerevole, poiché, per la prima volta, una tendenza filosofica che era rimasta confinata nell'ambito della filosofia romana classica vene rivalutata. Le polemiche che seguirono alla pubblicazione del testo, gli costringe a lasciare Pavia.  Da allora passa da un luogo all’altro, accettando brevi incarichi e tenendo lezioni in diverse città. Fa la conoscenza del re Alfonso V al cui servizio entra. Il re ne fa il suo segretario, lo difende dagli attacchi dei suoi nemici e lo incoraggia ad aprire una scuola a Napoli.  Durante il pontificato di Eugenio IV, pubblica sulla falsa donazione di Costantino, “De falso credita et ementita Constantini donatione". In esso, con argomentazioni storiche e filologiche, dimostra la falsità della donazione di Costantino, documento apocrifo in base al quale la chiesa giustifica la propria aspirazione al potere temporale. Secondo questo documento, infatti, sarebbe stato lo stesso imperatore Costantino, trasferendo la sede dell'impero a Costantinopoli, a lasciare alla Chiesa di Roma il restante territorio dell'Impero romano. La dimostrazione di Valla è accettata e lo scritto è datato all'VIII secolo o IX secolo. Quid, quod multo est absurdius, capit ne rerum natura, ut quis de Constantinopoli loqueretur tanquam una patriarchalium sedium, que nondum esset, nec patriarchalis nec sedes, nec urbs christiana nec sic nominata, nec condita nec ad condendum destinata? Quippe privilegium concessum est triduo, quam Constantinus esset effectus christianus, cum Byzantium adhuc erat, non Constantinopolis. E, ciò che è molto più assurdo e non rientra nella realtà dei fatti, come si può parlare di Costantinopoli come di una delle sedi patriarcali, quando ancora non era né patriarcale né una sede né una città cristiana né si chiamava così, né era stata fondata, né la sua fondazione era stata decisa? Infatti il privilegio fu concesso tre giorni dopo che Costantino si fece cristiano, quando Bisanzio esisteva ancora e non Costantinopoli. Dimostra che anche la lettera ad Abgar V attribuita a Gesù e un falso e, sollevando dubbi sull'autenticità di altri documenti spuri e ponendo in discussione l'utilità della vita monastica e mettendone in luce anche l'ipocrisia nel De professione religiosorum ("La professione dei religiosi"), suscita l'ira delle alte gerarchie ecclesiastiche. E obbligato, pertanto, a comparire davanti al tribunale dell'Inquisizione, alle cui accuse riusce a sottrarsi soltanto grazie all'intervento del re. Visita nuovamente Roma, dove i suoi avversari sono ancora molti e potenti. Riusce a salvarsi da morte certa travestendosi e ritornando a Napoli. Vengono divulgati gli Elegantiarum libri sex, i sei libri sull'"eleganza" della lingua Latina. Il saggio raccoglie una serie straordinaria di passi desunti dai più celebri scrittori latini (Virgilio, Cicerone, Livio), dallo studio dei quali occorre codificare i canoni linguistici, stilistici e retorici della lingua latina. Il saggio costitue la base scientifica del movimento umanista impegnato a riformare il latino sullo stile ciceroniano.  In le "Emendationes sex librorum Titi Livii" discute, col suo modo di scrivere brillante e caustico, correzioni ai libri 21-26 di Livio in opposizione ad altri due intellettuali della corte napoletana il Panormita ed il Facio che non avevano il suo stesso spessore filologico. Con la morte del re, la sua fortuna inizia a volgere in meglio. Recatosi nuovamente a Roma, e ricevuto da Niccolò V. Assume il ruolo a lui più consono di professore di retorica, ma non perde nemmeno il suo spirito caustico e inizia a criticare la Vulgata, facendo confronti con l'originale greco sminuendo il ruolo di traduttore dGirolamo e giudica spuria la corrispondenza tra Seneca e Paolo. Sotto Callisto III raggiunse il culmine della carriera, divenendo segretario apostolico. È quasi impossibile farsi un'idea precisa della sua vita privata e di suo carattere, essendo i documenti nei quali vi si fa riferimento sorti in contesti polemici e, pertanto, fonte più di esagerazioni e calunnie che di testimonianze attendibili. Appare comunque come persona orgogliosa, invidiosa e irascibile, caratteristiche cui però si affiancano le qualità di elegante umanista, critico acuto e scrittore pungente nella sua continua e violenta polemica sul potere temporale della Chiesa di Roma. -- è un personaggio di eccezionale importanza soprattutto quale rappresentante del più puro umanesimo. Con le sue spietate critiche alla Chiesa di Roma e un precursore di Lutero, ma fu anche il promotore di molte revisioni di testi La sua filosofia si basa su una profonda padronanza della lingua latina e sulla convinzione che fosse stata proprio un'insufficiente conoscenza del latino la vera causa del linguaggio ambiguo di molti filosofi. Valla era convinto che lo studio accurato e l'uso corretto della lingua fosse l'unico mezzo di acculturazione feconda e comunicazione efficace: la grammatica e un appropriato modo di esprimersi erano a suo modo di pensare alla base di ogni enunciato e, prima ancora, della stessa formulazione intellettuale. Da questo punto di vista la sua filosofia e  tematicamente coerente, in quanto ciascuna delle parti si sofferma innanzitutto sulla lingua, sul suo impiego rigoroso e sull'individuazione delle applicazioni erronee della grammatica latina. Il profondo distacco storico ci permette di distinguere la sua filosofia in due filoni, quello critico e quello filologico. Sebbene avesse saputo mostrare eccezionali doti di storico negli scritti critici, questa capacità non è però riscontrabile nell'unico lavoro definito storico, cioè nella biografia di Ferdinando d'Aragona, tutto sommato un modesto elenco di aneddoti.  Nel III secolo l'Impero romano inizia a tramontare, il che si palesava non solo nell'indebolimento delle forze politiche e militari, ma anche nello sfaldamento dell'ordinamento interno e soprattutto nell'imbarbarimento della cultura. La crisi generale e l'accettazione di molte genti non italiche tra i cittadini romani provocano un lento ma significativo allontanarsi dalla lingua verso forme dialettali e meno eleganti. Si evidenzia la necessità di uno sviluppo della lingua che presuppone la canonizzazione della parlata popolare e della sua semplice grammatica. Sono i primi sintomi della nascita del volgare, che necessita di un millennio per svilupparsi pienamente. Durante questa lunghissima transizione, in tutta l’Italia ci fu un'enorme incertezza linguistica. Il romano classico cede lentamente il posto ad una mescolanza di nuovi idiomi che combatteno per la supremazia.  Gli effetti di questo periodo di passaggio sono ben visibili soprattutto nelle traduzioni che via via nasceno dal romano verso l'italico, poché la linea di demarcazione tra il romano e il volgare e fluttuante e nessuno dei traduttori puo dirsi un vero esperto in materia. E il primo a stabilire un limite alla volgarizzazione, decidendo che un cambiamento oltre tale limite fa già parte del processo di sviluppo. In questo modo riusce non solo a salvaguardare la purezza del romano, ma pose anche le basi per lo studio e la comprensione del volgare nato dal romano.  Si pone tra i maggiori esponenti dell'umanesimo non solo per il suo costante apporto di punti di vista umanistici, bensì anche per la sua annosa avversione alla cultura scolastica.  È indicativa ad esempio la sua tesi in “Della volutta” sugli errori dello stoicismo praticato dagli asceti che non avrebbero preso in debita considerazione le leggi naturali, dunque divine. La morale consiglierebbe infatti, a suo avviso, un'esistenza allegra e godereccia che non precluderebbe in alcun modo l'aspirazione alle gioie del paradiso. Analogamente, nelle “Dialecticae Disputationes”, confuta il dogmatismo di Aristotele e la sua arida logica che non offre insegnamenti o consigli, bensì discute solo di parole senza raffrontarle con il loro significato nella vita reale. Altrettanto critico si dimostra (nelle Adnotationes in Novum Testamentum) quando usa la sua profonda padronanza del latino per provare che sono state le traduzioni maldestre di alcuni passi del Nuovo Testamento a causare incomprensioni ed eresie.  È a lui dedicata una Fondazione che in collaborazione con Mondadori, pubblica la collana dei romani i in cui vengono proposte edizioni critiche di testi classici.  L'arte della grammatica, P. Casciano (Milano, Mondadori); La falsa Donazione di Costantino, G. Pepe, Firenze, Ponte alle Grazie, Scritti filosofici e religiosi, G. Radetti, Firenze, Sansoni, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, “Repastinatio dialectice et philosophie” (Padova, Antenore). Treccani enciclopedia/lorenzo-valla (Il Contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia)   E. Garin, "La letteratura degli umanisti", in E. Cecchi-N. Sapegno Letteratura italiana, III, Il Quattrocento e l'Ariosto, Milano, Garzanti); Basilica Papale SAN GIOVANNI IN LATERANO, su vatican.va. Pubblicate per la prima volta da Erasmo da Rotterdam.  G. Antonazzi, “Valla e la polemica sulla donazione di Costantino, Roma); S. Camporeale, Valla. Umanesimo e teologia, Firenze, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento,Wilhelm Fink, M. Laffranchi, Dialettica e filosofia in Valla, Milano, Vita e Pensiero, G.  Mancini, Vita di Valla, Firenze, G. C. Sansoni; L. M. Regoliosi, “Valla. La riforma della lingua e della logica: Atti del convegno del Comitato Nazionale, Prato) Firenze, Polistampa, Donazione di Costantino. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rita Pagnoni Sturlese. Su treccani. in Il contributo italiano alla storia del pensiero Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, La falsa donazione di Costantino, su classic italiani. La tomba su penelope.uchicago, Laurentius Vallensis. Lorenzo Valla. Valla. Keywords: rinascimento. Refs.: Luigi Speranza, “Valla e Grice,”per la Fondazione Lorenzo Valla, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688559016/in/photolist-2mPq5pS-2mKPBS1-2mKxnN1-CiAmxk-BvUfSB-jkJZJm-js45BA-jkGK9m-jkK47d-jkEKUz

 

Vallauri (Roma). essential Italian philosopher. “Italians, especially noble ones, love a long surname, so this is Luigi Lombardi Vallauri. I say: if he wants to keep the Vallauri, that’s what he’ll go with by!”Lombardi Vallauri. Grice: “He favours animal rights, as I do.”Filosofo e professore universitario italiano.  È stato Professore di filosofia del diritto presso l'Università Cattolica di Milano e l'Università degli Studi di Firenze. Dal  ha insegnato all'Università degli Studi dell'Insubria e all'Università degli Studi di Sassari, dalla quale è stato chiamato per "chiara fama".   Nasce e cresce in contesto familiare profondamente cattolico. Nipote del predicatore gesuita Riccardo Lombardi, cugino del direttore della Sala stampa vaticana Federico Lombardi, nonché nipote di Gabrio Lombardi, si avvia alla formazione teologica alla Gregoriana di Roma. Nello stesso periodo consegue la laurea in Giurisprudenza col massimo dei voti presso l'Roma, suo maestro è stato Emilio Betti. Abbandonata la vocazione sacerdotale intorno a vent'anni, dopo la laurea perfeziona gli studi giuridici in Germania e vince molto presto il concorso per la Libera docenza. Diviene Professore in Filosofia del diritto all'Firenze, dove ha insegnato anche Argomentazione giuridica e Filosofia del diritto avanzata. Ottiene la cattedra in Filosofia del diritto anche all'Università Cattolica di Milano. Dopo il collocamento a riposo insegnerà presso le Como e Sassari.  Massimo esperto di teoria dell'interpretazione giuridica, già direttore dell'Istituto per la documentazione giuridica del CNR e presidente della Società italiana di filosofia giuridica e politica -- è autore di una vastissima serie di saggi filosofico-giuridici. Con il suo Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre ha aperto un nuovo filone della sua ricerca, dedicato alla filosofia della religione e della spiritualità. Al saggio Nera Luce, apparso nel 2001, Lombardi Vallauri ha consegnato la sua critica serrata ai dogmi del cattolicesimo e l'approdo all'apofatismo. I suoi interessi recenti riguardano la tutela giuridica dei diritti degli animali. È vegano.  Fonda e conduce, un gruppo di meditazione teso a esplorare le possibilità di una vita contemplativa all'altezza del sapere moderno. Il suo ultimo libroche traduce in scrittura il seguitissimo corso di meditazioni tenuto dall'autore per Radio Tre Rai npropone una mistica laica, ossia una mistica che prescinde da rivelazioni soprannaturali coniugando il pensiero scientifico occidentale con le tecniche di meditazione tipiche delle filosofie orientali.  Allontanamento dall'Università Cattolica Dal 1976 Lombardi Vallauri ha insegnato Filosofia del diritto presso l'Università cattolica di Milano. Tiene una conferenza a Bari e all'inizio decide di sedersi in terra, giustificandosi presso l'uditorio con la frase. Del Dio che emoziona non mi sento di parlare seduto su una sedia, quindi, mentre parlerò di questo Dio, starò seduto in terra».  Nel 1998 è stato sospeso dall'attività didattica a causa del suo insegnamento ritenuto eterodosso rispetto alla dottrina della Chiesa Cattolica. Fra i punti problematici secondo le autorità ecclesiastiche, un giudizio di Lombardi Vallauri sul dogma dell'inferno, da lui definito:  incostituzionale in quanto nessun atto per quanto grave può meritare una pena eterna e perché è contraria ai princìpi più avanzati del diritto, e specificamente del diritto influenzato dal cristianesimo, una pena che in nessun modo tenda alla rieducazione/riabilitazione del condannato. Il professore ha affermato in seguito. Quando i giudici ecclesiastici mi hanno cacciato fuori dall'Università Cattolica non riuscivano a formulare l'accusa ed io ho detto: "Ve la do io, il papa è quasi infallibile nell'errare. Dopo l'esito negativo dei ricorsi giudiziari interni, si è rivolto alla Corte europea dei diritti dell'uomo.  La Corte si è pronunciata a favore del ricorrente, ritenendo che fossero stati lesi i suoi diritti alla libertà di espressione (per il provvedimento adottato dalla Cattolica senza contraddittorio) e a un equo processo (per il rifiuto a pronunciarsi opposto dagli organi giurisdizionali amministrativi), entrambi garantiti, rispettivamente, dagli articoli 10 e 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.  Pensiero Nei suoi corsi e libri Vallauri di è occupato di varie tematiche: filosofia del diritto, critica dei riduzionismi, filosofia della mente, misticismo, buddismo, sessualità, meditazione, diritti degli animali. Riassumeva la situazione storica attuale tramite la seguente formula: [E = (m+e) + i (ab) + fd + oid] -> [N.O.] -> [(N. e/ax/es)] + (I.P.)]  La prima parte è l’equazione del riduzionismo ontologico: l’essere è riducibile alla somma di materia, energia e informazione. L’informazione è di due specie: algoritmica e biologica. Il riduzionismo diventa poi scientismo tecnologico, con l’aggiunta di un fattore di dominazione, ossia la teoria baconiana del conoscere per dominare, e dell'organizzazione industriale del dominio portata dalla rivoluzione industriale. Le conseguenze dello scientismo sono il nichilismo ontologico, ossia la scomparsa di ogni tipo di spirito (dio angeli anima), il quale può avere due esiti antitetici: le filosofie del soggetto assoluto e quelle della morte del soggetto. L’ultima conseguenza del processo è il nichilismo etico assiologico ed esistenziale, ossia la negazione di norme e valori oggettivi. Esso genera un vuoto, che nella nostra epoca viene occupato dall’individualismo possessive, ossia la credenza che gli unici beni sono ricchezza successo e potere. Occorre dunque articolare una risposta filosofica al riduzionismo, individuando quali realtà si sottraggano alle sue pretese. L’oggetto principale che sfugge alla riduzione è la mente.   Opere principali Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano, Amicizia, carità e diritto, Milano); Corso di filosofia del diritto, Padova); Cristianesimo, secolarizzazione e diritto moderno, Milano, Terre: Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre, Milano. Il Meritevole di tutela, Milano, Logos dell'essere Logos della norma, Bari, Nera luce, Firenze); Riduzionismo e oltre: Dispense di filosofia per il diritto, Padova, Trattato di Biodiritto. La questione animale, Milano,  Meditare in Occidente. Corso di mistica laica, Firenze,  Scritti animali. Per l'istituzione d-i corsi universitari di diritto animale, Gesualdo,  Note  Sandro Magister, L'inferno? Una vergogna, L'Espresso. Guadagnucci; Scritti Animali. Per l'istituzione di corsi universitari di diritto animale, in Visionari, Gesualdo (AV) (Gesualdo, Guadagnucci); R. Bosco, Cristo o l'India, Verona, Fede e Cultura, Guadagnucci. Sullo scarso fondamento dei fondamentalismi, Nuovamente.  Lombardi Vallauri L., Neuroni, mente, anima, algoritmo: quattro ontologie, Lettura magistrale al VI congresso della Società italiana di neuroscienze,  Lorenzo Guadagnucci, Il filosofo degli animali, in Restiamo animali: Vivere vegan è una questione di giustizia, Milano, Terre di mezzo,  Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai.  Meditare in occidente Corso di mistica laica, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, Meditare in occidenteL'anima di paesaggio, ciclo di trasmissioni radiofoniche su Radio3 Rai, edizione. Conferenza/lezione tenuta dal titolo: Nonviolenza e Animali: un tema antico come le montagne e sempre più ricco di futuro. Evento organizzato da Progetto Vivere Vegan,   Interviste Sì agli interventi che aiutano i nascituri, intervista di Giancarlo Perna, LIBERO, l'Unità, Firenze, e Rassegna stampa sul "Caso Vallauri" I Nuovi Inquisitori, di Giovanni Maria Pace, a Repubblica, A dialogo con Luigi Lombardi Vallauri, di Neri Pollastri, da Phronesis, V (2007), n. 9 Note, di Teresa Franza, Officina sedici. Luigi Lombardi Vallauri. Vallauri. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vallauri” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732400744

 

Valletta (Napoli). Eessential Italian philosopher. Grice: “He was a libertine from Naples. I like him. His oeuvre published in Firenze. Filosofo. Nell'infanzia studiò dapprima letteratura presso i Gesuiti per poi dedicarsi al diritto.  Insieme a Francesco D'Andrea, fu fra i fondatori dell'Accademia degli Investiganti, che diede impulso al grande rinnovamento culturale che prese avvio negli ultimi decenni del Seicento meridionale. Nelle accese polemiche filosofico-scientifiche tra progressisti e conservatori, il Valletta insieme a Tommaso Cornelio, Francesco D'Andrea, Leonardo Di Capua e agli altri accademici investiganti appoggiò attivamente i progressisti.  Istituì a sue spese la cattedra di lingua greca presso l'Napoli, affidando l'incarico di insegnamento al suo maestro ed amico Gregorio Messere, illustre grecista e filosofo dell'epoca. Cura l'edizione napoletana delle Opere e del Bacco in Toscana dello scienziato toscano F. Redi. Grande appassionato e conoscitore di libri, tanto che la sua biblioteca ne arriva a contenere ben diciottomila, meritandosi l'appellativo di Helluo librorum et Secli Peireskius alter. Grazie all'interessamento di Vico, il fondo librario confluì nella Biblioteca dei Girolamini. Saggi: Lettera in difesa della moderna filosofia e de' coltivatori di essa. Historia filosofica.  Lombardi. Antonio Lombardi, Storia della letteratura italiana nel secolo XVIII. Tipografia camerale. Fausto Nicolini, Giuseppe Valletta, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Gl’Investiganti Francesco D'Andrea Francesco Redi Francesco Valletta, nipote di Giuseppe.Valletta breve scheda biografica sul sito "Francesco Redi. Scienziato e poeta alla Corte dei medici". Giuseppe Valetta. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valletta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691732621/in/photolist-2mKKxpY-2mKR1CX-2mKPDck-2mKPCGs-2mKU5Gz

 

Grice e Valore – l’inventario del mondo – filosofia italiana (Milano). Essential Italian philosopher. Grice: “Having philosophsided on what Italians call ‘valore,’ I admire Valore!”Filosofo. Si occupa di metafisica, di ontologia generale e delle implicazioni ontologiche delle teorie formali. Si è interessato anche dei progetti di linguaggi artificiali e di lingue ausiliarie. Laureatosi in Filosofia a Milano, vi ha conseguito il dottorato di ricerca con uno studio su Riferimento, rappresentazione e realtà in Putnam. Dopo un anno di perfezionamento al King’s College di Londra, dal 2002 diventa ricercatore presso il Dipartimento di Filosofia della Statale di Milano, dove ha insegnato Storia della filosofia contemporanea. La sua prima produzione è stata dedicata principalmente a studi sulla filosofia dell'Ottocento e del Novecento e alla riabilitazione di una prospettiva neotrascendentalista soprattutto in metafisica. Ha partecipato al gruppo fondatore della rivista Problemata. Quaderni di Filosofia, di cui è stato caporedattore. Quando la Facoltà di Ingegneria industriale del Politecnico di Milano gli ha affidato un corso di "Verità e teoria della corrispondenza", la sua ricerca si è spostata su tematiche sempre più teoriche, collegate alla filosofia analitica, alla metafisica e all'ontologia analitica. Organizza e cura il Progetto. Diviene quindi professore aggregato di Storia della metafisica contemporanea a Milano, di Filosofia teoretica al Politecnico con corsi dedicati all'ontologia formale e, nel -, di Filosofia degli oggetti sociali (ontologia sociale) alMilano. Fonda InKoj. Interlingvistikaj Kajeroj, rivista di studio e discussione accademica sulle tematiche dei linguaggi artificiali. È stato membro del gruppo di ricerca European Collaborative Research finanziato dall'European Science Foundation e dal  è il responsabile del progetto  per il programma EuroScholars USA European Undergraduates Research Opportunities). Lavora su un suo progetto di ricerca di ontologia formale per il quale ha vinto una sponsorizzazione Fulbright nella categoria Fulbright Visiting Scholar. Collabora con la Rivista di storia della filosofia, è nel comitato scientifico delle riviste Materiali di estetica, Rivista Italiana di Filosofia Analitica Junior e Multilinguismo e società ed è direttore delle collane di filosofia Biblioteca di Problemata (editore LED di Milano) e Ratio. Studi e testi di filosofia contemporanea (editore Polimetrica di Monza). Saggi:“Trascendentale e idea di ragione. Studio sulla fenomenologia banfiana” (Firenze, La Nuova Italia); “Rappresentazione, riferimento e realtà” (Torino, Thélème); “L'inventario del mondo. Guida allo studio dell'ontologia, Torino, Pomba, La sentenza di Isacco. Come dire la verità senza essere realisti, Milano-Udine, Mimesis, Curatele Antonio Banfi, Platone. Lezioni,  (Valore), Milano, Unicopli, Forma dat esse rei. Studi su razionalità e ontologia, Milano, Led, Paolo VaArs experientiam recte intelligendi. Saggi filosofici, Monza, Polimetrica, Da un punto di vista logico. Saggi logico-filosofici, Milano, Cortina); Materiali per lo studio dei linguaggi artificiali (Milano, Cuem); “Questioni di metafisica contemporanea” (Milano, Il Castoro); Quine (Milano, Angeli). Monaco di iera, Grin Verlag,. Pubblicato anche, con il titolo Interlinguistica e filosofia dei linguaggi artificiali, come numero monografico per la prima uscita del giornale accademico multilingue InKoj. *Interlingvistikaj Kajeroj. Pisa, Edistudio, Dispense universitarie La categoria di sostanza in Aristotele, Milano, Cuem, Introduzione al dibattito contemporaneo sulla distinzione tra analitico e sintetico (Milano. Cuem); Questioni di ontologia quineana (Milano, Cusl); La struttura logico-analitica dell'ontologia herbartiana (Milano, Cusl); Laboratorio di ontologia analitica, Milano, Cusl); Verità e teoria della corrispondenza (Milano, Cusl); Philosophy of Social Objects (Milano, Bocconi); Bibliografie ragionate Ontologia, Milano, Unicopli, Verità, Milano, Unicopli,Saggi e articoli n Acme,  "Idealizzazione della verità e coerentismo. Due perplessità sul realismo della 'seconda ingenuità'", in Iride. Filosofia e discussione pubblica,  "La 'posizione' esistenziale e il giudizio ipotetico nell'ontologia herbartiana: il caso degli oggetti inesistenti", in Poggi, Natura umana e individualità psichica. Scienza, filosofia e religione in Italia (Milano, Unicopli); “Sull'idea di una logica trascendentale", in Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica, "Alcune note sull'attualità dell'ontologia nella filosofia contemporanea più recente", in  Valore, Forma dat esse rei..., "L'interpretazione semantica del trascendentale e l'ontologia del mondo reale in Giulio Preti", in Paolo Valore, Forma dat esse rei...,  "Il mestiere antico e nuovo del filosofo", in la Repubblica, (sMilano).  "Fisica e geometria come modelli di lavoro per l'ontologia. Un'interpretazione del metodo delle relazioni”, Dall'epistolario di Preti a Banfi", Ad Antonio Banfi cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, "Due tipi di parsimonia. Alcune considerazioni sul costruttivismo e il nominalismo ontologico", in La filosofia e i linguaggi, Macerata, Quodlibet.  "Cosa c'è che non va nell'idea di una lingua cosmica. Il caso del LINCOS di Freudenthal", in Multilingusimo e Società,  "Nothing is part of everything", in Giornale di filosofia, Ontologie/8 (): giornaledifilosofia.net  La rivista è consultabile sul sito specifico dell'Milano.  Volume recensito da Massimo Dell'Utri sulla rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica, Secretum on line. Scienze, saperi, forme di cultura,  e da Marazzi sulla Rivista di filosofia neoscolastica,Volume recensito da Conrad Gesner Jr. sulla rivista Belfagor. Rassegna di varia umanità, Volume recensito da M. Bianchetti sulla rivista Chora. Laboratorio di attualità, scrittura e cultura filosofica,  Volume recensito da: Giardino sulla Rivista di filosofia, nnell'articolo "Tra i cavalli alati e la realtà", su Il manifesto, Francesco Armezzani su SWIF Volume recensito da R. Corsetti su “L'esperanto. Revuo de itala esperanto-federacio”, Volume recensito da sulla rivista web Secretum on line. Scienze, saperi, forme di cultura Si tratta di un eBook accessibile solo con password.  Si tratta di una replica critica all'articolo di Patrizia Valduga "Trentuno filosofi all'anagrafe", pubblicato su la Repubblica, (sezione Milano).  Profilo accademico su immaginidellamente. Elenco completo delle pubblicazioni sul sito universitario academia.edu. Paolo Valore. Valore. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Valore” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51730921887

 

Grice e Vanini – peripatetici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taurisano). Essential Italian philosopher. “If you speak Italian, you should never confuse Vaninin with Vanninin.” -- Grice. Filosofo. Fra i primi esponenti di rilievo del libertinismo erudito. Nasce a Taurisano, casale di Terra d'Otranto, nella famiglia che il padre Giovan Battista, uomo d'affari originario di Tresana in Toscana, costitusce sposando una Lopez de Noguera, appartenente a una famiglia spagnola appaltatrice delle regie dogane della Terra di Bari, della Terra d'Otranto, della Capitanata e della Basilicata. Anche un successivo documento scoperto nell'Archivio segreto vaticano, lo qualifica pugliese, confermando il luogo di nascita ch'egli si attribuisce nelle sue opere. Nel censimento ufficiale della popolazione del casale di Taurisano figurano solo i nomi di Giovan Battista Vanini, del figlio legittimo Alessandro, e del figlio naturale Giovan Francesco. Nessun cenno della moglie e dell'altro figlio legittimo Giulio Cesare. Si ha motivo di ritenere che il padre sia rientrato a Napoli. Sistemata ogni pendenza economica, entra nell'ordine carmelitano assume il nome di Gabriele e si trasferisce a Padova per intraprendere gli studi. Giunge nelle terre della Repubblica di Venezia quando le polemiche provocate due anni prima dall'interdetto di Paolo V sono ancora vivacissime. Durante il soggiorno padovano entra in contatto con il gruppo capeggiato da P. Sarpi che, con l'appoggio dell'ambasciata inglese a Venezia, alimenta la polemica anti-papale. Consegue a Napoli il titolo di dottore in utroque iure, superando l'esame che gli consente di esercitare la professione di dottore nella legge civile e canonica. Come verrà descritto in documenti posteriori, assimila una grande cultura. Parla assai bene il latino e con una grande facilità, è alto di taglia e un po' magro, ha i capelli castani, il naso aquilino, gli occhi vivi e fisionomia gradevole ed ingegnosa. Divenuto maggiorenne, si fa riconoscere da un tribunale della capitale erede di Giovan Battista. Con una serie di rogiti e procure notarili redatte a Napoli, inizia a sistemare ogni pendenza economica conseguente alla morte del padre. Vende una casa di sua proprietà sita in Ugento, a pochi chilometri dal suo paese d'origine. Dà mandato a uno zio di assolvere incarichi dello stesso tipo, incarica l'amico Scarciglia di recuperagli una somma e gli vende alcuni beni rimasti a Taurisano e tenuti in custodia dai due fratelli. Partecipa alle prediche quaresimali, attirandosi i sospetti delle autorità religiose. In conseguenza dei suoi atteggiamenti anti-papali, e allontanato dal convento di Padova e rinviato, in attesa di ulteriori sanzioni disciplinari, al Provinciale di Terra di Lavoro con sentenza del generale dell'Ordine Carmelitano, Silvio, ma fugge in Inghilterra, insieme con il confratello genovese Bonaventura Genocchi. Nel viaggio, toccano Bologna, Milano, i Grigioni svizzeri e discendono il corso del Reno sino alla costa del Mare del Nord, attraversando la Germania, i Paesi Bassi, il canale della Manica e giungendo infine a Londra e a Lambeth, sede arcivescovile del Primate d'Inghilterra. Qui i due frati rimarranno per quasi due anni, nascondendo la loro reale identità perfino ai loro ospiti inglesi, poiché è provato che lo stesso arcivescovo di Canterbury, George Abbot, li conosceva sotto un nome diverso da quello reale. Nella Chiesa londinese detta dei Merciai o degl’Italiani, alla presenza di un folto auditorio e di Bacone, Vanini e il suo compagno fanno una pubblica sconfessione della loro fede cattolica, abbracciando la religione anglicana. In realtà i due frati non hanno tagliato i ponti con i loro ambienti di provenienza: infatti nel Genocchi viene raggiunto da una lettera molto amichevole di un amico e confratello genovese, Gregorio Spinola. A loro volta, le autorità cattoliche vengono subito informate di questo caso. -- è il nunzio a Parigi ad avvertire la Segreteria di Stato vaticana che due frati veneziani non meglio identificati sono fuggiti in Inghilterra e si sono fatti ugonotti, che un vescovo italiano sta per seguirli e che lo stesso Sarpi, morto il doge e privato della sua protezione, per non cadere in mano dei suoi nemici, è sul punto di fuggire in Palatinato tra i protestanti. Analoga notizia, arricchita di altri particolari, viene inoltrata dal nunzio in Fiandra al cardinale Borghese a Roma, che risponde mostrandosi già al corrente dei fatti e dell'esatta identità dei due frati. Sa che la fuga di Vanini, di Genocchi, di Sarpi e di un non ancora identificato vescovo italiano potrebbe portare alla ricostituzione in terra protestante del gruppo di opposizione al papato già operante nella Repubblica veneta al tempo dell'interdetto. Il nunzio Ubaldini da Parigi continua a inviare a Roma dettagli sulla condotta dei due frati rifugiati in Inghilterra, sulle loro predicazioni, su come sono stati accolti a corte e dalle autorità religiose, su come si continui a parlare dell'arrivo del vescovo italiano. La Segreteria di Stato vaticana esorta il nunzio in Francia ad attivare i suoi confidenti in Inghilterra al fine di scoprire l'identità del vescovo intenzionato a rifugiarvisi. Il cardinale Ubaldini da Parigi assicura alla Segreteria di Stato tutto il suo impegno in merito all'argomento dei due frati. Nello stesso dispaccio afferma che non mancherà di informare di ogni dettaglio anche il cardinale Arrigoni, che gli ha scritto in merito per conto del Papa e della Congregazione del Sant'Uffizio. Evidentemente a quella data la condotta veneziana e la successiva fuga dei due frati era già diventata argomento di discussione dell'Inquisizione Romana. Un'altra lettera del cardinale Borghese invita il nunzio in Francia ad essere vigile sulla faccenda della fuga del vescovo in Inghilterra e, nel caso egli passi per il suolo francese, a far di tutto per «farlo ritenere», come suggerisce il Papa e «come sarebbe molto a proposito». In dicembre il Nunzio Ubaldini invia da Parigi al cardinale Borghese notizie dettagliate e di tenore molto diverso rispetto alle precedenti sui due frati, attestando la buona reputazione di cui essi godono in Inghilterra e la fiducia che possano presto essere recuperati alla Chiesa di Roma. Questa lettera viene poi trasmessa al tribunale dell'Inquisizione romana che nei primi giorni del gennaio successivo inizia di fatto a istruire il processo contro Vanini. Nei mesi successivi si hanno varie notizie di un gran traffico di suppliche e lettere dei due frati a Roma, specialmente tramite l'ambasciatore spagnolo a Londra, per ottenere il perdono del papa e il rientro nel Cattolicesimo. Le autorità religiose inglesi ne vengono segretamente informate e dispongono un'attenta sorveglianza nei confronti dei due frati.  Tra la fine dele l'inizio del Vanini si reca in visita all'Cambridge e poi ad Oxford; qui confida ad alcuni conoscenti la sua ormai imminente fuga dall'Inghilterra, cosicché in gennaio i due frati vengono arrestati dalla guardie dell'arcivescovo dopo una funzione religiosa nella chiesa "degli Italiani" e rinchiusi in case di alcuni servi dell'arcivescovo. Scoppia un grande scandalo e dell'episodio vengono informati il re e le massime autorità dello Stato, in quanto nelle operazioni di recupero appaiono chiaramente coinvolti agenti di nazioni straniere accreditati nelle ambasciate a Londra. Altissime personalità cattoliche da Roma seguono la vicenda e la favoriscono con grande calore.  In febbraio Genocchi, eludendo la sorveglianza e con l'aiuto di agenti stranieri, fugge dalla prigione e dall'Inghilterra; in conseguenza di ciò, viene trasferito in luogo più sicuro e rinchiuso nella Carzel publica, ovvero nella Gatehouse adiacente all'Abbazia di Westminster. Dilaga lo scandalo; volano le accuse di leggerezza nei confronti dei fautori della fuga dei due frati dall'Italia, mentre cominciano a circolare apertamente i nomi del cappellano dell'ambasciatore veneto a Londra, Girolamo Moravo, e dell'ambasciatore spagnolo quali autori del clamoroso recupero. Dalla Curia romana si continua a seguire la vicenda e a favorirla in ogni modo.  A Londra viene intanto istruito il processo a Vanini: il frate rischia una severa punizione, non il rogo come i martiri della fede (come il carmelitano scriverà con enfasi poi nelle sue opere), ma una lunga deportazione in desolate colonie lontane, come l'arcivescovo Abbot suggerisce al re.  La fuga da Londra. Anche Vanini riesce a evadere di prigione e a fuggire dall'Inghilterra, sempre grazie all'aiuto degli agenti dell'ambasciatore spagnolo a Londra, incoraggiato da alte personalità romane e del cappellano dell'ambasciata della Repubblica Veneta, che si avvale anche dell'opera di alcuni servi dell'ambasciatore stesso, ma all'insaputa di questi.  Due anni dopo, durante il processo della Repubblica Veneta contro l'ambasciatore Foscarini per spionaggio e per aver consentito ad Abbot di sottoporre ad interrogatorio il personale dell'ambasciata, vengono alla luce anche dettagli sulla complicità della fuga di Vanini da Londra. Vanini e Genocchi arrivano a Bruxelles e si presentano al Nunzio di Fiandra, Guido Bentivoglio, che li attende da tempo. Vengono iniziate le prime pratiche per la concessione del perdono per la fuga in Inghilterra e per l'apostasia e viene loro accordato di tornare in Italia e di vivervi in abito di prete secolare, senza più indossare l'abito religioso, ma con il vincolo dell'obbedienza al loro superiore. Forti di tali concessioni, alla fine di maggio i due frati vengono posti sulla via per Parigi, dove devono presentarsi al Nunzio di quella città, Roberto Ubaldini.  All'incirca nello stesso periodo giunge a Parigi anche l'ultimo frate "recuperato" dall'Inghilterra, fra' Nicolò da Ferrara, al secolo Camillo Marchetti. Altri due frati, invece, non ottengono il perdono dalle autorità cattoliche.  Lione, la città vecchia A Parigi, nell'estate del, durante la permanenza presso la sede del Nunzio Ubaldini, Vanini si inserisce nella polemica relativa all'accettazione dei principi del concilio di Trento in Francia, che tardava ad arrivare a causa del rifiuto di parte del clero gallicano; per orientare gli animi nella direzione voluta dalla Santa Sede, scrive i Commentari in difesa del concilio di Trento, di cui egli poi intende avvalersi, come scrive Ubaldini ai suoi superiori in Roma, per dimostrare la sincerità del suo ritorno nella fede cattolica.  Riprende quindi la strada per l'Italia, dirigendosi a Roma, dove deve affrontare le difficili fasi finali del processo presso il tribunale dell'Inquisizione. Dimora per qualche mese a Genova, dove ritrova l'amico Genocchi e si guadagna da vivere insegnando filosofia ai figli di Scipione Doria.  Nonostante le assicurazioni ricevute, il ritorno dei frati non è del tutto tranquillo: nel gennaio Genocchi viene inaspettatamente arrestato dall'Inquisitore di Genova; a Ferrara accade lo stesso all'altro frate "recuperato", Camillo Marchetti. Vanini teme che gli accada la stessa sorte, fugge nuovamente in Francia e si dirige a Lione. Gl’esiti finali delle esperienze capitate al frate genovese e a quello ferrareseche vennero rilasciati dopo un breve periodo di detenzione e restituiti alla normale vita religiosasembrano indicare che forse Vanini esagerò il pericolo insito in queste operazioni di polizia dell'Inquisizione.  In Francia' A Lione, pubblica l' “Amphitheatrum”, che egli intende esibire in sua difesa alle autorità romane, come si legge in un dispaccio di Ubaldini alle autorità romane. Esso è dedicato a Francesco de Castro, ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede, già collegato con la famiglia Vanini, da cui il frate fuggiasco s'aspetta un aiuto nell'operazione della concessione del perdono da parte delle autorità romane. Poco tempo dopo, grazie anche agli appoggi acquisiti presso certi ambienti cattolici con la pubblicazione della sua opera, Vanini ritorna a Parigi e si ripresenta al Nunzio Ubaldini, chiedendogli di intervenire in suo favore presso le autorità di Roma. In agosto il prelato scrive al cardinale Borghese, chiedendo chiare indicazioni sulla sorte dell'ex-carmelitano. Non si conosce la risposta del Segretario di Stato; Vanini, comunque, non ritorna più in Italia e riesce invece a trovare la strada e i mezzi per entrare in ambienti molto prestigiosi della nobiltà francese.  Nel 1616, in pochi mesi, Vanini completa un'altra sua opera, il De Admirandis Naturae Reginae Deaeque Mortalium Arcanis, ed l'affida a due teologi della Sorbona perché ne autorizzino la pubblicazione, secondo le norme del tempo vigenti in Francia; l'opera è pubblicata in settembre a Parigi. Essa è dedicata a François de Bassompierre, uomo potente alla corte di Maria de' Medici, ma è stampata da Adrien Perier, tipografo notoriamente protestante. Il lavoro vede la luce in un ambiente ricco di pubblicazioni che vengono guardate con sospetto dai rappresentanti cattolici e che provocano pesanti condanne, fino al rogo. L'opera del Vanini ottiene un immediato successo presso certi ambienti della nobiltà, popolati di giovani spiriti che guardano con interesse alle innovazioni culturali e scientifiche che vengono dall'Italia. In questo senso il De Admirandis costituisce una summa, esposta in modo vivace e brillante, del nuovo sapere; dà una risposta alle esigenze del momento di questo settore della nobiltà francese; diviene una specie di "manifesto" culturale di questi esprits forts e rappresenta per Vanini una possibilità di stabile permanenza negli ambienti vicini alla corte di Parigi. Tuttavia, pochi giorni dopo la pubblicazione dell'opera, i due teologi della Sorbona che avevano espresso la loro approvazione alla pubblicazione si presentano ai membri della Facoltà di Teologia in seduta ufficiale e li informano di aver letto, a loro tempo, certi dialoghi scritti da Vanini; di non avervi trovato allora niente che contrastasse con la fede cattolica; di averli restituiti muniti della loro approvazione alla stampa e con la condizione che il manoscritto da essi controfirmato fosse depositato presso di essi a pubblicazione avvenuta, a testimonianza della fedeltà del testo pubblicato a quello da loro approvato; che ciò non era avvenuto e che circolava invece un testo dell'opera diverso da quello approvato e contenente «alcuni errori contro la comune fede di tutti», per cui i due dottori avanzano la supplica che l'opera non circoli più con la loro approvazione e che tale richiesta venga trascritta nel libro delle Conclusioni della Facoltà stessa. La Sorbona accoglie tale richiesta che costituì di fatto un divieto di circolazione del testo.   Marco Antonio de Dominis La Facoltà di Teologia della Sorbona, però, sembra non occuparsi più dell'opera di Vanini, non prenderne più in esame l'opera, non elencarne o denunciarne, come da prassi, gli errori da emendare, né mai condanna il suo contenuto o il suo autore. Comunque, una condanna espressa dal vicario episcopale di Tolosa, Jean de Rudèle, fu sottoscritta anche dall'inquisitore Claude Billy. Inoltre anche la Congregazione dell'Indice pronuncia una condanna il 3 luglio 1620, con la quale il De admirandis fu condannato con la formula del donec corrigatur, in base alla quale il Sotomaior collocò il Vanini nella prima classe degli autori proibiti nel suo indice. La Collectio Judiciorum de novis erroribus qui ab initio duodecimi seculi post Incarnationem Verbi, usque ad annum 1632, in Ecclesia proscripti sunt et notati, di Charles du Plessis d'Argentré, dottore della Sorbona e vescovo, edita a Parigi, esamina le censure e le "conclusioni" espresse dalla Facoltà che aveva condannato l'Amphitheatrum Aeternae Sapientiae di H. Khunrath e la De Republica Ecclesiastica di Marco Antonio de Dominis)non menziona invece provvedimenti contro Vanini.  Tutto questo porterebbe a ritenere che non vi siano stati atti ufficiali specifici di persecuzione contro Vanini da parte delle autorità parigine, né religiose né civili, né in questo periodo né negli anni seguenti, ma solo proteste e minacce nei suoi confronti da parte di alcuni settori cattolici. Una condanna dell'opera di Vanini non avrebbe trovato fondate giustificazioni, né sul piano giuridico né su quello culturale, in quanto gran parte delle teorie esposte da Vanini non costituivano una novità per la cultura francese.  Fuggito da pochi mesi dall'Inghilterra, impossibilitato a rientrare in Italia, minacciato da alcuni settori cattolici francesi, Vanini vede restringersi intorno gli spazi di movimento e ridursi le possibilità di trovare stabile sistemazione nella società francese. Ha paura che venga aperto un processo contro di lui anche a Parigi, per cui fugge dalla capitale e si nasconde in Bretagna, in una delle cui abbazie, quella di Redon, è Abate Commendatario il suo amico e protettore, Arthur d'Espinay Saint-Luc. Ma intervengono anche altri fattori di preoccupazione: nell'aprileviene ucciso a Parigi Concino Concini, favorito di Maria de Medici, uomo potentissimo e molto odiato in Francia. L'episodio, seguito poco dopo dall'allontanamento della regina dalla capitale con il suo odiato seguito di italiani, crea notevole turbolenza politica e suscita un vasto movimento di ostilità nei confronti degli italiani residenti a corte. Altre cronache del tempo segnalano la presenza di un misterioso italiano, con un nome strano, in possesso di una grande cultura ma dall'incerto passato, ancora più a sud, in alcune città della Guienna e poi della Linguadoca ed infine a Tolosa. Nella particolare suddivisione politica della Francia del XVII secolo, Enrico, duca di Montmorency, protettore degli esprits forts del tempo, sposato con la duchessa italiana Maria Felice Orsini, è governatore di questa regione e sembra poter accordare protezione al fuggiasco, che continua comunque a tenersi prudentemente nascosto. La presenza a Tolosa di questo misterioso personaggio, di cui si ignora la provenienza e la formazione culturale, ma che fa mostra di grande sapienza, di grande vivacità dialettica specialmente tra i giovani e di affermazioni non sempre allineate con la morale del tempo, non passa inosservata ed attira i sospetti delle autorità, che cominciano a sorvegliarlo.  Dopo averlo ricercato per un mese, le autorità tolosane lo fanno arrestare e chiudere in prigione. Lo sottopongono ad interrogatorio, cercano di scoprire chi egli sia, quali siano le sue idee in materia di religione e di morale, perché fosse arrivato fin in quel lontano angolo della Francia meridionale. Vengono convocati testimoni contro di lui, ma non riescono ad accertare nulla, né a farlo tradire.  Il convento degli Agostiniani a Tolosa. Il misterioso personaggio viene improvvisamente riconosciuto colpevole e condannato al rogo. Ormai isolato, braccato, impossibilitato a chiamare a sua difesa un passato travagliatissimo e ricco di nodi mai sciolti, abbandonato dai pochi amici rimastigli fedeli perché impotenti ad organizzare una chiara strategia in sua difesa, muore di morte atroce. Il Parlamento di Tolosa lo riconosce colpevole del reato di ateismo e di bestemmie contro il nome di Dio, condannandolo, sulla base della normativa del tempo prevista per i bestemmiatori, alla stessa pena cui erano andati incontro, in luoghi diversi ma in circostanze analoghe, certi Fremond e Fontanier. Gli viene tagliata la lingua, poi è strangolato e infine arso. Subito dopo l'esecuzione furono pubblicati due anonimi che facevano esplicitamente il nome del Vanini e quindi nel misterioso italiano giustiziato viene riconosciuto Giulio Cesare Vanini, l'autore del “De Admirandis” che aveva suscitato i sospetti di alcuni settori cattolici parigini. Comparvero le Histoires memorables di Rosset, che, con la quinta Histoire, divulga con poche modifiche il secondo dei due citati canards. Rudele, teologo e vicario generale dell'arcivescovado di Tolosa, avverte pubblicamente di aver esaminato le due saggi di Vanini insieme con iBilly e di averle trovate contrarie al culto e all'accettazione del vero Dio e assertrici dell'ateismo, emettendo ufficiale ordinanza di condanna e proibendone la stampa e la vendita nella diocesi di Tolosa, territorio posto sotto la sua giurisdizione. In precedenza, la facoltà teologica della Sorbona non ha comunicato di aver adottato analogo provvedimento. Opere: “Amphitheatrum Æternæ Providentiæ divino-magicum, christiano-physicum, necnon astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, peripateticos et stoicos” (Lione). Il saggio si compone di esercitazioni, che mirano a dimostrare l'esistenza di Dio, a definirne l'essenza, a descriverne la provvidenza, a vagliare o confutare le opinioni di Pitagora, Protagora, Cicerone, Boezio, Aquino, gl’epicurei, Aristotele, Averroè, Cardano, i peripatetici, i Stoici, ecc., su questo argomento. “De Admirandis Naturæ Reginæ Deæque Mortalium Arcanis libri quattuor” (Parigi, Périer). Il saggio si divide in quattro libri:  un Liber Primus de Cœlo et Aëre; un Liber Secundus de Aqua et Terra; un Liber Tertius de Animalia Generatione et Affectibus Quibusdam; un Liber Quartus de Religione Ethnicorum; in forma di dialogo -- che avvengono tra lui, nelle vesti di divulgatore del sapere, e un immaginario Alessandro, che si presta ad un gioco sottile e divertente nel corso del quale, con un atteggiamento compiacente e un po' complice, tra espressioni di meraviglia e ammirazione per la vastità del sapere di cui l'amico fa mostra, sollecita il suo interlocutore ad elencare e spiegare gli arcani della natura regina e dea che esistono intorno e all'interno dell'uomo. Così, in un misto di rilettura in nuova chiave critica del pensiero degli filosofi antichi e di divulgazione di nuove teorie scientifiche e religiose, il protagonista del lavoro discetta sulla materia, figura, colore, forma, motore ed eternità del cielo; sul moto, centro e poli dei cieli; sul sole, sulla luna, sugli astri; sul fuoco; sulla cometa e sull'arcobaleno; sulla folgore, la neve e la pioggia; sul moto e la quiete dei proiettili nell'aria; sull'impulsione delle bombarde e delle balestre; sull'aria soffiata e ventilata; sull'aria corrotta; sull'elemento dell'acqua; sulla nascita dei fiumi; sull'incremento del Nilo; sull'eternità e la salsedine del mare; sul fragore e sul moto delle acque; sul moto dei proiettili; sulla generazione delle isole e dei monti, nonché della causa dei terremoti; sulla genesi, radice e colore delle gemme, nonché delle macchie delle pietre; sulla vita, l'alimento e la morte delle pietre; sulla forza del magnete di attrarre il ferro e sulla sua direzione verso i poli terrestri; sulle piante; sulla spiegazione da dare ad alcuni fenomeni della vita di tutti i giorni – SUL SEME GENITALE -- sulla generazione, la natura, la respirazione e la nutrizione dei pesci; sulla generazione degli uccelli; sulla generazione delle api; sulla prima generazione dell'uomo; sulle macchie contratte dai bambini nell'utero; sulla generazione del MASCHIO e della femmina; sui parti di mostri; sulla faccia dei bambini coperta da una larva; sulla crescita dell'uomo; sulla lunghezza della vita umana; sulla vista; sull'udito; sull'odorato; sul gusto; sul tatto e solletico; sugli affetti dell'uomo; su Dio; sulle apparizioni nell'aria; sugli oracoli; sulle sibille; sugli indemoniati; sulle sacre immagini dei pagani; sugli àuguri; sulla guarigione delle malattie capitata miracolosamente ad alcuni al tempo della religione pagana; sulla resurrezione dei morti; sulla stregoneria; sui sogni. Empio osarono dirti e d'anatemi oppressero il tuo cuore e ti legarono e alle fiamme ti diedero. O uomo sacro! perché non discendesti in fiamme dal cielo, il capo a colpire ai blasfemi e la tempesta tu non invocasti che spazzasse le ceneri dei barbari dalla patria lontano e dalla terra! Ma pur colei che tu già vivo amasti, sacra Natura te morente accolse, del loro agire dimentica i nemici con te raccolse nell'antica pace. Hölderlin. L'interpretazione naturalistica dei fenomeni soprannaturali che Pietro Pomponazzi chiamato dal Vanini magister meus, divinus praeceptor meus, nostri speculi philosophorum princeps da nel “De incantationibus” “aureum opusculum”, è ripresa nel De admirandis naturae, dove, con una prosa semplice ed elegante,fa riferimento anche al Cardano, a Bordoni e ad altri cinquecentisti.  Dio agisce sugli esseri sub-lunari (cioè sugli esseri umani) servendosi dei cieli come strumento. Di qui l'origine naturale e la spiegazione razionale dei pretesi fenomeni sopra-naturali, dal momento che anche l'astrologia è considerata una scienza. L’esere supremo, quando incombono pericoli, dà avvertimenti agli uomini e specialmente ai sovrani, agli esempi dei quali il mondo si conforma. Ma i reali fondamenti dei presunti fenomeni sovrannaturali sono soprattutto la fantasia umana, capace a volte di modificare l'apparenza della realtà esterna, i fondatori delle religioni rivelate, Mosè, Gesù, Maometto e gli ecclesiastici impostori che impongono false credenze per ottenere ricchezze e potere, e i regnanti, interessati al mantenimento di credenze religiose per meglio dominare la plebe, come insegnava già Machiavelli, il principe degli atei per il quale tutte le cose religiose sono false e sono finte dai principi per istruire l'ingenua plebe affinché, dove non può giungere la ragione, almeno conduca la religione. Seguendo ancora il Pomponazzi e il Porzio nella loro interpretazione dei testi aristotelici, mutuata dai commenti di Alessandro di Afrodisia, nega l'immortalità dell'anima. Anche il cosmo aristotelico-scolastico subisce il suo attacco distruttivo. Analogamente a Bruno, nega la differenza peripatetica tra un mondo sub-lunare e un mondo celeste, affermando che entrambi sono composti della stessa materia corruttibile. Scardina nell'ambito fisico e biologico il finalismo e la dottrina ile-morfica aristotelica, e, ricollegandosi all'epicureismo di LUCREZIO, elabora una nuova descrizione dell'universo d'impianto meccanicistico-materialistico. Gl’organismi sono parago orology. E concepisce una prima forma di trasformismo universale delle specie viventi. Concorda con gl’aristotelici sull'eternità del mondo, considerando in particolare l'aspetto temporale. Ma, contro di essi, afferma il moto di rotazione terrestre e appare respingere la tesi tolemaica in favore di quella eliocentrica copernicana. Se il primo curator Corvaglia e lo storico Ruggiero, ingiustamente, considerarono la sua filosofia semplicemente un centone privo di originalità e di serietà scientifica, Garasse, ben più preoccupato delle conseguenze della diffusione della sua filosofia, li giudica la filosofia più perniciosa che in fatto di ateismo fosse mai uscita negli ultimi cento anni. E stato ampiamente ri-considerato e ri-valutato dalla critica, mettendo in mostra l'originalità e le intuizioni metafisiche, fisiche, biologiche, talvolta precorritrici nei tempi, dei suoi saggi. Visto che nasconde la sua filosofia, secondo un tipico espediente della cultura del suo tempo, per evitare seri conflitti con le autorità religiose e politiche costituite, conflitti che, come paradossalmente e sfortunatamente avvenne, nonostante le cautele, lo condussero infine alla morte), l'interpretazione del suo pensiero si offre a diversi piani di lettura. Tuttavia, nella storia della filosofia, resta di lui acquisita un'immagine di miscredente e persino di ateo (il che non era). E questo perché avversario di ogni superstizione e di fede costituita (meglio un proto-agnostico), tanto da essere considerato uno dei padri del libertinismo, malgrado avesse scritto persino un'apologia del concilio di Trento. Per una sintesi della sua filosofia si deve guardare da un lato al retroterra culturale, che è quello abbastanza tipico del Rinascimento, con prevalenza di elementi dell'aristotelismo ma con forti elementi di misticismo platonico. Dall'altro lato egli trae dal Cusano dei tipici elementi panteistici, simili a quelli che si ritrovano anche in Bruno, ma più materialistici. La sua visione del mondo si basa sull'eternità della materia, sulla omogeneità sostanziale cosmica, su un Dio dentro la natura come forza che la forma, la ordina e la dirige. Tutte le forme del vivente hanno avuto origine spontanea dalla terra stessa come loro creatrice. Considerato ateo, nel titolo del suo saggio pubblicato a Lione nel Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, atheos, epicureos, Peripateticos et Stoicos dimostra di non esserlo. Come precursore del libertinismo vi sono invece molti elementi che lo avvicinano al pensiero dell'ignoto autore del trattato dei tre impostori anch'egli panteista. Pensa infatti che i creatori delle tre religioni monoteiste, Mosè, Gesù Cristo e Maometto, non siano altro che degl’impostori. In “De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor” stampato a Parigi nelvengono riprese le tesi dell' “Amphiteatrum” con precisazioni e sviluppi che ne fanno il suo capolavoro e la sintesi della sua filosofia. Viene negata la creazione dal nulla e l'immortalità dell'anima, Dio è nella natura come sua forza propulsiva e vitale. Entrambi sono eterni. Gl’astri del cielo sono una specie di intermediari tra dio e la natura che sta nel mondo sub-lunare e di cui noi facciamo parte. La religione vera è perciò una religione della natura che non nega Dio ma lo considera un suo spirito-forza. La sua filosofia è abbastanza frammentaria e riflette anche la complessità della sua formazione. E un filosofo, un naturalista, un religioso, ma anche un medico e un po' un mago. Ciò che ne caratterizza è la veemenza anti-clericale. Tra le cose originali della sua filosofia c'è una specie di anticipazione della teoria dell’evoluzione, perché, dopo un primo tempo in cui sostiene che le specie animali nascano per generazione spontanea dalla terra, in un secondo tempo (lo pensa anche Cardano) pare convinto che esse possano trasformarsi le une nelle altre e che l'uomo derivia d’animali affini all'uomo come la bertuca, il macacho e la scimmia in genere. Appaiono due saggi che consacrano il mito del Vanini ateo: La doctrine curieuse des beaux esprits de ce temps, di Garasse e le Quaestiones celeberrimae in Genesim cum accurata explicatione, di Mersenne. I due saggi, però, anziché spegnere la voce del filosofo, la amplificano in un ambiente che evidentemente e pronto a ricevere, discutere e riconoscerne la validità delle affermazioni. Il nome di Vanini viene nuovamente proiettato all'attenzione della filosofia in occasione del clamoroso processo che viene celebrato contro Viau: il progetto di interrogatorio che il procuratore generale del re, Molé, predispone con ben articolati capi d'accusa su cui interrogare Viau, contiene impressionanti analogie colla filosofia vaniniana, cui vien fatto esplicito riferimento mentre Mersenne torna a martellare su Vanini, analizzandone alcune affermazioni nel suo “L'Impiétè des Déistes, Athées et Libertins de ce temps, combatuë, et renversee de point en point par raisons tirées de la Philosophie, et de la Theologie”, nel quale porta il suo giudizio concernente Cardano Bruno. Anche Leibniz, oppositore al pari di Mersenne del libertinismo, si esprime duramente contro Vanini, considerandolo un empio, un pazzo e un ciarlatano. Je n'ai pas encore vu l'apologie de Vanini, je ne pense pas qu'elle mérite fort d'être lue. La philosophie de ce personnage e bien peu de chose. Mais un imbécille comme lui, ou pour mieux dire, un fou ne méritoit pas d'être brûlé. On étoit seulement en droit de l'enfermer, afin qu'il ne séduisît personne. Non ho ancora visto l'apologia di Vanini, e non penso che meriti d'essere minimamente letta. La filosofia di questo personaggio e di ben poco valore. Ma un imbecille come lui, o per meglio dire, un pazzo, non merita d'essere bruciato. Occorre solo rinchiuderlo, perché non travie nessuno. Epist. ad Kortholtum in Opera omnia, Genève. Ancora nel Settecento la leggenda nera creata intorno alla figura di Vanini sopravvive al passare del tempo, si espande ed affascina molti studiosi, che si avvicinano alla sua filosofia e ne tentano dei profili biografici. Così anche la cultura inglese mostra interesse per il filosofo di Taurisano ed è soprattutto con Blount che Vanini entra nella filosofia inglese ed acquista una dimensione che non abbandona mai più, quando diviene un elemento cardine del libertinismo e deismo nel Seicento inglese. Un manoscritto inedito della Biblioteca Municipale di Avignone custodisce delle Observations sur Lucilio Vanini redatte da Velleron, ma fornisce solo delle incerte notizie sul filosofo, in gran parte rettificate dagli ultimi studi. Viene effettuata una copia manoscritta dell'Amphitheatrum, su commissione di Uriot, il quale la trasferisce poi nella Biblioteca Ducale del duca di Württemberg. Attualmente essa si trova nella Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda. Un'altra copia manoscritta del saggio si trova nella Staats und Universitätbibliothek di Amburgo, a testimonianza del perdurante interesse per iVanini.  Viene data alle stampe a Londra una biografia vaniniana con un estratto delle sue opere, dal titolo “The life of ‘Lucilio’, alias Julius Caesar Vanini, burnt for atheism at Toulouse, with an abstract of his writings. Il saggio, pur ricollegandosi alla consueta storiografia vaniniana e quindi con i soliti errori d'origine, sottopone ad un dibattito ponderato la figura ed il pensiero del filosofo italiano, a cui riconosce qualche merito. Ma la strada per una collocazione europea di Vanini e del suo pensiero è ormai aperta. Opere: “Amphitheatrum aeternae providentiae divino-magicum, christiano-physicum, nec non astrologo-catholicum adversus veteres philosophos, Atheos, Epicureos, Peripateticos et Stoicos, Auctore Iulio Caesare Vanino, Philosopho, Theologo et Iuris utriusque Doctore, Lugduni, Apud Viduam Antonii de Harsy, ad insigne Scuti Coloniensis” (rist. fotom., Galatina). “Iulii Caesaris Vanini, Neapoletani Theologi, Philosophi et Iuris utriusque Doctoris, De admirandis Naturae Reginae Deaeque mortalium arcanis libri quatuor, LPombaiae, Apud Adrianum Perier, via Iacobaea” (rist. fotom., Galatina). Le opere di Vanini e le loro fonti, Milano (rist. anast., Galatina,); “Opere” (G. Porzio, Lecce); “Anfiteatro dell'eterna Provvidenza” Galatina; “I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali” Galatina); “Opere (Galatina); “Confutazione delle religioni “Anna Vasta, Catania, De Martinis & C.); “Opere” (Milano, Bompiani). Massimo Bucciantini, Lutero in Campo dei Fiori, in Il Sole 24 ORE Terzapagina. Filosofia ed ecologia per il "compleanno" di Giulio Cesare Vanini, Una lettera dell'ambasciatore inglese a Venezia, Dudley Carleton, fa risalire l'episodio a nove anni prima. F. Raimondi, “Vanini e il libertinismo” Atti del Convegno di Studi, Taurisano (Galatina,  F.Raimondi, “Dal tardo Rinascimento al Libertinismo erudite” Atti del Convegno di Studi, Lecce-Taurisano Galatina, G. Spini, “Vaniniana” in «Rinascimento», F. Paola, “Il primo seicento anglo-veneto” Cutrofiano; F. De Paola, “Vanini da Taurisano filosofo Europeo, Fasano); F. Paola, “Documenti per una lettura di Vanini, in «Bruniana & Campanelliana», F. Raimondi, Documenti vaniniani nell'Archivio Segreto Vaticano, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», F.Raimondi, Il soggiorno vaniniano in Inghilterra alla luce di nuovi documenti spagnoli e londinesi, in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», F.Raimondi, “La Santa Inquisizione, Taurisano, F.Raimondi, “L'Europa del Seicento. con una appendice documentaria, PisaRoma, 2005 (L'appendice contiene la più completa documentazione sulla biografia vaniniana: 192 documenti dalla nascita al rogo). Fasano, D. M. Fazio, Giulio Cesare Vanini nella cultura filosofica del Sette e Ottocento (Galatina); M. T. Marcialis, “Natura e uomo in Vanini” in «Giornale Critico della Filosofia Italiana»,M. T. Marcialis, Giulio Cesare Vanini nell'Europa del Seicento, in "Rivista di Storia della Filosofia", G. Paganini, Le Theophrastus redivivus et Vanini, in «Kairos»,  G. Papuli, Le interpretazioni di G. C. Vanini, Galatina, A. Perrino, "Giulio Cesare Vanini nel Theophrastus redivivus", in «Bollettino di Storia della Filosofia dell'Università degli Studi di Lecce», F.Raimondi, Vanini e il "De tribus impostoribus", in «Ethos e Cultura», Padova, G. Spini, Ricerca dei libertini. La teoria dell'impostura delle religioni nel Seicento italiano, Roma, Firenze) Cesare Teofilato Giulio Cesare Vanini nel III Centenario del suo Martirio, Milano, Tip. Ed. La Stampa d'Avanguardia. Cesare Teofilato Giulio Cesare Vanini, in The Connecticut Magazine, articles in English and Italian, New Britain, Conn, Cesare Teofilato Vaniniana, in La puglia letteraria, mensile di storia, Roma, Cesare Vasoli, Riflessioni sul problema Vanini, in S. Bertelli, Il libertinismo in Europa, Milano-Napoli, Cesare Vasoli, Vanini e il suo processo per ateismo, in F. Niewohner e O. Pluta, Atheismus im Mittelalter und in der Renaissance, Wiesbaden); Vanini in Inghilterra. La seguente è una lista di alcuni documenti in cui è possibile trovare riferimenti alla presenza del frate Carmelitano a Lambeth Palace a Londra. Trascrizioni complete, riassunti e contesto di questi documenti sono disponibili. "Vanini e il primo seicento anglo-veneto" e in "Giulio Cesare Vanini da Taurisano filosofo europeo", Schena Editore, Fasano Brindisi. Documenti: London Public Record Office State Papers Venice Notizie sulla Mercers' Chapel a Londra, dove Vanini sconfesso la sua fede cattolica e tenne vari sermoni. London Public Record Office State Papers Petizione di due Carmelitani, Vanini e Genocchi, a Carleton, ambasciatore inglese a Venezia, per essere accettati in Inghilterra. Venezia. London Public Record Office State Papers Lettera di Carleton a Salisbury. Da Venezia, Carleton informa Salisbury che due frati gli hanno chiesto permesso di rifugiarsi in Inghilterra per evitare persecuzioni dai loro superiori. London Public Record Office State Papers. Vanini a Carleton. Da Lambeth. Vanini manda a Carleton informazioni riguardanti alla sua ricezione a Palazzo Lambeth e la buona stima di cui gode lì. London Historical Manuscripts Commission De L'Isle and Dudley Manuscripts, Sir John Throckmorton al visconte Lisle. Flushing. Corrispondenza tra i due statisti riguardo ad una missione segreta di John Florio, che forse accompagnò Vanini e il suo compagno a Londra. LondonManuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berk. Papers of Trumbull. Albery a Trumbull. Londra. Albery, un mercante Inglese e corrispondente di Trumbull, agente inglese a Bruxelles, manda informazioni sull'arrivo di Vanini e le sue esperienze a Venezia. London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire, Trumbull Papers. Albery a William Trumbull. Londra. Una copia della lettera da una fonte diversa. London Public Record Office State Papers Da Spinola a Ginocchio. Genova London Public Record Office State Papers Wake a Carleton. Londra London Public Record OfficeState Papers Wake a Carleton. Londra London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthamstead Park Berk. Papers of William Trumbull the Elder Alfonse de S. Victors a William Trumbull Da Middolborg (Middelburg) London Historical Manuscripts Commission Report on the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  Trumbull Papers, Alfonse de St. Victor a William Trumbull. Middelborg. London Public Record Office State Papers Domestic Series Jac. Chamberlain a Carleton. Londra, London Public Record Office State Papers Carleton a Lake. Da Venezia London Public Record OfficeState PapersDomestic Series, Biondi a Carleton. Da Londra LondonPublic Record Office State Papers, Carleton a Chamberlain. Da Venezia London Manuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead Park Berks. Papers of William Trumbull the Elder. George Abbot a William Trumbull. Da Lambeth. LondonHistorical Manuscripts CommissionReport of the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  Trumbull Papers, Abbot a Trumbull. Lambeth  London Public Record OfficeState Papers Carleton a Chamberlain. Venezia, London Public Record Office State Papers Carleton a Giovan Francesco Biondi. Venezia, London Public Record Office State Papers Domestic Series, Abbot a Carleton. Lambeth London Public Record Office State Papers Sarpi a Carleton. Venezia London Record Office State Sarpi a Carleton. Venezia, London Public Record OfficeState Papers Paolo Sarpi a Sir Dudley Carleton. Venezia, giugno. LondonHistorical Manuscripts CommissionReport 78 Hastings,  IV, chapter XVII. Notes of speeches and proceedings in the House of Lords. LondonHistorical Manuscripts Commission Hastings, Notes of speeches and proceedings in the House of Lords London Public Record Office State Papers Carleton a Sua Signoria l'Arcivescovo di Canterbur. Venezia LondonManuscripts of the Marquess of Downshire preserved at Easthampstead ParkBerks. Papers of William Trumbull the Elder Abbot a Trumbull. Lambeth London Historical Manuscripts CommissionReport of the Manuscripts of the Marquess of Downshire,  IV, Trumbull Papers George Abbot, Arcivescovo di Canterbury, a William Trumbull. Lambeth Archivio di Stato di VeneziaInquisitori di Stato, busta 155. Istruzioni degli Inquisitori di Stato all'ambasciatore in Inghilterra. LondonCalendar of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato, busta Venetian Archives. Gli Inquisitori di Stato a Gregorio Barbarigo,  LondonCalendar of State Papers on English Affairs in the Archives of Venice and other Libraries of North Italy Inquisitori di Stato, Venetian Archives. Examinations for Antonio Foscarini. Archivio di Stato di Venezia Inquisitori di Stato, Londra, Interrogatorio di Lunardo Michelini sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio di Stato di VeneziaInquisitori di Stato, Interrogatorio di Alessandro di Giulio Forti da Volterra sulle modalità della fuga di Vanini da Lambeth. Archivio General de Simancas fondo InglaterraLegajo foglio privo di indicazioni. Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono arrivati sani e salvi dopo la loro fuga da Londra. Archivio General de Simancas Bentivoglio a Sarmiento. Bruxelles. Il nunzio apostolico a Bruxelles informa l'abasciatore di Spagna che Vanini e il suo compare sono partiti verso l'Italia, come era stato concordato a Roma. Documenti inclusi nell'opera di Namer La seguente è la lista dei documenti inglesi inclusi nel lavoro Documents sur la vie de Vanini de Taurisano di Ėmile Namer, che può essere considerato come un utile punto di partenza per la delineazione di una biografia di Vanini, e di cui la nuova documentazione deve essere considerata un completamento. London Foreign State Papers. Venice. Bundle 9. Carleton ad Abbot. LondonForeign State Papers. Venice.Abbot a Carleton LondonState Papers Domestic. James I.  Carleton a Chamberlain. Venezia, London Foreign State Papers. Venice. Sir D. Carleton all'Arcivescovo di Canterbury. London State Papers Domestic. James I. Chamberlain a Carleton. Londra, London State Papers Domestic. James I.  7 Chamberlain a Carleton. LondonForeign State Papers. Venice Abbot a Carleton. London State Papers Domestic. James I.  Carleton a Chamberlain. London State Papers Domestic. James I. l'Arcivescovo di York al conte di Suffolk. London State Papers Domestic. James I. Giulio Cesare Vanini a Dudley Carleton. Da Lambeth, iLondonState Papers Domestic. James I.  Giulio Cesare Vanini a Sir Isaac Wake. Da Lambeth iLondon State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Carleton. da Londra. London State Papers Domestic. James I.  lAbbot a Carleton. Lambeth London State Papers Domestic. James I.   John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I.  Biondi a Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Abbot.  London State Papers Domestic. James I. John Chamberlain a Dudley Carleton. Da Londra London State Papers Domestic. James I.  Abbot al vescovo di Bath Da Lambeth (?). London State Papers Domestic. James I.   Lake a Carleton. Dalla corte a Royston, London State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Sir Dudley Carleton. Da Londra London Foreign State Papers. Venice Carleton a Abbot London Foreign State Papers. Venice. Carleton a Sir Thomas Lake. London State Papers Domestic. James I.  Abbot  a Carleton a Venezia. Lambeth, London State Papers Domestic. James I.  John Chamberlain a Dudley Carleton. Londra, LondonForeign State Papers. Venice.  Carleton a Abbot. Archivio de Simancas, Estado,  Cardinale Millino a Alonso de Velasco, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas, Estado,  Cardinal Millino a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Roma, Archivio de Simancas, Estado,  Cardinal Bentivoglio a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles, Archivio de Simancas, Estado,  Bentivoglio a Diego Sarmiento de Acuña, ambasciatore spagnolo a Londra. Bruxelles,Vanini e l'Inquisizione di Roma Elenco di alcuni documenti presenti nella corrispondenza tra alcuni Nunzi apostolici in Europa e le autorità vaticane, dove è possibile trovare informazioni relative alla fuga, permanenza e rientro segreto dall'Inghilterra del frate carmelitano. Le trascrizioni complete, i sommari e le contestualizzazioni di questi documenti sono disponibili per studiosi e lettori in Giulio Cesare Vanini da Taurisano filosofo europeo, Schena Editore, Fasano (Brindisi), Il pontefice Paolo V e l'Inquisizione in Roma furono informati continuamente della vicenda di Vanini con dispacci dei Nunzi apostolici in Venezia, Francia e Fiandra e con missive dell'ambasciatore di Spagna a Londra, a cominciare dalla sua fuga da Venezia sino al suo desiderio di rientrare nel mondo cattolico.  RomaArchivio Segreto VaticanoSegreteria di StatoNunziatura di Francia,  Ubaldini, Nunzio papale in Francia, al Borghese, Segretario di Stato di Paolo V, de Parigi.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Fiandra,   il Nuntio alla Segreteria, Bentivoglio, Nunzio papale in Fiandra, al Card. Borghese. (Bruxelles) Roma A. S. VaticanoSegreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma li Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini da Parigi a Borghese Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia,  293A, lettere scritte al Nuntio in Francia Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,  Ubaldini a Borghese Rom aA. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Franci Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere di Ubaldini, nella sua Nunziatura di Francia, Ubaldini a Borghesr Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini, membro del Sant'Uffizio, il Tribunale dell'Inquisizione di Roma. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia, lettere scritte al Nuntio in Francia da Borghese, Borghese a Ubaldini. Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia,  Registro di Lettere della Segreteria di Stato di Paolo V al Vescovo di Montepulciano Nuntio in Francia Il Segretario Porfirio Feliciani vescovo di Foligno al Nuntio in Francia. Roma 21 Genn.° 1613.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia, Ubaldini al Mellini Roma A. S. Vaticano Segreteria di StatoNunziatura di Francia, Ubaldini a Mellini RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese. Di Parigi RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di FranciaRegistroUbaldini a Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziature diverse, Francia,  lettere scritte al Nuntio in Francia dal Card. Borghese, Il card. Borghese a Ubaldini. Di Roma Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Ubaldini a Borghese Di Parigi.  RomaA. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a  Millini Roma A. S. Vaticano Segreteria di Stato Nunziatura di Francia Registro Ubaldini a Borghese Londra, British Museum, Lettere del Card. Ubaldini, nella sua nunziatura di Francia, Card. Ubaldini a Borghese Parigi, Bibliothèque nationale de FranceDepartement des Manuscrits, Italien Registro di Lettere della Nunziatura di Francia di Ubaldini dell'anno lettera, Ubaldini a Borghese Parigi) Roma A. S. VaticanoSegreteria di Stato Nunziature diverse, Francia,  Lettere del Sir. Card.le Ubaldini nella sua Nunciatura di Francia Ubaldini a Borghese Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Amphitheatrum e De admiandis. Raimondi Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giulio Cesare Vanini. Vanini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Vanini e Grice,” Villa Grice, Luigi Speranza, “La statua all’aperto di Vanini,” Luigi Speranza, “Il medaglione di Vanini a Roma.” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51718281679/in/photolist-2mNaHiH-2mPpVqK-2mKDicu-2mKDhJk-2mKbUmy

 

Grice e Vanni – azione ed inter-azione – filosofia italiana (Città della Pieve). Essential Italian philosopher. Filosofo. Iniziò la carriera a Perugia e successivamente fu insegnante a Parma, Bologna, e Roma.  Tra i fondatori del positivismo soziale, la sua filosofia si ispira a Kant e agli principali filosofi del positivismo Professoree a lui si deve anche una originale lettura "positivista" della dottrina storicistica di Vico. Il suo è stato definito un "positivismo critico,” che vuole distinguere cioè tra la ‘scienza’ dell’uomo dalla ‘filosofia’ dell’uomo, contestando e rifiutando l'assimilazione positivista di quest'ultima con la morale e la sociologia, dottrina nata nell'ambito del positivismo, verso la quale Vanni ebbe un interesse particolare cercando di teorizzarne il carattere ‘scientifico’ differenziandola però sia dall'evoluzionismo che dalla biologia.  Vanni considerò essenziale l'autonomia teorica del ‘ius’ o devere dai rapporti con gli aspetti storici-etnografici delle istituzioni giuridiche. Vanni è convinto che la ‘filosofia,’ come analisi concettuale, del diritto debba avere la funzione pratica di definire i ‘fine’ (métier) della inter-azione umana. In questo modo, Vanni ribade l'impostazione criticista kantiana che acquistav un tono metafisico criticato dai positivisti ortodossi che lo accusano di eclettismo. Opere: “Della consuetudine nei suoi rapporti col dritto e con la legislazione” (Perugia); “Saggi critici sulla teoria socio-logica della popolazione” (Città di Castello); “Prime linee di un programma critico di sociologia” (Perugia); “Il problema della filosofia del diritto nella filosofia, nella scienza e nella vita ai tempi nostril” (Verona); “La filosofia del diritto” (Verona); “La funzione della filosofia considerata in sé ed in rapporto al socialismo” (Bologna); “La filosofia del diritto e la ricerca positivista” (Torino); “Il dritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca oggettiva” (Roma); “La teoria della conoscenza come induzione socio-logica e l'esigenza critica del positivismo” (Roma); “Filosofia del diritto” (Bologna); “Filosofia sociale e filosofia giuridica” (Bologna) Biografia in Scuola Normale Superiore di Pisa, su picus.unica. G. Marino, Positivismo e giurisprudenza, Napoli, F.Cuculo, La sociologia positivista di Vanni, in A. Millefiorini, Fenomenologia del disordine. Prospettive sull'irrazionale nella riflessione sociologica italiana, Edizioni Nuova Cultura, Roma, D'Amelio, Positivismo, storicismo, materialismo storico in I. Vanni, «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», A. Pusceddu, La sociologia positivista in Italia (Roma). siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche.  Opere u openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere. I. Vanni. Vanni. Keywords: action, interaction, azione, interazione, Vico, positivism, positivism critico, etologia, ethology -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza,, “Grice e Vanni: azione ed inter-azione” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Vannini – il mistico di ‘Vitters’ – filosofia (San Piero a Sieve). Essential Italian philosopher. “Never to be confused with the vain Vanini!”Grice. Filosofo. Dopo gli studi al Ginnasio Michelangiolo di Firenze, si è laureato in Filosofia a Firenze, discutendo una tesi su “‘Vitters’: metafisico e mistico”! Ha vissuto nel Convento agostiniano di Santo Spirito a Firenze, ospite di Ciolini. Ha compiuto viaggi e soggiorni di studio in Europa Ha insegnato Filosofia e Storia nei Licei; per un triennio Storia della Filosofia a Firenze e Storia della Mistica all'Istituto di Scienze Religiose aTrento.  Ha tenuto seminari e conferenze in Università ed Accademie italiane e straniere: Genova, Trento, Ancona, Perugia, Urbino, Pavia, Pisa, Macerata, Napoli, Fermo, Parma, Arezzo, Chieti, Roma, Avila, Strasburgo, Berlino. Considerato il maggior studioso di mistica o anche il più importante studioso italiano di Eckhart e della mistica cristiana, ha curato l'edizione italiana delle opera latine di Eckhart, nonché quelle di altri autori spirituali, come Agostino, Gerson, Fénelon, Porete, Taulero, Anonimo Francofortese, Lutero, Angelus Silesius, Czepko, Franck, VWeigel, ecc.  Marco Vannini, lungo un percorso ormai di quasi mezzo secolo, è stato:  traduttore e curatore di importanti testi della mistica; critico della fenomenologia, da un punto di vista teoretico e storico; filosofo della religione, soprattutto nei suoi rapporti con la ragione e con la fede. Vannini legge il fenomeno mistico in maniera innovativa ma, soprattutto, pone lo stesso a fondamento di ogni forma ed esperienza religiosa. Tale presupposto impone come fuori da un'esperienza diretta di questo tipo sia pressoché impossibile cogliere il senso, le modalità e le finalità delle varie dottrine e pratiche religiose.  Per Vannini la mistica è un sapere spirituale, inoggettivabile ma, soprattutto, un sapere che è un essere: è l'identità mistica il vero e proprio criterio per discernere il vero dal falso. Tale ermeneutica costituisce una propedeutica all'inverarsi in senso mistico della religione cristiana.  Il pensiero di Vannini si basa su una esperienza spirituale, unitiva e teomorfica. Centrali appaiono pertanto concetti appartenenti alla sfera semantica della divinizzazione, dell’homoiosis theo, quali vuoto, fondo dell'anima, generazione del Logos, complementarità tra distacco ed amore.  Tale esperienza risulta comprensibile solo quando si è fatto il vuoto nell'anima attraverso il distacco, diventando in tal modo recettivi alla luce proveniente dall'alto, tali da rendere il soggetto esso stesso luce eterna: al vuoto in cui si perviene nel distacco corrisponde una pienezza, una traboccante ricchezza ed energia, una gioia sconfinata ed inesauribile.  Il rapporto tra Dio e uomo non è quindi statico, di mutua esclusione, ma “dialettico” o dinamico, di reciproca compenetrazione: la “salvezza” viene letta nei parametri teologici di una escatologia realizzata nel presente, come immanente esperienza dello spirito. Essenziale diventa perciò il recupero della antropologia classica corpo, anima, spirito ove l'uomo è un corpo, piccola parte dell'universo; una psiche, fluttuazione infinita di pensieri, sentimenti, volizioni, soggetta al determinismo del tempo, dello spazio, delle circostanze; ma soprattutto uno spirito universale, eterno, libero, uno nell'Uno. L'attualità e l'originalità della posizione di Vannini ha suscitato e continua a suscitare un acceso dibattito in seno al panorama culturale italiano, filosofico e teologico: nei confronti dell'autore vari infatti sono stati i commenti, le recensioni, i contributi e gli interventi critici da parte di personalità quali (in ordine alfabetico) Bozzo, Baldini, Bianchi, Cacciari, Monticelli, Esposito, Forte, Givone, Mancuso, Matteo, Mucci S.I., Ravasi, Reale, Torno, Vattimo, e Volpi.  La particolare rilevanza dell'opera di Vannini può trasparire anche, ad esempio, dalle seguenti affermazioni in meritocitate in ordine sparsodi alcuni dei suddetti illustri pensatori. Givone: “A Marco Vannini, cui siamo debitori d'un lavoro filosofico estremamente prezioso, rivolgiamo questa domanda. A Vannini dobbiamo non soltanto edizioni impeccabili delle opere di Eckhart, Porete, Silesius, Gerson; ma anche il pensiero vigoroso e chiaro, qualunque cosa gli si posa obiettare, che la mistica è da un lato il cuore e la radice viva di ogni religione, ma dall'altro “la filosofia nel suo senso più reale e profondo”, la conoscenza e la pratica dell'essere e “la gioia dell'essere”. Cacciari: “È un grosso debito quello che la filosofia e la teologia hanno accumulato in questi anni nei confronti diVannini. Grazie al suo instancabile lavoro o sotto la sua direzione il nostro Paese può oggi contare su impeccabili edizioni di Gerson, Silesius, Porete ed Eckhart» Mucci: “In questi tempi di declino dell'ontologia, Vannini è certamente, in Italia, fuori dell'ambito ecclesiastico, il più illustre studioso di mistica.” Reale: “L'esperienza mistica è comunque per sua natura connessa con il religioso, come viene mostrato nella filosofia di Vannini, “La mistica delle religioni (Le Lettere) in questi giorni in libreria. Vanniniuno dei massimi esperti in materia a livello nazionale e internazionaleanalizza in modo dettagliato questa esperienza spirituale nell'induismo, nel buddismo, nell'ebraismo, nell'islamismo e nel cristianesimo.” Torno: “Segnalare un livre de chevet, vale a dire una di quelle opere maneggevoli che mai dovrebbero allontanarsi dal capezzale, è diventato difficile oltre che inattuale. Eppure qualcosa circola, come prova l'ultimo delizioso scritto di Marco Vannini Sulla grazia». BForte: L'ultimo bel libro di Vannini su Mistica e filosofia rivela ancora una volta la sua straordinaria competenza di storico e interprete della mistica» Al pensiero di Vannini è stato dedicato “Mistica e filosofia nel pensiero di Vannini.  Opere: “Lontano dal segno. Saggio sul cristianesimo, La Nuova Italia, Firenze, Esame della certezza, Il Cenacolo, Firenze,  Eckhart. Opere tedesche, La Nuova Italia, Firenze Dialettica della fede, Marietti, Casale Monferrato (nuova edizione ampliata, Le Lettere, Firenze ). L'esperienza dello spirito, Augustinus, Palermo.  Mistica e filosofia, Piemme, Casale Monferrato (prefazione di Massimo Cacciari; nuova edizione ampliata, Le Lettere, Firenze). Il volto del Dio nascosto. L'esperienza mistica dall'Iliade a Simone Weil, Mondadori, Milano (ristampa col titolo: Storia della mistica occidentale, Oscar Mondadori; poi Le Lettere, Firenze ). Introduzione alla mistica, Morcelliana, Brescia (trad. portoghese: Introdução à Mìstica, Edições Loyola, San Paolo del Brasile). La morte dell'anima. Dalla mistica alla psicologia, Le Lettere, Firenze (nuova edizione ampliata, Le Lettere, Firenze). La mistica delle grandi religioni, Mondadori, Milano (nuova edizione, Le Lettere, Firenze). Tesi per una riforma religiosa (Le Lettere, Firenze); La religione della ragione” (Mondadori, Milano); Sulla grazia (Lettere, Firenze); Prego Dio che mi liberi da Dio. La religione come verità e come menzogna, Bompiani, Milano. Lessico mistico. Le parole della saggezza, Le Lettere, Firenze. Il Santo Spirito fra religione e mistica, Morcelliana Editrice, Brescia. Oltre il cristianesimo. Da Eckhart a Le Saux, Bompiani, Milano. Inchiesta su Maria. La storia vera della fanciulla che divenne mito (Rizzoli, Milano); Indagine sulla vita eterna, Mondadori, Milano); Introduzione a Eckhart. Profilo e testi, Lettere, Firenze. L'Anticristo. Storia e mito, Mondadori, Milano. All'ultimo papa. Lettere sull'amore, la grazia, la libertà, il Saggiatore, Milano. Contro Lutero e il falso evangelo, de' Medici, Firenze. Il muro del paradiso. Dialoghi sulla religione per il terzo millennio, Lorenzo 'de Medici Press,. Mistica, psicologia, teologia, Le Lettere, Firenze. Liceo-Ginnasio Michelangiolo  Firenze  Vito Mancuso, Lutero è vivo e lotta con noi, s.a., in: <Panorama> Stefano G. Azzarà, su Materialismo Storico   Bio-  S. Givone, Luce mistica dei moderni in: «Il ManifestoAlias», in il manifesto Alias,Marco Vannini, Mistica e filosofia, Prefazione, Firenze, Le Lettere, Giandomenico Mucci, Il pensiero di Marco Vannini, in «La Civiltà Cattolica», Giovanni Reale, Il misticismo vive in tutte le culture. Il testo di Vannini, le «Upanishad» riedite, su corriere. Armando Torno, Alla ricerca della Grazia nel segno di Eckhart, in «Corriere della Sera», Cultura, Bruno Forte, Mistica, l’enigma dell’Altro, in «Avvenire»Libri, Roberto Schiavolin, Mistica e filosofia nel pensiero di Marco Vannini, Nerbini, Firenze   Mistica Misticismo cristiano Mistica renana Meister Eckhart P.  Hadot Henri Le Saux Sito personale di Vannini. Marco Vannini. Vannini. Keywords: the mystic, das mystische. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Vannini e Grice: il mistico di ‘Vitters’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732370519

 

Grice e Varisco – per un sommario di filosofia critica – filosofia italiana (Chiari). Essential Italian philosopher. Filosofo. Grice: “We all learned about the ‘gnothi seauton’ at Clifton – Varisco composed a full tract about it! Calogero has analysed the implicatures! The idea is that you need a ‘thou’ to tell ‘thou’ ‘know THYself” – although the oracular mystique is still there!” -- Fu professore di filosofia a Roma e senator. La sua formazione filosofica coincide con la crisi del positivismo.  Laureato a Pavia. Partendo da posizioni solidamente scientifiche, Varisco avverte sollecitamente il limite di ogni conoscenza che voglia essere esclusivamente composto di ragione, e scopre insieme la concomitante componente ‘fideistica’ di ogni affermazione di verità.  Questo ricorso alla fede come sentimento del sopra-naturale è utilizzato da Varisco sia per affermare la preminenza della filosofia come conoscenza concreta sui processi astrattivi della scienza (“I massimi problemi” – Milano, Libreria Editrice Milanese), sia per approdare ad uno spiritualismo pluralistico con forti accentuazioni teistiche (“Dall'uomo a Dio”).  Altre opere: “Scienza ed opinione” (Roma, Alighieri); “La patria” (Roma, Provenzani), “Conosci te stesso” (Milano, Libreria Milanese); “La scuola per la vita” (Milano, Isis); “Linee di filosofia critica” (Roma, Signorelli); “Discorsi politici” (Roma, Alberti); “Sommario di filosofia” (Roma, Signorelli); “Dall'uomo a Dio” (Padova, MILANI). Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia, ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia, Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia. Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia nastrino per uniforme ordinaria Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Corona d'Italia. Senatori d'Italia, Senato della Repubblica. Varisco. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, BANC MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Varisco: per un sommario di filosofia critica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51692603820/in/photolist-2mKU7b1-2mKLFv4

 

Grice e Varrone – semiotica filosofica – filosofia italiana (Rieti). Grice: “I count Varrone as the first language philosopher. He woke up and realised he was speaking ‘lingua latina,’ and dedicated 36 volumes to it!” --. Grice: “’Lingua latina’ has a nice Roman ring to it. In modern Italian, the ‘t’ has become an ‘z,’ as in “Lazio,  -- the calcio team from Latium – or a ‘d’ as in ‘ladino.’” Grice: “I know his Loeb edition by heart!” – Grice: “The Greeks never studied their lingo as Varro studied his! Of this Austin always reminded me – ‘We should be like Varro, analysing our tongue as ‘fluid’ semiotic system!’” -- Academic,  Roman polymath, author of works on language, agriculture, history and  philosophy, as well as satires, and principal conversationalist in the later version of  Cicero’s "Academica.” Questore della Repubblica romana. Gens: Terentia Questura in Illyricum Propretura in Spagna. Marco Terenzio Varrone. Filosofo. Tu ci hai fatto luce su ogni epoca della patria, sulle fasi della sua cronologia, sulle norme dei suoi rituali, sulle sue cariche sacerdotali, sugli istituti civili e militari, sulla dislocazione dei suoi quartieri e vari punti, su nomi, generi, su doveri e cause dei nostri affari, sia divini che umani == Cicerone, Academica Posteriora. Detto Reatino. attributo che lo distingue da “Varrone Atacino,” vissuto nello stesso periodo. Nato da una famiglia di nobili origini, ha rilevanti proprietà terriere in Sabina, dove e educato con disciplina e severità dai familiari, integrate dall'acquisto di lussuose ville a Baia e fondi terrieri a Tusculum e Cassino.  A Roma compì studi avanzati presso i migliori maestri del tempo. Lucio Elio Stilone Preconino lo fa appassionare anche agli studi etimologici ed oratoria. Studia la lingua italiana con Lucio Accio, a cui dedic “aDe antiquitate litterarum.” Come molti romani, compe un grand tour in Grecia, dove ascolta filosofi accademici come Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, da cui deduce una posizione filosofica di tipo eclettico. A differenza di molti altri eruditi del tempo, non si ritira dalla vita politica ma, anzi, vi prende parte attivamente accostandosi agli optimates, forse anche influenzato dall'estrazione sociale. Dopo aver, infatti, percorso le prime tappe del cursus honorum (triumviro capitale, questore, e legato) e vicino a Pompeo, per il quale ricopre incarichi di grande importanza. Legato e proquestore e combatte nella guerra contro i pirati difendendo la zona navale tra la Sicilia e Delo. Allo scoppio della guerra civile e propretore. In una guerra che vede i romani contro i romani, tenta un'incerta difesa del suo territorio che si concluse in una resa che Giulio Cesare, nei Commentarii de bello civili, define poco gloriosa. Dopo la disfatta dei pompeiani, si avvicina, comunque, a Cesare, che apprezza il Reatino soprattutto sul piano culturale, affidandogli la costituzione di una biblioteca. Dopo la morte del dittatore, anzi, e inserito nelle liste di proscrizione sia di Antonio che di Ottaviano (interessati più alle sue ricchezze che a punire i congiuranti), da cui si salva grazie all'intervento di Fufio Caleno per poi avvicinarsi a Ottaviano a cui dedica il “De vita populi Romani” volto alla divinizzazione della figura di Cesare. Ha una produzione di oltre 620 libri, suddivisi in circa settanta opere. Opere “De re rustica” (Varrone) e “De lingua Latina” -- La vasta produzione di Varrone fu suddivisa da Girolamo in un catalogo. Le opere di Varrone sono verosimilmente 74, suddivise in 620 volumi, sebbene  stesso regli rifere di aver scritto 490 libri.  Le sue opere  possono essere suddivise in vari gruppi, dalle opere di erudizione, filologia (filosofia del linguaggio, o semantica) e storia a quelle giuridiche e burocratiche, dalle opere di filosofia (filosofia del linguaggio, semantica, semiotica) e agricoltura alle opere di poesia, di linguistica e letteratura; di retorica e diritto, con ben 15 libri De iure civili; di filosofia. Di questa enorme produzione è pervenuta quasi integra solo un'opera, il “De re rustica”, mentre del “De lingua Latina” sono pervenuti solo 6 libri su 25. Probabilmente, causa del quasi completo naufragio della immane varroniana è che, avendo compulsato tanta parte della cultura romana precedente, divenne la fonte indispensabile per gli autori successivi, perdendosi, per così dire, per assimilazione. Della sua attività filologica fa testimonianza il cosiddetto canone varroniano, elaborato a partire da due opere, le “Quaestiones Plautinae” e il “De comoediis Plautinis”, in cui riparte il corpus plautino, che include 130 fabulae. Di queste, 21 vengono definite autentiche, 19 di origine incerta, dette "pseudo-varroniane" e le restanti spurie.  Si occupa soprattutto di antiquaria, con i 41 libri di “Antiquitates”, il suo capolavoro, divisi in 25 di “res humanae” e 16 di “res divinae”, fonte precipua di Agostino nel De civitate Dei. Proprio da Agostino si evidenzia l'attenzione di Varrone sulla religione civile, con una compiuta disamina su culti e tradizioni, pur con acute critiche alla teologia mitica dei poeti in nome di una theologia naturalis. A questo gruppo appartiene anche l'opera, non pervenuta, “De bibliothecis”, presumibilmente legata alle incombenze come bibliotecario affidategli da Cesare. Nell'ambito filosofico, notevoli dovevano essere “I logistorici” -- dal greco “discorsi di storia” -- in 76 libri, composta in forma di dialogo in prosa, di argomento morale e antiquario, in cui ogni libro prende il nome di un personaggio storico e un tema di cui il personaggio costituiva un modello, come il “Marius”, “de fortuna” o il “Catus”, “de liberis educandis”. Questi dialoghi storico-filosofici sono tra i modelli espositivi del “Laelius”; “de amicitia” e del “Cato Maior”, “de senectute” di Cicerone. Al suo interesse filosofico e divulgativo, probabilmente scritte lungo tutto il corso della sua parabola culturale, riconducevano le “Saturae Menippeae”, che prendevano come modello Menippo, esponente della filosofia cinica (da cui il nome). Le “Saturae Menippeae” si componevano di 150 libri, in prosa e in versi, di cui però ci rimangono circa 600 frammenti e novanta titoli, di argomento soprattutto filosofico, ma anche di critica dei costumi, morale, con rimpianti sui tempi antichi in contrasto con la corruzione del presente. Ciascuna satira recava un titolo, desunto da proverbi (“Cave canem” -- con allusione alla mordacità dei filosofi cinici) o dalla mitologia (“Eumenide” contro la tesi stoico-cinica per cui gli uomini sono folli, “Trikàranos”, il mostro a tre teste, con un mordace riferimento al primo triumvirato) ed era caratterizzata da lessico popolaresco, polimetria e, come in Menippo, uno stile tragi-comico. Valerio Massimo, VII 3. Aulo Gellio. Ce ne parla lui stesso in “De lingua latina” -- Cicerone, Academica posteriora, Appiano, Guerre civili, IV 47; Varrone, De re rustica, I Svetonio, Cesare, Appiano, Ausonio, Commemoratio professorum Burdigalensium,Chronicon, ann. Aulo Gellio, Gellio, I cui frammenti sono editi nell’edizione di B. Cardauns: “Antiquitates rerum divinarum” Cfr. B. Zucchelli, Varro logistoricus. Studio letterario e prosopografico, Parma, Cfr., ad esempio, il Fr. XIX Riese: "Da ragazzo, avevo solo una tunica modesta e una toga, calzature senza fascette, un cavallo non sellato; bagno giornaliero, niente e, davvero di rado, una tinozza".  N. Horsfall, Varrone, in Letteratura Latina (Milano, Mondadori). Cfr. M. Salanitro, Le Menippee di Varrone: contributi esegetici e linguistici (Roma, Ateneo). Sulla satira varroniana, cfr. L. Alfonsi, Le Menippee di Varrone, in "ANRW". Atti del Congresso di studi varroniani. Rieti, Centro di studi varroniani,  A. Cenderelli, “Varroniana” Istituti e terminologia giuridica nelle opere di Varrone (Milano, A. Giuffrè); H. Dahlmann, “Varrone e la teoria della lingua” (Napoli, Loffredo), F. Della Corte, “Varrone, il terzo gran lume romano” (Genova, Istituto universitario di Magistero); “De vita populi Romani” Introduzione e commento, Pisa; B. Riposati, “M. Terenti Varronis De vita populi Romani” -- Fonti, esegesi, edizione critica dei frammenti (Milano, Vita e pensiero), B. Riposati, “Varrone. L'uomo e lo scrittore” (Roma Istituto di studi romani); A. Traglia, Introduzione a Varrone, “Opere” (Torino, POMBA), B. Zucchelli, “Varro logistoricus: prosopo-grafica” -- Parma, Istituto di lingua e letteratura latina, Satira menippea Biblioteche romane Antiquitates rerum humanarum et divinarum Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. “M. Ter. Varronis De lingua Latina libri qui supersunt: cum fragmentis ejusdem” Biponti, ex typographia societatis. Biblioteca degli scrittori latini con traduzione e note: “Terentii Varronis quae supersunt opera” Venetiis, excudit J. Antonelli, “Grammaticae Romanae Fragmenta”, Gino Funaioli, Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri. “M. Terenti Varronis saturarum menippearum reliquiae” -- cur. A. Riese, Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri. Varrone. Keywords: centro di studi varroniani, idioma, idiom, lingua latina, lingua anglica, Lazio, Lazini, la lingua del Lazio – Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Varrone: semiotica filosofica” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51689086098/in/photolist-2mKBBam-2mKBBze-2mKA5tC

 

Grice e Varzi – parole, oggetti, eventi – filosofia italiana (Galliate). Essential Italian philosopher. varzi: essential Italian philosopher. Some Italians do not consider Varzi an “Italian” philosopher in that his maximal degree was earned elsewhere! If philosophy is a branch of the belles lettres, part of Varzi’s essays belong in English literature --. He was written on ‘universal semantics.’ Achille Varzi all'Trento. Grice: “Varzi rather freely uses ‘universal’ as in ‘universal semantics’ – while my own pragmatic rules have been challenged universal status, by, of all people, Elinor Ochs!” Filosofo. Grice: “Some Italians consider Varzi a specimen of ‘brain drain’ in more than one way: his maximal degree was obtained without Italy, not within Italy, and not in Italian – plus the fact that he is at Colombo’s Columbia!” Esponente della filosofia analitica, è noto principalmente per le sue ricerche di logica e per il suo contributo alla rinascita degli studi in ambito di metafisica e ontologia. Laureatosi a Trento con una tesi, “La logica libera” stato insignito della Targa Giuseppe Piazzi per la ricerca scientifica e del Premio Paolo Bozzi per l'Ontologia.  Dopo un periodo dedicato soprattutto allo studio dell'immagine del mondo propria del senso comune, Varzi si è indirizzato progressivamente verso posizioni di stampo nominalista e convenzionalista, nella convinzione che "buona parte della struttura che siamo soliti attribuire alla realtà esterna risieda a ben vedere nella nostra testa, nelle nostre pratiche organizzatrici, nel complesso sistema di concetti e categorie che sottendono alla nostra rappresentazione dell'esperienza e al nostro bisogno di rappresentarla in quel modo". Autore di oltre un centinaio di pubblicazioni su volumi e riviste specializzate,  è noto anche per la sua attività divulgativa (spesso in collaborazione con Casati), ispirata al principio secondo cui "la filosofia è una sfida in cui il pensiero parte dalla semplicità delle cose quotidiane e ne mostra la meravigliosa complessità". Opere: “Semplicemente diaboliche” (Laterza); “L’amicizia” (Orthotes); “I colori del bene, Orthotes,. L'incertezza elettorale (Aracne). Le tribolazioni del filosofare. Comedia Metaphysica ne la quale si tratta de li errori & de le pene de l’Infero, Laterza,. Il mondo messo a fuoco, Laterza, Il pianeta dove scomparivano le cose. Esercizi di immaginazione filosofica, Einaudi, Ontologia, Laterza, Semplicità insormontabili storie filosofiche, Laterza, Parole, oggetti, eventi e altri argomenti di metafisica, Carocci. “Logica” McGraw-Hill Italia,  Buchi e altre superficialità, Garzanti. Studi: Elena Casetta e Valeria Giardino, Mettere a fuoco il mondo. Conversazioni sulla filosofia di Varzi, numero speciale di Isonomia Epistemologica,  F. Calemi, Varzi. Logica, semantica, metafisica, AlboVersorio, Milano. Il mondo messo a fuoco, Laterza. Dal risvolto di copertina di Semplicità insormontabili, Laterza. Da questo libro è stato tratto lo spettacolo teatrale Insurmountable Simplicities, per la regia di Natalie Glick, presentato dall'All Gone Theatre Company all'edizione  del New York International Fringe Festival. Biografia "negativa" di Varzi, su columbia.edu. Intervista ad Achille Varzi di Leonardo Caffo, Rivista italiana di filosofia analitica. Varzi. Keywords: ‘universal’. Refs.:  Luigi Speranza, "Grice e Varzi: semantica filosofica," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51685558918/in/photolist-2mKzcaD-2mKgZYb-2mKgSAa

 

Grice e Vasa: ragione e libertà – filosofia (Aggius). Essential Italian philosopher. Filosofo. Andrea Vasa Società Filosofica Italiana Congresso Nazionale L'Aquila. Vasa nacque ad Aggius, paese della Gallura di forte e suggestivo paesaggio e di forti vicende. Compiuti in anticipo gli studi secondari, andò a studiare filosofia a Milano dove si laureò. Insegnò nel Liceo Ginnasio “Arnaldo” di Brescia. Dovette interrompere l’insegnamento a causa della sua partecipazione alla Resistenza con il gruppo che faceva capo a Parri. Alla fine della guerra riprese l’insegnamento a Milano nel Liceo Classico G. Carducci e poi nel Liceo Ginnasio Manzoni. Ottenne la libera docenza. Fu assistente volontario e poi incaricato di Filosofia a Milano. Vincitore di un concorso a cattedre di Filosofia teoretica, fu chiamato  a Cagliari e Firenze. Vasa rimase sempre fortemente legato al paese natale. Il Comune di Aggius ne ha conservato la memoria.  Negli anni di formazione, Vasa si trovò a partecipare al tentativo condotto da Bontadini, di cui era allievo e amico, di superare la contrapposizione tra la scolastica e l’idealismo, comprendendo e assimilando quanto della metafisica hegeliana e cristiana era in questo indirizzo. In questa operazione Vasa prese una sua via personale. Abbandonò l’interesse metafisico simpatizzando per l’attualismo di Gentile per quanto esso restituiva all’uomo dignità e responsabilità, mettendone tuttavia in luce l’impossibilità di una fondazione logica. Nacquero così le indagini sulla logica di Hegel che portarono a rilevanti osservazioni critiche riguardo all’idealismo. Con l’idea che i valori immanenti costituiscono l’orizzonte trascendentale nella prassi razionale ed etica dell’uomo veniva a cadere per Vasa l’opposizione di immanenza e trascendenza.  Nella comune partecipazione alla Resistenza Vasa si legò di amicizia con Pra, filosofo di profonda esperienza religiosa e sociale e innovatore della storiografia filosofica. Tramite lui Vasa entrò in contatto con Banfi, che rappresentava la Scuola filosofica milanese. Nel confronto con il razionalismo critico di Banfi, che mirava a chiarire una struttura della ragione nel solco della tradizione kantiana, Vasa pensò ad un razionalismo che andasse oltre ogni struttura presupposta della ragione verso un orizzonte di possibilità non ancora prevedibili. Questo pensiero comportava l’idea della ricerca di una logica della possibilità. Si pose così quella proposta filosofica detta “trascendentalismo della prassi”, radicalmente critica e programmaticamente aperta, e che venne difesa da Pra e Vasa, sia nella «Rivista di storia della filosofia» fondata da Pra, sia nei Congressi della “Società filosofica italiana” rinata dopo lo scioglimento imposto dall’autorità fascista. Il “trascendentalismo della prassi” era contrapposto al "teoricismo", inteso come il carattere di tutte le filosofie che presuppongono un principio di datità del reale e del valore, cioè di tutte le filosofie metafisiche. Il trascendentalismo della prassi non voleva essere una teoria, ma un atteggiamento pratico possibile, effettivo, che riconosceva la temporalità della prassi e ne rivendicava la libertà e la responsabillità. La proposta del trascendentalismo della prassi, che era immediatamente critica del pensiero di Croce e Gentile, ma che investiva tutti gli indirizzi contemporanei, fu il modo più radicale del domandarsi dopo la guerra, sul métier della filosofia. La «Rivista di storia della filosofia» costituì il contatto con il “neo-illuminismo”, che, animato da Abbagnano, avendo come centro Torino, collega e confronta in convegni periodici i nuovi indirizzi metodologici e anti-metafisici.  Affermatisi gli indirizzi della fenomenologia trascendentale, della filosofia analitica e dell’empirismo, Vasa, con il suo metodo, caratterizzato dall’apertura e dalla tensione critica ad un continuo “andar oltre”, diede di essi interpretazioni originali in numerosi studi e seminari. La sua ricerca, ora caratterizzata come razionalismo della prassi, continuò a mettere in discussione ogni naturalismo limitativo della libertà della persona. Vasa confermò così l’idea di una “via negativa alla filosofia” a cui siamo costretti in mancanza di principi universali oggettivi o di autorità universali nella prassi. Questa negazione confuta la tematizzazione ingenua del mondo, mette fra parentesi la tradizione, toglie l’unicità di senso al nostro rapporto con la realtà e, aprendo la ricerca alla prospettiva di generalizzazioni nuove, risponde al bisogno della persona di costruirsi e perseguire finalità proprie.  Per influenza dell’amico Geymonat, e in discussione con lui, Vasa vide concretamente nelle scienze in sviluppo l’orizzonte effettivo delle possibilità razionali, pertanto si cimentò nella comprensione di esse attraverso l’epistemologia e la logica. Egli esaminò: il moderno formalismo logico-matematico di Russell; l’analisi del linguaggio (formale ed ordinario) di ‘Vitters’; il convenzionalismo logico e linguistico che egli coglieva nell’empirismo di Carnap e nella discussione di Quine sull’ontologia; lo stesso svolgimento dell’epistemologia dagli inizi col Circolo di Vienna ai successivi sviluppi autocritici e “liberali”; le rivoluzioni concettuali delle scienze. Erano tutti problemi che avevano all’origine e segnalavano una crisi del fondamento. Vasa volle chiarirli leggendovi «la sollecitazione a porre fra parentesi ad aggredire o a variare all’infinito ogni “conoscenza” di spazi e tempi, di atomi, masse e cause naturali». La sua ricerca manteneva così l’etica dei fini umani; la logica era anche logica della speranza; la filosofia ritrovava il senso originario di “amore della saggezza”.  Opere: “Il problema della ragione” (Bocca, Milano); “Ricerche sul razionalismo della prassi” (Sansoni, Firenze); “Logica, scienza e prassi” (La Nuova Italia, Firenze); “Logica, religione e filosofia” (Franco Angeli, Milano); “Logica, scienze della natura e mondo della vita” (Angeli, Milano); “Poeti di Aggius. Michele Andrea Tortu, Michele Pisanu (Antologia di Salvatore Lepori con prefazione, traduzione e note di A. Vasa), Nota introduttiva di Giovanni Pirodda, Istituto Superiore Regionale Etnografico, Nuoro. “Il Trascendentalismo della prassi, la filosofia della Resistenza, Maria Grazia Sandrini, Mimesis, Centro Internazionale Insubrico, Milano. NIn memoria di Andrea Vasa, filosofo della modernità, La Nuova Sardegna, Treccani: Vasa, Andrea  Ragione e libertà. Saggio sul pensiero di Vasa  Vasa, Una discussione con G. Bontadini su metafisica e filosofia, in Studi di filosofia in onore di G. Bontadini, Vita e Pensiero, Milano I saggi di Vasa sono raccolti nel volume Logica, religione e filosofia (Scritti filosofiici A. Vasa, Memoria di Giovanni Gentile, in Giornale critico della filosofia italiana, Vedi Benedetto Croce, Le cosiddette ‘riforme della filosofia’ e in particolare di quella hegeliana, (a proposito del saggio di Vasa su De Ruggiero), in Quaderni della Critica, poi in Indagini su Hegel, Laterza, Bari, Vedi M. Dal Pra, La filosofia italiana oggi, Rivista critica di storia della filosofia, Sul trascendentalismo della prassi, in Il problema della filosofia oggi. Atti del Congresso nazionale di Filosofia (Bologna,  promosso dalla SFI, Bocca, Roma-Milano, Vedi: saggi come l’Introduzione alla trad. di E. Husserl, L’idea della fenomenologia (M. Rosso), Il Saggiatore, Milano,  Logica e religione di fronte al compito di una possibile unificazione del sapere, in «Il Pensiero», L’ateismo religioso di L. Wittgenstein, in «Archivio di Filosofia», (Esistenza, Mito, Ermeneutica), e le lezioni raccolte nel volume Logica, scienze della natura e mondo della vita  A. Vasa, Logica, scienze della natura e mondo della vita.  La frase (di Vasa) compare nella presentazione editoriale del volume Logica, scienza e prassi. Luporini, Casari, Pra, Geymonat, Marinotti, Ricordo di Vasa. Corsi, seminari, Olschki, Firenze, F. De Natale, Storicità della filosofia e filosofia come storiografia. Un dibattito tra filosofi italiani in Dentro la storiografia filosofica. Questioni di teoria e didattica, Dedalo, Bari Franco Cambi, Razionalismo e prassi a Milano, Cisalpino-Goliardica, Milano. Amedeo Marinotti, L. Handjaras, “Ragione e libertà: la filosofia di Vasa, Prefazione di M. Dal Pra, Franco Angeli, Milano, Mario Dal Pra, Filosofi del Novecento, Angeli, Milano, vi è raccolto il contributo già in, Ricordo di Andrea Vasa, Olschki, Firenze Carlo Monti, Religione e prassi nel pensiero di Andrea Vasa, in «La Fortezza. Rivista di studi», Liberalismo etico e prospettive razionalistiche nel pensiero di Vasa, Etica e scienza. Saggi di filosofia, Carocci, Roma. Maria Grazia Sandrini e Al., Andrea Vasa uomo e filosofo (Atti del convegno di Aggius. Comprende: relazioni di M.G. Sandrini, “L’eredità vasiana”. P. Lecis, Viaggio verso una meta incerta. L’universo dei mondi possibili di A. Vasa; F. Minazzi, La strada per Megara e l’irriducibilità della libertà umana. Il problema della ragione nel trascendentalismo della prassi di A. Vasa; E. Palombi, Sul senso dell’uomo nel pensiero di A. Vasa; alcuni brevi Scritti e testi inediti, F. Minazzi e M.G. Sandrini, in «Il Protagora», poi in volume con lo stesso titolo, Barbieri, Manduria 2008. Amedeo Marinotti, Ragione e prassi in Vasa e in Geymonat. Memoria di una discussione filosofica e di un’amicizia, in Geymonat un maestro del Novecento. Il filosofo, il partigiano e il docente, Fabio Minazzi, Unicopli, Milano  Enrico I. Rambaldi, La formazione di Vasa, in Alberto Pala filosofo laico, appassionato delle scienze. Studi e testimonianze, B. Maiorca, Cuec, Cagliari, Enrico I. Rambaldi, Da Gentile a Hegel. Trascendentalismo e antifascismo in Andrea Vasa. Con un’appendice di testi e documenti, in «Rivista di storia della filosofia». Andrea Vasa. Vasa. Keywords: liberta, freedom. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vasa: ragione e liberta” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731675581/in/dateposted-public/

 

Vastarini (L’Aquila). Essential Italian philosopher. Filosofo. Esponente di una nota famiglia abruzzese, fu un grande studioso nonché maestro di scherma, quindi, alla morte della madre, e decise di entrare nell'ordine dei frati minori cappuccini. Dotato di una brillante vocazione predicatoria che lo portò sino alla corte di Urbano VIII. Venne pubblicamente lodato anche dal Duca di Osuna che gli propose il vescovato di Pozzuoli e dal Granduca di Toscana che gli propose quello di Fiesole, ma in entrambi i casi Vastarini rifiutò.  Nella prima metà Professoresi prodigò per aprire una sede dei cappuccini nell’Aquila, colpito dalla morte di un suo confratello che il medico non era riuscito a soccorrere nell'allora sede di San Giuseppe fuori le mura. Acquista un vasto terreno sul margine orientale della cinta muraria e vi costruì il convento e la chiesa di San Michele, oggi inglobati nel complesso monumentale dell'Emiciclo. Camerlengo dell'Aquila.  Giacomo Di Marco, Storia del complesso architettonico, in Lucio Zazzara, Palazzo dell’Emiciclo e palazzina ex G.I. Maschile. Rigenerazione e adeguamento sismico a L’Aquila, Pescara, Carsa. Alfonso Dragonetti 234  Frati minori cappuccini d'Abruzzo, Le attività del Convento Santi Francesco e Chiara di L'Aquila, su fraticappuccini. L'Emiciclo Rinasce, La storia, su emiciclorinasce.  Alfonso Dragonetti, Le vite degli illustri aquilani, L'Aquila, Perchiazzi Editore. Vastarini Cresi. Vastarini-Cresi. Vastarini. Perhaps under C? -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza,, “Grice e Vastarini: cappuccino e ciserciani” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732311369/in/dateposted-public/

 

Vattimo (Torino). Essential Italian philosopher. Grice: “It may be argued that what Vattimo means by ‘strong’ is what I mean by ‘weak’ and viceversa – With Popper, ‘I know’ is weaker than ‘I believe’ and ‘every x’ is weaker than ‘some (at least) one’ or ‘the’ – I have explored ‘the’ – Keyword: massima della debolezza conversazionale; massima della forza conversazionale” -- Filosofo -- not one that provinicial Beaney would include in his handbooks and dictionariesVattimo’s philosophy shares quite a bit with Grice’s programme, as anyone familiar with both Vattimo and Grice may testify. Vattimo has philosophised on Heidegger and Nietzsche, and one of his essays is on the subject and the maskanother on realityThere is a volume in his honour.Gianni Vattimo  Gianteresio "Gianni" Vattimo Gianni Vattimo Participante del Foro Internacional por la Emancipación y la Igualdad Gianni Vattimo nel  Dati generali Partito politicoPartito Comunista (dal ) In precedenza: DS PdCI IdV Indipendente Titolo di studio Laurea in Filosofia Università Università degli Studi di Torino Professione filosofo, professore universitario. Filosofo. Tra i massimi esponenti della corrente post-moderna, è teorizzatore del pensiero debole. Il padre è un poliziotto calabrese, che muore quando Gianni ha un anno e mezzo, mentre la madre è una sarta; ha una sorella di otto anni più grande. Durante la guerra si trasferisce con la famiglia in Calabria, restandoci per due anni e ritornando a Torino nel settembre del 1945.  Studente del liceo classico Gioberti è attivo nella Gioventù Studentesca di Azione Cattolica, e collabora a Quartodora, rivista del movimento diretta da Straniero. Si autodefinì come un cattolico militante, influenzato dalla lettura di Maritain, Mounier e dei racconti di Bernanos, portato dalla fede ad un disinteresse per il razionalismo storico, l'Illuminismo e le filosofie di Hegel e Marx.  Allievo di Pareyson assieme a Umberto Eco con cui ha condiviso amicizia e interessi, si è laureato in filosofia a Torino. Lavora ai programmi culturali della Rai. Ha conseguito la specializzazione a Heidelberg, con Löwith e Gadamer, di cui ha introdotto il pensiero in Italia. Professore incaricato e ordinario di estetica all'Torino, nella quale è stato preside, della facoltà di Lettere e Filosofia. -- ordinario di filosofia teoretica presso la stessa università. 00 professore emerito, titolo che non gli precluse, in futuro, lo svolgimento di eventuali attività didattiche presso la suddetta università. Idea e condotto su Raitre il programma televisivo di divulgazione filosofica “La clessidra.” Ha insegnato come visiting professor negli Stati Uniti e ha tenuto seminari in diversi atenei del mondo. È stato direttore della Rivista di estetica, membro di comitati scientifici di varie riviste italiane e straniere, socio corrispondente dell'Accademia delle Scienze di Torino, nonché editorialista per i quotidiani La Stampa e La Repubblica e per il settimanale L'espresso. Attualmente dirige la rivista Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica (edita da Aracne Editrice). Per le sue opere ha ricevuto lauree honoris causa dalle La Plata, Palermo, Madrid e dalla Universidad Nacional Mayor de San Marcos di Lima. È stato più volte docente alle Vacances de l'Esprit. Ha svolto attività politica in diverse formazioni: prima nel Partito Radicale, poi in Alleanza per Torino, successivamente nei Democratici di Sinistra, per i quali è stato parlamentare europeo, e nel Partito dei Comunisti Italiani --  è stato candidato da una lista civica a sindaco di una cittadina calabrese, San Giovanni in Fiore (Cs), per combattere la "degenerazione intellettuale" che affliggeva quel paese, ma non è riuscito ad arrivare al secondo turno.  Annunciato la sua candidatura a parlamentare europeo nelle liste dell'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, rivendicando tuttavia le proprie origini comuniste, venendo eletto nella circoscrizione Nord-Ovest.  Nel giorno dell'anniversario della fondazione del PCd'I, annuncia la sua adesione al Partito Comunista.  Il suo ideale politico-religioso si riassume in una forma da lui definita "comunismo cristiano" e "comunismo ermeneutico", un' ideale antidogmatico di "comunismo debole" nel pensiero e nell'essere, che si ispira alla vita comunitaria delle prime comunità cristiane. Esso rinnega e si oppone alla violenza delle industrializzazione pesante forzata e dello stalinismo in genere, così come anche alle tesi di Lenin e del terrorismo, muovendo a favore di una sinistra improntata al dialogo, alla dialettica e alla tolleranza.  Controversie Accuse di antisemitismo Vattimo è stato accusato di antisemitismo, a causa delle sue dichiarazioni sul controllo ebraico di banche, dove affermava: "Ricordiamoci che la Federal Reserve è di proprietà di Rothschild. Gattegna, presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, lo accusò di antisemitismo, additando le sue dichiarazioni come "parole di odio che non aggiungono nulla di nuovo e che sono accompagnate dalla riproposizione squallida di stereotipi anti-semiti". Anche Aiello, primo rabbino donna in Italia, ha corroborato queste accuse, tacciando Vattimo di antisemitismo.  Ha rilasciato un'intervista al Corriere in cui dichiara, riguardo a Israele  «bisognerebbe procurarsi missili più efficaci dei Qassam e portarli laggiù»  La dichiarazione, riferita ai missili Qassam con cui Hamas colpisce Israele, ha suscitato molte polemiche. Il filosofo ha tuttavia chiarito che le sue prese di posizione sono rivolte contro Israele e che non hanno nulla a che vedere con l’anti-semitismo.  Sull'aggressione a Berlusconi In occasione dell'aggressione di Tartaglia a Berlusconi ha espresso a Radio Radicale la convinzione che quell'aggressione fosse stata una montatura. Ha affermato inoltre che se l'aggressore avesse voluto veramente fare del male a Berlusconi era preferibile usare una pistola invece di una statuetta.  Vattimo si è occupato dell'ontologia ermeneutica, proponendone una propria interpretazione, che ha chiamato “debolita”, in contrapposizione con le diverse forme di pensiero forte (fortitude) dell'Otto-Novecento: l'hegelismo con la sua dialettica, il marxismo, la fenomenologia, la psicanalisi, lo strutturalismo. Ognuno di questi movimenti si è proposto come superamento delle posizioni filosofiche precedenti e smascheramento dei loro errori. Ma ogni volta l'errore, secondo Vattimo, consisterebbe proprio in questo gesto teoretico. Non ci sono nuovi inizi, l'errore consiste proprio nella volontà di rifondare "fundamenta inconcussa" che non vi possono essere. Debolita è invece un atteggiamento della postmodernità che accetta il peso dell'"errore", ossia del caduco, dell'effimero, di tutto ciò che è storico e umano. È la nozione di verità a doversi modellare sulla dimensione umana, non viceversa.  Secondo Vattimo la debolita è la chiave per la democratizzazione della società, la diminuzione della violenza e la diffusione del pluralismo e della tolleranza. In questo senso deve essere almeno segnalata la grande e decisiva importanza che assume nella sua filosofia la nozione di nichilismo, che rimette all'eredità di Nietzsche e Heidegger e si lega a vari temi vattimiani (dall'etica, alla politica, dalla religione --l'indebolimento di Dio alla teoria della comunicazione – implicatura come communicatum debole. Con le sue opere più recenti (in particolare Credere di credere) ha rivendicato al proprio pensiero anche la qualifica di autentica filosofia cristiana per la postmodernità.  Avvalendosi infatti della visione cristiana del maestro Pareyson e di Quinzio, Vattimo rifiuta l'identificazione di Dio nell'essere razionale, così come concepito dalla tradizione filosofica occidentale. Di Pareyson e Quinzio, però, non condivide la visione religiosa tragica. Suggestionato da Girard, Vattimo legge la vicenda di Cristo come rifiuto di ogni sacrificio, anzitutto umano ed esistenziale. La kénosis (lett. "svuotamento") divina è a vantaggio della libertà e della pace umana.  Le posizioni del filosofo rappresentano una svolta, sia nella sua impostazione filosofica dell'interpretazione del presente, sia nel campo dell'attività politica. Abbandona il partito dei Democratici di Sinistra e abbraccia il marxismo rivalutandone positivamente l'autenticità e validità dei principi progettuali, auspicando un "ritorno" al pensiero del filosofo di Treviri e a un comunismo epurato dagli sviluppi delle distorte politiche pubbliche sovietiche da superare dialetticamente. Per quanto la svolta possa apparire contraddittoria con le precedenti posizioni, Vattimo rivendica la continuità delle nuove scelte con il processo di ricerca sul pensiero debole, pur ammettendo il cambiamento di "molte delle sue idee". È lo stesso filosofo a parlare di un "Marx indebolito", ovvero di una base ideologica capace di illustrare la vera natura del comunismo e adatta nella pratica politica a superare ogni tipo di pudore liberal. L'approdo al marxismo si configura quindi come una tappa dello sviluppo del pensiero debole, arricchito nella prassi da una prospettiva politica concreta.  Etica e natura Vattimo ha anche espresso posizioni ambientaliste ed in particolare a favore dei diritti degli animali. Ad esempio ha dichiarato:  «In un'epoca in cui l'umanità si vede sempre più minacciata nelle stesse elementari possibilità di sopravvivenza (la fame, la morte atomica, l'inquinamento) la nostra radicale fratellanza con gli animali si presenta in una luce più immediata ed evidente.»  Da parlamentare europeo si è battuto, tra l'altro, contro la sperimentazione animale e contro il maltrattamento degli animali negli allevamenti. Pubblicamente dichiara la sua omosessualità. Sviluppa una concezione di Cristianesimo secolarizzato, il quale, conseguentemente, non necessita di istituzioni ecclesiastiche, fondandosi sulla kénosis, ossia sull'abbassamento e sull'indebolimento dell'idea di Dio. Per il filosofo il non riconoscimento di un "assoluto", inteso come una verità definitiva, porterebbe ad una maggiore accettazione della diversità sociale e culturale.  Il compagno da 11 anni di Vattimo, Sergio Mamino, storico dell'architettura, malato di tumore ai polmoni, muore nel bagno dell'aereo che lo stava portando nei Paesi Bassi per effettuare un'eutanasia. Ad accompagnarlo c'era con lui sull'aereo lo stesso Vattimo.  Ha collaborato con vari quotidiani italiani e stranieri (La Stampa, L'Unità, il manifesto, Il Fatto Quotidiano), con editoriali e riflessioni critiche su vari temi di attualità, politica e cultura.  Saggi: “Il concetto di fare in Aristotele” (Giappichelli, Torino); “Essere, storia e linguaggio in Heidegger, Filosofia, Torino); “Ipotesi su Nietzsche” (Giappichelli, Torino); “Poesia e ontologia” (Mursia, Milano); “Schleiermacher, filosofo dell'interpretazione” (Mursia, Milano, “Introduzione ad Heidegger” (Laterza, Roma-Bari); “Il soggetto e la maschera” (Bompiani, Milano); “Le avventure della differenza” (Garzanti, Milano); “Al di là del soggetto” (Feltrinelli, Milano); “Il pensiero debole” (Feltrinelli, Milano (G. Vattimo eA. Rovatti); “La fine della modernità” (Garzanti, Milano); “Introduzione a Nietzsche, Laterza, Roma); “La società trasparente” (Garzanti, Milano); “Etica dell'interpretazione” (Rosenberg & Sellier, Torino); “Filosofia al presente” (Garzanti, Milano); “Oltre l'interpretazione” (Laterza, Roma); “Credere di credere” (Garzanti, Milano); “Vocazione e responsabilità del filosofo” (Il Melangolo, Genova); “Dialogo con Nietzsche” (Garzanti, Milano); “Tecnica ed esistenza: una mappa filosofica del Novecento” (Mondadori, Milano); “Dopo la cristianità. Per un cristianesimo non religioso” (Garzanti, Milano); “Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e diritto, S. Zabala, Garzanti, Milano); “Il socialismo ossia l'Europa, Trauben); “Il Futuro della Religione, S. Zabala, Garzanti, Milano, “Verità o fede debole? Dialogo su cristianesimo e relativismo, Antonello, Transeuropa Edizioni, Massa); “Non essere Dio. Un'autobiografia a quattro mani, Aliberti editore, Reggio Emilia, “Ecce comu. Come si ri-diventa ciò che si era, Fazi, Roma, “Addio alla Verità, Meltemi, 2009 Introduzione all'estetica, ETS, Pisa, “Magnificat. Un'idea di montagna, Vivalda, “Della realtà, Garzanti, Milano, Pubblica presso Laterza un annuario filosofico a carattere monografico (Filosofia). La sezione Filosofia ha vinto il Premio Brancati.  Vattimo a Lima, Perú. Pecoraro, "Dossier Vattimo", Rossano Pecoraro, in: "Alceu". Rivista del Dip. di Comunicazione. Monaco, Gianni Vattimo. Ontologia ermeneutica, cristianesimo e postmodernità, Ets, Pisa; Weiss, Vattimo. Einführung. Vienna, Passagen Giovanni Giorgio, Il pensiero di Vattimo. L'emancipazione della metafisica tra dialettica ed ermeneutica (Franco Angeli, Milano); Numero della rivista A Parte Rei (Madrid), v. 54, dedicato a Vattimo. Pensare l'attualità, cambiare il mondo, G. Chiurazzi, Mondadori, Milano. Enrico Redaelli, Il nodo dei nodi. L'esercizio del pensiero in Vattimo, Vitiello, Sini, Ets, Pisa  L'apertura del presente. Sull'ontologia ermeneutica di Vattimo, L. Bagetto, Tropos. Rivista di ermeneutica e critica filosofica, anno I, numero speciale. M. Kopić, Vattimo Čitanka, Gianni Vattimo Reader. Zagabria, Antibarbarus. C. Gutiérrez, Daniel Mariano Leiro, V. Rivera.  Fondazione verano centini/images/allegati Vattimo_Gianni.pdf  Movi100 Cent'anni di Movimento Studenti di Azione Cattolica, su movi100.azionecattolica.  Claudio Gallo, Gianni Vattimo Interview, su publicseminar.org, 11 luglio. Vattimo: viva i giustizialisti. Corro con Tonino Di Pietro. M. Rizzo con Gramsci alla Camera (il nipote omonimo) e il filosofo Vattimo, nuovi iscritti al Partito Comunista. Sabato prossimo. Comitato Centrale a Livorno, su Ilpartitocomunista, Ian Angus, Interview with Gianni Vattimo: “Only Weak Communism Can Save Us”, su MRANSA, Italian philosopher politician slammed as anti-Semite, su lagazzettadelmezzogiorno.   'Shoot those bastard Zionists': Italian scholar, su the local Corriere della Sera, Non acquistiamo i prodotti di lì, su archiviostorico.corriere. Repubblica -Vattimo: "Non sono un antisemita. Solo anti-israeliano", su torino.repubblica. A Radio Radicale Il delirio di Vattimo: «Per fargli male doveva sparare»  Il Giornale,  In questo senso Cfr, tra molti, La fine della modernità e Nichilismo ed emancipazione. Etica, politica e diritto, dello stesso Vattimo e Niilismo e (Pós-Modernidade) dell'italo-brasiliano Rossano Pecoraro, libro pubblicato a Rio de Janeiro e San Paolo.  Da Animali quarto mondo, in, I diritti degli animali, L. Battaglia e S. Castignone, Ed. Centro di Bioetica, Genova. Dichiarazione scritta sul riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla sperimentazione animale nell'UE, su giannivattimo. Interrogazione scritta alla Commissione sul benessere degli animali, su Gianni vattimo. 4Vattimo: accanimento sui gay, ma io non bacio in pubblico, Corriere della Sera, su corriere.   «Il mio compagno voleva farla finita Ma morì in viaggio tra le mie braccia» Corriere della Sera, su corriere. Albo d'oro premio Brancati, su comune.zafferana etnea.ct. Pensiero debole. Blog ufficiale, su Gianni vattimo.blogspot.com.  Gianni Vattimo, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. su openMLOL, Horizons Unlimited srl.  Gianni Vattimo, su europarl.europa.eu, Parlamento europeo.  Registrazioni su RadioRadicale, Radio Radicale. Revista A parte rei, su personales.ya.com. Dicussion e sul Pensiero Unico su mito11settembre. Lezione di congedo dall'Torino La verità e l’evento: dal dialogo al conflitto, su teologiaeliberazione.blogspot.com. Credere di credere. Genesi e significato di una conversione debole Giornale di filosofia della religione Gianni Vattimo. Un comunista postmoderno? (di Preve) RAI Filosofia, su filosofia.rai. Vattimo. Keyword: debole/forte – implicatum come communicatum debole. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Vattimo," The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688810146/in/photolist-2mPmWDG-2mLPa8B-2mKyErQ-2mKfshF-E4u3XA

 

Grice e Veca – la massima dell’altruismo conversazionale -- filosofia (Roma). Grice: “I like Veca. Like me, he speaks of altruisn, and he has contributed to a collective volume, “Cooperare e competere.”” Essential Italian philosopher. Filosofo.  Ha svolto un ruolo chiave nell'introduzione nel dibattito culturale italiano dell'approccio alla filosofia politica derivato dall'impostazione di Rawls, divenendo un punto di riferimento filosofico della sinistra, sia come teorico che come militante. La sua formazione di tipo analitico (sensibile quindi alle metodologie e alle questioni della filosofia del linguaggio e della logica), insolita rispetto alla figura del teorico politico così come tradizionalmente concepito in Italia, ha permesso alla sua riflessione di spaziare anche negli ambiti dell'epistemologia e della metafisica, indagandone le connessioni con l'ambito della filosofia morale e politica.  Veca da un impulso decisivo, nel dibattito filosofico italiano, a temi quali il realismo, il problema della completezza nelle teorie epistemiche e politiche, la giustizia globale e la sostenibilità. Studia Filosofia a Milano, dove si laurea con una tesi in Filosofia teoretica, condotta sotto la guida di Paci e Geymonat; assistente volontario, borsista CNR e assistente incaricato presso la cattedra di Filosofia teoretica a Milano; professore incaricato di Filosofiaa Calabria. -- è stato professore incaricato di Storia delle istituzioni e delle strutture sociali presso la Facoltà di Lettere e filosofia di Bologna.  Professore incaricato, professore incaricato stabilizzato e professore associato di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze Politiche di Milano. -- è stato professore straordinario di Filosofia politica presso la Facoltà di Lettere e filosofia di Firenze. Professore di Filosofia politica presso la Facoltà di Scienze politiche a Pavia.  vicepreside della Facoltà di Scienze politiche a Pavia; president della Facoltà di Scienze politiche dell'Pavia; membro del Comitato direttivo della Scuola Superiore IUSS di Pavia. rettore del Collegio Universitario Giasone del Maino di Pavia.  direttore del Centro Inter-Dipartimentale di Studi e Ricerche in Filosofia sociale a Pavia; prorettore per la didattica dell'Pavia; componente del Consiglio di amministrazione della Fondazione Romagnosi di Pavia e del Comitato scientifico dell’European Centre for Training and Research in Earthquake Engineering presso l'Pavia; parte del Consiglio d'amministrazione dell'Istituto italiano di scienze umane di Firenze; vicedirettore dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Coordinatore dei corsi ordinari dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia.  Dal  al  è prorettore vicario dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia. Professore di Filosofia politica presso l'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia.  Conclusa la sua carriera accademica nel, Veca attualmente insegna Filosofia politica nelle Classi di Scienze umane e Scienze sociali dell'Istituto Universitario di Studi Superiori di Pavia.  Nella sua lunga carriera Veca ha tenuto seminari e cicli di lezioni all'Cambridge (Christ's), a San Paolo, all'Campinas, a'Bogotà, all'Evora, alla Sorbonne, all'Grenoble, all'Istituto Universitario Europeo. Ha svolto un'intensa attività di consulenza e direzione editoriale. Ha assunto, grazie a un invito del prof. Giuseppe Del Bo, la direzione scientifica della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano presidente della Fondazione Feltrinelli, promuovendo lo sviluppo del suo Centro di Scienza politica. Direttore degli "Annali" della Fondazione, Veca ha impegnato l'istituzione in una ampia gamma di attività di ricerca, documentazione e pubblicazione nell'ambito della teoria politica e sociale contemporanea che perseguono lo scopo di coniugare la tradizione della ricerca storico-sociale con l'innovazione dei metodi e degli esiti della teoria normativa e descrittiva della politica. Ha coordinato le attività del Seminario annuale di Filosofia politica, promosso dalla Feltrinelli in collaborazione con il Centro Studi Politici "Paolo Farneti" di Torino e la Scuola Normale Superiore di Pisa. Nel 2000 avvia il progetto della “Biblioteca europea” della Fondazione Feltrinelli, di cui è attualmente direttore. Nel  è stato designato Presidente onorario della Fondazione Feltrinelli ed è direttore scientifico del suo Laboratorio Expo -- è inoltre stato condirettore di Aut Aut con E. Paci e P. Rovatti. Ha diretto la collana Readings per l'Università della Casa editrice Feltrinelli, di cui è consulente per la saggistica nel campo della filosofia e della teoria politica e sociale; consulente della saggistica de il Saggiatore, di cui ha diretto, con Marco Mondadori, la collana Theoria.  Fa parte o ha fatto parte del comitato scientifico o di direzione di riviste quali "Rassegna italiana di sociologia", "Teoria politica", "Biblioteca della libertà", "Transizione", "Etica degli affari", "Iride", "European Journal of Philosophy", "Filosofia e questioni pubbliche", "Reset", "Quaderni di Scienza politica", "Il Politico", "Rivista di filosofia", “Italianieuropei”. È attualmente direttore de “Il giornale di Socrate al caffè. Bimestrale di cultura e conversazione civile; curatore scientifico della Carta di Milano per Expo.  Ruoli ed incarichi Fa parte del Comitato direttivo di "Politeia", Centro per la ricerca e la formazione in politica ed etica diMilano, di cui è stato uno dei fondatori. Comitato etico dell'IstitutoEuropeo di Oncologia di Milano e del Comitato etico dell'Istituto Mondino di Pavia; Comitato scientifico della Fondazione Rosselli di Torino; coordinatore del Comitato Scientifico dell’Associazione per la ricerca e l'insegnamento della filosofia, parte del Consiglio direttivo nazionale della Società Filosofica italiana. È stato componente del Consiglio nazionale presso il Ministero dei Beni culturali e ambientali; presidente dell'Associazione “I quattro cavalieri” che ha promosso le attività dell’ensemble cameristico “I solisti di Pavia”, diretto da E. Dindo.Comitato generale Premi della Fondazione Balzan “Premio” di Milano.  presidente della Fondazione Campus di Lucca; direttore delle Scuole di formazione politica dell'Associazione “Libertà e giustizia; presidente della Fondazione Paolo GrassiLa voce della culturadi Milano; Presidente del Comitato Generale Premi della Fondazione Balzan di Milano; membro del Comitato dei Garanti della Scuola Galileiana di Studi Superiori di Padova.  Dal  è socio corrispondente residente della Classe di Scienze morali dell'Istituto lombardo di scienze e lettere; consigliere della Fondazione del Centenario della BSI di Lugano. Dal  è membro del Comitato Scientifico della Fondazione Gualtiero Marchesi. Accademico corrispondente non residente della Classe di Scienze Morali dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna; designato dall'Pavia quale Garante dei diritti degli student; presidente della Casa della Cultura di Milano.  Dal  è socio corrispondente non residente dell'Accademia delle Scienze di Torino. membro effettivo dell'Istituto Lombardo di Lettere e Scienze e componente del Comitato dei Garanti del FAI. Premio Castiglioncellosezione di filosofiaper il libro Dell'incertezza e gli è stata conferita, con decreto del Presidente della Repubblica, la medaglia d'oro e il diploma di prima classe, riservati ai Benemeriti della Scienza e della Cultura. Ha ricevuto il premio dell'Accademia di Carrara per il libro La filosofia politica. premio per la filosofia “Viaggio a Siracusa” per La priorità del male e l'offerta filosofica; premio “Ponte per la cultura” della Fondazione Europea Guido Venosta per il libro Etica e verità; medaglia d'oro di benemerenza civica dal Comune di Milano. Nella filosofia di Veca sono individuabili tre fasi distinte.  La prima fase della sua ricerca è stata dedicata a questioni di teoria della conoscenza o di epistemologia. Pubblica “Fondazione e modalità in Kant” e numerosi saggi su problemi di filosofia della logica, della matematica e della fisica in Whitehead, Frege, Cassirer e Quine. Il centro di interesse scientifico di Veca si sposta sulle teorie di Marx in rapporto alle scienze economiche, sociali e politiche, delineando una seconda fase i cui esiti sono formulati in “Marx e la critica dell'economia politica” e, soprattutto, “Il programma scientifico di Marx.” Si impegna in un programma di ricerca nell'ambito della filosofia politica influenzato dalla prospettiva della teoria normativa della politica. Dopo “Le mosse della ragione,” introduce la discussione sulla giustizia con “La società giusta” ed elabora e sviluppa la sua prospettiva teorica in “Questioni di giustizia” e “Una filosofia pubblica.” Veca dedica un saggio divulgativo agli esiti di questa fase della sua ricerca, “L'altruismo.” Gli sviluppi successivi della sua ricerca, orientata al problema dei rapporti fra teoria normativa e teoria descrittiva della politica e incentrata sulla questione del pluralismo come fatto e come valore per la teoria democratica, sono rinvenibile in “Libertà e eguaglianza.” Una prospettiva filosofica in Progetto Ottantanove, nin Etica e politica e, in particolare in “Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione.” Veca lavora alla stesura di tre meditazioni filosofiche intorno a questioni di verità, giustizia e identità, in cui estende la gamma dei suoi interessi teorici rispetto ai lavori degli anni Ottanta. Sviluppando una serie di idee originariamente presentate in Questioni di vita e conversazioni filosofiche, gli esiti di questa ricerca sono contenuti in “L’incertezza.” Pubblica “L'idea di giustizia da Platone ad oggi.” Pubblica un saggio di filosofia sociale e politica, “La lealtà civile: un messaggio nella bottiglia” e un saggio dedicato alla interpretazione e alla ricostruzione della teoria politica normative, “La filosofia politica.” Pubblica “La penultima parola e altri enigmi. Questioni di filosofia” in cui sono approfonditi alcuni esiti di Dell'incertezza ed è affrontata, nella prima parte, la questione meta-teorica della relazione fra l'attività filosofica e la sua storia nel tempo. Pubblica “Il bello e gli oppressi: ll'idea di giustizia” in cui sono presentate alcune idee di base per una teoria della giustizia globale. Presenta la sua prospettiva filosofica in un saggio divulgativo, “Il giardino delle idee: passi nel mondo della filosofia.” Pubblica “La priorità del male e l'offerta filosofica, in cui sviluppa e approfondisce le questioni di una teoria della giustizia globale e mette a fuoco, fra l'altro, le connessioni fra l'offerta di filosofia politica e le circostanze e i soggetti di politica.  Pubblica “Le cose della vita: congetture, conversazioni e lezioni personali,” in cui estende l'esame delle questioni di vita, inteso come tentativo di autoritratto, e lo connette al problema dell'eredità intellettuale, nel senso della dimensione storica del sapere filosofico. Pubblica “Dizionario minimo. Per la convivenza democratica,” in cui esamina e discute alcuni temi fondamentali per l'interpretazione e la valutazione della forma di vita democratica, sulla base di una tesi sulla natura della libertà democratica. Pubblica “Etica e verità” in cui sono raccolti saggi incentrati sui rapporti fra la crescita dell'impresa scientifica e i nostri criteri di giudizio etico, e Quattro lezioni sull'idea di incompletezza, in cui presenta i primi risultati di una ricerca filosofica sull'idea di incompletezza, messa a fuoco in distinti domini di applicazione, quali quello della interpretazione, della giustificazione e della dimostrazione. Pubblica “Incompletezza,” in cui espone gli esiti delle sue ricerche filosofiche cercando di esplicitarne la coerenza e la connessione con l’incertezza. In “L'immaginazione filosofica” sviluppa la tesi conclusive del contributo all'idea di incompletezza e sullo sfondo di una definizione delle principali linee della propria ricerca filosofica. In “Un'idea di laicità” propone un argomento a favore della laicità delle istituzioni e delle scelte sociali basato su un'interpretazione della natura della libertà democratica e del fatto del pluralismo. In “Non c'è alternativa. Falso!” mette a fuoco, in una prospettiva filosofica, alcuni aspetti rilevanti della crisi economica strutturale e dei rapporti fra capitalismo e democrazia rappresentativa. In “La gran città del genere umano” tratta temi differenti accomunati dalla prospettiva globale “degli occhi del resto d'umanità”. In “La barca di Neurath” affronta questioni epistemologiche, normative e meta-filosofiche sullo sfondo dell’incertezza e dell'incompletezza; curatore del volume degli Annali della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Laboratorio Expo. “Il senso della possibilità, dove Veca, raccogliendo intuizioni sviluppate in quegli anni nelle lezioni presso la Scuola Superiore IUSS di Pavia, espone il suo interesse per la l'interpretazione filosofica delle modalità. In particolare, le questioni metafisiche delle modalità (specie il confronto tra mondo attuale e mondi possibili, esaminando le differenti posizioni di Kripke, Lewis, e Armstrong) costituirebbero la chiave di volta filosofica a cui si riconducono le questioni normative ed ontologiche relative all'epistemologia, all'etica e alla politica esposte nel saggio sull’incompletezza e sull’incertezza. In particolare, la distinzione tra mondi possibili e realtà modale, che fornirebbe una fondazione alla compatibilità tra costruttivismo griceiano e realismo, proposta in chiusura, può considerarsi l'apertura di una nuova fase del pensiero di Veca, stavolta di stampo prettamente metafisico, e che si ricollega peraltro all'interesse per le modalità centrale nella sua opera prima. Altre opere: “Fondazione e modalità in Kant” (Milano, Il Saggiatore); “Marx e le critiche dell'economia” (Milano, Il Saggiatore); “Il programma scientifico di Marx” (Milano, Il Saggiatore); “Le mosse della ragione” (Milano, Il Saggiatore); “La società giusta: argomenti per il contrattualismo” (Milano, Il Saggiatore); “Crisi della democrazia e neo-contrattualismo” (Roma, Riuniti); “Questioni di giustizia” (Parma, Pratiche); “Co-operare e competere” (Milano, Feltrinelli); “Una filosofia pubblica” (Milano, Feltrinelli); “L'Altruismo” (Milano, Garzanti); “Etica e politica” (Milano, Garzanti); “Progetto Ottantanove” (Milano, Il Saggiatore); “Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull'idea di emancipazione” (Milano, Feltrinelli); “Questioni di vita e conversazioni filosofiche” (Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli); “Questioni di giustizia. Corso di filosofia politica. Torino, Einaudi,  Europa Universitas. Tre saggi sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, Filosofia, politica, società. Annali di etica pubblica, Roma, Donzelli,  L'Idea di giustizia da Platone a Rawls, Roma, Laterza, Dell'incertezza. Milano, Feltrinelli, La politica e l'amicizia, Milano, Edizioni lavoro, Della lealtà civile: un messaggio nella bottiglia. Milano, Feltrinelli, La penultima parola e altri enigmi. Roma-Bari, Laterza, La filosofia politica. Roma, Laterza, La bellezza e gli oppressi: sull'idea di giustizia. Milano, Feltrinelli,  Il giardino delle idee. Quattro passi nel mondo della filosofia. Milano, Frassinelli, collana "I libri di Arnoldo Mosca Mondadori",  La priorità del male e l'offerta filosofica” (Milano, Feltrinelli); Le cose della vita. Congetture, conversazioni e lezioni personali. Milano, BUR, Biblioteca Universale Rizzoli, Dizionario minimo. Le parole della filosofia per una convivenza democratica. Milano, Frassinelli, Quattro lezioni sull'idea di incompletezza. Milano, La Scuola di Pitagora); “Etica e verità” Milano, Giampiero Casagrande editore, collana "Attualità e studi", L'idea di incompletezza. Quattro lezioni. Milano, Feltrinelli,  Sarabanda. Oratorio in tre tempi per voce sola. Milano, Feltrinelli,  Kant. Milano, Book Time,  Tolleranza. Le virtù civili. Milano, ASMEPA,  L'immaginazione filosofica” (Milano, Feltrinelli); “Un'idea di laicità. Bologna, il Mulino,  Ragione, giustizia, filosofia, scritti scelti, Antonella Besussi e Anna E. Galeotti. Milano, Feltrinelli, Omnia Mutantur. La scoperta filosofica del pluralismo culturale (Milano, Marsilio,. Non c'è alternativa. Falso! Roma, Laterza,. La gran città del genere umano. Milano, Mursia,. La barca di Neurath. SPisa, Scuola Normale Superiore,. Laboratorio Expo.  Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,. Il giardino di Camilla. Milano, Mursia,. Responsabilità-Uguaglianza-Sostenibilità. Tre parole-chiave per interpretare il futuro (Bologna, Dehoniane); Il senso della possibilità” Milano, Feltrinelli); “Le virtù cardinali: prudenza, temperanza, fortezza, giustizia” (Roma, Laterza), A proposito di Marx. Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli,. Quasi un diario. Socrate al caffè. Milano, Casagrande, “ Qualcosa di sinistra. Idee per una politica progressista. Milano, Feltrinelli,. Libertà. Roma, Treccani. Cura, introdotto la filosofia di Rawls, Nozick, Dahl, Easton, Nagel, Williams, Parfit, Putnam, Walzer, Berlin, Sen, Goodman, Arrow, Regan, Elster, Passmore, Pontara, Dunn, Larmore, MacIntyre, Harsanyi, Hempel, Finetti, Meade, Dworkin, Axelrod, Moore, Hampshire, Pettit, Spence, scrittore britannico  Scuola di Milano. Treccani Enciclopedie  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Socrate al Caffè, su socrate.apnetwork. Biografia. Pavia. Centro di filosofia sociale Scritti Pavia. Centro di filosofia sociale la teoria della giustizia  RAI Filosofia Presentazione del volume Ragione, Giustizia, Filosofia. Scritti in onore. Salvatore Veca. Keywords: altruism, Hampshire, Hart, Grice, giustizia, cooperare e competere, altruismo – ragione – virtu capitali -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Veca: la massima dell’altruismo conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732292349/in/dateposted-public/

 

Grice e Vecchio: il kantismo contro il positivismo di neo-Trasimaco (Bologna). Essential Italian philosopher. Interessi principali: Etica, filosofia del diritto, filosofia politica. Influenzato a Bobbio. Vecchio, eminente italiana filosofo del diritto del 20esimo secolo. Tra gli altri ha influenzato lBobbio. Famoso per il suo libro giustizia. -- è stato professore a Ferrara, Sassari, Messina, Bologna e Roma. Rettore a Roma. Inizialmente aderito al fascismo, come molti filosofi del diritto in Italia (anche se lui stesso rimosso dal l'ideologia fascista nella fase iniziale). Ha perso la sua cattedra per due volte e per ragioni opposte: per mano dei fascisti perché era un Ebreo, per mano di anti-fascisti perché era accusato di simpatizzare con il fascismo all'inizio della sua carriera. Reintegrato nell'insegnamento durante la seconda guerra mondiale, lavora con il Secolo d'Italia e la rivista Pages libero (pubblicazione regia di Vito Panucci). Fa parte del comitato organizzatore di INSPE, un Istituto di ricerca che negli anni Cinquanta e Sessanta si era opposto alla cultura marxista, la promozione di conferenze internazionali e pubblicazioni. Fondatore e direttore del giornale internazionale di Filosofia del Diritto. Considerato tra i maggiori interpreti del kantismo. Criticato il positivismo, affermando che il concetto di ‘ius’ non può essere derivata dall'osservazione dei fenomeni giuridici. A questo proposito, le sue convinzioni concordarono con una vertenza che si stava svolgendo in Germania tra Filosofia, Sociologia e legale Teoria generale che sembrava di ridefinire il "filosofia del diritto" a cui Vecchio ha attribuito questi tre compiti:  compito logica: costruire il concetto di ‘legge’ -- compito fenomenologica, che consiste nello studio del diritto come fenomeno sociale. Compito ontologico, che esamina la natura del ‘giusto’ --  o l'essenza del diritto come – dovere -- dovrebbe essere. Opere: “Senso giuridico, La filosofico Presupposti del concetto di legge, Il concetto di legge, Il concetto di natura e il principio di diritto, Sui principi generali della legge, Giurisprudenza,  Lezioni Filosofia del diritto, La crisi della scienza del diritto, Storia della Filosofia del diritto, Mutevolezza ed Eternità della legge, Gli studi sul diritto. Del Vecchio, Giorgio treccani "Principi generali del diritto.” Vechio: essential Italian philosopher. Grice: “Note that it is DelVecchio.” DelVecchio. Vecchio. Keywords: neo-Trasimaco, Hart, ius, kantismo, positivism, giustizia, il giusto. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice, Hart, e Vecchio: il kantianismo dell’ ‘ius.’” https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732516490/in/dateposted-public/

 

Grice e Vedovelli – filosofia (Roma). Essential Italian philosopher. Filosofo. Rettore a Siena, assessore alla cultura del Comune di Siena. Laureato in filosofia a Roma è Professore a Siena, dove ha assunto la carica di Rettore. Precedentemente ha svolto attività di ricerca e di docenza a Heidelberg, Calabria, Roma, e Pavia.  I suoi settori di ricerca si muovono nell'ambito della glossologia, la semiotica, la sociolinguistica e la linguistica acquisizionale. Ha introdotto il concetto di lingua immigrata. Le sue ricerche si concentrano sull'insegnamento e apprendimento delle lingue in contesto migratorio.  È autore di un commento al Quadro comune europeo di riferimento per l'insegnamento delle lingue e co-autore della ricerca Italiano, indagine motivazionale sui pubblici dell'italiano all'estero, realizzata  sotto la guida di Mauro. È stato il fondatore e primo direttore della Certificazione di Italiano come Lingua Straniera, e del Centro di Eccellenza della Ricerca Osservatorio linguistico dell'italiano diffuso fra stranieri e delle lingue immigrate in Italia, istituiti a Siena.  Opere: “Lessico di frequenza dell'italiano parlato” (Milano, IBMEtas,  Italiano, I pubblici e le motivazioni dell'italiano diffuso tra stranieri, Roma, Bulzoni, Guida all'italiano per stranieri. La prospettiva del Quadro comune europeo per le lingue, Roma, Carocci,  L'italiano degli stranieri, Roma, Carocci, Lingua in giallo. Analfabeti, criminali, sordomuti, certificazioni di lingua straniera, Perugia, Guerra, Storia linguistica dell'emigrazione italiana nel mondo, Roma, Carocci, Siena Certificazione CILS Linguistica educativa Glottodidattica Semiotica  Registrazioni di Massimo Vedovelli, su RadioRadicale, Radio Radicale. Vedovelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vedovelli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732504270/in/dateposted-public/

 

Grice e Vegetti – il platonismo oxoniense di Pater – filosofia  (Milano). Essential Italian philosopher. Filosofo. Professore a Pavia. Si laurea a Pavia con una tesi, “La storiografia diTucidide,” quale alunno del Collegio Ghislieri. Libero docente e successivamente professore incaricato in Storia della filosofia antica, fu Professore di questa disciplina a Pavia dove ricoprì più volte il ruolo di direttore nel Dipartimento di Filosofia.  Fu docente presso la Scuola Superiore IUSS di Pavia e la Scuola Europea di Studi Avanzati dell'Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Membro del Collegium Politicum e socio dell'Accademia di Scienze Morali e Politiche di Napoli, e dell'Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere.  Vegetti condivise il lavoro intellettuale e l'impegno sociale con Finzi. Vegetti si dedicò alla filosofia greco-romana, secondo l'insegnamento del suo maestro Geymonat. Fa studi sulla medicina e sulla biologia da Ippocrate a Galeno.  Fu il primo in Italia a impartire un corso di storia della filosofia antica che prendesse in considerazione i riferimenti alla storia della scienza, particolarmente in ambito greco-romano. Nella ricerca della connessione fra scienze e filosofia, seguì la metodologia di Geymonat. Il campo d'indagine approfondito da Vegetti consistette nello studio degli aspetti etici e politici della filosofia, in particolare il platonismo, il aristotelismo, e lo stoicismo, in rapporto con l'ambito sociale ed ideologico della cultura greco-romana. Relativamente all'etica, che assimila l'ordine stabilito dalla legge morale e politica con l'ordine naturale insito nel kósmos, l'universo ordinato, Vegetti ritenne che si configurasse per la prima volta nell' “Iliade” proseguendo poi nella riflessione orfica-pitagorica sull'anima. Apprezzato per i suoi studi su Platone, Aristotele, Ippocrate, Galeno  e sull'etica. Opere: “Il coltello e lo stilo” (Il Saggiatore, Milano); “Tra Edipo e Euclide” (Il Saggiatore, Milano); “L'etica degli antichi” (Laterza, Roma-Bari); “La medicina platonica” (Il Cardo, Venezia); “La Repubblica platonica” (Napoli, Bibliopolis); “Il platonismo” (ed. Einaudi); “Socrate incontra Marx. Lo Straniero di Treviri, ed. Guida; “Guida alla lettura della Repubblica di Platone, Laterza, Roma-Bari); “Un paradigma in cielo. Platone politico da Aristotele al Novecento, ed. Carocci. Vegetti collabora in: “Marxismo e società antica” (Feltrinelli, Milano); “Oralità, scrittura, spettacolo” Boringhieri, Torino,  Il sapere degli antichi, Boringhieri, Torino, L'esperienza religiosa antica, Boringhieri, Torino (con Gabriele Giannantoni) La scienza ellenistica, Bibliopolis, Napoli, Le opere psicologiche di Galeno, Bibliopolis, Napoli, Nuove antichità, "Aut Aut", "Dialoghi con gli antichi", Sankt Augustio. Ha tradotto  Ippocrate, Opere, M. Vegetti, POMBA, Torino, II edizione, Aristotele, Opere biologiche, D. Lanza e M. Vegetti, POMBA, Torino, II edizione, Galeno, Opere, I. Garofalo e M. Vegetti, POMBA, Torino, Platone, Repubblica, M. Vegetti, Libri I-III, Dipartimento di Filosofia dell'Pavia, "Platone, Repubblica", M.Vegetti, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, Milano. “Nell'ombra di Theuth: dinamiche della scrittura in Platone, in Sapere e scrittura in Grecia, M. Detienne, Laterza, Roma- Bari); “Tra il sapere e la pratica: la medicina ellenistica” in Storia del sapere medico occidentale M. Grmek, Laterza, Roma-Bari. “L' idea del bene nella Repubblica di Platone, in "Discipline filosofiche", Passioni antiche: l'io collerico, in Storia delle passioni S. Vegetti Finzi, Laterza, Roma- Bari. Curato inoltre, per Zanichelli, “Filosofie e società.” Biografia su Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai.  S. Vegetti Finzi, A. Celli, Fare società, ed. Einaudi  Entrambi collaboratori della rivista Iride delle edizioni del Mulino. Biografia su Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. 6. Filosofo studioso di Platone, su corriere.  G. Curci, Intervista alla prof.ssa Gastaldi, in ricordo del maestro Vegetti, su necrologie.laprovinciapavese.gelocal. Enciclopedia Treccani alla voce "Galeno" Intervista Antonio Carioti, "Critico il Platone di Reale, il marxismo non c'entra", intervista di Mario Vegetti, Corriere della Sera, Opere su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Mario Vegetti,.  Pubblicazioni su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la Recherche et de l'Innovation.  Registrazioni su RadioRadicale, Radio Radicale. L'etica e la filosofia antica, su emsf.rai. La retorica e la persuasione, su emsf.rai. La medicina greca. Aristotele. I pitagorici. Socrate., su emsf.rai. L'etica in Platone e Aristotele, su emsf.rai. Mario Vegetti: il primato del filosofo per Aristotele, sul  RAI filosofia, su filosofia.rai. Mario Vegetti. Vegetti. Keywords: ariskant, plathegel. -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, -- Luigi Speranza, “Grice e Vegetti e il platonismo oxoniense di Pater” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732247714/in/dateposted-public/

 

Velino – I velini – Luigi Speranza (Velia). Grice: “”A = A,” Parmenides says,” “Le donne sono le donne,” “La guerra è la guerra.” Enough to irritate an Italian neo-non-parmenideian“One of the most important Italian philosophers, if only because Plato dedicated a dialogue to him!”Grice.   --   Parmenide Parmènide di Elea (in greco antico: Παρμενίδης, Parmenídēs; Elea. Filosofo antico -- autore del poema Sulla natura. Viene considerato il fondatore dell'ontologia, con cui ha influenzato l'intera storia della filosofia occidentale. Fu il filosofo dell'essere statico e immutabile, in contrasto col divenire di Eraclito, secondo il quale viceversa «tutto cambia». A lui si deve la nascita della scuola eleatica a cui appartenevano anche Zenone (o Senone nella grafia antica) di Elea e Melisso di Samo. La rivalità tra Parmenide ed Eraclito è stata reintrodotta negli odierni dibattiti sulla concezione del tempo,[ e della fisica moderna. Nacque a Velia, in Ascea, da una famiglia aristocratica. Della sua vita si hanno poche notizie. Secondo Speusippo, nipote di Platone, e chiamato dai suoi concittadini a redigere le leggi di Ascea. Secondo Sozione e discepolo del pitagorico Aminia. Per altri fu probabilmente discepolo di Senofane di Colofone. Ad Ascea fonda inoltre una scuola, insieme al suo discepolo prediletto Zenone. Platone nel Parmenide riferisce di un viaggio che Parmenide intraprese alla volta di Atene, dove conobbe Socrate col quale ebbe una vivace discussione. L'unica opera di Parmenide è il poema in esametri intitolato Sulla natura, di cui alcune parti sono citate da Simplicio in De coelo e nei suoi commenti alla Fisica aristotelica, da Sesto Empirico e da altri scrittori antichi. Di “Sulla natura” ci sono giunti ad oggi diciannove frammenti, alcuni dei quali allo stato di puro stralcio, che comprendono un proemio e una trattazione in due parti: La via della verità e La via dell'opinione. Di quest'ultima abbiamo solo pochi versi.  Εἰ δ' ἄγ' ἐγὼν ἐρέω, κόμισαι δὲ σὺ μῦθον ἀκούσας, αἵπερ ὁδοὶ μοῦναι διζήσιός εἰσι νοῆσαι· ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι, Πειθοῦς ἐστι κέλευθος - Ἀληθείῃ γὰρ ὀπηδεῖ - , ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι, τὴν δή τοι φράζω παναπευθέα ἔμμεν ἀταρπόν· οὔτε γὰρ ἂν γνοίης τό γε μὴ ἐὸν - οὐ γὰρ ἀνυστόν - οὔτε φράσαις. ... τὸ γὰρ αὐτὸ νοεῖν ἐστίν τε καὶ εἶναι. Orbene io ti dirò, e tu ascolta accuratamente il discorso, quali sono le vie di ricerca che sole sono da pensare: l'una che "è" e che non è possibile che non sia, e questo è il sentiero della persuasione (infatti segue la verità); l'altra che "non è" e che è necessario che non sia, e io ti dico che questo è un sentiero del tutto inaccessibile. Infatti non potresti avere cognizione di ciò che non è (poiché non è possibile), né potresti esprimerlo. Infatti lo stesso è pensare ed essere. Sostiene che la molteplicità e i mutamenti del mondo sono illusori, e afferma, contrariamente al senso comune, la realtà dell'essere: immutabile, ingenerato, finito, immortale, unico, omogeneo, immobile, eterno.  La narrazione si snoda intorno al percorso intellettuale del filosofo che racconta il suo viaggio verso la dimora della dea della Giustizia la quale lo condurrà al cuore inconcusso della ben rotonda verità. La dea, in quanto tutrice dell'ordine cosmico, e vista in tal senso anche come garante dell'ordine logico, cioè del corretto filosofare. La dea gli mostra la via dell'opinione, che conduce all'apparenza e all'inganno, e la via della verità che conduce alla sapienza e all'essere (τὸ εἶναι).  Pur non specificando cosa sia questo essere, è il che per primo ne mette a tema esplicitamente il concetto. Su di esso egli esprime soltanto una lapidaria formula, la più antica testimonianza in materia, secondo la quale l'essere è, e non può non essere. Il non-essere non è, e non può essere -- ἡ μὲν ὅπως ἔστιν τε καὶ ὡς οὐκ ἔστι μὴ εἶναι … ἡ δ' ὡς οὐκ ἔστιν τε καὶ ὡς χρεών ἐστι μὴ εἶναι -- è, e non è possibile che non sia … non è, ed è necessario che non sia»  -- fr. 2, vv 3;5 - Simplicio, Phys. 116, 25. Proclo, Comm. al Tim.). Con queste parole intende affermare che niente si crea dal niente (ex nihilo nihil fit), e nulla può essere distrutto nel nulla. Già i primi filosofi avevano cercato l'origine (o ἀρχή, archè) della mutevolezza dei fenomeni in un principio statico che potesse renderne ragione, non riuscendo a spiegarsi il divenire. Ma i cambiamenti e le trasformazioni a cui è soggetta la natura, tali per cui alcune realtà nascono, altre scompaiono, non hanno semplicemente motivo di esistere, essendo pura illusione. La vera natura del mondo, il vero essere della realtà, è statico e immobile. A tali affermazioni giunge promuovendo per la prima volta un pensiero basato non più su spiegazioni mitologiche del cosmo, ma su un metodo razionale, servendosi in particolare della logica formale di non-contraddizione, da cui si traggono le seguenti conclusion. L'essere è immobile perché se si muovesse sarebbe soggetto al divenire, e quindi ora sarebbe, ora non sarebbe. L'essere è uno perché non possono esserci due esseri: se uno è l'essere, l'altro non sarebbe il primo, e sarebbe quindi non-essere. Allo stesso modo per cui, se A è l'essere, e B è diverso da A, allora B non è: qualcosa che non sia Essere non può essere, per definizione. L'Essere è eterno perché non può esserci un momento in cui non è più, o non è ancora: se l'essere fosse solo per un certo periodo di tempo, a un certo momento non sarebbe, e si cadrebbe in contraddizione. L'essere è dunque ingenerato e immortale, poiché in caso contrario implicherebbe il non essere. La nascita significa essere, maa anche non essere prima di nascere. La morte significa non essere, ovvero essere solo fino a un certo momento. L'essere è indivisibile, perché altrimenti richiederebbe la presenza del non-essere come elemento separatore. L'essere risulta così vincolato dalla necessità (ἀνάγχη), che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo. La dominatrice necessità lo tiene nelle strettoie del limite che lo rinserra tutto intorno; perché bisogna che l'essere non sia incompiuto. L'essere secondo Parmenide: privo di imperfezioni e identico in ogni sua parte come una sfera paragona l'Essere a una sfera perfetta, sempre uguale a se stessa nello spazio e nel tempo, chiusa e finita (per gli antichi greci il finito era sinonimo di perfezione). La sfera è infatti l'unico solido geometrico che non ha differenze al suo interno, ed è uguale dovunque la si guardi; l'ipotesi collima suggestivamente con la teoria della relatività di Einstein che dice: «Se prendessimo un binocolo e lo puntassimo nello spazio, vedremmo una linea curva chiusa all'infinito» in tutte le direzioni dello spazio, ovvero, complessivamente, una sfera (per lo scienziato infatti l'universo è finito sebbene illimitato, fatto di uno spazio tondo ripiegato su se stesso). Fuori dell'essere non può esistere nulla, perché il non-essere, secondo logica, non è, per sua stessa definizione. Il divenire attestato dai sensi, secondo cui gli enti ora sono e ora non sono, è una mera illusione (che appare ma in realtà non è). La vera conoscenza dunque non deriva dai sensi, ma nasce dalla ragione. Non c'è nulla di errato nell'intelletto che prima non sia stato negli erranti sensi» è la frase che d'ora in poi sarà attribuita a Parmenide. Il pensiero è dunque la via maestra per cogliere la verità dell'Essere: «ed è lo stesso il pensare e pensare che è. Giacché senza l'essere … non troverai il pensare», a indicare come l'Essere si trovi nel pensiero. Pensare il nulla è difatti impossibile, il pensiero è necessariamente pensiero dell'essere. Di conseguenza, poiché è sempre l'essere a muovere il pensiero, la pensabilità di qualcosa dimostra l'esistenza dell'oggetto pensato.Tale identità immediata di essere e pensiero, a cui si giunge scartando tutte le impressioni e i falsi concetti derivanti dai sensi, abbandonando ogni dinamismo del pensiero, accomuna Parmenide alla dimensione mistica delle filosofie apofatiche orientali, come il buddhismo, il taoismo e l'induismo. Una volta stabilito che l'Essere è, e il non-essere non è, restava tuttavia da spiegare come nascesse l'errore dei sensi, dato che nell'Essere non ci sono imperfezioni, e perché gli uomini tendano a prestare fede al divenire attribuendo l'essere al non-essere. Parmenide si limita ad affermare che gli uomini si lasciano guidare dall'opinione (δόξα), anziché dalla verità, ossia giudicano la realtà in base all'apparenza, secondo procedimenti illogici. L'errore in definitiva è una semplice illusione, e dunque, in quanto non esiste, non si può trovargli una ragione. Compito del filosofo è unicamente quello di rivelare la nuda verità dell'Essere nascosta sotto la superficie degli inganni. Il tema sarà ripreso da Platone che cercherà una soluzione al conflitto tra l'essere e il molteplice; per sciogliere il dramma umano costituito dal senso greco del divenire (per cui tutto muta) che si scontra con una ragione, altra dimensione fondamentale della grecità, che è portata a negarlo, Platone concepirà il non-essere non più alla maniera di Parmenide staticamente e assolutamente contrapposto all'essere, ma come diverso dall'essere in senso relativo, nel tentativo di dare una spiegazione razionale anche al tempo e al molteplice.  Il rigore logico di Parmenide gli valse inoltre l'appellativo di "venerando e terribile" da parte di Platone. La fiducia di Parmenide in un sapere completamente dedotto dalla ragione, e viceversa la sua totale sfiducia nei confronti dei sensi e di una conoscenza empirica, fa di lui un filosofo profondamente razionalista.  Parmenide e la scuola di Elea  Parmenide ne "La scuola di Atene", affresco di Raffaello Sanzio Parmenide fu il fondatore della scuola di Elea, dove ebbe vari discepoli, il più importante dei quali fu Zenone. Il metodo usato dagli eleati era la dimostrazione per assurdo, con cui confutavano le tesi degli avversari giungendo a dimostrare la verità dell'Essere, nonché la falsità del divenire e delle impressioni dei sensi, per una "impossibilità logica di pensare altrimenti".Stupiva i contemporanei un ragionamento che scaturiva dalla radicale contrapposizione essere/non-essere e da un'immediata conseguenza del principio di non-contraddittorietà dell'essere e del pensiero, teorizzato in seguito da Aristotele come evidenza prima e indimostrabile alla ragione senza la quale diverrebbe impossibile qualsiasi conoscenza necessaria-filosofica, restando solo il mondo dell'opinione.  Parmenide e gli eleati si contrapponevano soprattutto al pensiero di Eraclito, loro contemporaneo, filosofo del divenire che basava la conoscenza interamente sui sensi. Nella prospettiva della storia della filosofia, sarà quindi Hegel a concepire l'essere in maniera radicalmente opposta a Parmenide.  Anche l'atomismo democriteo intese contrapporsi alla teoria eleatica dell'Essere (che aveva cercato una soluzione al problema dell'archè negando alla radice un fondamento originario al divenire), presupponendo gli atomi e uno spazio vuoto, diverso dagli atomi, in cui essi potessero muoversi, ipotizzando in un certo senso una convivenza di essere e non-essere.  In seguito furono i sofisti a cercare di confutare il pensiero degli eleati, opponendo al loro sapere certo e indubitabile (επιστήμη, epistéme) sia il relativismo di Protagora, sia il nichilismo di Gorgia. Uno dei maggiori problemi sollevati da Parmenide riguardava in particolare l'impossibilità di oggettivare l'Essere, di darne un predicato, di sottrarlo all'astrattezza formale con cui egli l'aveva enunciato, e che sembrava contrastare con la pienezza totale del suo contenuto. Fu seguendo questa strada che Platone, nel tentativo di risolvere il problema, approderà al mondo delle idee.  L'interpretazione della "doxa" Giovanni Reale ha elencato le diverse interpretazioni contemporanee sullo statuto e il significato dell'opinione ed il suo rapporto con la verità. Accanto ad una lettura che le vede contrapporre radicalmente, ne esiste una diversa, che Reale appoggia, secondo cui l'opinione (δόξα, doxa) non è da intendersi in Parmenide come negazione assoluta della verità, ma come un modo improprio di accostarsi ad essa. Non si tratterebbe cioè di puro non-essere, della via dell'errore scartata a priori, ma di una terza possibilità in cui i fenomeni (δοκοῦντα, dokùnta) sarebbero entità pensabili e quindi plausibili, se non altro come manifestazioni esteriori del fondamento occulto e autentico dell'Essere. Nelle parole della Dea, infatti, Parmenide è chiamato a conoscere anche «le opinioni dei mortali, in cui non è certezza verace; eppure anche questo imparerai: come l'esistenza delle apparenze sia necessario ammetta colui che in tutti i sensi tutto indaga». Si tratta di un'interpretazione condivisa in varia misura anche da Hans Schwabl, Mario Untersteiner, Giorgio Colli, Luigi Ruggiu, sebbene respinta da altri, che farebbe di Parmenide un anticipatore della futura ontologia platonica, mentre i suoi discepoli avrebbero invece mantenuto una concezione più rigorosa dell'essere, quella tradizionalmente attribuita agli eleati. Tra le filosofie volte al recupero del pensiero classico in chiave attuale, in direzione del quale si sono mossi specialmente gli studi di Martin Heidegger e di Gustavo Bontadini, l'opera di Emanuele Severino si segnala come una parziale ripresa della dottrina di Parmenide, e viene perciò definita «neoparmenidismo». In particolare nel suo scritto Ritornare a Parmenide, Severino intende proporre un'originale reinterpretazione delle categorie fondamentali del pensiero moderno alla luce della rigorosa logica dell'Eleate. Secondo Platone in Parmenide, 127a-c. ^ Secondo la cronologia di Apollodoro di Atene che colloca la sua ἀκμή (l'acmé, il quarantesimo anno dell'età, ritenuto dai dossografi antichi il punto più alto della vita e dell'attività filosofica) nella XLIX olimpiade, datata al 504-1 a.C. (Diogene Laerzio, IX, 23). Dopo che fu scoperta in uno scavo ad Ascea un'erma acefala con l'iscrizione Πα[ρ]μενείδης Πύρητος Οόλιάδης φυσικός (Parmenide figlio di Pirete medico degli Uliadai), dove Parmenide viene cioè indicato come capo della scuola medica eleata degli Ούλιάδαι, si ritrova in seguito la testa-ritratto con barba qui raffigurata, con la base del collo adattata ad essere sovrapposta in un'erma del tipo di quella precedentemente ritrovata con l'iscrizione citata. Altri ritengono invece che questa scultura riproduca il busto del filosofo epicureo Metrodoro di Lampsaco (M. G. Picozzi, Parmenide, Enciclopedia dell'arte antica Treccani).  Logos: rivista internazionale di filosofia, Bartelli & Verando I paradossi di Zenone sul movimento vennero enunciati proprio per argomentare la posizione filosofica di Parmenide. Luigi Lugiato, L'uomo e il limite, Milano, FrancoAngeli, Secondo Platone in Parmenide, op.cit.  Diogene Laerzio, IX, 21. ^ Così Plutarco, Contro Colote, 32, 1126 A. Fra questi Aristotele, (Metafisica A 5, 986b, 22) e Platone (Sofista, 242d) e così anche Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, IX, 21. ^ I presocratici, a cura di G. Giannantoni, Bari 19756. ^ Platone, Parmenide, 128 B. ^ Simplicio, De cœlo 556, 25. Simplicio, In Aristotelis Physica commentaria. ^ Sesto Empirico, Adversus mathematicos, libro VII.  ^ Finito non da intendersi come imperfetto perché per la mentalità antica il segno di perfezione è la compiutezza, il finito. L'infinito vorrebbe dire che non è completo, che gli manca qualcosa quindi imperfetto. Sul tema del viaggio in Parmenide si veda quest'intervista a Luigi Ruggiu, tratta dall'Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche. Fr. 1, v. 29, della raccolta I presocratici di Diels/Kranz. ^ Anna Jellamo, Il cammino di Dike: l'idea di giustizia da Omero a Eschilo, Roma, Donzelli. Sull'ipotesi che la dea della Giustizia fosse interpretata da Parmenide in un significato nuovo, filosofico, cfr. Hermann Fränkel, Wege und Formen Frühgriechischen Denkens. Literarische und Philosophiegeschichtliche Studien, München, Beck, 1960, p. 162 segg., per il quale essa veniva ora vista come dea della «giustezza» o «esattezza» (dikaiosyne), preludio di quella platonica. Sulla Dike "filosofica" cfr. anche Karl Deichgräber, Parmenides' Auffahrt zur Göttin des Rechts, Untersuchungen zum Prooimion seines Lehrgedichts, 11, Magonza. La nascita della parola "filosofia" è molto controversa, in quanto ha diverse accezioni. Già anticamente, così come altri termini composti col suffisso "philo-" (cfr. P. Hadot, Che cos'è la filosofia antica?, Torino, Einaudi) essa indicava una passione, una tensione (φίλος, fìlos) verso il sapere (σοφία, sofìa). Secondo Antonio Capizzi, tuttavia, Parmenide non era un filosofo nel senso etimologico, in quanto più che al "sapere per il sapere" propendeva per le applicazioni politiche del sapere, ma la questione è tutt'altro che definitiva. Principio enunciato da Melisso e poi reso in latino da Lucrezio, ma implicitamente presente nel frammento 8 di Parmenide (cfr. Réginald Garrigou-Lagrange, La sintesi tomistica, Fede & Cultura, 2015. ^ «Il principio di non-contraddizione, introdotto da Parmenide per rivelare l'essere stesso, la verità essenziale, fu successivamente impiegato come strumento del pensiero logicamente cogente per qualsiasi affermazione esatta. Sorsero così la logica e la dialettica» (K. Jaspers, I grandi filosofi, tr. it., Longanesi, Milano). ^ Fr. 8, v. 30-32, della raccolta Diels/Kranz. ^ Albert Einstein si espresse tra l'altro in maniera sorprendentemente simile a Parmenide, in quanto anch'egli tendeva a negare la discontinuità del divenire e il suo svolgimento nel tempo. Secondo Popper, «grandi scienziati come Boltzmann, Minkowski, Weyl, Schrödinger, Gödel e, soprattutto, Einstein hanno concepito le cose in modo similare a Parmenide e si sono espressi in termini singolarmente simili. La materia, secondo Einstein, si curverebbe su se stessa, per cui l'universo sarebbe illimitato ma finito, simile ad una sfera, che è illimitatamente percorribile anche se finita. Inoltre Einstein ritiene che non abbia senso chiedersi che cosa esista fuori dell'universo» (Ernesto Riva, Manuale di filosofia). Alexius Meinong, proprio come Parmenide, difese ad esempio l'idea che anche «la montagna d'oro» (titolo di un romanzo fantascientifico) sussista poiché se ne può parlare. Fr. 3, v. 1, Diels/Kranz. Sull'analogia tra la posizione parmenidea e le filosofie dell'Oriente, cfr. Emanuele Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su filosofico.net. Cfr. anche l'intervista al professor Emanuele Severino (Venezia, Museo Correr, Biblioteca Marciana) in Parmenide su Emsf.rai.it. ^ Platone, Teeteto, 183e. ^ Un famoso esempio si ha nelle aporie note come paradossi di Zenone. ^ Si veda La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, di Eduard Zeller, trad. di R. Mondolfo Eleati, a cura di Giovanni Reale, Firenze, La Nuova Italia, nuova edizione a cura di Giuseppe Girgenti, Milano, Bompiani, 2011. ^ «Dunque, Parmenide ha esposto un'"opinione plausibile", oltre a quella fallace, e ha cercato, a suo modo, di dar conto dei fenomeni» (G. Reale, Storia della filosofia antica, I, Vita e Pensiero, Milano). Fr. 1, vv. 31-33, trad. di G. Reale. Hans Schwabl, Sein und Doxa bei Parmenides, «Wiener Studien», Mario Untersteiner, La Doxa di Parmenide, in Parmenide. Testimonianze e frammenti, Sansoni, Firenze Giorgio Colli, Physis kryptesthai philei, ed. dell'Ateneo, Roma  Luigi Ruggiu, Saggio introduttivo e commentario filosofico, in Parmenide. Poema sulla natura: i frammenti e le testimonianze indirette, Rusconi, Milano  Di origine evidentemente iranica sarebbe il dualismo luce-tenebre che per Parmenide sta alla base della dóxa, mentre sarebbe addirittura di origine indiana il carattere puramente apparente da lui attribuito al mondo sensibile (sostenuto dalla corrente Samkya delle Upanishad nella famosa dottrina del "velo di Maya", ripresa da Arthur Schopenhauer nel XIX secolo), e lo stesso viaggio del filosofo al cospetto della dea, esposto nel proemio del Poema parmenideo, ricorderebbe i viaggi degli sciamani asiatici (Martin Litchfield West, La filosofia greca arcaica e l'Oriente, Il Mulino, Bologna, 1993). ^ In esso, tuttavia, Severino afferma dapprima di aver compiuto il secondo grande "parmenicidio", dopo quello di Platone: Parmenide svaluta e quindi annulla i fenomeni, ma questi appaiono, quindi esistono e, se esistono, non divengono, ma tutti sono eterni. In secondo luogo Severino usa la logica parmenidea per confutare l'etica e la fede in Dio: poiché il divenire non esiste, non sarebbero possibili la libera scelta morale e l'esistenza di un Creatore che tragga l'essere dal nulla, creandolo ex nihilo. Bibliografia Fonti Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei più celebri filosofi, Testo greco a fronte, a cura di Giovanni Reale con la collaborazione di Giuseppe Girgenti e Ilaria Ramelli, Milano, Bompiani, 2005 Edizioni e traduzioni Pilo Albertelli, Gli Eleati: testimonianze e frammenti, Bari, Laterza, 1938 Renzo Vitali, Parmenide d'Elea. Peri physeos, una ricostruzione del Poema, Faenza, Lega, 1977 Giovanni Reale, Luigi Ruggiu, Parmenide. Poema sulla natura, Milano, Rusconi, 1991 Giovanni Cerri, Parmenide. Poema sulla natura, Milano, BUR, 1999 Albino Nolletti, Che cos'è l'Essere di Parmenide: spiegazione di un enigma filosofico Testo greco a fronte, Teramo, La Nuova Editrice, 2004 I presocratici. Prima traduzione integrale con testi originali a fronte delle testimonianze e dei frammenti di Hermann Diels e Walther Kranz, a cura di Giovanni Reale, Milano, Bompiani, 2006 Mario Untersteiner, Eleati. Parmenide, Zenone, Melisso. Testimonianze E Frammenti Testo greco a fronte, Milano, Bompiani, 2011 Studi Emanuele Severino, Ritornare a Parmenide [1964], in Essenza del nichilismo, pp. 19–61, Paideia, Brescia 1972 Carlo Diano, Parmenide in Studi e saggi di filosofia antica (successivamente ne Il pensiero greco da Anassimandro agli Stoici, Bollati Boringhieri, 2007 e 2018) Luigi Ruggiu, Parmenide, Venezia, Marsilio 1975 Antonio Capizzi, Introduzione a Parmenide, Laterza, Roma-Bari 1975 Antonio Capizzi, La porta di Parmenide. Due saggi per una nuova lettura del poema, Edizioni dell'Ateneo, Roma 1975 Guido Calogero, Studi sull'eleatismo [Roma], La Nuova Italia, Firenze 1977 Edward Hussey, I presocratici, trad. di L. Rampello, Mursia, Milano 1977 Klaus Heinrich, Parmenide e Giona. Quattro studi sul rapporto tra filosofia e mitologia, Guida, Napoli 1988 Giovanni Casertano, Parmenide il metodo la scienza l'esperienza, Loffredo, Napoli Karl Popper, Il mondo di Parmenide. Alla scoperta dell'illuminismo presocratico, Piemme, Casale Monferrato Martin Heidegger, Parmenide, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 1999 Hans-Georg Gadamer, Scritti su Parmenide, a cura di G. Saviani, Filema, Napoli Giorgio Colli, Gorgia e Parmenide. Lezioni Adelphi, Milano Néstor-Luis Cordero, By Being, It is. The Thesis of Parmenides, Parmenides Publishing, Las Vegas Massimo Pulpito, Parmenide e la negazione del tempo. Interpretazioni e problemi, LED, Milano 2005 Andrea Sangiacomo, La sfida di Parmenide. Verso la Rinascenza, Il Prato, Padova 2007 Michele Abbate, Parmenide e i neoplatonici. Dall'Essere all'Uno e al di là dell'Uno, Edizioni dell'Orso, Alessandria Ugo di Toro, L'enigma Parmenide. Poesia e filosofia nel proemio, Aracne, Roma 2010 Franco Ferrari, Il migliore dei mondi impossibili. Parmenide e il cosmo dei Presocratici, Aracne, Roma 2010 Massimo Donà, Parmenide. Dell'essere e del nulla, Alboversorio, Milano Donato Sperduto, Il divenire dell'eterno, Aracne, Roma. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata Parmènide (filosofo), su sapere.it, De Agostini. Spiegazione dell'enigma dell'Essere di Parmenide, su parmenide.info. Emanuele Severino. Il Poema, le fonti, le interpretazioni, su filosofico.net. Emanuele Severino: Parmenide, su raiscuola.rai.it. (EL) "Sull'Essere" recitato in greco antico ricostruito, su podium-arts.com. (EN) Un'ampia lista degli studi dedicati a Parmenide su parmenides.com. (EN) Parmenides and the Question of Being in Greek Thought, su ontology.co. con una bibliografia annotata degli studi recenti e delle edizioni critiche. Università di Stanford. efs.: H. P. Grice, “Negation and privation,” “Lectures on negation,” Wiggins, “Grice and Parmenides”. Parmenide. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Il parmenideismo italiano,” Luigi Speranza, "Grice e Parmenide," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

 

 

Grice e Velia -- Zenone – i veliani – Luigi Speranza (Velia). Filosofo. f. senofane, parmenide -- Velia --  (or as Strawson would prefer, Zeno). Sometimes spelt ‘Senone’ "Senone *loved* his native Velia. Vivid evidence of the cultural impact of Senone's arguments in Italia is to be found in the interior of a red-figure drinking cup (Roma, Villa Giulia, inv. 3591) discovered in the Etrurian city of Falerii. It depicts a heroic figure racing nimbly ahead of a large tortoise and has every appearance of being the first known ‘response’ to the Achilles (or Mercurio, Ermete) paradox. “Was ‘Senone’ BORN in Velia?”that is the question!”Grice. Italian philosopher, as as such, or as Grice prefers, ‘senone’ -- Zenos paradoxes. “Since Elea is in Italy, we can say Zeno is Italian.”H. P. Grice. “Linguistic puzzles, in nature.”  H. P. Grice. four paradoxes relating to space and motion attributed to Zeno of Elea fifth century B.C.: the racetrack, Achilles and the tortoise, the stadium, and the arrow. Zeno’s work is known to us through secondary sources, in particular Aristotle. The racetrack paradox. If a runner is to reach the end of the track, he must first complete an infinite number of different journeys: getting to the midpoint, then to the point midway between the midpoint and the end, then to the point midway between this one and the end, and so on. But it is logically impossible for someone to complete an infinite series of journeys. Therefore the runner cannot reach the end of the track. Since it is irrelevant to the argument how far the end of the track is  it could be a foot or an inch or a micron away  this argument, if sound, shows that all motion is impossible. Moving to any point will involve an infinite number of journeys, and an infinite number of journeys cannot be completed. The paradox of Achilles and the tortoise. Achilles can run much faster than the tortoise, so when a race is arranged between them the tortoise is given a lead. Zeno argued that Achilles can never catch up with the tortoise no matter how fast he runs and no matter how long the race goes on. For the first thing Achilles has to do is to get to the place from which the tortoise started. But the tortoise, though slow, is unflagging: while Achilles was occupied in making up his handicap, the tortoise has advanced a little farther. So the next thing Achilles has to do is to get to the new place the tortoise occupies. While he is doing this, the tortoise will have gone a little farther still. However small the gap that remains, it will take Achilles some time to cross it, and in that time the tortoise will have created another gap. So however fast Achilles runs, all that the tortoise has to do, in order not to be beaten, is not to stop. The stadium paradox. Imagine three equal cubes, A, B, and C, with sides all of length l, arranged in a line stretching away from one. A is moved perpendicularly out of line to the right by a distance equal to l. At the same time, and at the same rate, C is moved perpendicularly out of line to the left by a distance equal to l. The time it takes A to travel l/2 relative to B equals the time it takes A to travel to l relative to C. So, in Aristotle’s words, “it follows, Zeno thinks, that half the time equals its double” Physics 259b35. The arrow paradox. At any instant of time, the flying arrow “occupies a space equal to itself.” That is, the arrow at an instant cannot be moving, for motion takes a period of time, and a temporal instant is conceived as a point, not itself having duration. It follows that the arrow is at rest at every instant, and so does not move. What goes for arrows goes for everything: nothing moves. Scholars disagree about what Zeno himself took his paradoxes to show. There is no evidence that he offered any “solutions” to them. One view is that they were part of a program to establish that multiplicity is an illusion, and that reality is a seamless whole. The argument could be reconstructed like this: if you allow that reality can be successively divided into parts, you find yourself with these insupportable paradoxes; so you must think of reality as a single indivisible One. Senza le premesse di tale discussione e problematica si precisano chiaramente nei finissimi argomenti di Zenone di Velia, diseepolo e difensore di Parmenide, in cui si vede bene il taglio netto tra l'essere che è e in cui tutto si annulla, e il mondo umano costruito dall'uomo stesso. All'inizio del “Parmenide” Platone narra che una volta, durante le grandi Panatenee, Parmenide e Zenone vennero ad Atene. Parmenide era allora molto innanzi negli anni, tutto bianco, ma d'aspetto bello e nobile, e aveva circa sessantacinque anni. Zenone si avvicinava allora ai quaranta anni, di grande statura e bell'uomo (Parmenide, 127b). Platone dice, poi, che in quell'occasione Zenone lesse un saggio che scrive per difendere la tesi di Parmenide, ma k:he quel libro egli compose per amor di polemica e che per giunta un tale glielo aveva sottratto, per cui, Platone fa dire a Zenone. Nnon ebbi neppure il ternpo di pensare se fosse o no il caso di darlo alla luce (128a). Platone, forse, per dare avvio alla sua discussione, probabil-mente nei confronti dell'eleatismo megarico, si riallaccia di proposito a Zenone e a Parmenide mettendoli in rapporto con Socrate, allora giovanissimo, quel Socrate di cui poi i megarici furono discepoli. Può darsi, dunque, che Platone forza la notizia di Zenone ad Atene insieme a Parmenide, in un'epoca, il 455-450, in cui sembra difficile, per ragioni cronologiche, che Parmenide sia potuto venire ad Atene, o avesse circa sessantacinque anni. Nulla vieta, invece, di pensare che lui sia stato effettivamente ad Atene, anche se in epoca diversa, e che sia nato tra il 500 e il 490. Discepolo di Parmenide, Zenone nacque ad Elea nel 500/490. ·Platone (Parmenide, 127b) narra che nel 452 circa Zenone, venuto con Parmenide ad Atene, aveva circa quaranta anni. Tutte le fonti lo presentano come uomo prestante e altamente intelligente, che prese attiva parte alla vita politica della sua città, dove sarebbe eroicamente morto combattendo il tiranno Ncarco, quando, preso da Nearco e torturato, per non parlare si spezza la lingua con i denti, sputandola addosso al tiranno. Sembra che la struttura originaria del saggio di Zenone (o dei suoi saggi) fosse antinomica, e che [Altro punto sospetto è che Platone dice che il saggio che Zenone scrive e stato fatto circolare senza il permesso dell'autore. Potrebbe questo essere indice che Platone, in effetto, non espone la tesi vera di Zenone, anche se, nella finzione del dialogo, lui stesso approvi, con qualche riserva, il sunto che dei punti salienti dà Socrate. Platone, nel Parmenide tende a dimostrare l'impossibilità di pensare l'essere di Parmenide che porta dietro di sé l'altrettanta impossibilità di pensare i molti, onde, postici sul piano di Parmenide, risulta impossibile il discorso, un qual- sivoglia giudizio. Non interessa ora la soluzione di Platone e il suo tentativo di poter pensare l'essere come dialetticità corrispondente alla dialetticità del pensiero, per cui si rendeva possibile porre un tutto oggettivo. come ordine dialettico e misura su cui scandire, attraverso la conoscenza di sé, lo stesso ordine politico. È tuttavia importante sottolineare che nei confronti dell'uno di Parmenide e delle opere di lui (che accettando l'ipotesi di Parmenide e anche accettando che l'uno di Parmenide si può, all'estremo, ritenere assurdo, vuoi dimostrare che altrettanto assurdo è porre unità accanto a unità, come i pitagorici, quando si ritenga che queste siano realtà per sé e non puri nomi), la polemica di Platone chiarifica quella che storicamente dev'essere stata l'aporia fondamentale in cui doveva trovarsi il lettore del saggio di Zenone. In verità - abbietta Zenone nel Parmenide di Platone - questo mio saggio vuol essere in certo modo una difesa della dottrina di Parmenidc contro quelli che cercano di metterla in ridicolo sostenendo che la tesi dell'esistenza dell'uno va incontro a molte conseguenze ridiwlc c contraddittorie. Vuole confutare perciò questo mio saggio quelli che asseriscono l'esistenza dei molti c render loro la pariglia e anche di piu, cercando di mostrare che la loro ipotesi dell'esistenza dei. molti va incontro a conseguenze ancor piu ridicole di quella dell'uno se si vuole andare in fondo alla ricerca (l28c-d). In effetto qui Platone corregge la sua prima affermazione che Zenone e Parmenide avessero detto la stessa cosa ("dite su per giu la cosa medesima ": 128b}, e per i suoi intenti lascia cadere la precisazione di Zenone. Ma ciò è fondamentale, perché, in genere, è con questi abili accenni che Platone distingue quello che a lui importa da quello che accantona, ma che corrisponde, quasi sempre, alla verità storica. Zenone, quaranta fossero gli argomenti contro la tesi che sostiene il molteplice e il moto. Platone che vede in lui il difensore dell"Uno di Parmenide, lo chiamò il "palamede eleatico" (Fedro, 26ltl). ] dunque, sarebbe parmenideo alla rovescia. Egli accetterebbe che l'uno tutto di Parmenide porti alla finale contraddizione dell'impensabilità - proprio sulla via del pensiero - dell'uno stesso. Solo che la facile critica dell'annullarsi dell'uno deve tener presente che, ammessa la esistenza dei molti, di punti accanto a punti, come enti reali, si cade nelle stesse contraddizioni di chi pone l'uno. Zenone non dice mai cosa sia l'Essere. Zenone nega che posti i molti come esistenti, sul piano logico i molti esistano, confermando cosi la tesi parmenidea che i molti in quanto tali, in quanto definizioni, non sono che puri nomi. Ammessa, dunque, pitagoricamente, l'esistenza di punti reali costituenti le cose, bisogna necessariamente ammettere che ciascuna di tali unità in quanto punto ha una grandezza, anche se minima, onde in ogni punto vi sono infiniti punti e quindi ogni punto-unità sarà infinitamente grande; se il punto poi non ha gradezza, poiché le cose si costituiscono come aventi grandezza per l'unione dei punti, come sarà mai possibile che punti senza grandezza diano luogo a grandezze? n punto dunque, se non ha grandezza, non è (fr. l, 2). Ancora: ammesse piu cose costituite di punti, esse saranno ad un tempo in numero finito e infi.t;lito, il che è contraddittorio: saranno in numero finito, perché non possono essere piu o meno di quante sono; infinito perché tra l'una e l'altra ve ne sarà un'altra ancora, e tra questa e l'altra un'altra ancora all'infinito (fr. 3). Ancora: ammessa la molteplicità di cose reali per sé, bisogna ammettere o che sono continue, onde la molteplicità si annulla nella continuità, che, essendo divisibile all'infinito, è costituita di infiniti punti a loro volta divisibili all'infinito, fino al nulla; oppure che ogni cosa, limitando l'altra, occupa uno spazio e si distingue dal- l'altra per uno spazio: ma allora ogni spazio in quanto luogo implica un altro luogo e cosi all'infinito, sino all'unico luogo cioè l'uno, cioè il nulla (Aristotele, Fisica, 209a-210b; Simplicio, Fisica, 140, 34, 562, 1). Entro questa linea rientra anche il cosiddetto argomento del grano di miglio. Un grano o la decimillesima parte di un grano di miglio fa rumore: ora se fra un grano di miglio e un medimmo c'è proporzione, vi sarà proporzione anche tra i suoni, per cui se un medimmo di miglio fa rumore lo farà anche un solo grano (Aristotele, Fisica, 250a~ 19; Simplicio, Fisica, 1108, 18), ma ciò non avviene. Evidentemente quest'ultimo argomento rientra nei termini dei primi. Se l'uno, o la totalità, è impensabile irrelativamente, altrettanto impensabili sono i molti qualora si pongano quali realtà accanto a realtà. Nessuna parte del molteplice costituirà il limite ultimo e nessuna sarà senza una relazione con un'altra" (fr. 1). Poiché i molti sono impensaolli, se non. determinati come variazione di quantità di un CONTINUO, e poiché IL CONTINUO si può rappresentare come retta all'infinito, fino al nulla, i molti, se posti come realtà per sé, non sono. Cosi nell'ipotetica retta (nulla è pensabile se non in quanto estensione ed estensione che si qualifica) altrettanto inconcepibile è il moto, o meglio la possibilità dello spostamento e del passaggio da punto a punto, ché, dato, ad esempio, un segmento AB, tra A e B posta una metà A', necessariamente tra A e A', vi sarà una metà A" e cosi vita all'infinito – eis apeiron -- (argomento della dicotomia, cioè della divisione in due: Aristotele, Fisica, 233a, 239b, 263a; Simplido, Fisica, 1013; 4). Evidentemente non vi è allora passaggio tra un ipotetico primo punto A e il punto della linea accanto ad A, onde si può dire che Achille piè veloce" (in A) non raggiungerà mai la tartarugà che sia un passo avanti (in A"), ché, in effetto, logicamente, né l'uno né l'altra si muovono (argomento dell'Achille: cfr. Aristotele, Fisica, 239b; Simplicio 1013, 31), tanto piu che la linea, essendo costituita d'infiniti punti, è divisibile all'infinito, e quindi, all'infinito, si annulla. Analogamente LA FRECCIA non raggiungerà mai il bersaglio, dovendo percorrere l'infinito e rimanendo sempre ferma al punto di partenza (argomento della freccia: cfr. Aristotele, Fisica, 239b; Simplicio, Fisica, 1015, 19; Filopono, Fisica, 816, 30; Temistio, Fisica, 199, 4). Infine, dei presunti quaranta argomenti con i quali Zenone avrebbe dimostrato la contraddittorietà in cui pone o l'esperienza sensibile o la definizione dei dati che implicano la molteplicità o il movimento, abbiamo l'argomento detto dello stadio. Considerando in uno stadio un punto mobile che va ad una certa velocità, se lo si considera rispetto ad un punto fermo andrà, ad esempio, a dieci chilometri l'ora, se lo si considera invece rispetto a un altro punto mobile che vada alla sua stessa velocità in senso opposto, quello stesso mobile va a venti chilometri all'ora. Il quarto argomento - dice Aristotele - è quello delle due serie di masse uguali che si muovono in senso contrario nello stadio, lungo altre masse uguali, le une cioè a partire dalla fine dello stadio, le altre dalla metà, con velocità uguale; la conseguenza è che la metà del tempo è uguale al doppio (Fisica, 239b; cfr. anche Simplicio, Fisica, 1016, 9 sgg). I celebri argomenti sul movimento, con cui, accettata la premessa che esiste il moto, con ferrea consequenzialità, di deduzione in deduzione, si dimostra come-sul piano logico, contraddicendosi, non si possa se non negare il moto (onde, appunto, Aristotele, secondo Diogene Laerzio, VIII, 57, nel “Sofista” andato perduto - ha potuto dire che lui e padre della DIALETTICA, come arte del confutare), ci sono rimasti attraverso le discussioni e le critiche di Aristotele. Non sappiamo, in effetto, se tali argomenti fossero proprii del suo saggio, ché le fonti precedenti, ivi compreso Platone (che fa intravedere solo gli argomenti contro l'esistenza della molteplicità), ne tacciono. Certo gli argomenti sul movimento potevano essere conseguenza di quelli sulla pluralità, che, portando a dimostrare l'intraducibilità della fisica in termini logico-matematici, per l'impensabilità del CONTINUO SPAZIALE, portavano anche a rendere impensabile il continuo temporale-spaziale su cui si determinano, definendoli, i punti-geometrici, i cui rapporti di movimento divenivano rapporti spaziali e, quindi, ancora una volta impensabili o contraddittori. La sua polemica sembra quindi rivolta sia contro i punti- cose dei primi pitagorici (o se si vuole contro la riduzione a numeri interi delle cose da parte dei primi pitagorici), supponendo i numeri irrazionali, sia contro l'impossibilità di ridurre le esperienze della vita, della mutevolezza, alla sfera della ragione e dei numeri, senza perdere in puri nomi quella stessa vitalità. Le conseguenze della discussione di Zenone, tenendo presenti certe posizioni a lui contemporanee o immediatamente posteriori - lasciando da parte le implicazioni che vi hanno veduto certi storici, riferendo le sue tesi ad alcune delle concezioni della matematica e della fisica moderna, - sembrano potersi indicare nei seguenti punti: l. impossibilità di ridurre la fisica in termini matematici; 2. conseguente impossibilità di pensare, e quindi di definire, sia l'essere come totalità, sia la molteplicità; 3. consapevolezza che ogni ricostruzione matematica è valida, in quanto ipotetica e che altrettanto ipotetica è ogni ricostruzione fisica. Sul piano storico si determinano cosi: posizioni diverse, a seconda di quale aspetto della problematica, impostata da Zenone, veniva approfondito. O si insistito sul continuo giungendo a risolvere e ad annullare i molti (che restano come determinazioni valide su di un piano puramente linguistico) nel continuo stesso, cioè nell'infinita unità (Me- lisso); o si è risolto l'uno su di un piano puramente matematico, per cui l'uno non è nessuno dei punti della serie, né il pari né il dispari, ma la possibilità dell'uno e dell'altro, e che nell'opposizione-armonia dà luogo a un'ipotesi logica che spiega un'ipotesi fisica (Crotone e Taranto); o si è assunta l'ipotesi fisica del continuo divisibile all'infinito in infiniti punti ognuno dei quali, infinito, ha in sé tutte le infinite possibilità, gl'infiniti semi vitali, onde in ogni punto tutto è tutto (Anassagora); o si è fatta l'ipotesi che gli infiniti punti, proprio perché infiniti e quindi escludenti un passaggio dall'uno all'altro all'infinito costituiscono infiniti limiti, d'onde una infinita serie di limiti, d'indivisibili (atomi) implicanti nel limite una separazione, cioè un altro limite come vuoto (Leucippo, che fu discepolo di Zenone, e Democrito). Infine, se da un lato la sua problematica portava a impostare l'intelligibilità del reale non come afferrante la struttura in sé del reale stesso, ma come ipotesi o fisica o matematica, dall'altro lato portava, nella consapevolezza dell'impossibilità logica dell'Essere o del divenire, della Verità, a rimanere sul piano dell'opinione c del discorso umani, entro i termini dello stesso mondo dègli uomini e dei loro rapporti (Protagora, Gorgia). Senone di Velia. Keywords: reductio ad absurdum, alievo di Parmenide di Velia, scuola di Velia, scuola di Crotone, i veliati, i veliani, Adorno. Refs.: H. P. Grice, “Zeno’s sophisma;” Luigi Speranza, "Senone e Grice," “Grice e Zenone” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. #velia https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4420384541306840  #griceevelia https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702109596/in/photolist-2mLJPUG-2mKbr1G

Grice e Venanzio – filosofia italiana – Luigi Speranza -- Essentail Italian philosopher. Filosofo. Luigi Carrer. Pietose esequie per lui si celebrarono nella Basilica di San Marco, e il dolore apparve su tutti i volti, qual era in tutti i cuori, solenne e profondo; ed il Municipio di Venezia gli decretò sepoltura propria ed iscrizione monumentale nel comunale cimiterio. Così quella feconda vita innanzi tempo si spense e la gloria dell'estinto ormai più non dura che nella memoria delle sue virtù e nella splendida bellezza delle sue opere. Sventura acerbissima! che privò la patria di un cospicuo decoro e tolse alla italiana letteratura di cogliere il pieno frutto dei nobili studj di un tanto scrittore, ed a questo di godere più a lungo, dopo i sofferti infortunj, il meritato riposo e e ben conseguite ricompense. (dal Comentario della vita e delle opere di Carrer, in Carrer, Poesie (Le Monnier, Firenze). Sulla eccellenza dei prosatori. Chiunque alle prime origini ed alle rarie vicende della italiana letteratura volga la mente, scorgerà dì leggieri, che ogni epoca di essa è renduta dalle altre singolare da pregi non solo segnalati in se stessi, ma eziandio ai progressi della letteratura medesima in partìcolar modo accomodati; cosicché, mentre le altre nazioni la maggior loro gloria in un solo secolo ripongono, la nostra può a giusto diritto di molti egualmente vantarsi. Amore ardentissimo di patria, zelo di libertà e quel senso squisito del bello che alla prima aurora della civiltà corse a risvegliare gli animi per lungo sonno inoperosi, mossero i nostri padri del trecento a fondare la lingua e la letteratura italiana; e tanta fu la fiamma allora accesa nei petti sdegnosi dell'antica barbarie, che sursero ad un tratto quei miracoli di sapere e d'ingegno, Dante, Petrarca, e Boccaccio; ai quali tenne dietro la onorata comitiva dei Villani, dei Cavalca, dei Passavanti, dei Compagni, e di parecchi illustri Volgarizzatori, dalle cui scritture la purissima vena discorre dell'italiano favellare.  E nella eccelsa carriera, dappertutto, ed alla testa di tutti si mostra il Galileo; spirito che più che a decoro della sua patria e del suo secolo parve nato a lume ed a stupore dell'universo. Ch'egli pensò e previdde come Bacone, ma con alacrità inoltrossi pel sentiero che quegli aveva soltanto additato; dubitò come Cartesio, ma alle opinioni rivocate in dubbio non sostituì come quello vane chimere e sognate ipotesi; osservò e scoprì come Newton; ma la progressione dei tempi riservò al filosofo inglese il vanto di dare il suo nome al grande sistema per cui l'italiano aveva in gran parte approntato i materiali. Imperciocchè dopo avere in terra stabilite le leggi della caduta dei gravi, delle velocità, delle resistenze, delle percosse, e dopo aver per così dire valutati i corpi in numero, peso e misura, colla pupilla armata del telescopio da lui forse inventato e certamente perfezionato speculò arditamente nel cielo, ed ivi con invitta forza stabilì l'impero del sole ed il nostro mondo gli rese soggetto, vide valli e monti nella luna, vide di nuove stelle risplendere il firmamento, e Giove che prima per solitaria via moveva deserto fornì d'astri seguaci, ed il vaghissimo volto di Venere a seconda dei tempi e delle vicende fece che in vari aspetti ai cupid'occhi si mostrasse: felice! chè le opere ed i trovati mostrarono quanto in lui vi fosse di divino, le sole sventure quanto di mortale. Il Dizionario della Crusca è il solo da cui e precettori e discepoli trar possano norme e soccorsi, serbiamo con ogni cura intatta la fede e la dignità di questo libro reverendo; e non feriamone l'autorità coll'arme del ridicolo. Gli alti pensieri, lo stile acconcio e severo e le scelte ed accresciute parole costituiscono le qualità distintive delle prose dei buoni scrittori del seicento; per le quali la lingua italiana giunse in quel secolo ad un vigore e ad un nerbo, che fra le splendide pompe e le floride eleganze del secolo antecedente non aveva forse saputo acquistare. A niuno inferiore e superiore a molti è Redi, e sia che il proprio animo manifesti nella epistolare corrispondenza, sia che della inferma salute de' suoi ammalati discorra, sia ch'espenga le sue gravissime osservazioni alla istoria naturale pertinenti, sia che si applichi ad illustrare la patria favella ed a risolverne le più sottili questioni, dagli altri di lunga mano si distingue per la spontanea leggiadria con cui le scritture condisce senza renderle affettate o leziose, per le grazie ingenue e festive di cui le sparge, pel patrimonio prezioso di schiette e adequate parole di cui le arricchisce, esoprattutto per certi ritorcimenti e per certe giudiziose piegature con cui nuovi significati e vaghezza nuova alle voci radicali sa dare.  Girolamo Venanzio, Sulla eccellenza dei prosatori, in Memorie scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Treviso, Andreola, Treviso. Venanzio. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft, MS – Luigi Speranza, “Grice e Venanzio” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51732463585/in/dateposted-public/

 

Grice e Vera – l’idealismo italiano – filosofia italiana (Amelia). Essential Italian philosopher. Senatore del Regno d'Italia Legislature XIII. Filosofo. Grice: “One of my favourite unpublications is “Absolutes,” which took its inspiration from a little tract by Vera which was especially influential on Flaubert, “Il problema dell’assoluto.” Strawson remarked: “it was a boojum, you see!” -- Fu senatore del Regno d'Italia nella XIII legislatura. Compì i suoi studi alla Sapienza di Roma, terminandoli alla Sorbona di Parigi. Mostrò subito un immenso talento per l'insegnamento, caratterizzato da lucidità di esposizione e genuino spirito filosofico, reggendo dal 1839 al 1850 svariate cattedre in città importanti della Francia e della Svizzera. Il colpo di Stato di Napoleone III lo costrinse a rifugiarsi in Inghilterra a causa delle sue idee eterodosse. Qui intraprese la stesura in francese dell’“Introduzione alla filosofia” di Hegel.  Tornò in Italia, riuscendo a diventare il più geniale e originale comunicatore della filosofia di Hegel, insegnando storia della filosofia dapprima all'Accademia di Milano, e poi, su invito di Francesco De Sanctis, a Napoli. Continuò a intrattenere scambi fecondi con la Società Filosofica di Berlino e con gli ambienti hegeliani tedeschi e francesi. Divenne socio nazionale dell'Accademia dei Lincei.  Fu suo fedelissimo allievo Mariano.  E durante i suoi studi con Cousin a Parigi che Vera arriva a conoscere la filosofia, risentendo fortemente dell'hegelismo allora in voga, di cui divenne in Italia promotore indiscusso. Si deve infatti a Vera il risveglio in Italia dell'interesse per la filosofia idealista ed hegeliana in particolare, anche se egli godette di maggior fortuna all'estero, mentre ebbe un influsso molto minore in patria rispetto a quello esercitato ad esempio dai lavori di Spaventa. A differenza di Spaventa, infatti, che reinterpretò la filosofia di Hegel in chiave critica, Vera si mantenne sostanzialmente fedele al dettato ortodosso della dottrina hegeliana.  Nelle sue opere, che esaltano la capacità di Hegel nel collegare ogni aspetto della realtà in un sistema organico, prevale l'attenzione per il problema religioso. Vera interpreta l'idea logica hegeliana in senso trascendente, come il concetto di ‘dio,’ venendo per questo accostato in certa misura alla Destra Hegeliana in Germania, sebbene una tale lettura possa apparire una forzatura.  Centrale è il primato dell'idea, che si articola nella storia come organismo spirituale, e per attingere la quale occorre trascendere la natura. L'idea esiste bensì anche nelle piante e negli animali, ma in maniera incosciente. Solo nell'essere umano – la persona -- essa giunge a pensarsi come idea, divenendo in tal modo storia, e rendendo possibile anche il progresso delle entità collettive di personi che sussistono come una nazione. Finché una nazione vive nella sfera del suo essere sensibile e animale, essa non si muove. Essa ripete ogni giorno la stessa vita e gli stessi eventi. Essa prova sempre gli stessi bisogni. Che se non fosse possibile trascendere questa sfera, la storia stessa non sarebbe possibile. Queste poche considerazioni ci spingono adunque a riconoscere con più pieno convincimento che solo l'idea o l'assoluto è il motore della nazione e dell'umanità, ovvero il principio determinante della storia” (“Introduzione alla filosofia della storia, Le Monnier, Firenze). La sua “Introduzione alla filosofia di Hegel” ha influenzato Flaubert nella stesura di Bouvard e Pécuchet.  In Italia invece è stato determinante per aver stimolato, insieme a Spaventa, la nascita dell'idealismo con Croce e Gentile. Il suo saggio filosofico più famoso è “Il problema dell'assoluto.” Si dedica anche a tematiche giuridiche e politiche su Cavour con Libera Chiesa in libero Stato, in cui attribuiva il ritardo del processo di rinnovamento liberale in Italia alla mancanza, durante il suo Rinascimento, di una Riforma luterana come quella d'oltralpe.  Tesi in latin: “ Platonis, Aristotelis et Hegelii: de medio termino doctrina. Quaestio philosophica. Opere: “Amore e filosofia: orazione inaugurale nel solenne riaprimento dell'Accademia, Milano); “La pena di morte” (Napoli); “Prolusioni alla storia della filosofia e alla filosofia della storia” (Napoli); “Ricerche sulla scienza speculativa e sperimentale” (Napoli); “La filosofia della storia” (Firenze); “Il Cavour e libera Chiesa in libero Stato” (Napoli); “Problema dell'assoluto” (Napoli); “Platone e l'immortalità dell'anima” (Napoli);   “Saggi filosofici” (Napoli). Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaronastrino per uniforme ordinaria Cavaliere dell'Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Enciclopedia Italiana. Vera, su treccani.  La Civiltà cattolica, Firenze, libraio L. Manuelli). Sträter osserva in proposito che Augusto Vera «sembra la degna riproduzione italo-francese di quel tipo a cui in Germania usiamo dare il nome di vecchi hegeliani o anche di ortodossi di stretta osservanza» (cit. in Tortora, Le filosofie italiane,  de "Le filosofie contemporanee", Università degli Studi Federico II di Napoli). La rinascita hegeliana a Napoli, su eleaml.altervista.org.  Lezioni di A. Vera, raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da R. Mariano, cLe Monnier, Firenze, Revue Flaubert, L'escatologia pitagorica nella tradizione occidentale, su rito simbolico. G. Cotroneo, Filosofia e storiografia, Rubbettino Editore,  R. Mariano, Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di A. Vera raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da Raffaele Mariano, Firenze, Le Monnier, 1869 Giovanni Gentile, Augusto Vera e l'ortodossismo hegeliano, in Le origini della filosofia contemporanea in Italia,  Messina, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana Treccani, Armando Plebe, Spaventa e Vera, Torino, Edizioni di Filosofia, Guido Oldrini, Gli hegeliani di Napoli. Augusto Vera e la corrente ortodossa, Milano, Feltrinelli); T. Cricelli, Vera e la filosofia hegeliana, Il Testo. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vera, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vera, su Senatori d'Italia, Senato della Repubblica.  Vita e opere di Augusto Vera, su paolomalerba. Introduzione alla filosofia della storia. Lezioni di A. Vera raccolte e pubblicate con l'approvazione dell'autore da R. Mariano, Firenze Le Monnier. Augusto Vera. Vera. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Vera” – The Swimming-Pool Library. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701723999/in/photolist-2mPkhvE-2mLLZRD-2mLP9qE-2mLGod1-2mLLwjC-2mLGRht-2mKEyBA-CntuMM-kLb4Rq-hSTpSd

 

Grice e Vercellone – il bello e l’estetico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Essentail Italian philosopher. Filosofo. La filosofia di Vercellone si svolge inizialmente intorno all’ermeneutica e il concetto di ‘classico’ – as in English ‘classy’, in Loeb’s classy library --. Anche il nichilismo. La sua “Introduzione al nichilismo” edito da Laterza, Roma-Bari.  Continuando a muoversi intorno al rapporto tra estetica ed ermeneutica, il suo percorso filosofico verte in seguito su ambiti decisivi:  il rapporto tra temporalità storica e coscienza estetica, la dispersione dell'estetico; il problema del ‘pulcer’ (‘il bello’) (“Oltre il bello” – Castiglioncello, Bologna, Il Mulino); e il concetto di ‘immagine’. Soprattutto quest'ultima linea occupa le sue ricerche orientate sull'idea di un “radicamento estetico”.  Vercellone è Professore a Torino e direttore del Centro Inter-Universitario Inter-Dipartimentale di Ricerca sulla Morfologia dell’Udine (dal È stato Presidente dell’Associazione Italiana degli Studiosi di Estetica) e Vice-Presidente della Società Italiana di Estetica. Collabora con La Stampa. Altre opere: “Identità dell' ‘antico’ – (drawing from the antique”) – il concetto di  ‘classico’” (Torino, Rosenberg & Sellier); “Apparenza e interpretazione” (Milano, Guerini e Associati);  “Pervasività dell’arte: Ermeneutica ed “estetizzazione” del mondo della vita” (Milano, Guerini); “Nature del tempo. Novalis e la forma poetica del romanticismo Tedesco” (Milano, Guerini); “Estetica dell’Ottocento, Bologna, Il Mulino); “Storia dell’estetica moderna e contemporanea (Bologna, Il Mulino); “Morfologie del Moderno” (Genova, Il Melangolo); “Lineamenti di storia dell’estetica. La filosofia dell’arte da Kant al XXI secolo” (Bologna, Il Mulino); “Pensare per immagini. Tra scienza e arte” (Milano, Mondadori); “Le ragioni della forma, Milano-Udine, Mimesis); “Dopo la morte dell'arte, Bologna, Il Mulino); “Il futuro dell'immagine, Bologna, Il Mulino); “Simboli della fine, Bologna, Il Mulino.  Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in onore di Vercellone, Roma, Aracne. M. Perniola, Estetica italiana contemporanea, Bompiani; D’Angelo, L’estetica italiana. Dal neoidealismo a oggi, Laterza, E. Franzini, Immagini del moderno, in A. Bertinetto, G. Garelli, Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in suo onore , Roma, Aracne.  G. Vattimo, L'arte è morta, anzi no: è "dopo", Repubblica,A. Bertinetto, G. Garelli, Morte dell'arte e rinascita dell'immagine. Saggi in onore di Federico Vercellone.  M. Belpoliti, “Tra bello e brutto non c'è più differenza” La Stampa, R. Bodei, “Là dove rinasce il Bello” Il Sole 24 Ore, R. Bodei, Salto nel vuoto dell'immagine, Il Sole 24 Ore, I. Mattazzi, Aprire lo sguardo. Stili della visione in grado di agire sul reale, Il Manifesto; M. Vallora, Nelle torri di Kiefer per trovare un senso in mezzo alle rovine, La Stampa, Università degli Studi di Torino. Vercellone. Keywords: bello, estetico, immagine. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vercellone: l’estetico e il bello’ – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731789298/in/dateposted-public/

 

Grice e Verdiglione – la congiura degl’idioti -- filosofia (Caulonia). Essential Italian philosopher. Filosofo. Grice: “I like Verdiglione; my favourite: his “La congiura degli idioti” – I have used the Greek root which Boezio translated as ‘proprium’ twice in my seminar on implicature: the first to refer to ‘kick the bucket’ as a ‘recognised idiom’ – idioma in Latin and idIoma, with stress on the i, in the Grecian; but more importantly – since ‘recognised by who?’ – in the next session I referred to a conversationalist using a one-off signaling which I referred to as a ‘signalling idiolect.’ Yes, Speranza and I can be pretty idiosyncratic!” -- Vincitore di una borsa di studio nel Collegio Augustinianum, studia a Milano, dove si è laureato con una tesi sulla filosofia semiotica di Pirandello. Formatosi con Lacan, pubblica con le case editrici Marsilio, Rizzoli, Feltrinelli e Sugarco, con cui collabora. Per quest'ultima dirige la collana "Bordi". Traduce la raccolta di testi Scilicet di Lacan per Feltrinelli e il Seminario XXII. Con la sua casa editrice, Spirali, pubblica testi come la traduzione del Malleus Maleficarum, Il martello delle streghe, il manuale dell'Inquisizione per la caccia alle streghe, e in seguito, sempre per le edizioni Spirali, pubblica alcuni testi di Bruno, come “Le ombre delle idee” e “Cabala del cavallo pegaseo.” Traduce per Feltrinelli libri che in Francia animano il dibattito in ambito culturale, come il saggio di Irigaray Speculum. L'altra donna edito da Feltrinelli nella traduzione di Muraro, il saggio di Mannoni Educazione impossibile. Introduce in Italia Kristeva; incontra anche Oury, fondatore assieme a Guattari della clinica La borde, di cui pubblica i libri Creazione e schizofrenia, Psicosi e logica istituzionale. “Il collettivo”, Babele e la Pentecoste. La Borde e la scrittura della psicosi, La psicosi e il tempo. Traduce sempre per Feltrinelli l'edizione del libro di Jean-Goux, Freud, Marx: economia e simbolico. Fonda il Movimento Freudiano e l'attività editoriale che si chiamerà Spirali Edizioni. Con la casa editrice Spirali, pubblica autori come  Daniel, Lévy, Glucksmann, Halter, Arrabal, Grillet.  Esce in edicola il primo numero del mensile Spirali. Giornale di cultura, a cui segue l'edizione francese Spirales, Il Secondo Rinascimento. Verdiglione e il Collettivo “Semiotica e psicanalisi” organizzano a Milano, in cinque sedi differenti, il Congresso internazionale "Sessualità e politica" seguito dai media italiani. Partecipano molte filosofi. Sempre con il Collettivo “Semiotica e psicanalisi”, organizza il congresso “La follia”, che si svolge in più sedi, tra cui il Palazzo dei Congressi e il Museo della scienza e della tecnica. Il congresso è seguito dalla stampa di vari paesi. Intanto, inventa la “cifre-matica,” la cosiddetta scienza della parola. Nell'Enciclopedia Rizzoli Larousse viene così definita la cifrematica: «dottrina della parabola intesa come ‘cifra’”.  Dottrina elaborata da Verdiglione e utilizzata all'interno di esperienze di conversazione, lettura, ecc. Secondo la cifrematica ogni parabola può essere analizzata secondo la sua logica idiomatica – cfr. Grice, “Idioma, not language” -- o la sua qualità cifratica, come ‘cifrema.’ C’e logica idiomatica della relazione, dello stigma, della funzione, della operazione, e della dimensione). C’e tre 'strutture' (struttura sintattica, struttua frastica e struttura pragmatica – o griceiana) secondo cui ogni expression – idioma --  può essere 'de-cifrata.’ E a Milano, su invito di Verdiglione Ionesco. In un'assemblea di intellettuali e lettori, c’e un convegno organizzato da lui, portando la testimonianza della sua vita e della sua attività filosofica, documentata nel libro Una vita di poesia.  La sua Università internazionale del Secondo Rinascimento acquista dalla famiglia Borromeo la Villa di Senago e il parco, lasciati in uno stato di abbandono per oltre vent'anni. I nuovi proprietari decidono pertanto di avviare un primo importante restauro che mira alla salvaguardia stessa del bene. Il restauro si è protratto nel tempo, fedele a criteri conservativi, con la collaborazione di ingegneri, esperti, architetti, tecnici, storici e filologi che hanno lavorato, insieme, sotto la direzione della Soprintendenza ai beni Ambientali ed Architettonici di Milano.  L'attività editoriale prosegue quanto già avviato e si indirizza soprattutto sulla dissidenza, in particolare romanzieri. Pubblica libri di Bukovskij, Zinovev, Naghibin, Maksimov e molti altri. L'interesse per la dissidenza lo porta a pubblicare saggisti come Suvorov, gli ambasciatori russi in Italia Adamishin, Jurij, il teorico della perestrojka Jakovlev, e l'ex ministro per l'energia e leader dell'opposizione di destra Nemtsov. Oltre agli autori, pubblica dissidenti provenienti da tutto il pianeta. In questa direzione sono stati organizzati i convegni internazionali Festival della modernità che propongono, in ciascuna edizione, diverse tematiche (scrittura, libertà, politica...).  In questi anni prosegue il lungo processo di restauro della Villa San Carlo Borromeo di Senago, restituendo all'edificio la sua originaria bellezza e trasformandolo in un Palazzo del turismo culturale e artistico, nella sede dell'Università internazionale del Secondo Rinascimento e della casa editrice Spirali. In questi anni, la Villa è sede di congressi, di corsi, di seminari, di riunioni di enti pubblici e privati, italiani e stranieri, di un museo permanente e di un museo per grandi mostre. Verdiglione ha totalizzato 10 anni e 6 mesi di carcere per reati vari.  È stato condannato a quattro anni e due mesi per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace. Dopo un patteggiamento è stato condannato a un anno e quattro mesi. Nel  è stato di nuovo condannato in primo grado a nove anni (e la moglie a sette) per associazione a delinquere, frode fiscale, truffa alle banche e allo Stato; in seguito la pena è stata ridotta a cinque anni. In tale occasione ha causato sofferenze bancarie per 73,4 milioni: 18,3 sono in capo a Intesa Sanpaolo, altri 25,9 milioni a Banca Etruria. Truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace Verdiglione è al centro di una serie di vicende giudiziarie (Affaire Verdiglione) relative all'attività sua, della sua Fondazione e dei suoi collaboratori. Viene condannato a quattro anni e due mesi di reclusione per truffa, tentata estorsione e circonvenzione di incapace, condanna che passa in giudicato. Intellettuali di vari paesi (tra cui Lévy, Ionesco, Arrabal, Halter, Benamou, Henric, Bukovskij, Safouan, Xenakis, Zinovev, Mathé, Lanzmann), acquistano una pagina del quotidiano francese Le Monde in cui pubblicano e sottoscrivono un appello rivolto al Presidente della Repubblica italiana e ai giudici milanesi, col quale denunciano un presunto clima di "caccia alle streghe". Il caso Verdiglione secondo i firmatari mette in discussione le nozioni di diritto, giustizia e libertà di parola in Italia. Daniel, direttore del Nouvel Observateur, pubblica su la Repubblica una lettera, intitolata "Difendo Verdiglione", rivolta al direttore del quotidiano. Il Partito Radicale organizza un incontro internazionale in piazza Montecitorio sul Verdiglione, a cui partecipano anche importanti esponenti del "Comitato Internazionale per Verdiglione", promosso da Moravia, Ionesco, Lévinas, Arrabal, Bukovskij, Lévy, Halter. La Repubblica scrive che "dopo quello di Tortora ci sarà la sponsorizzazione da parte del PR del caso giudiziario di Verdiglione”. Il programma satirico Drive In lo fa conoscere anche al grande pubblico, attraverso la parodia del "Dottor Vermilione, psicanalista santone" impersonato da Greggio. Il caso Verdiglione è anche citato in relazione al disegno di legge per l'abolizione del reato di circonvenzione d'incapace (articolo 643 del codice penale). Dopo la condanna in Cassazione, la vicenda giudiziaria si conclude con il rinvio a giudizio per i capi di imputazione stralciati in occasione del primo procedimento giudiziario e con il definitivo patteggiamento a una pena di un anno e 4 mesi e indennizzi di oltre 3 miliardi di lire a ex allievi. Nel giugno  si concludono le indagini della Guardia di Finanza coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano, Viene indagato per evasione fiscale in relazione all'emissione di fatture false, e appropriazione indebita. A seguito della richiesta avanzata dalla Procura di Milano, due dimore storiche riconducibili al professore (tra cui la sopracitata Villa San Carlo Borromeo di Senago) per ordinanza del Gip vengono poste sotto sequestro preventivo, pur mantenendone la disponibilità. A meno di tre settimane di distanza il Tribunale del Riesame di Milano annulla i decreti di sequestro concessi dal GIP C. Mannocci al PM Bruna Albertini, e restituisce gli immobili alle proprietà, in quanto non sussiste l'accusa di evasione fiscale. Si tratterebbe invece di neutralità fiscale, in quanto l'IVA dovuta sarebbe sempre stata pari a zero (in base alle conclusioni del giudice, sarebbero state emesse fatturazioni fittiziema regolarmente pagatetra società facenti capo a Verdiglione, allo scopo di ottenere crediti presso gli istituti finanziari, potendo esibire bilanci dai quali risultano entrate ingenti, in realtà fasulle).  La giudice Laura Marchiondelli rinvia a giudizio Verdiglione per associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale e truffa allo Stato. Nel dicembre  viene condannato a nove anni per i reati di associazione a delinquere finalizzata a frode fiscale, truffa alle banche e truffa allo Stato. Nel medesimo processo vengono emesse condanne anche a carico della moglie Cristina Frua De Angeli e di due sue società, intanto fallite. Viene altresì disposta la confisca, fino ad un valore equivalente rispettivamente di 100 milioni e 10 milioni di euro, di beni come la storica dimora trecentesca Villa San Carlo Borromeo a Senago con 10 ettari di parco. La sentenza di secondo grado conferma la prima, nonostante che Procuratore generale, nella sua requisitoria, abbia chiesto "l'annullamento della sentenza di primo grado per assoluta indeterminatezza e intrinseca contradditorietà delle accuse".  La condanna a cinque anni di reclusione diventa esecutiva. Nel pieno delle inchieste giudiziarie, l'associazione da lui fondata viene definita setta dallo psicoterapeuta infantile Claudio Foti. Analoga affermazione fu fatta da Calefato, professoressa associata di sociolinguistica, che così si espresse in un'intervista per un quotidiano locale in occasione dell'incontro con Verdiglione organizzato a Bari da Ponzio, Professore di filosofia del linguaggio, intitolato "La cifra del Levante". Musatti, considerato il fondatore della psicanalisi italiana, provava una profonda avversione per Verdiglione che etichettò come "“il magliaro di Caulonia” e come "cialtrone". Verdiglione ha ospitato come relatori, nell'ambito di alcuni congressi organizzati alla Villa San Carlo Borromeo, autori come Duesberg (virologo statunitense, scopritore dei retrovirus) e Rasnick (biologo statunitense) che negano l'esistenza dell'AIDS, sostenendo che gli ammalati di tale morbo morissero in realtà sia a causa dell'assunzione di droghe sintetiche fortemente immune-soppressive sia a causa delle cure che erano loro imposte nella prima fase sperimentale, dove si ricorreva all'utilizzo di farmaci come l'AZT, originariamente sintetizzato a scopo antineoplastico e poi abbandonato per l'elevata tossicità. Opere: “Il carcere. La questione della parola, Associazione Amici di Spirali,  Ur-kommunismus. La paura della parola, Associazione Amici di Spirali,  La grammatica dello spirito. L'androgino trinitario e la bilancia dell'orrore, Associazione Amici di Spirali,  I padroni del nulla, Associazione Amici di Spirali,  L'Operazione guru, Associazione Amici di Spirali,  La rivoluzione dell'imprenditore, Associazione Amici di Spirali,  Il bilancio di guerra, Associazione Amici di Spirali,  In nome del nulla. L'accusa di blasfemia, Associazione Amici di Spirali,  Il bilancio intellettuale dell'impresa, Associazione Amici di Spirali,  Parola mia, Spirali,  La realtà intellettuale, Spirali,  L'Affaire fiscale ovvero il dispensario del tempo, Spirali,  Scrittori, artisti, Spirali, La libertà della parola, Spirali, La politica e la sua lingua, Spirali, La nostra salute, Spirali, Il capitale della vita, Spirali,  Master dell'art ambassador, Spirali, Master del brainworker, Spirali, Master del cifrematico, Spirali,  L'interlocutore, Spirali, Il Manifesto di cifrematica, Spirali, La rivoluzione cifrematica, Spirali, Artisti, Spirali, Il brainworking. La direzione intellettuale. La formazione dell'imprenditore. La ristrutturazione delle aziende, Spirali, Edipo e Cristo. La nostra saga, Spirali, La famiglia, l'impresa, la finanza, il capitalismo intellettuale, Spirali, Venere e Maria. La fiaba originaria, Spirali,Machiavelli, Spirali/Vel, Vinci, Spirali/Vel, La congiura degli idioti, -- cfr. Grice, “L’idioma dell’idiota” -- Spirali/Vel, L'albero di San Vittore, Spirali, Lettera all'eccellentissima corte di appello, Spirali, Quale accusa?, Spirali, Processo alla parola, Spirali, Il giardino dell'automa, Spirali, Manifesto del secondo rinascimento, Rizzoli, Spirali, La mia industria, Rizzoli Spirali,  Dio, Spirali, La peste, Spirali, La psicanalisi questa mia avventura, Marsilio, Spirali, La dissidenza freudiana, Feltrinelli, Spirali. E. Roudinesco, Histoire de la psychanalyse en France, Paris: Le Seuil (réédition Fayard )  dal sito web italiano per la filosofia.  in. ildomenicale arretrati n. Domenicale miei libri Scienze umane Sociologia e comunicazione Sollers-scrittore La-dissidenza-della-scrittura_Lacan e altri, Scilicet: rivista dell'école freudienne de Paris, traduzione di Armando Verdiglione, Feltrinelli, Milano, Jacques Lacan,  Il seminario, in «Ornicar? Venezia. Heinrich Institor (Krämer), J. Sprenger, A. Verdiglione, Il martello delle streghe. La sessualità femminile nel "transfert" degli inquisitori, Spirali, Milano, Giordano Bruno, Antonio Caiazza, Le ombre delle idee, Spirali, Milano, Giordano Bruno, Carlo Sini, Cabala del cavallo pegaseo, Spirali, Milano, Maud Mannoni, Educazione impossibile, Feltrinelli, Milano). Spirali pubblicherà le opere La rivoluzione del linguaggio poetico. L'avanguardia, : Lautrémont e Mallarmé e Poteri dell'orrore. Saggio sull'abiezione  Félix Guattari //spirali.com/books-of-Jean+Oury.php[collegamento interrotto]  Jean-Joseph Goux, Freud, Marx: economia e simbolico, introduzione e cura di Armando Verdiglione, Milano, Feltrinelli, atti del Convegno Sessualità e politica edito da Feltrinelli, 2000 partecipanti al Congresso di Psicanalisi con tema "Sessualità e Politica", svoltosi a Milano"  Gilles Anquetil, "A Milan, le sage congrès de la folie", Les Nouvelles Littéraires, Roger Dadoun, "A Milan F comme Folie", La Quinzaine littéraire,  Christian Descamps, "A Milan au congrès de psychanalyse on a débattu (vivement) de “Sexe et politique”", La Quinzaine littéraire, Congres v Milanu, “Razprave problemi”, dicembre 1976  Robert Maggiori, "La 'Jet Society' psychanalytique reunie a Milan", Liberation,  Italianistica  »  » Cifrematica: di che cosa parliamo?  Enciclopedia Universale Rizzoli Larousse, Rizzoli, Milano,  Luigi Mascheroni, il Giornale, Nicola Borzi, Etruria perde 26 milioni nel crack Verdiglione, in Il Sole 24 ore, Verdiglione affidato al servizi sociali, la Repubblica, in Archiviola Repubblica.  "Pour Armando Verdiglione", Le Monde, "Difendo Verdiglione", di Jean Daniel, direttore di Le Nouvel Observateur pubblicato da la Repubblica, 1Caso verdiglione: martedi' 8 agosto, all'hotel nazionale in piazza montecitorio, a partire dalle ore 11.45, incontro internazionale sul tema: "il caso verdiglione". marco pann..., su radioradicale. I radicali bocciano pannella, la Repubblica, in Archiviola Repubblica.//legislature.camera/_dati/leg10/lavori/stampati Milano, 18 rinvii a giudizio per la vicenda verdiglione, Repubblica » Ricerca, non profit, veridglione fa lo sponsor e le associazione danno forfeit, la Repubblica, in Archiviola Repubblica. Gianfrancesco Turano, Verdiglione spa, in Corriere Economia, Verdiglione, ovvero come sposare lo sponsor e viver felici  Corriere della Sera, su milano.corriere.  Archivio Corriere della Sera, su archiviostorico.corriere. Corriere della Sera, su archiviostorico.corriere.  Frode fiscale, 9 anni a Verdiglione confiscati beni per 110 milioni, in Corriere della Sera. Lo psicanalista Verdiglione dai fasti degli anni ‘80 al ritorno in carcere, su milano.corriere.  sito dell'associazione diretta da Claudio Foti, 'Verdiglione fuori dall'Ateneo'la Repubblica, in Archiviola Repubblica. Il chiaccierato Verdiglione, la Repubblica, in Archiviola Repubblica. cesare musattiAnalisi laica, su Analisi laica. Italian guru, la Repubblica, in Archiviola Repubblica. T. Szaz, La battaglia della salute, Spirali. «L'Aids non è contagioso in nessun modo, non si trasmette né attraverso rapporti eterosessuali né attraverso rapporti omosessuali e neanche senza rapporti, non si trasmette in nessun modo; l'Hiv è un retrovirus che, secondo Dusberg, è innocuo." "Muoiono per via della cura. È la cura, che li ammazza."».  Dizionario di cifrematica, su dizionario di cifrematica. armandoverdiglione.com. Com: Recenti Vicende, su tgcom.mediaset. Verdiglione. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verdiglione e l’idioma dell’idiota” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #verdiglione https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.6937483539596915 #griceeverdiglione https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702234931/in/photolist-2mLLVsZ-2mLKtaD

Grice e Vernia – i peripatetici – filosofia italiana – Luigi Speranza (Chieti). Grice: “I love Vernia, but then any Englishman would, especially when learning that Saint Thomas (Aquino) made such a fuss about him!” -- Essential Italian philosopher. Filosofo. Allievo a Padova di Pergola e Thiene e successore di quest'ultimo, ebbe come collega Pomponazzi e tra i suoi allievi Nifo e Pico. Seguace dell'ermetismo allora imperante a Padova, curò un'edizione di Aristotele. Vernia sostenne l'unità dell'intelletto -- dottrina poi abbandonata a causa di una condanna inflittagli dal vescovo di Padova), l'autonomia della fisica rispetto alla meta-fisica, e la superiorità della scienza della natura sulle scienze dell'uomo.  Opere: “Contra perversam Averrois opinionem de unitate intellectus et de animae felicitate”; “De unitate intellectus et de animae felicitate”; “Expositio in Posteriorum capitulum secundum in fine”; “Expositio in Posteriorum librum priorem”; “Quaestio de gravibus et levibus”; “Quaestio de rationibus seminalibus”; “Quaestio de unitate intellectus”; “Quaestio in De anima  Ennio De Bellis, L’aristotelismo Firenze, Leo S. Olschki editore, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vernia. Keywords: i parepatetici, i parepatetici padovani – i parepatetici di padova -- Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vernia: viva Aristotele!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vernia https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.5475762019102415 #griceevernia https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731763313/in/photolist-2mPmNVF-2mLLWjU-2mLQ2ox-2mLKu2P-2mLNWGK-2mLLWmc-2mLLWjZ-2mLQ2pz-2mLKu2U-2mLQ2o7-2mLLWmn-2mLKu3f-2mLFoBp-2mLNWHM

Grice e Veronelli – sadimo italiano – Filosoia italiana – Luigi Speranza (Milano). Essential Italian philosopher. Filosofo. Veronelli viene ricordato come una delle figure centrali nella valorizzazione e nella diffusione del patrimonio eno-gastronomico. Antesignano di espressioni e punti di vista che poi sono entrati nell'uso comune e protagonista di caparbie battaglie per la preservazione delle diversità nel campo della produzione agricola e alimentare, attraverso la creazione delle “denominazioni comunali,” le battaglie a fianco delle amministrazioni locali, l'appoggio ai produttori al dettaglio. Veronelli assieme ad alcuni sommelier F.I.S.A.R. Era originario del quartiere Isola di Milano. Dopo il R. Ginnasio Parini, compie studi di filosofia a Milano, diventando assistente di Bariè. Si professa per tutta la vita di fede anarchica, rifacendosi anche alle ultime lezioni tenute da Croce a Milano. Inizia l'esperienza di editore, pubblicando tre riviste:  I problemi del socialismo Il pensiero Il gastronomo. Pubblica La questione sociale di Proudhon e Historiettes, contes et fabliaux di De Sade; per quest'ultima viene condannato, insieme a Manfredi (autore dei disegni, poi assolto), a tre mesi di reclusione per il reato di pornografia. L’opera di De Sade sarà poi messa al rogo nel cortile della procura di Varese. Subisce anche una condanna di sei mesi di detenzione per aver istigato i contadini piemontesi alla rivolta, con l'occupazione della stazione di Asti e dell'autostrada, per protestare contro l'indifferenza della politica per i problemi dei contadini e dei piccoli produttori. Diventa collaboratore de Il Giorno.  L'attività giornalistica lo impegnerà, e i suoi articoli, di stile aulico e provocatorio, ricchi di neologismi e arcaismi, faranno scuola nel giornalismo eno-gastronomico e no. Tra le testate cui ha collaborato vanno ricordate, oltre a Il Giorno: Corriere della Sera, Class, Il Sommelier, Veronelli EV, Carta, Panorama, Epoca, Amica, Capital, Week End, L'Espresso, Sorrisi e Canzoni TV, A Rivista Anarchica, Travel e Wine Spectator, Decanter, Gran Riserva ed Enciclopedia del Vino, The European. L'apparizione televisiva ne aumenta notevolmente la fama; in particolare A tavola alle 7, in cui conduce il programma prima a fianco di Scala e di Orsini, poi di Ave Ninchi, e il Viaggio Sentimentale nell'Italia dei Vini, dove realizza l'aggiornamento, provocatorio e di denuncia, della viti-coltura italiana, con inchieste, interviste, proposte che hanno scosso quel mondo.  L'opera La sua attività di ricerca e di approfondimento nel campo enogastronomico lo porta alla pubblicazione di alcune opere fondamentali, anche di carattere divulgativo. Da segnalare: I Vignaioli Storici, Cataloghi dei Vini d'Italia, dei Vini del Mondo, degli Spumanti e degli Champagne, delle Acquaviti e degli Oli extra-vergine, Alla ricerca dei cibi perduti, Il vino giusto, e la collana Guide Veronelli all'Italia piacevole. Fondamentale anche la collaborazione con Carnacina, maître e gastronomo celeberrimo e Guazzoni maître e sommelier. Ne nascono, ad esempio, La cucina italiana e Il Carnacina.  Fonda la seconda Veronelli Editore "col puntuale obiettivo di approfondire la classificazione dell'immenso patrimonio gastronomico italiano e contribuire ad accrescere la conoscenza delle attrattive turistiche del paese più bello del mondo". La casa editrice ha cessato l'attività a fine. Collabora con Derive\Approdi scrivendo le prefazioni ad alcuni libri di carattere storico, politico e gastronomico.  L'intenso rapporto epistolare sulle pagine di Carta con Echaurren costituisce un forte stimolo di riflessione sulle questioni legate alla Terra e alla qualità della vita materiale per il movimento contro la globalizzazione. Isieme ad alcuni centri sociali, tra cui La Chimica di Verona e il Leoncavallo di Milano, al movimento Terra e libertà. Sempre di questi anni le battaglie per le Denominazioni Comunali, una salvaguardia dell'origine di un prodotto; per il prezzo-sorgente, cioè l'identificazione del prezzo di un prodotto alimentare all'origine, per rendere evidenti eccessivi ricarichi nei passaggi dal produttore al consumatore; per l'olio extra vergine d'oliva, contro le prepotenze e il monopolio delle multinazionali e le ingiustizie della legislazione per i piccoli olive-coltori. Di idee anarchiche, si è anche interessato di questioni filosofiche, pubblicando anche articoli su A/Rivista Anarchica e saggi. Le pubblicazioni hanno subito il segno dei suoi interessi libertari, libertini, enogastronomici: Racconti, novelle e novelline di de Sade (che gli procurerà una denuncia e la condanna al rogo dei libri, tra gli ultimi roghi di libri avvenuti in Italia), le poesie di Pagliarani, la rivista Il gastronomo e quella di filosofia Il pensiero, poi interessante per qualche anno fu l'editore della rivista Problemi del socialismo, diretta da Basso. In seguito mise un po' in disparte le questioni filosofiche per concentrarsi su quelle più propriamente eno-gastronomiche e agricole. In A-Rivista Anarchica si definisce Veronelli l'"anarchenologo" ritenendo che l'attività di Veronelli vada inquadrata in un ambito libertario e contro l'attività delle multinazionali agricole.  Gli anarchici della Cellula Veronelli, con l'intento di mostrare l'aspetto più propriamente politico di Veronelli, hanno organizzato un incontro intitolato "Veronelli politico", a cui hanno preso parte personalità del calibro di Mura, giornalista di La Repubblica, Ferrari della Federazione Anarchica Reggiana (promotrice dell'evento biennale, ideato nella sua prima edizione insieme allo stesso Veronelli, Le cucine del popolo) e Tibaldi. Dagli anarchici è sempre stato considerato un compagno. Veronelli e un libertario, un uomo colto, senza dogmi, senza ipocrisie, in perenne lotta contro le armate schiaviste delle multinazionali. (Pagliaro, Umanità Nova, LMilano gli attribuisce l'Ambrogino d'oro.  Rassegna stampa. A-Rivista, Lettera i giovani estremi  Proudhon: La questione sociale -- Veronelli politico. L'ultimo dei vini artigianali sarà sempre migliore del primo dei vini industriali, perché avrà un'anima» (Veronelli in Il canto della Terra).  Il nostro anarchenologo  Un incontro inatteso  Cellula Veronelli. eronelli politico. Circolo Cucine del Popolo, l'addio, Bosana Salsa suprema. Luigi Veronelli. Veronelli. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft – Luigi Speranza, “Grice e Veronelli: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Liguria. #veronelli https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.6937343586277577 #griceeveronelli https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702914954/in/photolist-2mLNXjb-2mLLX2a-2mLLX1P-2mLFpeg-2mLQ2ZN

Verrecchia (Vallerotonda). Essential Italian philosopher. Filosofo. Si trasferì a Torino, dove studiò, laureandosi in filosofia. Trascorse un certo periodo nel parco nazionale del Gran Paradiso, considerato come il più formativo della sua vita. Lì poté contemplare in modo disinteressato i fenomeni della natura. “Ho fatto tre università -- era solito dire -: quella vera e propria, che non mi ha dato nulla o quasi; la collaborazione alle pagine dei quotidiani come elzevirista, che mi ha costretto a leggere libri che altrimenti non avrei mai letto; e infine l'università più utile in assoluto, vale a dire il soggiorno nel Gran Paradiso a contatto con la natura". Frutto di quel soggiorno è il saggio che contiene la sua filosofia, potentemente aforistica. I manoscritti riaffiorati molto più tardi spiegano la tardività della sua pubblicazione, avvenuta presso Fògolasi tratta del Diario del Gran Paradiso. Verrecchia visse poi in Germania (soprattutto a Berlino) e fu per lunghi anni addetto culturale all'Ambasciata d'Italia a Vienna; collaborò alle pagine culturali di giornali italiani, tra cui Il Resto del Carlino, La Stampa, Il Giornale. Grazie alla sua padronanza del tedesco, collaborò stranieri (Die Presse, Die Welt). Non parlava volentieri della sua vita privata perché, diceva,"di un filosofo ciò che interessa sono gli teorie e non le vicissitudini personali". Traduttore di Lichtenberg, appassionato studioso di Bruno e Nietzsche, nel suo orizzonte culturale, però, la figura che risalta di più è senz'altro quella di Schopenhauer, da lui considerato a tutti gli effetti un maestro da tradurre e continuare.  Elementi caratteristici dei suoi scritti sono l'irriducibile vena polemica e una sacra bilis, ma la sua prosa spicca anche per chiarezza ed energia. La sua prosa insieme a quella di Ceronetti, Sgalambro e Giamettaè stata giudicata la migliore prosa filosofica. Opere: “L'eretico dello spirito” (Firenze: La Nuova Italia); “La catastrofe di Nietzsche a Torino” (Torino: Einaudi), “La tragedia di Nietzsche a Torino: la catastrofe del filosofo che sognava un superuomo al di là del bene e del male (Milano: Bompiani). Incontri viennesi (Genova: Marietti), “Cieli d'Italia (Milano: Spirali/Vel), “Diario del Gran Paradiso (Torino: Fogola, e ristampa), “Bruno: la falena dello spirito” (Roma: Donzelli); Rapsodia viennese: luoghi e personaggi celebri della capitale danubiana (Roma: Donzelli), Schopenhauer e la Vispa Teresa: l'Italia, le donne, le avventure (Roma: Donzelli), Vagabondaggi culturali (Torino: Fogola); “La stufa dell'Anticristo: altri vagabondaggi culturali (Torino: Fogola).  Batracomachia di Bayeruth. Nietzschiani contro wagneriani; Padova: il prato, Lettere Mercuriali (Torino: Fògola, ). “Il cantore filosofo” (Firenze: `Clinamen); Il mastino del Parnaso. Elzeviri e polemiche” Firenze: Clinamen. Saggi introduttivi, traduzioni e cure Viaggio in Italia  di Mommsen (Torino: Fogola). Libretto di consolazione (Milano: Rizzoli); Le civiltà pre-colombiane (Milano: Bompiani,). Colloqui (Milano: Rizzoli), poi: “Il filosofo che ride” (Milano: Rizzoli), “Metafisica dell'amore sessuale: l'amore inganno della natura” (Milano: Rizzoli,  Sulla filosofia da Arthur Schopenhauer (Milano: TEA); “Aforismi per una vita saggia” (Milano: Fabbri); “O si pensa o si crede: sulla religione (Milano: Rizzoli); Lo scandaglio dell'anima” (Milano: Rizzoli); “Breviario spiritual” (Torino: POMBA, Articoli A Bogotà c'è un erede di Montaigne. Tuttolibri de La Stampa, Allora bastava un rospo per finire al rogo. Tuttolibri de La Stampa, Vittorio Mathieu, Tre giorni in giallo. Tuttolibri de La Stampa, Risvolto di copertina della Rapsodia viennese.  Verrecchia, su digilander.libero. Marco Lanterna, Verrecchia, venerando e terribile, Pulp Libri, (ora in Marco Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen, critica Marco Lanterna, Il caleidoscopio infelice. Note sulla letteratura di fine libro, Clinamen,. Ugo Dotti, I vagabondaggi culturali di Verrecchia, in rivista. Le case illustri, di Lisa Elena su archivio.lastampa. 2 settembre. Addio al filosofo Anacleto Verrecchia, di Luigia Sorrentino, su poesia.blog.rainews. L'Anticristo goloso, di M. Rota, su piemontemese. Anacleto Verrecchia. Verrecchia. Keywords: la metafisica dell’amore, Nietzsche a Torino, Bruno. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Verrecchia: metafisica dell’amore” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #verrecchia https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.6937294919615777 #griceeverrecchia https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51731465888/in/dateposted/

Grice e Viano – va’ pensiero – il carattere della filosofia italiana – filosofia italiana (Aosta). Esential Italian philosopher. Filosofo. Laureatosi in Filosofia a Torino con Abbagnano, ha insegnato a Milano e Cagliari. Ha fatto infine ritorno, in qualità di ordinario fuori ruolo di Storia della filosofia, all'ateneo torinese. Ha fatto parte del Comitato Nazionale per la Bio-Etica, ed è stato membro del direttivo della Rivista di filosofia e socio nazionale dell'Accademia delle Scienze di Torino.  Izgu insignito del premio Feltrinelli per la Storia dela Filosofia. Di formazione illuminista, Viano si è occupato di storia della filosofia antica. -- è autore di importanti studi su Aristotele (“La logica di Aristotele”, Torino, Ed. Taylor) e l’empirismo (“Dal razionalismo all'Illuminismo” (Einaudi, Torino); “Il pensiero politico” (Laterza, Roma/Bari). Nel campo dell'etica, oltre a studi storici (“L'etica” – Mondatori, Milano, “Teorie etiche”, Bollati Boringhieri, Torino), si è dedicato a promuovere la costruzione di una bio-etica e a denunciare la timidezza dei laici di fronte alle ingerenze del cristianesimo.  Da Enrico Mistretta, direttore editoriale della Laterza di Roma/Bari, gli fu affidata, la direzione di una “Storia della filosofia.” Altre saggi: “La selva delle somiglianze: il filosofo e il medico” (Torino, Einaudi); “Va' pensiero: il carattere della filosofia italiana” (Torino, Einaud); “Filosofia italiana nel dopoguerra” (Bologna, Il Mulino); “Etica pubblica” (Roma/Bari, Laterza); “Le città filosofiche: per una geografia della cultura filosofica italiana” (Bologna, Il Mulino); “Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni” (Torino, Einaudi); “Laici in ginocchio” (Roma/Bari, Laterza); “Stagioni filosofiche: la filosofia del Novecento fra Torino e l'Italia” (Bologna, Il Mulino); “La scintilla di Caino: storia della coscienza e dei suoi usi” (Torino, Bollati Boringhieri). Profilo biografico sull’Accademia Delle Scienze. Maurizio Mori, Torino ricorda Viano, su Torino. Cerimonia nell'Accademia Nazionale dei Lincei, su Presidenza della Repubblica, Roma. Treccani Enciclopedie,  Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Registrazioni su RadioRadicale, Radio Radicale.  Biografia e testi sull'Enciclopedia multimediale RAI delle scienze filosofiche Rassegna stampa sul Sito Web Italiano per la Filosofia Recensione di "Le città filosofiche" su Recensioni Filosofiche. Viano. Keywords: la filosofia romana, il neo-tradizionalismo. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viano: il neo-tradizionalismo” – “Viano e la filosofia romana” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #viano https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4796393697039254 #griceeviano https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702527428/in/photolist-2mLLY7G-2mLLXCq-2mLLY6V-2mLNXTs-2mLNXTH-2mLNYnJ-2mLKvEZ-2mLNXSL-2mLQ3zW-2mLNXT7-2mLLY6K-2mLLXCk-2mLLY76-2mLNXSv-2mLKve3-2mLKvFf-2mLNYnt-2mLFpUe-2mLKvGh-2mLKvF

Grice e Viazzi – la bellezza della vita – filosofia italiana – Luigi Speranza (Gavi). Essential Italian philosopher. Filosofo. Apprezzato teorico e studioso di filosofia, Viazzi. Keywords: Vico. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Viazzi” – “Il Vico di Grice e il Vico di Viazzi” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #viazzi https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4583421495003143 #griceeviazzi https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701447102/in/photolist-2mLFqYo-2mLFqYd-2mLKwfB-2mLFqXS-2mLLYDD-2mLQ4KM-2mLFqZk-2mLLYEW-2mLLYEL-2mLFqZq-2mLKwfm-2mLFqZf-2mLQ4JK-2mLKwfX

 

Grice e Vico -- l’antichissima sapienza degl'italici -- da rintracciare nelle origini della sua lingua – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). “Si potrebbe presentare la storia ulteriore del pensiero come un ricorso delle idee del Vico” (Benedetto Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Laterza, Bari) Giambattista Vico, filosofo. Molte delle notizie riguardanti la vita di Vico sono tratte dalla sua Autobiografia, scritta sul modello letterario delle Confessioni di di Agostino. Dall’autobiografia Vico cancella ogni riferimento ai suoi interessi giovanili per le dottrine atomistiche e per il pensiero cartesiano, che avevano cominciato a diffondersi a Napoli, ma vennero subito repressi dalla censura delle autorità civili e religiose, che le consideravano moralmente perniciose e contrari all'Indice dei libri proibiti. Nato a Napoli da una famiglia di modesta estrazione sociale – il padre, Antonio Vico, era un povero libraio, mentre la madre, Candida Masulla, era figlia di un lavorante di carrozze – Vico fu un bambino molto vivace, ma, a causa di una caduta si procurò una frattura al cranio che gli impedì di frequentare la scuola per tre anni e che, pur non alterando le sue capacità mentali, quantunque “il cerusico ne fe' tal presagio: che egli o ne morrebbe o arebbe sopravvissuto stolido,” contribuì a sviluppare “una natura malinconica ed acre.” Ammesso agli studi di grammatica presso il Collegio Massimo dei Gesuiti, li abbandonò intorno per dedicarsi al privato approfondimento dei testi di Paolo Veneto, il quale, tuttavia, rivelandosi superiore alle sue capacità, provoca l'allontanamento dall'attività intellettuale per un anno e mezzo.  Ripresa la via degli studi, Vico si recò nuovamente dai gesuiti per seguire le lezioni di Ricci, ma, rimasto ancora una volta insoddisfatto, si appartò nuovamente a vita privata per affrontare la metafisica. Successivamente, per secondare il desiderio paterno, Vico fu “applicato agli studi legali.” Frequentò per circa due mesi le lezioni private di Verde, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, senza tuttavia seguirne i corsi, e si cimentò, come di consueto, in privati studi di diritto. Conseguita la laurea in a Salerno, si appassionò subito ai problemi filosofici,, segno “di tutto lo studio che aveva egli da porre all'indagamento de' princìpi del diritto universal.” Lapide nella casa natale di via San Biagio dei Librai che recita, “in questa cameretta nacque il XXIII giugno MDCLXVIII Giambattista Vico. Qui dimorò fino ai diciassette anni e nella sottoposta piccola bottega del padre libraio usò passare le notti nello studio. Vigilia giovanile della sua opera sublime. La città di Napoli pose.” Il periodo di tempo intercorrente fu denominato dell' “autoperfezionamento.” Difatti, nonostante l'Autobiografia riporti indietro la data d'inizio del suo magistero, svolse attività di precettore dei figli del marchese Domenico Rocca presso il castello di Vatolla nel Cilento e colà, usufruendo della grande biblioteca padronale, ebbe modo di studiare il platonismo italiano (Ficino e Pico). Approfondisce gli studi aristotelici, nonostante la dichiarata avversione per Aristotele e la Scolastica. Legge le opere di Botero e di Bodin, scoprendo al contempo Tacito (che diverrà un maestro cui s'ispirerà la sua filosofia) e la sua “mente metafisica incomparabile con cui contempla l'uomo qual è.” Affronta per un breve periodo studi di geometria e pubblica la canzone “Affetti di un disperato,” d'ispirazione lucreziana. Erma del Vico Ritornato a Napoli nell'autunno del 1695, all'età di ventisette anni, affetto dalla tisi, rientra nella misera dimora paterna. A causa delle grosse difficoltà economiche, Vico è costretto a tenere ripetizioni di retorica e grammatica. Durante l'anno 1696 pubblica un discorso proemiale a una crestomazia poetica dedicata alla partenza di Francisco de Benavides, viceré spagnolo e conte di Santo Stefano. Compone un'orazione funebre in memoria di Catalina de Aragón y Cardona, madre del nuovo viceré, e nel dicembre del medesimo anno, tenta vanamente di ottenere un posto di lavoro come segretario al Municipio di Napoli. Nel gennaio 1699 vince, con striminzita maggioranza, il concorso per la cattedra di eloquenza e retorica presso l'Università di Napoli, da cui non riuscì, con suo grande rammarico, a passare a una di diritto. -- è aggregato all'Accademia Palatina fondata dal viceré Luis Francisco de la Cerda y Aragón, duca di Medinaceli. Anche dopo la nomina accademica per il mantenimento del padre e dei fratelli, totalmente dipendenti da lui, deve aprire uno studio privato dove dà lezioni di retorica e di grammatica elementare, e impegnarsi a lavorare su commissione alla stesura di poesie, epigrafi, orazioni funebri, panegirici, ecc.  Nel 1699 può finalmente prendere in affitto in vicolo dei Giganti una casa di «tre camere, sala, cucina, loggia e altre comodità, come rimessa e cantina» e prendere in moglie la giovane donna, Teresa Caterina Destito dalla quale ebbe otto figli. Da quel momento non avrà più la tranquillità necessaria per condurre gli studi, ma proseguirà ugualmente le sue meditazioni «tra lo strepitio de' suoi figlioli». A questo periodo risale, inoltre, la conoscenza col filosofo Paolo Mattia Doria e l'incontro con il pensiero del Bacone. Il governo partenopeo gli commissiona la scrittura del Principum neapolitanorum coniuratio e in una cena a casa del Doria, espone le sue idee sulla filosofia della natura che lo condurranno, fra il novembre e il dicembre del medesimo anno, alla composizione del perduto Liber physicus. Pronunzia in latino le sei Orazioni inaugurali, ossia le prolusioni all'anno accademico (che al tempo iniziava il 18 ottobre), e, durante il 1708, se ne aggiunge una settima, più ampia e importante, recante il titolo di De nostri temporis studiorum ratione, la quale si concentra molto sul metodo degli studi giuridici, poiché sempre ha la mira a farsi merito con l'università nella giurisprudenza per altra via che di leggerla ai giovinetti». Nel De ratione, inoltre, è contenuta la critica al razionalismo cartesiano e l'elogio dell'eloquenza, della retorica, della fantasia, nonché dell'«ingegno» produttore di metafore. L'insieme delle prolusioni universitarie sono rielaborate per essere raccolte in un unico volume mai pubblicato, dal titolo di De studiorum finibus naturae humanae convenientibus. È aggregato, dal 1710, all'Accademia dell'Arcadia e, nel novembre, pubblica il primo libro dell'opera dedicata al Doria, De antiquissima italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda, recante il sottotitolo Liber primus sive metaphysicus. Accanto al Liber metaphysicus l'opera vichiana avrebbe dovuto comprendere anche il perduto Liber physicus e un mai composto Liber moralis. Un anonimo recensisce l'opera nel Giornale de' letterati d'Italia, cui seguirà la Risposta del Vico, accompagnata dal ristretto o ri-assunto del Liber metaphysicus. Aseguito di nuove obiezioni prodotte dall'anonimo recensore, replica con una Seconda risposta. Pubblica un trattatello perduto sulle febbri ispirato alle bozze del Liber physicus, recante il titolo di De aequilibrio corporis animantis, e, inoltre, si dedica alla stesura del De rebus gestis Antonii Caraphaei, una biografia del maresciallo Antonio Carafa, che vedrà la luce. Durante i lavori dell'opera biografica del maresciallo Carafa, Vico si dedica alla rilettura del suo quarto «auttore», l'olandese Ugo Grozio, cui dedicherà, nel 1716, un perduto commento al De iure belli ac pacis. La produzione filosofica della maturità: dal Diritto universale alla Scienza nuova  Scienza nuova seconda. L'incontro di Vico con la filosofia di «Ugon capo» ebbe un'importanza decisiva per il suo sviluppo intellettuale, poiché da quel momento il suo interesse sarà completamente assorbito dai problemi giuridici e storici. L'idea dell'esistenza di un'umanità ferina e primitiva, dominata solamente dal senso e dalla fantasia, ed entro cui si producono gli «ordini civili» divenne centrale in tutto il pensiero vichiano. Vide la luce un'opera di filosofia del diritto, intitolata De uno universi iuris principio et fine uno, seguita dallo scritto De constantia iurisprudentis, diviso in due parti (De constantia philosophiae e De constantia philologiae), e che, nonostante il titolo si riferisca alla tematica giuridica, è meno incentrato sull'argomento rispetto al De uno. Benché le due opere si differenzino, segno di un rapido sviluppo del pensiero vichiano, è d'uso considerarli, come invero fece anche il Vico, insieme alle Notae aggiunte e le Sinopsi premesse al testo, sotto l'unico titolo di Diritto universale. S'iscrisse al concorso per ottenere la cattedra «matutina» di diritto civile presso l'Università di Napoli e commenta un passo delle Quaestiones di Papiniano davanti a un collegio di giudici, ma, con suo grande scorno, il posto fu assegnato a un tal Domenico Gentile. Dopo la fama ottenuta dalla pubblicazione della Scienza Nuova, ottenne dal re Carlo III, la carica di storiografo regio. Tanto nuova era la sua dottrina che la cultura del tempo non poté apprezzarla: così che Vico rimase appartato e quasi del tutto sconosciuto negli ambienti intellettuali, dovendosi accontentare di una cattedra di secondaria importanza all'Università napoletana che lo manteneva inoltre in tali ristrettezze economiche che per pubblicare il suo capolavoro, la Scienza Nuova, dovette toglierne alcune parti in modo che risultasse meno costoso per la stampa. Alle difficoltà economiche vissute per la pubblicazione dell'opera sua, che inficiarono la sua notorietà nel seno dell'Accademia partenopea, s'accompagna una prosa involuta, pertanto di difficile penetrazione. Prima della Scienza Nuova Vico aveva scritto la prolusione inaugurale De nostri temporis studiorum ratione, il De antiquissima Italorum sapientia, ex linguae latinae originibus eruenda ("L'antichissima sapienza delle popolazioni italiche, da rintracciare nelle origini della lingua latina") a cui si devono aggiungere le due Risposte al "Giornale dei letterati di Venezia" che aveva criticato il suo pensiero, il De uno universi iuris principio et fine uno e il De costantia iurisprudentis. Nello stesso anno della pubblicazione della Scienza Nuova, Vico, afflitto da difficoltà e disgrazie familiari, incominciò a scrivere la sua Autobiografia pubblicata a Venezia. Vengono pubblicati i Principj di una Scienza Nuova intorno alla natura delle nazioni, più conosciuta con il titolo abbreviato di Scienza Nuova. Alla "Scienza Nuova" lavora per tutto il corso della sua vita, con un'edizione integralmente riscritta nel 1730 anche a seguito delle critiche ricevute (cui aveva risposto nelle Vici Vindiciae) e, infine, rivista completamente, senza grandi modifiche, per la terza edizione, pubblicata pochi mesi dopo la sua morte da suo figlio Gennaro che lo aveva sostituito nell'insegnamento accademico. La morte «[incominciarono a crescere] quei malori che fin dai suoi più floridi anni l’avevano debilitato. Cominciò adunque ad essere indebolito in tutto il sistema nervoso in guisa che a stento poteva camminare e, quel che più lo affligea, era di vedersi ogni giorno infiacchire la reminiscenza....Il fiaccato corpo del saggio vecchio andò in seguito ogni giorno più a debilitarsi in guisa che aveva perduto quasi interamente la memoria fino a dimenticare gli oggetti a sé più vicini ed a scambiare i nomi delle cose più usuali...]»  Affetto probabilmente dalla malattia di Alzheimer, all'epoca non ancora descritta scientificamente, negli ultimi anni non riconosceva più i suoi stessi figli e fu costretto ad allettarsi. Solo in punto di morte riacquistò la coscienza come svegliandosi da un lungo sonno; chiese i conforti religiosi e recitando i salmi di Davide morì. Per la celebrazione delle esequie nacque un contrasto tra i confratelli della congregazione di Santa Sofia, alla quale Vico era iscritto, e i professori dell'Università di Napoli su chi dovesse tenere i fiocchi della coltre mortuaria. Non giungendo ad un accordo il feretro, che era stato calato nel cortile, fu abbandonato dei membri della Congregazione e fu riportato in casa. Da lì finalmente, accompagnato dai colleghi dell'Università, fu sepolto nella chiesa dei padri dell'oratorio detta dei Gerolamini in Via dei Tribunali. Nell'ambiente culturale napoletano, molto interessato alle nuove dottrine filosofiche, Vico ebbe modo di entrare in rapporto con il pensiero di Cartesio, Hobbes, Gassendi, Malebranche e Leibniz anche se i suoi autori di riferimento risalivano piuttosto alle dottrine neoplatoniche, rielaborate dalla filosofia rinascimentale, aggiornate dalle moderne concezioni scientifiche di Bacone e Galilei e del pensiero giusnaturalistico moderno di Grozio e Selden. Dal neostoicismo cristiano di Malvezzi riprende l'intuizione che il corso storico sia retto da una sua logica interna. Questa varietà di interessi farebbe pensare alla formazione di un pensiero eclettico in Vico che invece giunse alla formulazione di un'originale sintesi tra una razionalità sperimentatrice e la tradizione platonica e religiosa.  De antiquissima Italorum sapientia  doveva constare di tre parti: il Liber metaphysicus, che uscì senza l'appendice riguardante la logica che, nella sua intenzione, avrebbe dovuto avere; il Liber Physicus, che pubblica sotto forma di opuscolo col titolo De aequilibrio corporis animantis, che andò smarrito, ma ampiamente riassunto nella Vita; e infine il Liber moralis, di cui non abbozzò nemmeno il testo. Nel De antiquissima Vico, considerando il linguaggio come oggettivazione del pensiero, è convinto che dall'analisi etimologica di alcune parole latine si possano rintracciare originarie forme del pensiero: applicando questo originale metodo, risale ad un antico sapere filosofico delle primitive popolazioni italiche. Il fulcro di queste arcaiche concezioni filosofiche è la convinzione antichissima che Latinis verum et factum reciprocantur, seu, ut scholarum vulgus loquitur, convertuntur. Per i Latini il vero e il fatto sono reciproci, ossia, come afferma il volgo delle scuole, si scambiano di posto che cioè il criterio e la regola del vero consiste nell'averlo fatto. Per cui possiamo dire ad esempio di conoscere le proposizioni matematiche perché siamo noi a farle tramite postulati, definizioni, ma non potremo mai dire di conoscere nello stesso modo la natura perché non siamo noi ad averla creata.  Conoscere una cosa significa rintracciarne i principi primi, le cause, poiché, secondo l'insegnamento aristotelico, veramente la scienza è «scire per causas» ma questi elementi primi li possiede realmente solo chi li produce, «provare per cause una cosa equivale a farla».  Le obiezioni a Cartesio Il principio del verum ipsum factum non era una nuova e originale scoperta di Vico ma era già presente nell'occasionalismo, nel metodo baconiano che richiedeva l'esperimento come verifica della verità, nel volontarismo scolastico che, tramite la tradizione scotista, era presente nella cultura filosofica napoletana del tempo di Vico. La tesi fondamentale di queste concezioni filosofiche è che la piena verità di una cosa sia accessibile solo a colui che tale cosa produce; il principio del verum-factum, proponendo la dimensione fattiva del vero, ridimensiona le pretese conoscitive del razionalismo cartesiano che inoltre giudica insufficiente come metodo per la conoscenza della storia umana, che non può essere analizzata solo in astratto, perché essa ha sempre un margine di imprevedibilità. Si serve, però, di quel principio per avanzare in modo originale le sue obiezioni alla filosofia cartesiana trionfante in quel periodo. Il cogito cartesiano infatti potrà darmi certezza della mia esistenza ma questo non vuol dire conoscenza della natura del mio essere, coscienza non è conoscenza: avrò coscienza di me ma non conoscenza poiché non ho prodotto il mio essere ma l'ho solo riconosciuto. L'uomo può dubitare se senta, se viva, se sia esteso, e infine in senso assoluto, se sia; a sostegno della sua argomentazione escogita un certo genio ingannatore e maligno...Ma è assolutamente impossibile che uno non sia conscio di pensare, e che da tale coscienza non concluda con certezza che egli è. Pertanto Renato Descartes svela che il primo vero è questo, Penso dunque sono. (Giambattista Vico, De antiquissima Italorum sapientia in Opere filosofiche a cura di Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni). Il criterio del metodo cartesiano dell'evidenza procura dunque una conoscenza chiara e distinta, che però non è scienza se non è capace di produrre ciò che conosce. In questa prospettiva, dell'essere umano e della natura solo Dio, creatore di entrambi, possiede la verità.  Mentre quindi la mente umana procedendo astrattamente nelle sue costruzioni, come accade per la matematica, la geometria crea una realtà che le appartiene, essendo il risultato del suo operare, giungendo così a una verità sicura, la stessa mente non arriva alle stesse certezze per quelle scienze di cui non può costruire l'oggetto come accade per la meccanica, meno certa della matematica, la fisica meno certa della meccanica, la morale meno certa della fisica.  «Noi dimostriamo le verità geometriche poiché le facciamo, e se potessimo dimostrare le verità fisiche le potremmo anche fare.” Mente umana e mente divina. I latini diceno che la mente è data, immessa negli uomini dagli dei. È dunque ragionevole congetturare che gli autori di queste espressioni abbiano pensato che le idee negli animi umani siano create e risvegliate da Dio. La mente umana si manifesta pensando, ma è Dio che in me pensa, dunque in Dio conosco la mia propria mente. Il valore di verità che l'uomo ricava dalle scienze e dalle arti, i cui oggetti egli costruisce, è garantito dal fatto che la mente umana, pur nella sua inferiorità, esplica un'attività che appartiene in primo luogo a Dio. La mente dell'uomo è anch'essa creatrice nell'atto in cui imita la mente, le idee, di Dio, partecipando metafisicamente ad esse.  L'ingegno Imitazione e partecipazione alla mente divina avvengono ad opera di quella facoltà che Vico chiama ingegno che è «la facoltà propria del conoscere...per cui l'uomo è capace di contemplare e di imitare le cose». L'ingegno è lo strumento principe, e non l'applicazione delle regole del metodo cartesiano, per il progresso, ad esempio, della fisica che si sviluppa proprio attraverso gli esperimenti escogitati dall'ingegno secondo il criterio del vero e del fatto.  L'ingegno dimostra, inoltre, i limiti del conoscere umano e la contemporanea presenza della verità divina che si rivela proprio attraverso l'errore. Dio mai si allontana dalla nostra presenza, neppure quando erriamo, poiché abbracciamo il falso sotto l'aspetto del vero e i mali sotto l'apparenza dei beni; vediamo le cose finite e ci sentiamo noi stessi finiti, ma ciò dimostra che siamo capaci di pensare l'infinito. Contro lo scetticismo, sostiene che è proprio tramite l'errore che l'uomo giunge al sapere metafisico. Il chiarore del vero metafisico è pari a quello della luce, che percepiamo soltanto in relazione ai corpi opachi...Tale è lo splendore del vero metafisico non circoscritto da limiti, né di forma discernibile, poiché è il principio infinito di tutte le forme. Le cose fisiche sono quei corpi opachi, cioè formati e limitati, nei quali vediamo la luce del vero metafisico. Il sapere metafisico non è il sapere in assoluto: esso è superato dalla matematica e dalle scienze ma, d'altro canto, «la metafisica è la fonte di ogni verità, che da lei discende in tutte le altre scienze. Vi è dunque un primo vero, comprensione di tutte le cause, originaria spiegazione causale di tutti gli effetti; esso è infinito e di natura spirituale poiché è antecedente a tutti i corpi e che quindi si identifica con Dio. In Lui sono presenti le forme, simili alle idee platoniche, modelli della creazione divina.  «Il primo vero è in Dio, perché Dio è il primo facitore (primus Factor); codesto primo vero è infinito, in quanto facitore di tutte le cose; è compiutissimo, poiché mette dinanzi a Dio, in quanto li contiene, gli elementi estrinseci e intrinseci delle cose. Se l'uomo non può considerarsi creatore della realtà naturale ma piuttosto di tutte quelle astrazioni che rimandano ad essa come la matematica, la stessa metafisica, vi è tuttavia un'attività creatrice che gli appartiene  questo mondo civile egli certamente è stato fatto dagli uomini, onde se ne possono, perché se ne debbono, ritruovare i principi dentro le modificazioni della nostra medesima mente umana. Scienza Nuova, terza ediz., libro I, sez. 3). L'uomo è dunque il creatore, attraverso la storia, della civiltà umana. Nella storia l'uomo verifica il principio del verum ipsum factum creando così una scienza nuova che avrà un valore di verità come la matematica. Una scienza che ha per oggetto una realtà creata dall'uomo e quindi più vera e, rispetto alle astrazioni matematiche, concreta. La storia rappresenta la scienza delle cose fatte dall'uomo e, allo stesso tempo, la storia della stessa mente umana che ha fatto quelle cose. Filosofia e "filologia" La definizione dell'uomo, della sua mente non può prescindere dal suo sviluppo storico se non si vuole ridurre tutto a un'astrazione. La concreta realtà dell'uomo è comprensibile solo riportandola al suo divenire storico. È assurdo credere, come fanno i cartesiani o i neoplatonici, che la ragione dell'uomo sia una realtà assoluta, sciolta da ogni condizionamento storico.  «La filosofia contempla la ragione, onde viene la scienza del vero; la filologia osserva l'autorità dell'umano arbitrio onde viene la coscienza del certo...Questa medesima degnità (assioma) dimostra aver mancato per metà così i filosofi che non accertarono le loro ragioni con l'autorità de'filologi, come i filologi che non curarono d'avverare la loro autorità con la ragion dei filosofi»  (Giambattista Vico Ibidem Degnità X) Ma la filologia da sola non basta, si ridurrebbe a una semplice raccolta di fatti che invece vanno spiegati dalla filosofia. Tra filologia e filosofia vi deve essere un rapporto di complementarità per cui si possa accertare il vero e inverare il certo.  Le leggi della 'scienza nuova' Compito della 'scienza nuova' sarà quello di indagare la storia alla ricerca di quei principi costanti che, secondo una concezione per certi versi platonizzante, fanno presupporre nell'azione storica l'esistenza di leggi che ne siano a fondamento com'è per tutte le altre scienze:  «Poiché questo mondo di nazioni egli è stato fatto dagli uomini, vediamo in quali cose hanno con perpetuità convenuto e tuttavia vi convengono tutti gli uomini; poiché tali cose ne potranno dare i principi universali ed eterni, quali devon essere d'ogni scienza, sopra i quali tutte sursero e tutte vi si conservano le nazioni. La storia quindi, come tutte le scienze, presenta delle leggi, dei principi universali, di un valore ideale di tipo platonico, che si ripetono costantemente allo stesso modo e che costituiscono il punto di riferimento per la nascita e il mantenimento delle nazioni.  L'eterogenesi dei fini e la Provvidenza storica Rifarsi alla mente umana per comprendere la storia non è sufficiente: si vedrà, attraverso il corso degli avvenimenti storici, che la stessa mente dell'uomo è guidata da un principio superiore ad essa che la regola e la indirizza ai suoi fini che vanno al di là o contrastano con quelli che gli uomini si propongono di conseguire; così accade che, mentre l'umanità si dirige al perseguimento di intenti utilitaristici e individuali, si realizzino invece obiettivi di progresso e di giustizia secondo il principio della eterogenesi dei fini.  «Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni...ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan proposti»  (Giambattista Vico Ibidem, Conclusione) La storia umana in quanto opera creatrice dell'uomo gli appartiene per la conoscenza e per la guida degli eventi storici ma nel medesimo tempo lo stesso uomo è guidato dalla Provvidenza che prepone alla storia divina.  I corsi storici Secondo Vico il metodo storico dovrà procedere attraverso l'analisi delle lingue dei popoli antichi «poiché i parlari volgari debono essere i testimoni più gravi degli antichi costumi de' popoli che si celebrarono nel tempo ch'essi si formarono le lingue», e quindi tramite lo studio del diritto, che è alla base dello sviluppo storico delle nazioni civili.  Questo metodo ha fatto identificare nella storia una legge fondamentale del suo sviluppo che avviene evolvendosi in tre età:  l'età degli dei, «nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli»; l'età degli eroi dove si costituiscono repubbliche aristocratiche; l'età degli uomini «nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana». I bestioni La storia umana, secondo Vico, inizia con il diluvio universale, quando gli uomini, giganti simili a primitivi "bestioni", vivevano vagando nelle foreste in uno stato di completa anarchia. Questa condizione bestiale era conseguenza del peccato originale, attenuata dall'intervento benevolo della Provvidenza divina che immise, attraverso la paura dei fulmini, il timore degli dei nelle genti che «scosse e destate da un terribile spavento d'una da essi stessi finta e creduta divinità del cielo e di Giove, finalmente se ne ristarono alquanti e si nascosero in certi luoghi; ove fermi con certe donne, per lo timore dell'appresa divinità, al coverto, con congiungimenti carnali religiosi e pudichi, celebrarono i matrimoni e fecero certi figlioli, e così fondarono le famiglie. E con lo star quivi fermi lunga stagione e con le sepolture degli antenati, si ritrovarono aver ivi fondati e divisi i primi domini della terra» La civiltà L'uscita dallo stato di ferinità quindi avviene:  per la nascita della religione, nata dalla paura e sulla base della quale vengono elaborate le prime leggi del vivere ordinato, per l'istituzione delle nozze che danno stabilità al vivere umano con la formazione della famiglia e per l'uso della sepoltura dei morti, segno della fede nell'immortalità dell'anima che distingue l'uomo dalle bestie. Della prima età sostiene di non poter scrivere molto poiché mancano documenti su cui basarsi: infatti quei bestioni non conoscevano la scrittura e, poiché erano muti, si esprimevano a segni o con suoni disarticolati. L'età degl’eroi ha inizio dall'accomunarsi di genti che trovavano così reciproco aiuto e sostegno per la sopravvivenza. Sorsero la città guidata dalle prime organizzazioni politiche dei signori, gl’eroi che con la forza e in nome della ragion di stato, conosciuta solo da loro, comandano su i servi che, quando rivendicano i propri diritti, si ritrovarono contro i signori che, organizzati in ordini nobiliari, danno vita allo stato aristo-cratico che caratterizza il secondo periodo della storia umana.  In questa seconda, dove predomina la fantasia, nasce il linguaggio dai caratteri mitici e poetici. Infine la conquista dei diritti civili da parte dei servi dà luogo alla età degl’uomini e alla formazione del stato popolari (res pubblica) basato sul diritto umano dettato dalla ragione umana tutta spiegata. Sorge quindi uno stato non necessariamente demo-cratico ma che puo essere pure monarchico poiché l'essenziale è che rispetta la ragione naturale, che eguaglia tutti. La legge delle tre età costituisce la storia ideale eterna sopra la quale corrono in tempo le storie di nostra nazione. Il popolo conforma il suo corso storico a questa legge che non è solo delle genti ma anche di ogni singolo uomo che necessariamente si sviluppa passando dal primitivo senso nell'infanzia, alla fantasia nella fanciullezza, e infine alla ragione nell'età adulta. Gl’uomini prima sentono senza avvertire. Dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso. Finalmente riflettono con mente pura. Se nella storia pur tra le violenze, i disordini, appare un ordine e un progressivo sviluppo ciò è dovuto all'azione della Provvidenza che immette nell'agire dell'uomo un principio di verità che si presenta in modo diverso nelle tre età. Nella prima età degl’eroi, il vero si presenta come certo gli uomini che non sanno il vero delle cose procurano d'attenersi al certo, perché non potendo soddisfare l'intelletto con la scienza, almeno la volontà riposi sulla coscienza. Questa certezza non viene all'uomo attraverso una verità rivelata ma da una constatazione di senso comune, condivisa da tutti, per cui vi è un giudizio senz'alcuna riflessione, comunemente sentito da tutto un ordine, da tutto un popolo, da tutta una nazione o da tutto il genere umano. Vi è poi, nella seconda età della storia e dell'uomo, caratterizzata dalla fantasia, un sapere tutto particolare che Vico definisce poetico. In questa età nasce infatti il linguaggio non ancora razionale ma molto vicino alla poesia che alle cose insensate dà senso e passione, ed è proprietà dei fanciulli di prender cose inanimate tra le mani e, trastullandosi, favellarvi, come se fussero, quelle, persone vive. Questa degnità filologica-filosofica ne appruova che gli uomini del mondo fanciullo, per natura, furono sublimi poeti. Se vogliamo quindi conoscere la storia del antico popoli romano dobbiamo rifarci ai miti che hanno espresso nella loro cultura. Il mito infatti non è solo una favola e neppure una verità presentata sotto le spoglie della fantasia ma è una verità di per sé elaborata dagli antichi che, incapaci di esprimersi razionalmente, si servano di universali fantastici che, sotto spoglie poetiche, presentano modelli ideali universali. I antichi romani non definano zionalmente la prudenza ma raccontarono di Enea, modello universale fantastico dell'uomo prudente.  Vico si dedica poi a definire la poesia che innanzitutto è autonoma come forma espressiva differente dal linguaggio tradizionale. I tropi della poesia come la metafora, la metonimia, la sineddoche ecc. sono stati erroneamente ritenuti strumenti estetici di abbellimento del linguaggio razionale di base. Invece, la poesia è una forma espressiva naturale e originaria i cui tropi sono necessari modi di spiegarsi della nazione romana poetica. La poesia ha una funzione rivelativa, custodisce le prime immaginate verità dei primi uomini. La lingua romana non ha quindi un'origine convenzionale. Questo presupporrebbe un uso tecnico. Ma la lingua romana sorge invece spontaneamente come poesia. Poiché il linguaggio e i miti costituiscono la cultura originaria e spontanea di tutto il popolo romano, arriva alla discoverta dell’epica, l'espressione del patrimonio culturale comune di tutto il popolo romano. È comunque da respingere la interpretazione platonica dell’epica come filosofia, -- l’epica e fornita di una sublime sapienza riposte. Farsi intendere da volgo fiero e selvaggio non è certamente opera d'ingegno addomesticato ed incivilito da alcuna filosofia. Né da un animo da alcuna filosofia umanato ed impietosito potrebbe nascer quella truculenza e fierezza di stile, con cui descrive tante, sì varie e sanguinose battaglie, tante sì diverse e tutte in istravaganti guise crudelissima spezie d'ammazzamenti, che particolarmente fanno tutta la sublimità dell'epica romana. La sapienza antica ha per contenuto princìpi di giustizia e ordine necessari per la formazione di popoli civili. Questi contenuti si esprimono in modi diversi a seconda che siano formati dal senso o dalla fantasia o dalla ragione. Questo vuol dire che la sapienza, la verità, si manfesta in forme diverse storicamente ma che essa come verità eterna è al di sopra della storia che di volta in volta la incarna. La verità della storia è una verità metafisica nella storia. Nella storia si attua la mediazione tra l'agire umano e quello divino:  nel fare umano si manifesta il vero divino e il vero umano si realizza tramite il fare divino: la provvidenza, legge trascendente della storia, che opera attraverso e nonostante il libero arbitrio dell'uomo. Questo non comporta una concezione necessitata del corso della storia poiché è vero che la Provvidenza si serve degli strumenti umani, anche i più rozzi e primitivi, per produrre un ordine ma tuttavia questo rimane nelle mani dell'uomo, affidato alla sua libertà. La storia quindi non è determinata come sostengono gli stoici e gli epicurei che niegano la provvedenza, quelli facendosi strascinare dal fato, questi abbandonandosi al caso», ma si sviluppa tenendo conto della libera volontà degli uomini che, come dimostrano i ricorsi, possono anche farla regredire. Gli uomini prima sentono il necessario; dipoi badano all'utile; appresso avvertiscono il comodo; più innanzi si dilettano nel piacere; quindi si dissolvono nel lusso; e finalmente impazzano in istrapazzar di sostanze. Scienza Nuova, Degnità. A questa dissoluzione delle nazioni pone rimedio l'intervento della Provvidenza che talora non può impedire la regressione nella barbarie, da cui si genererà un nuovo corso storico che ripercorrerà, a un livello superiore, poiché dell'epoca passata è rimasta una sia pur minima eredità, la strada precedente.Paradossalmente la criticità del progresso storico appare proprio con l'età della ragione, quando cioè questa invece dovrebbe assicurare e mantenere l'ordine civile. Accade infatti che la tutela della Provvidenza che si è imposta agli uomini nei precedenti due stadi, ora invece deve ricercare il consenso della «ragione tutta spiegata che si sostituisce alla religione: Così ordenando la provvedenza: che non avendosi appresso a fare più per sensi di religione (come si erano fatte innanzi) le azioni virtuose, facesse la filosofia le virtù nella lor idea. La ragione infatti, pur con la filosofia, custode della legge ideale del vivere civile, con il suo libero giudizio, può tuttavia incorrere nell'errore o nello scetticismo per cui «si diedero gli stolti dotti a calunniare la verità».  La ragione non crea la verità, poiché non può fare a meno dal senso e dalla fantasia senza le quali appare astratta e vuota. Il fine della storia infatti non è affidato alla sola ragione ma alla sintesi armonica di senso, fantasia e razionalità. La ragione poi è ispirata dalla verità divina per cui la storia è sì opera dell'uomo, ma la mente umana da sola non basta poiché occorre la Provvidenza che indichi la verità. La filosofia è succeduta alla religione ma non l'ha sostituita anzi essa deve custodirla:  «Da tutto ciò che si è in quest'opera ragionato, è da finalmente conchiudersi che questa Scienza porta indivisibilmente seco lo studio della pietà, e che, se non siesi pio, non si può daddovero esser saggio»  (Giambattista Vico Scienza Nuova, Conclusione) Il giudizio della filosofia posteriore «Predicavano la ragione individuale, ed egli le opponeva la tradizione, la voce del genere umano. Gli uomini popolari, i progressisti di quel tempo, sono Capua, Cornelio, Doria, Calopreso, che stano con le idee nuove, con lo spirito del secolo. Lui era un retrivo, con tanto di coda, come si direbbe oggi. La coltura europea e la coltura italiana s'incontravano per la prima volta, l'una maestra, l'altra ancella. Resiste. Era vanità di pedante? Era fierezza di grande uomo? Resiste a Cartesio, a Malebranche, a Pascal, i cui Pensieri sono lumi sparsi, a Grozio, a Puffendorfio, a Locke, il cui saggio era la metafisica del senso. Resiste, ma li studia più che facessero i novatori. Resisteva come chi sente la sua forza e non si lascia sopraffare. Accettava i problemi, combattea le soluzioni, e le cercava per le vie sue, co' suoi metodi e coi suoi studi. Era la resistenza della coltura italiana, che non si lasciava assorbire, e stava chiusa nel suo passato, ma resistenza del genio, che cercando nel passato trovava il mondo moderno. Era il retrivo che guardando indietro e andando per la sua via, si trova da ultimo in prima fila, innanzi a tutti quelli che lo precedevano. Questa era la resistenza del Vico. Era un moderno e si sentiva e si credeva antico, e resistendo allo spirito nuovo, riceveva quello entro di sé.»  (Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Morano, Napoli) Fintanto che fu in vita la portata e la ricezione critica del suo pensiero furono circoscritte quasi unicamente agli ambienti intellettuali della propria città, trovando poi un ben più vasto seguito soltanto a quasi due secoli dalla sua stessa morte, tra la seconda metà dell'Ottocento e il Novecento. Affermatasi la fama del pensiero vichiano, esso fu conteso dalle più disparate correnti filosofiche: dal pensiero cristiano (nonostante l'iniziale rifiuto), dagli idealisti (dai quali fu proclamato precursore dell'immanentismo hegeliano), dai positivisti e persino da diversi marxisti. Vico è ben più di un semplice filosofo tanto che in certi momenti della sua travagliatissima fama fu apprezzato prevalentemente per la sua filosofia del diritto, così come in altri momenti fu celebrato precursore della sociologia, della psicologia dei popoli, o come campione fra i maggiori della filosofia della storia, mentre veniva ignorata la sua pur genialissima metafisica, che è ad un tempo il punto d'arrivo e il presupposto logico di tutte le ricerche da lui condotte nei più vari campi dell'operare umano». Il pensiero vichiano, le cui prime fonti s'ispirano alla tradizione filosofica del Seicento che permeava l'ambiente partenopeo della sua epoca, rappresenta un ponte fra la cultura secentesca e quella settecentesca. Nonostante il Vico non sia caratterizzato dall'audacia innovatrice illuminista, il suo pensiero raggiunse – come nota Abbagnano – «alcuni risultati fondamentali» che lo connettono a pieno titolo al Settecento. Tuttavia, non può tacersi il carattere conservatore della sua filosofia politico-religiosa, generato dal turbamento di chi, «assistendo alla fine di un mondo famigliare, non sa scoprire i segni del sorgere di un nuovo. Ciò è dimostrato dalla giustapposizione del certo (ossia il peso dell'autorità della tradizione) al vero (ossia lo sforzo innovatore della ragione) che è il segno di una ricerca di equilibrio estranea al pensiero illuministico. A tali conclusioni il pensiero vichiano fu condotto dalla limitatezza della sua gnoseologia e dalla polemica contro il cartesianesimo, il quale professava, al contrario, l'eliminazione di ogni limite gnoseologico. Opere: “Sei Orazioni Inaugurali”: “De nostri temporis studiorum ratione”: “Orazione Inaugurale” “De antiquissima Italorum sapientia ex linguae latinae originibus eruenda; “Proemium”; “Liber metaphysicus”; “Risposte al giornale dei letterati Prima risposta”; “Seconda risposta”; “Institutiones oratoriae”; “De universis Juris”; “De universis juris uno principio et fine uno liber unus - include “De opera proloquium”; “De constantia jurisprudentis liber alter”; “ Notae in duos libros, alterum De uno universi juris principio et fine uno, alterum De constantia jurisprudentis”; “Scienza nuova prima”; “Vici vindiciae”; “Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo, (l'«Autobiografia» («Supplemento») Scienza nuova seconda, De mente heroic, Scienza nuova terza. Edizioni: Scritti storici, Giambattista Vico, Scienza nuova, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza,Giambattista Vico, Scienza nuova seconda. 1, Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, Giambattista Vico, Scienza nuova seconda. Scrittori d'Italia, Bari, Laterza, Giambattista Vico, Opere a cura di Fausto Nicolini, Laterza, Bari, Orazioni inaugurali, De studiorum rationum, De antiquissima Italorum sapientia, Risposte al giornale dei letterati; IDiritto universale, Scienza nuova; Scienza nuova, Autobiografia, Carteggio, Poesie varie; Scritti storici; Scritti vari e pagine disperse; Poesie, Institutiones oratoriae. Giambattista Vico, Opere filosofiche a cura di Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni. Giambattista Vico, Opere giuridiche a cura di Paolo Cristofolini, Firenze, Sansoni. Giambattista Vico, Institutiones oratoriae, testo critico, versione e commento a cura di Giuliano Crifò, Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa. Bibliografia critica Il pensiero vichiano rimase quasi del tutto ignorato dalla cultura europea del XVIII secolo con una diffusione limitata nell'Italia meridionale. Ancora in età romantica Vico era poco conosciuto anche se filosofi tedeschi come Johann Gottfried Herder, chiamato il Vico tedesco, e Hegel presentano delle somiglianze con la dottrina vichiana per quanto riguarda il ruolo della storia nello sviluppo della filosofia.  La filosofia di Vico comincia ad essere conosciuta e apprezzata nel clima del romanticismo francese e italiano: François-René de Chateaubriand e Joseph de Maistre ma, soprattutto  Jules Michelet, Principes de la philosophie de l'histoire, Parigi diffonde il pensiero di Vico di cui apprezza la concezione della storia come sintesi di umano e divino.  Nella prima metà dell'Ottocento, Auguste Comte e Karl Marx stimarono la filosofia della storia di Vico ma furono i filosofi italiani, come Antonio Rosmini, e soprattutto Vincenzo Gioberti, che videro in lui un maestro.  N. Tommaseo, Vico e il suo secolo, rist. Torino 1930, mette in evidenza la grande affinità del pensiero vichiano con quello di Gioberti. Agostino Maria de Carlo, "Istituzione Filosofica secondo i Princìpj di Giambattista Vico ad uso della gioventù studiosa" - Napoli - Tip. Cirillo - Nuove interpretazioni basate sul principio vichiano del verum ipsum factum considerano Vico un anticipatore del positivismo  Giuseppe Ferrari, Il genio di Vico, rist.Carabba, Lanciano  Cattaneo, Sulla 'Scienza Nuova' di Vico, Milano C. Cantoni, Vico, Torino); Siciliani, Sul rinnovamento della filosofia positiva in Italia, Civelli Firenze. Recentemente, viene rivalutato il legame stringente fra il filosofo e l'Illuminismo:  A. Donati, Giambattista Vico. Filosofo dell'Illuminismo, Aracne. Una spinta decisiva all'apprezzamento e alla diffusione del pensiero vichiano come anticipatore di Kant e dell'idealismo, si ebbe in Italia a cominciare dagli studi di Bertrando Spaventa e De Sanctis iniziatori di quella corrente dottrinale interpretativa che si ritrova soprattutto in Croce e  G. Gentile, Studi vichiani, Messina, rist. Sansoni Firenze che ne mette in luce le ascendenze neoplatoniche e rinascimentali rifiutandone nel contempo l'interpretazione positivista e interpretandone il verum ipsum factum in senso idealistico. Una forzatura questa, secondo alcuni critici, ripresa da  Croce, La filosofia di Vico, Laterza, Bari che ebbe soprattutto il merito di aver intuito in Vico una definizione dell'arte come attività autonoma dello spirito e della visione storicistica dello sviluppo dello spirito da cui Croce elimina ogni riferimento alla trascendenza della Provvidenza vichiana.  Un'accurata ricerca storica su Vico fu operata dal crociano  F. Nicolini, La giovinezza di Vico, Laterza, Bari, Fausto Nicolini, La religiosità di Vico, Laterza, Bari, Fausto Nicolini, Commento storico alla seconda 'Scienza Nuova', Roma,  Fausto Nicolini, Saggi vichiani, Giannini, Napoli, Fausto Nicolini, Giambattista Vico nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa, Editore Osanna Venosa, Contrari all'interpretazione immanentistica della Provvidenza vichiana sono gli studi di autori cattolici che ne mettono invece in risalto la trascendenza:  E. Chiocchietti, La filosofia di Vico, Vita e Pensiero, Milano, F. Amerio, Introduzione allo studio di Vico, SEI, Torino, L. Bellafiore, La dottrina della Provvidenza in Vico, Milani, Bologna, A. Mano, Lo storicismo di Vico, Napoli, F. Lanza, Saggi di poetica vichiana, Magenta, Varese, Il dibattito tra le interpretazioni laiche e cattoliche su Vico si è attenuato in periodi recenti dove lo studio del pensiero vichiano si è dedicato a particolari aspetti della sua dottrina:  G. Fassò, I «quattro auttori» del Vico. Saggio sulla genesi della Scienza nuova, Milano, Giuffrè, non esistente. G. Fassò, Vico e Grozio, Napoli, Guida, Maura Del Serra, Eredità e kenosi tematica della "confessio" cristiana negli scritti autobiografici di Vico, in Sapientia, sulla concezione della storia ad opera della quale avviene la conciliazione tra immanenza e trascendenza del pensiero vichiano: A. R. Caponigri, Tempo e idea, Pàtron, Bologna, sulla estetica vichiana gli studi più notevoli sono quelli di G. A. Bianca, Il concetto di poesia in G. B.Vico, D'Anna, Messina, G. Prestipino, "La teoria del mito e la modernità di Vico", Annali della facoltà di Palermo, sugli aspetti giuridici e sociologici:Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in Vico e Malebranche, Firenze, B. Donati, Nuovi studi sulla filosofia civile (Firenze); L. Bellafiore, Il diritto naturale (Milano); D. Pasini, Diritto, società e stato in Vico, Jovene, Napoli, V. Giannantonio, "Oltre Vico - L'identità del passato a Napoli e Milano (Carabba, Lanciano); G. Leone, [rec. al vol. di] V. Giannantonio, "Oltre Vico - L'identità del passato a Napoli e Milano” (Carabba. Lanciano, in Misure Critiche, La Fenice Casa Editrice, Salerno, e in "Forum Italicum", Wehle, Winfried: Sulle vette di una ragione abissale: Giovambattista Vico e l'epopea di una 'Scienza Nuova'. In: Battistini, Andrea; Guaragnella, Pasquale (ed.): Giambattista Vico e l'enciclopedia dei saperi. - Lecce: Pensa multimedia (Mneme). B. Croce, La filosofia di Vico, Bari, Laterza,Maria Consiglia, Napoli, Editoria clandestina e censura ecclesiastica a Napoli all'inizio del Settecento, in Anna Maria Rao (a cura di), Editoria e cultura a Napoli, Napoli: Liguori, Francesco Adorno, Tullio Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, vol. Editori Laterza, Giambattista Vico, La scienza nuova (a cura di P. Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli, Giambattista Vico, Giuseppe Ferrari, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), Soc. Tip. de' Classici Italiani, B.Cioffi ed altri, I filosofi e le idee, B. Mondadori, D. Armando, M. Sanna, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Politica, Enciclopedia Italiana Treccani  Francesco Adorno, Tullio Gregory, Valerio Verra, Storia della filosofia, Editori Laterza); Guido Fassò, Storia della filosofia del diritto. II: L'età moderna, Editori Laterza, Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Gruppo Editoriale L'Espresso,  Vico, La scienza nuova (Biblioteca Universale Rizzoli); Vico, Principj di scienza nuova, di Giambattista Vico: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Volume 1, Francesco d'Amico,  Fausto Nicolini, Giambattista Vico nella vita domestica. La moglie, i figli, la casa, Editore Osanna Venosa, Giambattista vico, Autobiografia, ed. Nicolini (Bompiani), Milano, Vico, La scienza nuova (a cura di Paolo Rossi), Biblioteca Universale Rizzoli, Ugo Grozio, Prolegomeni al diritto della guerra e della pace (a cura di Guido Fassò), cMorano Editore, Giambattista Vico, La scienza nuova, Biblioteca Universale Rizzoli); G. Liccardo, Storia irriverente di eroi, santi e tiranni di Napoli.  Vico che si era rivolto inutilmente per sovvenzionare la stampa dell'opera prima al cardinale Orsini, poi a Papa Clemente XII, fu costretto a vendere un anello per farla pubblicare. Vico scrisse in seguito che, in fondo, l'accaduto era stato un bene poiché lo aveva spinto a riscrivere l'opera in maniera più completa. (Cfr. M.Fubini, G.B.Vico. Autobiografia, Torino Einaudi)  M.Fubini, G.B.Vico. Autobiografia, Torino Einaudi La prima redazione dell'opera, andata perduta, aveva il titolo di Scienza nuova in forma negativa  L'Autobiografia fu pubblicata postuma  ampliata con una modifica di Vico.  Rivista di studi crociani, a cura della "Società napoletana di storia patria", 1969.  La fondazione "Giambattista Vico", voluta da Gerardo Marotta, presidente dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, con sede nella Chiesa di San Biagio Maggiore di Napoli, si occupa della promozione del pensiero vichiano e della gestione di alcuni siti vichiani come il castello Vargas di Vatolla (Salerno) e la Chiesa di San Gennaro all'Olmo in Napoli.  Giambattista Vico, Principi di una scienza nuova d'intorno alla comune natura delle nazioni, a cura di Giuseppe Ferrari, Società tipografica de' Classici italiani, Milano. Silvestro Candela, L'unità e la religiosità del pensiero di Giambattista Vico, Cenacolo Serafico, Inesatto è altresì che il Vico terminasse di vivere a più di settantasei anni: per contrario, mancò ai vivi nella notte e a settantacinque anni e sette mesi precisi, in La Letteratura italiana: Storia e testi, Giambattista Vico, Ricciardi. La storia di Vico, su napolitoday. Secondo notizie di stampa diffuse resti della salma di Vico sarebbero stati recuperati nei sotterranei della chiesa napoletana. (Vedi: Corriere del Giorno: Ritrovata la salma di Giambattista Vico? I ricercatori vanno cauti Archiviato in Internet Archive.) La notizia è stata comunque commentata con prudenza dagli esperti. La scienza nuova, Biblioteca Universale Rizzoli. F. Nicolini, La giovinezza di Vico: saggio biografico, Società editrice Il Mulino, Croce, Nuovi saggi sul Seicento. Per una silloge di «pensieri» del Malvezzi, Politici e moralisti del Seicento, ediz. Croce-Caramella, Bari, Laterza, 1930.  Vico nel perduto De equilibrio corporis animantis esponeva una concezione secondo cui «...riponevo la natura delle cose nel moto per il quale, come se fossero sottoposte alla forza di un cuneo, tutte le cose vengono spinte verso il centro del loro stesso moto e, invece, sotto l'azione di una forza contraria, vengono respinte verso l'esterno; e sostenni anche che tutte le cose vivono e muoiono in virtù di sistole e diastole». Secondo un'ipotesi di Benedetto Croce e Fausto Nicolini l'opera era stata concepita come appendice al Liber physicus e fu donata in forma manoscritta al suo grande amico, il giurista Domenico Aulisio. La trattazione di quella teoria di ispirazione cartesiana e presocratica venne poi inserita più ampiamente nella Vita.  Stefania De Toma, Ecco l'origine delle scienze umane: aspetti retorici di una contesa intorno al De antiquissima italorum sapienti, Bollettino del Centro di studi vichiani (Roma: Edizioni di storia e letteratura).  Opere, Sansoni, Firenze -- è considerato da alcuni interpreti della sua filosofia come il primo costruttivista. Infatti Vico sostiene che l'uomo può conoscere solo ciò che può costruire, aggiungendo poi che in effetti solo Dio conosce veramente il mondo, avendolo creato lui stesso. Il mondo quindi è esperienza vissuta e al suo riguardo non vale per gli uomini alcuna pretesa di verità ontologica. (In Paul Watzlawick, La realtà inventata, Milano, Feltrinelli)  Per Vico la filologia non è solo la scienza del linguaggio ma anche storia, usi e costumi, religioni...ecc. dei popoli antichi. L'età degli dei nella quale gli uomini gentili credettero vivere sotto divini governi, e ogni cosa esser loro comandata con gli auspici e gli oracoli, che sono le più vecchie cose della storia profana: l'età degli eroi, nella quale dappertutto essi regnarono in repubbliche aristocratiche, per una certa da essi rifiutata differenza di superior natura a quella de' lor plebei; e finalmente l'età degli uomini, nella quale tutti si riconobbero esser uguali in natura umana, e perciò vi celebrarono prima le repubbliche popolari e finalmente le monarchie, le quali entrambe sono forma di governi umane» (G.Vico, Scienza Nuova, Idea dell'Opera)  G.Vico,Scienza Nuova, Idea dell'Opera  Ibidem  La ragion di stato «non è naturalmente conosciuta da ogni uomo ma da pochi pratici di governo» (Ibidem)  Ibidem Degnità XXXVII. Sull'immaginazione nei primitivi secondo la filosofia vichiana si veda: Paolo Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in Vico e Malebranche, La rivendicazione dell'assoluta autonomia dell'arte e della poesia nei confronti delle altre attività spirituali fu uno dei meriti che Benedetto Croce riconobbe al pensiero vichiano. Vico critica tutt'insieme le tre dottrine della poesia come esortatrice e mediatrice di verità intellettuali, come cosa di mero diletto, e come esercitazione ingegnosa di cui si possa senza far danno fare a meno. La poesia non è sapienza riposta, non presuppone logica intellettuale, non contiene filosofemi: i filosofi che ritrovano queste cose nella poesia, ve le hanno introdotte essi stessi senza avvedersene. La poesia non è nata per capriccio, ma per necessità di natura. La poesia tanto poco è superflua ed eliminabile, che senza di essa non sorge il pensiero: è la prima operazione della mente umana»  (Benedetto Croce, La filosofia di Giambattista Vico)  [qual era quello dei tempi d'Omero]  G.Vico, Scienza Nuova, Conclusione  Nel senso di pietas, sentimento religioso.  Giambattista Vico, La scienza nuova (Biblioteca Universale Rizzoli). Croce Nicolini Storicismo Filosofia della storia Filologia. su Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Giambattista Vico, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Giambattista Vico, su sapere, De Agostini.Giambattista Vico, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Andrea Battistini, Giambattista Vico, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Alexander Bertland, La Scienza nuova su letteratura italiana Opere*, su bibliotecaitaliana integrali in più volumi dalla collana digitalizzata "Scrittori d'Italia" Laterza Paolo Fabiani, La filosofia dell'immaginazione in Vico, su academia.edu., Firenze, G. Pellegrino, 'La concezione della storia di Vico, su centro studi la runa it. Centro di Studi Vichiani, su Consiglio nazionale delle ricerche. Fondazione Giambattista Vico, su Fondazione gbvico org. Portale Vico, su giambattistavico. u treccani., in Il contributo italiano alla storia del Pensiero, Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Vico, Principj di una scienza nuova di Vico: d'intorno alla comune natura delle nazioni, Tip. di A. Parenti. Italian philosopher. Grice: “The Italians revere him so much that his emblem is on one of their stamps!”“It would be as having Ryle on one of ours!” vico: He is so beloved by the Italians “that they made a stamp of him.”Grice. cited by H. P. Grice, “Vico and the origin of language.” Philosopher who founded modern philosophy of history, philosophy of culture, and philosophy of mythology. He was born and lived all his life in or near Naples, where he taught eloquence. The Inquisition was a force in Naples throughout Vico’s lifetime. A turning point in his career was his loss of the concourse for a chair of civil law. Although a disappointment and an injustice, it enabled him to produce his major philosophical work. He was appointed royal historiographer by Charles of Bourbon. Vico’s major work is “La scienza nuova”  completely revised in a second, definitive version. He published three connected works on jurisprudence, under the title Universal Law; one contains a sketch of his conception of a “new science” of the historical life of nations. Vico’s principal works preceding this are On the Study Methods of Our Time, comparing the ancients with the moderns regarding human education, and On the Most Ancient Wisdom of the Italians, attacking the Cartesian conception of metaphysics. His Autobiography inaugurates the conception of modern intellectual autobiography. Basic to Vico’s philosophy is his principle that “the true is the made” “verum ipsum factum”, that what is true is convertible with what is made. This principle is central in his conception of “science” scientia, scienza. A science is possible only for those subjects in which such a conversion is possible. There can be a science of mathematics, since mathematical truths are such because we make them. Analogously, there can be a science of the civil world of the historical life of nations. Since we make the things of the civil world, it is possible for us to have a science of them. As the makers of our own world, like God as the maker who makes by knowing and knows by making, we can have knowledge per caussas through causes, from within. In the natural sciences we can have only conscientia a kind of “consciousness”, not scientia, because things in nature are not made by the knower. Vico’s “new science” is a science of the principles whereby “men make history”; it is also a demonstration of “what providence has wrought in history.” All nations rise and fall in cycles within history corsi e ricorsi in a pattern governed by providence. The world of nations or, in the Augustinian phrase Vico uses, “the great city of the human race,” exhibits a pattern of three ages of “ideal eternal history” storia ideale eterna. Every nation passes through an age of gods when people think in terms of gods, an age of heroes when all virtues and institutions are formed through the personalities of heroes, and an age of humans when all sense of the divine is lost, life becomes luxurious and false, and thought becomes abstract and ineffective; then the cycle must begin again. In the first two ages all life and thought are governed by the primordial power of “imagination” fantasia and the world is ordered through the power of humans to form experience in terms of “imaginative universals” universali fantastici. These two ages are governed by “poetic wisdom” sapienza poetica. At the basis of Vico’s conception of history, society, and knowledge is a conception of mythical thought as the origin of the human world. Fantasia is the original power of the human mind through which the true and the made are converted to create the myths and gods that are at the basis of any cycle of history. Michelet was the primary supporter of Vico’s ideas in the nineteenth century; he made them the basis of his own philosophy of history. Coleridge is the principal disseminator of Vico’s views in England. James Joyce used the New Science as a substructure for Finnegans Wake, making plays on Vico’s name, beginning with one in Latin in the first sentence: “by a commodius vicus of recirculation.” Croce revives Vico’s philosophical thought, wishing to conceive Vico as the  Hegel. Vico’s ideas have been the subject of analysis by such prominent philosophical thinkers as Horkheimer and Berlin, by anthropologists such as Edmund Leach, and by literary critics such as René Wellek and Herbert Read. Refs.: S. N. Hampshire, “Vico,” in The New Yorker. Luigi Speranza, “Vico alla Villa Grice.” H. P. Grice, “Vico and language.” M. Danesi, Metaphor, and the Origin of Language. Serious scholars of Vico as well as glotto-geneticists will find much of value in this excellent monograph. Vico Studies. A provocative, well-researched argument which might find re-application in philosophy. Theological Book ReviewDanesi returns to Vico to create a persuasive, original account of the evolution and development of the Italian language, one of the deep mysteries of Italians. Vico’s reconstruction of the origin of language is described and evaluated in light of Grice’s philosophical conversational pragmatics. Keywords: glotto-genesi, la ricostruzione di Vico, The New Science Basic Notions. Language and the Imagination: Vico’s Glottogenetic Scenario; Vico’s Approach; Reconstructing the Primal Scene; After the Primal Scence; the dawn of communication: iconicita e mimesi, hypotheses The Nature of Iconicity. Imagery, Iconicita e gesto. Iconic Representation. Osmosis Hypothesis Ontogenesis From Percept al concetto. The Metaphoricity Metaphor metafora; Metaphor and Concept-Formation Mentation, Narrativity, e mito; the socio-biological-Computationist Viewpoint:A Vichian Critique; The Vichian Scenario Revisited; Revisting the Genetic Perspective; computationism. Refs.: Luigi Speranza, “Vico e Grice,” Villa Grice. #vico https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4421435234535104 #griceevico https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702533283/in/photolist-2mLLZRD-2mLM2Rf-2mLPa8B-2mLMbqp-2mLGod1-2mLM2RA-2mLM2Qy-2mLP36W-2mLKxtd-2mLKxqY-2mLLZPz-2mLP1aS-2mLP1am-2mLFu9X-2mLM2RF-2mLP37h-2mLQ7Zx-2mLLZPp-2mLQ5Z5-2mLFscR-2mLFuaU-2mLFucc-2mLKzoL-2mLKxsG-2mLQ81p-2mLP3bL-2mLP1cL-2mLP1dN-2mLM2Yz-2mLKzpc-2mLQ66x-2mLKxvh-2mLLZV6-2mLFugF-2mLQ895-2mLP3fU-2mLP3ad-2mLKzrS-2mLKzqE-2mLLZY7-2mLFucN-2mLQ86K-2mLP1eK-2mLQ61H-2mLLZUj-2mLLZZE-2mLKxwp-2mLFsi2-2mLFuiV-2mLP3eM

 

Grice e Vieri – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze) Essential Italian philosopher. Filosofo. Di famiglia nobile. Insegna a Pisa. Platonico molto attivo. E contestato dai colleghi per il suo vagheggiare un nuovo circolo dei platonici improntato su Pico. Suo principale avversario e Borri. Saggi: “Liber in quo a calumnijs detractorum philosophia defenditur, & eius praestantia demonstrator” (Roma). Crusca. Vieri. Keywords. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Vieri: la dialettica fiorentina”, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vieri https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4597595683585724 #griceevieri https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702935444/in/photolist-2mLP4p2-2mLKAG2-2mLQ9gL-2mLQ9fU-2mLP4ps-2mLFvoA-2mLP4oW-2mLFvoF-2mKQL9s

 

 

 

 

Grice e Vigna – la regola d’oro conversazionale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rosolini). Essential Italian philosopher Filosofo. Studia Filosofia a Milano, legandosi in special modo all'insegnamento di Bontadini e Severino. Con Severino si laurea, discutendo la tesi, ‘La logica dell'astratto – generale -- e la logica del concreto – particolare’” -- è Professore di Filosofia a Venezia, ma ha insegnato anche a Milano. È stato, inoltre, il presidente della Società Italiana di Filosofia Morale. Pensiero Si è occupato di neo-idealismo Italiano e di Aristotele.  Successivamente si è concentrato in maniera speciale sull'ontologia, proponendo una ‘semantizzazione’ di ‘essere’ capace di risolvere la aporia del parmenidismo di Severino, che in qualche modo grava anche sulla speculazione di Bontadini. Questa ‘semantizzazione’ permette di leggere nel ‘divenire’ (x divenne y) non l'annullamento dell'essere (‘x e y”), ma piuttosto quello dell'ente. La differenza fondamentale è proprio quella che passa tra l'essere ‘assoluto’ che *non* diviene e l'ente finito che comincia e cessa di essere – cfr. Grice, relative identity in Geach and Myro. Questa impostazione ha consentito di raffinare ulteriormente il tema della mediazione metafisica che sfrutta e compone la posizione necessaria della totalità dell'essere con la posizione della totalità molteplice e mutabile dell'esperienza.  Insieme alle analisi di metafisica si sono svolte quelle di etica (bio-etica). L'etica è intesa fondamentalmente come un’annalisi del desiderio o volere, il quale, a sua volta, è fondamentalmente desiderio di un altro desiderio (meta-desiderio), cioè poi di un altro essere umano – il co-conversazionalista B -- che ci desideri e ci riconosca. L'etica e così ricondotta alle dinamiche delle relazioni inter-soggettive, che si possono descrivere secondo tre modelli basilari. Il primo modello è il modello griceiano – ariskantiano -- quello regolativo per l'etica. E quello in cui le soggettività si riconoscono reciprocamente come delle soggettività, e cioè come delle persone o degli esseri che pensano e desiderano in modo trascendentale. Il secondo modello è quello trasgressivo. Quello in cui le soggettività confliggono e cercano di dominare il soggetto che hanno di fronte, trattandolo come un oggetto o istrumento -- o una cosa manipolabile a loro piacimento. Il terzo modello, che si colloca a mezza strada fra i due precedenti, è quello che Vigna definisce modello griceiano ‘oblativo,’ in cui mentre una delle due soggettività riconosce l'altra e si dispone a trattare l'altra secondo la cura e il rispetto che le convengono, l'altra soggettività non offre nessun riconoscimento e cerca di imporsi sulla soggettività riconoscente come soggettività dominante. Questa impostazione onto-etica si caratterizza per il tentativo di fondare la regolatività etica del modello ariskantiano di Grice su argomentazioni che partono dal rilievo irrefutabile della trascendentalità della persona, la quale si trova invece contraddetta in tutte le situazioni di rapporto inter-soggettivo riconducibili agli altri due modelli (razionalita istrumentale, e razionalita di oppression).  Le indagini di antropologia trascendentale completano e chiudono questo percorso, ponendosi come il termine medio che stringe e salda l'ontologia metafisica all'etica. Il concetto di ‘persona’ viene inteso alla Grice e Strawson come sinergia del concetto di ‘sostanza’ e di quello di relazione (la categoria della relazione di Aristotele, la relati, o il ‘pros ti’.  Sostanza (ousia, sub-stantia,  essential) è classicamente quello che permane e sta in sé. La relazione, invece, è qui il rapporto intenzionale ad altro da sé. La persona è una sinergia di sostanza e relazione perché è sia rapporto a se stesso sia rapporto all'altro da sé, in quanto è essenzialmente una intenzionalità trascendentale, ovverosia un orizzonte consistente di relazione all'altro da sé, secondo il corso illimitato del desiderio che lo abita. Saggi: “La dialettica gentiliana” in “Giornale critico della filosofia italiana”, Religione nella filosofia di Giovanni Gentile, in “Giornale critico della filosofia italiana”, Gentile interprete di Marx, in  Enciclopedia. Il pensiero di Gentile, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Ragione e religione (CELUC, Milano); “Filosofia e marxismo” (CELUC, Milano); “Le origini del marxismo teorico in Italia. Il dibattito tra Labriola, Croce, Gentile e Sorel sui rapporti tra marxismo e filosofia (Città Nuova, Roma); “Antonio Gramsci. Il pensiero teorico e politico. La "questione leninista"” (Città Nuova, Roma); “Invito al pensiero di Aristotele” (Mursia, Milano), “Sostanza e relazione: una aporetica della persona,” in L'idea di persona, V. Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano); “L'enigma del desiderio” (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo); “La politica e la speranza, Edizioni Lavoro, Roma); “Il frammento e l'Intero: -- il toto e la parte -- indagini sul senso dell'essere e sulla stabilità del sapere, Orthotes, Napoli-Salerno, Sul trascendentale come inter-soggettività originaria, in “Le avventure del trascendentale,” A. Rigobello, Rosenberg & Sellier, Torino); “Sulla verità e sul bene” (Petite Plaisance, Pistoia); “Etica del desiderio come etica del riconoscimento” (Orthotes, Napoli). Sostanza e relazione. Indagini di struttura sull'umano che ci è comune, 2 volumi, Orthotes, Napoli-Salerno. Studi gentiliani,  Orthotes, Napoli-Salerno. Studi marxiani, Orthotes, Napoli-Salerno. Studi aristotelici, Orthotes, Napoli-Salerno; La ragione e la dialettica. Studi su Marx e Volpe (Marsilio, Venezia), “Teorie della felicità” II, Francisci, Abano Terme); “La qualità dell'uomo. Filosofi e psicologi a confronto, Franco Angeli, Milano); “Dio e la ragione, Marietti, Genova); “L'etica e il suo altro, Franco Angeli, Milano); “Strutture del sapere filosofico” Il Cardo, Venezia, “La libertà del bene, Vita e Pensiero, Milano, “Essere giusti con l'altro” (Rosenberg & Sellier, Torino); Introduzione all'etica, Vita e Pensiero, Milano,  Etica trascendentale e intersoggettività, Vita e Pensiero, Milano, “Multiculturalismo e identità” Vita e Pensiero, Milano; “La persona e i nomi dell'essere: sritti di filosofia in onore di V. Melchiorre, Vita e Pensiero, Milano. Libertà, giustizia e bene in una società plurale, Vita e Pensiero, Milano. Etiche e politiche della post-modernità, Milano, Vita e Pensiero. “Etica del plurale: giustizia, riconoscimento, responsabilità” (Vita e Pensiero, Milano); “Affetti e legami” (Vita e Pensiero, Milano); “La regola d'oro come etica universale (Vita e Pensiero, Milano (curato con S. Zanardo). Bontadini e la metafisica, Vita e Pensiero, Milano, “Metafisica e violenza” Vita e Pensiero, Milano); “Etica di frontiera. Nuove forme del bene e del male, Vita e Pensiero, Milano); “Di un altro genere: etica al femminile, Vita e Pensiero, Milano. Giorgio La Pira. Un san Francesco nel Novecento, AVE, Roma. Multiculturalismo e interculturalità. L'etica in questione, Vita e Pensiero, Milano. “La vita spettacolare. Questioni di etica, Orthotes, Napoli; Etica dell'economia. Idee per una critica del riduzionismo economico, Orthotes, Napoli-Salerno; Differenza di genere e differenza sessuale. Un problema di etica di frontiera, Orthotes, Napoli-Salerno. Il dovere dell'ospitalità, Orthotes, Napoli-Salerno. Dell'interpretazione di Gentile offerta da Vigna discutono, fra gli altri, M. Berlanda, Gentile e l'ipoteca kantiana. Linee di formazione del primo attualismo, Vita e Pensiero, Milano eBettineschi, Critica della prassi assoluta. Analisi dell'idealismo gentiliano, Orthotes, Napoli. Ora si vedano anche Studi gentiliani, Orthotes, Napoli-Salerno.  Cfr. Studi marxiani, rthotes, Napoli-Salerno.  Cfr. gli scritti raccolti in C. Vigna, Studi aristotelici, Orthotes, Napoli-Salerno. F. Saccardi, Semantizzazione dell'essere e inferenza metempirica, inPagani, Debili postille. Lettere a Vigna, Orthotes, Napoli, Cfr. anche L. Messinese, L'apparire del mondo. Dialogo con Severino sulla "struttura originaria" del sapere, Mimesis, Milano-Udine, "Vigna, invece, che pur si è formato alla scuola di Bontadini e di Severino, non segue più i suoi maestri, perché ormai egli ritiene che, se si accetta la “semantizzazione parmenidea” dell’essere, non si può evitare di estendere gli attributi dell'essere assoluto agli enti, come precisamente è avvenuto nello svolgimento del pensiero di Severino. L'errore, però, prosegue Vigna, sta proprio in questo "aver trattato la questione dell'essere come una questione di essenza". L'errore viene eliminato convincendosi che la “semantizzazione” dell'essere coincide con la 'relazione’ di essenza ed esistenza': questo è il 'tratto comune' tra tutti gli enti".  Cfr. C. Vigna, Il frammento e l'Intero,  Sulla semantizzazione dell'essere. L'eredità speculativa di Bontadini, in “Bontadini e la metafisica.” Si veda inoltre G. Solliani, “Dell'essere come essenza: per una rivisitazione del problema a partire di Aquino, in Debili postille, Il frammento e l'Intero, Cfr. anche Pagani, “Una rivisitazione della via del divenire e A. Peratoner, Intorno alla conoscibilità di Dio, la ragione, la fede, in Debili postille,  Si veda poi A. Barzaghi, Percorsi di rigorizzazione della teologia naturale nella filosofia neo-classica milanese, in Rivista di filosofia neo-scolastica. Cfr. Vigna, Etica del desiderio umano (in nuce), in Introduzione all'etica, Aporetica dei rapporti intersoggettivi e sua risoluzione, in Etica trascendentale e inter-soggettività,  Si veda anche il saggio di R. Fanciullacci, “Dell'inter-soggettività e del riconoscimento. in Debili postille, Cfr. C. Vigna, Sul trascendentale come inter-soggettività originaria. Inoltre: G. Venuti, La cura dell’altro come regola d'oro. Lettera aperta a Vigna, e S. Zanardo, Sul dono della differenza, in Debili postille, Per una discussione complessiva del pensiero di Vigna si vedano i saggi contenuti inPagani  Debili postille. Lettere a Vigna, Orthotes, Napoli. “Sostanza e relazione: una aporetica della persona.” Si può vedere ancheBettineschi, Finità e infinità della soggettività. Lettera aperta a Vigna, inBettineschi, “Intenzionalità e riconoscimento: scritti di etica e antropologia trascendentale” Orthotes, Napoli. Bergamo festival: l'intuizione, su youtube.com. Malato o persona?, su youtube.com. L'etica, su youtube.com. Treccani. Intervista a Vigna: la filosofia morale, su youtube.com. Claudio Tugnoli, Carmelo Vigna: il desiderio come orizzonte trascendentale, su mondodomani.org. Venezia, su unive Bollettino della Società filosofica italiana, Centro di Etica Generale e Applicata, su centro di etica. Centro Inter-universitario per gli Studi sull’Etica, su venus.unive. Società Italiana di Filosofia Morale, su sifm. Intervento su La Pira, su avvenire. Attualismo, problematicismo, metafisica, su filosofia. La politica e il sacro, su inschibboleth.org. Carmelo Vigna. Vigna. Keywords. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi Speranza, “Grice e Vigna: la regola d’oro conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vigna https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.6936758636336072 #griceevigna https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702936944/in/photolist-2mLP4Rj-2mKPWrs

 

Grice e Vignoli – etologia filosofica – della legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Rosignano Marittimo). Essential Italian philosopher. Filosofo. Grice: “I spent quite some time observing a species of pirot: the squarrel – mainly I was in search of what Vignoli calls ‘la legge fondamentale dell’intelligenza nel regno animale” – his ‘saggio,’ he says, is in ‘psicologia comparata,’ but since it is vintage, I might well refer to is as ‘philosophical ethology’!” -- Si trasferì a Milano. Docente di antropologia presso la Reale Accademia di Scienze e Lettere, divenne direttore del Museo di storia naturale.  I suoi scritti apparvero su Il Politecnico e sulla Rivista di filosofia scientifica. Due sue opere ebbero risonanza: “Della legge fondamentale dell'intelligenza nel regno animale: saggio di psicologia comparata” -- e “Mito e scienza”. Tito Vignoli. Vignoli. Keywords: squirrel, squarrel, psicologia comparata, etologica filosofica, una legge della intelligenza degl’animali – mito e scienza – mitos e logos – animale, legge, legge della psicologia, psicologia comparata, etologia comparata, evoluzione. Refs.: The H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e Vignoli” – “La etologia filosofica di Grice e Vignoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vignoli #https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4572874082724551 #griceevignoli https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701466892/in/photolist-2mLFwRA-2mLP5X7-2mLP5XH-2mLKCa2-2mLQaMX-2mLM5Bv-2mLFwQo-2mLFwQi-2mLM5BF-2mKEy89

 

 

Grice Vinadio: la prassi ed il valore – filosofia italiana (Torino). Grice: “Of course, Vinadio is bound to be a good dialectician, since Italian neo-idealists take Hegel’s Dialektik – or colloquenza, as the count prefers – much more seriously than the most Hegelian of Oxonians! (And I don’t mean Bradley!”) --  Grice: “I like Vinadio; but then I’m English and we like an earl!” – “My favourite of his tracts is the one about dialettica which he understood just as Plato did, only better!” -- Felice Balbo di Venadio, conte di Venadio, vide, “Il conte di Vinadio” --. Filosofo. Considerato una delle voci più significative della filosofia italiana e un intellettuale impegnato in un vasto progetto di ri-fondazione della politica nell'immediato secondo dopoguerra. Nacque da Enrico Balbo di Vinadio e da Ada Tapparo, in via Bogino 8, nella casa che era stata del conte Cesare Balbo, ministro di casa Savoia. Dopo la laurea, partecipa alla seconda guerra mondiale prima come sottufficiale degll’apini, poi come membro della resistenza. Come consulente di Einaudi cura una collana di filosofia. Nominato cattedratico di filosofia a Roma.  Si raccolse attorno a lui un piccolo gruppo di filosofi per discutere sulla crisi dei valori nella società e sui modi di superarla mediante l'impegno sociale. Il suo impegno trova espressione inoltre con i contributi alle riviste Cultura e realtà e Terza generazione. Vicino alle organizzazioni della sinistra e al Partito Comunista.  Comprende come il mutamento centrale della società e avvenuto nel rapporto tra lavoro umano e tecnica. Assunto all'IRI presso il Servizio problemi del lavoro. Si interessa di formazione del personale. Nominato direttore del Centro IRI per lo studio delle funzioni direttive aziendali. Saggi: “L'uomo senza miti”; “Il laboratorio dell'uomo”; “Studi in memoria di Gioele Solari dei discepoli” (Torino, Ramella); “La sfida storica del comunismo al Cristianesimo e le sue conseguenze filosofiche” (Il Mulino); “Idee per una filosofia dello sviluppo umano” (Torino, Boringhieri). Opere, Torino, Boringhieri, “Essere e progresso”; “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); “Lettere a Ludovica”; Archinto. Giulia Boringhieri, “Per un umanesimo scientifico. Storia di libri, di mio padre e di noi” (Torino, Einaudi); D. Cavalieri, Scienza economica e umanesimo positivo. la critica della ragione economica” (Milano, Angeli); G. Tassani, La Terza Generazione. Tra Stato e Rivoluzione” (Roma, Lavoro); G.Tassani, “Lezioni di etica” (Roma, Lavoro); G. Invitto, “Una filosofia pragmatica dello sviluppo” (Il Mulino, Bologna); G. Invitto, “Di fronte a fenomenologia ed esistenzialismo” (Adriatica Salentina, Lecce); G. Invitto, “Una questione aperta, "Italia contemporanea", Dizionario storico del movimento cattolico in Italia: I protagonisti” (Marietti, Torino); A. Grotti (Boringhieri, Torino); A. Grotti, “Un altro futuro è possible” (Egeria); V. Possenti, “La filosofia dell'essere”, Vita e Pensiero, Milano; “Tra filosofia e società” (Angeli, Milano); Giovanni Invitto, Felice Balbo. Il superamento delle ideologie, Roma, Edizioni Studium); N. Ricci, Cattolici e marxismo. Filosofia e politica” (Milano, Angeli); Dal marxismo ad economia umana” (Brescia, Morcelliana); “La prassi e il valore. La filosofia dell'essere” (Roma, Aracne); “Il cristianesimo nella sfida della “modernità” su storia e futuro” -- Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Filosofi italiani del XX secoloInsegnanti italiani Professore. Felice Balbo Vinadio. Vinadio. Keywords. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS – Luigi Speranza, “Grice e Vinadio: being, value – and colloquenza!” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #vinadio https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.5203073483037938 #griceevinadio https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702943109/in/photolist-2mLKCRN-2mLKCRH-2mLP6Ez-2mLQbpJ-2mLP6Eu-2mLP6FB-2mLQbqL-2mLQbpD-2mLM6j7-2mLFxuV-2mLM6ht-2mLM6jc

Grice e Vio – le categorie d’Aristotele – un senso, un’analogia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Gaeta). Essential Italian philosopher. Grice: “While the typical Englishman is more interested in the fact that Vio never thought that Henry VIII divorced Aragon, I prefer his commentary on the ‘prae-dicamentum’ of Aristotle, via ‘Porfirio’!” -- Grice was irritated that when ‘vio’ became a saint, the Italians list them under ‘c’. Tommaso De Vio, O.P. cardinale di Santa Romana Chiesa. Il cardinale Tommaso De Vio riceve Martin Lutero, Template-Cardinal. svg   Incarichi ricoperti Maestro generale dell'Ordine dei Predicatori Cardinale presbitero di San Sisto Arcivescovo metropolita di Palermo  Arcivescovo-vescovo di Gaeta. Cardinale presbitero di Santa Prassede Ordinato presbitero Nominato arcivescovo da Leone X Consacrato arcivescovo dal Niccolò Fieschi, Creato cardinale da Leone X. Religioso domenicano, generale dell'Ordine: teologo e diplomatico pontificio. Incontro tra Lutero e Vio  in una stampa d'epoca. Figlio di Francesco De Vio e Isabella de Sieri, entra tra i frati domenicani del monastero di Gaeta, dove assunse il nome di Tommaso, e prosegue i suoi studi in filosofia a Napoli, Bologna e Padova.  Insegna a Pavia e Roma. Acquisce una considerevole fama in seguito ad un pubblico dibattito con Pico a Ferrara. Generale dell'Ordine e consigliere dei papi. Dimostra grande zelo nel difendere i diritti papali contro il concilio di Pisa, polemizzando contro Almain in una serie di articoli messe al bando dalla Sorbona e bruciati per ordine di Luigi XII. Leone X lo crea cardinale, e fatto arcivescovo di Palermo. Arcivescovo di Gaeta. Inviato in Germania come legato apostolico per partecipare alla dieta di Augusta, si adopera con profitto per l'elezione di Carlo V d'Asburgo ad Imperatore del Sacro Romano Impero (prevalendo sull'altro concorrente Francesco I), e lì cerca di arginare la nascente riforma protestante di Lutero. Fece rientro in Roma senza essere riuscito a convincere Lutero ad abbandonare i suoi propositi di riforma, e aiuta il papa nell'estensione della bolla Exsurge Domine rivolta a contrastare il dilagare della riforma luterana. Oganizza la resistenza contro i Turchi. Venne fatto prigioniero durante il Sacco di Roma dai Lanzichenecchi, inviati da Carlo V per punire Clemente VII per il tradimento della parola datagli, poi venne liberato. Pronuncia la sentenza definitiva di validità del matrimonio di Enrico VIII e Caterina d'Aragona, rifiutando il divorzio al sovrano inglese. Accanto alla produzione teologica, secondo la linee della scuola tomista, Vio si distinque anche come esegeta. Supple alla sua ignoranza dell'ebraico, consultando esperti rabbinici e grazie alla sua familiarità con il testo greco. Pubblica un commentario della Bibbia. La sua enfasi sulla ricerca del SIGNIFICATO letterario del testo lo pone alle origini della moderna tradizione esegetica cattolica.  Saggi: “Summula Caietani”; “Opuscula omnia”; “Commentaria super tractatum De ente et essentia Thomae de Aquino”; “De nominum analogia”; “Commentaria in III libros Aristotelis De anima”; “Auctoritas Pape et Concilii siue Ecclesie comparata” (Silber); “Oratio in secunda sessione Concilii Lateranensis” (Beplin); “Apologia de comparata auctoritate pape et ecclesie”; “De divina institutione Pontificatus Romani Pontificis”; “Jentacula N.T., expositio literalis sexaginta quatuor notabilium sententiarum Novi Test.” (Roma); “Summula Caietani”; “Opuscula omnia” (Giunta); Francesco senese De Franceschi); “In Porphyrii Isagogen ad Praedicamenta Aristotelis”; “Opera omnia”; “Scripta philosophica”; “De nominum analogia”; “De conceptu entis”; “De comparatione auctoritatis papae”; “Apologia”. G. Allaria, Tommaso De Vio: cardinale Gaetano, Gaeta, La Poligrafica, Roma; Treccani – Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Conferenza Episcopale Italiana. ALCUIN, Università di Ratisbona. He wrote extensively on freewill, and had a colourful dispute with, of all people, Calvinwell represented in a painting Grice adored. Shropshire borrowed his proof for the immortality of the soul from Cajetan -- Tommaso de Vio, prelate and theologian. Born in Gaeta from which he took his name, he entered the Dominican order and studied philosophy and theology at Naples, Bologna, and Padua. He became a cardinal. During the following two years he traveled to G.y, where he engaged in a theological controversy with Luther. His major work is a Commentary on St. Thomas’ Summa of Theology 1508, which promoted a renewal of interest in Scholastic and Thomistic philosophy during the sixteenth century. In agreement with Aquinas, Cajetan places the origin of human knowledge in sense perception. In contrast with Aquinas, he denies that the immortality of the soul and the existence of God as our creator can be proved. Cajetan’s work in logic was based on traditional Aristotelian syllogistic logic but is original in its discussion of the notion of analogy. Cajetan distinguishes three types: analogy of inequality, analogy of attribution, and analogy of proportion. Whereas he rejected the first two types as improper, he regarded the last as the basic type of analogy and appealed to it in explaining how humans come to know God and how analogical reasoning applied to God and God’s creatures avoids being equivocal. Gaetano. Cajetanus. Caietanus Vio. Cajetano Vio. Caetano Vio. Gaetano Vio. Al secolo: Giacomo De Vio. Jacopo De Vio. Tommaso De Vio. Cardinal Caetano. Cardinal Gaetano. Tommaso De Vio da Gaeta, detto il Gaetano. Vio. Keywords: analogia, commentary on Porphyry on Aristotle’s categories, the example of ‘healthy’ – Grice, “Focal unity”, “Aristotle on the multiplicity of ‘being’” – ‘healthy’ – an animal is healthy – various types of analogy. Unfortunately, the Germans focus more on his the saint’s fight with Luther!” Refs.: Luigi Speranza, “Grice e de Vio” – Luigi Speranza, “Grice e Vio: Le categorie” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. #vio https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4420382827973678 #griceevio https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703156585/in/photolist-2mLQc9e-2mLKDFo-2mLKDE1-2mLKDEG-2mLKDFD-2mLKDDK-2mLFyhm-2mLP7qc-2mLKDES-2mLQc8c-2mLP7qx-2mLFyio-2mLKDEm-2mLQc8H-2mLFygK-2mLM74J-2mLM72u-2mLQdrQ-2mLP9qE-2mLFBT9-2mKNvpt-2mKxbL6-2mKfD5h-2mKk5pG-2mKh56j-E4u3XA-QwGRg8-Qwzjnt-26SLQJq-Dnva4y-CYyfnZ-CzwVom-DpPBNr-CzzzWQ-CzDRZT-DnpMHh-CzGjJa-D5XFWd-D5YaQE-D5Wmju-CYzKFB-DpPAPn-DnpvF7-DpMLQZ-Dx59M4-CzzbaG-DpKKeB-DpMFX2-D5S2Z1-DnuNE7

Grice e Virno – una popolazione di due -- filosofia ed azione – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Essential Italian philosopher. Grice: “Virno, like me, is a semiotician.” Filosofo.  Di orientamento operaista, docente di filosofia a Roma. Tra i principali esponenti dell'organizzazione della sinistra extraparlamentare Potere Operaio, il suo nome ricorse nelle cronache dei cosiddetti "anni di piombo" in Italia. Fu arrestato e detenuto in prigione per diversi anni sino alla sua definitiva assoluzione. Nel corso della detenzione elaborò il suo pensiero che trovò espressione nella rivista Luogo comune.  «Democrazia è il fucile in spalla agli operai», slogan attribuito a Potere Operaio «Mi sono formato politicamente a Genova, dove la mia famiglia viveva e io facevo liceo. Genova era esposta all’influenza di Torino, dove vi furono le prime occupazioni nel ’67; quindi nell’estate di quell’anno si mobilitarono gli studenti medi (più vivaci di quelli universitari, che invece erano in contatto con le organizzazioni tradizionai dei partiti, UGI e via dicendo). Come studenti medi fondammo dunque il Sindacato degli Studenti, che fece i primi scioperi su tematiche già sessantottesche, la lotta all’autoritarismo, solidarietà con gli studenti greci dopo il golpe dei colonnelli e quant’altro... nell’autunno sempre per un trasferimento della famiglia, sono venuto ad abitare a Roma, e di lì a non molto ho preso contatti e rapporti con il gruppo che sarebbe diventato Potere Operaio, che allora sostanzialmente nella capitale era il gruppo delle facoltà scientifiche... Entro in Potere operaio dopo gli episodi cruciali della primavera a Torino.»  Lavora a Milano come insegnante all'Alfa Romeo di Arese e all'Innocenti, organizzando anche azioni collettive nelle fabbriche sino alla dissoluzione di Potere operaio nel Presenta la sua tesi di laurea sul concetto di lavoro e la teoria della coscienza di Adorno e partecipa attivamente alle manifestazioni ad opera dei lavoratori precari e di altri emarginati. Fonda Metropoli organo ideologico del movimento politico. Nell'ambito dell'inchiesta giudiziaria nota come "7 aprile", la redazione della rivista viene accusata di appartenere in blocco all'organizzazione eversiva «costituita in più bande armate variamente denominate».  «siamo arrestati io, Castellano, Maesano e Pace (che però sfugge all’arresto, di nuovo, giuro, non per sagacia). Noi siamo arrestati,  poi ci fanno confluire, ritroviamo gli altri nel cortile di Rebibbia, nel braccio speciale, stiamo un po’ di mesi lì, poi c’è la diaspora, cioè il Ministero ordina di mandare ognuno di questi detenuti in un carcere speciale diverso, perché ovviamente, tramite avvocati, visite, benché ci fosse il regime di braccio speciale, quello era diventato una specie di luogo in cui si elaboravano documenti, lettere a giornali, si faceva campagna politica, c’erano state delle lotte interne.  Quindi, c’è la diaspora, io vado a Novara, Oreste va a Cuneo, quell’altro va a Favignana, quell’altro ancora da un’altra parte. Comincia questo giro negli speciali, e ci ritroviamo non tutti ma in parte nel carcere di Palmi, carcere per soli politici o per detenuti comuni completamente politicizzati, una specie di “Kesh”. Là dentro c’e una situazione curiosa, anche molto spettacolare, perché si incontrano assolutamente tutti. Infatti, per un primo periodo con i compagni delle BR o con Alunni o quelli dei NAP, si pensò anche di approfittare di questa situazione per avviare una discussione larga, di carattere "costituente": però, il problema è che anche lì c’è il fatto che i più spregiudicati di loro, come Curcio, erano d’accordo, avevano capito di aver perso l’essenziale, cioè il cambio di paradigma, cioè il fatto che i giovani operai erano non più riconducibili, altri invece no. Riassumendo in breve, la mia detenzione fu un anno, poi due anni liberi in cui curai la serie continua di Metropoli nell’81, due anni ancora di carcere, condanna a 12 anni in primo grado, un anno di arresti domiciliari... l’assoluzione (insieme a tanti altri imputati) du la conferma. La travagliata esperienza politica e esistenziale di questi anni sarà trasfusa da Virno nella pubblicazione di Luogo Comune una rivista dedicata all'analisi della vita nella situazione sociale del "postfordismo".  Lascia il lavoro di editore della rivista per insegnare filosofia a Urbino e filosofia del linguaggio, semiotica ed etica della comunicazione a Calabria da dove si trasferisce a Roma. Convinto della necessità di un nuovo linguaggio della politica che chiarisca le trasformazioni economiche, sociali e culturali che da più di un decennio caratterizzano le società occidentali, introduce nella “Grammatica della moltitudine” una riflessione sul contrasto tra i termini di popolo e moltitudine che generano una accesa polemica teorico-filosofica. Quando avvenne la formazione degli stati nazionali fu l’espressione “popolo” a prevalere. Virno si domanda se non sia venuto il tempo di restaurare l'altro concetto della moltitudine. La multitude è quell'insieme di persone che nell'azione politica e in quella economica, pur agendo collettivamente non perdono il senso della propria individualità, resistendo sempre alla riduzione a unica massa informe com'è nel termine di "popolo". La moltitudine è dunque la base delle libertà civili.  In contrapposto, moltitudine e una pluralità che non si sintetizza nell'uno, il più grave pericolo per l'autorità dello Stato che esercita il «supremo imperio».  Dopo i secoli del “popolo” e quindi dello Stato (Stato-nazione, Stato centralizzato ecc.), torna infine a manifestarsi la polarità contrapposta, abrogata agli albori della modernità. La moltitudine come ultimo grido della teoria sociale, politica e filosofica? Forse.” Opere: “L'idea di mondo: intelletto pubblico e uso della vita” (Editore: Quodlibet); “Saggio sulla negazione: per una antropologia linguistica” (Editore: Bollati Boringhieri); “E così via, all'infinito: Logica e antropologia” (Boringhieri), “Motto di spirito e azione innovative: per una logica del cambiamento” (Boringhieri); “Quando il verbo si fa carne: linguaggio e natura umana” (Boringhieri); “Scienze sociali e natura umana -- facoltà di linguaggio, invariante biologico, rapporti di produzione” (Rubbettino); “Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee” (Editore: DeriveApprodi); “Esercizi di esodo. Linguaggio e azione politica” (Ombre Corte); “Il ricordo del presente. Saggio sul tempo storico” (Editore: Bollati Boringhieri); “Parole con parole: poteri e limiti del linguaggio” (Donzelli); “Mondanità. L'idea di «Mondo» tra esperienza sensibile e sfera pubblica” (Manifestolibri); “Convenzione e materialism” (Theoria). Roma Tre  Intervista, Hecceitas. Questo termine è entrato nel linguaggio corrente per indicare un insieme di caratteristiche economiche, sociali e istituzionali del nostro presente, avvertite pessimisticamente come profondamente diverse rispetto al nostro recente passato e in genere come molto negativamente mutate. Fordismo e postfordismo. Qualche dubbio su alcune certezze della sinistra italiana. Protagonisti. Grammatica della moltitudine. Per una analisi delle forme di vita contemporanee” (DeriveApprodi); “Anni di piombo: potere operaio"; Lessico postfordista: dizionario di idee della mutazione. Feltinelli, sito "Filosofico.net".  Virno. Keywords: due e moltitudine, linguaggio e azione, linguaggio, base biologica, invariante biologica, rappori di produzioni, natura umana, el verbo fatto carne. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS. Luigi Speranza, “Grice e Virno”; “Grice e Virno: la conversazione: una popolazione di due!” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria #virno https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4635750753103550 #griceevirno https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701474357/in/photolist-2mLFz6k-2mLFz5y-2mLKErr-2mLM7N9-2mLFz5i-2mLQcSt-2mLKErw-2mLFz6f-2mLM7PB-2mLM7Pb-2mLKEsD-2mLKEsy-2mLM7NE-2mLQcQV-2mLQcRM-2mLKErg-2mLP87x-2mLP88e-2mLQcR6-2mLQcR1-2mLP88Q-2mLFz5P-2mLKErB-2mLFz41-2mLFz4b-2mKJTNA

Grice e Viroli: res pubblica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Forlì). Essential Italian philosopher.Actually “Viroli-Cavalieri”? Grice, “I shall be fighting soon.” “The loyalty for one’s country is not based on evidence.”Maurizio Viroli (Forlì), filosofo. Durante il settennato di Carlo Azeglio Ciampi ha servito la Presidenza della Repubblica Italiana. Attualmente è Professore a a Lugano. I suoi campi di ricerca sono la Filosofia politica e la Storia del Pensiero politico. I suoi autori di riferimento sono Machiavelli, Rousseau, Mazzini, Croce, Carlo Rosselli e Nello Rosselli. La sua ricerca si basa sul metodo contestualista di Quentin Skinner a cui ha apportato alcune innovazioni. Il suoi riferimenti politico-ideali sono il Repubblicanesimo e l'Azionismo (Partito d'Azione). Alle numerose pubblicazioni scientifiche affianca l'attività di saggista e quella di editorialista. Collabora e ha collaborato ad alcune testate giornalistiche, tra cui La Stampa, il Sole 24 ORE e Il Fatto Quotidiano. Maurizio Viroli ha frequentato il Liceo scientifico statale Fulcieri Paulucci di Calboli di Forlì. Come egli stesso racconta nel libro L'autunno della Repubblica, per mantenersi agli studi ha lavorato fin da giovanissimo come garzone di bottega, come cameriere d'albergo e come operaio presso lo zuccherificio della sua città. Di quegli anni dice:" [...] quando ero bambino abitavo a Forlì con i miei genitori, in via Archimede Mellini, in un appartamento angusto e freddissimo, riscaldato soltanto da una stufa a gas tenuta, per la nostra povertà, sempre con la fiammella azzurrognola al minimo."  Al termine degli studi liceali si è iscritto alla facoltà di Lettere e Filosofia dell'Bologna. Nel 1976 si è laureato magna cum laude in Filosofia con una tesi dal titolo Metodo e Sistema in Engels. Svolve il Servizio di leva a Casarsa della Delizia, in Friuli-Venezia Giulia.  Il ritorno alla vita civile è stato all'insegna del precariato. Percepiva un piccolo salario organizzando convegni e lavorando come redattore alla rivista Problemi della transizione presso Istituto Gramsci di Bologna.  è stato ammesso al dottorato di ricerca presso l'Istituto Universitario Europeo di Firenze. Di fronte alla commissione composta dai Maihofer, Skinner, Bobbio, Cranston, e Moulakisha, ha discusso la tesi “La società bene ordinata” pubblicata per Il Mulino. Ha perfezionato la sua formazione svolgendo attività di ricercar. Insegna comunicazione politica alla Svizzera. Dirige il Laboratorio di Studi civili, Svizzera italiana.  Finanziamento del Fondo Svizzero per la Ricerca Scientifica con il progetto di ricerca che prevede l'impegno di un folto gruppo di ricercatori.  I suoi interessi di studio ruotano intorno alla Filosofia politica e alla Storia del Pensiero politico. Studia il Repubblicanesimo nella sua accezione classica da Machiavelli a Rousseau e in quella contemporanea. Si occupa di religione e politica, di retorica classica, libertà e tirannide, di patriottismo e nazionalismo, di etica civile, di diritti e doveri. Pone particolare attenzione ai fondamenti della convivenza civile. I suoi periodi storici di riferimento sono il Rinascimento, il Risorgimento e l'Antifascismo. I suoi autori di riferimento sono Machiavelli, Rousseau, Mazzini, Croce, Carlo e Nello Rosselli.  Come impegno civile si occupa di Educazione civica e della difesa e dell'attuazione della Costituzione della Repubblica Italiana. Ha collaborato con la Direzione Generale dell'Ufficio Scolastico Regionale per le Marche a progetti di Educazione alla Cittadinanza. Fonda il Master in Civic Education presso l'associazione Ethica di Asti. Co0ordinato e diretto progetti di Educazione civica per la Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo. Dirige un progetto a San Marino. Dirige il progetto Lezioni di Casa Cervi-Scuola di Etica civile presso Casa Cervi. Ha preso parte attivamente alle campagne referendarie svoltesi in occasione del referendum costituzionale, contro la riforma proposta dal centro-destra, e del referendum costituzionale del, contro la cosiddetta riforma costituzionale Renzi-Boschi. Ha collezionato inviti e incarichi di insegnamento presso prestigiose istituzioni culturali. Insegna a Pisa, Trento, Molise, Ferrara, Catania ed Urbino. Collabora con Milano e la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, Scuola superiore di polizia, Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, il Collegio Carlo Alberto e l'Associazione Nazionale Comuni Italiani, la Fondazione Alcide Cervi presso Casa Cervi.  Spiega la le sua posizione politica. Non sono soltanto uno studioso del repubblicanesimo, mi sento repubblicano. Amo il princìpio della reppublica e cerco di applicarli nella vita e nell’analisi dei fatti politici e sociali. Più oltre, in riferimento a Ciampi racconta. La prima volta che lo incontro provo la sensazione di trovarmi di fronte ad un uomo di straordinaria energia morale, l’esempio vero della migliore cultura del Risorgimento e dell’azionismo. Rammento ancora le parole che mi dice dopo aver ascoltato con attenzione la mia considerazione sul significato del concetto di amor di patria. Quello che lei dice l’ho sempre sentito e vissuto nella mia coscienza. Fu allora che realizzai che io sono prima uno studioso di repubblicanesimo e poi un repubblicano. Ciampi è repubblicano nell’intimo della coscienza: repubblicano e azionista. Anzi, credo, repubblicano perché azionista. Anche l'anti-fascismo é rilevante nel suo patrimonio ideale. Trovo in Croce, Rosselli, Parri, Rossi, Calamandrei per citare soltanto i nomi più noti non solo idee e argomenti in perfetta sintonia con il mio anti-fascismo assoluto e intransigente, ma anche e soprattutto le più convincenti riflessioni sulle ragioni della fragilità della libertà italiana. Il patriottismo”si oppone al nazionalismo, anzi, ne è l'antidoto. Ancora ne “L'Autunno della Repubblica” si legge a proposito del “Per amore della patria”. n Italia abbiamo una tradizione di patriottismo di straordinario valore morale e politico, la migliore che io conosca. Mi riferisco in primo luogo al patriottismo di Mazzini, fondato sul principio che la patria non è il territorio bensì un principio di libertà, e al patriottismo degli anti-fascisti di “Giustizia e Libertà”, concordi nell’affermare che la nostra patria coincide con il mondo morale delle persone libere non e poi idea tanto peregrina sostenere che il patriottismo repubblicano e il mezzo più efficace per combattere la marea del nazionalismo che cominciav a montare. Credo sia troppo tardi”. Infine, ci spiega il suo relativismo. Sulle questioni etiche sono stato sempre un convinto relativista, con comprensibile scandalo di molti. Se il dovere esiste soltanto là dove la coscienza morale personale lo riconosce come tale, segue necessariamente che ci sono persone che riconoscono quali loro doveri determinati princìpi, altre che riconoscono quali loro doveri princìpi diversi, se non del tutto opposti. Il pluralismo e il contrasto dei doveri sono sotto gli occhi di tutti. Ad alcuni il dovere indica il servizio e la pratica della carità, ad altri la pura e semplice affermazione di sé stessi, anche a costo di usare altri esseri umani come mezzi. La ragione, tante volte invocata quale guida sicura all’agire umano, non detta i fini ma solo i mezzi. Lo spiega in modo esemplare un filosofo morale completamente dimenticato, Juvalta. La ragione per sé non comanda nulla. Né l’egoismo né l’altruismo. Né la giustizia. La ragione cerca, e mostra, se le riesce, i mezzi che servono a conservar la vita a chi la vuol conservare, a distruggerla a chi la vuol distruggere. La ragione addita ai pietosi le vie della pietà, ai giusti le vie della giustizia, e le vie del proprio tornaconto agli uomini senza scrupoli. Ma l’egoismo non è per sé più ‘razionale’ dell’altruismo, né il regresso più razionale del progresso. Né la conservazione dell’individuo più razionale di quella della specie. Né l’utile proprio più razionale che l’utile della collettività. Razionale non e il fine, ma la relazione del mezzo al fine. Ed è così ragionevole che dia la vita per un’idea chi pregia più l’idea che la vita, come che taccia la verità per un ciondolo chi ama più i ciondoli che la verità. Consulente della Presidenza della Repubblica Italiana per le attività culturali durante il settennato di Ciampi. Collabora con la Presidenza della Camera dei Deputati durante la presidenza di Violante. Coordinatore del Comitato Nazionale per la Valorizzazione della Cultura della Repubblica presso il Ministero dell'Interno.  Presidente dell'Associazione Mazziniana. Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiananastrino per uniforme ordinaria; Ufficiale dell'Ordine al merito della Repubblica italiana di iniziativa del Presidente della Repubblica» Saggi: “Nazionalisti e patrioti” (Roma-Bari, Laterza); “Etica del servizio e etica del commando” (Napoli, Scientifica); “L’autunno della repubblica” (Roma, Laterza); “La redenzione dell’Italia: sul principe” (Roma, Laterza); “Il sorriso di Machiavelli” (Roma, Laterza); “Scegliere il principe: i consigli di Machiavelli al cittadino elettore” (Roma, Laterza); “L’Intransigente” (Roma, Laterza); “Le parole del cittadino” (Roma, Laterza); “La libertà dei servi” (Roma, Laterza); “Lo scrittore di ricami” (Reggio Emilia, Diabasis); “Come se Dio ci fosse: religione e libertà nella storia d’Italia” (Torino, Einaudi); “Machiavelli filosofo della libertà” (Roma, Castelvecchi); “L’Italia dei doveri” (Milano, Rizzoli); “Il dio di Machiavelli e il problema morale dell’Italia” (Roma, Laterza); “Dialogo intorno alla repubblica” (Roma, Laterza); “Il sorriso di Machiavelli” (Roma, Laterza); “Per Amor alla Patria: patriottismo e nazionalismo nella storia” (Roma, Laterza); “Dalla politica alla ragion di stato” (Roma, Donzelli); “L’etica laica di Juvalta” (Milano, Angeli); “La civiltà statuale’, in Francesco Di Donato Cultura civica e civiltà statuale, Bologna, Il Mulino.  ‘Libertà e profezia in Machiavelli’, Machiavelli e i confini del potere” (Milano, Mimesis); “La passione civile e la scienza politica di Sartori’, Protagonisti sempre. Un secolo di storia visto con gli occhi dei ragazzi, Reggio Emilia, Imprimatur ‘Prefazione’, in Carlo Mosca, Il prefetto e l’unità nazionale, Napoli, Editoriale Scientifica. ‘Skinner’, ‘God’ and ‘Macaulay’, Enciclopedia machiavelliana” Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Vita di Machiavelli” (Roma, Castelvecchi); “La tradizione del Risorgimento” (Roma, Castelvecchi); “Se è libero bisogna che creda”; “Cinque variazioni sul credere” (Torino, Abele); “L’attualità del principe”; “Il principe e il suo tempo” (Roma, Complesso del Vittoriano, Salone centrale, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana); “La moralità della Resistenza: l’esperienza del partigiano Bosco” (Benevento, Associazione Terre dei Gambacorta); “Dalla patria allo Stato. Una biografia intellettuale di Spaventa” (Roma, Laterza); “‘La costituzione repubblicana: un manuale di educazione civica’, in Lessico civico: teorie e pratiche della cittadinanza, Reggio Emilia, Diabasis); “Le origini meridiane del repubblicanesimo’, Ethos repubblicano e pensiero meridiano” (Reggio Emilia, Diabasis); “La dimensione religiosa del risorgimento -- Cristiani d’Italia. Chiese, società, stato” (Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana); “La libertà politica è un bene fragile’, Lettera internazionale. Rivista trimestrale europea); “Ragione e passioni nell’educazione civica -- Questioni civiche. Forme, simboli e confini della cittadinanza” (Reggio Emilia, Diabasis); “La Costituzione: il pilastro di cristallo” (Napoli, Pitagora); Machiavelli, il carcere, Il Principe’, in Gli anni di Firenze, Roma-Bari,.  in La Costituzione ieri e oggi. Roma, Atti dei Convegni Lincei Roma, Bardi); “Etica e diritto: la forza intelligente per sconfiggere la violenza’ in Regione Piemonte, Piano regionale per la prevenzione della violenza contro le donne e per il sostegno alle vittime. ‘Religione e libertà nella Democratie en Amérique’, Fra libertà e democrazia: l’eredità di Tocqueville e J. S. Mill, Milano, Franco Angeli.  ‘Una nuova utopia della libertà’, Quaderni del Circolo Rosselli, ‘Machiavelli’s Realism’, Constellations,  ‘Religione”; “Tutte le ragioni del liberalismo’, Dove Ratzinger sbaglia”; “Machiavelli oratore”; “Machiavelli senza i Medici, scrittura del potere, potere della scrittura. Atti del convegno di Losanna (Roma, Salerno); ‘Due concetti di religione civile’, in Maurizio RidolfiRituali civili: storie nazionali e memorie pubbliche nell’Europa contemporanea, Roma, Gangemi.  ‘Patriottismo e rinascita civile’, Aspenia,  in Mazzini, Scritti politici” (Torino, POMBA); “Che cos’è l’uomo? Raccolta di giovani pensieri, Senigallia, MIUR, Le Marche); “Repubblicanesimo”; “Dizionario di Politica” (Torino, POMBA); “Libertà democratica, libertà repubblicana e libertà socialista”; “Repubblicanesimo democrazia socialismo delle libertà”; “Incroci” per una rinnovata cultura politica” (Milano, Angeli); “Il lavoro nobilita l’uomo e l’impresa’, Impegno. Mensile di cultura sociale”; “Della lontananza’, La saggezza del vivere. Tracce di etica” (Reggio Emilia, Diabasis); “Repubblicanesimo e Costituzione della Repubblica’ Almanacco della Repubblica: storia d’Italia attraverso le tradizioni, le istituzioni e le simbologie repubblicane, Milano, Bruno Mondadori.  ‘Europa contro america?’, Il pensiero mazziniano, ‘Dio nella costituzione’, Il pensiero mazziniano, Con Norberto Bobbio, ‘Sul rientro dei savoia’, Il pensiero mazziniano, ‘Scrivere la costituziuone. L’esempio della storia americana’, Il pensiero mazziniano”; “Il despota e il tiranno si sono fatti furbi’, Il pensiero mazziniano, ‘Il repubblicanesimo di Machiavelli”; ‘Le ragioni di un dibattito’, Politica e cultura nelle repubbliche italiane dal Medioevo all’età moderna: Firenze, Genova, Lucca, Siena, Venezia. Atti del convegno (Siena), Roma, Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea.  ‘Giù le mani da Carlo Cattaneo’, Il pensiero mazziniano, ‘Questioni attorno al repubblicanesimo”;  “Il pensiero mazziniano”; “Repubblicanesimo, liberalismo e comunitarismo”; Filosofia e questioni pubbliche; “Machiavelli’, Il pensiero politico. Idee, teorie, dottrine. Età moderna” (Torino, POMBA); “La repubblica romana’, Il pensiero mazziniano, ‘Repubblicanesimo’,  ‘La sinistra non scordi la Patria’, Il pensiero mazziniano,  ‘I guerrieri di Dio: chi sono i theoconservatori che scendono in lotta contro aborto, eutanasia e gay’, La Stampa,  ‘L’arcipelago progressista: l’orgogliosa cultura liberal, fra battaglie per le minoranze, ambientalismo e progetti per riprendere il New Deal’, La Stampa, “Discussione americana e caso italiano”; “Piccole patrie, grande mondo” (Roma, Donzelli); “Il significato storico della nascita del concetto di ragion di stato’, Aristotelismo politico e ragion di Stato. Atti del Convegno a Torino” (Firenze, Olschki); “Patrioti o Traditori?”; “L’Indice”; “Il ritorno della nazione’, I democratici,   ‘L’etica politica ciceroniana e il suo significato moderno’, Nuova Civiltà delle Macchine, ‘La cattiva retorica dell’autonomia della politica’, Il Mulino, ‘Nazionalismo e patriottismo’, Il Mulino); “Una filosofia civile tra comunitari e liberali’, Ragioni Critiche,  ‘Introduction’, in Quentin Skinner, Le origini del pensiero politico moderno” (Bologna, Il Mulino); “L’Indice”; “Machiavelli e Rousseau: i dilemmi della politica republicana”; “Teoria Politica, ‘“Revisionisti” e “ortodossi” nella storia delle idee politiche”, Rivista di filosofia); “Dovere morale e pluralismo etico in Juvalta’, Rivista di Storia della Filosofia); “La “Morale dei Positivisti” e l’etica del socialismo’, L’età del positivismo” (Bologna, Il Mulino); “Il Marxismo e l’ideologia del socialismo italiano’, Despotismo e cittadini’, Transizione, Juvalta e la teoria della giustizia, Rivista di filosofia,  ‘Labriola “filosofo del socialismo”’, Giornale critico della filosofia italiana, ‘Aspetti della recezione di Engels in Italia. Tra socialismo scientifico e crisi del marxismo”; “L’Antidühring: affermazione e deformazione del marxismo? Annale V della Fondazione Issoco” (Milano, Angeli); “Il problema dell’etica razionale in Juvalta’, “Studi sulla cultura filosofica italiana” (Bologna, CLUEB); “Etica e marxismo. A proposito di una recente discussione’, Problemi della Transizione”; “Socialismo e cultura, 'Studi Storici”; “Il dialogo fra Engels e Labriola”; “Critica marxista”; “Nella crisi del positivismo: la ricerca teorica del divenire sociale” (Giornale critico della filosofia italiana); “Filosofia e politica nell’Engels di Mondolfo’, Pensiero antico e pensiero modern” (Bologna, Cappelli); “Wellness. Storia e cultura del vivere bene” (Milano, Sperling & Kupfer); “Libertà politica e virtù civile”; “Significati e percorsi del repubblicanesimo classico” (Torino, Agnelli); “Lezioni per la repubblica: la festa è tornata in città” (Reggio Emilia, Diabasis); “Ascesa e declino delle repubbliche” (Urbino, Quattro Venti); “L'Autunno della Repubblica” (Laterza); “Per Amore della patria. Patriottismo e nazionalismo nella storia” (Laterza); Quirinale: maurizioviroli. blogspot.com.  issuu.com/edizioni-in-magazine/docs/forli Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche della RAI  profilo biografico da Ethica Forum profilo dall'Università della Svizzera italiana Nello Ajello, Quanti servi in giro per l'Italia, recensione a La libertà dei servi, la Repubblica, La libertà dei servi, Associazione Labini; “La libertà dei servi; L'intransigente, da Fahrenheit del Radio Tre. Viroli. Keywords: ragion di stato, repubblica, repubblicanismo, la repubblica romana, la morte della repubblica romana, l’assassinio di Giulio Cesare, Catone Uticense, la repubblica romana, del re Romo alla repubblica romana, il ratto di Lucrezia – republicanism e principato, la repubblica romana, il gusto per l’antico; quasi-contratto, il sorriso di Macchiavelli. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft MS, Luigi Speranza, “Grice e Viroli: Contrattualismo e quasi-contrattualismo” – Luigi Speranza: “Il sorriso di Viroli: Grice e Machiavelli ironista” -- The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #viroli https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4635626396449319 #griceeviroli https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703160970/in/photolist-2mLQdrQ-2mLKEZA-2mLP8Gf-2mLP8FU-2mLP8Fo-2mLQdqn-2mLP8Ft-2mLKEYZ-2mLKEYJ-2mLP8FD-2mLM8nR-2mLQdq7-2mLP8Em-2mLFzzg-2mLM8nL-2mLFzzb-2mLP8Ew-2mLKEXX-2mjy7tc-9j8mNo-LRNoHP-KQPArj-eSWyTf-m4tXnB-8FhbQe-La6pSW-a7WyTW-LhNq3u-2m8rhHv-7pgDo7-nB25oQ-m1aKcY-m1aNRS-m1a1Lp-3f6Qug-7pcaqn-odWMRT-7BKxYV-7BPmmC-7BPmd3-7BPkZG-7BPkwC-7BPkmA-7BKy7a-7BKxRH-7BKxsp-7BKxbz-7BKzTv-7BPmQN-7BKzKD

Grice e Vittielo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). “Come la lingua degl’eroi divide gl’eroi dagl’uomini, così la lingua volgare divide i filologi dai filosofi. La lingua volgare, comune a ogni uomo, non riusce a descrivere la natura e le proprietà delle cose, sorge la scissione tra i filosofi che si dettero ad investigare sulla natura delle cose, e i filologi che invece investigano sulle origini delle parole. Così la filosofia e la filologia che sono nate tutte e due dalla lingua degl’eroi, vennero ad essere divise dalla lingua volgare o commone. Essential Italian philosopher. Filosofo. Insegna a Salerno. Studioso di Vico, dell'idealismo e del pensiero di Nietzsche e Heidegger in rapporto con la filosofia romana, elabora una teoria ermeneutica, una ‘topo-logia,’ fondata su una re-interpretazione del concetto di spazio come orizzonte trascendentale dell'operare umano. Gli sviluppi della topologia riguardano in particolare la genealogia della communicazione. Affronta più volte la fede da un punto di vista laico. Fonda “Paradosso.” Collabora a “Filosofia” (Laterza) e a numerose altre riviste specialistiche del settore filosofico, tra cui “aut aut.” Dirige “Il pensiero”. Collabora all'Annuario Filosofia e all'Annuario sulla Religione. Pubblica in Teoria, ed altre ancora. Svolge un'intensa attività pubblicistica su quotidiani e periodici. Ha tenuto cicli di conferenze e seminari. Saggi:“Filosofia della pratica e dottrina politica in Croce” (Napoli); “Etica e liberalismo in Croce” (Napoli); “Il carattere discorsivo del conoscere” (Napoli); “Antoni interprete di Croce” (Napoli, Storiografia e storia nel pensiero di Croce, Libreria Scientifica, Napoli, “Sentimento e relazione nell’empirismo” (Napoli); Storiografia e storia in Croce, Napoli, “Il nulla e la fondazione della storicità” (Argalia, Urbino); “Dialettica ed ermeneutica” (Guida, Napoli); “Utopia del nichilismo, Guida, Napoli); “Studi Heideggeriani” (Roma); “Ethos ed eros” (ESI, Napoli); “Logica e storia in Hegel” (Napoli); “Il problema del cominciamento, Guida, Napoli; “Hegel e la comprensione della modernità”; “Topologia del moderno, Marietti, Genova, “La voce riflessa”; “Logica ed etica della contraddizione” Lanfranchi, Milano,  Elogio dello spazio. Ermeneutica e topologia, Bompiani, Milano, Cristianesimo senza redenzione, Laterza, Roma-Bari, Non dividere il sì dal no. Tra filosofia e letteratura” (Laterza, Roma); “Filosofia teoretica: le domande fondamentali: percorsi e interpretazioni, Milano, “La favola di Cadmo” (Laterza, Roma); “Vico e la topologia” (Cronopio, Napoli); “La vita e il suo oltre: sulla morte” (Roma); “Il Dio possibile, esperienze di cristianesimo” (Città Nuova, Roma); “Hegel in Italia” (Milano); “Dire Dio in segreto” (Roma); Cristianesimo e nichilismo: Dostoevskij-Heidegger, Morcelliana, Brescia Estetica e ascesi, Modena, E pose la tenda in mezzo a noi, AlboVersorio, Il Decalogo. Ricordati di Santificare le feste; I tempi della poesia. Ieri/oggi” (Mimesis, Milano); “Dipingere Dio” (AlboVersorio); “Vico. Storia, linguaggio, natura, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “Ripensare il cristianesimo-De Europa, Ananke); “Oblio e memoria del sacro, Moretti & Vitali, Bergamo, “Grammatiche del pensiero: dalla kenosi dell'io alla logica della seconda persona” (ETS, Celan), Heidegger (Mimesis,  I comandamenti. Non dire falsa testimonianza, Il Mulino,  L'ethos della topologia. Un itinerario di pensiero” (Lettere, Firenze); Paolo e l'Europa. Cristianesimo e filosofia” (Città Nuova, Roma); “L'immagine infranta,” Linguaggio e mondo in Vico” (Bompiani, Milano);“Vico: tra storia e natura,” in aut aut); “Complessità e aporie del moderno, in Filosofia politica; “Dall'ermeneutica alla topologia, in aut aut; “Goethe interprete della modernità” in aut aut; “Per amicizia: Epochè e metafora”; in aut aut, Sentire le Radici, la Terra stessa, in aut aut; “Zanzotto, ovvero: la poesia come genealogia della parola in aut aut; “Redaelli, Il nodo dei nodi; L'esercizio del pensiero in Vattimo, Vitiello, Sini, ETS, Pisa, Luoghi del pensare” (Mimesis, Milano); Enciclopedia multimediale delle scienze filosofiche di RAI Educational;"Filosofia". Vittielo. Keywords: la lingua dell’eroe, la lingua degl’eroi, Lazio, lazini, italiano, volgare, Lucrezio, confronto vichiano, vicho contro vico, la lingua eroica di Vico. Vico, semiotica. Refs.: H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Vittielo” – “Topologia semiotica di Vico” – “Il Vico di Vittielo” – “Vico e il segno infranto”, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.  #vittielo https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4634892216522737 #griceevittielo https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702954709/in/photolist-2mLKGro-2mLKGqm-2mLPa8B-2mLKGp9-2mLQeUV-2mLFB8r-2mLFB8G-2mLKGp4-2mLM9QF-2mLQeUj-2mLFB8B-2mLM9QL-2mLPa9d-2mLPa7E-2mLM9R2-2mLPa7V-2mLKGoN-2mLQeVS-2mLM9Pt-2mLQeVm-2mLKGqS-2mLPa9P-2mLPa8r-2mLFB7V-2mLKGq6-2mLKGqg-2mKQh7E-2mKSowv-2mKNUs2

 

 

Grice e Volpe: logica come scienza storica – filosofia Italian – Luigi Speranza (Imola). Essential Italian philosopher. Filosofo. Si laurea in filosofia con Mondolfo a Bologna, insegnando dapprima presso il liceo Galvani a Bologna e il liceo Alighieri a Ravenna, e a Messina.  Legato inizialmente alla tradizione di Gentile, si dedica a questioni strettamente teoretiche e storico-filosofiche, attestandosi infine su posizioni fortemente anti-idealistiche. Approda così attraverso la ri-valutazione dell'empirismo e dell’umanesimo, mantenendo un'impostazione fondamentalmente dialettico-materialistica in costante confronto critico e polemico soprattutto con la dialettica hegeliana e l'idealismo post-hegeliano, ma anche con le correnti positivistiche semiotica, e con l'esistenzialismo. Questa svolta, testimoniata dal Discorso sull'ineguaglianza, lo conduce a un sempre maggiore interesse per i problemi della filosofia politica e dell'etica, considerati comunque in stretto rapporto con le questioni semiotiche. Non abbandona comunque i propri interessi storico-filosofici. Tra i saggi quello che, oltre ad aver avuto più ampia diffusione, rappresenta il più perspicuo esempio della sua capacità di di muoversi con piena consapevolezza critica tra i piani teoretico, storico e politico, è senz'altro il saggio “Rousseau e Marx.” Il concetto di “libertà” (cf. Grice, “Freedom”) è perfettamente integrabile con la dottrina di Rousseau, il quale quindi non sarebbe da considerarsi né tra i teorici della rivoluzione borghese né tra i nostalgici di una società parcellizzata in piccolissime unità cittadine, ma tra i più attuali preconizzatori della società egualitaria. Un altro dei punti nodali del pensiero di Volpe è il tentativo di elaborare una teoria estetica rigorosamente materialista. Sottolinea il ruolo delle caratteristiche strutturali e del processo sociale di produzione della ‘espressione’ nella formazione del giudizio estetico e in forte polemica con la dottrina dell'intuizione di Croce -- da lui considerata in continuità con la tradizione romantica e misticheggiante, elabora il concetto di gusto come principale fonte del giudizio estetico. Presenta nella filosofia italiana una posizione contro-corrente. Saggi:“L'idealismo dell'atto e il problema delle categorie” (Bologna, Zanichelli); “Le origini e la formazione della dialettica hegeliana”; “Hegel romantico e mistico” (Firenze, Monnier); “Il misticismo speculativo di Eckhart” (Bologna, Cappelli); “La filosofia dell'esperienza” (Firenze, Sansoni); “Espressione” (Bologna, Meridiani); “Il principio di contraddizione e il concetto di sostanza prima in Aristotele: contributo a una critica dei pensieri logici” (Bologna, Azzoguidi); “Crisi dell'estetica romantica” (Messina, Anna); “Critica dei principi logici” (Messina, D'Anna); “Discorso sull'ineguaglianza. Con due saggi sull'etica dell'esistenzialismo” (Roma, Ciuni); “Emancipazione e tras-mutazione dei valori” (Messina, Ferrara); “Libertà: saggio di una critica della ragion pura pratica” (Messina, Ferrara); Studi sulla dialettica mistificata”; “Lo stato moderno rappresentativo” (Bologna, UPEB); “Umanesimo”; “Studi e documenti sulla dialettica materialistica, Bologna, Zuffi, “Logica come scienza positive”, Messina-Firenze, D'Anna, Eckhart o della filosofia mistica, Roma, Edizioni di storia e letteratura, Poetica del Cinquecento. La poetica aristotelica nei commenti essenziali degli ultimi umanisti italiani con annotazioni e un saggio introduttivo, Bari, Laterza, Il verosimile filmico e altri scritti di Estetica, Roma, Edizioni Film critica,  Roma, La nuova sinistra, Rousseau e Marx e altri saggi di critica materialistica, Roma, Editori Riuniti, “Critica del gusto” (Milano, Feltrinelli, Chiave della dialettica storica, Roma, Samonà e Savelli,  Umanesimo ed emancipazione, Milano, Sugar, Critica dell'ideologia contemporanea. Saggi di teoria dialettica, Roma, Editori Riuniti, Schizzo di una storia del gusto, Roma, Editori Riuniti, Opere, Ignazio Ambrogio, Roma, Editori Riuniti, Carlo Violi, La Libra, Messina); Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Volpe. Keywords: critica del gusto per l’antico, il gusto per gl’antichi degl’antichi, chiave della dialettica storica, la logica come storia. Refs.:  H. P. Grice, The H. P. Grice Papers, Bancroft; Luigi Speranza, “Grice e Volpe: l’espressione” – The Swimming-Pool Library, Liguria. #volpe https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4630968216915137 #griceevolpe https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701483802/in/photolist-2mLFBT9-2mLMavd-2mLFBRL-2mLFBT4-2mLKH9W-2mLKH9A-2mLMaxs-2mLQfFV-2mLMaxx-2mLKH9F-2mLPaVy-2mLKH9f-2mLKH8J-2mLFBSH-2mLR8fW-2mKTk4n-2mKQba4-2mKP3yh-RcWNwE-2ceLjKb-2dkLH9H-Rfq5Uo-2dpr57R-2ceMC3W-Rfq5Qf-2bX5TFt-2cisBSE-2bX6L2P-2chQVNm-2dgf1BA-RgAsYs-2dgf1Bq-2dkLH9x-2c1bzrc-2bX6L42-RgAsXW-2djXGNh-PC87FB-2mKSfUg-2mKQaRt-2mKJFw1-2doQtst-2c1bzqF-PzCr2z-2chg4Z9-2dgekHJ-2bX5TH2-2chg4ZE-RcWNwj-2ceLjK1

 

 

Grice e Volpi – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vicenza). Essential Italian philosopher. Filosofo. “Wild clarity” in Heidegger! Professore a Padova. Borsista della Fondazione Alexander von Humboldt di Bonn, membro dell'Institut International de Philosophie di Parigi, dell'Istituto veneto di scienze, lettere ed arti e dell'Accademia Olimpica di Vicenza, fu insignito dei premi "Montecchio" e "Nietzsche.” Tra le sue numerose pubblicazioni: “Heidegger e Brentano”; “La rinascita della filosofia pratica in Germania”; “Heidegger e Aristotele”; “Il nichilismo”; “Guida a Heidegger”; “I prossimi Titani. Conversazioni con Jünger (con Antonio Gnoli), Dizionario delle opere filosofiche, “Il Dio degli acidi” Conversazioni con Albert Hofmann (con A. Gnoli), “L'ultimo sciamano” Conversazioni heideggeriane (con A. Gnoli), Storia della filosofia dall'antichità a oggi con Enrico Berti.  Per Adelphi curò opere di Schopenhauer, Heidegger e Carl Schmitt. Collaborò al quotidiano "La Repubblica".  Mentre e in sella alla sua bicicletta a San Germano dei Berici, e investito da un'auto e cadde in coma irreversibile. Muore il giorno successivo. Commemorato dal preside Paolo Bettiolo assieme a tutto il corpo docente di Padova. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti  Lorenzo Parolin, Commozione al Bo per l'addio a Volpi Il Giornale di Vicenza. “Heidegger e Brentano”; “L'aristotelismo e il problema dell'univocità dell'essere in Heidegger” (Milani, Padova); “La rinascita della filosofia pratica” Francisci, Albano/Padova, in Filosofia pratica e scienza politica, Francisci, Abano/Padova); “Heidegger e Aristotele” (Daphne, Padova); “Il concetto di decadenza divina; "Filosofia politica", Il nichilismo” (Laterza, Roma); Guida a Heidegger” (Laterza, Roma); “Hegel e i suoi critici” (Laterza, Roma);“Interprete del pensiero contemporaneo, Atti dell'incontro internazionale di studio, Padova, Vicenza, Accademia Olimpica, Atti dell'Incontro internazionale, Lavarone, Comune di Lavarone;“Il pudore” (Brescia, Morcelliana). Opere su Istituto veneto di scienze, lettere ed arti. Essere, tempo, esistenza, Associazione Asia, sul valore e la funzione della filosofia, e sul significato e lo statuto di Essere e tempo di Heidegger. Volpi. Keywords: dizionario dell’opere filosofico: Lucrezio, Cicerone, Vico, Croce, Gentile… -- multiplicity of  being in Aristotele, univocita dell’essere; equivocita dell’essere. H. P. Grice, The Grice Papers, Bancroft, MS. Luigi Speranza, “Grice e Volpi: l’univocita dell’esere” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #volpi https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4616557315022894 #griceevolpi https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702568823/in/photolist-2mLMbqp-2mLKJ4G-2mLQgDG-2mLFCKu-2mLMbpn-2mLMbqK-2mLFCJc-2mLPbQe-2mLPbPY-2mLKJ5d-2mLQgED-2mLGn6X-2mLGnHy-2mLR1o4-2mLPVec-2mLPVeH-2mLR1Xf-2mLR1Z4-2mLMUwi-2mLMUxq-2mLMUwd-2mLPVdA-2mLPVQh-2mLPVeh-2mLMVaT-2mLMV9R-2mLGnG6-2mLMVas-2mLGnHi-2mLLsUg-2mLPVR4-2mLGnHd-2mLGnJA-2mLLshQ-2mLGn7D-2mLLsUM-2mLLsUb-2mLLsUm-2mLR1nn-2mLMUw3-2mLLshp-2mLR1Yn-2mLPVR9-2mLGn6S-2mLPVQn-2mLGnJF-2mLLshK-2mLR1Yh-2mLGn7y-2mLR1Ys

 

Grice e Volpicelli – corpi e corpi -- filosofia fascista -- filosofia italiana – Luigi Speranza – la filosofia italiana nel veintenno fascista -- (Roma). Grice: “While Volpicelli does use ‘spirito,’ he means ‘breath of air,’ since he is ultimately a naturalist, like I am.” Essential Italian philosopher. Grice: “I read with intereset his early “Nature and spirit.” At that time at Oxford, there was not much of an Oxford spirit, so it spirited me.” Filosofo. Prese parte come sotto-tenente alla grande guerra. Si laurea in filosofia sotto Gentile. Insegna a Urbino, Pisa, e Roma. Teorico del corporativismo integrale. Direttore di "Nuovi studi" e "Archivio di studi corporative.” Saggi:“Natura e spirito”; “L'educazione politica dell'Italia”; “I presupposti scientifici dell'ordinamento corporativo”; “Corporativismo e scienza giuridica”; “La certezza del diritto e la crisi odierna”; “Dizionario di Filosofia  G.Franchi, “Per una teoria dell'auto-governo” (ESI, Napoli); “Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Diritto, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, su Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Volpicelli. Keywords: natura, spirito, corpi e corpi, corporazione. H. P. Grice Papers, Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Volpicelli: il naturalismo,” Luigi Speranza: Grice e Volpicelli: natura e naturalismo” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #volpicelli
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Grice e Voltaggio – p v ~p – fondamenti della logica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Essential Italian philosopher. Grice: “I enjoyed “What Leibniz actually saidand not just implicated.” “He also clarified Husserl to me.”  Filosofo. Si laurea a Roma sotto Antoni.  Insegna a Roma, Mogadiscio e Macerata. Già cappo-ridattore di “Sapere,” collabora con Il manifesto, Lettera Internazionale (di cui è socio fondatore), Apeiron, Janus e Medical. Consulente scientifico della Fondazione Sigma Tau di Roma e dell'Istituto Psiconanalitico per le Ricerche Sociali, membro del seminario di Filosofia di Senigallia. Saggi: “Fondamenti di logica” (Milano, Comunità), “La funzione critica” (Roma); “Che cosa ha veramente detto Leibniz” (Roma, Ubaldini); “Scienza” (Milano, Comunità), “I filosofi e la storia” (Milano, Principato); “L'arte della guarigione nelle culture umane” Torino, Bollati Boringhieri); “Il medico nel bosco, Roma, Di Renzo); “La medicina come scienza filosofica” (Lezioni Italiane), Roma, Laterza; Italia Mediterranea. “I flussi migratori nelle principali città rivierasche” (Roma, Edup); “Antigone tradita. Una contraddizione della modernità: libertà e Stato nazionale (Roma, Internazionali Riuniti); “I paradossi dell'infinito” (Milano, Feltrinelli); “Epistemologia e politica della ricerca” (Roma, Armando; “L'evoluzione di un evoluzionista” Roma, Armando; “La conoscenza inespressa” (Roma), Armando; “L'ora della socio-biologia” (Roma, Armando); “L'arte della ricerca scientifica” (Roma, Armando; “Il potere: processi e strutture: un'analisi dall'interno” (Roma, Armando);“Progresso e razionalita della scienza” G. Radnitzky, Gunnar Andersson;  traduzione e premessa (Armando, Roma; D. Verene: “Vico: La Scienza della fantasia” Armando, Roma; “L'intelligenza scientifica: un'indagine sull'immaginazione creatrice dello scienziato” (Roma, Armando); “Filosofi per la pace” Roma, Editori Riuniti; Galeno: Trattato sulla bile nera, FV,Torino, Aragno. Voltaggio. Keywords: Vico, “la scienza della fantasia” fundamenti della logica – fundamenti della logica di voltaggio – veramente detto Vico – veramente impiegato Vico --. Refs.: Luigi Speranza, “Voltaggio: what Leibniz implicatedas explicated by Grice.” H. P. Grice, “Voltaggio,” BANC MSS 90/135 c. Luigi Speranza, “Grice e Voltaggio,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria #voltaggio https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4634606856551273  #griceevoltaggio https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701632912/in/photolist-2mLQZRC-2mLGod1-2mLMVBV-2mLPWir-2mLLtoN-2mLPWig-2mLR2s3-2mLPWim-2mKJMD1

 

 

Grice e Winspeare: elogio d’Antonino – “Della filosofia romana” (Portici). Filosofo. Essential Italian philosopher. “My Italian friends do not consider me Italian, though!” Winspeare’s ancestors are from Yorkshire in a bad time. Henry VIII. “So the king’s option was clear: either your head off or move to Capri. I chose the second.” Opere: “Delle confessioni spontanee de' rei” (Stamp. Simoniana, Napoli); “Storia degli abusi feudali” (Tip. Trani, Napoli); “Voti de' Napolitano (Napoli); “La voce di Napodano, ossia Quarta illustrazione del patto di Capuana e Nido” (Tip. Trani, Napoli); “I libri delle ‘Leggi’ di Cicerone volgarizzati” (Trani, Napoli); “Delle chiese ricettizie del Regno” (Trani, Napoli); “Filosofia” (Trani, Napoli); “Dissertazioni legali” (Agrelli, Napoli); “La colonia perpetua ed i diritti feudali aboliti” (Pesole, Napoli). Della filosofia romana. La filosofia romana può dirsi, che cominci da Cicerone, cui è dovuta la lode di aver dato la cittadinanza latina alle greche discipline, e di avere eccitato in questi studî l' emulazione de' suoi cittadini. Suo è il vanto di avere richiamato la scienza a' principî di Socrate e di Platone di averla applicata alla vita si domestica che publica, e di averle dato un linguaggio che prima non aveva; pe’quali meriti raccolse in se la gloria de’greci mae stri. Sapiente come Socrate, eloquente come Platone, erudito come Aristo tele, e austero come Zenone, Cicerone compendið in se le più chiare menti della Grecia, sì che risplende nel mondo intelligente, non solamente come il luminare della filosofia latina, ma come il più ornato, il più elegante, e il più retto ingegno, che abbia onorato la spezie umana. Che se mancogli il merito dell'invenzione, ne ebbe bene un altro, che quello eguaglia ed avan za, cioè l'essere stato tra gli antichi il più utile alla filosofia pratica, avendo rimosso dalla speculativa la investigazione delle cause naturali, e dimostralo l'unità del principio, a cui si annodano la teologia naturale, la psicologia, e la morale. Infatti avendo, come Socrate, stabilito per iscopo d'ogni filo sofia la conoscenza di se medesimo, da questo fece nascere la conoscenza di Dio, la celeste origine delle anime umane l'ordine morale degli Esseri creati, il fine de' beni e de' mali, la cognizione del sommo bene, il prin cipio delle obligazioni naturali, e la nozione di quella eterna legge che tutto modera e governa (a ). Avendo così dato alla filosofia un fine vero, e utile alla umana vita, poco entrar volle ne'concetti metafisici, e forse disprezzogli al par di Socra te; il che ha fatto a molti dire, che Cicerone nell' esporre le dottrine delle greche scuole non sempre avesse penetrato addentro nel senso loro, e fosse quasi rimaso straniero a quella esoterica sapienza, che taluni tanto più pre dicano e ammirano, quanto più di tenebroso trovano nelle sue concezioni. E qui domanderemmo, se non è arroganza de'moderni il tassare di poca penetrazione la più luminosa mente dell'antichità, la quale abbracciò le parti tutte dell' umano sapere, svolse le più gravi quistioni della filosofia intellet tuale, e spogliandole de’sofismi della dialettica le rendette facili e popolari? E vorremmo ancora sapere, se possa imputarsi a difetto di scienza l' avere ommesso quelle controversie, che non solamente non contribuiscono alla per fezione della cognizione, ma la fanno in falsa parte piegare? Sarà facile il rispondere a chiunque farassi a considerare le parti singole della filosofia da lui trattate, prendendole dal quadro ch'egli stesso ne fece nella introduzione d ' uno de' suoi libri filosofici. Ne' libri accademici volle egli dimostrare la prima e più importante ve rità dell'umana cognizione, la certezza delle sorgenti delle idee. In ciò fare, Origine e realità della umana seguì per rispetto a' sensi la dottrina di Zenone, che a quelli dato aveva cognizione. più che non aveva concesso Aristotele, o sia defini e determinò il compren sibile de'sensi ne'termini stessi di quella scuola (c); dal che dedusse, esser la verità de' sensi una condizione necessaria della natura, comprovata dalla differenza che la natura stessa ha stabilito tra 'l piacere e il dolore. Ma a canto al principio della sensazione, collocò la virtù intuitiva dell' anima come affalto distinta da quello, o sieno le prime nozioni impresse dalla na tura, senza le quali la mente non avrebbe potuto nè intendere nè ragionare. Tuscul., De legib., Academ., Visum, impressum, effictumque ex eo unde esset; quale esse non possel ex eo, unde non esset. Lucullus. Circa la dottrina delle idee, espone storicamente il concetto di idea di Platone, senza impugnarlo o sostenerlo; narra lo strazio che fatto ne ha Aristotele, insieme co'suoi peripatetici; lascia da banda la questione del come le nozioni nascose e adombrate nell'anima si sviluppassero, ma riconobbe come indispensabile la necessità d' un secondo principio tutto intellettuale, senza del quale sarebbe stato impossibile spiegare le operazioni della mente, l'astrarre, il generalizzare, l'inventare, e sopratutto il prodi gioso fenomeno della memoria (a). Conforme a' principi della umana cognizione fu il resto del suo sistema Conoscenza intellettuale, che espone nelle tusculane e ne' saggi intorno a ' fini de' beni e di se medesimo. de mali. Per la contemplazione di se medesimo, introdusce l'anima alla cognizione della immortalità ed immaterialità della sua sostanza, della origine divina da cui emana, dello scopo della vita, e del sommo bene cui debbe aspirare. E in prima, la più importante qualità dell'anima, siccome Cicerone avverti, è l'intuizione di se medesimo, la qual dote è appunto una conseguenza di quel principio d'intellezione che la natura ha in lei impresso, che non si acquista co' sensi, e che nella più matura età quando i sensi declinano, diviene più retto e perspicace. Dalla virtù, che l'animo ha di vedere se medesimo e le qualità sue, e dalla forza che ha in se di volere e di muovere, sente l'uomo essere cotesta virtù un principio proprio, non prodotto da altra esterna forza, e scopre essere quel principio stesso il quale muove la materia, affatto simile all'azione, che dà moto e vita all'universo; d'onde conclude non essere materiale o corporea, nè terrena o mortale, ma celeste ed eterna. Nè solamente dal principio della volontà e del moto ricava l'im mortalità e l'immaterialità della sostanza sua, ma si bene dalle altre doti intellettuali, di cui scorgesi arricchita: dalla facoltà di pensare, di ritenere e di richiamare le idee e le nozioni passate, di antivedere le future, e di abbracciare col pensiero la Divinità, le opere sue, e l'infinito stesso, che n'è il principale attributo. In somma sviluppando il precetto di Socrate, conosci te stesso, o sia investiga quale sia l animo tuo, Cicerone fa da quello derivare i tre primi dogmi della naturale sapienza dell' uomo, l' esi stenza di Dio, l'immaterialità, e l' immortalità dell' anima umana. E allorchè dalla interna investigazione dell'animo passa alla contemplazione de gli obbietti esterni, e delle altre opere della natura, quanto più luminoso non diviene il concetto della Divinità, della dignità dell'uomo, della sua futura sorte, e del vero scopo della vita? Delle quali magnificenze sarebbe l'uomo muto e indifferente spettatore al pari dei bruti, se non avesse sviluppato entro di se le nozioni del proprio essere, e delle relazioni sue colle altre creature, e coll'Autore stesso dell'universo Academ. Animo ipso animum videre. A stabilire poi la vera nozione della Divinità, ne' libri de natura deo rum volle Cicerone esporre le principali opinioni delle greche scuole, l'accademica, la stoica, e l'epicurea; e sbandita questa (la quale dava alla Di vinità per suo unico fondamento la pratica credenza degli uomini e rendevala affatto inutile alla vita), dimostrò come gli accademici discordassero dagli stoici nelle parole più che nella sostanza. Ciascuna di quelle due scuole non pertanto aveva una parte vera: il concetto della Divinità, ricavato dall'opera dell'universo, era degli accademici, i quali ereditato l'avevano da’socratici: l'altro della provvidenza, che tutto regge é dispone per la utilità dell'uomo, era degli stoici. Ma costoro d'altra parte ammetlevano dogmi, e commettevano insieme principî tra loro incompatibili, come la natura animata cogli attributi della Divinità, il fato colla provvidenza e colla libertà delle umane azioni. La stessa loro virtù, o il sommo bene non polevasi accomodare al viver pra tico degli uomini, dapoichè era collocata in un estremo tale, che per esso toglievasi ogni merito o biasimo a'fatti, buoni o tristi che fossero, se pur non toccassero l'apice della perfezione: per esso l'uom sapiente diveniva un Essere ideale, che non potevasi scontrare sulla terra: i doni della natura la sanità, il vigore, la bellezza, le sostanze erano agguagliate a' difetti e alle privazioni contrarie: il piacere scambiayasi col dolore: le relazioni tra gli uomini, gli ufizi della vita, la prudenza, l'ordine, le virtù civili, la cura de'publici negozî, e la domestica economia, divenivan tutte qualità di convenzione, estranee alla sapienza e alla vera virtù A rim. uovere l'ostentazione di questa scabrosa virtù, dopo avere esposto le opinioni delle greche scuole, Cicerone dimostrò quanto di vano fosse nelle parole e ne' nuovi vo caboli introdotti dagli stoici, e come il giusto mezzo si trovasse nelle emen dazioni di Panezio, il quale aveva conciliato Zenone, cogli accademici e co' peripatetici. Tale fu lo scopo de' suoi libri intorno a' fini de' beni e de' mali, insieme co'quali va letto l'altro del fato, che scrisse per accor dare insieme la dottrina dell'ordine della natura colla provvidenza, e colla libertà delle umane azioni; libro, per altro, di cui ci rimane soltanto un mal concio avanzo. Non oseremmo fare la stessa apologia de' libri intorno alla divinazione, nè sapremmo dire, se avesse egli inteso sostenere la verità delle scienze divinatorie per l'autorità degli stoici, o per la necessità di ri spettare una dottrina popolare, a cui non avrebbe potuto impunemente con traddire. Forse la maggior lode di quella opera potrebbe ricavarsi dal filo sofico concetto che in essa sovente traluce, cioè che v' ha una provvidenza conservatrice, della cui assistenza la mente umana senle il bisogno, per modo che gli stessi prestigî e le superstizioni delle arti divinatorie sono la pratica espressione di tal bisogno. Quae est causa istarum angustiarum gloriosa ostentatio in constituendo sum mo bono. De Finibus. Le opere sin qua esposte abbracciano tutta la filosofia speculativa di Cicerone. Non sono meno luminose quelle della filosofia pratica: i libri degli ufizi contengono l'applicazione della dottrina stoica, secondo le emendazioni di Panezio, a' portamenti della vita; siccome i libri della republica e delle leggi derivarono dagli stessi principi le regole per la vita publica, e per lo civile reggimento de' popoli. Per lui in somma, la filosofia nacque in Roma matura, senza passare per l'età dell'infanzia, siccome aveva falto in Grecia. Negli studi della umana sapienza la ragione romana ebbe per guida la spe rienza, o sia la storia delle opinioni e degli errori del più perspicace e il luminato popolo del mondo, il quale aveva figurato come l'antesignano e il luminare di tutti gli altri nella carriera delle lettere e delle scienze. Cicerone e eclettico, perchè altra parte non resta a chi sopraggiugne nella maturità del sapere, fuorchè il giudicare e lo scegliere. Ma l'avere esercitato il giudizio e la scelta in tutte le parti della filosofia; lavere signoreggiato i pensieri de' greci con un criterio sempre libero e retto; e l'aver dato ai pensieri della scienza l’espressione, o sia il linguaggio di cui i romani mancavano, gli meritarono presso i suoi un primato, che altro sapiente mai non ebbe presso la propria nazione. In conferma di che giova osservare, che in tutta la durata del romano impero, e in mezzo a tanti sommi uomini i quali ar ricchirono ogni parte del sapere cogli scritti loro; non apparve più alcuno che fosse stato a lui comparato, si che egli è solo modello della sana filo, sofia tra'latini, come Socrate tra'greci. Della filosofia pratica sopratutto fu benemerito, dapoichè per lui la dot trina degli stoici passò dalla scuola nel foro, e nel grande tealro del mon do. Da questa la giurisprudenza attinse le cardinali nozioni della giustizia, e delle obligazioni, proprie a stringere e consolidare i legami delle civili as sociazioni. E sebbene nelle mani de'giureconsulti la dottrina stoica acquistato avesse una tinta di disputabile, aliena dalla sua naturale rigidezza, e avesse da Seneca ricevulo un certo orpello declamatorio; pur tuttavolta fu da Ar riano nel manuale di Epitteto richiamata a' severi principî di Zenone e di Cleanto. Certamente in Roma ottenne successi maggiori che in Grecia, per chè ivi divenne madre della sapienza civile, ed ebbe il vanto di aver dato al mondo due perfetti modelli di re, nelle persone di Marco Aurelio e di Antonino. Restiamo dall' internarci negli ultimi periodi della filosofia del basso impero, si greco che latino; tra perchè le vecchie nazioni che il compone vano, nella condizione stessa della loro vita civile trovavano invincibili osta coli a' progressi della ragione; e perchè gli ultimi aneliti della filosofia an darono in quel tempo a scontrarsi col grande avvenimento, che rinnovar doveva la religione, la coltura e i costumi di tutti i popoli. Basterà dire, che il ritratto delle opinioni e de'costumi della ultiina età dell'impero ro mano sta in quel che abbiamo già detto deļla scuola alessandrina: lo scetticismo e l'indifferenza per ogni verità formavano la doltrina de' sapienti: la corruzione scioglieva ogni giorno i vincoli sociali: la superstizione e l'igno ranza avevano ottenebrato la superficie della terra. Keywords: elogio d’Antonino. Grice: “Hailing remotely from the Catholic North Riding of Yorkshire and settling in the most beautiful coastline in the world, Winspeare knew all you need to know about Cudworth, and what he calls ‘percezione.’ I would call him an Oxonian.” Grice: “My favourite Winspeare is his ‘dictionary’: obviously he found Italian furrin enough to want to organize things in a sort of thesaurum. Speranza, on the other hand, likes Winspeare’s idea of ‘volgarizzazione’ of Cicero’s ‘De Legibus.’ – one of the most boring tracts in legalese, but then at Naples at the time, you HAD to be a lawyer!” -- Refs.: H. P. Grice, “Winspeare, Speranza, Napoli, and me!”The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft. Luigi Speranza, “Grice e Winspeare,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria #winspeare https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4572857239392902 #griceewinspeare https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702440656/in/photolist-2mMPWdd-2mLPZbv-2mLR5nr-2mLR5nB-2mLMYBx-2mLR5mK-2mLPZaZ-2mLMYBc-2mLGr84-2mLPZcC-2mLGr8Q-2mLLwjC-2mLMYBn-2mLGr7C-2mLLwk9-2mKSd2s-2mKTgQZ-2mKSdA3-2mKTa4N-2mKNJaP-2mKQ9uA-2mKvUAt

 

Grice e Zabarella – filosofia italiana – Luigi Speranza (Padova). Filosofo. Grice: “Most philosophers are stealing the voice of Zabarella; Poppi isn’t!” -- Jacopo Zabarella, spesso indicato come Giacomo Zabarella è stato un filosofo italiano. Primogenito di un'antica e nobile famiglia, ereditò dal padre Giulio il titolo di conte palatino; è considerato il massimo esponente dell'aristotelismo padovano.  Studia a Padova, dove fu allievo di Robortello, Tomitano e Passeri, laureandosi in filosofia. Ottenne, succedendo a Tomitano, la cattedra di semiotica nello Studio padovano. Ottenne la seconda cattedra straordinaria -(ma, propriamente, parificata in quell'anno e nei successivi otto con la prima cattedra) e ottenne la prima cattedra straordinaria. Ottenne la seconda cattedra ordinaria. Declina l'invito del re Stefano Báthory di insegnare in Polonia, ma gli dedica il suo scritto più importante, l'Opera logica, stampata a Venezia. Furono pubblicate a Padova le sue “Tabulae logicae” e a Venezia, il suo commento agl’Analitici II di Aristotele.  In risposta alle critiche mosse alla sua semiotica dai suoi colleghi, Piccolomini, Balduino e Petrella, pubblicò a Padova la “De doctrinae ordine apologia.” Apparvero rispettivamente le sue opere, la “De naturalis scientiae constitutione” e i “De rebus naturalibus; postumi comparvero i suoi commenti incompiuti alla Fisica e al De anima di Aristotele.” I libri della sua biblioteca sono conservati presso a Padova. Opere: “Opera Logica” (Venezia); “De methodis libri quatuor”; “Liber de regressu” (Venezia, ristampa anastatica, Bologna); “Tabula logicae” (Venezia); In duos Aristotelis libros Posteriores Analyticos commentarii, Venezia; “De doctrinae ordine apologia” (Venezia); “De naturalis scientiae constitutione” (Venezia); “De rebus naturalibus libri XXX, Venezia; “In libros Aristotelis Physicorum commentarii, Venezia, Opera Physica, Francoforte, ristampa anastatica Verona;; De generatione et corruptione et Meteorologica commentarii, Francoforte; In tres libros Aristotelis De anima commentarii, Venezia,. “De mente agente”; “De rebus naturalibus liber XXIX”; “De sensu agente”, “De rebus naturalibus liber XXIV, «Rivista di Storia della Filosofia», “De inventione aeterni motoris e De rebus naturalibus liber IV, Bruniana & Campanelliana. Bibliografia E. Berti, “Metafisica e dialettica nel Commento di Giacomo Zabarella agli Analitici posteriori” in «Giornale di metafisica»’ F. Bottin, “La teoria del regresso in Zabarella, in C. Giacon, Saggi e ricerche, Padova, F. Bottin, “La logica in Zabarella, in «Giornale Critico della filosofia Italiana», E. Cuttini, Natura, morale e seconda natura nell'aristotelismo di Zabarella, Padova, M. Dal Pra, Un'oratio programmatica di Zabarella, in «Rivista critica di storia della filosofia», G. Papuli, Dal Balduino allo Zabarella e Galilei: scienza e dimostrazioni, in «Bollettino di storia e filosofia», A. Poppi, La  scienza in Zabarella, Padova, A. Poppi, Introduzione all‘aristotelismo padovano, A. Poppi, Ricerche sulla teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Rubbettino, Soveria Mannelli,Rossi, Aristotelici e moderni: le ipotesi e la natura, in “Aristotelismo veneto e scienza moderna” – Padova. G. Tonelli, “Zabarella ispiratore di Baumgarten, o l'origine della connessione tra estetica e logica,” in Da Leibniz a Kant, Napoli, Treccani – Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Delio Cantimori, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Grice: “Zabarella is what I would call a proto-Griceian.” In fact, at Villa Speranza, Grice is often as the English Zabarella, after Zabarella produces extensive commentaries on Grice’s favourite tract by Aristotle, “De Anima,” and “Physica” and also discusses some Aristotelian interpreters. However, Zabarella’s most original contribution is his work in semiotics: “Opera logica.” He regards semiotics as conceptual analysis. One tool Zabarella calls ‘ordine’ (cfr.  Grice, ‘be orderly’). Another tool Zabarella calls “metodo,” by far predating Cartesio. “Ordine” relates to how to organize the content of a dictum to apprehend it more easily. ‘Metodo’ relates to how to draw an illatum (or impliatum). Zabarella reduces the variety of ‘ordine’ and ‘metodo’ classified by other interpreters to ‘ordine compositivo’, ‘ordine resolutivo’, ‘metodo compositivo’ and ‘metodo ‘resolutivo’. The ‘ordine compositivo’ from a principle to this or that corollary applies to this or that ‘creditum.’ The ‘ordine resolutivo,’ from a desired end to the means appropriate to its achievement applies to this or that ‘volitum,’ such as ‘pragmatics’ understood as a manual of rules of etiquette. This much is already in Aristotle. However, Zabarella offers an original analysis of ‘metodo’ The ‘metodo compositivo’ infers a particular consequence or corollary from a general principle. The ‘metodo resolutivo’ INFERS an originating principle from a particular consequence, corollary, or instantiantion, as in inductive reasoning or in reasoning from effect to cause. Zabarella’s terminology influences Galileo’s mechanics, and has been applied to Grice’s inference of the principle of conversational co-operation out from the only evidence which Grice has, which is this or that ‘dyadic’ exchange, as he calls it. In Grice’s case, his corpus is intentionally limited to conversations between two Oxonian philosophers: A: What’s that? B: A pillar box? A: What colour is it? B: Seems red to me. From such an exchange, Grice infers the principle of conversational co-operation. It clashes when a cancellation (or as Grice prefers, an annulation) is on sight: “I surely don’t mean to imply that it MIGHT actually be red.” “Then why be so guarded? I thought you were cooperating.”H. P. Grice. Grice liked to recite Zabarella’s works by heart. Saggi: “Logica” (Venezia); “De methodis”; “De regressu” (Venezia); “Tabula logicae” (Venezia), “In duos Aristotelis libros Posteriores Analyticos commentarii” (Venezia); “De doctrinae ordine apologia” (Venezia); “De naturalis scientiae constitutione” (Venezia); “De rebus naturalibus” (Venezia); “In libros Aristotelis Physicorum commentarii” (Venezia), “Physica” (Francoforte); “De generatione et corruptione et Meteorologica commentarii” (Francoforte); “In tres libros Aristotelis De anima commentarii” (Venezia). Keywords: metodo compositivo, metodo resolutivo, ordine compositivo, ordine resolutivo. Refs.: Luigi Speranza, Notes on I Tatti’s edition of Zabarella, “On methods,” -- H. P. Grice, “Zabarella,” Speranza, “Grice and Zabarella.” “Grice e Zabarella: la risoluzione buletica,” Villa Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #zabarella https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4464023146942979 #griceezabarella https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51688822993/in/photolist-2mLQ1Vx-2mKHbw4-2mKT9pB-2mKT9PQ-2mKPYC1-2mKS5Wk-2mKJjKr-2mKPYsB-2mKyJgk

 

Grice e Zamboni – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cento). Filosofo. “Famous for his dialettica e cosmologia and implicature!” – Grice.  Figlio di Matteo Zamboni, un  pittore originario di Cremona, di cui si conservano affreschi negli oratori delle chiese della Pietà e di San Rocco -- e da Mattea Pilanzi. Prese la strada degli studi umanistici: studente in legge nell'Università di Ferrara, scelse poi filosofia, allievo di Federico Pendasio, divenendo insegnante di filosofia naturale nello Studio ferrarese. Tenne rapporti con la corte estense: di fronte a Leonora d'Este recitò il suo poemetto Le pompe funebri, e quando si trovò a essere oggetto di non chiarite gelosie e maldicenze da parte dei suoi colleghi dell'Università, scrive al duca Alfonso per richiedere un suo intervento. Non risulta che Alfonso II abbia risolto i conflitti denunciati dal Cremonini, che perciò decise di trasferirsi altrove. Fu chiamato a Padova per insegnare filosofia naturale in secundo loco, in sostituzione di Giacomo Zabarella, da poco defunto, mentre Francesco di Niccolò Piccolomini assumeva la prima cattedra. Inizia il suo corso, leggendo la prolusione Exordium habitum Patavii. Contro il tentativo dei gesuiti di fondare a Padova un proprio Studio rivale dell'Università, il Cremonini si espresse con l'Oratione contro i gesuiti a favore della Università di Padova tenuta di fronte alla Signoria di Venezia, nella quale sostenne che Padova «per insegnare le scienze non ha bisogno dell'aiuto de' Padri Giesuiti e paventa i rischi di dividere gli studenti in fazioni come i guelfi e gibellini. L'autorizzazione all'apertura dello Studio non fu rilasciata e i gesuiti furono poi espulsi dalla Repubblica nel 1606, a causa dell'interdetto scagliato da Paolo V, cui seguì la cosiddetta Guerra dell'Interdetto. Ha una famosa controversia con Raguseo sulla natura degli elementi, sul valore della storia delle interpretazioni di Aristotele e sulle questioni didattiche.  Difensore della medicina averroista e sostenitore della mortalità dell'anima, legata indissolubilmente al corpo umano, fu sospettato di eresia e venne denunciato all'inquisizione di Padova. Con l'amico e rivale Galilei, Zamboni, ad opera di Belloni, condivise on accuse diverse, una denuncia al tribunale dell'Inquisizione padovana che non ebbe alcuna conseguenza per entrambi. Galileo fu accusato di praticare l'astrologia giudiziaria e Cremonini di sostenere la mortalità dell'anima e che Aristotele avesse separata la filosofia dalla teologia. Cremonini dovette affrontare altri due processi dai quali usce indenne grazie alla protezione della Repubblica di San Marco. Anche se molte fonti riportano che morì di peste durante l'epidemia che colpì l'Italia risulta che muore a causa di catarro accompagnato da febbre. Secondo alcuni studiosi Galileo si ispira a Zamboni nella scelta di Simplicio come rappresentante dell'aristotelico avversario del copernicanesimo. Zamboni pubblica pochi saggi della sua dottrina mentre sono a noi giunte numerose trascrizioni delle sue lezioni che egli preferiva tenere oralmente al posto della forma scritta. Le trascrizioni delle lezioni tenute nello studio di Padova e privatamente tuttavia presentano gravi problemi interpretativi che hanno impedito alla storiografia di poter avanzare una sintesi sicura del suo pensiero. Unica eccezione a questa difficoltà interpretativa il testo Lecturae exordium, letto in occasione della sua prima lezione in Padova. Nella prima parte dell'opera egli si rammarica che il continuo rinascere della natura, come la successione delle stagioni, dalle sue forme ormai trascorse, non susciti la meraviglia dell'uomo e lo sgomento per il continuo morire del mondo. Il mondo non è mai: nasce e muore continuamente, si conclude con l’affermazione del dovere dell’uomo di conoscere se stesso. L’uomo, scrive Cremonini, si scopre in mezzo alle tribolazioni dell’incostanza; ebbene, la conoscenza di sé è l’unico strumento capace di dare all’uomo serenità. La strada per conoscere se stessi e raggiungere la serenità è data dalla filosofia su cui si basa la morale e la scienza. L'uomo ha avuto in dono da Dio un intelletto onnipotente che dalla conoscenza di se stesso e della natura giungerà a congiungersi con la beatitudine divina. Dibattito relativo alle osservazioni di Galileo Secondo una diffusa ma falsa narrazione Cremonini fu uno di quei professori aristotelici che non solo rifiutarono pervicacemente le scoperte galileiane in nome della filosofia peripatetica ma si rifiutarono, invitati dallo scienziato pisano, di osservare direttamente nel telescopio l'esistenza delle montagne della Luna, delle fasi di Venere, dei satelliti di Giove. Questo avvenimento, tramandato come simbolo della miopia di coloro che si ritengono custodi del vero sapere, è invece ritenuto falso. Nella lettera Galilei racconta a Keplero il comportamento dei docenti dello Studio di Padova ma non fa nomi. Che dire dei più celebri filosofi di questo Studio i quali, colmi dell’ostinazione dell’aspide, nonostante più di mille volte io abbia offerto loro la mia disponibilità, non hanno voluto vedere né i pianeti, né la luna, né il cannocchiale? Questo genere di uomini ritiene infatti che la filosofia ‹naturale› sia un libro come l’Eneide e l’Odissea e che le verità siano da ricercare non nel mondo o nella natura, bensì (per usare le loro parole) nel confronto dei testi. Ad un esame superficiale una lettera a Galilei di Gualdo sembrerebbe confermare che tra coloro che rifiutarono l'osservazione con il telescopio vi fosse anche Zamboni. Abbiamo qui l'Ill.mo Sr. Andrea Morosini, il quale non può patire che Zamboni mentre V.S. è stata qui, non habbia procurato né voluto vedere queste sue osservationi, havendole io detto ch’ella se gli era offerta di andare sino alla sua propria casa per fargliele vedere; onde le pare che habbia torto contrariarle senza haverne fatto qualche esperienza. Nella successiva lettera di Gualdo a Galilei si riferisce di un colloquio con Cremonini che al rimprovero di essersi rifiutato dell'esperienza con il telescopio risponde che lo fece perché:  non volendo approvare cose di che io non ho cognitione alcuna, né l’ho vedute. Questo è quello, dico, ch’ha dispiacciuto al Sr. Galilei, ch’ella non abbia voluto vederle. Rispose: Credo che altri che lui non l’habbia veduto; e poi quel mirare per quegli occhiali m’imbalordiscon la testa: basta, non ne voglio saper altro. Zamboni affermi in questo testo che gli causò disagio mirare nel telescopio e che dunque non si rifiutò di guardare ma non accettò di vedere cioè di accogliere l'interpretazione galileiana di quelle osservazioni.Più in generale, Forlivesi sostiene che la posizione di Cremonini fu sempre coerente nel ritenere che l'interpretazione dei dati osservativi non potesse andare disgiunta dall'esistenza di una dottrina filosofico-naturale complessiva. Forlivesi rileva altresì che lo stesso Galileo, a volte, propose ipotesi circa la natura dei cieli non meno problematiche di quelle proposte dagl’aristotelici.  D'altra parte, come confermato dallo storico della scienza Enrico Bellone nella sua monografia su Galilei per i "Quaderni de 'Le Scienze'", il cannocchiale era uno strumento di fattura "artigianale" e non scientifica, in quanto non esisteva ancora una teoria dell'ottica - si dovrà attendere Newton e le immagini erano alquanto deformate. Saggi: “Le pompe funebri ovvero Aminta e Clori, Ferrara); “Lecturae exordium habitum Patavii; Ferrara, B. Mammarelli; Explanatio proœmii librorum Aristotelis De physico auditu, cum introductione ad naturalem Aristotelis philosophiam, continente tractatum De pædia, descriptionemque universæ naturalis Aristoteliæ philosophiæ, quibus adjuncta est præfatio in libros De physico auditu, Patavii, Melchiorem Novellum; Oratio habita Ferrariae ad Clementem VIII pro S.Q. Centensi, Ferrariae); Disputatio De formis quatuor corporum simplicium quæ vocantur elementa, Venetiis); Oratio habita in creatione serenissimi Venetiarum principis Leonardi Donati, Venetiis); Disputatio de cœlo, in tres partes divisa, de natura cœli, de motu cœli, de motoribus cœli abstractis. Adjecta est Apologia dictorum Aristotelis, de via lactea, et de facie in orbe lunæ (Venezia, Balionum); “Oratione al serenissimo prencipe Giovanni Bembo nella sua essaltatione al Prencipato); “Apologia dictorum Aristotelis, de quinta cœli substantia adversus Xenarcum, Venetiis, Meiettum); Il nascimento di Venezia, Venezia); Oratione al serenissimo prencipe Antonio Priuli nella sua essaltatione al prencipato, Il ritorno di Damone, Venezia); Oratione in nome della Università di Padova (Chiorindo e Valliero, Venezia); Apologia dictorum Aristotelis De calido innato adversus Galenum (Venetiis, Deuchiniana); Apologia dictorum Aristotelis De origine et principatu membrorum adversus Galenum” (Venetiis, Hieronymum Piutum); Expositio in digressionem Averrhois de semine contra Galenum pro Aristotele; Tractatus tres. Primus est de sensibus externis. Secundus de sensibus internis. Tertius de facultate appetitiva, Venetiis); Dialectica, Venetiis); Le nubi, Venezia, Biblioteca Marciana. Zamboni, Testamento. Fonte: G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, riferimenti in Collegamenti esterni.  In A. Favaro, Lo Studio di Padova e la Compagnia di Gesù sul finire del secolo decimosesto; C. Preti, Giorgio da Ragusa, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Zamboni in occasione del trasferimento di Galilei da Padova a Firenze si rammaricava scrivendo. O quanto harrebbe fatto bene anco il Sr. Galilei, non entrare in queste girandole, e non lasciar la libertà patavina (Portale Galileo)  Portale Galileo  Marco Forlivesi, «Cesare Cremonini» in Il contributo italiano alla storia del Pensiero – Filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Per esempio, Pinotti, autore dell'introduzione al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (Milano); C. Cremoninus, Lecturae exordium; M. Forlivesi, Il Contributo italiano alla storia del Pensiero – Filosofia; Enciclopedia Italiana Treccani  G. Galilei, epistola ad Johannem Keplerum, Paduae); in Le opere, A. Favaro, lettera, Gualdo, lettera a G. Galilei, Padova,, in G. Galilei, Le opere; Gualdo, lettera a G. Galilei, Padova; in G. Galilei, Le opere; M. Forlivesi. Galilei, Opere, ediz. naz.; A. Tassoni, Lettere, P. Puliatti, Bari); Giovanni Vincenzo Imperiale, Musaeum historicum et physicum, Venetiis); F. Arisi, Cremona literata, Parma-Cremona; Naudaeana et Patiniana, Amstelodami); Giovanni Mario Crescimbeni, Dell'istoria della volgar poesia, Venezia); Ferrante Borsetti, Historia alini Ferrariae Gymnasii (Ferrariae); J. Guarino, Ad Ferrariensis Gymnasii historiam supplementum et animadversiones (Bononiae); F. Borsetti, Adversus supplementum et animadversiones (Venetiis); Iacopo Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini (Padova); G. Erri, Dell'origine di Cento (Bologna); G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana (Venezia); F. Fiorentino, Pomponazzi (Firenze); A. Favaro, Lo Studio di Padova e la Compagnia di Gesù sul finire del secolo decimosesto, in Atti del Reale Istituto veneto di scienze, lettere ed arti; D. Berti, Di Zamboni e della sua controversia con l'Inquisizione di Padova e di Roma, in Memorie della Reale Accademia dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche; L. Mabilleau, Étude historique sur la Philosophie de la Renaissance en Italie: Zamboni, Paris); Antonio Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Padova, Firenze); ad Indicem; Antonio Favaro, in Archivio Veneto (rec. di Mabilleau); L. Sighinolfi, Il posseso di Cento e della pieve e la legazione di Zamboni a Clemente VIII in Ferrara, in Atti e memorie della Regia Deputazione di storia patria per le province di Romagna; Atti della nazione germanica artista nello Studio di Padova; A. Favaro, Venezia); ad Indicem; Atti della nazione germanica dei legisti nello Studio di Padova, a cura di B. Brugi, I, Venezia); J. Charbonnel, La Pensée italienne au XVIe siècle et le courant libertin, Paris); V.Spampanato, Documenti intorno a negozi e processi dell'Inquisizione, in Giornale critico della filosofia italiana; G. Spini, Ricerca dei libertini, Roma); L. Firpo, Filosofia italiana e controriforma, Torino); Pietro Savio, Il nunzio a Venezia dopo l'Interdetto, in Archivio Veneto; G. Saitta, Il Pensiero italiano nell'Umanesimo e nel Rinascimento, Firenze); M. Torre, Un processo del XVII secolo: l'inquisizione contro Zamboni, in Verità e libertà. Atti del XVII Congresso della Società filosofica italiana (Palermo); Antonio Rotondò, Nuovi documenti per la storia dell'Indice dei libri prohibiti in Rinascimento; Garin, Storia della filosofia italiana, Torino); A. Pupi, Una riflessione a proposito delle critiche di Galileo all'aristotelismo, in Nel quarto centenario della nascita di Galileo Galilei, Milano); Acta nationis Germanicae artistarum a cura di L. Rossetti, Padova); ad Indicem; M. Schiavone, in Enciclopedia filosofica, Firenze); M. A. del Torre, Studi su Cesare Cremonini, Padova); A. Favaro, Galilei a Padova, Padova); A. Franceschini, Nuovi documenti relativi ai docenti dello Studio di Ferrara nel secolo XVI, Ferrara); ad Indicem; Pietro Puliatti, Bibliografia di Alessandro Tassoni, Firenze, ad Indicem; L. Rossetti, Manoscritti cremoniniani della University Library di Cambridge, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova; C. Schmitt, Zamboni, un aristotelico al tempo di Galilei (Venezia); G. Corazzol, Angelo Portenari maestro di grammatica a Feltre ed una lettera di Cesare Cremonini, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, M. Torre, Logica ed esperienza nel trattato "De Paedia" di Cesare Cremonini, in Aristotelismo veneto e scienza moderna, L. Olivieri, Padova); A. Favaro, Lo Studio di Padova e la Compagnia di Gesù sul finire del secolo decimosesto, in «Atti del regio Istituto veneto di scienze, lettere e arti», Marco Forlivesi, Cesare Cremonini, in Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Treccani – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.A. Carlini,  in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C. Schmitt, Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Cesare Zamboni di Cremona (Cremonini). Zamboni. Keywords: i galileiani. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Cremonini," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.#zamboni https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4420170464661581 #griceezamboni  https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703122209/in/photolist-2mLLy7L-2mLR76M-2mLLy6U-2mLN1iZ-2mLR773-2mLN1iP-2mLLy5M-2mLR76G-2mLLy6Z-2mLLy6P-2mLN1io-2mLGsSr-2mLQ1Vx-2mLR78a-2mLR78A-2mLR77d-2mLGsSM-2mLN1iU-2mLN1jL-2mLR76X-2mKSb99-2mKNG6U-2mKNFqA-2mKSbnL

 

Grice e Zamboni   volere -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Verona). Grice: “Not everybody knows his zamboni.” There’s Giorgio Zamboni, but this entry is about Giovanni Zamboni. Essential Italian philosopher. Filosofo. Opere: “Spencer:  commemorazione e polemica” (tip. Garagnani, Bologna), “La filosofia neo-scolastica secondo un positivista” (Tip. vescovile G. Marchiori,Verona), “Il valore scientifico del positivismo di Ardigò e della sua “conversione” (Verona), “La dottrina morale e la psicologia del volere nel testo di etica di un discepolo dell’Ardigò” (Società Editrice Veronese, Verona), “La gnoseologia dell’atto come fondamento della filosofia dell’essere: saggio di interpretazione sistematica delle dottrine gnoseologiche di Aquino” (Milano), “Gnoseologia” (Soc. Ed. Vita e Pensiero, Tip. S. Giuseppe, Milano); “L' origine delle idee: saggio analitico introspettivo, proposto alla riflessione personale” (Società editrice veronese, Verona); “Sistema di gnoseologia e di morale: basi teoretiche per esegesi e critica dei classici della filosofia moderna” (Editrice Studium, Roma); “Studi esegetici, critici, comparativi sulla critica della ragione pura” (La tipografica veronese, Verona); “Metafisica e gnoseologia” (La Tipografica Veronese, Verona); “Il realismo critico della gnoseologia pura. Risposta al «Caso Zamboni» (P. A. Gemelli, Mons. F. Olgiati eA. Rossi), Verona), “Realismo, Metafisica, Personalità: Rilievi, Note, Discussioni” (La Tipografica Veronese, Verona); “La persona umana: soggetto auto-cosciente nell’esperienza integrale. Termine della gnoseologia. Base della metafisica” (Verona, Giulietti G., Vita e pensiero, Milano); “Precisazioni e complementi ai testi scolastici. La Religione naturale e l’essenza della religione Cristiana” (La tipografica veronese, Verona); “La «filosofia dell’esperienza immediata, elementare, integrale» per la completa auto-consapevolezza dello spirito umano” (La Tipografica Veronese, Verona); “Itinerario filosofico dalla propria coscienza all’esistenza di Dio” (La Tipografica Veronese, Verona. Teodicea, Rodella A., Vita veronese, Verona, “La dottrina della coscienza immediate: struttura funzionale della psiche umana è la scienza positiva fondamentale” (La tipografica veronese, Verona); “Dizionario filosofico” (Vita e Pensiero, Milano); “Idee e giudizi, Marcolungo F.L., IPL,Milano, “L’io e le nozioni sopra-sensibili (IPL, Milano); “Corso di gnoseologia pura elementare: Spazio, tempo, percezione intellettiva” (IPL, Milano); “Corso di gnoseologia pura elementare, Idee e giudizi; IPL, Milano,  Corso di gnoseologia pura elementare”; “Autobiografia di una personalità integrale” (Serio De Guidi, Archivio storico Curia diocesana, Verona, Studi sulla Critica della ragione pura; QuiEdit,Verona,. Sistema di gnoseologia e di morale; QuiEdit, Verona. Giuseppe Zamboni. Zamboni. Keywords: psicologia del volere, volere, l’io, sopra-sensibile, volere, volizione, volitum – the will -- Refs.: H. P. Grice, “Gnoseologia,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, Bancroft, University of California, Berkeley. Luigi Speranza, “Grice e Zamboni, L’io,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. #zamboni https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4626165357395423 #griceezamboni https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702446696/in/photolist-2mLLy7L-2mLLy5M-2mLLy6P-2mLR76M-2mLR76G-2mLN1iP-2mLLy6Z-2mLN1iZ-2mLR773-2mLLy6U-2mLN1io-2mLGsSr-2mLQ1Vx-2mLN1jL-2mLR78a-2mLGsSM-2mLR76X-2mLN1iU-2mLR78A-2mLR77d-2mKSbnL-2mKNFqA-2mKNG6U-2mKSb99

 

Grice e Zanini – simpatia conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Legnano) Essential Italian philosopher. Grice: “If Zanini likes Smith for his ‘etica della simpatia,’ I happen to prefer Englishman Butler, and his sermons on self-love and benevolence!” -- Grice: “There are some resemblances between what Zanini intelligently calls “the rhetorics, sic in plural, of truth, and my idea of theoretical argument as a sort of deep-down practical argument.” Filosofo. Adelino Zanini. Laureato in filosofia a Padova con Curi, Zanini è stato borsista presso la Fondazione L. Einaudi di Torino, ove ha studiato con Lombardini. È professore di Filosofia presso l'Università delle Marche. I suoi studi sono indirizzati, in particolare, al rapporto tra pensiero politico e scienza economica. È tra i principali interpreti di Adam Smith e di Schumpeter.  Opere principali: “Filosofie del soggetto: soggettività e costituzione” (Ila Palma, Palermo), “Keynes: una provocazione metodologica” (Bertani, Verona); “Schumpeter impolitico” (Istituto della Enciclopedia ItalianaTreccani, Roma), “Il moderno come residuo: dieci lemmi” (Pellicani, Roma); “Genesi imperfetta. Il governo delle passioni in Adam Smith, Giappichelli, Torino, Modernità e nomadismo, Calusca, Padova; Adam Smith. Economia, morale, diritto, B. Mondadori, Milano (II edizione, Liberilibri, Macerata, ). Macchine di pensiero. Schumpeter, Keynes, Marx, Ombre corte, Verona; oseph A. Schumpeter, B. Mondadori, Milano, Lessico postfordista, (cura con U. Fadini), Feltrinelli, Milano Retoriche della verità. Stupore ed evento, Mimesis Edizioni, Milano Filosofia economica. Fondamenti economici e categorie politiche, Bollati-Boringhieri, Torino; L'ordine del discorso economico. Linguaggio delle ricchezze e pratiche di governo, Ombre corte, Verona. Principi e forme delle scienze sociali. Cinque studi su Schumpeter, Il Mulino, Bologna, A. Negri, Una traccia per gli anni settanta, “Belfagor”, E. Garin, “L'etica della simpatia” -- “L'indice”, A. Salanti, L'economia politica come critica della società (capitalistica): note sparse Filosofia Economia. Fondamenti economici e categorie politiche, “Quaderni del Dipartimento di Ingegneria gestionale”,  Università degli studi di Bergamo. S. Caruso, Alla ricerca della filosofia economica, “Storia del pensiero economico”,  Fumagalli, Sfera politica e sfera economica: un difficile rapporto. A proposito di "Filosofia economica"  “Economia politica.” MLOL, Horizons Unlimited srl. Registrazioni, su RadioRadicale, Radio Radicale. univpm. Sito web italiano per la filosofia, su swif.uniba.  Intervista su J.A. Schumpeter. Video Mediaset, su video.mediaset. Legnago. Adelfino Zanini.  Zanini. Keyword: etica della simpatia, simpatia, empatia, impassibile, non passibile, impatetico, impassionato, compassione --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice and Zanini: the rhetorics of truth,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia; H. P. Grice, “Zanini,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, University of California, Berkeley.  #zanini https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4627107803967845 #griceezanini https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702448521/in/photolist-2mLLyDT-2mLLyEe-2mLGtqF-2mLLyE4

Grice e Zanotti – forza viva – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo. Opere: “Della forza dei corpi che chiamiamo [forza] viva”,  “Filosofia morale”; “De viribus centralibus” Bononiae, Lelio dalla Volpe; “Ragionamento sopra la filosofia”; “Paradossi”; “Epistolario.” Keywords: forza viva. Refs.: H. P. Grice, “Zanotti and me,” The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Luigi Speranza, “Grice e Zanotti: la forza viva,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.  #zanotti https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4576818618996764 #griceezanotti https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51703338630/in/photolist-2mLLzcS-2mLGu2L-2mLR8fW-2mLGu2F-2mKNzsy-2mKS5aL

Grice e Zimara – i parepatetici -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Galatina). Essential Italian philosopher. Grice: “Zimara is a testimony that Aristotle is popular without Oxford!” Filosofo. Marcantonio o Marco Antonio Zimara o Zimarra (San Pietro in Galatina). Si  laurea a Padova e vi insegnò. Sindaco di Galatina,  Zamara si recò a Napoli per difendere la città dai soprusi dei Duchi Castriota. Insegna filosofia a Salerno con la stesura di una guida alle opere di Aristotele. Cura la pubblicazione di alcune opere di Alberto Magno e  di Giovanni di Jandun   Dizionario di filosofia. Delio Cantimori in Enciclopedia Italiana. Opere: “Questio de primo cognito” -- Papie, Iacob de Burgofranco impresse, Studi  Galatinesi illustri, Guida Biografica, Tor Graf Galatina, Galatina. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Marcantonio Zima Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.Grice: “It’s amazing how much Zimara loved Aristotle, at least for those who don’t love him that much!” Zimara. Keywords: Aristotle. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c -- Luigi Speranza, “Grice e Zimara: Aristotle within and without Oxford,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.  #zimara https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4597521526926473 #griceezimara https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701653932/in/photolist-2mLQ3qX-2mLQ3r8-2mLGusq-2mLLzBj-2mKT8uf-2mKHb1p

Grice e Zini – iustum quia iussum -- filosofia italiana – Luigi Speranza  (Firenze). Flosofo. Grice: “Like me, Zini has been interested in the Graeco-Roman concept of ‘ius.’” -- Opere: “Proprietà individuale o proprietà collettiva?” (Torino, Fratelli Bocca), “Il pentimento e la morale ascetica” (Torino, Bocca), “Giustizia: storia d'una idea” – cfr. Grice on ‘justice’ in Thrasymachus – (Torino, F.lli Bocca), -- cf. Grice, “Justice in Plato’s Republic,” “Social justice,” The Grice Papers), “La morale al bivio” (Torino, Fratelli Bocca), “La doppia maschera dell'universo: filosofia del tempo e dello spazio” (Torino, Fratelli Bocca); “Il congresso dei morti,” Roma, Libreria editrice del Partito comunista d'Italia, ed. con introduzione di Giancarlo Bergami e prefazione di Nerio Nesi, Calabritto, Mattia&Fortunato; Poesia e verità, Milano, Corbaccio, I fratelli nemici: dialoghi e miti moderni, Torino, Einaudi; La tragedia del proletariato in Italia: diario, Prefazione di Giancarlo Bergami, Milano, Feltrinelli; Appunti di vita torinese, Firenze, Olschki  Pagine di vita torinese: note del diario, Torino, Centro studi piemontesi. Grice enjoyed Zini’s approach. “Zini’s philosophy on justice is divided into six parts. The first is ‘the real and the ideal” (‘il relae e l’ideale”); the second is “la giustizia come idea ed emozione” (fairness as idea and as emotion), the third is “I frutti del lavoro e la loro distribuzione scondo giustizia” (The fruits of labour and their distribution according to fairness”); the fourth is “Libertà od egualiglianza” -- Grice: “Note the ‘od,’ which need not be exclusive” --; the fifth is “Analissi del merito,” an analysis of merit, and the last is “La pena riparatrice,” literally the pain that repairs, the punishment that teaches.”Grice: “In liberty or freedom versus equality, Zini approaches the Roman attitude, rather brusque to those who strike an Anglo-Saxon attitude!” – Keyowords: ius, iustum quia iussum. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Zini”; H. P. Grice, “Justice from Plato to Zini: the history of an idea, alla Berlin,” Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. #zini https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4583446701667289 #griceezini https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702737133/in/photolist-2mLQ41j-2mLGv3P-2mLLAb5-2mLN3si-2mLN3rw-2mLR9dh-2mLGv4a-2mLGv33-2mLQ41K-2mLGv2B-2mLLAaU-2mLGv3o-2mKPXEp-2mKT81u-2mKGAXq

Grice e Zolla – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia).Essential Italian philosopher. Filosofo italiano. Saggi: “Etica e estetica” (Spaziani, Torino), “Eclissi dell'intellettuale” (Bompiani, Milano), “Volgarità e dolore” (Bompiani, Milano), “Le origini del trascendentalismo” (Edizioni di Storia e Letteratura, Roma), “Storia del fantasticare” (Bompiani, Milano), “Le potenze dell'anima: morfologia dello spirito nella storia della cultura, anatomia dell'uomo spirituale (cf. Grice, “the power structure of the soul”) (Bompiani, Milano), “I letterati e lo sciamano” (Bompiani, Milano), “Che cos'è la tradizione?” (Bompiani, Milano), “Le meraviglie della natura: introduzione all'alchimia” (Bompiani, Milano, Archetipi, Marsilio, Venezia), “L'androgino: l'umana nostalgia dell'interezza” (Red, Como), “Incontro con l'androgino: l'esperienza della completezza sessuale” (Como Aure: i luoghi e i riti, Marsilio, Venezia), “L'amante invisibile: l'erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella legittimazione politica” (Marsilio, Venezia), “Il sincretismo” (Guida, Napoli), “Verità segrete esposte in evidenza: sincretismo e fantasia, contemplazione e esotericità” (Marsilio, Venezia), “Tre discorsi metafisici” (Guida, Napoli), “Uscite dal mondo” (Adelphi, Milano), La luce. La ricerca del sacro, Tallone, Alpignano Ioan Petru Culianu, Tallone, Alpignano Lo stupore infantile, Adelphi, Milano Le tre vie, Adelphi, Milano Un destino itinerante: conversazioni tra Oriente e Occidente con Doriano Fasoli, Marsilio, Venezia La nube del telaio: Ragione e irrazionalità tra Oriente e Occidente, Arnoldo Mondadori Editore, Milano La filosofia perenne. L'incontro fra le tradizioni d'Oriente e d'Occidente, Mondadori, Milano Catabasi e Anastasi, Tallone, Alpignano Discesa all'Ade e resurrezione, Adelphi, Milano Minuetto all'inferno, Einaudi, Torino Cecilia o la disattenzione, Garzanti, Milano I moralisti moderni, Garzanti, Milano (con Alberto Moravia) Saggi, Bompiani, Milano La psicanalisi, Garzanti, Milano Emily Dickinson, Selected Poems and Letters, Mursia, Milano Il Marchese de Sade, Le opere. Scelte e presentate da Zolla, Longanesi & C., Milano I mistici, Garzanti, Milano Herman Melville, Clarel, Einaudi, Torino; nuova ed. Adelphi, Milano Nathaniel Hawthorne, Settimio Felton o l'elisir di lunga vita, Neri Pozza, Vicenza; poi Garzanti, Milano Il superuomo e i suoi simboli nelle letterature moderne, La Nuova Italia, Firenze Pavel Florenskij, Le porte regali. Saggio sull'icona, Adelphi, Milano Novecento: Lucarini, Roma L'esotismo nella letteratura, La Nuova Italia L'esotismo nelle letterature moderne, Liguori, Napoli Il dio dell'ebbrezza: antologia dei moderni dionisiaci, Einaudi, Torino Conoscenza religiosa, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma Gli arcani del potere: elzeviri, Rizzoli, Milano, Gli usi dell'immaginazione e il declino dell’Occidente, A.I.R.E.Z., Montepulciano Filosofia perenne e mente naturale, Venezia Il serpente di bronzo. Scritti antesignani di critica sociale, Venezia Civiltà indigene, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma Archetipi. Aure. Verità segrete. Dioniso errante. Tutto ciò che conosciamo ignorandolo, Marsilio, Venezia  (contiene Archetipi, Aure e Verità segrete esposte in evidenza, e l'introduzione all'antologia Il dio dell'ebbrezza) Le tre vie. Soluzioni sovrumane, Grazia Marchianò, Marsilio, Venezia. Zolla. Keywords: fantasticare. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley  #zolla https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4615547105123915 #griceezolla https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701657667/in/photolist-2mLN3Yo-2mLN3Yd-2mLLAFU-2mLLAFZ-2mLGvyP-2mLR9J2-2mLR9J7-2mKT6He-2mKPWH9-2mKS46g

Grice e Zorzi – l’armonia del mondo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Essential Italian philosopher. Grice: “For some reason, in the Veneto area, they cannot pronounce the /dg/, which becomes /z/ as everyone who is familiar with Giorgone – as in Quine’s infamous example -- would know!”. Filosofo. Opere: “L'armonia del mondo” (S. Campanini, "Il Pensiero Occidentale", Bompiani, Milano), “De harmonia mundi,” pref. C. Vasoli (Lavis-Firenze, La Finestra editrice-Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze), “L'Elegant: Poema e Commento sopra il Poema, J.-F. Maillard, Arché Edidit, Milano Paris. S. Onda, “Le vicende costruttive della chiesa e del convento”, “Il progetto di Jacopo Sansovino e il «memoriale» di Zorzi” “Le teorie ermetiche di Zorzi,” in “La chiesa di San Francesco della Vigna e il convento dei Frati Minori” (Venezia, edizione a cura della Parrocchia di San Francesco della Vigna), S. Campanini, “Le fonti ebraiche del ‘De Harmonia mundi’ di Zorzi, in «Annali di Ca' Foscari»; S. Campanini, “La struttura simbolica del ‘De Harmonia mundi’ di Zorzi, in «Materia Giudaica». Alfonso Vesentini Argento. “Il cardinale e l'architetto: Aleandro e il rinascimento adriatico veneziano” (Apostrofo edizioni-Pieve San Giacomo-Cremona). Grice: “Zorzi is interesting as proof that in Italy they take the Hebrew language seriously! They call it a classic, even! I wish I had learned some all those years I borded at Clifton!” – Zorzi. Keywords: armonia conversazionale. Refs.: H. P. Grice, The Grice Papers, BANC MSS 90/135c, The Bancroft Library, The University of California, Berkeley, Luigi Speranza, “Grice e Zorzi: l’armonia del mondo,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria. Grice e Zorzi Grice e Zorzi #zorzi https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4597460416932584 *https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51691790628/in/photolist-nfCbJd-2mKPWrs-2mKNDfF-nfj51y

Grice e Zucca – un filosofo di un filosofo -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Villaurbana). Filosofo. Grice: “I like his surname. Mine means ‘pig.’ His means ‘pumpkin’!” Saggi: “L'uomo e l'infinito” (Imola, Tipografia sociale), “Il lamento del genio: parodia” (Sassari, Gallizzi), “Dopo il dolore: canto (Chiari, Rivetti), “Il grande enigma” (Modena, Formiggini), “Le lotte dell'individuo” (“Rivista di Filosofia”, Modena, Formiggini), “Essere e non essere” (“Rivista di Filosofia”; Roma, Formiggini), “Pensieri” (“Rivista sarda”), “Leggenda e realtà” (“Rivista sarda”), “Ardigò e il vescovo di Mantova: un'intervista nel sogno” (“Rivista sarda,” Roma, Ferri), “Un filosofo di un filosofo” (“Mediterranea”), “I rapporti fra l'individuo e l'universo” (Padova, Milani). Antioco Zucca. Zucca. Keywords: un filosofo di un filosofo. Refs.: Luigi Speranza, “Un filosofo di un filosofo: Grice e Zucca,” -- H. P. Grice, The Grice Papers, BANC, MSS The Bancroft Library, The University of California, Berkeley. Luigi Speranza, The Swimming-Pool Library, for the Anglo-Italian Club, Villa Speranza, Liguria. Grice e Zucca #Zucca https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4572810639397562 *https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51702459231/in/photolist-2mLGwFP-2mLLBQT-2mLGwFD-2mLQ5F8-2mLN587-2mKT6qL-2mKT6cK-CJiGU5-BLCQcz-C91qtA-BRssY3-Cbik8t-BRstt1-BK57Zz-BYzvBt-Bq3dFH-skZFyK-hSTpSd

Grice e Zubiena – corpi e corpi -- filosofia fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Grice: “Perhaps without knowing, Zubiena has explored a crucial concept in Greco-Roman philosophy, that of ‘daimone,’ – ‘il demoniaco,’ as Zubiena calls it, focusing on its iconography. Grice: “I would call him the Italian G. W. H. Parkinson: like G. Parkinson, Zubiena edits a volume on ‘semantics.’ And I would also call him the Italiaan A. G. N. Flew: like Flew, Zubiena edits a volume on “Language and philosophy.”” Filosofo. Insegna a Roma. Fonda l'Archivio di Filosofia e organizza i "Colloqui Castelli.” Grice: “Zubiena should have called these colloquia the Zubiena colloquia” -- incontri che riuniscono filosofi per discutere temi diversi. Vicino all'esistenzialismo, Zubiena, partendo da una posizione spiritualista, si caratterizza per uno stile filosofico dal tratto autobiografico. Si interessa di temi legati al rapporto tra ragione, arte e religione; e introdusce il dibattito sulla demitizzazione. In Zubiena convergono suggestioni tratte da Agostino, Kierkegaard, Šestov, Heidegger, in una ricerca volta a delineare una teologia della storia sulla base della considerazione del tema del peccato originale. Nei Colloqui “Zubiena” convennero personalità di rilievo della scena filosofica religiosa, teologica, ontologica, fenomenologica ed ermeneutica. Vi fecero la loro comparsa Gouhier, Breton, Brun, Bruaire, Tilliette, Lacan, Ricœur, Lévinas, Ellul, Argan, Starobinski, Benveniste, Eco, Scholem, Vahanian, Giannini. Ha preso il suo posto, come organizzatore dei Colloqui e direttore dell'Archivio di Filosofia, Olivetti. Panikkar e suo grande amico e collaboratore. Saggi: “Il tempo esaurito” (Bussola, Roma), “I presupposti di una teologia della storia” (Milani, Padova), “Il demoniaco” (Electa, Milano), “Pensieri e giornate” (Milani, Padova), “Simboli e immagini” (Rinascimento, Roma), “Il tempo invertebrate” (Milani, Padova), “I paradossi del senso commune” (Milani, Padova), “La critica della demitizzazione” (Milani, Padova), “Il tempo inqualificabile” (Milani, Padova) “Diari” (Milani, Biblioteca dell'Archivio di Filosofia, Padova). Olivetti, La filosofia cristiana (Città Nuova, Roma); Prini, “L'esistenzialismo teologico”, La filosofia cattolica italiana del Novecento” (Laterza, Roma). Enciclopedia Treccani  Sapienza Roma, su archivio.uniroma1, Filosofia della religione esistenzialismo teologia razionale  Istituzioni collegate, su filosofia.uni roma1. Archivio di filosofia, su libra web.net. Sichirollo, “Castelli Gattinara di Zubiena, Enrico”, Enciclopedia Italiana, Appendice, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Episcopale Italiana. O di Enrico Castelli. Enrico Castelli. Enrico Castelli Gattinara di Zubiena. Zubiena. Keywords: symbolica; parabolica; diabolica; lo individuo e il stato, la corporazione. Refs.: Luigi Speranza: “Grice, Flew, Parkinson, and Zubiena,” Luigi Speranza, “Grice e Zubiena: implicature demoniache” -- The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria. Grice e Zubiena #Zubiena https://www.facebook.com/media/set/?vanity=j.l.speranza&set=a.4795725827106041 * https://www.flickr.com/photos/102162703@N02/51701268687/in/photolist-2mLGyqv-2mLJBAD-2mLN3xV-2mLEwLN-2mLEvWg-2mLN4xk-2mLJzAr-2mFYSKW-2mFTkXC/

 

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